GIORNALE DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI VoC. 33;, 338. ROMA TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI 1847 {/^^ f^.ncfi^. ARCADICO D I SCIEI\ZE, LETTERE ED ARTI ottobre, JVoTembre e Dicembre 1841 ROMA TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI 1847 SGll^M^lO Teoria dei tubi capillari. Memoria di Ercole Roselli. J-ia teoria, che pubblico con la presente memoria, è dedotta d'alcuni teoremi di meccanica molecolare, e confermata dalla esperienza. Quindi si conosce che la memoria conterrà primieramente questi teoremi, dai quali partendo sarà dedotta la teoria dei tubi ca- pillari, che certamente non avrà alcuna somiglianza con quelle che conosco. Questa, se vera dovrà sti- marsi, sarà da tanto di spiegare i fenomeni capillari cogniti; e s'è generale, dovrà presentare una via fa- cile a spiegare e trovare dei nuovi; il che credo ve- rificarsi con la presente. Se poi la mia mente fosse stata confusa da qualche illusione, non mi rimarrà altro se non dimandare scusa ai geometri dell'invo- lontario errore. Vedendo poi ch'ella sia sufficiente- mente accetta da essi, darò in appresso l'analisi, de- ducendola da certi principii di meccanica molecola- re, che sono il soggetto di una memoria che pub- blicherò, avendo già compiuto il manoscritto. TeorejMA I. - Le forze molecolari non possono es* seie rappresentate esattamente per la ragione inversa delle potenze delle distanze. 4 Scienze Dimostrazione. - Prendo dalla fìsica e dalla chi- mica che una somma di atomi formano una mole- cola, e che dalla unione di queste molecole insen- sibili si compone un corpo di volume sensibile. Pren- do egualmente dalla fìsica e dalla chimica che que- sti atomi e queste molecole insensibili devono ope- rare a distanza insensibile : poiché si sa, che di poco seperando queste molecole, il corpo o solido o liqui- do, ch'esse formavano, si divide; e la coesione ov- vero adesione cessa di aver luogo. Onde dovremo dire, che se le dette quantità algebriche potessero rap- presentare queste forze molecolari, dovrebbero sod- disfare questo criterio di essere le forze « sensibili a distanza insensibile, e viceversa: » il che dico non potersi con quelle verificare. 0 ritengasi con Buffon e Laplace (dicendo però questi essere cosa più prudente aspettare, che le leggi di affinità siano determinale da numerose esperienze) che l'attrazione molecolare segua la medesima legge della univeisale-, o con Newton, sebbene scopritore della gravitazione universale, e Clairaut, che ammet- tevano una legge più rapida della ragione inversa dei cubi delle distanze; ovvero con Giuseppe Belli, che l'attrazione molecolare segua una legge più ra- pida della ragione inversa delle quarte o anche quin- te potenze delle distanze; egli mi sembra sempre ve- ro, che ninna delle nominate leggi possa verifìcare l'anzi fissato criterio datoci dalla esperienza. Sappia- mo ancora che l'attrazione molecolare è più o meno forte tra le molecole dei corpi, secondo la diversità Tubi capillari 5 della loro constituzione, e secondo le forze eh' en- trano nella loro formazione; quindi chiamando f un coefficiente ch'esprima questa maggiore o minore in- tensità, ponendo pei principii noti che le molecole si attraggono in ragione diretta del prodotto delle masse, ed inversa delle potenze Usime delle distanze, chiamando dm e dm' due masse infinitesime, ed r la distanza piccolissima fra queste, avremo per l'espres- sione dell'attrazione molecolare fdmdm Ora questa formola deve verificare il criterio di es- sere « insensibile a distanza sensibile e veceversa: » quindi questa formola deve = 0, quando r diventa di lunghezza sensibile: onde poniamo in luogo di r la r -t- a, essendo « di lunghezza sensibile, avremo fdmdrn fdmdm' ^'-^^y ,„ , „ , w(«— 1) „ «(n— 1) r -+-m- -'an — r'-'a^ .... — - — r^a^-'^-^nra"-^ ~^a" Ora potremo fare r \ a =r, -t- a, , essendo r, ed a, di lunghezza sensibile, donde vedesi che rimanendo r, ed a, di grandezza sensibile finita, non si potrà avere [r ■+■ a)- I se non nel caso che alla distanza r-4- a rispondesse fdmdm' = 0; ma questo è un prodotto positivo, ed è contro le nozioni algebriche elementari che un prodotto positivo eguagli zero, quando il denominatore acquisti e Scienze un valore finito ; perocché oltre che non discende- dall'analisi, non sarebbe generale per la natura della quantità f: quindi deducesi che le forze molecolari non si possono rappresentare per le dette quantità algebriche. Dalle cose dette discendono : CoROLL. 1. Essendo y finito ed a infinito, avre- mo algebricamente [dindin ' \r -\- a)" ~ la quale espressione se potesse bene rappresentare la forza molecolare partorirebbe confusione, dovendo es- sere eguale zero ancora, allora quando ?'-i- a egua- glia una quantità finita: similmente notisi che quan- do r è lunghezza finita ed a infinita, la formola da- rebbe un valore = 0 ; mentre quando r h « egua- glia quantità finita, dovrebbe desumersi similmente la formola eguale zero da considerazioni parziali. CoROLL. 2. Degno di osservazione è che le dette quantità algebriche solamente esprimono quelle forze eguali zero, quando ?' -h «== oo ; mentre alcune fun- 'zioni trascendenti, come vedremo, pel caso di r^a eguale ad una distanza finita verifica il posto crite- rio; il che indica che une sono le espressioni inesat- te, e che le altre quadrano esaltamente con i feno- meni. CoROLL, 3. Secondo Bufibn e Laplace avremo fdmdm' {"r-h a)' ' secondo Newton e Clairaut Tubi capillari fdmdm'' secondo Belli fdmdm' fdmdm' ovvero — quindi uiuna di queste leggi può rappresentare esat- tamente l'attrazione molecolare. CoROLL. 4. Dal 3 corollario, abbiamo fdmdm' fdmdm' r^ ' r^ H- 2ra -\- a^ fdmdm' fdmdm' 3 ' r,3 -}- 3r,2a-|- 2r,a'' -f- a' fdmdm' fdmdrn — r— , —. — 5 1 : ; , i ovvero /^wrfw' fdmdm' rs^ ' rs^ -+- Srj'io -j- 1 0ra V ■+• 1 0r^^a^-i-Br^a^ -+- a^ essendo a quantità finita, vediamo che queste quan- tità vanno diminuendo; quindi quanta sarà più gran- de la potenza reciproca e minore la distanza, tanto sarà più sensibile l'aumento delle distanze. Teorema 2. - Le forze molecolari devono essere rappresentate per funzioni esponenziali. Dimostrazione. Il dovere vuole che renda il con- venevole onore a Poisson, il quale nel voi. Vili del- l'accademia delle scienze di Parigi, novella serie, dette l'esempio. Se queste funzioni rappresentano esatta- mente le forze molecolari, devono secondo il solito verificare il criterio di essere « sensibili a distanza 8 Scienze insensibile, e viceversa » : bisogna quindi che la leg- ge del decrescimento di questa forza per l'aumento delle distanze sia tale, che per quanto essa sia in- tensa ad una distanza insensibile, divenga nulla ad una distanza sensibile , benché piccolissima. Fra le molte, che si possono concepire, di queste funzioni, prendo la seguente , siccome convenevolissima alla presente teoria- Siano r la distanza di due punti qualunque, che si at- traggono fra loro : a una linea di grandezza finita, ma insensibile, la quale rappresenti la distanza fra due punti i più prossimi nello stato d'equilibrio : A la intensità della forza relativa ad una distanza r infinitamente piccola: B un numero maggiore o minore della unità : m un grandissimo esponente positivo : dico che le forze molecolari possono essere ottima- mente rappresentate per la formola AB""^. Innanzichè dimostri questa proposizione, conviene che dica alcuna cosa su questa notazione. Ho detto che A è la intensità della forza relativa "ad una distanza r infinitamente piccola; ed infatti r"' prendendo Tespressione AB ~ "^ facendovi r = 0 , avremo '»?-. onov9l> f^jilo-joloi ■li Si iiiti. AB"" '^z=:xk . Tubi capillari ì9 B deve essere > ovvero «< 1; infatti se B= 1, nulla indicherebbe quell'esponente : se B <; 1 si ve- rifica il criterio che « a distanza sensibile la forza è insensibile, e viceversa >» ; perocché avremo, quan- do r=^a r B«'""' e ponendo -4- ove k'p-h^ sarà m -I A AA« m-i m-l Onde vedesi ch'essendo r =a, ossia la distanza in- sensibile, si fa sensibile la forza tanto più , quanto più Ar> II. Se all'opposto r è un multiplo tale di a, che renda — molto «rande , avremo clie AB " a s'impiccolisce tanto più, quanto — si fa maggiore 5 e perchè — divenga sensibile, fa bisogno che m sia grandissimo ed ?' un multiplo molto grande di a , avremo che giunta quella quantità a questo limite l'azione di quella forza è nulla. Se B> 1, con lo stesso calcolo, ponendo B= y , avremo 10 Scienze ed usando il medesimo raziocinio, il caso di B!>1 verifica ancora che a distanza insensibile è sensibile la forza molecolare, e viceversa; ma essendo Ah"'" A/.«" ni-l ^^ hani avremo che quando nella formola AB « si haB^I, la forza rispondente molecolare deve essere più sensibile di quando si ha B >- 1 ; onde penso che nell'applicazione di questa formola alla teo- ria dei tubi capillari dovrebbesi prendere piuttosto B <; 1 che B ;> I, e questo alla superfìcie libera, ove si ha una variazione di densità, la quale sebbene cre- do che vi sia, pure sono di opinione che non possa avere quella influenza sui tubi capillari che gli dà Poisson per ispiegarne i fenomeni: e questo meglio si vedrà in appresso. Quindi nel progresso della memo- ria supporrò B>> 1 sì per commodità di calcolo, sì ancora perchè non voglio riferire i fenomeni dei tubi capillari a questa variazione rapida, la quale potrà modificare i risultati; ma niuno ha dimostrato da essa provvenire i fenomeni capillari, e principalmente quel- lo straordinario innalzamento. Avvertendo poi che le forze molecolari possono essere, od anzi quasi sem- pre sono, quantità discontinue, ne discende che non solo non si possono rappresentare algebricamente, co- me vedemmo nell'antecedente teorema, ma ancora che Tubi capillari fi non v'ha repiignanza, ch'esse possano ammettere il doppio valore di li < 1 e B > 1, secondo che que- ste appartengono aUa superficie, ovvero all' interna del volume. In quanto ad - , questa è così rappresentata, perchè possa indicare convenevolmente i decrementi e gli aumenti lenti o rapidi delle forze molecolari. Supponiamo che sia ,?' < « , avremo ,r= .essen- do [X quantità variabile , che indica il rapporto di — >> 1 , e qumdi AB A a"'- ed essendo /j-"' >«"«-• , avremo "''- frazione , e [X"' quindi questa espressione delle forze molecolari, se- condo che la differenza fra a e [J. sarà minore o maggiore, potrà rappresentare questo lento o rapida aumento d'intensità. Si noti che volendo 1' aumento di questa forza molto più rapido, sarebbe bene prendere invece di m AB « la formola AB ^^l • perocché facendo !>• — — , avremo b/^" 12 Scienze che per essere m grandissimo , e w. numero intero >.1 , sarà — molto piccolo, e quindi questa formo- la esprime eccellentemente l'aumento rapido di que- sta forza. Volendo poi che questa forza diminuisca molto rapidamente, prenderemo ir =: — , ed avremo /x« ^ m+I B« B onde vedere che in questo caso dovrà essere molto grande, e quindi di criterio >1 1+ — a '" essendo m grandissimo. r Se r == a, dalla AB avremo A B" cioè un valore costante, il quale sarà 1, e >AseB<1: similmente facendo i?* = a nella espressione AB avremo A F ' Tubi capillari 13 cioò valoi'e costante che {^fode delle stesse proprietà deiranteccdente. Se i*' >• a T si vede senza pia che 1' espressione /• AB indica decrementi più o meno rapidi, secon- dochè r è più o meno (yrande della a. Se ,)' ■< a , possono avvenire due casi o che r"''!>a\, ed allora si viene nel caso antecedente, ma con questa diffe- renza che il decremento sarà molto lento , ovvero r'" » a, bi- sogna che ,)•»•«; il quale ultimo caso dando un valore costante, diremo che questa espressione è di- scontinua, come deve essere, secondo quello che in- nanzi vedemmo, e si riferisce al caso dell'equilibrio delle molecole. Quindi concluderemo che se in una massa qualunque si avrà equilibrio di molecole, faremo if = a si avrà condensazione di esse, ^r « essendo questo ultimo valore ir compreso fra la sfera di attività ..r = a fimo ad iV = ììa , ove iì deve es- sere un numero molto grande : ognuno vede che questi risultati si sono ottenuti per esprimere esatta- mente le modificazioni che soiFrono i liquidi. Ora sarà facile intendere che la funzione espo- nenziale data verificherà il criterio nominato: infatti riprendasi la formola ab"^ e facciasi la distanza r insensibile fra le molecole , sarà r =3 0 -, quindi dalle cose dette sarà tanto più sensibile l'azione molecolare, quanto più r si accosta a zero. Facciasi ora r sensibile , avremo dalle cose dette r ■-= na', onde — diverrà ben presto un nu- a Tubi capillari jq mero grandissimo , e quindi AB " avrà un valore insensibile ; pertanto questa funzione verificando il criterio, ne discende che l'attrazione melecolare de- Tesi rappresentare per una funzione trascendente. Quindi si deduce: COROLL. 1 . - Che sommando queste forze moleco- lari, prenderemo le distanze fra r=~ fino ad r=^na n ' essendo ?i, 7Ì numeri molto grandi; od in questo caso le forze saranno sensibili : saranno poi insensibili da »*= na fino r^trf'a, essendo jf" a le distanze mag- giori di na fino all'infinito. CoROLL. 2. - Essendo na un multiplo molto gran- de di a insensibile, avremo " = 1, 2, 3, . . . . , yi'_1 , n' in cui la forza è sempre sensibile, il quale numero n sebbene debba essere differente secondo i diversi corpi, pure è sempre molto grande; quindi potremo dire nel caso dell'azione sensibile per le cose vedute sopra, che <( l'azione molecolare si estende ad un gran numero di distanze a ». Né questo contraddice all'esperienza fatta da Hauksbèe, che l'ascensione del liquido nei tubi capillari è indipendente dalla gros- sezza dei tubi; perocché quantunque sottilissimo si prenda questo tubo, sempre contiene molte migliaia di molecole: quindi quella sperienza si riduce al caso di ?•= ?i°°a; mentre al presente si ragiona del caso ^ *^^ ^ ^^ '' "^ "^ ' quindi conseguiamo la 113 Scienze lepge che « le forze molecolari operano in una fun- zione multipla delle distanze fra gli atomi n. Scolio 2. - Se mi si domandasse perchè ho pre- so per rappresentare le attrazioni molecolari la fun- zione esponenziale AB " : rispondo che questa e- spressione verificando meglio l'esperienze, e di più dando la spiegazione delle azioni capillari, mi sem- bra che sia d'ammettersi per la più esatta ; e spero che ognuno rimarrà persuaso , allorquando ricono- scerà che quella è sufficiente per ispiegare le azioni capillari, unita ad altre considerazioni, senza creare ipotesi arbitrarie. Ne questa formola è ipotetica, ne arbitraria; però che avendo dimostrato che le azioni molecolari sono fenomeni esponenziali, e la teoria del- le azioni capillari appartenendo alle azioni molecolari, egli è necessario ammettere, che la natura in questi fenomeni è bene rappresentata con questa legge, per- chè esattamente li spiega. Scolio 3.- Si avverta che può avvenire come caso particolare che B = e, essendo e la base dei logaritmi neperiani ; la quale sebbene è comodissima , pure per la generalità ha posto B, e le ragioni sono state dette innanzi. § "• I fenomeni dei liquidi entro i tubi capillari osser- vandosi non solo sotto la pressione dell'aria, ma anco- ra nel vuoto boileano; penso che trattando di questa teoria si possa prescindere dall'aria. E questo non per- chè creda che sotto la pressione di essa, il liquido Tubi capillari IT non soffra qualche azione; ma perchè l'aria legjrer- mente modifica i fenomeni dei capillari. Ed infatti conosciamo dalla esperienza, che i liquidi nel vuoto nominalo sorgono a quella stessa altezza, a cui si ele- vano sotto la pressione libera dell'aria; ed inoltre la altezza, a cui si fermano i liquidi dotati di diverse gravità specifiche, non sono in ragione inversa delle stesse, come dovrebbe essere, se il fenomeno dipen- desse dalla pressione dell'aria. Da questi fatti dedu- co, che i fenomeni dei tubi capillari non dipenden- do dalla pressione dell'aria, mi sarà lecito prescin- dere da essa nella teorica, come prescinderò da tutte le altre forze secondarie: sebbene tenga per fermo che debba tenersi alcun conto di esse nell'esperienze e formole che le devono rappresentare, unitamente alla influenza che vi possono avere i tre imponde- rabili in questo genere di attrazioni. Teorema 1. - Le molecole liquide comprese nella sfera di attività entro il tubo capillare essendo di minore gravità specifica sensibile di quelle rispon- denti del solido, il liquido salirà alcun poco entro il tubo capillare sopra il livello del liquido stesso con- tenuto nel recipiente. Dimostrazione. -Essendo le molecole liquide com- prese nella sfera di attività entro il tubo capillare di minore gravità specifica sensibile di quelle rispon- denti del solido, avremo che la distanza media fra gli atomi delle molecole liquide sarà maggiore della distanza media fra gli atomi delle molecole solide : quindi rappiesentando G.A.T.CXIII. 2 18 Scienze per r la distanza media fra gli atomi delle mo- lecole liquide, per r la distanza media fra gli atomi delle mole- cole solide, per Aw, àm ... le masse degli atomi liquidi, per Dm, Dm'. . . le masse degli atomi solidi, avremo r"^ r' e la espressione della forza che ritiene uniti gli atomi essendo il prodotto di essi pel coefficiente /' già no- minato §. 1, moltiplicato il tutto per l'esponenziale m r Ab « , essendo per fissare le idee B >» I5 di più avvertendo che l'azione di questi atomi è sensibile fra r== — ed r => n'a^ avremo per la forza che ri- tiene uniti gli atomi liquidi la seguente r=na 2 AB '*f^m^m^ (1) a n i segni 2 si devono estendere a tutti gli atomi a due a due compresi fra quei limiti. Similmente per la espressione della forza, che ritiene uniti tutti gli ato- mi solidi compresi nella sfera di attività rc=ina 1 AB "fDmDm' (2) n Volendo esprimere la forza di attrazione fra gli alo- Tubi capillari 19 mi delle molecole liquide , e quelle delle molecole solide; sia p la distanza media fra gli atomi delle mo- lecole liquide e quelli delle molecole solide, avremo j5=:n a ~'— 1 AB " f^mDm , a e se l'attrazione fra gli atomi solidi e liquidi si eser- citasse alla distanza r, cioè a quella della distanza me- dia fra gli atomi liquidi, sarà rappresentata per r:=n a AB- "flmUrn; (3) a n e se la stessa si esercitasse alla distanza 7'',cioè alla distanza media fra gli atomi solidi, sarà r' sua 1 AB . '^ r\m\)m : • . (4i) , a ' h igoiqrfiooVTriil « ma in generale o ha un valore intermedio fra r ed r' ; quindi chiamando F un coefficiente indetermi- nato, il quale dipenda da questo valore intermedio posto nell'esponenziale, e più generalmente che debba verificare la seguente equazione, che si ottiene avver- tendo alla natura delle forze dipendenti da r, r\ p; p=na -il- r=na /~na ( ,\ 2 AB- VAwDm=2 2 AFVB " — B " /./•A/nDw: n n H 20 Scienze poiché r > »' , AB " > AB " avremo finalmente, comprendendo per semplicità la indeterminala F nell'altra f, la seguente p=/j a - " — r=--n a r =n ai \ S AB- "/AmDm=2 2 A\B " — B " JfàmDm (5) a « / <* ' n n n la quale, perchè B "_ B ">0, dimostra che gli atomi delle molecole liquide saran- no attratti da quelli delle molecole solide, ossia gli atomi liquidi s'innalzeranno un poco per l'attrazione maggiore multipla della distanza a degli atomi so- lidi compresi nella sfera di attività fra r = — ed n r = n'a. Teorema 2. - Essendo gli atomi liquidi compresi nella sfera di attività interna del tubo capillare di minore gravità specifica di quelli delle molecole so- lide, esprimere con una equazione l'attrazione di que- sti atomi. Dimostrazione. - Un liquido, ch'e a contatto di un solido, (ià luogo alle seguenti azioni meccaniche^ parlo soltanto di azioni meccaniche, perchè l'altre fi- siche e chimiche sono comprese nel coefficiente f, che potrà essere variabile e costante secondo i casi. Tubi capillari 21 a L Gli atomi liquidi interni compresi fra r= — , n'a ...... . . . ed r ==i — sugli atomi solidi interni compresi tra ; a , n'a r = — ed »' = — . n 2 2. Gli atomi liquidi compresi fra r ==: — ed r ==3 na su gli atomi Solidi compresi fra /= 0 ed 3. Gli atomi liquidi compresi fra ?'=sO ed r'=a sugli atomi solidi compresi fra r= — ed r'==na. n Queste cose considerate dalla formola (5) dell'an- tecedente teorema, la forza sarà espressa per R = 2 1 A\B «— B */rAmDm-h , a r^=o n , na na . r'"' r"' 1 "1 ' A \B '^ — B~ ~^)fAmDm -k- (6) , a a ^ ' n n r =a r~na ( \ 2 , 1 A \B " — B " )f^mDm u R essendo la risultante delle attrazioni degli atomi delle molecole solide su quelli delle liquide, la quale opera per fare salire queste ultime entro il tubo ca- pillare. 22 Scienze Teorema 3. - Il liquido ascenderà entro il tubo capillare tanto più, quanta è minore la differenza fra la gravità specifica delle naolecole liquide e quelle solide, purché però questa differenza rimanga sen- sibile. Dimostrazione. - Dal proposto teorema conoscia- mo, che il liquido deve ascendere tanto più entro il tubo capillare, quanto più la gravità specifica della molecola liquida si approssima ad eguagliare quella della molecola solida, purché la differenza loro ri- manga sensibile, ossia purché la differenza delle di- stanze medie r — / sia sensibile r diminuendo si approssimi ad /. Ora dalla formola (6) si ottiene facilmente la seguente r asti a T'—a ( \ - — R=2 2 A\B " — 1/B "fAmiym ,_ a r=o n r «= — r £= — l'i' a a n n a(b «"— i)b VAmDm (7> na ( - \ - — a\b « _i;b ''/'AmDm r =a rr r=o a n dalla quale conosciamo che quanto più aumenta la gravità specifica della noolecola liquida, ossia quanto Tubi capillari 23 più si fa piccola r, tanta più grande si fa questa for- za, che fa ascendere il liquido entro il tubo capilla- re; infatti sebbene diminuisca r, pure il coefliciente B — 1 è sempre positivo >. 1 ; ed avvertendo che AB *" f\m\)m SI fa maggiore col diminuire della r, e che questa (forra. 3) esprime la forza di attrazione fra gli ato- mi ^m, Dm alla distanza r, e che (Teor. 1) questa attrazione è sempre maggiore dalla parte dell'atomo solido, ne deduciamo il proposto teorema. Scolio. - Sebbene questo teorema mi sembri ri- gorosamente dimostrato, pure per maggiore persua- sione ricordo che si verifica con la esperienza; poi- ché già si è osservato che non sono i liquidi più leg- gieri quelli che si sollevano di più, come dovrebbe seguire a forma delle leggi idrostatiche: ed infatti l'acqua, l'acido nitrico e solforico s'innalzano di più dell'alcool, sebbene questo abbia minore gravità spe- cifica di quelli. Osservo qui che ho solamente par- lato della gravità specifica delle molecole, e non già di quella dei corpi finiti; poiché dalla prima dipen- dono ì fenomeni dei tubi capillari, come si conosce dal fenomeni più comuni, che tutto giorno ci si pre- sentano. Avverto questo per evitare equivoci nell' in- 24 Scienze terpretare le forraole, dovendo discorrere di questo in appresso ancora alcun poco. I'eorema 4. - Le molecole liquide comprese nella sfera di attività entro il tubo capillare essendo di majjgiore gravità specifica sensibile di quelle rispon- denti dal solido , il liquido discenderà alcun poco sotto il livello del liquido stesso contenuto nel reci- piente. Dimostrazione. -Essendo le molecole liquide com- prese nella sfera di attività entro il tubo capillare di maggiore gravità specifica sensibile di quelle rispon- denti del solido, avremo che la distanza media fra gli atomi della molecola liquida sarà minore della di- stanza media fra gli atomi della molecola solida : quindi rappresentando per ri la distanza media fra gli atomi della molecola liquida, e conservando le al- tre denominazioni del 1 teorema del §. II, avremo r. < r e la espressione della forza che ritiene uniti gli ato- mi, essendo il prodotto a due a due pel coefficiente /"già nominato §. 1, moltiplicato il tutto, prendendo per fissare le idee B > 1, per la funzione AB " , ed avvertendo che l'azione di questi atomi è sensi- bile fra r,= — ed r, =na ^ avremo per la forza che ritiene uniti gli atomi liquidi la seguente r,=rt a _ _ 2 AB " fAmAm' (8) « Tubi capillari 25 i segni 2 estendonsi a tutti gli atomi a due a due comprese fra quei limiti. La espressione della forza, che ritiene uniti tutti gli atomi solidi compresi nella sfera di attività, sarà la medesima (2). Volendo esprimere la forza di attrazione fra gli atomi delle molecole liquide, e quelli delle molecole solide, sia p,, la distanza media fra gli atomi delle mo- lecole liquide, e quelli delle molecole solide, avremo a ' n AB « [AmDm, e se l'attrazione fra gli atomi delle molecole liquide e quelli delle molecole solide si operasse alla distan- za ri , cioè a quella della distanza media fra gli ato- mi liquidi, avremo ri~—na L 1 AB " fAmDm ; (9) a r,= — n ^ e se la medesima si esercitasse alla distanza media r degli atomi solidi, sarà r = n'a 1 AB '^ fAmDm ; , a n ma in generale pi ha un valore medio fra r'ed »',, quindi chiamando F un coefiìciente indeterminato, il quale dipenda da questo valore intermedio posto nella funzione esponenziale, e più generalmente che debba 26 Scienze verificare la seguente equazione, che si ottiene av- vertendo alla natura delle forze dipendenti da r, jSi, r pi'" 1 AB " fàmì)m== a n > / fi"' t'^ ri=na r—n'a ( - - \ 1 1 FAVB " — B " )r^mlim a a n n poiché r. < / , ed AB " > AB " ed avremo finalmente, comprendendo la indetermina- la F nell'altra/", la seguente n "• /?,=«'« -II. 1 AB « f^m\)m = a n ri^=na r^na / — L - — \ 1 ^1 ^A\B '^ - B " JfàmDm (10) n n la quale perchè >0 dimostra che gli atomi delle molecole solide saranno attratti da quelli delle molecole liquide; le quali mo- lecole liquide per la resistenza della superficie in- Tubi capillari 27 terna solida, produrranno una rarefazione di mole- cole all'intorno della superfìcie interna solida; quin- di non solo non si alzeranno entro il tubo, ma per l'attrazione maggiore multipla delle distanze (Teor. 2, Cor. 2, §. I) delle molecole sottoposte si abbasseranno sotto il livello del liquido contenuto nel vaso. Che si formi una refrazione intorno alla superficie interna del tubo , lo conferma la esperienza con la pronta escita delle molecole di mercurio dal tubo, e con la pochissima adesione su di esso delle molecole: il che non si verifica pei liquidi compresi nella condizione del 1 teorema. Teorema 5. - Essendo le molecole liquide com- prese nella sfera di attività entro il tubo capillare di maggiore gravità specifica di quelle solide, esprimere con una equazione l'attrazione di queste molecole. Dimostrazione. - Ponendo nella formola (6) r^ in luogo di /, e r in luogo di r, avremo con lo stesso raziocinio la formola , 1- ni -- ... R, = 2 2 A\B "-B "/ ± r'=o 11 fAmDrn « a , n'a A\B " _B " /fAmT)m+ (11) * V ' \\B « _B " ); a , a n n 1 I V r,=r.a r=n'a / - Li. _'Z\ A\B " — B " /fAmDm. o ' « n 28 Scienze Ri essendo la risultante delle attrazioni degli atomi delle molecole liquide su quelli delle solide, la quale opera per fare discendere questo ultime entro il tu- bo capillare. Teorema 6. - Il liquido discenderà entro il tubo capillare tanto più, quanta è maggiore la differenza fra la gravità specifica delle molecole liquide e quelle solide, rimanendo sempre questa differenza sensibile. Djmostbazioine. -Dal proposto teorema conoscia- mo, che il liquido deve discendere tanto più entro il tubo capillare, quanto la gravità specifica della mo- lecola liquida si fa maggiore di quella della mole- cola solida, ossia quanto più la differenza delle di- stanze medie r' — r, si fa grande. Ora dalla formola (11) otteniamo fa- cilmente iìf.i'.-ì^:: \)i !1<"» UI'l['.)'IVf5 rH ' r''"-r m r ™ r,=rtfl r -= a ( — \ R,= v V a\i-B "■ /B */"AmDm-H a r,= )• — o n _^na ..^^dn , V"-r^"\ r,"' 2 « , a rj= — r'^ — n a V ~a(i-B "" /B " fAmDm^{\2) )^ ut ^^ \* tu ly tft ' I V 'I r,= a r~na ( — \ — L_ 1 1 A\ I -B " /B " /•AmDm II dalla quale conosciamo che tanto più aumenta la Tubi capillari 29 gravità specìfica della molecola liquida, ossia tanto più piccola si fa Ti tanta più grande si fa questa for- za, che abbassa il liquido entro il tubo capillare. In- fatti diminuendo ri si fa più grande il coefficiente r'"'-ri"' 1-B~ " valore sempre positivo <; 1, ed avvertendo che AB /"A/nDm si fa maggiore col diminuire della r, , e che espri- me la forza di attrazione ( forni, 8 ) fra gli atomi A?n, Dm alla distanza ì\ , la quale (Teor. 4) è sem- pre maggiore dalla parte delle molecole liquide, avre- mo dimostrato il proposto teorema. Quindi se ne deducono: CoROLL. 1. -La formola (6) può essere ancora rap- presentata per , j-^iil_y>ii ,.'m r =::: ila 1'=. a / \ R=^ 2 2 A\1-B '^ /B " [AinDm -\~ n ri=!0 , no, na . y>"-r"\ v"' i " 1 ' a(i - B~^ )b~ ~^fAmDm H- (1 3) , a a ^ ^ n n r =a r= n a ( . \ s 1 a\i-b "" h r ^ 1 A\l-B '^ /B " [DmDm n 30 Scienze in cui è sempre )■ ^ r ; questa formola insegua che diminuendo ?', quantunque non vari la espressione della forza /■" AB " /•AmD?» pure il coefficiente 1-B " sì fa minore col diminuire della v. Ed infatti così deve essere ; però che AB ** fàmDni è l'attrazione fra gli atomi solidi e liquidi alla stessa distanza r dell'attrazione fra gli atomi solidi, e siccome per la diversa natura della f / ' / / / r r=:na r^^na :S AB " fAmDm < 2 AB " fDmDm n n se ne deduce che il coefficiente 1-B deve essere < 1, la quale differenza diminuisce col diminuire della r, cosi che quando / — r* = 0 non sarà più sensibile questa differenza di attrazione, e la formola (13) esprimente la forza darà un risultato uguale a zero. CoROLL. 2. - La formola (1 1) può essere posta sot- Tubi capillari 31 io la forma r,=sn,a r= a / i_ \ R,=2 1 a\,B "" — 1/B '^/•AmDm-i- « r'=:0 r, = .'m „ »i no > na ^ r -r "• v r"' i« — > — j> — » — / ' \ 2 ' '2 ' A\B '^ —1/B "/-AmOm- fl4) n n /m_^m ^'1 £2 aVB '^ —1/B " fÙLiìiDm n in cui è sempre r^i •< /; questa formola (14) dimo- stra che diminuendo ri quantunque non \ari la espres- sione della forza AB " fAmDm pure il coefficiente r/7t *■ fra ' ' I B~^~~-1 si fa sempre più >• 1 , essendo B >• 1 . Ed infatti cosi deve essere: perocché AB " fAmDm è 1' attrazione fra gli atomi solidi o liquidi alla stessa distanza r' dell'attrazione fra gli atomi solidi, e siccome per le diversa natura della /", sarà generalmente (teor.4) r=na r=na - — 2 AB " [AmDm > 2 AB " /DwDw n ■"" rt 32. Scienze se ne deduce, che per la natura della forza R, il coelficienle B~^^- 1 deve essere sempre più >► 1 , ed essendo {jeneral- mente ri ?', cresca r , ossia di- minuisca la gravità specifica delle molecole liquide, avremo dalla (13) che la frazione si fa maggiore; quindi aumentando r , ossia dimi- nuendo la gravità specifica delle molecole liquide , si fa più sensibile l'azione fra le molecole solide o liquide: ma questo allora solamente quando l'attra- zione si esercita alla distanza / degfli atomi solidi. CoROLL. A.- Essendo i\ Tubi capillari 3^9 i più attratti da quelli solidi. Viene il secondo, cioè , n'a n'a , 7-'™ /•"' /~ ' / ' AVB~~_B ~^])mmì)m , a a ' n n il quale esprime che gli atomi liquidi compresi fra n'a , a - ed r = — 2 n na a . , , , r = — ed r = — saranno attratti da quelli solidi compresi fra ?• = — ed f '=a — , la quale attrazione essendo minore dell'antecedente, diremo che gli ato- mi liquidi compresi fra r = — od r = — saranno meno innalzati che quelli compresi fra r—o od T=a. Segue l'ultimo termine, cioè r =^ a r=^ na ( ~ \ 1 I A\B '^ — B " /fàmDm a r -- o rsss — n il quale esprime che gli atomi liquidi compresi fra a T = — ed r = na saranno attratti da quelli solidi compresi fra r' =^ 0 ed r — a , la quale attrazione essendo minore deirantecedente, diremo che gli ato- mi liquidi compresi fra f -= — ed r = ria saran- no i meno innalzati : nella quale ultima si avverta ch'è compresa l'azione degli atomi liquidi fra loro. E così questa teoria e queste formole dimostrano a priori, che deve formarsi non solo il menisco con- 40 Scienze cavo, ma ancora rinnalzamento entro il tubo capii' lare deve essere considerabile; allora quando però le molecole liquide comprese nella sfera di attività en- tro il tubo capillare sono di minore gravità specifi- ca sensibile di quelle rispondenti del solido. Da quanto si è detto conosciamo che prendendo alcuni tubi di diverso diametro , in quello che ha minore diametro, il liquido ascenderà più: perchè le forze attraenti il liquido si combinano, s'intrecciano in più per attrarre un atomo litjuido. Questa combi- nazione ed intrecciamento è minore, quando il dia- metro è maggiore; fino a tanto che si ottiene il me- nisco concavo senza innalzamento della colonnetta li- quida; crescendo poi questo diametro, s'rnterrompe lo stesso menisco, e s'impiccolisce sempre più l'in- nalzamento degli atomi intorno alla superfìcie interna del tubo, fino a tanto che uguaglia all'innalzamento degli atomi esterni, che si vede all'esteriore superfi- cie del tubo. Posti questi principii si possono fare le seguenti ricerche, le quali, potendo servire per verificare la teoria con la esperienza, saranno comprese nell'ana- lisi, che darò in appresso. ., 1. La legge dei rapporti, coi quali, aumentando i diametri del tubo, diminuisce l'unialzamento del Tiquido. ' 2. Trovare quale diametro bisognerà dare al tu- bo, perchè il punto di mezzo del menisco concavo sia senza alcuna attrazione per parte della superficie interna del tubo, ossia perchè la superficie di livella sia faiigentc alla s'iipeificie. TUHI CAPILLARI 4f 3. Trovare quale diametro dovrà avere il tubo^ perocché nella superficie di livello rimanga un' area circolale di un dato raggio. h. Trovare il diametro che dovrà darsi al tubo, ove precisamente l'innalzamento degli atomi esterni eguaglia quello degl'interni; d'onde si dedurrà, che fra questi limiti saranno compresi tutti gì' innalza- menti di un dato liquido nei diversi tubi ec. Esaminiamo ora quali risultati devono dedursi , sussistendo le quattro innanzi poste e dimostrate pro- posizioni, allora quando le molecole liquide compre- se nella sfera di attività entro il tubo capillare siano di maggiore gravità specifica delle rispondenti mo- lecole solide. Per vedere questo riprendasi la for- mola (11), cioè ,._«,•.= 0 ' 1 — n n'a , na , r "' ,■■'"' « ^ a ' u n r,-=a r -^ r, I ::;= a a I V V n ove ricordo che il primo termine del secondo mem- bro rappresenta Fazione degli atomi liquidi compresi ira r, --na ed ì\ .-=.- — su gli atomi solidi compre- 42 Scienze si fra r' = 0 ed )■' — a; il secondo termine l'azione a n'a degli atomi liquidi compresi fra Vi =^ — edvi—— SU gli rispondenti atomi solidi compresi fra r — — ed /=?i'a; ed il terzo termine l'azione degli atomi liquidi compresi fra r, = 0 ed ri = a su gli atomi solidi compresi fra r' =>— ed r =na. Immerso il tubo nel liquido, le cui molecole so- no di maggiore gravità specifica sensibile di quelle a del solido, tutto lo strato liquido compreso fra ri== — • ed y, =n'a attrarrà quello della rispondente snpei'- ficie solida interna con la forza ri=n'a r'.= a ( — \ 2 1 a\b " -B "" Jfàmtìm ; poi gli atomi liquidi posti nell' interno del tubo e a . n'a - ed Ti = TT n z a , na compresi fra ì\ = - ed »'i = — attrarranno i rispon- na denti solidi del tubo compresi fra r' = - ed ^ =^ con la forza r— — r'= _ / _ -i- - \ 2 ' '2 ^^ A\B " _B " )f^m\)m ; a , a n n finalmente gli atomi liquidi compresi fra r, r= 0 ed Tubi capillari 43 r, = a attrarranno i rispondenti atomi solidi com- presi fra r•^= — ed r =^ n'a con la forza r^ =:za r .— n a i - ^^ — 1 1 A\b " -B " //"AmD? a , a n n Ora sappiamo (Teor. 4 e 6, §. II e CoroU. 2, §. I) ch'essendo le molecole liquide comprese nella sfera di attività entro il tubo capillare di maggiore gra- vità specifica sensibile di quelle rispondenti del so- lido, il liquido discenderà entro il tubo capillare tan- to più, quanta è maggiore questa dififerenza in una ragione multipla delle distanze; quindi dalla somma di tutte queste azioni avremo per lo meno un abbas- samento di molecole sul contorno esterno ed interno del tubo, e questo si verifica con la esperienza dei tubi capillari e non capillari. Ma questo non basta per ispiegare il considerevole abbassamento del no- minato liquido entro il tubo capillare, però che v'ha un'altra forza, la quale merita una considerazione grandissima , ed a cui devesi specialmente riferire quello straordinario abbassamento del liquido entro il tubo capillare. Dal CoroU. 2, teor. 2, §. I si ha, che le forze molecolari operano in una funzione multipla delle di- stanze; quindi essendo rarefatte le molecole comprese fra la superficie interna del tubo ed il liquido com- a , preso fra i\ ^ — ed Vi - na , per l' attrazione di 44 Scienze questo e la resistenza delle molecole solide del tubo, si è fatta sensibilissima la non bilanciata forza di at- trazione delle molecole omogenee del vaso : quindi moltissime molecole liquide contenute entro il tubo per r attrazione in funzione multipla delle distanze delle altre omogenee saranno costrette escire dal tu- bo stesso, e cos'i maggiormente abbassarsi il liquido entro il t'ubo capillare; e tanto più il tubo è sottile, tanto più è sensibile la detta refrazione di quelli ato- mi e l'intrecciamento delle forze omogenee di attra- zione; quindi più sensibile sarà ancora 1' attrazione omogenea delle molecole del vaso, la quale le farà tanto più abbassare, quanto più il tubo è sottile, on- de deduciamo che « le depressioni, che soffrono i li- quidi, seguono la cagione inversa dei diametri del tubo: » principio noto dalla esperienza. Formazione del menisco convesso, - Esaminando i tre termini del secondo membro della equazione (11), conosciamo dal 'primo, cioè rm ir m i\^^na V'^a I — \ 1 2 aVb " — B "h 'fAììiDtn r=o n che gli atomi liquidi compresi fra Vi = — ed r, =, w a attrarranno quei solidi compresi fra r'=0 ed r'=a^ la quale attrazione essendo la massima, diremo che per la resistenza della superficie interna del tubo, queste molecole saranno le più discoste dalla super- ficie stessa del tubo. Segue il secondo, cioè Tubi CAPILLARI 2 ■-=- n'a , ~ 1~~ -B Ti := 1. /_. n n 45 /Mml)/ il quale esprime che gli atomi liquidi compresi fra _ « na ^'^ ~n *'' ^ "2 ^"'"^'"'^^"«0 quelli solidi compresi »' ^- ^ ed r = -- , la quale attrazione essendo minore dell'antecedente, diremo, che per la resistenza della superfìcie interna del tubo questi atomi sono meno discosti dalla stessa superfìcie. Segue l'ultimo, Cloe 2 y. AVB " __B "/ ^1=0 ,^ a. n fAmDm il quale esprime che gli atomi liquidi compresi fra r, = 0 ed r, = a attrarranno quelli solidi compresi 17 *' =- Wffi , la quale attrazione essendo minore dell'antecedente, diremo che questi atomi li- quidi, per la resistenza della superfìcie interna del tubo, saranno i meno discosti. E così questa teoria e queste formole non solo danno a priori l'abbassa- mento del liquido, allora quando le molecole liquide comprese nella sfera di attività entro il tubo capii- lare sono di maggiore gravità specifica sensibile delle solide, ma ancora che devesi formare alla superficie del liquido un menisco convesso; risultati, che com- binano a puntino con la esperienza. hC^ Scienze Dalle cose dette conosciamo che prendendo al- cuni tubi di diverso diametro, in quello, che ha mi- nore diametro, il liquido discenderà più, perchè nei tubi capillari sottilissimi più azioni degli atomi li- quidi si uniscono, s'intrecciano per attrarre le omo- genee, abbassare il livello loro, e scacciare le mole- cole fuori del tubello della parte inferiore. Questa unione ed intrecciamento di forze è minore, quando cresce il diametro del tubo, fino a tanto che il punto superiore del menisco convesso è livellato con la su- perfìcie esteriore del liquido : crescendo poi questo diametro, s'interrompe questo menisco convesso, e di- minuisce sempre più l'abbassamento degli atomi in- torno alla superficie interna del tubo, fino a tanto ch'eguaglia l'abbassamento degli atomi esterni che si vede nella superficie esteriore del tubo* Da questi principii possono derivare le seguenti ricerche , le quali possono servire per verificare la teoria con la esperienza. 1. La legge dei rapporti, coi quali, aumentando i diametri del tubo, diminuisce l'abbassamento del li- quido. 2. Trovare quale diametro bisognerà dare al tubo, perchè il punto di mezzo del menisco convesso stia senz'abbassarsi, ossia affinchè la superficie di livello sia tangente alla superficie del menisco convesso nel suo punto più alto. 3. Trovare quale diametro dovrà avere il tubo, perchè nella superficie di livello rimanga senz' ab- bassarsi un'area circolare di un dato raggio r. / Tubi capillari 47 4. Trovare il diametro, che dovrà darsi al tubo, ove precisamente l'abbassamento degli atomi esterni eguaglia quello degl'interni: onde si dedurrà che fra questi limiti saranno compresi tutti gli abbassamenti di un dato liquido nei diversi tubi. §. IV. VERIFICAZIONE DELLA TEORIA CON LA SPERIENZA. Non avrei certamente ardito di pubblicare que- sta teoria, se avessi conosciuto che la sperienza non vi corrispondesse : e siccome vidi che quadrava eoa essa , e quelle piccole aberrazioni che vi conobbi , pensai doversi riferire alla natura della f piuttosto che alla teoria, non essendo qui comprese le forze straniere, che pure modificano i risultati. Stando la cosa in questi termini, fo questa verificazione sì per dimostrare che generale è la teoria, sì ancora per- chè osservando che combina con la sperienza, possa essere stimata migliore , se non la vera , di quelle pubblicate. Ma prima di procedere avverto, che nel discorrere della gravità specifica, questa, come leg- gesi nella memoria, si riferisce alle molecole dei cor- pi, e non già ai corpi stessi, sì perchè la teoria dà il primo risultato, sì ancora perchè la sperienza lo conferma. Però che allora quando l'acqua s'innalza nelle spugne, non ascende per mezzo dei spazi vuo- ti, ma bensì delle molecole pesanti : quindi l'azione essendo molecolare, non v'ha la gravità specifica dei corpi interi, la quale è eterogenea nella respettive ?i:8 Scienze molecole: lo stesso dicasi del pezzo di zucchero, clic; tocca in un sol punto lo spirito di vino, che viene ben presto tutto inzuppato; lo stesso dell'acqua , la quale bagna il piede di un mucchio di cenere, che la penetra per ogni parte, e bene presto giunge alla sommità. Devesi ancora considerare che se fra le mo- lecole a contatto v'ha azione chimica, od altra, al- lora le teoria riceverà una modificazione , che sarà compresa nel coefficiente f. Alcuni risultati della teoria abbiamo già veduto verificarsi con la sperienza: cosi nello scolio del teo- rema 3, §. II, che l'acqua, l'acido nitrico e solforico s'innalza di più dell'alcool, ch'è più leggiero; ed in- fatti avendosi dalla teoria, ch'essendo le molecole li- quide comprese nella sfera di attività entro il tubo capillare di minore gravità specifica sensibile delle rispondenti solide, il liquido s' innalzerà tanto più , quanto le molecole hanno maggiore gravità speci- fica, ne avviene che l'alcool si deve innalzare meno. Un' aberrazione apparente v' è fra l'elevazione dell' acqua, acido nitrico e solforico; ma non potendo noi determinare la gravità specifica delle molecole par- ziali di questi corpi, egli non si può dedurre , che contraddicano alla teoria;specialmente ancora ch'è pro- babilissimo nei due acidi , che vi sia una diversa azione chimica, la quale modifichi diversamente l'at- trazione capillare : e se d'altronde si osservi che la teoria dà questi risultati , teoria che per tanti altri risultati combina con la esperienza, non si può de- durre, che sia meno sussistente per queste piccole Tubi capillari AO aberrazioni apparenti. Similmente abbiamo veduto che il risultato ottenuto dalla teoria nel §. Ili, che l'al- tezza, alla quale salisce il liquido, segue la ragione inversa dei diametri dei tubi, e similmente la de- pressione che soffrono, si verij&ca esattamente con la esperienza. Ora sia il tubo capillare di vetro: se uno di que- sti s'immerge in un liquido che lo bagni , avremo che vi sarà un'attrazione del vetro pel liquido, quin- di dovrà verificarsi il teor. 1 e 3 del §. II, dai quali si ha ch'essendo le molecole liquide comprese nella sfera di attività entro il tubo capillare di minore gra- vità specifica sensibile delle rispondenti del solido , il liquido ascenderà entro il tubo tanto più, quanta è minore la loro differenza, purché però questa sia sensibile. Ed infatti abbiamo dalle sperienze, che se vari tubi capillari di vetro di diverso diametro ver- ranno immersi per le loro estremità nello stesso li- quido, questo s'innalzerà nell'interno loro ad altezze diverse, e tanto più, quanto è più stretto il diame- tro: si osserva ancora, a norma di quanto si è dimo- strato nel §. Ili, che la sommità della colonnetta li- quida prende le forma di un menisco concavo. Si è detto che il velo liquido, che bagna l'interno del cannello, è uno degli elementi dell'ascensione ca- pillare; infatti questo serve'non solo ad indicare quale e quanta attrazione hanno le molecole solide sulle liquide, ma ancora è una condizione del maggiore o minore innalzamento. Supponiamo che questo velo abbia minore attrazione pel vetro dell'acqua: redia^ G.A.T.CXIII. 4 50 Scienze ino quale risultato danno le foimole, e se combina- no con la sperieuza Sieno rfm, dm due atomi del Telo; Aw, ^m quelli del liquido; Dm, Dm quelli del solido, avremo le seguenti attrazioni: 1. Degli atomi solidi su quelli del velo: 2. Degli atomi solidi su quelli del liquido: 3. Degli atomi del velo su quelli del liquido. Essendo la spessezza del velo compresa fra i\ = 0 ed r3 = B, avremo dal Teor. 1, §. I, che gli atomi solidi attraggono quelli del velo, non la for^a «•'/« y ni r'r=n'a r,=b / ^\ 2 1 aVB " — B "^ )f^m\^m n gli atomi solidi attrarranno quelli liquidi con la forza r=n'a r==a — b / — \ 2 I A\B " -B " //AmO-/» ,^v^^ ^ r-o— b n n'i , n'a , , /"' r" a(b "-B ") 1 AVB " — B " //AmDw a n n , a a , r^esa r=n'a— b / \ 2 1 A\B '*— B ''//AmDwi a r=o r= b n le molecole del irelo attrarranno gli atomi liquidi con la forza approssimativa Tubi capillari 5 1 r^= B r—, I AVB " _B " /fdniAm : /•,:= O r=o e chiamando R^ questa forza, avremo r=«a Ta = b / . -— \ R. - 2 ^2 A\B « -B « //-Dwam + r'=!— r^ == o r=^Ha r-a—h / - — -\ 2 ^1 A\B «_B °/fAy/.Dm-4- n y 2 Al «_B «;/-AmDm r c= — r= — — b ' 2 ^ A\B " _B " //AwD/n 4- r'~o r-= b n r,^-o\=o^^^ "-^ "Wd«, Ora poiché il velo ha minore attrazione pel vetro dell'acqua, avremo, che il quinto termine è insensi- bile, ed il primo dà un risultato minore di quello che il velo fosse dell'acqua stessa; quindi chiamando R la forza, quando il velo è d'acqua eguale al li- 52 Scienze qiiido contenuto entro il tubo capillare, sarà Dunque dedurremo, che allora quando il velo ha mi- nore attrazione pel vetro del liquido, dovrà questo velo fare diminuire l'innalzamento. Corollario. - Quindi allorquando il velo ha mag- giore attrazione pel vetro del liquido dovrà que- sto velo fare elevare alcun poco più l'innalzamento del liquido entro il tubo capillare: d'onde penso che in questo modo si possa spiegare l'esperimento fatto dall'accademia del Cimento « che immergendo nell' olio i cannellini bagnati di acqua arzente, questo ascendeva ad un tale segno, ed immergendovi i me- desimi bagnati di vin di Chianti, si variava la pri- ma altezza di elevazione. » Ma questi risultati meri- tano di essere bene studiati. Per verificare con la esperienza il risultato della formola ottenuta in questo paragrafo, riporto le se- guenti due sperienze, che possono servire per esem- pio a chi volesse fare delle altre. L'acqua pura ascen- de nei tubi capillari più di quella, in cui è disciolto e. g. il sale comune: quindi dalla teoria se il velo è di acqua pura , dovrà l' acqua ascendere più di quello che il velo fosse di una soluzione di sale con l'acqua; ed infatti l'acqua si alza a determinata al- tezza in un cannellino bagnato di acqua : se però questo è bagnalo internamente con soluzione di sale con acqua, l'acqua pura si t^lza meno entro il can- - R ÌP^' :j;j'» iiup''f;"l> ù olyy h uinijjwp ^liSi'iui Tubi capillari 53 Perchè l'acqua in soluzione col sale si elevi me- no dell'acqua pura entro i tubi capillari, dalle cose dette innanzi sembra doversi riferire alle modifica- zioni delle altre forze, che insieme cooperano negli atomi liquidi, e queste modificazioni non alterano la teoria, ma dimostrano solamente che, sottomettendosi un giorno a rigore geometrico queste forze, si tro- veranno formole, che determineranno a priori que- sti risultati : intanto possiamo determinare quel coef- ficiente f in modo, che verifichisi la formola con la sperienza ancora in quelle sostanze , che sembrano aberrare dalla presente teoria in modo che le nostre formole così corrette in quelle piccole aberrazioni possano esattamente rappresentare le sperienze. Immerso un tubo capillare in una soluzione di acqua con l'alcool, si vede che questa soluzione ascen- de meno dell'acqua pura; quindi se il velo che ade- risce alla superficie interna del tubo è di una solu- zione di acqua con l'alcool, per la formola , dovrà l'acqua pura ascendere meno entro il tubetto , di quello che il velo ancora fosse di acqua pura ; ed infatti con la sperienza si verifica che l'acqua pura si alza meno entro il tvibo capillare se il velo liquido è una soluzione di acqua con l'alcool. In generale dalle cose dette concluderemo, che se il velo aderente alla superficie interna del tubo ha le molecole di minore gravità specifica di quelle della colonnetta liquida, questa non giungerà mai a quell'altezza, che giungerebbe se il velo fosse della «tessa sostanza della colonnetta liquida : se il velo ha 5A Scienze le molecole di magg^iore gravità specifica di quelle della colonnetta liquida, questa ascenderà di più, che se il velo fosse della stessa sostanza. Conosciamo dal §. Ili, che il menisco concavo non solo, ma ancora lo straordinario innalzamento delle molecole liquide entro il tubo capillare , nel caso che le molecole liquide sieno di minore gravità specifica delle solide rispondenti, devesi specialmente riferire all'azione degli atomi, secondo i quattro prin- cipii dimostrati; quindi deduciamo che aumentando la distanza degli atomi solidi e liquidi, e diminuendo il numero degli atomi solidi irt azione , diminuire deve la energia delle forze molecolari. Questo spiega il fenomeno seguente, nel quale l'azione degli atomi solidi sui liquidi è minore di quella, che si esercita nei tubi capillari, e per conseguenza il liquido deve meno ascendere. Ed infatti l'innalzamento del liquido si osserva ancora negl'interstizi fra superficie piane; il che si appalesa immergendo verticalmente nell'acqua due lastre di vetro parallele e pochissimo distanti fra loro; ciò fu osservato seguire anche tra lastre piane di marmo e di rame ec. E però da notarsi, che in questi casi l'altezza, a cui ascende il liquido , è di molto minore di quella, alla quale ascenderebbe en- tro un tubo cilindrico capillare dello stesso diame- tro. Se le lastre piane formano angolo fra loro, cioè toccandosi da un lato si allontanano dall'altro oppo- sto per piccolissimo intervallo, il liquido s' innalza allora fra le due lastre a diversa altezza, maggiore nell'intervallo minore, e minore nell'intervallo mag- giore; risultali che verificano la nostra Jooria. Tobi capillari 55 Essendo le molecole liquide di minore gra^'ità delie rispondenti solide, la teoria combina coi feno- meni; vediamo se questo avviene nella seconda parte, la quale consiste che, essendo le molecole liquide di maggiore gravità delle rispondenti solide, il liquido deve più discendere nel caso che sia la differenza maggiore. Abbiamo infatti dalla sperienza, che se vari tubi capillari di vetro di diverso diametro s'immer- gono per l'estremità nel mercurio, questo si mantiene depresso sotto il livello del recipiente: e tanto più si deprime, quanto è più stretto il diametro del tubo, prendendo la sua sommità la forma di un menisco convesso : esperienza che verifica i teoremi 4 e 6 del §. II; e quanto leggesi per questo caso al §. III. Ora avverto , che sebbene dalla esperienza non sia stato confermato, pure la teoria insegna , che se lo stesso tubo di vetro s' immerge successivamente in liquidi di densità differente, purché si verifichi che le molecole liquide siano di maggiore gravità speci- fica delle solide, si dovrà vedere che sono i liquidi, che hanno le molecole di maggiore gravità specifica, quelli che discendono maggiormente entro il tubo; prescindendo sempre dalle azioni straniere, che mo- dificano questi risultati. Sebbene il velo liquido aderente alla superficie interna del tubo deve avere una qualche azione sulla depressione del mercurio; pure, da quanto vedemmo per l'azione del mercurio sul tubo capillare, questa deve essere minore di quella considerata pel caso antecedente ; come ancora minore sarà la diversità delle depressioni se si usano due lastre di vetro. 66 Scienze Dalla teoria si deduce, che non è impossibile che l'acqua in luogo di ascendere discenda entro il tuba capillare. Se si potesse avere un tubo capillare, di cui le molecole fossero di minore gravità specifica sensibile di quelle rispondenti dell'acqua; questa di- scenderebbe (Teor. 4 e 6, §. II) entro il tubo ca- pillare tanto più, quanto fosse maggiore questa dif- ferenza, dovendo avvertire alla influenza delle altre azioni straniere/ quindi chiamando g e g' \a. gravità specifica delle dette molecole di mercurio e di ve- tro, 7 quella dell' acqua e / quella incognita delle molecole solida, se si verificasse g : g' ^-= y : y' j ossia (quando y —- — avremo che l'acqua discenderebbe entro quel tubetto incognito egualmente che il mercurio nel vetro. Similmente si deduce dalla teoria la possibilità dell'innalzamento del mercurio entro i tubi capillari. Se si potesse avere uno di questi, le cui molecole fos- sero di maggiore gravità specifica sensibile delle ri- spondenti di mercurio, questo ascenderebbe ( Teor. 1 e 3) entro il tubo capillare tanto più, quanta è mi- nore la differenza della gravità specifica fra le mo- lecole solide e liquide, ossia chiamando g a g la. gra- vità specifica delle molecole dell'acqua e del vetro, 7 quella del mercurio, 7' quella del tubetto incogni- to, se si verificasse fj '. g = y : 7 , ossia se y = — 7 avremo che il mercurio ascenderebbe entro quel tubo capillare incognito. Tubi capillari 5? ; Dirò alcuna cosa sull'applicazioni della teoria ca- pillare ai fenomeni dell' endosmosi ed esosmosi di Dutrochet, sebbene qui più che altrove vi abbiano luogo azioni chimiche e fisiologiche; ma pure quando queste non sono tanto sensibili, bene si vede che \e azioni capillari operano principalmente in questi fe- nomeni. Si empie la campana dell'endosmometro con una soluzione di gomma o di zucchero; si pone lo strumento in un vaso di acqua pura, si vede non solo l'acqua pura introdursi continuamente, attraversando la membrana, nell'interno del tubo, facendone ascen- dere il liquido quasi indefinitamente; ma ancora una quantità minore della soluzione discendere nell'acqua pura e mischiarsi con essa. Questo fenomeno discende dalla teoria facilmente ; però che essendo l'acqua pu- ra quella che si eleva di più nei tubi capillari, essa dal §. II deve penetrare ed elevarsi più facilmente pei vasi capillari della membrana, e cosi essa for- merà l'endosmosi, e la soluzione di zucchero e gom- ma l'esosmosi. La verità di questa proposizione è con- fermata dall'esperimento inverso; però che se l'endo- smometro è pieno di acqua pura e si pone in un vaso con entro della soluzione di zucchero o gomma, l'acqua pura discende dal tubo, attraversando la mem- brana, in maggiore quantità della soluzione che ascen- de, analogamente a quello che deve succedere per la teoria dei tubi capillari. Dalla stessa teoria discende che la cagione, per la quale la soluzione di zucchero o gomma penetra ancora nei vasi capillari , è che la differenza fra le 58 Scienze attrazioni per la membrana delle molecole di acqua pura e della soluzione non è molto grande: che se fosse più grande questa differenza, altro che l'acqua pura dovrebbe passare pei vasi capillari della mem- brana. In fatti questo si verifica con la sperienza ; imperocché se la membrana dell'endosmometro è di bue, e l'interno di esso si empie di alcool, immer- gendo l'istromento nell'acqua, il volume dell' alcool si accresce per l'assorbimento dell'acqua, cui si me- scola: in modo che prendendo tubi capillari di di- versa altezza, il liquido salendo fino alla sommità di essi, si versa poi dalla superiore loro apertura. Che se invece l'istromento è pieno di acqua e s'immerge nell'alcool, l'acqua esce dai vasi capillari della mem- brana, ed il livello dell'acqua si deprime, rimanendo l'acqua sempre pura; dal che si deduce, che la mem- brana ammette il passaggio dell'acqua, e lo vieta ali* alcool. In generale ogni qual volta due liquidi atti a mescersi, la cui ascensione capillare e differente, sono divisi da una membrana animale, si formano a traverso i condotti capillari due correnti in opposita direzione e d'ineguale forza; purché la loro differenza di azione non sia in modo grande, che una sia nulla relativamente all'altra, come avviene nell'acqua ed al- cool. Si avverta a conferma della presente teoria, che quei liquidi, i quali ascendono più nei tubi capilla- ri, sono quelli che in questi fenomeni passano più facilmente, e con maggiore forza pei vasi capillari della membrana; perchè dicemmo nel principio, non vi sono altre azioni straniere. Che la membrana ani- Tubi capillari 59^ male vi operi con l'orgatiizzazione sua Io conferma il vedere, che la membrana organica produce questi fenomeni, fino a tanto ch'é organizzata; ma quando comincia la putrefazione, e conseguentemente si di- sorganizza, questi fenomeni non hanno più luogo, ed il liquido che si era elevato di nuovo discende per la gravità, passando a traverso la porosità della mem- brana. Conchiudo questa memoria avvertendo, che in questa specie di fenomeni v'hanno spesso altre azioni indipendenti da quelle capillari, le quali modificano ed anche annullano questa azione capillare; ma co- munque sia essa vi opera principalmente; e godo leg- gere in Magendie, Phys. med.,che « la nature des liquides influe considerablement sur le phènomene, il est d'autant plus prononcè que la densitè du li- quide interieur surpasse davantage la densitè du flui- de enterieur, il parait meme, dans son intensitè, di- rectement proportionnel a cette difFerence: » risultato teorico, che dedotto dalla osservazione, è compreso nella presente teoria, se vi si faccia la convenevole modificazione appartenente alla meccanica molecolare. — i7iVi>TOTrT 60 Due Autopsie cadaveriche. Descritte da Cltto Carlucci medico. Mortui fecantur ut vivi bene valeant. u n campagnuolo di circa anni 50 ebbe ricovero nel Tcn. arci-ospedale di s. Giacomo in Augusta per una piaga cancerosa, che tortuosamente ed a poco a po- co aveva consumati per uno spazio ben grande i tes- suti della gamba sinistra. Costui , dalla adolescenza in poi , andò soggetto all' epilessia , la quale per i frequenti accessi , e con una costituzione di corpo molto meschina, lo aveva anche stupidito. Gli specifici e la farragine di cose medicinali , celebrate contro questa malattia da nomi d'altronde rispettabili, riu- scirono come bene spesso avviene di alcuna efficacia^ se non dannosi; il salasso soltanto raffrenava l' im- peto delle convulsioni, e quella stupidezza che dopo l'insulto per parecchi di il teneva maggiormente stor- dito. Né facilmente, né sovente si poteva ricorrere a questa sottrazione sanguigna per la miserabile co- stituzione dell'infermo, la cui vita stentata e compas- sionevole dopo breve tempo ebbe fine. Segato circolarmente il cranio, e spiccatane la parte superiore, si trovarono le ossa di una durezza quasi lapidea; il meditullio trasformato in una sostanza AUPTOSIE CADAVERICHE 61 eburnea senza apparire in parte alcuna la struttura cel- lulare; ciò fu pure osservato dal Gali ne'crani di alcu- ni maniaci. L'esterna superficie della dura madre si univa per legjwerissima adesione all'interna faccia o*- osa del cranio, meno che lungo le suture saggittale e lambdoidea, ove penetrava e fortemente connettevasi: l'interna superficie era liscia, netta, né per poco inietta- la : il suo tessuto più denso rilevava 1' intrecciatura de'fascetti lendineo-fibrosi di un bel colore perlaceo lucido; tagliando questa membrana, sia per traverso sia longitudinalmente, sentivasi scricchiare. La pia-madre distaccavasi ancora facilmente dal sottostante cervello; e i di lei piccoli vasi erano in- gorgati di sangue; ne per ciò alcun versamento di siero, nò adesioni, né plastici rappigiiamenti o mem- branacee organizzazioni snlla esterior sua superficie In questa meninge per altro era dissenjinata vma moltitudine di corpicciuoli graniformi; e molto più in quel tratto di essa che cuopre il lobo anteriore si- nistro del cervello. Questi corpicciuoli, pieni di una sostanza giallo-pastacea, potevano colla punta del col- tello anatomico essere estratti per intero. L'aracnoidea o muccosa del Soemering mi sem- brò per la sua finissima tessitura disrutta; o da me non bene distinta, forse perchè innestata ad una delle altre due meningi, tra le quali essa giace. Dispogliato l'encefalo nella porzione superiore da- gli accennati involucri, si vedeva questa massa non poco ristretta da lasciare un vuoto considerevole tra se e la volta ossosa. Simile coartazione non era di- sgiunta da una maggiore densità della sostanza cere- brale, in modo che, incisa la parte corticale come f)2 Scienze la midollare, resisteva cosi da uguagliare il paren- chima epatico. Molto prominenti erano le circonvo- luzioni; e le anfrattuosita o solcature molto incavate, ed ambedue di un colore cedrino sbiadito. Il ven- tricolo destro laterale conteneva poca quantità di sie- ro; veruna il sinistro : i plessi coroidei sviluppati ed ingorgati; il cervelletto nello stato quasi naturale; la midolla allungata ridotta ad un tessuto pressoché len- dinoso. Nella parte poi sinistra dell'encefalo, preci- samente ove è la commettitura de' lobi anteriore e medio, al di sopra del lembo posteriore dell'ala dello sfenoide, ed in vicinanza dell'origine de'nervi ottico ed acustico, apparve un corpo ritondato simile per la grandezza ad un uovo di piccione. Questo tumore avvolto per ogni dove con pieghe irregolari dalla pia-madre, ed in essa racchiuso, presentava una su- perficie pieghettata: per le quali pieghe era pure iso- lato dalle vicine parti , alle quali non attaccandosi potè per intiero e senza lesione asportarsi. Ove il tu- more pigiava la sostanza cerebrale, questa, affossan- dosi, ne aveva ricevuto la impronta con alterazione del proprio tessuto , sia riguardo al colore per al- cune linee di un rosso cupo, sia riguardo alla den- sità, disfacendosi sotto la più leggera abrasione. Li- berato il tumore dall'esteriore invoglio datogli dalla pia-madre , si vide esso ricoperto a guisa di cisti da una seconda membrana sottile , liscia , lubrica , e quasi appendice e ripiegatura della stessa pia meninge. Aperto questo tumore , che rettamante può chiamarsi cistico, veniva riempiuto da una den- sa pasta, a guisa di meliceride^ inodora, giallastra, untuosa e scorrevole tra le dita; e similissima a quella Adptosie cadaveriche 63 delle innumerevoli cripte della pia-raadre, come se ne costituisse il comune ricettacolo. Sulla s'iperficie di questa massa pastacea osservaronsi alcune pelli- cole di un bianco-candido, alcune separate, altre so- Trapposte; mentre l'interno era punteggiato da glo- buli bianco-candidi. Desiderai, dubitando della mia pratica in simili investigazioni, un' analisi di questa sostanza; ma inutilmente. Ad onta peraltro di que- sto difetto di prova , io porto opinione che una tale sostanza dovesse contenere gli elementi costi- tuenti le ossa", giacché il tumor cisico nella sua fac- cia superiore ed anteriore, considerato nella sua gia- citura, era incrostato da una specie di tavola ossea di figura quadrangolare oblunga, il cui piano in- terno era scabro per rilevatezze ossose ed alquanto concavo per adattarsi alla convessità del tumore , il superiore poi convesso e quasi levigato, I due an- goli anteriori del quadrangolo , ed il posteriore in- feriore si prolungavano per appendici od apofisi, le quali colle loro estremità acuminate urtavano la so- stanza cerebrale. Esistevano pure altri piccoli fram- menti ossosi, irregolari, non aderenti tra loro ; al- cuni de' quali attaccati con un filamento o pedunculo alle pellicole di sopra avvertite. Pareva adunque che il processo di ossificazione avesse progredito lateral- mente, e dall'esterno verso l' interno per mezzo di tanti piccoli centri, i quali allargandosi lentamente erano pervenuti ad avvicinarsi scambievolmente ed in fine ad aderirsi; e forse l' intera cisti si sarebbe nella totalità ossificata, se questo infelice per più lun- go tempo fosse vissuto. Per una tale sezione, e per le moltissime fatte su 64 Scienze d'individui che furono vittima di simile infermità, fa d'uopo conchiudere essere la patogenia della epiles- sia ancora un problema, come di tante altre malat- tie, in specie di quelle che han sede nel sistema ner- voso ; e gli specifici , proclamati sì validamente in varie epoche, ridursi per fatto della scienza ad una pretta ciarlataneria. Le convulsioni epilettiche, par- lo sempre delle idiopatiche, sono sintomi per mez- zo de'quali abbiamo la forma di una infermità che ha attenenza ad una organica viziatura, contro la quale né la valeriana, né la china, né lo zinco, né il ferro, né la elettricità, né mille altri farmachi hanno virtù da riordinarne la tessitura organica o dimover- ne le cause, le quali sono pure molte, né facilmente riconoscibili. Le guarigioni ottenute, senza voler man- car di fede agli storici, possono riportarsi ad epiles- sie secondarie, a superficiali alterazioni dell'organi- ca mistura, ad affezioni simpatiche come nella el- mentiasi, e non mai ad epilessie primarie. L' ana- tomia patologica che sta sulle osservazioni e sui fatti e non sulle speculazioni, ci stringe ad un simile giu- dizio; e ad essa la nostra arte deve que'progressi, dai quali non possono farla ritorcere quei fantasmi della umana mente, per quanto blanditi. Per poco, di gra- zia, che si rivada sulla eziologia di questa malattia, noi la vedremo successivamente attribuita ora agli influssi lunari, ora alle impercettibili secrezioni ed ai vapori. Ola agli umori irritanti ed alle fermentazioni, ora ai processi infiammatori, ad irritazioni, al parti- colarismo, alle polarità magnetiche e via discorrendo. Dall'altra parte consultando l'anatomia patologica, es- .^a c'istruisce d'aver discoperte lesioni svariatissime AUPTOSIE CADAVERICHE 65 ne'catlaveri degli epilettici sulle ossa del cranio, sulle meningi sulla massa cerebrale; abnorraali secrezioni, ascessi, cisti, scirrosità , cartilagini , ossificazioni; ed alcune volte nessuno di questi alteramenti, ma bensì in altro viscere o del petto o dell' abdome, siccome le osservazioni del Willis, del Georget, del Morgagni pienamente ci assicurano. Dirò in fine di aver resa pubblica questa descri- zione (1), perchè se ben si ponga mente su di quelle da altri pubblicate per ossi rinvenuti nel cranio d'in- dividui morti di epilessia o che ne soffrirono; que- sti ossi più giustamente potrebbero tenersi per incro- stamenti delle membrane dell'encefalo, oppure come apofisi prolungate o nuove delle ossa stesse del cra- nio; quando nell'attuale necroscopia vedemmo la or- ganizzazione di un osso isolato , sviluppato ed ali- mentato entro una cisti situata nel mezzo della mas- sa cerebrale. A comprovare quindi questa mia di- stinzione mi farò lecito di chiamare alla memoria le istorie di alcune sezioni cadaveriche , eccettuando quelle del Boezio , Pouteau, Zecchio ec. le quali si riferiscono ad epilessie per intropressione delle ossa del cranio; come pure quelle ove gl'infermi non fu- rono mai epilettici, quantunque entro al loro cranio si scoprissero delle ossa , prescegliendo solo le se- guenti che di molto si ravvicinano al caso da me narrato. Nella 72 osservazione del Sepulcreto discor- resi di un osso molto considerevole ed acuto c/te (1) L'eccellentissimo sig. professore Giacomo Folcili gentilmente credè farne cenno nel primo volume della di lui opera: Exercitatio pathologica; all'art de Epilepsia G.A.T.GXIII. 5 66 Scienze aderiva sulla parte aìiteriore del seno frontale: l'in- formo perì in un accesso epilettico. Lamotte nel trat- tato completo di chirurgia narra di molti piccoli ossi rinvenuli ove la dura madre si piega per formare la falce aie angolo interno ^ ed una quantità di pic- cole lamelle. Huneaud nel 1734 partecipò all'acca- demia delle scienze di Parigi V osservazione di ossa aguzze attaccate sul lato del seno longitudinale , Boerhaave , Tissot e Meckel ritrovarono diverse os- sificazioni della dura madre^ o delle punte ossee aderenti sulla medesima ; così Hagstroera e Bierken arricchirono il museo anatomico di Svezia di una gran schieggia esistente sulla dura madre. Esquirol osservò nelV aracnoide delle piccole ossificazioni: Cru- veilhier nell'anatomia patologica narra di un giova- ne epilettico ch€ al lato dritto del cervelletto pre- sentò \m. osso largo ufi pollice ed imito per lega- menti alla tenta del cervelletto] e per ultimo il prof. Folchi, m&Ma swa ope ra Exercitatio pfithologica^ dà comitezza della sezione cadaverica fatta dal sig. Bru- netti chirurgo, colla quale si scoprirono delle piinte ossose impianitttc sulla base del cranio. Le quali os- servazioni, di mii ben facilmente potevasi accrescere il numero, credo che siano bastevoli a chiarire quanto per me vele vasi distinguere sulla specialità di que- sto caso di anatomia patologica. — ^ N. N. giovane nubile di circa anni 20, di temperamento misto (sanguigno linfatico), di costitu- zione rachitica, di professione stiratrice , dall' epoca della mestiuazione in poi fu sempre travagliata nella salute o pel difetto o per la scarsezza o per la in- AuPTOSIE CADAVERICHE 6T costanza de' suol beneficii, senza però moslrare un abito clorotico. Soltanto di tempo in tempo si la- mentava di alcuni dolori ai lombi, di una molesta sensazione circa lo scrobicolo del cuore, e di vampe, come essa diceva, le quali gli se mbravano scorrere lungo l'esofago e le intestina. Questi segni prodromi di una letale infermità, furono, come ben di sovente avviene, tenuti in poco conto, siccome quelli che ri- cevevano una plausibile spiegazione e dal difettare stesso de' mestrui, e dal piuttosto abuso di bere vino onde estinguere quella arsura, e rinvigorirsi da quel rifinimento, conseguenze delle sue abitudini e della sua professione. Cosi passarono alcuni anni; finché assalita, senza addurne ragione, da subbiti dolori lancinanti lungo il basso-ventre con tumefazione e con speciale tu- more nel basso della regione uterina, fu costretta di ricorrere al suo medico. In sulle prime forse poteva prendersi per una metridite; ma attentamente esami- nati i sintomi e le cause, una tal diagnosi era esclu- sa dalla sede stessa de' dolori non stabiliti in fondo alla pelvi, ma distesi su tutta la regione dell'addome, né propagantisi lungo l'estremità inferiori; dalla fa- cilità e regolarità delle deiezioni, dalla febbre mite; ed in fine dalla mancanza di quel abito, di cui spe- cialmente s'informa la faccia nelle infiammazioni di simile natura. Né per questo la dubbia malattia rese incerto il trattamento curativo, ragionevolmente di- retto dai stessi sintomi; quindi pochi salassi (sangue denso, ma senza cotenna), applicazioni ripetute di mi- gnatte sull'addome e sulle pudende, eceoprottieì o- 68 Scienze leosi, di* cassia ec. bevande tamnrindate ec. clisteri., fomenta , bagni ec. Con questo trattamento curativo i dolori si resero molto più miti; ma non si rimosse la gonfiezza dell'addome, che anzi il tumore al di sotto della regione ipogastrica acquistò maggiori di- mensioni fin verso l' epigastrio sinistro. Fu d' uopo adunque richiedere consiglio dai più esperti profes» sori dell'arte, i quali anch'essi incerti della diagnosi sospettarono nella giovane una gravidanza; giudizio in qualche modo avvalorato dalla soppressione to- tale da alcuni mesi de' mestrui e dal turgore delle mammelle. Il medico curante peraltro, che da molto tempo aveva assistito ne' suoi incomodi la inferma e molto più in questa malattia , propendeva per un tumore nelle appendici dell'utero e forse dell'ovaia: nel qual caso il disordine o la cessazione de'mestrui , a seconda delle pratiche osservazioni degli autori, può essere di gravissimo indizio. Ad onta di tutto ciò, se da una parte questa diagnosi aveva una prO' babilità ben ragionevole, dall'altra non poteva pru- dentemente tenerlasi per certezza, quando tutti i mae- stri convengono che sul principio una tale malattia apporta si oscuri segni da occultarne la natura e lo sviluppo: «i Raro enim hydatides (cosi l'Astruc) co- » gnoscuntur et hydropem tunc adesse fatemur, quan- » do ipsa maximum volumen adepta fuerit, quod cir- » cumscriptum ad alterutram partem hypogastrii ap- » parebit » (1). Dopo la qual sentenza, confermata (1) A qiieato proposito cade in acconcio di riferire quanto Te- jjregio sig.dottor Ciccioli, chirurgo sostituto nel venerabile ospedale Ji s. Giacomo, ebbe la compiacenza di parteciparmi. Mentre egli pr"- AuPTOSlE CADAVERICHE 69 dalla presente storia , non so quanto possano rice- versi per patagnonomici dell' idrope dell'ovaia quei sintomi voluti dal Douglas, dal Targioni Tozzetti, Os- sian© alcuni stiracchiamenti dolorosi, la deviazione e la depressione dell'utero, da cui l'impastamento o rinfìltramento dell'anca e della coscia corrispondente, come una sorta di trasudamento acquoso in queste parti; impastamento od infiltramento, come si narrerà in appresso che apparve in questa giovane negli ul- timi giorni della vita, quando cioè non poteva per altri segni starsi più in forse circa la diagnosi. i> Il tempo adunque doveva allontanare qualunque dubbiezza. Frattanto la giovane trascorse alcuni mesi senza che il suo stato gl'impedisse di attendere alle domestiche occupazioni, ad eccezione dell' incomodo risultante dal volume e dal peso dell'addome. Tolto ogni sospetto di gravidanza eziandio la più serotina, sui primi di febbraio del 1 845 tornarono a cruciarla i dolori con aumento straordinario e rapido di tutto r addome , con maggior protuberanza verso il lato sinistro. Le orine mantennero sempre una proporzio- nata misura colle bevande; la sete fu discreta; mo- derato l'appetito; regolari le deiezioni alvine; la re- spirazione affannosa, i polsi deboli; con emaciazione in specie delle estremità superiori ed inferiori. I diu- parava con singolare esattezza il pezzo patologico, di cui si discorre nella presente descrizione , fu ricevuta nel nominato ospedale una donna maritata gravemente inferma di ascite , e con estremo sfini- mento. Essa disse di essere gravida di vari mesi , sentendosi i moti del feto. Dopo alcuni giorni questa inferma mori , ed il sullodato Ciccioli ne istituì l'operazione cesarea; ma in vece del feto, si rin- venne un tumor cistico ai)r)a$lantemente voluminoso dell'ovaia destra- 70 Scienze retici, i mercuriali , i vescicanti furono tra i prin- cipali soccorsi. Per circa sei mesi fu tenuta sotto questo trattamento curativo con pochissimo vantag- gio;, finche nel giorno 22 di giugno 1' inferma fu stretta da tale difficoltà di respiro per l'enorme di- stendimento del basso-ventre da essere minacciata da soffocamento. In questo stato miserabile si ebbe ricorso alla paracentesi 3ul lato destro dell'addome: col qual mezzo si ottennero otto libre di un liqui- do nerastro albuminoso filante e di tal vischiosità da ostruire la cannula del trequaiti. Questo liqui- do inodoro , cimentato col calore , cogli acidi, col tannino si aggrumava in massa; imbianchiva e lut- ti i caratteri , prendeva dell' albumina concreta. Un sollievo momentaneo ebbe l'inferma per questa pun- zione; un piccolo avvallamento si formò al di sotto del luogo punto, conseguenza dell'esito del liquido, e dal quale pure si dedusse essere questo tumore suddiviso ji^i. vari spartimenli.^ Il sollievo, come si dis^e,fu momentan^Q, poiché nel giorno 3 luglio ed 11 dalla pviwi^ punzione per la stessa minaccia di soffocamento e: per desiderio della inferma si tornò alla tieconda paracentesi nel lato egualmente destro, oltenendo3ene dieci libre di liquido in tutti i suoi caratteri identico al precedente; e finalmente per la terza volta e per le medesime ragioni nel giorno 1A agosto fu punta,, ma dalla parte sinistra dell'addome; e se ne ebbero undici libre di liquido, ancor questo identico ai due preceaì:;: ■; .. •! . j, ..•)rinorava che alcuni pratici la vo^^liono esclusa, come quella che debili- tando sempre più le forze non fa che accelerare la morte. In questo caso , confesso ingenuamente non ho che a lodarmi di averla ordinata: e debbo unir- mi a coloro , i quali , col Capuron , pensano che « quando il tumore col suo ingrandimento rainac- )» eia la vita, la punzione è la sola risorsa per po- » terlo impedire di essere prontamente letale » Chi può infatti negare che alla sola punzione uoi dovem- mo quel momentaneo sollievo e quel prolungamento di vita, per quanto infelice, non per questo meno prezioso dell' inferma, cui l'eccessivo volume strin- geva di una imminente soffocazione ? E se una si- mile operazione è da tutti i pratici commendata Del- l' idrope ascile, in specie cronica, sia libera o sac- cata, non veggo ragione, che rettamente possa esclu- derla nella idrope delle ovaia, che infine non è che una semplice varietà di quella s.tessa malattia. Si ammetta pure che l' inferma deperisca nelle forze , poiché a carico di queste la cisti va dopo non lun- go tempo a riempirsi; ma sarà sempre vero che con essa si toglie Tinferma al pericolo imminente della vita; ne d'altronde può mai idearsi che, abbandonata a se medesima, possa la natura adoprare tali mezzi dfi fare sparire sviluppi patologici e secrezioni di si- mil fatta. Qui non trattasi di vincere la malattia , ma trattasi solo di alleviare e prolungare la vita. 74 Scienze Sembra poi incredibile come il Morand, il Die- merbroeck, l'Heysichio, il Trankmaun abbiano pro- posta l'estirpazion e dell'ovaia. La più piccola rifles- sione è sufficiente a dimostrare i pericoli e l'impossi- bilità di questa operazione. Si conceda infatti per nulla dannosa in una femmina sana e prosperosa: chi potrà sostenere che non sia per essere teme raria e micidiale in chi abbia l'ovaia più o meno degenerata, più o me- no voluminosa ? Le aderenze, che il tumore nel suo progressivo e lento ingrandimento va ad acquistare, so- no tali e tante da opporre insuperabili ostacoli al più ardito operatore. A tutto questo si aggiunga la dif- ficoltà della diagnosi ne' primordi della malattia per confessione degli stessi maestri; e quando la diagnosi rimane schiarita dalle qualità del volume acquistato dal tumore, chi ardirebbe estirparlo in condizioni tanto sfavorevoli ? L' esterpizane adunque è una di quelle operazioni da proscriversi assolutamente dalla chirurgia. Noi seguiremo piuttosto quel savissimo pre- cetto de'nostri sommi maestri, i quali concordemente ci addottrinano sulla prudenza da tenersi , curando simile infermità , che quando il tumore è staziona- rio non deve tentarsi alcun rimedio , il quale no?ì riesce che inutile^ o per lo più di ìiocumento. A tal uopo si consultino le seguenti opere. 1. Riolanus, Anthropogr, lib. 2, cap. 35. Trid. Ruychius. Obs. anat. 27. L R. Bianchì, De generatione p. 187. Hans Sloane, Transact philos. an. 1699 num. 252, art. 1. Henricus Samp«on, Ibid. an. 1078, num. 140, art. 1. PW> \* 1 1 ^ Ile p Il II o j 3 te <^ ■ AUPTOSIE CA&AVERICHE 75 lacobus Donglar, M. ibid. aii. 170G num. 308, art. 2. Ioann. Belchier, Ibid. an. 1732 n. 428, art. 3. Ioann. lluldricus , Peyer in thesibus defensis . Basileae an. 1710. -SfiPdSI>- ^jj 7G '''*'*'' !i^ m !!^ !^ ^ "ìk^ '>l^ '^ "^ "ylè '^ 'ì^ '^ Viaggio scientifico al porto neroninno e innocenziano iìi Anzio. Memoria di Romolo Burri ingegnere al- lievo della scuola tecnica pontificia. Nisi quod farimns utile est, stulta est gloria. PORTO rVERONIAAIO 1. U no de'più {jrandi vantaggi die può felicitare i popoli e che i sovrani ponno concedere, sono sen- za dubbio, oltre le strade ed i canali di navigazione, i porti. Essi aprono il commercio, onde fiorisce l'in- dustria, cresce la ricchezza, migliora la popolazione, s'estende l'agricoltura che è fonte di pubblica pro- sperità. Il provvido nostro governo sotto gli auspici del grande, pii'i padre, che sovrano, PIO IX, con la notificazione emanata il giorno memorabilissimo 8 novembre 1846 (1), ci dimostra che intende la for- za e grandezza di un tanto beneficio , e che tutte le sue mire sono rivolte al progresso d'ogni bene, ed all'adempimento delle giuste concette speranze. (1) In quel giorno uscì I;t pubblicazione (lolle stFacle feiTale. Porto Neroniàno e Innocenziano 77 2. La storia ci racconta come tra tante nazioni i romani specialmente si adoperarono con tutta l'ala- crità, e con tutto lo zelo, ad ergere opere di pub- blica utilità. Fra le tante non è ultima la costruzio- ne del porto di Nerone nel territorio d'Anzio, ove quel imperatore trasse i natali. Svetonio dice: Porium operis sitmptuosissimt fedi: e le reliquie, che tuttora sussistono, ne attestano la magnificenza veramente ro- mana. Per quest'opera colossale Anzio crebbe e di- venne prospera e celebre città. A conservarla non mancarono di poi le provvide cure degli imperatori Vespasiano, Traiano, Adriano, Commodo, Settimio, e del grande Costantino. 3. Che si mantenesse florido lo stalo del porto in appresso, lo prova la testimonianza di Procopio che scrisse a tempo della guerra gotica l'anno 358, e che compagno indivisibile di Belisario, e testimo- nio oculare, ci fa sapere il concorso di navi che re- carono in Anzio provvisioni annonarie per Roma as- sediata allora dai goti. 4. Era a metà V ottavo secolo, quando per le invasioni de'saraceni, che apportarono strage, deso- lazione , e morte , comincio la prosperità di tanto porto a volgere in basso. 5. Alcuni moderni scrittori sono d' avviso che i papi lo facessero ostruire. Il topografo flschinardi riferisce, che poche vestigia si vedevano al suo tem- po del porto d' Anzio^ perchè fu fatto riempire da Alessandro VI, acciò i turchi non se ne servissero. G. Pertanto al tramontare del decimosesto se- colo parve che spuntasse un raggio di speranza per 78 Scienze il suo risorgimento , avvegnaché il papa Clemen- te Vili acquistò dal contestabile Marc' Antonio Co- lonna, Nettuno e il suo territorio, con mente di far prosperare il porto. Ma durò nel suo stato di de- cadimento e di squallore , ed aspettava la potente mano d' Innocenzo XH che lo facesse rinascere in nuova mole. 7. L'ampio bacino somigliava ad un gran trian- golo, la cui base era formata dalla spiaggia , ed i lati progredendo In mare, si serbavano per un tratto quasi paralleli : indi convergendo fra loro s'incurva- vano a modo da disporsi in curvatura al vertice. 8. Questo cratere dell'antico porto neroniano é ora come si vede in molta parte interrito. Alle falde del colle, ove s'estendeva 1' antica spiaggia, verdeg- giano ora gli orti delle case Albani, Doria, e Men- cacci: il resto è occupato da monticelli, e depositi di terre, e sabbie. La parte tuttora coperta d'acqua non è che la metà a un dipresso dell'antico cratere. In questa parte medesima il fondo è qua e là in- gombro, sia dalle macerie staccate dal molo diruto, .sia da avanzi di certi muri fabbricati sott'acqua che furono riconosciuti ed osservati dal signor cav. Li- notte. In qual tempo ed a qual fine fossero costrutti questi muri, non si sa, e non è facile l'indovinarlo. Negl'intervalli il fondo è d'arena con profondità d'ac- qua, che diminuisce di mano in mano che s'acco- sta al lido. 9. La località, dove è il porto, sempre si è chia- mala promontorio, o capo d'Anzio. Strabone scrive Porto Neroniano e innocenziano 79 che la città era situata sopra una rupe. Di fatti era in allo sopra un suolo sassoso e tufaceo. Desta ma- ra\iglia il sommo accorgimento di quell'antico ar- chitetto che seppe scegliere questa posizione felice per fa re un porto. Felice, perchè intorno ai promon- tori scogliosi non si ferma arena, il mare che vi è profondo, circolando la stracina al basso e lontano. Precisamente scelse il ridosso del promontorio verso levante nella punta più sporgente delle adiacenti coste. 10. Forse è probabile che spianasse la punta del capo alla profondità ed ampiezza bastante per {yittare sul sodo il molo e farvi il porto capace per molti legni: o è probabile che vi fosse il piano na- turale sotto l'acqua, e bastasse gettarvi il molo nella sua direzione, o nell'uno, o nell'altro modo, sicuri che le arene non vi si arrestino. Per questa giudi- ziosa posizione del sito più sporgente in mare, due vantaggi ne venivano; primo, che i legni potevano pigliare subito il largo, ed altresì bordeggiare con più facilità, tanto nell'uscire quanto nel ritornare in porto: secondo, che questo capo al pari di tutti gli altri, trovandosi più esposto all'urto dell'onde, ve- niva continuamente dalle medesime lavato ; quindi le torbide non vi si potevano fermare, infino a tanto che improvvisamente non fu opposto un ostacolo al libero loro corso. 11. Dalla punta C del capo d' Anzio si sten- deva il porto lungo la spiaggia d'allora, formando la base del gran triangolo, la linea della quale è in- dicata dai ruderi de' muri antichi che si veggono sparsi appiè del colle sotto gli odierni palazzi Al- 80 Scienze bani e Mencacci. Pai ti vasi il molo destro dal punto C, e la sua traccia è distintamente marcata dai ru- deri seminati nel recinto CD, lungo metri 500. Don- de spiccasse l'opposto sinistro molo, non può rico- noscersi, perchè non si sa dove toccasse la spiaggia in quel tempo; ma ben si ravvisa il suo prosegui- mento nel tratto MP, lungo metri 375, il qual tratto fu restaurato da papa Innocenzo XII, affinchè ser- visse per uno de' bracci del nuovo porto. Oltre il punto P prolungavasi il molo sinistro curvandosi si- no in G, come appare in pianta; ma di questo pro- tendimento PG, lungo metri 225, non restano, come del molo destro, se non che poche ed interrotte mi- ne. Nel tratto EF, lungo metri 320, scorgono alcuni non senza fondamento di probabihtà le vestigie d'un antemurale , attesa la direzione perfettamente retti- linea, e l'intervallo DE, lungo circa 100 metri, che sembra distaccato dal precedente tratto CD. Questi avanzi dei moli sono ora quasi tutti sott'acqua, spor- gendone soltanto alcuni frammenti sparsi qua e là. L' intera superficie del porto neroniano, secondo il Mareschal, era di metri quadrati 281661. 12. L'intervallo GF di circa 110 metri tra la punta del molo sinistro, e quella dell'antemurale, co- stituiva la bocca a levante del porto. E forse ve n'era pure a ponente un' altra DE. Ma per certo la boc- ca GF era la primaria e più favorevole, perchè al sicuro dall'imperversare di libeccio. 13. La grossezza di questi moli è di metri 10 e più. Sono costrutti d'opera in maggior parte la- terizia, e formano un masso durissimo. Posano so- pra una base della stessa struttura, che esiste inter- Porto Neroniano e Innocenziano 8 1 rotta e sepolta sotto la superficie del mare a pro- fondità varie dai due a tre metri. 14. I romani fabbricavano i moli de'loro porti a piloni^ come è stato dimostrato dal signor De-Fa- zio dietro l'osservazione d'una moltitudine di anti- chi porti , e come ancora la ragione cel persuade. Che i moli del nostro porto fossero in simil guisa costrutti, ne da fede questa prova, che il Mareschal lungo uno dei moli trovò undici aperture nel 1 748, diversamente profonde sotto la superficie del mare, ed in distanza molto disuguali fra esse. Alcune di queste aperture si vedevano ristrette dalle mine delle fabbriche laterali. Una conferma la porge il mar- chese Lucatelli che dice, essere tutti questi trafori antichi ; perchè negli archi-volti si osservano que' grossi mattoni, che furono adoperati da'soli antichi nelle lor fabbriche, e principalmente ne'monumenti pubblici. Inoltre l'architetto Carlo Fontana, 50 anni prima del Mareschal e del Lucatelli avendo osser- vato i trafori stessi in ambedue i moli ne riferisce fra le altre le tre seguenti particolarità: prima, che aveano pareti verticali fin dal fondo del mare ; se- conda, che la loro larghezza permetteva il passag- gio alle piccole barche ; terza , eh' eran finalmente disposte a sbieco, e non a squadro con la lunghezza de'moli. Il sig. Rasi ha parimenti osservato lo sbieco in due de'predetti trafori, Doaiunimib ig 15. Il predetto Mareschal osservò chiaramente che nella parte più sporgente del molo, continuan- do le anzidette undici aperture a dar passaggio alle correnti, le acque si conservavano ancora alte, ed il G.A.T.CXIII. G 82 Scienze fondo coperto d'alghe; indizio certo che non acca- deva sedimento di sabbie, non potendo allignare ve- getazione alcuna sopra un fondo che continuamente si va coprendo di sabbia. 16. Il signor Rasi nel 1818 scandagliò la por- zione del porto neroniano, che è tuttora bagnata dal- l'acqua, che egli divise in tre sezioni l'una in con- tinuazione dell'altra. La prima vicina al Capo d'An- zio , la seconda immediatamente appresso , la terza vicino alla bocca di levante. L' altezza dell' acqua nella sezione vicino al Capo d' Anzio trovò variare da metri 1, 56 a 3, 12: nella seconda da metri 3, 12 a 3, 79: nella terza finalmente, cioè vicino alla bocca di levante, da metri 3, 79 a 6, 46. Parimenti scandagliò il fondale della bocca che trovò di me- tri 10, 64. 17. Gli scandagli fatti dal signor ingegnere Mar- jnorell» nel seguente anno 1819 in una linea pa- rallela al distrutto anteraorale, e distante da esso cir- ca cento metri, mostrarono un fondale medio di me- tri 3, 78. In altra linea, pur parallela a questa e a cento metri più indentro, si ebbe il fondale di me- tri 2 , 75. E finalmente in una terza linea, che si spicca dall'angolo P del molo innocenziano ed è di- stante dalla spiaggia circa cento metri, il fondale si riduceva a metri 1, 50. In prossimità della spiaggia si diminuisce sempre più, e si ristringe a pochi de- cimetri. 18. Il signor Linotte nel 1823 alla bocca vi scandagliò nell'acque di riflusso metri 2, 20: 2, 95: 4, 65: 7, 30: 8, 90: 9, 50: 7, 80: Porto Neroniano e innocenziano 83 2, 70: 3, 60: 3, 30: 3, 70 partendo dall'estremo dell'angolo F fino all'altra punta del rudere G; la differenza di 1, 40 con la misura presa dal signor Rasi è sensibilissima, e può prove- nire dall'aver egli scandagliato in tempo di flusso, ed in circostanza che la corrente avesse sbarrazzate le are- pe che si depositano in quella bocca. L' ingegnere Mareschal vi scandagliò nel mezzo alla massima pro- fondità d' acqua metri 5 , 58: segno evidentissimo che in quell'epoca vi era meno acqua, o che l'in- gegnere suddetto scandagliò nel momento più sfa- vorevole, e forse dopo qualche fortissima libecciata. Nella sezione longitudinale presa dal medesimo Li^ notte lungo il molo destro, incominciando avanti gli avanzi di fabbriche sotto il Capo d'Anzio, e prose-' guendo sempre l'andamento del molo jfino al suo e- stremo H , si hanno i seguenti scandagli presi a dieci metri di distanza l'uno dall'altro: 2, 4-0: 2, 50: 0, 90: 3, 05: 1, 50: 2, 30: 2, 60: 2, SO: 2, AO: 2, 50: 2, 10: 2, 55: 2, 90: 2, 30. Il maggiore di questi è di metri 3, 05 che non dif- ferisce molto dall' altre profondità: gli altri dimo- strano una approssimativa regolarità di fondo, e pres- so a poco uguale in tutta l'estensione del molo ro- vinato. 84 Scienze porto ijyjvoceivziano 19. Consideraudo il pontefice Innocenzo XII che quelli che navigano da Gaeta a Civitavecchia, lungo una costa tanto pericolosa, non incontrano porto che dia ricetto ai legni: e per mantenere la promessa fatta agli abitanti d'Anzio, quando ivi approdò re- duce da Napoli per ire in conclave, di ristaurare se fosse stato creato papa il porto antico neroniano, di- strutto ne'mali augurati tempi per la nostra bella e infelice Italia, recossi nel 1700 a Nettuno per tale scopo. 20. Due furono i progetti redatti; l'uno dall'ar- chitetto Carlo Fontana, l' altro dall' architetto Ales- sandro Zinaghi. Il Fontana per mire economiche propose non già di riparare totalmente il porto ne- roniano, ma solo quella parte più vicina a Nettuno; e avvisava che la spesa non potesse sorpassare scudi 25 mila. Il Zinaghi progettò di creare un porto tutto nuovo, e valersi semplicemente d'una parte del molo sinistro neroniano , al quale in una porzione lunga metri 375 avrebbe innestato un molo tutto nuovo: per l'esecuzione portava la spesa a scudi 1 5 mila , e non più. 21. In una congregazione apposita dei cardinali Porto Neroniano e IpJnocenziano 85 furono questi progetti esaminati e discussi; e quello del Zinaghi fu prescelto, ancorché il Fontana non tralasciasse di dimostrare che per eseguirlo non sa- rebbero bastati oltre 100 mila scudi. Ma la voce del Fontana si lasciò cadere, i suoi consigli si di- sprezzarono. Il Zinaghi ebbe la palma. li 22. Fu ordinato adunque dalla sagra assemblea al Zinaghi di redigere il piano d'esecuzione del suo progetto, al quale si volle che partecipasse col con- siglio il Fontana; questi si limitò a saviamente pro- porre che fosse data al nuovo molo da costruirsi per la formazione del porto zinaghiano, una figura ar- cuta con la sua concavità volta all'indentro del porto stesso , onde porre al sicuro i legni da' venti peri- colosi; che si lasciasse nello stesso molo un sufficiente numero d'aperture per il libero passaggio delle tor- bide convogliate dalle correnti ; finalmente che si conservassero le aperture nel molo sinistro nero- niano che il Zinaghi voleva restaurare , a seconda del suo progetto per uno de 'moli del nuovo porto. 23. Il Zinaghi, per operare a bella posta il con- trario; disprezzò i savissimi consigli del Fontana; fe- ce il nuovo porto tutto a suo capriccio e talento; otturò le aperture del molo neroniano che da 15 secoli testimoniavano la loro utilità ! La costruzione del nuovo porto zinaghiano in Anzio fu intrapresa con alacrità , e fu compiuta con l'ingente spesa di oltre 200 mila scudi ; benché il suo architetto ne avesse assegnati non più di 1 5 mila ! 24. Questo porto è d' una figura irregolare a tre lati, composto d'una parte del molo sinistro ne- 86 Scienze roniano restaurato nella lunghezza di metri 450, alla- cui estremità evvi un fortino per difesa del nuovo molo, che di qui si spicca con angolo quasi retto; ed è della lunghezza di 230 metri. La parte di le- vante è poi affatto aperta, e serve di bocca al me- desimo. 25. Felice è la disposizione dei moli del nuovo porto, rispetto ai venti predominanti questi mari, stante che specialmente si troVa al coperto del libeccio, il quale colla sua direzione biseca metà l'angolo for- mato dal vecchio e dal nuovo molo: quindi i legni che t^vansi entro quest'angolo, ossia nel porto, non ponno essere agitati, e per questo rapporto è pre- gevole. Ma tanto Buon requisito è la piccola cosa : perchè non è poi preservato dagli interrimenti, i" quali tosto finita la costruzione produssero una di^ minuzione di fondale, che veniva accrescendosi suc- cessivamente col tempo. Noi non ne possiamo far conoscere il progresso successivo, perchè ci mancano gli scandagli fatti dal Zinaghi ed in appresso costan« temente, e le quantità di sabbie annualmente esca- vate, le quali si sono, parte gittate in mare, parte nel porto neroniano, e parte a costituire quei mon- ticelli che si veggono sparsi sul continente. 26. Al difetto di queste notizie ponno supplire le memorie del P. Boscovick, del Mareschal, e del Fontana. Dalle quali si raccoglie: f. Che il molo Innocenziano partendo dal fortino era stato tratto per grande altezza d'acqua forse maggiore di metri 6, 02: 2. Che nell' ultimo traforo vicino al fortino la profondità dell'acqua era di metri 5, 35. 3. Che Porto Neroniano e Innogenziano 87 lungo il tratto restaurato del molo sinistro neronia- no v' erano diversi trafori che davano passaggio a piccole tarlane. 4. Che nel cantone del porto lonta- no metri 21, 12 dalla fontana innocenziana l'acqua era profonda metri 0, 78: ed in generale era ben grande la profondità del porto nuovo al momento della costruzione. ,, 27. Il Maresdhal conoscendo la superficie e la profondità media che avea il porto nel 1712, e nel 1748 misurando la nuova superfìcie e la nuova profondità media, potè con questi dati dedurre che il porto conteneva nel suo cratere metri cubi 78238 d'arena di più che non Conteneva nel 1712, non o- stante l'espurgo fatto per mezzo delle macchine. La serie degli scandagli dal 1823 al 1842, che si pra- ticano ogni anno ne'mesi d' ottobre e novembre, ci danno che il fondale medio è metri 2, 60 con pic- cole differenze in più, o in meno da un anno all*al- tro. Ma però per conservarlo in questo stato si ri- chiede una forte spesa di manutenzione, per la gran quantità delle sabbie che vi s'insaccano e che a for- za di macchine convien esaurire. 28. Per la perfezione del nuovo porto innocen- ziano m Anzio altro non mancava che la conser- vazione delle sue acque , che è appunto una delle condizioni essenziali d' un buon porto , alla quale molto imperfettamente ha saputo soddisfare l'arte de' moderni , i quali si cimentarono successivamente a proporre vani rimedi , i quali riuscirono inutili o dannosi. L'interrimento del porto ha ben vendicato l'oltraggio che alle leggi della natura si è fatto ba- 88 Scienze lordamente contrariandole col falso sistema de'moli privi di aperture. 29. Ad onta dell'escavazione siccome il fondo- dei porto di giorno in giorno si elevava, si misero in opera vari espedienti: uno di questi fu il guar- diano, ossia molo Panfili, che si è spiccato dalla spiag- gia in OH coll'intendimenlo di attraversare il passo ai sabbioni che provengono da levante. Ma non si faceva così che radunarli ed ammucchiarli in mag- gior copia alla bocca del porto^ ed il male fu così chiaro, che convenne ben presto abbandonare l'ope- ra e distruggerla. Si credè un provvedimento il pro- lungare più oltre di metri 66 il molo innocenziano, perché acquistasse il porto quella profondità d'acqua, che già avea perduta lungo la parte restaurata del molo sinistro neroniano. Ma con ciò s' ingrandì il recipiente, senza togliere il male. 30. Tornati a vuoto questi due tentativi, altri pensieri corsero alla mente: si sospettò che le sab- bie , anzi che venire da levante , venissero da po-^ nente: onde per chiudere il varco si turarono le boc- che Q R. Ma il porto, anzi che migliorare, peggio- rava, e le bocche si riaprirono. 31. Stava grandemente a cuore del pontefice Benedetto XIV la conservazione del porto: il perchè ne ricercava il sentimenta degli idraulici italiani e stranieri. Il brigadiere M. Mareschal ispettore ge^ nerale de'porti francesi del Mediterraneo, chiamato a bella posta, ed il P. Ruggero Boscovick ," emisero un \oto intorno la maniera di bonificare il porto. 32. L'ostruzione, secondo Mareschal, è effetto del- Porto Neroniano e Innocenziano 89 l'interrompiraento che fanno alla corrente delle sab- bie l'antico molo attaccato alla spiaggia, ed il nuovo che vi si congiunge a squadro. Essendo impossibile impedire l'accesso delle sabbie trasportate dalle cor- renti torbide, immaginò d'assegnar loro un cammi- no del tutto proprio e nuovo, affinchè rispettassero il nuovo porto. Pensò di distaccare il molo dalla ter- ra, affinchè dietro ad esso potendo aver corso libero il torrente delle sabbie , più non si arrestassero ad ingombrare il bacino. Aprasi dunque, diceva Mare- schal,- il vecchio molo circa nel mezzo per un tratto di 90 metri. Di lì si escavi, e prolunghisi sino a co- municare coir acqua del porto vecchio un canale ciato di sponde murate con direzione tra libeccio e mezzo-giorno. Si prolunghi direttaix:ente questo ca- nale entro il porto nuovo, formandovi due sponde parallele murate. Resterà così escluso dal porto , e rimarrà uno stagno d'acqua, il segmento interchiuso tra la sponda sinistra e la spiaggia. Pel gran cana- le correranno liberamente avanti e indietro le sab- bie. Lo spazio tra la sponda sinistra ed il molo in- nocenziano comprenderanno un porto sufficientemente grande e sicuro, il quale collo spurgo acquisterebbe presto l'antico fondale. 33. S' ingannava il Mareschal che questo suo canale chiamasse a se la corrente che trasporta le sabbie, e venisse impedito alle medesime a deposi- tarsi nel bacino: perchè la velocità della corrente es- sendo piccolissima, non può né tenere sospese le a- rene, né escavare. Essa le trasporta quando il mare è in agitazione; ma questo moto non può comuni- 90 Scienze carsi ad un ristretto canale. Ciò premesso, è inevita- bile la deposizione di queste sabbie nel canale e deb- botìo ostruirlo. 34. Un siffatto canale poi nulla varrebbe ad impedir 1' ingresso delle torbide nel porto innocen- 2Ìano: che anzi se fosse stato eseguito , ne avrebbe certamente accelerato a ostruirlo. Colla costruzione di questo manufatto si venivano a cagionare due mali: a restringere il bacino, onde più sollecilamente si sarebbe riempito : a procacciare nel bacino stes- so maggior calma, onde più facilmente si sarebbei rietnpito. 35. Il progetto del Mareschal fu approvato^ ma per buona sorte spaventò la grandiosità della spesa: ciò non ostante s'incominciarono i lavori. Nata poi una diffidenza intorno allo stesso progetto, se ne com- rriise l'asame al rinomato P. Boscovick. 36. Questi nell'analizzarlo e studiarlo si convin- se che lo scopo prefìssosi dall' autore Sairefbbe stato deluso. Per farne poi un saggio, lo modificò in mo- do che senza molta spesa potesse aversi insieme e un incominciamento all' impresa e un esperimento dell'esito. In effetto il canale di Boscovick dirigevasi come quello del Mareschal : se non che invece di 90 metri di larghezza, gli assegnò metri 10. Consi- gliava ancora di riaprire nel molo sinistro neronia- no circa nel mezzo due trafori, o bocche, nella par- te più sporgente in mare , ma dopo essere state ri- mosse le sabbie depositate alla sua destra. Consi- gliava ancora di aprire nel molo destro nerouiano utia sola bocca munita con paratoia da chiudersi nelle ' Porto Neroniano e Inxocenziano 91 libecciate, e aprirsi nelle sciroccate. Il predetto ca- nale si escavò, e si prolungò sino all'acqua del porto vecchio; ma invece di sponde murale, come proget- tava il Mareschal, si recinse con palafitte. Nel porto nuovo, invece del canale, fu iniziata semplicemente una palizzata per mantenere aperto l'ingresso all'acqua del porto nelle due bocche di comunicazione con l'antico porto. 37. Tutti questi lavori furono eseguiti con ala- crità, ma disgraziatamente fin da principio sortirono cattivo risultato: il canale del porto vecchio s'interrì appena escavato, e la palizzata del porto nuovo andò à male corrosa dalle biscie. Quindi molto si disputò, e in iscritto e a voce. Il P. Boscovick insisteva che si Continuasse lo sperimento col riaprire il canale in- territo,j prolungandolo e profondandolo più di pf-ima. Fu adunque di nuovo aperto il canale di Boscovick, e più profondo sotto la superficie del mare^ ma una tempesta sola lo ebbe interrito e colmato. Ed il Bo- scovick restò da questo sperimento scoraggiato. 38. Boscovick disperava di salvare il nuovo porto dalle sabbie, ed avea ragione: perchè dovendo com- battere contro la natura, le forze umane son troppo deboli. Il male era fatto: si dovea pensare, prima di costruire il nuovo porto innocenziano, a conoscere come ivi la natura opera affine di secondarla, ed al- lora il nuovo porto sarebbe riuscito ottimamente. 39. Ciò non ostante, dopo il Boscovick, non si cessò di consultare .sulla stessa questione altri soggetti ragguardevoli, che furono i signori architetti Mar- chionni, Murena, Arnaud, Stuard, Calamatta, onde dessero un voto. 92 Scienze 40. Il Màrchionni ravvisa il porto come un sac- co con la bocca aperta a ricevere le acque commi- ste d'arene, che incalzate dall' impeto dei venti sci- roccosi vi entrano. Credeva poi utile l'aprire due tra- fori poco prima del fortino. Il Murena osserva, che per l'inefficacia di tanti rimedi proposti ed eseguiti resti con sufficienza pro- vato che non ve ne ha uno sicuro. Però consiglia come il pili probabile la riapertura del canale in- territo del Boscovick, Propone ancora di prolungare nel porto antico le passonate da servire di sponde al medesimo; ed in fine opina che il prolungamento del molo innocenziano potesse tornar utile. Arnaud nel 1787 consigliò la sola escavazione del porto, e disapprovò il canale del Boscovick. Nel 1788 l'irigegnere Stuard facendo ragione che le sabbie entrassero nel porto nuovo da ponente e da levante, ma in maggior copia da ponente, voleva si prolungasse il molo innocenziano in modo di far obice alla corrente di levante per divertirle verso l'alto mare. Il Calamatta sostenne il progetto dello Stuard, e die mano a prolungare il molo innocenziano ; ma essendo i suoi primi lavori distrutti per una tempe- sta, si cessò di fabbricare. 41. Prendiamo ad esame tutte le accennate opi- nioni , le quali per la loro discordia e per l' ineffi- cacia meritano poca fiducia. Il Màrchionni, dall'os- servare le sabbie poggiare al molo, consigliava aprire ad esso due trafori poco prima del fortino: male non s'opponeva credendo che le sabbie fossero spinte dal- Porto Neroniàno e Innocenziano 93 l'impeto de' venti sciroccosi. Noi però non intendia- mo come questo vento, o qualunque altro possa tra- smutare di luogo galleggianti immersi tutti nell'acqua, quali sono le sabbie. Secondo la natura del movi- mento che il vento comunica al mare, le sabbie mi- ste al convoglio delle acque non ponno aver moto progressivo, ma solo un moto alternativo d'abbassarsi ed alzarsi; e svellere dai bassi fondi, sollevandole fi- no alla superficie del mare , sconvolgendole ancora in tutti i sensi. A Murena sembra che se può esservi alcun ri- medio a togliere la causa d'interrimento, sta nel ria^ prire il canale di Boscovick già due volte ostruito; e non vede che non essendo rimossa la causa , gli effetti conseguirebbero ugualmente. L'Arnaud non consiglia nessun rimedio, e sa- viamente riprova il canale del Boscovick. Il consiglio dello Stuard dì prolungare il molo innocenziano, avrebbe accresciuto il male; non po- tendosi affatto deviai^e le sabbie come credeva, per- chè commiste in tutta la massa dell'acqua. La natura con distruggere i lavori del Calamatta giovò , risparmiando chi sa quanto danaro che si sarebbe speso per eseguire il suo progetto, 42. Dopo il Calamatta evvi un'epoca di silen- zio ed inoperosità; finalmente nel 1822 il signor con- sole Rasi progettava, per riparare a difetti del nuo- vo porto , di aprire nel molo nuovo innocenziano due, o tre aperture, da profondarsi sino a metri 5,12 sotto la superficie del mare basso ; e proponeva di riaprire le bocche sconsigliatamente chiuse nel molo sinistro neroniàno. 94 Scienze Il Linotte gli si oppose per istampa. Questi è persuaso che le sabbie, le quali porta il Tevere , sieno spiate verso Anzio da venti di libeccio , di ponente, e di maestro; e che siano quelle che vanno a depositarsi nel porto innocenziano ; e vuole che giunte dinanzi al porto vi girino intorno e si fer^ mino dal lato di levante, dove sta la bocca; e che allo spirar poi de' venti di mezzo-giorno e di scirocco sieno spinte nel bacino e si depositino vi-' cino al convesso del molo sinistro neroniano, E per rimedio propone l'espurgamento perenne delle sab- bie, e s'illude che questi sforzi abbiano a valere più de'già provati innanzi. Si mostra contrario a trafori, anzi avvisa di chiudere i due trafori del fortino che trovavansi aperti, affinchè sia precluso l'adito alle sab* bie del Tevere. 43. La porzione del molo neroniano, con il molo innocenziano, formano alle sabbie una bariera, e per- ciò il signor Rasi saviamente consigliava de' trafori affinchè parte delle sabbie entrate in porto avesse^ ro sfogo. Il signor Linotte, vedendo la causa d'interrimento nelle sabbie portate da'venti, sconsigliatamente li fe- ce chiudere, ad onta che il Mareschal avesse dovuto riaprirli ad evitar danni maggiori. 44. In tempi a noi recentissimi il sig. commen- datore professor Yenturoli scrisse del porto innocen- ziano. Egli è d' avviso che per migliorare alquanto la condizione del porto, si abbiano ad aprire una o due bocche del molo innocenziano, ed a profondare di più quelle dell'antico molo esterno diroccato con Porto Neroniano e Innocenziano 95 tagliare le riseghe subacque interposte tra i ruderi di questo molo. Quindi avverte di concentrare l'azio- ne delle macchine effusorie nell' interno del porto , precisamente nelle parti praticate dai bastimenti, sen? za troppo accostarsi alla spiaggia. PORTO IIVIV0CE]VZIA1\0 E IVEROIVIAIVO 45. L'idraulica nacque in Italia per controver- sie di contrari interessi di piccoli stati, e crebbe per opera de' celebri Castelli , Guglielmini , Manfredi , Grandi , e Zendrini, i quali colle osservazioni e gli sperimenti al grado di scienza la sublimarono. Ap- tendeva però che il Tadini, il Brunacci, il Lagran- gia, il Venturoli, il Fossombroni, il Mosotti, ed al- tri sommi alla geometria più sublime ed al cal- colo r applicassero pel suo rapido progredimento. Ma dopo tanti studi e tante fatiche non pertanto oggi si può dire che essa abbia tocco l'apice della perfezione. 46. La natura è gelosa a farci conoscere di quali leggi adoperi ne'movimenti de'fluidi, e per la som- ma varietà ed oscillazioni de'moti delle molecole che \i compongono , per la loro fjluidità unita ad una 96 Scienze certa adesione, per l'infìnito loro numero ed estre-" ma piccolezza. L'osservazione smarrisce, l'esperienza non regge, il calcolo vacilla. Noi siamo, rispetto alle cose idrauliche, come chi vedesse la faccia del no- stro pianeta fuori di esso ed a qualche distanza. Scor?- gerebbe i fiumi dalle sorgenti alle foci discorrere perennemente con leggi costanti, e giudicherebbe a- "verne esatta idea. Ma se scendesse a passeggiarvi sopra, quella massa d'acqua, che prima gli si mostra^ va da lungi docile, gli si presenterà con tali feno- meni, con tali varietà, che sarà costretto a confessare es- sere notte oscura quanto prima gli parca luce chiara. Noi pure, avvicinandoci maggiormente a'fluidi cogli occhi de'sensi e della mente, chi sa che sorpresi non ci diano a conoscere qualche nuova legge! Certamente le formole che oggi abbiamo sono troppo vaghe : non saranno applicabili con buoni risultati, o almeno abbastanza giusti se non quando l'esperienza e 1' os- servazione loro apportino dati sicuri, o meno ipote- tici. Onde è che le tante volte il calcolo non porge alcun aiuto e bisogna aver ricorso all'esperienza. 47. Ora venendo a trattare del porto d' Anzio non invocheremo equazioni, perchè la natura in que- sta località opera di tal guisa che le formole gene- rali non si piegano a scoprire la legge di movimento. E quindi l'osservazioni e l'esperienze saranno le sole guide nel cammino che imprendiamo a correre. 48. Ci si è posta occasione d'osservare (41) che la causa radicale d'interrimento non sta ne' venti qua- lunque siano, e per quanto siano furiosi. Quindi ri» mane obbiettata e 1' opinione di quelli che vedono Porto Neroniano e Innogenziano 97 venire le sabbie ora da levante, ora da ponente, se- condo che le spingono o lo scirocco, o il libeccio, e l'opinione di quelli che sognando le fanno venire dal Tevere. 49. Ma quale ne è dunque la causa? Non v'ha più alcuno che non la ravvisi nella corrente litto- rale col concorso delle maree. Geminiano Montanari ingegnere della repubblica di Venezia, incaricato dalla medesiina di studiare per la conservazione de'porti e laguna, ebbe occasione d'esaminare l'indole e gli effetti di questa correntia. Egli mosse le sue inda- gini dal fatto seguente. L'ultimo sbocco de'fìumi dovrebbe farsi ad an- golo retto colla spiaggia de'mari, perchè l'ultimo li- mite di questa è una linea orizzontale , e perchè gli ostacoli precedenti poco ponno influire fino a que- sto punto. Ma invece osservò che il Tagliamento, il Piave, e tutti i fiumi dello stato veneto hanno il loro sbocco nell'Adriatico ripiegato a sinistra di loro stessi, e radunano sabbioni alla destra, i quali avanzando verso il mare, prima sopra e poi sott'acqua, dalla de- stra alla sinistra s'incurvano in lunghi scanni quasi a far argine. Inoltre rimarcò che l'Adige ed il Po, appena gustate le acque salse del mare, voltano le loro foci a sinistra ammucchiando sulla destra sab- bioni protratti in mare. <|uiu.» 50. Mentre il Montanari poneva mente a que* sii singolari fenomeni, ebbe occasione di consultare gli antichi scritti dell'ingegnere Cristofaro Sabbatini eh' era stato al servizio della repubblica veneta , <; altri manoscritti d'altri autori. Trovò che tutti con- G.A.T.CXIII 7 08 Scienze cordemente asserivano esistere nel Mediterraneo e quindi nell'Adriatico una perpetua correntia circolare che ne circonda tutte le rive, entrando nello stretto di Gibilterra dalla parte dell Affrica, poi dell'Asia e dell'Europa sino a compire l'intero suo giro, ritor- nando pe'lidi di Francia e di Spagna allo stretto me- desimo e sboccando nell'Oceano di fianco all'Europa. 51. Già fino dal secolo decimosesto i marinari se ne accorsero per la diversità di tempo che a cir- costanze pari si impiegava nell' andare o nel torna- re da Venezia a Corfù, e tosto fu invalsa la pratica di costeggiare le rive meridionali del golfo lungo lo stato ecclesiastico e di Napoli nell'andare da Vene- zia a Corfù, e le settentrionali nel ritornare da Corfù a Venezia; questo fatto , l' assertiva del Sabbatiui , e degli altri, i fenomeni osservati allo sbocco de'fiumi, confessano e proclamano 1' esistenza della corrente littorale. 52. La qual corrente però non dobbiamo figu- rarcela cosi veloce, che possa l'occhio seguirla: men- tre dalle osservazioni del Montanari essa non fa che circa quattro miglia per ogni ventiquattro ore. Pa- ragonata con la velocità del Tevere che nello stato di magrezza è di 96 miglia in ogni ventiquattro ore, si conosce quanto essa è piccola. De-Fazio non sa comprendere , come ad una corrente così tarda, la quale per tanti secoli neppure è stata sospettata, si voglia attribuire la virtù di sollevare e trasportare tanta copia di sabbie da riempiere i porti che tro- va nel suo cammino. Prima di ciò asserire dovea por mente airagitazione dell'onde, particolarmente in Porto NeroìSUno e IN^'OCE^ZANO 09 lempo di burasche e di venti gagliardi che scon- volgendo di quando in quando il mare lo in orbi- da. E in questo stato che le torbide necessariamente sono dall' acque pian piano spinte in avanti da si- nistra a destra, conforme la corrente le va portando. 53. Io avrei desiderato fare dell'esperienze per conoscere le precise oscillazioni che soffre la corrente nel lambire che fa il poito innocenziano e neronia- no: ma queste esperienze delicatissime avrebbero vo- luto molto tempo ed accuratezze ; e d'altronde la di- rezione sua da levante a ponente non è stata obbiet- tata da alcuno , e ciò mi basta per quello che do- Trò dire e concludere. Può opporsi che un vento direttamente ad essa opposto possa ritardarla, e da lenta farla divenire lentissima. Ma quest' effetto non può essere che piccolissimo; infatti il vento che spi- ra contro la corrente di un fiume , non ne ritarda il movimento che di pochissimo alla superfìcie , e niente influisce negli strati inferiori. 54 Nell'esistenza di questa corrente nella nostra costa d'Anzio, diretta lungo la spiaggia da levante a ponente, abbiamo una causa imperiosa e costante, onde spiegare il trasporto delle sabbie , che dalla parte di levante vengono a riempiere il cratere del porto innocenziano che guarda a quella parte preci-* samente. Nel suo corso adunque trovando aperto a man destra la bocca del porto, una parte delle sab- bie da essa trasportale entrano dentro al porto, ove essendo l'acqua morta e impotente a partecipare del moto della coriente, debbono necessariamenie le sab- bie calare a fondo del porto stesso. .aiaoqofo oiddc- 100 Scienze 55. Il molo innocenziano gittato all' azzardo e senza riflessione, né a quanto facevasi, né allo scopo che volevasi ottenere in quella località, forma con la sua esposizione una vera barriera al libero corso delle sabbie onde arrestarle, ed il porto pare che sia stato fatto apposta come un sacco per riceverle ed am- mucchiarle. Se il Zinaghi avesse avuta questa inten- zione, con il suo progetto non potea meglio riuscirvi: ed infatti in breve tempo si sarebbe interrito quasi al livello ordinario del mare, se quanto v'entra di sab- bia altrettanto non se ne cavasse per via di macchine con molta e continuata spesa. 56. Siccome lasciato il cratere in balìa di se stesso si ostruisce, può proporsi il seguente problema: Quanto tempo si richiede pel compimento d'una regolare bonificazione, la quale si effettua con una certa legge, in funzione del volume del bacino che viene successivamente restringendosi, e della quan- tità di torbida che l' acqua in tempi eguali vi de- posita? Questa ricerca é analoga a calcolare il tempo necessario per colmare un dato terreno per mezzo d'un diversivo, che da un fiume torbido si porti a sboccare liberamente entro il medesimo. Si misuri dopo un tempo cognito la quantità della terra depositata nel cratere, e si supponga che il rapporto del volume della terra commista all'acqua, al volume dell'acqua stes.sa sia costante. I pratici, conoscendo l'alzamento prodotto nel cratere dopo una unità qualunque di tempo, ne pon- gono il totale riempimento del cratere proporzionale al suo volume, come il tempo elementare al volume delle sabbie deposte. Porto Neroniano E Innocenziano 10 ^ Ma in questo processo si commette errore: per- fchè il volume delle torbide che si depositano in tempi eguali non sono eguali, ma variano al variare del volume dell'acqua entro il cratere da colmarsi che a mano a mano viene restringendosi ed alzandosi. 57. Sia V il volume delle sabbie che si deposi- tano in un certo tempo t al fondo del Porto: sia V il volume dell'acqua torbida entro il cratere, che è uguale al volume del medesimo, onde --=« « essendo un coefficiente frazionario e costante se- condo l'ipotesi, da determinarsi per mezzo dell'espe- rienza : adunque il volume delle sabbie depositate alla line del primo intervallo t sarà V a ed il volume del cratere diminuito di questa quan- tità diverrà Quindi alla fine del secondo intervallo t le sabbie ac- cumulate entro il cratere saranno espresse da r( 1 — a y , ed il suo volume sarà F( 1 — 2 « -H a»). Alla fine del terzo intervallo t le sabbie ammuc- chiate durante il medesimo saranno 102 lYA/.im:.. Scienze ed il volume rimarrà V{ 1 — 3« -f- 3oc^ — a-'). Alla fine del quarto intervallo t le sabbie saranno F(1 — 3a H- 3x^ — a^ja , ed il volume si ridurrà a F(1 — 4a -H 6cc^ — 4cc^ ■+■ a^). Alla fine del quinto intervallo di tempo t le sabbie saranno espresse da V{i — 4a ■+- 6a^ — 4«^ -t- a'ì)» , ed il volume emergerà V{\ — 5a -h IOa' — 1 0cc^ -h 5ci'< — a-'O, e così di seguito. 58. La semplice ispezione di questi termini, che rappresentano i volumi de' depositi di sabbie per ciascuno intervallo di tempo i, e dei volumi succes- sivi in che riducesi il cratere, fa conoscere che se- guono la legge del binomio di Newton; per conse- guenza dopo un intervallo del medesimo tempo t di sede ennesima, saranno le sabbie calate a fondo del cratere espresse secondo l'analogia dalla formola ^(l-(n-l)a- (n — '\){n—2)oc'^ (?7-1)'n-2....(H-1-(.v-2))a'-' 1.2 1.2.3 (n— 1) ove neir ultimo termine bisogna prendere il segno positivo se n — 1 è numero pari, il negativo se im- pari. Quindi il volume del cratere sarà espresso da Porto Neroniano e Innocenziano n(n — 1) 2 lOS «(«—1 )....(«— ;«--1))^_^ \ ÌT2.3.../«— 1)rt / 0-""' 1.2 " - 1.2.3....(. 59. Tutti questi termini che rappresentano e i volumi delle sabbie depositate, e i volumi in che successivamente si riduce il cratere, ponno scriversi per ordine secondo i rispettivi intervalli più conci- samente così Fa F(1 V{\ V{\ r(i a )a a. )^a 1- 2. 3. 4. 5. r ( 1 - a ) F ( 1 — « )'^ F( 1 — a)3 F ( 1 — a l'i F r 1 « )•' 11". l' ( 1 — a )"-« n°. F { 1 — a )" GO. Se in queste espressioni facciamo la somma di un certo numero di termini consecutivi che rap- presentano le quantità di terra depositate nel cratere con il termine che rappresenta il volume del cratere corrispondente all' ultimo de'termini che si vogliono sommare, avremo per somma V, come di fatto deve essere. Queste espressioni ci dicono ancora che al cre- scere degli intervalli di tempo t minorano i depo- siti di terra, e che minorano fino all'infinito insie- me con il volume del cratere. Per conseguenza emer- ge questa rimarcabile verità , che a bonificare un dato terreno, che trovasi nelle circostanze da noi con- template, si richiede un tempo infinito ; vale a dire 104 Scienze che resterà sempre un sottilissimo velo a acqua so^ pra la sua superfìcie , che andrà diminuendosi con- tinuamente senza però divenire mai zero matemati- camente e fisicamente dopo molto tempo. 6 1 , La condizione geometrica che il cratere sia bonificato ed ostruito sarà espressa da una qualun- que di queste due equazioni v-+-i\ 1 —ci)-t-v{'ì —a)''-',- -+-(] — a)"-'—- V ( I - a)" ^- 0. La seconda agli usi pratici non può servire, poiché bisognerebbe fare. la prima poi si presta molto bene, e con una appros- simazione che non lascia a desiderare di più. Si pren- dano nella serie tanti termini fino a che la loro som- ma prossimamente uguagli il volume totale del cra- tere da bonificarsi , ed il numero de' termini presi esprime il numero delle unità di tempo assunte a considerarsi che sono necessarie per la colmatura. 62. Nel caso particolare del porto innocenziano, cerchiamo il tempo che il mare vi impiegherebbe ad ostruirlo. Nel 1842 la profondità media era di me- tri 2, GO. La superficie di metri quadiati 19000. Dal Venturoli conosciamo che per mantenere il porto alla profondità media di metri 2, 00, è d' uo- po estrarre con le macchine efìusorie 15000 metri cubi di sabbia per ogni anno. Prendiamo per unità di tempo t l'anno, avremo V ^ 1 5000; « = 0, 300; V ^^ 49400. Sommando i primi otto termini della serie, dan- Porto Neroniano e Innocenziano 10 f> no per loro somma 49344 prossimamente uguale a 49400 ; però il tempo che la natura vi porrebbe a ostruire il porto innocenziano lasciato in balìa di se medesimo sarebbe di circa otto anni. Siccome però i dati pratici di questa soluzione non sono molto si- curi, cos'i non può essere molto sicuro il risultato. 63. Il cavalier Linotte scoprì avanti la bocca del porto innocenziano uno scanno d'arene; come vi sia formato non è stato da nessuno dinic:)strato, anzi molti di quelli che han trattato di questa materia non ne fanno motto; e lo spiegare come la natura abbia operato , ed opera continuamente e costante- mente per aumentarlo, non è la facil cosa. Il Venturoli si restringe solamente a dire, che passano le sabbie davanti la bocca del porlo formando uno scanno; ac- cennando così la proposizione, e più non vi ritorna sopra. L'opinione di questo grand'uomo sarebbe per noi rispettabilissima, e non ardiremmo d'obbiettarla, e siam dolenti che non vi abbia posto mente. Ma non dovendo tacerne pel nostro assunto, ci sia per- messo esternare una nostra opinione qualunque sia, la quale invoca indulgenza e compatimento. 64. Pel flusso del mare l'acqua trovando la boc- ca del porto aperta entra nel cratere e vi scorre a guisa d'un fiume e le torbide si agitano. Nel riflus- so poi, l'acqua all'uscire della bocca avendo maggior velocità dell'acqua schierata in mare avanti la boc- ca stessa, avviene che nell'incontro perde ad un tratto tale maggioranza di velocità, onde le torbide si de- positano , operando della guisa medesima de' fiumi che sboccano in mare, i quali formano scanni ed in- terrimenti. E' vero che il moto del flusso e riflusso 106 Scienze è piccolo: ma è anche vero che picciol causa gran- de effetto produce, e la natura talvolta nelle sue ope- razioni usa di tale mezzo. 65. Nella seconda parte di questo nostro lavo- ro, accennando la storia del porto innocenziano, ab- biam veduti con quali infausti auspici nacque , e come importò 1' ingente spesa di 200 mila scudi, sebbene 1' architetto non ne calcolasse che soli 15 mila. Appena fu compiuta l'opera si scoprirono tali difetti che ne predissero prossima la perdita. Fin da' suoi primordi fu il porto innocenziano oggetto di studio e di seria occupazione a valenti ingegneri successivamente chiamati a consulta , per conoscere quali mezzi potessero tentarsi per avvantaggiarlo, o almeno per conservarlo nella sua trista e malefica condizione. Ma sfortunatamente quante furono le con- sulte, altrettanti furono i dispareri, e le contraddi- zioni, non che i progetti: alcuni di questi furono ese- guiti, e tentati più volte, riuscirono sempre o vani o dannosi. Non sapendosi finalmente più che consi- gliare, fu abbandonato dal governo alla sua cattiva indole ; stanco pur egli di gettar via invano tante somme: si dovette necessariamente condannare all' azione delle macchine eifusorie per conservarlo dai rapidi interrimenti, e per non perderlo del tutto. E per mantenerlo nello stato presente , non sappiamo che raccommandare i suggerimenti del professor Ven- turoli (44) sempre dispendiosi di circa 15 mila scudi annui. E poi si ha sempre un porto piccolo, e ge- neralmente impraticabile, tranne che a piccoli legni, il più grande di 80 tonnellate , i quali se entrano Porto Neroniano e Innocenziano 107 in questo porto a far carico, non possono uscire se non sono le acque piene, e usciti non possono ritor- nare se non con somma difficoltà (1) : avvegnaché gli manca il primo de' requisiti, a cui deve soddi- sfare un buon porto, il fondale. 66. Nella prima parte di questo nostro lavoro parimenti abbiamo esposto un cenno storico dell'an- tico porto neroniano,e la descrizione del suo stato at- tuale , e ne abbiamo enumerati i piincipali pregi topografici che avea, e che furono con tanta accor- tezza dal costruttore messi a profitto, pei quah non potea in alcun modo restare interrito coll'andar del tempo. Inoltre abbiamo riportati gli scandagli che in diverse epoche si son presi , e siamo dolenti di non poterli paragonare fra loro, onde conoscere la scala dell'interrimento: avvegnaché essendo il fondo irregolare e ingombro qua e là da macerie , e cia- scuno essendo stato preso in punti diversi, non pon- no dare nessuna legge. 67. Ora siamo tornati sul porto neroniano, col- l'intendimento di far conoscere per via dell'esperien- za e della ragione, come e con che indole dovreb- besi ristabilire, affinché non patisse del difetto d'in- terrimento , mantenesse costantemente il fondale nel cratere, e non mancasse degli altri principali requi- siti che costituiscono un ottimo porto. 68. Il porto neroniano, nello stato d'interrimento in che ora trovasi, è opera della natura, e dell'uo- mo che le ha data mano. La distruzione di molte (1) Raì>i, Porto e lerritorio crAnzio. Appendice. lOS Scienze fabbriche, con parte dei moli medesimi, ma più i( cumulo di tante sabbie che estratte dall'innocenzia- no erano jjiltate nel cratere del nostro per econo- mia dei trasporti, sono le principali cause senza dub- bio che lo hanno interrito. Che influito \ 'abbia pur anco la natura, è certezza; ed infatti il nuovo porto nella aua larghezza e lunghezza costituisce un gran pennello, che fa 1' officio di riparo rispetto al vec^ chio porto, e per conseguenza quivi la velocità or- dinaria della corrente littorale è diminuita, e da pic- cola si fa piccolissima. La ripa adunque che la na- tura avea equilibrata con la corrente ordinaria do- vea cangiare per rimettersi nelle stesse circostanze di prima, e questo cangiamento dovea effettuarsi con il progredimento suo verso il mare fintanto che la cosa si stabiliva nuovamente ; è per queste ragioni che il porto antico si trova interrito per quasi una metà dell'ampia sua estensione. 69. La parte ora bagnata dall'acqua del porto neronianoèdi sufficiente ampiezza a formare un buon porto ; e quindi per viste economiche e fìsiche io non so aderire all'opinione di coloro che tutto l'an- tico bacino vorrebbero ristabilito. 70. Reintregando il porto antico sulle norme delle sue tracce , il moderno molo innocenziano do- vrebbesi demolire, perchè sarebbe d'incomodo e di danno a quelli che vogliono entrare in porto. La- sciato poi r innocenziano in balìa della sua cattiva indole in breve s'interrirebbe ed eserciterebbe l'uffi- cio d'un gran pennello al neroniano, il quale se ne risentirebbe: che avanzandosi colla base in mare mal Porto Neroniano e Innogenziano 109 gioverebbero le nostre forze per tenerlo espurgato , avverrebbe in un certo modo come quando alcuna parte del nostro corpo è inferma che le più vicine si risentono pur esse. TI. Ma demolito che sia il molo innocenziano cosa accadrà? Noi avremo tolto il pennello , ed eli- minata quindi parte della causa che ha influito al- l' arenamento del porto neroniano ; onde la natura tenderà a conquistare gli antichi suoi dritti che la mano dell'uomo le avea tolto, ossia tenderà a spur- gare il porto neroniano , a rimettere le cose come prima, a stabilire con l'adiacente spiaggia del porto innocenziano. Vero è che questa tendenza, questa for- za è piccolissima, e forse mai la natura con una for- za così tenue potrebbe ricuperare ciò che ha per- duto: aiutiamola dunque, spurghiamo pure tutto il porto neroniano, onde sieno ricuperati gli antichi do- minii che avea il mare; la natura avrà forza bastante per mantenerseli, senza l'aiuto della mano dell' uo- mo? Io lo nego: noi l'abbiamo in un certo modo gua- sta e viziata ; sono già 137 anni che fabbricammo il molo innocenziano; è da gran tempo che una parte del porto neroniano che vorrebbesi bonificata è in- territa: la natura frattanto in queste circostanze ha proceduto con leggi alquanto variate; noi, per quanto vogliamo fare per rimettere le cose come erano aban- tico,non vi arriveremo mai; onde azzardo il consiglio di non riattivare che la parie del porto ora bagnata dall' acqua. Questa parte avrebbe poi un vantaggio rimarcabilissimo, derivante per appunto dalla demo- lizione de) molo innocenziano ; noi abbiamo veduto 110 Scienze che per tal effetto quivi esisterebbe una forza, una tendenza che la natura eserciterebbe per ricuperare ciò che ha perduto; ossia esisterebbe una forza vir. tuale che cospirerebbe a mantenere al nuovo porto il fondale. 72. Ora si stimi con quanta sicurezza possi ri- stabilire lodevolmente un porto sì maraviglioso. Pri- ma di tutto bisognerebbe assicurarsi maggiormente del suo letto artefatto con appositi tasti per ogni do- ve a qualche disianza, e conoscere la solidità del fon- do. In questo modo, accertata minutamente la forma della località naturale e artefatta, non potremo non ammirare la perspicacia del suo antico architetto, e la sua esecuzione che dovea essere veramente dispen- diosissima e dilTìcile. I due moli esistono quasi a fior d'acqua, in gran parte da potersi riprendere di so- pra allo scoperto. Abbiamo molta probabilità di po- ter credere con fondamento che, oltre la bocca di levante, avesse una seconda bocca (12) a ponente; ed infatti molti legni in tempo di burrasca difficil- mente avrebbero potuto rifuggirsi nel porto, ad evi- tare il quale inconveniente nulla aveano i romani ri- sparmiato per dare con due bocche opposte un in- gresso sempre facile. Così hanno praticato a'porti di Civitavecchia e di Ostia, costrutti in tempi sì vicini a quello d'Anzio. 73. Noi facemmo conoscere (14) che i moli del porto neroniano erano fabbricati a seconda del siste- ma àemoli a piloni o ad arcate. Però nella ristaura- 2 ione certamente non potrà venire in mente di nessu- no di appigliarsi al sistema de'moli massicci, i quali Porto Neroniano e Innocenziano J 1 1 non dando passagfgio all'acque produrrebbero presto arrenamenti , qualunque fosse la loro situazione e direzione; ne abbiamo una prova luminosa di fatto nel porto innocenziano. Noi coi moli massicci ci op- poniamo direttamente all'azione dell'acqua, e al pas- saggio delle sabbie, e tosto col totale insabbiamento dell'opera pagheremmo il fio della nostra inconsidera- tezza. Adoperando poi il sistema de'moli ad arcate^ le arene hanno uno sfogo e sfuggono dal molo stesso; la natura vuol essere secondata, sicché senza che essa se ne accorga quasi spontaneamente si pieghi agli; interessi nostri. Alle dette aperture, o archi di moli, i porti degli antichi dovettero la inalterabile conser- vazione e perpetua durata della profondità naturale dell'acque. 74. Se qualcuno obbiettasse, che al tempo delle burrasche, quando il mare è fluttuoso e terribile, en- trerebbe colie sue onde nelle luci degli archi a di- scapito totale della tranquillità che un buon porto deve avere in qualunque tempo, e in qualunque cir- costanza: noi risponderemmo, che l'acqua urtando fu- riosamente e archi e piloni si spezza e si smorza , ed entrando nelle luci degli archi così ammansata, non compromette la tranquillità del porto. Si po- trebbero a maggior vantaggio della solidità e della de- siderata tranquillità costruire i piloni a scarpa verso mare. Questo e' insegna la teoria (1) , e questo è quello che e' insegna il miglior maestro di tutti , la natura; essa adunque e' insegna, che mentre il mare (I) Veuluroli voi. 2 lib. IV cap. V. liQi Scienze urta furiosamente i promontori che trovansi ai suoi lìti, il medesimo si umilia a quei liti che si trovano formati di semplici arene e di sabbie, che presen- tano ai flutti un piano dolcemente declive. I piloni adunque de'moli formati a scarpa tenderebbero mi- rabilmente ad eludere e a render vano uno de'modi formidabili d'attacco che l'acqua adopera. 75. Di questo genere di costruzioni marittime ci porgono luminosi esempi le famose dighe dei Ut- torali di Venezia, le quali furono costrutte con lar- ghissimo piede, e con una discesa quadrata, e poco sensibile dal loro ciglio al mare; e quelle non meno celebri dell'Olanda vennero pur conformate dietro lunga sperienza co'medesimi principiì.Il che ci avvisa ad essere prudenti a sfuggire il perpendicolo in que- , sta sorte di edifici. 76. Il Fontana (14) scoprì le facce dei trafori disposte a sbieco con la lunghezza de'moli: pare che l'antico architetto del porto abbia usata di questa di- sposizione per ammorzare V impeto del mare infu- riato e burrascoso 77. Per mantener tranquilla calma potrebbe ancora giovare qualche opera avanzata : ma basti averla accennata , perchè è certo che adottando il sistema de'moli descritto si viene ad ottenere l'intento.» 78. In ultimo esamineremo la posizione e di- rezione del nostro porto rispetto ai venti; questo esa- me ci si offre spontaneamente dall' ispezione della mappa, e dei quattro punti cardinali della terra. Tutti i venti che spirano Cv)ntro la spiaggia, e contro il no- stro porto sono compresi tra lo scirocco e lo mae- Porto Neroniano e Innocenziano M3 stro che spirano dalla parte di l ibeccio; il quale ha una direzione perpendicolare alla costa, e per conseguenza deve produrre le più forti tempeste. Il ponente ed il mezzo-giorno fanno con la costa un angolo di 45", e perciò produrranno le medie burrasche, e saranno più forti quanto più s'accostano al libeccio, e meno quanto più si avvicinano ai venti scirocco e mae- stro , i quali avendo con la nostra costa direzione quasi parallela sono incapaci a suscitarvi grosso ma- re. Adunque il libeccio prende di faccia il molo destro neroniano, e la calma del porto è assicurata da que- sto molo. La bocca poi del nostro porto rivolta a levante si trova posta obliquamente con quella de' venti nocivi: e per tal cagione le agitazioni da questi promosse in alto mare, per quanto si voglian forti, deb- bon seguire un cammino ancora obliquo per intro- dursi nel porto; e quindi non vi possono giungere se non ammortite e deboli , tanto da non apportare alcun sensibile movimento alla sua interna tranquil- lità, che sarebbe un altro pregio essenziale del no- stro porto. T8. Possa questo mio piccolo viaggio scientifico ad Anzio non essere totalmente sprezzato! Se per po- vertà dell'ingegno in sì difficile tema non ho sod- disfatto al voto di chi cortesemente me l'impose, mi sia fatta indulgenza: e valga il mio buon volere, che nella riattivazione del porto neroniano fervidamente invoco all'Italia nostra, allo stato, incremento d' in- dustria, di ricchezza, e di felicità. ''^-j®'? G.A.T.CXIII. 114 Della origine e delle esercitazioni deW accademia agra- ria di Bologna. Cenai deWavv. Angelo Astolfi so- ciò onorario di detta accademia. (Continuazione.) ARTICOLO II. N. ell'adunanza del 7 febbraio 1841 lesse una dotta memoria il chiarissimo mgegnere dottor Francesco Maranesi intorno al miglioramento delle fornaci da mattoni. Dopo di avere l'A. fatto annotare i molti e grandi giovamenti portati nel secolo vertente all'agri- coltura, e specialmente a quella della provincia bo- lognese, come i prati artificiali e le risaie , che si possono dire per la provincia stessa quasi nuove col- tivazioni, e dopo di avere accennato alcune viete e pregiudicevoli usanze tolte di mezzo e pressoché in- teramente disfalle e sbarbicate , siccome le doppie file di alberi vitali , e la sostituzione di campi ele- vati e ricolmi, che menano senza indugio le acque alle laterali scoline (o fossatelle) invece di piani ine- guali, ed ove morivano le piogge ; il lodato signor ingegnere con chiaro stile entra a parlare delle nuo- ve forme introdotte fra noi nella costruzione delle fornaci da mattoni. E questo è prò non di una sola classe di persone, ma di tutti i posseditori di case rustiche ed urbane: perocché, dice acconciamente l'A., una merce tanto addoppia di prezzo, quanto si au- menta la spesa in produrla; e per lo contrario mi- Accademia agraria di Bologna 1 1 5 nora di prezzo, quanto scema la spesa stessa : donde ne consegue che ottenendosi diminuzione nella spesa della formazione de' mattoni , con ciò si rende più agevole il murare, e quindi si mettono in moto tutte quante le arti indispensabili a trarre a compimento gli edifici. E per venire più d'appresso alla trattazione del- l'assunto, prende a disaminare la nuova fornace co- struita nel 1838 dal N. U. signor marchese Guido Luigi Pepoli nella sua tenuta della Crocetta situata nel comune di s. Agata, di cui unisce accurato di- segno per meglio schiarare l'argomento. Poscia quasi per via di antitesi dichiara la diversità che interce- de fra le fornaci di nuova invenzione e le antiche; mostrando le antiche, generalmente parlando, essere quadrate di area , le nuove invece a rettangolo di presso a tre quadrati uniti di seguito. Le antiche avere due bocche, ma da un sol lato; le nuove per contrario due bocche opposte, vale a dire una in cia- scuno dei due lati minori. Le antiche avere i loro canti ad angolo rettilineo, nelle nuove vedersi i canti smussati e curvilinei. Per tal modo, data ad inten- dere la diversità della forma fra la nuova e l'antica foggia delle fornaci da mattoni, l'A. passa ad indi- care la varia guisa di riempire co' mattoni crudi le nuove fornaci: il che ridiremo colle stesse parole del valente signor ingegnere Maranesi: Voi sapete come co'hanchi malti^ <> scanni., si formino i cunicoli del fuo- co.^ che nelle vecchie fornaci si dislcndouo da un capo all'altro alla dirittura^ e per (juanto è la larghezza delle bocche delle fornaci stesse. Ora nella nuova for- nace.) di cui vi presento il disegno., nella quale le due 116 Scienze bocche sono diametralmente opposte , si forma bensì un cunicolo dalVuna alValtra bocca^ ma se ne inter- rompe la continuità con un muro di mattoni crudi , senza cemento, grosso di due teste , ed alto poco più delle bocche della fornace. Il qual muro., che si alza sul mezzo dì essa., non è più limitato alla sola lar- ghezza della fornace medesima senza interruzione. Ancora un''altra varietà si è introdotta nel mo- do dì turare gli usciali , che sono quelle aperture laterali , le quali servono ad empiere e votare le for- naci. Chiudevansì essi per solito con un muro di mat- toni crudi grosso quattr' once., intonacato al di fuori con malta mista a tocco. Ora la pratica dei più di- ligenti è di chiudere gli usciali con due muri di mattoni crudi., fra i quali viene lasciato un intersti- zio., che si riempie a mano a mano con cenere e sab- bia., intonacando poi Vesterno muro nel solito modo. Dopo ciò l'A. s'accigne a dimostrare l'aperta ed evidente utilità che si ricava dalle fornaci di recente costruzione. E priuaieramente le bocche opposte fanno sì che il fuoco dia a sentire più eguale la sua a- zione, e che questa azione sia meglio ripartita. La smussatura poi dei canti toglie al calore il potere di addensarsi in essi, siccome accadeva ed accade nelle vecchie fornaci, e quindi più facile il valico ad u- scire. Il muro che attraversa i cunicoli previene i danni, che un violento corso d' aria o di vento po- trebbe arrecare, disperdendo il calore. Giova anche assai l'otturamento degli usciali fatto coli' intermezzo di un corpo poco conduttore, come la cenere o ma- terie simili : il che impedisce che il calore non si disperda da quelle parti. Ma quali reali vantaggi si Accademia agraria di Bologna H7 eonseguiscono dalle fornaci di nuova costruzione a rispetto delle antiche? chiederà il leggitore. Ed ecco come il signor ingegnere Maranesi soddisfa a siflfatto desiderio. La fornace di nuova foggia del lodato si- gnor marchese Guido Luigi Pepoli ha dato cotti trentatrè migliaia di mattoni in quattro giorni, con trenta^ei carra di legna della misura della piccola terra di Crevalcore, che equivalgono a circa ventuna e mezza di Bologna; laddove in una antica fornace la cottura di eguale quantità di mattoni dimanda un periodo di tempo almeno di sei giorni , e qua- rantasettc carra crevalcoresi di legna, formanti yen- tolto carra bolognesi (1): per cui ne conseguita un risparmio di una quarta parte circa della legna, che si adopera in una cotta di egual portata fatta nelle vecchie fornaci. Il valente signor ingegnere Mara- nesi ci rende poi consapevoli, che diligentemente os- servati i mattoni tratti dalla sudescritta fornace Pe- poli li vide tutti perfettamente cotti. Ma a detta dell'A. evvi altro ottimo pratico a- gronomo , cioè il signor Vincenzo Rossi della Gui- sa, il quale si è proposto di migliorare anche la recente costruzione delle fornaci, sperando di poter soddisfare al bisogno con una più temperata eco- nomia nell'uso della legna da cuocere i mattoni. Il fornaciotto del signor Rossi, dall'A. visitato ben due volte , ha la base rettangola di piedi sette per un- (1) 11 carro di legna di Crevalcore (come si è deUo, piccola terra del bolognese, posta al confine collo stato modenese e com- presa nel distretto di Persicelo) è di sessantaquattro piedi culù di Bologna. Il bolognese poi è di piedi cubi centotto. Questo piede è iu lunghezza 0, 38 del metro ^f8 Scienze dici, con una bocca sola in uno dei lati minori. La sua altezza era di circa tredici piedi divisa in due piani, coperti ciascuno con una volta a mozzahotle di due teste. La volta intermedia ai due piani si ve- deva perforata di spesse fessure, appositamente la- sciate nella sua costruzione. L' altra volta superiore aveva nel mezzo un'apertura quadrata di circa venti once di lato, sulla quale si alzava un fumaiolo fin sopra il tetto che cuopre il fornaciotto. Ridotto a tale forma il fornaciotto fu per due volte sperimen- tato , e l'A. passa ad accennarne i risultamenti che qui poniamo. Il fornaciotto del signor Rossi conte- neva in tutto sedici migliaia di mattoni, o poco me- no: il fuoco vi rimase quattro giorni per ogni cot- tura di mattoni, ardendovi circa sette carra bolognesi di legna. Veduto per altro che i mattoni al secondo piano erano rimasi malcotti, il signor Rossi si pen- sò di atterrare la volta di mezzo, e di aprire due al- tri fori nella volta superiore da potersi chiudere o restringere temporaneamente a piacere per giovarsene a far risalire il fuoco più da una parte che dall'al- tra conforme al bisogno. Formato questo nuovo con- cetto, il signor Rossi si ripose all'opera: onde riem- piuto il suo fornaciotto senza la volta di mezzo, vi collocò circa diciassette mila mattoni, tenendovi eser- citato il fuoco per quattro giorni colla stessa quan- tità di legna adoperata per le colte precedenti, come abbiamo detto. L'A., dopo eseguito quel fatto, si con- dusse sopra luogo per conoscerne i risultamenti: ma con suo dispiacere vide, che non tenue quantità di mattoni era rimasta imperfettamente colta, per altro sempre in numero minore; sembrando che il signor Accademia agraria di Bologna 119 Rossi possa arrivare con lievissime modificazioni ad ottenere il suo intento, vale a dire di cuocere i mat- toni con quantità di legna anche al disotto di quella posta in uso nella fornace del signor marchese Guido Luigi Pepoli, di cui superiormente abbiamo avuto proposito. Dalla diligenza del lodato signor Rossi avvi a sperare al certo assai buoni risultati. Il suddetto signor ingegnere Maranesi dopo di avere divisato il modo di costruire le nuove fornaci, e dato a conoscere il come adoperarle, passa da ul- timo ed insegnare in quale guisa si possano ridurre quelle di antica costruzione alla novella forma. E questo sta principalmente nell'addoppiarne le bocche, e nel togliere gli angoli, o smussare quelle di fog- gia quadrata. E per farsi forte con un esempio, ad- duce il caso di una fornace posta nella sua tenuta presso il Lavino di S. E. il signor marchese com- mendatore Francesco Guidotti attuale senatore di Bologna , ed in allora lodatissimo presidente della società agraria di questa città. L'antica forma della fornace al Lavino era un perfetto cubo quadrato , con tredici piedi di lato per ogni verso; ed aveva due bocche dalla parte di levante. Fatte aprire al- tre due bocche dalla banda di ponente , e smussati i canti interni senza altra variazione si è ottenuto , adoperandola, un risparmio di legna per una quinta parte almeno. Si giovi pertanto di questi utili inse- gnamenti chiunque pregia una ben intesa parsimonia per condurre i propri negozi: e siamo grati al dili- gente ed operoso signor ingegnere Maranesi dell'a- more che egli pone non solo per tutto che riguarda l'utile delle pratiche campestri, ma altresì per ciò che ricade a prò deU'unaana famiglia. 120 Scienze Nella tornata del 7 marzo 1841 lesse un'interes- sante memoria l'ingeg^nere Giuseppe Astolfì , ottimo e carissimo fratel nostr^. Il discorso aveva per fine di trattare del modo di regolare i ferrivi^ vale a di- re di disporre i campi con pendenza regolare per dar loro il più perfetto scolo possibile. Premesso questo canone fondamentale di agricoltura , cioè che gli studi agronomi devono avere per fine prin- cipale di condurre l'agricoltura a conseguire la mag- gior rendita possibile colla minore spesa^ VA. si ac- cinge a dimostrare che inutile quasi afF^'tto rimane il profondere tante spese in lavori ed in concimi, ove i campi non siano colmati^ che è quanto dire ove non lascino scorrere prontamente le acque pluviali alle fossatelle di contorno, che noi usiamo chiamare scol- line. Chi ha posto mente, dice l'A., all' alternare de- gli anni ubertosi e sterili, avrà rilevato che per lo più le penurie e le maggiori strette di biade av- vennero sempre nelle annate piovose La più orrenda carestia ricordata dai viventi fu quella dell' anno 1800, la quale trasse cagione dalle soverchie abbon- dantissime piogge, che specialmente ebbero luogo in primavera: il che si è in seguito avverato, secondo- che corsero appunto piovose o no le annate. Allor- ché le piogge cadono a dirotto e per lunghi giorni , le acque si soffermano nei siti bassi del campo: al- lora o periscono del tutto le piante germogliatevi , o s' imbozzacchiscono per guisa da non potere dar frutto. Siano asciutte od umide le annate, chiunque costumi un poco alla campagna vede sempre più fe- raci e rigogliose le piante che trovansi nel mezzo . dei campi, ossia, come noi diclamo, nel mezzo delle Accadèmia agrària di Bologna 121 fette^ le quali sono nel culnaine sempre un poco più rilevate. E perchè ciò? per la ragione che in quella schiena di terreno un pò più alta non potendosi arrestare le acque, le piante pel troppo umidore non soffrono malattie , né sono impedite di appropriarsi que'principii fertilizzanti, che rimangono nella terra ove vivono. Non così nei fianchi dei campi o delle fette. Veggendo gli agricoltori , che nel mezzo di queste fette^ come abbiamo ricordato, le piante sono sempre rigogliose e ben vegetanti , non curano di lettaminare quella striscia di terreno, ma invece ser- bano i concimi per le parti laterali del campo, os- sia per li fianchi della fetta. Pure, ad onta di ciò, quello spediente non giova: perchè se in que'fìanchi, avvegnaché stercorati, si muoiano le acque, essi non danno quasi frutto di sorta alcuna. Egli è adunque, dice l'A., un gettare il danaro comprando tanti con- cimi da stadera, e tanti strami di valle per formare molta quantità di pingue stabbio , se prima non si acconcia il terreno per modo, che le acque non vi possano a lungo stagnare. Che se si desse opera a colmare le fette od i campi, con ciò solo si otterreb- be un miglioramento ne' terreni, quand'anche poco si abbondasse in concimarli : laddove letaminandoli senza prima ridurre la superfìcie a certa gradata e dolce convessità, una siffatta spesa riesce, se le an- nate vanno piovose, quasi di niun prò. Indispensa- bile adunque, per chi vuol trarre profìtto dalla col- tivazione de'campi, egli è prima colmarli: il che gli agricoltori bolognesi sono soliti di chiamare sbancare le fette od i terreni (1). Pertanto questo sbancare (1) Sbancart TOce non italiana , ma bolognese , trae origine 1 22 Scienze in altro noa consiste che nel togliere la terra super-, ficiale dalle caveclagne, dalle testate^ dai fianchi, dai rivali (che sarebbero gli spazi Ira i lilari degli al- beri vitali e le scolline, della larghezza di circa una pertica bolognese J trasportandoli nel mezzo e nelle parti basse, onde non vi rimangano buche e disugua- glianze di sorta alcuna. Levando i loti erbosi delle cavedagne si fertilizza per modo, ove vengono col- locate tali piote, la terra, da ottenersi un rilevante prodotto per molti anni senza uopo di altri conci- mi. Fino neWanno 1833 , il diremo colle stesse pa- role dell'A., e negli anni successivi feci eseguire diver- si sbanchi in terreni di buon fondo e di natura sciol- to^ seminandovi subito la canepa : ed ove andavano questi cotitichi , tanto il raccolto della canepa stessa che del frumento sono stati sempre abbondanti , an- che di più di que^canepari^ che governai con ingrassi costosi da stadera e letami da stalle. Convengo io pure che i fianchi delle fette, rima- nendo denudali di terreno pingue , converrà rinfor- zarli con buoni concimi', ma non avendo più occa- sione di letamare i colmi per molti anni^ si rispar- mino i concimi stessi^ onde poi impiegfirli a fertilizzare i fianchi medesimi delle fette^ per cui tutto il terreno diverrà ferace e profittevole. Una terra, la quale per non essere colmata non forse, per quanto io mi penso, Ja levare o togliere il banco. E sap- piamo che i banchi non sono che quei rialti eli arena o ili terra , che lasciano le acque de'fiumi. Dunque sbancare equivale a levare i banchi o le disuguaglianze ai terreni, ossia rotomlarli alquanto, affinchè le acque pluviali non vi si fermino sopra. Accademia agraria di Bologna 123 ha buono scolo , se per caso una qualche volta ve- nisse arata umida , come è facile , resterà rovinata per molti anni ad onta che aveste abbondato in con- cimi. Ma colmata che sia e mantenuta eguale colVa- rarla sempre alla pari., e non a quaderni.) è difficile di ritrovarla umida in modo da nuocerle., ed in ogni ipotesi si asciugherà sempre più presto delle altre. Laonde quando le terre sono colmate., si è quasi certi di poterle lavorare sempre asciutte in ogni stagione:, ed in allora acquistando una maggiore feracità mec- canica e permeabilità alV azione delle meteore , mas- sime del sole e del gelo., una minor quantità di con- cime le sarà più efficace: ricordando il dotto Catone., il quale lasciò scritto., che la terra voleva essere re- j)licatamente arata., poscia concimata. Ma da noi., nel generale., spesso si pratica il con- trario : vale a dire si ara poco e malamente , e si spende senza misura negli ingrassi:, e questa è una delle ragioni principali., per cui i nostri terreni a fin di conto ci danno la rendita appena del 5 per cento:, ed i nostri contadini sono indebitati., e tanto renitenti a prendere ingrassi da stadera., i quali spesse volte costano più del prodotto che si ricava. Dopo ciò l'A. richiama l'attenzione degli udi- tori sopra quanto si vede operato dai ferraresi e dai ceotesi e da alcuni valenti agronomi membri di quella slessa società, dinanzi cui parlava. Coli' uso degli sbanchi poi, a detta dell'A., si otterrebbe un altro vantaggio: il quale sarebbe, che, coli' accomodare le terre a bene scolare le acque piovane, i campi si fertilizzerebbero con assai minore quantità di con- cimi : per cui essendovene minor richiesta , gì' in- grassi grossi e minuti scemerebbero assai di prezzo. 124 Scienze Né alcuno si avvisi che l'eseguimento dei così detti sbanchi siano poi oltre misura costosi : perchè egli è a considerare che molti campi o fette si pos- sono colmare od eguagliare in parte con semplici a- rature, altre col ravaglio sopra e sotto, colle vanga- ture, cogli sbrazzi^ collo smodamento , coU'uso della rasjìtt, delle birozze , e finalmente colle carrette. Il qual uso delle carrette è al certo quello che vie- meglio accomoda le terre , e che si può mettere in opera in ogni stagione, purché la terra non sia e- stremamente molle: quando gli altri mezzi testé sug- geriti non convengono se non allorché la terra é bene asciutta. Il lavoro colle carrette é fuori di dubbio più costoso degli altri: tuttavolta non é cosa di straordi- naria spesa. Perocché un campo o fetta di terra, se non ha straordinarie disuguaglianze, può essere ac- comodata con scudi quattro circa per ogni tornatura bolognese. Ricolmato poi per tale guisa un terreno, frutterà, se la terra é di buon fondo, non poco con ben tenue quantità di concime. Ma chi ha famigliari le pratiche di campagna, sa che per rendere feconda una tornatura di terra, destinata alla coltura della canepa, occorrono almeno libre quattrocento di ra- schiatura di corna, od unghie di bue o di pecora , o libre trecento di penna grossa,© libre ottocento di panello (che sarebbero le bucce dei semi, donde si spreme 1' olio) o tre carra di letame con mezza corba di fava; i quali ingrassi dimandano all'incirca una spesa di nove o dieci scudi per ogni tornatura di terra. Ma egli é a riflettere che se il terreno pre- parato con alcuna maniera dei suddetti concimi non è posto in iscolo , e la stagione cade piovosa , cor- Accademia agràrtì di Bologna 125 rete rischio di non conseguirne quasi veruna rendita: perchè ove il terreno impantana, i concimi perdono il loro vigore, e la terra non risponde alla spesa de- gl' ingrassi. Per lo contrario se disponi il terreno a far scolare le acque piovane, puoi sperare frutto dal campo , anche se umida sia l' annata , e se non hai largheggiato nei concimi. Queste pratiche ci racco- manda l'A., e vogliamo confidare che, dimostratane l'evidente utilità, saranno più generalmente estese e adottate ad incremento notabilissimo della campe- stre industria. Nell'adunanza del 12 aprile 1841 il eh. signor prof. Giuseppe Bertoloni annunciò essere giunto all'orto botanico di Bologna , come inviata dal eh. sig. cav. Giacinto Moris di Torino , certa piccola quantità di riso di quarantatre qualità , proveniente dall'India e dalla Cina, che in processo di tempo si è poi saputo essere state portate propriamente da Manilla. Fatta conoscere dal diligentissimo beneme- rito autore la necessità di bene sperimentare la suddetta diversità di riso, e perchè indicate siccome di fatte pregevolissime ed acconce a germogliare in terreni appena umidi , appunto conformi a molti della nostra provincia e di altre dell' Europa tem- perata, piuttosto scarseggianti d'irrigazione; si fa a presentare la tabella, ove si veggono disposte e col- locate per serie numerica le suddette varietà di riso. L'A. avverte che nella parte superiore di ogni casella, contenente i risoni o grani vestiti della loppa, se ne vedono due spogliati, i quali viemeglio lasciano ap- parire la loro bellezza e la loro singolarità in con- fronto delle tre altre qualità di riso da noi colti- 1 26 Scienze \ato : vale a dire del nostrale , del cinese , del ber- tone o bastardo. Indi segue la tabella de' suddetti risi cinesi, che noi non riporteremo che ne'suoi due primi numeri, affinchè il leggitore possa avere con- tezza del modo tenuto dal eh. A. nel descriverli, o- metlendo di divisare gli altri quarantun numeri, e rimettendone , per chi fosse vago di averne piena contezza, al rapporto stesso del lodato sig. prof. Ber- toloni, inserito nel fascico lo secondo del primo vo- lume delle memorie pubblicate pei tipi del Sassi in Bologna da questa società agraria. Casella N. 1. Riso appellato JSaguyon: era di- stinto da questo bel requisito - La meilleure espèce de tous le riz suivant ce qu'en ont dit Ics indiens. Vestito è lungo 9 m?'/., e largo 2/3 scarsi: la sua ve- ste è una delle più bianche: spogliato è bianco , più corto^ più grosso e meno semidiafano del precedente. Casella N. 2. Riso appellato Kinauaquam. È un poco più lungo e più grosso del precedente: la sua loppa è bianco-sudicia colle coste appena fosche: spo- gliato è bianco^ più corto .^ più grosso., e meno diafano del precedente. Quindi segue il n. 3, e poscia gli altri fino, come è stato detto, al n. 43. Date con ogni maggiore desiderabile accura- tezza le più interessanti notizie su questi novelli risi indiani o cinesi, l'autore accenna come, fatte varie divisioni, fossero queste distribuite a diversi posses- sori di risaie al fine che le sperimentassero ne'loro terreni. La prima e più abbondante di siffatte di- stribuzioni fu affidata al socio dell' accademia agra- ria sig. ingegnere Maranesi, qui disopra da noi lo- devolmente ricordato, il quale assunse di coltivarla Accademia agraria di Bologna 127 per conto dell'accademia medesima. Un'allra fu con- segnata al eh. signor prof, di agraria di questa pon- tificia università sedente in Bologna , cioè il sig. dottor Giovanni Contri socio e segretario della sud- detta accademia agraria. La terza al signor marchese Vincenzo Amorini Bolognini, che si prefisse di pi- gliarne prova, tentandone esperienza nelle sue pro- prie risaie. La quarta venne data al sig. marchese Francesco Sampieri , che allora con molto favore estendeva la coltivazione di nuove risaie nel terri- torio lucchese e toscano. La quinta al sig. Maldini altro proprietario di risaie, il quale esternò il vivo desiderio di farne sperimento. Finalmente la sesta fu rilenuta a comodo dell'orto botanico di Bologua. Di questa l'A. in parte si servì per dar opera alla ta- bella suddetta, e coU'altra per tentare la coltivazione da lui medesimo. Ed egli fin d'allora si propose di farne studioso ed attento saggio per potere deter- minare quali di esse varietà convenissero ai terreni irrigabili o inondati, e quali ai semplici umidi. Raccomandò inoltre il eh. A. che le persone che sì accingono alla suddetta sperienza fossero ben caute di seminare le diverse qualità di riso in altrettante aiuole distinte le une dalle altre, tenendo elenco dei numeri progressivi e de' loro rispettivi nomi, accioc- ché non avvengano mescolanze ed abbagli. Né al- cuno di loro si scoraggisca, temendo che con sì po- chi grani non si possa giugnere ad ammassarne ba- stevole quantità per tentarne una estesa coltivazione. // riso diligentemente coltivato^ dice l'A. , dà certa- mente anche più delle 50 sementi. Io con circa trenta grani di triticum cevallos^ che venne al nostro orto bo- 128 Scienze tanico da quello di Praga, ne ho ottenuto tre corbe in soli quattro anni ; ed ognuno ben sa , che il grano e di due terzi meno produttivo del riso. Nel caso poi che buoni risultati ci facciano desiderare copia mag- giore di qualcheduna delle indicate varietà , ora che le distinguiamo bene coi loro nomi cinesi od indiani , ci sarà facile ottenerle col mezzo de' legni a vapore inglesi^ che da Bombay regolarmente recansi a Lon- dra in 46 giorni ; per le quali cose tutte prendiamo coraggio ad accingerci alVopera. Epilogaado noi gli atti di questa accademia o società agraria, ci faremo un dovere, allorché giungeremo a conoscere il ri- sultamento di queste tentate esperienze, di porgerne cenno ai nostri cortesi leggitori. Nella tornata del 12 aprile di detto anno 1841 r egregio signor Davide Bourgeois, socio ordinario di detta accademia agraria , lesse due sue interes- santi memorie, 1' una sulla maniera di studiare alla buona custodia delle botti per la migliore conserva- zione dei vini, l'altra sul miglioramento dei prati. E cominciando noi a parlare del primo dei sud- detti trattati argomenti, ricorderemo come il signor Bourgeois entri in materia, notando essere uso nella provincia bolognese , ed in altri luoghi contermini a quella, di tentare di preservare le botti da qua- lunque cattivo odore di muffa, di secco, ed altro si- mile, col lasciare in fondo alla botte medesima certa quantità di vino che ben presto inagrisce e diventa acido. Egli è vero, riflette l'A., che la botte rimane preservala dall'odore di mufifa; ma quella parte del fondo, ove si ferma a lungo pel vino già inacidito, comunica ben tosto un cattivo sapore ( volgarmente Accademia agraria di Bologna 129 detto di fuoco ) al vino che in seguito s' introduce nella botte : per cui il vaso non è appena dimez- zato, che il restante liquido s'inforta a maniera d' a- ceto. Evvi chi cerca di serbare il buon odore alle botti lavandole ed asciugandole bene e lasciandole aperte; ma ciò d'ordinario non basta, prendendo fa- cilmente di secco. Sonvi pure altri, i quali preferi- scono di levare alla botte una o più doghe per fa- vorire l'ingresso all'aria. Tale metodo forse potrebbe giovare a serbarle di buon odore ; ma il togliere una o più doghe facilmente sconnette la botte : e per assestarle, fa bisogno per lo più di dover ricor- rere a persona dell'arte. Ma in Germania, considera l'A. , nella Svizzera francese, e specialmente in Fran- cia, ove la fabbricazione dei vini è assai studiata , si procede in altra guisa sul modo di conservare le botti. Subito che è stata votata una botte , si lava diligentemente a tre acque, indi si rovescia per bene gocciolarla ed asciugarla, e dopo trentasei ore circa si ripone al suo posto turando il buco superiore. Poscia si procede alla fumigazione , introducendo pel buco inferiore , ossia pel buco del turacciolo ( volgarmente da noi detto 6«Vone), una striscia di carta grossa, o di tela intonacata di zolfo. Il modo da tenere per introdurre detta striscia si è, di spin- gerla dentro sino a che la fiamma esca dalla botte per lo stesso buco del turacciolo. Allora si caccia dentro ciò che rimane di detta striscia accesa, e si chiude la botte col turacciolo. Questa fumigazione basta per mantenere la botte in buon odore almeno sei mesi: rendendo avvertili, che se una botte avesse a restare vota per un intero anno , bisognerebbe G.A.T.CXIII. 9 130 Scienze ripelere almeno un'altra volta la fumigazione stessa. Ricordato poi bastare che detta striscia sia della lun» ghezza di circa sei once bolognesi , 1' A. passa ad insegnare come prepararle. Tagliate dette strisce , (o pezzetti di cordella) della larghezza di circa un oncia, s'imergono nel zolfo liquefatto entro stoviglie di terra rossa. Asciugate, si tornano a tuffare: e ciò basta perchè dette strisce rimangano a sufficienza intonacate per servirsene all' uopo succennato. Sug- gerisce anche l'A. potersi unire allo zolfo della pece nella proporzione di una parte di pece per ogni tre di zolfo; e si può anche unire allo zolfo del benzoi- no: ciò per altro nella proporzione di una parte per ogni dodici di zolfo, riducendo lo zolfo ed il benzoi- no ben triti e mescolati insieme , prima di esporli all'azione del fuoco per isquagliarli. Ma quantunque il metodo di conservazione dei vasi per contenere il vino suggerito dal lodato sig. Bourgeois sia mostrato dall'esperienza evidentemente utile, tutta volta l'A. teme di non vederlo general- mente adottato per due motivi. Il primo dei quali si è, che i signori essendo intesi a ben più rilevanti faccende, lasciano la cura delle loro cantine a uo- mini certamente ignari di cognizioni fisiche , cosi detti canevaH^ i quali avendo sempre da'loro mag- giori veduto praticare il metodo di conservare le botti , col lasciare entro le medesime porzioni del vino stesso, non vorranno cambiare quel vieto co- stume in altro, di cui non conoscono gli effetti. E siccome quando una botte dimezzata comincia un poco ad inacetire, usano di quel vino non più per Ja tavola del padrone, ma pei serventi , per gli ar- I Accademia agraria di Bologna 131 tigiani ec, così vedendo che ciò è di qualche uso , non curano altro: poco valutando che quel liquore non rimanga perfetto fino all'ultima stilla, come ac- cadrebbe se le botti fossero conservate alla ma- niera ricordata dal sig. Burgeois. L'altra ragione, per cui teme di non vedere se- guito il preacennato metodo, si è perchè il vino nella provincia bolognese non è curato come un oggetto di commercio. Allettati i bolognesi dai lucrosi pro- dotti delle canape, delle sete, dei risi ec, punto non s'impacciano e non tengono a cuore la rendita delle uve, che potrebbe tornare di gran prò , per essere queste condotte quasi in tutta la provincia a perfetta raaturezza. Si crede anche da molti, che i vini del bolognese non siano atti a sostenere viaggi di mare; ma su ciò ben riflette 1' A. , cioè che non saran- no atti a tenere viaggio di mare quei vini che sono male fabbricati , e specialmente conservati in botti governate con aceto; perchè, per quanto siano la- vate, non si riesce giammai a distruggere quel fo- mite acetoso^ dice l'A., di cui sono imbevute le doghe inferiori: V acidità comunicata da queste al vino^ an- corché poco sensibile al palato^ esiste in esso^ ed uni- tamente al moto dei trasporti tende a farlo inacidire. Il parlare poi della navigazione dei vini del bolognese è quistione fuori di luogo, dice l'A. , es- sendo troppo lontana questa provincia dal Mediter- raneo, e però di troppo costoso il trasporto. Mi sia permesso^ chiuderemo il paragrafo colle parole del- l'autore, d'esternare qui il desiderio che sia fatto un caviale navigabile da questa città alla foce del Pri- maro^ o meglio al porto di Magnavacca^ a tenore del 132 Scienze progetto dei sigg. prof. Bertelli e dottor Luigi Bertì^ giacché V effettuazione di questa intrapresa^ nel favo- rire l'esito dei nostri prodotti, migliorerebbe di molto la sorte dei possidenti. La spesa di trasporto delle merci da qui a Livorno è precisamente di circa paoli cinque il quintale del nostro peso., ed è talvolta più costosa nella cattiva stagione: quella da qui al porto di Magnavacca^ mediante un canale navigabile., non sarebbe che di sette od otto baiocchi al piii per quin- tale in ogni stagione. Auguriamoci di vedere avve- rato il voto del degnissimo sig. Bourgeois, ed anche il ricco prodotto delle nostre uve può diventare una fonte perenne di guadagno e di dovizia. L'altra memoria del lodato sig. Bourgeois trat- tava, come fu accennato sopra, del miglioramento de'prati: tema ch'egli chiama a lui sopra modo pre- diletto, e ben a ragione. Imperocché la coltivazione della lupinella , se non fu introdotta nella nostra provincia dall' A. , certamente (sono già corsi trenta anni) egli si diede pensiero di propagarla nelle no- stre montagne, con indicibile utile de'proprietari di più terreni. L' A. non approva per altro il divisa- mento di que'possidenti, che riducono a prato arti- ficiale, od a lupinella, tutto un fondo, per guisa da non avere più bisogno di un colono che lo coltivi. Quand' anche vi fosse qualche prò pel proprietario nella vendita del fieno , a confronto di ciò che può ritrarre dalla vendita delle derrate di grano, uva, ca- nepa ec, tuttavolta questa misura si avrebbe ad i- sfuggire da un uomo probo e dabbene, perchè sce- mandosi le colonie, l'agricoltore non trova più come industriarsi. Ed ecco che suo malgrado è obbligato Accademia agraria di Bologna 133 a rientrare nella classe de' giornalieri; uomini che ven- dono l'opera loro, senza speranza di poter venire in miglior condizione mettendo a profitto la loro in- dustria, come può fare il contadino. Quindi l'A. trova miglior consiglio quello di non pochi proprietari, i quali non destinano a coltivazione de'prati artificiali, od a lupinella, che la parte del predio più lontana dal caseggiato, nella porzione che credono più con- veniente a migliorare il terreno, tenendo più copia di bestiami, e per conseguente ammassando maggior quantità di concimi. L'uso poi de'prati artificiali messi a lupinella ha ancora l'altro vantaggio di tramutarli in seguito in prati naturali folti di copiose erbe, adoperando per altro alcune diligenze , che 1' A. si fa a dichiarare. Chi spesseggia in campagna certamente non ignora, che passato il terzo anno da che la lupinella ger- moglia in un campo, il suo prodotto comincia a di- minuire per guisa, che al quinto o sesto anno di sua vegetazione fa d' uopo arare la terra per investirla a grano o ad altro. La lupinella nel suo nascere è accompagnata quasi sempre da erbe parasitiche e cattive , siccome stoppioni , euforbie , ranuncoli ed altre di tal fatta. Or bene, chi vuol mantenere vegeta e produttiva la lupinella, bisogna che la tenga dili- gentemente arroncata e sarchiata da siflfatte erbe: al- trimenti la lupinella stessa rimarrebbe sopraflfatta da tali erbaggi, e andrebbe del tutto quasi subito a per- dersi. All'incontro curando di levare queste erbe, in loro vece vi sorgono buone gramigne, le quali ven- gono mano mano formando un novello fondo al prato: per cui allo sperdersi (come si è detto, dopo 134 Scienze cinque o sei anni) della lupinella trovi il tuo prato, in origine artificiale, iscarabiato in altro di ottime e copiose erbe naturali. Questa cura di estirpare le male erbe bisogna ripeterla a quando a quando, suc- cidendone la radice qualche dUo sotto terra: il che si deve fare poco dopo che è stato eseguito il pri- mo taglio del fieno. E perchè alcuno non si avesse a tenere in sospeso , per dar opera a tali sarchia- ture, l'A. è sollecito ad avvertirci che la spesa è appena di quindici baiocchi per ogni tornatura bo- lognese di terra: il che è ben compensato dall'utile che si ritrae da tale lavoro; ammonendoci il signor Bourgeois, che un prato cosi studiato dà una ren- dita assai maggiore (come egli stesso ne ha fatto spe- rienza) che se fosse seminato a frumento o ad altri producimenti marzaiuoli. Curati per tal modo i prati artificiali e natu- rali , noi troveremo di grande utile l' attendere ad altro ramo d'industria, fin qui si può dire, quasi ne- gletto : cioè r ingrassare bovi da macello. Essendovi pochi prati, e però salendo per Io più ad alto prez- zo i fieni, i proprietari non vedevano il vantaggio d'impinguare bovi da vendere per carne. Onde fa- ceva d'uopo provvederne la più parte dai conter- mini stati estensi. Adesso molti proprietari della vi- cina Romagna si sono dati all' industria d' impin- guare bovi da macellare, per cui sì vede uscire dello stalo minor quantità di danaro. Ma la provincia bo- lognese pare che non voglia porre opera a queste cure: e l'A. col suo occhio diligente ed investigatore ha scorto non esservi quasi che nella parrocchia di Medola , ove i contadini s' adoprino ad ingrassare Accademia agraria di Bologna 135 bestiame da macello. Perlocehè l' A. esorta gli agr i- coltoii della nostra provincia ad essere solleciti di questo ramo d'industria, donde potranno cavarne molto guadagno, come ne traggono i modenesi, i reggiani, i romagnuoli, ed altri. >> Allorquando^ chiu- deremo colle stesse parole delPonorevolissimo signor Bourgeois, là coltivazione dei prati artificiali sarà fatta da tutti nella conveniente misura, che i prati naturali saravmo curati in modo lodevole e con ciò provveduto abbondantemente il bestiame tutto di buon nutrimento^ allora l'agricoltura di questo ferace ter- ritorio^ decantata a buon diritto per la sua bella coltivazione di canepa^ lo sarà ancora per altri rap- porti^ e potrà stare nella tanto essenziale industria dei bestiami a confronto del Belgio^ della Svizzera^ del gran ducato di Baden: paesi, nei quali si sono fatti dei grandi progressi in quest'arte: e proseguendo nei miglioramenti gareggiare un giorno con V Inghilterra^ paese ove V educazione dei bestiami di ogni specie è ornai giunta alVultimo grado di perfezione. Abbiano gli agricoltori pronte alla mente queste parole, e spe- riamo di non vedere più lasciata cadere di mano la buona ventura di trarre dal bestiame bovino un sì importante ramo di ricchezza. Il fascicolo secondo del primo volume termina con due memorie lette l' una nella tornata del 2 maggio 1841, l'altra in quella del 5 dicembre anno suddetto dal dotto ed operoso sig. conte Annibale Ranuzzi, giovane aggregato pe' suoi meriti a rino- mate accademie e chiaro per altri lavori, e special- mente per le prove di profondi studi geografici. La prima tocca DeVa norma di una commissione inca- j36 Scienze ric.ata di presentare un rapporto sullo stato economico agrario della provincia bolognese: e l'altra Intorno alla opportunità di una pubblicazione periodica di a- gricoltura da intraprendersi sotto gli auspici della so- cietà agraria di Bologna. Quantunque l' A. abbia magistralmente trattato Tuno e l'altro tema , tutta- volta riguardando ciò l'utile particolare della società agraria di Bologna, e non potendo essere di per se di un vantaggio universale all' agricoltura italiana (fine che ci siamo proposti nel tessere il sunto delle esercitazioni della società agraria di Bologna), ci a- sterremo dal farne altre parole , ponendo qui fine al secondo articolo di questo epitome o compendio. (Sarà continuato.) Considerazioni intorno al governo dé'poveri in Italia. Di Fortunato Cavazzoni Pederzini cittadino mode- nese. Parma da Pietro Fiaccadori 1847,m 16 di fac. 168. ^occorrere il povero , egli è questo il voto della natura, il dettato della religione santissima ; ma la carità vuol essere ordinata e distribuita secondo ra- gione. Altrimenti ne verrebbe occasione di male da ciò che per se è buono. L'acqua limpida e pura se facciasi scorrere per limaccioso terreno, anzi che ser- barla ad usi migliori, si rende anch'essa putrida ed insalubre. A causare questo male e peggio, nell'eser- cizio della carità, molti (e tra essi il eh. nostro mon- Governo de'poveri 137 signor C. L. Morichini) pensarono e scrissero sensa- tamente; delle fatiche de'quali facendo tesoro l'esimio professore modenese ne presenta le sue considera- zioni intorno al governo de'poveri in Italia. Distinguere il vero povero dal falso , è questo un problema da sciogliersi innanzi tratto chi errar non voglia nell'esercizio della carità. Ma perchè tale problema è se non insolubile, per lo meno indeter- minato, non si vuole perciò ristare chi ha mezzi e cuore dalla santa opera di carità. Ben è da cercare che cresca il numero dei dati , e si abbia metodo più sicuro a meglio risolvere il problema, di cui si tratta. Giova per questo notare quali siano i pensa- menti dell'autore, che ha saputo attingere alle fonti migliori. Definisce in prima che sia povertà, che men- dicità; quella sinonimo di bisogno, questa dimostra- zione di bisogno : poi nota le cagioni di dipendenza tra loro, ed il successo dei fatti in ordine ad esse, che fecero luogo ad un infelice e tristo svolgimento di cose. E viene a dire degli sforzi di moltissimi prin- cipi, de'pontefici singolarmente, che intesero a met- ter ordine nel fatto dei poveri dal principio del cri- stianesimo sino a'nostri giorni. Torna a considerare la natura e le coudizioni della povertà e della mendicità, e ne deduce che debba intendersi per modo alla prima che non resti luogo alla seconda. Indi col lume dei fatti mostra, non bastare gl'im- pulsi della natura a fare gli uomini caritativi, e che sola la cattolica religione opera ogni lume e sup- plisce ogni difetto. 138 Scienze E dal considerare intimamente i principii della vera religione deduce alcune regole di carità ordi^ nata riguardo ai benefattori ed ai beneficati. Poi tocca del prevenire il più che si possa la povertà, e dei mezzi generali da ciò, singolarmente dell' educazione informata dalla morale e dalla re-' ligione. Fra i mezzi particolari annovera l'agricol- tura, la quale impiega molte braccia, e può conve- nire agli esposti, agli orfani ed altri fanciulli abban- donati: le casse di risparmio, le società di assicura- zione e di mutua previdenza. Riuscendo la povertà pur sempre in qualche parte inevitabile, mostra che delle due vie da soc- correrla, che sono la carità legale e la volontaria , quest'ultima in Italia è da preferire. Poscia ragiona del luogo e della materia de'sov- venimenti, e dell'ordine fra le persone da sovvenirsi. A rendere perfetto l'esercizio della beneficenza propone per ultimo mezzo l'istituzione di una com- pagnia della carità , che fosse tesoriera e dispensa- trice di tutte le elemosine ; aggiungendo che ogni onesta persona, come può, debba voler far parte di tale compagnia, e primamente gli ecclesiastici. Conchiude, che dopo messa in opera la com- pagnia della carità, la mendicità finalmente debba esser tolta, e così venga a compiersi il retto governo de'poveri giusta lo spirito del cristianesimo. Ribatte alcune obbiezioni del volgo , e finisce con breve riassunto e con esortazioni appropriate. L'esperienza, maestra delle cose, siccome mo- stra talvolta il fatto non corrispondere alla specula- zione, così tal altra giustifica la speculazione mede- Governo de'poveri 139 sima. Io consiglierei adunque in via di prova la isti- tuzione delle compagnie della carità, le quali è da credere che lauto meglio risponderanno al fine loro, quanto più nelle classi agiate saranno vive la mo- rale e la religione; senza le quali ogni opera uma- na, che mira al bene de' simili, non può toccare allo scopo desiderato. Né altro vorremmo aggiungere dopo l'articolo » Istituti di carità » posto da noi nel voi. di settem- bre 1835 a pag. 275 e segg, se non che un omaggio dovuto alla verità ci spinge a dire, che sitFatte com- pagnie della carità furono nella mente e nel cuore del pontefice Innocenzo XII, il quale nel 1693 fece pubblicare istruzioni e regole tanto in ordine agli ospizi generali per li poveri, quanto in ordine alle congregazioni di carità da fondarsi nelle città e luo- ghi dello stato ecclesiastico. Giova riferire almeno cièche fosse una congregazione di carità, e in che diflferente da un ospizio generale. » La congregazione di carità è un'adunanza di » alcuni principali abitanti di una città o luogo, la » quale intende di levare la mendicità, separando » da' falsi i veri poveri , a' quali dà il necessario » soccorso spirituale e corporale. E differente dall'o- » spizio generale, il quale rinchiude e nutrisce in » una casa particolare una parte de' poveri di una n città , e soccorre nelle proprie abitazioni 1' altra » parte, che non è rinchiusa : ove la congregazione » di carità non rinchiude i poveri in alcun luogo; » ma solo con economia e regola somministra loro » quanto basta, per non esser forzati ad accattare. » L'uno e 1' altro ( si noti ) ha per fine di sbandi- 140 Scienze » re la mendicità e l' infingardagfyine, l'ospizio soc- » correndo tutti i poveri, e la congregazione facen- » do r istesso, ma senza rinchiuderli in alcun luogo. » Lungo sarebbe il notare ad una ad una le sag- ge provvidenze del lodato pontefice intorno al go- verno de' poveri, in ispecie quanto a renderli attivi e dediti al lavoro. Non possiamo che riferirci alle predette istruzioni e regole, che meritano di essere consultate. La difficoltà sta poi sempre nel porre in atto le disposizioni meglio pensate. Ma nulla è impos- sibile a chi ben vuole : e la gloria del buon succes- so è tanto maggiore, quanto gli ostacoli a vincersi sono più grandi e rinascenti. Perchè nelle opere umane sempre s' incontrano difficoltà, e mai non può aversi la perfezione, non perciò si dee stare neghit- tosi : meno poi in riguardo a beneficenza , avendo sempre innanzi il divino dettato : Indìgens et men- dicus non erit inter vos (Deuteronomio e. 1 5 ); e me- no in questo secolo , che è tutto industria e atti- vità. D. Vaccolini. 0«md6£>9ig U1 E^MTTWMMIT'UWkM. Quale sia lo scopo che Dante mostra essersi propo- sto nello scrivere la Divizia Commedia. Ragiona- mento del canonico D. Vincenzo Martini^ letto la sera degli 1 1 di ottobre 1 846 neW accademia er- nica in Alatri. J-Ja fama, in cui venne l'Alighieri, preclarissimi ac- cademici, appena fu conosciuta, e con istupore univer- sale ammirata la principale opera sua, produsse, direi quasi, nell'animo di tutti questa persuasione: che tan- to ciascuno valga in fatto di erudizione, quanto co- noscitore di queir opera si dimostri. Quindi è che dai tempi di Dante a noi degli innumerabili ingegni che in fatto di letteratura tanto onorano l' Italia, nes- suno vi fu mai che con ogni cura non si mostrasse della divina commedia studioso. In un trattato però che lo stesso Alighieri dichiara di più sensi (Epist. ad Can. Gr. ); in un trattato scritto da benemerito cittadino dalla patria poi ingratamente e immerita- mente scacciato ; in un trattato che tanti vizi e vizio- si riprende e condanna, e tante virtù e virtuosi com- menda e premia, piacque al Dionisi sul terminare dello scorso secolo cominciare a vedervi quello che 1 42 Letteratura né mai l'autore die ragione di potervi vedere, né pri- ma del Dionisi altri mai non vi vide. Di qui avvenne che i più dei chiosatori più recenti, misurando forse colle disposizioni dell' animo proprio l' animo del- l' Alighieri , nella divina commedia altro non ravvi- sarono, come i Foscoli ed i Rossetti, che un acerbo spirito antipapale ( Fratic.^ Pref. inf. p. XXF/), ed i più seguiti dal Marchetti altro non vi lessero che uno sfogo d' implacabile sdegno per l' ingiusta pena dello sbandimento. Perciò nella selva oscura si volle ravvisato o il priorato fatale, o 1' esilio, o il secol guel- fo (Frat.^ Disc. prel. dio. com-. p. XXVI TI): nel chiaro monte o il ritorno alla patria, o il colle della felicità {Dionisi) o il sapientum tempia serena di Lucrezio (Rohiola): e nelle fiere la leggerezza fiorentina, la prepotenza francese, e l' avarizia romana che forma- vano le guelfe potenze. Queste prime idee fin dai primi versi del sacro poema impresse nella mente del lettore, che poi in progresso non vede corrispondenti col mezzo e col fine, d' ordinario sono la causa di quella persuasione di difficoltà, che fa venir meno l'animo di proseguir- ne la lettura. Gli encomi universali e costanti, che dagli eruditi di cinque secoli si sono fatti della di- vina commedia, fanno temere di parlarne con di- spregio. Si loda perchè universalmente lodata, si legge perchè si sa che mai ninno ottenne il nome di vero letterato che non mostrasse di averne contezza: ma e lodandola e leggendola si sente la tacita interna per- suasione di poco intenderla. Oh! a quanti avvenne, che dopo aver letto l'Ilia- de, l'Odissea, l'Eneide ed il Goffredo, la lessero di- Divina commedia 143 vina commedia: e dell' Iliade, e dell' Odissea, e del- l' Eneide, e del Goffredo conobbero e scopo ed ordine; ma nella divina commedia altro non videro che oscu- rità ed incertezze. Non ardisco io già di asserire, che conosciuto lo scopo che Dante mostra essersi proposto, e veduta r opportunissima e giustissima strada eh' ei tenne per giungervi, vengano di per sé a sparire dall' opera sua tutte le difficoltà. Non sparirà certamente la dif- ficoltà di riconoscere e le ore ed i luoghi eh' egli in- dica, se ben non si apprese quanto dall' eruditissimo P. Ponta fu su ciò egregiamente osservato e provato. Non la difficoltà di conoscere le cose toccanti la fisica di quei tempi, se non si osservò quanto ne dichiarò il VaccoUni. Non la difficoltà di ravvisare le filosofi- che e le teologiche dottrine che si ascondono sotto il velame de' suoi versi, se qualche erudizione non si acquistò delle opere del maestro di color che sanno, e dell' aquinate angelico dottore. Non debbo io oggi trattenermi sui pregi della di- vina commedia universalmente celebrati; non nell'esa- minarne qualche difetto, essendo anch'essa opera d'uo- mo; non nel trattare del modo di utilmente e lodevol- mente imitarla, evitando quanto specialmente cogli occhi, col naso ( e aggiungerò cogli orecchi ) fa zuffa; non nel discutere se convenga quel mischiar che vi si fa di verità religiose con mitologiche finzioni, di istorie con favole ; bastando a ciò gli' esempi del cardo ragionatore nei Paralepomeni (2. e. 25, 18) delle pianle disputanti coH'olivo, equel che siegue nei Giudici (e. 9, V. 8), e quanto Agostino afferma in proposito, che simili finzioni non sono contrarie alla 1 44 Letteratura verità, essendo destinate a significarla: Ut eìusmodi fi- ctis ìiarrationibus^ sed veracibus significatìonibus quod vellent commodius indicarent (Contr. mend. e. 13); non finalmente nel ricercare ( il che di niun vantag- gio sarebbe) quale orda indecente di sozzi sgherri e di licenziosi bargelli di quei tempi disordinati sieno nella commedia rappresentati nella vilissima scena dei Barbariccia, dei Rubicanti, e dei Draghignazzi, e di altre di simil fatta. Per far cessare le principali difficoltà che ai leg- gitori della divina commedia sogliono impedire l'a- cquistarne una giusta idea ; dopo avere esclusa la più comune opinione, che Dante la scrivesse per spi- rito antipapale^ o per vendetta de'suoi nemici, credo opportuno l'esporre quale sia lo scopo ch'egli stesso mostra essersi proposto. I. Spirito antipapale in Dante ? e quale ragione si ebbe di asserirlo ? Rilevasi forse da' suoi scritti , o dalle memorie che se ne hanno da' suoi contem- poranei? Tutt'altro certamente. Ma e non reputò Dante alcuni papi rei di eter- na dannazione? dunque?. . . spirito antipapale? ei non ci disse di offrirci un libro di sicure rivelazioni o visioni; ma una commedia; e sapeva bene esser la commedia Pabulae genus institulum ut in alienis per- sonis expressam imaginem nostrae vitae quotidianae videremus , et affectiis nostros moderaremur. In un tempo, in cui superbia , invidia ed avarizia erano le tre faville che avevano i cuori accesi, e sempre Divina commedia 145 la ragione reputavasi del più forte; egli animato da zelo di patria e di giustizia, qual nuovo Socrate, qual nuovo Publicola, qual nuovo Solone, qual nuovo mag- gior Catone, levossi franco alla comune correzione. Ecco le parole di Dante nel suo convito: In quanto poteva gli errori della gente io abbominava e dispre- giava^ non per infamia e vitupero degli erranti^ ma degli errori. Risponderà taluno: E non recava infamia e vi- tupero al nome de' papi che annoverò tra la per- duta gente? no. Dante non discorda dagli storici di quel tempo; e nessuno mai dichiarò quelli animati da spirito antipapale. Ei sempre disse o quello che veramente era, o quello che comunemente si aveva per vero. Se disse che Anastasio II fu tratto da Potino dalla via dritta , tale ne era la fama ; e due secoli dopo Dante dovè il Baronio farne difesa, ripetendo tanta calunnia dagli scismatici laurenziani {An. 197 § 25 seq.). Dunque si reputava in quel tempo qual Dante lo disse. Se annoverò tra i simoniaci Niccolò ITI per avanzar gli orsatti ; se ne ascolti Giovanni Villani storico fiorentino di quel secolo, il quale di lui par- lando così si esprime (lib. 7 e. 54): Fu de'primi., e il primo papa nella cui corte si usasse palese simo- nia per li suoi parenti. ... e tolse alla chiesa Ca- stel s. Angelo e diello a Messer Orso suo nepote. Il poeta dunque non discorda dallo storico. Se della slessa e di altre colpe fé reo Bonifacio Vili, leggasi l'ottavo libro delle storie fiorentine, e vedrassi come dopo esservi chiamato superbo., dispet-- G.A.T.CXIII 10 1/iG Letteratura toso^ ardito (G. Vii. l. 8 e. G2), chiaramente si dice: Papa Bonifazio fu più mondano che non richiedeva la sua dignitate , ed ebbe fatte assai delle cose di- spiacenti a Dio ( G. Vii. e. 64 ). E se Dante giunse a dire che vacava in quel pontificato la sede ; lo stesso storico ce ne rende la ragione con queste pa- role : Perocché molti cristiani teneano Celestino per diritto e vero papa nonostante la sua rinunziagione. (Ivi e. 5). Dante dunque disse quanto ancor dagli storici di quel tempo si diceva. Se fra i macchiati della stessa colpa egli anno- vera Clemente V, che chiama pastor senza legge ; veggasi del libro ottavo il capo ottantesimo delle storie fiorentine per conoscere come si riferisce av- venuta la elezione di lui , il trasferimento della s, sede in Avignone con quant'altro vi si narra, e poi si dica se lo spirito antipapale, o piuttosto la dolo- rosa pubblica fama, fu moderatamente seguita dal- l'Alighieri. Che poi diiemo di s. Pietro Celestino , che si vuole annoverato fra gli sciagurati che non fur mai vivi ? Senza seguire Benvenuto da Imola, ed altri si antichi e sì recenti scrittori , che non credono do- versi ivi intendere di quel santo pontefice; diremo che anche in questo egli qualche fede prestasse alla vo- ce che si era diffusa, che il cardinale Caetani abu- sando della semplicità di quel s. pontefice, scaltra- mente disanimatolo lo spingesse alla rinunzia; come lo credè lo stesso storico Giovanni Villani, che par- lando di Celestino dice eh' egli era semplice e non letterato ( lib. 8 e. 5 ), e Mcsser Benedetto Gaetanì Divina commedia '4à7 cardinale avoido per suo senno e sagacità adoperato che papa Celestino aveva rifiutato il Papato ( lib. 8 e. 6). Egli dunque così scriveva di quel pontefice, non ancor canonizzato, non pel preteso spirito anti- papale, ma per dirne quello che per vero si repu- tava, e come vero fin dagli storici che dalla parte guelfa tcneano alla posterità si tramandava. Ei nonostante sempre intese parlare dell'uomo, e non della spirituale autorità. Dannò Bonifacio Vili; ma la devozione sua verso la dignità papale mostrò quando vedendolo sagrilegamente oltraggiato in Ana- gni dallo Sciarra Colonna, non si ritenne dallo es- clamare : Nel vicario suo Cristo esser catto ( Purg. 20 87 ). Riprovò Clemente V ; ma scrivendo ad Arrigo VII imperatore, dice di quel pontefice: Summi pon- tificis qui pater est patrum. E nell' epistola iai re e popoli di Italia dice , parlando di Arrigo VII : Il quale Pietro di Dìo vicario onorare ci ammonisce^ il quale Clemente ora successore di Pietro per luce di apostolica benedizione allumina. E tra i rimproveri che fa a Niccolò III non tace la dovuta riverenzia delle somme chiavi {Inf. e. 9J. Ma se Dante scrive mosso da spirito antipapale, perchè apertamente confessarci che sacra scrittura e papa bastano a salute? son sue parole (Par. 1. 5): Avete il vecchio e nuovo testamento E'i 2)astor della chiesa che vi guida ^'^ Questo vi basta al vostro salvamento. Perchè encomiare i Gregori Magni e gli Agabiti ? 448 Letteratura non eran dessi papi? Egli che per cansare da sé il rimprovero del medico^ cura te ipsum , tanto umil- mente le sue colpe ci accusa ; con qual cuore ci condurrebbe a mostrarci eternamente puniti gli spre- giatori della pontificia autorità, e la pena che soffrir dee chi pure tardò a sottomettersi ad essa; quando egli stesso ne fosse poi spregiatore ? ma e non ri- provò e dannò egualmente imperatori, re, e persone di ogni classe per fama ree reputate ? Lo diremo dunque animalo da spirito antiumanoì Ah no! egli vedeva 1' universale disordine per le accese fazioni; e calpestando ogni umano riguardo, mostrando che presso Dio non è scelta di persone, levò la voce a rammentare la giustizia di Dio, da'primi comincian- do, come quelli che più da Dio hanno ricevuto , e de' quali 1' esempio suole generalmente negli animi nostri più fortemente ed utilmente imprimersi ; se- guendo in ciò s, Bernardo là ove esclama: Omnes nos oportet repraesentari^ sive iste sit papa^ sive car- lUnalis^ sive archiepiscopus quid fiet de iis quae quisque gessit in corpore Chrisù\ quod est eccU' sia ? (Ad cler. in sig. Rehen), Ed egli stesso 1' Alighieri dice a sé per la sua commedia {Par. e, 17): Questo tuo grido farà come vento Che le più alte cime più percuote: E ciò non fia d'onor poco argomento. Però ti son mostrate in queste ruote.) Nel monte e nella valle dolorosa Pur Vanirne che son di fama notc^ Divina commedia /|4f) Che Vanìmo di quel ch'ode non posa^ Né ferma fede per esemplo cliaia La sua radice incognita e nascosa^ Né per altro argomento che non paia. E quantunque sua ferma opinione fosse che debba pienamente rendersi a Cesare quello che è di Cesare, e a Dio quello che è di Dio; pure così per ossequio al papato termina il suo trattato della mo- narchia: Quae quidem veritas . . . non sic stricte re- cipienda est, ut romanus prineeps in aliquo romano pontifici non suhiaceat. . . Illa igitur reverentia Cae- sar utatur ad Petrum, qua primogenilus fìlius debet liti ad patrem: ut luce paternae gratiae illustratus , virtuosius orbem terrae irradici. E questi sono gli argomenti, che dall'Alighieri 81 hanno del suo acerbo spirito antipapale! II. Avrà poi scritto V Alighieri da spirito di ven- detta animato per recare infamia alla patria ingrata ed agli avversari suoi? No; anzi il suo contempora- neo biografo, parlando delle due parti in che era la cittadinanza divisa, dice che J)anle:Alcuna volta Vuna, alcuna volta V altra reggea . . . e vedendo che per sé medesimo non poteva una terza parte tenere, la quale giustissima la ingiusta delle altre due abbat- tesse, tornandole a unità, con quella si accostò, nella quale secondo il suo giudicio era più, di ragione e di giustizia, operando continuamente ciò che salute- vole alla sua patria e a'suoi cittadini conoscea ( pag. fSO Letteratura 44 45). Egli infatti disapprova ambo le parti, e le rigetta: così parla di sé: La tua fortuna tanto onor ti serba, Che Vuna parte e l'altra avranno fame Di te: ma lungi fìa dal becco l'erba (Inf. e. l5). Ei reputa ambo le parti e cieche, e pregiudicievoli, e reej ecco come ei ne parla: Ornai puoi giudicar dì quei cotali Ch'io accusai di sopra, e de'lor falli, Che san cagion di tutti i vostri inali . . . Si ch'è forte a veder qual piti si falli {Pan'. G). Levò quanto potè la voce per ricondurre all'ordine i traviati cittadini (son sue parole nel Convito): Pro- posi di gridare alla gente che per mal cammino an- davano , acciocché per diritto calle si dirizzassero. Vedeva il comune disordine, vedeva l'universale mi- na, e dolente esclamava (sonò anche queste sue pa- role nel Convito ) : Oh misera ! misera patria mia \ quanta pietà mi stringe per te qualvolta leggo, quaU volta, scrivo, cosa che a reggimento civile abbia ri- spettol Conosceva egli divenire odioso ai travi.iti cit- tadini riprendendoli , ma non cessava per ciò, spe- rando un futuro ravvedimeritò. Ecco » come ei dice di sé: '^^ 'ì\\ A» \3\/m''.',m»" v'> h-v,' ..■,''.!. '^ ■ .. i)\hi\ -Che se la voce tua sarà molesta - "^^i tM»9^ Nel primo gusto ^vital nudrimènto ' vAivwy Lascerà poi quando sarà digesfa (Pan-'iìAiV). Divina, commedia 151 Quei che 1' Alighieri commendò o dannò, se- condo la fama che di loro correa li commendò o dannò, non secondo la parie dalla quale teneano. Lungo sarebbe l' enumerarli. Se dannò pontefici, dan- nò in pari tempo l' imperador Federigo, Maometto, fra Dolcino e tanti altri spregiatori della pontifìcia autorità. Dannò Bocca degli Abati traditore de'guelfi, e Buoso Donati traditore dei ghibellini. Dannò Gianni Soldanieri fautore dei guelfi, e Beccheria dei ghibel- lini; e così sempre guelfi e ghibellini, pontefici e im- peratori, secondo la buona o trista fama che ne correa, mostrò esser premiati o puniti. Dino Compagni scrittore contemporaneo narra, che Dante Alighieri fu sbandito e confinato mentre era ambasciadore a Roma . Leggasi la sentenza del dì 10 di marzo 1302, colla quale Gante Gabrielli po- testà di Firenze chiamatolo in tiibunale, come se fosse in patria, e quei non comparendo; lo ebbe per contumace e confesso^ e perciò reo di esilio: aggiun- gendo che se in qualsivoglia tempo si fosse avuto in potere, talis perveniens igne comburatur^ sic quod mo- riatur. Si udì mai iniquità, ingiustizia, tradimento sì nero? Ebbene si trovi pure una pagina, in cui queir esecrando traditore sia dall' innocente tradito pur nominato! Ne gridano i contemporanei non of- fesi , ma ne tace l'offeso Alighieri. Ecco quale è il suo spirito di vendetta per infamare gli avversa- ri suoi. Ma era egli poi innocente o reo cittadino? A- scoltiamo lui stesso nel Convito: Ahi piaciuto fosse al dispensatore dell'universo^ che la cagione dèlia mia scusa mai non fosse stata: che né altri contro a me 152 Letteratura avria fallato^ né io sofferto avrei pena ingiustamente', pena dico di esilio e di povertà , poiché fu piacere de' cittadini della bellissima e famosissima figlia di Roma Fiorenza di gittarmi fuori del suo dolce seno^ nel quale nato , e nudrito fui fino al colmo di mia vita . . . pellegrino, quasi mendicando^ sono andato, mostrando contro a mia voglia la piaga della fortu- na, che suole ingiustamente al piagato molte volte essere imputata (Tr. 1 e. 3), Ma sarà egli di sé stessa sicuro testimonia in causa propria? Ascolti^iìolo dagli scrittori del suo secolo. Ci dice il suo biografo Boccaccio : In lui (in Dante) tutta la pubblica fede, in lui tutta la spe- rama, in lui sommariamente le cose divine ed uma- ne pareano esser fermate . . . la fiorentina cittadi- nanza in due parti divisa perversamente ... a vo- ler ridurre in unità il partito corpo della sua re- pubblica pose Dante ogni suo ingegno , ogni arte , ogni suo studio, mostrando ad ogni cittadino piii sa- vio come le gran cose per la discordia in breve tem- po tornano a niente, e le piccole per la concordia cre- scono in infinito. Ma poiché vide vana essere la sua fatica, e conobbe gli animi degli uditori essere osti- nati, temendo il giudizio di Dio, volea dimettere ec. (Pag. 43 seg.) Tale era l'Alighieri? ed i cittadini all'incontro? Ascoltiamo ancora lo stesso biografo: nel commenta- re il Gente avara invidiosa superba, così egli escla- ma; Nei pubblici offici si fa prima ragione del gua- dagno che seguirne dee a chi 7 prende , che della onorevole e della leale esecuzione di quello. Lascio stare le rivenderle, le baratterie, le simonie, e le al- Divina commedia f^3 tre disonestà moventi da quelle . . . troppo sarebbe lungo il ragionamento delle usure, delle falsità^ dei tradimenti ce. E Dino Compagni, storico fiorentino dello stesso secolo, come ne parla? eccone le parole: Così sta la nostra città tribolata . . • gli uomini vi si uccidono; il male per legge non si punisce^ ma come il mal- fattore ha degli amici, o può moneta spendere , così è liberato dal maleficio fatto. 0 iniqui cittadini, che tutto il mondo avete corrotto e viziato di mali co- stumi e falsi guadagni I voi siete quelli che nel mon- do avete messo ogni maVuso (Cron. p. 162). Così parlano gli storici di quel tempo , e nin- no mai asserì esser mossi da vendetta e da spirito di parte. Ma in mezzo a tanta corruzione che mai si diceva dell'Alighieri e del suo esilio ? Permette- temi che io prosegua a farne parlare il suo biografo, che a giudicio del MafFei {Stor. lett. ital. l. 1 e. 7.) È pregevolissimo per le tante impiortanti notizie del- VAlighieri che ci ha trasmesse, scrivendo quando la verità era a tutti nota. Eccone le parole: Ogni pre- mio di virtù, possiede V ambizione . . . li malvagi e perversi uomini ai luoghi eccelsi e a' sommi offici e guidardoni elevare, e i buoni scacciare, deprimere ed abbassare. . . Né questa fia poca o piccola , raccon- tando lo esilio del chiarissimo uomo Dante Alighieri, il quale antico cittadino, né d' oscuri parenti nato , quanto per virtù, o per iscienza, o per buone opera- zioni meritasse, assai il mostrano le cose che da lui fatte appaiono, le quali se in una repubblica giusta fossero state operate., niuno dubbio ci è ch'elleno non gli avessino altissimi meriti apparecchiato . . . in 1 54 Letteratura luogo di quelli ingiusta e furiosa dannazione^ perpc tuo sbandimento^ alienazione dei paterni beni^ e se fa- re si fusse potuto^ maculazione della gloriosissima fa' ma colle false colpe che gli furon donate {pag. 16.). Ecco, o signori, quello che ai tempi dell'Ali- ghieri pubblicamente in Firenze e credevasi e scri- vevasi, senza esservisi mai opposta contradizione al- cuna; eppure doveva esser comune l'impegno di con- tradirvi, se ombra di falso vi si fosse rinvenuta. Ma dopo secoli, per quali nuovi argomenti avvenne che tanta incontrastata virtù si cangiasse in maldicenza, in rabbia, in vendetta? La divina commedia al tem- po dell'Alighieri si ebbe per scritta (sono parole del contemporaneo biografo ): A volere secondo i meriti mordere e premiare secondo la diversità e la vita de- gli uomini: la quale perciocché conobbe essere di tre maniere^ cioè viziosa , e da^ vizi partendosi andante alla virtù^ quella in tre libri^ da mordere la viziosa cominciando e finendo nel premiare la virtuosa^ mi- rabilmente distese in un vohime^il quale intitolò com- media (p. 100). Cosi , miei signori , pubblicamente ragionavasi in Firenze quando conoscevansi e Firenze , e fio- rentini, e Dante. Oggi si vorrebbe reo e maledico chi nella sua perseguitata innocenza sempre per amo- roso e benefico si ebbe e per giusto. Non sono io, miei signori, è lo storico che cel dice: notatene le parole : Ma poiché la sua ora venne : e secondo la religion cristiana ogni ecclesiastico sagramento umil- mente e con divozione ricevuto ... del mese di settem- bre negli anni della salutifera incarnazione del no- stro signor Gesù Cristo 1 325 , nel di che Vesaltazio- DlVlJ?À COMMEDIA ioti ìie della santa croce sì celebra dalla chiesa . . . al suo creatore rendè V affaticato spirito- il quale niun dubbio è che . . . nel cospetto di colui^ che è som- mo bene^ lasciate le miserie della presente vita^ ora lietissimamente vive in quella , alla cui felicità fine giammai non si aspetta (p. 55). Ne si ritiene lo sto- rico di così gridare in Firenze contro Firenze : Oh ingrata patria, qual demenzia^ qual trascuraggine ti tenea, quando il tuo carissimo cittadino^ il tuo bene- faitor precipuo^ il tuo unico poeta con crudeltà disu- sata mettesti in fugai . . . Morto è il tuo Dante Ali- ghieri in quell'esilio^ che tu ingiustamente del suo va- lore invidiosa gli desti: oh peccato da non ricordare^ che la madre alle virtù di alcun suo figliuolo porti livorel . . In verità quantunque tu a lui ingrata e proterva fussi^ egli sempre ti ebbe in riverenza ( p. 68). . . Questo merito riportò Dante del tenero amo- re avuto alla sua patria] questo merito riportò Dante dello affanno avuto in voler torre via le discordie cittadine; questo merito riportò Dante dello avere con ogni sollecitudine cercato il bene e la tranquillità de suoi cittadini. Perchè assai manifestamente appare quanto sieno vóli di verità i favon de''popoli., e quanta fidanza in essi si possa avere colui , nel quale poco avanti pareva ogni pubblica speranza esser posta , ogni affezion cittadina., ogni refugio popolare., subita- mente., senza cagione legittima , senza offesa , senza peccato^ di quel romore., il quale per addietro si era molte volte udito le sue lode portare sino alle stelle., fu furiosamente mandato in irrevocabile esilio. Questa fu la marmorea statua fattagli ad eterna memoria della sua virtii: con queste lettere fu il suo nome con- '''5'6 Letteratura scritto tra quelli de' padri della patria conscritti in tavole rf' oro : con cosi favorevole romore gli furon rendute grazie de'sacri benefìzi (p. 47). Con quanta ragione dunque, o signori, pur so- spettar si potrebbe a' dì nostri in Dante spirito di parte, maldicenza, livore? III. Quale è dunque lo scopo che V Alighieri mostra essersi proposto? Miei signori, come finora ho fatto, io prosegui- rò a rispondere colle parole dello stesso Alighieri , o de'suoi contemporanei. L'Alighieri nella sua epi- stola a Can Grande Scaligero parlando della sua com- media (che il Boccaccio cominciò a chiamar divina) {Vita Dant. p. 106), dichiara che il suo fine è remo- vere viventes in hac vita de statu miseriae, et perdu- cere ad statum felicitatis (§ 14). Cosa intende per felicità l'Alighieri ? Eccone le parole: Duos igitur fi- nes providentia illa inenarrabilis homini proposuit in- tendendosi heatitudinem scilicet huius vitae ^ quae in operatione propriae virtutis consistita et per terrestrem paradisum figuratur. E questo intende ottenersi col cessare la gente dall' essere invidiosa , avara, e su- perba, desistendo dalle opposte parti, e riconoscendo l'imperatore unico direttivo nel temporale regime, ed il pontefice nello spirituale: nel che egli crede con- sistere la terrena felicità, che è poi strada alla ce- leste; la quale fermissima sentenza dell'Alighieri evi- dentissimamente si dimostra dall'eruditissimo P. Ponta nel suo Nuovo Esperimento sulla principale allegoria Divina commedia 457 della divina commedia. Ma proseguiamo ad esami- nare le parole dell' Alighieri : Et beatitudinem vitae aeternae^ quae eonsistit in fruitione divini aspectus : ad quani virtus propria ascendere non poteste nisi lu- mine divino adiuta^ quae per paradisum coelestem in- telligi datur (Mon. l. 3 p. ■194). Quale ne sarà l'allegorico soggetto? Dante stesso Io dichiara : Est homo prout merendo et demerendo per arbitrii libertaiem iiistitiae praemiandi et puniendi abnoxius est. (Ep. ad C. Gr. § 7). Ma in quella sua commedia non dice egli molte cose intorno al suo esilio? Sì, e nel suo Convito ne rende ragione. Ei dice per due cause potere uno scrivere di sé, o per cessare infamia, come fece Boezio, o per altrui istruzione, come fece Agostino ; ma riportia- mone le parole: E questa necessità mosse Boezio di sé medesimo a parlare^ acciocché sotto jiretesto di con- solazione scusasse la perpetuale infamia del suo esi- lio^ mostrando quello essere ingiusto^ poiché altro scu- satore non si levava. Valtra è quando per ragionare di sé grandissima utilità ne segue altrui per via di ' dottrina : e questa ragione mosse Agostino nelle sue Confessioni a parlare di sé, che per lo processo della sua vita., lo quale fu di malo in buono., e di buono in migliore, e di migliore in ottimo.) ne diede esem- plo e dottrina.) la quale per più vero testimonio rice- vere non si poteva (Conv..,Tr. I. e. 2 p. il). Egli dun- que di sé parlando si propone lo scopo, che si pro- posero nel parlare di sé e Boezio ed Agostino. E come questi due, a perfettamente trionfare e del mon- do e di sé stessi, mirarono solo alla speranza delU 158 Letteratura vita futura; così egli dalla stessa speranza animato apertamente si dichiara nel Convito là ove tanto ra- giona della nostra immortalità : consideriamone le edificantissime parole {Tr. 2 e. 9 m fine): Ancorane accerta (della immortalità) la dottrina veracissima di Cristo^ la quale è via, verità e luce: via jìerchè per essa senza impedimento andiamo alla felicità di quella im/mortalità; verità perchè non sofferà alcuno errore; luce perchè illumina noi nelle tenebre della ignoranza mondana. Questa dottrina^ dico, che ne fa certi sopra tutte altre ragioni; perocché quelli la n'ha data., che la nostra immortalità vede e misura., la quale noi non polemo perfettamente vedere mentrechè H nostro im- mortale col mortale è mischiato; ma vedemolo per fede perfettamente ; e per ragione lo vedemo con ombra d'oscurità., la quale incontra per mistura del mortale coir immortale. E ciò dee essere potentissimo argomento., che in noi Vuno e V altro sia; ed io cosi credo., cosi affermo., e cosi certo sono., ad altra vita migliore do- po questa passare. Ma potrà spiritualmente interpretarsi la divina commedia? L'Alighieri dice a Can Grande che la sua com- media ha più sensi, e fra questi nomina Vanagogico; e ciascuno sa che anagogicus est cum eius verba ea ratione explicantur, ut ad finem vitae aeternae refe- rantur. E per far l'Alighieri che meglio Can Gran- de ne intenda anche l'anagogico senso, così con e- sempio si esprime: Si anagogicum ìnspiciamus sen- sum in illis verbis « in exitu Israel de Aegypto eie. » signifìcatur exilus animae sanctae ab huius corruptio- nis servilute ad aeternae gloriae libertatem ( Ep. ad C. Gr. § 6). Divina commedia 159 Ma era dunque teologo Dante per potersi ciò proporre? Voi già vedeste, o signori, che mai non sono io che rispondo: e risponda egli stesso, e risponda- no i suoi contemporanei. Egli dice nel Convito {Tr. 2 e. 13) parlando della vera filosofìa : E cominciai ad andare là ove essa si mostra veracemente , cioè nella scuola de'religiosi . . . sicché in piccol tempo , forse di trenta mesi^ cominciai tanto a sentire della sua dolcezza^ che ec. E cosa egli intende per vera filosofìa? ecco le sue parole nel Convito (Tr. 3 e. 14): Quella onde la nostra buona fede ha sua origine^ dalla quale viene la speranza del preveduto desiderare ; e per quella nasce l'operazione della carità; per le quali tre virtù si sale a filosofare a quella Atene celestiale ec. E dopo aver molto ragionato su di alcune teo- logiche sentenze che egli vuole che sieno ricono- sciute nella sua commedia, premuroso del vero teo- logico senso, così conchiude allo Scaligero (Ep. ad C. Gr. § 27): Et ubi ista invidis non su/ficìant^ legant Riccardum de sancto Victore in libro de contempla- tione^ legant Bernardum in libro de consideratione . legant Augustinum in libro de quantitate animae^ et non invidebunt. Perchè proporci quei sacri dottori , se non trattavasi d'intendere sacra materia nella sua commedia, ch'ei chiama poema sacro (Par. e. 25} ? Il suo contemporaneo biografo dice di lui (p- 28): E di tanti e siffatti studi giustamente meritò altissimi titoli; perocché alcuni lo chiamarono sempre poeta., ALCUNI FILOSOFO, e MOLTI TEOLOGO mentre che visse. Lo stesso scrittore chiama l'Alighieri pastore spi- rituale (p. 1 20), readendone così ragione: Che ciò sia '160 Letteratura vero^ lasciando le altre opere da lui compilate^ rag- guardisi la sua commedia . . . perciocché esso, o mo<- rale^ o teologo che tu lo dichi^ a guai parte del libro più ti piace,, è semplice e immutabile verità. . . . Chi più orribilmente di lui grida., quando con invenzione acerbissima morde le colpe de'viventi., e quelle de'pre- teriti castiga."* qual voce è più orrida che quella del gastigante a colui che è disposto a peccare! certo nin- na. Egli a un'ora con le sue dimostrazioni spaventa i buoni, e contrista i malvagi. . . Per la qual cosa, e per Vallre di sopra toccate., assai appare colui che fu, vivendo., pastore ec. E maestro Giovanni dal Virgilio bolognese, ami- cissimo, come ognun sa, dell'Alighieri, scrivendo di luidefonto, cominciò: Theologus Dantes nullius dogma- tis expers. La repubblica fiorentina dopo la morte di Dante benemerito ne sussidiò con danaro la figlia Beatrice monaca in s. Stefano di Ravenna, e con decreto del 9 agosto 1373 deputò con pubblico stipendio Gio- vanni Boccaccio ad esporre al popolo nei di festivi nella chiesa di s. Stefano in Firenze la divina com- media. E dopo la morte del Boccaccio deputò Filippo Villani, poi Francesco Filelfo, poi fr. Domenico di Gio. da Corella dell'ordine de'predicatori, ed altri in progresso. Fu allo stesso scopo scelto in Bologna Benvenuto da Imola, in Pisa Francesco da Buti (Pelli, Mem. § XVIIj ed altri per non essere infinito: la qual cosa non si sarebbe fatta se non si fosse reputata quel- l'opera di religiosa istruzione. Ma perchè dunque intitolarla commedia? perchè appunto della vera commedia il vero fine è la rao»' Divina, commedia t61 lale istruzione. Ecco come l'Alighieri rende ragione di tal titolo : Comoedia ìnchoal asperitatem alicuius rei^ sed eius materia prospere terminaiur. . . Nani sì ad materiam respieiamus a principio horribilis et foe- dita est^ quia infermis'^ in fine prospera^ desiderabilis et grata^ quia paradisus. Si ad modum loquendi^ re- missus est modus et humilis , quia lociitio vulgaris , in qua et mulierculae communicant (Ep. ad C. Gr. § 9). E quale strada egli tenne per giungere al suo scopo , che esser dice di rimuovere i viventi dallo stato di miseria , e indirizzarli allo stato di felicità (Ep. ad C. Gr. § 14)? Quello che tennero gli imitati da lui Boezio ed Agostino, di scusarsi consolandosi il primo, di istruire col proprio esempio converten- dosi il secondo ; giacché segue e 1' uno e l' altro il triplice precetto dello Spirito Santo: Diverte a malo^ fac bonum^ inquire pacem. Diverte a malo, per evitare le pene: fac bonum, per esser meritevole di quella pace, che facendo il bene, inquiris. Aveva egli cer- tamente riconosciuto questo triplice precetto in Boe- zio nel fine del lib. 5: Aversamini vitia, colite vir- tutes, ad rectas spes animum sublevate. Aveva certa- mente riconosciuto questo triplice precetto in Ago- stino nelle sue confessioni (lib. 13 e. 19): Auferte nequitiam ab animis vestris . . . discite bonum facere, affinchè le anime divenute pure e disposte a salire alle stelle, fiant luminaria in firmamento coeli. E Dante fedelmente li segue conducendo gli uomini nell' in- ferno a considerarne le pene ut divertant a malo , nel purgatorio per apprendere a qual costo si debba- no distruggere i vizi contratti e praticare le virtù Ut faciant bonum., nel paradiso per vedere qual pre- G.A.T.CXIII. 1 1 1 Gì Letteratura mio poi se ne attende ni inquirant pacem. Egli stesso qual secondo Agostino ci si offre in esempio di tra- viato convertito a ccsmune istruzione. E di tutti gli anni ch'ei visse quale scelse l'Ali- ghieri per questa sua conversione? l'anno del giubi- leo 1300. E di quest'anno quai giorni ? dal sabato di passione, in cui cominciò a considerare con orro- re l'inferno, alla domenica di Pasqua, in cui si beò nell'unione con Dio. Ben sapeva Dante che l'uom traviato in umbra mortis sedei , e per camparne dee dirigere i passi suoi in viam paeis^ Egli dunque dalla selva oscura del traviamento risolve ascendere il monte del Si- gnore^ su cui sta l'innocente di mano, ed il mondo di cuoie nella Gerusalemme ch'ei su vi pose, che è possessio pacis. La perfetta conversione non si com- pie di un salto: i tre notissimi spirituali nemici del- l'uotDo lupa^ lonza e leone vi s'intramezzano, e per ascendere con sicurezza quel sacro monte che è prin- cipio e cagion di tutta gioia^ che secondo l'Angelico è la grazia. Gratia nihil aliud est , quam quaedam iNCnOATIO GLORIAE noMs^ VCl AVXILIUM qUO iudi- get homo ad beatitudinem consequendam (2, 2 q. 24-). Illustrato dal sole di giustizia^ che mena dritto per ogni calle, che Dante chiama sole degli angeli^ sole che sempre verna ec. (Par. e. 10 53, e. 30 126); conviene che ben mediti le eterne verità, e cominci dal discendere nell' inferno vivente per non discen- dervi irreparabilmente morto. Il traviato , ci dice Dante (Purg. e. 30): Divina commedia 163 Tanto giù cadde, che tutti argomenti Alla salute sua eran già corti^ Fuorché mostrargli le perdute genti. Fra queste ei vuole che tu consideri qual sia la mi- serabile eterna condizione degli sciagurati: lo stato ir- reparabilmente infelice dei non battezzati; gl'intermi- nabili strazi dei sensuali, dei golosi, dei prodighi ed avari, degli iracondi ed accidiosi; l'inalterabil penare degli eretici, dei violenti, dei fraudolenti, degli usurai; i disperati tormenti dei simoniaci, dei falsi profetanti, dei barattieri, degli ippocriti; gli eterni supplizi dei ladri, dei tristi consiglieri, dei seminatori di scandali e di scismi, dei falsari ed alchimisti, e dei traditori; aflinchè vivamente tu veda quanto in eterno ti può laggiù costare quello che brevemente piacer ti po- trebbe nel mondo, e venga tu a conchiudere : Qual prò se io giunga l'universo a possedere, e ne frutti poi all'anima mia perdita eterna? Quanti si tengon or lassù gran vegi^ Che qui staranno come porci in brago Di sé lasciando orribili dispregi {Inf. e. 8 50)! Vuol dunque l' Alighieri , che avendone tu orrore , non abbi a meritarlo; averte a malo. Dal cansare il male pel timor della pena nasce il principio di conversione; perciò Dante uscito d'in- ferno superficialmente soltanto si lava dalla contratta fuliggine ; ed aflinchè la conversione speditamente progredisca, ne tu v'infrapponga dimora alcuna, sotto gli occhi subito ti pone nel Purgatorio il lungo sof- 1 6/i Letteratura frire dei procrastinanti. E per animarti a tutto tol- lerare, a tutto superare quanto alla pratica delle virtù 8Ì opporrebbe, vuol che tu conosca quanto costi il purgarsi dagli opposti vizi. E considera, ti dice, lo strazio dei superbi , degli invidiosi , degli accidiosi , degli iracondi; il penare degli avari, dei golosi, e de- gli incontinenti. Quindi vuol che tu apprenda come d'ogni vizio purgato, e d' ogni virtù innamorato, fi- dando unicamente in quella guida celeste, in quella benedetta Beatrice (Vit. N. in fine) ch'ei chiama splen- dor di viva luce eterna (Purg. e. 31), confessando umi- liato e addolorato colle proprie labbra il traviamento, ti si cancella pur la memoria spiacente dei falli tuoi, e ti si rende viva alla mente la rimembranza del bene oprato che ti consola, e ti si fa gustare la vera felicità che in terra può gustare solo l'uom giusto; e puro ti rende e disposto di potere incominciare anche in vita a partecipare dei gaudi celesti. Ei dun- que al virtuoso oprare efficacemente ti sprona : fac homim. E perchè non di rado qui in terra avviene che a star saldamente lungi dal male, e ad operare co- stantemente il bene, forti pugne si hanno a sostenere, molte faticose vittorie a riportare; e perchè vano sa- rebbe un virtuoso cominciamento , se perseverante- mente fino al termine virtuoso non è il proseguimento; alla fermezza, alla costanza t' inanima vivacemente , mostrandoti quali premi in eterno ti son preparati, se nel corto tuo vivere sarai fedele. Vedi, ti dice, co- me perpetuamente gioisce chi in terra pugnò legato a Dio con voti; chi intatto serbò il candore dell' il- libatezza; chi acquistando onore e fama nel mondo , ebbe pur sempre Dio dinanzi; chi rivolse al Creatore Divina commedia 165 gli affetti nelle creature già posti ; chi sudò per di- fendere dagli errori la chiesa; chi militò, chi soffrì per la vera fede; chi rettamente governò popoli e regni; e chi morto al mondo la vita consumò contemplando, e chi nella solitudine sepolto visse con Dio solo nel cuore! Vedi, ci dice, quale e quanto è l'eterno go- dimento de'beati; quanta la gloria di Maria; quanta la festa degli angelici cori; quale 1' essenza divina ; quale l'unione ipostatica; quale quell'uno e trino che è principio e fine di tutte le cose, che è l'unico centro perfettissimo della vera felicità e della pace. Fermo dunque combatti, ci ti dice, costante trionfa: inquire pacem. Ed ecco, o signori, come compiesi quanto l'Ali- ghieri si propose: Removere viventes in hae vita de statu miseriae^ et perducere ad statum felicitatis (Ep. ad C. Gr. § 14). E che la vera immutabile felicità, e non al- tro certamente ei ponga a termine della sua comme- dia, apertamente lo conferma allo Scaligero con quelle chiarissime parole: Et quia invento principio^ seii pri- mo^ videlicet Deo, nihil est quod ulterius quaeratur , quum sit a. et w, idest principium et fìnis^ ut visio lo- annis designata in ipso Deo terminatur tractatus (Ep. ad C. Gr. fin.). Oh piacesse al cielo, che la divina commedia, come per poema sacro e dall' autore si ebbe, e da' suoi contemporanei ; come dai migliori dei secoli posteriori pel trattato della rettitudine fu reputata (Perticari) ; così da quanti 1' hanno a' dì nostri per le mani fosse riconosciuta pel libro riprenditore acer- rimo d'ogni vizio, di ogni virtù maestro premuroso, ed alla vera felicità guida fedele! Panegirico a Pietro Giordani. I. S e per la viltà di un secolo avviene , o romani , che ad ogni più mezzano ingejj^no , e talor anche inerudito, su si levi pronto il lodatore mosso da spe- ranze , ovvero da timori, allora suol essere che ai veri uomini , cioè ai sapienti , manchi della lode il giustissimo guiderdone ; poiché la universale fede troppo abusata nega alla fine ogni credenza. E ciò accade alla età nostra, la quale di questo vizio tanto è non sanabilmente inferma, che le succedenti, pon- ghiamo pur che le perdonino ogni altra colpa , la nomineranno veramente l'età lodatrice. E io vi con- fesso, che air aspetto di tanta nostra vergogna non senza una certa tristezza dell'animo vengo oggi lo- datore di Pietro Giordani; mentre per usare che io facessi di moltissime lodi (e moltissime se ne richie- dono a tanto uomo) mi e certo , che maggiori voi le troverete in chi neppur basterebbe a sentire quanto egli valga. Ma rallegriamoci, che non manca il modo di essere tenuti veri; sì abbiamo le opere di lui, le quali non solo alla presente , ma ancora a quelle generazioni, che avranno noi per antichissimi, testi- monieranno la sincerità del mio dire. Anzi veggo nella contraria parte un possibile e ragionevole rim- Panegirico a P. Giordani I67 provero, che questa mìa povera orazione non abbia racchiuso tutti ì pregi di questo scrittore verissima- mente unico. Di che non vogUo io scusarmi, ben- ché conosca di non potermene in alcun modo scan- sare , quando è chiara cosa che neppure la più pronta eloquenza e il più potente ingegno non se ne potrebbe parimenti guardare. E in vero chi se non un prosunluosissimo ardirebbe venire innanzi, e promettere ad alta voce : » A me dà il cuore di misurare la sapienza di Pietro Giordani , e dire le bellezze de' suoi scritti giustamente » ? Chi potreb- be narrare quanto savi , quanto profondi , quanto continui gli debbano essere stati gli studi, se ne ve- diamo frutti di sì nuove dottrine e di si peregrino stile ? Perciò a me parve , che a tanto dono fattoci dai cieli troppo sarebbe d' ingrato animo rimanerci taciturni : e deliberai di mostrare in questo italiano un prosator singolare, maraviglioso per sapienza, a- mando piuttosto che la grandezza di lui vi fosse rappresentata imperfettamente, di quello che trascu- rata per pochezza d' ingegno. IL E non sia alcuno per avventura più delle ap- parenze, che della verità osservatore, cui gravi che a lodare uno scrittore comunque stupendo si scelga da me quel genere di orazione, che avendo celebrate le ammirande geste di M. Ulpio Traiano e di Napo- leone sembra essere, direi quasi, in possesso di no- bilissime altezze, e non potersi senza una certa au- dacia dipartimelo. Conciossiachè io sempre pensai 468 Letteratura tanto il valor dell' ingegno superare quello della ma- no, quanto l' animo avanza il corpo di nobiltà ; dt che dove io veggo lavorare la mente, quivi ravviso gli uomini; e dove solo le materiali forze si adope- rano, il pensiero mi porta alla natura bestiale. Imma- ginatevi alquanto starvi là nei campi di Dacia e ol- tre all' Eufrate , o se vi piaccia meglio considerar fatti che ancora quasi stiano sugli occhi, in Lodi, in Arcole, in Marengo, in Austerlitz, in Jena, in Va- gram: e al vedere quelle non numerabili schiere, mi- gliaia di padri, consorti, figliuoli, fratelli, che ab- bandonate le dolci cure e i teneri amori, e ogni al- tra cosa dimenticando che non sia il nemico, com- battono rabbiosamente , voi per poco non li giudi- cherete simiglianti ai bruti. Appresso interrogate l'an- tica Roma e la Francia di qual prò sia loro torna- to tanto sangue umano. Né io con queste parole ri- prendo il gentilissimo Plinio o il nostro Giordani , che tanto commendarono quei due celebri; che anzi il loro stesso fatto mi difende: poiché né dal primo sarebbe stato Traiano lodato , se insieme col valore non avesse avute compagne nella pace la modera- zione , la modestia , la liberalità ; il secondo poi a grandissimo onore sollevò Napoleone, non per aver sottomesse monarchie potentissime di Europa , ma perchè fu savissimo ordinatore civile. Le virtù poi e le buone ordinazioni ancor esse delle lettere ab- bisognano , le quali coli' ammorbidire la nativa a- sprezza degli animi li preparino ad efficacemente co- noscerle. Gonciossiacchè dove l' umano spirito non prenda in se gentilezza , tanto si lascia trasportare alle passioni, che non vede bene altrove che in os- Panegirico a P. Giordani 169 se, e trascura, sconosce, anzi odia tutte quelle ope- razioni, le quali intendono a richiamarlo a un vivere più rag^ionevole e giusto. Pensate voi, che Zoroastro avrebbe potuto avvezzare que'suoi persiani ad ogni pulito costume , se prima non avessero gustato la soavità dell' Hushang e delLohman? Né io credo, si sarebbero gli spartani tanto bene accostumati alle forti leggi di Licurgo, se già non gli avesse fat- ti uomini il divino Omero; anzi quel famoso legis- latore col radunare innanzi gli sparsi membri di quel poema, e coli' offrirli a' suoi cittadini , pare volerci mostrato, che il fondamento delle civili ordinazioni in nessuna cosa meglio che nelle lettere non lo pos- siamo avere. Che se tanto buono e nobilissimo è il loro uificio, quale altezza di lode, quale dignità di gloria si troverà mai tanta, che più non ne valgano gli eccellenti scrittori ? Felice generazione d' uomi- ni proprio calata dal cielo per accrescerne i pochi piaceri, e alleggerirne dai molti mali, che ci dispen- sa questa veramente lamentabile vita! Che se alcu- no evidentemente sopra gli altri si solleva , allora dobbiamo crederlo il maggior bene e onore della sua nazione. E questo è di Pietro Giordani. Oh ! noi avventurosi, che lui vivente viviamo ; anzi posso a questo secolo promettere una degnissima invidia dei nostri nipoti, i quali si dorranno, che troppo tardi sieno entrati nel mondo per potere in alcun modo godersi l'animatrice presenza di sì portentoso scrit- tore. E bene onorata invidia e desiderio dovranno fare le sue opere negli avvenire , mentre noi , che siamo nel suo stesso tempo, andiamo tanto presi de' loro pregi, che v' è una gloriqsa gara in Italia di 1 70 Letteratdra chi primo possa comprarle , e comprate più di- morano nelle case degli amici , che ad acquistarle non riuscirono. Il che mi è sicura arra di una stra- ordinaria ammirazione ne' posteri; poiché siccome ci ammaestrano le storie di tutti i popoli , gli eccel- lenti ingegni più dalle future età che dalla propria sono riconosciuti del loro sapere ; ciò che pare ave- re la sua cagione in quel naturale dispiacere sen- tito da chiunque vede, che altri nella medesima scien- za o arte , colle me u.^sime feliciiPi o contrarietà di tempi molto lo vinca: e perciò .solaiueute in se co- noscendo il perchè jneno dell'altro ahhia salito, bri- ga in qualunque modo possa a trovarlo e persua- derlo altrui inferiore (ìoìla fama. Allorquando però ci facciamo ad esaminare le opere dei passati sapien- ti, la minore virtù nostra non ci spaventa, neppur ci contrista ; poiché s' induce 1' animo a credere , che non sia rimasto per noi, se non gli eguagliamo: e diciamo , che a quelle bontà ed eccellenze dettero occasione o aiuti più potenti , o diversità di costu- mi e di stato. Ma veramente come non essere tra noi sì bella e nuova gara , se in questo immortale prosatore tutte quelle doti abbiamo insieme riunite, che separate e in minor numero bastarono ad accor- dare a moltissimi non comune onoranza ? Se alcune qualità oltracciò vediamo darsi in lui la mano , le quali innanzi a lui si credeva che non potessero in un solo riunirsi ? Fu elegantissimo e vivacissimo Giovanni Boccaccio, ma talora gli mancò robustezza: stupenda di linguaggio e maestà la storia del Bembo, pecca di sforzato giro nelle clausule : nessuno più vibrato e stretto di Bernardo Davanzati, qual prò se Panegirico a P. Giordani 171 oscuro ? Molta fama al Vasari per le vite degli arte- fici, ma non si però che ciascuno, accompagnandosi al giudizio del Caro, non lo reputi alcima volta af- fettato : e così direi d' altri famosi. Ma nel Giordani che si desidera ? Schiudiamo un poco questo tesoro d'Italia, e vediamone almeno sfuggitamente le rarità. Ecco ragionamenti, ecco memorie a tumuli, ecco de- scrizioni, ecco elogi, qua orazioni, là panegirici: e in tanto difficoltosa varietà di materie, che qualun- que altro scrittore sarebbe stato lietissimo uscirne gran- de solamente in una, voi lo mirate tutte condurle con somma squisitezza e raro magistero d'arte. Quai fino giudizio, come giusto l'argomentare, e severo e di- gnitoso l'esprimere in que'dottissimi discorsi! Quan- ta pietà e affetto mi mettono nel cuore gli scritti se- polcrali ! Quanto potente efficacia , colorito , verità , precisione nel rappresentarti alla fantasìa, anzi agli occhi, o i dipinti di Leonardo, d'Innocenzo, del Ca- muccini, del Laudi, o i marmi figurati del Tenerani e del Bartolini ! E in vero sarebbe vano, ingiurioso, se dopo sì belle copie del Giordani si continuasse la voglia di vedere da presso 1' originale. Che soave te- nerezza e cara mestizia muove dagli elogi ! Né io la cambierei alle più scherzevoli e gioconde opere, che un passar favorevole, benché fugace della fortuna ca- pricciosa, dettò a qualche ingegno italiano. IN iuno fe- ce mai più sapiente rimemorazione delle qualità buo- ne e giustamente pregevoli dei trapassati: ninno più di lui seppe giovarsi della eloquenza per temprare quei dolori, che volle natura, o non mai, o troppo difficilmente mitigabili. E qui non posso tralasciare mi fatto, il quale questa virtù del Giordani bene pa- 1 72 Letteratura lesa, e mostra un bello, e piacesse a Dio imitato e- sempio di vera gloria in un uomo nobile e ricco ! Era mancata al duca Sforza una fanciulletla di cara indole e di molto larghe speranze ; i genitori potete credere se erano in dolore infinito : che dire ? che fare ? chi oserà muover parola, e abbassare tanto do- lore ? Il Giordani corre alla mente del mesto padre: e già questi lo prega, che gli piaccia consolarlo , e rendere insieme durabile la memoria della sua an- gioletta. Il prosatore piacentino doloroso e prontis- simo scrisse della Bianchina: e la Bianchina vivrà la la vita del mondo. Di che sia lode al duca, il quale ci ha insegnata la vera nobiltà del suo animo, e una nuova dottrina di amore paterno ; e ha dato ad in- tendere a chi con lui tiene comuni ricchezze ed emi- nenza di grado, che 1' oro alla fine non può tutto, e che presto o tardi viene quel tempo, in cui è ne- cessità ripararsi alla sapienza. Allorquando poi lodò non cadde nel difetto , sia adulazione, sia ignoranza, di ragionare con pari altezza di stile e di concetti in ogni condizione di uomini. Il che quanto è comune peccato , tanto è irragionevole, ambizioso. Ciò videro que' nostri an- tichi, padri di ogni buon sapere ; e quindi ci am- maestrarono, la diversità della persona lodata diver- sità di stile richiedere, non solo per allontanare una brutta eguaglianza, e perciò una ingiustizia agli ot- timi; ma perchè conobbero, che innalzare con parole argomenti umili o mezzani, tirava a mentire, e non potea essere senza un grande sforzare e tiranneg- giare l'ingegno. Nulla d'ingiusto nel Giordani, nulla d'inconveniente, quando trattò di virtù privata e di Panegirico a P. Giordani 173 non alta dottrina. Ma come ridire quanto piofonda mente egli sentisse l'altezza de'subietti, quando parlò di que'due vanti d'Italia Antonio Canova e Napo- leone imperatore ? Subietti straordinari, che tutta a- vendo a se rivolta l'ammirazione degli uomini per la novità dell' ingegno , per la felicità delle opere, per l'arditezza de'pensieri avrebbero spaventato ogni più valente scrittore; poiché era da mettersi in cam- mino non battuto. Si dovea nell'uno mostrare chi la caduta e quasi dimenticata scultura rialzò animoso , e ristorò; quindi combattere con antiche opinioni, con potenti inimicizie ed invidie, che siccome con le opere avea vinte il Canova, così con prudente o- razione e copertamente spettava al lodatore di lui superarle. Neil' altro erano da considerare sottili e grandi pensieri, esaminare ardite e nuove ordina- zioni, mille naturali avversità, persuadere, mutare in somma con la parola tutto l'animo e tutti gli affetti di Europa, la quale solo con la forza era stata da Napoleone cambiata. E tutto ciò è fatto in que' due panegirici. Che mirabile sublimità e collegamento di concetti! Che grande ordine ed artifizio! Chi più vano nel dire? Qual altri ebbe modo più acconcio ad una investigazione filosofica di animi e di leggi? Dove dignità ed eloquenza più bene intesa ? Quivi è somma splendidezza, quivi è saggia configurazione di stile. Io per me confesso di ammirare Napoleone, e ancor più di riverire con certa qual leligione la mente e la mano egregia del nostro scultore; ma a quello non invidio tanto ne Inghilterra intimidita, ne Russie danneggiate, né Italia acquistata, Spagna oppressa, Austria sconfìtta, Prussia doma; neppure 1 74 Letteratura sì grande mi è il Canova colle Grazie, colla Ebe, col monumento pontificale, che più non mi appaia desi- derabile la lode ottenuta da questo stupendo scrit- tore. Stupendo, dico; perocché in tutte le sue opere è senza mistura sì bella sapienza del puro linguaggio, si studiato il porre degli aggiunti, che avanti a lui giustamente aggiunti si poteano nominare , e nelle sue mani vennero necessari, e pieni di significazione dottissima, sì efficace la forza dello stile, tale la vi- vezza d'ogni immagine, la grazia tanto singolare, che il leggerle è proprio un diletto soavissimo. ni. Delle quali doti sono da avvisare stimabilissime vivezza e grazia; essendoché di quella ci danno de- siderio moltissimi degli eccellenti scrittori; nell'altra poi, per legger che faccia, non mi abbatto a veruno italiano giunto a egual grado di maraviglioso. E per verità quanto era dei primi abitatori della ter- ra il significare i propri concetti con dipinture chiare e vivissime immagini , altresì é a' popoli succeduti difficil cosa ad ottenere. Conci ossiaché le sensazioni, donde poi l'immaginativa si sveglia, sem- pre accomodandosi allo stato e alla forza delle fi- bre, e trovando queste ne'corpi degli antichi gene- ratori gagliarde , vigorose , distese , erano capace- mente ricevute, e fortissime fortissimamente opera- vano negli animi. A tal vivere poi, lo dirò pure, im- maginativo non si contrapponeva la mente , la quale vota e giovinetta volentieri sostenea il continuo urto vibrato e potente: onde sappiamo che il primo par- PANErTiRico A P. Giordani 175 lare di bella poesia si adornava. Ma siffatto pregio del- la immaginativa, cosi proprio alla infanzia del mondo, venne tacito cadendo nella giovinezza, nella virilità poi è più ammirabile che possibile : perocché gli uomini, cresciuti col tempo e creati i diletti, tutti volendoli assaggiale ancor oltre i termini del giusto, non badarono quanto comportassero le loro fibre ; quindi abusandone la forza, le fecero stupide e a sen- tire non facilmente atte. Aggiungi l'animo, che op- presso da una turba informe e continua di pensieri nascenti da sociali rapporti si è molto ritirato da quel concedere pronto il luogo alle immagini vive ed efficaci. Volgiamoci collo sguardo a mirare le pas- sate nazioni , e ne acquisteremo una prova. Primo nacque l'ebraico popolo, e sarebbe gran viltà, po- sposti i suoi libri divini, studiare altrove vivacità di pensare. Meno bontà è nel sinese superante i greci maestri de' latini ; eppure a questi si ricorre dagli italiani, che volentieri ruberebbero quelle vive e spi- ranti dipinture. Pertanto chi ci sa dire , per quale privilegio contrastando il Giordani potentemente alla natura , sia salito in tanto amata e tanto per- dutamente cercata bellezza , cui non giunsero che pochissimi ( e questi ancora per dono speciale del cieloj degli infiniti scrittori d'Italia? Eppure la viva- cità delle immagini è pregio di tale virtù, che non so se altro sappia più affezionarci gli studiosi, e pren- dersene tutto r animo. Imperocché se nessuno du- bita doversi dallo scrittore curare premurosamente di non mai recare ad altrui fastidio, è ancora certa cosa, che se allo stile manchi il colorito de'concetti, cosic- ché si ravvolga in altezze ed astrazioni, l'animo .si 176 Letteratura affaticherà lieto per poco di seguitarle, ma in breve stanco o si ricuserà, o proseguirà con perpetuo di- spiacere: quando in noi stessi sentiamo difficoltà grave di aggiungere col pensiero a quello, che ha più del- l'intellettuale e del sottile. Provata la difficoltà, ecco il fastidio. Ma non ci bisogna ammirare questa qua- lità nel Giordani , se in lui tutto è singolare. Fin- sero gli antichi padri nella mitologia, libro di pro- fonda e velata dottrina, che di Giove massimo e sa- pientissimo nascessero tre Grazie: quasi ci volessero insegnare che della sapienza è produrre opere gra- ziose e gentili. Di queste i greci largamente ci do- narono, né i latini mancarono; ma in Italia nostra dove cercarle? Non dimentico il Firenzuola, il Caro, il Bartoli, e il Gozzi; ma insieme io considero due essere i modi dello scrivere leggiadro: l'uno si con- lenta a generare sensazioni piacevoli e care , non altrimenti che alcuni concetti musicali ti dilettano soavemente, ma unicamente gli orecchi; 1" altro poi non è si povero , ma dal piacere e dalla graziosita non ama scompagnato l'affetto. E così nel primo ve- nero per maestri quei sommi scrittori: ma non credo vorranno sdegnarsi, se ci pare, che la loro non fosse leggiadria per cuore; della quale non ho esempio, che nella poesia dell'Aminta di Torquato e nei drammi del Metastasio: ora è venuto chi prosando abbia dato il modello di vezzo affettuoso. Avete, o romani, un cuore? Leggete l'Angelo di Leonardo , e vedrete se provaste mai più cara dolcezza ; leggete la Psiche , e se non piangete, di che mai potete piangere? Egli vi narra aver veduto una giovinetta, della quale tanto si era innamorato un avvenente garzone , che Panegirico a P. Giordani 177 le fu marito, con che però ella si tenesse dal ve- derlo in viso: ma la meschina , lasciatasi ingannare dalle sorelle mal sofferenti di quella sua felicità, di- subbidì alla cruda legge maritale , e il dolce com- pagno tosto si vide fuggire disperatamente. Corse, pregò la donzella infelice, ma non entrava pietà nel duro petto ; tanto che stanca ed oppressa si assise sulla terra piena di dolore. In questo stato la trovò il Giordani ; e cosi veramente e leggiadramente ve ne descrive il duolo, la bellezza, lo stupore, che voi benché lontana vi muovereste subito a consolarla , se pur consolazione riceve sì indegna calamità. Ma fermatevi; ella è un marmo del Tenerani! Oh! gra- ziosissimo concetto, oh! esempio di profondi e soavi affetti! Così come il bel pensiero, si potesse con pa- role significare qual sia la venustà dello scritto, che è tenuto per cosa greca! Molti in vero ci fecero memoria, e taluni ancora dolore, di queste mal fi- nite nozze; pur se si potesse interrogare dopo tanti secoli la mestissima principessa, credo risponderebbe, niuno aver più del Giordani sentito e fatto altrui sen- tire la sua molta amarezza. Sebbene non è tanto del Giordani propria la grazia e morbidezza, che non sia egualmente una certa singoiar forza e brevità del dire. Della quale pare aver desiderio, e compiacersi in principal modo il nostro secolo, e avvisatamente : poiché da molta esperienza di opere e di avvenimenti si è pur co- nosciuto, a scrittore mancante di robustezza mancar leggitori. Oltreché nel tempo presente , la cresciuta mole del sapere umano richiede di necessità stile ri- stretto, se vogliamo come avviene nel vìvere mate^ G.A.T.CXIII. 12 178 Letteratura riale, trapassare in altri dal nostro animo le verità, cioè la più nobile vita, le quali se non si racchiu- dessero in poco, il tempo e all' insegnare e all' ap- prendere verrebbe meno. Tanto poi questa dote ci è in amore , che abbiamo per eccellente chi se ne adorna , e chiudiamo gli occhi ( non è però senza vergogna ) e perdoniamo volentieri se altri pregi non ha. Si loda il Nardi e il Capece : togli loro la con- cisione del ragionare, che resta ? Ma in Pietro Gior- dani niente è da perdonare, perchè in lui niente si desidera ; anzi accoppiando alla leggiadrìa questa bramata robustezza, ne offre esempio di una dillicile amicizia. Difficile nella Grecia, dove non la mostrò che Alceo ; difTicile in Roma, dove non in altri che in Tullio la troviamo ; diflìcile in Italia, nella quale solo il Chiabrera ce la presenta; difficile in Inghil- terra, in cui ne sono vanto non più che Alessandro Pope e quel bizzarrissimo ingegno di Giorgio By- ron •, lascio i francesi , gli spagnuoli , i tedeschi , perchè non danno cosa che se ne parli. Similmente nelle arti, che tanto si avvicinano alle lettere, raro vedremo dopo i greci, i quali veramente furono in ciò maestri, artisti di grazia e gagliardìa. Ninno di- pinse più soave e gentile dell' Allegri , e mai non operò fortemente -, chi più robusto di Michelangelo? la leggiadrìa gli fu quasi pensiero di odio. Solo in Raffaele divino convengono nerbo e tenerezza. Né altro si dice della scultura^ in cui fra tanti ci è am- mirato solo Antonio Canova. E siccome lo stile si re- puta lo specchio dell' animo, così convien credere che questa unione di caro e forte scrivere si derivi nel Giordani da quella severità e dolcezza di modi, Panegirico a P. Giordani 179 che nel viver vario dell' uomo fu sempre stimato senno di variare. Egli non buono di quella bontà che mentendo ruba favori e ammirazione, ma lieto ad ogni aspetto di giusto e di utile, non umile di umiltà cercata , niente sentita , peggio poi creduta, ma non superbo, anzi affabile, con tutti umanissimo; facile nel consigliare; nel giudicare, se debito di scrit- tore non gli chiede franco parlare, modesto. Eppure dove più sapienza, più autorità, più occasione? Aspet- to bene che questo sarà grande scandalo a moltis- simi, i quali da qualche leggere di romanzi si cre- dono entrati nel diritto di proferire pareri d' ogni maniera sempre sconsigliati e bestiali. La quale tur- pitudine e superbia non si può omai taciti soste- nere, originando fra tanti altri un male non più sa- viamente comportabile. Povere scene italiane ! che siete mai fatte ? Chi vi ha diredate del patrimonio ricchissimo e nobilissimo del Goldoni, del Metastasio, dell'Alfieri ? Chi è che vi contamina di tante sozzure di scrittori oltramontani, e se volete d'italiani, ma fal- samente italiani? A me sembra udirle lamentare, tutto avvenuto per colpa di questi ignoranti orgogliosi, che applaudendo le stranezze, come voli di fantasìa, e i disordini quale rappresentazione della natura , costringono , o almeno invitano ad opere di facile mostruosità. Lasciamo pur dunque che costoro stu- piscano tanta modestia nel Giordani ; noi l'ammire- remo con ogni riverenza. Se però fu egli nemico al giudicare particolarmente, non lasciò per questo di piangere più volte la condizione povera del secolo nostro. Non perchè gli sia andato fuori della me- moria il Colletta, il Botta, il Cesari, il Perticar! , il 1 80 Letteratura. Costa, il Leopardi, il Monti^ il Pindemonte, il Bion- di, il Montrone, il Colombo, nomi d' invidia e vene- razione eterna: non perchè ributti quanto ha di buo- no, la vivente generazione ; ma pensa solo, che per l'Italia questa è grande povertà e vergogna; pensa inoltre quanti in vece di onorarla, con pazzi scritti la vituperano. Per la Italia io dissi; conciossiachè la soa- vità de'cieli, il giusto vigore dell'animo, la temperie de'corpi, la copia delle bellezze e de'raagnanimi esempi ce la mostrano propriamente un paradiso, e quasi la patria unica di ogni grande e giusto operare. Ma non sono mancati, o Giordani, gì' ingegni in Italia; né è per loro, se dal buono e sapiente cammino travia- no; nessuna maligna potenza ci ha ristretto il pen- siero ancor possibilmente felice, né addormentati al bello ; bensì questa solitudine, e squallore del no- stro giardino è danno di quella scena, che deforme ci sta sempre sugli occhi , e nella quale vediamo i suoi cultori con disonesto abbandono disprezzati, e lasciati nei desiderii e nelle miserie. Come sperare, che molti scelgano di sobbarcarsi a tanti pesi, pati- re aspre fatiche, vegliare le notti, rimanersi da dol- ci consuetudini del vivere , fiaccarsi il corpo , per aver poi in guiderdone lo stento, anzi il bisogno ? Che se pur nascono si potenti volontà da non iscon- fidare per questa mestissima vista , e si diano con amore nobile agli studi , non mi apparisce come possano essere bene scelti e compiti quando ne strap- pa lo stimolo de' naturali appetiti, o la voce della famiglia povera che chiede un pane, di che trarsi la fame. Ma é ancora più alta calamità : vedere quel- le camere , que' conviti , quelle dimestichezze , le Panegirico a P. Giordani 181 quali solo desiderare è gran peccato ai letterati, con- cedersi largamente ai buffoni e agi' ignoranti , de' quali ogni scienza è nel fingere e nell' adulare: que- sto è l'aspetto, che a tanti allontana l'animo dalla sapienza, e mette loro in cima de'desiderii la igna- via facile e premiata. E qui un importuno pensiero mi va per la memoria, e vorrebbe che chiedessi per li sapienti o un Dionigi , che fatto cocchiere mena superbamente Platone per le vie di Siracusa ; o un Alessandro Severo , che del proprio manto cuopre Ulpiano giurista. Ma la mia voglia non s' innalza così ambiziosa : mi basterebbe , che i savi si pones- sero innanzi agl'indotti: e se pur così poco si ne- gasse, mi terrei contento, che almeno non avessero a mancare per la fame. So bene non esser questo nuovo mfortunio, so questa mala peste essersi da cinque secoli appresa all'Italia; ma la cosa mi pa- re nel nostro alquanto più in là portata. Leggo, è vero, un Alighieri oppresso, ma trovo in Campido- glio coronato il Petrarca. Conosco, che al Sanazjsaro fu un poco nemica la fortuna, benignissima però al Poliziano , che favorirono il Medici e Giovan Pico dalla Mirandola. Se miserissimo fu Torquato, Fran- cesco Guicciardini fu largamente meritato del suo sapere. Povertà fu nel Gozzi , quando il Metastasio udì chiamarsi al romano alloro. Ora questa varietà, che si potrebbe dire consolatrice, terminò nell'età nostra, a cui sembrò meglio non curarsi di nessuno ingegno. Certo non si può tacere, che siasi in al- cun modo mitigata tanta indegnità ora che questo umano pontefice, veramente ottimo massimo, appe- na salito prodigiosamente al doppio regno ne ha 1 82 Letteratura dato ^rati argomenti dell' amore, che egli porta cal- dissimo alla sapienza, e a coloro che s'affaticano no- bilmente ad acquistarla. Però oltre che di questo de- siderato aiuto non potremo vedere subito il frutto, il quale dovendo aspettarsi specialmente ne' giovani richiede di necessità non poco tempo a maturare e rendere ricco questo suolo italiano , il favore che Pio IX concede agli addottrinati ingegni non può recare rimedio, che si stenda più in là dei confini del suo regno. Ma dove mi trasporta la carità della sa- pienza ? Lasciamo questo predicare mal udito: e ral- legriamoci piuttosto , che il Giordani abbia tanto di beni da non bisognare del favore altrui, e così me- glio intendere in quelle opere, che fanno in tutti al- tissima ammirazione. IV. Chieggono molti onde sia, che presi a leggere gli scritti del nostro italiano venga tanto diletto , che mai non si lascerebbero : di che più d' ogni al- tra bella dote pare cagione la singolare novità de' concetti. Del quale pregio quanto sia da aver cura bene si avvide M. Fabio Quintiliano , che ne fece precetto : ma pur troppo sia diflicoltà, o sia negli- genza, rarissimo negli scrittori italici si trova; donde muove, a mio pensare, il fastidio che sollecito si ge- nera , e fa con infinito danno brevissimi gli studi. Che comunque l'animo vegga in ciascun pensiero un argomento del suo essere, e quindi mirabilmente se ne compiaccia, tuttavia gli bisogna amar meno quei concetti, che ospiti non nuovi ritornano, essendo che già provali, in più languido modo gli appariscono Panegirico a P. Giordani 183 cagione di vita. Ma se venga nella mente un'imma- gine nuova, o almeno nuovamente adornata, allora questa quasi novella prova del vivere ci commuo- ve, ci agita , lascia in noi durabile maraviglia. Ciò conobbe fra tanti solo Paolo Segneri, le cui orazioni hanno assai bella novità. Pure a chi volesse consi- derare alquanto profondamente, molto diversa si mo- strerebbe neir oratore e nel Giordani la forma di tale pregio. Nuovo è quegli ne' tropi, i quali porta, con molto «traord inaria maniera, benché i concetti guardati partitamente sieno comuni, e già ricevuti; l'altro poi tenendosi dal rappresentare variamente le figure del discorso, ha voluto esser primo in ogni pensiero; e dove non può esserlo, con sapienza rin- novarlo. Diresti che il Segneri cerca sempre diletto ingannando, e con sincerità lo procura il Giordani, ne mentisce se non quando gli si mostra il biso- gno. Perciò più riescono graditi i suoi scritti , poi- ché più vigorosamente vi si esercita l'animo, e sen- te più la propria vita. E questa novità, che chiaris- sima si manifesta nello stile e in ciascun concetto , è in lui così grande da farsegli quasi natura, e quo- tidianamente si ravvisa nel parlare, e ancor più nel consigliare. Di che potrei recare molti esempi, se la mia orazione non dovesse stare in guardia di non la- sciarsi trasportare alla grandezza del subietto , la quale a grandi e svariatissime lodi per ogni parte invita. Era giunto in Firenze il Costantin , che co- piava i dipinti in porcellana ; vede le sue opere il nostro italiano , e con graziosa lettera ammonisce i nobili e ricchi, che, lasciato l' inutile e prosuntuoso costume di donare scattole d' oro e diamanti , rao- 184 Letteratura strino nobilmente l'affezione dell'animo presentando un Raffaello o un Tiziano copiati in porcellana. Cosi egli procura l'avanzamento dell'arte, così in benefi- zio della pittura rivolta un antico usato, e accresce ammiratori alle opere de' nostri grandi. Alla figliuo- letta morta cercava lo Sforza dalle parole del Gior- dani nome, che non marcisse per vecchiezza; a lui umile o non viene in mente, o non piace la gloria, che la sua prosa le avrebbe fatta eterna , e vuole fuori di se acquistarle njeraoria. Si tratta di una fanciulla, la quale per bella indole che fosse, e per quanto grandi cose promettesse , non potea avere quel buono e utile, che solo vale a farci presenti al- le età lontane. Vero è, che questa difficoltà avreb- bero molti con facilità superato, i quali dispensatori ciechi e vili di larghissime lodi, e vedendo esser la cosa di uomo nobile e potente, avrebbero predica- to che la Bianchina era la più perfetta creatura di Dio, e una maraviglia di mondo. Ma non è falsità nel Giordani, perchè non è ambizione; egli ricorda- to sì le bellissime doti, che a tutti cara la faceano, vuole una gloria, la quale da esempio e da utilità eccellente prenda cagione; e pensa, che si ricevesse nel palazzo del duca un giusto numero di piccole figliuole di poveri, e aggiunto in ciascuna al pro- prio il nome di Bianca fossero da salubre, ma con- veniente cibo ristorate, e guardate con diligenza dal- la mattina alla sera, quanto appunto il padre e la madre stretti da necessità lasciano la povera casa per acquistarsi di che sostentare la vita, si ammaestras- sero alle virtù, e a quel sapere, che nella loro con- dizione si conviene; e questa umanità di soccorso si Panegirico a P. Giordani 185 chiamasse II rifugio delle Bianchine. Vedete, o ro- mani, con quanta sapienza è nuovo il Giordani ! Chi temerebbe dopo ciò che svanisse il nome della fan- ciulletta Sforza ? Non lo farebbero immortale le be- nedizioni de' genitori, la riconoscenza della città, a cui occupate e bene addirizzate le menti giovinette verrebbero a mancare tanti delitti e lascivie, di che per la ignoranza e pessima educazione siamo sozza- mente pieni ? A questa novità d' intelletto congiunta alle al- tre rare doti alcuni ripensando si dolgono, non es- servi di lui opera, la quale pareggi l'altezza dell'in- gegno. Il quale lamento benché palesi una speciale e onorata prova dell'ammirazione comune, nondime- no è da biasimare come argomento d'uomini, che dal peso degli scr itti stimano della virtù degli scrittori. E tanto più è importuno questo amoroso desiderare,quan- to che unicamente in questo tempo lo ascolto ma- nifestato. Che per verità non fu questa la sapienza di alcuno de' colti popoli. Veggo gloriosissimi in Gre- cia Anacreonte, Callimaco, Mosco: e nel cercar la ca- gione di questa gloria trovo piccole canzoni e al- cune idilli. In Roma Valerio Massimo e Pomponio Mela salirono in alta fama, e fu loro da'romani con- ceduta senza che a questi dispiacesse, che il primo scrivesse solo de' fatti e detti memorandi, e dell' al- tro non si avesse che la descrizione di alcuni luo- ghi. Non s' invogliò Francia di opere maggiori in quello strano ingegno di Carlo Saint Evremond e in quella dolcezza di Maria Sevignè; e poche conside- razioni e lettere bastarono a tenerla appagata. Vive in Inghilterra gloriosamente Orazio Valpole di poche 1 86 Letteratura operette. Passiamo agli spagnuoli; troveremo la na- turale superbia soddisfatta di favole ed epistole di Francesco Eorgia Squillace. Si guardi in Alemagna, la quale contenta decretò nome eterno a Giovanni Amadio Krause e all' Hagedoru meritato da cortissi- me fatiche. Veniamo in Italia, ed essa stessa sgri- derà l'ambizione di questa brama. Ci mostrerà che ad onorare efficacemente il Rucellai non volle da lui che il breve poema delle Api, che pochi versi sulla coltivazione le fece dare all'Alamanni gloria immor- tale ; che il Firenzuola con pochi ragionamenti ed una traduzione si unì per suo consenso alla schiera de' gloriosi uomini; porterà innanzi la memoria ono- rata di Gio: Battista Gelli per due dialoghi, due com- medie , ed alcune lezioni senza contrasto famoso ; quella di Giulio Perticari, nel quale niente più desi- derò, che que' suoi carissimi trattati. Sebbene cui sta a cuore la gloria e la riveren- za della patria comune dee anzi rallegrarsi, che non altri generi di scrivere si scegliessero dal Giordani. Poiché come in un popolo non passerebbe senza tac- cia di ambizione e di superbia desiderare novelli scrittori in alcuna parte di lettere, in che molti già si siano alzati a grande fama, così è desiderio de- gnissimo e naturale che taluno si metta dentro una via da altri o non battuta, o non molto onoratamen- te corsa. Della qual cosa manifesta è la cagione: che troppo più è miseria vedersi avanti gli occhi un al- tezza di gloria veracissima, a che niuno giunse, di quello che sia piacere trovarsi molti, che l'onore di vma medesima palma faccia celebrati. Quanta gelo- sìa non è in noi di Torquato Tasso ? Chi ci tocche- Panegirico a P. Giordani 187 rebbe Vittorio Alfieri ? E questa speciale tenerezza con ragione noi 1' abbiamo; perocché con Torquato, noi emuliamo ciò ch'ebbe di più grande la poesìa greca e latina: coli' Alfieri , noi non invidiamo alla Francia il Voltaire, il Racine , il Crebillon , il Cor- neille; e, che è più, un Shakespeare alla Inghilterra, e un Goethe e uno Schiller al teatro alemanno. Ora si pensi in quali termini si trovava Italia avanti che questo uomo tante e tanto perfette prose le donasse. Chi volesse dire, che sia ancora mancato un orator di religione valentissimo, non si mostrerebbe molto conoscente delle stupende qualità di Paolo Segneri, pel quale se non grandemente insuperbire, possia- mo con verità crederci assai grandi: degli storici avevamo si abondevolraente da vincere qualsivoglia altra nazione ; le opere poi di ammaestramento era- no senza numero. Ma di civili orazioni chi altamen- te ci lodava ? Belle per dignità ed eleganza le due del Casa, ma non sono forse esempio a tutti sicuro da seguitare : quelle poi di Alberto Lollio neppur si potevano mostrare con ragionevole compiacenza, poi- ché sebbene ragguardevoli per facondia, per subli- mità, per argomenti, non lo sono in egual modo per linguaggio, e molto meno per lo stile male all'orec- chio gradito per eguale disposizione di voci. Di elo- gi poi in numero copiosissimi e di civili panegirici affliggeva la Italia una sconsolata miseria, sì che il tempo di cinque secoli pareva ormai disperarla di una buona e degna lode. E tanto più dovevamo so- spirare chi di panegirici e di elogi nascesse maestro, quanto che è da erodere con giustizia , che questa bella nostra terra sarà continua nel produrre uomini 188 Letteratura eccellenti per virtù e per sapienza. I quali appena siano apparsi, ed abbiano con prove vere raanifestato il proprio potere, cioè aiutata la doppia vita de' loro^ cittadini, si vuole di questo benefizio solennemente, e non indegnamente ringraziarli : e così aguzzando in altri la nobile voglia di una eguale lode, accenderli ad opere di sincera e perpetua bontà. Grande ob- bligo ha pertanto l' Italia con Pietro Giordani , dal quale ciò che le mancava con molta gloria ottenne. Questo obbligo poi più che con la volontà lo dee avere con la innata cortesia di lui ; che l'occasione di trattare que' subietti gli si offre dagli italiani, ai quali come prima egli si presenta in alcuna città vie- ne tanta voglia e riverenza, la diresti eguale a chi sa di possedere tesoro unico e invidiato, che non av- viene di dovere parlare pubblicamente, che non gli domandino la sua eloquenza: ed egli ad ogni richie- sta onorata e giovevole umanissimo inchinarsi con effetto. Si ha da ragionare in Genova per la dedica- zione del busto di Cristoforo Colombo ? Non si pen- sa, non si delibera; parli Pietro Giordani. Debbono i cesenati far pia rimemorazione di Nicolò Masini ? debbono lodare la maestà di Napoleone ? Non si con- sideri nessun altro -, parli il Giordani. Si vuole in Bologna congratularsi a Pio VII ricuperante gli sta- ti? muovere l'animo degli artisti a sapienti produ- zioni ? mitigare il dolore delle famiglie vedove per casi di combattimento ? Parli il Giordani. Né dee essere maraviglia , che tanto ansiosamente sia dalle città amato e onorato quello col quale i più grandi uomini, che sono la miglior parte del popolo, si re- putarono e si reputano in gran fortuna d'essere stret- Panegirico a P. Giordani i89 ti per amicizia o per conoscenza. Poiché quantun- que con naolto disonore di noi sia abbandonata a se stessa la sapienza, e lasciata ad ogni calamità, non- dimeno quanto all' ammirarla e venerarla, purché sia senza soccorrerla, si trovano tutti non solo non re- stii, ma umili e pronti. Per questo vediamo avere un dotto quasi in mano tutti gli animi della sua cit- tà; e ciò che credono i più addottrinati , quello es- sere il pensiero della intera nazione. E in questo no- bile regnare si ravvisa una benefica disposizione di Dio, cui troppo avrebbe gravato, che la più viva e vicina immagine di lui, come sono i sapienti, se ne stesse in terra misera e fuggiasca, e da qualche si- mulacro d'ignoranza fosse soverchiata nel culto. Quanto dunque non dee essere l'universale amo- re per Pietro Giordani, amato e altissimamente rive- rito dal Monti, dal Perticari, dal Cesari, dal Leopar- di, dal Montrone, dal Costa, dal Colletta, dal Puoti, e ora dal Mai, dallo Strocchi, dal Marchetti, dall'O- descalchi, dal Betti, dal Niccolini , dal Muzzarelli , dal Capponi, dal Barbieri? E tanto più é tenuta cara l'amicizia del Giordani, quanto che egli ad altri in- cominciò la fama , ad altri sovvenne di pareri e di opera, tutti poi hanno in lui trovato non solo un egregio scrittore, ma un caldissimo amico. Né la sua affezione ha per confine la morte, come con dispetto vediamo essere di molti subito amici, e subito di- mentichi ; che se ha udito da perversità di giudizi oltraggiare la memoria di un suo diletto, più non si tiene: e vestitosi di quello sdegno, che lo fa si caro ali Italia, toglie in vendetta all'oppresso la sua non ridevole eloquenza. Ben tu lo provasti, infelice Leo. 190 Letteratura pai'di, cui non bastò avere sentita dolorosa la vita; che ancor morto ti fu mossa guerra da una certa colonia italiana , la quale si opponeva alla stampa de' tuoi scritti. Io penso che se a te , benedetto spi- rito, potesse in quel più felice mondo giungere con quale impeto d' animo, con quale forza sovrumana si levasse il tuo Giordani a fulminare cotesti nemi- ci, e vendicare vittoriosamente dall' invidia la tua fa- ma , quasi t' increscerebbe esserti partito di questa vita, e aver troncata tanta soavità di fermissima ami- cizia. Né superbo od ambiziosa è 1' affetto del Gior- dani, che solo nei chiarissimi lo ponga; ma per ogni gente di studiosi ha cuore di padre, e larghezza di ammonizioni; massimamente per la italiana gioven- tù, di cui pare sopra ogni altra cosa aver cura, ed essersi formato un particolar segno all' amore. Del quale però a dir vero non è ingiustamente ricompen- sato ; che tutti i giovani d' Italia ( non parlo di quel- li che vivono alle libidini e all' ignoranza ) a cui tanto fu dato dalla fortuna di essergli vicino, tutti intesi all' udirlo , all'ammirarlo, all'onorarlo, diresti che solo di questa amicizia si reggono. Il che pure non è volgar cosa; mentre si sa, che alla verde età sebbene ammaestrata e amante del sapere è troppo kmgi dal poter dilettare quella precisione di modi e austerità di parole, che quanto sia temperata da piacevolezza, quasi per forza segue al grande studio e alla grande sapienza. E di queste non gradite qua- lità ascoltiamo taluni dolersi, altri più sfacciati ri- dersi come di vane e superbe apparenze prese dai dotti per comperarsi un ammirazione nelle vie, e, come parlò Orazio, un onorato «jinar del dito. Panegirico a P. Giordani 1 9 1 Biasimo però, che ben cesserebbe se pensassero co- storo come nei dotti diverso sia il vivere : i quali soltanto alla investigazione del vero dirizzando l'a- nimo, sono costretti ad un perpetuo osservare, che tanto meglio fruttifica , quanto meno è interrotto , sparse trovandosi le verità delle cose , nel cui av- vicinamento e unione tutta sta la dottrina. Perciò di ogni cosa, che da quell'attendere lo richiami, è fa- stidio nel savio: di ogni cosa, che per naturale di- sposizione gli contrasti, è dispetto. Quale poi sia verso il Giordani l'amore di tut- ti quelli , cui conviene passare la vita lontano da lui, si può bene immaginare dal sapersi quanto la lontananza della cosa bramata ce ne svegli in cuore un più acuto desiderio. E per verità quanti ho udi- to così fortemente accesi nell'affetto di lui, che del- le ricchezze bramavano quel che bastasse a recarsi a Parma, ed ivi fermar la dimora, benché non agiata né felice! Altri io conosco, che molti anni ha aspet- tato per vedere se la complessione del corpo debole fosse mai giunta a concedergli l' andarvi a piedi ( poiché in altro modo non poteva ) : la quale bella speranza, fortuna cieca e invidiosa troncò. E questo uomo, il cui nome già per lungo studio e per gra- zia di scrivere si comincia a mettere onoratamente in voce, io 1' ho ascoltato , che mi diceva: » Final- mente delle infinite fatiche letterarie per tanti anni sopportate, ho ricevuto il premio, e 1' ho ricevuto con usura : io ho una lettera di Pietro Giordani. » E tanto maggiore é la brama di essergli da presso, quando si sa, che grandissimo negli scritti, straor- dinario è nella eloquenza del parlare. Di che oltre I 92 Letteratura la comune voce niuno vorrà migliore testimonio di Tommaso Gargallo. Aveva questi visitata tutta Italia, nelle più dotte città si era fermato, e per l'alta sua fama avea con ogni genere d' uomini familiarmente usato; eppure egli disse : » Non ho udito più ammi- rabile eloquenza , che nella bocca del Giordani : e adesso non saprei giudicare, se più volentieri lo vo- lessi ragionatore, o scrittore. » Aveva un giorno il , Giordani desinato con molta e scelta brigata, e già stavano nei seri discorsi , quando cadde la parola in cosa che vivamente gli toccava il cuore. Stava egli ritto in piedi , e appoggiato con ambedue le mani ad un tavolino ; all' udir ciò infiammatosi nel volto , infocati gli occhi ( così mi narrò un convi- tato ) incominciò si potente, sì faconda, sì gagliarda declamazione, che durata non meno di mezz'ora fece tutti rimanere immobili e a modo di trasognati. Si consola poi questa mestissima lontananza, e si procura trasportarselo avanti gli occhi col di- mandare ciò, che di lui videro o seppero quanti da vicino gli furono: sì che ornai comunque poco egli abbia percorso la Italia , e dove fu non abbia lun- gamente dimorato, pure di ogni parola tanto sanno gì' italiani, che forse ricordano meno di loro stessi. Di qua è , che a nessuno è nuovo, essersi giovane per molto tempo chiuso in una librerìa, donde non usciva che quanto gli bisognava prendere un poco di cibo e di sonno ; in tutta la sua vita poi pro- fondissimo e lunghissimo essere stato il suo appren- dere, fino a risentirsene la sanità e gli occhi; ama- re le gentili conversazioni , ma solo le sobrie e le famigliari , non quelle destinate a mostrare fino a Panegirico a P. Giordani 1 93 =nnual punto possa la gente umana farsi ridicola in parole e in vesti; muoversi ad ogni cosa buona ed utile ; di qua è finalmente il conoscerne la forma della persona, giacché non so per quale sorte rea e maledetta a tanti e tanto infiammati amanti manchi una immagine, che contenti, o almeno calmi il desi- derio amoroso. V. Quando io penso, che solo per sommo e incre- dibile studio si può acquistare un bello e ornato mo- do di scrivere: che troppa guerra gli muove il quo- tidiano parlare errato , e insieme naturale , e una inondazione barbarica di scritti, non so se più inetti o vergognosi; conosco la verità della fama, che gran- di cose narra degli studi del Giordani tanto eccel- lente nella elegante favella, e padre di uno stile egre- gio. Se però passo a considerare , che dubita Italia se in lui più abbia un valentissimo scrittore, o un erudito e filosofo, allora è che mi accosto a crede- re, pochi nella grandezza degli studi poterlo pareg- giare. Imperocché a lui non fu sconosciuto la turpe miseria di coloro , i quali sol che siano riusciti a farsi propria la nostra vergine lingua , si credono avere ogni cosa conseguito , e non dover d' altro curare ; quasi che onesto fosse l' intendere gli uo- mini con ogni diligenza nello splendore degli abiti, trascurando nel corpo la pulitezza. Generazione di scrittori a se inutili, e alla patria per l'esempio po- tentemente dannosi. Della povertà di cognizioni mol- to è da scusare la sovrana età del trecento, in cui gl'italiani dopo sì lungo dormire nella ignoranza, G.A.T.CXIII. 13 1 94 Letteratura paurosi e incerti si destarono non altrimenti che quelli, i quali vivi tratti fuori quasi miracolosamen- te dalle ruine di un terremuoto, la più parte si ri- mangono a modo di stupidi , e non puoi chiedere loro che ti si mostrino subito ragionevoli. Ma nel secolo decimosesto, quando gli animi aveano inco- minciato ad ingentilirsi , e molta parte di sapienza era nata in Italia; quando ad un magnanimo e sag- gio pensare spingeva la grandezza, la varietà, la no- biltà dei patrii avvenimenti; non veggo come si pos- sa perdonare a taluni, che tanto in basso mirarono da ragionare di minutissime e stomachevoli legge- rezze; e d' altro non potevano, perchè sappiamo non avere altre cose imparato. Seppesi da tale vituperio guardare il Giordani; e volle che il suo animo rac- cogliesse quanto di buono e opportuno al perfetto scrittore si presenta. E primieramente studiò la fa- vella greca, nella quale sapeva trovarsi così eccel- lente, perfezione di esempi , che qualunque bramò nel tempo appresso adornare i suoi scritti di leg- giadrìa vera e di ogni altra desiderata bellezza, ci si ricorda solo da quelli averle tutte apprese. Gran- de fu il suo attendervi, e grande sapienza ne trasse; si che allorquando quel carissimo alle muse italia- ne Vincenzo Monti si avveniva a voci greche, che a lui molto povero in quella lingua si mostravano alquanto scortesi, rivolgeasi al Giordani per averne una chiara e sicura significazione. Anzi, se pur ci è lecito dirlo, pare che per l' amore di questo beato linguaggio quasi si scostasse dal costante suo pro- posito di nulla chiedere agli uomini ; quando a Fer- dinando Cornacchia , barone presidente dell' interno Panegirico a P. Giordani 195 nel ducato di Parma , dimandò , ma senza bassezza di preghiere, senza fingere o adulare, che gU fosse dato r insegnare greco , mancato in quei giorni il precettore. Troppo incauto però, che in patrizio igno- rante pose speranza ! E così le mie parole potesse- ro esser seme che fruttasse infamia a questo mini- stro, il quale ad un Pietro Giordani , che chiedeva, non si degnò di risposta. Ma sarai ben di ciò pa- cato , uomo vilissimo ; poiché quanto il nome del Giordani da le dispregiato andrà lontano nelle età future , tanto camminerà la tua vergogna e il diso- nore di tua nefanda superbia. Non però tanto si lasciò prendere alla vaghezza del greco idioma, che non gli rimanesse luogo ad uno eguale amore vers il latino, in cui anzi non si contentò di quella poca e lieve conoscenza, alla qua- le le infelici nostre educazioni ci lasciano per gran dono venire, ma si pose saviamente in cuore di ve- derne le più riposte bellezze. Perocché egli benissi- mo intendeva, quanto al purgato e savio scrivere in ogni favella faccia una profonda scienza del linguag- gio , dal quale quella o unicamente o in qualche modo fu derivata. E certo in altra maniera sarebbe pazza presunzione poter opporsi al tacito e coperto corrompersi delle voci , che tanto più é difficile a conoscere, quanto che in alcuni errori ci troviamo eredi agli antenati nostri, e per l'antichità e rive- renza ci sa quasi un gran peccato al nostro giu- dizio sottoporli. In ciò gli erano esempio i padri stessi latini, i quali allora soltanto speravano poter salire ad alcuna eccellenza, quando avessero impa- rato nel greco, donde priacipalmeate , insieme agli 196 Letteratura altri dialetti di popoli antichi d'Italia, sappiamo ave- re avuto il latino la più bella parte di vita. Quanto frutto poi da questo studio cavasse il Giordani as- sai bene si manifesta, allorquando o per compiacere gli amici delle loro richieste, o perchè si apparte- nesse a confermare la verità di qualche opinione , si fece a tradurre alcuno autore latino. Dove senza dire della eleganza, della forza, della venustà, poi- ché in ogni sua cosa si trovano egualmente, si am- mira una rara precisione e un sapere profondo del- la proprietà delle voci. Né di questa scienza, in che sta tutta la natura di un linguaggio, danno un egua- le argomento gli scritti latini, ma certo in miglior modo nelle versioni apparisce. Conciossiachè laddo- ve nello scrivere ora latinamente i propri concetti è più sembianza di studio, che di sincera conoscenza, giovandosi l'autore di quei vocaboli e modi del di- re , che per vestire un medesimo pensiero adopra- rono i padri nostri, e potendo alle pericolose dub- biezze voltar faccia; per contrario é molta asprezza di fatica nei volgarizzamenti, in cui essendo tolto il sottrarti a veruna delle difficoltà che incontri , ti bisogna stendere la dottrina sopra tutta la lingua, e sapere interamente la naturale virtù di ciascuna pa- rola. Spesso ci dolgono le non fedeli versioni, e ne facciamo colpa alla volontà degli scrittori ; mentre a me pare, che molte volte di quella difformità sa- rebbe più veramente da riprendere la poca sapienza del tradotto idioma. Né soltanto a se il Giordani re- strinse il bene, che dal lungo attendere al latino gli derivava; ma ne volle far parte ancora alla sua Ita- lia, della cui gloria prende quel piacere , che della Panegirico a P. Giordani 197 propria ; anzi la propria intanto gli diletta, quanto che acquietata tutta alla Italia la rimette. E conae dall' ingegno di Gabriello Chiabrera abbiamo rice- vuto buona ricchezza di forme greche; cosi il Gior- dani con molto nostro vantaggio a tanti graziosi e utili modi della lingua del Lazio ha stabilita la ita- liana cittadinanza. Quanta beltà in quegli ablativi as- soluti ( per tacere di ogni altro ) ! Quanto ben di- cono que' participi! presenti e futuri , che facendo le veci di molte parole vengono a rinforzare e strin- gere la nostra favella, la quale da alcuni stranieri, cui fu ignoto un Alighieri, un Compagni, un Ma- chiavelli , un Davanzati , un Alfieri, un Colletta, fu accusata di larghezza e abbondanza naturale ! Di tali modi non mancarono veramente gli scrittori del secolo decimoquarto: però nelle età seguenti io non so per quale ragione, se ne togli il Davanzati, raris- simi si trovano , e quasi con paura adoperati : ma ora insegnatone dal Giordani il vantaggio, e da tan- ta autorità confortati, allontaneranno gl'italiani ogni qualunque dubbiezza, ed abbelliranno i loro scritti di queste leggiadre forme. Ne a lui perchè non ce le introdusse inventore, ma solo le restituì franca- mente neir uso, si vuole o dare meno lode, o avere minor obbligo ; mentre il comodo di questa sua, la chiamerò impresa, in egual modo ci giunge : che ri- suscitare le spente cose altro non è che produrle, di sforzo poi e di coraggio è pari , anzi maggiore argomento. Perocché nel portare per primo ad una lingua ciò che di un'altra è proprio, con poco pe- ricolo è speranza di successo prospero, potendosene aver consiglio co' dotti, e stando per l'innovatore la universale voglia di novilà,e del vantaggio la desi- 198 Letteratdra labile apparenza ; ma chi si dispone a rimostrare quelle forme, che conosciute furono tacitamente (pe- rò senza vera cafjione) abbandonate, quasi al piacere comune si contrappone, e tenta di abbattere quella resistenza, che al mutarsi di opinione vediamo essere in tutti. E in questi kmghi studi greci e latini si può riconoscere la cagione della scienza di tutte le an- tiche storie, che ammiriamo nel Giordani, cui ac- compagnò quella delie recenti a modo, che egli nel- le sue opere, benché copertamente, vi porta a cor- rere non una parte d' Italia, o qualche regno d' Eu- ropa, ma tutto intero il mondo. Ne già di tale viag- gio avviene che si stanchino gli animi; poiché non è dirizzato a diletto o pompa vana, ma alla utilità, e a meglio fermare quegli argomenti e ragioni , le quali forse per nostro naturale orgoglio, se non di- spregiate, potrebbero essere lievamente sentite. E ha procacciato loro quella massima forza che pos^sano ricevere, perché nelle storie non si dispose a trova- re chi gli cessasse un poco d'ozio e di fastidio, ma un precettore non mai fallibile in quanto si avvie- ne a un vivere innocente e meno tribolato. La qua- le opera , se non sia con un profondissimo studio, non si può compire in nessun conto. A me veramente, ogni qualvolta mi fo a leggere le opere di questo eccellente e me lo trovo con una cara famigliarità maestro di si sottili e veraci investigazioni nella sto- ria , si addietra di tre secoli il pensiero , e pare trovarmi con Nicolò Machiavelli quando per sol- levare l'animo dalla tristezza delle sue calamità pre- se ad insegnare ai principi, come potessero tenere l*ANEGmico A P. Giordani 199 ì regni variamente acquistati. Non posso però dissi- mulare, che quantunque a quell' alta mente fioren- tina io professi maraviglia infinita, stupisco come egli tion volesse conoscere ( poiché dire non sapesse , sa- rebbe troppo grave ingiuria ) quanto allo stabilirsi negli stati faccia un ordine savio di leggi. Mi rin- cresce vederlo attribuire solo alla forza degli eser- citi, o alla prudenza, o alla propizia fortuna, se ad alcun regno fu lungo e felice vivere; per contrario tni è dispetto quando egli dice, che ai disegni am- biziosi di Cesare Borgia fu contraria la breve vita di Alessandro pontefice, e la infermità nel meglio dell' operare sopraggiunta: mentre a noi pare, che a quei sommi suoi condottieri di popoli per li buoni ordini seguitasse felicità, e mancasse al Valentino la usur- pata signorìa, perchè da quell' animo sozzo e non aperto a veruna pietà non si potevano avere instituti di sociale virtù. Ma nel Giordani sono insegnamen- ti , che più ci contentano e più s' incontrano con la ragione, e vi s* impara, che a tanti insigni principi, i quali per armi si fondarono lo stato, ma non sep- pero con sapienti ordinazioni confermarlo, rovinò il tempo l'opera della forza sconsigliata ; altri essere caduti, perchè guardare non seppero colle spade l'u- tile delle leggi ; in taluno ci si mostra chi avven- turò il regno per insana voglia di stenderlo. Io veg- go con lui il pericolo di finire nella nascente Roma, se all' astuzia , al coraggio , alla ferocia di Romolo non fosse sottentrato l' umanissimo Pompilio con tan- te opportune leggi. Con lui mi dolgo della giovanile inconsideratezza di Alessandro macedone, che il re- gno lasciatogli dal padre non raunl di civili pre- 200 Letteratura celti per darsi tutto ai suoi ambiziosi conquisti , e COSI gli die vita poco più lontana della propria; ro- vina che la più parte degli scrittori vuol deriva- re dalla divisione di quel reame tra Antipatro , Cratero , Lisimaco, Eumene, Antigono, e Tolomeo. Riconosco caduta Atene dalla sua libertà, perchè in- tese Solone a procacciare ai ciltadini solamente le so- ciali regole, e non il modo di spegnere le possibili arditezze di molti sfrenati. Né più l'animo mi si af- fatica a cercare come la chiarissima e temuta po- tenza de' Carlovingi potesse divenire a tanto squal- lore e miseria ; poiché bene mi si mostra che al fi- gliuol di Pipino fu nemica la età selvatica, la quale nel suo animo valoroso e ancor savio non lasciò pe- netrare un bel pensiero di cittadina sapienza. Egli mi conduce a veder nella Prussia la occulta infermi- tà, che la consumava; e che al gagliardo crollo da- tole dal nemico non sapesse un poco tenersi, mi mo- stra la cagione in Federico, cui più che rinvigorire quel nobile reame, piacque in nuovi paesi conti- nuarlo. E qui la mia orazione facilmente sarebbe in- vitata a dire di quanti altri precetti ci è maestro il Giordani, allorquando si é fatto ( come gli cadea per mano, e non per presunzione ) ad investigare il ve- ro delle storie. Non meno di questo però lo dilettò la cognizione delle altre verità, che in ogni gene- razione di scienze apprese sì profondamente, che in tutte egli è ammaestrato. Che se la non vincibile sua modestia glielo comportasse, io vò talora pen- sando poter lui giustamente rinnovarci l'esempio di Gorgia leontino, il quale asceso nel teatro, e tutti Panegirico a P. Giordani 20 ? gli ateniesi ascoltanti , pronnise ad alta voce esser pronto a ragionare eli qualsivoglia materia. Forse taluno ammirando appunto la sapienza di tante svariate verità , che con faticoso studio ha il Giordani potuto acquistare , si persuaderà che non sappia egualmente gustare il bello. E a costui sarà argomento il leggere di tanti scrittori italiani, i qua- li benché ricchi di moltissime scienze, poco o nulla intesero delle arti belle, quando massimamente nel secolo decimosesto a prenderne non isfuggevole di- letto gì' invitavano, direi meglio li costringeano, le sovrumane bellezze, che in tutte le opere dipinte, scolpite, architettate, si contendeano gli amatori. No- minai gì' italiani; perocché veramente altro pensiero ebbero i greci sapienti , cui sempre furono le arti molto care non solo per quei principi, che alle let- tere le congiungono, ma ancora perchè avvezzandosi l'animo a tante veraci imagini di affetti, conosceva- no esercitarsi nobilmente a sentire , e così poterli nei propri sciitti più spontanei passare. Quella gi-a- zia tenerissima di Euripide, quella gagliardìa di pas- sioni in Platone divino non si può credere che in molta parte non venisse dall'avere conosciuto l'arte del dipingere; e quella profondità di affetti, che nel parlare ed insegnare di Socrate era uno stupore , certo gli nacque nella scuola di scultura, cui sotto i precetti del padre sappiamo avere dedicata la gio- vinezza del suo ingegno. Non istudiò il Giordani nei principii di queste delicatissime arti ; ma col bello attendere, col continuo mirare , col conversare con tanti valenti artefici, ai quali sì gloriata amicizia è gran felicità, ha 8uj)plito a ciò che di scienza arti- 202 Letteratura stica mancavagli, e così ne ha preso quell' intende- re, che bastò a fargU più g^entile 1' animo e auto- revole un giudizio. Perciò, o vogUa parlare di al- cuna opera di architettura, ed eccolo con tanta pre- cisione di Toci, con tanto garbo di modi, con tanta chiarezza di concetti darla ad intendere , che con- duce pure a vedere alquanto in quest'arte, la qua- le non avendo a subietto l' imitazione dei corpi for- mati dalla natura stessa, non permette un buono e chiaro gusto in chi non se ne fece un proprio stu- dio. 0 gli piaccia prendere ad esame sculture e di- pinti, ed egli si palesa sì conoscente, sì penetrante, sì filosofo, che sembra udire chi della propria arte e de' proprii lavori sicuramente ragioni. E poi da considerare con quanto senno e utilità in ogni de- scrizione sa alle artistiche considerazioni introdurre carissimi affetti, che te le rendono subitamente ami^ che, e piegano l'animo a non essere sdegnoso a quel poco che hanno di lor natura men gradito e gu- stabile. E siccome è lecito argomentare da ciò che in alcuno si è conosciuto di grande, già pensa l'Ita- lia quale scena di potenti e variate passioni le si pre- pari nel ragionamento dello spasimo di Sicilia di Raf- faello non ancora pubblicato. Oh di quale tremenda ira avrà vestito le sue parole nel porci sotto gli oc- chi que' sozzi e feroci manigoldi, i quali ai dolori del Nazzareno innocente sono indifferenti o iniqua- mente rabbiosi ! Come tenero gli sarà il rappresen- tare le angustie delle pietose ebree, e della Vergi- ne sventurata, che vedea nel meglio del vivere op- presso , infelicissimo e giudicato a morte , avviarsi al Golgota il tanto amato figliuolo ! Quanto pianto Panegirico a P. Giordani 203 io m'aspetto di dovere spargere, quando egli mi mo- strerà il benedetto Salvatore caduto sotto V infame peso della croce alzare mesto e languido lo sguardo alle dolenti, e quasi dimentico de' propri mali esor- tarle a non piangersi di lui, ma sì di loro e della loro prole ! Vedremo , come addentro sarà passalo nella intenzione del pittore, nella quale egli ci pro- mette di mostrare una scuola della storia e della condizione del popolo giudaico sotto il dominio ro- mano, E non arditamente aspettiamo dal Giordani questi ammaestramenti di filosofia, mentre lo studio di questa gli è stato a cuore più di ogni altra cfosa. E qui ripigliando 1' ammirazione è da stupire che non è valente solo in questa o in quella specie di filosofia, ma tutta col sapere l'abbracci, egli dot- to nelle matematiche , nella fisica , nella chimica , nell'astronomia. Certo è da dolere che altra occa- sione a lui non siasi ofiferta di palesarci tutta la ric- chezza di tale sapienza: a me però basta quell'aureo discorso intorno la vita di Empedocle , dove nella stessa brevità io veggo un ingegno , a cui non è cliiuso alcun vero che a quelle si spetti. Ben si av- vide però come principale sia quella parte, che sta nel considerare il modo del doppio vivere degli uo- mini; e in questa principalmente attese. Quindi lo ascoltate con mirabile chiarezza e sapienza investi- gare, come gli esterni oggetti abbiano sul nostro cor- po efficacia di movimento, e come questo si rimetta all'animo : nel quale poi v' insegna come si generi cresca e in ultimo svanisca la moltiforme turba de- gli affetti. Fin qui veramente molti ragionarono : ma quello, che si spetta al viver civile e al susci- 204 Letteratura tare cittadini utili e sapienti, nessuno con eguale jfi- losofia insegnò. E del viver civile ci ha mostrato amanti i padri nostri, i quali acciocché più conti- nuati ed efficaci dimorassero avanti gli occhi i vari casi della vita , gì' incorporarono negli dei , in cui vollero creata scuola di sociale dottrina. Della qua- le non più grazioso, non più profondo interprete di lui si potea sperare. Leggiamo alquanto quello stu- pendo ragionamento sopra Innocenzo da Imola , di cui tanto si stupì Giulio Perticari, che disse non ce- dere nel Giordani alla erudizione la filosofìa. Si fa egli per prima ad esaminare Giunone, la quale al- tera di sua bellezza altro sposo non volle , che il principe degli iddìi, la superba ; ne mai mancò al marito non fedele , anzi a chi l' amava fu spietata; e bene lo provò il povero Issione punito con ruo- ta di ferro e con serpenti eternali. In questa sco- pre significato il raro costume di quelle maestose avvenenti ^ che del proprio amore e delle proprie bellezze non fanno lieti gli amatori, non per bon- tà di costumi, ma per naturale e non domabile or- goglio. Proserpina gelosamente dalla madre guar- data, e nondimeno nel coglier fiori da Plutone ra- pita, che poi benché fatta sovrana di temute regio- ni ogni cosa avesse prospero e obbediente, dimen- ticò il benefizio, e di Adone s' innamorò, gli dà fi- gurato il caso delle donzellette , le quali povere e timorose , ma incaute perché innocenti , si trovano involontariamente nelle braccia de' ricchi. Ma l'ada- giarle d' ogni delizia e felicità é ai libidinosi inu- tile fatica , che in breve mirano le già timide ora facili e altere darsi ai più gradevoli amori , e cosi Panegirico a P. Giordani 203 delle loro sfrenate voglie e mal locate tenerezze col- gono essi frutto egualmente amaro. Coloro, che quan- tunque desiderate, pure per voglia di più largo pia- cere nei più robusti pongono i loro affetti, dice avere immagine in Venere belissima celeste, la quale . con tanti divini amori avreste mai creduto, che avreb- be prescelto un cacciatore e un soldato ? Talvolta vediamo alcuna donna , che infiammata di nobile ardore per gli studi e arti virili, dispregia, oltre al- la comune natura, non solo le vanissime leggerez- ze, ma ancora i convenienti piaceri, e non si lascia penetrare d' alcuna tenerezza potente; e questo raro esempio il Giordani lo trova in Pallade Minerva, cui più dilettò la sapienza, che la dolcezza di marito e di amante. Diana facendo pubblicamente professione di castissima, e perciò solo di vergini accompagna- ta , e solo nelle selve vivendo, parca veramente a: tutti che di amori non volesse ascoltare; ma che in lei tutto fosse orgoglio di apparire, si conobbe quan- do alia vista del figliuolo d' Ireo non seppe stare , posposto in un momento l'ardito proposito, che al- tre volte ancora nel tempo appresso e più vilmente; mostrò dispregiare. E qui dice aver voluto gli an-; tichi insegnarci una volgare usanza di femmine ,i che si pongono sul viso e sulle parole tanta onestà, e severità da doverle credere una maraviglia di vir-i tu ; ma se le potessimo con verità conoscere, ci tro-' veremmo spettatori di nefande turpitudini. Che se- con tanta diligenza e profondità filosofò il Giordani per mostrarci quanto curassero di un sapiente, e beato vivere quegli antichi ' nostri , e facile a per^ 206 Letteratura suadersi di quale eccellente e nuova dottrina ci debba esser naaestro quando ha rivolto tutto l'ani- mo a considerare quale modo d' istruzione meglio aiuterebbe la giovinezza italiana. La cui ignoranza, confessiamolo pure umilmente , ma liberamente, è turpissima vergogna. E chi al vedere si universale imperizia d' animi da non conoscere se medesimi , da non conoscere altrui , da non aver niente o po- chissimo imparato di scienze e di storie , e da sa- pere con più barbarie che utilità la lingua, non li direbbe o impotenti o svogliati alla sapienza, o cer- to in odio del cielo ? Quando ogni giorno popoli coperti da nebbie e da nevi vengono in Italia no- stra , pare proprio a darne esempio di menti civili e addottrinate ? Eppure che di maestri siamo fatti discepoli , altri che noi stessi non possiamo sgrida- re , e dovremo ancora sgridare sintantoché questi sterilissimi studi non faremo in qualche modo fe- condii E a ciò provvedere il nostro Pietro, allorché parlando delle scoperte letterarie fatte da quell'onore di Europa Angelo Mai cardinale, gli viene luogo di trattare brevemente dell'ordine posto dalla natura nel progresso dell'apprendere umano. Vuole egli dunque, ripeterò una volta le stesse parole del nostro scrittore, che « l'uomo divenuto capace al pensiero cominci dal conoscere le materiali cose , che lo circondano , e hanno potestà di recar bene o male, cioè piacere o dolore, ai suoi sensi: di qui passi a cercare le cagioni di que' naturali effetti che più gli fecero impressio- ne; le quali cagioni sono appunto le attinenze, che hanno ha se le diverse cose, e l' attitudine a con- «' Panegirico a P. Giordani 207 giugnersi tra loro o separarsi, a mutare apparenza od efficacia. Si avanzi poi a conoscere gli uomini, che gli stanno intorno, dai quali tanto maggiori ma- li e beni può ricevere, che dalle altre cose inani- mate, o dai bruti ; e per assicurarsi , che gli uo- mini con finte apparenze non lo ingannino, si pro^ cacci contezza indubitata, studiando se medesimo, e dalla conoscenza di se deduca quella degli uomini in generale. Conosciuti gli uomini della sua patria, brami sapere quanto a costoro siano somiglianti o difformi gli uomini delle terre più e più lontane ; e conosciuti que' del suo tempo, vengagli desiderio di certificarsi se nell'età passate furono per avven-^ tura meno deboli e tristi e infelici che nella no- stra. Così l'umano intendimento dalle prime cogni-» zioni della storia naturale osservata nella suppellet- tile famigliare , negli animali domestici , nell' orto di casa, nelle officine della sua contrada, e in qua- lunque altro cotidiano oggetto del vedere e del toc^ care, s'inoltra profittevolmente alla chimica e alla fi- sica; e per avere ognora a sua disposizione le imma- gini degli oggetti , si aiuta col disegno ; e per in- tendere le ragioni della fisica ricorre come ad in- terprete alla matematica : poi nella storia moderna sente il bisogno e 1' uso della geografia : poi fatto curioso della storia di que' tempi , che non parla- vano come oggi si parla , quasi gittandosi ad una lunga e faticosa navigazione tenta risalire a quelle rimote e fortunate lingue, nelle quali poi conver-^ sare dimesticamente con Livio e Tacito , con Ero- doto e Tucidide e Senofonte. E approda felicemente, perchè già si trova in forza a quel viaggio , e le "208 Letteratura forze gii ha somministrate il sentire internamente l'utilità e il bisogno di quella fatica : e già è ricco di quel capitale d' idee, che si traffica nell'acquisto nuovo d'una lingua; il qual capitale a chi manca, colui va alla fiera senza mercatauzìa e senza da- naro » . Questa è filosofia, o romani, questo è cer- care il vero e il buono ; ma non quel vero , non qviel buono, che ritrovato non è d' alcun utile, ma che giova in gran modo i teneri ingegni. Qual sor- ta , qual felicità di cittadini non avremmo , se con ordine sì bene inteso crescessero alla sapienza! E qui volentieri ripiglierei il dolermi, se più di quel- lo che mi è stato necessario mi stendessi col pen- siero al cammino infórme de' nostri studi; meglio perciò sarà, che si continui l'ammirazione nel con- siderare i concetti savissimi del Giordani. Al quale non bastando avere insegnato come meno infelice ci sarà la vita, se ci sia presente ciò che fu delle passate età, ci lascia scorgere un suo nuovissimo proponimento di ammaestrarci niente- meno che in tutta la storia del pensare italiano : e con qual maniera ? Egli considera la lingua come uno specchio, nel quale cadano i concetti da tutti gli animi di una nazione, da cui poi i pensieri di tutti si riflettano in ognuno; quindi intende di aprir- ci qual fosse il vario pensare delle generazioni tra- scorse d' Italia sulle vestigio impresse nel mutare del linguaggio, in cui i vocaboli e le frasi , o in- trodotte nuovamente o cambiate , ne certificano il mutamento degli animi. Siccome però di questa lun- ghissima fatica troppo fastidio sarebbe nato negli studiosi, che tutta la vita delle parole acrebbero do- Panegirico a P. Giordani 209 vuto seguitare, quindi in vece di esaminare parti- tamente i vocaboli dice voler dare un paragone dei secoli italiani tratto dalle materie differenti , nelle quali si affaticarono gì' ingegni , e dal variato stile che negli scritti di ciascuna età si ravvisa. Né mi- nore è il senno e la dottrina, di che volea vestire una sua opera del perfetto scrittore italiano, che all'ami- co Gino Capponi ha in una lettera descritta. E in quanto dispiacere venne ognuno quando si conob- be, che mai non avremmo veduto da lui colorito queir eccellente ed utile disegno 1 Né é senza una grande maraviglia ogni qualvolta si legge, che di questa opera si rimase , impaurito di non potere adoperare un conveniente stile. Io credo non po- tersi dare maggior segno di vera e sentita mode- stia, né più bello esempio allato a tante arroganze d' ingegni. Perrocchè se si potesse scorrere colla memoria V infinito numero degl' insigni scrittori , quasi in ciascuno ci si mostrerebbe una perdonabi- le sì , ma non per questo meno certa presunzione. Alcuni de' quali furono abilissimi nella prosa ; ma vollero di se fare più larga prova, e scrissero ver- si, che neppure l'ottenuta fama valse a riparare dal- le risa e dal disprezzo. Ciò ancora più si manifesta nei poeti ; poiché altri vediamo , che molto dalla natura disposti a cantare nobilmente le gloriose ge- ste e virtù, si rivolsero agli amorosi affetti , e non trovarono un animo che a' loro versi impietosisse. Molti per contrario, graziosi e teneri negli amori, si vollero sollevare ad alti subietti , che trattarono assai poveramente. A taluni soprabbondò il genio comico , ma ingrati o indiscreti composero trage- G.A.T.CXIII. 14 210 Letteratura die, che prima di essi morirono: parimenti chi nel- le tragiche scene avea vittoriosamente fatto fremere tutta una nazione , datosi ad altra parte di poesìa non fu neppure ascoltato. E queste infruttuose prove di sonimi ingegni passerebbero dirittamente inosser- "vate, se non ci dicesse la storia della loro vita, che r onore di questi inaltalentati scritti come quello delle migliori opere gelosamente guardavano. Il Gior* dani , che per opinione di tutti e per le sue stesse prove ad ogni genere di prosa in mirabil modo è acconcio, tanto teme delle proprie forze ! Nel qual fatto non cosi vedesi una bella umiltà, che più non si conosca la grande sapienza, di cui è proprio spau-» rire di tuttociò che dee sottoporre al giudizio degli uomini; di che si potrebbe manifestare la ragione, se egli medesimo non l'avesse già fatto, quando di- ceva della modestia del Canova, ignaro che allora ai fabbricava per se stesso le lodi. Come poi grande diletto ha ricevuto dalla con- templazione delle arti belle , le quali insieme allo studio delle lettere gli hanno addolcito un poco il "vivere non lieto veramente, così per questo bene- fìzio ha voluto loro rispondere stupende ed effica- cissime considerazioni. Conciossiachè egli con una molto acconcia comparazione ha rappresentato agli artisti il naturale corso delle loro arti, mostrandone e come nascano, e come sul principio solo al de- siderato fine si avviino, e come nell'appressarvisi si disviino falsamente. Per lui le arti sono fiumi reali, che per trovarsi un cammino, benché angusto e di- suguale attraverso i monti donde poveri si muo- vono, hanno a vincere molte difficoltà; però appe^ Panegirico a P. Giordani 2H na liberatisi di quelle strettezze , prendono una via più larga e più lungamente dritta già di altre acque ingrossati; ma poi , quasi dispiacendo tanta unione di correnti, a vari paesi si dividono. Dopo ciò ogni ramo spazia con una stanca lentezza, e mutato in- dole , acquista un diverso nome ; e se per felice caso non intervenga, che in alcun luogo si rincon- trino , perdendo nome e corso si termineranno in sabbie o in paludi. Così dice essere stato della pit- tura e scultura , che per più età di artisti cammi- narono con decoro e sapienza come famiglia una- nime a che sia fine una medesima altezza: ne ve- demmo poi nascere varie schiere , che dalle varie terre presero nome, sotto il quale stavano alcune particolari virtù dell'arte e alcuni particolari eccessi o difetti di bontà. Poiché, prosegue a dire, per assai tempo procedono le arti al loro fine giustamente ri- volte, in che sta ogni loro perfezione; e la perfezione si fa dalla buona unione di molte parti, che né tutte insieme, né per egual modo si possono ottenere, ma pianamente, e cresce ognuna e alle altre si va ac- compagnando. Siccome poi uno è il fine delle arti, che é la natura, il quale non più di una via riceve per aggiungervi, perciò i primi loro passi sono uni- formi. Allorché però nel lungo procedere si siano sollevate verso la bramata altezza, comincia la va- rietà degli artisti e de' paesi, così che 1' artista sco- randosi di poter ottenere ogni parte al bello neces- saria, e atterrito dall'aspra e lunga fatica, si persuade che non avrà minor fama, se in alcuna parte si se- gnalasse, alla quale si sente per vario caso inchinato, e che conosce accetta al gusto del secolo o de' suoi 212 Letteratura paesani. E secondochè si persuade, in questa pone specialissimo studio, quasi ogni altra dimenticando. Perciò si allontanano molti dal buono e ben fatto cammino, e incominciano sette o accademie, che sempre piegano al peggio. Aggiunge do\ersi ancora pensare a quel piacere, che nell'animo degli uomini suol venire dalla novità; e novità procaccia l'artistico progresso. Di qui è, che allorquando si fermano di crescere gli artisti, rimane per novità il variare; e ter- minato il salire, non è varietà, se non nel calare. Al» lora si comincia a dilettarsi negli eccessi o difetti delle pregevoli qualità, come di cosa nuova, che tanto col- l'andar del tempo peggiorano da venire aperte de- formità; quantunque loro per amor di novità si fac- cia ancora buon viso. Per tal modo si dirama l'arte in più famiglie, ciascuna di qualche virtù o vizio singolare, e per ambiziosa emulazione di quelle an- cor più si rovina; e in breve mutato il suo viaggio addietro corre, e invece del naturale si dà a rap- presentarne ciò che più gli contrasta. Perocché figu- rati per più età gli oggetti come da natura ci si mo- strano, quasi di questa imitazione fastidita l'arte s'in- voglia di offrirci una non tanto comune natura, e studia a dare il più gradito e potente: siccome poi un ardito passo da un altro sempre è seguitato, pro- cede a travolgere la natura, ed esprime alcuni concet- ti, che in essa non trovano immagine, ma che o dalla fantasia dell'artista, o dal piacere del popolo pren- dono autorità. E così, cacciato il vero e il bello, si abbracciano le deformità, delle quali l'arte mai non sarà staccata, se ciò non faccia o la virtù del vero o altre nuove stranezze. Perciò quando sia giunta a Panegirico a R Giordani 213 sì misera desolazione, bisogna per sollevamela crea- re una scuola, che tolga i vizi e componga le virtù di ciascuna, e la restituisca di quei principii, da cui ebbe potenza di crescere. Che ne dite, o romani? Non è questa una profondissima e utile investiga- zione del vero? Non è questa una scuola di sapienza nuova? Quali insegnamenti agli artisti! Che se gli avranno sempre innanzi all'animo non sarà mai che traviino, o traviati involontariamente, subito cono- sceranno il come ritornare ammaestrati con tanta chiarezza e persuasione, che non si trova la uguale nei moltissimi, che trattarono interamente dello sca- dimento delle arti» Né tutta questa fecondissima e variata filosofìa, che abbiamo benché lievemente veduto nelle opere del Giordani , ci moverebbe a dover tanto ammi- rarla, se la trovassimo in uno scrittore privo, o pò vero di sensitività e d' immaginativa; poiché allora ci compiaceremmo non di esempio rarissimo, ma di più volte avuto. Ci verrebbe alla memoria come nel secolo decimosesto fu gran sapiente Nicolò Machia- velli, nel quale fu desiderato più colorito lo stile: ci si mostrerebbero nel secolo appresso Galileo e Pao- lo Sarpi singolari filosofi (1) , ma scrittori di niuna fantasìa: vedremmo nel raillesettecento Pietro Gian- none storico languidissimo , cui però pochi fufono pari in dottrina. Lo stesso poi si ricava dalla storia delle nazioni , nelle quali i profondi studi mai non si sono veduti accompagnati ad opere di bella fan- (1) L'autore intende di parlare in genere del Sarpi, riprovando quanto gli dettò la sua bile contro la chiesa cattolica. 214 Letteratura tasìa. Si narra che i fcDici , molto valessero in filo- sofia, e molto cedessero agli altri popoli nella vi- vezza del pensiero. L' astronomia , e ancor più la geometrìa, dall' Egitto si ripete, dove queste scien- ze furono con grande amore ricercate 5 ma se in quelle contrade si parlò mai , o si scrisse con fer-^ vido linguaggio, non furono cerio gli egizi , bensì i greci, che senza numero là trassero sotto il regno de' Toloraei. Nel tempo presente poi chi spera scrit- tori di bellissima immaginazione dai popoli del Da- nubio e del Reno ? certo nessuno ; però con assai gloria attendono alle acute considerazioni. E altro per verità non può essere, se si faccia ragione sul diverso e contrario modo, con cui suole operare la umana fantasìa , dalla quale v'ene lo stile vivo e pittorico, e la considerazione che a ritrovare la chiu- se verità è necessaria. Perocché la sensazione, don- de poi muove la fantasìa, è quella operazione del- lo spirito diretta e naturale che si stende sopra gli oggetti esterni, e che per mezzo delle modificazioni innestate dalla propria natura ne accoglie le im- magini; così che, a dire graziosamente con Mario Pagano, la imaginativa è una qualità dell'animo al corpo attaccata. Ma il serio considerare è un fatto dell' animo retrogrado e in se stesso operante , il quale sente le sensazioni , i propri movimenti esa- mina, e sui propri concetti lavora, per niente slan- ciandosi al di fuori. Pertanto esercitandosi esse in sì contrari modi , è bisogno che 1' una molto so- verchi l'altra: se già non si dia alcun animo tanto dalla natura privilegiato, che a questo vivere diver- so sia sufficiente con non vincibile eguaglianza di Panegirico a P. giordani 215 forze. Maraviglia è dunque, che la mente del Gior- dani con tale profondità abbia ricercato il vero e il buono , mentre potentissimo e vivacissimo gli ab- biamo veduto il linguaggio; maraviglia, dico, poi- ché in tale unione bella e cara appena uno o due scrittori gli si possono trovare in Italia compagni. Così conosciamo perchè tanto abbiano amato la sua amicizia i più sapienti, che con lui sortiro- no una medesima età ; cosi vediamo perchè tanto di lui vada presa la italiana nazione, sino a diman- darlo alcuna città della sua presenza; Così ci appa- risce come con debito onore se lo siano fatto par- te illustri accademie, tra le quali è specialmente dà ricordare la fiorentina della crusca^ che don nobile e degna affezione d'animo volendo entrare, anzi se- gnalarsi nella universale gara, lo volle a se. E nep- pure a questo si quietò ; ma invidiabilmente e lo- devolmente indiscreta chiese al Giordani di essere quasi pagata del conceduto luogo con qualche la- voro di lingua , e con la vita di Vincenzo Monti. Sebbene per moltiplicar che si facesse verso lui in segni di riconoscenza e ammirazione mai non si po- trebbero far pari gli obblighi, che gli abbiamo. Che a lui certo in principal modo si dee, se da una ric- ca, e antica , e gloriosa eredità di lettere non è la maggior parte d' Italia cacciata fuori. Egli è stato quel coraggioso e amante cittadino, che seguito da pochi altri magnanimi si è fatto e si fa contro ad una larghissima guerra letteraria, che vorrebbe but- tare a terra le immagini di mille scrittori per tante età venerati, renderci perduti tanti secoli di fatica, scioglierci da leggi con ogni sapienza create , per 216 Letteratura sottometterci a stranissime regole nate da que' po- poli, che ci spensero una volta ogni civiltà e dot- trina. E per lui se molti furiosi seguaci di questa setta vanno di giorno in giorno accostandosi coll'a- nimo e cogli scritti alla più buona parte di lette- ratura. Perocché non altrimenti che sogliono ado- perare i medici, i quali se dall' infermo alcuna ama- ra medicina si ricusi, a questa lo piegano, e molta contrarietà gli tolgono col consentirgli nello stesso tempo qualche grato e innocente sapore; così mol- to ha riunito il Giordani nelle sue opere , di che mostrano questi nemici avere grandissima voglia ; ma r ha riunito in modo, che col concedere, ogni cosa ha acquistato, niente perduto. Si grida in con- trario non essere d' uomo mettersi sulle orme dei passali scrittori , e niente avere di proprio ; e il Giordani si è composto uno stile da alcuno né imi- tato, né imitabile ; ma con questo stile ha provato loro , ciò potersi ottenere senza bassezza. Non vo- gliono costoro, che nell' animo dello scrittore si ri- ceva un pensiero già da altri e in altri tempi rice- vuto; e in lui hanno mirato novità di concetti, ma lontana dalla loro stranezza. Di sapienza, e non di parole si professano amatori; e veggono nel Gior- dani ogni insegnamento, ogni giudizio da profon- dissima filosofìa adornato; filosofia però non tiran- na, perchè non priva del debito luogo la eleganza. Si spaventano a qualunque scrittura sia dettata con la lingua dell' Alighieri, del Boccaccio, del Petrar- CB : e quella di Pietro è tutta di comune intelletto: ma se vi attendi , vi scuopri tutta la virtù e pu- rità del trecento ; e cosi ha tolto quello , che più Panegirico a P. Giordani 21T li ofFendea, e ha lasciato ciò che ciascuno non può far che non brami. Non è però, che non abbia egli di ciò riportato , e non riporti ogni giorno solenne premio, anzi unico : poiché quegli stessi, che o gua- sti della mente o per desiderio di una facile fama ( che già non si curano presso cui siano in fama ) seguitano e difendono le nuovissime dottrine , non ardiscono mettere di lui parola: e poiché amare noi possono, in singoiar modo lo temono. Debito nostro era dunque ammirarti , o gran- de Giordani , e ringraziarti il meglio che possiamo per questa povera Italia, per cui tanto sudasti e di- spregiasti per fino le più care letizie del vivere, e prometterti che questi sentimenti di riconoscenza e lode universale si continueranno immutabili nelle età future. Io poi certo mi lamento alla fortuna , per- chè non mi abbia voluto concedere tanto d' inge- gno e di studi da potermi fare giusta la speran- za, che le mie parole s' inoltrino nella posterità : mi duole di non poterle dimostrare, che altissimo af- fetto e riverenza io porti a questo Pietro Giordani. Ma forse non sarà superbia il credere, che alcuno più savio e valente prenda da me occasione e ani- mo di manifestare durabilmente agli avvenire, che grandissimo fu questo italiano, e che la età nostra seppe conoscerlo e liberamente ammirarlo. Filippo Cicconetti 218 Sulla grotta di Collepardo e suoi contorni. Lettere dell'abate Domenico Santucci^ LETTERA IV. Certosa di TrisuUi V i è ben tìoto come poco lungi di qua, net me^-' 20 delle selve e de' balzi , si va per un camfmino pittoresco alla Certosa di Trisulti posta nel territorio di Collepardo. Alcuni della comitiva vi hanno già fatto il loro pellegrinaggio; anzi uno fra essi, che sa molto bene di prospettive, ne ha tratti due di- Segni , che possono dare un' ideéÈ del fabbricato e della sua posizione- Quindi sono andato ancor io a rinchiudermi alcuni giorni in quell'eremo per saper- ne almeno tanto da soddisfare in qualche modo la mia e la vostra curiosità. Il fabbricato è assai vasto e da ogni lato ricitì- to di mura. Messo il pie nella porta, si scende per una larga cordonata, che fa vedere a sinistra da un cancello di ferro un grazioso orto botanico ricco di fiori e di piante aromatiche, nel cui mezzo signo- reggia una vaga spezieriuola fornita quanto altra mai d' ogni maniera di eccellenti medicinali. Chi crederebbe di trovar fra i certosini un discepolo di Hahnemann? Pur tuttavia lo speziale ( converso del- Grotta di Collepardo 219 l'ordine ) mostrommi la sua scansìa omìopatica ; e ( quel che è più ) i grossi volumi deU'Hahnemann con altre opere appartenenti al ramo della medici- na infinitesimale. Amico mio! come con tutta la me- tafisica trascendentale d' oggidì, certi arcani riman- gono tuttavia impenetrabili all'umano intendimento^ sicché non possiamo dire di saperne più degli an- tichi; così coir aver riempiuto le spezierie di tanti novelli ritrovati non si vive né più, né meglio del tempo andato. Anzi, a voler dire il vero, veggiamo i ritratti di certi bei vecchi vissuti qualche secolo indietro, de' quali si è perduto per poco la stampa. Terminata questa piccola discesa , si trova iti Im ripiano la foresterìa comune ; quindi la piazza della chiesa, che ha di prospetto la foresterìa no- bile con altri bei fabbricati dintorno. Vaga oltrerao- do è la chiesa meno pel gusto d' architettura , clie per r adornamento di scellissiini marmi e per la ricchezza delle sacre suppellettili : nel che i monaci di questa Certosa hanno potuto profondere somme immense, come quelli che amano Io splendore del culto e posseggono fondi da riuscire a qualsivoglia nobile impresa. Si presenta al primo ingresso del tempio un grazioso oratorio con molti sedili din- torno, e due vaghi altari di prospetto, ai lati d' una seconda porta che mette ad altro oratorio più va- tso, dove ufiiciano i monaci; mentre questo primo è destinato pe' conversi, ai quali non é lecito var- care questa seconda soglia e farsi innanzi nel coro de' monaci , quando essi officiano. Un tal divieto vien fatto altresì a' secolari, e leggesi in una per- gamena affissa là dove è il passaggio dall' un coro 220 Letteratura all'altro. Giusto provvedimento! affinchè anime tut-» te raccolte in Dio trovino in chiesa un raccoglimen-» to almeno eguale a quello che godono nelle solita- rie lor celle. Dal tempo de' divini uffici in fuori , ognuno è libero di entrarvi a suo talento. Nel coro de' conversi si ammira dall' un lato dipinta in gran tela la strage de' certosini avvenuta in Inghilterra sot- to il regno di Enrico Vili, e dall' altro il martirio de' Maccabei ordinato da Antioco. Ancora sulla por- ta d' ingresso è un quadro assai grande rappresen- tante il sommo pontefice Innocenzo III, che condu- ce fra le gole di questi alpestri monti i figli eJi san Brunone al possesso della nuova Certosa. Dura dun- que questa Certosa fin dal secolo di Dante, cioè so- no più di seicento anni passati dalla sua fondazione. Chi può dire in si lungo tratto di tempo quanti ve- nerandi monaci abbiano santificato quest'eremo cofif una vita, di cui il mondo appena può concepire l'i- dea, passata nell' esercizio costante delle più grandi e luminose virtù l Ma qui potreste muovermi un dubbio : » Perchè mai un ordine così antico, e dei pochi che non abbiano avuto bisogno di riforma, il quale ne' migliori tempi contava fino a cento set- tantadue Certose, non ha poi dato che uno scarsis- simo numero di santi? » Non è la prima volta che si propone una tal questione. Scrisse un trattato in- torno a ciò il Ferrari dell' ordine certosino , a cui rispose monsignor Sarnelli con ben ragionata lette- ra, facendo considerare come a procedere nelle ca- nonizzazioni , oltre al grado eroico delle virtù , sia richiesto altresì lo splendore de' miracoli , i quali d'ordinario non sogliono avvenire per intercessione Grotta di Collepardo 221 di cotesti santi anacoreti, forse perchè il movimen- to del popolo e la frequenza de'concorrenti verreb- be ad alterare non poco l'alta quiete che deve re- gnare nelle Certose, In conferma di ciò riferisce sant'Antonio arcivescovo di Firenze nella sua storia ecclesiastica, che nel 1175 alla tomba d'un monaco certosino si operavano tanti e tali prodigi , che il concorso ogni dì più crescente del popolo omai to- glieva a' monaci l'usato raccoglimento: onde il prio- re, recatosi al sepolcro del santo monaco , coman- dogli in virtù di santa obbedienza di rimanersi dal far più miracoli : ed egli ubbidientissimo che fu sempre in vita , non fu meno dopo morte, avendo cessato da quell'ora di operarne mai più. Tornando alla piazza adorna di fontane peren- ni , fiancheggiata da begli edifizi , signoreggia fra essi la foresterìa nobile, che può ben accogliere qua- lunque più alto personaggio : tanta è la schietta ele- ganza che risplende in tutte le sue parti. Più in là è la dispensa , gran fabbricato , dove tengonsi in serbo le provviste d'ogni specie pel mantenimento sì del monastero e de' tanti contadini addetti al suo servizio, e sì de' forestieri che vi giungono tuttodì da ogni parte, e possono rimaner quivi tre giorni, accolti in benigna e gratuita ospitalità. Quindi si trova il chiostro maggiore, ampio spazio riquadrato cinto tutto intorno da portici, sotto i quali si schie- rano le porticene che mettono agli appartamenti monastici. Sotto il porticato a fianco di ciascuna porta si vede un finestrino rettangolare, dove i mo- naci alle ore stabilite ricevono le loro vivande sen- za. vedere la mano che le appresta. Ogni apparta- 222 Letteratura mento ha il meno cinque o sei camere : una col cammino , che serve anco per mangiare , un' altra per dormire, una piccola gallerìa, un gabinetto per lo studio, una soffitta, alcune guardarobe, il sotto^ posto giardinetto ed un'adorna cappelle ita. Oh que- ste care cappellette come invitano al raccoglimento, alla preghiera , e come inteneriscono il cuore ! La divina madre dall' altare , in celeste sorriso rivolta al suo divoto che la prega, par che goda di trat- tenersi con lui e di parlargli parole d' amore come fa cogli angeli in paradiso. Qui genuflesso si desta neir anima una voglia di piangere e di rimaner goletto con questa dolcissima madre e col suo bel- lissimo figlio ; e dopo di aver nelle sue mani rac- comandato il proprio spirito, passar di questa vita pel regno della pace. Si concede a' monaci per un cotal sollievo di tener ne' loro appartamenti tutto ciò che loro pia- ce ne' limiti della monastica moderazione : così se amano, per esempio, d'aver un bel quadro, un va- so etrusco , di bei libri , qualche vago augelletto , istromenti da lavoro, ed altre sì fatte cose, ognu- no può secondare in que. to la propria voglia. Quin- di l'un appartamento non rassomiglia all'altro, tran- ne la camera da letto , dove il monaco prende i suoi brevi riposi vestendo bianca tonacella, cilizio, lombario (1), staffette (2) e piccola cocolla, adagia- lo sopra il solo paglione colle lenzuola non di lino, ma di lana, e con coperta di ruvido panno. (1) Corda onde cingono i reni. (2) Calze senza peduli. Grotta di Collepàrdo 223 Bellissima e in ampio giro si stende la supe- rior galleria, che per poco fa dimenticare di tro- varsi più tra le balze di questi alpestri monti ; e chiunque gira per essa, meglio crederebbe spaziar- si per entro qualche gran palazzo o pubblico ed!-» ficio d' una capitale. Le pareti di qua e di là sono adorne di bellissime incisioni. Avvi san Brunone , quando, presenti molti altri cavalieri e baroni, ve- de in una chiesa di Parigi in mezzo a' funerali le-? varsi dalla bara per tre giorni consecutivi il guo amico Raimondo Diocre, dottore parigino, il quale alle parole di Giobbe : Responde mihi : con tremen- da voce asserì d' essere irreparabilmente perduto Avvenimento, di cui trattano egregiamente i Bollan- disti, e da cui ebbe origine l'ordine certosino cosi ferace d'uomini santi; dappoiché Brunone , volte le spalle al mondo, si ricovrò in ermi luoghi e mon- tani per ivi cominciare un tenore di vita tutta ce- leste. Seguono poi altre stampe ad intaglio e lito- grafie rappresentanti le principali geste del santo fondatore. In altro luogo sono da ammirare in lun- go ordine schierati i quadri della gallerìa militare, e quelli eziandio degli uomini illustri , con batta- glie, cacce, e cose tali. Sicché qui é da passeggiare ed insieme da far paga la curiosità; soprattutto in vedere tanti uomini grandi in lettere e in armi, dei quali diletta pure il conoscere almeno le fisonomie. Nasce poco lungi dalla Certosa yn' abbondante vena d' acqua , che scaturisce dal vivo scoglio , la cui piena discorre limpidissima e diramasi per di- versi canali in tutte le parti del monastero. Chi re- casi a vedere questa chiara sorgente, scorge altresì 224 Letteraturì. in alto al fianco di nuda rupe una celletta ridotta, ridotta ora a piccolissima chiesuola per le nuove costruzioni agjriuntevi novellamente da' monaci, do- ve narrano che vivesse quel santo eremita veduto andare in estasi da Innocenzo III , che allo stesso sommo pontefice avendo svelato alte cose ed arca- ne, die pur anco occasione di pensare a fondar qui una Certosa. Più in là s' incontra la chiesa dedicata a san Domenico Sorano con entrovi un masso smi- surato, che dispiccatosi pochi anni sono dal sommo ciglione dell' altissimo monte che sovrasta alla Cer- tosa, forando il tetto, venne a piombare sul pavi- mento di questa chiesa È maraviglioso come nella furiosa caduta non abbia atterrato tutto V edificio. Ma osservando bene la cima onde si mosse , non cade dubbio che abbia fatto diversi salti, perdendo così sempre più di velocità, fioche si profondò con terribile strepito dentro questo tempio. Rimane per altro tuttavìa inconcepibile come un masso di sì fat- te dimensioni abbia potuto sbalzar di traverso a gui- sa d'un corpo elastico per arrivare al luogo, dove presentemente sta. Resterebbe da ultimo a toccar qualche cosa in- torno la vita de' certosini. Qui per altro l'argomen- to s'allarga troppo più che non conviene a' limiti d' una lettera fattasi già soverchiamente lunga. Non* dimeno a non tornar altra volta sul medesimo sog- getto , m' ingegnerò di stringermi il più che sarà possibile alle sole ^.use notabili. Le Certose tutte dipendono da quella di Gre- noble detta la maggior Certosa, dove risiede il ge- nerale dell' ordine. Ciascuna di esse ha il suo prio- Grotta di Collepardo 225 ve, che non si cambia e può trascejj^liersi da qua- lunque casa, sì veramente che in hii si riunisca ol- tre alla metà de' voli. I certosini itahani , tuttoché osservino le medesime regole di quelli di Grenoble ( tranne piccole varietà ), diiììcilraeute possono reg- gere a' rigori di quel clima e adattarsi alla qualità de' cibi che là si usano. La collezione degli statuti dell' ordine certosino è desunta dalle consuetudini di Guigone, antico mo- naco dello stesso ordine , aggiuntevi le ordinazioni de' capitoli generali, ed altri statuti e regolamenti ■emanati dalla gran Certo.sa. Non parlerò né dell'ele- zione del priore e de' suoi uffici, né del vicario che ne fa le veci ed è la seconda persona della casa, né del procuratore che amministra tutti i Ijeni della Certosa. Vuoisi però notare che il procuratore, co- munque abbia giurisdizione sull'economìa, non per questo ha presso di se la cassa dell' erario, che chia- mano arcani comnmnem , e che s' apre per tre di- verse chiavi, l'una presso del priore, e le altre due in mano di due monaci designati dal priore me- desimo , detti clavarii. Non possono i priori esser esecutori testamentari, né ambasciatori : uffici con- trari alla semplicità dell' òrdtne : né i monaci o pre- dicare , o ascoltar le confessioni de' secolari senza licenza del priore : delle donne però non mai. Si accusano pubblicamente in capitolo delle col- pe commesse nel divino ufficio, degli statuti e del- le cerimonie Hial osservate, dell' infrazione del silen- zio , dell' uscir di cella senza grave motivo , della tardanza nel venire in chiesa e d' altri mancamen- ti. Per r infrazione del silenzio son tenuti a rice- G.A.T.GXUI. 15 226 Letteratura vere dal presidente la disciplina colle verghe, se pu- re non venga loro commutata. Non si creda per al- tro di vedere il presidente sbracciato a percuotere questi poveri monaci senza pietà. Dà soltanto alcuni colpi discreti sulle spalle, i quali servono piuttosto per umiliazione, che per far male. Il pranzo de' monaci nelle Certose d' Italia è stabilito a un' ora circa , e in quelle di Francia a due ore innanzi il mezzo-giorno ; il riposo dopo compieta, cioè verso il tramontare del sole; e la le- vata «n poco prima della mezza-notte. Sicché l'ora del desinare per essi corrisponde a quella della le- vata di molti : quando altri incominciano il pranzo, ed essi vanno al riposo; e si levano per lodare Iddio in quella che altri sta al teatro o alla veglia. Alquanto prima della mezza-notte il sagrista , svegliato innanzi l' eccitatore che per le celle deve destare i monaci , suona mattutino la prima volta per quanto tempo è necessario alla recita de' primi quattro salmi penitenziali. Tra il primo segno e il secondo passa quasi un'ora : nel qual tempo i mo- naci recitano nelle lor cappelle l'ufficio della B. V. e fanno altri spirituali esercizi. Al secondo suono , che dura un Ave-maria^ si muDVO^no dalle lor oelle verso la chiesa, piocurando di trovarsi in essa pri- ma del t-erzo segno. Quivi cantano il mattutino tut- to in piedi , soltanto un poco appoggiati a' loro scanni, se il giorno è solenne : e seduti, durante il salmeggiamento del primo e del secondo notturno, ne' giorni feriali. Potete ben immaginare in questi passaggi pel gran chiostro nelle notti invernali co- me la brezza acutamente li pen«tri e come spesso Grotta di Collepardo 227 veggano al chiarore della più limpida luna bian- cheggiar tutta l'area per la fioccata neve. La quale se s'incontra che agitata dal vento venga a gittarsi nel porticato, allora i poverini nell' uscir delle celle debbono camminar su quel nevaio , e quasi affon- darvi dentro : onde, per innalzar che faccian le to- nache, ne riportano sempre grande umidità, che si tengono poi addosso durante tutto il mattutino. Siccome nelle constituzioni si avverte, che 60- ni monachi o[fmum est magis piangere^ quam can- tare; quindi mettono, cantando, un suono cos\ fle- bile che molto si avvicina al pianto. Nelle feste tut- to si canta in chiesa, dalla compieta in fuori : ne- gli altri giorni soltanto il mattutino , la messa e il vespro. Il resto dell'ufficio divino, come quello del- la Madonna , si recita da ciascun monaco nel suo piccolo oratorio, allorché se ne danno i segni dal sagrista , che suona la campana per lo spazio di tutto intero il miserere. Compiuto il mattutino, che suol durare circa tre ore, tornano in camera pro- seguendo fra gli amici silenzi della notte l' ufficio della divina madre. La regola prescrive che, a ces- sare il danno delle lunghe veglie , torni ogni mo- naco a prendere altro breve riposo. Possono peral- tro levarsi un' ora prima , o ritardare d' vin' ora il riposo a motivo di studio. Il maraviglioso de' certosini consiste principal- mente nella distribuzione del tempo , di cui non trascorre per essi la più piccola parte inutilmente. Non occorre che io vi conduca appresso al monaco semprechè egli va in chiesa ad ufficiare, o in capi- tolo, o si riduce tutto soletto nell'oratorio alla me- 228 Letteratura dilazione, alla lettura spirituale, o ad altri divoti eser- cizi. Piuttosto mi tratterrò un poco narrandovi al- cune altre particolarità dell' istituto. È da por mente al modo particolare e assai difficile, con cui essi fanno l'adorazione in coro al- la messa solenne. Dall' elevazione tino al cenno del diacono, si stanno a terra prosternati con tutta la persona che piegano un colai poco, altri sul destro fianco, ed altri sul sinistro, in guisa da trovarsi lut- ti volti all' altare , tenendo nel medesimo tempo le mani cancellate sul petto e i bianchi cappucci ab- bassati su i volti. Spettacolo di tenerezza e di divo- zione, che mostra in qualche modo il sentimento che dee avere la creatura della sua indegnità e del suo nulla innanzi a si augusti misteri ! Oltre ai tre voti comuni a tutti quanti gli or- dini monastici, promettono altresì solennemente sta- bilità nella dimora e conversione de' costumi. Si confessano quasi ogni di innanzi le messe private prostesi sulle forme e a capo nudo. Il con- fessore e il penitente stanno ambedue in ginocchio; ma in quella che riceve l'assoluzione si prosterna il penitente con tutta la persona sulla terra. E chiaro che il confessore si trova in una condizione più du- ra del penitente, perchè questi, terminata l'accusa, Tassene con Dio senza più , ma egli si rimane cosi ginocchioni a confessar tutti gli altri che vengono appresso. I monaci non portano barba, anzi nemmeno ca- pelli, perchè si radono tutto il capo con rasoi due volte il mese. Lasciano solo la corona, che consiste io un giro di ciocchette tutto intorno alla maggior Grotta di Collepardo 229 circonferenza della testa. I conversi peraltro lasciati crescere le barbe neglette; ed, ove in esse apparisca qualche studio o coltura, tota barba privcntiir: così 10 statuto. Non fa bisogno che io dica ciò che tutti san- no, cioè conae i certosini mangino costantenaente di magro, e non gustino giammai carne, neppure nel- le gravi malattie; e come in esse non si giovino di medicine, che assai di rado e solo con espressa li- cenza de' superiori. Tuttavia frequenti sono fra' cer- tosini i casi di longevità e rade le malattie. Si con- ta a questo proposito vui fatto assai curioso avve- nuto allorché i papi tenevano la sede in Avignone. 11 priore della Certosa di Parigi seppe che il santo padre inchinava molto a rimettere alquanto della antica austerità dell'ordine intorno l'assistenza dalle carni, e che fosse venuto in pensiero di ordinare a questi monaci il cibarsene almeno nelle gravi infer- mità. Palesato loro il sentimento del papa, ne sen- tirono tutti grande amarezza , afflitti che con que- sta concessione venissero ad alterarsi le antiche co- stumanze dell' ordine. Dall' altro canto non voleano opporsi direttamente al volere del pontefice, mosso a ciò da particolar benevolenza verso di essi , te- mendo non forse tanto rigore avesse a recar danno alla lor sanità. Sospesi intorno a ciò che si dovesse fare, altro miglior modo , avendone discorsi molti , non sovvenne loro , che d' inviare una deputazione affine di pregare umilmente sua santità a voler ri- trarsi da sì fatto consiglio. La deputazione si com- poneva di ventisette monaci, il più fresco de' quali avea ottant'anni, mentre alcuni giungevano a no- 230 Letteraturi vantatre ed altri a novantacinque. Non sì tosto si furono presentati al papa questi venerandi cenobiti, che la stessa loro età parlò in favore dell'astinenza dalle carni ; sicché il pontefice, persuasissimo del niun danno che sentivano da tal privazione, condi- scese di buon grado alla preghiera di continuar sen- za pili nell'antico tenore. Ma lasciando da parte ciò che riguarda i cibi, voi mi direte : « Come è possibile che cotesti pove- ri monaci menino la lor vita senza mai variare oc- cupazione ! il che giova pure grandemente a dar novello vigore allo spirito per rimettersi poi con nuo- va lena all'oggetto principale delle proprie cure. » Certo il troppo né i santi istitutori lo hanno pre- teso. Ond' è che alternano i monaci le pratiche di pietà con altri dilettevoli esercizi : ed in alcune ore del giorno, tranne le feste e i giorni di quaresima, possono dar opera a lavori manuali, ed a tutto ciò che loro é più in grado. Chi coltiva l'orticello, chi legge di bei libri, chi è intorno ad opere meccani- che : chi fa l'una cosa, chi l'altra o nella dolce quie- te delle sue camere, o su' terrazzi , o in giardino : e talvolta si recano altresì a passeggiare per la gal- leria, dove abbiam veduto trovarsi ancora in tutti i Kmghi corridoi di belissime stampe da render pago 1' occhio e la curiosità di chi vi si conduce. Oltre a ciò una volta alla settimana si concede loro un pas- seggio anche a qualche distanza dalla Certosa : nel quale per altro i giovani camminano in un drap- pello alquanto separato dagli altri , sotto la scorta d' un monaco de' più discreti, finché così piaccia al supcriore. Vengono per altro dal capitolo generale Grotta di Collepardo 231 fissate per ciascuna casa le strade e i limiti; sicché né quelle si possono cambiare, né questi trapassare. Non debbono in tali ricreazioni né mangiare, né bere, né portar seco vivande. Chi manca a questo, mangia poi la prima festa , quando il pranzo è in refettorio, a pane ed acqua et assere nudo^ cioè su i nudi mattoni. Allorché il viaggio è alquanto lun* go, portano la testa coperta con un berrettino di la- na : e ciò è benissimo fatto , dacché essendo quasi tutte le Certose situate in luoghi montani , chi per essi viaggia, non è rado che s' incontri in neve , in pioggia , in venti, in nebbie ed in altri rigori atmo- sferici. Qual sarebbe la vostra maraviglia in vedere il refettorio, dove pranzano tutti insieme riuniti i mo- naci in alcune solennità, e di cui non so se altrove n' abbia uno più bello, più luminoso, più magni- fico ! Quanti e quanto ben lavorati sedili lo aggira- no intorno ! che immenso quadro di prospetto fa vedere il Salvatore nel deserto in quello che opera il miracolo della moltiplicazione de* pani ! Durante la mensa leggonsi evangeli, omelie, lezioni, ed al- cuni libri della sacra scrittura. L' emendatore, ove occorra, fa un segno per indicare che non ha bene inteso , ed allora il lettore ripete. Gli altri giorni pranzano nelle celle. Un dì della settimana fanno digiuno rigoroso astenendosi da ogni vivanda, con- tenti a solo pane, acqua e sale. Ne' digiuni sì fre- quenti pe' certosini, che sono quasi un dieci mesi dell'anno , mangiano una sola volta in tutta la gior- nata; e la sera, in cambio della refezione, prendono 232 Letteratura un poco di vino ( che beono sempre adacquato), ed una porzioncella di pane. Quante altre cose dovrei dire se non avessi già trapassato i limiti di una semplice lettera ! Tuttavia^ poiché parlando della Certosa di Trisulti, quasi sein- za avvedermene , ho tessuto una piccola storia di questo istituto e narrato la vita de' certosini , non sarà fuor di proposito se chiuderò la lettera di- cendo alcune parole intorno a ciò che ne accompa- gna la morte. Allorché si hanno gravi indizi che il mònaco si apprassima al suo termine , non si tarda troppo a porgergli i soccorsi della religione. Dopo il via- tico, riuniti i monaci nella cella dell' infermo, re- citano ivi alternativamente i salmi penitenziali , e ad essi si unisce anche V infermo, se può ; intanto che tra l' un salmo e l' altro g^i viene amministra- ta dal superiore l' estrema unzione. Non si tosto ha egli ricevuto quest' ultimo sacramento, che, tacen- ti tutti gli altri, fa la professione di fede , recitan- do il simbolo apostolico. Quindi viene ammonito di chieder perdono a tutti e di perdonare altresì sinceramente a coloro, da cui avesse ricevuto qual- che offesa. Dipoi, dette alcune preci, si benedice la cenere , onde . aspergèsi il letto. Da ultimo succede la separazione, avvichiandosi tutti a baciarlo (se lo consente la natura del male ) , come colui che par- te da questa vita, dove fu peregrino, per salire al soggiorno immortale. Così i monaci , adempiuto il pietoso ufficio di fraterna carità , fanno ritorno in chiesa dicendo il miserere. Se avviene che in que- sta infermità egli trapassi, fatte le debite esequie , Grotta di Collepardo 235 si apre nel cimitelo la fossa già preparata a rice- vere il primo fra essi, cui vi condurrà la morte, e quivi è deposto il defunto e ricoperto con vari stra- ti di terra , spargendone alquanta il superiore pel primo : dopo di che egli volge sul luogo stesso at monaci una breve allocuzione, raccomandando ad es- si il caro compagno che han perduto e commert- dandone le virtù. Trovandomi alla Certosa di Napoli fui menato in una cella a vedere un bellissimo vecchio di gran- d' età allora spiralo. Non si sarebbe detto eh' egli era morto, sì bene che dormisse tranquillo in dol- cissima quiete. Sedeva presso la sponda del suo let- ticciuolo un altro religioso di quasi cent' anni, che tutto in se raccolto gli stava recitando la corona con atto sì devoto e pieno di tanta pietà da met- ter nell'animo di chiunque si fosse avvenuto a rimi- rarlo un sentimento della pii\ alta venerazione ver- so questi santi solitari. L'uomo virtuoso desta invi- dia anche a' malvagi , i quali non sapendo innal- zare r animo alla speranza delle future ricompense, non sanno comprendere com' egli possa privarsi sì leggermente dei diletti di quaggiù. Non so se sappiate che in Francia, nella dio- cesi di Grenoble, è altresì un monastero di certo- sine. In altri tempi se ne contavano quattro nella Francia ed uno nel Piemonte. Le monache certosi- ne appartengono all' ordine delle diaconesse , ed haimo conservato la consecrazione delle vergini, se- condo l'antico rito della chiesa. Incensano nella mes- sa solenne ,e cantano l'epistola e il vangelo adorne di manipolo e di stola. Si uniformano allo statuto 234 Letteratura de' monaci certosini , eccetto che non sono obbli- gate a tanta solitudine nelle celle, ne a tanto silen- zio come i monaci. Pranzano sempre insieme nel refettorio comune : recitano più orazioni vocali dei monaci : e, avuto rig-uardo alla quasi invincibile ne- cessità che si manifesta pressoché in tutte le don- ne di parlare, si concede loro ogni giorno un' ora di colloquio. III. Di una greca iscrizione in Viterbo detta Tavola Cibe- laria illustrata dal P. Annio celebre filologo^ e maestro de' S. Palazzi apostolici , e di altre di lui opere. Osservazioni di Stefano Camilli. A S. E. il sig. cav. Carlo Bunsen ambasciatore di S. M. il re di Prussia presso S. M. la regina d' Inghilterra, già fondatore dell'istituto di cor- rispondenza archeologica in Roma ec. ec. li nome del celebre P. Annio di Viterbo desta cer- tamente qualche sorpresa in coloro, ai quali non so- no ignoti i nomi de' grandi scrittori e veracemente autori di alcuni secoli indietro, quando le dottrine erano piii estese in profondità, che in superficie nel- lo scarso novero de'letterati. Si rammentano tuttora le maraviglie , che queir ingegno sommo produsse fra i coetanei colle sue teorìe, scoperte, ed illustra- zioni archeologiche, e le guerre letterarie, che do- Tavola Cibelaria 235 pò la di lui morte si suscitarono gli oppositori e gli apologisti di lui. E se tali lizze erano ornai af- fatto cessate, furono in qualche modo rammentate nella circostanza dei famosi ritrovamenti di etruschi cimeli e stoviglie nelle terre di Vulcia, di Tarqui- nia, di Cerveteri, di Bomarzo e d'altrove, e delle di- squisizioni che si fecero di nuovo sulle origini dei popoli italiani. Varie opinioni invalsero alla vista di figure grafite ne' deschi speculari ed altri metalli- ci, o dipinte nelle terre cotte vascolari esprimenti mite e soggetti greci con caratteri etrusci, e voca- boli d' ordinario affatto greci. Queste opei'e si vol- lero da taluni di greco, da altri di etrusco lavoro: e perciò da quelli anteriore la greca all' italica, da questi r italica alla greca civiltà; mentre taluni al- tri conciliano le discrepanze colla varietà delle epo- che, e l'alternazione delle vicende , e quindi la di- versa indole delle pitture. In tali ricerche sono state rammentate le teorìe archeologiche di Annio per sostenere secolui un origine italica anteriore alla greca , e proveniente dalle più antiche emigrazioni asiatiche, e sono pur anco da molti ripetuti gli addebiti di letteraria im- postura a carico di esso. Siccome però non a tutte sono note le circostanze de' fatti , de' tempi , e le opere anniane, amo riportare l'iscrizione, che forma la base delle sue teorìe, ed altre di lui opere, pre- mettendo alcuni rilievi ed osservazioni. Quest' uomo adunque nacque in un secolo in cui le glorie delle imprese cavallei-esche, come quel- le delle gare letterarie, non valutavansi d.il buon di- ritto delle parti contendenti, ma dalla destrezza, in- 236 Letteratdra gegno, ed abilità di chi sapeva e poteva ottener vit- toria, secondo il detto del poeta : Vincasi per virtude o per inganno, Il vincer sempre fu lodevol cosa. Anzi quanto più era assurdo e falso il principio che sostenevasi , tanto maggior fama otteneva il vinci- tore. Così un cavaliere dedicato ad una dama, tal- volta men che bella, imprendeva a sostenere colla lancia e colla spada esser ella la più bella d' ogni altra. E nella letteratura regnava del pari uno spi- rito e genio analogo a quello che Cameade co' suoi greci introdusse in Roma, vantandosi di poter so- stenere coir artificio logico e retorico alternativa- mente la verità di due principii opposti, e di potere perciò far trionfare l' illusione sopra la verità. È inu- tile il dire , che la buona fede non avea luogo in quegli esperimenti, ne'quali il disserente impegna- vasi con alacrità di persuadere altrui ciò eh' ci non credeva. Altronde non erano ancor nati gli studi archeo- logici e la critica letteraria per giudicare la natura de' monumenti ed illustrare in buona fede l'oscurità dell'antiche storie. Le principali fonti dello scibile archeologico erano i classici greci e latini , poiché r ignoranza del medio evo aveva coperto d' ohlio gran parte degli avvenimenti e delle scoperte con- temporanee. In Viterbo la generale credenza sulle an- tiche origini era conforme a quanto ne avevano scritto alcuni cronisti, cioè che Ercole reduce dalla Spagna avesse fabbricato il castello detto dal suo no- Tavola Cibelaria 237 me di Ercole^ ove poi ed aUualmente sorge la catte- drale e r episcopio : la quale idea era convalidala dall' aspetto di antichità, che presentava quella col- lina. Nel resto riferivasi che la città fosse stata edi- ficata ed ampliata circa il decimo e duodecimo se- colo. Sorse però uno de' suoi cittadini di fervidis- sima imaginazione, di ardente amor patrio , d' in- frenabile ambizione letteraria, che giunse ad acqui- stare erudizione vastissima, ed indi onori e dignità sublimi, il quale non potendosi appagare delle misere credenze comuni sull' origine della sua patria pose mano a costruire un archeologìa non viterbese sol- tanto, ma italiana, la più magnifica che concepir po- tesse poetica fantasia , e volle che fosse riconosciuta ed adottata. A tal uopo questo genio , cioè Annio, rimontò a tutto ciò che sapevasi di più antico e solenne nella storia del mondo dopo il diluvio , e vi attinse i materiali per la sua teoria. Evocò dall'Asia il se- condo padre del genere umano, il patriarca Noè, ed identificandolo col Giano de' mitologi lo condusse col figlio Cam e col nepote Gomer precisamente in questa occidental parte d' Italia, ed in questa regio- ne introterranea, nella quale giace ora Viterbo, per fondarvi dodici colonie , la capitale delle quali fu composta di quattro castelli chiamali Fano di VoUurna, Arbano, Vetidonia^ e Lomjola. Da essa ottennero poi i vetusti romani le cognizioni teologiche e filoso- fiche , ed i viterbesi 1' odierna città. Vi condusse i più illustri eroi della greca mitologìa, vi condus- se dall' Fgitto il famoso Osiride; dalla Spagna il for- tissimo Ercole; e fé in modo che vi lasciassero mo- 238 Letteratura nuraenti delle loro venute. Finalmente vi condusse Desiderio, l'ultimo de'sovrani longobardi in Italia, a testificare l'esistenza de' quattro castelli, ed a cin- gerli di mura. Sicuramente ne la Grecia, né l' Italia, né forse f Oriente possono vantare città più vetuste ed insi- gni e monumenti più interessanti di Viterbo, quale vien proclamato da Annio. E se egli non avesse ravvicinato tanto i suoi concepimenti al confronto delle verità storiche , e non le avesse voluto imporre come credenze ineluttabili a tutto il mondo dei dotti, avrebbe ottenuta l'ammirazione dei posteri in- contaminata da taccia d' impostura. A sostegno in- tanto, anzi a fondamento delle sue narrazioni, pro- dusse alcuni speciosissimi monumenti, de'quali darò un rapido cenno, poiché sono ormai rimasti quasi obliati dalla memoria dei dotti. Il primo di essi è appunto la tavola cibelaria, nella quale viene espo- sto che « Essendo ormai vecchi Corito ed Elettra » figlia di Atlante, Iside frumentaria e panifica spo- )) so losio nella regione cibelaria. Poco dopo losio » fu ucciso dal fratello Bardano nell' agro lasiello. »> In seguito fu edificata la reggia ( di Atlante ) da )> Pipino e Marsia, principi de' tirreni, in memoria « di tali avvenimenti. » Si prosegue poi a narra- re, che « fu trovata un'antichissima pietra con que- )» ste barbare parole: « Camese prima di tutti col- » lo stesso padre Giano e lligomero gallo stabilì » coltivatori vetulonii alle terme. Poco dopo il ca- » stello fu fabbricato da un egiziano della Libia chia- » mato il grande Ercole. Prima di questo poi Sa- Tavola Cibelaria 239 » balio Sangin padre de' sabini e de' sanniti fab- » bricò Sangina nei voUurreni nella regione di Ce- leno. » (1) Per migliore intelligenza di questa iscrizione è opportuno conoscere, che nel territorio viterbese esi- ste un tenimento, nel quale trovansi niolti ipogei, tombe, e ruderi etruschi. Il nome di esso è la Ci- pollara ^ che Annio vuole esser corruzione del vo- cabolo Cibelaria, o ager cibelarius. Esiste pure dà quel lato del territorio una contrada detta l'Asinel- io^ la cui etimologìa non sembra interessante, ma da Annio si pretende corruzione di lasiello, o ager ia- siellius. Camese dell' iscrizione corrisponde al Cam della sagra scrittura, figlio di Noè, ossia Giano: Rì- gomero è una contrada, o torrentello del territorio viterbese : Celleno è una terra distante otto o dieci miglia da Viterbo. Il luogo poi, ove dicesi rinvenu- ta la tavola cibelaria si è l' odierno orto de' padri conventuali, ove ai tempi di Clemente VII esisteva un antico castelletto detto di s. Angelo. E siccome in quel luogo appunto pretendeva Annio, che fosse esistita la reggia di Atlante, così in ossequio della fede anniana fu apposta nell' angolo di esso orlo, sulla piazza detta della Rocca, un'analoga iscrizione che leggesi tuttora (2). A convalidare l'esistenza di Pipino principe dei tirreni, menzionato nella tavola cibelaria come edi- ficatore della reggia di Aliante, il p. Annio ebbe la fortuna di rinvenire i ritratti di esso e della mo- glie formati economicamente in una piccola pietra di marmo coli' iscrizione sottopostavi in bei carat- teri latini: « Pipinus helruscorum larlhes ac coniux 240 Letteratura anno LXXII dynastiae. » Anche questa lapide esi- ste nel palazzo comunale non lungi dalla cibelaria. .Senza parlare dell'ammirazione che destò nel inon- do letterario la scoperta di tali monumenti, e le teo- rie che ingegnosissimamente vi costruì sul fonda- mento di essi il p. Annio , basterà intanto a dimo- strare la fiducia che ottenne nella sua patria, e l'a- desione a quelle opinioni del dotto filologo, l'accen- nare una pittura su di una parete della maggior aula del palazzo comunale, nella quale vedesi effi- giato il gran patriarca Noè col figlio Cam e Go- mero gallo. Essi tiovansi al pie di una gran map- |)a, o pianta topografica, contenente le dodici primi- tive colonie etrusche, o lucumonie coi rispettivi no- mi, cioè Lune^ Phaesule^ Arynianum^ Arretium^ Oyi- gìanum, Volatemi^ Rosella^ Volsinium^ Volcan^ Frae- gene^ laniculum , e la capitale Elruria formata dai Volturila^ Arbanum^ Vetulonia^ e LonQuIe^ e non lun- {ji Augusta turrena. Al basso poi un iscrizione (3) spiega il significato della pittura. Non solo l'Asia, ma anche l'Affrica doveva con- correre co' suoi eroi ad illustrare il suolo viterbese, e pagò il suo tributo. Esisteva nella chiesa catte- drale un antico basso-rilievo in marmo di circa due piedi quadrati esprimente una vite con pampini e grappoli appoggiata ad vin olmo, con un nido di iiccelli al di sopra , ed vma lucertola o drago al piede. Or l' ingegno del pad, Annio e l'ignoranza de' tempi trasformarono quelle figure in geroglifico egiziano, che spiegavasi come una memoria della venuta di Osiride in Italia e la di lui vittoria con- tro i giganti. La pietra fu trasportata nel pubblico Tavola Cibelaria 241 palazzo comunale vi furono innestate due teste in nrofilo, e collocata alla sommità della scala colla se- guente iscrizione (4). L'Europa doveva pur essa contribuire materia- li air edificio archeologico del p. Annio , e confer- mare r esistenza dell' etrusca tetrapoli costruita da Noè. Ed ecco che Desiderio, ultimo re de' longobar- di dell' Vili secolo della nostra era, scrive ad un suo prefetto nella capitale in questione, e lo eccita a riunir truppe contro pajKi Adriano , dandogli no- tizia di aver ordinato '< che i tre castelli Vctulonia, »> Longola e Tirrena Volturna, formanti l'antica città » Etruria, siano circondati da un muro, e che ridotta ») a forma di città sia nominata Viterbo in onore di w vm tal Terbo ampliatore di essa: e chiunque la no- » minerà diversamente, paghi la multa della testa. » Così ordina, che il lago di Tiro (ossia di Bolsena) » sia proprietà de' vetuloniesi: ed altre cose rammenta « Desiderio a Grimoaldo fatte a vantaggio di questi » popoli per giustificarsi delle misure ostili che im- » prende contro il papa. » Se però questa lettera od ordine fosse stato i scritto in pergamena , od analoga sostanza cartacea 1 usata in que'tempi , era malagevole che si conser- I vasse ad perpetuam rei mcmoriam , e potesse set- j te secoli dopo pervenire opportunissimamente in ! potere del dottissimo Annio. A prevenire ogni in- conveniente Desiderio prese il compenso di farla in- cidere in pietra, per verità poco voluminosa è tale; !che il messo incaricato di recarla da Pavia non fos- \se obbligato a caricarne un giumento. Quest'ordine G.A.T.CXIII. 16 242 Letteratura chiamato Decreto dì Desiderio re d'Italia , scritto in caratteri longobardi, conservasi nella prenominata stanza delle lapidi nel palazzo comunale , e la ver- sione in caratteri latini leggesi nelle opere di Annio ed in altri storici. Forse taluno osserverà , che dei quattro castelli costituenti l'antica città Ètruria solo tre ne furono cinti di muro, secondo quel decreto; ma a tale mancanza supplì un altro re d'Italia, cioè pipino figlio di Carlo magno : ed abbiamo in pro^ posito altra isciizione, che brevemente ci rammenta un tal fatto (5). Tali monumenti però sarebbero per taluno di poco valore , e nella loro stessa importanza e sin- golarità a taluno sospetti, se non fossero collegati con isteriche relazioni e convenientemente illustra» ti. Or siccome a render famosa la città Etruria era- no stati chi^rnati i più famosi eroi delle tre parti del mondo allora conosciuto, cosi ne furono evocati scrittori antichissimi in sussidio di quelle teorìe e nozioni archeologiche. Dall'Asia adunque inlerven^ nero co' frammenti de' loro scritti inediti Metaste- ne persiano, e Beroso babilonese ( vedete ! scrittori di Babilonia ), dall'Affrica Manetone egiziano, e dal- l' Europa i greci Xenofonte , Mirsilo , Archiloco , i latini Fabio pittore. Catone, Sempronio e più altri, QuCvSte somministrarono ad Annio notizie peregrine relative al suo argomento e monumenti ed alla storia antica, e furono dottissimamente illustrati dal p. Annio e pubblicati in latinp idioma. E poi mira- bile il mezzo, per cui questi preziosi scritti giun- sero appunto in mani di Anuio. Aveva il formida- bile Maometto II espugnato Costantinopoli, ed i gre». Tavola Cibelaria 243 ci in gran numero fuggivano dalla dominazione del turco conquistatore ritirandosi in Italia. Fra questi un tal monaco recò ad Annio i frammenti ed ope- re in discorso, mentre appunto occupavasi indefes- samente delle etrusche antichità viteibesi, ed otten- ne così le più opportune notizie e sostegni. I commenti e le osservazioni del P. Annio su questi singolarissimi scritti presentano uà complesso di erudizione storica, vma cosi profonda cognizione Ai tutti i classici antichi , un criterio sì ingegnoso nel farne i confronti e le applicazioni , che il let- tore ne resta abbagliato, confuso, e convinto. Ed in que'tempi in ispecie, in cui le lettere contente della teologia, della giurisprudenza e della poesia non e- rano penetrate negli scuri laberìnti dell'archeologia, i dotti non solo d'Italia, ma di tutta Europa si pro- strarono al sommo Annio, ed adottarono le opinioni da esso proclamate. A produrre un tale effetto con- correva altresì l'eminente grado che copriva di mae- stro de'sacri palazzi apostolici, e la prontezza ed acu- me dialettico nelle discussioni: onde ninno ebbe co- raggio di esporsi al pubblico certame verbale, a cui «gli aveva fatto invito al mondo dei dotti di quel itempo. Per circa un secolo il nome e la dottrina di Annio imposero per modo a tutti i dotti , che le opere di esso furono diffuse con molte edizioni , e le di lui opinioni quasi universalmente adottate per quanto speciose esse fossero. Successivamente però, quasi cessato quello stupore e quel prestigio, si de- starono oppositori più o men validi, e propugnatori dall'altra parte. Sarebbe lungo il catalogo degli uni 244 Letteratura e degli altri, e vastissimo lavoro il riassumere gli ar- gomenti dalle parti contendenti prodotte , special- mente oggi in cui la guerra è cessata. È ben con- veniente nuUadlmeno, che di quella guerra si ram- menti qualche storica circostanza e risultamento, on- de ravvisare con quanta ragione alcuni rimangano ligi alle opinioni anniane, ed altri abusino forse della supposta vittoria vituperando il nome di un uomo sommo, cui se reputano vinto, ciò avvenne dopo la di lui raorfe, e perchè gli eredi dei principii di lui non valsero a difenderli, od onorevolmente transigere. Una serie numerosissima di scrittori de' tempi posteriori ad Annio accolsero fiducialmenle e senza esame le storie da lui proclamate; ma 1' Alberti , il Casella, il Rapaligero, il Postello e vari altri si oc- cuparono del valore di esse, e le impugnarono: ed altri, fra i quali il Mariani, il Faure, il Sarzana, il Corretini, il Bussi ec, sorsero sostenitori e seguaci (6). Questi ultimi però, malgrado degli sforzi d'ingegno e di dottrina , co' quali impresero a difendere alcuna delle opinioni di Annio, pure rimasero oppressi quan- do il grande storico d' Italia si volse a distruggere radicalmente quelle teorie (7). Taluno de'sostenitori però o non conobbe, o finse non conoscere, ciò che in proposilo aveva scritto il Muratori : e molti altri ignorandolo di fatti, conservarono quelle opinioni co- me verità dimostrate, e trattenendo Noè in Italia lo indussero ad illustrare le origini di altri paesi. Il Muratori però, mosso da viva indignazione, non solo impugnò V autenticità della cibelaria , che è la base di quelle teorie , e la vituperò come finzione, ma negò fede alla legittimità del decreto di Deslde- I Tavola Cibelaria 245 rio, ritenendo solo la verità di alcune indicazioni to- po{jrafiche. Negò 1' esLstenza dell' etnisca tetrapoli e metropoli di uno stato, e diffuse ampiamente il titolo d'impostore a carico dell' illustratore di que'monu- menti in modo, che oggidì trovasi quell'epiteto d'or- dinario associato al nome di Annio. Supposti ed in- ventati egualmente da esso proclamò i frammenti ed opere inedite degli autori soprammemorati, e ri- versò anche su i concittadini di Annio la taccia di sciocca credulità (8), Quest'opposizione però erasi in vero fatta da Biondo da Forlì (9) , dicendo essere Veterhium civilas parum vetusta^ cuius prhnum nomen parvo in castello ad annum nunc sexcentesimum erat Viturhium (10): ma in vero con mancanza di fonda- mento, perchè il castello di Viterbo era il castello di Ercole chiamato ancora castm/m Viterhii^ e castrum civitalis Vilerbi : e verosimilmente nei tempi dell'e- trusca dominazione era il Fanum Volturnae. In ogni ipotesi la collina, su cui giace il castello e tempio in oggi di s. Lorenzo , ha ruderi ed ipogei di incon- trovertibile antichità ctrusca. Ma dopo questa sommaria esposizione di fatti un arduo problema mi si presenta, se cioè qui de- ponendo la penna debba lasciare intatte le opinioni anniaue come monumento di gloria patria, e tollerare le tacce di credulo seguace d'un'iuipostura che blan- disce l'orgoglio patrio; ovvero se debba prestare un omaggio alla verità, ed esporre ingenuamente i cri- tici rilievi, che in proposito mi si presentano alla men- te: ed in genere se debba più valutarsi una splen- dida menzogna, che una nitida verità. Io non esito a dichiararmi per quesl' ultima: tanto più, che essa 240 Letteratura né alla città toglie la gloria dell'antichissima etrusca origine, nò al nostro concittadino la fama di un in- gegno ed una dottrina ammirabili. Ed in prima, relativamente alla tavola cibelaria, trovo osservabile il carattere e la lingua, nella quale è scritta. Altri già rimarcò , che il primo non era arcaico, quale si conveniva ai tempi cui si riferisce. Nel secolo di Annio non si era prestata attenzione ai monumenti veramente etruschi, ed alla conforma- zione delle lettere, e molto meno ai vocaboli, le une e gli altri ben diversi dai greci. Non eransi ancora scoperte le famose tavole eugubine scritte in quella: lingua, e presso che intelliggilaili malgrado degli stu- di e de'tentativi fatti dal Lanzi e da vari altri. Non era pur nota 1' iscrizione perugina, al deciframento^ della quale si dedicò il Yermiglioli senza ottenerne perentorio risultamento. Non avevano avuto luogo le insigni escavazioni e scoperte della metropoli di Vulcia fatte dal piinclpe di Canino, che fornì forse 2000 vasi etruschi, molti de'quali con epigrafi, chfr pubblicò il fortunato e dotto discopritore. Non era- si osservato che i così detti specchi e patere, le sta- tue metalliche, le gemme etrusche, i cippi, le stes- se esteriori fronti degli ipogei sepolcrali , come a Castel d'x\sso presso A^iterbo, e gli stessi sarcofagi^* di peperino trovati nelle grotte della CipoUara, han- no lettere e parole che non sono greche. Se que- ste scoperte avessero preceduto 1' opere di Annio^ non v'ha dubbio che egli vi avrebbe consacrato i suoi studi; e se avesse dovuto comparire una tavo- la cibelaria, si sarebbe veduta scritta in caratteri e lingua clrusca. In fatti in niun luogo dovevansi tro- Tavola Cibelaria 247 Tare monumenti in quell' idioma meglio che nella capitale asserta dell'Etruria. Se pertanto la cibelaria leggesi in greco, ciò non fu un errore di chi la pub- blicò , ma dei tempi ne' quali non avevano avuto luogo tanti scoprimenti, quanti ai dì nostri: come non si potrebbe attribuire la lentezza de' viaggi e delle corrispondenze al secolo decimoltavo, nel qua- le non erasi scoperta l'applicabilità del vapore ed i piroscafi e le strade ferrate. Forse sarebbe più malagevole giustificare con analogo raziocinio il monumento di Pipino, larte de- gli etruschi che fabbricò la reggia di Atlante, sicché r iscrizione non è neppur greca, ma latina. Ed in queir epoca sicuramente i caratteri latini, in ispecie di quella forma ed ortografia, non si usavano al cer- to dai larti d'Etruria. Un altro errore non può per avventura rav- visarsi se non coU'ispezione oculare de'monumenti: cioè il piccol volume dei monumenti anniani, ossia la lapida cibelaria , quella di Pipino , e quella di Desiderio , che spirano piuttosto parsimonia clau- strale, che regia magnificenza, non essendo alcuno di essi maggiore di circa un palmo e mezzo. Di più quando l'osservatore entra nella stanza delle lapidi, vede di fronte in sulla destra la cibelaria formata di marmo statuario di forma discoidea, di poco più di un palmo di diametro, con caratteri di circa tre li- nee di altezza, e con incisione profonda circa un ottavo di linea: sulla sinistra poi vede il decreto di Desiderio della stessa pietra della cibelaria, della me- desima forma circolare, la quale in vero non è la più comune delle epigrafi, e presso a poco della 248 Letteratura stassa grandezza. I caratteri greci della prima sono poco diversi nella grandezza dai longobardi della- se- conda, cosicché sembra che uno stesso scarpello & mano abbia lavorai o 1' una e 1' altra. In grazia poi dell'analogia della f orma e della grandezza, le due lapidi sono poste simmetricamente sulla stessa parete a tenue distanza, sebbene rappresentino epoche tanto disparate. Per buona circostanza però sono ben pochi che valgano a leggere i caratteri greci e longobardi. Riguardo alla cibelaria frattanto, che indica la venuta di Giano ossia Noè in Italia, è singolare una coppa rinvenuta negli scavi di Vulcia, nella quale è dipinta una nave con Bacco barbato, coronato di e- dera, avente in mano il corno potorio, e stante in una nave, il cui albero sostiene una vite con para- pini e grappoli. La nave trovasi in ira mare, nel quale si vedono molti delfìni, simbolo cognito del mare tirreno. Il dotto principe discopritore non esitJi, a riconoscere in quelle pitture la venuta di Bacco in Italia: e poiché vuoisi l'identità di Bacco e Giano e Noè, esprimerebbe in qualche modo la venuta di Noè nel mare mediterraneo , e perciò vicino alle spiagge dell'Etruria, secondo l' opinione anniana. Il principe però vuole che Vulcia fosse aborigenamente la Vetulonia capitale degli etruschi, e quindi veden- dosi in altro vaso della stessa provenienza un Bac- co analogo che esebisce il suo corno o bicchiere ad una donna colla legenda vithlon okei, trova che Bac- co presenta il suo liquore a Vetulonia (11). Una mia memoria, da me pubblicata già in que- sto giornale,sulla situazione dell'antica Vetulonia (12) nella quale accennai le mie opinioni sull'archeologia Tavola Cibelaria 249 flell'odierno Viterbo, diede luogo a nuove indagini in proposito : ed il eh. Inghirami diresse quattro- erudite memorie sul luogo dell' antica Vetulonia al eh. mons. Testa, le quali vennero impresse dall'isti- tuto di corrispondenza archeologica con una dotta memoria del sig, AmbrosL Le mie opinioni, che escludono Vetulonia dall'area dell'odierno Viterbo,, furono adottate e sostenute da quei due dotti ar- cheologi, come dal nostro esimio prof. Orioli, La tavola osigiana, illustrata dall'Annio nel se- colo XV come geroglifico egiziano, ha perduto il sua titolo e rappresentanza in modo analogo alla ci- belaria , dopo che Young, Champollion e Rosellini han determinato i veri geroglifici egiziani , ed il modo di leggerli. Essa in sostanza non è che mi basso-rilievo simbolico cristiano esprimente Gesù Cristo eolla vite, le anime de'fedeli cogli uccelli, il demonio col drago, o lucertola, come dimostrai altra volta (13), Sul marmo o decreto di Desiderio furono so- stenute acri polemiche nel passato secolo: ed io altre ne tenni proposito (14), Non amando pertanto di nuo- vo difl'oudermi su tale argomento, mi limiterò ad asserire che i pretesi quattro castelli in esso nomi- nati non hanno alcuna probabilità a tenore degli scrittori cronisti anteriori ad Annio, né alcuna prova di ruderi , o confo rmazione del suolo ; né in fine prima di Annio sono stati da alcuno menzionati. Relativamente ai frammenti ed opere di antichi autori per la prima volta pubblicate ed illustrate da Annio, si è preteso di trovarne una confutazione o dimostrazione di falsità nella bella scoperta del co-. 250 Letteratura dice aicano contenente i libri mancanti fieli' antica Chronicon di Eusebio cesariense fatta dai monaci ar- meni Zohrab ed Aucher ed illustrata dal chiar. ed emo Mai. Essa ha eccitato un collaboratore della Bi- blioteca italiana kd esclamare che - non solo rischiara le origmi delle antiche nazioni, e sistemi cronologici che tante finora interminabili questioni eccitarono: non solo serve con ciò a depurare ed accrescere ì lumi ed il dominio della classica erudizione ; ma giovar debbe altresì ad eliminare per sempre dal san- tuario delle storiche dottrine le favolose narrazioni y che si spacciarono sulla fede di antichissimi scrittori, i fittizi commenti di Annio di Viterbo , i pseudo- Berosi, i pseudo-Manetoni, ed altri parti parasitici della letteraria impostura (15). - Altri rilevò che gli autografi delle opere in discorso recati da Costanti- nopoli ad Annio non sono stati veduti da alcuno, né la loro autenticità è resa probabile da alcuna delle tante scoperte letterarie che sono state fatte fino ai nostri giorni. Altri in fine rilevò, che se pure quei frammenti persiani, babilonesi ed egiziani non po- tevano esser pervenuti ad Annio co'loro primordiali caratteri ed idiomi, potevano però e dovevano esser- lo almeno in greco , che era la lingua di Costanti- nopoli, ma non in latino, quali ci si presentano da Annio. Ma in fine è egli plausibile o vituperevole il gran lavoro di Annio sulle origini italiche, etrusche, e viterbesi? A me sembra altamente plausibile; perchè egli non è mero discopritore di monumenti, ma au- tore sagacissimo. La mente somma dell'autore aspi- rava aU*origmalità, alla maraviglia; ed a tale scopo Tavola Gibelaria 251 vi dedicò una fervida immaginazione, un tesoro di ricchezza filologica, e fé con tal mezzo dono all'Italia ed alla sua patria di una magnifica e remotissima origine. E questa immaginazione e questa filologia sono cos ì ingegnosamente connesse, che seppero im- porre a tutti i dotti di quella sua età, ed a molti delle future, facendo adottare come verità storiche que'concepimenti che erano meri prodotti del genio e della dottrina. Cosi il fisico inventore dell'apparata fantasmagorico mediante una semplice illusione ca- tottrica seppe destar un fragoroso allarme fra le scolte di Londra, ed ottenne onorevoli acclamazioni. Così i nostri Dante, Ariosto, Tasso, Metastasio ed Alfie- ri, e tanti altri nostri e non nostri, attinsero le loro poetiche narrazioni in ornamento ed ampliazione delle verità religiose e storiche or dell'inferno, del purgatorio e del paradiso, or de'prodigi e della ma- gìa, ora aggiungendo patetici episodi a veri ed im- maginati soggetti, or allettandoci colle singolarità e coincidenze de'fatti, e premendoci dagli occhi laciime pietose, or facendoci fremere di sdegno e d'on*ore. Così il gran pittore urbinate ed i sommi dell' arte sua coU'iugegnosa disposizione e mistura de' colori giungo no a presentarci allo sguardo figure e volli parlanti di persone che da lunga epoca cessarono di esistere, ed a quasi conversare con noi. E con forse maggiore illusione il Sanquirico e gli altri sceno- grafi di oggidì ci traggono innanzi i monti della Scozia, i veneti palagi dubbiamente visibili alla luce lunare, ci ricostruiscono il Partenone greco, ci crea- no le foreste d' Irminsul, ed ogni antico e remoto prospetto. Lode sia a quc'sommi ingegni che sep» 252 Letteratura pero e sanno illudere cotanto i sensi , ed imporre- alla mente in modo da formarci una natura novella, un nuovo sistema di cose, e ci trasportano in tutti i luoghi, in tutte le età. Ma lode pur anco a quel sa- pientissimo cenobita, che lavorando nella sua cella seppe sorprendere il mondo con una storia artifi- ciale, con pochi sassi incisi e poche carte vergate. Ne può dirsi che tale artificio abbia recato danno od onta ad alcuno: poiché le veraci remini- scenze storiche sono mentali illusioni, come le roma- nesche narrazioni , come la pittura ed altri prestigi lo sono de'sensi. Qual mai maggior felicità godreb- be l'odierna Viterbo, la moderna Italia, se fosse di- mostrato, che Noè, Elettra, Osiride, Ercole avessera costruito questa tetrapoli Etruria , se in essa fosse stata edificata la reggia di Atlante, come forse taluno credè in buona fede ? Una compiacenza inane, la quale non fa beati i poveri abitatori di Balbec, di Palmira, di Babilonia , di Ninive. A queste idee e circostanze si addice quel vanitas vanitatum delle cose mondane : e quindi se un' illusione innocente ci invade, godiamone, né ci studiamo di adirarci e distruggerla. Né altronde da uno scrittore del secolo XV po- trebbero esigersi quella specie di buona fede e co- scenziosità nell'esposizione de'propri pensamenti, che suole in oggi praticarsi nei civili contratti e negli impegni d'onore. In que'tempi, ancora in parte in- voluti nella ruggine della barbarie e della prepoten- za feudale, colui che non ardiva, o non poteva com- battere e vincere , doveva uniformarsi alla volontà del più potente. E siccome il buon dritto nel pos- Tavola Cibelaria 253 sesso de' castelli e delle città era piuttosto scritto colia punta d'una spada vittoriosa, che dettato dalle norme della ra(jione, così il trionfo delle opinioni nelle filosofiche controversie non dipendeva dalla ve- rità e dall' intimo convincimento di chi le professa- va ed impugnava, ma dall'energia soverchiante, dal- l'ingegno, e dall' eloquenza ed artificio della dialet- tica. L'ultima ratio regum nelle politiche dissenzioui si disse già essere il cannone , e nelle questioni la forza silogistica. Con quest'ultime armi del suo tem- po Annio vivente combattè e vinse, senza curarsi di ciò che sarebbe potuto avvenire nei secoli poste- riori alla sua morte. Ma non è forse nell'ordine della piovvidenza, dm le forze intellettuali e le fisiche predominino alla debolezza ? Non avviene che i difensori ed avvocati nelle contestazioni forensi vincano sovente le cause più per la facondia ed il prestigio delle arringhe, che per la convinzione del proprio buon dritto? L' antica formola del giuramento dì calunnia è aboli- to, perchè comprometteva troppo la coscienza de' litiganti: e gli odierni, come gli antichi creatori dì sistemi e di teorie, senza giurare se ciò che scrivono è conforme all' inlimo loro convincimento , si con- tentano della esplicita ed implicita protesta d'uso : Si quid novisti rectius istis Candidus importi^ si non his utere mecum Sicuramente che il dott. Kerker nel suo Mundus subterraneus scrisse un viaggio immaginario, che nin- no impegnò a dimostrar falso: niuno ha voluto coti- 254 Letteratura dannare di mendacio il Gulliver pe' suoi viaggi alle fantastiche isole di Liliput, né il Vanton per quelli alle àsole delle scimmie e de'cinocefali. Anuio vide r immensa lacuna che lasciano alla storia antica i monumenti, gli scrittori, le tradizioni : e volle col- marle co'materiali creati dalla sua fantasia per for- marne la base ad un simulacro di sistema per illu- strare la sua patria: volle produrre un romanzo ar- cheologico, come non ha gnari nacque lo storico. E chi ha osato redarguire allo scozzese Gualtiero, al- l'americano Cooper, all' italiano Manzoni ec. il di- fetto di verità storica ? Avvi fra gli ammiratori di Annio chi si tapina |)el nome di impostore, che comunemente gli si as- socia , e che in qualche modo riverbera su i suoi concittadini. Il titolo d'impostura però ha varie fasi: e come v' ha un' impostura vile e riprovevole , che corrisponde al dolo malo dei giurisperiti, avvene una onorata e plausibile, od almeno innocente. La prima indica V artifìcio usato per carpire lucri , riguardi , ossequi mediante il pregio di abilità, di potere, e di rapporti chimericL La seconda ha per iscopo scherzi letterari , gioconde apparenze , e teorie ingegnose, che o vere o false non recano danno a chichessia , e può assumersi col vocabolo d' illusione. Or se la tavola cibelaria, Tosiriana, il decreto di Desiderio , gli autori annìani sono stati inventati per produrre im temporaneo prestigio, e se tal prestigio è cessato dopo qualche secolo, a chi si recò o si reca danno nella sostanza, nell' onore , e nella vita ? Eravi una lacuna storica, e si volle colmare colle ipotesi e colla creazione di materiali opportuni, e l' autore fu ap- Tavola Cibelaria 255 plaiulilo mentre visse. Oh a che prò da una parte re- clamare in eredità una {gloria, che col tempo si e- stinse , e dall'altra usare livore , inveire contro un uomo dottissimo che non può rispondere dall' altro mondo ! Quando io mi trovo nelle magnifiche aule del palazzo comunale di Viterbo, e su quelle pareti veg- go effigiato il rinnovatore dell'umana prosapia, ed i sacerdoti immolanti vittime alle etrusche divinità, e le grandi immagini di Ercole, di Atlante, di lasio , ed iscrizioni e marmi che rammentano remotissimi fatti ed epoche, la mia mente sì sublima ed espan- de fra cento grandiose reminiscenze storiche, e re- sta incantata a Janto spettacolo. Vanti pur Roma la «uà origine collo stemma della lupa lattante, si am- mirino altrove le rappresentanze artistiche della gre- ca mitologìa: a me più grandiose sembrano le idee destate dalle nostre pitture e monumenti. Che se avvi alcuna cosa simulala, ed imitata artificiosamente ed ingegnosamente dal vero, mi figuro trovarmi in una festiva decorazione di modesto locale, in cui indu- stre artefice con legni , tele, carte e colori e simili accessori! erige colonne maestose , modinature su- perbe, statue marmoree e vasi e serti e drappi ed ornamenti ricchissimi per trasformarlo in una specie di splendida reggia. Vi profonde ori , gemme : vi moltiplica con faci la luce: vi sparge profumi, vi so- spende geni alati, vi desta celestiale armonia. Cono- sco che illusorie sono quelle decorazioni anniane, ma le ammiro: e se pur taluno saccente si volga ad in- vestigare r intrinseco valore degli oggetti, io lungi dal rispondere esclamo fra me : Evviva : bravo il dòt- tissimo Annio! 256 Letteratura NOTE (1) Magni x4tlantis Etruriae lartis hic regìam ini- tìo sitam, mox castrum s. angeli divo Francisco tì- vo, dennura mage mirum in nnodum tanti huius sancii templum et eoenobium singula singulari religione ap- pellatum constai. (2) L'originaie in caratteri e lingua greca con- servasi nella stanza delle lapidi nel palazzo comu- nale di Viterbo:- ma lo stesso Annio ne riporta nelle svie opere la versione latina in questi termini: Cor- into cum Electra Allantis filla imn senio confeclis irta- xima Isis frumentaria et panifica venit ad nuptias lasii in regione cybelaria apud fontem cybelarium. Paulo post ad vadimonia palatia ab infido fralre Bar- dano lasius in agro iasiello prope iasiellas termas in etruscis miserrime interfectus est. Deinceps haee regia condita est prìmum quidem a Papino., deinde a Mar- sia tyrrenorum principibus., ad sempiternam gratiam et memoriam rerum g^starum. Lapis antiquissimiis inventus est his diclis barbaricis. Cameses primns o- mnium cum patre ipso lano et Rigomero gallo Ve- tulonios agrieolas ad termas posuit., et panilo post apud hos villa fundata est a lybio aegyptio cognomine Hercule eelso. Ante autem lume Sabatius Sangin pater sabinorum et samnitum , villam sanginam posuit in eaelem regione. (3) Genere animanti um omni post aquarum elu- viem adaucto Noa, qui et lanus, duodcnas hasce co- lohias hancque regiara tetrapolira Volturnae Fanura, Arbanum, Velulonia , Longulamque primum Etur- Tavola Cibelaria 257 slam, Etrtiriam, et deinde Etruram, a qua Etrin iae regio, postremo Viterbium nuncupatam anno CVIH ab ipsa aquarum salute hae ea regione tum tempo- re tum auctoris origine splendidissima constituit. (4) Osiridis victoriam in gigantes literis hie- roglyphicis hoc in antiquissimo marmore inscriptam ex Herculis oUm,nunc divi Laurentii tempio tran- ciatami ad conservandum vetustissimae patriae monu- mentum atque decora hic locandum statuii S- P. Q. V. (5) Pipinus Caroli fìlius Italiae rex oppidum Her- oulis castrura cum D. Laurentii tempio Viterbio ae- re public© adiecit anno DCC. (6) Mariani, De Etruria metropoli, quae Tur- rema, Tursenia, Toscana atque etiam Beterbon dieta est. Romae 1728 ap. Mainardi. Faure, Memorie apo- logetiche del marmo di Desiderio. Vitei^bo. Sarzana, Della capitale de'toscaniensi. Montefiascone 4 783. Cor- retini, Brevi notile della città di Viterbo. Bussi, Storia della città di Viterbo ec. (7) Muratori, Rerum italicar. scriptor. T. X edit. Mediol. 1727 , De tabul. chorographica med. aevi, «ect. XVIII num. 90 ec. (8) Murat. 1. e. sect. VI num. 19. (9) Biondi Flavii, Italia illustrata p. 59 edit. Aug. Taurin. 1527. (10) Secondo il regesto farfense l'antico nome di Viterbo è Viterbium^ castrum Viterhii eie, come dimostrai nel Gior. arcad. T. XCIX p. 5 e seg. (1 1) Questi due vasi furono pubblicati in bella litografia in Roma dal principe Luciano Bonaparte nel 1330. (12) Gior. are. (13) Su di un preteso geroglifico egiziano ec. Arcadico. (14) Arcad. 1. e. (15) Biblici, ital. Tom. XII p. 56. ■I II iCiubi» ~ G.A.T.CXIII 17 258 mi Caterina Mengs ritratta in tavola dal padre. Iflolte descrizioni ed illustrazioni di opere artisti- che veggiamo a' dì nostri compilarsi e pubblicarsi, e pare a me non si dover biasimare le scritture di tal genere: imperocché queste rendono testimonian- za della commendevole stima, che nella odierna ci- viltà e gentilezza fassi delle ingenue e nobili arti, e ne proverranno molti utili materiali alla storia, e ne trarranno confronto ed incoraggiamento gli stu- diosi delle arti medesime, le quali al dire di Cice- rone ricevono alimento dalle onorificenze che ad esse retribuisconsi : Honos alit artes , omnesque in- cenduntur ad studia gloria. Cic. Tusc. quaest. Uh. 1. Or concedasi a me ancora di descrivere ed illustra- re alcun poco una dipintura di artefice, che certa- mente fu pe' suoi meriti superiore a moltissimi, ed acquistò grande rinomanza e celebrità; e mi si con- ceda a fronte dell' austera sentenza di Plinio il gio- vane , che affermò non poter alcuno de* pittori e degli altri artisti parlare e giudicare , quando pur esso artista non sia : De pictore , seulptore , fetore nisì artifex indicare .... nou potest. O Plin. epist. lO.lib. 1. Caterina Mengs 259 Il dipinto, intorno al quale io pongo qui bre- vi e disadorne parole, è del cavaliere Antonio Raf- faele Mengs, di quel celebrato sassone artista e fi- losofo, che venuto sotto il molle cielo d' Italia a stu- diarvi sui monumenti di Roma, e sulla disotterrate pitture di Ercolano, di Pompeia e di Stabia, sacri- ficò doppiamente a quella bellezza, che tanto sorri- se alla Grecia, procurando di ritrarla con maestra mano ne' suoi dipinti , e di esaminarla con metafi- sici pensieri nelle dotte sue scritture. E a dire al- cuna cosa di un lavoro di Mengs mi stimola mag- giormente la considerazione, che non incontransi fre- quenti oggidì le opere di questo chiarissimo arte- fice , molle delle quali doviziosi stranieri trassero fuori d' Italia; dove non manca chi meglio vagheg- gia il fulgore deir oro , che i leggiadri colori di nobili dipinture. Ed aggiungasi che il lavoro di Mengs , del quale io vò parlare , esistendo in un piccolo castello , in cui non sogliono metter piedi amatori e ricercatori di artistiche produzioni, si ri- mane sconosciuto ed ignorato, quasi gemma sepolta e nascosta. Egli è questo dipinto un ritratto di Caterina Mengs figliuola del valentissimo artista e scrittore : ed esiste in Ancarano, castello che sorge su di ame- nissima collina presso il fiume Tronto , laddove il Piceno confina cogli Abruzzi. Raffaello Mengs aven- do menato moglie in Roma 1' avvenente ed one- 4>tissima fanciulla Margherita Guazzi , cui conobbe nel cercare un modello per la testa di nostra Donna da porre in un suo quadro , n' ebbe consolazione di numerosa e bella prole, e singolarmente cinque 260 Belle Arti figliuole , che furono dotate dalla munificenza del re di Spagna, in considerazione e premio de' meriti del padre, il quale egregiamente adoperò i suoi pen- nelli a decorare la splendida reggia de' monarchi spagnuoli. La Caterina , una delle figlie di Mengs, fu data in isposa ad Antonio De Angelis di Ancara- no, uomo di gentili costumi e scrittore di non igno- bili versi, la cui famiglia fiorisce tuttora ricca e ci- vilissima. Povero Mengs! Non senza molto dolore ei distaccò dal suo seno la buona e cara figliuola, cui non doveva rivedere più mai, sopravvissuto di po- co a'nuziali festeggiamenti della sua Caterina. Costei di madre figlia più bella, nel cui sem- biante ridevano tutte le grazie della venustà e del- la giovinezza, meritava di essere effigiata; e la fa- miglia avrebbe tenuto carissimo un ritratto della leggiadra donzella. La pittura e la scultura presta- rono utile servigio allorché tolsero a figurare gli illustri uomini, che per opere d'ingegno o per lo- dati e magnanimi fatti segnalarono il loro nome , ed acquistarono fama e celebrità, facendosi merite- voli di vivere gloriosi ed immortali nella ricordan- za de' posteri, in cuor de' quali all'aspetto di quel- le immagini si potessero suscitare sentimenti di am- mirazione, e generoso ed efficace desiderio d'imi- tazione. Ma i pennelli e gli scarpelli rendettero , a me pare, un servigio meglio piacevole e più con- sentaneo alle dolci affezioni del cuore allorquando ci diedero i ritratti di care e predilette persone , riproducendone con perfetta rassomiglianza e verità le forme e le sembianze : perocché ci porsero per tal guisa il solo conforto che possa rimanerci, se Caterina Mengs 261 lontananza ci separi per alcun tempo da coloro che amiamo , o se morte ce ne abbia disgiunti perpe- tuamente; e dobbiamo aver obbligo a quelle no- bili arti, che procacciarono questo sollievo alle ama- rezze della vita ed alle umane sventure. E quando i ritratti siano fattura di valenti pennelli, la effica- cia dell'arte con potentissima e dolcissima illusione ci fa vedere quasi presenti e vive e parlanti l'effi- giate persone ; e ben sappiamo che pur gli stessi artisti provarono talvolta in sé medesimi una con- simile illusione, e che riguandando e vagheggiando le opere della lor mano , nella ebrezza del compia- cimento ne provocarono le parole, e si dolsero che queste non sonassero in labbra con tanta naturalez- za e sì vivamente configurate, rinnovando i voti del favoleggiato Pigmalione. Pertanto il cavaliere Mengs, il quale ebbe non solamente doti d'ingegno, ma eziandio virtù di cuore (né queste vagliono meno), e che amorevole e tene- rissimo padre facea de' figliuoli le sue care delizie , volle effigiare la Caterina. Io penso che l'amore pa- terno a lui ponesse in mano per quella opera i pen- nelli, ed apprestassegli i colori. E fortunatamente le sembianze della fanciulla non avean mestiero di es- sere imbellite dall'arte: imperocché lei bella del vol- to, bellissima della persona avea formato natura: bastava il ritrarla fedelmente , e dipingere il vero con perfetta imitazione. Se Mengs avesse dovuto ef- figiare la celebratissima Elena , avrebbe avuto in quella sì leggiadra figliuola un modello, cui nulla o poco mancava; né d' uopo sarebbegli stato , sic- come a quell'antico dipintore, di rintracciare tante 262 Belle arti fanciulle^ acciocché quelle parti che l'iina avea me» belle potesse torre e ricopiare dall' altra. Se poi Mengs nel dipingere quel ritratto adoperasse studio e diligenza , sei pensi ognuno: dovea contentare l'occhio dell'artista e del padre. Il ritratto di Caterina Mengs è dipinto in ta-- Tola dell'altezza dì palmi due ed once dieci e mez- za, e della larghezza di palmi due ed once tre e mezza. I biografi di Mengs ci fan sapere eh' egli! preferiva il dipingere in tavola, quando gli fosse dato di poterlo fare, ntosso dalla raigione che la tela, per quanto impiumasi molto e bene, non si olliene- mai che presenti uoa superfìcie così liscia ed' unita^ com'è quella che si ha nel legno; ed interviene che ogni foro o rilievo, per piccolo che siasi, produce un riflesso falso di luce. Inoltre quando la tela è alcun poco grande, cede sotto i tocchi del pennel- lo, e la mano del dipintore non può andare ferma, risoluta ed esatta. Lo stesso Mengs in una sua let-. tera scriveva con modeste parole: Non dubitare che una tavola, la quale se gli apparecchiava per un quadro, a cui dovea metter mano, sarebbe perfetta più assai di tutto quello, ch'egli vi avrebbe dipin- to sopra : lui non essere nel numei-o de' grandi uo- mini , che fiorirono ne' felici secoli dell' arte , né tenersi paragonabile agli artefici di maggior fama : solamente dipingere volentieri in tavole, perché pia- ceagli quel terso e pulito, che parca rimproverar- gli la sua negligenza ed ignoranza, quando nell'ope- rare rammentava que' professori divini, i quali so- lcano adoperarle : ciò peraltro non s' interpretasse come una soverchia stima, eh' egli facesse delle sue Caterina Mengs 263 povere fatiche : avervi pure delle opere assai cattive dipinte in tavole buonissime. Il campo del quadro, nel quale è ritratta la Ca- terina, è di colore verde oscuro, ma più chiaro in- torno la testa della figura. Il viso è dipinto quasi di prospetto con piccola inclinazione alla parte si- nistra. I capelli tendenti al biondo , ed acconciati alla foggia di que' tempi, sono doppiamente ricinti di un nastro del color di cinabro. N' è alta la fron- te, dilicata e florida la carnagione, neri gli occhi e bellissimi, profilato il naso , la bocca di cara' e leg- giadrissima forma, il mento di grazioso contorno, avvenente l' atteggiarsi della persona. La fanciulla è vestita di una tunica gialla rossi gna, ed ha sovrap- posto un manto di colore ceruleo tendente all'oscu- ro , rimanendo scoperta una piccola porzione del petto dalla parte destra. Vi si mostra meno della mezza figura, e la sola sinistra mano. Dove né nodo appar^ né vena eccede^ e che stringe una ravvolta carta di musica ; forse ad indicare che la Caterina dava opera allo studio di tal' arte, la quale nelle ben educate ed ingegno- se donzelle suol essere gentile ornamento. Questa pittura prende il lume dall'alto in basso con effet- to gradevolissimo all' occhio del riguardante. Fini- tissimo è il volto della figura e condotto con ogni maggiore diligenza , e lo stesso dicasi della mano che si vede, e della porzione di petto che accen- nai essere scoperta. Ai panneggiamenti l'autore non pose le ultime cure, e sono semplicemente abbozza- 264 Belle arti ti; siane stala cagione la fretta di consegnare quel ritratto, o qualunque altro ne sia stato il motivo : la si direblje questa dipintura una Venere rimasa imperfetta , come quella sì celebrata di Apelle; La Caterina yi appare della freschissima età di quat- tro lustri , e nel suo volto traluce il candore di que' ridenti anni, vi traluce la serenità di un' ani- ma , che non ancora vide i pericoli ed i travagli di questo miserabile umano vivere. E direi quasi che Mengs in questo suo lavoro diede una seconda volta la vita alla cara e bella sua figliuola, imperoc- ché quella figura. Virginis est/ verae facies, quam vivere cì^dasi Ov. Met. lib. X. Non è poi mestiero che io dica qui come il dise- gno di questo ritratto testifichi nel suo tutto il som- mo artistico sapere del chiarissimo autore. Pregio e lode principale de'^ ritratti è la per- fetta rassomiglianza , ad ottenere la quale dee l' ar- tista in cosiffatto genere di pitture porre ogni suo studio e diligenza , sforzandosi a ricopiare colla maggiore precisione, fedeltà ed esattezza le forme, i lineamenti, le fattezze, i colori e gli atteggiamen- ti dell'originale. I ritrattisti sono più disgraziati de- gli altri dipintori : liberi questi possono cercare e prendere il bello dovunque lo trovino per farne pompa nelle loro opere : quelli stretti in duro vin- colo debbono contentarsi di ciò solo, che ad essi la natura pone innanzi agli occhi. Io posso per qual- che maniera affermare che il ritratto da me de- Caterina Mbngs 265 scritto è pienamente fedele e rassomigliante, e elte il valente pittore effigiovvi con verità ed accurfk- tezza le sembianze della sua leggiadra tìgliuola : imperocché se io non posso aver veduta la Caterina Mengs, ben conobbi e vidi le tante volte Giusep- pina De Angelis sua figlia, della quale dicevasi da coloro, che ne aveano conosciuta la madre ,, essere a quella simigliantissima : Sic oculos^ sic illa manus^ sic ora ferebat. Yirg.Aeneid. Uh. III. Della grande bellezza del ritratto di Caterina e del merito sommo di questo dipinto si convincerà di leggieri chiunque sappia qual valentuomo fosse Mengs nell'arte sua. E singolarmente ne' ritratti egli fu lodatissimo : cosicché li vollero del suo pennello la reina di Polonia, i sovrani di Napoli e di Dresda, il re di Spagna, i granduchi di Toscana, il duca di Alba, le duchesse di Huescar e di Medina Coeli, mylord Cuper, la principessa Altieri nata Borghese, e quella di Francavilla, i cardinali Archinto e Zela- da, monsignor Onorato Caetani de' duchi di Sermo- neta, e molti altri ragguardevolissimi personaggi; i quali se io qui volessi tutti rammemorare , verrei a tessere un troppo lungo e noioso catalogo. Quan- do Mengs ritrasse il cavaliere Giuseppe Niccola d'A- zara, ministro della regni corte di Spagna presso la santa Seàe.^ si disse aver fatto una maraviglia del- l'arte. Egli affaticavasi con ogni studio in quella opera, a fine di poter con essa mostrare il suo af- fettuoso e riconoscente animo all' amico dilcttissi- 2G6 Belle arti mo: e tal nobile desiderio accrescevagli lena e va- lore. Quindi escusabile a me pare il cavaliere d'A- zara, se scrivendo in ricambio la biografìa dell'ar- tista, troppo si abbandonò alla dolcezza di un'am- mirazione inspiratagli dalla più tenera amicizia , e bruciò in soverchia copia gì' incensi al sassone di- pintore. Ebbe poi Mengs l'onore di ritrarre tre vol- te papa Rezzonico , che fu Clemente XIII. Fortu- nato pontefice nell' avere trovato per la sua effi- gie i pennelli di Mengs e di Baioni: ma fortunato assai più nell' essergli toccato in sorte lo scarpello del famoso e stupendo Canova ! Ed anche a' di no- stri si continua a fare stima grandissima de' ri- tratti dipinti da Mengs: ed uno eccellente, nel qua- le è rappresentato Domenico Annibali, ne comperò non ha guari la imperiale e reale accademia delle bel- le arti in Milano; ed uno in figura quasi intera dei tre ritratti, che dissi aver egli fatto del sommo pon- tefice Clemente XIII, fu a questi ultimi tempi acqui- stato per la sua pinacoteca dalla pontificia accade- mia delle belle arti in Bologna ; e le intelligenti e dotte persone, delle quali abbonda quella nobilissima città, se ne tennero grandemente obbligate al car- dinale Albani legato, il quale interpose le sue cure per queir utile acquisto, ed al cardinale Galleffi ca- merlengo, che somministrò i danari occorrenti alla compra di tale lodatissima dipintura. Il ritratto di Caterina dovea rimanere presso la famiglia, come una cara memoria; ma l'amore- vole Mengs pospose i propri desiderii alle brame ed al piacere della sua diletta figliuola; ed allorché questa si distaccò dal seno della famiglia, e dipar- Caterina Mengs 267 tissi da Roma per andarne in Ancarano sposa al De Angelis, egli si contentò che la Caterina seco re- casse e ritenesse quel suo ritratto. Costei nell' an- no 1783, puerpera di due giorni, mancò a* vivi nel fiore degli anni, lasciando il marito immerso nel più acerbo dolore , ed i suoi teneri figlioletti pri- vi infelicemente delle cure e degli aiuti materni. Se quando Mengs con dolce compiacenza effigiava le sembianze della sua Caterina, cui sommamente ama- va, avesse potuto antivederne la morte cotanto in>- matura, oh ! sì certo ali dolente padre sarebbero ca- duti di mano i pennelli. Il De Angelis inconsolabile sparse di lagrime e di poetici fiori la tomba della sua donna; come ne avea sparsa quella del suocero illustre, celebrandone i talenti ed i meriti con un poemetto in verso sciolto di tre canti ; nel secon- do de' quali ricorda il ritratto di Caterina , e nel calore del suo poetico entusiasmo dice essere quel- la effigie Degna di eulto^ qual celeste cosa^ affermando che la sua patria andava superba di pos- dere una pittura sì nobile e di tanto pregio, per la quale invero gli artisti e gli ammiratori delle arti- stiche produzioni dovrebbero onorare di una lor visita l'umile castello. Io penso che dopo la morte della Caterina il De Angelis, al rimirare quelle care ed amate sem- bianze della sua donna con tanta verità e con per- fetta e piena rassomiglianza in quella tavola pen- nelleggiatc , quasi ingannalo e sedotto da' prestigi 268 BELLE ARTI dell' arte, le avrebbe indirizzate parole di amore e di coniugale benivolenza: se non che sappiamo che il marito amantissimo astenevasi dal rivedere quel- la effigie, la quale troppo acerbo e violento gli rin- novava neir animo il dolore della funestissima non riparabile perdita; e talvolta dovendo egli introdur- re nella camera, dalle cui pareti quel ritratto pen- deva, alcuna persona desiderosa di vederlo, arre- stavasi in sulla porta, né gli pativa il cuore dì ri- portare lo sguardo a quella dipintura. Abbiamo no- tato sopra essere i ritratti un conforto datoci o nel- r assenza o nella morte di care e dilette persone. Ma il De Angelis dalla posseduta bellissima effigie della estinta sua donna non ritraeva sollievo di sor- te alcuna. Forse il dolore, quando sia intensissimo, sdegna e ributta ogni maniera di consolazioni , e queste anzi converte in motivi di nuovo pianto e di nuovo rammarico , quasi cangiando il balsamo in veleno , che la ferita maggiormente inasprisce. Nondimeno egli sempre conservò religiosamente e con infìnito amore quel dipinto, siccome stimabilis- simo gioiello; e da un ricco amatore delle arti bel- le essendogli stato offerto molt'oro per la vendita di quel ritratto, non volle per conto alcuno privar- si (e n' ebbe tutta la ragione) di una pittura, cui raccomandavano e rendevano preziosa non solamen- te l'artistico pregio e la fama del celebratissimo au- tore, ma eziandio le più care memorie di famiglia e le più dolci affezioni del cuore. Io ricorderò sempre di avere veduto ed ammi- rato il bellissimo ritratto di Caterina Mengs, e par- rai quasi di avere personalmente conosciuta l'av- Caterina Mengs 269 vanente ed amabile fanciulla. Cosi le femminili bel- lezze, che pur si presto si sfiorano e vanno a di- leguo, per l'opera di valenti pennelli possono gua- dagnare durata e fama, ed essere per lungo tempo vagheggiate e lodate. Non i contemporanei solamen- te, ma i posteri eziandio vengono a conoscere una leggiadra donna, se la pittura ce ne lasci la effigie; e noi dopo tre secoli veggiamo pure la romana for- narina, più fortunata che meritevole di tant' onore, ancor viva e quasi parlante e tutt' adorna di sua fresca giovinezza nella pittura dell'amico immorta- le, e nelle copie ed incisioni, colle quali quel ritrat- to stupendo venne le tante volte riprodotto. E veg- gonsi pure e sì ammirano le care e venuste sem- bianze d' Irene da Spilimbergo effigiata dal chiaris- simo Tiziano, e ben più degna per le celebrate vir- tù sue di vivere nella ricordanza de' posteri. E cer- tamente senza il pennello di Guido non andrebbe pur tanto per le bocche degli uomini la Beatrice de'Cenei, né tanto sonerebbe famosa la storia di sue sventure. La famiglia De Angelis possiede inoltre un ri- tratto del cavaliere Mengs assai ben condotto e bel- lamente espressivo, il quale mi si affermò esser ope- ra di un inglese discepolo di lui; ed è simigliantis- simo agli altri ritratti del valentuomo. Ad uno di questi diedesi onorevole e meritato luogo nel fioren- tino gabiilfetto de' pittori, un altro si conserva nella reale pinacoteca di Milano , due n' ebbe il palagio elettorale di Dresda, un quinto esisteva nella galle- ria del generale Miollis, che già governò Roma al- lorché sotto r imperio del potentissimo capitano di 270 Belle arti Corsica le francesi milizie tenevano i dominii della santa Sede. La medesima famiglia De Angelis possie- de eziandio un ritratto della moglie di Mengs, ma dipinto da pennello ben mediocre. Pur tuttavia vi si mostrano alcun poco le graziose e leggiadre for- me , che meritarono di essere effigiate nel Parnaso della magnifica villa Albani, inciso da Morghen, e «he guaste troppo presto e distrutte da morte, mi- sero in cuore air amoroso ed inconsolabile marito «n tanto e sì fiero dolore, che fu bastante, siccome i biografi narrano , a trarlo immaturamente al se- polcro. Così moriasi vittima dell'amor coniugale in età non ancora declinata a vecchiezza il cavaliere Antonio Raffaello Mengs; al quale scrivendo il cele- bre Winkelmann , con parole di ammirazione e di bellissima lode dicevagli : essere per lui rinata la pittura, per lui risorta, per lui recata a grande al- tezza di splendore e di gloria. Giacinto Cantalamessa Carboni 271 v ^ a I ^ i* A' ^illustre Italia. Dialoghi del cavaliere prof. Salvatore fletti. Quarta edizione. Parma, per Pietro Fiaccadori 1847. (Uii volume in 16 di facciate XVI e 422). \Jucsta edizione corretta, nitida ed elegante, ha sopra le anteceden- ti il pregio di essere stata accresciuta dall'autore e purgata dai gravi errori tipografici che trovansi nella edizione fatta in Napoli nel 1844. Se noi godiamo di annunziare la quarta edizione di quest'opera sulle glorie italiane, portiam ferma credenza che in questi giorni di liete speranze per l'Italia ne godranno con noi tutti i veri italiani. Imperciocché in un tempo che ogni cittadino del bel paese arde di ri- mettere in atto un regime che sia degno di questa terra gloriosa: come non tornerà accetto l'aunnuzio di un libro, il quale colle for- me, colle grazie, brio e forza nativa dell idioma di Dante, di Pe- trarca e di Boccaccio richiama all'italica memoria le vere e solennis- sime sue glorie di ogni tempo ? Tale è il soggetto, e tali i pregi so- no di questo lavoro del commendatissimo sig. cav. Betti accademico della Crusca: e come tale noi l'offriamo a tutti i degni nostri fratelli italiani per invogliarli a farne pronta lettura, onde ammirati ben to- sto della immensa falange delle proprie glorie in fatto di scienza, di lettere e di arti, aggiungano, se pur bisogna, esca e direzione a quella potente scintilla, di cui sentesi ognuno a questi giorni ardere in se- no l'amor nazionale. Esca, dico, veggendo quali e quanti magnanimi fratelli ne precedettero a far gloriosa l'Italia: direzione, comprenden- do per fatti solenni quali e quante sono le vie, le azioni, i mezzi che levano gli uomini e le nazioni a gloria grande e non peritura. Né in questa lettura di recente ed antichissima erudizione tema altri di do- versi annoiare; imperciocché se da questo incaglio non bastassero per se a liberarlo le descritte condizioni e le opere chiare dei propri concittadini^ argomenti che tanto possono sopra gli animi gentili : a questo senza fallo provvederebbe la valente penna dell' autore con uno stile sempre ameno, vario , facile e nobilmente sostenuto : con una critica ovunque sana, avveduta e fedele a mettere in aperto i pregi, onde specialmente sfavilla il nome del personaggi descritti . Per la qual cosa non andrebbe lungi dal vero chi dicesse , che in questo libro il lettore è incantevolmente allietato e condotto per una ricchissima galleria ridente e pomposa di tutti i più preziosi e genui- ni ritratti dello spirito dei sommi italiani. Oltre a ciò, che è cosa di tanto rilievo ad un cuore bennato, s'infiora questa operetta di eT tal modo ai lettori i suoi personaggi come tratteoentisi in amicali e distinte conversazioni secondo la classe dei (atti, onde sono dalla storia commendati. In ciò fare dispo- ne gli illustri soggetti in tale ordine, in tale abito, ed in tale espres- sione
  • ^dbùqL^i^^iiV utili e più commendevoli virtù nazionali. ! -.VÌ^À-yi/ s«t^^ I Marco Giovanni Ponta. jRoselU, Teoria dei tubi capillari. . Carlucci, Due autopsie cadaveriche. Burri, T^iaggio scientifico al porto d'Anzio Astolfi, Deir origine e delle eserci- tazioni deW accademia agraria di Bologna {Continuazione.) Cavazzoni Pederzini, Del governo dei poveri in Italia .... LETTERATURA Martini^ Scopo di Dante nello scri- vere la divina Commedia . Cicconetti , Panegirico a Pietro Giordani Santucci, Sulla grotta di Collepar- do e suoi contorni. Lettera VI. Camilli, Di una greca iscrizione in Viterbo detta Tavola Cibellaria ec. BELLE ARTI Cantalamessa Carboni , Caterina Mengs ritratta in Tavola da suo padre Varietà. PAG. 3 60 76 114 136 141 166 218 234 273 MiMkMàMÈàMMMMiMài^^^^^''^'^'^^^^-^' i^l^liE^ Sopra alcune superfìcie curve deriva da una data superficie^ e di genere concoidali. MEMORIA DI BARNABA TORTOLINI Une dei Quaranta della Società Italiana, Professore di Calcolo Sublime all'Università di Roma. 1. oleno a?, j, z le coordinate ortogonali di una super- ficie curva rappresentata dall'equazione generica f{x, y, z) = o. € si conduca da un punto dato un raggio vettore /• ad un punto qualunque (a? , j/ , z) della stessa superficie ; prolungando questo raggio al di sopra della superficie coll'aumentarlo di una lunghezza costante h per tutti i punti corrispondenti, si domanda il luogo geometrico del- l' estremità dei punti corrispondenti alle differenti lun- ghezze r -H A. Per esprimere la natura della nuova superficie ba- sterà avvertire che il suo raggio vettore proveniente dalla stessa origine del raggio r sarà eguale ad quindi quante volte si conosca per una data superficie il valore di r, che per lo più potrà rappresentare la sua equazione polare, noi avremo immediatamente l'equazione polare della superficie in questione. Rappresentiamo ora per X, Y, Z le coordinate di un punto della nuova su- perficie corrispondente ad un punto dato (j?, t/, z) della G.A.T.CXm. 1 8 274 Scienze prima superficie, e siano a, /3, y gli angoli formati dai due raggi vettori r, R = r -j- A con i tre assi ortogo- nali; avremo X = X -\- h cosa , Y =:j- •+- h cos/3 , Z = 2 -j- ft cosy od anche X = J? H , Y=r 4- — , Zx= z H r r r ovvero r r ^ r Con queste formole , e con l'equazione della superfìcie data si giungerà alfequazione della superficie derivata fra le coordinate X, Y, Z. Osserviamo inoltre che po- tendosi porre i precedenti valori sotto li forma X«=— ,Y=^,Z= ^"^ R__/» ' * R— ^ ' R — A abbiamo reciprocamente X(R-.;i) Y(R-^) Z(R— M x= ___ ,^=_^_ , . ^^_ quindi avvertendo che se i raggi r, R partono dall'ori* gine delle coordinate, allora per la superficie derivata R = l/-(X=» H- Y^ 4- Z») ed otterremo la sua equazione finale col sostituire i va- lori di jc, j^ z nell'equazione della superficie data: ciò che porgerà la forma generica ^X(R - h) Y(R - h) Z(R - h\ A~"R ' R ' R 7 Da tutto ciò si raccoglie , che la definizione di questa Superficie curve 275 nuova superficie è somigliante a quella che nelle curve piane costituisce la famiglia delle Concoidi. Per questa ragione parmi di poterla chiamare Superficie Concoidale. Se siVolesse formare la sua equazione pulare, basterebbe avvertire, che ponendo X = Rcosp , Y x= Rsen^ cosi^ , Z = Rsen^ sen^ ia precedente equazione si trasforma in flcosp{R — k), ser^cos<7(R — h), sen/Jsen<7(R — h)\ = o •quindi se il priras membro si riduca ad una funzione omogenea deUe tre quantità, ed il secondo ad una quan- tità costante €, allora indicando per n il grado della fun- zione avremo anche (R — h^Jlcosp , sen;? cos^ , sen^ sen^) = C delle quali formole presentiamo ora alcune applicazioni. 2. Abbiasi un'ellissoide dì equazione 2 2 3 jc r z ^ + 4- + ?- = < « si conduca dal centro r il raggio, e prolungato della quantità costante h, si troverà immediatamente dalle ul- time formolo stabilite nelPantecedente parag. per la sua superficie concoidale, l'equazione X«(R— /i)' Y\Vi—h)^ Z'(R—hy _ «d^onde essendo R» = X* H- Y' -t- Z^ otterremo evidentemente /x- Y^ z^, , W "^ À^ ■*• ^y^^' ^- ^' •*■ Z'-'0^=X'H-X'-».Z' 276 Scienze Tal'è l'equazione riportata dal sig. Dicnger (*). Per to- gliere Tirrazionalità non s'incontra difìTicoilà alcuna, e sì giungerà in questa guisa ad una funzione di ottavo grado fra le variabili X, Y, Z, per cui la superficie concoidah derivata dall'ellissoide appartiene all'ottavo ordine.L'equa- zione polare per la sostituzione di già indicata si trova egualmente bene o dall'ultima forraola, o da quella che termina l'antecedente parag., in modo da avere abc . J( :^ .^ H h Ognun vede che il primo termine si riduce al raggio r dell'ellissoide condotto dal centro alla superfìcie nel punto (x,j, z) e che contenendo la stessa inclinazione con gli assi, porge la definizione della nuova superficie R-r-f-A, la quale nel nostro caso è dotata di un centro, e limitata in tutte le direzioni. Consideriamo ora i valori delle coor- dinate X, Y, Z corrispondenti ad un punto (jc , ^ , z) dell'ellissoide. Riassumendo l'espressioni generiche x{r -\- h) y{r -^ h) z(r -H h) A = , I = , il = , /' /' fi ed avvertendo che per le tre coordinate x,j,z di qual- sivoglia superficie, e per il raggio /■ dell'ellissoide si ha X =zz r cosp^ j ■= r senp cos^ , z = /• sen^ sen^ abc \/'{b'^c^cosy-^a^c\QTÌ^p cos" q-\-a^b''^Qìi'p seti'q) avremo col porre per brevità u = cosyo , V = sen^ cos^ , w = seny» sen^ (*) Terquem, Annales de malhémat, iuin 1847. Il sig. I. Dienger «li Sinshein è autore di diverse dotte Memorie sulla convergenza delle seri» nsl tom. 34 del giornale del sig. Creile di Dtrlino. Superficie curve 277 ._ / abc^ ,\ ibc Y= V I -4- h ) ") Questi tre valori esprimono egualmente bene la natura della superficie concoidale derivata dall'ellissoide. Altre espressioni dei medesimi valori, e che potranno forse im- piegarsi utilmente nella risoluzione di qualche problema, si ottengono col verificare per mezzo di una sostituzione sferica polare l'equazione dell'ellissoide. É noto che l'equa- zione dell'ellissoide viene anche rappresentata dai valori simultanei X c=> a cosO ^ y ^=. b sen5 cosw , z =.c sen9 seno dalle quali si trae per il raggio vettore r r = i/'la^cos^^ 4- è^sen^S cos'ho) -h c^sen^S sen'w) quindi i valori generici X, Y, Z, col porre per brevità 5 = cosS , >j =■ sen$ cosao , ? = sen5 seno) si ridurranno ad x = z = bfiWia'%^ -4- ^'>3' -t- c^g^) 4- A] 278 S e I E N Z E Questi valori espressi per gli angoli &, w si potrebbero anche ricavare dai precedenti espressi per p, g, facendo uso di una Irasformazione polare fra i quattro riferiti angoli. Termineremo questo paragrafo col fare un'osser- vazione importante sopra la scelta degli angoli d , <à> , i quali verramia somministrati dalP equazione medesima della concoidate in questione, hifattr se la sua equazione riportata nel principio di questo parag. si ponga sotto la forma \R^/ \R^/ \R—h) si vede immediatamente eh'^essa viene verificata dalla so- stituzione "" Y Z = cos5 , — -- — =T sen9 cosso y —5 — <= scn9 sena» / gR V ' / ÒR \ / cR \ VrZ^) VrH/i/ \R-h) od anche per le notazioni stabilite gRg &R>? cRC quindi essendo Ra = X" -+- Y' 4- Z» otterremo R — h = l/"(a^?» -j- è'»j» 4- c»f ) Ognun vede adunque che i valori di X, Y, Z coincide- ranno con gli ultimi già riportati. 3. Per una seconda applicazione sceglieremo una superficie di questo ordine, conoscinta in ottica sotto il nome di superficie di elasticità. Questa superficie è dotata di centro ed è chiusa e limitata in tulle le direzioni, ed Superficie curve 279 è nello slesso tempo il luogo geometrico della proiezione ortogonale del centro deirellissoide su tutti i piani tan- genti. L'equazione della medesima superficie, e della quale ho già parlato in altra circostanza (**), è della forma Qui pure se dal centro si conducano i raggi r, r-j-ft«=R, la superficie concoidale derivata dalla superficie dell'ela- sticità avrà per equazione, come sì ricava dalle ultime formole del parag. 1° («-'Ks^+K^-^r) ="*-**'{tf+-ìf-+ti^) dalla quale togliendo i termini comuni , e sostituendo sempre R^» = X» -1- Y> 4- Z* risulterà Togliendo l'irrazionalità si giungerà ad un'equazione di ottavo grado: quindi conosciamo che la superficie concoi- dale da quella di elasticità appartiene all'ottavo ordine : qual cosa si è verificata ancora per la concoidale dall'el- lissoide. Sarà utile qui di osservare alcune relazioni che passano fra queste due superficie concoidali, e che saranno tutte somiglianti a quelle già note fra l'ellissoide e la superficie di elasticità. Osserviamo primieramente che ri- tenendo sempre u = cosp , V = senp cosq , w ^=^ senp senq l'equazioni polari delln superficie di elasticità e della sua derivata concoidale saranno (*) Creile, Journal tota. 31. 280 Scienze le quali, cerne ognun vede, sono somiglianti a quelle già stabilite neiranteccdenle parag. 2 per l'ellissoide, e per la corrispondenle concoidale facendo uso degli angoli Q, cj. Infine anche i valori di X, Y, Z espressi per x, j, s, vale a dire jc{r ■+■ h) ^ _j{r -h h) z{r -+■ h). /' /' r diverranno Z ^w(l^{a^u^ -f- ^V^ -4- c'w^) -+- h\ Le diverse formole qui riportate potranno più o mena vantaggiosamente adoprarsi nella risoluzione di qualche problema di ordine elevato, fra i quali noi sceglieremo la cubatura, che, come vedremo, dipende dalle funzioni ellittiche di prima e seconda specie: il che sembra non aver luogo per l'espressione della loro quadratura. 4. Quando R sia il raggio vettore, e p, g gli an- goli polari, la formola per la cubatura è V 5=: — J JR^scnpópdq Nelle superficie concoidali, ritenuto per r il raggio della superficie primitiva per h, una costante sotto i medesimi angoli polari p , q, abbiamo R ^=^ r -\- h, d'onde la for- mola V = —ff[t^ •+■ Sr^/i -f- 3r^2 -\- h^)scnpdpàff dalla quale mostreremo un'applicazione por le due mcn- Superficie curve 2&1 zionatc superficie. Nell'ellissoide per u = cosp , V = senp cos^ , iv t= senp scnq abbiamo abc [/'{b^c^u^ -+■ a-cH'"' -\- a'b\v'^} quindi sostituendo questo valore, integrando entro i li- miti ^ = o , p== ^n , y,= o , q = 571, otterremo per l'intero volun»e terminato dalla superficie concoidale de" rivata dall'ellissoide senpdpdfj senpàpàq [b^cHi'^ ■+■ a'^c'^v'^ -H a^b'^-w'^Y h^ r' r' sefìpàpdq | Il primo e l'ultimo di questi integrali si trovano in ter- mini finiti, cosi il secondo ed il terzo sì riducono a tra- scendenti ellittici di prima specie. Queste integrazioni e riduzioni si potranno eseguire con differenti metodi già usati dai geometri , e da me, nella risoluzione di so- miglianti problemi; uno di questi metodi consiste in una sostituzione di due nuovi angoli 9, w invece di y» e ^, alta a togliere l'irrazionalità. 5. Ritenuto il significato delle variabili u, y, w, pon- gasi come sopra e, =^ COS0 , V] ~- senQ cosw , ^ = sen5 scnw 282 Scienze ed insieme A = bc y B =r rtC , C =ae «& e supponiamo che fra i quattro angoli p^ q, 0^ 4) sus- sistono le relazioni ^ °^ [/"(A^M* + Bv» -H Ow^) Da queste forraole si ricavano reciprocamente i vaTori di M, e, w in funzione di ^, >2, ^ in modo che ponendo P=l/^(A'«"+BV+CV»), Q= ^/(^+^+^ ) si avrà PQ = 1 , ed insieme I vj ? AQ ' BQ ' CQ la prima delle quali è identicamente cos5 " .1 /"/cos^Q sen'5cos*&) sen*5sen=^fi*\ e le due ultime porgono B tang<7 = —^ tangM Qui osserviamo che ai limiti ^t=fO, p = ^rc, ^ = o, q c=z kji corrispondono i medesimi limiti per gli angoli ^ , &), e l'elemento differenziale da sostituirsi a seopàpdq si trova col differenziare cosp ncIPipotesi di ■+- C^cos'd)) scnSdS BCdi) d^ (B^scn^w -H C^cos^q) e perciò all'elcineolo senj^d^d^ si sostituirà il nuovo el^ rocnlo senSdSdc>> ABCQ^ d'onde per il primo ed il terzo degli integrafi compo> nenti il valore di Y, abbiamo (A»m2 -h B V» •+• C'W») a K 1 n "^ T ABC~ 2a'*'c» An / |7r seiìpdpdg 1 ^r? >4rr sen0dSdw Va» B«^cv e per l'ultimo fi f' ^^^P^P^^ "^ ~i Il primo dei riferiti integrali, trovali già da Lagrange nelle Memorie dell' accademia di Berlino, trovasi com- preso come caso particolare in una formola generale data dal sig. Cauchy nel tom. 5 de'suoi Esercizi di matema- tica (^). La formola, di cui si tratta, potrebbe dedursi da f) Cauchy, Exercices de malhém. tom. K, 1830. 'i84 Scienze un'altra data da Poisson in una Memoria Ietta airinsti- tuto nel 19 luglio 1819, come già feci in altre occasio- ni (*). Sostituendo pertanto questi valori nel secondo mem- bro di V, e ponendo per brevità «2 = ^(B^cos^*^ •+■ A2sen^5)= a''Pc^[a^cos''0 -+- b^sew^O) «i^=c^{b^cos''p -Ha^sen^/?), /S,^ :^- ^^(c^cos^/j-hrt^sen^/?) avremo V = 8 (nube „ , ,. ^|7r A^ senpipàg 3(2 Jo Jo («, cos'^ -4- /3,='sen^^) Itt nh^ senSdéldw nh^ (a^cos^d) -+• /S^sen^oj) ./ 0 •/ o ave ognun vede esser indifferente di cangiar gli angoli p, q con 5, w in questi due integrali. Facendo una prima integrazione relativamente ad co, troviamo facilmente r^ dw \ n r^ àq ^ tz ^'e (a^cos^w-+-^»sen^co)~~ar/3 2 ' «^ „ (a,='cos'5f-i-/3,='sen='5r)'^a,/3i 2 d'onde dopo la sostituzione del valori di a, /3, a,, /3i, abbiamo , 1 abc , , /»» sen5d9 \c=.Att\ --4- a'^bchl — (3 J ^ l/"(i"cos'^4-a2sen='5)l/(cacos='9-j-o'-sen^0) «• , j2 n sen9A9 f^ ì "^ ^^ J o\/^{aHos^9-t-b^scn''6)[/^{a^cos''6'i-c*sen''6) 3 j (*j Gioraale arcadico tom. 82 1840. Superficie curve 285 I due integrali si riducono a funzioni cllitticbe di prima specie : supponiamo af* d^ 286 Scienze Se dunque infine per la funzione ellittica di prima specie »i faccia uso della notazione di Legendre dy olterreiuo ''^^''^^^J.V^I-Ln» /abc abchF{k,ix) ach^F{ki , /m) , ^^ \ Questo risultamento è riportato senza dimostrazione dal sig. Dienger nel citato giornale del sig. Terquem. Le due funzioni ellittiche di prima specie sono della stessa am- piezza |x e di diversi moduli kj ki. 6. Proseguiamo le applicazioni della seconda formola del parag. 4. Nella superficie di elasticità v^ = a''cos^p ■+■ è^sen^p cos'^g -t- c^sen';^ sen'd<7P^(a»M* 4. i V -t* c'w^) J a \J o Il secondo membro composto di diversi integrali dà luogo ad alcune conseguenze; così il primo integrale rappre- senta il volume terminato dalla superficie di elasticità, Superficie curve 287 ed il terzo la quadratura di una superficie di elasticità di semiassi l/"a, \/^b, J./'c , e come già dimostrai per il primo in un'altra occasione (•) coincide con la qua- dratura di ellissoide di semiassi KM/t-Kt Quantunque nella citata Memoria inserita nel toro. 31 del giornale del sìg. Creilo di Berlino abbia completa- mente sviluppato i due indicati integrali , contuttociò sarà utile di opporre qui brevemente la riduzione dei medesimi ai trascendenti ellittici di prima e seconda specie. Come per l'antecedente integrazione, sia a = cos^ , V = seDp cosq , w = sen^ sen^ ? = cosQ , rj = sen9 cosq , ^ == sen5 senw e poniamo ^ au bv cw d^onde facendo P«|^(a2M> 4- 6v> 4- c'w>), Q.^[/ r^4- ?7 -+- ^ ) si ha PQ .= 1 ? y) C , b " = ^ ' *'=^T' "%^ ' ^^"S'^ == T ''"S'" (*) Creile, loumal de math. Berlin, tom. 31. 288 Scienze perciò sostituendo all'elemento senpdpàq il nuovo ele- mento seaSdSàcù i « -ponendo ed avvertendo che per i! secondo e quarto integrale 0^0 6 / seu;?d^d«7= y avremo 8aS65c5 .l;j ^ì|7T sen9dgd(M 3 J o J t> («''cosaci) H- /3^sen^cj)3 ^èh^a^Pc^ r^^ r'^ ^^"^^^^^ - -H — — (a^ 4- é^ -i- c^^ + - 7r^^ 3 3 Tali sono i nuovi integrali di forma razionale, nei quali, eseguendo una prima integrazione relativamente ad w , si ridurranno a funzioni ellittiche gli integrali semplici. Pongasi primieramente a . tangw== -^tang9 P si troverà , ajSddJ ^ 3 ^ «'^3^ d!V)= r ^ — '— , a cos (w-+-i32sen'«=, i /S^cos^y-t-a^sen^o /S^cos'ipH-a'scn^^ Superficie curve 289 d'onde si ollienc successivamcnle d'j dw ^^9 ,n- 7r Integrando entro i limiti 0, — per ambedue gli angoli, riduccndo il secondo membro alle sole potenze del co- seno, od avvertendo che per n pari r 1.3.5.7....W ~ 1 7T cos"cjdffi> = . — • ^ 2.4.6 Il 2 avremo come già si era notalo di sopra / dw a^cos^w -4- /S^sen^w 2a/3 ed anche •J e («''cos^M -\- /S^sen^w)^ 4 \ap [io?l J'^ d&) 7r / 3 3 2 \ 0 (a='cos='« -j- /3='sen2cj)3~ TÒVo^ /3«5 «3^3/ quali con potenze anche superiori si potrebbero dedurre dalia prima per una successiva derivazione dell'integrale rclativamcnic alle costanti oc, /3. Facendo pertanto una G.A.T.CXIII. 19 290 Scienze successiva sosliluzione nel valore di V, abbiamo ■na^b-'c^/ i-^t: son5d9 ^ /4;r son5d0 . ^K sen5d$ \ ArJi ., ,. 4 3 ^ '3 Jn questi integrali per un cangiameulo di variabili si potrà introdurru nei denominatori, il A di Legendre, e quindi infine ia riduzione ai trascendenti ellittici. 7. Supponiamo, il che è lecito a ■ cos'opdy sena e 2 /A COS'fflt!'55\ _, ^ i ^ ri serirji cos'/Jt cos' 2rt^2 / / f* cos'odsj , , /A cos'od'^v V _^ ""' / ^ 1 '' 6^c \scn^ cos^/j. cosv ^ o A 3 . fx cos'opdy sena cosvj „ A^ . /* COS'^t!'p\ ^J o ~A^/ 4- — — i.a- + Z»- -+• e ') -+--- 71/t^ Superficie curve 291 Fiicci;itiio con Legeiidrc 'do abbiamo facilmente J'cos-ajdo E — //^F / scn2mdi?3 1 ., ove E, F sono i due trascendenti cllillici incompleti di prima specie di modulo A; , e di conipleraonto k' dello stesso modulo ; ai due integrali aggiungiamo r 1 (H-A-2^E /AF J Ad^cos^'^ ^ — Aseu^ cos^ H — — Il primo membro di questo integrale si moltiplichi , e si divida per A =^ \/"{\ — /ì3sen^9) , e si sostituisca sena^ .= 1 — cos^9 , si troverà J/'cos^ffld© , / cos^odo , , rcos^odffl d'onde A ^ Ì^J ^'^'^'''"^ - fJ —a- ove sostituendo i valori già stabiliti, avremo /'cos'^9d9 Ascn9COS9 2[k^—k'^)E k'H2/{'^—k^)F J A "" ~ 3/.-^ ' 3//» ' 3^ Se nello slesso integrale si sostituisca 008-9=1 — sen'9, si avrà / se •scnl9d9 ASCU9C0.S9 2(H-/.=')E i'^-^'-^l A ' 3A;'- 3/.^ 3A4 292 Scienze dal medesimo integrale abbiamo r/ cos'odo ., / sen^o cos'odop . •> A ^ A d^onde per la sostituzione e riduzione J'sen^^cos^ijjdip (2 — Jc^)E 2^"F Aseny coso A " 3M 3k't U-' Per calcolare gli altri int(!grali nei quali si trovano le potenze superiori di A, poniamo successivamente cos^ip Acos^(p Bcos'o A^ "^ ~A^^ A troveremo per i coefiicienti A, B k"' 1 quindi J^cos^pdy 1 i'cos^'^d9 k'^ /'cos^odo A-^ ^ fJ a ~ F-' a'' Nella stessa guisa faremo cos'o ABC A""' A-' ^ A^' A e sarà A'4 2k'' 1 d'onde A^ ^ lóJ A5 pr J A^-! "*" A^-/ A Ora fra le altre formolo di riduzione dei trascendenti Superficie curve 293 ellittici troviamo nell'opera di Logendre (*) rcos^fpàf F — E senip cosy J"d(p 2(H-À;'^)E F 2^'»(1+A'^)sen9COS9 À5 ^ 3^'r~ "~ 3^^ 3F4A A^seny C0S9 Per la sostituzione di questi valori si avrà ■"cos'iod^j (1H-A'=')E 2k''F A'^scn^cosip /- A3 A 4 M /t^A /coslyd^^ 2{k'^—2)E (3— /t'^)F 2(A; =*— 2)sen?) cos^ ~A5 ""TM * 3A4 SA^A A'^sen^jcosf 3k^A^ Tutte queste forinole porgeranno una riduzione ed ap- plicazione al nostro caso. 8. Gli integrali che si trovano nel secondo membro di V sono presi entro i limiti 9 = 0, y— /x, e la quan- tità A =1/^(1 — A'^sen^ijj) per 9=|Ji, porgerà facilmente b cos/x e cosv (*) Fonctions elliptiques tom. 1. pag. 2S1. 294^ Scienze e per conspgacnza /■//• cos'Offa? E — ìc"'F r- eos~(pi\f F — E sena cosv J o A ^ ~'3h^^j "* 3^^^Ì ' 3B ~ / f/- cos''(p(Iffl {]-4-k^]E 2A'^F ^'^seii/j. cosv y^pt cos^^dcp 2{k'^—2)E (3 — A'2)F /.:'"sen/ji cosV j ^ j, A^ 3A:4 3A-4 3/i''cos7j!, 2(/i'^ — 2)scn/j, cosv 3/e" Sostilaendo tulli quesii valori, ed avvertendo per alcune riduzioni ai valori a \/^c^ — a^ a coso, = — , sena ■- , cosy — -r- c e b si otterrà _7raéc/c^+2(rt^-4-è-=)v jr^'tc' /flKEjj-^H.^F v H (cos a F -f- sen^aE) scn/x \ / Iv.ahh'^ 2v:ch^ H e scn/x ; — {a'- -|- ^^ -t- e') •+• — 7r/i^ Superficie curve 205 I coelTicicnli l-p=2((A'^ — 2)cos^_a+-(1— 2/v'^)cosiv-|- l-i-/'-'''')) H^ Ì4c4(e2 — «^) ove sostituendo nuovamente il valore di k^ , si avrà in fìne H^ _ 2a4(c2 — a^^)(a' -4- é^ -h C2) Nella stessa guisa abbiamo H»'= I7-77T- ^((3c' — 2a- — hHc^ — aAb'^ + {b-'—a%Zb'^~2a'^-~c^)c^^Mb^—a%c^—a^)b^c^ \ Il secondo membro ordinato secondo le potenze di e è 296 Scienze divisibile per (e" — b'^Y ', però , a4(c^ — FY{\a'' H- ^2 _^ c2)«2^ «4 — è^c'l ~" 64c4(c2 — «2)2 od anche ' 14' ^ b^i dunque in fine ponendo e rappresentando per F(^-, y) , E(/c, jO.) le due funzioni ellitliche incomplete di modulo k e di ampiezza jtx, della prima e seconda specie, otterremo 7raéc/e"+2(a" H-&^) 27:K.E(/c, /x) 7rK,F(/^, ju)v "^ 6 \ c^ 6l/^c2 — ci^ 6l/"c^— a"/ 3 ^ 3 Questi risultamenti separatamente considerati erano stali già da me dati, come ho avvertito nel parag. 6, in una Memoria inserita nel tomo 31 del giornale del sig. Creile di Berlino in occasione delle ricerche sulla quadratura e cubatura della superficie di elasticità. Se per maggior semplicità si rappresentino per L, M, N l'aggregato dei termini di forma razionale, e dei coefficienti delle fun- zioni ellittiche, potremo porre per la sostituzione di K, K, L=— (c2-i-2a^-+-26'4-12/t^)-H -^[a^- -+- 6' -f- e' -(- li^) 31 Superficie curve 297 ^2 -{- c-)a^ -h a'i — b''c'- -+■ 1 2a^Jr N :^ '_) ' (a' ■+- ly- H- c^ -h 6/i2) dalle qnali risulta il volume terminalo dalla superfcie concoidaìe derivala dalla superficie di elasticità V == ttL H- 7rM.F(/.-, ij.) H- n N.E(/[-, fx) il qual volume, come si era accennalo, dipende dalle sole funzioni ellilliche di priora e seconda specie. 298 Sulle operazioni che si richieggono per la bonifica- zione delle terre deW agro romano. Discorso let- to neW accademia tiberina nel luglio del 1836 dal cavalier Clemente Folcili ingegnere ispettore di acque e strade. AL PREGIATISSIMO SIG. CAV. SALVATORE BETTI K el rivedere ultimamente certe mie carte, mi è ve- nuta fra le mani la copia del discorso sulla bonifi- cazione dell' a{jro romano, letto dall'egregio sig. ca- valier Clemente Folcili all'accademia tiberina nel lu- glio 183G, e condannato, ad onta delle altrui rimo- stranze , dalla modestia dell' autore a rimanersene inedito. Ora che 1' alta sapienza dell' immortale Pio IX infonde anima e vita in tutti i rami delle pub- bliche cose, e chiama a gara gì' intelligenti a pro- curare i veri interessi della patria, a me sembra op- portunissimo il mettere in luce tutto ciò che può secondare le magnanime istituzioni dell'adorato no- stro sovrano. Perciò, replicate le mie istanze presso quel valente ingegnere, dell'amicizia del quale som- mamente mi onoro, mi è venuto fatto di vincerne finalmente la ripugnanza, e di ottenere la permissio- ne di pubblicare lo scritto. Né qui si è limitata la di lui cortesìa. Siccome dal tempo della lettura sino a' giorni nostri sono accadute delle variazioni, cosi "BONIFICAM. dell'agro ROMANO 299 r ollimo amico a maggiore dilucidazione del lesto si è compiaciuto di apporvi qua e là qualche pic- cola nota. Lieto del conseguimento delle mie bra- me, io sono certo di fare a lei, dottissimo sig. ca- valiere, un prezioso regalo coU'inviarle questo in- teressante discorso per il giornale arcadico , in cui ella ha sì nobile parte, e che più volte già si è ab- bellito dei lavori del Folchi. Ella intanto continui a sostenere le glorie della nostra Italia co' suoi ele- gantissimi scritti , e mi faccia 1' onore di tenermi sempre nel numero de' suoi ammiratori ed amici. Roma 12 novembre 1847 GlO. BATTISTA ROSANI vescovo di Eritrea. La insalubre e deserta regione, che sì acremente eccitò la bile dell'Eschilo italiano nell'approssimarsi all'eterna città, e che giornalmente si attira i rim- proveri e i sarcasmi dello straniero , è fatta da mol- to tempo per dolore oggetto delle solleeitudini dei reggitori dello stato, ha risvegliato lo studio del pa- trio zelo, ed è divenuta in oggi desiderio generale la sua restaurazione. La nostra accademia ne concepì fino da' suoi primordi l'importanza e la ineluse nel- lo spirito delle leggi statutarie : voi stessi, chiarissi- mi colleghi , ne sentiste l'interesse: ed io più volte fui uditore de' vostri dorti ragionamenti , sia che questi tutto il male appalesassero da cui la campa- gna dell'agro romano è travagliata, sia che i rime- di ne suggerissero onde toglierlo a sì grave infor- 300 Scienze tunio e ridonargli quella floridezza e quel vigore che sappiamo aver esistito sotto gli antichi popoli latini. Udii, e restringendo col mio debole intendi- mento le vostre osservazioni vi ritrovai uniformità in attribuirne la causa agli effetti, o si voglia dalla malignità del clima inferire la mancanza di popo- lazione, o da questa far nascere quella : ed unifor- mi pure rinvenni i vostri pensieri nel basare il principio di un progressivo accrescimento di colti- vazione e di popolazione. Se non che differenti ne suggeriste i mezzi, gli uni proponendo la divisione de'latifondi in parti minori, questi sciogliendoli da- gli inceppamenti de' canoni, laudemi, e ricognizio- ni; e quindi partendo dai punti più assicurati dal- la influenza dell'aria malsana dar principio alla col- tivazione, avanzandola in proporzione degli effetti che ne deriveranno: altri, rimontando ai tempi di Numa, crede meglio l' ingrandire i latifondi portandoli a formare paghi o colonie regolari in tutto l'agro ro- mano animate da premi e privilegi e popolate da famiglie originarie prese da Bracciano , Riano , Ci- sterna ed altri luoghi confinanti. Sebbene da tali processi voi giudiziosamente aspettate ogni altro bonificamento , in cui la popolazione crescente na- turalmente deve occuparsi o per bisogno o per in- dustria o per diletto; pure voi stessi invitaste gì' in- gegneri ad assumere questa materia ad essi spettan- te, specialmente in riguardo al diseccamento delle paludi e dei frigidi ristagni d' acque piovane. On- de è che io, il quale mi glorio di appartenere all' inclito corpo degl'ingegneri pontificii di acque e stra- BONIFICAIM. dell'agro ROMÀNO 301 de, per secondare sì gentile invito, per appag^are le voci del patrio amore e per isdebitarmi in qualche guisa con voi , illustri tiberini , i quali voleste in questo anno innalzare l'infimo fra voi al primo gra- do della vostra accademica rappresentanza, a tale ar- gomento rivolsi le mie considerazioni, e ne formai quel concetto che ora sottopongo al vostro sapiente giudizio , da cui imploro compatimento e bontà. Non m' intratterrò ad indagare quale possa es-- sere la causa primitiva della malattia che spopola le nostre campagne: ne credo di dover abbracciare la opinione del celebre Brocchi sopra un miasma che egli fa sussistere nelT aria: o l'altra del fisico Gia- como Folchi, il quale dalla frigidezza delle notti nel- la cocente estate ripete l' impressione febbrile nella cute; ma piuttosto riguardando il dove si contrae la malattia seguirò il Lancisi, il quale provò che la ma- lignità dell'aria là si ritrova dove sono maremme, paludi, e ristagni d'acqua, e particolarmente ove la melma e fanghiglia lasciala scoperta s' imputridisca. EJ invero la spiaggia sottile del mare toscano , i laghi di Fogliano, d'Ostia, di Campo-salino, e quel- li di Bracciano , di Bolseno, e il Trasimeno istesso, sebbene mossi ed agitati ci offrono la convincente prova, che ove per il ritiro dell' acqua nell' estate s'imputridiscono i corpi organici, e vi resta melma, ivi ed in quella insenatura o gronda esclusivamente si risentono gli effetti della cattiva aria, e nei laghi minori come quello di Gabio e di Regillo, e quelli che sono nel territorio pontino, ove l' agitazione è nulla, e la putrefazione quasi generale, i circondari malsani si uniscono l'uno all'altro come tante anella, 302 Scienze le quali si congiiingono poi eoa quelle dei pantani e bassi fondi, ovunque le acque o soverchiate dai fiumi o cadule nelle stagioni piovose non trovano «sito e non si diseccano che imputridite per la len- tissima evaporazione in tutta l'estate. Tutto ciò eminentemente si verifica nel nostro agro romano, il cui suolo è generalmente di pochis- sima elevazione sopra il mare con spiaggia intera- mente aperta al soffio dei venti meridionali e con un andamento fino alle colline tutto sparso di pro- minenze e clivi, fra i quali rimangono avvallamenti di dilficile esito naturale per le acque, di difettosa direzione negli scoli, e questi tutti generalmente tra- scurati o privi di manutenzione. Senza molto internarsi nella campagna, basta per- correre le strade principali per iscontrarvi marrane e fossi stagnanti,^ terreni acquastrini, lagune e pisci- ne che talvolta servono ad abbeverare il bestiame senza bisogno di condurlo ai fontanili, e vedervi sor- give frequenti, e ruscelli lenti e vaganti, provenienti o dagli antichi guasti acquedotti, o dalle più guaste condutture moderne delle tenute lasciate senza cu- ra e senza restauro. Tale al certo non era anticamente Io stato di queste campagne, per la prosperità delle quali tanta industria si poneva dai magistrati stessi, e tanto ono- re ne proveniva ai cittadini che le curavano; onde popolatissima fu questa terra, come ci attestano Dio- nigi, Livio, Virgilio, Plinio, e Strabone enumeran- doci i popoli e le città che vi fiorirono. Si visiti coi lumi dell'archeologia la via Appia, la Flaminia, la Cassia, l'Aurelia, l'Ostiense, la Tiburtina, la Sala- BONIFICAM dell'agro ROMÀNO 303 la, la Nomenlana, la Prenestina, la Latina, la Tiiscu- lana ec: si ascolti Frontino, si prendano a leggere le lettere di Plinio il giovane, per accertarsi appieno dell'amenità dei luoghi e delle campagne del La- zio dai colli fino alla riva del mare. In conseguenza coltivatissima doveva esser questa regione per la sus- sistenza degli abitatori, per la opulenz.!, e per la ri- cercatezza dei prodotti, quale si addiceva alla son- tuosità dei grandi che se ne andavano a diporto nelle loro ville in ogni tempo dell'anno, anzi nella estiva più che nelle altre stagioni. E feracissima la ritroviamo tutt'ora più che ogni altra parte d'Italia, sia per la sua qualità vulcanica, sia per la calcare di cui abbonda. E favoritissima ella è dalla natura e per il clima sotto cui giace, e per le acque peren- ni che l'alimentano, e per la sua posizione commer- ciale tanto per l'interno quanto per l'estero; laonde solo da cause politiche dobbiamo ripetere tanto de- vastamento e tanto abbandono di questo suolo si privilegiato dal cielo. Il principio di questa fatale rivoluzione si rav- visa primieramente nella inosservanza della legge agraria durante la romana repubblica, e nella osti- nazione de' potenti ia impedirne l' applicazione : quindi il dipartirsi della plebe dal proprio terreno, e quindi le eterne contese fra i tribuni e il senato. La mollezza, in cui cadde l'impero, ci mostra anco- ra i ruderi del cangiamento de' campi in orti e giardini. Il fatale traslocaraento della capitale dell' impero in Bisanzio disertò non solo le campagne, ma fé crollare i palagi ed imboschire i campi; e spaventevole diviene il prospetto dei mali, se rani- 304 Scienze meritare si vogliano gì' incendi e le depredazionr delle armi vandaliche, longobarde, saracene, e sas- soniche ; e finalmente 1' allontanamento della sede pontificale da Roma, e le assidue civili guerre dei suoi figli stessi nei critici tempi del feudalismo ne compirono al di là d' ogni misura lo squallore e la miseria. Se questi e non altri furono gli agenti del- la distruzione, non è a disperarsi che la stessa terra per mezzo di contro-agenti restitutori possa ritor- nare alla sua giovinezza e primiera salubrità. Già nel secolo di Pio VI si riandava al felice successo di Teodorico ed ai tentativi fatti da Leo- ne X e Sisto V per incominciare la bonificazione da quella sede, dove il male tiene la sua più vasta regione, cioè dalle paludi pontine confinanti col no- stro agro romano; e lo stesso Pio con tutta la forza della sua mente e delle sue risorse si volse a supe- rare quante difficoltà si presentavano per ottenere il diseccamento, o a meglio dire per una condotta re- golare delle acque, onde porre quelle terre in istato di coltura e di popolamento. Gran danno fu che quel pontefice non potesse compiere l'opera, e che poscia succedessero tempi del tutto sfavorevoli a proseguire l'intrapresa, sulla quale ora con tutto lo impegno del nostro benefico governo si spende e si travaglia colla fiducia di vederla sollecitamente por- tata al grado di sola manutenzione. Quindi Pio VII co' due ordinamenti dei 4 novembre 1801 e dei 15 settembre 1802, per mezzo della fascia milliaria, col mirabile apparato de' pre- mi e pene e con altre notabili disposizioni , cercò di dare nuova anima e nuova vita all' agro roma- BONIFICAM. dell'agro ROMANO 305 lao; ma infruUuosi riuscirono questi sforzi, perchè iiiuna famiglia , niuna colonia volle arrischiarsi di farne la prova, spaventata alla vista deg^li sta^jni e delle lagune che vi fanno specchio e riflesso anche dalla cima de'colli che circoscrivono la nostra cam- pagna. E, se non erro, il difetto parmi che sia nel piano adottato e nel volere assediare il nemico alla lontana con poche forze, le quali non potianno non restare vittime della forza assai maggiore di un ve- leno potentissi mo per la sua qualità , per la sua esteniiione, e per il suo possesso. 4]Iomprese bene il bisogno d' una forza mag- giore occupante il guerriero del 1810, e bene ne espresse le note allorquando alla commissione qui spedita da Parigi in quell'anno per l'esame e rap- porto sullo stato dell'agro romano rispose: » Che la ») coscrizione di un anno sopra tutto l' impero po- 4 leva sola d'un colpo decidere la questione ». Ma con quell'impero cadde il gigantesco progetto: e non "V* ha luogo a discorrere o questionare se quell' e- sercito di coloni coscritti, fornito d' ogni sussistenza e dei ricoveri necessari , potesse senza molte morti e malattie vincere e trionfare. Se dunque per le nostre circostanze politiche e morali, e per la mala riuscita dei tentativi, si ren- de per noi inapplicabile il principio di vincere il male col naturalizzarlo ripartendolo in individui, do- vremo perciò arrestarci alla diflicoUà VE> non pen- seremo di rivolgerci piuttosto ad attaccare il nemi- co nella sede sua stessa ove lo ritrovarono il Lan- cisi , e. gli stessi Brocchi e Monchini, cioè nelle acque stagnanti e nei terreni uliginosi? Quale h»je G.A.T.CXIII. 20 306 Scienze quanta fiducia non acquisterebbe il soggiorno di queste campagne, se a tale si pervenisse di prosciu- gare gli stagni, e dar corso alle acque tutte dell'agro romano? Forse chi dalla popolazione fa derivare la bo» nifìcazione de'terreni, crede non possa questa ope- rarsi in precedenza, perchè i lavori abbisognano di braccia , e le braccia non possono aversi che da quella. Ma qui mi è duopo dichiarare, che se pro- babile fosse che questo popolo potesse crearsi ia un subito, e se gli esperimenti fatti non ci persuar^ dessero della vanità di tentarlo a piccole colonie, non esiterei a dare il voto perchè cessasse una vol- ta il doloroso spettacolo di vedere in ogni anno pe- state le nostre terre da villici collettizi che da lon- tani paesi e province qui vengono a sfamarsi, seco in patria ripoitando i nostri frutti e gli opimi loro guadagni. E forza però di servirsi di costoro: ed a questa dtera condizione saremo sempre mantenuti Bno a che si resterà nella inerzia e vergognosa stU' ftiàmza: sulle nostre miserie. Che se una porzione di tali mercenarie truppe fosse annualmente diretta ad uno scopo, giungerebbe forse quel tempo e non molto lontano, in cui gl'i stessi lavoratori, ritrovan- do quivi «n soggiorno sicuro, vi si tratterrebbero in ogni stagione, e trasporterebbero stabilmente le loro, famiglie sul campo già bagnato dai loro sudo- ri e dalle loro mani quasi rigeneratov Né di (3anta vastità sono quei teniraenti dell' agro romano che dovrebbero sottoporsi ai lavori i- dìiaulici. Sono in ogni modo di minore impegno delle pallidi potatine e degli attiri boniifìcameati ese- BONIFICAM. PELL'AGRO ROMANO 307 «f«iti h«I nostro stato e contermini raaremme, ove tutti i fiumi o allargati , o voltati , o nuovamente inalveati per ampi e lunghi letti , tutte le grandi colmate intraprese, e tutti gli scoli aperti, tutte le strade conducenti, tutti i ponti, fabbriche e perfino i porti, sono stati eseguiti con opere di paesi estra- nei al luogo chiamate dalla sola fama , e colle sole forze economiche dello stailo. Così la Toscana ridusse a giardino la sua Val
  • - sta per assicurare il pubblico del vaiare di coloro ch'escono dalla sua scuola; laonde i proprietari del- le terre , guidati da questi, non potranno dubitare e della riuscita dell'opera e dei calcoli sul loro in- teresse (2). Riunita così la volontà dei proprietari e la: buona direzione con l'aiuto e protezione del gover- no, la bonificazione delle terre non può nnancare; e queste purificate e adattate alla vegetazione invitc- (i) Ora (lefonto, a cui è stato sostituito l'altro chiarissimo pro- fessore sig. Niccola Cavalieri direttore della scuola degli ingegneri e presidente del consiglio di arte. (2) Tutto ciò potrà sicuramente ottenersi col mezzo dell'istituto agrario fondato nell'anno corrente 18i7 dal provvidentissimo nostro sovrano PIO IX. BONIFICAM. dell'agro ROMANO 313 ranno colla fecondità propria delle terre di alluvio- ne i cultori a portarvi l'aratro , a piantarvi arbora- ture , ed infine a trattenervisi colle famiglie , rico- prendole forse in prima di semplici capanne, da cui facilmente si passa al casolare, alle cascine, ed alle borgate; e questo concorso sarà tanto più facile, se i nuovi coloni e cittadini allettati verranno da qual- che privilegio e premio del governo. A me sembra che riducendo il gran problema a'termini di probabile esecuzione, si potrà perveni- re a qualche cosa. Questa facilità di esecuzione bi- sogna ricercarla nei nostri mezzi e nella efficacia di questi. Un potente modo la natura ci somministra nel nostro Tevere. Esso ci dà il materiale per di- struggere il nemico che attenta alla nostra vita: es- so ci apre la via a fruire de' suoi tesori, e ci pro- mette colle sue pingui munizioni una usura inat- tendibile da qualunque altro impiego delle somme che occorrerà anticipare , e che non sono al di là delle nostre forze. Si preparerà così la restaurazione del Lazio, non si metterà a pericolo di perdila quel popolo che vi stanziasse prima della estirpazione delle paludi malsane , e si darà alle famiglie fidu- cia e spontaneità per accorrervi, affinchè tutta se ne ottenga quella stabile popolazione che le opere di tal fatta compie e mantiene. C. FOLCHL 314 Sul vainolo vaccino e sul cholcra asiatico. Ragionamento di Luigi Marchi medico assistente nello spedale di s. Maria e Gallicano di Roma. Ni iuno mi potrà revocare in dubbio che delle po- polari infermità le contagiose non sieno quelle che, prima che le altre, si traggono la nostra osserva^ zìone, e più invogliano a ricercare le occulte leggi dei loro manifesti e singolari procedimenti. Sia che ti colpiscano lo intelletto , ora col vagare sporadi- che, ora col dominare epidemiche; quando col dar- ti sicura guarentigia da un'altra infezione, quando col lasciarti alla furia di nuova aggressione : sia cltó ti feriscano il cuore con la vista dei funesti efiétti che recar sogliono tra i politici avvenimenti. Essen- do che le contagiose infermità segnano i giorni di suprema sciagura nella vita dei popoli , non solo con la strage che menano attorno; ma col dare oc- casione che la reverenda autorità delle leggi cada disciolta , e sia tronco a mezzo il corso di quelle operazioni , onde i popoli progrediscono nella via dello incivilimento. Onde ai buoni principi discorre un debito di adoperare tutti gli argomenti che le tengano dei loro stati lontane; ai medici l'altro non men grave di mettere continua opera per rinvenir- li. Su i contagiosi morbi io avea già fermata la os- servazione, con animo di penetrarne le occulte leg- gi; ma non era gran fatto innanzi, quando, se ben Vaiuolo vaccino ec 315 mi ricorda, nel 1843 mi venne alle mani un pro- gramma dell' accademia medico-chirurgica di Bolo- gna. La quale avendo a cuore, più che ogni altro, di proporre ad esame e in deliberazione quelle me- diche quistioni nocevoli alla pubblica salute, mossa alla vista de' molti vaccinati che cadeano nell' ara- bo, prometteva non tenue premio a colui che con la guida dei fatti, e con l'aiuto delle ragioni, fosse pervenuto a definire se perpetua o temporanea si era l' azione anti-vaiolosa del vaccino contagio ; e .se riconosciuta temporanea, ne avesse pur definita la durazione. Come questo vennemi letto piacque- mi, oltre ogni dire, l'avveduto consiglio di quegli illustri accademici, come quello che mirava ad uà fine Aitilissimo, che non si poteva, secondo a me pa- re , conseguire , che non si fossero pur discoperte tutte quelle leggi,, onde si governano i contagiosi morbi, e delle quali è difetto nella general patolo- gia. Mi parve allora di dover cogliere questa occa- sione: e con lieto animo, raccolte tutte le forze, vol- si ogni studio a questa meta , che da prima non credea mi fosse discosto. Ma non mi fui messo per quella via che ne additano i primi filosofi a ricer- care le operazioni di natura , che tosto mi avvidi, come era facile sviare, correndo dietro alla fanta- sia, cosi difficile era per me il progredire per quel- la, e rimuovere gli ostacoli onde era piena. Ma io erami proposto di andare innanzi secondo la baco- niana legge. Non excoyitandum (dicea a me stesso) aut fingendum , sed invmiendum quid natura faciat aut ferat. Risoluto piuttosto di darmi vinto all' al- tezza del subietto , e di vedermi convinto di aver 316 Scienze errato nello intellettuale procedinrento, che di ac- crescere il novero delle ipotesi onde sono ancora macchiati i nostri libri. E però per quella \ia an- dai tanto a rilento, che venuta la fine del 1844, che era il tempo determinato a dare risposta a quel- la accademia, io mi trovava appunto in sui comin- ciare di essa, ed a pena a questi dì posso certifica- re di essere in sul finire , dopo aver durata ben lunga fatica. Nientedimeno non potendo allora in- dirizzarle pure una parola intorno questo mio stu- dio, volli tenere informata quella accademia, che io vi attendeva con tutto l' animo , dandole promessa di rimetterlo al giudizio di lei, quando che fosse per me recato al suo termine. Al quale se tarderò a venire, non me ne verrà data colpa. Imperocché essendo questo il primo scientifico lavoro che darò, debbo aver tutta la cura di metterlo fuori meno incompiuto, e più studiato che mi riesca possibile. Ma che al presente io debba trarne alla spicciolata alcuni generali principii, e metterli innanzi il co- spetto di tutti, io mi confido vorrà essere da cia- scuno conceduto, il quale e si commuova alla vista del contagioso asiatico cholera (i), che da presso ne minaccia la seconda volta, e di buon grado ascolti che da questi studi è in me surta la speranza, non già di domare sì micidiale morbo, ma distruggerne il contagio che n'è la cagione, e d'impedire, senza pur l'ombra di pericolo, ch'ei più non faccia pre- sa su i nostri corpi. Se già non fosse che il do- verli ora recare è obbligo imposto dalla ragione stessa del nostro ministerio. Ne alla data promessa io credo di venir meno. Credo anzi di attenerla, e Vaiuolo vaccino ec. 3\f •ài rispettare ì dirilti dell' accademia bolognese^ laM sciandole la disamina ed il giudizio dello intiero lavoro. Io adunque appresso aver dirette tutte le forze del mio intelletto a discoprire ise perpetua o temporanea si fosse questa misteriosa azione del vaccino vaiuolo, onde venghiamo preservati dall'a- rabo, parvemi vedere che non si potrebbe mai per- venire a questo fine, dove prima non fosàè messa in tutta la luce questa occulta azione, di cui cer- chiamo la durata; e che non si potrebbe giungere a questo, che dopo avere appreso quale eflfetto va-» leano a generare su di noi i contagi , quanti ess? :>ono. Ciò posto , mi feci a considerare il singoiai'' modo di continuarsi d' uno in altro uomo dei còri-' tagiosi morbi: e ritenuti infetti quégli infehci, che ne cadono presi, definii il contagio , essere quella morbosa potenza che dagli infetti trapassa pel contattò nei sani; come morbi contagiosi doversi dir quelli che sono generati da contagio. Quindi passato alla parli* colare osservazione delle forme di tutte le infermità da contagio , vidi che V unico e diretto effetto òhe posson produrre si fatte morbose potenze, si è quel- lo di commutare nella lor natura quella dei corpi, su' quali SI gettano ; onde incontra vederli uscirò mai sempre moltiplicati, « bene spesso far di se spaventevole vista ove quasi invisibili- ' od insidì^sk* mente erano entrati. Se non che non tutti i con^ tagi si diportano poi ad una stessa guisa' nclld gjé^^ Aerazione dei morbi; e dove gli uni non infettando tutti coloro, che se li acquistano; ora vagano spo- radici, ora dominano epidemici; cessano dal gene^' rar ràorbi, comechè abbiano pure sugli ultiiiii infell* 318 Scienze ti moltiplicato, ed il contatto gli abbia nei sani dif- fusi; per alquanto tempo guarantiscono da una se- conda infezione : altri contagi per contrario tanti riducono in poter loro, a quanti si avventano; né alla maniera sporadica o epidemica regnano mai; non si rimangono dal generar morbi, se non cessa- no prima i contatti; non concedono mai guarenti- gia. Il contagio vaccino, l'arabo, il cholericó, il pe- tecchiale, quelixj del morbillo e della scarlattina ten- gono il primo modo; il contagio sifilitico, il pso- rico, e quello della idrofobia tengon l'altro. Da que- sti fatti per naturali leggi costantemente avvenu- ti, e delio stesso modo da tutti i naedici osservati, presi ardire di trarne questi generali principii: 1." Che alcuni contagi, a dover produrre i na- turali morbosi efletti, avean mestieri di rinvenire i nostri corpi in una speciale occulta condizione. ! -2f° Che taluni altri contagi teneano piena possan- za di generare per sé soli i contagiosi morbi , qua- lunque fosse stata la condizione in che trovavano i nostri corpi. E conciossiachè dalla osservazione delle forme de'contagiosi morbi io aveva già cavato, che tutta l'azione dei contagi si riduce a moltiplicare se me- desimi, commutando, comunque ciò segua, in pro- pria natura quella dei corpi cui avventansi, ne con- seguitò di dovere riconoscere nei contagi, che ho da ultimo noverati, la piena possanza di assimilare i vi- vi tessuti e gli umori di nostro corpo, quando pure niuna morbosa cagione ne avessse corrotta la trama, o alteratane la crasi; e di doverla negare a quegli altri contagi, come quelli che non possono assimi- Vaiuolo vaccino ec. 219 lare che quegli umori, o quei solidi, sì scaduti dal- la natia vitale composizione ed organizzazione, da dovere per poca azione cedere alle nuove alfìnità. Questa patologica condizione degli umori, o dei so- lidi che siano, onde sono divenuti atti ad esser con- vertiti in contagiosa materia, io appello predisposi- zione: altro indispensabile elemento alla formazione dei morbi generati dai contagi che ho noverati i primi. Mentre adunque per cadere nella sifilide e nella psora è abbastanza lo aver avuto contatto non fuggevole co'siftlitici e coi scabbiosi : (dissi non fug- gevole; essendo che la materia del contagio sifilitico e psorico, come osserva Astruc, non è volatile e te- nue, ma fissa e grossa) ad esser preso dai vaccino vaiuolo, dall'arabo, dal cholera eie. etc. non basta che il contagio penetri dentio nói, ma è necessario che vi rinvenga questa patolologica disposizione. E per procedere ordinatamente, io mi posi a rin- tracciare la via , onde questi contagi entrano nei Boslri corpi. Ed è ben chiaro, che solo di questi io ne la rintracciassi. Imperocché il sifilitico, il psof; rico e quel della idrofobia, come quelli che son po- tenti di commutare nella lor natura i sani umori, ed i nostri vivi solidi: in che consiste, come vedem- mo, tutta la loro azione: dove si posano, quivi è il. centro del futuro morbo che generano, e qualun- que parte di nostro corpo è buona da essi. Per rin- tracciare adunque la via di quei contagi mi ripor- tai (dirò brevemente): 1.° A molte sparse osservazioni trovate negli anti- chi e recenti scrittori di cose mediche donde ricavasi che alcune naturali o artificiali condizioni della cute 320 Scienze esterna sono atte ad impedire certamente lo assor- bimento di queste morbose potenze 2." Alla istoria della diffusione dei contagiosi mor- bi, avvenuta sempre in ragione degli effetti recati dai climi e dalle stagioni sull'esterno velamento del corpo. ;: 3." Agli esperimenti che riuscirono vani quando si tentò inoculare l'arabo vaiuolo per le membrane muccose. E quindi dovetti tenere per fermo, che quei contagi entrano per i soli linfatici, che metton capo nello esterno velamento di nostro corpo. Ed avendo poi indirizzato le ricerche a trovare se i solidi, o i guasti nostri umori sien quelli, che costituiscono quella patologica disposizione, parvemi: iììhhì." Che l'attenta osservazione sopra la naturai maniera di formazione de'nostri sani umori; non che sul modo di nutrirsi dei solidi*, -ttiQ." lì difetto di sintomi che mostrino distrutta al- cuna solida parte del nostro corpo nelle varie fasi del vaccino ed arabo vaiuolo, e degli altri conta- giosi morbi; .i«'>,£ito;)j;ihn ' 'iS." La peculiare condizione dei convalcicenti e va- iolosi, e cholerici etc. etc; 4.° Le autopsie cadaveriche degli estinti dal va- iuolo, o da altro contagioso morbo; E da ultimo la certa e costante efficacia dèlia dieta, nel preservare od ammansire colali morbi, ci doves- sero far riguardare i soli umori atti a serbare ai con- tagi questa indispensabile disposizione; come quelli che non possono rifiutare il coniugio di corrotte mol- lecole, possono divenire ad alto grado viziati, e la loro Vaidolo vaccino ec. sii ■occulla ooiTUzionc essere compatibile con imo stalo .appareutemente sanissimo. E ponendo mente con quali condizioni dovesse esser fatto un sistema di vasi, ed ^ quali funzioni destinato, per accogliere e serbare ai contagi Tesca funesta che richiedono, mi avvidi che solo il sistema dei vasi linfatici era da ciò. Il quale ed è povero di nervi, e biancheggia pure per la scarsità di sangue che lo vivifica; sì che poi sia- no oscurissimi quegli atti vitali, onde va cacciando -e commutando il contenuto umor linfatico. E questo umore però che risulta di quelle crude e non vitali molecole che beono i linfatici in ciascuno umore , e di quelle altresì dei solidi già passale per tutti i ^radi del vitale chimismo: che vale quanto dire, che sono di soverchio pregne di azoto: è più che ogni altro animale fluido di per sé già acconcio a rice- cere le nuove affinità che vi può determinare l'azio- ne di un altro fluido; e lo diviene ben più come per le naturali cagioni lo azoto vi soverchi, o molti al- tri eterogenei elementi tra questo umore vi mettano tutte le esterne ed interne morbose potenze, cui tie- ne aperta la via il sistema de' vasi linfatici. E quan- do ultimamente ci recheremo per la mente, come la scrofola è morbo che procede da profonda corruzio- ne dello umor linfatico; che si palesa ad una cer- ta età, mentre il germe n' è ereditario, di leggieri comprenderemo come nel sistema dei vasi linfatici possa essere un umore altamente guasto , e non ci .conduca tosto in morboso stato , ma infino ad un certo punto sia compatibile con florida apparente sanità. Tutto questo trovato, tentai con questi soli prin- G.A.T.CXIII. 21 32^ Scienze cipiidi lifarnii su la forma del vaccino vaiuolo, per vedere, con la sola scorta di essi, di giungere allo scoprimento della azione, che si crede infondere su di noi il vaccino contagio. Ed allora compresi che questo, come gli altri contagi, penetrato che abbia- no, per la via degli esterni linfatici, il nostro cor- po, come quivi rinvengono copia di guasti umori da moltiplicare, e tosto, alla insaputa nostra, su di essi svolgono sì nociva ed inevitabile azione , che in |3reve ora tutti li commutano in contagiosa so- stanza, E compiuta che sia questa assimilazione, gli stessi vasi linfatici cacciano a forza tutta questa con- tagiosa materia per entro il sistema de' vasi sangui" gni. Ai quali , se il contagio cacciatovi è poco , e di mite indole, è abbastanza l'usato vital movimene to per tradurlo, con ordinato modo, alla cute. Ma dove la materia contagiosa molta sia, e di virulen» ta natura, ed allora quei sistemi di vasi raddoppia- no di lor vigore -, il sangue tutto ne ribolle a tale inusitata e minacciosa miscela; le naturali forze tut» le si levano per impedire che il contagio si fermi a distruggere alcun solido, e tutto sia messo fuori su la cute. E quivi come è fermato, incominciano quei liberi vasellini della cute, che sono dattorno al teS' suto penetrato dal contagio, a prendere sì gran vi- gorìa, che in breve spazio giungono a circoscriver- lo in tante piccole aree; e quindi per via del na- turale calore, divenuto ora maggiore dalla cresciu- ta attività di essi , e per opera di alquanto bianco fluido che a forza vi cacciano, pervengono a fon- dere queste piccole parti del cutaneo tessuto in quella fluida sostanza che si appella m arcia; la qua* Vaidolo vaccino ec. 323 ie diluisce senza distruggere le native qualità del contagio. E quindi quei circostanti vasellini a ma- no a mano si vau distaccando dalla marciosa pusto- la, infino a che troncano ogni continuità con essa. E mentre sotto di lei intendono, prolungandosi, a rigenerar sé ed i tessuti che furono disciolti , alla pustola, che nulla più riceve dai circostanti tessu- ti, va r aere ed il calore esterno togliendo le piit tenue parti 5 la prosciuga; e da ultimo la dissecca ; a tale che ridotta in crosta, distaccasi dalle vive parti, e cade, serbando tuttavia dentro da sé la oc- culta contagiosa azione. Dalla quale disamina cre- dei aver ricavato, che se sta bene appellare periodo della deliteseenza dei morbi contagiosi quello dove, senza che ne apparisca pure un segno , compiesi la moltiplicazione dei contagi; contraddiceva poi a quel- lo che ne offrono le stesse forme di cotali morbi, il dividerle in tanti stadi, o periodi, siccome era co- stume nelle scuole. E come che nelle forme de'mor- bi universali molti non veggano che la espressione di sintomi tutti passivi, procedenti dall' azione su i vivi organismi della cagione morbosa; io non te- merò di affermare che in esse e precipuamente in quelle dei contagiosi morbi , a bene considerarle , non altro rinviensi , che quei maravigliosi tratti in gran rilievo scolpiti , onde la natura , sentitasi già aggredita da nociva potenza, mos'ra d'intendere al gran fine di renderne , con certa legge e per con- tinua opera , purificati i corpi. Né credo fuor di proposito ripetere qui quello che è stato già osser- vato e scritto dai classici di nostra scienza. I quali han ritenuto che la natura, per opera della f»*bhr». 324 Scienze attenuasse prima, e poi deponesse in su la cute l'e- terogenea sostanza , che dentro noi s' era cacciata ; e che in su la cute stessa fosse operazione di natu- ra quella dei liberi vasellini sanguigni, onde è pri- ma fuso e poi rigenerato il penetrato tessuto. A ta- le che il primo tratto nelle forme dei morbi saria il sintoma attivo , che suscitano le eilicienze con- servative; cioè la febbre; e gli altri non sarebbero che sintomi passivi. E dove per depurare gli umo- ri dalle nocive miscele, vi vuole la febbre univer- sale ; per liberarne i solidi fa d'uopo della locale , che si è quella che noi diciamo infiammazione. La- onde quello che noi appelliamo morbo contagioso, e che ha principio quando il contagio ha già mol- tiplicato, secondo questi principii, dovrebbe ritener- si sì come la operazione di natura, onde purifica i corpi dalle morbose potenze che gli aveano conta- minati. Che se il contagio della scarlattina e del morbillo, deposti che sono in su la cute, non dan luogo alla infiammazione di questo tessuto, né alla successiva suppurazione di esso; ciò deriva da que- sto, che tali contagi, secondo la lor materiale na- tura, ricevono dalia opera della febbre tale grado di materiale attenuamento, che non posson fermar- si Ira quei vasi , olire i quali non può andare la viscosa sostanza del vainolo , e son recati al som- mo della esterna cute , su 1' ultimo strato di colai velamento. Dove o si distendono sotto forma di larghe macchie rosse , o di spessi punti pur rossi. Occupano in somma la superficie, mentre i vainoli per la loro natura prendono in profondità. E lo astrato di cute, peneirato da tali contagi, è disecca' Vaiuolo vaccino ec. 325 to , e cade o in minutissime parti , o in piccole squamme. Ma non si dee però credere che la na- tura debba tutti i contagi cacciare per la stessa via, e tutti metterli sopra la cute, solo perchè sono con- tagi; ma invece terremo per fermo , che ella ado- peri contro queste morbose potenze come contro tutte le altre, che si cacciano dentro i nostri corpi. Per tutte le quali non ha stabilito una sola via a metterle fuori ; ma delle molte, che tiene di con- tinuo aperte, essa le dirige per quella, per la quale, secondo il grado della ricevuta attenuazione, possono speditamente e sicuramente transitare. Di tale maniera che dove i contagi del vaccino, e del- lo arabo vaiuolo , della scarlattina , e del morbillo ella dirige alla cute , perchè sente che la via ed il luogo è da essi; il contagio dello asiatico chole- ra, con grande impeto , tutto li riversa nella via gastro-enterica, perchè la conosce più facile, breve, e sicura a Irarnclo del nostro corpo. Veduti che ebbi gli effetti che generavano den- tro da noi i contagi, e come le medicatrici forze di natura si levassero a discacciarli moltiplicati , mi diedi ad investigare che avvenis e di questi stessi contagi , dove nei corpi nostri non avesser trovata la ria pastura onde moltiplicare. E recatomi alla mente che inevitabile è la caduta nei contagiosi morbi , come il contagio sia riversato nei sistemi della sanguigna circolazione ; e come il più degli uomini nelle epidemiche costituzioni contagiose sen vada immune , e niun segno in essi apparisca di morbosa forma, avvegnaché la esperienza e la ra- gione mostri essere dentro loro penetrato il mici- 326 Scienze diale contagio ; dovetti risolvermi a ritenere che si fatti contagi entrati che hanno i vasi linfatici , e non trovata l'esca de' guasti umori su cui spiegare quella virulenta azione che niuna forza può impe- dire come l'abbian rinvenuta, sieno dal puro umor linfatico, per materiale e chimica operazione, prima divisi e poi al tutto snaturati. Come ho già detto, tornai su la forma morbo- sa del vaccino vaiuolo con animo di giugnere allo scoprimento di quella azione , onde venghiam pre- servati dall'arabo. Ma per quanto tutta l' ebbi par- ticolarmente cercata, e posata attenzione su la con- dizione di coloro eziandio, che han già ricevuto il vaccino innesto, non mi fu dato di penetrare alcun segno , che mostrasse avere il vaccino vaiuolo per qualunque maniera modificato questo o quel si- stema o apparato organico , onde l'arabo non po- tesse più far presa su di noi. Che anzi continuan- do in questo proposito la osservazione, parvemi che, ninno dei contagi , e per la natura che sortirono, r effetto che producono , ed il modo onde le po- tenze conservative intendono a purificarne i corpi cui assalgono, possa recare modificazione di sorta in alcun sistema; e che niuna azione, o virtù an- ti-vaiolosa, come è stata appellata , ne infonda il vaccino vaiuolo, come noi lo proviamo; ma intanto ci preservi dall' arabo , in quanto che , consumata dal vaccino contagio tutta quella copia di viziati umori, onde moltiplica, i nostri corpi ne ritornano puri; ed il sopravvenuto contagio arabo , non solo non può dispiegare alcuna azione, perchè non rm- viene materia su cui dirigerla, ma esso stesso sog- Vaiuolo vaccino ec. 327 giace a quella dei linfatici che lo snaturano al tut- to. Donde nasce la immunità dei vaccinati; la qua- le cessa tosto che le interne ed esterne nocive po- tenze abbiano rigenerata questa patologica disposi- zione di umori , onde moltiplicano; e dura finche di questi umori rimangon puri i nostri corpi. E per due modi può durare : e quando le morbose comuni potenze, non l'abbian mai riprodotta; ov- vero se l'abbiano, o sia fuori del nostro corpo cac- ciata con quei morbi che diciamo depurativi, o sia consuaiata da altri contagi, prima che sopravvenga l'arabo. Essendo che mi parrebbe andare contro le più usate leggi di natura, quando mi dessi a cre- dere, che delle morbose potenze 1' una prepari la patologica disposizione al vaccino ed arabo vaiuolo; l'altra pel morbillo ; una terza per la scarlattina , e finalmente una quarta per l'asiatico cholera ; ma secondo ragione parmi il dover credere, che le mor- bose comuni potenze, o per la loro interna od e- sterna azione, per indiretto o diretto modo che sia, o mettano dentro noi tali sostanze, cui non possano mai interamente assimilare e vitalizzare quegli or- gani, che sostengono la vita vegetativa ; ovvero di tale guisa riescano a fiaccare questi organi che non giungano più a dare la vital forma eziandio a quel- le mollecole, che ne sarebber capaci; sicché le une e le altre indistintamente, e senza riguardo alle ca- gioni che r han recate o prodotte , costituiscano la identica disposizione ad ogni contagio: cui basta (Àie sieno non appieno vitalizzate per doverle tutte con- vertire nella sua natura. Ed ecco come avviene, se mi appongo, che a 328 Scienze parecchi sia appiccato il vaccino stato in altri effi- caci , i quali poi non ne hanno avuto il vaccino vainolo; e come altri, cui fu eflicacemente innesta- to, o l'abbiano ricevuto la seconda volta, ovvero abbian ciato, in progresso di tempo, nell'arabo. Quel- li non serbavano ai contagi la patologica condizio- ne degli umori ; ed i contagi furono distrutti. A questi Tavean riprodotta le morbose potenze ; ed i contagi vi generano i loro naturali morbosi effetti. Secondo i quali principii s'intenderebbe pure, co- me alcuni contagi fattisi tal fiata innanzi, contenti poi a poca preda , spengonsi al tutto , e tornano poi dopo più o men lungo spazio a vagare spora- dici, o cogliendo miglior tempo a dominare epide- naici, originando cosi quella che noi appelliamo co- stituzione epidemica contagiosa. In quel primo caso il contagio si avviene prima in alcuni , dove rin- viene l'altro elemento onde bisogna; e forma il mor- bo contagioso; quindi trapassa in quei che ne di- fettano, e n' è distrutto; e contagiosi morbi più non appaiono. Ma quando i popoli son poi fatti grami dalla carestia, e rosi dalla civile guerra, o in altra più dura condizione l'abbia messi la ria ventura, e gli assalga un contagio; allora da quei pochi, che i primi infettò, trapassa a più altri, che pur fa suoi, perchè ritrova in molti l'esca da moltiplicare; fin- ché, propagandosi ognora più, perviene alla mag- gior conquista. Donde per lenti gradi, che segna la sua diffusione, come vi salì, discende, perchè po- chi vi rimasero predisposti, cui ancora non perven- ne il contagio. Il quato, poiché ha tutti ricercato, e niuno più rinviene ove moltiplicare, cessa dal gè- Va ITOLO VACCINO EC. 329 neiMr morbi , ed anzi esso slesso è dai sani orga- nismi al lutto snaturato. Per tal guisa ban Bne le epidemiche costituzioni ontajjiose. Della quale di- sposizione neg^li umori, però che non han mestieri g'Ii altri contagi, perchè valgono a commutare nel- la loro natura eziandio i sani umori, ed i solidi del nostro corpo , è manifesto per quale l'agioae non possano mai vagare a modo sporadico, né do- minare a modo epidemico; niuno che se li acquisti ne vada immune; né possano per un solo momento guarentirci da una seconda infezione. Ora è tempo di venire applicando questi prin- cipii al cholera asiatico. Ma prima sarà bene recare a poche parole le cose fin qui dette. I contagi adunque sono quelle morbose poten- ze che dagli infetti trapassano pel conlatto nei sani. Morbi contagiosi sono quelli che procedono da contagio. Tutti i contagi operano su i nostri coipi questo unico effetto di moltiplicare s;j stessi. Alcuni però commutano nella loro natura i nostri sani umori, ed i nostri vivi solidi. Sono que- sti il contagio sifilitico, il psorico, e quello della idrofobìa. Altri moltiplicano di soli guasti umori, che ri- trovar possono dentro da noi. Questi sono il con- tagio vaccino, l'arabo, il cholerico, quel della scar- lattina, del morbillo e della petecchia. Gli umori non possono essere corrotti, o co-^ munque guasti che dalle comuni morboso potenze. La morbosa condizione degli umori fu detta disposizione ai morbi che procedono da questi con- tagi. 330 Scienze Essi penetrano il nostro corpo per la via degli esterni linfatici. Nel sistema di tali vasi è serbata la morbosa disposizione degli umori, e dentro da essi ne segue l'assimilazione. Quella morbosa condizione di umori è compa- tibile con lo stato apparentemente sano; questa assi- milazione avviene a nostra insaputa. Il morbo contagioso, a propriamente parlare,, non consiste in altro che nella operazione di natu- ra , onde purifica i nostri corpi dal contagio , che dentro noi avea moltiplicato. Questi contagi come si avventano a corpi che difettano di questa disposizione, sono essi al tutto distrutti. Dal trovarsi questa disposizione tra pochi o in assai, nasce il vagare dei contagiosi morbi, o il do- minare per una epidemica costituzione contagiosa. Se questi principii son veri, ecco come io la ragionerei per doverli applicare a prevenire e di- struggere il contagio dello asiatico cbolera. Il cholera è morbo contagioso; è desso 1' ine- vitabile risultato del congiungimento di due elemen- ti; la disposizione di corrotti umori , che è dentro da noi; ed il contagio che ci viene dal di fuori. E però questo, che appelleremo cholerico, tiene nel- la generazione dei morbi lo stesso modo , che il vaccino e l'arabo. Entra, come questi, per gli ester- ni linfatici del nostro corpo, E quivi se ritrova l'esca dei corrotti umori, ei vi reca sopra tale spe- cifica azione, che in breve spazio tutti assimilan- doli ne moltiplica. E l'esca dei corrotti umori ri- Vaiuolo vacchino ec. 331 sulta o da etero{jenee sostaiize cacciate dentro il nostro corpo, o dai nostri stessi fluidi non ben vi- talizzati, o comunque guasti dalle comuni morbose potenze. Le quali però non apparecchiano con una speciale corruzione alcuni umori solo che al cho- lera, altri solo al vaiuolo, altri solo al morbillo ec, ma, secondo il loro modo di operare, corrompono più o meno la pura nativa composizione dei nostri umori. I quali, come siano corrotti, abbiamo ve- duto che non si possono ricusare di ricevere quel- la contajjiosa natura che dà loro quel contagio che primo vi si fa sopra. Di tale maniera che il vacci- no moltiplica di quei viziati umori , che avrebbe assimilato l'arabo, il cholerico, il morbilloso, ed il petecchiale contagio , e convertito in vaiolosa, cho- lerica, morbillosa , e petecchiale materia, dove pri- ma di quello vi si fosse appreso l'uno di questi in luogo dell'altro. E quando avvenga che il cholerico, come alcun altro di questi contagi, non trovi den- tro il sistema de'^vasi linfatici 1' altro elemento, on- de moltiplicare, abbiamo pure veduto come esso, e gli altri della sua fatta , sieno dal puro umor linfalico al tutto distrutti; sicché impossibile ne sia il nascimento del contagioso morbo. E quindi av- viene che questi contagi una volta che giungono a moltiplicare dentro da noi, non solo ci guaren- tiscono per alquanto tempo da una simile infezione, ma eziandio da quella che recar possono gli altri contagi, che tengono la stessa norma nella genera- zione dei morbi. Quivi adunque è distrutta la for- za del contagio cholerico dove esso non rinvenga guasti umori da moltiplicare. L'arabo non fa presa 332 Scienze su i vaccinati, perchè il vaccino contagio ha in essi consumato l'esca dei conotti umori. Consumiamoli con lo stesso vaccino contagio in quei che sono in pericolo di cadere nello asiatico cholera ; ed essi non solo non cadranno in sì micidiale morbo, ma distruggeranno eglino stessi il contagio cholerico. Né alcuno sia che ricusi di entrare in speranza di otte- nere sì benefico effetto dal vaccino innesto , solo dall' osservare la differenza che corre dalla forma dell'arabo vaiuolo a quella del cholera asiatico. Es- sendo che le forme di questi contagiosi morbi ri- cevono il loro speciale carattere dalla operazione della natura, onde vengon purificati i corpi già con- taminati dal contagio. Ed essa ne li purifica cac- ciandoli per questa o quella via che più è accomo- dala al grado di materiale assottigliamento che han ricevuto i contagi stessi per entro la sangui- gna circolazione. Ora se la natura dirige il conta- gio del vaiuolo alla cute, e quello cholerico nella via gastro-enterica, donde risultano due diverse fi- sonomie di morbi, ciò non dee, né può impedire di credere e di sperare , che il contagio vaccino consumi , assimilandola , quella stessa disposizione , che congiunta al contagio cholerico dava necessa- riamente luogo al morbo cholera ; e senza della quale è quel contagio distrutto, e però impassibile il nascimento di questa infermiteì. E siano pure i vomiti e le diarree, in che tutta consiste la forma del cholera contagioso, effetto della azione su il ca- nale gastro-enterico del contagio cholerico, anzi che la opera delle forze mediatrici per discacciarlo dal nostro corpo; io intanto propongo il vaccino a pre- Vaiuolo vaccino ec. 333 servare dallo asiatico cholera in quanto che il con- tagio cholerico ha mestieri per indurre il cholera di una disposizione di guasti umori; e questi pos- sono e debbono essere assimilati dal vaccino. E quando la disposizione sia distrutta, la forza del con- tagio cholerico, comechè grandissima, è al tutto vinta. Non staremo adunque in forse di adoperare eziandio contro il cholera quel vaccino contagio che adoperiamo con tanto prò nostro contro all' arabo vaiuolo. Lo sperimento è facile; è senza pericolo; ed il beneficio che ne attendiamo, sperando, è tale che mai il maggiore. ^ E facile; e non fa d'uopo provarlo. E senza pericolo ; ed a ninno è lecito dubitar- ne. Il contagio vaccino è sempre di mite e dolce indole; e, la mercè di Dio, non la dismette mai questa benefica natura sua , o per copia di guasti umori, o grado di corruzione che abbiano dalle no- cive potenze ricevuto. E l'arabo vaiuolo è forse in vista men terribile , ed in effetto meno mortifero dello asiatico cholera? Nientedimeno la sua forza è vinta, come il vaccino ne abbia in noi consumala la funesta disposizione. Perchè io mi passerò di ra- g:ionare del beneficio, che potrà recare questo con- tagio innestato a preservare dal contagioso cholera. Si open adunque contro questo morbo, come si è fatto un di, e come occorre pure di fare per al presente, contro all'arabo vaiuolo. Il quale come ha incominciato in alcun luogo ad infierire, e tosto si dee por mano a vaccinare, prima quelli che più da presso sentirono il contatto de^rli infetti, poi gli 334 Scienze altri; finché niuno più rimanga che non sia vacci- nato. Prima che ad altri si innesti a coloro, cui la carità o il bisogno trae a vivere nei lazzaretti; e «e ne attendano gli effetti. Ma quei che furono un dì efficacemente vaccinati non sono al sicuro dal cholera e dagli altri contagiosi morbi ? No senza dubbio- Però che abbiamo veduto che il vaccino non infonde, come si credeva, alcuna virtù. E quel- la immunità che si godono i vaccinati , vedemmo per quali ragioni, può durare brevissimo tempo. Il perchè è rarissimo il caso , che dopo alquanti anni non cadano i vaccinati nel vaiuolo, o non vengano a* mano di altri contagi. Il defunto re di Prussia "voleva che i suoi soldati fossero tutti , dopo pochi anni dalla prima efficace vaccinazione , di nuovo vaccinati. La presa che su di essi tornava a fare il vaccino contagio mostra non solo quanto sia facile che le potenze morbose rigenerino quella indispen- sabile disposizione a cadere in sì fatti morbi , ma mette innanzi gli occhi di tutti la necessità e la utilità della rivaccinazione. La quale dove non sia conosciuta, o non sia voluta praticare, l'arabo tor- na ad attaccare i vaccinati; i quali se non furono presi da altri morbi contagiosi, ei li percuote poco meno a quello stesso modo che quelli che non lo furono mai. E per le stesse ragioni, e con lo stesso scopo che il vaccino si dovrebbe su noi innestare, si do- vrebbe pure appiccare a tutti quegli animali do- mestici che sono capaci di riceverlo , i quali sono minacciati da contagiosi morbi. Luigi Metaxà (2) ne riferisce come in Germania, in Olanda, in Prussia, Vaiuolo taccino ec. 335 in Danimarca si facessero tentativi di addolcire la peste bovina ungarica , morbo essenzialmente con- tagioso, per via della inoculazione. I successi furono contrari ai voti, perchè il contagio della peste un- garica è sempre d'identica natura , come segue di tutti gli altri contagi ; e piglia più o men di forza, secondo la rea natura della predisposizione. Per sal- vare adunque pure gli animali domestici si dovrebbe aver pronto ognora un contagio di mite natura con cui distruggere, senza pericolo, i corrotti umori. A questo gran fine adempie il vaccino contagio. L'applicazione del vaccino contagio, come pre- servativo del cholera asiatico e degli altri con- tagiosi morbi , non è cosa, che io mi sappia , in- fine a qui stata proposta da alcuno ; né da alcuno sperimentata. Per la qual cosa che il vaccino riesca a tanto né può da ninno esser tenuto per vero, né da niuno essere ributtato per falso insino a che , con le usate leggi, e con ogni cura, non sia invo- cato ed atteso l' oracolo della esperienza. Nientedi- meno a conforto di coloro che sono nel duro caso di dovere intraprendere questi «perimenti , se già per indurveli non é assai eccitamento la certezza del niun pericolo, e la speranza di serbar la vita ; io dirò, come nella opera di Hallen (3) abbia tro- vata riferita la osservazione , che i vaiolati si go- dono molta immunità dal morbillo; e nella memo- ria del De Rossi (4) ritrovate preziosissime esperien- ze, onde agevole è il conoscere, che su dei vacci- nati, caduti, dopo lungo spazio dalla prima vacci- nazione, nel morbillo, non riuscì dopo questo mor- bo di appiccar loro il vaccino , e perfino l' arabo 336 Scienze vaiuolo : avvegnaché lo innesto fosse più fiate ri- petuto, ed altre sperien/e mostrassero efficace il vac- cino e l'arabo contagio su quelli messo. Alle quali se fosse lecito aggiugnere le mie osservazioni, vor- rei certificare che nella contagiosa epidemia di morbillo, che, tre anni or sono passati, si prese più del quinto della popolazione di Koma, potei vedere cento e più fanciulli, da poco vaccinati, usare tutto dì coi morbillosi, e non cadere presi dalla infer- mità. Il novero per me veduto è ben poco in ve- rità per costituire osservazione di qualche valore; ma congiunta alle altre riferite innanzi, parmi pos- ^a dare indizio non lieve di verità in quei prin- cipii, che mi han condotto a proporre il vaccino come preservativo del cholera, e degli altri conta- giosi morbi. Imperocché queste sperienze e que- ste osservazioni, posto il principio che il contagio del morbillo sia essenzialmente diverso dal vaiuolo; quanto il cholerico da questi due; bene dimostra- no che la disposizione di corrotti umori è comune a tutti i contagi; non ve ne ha una speciale per ciascun contagio; e che ima volta che sia consuma- ta da alcuno di questi, noi siamo, per il moJo già ■veduto , guarentiti dalla azione degli altri contagi, insino a tanto che non sia dalle morbose potenze Marco Giovanni Ponta 342 Biografie de' capitani venturieri delV Umbria scritte ed illustrate con documenti da Ariodante Fabbretti. Montejmlciano , coi tipi di Angelo Fumi 1842- 46, 7 omo /, //, /// e IV. Note e documenti. Stam- peria sudd. Volume unico.' Lettera al eh. sig. Gio' vanni Pennacchi prof, di eloquenza nel ven. semi- nario e liceo di Amelia. JL in da quando nell' autunno del 1844 venni » visitarvi in cotesta città di Amelia, ove da più anni con tanto nome e frutto professate l' eloquenza, in- vitatovi da quell'egregio vescovo eh' è monsig. Ma- riano Brasca Bartocci, discorremmo fra noi del mo- do come si coltivavano le scienze e le lettere nella nostra Perugia. Dico nostra, mentre e voi vi avete fatto buona parte degli studi , e vi avete avuta la sorte di accoppiarvi a cara donna, il cui minor pregio si è lo svegliato ingegno; ed io, oltre il trarne per ma- terno sangue l'origine, mi glorio di essere colla mia famiglia a queir illustre municipio aggregato. Fra i molti dunque che ricordammo in ispecie de'giovani, si uscì in discorso di Ariodante Fabbretti; né lasciaste di enumerare i pregi di questo giovane sì studioso, sì caro al Vermi glioU, e che di già era di bell'onore alla patria. Sopra le altre cose da lui pubblicale vi piacque lodare l'assunto da lui preso fino dal 1 di luglio del 1842, di mettere cioè in luce le biografie de' capitani venturieri dell'Umbria, e così far sempre JBlOGRAtlE DE'CAPITANI VENTURIERI H% più manifesto di quali uomini di armi avesse ognora abbondato quella provincia. Il vostro giudizio m'in- vogliò alla lettura del libro: vidi che l'amidizia non vi aveva fatto travedere, ma che anzi vi passaste di molte laudi , che avreste potuto dargli senza men- tire. Continuando 1' autore nella pubblicazione del- l' opera , e con mia sorpr*esa non avendola ancora mai veduta ricordare da alcuno de' nostri giornali romani , ho divisato oggidì trattenermi alcun poco intorno alla medesima: la quale cosa gioverà a con- fortare l'autore, seppure ciò ottener possono le no- stre umili parole, è a far sì che almeno il suo la- voro venga vieppiù conosciuto ed ammirato. Le biografìe de' capitani venturieri dell'Umbria, se si ha a stare al manifesto di associazione , sono oggimai giunte pressoché alla fine : avvegnaché de' cnique volumi, in cui deve essere ristretta la intera opera , vennero in luce i primi tre , s* incominciò il quarto, ed è pubblicata buona parte del quinto, il quale staccato dagli altri Contiene le note e i documenti. Le vite che di già date alla luce sono ventitré: quelle cioè di Biordo Michelotti, Boldrino da Pani- cale, Ugolino Trinci, Braccio Fortebracci, Ruggero Cane Ranieri , Bartolomeo degli Oddi , Ceccolino Michelotti , Nicolò Piccinini , Nicolò Fortebracci , Erasmo Gattamclata, Francesco e Jacopo Piccinini, Braccio Baglionl , Antonio , Lodovico , Rannccio de'conti di Marsciano , Nicolò e Vitellozzo Vitelli, Paolo Vitelli , Astorre Baglioni , Giovan Paolo Ba- ghoni e Bartolomeo di Alviano : nomi tutti bel- lissimi , e che chiari suonano nelle istorie dell' Um- 344 Letteratura bria. Sono esse scritte per ordine di (empi, e però in quelle de'Michelotti, de' Braeceschi, de'Piccinini, di Astorre I Baglioni è bene agevole lo intendere come si stessero le bisogne politiche d' Italia dal 1350 al 1500: in quelle di Gioan Paolo ^ di Mala- testa IV e di Orazio Baglioni quale fosse la condi- zione delle corti italiane sul principio del secolo XVI: e COSI sarà in quelle che riguarderanno l'altra parte di esso secolo, con cui si spensero somiglievoli com- pagnie di ventura. Nella introduzione il Fabbretti appalesò il meto- do che sarebbe stato per tenere in questa sua opera: e dolendosi che tutte le regioni italiche non avessero ancora un'istoria, lamentavasi in modo particolare che ne fossero prive specialmente la Romagna, l'Um- bria, e il Piceno. Loda, egli è vero, le istorie del Borghi, del Moisè, del Cantù: « Tutto però (cosi a e. 9 ) non è pur anco compiuto. Perchè una storia italiana possa comparire in tutta la sua estensione perfetta, è pria d' altro necessaria la esecuzione di storie parziali. In ogni città sorga un generoso a narrare le geste de' suoi concittadini: ogni regione faccia prò di siffatti lavori, gli rassuma, li fonda in un solo , dia loro quella unità voluta in un'opera artistica che tutti hanno dovere di consultare : un grande ingegno , e tutti i secoli ne han dato più d'uno, questi elementi tra loro congiunga, ne faccia un tutto perfetto, e il codice d'Italia sarà compiuto. Premio condegno per tanta fatica saranno il plauso de' viventi, la gratitudine de'posteri. » Esposti in appresso i principii, con cui il Fa- bretti si propone di scrivere le vite, il motivo per Biografie de'capitani venturieri 345 cui prescelse quelle de'capitani Tenturieri dell' Udi- bria , acceuna breve mente come in Italia nel se- colo XIV originassero le compagnie di ventura , da quali nazioni ne traessero l' esempio , come si modificassero, quanto di bene, quanto di male ap- portassero in ogni tempo ; dichiarando fra i molti finali, che almeno esse, come dice il Denina: « Con- tribuirono non poco a mettere qualch' eguaglianza di forza fra le potenze d' Italia; perciocché non era possibile che un solo de'potentati potesse averle né tutte, né la massima parte impegnate nel suo servi- gio. » Erano in fatti , come voi, mio carissimo amico, bene riflettevate, gente il più delle volte indisciplinata, avida solo di preda, guerreggiante per lucro non per intimo consentimento: e vedevasi non di rado mia turba medesima combattere coniro quello stesso po- polo, da cui poco innanzi era stato assoldato. I soli Giovanni De Medici ed Orazio Baglioni seppero tenere in freno le così dette Bande nere : seppur quelle non furono condizione de'tempi, scemato già il numero delle repubbliche italiane , e ridotte alle sole Venezia e Firenze; la quale ultima, travaglia- tissima dalle armi di Carlo V, menava oggimai l'estre- mo anelito. Non è mio scopo lo entrare in un minuto rag-' guaglio di ogni vita, altrimenti sarei astretto ad andar molto per le lunghe: solo ripeterò che sono composte con buona critica, più o nieno brevi, secondo che porta la narrazione delle imprese operate dal capi- tano: le quali imprese però ha il Fabretti collegate mai sempre colla istoria e colla ragione de'tempi. Così 3A6 LETTERAtURA l'eroe si presenta nel suo vero punto di scena, e si vede tale quale egli fu, e non quale piace di farlo comparire al biografo forse soverchiamente innamo- rato o sdegnato di lui. In tutta l'opera poi scorgi uri puro e leale sentimento di amor pallio, che di se t'innamora e a generose azioni potentemente t^invita. Benché non manchino frequenti hote ad ogni vita^ nondimeno le più preziose ed importanti sono state da lui riservate al volume ultimo di schiarimenti. Questo, che di già arriva alla pagina 540, è per se medesimo importantissimo. Imperocché oltre il con- tenere le belle italiane epigrafi del eh. signor Ce- sare Kagnotti,vi sono inseriti molti squarci di prezio- sissime cronache. Vi troviamo infatti alcune poesie inedite di Cambino d' Arezzo, di cui un saggio fu già pubblicato dal eh. professore cav. Giovanni Batti- sta Vermiglioli nella sua Bibliografia perugina: mol- te narrazioni tratte dalle inedite memorie del Ora- ziani, dell' Alfani , di altri scrittori di cronache o istorie perugine , ed in ispecie dai pregiatissimi e notissimi annali decemvirali. Fra le altre cose as-^ 8ai mi deliziai delle ottave del Maturanzio scritte per commissione di Braccio II Baglioni, le quali leg- gevansi sotto i ritratti dei perugini famosi nelle armi dipinti nel palazzo di lui, e che ora mss. con- servansi della pubblica biblioteca di Perugia: molti capitoli del poema di Lorenzo Spirito intitolato V Altro Marte^ tratto dalla cronaca eugubina: l'intero poemetto intitolato la Fuga del capitano^ m cui l'A. fece soggetto de'suoi versi la battaglia di Anghiari: la orazione latina recitata in Venezia in morte del Gattamelata da Lauro Quirini, e l'altra detta a lode Biografie de'capitani venturieri 347 di Braccio Ba^lioni dal Matiiranzio. Lunghi, il ripeto, saremmo oltre modo anche se volessimo dare il solo indice delle cose pii\ importanti della storia umbra, che trovansi in questo volume di schiarimenti e di note. L'autore per verità non ha perdonato ad inda- gini, a studi, a richieste^ ed ha invitalo i custodi degli archivi municipali e delle biblioteche eziandio private ad inviargli que' documenti che viemmeglio potessero illustrare le sue biografie. Ora toccando dello stile , con cui sono dettate (Queste vite, egli è semplice , elegante, e forbito anzi- ché no: forse si avrebbe maggior applauso dai dotti se in qualche luogo fosse meno poetico o romantico. Nello scrivere la istoria voglionsi senza meno ele- ganza, critica, imparzialità, profondità di cognizioni ; ne queste doti debbono andare disgiunte da un forte sentire. E fortissimo lo ha il Fabbretti; come si fa ma- nifesto a chiunque prenda a svolgere la sua opera e i paralleli che a somiglianza di Plutarco suol farvi. Sceglieremo per saggio il principio della vita di Braccio Fortebracci da Montone , non già perchè ne sia solo a preferenza di ogni altro luogo piaciuto, ma perchè in esso si dà una rapida storia del pro- gresso in Italia dell'arte militare. « Nella breve epoca che abbiamo discorso (I) Italia osservava con dispetto quelle vaganti orde dì avventicci, scapigliate, feroci, bramose non altro che di preda, e rotte ad ogn' improntitudine : aspettava uno (li quegli esseri raaravigliosi che sulla terra ap- paiono di volta in volta , (|uasi preparati dai secoli il (1) E la quarta vita. 348 Letteratura alla redenzione e al conforto della umanità: aspetCava un genio che a quelle disordinate milizie mostrasse in che è locata la gloria, e dove 1' infamia ; le tra- scinasse nelle aperte campagne, le mettesse in militare ordinanza, e le spignesse salde , compatte e meglio agguerrite a mutare i destini delle città , a volgere in fuga scompigliata e fanti e cavalli stranieri. Venne il genio Cui sospirava l'Italia, venne Alberico da Bar- liano, al quale tennero dietro Braccio Fortebracci e Sforza Attendolo : essi furono i primi , che nelle belle contrade ritornassero in onoranza la invilita arte della guerra. Nel secolo decimo quarto non era per se medesimo distruttore il sistema delle pugne , degli assalti e d'ogni maniera di combattimenti; ma elemento di distruzione rendevanlo que' capilanij i quali intendevano sempre alla preda e alle yendette, non mai a tenere in equilibro le foi^ze dei potenti e delle repubbliche. Pochi di essi (e pochi davvero) eran nati alla gloria : la maggior parte de' condottieri empieva di terrore le città, le borgate, i castelli, bar- baramente incrudeliva sui prigionieri e la patria in- sanguinava. Nel secolo quintodecimo nuova scuola di guerra si aperse. Allo squillar delle trombe veni- vano gli eserciti a fronte, nell'ebrezza dei feroci tri- pudi si accapigliavano i fanti, si rovesciavano i cava- lieri: ai rimasti perdenti non toccava la morte, non le ferite , non 1' osceno invili mento ; esultavano , insuperbivano i vincitori ; al prigioniero toglievano l'armatura, il cavallo, e talvolta le vestimenta, e la- sciandogli solo l'onta della sconfitta gli rilasciavano la libertà. Gli scampali litornavano alle proprie bandiere, riappiccavaijo altrove la pugna, e purgavano le mac- Biografie de'capitam venturieri 349 chie di una perduta vittoria. I condottieri, se fatti prigioni, si ricompravano; e quando raggranellavano le disperse milizie, di poco le trovavano sceme per numero. Non pertanto eran sempre uomini di ventura, oggi colle loro spade puntellavano la tirannia e af- francavano i popoli , e la dimane colle spade mede- sime percuotevano i principi o ferivano i liberi stati: in breve ora fondavano e distruggevano : aprivan la strada alle pretensioni dello straniero, poi gli facevan sentire come si addentra in uman co^po il fejTO italiano! «Discorriamo di Braccio. Il suo nome è congiunto a tutti gli avvenimenti politici, che si succedettero in Italia nel principiare del secolo deciraoquinto : del suo nome e delle sue geste gridano le cronache , e la sua vita sono venti anni di storia tutta nostra , tutta italiana. Cacciato dalla terra natale, pieno d'en- tusiasmo guerriero , presto addiviene gigante nella milizia: in pochi anni fu governator di Bologna e rettore di Roma; distese un immenso potere in tutta l'Umbria e nella Marca: giunse ad essere assoluto si- gnor di Perugia, principe di Capua, conte di Foggia, gran cpntestabile del regno ... - Or che rimane di Braccio all'Italia? una fama romorosa per tanti com- battimenti, bella per tante virti\ politiche e militari , sudicia per qualche delitto! Di Braccio rimangono a Perugia fabbriche utilissime ai cittadini: le rimane la gloria di essere stata grande , temuta , riverita , e la memoria di aver generato , perseguitato , idolatrato uno de' più forti capitani d'Italia. Di Braccio restan pure alla patria poche ossa ed un teschio per impeto di sasso o di ferro sul destro parietale forato. 350 Letteratura <• Egli nacque in Perugia nel 1 di luglio 1736 da Oddo Fortebracci e da Giacoma Montemelini ec. » A questo non tenue brano l'altro ne aggiunge- remo, con cui il Fabbretti chiude la yita di Nicolò Piccinino, u Del valore e del coraggio del Piccinini nelle battaglie scrissero tutti gli storici che narra- rono le vicende d' Italia nella prima metà del secolo quintodecimo. Alcuni contemporanei levaronlo a cielo, quasi non avesse compagni fra i condottieri di quel- r epoca: altri lo incolparono più fiate di tradimento: ma non lo dissero imbelle e codardo. Fedele esecu- tore dei disegni più cattivi che buoni di Filippo Maria Visconti, mandò sossopra le italiane province : non guiderdonato di signoria, anzi ingannato bassa- mente da lui, inalberò costante il vessillo del Biscione. Visse e combattè pel Visconti, e dal Visconti, sto per dire , fu morto. Come ferisse la sua spada , come fosse potente il suo braccio, come tenace il suo pro- ponimento, seppero bene più che altri veneziani e fiorentini: questi, diffamandolo qual traditore, tirarono sopra se medesimi tutto lo sdegno di un capitano ingiustamente svergognato con sguaiate pitture , co' versi , né vendicati si tennero abbastanza per la vit- toria riportata ad Anghiari, per la quale fecero tante allegre feste, e tanto vanto menarono. I poeti (figu- ratevi quanti) non mancarono in dettar versi a centinaia. « Più rinomanza, che ricchezze lasciò ai figli suoi Francesco e Jacopo, che furon terzo e quarto capi dell'esercito braccesco. « Meno di Braccio grandioso ne' suoi concetti , ma più addottrinato nell'arte di guerreggiaie, fu vit- Biografie de'capitani venturieri 351 torioso in molli fatti di arme, ne' quali ebbe quasi sempre a robusti competitori il conte di Carmagnola e Francesco Sforza, per tacere di altri moltissimi e valenti ; e raramente la fortuna avrebbelo abbando> nato, s'egli colla prudenza e saviezza dello Sforza , non con ardire soverchio e con precipitato consiglio, avesse intrapreso e maneggiato le molteplici guerre. Sparse qua e là il suo sangue , venduto sempre , senza desiderio di gloria e di libertà per 1' Italia : anzi il proprio ingrandimento neglesse o potenza non seppe acquistare : tanto che non pervenne a tenere scettro e signoria né in patria, né fuori. « Fu moderatamente severo co'soldati, e talvolta cortese fino alla familiarità; crudele con quelli in- colpati di tradimento : fu artificioso , dissimulatore , parlatore infelice, brutto delle forme e dell' aspetto. La fama delle sue geste durerà lontana. Io volli ritornarlo alla memoria de' miei concittadini. Se feci bene o male, noi so : certo fu grave la soma che volontario m'imposi. » E poiché l'epigrafi del sig. Ragnotti compen- diano la vita di ogni capitano, e ne sembrano scritte, come dissi, con molta robustezza ed eleganza, cosi porgeremo anco un saggio di queste: 352 Letteratura Erasmo Gattamelata da Narni Educato dai Braceesehi alla guerra Die' prove di prudenza di valore di lealtà A Venezia Per lui difesa Dalle turbolenti cupidigie Del duca Filippo Maria Visconti. La repubblica riconoscente Volle Che di tanto fedele e prode condottiero Perpetuasse la memoria Con una equestre statua Donatello. Alle schiere braccesche Sonava glorioso ed onorato Il nome di Francesco Piccinini Emulo dello Sforza E terzo loro dwce; Ma la storia severa Non concede sim laude Al flagellatore Dei campi e delle città delV Umbria Al consigliere di F. M-. Visconti Al soldato Che a vincere il nimico Toglie esarme il tradimento. I Biografia de'capitani venturieri 353 Astorre I dì Guido Baglioni Patrizio Le discordie civiche e fraterne Da' suoi padri in Perugia seminate Coltivò colle armi E ne colse Unito frutto Che a tal seme i cieli prescrissero i Il tradimento e la morte. Mentre dunque col Ragnol ti vivamente mi rallegro, copiose lodi diansi al Fabbrelti, inteso anche con altre opere ad illustrare la patria. Desideriamo, che altri ne imitino l'esempio: e meco, ottimo amico, unitevi in far voti, perchè non gli manchino mecenati sì ne- cessari in ogni tempo, e in particolar modo oggidì, ' a produrre belle e grandi opere d'ingegno. :"»"»" Amatemi e crediate che io sono e sarò sempre'^ tutto vostro. Di Roma 12 di dicembre 1847. (: i Fr. Fabi Montani. G.AT.CXIII. 23 354. ìii-finriv Discorso pei\jxvenni agli studenti del ginnasio di Ba-^ gnacavallo^ lettoli 17 di ottobre 1847 dal profes- sore di fdosofia e viatematica Domenico Vaccolini nella sala del municipio. J n que sto giorno di care speranze ( illustrissimo magistrato, eccellentissimi direttori e maestri, uditori tutti oriiatissimi ) in questa luce de' buoni studi la gratitudine ci richiama spontaneamente al pensiero le ultime; volontà di un degpo concittadino (1), che cplpitq, testé ^a invida mor^e in terra straniera , si sovv^ntte della patria dolcissima , e ad essa e agli studi, singolarmente ebbe raccomandata la sua mC" moria. La, qualq ail certo non perirà, se prima non manchi tra noi l'amore alle ottime discipline: di cui egli fu studiosissimo, e per quanto era in lui pose modo , che alla gioventù generosa fosse aperta in futuro più largamente la via delle scienze e delle arti a ceojune 'utilità. Esempio imitabile di cittadino! poiché così disponendo di sue sostanze, diede ancora ad altri eccitamento di rendersi immortali, col rial- zare o rintegrare fra noi il patrimonio degli studi, che è come il palladio della città. A ridonarne il quale pose mano dapprima l'ottimo economista (2), che va lodalo per le bocche di tutti i savi. In parte (1) Sig. Giulio^ Graziani graduato in facoltà fìsica e mate- malica. (2) Sig. professore Luigi Falcriani Molinari- Discorso del Vaccolini 355
  • iormeiite al naturale collocate quelle brac- cia, né con più di Terità lavorar quelle mani. Per-» fino nelle infime parti si scorge il loro proprio es- sere , e r imitazione mal si potrebbe distinguere dal vero. Questo è da prode artista : il travagliarsi così nelle minime come nelle maggiori cose, e rag- giugner sempre e in tutto l'estremo termine. Né il vestimento discorda punto da quanto la natura dimostra e richiede; poiché le pieghe strette al principio, allargate nel mezzo e cadenti in masse acconciamente divise, danno a quelle panneggiature una giusta apparenza di verità. Tale, che nonostante l'ampiezza delle vesti, onde l'angelo s'ammanta , vi si possono discernere e disegnare i più sfuggevoli contorni. E le penne delle ali sono sì fatte piumose e spiegate, che un astore volando a giuoco non le mostrerebbe dissimili. E chi degnare del sovrano titolo di artista , se vogliasi contendere a chi dal- l'esempio animato trasportò quel più che si potesse di vero nell' immagine muta ? a chi, sopra ciò, la seppe irraggiare di nuova bellezza e stupenda? Intorno a che fa mestieri di attendere, che se r arte essenzialmente consiste nello imitare , la sa- pienza dell'arte dimanda e vuol che s'imiti il bello soltanto. Ma la natura nelle umane membra non produce il bello che divisamente : e però convien cercarlo dove che esso dimori : e quindi formare delle immagini men dissimiglianti a quelle che la natura manifesterebbe, qualora per difetto della ma-» teria e degli altri agenti non fosse impedita. Di sif- fatta guisa adoperano i profondi conoscitori dei &e- 0r«li deir^rle; i quali ritìeltendo la luce intellettuale Scultura del Tenerani 367 sui concetti delle visibili bellezze , ne fan risorgere l' idea , che poi tentano d' esprimere possibilmente. Onde ciò che appelliamo 1' idea o 1' ideale della bellezza, non è, a dir proprio, che la perfetta natura; e chi la intendesse altrimenti, falsificherebbe l'arte e ne abbatterebbe il fondamento, che sta nell'imi- tazione del vero. Ma che è mai questa bellezza, la quale tanto s' ammira e pur tanto si desidera nelle opere dell'umano artifizio ? Il grandissimo Platone disse, che il bello è lo splendore del vero: e il suo maestro già aveva insegnato che nulla vi ha di bello, il quale non sia buono. Laonde io accordando queste due sentenze, avviserei che il bello non fos.se altro che il vero nella sua maggior bontà. Per intendere poi questo bello , vuoisi in prima e soprattutto averne capace il sentimento : e quegli solo, che ha sortito sì bel privilegio^ potrà distinguere e pregiare r incomparabile bellezza che sfavilla nell' angelica creatura figurata dal Tenerani, Le forme ivi si ap» presentano elette con sagacità industriosa e raffina- tissima : e sembra che più in là non arriverebbero gli umani concetti. Ciascuna parte perfetta in sé, e verso le altre divisata ottimamente, fa vista grazio-» sa, e quello adopera a cui è ordinata. Di che ri- sulta un tutto dolcemente concorde e mirabilmente uno e sopra la comune usanza bellissimo: che certo di quelle membra spira un'aui a ben più che terrena. E per quanto l'occhio e la mente ricerchi e si giri intorno ad esse, si appariscono lavorate e finite d'una finitezza incredibile a chi non la vide. Ogni cosa , ogni cosa ivi si trova diligentemente condotta e pro- prio tirata all'ultimo suo: né si mirarono mai tanto 3i68 Belle Arti angeliche sembiauze. Or dimmi, artista amabilissimo, donde prendesti l'eccelsa idea ? E qual virtù d' in- telletto ti sublimò ad essa? Deh come potrebbe uno de' celesti cori venire alla terra con umane fattezze diverse da quelle, in cui ti piacque donarcelo! Pur nulla manco, il credereste, o signori? mentre io tratto in ammirazione di questa nobilissima fattura, meco stesso gioiva che mano d' uomo abbia potuto arri" vare a sì gran segno, e ne rendeva all'autore tutte le mie lodi; egli nel ringraziarmene colla sua usa- ta ritenutezza seusavasi dicendo , che troppo mag- gior idea gli era passata per la mente, e già l'aveva disegnala , ma lo scarpello e la materia sorda non gli volevano rispondere alla intenzione. Pure, ei sog- giungea, se mi aiuti Iddio, ho da rifare quest' an- gelo, e mi studierò con piene forze perchè non rie- sca sì inferiore al proprio concetto. Io non basterei a significare , o miei signori , quanto confuso mi partissi da quel suo discorso: che troppo mi faceva stupire sì alto pensare: e d'altra parte aveva di che ben vergognarmi d' essère stato cotanto ardito di- nanzi a tanto modesta grandezza. In verità , che a me parve uno stupendo miracolo di bellezza quel- l'angelico volto : ne mi sarei immaginato che nella fantasia degli uomini potesse mai penetrare una immagine piiì squisitamente perfetta. Del rimanente, alle nobili forme della persona si appropria la semplice eleganza della veste: la quale ad acquistar grazia , basterebbe pure lo stare in- dosso a quelle membra fuori d'ogni nostro uso leg- giadre. Non però l' accorta mano vi diede minor cura, ma egregiamente ne dispose le piegature senza Scultura del Tenerani 369 Tiè Difendere la verità : aceoppiando in quesle la fermezza al movimento, le condusse ampie, leggiere, piene di tutta vaghezza e di armonia; e ne distribuì le masse principali e le minori per modo cosi bene variato , che a vicenda si abbellissero. Pur tutta volta il panneggiamento , per quanto abbondanti e ricche pieghe aver possa , è tranquillo siccome il corpo : e riguardato in sé stesso rivela ampiezza , ordine e decoro, e come parte men principale fa a maraviglia valere e campeggiare il nudo. È detto volgare presso molti , che quanto al nudo la scul- tura de' moderni si rimanga inferiore all' antica : perchè la bellezza, mostratasi una volta ai greci e ricomparsa ai latini, siasi poi dileguata dal mondo, e invano orse ne cerchino gli esemplari. Ma l'istessa ragione farebbe anche rispetto al panneggiare delle figure: laddove in questo l'artefice è in alcun modo maestro della natura , la quale docile gli si presta a'suoi desideri, e sta per lui di prescrivere le re- gole direttrici del suo lavoro : eppure è assai raro che oggidì sia agguagliato, non dirò vinto, l'orna- mento dei greci ! Non e' inganniamo; 1' umana ge- nerazione non si trasmuta nel suo naturai essere e posto che alle genti antiche sorridesse una grazia maggiore e di un pregio più invidiato , non per questo, noi italiani massimamente , possiam dolere che la natura ci abbia negata la luce della bellezza poiché non si ha che a dare una rivolta d' occhi per vagheggiarla da qualsiasi lato. Riguardino gli statuari nostri quanto belle membra si discoprissero all' acutissima veduta del Tenerani , e come ci se ne giovasse a produrre G.A.T.CXIII. 24 370 Belle Arti quest'angelo di elegante formosità e ornato di tutto compimento , a che 1' arte finora non giunse. Dissi arie : perchè in ciò io non posso né saprei distin- guere greco da latino, né italiano da francese , né gentile da cattolico : essendo i principii dell' arte immutabili quanto la natura delle cose, e non punto soggetti né a giro di tempo, né a confine di paese, né tampoco al vario sentire e diverso fantasticare delle persone. Che se io ammiro in quella sì divina effigie toccato il difficil sommo dell' arte , vi amo eziandio la prontezza dell' atto ossequioso che vi traspare , e la dignità del sentimento cristiano che la sua vista m'induce. Attendete di grazia , o valo- rosi tiberini, come quest' inviato del cielo in ogni suo esterior reggimento e con visibile parlare v'an- nunzi il pensiero e l'affetto, ond'egli ha tanta solle- citudine. Il suo guardo fisso e intento a prendere il fatai cenno del Signore: l'adergersi in alto col petto e colla fronte: la destra ansiosa d'accostar la tromba alle labbra, e queste già disposte a farne sentire lo squillo: la manca pronta ad offrire il volume dove scrivonsi gli umani pregi e dispregi: lo spiegarsi delle ali al volo, tutto esprime la brama che vee- mente lo afiFretta al destinato uffizio. Maravigliosa unità e semplicità di concetto! Né per questo, che l' azione rappresentata sia vivissima ed energica e risentita, direste scemato il riposo di quella figura: tanta grandezza e divinità la riempie. Malagevole punto a vincere , e dove si prova la segnalata va- lentia dello statuario , è eh' ei sappia felicemente maneggiarsi per entro a que' riguardi, ne' quali viene costretto. Imperocché da un lato gli fa d'uopo J Scultura del Tenerani 371 riverir la bellezza, matcìier la grazia, conservar l'ar- monia e fuggire al possibile l' esagerazione dello stile: dall' altro , se ha da parlare all'anima , gli è forza d'influire nella statua un pieno vigore di vita ed una conveniente energia di movimento. Ma per continuo pensare eh' io faccia alle più eminenti arduità della scultura , pure ove il mio occhio si riduca alla celebrata sembianza dell'angelo, sì io le veggo sovraggiunte da non potersi sperar di van- taggio. E qualora il pregio massimo d'un' opera d' ar- tifizio altri volesse argomentarlo dalla forza dei sen- timenti che derivansi ne' riguardatori , si faccia in cospetto del gran messo di Dio, e si avvedrà di che improvvisi moti il suo cuore s' agita e conturba. E recatosi sopra sé, quali ragioni non andrà facendo? Sarà per me questo l'angelo della pace e dell'eterna consolazione? mi sarà la sua squilla un dolce richiamo ad osannare perennemente nel beato regno? Ah sì! che mei dice quella soavità di sorriso e me ne assi- cura quello sguardo amoroso! E come potrebbe es- sere una sì bella creatura eletta ad annunziatrice delle divine vendette, e non piuttosto a messaggio ra di felicità? E qui l'anima, sicura in sua dignitosa co- scienza, s'allieta di gioia intera e si rinfiamma nel- l'amor santo di quella bontà, che a tal beatitudine si piacque sortirla. Or quanto discorde avvicendar di pensieri sorgerebbe in chi stando alla presenza del- l'angelo, si conosce sviato da Dio, e impaura e sbi- gottisce al ricordarne la rigida ed infallibile giustizia! Ei mi parrebbe sentirlo uscire in cotal voce : Che ful^ minar d' occhi ! quale terribilità d'aspetto ! tristo an- 372 Belle Arti nunzio che mi verrà cfjli a recare? Deh! Signor mio , deh cessi l' ira tua . . . Oh arte umana 1 come è polente la tua eloquenza , quando alla religione t'inspiri ed informi! e già più io non stupisco que' tuoi vantati prodigi ; stupisco bensì , che siano tanto rari. Che possa il Tenerani ritrovar numerosi e fidi seguaci ! e l'Italia avrà una scuola di scultura ele- gantemente severa , santamente profìcua , veramente italiana. Perdonate , o signori , la franca e libera pa- rola : il nostro glorioso artista potrà forse aver co- mune con altri pochi la maestria di condurre il marmo alla suprema finezza: ma quello che mei rende singo- larissimo e lo diparte da tutti è quel vivo , alto , dignitoso, nobile e verace sentimento eh' entro v'in- fonde e ne fa rifluire di fuori. Per guisa che innanzi a quelle sue immagini scolpite l'uomo si commuove quasi in vista di persone vive, e di una egual pas- sione rimane impresso durevolmente. Io vidi, né mi stancai di rimirare gli stupendi simulacri, di che molti arricchiron l' arte : e benché non di rado mi atti- rassero l'affezione del cuore, non me la obbligarono giammai , siccome quelli del Tenerani e sopratutto il suo nuovissimo angelo. Dinanzi al quale lo spi- rito mio trema , esulta , s'innamora, e con diverso moto s'innalza alle più sublimi speranze , e in esse deliziando riposa. Né vi sembrino questi effetti solo di me propriamente: che troppo più sentiti e forti e singolari mi si dimostrarono in quanti furono meco o io trovai a contemplare quelle angeliche fattezze. E mi torna dolcissimo il ricordare, che un bel giorno fattomi compagno al celebre Ozànam, entrammo nello studio dell'egregio artefice: e riguardate con mara- Scultura del Tener ani 373 viglia e piacere sempre nuovo le tante svariale scul- ture, di che raagnificanaente s'adorna, taciti ci po- nemmo in fine a sedere presenti all'inviato del Si- gnore. Ed io mi stava intento a spiare i movimenti, onde il cuore del mio onorato amico si veniva con- citando , e che nella sua faccia serena si dipinge- vano. E incontanente mi parve come raccogliersi a profondi pensieri, sì che di fuori ne trascolorava", e quando gioire di non più gustata dolcezza, e quando ricoprirsi d'incognita mestizia; e talvolta avrei cre- duto che egli fosse intimamente compreso da stupore per riavenzioae pellegiina e la nobiltà del concetto, o per la inestimabile perfezione dell'opera. Ed eccolo a un tratto levarsi con impeto dalla sedia ed escla- mare con vivacità tutta francese : Oh questo non è pure un gran lavoro d'arte , ma è un grande atto di fede ! E di vero, qual ingegno bastava a quella sublime altezza, se la fede non gli porgeva soccorso e ardimento? E come sarebbe a noi venuta la crea- tura bella, se una superna luce non l'avesse guidata? E chi poteva dare tanto splendore a quelle sembianze? Or conoscete, o artisti, l'infinito pregio e la impor- tanza gravissima de' vostri studi, e sia in voi gene- roso l'ardore di coltivarli: ma deh 1 non vi lasciate menare alla novità delle scuole. E se vi scalda ve- race amor di patria , vi ricordi che l'Italia fu mai sempre nemica delle stravaganti opinioni, e che mal può dirsi italiano chi disconosce la dignità propria della nazione e va dietro folleggiando alle straniere maltezze. Perchè, perchè fuggire il soavissimo latte di questa madre benigna, per accostarsi all'avvelenato petto d' iulide nutrici ? Statevi conlenti a riltarre 374 Belle Arti dalla natura quanto potete il più e sapete di meglio; e operando secondo che amore dentro v' inspira , osservate pur sempre le invariabili norme, a cui ogni arte e la vostra s'infrena. Dateci a vedere i trionfi che attestano la sublime grandezza e la feconda ci- viltà del cristianesimo e di Roma : rappresentate ai- popolo italiano le sue prime glorie e i fatti ma- gnanimi, perchè vergognando, via più s'aiuti a ri- levarsi dallo scadimento profondo. Eccovi i sovrani maestri, seguitateli: e se altri vi mancassero, eccovi il Tenerani, che in una statua sola potè discoprire le ragioni altissime e additare i severi precetti del- l' ottima scultura. Al quale preghiamo che non istanchi la mano nelle travagliose e magnifiche im- prese : né lo sgomenti la rea invidia tuttora nimi- cameate seguace degli umani splendori. Ben è chis questa miseria non può toccare l'uomo sì eccelso e buono e cortese : ma io non saprei comportare la temeraria baldanza di chi s' attenta di oscurargli il nome, illuminandone altro minore, e recando il grido della straordinaria fama al sommo scrittore che ha celebrato la Psiche. Quasi non rimanessero più i preziosi lavori di lui, e quasi non gli fosse singoiar merito e testimonio sicuro dell' eccellenza 1' aver sortito a lodatore un Giordani: a cui, posto che so- vrabbondi l'afifetto, non fallisce mai lo squisito senso del bello e la retta severità del giudizio. Abbiano pur vanto gli uni e gli altri : ma si guardino gli scrittori dal gettare semenza di maligne discordie là dove è desiderabile un accordo amichevole. Si ami l'arte: si pregi chi la onora: si cerchi di rifermare e divulgarne i principii , di nobilitarne il fine , di Scultura del Tenerani 375 migliorar per essa il civile consorzio e di mante- nerne perpetuo in Italia e glorioso il principato. E siano rendute le giuste lodi a voi, sovrano artefice, per cui si accresce a questa patria nostra nuovo titolo a chiamarsi grande. Sì, ella ancora per voi si chiamerà grande: perchè esercitando l'arte con an- tica sapienza e con nuova virtù e con libero e in- cessante amore , voi producete opere degnissime e da bastare incontro alla varia fortuna degli anni : e perchè non dominato dai tempi, ma dominandoli, rivelate la grandezza vostra e la potenza del sentire italiano. 0 anima italiana d' intelletto e d' amore ! omai volge a te propizio il secolo, che già grandi fatti presenta , e maggiori ne apparecchia da eser- citare la maestrevole industria del tuo scarpello ! Ed ora che una immensa riconoscenza di benefìcii immensi vuol consacrato un solenne monumento al maggior de' pontefici e de' principi che abbian creduto possibile di regnar con amore , io auguro e con tutto il desiderio io bramo che l' opera sia raccomandata al conosciuto valore del Tenerani. E quelli , a cui le presenti novità saranno antiche e fruttifere, benediranno all'artista che seppe impron- tare e rendere elernamente vive nel marmo le mi- rabili geste ed il beato e divino sorriso, onde Pio IX rallegra, conforta e ravviva il cattolico mondo. 3TC w M.mimTM.'^ Biografia degl'italiani illustri nelle scienze lettere ed arti del secolo XFIII e de' contemporanei, compilala da letterati italiani di ogni provincia e pubblicata per cura del professore Emilio de Tipaldo. f'ol. X. Venezia tip. di Gio: Ceccìiini 1845 in 8. Chiunque h caldo del santo amore della patria comune, ed onora scienze lettere edarti, non può non fare buon viso a quest'opera con- secrala alla memoria degl' italiani illustri degli ultimi tempi. E tanto più, cUe scrittori viventi di ogni provincia si assunsero per lo più di dettare la vita degl'insigni defunti della provincia medesima; onde, quanto a questi ultimi, la dipintura de'loro costumi, del loro sapere, delle opere loro venga più al vivo ed al naturale. Ebbe già lodi dai savi questa Biografia, che ha costato all'editore tempo e fatiche assaf; ne gli ha fruttato sinora che la compiacenza di rendere onore alia sapienza italiana , che è la più eletta del mondo incivilito. E non mancarono biasimi da coloro, che usi a trovare il pelo nell' uovo nelle opere altrui, non bilanciano le difficoltà dell'impresa in (juesta Italia, già divisa in tanti dominii diversi senza almeno il conforto della piena concordia de' principi nel favorire il travaglio degli stu- diosi, e il conseguente progresso della civiltà. Gioito si è, che qual- che dominatore non ponga ostacoli insuperabili alla diffusione de' lu- mi, ed allo spirito di nazione: del quale d'altronde Orazio direbbe — expellas furca, tamen usque reeurret. - Non diremo tutto doversi lodare in questa opera, a cui pongono mano tanti e diversi ingegni italiani; ciò sarebbe oltre il mortale uso e potere ! Ma senza timore di una mentita sosterremo , elie sb v' ha Varietà' 377 pure qualche neo qua e colà raramente, è perJonabile alla condizione esta, die eccitare l'autore a proseguir con impegno in queste sue interessanti fatiche; siccome veramente c'incombe di animare i nostri colleghi, specialmente condotti, ad emularlo, nella sicurezza di ren- dersi cosi sommamente benemeriti ai medici dicasteri, all'umanitJi, etl alla scienza. (1) Tomo 66 pag. 297. (2) Tomo 88 pag. 317. G. C. Fedra. Tragedia di Giovanni Lauri da Macerala. Terza edizioni da lui severamente emendata. La Fedra, che sotto il nóme d'Ippolito fu conservata all'immortalità ed alia meraviglia dei posteri dal greco Euripide , noi la veggiama riprodotta con differente idioma da moltissimi (1) di coloro, i quali amanti dei greci esemplari, al dire di Orazio , di e notte sopra di questi con istudio indefesso meditando, gli scelgono a severa guida nelle loro produzioni. Ed è appunto a' dì nostri che uno spirito di male intesa novità trae fuori del buon sentiero coloro , i quali d' ingegno dotati e di fantasia potrebbero rinnovare le glorie dei greco coturno sulla bella penisola. Veggiamo il nostro teatro ri- gurgitare tutto giorno di drammi raccapezzati, comesi suol dire, alla moda, le'quali dove violate le regole dell'arte, dove confuso il tempo coll'azione, lo spettacoloso col vero, altro pregio non hanno (se pre- gio può dirsi da un italiano!) che l'essere parlo d'una penna oltra- montana. Racine, il tragico della Francia, anch'egli tentò l'ardua im- presa calcando le orme del greco: e non ostante le cabalo del Ne- vers e della duchessa di Bouillon, la sua tragedia forma tuttora l'am- mirazione di coloro, i quali amano il bello; nel mentre che la Fedra di Pradon, istigatore degli odiosi raggiri contro Racine, giace sepolta nell'oscurità del silenzio. Anche il conte Edoardo Fabbri di Cesena, uno dei migliori tragici viventi, ha dato alll'Italia una Fedra; ed ul timo nel novero di questi è il nostro Lauri da Macerata, E questa di greco conio, e modellata sulle regole dei maestri del- l'arte: e non oserei aggiungere parob» sulla form:», abbastanza da per 380 Varietà' se stessa encomiata nelle diverse produzioni del sommo Euripide. An- che quella di Raclue concorse non poco al buon esito di questa, avendo l'autore accomodato all'indole italiana le più brillanti imma- gini del tragico francese. La verseggiatura è generalmente robusta ed armoniosa, scorrevole il dialogo e disinvolto. I caratteri ben tratteggiati: ed il lettore non può a meno di ammirare la perfìdia e la scaltrezza di Ennone, nu- trice di Fedra. Appassionati oltre ogni modo sono i sentimenti di Fedra ma che ritengono però nella loro sfrenatezza un principio di urna nità, di giustizia, di onore troppo naturali in una donna amante, qnan liinque soggetta a sostenere un rifiuto dall' oggetto stesso de'suoi pensieri, del suo affetto. La condotta d'Ippolito è nobile e generosa e come vittima di calunnia e come oggetto di un immeritato dispre- gio del padre, che cotanto amava, s'allontana dalla reggia, e l'anate- ma del padre piomba immantinente sul capo dell'innocente figlio. Si potrebbe tacciare di troppa fierezza il disumano procedere di Te- seo: ma è da osservare che gli antichi eroi, molto benemeriti a qual- che Dio prepotente, non aveano che a parlare per essere prontamente vendicali: ed è molto naturale che un eroe come Teseo, olfeso da nn figlio in una parte così delicata e gelosa, imprecasse contro allo stes- so figlio, supposto autore di un brutale attentato contro la moglie. Lo stile della tragedia è buono in generale; ma sarebbero da evi- tarsi certi modi di dire un pò prosaici, i quali in certo modo sce- mano la robustezza e la forza del verso tragico. Mi piange il cuo- re che l'autore stesso non possa conoscere questi poveri .sentimenti dettati dalla giustiza e dal caldo afTetto ch'io porto alle lettere: ma la morte di troppo avara l'ha rapito alla patria, della quale era decoro ed ornamento! Gioventù italiana, che per natura sei chiamata alla poesìa ed al bello, corri ardita la letteraria palestra , rinnova gli esempi dei padri colla loro .scorta : lo spirito di novità non ti acciechi : e ricordati, che tutto li potrà togliere lo straniero prepotente colle armi, colla so- perchìeria, ma la patria letteratura giammai, ultimo e temuto senti- mento di nazionalità dei popoli. Giacomo Bobgosovo (1) Vedi le opere bibliografiche dell'Argelati, del Pailoni , del Federici nelle Notizie degli storici greci e loro volgarizzatori. Varietà' 381 Vita di S. Giuseppe Calasanzio fondatore delle scuole pie, scritta da N. Tommaseo e corredata di autentiche lettere scritte dal mede- simo santo. Roma 1847. Dopo la celebre vita del Calasanzio scritta con tanta eleganza e profondità^ ma letta da pochi perchè voluminosa e dettata in lingua latina dal Toietli, era bene che a maggiormente propagare la cogni- zione delle virtù di questo gran santo amico del povero, venisse alla luce un compendio della vita medesima, e fosse scritto in lìngua vol- gare. Di ciò ebbe cura il eh. N, Tommaseo: e ben provvide a que- st'uopo coU'operetta che annunziamo, degna per ogni rispetto del- l'animo nobile e della fama dell'autore. Di questo gran santo non mancò in ogni tempo chi tramandasse ai posteri la memoria o cogli scritti, o colle opere di arte; e anco recentemente abbiamo ammirato il bel dipinto di Carlo Rahl illustrato dall'egregio sig. 0. Gigli (V. Tib. ann. VI. n. 47.); e l'inno della sig. Rosa Taddci tutto pieno di .sublimi concetti e di religioso affetto. Il cav. A. M Ricci dettava al- cune terzine intorno la preghiera di esso santo, dipinto di C. Yegel di Vogelstein, inserite nel Tiberino anno 9, n. 13. Di T. Lucrezio Caro e del suo poema De rerum natura, studio di Amil- care Mazzarella, culla versione di molti frammenti scelti fra i migliori del testo. Mantova coi tipi dei fratelli Negrotti 1846. Quest'opera, che noi annunziamo, è degna dell'illustre autore e delle nostre lettere, poiché con essa vassi ad accrescere il patrimonio delle medesime; e chi la dettava fa chiaramente comprendere quanto profondamente si conosca dell'antica e moderna filologia, essendochò coU'aiuto della critica viene a dar luce ad alcuni punti della vita del- l'autore non abbastanza rischiarati dagli altri scrittori che lo pre- cedettero. I31PR1MATUR l^r. Angelus V. iModeua 0. P. S. P. A. iMag. Sociiis. IMPRIMATUR Joseph Canali Patriarcha Constantin. Vicesg. ;383 INDICE DELLE MATERIE COITTENUTE IVEL TOMO CXIl, VOLUMI 334, 33o, 55C DEL GIORNALE ARCADICO SCIENZE Rosclli, Teoria dei tubi capillari 3 Carlucci, Due autopsie cadaveriche . . , . . 60 Burri, Viaggio scientifico al porto d^yìnzio , .gì jàstolfii Dell'origine e delle esercitazioni delV ac- cademia agraria di Bologna (^Continuazione.) 114 Cavazzoni Pederzini, Del governo dei poveri in Italia 316 Tortolini, Sopra alcune superficie curve derivate da una data supeificie e di genere concoidali . 213 Falchi, Operazioni che si richieggono per la bo- nificazione delle terre dell'agro romano. 298 Marchi, Sul vaiuolo vaccino e mi cholera asiatico. 3^ LETTERATURA Martini, Scopo dì Dante nello scrivere la divina Commedia 141 Cicconetti , Panegirico a Pietro Giordani. . 1 66 Santucci, Sulla grotta di Collepardo e suoi con- torni. Lettera FI. 218 Camilli, Di una greca iscrizione in Viterbo detta Tavola Cibellaria ec 234 Dante, La divina commedia tradotta in francese e daWArtaud e dal Fiorentino 338 Fabbretti , Biografia da' capitani venturieri del- VUpibria 342 384 TaccoUni^ Discorso pei premi distribuiti al gin- nasio di Bagnaca{'aUo 354 BELLE ARTI Cantalamessa Carboni, Caterina 3Iengs ritratta in tavola da suo padre 258 Giuliani, Vangelo della resurrezione scolpito dal Tenerani 361 f^arietà. I I Tortolìhì, Sopra alcune superficie curve derivate da una data su- perficie e di genere concoidali. 273 Folcili^ Operazioni che si richieg- gono per la bonificazione delle terre delVagro romano . . .298 Marchi, Sul vaiuolo vaccino e sul cholera asiatico . . - . . .314 LETTERATURA Dante, La Divina commedia tra- dotta in francese e dalVArtaud e dal Fiorentino Fabbretti , Biografie de' capitani venturieri dell' Umbria V^accolini, Discorso pei premi di- stribuiti al ginnasio di Bagna- cavallo BELLE ARTI Giuliani. V Angelo della risurre- zione scolpito dal Tenerani. Varietà. GIORNALE DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI Voi, Uo. ROMA TIPOGRAFIA, DELLE BELLE ARTI 1848 ARCADICO D I SCIEINZE, LETTERE ED ARTI Voi. CXIY. Gennaio, Febbraio e Marzo 1848 ROMA TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI 1848 DIRETTORE DEL GIORNALE 8. E. il sig. principe D. PIETRO ODESCALCHi, CONSULTORE DI STATO DI SUA SANTITÀ' socio ordinario della pontificia accademia di archeologia, membro del collegio filologico dell'anÌTeri»ità romana. COIIPILATORI BETTI cav. SALVATORE, professore di storia e mitolo- gia e segretario perpetuo dell' insigne e pontificia acca- demia di s. Luca, membro dei collegio filologico dell'uni- versità romana, socio ordinario della pontificia accade- mia di archeologia, accademico della crusca. BORGHESI cav. BARTOLOMEO , accademico della cru- sca , corrispondente della pontificia accademia roniana di archeologia e dell'instituto di Francia, membro delle RR. accademie delle scienze di Berlino, Torino ec. CAPPELLO prof. AGOSTINO, già medico consulente della san. mem. di Leone XII , membro della congregazione suprema di sanità, socio ordinario soprannumero della pontificia accademia di archeologia. MAGGIORANI CARLO, membro del collegio medico-chi- rurgico e professore di medicina politico-legale nell'uni- versità romana. POLETTI cav. LUIGI, vice-presidente e professore di ar- chitettura pratica nell'insigne e pontificia accademia di s. Luca, professore ordinario di architettura nell'ospizio apostolico di s. Michele , professore onorario della R. accademia delle belle arti di Modena, architetto diret- tore della riedificazione della basilica di s. Paolo, addet- to al collegio filosofico dell' università romana , socio ordinario delia pontificia accademia di archeologi». IV TONELLl GIUSEPPE, dottore di medicina. VISCONTI commendatore PIETRO ERCOLE, commissario delle antichità romane , presidente onorario del museo capitolino , segretario perpetuo e socio ordinario della pontificia accademia di archeologia, membro del colle- gio filologico dell'università romana. ONORARI CARPI PIETRO, professore di mineralogia , membro del collegio medico-chirurgico e direttore del gabinetto mi- neralogico dell'università romana. DE-CROLLIS DOMENICO, dottore di medicina. FOLCHI GIACOMO, professore d'igiene, di terapeutica ge- nerale e materia medica, membro del collegio medico- chirurgico e direttore del gabinetto di materia medica nell'università romana, membro della congregazione su- prema di sanità. GERARDI FILIPPO, dottore di leggi. COLLABORATORI ASTOLFI avv. Angelo, giureconsulto, a Bologna. BARTOLINI monsignor Domenico , referendario dell'una e dell'altra segnatura , socio ordinario della pontificia accademia di archeologia, in Roma. BIANCHINI Antonio , conservatore di Roma , segretario della società degli amici delie belle arti, in Roma. BIOLCHINI Pietro, segretario del giornale, in Roma. BRIGHENTI Maurizio, ingegnere ispettore, a Ravenna. BRIGNOLI di Brunoff Giovanni, professore, a Modena. BRUNATI ab. Giuseppe, a Brescia. BUONAPARTE S. E. don Carlo, principe di Canino e di Musignano, in Roma. BUONCOMPAGNI S. E. don Baldassare, in Roma. CAMILLI Stefano, giureconsulto, a Viterbo. CAMPANARI avv. Secondiano, socio corrispondente della pontificia accademia romana di archeologia, a Viterbo. CANTALAMESSA CARBONI Giacinto, in Ascoli. CAPOZZI Francesco, a Lugo. CARDINALI cav. Luigi , socio ordinario e censore della ponliQcia accademia di archeologia, in Roma CASTRECA BRUNETTI Enrico , dottore di medicina in Roma. ' CHELINI padre Domenico, delle scuole pie, membro e se- gretario del collegio filosofico dell'universilà, professore nel collegio nazareno, in Roma, CHIMENZ dolt. Baldassare, chirurgo, in Roma. CIALDI commendatore Alessandro, tenente-colonnello del- la marina militare pontificia, in Roma. CICCONETTI avv. Felice, giureconsulto, in Roma. CONTI dott. Filippo, medico, a s. Anatoglia di Camerino. COPPI ab. Antonio, consigliere di censura, socio ordina- rio e censore delia pontificia accademia di archeologia in Roma. ' CORDERÒ DI S. QUINTINO cav. Giulio, membro della reale accademia, a Torino. DE-FERRARI padre maestro Giacinto, dell'ordine de' pre- dicatori, prefetto della biblioteca casanatense, consultore della sacra congregazione dell' indice , socio ordinario della^ pontificia accademia di archeologia, in Roma. DE-LUCA monsig. Antonino, vescovo di Aversa. DE-MINICIS avv. Gaetano, a Fermo. DIONIGI ORFEl contessa Enrica, in Roma. FARI de'conti MONTANI, monsignor Francesco, cameriere p JdÌ'tìI? '^' ^""^ Santità, sotto-custode di arcadia, in Roma. li-KKUCCI cav. Luigi Crisostomo, a Firenze. FERRUCCI Michele, professore, a Pisa. FIORINI MAZZANTI Elisabetta, in Roma. DOLCHI cav. Clemente, architetto di Sua Santità, consi- gliere dell'insigne e pontificia accademia di s. Luca, in- gegnere ispettore emerito membro del consiglio d' arte addetto al collegio filosofico dell' università romana ' SOCIO ordinario della pontificia accademia di archeologia, m Roma. ° ' FONTANA cav. Pietro, a Spoleto. FRANCESCHI FERRUCCI Caterina, a Pisa. r m?^M J^^P''"'^ Giuseppe, delle scuole pie, in Roma. I^IULIANI padre don Giambalista, somasco , dottore colle- giale di filosofia ed arti nell'università, a Genova. ixKlM cav. Luigi, consigliere e segretario della commis- sione generale consultiva di antichità e belle arti presso VI il ministero del commercio delle belle arti ec, socio or- dinario e conservatore perpetuo dell'archivio della ponti- ficia accademia di archeologia, in Roma. GUZZONI DEGLI ANCARANI dott. Carlo, professore, a Trevi. LABUS cav. Giovanni, membro e segretario dell'istituto, a Milano. LEONARDI dott. Mauro, medico primario, in Amelia. LOPEZ Michele, prefetto del ducal museo, a Parma. MARCHI padre Giuseppe, della compagnia di Gesù, con- servatore de'sacri cimiteri di Roma, membro del collegio filologico dell'università, socio ordinario della pontificia accademia di archeologia, in Roma. MARCOTULLI dott. Luigi, medico, a Sezze. MASETTI canonico Celestino, a Fano. MORDANl Filippo, professore, a Ravennai. MONTANARI Giuseppe Ignazio, professore nel collegio, a Osimo. MORICHINI monsignor Carlo Luigi, arcivescovo di Nisi- bi, tesoriere generale e ministro delle finanze, in Roma. MUZZARELLI monsignor Carlo Emmanuele, uditore deca- no della sacra rota, consultore delle sacre congregazioni delPinquisizione e de'rili, in Roma. PAOLI conte Domenico, a Pesaro. PAULUCCI Domenico, vicesegretario municipale, a Rimini. PERETTI Pietro , professore di farmacia e direttore del gabinetto farmaceutico dell'università, in Roma. PERUZZI monsignor Agostino, prelato domestico di Sua Santità, arciprete della metropolitana e rettore dell'uni- versità, a Ferrara. PIANCIANI padre Gio. Battista, della compagnia di Gesù, membro del collegio filosofico dell'università, in Roma. PLANA barone commendatore Giovanni , membro della reale accademia delie scienze, professore d'analisi nella università, regio astronomo, a Torino. POGGIOLI dott. Michelangelo, già medico ordinario delle san. mem. di Leone XII e di Gregorio XVI, professore giubilato di botanica e presidente del collegio medico- chirurgico della università, in Roma. PONTA P. don Giovanni Marco, ex— generale dc'somaschi, in Roma. VII PUCCINOTTI dolt. Francesco j professore nell'università, a Pisa. RAGGI avv. Oreste, in Roma. RAMBELLI Gio. Francesco, professore, a San Giovanni in Persiceto. KAMELLI Camillo, professore, a Fabriano. RANALLI Ferdinando, a Firenze. RICCARDI doti. Gregorio, medico, in Roma. RICCI marchese cav. Amico, a Bologna. ROSELLI Ercole, in Roma. ROSSI monsignore Stefano, prelato domestico di Sua Santi- tà e ponente della sacra consulta, in Roma. SALVI commendatore Gaspare, consigliere e professore di architettura teorica nell'insigne e pontificia accademia di s. Luca, ingegnere ispettore membro del consiglio d'arte, architetto de ss. palazzi apostolici, membro del collegio filosofico dell'università, in Roma. SANTINI dott. Angelo, medico primario, a Montalboddo. SANTUCCI ab. Domenico, rettore del collegio capranicense, iu Roma. SECCHI padre Gio. Pietro, della compagnia di Gesù, socio ordinario e censore della pontificia accademia di archeo- logia, in Roma. SORGONI dott. Angelo, primo medico, a Montolmo. SPEZI Giuseppe, in Roma. STEFANUCCI ALA dottor Antonio, giudice, a Loreto. TONELLI dott. Valeriano, medico, a Paliano. TORTOLINI ab. Barnaba, membro del collegio filosofico e professore di calcolo sublime nell'università, professore di 6sica matematica nel collegio urbano di propaganda e nel seminario romano, in Roma. TROMPEO cav. Benedetto ,medico di corte di S. M. la regina vedova di Sardegna, a Torino. VACCOLINI Domenico, professore, a Bagnacavallo. VALDRIGHI conte Mario, a Modena. VALORI dott. Francesco , membro del collegio medico- chirurgico , professore di sanità nella sacra consulta , in Roma. VERMIGLIOLI cav. Gio. Battista, professore di archeologia nell' università , direttore del museo antiquario , a Pe- rugia. vili VESCOVALl Luigi, socio ordinario delle pontificia acca- demia di archeologia, in Roma. VOLPICELLI doti. Carlo, professore di fisica sperimentale nell'università, direttore del gabinetto fisico, segretario della pontificia accademia de'lincei, in Roma. ZANELLI ab. Domenico, a Forlì. Anta sii Alcune (ormale sul ealcolo dei residui e loro applicazione. Memoria di Ercole Roselli. x\ncorchè una formola qualunque pei* la sua sem- plicità, eleganza e generalità possa essere commen- devolissinna ed amnalrabile, pure se non è di belli ed utili risultati feconda, penso che la scienza poco deve allo scopritore. All'incontro però se la nuova formo- la, oltre essere templice, elegante e generale, nelle molle applicazioni sue facilita le note dimostrazioni, altre ne trova più rigorose, comprende come corol- lari i teoremi cogniti, e li riunisce in una slessa ca- tegoria; e finalmente arricchisce o mediatamente o im- mediatamente la scienza di nuovi ritrovati; l'autore di questa al certo sarà benemerito della scienza. Ed invero, per richiamare alla memoria fra i molti uno splendido esempio, quanti elogi non ebbe Lagrange solamente per una delle tante sue invenzioni; cioè di avere ridotta tutta la meccanica ad una formola ge- nerale, e con quella avere fatto un voluminoso e per G.AT.CXIV. 1 2 Scienze eccellenza singolare trattato di meccanica? Ebbene, questa formola avendo seco le proprietà nominate , potè non solamente semplificare e g-eneralizzare la scienza, ma ancora connettere con nuovi vincoli i ri- sultati. Ninna parte poi delle matematiche è capace di questa unità, quanto quella che nomasi pura: peroc- ché essendo questa generale riguardo alla mista, può ottimamente in modo rappresentarsi, che trovisi una formola, che comprenda tutti i rami delle matemati- che pure; dalle quali con altre particolarizzazioni si deducano le miste razionali e poi finalmente le fisi- che. Ma per dimostrare l'analogia e comune vincolo, che intercede fra le matematiche scienze e le con- nette, fin dal principio dimostro che la formola (2), sebbene, come vedremo, sia parziale, ci dà le for- mole delle funzioni derivate di Lagrange, di Taylor ec, ed in una parola il calcolo diflferenziale ed inte • graie; e siccome la (1) è un caso particolare della (2), ed applicandosi essa (1) alla teoria dell'equazioni ec- cellentemente, come vedremo in appresso, ne dedu- ciamo che la (2) contiene l'analisi algebrica ed infi- nitesimale. E spaziando questa, mediante I^ altre for- mole più generali, per tutto l'infinito possibile senza essere da alcun limite contenuta, e quindi indagando tutte le leggi, di cui la minima parte viene in mente all'uomo; ne discende ch'egli non sarà mai geometra perfetto, e sempre più potrà inoltrare le sue ricerche; ed il solo Dio godrà veramente il nome di massimo geometra; onde eccellentemente disse quel greco, che Dio nella sua magione applicava la geometria. Quindi avendo questi creato immensi ed innumeri astri, ed a noi essendo ignoto se una stessa legge li regga e Calcolo dei residui 3 governi, ed essendo infiniti possibili; ne discende che l'applicazione dell'analisi alle cose nostre fisiche è un caso particolarissimo di essa: onde la fìsica tutta nella sua comprensione è una piccolissima fronda del gran- de albero dell'analisi matematica, che contiene in po- tenza infiniti germogli possibili : per lo che quan- tunque l'uomo giugnesse a scoprire tutte le leggi dei regni animali, ■vegetali e minerali , e con analoghe formole le rappresentasse^ pure sarebbe un debolis- simo geometra , sebbene un dotto tìsico secondo il senso della parola. Imperocché quanti altri astri vi sono, quanti altri possono essere creati con infinite possibili varie leggi, l'uomo non potrà mai conosce- re; ma bensì verrà tempo, nel quale si vedrà l'au- dace studioso , sciente delle leggi fisiche completa- mente , progettare la possibilità di qualche nuovo mondiale sistema, ed analoghe interne constituzioni. Ma essendo questo lo scopo ultimo, cui può mirare la scienza nello stato attuale , però basti il fin qui detto: e nella presente memoria darò alcune nuove formole, le quali appartengono al calcolo dei residui, e le applicherò a dedurre qualche proprietà dell'equa- zioni, riserbandomi di continuare le applicazioni in altre memorie. Spero che in questa memoria si vorrà riconoscere, oltre la novità, alcun pregio del metodo: poiché oltre essere generale a più rami di analisi ma- tematica, rende più chiare e brevi le dimostrazioni, per nulla dire di qualche nuova proprietà che rende manifesta. FORMOLE GENERALI Le fornjole, che dimostro, conservano tale analo- 4 Scienze già tra loro , che te une si possono dedurre come casi particolari delle altre. Queste appartengono al calcolo dei residui, di cui l'autore^ il celebre Cauchy, dettò non solo i principii , ma ne fece estese ap- plicazioni. Le formole che presento al pubblico, per quanto io sappia, sono nuove; e nuovo il metodo delle applicazioni ; ma non per questo pretendo che sìa nuovo questo ramo di analisi; perocché protesto, esso appartenere al calcolo dei residui, come si conosce dalle dimostrazioni; e sono di opinione essere questo capace di arrecare molto miglioramento, e forse il perfezionamento alle matematiche scienze. Ma comun- que ognuno giudichi su queste umane, sempre vane, parole, a me non interessa: e per mio piacere, e forse avanzamento della matematica, pubblico il risultato de' miei domestici studi. Indichino Xi , Xz ■> Xs ^ . . . \e radici della equa- zione e primieramente siano tutte ineguali, sebbene f{x,) = co , f{x^) = co , /(.ra) = co , . . . nulladimeno per le cognizioni che abbiamo sulle fun- zioni, che si presentano sotto forma indeterminata, le quantità {xi—a:i)f{xi), {x^~x^)f(x2), {x^~X2)f{X:,),.-.. potranno avere un valore determinato. Si faccia quindi (X—Xi)f^x) = (p{x) , {Xr-'X^)f[Xi) ■-■= 9(JC,) , . . . Calcolo dei residui 5 essendo a;, , a;^ , . . x„ tali quantità, che per 1 » •*-2 » Xi le (p(x) , (p(xi) , . . . 9(xn) conservino un valore fini- to : dalle cognizioni, che abbiamo sui residui o sulla maniera di calcolarli, otteniamo ^{x, —x^)f(x^) _ (p{xt) _ ((•^/I-2 Xn-l)) ((a?/,_2 J7/2-|)) ^{X„.y— Xn)f{Xn-i) ^ f{xn-i) __ ^^ . Questo premesso, avremo la quale potrà essere scritta ^ '""^((^.-^2)) h{x-x,)) Da questa formola si conosce il senso di quel dop- pio residuo, e questo si osservi ancora in appresso : così 6 Scienze ((^2— X3)) {{X2 — X^)) ossia e generalmente Questa è la prima delle formolo al certo semplice , elegante e generale , che modificata applicherò alla teoria dell'equazioni, di cui un breve saggio si leg- gerà nella presente memoria intorno a quelle aventi tutte le radici disuguali, e che sono funzioni di una variabile. Abbia in secondo luogo la equazione 1 o due o tre più radici eguali e generalmente n ra- dici — Xi , m radici = aia , • . • sebbene pure l'espressioni {xi — x,)'f{xi) , {x, — x^y/ix^) , . . . potranno avere uli valore determinato : si fàccia quindi {x—x,)'f[x) = (p{x) , (Xi—X^)'f{Xi) == ■ 1. ed ha il va- lore =»• 1 , quando w = 1 , quindi l'ultima si trasfor- merà generalmente nella seguente {{[x„., — x„y)) ' ^l-ln^z^^. (^) la quale paragonata con la (1) dimostra che questa n'è un caso particolare: poiché se si fa l'esponente 71 = 1 nella (2), avendosi 9("-»)"'(x„) = (p{x„) , (r(»))'" = ^ conosceremo che in questo caso la (2) è identica con la (1). Ora, innanzichè proceda ad ottenere altre formolo, voglio applicare questa (2) a conseguire la formola delle funzioni derivate di Lagrange e quella di Tay- lor, che sono le fondamentali del calcolo differenziale od integrale: e questo affinchè si riconosca dovervi essere una formola, da cui derivano tutti i rami dell» matematica. Sia ^n un valore che renda 9(j?«) = o sarà ancora ^jC-')'" {Xn) = O oode la equazione (2) darà 0, 10 S C I E N Z E;a/..> ,i ■ : . . . . •• ',.. . .> .'V^i '•=■■' ''uu-}'-- ■ r. - '•' . : . C__J ^ ie-^. p.. . y(^) : Quindi vedesi che rinte|jrale euleriano non ha alcu- na influenza su queste ricerche , e che la ^(a;) per x=s Xn deve essere =a o, affinchè sussista la innanzi posta equazione. Similmente dalla stessa formola (2) avremo ^,^-.r-\. ) =(r(n)r-. 9 [ 9, t:T^^. ;r srio ral/.oroib (1 . (1*) «i o«B3 oJ«oup ai odo omofrjOf-.onoo /;?'.)fin<»ì ni •sinìipiuoy n (S") r.)«');j|) oiboìÌi'.!»; diifjo/ Quindi diremo che questa equazione gode la pro- prietà di essere = o, quando nella (f{x)\àx=^xa-i^ onde i valori particolari, ;>,, n>.•^u\^ ; :jÌr,i;.o!u }k> «iiJoh iiflui i iJlMt o : .«Joiino'i fina ^n9«?.;) della a; sono quelli che rendono la stessa (p{x) = o. In simile modo dalla (2) avremo ripetendo lo stesso discorso per sfloissupa hI obou Calcolo DEI RESIDUI 11 come per ^C-^r'V^-s) , 9!''-')'""W4). •••• fatto innanzi, conosceremo che la equazione (2) gode la proprietà di essere =0 per gli n valori ossia tutti questi n valori saranno radici della y(a;); ed osservando la legge delle innanzi ottenute equa- zioni e dei respettivi residui, vedremo subito quella equazione (2) potersi ridurre alla ^ ! e 1 p e f^ = 0 Supponiamo ora che la funzione (p(x) sia di na- tura tale, che abbia n radici di x =^ Xx ) = X2 f = *3 » • • • = ^n più m valori eguali per ciascuna x z= ofi, =0^3, = x's , . . . = x'm più p valori eguali per ciascuna x r= a;", , = oif\ , css a;"3 , . . . = a^^ più ec. avremo senza difficoltà dalla formola (2) stessa la seguente c__i_ 5- ! r e y^^> ^. >= 0 ec. Questa formola generale con alcune riduzioni può semplitìcarsi in modo da rappresentare quelle cogni- te; e così applicarle alle cose, che più si avvicinano alle leggi nostre fisiche; ma qnesto non toglie di farci conoscere che l'analisi è di cose maggiori capace, e può trattare le quistioni generalmente. Quindi se si voglia la formola delle funzioni derivate di Lagran- ge, quella di Taylor ec, faremo che la f(x) conten- ga una radice »=■ Xi , due radici = Xz ^ tre ==»a;3 ,... n — 1 = a;/2-„ n radici = x,i pel che conseguiremo e prendendo i residui sarà 1 1 Calcolo dei residui !Ì3 Ora facendo essendo la ip una funzione qualunque cha verifichi la condizione, avremo \n-2 X""' 1.2..(n— 2) ' ^ ^ 1.2...(n— lf ' ' Quindi per la formola cognita seguente tl,(x -4- X) i'iihr.i il) ni I -f- 16 Scienze Sieno yi » ^2 , ys , . . . , y.i le radici della equazione 1 /(^. y) = 0 le prime quando questa è risoluta in quanto ad :p, le seconde quando è risoluta in quanto ad y ; es- sendo tutte queste radici disuguali, sebbene /(a?„ y) = co,f(x„ y,) = (^ , f{x^, 2/.) = «o , pure per la natura delle funzioni, che si presentano sotto forma indeterminata, le quantità (^.—■^O/C-r., y) , {yi-y,)Acc„ y,) , ( r,— jj;,)/(a:„ y,), . potranno avere un valore determinato. Si facciano quindi (c~r,)/(r, »/)=9(.r, y) ^y—yy)f(^^y y) = ?(^i, y) -li: ec. essendo (p(x, y) tale funzione, che per quelle due se- rie di radici conservi un valore finito ; dal calcolo Calcolo dei residui 17 (lei residui, sappiamo essere ^ ((2/ — 2/0) ((y — 2/.)) donde 9(^> 2/) E.J conservando la stessa notazione usata innanzi. Similmente o(2/>— 2/2)./ì-^2 , 2/i) e ?'("^=' ' 2/«) ,,^^ „ i c/ — 77 TT — ■ — Of/ rrT\ — 'r'^ 2 » i/a; donde come innanzi e sostituendo il valore di (p{xi^ Qx) ottenuto innanzi, conseguiremo 1 1 ^ o 9(^1 y^ ^^"' ' ^^^^ ^(¥rq;j) ^P;:=^)) ^w=i^) ^((^=^ Con lo stesso raziocinio sarà G.A.T.CXIV. 2 18 Scienze m , j/3) - ò^(^^_ ^^^j ^((x.- y) o due o tre o più radici eguali, e generalmente se risoluta in quanto ad a?, numero n radici e se risulta in quanto ad y similmente numero n ra- dici = yi , ==2/2 , = !/3 5 • • • j =y/i sebbene f(xi, y) = ^./(xi, 1/,) = co , Càlcolo dei residui 19 pure l'espressioni {x,—x,yf[Xi,y), (2/i— 2/,)"y(^i, 2/,), • • • • potranno avere un valore determinato; si faccia quindi {v—x,)"f(r,y) =9(j-, , y) essendo 9(37, y) tale funzione, che per quelle due se- rie di radici eguali conservi un valore finito ; dal calcolo dei residui, abbiamo ^(x—ji\)'\f(x, y) (([X- ^ -r^_,^^-,„)| ^(([x-x,T)) 1.2....(n--1) ((Cy-2/.]")) ^{{Ly.-y.r)) i.2..c»_i) donde per un teorema noto^ del calcolo dei residui e delle funzioni derivate 9(«-')(.r,, y) ^1. 2. . .(?i— 1) ®("-'j2(a;,,t/) ((['/-!/.:")) [1.2. .(»-i)p quindi, rammentando quanto dicemmo sul secondo integrale euleriano 20 Scienze Similmente (([X.— X,])) ^(([^i — o'^P)) 1.2> — 1^ ^(y^-y^Tf(o^2, y.) ^ y(.r„ yO _ j>(»-')(x„ y,) (([y. - yaT'j) "" ^(([y,-y.]")) i. 2.. (r.-i) donde come sopra lo stesso teorema c9-"-^)'(^.,y.) ^ y("-')3(x,-y,) (([■3^1-^3]"))'^ l-S. .. (n— 1) 1 . 2 ... (72 — 1 ) y;"-^/4(.r:., y,) ^ (([yi-y2]")) ""[1.2. ..(«— 1)]3 quindi yl»-')4(ar, , y,) 1 9("-^)'(ar, , y,) [1.2...(/.-1)]^=' ^(([y,-y,]")) ^((Lr.-a;,p)) e sostituendo per f!"-'^(^i , yò il suo valore, otterremo f'-''H^2 , ya) = (r(ra))'^ r — ^! ■ f. ^ 9 ^ e y(^> y) _ . ^(([^.-^2]")) ^((c^ - ^i]")y ' j Calcolo dei residui 21 1 1 y ^ ^ ' ^'^ ^ ^ " ^(([^2— 2/33 )) (([^2—^3]")) 07;?:^ — IPnrTTt-'-c// e generalmente per m = 1 , = 2 , = 3 , . . . avremo Nella presente memoria non dovendo discorrere dell'applicazione di questa forraola, mi restrirtgerò a considerare la relazione di essa con le tre anteceden- ti. E paragonando la (4) con la (3), vedremo fra que- ste intercedere la stessa differenza che fra la (1) e (2). Infatti con la condizione che la (2) si riduce alla (1), con la medesima la (4) si trasforma nella (3) : facciasi nella (4) l'esponente n =» 1, avendosi 9(«-') (.r„, y) .-^ f[xn, y) , {T{nr= 1 avremo che la (4) è identica con la (3). Volendo ridurre questa (4) alla (2), considero che dovrò fare alcune ipotesi parziali nell'una, alfinchè si riduca identica con l'altra: quindi dovrà dirsi che la (4) è più generale della (2) ; ed avendo veduto 22 Scienze quali risultati di analisi infinitesimali renda la (2), cioè i massimi per la fisica, e ricordando quanto di- cemmo sulla possibilità della generalizzazione dell'a- nalisi matematica, ne andremo persuasi essere veris- sime l'esposte proposizioni enunciate nella introdu- zione, e di cui saranno una conferma le formole che seguiranno. Intanto vediamo se realmente la (4) si possa ridurre alla (2): nella quale riduzione consiste principalmente il mostrare la generalità della (4) , perchè ne dedurremo tosto che la (2) e la (3) sono casi particolari di essa. Si facciano y — 0 , !/i = 0 , t/^ = 0 , . . . 1/,, — 0 dalla (4), avremo ,,.-.,"(.„,o)=(r(,.))-'a.(7t^.r7;j)) ora se poniamo (p{x, 0) =?(x) , d-'r(:cn , 0) --= '^^"-'''\xn) avremo precisamente la stessa formola (2). Si potrebbe facilmente ancora ridurre la (4) alla (1): ma siccome la (2) e la (3) sono state ridotte alla (1), e la (4) alle (3) e (2) con semplici ipotesi parziali: ella è cosa inutile ridurre la (4) alla (1), però che ciascuno subitamente vede il nesso. Calcolo dei residui 23 Sieno yi ^ Vzy y?i, • ■ ■ • 1 Vn ■2i 5 Sa ) ~3 5 • • • • » ^rt le radici della equazione 1 = 0, /(•^. 2/. ^) le prime, quando questa è risoluta in quanto ad aj; le seconde, quando è risoluta in quanto ad y^ le ter- ze, quando è risoluta in quanto a z; essendo tutte queste radici disuguali, sebbene f{Xny>z) = '=o,/(-^u 2/1»^) =»5j/(^n2/i>«i) =«5> - pure, per la natura delle funzioni che si presentano sotto forma indeterminata, l'espressioni {x^ — x,)f{xi , y, z), (j/, — yi)f{xt , 2/i , ^) , («I — Zs)/l^i >2/i )«i) potranno avere un valore determinato. Si facciano quindi (x — a:,)/(x, y, z) --= (f{x, y, z) (y — yi)A^i > !/> ^) = 9(^1^ !/i ^) (x,— X2)/(a7„ y,, s,) = 9(x„ 2/„ z.) ec. 24 Scienze: essendo ©(a;, y, z) tale funzione , che per quelle tre serie di radici conserva un -valore finito, dal calcolo dei residui avremo o(y — y«)/(-^M y, z) (p(x, , y, z) dondi e ,(.., ,., ..)=, £^__ ^^^___ £___ conservando le stesse notazioni usate innanzi. Similmente ^^ ((x.-o..)) = V, -:..)) =^("^ ' 2/. , =0 rw (fi— Sa). A -^2, ya, ^i) e9v'^2, ya, Z,) donde 9(^2, ya, ^2 == 6,7 TT l^r; rr i^j, -TT ((^i —^2)) ^{{yi—y^)) {(-^i — ^a)) e sostituendovi il valore di Calcolo dei residui 25 ottenuto innanzi sarà ■j i 1 ((^i— «2)) ((2/.— !/2)) ((■2^1— a^a)) Con Io stesso raziocinio otterremo ((«2— 23)) ((^2— 2/3)r ((■^— ^.)) e generalmente la seguente 9(^„ y,, .„)= 8,1 — ~ 877— ^v,8-..8!r^-— !a (5) Abbiamo in secondo luogo la equazione 1 /K y^ «) = 0 o due o tre o più radici eguali, e generalmente se risoluta in quanto ad x numero n radici x se risoluta in quanto ad y, ancora numero n radici y ~ j/i > = ya , == 2/3 , • • .==«/«; 26 Scienze se risoluta in quanto a z^ similmente numero n va- lori z sebbene fi^i , y, -) ^ ^, /(x, , !/i , s) = «5 , . . . pure l'espressioni (r, — a:.)"/(a:., y, z) , (y, - y,)"/(^., ^i, =), (Zi — Zi)"/(^n yn 2;) , {■^2 — *2)"/lX, !/i, ■?.),•••• ec. potranno avere un valore determinato : si faccia quindi {x — XiYf{x, y, z) = rp{x, y, z) {y —yi)\f{^iy y, 2) — 9(^1' y^ ^) {z — i5,)"/Gr„ j/., z) == 6o(ar„ ^i, s) (or, — x^Y f{xi, y, z,)^ (p{x^, j/„ 2r) ec. dal calcolo dei residui abbiamo {{Lv-~x,Y)) ~^((Ca;-a-,]"))"~1.2..(«-l) o iy—y^)"f{^^, y, g c^ (p[x,,y,.z) ^ y!"-')(jr„ y,, z ((Ci/ - 2/J") ) ^ ^((Ly-y^Tìr i'-2. •• (« - 1) (z— g.)»/(x„ y„3)^ 9(3;,, y„ z) j?{"-')(j?i, y., gì) ^ (([2 - ^J")) ■ hil^-z,r)r 1 . 2. . (n - 1 ) Calcolo dei residui 27 donde 1.2..>— 1) ^ y("-»)'(j?x, y» g) ^acy -2/x]")rci.2..(«-i)p ^(([^-^'iD) L1.2.. (n-1)l3 Quindi, ricordandosi di quanto fu detto sul secondò integrale euleriano, conseguiremo pt-)'(.., !/., .,)=(!'(»)) &^-^^^:^ ^(l^q^ & ,([x x,]..» Similmente ^(j?!— J?J"/(a^„ yi, Zi) _ y(jc„ ?/!, g,) _ y("-')(.r3, y» z.) c(y'— y2)"/(-^2^ y,. ^i) _ ^ ^(^'^ y» ^'^ yl"-')(j?2, y^, jQ ^ ((Cy.-yJ")) ^{{lyi-y^]"))^ i-2. . («-1) c(g,— ^a)"/(-^2> y2> 2i) __ rv (pjx^, y^-, gj) _ yC-'irj^a, ya, Za\ ^ ((C^i - z,y)) ~~ ^({iz.-z.Y))" 1 . 2.. («-1 ) donde , „ 4 er'"'H^i>yugi)_ 9I"-') (x„ y., f,) ^(([^i — ^.P)) 1.2.... (/i-lf -.1.2...(n-1) y("-M'^(a;3, y2, ^2) ^(([y.-y2]")) '^11.2. ... («-1)]- 28 Scienze [1.2...(« — 1)]' ^ y^"-')g(a^a, ya> ^J ^ ((C^. - ^a3")) C1.2...(«-1)]3 quindi e conseguentemente sostituendo in luogo di il suo valore avremo (> y(j^, y, z) Con un simile raziocinio si otterrà ^ (p(x, y, z) e generalmente per m = 1 , = 2 , = 3, . . . conseguiremo Calcolo bei residui 29 Quantunque nulla siasi detto dell'applicazione di queste formole; pure farò osservare, ch'essendo esse di tre dimensioni, vi sono certajnente i rispondenti luoghi geometrici, che possono rappresentare. Para- gonando la (6) con la (5) vedremo fra queste inter- cedere la stessa differenza della (4) e (3) , e della (2) e (1); però che con la stessa condizione dell'e- sponente n = ì; avendosi la (6) diviene identica alla (5). Per ridurre la (6) alla (4) poniamo * = 0 , Cj != 0 , ;:2 = 0 , . . . Z^ cr: Q avremo \3m {xn,yn, 0)= (r(n))3'" l- — l 1 ora se facciamo 9(,r, y, 0) ^ ?(r, y) , yt"-')''" (x„, y,, 0) = ?.-')^"' (x,. y„) il che è sempre possibile per la natura di queste funzioni, la (6) e la (4) sono identiche. Che questa riduzione yalga generalmente, ce ne persuaderemo osservando che il raziocinio fatto per f (a;, y) sarebbe il medesimo per > 1, e non altrimenti. Intorno alla lega commerciale e alla rete delle strade ferrale d'Italia^ discorso preliminare alle lezioni di architettura pratica dettale daW architetto ed inge- gnere prof, cav. Luigi Potetti nella pontifìcia romana accademia di belle arti denominata di s. Luca, r ... \Joloro che si limitano a mirare le viceridé di un popolo nelle tendenze di ima vivente genenizione, per desumerne le future eventualità, vedono assai corto. La vita di una generazione non è che un giorno nella vita del mondo. Le variazioni dell'universo fisico e morale sono lentissime e quasi impercettibili. Gli ele- menti delle grandi mutazioni si generano , progredi- 3,498,018:48 residua 1' avere dei depositanti a » 2,663,266:98 fondo di dote » 41,150 Resta un passivo di . » 2,704-616:98. Da tutto il complesso risultano chiari abbastanza i vantaggiosi risultati dalle casse di risparmio , le quali hanno posto in giro una somma considerevole di danaro, che rimaneva stagnante la maggior parte; hanno giovato i poveri industriosi ed economici ; hanno avuto modo di sovvenire onesti ed operosi cittadini , che senza il benefizio delle casse medesime avrebbero dovuto cadere nelle branche degli usu- rai ; hanno ottenuto di far ribassare il frutto del da- naro a prò del commercio e dell' industria; in fine hanno accumulate ingenti somme di guadagno netto, con cui consolidare la istituzione ed erogare bene- ficenze sopra la classe indigente. E poiché gli am- ministratori, non bastando a sé stessi per la quantità delle operazioni computistiche, hanno dovuto pren- dere braccia in aiuto, si è avuto ancora un altro vantaggio: cioè d'impiegare molte persone probe e 54 S e I E N Z'E capaci dietro una giusta retribuzione , dando pane a fanoiglie , che senza ciò potrebbero mancare di mezzi, per essere scarsi gì' impieghi nel nostro stato a fronte della crescente popolazione. E qui non posso lasciare di dar lodi speciali alla società della cassa di Bologna , la quale potendo riavere le azioni, volle invece lasciarle non solo per consolidare lo stabilimento, e mantenere ne' soci uno stimolo di più ad impegnarsi dell' amministra- zione ; ma dedicando un fondo di 7^1,500 da pre- levarsi sul fruito degli avanzi già accumulati, e da erogarsi in prestiti gratuiti ad artigiani poveri ed onesti , affine di promuoverne l'industria, ed inco- raggiare e premiare la frequenza alla cassffv Né tacerò de' premi, che sogliono dispensarsi ai più diligenti tra i depositanti di piccole somme: ciò che fu stimolo conveniente nei primordi della be- nefica istituzione ; ma crederei non ve ne fosse omai bisogno nelle casse di più antica data , delle quali i poveri hanno conosciuto abbastanza l' utilità , e ponno sempre sperimentarla portando in deposito i loro risparmi. Del resto l' applicazione di tali premi ho veduto per esperienza andar soggetta a tante dif- ficoltà e a tanti inconvenienti , che mentre in prima ne fui caldo favoritore, ho poi dovuto convincermi, che riescono per poco inutili ; tanto da desiderare, che le somme de' premi si erogassero piuttosto in altre beneficenze, come per esempio quella di sov- venire con prestanze gratuite artigiani poveri e one- sti, che abbiano però libretti di credito. E non dubito di esporre questo mio parere, che sottopongo al giudizio de' più savi e filantropi ; nò Cassa di risparmio in Bologna 55 temo di tirarmi addosso biasimo e mala voce per parte dei poveri , che aspirano ai premi. In fatti o cotcstoro sono industriosi veramente, e potranno aver soccorso nell' arte loro , nel loro commercio ; o sono viziosi i e di questi dirò col poeta: « Non ragioniam di lor ; ma guarda e passa.» Ed io tengo gli oziosi meno che uomini , e come fuchi rispetto alle api operose ; penso, che mancano a sé stessi, alle loro famiglie, alla patria, alla so- cietà; mancano alla natura, che ha fatto 1' uomo per agire onestamente , non per poltrire vilmente. Del resto se quando si apriva in Bologna la cassa di risparmio io stampai discorsi e dialoghi per la istruzione del popolo incorandolo a giovarsi della benefica istituzione ; se quando una crisi politica in- dusse ingenti ritiri , confortai i peritosi con nuovi scritti , che dedicai appunto alla società di rispar- mio di Bologna : parmi aver dato saggio di quel- l'amore, che nutro pei poveri industriosi e per l'in- cremento delle casse di risparmio in generale: in particolare poi per quella del mio paese, che pro- curai e promossi efficacemente, ed alla quale do le mie cure in veste di consigliere segretario sino dalla sua istituzione, che fu a' 27 giugno 1841 in Ba- gnacavallo. Né questo dico qui per vantarmene ; mentre so e dico apertamente, che io non avrei fatto mai nulla, ne lo farei, senza la cooperazione di savi e benefìci soci , a' quali è in amore siffatta istituzione , che prospera notabilmente, massime in confronto alla ristretta popolazione. Un altro vantaggio , che non era contemplato nei primitivi statuti , si è quello di alcune casse 56 Scienze (come quella pure, cui ho l'onore di assistere), cioè di ricevere depositi vincolati e condizionati per somme anche maggiori di quelle stabilite per mas- simo ne' libretti di credito ordinari. E penso tra me e me, che si potrebbe aggiun- gere alle casse di risparmio il vantaggio delle casse di previdenza, le quali non sono già un nuovo tro- vato piovutoci d'oltremente; ma sono una copia ed arapliazione del cosi detto Monte Matrimonio , che da buon tempo esiste in Bologna. Ma, riserbandomi di sviluppare e confortare questa prima idea a miglior luogo e tempo , farò line, consigliando le casse tutte a darsi mano a vi- cenda , perchè nell' unione sta la forza , come tutti sanno. E se separate giovano, congiunte gioveranno a mille doppi la causa del povero industrioso ed economo , e tutta la società ! D. Vacgolins, 5T %,mTTmmM.T'!3WiM, Osservazioni del cav. Salvatore Betti , accademico della crusca , suW ultima edizione napoletana del Sallustio volgarizzato da fr. Bartolomeo da san Concordio. AL CHIARISSIMO SIGNORE BRUTO FABRICATORE U no de'libri più insigni, di eui si onori la lingua la- tina, è certo quello ove Sallustio narra la congiura di Catilina e la guerra di Giugurta: ed uno altresì de' più belli , onde si pregi la li ngua nostra , è fuor di dubbio la traduzione che dei due comentari del gran- de storico fece su' principii del secolo XIV fra Bar- tolomeo da san Concordio dell'ordine de' piedicatori. Perciò quanti sono fra noi che amano le italiane eleganze, e vogliono nell' elocuzione aver esempio nobilissimo di brevità e di forza, non sanno finir di lodare la cura eh' ebbe di ridurlo possibilmente a miglioi' lezione, e d'arricchirlo di dottissime note, il celebre marchese Basilio Puoti di sempre cara ed onoranda memoria. Il napoletano sapiente, che pur tanto mi amò, fu cortese d'inviarmi la sua edizione dell'opera ap- pena usci alio stampe nel 1844 : e come per sua bontà e modestia usava far dello altre, così volle 58 Letteratura pure di questa chiedere ch'io ^\i dicessi 1' avviso mio. Grandissimo studio aveva io posto fino da gio- vanetto nel volgarizzamento di fra Bartolomeo: sic- ché ognun può credere con quale animo io mi facessi subito a rileggerlo nella ristampa dell'incomparabile amico. E perchè vedesse il Puoti, che io non solo avea ciò fatto, ma erami anche indotto per obbe- diente amicizia a notare qua e là nel libro quanto vi avessi trovato non conforme in tutto al pensar mio, mi diedi a segnare in carta , massimamente intorno ad alquante lezioni del testo, quelle cose sulle quali intendevo appellarmi ad un nuovo giudizio del so- lenne maestro: chiedendogli insieme una più risoluta franchezza nel por la mano al rimedio di tanti ma- nifesti errori de' vecchi ignorantissimi amanuensi. Ma Dio non volle eh' io potessi a lui mandare il mio lavoro, protratto avendo dall'un giorno all'altro la cura di ordinarlo e trascriverlo : perciocché quasi improvvisamente 1' uomo carissimo mi fu tolto da morte , lasciando nio e tutti gli amici in infinito dolore , ed orba ad un tempo l' Italia d' uno de' suoi non pur più illustri , ma più benemeriti e te- neri figli. Oh qual uomo mancò alle lettere, alla virtù, alla civiltà del secolo! Oh qual cittadino alla patria! E privo di che inestimabile consolazione I Che egli , italianissimo così di parole come di pen- sieri, e caldissimo in difendere le ragioni dei popoli, immagino bene come nella bella e santa anima tri- pudialo avrebbe in vedere alfine risorta a libertà la sua terra : e tanti uomini restituiti all'antica dignità civile: e cessato un ordine oscuro di cose, che quanto l'affannò e depresse , tanto pure aflVettò la sua fine. Altro però aveva determinato la provvidenza! VoLGARizz. DI Sallustio 59 Ora quello che non mi fu dato inviare al Puoli, giovami che s' abbia il discepolo del suo cuore. Sì voi , e(Tregio signor Fabricatore , di chi egli non islancavasi di lodare il nobile ingegno, di ammirare la vera bontà, di giovarsi in ogni sua opera come compagno , anzi figliuolo. E veramente filiale fu il vostro affetto, e degno del soavissimo vostro animo: ed oltre alle cose, che di voi pubblicò quel sommo. Io mostrano pur bene quelle che con tanta pietà tutti abbiamo lette da voi dettate dolorosissimamente nella morte di lui. Gradite di grazia l' offerta che vi fo di questo libretto : siatene voi giudice , che assai il potete : e se troppo non chieggo , confortatemi d' un poco di queir amore che santamente vi scaldò 1' anima per Basilio Puoti. Salvatore Betti. CATILINARIO Gap. IL « Il suo animo era ardito , malizioso » e isvariato, e qual cosa volea infignea e dimoslra- » va, e qual volea dilfignea e celava. » Sembrami che manchi un non, il quale accompagni o l'uno o l'altro dei due volea. Forse dee accompagnare il se- condo: e perciò correggerei : qual cosa non volea, di/Jignea e celava. Ivi. » E come (il comune di Roma) copioso lo » lasciarono; e come a poco a poco sia mutato, di » bellissimo e ottimo, e divenuto reissimo e pestilen- » zioso. » Stando al testo latino che dice: Ex pulchcr- ruma el uptiima^ lìcssuma et flagitiosisstima fucla sii: 60 Sciènze crederei che dovesse scrivesi da fra Bartolomeo: E come a poco a poco sia mutato^ e, di bellissimo e ottimo^ divenuto reissimo e pestilenzioso. Gap. X. » E però spartamente s'era dato ad ogni )> modo d'aver moneta, e a larjjhe spese. » Osserva il Piloti: )) Spartamente qui paie che valga smoda- tamente: ei in questo significato non si trova nel vo- cabolario. » Il latino dice profusius: ed io credo che non già spartamente, ma sì spantamente debba qui esser detto: essendo bella ed antica nella nostra lin- gua la voce spanto in vece di eccedente^ come può vedersi per esempi nel vocabolario. Gap. XI. » Ben so io che alcuni si pensarono » e credettono che quegli giovani, che usavano la n casa di Gatilina, non fossero bene onesti di loro )) medesima onta, cadendo in peccato con Gatilina. « Ghe voglia dire non essere onesti di loro medesima onta^ noi so. Il latino ha: Scio fiiisse nommllos qui ita aestumarent^ iuventutem^quae domum Calilinae fre- quentahal^parum honeste pudicitiam habuisse. Forse,© io m'inganno, il volgarizzatore avrà scritto: noìi fos- sero bene onesti^ di loro medesima onta cadendo in pec^ calo con Calìlina: cioè con volontaria vergogna as- soggettandosi alle turpitudini di Gatilina. » Gap. XII. » Ma li giovani, li quali Gatilina » aveva attratti, secondo che detto avemo di sopra, » ammaestrava egli in molti modi a malfare; a ren- » dere testimonianze false ; e a falsificare carte e r> lettere e suggelli; e ad avere lealtà per nulla; e » non temere ventura ne pericolo che avvenire po- •> lesse. .) Gredo che dir debba: a non temere ventura. Gap XIII. » Questa cosa fu scoperta ; e non VoLGÀRizz. DI Sallustio CI » potè venire fatto. » Checche possano forse dispu- )i tare i grammatici, io credo che si debba dir faU ta: e me ne porge certezza il volgarizzatore stesso, che poche righe appresso ripete: la qual cosa sarebbe loro venula falla. Ivi. » Altri dicono che quegli, che l'uccisono » (Cn. Pisone), furono de'cavalieri ch'erano suti anr )» tichi e fedeli servidori di Pompeo: e che ciò fe-^ » ciono di volontà di Pompeo: e che gli spagnuoli f) non avrebbono mai ciò fatto, ch'egli avevano so- » stenuti innanzi a lui molti duri e aspri signori e » crudeli. » Direi: che egli avevano soslemUi innanzi » a lui molti duri e aspri signori e crudeli. XV. » E in tutti i modi tirano a se la pecunia, » la qual conturbano e gettano. » Che sia verbo le- gittimo questo conturbano ! A me non pare: ma non so qual altro sostituirgli. Avrei quasi pensato che il volgarizzatore abbia qui usato il latinisaio coneutono: ognun sapendo che concutlo presso i giureconsulti tanto vale, quanto estorcere. Che se non si sa (al- meno noi so io) che niuno de'nostri buoni scrittori italiani abbia adoperato mai questo verbo, certo è che molti hanno adoperato il sostantivo concussione., e Io si trova antico con un esempio del Maestruzzo. Cap. XVI. « Questa cosa non è sulTìcientemente » trovata secondo la grandezza del fatto. » Dubito che debba dire provata. Cap. XXI. « Allora per ordinamento del .senato « fu mandato Q. Marzio re a Fiesole. » Scrivasi Re con lettera maiuscola così qui, come nel cap. XXIX: perchè He in ambidue i passi non è titolo di dignità, uria cognome notissimo di famiglia romana. 62 Letteratura Gap. XXVI. « Poi Catilina andò nel contacio di » Rieti. » li latino dice in agro arretino. Ivi. s'io intenda a racconciare il reame. » Pare (av- verte il Puoti) che debba aggiungersi un di ad aiu- torio. « Ma che debba pure aggiungersi un di al pri- mo esempio, e porsi elegantemente: Cui di aiutorio domanderò: lo indica abbastanza il dirsi poi le na- zioni ed i re. Ivi. « Volesse Dio che il morire fosse onesta » uscita delle mie sventure , e non paresse che » fosse dispregiamento di mia vita, s'io stancato di » male dessi lato e luogo alla ingiuria che fatta m'è: VoLGÀRizz. DI Sallustio 6J » ora ne vivere mi piace , né '1 morire m' è licito » senza disonore. » Dopo alla ingiuria che fatta m'è pongasi un punto ammirativo. Farmi pure, che aven- do detto né il morire, debba aver detto del pari né il vivere. Gap. XIII. « E infra gli altri massimamente era *) Emilio Scauro, uomo nobile , sollecito operatore » di malizie, desideroso di potenzia, d' onore e di » ricchezze. » Dopo sollecito dee porsi una virgola:, avendosi nel latino: homo nobilis^ impiger, factiosus, avidiis poteniiae^ honoris, divitiarum. Gap. XV. « Nella divisione del giro della terra » molti puosono Affrica la terza parte, e pochi che » furono posono solamente Asia e Europa , e che » Affrica è in Europa. « E certo che dee emendarsi: e pochi furono che posono. Ivi. u Siccome a noi è suto interpretato de'li- » bri punici, li quali si diceano del re lemsale. » Sembrami anche certo, che debba scriversi dà'Ubri punici, dicendo il latino: uti ex libris punicis, qui re-, gis Hiempsalis dicehantur, interpretatum nobis est. Gap. XXII, « Perocché si dicea ch'egli era il » fattore e compagno di Bestia : egli lo impediva )» dalla verità e del bene. » Perché non dire dalla verità e dal bene: o, in modo pur elegante ed antico, della verità e del bene ! Gap. XXIV. « I quali, eziandio ora soggiogati, i> a' vostri nimici non ardite di levarvi. » L'erjrore è qui certo: e sicurissima parmi la correzione. Dice il latino: ne nunc quidem, obnoxiis inimicis, exurgitis. Dunque: / quali , eziandio ora soggiogati i vostri ni- mici, non ardile di levarvi. 68 Letteratura Ivi. « Ma ponghiamo, com'egli dicono, che quc" » sto sia suto il rifacimento di Roma, e sia rendere » al popolo le sue ragioni, e che tutto ciò, che non » si puote punire se non per sangue di cittadini , » sia ben fatto. » Avverte saviamente il Puoti: « Tut- » te le stampe del testo latino hanno: Sed sane fuerit n regni paratia plebi tura sua restiiuere: perlocchè » dopo la parola Roma del volgarizzamento le altre )) e sia sembrano intruse. » Ivi. « Parte di loro avendo morti gli tribu- » ni del popolo, altri avendo fatti altrui martìri e » questioni ingiuste , e molte avendo fatte in voi » uccisioni, hanno queste cose per loro guarnimen- » to. » Dee dire molti avendo. Pleriqiie ha il latino. Gap. XXVI. « Così Giugurta non regalmente, » ma d'addobbamento molto misericordievole, con » Cassio venne a Roma. » Credo che dir debba mise- revole: che ben altro, s'io pur non erro, è il signi- ficato che si dà in italiano a misericordievole. Il la- tino ha: Cultu quam maxume miserabili. Ivi. « E avvegnach'egli vi potesse assai , con- » fortato e aiutato da tutti quegli, per la cui po- » tenzia o malvagità avea fatto tutte cose che dette » abbiamo di sopra: pertanto a G. Bebio tribuno del » popolo diede molto di moneta , acciocché forse » per lui )) Non piace giustamente al Puoti quel vi potesse assai^ ed osserva: « Il testo latino ha: Ta- » metsi in ipso magna vis animi erat: ed è forza pen- » sare che il buon frate avesse avuto a mano un » cattivo codice e guasto. » Ma non potrebbe forse il volgarizzatore aver detto con antica eleganza, si potesse assai^ cioè assai potesse di se ? Non ho poi VoLGARizz. DI Sallustio 69 per ben posto il punto e virgola dopo di sopra: pa- rendomi che il senso voglia ivi una sola virgola. Gap. XXVII. « Le quali cose poiché Massiva » cominciò a trattare , e Giugurta dalli suoi amici » non avendo sufllciente difensione, perocché alcuni )» di loro impedia la rea coscienza, alcuni mala fama » e paura; comandò a Bomilcare suo prossimano ec.» Credo che non avendo^ ma debba dire avea: e così pure non impedia la rea coscienza^ ma impedia rea coscienza. Ecco inoltre come io scriverei : « Le quali » cose poiché Massiva cominciò a trattare, e Giugur- » ta dalli suoi amici non avea sufficiente difensione » ( perocché alcuni di loro impedia rea coscienza , » alcuni mala fama e paura), comandò a Bomilcare » suo prossimano ec. » Gap. XXXI. « Intanto a Roma G. Mamilio Li- » mitano tribuno del popolo sì propose al popolo » d'una inquisizione. » Avverte il Puoti: « Si ponga » mente a questo modo non ordinario di adoperare » il verbo proporre^ dove l'oggetto é posto con la » preposizione di-^ e così costrutto non si trova re- » gistrato nel vocabolario della crusca; né a noi pia- » cerebbe di vederlo così usato. » Se non che io coir autorità di questo solo esempio non oserei regi- strare nel vocabolario della crusca il sì strano co- strutto proporre di una cosa : sì perché si vede quan- to i copisti abbiano malmenato qua e là questo vol- garizzamento, e perciò il di potrebbe essere un loro regalo: e sì perché potrebbe fors'anche mancar qui una parola, cioè fare^ talché fra Bartolomeo rettis- siraamente scrivesse: sì propose al popolo di fare una inquisizione. '= 70 LETTERATUnA Ivi. « Sì avea egli fatto ch'egli fosse uno dalli tre »> inquisitori, i quali dovevano essere, e fare la inqui- » sizione secondo che Marni lio avea detto. » Forse scrisse il volgarizzatore : i quali dovevano essere a fare la inquisizione. Un e in un a mulo già egregia- mente il Puoti, benché sì timido in queste cose, nel cap. VII! del Catilinario ; e ciò malgrado di tutti i codici. Cap. XXXl|. « Sicché gli grandi prima ucci-^ j) sono Tiberio : e poi dopo pochi anni , entrando » Gaio tribuno, per quella medesima via, e un altro » officiale e signore sopra lo menare delle colonie, x> e simigliantemente Marco Fulvio Fiacco aveano ^ cose. » Ivi. « Che dalla parte di Giugurta era tanto di » malizia e di pericoli dei luoghi e di sua gente , » che s'egli, assente ovvero presente, trattando pace » o menando guerra, fosse peggiore o più perico- » loso, era dubbio e non certo. » La parola pericoli è certo errata : dovendo dir perizia^ come ha il la- tino : Tantaque perilia locorum et miliUae erat. Cap. XXXVII. « Al quale (fiume Mutui) era .) uno monte da lungi quasi venti milia passi, ed era » parimente da ciascuna parte ritratto, ma salvatico, » infruttuoso e da natura e da umano lavorio. >» T2 Letteratura Anche il Puotl si è avveduto della stranezza della voce ritratto : raa non ha voluto (e ben potevalo il gran maestro) metter le mani nel testo. Quanto a me, dicendo il latino tractu pari^ parmi che il frate ab- bia dovvito forse scrivere di tratto: cioè parimente di tratto in ciascuna parte. Gap. XXXVIII. <' E in poche parole secondo il » tempo confortando gli suoi , avendo tramutati li » principi, dal lato menò sua gente. » Metello colle sue genti discendea dal monte, di cui sopra si è det- to : e perciò vuole qui scriversi non dal lato^ ma si- curamente dalValto. Gap. XXXIX. (t E così, avvegnaché , essendo » gli giugurtini più per numero, non potessero spa- » ventare gli romani dal perseguimento, aspettavano » li giugurtini : quando li romani erano dipartiti , » di dietro e da lato gli percoteano : e, se ciò non » potessono, il colle era loro più acconcio a fuggire » che'l campo. » Vuole scriversi, se non erro, aspet- tavano li giugurtini quando li romani erano diparliti: di dietro e da lato gli percoteano. Anzi non dipartiti., ma dee dirsi dispartiti, cioè disgiunti, dispersi: e questo ò sì fuor di dubbio che, oltre al leggersi nel latino disiectos , poche righe dopo ripete il volga- rizzatore; « Li romani, disparliti, alcuni insieme pie- » gavano, alcuni perseguitavano e ninno ordine ser- )» vavano. » Ivi. « Laddove '1 pericolo prendea, ciascuno qui- » vi contrastava e combattea. » II latino ha : Ubi quem- que perieulum ceperat., ibi resistere et propulsare. Per- ciò scriverei: « Laddove '1 pericolo prendea ciascuno, » quivi contrastava e combattea. » VoLGÀRizz. DI Sallustio 73 Ivi. « Alla perfine poiché li romani conobbono ì) che non aveano dove ricoverare, né del nemico » aveano copia di potere combattere con lui, e già » era presso alla sera ec. » Scrivasi dal nemico. Il latino ha : Ncque ab oste copiam pugnandi fieri. Gap. XL. « Poi che vi dono ch'ella egualmente » dimorava, e siccome la schiera si movea più, e più » s'approssimava a loro ec. » Leggesi nel latino: Et sieuti acies movebaiur^ mngis magisque adpropinquare vident : perciò scrivasi : Fu nella prima sera.^ non dà niun senso che corra : sicché dicasi : E su nella prima sera. Gap. XLII. « E egli cogli eletti cavalieri segui- » tava Metello di notte : e andando fuor di vie e » subitamente, non provveduto da'romani, quegli, eh' » andavano spargendosi in qua e in là, sì gli assa- » lìo. » Farmi che debba dirsi: sì egli assalto. Gap. XLIV. « E dopo conobbe e seppe che Ma- » rio del viaggio da Metello fu mandato con poche » coorti per lo formento a Sicca. » Qui avverte il Puoti : « Il volgarizzamento a stampa avea de^ viag- » gio di Metello. A ottener chiarezza abbiam muta- » to il di in da. Il testo latino ha senza più : Ma- » rium ex itinere frumcntatum missum. » Se mi fosse però lecito dissentire senz'arroganza da un si valente, direi ch'egli forse mal si appose nella sua correzio- ne : perchè viaggio è qui certamente in significato di via. Panni perciò che il senso sia questo : ilfam 74 Letteratura dal viaggio (ex itinere ) da Metello fu mandato per lo formento a Sicca. Gap. XLV « E rimessi e uccisi que^jli ch'era- » no alla guardia e che dì battaglia niente aspetta* M vano, ■venne dall'entrata, e fu alli nimici. » Por- tam irrupit^ dice il latino : sicché scriverei venne ali" entrata. Ivi. « E mandoUo là pregandolo e scongiurane ♦) dolo per l'amistà sua e per la repubblica, ch'egli » nell'oste non lasci rimanere niuna vergogna di vit- » toria. » Il latino : Ne quam eontumeliam r emanerà in exercitu vietare : è sì chiaro, che parmi impossi- bile averlo fra Bartolomeo tradotto così alla bestiale. Emendisi per.ciò il certissimo strafalcione degli ama- nuensi, e scrivasi : « eh' egli neWoste vincitrice non » lasci rimanere niuna vergogna. » Gap. XLVI. « La qual cosa poiché fu conosciuta » da Mario, perocch'egli avea cura da quella parte, » a studio cominciò a far la battaglia più leggiere: » ed infìngere disperarsi del fatto; e a sostenere ec.» Forse dee scriversi ad infingere. Gap. L- « Li militi, de'quali egli era signore ne' » luoghi da vernare, tenea con più larga signoria che » innanzi; e appresso li mercatanti, de'quali era in » Utica grande moltitudine, parlava egli incolpevoU ») mente di Metello, e magnificamente di se. » Qui avverte il Puoii : « Incolpevolmente è voce antica, e » significa non già senza colpa., come incolpevole., ma » con colpa.) da incolpare : e fu aggiunto al vocabo- •) lario della crusca dal P. Cesari con questo solo )» esempio : » Ma il solo esempio, tratto da un li- bro sì guasto (come si è veduto) da'ccpisti, noa ere- VoLGARizz. DI Sallustio 75 do che basii a dare autorità nel vocabolario della crusca ad una voce di si strano significato. Quanto a me, credo che il criminose del latino sia stato ben tradotto dal frate in colpevolmente. Gap. LUI. « E così li vaccesi, solamente due )) dì delle loro reità rallegrati , li quali erano in » città grande e ricca, tutta fu deputata a pena ov- » vero a preda. » Il guasto è grande , ma di non difficile correzione, ben considerando il latino, che ha: Ita vaccenses bidiium modo ex perfidia laetati : civilas magna et opulens poenae cuncta., aut praedae., fuit. Or dicasi, se non erro: « E così li vaccesi so- » lamente due dì della loro reità rallegrati s'erano: )» la città de'quali, grande e ricca, tutta fu depu- » tata a pena ovvero a preda. » Ivi, « Che egli non era cittadino di Roma, an- » zi era d'una terra detta CoUazio. » Potrebbe dar- si che qui fosse errato il codice usato da fra Bar- tolomeo pel suo volgarizzamento: e che in vece di nam is civis ex Latto erat^ dicesse nam is eivis ex Collatio erat. Ma potrebbe anche darsi che il copi- sta abbia scritto detta CoUazio in luogo di del Lazio. Cap. LIV. « Alla per fine, cercando di tutte ») cose e modi, s'aggiunse uno compagno eh' avea » nome JNabdalsa, uomo nobile , e di grande ric- » chezza e potenzia, chiaro e famoso, e accettevole » a'suoi popolani. » Considerando il latino che dice: Hominem nohilem., magnis opibus^ carum acceptumque popiilaribus suis: potrebbe darsi che la vera lezione fosse: « uomo nobile, e di grande ricchezza e poten- » zia famoso, caro e accettevole a'suoi popolani. >» Cap. LVII. E presono allora li romani di gon- 76 Letteratura >♦ faloni e d'arme, e numei'o alquanto d'uomini: che » buonamente in ogni battaglia li numidi per li lor » piedi, più che per loro arme, sono stati difesi. » Il latino : Romani signorum et armorum aliquanio numero^ hostium paucorum politi. Sicché scriverei : « E presono allora li romani di gonfaloni e d'arme » numero alquanto, d'uomini poco: » dovendo que- sto poco, ch'è nel latino, assolutamente restituirsi al- la traduzione. Gap. LVIII. « Anche comandò agli uomini del- » le contrade molto d'acqua, la quale ciascuno do- » vesse portare: e disse 'l dì e 'l luogo là dove egli » dovea essere, » Il latino: diem locwmque^ ubi prae- sto fuerint^ praedicit. Emendisi dunque con sicurez- za: « E disse 'l dì e 1 luogo là dove egli doveano » essere. » Gap. LXI. « Temendo che non, e li vinti e li » vincitori stancati, subitamente altri assalissono, fe- » ciono indugio e triegua, e vennono a questi pat- » ti. » Il latino: Ventilile mox victos victoresque de- fessos alius adgrederetur. E perciò scrivasi: « Temen- )) do che non e li vinti e li vincitori stancati subi- » tamente altri assalisse. » Gap. LXVI. « Ma il consolo con le legioni >♦ compiute e con le coorti ad aiutorio andò ne' » campi de' nimici molto abbondevoli e pieni di » preda. » Coorli ad aiutorio^ invece di coorti delV aiutorio^ potrà forse ben dirsi in lingua: ma è cer- to che fra Bartolomeo non usò mai altrove siffatto modo; e che al cap. LXIX disse: Sì H diede a me- nare alli cavalieri deW aiutorio: e al cap. LXXIV : À fare la guardia alla porta mandava le coorti delle VoLGARizz. DI Sallustio 77 legioni^ dinanzi dal campo li cavalieri dell aiutar io. E COSI pur disse cavalieri del soccorso^ non cavalieri al soccorso., al cap. XXXV. Gap. LXX. « E poche furono quelle, alle quali » egli avesse grande contrasto di difesa degli numidi » a pigliare : molte n' arse per miseria degli capse- » si : di lamento e d'uccisione riempiea ogni loco. » Dice il latino : Piar a deserta., propler capsensium mi" serias., igni corrumpi. È dunque certo che dopo r»' arse manca un essenzialissimo deserte^ ovvero abban- donate. Cap- LXXI. u E con ciò appellava (Siila) e trat- » tava li militi mollo graziosamente : e a molti pre- » stava e dava che li domandavano, e ad altri donava » per suo proprio volere. » Forse che il domandavano. Cap. LXXII. « E a molti , i quali erano volti » contro di loro, fortissimamente combatteano; venia n la moltitudine, e percoteagli dietro. » E certo il guasto. Dicasi : « E a molti, i quali erano volti con- » tro di loro e fortissimamente combatteano, venia la ») moltitudine e percoteagli dietro. » Cap. LXXV. « Adunque il quarto dì, non di » lungi della città di Cirta, da ciascuna parte insie- » me li spiatori e provveditori rivenendo tosto , si » dimostrarono all'oste. » La virgola dee porsi non dopo, ma prima di tosto. Cap. LXXVI. « Li quali avvegnaché chiamati « andavano, pertanto piacque loro di parlare dinanzi » al re : acciocché '1 suo animo e ingegno, se l' era )) contrario, lo rimovessono, o, se disiderava pace , I) viapiii l'accendessono. » Forse il frate avrà scritto; s'elli^ o s'egli, era contrario. 78 Letteratura Cap. LXXIX. « Per la qual cosa li barbari, e )> la fama de'romani e la loro avarizia esser falsa, e » Siila per li doni loro amico appensarono. » Il latino: Qua re barbari et famam romanorum avaritiae fal- sami et Sullam^ ob munifleentiatn in sese^ amicum rati. Il guasto è qui pur certo, e lo reputo all'amanuense: non potendosi giustamente, in passo sì chiaro, attri- buire alla poca intelligenza che il volgarizzatore aves- se del latino. Perciò emenderei: e la fama deW ava- rizia de'romani esser falsa. Cap. LXXXIX. « E intesa la risposta, e ammae- )> strato da lui, l'ottavo dì ritornò a Bocco, e disse: » come Giugurta avea volontà di fare tutte cose che I) comandate li fossono, ma non si fidava di Mario: ») che spesse fiate innanzi cogli imperadori di Homa ») la pace con verità era stata per niente. » Osserva qui il Puoti : « La pace con verità. Forse si ha a leg- » ger conventa : e pacem conventam ha il latino. » Egregiamente : e così devesi appunto correggere: ed il Puoti dottissimo potea col testo latino alla mano emendare sicuramente anche altri passi, come ha qui fatto e ne'cap. LXVIII e LXX. Cap. XC. « Ma la notte, la quale fu prossima » innanzi al dì ordinato del trattare, il mauro, aven- » do chiamati a se suoi amici e incontanente mu- j) tata volontà, e rimossi tutti altri, dicesi che seco » medesimo molte cose ripensava, di volto, di co- » lore del corpo, di movimento, e simigliantemente » d'animo isvariato. » È chiaro che deve scriversi: il mauro avendo chiamati a se suoi amici, e, incon- tanente mutata volontà., rimossi tutti altri. Credo che altresì debba dirsi: di volto., di colore^ di movimento VoLGARizz. DI Sallustio 79 del corpo: dicendo il latino: vultii. colore^ ae motu corjìons par iter atque animo varius. Ivi. " Le quali cose, così tacendo, egli occul- I) tate, per mutamento di sua faccia assai dimo- » strò. » Scrivasi: « Le quali cose, così, tacendo n egli, occultate, per mutamento di sua faccia assai » dimostrò. » Nella morte di Carolina Borghesi^ angelo di bontà e d'amore^ avvenuta a dì '1 \ novembre MDCCCXLVIl^ il desolato sposo Francesco Capozzi a segno del suo cordoglio questi versi dettava e offeriva ad essa in pegno di perpetua tenerezza. N, on Apollo e le muse , ma V amore e il dolore, spirano i dolci e teneri versi alle anime gentili. Così inspirato il Capozzi, dettava in morte della sua donna, mancatagli non ancora ventisettenne, dopo soli 3 anni, 7 mesi, e giorni 19 di felice coniugio, questi versi pieni di affetto, e che rammentano i sonetti di Dante in morte della sua Beatrice , e quelli del Petrarca in morte della sua Laura : ma qui la legittimità del nodo coniugale, e l'aveie la defunta lasciato al ma- rito due care figliuole, raccomandano di più questi sonetti del Capozzi: di cui è nota la facile vena nella lirica principalmente. Un saggio di questi versi d'a- more mi chiederanno le anime gentili , che sanno per prova quanto è grave a cuore ben fatto il per- 85 Letteratura dere la parte più cara di se , e, per dirlo col ve- nosino, la metà dell'anima sua. Ed io sono tra vaghi fiori, che formano quasi una ghirlanda a quella cara defunta, e non saprei quale scegliermi. Tolgo a caso dei sette qui uniti il quarto, che è intitolato la PrO' messa. Parla il marito alla sposa, la quale già spicca il volo per l'altra vita, e chiede a lui: — Mi amerai tu sempre? o pure un altra....? — Ma ecco il so- netto, che è dettato nell'eccesso della passione, quan- do parla solo 1' affetto , e tutto sparisce dinanzi a quella che si ama. Ciò ben rifletta chi legge per non avere a frantendere, od a trovare nella Promessa dell'esagerato, o peggio. Con queste avvertenze me- glio si gusterà il bello del componimento, e verrà degna lode al passionato poeta. Che ponga in altra l' amor mio ? giammai ! Di nuovi nodi oggi quest' alma è schiva. Fosti 'l mio ben tu sola , ed il sarai Benché sotterra , infìn che al mondo io viva. Se l'eterno voler di te mi priva, Ch'io t'amo ne le figlie ognor vedrai: E darai lode a me quando festiva Ad accogliermi in pace un dì verrai. Io loro apprenderò quanta virtude A te fioria nel sen , eh' ella s' affina De le sventure a la tremenda incude. La famiglinola tua vedrai dal cielo A te giunta così ; così divina Grazia tu impetra al nostro core anelo. Un voto faranno gli amici dell'autore: ed è che Versi del Capozzi 81 non lasci dopo il giusto dolore luogo a consolazione: e pensi allora all' Italia , che gli dimanda prole ma- schile del sangue di uno dei 13, che a Barletta ri- vendicarono l'onore della nazione contro la burbanza straniera. Pensi che la donna sua beata in cielo, e pur guardando a questa bella e non felice abbastanza terra d'eroi, lo scioglierà dalla men cauta Promessa^ augurandogli prole che serbi 1' onore avito ; se mai i destini arridano a questa Italia ribenedetta dal sommo Pio ! D. V. Elogio di Marcantonio Talleoni esimano. Letto da G. Ignazio Montanari nella solenne distribuzione di premi fatta dalVeminentissimo e reverendissimo sig. cardinale Giovanni Soglia Ceroni., vescovo di Osimo e Cingoli.) agli alunni e convittori del ven. seminario e nobile collegio Campana nel settem- bre del 1847L I n questo giorno lietissimo e desiderato che pone alcun fine alle studiose fatiche, e di premio e di lodi ristora la diligenza vostra , o giovani egregi , due cose a me vanno per la mente, le quali pur vorrei esprimere in modo che nell'animo vostro si suggel- lassero. La prima delle quali è, che questa lode che oggi vi si comparte può tornarvi a gran biasimo, se voi non proseguite nell'intrapreso cammin degli stu- di; e gli applausi che or raccogliete voltarsi, in ama- rissime rampogne. L'altra, che molto più è ciò che G.A.T.CXIV. 6 82 Letteratura yì resta a fare, che quello che fin qui avete fatto , benché sia molto: e perciò vi conviene addoppiar for- za ed industria, e non impaurire, quando in questo pelago imenso vi troverete senza più vedere la spon- da. E dell' una cosa e dell' altra vorrei parlarvi alla distesa, e persuadervi con buoni argomenti a pro- seguire volonterosi, e non arrestarvi prima di toc- care la meta. Ma perchè egli mi pare che più per esempi parlando, che strettamente argomentando, po- trò cjuel frutto , che da voi mi prometterò, ottenere: io, lasciato da parte ogni ragionamento , l'una e l'altra casa vi mostrerò come in ispecchio nella vita d' un vostro cittadino , il quale salse a rinomanza per belle opere, appunto perchè non intralasciò per dìssidia le studiose fatiche , e non impaurì dello sterminato pelago e dell' acque perigliose che a cor- rere imprese, ma sino ali ultimo della vita sua stu- diando e scrivendo, a se ed alla patria fece nome, a voi lasciò esempio bellissimo d'imitazione. Fu questi Marcantonio Talleoai, che visse caro all'Italia, chiaro nelle lettere, accetto a due pon- tefici Clemente XIII e Pio VI , grandi protettori degli studi e delle arti lodate. Del quale tanto più •volentieri ora scrivo, perchè niun che io mi sappia tolse fin qui a dichiararne i meriti ed il sapere; e sembra (tanto può la fortuna nelle cose umane) che gli storici grandi delle lettere nostre non ne abbiano avuto contezza, poiché o non ne registrano il nome, o soltanto del registrarlo si contentano. Ed io di buon grado riparerò al difetto , e vi mostrerò con verità di storico, quale fu: e con severità di giudi- ce incorrotto, qual luogo a lui si debba nel novero Elogio del Talleoni B3 dei poeti italiani. Piacciavi, o gentili e coltissimi che mi udite, favorire il mio proposto: e voi, benignis- simo principe , nel favor vostro il favore de' miei ascoltatori degnatevi di accompagnare. Ho per superfluo parlarvi qui dell'illustre fa- miglia, onde uscì il Talleoni : e mi basta farvi sa- pere che nacque in Osimo da Camillo ed Anna Flavi da Rieti nel 1721 il 27 di gennaio. Giovinetto in belle sembianze lasciava vedere ingegno più bello, ed era insieme ammirato ed amato. Fin da' primi anni posto a studiare, fé' sua delizia di quegli studi stessi , che altrui tornan gravosi : né per durezza o lunghezza di metodo si stancò : cosa da notare, perchè mostra tempera forte d'intelletto, e costanza non volgare di spiriti. La poesia, come avviene del più de' giovani , gli piacque assai : e di Virgilio e diOrazio innamorò siffattamente, che più non avrebbe potuto. Non dico che il prendesse vaghezza de' no- stri grandi poeti italiani, i quali allora andavano sbandeggiati dalle scuole , o cedevano il luogo ai frondosi pastorelli d'Arcadia; perchè la lode di for- marsi air italica poesia fu tutta propria. Compiuto con maraviglia di ognuno il primo stadio della stu- diosa carriera, fu posto alla università di Padova sempre fiorente di bella fama , allora fiorentissima di fama e di sommi maestri. V'erano un Lazzarini, un Facci olati , un Gennari, un Alaleona , ed altri, dei quali mi passo per brevità , non perchè non dovessero aver qui luogo: le lettere latine e greche vi fiorivano maravigliosamente; le italiane non così: non ostante non erano al tutto dimenticate , e non potevano essere. 84 Letteratura Il Talleoni, entrato a quel famoso tempio d'ita- lica sapienza , e d'ogni dottrina fatto tesoro , fu (osto neir amicizia di quegli slessi che prima aveva avuto a maestri , e ad altri pur sapientissimi si rese caro e pregiato. E come no ? se ad ogni accademia si rendeva singolare dagli altri , o vuoi per gentilezza e grazia di favella toscana , o vuoi per altezza e nobiltà d'argomenti , o infine per recondite dottrine, ove gli fosse toccata la volla del dissertare intorno gravi argomenti di storia , dai quali egli traeva sem- pre grandi ed utili sentenze ? Era allora arcivescovo di Padova il card. Car- lo Rezzonico, che fu poiClemente Xin,|al quale molti anni appresso dedicò il suo volgarizzamento del Giobbe , e tanto affetto , tanta stima pose al Tal- leoni , che non si può dire a parole : ma per mo- strare quanta fosse , basti dire che l' altezza dello stato, a cui fu innalzato, non gliene fece cader dal- l' animo la memoria e dal cuore 1' aflfetto. Cosa che va notata , perchè torna a lode d'amendue , e rade volte avviene nel mondo. E siccome il card. Rez- zonico aveva intorno a se i meglio uomini che in quella stagione erano in Padova , il giovine Talleoni ogni dì più contraeva con essi amicizia , e ne me- ritava la stima. Andavano per le bocche di molti i suoi versi : cosa che lo incoraggiò ad intraprendere quel lavoro , che è principale fra'suoi , e degno [di luogo illustre nel parnaso dei traduttori. Ma di que- sto dirò più innanzi. Mentre così arricchendo ogni giorno più di sapere e di fama , se ne stava tutto immerso negli studi preddetti, eccoti il padre lo richiama ; torni tosto in patria , venga a consolar gli Elogio del Talleoni 815 anni della paterna vecchiezza, a rallegrar di nipoti la casa. Ed egli, figliuolo obbediente com'era, risolse restituirsi tosto alla patria : e benché vedesse di ciò venir detrimento a'suoi studi, pure volle, meglio che a se, condiscendere al volere del padre. Si accom- miatò con tutti gli amici : e chiesta licenza all'emi- nentissimo Rezzonico, che a malgrado sostenne ch'ei si partisse , abbandonò quella Padova ove tanta dottrina aveva acquistato , ed ove la gioventù osi- mana aveva aperta una nobile palestra , che le fu poi chiusa dallo straniero! E qual luogo, qual terra, quale città non ha patito danno da codesti perpetui nemici dell'Italia? Qual cosa è a noi dalle costoro mani rimasta o inviolata od intatta, se giunsero per- fino a contenderci la libertà del pensiero ? Nemici sempre feroci , amici solo per derubarci, e' invidiano anche questo sole, che non potranno rapirci giam- mai. I nostri maggiori avevano lasciato di che nu* trire in Padova a'buoui studi due giovani: gli stra- nieri si hanno preso la nostra eredità , ed hanno calpestato i nostri diritti. Illuminatevi , o giovani , e imparate che noi dobbiamo fidarci solo di noi stessi: che tal ventura avrera solo , quale le nostre mani , il nostro senno , il valor nostro ci saprà procacciare. Tornato adunque in patria il Talleoni , perchè molte brighe domestiche lo circondassero, e dovesse donna menare , e poi la cura de' figliuoli lo stringesse , non seppe per altro dagli amali .studi distogliersi, e si fece compagno e scorta a' suoi concittadini nella via delle buone lettere. Molte poesie abbiamo di lui hi vario metro , belle per facile vena , per semplice dettato, e sovente anche buone di stile; e dirò buo- 86 Letteratura nissime , se si faccia ragione del modo, con cui seri' vevasi a que' dì, quando il Frugoni e il Cesarotti infrondavano e infrancescavano il parnaso italiano. Gran miseria pur questa , che mentre il nostro gusto è il più bello, il pili secondo natura: la nostra arte quella stessa , che ne' greci e ne' latini levò tant'alto: noi, prima corrotti dalla vile adulazione spagnuola, poi infemminiti, lasciando il maschio stile e l'altezza de' naturali concetti , ora ai giuochi , ai bisticci , e alla ispanica tumidezza , ora ai mali vezzi del par- lare e dello scriver francese , ora ai deliri romantici della scuola alemanna ci siamo perdutamente ab- bandonati; e quando parevamo liberi da sì tristi con- tagi , ci siamo 1' un con l'altro straziati, sempre in- tesi a parteggiare , non mai rivolti a creare quella unità , eh' è sola principio di gloria e di grandezza. E fino a quando saremo noi ciechi , fino a quando ci disconosceremo fratelli e figliuoli di una sola ma- dre? Teniamoci all'antico, alla lingua, allo stile dei padri nostri: e ricordiam la sentenza dell'immortale astigiano che sdegnosamente all'Italia gridava: Da'tuoi gerghi e dal gallico ti parti : Al tornar una il primo voi sia quello: Seguiran tosto vere altre beli' arti. Ma il dolore mi ha trasportato : torno a me . Anco il Talleoni sentì il danno di codesto mal gusto: ma per quanto potè se ne tenne illibato. Che se lo stile suo fa un po' di rigoglio , epitetando soverchio, amplificando troppo spesso a modo de' retori, pure nella favella è incorrotto, e non trovi in lui, o aU Elogio del Talleom 8? «leii laiissiino , que' gallicismi e quegli svarioni che deturpano sovente le scritture anche de' soninìi del suo tempo. Ho letto fra le sue liriche alcune pulite assai , ed una elegia in morte del fìgliuol suo piena d'affetto. Anche alquanti sonetti sono d' una bella mediocrità: e dico mediocrità, perchè ninno si leva alto né per nuovi né per sublimi concetti, né per arte di squisita elocuzione. Nella Centuria di so- netti sulla misericordia di Dio^ dedicata a Pio VI , tu scorgi un' anima devota , un ingegno nutrito dalle sante scritture , e a luogo a luogo anche il buon poeta. Infatti vi ha una decina di sonetti che tu diresti bellissimi , se non fosse che sentono al- quanto più del sonettar de' moderni Cotta e Zappi , che dell'antico. E a chi voglia sapere che cosa in- tendo dire , dichiarerò aperto che la poesia de' mo- derni sta neir esprimere idee e concetti , quella degli antichi sta nel rappresentarli per forme visibili: que- sta vuol farti concepire tm' immagine , quella te la dipinge in sugli occhi: nell'una l'intelletto solo può trovar pascolo , nell' altra l' intelletto ed il cuore, co- me di cosa veduta, non di udita, si compiacciono. La moderna è disegno senz'ombra e colore, l'altra è tutto rilievo per ombre e gradazioni di colori , cioè per potenza di concetto e di parola. L' anda- mento del sonetto poi è sempre epigrammatico; e tirato a dare alfine uno scoppio , siccora' era il gusto di que' tempi: ma quanto vi è d'arte nella condotta, tanto sovente ne manca nell' elocuzione. E se vi è chi pur brami gustare alcun sonetto del no- stro poeta , ecco che io gliel reco innanzi , e tale che mi sembra o il migliore o de' più buoni. Prende 88 Letteratura egli a dichiarare una sentenza di Geremia al ca- po XVII ver. 7 e 8, la quale suona cos'i:- — Bene- detto l'uomo che si confida nel Signore! Egli sarà come un albero piantato presso le acque. - Udite co- me, poetando , questa sentenza è rischiarata : Sarà chi spera in Dio come arboscello Piantato al raargo d' un'argentea vena; Scherza l'aura su lui pura e serena Al zampillar di limpido ruscello. Ricco del fresco umor gitta al novello Tempo più salde le radici , e appena Abbarbicato , i rami spande e mena Fior, frondi, frutta, e cresce ognor più bello. Percosso è invan dalla stagion estiva : Ch'anzi al boUor della cocente arsura Più la sua forza vegetante avviva. S'erge sublime, e caldo e gel non cura; E quando anche ogni pianta è d'onor priva, Egli rinverde , e i frutti suoi matura. Non dirò parola delle sue rime facete : forse piacevano a' suoi tempi , oggi non piacciono : né potrìano al certo piacere a persone di sano inten- dimento. E qui pure non lo scrittore, ma il secolo è in colpa : perchè allora credevasi che un po' di stranezza nelle idee , e alcuni strambotti, bastassero a scriver bene alla bernesca ; senza por mente che nella forza comica del linguaggio è riposto princi- palmente il diletto. Chi non sa ritrarre dai comici antichi , chi non sa maneggiare que' modi prover- biali, que' frizzi, que' sali, que' risentimenti tutti Elogio del Talleom 89 propri della favella , non sa attingere alla vera sor- gente del ridicolo. Riderà la plebe : uomini bennati avranno nausea di quel riso, e di chi 1' ha destato. Le rime facete del Talleoni, a me pare , sono debole cosa assai, né da queste gli può venire molta lode; e se venuta gli è ,, dubito che non sia buona , né durevole. Non dico cite il Talleoni si abbassi al tutto a perder decoro: dico che non ha potenza di riso per anime gentili : e che gli manca il linguag- gio per piacere: poiché la lingua da lui usata non solo non è poetica , ma serpit hiimi al pari della famigliare ; e se talor sembra festiva , è festa che poco dura , e presto ti noia. \o' per altro eccet- tuare alcuni sonetti fatti per le arti , i quali s' al- zano un po' più sovra gli altri componimenti di questo genere. Il Talleoni adunque valeva più nel serio che nel ridicolo ; e se anche nel ridicolo ha voluto scrivere , non gli è riuscito , a mio giudizio, con pari lode. V ha pure alcune terze rime sue di buon co- nio; e quella, ad esempio, in morte di raonsig. Com- pagnoni mi pare delle migliori. Dirà taluno che ho tolto non a scriver l' elogio , ma la censura dell'o- pere di quest'uomo riputatissimo : al che rispondo, che io ho tolto a lodare in lui e nelle opere sue ciò che è degno d' imitazione e di lode, non a com- mendarlo di tutto , mettendo in fascio buono e non buono. Egli fu quel che poteva essere di meglio uno scrittore di versi a' suoi di : vo' dire in tal tempo che si foggiavano versi sopra falsi modelli, o sopra non eccellenti. Considerato al paragone dei suoi contemporanei, ben ha più merito di molti ; 90 Letteràtdr.ì ma non per tanto è quale si converria per esser detto eccellente poeta. Tuttavia sufjli scrittori de' suoi dì avvanta{jgia di nsn poco; perchè nella cosa della lingua è men fallace , e si tiene più in guardia dalle forme straniere. Anzi credo che l'andar quasi scevro da' molti e brutti gallicismi che già, come ho detto, infestavano e guastavano il bellissimo nostro idioma, gli valesse l' onore di essere annoverato fra gli ac- cademici della crusca : sebbene anche que' custodi del patrio eloquio talvolta pur essi si lasciarono tingere della macchia comune, e forse col loro esem- pio apersero la porta a molta merce forestiera e non buona. Tanto è vero che la forza del mal costume all' ingegno e alla buona natura stessa prevale! Bea cred' io che il secolo scorso si sarebbe tenuto più sicuro dai difetti in che cadde, se l' Alighieri fosse stato in qualche guisa studiato: ma la divina com- media era troppo italiana , e troppo forte per essere pascolo di gente eiFemminata e nel più senza spiriti di patria dignità e di nazione. Il Petrarca solo era letto , e imitato nella parte più leziosa : e anche il Talleoni parve a questo più che ad altri attenersi. Che se in luogo di proporsi i trionfi di messer Fran- cesco, egli avesse temperato i suoi versi all'incudine dantesca, la sua traduzione del Giobbe sarebbe esem- pio di lingua , di stile , e di perfetta poesia. Ma io giudico ch'egli nel Petrarca e nei cinquecentisti po- nesse studio ed ingegno , e anche de' moderni si compiacesse : perchè altrimenti quell'epitetare smo- dato , e quel languore che gli è rimproverato, non avrebbero offeso la sua bella traduzione. Della quale invero, perchè è il più nobile monumento che noi Elogio del Talleoni 91 abbiamo da tant'uomo, io vo' fermarmi alcun poco a ragionare. E incomincio dal dire ch'ella è nobile, perchè in essa raffiguri abbastanza in rilievo la forma del sacro poeta ; dico poi che è sola , perchè altra non conosco. Conciossiachè la traduzione del padre Gia- cinto Ceruti, anzi che volgarizzamento poetico, debbe chiamarsi pura interpretazione; sendo che al giudizio del Mattei e del Lanci quel dotto cercò meglio darne il senso che il colorito : meglio insegnare , come il Giobbe doveva essere inteso, che farlo gustare nello splendore delle sue bellezze. Infatti quei suoi versi sciolti sentono della fiacchezza salviniana, la quale se interpretò , certo non tradusse Omero giammai. Il Rezzano poi che tanto piacque , e doveva piacere per la vivacità di quelle sue tinte tassesche, è una distesa parafrasi , non ima traduzione , in cui vedi Giobbe , come vedi Ovidio nell' Anguillara , ed an- che meno risentitamente. Aggiungi che esso Rezzano non ha saputo sempre fuggire il vizio del mono- tono : cosicché talvolta ti ristucca ; e per tenersi sempre in alto e gonfiar la tromba , talvolta nubes et inania captai , e dà nell' ampolloso e nel falso, Camillo Zampieri poi con quella Sua vena ariostesca non intese tradurre , ma della storia di Giobbe for- mare un poema, com'egli stesso dichiara nella pri- ma stanza, la quale dice così: Canto dell'alta provvidenza eterna Moderatrice delle umane cose Le arcane vie, per cui tempra e governa Quaggiù le sorti a mortai guardo ascose: 92 LETtERÀTURÀ Come i favor , come i castighi alterna^ Secondo il retto fin eh' ella s' impose : E se qui l'empio esalta, e il buono affanna^ Non è men giusta e non è mai tiranna. Egli saviamente , accorto com' era , veggendo che saria caduto nel vizio in cui cadde il Rezzano, seppe inframmettere episodi: uscite che inducono va- rietà, e sono cagione di diletto alla mente di chi legge. E di qui è la migliore risposta che possa farsi a coloro che ravvisano un poema assolutamente epico nel Giobbe; che certo non è, né secondo ra- gione , né secondo le leggi aristoteliche. La qual cosa avendo conosciuto il Zampieri, ha creata, direi quasi, egli stesso l'azione, dandole principio e mezzo e fine , e riordinandola secondo i precetti dell'arte. E se sorgesse alcuno a volergli dar forma di dram- ma, benché manchi, come osserva il dottor Lowth, d' ogni minima azione , pur credo io lo potrebbe, trasportando in atto alcuna parte di ciò che ora è racconto , e ponendo alcun episodio per formarne un intreccio, da cui potesse svilupparsi un'opportuna catastrofe. Cosicché la question fatta dagli eruditi se sia un sacro libro, un'epopea , o un dramma , mi pare che possa risolversi agevolmente col dire , che essendo anteriore ad ogni arte , egli come le antiche poesie ha in se gli elementi dell' epopea , della drammatica, e della lirica ; per forma che vo- lendo trarne vm poema epico, convenga ordinarlo e fare che le altre specie abbiano colore ed atteggia- mento dall' epopea ; la quale a questa condizione ammeUe in sé la poesia tragica e la lirica, come os- Elogio del Talleoni 93 serva ed insegna 1' immortale Torquato Tasso nei suoi discorsi sul poema eroico. Volendole poi esporre in un dramma, egualmente si potrà, componendo e distribuendo le parti ; e creando dallo stesso soggetto un' azion progressiva, come più sopra ho accennato. Ma il sacro libro in se è dramma ed epopea, sen* z' essere esclusivamente né l' una né l'altra cosa. E il Rezzano dà prova col fatto che non é poema : conciossiaché sebbene egli abbia voluto dargli metro e color epico , nondimeno ogni lettore di leggieri sente che manca l'imitazione dell' azion grande e maravigliosa,^ che è il soggetto del poema ; e non avendo varietà di episodi , né sospensione , arriva senza maraviglia allo sviluppo, e non riceve nell'a- nimo né il diletto né l'utilità , che l' arte richiede. Il dottor Lowth poi prova così evidentemente colle più erudite osservazioni che non può essere dramma, che io tengo non metta conto qui ripetere per alcun modo il detto da lui. Se il libro di Giobbe adunque non è epopea , ed egualmente non é dramma , ma un misto dell'uno e dell'altro; ma un tal genere che r arte non può misurare e sommettere alle sue nor- me, perché troppo più antico di lei : io dico che con molto senno il Talleoni, nel recarlo alla poesia nostra , vi usò la terza rima , che é metro dicevole a narrare e rappresentare egualmente, siccome fede ne fa la divina commedia dell'Alighieri. E di questo il traduttore debb' esser molto commendato, perchè in ciò é non piccolo segno di fino giudizio e di penetrante. Forse il verso sciolto pur egli era da ciò; ma l'averlo il Talleoni posposto alla terza rima, mi dà a divedere come aveva bene osservato, che 94 Letteratura se quel verso può servire egualmente all' epopea , che alla tragedia, non bastava a rendere una poesia, la quale per se stessa monotona , è mancante di queir apparente disordine che è vero ordine nel- l'arte, e che così avrebbe fatto più forte sentire il difetto, come è avvenuto al Ceruti, ed avverrà forse a chiunque voglia porsi a tal prova. Che se il gusto di que' tempi fosse stato più sicuro , se dalla poesia dantesca , unica valevole a fronteggiare lo stile dei santi libri, avesse, anziché da alcun altra, ritratto, il Giobbe del Talleoni potria tenersi in conto di perfetto. Non pertanto è tale, che di molte bellezze risplende: sempre chiaro, sempre netto di lingua e di modi, sempre fedele : mantiene in sé la gravità del testo , talvolta ne sdegna anche la forza ; che se la vivezza del descrivere e il risentito immaginare di Giobbe ti avvenga desiderare alcuna fiata, egli è da ricordare che forse qui non é ala d'ingegno che salga. Che se Giobbe (o chi fu lo scrittore di tal libro , se Giobbe dee credersi esseie solo il sog- getto , non il poeta) avanza in queste due parti tutti i sacri poeti ebrei, e si lascia indietro quell'Isaia che ha penne da levar volo più sublime d' ogni altro , e quel Davidde di cui non v' ebbe mai poeta né più delicato , né più affettuoso : non é maraviglia che non possa essere ritratto e pareggiato da noi , e dalla poesia nostrale. La qual cosa sarà risposta al chiarissimo Lanci, il quale sentendo egli, gran maestro com' è di favelle orientali , la squisitezza della descrizione del cavallo nel Giobbe, non trovò chi degnamente le rendesse né in metri latini , né in italiani : e disse perciò viziata di rigoglio anche Elogio del Talleoni 95 la poetica traduzione del nostro poeta. Convenjjo che al paragon del testo sia tale : ma non convengo che tale pur sia al paragone dell'altre traduzioni , o in- terpretazioni o parafrasi italiane che noi abbiamo. Anzi reputo che il Talleoni sia, e sia per essere a lungo, solo degno traduttore dì quella divina poesia; e dico solo , perchè gli altri non ho per traduttori in conto alcuno , per le ragioni che ho toccato più sopra. Che se pur qui alcuno bramasse avere un saggio dello stile del volgarizzamento del Giobbe , lo renderò contento assai di buon grado, facendogli gustare il capitolo vigesimo sesto , che scelgo fra gli altri per la sua brevità. Giobbe dice che uom non può prestare alcuno aiuto a Dio , del quale esalta la potenza e le opere stupende. A chi, rispose Giob , tu porgi aita ? A un debol forse ? A sostener prendesti Forse un che porti a gran pena la vita? A chi desti consiglio? ad uno il desti Che non ha sapienza? e dare un saggio Di gran senno e prudenza a noi volesti ? Chi avesti mai d'ammaestrar coraggio. Se non colui che spirò l' aura eterna Cortesemente nell' uman lignaggio? Mira i giganti gemer nell' interna Ima parte dell' acque giù sommersi , E quanti ave con lor la valle inferna : D' innanzi a lui d' ombra infernale aspersi Non son gli abissi , e fin nel cupo seno Non fia che alcun velame s' attraversi. 96 Letteraratu Egli stese pel voto il bel sereno Cielo, ed appese senza fondamento La vasta mole del globo terreno. Dentro la region del firmamento Ei chiude l'acque, onde all'ingiuso poi Non rovescin con largo inondamento. Ei cela i raggi del suo soglio a noi , Spandendo un vel d' orrida nebbia e folla , Che il copre dagli esperii ai lidi eoi. All'acqua immensa dentro il mare accolta Termine circoscrisse, infìn che il giorno E la notte non fìa nel mondo tolta. A un cenno, a un atto, a un volger d'occhi intorno Fa che si scuotan le colonne salde Del suo beato ed immortai soggiorno. Colla sua possa le spumanti e balde Onde del mare acqueta : e col sapere Là le richiama , onde n'uscian sì calde. Ornò il suo spirto di fulgor le sfere, Quando traendol dalle nubi fuore , Il tortuoso fulmin fé' vedere. Ecco che in parte del sovran Signore Narrate ho l'opre; or voi l'udiste, io penso, Pieni di meraviglia e di stupore. Ma se una stilla di quel mare immenso Vi fa tutti smarrir , s' io ne ragiono 5 Chi non dovrà restar privo di senso Di sua grandezza al formidabil tuono ? lo son di credere che non vi sia persona, la quale non ravvisi qui entro i tratti maravigliosi di quella divina poesia, per cui sopra gli altri sacri Elogio del Talleom 97 libri è celebrato il Giobbe. Spontaneità di vena , nettezza di favella , facile andamento , non ingrato suono di versi: e con tutto questo nobile senoplicità € non volgare decoro fanno lodata questa poesia , la quale irieritamente onorerà sempre il Talleoni , e quella patria cui egli volse in ogni tempo il cuore e i pensieri. Infatti sebbene fosse già avanzato de- gli anni, distratto dalle cure di padre e di marito, e dalle fatiche di magistrato, non cessò di adoperarsi in onor suo , e si fece a raccogliere e compilar memorie dello stato e delle fortune sue in antico , per tesserne una storia , o dare ad altri materia da ciò. La qual'opera se riuscì nel dettato disadorna più che non si saria convenuto , ed anche nelle materie poco ordinata , è da considerare che si mise a di- stenderla negli vdtimi suoi anni; che non ebbe agio di rivederla; e che gli studi storici a que' dì erano lievemente trattati, e quasi offerti solo a pascolo d'e- ruditi raccoglitori di fatti. Scienza di statistica, esame profondo di sistemi politici, e di quegli statuti pei quali il progresso della civiltà in Italia si può vedere, e somiglianti cose , mancano all' istorico nostro , e forse a quanti scrissero istorie municipali fino a quel- l'epoca; e non è da farne più colpa a lui , che alla stagione in cui visse. In que' tempi piaceva e bastava la narrazione degli avvenimenti , e più riputato era chi più fedelmente e diligentemente li particolareg- giava : oggi nei fatti si vuol vedere la storia degli uomini e degli umani progressi ; cioè si vuole la storia non solo ad erudire , ma a fare le genti e le nazioni veramente ammaestrate di ciò , che forma la base del viver civile e della pubblica felicità. E se la storia d'Osimo del Talleoni non può aspirare G.A.T.CXIV. 7 98 Letteratura a questa lode, non è però che debba a lui negarsi quella che ha meritato, mostrandosi tanto tenero delle patrie glorie , e mettendole in carta ad erudizione de' suoi cittadini , i quali dovranno invero sempre compiacersi d' avere avuto un poeta e un istorico , qual fu il Talleoni, non inferiore ad alcuno de' tempi suoi , e di fama durevole ne' posteri. E voi, miei cari giovani, dovete riscaldarvi un poco alle lodi di questo egregio cittadin nostro, e fare da lui ritratto. Egli nello spazio di ottantun anno ( che tanti ne visse) fu esempio di pietà, fu specchio di virtù ci- vile, fu chiaro lume di lettere : e per dir breve, eb- be in se le principali doti della mente e del cuore che fanno l' viomo glorioso , e lo scampano dalla morte dell'obblivione. Richiamate sovente l'immagine di costui innanzi la mente vostra, e studiatevi d'i- mitarlo in ogni parte : e spezialmente in quelle che io toccai dapprima, le quali sono le più eccellenti , perchè guidano gli ingegni ad eccellenza di lode. Egli non tralasciò mai nella vita le fatiche dello studio: e non impaurì, perchè vedesse a se innanzi lo sterminato mare dell' umano sapere , e non facili a toccare i confini dell' arte. Armatevi adunque di costanza nella fatica , di coraggio a lottare colle dif- ficoltà: e voi pure uscirete a fin glorioso. V'aggiun- gano sprone ai fianchi la bontà di questo venerando pastore, che non vi lascia desiderare cosa utile eh' egli ai desiderii vostri non precorra, e che di premi ri» stora le primizie de' vostri sudori: i quali se durerete a spargere , avranno poi più piena ricompensa da queir immortale , che oggi regna in Vaticano , e si- gnoreggia i cuori di quanti hanno intelletto di civiltà e di sa{)ienza. 99 Brillili AWEl Biografia di Raffaele Sarti. X/i Claudia Ballerini e Petronio Martelli, onorati cittadini bolognesi, nasceva in Bologna l'agosto del 4814 questo Raffaele. Il quale dal patrigno profes- sore Ignazio Sarti (già da quattro lustri direttore del- l' accademia ravegnana di belle arti ) cresciuto ed amato come suo , fu Sarti appellato. Dirò adunque, che Raffaele Sarti intorno i sei anni, nel 1820, tro- vavasi in Roma : nella quale città il patrigno si era condotto per fama e maggior lucro procacciarsi nel- l'arte, cui nella sua patria Bologna aveva dato opera. Raffaele era il quinto de' suoi figliuoli, che sua ma- dre aveva avuti dal primo letto; due maschi e quat- tro femmine , due delle quali morirono , e dei ma- schi era Raffaele il secondo. Mostrò egli sempre , anco da fanciullo , minore età di quella che vera- mente si avesse : e per infermità corse pericolo in Roma ne'primi anni , che vi si trovò. L' esempio , che aveva in casa nella operosità del patrigno e nel maggiore fratello Ferdinando che alla scultura applicava , e più le propensioni di natura , la quale par proprio predestinarci, lo fer- marono per tempo sulle forme dei corpi , e pose avido r occhio su disegni e stampe. Garzonetto de- 100 Belle Arti cenne spesso la madre sei vedeva sparire di casa, e non andava in fallo il mandare per lui o in via Condotti o in piazza di Spagna dai venditori di stam- pe. Gli animali facevano in speziai modo una grande forza sovra l' animo del fanciullo , e infra gli ani- mali meglio il cavallo e il leone. Dalle stampe passò a considerarli sul vero , e non dimenticò mai il pri- mo leone , che vide in un serraglio. Sen teneva a mente di tutti le apparenze, le pose, le movenze, le zuffe: e non molto andò che , come le vedeva , gli venne facile e pronto ritrarle di rilievo. Ebbe dirò per questo certa tal fama in Roma, che prese a diffondersi particolarmente nelle officine de' getta- tori in metallo. E non era rado il caso, che in pas- sando da costoro egli si udisse dire: Eh? ragazzino, vien qua: facci, come ti garba meglio, una qualche bestiuola, un gruppetto. E il piccolo scultore, traendo fuori sue stecche, in poco d'ora, con sorpresa di chi il vedeva, il lavoro compiva in cera. Questi lavori gettati in bronzo servivano poi ad ornare que'mar- mi, che sogliono tener ferme le carte sovra scrittoi. Nel novembre 1827 la famiglia Sarti era sul- le mosse per lasciare Roma. Il capo di essa , chia- mato a professore di disegno nel collegio di Raven- na, là si disponeva a portare la famiglia. Ne'dì pre- paratori alla partenza il celebre professore Minardi, estimatore ed amico dell'artista Ignazio, non lasciava tra gli altri di visare alla sua casa, e raccomandava a lui e alla consorte RafFaelino. Amici miei, diceva, fatene, fatene ben conto del hestiaro. Che con tal no- me il Minardi, tutto preso dell'abilità del fanciullo, soleva da scherzo chiamarlo. La famiglia partì, eò, ecco Raffaele in Ravenna. Biografia di R. Sarti ioi Ne'prlmi quattro anni di dinaora vi si die con proposito a disegnare d'ornamento e d'architettura e a far di plastica; e nel 1 832 già in figura model- lava dall'antico con diligenza e fianchezza, e faceva alcun che di storica invenzione. Nel 1833 I' acca- demia di Ravenna mostrava nella grandezza un pò minore del vero un suo gruppo: lo schiavo Androdo che cava la spina confitta nella zampa del leone. Que- sta scultura fu il suo primo passo solenne nella in- venzione, nella quale tanto doveva inoltrarsi. Seppe bello lo schiavo, bello il leone, acconcia nell'uno e nell'altro l'espressione. Di quel tempo aveva preso a leggere la Ilia- de nella traduzione del Monti. Questa lettura gli andò così a grado, che non parlava più d'altro: e le sue carte di quel tempo andavano improntate di battaglie a penna piene di spirito. Tutto che era eroico lo esaltava: e così si era messo nel mondo di Omero , che non pareva a lui impossibile il rin- novarsi dai moderni le prodezze di quegli eroi : e avresti veduto quella sua piccola persona or levare pesi gravi , ora squassar lunghe e grosse aste e lot- tare , ora saltare e abbandonarsi sul cavallo di mille guise. Dai quali esercizi, che sempre poi continuò, ebbe questo di bene, che gli venne fatto di così di- latare e fortificare fuor misura il muscolo delle gambe e delle braccia, quale trovar si suole ne'più robusti. Appariva però pallida la faccia , nelle cui occhiaie alquanto profonde due occhi castagno-scuri scintillavano. Nel 1834. cavò gran lode da un disegno al- l'acquerello (frutto delle letture del poeta sovrano) 102 Belle Arti rappresentante il cadavere di Patroclo difeso dagli Alaci contro Ettore ed Enea. Somigliante invenzione, con talun cambiamento, più innanzi ripetè. Ridusse poscia quel soggetto a sole due figure per scultura, aggruppando col prode Menelao il cadavere, di Pa- troclo: e aggruppò a Diomede Sténelo quando costili gli svelle lo strale dalV omero trafitto. - Il cadavere di Pausania consegnato di notte dal sacerdote alla madre sotto il pronao del tempio di Minerva , ove V eroe spartano morì di fame , fu subbielto di un disegno nel susseguente anno. Ma il suo genio era al modellare. Chi de' ra- vennati non ricorda la scultura della Camilla , die ferita al fianco è per traboccare dal cavallo infrenata da una delle compagne seguaci 1 Allorché un tale lavoro, che così sente dell'antico e del virgiliano concetto, fu nel cospetto del pubblico condotto, il nostro Raffaele avea ventitré anni : e per vero egre- gie prove di quel che valesse nella invenzione pose in questa sua Camilla. In due bei disegni ci rimaQ pure il trasporto del morto corpo di Camilla in Lau- rento (disegno questo magistralmente inventato): e la vendetta per mano di Opi della fortissima italiana. Alla scultura della Camilla ferita tennero dietro V Enea che uccide Mezenzio: e due opere di scultura cristiana - il Gesù in croce messo in mezzo dal di- scepolo prediletto e dalla santa madre., che sviene infra Maddalena e Marta: - la Vergine col putto e s. Giovanni e coli' agnellino lambente ad essa la ca- rezzevol mano:- opera , la prima , che ne ricorda la semplicità di Giotto , e la seconda il bello ideale e le grazie amabili dell' urbinate. Nel Gesù in croce Biografia di R. Sarti 103 il gióvane artista si mostrò di molto fondato negli studi dell' anatomia , la quale direi grammatica di chi fa di figura. Prendeva Raffaele dal disegnare le anatomie grande diletto , avvegnaché la propria cu- riosità non fosse mai paga intorno la maravigliosa fattura del corpo umano. Riputati chirurghi ne vol- lero dalla sua fedele matita disegnate alcune parti per riprodurle in litografia. Riuscì inaspettato nel 1839 un lavoro di nuovo genere per lui: una figura cioè intagliata cos'i bra- vamente in legno, come lo avrebbe potuto un pro- vetto in queir arte. Trattò in essa un morale con^ cetto : il Tempo che scopre la Verità. L' anno mede- simo avemmo anco ad ammirarci d'uno de' più bei gruppi., che s'immaginasse mai: dir voglio re Enzio fatto prigione dai bolognesi secondo la evidente de- scrizione del Tassoni. Abbiamo già detto che Raf- faele si lasciava rapire dal genere eroico : e dopo questo nessuno si aspetterebbe trovarlo pur forte- mente al burlesco e giocoso propenso. Laonde leg- geva con piacere infinito la Secchia Rapita; e quando gl'interveniva leggere o veder cosa , che al ridicolo tenesse, tosto di silenzioso che era si faceva verboso, e ripetevala a sazietà, e più volte per diverso modo la ritraeva in disegno cavandone caricature e bordello. Il patrigno lo ebbe in quel tempo vieppiù con- sigliato a guardare nel vero , a prendere il vero quasi ad unico suo esemplare; quel vero, che fece maravigliosi i greci, i quali noi talora come pecore seguitando non facciamo che produr copie delle co- pie di natura. Raffaele teneasi al buon consiglio : e uscendo talvolta per alcuna bisogna o per riposo 104 Belle Arti dalle fatiche, non faceva che cercare nel vero nirtrf* mento a' suoi stadi. Ritrasse costuttii popolari ; né è a dire quante belle giovani, quanti uonnini, quanti putti e qui e nel contado ritraesse; i più ombrati a lapis , taluno tocco a colore : ma all' armonia del colore (e al colorire aveva passione) parve sordo , e talora prende vagli fantasia di mettere mano nel lavoro della pittrice sorella Carlotta, che amava tanto. Natura insomma lo aveva principalmente fatto alla scultura. Se non che avendo la scultura de' proce- dimenti lunghi e di pazienza quando imprendi a informar materie resistenti e dure , così dello scol- pire in marmo , comunque bene lo facesse , si mo- strava non tollerante. Nella prolissa opera dello scol- pire sentivasi 1' inventivo suo intelletto ozioso ; gli prendeva il mal umore, e mormora vane col fratello per rispetti al patrigno. S'augurava l'obbediente cre- ta e la cera, che trattava stupendamente. A quando a quando, lavorando il marmo, ristavasi trasportato non so in quali spazi dal fervido suo immaginare. Sono molte le volte che lo sorpresi in quella specie d'estasi. Rafl'aele lavora, diceva io. Ed egli allora (più sovente al secondo impulso, in cui la voce raffor- zava), come chi da sonno si scuota, alzava le mani ricominciando l'ingrato colpeggiare del mazzo in sul- lo scarpello. Il Thorwaldsen, pensatore profondo, tutto dato alla invenzione, poco gì' immortali suoi marmi lavoro. Non potendo Raffaele a piacer suo occuparsi l'intero giorno, stante i lavori a cui lo chiamava il patrigno, vegghiava, e coU'alba il più delle volte corcavasi. Al desinare e alla cena fu sempre una fa- BlOGRAFLV DI R. SARTI 105 licA il ridurlo. Tra per gli assidui studi e la mente per natura meditativa menava una vita, che poteva dirsi affatto esteriore. Fino dai primi anni di am- maestramento aveva udito ripetere dal patrigno, che l'arte noti si appara negli ozi della piazza e dei caffè; che breve sendo la vita e lunga l'arte, lun- ghe le fatiche si richieggono a far valente l'uomo e lodato oltre la tomba; che si vuole ostare alle in- vidie non colle parole villane o mordaci, o con so- miglianti bassezze, ma coi nobili fatti; che bisogna non invidiare ad alcuno, non dar adito alle super- bie, le quali fanno l'uomo spregevole e vano. Pieno il giovane di questi sensi, si teneva nel suo studio, e delle brighe del mondo sapea ben poco. Reveren- te agli antichi, buono e facile con tutti , volentieri per tutti, secondo sua facoltà, adoperavasi; e rispet- to poi alle superbie oserei dire avesse fino dimen- ticato, ch'elleno pur troppo sono nella natura urnanal Gran lode per lui, che ebbe un raro merito. Sa- rebbe però nella modestia e semplicità del suo co- stume rimaso quasi oscuro, se luce ognora crescente non avessero resa le opere, che il professor Sarti volle d'anno in anno esposte dal figliastro nell'ac- cademia. Né solamente amò in Omero la storia della Gre- cia antica, ma fu eziandio vago della romana isto- ria. La quale gli porse cagione a svariati lavori, del cui novero è Clelia che sopra un cavallo sì gilla con esso a nuoto nel Tevere: - Scipione prodemente dal giovinetto suo figliuolo tratto dalle mani dei nemici: e in un gruppo il tribuno Lentulo^ che prega Pa- olo Emilio gravemente ferito a montare il suo cavallo. 106 Bèlle Arti La Grecia moderna, che per valore non ha nulla A invidiare all' antica ^ offerse inoltre bei subbietti a un suo disegno e ad uno stupendo gruppo, che le- vò i maggiori plausi nella esposizione del giugno 1840. Nel disegno ci è messa innanzi la difesa del corpo di Marco Botzaris, Leonida novello: ed è il gruppo attinto a un pietoso caso avvenuto nella sor- tita^ che fecero gli elleni da Missolungì Vanno 1826. Quel bel cavallo, il quale a crini levati fugge aven- do in groppa la greca giovane, che dietro difen-' dendosi tragge a salvamento il fratello, che svenuto le vedi al lato, mi sofferma con piacere sulle avve- rate speranze, che dava grandi di se il Raffaelino scultor di bestie in Roma, il bestiaro del Minardi. Fu uno ineffabil gaudio pel giovane artefice il po- tere nelle vacanze autunnali del 1840 rivedere il museo Pio dementino, la Rotonda, il Colosseo in compagnia del suo maestro, il patrigno: il quale al- lora, a cagion di salute, ebbe una seconda volta in Roma a tremare pe'giorni del caro alunno. Raffaele Sarti non soltanto aveva intelletto, co- me già si vide, fecondo, ma penetrativo; uno di quegli intelletti, per farmi intendere, che vogliono delle cose sapere la ragion della ragione. Sembrava egli tardo nel comprendere per brama di addentra- re il midollo. Giva taluna volta al teatro? Ivi l'avre- sti veduto sedere immobile coU'occhio e Tanimo in- teramente alla rappresentazione: e se alcun personag- gio, se alcuna situazione lo colpiva, eccolo, giunto a casa, in carta o in plastica ritrarla: o se altro non si trovava, disegnarla a penna sulle tavole. Attenzio- ne medesima prestava alla lettura. Biografia di R. Sarti 107 Non molto innanzi che infermasse della malattia di cui morì, aveva letto la Zagranella del Bezzoni, e la Beatrice Alighieri, racconto storico di donna prestantissima, Ifigenia Zauli Saiani. La immaginativa di lui è da questi due libri fermata. In effetto tra i molti suoi bozzetti in creta vedesi per diverse at- titudini ripetuta la Zagranella^ che sedente in un roz- zo sgabello guarda il mazzolino de' fiori lanciatole da Sallamoro; e mi riesce assai espressiva la statuetta che^preso il mazzolino colle sue mani e appoggiatolo su le ginocchia^ vi sta siù contemplando. Abbiamo pu- re Zagranella^ che lavando trae dall'acqua un pan' nolino^ e volge a un tempo il capo a mirare Salta- moro: Zagranella nelVatto che accogliendola Salta- moro sotto il suo mantello^ la tramuta in pellegrino: e questa è un disegno e infra le sue carte, che di- rò notturne perchè lavorate di notte. Dal racconto storico disegnò poi Beatrice allorché sciogliendosi in lagrime cade appiedi di Dante., che sul capo della fi- gliuola con atto grave e solenne impone la; mano: e in altro disegno la Beatrice stessa., che sulla piccola nave abbordata dalla galeotta è strappata dalle brac* eia di Lcta dal fiero e innamorato Ostasio celato sotto la visiera. Il quale in un paese a penna (il pineto di Ravenna) à pur ritratto solo con Beatrice., amendue a cavallo., nell'atto che fermo egli sopra il suo., puntato sui pie dinanzi., tien ghermiti i crini dell'altro cavallo e la cupida faccia vicino alla fac- cia della fanciulla. Dopo la viva espressione di que- ste due figure, è a porsi mente al bel paese, che ritrae a maraviglia dalla pineta, ove era gran ri- creazione per Raffaele potere talvolta ne'dì festivi 108 Belle arti cacciare: e verità molta è nell'altro disegno, del pa- ri a penna, di altra veduta deWantica selva^ che colla presenza di lord Byron rese più importante. Ma di troppo si protrarrebbero le mie parole se tutti annoverare volessi i lavori suoi, che ne' mesti giorni, che tennero dietro alla sua morte, mi veniva mostrando il patrigno sconsolato. Egli , il professor Sarti, che tanto di sollecitudini e di speranze aveva riposte nella educazione del figliastro; che tanto compiacevasi di esso; che era cosi bene riuscito ad accomodarlo a'suoi principii, alle sue massime; vide scendere con lui nel sepolcro quasi una parte di se stesso ! Nel settembre 1 847 incolto da febbri che, ben- ché piccole, lo venivano consumando, fu mandata a respirare un aere più puro in riva al Ronco. In- vano: conciossiachè maligna febbre lo avesse colà a perdere. Tornato in città e rimesso in letto, fece pur troppo disperare di sé. Il 12 gennaio di quest'anno 1 848, alle otto e mezzo circa del mattino, dopo aver penati quattro mesi, ed essersi nella sera innanzi mo- strato un pò sereno e grato a chi gli prestava as- sistenza, promossaglisi d'improvviso breve tosse rima- se soffocato. Ci volea pur poco a spegnere una vita così ridotta allo stremo, che non era egli più che pelle informata dalle ossa. Il fratello, il suo Ferdi- nando, il quale dormiva nella stessa camera, a quella tosse sta sul fianco: e al vederlo travolger gli oc- chi, sbalza dal letto, chiama, e appena si gmnge in tempo pel sacerdote. Oh il dolore di questa morte fu pur grande per il fratello! Appena può argomen- tarlo chi sappia l'animo concorde e l'amorevolezza Biografia di R. Sarti 109 de'due fratelli inseparabili. Il professore Sarti non si lasciò smarrire in quel frangente. Manda tosto per me suo amicissimo. Studio il passo, e trovo la casa in confusione: trovo, ahi! la madre (la madre, che durante la malattia prodigò all'infermo le più tenere cure) nella desolazione. Sdraiata, piuttosto che seduta in una seggiola, non voleva quella poveretta uscire della casa: voleva vedere, voleva abbracciare per un' idtima volta il tanto amato figliuolo. Io, per quanto la voce e l'animo mi bastò, ne la impedii: io per pas- sate disavventure atto più presto ad essere consolato che a consolare. Ferdinando, che era lì, per sover- chio d'affanno non poteva piangere; solo di tempo in tempo rompeva in parole, che erano una compas- sione. Vicin della madre piangevano le sorelle Carlot- ta e Clementina. Dopo ben due ore un legno la tra- sportava coi figli a una vicina villa. Si. Francesco sonava a morto; era il dì 14. Quel lugubre suono annunziava le esequie di Raffaele. Fra sei torchi ardenti, alquanto più su del mezzo della chiesa, giaceva il cadavere chiuso in una cassa coperta di nero panno, sopravi ghirlande di freschi e secchi fiori , e la palma indizio del suo patire. Per tutto il tempo della messa di requie e delle as- soluzioni furono intorno al mortorio i compagni di Raffaele, i quali, ciascuno con torchio acceso, gli vol- lero prestare estremo ufficio di pietà. Poggiate alla cassa si leggevano in quattro car- telle quattro iscrizioni. 110 Belle arti La iscrizione di fronte all'altare diceva: QUESTO PANNO FUNEBRE COPRE LE SPOGLIE MORTALI DI RAFFAELE SARTI SCULTORE CON GRAN DOLORE DE'SUOI MORTO IL XII GENNAIO MDCCCXLVIII. NEL MEGLIO DELL'ETÀ' E DELLE SPERANZE Le due dai lati: 1 A TE SPLENDA LA LUCE PERPETUA CHE CON MESTO DESIDERIO QUI TI PREGANO I COMPAGNI D'ARTE E GLI AMICI. I CITTADINI IN PARADISO VAGHEGGERAI 0 VALOROSO GIOVANE LA ECCELLENZA DI QUEL BELLO CHE A TUTTO POTERE CERCAVI SULLA TERRA La iscrizione di rimpetto alla porta gli augu- rava la pace nel Signore, e compativa alla partita precoce; Biografia di R. Sarti 1 1 1 IN DIO TI RIPOSA IN DIO OGNI TUO DESIDERIO E LE RICOMPENSE ALLA SVENTURA D'ESSER USCITO GIOVANE DAL MONDO NEL MITE REGNO DI PIO CUI COME LA RAGION CIVILE DOVRANNO LE ARTI LARGHEZZE E RISTORO _ L'aft'etto e la pietà del professore Sarti e del fra- P tello del defonto già statuirono, che dalle stesse lo- ro mani fosse a lui in marmo scolpita, quando che sia, una memoria, la quale è da allogarsi nella chie- sa di s. Francesco, ove fu seppellito. Conte Alessandro Cappi, M2 Le donne italiane agi' italiani redenti. Canto di Caterina France- schi Ferrucci. 8. Pisa tipografia Nistri 1848 (sono carie 8;) Noi non sappiamo se V italiana poesia abbia dato mai cosa piil sublime fli questo canto. L'altissima donna ha cercato certo nel suo gran cuore ciò che più aveavi di generoso, di forte, d'italiano, per tutto versarlo in questa incomparabile poesia. Incomparabile sì per tutte le doti che mai fanno eccellentissimo un verso^ mentre tutta freme di libertà e d'indipendenza la patria, ed armi gridasi da ogni parte a francarla in fine dall'obbrobrio del giogo straniero. Eccone, per esempio, due passi: Ahi! qual lunga vergogna,, ahi! quante offese Patì la serva etade. Mentre l'itala donna al duro impero Del teutonico sire Muta tremava, ed obbliar parea L'antica gloria e le magnanim'ire! Non pur santo desio di libertade Entro le voglie accese Spense l'iniquo, ma di folta e bruna Nube coperse il vero, ^ E per fin del pensiero L'indomita virlude ei ne contese. Lente correvan l'ore. Misere! a noi sulla vegghiata cuna; Era mesto il soave Materno bacio; era un rimorso amore , Che le nostre ad imbelli alme stringea. Figli non han le schiave, E ne'codardi petti I Varietà' M3 Col forte sdegno illaiigiiidisce e muore Il puro fuoco degli alterni affetti. X)h fortunati voi, cui nobil'ira E magnanimo ardor tra l'armi appella ; Voi, cui l'età novella, Quasi raggio di speme e di salute. Desiosa rimira! A voi s'inchini il fato: e la pudica Verginella amorosa a voi sospiri. E il vostro nome, onde la gloria antica Rivive altin nell'itala virtule, Dalla terra dell'etra agli ampi giri Spieghi securo il volo. Ma se alcun Ka, che nella serva faccia, Impallidisca, e tremi Ne'l'raterni perigli, E gitti il ferro paventoso al suolo. Fin la pia madre a lui chiuda le braccia; Al suo orecchio, de'figli Sia rampogna la voce, e maledetto Varcar non osi le paterne soglie, E nell'amico letto Fido riposo a lui nieghi la moglie. Quando, o prodi, per voi possente e forte Torni l'ausonia donna, e alla ruina Del barbarico impero Libera sorga, e come un dì reina. Quale d'amor, di lode S'udrà per l'aria pura Correr dolce per voi cara melode! Al rinnovar dell'anno A voi molli ghirlande e prieghi e voti Darà l'età futura; E i più tardi nipoti G.A.T.CXIV. s 114 Varietà' Con la favella del pensier diranno: Nelle miserie estreme Languiva Italia; ei la campar da morte. Ma udite? Incerto s'ode Romor confuso. E forse il mar che freme? Mormora forse nelle selve il vento? E il lontano concento D'inni concordi? È suon lieto di carmi? Ah! no: grido è di guerra. All'armi! all'armi! Non forse con parole più ardenti Calino e Titeo animarono un di i loro greci a combattere gloriosamente per la libertà della patria. Opere dì Giordano de' Bianchi, marchese di Montrone- Volume pri- mo. 8. Napoli, stamperia dell'Iride 1847. (Sono carte XV e 316.) Desideratissima da quanti sono italiani amatori della patria sa- pienza, e soprattutto delle più caste eleganze della nostra lingua , escono alle stampe tutte le opere del celebratissimo marchese di Montrone. Questo primo volume si deve alle affettuose cure dell'amico suo Basilio Puoti, che di poco, tra il compianto di tutta Italia, lo se- guì nel sepolcro. Gli altri ci saranno dati dall'egregio Bruto Fabbri- catore. La prefazione è del Puoti: dottissima ed eloquentissima , come ognun può credere , pensando ch'è lavoro di tanto maestro. Del Puoti è anche un breve discorso nelle esequie del Montrone. Il volume contiene il volgarizzamento in rima delle odi di Ora- zio, col testo a fronte, e di molte importantissime note arricchito. Chi ne bramasse un saggio, eccolo nella famosa Ode VI del lib. III. Pei delitti dei padri immeritate Pene portar dovrai, Roman, se i guasti templi e le affamate Statue de'numi non rifatto avrai. Perchè temi gl'iddii stendi l'impero: Ogni principio e fine Varietà' 1 1 5 A ciò reca: gliddii negletti diero A l'egra Italia assai lutti e ruine. Già Pacoro e Monese ebber due volte Rotto i non auspicati Impeti nostri: e de le spoglie tolte I suoi tenui monili or son fregiati. A la città volta in discordie gravi Dieron mortali strette L'etiope e '1 daco: per guerresche navi Quei temuto, nel trar questi saette. L'età fertil di colpe lordò pria Le stanze; e i maritali Letti, ed il sangue; indi s'aprir la via Nel popolo e ne'padri e stragi e mali. Ioniche danze imprender si diletta Matura In donzella: Anzi tutta si atteggia lascivetta E pensa osceni amor pur tenerelta. Poscia di drudi a primo pel va in traccia Fra'bicchier del marito: Né scieglie cui di se fuggendo l'accia Vietata copia, il lume via sparito; Ma in sul viso a lo sposo (ed ei tien mano) Surge, sia che la chiami li barattier, sia '1 trafficante ispano, Comprator largo di vergogne iniami. Non da parenti di tal tempra nacque La gioventù che scuro Fé' d'atro sangue il mar, sotto cui giacque Pirro ed Antioco il magno e Annibal duro: Ma di rozzi gnerrier gagliarda prole A romper zolle usata Con sabelliche zappe, e, come vuole L'austera madre, a riportar tagliata Legna sul dorso, allor ch'ombra maggiore 116 Varietà' Slcndeva il sol «lai monte E i buoi stanchi sciogliea, menando l'ore Qiiete, il carro già presso a l'orizzonte. E che non vizia il tempo reo? dei padri L'età, peggior che gli avi, Produsse noi più nequitosi e ladri, Che ben tosto darem figli più pravi. Biografia di Bartolomeo Ramenghi pittore , detto il Bagnacavallo ,■ scritta dal prof. Domenico P'accolini. Quarta edizione riveduta dall'autore. 8. Bagnacavallo tipi Serantoni e Grandi 1848. ( Sono pag. 33.; Bendiamo grazie all'illustre Vaccolini delle nuove cure che ha posto intorno a questo libretto : libretto caro alle arti belle e alla patria, che tanto si pregiano del nome del pittore insigne di Bagna- cavallo. Prose di Filippo Mordani di Ravenna, professore di eloquenza nel pa- trio collegio. Volumi due. 8. Bologna 1847 , tipografia Sassi alle Spaderie. Col ritratto dell'autore. (Il voi. F, di carte 334: il II, di carte 326.) Fra' più riputati scrittori, de'quali pregiasi la gentile Romagna, che pur tanti ne ha, vuol certo annoverarsi il professore Mordani , autor savio ed elegante di prose veramente italiane. Il nostro gior- nale si è talora onorato de'suoi scritti : ed ora con piacer sommo annunzia questa compiuta stampa di tutte le opere di lui^ come cosa che dee riuscir carissima a quanti sono ancor teneri della dignità delle nostre lettere in mezzo a si vigliacca imitazione straniera. Sono nel primo volume le vite de'cinquanta ravignani illustri: opera già nota, e, come ognun sa, lodatissima. Sono nel secondo gli elogi d'Antonio Cesari, di Giulio Perticari, di Luigi Camoens, di Sa- lomone Gessner,di Iacopo Delille,di Giorgio Byron : tre novelle sto- riche, cioè Rodolfo ed Elisa, Paolo e Francesca, Ines de Castro: la necrologia di monsignor Mazzetti: e inoltre dieci lettere ed alquan- te iscrizioni italiane. Varietà' 117 Dell'ottimo genere degli oratori, colle orazioni a favove di A. Licinio Archia, e della legge manilia, e di M. Marcello, e di Q. Ligario, e del re Deiotaro, di M. Tullio Cicerone. Volgarizzamento di Giu- seppe del Chiappa, prof, di clinica medica e di medicina pratica alla università di Pavia, cav. di seconda classe del reale ordine di s. Lodovico di Lucca ec. -8. Pavia, tipografia Fusi e comp. 1847. (Un voi. di pag. 133) Abbiamo più volte parlato delle traduzioni cbe delle opere di Cicerone ha dato spesso all'Italia rillustre e benemerito cav. Del Chiappa : e parlatone sempre colla meritata lode: specialmente con- siderando come non pochi de'nostri sdegnano ora (perchè certo non li conoscono bastantemente ) quegli antichi e perfetti esemplari, a' quali assolutamente dee infine tornar l'Italia, se vuole in tutto esse- re Italia. La lode medesima noi di gran cuore tributiamo a questo nuovo lavoro. Elegia inedita di Giovangiorgio Trissino ad Isabella d'Este marche- sana di Mantova, con volgarizzamento libero a fronte in terza ri- ma di Tommaso Gnoli. 8. Perugia, tipografia di Vincenzo Santucci 1848. (Sono carte 32.) « Molte cose (dice il eh. traduttore) danno un particolare in- teresse a questa elegia. I tempi, ne'quali e pe'quali fu composta ; mentre divampava cioè quella sanguinosa e lunga guerra creata dal- la lega di Cambrai, nella quale una sola regione d' Italia rinnovò contro Europa tutta i miracoli di costanza e di valore di altra più antica lega : la descrizione dei casi miserandi di quella guerra , e de'paesi e costumi de'popoli settentrionali che vi preser parte : e la narrazione pietosa e la conoscenza d' infortuni e di circostanze della vita del Trissino insin qui ignorate. « Veramente bellissima elegia: della cui pubblicazione siamo som- mamente obbligati al sig. conte Gnoli, non meno che dell' elegante versione e delle assai dotte note, onde gli è piaciuto arricchirla: im- perocché tutta è calda di amore italiano, e gran parte ci ritrae di quelle straniere infamie fra noi, contro cui si 6 infine tremenda- 118 Varietà' mente levata l'Italia con tutta la forza de' guerrieri suoi spirili. E veramente sembrano parlare delle tedesche scelleratezze dell'età no- stra que'versi : Aspice quos bello fluclus qualcsque procellas Horridus arctoo fihenus ab orbe ciet. Crudeli quatimur bello, multosque per annos Barbaricus saevit nostra per arva furor. Se non che questo furor barbarico sapranno gritaliani, con quanta gagliardia è ne'loro petti, ricacciare per sempre di là dalle alpi. Aritmetica teorico-pratica, compilata per cura di f'incenzo Balta- glia precettore di essa scienza nelle pubbliche scuole di Fusìgnano. Bagnacavallo, tipi Serantoni e Giunchi 1847 in 8 di pag. 174. Dell'utilità e necessità dell'aritmetica io feci soggetto un di- scorso letto da me nella solenne occasione del riaprimento del gin- nasio di Bagnacavallo il 5 novembre 1830; il qual discorso venne in luce in Imola pel Benucci nel 1831, e fu ristampato in Pesaro pel Nobili nel 1834. Non credo quindi bisogno di ridire il già detto per ricordare ai giovani quanto importi loro il rendersi pronti nelle cose del calcolo, che tanto giovano nel commerciare a tutti che vi vono in società, e molto più a quelli che vogliono darsi alle mate- matiche discipline: per non ripetere I-universale bisogno di questa logica pratica, per cui le menti si rendono eminentemente ragiona- trici: del che è bisogno, anzi necessità massima, in questo secolo di squisita civiltà. Verrò più tosto ad encomiare lo zelo del maestro Vincenzo Battaglia, il quale, comunque con suo dispendio, ha voluto fornire ai giovani questi elementi di aritmetica teorico-pratica , in forma di dialogo e con buon corredo di esempi; aggiungendo una tavola di ragguaglio per le nuove misure comparate alle antiche: il che non è a dire quanto sia per essere profittevole a quella desiderata uniformità di pesi e di misure nel bel paese: della quale io pure feci motto neWAlbum (num. 46 del dì 7 gennaio 1848). Specialmente gli artisti e i figli loro ponno da questo libro del Battaglia trarre utile grande, come sogliono dai libri di geome- tria teorico-pratica, che abbondano oggimai. Così fossero studiati uni- versalmente! D. Vaccolihi. Varietà' 419 Memorie per servire alla vita di Michele Medici scritte dal dottore Felice Avetrani, socio dell'I, e B. Ateneo italiano, e dedicate all' E. e R. principe il sig. cardinale Gaetano Balufjp,, arcivescovo ve- scovo d'Imola. Loreto, tip. dei fratelli Bossi, 1847^ in 8 di facce 109. L'esporre le opinioni di un celebre scienziato vivente, e mo- strarlo chiaro esempio alla gioventù ne'siioi studi , nelle sue spe- rienze, ne'suoi pensieri, parmi cosa altamente commendevole. Come d'altra parte è cosa ributtante quel far biografie a certe nullità, che fanno consistere la vita nell'ingrossare i cataloghi delie accademie, nel procurarsi certe distinzioni onorevoli ; le quali si sa già bene che non le ha sempre il merito , che vive ritirato e nascosto. Per la qual cosa sembrami che il dotto ed importante lavoro del sig. Avetrani, nel quale svolse tante fisiologiche, filosofiche e naturali quistioni, meriti molto encomio: e credo sarebbe opportuno che di ogni uomo celebrato si facesse altrettauto. E^RIC0 Castreca Brunetti Degli asili aperti all'infanzia e particolarmente di quei di Firenze. Memoria di Felice Scifoni romano. Firenze, stabilimento tipogra- fico D. Passigli, 1847, m 8. di facce 66. Dell'antecedenza degl'italiani nell'istituzione degli asili dell'infanzia. Discorso di Gianfrancesco Bambelli letto in Persicetoper la solenne premiazione del dì 3 ottobre 1847. Bologna, tip. camerale alla Volpe, 1847, in 8 di facce 15. Statuto della società degli asili infantili di Boma. Boma, tip. della società editrice romana, 1847, in 8. di facce 33. Il chiaro Scifoni dirìgendosi in prima a' suoi concittadini, nel congratularsi delle loro mutate sorti, gl'incuora a secondare colle opere le benefiche riforme del grande pontefice, ed in ispecial modo a dirozzare l' intelletlo ed educare il cuore de' fanciulli. A questo effetto essere ordinati gli asili d'infanzia, de'quali dà varie notizie in questo interessante libretto; parte raccolte dai libri, e parte dalle cortesi parole di alcuno di quei buoni italiani che già da lungo tempo attendono all'opera egregia. Comincia dal parlare iieWorigine degli asili, dicendo che Giovanni Enrico Pestalozzi fino dal declinare del secolo passalo tentò in Isvizzera di iollevare dalla miseria e dall'ignoranza il povero. Suppone egli che a Roberto Owen , uomo notissimo per pubbliche beneficenze , assai ricco , ed a tal Bucha- nan , semplice ed oscuro omicciuolo non conosciuto per altri me- riti che per bontà di costume e dolcezza di natura, si debbano tali istituti. Quindi della propagazione degli asili ragionando, viene a trattare degli asili in Italia; dell'educazione e istruzione, della società che governa gli asili; delle direttrici; dei loro giornali; e dà un sag- gio di esempi notati in questi libri. Nella conclusione espone le gravi difficoltà nell'ammaestrare i primi fanciulli, e nell' appianare gli ostacoli ed i dubbi che sorgeranno prima della fondazione de'no- velli asili. Finalmente nell'appendice racconta un buon numero di 120 Varietà' esempi, che gii si trovano stampati nel terzo Rapporto alla società degli asili di Firenze, tratte, dal giornale delle direttrici. Non k questa la prima volta che il valente sig. prof. Rambelli si fa a scoprire ed a sostenere i nostri trovati e le nostre glorie. Non si può meglio parlare dell'argomento, che versa intorno al pri- mato degli italiani nell'istituzione degli asili d'infanzia, che serveu^ dosi delle sue parole. » Se io spingo, egli dice, lo sguardo fino nel medio evo, trovo fra noi tentativi d'infantile tirocinio indiritto a religione ed a col- tura; se lo rivolgo a tempi meno antichi, veggo Innocenzo III aprire in Roma nel 1198 una casa, tuttora fiorente, pe'fancidlli abbando- nati; Girolamo Miani nel 1300 prendere a raccogliere, istruire ed ali- mentare orfani bambinelli; Angiola Merici fondando nellS37 le orso- line, obbligarle a gratuito insegnamento di figliuole necessitose;Eleo- nora d'Austria, duchessa di Mantova, erigere nel 1564 pubblica e numerora scuola di povere verginelle, anch'esse gratuitamente inse^ gnate, nudrite, e ne'femminili lavori addestrate. Al che si aggiunge che primo padre di sì pietosa opera nella moderna età è a tenere il Calasanzio, comecché aragonese , perchè in questa Italia facevasi fondatore delle scuole pie nel 1617. » Ondechè nostro e non istraniero sarebbe non solo l'aver tro- vato il concetto di tali scuole, ma l'averlo da gran tempo ett'ettuato. Chf! se movesse diiTicoltà essersi allevati in esse fanciulli e fanciulle di età maggiori a quelli che or si adunano negli asili, parrai che non si possano dire totalmente inventate le nuove scuole, per es- servi disceso a ricoverarvi ed educarvi bambini di età minore, adat- tando loro le regole confacenti; mercechè é troppo facile aggiungere al già trovato. E se riguardando a sola l'età infantile si volesse darne il merito alla marchesa Pastoret, che in Francia ebbe adunati^ non sono molti anni, e fatti allevare 12 fantolini; abbiamo il Datèo che fra noi nel 1787 tentò introdurre le scuole infantili. Ma se non riuscì nell'intrapresa; se le forze gli fallirono; se gli vennero meno gli aiuti de'ricchi e potenti; se fu contrariato dall'invidia, dall'igno- ranza, e da coloro che per disordinato appetito dell' ottimo gua- stano il bene ed il meglio: è perciò che non avesse anteceduto altrui nel santo e nobile pensiero e nell'operarsi a praticarlo? » Non dunque all'Owen o al Buchanan, e non anco alla Pasto- ret, vorrà darsi il pregio del concepimento e della esecuzione di si» mili scuole, le quali in brevissimo spazio dalla Senna passate al Ta- migi, di là si estesero per l'Alemagna e per la Svizzera, d'onde, var- cate le alpi, si tornarono a noi in veste tutta estranea, trombate e credute pianta e frutto oltramontano » Annunciamo con piacere la pubblicazione dello statuto per gli asili infantili di Roma , che sappiamo essere stato compilato sopra i migliori ordinamenti di questo genere, e discusso con molto amore e diligenza per condurlo alla maggiore perfezione possibile. Seb- bene non siasi ancora aperto in Roma alcun asilo, giova sperare che lo sarà sollecitamente, e che questa insigne città ne abbia in numero sufficiente pe 's)nn^^)t»f>^1*y.c h e sono realmente grandi. /V-^'^^. "*' ' ^ ''"'x Enrico Castreca Brcketii INDICE DEL VOL. 340. Catalogo de^ Compilatori e Collaboratori. SCIENZE PAG. Roteili j Del calcolo de^residui .... 1 Polettij Intorno alla lega commerciale e alla rete delle strade ferrale in. Italia 33 Rapporto del consiglio di amministra- zione della cassa di risparmio in Bologna 52, LETTERATURyl Bettij Osservazioni sull'ultima edizio- ne napoletana del Sallustio volgariz- zalo da Bartolomeo da s. Concordia. 57 Capozzi, Versi in nwrte di Carolina Borghesi sua moglie 79 Montanarij Elogio di 3Iarcantonio Talleoni 81 BELLE ARTI Cappi ^Biografia di Raffaele Sarti scul- tore. 99 Varietà.. ^'^©i§'§@@@i§tì00@(j@§^ft MMàt ÉMÈiìl^mmm 121 B^immmm Alcune formale sul calcolo dei residui e loro applicazione. Memoria di Ercole Roselli. {Continuazione.) NOZIOIM PRELIMINARI DELLE EQUAZIONI ALGEBRICHE AVENTI TUTTE LE RADICI DISUGUALI. D elle formole ottenute, le une suppongono tutte le radici disuguali, e le alti-e n radici uguali. Ma vo- lendo applicarle alla teoria dell'equazioni algebriche, egli è più generale supporre tutte le radici disugua- li; quindi faremo uso solamente delle rispondenti for- mole, e di esse sole nella presente memoria daremo le appllcazionL Siccome poi per applicare quelle for- mole all'equazioni algebriche è necessario alcun poco modificarle; quindi in questa introduzione avrà luogo una tale riduzione. La termineremo in ultimo dando una proprietà fondamentale dell'equazione, ove si no- terà una nuova dimostrazione di essa, che parago- nata con quelle lunghissime cognite, spero che la bre- vità sua non renderà disprezzevole il metodo. Proposizione 1. 5=^ La formola proposta G.A.T.CXIV. -l-'Lnz (pc) gode della pro-^ prietà di essere == 0 per X Xfi j ossia in altre parole che Xn è una radice della (f,[x) ^ 0 Ora per la stessa formola proposta sarà o ^ o 1 e r. f (^)_ , > similmente se Xn-i è un secondo valore, che per que-. sto sia otterremo e ^ ^ f ^_-ll^L. = o Calcolo dei residui 123 quindi diremo che la (f{x) goda la proprietà di essere = 0 ancora quando ossia che sussistendo quell'equazioni, le sono due radici della La stessa forinola proposta darà ancora 1 ,. 1 o y(0 ^,7r-~:~~\£-^/,^ -., u^ ?'^>«-) ((x„-,-a:_.)) ^((^•«-3-^«-.))^"*^((^- ^',)) Ripetendo lo stesso discorso fatto per Xn, a;,^_\ sulle conosceremo che la proposta o(x) gode la proprietà di essere == 0 per gli n valori x ossia che questi n valori sono radici della equazione (P{x) = 0 , Quindi questa si potrà scrivere nel modo seguente : 124 Scienze e se in luogo delle per semplicità si metta a , ò , e , . . . , A che saranno le radici della (p{x) = 0 , avremo Proposizione 2. =* La formola per applicarla alla teoria dell'equazioni, come fun-^ zioni di due variabili si può ridurre alla forma Dimostrazione r=a Se y» è un valore di tale sorte, che divenga Calcolo dei residui 12& avremo che la proposta formola diverrà ^{{yn-^-yn)) ^{{Xn-.-^n)) ^ {{y n--y n-.))^'"^ {{x- xj) onde diremo "che la funzione 9{^^ y) gode la proprietà di essere = 0 per y = yn , ossia in altre parole che yn è una radice della (f{x, y) =a 0. Ora dalla stessa formola proposta, sarà ^ e ^ o o y(y> y) ,,, V quindi se xn è un valore di tale sorte, che per que- sto divenga (p{Xn , yn-i) = 0 , avremo che quella formola diventerà onde diremo che la funzione fi-^^ y) gode la proprietà di essere = 0 , pei i26 Scienze ossia in altre parole che xn è una radice dell» (^{x, t/) ^ 0 Similmente dalla forraola proposta avremo quindi se yn-^ è un secondo valore, che per questo sia otterremo onde diremo che la funzione ?{^i . yì gode la proprietà di essere =« 0 per y = yn~j ossia che sussistendo quell'equazioni le yn > yn-i j ^n sono radici della La stessa formola proposta darà Calcolo dei residui Ì27 ripetendo lo stesso discorso fatto per xn j y^ sulle due serie SCn-i •) Xn-2 ì ' • ' ^2 > -^i Vn-i , y/7-2 , • . • ya > yi conosceremo che la proposta ?(-^> y) gode la proprietà di essere ■= 0 per gli n valori x e per gli w valori y = yi > = y2 , = y3 » • • • » = y«-i » = y.^ > ossia che questi 2w valori sono radici della equazione Quindi questa si potrà scrivere nel modo seguente: f 28 Scienze e se per le .Ti , X^ .... Xf} si conservino i valori posti nell'anteeedente proposi^ zione, ed in luogo delle 2/1 > 2/2 » • • • yn. per semplicità si metta a , b\ . . . h' avremo ^^&i7:^.^^,--^^l-^^^'^ iiy- «)) ^ii^-a)) ^i(y - b')r ^{{■'-—h)\ Proposizione 3. = La formola per applicarla alla teoria dell'equazioni come funzioni di tre variabili si può ridurre alla forma ^((z - z«)) % - 2,4r"^t(^r- 0..)) Dimostrazione =» Se ^„ è un valore tale , che faccia 9{^>i ì yn » -«) ~ 0 j Calcoio dei residui i-29 «vremo, che la proposta forinola diverrà .. ^ e „1 e 9 Jif!l!_!L = 0 onde diremo che la funzione gode la proprietà di essere =- 0, per ossia in altre parole, che z„ è una radice deWa (p(x, y, z) = 0. Ora dalla stessa formola proposta avremo quindi se yn è un tale valore, che faccia sarà < £__L_£...£fC:^:'l-/)_=a, onde diremo che la ?{^, y, 2) gode la proprietà di essere =s 0 per y=yn 130 Scienze ossia che y^ è un'altra radice della yi conosceremo che la proposta 9[^^ y, -s) gode la proprietà di essere = 0 per gli n valori x per gli ?i valori y = 2/ 1 > = 2/2 » = !/3 5 • • • == 2/«-i , ^ 2//. e per gli w valori z ossia che questi 3w valori sono radici della equazione Quindi questa si può scrivere nel modo seguente : e 1 y__L_c o7(f!lii[ e se per le 132 Scienze 2/« » ^2 , J/3 > • • • Un si conservino i valori posti nelle antecedenti propo- sizioni, ed in luogo delle si tùettd a ^ 0 y e ^ . . . It avremo 1111 ''((z - o")) ^((2/ - «')) ^((^ - a)) "^((^ - 6")) Proposizione A. = La formola e ^ e p'pC'*^' 2/' ^' ^' - '^O per applicarla alla teoria dell'equazioni co me funzioni di il variabili si può ridurre alla forma e 1 e py(.r, y, z, v,. . . w) _ ^ hi^v - w,,))^"'^ [{x-x,)] Dimostrazione. = Ripetendo lo stesso discorso fatto innanzi sulle in serie Càlcolo dei residui 133 Vn , Vn-i , yn-2 , ■ ■ • V^^ Vi ^>l » •S«-l 5 Sn~2 > • .• • •22» ■^I conosceremo che la proposta gode la proprietà di essere = 0 per gli n valori x per gli 7i valori di y = j/, , = 2^2 , . . . , = j/«_i , = yn per gli n valori z per gli n valori v ec. e finalmente per gli n valori w ossia che questi «j» valori sono radici della equazione (p{x, 2/, z, « , . . . w) = 0 134 Scienze Quindi questa equazione si può scrivere nel modo seguente : e ^ e ^y(j?, y, z, V,... w) fi se per le 'I » -2 ) si conservano i valori posti innanzi, ed in luogo delle si mettano per analogia avremo >^ ___!___o 9 f ^' y> -» ^' 11 • '^) _ (. Scolio. Una qualunque equazione algebrica si può rappresentare generalmente sotto la forma preeceden- te; e notisi che sebbene questa è un caso particolare della primitiva trovata, pure, come vedremo, contie- ne la teoria generale dell'equazioni. Questo conferma quanto dissi nel principio di questa memoria , che l'analisi matematica è sempre capace di maggiore ge- neralità; quindi penso che mai si giungerà a dare le formolo più generali possibili. Si avverta che le formole ottenute valgono allora quando la funzione ammette tutti valori disuguali per le x, y^ z^ . . w^ Calcolo dei residui 135 e nel caso di valori uguali si dovevano usare le altre forniole ottenute in queste ipotesi. Ma osservando che le trasformazioni operate hanno resa diversa la for- ma del denominatore in modo, che con qualsiasi or- dine si prendano i residui, sempre la equazione si verifica; ne discende che, essendo le radici uguali, si può usare la stessa formola , intromettendovi questa condizione, purché tutte le radici si prendano sepa- ratamente nei residui, come ciò si renderà chiaro in appresso. Proposizione 5. = Le equazione ^((o.- a))^((x-i))^-^((^-/0) funzione della sola variabile x può essere verificata o con radici reali, o con radici immaginarie, o con amendue. Dimostrazione. = Abbiamo supposto nella pro- posizione 1 j che ^n è un tale valore di x, che faccia f{x„) =■ 0 Ora si vuol vedere che o sia x,^ reale, o sia imma- ginario , sempre si verifica questa equazione : po- niamo .V = U -^- V [/" — 1 , però che questo basta per amendue, potendosi ridur- re questa espressione immaginaria ad un valore reale col farvi V = 0 avremo che nel modo più generale dovrà essere 536 Scienze ponendo la parte senza radicale immaginario = ip{thi , v„) , quella affetta dal radicale = /(«/; , v„). Ora per verificare la equazione <]>(■"«, Vn)-h 1^—1 x(m« , W/;) = 0 dovrà essere ^{u„ , «,,) = 0 , )^{u„ , Vn) = 0 ; quindi dalla proposizione 2 sarà: Le quali formole avendo dimostrato sempre sussistere nella teoria dell'equazioni, diremo che u = u,/ ,' y ~- v,/, verificano queste equazioni. Lo stesso discorso vale per le due serie M, , Mj , . . . U/i-f y, , y^ , . . . 'J„-, Calcolo de'residui 137 ora secondo che notammo nelle formole generali fa- cendo U = 0 , V, = 0 , «2 = 0 , . . . 1J« e=s 0 avremo e le due seguenti 3 O donde essendo tutti i residui eguali e ^ o ^ e o Abbiamo supposto nella propo- sizione 3 che siano di tale sorte , che o per uno, o per due o per tutti tre divenga Ora si vuole vedere che o siano reali, o siano imma- ginari, sempre si verifica quella equazione : poniamo X = u ■+• v\/^ — 1 , y =u -i~ v'i/"— 1 , Sc=tt"-4-?;'"l/' — 1 però che questo basta.^ potendosi ridurre quell'espres- sioni immaginarie ad un valore reale col farvi V =1 0 i v' = 0 , v" == 0; avremo che nel modo più generale dovrà essere ponendo la parte senza radicale immaginario e quella afietta dal radicale Per verificare quella equazione dovrà essere 142 Scienze quindi per la proposizione 4 sarà o _J__ o __^ o o X(?<, m', ^", ì?, ^\ v") le quali formole avendo dimostrato sempre sussistere nella teoria dell'equazioni, diremo u<=u^ ,u = u„ , . . . v"--= v"„ verificano queste equazioni : lo stesso discorso vale per le serie Ui ,u^, . . . M„-, M 1 , M a , . . . U ^_, Ora se poniamo V ^0 , v' -= 0 , w" ^ 0 avremo X = u , y = u , z => u" e le due seguenti e 1 o ^ e oXK?/, m",0, 0, 0) ^ V Galcolo dei residui 143 donde essendo tutti i residui eguali e quindi ^((z - z„)) ^{{y - y„)K'^{{x - a:,)) ^ la quale forinola per la proposizione 3 sempre sus- sistendo, deducesi che la equazione sempre si verifica pei valori a, 6 ... A a', b' . . . K a", ^" . . . A" o reali o immaginari. Proposizione 8.=» La equazione funzione delle m variabili x. y^ z^ . .. (ù può essere verificata o con radici reali, o con radici immagi- narie , o con amendue corrispondenti alle variabili stesse. 144 Scienze Dimostrazione. =• Abbiamo supposto nella propo- sizione 4, che ^« > y« » ^„ ' • • • "« siano di tale sorte, che o per uno, o per due, o per tutti divenga Ora si vuole dimostrare che o siano reali o siano immaginari, sempre si verifica quella equazione : po- niamo x=^u-^v\/' — 1, y—M'-f-y'/" — 1, .... (V)--=M("'-»)-f-i>('»-»)l/' — 1, avremo pel solito raziocinio che nel modo più ge- nerale dovrà essere Per verificarsi questa equazione dovrà essere quindi per la proposizione 4 sarà '((M-«jr ^((^(-') - t;„('"-'))) li" Calcolo de' residui 145 le quali formole avendo dimostrato sempre sussistere nella teoria dell'equazioni, diremo che u == «^ , u ^=u'„ ^ . . . «<""') =■- ?*„("'"') verificano queste equazioni : lo stesso discorso vale per Ut ì «2 J • • • **»-! «', , u\, . . . m' _, v.C"-') , Vjf'»-^) , . . . v„.x[""V. quindi quelle radici immaginarie verificano la equa- zione. Ora Ée ponghiamo V BsO , V =0 , . . . «("--') z=z 0 avremo x= u , y = u , . . .(i)ss= »("»-») e le due seguenti o ^ o e'p(a^, y, ^, ...&), 0,0,0,. ..0) "^((«^ "J)^*"^ ((x-or.)) '" e ^ p cX(^'y>g> . . .ej, 0, 0, 0, . . . 0) _^ 14G SCIENZfi e quindi usando lo stesso raziocinio r.__l__ rv ^ gjj^:. y,Z, ^) ^ 0 la quale forinola per la proposizione 4 sempre sus- sistendo, deducesi che la equazione t^((a;— a('"-i)))^"*^ ((a; — A)) ^ sempre si verificherà pei valori a f ò , e . . . . k a\ b', e' . . . . K «!"'-») , ^C'-») , c("'-) . . . AC-') o reali o immaginari. Scolio. » Nelle dimostrate preliminari proposizio- ni spero che si riconoscerà, oltre la generalità delle dimostrazioni, la novità del metodo. Io qui potrei fa- re il paragone di alcuna mia con le dimostrazioni date da altri; ma siccome non so perchè pubblico queste cose, e solam ente lo fo per un innocente pas- satempo; così non mi do carico di fare odiose com- parazioni, che potrebbero essere causa o d' ingiusto disprezzo , o di malevoli interpretazioni : mali che vorrei evitare a bene dei semplici, e di coloro che sempre mi hanno diaaneggiato. Quindi passo a fare qualche applicazione di questo metodo. Calcolo dei residui 147 CAPITOLO I. dell'equazioni come funzioni di una sola variabile §• 1- Prime proprietà generali dell'equazioni algebriche comuni alle radici reali ed immaginarie. In questo capitolo dimostrerò solamente quelle fra le proprietà generali dell'equazioni, che dedu- consi con breve e facile raziocinio della forraola pro- posta come funzione di una sola variabile. Quantun- que a primo aspetto sembri complicata quella espres' sione della equazione, pure ammireremo la facilità, con la quale deduconsi queste proprietà prime dell' equazioni; il che non deve arrecare maraviglia, co- noscendosi che ogni ente ha le sue speciali prero- gative. Quella della ottenuta formola essendo già co- gnite in parte dalle cose fin qui dette, a me non ri- mane altro che continuarle, secondo le mie forze, nel progresso di questi scritti. Intanto questo paragrafo conterrà le prime proprietà generali dell'equazioni algebriche comuni alle radici reali ed immaginarie; il quale servirà di fondamento a quelle che daremo in seguito. Proposizione 1. = La funzione notata nella proposizione 1 delle Nozioni prelimi- nari deve contenere tanti fattori binomiali 148 Scienze X — a, X — ò , X — e, ... X — k quanti sono ì residui. Dimostrazione. = Per le cose dimostrate nella no* minata proposizione 1, abbiamo ^((x - a)) ' ^{{x - b)) ' - ^ ((.r - /i)) - " ma afllnchè per X = a . jc = b , . . . X = k la funzione 9(a;) = 0 bisognerà dire ch'essa sia della forma ^x) G=ì[x — a) fi {x) (pi{x) = {x — b)f^{j) f„-i{x) = (a? — h)^{x) sostituendo questi valori nella rispondente equazione della nominata proposizione 1, sarà ^ 1_ C'_l_c e (x-a){x-b) . . . (x~h%{x) _ ^ ^ {(.r- a)) ^ {{X - b))^-^ {{X - h)) la equazione, che dimostra la proposizione enunciatar Proposizione 2. = La stessa f{x) I Calcolo DEI RESIDUI 149 della precedente proposizione non può contenere un mag^giore numero degli enunciati fattori binonai. Dimostrazione. = Supponiamo per un momento, che la proposta contenesse ancora un altro qualsiasi fattore X — q avremmo che quindi ancora dovrebbe essere cp{x) il quale residuo non trovandosi nella equazione pro- posta, diremo che la funzione non può contenere il fattore X — q ma solamente quei fattori bìnomiali considerati nell' antecedente proposizione. Coroll. 1 . =•« Non potendo la contenere alcun fattore binomiale, ne siegue che do- vrà essere monomio e presentarsi sotto 1' aspetto di coefficiente numerico. Coroll. 2. — Conoscendosi che il coefficiente del primo termine in una qualsiasi equazione può ridursi sempre alla unità con la semplice divisione, avremo 150 Scienze che similmente il coefficiente del prioìo termine della f(x) sarà == 1 . e qumdi avremo donde conseguiremo Coroll. 3. — Se a esprime una delle radici della (p{x) questa funzione sarà divisibile pel binomio Coroll. 4. — Chiamando o, b^ e, . . . h le radici della questa sarà divisibile non solo per ciascuno dei bi- nomi X — a, X — b , X — e , . .. X — h ma ancora pei loro qualsiansi prodotti. Coroll. 5. — Tante sono le radici della (p{x) , quanti sono i fattori binomiali, ch'entrano nella for- mazione della stessa. I Calcolo dei residui 151 CoroU. 6. =Che necessariamente nella presente ricerca, deYe sussistere la equazione j5(a?) = {x — a){x — b) . . . . {x — h) la quale dimostra non potersi in altro modo rappre- sentare l'equazioni algebriche più generalmente di quello fino ad ora cognito ed usato. Coroll. 7. = Facendo nella equazione ottenuta otterremo o ^ e ^ r e(.r— «)'(^— c)3 . . ■ {x—k) ^ ^ ^,(x - a)) ^{{x — b))^'"^ {[oc - h)) donde deducesi che nella (j)[x) vi sono radici eguali, ogni qualvolta alcuno, o tutti gli esponenti dei bi- nomi sono >» 1 , e ch'esse sono tutte disuguali ogni qualvolta tutti gli esponenti sono = 1. Scolio. . — Si osservi che la presente formola non ammette la moltiplicazione dei residui, e. g. di ^{[x -a))^{{x- b)) l ^^"^ ..0 però che si rammenti che questo modo d' indicare equivale a . Hi^ - ")) _ 0 ((•^ — «)) che diversifica da (p{x) 152 Scienze come verrebbe fuori, se si moltiplicassero material- mente i residui; indicando la prima nella presente teoria la seconda pel calcolo dei rasidui 9'(a) = 0 Avverto queste cose per evitare gli equivoci. Proposizione 3. — La equazione ottenuta nella proposizione 2, coroll. 2, cioè e i o 1 rv ^{oc—a){oo-b)...{jc—h) ^((^ _ a)) ^{(x - b))^'"^ ((or - h)) si trasforma nella . 1 J ^ x»- Aa;"-'-HB.r"-"— ..rpK-rzhH _ ^ ^((^ - a)) ^((x'^5)r"^ ((^ - /^)) Dimostrazione. — Eseguendo le moltiplicazioni nel numeratore avremo •ti.' '{{x ~ a)) x"-{a-\-b-i-..) r"-''-^{ab-\-ac-h-)x"-''-\-..=f.(ab..K'hab..ch..)oc±:ab..Kh_ ^••■^ ^ ((a: - h)) valendo il segno superiore se il numero dei residui è pare, e l'inferiore se è dispare; ponendo o-h ^ -4- • • • = A ai + ac -h ....-= B Calcolo dei kesidui 153 abc 4- abd H- . . . = C vM . . K -h aé . . cA Hh . . =5 K ab. . KA = H conseguiremo eh'è la cercata. CoroU. 1. — Similmente avremo ^((:c -f- a)) ^((x H- ^))^-^ ((*~+ A)) ~ ^((x-t- a)) ^((^+ a))^-^ :(F-4^A)) -° CoroU. 2. — Il massimo esponente n della x esprime il numero delle radici della <{>{x) che sem- pre eguaglia quello dei residui. CoroU. 3. — Od i residui siano positivi o nega- tivi; o siano di numero pare o dispare, tutte l'equa- zioni saranno comprese nei seguenti due valori della (p{x) cioè (p{x) = X"- Aar'»-» 4- Bx«-" — . . . q= Ko; =fc H (f[x) e= X"- -H kx"-^ ■+■ Bx"-2 -H . . . -f- Ka- -h H G.A.T.CXIV. 11 1 54 Scienze:/" CoroU. 4. — Da questa proposizione avremo, che la somma delle radici eguaglia il coefficiente del se- condo termine con il segno mutato ; la somma di tutti i binari delle n radici eguaglia il coefficiente del terzo termine con il proprio segno; la somma di tutti i ternari delle n radici eguaglia il coefficiente del quarto termine con il segno mutato ec. ec. ; il prodotto di tutte le radici eguaglia l'ultimo termine col segno positivo, se le radici o sono negative o po- sitive di numero pare; lo eguaglierà poi col segno negativo, se le radici sono positive di numero dispare. CoroU. 5. — Se si annulla una radice, si annulla l'ultimo termine, essendo questo eguale al prodotto di tutte le radici; quindi otterremo x"-' =p Ax"-» =t Ba;"-3 zp . . q= K = 0 : quindi diremo che per l'annullamento di una radice si abbasserà di un grado la equazione. CoroU. 6. — Cambiando i segni delle radici , si cambia queUo del 2, del 4, del 6. . . termine, cioè dei termini di numero pare, rimanendo gli altri co-r stanti. CoroU. 7. — Che una qualunque equazione si può rappresentare con il prodotto dei binomi, pei quali si prendono i residui nella formola ^({a: ± a)) ^ {{x d= b))^'-^{{x =fc h)) quindi 9(*-) = {x± a){.c ±:b)..{x±:h) Calcolo dei residui j55 Coroll. 8. — Che la funzione è divisibile non solo per ciascun binomio indicato nel residuo; ma ancora pel loro prodotto. Coroll. 9. — Il residuo binomiale a differenza da alternazioni di segni, a somma successione nella equa- zione; quindi mutando tutti i segni dei residui , si cambia il segno ai termini di numero pare nella e- quazione. -j' > viiiir, .;.i;ug9noiJ^i vi Coroll. 10. — Se si annulla un residuo, si annul- la l'ultimo termine; se si annullano due residui, si annullano i due ultimi termini, e così in appresso. Proposizione 4. — Moltiplicando tutti i valoii, pei quali si prendono i residui per K , tutti i termini della si moltiplicheranno pei singoli termini della serie 1 , K, K\ . .. K'-« , K' -J Dimostrazione. — Essendo tutti i valori, pei quali si prendono i residui, mol- tiplicato ciascuno per K , e sostituito nella formola generale, avremo 1 ^ ~ cp(a:) quindi ^((^- K«)) ^{{a:^Kb)}^-%--Kh))- ° ,15^ Scienze f[x) = (x — Ka){x ^Kb) ..{x — Kh) donde a!-» -1- KAx"-» -h K^'Ba;"-:» -f- . . -t- K''-'K^ -f- K«/i __ ^" ^ ((«^-KA)) ^ CoroU. 1.— La somma degli esponenti degli a;, K fattori eguaglia sempre il massimo esponente della equazione. Coroll. 2, Ponendo K=«2, 3, 4, . . , avremo le seguenti analogie c_J 9 ^ <^({x-2x))^{{x-^2b)) \, ^ ^a;" -H 2Aaj''-' -H 4Ba;"-' -j- . . H- 2"*' Ka; -4- 2"H _ r L_^ L_ , ^a;'* -H 4Ax"-« -f- 9Bx"-* -f- , . -}- 3"-' K^ -H 3''H S > ___ e=s 0 ^^ ((X-3A)) 1 1 ^((a:-4a))'^((*-45)) a:" -4- 4A"-« + 1 6Ba?'-^ -f- . . -+- 4''-»Ka; •+• 4"H I i>"l É ' ■ ■■ Milli ;;r; U , . • . . . ec. Calcolo dei residui 157 cioè duplicando i valori, pei quali si prendono i re- sidui, i termini della si moltiplicano respetti vamente per la serie 2, 4, 8, 16 , . . . triplicandoli, si moltiplicano respettivamente per la serie 3, 9 , 27 , 71 , . . . quadruplicandoli , si moltiplicano respettivamente per la serie 4 , 16 , 64 , 256, .. . e così in appresso. Coroll. 3. = Con la dimostrata proposizione si può liberare la equazione ^{x) = 0. dalle frazioni nei coefficienti; cosi che essendo ?> ?> ^, . . . questi denominatori, avremo ((x — pq .. a)) ^{{a: - pq .. ò)) ^ x"+pq.Ax^^-^-ì^{pq..yBx-^-}-..^ (pq..y-^Kx^(pq..YH donde vedesi che con la semplice riduzione si libe- reranno dalle frazioni i coefficienti. 158 Scienze ' Coroll. 4. ==i= Dalla proposizione, usando lo stesso^ raziocinio, avremo 1 i "(FI)) (R)) AB K H I..Z — -^ ^~— ^ ^ = 0 a- è)) donde se A, B, €,..K,H hanno fattori comuni, li potremo togliere, conservan- do il coefficiente al primo termine, col dividere i valori, pei quali si prendono i residui per gli stessi fattori comuni; quin- di chiamandoli P , ? . • . e facendo - = A -^=B' ^- ^K' " _u P'i ' iPì-)T ' ■■' (/'?••)"-' ~ ' (pq-)" avremo V^.))V^.)) I Calcolo dei residui 159 ove si noterà che alcuno dei H', K, . . . può divenire fratto; ove si potrà applicare il corol- lario 3. Coroll. 5.== Facendo nell'antecedente corollario A=mK, B=m^KS C=^m^K\ ... K^w"-' K"-', H^W'K" avremo 1 1 ii^-a ((-^)) ((" - ir)) donde 1 1 '•■•'""(FS) ^ e conseguentemente a?» _t- aj"-! _|- x"-^ -{"•••*- ^ "•- ^ = \ "" rnìT/V wK / • • y-^ Km / (-r)(-4r)-(-4) ^60 Scienze dunque se i coefficienti della proposta equazione sono A = mK , B = m'K' =s A% C -= m'K' -= A^ , ... K = m«-' K"-' = A«-' , H = m'-K" = A'*']'! 'n;i potrentio ridurre tutti i coefficienti della equazione ge- nerale alla unità, mentre la equazione stessa ugua- glia il prodotto di tutti i binomi innanzi considereti, se i valori per cui prendonsi i residui si dividono pel coefiìeiente del secondo termine. CoroU. 6.== Facendo nell'antecedente corollaria avremo ancora più semplicemente ' £- ' {(-£-.)) ((— ^)) C/—C/ ((- - ;^.)) quindi deducesi che se i coefficienti della equazione sono A = wi% B = m4 , . . . K == m^i-'ì , H=^" cioè multipli quadrati l'uno dell'altro dei fattori co- muni, potremo ridurre tutti i coefficienti della equa- zione generale alla unità. Proposizione 5. = Sia la equazione Càlcolo dei residui 1C1 e ^ e ___!__ e e J^'-h Aa;"-'H-B3;"-='-H..+K^-H H ^({.r - a)) ^((x- - ò))^"-^'- {{X - A)) -^^ in cui i coefficienti A, B, C,...K,H scgnono una legge geometrica qualunque si può trasformarla in un'altra, in cui i coefficienti formino vma qualunque altra serie geometrica di- versa dalla data. Dimostrazione. ■= Sia la equazione sostituendo per A, B , C, . . . K , H i vabri dati dalla proposizione avremo iix - a)} ^{{x - b)) donde per l'antecedente proposizione 1 1 ((^ - a ((^ - r)) ((^ - r)) 162 Scienze e più generalmente (("-«i)) (("-Sk)) ^ -^ X"- -H a;"-' -h X"-- ^ -4- . . H- x -4- 1 c/...^ ; = 0 ((^ - i)) quindi chiamando A , A% A3 , . . . A"-» , A« una serie geometrica qualunque, avremo le due se- guenti ((— f*)) ((— r*)) ò"*o — ' — ■ ' ■= 0 l:. \ .& ^ ((-i-)) ((-^*)) 9 c^" + Aa;'^-' •+. AV-^ -4- .. •+■ A"-'a; H- A_" ((-;^^)) Coroll. 1.= Qualunque equazione, nella quale i coefficienti eguagliano tutti la unità, si può veri- Calcolo dei residui 163 ficare ancora col fare che i coefficienti seguano una qualunque serie geometrica. Coroll. 2. ==" Qualunque equazione, nella quale tutti i coefficienti eguagliano la unità, si può veri- ficare ancora mettendo una qualunque quantità al- gebrica, purché segua una progressione geometrica. Coroll. 3. =5 Data la equazione 9 —J— 9 _1__9 e x"-\-Ax"-^-^cex"-^-h..^ìix-\-K ^((^ - a)) ^((.^ZTbjj^'-"^ ((^ - h}) ^^ nella quale i coefficienti A , B , C, .. K , H siano in progressione geometrica, avremo ancora le seguenti ^.-Z^.L ■{{X ^ a,)) '^{{x - 6,)) _ „ x" -i- A*»-' + A^j;"-=» -h . . -t- A"-'a; -+- A" ((*■ — hi)) L7^^.L, ' \{x — 02)) ^{(x — b^)) -. ^ x"->-B»"-' -^B^x"-^ -H . . -f B"-'x -f. B" ^.7T-^„^. & i(x-an))^{{x-b„)) 164 Scienze Coroll. 4. = Dalla prima formola di questa pro- posizione , cioè poiché A avremo 1 1 £•■■& '((x — ma)) ((j? — mh)) x" -t- mAa^"-' ■+■ m^A'a:"-" -4- .. 4- m^-'A"-' 4- m"A" ((x — mA)) e ponendo m = 2 , -- 3 , --= 4 , . . . vedremo verificarsi il coroll. 2, prop. IV » nel casa particolare che i coefficienti A , B , C , . . . K, H siano in progressione geometrica. Proposizione 6. = Il polinomio ^{{a: - «)) ^((o: - ò})^"'^{{x - h)) può essere trasformato in un altro, in cui i residui vanno diminuendo di numero. Calcolo dei residui 165 Dimostrazione. = Allora quando nel proposto po- linomio si consideri specialmente il residuo in quanto ad X ■= a nel quale caso (r>{x) = 0 , avremo che il proposto si potrà decomporre nelle due così che pel residuo in quanto ad x = a avremo ((^ - a)) • " ' ^((^ - ^)) ^{{x - c))^ ^ {{x - h)) Similmente per x — b sarà ^J7r^.^7^^l-Z- '^'^ '({^ - b)) ^((x - c)r ^ {{X - h^) ed anche per Scienze avremo ((■^ ~ e)) ^((o: - d)f' ^{{x — A)) e generalmeute per conseguiremo <^((x - m)) ^((^ - «))^-^((a: - A)) ^ sostituendo convenevolmente questi valori nella pro- posta, otterremo ^((^ - a)) ^((x - b))^-^{{x -h)) ^(Xx - a)) {x—a){x—b),.. [x — m) ^ e questa sarà la f or mola cercata. CoroU. 1. =» Dalla presente teoria avendosi Calcolo dei residui IG7 ne dedurremo ancora ^{{.r _ «)) ^'((.r - b))^-'^{{x - h)) {x-a){x-òì...{.x-m) ^ — I— ^...^. ^(^^ Coroll. 2. ^ Mettendo uell' ultima ottenuta equa- jzione in luogo della il suo valore, avremo ch'essa potrà essere rappresen- tata per ^((x - «)) ^(x - b))^'-^' {{X - b)) 1 {x — a){x — b). . [x — w) ^ {{x — n)) ^x"-'" -+- Ax"""-' -t- . . -f- K'ic -f- H' e ponendo n = m e non ammettendosi esponenti negativi, avremo 168 Scienze 1 1 (x — a){x — b) . . . (x — m) =^ (pi{x) equazione già ottenuta, che conferma quella decom'- posizione, la quale in appresso verrà in uso. {Continua.) IÙ\) Delle cagioni che arrecano le inondazioni e delle prov- videnze necessarie -per tornarle meno funeste alla città di Roma. Memoria di Pietro Biolclu'ni., se- gretario della società del giornale arcadico. JL rovj t'atomi per ragion d'iiflizio nell'amio 1846 spet- tatore della terribile inondazione del Tevere, e ve- duti i danni e le rovine minacciate ad una gran par- te dell'inclito popolo di Roma dalla prepotente for- za delle acque, avvisai, che mentre si procurava di procacciare pronti soccorsi agli assaliti dalle acque, ne rimaneva non pertanto gran parte che non poteasi aiutare, sì per la mancanza degli opportuni provve- dimenti e Si per l'ampiezza enorme dello spazio inon- dato nelle campagne. Dolente oltiemodo di quella pubblica sciagura, fermai nel mio animo di scrivere questa memoria qualunque siasi , risguardante non solo le cagioni delle inondazioni, e la storia di al- cuni fatti dolorosi di quest'ultimo disastro, ma l'e- sposizione di quanto in sul fatto ravvisai necessario ad impedire le conseguenze di una calamità, a cui va soggetto il popolo di tanta metropoli, o almeno a renderle men gravi e dannose. Per questo modo tranquillerò il mio animo per aver soddisfatto all' obbligo di pubblico ulììciale e cittadino: il quale non dee lasciare nulla d'intenta- to, quando pensi di tutelare la sicurezza del popola,' col sottoporre alla sapienza dello stato que'compensi creduti necessari per reprimere o allontanare i pe- ricoli, G.A.T.CXIV. rz 170 Scienze Il modo di prevenire i funesti mali, che appor- tano le inondazioni , fu sempre riputato un sog- getto nobilissimo per rispondere alla felicità de'po- poli, che soventi volte hanno a lamentare la perdita de'congiunti e de'cittadini e delle sostanze proprie. La civiltà e le cognizioni, in luogo di provvedere a un tanto pericolo con mezzi valevoli, distruggendo o almeno diminuendone le cagioni, vollero anzi far pompa della scienza col tenere a freno fra argini maravigliosi le furiose acque de'iìumi e de'torrenti, e mostrare in certo modo portentose le teorie idrauli- che. Il male perciò crescerà ognor più, e giungerà a tale, che la forza dell'uomo sarà nulla a frenare la potenza delle acque; ed inauditi disastri si faran- no sentire per tutto. Le montagne già coronate di albeii e di verzura, spogliate dalla mano dell'uomo, sono divenute nudi scheletri; la terra vegetabile, che alimentava sovr' esse le piante, nelle sottoposte valli rovinò, e con essa rovinarono e pietre e macigni, i quali uniti con la terra hanno incominciato per mo- do ad innalzare i letti de' fiumi, che non vi è ora cosa più facile di una prepotente alluvione, E qui mi sia permesso di aggiungere , che se mi avessi proposto di trattare sì grave argomento con arreca- re in mezzo fieri e lagrimevoli fatti, avrei dimostra- to eziandio i danni che ne derivano non solo alla coltivazione, ma alla pubblica salute ancora; essendo che i luoghi più salubri sono i luoghi più ben col- tivati e più abbondanti di popolo. I combustibili essendo divenuti di necessità e d'utilità primaria in tutte le arti , e nella domestica economia , da per tutto hanno aumentato di prezzo, e in ogni luogo Lnondaziom del Tevere 171 se ne lamenta la scarsezza. Fa d'uopo quindi rimbo- scare le montagne, far le piantagioni lungo i fiumi e i torrenti, come già vanno facendo le civili nazioni di Europa che in pria ci dettero il mal esempio, ed ora colle stampe e col fatto mostrando di avere er- rato, cercano di ripararvi ripopolando le montagne di alberi e di arbusti, non pochi de' quali ci vengo- no somministrati dall'America. Il governo dovria an- dar molto a rilento in dar concessioni per diradare i boschi , che poi si finisce coli' estirparli : quando per lo contrario dovria laccomandarne la ripopola- zione, spezialmente nell'agro romano, dove produr- rebbero pure, fra gli altri beni, il grandissimo che è il miglioramento dell'aria malsana. Per dare un qualche ordine a questo nostro lavoro, che mira principalmente a render meno di- sastrose le accennate calamità, lo divideremo in tre parti. Nella prima esporremo le cagioni che produ- cono le inondazioni del Tevere , e ciò che si fece dagli antichi romani e dai pontefici per soccorrere ai bisogni in caso di questo infortunio. Nella secon- da narreremo la storia della inondazione del dicem- bre 1 846 ; e ciò che si fece a vantaggio degl'inon- dati. Finalmente tenteremo di proporre un regolamento stabile per provvedere alle più urgenti necessità iu casi sì terribili, che Dio tenga sempre lontani dalle nostre case e contrade ! \7% Scienze I. Sulle cagioni delle inondazioni. Le dirotte e continuate piogge , il subito dis- solvimento delle nevi sulle montagne, sono le prin- cipali e generali cagioni di tutte le inondazioni dei fiumi. Niuna speciale singolarità ha il Tevere perchè i suoi straordinari gonfiamenti, e lo straripare delle sue acque dagli argini ad esso stabiliti o dalla na- tura o dall' arte , da tali cause non dipendano. Cre- diamo perciò inutile il confutare la opinione che è nel volgo di Roma , per la quale si attribuiscono le inondazioni del suo regal fiume ai venti di libeccio e di scirocco. Fondano essi tal' opinione su que- sto principio: Il Tevere non mette libero nel mare, perchè respinto dal vento. Questo argomento volgare fu già tema di una dotta dissertazione del sig. Fran- cesco Spada : argomento che certamente non meri- tava somigliante onore (1). Basti solo avvertire che r esperienza ha mostrato , che quando il Tevere è pieno , ed il mare in burrasca (che è lo stato che dovrebbe più temersi) il rigurgito si fa insensibile in poca distanza dalle sue bocche; e quando si esten- (1) Dì una falsa opinione comunemente abbracciata in Roma circa le inondazioni del Tevere, dissertazione di Francesco Spada già pro- nunziata nell'accademia tiberina nell'adunanza del 18 luglio 1842; ed ora seguita da brevi cenni sull'alluvione ultima del prossimo pas- sato febbraio , e da una tabella indicante l'epoca e la misura delle più notabili del nostro fiume avvenute dopo il MVD. Roma tip. Meni- canti 1843 in 4. Inondazioni del Tevere i73 de in parti più lontane, allora il Tevere o è nella sua maggiore bassezza, ovvero in tal corpo di acque, che vi rimane una considerabile altezza di sponde a contenerlo. E per recare in questo senso una prova maggiore •, chi ha osservato mai innalzarsi il livello del Tevere senza sopravvegnenza di acqua torbida? La sopraddetta causa volgare può benissimo produrre l'inondazione in città vicinissime al mare ; ma non mai in quelle fondate in ragionevole lontananza. E qui crediamo conveniente avvertire, che il vocabolo alluvione (1), anticamente usalo in forza d'inonda - (1) Il naturale fenomeno delle alluvioni si osserva parlicoiarmente sulle coste dei mari del nord ed in altre ancora: per il che si vanno osservando grandi alterazioni nei limiti della terra. Il delta del Nilo è un effetto deiralluvione. L'Olanda ne ha provati e ne prova continua- mente gli effetti: e spesso intere isole sono dovute a questa causa. Tutte le sponde dei mari non sono ugualmente atte a dar luogo ad alluvioni considerevoli : ma pare verisimile , per il terreno di nuova formazione che si osserva sulle coste settentrionali, che il terreno di nuova formazione vi prenderà una grandissima estensione. L'industria umana, non contenta d'impadronirsi delle alluvioni di mano in mano che si formano spontaneamente, ha saputo accelerar- le) ed accrescerle a suo vantaggio e far conquiste sul letto stesso del mare. Nei terreni posti al di là dei dicchi , i quali sono ogni giorno coperti dalla marea, vengono scavate fosse parallele e pendenti verso terra. Queste fosse presto sono riempiute dal fango lasciato dal riflusso, e formano un nuovo terreno, in cui si piantano nuovi dicchi, al di là de' quali si scavano nuovamente altre fosse simili. Col mezzo di queste opere ingegnose si sono vedute campagne fertili e città ricche e commerciali uscire quasi dal seno del mare, e far testimonianza della potenza dell'uomo sociale e incivilito. (Nuova enciclopedia popolare, ovvero dizionario generale di scienze, lettere, arti, storia, geografia ec. Torino, Pomha , 18i'2, in 4.) 1 7/i Scienze zione , di traripamento di un fiume , ora significa piuttosto un lento accrescimento di terreno lungo la margine del mare o dei fiumi , o sulle loro foci. Gridraulici, che studiarono sul Tevere, osser- varono che le inondazioni maggiori si fanno spe- rimentare più facili entro Roma che nelle sue vi- cinanze. E forse questo il punto del centro delle piene? Pare che ciò sia molto probabile (1). Andrea (1) Nelle situazioni, dove il fiume passa bruscamente da un piano declive ad uno orizzontale, o quasi, all'affluir della piena si genera un insigne gonfiamento che dicesi il ventre. E proljal>iIissimo che il gran ventre del Tevere si verifichi appunto nel tronco che bagna Roma. Anche l'Arno ha senza dubbio, come l'esperienza il dimosli'a , il suo ventre massimo pressa Pisa, dove si scema notabilmente e prontamente la pendenza del suolo. Perciò appunto in quella città si sollevò nelle piene il fiume ad altezze sorprendenti^ e di gran lunga maggiori a quelle che sieno mai state al dì sopra o al di sotto. INulla giovarono in tali casi gli emissari praticati sulle sponde per dare uno sfogo alle acque. Il gonfiamento e l'inondazione durarono per giornate intere , ad onta che le bocche dei diversivi si fossero dilatate enormemente. Ma il ventre, quando è divenuto mostruoso, non cessa di soperchiare le ripe e di rinversarsi, nemmeno colla sottrazione delle acque. Il Barattieri, che fu il primo ad accorgersi di questo fenomeno, avea notato con sorpresa nella sua architettura idraulica, che l'acqua dello Stirone, nello spazio di sole sei miglia, gonfiavasi straordinaria- mente fino ad un certo punto, e poscia gradatamente si ribassava di nuovo formando una stranissima protuberanza, come si fa tirando a se colle mani le due estremità di una verga flessibile che s'incurva ad arco. Egli è infatti naturale che le rotte de' fiumi succedano partico- larmente nelle situazioni, ove ha luogo il ventre. Perciò alzandosi in que' siti la piena ad un grado strabocchevole, e molto maggiore che in qualunque altro punto del fiume , il colmo del ventre non può es- sere in alcun modo contenuto dagli argini. Inondazioni del Tevere 175 Chiesa e Bernardo Gamberini, ingegneri bolognesi, nella loro relazione intorno alle cagioni ed ai rimedi delle inondazioni del Tevere , e della somma diffi- Ora si vede il perchè, se sieno interrogali succcssivamenle i vil- lici, che abilano lungo le sponde di una riviera, a quaT altezza sia giunta ne' rispettivi loro villaggi la piena, gii uni rispondono che è giunta p. e. a cinque piedi, gli altri di sotto a dieci, e finalmente i più inferiori nuovamente a cinque. Tutti dicono il vero: quelli di mezzo si trovano nel colmo del ventre della fiumana. Ecco pure il motivo, per cui navigando sopra un fiume reale, ora s'incontrino ripe altis sime, ora molto piii basse, sicché sembrano a chi le mira o soverchie quelle, o insufficienti queste. Ma l'esperienza fece conoscere agli abi latori di quelle sponde quale ne doveva essere l'altezza rispettiva, per proporzionarle al colmo del ventre della piena locale. Se nocevoli nel sito del ventre riuscir debbono le traverse o pescaie, non lo saranno meno pel medesimo motivo le tortuosità ed i ravvolgimenti viziosi e moltiplicati del fiume. Perciò se la rettifica- zione degli alvei è quasi sempre utile , dove poca è la pendenza del piano , ella può essere utilissima nella località del ventre massimo , per dare uno sfogo più facile ad un gran corpo di acque. Provvida del pari ed utilissima nel sito del ventre riuscirebbe la escavazione del tronco che va soggetto a così viziosa corpulenza : poiché col to- gliere l'asprezza dell'angolo, e col raddolcire il passaggio del piano declive all'orizzontale, si verrebbe a rimuovere in gran jiarte la causa vera e primaria di questa quasi organica malattia dei fiume. In tali casi non usasi altro rimedio, clie quello di sempre più elevare e rincalzare gli argini del tronco vizioso. Ma questo rimedio, convien confessarlo, e l'c-iperienza ce ne costringe , é più fatto per sospendere, che per togliere il pericolo: più per tirare innanzi, che per aver sahite;oltrech&, a forza di applicarlo, diviene un tal rimedio ognora più debole ed inef- ficace: ed allora ci lascia esporre a tutto il furore del fiume, che sem- bra voler vendicarsi nelle nostre campagne della lun^ja resistenza op- postagli, come fa chi prende d'assalto una fortezza ostinatamente di- fesa. Per rendere utili i diversivi, qualora possano esserlo, non .sari ITO Scienze -t colta d' introdui re una felice e slabile navijj'azione da Ponte nuovo sotto Perugia, fino alla foce della Nera nel Tevere , e del metodo di renderlo naviga- bile entro Roma, tengono opinione fondata su molte loro sperien^e, che l'alveo del Tevere siasi poco o nulla elevato dal livello che aveva anticamente. Dopo ciò asseriscono con ragioni saldissime , che i vari impedimenti, che sono sul tratto del fiume che bagna la città , sieno tali da impedire il libero corso delle acque, e diano causa che ivi si formi il ventre delle piene. Tra questi impedimenti annoverano i ponti , i mulini, le varie rovine che sorgono dal suo letto, le prominenze e gli sporgimenti delle rive , lo sca- rico continuo delle immondezze , e più ancora dei calcinacci, e finalmente 1' angustia di alcune sezioni. Ognuno ben vede quanto sieno giuste queste ri- flessioni , e quanto debbasi fare per allontanare da Roma un somigliante flagello. Si sgombrino pertanto gli archi de' ponti che sono turati dalle arene : si tolgano le preminenze delle sponde ed i mulini, laddove singolarmente sono d'impedimento alla corrente, e dove sono riuniti in troppo gran numero, ed hanno costruzioni, le quali fatte per potersi ad essi andar facilmente, impediscono alle acque di correre liberamente. Il pessimo costume forse indifferente , che la bocca dell' emissario sia praticata nel tratto ascendente, o nel colmo, o nella discesa del ventre. Ma intorno a que- sto argomento importantissimo le cognizioni degl'idraulici non sono paranco estese tanto, quanto la importanza massima dell' argomento richiederebbe.(Mengotti Francesco, Idraulica fisica sperimentale, parte I cap. 10. Bologna, Marsigli 1823, in 4. Nella nuova raccolta d'autori italiani che trattano del moto delle acque.) ' r"' Inondazioni del Tevere 177 di gìltare nel fiume tutte le immondezze ù tale, che non si può bastanteirienle e con fiere parole esecrare. La putrefazione di tante sostanze altera 1' aria atmo- sferica , ed è cagione di febbri perniciose , di tifi , e di altre gravi malattie. Il calcinaccio poi ingombra sempre più ed innalza il letto del fiume , poiché solo dopo d' aver recato grandissimi guasti le acque lo strascinano seco. Dagl'imbarazzi ed impedimenti, che si trovano nel fondo, fa dipendere il Chiesa il non potersi navigare il Tevere nell' interno di Roma da Ripetta a Ripa grande (1). Molte cose si potrebbero dire intorno alle inon- dazioni , ai loro efietti , ai principali fenomeni : ma non faremo che tener parola di alcuni che sembrano più importanti pel nostro particolare , e che abbiam tratto dal Mengotti (2).» Tanto più violenta sarà l'a- zione della piena, quanto più subitaneo ne sarà l'af- flusso : poiché più vasto è in tal caso il cumulo e quasi monte di acqua che sopravviene e si rovescia sul fondo. Allora fa essa l'effetto dell'aratro, con cui smuove , solca , e sovverte il letto del fiume. « Accade talvolta, che di due piene uguali per volume di acque , una faccia orribili rovine, e l'altra non cagioni sconcerto alcuno. La prima é quella che viene in un subito , la seconda lentamente. Quella con la soprastante mole dell' acqua agisce sul fondo (1) Relazione sopra il modo di rendere navigabile il Tevere den Irò Roma, di Andrea Chiesa: 3 gennaio 1743. Nella raccolta suddetla, tomo X. ■ I (2) MengoUi, Idraulica fisica e sperimentale parte I, cap. 11. 178 Scienze come il vomere : questa crescendo a grado a grado, e quasi nella direzione parallela, agisce come il ci- lindro solido che si fa rotolare sul terreno per com- primerlo. « Perciò le piene più memorande d'ogni contrada e più micidiali furono sempre quelle, che derivarono da improvviso dissigillamento di nevi in gran copia e da prepotente rovescio di pioggia. « La tremenda inondazione del 9 decembre 1742, di cui furono testimoni nel celebre loro viapp-io al Perù gli accademici francesi, accadde appunto pel repentino struggimento d' immense nevi cagionato dall' esplosione del gran vulcano di Cotopossi. Le acque salirono all'altezza de' 120 piedi, e percor- sero 45 miglia in tre ore. Tutto fu rovesciato e distrutto sul cammino di sì furiosa piena (1). Anche di due piene egualmente subitanee può accadere, che l'una produca un piccolo effetto, e l'altra uno gran- dissimo. Ciò viene dallo stato di magrezza o di ab- bondanza d'acqua, in cui trovasi il fiume principale neir affluir della piena. Nel primo caso la scarsezza d' acqua lascia che la piena sopra incombente possa esercitare sul fondo tutta la energia: nel secondo, la forza della fiumana essendo smorzata dalla copia dell'acqua, che già trovasi nel fiume, non può agire più così efficacemente sul fondo. Che se poi non vi fosse alcuna quantità di acqua nel letto, in cui viene a cadere la fiumana, come succede dei torrenti che restano totalmente o presso che asciutti , allora più profondi ancora si ravvisano i segni del vomere della (1) M«5moire.s de l'acati, des scien. an: 1749. Inondazioni del Tevere 179 piena che passa : perchè immediata è appunto in tal caso , e quasi nella sua totalità la impressione del fondo: dappoiché l'azione perpendicolare signoreggia quasi sola. E questa è la ragione delle profonde ca- vità e precipizi, che s'incontrano ne' luoghi ove sia passata poc' anzi la rapida piena di un torrente, an- che poco conosciuto ed ignobile. Tali effetti, che sem- brano prodotti dal ferro piuttosto che dall'acqua, non potrebbono succedere , se essa non agisse ob- bliquamente sul fondo come cuneo, o come aratro.» Tali prodigii non si possono sperare nel Te- vere, che mantiene sempre un bastantemente alto li- vello di acque , la cui altezza media in Roma nella state è fissata, giusta le più accurate ricerche, a venti piedi parigini sopra il livello del mare. Turnon riferisce che l'ingegnere Navier ha cal- colato, che le acque « refoulés par tout les obstacles dans les grandes crues, s'elevent a l'entrée de Rome a 14 metres au dessus de l'étiage, tandis qu'elles ne depassent le niveau que de 9 metres 50 centimétres lors qu'elles sont rendues a un cours naturel » (1). Il nostro Andrea Bacci osserva « che dal nettare il fondo e le ripe ne seguirebbero tutte queste utilità, che non solo si farla il luogo più capace grandemente, e manco soggetto alle inondazioni, ma ancora si farla il fiume più atto alla navigazione, si migliorerla l'acqua di bontà, che sarla più gustevole al bere, e parimenti si migliorerla l'aria: che di continuo le fumosità, che si levano dal letame che vi si getta, la tengono neb- biosa , e non senza qualche infezione ;> (2). (1) EtuJes slatistiqnes sur Rome. Paris 1831, tom. 2, png. 187. (2) Bacci, Sul Tevere. Venezia 1370, lit. Ili, pa{j. 293. 1 80 Scienze Nerva fece aprire nel fiume un ampio diversivo, prima che le acque giungessero alla città eterna; ma tal provvidenza, che costò grandi spese, a nulla servì, e le acque tornarono ad allagare la città. I sommi pontefici si adoperarono eziandio a to- gliere tali funesti avvenimenti: ma, a dir vero, le lo- ro premure andarono fallite per cagion di coloro che dovevano curarne l'esecuzione, come che non sia certo che ciò sia avvenuto più per ignoranza delle cose idrauliche, che per non aver avuto bastevol coraggio di combattere e distruggere gl'inveterati pregiudizi. Le paterne loro cure però in ispezial mo- do si addimostrarono nel dar sollievo a que' miseri che erano stati danneggiati dalle piene* Il Castelli pensa, che il ventre delle acque si formi nell'interno di Roma, e che riuscirebbe sommamente utile, anzi necessario, lo sgombro e l'escavazione del fiume pel tratto che va soggetto a questo enfiamento. Anche il eh. sig. comm. Cialdi si accosta a questo savio opi- namento, e deplora la barbarie di coloro che fecero chiudere gli archi nei ponti di s. Angelo e Sisto in modo che la massa di acqua, che libera può pas- sare per le luci degli archi del ponte Milvio, non trovi uguale sfogo nei suindicati due ponti. Per co- noscere quanto questi ostacoli facciano innalzare l'acqua dentro Roma, converrebbe porre a non gran- di distanze dei tiberometri: ma pur troppo non ve ne ha che un solo a Ripetta ! Né si creda che i molini, perchè galleggianti, non contribuiscano a rendere più calamitose le inon- dazioni. Che anzi, come osserva il Mari, oltre l'impe- dimento che oppongono al corso delle acque, essi, Inondazioni del Tevere IgJ le loro catene, le palizzate, e quanto loro appartiene, servono ad arrestare le paglie, l'erbe, i virgulti, gli alberi che strascina la piena, e formano rosta con in- gorgo maggiore nel tronco superiore per modo, che le acque ingrossate si alzano oltre il naturale gigan- tissime. Molti autori e molti fatti si potrebbero qui recare in mezzo a comprovare tal verità, se non fos- se di per se stessa chiarissima e a tutti nota. Bastino questi fatti generali per mostrare il gran- de bisogno che abbiamo di toglier via ogni impaccio, che esiste nel tratto del fiume che bagna le mura della città. Opportunissimo quindi stimiamo che gli uomini dell'arte esaminino con diligenza tutti e sin- goh gl'impedimenti sovra narrati, e propongano i mezzi per toglierli: od almeno, non potendosi tutti rimuovere, renderli meno nocevoli che sia possibile. Finché non si eseguisca una sì grande opera- zione, non si speri giammai che possa essere tolta una tanta calamità al popolo romano. E pria di passare più innanzi nel nostro ragio- namento stimiamo opportuno di parlare di uno dei gravissimi danni che recano le inondazioni, il quale per avventura non è forse noto che a' medici solo. Voglio dire della pestifera influenza derivata dalle acque, le quali straripate da' fiumi allagano le sot- toposte campagne, dove si fermano, e putrefanno. Gli antichi nel ricordare i grandi straripamen- ti del Tevere, che frequentemente accadevano (1), no- (1) Parlando del Tevere diee Plinio (L. Ili e IX): « Nuilique fluvio- rum minus licet, inclusìs utrinqiie lateribiis: nec tamen ipse pugnat, (juamquatn creber ac subiUts incrementis et nusquam raagis aquis 1 82 Scienze lano come da essi dipendesse lo svolgimento di molti e gravi malattie. Giovanni diacono racconta, che ai tempi di Pelagio papa una inaudita piena del Te- vere allagò le campagne, impedì lo sgorgo ai fiumi, alle cloache, ed ai torrenti, e fu susseguita da una sì lunga pestilenza, che mietè innumerevoli vittime, tra le quali novera lo stesso pontefice. Racconta Domenico Panarolo (DeWaria cellmon- tana) che nel 1601 l'acqua mariana, uscita dal pro- prio letto fuori di porta celimontana, ristagnò nelle prossime valli, nelle quali imputridì. I vapori, che esalarono per l'azione del sole, furono cosi mortali, che cagionarono l'eccidio e la fuga degli abitanti. Clemente Vili con ampio scaricatoio donò la fa- ma di salubre al monte celio, che l'avea perduta, quan- do alle sue radici l'acqua mariana uscita del pro- prio letto avea ivi putrefatto e marcito. Una somi- gliante provvidenza è stata nella inondazione ultima presa dal paterno animo dell'immortale PIO IX. Lan- cisi nella sua opera De ìioxiis paludum e/Jluviis^ lib. quatn in ipsa urbe stagnantibus. w E l'Arduino nella rispeltiva nota ci- tando T. Livio scrive: « Anno V. C. 465. Duodecies Campum Martiam et plana urbis inundavit. » L. Fabio Pittore, parlando della valle del Velabro, lasciò scritto in proposito: « Paludes plures passim tiberina inundatio efficiebat, quae hanc aream non satis idoneain habitationi redolebant , antea quam factis Vertemno sacrificiis, in alveum suum Tiberis verteretur.» E Sesto Giulio Frontino (Commentar.de aquaeductibus pag. 113), il quale viveva ai tempi di Nerva e di Traiano, allude a quella infelice situazione di Roma anteriore: "Ne praetereuntes quidem aquae otiosae sunt, nam ìmmunditiarum l'ecies et improprior spiritus et cause gra- vioris coeli, qui apud veteres urbis infamìs aer liiit, iiuiil remotae.» Inondazioni del Tevere 183 2, parla de'mali arrecati dagli straripamenti del 1709 a Fresinone, a Ferentino e ad Anagni. Eg^li fece ces- sare le febbri periodiche e perniciose, che infesta- vano que'paesi, dando alle acque stagnanti i dovuti scoli ed introducendo le acque dolci e correnti, ad imitazione di quello che fece Empedocle per togliere il danno del fiume Cento che scorrea presso i selinun- tini. Riebbero in somma per tal mezzo usato dal Lancisi salubrità la così detta città Leonina in Roma, Orvieto, Bagnorea e Pesaro. L'enorme spazio delle paludi pontine è bagnato da quantità grandi di acque che discendono dalle propinque montagne, e che non ritenute e guidate in appositi alvei, ne inondano la superfìcie: e ciò tan- to più facilmente per l'elevazione dell'orlo del ba- cino pontino che confina col mare. Nei così detti polesini e nel padovano per i numerosi canali e per gli stagni forniti o dallo strari- pamento o dal lento scaricarsi dell' Adige, del Po e di altri fiumi nell'Adriatico, i miasmi palustri sono abbondanti: e l'esercito, che i padovani nel 1313 op- posero a Gan della Scala, ne provò i tristi effetti. Nella .salalubre provincia di Bergamo la febbre periodica regna ne'pochi luoghi, dove sono acque sta- gnanti, p: e: dove sono lasciate dall'Adda per le sue piene ne'contorni di Sala, di Bisone, di Lavello. In- salubre stagno forma l'Oglio dove si scarica alla spon- da sinistra del lago sabino , poiché forma inonda- zioni vicino a Pisogno. Anche le acque del Serio s'impaludano nella pianura e nella Geradadda. A Co- mo recano inconvenienti gli effluvi esalati dalle acque stagnanti nelle fosse e dal sedimento fangoso che de- 184 Scienze posila nelle cantine e basse abitazioni il torrente Coscia. Lagrimevole è il quadro fatto del capitano Sted- man (1) della salute generale, e principalmente di quella del forestiero, al Surinam, ove il terreno è sovente allajjato da'fiumi che vi lasciano acque sta- gnanti. Nella repubblica di Colombia l'aria viene in- fetta dalle acque delle paludi del fiume Suarez, Nel- la provincia di Secorro (2) Medina è posta in basse pianure, che sono inondate da torrenti che gonfi stra- ripano nelle stagioni piovose: per cui vi han luogo febbri ostinatissime e d'indole pessima (3). I grandi fiumi delle Indie orientali, specialmente alle loro foci, lasciando degli stagni dopo frequenti piene, cagio- nano anche oggidì grandi quantità di febbri inter- mittenti: malattie che sono proprie delle coste asia- che da Moka a Tunquin. Tra Astrakan ed il mar Caspio le moltiplici ramifica/ioni del Volga, come pure i suoi straripamenti, danno luogo alla formazio ne di paludi che impregnano l'aria di miasmatiche esalazioni, cagionanti febbri intermittenti. I cinesi hanno divinizzato il loro imperadore lao, che regnò due mill' anni innanzi G. C. , per i benefici effetti che apportò al paese asciugando le paludi , cacciando la belve , e coltivando il terreno abbandonato. (1) Viaggio al Surinam nel 177o Iradotto dal cav. Borghi. Mi- lano 1818. (2) Mollien, Viaggio alla repubblica di Colombia nel 1823 ; tra- duzione del prof. Barbieri. Milano, 1825^ tom. I e X. (3) Burckardt, Voyage en Arabie, trad. par Eyriés. Paris 1835. Inondazioni del Tevere 185 Forse non poco ci sianDO dilungati nella narra- zione di fatti, che mostrano come le stagnanti acque, straripate già dai fiumi, sono ovunque cagione di gravissime malattie, ed in ispecial modo delle febbri perniciose, e che i loro pestiferi effluvi rendono i luoghi più sani di una insalubrità nocevolissima e tale da non poter essere in alcun modo abitati: e que'disgraziati, che pur vi sono, conducono una 'vita malaticcia, che si spegne allora appunto che dovria mostrarsi in tutta la sua energia. IL Inondazione del dicembre 1846. 1 primi di dicembre del 1846 furono oltremo- do singolari per gl'istantanei passaggi delle meteore acquee, proprie d'ogni stagione, nel corso di pochis- sime ore. Vedemmo in un sol dì pioggia dirottissima, a cui dopo breve tempo succedeva la grandine ac- compagnata da lampi e da tuoni, finire con larghe falde di neve: mostrarsi ancora il sole, poi piovere a furia: di nuovo grandine e neve : e questi feno- meni succedersi e ripetersi con una rapidità e fre- quenza fra noi sorpiendentissime. Le notti e i dì erano or tempestosi ed or sereni. Il Tevere , come suol essere in questa stagione, era assai alto ed ognor più andava crescendo : ma tale strano atmosferico stato non facea mai dubitare, che una grande inon- dazione potesse aver luogo. La notte del giorno 9 l'allagamento, già incominciato sui luoghi in riva al Tevere, si accrebbe tanto notevolmente, che le strade G.A.T.CXIV. 13 186 Scienze anche lontane furono occupate dall' acque : e molte persone, che per dimestiche bisogne e per onesti sol- lazzi eran fuori delle case loro, non poterono tornarvi impediti dalle medesime. Le grida de' poverelli abi- tanti i piani terreni erano strazianti: le acque mano- mettevano le loro povere masserizie e minacciavano la loro vita : un continuo accorrere per salvar robe e persone : un' attività , un movimento affannato e terribile; tanto male giunse interamente inaspettato. Il corso per la metà di un miglio e tutte le vie traversali, che ad esso mettono, erano allagate. Buona parte del basso della città eia pieno d'acque. Molti luoghi soffrirono, caddero muraglie, crollarono case. Tutti gli abituri per la via Fiumara nel ghetto furono inondati. Alcuni divennero inabitabili. Non poche fa- miglie, tratte dal pericolo, furono allogate nel palazzo Sampieri nella piazza Cenci : per il che vennero in- nalzate voci di giubilo ad onore del pontefice. I mo- lini di Roma non erano più atti a macinare , e sì dovette perciò mandare a' molini di Frascati e di Grotta Ferrata. Fuori della pprta del popolo cadde un buon tratto di muro della vigna de' pp. agostiniani: altre vigne ebbero pure a deplorare somiglianti danni ne' casali. Un pezzo di parapetto del ponte Milvio fu svelto dalla furia delle onde. Gli argini sul piano del ponte Galera, alla di- stanza di otto miglia da Fiumicino, ruppero, e le tenute di campo Salino , delle Tignole e di Porto furono allagate. L'idrometro di Ripetta il giorno 10 ad un' ora dopo mezzogiorno segnava metri 16 25, e seguitò fino alle ore tre pomeridiane. Cominciò Inondazioni del Tevere 187 quindi a diminuire in modo, che la mattina degli 1 1 alle ore 8 segnava metri 15 31. L'inondazione del 1805 segnò metri 16 42. Trasceglieremo, tra i molti, alcuni pietosi fatti che ehber luogo in que giorni funesti. Sieno essi d'esempio a' vili ed egoisti i quali non badando se non al proprio utile , e sordi al lamento del misero che soffre , non solo non gli porgono aiuto , ma con sogghigno farisaico dicono a que' generosi, che la vita mettono in pericolo per soccorrere al proprio simile: « Quali compensi, qual prò da tante fatiche? » Che la falce della morte abbatta questi esseri malvagi e li distrugga, e la loro memoria sia cancellata dalla faccia della terra! Ma noi di questa parte di egoisti, viva il cielo ; non abbiamo molto a lamentare. Fa d' uopo invece che alziamo la voce ad encomiare fatti e persone generose. E così calde ed efficaci fossero le nostre parole di ben meritati elogi , come altamente sentiamo di loro ! che queste parole sarien tremende e tali da scuotere certe anime di fango ; e bastevol premio ai generosi. 11 più gran guider- done per costoro è la coscienza di avere operato un bene. Ogni classe ed ogni ordine di persone accorse con grande animo e generoso a porgere aita ai fra- telli che perigliavano. Primi si abbiano le nostre grazie ed i nostri elogi i consoli delle potenze ita- liane , che prodigarono soccorsi in que' perigliosi giorni. Il console sardo Luigi Basso ed il capitano del Magro misero a disposizione del governo le bar- che e i marinai de' bastimenti sardi e lucchesi. I consoli di Toscana e delle Due Sicilie mollo si pie- 188 Scienze starono a vantaggio degl' inondati. Il governo som- ministrò la somma di se. 2885 09 1 di pane, che fu distribuito colla maggiore celerità possibile da- gl' impiegati e da molti distinti signori. Fu veduto monsig. Pietro Marini, allora governatore di Roma, ora cardinale di s. Chiesa, accorrere di persona su' luoghi perigliosi, e con larghezza propria del suo animo soccorrere ai miseri ed incoraggiare tutti colla voce e coir esempio. Quindi furono dati soccorsi di vitto e di letto, e con provvidenti cure furono salvate vittime pericolanti , e si procurarono transiti e re- gressi perchè il corso degli affari non rimanesse me- nomamente impedito. In ciò fu secondato il cuore paterno di quell'angelo di bontà che è PIO IX, il quale fece dall' eminentissimo card, vicario pubbli- care un'affettuosa notificazione. Al pietoso invito, corroborato dall'esempio dello sborso di due migliaia di scudi del proprio peculio, risposero non solo i romani, ma molte città dello sta- to ed anche altre italiane. Né soltanto a riparare i danni si ebbe cuor ge- neroso, ma eziandio sul pericolo si ebbe un corag- gio ed una costanza degna di ogni encomio. Di fat- ti si resero benemeriti in tal frangente tutti i sigg. presidenti de'rioni, in ispecie quelli che erano più angustiati dalla calamità: e si vide un'unione ed un' armonia in tutti a fine di giovare il pubblico, che non potrà esser mai abbastanza lodata. Molti indi- vidui d^i corpi de'carabinieri e de'dragoni, guidati da'loro ufficiali, furono instancabili. I vigili, comandati personalmente dai principi Aldobrandini colonnello e don Giovanni Chigi tenente colonnello, portavano Inondazioni del Tevere 189 hella città conforti ed aiuti. La marina militare col- le lance de' vapori, diretta egualmente dal tenente colonnello comandante Cialdi, sì nell'interno di Ro- ma e sì nell'esterno, fino a Fiumicino, con pari ala- crità e coraggio recava soccorsi e provvigioni. Né vogliamo defraudati di giusta lode alcuni signori che vegliarono e si adoperarono alla salvez- za di tanti : cioè il sig. principe don Marcantonio Borghese, il conte Adelino Liedekerke Beaufort, fi- glio del ministro de' Paesi-Bassi , alcuni impiegati della polizia generale e rispettivo ingegnere , non che la commissione formatasi nel rione Borgo com- posta di monsig. Arnaldi e de'sigg. cav. Diamilla e cav. Luigi Casciani. Nel claustro israelitico mostra- rono molta filantropia i deputati ebrei, dando letti ed altro a quegli sventurati poveri che abitavano nella via Fiumara , e che furono ricoverati nel palazzo Sampieri. S'abbiano infine ben meritati elogi i ge- nerosi abitanti del rione Monti, che illesi quasi del tutto dal flagello, aiutarono quanti poterono e li ospi- tarono nelle proprie case. Ma veniamo a narrare al- cun fatto particolare, pel quale meglio apparisca lo spirito di carità che infiammava il cuore de' gene- rosi. Alcuni gentiluomini erano corsi su di un leg- giero battello, per le pianure allagate fuori di porta Angelica, per portare il pane a que' casali allagati. Nel tornare dal pietoso ufficio, giunti presso la por- ta, udirono un suono confuso come di acqua cor- rente che sempre più ai loro orecchi si facea gran- de e terribile. Ed ecco all'improvviso urtarsi il bat- tello contro un'onda furiosa: e da questa seguitata 190 Scienze da altre sempre maggiori vedersi investili e andare a direzione della fiumana, fu un punto solo. Timore, raccapriccio , incertezza tolsero loro la mente e la Toce: ma fortuna portò il battello contro ad un al- bero. Riavutisi dallo stupore, primo movimento in loro istintivo fu 1' attenersi con le mani all' albero fortunato: e due de'loro, saliti in sulla cima, alleg- gerirono della propria persona il battello : mentre gli altri, coi piedi appuntati inverso di quello , si adoperarono perchè col miserabil legno non venis- sero trasportati. Ed ecco dalla finestra di una vi- cina casipola scendere un vignaiuolo con una fune nelle mani, e notando fin presso all'albero, coU'on- da nemica tanto si dibattè , che giunse a porgere \\\n capo di quella fune nelle mani di coloro che pericolavano. Quindi allontanandosi per dove il ter- reno era più alto, e l'acqua meno profonda, a tutta forza di braccia cominciò a tirare a se il battello coU'intero carico di quest' infelici; né si restò dall' impresa, finché non vide salvi i generosi che poco stante avevano a lui porto il pane. Grati a tanta generosità que'signori, la mattina in sul dipartirsi incominciarono a ringraziare ed a far le proteste della loro riconoscenza colle più lar- ghe promesse di dovuta ricompensa. Ma il magna- nimo vignaiuolo, prendendo atto e faccia di chi si ammira: « Voi nulla mi dovete, rispose: io ho fatto quel che doveva. Ieri mattina ricevetti da voi il necessario pane, e mi sentii a voi obbligato di tan- to: a sera salvandovi, mi sdebitai con voi del be- neficio ricevuto: ora le cose stanno fra noi alla pari ». Un altro vignaiuolo fuori della porta del Popolo, InondazioìNI del Tevere 191 per nome Simone Tannoni, per salvarsi dall'inonda- zione entrò in una tinozza, la quale si andava em- piendo di acqua, cercando con tutte le forze di ap- prodare in terra. Ma le furie dell' onde il trascina- vano ove la corrente era più rapida: e saria indu- bitatamente perito, se il bravo Gaetano Paterno im- piegato nella presidenza di Campo Marzo, ed il vice brigadiere de'carabinieri P. Trotteri, non lo avesse- ro tratto da certa morte, correndo animosamente ver- so il disgraziato che chiedeva soccorso, sopra una barchetta, sulla quale riponendolo lo condussero a salvamento. Questo si operava fra dirottissima piog- gia, oscurità somma e grida di spavento che da ogni parte si facevano udire terribili. Di più in tal fran- gente cadde il muro della vigna degli agostiniani sì vicino a loro, che ruppe un remo, e per poco non sommerse la barchetta: la quale strascinata dalla corrente sariasi miseramente perduta, se il loro co- ragjjio non fosse stato fortissimo e la buona ventura non avesse dato nelle lor mani un ramo d' albero. Scorsero da lungi un lume nella casa del salvato, ove per mezzo di corde salirono. La notte lunghis- sima passò per loro; e le onde della fiumana, che battevano i fianchi della casa, li facevano tremare. La moglie del Tannoni prodigò le più affettuose cu- re a que'generosi: e spuntato il giorno, risalirono la barchetta, e battendo la via Emilia, salvi scesero vi- cino alla porta del popolo. Il giorno 1 1 sulla piazza di s. Silvestro in Ca- pite vollero transitare in un carrettino certo Ma- riano Guerra insieme alla madre e sorella Angela e Maddalena; ma rovesciatosi nell' acqua, vi cadde 192 Scienze Angela, lu quale lottando coU'onda era già prossi- ma ad annegarsi. È cosa veramente degna di me- moria il raccontare che i carabinieri Baldini e Rossi, toltasi l'uniforme, intrepidamente si gettarono nell' acqua insieme ad un barcaiuolo, e salvarono la don- na suddetta. Quindi si temeva che vi fosse sommer- so pure un bambino: ed i bravi carabinieri, nulla curando il pericolo, di nuovo si tuflfarono nell'acqua: e tolto in mano quel che si supponeva un bambi- no, si vide essere un involto con undici posate di argento, e due pettini d'argento dorati che furono restituiti al Guerra. Il Santo Padre volle rimunerare il merito de' carabinieri, facendo dare ad essi una medaglia coli' epigrafe Benemerenti , e un dono in danaro. Anche il barcaiuolo fu gratificato con danaro. Da ultimo noteremo che in tali pubbliche ca- lamità tra le prime cure del governo è quella che non manchi pane per chi 1' acqua tiene rinchiuso. Particolari disposizioni furono emanate su tale og- getto dal sommo pontefice Benedetto XIV. Ed in fatti, conosciutosi dai presidenti de' rioni inondati quanto pane abbisognasse per cadauno, riferivano al direttore generale di polizia, il quale ne scriveva al presidente dell'annona e grascia, perchè ne facesse allestire una data somma. Allora il presidente chia- mava i quattro commissari de'forni, e loro ordinava che si fabbricasse la quantità del richiesto pane, e si tenesse a disposizione del governo, I commissari suddetti ed i rappresentanti de' presidenti de' rioni ritiravano dalla direzione generale di polizia l' or- dine per la quantità del pane richiesto: e mano ma- no che lo ricevevano, ne rilasciavano parziali boni Inondazioni del Tevere 193 a ciascun panattiere: finché avutone il bisognevole, ne facevano ricevuta , notandovi i nomi de' fornai. L'impiegato regionario distribuiva il pane, ed il com- missario depositava gli ordini parziali quietati nell' ufficio dell'annona e grascia, e così si proseguiva di giorno in giorno. Cessato il bisogno, la presidenza annonaria, calcolato il totale della somma del pane, aggiungeva la nota delle spese occorse e ne doman- dava i fondi pel pagamento al tesoro pubblico. Tutto ciò che si praticava col direttore generale di polizia, dovrebbe ora in seguito degli avvenuti miglioramenti porsi in armonia colla magistratura municipale, ed in ispecial modo colla sezione depu- tata ai soccorsi nelle pubbliche calamità. III. Proposta di un regohmiento stabile per provvedere alV ìirgenza ne' casi d' inondazione. Spesse volte disgraziatamente accadono inonda- dazioni in Roma : e se ci fossimo proposto di svol- gere la storia di esse, ben lagrimevoli fatti avremmo a narrare. Diremo soltanto che Jacopo Castiglione ne annovera 37 principali da Romolo al 1598. Le maggiori accaddero nel 1598; 1540; 1606; 1637; 1660; 1675; 1686; 1702; ed altre notate per mezzo di una livellazione con lapidi ed iscrizioni apposte nel recinto del convento di s. Maria del Popolo, nelle colonne al porto di Ripetta, nell'ingresso del palazzo già Crescenzi ora Serlupi, alla Minerva, verso ghetto, ed a Ripa grande. i 94 Scienze Il togliere questi gravi accidenti non è in po^ tere dell'uomo il farlo: e seppure la scienza idrau- lica può colla sua potenza diminuirne notabilmente le conseguenze , non ostante è ben chiaro che i progetti non possono essere eseguiti in pochi anni, né con tenui spese , ma sì grandissime. Stimiamo pertanto necessario proporre de' mezzi, die nel pe- ricolo possano esser giovevoli all'universale. E qui bisogna pur confessare , che provvedimenti stabili non sono stati mai adottali perchè i soccorsi da prestarsi agl'inondati sieno dati con una certa re- gola , con facilità , e senza complicazione. Che anzi in quella vece non di rado accade, che mentre molti sono intenti a recar soccorsi a parte degli sventu- rati j altri rimangono privi di aiuto. Per lo che sa- remmo d'opinione proporre al saggio nostro governo di emanare un adatto regolamento, che servisse di norma per basare tutte le disposizioni che occorrono al più pronto servigio del pubblico , e tutti gli og- getti ed ordigni a ciò necessari si dessero in appalto per la costruzione , e che 1' appaltatore medesimo li dovesse mettere in opera con quella quantità di persone, che stimate fossero di necessità in quelle parti che si trovassero inondate dalla corrente delle acque. In tal modo si salverebbe l'erario dallo sciupio di molto danaro, e con una discreta somma si suppli- rebbe al bisogno comune, né vi sarebbe persona che corresse pericolo di mancare di soccorsi. Oltre a ciò il compenso dovuto agi' impiegati per tale servigio straordinario , non che la mercede da ripartirsi agli inservienti , dovrebbe essere stabilita da una tassa proporzionata alla fatica e all'opera prestata: e Tin- Inondazioni del Tevere 195 traprendente al fine d' ogni giornata dovrebbe pre- sentare un esatto quadro di ciò che si è operato « di ciò che è accaduto, ed anche più voUe alla gior- nata, se così esigessero le imponenti circostanze. Un metodo ancora dovrebbe essere scrupolosamente eseguito dall'intraprendente sotto la sorveglianza del- l'autorità municipale. In tal guisa non saria in al- cun modo ritardata e sospesa in que' fatali giorni alcuna cosa che mirasse all' amministrazione della retta giustizia , e la cura della pubblica salvezza verrebbe diretta da una sola mente , e questa rego- lata da norme opportune. La inondazione ultima ci mostrò ad evidenza di quanti oggetti si abbisogni, i quali spesso man- cano, e sono somministrati dai particolari a ben caro prezzo. Pare che il numero degli oggetti medesimi e delle persone potrebbe ridursi approssimativamente al seguente: Barche e battelli N. 40 Vetture » 80 Mezzi di trasporto » 52 Carretti \ » ^^^ Ponti » ''0 Fiaccole e torce a vento . . . • » 150 Facchini » /|5 Barcaiuoli " 4o Sacchi » 120 Ma veniamo a ciò che è oggetto principalis- simo, e da cui può dipendere tutto l'ordinamento delle proposte provvidenze. L'incertezza è tra le più dolorose situazioni, in cui si trova un uomo: e que- sta regna gravissima nel tempo della inondazione di 196 Scienze Roma. Dappoiché s'ignora quali sieno i punti alla-» gali, ove si debbono inviar soccorsi, e quante e quali sieno le provvidenze da pigliare. E assioma che co- nosciuto un punto della superficie delle acque, è fa- cile dedurre da questo quali sieno i luoghi ad es- so inferiori o più bassi, e quali i superiori e più elevati. Or bene: qualora si facesse una tavola, nella quale si vedesse a colpo d'occhio, come segnando p: e: il tiberometro gradi 21 fosse questo certo in- dizio che sono sotto le acque i tali punti della città, i tali altri delle campagne, a questi punti dovrebbe- ro inviarsi immediatamente i soccorsi. E questa ta- vola a comun garentigia dovrebbe esser pubblicata colle stampe. Cosi la sola osservazione di questo stru- mento basterebbe a chi dirige per regolar tutto a tempo senza intralci, senza inutili spaventi e sen- za titubanza. Il pubblico dovrebbe essere informato con esattezza de'gradi , che segna il tiberometro. Speriamo che questo nostro divisamènto voglia es- sere considerato: e che qualche valente idraulico ser- vendosi delle sperienze passate, ed istituendone delle nuove, voglia occuparsi di un lavoro che tanto in- teressa la pubblica salute. Un mezzo opportunissimo per porre in comu- nicazione i luoghi inondati con gli asciutti, oltre le barche e i carretti, sarebbe quello di costruire tanti ponti di comunicazione tra l'una parte e l'altra della medesima via, quanti da periti ingegneri si reputas- sero necessari e di quella forma e grandezza che si estimasse più adatta, per portare da diversi luoghi una persona nella parte più prossima asciutta. Que- sti ponti dovrebbero esser combinati in modo, che Inondazioni del Tevere 197 traversando case e vie potessero agevolmente gli abi- tatori e le cose loro essere trasportate in sicuro dal- la forza delle acque. E qui non saprenomo noi sta- bilire se la spesa di que'ponti si dovesse porre a carico de'proprietari delle case, ovvero che fabbri- cati dall'intraprendente, dovesse poi al medesimo pa- garsi un diritto di pedaggio, la cui tassa sempre modica potrebbe essere stabilita e regolata dal mu- nicipio romano. Ad ogni modo la cosa riuscirebbe certamente di massima utilità, e gli abitanti de'piani superiori non verrebbero isolati , né soffrirebbero danno alcuno, come sogliono, da quell'isolamento. Una delle cose, cui dovrebbe il governo avere a cuore, sarebbe quella utilissima di rialzare mano mano le sponde del Tevere, in ispecial modo entro la città: si perchè ivi pare certo essere il centro del- le piene, e sì ancora per ovviare ai certi danni che in ogni anno provengono dai piccoli straripamenti. E noi non sappiamo come si potesse fare da senno un progetto per un sobborgo sui prati di castello, e dirimpetto a Ripetta, ove le acque inondano faci- lissimamente. Stimiamo anzi necessario tanto per la salubrità dell'aria, quanto per non andar soggetti ai danni degli straripamenti del Tevere, di doversi at- tirare la popolazione ne'luoghi meno bassi della città. Ma prima di dar termine al mio lavoro mi fo ardito di rivolgere caldi voti al benemerito muni- cipio di Roma, si perchè fondato dalla sapienza di Pio, e sì perchè fortemente caldeggia quanto s'ap- partiene all'utile, al comodo e all'ornamento della veneranda metropoli,. Ed oh me felice! se per le mie parole sarà provveduto in qualche modo a'bi- 1 98 Scienze sogni del gran popolo di Roma che sempre ha dato prove delia più grande dignità. E però mi vivrò tran- quillissimo: essendoché fattosi da me quanto si appar- teneva ad un cittadino romano, sono slati riparati e tolti via quei danni, che V inondazioni del Tevere hanno quasi ogni anno arrecato. Ed è ben degna Róma di tanto provvedimento: poiché è centro della fede, monumento di antico e moderno incivilimento, sede di ogni bell'arte e fiaccola rischiaratrice della risorta Italia. Discorso agrario letto da A. Coppi nell'accademia tiberina il di 27 dicembre 1847. 1. JL/al 1842 lessi annualmente nell' accademia di- scorsi agrari premettendo il motto: Suadere quod oporteat multi laboris (1). In quest'anno opinai di potervi surrogare l'altro: Sentinam Urbis exhauriri et Italiae solitudinem frequentari posse arbitrabar (2). A ciò m'indussero alcuni miglioramenti agrari ope- rati da vari particolari e dal governo, e la fondata speranza di ulteriori. 2. Fra'difetti dell'agricoltura romana vi è il mo- do, col quale sono coltivate le vigne suburbane, che ascendono alla ragguardevole estensione di circa 6000 rubbia (ettari 11,000 o miglia quadrate 50). Im- perciocché soglionsi piantare 3400 viti a rubbio, ed a filari così stretti, che rendono impossibile qualun- (1) Tac. hist. 1. liJ. (2) Cic. ad .\tt. lib. 1. cp. 19. Discorso agrario 199 qiie altra produzione, tranne quella di pochi legumi. Sostengonsi le viti con fragili canne. I lavori si eseguiscono per la maggior parte con operai av- ventizi , provenienti dagli Abbruzzi e dalle Mar- che , e pagali a cos'i alta mercede , che la colti- vazione di un rubbio suol costare circa scudi 115 annuali. Quindi spesso, invece di lucro, si ha perdita. Il prelato Nicolai aveva scritto, e dimostrato coll'e- sempio, doversi piantare le viti alla distanza di 30 o 40 palmi l'una dall'altra, ed a filari talmente di- distanti, che negli intervalli si possa seminare come nei campi. Quindi soltanto 280 viti in ciascun rub- bioj e queste sostenute da oppi ed olmi. In tal guisa le spese di coltivazione si riducono a circa scudi 37, 50 a rubbio, ed il guadagno è certo (1). Gli scritti e l'esempio del Nicolai non produssero l'effetto de- siderato: e varie vigne annualmente si abbandonano, o si riducono a pascolo. Ora ho il bene di annun- ziare altro esempio recente ed augusto. Il s. Pa- dre nella sua prima dimora in Roma conobbe i mali della nostra agricoltura. Passato a Spoleto e poi ad Imola, leggeva quanto su di ciò si stampava per tentare di migliorarla. Salito al trono, non tardò a rivolgervi i suoi sguardi. Ulimamente poi acquistò una vigna fuori di porta Portese (detta di Casoni) della estensione di rubbia nove e quasi abbandona- ta. Il prezzo fu di scudi 4700. Ora si stanno ripa- rando ed ampliando le fabbriche per ridurle ad abi- tazioni di coloni ed ospizio agrario. Alcuni cittadini (1) Discorso sopra alcuni stabilimenti e tniglioratneiiti agrari dei 15 novembre 1841. 200 Scienze imolesi sono di yià pronti per piantarvi novella vi- gna a filari con oppi ed olmi ad uso di Romagna. I fanciulli, che vi saranno raccolti ed ammaestrati^ potranno col tempo divenire coltivatori fissi, e mi- gliori degli avventizi e dispendiosissimi. Auguriamo che anche in questo alto di una utilità cosi essen- ziale PIO IX abbia molti imitatori ! 3. Mi sia quindi lecito di riferire un atto , il quale, più che all'arte agraria, appartiene alla pa- storizia. Il principe Borghese, che suol dare grandiosi spettacoli autunnali nella sua villa Pinciana, in que- st'anno ideò di unire l'utile al dilettevole. Procurò pertanto (per mezzo dell'istituto d' incoraggiamento che accennerò inferiormente) una esposizione di tori e buoi. Fece quindi distribuire generosi premi per i migliori di essi, e nel tempo stesso per i più ve- loci cavalli. Difatti nel giorno dieci di ottobre fu dato il premio di una medaglia d'oro pel toro che pri- meggiò gli altri per proporzione e per bellezza di forme, non meno che per grandezza. Ed intanto il s. Padre , per favorire tale divisamento , essendosi degnato di consegnare al principe altra medaglia d'oro per aggiungersi alla stessa premiazione, anche questa fu assegnata per altro toro che aveva le stesse qua- lità. Seguirono nello stesso giorno corse di cavalli di campagna, e furono premiati i più veloci. Ai di- ciassette dello stesso mese si distribuirono premi per il bue che primeggiò gli altri in grossezza e gras- sezza, e per i più veloci cavalli di scuderia: e tutto ciò alla presenza di circa 50,000 spettatori accorsi al divertimento. I premi (oltre il pontificio) consi- stettero in quattro medaglie d'oro del valore di scudi cento per ciascuna; ed in otto di argento. Discorso agrario 201 h. Passando dalla villa ai campi del principe Borghese, accennerò che i miglioramenti nella tenu- ta di Torre Nuova procedono felicemente. Di 1122 gelsi piantati nell'anno precedente, nell'ultima estate non ne perirono che sette per cento. Gli altri creb- bero prosperosamete senza punto adacquarli. In que- st'anno poi ne piantò altri 1450. Intanto tra i filari dei gelsi seminò barbabietole e raccolse 6500 tu- beri del peso dalle libbre 8 alle 20 per ciascuno. Con queste nutrì abbondantemente nella sua villa subur- bana 24 vacche, le quali senza tale sussidio nella siccità dello scorso autunno sarebbero state prive di fresco alimento. 5. Accennai nell'anno precedente l'idea di un pontificio istituto agrario e d'incoraggiamento sotto la presidenza del card. Massimo (1). Negli statuti si determinò che fra' suoi scopi sia quello « di mi- « gliorare la coltivazione, specialmente dell'agro ro- « mano e delle limitrofe province. A questo fine « formare poderi a modello .... In questi ricevere, « educare ed istruire gli oziosi » (2). Se ne comu- nicò il progetto al card. Riario camerlengo, al card. Mezzofanti prefetto degli studi , ed al card. Gizzi segretario di stato: e tutti lo lodarono, facendo voti per la esecuzione. Il s. Padre nell'approvarlo si de- gnò dichiararsene protettore e primo socio, e com- mendonne « il pensiero avuto di tentare nuove vie « al miglioramento dell'agricoltura, specialmente nel- « l'agro romano, non senza esprimere la sua grande (1) Discorso agrario del 184G, § 25-28. (2) § 16. G.A.T.CXIV. 14 202 Scienze « lusinga che alla importanza dell'argomento corri- « spenderà lo sviluppo dell'opera.» 6. L'istituto fu stabilito ai 21 di marzo da 60 soci. Ora se ne annoverano 237, e tutti contribui- scono scudi cinque nell'ammissione e scudo uno per ciascun mese. Un giornale pubblica mensilmente il risultaraento delle sue operazioni (1) unitamente ad altre notizie agrarie ed economiche. 7. Prima che si fondasse l' istituto il principe Borghese si era mostrato disposto di affittare alla so- cietà agraria, che si era precedentemente ideata , i suoi beni che possiede nel territorio dell'antico No- mento per {stabilirvi una colonia. Le generose inten- zioni furono secondate. Ai 20 di marzo una com- missione presieduta dal principe Doria Pamphily si recò ad osservare quel territorio, ed A. Coppi com- pilò eziandio un'idea sul modo, col quale si sarebbe potuto stabilire la colonia. Nello stesso giorno, in cui fu fondato l'istituto, egli insistette sulla necessità delle colonie in genere e sulla opportunità della idea- ta in Nomento. I soci furono tutti d'accordo, doversi principalmente dirigere le oparazioni all'incoraggia- mento e miglioramento dell'agricoltura nelle campa- gne romane : ed il miglior modo esser quello di ristabilirvi colonie. Di fatti si nominò una commis- sione composta di cinque individui per riferire in qual luogo debbasi ristabilire una colonia, avendosi spe- cialmente in vista Nomento. Addi 1 1 di aprile la commissione riferì, che aveva incominciato i suoi la- ti) Notizie del giorno, Num. 1847, 11 e 12. Giornale dell'isti- Uilo, lascicolo 1. Discorso agrario 263 vorì: ma poi li aveva sospesi, perchè dall'esame dei documenti aveva osservato che il territorio nomea- tano era gravato della servitù di pascolo: il che im- pediva lo stabilimento di una colonia. Allora il con- siglio decise che la commissione si rivolgesse altrove, qualora in Nomento non si potesse ottenere lo scopo colla bramata celerità. A. Coppi, assente in quei giorni da Roma, propose col tempo un'idea sul modo di sciogliere le servitù in quel territorio; ma poi si conobbe e si determinò (ai 1 5 di ottobre) essere op- portuno di attendere su di ciò la promulgazione della legge, che si sperava vicina, sullo scioglimento dei diritti promiscui in tutto lo stato. 8. Mentre si cercava il sito per istabilire la co- lonia, sembrava opportuno di prepararvi i coloni. Quindi A. Coppi propose (ai 26 di marzo) di fondara in un edifizio conveniente un deposito agrario di fanciulli abbandonati. Si nominò per tale effetto una commissione: e se il deposito non è ancora fondato, si deve meramente attribuire alla difficoltà di trovare un adattato ricovero. Ora si ha fondata speranza di essersi trovato. 9. Intanto la commissione, incaricata di rinvenire un'altra tenuta da preferirsi a Mentana, adocchiò quel- la di s. Agata. Esiste questa sul monte Mario, dove l'aria è forse la meno malsana dell' agro romano. La distanza da Roma è soltanto di tre miglia. Ap- partiene al capitolo vaticano, ed ha la estensione di 185 rubbia (ett. 341 circa). Fattane relazione nel consiglio dei 25 aprile , molto si discusse in quel- l'adunanza e nelle seguenti sulla qualità del fondo, e sul modo di migliorarlo. Si fecero vari accessi al 204 Scienze monte Mario. In fine si stabilì (ai 13 di agosto) che « il fondo da scegliersi debba servire tanto a colo- « nia, quanto a podere modello. » Ai 22 poi dello stesso mese si determinò di procurare di avere, nel miglior modo possibile, la tenuta di s. Agata per ista- bilire una colonia ed un campo modello. Il prelato Rusconi, allora vice-maggiordomo ed ora chierico di camera e presidente delle armi , vice-presidente della sezione agraria dell'istituto, trattò 1' affare col capitolo vaticano e coli' affittuario del fondo. Qua- lunque sarà l'esito delle trattative, rimane sempre fissa la determinazione dell'istituto di stabilire una colo- nia ed un campo modello, e quivi avviare airagricol- tura fanciulli abbandonati. 10. Scrissi varie volte, essere ancora in alcune province dello stato pontifìcio diritti misti di semi- nare, di pascere e di legnare: e crescerf continua- mente il pubblico voto per il loro scioglimento (1). Questo fu finalmente esaudito, e gioverà raccontarne il modo, 11. La città di Viterbo ha un territorio eguale ad una piccola provincia, essendo della estensione di rubbia 20,000 (166 miglia quadrate). Di queste 12,000 sono soggette al pascolo pubblico, con danno gra- vissimo dell'agricoltura e della popolazione. Di fatti mentre questa con tanto territorio potrebbe essere almeno di 50,000 abitanti, appena ascende a 14,000. INel 1831 i viterbesi avanzarono una petizione a Gregorio XVI « per ottenere l'abolizione del pa- li) Discorso sulle servitù e sulla libera proprietà dei fondi inltalia^ $. 23-25. Discorso agrario del 1842, §. 20. Id. del 1846, §. 3-8. Discorso agrario 205 >> scolo girovago, o almeno la facoltà di compilare w un nuovo statuto agrario, per porre un argine » agli abusi di un sistema distruttivo che cagiona i> lo spopolamento delle campagne, il deterioramento » dell'aria e la miseria della popolazione. » Il sovra- no rispose ( agli 11 di agosto ) che « avrebbe ac- )t colto con animo il più propenso un progetto, onde M estirpare gli abusi che in genere di pascolo viziano » le proprietà delle terre viterbesi. » Sorsero allora molte questioni fra il comune (o piuttosto i possidenti dei fondi ) e i proprietari del bestiame uniti in una società denominata arte agraria. In fine nel 1843 si formò un progetto di transazione^ nel quale fra le al- tre cose si stabilì, potersi liberare i fondi dalla servitù del pascolo, mediante una competente corrisposta. Do- po varie altre dispute, Gregorio XVI ai 22 di aprile del 1 846 rimise quel progetto alla congregazione de- putata sopra i pascoli di Nepi. Nel dì 22 di giugno di quest'anno il prelato Milella, segretario della me- desima, propose il dubbio: <( Se conveniva approvare » il progetto presentato dall' arte agraria e comune » di Viterbo^ circa 1' aftVancazione della servitù del » pascolo in tutto il territorio: « e la congregazione rispose : Adfirmative iuxta votum R. P. D. Seeretarii. 12. Allo scioglimento dei vincoli sul territorio di Viterbo seguì quello sul territorio di Nepi. Questo nella estensione di rubbia 4349 ne aveva 2664 sog- gette al pascolo pubblico e spettanti a vari particolari. Molti di essi desideravano di redimere i loro fondi da tale servitù^ e ne sorsero acri questioni. Infine Grego- rio XVI nel 1840 istituì una congregazione di car- dinali per difìnirle. Le questioni si prolungarono; m^, 206 Scienze infine ai 16 di agosto di quest'anno, proposto il dub- bio « se e come possa accordarsi ai possidenti di Nepi » il permesso di restringere i loro fondi soggetti alla :> servitù del pascolo: » la congregazione, secondo il voto del prelato Milella suo segretario, rispose adfir- mative. 13. Lieti alcuni possidenti romani per la massima dello scioglimento dei diritti misti stabiliti dalla con- gregazione cardinalizia nella questione viterbese, nel mese di giugno esposero al s. padre che « vari loro » fondi esistenti in alcune province dello stato tro- » vansi soggetti alle servitù di pascere e di fidare , » per cui rimaneva impedita la migliore coltivazione » dei medesimi. Sull'esempio di tutte le nazioni, e de' » limitrofi stati italiani, sarebbe una provvida disposi- » zione quella di rendere scevre le proprietà dalle » suddette servitù con accordare adeguati compensi w alle comuni, in proporzione, e secondo la indole di » tali servitù. Avendo gli oratori avuta notizia che » fra le tante benefiche disposizioni avesse destinata » una commissione per istablire i mezzi di conci- » liare la questione di servitù di pascere e di fidare » tra le comuni di Nepi e di Viterbo con i possessori » di quelli territori, supplicavano volesse degnarsi » d'incaricare la commissione medesima di proporre » delle misure generali tendenti a rendere scevre tutte » le proprietà dalle servitù di pascere, di fidare e di » legnare, onde queste non fossero d' impedimento » alla libera e migliore coltivazione dei fondi. » La petizione fu sottoscritta da ventuno possidenti, e sono i seguenti : Discorso agrario 207 Altieri principe D. Clemente. Braschi duca D. Pio. Brazzà conte Ascanio. Buoncompagni D. Antonio, principe di Piombino, Capranica marchese Bartolomeo. Cini conte Filippo. Conti principe D. Cosimo. Corsini principe D. Tommaso. Costaguti marchese Vincenzo. Del Gallo marchese, Doria Pamphily principe D. Filippo. Feoli commendatore Agostino. Galli cavaliere Angelo. Massimo principe D. Camillo. Massimo D. Mario, duca di Rignano. Ordine (S. M.) gerosolimitano, e per esso bali Bor- gia ricevitore. Rospigliosi principe D. Giulio Cesare. Ruspoli principe D. Giovanni. Sacchetti marchese Girolamo. Santacroce D. Antonio, duca di Corchiano. Torlonia principe D. Alessandro. Il santo padre accolse benignamente l'istanza, ed ai 12 di luglio ordinò che la causa si trattasse presso la stessa ». congregazione stabilita per i pascoli di Nepi e di Viterbo. 14. La petizione sullo scioglimento dei diritti mi- sti di pascere fu quindi estesa a quelli di seminare e di legnare, e fu proposta ai 29 di novembre. Gio- verà riferire l'atto stesso della congregazione: « Oggi, giorno 29 novembre , ad un ora prima del mezzo 208 Scienze giorno, si è adunata la s. congiegazione nelle stanzie del signor cardinale decano composta degli eminen- tissimi Macchi, Vannicelli, Gazzoli, Serafini, Ugolini, Massimo, Marini, Antonelli , assistiti dal sottoscritto in qualità di segretario, per esaminare e discutere il progetto dallo stesso proposto per una legge per la cessazione dei diritti promiscui, e quindi esternare il loro opinamento da rassegnarsi alla santità di nostro signore, » Premesse le debite preci e fattasene dal segre- tario esatta relazione, si è passato alla discussione. » Separatamente furono discussi i dubbi , ed a ciascvmo fu risposto nel tenore seguente : » I. D. Se le servitù dei pascoli debbano abolirsi. » R. Adfirmative^ comprendendosi nelle dette ser- vitù ancor quelle di fidare. » II. D. Se dall'abolizione generale possa farsi qualche eccezione, e se i terreni comunitativi deb- bano considerarsi come quelli dei particolari. » R, Alla prima parte negative^ alla seconda ad' firmative. » III. D. Se nella legge aboliti va dei pascoli vi debba essere correspettività di condizioni, come a di- re se sia necessario di vestire i fondi liberati , re- stringerli e circondarli di siepi o di staccionata. » R. Non esser luogo ad alcuna obbligazione di coltura e di chiusura. » IV. D. Se nei luoghi, ove la servitù del pa- scolo si esercita per sola consuetudine, i proprietiri dei terreni possano obbligarsi a corrispondere un compenso al comune od al barone. Ed in caso affer- mativo, in quale misura debba fissarsi. Discorso agrario ^05 >» R. Adfìrmative^ et ad mentein. La mente è che debba farsi luogo per parte dei proprietari dei fondi alla prestazione del quanti interest a favore dei go- denti la servitù, qualunque ne sia l'origine, dedotto l'importare della dativa reale, che rimane consoli- data nei proprietari stessi : riservato sempre , a chi dimostrasse di subire la servitù per semplice con- suetudine, di prevalersi dei diritti provenienti dalle antiche leggi o statuti fin qui in vigore, sottoponen- dosi a tutte le condizioni, che quelle prescrivevano di restituzione a coltura. )) V. D. Se il compenso da darsi debba essere in canone fisso, ovvero nella cessione di una data parte di terreno. » R. La liquidazione del quanti interest dovrà es- ser fatta in un'annua prestazione pecuniaria ipotecata sul fondo liberato, salvo alle parti il convenire di- versamente colla cessione di una parte di terreno. Ogni proprietario poi sarà in facoltà di redimersi dal- la detta prestazione, sborsando il valore corrispon- dente a venti annualità, ossia a ragione del cento per cinque. » VL D. Se colla legge abolitiva del pubblico pascolo possano essere più in vigore i particolari sta- tuti, ed altre disposizioni emanate con diverse notifi- cazioni. » R. Negative in tutto ciò che si oppone alle pre- senti disposizioni: salvo il disposto della notificazione dell'eminentissimo camerlengo del 17 novembre 1823 sulle strade doganali. » VIL D. Se le servitù di seminare debbano ces- sare, e con quali condizioni. 210 Scienze » R. Non esser luogo per ora ad una massima generale, riservandosi la s. congregazione di ritor- nare in argomento dopo aver interpellati i presidi delle province colle rispettive congregazioni gover- native. » Vili. D. Se le servitù di legnare debbano pure cessare, e se siano sufficienti le disposizioni conte- nute nei due editti del 23 marzo 1789 del cardinale Ludovisi Buoncompagni, e del 27 novembre 1805 del cardinale Consalvi. » R. E stato risoluto come all'antecedente. » Tanto hanno creduto di risolvere i signori car- dinali unanimemente, e perciò si è steso il presente verbale. » Li 29 novembre 1847. » NlCCOLA MlLELLA » Segretario della s. congregazione ad referendum sui diritti promiscui. » Nell'udienza accordata al sottoscritto il giorno 4 dicembre 1847 sua santità si è degnata appro- vare l'opinamento della s. congregazione. » N. MiLELLA segretario. » 15. La congregazione dichiarò che per i pasco- li « la liquidazione sul quanti interest dovrà essere » fatta in un'annua prestazione pecuniaria, salvo alle « parti di convenire diversamente colla cessione di » una parte di terreno. » Sembra che ora sarebbero opportune istruzioni generali per fissare le basi e le norme, colle quali si deve calcolare tale importo. 16. Se poi in qualche luogo le parti convenis- sero che il compenso fosse in terreno, allora sembre- rebbe opportuno di prescrivere che il terreno non Discorso agrario 211 rimanesse a pascolo comune dei proprietari di be- stiame, ma si dividesse ai particolari col peso di un' annua e tenue prestazione, dando la preferenza agli attuali proprietari del bestiame. Imperciocché inte- ressa al pubblico bene che tutte le società e comu- nioni di pascolo siano disciolte, L' agricoltura deve sempre prevalere alla pastorizia. 17. Quanto alle servitù di seminare, la s. congre- gazione si riserbò di determinare « dopo di avere » interpellato i presidi delle province colle rispet- >) tive congregazioni governative. » Ed ottimo è tale divisamento, essendo diversi usi in vari paesi. In al- cuni i coltivatori seminano continuamente nello stes- so fondo con una determinata corrisposta: e questi essendo coloni perpetui, saranno certamente conser- vati. In altri paesi si suole determinare annualmente e con turno di terzeria o di quarteria in quarto , cioè una porzione del territorio, dove i contadini se- minano più o meno mediante una corrisposta. Si spe- ra che quest'uso angarico e di ostacolo al migliora- mento dei terreni sarà tolto di mezzo. In ogni caso sembrerebbe più opportuno, che il contadino avesse un piccolo fondo da coltivare continuamente , anzi che uno vasto da seminare ora in un luogo ed ora in un altro. 18. La congregazione riseibossi similmente d'in- terpellare i presidi delle province colle rispettive con- gregazioni governative prima di risolvere la questio- ne « se le servitù di legnare debbano cessare , e se » siano sufficienti le disposizioni contenute negli » editti del 1789 e 1805. » Quanto alla prima parte, si spera che la risposta sarà aftermativa, essendo gra- 212 Scienze vissirai e notissimi i danni recati ai boschi dalle ser- vitù. Circa il modo poi sembrerebbe opportuno di avere presenti le circostanze di ciascuna popolazione^ e provvedere in modo che secondo i bisogni abbia- no diritto alla legna morta, ai cespugli infruttiferi , ad una porzione di bosco o ad un compenso in da- naro. 19. Accennai in principio del discorso avere spe- ranza di ulteriori miglioramenti nell'agricoltura. L'u- tilità del ristabilimento della popolazione nelle cam- pagne romane è incontrastabile. La possibilità di ese- guirlo coi soli mezzi urbani, è indubitata (1). Abbia- mo in Roma una quantità di fanciulli indigenti ed abbandonati, che probabilmente converrà un giorno mantenere nelle galere. Ma abbiamo ora un consi- glio ed un senato per provvedere al bene speciale della città. Si potrà pertanto sperare che rivolga le sue cure a condurre e stabilire nelle campagne quella parte dei cittadini indigenti e pericolosi che a tal uopo è atta. E appunto in simile circostanza che Tullio scrisse, ed io rammento : Seiitinam urbis eX' hauriri et Ilaliae soliludinem frequentari posse arbi- trabav (2). (1) Discorso siiiragricoltura dell'agro romano letto nel 1827. Di- scorso agrario del 1846. (2) Ad Att. lib. 1 ep. 19 . 213 La menmoteenia e Nicolò Minala da Torino in Roma nel gennaio e febbraio 1 848. Dissertazione che leggeva alV arcadia in Roma nel giorno 9 di marzo \ 848 il professore Taddeo Consoni di Brescia patrizio sammarinese^ socio di molte ac- cademie d'Italia , di Francia e di Alemagna , membro delVistituto francese d'Affrica e dei coU' gressi scientifici nazionali e stranieri. Le vrai peut quelque fois ri'etre pas vraisemblable. Ozanam. s corgendo questa epigrafe di Ozanam allusiva alle sue ricreazioni fisiche e matematiche potrebbesi cre- dere da taluuo per avventura, che intendessi disser- tare intorno a quelle discipline che occulte, misti- che, otrascendenti s'appellano, come la cabalistica, l'alchimia, la negromanzia, 1' astrologia giudiziaria, la divinazione, la superstizione, la palingenesia, la fantasmagoria, il magnetismo animale, la ventri - locuzione, la così detta magìa qualunque, inventate dagli antichi sacerdoti egizi: colle quali arti trince- rati dietro la cortina di speciosi assurdi, di ambi- gue parole e di cifre arcane, imponevano all'imma- ginazione, tiranneggiando l'intelletto del volgo e spac- ciando maravigliosi enigmi: sulle quali materie ver- sano lo opere di Dècremps, di G. Sharps, di mada- ma Newton, di G. Gilles Nigandin, dei cavalieri Tourville e Marino, di M. del Rio, di Alberto Guyot ed altri prestigiatori classici e dilettanti di fisica spel- ^]U Scienze tacolosa, che sogliono anche fra noi far mostra del loro spirito e non conaune ingegno. Chi però ebbe ad ammirare in talune delle ca- pitali d'Italia, ove si produsse, Nicolò Minala pro' fessore di mnemotecnia^ sia nelle pubbliche, sia pri- vate accademie, e segnatamente in quessa dominante al teatro Metastasio, comprende in un subito che oltre una straordinaria valentìa in simili esercizi (giacché senza corrispondenti eseguisce i suoi spet- tacoli col sussidio di semplici macchine), intendesi far menzione della di lui mnemotecnia, che in ge- nerale chiamasi: mezzo di facilitare la memoria ; ma che, per volere in qualche modo più diffusamente in concreto spiegare questa idea, mi permetterò de- finirla: Quella facoltà intellettuale^ per cui mediante la derivazione ed associazione delle idee (od olmeno di uno di questi due principii) ad immagini cioè di cose sensibili e materiali figurate nel pensiero, è ca- pace di facilitare ed arrestare l'attenzione nostra so- pra quanto più c'interessa di ricordare. La mnemo- tecnia poi di molto non aumenta la memoria, ma procura piuttosto i mezzi più pronti e sicuri per mettere a profitto quella che ci diede la natura. Tal convinzione è fondata sopra fatti e risultati positivi anche da quanto in me sembra avvenire e verifi- carsi-, e parmi indubitato, che chi voglia richiamare le astrazioni, debba tradurle mediante delle immagini, le quali non ce le possiamo ben fissare, senza ren- dercele vive. L'uomo in realtà non resta vivamente colpito che per fatti ed immagini. È il sentimento, e non altrimenti, che mette fuoco alle idee e ci li- bera dall'aridità delle astrazioni. Parmi ancora che Mnemotecnia 215 la mnemotecnia \enga sussidiata da quella scienza che ideologia si chiama, perchè fondata precisamen- te sullo squittinio dei multiformi rapporti che hanno le nostre idee ed i segni che le valgono a destare. La potenza commemorativa infatti si considera sor- gente della imaginazione, in quel modo direbbesi, per esempio, che i tipi, ossiano le lettere, sono i se- gni visibili delle parole; e siccome le figure mate- riali di queste formano le copie ed i ritratti delle idee, perciò quanto più la figura è relativa alla cosa, più la fantasia prontamente la colpisce. Gli elementi ideologici del conte Destutt di Traci, già pari di Fran- cia, siccome il trattato del Gioia ed altri, ponno age- volare l'intelligenza in tal ramo di metafisica. Simil fenomeno avviene al mnemonico, laddove si avverta che se all' ideologo i segni figurativi sono espressi con immagini visibili: per cui l'occhio leggendoli, fa- cilmente può tramandarli alla potenza commemo- rativa : in questi la potenza commemorativa, ossia memoria, dev'essere più che doppia, intensa, tenace, e ragionante. Giacché oltre al dover trovare pronta- mente l'idea che corrisponde, e quella tale immagine sensibile e materiale fissata che si offre al senso in- tellettuale , come nell'ideologia, il mnemonico deve eseguire non solo l'operazione della lettura, come farebbe l'ideologo, considerando le figure che gli fanno sovvenire i significati, ma più deve nella pro- pria fantasia aver creato delle immagini tali, che siano atte non solo a rappresentarceli al momento, ma a ricordarceli anche dopo un apprezzabile lasso di tempo. La sua operazione dunque è più che d'ar- te^ nel saper trovare le sinonimie delle immagini e 216 Scienze ritenerle nella immaginazione senza figurarle all'oc- chio materiale, come avviene tutt'al più nell'ideolo- gia: e di scienza ancora nel saperle leggere ad oc- chi chiusi, ed attribuirgli il preciso valore, senza po- tere obliare 1' emblematica figura del tipo mentale primitivo, che ha servito di base, anzi di catena, ad infrenare la fuggevole memoria. CoU'espressione ge- nerica di Sinonimia delle imagini non intendo solo l'ideologia, benché in senso latissimo, ma quanto può dirsi fonico in sommo grado od ecografico; perciò le varie etimologie ed analogie, le rime, i metri coi loro logogrifi, sciarade ed altre mentali masche- rette e simboli, nonché una specie di analisi, apo- copi e semigrafie, a somiglianza di quanto altrove dettai parlando del modo, col quale si ponno scri- vere i suoni delle parole. I tipi poi, le carte stam- pate che si rivelano dalla comune degli uomini nel- la stessa guisa che le note di musica dai filarmo- nici: le figure d'animali e di altre cose materiali, co- me i rebus e quanto leggesi dall'ideologo nell'istru- zione elementare, non sono che operazioni quasi maccaniche, o tutt'al più d'artista liberale: ma il ta- lento del Minola, che sa aflferrare una serie d'imma- gini che colpiscono a cinquantine, a centinaia, cose diverse, comparandole alle altrettante suggerite e scritte a capriccio ed eventualità dello spettatore, sen- za connessione o metastasi in un subito: che sa ri- peterle con ordine progressivo in verso, e per salti a richiesta del pubblico^ e nel numero d'ordme rispet-» tivo, con alacrità si fatta, che « La pupilla è troppo lenta « E seguirle invano tenta: Mnemotec-M\ 217 questo assolulauiente cosliUiisce una serie eli razioci- ni di strano genere, se non misteriosi, almeno re- conditi SI fattamente, di cui appena è suscettibile, quel genio , ch'è capace di concepire i pensamen- ti più astratti. Le metafìsiche di liolce (I), di Ge- novesi , e più segnatamente di Condillac nel su- blime trattato intorno all'origine delle cognizioni umane, esaminando le idee tìno dalla loro formazio- ne, coU'avere sparsa nuova luce sull'arte dello scri- vere, sussidiarono l'ideologia a somiglianza dei ca- ratteri figurati della logica d' Aristoicle ridotta in figure dal Winkelmanu: e l'ideologia unita alla lo- gica che aiuta la natura nell'ordinare i materiali, nonché la stenografia (arte di scrivere con la cele- rità del parlare. Vedasi il mio sistema, Il edizione , Milano 1828 pei tipi Pirotta) perchè devesi scrivere nell'intelletto con tutta prestezza, ponno dirsi compre- se in quel che intendesi per nuiemotecnia, che dal- la greca etimologia potrebbe anche equivalere ad arte di saper teiìcre a memoria: ma che e più age- vole comprendersene l'importanza ed il significato, assistendo ai maravigliosi esperimenti del professore Alinola, che a meglio definirsi colla figura di ret- (1) E qui aflaUo ovvio, corno liuitore iiiteiula ili fare aslra- 2Ìone ila quanto può rilVrirsi ail ogni iJea ili malorialismo: giacché se qual naturalista rispetta le opinioni di chi '- gli ulìli o/pc» al vital uso esplora » qual teologo, invece di fomentarlo od accredi tarlo, esclude e condanna. Ciò pili evidentemeule risulta dal seguilo di questa stessa dissertazione, ove accenna ai frenologi, ed ove in modo esplicito dichiara^ che si può essere prodigiosi uiuemonici senz'avere, come lo comprova il Minola, un pretuberante ingenito sviluppo cerebrale a quella sede, nella quale si pretenderebbe dai craniologi dovesse esser collocata la facolt.'i della memoria. G.A.T.CXIV. i5 218 Scienze lorica che quasi chiamerei per anlonomasia steno- (jrafia ìnentale^ se mi si permettesse di prescindere che laddove la stenografia deve scrivere anche ma- leriahiiente, la mnemotecnia non fa che imprimere nell'animo le idee concepite col pensiero. Se oggidì il pubblico anche il meno illumi- nato non sapesse, che esistono esseri privilegiati, che pei loro studi e talenti riescono fenomeni non ordinari, il nostro Minola si giudicherebbe ecce- dere talvolta la sfera ed i limiti della natura, nel saper eseguire operazioni a mente che prima di ve- derle realizzate si serebbero giudicate incredibili. Siccome però dalla storia della filosofia apprendemmo, che Montesquieu ed altri celebrati psicologi apri- rono vasto campo all'umano intendimento, provando che la mancanza di memoria proviene dal non es- sere sempre sussidiata dall'intelletto, perciò c'inse- gnano di renderla intellettuale, sciogliendola possi- bilmente da ogni materialità Conoscendosi quindi per esempio, che colla storia si poteano avvicinare i tempi ed i fatti: colla nomenclatura si poteano as- sociare a idee famigliari le straniere idee, ed in ogni genere di studi, connettendo tutte le materie le une colle altre in modo che possono come tanti anelli in vma catena facilmente richiamarsi, perciò ne sce- marono le maraviglie. Infatti menti capaci delle più profonde astrazioni ogni età produsse ; ed anche la mnemotecnia, per la quale il sapiente ha per cosi dire intellettuizzato i mezzi fisici, di cui si serve, e sembra rimontare a quella di Metrodoro, anzi di Si- monide Geo nato nell'anno 480 avanti Gesù Cristo, poiché anche Quintiliano, venuto al mondo il 117 del- Mnemotecnia 219 Tera volgare, asserisce nelle sue istituzioni oratorie, che ne fu creduto fin d'allora l'inventore. Della mne- motecnia parlò Aiistotele , quindi s. Tommaso d'A- quino, e l'erudito Barone d'Arezzo, il gran segre- tario Bacone da Verniamo, e Leibinizio, il cui ma- noscritto pretendesi esistere nella biblioteca d'Anno- ver. I greci pure ne diedero dei saggi. Seneca, co- me notai a pagina 45 del qui sopra citalo mio si- stema stenografico, sembrando esigesse una memo- ria prodigiosa ed assegnando cinque e più mila se- gni ciascuno esprimente una idea, serviva di precur- sore a questa scienza in predicato. Di sì fatta disci- plina era d'altronde facile sentire il bisogno, conve- nendo gli antichi tanto greci quanto latini, che la me- moria meramente naturale, par se stessa facoltà trop- po labile ed incerta, non che sovente fallace, aveva bi- sogno di sussidiarsi ricorrendo alla derivazione e com- parazione, ossia associazione d'idee, con una specie di metodo che taluni erroneamente credono del tut- to artificiale , e che più può addirsi o confarsi al- le singole maniere di scorgere, ricevere e ritenere le impressioni. Sentito quindi il bisogno e nulla ri- putandosi pel sapiente d'impossibile, si verificò non solo questa possibilità, ma ben tosto se ne conobbe una qualche facilità eziandio, incominciando ad as- sociare le idee da quelle già in qualche modo as- sociate; e rilevossi, esser pure possibile d'estenderlo nelle cose, sulle quali lo stesso intelletto sembrava non potesse aver presa, perchè prive di senso, d'or- dine e connessione: come per esempio sulle cifre, sui nomi e frasi (molto più se in lingue straniere), sulle epoche, testi, fatti, sentenze e simili motti, co- 220 Scienze me in tatti avvenne. Memorie prodigiose conoscia- mo dalle storie , che eccitarono le più alte mara- viglie dei loro contemporanei e dei posteri , ap- punto perchè sussidiati dalla mnemotecnia. Peiciò (come scriveva nel più volte citato mio sistema di stenografia corredato di note criptografiche a pa- gine 27) « il carattere di novità nelle forme fisiono- » miche fece sì , che Cinea ambasciatore del re » Pirro presso i romani potesse ricordarsi i nomi » di tutti gli spettatori che lo circondavano, e che » il seguente giorno nominasse lutti i senatori ed i » plebei senza dimenticarne uno solo. All'analisi dei » tratti più notabili della fisonomia, Ciro al par di » Mitridate doveva la rimembranza di tutti i nomi » dei soldati che componevano il suo esercito; asso- » ciando idee alla varietà delle forme, Ortensio eh' » era presente un giorno a Roma ad un incanto pubv » blico, tenne a memoria il prezzo ed i nomi di tutti » gli eft'etti venduti, come pure quello dei compra- ») tori, ed il conto che ne rese si trovò esattamente » conforme a quello del banditore. » Il mio quadro artrologico, ovvero prospetto di scrittura amichevole fisionomico basato sulla stenografia, offerto alla ta- vola VI della citata mia opera, ha relazione ed affi- nità a quanto qui alludesi alla mnemotecnia. Norme di artificiali reminiscenze, simili a quelle dei qui mentovati personaggi, non esiterei d'asse- rire che si avessero inventato ed adottato ciascuno di loro, secondo il proprio miglior modo di vedere, sentire e ritenere: Temistocle, Dario, Cameade, Ge- nettio , Proclo , Serse ed Alessandro il macedone , Marco Amico Seneca, M. Porcio Catone, Scipione e Mnemotecnia 221 forse il gran Tullio, l'oracolo della romana eloquen- za, col suo liberto Tirone stenografo, nonché gl'im- peratori Adriano, Giuliano e Teodosio, essi pure di memoria tenace quanto questi altri sommi, che rammentavano a migliaia di vario genere le cose staccate fra loro e talvolta prive di senso, E per passare dalle epoche antiche alle men ri mote, oltre al pontefice Clemente VI, d'invitta potenza nel ri- cordare dotato soltanto dopo che gran colpo al capo ebbe a riportare, ed a tanti altri, che per schivare prolissità aggiungerei solo in appendice (1), basterà ricordare un Giovanni Pico della Mirandola nato nel 1463, e mancato (come suol avvenire dei geni che par isdegnino lungamente conversare coi terre- stri, perchè troppo sovente si sollevano alla regio- ne delle sfere) appena compito il sesto lustro di età: il quale infatti dopo aver esterrefatto il mondo coi suoi saggi di memoria, provò sempre più, che dal- l'invenzione di un buon metodo psicologico di mne- motecnia era suscettibile l'intelletto umano, e che avrebbe prodotto degli stupendi risultati, superan- do perfino la difficoltà di sus:4diare la memoria col- l'intelletto nelle cose ben anche, sulle quali lo stesso intelletto non si giudicherebbe poter campeggiare, come sulle cifre e figure eterogenee, su sterili no- mi e sconosciuti, e sulle parole prive di senso, non che sulla classificazione di cose, come dissi, fra esse disordinate. Persuasi gl'ideologi di queste verità, (1) Chi va{![hezita prendesse Ji vo|pr conoscere altri nomi o fal- li memorabili nells storia della mnemotecnia, scorra l'art ìpoIo di estesiologia del prof. Francesco Orioli inserito nel voi. IV della di Ini opera periodica Spighe e paglie. Edizione di Corfù 18'to. 222 Scienze moltiplicarono i loro sforzi: talché Berbrugger <* segnatamente l'irlandese padre Feinaigle, che fu il primo nel cader del passato secolo a dedicarsi con incessanti studi a quest'arte scienza, non ostante che prevalesse in molti il pregiudizio di non poterla sus- sidiar per essere un dono soprannaturale affatto sem- plice della divina provvidenza, cui nulla poteasi to- gliere né aumentare, dalle storiche cognizioni inferi- rono per positivo che tante prove di prodigiosa me- moria, esclusive in alcuni esseri privilegiati dalia na- tura, non potevano esser l'effetto puramente d'una facoltà per se stessa labile e fugace, siccome ella è, ma che al certo doveva trovare questa un incalco- labile sussidio nell'associazione delle idee, da leg- gersi con quegli occhi eruditi, a cui sembra abbia voluto fare allusione Cicerone, non che Beger, il quale parlando dei segni o lettere fissate nella men- te per ricordarsi qualche cosa, che come messa in- nanzi all'immaginazione o direi allo specchio dell'in- telletto, debba tramandarsi e riverberarsi alla po- tenza commemorativa, ci lasciò scritto: In Ime scri- ptura^ verae litlerae non iani loculenter conspici pos- sunt^ quin oculi mentis in sussidium sint vocandi. Non è poi agevole il distinguere quali degli antichi rino- mati per memoria usassero di un vero artifizio, piut- tostochè mnemonizzassero, essendo difficile perfino giudicarlo da taluni fra i viventi. A cagion d'esem- pio, due mostri di memoria, Tommaso Zuccari ed Enrico Puglievsi, entrambi siciliani, e specialmente il primo, fin da quando erano fanciulli scioglievano mentalmente dei problemi matematici ed eseguivano operazioni aritmetiche sorprendenti, senza essere nem- Mnemotecnia '223 meno il Zucari contabile ed anzi quasi illetterato, col solo associare le idee a cose materiali: e nel mentre che eseguiva i suoi calcoli, le mani per lo più ricer- cavano ed afferravano i bottoni del corpetto e del fraque, fissando or l'uno, or l'altro di questi, e ge- sticolando, come se avesse il granfo. Quei bottoni certo servivano di punti di richiamo alle sue idee: ma di qual metodo usasse non è agevole il deter- minarlo, essendogli del tutto particolare, e tale, per- cui venendo interpellato non sapea darne conto: al par di quelli che fìtte le luci al suolo ed alla volta della sala vanno inchiodando in mente i punti di richiamo, comparandoli ai fregi ed al numero de- gli spazi ed altro. Le sue mani certo non agivano automaticamente per semplice brio od effetto di astra- zioni, come osservasi in alcuni improvvisatori, che peraltro avrei incominciato a dubitare che talvolta fissassero punti di sentimenti nei brevi istanti di con- centramento che procedono i loro canti, allorché le mani portandosi alle ciocche dei capelli, ora ai mustacchi, alle labbra, alle basselte, al naso, all'api- ce inferiore degli orecchi, or fra le dita od anelli ed in altri punti del corpo e fin entio al mocci- chino con bizzarre ed eroiche abitudini, vanno ri- svegliando e fissando acconce idee ai loro temi. Se pertanto gli antichi ed i moderni ci avessero tra- mandato le loro norme positive che adottavano, po- trei forse distinguere chi abbia veramente mnemo- nizzato; ma non potendo desumerlo che dalle re- gole scritte dei pochi contemporanei (1), perciò di- fi) Se qui fosse mio scopo di promiscuamentfi far mcivione dei dotali (li prodigiosa memoria, come dei veri mnemonici. Ira le ma- 224 Scienze rei che in quanto al nostro Minola, senza che pre- senti gli occhi sporgenti, come sarebbe d'attendersi secondo i sistemi dei frenologi e craniologi Brous- sais, Combe, Spurzheim, Gali e Lavater il fisiono- mista, i quali attribuirebbero l'intensità della memo- ria come delle altre facoltà intellettuali e passioni all'ingenito sviluppo di certuni fra gli organi cere- braU (1) , senza ombra di stento , senz' ampollo- si periodi per esaltare il suo invidiato privilegio, raviglie del presente secolo notum lippis et tonsoribus sarebbe da par- lare diffusamente di sua eminenza il cardinal Giuseppe Mezzofanti, onore della sacra porpora, nome del quale altissima elevossi la fama perchè poliglotto il più grande che si conosca, e che sa parlare ben 34 lingue, olire a 12 e forse più dialetti. Il nome del cardinal Mez- zofanli qual poliglotta il più celebrato, potrebbe stare a quello di Cuvier , il più famoso de' zoologi naturalisti dei nostri tempi , il quale sapendo imitare il canto di tutti gli uccelli, parlando il loro linguaggio, potè essere chiamato il gran zoologo poliglotto dell età nostra; e siccome sono gli unici, ognuno nei propri linguaggi, per- ciò mi sono permesso farne cenno, almeno in via di preterizione, usan- do questo parallelo. (1) I frenologi o fautori comunque del materialisuio, che videro ed ammirarono il Minola, o che almeno qui rilevano non aver' egli traccia organica o sviluppo particolare di cervello alla sede della me moria, nel non ignorare la di lui singolare prerogativa, dovranno in conseguenza persuadersi che non a caso, ma per tutto suo merito e frutto dei suoi studi, possiede egli la rara prerogativa di mnemoniz- zare. In pari tempo potranno sempre più convincersi non che atte- stare, poter ciascuno abilitarsi con effetto nella mnemotecnia; giac- ché risulta (almeno nel Minola) esser questa un metodo, pel quale si accresce e rendesi tenacissima quella memoria, di cui ci fu la na- tura liberale, anzi che un privilegio esclusivo per coloro che sono dotati d'una particolare struttura od organizzazione cerebrale: dover- sene in conseguenza raccomandar la coltura, promettendo un effetto corrispondente alla scelta e bontà del metodo, all'intellettuale attitu- dine e capacità di ciascuno a tenore anche in questi studi dell'ini pegno nell'applicazione. Mnemotecnia 225 senza la serietà del gerofante, o l'arte misteriosa del conte di san Germano o di Caliostro, nuovo Anteo par che tocchi la terra e risorga più forte dopo gli sforzi della vivacissima sua fantasia, dopo spiegali i vanni ai voli dell'aquila coi suoi esperimenti pin- darici. Allora esterrefatto lo spettatore, sbarra gir occhi, suda, s'affanna e dubita che l'estro furor di- venti, talché porta al capo le mani, dubitando che non isvapori il cervello. Nel produr quest'effetto ne- pli spettatori egli non usa un artifìcio materiale, come alcuni opinano, ma adotta un metodo intel- lettuale. Contemplandolo con attenzione all'atto pra- tico, ne deduce che il risultalo delle parole, frasi e cose dipenda dalla perfetta e pronta conoscen- za dei rapporti, dalle analisi dei fatti, dall'associazio- ne o derivazione insomma delle idee : ciò che ap- punto lo chiamo metodo intelleltuale, piuttostochè artifìcio. Con tali sussidi quanto la memoria sem- plice acquisti ed aumenti d intensità e prontezza, operando colla celerità del lampo, ben può ognuno di leggieri immaginare: giacché anche questa fa- coltà, rinvigorita da nobili esercizi, rendesi più effi- cace, e come ognun comprende agevola i nostri elet- ti studi : e puossi a tutta ragione paragonarla ad un campo che più si fertilizza in ragione che vie- ne coltivato: non altrimenti che il miope, il quale ebbe dalla natura una corta vista e confusa, col soccorso delle lenti ottiene di correggere il difetto e migliorarla, distinguendo con chiarezza ed ingran- dendo gli oggetti che colla vista naturale non potea distinguere che in confuso. Così appunto anche la mnemotecnia essendo un metodo, perciò quanto più 226 Scienze si esperimenta, altrettanto si rendono tenaci, si ac-* celerano, si moltiplicano e si assicurano le di lei operazioni. Il padre Feinaigle adunque incominciava a diramare i suoi studi ed additava delle tracce per sussidiare e corroborare la memoria anche intorno allo studio delle cifre, significando queste da oggetti conosciuti e ad esse somiglianti. Se non che le sue HDrme, sembrando troppo metafisiche e di non facile percezione, per la difiicoltà delle combinazioni pas- sarono in dimenticanza. Nel suo trattato poi di mne- motecnia somministra il mezzo di potersi appropria- re le formole dell'algebra, che sono ingegnosissime, ma poco soddisfacenti: perchè la traduzione di una delle sue parole mnemoniche può troppo sovente corrispondere a più formole. Simili fonti o risorse mnemoniche di Feinaigle furono però adottate da taluni de'suoi successori, i quali applicarono inoltre ai loro metodi quanto ha rapporto all'istorie e cro- nologie, alla mitologia, alle arti e scienze, come la chimica, la botanica, la medicina, la giurisprudenza, la strategia, la geografia, la tecnologia, le arti li- berali, le nomenclature eroiche, le epoche, i numeri ed altro: ma sembra che tutte non abbiano finora esaurite le fonti, alle quali si potrebbero pure at- tingere grandi risorse. II disegno, per esempio, la musica, la poesia, le figure, i colori, le analogie, le consonanze, le lingue, le similitudini, i quadri, i punti locali, ed in parte le stesse comparazioni, le giudico senz'altro esitare punti di richiamo o ri- cordo opportunissimi e non ancor rilevati, essendo d'altronde fecondissimo d'idee, anzi inesaurabile l'orizzonte che s'aggira a noi dinanzi spettacolo al- Mnemotecnia 227 l'universo: e tutto ci può servire d'applicazioni mne- moniche. Ogni cosa insomma, ogni circostanza, che ci può fermare l'attenzione e render facile il sov- venire cose passate, può esser punto d'appoggio a richiami mnemonici, servendo sempre più di base nella nomenclatura all'ordinamento delle idee. Da ciò ne consegue , doverne il mnemonico aver il maggior numero possibile, non solo per valersene nella ritentiva di maggior numero di capitoli , no- mi, idee, frasi ed altro, ma eziandio per potere, va- riandoli a proposito, evitare ogni possibile confusio- ne e giovar tanto alla duiata che alla prontezza di essa. Amato Paris somministra un nuovo metodo mnemotecnico: ma talvolta non migliore di quello del P. Feinaigle, dovendo ricorrere a delle formole mnemoniche estremamente lunghe per mnemonlz- zare delle formole matematiche estremamente corte. E più facile, non v'è dubbio, l'appropriarsi una fra- se che presenti un senso tutto razionale, piuttostochè un seguito di quantità astratte che nulla presentano allo spirito: è più semplice imparare una pagina, che cinquanta cifre coi mezzi naturali; ma sarà indubita- tamente più facile d'appropriarsi cinquanta cifre che un volume intero. Con tutto ciò questo scrittore istruisce, agevola, semplifica e rende applicabile il me- todo a quasi tutti i generi di somiglianti studi che più affaticano la memoria. Nel nostro secolo, era di generale progresso, non solo materiale, ma intellettuale ancora, siccome sem- bra non siavi cosa che si lasci intentata, né miglio- ramenti di che può essere suscettibile; perciò vari sapienti sempre più ci provarono coi fatti gl'incal- 228 Scienze colabili sussidi che ponno arrecare alla memoria i metodi di mnemotecnia, che ordinano cioè nella mente colla derivazione ed associazione di analoghe idee a ciascun intelletto più omogenee e relative le cose lette, sentite ed immaginate, che altrimenti si dimen- ticherebbero in tutto od in parte. Egli è perciò che in varie parti d'Europa si distinsero ingegni preclari, fra i quali De Aquila e Peignol colle sue Ricreazioni filosofiche; il testé citato Amato Paris colla sua opera intitolata: Esposizione e pratica dei processi mnemonici pubblicata nel 1825, che ci somministra il modo anche di poterli ritenere; De Castilho dott. Giuseppe Feliciano ed Alessandro Magno ufficiale della marina portoghese col loro: Tra- tte de mnemotecnic^ Bordeaux 1835; il conte Mahilat col libro intitolato: Arte per sussidiare la memoria^ Vienna 1840: che servì di traccia ad altri alemanni, segnatamente prussiani, i quali trovarono il suo me- todo semplice ed ingegnoso, servendosi giudiziosa- mente del Gazofìlacio di Schenkel completato da Mar- tino Sommer e riprodotto da Kluber col titolo di Compendium de la mnemoniqiie ou de Vari de la me- moire^ du commencemcnt de XII siede par L. Sche- nkel et M. Sommer^ traduit du latin avec una prefacc et des observations par le dott. Kluber. Erlangue 1840. Maurizio Silvin di Chambery coll'opuscolo : Alcune applicazioni., Napoli 1843 , che sembrano in buona parte una traduzione del metodo De Castilho per essere lor seguace : ma in ogni modo egli è pratico assai valente , e provollo anche nella nostra acca- demia tiberina in Roma noi prossimo scorso bien- nio. Se fra i lecenti dobbiamo encomiare altamente Mnemotecnia 229 un Garelli di Genova a Firenze, il quale prenden- do bensì norma dai migliori mnemonici , arrivò forse a gettare le basi ad un sistema che potrebbe chiamarsi tutto proprio originario italiano , parlan- do degli italiani che trattarono almen teoricamente o per erudizione questo argomento e divennero au- tori , non passerò sotto silenzio Giulio Cammillo citato da Lodovico Muratori (Della forza della fan- tasia cap. 4.), il quale ci attesta professasse questa disciplina e l'insegnasse: né tacerò il nome del chia- rissimo professore Francesco Orioli , giudice anche in tal materia assai competente, come dimostrollo il suo articolo di estesiologìa inserito nel volume IV della di lui opera periodica Spighe e paglie , edi- zione di Corfù 1845 (che qui m'onora fra questa orrevolissima e fiorita assemblea d'uditori), mio col- lega a vari congressi scientifici e sempre dei prin- cipali ornamenti: e neppure passerò sotto silenzio il professor D. Paolo Barola pro-custode generale di questa nostra arcadia, qui presente e non solo altro fra' testimoni oculari della valantia del Minola, ma versato ed esperto nella mnemotecnia, per cui la sola di lui ampia dichiarazione , resa solenne anche in questa adunanza, rende maggiore il qualsiasi presente encomio. A questi tutti infatti sempre più parmi sovrasti il nostro Minola e come teorico ed autore per ad- ditare d'aver allargata la sfera dell' orizzonte mne- monico, e come pratico ovunque sorprendente, col- l'eseguire operazioni molteplici ad un tempo e com- plicate ch'eccedono l'aspettazione, che sorprendono, che incantano, quantunque non reputi peianco op- 230 Scienze portuno ne parlare dei suoi estesi quadri storici., ossia Esposizione dei fatti principali della storia universale^ eh' egli tiene sempre appuntino innanzi agli occhi della mente con quella stessa fedeltà, con cui noi possiamo appena leggerli tenendo il suo libro innanzi a quel'i del nostro capo. Neppure pel momento m'oc- cuperò delle sue Lezioni di mnemoteenia omai stam- pate, giacché la presente digressione si protrarrebbe di soverchio (1), specialmante per molti di voi, va- lorosi colleghi, che aveste la soddisfazione d'ammirare la vivacità del suo spirito, l'energia della sua vo- lontà, la forza della sua fantasia, assistendo ai di lui maravigliosi esperimenti, costantemente eseguiti con tutto garbo, dignità ed esattezza. Per le quali cose tutte frattanto mi permetterò di concludere, che se la possibilità della mnemo- teenia non è più problematica; se la sua utilità è cosa incontrastabile; se il Minola non solo è prati- (I) Perchè alcuno non m'accusi di soverchio corrivo in favore del alinola, esageratore o visionario, nello scopo anche di dare una qualche prova della bontà del suo metodo su quello degli altri, mi farò carico almeno di rimarcare, che laddove gli autori sopra citati per punto di ricordo adottano i sostantivi e gli addiettivi, il Minola inoltre fa uso o vi sostituisce le vocali, che pel loro ordine indicano le cinque prime centinaia, cioè J primo centinaio, J? secondo, e così di seguito al 300: numero d'ordinario sufficiente per più che ardue prove, ma che sa protrarlo alle migliaia mediante gli zeri anche nella mente. In alcun sistema mnemonico, non conoscendo finora l'applica- zione delle vocali, sarei d'opinione ch'egli potesse dii-si anche perciò avere spiegalo valentia maggiore d'ogni altro virtuoso nella sua pro- fessione, senza impugnare la possibilità, che altri possa slanciarsi più oltre mettendo a contribuzione altre fonti di ricordi, ossia punti mnemonici non esauriti finora od additali, come testé accennai, pro- ponendo il disegno, la musica, i colori, la poesia, le attitudini ed altro. Mnemotecnià 231 co lodevolissimo, come ognun di noi è pronto a te- stimoniarlo, chiarissimi e valorosissimi accademici colleglli; s'egli continua ad estendere il dominio della scienza e procura di popolarizzarla colle sue norme, senza disapprovare qualunque altro metodo parti- colare , che ognuno potrebbe formarsi, come già dissi, trattando la questione seriamente, dobbiamo convenire in rendergli non comune encomio; ed in quanto a me ritengo fermamente, che sortendo dalla spirituale nostra penisola per recarsi nelle Gallie, fra i britanni od in ogni parte d'Alemagna, regioni più volte da me percorse ed ove verificai che non man- cano generosi, ospitali e sublimi intelletti e mece- nati, ovunque troverà palme ed allori da mietei e, e seguirallo il plauso il più prolungato (1). La febbre non è una malattia^ ed errarono i pato^ logi che la riposero nella nosologia. u\. essenzialità dei fenomeni , che noi veggiamo continuamente riprodursi nel vasto teatro della na- tura, fugge all'analisi ed alle ricerche dei più pro- fondi filosofi. Le scienze non si abbellirono, ma si de- (1) Fu dolente il consesso arcadico, che il Wiiioia non si trovas- se in Roma ed assistesse alla sessione del 9 marzo 1848. Allorché l'au- tore di questa qual siasi disserta/.ionc venne richiesto del suo enco- miato, ed invitato di presentarlo all'adunanza, era troppo tardi; ed il Minola non potè che fargli pervenire, con parole degne di lui, il pro- prio rincrescimento per non aver potuto approfittare di così bella occasione per somministrare qualunque schiarimento a richiesta de- gli intelligenti anche con prove dell'ammirabile suo talento. 232 Scienze lurparono: e si conobbe la pochezza della mente umana, allorché gli uomini tentarono di squarciare il misterioso velo, che tutte avvolge ed in sacro ed inacessibile luogo asconde le cause prime di quei fenomeni, che in ogni istante colpiscono la nostra ammirazione. Il fisiologo, che si studiava di sottopor- re all'analisi dei propri sensi il principio vitale, o che si perdeva nella combinazione degli atomi per invenirlo, non faceva cosa grata all'umanità, né uti- le alla scienza; estendeva e moltiplicava le conghiet- ture e le ipotesi, creava casi immaginari, e dettava leggi a quella natura, che non esisteva. I misteri della natura tenevano occupate le menti le più fervide, e gli ingegni i più sublimi nei tempi antichi incep- pavano allora e ritardavano i progressi di tutte le scienze. La filosofia di Bacone e di altri illumina- rono i popoli: essi conobbero il vortice, ove erano entrati, e coraggiosi ne sortirono. Osservarono la na- tura, ne studiarono gli effetti, riunirono i fenomeni sotto il rapporto dell'analogia e delle somiglianze ; ne dedussero principii induttivi, e stabilirono le basi d\ma nuova filosofia. Lo studio degli effetti se fino da' tempi a noi più remoti costituiva 1' occupazione prediletta, sarebbe esaurito, e le scienze toccherebbe- ro l'apice della umana perfezione. 2. É un effetto il contrarsi della fibra musco- lare, e l'intorpidirsi del tessuto cellulare sotto l'azio- ne dello stimolo; e del pari è un effetto il rilasciar- si della prima, ed il contrarsi dell'altro , terminata che sia l'azione dello stimolo. L'atto attivo e pas- sivo della vita, che dimostrava Hebenstreit, e svilup- parono lo Sprengel ed il Puccinotti, sono i primi Sulla febbre 233 ed i più semplici fenomeni della vita La macchina animale è in una continua azione e reazione: e quan- do gli stimoli sono in corrispondenza dell'eccitabilità o stato organico dei tessuti, allora ne scaturiscono gli atti vitali, e la vitalità, o attitudine a vivere, è posta in azione. Se rimane rotta la corrispondenza tra la potenza organica e l'azione dello stimolo, al- lora cambia la risultante, e l'uomo è sottoposto ad una causa, che tende ad ordire un processo mor- boso. Il potere del solido vivo fa resistenza alla cau- sa occasionale: così la macchina animale mantiene una temperatura sua propria, e non riscalda e non raflfredda con la medesima proporzione , che cam- bia la temperatura dell'aria : ecco che resiste allo stimolo del calorico, ed all'azione del freddo. Or- dito il processo morboso, le cause, che lo hanno gè nerato, agiscono onde mantenerlo: e gli stimoli, che mettono in azione la vitalità, dirigono le forze orga- niche contro la condizione morbosa, ed il processo morboso li fa resistenza: e nell'uomo malato si svol- ge un'azione ed una reazione, che non esistono nel- l'uomo sano. 3. L'azione e la reazione determinano il disturbo dinamico più o meno intenso: per cui alcune ma- lattie furono impropriamente dette universali; impe- rocché tutte indistintamente riconoscono una condi- zione locale determinata, o occulta ed indeterminata. Dimostrata l'insussistenza delle proprietà vitali da per se stesse esistenti, la medicina organica escludeva dalla nosologia le malattie vitali, e stabiliva come assioma: » Non potere esistere neW economia animale vivente » che organi e funzioni: le funzioni noìì esser altro^ G.A.T.CXIV. 16 234 Scienze » che organi in azione: tutto ciò che ìwn è organo^ » principio d'organo^ effetti di organo^ non é nulla per I» il medico. )> Le peculiari funzioni, che vanno svi- luppandosi nei diversi organi della macchina anima- te, sono disordinate, o perchè in essi s'ordiscono dei processi morbosi; o perchè un'alterazione organica qualunque disturba la corrispondenza fisiologica, che tutte riunisce e collega le singole parti , che com- pongono la macchina animale. La prima maniera d'alterarsi delle funzioni costituisce la serie dei se- gni locali o diretti; e l'altra la somma dei sintomi di reazione, generali, o simpatici. I primi determi- nano la sede, l'intensità, e la natura del processo morboso; gli altri stabiliscono le influenze ed i rap- porti, che le lesioni organiche hanno con i grandi sistemi che governano l'economia animale. Sconcer- tata in questa maniera la somma delle funzioni del- l'economia animale, torna talora difficile di stabilire la sede e la natura del processo morboso ; impe- rocché i sintomi di reazione sono cosi intensi, che confondono e rendono insensibili i segni diretti; co- me il più delle volte si osserva negli individui ner- vosi e soverchiamente sensibili. Il potere dei sin- tomi di reazione è nel suo massimo, allorché l'inten- sità della forza del processo morboso è in rapporto con le potenze organiche, che tendono a debellarlo. Nel principio e nel termine delle malattie il disor- dine dinamico è di poco valore: perchè terminan- do la malattia con esito felice, le potenze organiche non trovano resistenza; e quando l'ammalato perisce, il processo morboso opera senza incontrare grandi ostacoli. E dai pratici si osservarono alcune malat- Sulle febbri 235 lie incominciare colla febbre, ed altre senza: e la maggior parte degli infermi morire senza f 'bbre. E noi riteniamo altro non essere la febbre, la quale si svolge sotto mille forme, e che dai clinici non è stata definita e ne rettamente descritta , che la ri- sultante, o l'espressione, la quale si manifesta in se- guito della lotta, che si compie nella macchina ani- male dai processi morbosi contro le potenze organi- che , e dalle potenze organiche contro i processi morbosi. Questo ci proponiamo di dimostrare. 4. Per istabilire l'esistenza d'una malattia il pato- logo prima d'ogni altro porta l'analisi nelle cause occas'onali, ne stabilisce la forma e la cura, e quindi si studia di determinare la causa prossima. Se la for- ma si collega costantemente ad un processo mor- boso generato e sostenuto dalle medesime cause , e che risolve con la medesima cura, allora rettamente si stabilisce l'esistenza d'una malattia. Quando il di- sordine delle funzioni si collega a più lesioni orga- niche , allora non si tratta d' una forma morbosa , ma semplicemente di sintomi, che esaminati separa- tamente non esprimono cosa alcuna: come il vomito, la diarrea, la difficile respirazione, la tosse, lo sputo cruento. 5. Le cause occasionali, vedute dai pratici, vale- voli a sviluppare la febbre, sono talmente disparate e differenti, che temo impossibile d'unirle e colle- garle insieme. « Uarum aulem aliae ab aniino: cosi » si esprime Borsieri: aliae a prava eorporum consti' » tutione proficiscuntw'^ aliae extrinsecus^ aliae in- ») trinsecus adveniunt febrinique movere possunt. » Dal Borsieri e da altri si riportano tra le cause oc- 236 Scienze casionali della febbre i gravi patemi d'animo, l'ira, la costernazione, la tristezza, l'amore, l'incontinenza, le sostanze acri e putride, il sonno e la veglia sover- chiamente protratte, i travagli violenti, l'azione dei cocenti raggi del sole, l'aria umida, le lesioni or- ganiche, i veleni, il miasma ed il contagio. 6. I patologi per istabilire 1' essenza e la na- tura della febbre invano riproducevano il calore pre- ternaturale di Galeno, la celerilà dei passi, la fer- mentazione del sangue del Villis. I seguaci di Lo- renzo Bellini non erano più fortunati dei galenici , allorché riponevano l'essenza e la natura della feb- bre in un vizio del sangue. « Febris est vitium san- » guiniSj aut in motu^ aut in qualitate^ nut in ho- » rum aliquibus. » Baeravio non spiega né la na- tura, né l'essenza della febbre con la veloce con- trazione del cuore , e 1' accresciuta resistenza dei vasi capillari. La medesima sorte incontrarono il Tote ed il Cullen; il primo ammettendola in un'irri- tazione del sensorio comune, e l'altro nell'atonia del sistema nervoso. Il Borsieri, dimostrata l'insufììcienza delle ipotesi poste in campo per ispiegare la natura e l'essenza della febbre, così si esprime: « Osten- » dere enim fidt animus nullam eonslitui causam » proximam posse, quae omnibus simul febribus^ quot n quot sunt^ eum genere^ tum symptomalum multi- >: plicium ratione divcr sissimis revera esset^ nec ut » puto inanis^ et causa labor existit. -'«* 7. Non attenevano il desiderato intento il Sa- uvages, il Selle, ed il Vagel , e con essi molti al- tri, che SI studiavano di dare una descrizione breve e concisa, che tenesse il luogo della definizione. La Sulle febbri 237 febbre assallsce gli individui di qualunque sesso, età, temperamento, ed abito di corpo. E dai naturalisti si osservava la febbre svolgersi nella maggior parte degli animali. Quelle cose, che sono giovevoli per alcuni febbricitanti, ad altri apportano danno, ed è impossibile di stabilire una medicatura per tutte le febbri. 8. I patologi, per quanto si studiassero in meta- fisiche sottigliezze, non potettero stabilire la diver- sità, che passa fra la febbre essenziale e la sintomati- ca; questione una volta posta in campo, per istabili- re il vomito essenziale e sintomatico. Alcuni ritene- vano essere febbre essenziale quella, che non si col- lega con i processi morbosi determinati ; e ripone- vano l'essenzialità della malattia nella natura occul- ta e recondita della causa prossima; in questo mo- do ragionando, il tetano, la corea, l'epilessia, la ca- talessi saranno febbri essenziali. Ma queste malattie hanno una forma costante e determinata: per cui fu- rono dette malattie di condizione occulta ed inde- terminata; e la febbre ci si appalesa sotto mille for- me, di modo che non è stata definita, e né dai me- dici rettamente descritta. Gli antichi, e gran parte dei moderni, ignari delle leggi fisiologiche e pato- logiche caddero in errore, allorché riposero nella no- sologia la risultante dell'azione e della reazione, che si svolge in tutte le malattie. 8. La risultante dell'azione dei processi mor- bosi nelle potenze organiche, e della reazione delle potenze organiche nei processi morbosi, cambia nel mutarsi la natura e l'intensità delle lesioni organi- che^ gli organi malati, e la resistenza vitale: così 238 Scienze il disordine dinamico dell'encefalite è dififerente da quello che si determina nell'enterite; ed i sintomi di reazione delle sifilide da quelli della scrofola e della rachitide. Nei vizi congeniti o mostruosità non vi è azione e reazione, e sussistono fino a tanto che dura la vita. Nelle leggiere lesioni organiche, e nell'eri- tema è insensibile la reazione; ma se sviluppala re- sipola, o il flemmone , si accrescono allora l'azione e la reazione, e i sintomi locali, quelli di reazione, generali, o simpatici, e questi insieme riuniti, costi- tuiscono lo stato febbrile. I medici osservarono ne- gli individui deboli, che la resistenza vitale è di poco valore, come ne'cachetici, negli scrofolosi, e ne- gli scorbutici svolgersi leggieri febbri; e negli atleti, che sono gli uomini i più vigorosi e robusti, svi- lupparsi gagliarde febbri, che risolvevano in poche ore. 10. Quando le cause morbose generano leg- gieri lesioni organiche, come nella febbre efimera, rimossa la causa occasionale il disturbo dinamico istantaneamente dileguasi. Tolto il calcalo dalla ve- scica, i vermi dagli intestini, il laccio che stringe un arto, i dolori e gli spasmi istantaneamente cessano, e l'ingorgo vascolare dileguasi. Questi fatti non pro- vano, che le cause occasionali abbiano generati di- sturbi dinamici, senza prima generare una lesione organica qualunque; come apertamente lo dimostra il laccio, che stringe un arto, che arresta il circolo del sangue, perchè ha ristretta la periferia dei vasi comprimendoli. Le lesioni organiche, quantunque leggerissime, sussistono fino a tanto che non sono rimosse le cause occasionali; e questa è la ragione Sulle febbri 239 per cui alcuni patologi ripongono la condizione mor- bosa degli sconcerti dinamici nelle cause occasiona- li; le quali rimarrebbero indifferenti senza agire, se fossero inerti, e non operassero dei cambiamenti ne- gli organi destinati a compiere le funzioni, che so- no disordinate. » 11. La febbre essenziale è per noi un parados- so inconcepibile. Gli antichi, ignari dell'anatomia pa- tologica e della chimica organica , poco studiarono le cause prossime, e si fermarono all'esame scrupo- loso delle forme morbose. E siccome in tutte le ma- lattie ha luogo un'azione ed una reazione, così ten- tarono invano di ristabilire una malattia, che disse- ro talora essere sintomatica. E quando osservavano la risultante dell'azione, che i processi morbosi eser- citavano nelle potenze organiche , e della reazione che le potenze organiche facevano contro i proces- si morbosi in individui, che non potevano stabilire la condizione morbosa, .si contentavano allora di chia- mar la febbre essenziale. 12. Da quello che abbiamo partitamente espo- sto chiaramente rilevasi per quali ragioni i medici antichi, e gran parte dei moderni, tentarono invano di definire e rettamente descrivere la febbre. Es- sendo la risultante , che si svolge dalla lotta che le potenze organiche fanno contro i processi mor- bosi, e questi contro le potenze organiche, chiaro apparisce, che le cause che la sostengono, e lo scon- certo dinamico debbono cambiare all'infinito. <( Sunt » autem tam multa , dice Borsieri , tamque varia » morhorum genera^ quihus nomen febris indiium est^ » et causanim et syntomatum tam magna diver- 240 Scienze )' silas., ut eam recte definire se posse desperaverìnt » sapientissimi expertissimique medicorum. » 13, I medici conoscevano 1' insufilcenza delle proprie e delle altrui definizioni, e dell'ipotesi che mettevano in campo, per istabilire la condizione mor- bosa della febbre; ma non si avvedevano, che vo- levano riportare nella nosologia un ente astratto e metafisico. Si potrebbe ritenere, la reazione, o la re^ sislenza vitale, che tende a risolvere i processi mor- bosi per la causa prossima della guarigione , e le medicine altro non essere, che le cause remote, le quali sostengono la resistenza vitale. I pratici una- nimemente asserirono , che i sussidi dell' igiene e della terapia animano la forza med icatrice della na- tura: e quando non è posta in azione, i sussidi deU l'arte salutare sono impotenti. L' essenza della rea- zione è riposta nell'intima struttura, o mistione or- ganica : e quella dell'azione nell'orditura e confor- mazione preternaturale dell'organo malato. L' azione e la reazione esistono ovunque incontrano forze eterogenee; e la risultante, cioè gli effetti, cambiano pU'in finito nel mutarsi le forze poste in contrasto , gli organi malati, e nel cambiarsi il numero e l'or- dine delle cause che sostengono le forze, che ten- dono reciprocamente a distruggersi. 14. In seguito degli stupendi lavori dei zelanti cultori dell'anatomia patologica e della chimica or- ganica, fu conosciuta l' insufficienza dell' ipotesi dei medici antichi; i quali ritenevauo, che oltre la metà degli uomini fossero uccisi dalla febbre. Fu dichia-» rata ancora insufficiente e puerile l'ipotesi di Gor- lero e di Sydenhamio, il primo riportando un ter^ SCLLE FEBBRI 241 zo, e l'altro due terzi delle malattie, alle quali sia- mo esposti, alla classe delle febbri; imperocché l'espe- rienza dimostra, che in tutte le malattie si svolgo- no costantemente l'azione e la reazione e la risul- tante, cioè sintomi di reazione, generali o simpatici, sensibili o impercettibili ai nostri sensi. E l'intensità della reazione non accresce, e né diminuisce i perico- li: ma è il termometro , che stabilisce i gradi della forza del processo morboso, e delle potenze organiche che tendono a debellarlo. I pratici erroneamente pro- cedono, quando si studiano di diminuire direttamen- te la reazione: in questo modo operando distruggono la vitalità. Essi dirigano i sussidi dell' arte salutare contro i processi morbosi, ed allora indirettamente diminuiscono la reazione. Quando le forze organi- che languiscono, i clinici danno il tonico nevro-ste- nico per animare le potenze organiche, e renderle superiori al processo morboso. E male procedono se indeboliscono la resistenza vitale per diminuire la reazione: in questo modo operando cooperano in favore del processo morboso, e contro la forza me- dicatrice della natura. Gli antichi spesso ripetevano: » Quos enim morbos medicamenia non sanante inter- n cium curai febris. » Ippocrate, Galeno, Cornelio Celso, e molti altri, non solo desideravano che so- pravvenisse la febbre, ma si studiavano eziandio di chiamarla in alcune malattie. Borsieri osservava, spesso risolvere la febbre l'appoplesia, la paralisi, 1' epiles- sia, le convulsioni, l'artritide, e l'abitruzioni. Gli an- tichi rettamente operavano se suscitavano la reazio- ne, animando le forze organiche; ma se per 1' idea preconcepita, che la febbre « quippe impuri, crudiy 242 Scienze » superflui aut stagnantes humores subiyuntur^ at- )> tenuantur^ coguntur.^ moventur^ excernentur (1): po- nevano in campo la febbre con eccitare ed irritare il processo morboso, essi operavano contro tutte le viste della natura*, ed esacerbavano e rendevjino sem- pre più pericoloso ed ostinato il morbo. Dottore Vincenzo Catalani. (I) V. Borsieri. 243 E.'MTTm^ikTURA Degli studi del sacerdote d. Luigi Gramantieri di Bagnacavallo^ professore emerito di etica nella pontificia università di Bologna. Discorso letto nella sala del municipio dal professore Domenico Vaccolini il 19 ottobre 1845 in occasione de'pre- mi distribuiti ai giovani del ginnasio comunale in Bagnacavallo. AL CHIARISSIMO CAV. SALVATORE BETTI professore e segretario dell'insigne e pontificia accademia di s. Luca iVbbiatevi il regalo di capo d' anno in questo di- scorso , che dono alle stampe col vostro nome. E tutto nel dire degli studi di un degno mio concit- tadino ed amico: ed è fatto per incorare i giovani di queste scuole alla fatica e all' onore degli studi. Gradite il buon volere, ed abbiatevi in pregio per- ciò questo pegno della nostra antica e sempre nuo- va amicizia. E, ciò che più preme, conservatevi alle lettere ed alle arti, di cui siete il sostegno e il decoro. Di Bagnacavallo il 31 dicembre 1847. Tutto vostro Domenico Vaccolini 244 Letteratura \^uando Sociale , quel gran filosofo , dall' invidia nemica fu tratto dinanzi ai giudici, interrogato qual sorte si meritasse, rispose: Il massimo degli onori è di essere a spese pubbliche mantenuto nel Pritaneo! L'areopago lui dannò invece a bere la cicuta ; ma che? non appena ei fu morto, gli ateniesi pentiti in- nalzarono a quel sapiente una statua nella città. La benché tarda ricompensa invogliò altri allo studio della morale filosofìa : così la Grecia ebbe il vanto di maestra delle nazioni; che l'onore alimenta le arti, e l'aura de' premi destando più forte gli spiriti ne addoppia quasi le forze a pubblica utilità. Ciò bene intesero i maggiori nostri, che un ginnasio qui po- sero ed una biblioteca , e di favori li accrebbero, e vollero solenne il giorno, in cui donare ogni anno ai giovani queste corone. Onorando sì bellamente gl'ingegni, videro essi i padri nostri dal breve cer- chio di queste mura uscire uomini assai chiari per tutta Italia ed oltre, quali nelle scienze, quali nelle lettere e nelle arti: vedemmo noi stessi tale d'infula ornato (1), e tale di porpora (2); tale nella curia risplendere, tale ne'licei. Ben lo sanno singolarmente r eterna Roma, e le dottissime Padova e Bologna : lo sa la chimica di nuovo lume ornata pel Melandri: lo sa la fisica illustrata pel Longanesi: lo sa la giu- risprudenza chiarita pel Taglioni: lo sa la metafisi- ca instaurata pel Gramantieri. Taccio della pubblica economia accresciuta pel Valeriani, che volle pure (i) Mons. Folicaidì vescovo di Faenza. (2; L'eminentis&ìmo Orioli. Elogio del Gramantieri 245 esser nostro per lunga consuetadine e per beneficii; taccio altre glorie antiche e nuove; oggi un cenno autorevole mi chiama a dire degli studi felici di un benemerito, che dianzi ci fu rapito per sempre. E il dirne non sarà vano a questi eletti giovani per accenderli ognora più nel desio della sapienza : la quale si ricusa agl'ignari, ma si abbraccia benevola ai valorosi. Per amore appunto di questi cari fi- gliuoli, e per onore della patria e degli studi, io pre- go e spero, che siano accolte novellamente dai savi e cortesi le mie parole , che brevi e vere saranno , saranno volonterose ! Non fu inglorioso a Socrate in Atene 1' esser nato di povero scultore e di umile levatrice; perchè studiando e insegnando filosofia sollevò se stesso ed i suoi, e crebbe decoro alla patria nobilissima. Cosi non saravvi in questa luce de'buoni studi chi stimi indegno a don Luigi Gramantieri , del quale oggi con desiderio ci rammentiamo, l'esser nato il 14 di- cembre 1780 di umili genitori, Bernardo bagnaca- vallese e Caterina Cavina forlivese : i quali aman- dolo di molto amore , come unico frutto di giuste nozze, ad altro più non mirarono, che ad arricchirlo di virtù e di dottrina, beni non perituri e più pre- gevoli di ogni tesoro. Con questo intendimento fatti più assidui nella fatica e nel risparmio, onde le pic- cole cose diventano grandi, provvidero più che abba- stanza al necessario sostentamento: e lieti posero il benamato figliuolo alle pubbliche scuole , dove la puerizia di lui fu assai lodata. Veduto lo avreste tutto intento alla voce de'precettori, e non curante di vani diletti, farsi specchio agli eguali sì negli studi 246 Letteratura e sì ne'costumi. Non era più innanzi della gramma- tica, quando primamente alla chiesa si dedicò. Per la rettorica ebbe guide sicure il Zannoni e il Guer- rini : e presto parve maturo alla razionale filosofia. N'ebbe maestro Giuseppe Maria Santolini gerolimi- no, che qui una eletta di giovani traevasi intorno colla facile dottrina, e allo studio più e più gl'in- fiammava. Ma il Gramantieri, acuto ingegno, conob- be non potersi passare molto avanti nello scibile sen- za le matematiche, nate fatte per quadrare la mente ed acuire l'intelletto; tanto che Platone voleva pre- metterle, e Pittagora accompagnarle all'universa filo- sofia. E fu gran ventura, che il ben disposto giova- ne trovasse qui stesso in Antonio Stoppi de'conven- tuali un altro amorevole, che lo guidò almeno alle soglie dell'algebra e della geometria, nel mentre che introduce vaio ai misteri della teologia, e provvede- valo altresì dei sussidi delle lingue greca e france- se: sussidi non solo opportuni , ma necessari a chi elevandosi nel mondo delle idee vuole avere in pronto ogni maniera di segni per riconoscerle e farle altrui vive e presenti. Così senza uscire dal nido il Gra- mantieri trovò quasi le ali per volare a più difticile sapienza, e potè seguire agevolmente quel degno no- stro professore Longanesi, che qui nel cuore della beata Romagna seco traevasi frequente gioventù ge- nerosa pei larghi campi della fisica col lume innanzi delle matematiche; lume sì necessario a schiarire le tenebre della profonda natura. E se dritto si guardi, dove nel mondo sensibile ci volgeremo, che non vi abbia numero ed estensione ? e quindi bisogno di computi e di misure? E tanto più a questo tempo, Elogio del Gramantieri 247 in cui ordine ed esattezza si vuole più che mai nelle scienze e nelle arti, e in lutto ciò che si attiene al- l'industria ed al commercio ed alla crescente civiltà. Fu glorioso a Platone e a Senofonte tra'greci avere udita la sapienza di Socrate; tanto felice nel- l'insegnare, da esser detto la levatrice degl'ingegni: fu lode a Socrate avere avuto discepoli come Pla- tone e Senofonte, de'quali il nome ed il senno ri- splende ne'secoli. E a' nostri giorni altresì non fu meno glorioso al Gramantieri avere avuto a maestro il Longanesi; di quello che a quest' ultimo avere avuto a discepolo il Gramantieri. Che dico a disce- polo? anzi ad amico dolcissimo; che tale per comu- nanza di studi gli addivenne. Lo spesso trovarsi in- sieme tra i libri, il ragionare in casa e fuori di cose scientifiche, era all'uno scuola continua, ricrea- mento all'altro, pascolo ed entrambi di schietta ami- cizia. Chi legge i dialoghi di Tullio e di Galileo può farsi ragione dei discorsi, che si passavano tra que'due savi.^ ai quali era bello conglungere lo stu- dio della natura con quello della morale dietro le tracce gloriose del Newtono. Ma il Gramantieri già si era dato più stretta- mente alla chiesa: ed una pia (1), veggendo lui così degno sì per costumi e sì per sapere, provveder volle, che un largo patrimonio non gli mancasse. Così egli, seguendo sua vocazione, potè salire al sa- cerdozio; se non che per toccare la meta desiderata superar doveva nella dotta Faenza difficili esperimenti dinanzi al capo vigilantissimo della diocesi: e tan- (1) Signora Lucia Montanari prò zia ilei chiarissimo prof. Montanari. 248 Letteratura te volte li superò con tal successo, che trasse a se lode e ammirazione dai savi, che ebbero a giudi- carlo. Servendo poi agli altari, slimò degnissimo for- nirsi di lumi maggiori nelle scienze eziandio natu- rali e civili, che riguardò come raggi di quel gran sole, che tutto abbraccia e rischiara e ravviva l'uni- verso. I nemici della religione santissima, ei mi di- ceva sovente, si fanno forte colle armi tolte ai fi- losofi: ora come potranno i ministri di lei combat- tere la nuova guerra, senza conoscerne gli strumenti e le arti? Ed aggiungeva: Ne'tempi, che noi diciamo barbari, i cherici erano quasi i soli scienziati, e per essi venimmo a civiltà- ora nell'auge degli studi, onde ogni civile incremento, perchè non saranno i cherici ugual- mente primi al trionfo, se primi già furono nei ci- menti colla barbarie? E quando nella società tutto è vita e pensiero, mancheranno eglino a se ed agli altri? Ciò a molti ripeteva frequentemente: e col suo esem- pio i coetanei e i novelli alla fatica degli studi ec- citava. Così meritò di essere prescelto a educare no- bili giovani della città, che egli e noi vedemmo salire a tanta altezza d'onore non senza pubblica utilità (1). In questo mezzo provvidenza di principe, usa cercare le gemme più ascose per porle in luce, sol- levò non chiedente Stefano Longanesi, quanto più modesto tanto più meritevole, alla cattedra di fisi- (1) I signori conti Folicaldi, de'quali l'uno siede nella cattedra faentina, l'altro teneva il gonfalonierato ed era presente al discorso in lode del prof. Gramantieri; anzi lo commise egli stesso all'ora- tore: il terzo, maggiore di età, fu più volte gonfaloniere, e procurò alla patria titolo di città. Elogio del Gràmantieri 249 ca generale nella dotta Bologna {an. 1808) : ed a riempiere il vuoto, che nel ginnasio qui rimaneva, il magistrato vigilantissimo chiamò tra noi a biblio- tecario e professore di fìsica non chiedente il Grà- mantieri, per verità tanto degno qui di succedere a tale maestro, quanto lo era colà il Longanesi di succedere al Canterzani di chiaro nome fra gl'italici. Come rispondesse il Longanesi all'aspeltativa del principe, lo sanno tutti quelli che pregiano l'onore degli studi e la gloria d'Italia: come rispondesse il Gràmantieri alle speranze del magistrato, non è di noi chi noi sappia^A commendarlo ricorderò de'suoi allievi in fìsica e matematica un Giuseppe Doma, la cui immagine accogliemmo ad onore in questa se- de del municipio: ed un Antonio Giuliani, svegliato ingegno, che scelto fra molti ad operazioni geode- tiche nelle campagne di Roma, ahi ci fu tolto nel fiore delle più belle speranze! Dolci memorie e do- lorose ad un tempo : poi che ci richiamano il de- siderio di due vite sì care, spente quasi sull'alba di chiaro giorno ! Ahi misero mondo! dunque non ci tocca che piangere sui degni estinti? Dunque avrò io sempre fra gli altri a lamentare pubblicamente la perdita ora di dolce maestro, ora di fidato colle- ga, ora di leale amico, e così spesso di onorati con- cittadini? e questo è vivere ? Ma che ? di que'savi ed illustri abbiasi pure la morte il nudo frale: che monta? l'uomo, tutto non muore; vive eterno lo spi- rito, vive il nome e l'esempio. E fino dalle tombe chiara sorge una voce, che grida: « Correte, o gio- vani valorosi, le vie della sapienza, se la patria vi è cara e se vi è caro 1' onore ! nulla vi arresti o G.A.T.CXIV. 17 250 Letteratura travii! L'ozio è vile e fugace; la gloria degli studi chiara ed eterna! » Questa voce possente va per le vie, empie le piazze e le case, empie i licei: que- sta risuoni perpetuamente nel vostro petto, o gio- vani, e vi ridesti dall' ignavia e dal sonno come i trofei di Milziade ridestarono in Atene Temisto- cle. Così la vittoria di Maratona partorì quella di Salamina: indi la Persia risorta o mal doma fu vin- ta novellamente a Platea, e la Grecia fu grande fin- ché ebbe udita la voce de' trapassati: voce, che da' sepolcri uscita, anch'essa intorno spandevasi, e for- te e gloriosa scoteva il petto de' generosi nel mi- glior tempo , più che poi quella del non creduto Demostene ! Ma seguitiamo del Gramantieri, il quale tra noi non solo presiedette alla biblioteca, ma al gin- nasio altresì: ed ebbe meco più tardi (an. 1818) a proporre un nuovo ordinamento per le nostre scuo- le, il maggior bene delle quali egli stimava me- ritamente bene grandissimo della città. E dalla fa- ma gridato sapiente, fu chiesto (1820) a professa- re filosofia nel collegio de'nobili di Ravenna, poi fi- sica nel collegio Trisi di Lugo. Indi yenne a Bolo- gna, a quell'emporio della sapienza: e dato buon saggio di se, fu eletto a supplire per più a quat- tro cattedre filosofiche, e meritò ed ebbe laurea, e diede lezioni quando di logica e metafìsica, quando di geometria, quando di fisica, e da ultimo di eti- ca; tolta la quale dalle università con nuovo con- siglio (1833) per confinarla ne'ginnasi, ed abban- donarla a privato insegnamento, restò almeno al Gramantieri facoltà d'istruire la gioventù: restogli Elogio del Grai^antieri 25 Ì quiete onorata eoa tenue pensione, che gli durò per tutta la vita. Cercò migliorare la sua sorte; ma i tempi si opponevano, ed eragli fatta colpa di avere condisceso ai giovani desiderosi di ordinamenti mi- gliori. Non per questo ei si rimase dal coltivare gli studi; potè più agevolmente cercare da ogni parte, in Roma altresì, buoni libri in ogni maniera di sci- bile, e visitare varie città e dotti uomini, dei quali ebbe non pochi amici del cuore, e li ricordò nelle tavole di sua ultima volontà. Una tisi ribelle ad ogni umano argomento lo consunse, senza che egli mettesse lagno: morì nel bacio di tutta pace la do^ menica qui consecrata alle glorie del santo, di cui portava il nome, e fu a'22 di giugno 1845 sulle ore nove, non compiuto l'anno suo sessantacinquesimo. Con sereno animo in sugli estremi ragionava della immortalità dell'anima, come si dice di Socrate; ma più fortunato d'assai in confronto di quel savio an- tico; perocché nell'ora funesta, che il mondo ci ab- bandona, egli trovò i conforti della religione san- tissima, che apre il cielo agli umani rigenerati. Un suo e mio amorevole (1) donollo di epigrafe, quan- do noi tutti del ginnasio accompagnammo in pianto il suo feretro all'insigne collegiata: ivi l'antistite no- stro (2) esequiò l'anima desiderata fra i sagrifizi in- cruenti a Dio propiziatore: ivi, siccome ordinò, egli ebbe tomba: ivi aspetta ima lapide, che lo ricordi, siccome volle, ai buoni che pregano: egli 1' aspet- ta, e l'avrà dalla gratitudine; perocché dispose di sue sostanze per instituire una nuova mansioneria appunto nella collegiata ! (1) 11 prof, di eloquenza don Giuseppe della Casa. (2) Monsignor arcipielo D. Giuseppe Massaroli. 252 Letteratura Ora si chiederà, quali cose edite di lui ci ri»- mangono a monumento di dottrina. Due belle epigrafi ci abbiamo di latino dettato in morte di quel suo e mio maestro Stefano Longanesi; belle, dico, non tanto per mio giudizio e vostro, o signori ; ma per sen- tenza di quel sicuro giudizio del professor Pompilio Pozzetti, che avendole vedute me ne scriveva (an. 1811) da Bologna le maraviglie. Ci abbiamo ancora del Gramantieri la prima parte di un' accurata tra- duzione con note degli elementi di geometria di Emmanuele de Veley, il quale bene usando del me- todo analitico conduce gli allievi quasi col filo d'A- rianna nel laberinto della scienza. Sono già incise le tavole di tutta l'opera, la quale è per metà in istam- pa. A darne fuori il rimanente mancarono al Gra- mantieri i mezzi, non il volere. Oh tornino i mece- nati, e avremo l'età dell'oro! Ne venga più lo stra- niero ad insultare a questa madre degl'ingegni t'Ita- lia, ch'ella si giaccia sugli antichi allori in ozio vile e codardo! Era già in pronto di mano del Graman- tieri la seconda parte di quegli elementi; per tacere di molti scritti attinenti a scienze esatte, a filosofìa e filologia, oltre i suoi studi di lingua tedesca, del- la quale da ultimo si piaceva. Né usciremo in la- menti, perchè poco egli ci desse; pensando a So- crate, il quale tanto insegnò colia voce, e nulla la- sciò nelle carte. Ciò che sappiamo delle dottrine so- cratiche lo avemmo singolarmente da Platone e da Senofonte, benemeriti sì del maestro e sì della po- sterità: e noi molto più confidiamo, che alcun be- nevolo al Gramantieri ne darà fuori qualche reliquia del suo sapere. Quanto al compimento della geo- Elogio del Gramantieri '253 metria veleiana io posso anzi prometterlo; tale me ne assicura! E qui non par mi da trapassare , che il corso di filosofia razionale del Gramantieri (per non so quali vicende de'nostri giovani smarritosi, e non ancora ricuperato) fu nelle mani di molti suoi uditori in Ravenna, e di vari dotti in Bologna: e valse a lui sempre più la stima universale. Egli po- neva, parmi, co'soprannaturalisti, che senza segni non si possa avere idee; onde l'anteriorità delle pa- lmole, e del linguaggio in generale, sopra il pensiero. Fuggendo egli d'altronde l'estremo dì un cieco sen- sismo e quello opposto di un puro idealismo, volava coll'arte di Dedalo, causando l'audacia e i pericoli del giovane Icaro: di cui l'esempio pur troppo rin- novasi nell'avvicendare de'sistemi! Ma lasciar debbo a chi più seppe de'segreti del Gramantieri di rive- larne tutto l'animo. Quanto alle forme del corpo, voi, o signori, ben sapreste dipingerlo: e ninno vorrebbe apporre alle non belle sembianze, se già non volesse ridire su quelle di Socrate: il quale compensò di gran lunga la bruttezza della persona coU'ingegno bellissimo. E bello si fu l'ingegno del Gramantieri: noi ne toc- cammo abbastanza in questo solenne giorno, nel qua- le tutti ci consoliamo sperando, che di questa gio- ventù generosa sorga più d'uno a riparare la per- dita di lui, e le altre ancora che afflissero la pa- tria noi-tra, già tanto ricca di chiari ingegni. A ciò vi chiamano, eletti giovani, le voci dei direttori, le istituzioni de'maestri, gli esempi dei tra- passati: a ciò v'invitano e vi stimolano questi premi medesimi solennemente a voi dispensati. Sia che vi 254 Letteratura piaccia darvi con più desio agli studi della mente, sia che i pili preferiate le opere dell'industria e del commercio, sia che amiate la chiara luce del secolo od il modesto ritiro: a tutti e sempre è bisogno es- ser buoni e sapienti, e tanto più per salire ad ec- cellenza di grado e di fortuna: a tutti è d'uopo guardare non pure a ciò che ne sta sugli occhi ed intorno, ma a più lontani confini, e all'avvenire: non alla vita, che passa qual lampo, ma alla im- mortalità. Perchè sudar vi conviene per l'erta, che conduce a cima gloriosa: per appressarvi alla quale, amati giovani, ne il lungo faticare v'incresca, ne falsi difetti vi seducano, ne vi sgomenti l'invidia sempre avversa agl'ingegni, né il plauso adulatore v'in- vanisca: uomini siate d'intelletto e di cuore! Ma voi, o padri, o educatori, pensate, che tale i figliuoli ver- ranno quali vorrete che siano. Il vaso ritiene a lun- go l'odore infusovi dapprima. E voi, inclito magi- strato, deh non cessate (così la patria da tante per- dite afflitta vi prega e vi scongiura, e molto in voi si confida) deh non cessate l'antico esempio di pro- teggere potentemente gli studiosi e gli studi! Sen- za raggio di sole, ella dice, non si fecondano campi; senza favore di chi regge, non fioriscono ingegni. In eccellenza di ordine amico alle lettere ed alle scienze, amico alle arti e al commercio, la città sa- rà lieta e onorata mai sempre: che Dio ottimo mas- simo la ci conceda! 255 I Discorso di Basilio Puoli per le rime di Giuseppina Guacci-Nobile. n un tempo, quando raro si vede venire il luce e prose e versi che veramente meritino questo no- me, mi rendo certo che un libro di elette poesie do- vrà tornare assai grato a tutti i gentili spiriti d'Ita- lia. Il qual libro non ha mestieri di esser Ietto, per procacciarsi favore: che il nome della valorosa don- na, che il compose, a tutti a già noto, e da tutti è riverito e pregiato. E giuste e meritate sono le lo- di, che a lei dettero, e danno tuttodì, i più dotti italiani, e quanti sono tra noi che hanno in pregio gli ornati costumi, il valore, e la modestia. Dappoi- ché, se quando era grande in Italia il numero de- gli uomini chiari e famosi nelle arti e nelle lettere, sommamente erano ammirate una Veronica Gam- bara, una Vittoria Colonna, una Laura Battiferri ed altre non poche ancora; oggi, che tanto sono dati all'ozio ed infemminiti gli uomini, quanto non è più da onorare e da ammirare una donna ornata di vi- ril senno e di forti studi? Ed oh fosse, non dirò da molte, ma da alcune almeno di quelle, che abbon- dano di agi e di ricchezze, seguito il suo nobile esem- plo! che non si vedrebbe, con iscapito del decoro delle famiglie, le donne oggi tutto spendere il lor tempo in ricercare addobbi e fogge nuove di or- narsi, ed in correr per le strade, ed in vegghiar tut- ta notte stupidamente ne'teatri e ne'cerchi. Ne rare certo sarebbero tra noi quelle, che, se si lavoras- 256 Letteratura sero l'ingegno, che abbondante e fino lor concede la natura, procacciar si potrebbero fama di valoro^ se, se non aggiungere l'altezza, a cui pervenne que- sta "valorosissima. I^a quale non pur vince o va a paro con le più chiare dell'età nostra, ma pochi tra i più leggiadri ed eleganti poeti d'oggidì possono con lei venire in paragone. Perocché (e sia lontana dalle parole l'invidia) tra'nobili ingegni, che ora fio- riscono in Italia, ci ha alcuno che nell'altezza e no- biltà de'concetti agguagliar può la nostra Giusep- pina; alcun altro a lei non è disuguale per l'ele- ganza e la leggiadria dello stile; altri molto è da pregiare per saper rivestire di vaghissimi versi la pietà e l'amore; ma, o ch'io m'inganno, o sol po- chi hanno, come lei, tanta ricchezza di pensieri, tan- ta soavità e tanta bellezza di verso. Né ingiusto o passionato parrà il mio giudizio a chi solo leggerà la nobilissima canzone al Ferretti, quella alle donne italiane e la bellissima del Colombo. Ed in queste, ed in tutte le altre sue poesie, l'altezza e la nobiltà risplende del suo ingegno, e chiaramente si vede con quali e quanti studi essa mai sempre si sforzò di lavorarselo: dissimile ancora in questo da quella vii turba di molesti verseggiatori, che oggi assordano ritalia. I quali se scemano alcun che di numero , mai cessare al tutto ^non potranno, se non sarà dato prima miglior ordine alle scuole di belle lettere. Perocché in esse dura e si mantiene anco saldo l'er- rore di credere che tutti gl'italiani nascan col lau- ro in fronte e la lira in mano: e che non di pro- sa, ma sol di poesie, tra noi si ha mestieri. Io non dirò già che la poetica vena siasi spenta al tutta Discorso di B. Puoti 257 in Italia^ come da alcuno si tiene^ ma dirò solo che sempre a pochi la natura concedette il singoiar dono di una mirabil forza di fantasia, che può tutto tra- mutare in idoli ed immagini, e rivestire di vaghe e leggiadre forme il bene ed il vero, e destar negli altrui animi quegli affetti, da'quali essa non finge di essere, ma è veramente mossa ed agitata. Né temerò pure di aggiungere che il secolo , in cui fiorirono il Monti, il Montrone, il Leopardi, niu- no non dirà che non sia secolo di poesia. E se que- sti fatti bastar non potessero, basterà certo il buon discorso della ragione. Dappoiché se la drammati- ca, e più ancora l'epica poesia, richiedono alcune proprie condizioni di tempi, cos'i non avviene della hrica. Perocché questa di niente altro non ha me- stieri se non del poeta; il quale ancora che viva in un secolo tutto inteso a'corporali diletti ed al gua- dagno, pure quando l'amore, o altro effetto, accen- de in lui la scintilla che muove e dà le ali alla fan- tasia, non può rimanersi dal poetare, e comporre in- ni, odi, canzoni. Non pertanto i guasti ed infemmi- niti costumi, se spegner non possono la poetica ve- na, possono al certo far che le arti e le lettere sieno poco pregiate ed accette: e che i nobili spiriti, che in esse chiari son divenuti, oscuri viver si debbano e nascosti. Né ci sarà chi questo nieghi , se oltre a molte altre cose, che è bello tacere, ben si con- sideri che in alcuna delle città d'Italia neppur l'om- bra oggi non si vede di quei crocchi e di quelle veglie, ch'eran la delizia delle nobili donne e degli uomini egregi del decimosesto secolo, e che dagli scrittori di quella età sono sì maravigliosamente de- 258 Letteratura scritte. E s' egli è vero che da queste descrizioni non si può inferire che i costumi di quel tempo fos- sero più puri e severi di quelh de' nostri giorni, e che ci è forza di confessare, clie libere troppo erano quelle brigate; confessar si dee parimente che colte esse erano e gentili, e della poesia e delle arti ami- che e fautrici. Ma ora chi oserebbe a quelle di quei tempi le nostre veglie ragguagliare , che neppure il lor vero ed antico nome mantengono, e sono si- gnificate con un sì orrido vocabolo, che , non che l'animo, ma la mano rifugge dallo scriverlo? Laonde queste sì misere condizioni di tempi non possono al certo esser favorevoli alla poesia , né ad alcun' altra delle nobili arti che fanno men grave ed aspra la vita; ma non possono al tutto distruggere e spe- gnerne tra noi la vena , come ce ne fan certi , il tornerò pure a dire, il buon discorso ed i fatti. Dap- poiché in tutti i secoli, ed in tutte le città della no- stra penisola, mai non mancarono, e non mancano ancor oggi, nobilissimi poeti, i quali se meno che altra volta ora sono avuti in conto ed in pregio, non sono però di quelli meno da stimare e da pregiare. Anzi da' pochi dotti ed intendenti uomini (che gli intendenti e dotti sono e sono stati mai sempre pochi di numero) hanno ad essere assai più onorati ed avuti cari , come da quelli che bene intendono di quanti doni e di quante fatiche è mestieri per giu- stamente meritarsi nome di poeta. Perocché quegli stessi , che più sono stati privilegiati dalla natura , molto hanno ad affaticarsi negli studi delle lettere , e della buona filosofia ancora, per giugnere a po- ter far poesie che dell'invidia non abbiano a temere Discorso di B. Pioti 259 de'contemporanei, e della forza struggiti ice del tem- po. E queste nostre parole, e, più ancora, l'esempio di questa valorosa, e degli altri eletti spiriti della sua medesima schiera, noi vorremmo che sgannar po- tessero la gioventù, la quale oggi troppo di leggieri si persuade che bastar le debbano anco i doni più lievi di natura, e che il fiir versi alla sciamannata e voti di senso sia far poesie. Questa maniera di liriche è certamente da spregiare e deridere : e il farne oggi dono all'Italia è portar acqua al mare., come, sdegnato forse di tanta vana garrulità , disse non ha guari un dotto scrittore. Ma come non fu- rono un vano ed inutil presente le rime degli ec- cellenti lirici de'passati tempi, neppur queste non sa- ranno, le quali per altezza di concetti e per leggia- dria di stile da quelle fanno ritratto: e, non altri- menti che quelle , sono opera di natura e di arte. Ne, così dicendo, ho a temere che l'essere io stato guida negli studi a questa egregia donna e l'amor come di padre che le porto non mi abbiano a far velo alla mente: che quanti la conoscono , tutti le fanno onore, tutti l'ammirano. E molti chiari uomini in iscrittura il valor ne lodarono e l'ingegno; e niuno certo non potrà credere non libere e spontanee le lodi del Fornaciari e del Betti, esempi di squisitezza di giudizio e di gusto. Ne sentiva altrimenti quella nobilissima anima del Montrone, in cui l'Italia rim- piange uno de'suoi più eleganti scrittori, e de'mag- giori restauratori de'buoni studi dell' età nostra; il quale mai non cessava di ammirare e commendare le vaghe fantasie, le pellegrine immagini, il leggia- dro verseggiare , e quell* onda o periodo vera- 260 Letteratura raente italiano delle sue canzoni. E vorrei che io qui rammentar potessi quelle dolcissime Teglie , che si faceano , or son due anni passati, in casa di ques'.a valorosa donna, e venir descrivendo co- me, all'udir talvolta da lei recitare alcuna sua nuo- va poesia, quell'anima veramente innamorata del bello tutta sfavillava di gioia, e diceala avventurosissima che potea negli alti e liberi voli della sua fantasia mai non dimenticar la petrarchesca soavità e la leg- giadria. Ma il grande amore e lo studio, ch'ella po- se nel maggior lirico italiano, mutar non potè gli alti suoi spiriti, e non farle di buon'ora vedere, che se da quello prender dovea la leggiadria dello stile e l'originai forma della nostra canzone, nell'eleggere il subbi etto e la materia delle sue poesie altre orme calcar doveva. Onde essendo altresì al sommo stu- diosa di Dante, temperatosi l'ingegno in quelle ma- schie e divine cantiche, più che altri prese a segui- tar l'esempio di Bernardo Tasso e dell'immenso Tor- quato, i quali, quando al decimosesto secolo tutti d'altro non cantavano che d'amore, si sforzarono di levar la lirica a più grande altezza. E dal costoro esempio, e dall'esempio e da'conforti di quel santo petto del Parini mossa, e più ancora dall'egregia sua indole, sdegnando infìn dalla sua prima giovanezza i vani lamenti e le più vane gioie amorose, fece sub- bietto de 'suoi versi i nobili fatti de'chiari uomini e i desiderii generosi delle anime veramente italiane. Né da poca caldezza di animo ci sarà chi creda che in lei proceda tanta rigidezza, o che il suo cuore mai non si aprì a quell'effetto che rallegra o fa men tri- sta la vita: che niuno, che la conobbe, o ne lesse Discorso di B. Puoti 2Gt le castissime rime, non potrà non tenerla esempio di coniugale e materno amore, e di santa carità di patria. E però grata ed utile insieme tornar debbe la lettura de'suoi versi, non pure agli uomini di o- gni età, ma alle bene allevate donzelle ancora, le quali beono da quelli innocente diletto e profittevo- li documenti di onestà e di prudenza. E, così di- cendo, io non ho in animo d'insegnar che la poesia debba esser ministra della morale, ed a questa solo servire. Non si sdegnino con me i nostri teutonico- gallici filosofanti, che cacciato non mi sono in capo ima così torta opinione. Anzi, quantunque io con- fessi di esser quasi che sono di filosofia, e di non poter con esso loro farmi a disputar di metafisica e di estetica, in che essi a vent'anni appena valichi sono dottissimi; pure so, e dico, ed ho detto sempre, che l'arte è libera e signora; e che non l'ammaestramento ha per suo fine, raà la rappresentazione del bello. Ma sempre ho detto, e torno a dire ora pure, an- zi ripeto quello che han sempre detto e dicono pur oggi i dotti e savi uomini : che se l'arte non è la ministra della morale, non debbe e non può esser- ne neppur la nemica e la conculcatrice, e meno an- cora la ministra delle stravaganze e del chiasso. Io non dirò, né alcuno che ha fior di sénno dirà, che non sieno poesie le più libere odi di Orazio, o i più impudichi versi di Catullo; ma chiunque abbia giu- sto concetto di questa veramente divina facultà, non potrà altresì non accordarsi con meco in tenere, che se i testé mentovJìtì versi sono poesia, sono sol per rispetto alla forma, e non per l'altezza del princi- pal concetto che racchiudono, né per il mirabile ma- 262 Letteratura gistero ond'esso è svolto, né per la vaghezza e la su- blimità delle immagini, con le quali è rivestito, né per i puri e nobili affetti che gli crescono attrat- tivo e rapidamente si destano in chi legge o ascolta. Dappoiché la poesia e le altre liberali arti non vo- gliono fare il loro effetto ne'sensi, ma di essi si ser- vono come di strumenti per giugnere all'animo, a cui esse vogliono rappresentare il bello. Ed il bello, che è fine delle arti, e che esse s'ingegnano di ri- trarre e rappresentare , ciascuna con i suoi propri modi, non può non essere uno e vero: come, senza avvolgersi in un labirinto di astrusità, con poche pa- role, e con l'efficacissima similitudine della matrona, che , tutta ornata , lava suoi stovigli nel rigagnolo della strada, ci fece aperto quel pulitissimo inge- gno del Casa. Perocché il dir di questo scrittore, che la bellezza è uno^ e la bruttezza è molti^ altro significar non vuole , se non che così nelle opere della natura, come in quelle dell'arte, il bello é uno; e l'atto vile e sconvenevole di lavar gli stovigli, come manifesta che colei, che il fa, é una lorda fante, e non una vera matrona, così dimostra parimente che il bello non può non essere il vero al medesimo tempo. Il perchè la poesia, che è veramente da chia- mar con questo nome, quantunque il primo ed im- mediato suo scopo sia la rappresentazione del bello, pure, questo non potendo esser altro che il bene ed il vero, essa, nel medesimo tempo che porge diletto, porge ancora, quasi senza che il voglia, ammaestra- mento. E quanto questo ammaestramento é più in- diretto , e di per se emerge , tanto è più efficace e potente : che così non irrita quell' alterezza che la Discorso di B. Puoti 2(33 natura pose nel cuore degli uomini ; e non adope- rando severi raziocini , la ragione si sforza di pie- gare: ma, scotendo la fantasia e risvegliando gli af- fetti , muove e rapisce la volontà. Onde parmi che la poesia ben si possa ragguagliare all' amicizia, la quale , non altrimenti che quella fa, è fonte e ca- gione agli uomini di utilità insieme e di diletto. Senza che, la sapienza ha due diverse forme, sotto le quali si manifesta : rigida 1' una ed austera, va- ga e leggiadra l'altra: e di due maniere parimente sono gli ingegni degli uomini. Dappoiché , quando essa è investigata e sposta nelle opere de' filosofi , ha la forma rigida ed austera ; e quando è rap- presentata e posta in atto nelle opere di arte , ha la forma vaga e leggiadra : e gli uomini, che han- no sottigliezza e profondità d' intelletto , si rivol- gono ad investigarla e sporre; e quelli, in cui ab- bonda la fantasia ed han forte sentire , la mettono in atto e la rappresentano o in pittura , o in iscul- tura , o in architettura , o in musica, o in poesia. E così quei veri, che impariamo ne' libri di Aristo- tele, noi li vediamo essere stati già prima sotto sen- sibili forme posti in atto ne'poemi di Omero: la pietà insegnataci dal Vangelo, e spostaci da'padri, la ve- diamo in alto e in opera nell'impareggiabil libro de'Promessi sposi; gli ufiìci e i doveri di saggio ca- pitano, che s\ bene sono descritti nelle storie di Po- libio, tutti dal divino Torquato son fatti eseguire al suo Goffredo. Onde mai non mancarono in ve- runa età, e appresso tutte le nazioni, di dotti uomi- ni che si facessero a ricercar la sapienza racchiusa ne' versi de'grandi poeti. E, per dir solo de'più famosi, 264 Letteratura di tal novero furono Porfirio ed Eustazio fra'greci ; tra latini Servio e Donato; il Buti, il Vellutello, il Lan- dino, il GiambuUari, il Celli, il Varchi, appresso di noi. Egli è vero che sì gli antichi e sì i mo- derni comentatori ne'poeti, che presero a sporre, so- gnaron sovente e documenti di moral filosofìa, e fini ed allegorie, alle quali quei nobili spiriti mai non pensarono*, ma nondimeno in tutte le età tutti i pii'i dotti e savi uomini avvisarono, che non pur nelle epiche e nelle drammatiche, ma ancor nelle liriche poesie de'grandi ingegni molta sapienza fosse accol- ta. Ne di questo potrà dubitare chiunque abbia al- cuna dimestichezza co'greci, co'latini e con gli ita- liani poeti : che , senza essere al lutto cieco della mente, non si può non iscorgere quanto grande dot- trina si racchiude nell'Iliade, nelle odi di Pindaro, nell'Orlando dell'Ariosto, nella Gerusalemme e nelle liriche del Tasso, nelle odi e nelle satire specialmente e ne'sermoni di Orazio, e, non che nelle cantiche, nelle canzoni di Dante. Anzi questo più singolare che raro ingegno nel nono canto dell' Inferno av- verte i suoi lettori, che attendano a far tesoro della sapienza che si nasconde sotto il velame de'suoi ver- si; e nel Convito e nella Vita nuova volle fare egli stesso un disteso comento alle sue liriche. E quando Orazio, nella lettera a'Pisoni, dice a'poeti che nelle socratiche carte debbono cercare e da quelle torre la materia de' loro versi , niente altro non ebbe in animo di dire, se non che la poesia non ha ad esser vano suon di parole, o impudica eccitatrice di la- scivia: ma in idoli ed in immagini racchiudendo il vero , di belle e vaghe forme dee rivestirlo , e di Discorso di B. Pooti 265 esso in tutti destare il desiderio e l'amore. Laonde e'par che vadano errati, e troppo austeri ed ingiu- sti si mostrino coloro, i quali tengono la poesìa una vana arte di diletto, e punto non dissimile da quella degl' istrioni e de'giullari. E se giusto è il deside- rio di alcuni altri men tetri e severi spiriti, i quali vorrebboro che meglio che al verseggiare , ne' più contraddetto dalla natura, l'italiana gioventù inten- desse ad imparar 1' arte difficile , quanto utile , di scriver dotte e nobili prose , non si ha per questo a menomare il pregio della poesia, della quale a niuno più che a' greci ed a noi volle far dono la natura. Il perchè mi rendo certo che lieta ed onesta acco- glienza ricever dovranno queste leggiadre e nobili rime, non che da' dotti uomini, ma altresì dalle va- lorose donne; le quali molto si rallegreranno di ve- dere venir tanta gloria al gentile lor sesso. E da esse e dagli uomini io spero che ancora a me sarà data alcuna lode di aver confortata e sospinta que- sta valorosa a tutte insieme raccoglierle, e meglio ancora corrette e forbite pubblicarle per le stampe. Ma premio di questo assai maggiore mi promette la fidanza, che io ho, che questo libro destar dovrà dall'infingardia e dalla mollezza le gentili donne d'I- talia, ed accender nel loro animo caldo desiderio di nobile e vera gloria. E grande gloria al certo esse procacciar si potrebbero, rivolgendo l'animo a'iodati studi, a'quali non meno di noi sono acconce e ben naturate, e componendo a gara co'più privilegiati ingegni opere di prosa e di verso, ed ancora me- glio adempiendo con viril senno il gravissimo uffi- cio dell'educazion de'figliuoli. La quale ad esse è G.A.T.CXIV. 18 266 Letteratura da prima commessa: ed esse hanno a spargere i pri- mi semi di religione, di onestà, di "valore ne'teneri animi de'giovanetti. Onde non temerò di dire, che insino a che stimeremo che ben si allevino le don- zelle loro insegnando a far con leggiadria scambiet- ti o cavriole, e a sonar di qualche istrumento , e a gallicamente cicalar tutta notte or con questo or con quello con maschile sicurtà, le famiglie non avranno madri che le governino, ed il disordine ed il lusso le farà cader di buon'ora nel disprezzo e nella miseria. E se tutte le nostre cure e le nostre sollecitudini rivolte non saranno ad emendar sì gra- ve e funesto errore, sempre più crescerà la nostra vergogna; e pochi solo, e non con fatti egregi e con opere, ma con parole e con lamenti, si sforzeranno invano di riscuoter l'Italia dalla viltà e dall'obbrobrio in cui si giace. 267 AL CAV- SALVATORE BETTI professore e segretario perpetuo della insigne pontificia accademia di 5 Luca. X^uando io, con quel sangue freddo che più mi è naturale e più mi era possibile , scrissi 1' apolo|jia delle immortali ferraresi proteste, a quei documen- ti storici, che accennai, congiunsi la notizia di altri documenti, i quali da molto tempo vado raccogliendo in servigio dei piccoli sludi miei. Mi parve che il santo grido di quelle proteste uscisse dal sepolcro di papa Giulio: e che la pazienza dell'agnello si moves- se pur una volta a quell'ira che di tutte le ire è la più tremenda: perchè maturata nel dolore e nel- la giustizia. Che il dolore sia una sapienza generosa e potentissima, lo impariam dalla croce: come dalla croce slessa impariamo che la giustizia è la prima forza di Dio. Ond' è poi che gli oppressi al fin del conto trionfano dell'oppressore. Quelle proteste adun- que non avevano per se stesse bisogno di apologia. Tali scritture erano cosa tetragona ai colpi ingiusti: sicché il cozzare in quelle era un mettere la fronte all'igno- minia e alla perdizione. Bisognava peraltro dare i debili compensi a un giornale della defonta njonar- chia francese: Il quale non pago di essere tanto stol- to da parteggiare coi prepotenti, e di mancare alla riverenza delle somme chiavi per adorare (ovvero indorare) la clava della forza, presunse d' insegna- re all'Italia le regole della diplomazia , appellando agli usi del diritto pubblico ! E gli usi del pub- 268 Letteratura blico diritto (così io con debole penna e ragioni evidentissime dimostrai) sancivano appunto quelle proteste <> legai issime nella forma, come santissime nella sostanza ». Il tempo e la virtù italiana fe- cero appresso le parli loro. Ora è ptiio desiderio di pubblicare quei do- cumenti, dei quali dicchi la notizia. L'avrei già fatto al presente, se tanto avessi potuto confidare nel mio senno, nella mia memoria, e ne' miei libri, che l'edi- zione mi riuscisse in buona somma perfetta. Né i consigli degli amici mi vennero meno a questa pub- blicazione. Ma voi sapete, ottimo Salvator Betti, quanto sia difficile la pubblicazione degli antichi documenti. Per difetto di alcun libro, o per poca certezza di riminiscenze, o bisogna ritessere il già fatto, o si corre pericolo di vendere per inedito ciò che non è veracemente, o si dà per certo ciò che patisce incertezza. A dare un saggio di ciò che ho potuto cavare, mando alla luce alcune poche let- tere: e le intitolo a voi per quella fede che pongo nel vostro severo giudizio, e per quella gratitudine che debbo agli alti e soavissimi insegnamenti, di che mi foste cortese nell'opera del pensare e dello scri- vere. E sono certo che se questo picciol dono sa- rà caro a voi, sarà pure dolcemente guardato da tutte le anime gentili, di cui siete un durabile fiore. Imperocché un libro di non grave mole, ove siano ordinati anno per anno alcuni brevissimi documen- ti storici, onde si rinfreschi la memoria degli avi, sia perchè i medesimi lor falli tornino a disciplina salutevole dei nipoti, sia perchè dalle virtù loro ci venga l'auspicio a superarle: un libro che, venendo Lettere storiche 2G0 ù mano di tutti, indichi alcuni nuovi fonti di sto- ria patria a chi vuole con unico proposito accu- dirvi, e sia come un picciolo libamento a chi de- dicato ad operabili fatti ama di conversare talvol- ta coi padri nostri, mi parrebbe utile assai; princi- palmente se nelle storie già stampate fosse corso al- cun equivoco o di luoghi, o di geste, o di nomi, o di tempi. Cose piccole per se stesse: ma che dalla storia debbono scomparire. A questo si gira la mente mia: e con piptoso animo parecchi mi hanno invocato propizio il genio, e non molesta la polvere delle bi- blioteche. Io, come potrò meglio, seguiterò a cavarmi il tempo dagli occhi per attendere a questa che pur non è ultima parte dell'italiano sapere. Sì, ciò che è vecchio è un pattume veramente spregevole: ma quel che è antico ha sempre del venerando: e il martello del tempo non lo mette in polvere, ma lo fa più saldo. Quindi osservando io i celebri monumenti di storia patria pubblicati sotto gli auspicii del magnanimo Carlo Alberto, entrai nel pensiero che altrettanto si potesse fare tra noi: che immensi ed infiniti e pre- ziosissimi materiali abbiamo nello stato nostro , e tanti da formarne cento volumi della medesima gran- dezza col solo dieci che serbiamo d'inedito. Le bi- blioteche di Roma non bastano a farmi ragione? E ordinando per ogni provincia un'accademia depu- tata alla scelta e all'illustrazione di tali documenti, oltre all'immenso tesoro che ne avremmo per la ri- nata sapienza, si aprirebbe nuovo campo alla glo- ria degli studiosi, e nuovo alimento per l'industria tipografica, che fra nei nel passato fu prostratissima: tantoché parecchie tipografìe delle province nostre 270 Letteratura versavano tulio l'anno nell'impressione di qualche lunario : mentre poi non senza alcuna beffa i co- dici copiali nelle nostre biblioteche ed archivi ve- nivano stampati in altri paesi d'Europa: e spesso guasti o per imperizia, e per invidia, o per feb- bre di parte. Il che se fosse a dolere, lascio dirlo a chi ama la patria del Muratori e del Marini: la patria di Aldo Manuzio e del Bodoni: quella patria che alle altre corone del suo primato aggiunse pur questa, di essere padrona e moderatrice del com- mercio librario per tutta Europa. Qui forse taluno direbbe: Opulentia paritura mox egeslalem. A tutto questo pensando, ho già formato un progetto facilissimo ad eseguire. Per ciò che riguar- da rutile materiale, ne trarremo, a dir poco, un cen- tomila scudi di non pensali valori-^ e l'opportuni- tà di cambiare più degnamente i libri, che ci ven- gono d'Inghilterra, di Francia, di Germania, del Bel- gio, non col danaro, ma coi libri e pensieri nostri, Un gilto di sguardo ai registri delle dogane, e po- tremo conchiudere a un dipresso quanta moneta in soli dieci anni sia andata all'estero pei" sola cagion di libri: un altro gitto di sguardo alle botteghe e fondachi di tutti i nostri librai: e in quegli immani acervi di carta, che da fior di terra s'innalzano al- la soffitta, sapremo quanta minor parte vi abbia l'arie tipografica d'Italia, quanto pochissima ve ne abbia poi c[uella dello stato nostro. Tanta manifattura cer- to non l'avemmo in dono: e se così è, bisogna pen- sare un pò meglio ai casi nostri. Io conosco un pic- colo paese di circa duemila anime, donde un corri- spondente di una casa libraria non raccoglie meno Lettere storiche 271 di trecento scudi annui per mandarli fuori. Il che quanto onora il piccolo paese rispetto all'amor de- gli studi, altrettanto fa manifesto a che condizioni sia venuta fra noi la tipografia. La quale, chi la sa ben guidare, è di tutte le arti la più feconda per le tante arti che le sono ancelle e ne traggono nu- trimento, dal fabbricator della carta al legator dei libri , dal creatore dei lucidi pensieri al cocitore! dei piombi e degli inchiostri. E rispetto all'arte del- lo scrivere dico a questo modo per acconciarmi all'uso vecchio: imperocché lo scrittore fin qui fu considerato poco più che un manuale dell'arte. Quan- do poi si penserà che Dante mendicò la vita a fru- sto a frusto; che l'Ariosto non trasse dal gran poe- ma il valor d'un mantello: che Torquato e prima e dopo la tanto cantata protezione (la vilissima car- cere ! ) fu sempre miserrimo; e che Giambattista Vico per mettere alla stampa l'opera sua pose a mer- cè di un usuraio l'unico valore che avesse al mon- do; quando (dico) si penserà che questi valent'uo- mini, tanto poveri quanto grandissimi, hanno frut- taio in Europa una circolazione di danaro immen- sa; e dato lucro a migliaia e migliaia di famiglie, le quali dall'impressione e dal commercio di que- gli immortali volumi ne camparon la vita; si ve- drà allora se la poesia e la filosofia diano un profìtto puramente mentale: o se la poesia e la filosofìa, an- che messe alla stadera degli economisti, valgano al- l'industria materiale dei popoli assai più che tutte le avare discipline dei bancocrati e monetieri. E quel che si dice rispetto alla poesia e alla filosofia, potrebbe dirsi di ogni altro argomento delle umane lettere: e della storia principalmente. 272 Lettkratura In queste ^uise e a lai fine ho mirato io e per l'incremento degli studi storici, e per un nuovo in- cremento all'industria, e per un ottimo esercizio di quegli ingegni che si sentono inclinati a quella sorta di applicazione, onde sì cari alla patria furono il Muratori e il Marini suddetti, e i Lami, e i Maf- fei, e i Garampi, e gli Zeni, e i FumagalH, e i Bacchini, e i De-Meo, e i Morelli, e i Carli, e cen- t'altri che furono più o meno i Catoni o i Var- roni dell'età moderna. Ma nel momento mi parreb- be peccato gravissimo il chiamare i miei concitta- dini a questa sorta di studi taciti e pazienti, e che, a dir vero, saranno sempre per noi gloria minore. La miglior penna a questi giorni è la spada: bi- sogna ubbidire a papa Giulio secondo; che i mo- menti sono preziosissimi, e guai se vanamente li fa- cessimo precipitare! Quando avremo liberata la pa- tria, visiteremo in pace gli scritti dei nostri padri: e mentre maraviglieremo la loro grandezza, e pian- geremo colle loro le nostre passate sventure, alze- remo i cantici della lode all'Onnipotente, a cui piac- que di santificale i e di redimerci dal disperato ser- vaggio colla virtù del suo Cristo in terra, l' immortai PIO IX. - Ora basti l'aver accennata questa gigan- tesca edizione di patrii monumenti. Le poche lettere, che a voi consacro, basteranno a mostrarvi, o egre- gio amico e maestro, di che condizione potrà es- sere quel piccolo volume, la cui forma alle mie pic- cole forze meglio conviene. E confidandomi che ai dialoghi àeìV Illustre Italia aggiungerete presto al- tre voci immortali, perchè l'italiana virtù finalmente Lettere storiche 273 è risorta al trionfo, mi confermo con ogni riverenza ed affetto. Trevi il 18 di aprile 1848. Il vostro umile servitore ed amico sincero e. GUZZOM DEGLI ANCARANI. LETTERE STORICHE N. I. Nobìlibiis et potentibus bononiensibu^ senenses salutem (1). )) Vota felicia nobilitati vestrae ut gaudeat nun- )> ciamus; siquidem Henricura romanorum regem » die 25 augusti circa horam nonam ad pagum » Bonconventum, ubi cum exercitu sedebat, deces- » sisse ex certis exploratoribus, nuncis, et araico- » rum litteris certiores facti sumus. Eura defunctum » ... milites nocte feretro sublatum in externas regio- » nes fugientes extulerunt. Divinae ergo potentiae » gratias agentes, » Charissimi exultetis. » Ex urbe Senarum 26 augusti 1213. (1) Questa magnifica lettera è riportata da Guido Panciroli nella sUa eccellente Storia di Reggio, di cui io serbo un codice nitidissimo. E da osservare che Guido, sembrandogli l'originale fosse scritto assai rozzamente, mutò qualche parola «ad nimiam barbariem evitandam.n così egli. I bolognesi spedirono subitamente copia di tal lettera agli amici reggiani. Rispetto poi all'opera di Guido, aggiungeremo che un saggio ne fu pubblicato dal Marini negli Archiatri pontificii; che un Ercole, nipote del Panciroli, pensava di pubblicarla per intero, e non lo fece per divieto della casa d'Este. É da sperare che il mio amico Prospero Vianì darà all'Italia la traduzione di quest'opera. 274 Letteratura N. II. Del patriarca di Àquileia al popolo spoletino (1). » Magnifici viri amici carissimi. — Ad gaudium >> vi significamo come questo dì circa le ore XX »> trovavasi in battaglia ordinata l'esercito della chie- » sa e dei fiorentini con Niccolò Piccinino e li suoi » in campo fra questo castello e lo burgo di Sanse- 1) polcro. E combattendo acremente l'uno contro l'al- » irò noi tandem li avemo rotti, e pigliati quasi » tutti, e Niccolò predetto con pochissimi è scam- » pato. Gaudete itaque et exultale insti festum hunc » diem beatoruni Petri et Pauli celebrante^. Nos prò- » cedamus ad ulteriora con ferma speranza di da- » re a voi e ad altri popoli ecclesiastici pace e per» » petua quiete. a Dat. in Burgo Auglariae die XX Villi iunii 1440 » bora XXIIII. » Patriarca aquileiensis (Ap. Sedis S. D. N. camer. ( Legatus. » come il Gatteschi e il Montanari ci diedero l'uno la traduzione del le storie bellissime del Bruto, 1 altro di quelle pregevoli del Bo- naniici. Certo mortai cosa a se stessi e poco utile alla patria fece- ro alcuni dei nostri sommi ingegni, che vollero sudare le storie lo- ro piuttosto nella lingua del Lazio, che scriverle liberamente nella viva l'avella d'Italia. (1) Di questa lettera debbo copia alla gentilezza del eh. sig. prof. A. Fabretti, che la trasse dalle schede dell' illustre perugino An nìbale Mariotti. I Lettere storiche 275 N. III. Dì Clemente VÌI P. M. al popolo spoletino (1), (( Mittimus ad vos dilectum filìum Severum Mi- >) nervium et nostrum stipendiarium, ut numerutn » recensere et niilites deligere atque in armis ve- » tros paratos esse, et monstrara facere velitis, ut » acerbissima haec tempora requirunt. Causam ab » ipso plenius intelligetis. Confidimus fidei vestrae » erga hanc sanctara sedem, ut multoties antea fe- » cistis, re atque opera studium vos ostensuros. Da- » tura Roraae kal. maii M. D. XXVII,pont. n. a. IV.» N. IV. Del duca di Urbino ai priori di Todi (2). » Abbiamo visto con quanto buon animo ave- (1) Severo Minervio, illustre guerriero e storico spoletino, scris- se la storia della sua patria. Tale storia è tuttavia inedita^ ed io ne serbo alcuni insigni frammenti per generosità del dottissimo ami co mio c:iv. Pietro Fontana. Parlano del Minervio il lacobilli nella sua biblioteca umbra, e meglio l'eminentissimo Cadolini nella sua bella dissertazione spoletina. Se ben ricordo, un'antica traduzione di questa storia dovrebbe serbarsi nella Barberiniana. Pubblicata mostre- rebbe con quanto valore il popolo spoletino con altri generosi ita- liani si opponesse alle scelleraggini e alle ipocrisie di Carlo quinto imperatore. (2) La virtù di questo guerriero h come una luce che rende più manifestamente orribili i suoi vizi. La storia non tacerà i servigi che Francesco Maria duca d'Urbino col fortissimo braccio rese al- la veneta repubblica per ben quindici anni: dirà che degnamente gli fu posta la statua nella corte del palazzo ducale di Venezia; ma per 276 Letteratura » te fatta questa nuova provvisione di vittovaglie. » Il che non ci è stato cosa nuova, perchè sempre » vi abbiano con tal animo verso questo esercito « ed abbiamo inteso quanto siete per operarvi nel- » l'avvenire. Al che vi esortiamo e preghiamo. Im- »> perocché ancor noi di quanto sarà possibile non » mancheremo darvi manco gravezze e farvi tutti » li piaceri che potremo dal canto nostro. Ed ai » vostri piaceri ci offeriamo sempre paratissimi. Da » Narni alli XXI di ottobre MD XXVII. N. V. Dì Michele Antonio marchese di Saluzza ai medesimi priori (1). » Abbiamo inteso siccome avevate fatto una' » commissione e dato un commissario al nostro ma- debito di eterna giustizia porrà il suggello dell'ìnfaiiiia sulla memo- ria di questo duca, clie per un atroce sentimento di vendetta con- tro la casa dei Medici lasciò Roma esposta al nefando sacco del 1527. Si ristorò di un offesa certo gravissima (ma privata) tradendo Roma alla preda dei barbari. Intorno agli obliqui portassenti di co- stui vedi il carteggio del celebre Giberti pubblicato dall'esimio marchese Gualterio di Orvieto: e la storia di Patrizio de'Rossi da noi pubblicata in Roma in -4 volumi. (1) Questo leale ed intrepido guerriero ebbe la gloria di morire a difesa della sede romana. Ciò fu in Aversa il 20 d'agosto l'anno 1528. Il suo cadavere fu trasportato a Roma e sepolto con magni- fici funerali nel tempio di Ara-Coeli. L'iscrizione, che adorna la sua tomba, fu recentemente pubblicata nell'ALBOM con alcuni cenni in- torno alle geste di lui. Fra i nostri manoscritti abbiamo alcune me- morie che lo riguardano, e possono essere complemento a quanto ne fu scritto fin qui. Questa e la precedente lettera ci vennero co- municate in copia dall'eruditissimo sig. Mortini di Todi. Lettere storiche 277 » resciallo de logis (sic) di poter alloggiare ad al- » cuni villaggi per voi ordinati, li quali non hanno » voluto obbedire a tal vostra commissione.- Don- » de al presente vi preghiamo vogliate per amor » nostro essere contenti di commettere nuovamente » a detti villaggi ed operare che siamo alloggiati, » Ed ho inteso che gli uomini di detti villaggi so- » no venuti verso voi. Pertanto vi prego lor vo- » gliate comandare che siano contenti di alloggiar- » ci Dat. in Bevagna al VI di novembre >. M. D. XXVII. .. N. VI. Del principe di Grange a Giovanni Sassalelli (1). )) Per la presente facciamo intendere a V. S. (1) 11 prinoipe d'Orange fu pessimo guerriero di cause pessime. Ad onla deirenfaticlie poesie e delle orazioni funebri, che di lui si cantarono e pubblicarono in Basilea [F. Paradin. de ant. statu Bur- gundiae), noi lo avrem sempre per un masnadiere, anziché per uri soldato. 11 Sassatelli poi, cognominato Cagnaccio, fu uomo secondo i suoi tempi valoroso e fortissimo, e ne scrisse un elogio il conte Tiberio Papotti (Forlì 1840). Siccome l'Italia in quel secolo, come nei posteriori, piuttosto che nazione era una pastura dei barbari, così non è mar^yiglia che il Sassatelli e tanti altri gagliardi italiani fossero guerrieri di ventura. Ora però che Iddio nella sua celeste equità ci ha ravvivati, ed amputò per sempre l'obbrobrio nostro, g)i italiani combatteranno per se, non per altrui. E poi da notare che il crudele Orauge , come il Fronsberg ed altri che furono i Radetzki del loro tempo, vennero colti visibilmente tutti dalla male- dizione divina; e ciò sia monitorio salutare a quei nuovi barbari, che non si affrettano a volare al di là dei lìinchi dell' aquilone; e si mostrano ancora indomiti alla onnipotente parola di PIO IX , e al provocato sdegno dell' Italia unita, e armata e benedetta dal cielo — La lettera presente ci viene dal prezioso archivio dei si- gnori Sassatelli di Imola. 278 Letteratura )) come oggi mercordl partiamo da qui con questo » felicissimo esercito, e senza perdere giornate ti- » reremo diretto la volta di Fiorenza. Per la qual » cosa se a ricevere della presente V. S. non fosse n in cammino con sua gente partirà subito e verrà ») a ritrovarne per quel cammino che le parrà mi- » gliore e più sicuro e in questo non manchi. E » perchè le genti della santità del papa che stanno » a Bologna hanno medesimamente da venire a con- » giungersi con noi, se ne V. S. né esse genti di » Bologna fossero partite potrete aggiungervi e ve- » nire insieme. Ma conoscendo che la venuta di » detta gente di Bologna sia per andare in lungo » V. S. con la gente sua verrà subito senza altra- » mente farsi aspettare. E perchè la presta venuta » sua importa molto^ la esorto ad usare ogni cele- » rità possibile a venir presto. E sapendo che V. S. H farà il tutto secondo il nostro desiderio non le » diremo altro. E nostro signore Iddio la magni- )) fica e nobile persona della S. V. guardi come » desidera. - Dal campo felicissimo cesareo in la » Bastia a 7 di settembre 1529. » Al comando della S. V. )> Philiberto di Chalon. » Lettere storiche 279 N. VII. Pier Luigi Farnese^ duca di Castro^ marchese di Novara, gonfaloniere e cainlano generale di s. Chiesa (1). » Per servizio di N. S. avemo dato ordine al » capno lacomo Tabusso nostro di fare trecento » fanti e condurli a Piacenza. Pertanto comandiamo » sotto pena della disgrazia di S. S. a tutti i go- » vernatori, luogotenenti, comunità, università, ed )► ogni sorta ufficiali dello stato ecclesiastico che » tanto nel levare detti fanti , quanto nel farne la » massa, e condurli gli prestino ogni aiuto, e fa- » vore opportuno e li accarezzino come si conviene )) a soldati della chiesa. Di che preghiamo signori » ed altri simili che sottoposti non sono alla sedia » apostolica: offerendone a loro cose maggiori. Dat, » in Roma ali 27 di genn. XLiiij. » P. Loysi Farnese. (1) Questa lettera è nell'archivio segreto della città di Trevi, che ottimamente venne ordinato per deliberazione del municipale consi- glio dai sigg. cap. Tiberio Natalucci e dott. Clemente Bartolini. Qui ci sia lecito di alzare la nostra umile preghiera a certi municipii, le cui carte antiche sono nel più misero abbandono e disordine. Fac- ciano la nomina di due o quattro cittadini onesti e conosciuti per il loro amore alle memorie patrie; ailinchè ben digesti cataloghi ed onorata e sicura sede abbiano i patrii monumenti. E all' onore di assistere i medesimi eletti chiamino pure alcuni dei più laboriosi e generosi giovani: elio così con ninna spesa, e in breve tempo, tutte le città dello stato avranno buona materia per la vasta col- lezione che ho accennala. uso Letteratura N. vili. Lettere patenti di s. Carlo Borromeo concernenti gli sbirri (1). » Desiderando N. S. che il territorio di Peru- » già e di tutti quei paesi e contorni restino li- » beri e netti da banditi e malfattori: e parendogli » che perciò sia necessario che dalli ministri della » giustizia con buon numero di cavalli si vada scor- » rendo la campagna; ed acciocché voi, barigello, » lo facciate più volontieri e prontamente, S. S. vuole » che quando voi e tutti gli altri che saranno in » compagnia vostra anderete fuori per il detto ef- » fetto , abbiate per una sera nei luoghi dove oc- » correrà fermarvi strame e coperto gratis e senza » pagamento alcuno: vedendosi quanto torna in evi- »> dente utilità di tutta la provincia. Avvertendo » però che sotto questo pretesto non facciate alcuna » sorta di estorsioni né di malefizii: perchè in tal » caso sarete castigati senza remissione alcuna se- » verissimamente. Non mancherete adunque di ese- » guir quest' ordine conforme alla mente di S, S. ; » alla quale non sia alcuno che ardisca di contrav- » venire per quanto stima la grazia sua. Et bene va- li lete. Di Roma alli 5 d'agosto 1 546. (1) É nell' archivio come sopra. Quali lamenti avrà fatti nel cielo la divina anima di questo santo arcivescovo, allorché vide che jlcuni governi della così detta santa alleanza riposero in piedi gli sbirri? Lettere storiche 281 N. IX. ÌFMneesco di Lorena duca di Guisa ec. èc. luogotenente di S. Santità e di S. Maestà ehristicinissima è capitan generale della Santa Lega ( j). » Dovendo il sig. conte di Gaiazzo per ordine » nostro mettere insieme due compagnie di fan- .» teria come membro di questo nostro esercito del- » la santai lega per servizio di nostro signore e » della santa chiesa, comandiaiiio ai priori di Trevi » che per unire dette sue compagnie lo abbino a » ricevere dentro la terfa, e dargfli il bisogno del » vivere, facendosi pagar l'onesto prezzo e corren- » te per l'ordinario, sotto pena della disgrazia di >1 sua santità e del nostro maggiore arbitrio etc^. Data in Macerata li 26 d'agosto M. DLVH. » Il duca de Ghiza. » Marsillia segretario'. N. t. Del doge di Venezia, a Francesco de' Medici gran duca di Toscana ('i). » Se dai segni esteriori si possono in qual- (1) E nell'archivio come sopra. (2) Questa lettera è copiata da un codice appartenente alla no- stra collezione del MSS. inediti di storia italiana, del quale ecco il titolo: « Origine, discendenza, e storia della casa dei Medici. « Del resto la misera Bianca andò sposa al Medici dotata di maledi zioni e di delitti: e non ò maraviglia se l'ira del cielo converse iri G.A.T.CXIV. 19 282 Letteratura » che parie conoscere gli effetti neiranimo avrà ben » potuto il sig. Mario Sforza ambasciatore di V. A. » S. veder scolpita nel volto di questa città l'al- » legrezza che noi abbiamo sentita per 1' avviso » che ella ci ha dato colle sue aflfezionatissime let- » tere (e con la voce di cavaliere così principale) >) di avere per quei ragionevolissimi rispetti che ne » scrive eletta per sua moglie la signora Bianca » Capello non solamente per le elettissime sue qua- » lità ma ancora perchè figliuola della nostra re- » pubblica. Questo testimonio ne potrà fare l'am- )' basciatore che leva a noi T occasione di poter » spendere molte parole per esprimerle maggior- » mente questo nuovo contento. Onde le diremo » solamente che per nostra compita sattisfazione e » più chiara espressione dell'animo nostro abbiamo » con il consenso ed applauso del senato creata e » dichiarata la presente iMma signora Bianca Ca- » pello per una parlicolar figliuola della nostra re- » pubblica;, talmentechè aggiungendosi all'amor pa- )) terno che abbiam portato sempre all'Altezza Vostra » questa nuova e sì stretta congiunzione, ella potrà tomba terribile il talamo di Francesco, uno degli uomini più invere- condi di quella famiglia, le cui crudeltà non perdona l'aver avuto buon gusto in belle arti e in letteratura. Avvertimmo altra volta olle noi non possiamo credere autografo dell'infelice Bianca quelle sì brutte Memorie che il sig. Ticozzi stampava in Firenze coi tipi del Battelli l'anno 1827. Un piccolo squarcio del suddetto codice si vede citato da Modesto Haslrelli fiorentino nella prefazione alla sua tra gcdia " Bianca Capello » stampata a Londra (Firenze) 1792, e dai dottissimo canonico Moreni nelle sue note ai Bicordi intorno ai coslunti etc; del pessimo duca Cosimo 1 de'Medici; scritti da Dome- nico Mellinì (Firenze 1820). » Lettere storiche 283 » in qualunque occasione aspettare .... tutti quei ») yev'i effetti che possono nascere da volontà s\ buona » e SI sincera verso di lei come è la nostra. Secon- n dochè più ampiamente le sarà riferito dal pre- 0 detto sig. Mario e confermato più dalli diligen- )) tissimi nostri Giov£^nni jVliclnele e Antonio Tiepolo ») ambasciatori nostri eletti a tale effetto. Resta adun- . ■ . Il' . . , ' ' (■'''. )» que pregare Iddio che feliciti questa risoluzione » di V. A. con quelli prosperi avvenimenti che ella j> stessa desidera. •.*.-, » Data in nro duca! palazzo adì 17 giugno 1579. n Nicolaus da Ponte Dei gra. )) Dux Venet. N. XI. tiet cardinale di sant^ Onofrio al podestà di Montemarciano (1). » Nel passar che dovranno alcune compagnie »^ d' infanteria e cavalleria per costà per la volta » del paese della Valtellina è ordine di N. S. che )) vi siano alloggiate di mano in mano finché sa- » ranno finite di passare nel modo che si dichiara » nell'aggiunto foglio. Sarà dunque vostra cura di » far che sia provvisto delle cose necessarie e che » non nascano inconvenienti. E Dio vi guardi. 1 1 » di febbraio 1626, di Roma. » F. A. card. s. Onoph. » M. Ginetti. (1) Deljbo questi» copia di lettera alla cortesia del sijj. avvo- cato V. Gozzi de'Mattoli uomo delle italiane storie dìligentissimo. È 284 Letteratura N. XII. Del cardinal Mazzarino a Filippo Valenti (1), » Piacerà a V. S. di pagare in una o più vol- » te al sig. cardinale Grimaldi o a chi S. Em. or- » dinerà doppie ventimila d'Italia o loro valuta con » darne debito a me nel mio conto particolare. Che » pigliandone ricevuta in buona forma per poter- » mene io rimborsare qui dalli ministri delle fi- » nanze di S. Maestà, in cui servizio si devono spen- » dere, saranno ben pagate etc. )) Il cardinale Mazzariniv N. XIII. Li Agostino Favoriti al card. Odescalco (2). « Invio riverentemente a Vostra Eminenza una copiata da un codice che si conserva nell'archivio mimieipale di Monte Marciano. Marzio Ginetti,che fu poi cardinale e legato in Co- lonia per la pace di Germania, molto operò a gloria della S. Sede apostolica. Di lui si hanno le notizie nell'enciclopedia veneta di Gi- rolamo Tasso-, notizie scritte assai meglio di quelle che si leggono nel dizionario d'erudizione ecclesiastica. (1) L'egregio Carlo Morbio pubblicò un epistolario inedito del Mazzarino a Milano (1842 pel Silvestri ) : ma molte lettere di que- sto celebre ministro sono tuttavia inedite; e buon numero se ne ser- ba nella biblioteca pubblica di Perugia. Il Valenti poi era tesoriere in Italia di Luigi XVI; ma non coi danari del re, bensì coi propri; cosicché nel I608 le doppie non erano ancora state restituite, ad onta di fortissimi richiami; né forse lo furono appresso. Si sa poi* che questa moneta fu spesa per servigio del re a Napoli nei tempi, del coraggioso Masaniello. — La lettera è nell'archivio Valentino. (2) È nell'epistolario del Favoriti, di cui si hanno più copie Una si serba nella biblioteca del collegio di Trevi. Intorno al Far voriti vedi il Tiraboschi, Stor. lett. ital. Lettere storiche 285 4) particola della lettera del Primate, la quale mi » è parsa la più sostanziale e come la conclusione » di tutta la lettera; acciocché venendosi in concistoro >> a trattare della materia ella abbia in pronto l'estrema >» necessità, e la richiesta dei polacchi. - La minor » somma la quale convenisse spiccarsi in questa oc- » correnza... sarebbono cento mila scudi. Ma perchè » io non spero che ciò possa presentemente persua- » dersi, crederei che si dovesse proporre una somma » molto minore per far adito lo sborso di questa ad » mi'altra simile, e poi ad un'altra accomodandoci » alla natura di chi ha da sborsare, benché del pa- » trimonio di s. Pietro riservato a questi casi; e con- » solando intanto e tenendo in fede quell'afflitto e » cadente regno, riparo, ed argine, di tutta la cri- » stianità. col presente sovvenimepto, e con la spe- » ranza di continuarlo maggiore: altrimenti la rispo- » sta alle lettere del Primate sarebbe un risenti- » mento da nemico, non una correzione da padre. » Condoni Vostra Eminenza questa molestia al de- w bito che corre a ciascuno di portar acqua al co- w mune incendio. E le ec. ec. » Roma 10 8bre 1675. N. XIV. Di Amadeo duca di Savoia alla Santità di Papa Clemente XI (1). )t Qual sia lo zelo che io nudrisco per tuttociò (I) Questa ò la risposta ad un breve che comìneh - Confidimus nobililatem tuam.- Il santo pontelìce, afliìtto dalle violenze di casa austriaca, avea già diretto a Giuseppe I imperatore un breve clie 286 Letteratura )) che concerne la s. sede e la chiesa debbono farne » indubilata fede gli esempi di questa casa da me » continuati in ogni tempo con prove irrefragabili » àgÙ"^bcchi del mondo. Corrispondente al mede- » simo non menò che alla distinta venerazione che » mi pregiò di professare alla sacra persona di Vo- » stra Santità si' è la parte che prendo nelle gravi » c'ure" dell'' aninio suo, che ella si è degnata par- » técipaimi col riveritissimo suo breve delli due » del badehte. A me giova sperare che la gran mente » di' tin 'tanto pontefice saprà e per proprio sollievo » e J)fer' tini versale edificazione por fine ad ogni suo » travaglio bon i mezzi più connaturali all'equità » é rettitudine di un sommo pastore e padre co- » mune. A me però non restando che di bramare » come fo con tutta la riverenza del cuore a Vo- » strà 'Beatitudine questa ed ogni altra consolazione )' che possa meglio accertare le glorie del di lei » degnissiftio pontificato, con augurarle lunghissimi » anni di vita a beneficio del cristianesimo, le b£^- » òib umilissimamente li santissimi piedi. * ' «Torino 27 giugno 1708. comincia - Hactemis lenitatis et palicntiae dedimus grande docu- mentum cufn a le, Caesar, saepe lacessiti - ec. co. Questo breve elo- qiientissimo è un immorlal monumento della carità apostolica per la salute d'Italia. - Ne abbiam copia nei nostri documenti istorici. Se i lettori faranno buon viso a questa piccola serie di lettere, ne produrremo una' seconda: offriamo in dono le copie del MS. a quel tipofjralo che credesse opportuno dì imprimerne una centuria a qualche pubblico beneficio; e sarem lieti di vedere accettata questa piccola offerta «juando produca buon frutto. 287 Lettere inedite intorno antichità e belle arti pubblicate con annotazioni dal doti. Enrico Castreca Brunetti. (Continuazione.) A Girolamo Negrini. Ferrara, Venezia li 22 maggio ... 34. Il libro delia pittura veneziana è appunto del Zanetti, ed è ottimo ed eccelleate libro , non raro, ma non comune. Così troverà nel mio catalogo (1), Qui non credo che sianvi vendibili esemplari di questo mio catalogo, divenuto oramai raro. Dovreb- be però esserne uno almeno alla biblioteca. Può provare a Pisa se ve ne fossero ancora. Io non ne tengo più. - Bisognerebbe vedere alcuni esemplari delle litografie distinte per capire se li mezzi in cor- (1) Ecco che cosa ne dice il Cicognara al n. 2412 del suo catalogo ragionato di libri d' arte e d' antichità. Pisa , Capurro 1821. » Zanetti. Della pittura veneziana e delle opere pubblicate dai veneziani maestri. Libri cinque. Venezia, 1771, in 8. Questa è la migliore fra le opere che parlano delle pitture ve- neziane: e se ogni città principale possedesse un libro talmente di- sposto ed eseguito, sarebbero riuniti così ì materiali per la miglior storia generale dell'arte. » Di quest'Antonio Maria Zanetti, veneziano, e delle sue opere si parla uelT opera di Gianantonio Moschini Della letteratura vene- ziana dal sec. XVIII fino a' no.slri giorni, tom. 3. p. 52, 92, e 93. Venezia, Palese, 1806, in 4. 288 Letteratura so nella sua calco{}Tafia litografica ferrarese fossero atti a questo genere d'imitazione. Ora io vado fuo- ri di Venezia, stazionario a Padova fra pochi giorni. Nell'inverno venturo si potrà studiare il modo on- de i Zanolli e comp. vedan da vicino di che si tratta. Ora sono tutto per l'inaugurazione del monu- mento Canova. Manderò la storia di questo a un libraro a Ferrara, acciò chi la brama possa acqui- starla: che non stampata per conto mio, ma dal- l'amministrazione della cassa del monumento, non mi è possibile donarne, come vorrei, a'conoscenti ed amici. Già è una cosa da pochi soldi. - Costabili avrà il busto, e lo farò incassare quando ritornerò a Venezia, cioè fra pochissimi giorni. E la sua de- licatezza sarà jnessa a salvo: che non gli donerò la cassa, ma non mi ricuserà l'effigie. Non essendo pos- sibile che un mio rispettabile concittadino ed amico mi retribuisca per questa, che deve darsi spontanea a chi pregia ed onora la persona e l'amicizia. — Dica a mio fratello che tutto ho inteso dalla cara sua lettera, e che tornando spero trovare il rotolo delle stampe. Leopoldo Cicognara. Al cav. Angelo Maria Rìcci. Rieti. Venezia 3o novembre 1819. 35. E verissimo, mi potevate giustamente tenere per morto : che davvero è molto che io non vi scrivo. ]V[a oppresso da faccende , da forestieri , da lavori, ogni giorno sto disbrigando le cose che mi danno fastidio per pascermi di delizia a mio LpTTERE INEDITE i^89 bell'agio, espandendomi coll'amicizia : e non riesco di far null^ di bene pel sopraccarico che arriva. Fi- guratevi, che dopo tornato a Venezia non ho mes-; so ancor piede nel mio studiolo pittorico. Ho fini- ta la lunga memoria intorno a Raffaello, e le vir sioni di molli noi^ ho curate assai : e le vostre ho rispettate, trattando da vision beatissima il veder la fornarina nei dipinti di Vincenzo Pagano. Però io dubito pioUp che quella marchesa di Pescara, data dal Bulifon, possa esser mai la fornarina di Firenze: che questa è vision di visione. Bai ritratto dato nell' edizione di Milano sopiigliano l'uno all'altro propria- mente come io all'imperatore del Marocco: e la cor- tesia vostra, che mi offre quell'edizione delle rime di Vittoria Colonna, la impiegherete in altra occasione, qffrendomi, che pure una volta arriverà il caso, una pietra pel mio edificio. Ms^ voi avete relazioni in Na- poli, ed io oramai non vi conosco più nessuno. Io so che alla biblioteca reale di Napoli si trovano al- cune vecchie carte di tarocco. Iq ne vorrei la de- crizione: cioè il numero e le respettive qualità: p. e. b3stoni, l'asso, il due, il quattro, il nove, la figura fante, re, cavallo, dama, e di ciascuna serie saper quante ne esistono; poi vorrei di due di queste car- te o tre avere un calco in carta lucida, fatto a pen^ na o a matita: e sapere, se si può, anche un poco della provenienza e dell'opinione di que'dotti. Io sen- za vederle le suppongo della qualità di quelle di Torino alla biblioteca reale , e di quelle di Genova del gabinetto Durazzo, Nondimeno, se vi riesce di procurarmi presto questo favore da Napoli, io vi sarei veramente grato moltissimo. In Napoli erauQ 290 Letteratura anche altri antichi frammenti di giuochi di carte, dei quaU aver vorrei notizie e fac-simili: ma questi ci- tava ne'suoi zibaldoni l'ab. Zani, e precisamente nel primo volume de' Materiali a pag. 71 nel gabinet- to Terresi ed in quello di don Ciccio De Luca. In queste cose vorrei scoprire, conoscere e aver fac- simili e descrizioni esatte. Ma io non ho colà un ami- co, cui aflidare una cura, che è facilissimo a sod- disfarsi a posta corrente. Metto in croce voi, mio carissimo, acciò mi procuriate questa cosa, se vi rie- scirà: che so aver voi corrispondenti e dotti ed amici, Fate bene a procurarmi qualche cosa col mez- zo di Paoletti, che se ne va a Monte Casino. Io so- spiro di avere qualche cimelio per mezzo vostro, Già ci siamo, e sono vicino sicuramente ad andar prigione per debiti: poiché ho acquistati nielli in argento colla stampa trattane prima d' esser niel- lati, e dell'epoca del Finiguerra, e di altre. E poi sapete come sian rari in niello i ritratti: che sem- pre si trattarono soggetti per croci, paci, calici eie. Ebbene, io ho un evangeliario ed un epistolario in pergamena miniati, e con oro; e sui cartelli le gran- di effigie e gli stemmi medicei coi ritratti di Leo- ne X e del card. Bembo; oltre già l'avere altri ri- tratti di Pio II, di Machiavello, Dante, Petrarca etc. In conclusione io non avea debiti, ma ora ne ho; perchè ho voluto mostrare al mondo, che quando si credeva di asserire che lutti i nielli si conosce- vano, non era vero: poiché in risposta ho potuto riu- nirne un sessanta di rarissimi e stupendi che non sii veggono in ciascun gabinetto d'Europa. Scriverò al duca: ma mi rallegro che siate m Lettere inedite 291 corrispondeza colla Susanna, la quale sarà bellissima, che bellissima fanciulla era prima eli diventar don- zella. E un secolo che non ho nuove di loro: ma per il verno non verranno in Italia. Parigi piace al- la duchessa, e non ha torto. Piace molto anche a me. : — Il nostro Paoletti dunque manderà le acque forti per le pitture del Pagano, ed io scriverò sotto l'ombra delle ali vostre. Ma vengano: e vengan gli idili. — Intanto per la musica dell'orologio di Flora io vado a fare un tentativo. A Milano vedremo co- sa riescirà. Tutto voglio provare: che mi preme riu- scirvi, se posso: poiché finora io non ho fatto nulla nulla di più che voi pei nielli, sebbene siate in luo- go ove non mancano risorse. E quello è paese non sfiorato. Immaginatevi quanto bisogna frugare: ma sono riuscito a trovare in niello un Redentore, che servì d} tipo al Leonardo di Trivulzio, poi inta^ gliato da Morghen. Vedi che singolarità! Quando si vuole, si trova: ma si finisce anche prigione, co- me Jio paura di far io. Addio, per ora vi abbrac- cio, e mi sono un po'consolato d'essere stato con voi a deliziarqai questo momento che vi ho scritto: che già sempre vi desidero, e vorrei che foste di quel bel numero di pochi uomini e donne, colli quali vor- rei formare vm paese a modo mio. Amatemi, sanate la figliuola, state bene voi pure: che per ora io sto benissimo, e vorrei veder star bene mia moglie, che non è bene: e la mia borsa, che è malissimo. Addio col cuQfe. Leopoldo Cicognara 292 ^Letteratura Al medesimo, Genova 28 rnagfgio 1826. 36. Sono qui da quasi un mese accolto con a^ micizia dal mio Di Negro, e divertendomi continua^ mente in oggetti d'arte d'ogni maniera, e anche sol^ lazzandomi colle stampe antiche, delle quali, se non gran numero, pure non poche ho trovate; ma deb- bono essere un nulla a quel tanto, di cui mi lusin- ga la mia solerzia indagatrice del mio carissimo cav. Ricci. Ma prima di continuare sull'articolo stampe, mi dica come esser mai possa, che nessun esemplare sia qui ancor giunto della sua gentil georgica di Flora? Io non saprei spiegarlo altrimenti, che notando non esser questa un bollettino commerciale di cambio, di cui questi signori genovesi sono assai più avidi che delle produzioni di letteratura. Sebbene pur qual-' cuno almeno vi è sempre che sta in giornata delle cose e nuove e buone: cosicché non avendo potuto altro fare , ho preconizzato il gusto che avrà chi leggerà questa di lei ultima delicatissima e preziosa produzione . — Io mi aspetto intanto di poter tro-» vare, tornando a Venezia, qualche sua carissima let- tera, in cui sia un buon elenco di cose, alle quali io contrapponga poi per cambio altri oggetti deside- rabili da'suoi corrispondenti. E poiché io le ho tra- smesse alcune indicazioni intorno a vecchie stampe, vengo ora a dargliene alcune altre che possono es-r serie utili in seguito, anche per mettere alle vedet- te li suoi trovatori. Vi sono alcuni antichi ritratti che mi piacerebbero indipendentemente anche àd^ Lettere i??edite 293 quello dell'Aretino, intagliato da Marcantonio, che mai ho potuto avere, e uno segnatamente pare un. frate, senza barba, fiero d'aspetto, cui le punte dei due denti incisori infeiiori si traveggono, sormon-^ tando il labbro superiore, con una maestria d'inta- glio singolarissima. Alcuni soggetti di Ercole ed Anteo trattati ori- ginalmente dal Pollaiolo^ poi da Gio. Àutonio da Bre- scia^ poi da Mantegna, che si somigliaaio. Di Baccio Baldini sono imdici, e ventidue pro- feti. E le carte da giuoco antichissime. Mi interessa una carta che presenta un combattimento degli ani- mali con vista di mare nel mezzo e foreste dai due Iati. A sinistra un leone si balte con un toro : più innanzi una pantera divora un cavallo già morta. A destra si battono due cavalli con due leoni e due pardi. Senza marche. Un Mosè sul Taborre che riceve le tavole ^ il serpe di bronzo e il popolo ebreo. Stampa per tra- verso di circa 8 pollici. Un angelo annunziante col giglio : figiua sola in. piedi. ~ La visitazione di s. Elisabetta con archi- trave. - Una presentazione al tempio, - stampa di 10 figure. - La vergine in trono col putto sulle gi- nocchia. - Flagellazione alla colonna ; figure alte quattro pollici con architettura. - S. Sebastiano d'in- taglio finissimo. - Cristo in croce coi due ladvoni ; figure di 5 pollici. - S. Giorgio col drago e la don- zella. - Il calvario colle tre croci, le turbe , le pie donne; stampa alta sette pollici. - S. Giro'iamo che scrive. - Le opere della misericordia : gran carta ove si vede un frate predicatore. - L' assunzione :: 294 Letteratura }yran caria di due pezzi riuniti. - Sei peccati capi- pitali. - Centauro ferito e battuto da due combatten- ti: egli con mazza e scudo, eglino con due accet- te. - Figurina con asta e scudo scrittovi Achilles. ~ Rotondo con una Giuditta, e una targa appesa ad un albero. - Due figure vestite singolarmente, l'uno siede, l'altro in piedi si vede da tergo e suona un liuto; mare da lunge. - Chimera, su cui è sdraiata una figura di strega che suona un corno, ed altra sospesa ai rami di un albero suona egualmente. - Li sette trionfi del Petrarca.- Il trionfo di Paolo Emi- lio.- Battaglia di due tritoni armati con due sirene in groppa. - Gran cavallo, stampa originale senza marca. Copia* dello stesso di Antonio da Brescia. - Figura di statua d'Ercole mancante di braccia e te- sta: nel basso è scritto in tnonte cavallo. - Testa d'im- peratore, in cima a cui veggonsi S. G. I. R. - Tut- te queste stampe non sono chiaramente note pel no- me degli intagliatori, e sono quasi tutte senza al- cuna marca. Ora seguono alcune stampe veneziane. Venere in piedi, alta sei pollici: Gio. Antonio da Brescia. Romae noviter referc. - Ercole che porta il' toro. Io Ani. Brix. - Ercole e il satiro: senza mar- ca. - Donna svenuta in braccio ad un giovine, che gli pone una mano nel seno: senza marca.- Vasca con fonte e putti sormontata da un Nettuno. - Di- ciotto stampe di ornamenti grotteschi di Zan An- drea, marcata delle iniziali. - La morte colla stessa marca. - Due pezzi ornamentali colla marca Io Ani. Brix. - Il giuoco completo di 50 carte, e la copia. Mantegna. - Due putti con un trofeo di Mantegna; senza nome. - Una Venerina con un puttino; mar- Lettere inedite 295 cala Marcello Fogolino. - Fra le carte di Mantegna^ che tutte mi sono care, quella che più rai preme è una stampa grande non finita, ove una madonna siede in una grotta: ed in ispecie anche vorrei tro- vare una stampa di Mantegna, ove la madonna è seduta e il putto sta in piedi sulle ginocchia, s. Giù-: seppe e s. Elisabetta, e s. Giovanni che presenta un fiore al bambino. Benedetto Mantegna. Orazione nell'orto con s. Pietro e s. Giovanni. - S. Girolamo nella grotta. - Madonna col putto sulle ginocchia. - Figura che sie- de e legge in un paese. - S. Antonio eremita. - S. Sebastiano. - Figura sedente e una palma. - S. Ca- terina in piedi. - S. famiglia con cartello appeso ad un albero - Incontro di s. Elisabetta.- Donna che bat- te un satiretto, e satiro in piedi. - Figura che sof- fia in ima tromba. Giulio e Camillo Campagnola. Quattro tondi, due col Padre eterno, gli altri colla nascita e l' annun- ziata. - Samaritana al pozzo. - Strage degl'innocenti (tondo). - La discesa dello Spirito Santo (tondo) - Assunzione in foglio, 1517.- Combattimento d'uomi- ni a cavallo in una foresta, 1517.- Vergine col put- to addossata ad un albero ed altri santi, 1517. Paese con quattro figure sedute a sinistra che si sollazzano e suonano.- Giovane appoggiato ad un tronco, 1517.- L'elemosina di s. Rocco. - Cristo che scaccia i pro- fanatori del tempio. - Un matematico con un globo, e una città in lontano, 1509.- L'andata al Calvario: gran foglio. - Molte stampe in legno di questo au- tore. - Una piccola stampa col ratto di Ganimede, segnata Inlius Camparpiola Antenoreus. 296 Letteratura piccoletto da Modena. Gran presepia con grancfe' architettura.- S. Giovanni. - S. Giorgio -S. Antonia, 1514. - Santo in piedi con zoccoli e libro.- S. Fran- cescOi- S. Sebastiano. - Li suddetti in grande. - Apolla con arco e strale. - Ercole e Acheloo.- La fortuna col! tirso che finisce in Una testa,e timone e globo: foglio.- Sette pezzi d'ornato. ^ Preliorum deus. - Figura ignu- da con elmo a lancia. - Mercuiio. - Marte. - Fucina d'amori: foglio grande. - Lingua pravorura peribit. - Sette fanciulli, e due capri, uno dei quali beve, con paese. - Grande architettura con un piccola s. Ba- stiano. - S. Giovanni in mezzo a gran prospettiva. - La vittoria o la fama che scrive sullo scruda, schia" vi e trofei. - Divinità marina con cavallo marino e putto. - La vittoria colla corona. In tutte queste stampe o in marca o in rame è il contrassegno. Incisore che ha per marca un uccellino. Tutta ciò che fosse di questo maestra è raro , in ispecie un ratto d'Europa, una S famiglia, una caccia del cinghiale. In genere ama anche assai le carte di Martina Rota., quando siano belle e conservatissime. Mi pare di aver fornita un grandissimo campo alle ricerche, senza pregiudizio di quanto io potrei ricevere da me' non indicato e iwn conosciuta , e che amerò forse anche di preferenza di tutte le cose che ho qui se- gnate, e indicate, e che conosco. Finisco per non abusar di soverchia della sua sofferenza, e fors'anche perchè non ho più occhi, né pazienza, né carta. Leopoldo Cjcognara Lettere inedite 297 Al medesimo. Venezia 9 dicembre 1826. 37. Oh quanto sono per me preziose le vostre lettere ! Ma non vi spaventate di questa specie di furia, che viene relativamente all'affare dei nielli. Io non saprei come altrimenti procedere per non farmi rubare un ritrovato, perchè altri non usurpasse il frutto di lunghe fatiche e ricerche: ed io se non ac- celero la pubblicazione di tutto quello che mi bolle nel capo , e che ho messo assieme , accadrà come di cento altre cose, delle quali gl'italiani furono tro- vatori, usurpate dagli stranieri. Or dunque mi in- teressa, poco meno dell'esistenza, di accumular nielli in natura e in istampe: e quelli che aver non posso, almeno saper descritti., e conoscere ove sono. Ma se quella croce non si potesse avere tal come si trova, e che difficoltà vi sarebbe di pagar bene le placchetle ottagone dei nielli , lasciando la croce al prete tal quale come sta , e compensare il difetto? 0 d' un modo o d'un altro è lungo l'aspettare a primavera: ed io son vecchio, e le cose urgent per conseguenza. Poi mi fate sperar d'altre croci, e pare sappiale ove possano essere paci niellate. Oh se mi renderete possessore d'una bella pace di niello, io la preferi- sco a un regno ! Sì signore, i nieUi (intendendomi benissimo) sono quei lavori, ove i solchi del bulino sull'argento sono stati riempiuti da una sostanza nera metallica, dagli antichi detta nigellus^ dai moderni solfuro d'argento. Io tutto ora so fare e disfare a mio talento in questa materia: ma pregovi per ora G.A.T.CXIV. 20 298 Letteratura non dirlo. Ma se vi vien fatto di scavare, sia per rendermi possessore, sia perchè io abbia descrizioni esatte, vi scongiuro aiulaimi. Ma voi siete un por- tento per me: ed io vi amerò fino all'adorazione. Non ho mai fatta cosa al mondo con animo freddo: ne mai grazie giunsero senz'ale. Queste divinità io rappre- senterei sempre alate : poiché non è vero che sia più grato un favore lungamente desiderato, ma un istantaneo vai cento volte più. Mi metto nelle braccia vostre e del fratel vostro, che vorrei imparasse da voi ad amarmi. Conosco la medaglia col Curzio, che è una specie di gettone del 1500. E cosa di lieve conto. Lotti non passerà più per Rieti, ma mia nipote vi passerà per ricon^jiungersi seco lui a Roma , e andare assieme a Napoli. Non ho ancor ricevuti li tarocchi: sono forse in viaggio? Se Dragonetti vorrà belle stampe moderne, io gli farò nota di ciò che posso trovare secondo i prezzi , e la manderò an- che a lui a dirittura. Ringrazio voi della variante che mi avete mandata. Io sono beato di tutto ciò ohe viene da voi, che avete l'anima e la penna così gentile. Vedrò qUando che sia il s. Benedetto, ed è certo che debb'essere cosa distinta, la quale se avesse anche dei peccali, non sarà senza gran pregio. Che ingegni sommi fallirono pur anche, e non può darsi oper'a umana senza menda: ma spesso gli errori dei grandi sono belli ed hanno una originalità loro pro- pria, che non "trovasi in quelli degli uomini comuni. Fatevi cuore contro la stagione. Avrete uno stanzino caldo, senza neve, e senza umidità, dei li- bri e della carta; e seminate éosi belle e care let- terine. Non potrete avere avvilimento di forze e di Lettere inedite 299 spirito , che in voi riderà sempre eterna la prima- vera. Oh bello ! e noi elicli' io che piimavera è in voi! Mi arriva ancora una vostra letterina del 5, che bacio. Voi vi movete, voi stesso per li miei nielli. Oh uomo raro e prodigioso! Ma non vorrei òhe aveste a soffrire: e non ho pace, finche non vi sento tor- nare ai vostri lari. Oh foste voi qui, che ti Scalde- rei col fiato e piedi e mani con devozione f I nielli della vostra capitolare potrebbero essere antichi, ri- portati in mezzo ai lavori moderni, ovvero potreste avere mal letto, siccome temete, ovvero potrebbero essere infanzie di artisti, che tanto somigliano e si confondono a quelle dell' arte. Neil' ultimo caso io avrei dovere di conoscerli. Bell'ingegno, e sempre nuove varianti. Oh! que- st'ultima mi piacerebbe assai se si potesse, ridiicendo la cosa a terza persona, a modo di sentenza dire . . . Tardi s'impara: — quel che pur troppo io sol Forse ve la troverete. Da Subiaco e Monte Cassino avrete senza dub- bio notizie importantissime, e non so se altre simili cose possano trovarsi in altri santuari. Basta, io vo- glio essere il vostro più gran debitore che abbiate. Addio col cuore : un milione di ringraziamenti io vi fo e ripeterò sempre. Accendete le candele a quei vostri quadretti tolti dalle preziose opere di Raffaello per mano di Sassoferrato. Li vedo ancora, e si av-' vicinano le solennità in quelli rappresentate. i Leopoldo GicognÀ!L4. ' 3pO Letteratura Al med. Venezia li 22 dicembre 1826. 38. Io non ho tante obbligazioni a chi mi ha data la vita animale, che è un caldo di esistenza co- mune agH asini e a'buoi, quante ne professo a voi che nudrite la vita celeste del pensiere, confortandomi sempre sui miei studi e nelle mie speranze. Vorrei lusingarmi che questa sera mio fratello, venendo da Ferrara a passar le feste con me, mi portasse i ta- rocchi ed il trionfo: sebbene otto giorni fa non erano ancora a lui pervenuti. Quanto all'ottenere i quattro nielli della croce che non è in Rieti, siccome anche li due antichissimi (come supponete) di quella di Rieti stesso, sostituendo delle piastrine d'argento li- sce per togliere ogni deturpazione, io non posso di qui approvare menomamente senza vedere. Ma pro^ mettovi che avrò per rato , grato e applaudito quanto sarete per fare. Voi cercherete che la cosa abbia effetto per il meno possibile , s' intende : ma non potrei precisare , poiché un niello può valere poco più dell' argento , un altro potrà valere otto , dieci volte il valore dell'argento medesimo. E io non andrò in collera, per misurata che sia la mia for- tuna, se mi manderete diversi nielli a diverse condi- zioni, dandovi plenipotenza. Bisogna però si ponga gran cura di non torcere le lamlnette nello staccarle, acciò non si scrosti il solfato d'argento, che le ricuo- pre. Io non avrei potuto passar da Rieti senza ab- bracciarvi: ma avrei tenuto anzi di non poter andar più innanzi, e che mi avesse sedotto il piacere d'una Lettere inedite 301 stagione con voi : poiché tornando il verno l' avrei fatto da lucertola o da ramarro, chindendomi al vo- stro tepore finché non giungeranno gli aliti di pri- mavera a sprigionarmi dai geli che vi circondano. Di qui oggi vi scrivo in un giorno di primavera. La vostra variante m'imparadisa, e mi conferma non es- ser mai cosa buona, che non ve ne possa essere una migliore. Che i quadrettini vostri sien cosa sublime, non ne ho mai dubitato. Ma che non possano essere di Sassoferrato, perchè questi pittor freddo, e quelli caldi di tinte, non vorrebbe dir molto: mentre tale che co- pia opera non sua si pone nella necessità di far ta- cere la natura propria, sostituendo l'altrui e più ma- gistrale, imitata non solo, ma contraffatta con dili- genza. Ciò sempre si vide. E trovo meglio aver mo- tivi per sospettarle opere di Sassoferrato con buone ragioni, di quello che vagare con incertezza e senza nome. Tanto più che per la natura della loro esecu- zione, per quanto bellissima e divina, si elimina ogni dubbiezza di originalità, che veramente non sta nel- l'andamento di quel pennello, benché soavissimo. Que- sto è ciò ch'io penso, sebbene arda anch' io il mio cereo devolo volontieri dinanzi a quelle immaginette divine. Certamente che un Lattanzio di Subiaco com- pletato potrebbe servirvi a un buon cambio, siccome a me servirebbe, se lo avessi: poiché un tale tiene li profeti e le sibille di Baccio Baldini, cui potendo of- frire un simil cimelio, od un Boccaccio del secolo XV, potrei sedurre. Gran che! di tante edizioni del /i 00 del Boccaccio che non abbia a riuscire a trovarne pur una? Questo mio amico é pazzo per i novellieri 302 Letteratura antichi, ed ha cose rarissime: ma un Boccaccio del 400 non l'ha. Scrivete per carità all'antiquario di Cesi e di Stroncone, e mettetevi in possesso dei nielli, e raggua- gliatemi subito che potete. Bisogna portarli via ad ogni modo. Quando li avrete veduti voi, io sono con- tento e mi fido. — Quanto poi alla croce , e alla pace donata da Margherita d'Austria, non v'è da per- der tempo. Se la pace è di niello, bisogna fare un sacrificio subito, e non perder tempo: e per la croce, se si possono staccare li nielli, farlo: se non si può, prender anche la croce. — Se poi il prete di Savi- gnano vuol dare la croce per cento scudi, voi do- vete sapere cosa vi sia almeno d'argento. Se potete aver le piastrine per poco, procuratele: se ne volesse troppo, allora cercate di tirar prezzo sulla croce. In- somma voi avete da me pienissimi poteri. Attendo dunque anche il s. Benedetto: cosi sarete voi da me il più benedetto degli amici miei. Leopoldo Cicognara Al medesimo. Venezia 4, 1827. 39. Non posso a meno di non scrivervi due ri- ghe, benché tormentato il capo da una flussione atro- cissima. Avremo a Venezia l'Ettore e l' Aiace, mentre l'Ebe ne partirà al prezzo di dieci mille scudi. Que- sti fasti dell'arte moderna, quasi senza esempio, erano serbati a Canova: e il suo biografo ne sarà ben pago. Monsignore vi potrà d'ogni cosa ragguagliare. - Io ho papjto tutto ciò che voi mi scrivevate, e anche Lettere inedite 303 ciò che eravate costretto a tacermi. Conosco per mia disgrazia gli uomini abbastanza, e mi pare che sia bene un debito che mi convenga pagare a quella ca- nizie che mi ricuopie a spese di una vita laborio;ia e di una grande esperienza. Dunque si accetteranno \i 25 scudi assai volentieri : che per quanto sia il prezzo dell'argento, moltissimo io ne pongo sull'illu- 'Slre nome d' un artista chiaro. Il vostro nome che un solo luigi basta per porvelo , ossiano cinque scudi, bisognerà certamente ch'io il ponga: che non è dicevole non trovarsi in quello splendido elenco, e lo voglio per certo. Io lavoro di mani, di piedi, di testa, e la cosa ottiene già il compimento in in- verno. Ma non intendo col piccolo sacrifìcio d'inte- resse che vi domando di rovinarvi: sebbene Guat- tani $i sia reso ipimortale. Che vedete il moderato confine, a cui vi metto, soltanto per la compiacenza che una volta sola da voi sia fatto ciò che io feci per cento. La storia del tempio sarà da voi fatta con tutta l'antivedenza: e son certo sarà cosa bella e di- stìnta , che verrà in onor vostro grandissimo, ^a quando io ben avessi data la storia del monumento a fare col raccogliere tutto ciò che la riguarda, l' avrei già anche fatta: cosicché mi è mestiere tutta dettarla anche come membro d'una commissione che deve essa medesima dar conto del suo operato. Que- sti motivi mi stringono a dover fare mio malgrado da me, e tacere ciò che a me non lice dir di me stesso. Circa poi l' occupazione che vi siete data di stendere dei sermoni sovra oggetti di letteratura, mi piace moltissimo e parmi debba esservi ben riuscita. 304 Letteratura Oh! quanto volentieri ne sentiremmo io e mia mo- glie la lettura al caminetto passando deliziose serate e istruttive. Ciò che è differito, non sarà tolto , io spero: e la vostra amicizia non mi defrauderà della solerzia di tanto ingegno. - Abbiatevi salute, felicità, onore, e tutto ciò che meritate: che io sarò felice se r età presente vi retribuirà intero ciò che l'invidia spesso dimezza ai contemporanei. Io mi pago da me stesso colla compiacenza di riescir qualche volta a far bene altrui, se non seppi farlo a me stesso. Leopoldo Cicogmara Al medesimo. Venezia li 14 giugno 1827. 40. La carissima vostra due giugno, datata an- cora da Roma, mi fa sperare che a quest'ora siano in viaggio per Venezia le stampe e le care persone del duca e della duchessa, che son certo ne sareb- bero incaricate: poiché una cassetta di più o di meno, a persone che viaggiano con frugoni, non vuol dir nulla. Nondimeno ho già prevenuto mio fratello pel sollecito invio. Io vedrò tutto e ragguaglierò : e in secondo invio può essermi spedito anche tuttociò che vi ha di scuole tedesche antiche, che io ben discerno, e che senza confonderlo associo alle mie ricerche dell'arte calcografica. Sospiro che nel vostro ritorno agli Abbruzzi possiate ritrovarmi monumenti di glo- riosa amicizia e mi possiate scavare, siccome io feci all'Aquila, un tesoro per una mica di pane. La pace, di cui mi avete parlato , prendetela pure : che an- drà bene, poiché si tratta di piccola moneta, e non Lettere inedite 305 vi è pericolo d'ingannarsi: e nni direte quanto avete per questa dato, che unirò con altri debiti che ho con voi, e che vi prego di precisarmi acciò li possa saldare in mano di monsig. Canova, cui ho riconse- gnato quegli scarti della passione imperfetta in le- gno del Durerò. Io muoio di voglia di farvi vedere le coserelle mie: che un giorno o l'altro pur verrà questo momento ! Sento cosa mi dite intorno alle molte preziose cose lasciate dal nostro Gian Gherardo de Rossi. Io ne conosceva alcuna, e diverse belle pietre incise. Deve anche avere un poco di vecchie stampe. Dio sa ove sono fitte, incollate, riposte ! So che il figlio è giovine studioso, e i libri certamente conserverà. Ma grande difficoltà avrà di trovare chi spenda co- spicua somma in oggetti moltiplici, senza che vi sia veramente un pezzo di prim'ordine, che sostenga il merito del rimanente. Ditemi però, se lo potete ben sapere, in che parte consiste il maggior merito delle medaglie: che queste io non ricordo, e forse non ho mai vedute. - Voi certamente sarete acclamato per la riproduzione del vostro orologio di Flora così elegante che avrà musica e stampe. Vorrei bene che riusciste a vederla in breve completissima: e strin- gerò Perucchini alle emende, se ne avrà tempo. È apparsa all'improvviso una raccolta di componimenti stampati in onore del monumento a Canova, ove cer- tamente se ve ne fosse stato uno vostro sarebbe sta- ta gemma solitaria, mentre ottima volontà vedesi in tutti, ma universalmente son riputati conati di de- boli ingegni. Mando per voi un esemplare di questi unito ad una storia del monumento. Godo che ab- 306 Letteratura biate avuto occasione di ammirare eia vicino Thor- valdsen, il quale ha dei meriti e dei difetti classici. Le cose sue avran vita, g^razia, lindura e finito dal- le vostre parole. Ma egli ha più bisogno di voi, che voi di lui. Quanto sarebbe pur bello che conosce- ste il motivo, per cui non mi degnò d'una riga di riscontro! Nondimeno la lista de'soscrittori sta aperta fino a dicembre: che tutto non ho ancor potuto pa- gare: e se riesce a farlo pagare anche una moneta sola, sono contento: poiché non al suo danaro, ma metteva io peso al suo nome, ed al poco onore che egli si fa non volendo porre una pietra sul monu- mento di Canova. Io vi scrivo pur sempre a Rie- ti, e le mie lettere vi sono respinte a Roma. Ma anche il conte di Camaldoli si unisce con me a spie- gare la vostra lunga stazione a Campidoglio. Poco ho fatto pei vostri raccomandati, non potendo che regalarli di effigie, di disegni, di ricordi, di inezie, delle quali quelle signorine hanno fatto tesoro per loro bontà; che, provenendo da voi, io avrei dovuto mettermi in brani per loro: ma avranno gradito il buon cuore e la buona volontà. - In Toscana si do- vrebbe stampare l'operetta dei nielli: e ne avrete uno dei primi esemplari. Siatene sicuro. Mi sta a cuore che li miei trovatori non manchino di aver ciò che è frutto della mia insistenza. Avrò modo e tempo per fare altre ricerche anche nelle carte vecchie, e ne esciranno singolari conseguenze. Seguitate ad aiu- tarmi con quell'amicizia che è degna di voi, e por- tatemi fuori dalla polvere di qualche scaffale quel Dante di Lamagna colle stampe tutte di Baccio Bal- dini: il Monte santo di Dio^ che se anche fosse di se- Lettere inedite 307 concia edizione per me è lo stesso, come lo aveva nella mia biblioteca: che io lo bramo per le tre stampe, che sono uguali in amendue le edizioni. E se anche fosse mutilato il libro , purché le stampe sieno intatte, mi basta. Trovatemi il libro de'profeti e delle sibille, trovatemi nielli e lavori d'antica ori- ficeria, e io vi venererò come il mio nume tutelare : che certamente da voi debbonmi venire gran beni. Addio, mio molto caro amico. Leopoldo Cicognara. Al medesimo Venezia 30 del 1827. 41. Debitore di riscontro alle vostre del 13 e del 23, noi posso darvi che col mezzo di mano ami- ca, inchiodato nel letto da due settimane con febbre e podagra dolorosissima. Voi intanto movete verso Roma, ove potrei essere io pure, se la mala sorte e la salute inferma non mi stringessero a far troppo spesso contro la voglia mia. È verissimo che l'arrivo di un niello, di una stampa vecchia, di una conso- lazione, di una visita gradita, di tuttociò infine che può portare una scossa sul mio morale, rinvigorisce possentemente l'abbattimento delle forze fisiche e al- levia la sofferenza dei nervi irritati. Non è vero che il Graudis mi abbia scritto, o almeno è certo non aver io ricevuta mai alcuna sua lettera. Se mi avesse fra varie carte offerta la stampa di Michelangelo in- tagliata da Martino Rota al prezzo di trecento franchi, io gli avrei fatta una risata sul muso delle più so- lenni. I più nitidi, i più freschi esemplari di questa 308 Letteratura carta non furano mai venduti al di là di quattro in cinque zecchini. Io ne posseggo parecchi esemplari, dei quali alcuni bellissimi; che in Venezia non è punto rara, per quanto esser possa pregiata. Vi dirò che ne ebbi per sino un magnifico esemplare stampato in pergamena: il quale, prima ch'io mi rivolgessi a cercar stampe antiche, regalai al mio medico. Oh si che di questo il sig. Grandis avrebbe fatte le mira- biha, o r avrebbe posto a 600 franchi! Voi ora in Pioma , pieno di relazioni e solertissimo indagatore, saprete sbucciar dalle tenebre qualche cimelio per me, che mi sarà caro come gioiello prezioso, qualora mi venga procurato dall'amicizia vo.stra operosissima. - Io credo che prima vi spedirò l'orologio di Flora che mi avete mandato inedito, di quello che mi ar- riverà il vostro s. Benedetto che avete stampato: ma quello vola sul carro del sole, e l'altro convien dire sia impastoiato da zoccoli. Quando vi mandeiò gli esemplari dell'orologio, unirò anche un esemplare del mio libro sul bello. Scrivo a monsig. Canova che vi faccia presente d'un esemplare della mia storia della scultura , che se non avete, mi sarà grato di oflFrirvi in segno di amicizia. Pur troppo la morte del buon Cancellieri è stata un colpo doloroso per me! L'abi- tudine di costante amicizia durante gli anni migliori dell'età mia trasfusero in me quella intensità opero- sissima di studio, che anche nelle dissipazioni giova- nili mi facevano trovar tempo alle occupazioni della mente: e, a voler esser sincero debbo, a lui quel poco ch'io sono.- Io aspetto, con una impazienza da con- tare i minuti secondi, le due piastrine tolte dalla cro- ce per farne a me un paradiso: o smalti, o nielli che Lettere inedite 309 sieno 5 purché vengaa da voi, li bacerò tra le mie reliquie : e yedule che io le abbia, vedrem se con- venga il distacco delle altre, che sono rimaste. Ma è la croce che mi sia proprio nel cuore , e quella di Savignano; e intorno a quella bisogna assolutamente far qualche sforzo, ed armar qualche batteria: ma ciò facciasi cautamente, poiché il levar grido mette in sospetto e in malizia, e fa ingigantire ogni pretesa*, è qui dove bisogna vera circospezione, e vera ami- cizia: e in voi confido che mi date da tanto tempo saggi di vera affezione. Ma voi che per le relazioni canoviane avete certamente amico ogni accesso al card, vicario, voi potete molto aiutarmi nella ricogni- zione se negli arredi sacri delle sacristie delle basi- liche e templi insigni di Roma sieno pur rimasto reliquie di nielli: che per quanti ne uscissero al mo- mento della rivoluzione, nondimeno debbono esser vene di bellissimi , ne son certo : e questi addossati o a croci, o a paci, calici, reliquiari, navicelle, evange- liari, epistolari: e poiché non debbo lusingarmi di ottenere alcune di quelle insigni preziosità , mi è però assai caro il sapere di ognuna possibilmente il soggetto, lo stile e la dimensione. Capisco che i più ricchi furono asportati sull'evangeliario ed epistolario di Paolo II: l'uno dei quali rimase a Venezia, passò l'altro a Londra; ma io non mi sono mai abbattuto in incontri felici per godere di si bella opportunità. Io credo che se mi vedessi possessore di una pace niellata, impazzirei di consolazione: figuratevi che que- sti evangeliari di Paolo II erano dieci volte più grandi di una pace! Finisco e raccomando a voi l' npiraa ed il corpo mio : e se io son riuscito a far 310 Letteratura vendere a Canova, giorni sono, l'Ettore e l' Aiace ono- revolmente, non lieve impresa in questi tempi: vo- glio sperare che alcuno riuscirà a trovarmi fra gl'in- cunaboli delle arti nostre qualche frammento sottratto all'avidità e all' opulenza degli stranieri. Addio col cuore. Tenetemi vivo nell'animo vostro, e il giorno che mi arriverà la vostra lettera sarà per me vera- nfiente festivo. Leopoldo Cicognara Al medesimo Venezia li 19 aprile 1828. 42. Mi arriva un graziosissimo vostro librettino che addolcirà le noie di un mio viaggio a Fer- rara per la morte di un mio agente e mandatario immatura, che mi duole e imbarazza assai, ma che nott nxì terrà però lontano più di dieci giorni. Ho letto il volumetto dell'eloquenza. E cosa savia, buo- na, giudiziosa. Ma avete voluto far poca fatica nel- la scelta degli esempi. Voi, uomo fino, arguto e gen- tile al tempo stesso, dovevate sviscerare il bello dei classici, là dove appunto si cela il più, nei luoghi meno citati , meno comuni, che si sanno meno a memoria: e così insegnare a gustar le bellezze del paradiso, che non sono pane per tutti, e che han- no meno appariscenza che quelli dell'inferno. E ciò mi attendeva. Ma avete voluto esser più facile ad intendervi, e andare alla corrente dei più. Ciò dico non per farvi da censore, ma perchè io pure qual- che cosa convien che dica d'un uomo insigne come siete voi, a cui nulla si perdona, benché tutto si Lettere inedite 3H amaiiri. La cassa arrivò a Venezia. Ma oh Dio che spavento, che puzza, che distruzione! Questo non è stato aiFare da umido viagg^io da Fohgno a Fer- rara, bensì da ripetersi nel hiogo basso, terreno, acquoso ove si tennero lungamente in Fohgnd stes- so. Più di due mille ne ho donato ai servitori, a condizione che vadano via di casa subito pel con- tagio che mandano: e non han trovato a venderle a peso di carta. 11 resto è cosa da banchetti e strac- ciaroli. E non so capire come non vi sia una carta che valga, non dirò uno scudo, ma un paolo. Quel Dragonetti fu giocato barbaramente: non mai ho avuto un'idea di un complesso simile. Ma tornando alla muffa: vi dirò esseivi delle mezze cartelle, dove la carta si è tutta impastata as- sieme inseparabilmente , e la muffa del verde è passata al nero : ed io son tutta la notte coli' odo- re fitto nel cervello, malgrado l'acqua di Colonia. Co- me si può. Dio buono, abusare d'un galantuomo, fino a quel punto che si è abusato del povero Dra- gonetti? "Vi dirò intanto a sua consolazione, che ho potuto a gran stento trovare, e col convenuto sa- erifìeio di venti zecchini, un bell'esemplare del Giove olimpico di Quatremere, e che è già in spedizione da Parigi per Venezia. Cosicché unito ad altre cose, che cercherò di accozzare, io lo manderò dove e co- me indicherete, arrivato che sia. Ma questo intendo sia in relazione alla cartella ricevuta lo scorso estate. Poiché la cassa, che mi costa già qualche scudo per arrivare fin qui, non vale le spese del porto-, e vi saprò dire se le caverò da quel che residua, né si può tenere in casa per non rimanere appestati, -lì 312 Letteratura Paoletti di Padova è pieno di gusto, di coraggio, ma discreto nei fondamenti dell'arte. Nondimeno è gio- vine che mi preme, che è eccellente d'indole, e me- rita incoraggiamento: e riguardo anche a me fatto ogni bene che a lui procurerete. E alunno d'uno dei nostri alunni migliori: sicché se non è mio figlio, è mio nipote nell'arte. Desidero che dalle visite vo- stre e dei viaggiatori venga conforto alle mie ricer- che di artistiche anticaglie. Conservatemi la preziosa vostra amicizia, che reputo come uno dei principali beni della mia vita, ed amate sempre il vostro Leopoldo Cicognaha :ì/i\ Al medesimo. Milano 1 luglio 1828. 43. Ho qui riavuta la preziosa vostra del 1 5 scor- so , la quale mi avvisa delle cose bibliografiche, e m'indica il volume del RoUin n. 37 , del quale ho subito scritto perchè si cerchi e si mandi. Non dite poi ciò di cui io vi aveva pregato, vale a dire, a chi e come volete che io dirigga il grosso pacco già for- mato e preparato, e coperto d'incerata, che suppon- go starà bene a Pesaro a quel medesimo che fu in- dicato per la consegna de'vostri volumi sulla volgare eloquenza. Io ho unito in quel pacco qualche altra cosa, cosicché debbe oltrepassare li 277 franchi. Non ricordo qui io bene il valore e il numero delle car- te della cartella dell'anno scorso. Ma volendo portar- mi a tutta quella latitudine maggiore che vi si può mai dare, sebbene fossevi alcune stampe buone, non però alcuna di somma freschezza e vivacità e di co- Lettere inedite 313 spicLio prezzo. Ridurremo la cosa alli 500 franchi, e potrò offerirvi e mandarvi un secondo invio del valore circa di franchi 230 a compimento. Vi avrei offerto per Dragonetti un libro di valor sommo, un solo volume in foglio di dissertazioni archeologiche e tavole ricchissime stampato in Londra, ove scris- sero i primi dotti d'Inghilterra, e fu pubblicato re- centemente da una società di dilettanti; ma questo è dell'importare di 18 lire sterline, vale a dire di oltre 432 franchi. E non avrei difficoltà a mandarlo per essere bellissimo libro, dottissimo: e se non piacesse a Dragonetti di ritenerlo, può farne assai facilmente un eambio a Napoli. Questo ha per titolo: Specimen sculptiirae, e in esso trovansi marmi, bronzi, e rare curiosità. Mi potrà essere offerto pareggio con qual- che vecchia stampa , che io accetterò sempre colla buona fede, colla quale si procede tra amici e ga- lantuomini. Le quali cose tutte possonsi ora stabilire e condurre ad effetto tosto che io torno a Venezia. Circa la carta papiracea ammuffita, riesce finora inu- tile il realizzar nulla in Padova stessa, poiché io mi ero messo in capo di cavare dal residuo complesso una cinquantina di scudi. Ora si tenterà lo smercio a minuto, e tutto terrò a requisizion dell'amico, quan- to mi riescirà di realizzare. Non vi scoraggiate: che quanto meno ve lo aspetterete verranno alle vostre mani profeti, sibille, gladiatori, anticaglie, e nielli, e il Dante di Lamagna. Basta che non si raffreddi la volontà, e la pazienza e la solerzia dell'amicizia vo- stra. Quanto alla croce, io non avrei difficoltà di da-» re i 100 scudi, se esistono in essa i nielli da voi indicati in una preziosissima vostra lettera. Ma in tal G.A.T.CXIV. 21 314 Letteratdra caso converrebbe che la facesse partir subito per Bo- logna, ove io stesso me la prenderei in principio d' agosto, o in fine di luglio; e in questo caso sia di- retta e cautamente consegnata, anche per diligenza, in una casseltina ben fatta al sig. Giuseppe Ungarelli, ovvero al sig. Giacomo Rusconi direttore delle poste pontificie in Bologna^ che è anche meglio, accompa- gnata con due righe che gli prescrivano di tenerla finché io non giunga a Bologna a riceverla dalle sue mani. Se ciò potete effettuar prontamente, scrivetemi a posta corrente a Milano: che io vi mando imme- diatamente una cambi aletta per l'importare di questa piccola somma. Io ho trovata qualche buona carta antica qui, e a Londra, e a Parigi, ed ho fatto qual- che sacrificio. Ma nel resto d'Italia, ove sperava il più, non ho trovato niente. Confido die a Parma, a Modena, a Bologna troverò pur qualche cosa. Quel libraio, che in Pesaro debb'essere il punto di comu- nicazione e trasporto per le cose vostre a Venezia, può essere incaricato d'ogni trasmissione delle altre cose vostre che m'indicate. E io sono persuaso che avrete pubblicate delle amabilissime produzioni, e la vostra conchiologia sarà una galanteria poetica di prim'ordine. Ne son sicuro. E se somiglierà la Geor- gica dei fiori, vi renderà immortale. Mando a Pado- va la descrizione dei quadri di Paolelti ; e quando avrò i disegni per il giudizio da incidersi, io ne farò una descrizione motivata, un'articolo che a voi intitole- rò, e ne faremo buon uso, io spero. Ma contemporanea- mente conviene che voi possiate munirmi di quant' al- tre notizie di fatto, di luogo, di tempo potessero mai servire a questaillustrazione,ond' abbia un proposito. Leopoldo Cicogna ra, Letteke inedite 3 io A^ medesimo Venezia 29 aprile 1829, 44. Posso riassumere le idee e l'opera della men- te e della penna, fra le penose alternative d'una sa- lute ben molto sconcertala: e malamente potrò cor- rispondere però all'estrema cortesia vostra, alla qua- le son debitore di riscontri, e che stanno con quel vostro elegantissimo carattere, e con quell'aurea vo- stra dicitura, guardandomi sul mio tavolino, aperte e rimproverando l'involontaria mia mancanza di ri- scontro. Io tengo sempre davanti a me le tracce per quelle illustrazioni dei disegni di Paoletti, le quali verranno estesi quando sia che l'opera grafica mi venga sott'occhio in qualche maniera. Ho sentito che le produzioni di Flaxman viste da vicino sono riu- scite minori della prevenzione, che se ne aveva. Ma questi fu primo a muovere in una carriera che era obsoleta, e levò grido di novatore; dopo poi mille altri seguirono, e certamente piacerà oggi più di lui Pinelli e Demin e Sabbatelli e Camuccini, se vo- lessero illustrar colla punta i poemi di quei clas- sici, siccome alcuno di questi ha già fatto. Pel no- stro Dragonetti io non ho un Winkelmann né nuo- vo, né vecchio: l'ho cercato qui inutilmente. Ma stia tranquillo: che ora terminata omai l'edizione d'Agin- court, non v'è piiì diilicoltà, e stamperanno subito il miglior Winkelmann possibile , alla cui edizione ho già dati tutti i consigli possibili per la più per- fetta riu cita. Il Grandis, trovato da voi, venne a trovare anche me, e lo vidi vestito di nuovo, e con idee di grandi e varie speculazioni . . . 316 Letteratura Avvertite che io non ho avuto più libri, né poesie, né disegni, né nulla da voi per quanti invii siano slati fatti a Venezia. E non ne so nulla, Godo assai che abbiate riposta mano alla vostra conchio- logia. Quanto debb'esser bella ! Io mi anticipo delle visioni deliziosissime su quell' argomento. Non mi avete mai detto nulla del libro di Manzoni / pro- messi sposi^ che va ora seguito dalla Signora di Mon^ za di Rosini di Pisa. Questo secondo si é attaccato alla fama del primo. Ma spronato a dire 1' animo mio, ho scritto all'autore quelle lodi che può me- ritar lo stile : ma quanto al genere, mi è parso di poter dire che si vuol seguire la moda de'moderni romanzieri inglesi, ma sempre facendo declinare le lettere : poiché mi pare che Mirraecide , Lercaro , Denner si vogliano far prevalere a Fidia , a Miche- langelo, a Tiziano, a Raffaello, La minutezza sfibra- ta dei particolari, i lavori da microscopio, la finezza dei peli, la porosità della pelle, la passione di Cri- sto o l'Iliade di Omero scolpite su di un nocoiuolo di pesca o di cerasa, son belle cose: ma quando man- ca il fuoco dell'invenzione, il foco dello scarpello, il brio del colore: e in conclusione mi sembrano gli sforzi costantiniani nella decadenza delle arti. Io non ho saputo dir altro. Datemi torto. Da voi mi lascio dir tutto, e piego la testa. - A Dragonetti non ho dif- ficoltà di dare un corpo dell'edizione della mia sto- ria della scultura, stampata a Prato, che ne tengo due esemplari; ma intenderò di mandargliela come un pegno d'amicizia, non come dovutagli nei rag-r guagli: poiché io tengo ancora in Padova quelle mufi- fé invendute , invendibih. E che io sia disposto a Lettere inedite 317 compiacerlo, non v'è quistione. Lo farò anche volen- tieri. Ma egli mi darà un segno di gradimento, e mi manderà a piacer suo una o due belle carte antiche, che riceverò in concambio, senza stare a far calcoli. L'articolo di Lampredi, che è pubblicato sul giornale di Napoli, mal volentieri si ripubblicherebbe su d'un giornale accreditato, poiché gli articoli si vogliono originalmente fatti. È bello in parte, e in parte no: che voi avete più del Claudio e del Pussino, che del Salvator Rosa. Il vostro è un pennello amoroso, sen- za esser leccato: e Salvator Rosa talvolta gittava la spugna sulla tela con vigoroso disprezzo, e lasciava ogni scabrosità del colore, facendo talvolta le nubi a guisa di ardite scogliere. Vedrò cosa si può fare: ma voi sapete che non abbiamo giornali accreditati, fuori della biblioteca italiana, dell' antologia, e che qui nei paesi veneti nulla è di possibile.- A propo- sito di Orologio di Flora: avete dunque tutta la mu- sica ? Bisognerebbe pur pubblicarla. Ma andrebbe pur fatto bene e con garbo, e ninno può farlo me- glio di voi. Ma questa volta col Grandis l'avete fatta un po'curiosa. Mi dite che non gli rispondete finché non avete il mio riscontro: ed egli mi legge il vo- stro assenso, ben prima ch'io potessi dare a voi il menomo cenno su quel che mi dite del monumen- tino che vi farà Thorwaldsen: e vi siete valso di lui, a preferenza, mi figuro, perché egli si é valso di voi. Ma io credo che i vostri versi saranno più durevoli in fama che i suoi marmi. Prendetela come volete: ma un amatore distinto e forestiere mi scrive da Ro- ma che il monumento di Pio VII sia un'ira di Dio. Io non saprei creder questo, e spero assolutamente 318 Letteratura che ciò non sia così. Capisco che se \i avesse do- vuto scolpire le grazie, sarebber disgrazie. Ma poi ... credo, vi sarà molta esagerazione in questo biasimo. Forse questa mia lunga cicalata vi arriverà a Roma: e desidero buone le vostre nuove, e anche che la Vostra famigliuola vi sia motivo di consolazione e non di dolore. Nelle accademie, che onorerete, l'in- gegno vi brillerà. Ma quei soggetti rispettabilissimi non sono troppo poetici. Si dice però che il nuovo pontefice ami le arti, gli studi, le cose buone, e sti- mi i letterati. - Ma voi viaggiate colla musa, e Pao- letti sarà beato di viaggiar con Apollo. Dio vi fac- cia incappare in nielli, o in antiche stampe! Io ho trovato tesori di niello: ma nessuno porta in fronte la tanto sperata vostra epigrafe. Possibile ? E veris- simo che per tre volte mi furono praticati degli uffici per farmi accettare la soprintendenza delle ar- ti. Ma è vero altresì che per ragioni forti ho in- sistito a non voler saperne e tenermi procul nego- tiis ... Io sono vecchio: ho troppo servito il pub- bUco. Ne ho abbastanza. Se fossi un pò più ricco, andrebbe meglio : ma per questo non mi voglio pe- rò disperare. Leopoldo Cicognara. Al medesimo Venezia li 30 maggio 1820. 45. Voi siete amico vate, e Dio voglia che la indovinate pel futuro! che per il presente non avvi gran conforto di profezia avverata , poiché la mia salute va sempre zoppicante, per quanto io vi abbia Lettere inedite 319 scritto ili modo, che tulio vi dicesse ch'io fossi pie- namente ristabilito. Malgrado ciò, io farò una corsa di otto giorni a seccarmi per affari e per cause a Ferrara: dopo le quali tornerò ancora per un mese a Venezia , onde consumisi il puerperio di quella nipote , che sostituì la bambina perduta, e a cui i vostri fiori sparsero il talamo del più bel prodotto della Flora celeste. Godo che da molte parti si ri- produca quanto esci dalla vostra penna gentile e maestra, piuttosto che passare per le trafile del G. il quale è qui imprenditore di sospese edizioni^ e non so con quanta fortuna. Speriamo bene: che lo sperar non costa. Quanto al dare la Flora coi fiori e la musica, sarebbe pur cosa desideratissima e bel- lissima : ma non tì sarebbe che a Milano ove ciò potesse osarsi. Qui è litografia pessima,^ tutte le dif- ficoltà, e tutto carissimo. Il pittor di fiori Padovani un cane per gusto barbaro, che di più non potreb- be darsi: e spenderebbesi un tesoro. Senza vegliare personalmente a una simile impresa, e limitarla a sola cosa di lusso elegantissima in pochi esemplari^ a piena perdita per l'interesse, non saprei veder co- me farla. Peccato che una cosa sì bella sia andata per lungo tempo raffreddandosi , e che ora costì troppo il farla rivivere! Venga pure la cassetta del Paoletti: che se arrivasse a Ferrara, porterei qui tut- to meco. Sospiro veder tante vostre cose desiderate, che mi daranno pure qualche ora di vero bene. Ma in proposito di Paoletti, abbiamo qui maravigliato della grazia, del sapere, del gusto di quel giovine, che ha così ben immaginate e disposte quelle quat- tro composizioni , toccate in quei calchi con tanta 320 Letteratura vaghezza di stile, che fu propriamente una maravi- glia per tutti noi il vederle, e una gran soddisfa- zione r applaudirle. Fatene con lui vere e sincere congratulazioni, e mantenetelo nella ferma disposi- zione di non dipartirsi da quella vera linea del bel- lo, eh' egli cerca colla sicurezza di non smarrirlo , anzi d'immedesimarsi tutto in quello. Se egli dipinge quei quadri come li ha composti, meriteranno di es- ser messi nel tempio dell'immortalità. Prego il cielo che di lui non accada come pur succede di molti artisti, che avendo studiato con tutte le felici dispo- sizioni il disegno e l' arte di ben comporre , nelle quali due cose può dirsi costituito il trionfo delle arti moderne, quando siamo poi all'esecuzione si fa un passo retrogrado: poiché o si raffreddano sotto la lima le prime intenzioni : o la bellezza in quelle accennate sfugge dalla maggior fermezza di più pre- cisi contorni: o l'armonia o la succosità del colore, che non è studiata, manca sovente : o il tocco del pennello sente d'un disprezzo incompatibile coli' i- mitazione del bello, o veramente soccombe al tor- mento dell'imperizia che distrugge gli effetti talvolta dei più belli concepimenti. Insomma, ho tante volte veduto divine intenzioni seguite da tristissimi ejffetti, e le produzioni della mente e del cuore dell'arti- sta , i primi segni tracciati dalla mano e gittati in carta o in tela dall' abbozzatore sono molte volte stati traditi o sotto il gelo, o per la poca curanza dell'esecuzione. Abbiamo copia di simili esempi da per tutto, in tutte le scuole, presso tutte le nazio- ni, e fra'primi de'viventi artisti. Auguro che Pao- letti si tenga fermo, e si persuada che quando ha Lettere inedite 321 bene composto, non ha ancor fatta la metà del suo lavoro. E certo che s' egli dipingerà come ha im- maginate le quattro composizioni, voi avrete indu- bitatamente quattro delle più belle moderne produ- zioni dell'arte. È però un bell'ornamento d'una sala il deliziarsi in quelle quattro composizioni! E rac- comandate a Paoletti che metta tutto se stesso per- chè l'esecuzione non sia discorde da quelle inven- zioni tanto applaudite. Ho avuto una lettera da certo sig. Giuseppe Ranaldi di Sanseverino nella Marca, in cui mi de- scrive certi nielli d'un ostensorio eseguito nel prin- cipio del XIV secolo : ma io ho paura che sieno smalti e non nielli. L'ho messo in avvertenza, e sen- tiremo cosa mi risponderà. - Io manderò quando e come si vorrà il corpo mio della storia al Drago- netti, insigne amico vostro: e vorrei ch'egli mi tro- vasse pur qualche cimelio per le mie ricerche: che ha quanto tatto si vuole , e può favorirmi meglio d'ogni altro, se si vale dell'ingegno suo, e della sua buona volontà, e delle immense sue relazioni. Io non so come mai voi potete fare tante cose, e seguir l' impulso anche d'una solertissima amicizia: che le vo- stre letterine sono pur esse produzioni preziosissime. Dunque la conchiglia è fatta: non restano che le no- te, e le farete chiare e tali, che anche i digiuni di quella storia naturale possano tutto intendere con fa- cilità. E poi avete anche composto per tutte le ac- cademie romane: che in queste nenie poetiche si con- serva in Roma pur sempre quell'abitudine rancida di poetare tornando a dire le stesse cose, e facendo servire il busto di Caligola per porvi sopra la testa 322 Letteratura (l'Adriano, e poi quella di Costantino: e ciò che si faceva dei marmi, sì fa dei quadri, e dei componi- menti poetici: e si lodano e si divinizzano sempre stomachevolmente tra loro: che a forza di rimesco- lare in quel puzzo di adulazione e di fango si man- tiene sempre l'aria insalubre per tutto il circondario di Roma e de'la campagna romana. Mi avete fatto ridere, perchè avete toccato uno di quei punti che fu sempre la mia detestazione nella città santa. Ma ditemi un poco, la sopravvivenza a Guattani non l'eb- be Missirini che tanto fece e si adoperò? e non scris- se la storia dell'accademia di s. Luca, la vita di Ca- nova, e tante orazioni, e tante cure, e tanta fatica ? Che è avvenuto di lui ? Non si può capir più nulla? Piacemi che abbiate trovato in Roma buon andamen- to nell'arte della scultura, e che Fabris siasi dato a far meglio. - 1 vostri giudizi sui romanzi moderni so- no all'unisono co'miei affatto: e anche qui c'incon- triamo; ma dopo la riforma i pittori olandesi cessa- rono dal pingere amore e grandi soggetti, e si mi- sero a pinger fiori, uccelli, interiori, tappeti e bolle d'aria nel sapone coU'iride della finestra: onde, mio caro, è così di tutte le cose. E in voga scriver cor^ rettamente d'inezie. Leopoldo Cicognara. Al medesimo. Venezia 15 gennaio 1830. 46. Ma sapete voi che quel Paoletti è un diavolo, e che io sono sbalordito! E che se il suo colorito e il suo pennello valgono la metà di quanto vale la sua Lettere inedite 323 penna; questi è un uomo che lascerà un solco nel se- colo in cui vive! I suoi projjressi nel comporre sono grandissimi, e di tanto in tanto vi si vede un sapore di Domenichino, che parrai gli vada in sangue. Io vedo che questo giovine è grande artista: e sarà più grande, se starà in guardia contra la troppa facilità e il pericolo di cadere nella maniera, da cui è dif- ficile salvarsi; poiché non si accorge chi vi cade: che questo è un difetto, il quale diventa natura. Non di- co ciò perchè io vegga ch'egli cammini su quell'or- lo: ma potrebbe avvicinarvisi, e saprà starne lontano se lascerà riposare i concetti avanti di purgarli. L' impeto porta a sviluppare il soggetto con una rapi- dità somma: e ciò va bene. Ma a questa vuol succe- dere una purità, e una severità d'esecuzione, che sta- biliscono la preminenza estrema di Rafl'aello, diPus- sino , di Domenichino sui Lanfranchi , i Pietri da Cortona, i Luca Giordani. Questo sia detto a buon intenditore. Ma Paolettì può e deve star fermo coi primi: poiché ha il mezzo di farlo, e deve farlo, e lo farà. Bellissime sono le linee dei fondi in tutte le sue composizioni: e questo dispor bene la scena è una gran dote nell'artista, e prepara un imponente risul- tamento. Io vorrei vivere una settimana con Paoletti per parlare dell'arte, e vorrei vedere come colorisce. Quanto è mai bello quell'idillio vostro, e come la varia luce vi deve produrre un magico effetto! La distribuzione, la scena, i gruppi, tutto vi è disposto a maraviglia. Parrebbe forse che il gruppo a sinistra dell'osservatore fosse troppo colmo, in tanto di disa- stro: ma non sarà. Le lunette sono bellissime, e com- poste da gran maestro, con ingegno, con nobiltà, con 324 Letteratura decoro, con varietà, e con bellissime distribuzioni. I due quadri di s. Antonio sono atti a mostrar quanto vale nel comporre soggetti ripetuti e difficili senza plagio. Ditemi se li ha eseguiti di grandezza al na- turale. - Il soggetto tragico alfieriano è girato sulla tela da gran maestro, e par disposto per un colori- tore. Ma se egli venisse a vivere un anno qui in mezzo a Tiziano e a Paolo, io credo che guadagne- rebbe pur molto, e dovrebbe accumulare delle or- dinazioni per vivere qui un anno ed eseguire. Ma egli ora è sul gran cammino delle occasioni brillanti, e va a Parigi, poi anderà in Inghilterra. Poi seguirà la sua stella: ed intanto il mio astro, la cui luce diven- ta più fioca, tramonterà, e forse io noi vedrò più. - Vi ringrazio assai dei lucidi mandati. Fate che egli consacri gli studi maggiori a rilevar la gloria italia- na dei tempi di mezzo. Studiate per lui bei temi, e che pensi ad un quadro di tutta gloria e passioni veramente italiane. Vi ringrazio del sonettino che è bello: né altrimenti da voi si può fare. Anche da quel tema avete pur spigolato qualche cosa. Quanto è dif- ficile ! Io vivo di nielli , di cartacce , di anticaglie. Vorrei vivere un poco con voi. Ma come diamine si fa? Siamo a due poli opposti. Che freddo dehb'es- sere a Rieti, se noi qui siamo morti a sei gradi sotto zero ! Leopoldo Cicognara. Al medesimo. Firenze 10 gennaio 1832. 47. vi parrà un secolo che io non vi ho scritto, Lettere inedite 325 siccome a me dolore estremo era il non aver potuto rispondere alla cara vostra 2 decorso. Ma converrà che sappiate aver io, dacché sono a Firenze, subite tre malattie: le due prime miti, e del genere delle mie gottose affezioni: la terza intensa, grave, pericolosa, che mi ha ridotto uno scheletro, e non posso arri- vare a rimettermi: che per quanto faccia, sono pur anche una grandissima carogna, e veramente assai mal ridotto. Non sono in grado neppure d'escire in carrozza per tutto l'inverno. In mezzo a questo però la mente ancor sana lavora e rumina, e ho steso un singolare articolo per l'antologia col pretesto di par- lare dell'intagliatore e coniatore Fabbris, il quale leg- gerete: e mi lusingo abbiate letto l'altro che pubbli- cai nell'estate intorno alla storia della scultura del Longhi. Ho stese diverse illustrazioni d'arte e di sto- ria per li quaranta più bei quadri di Venezia impressi in litografie sì belle e magnifiche, che l'Italia non vi- de mai simili; insomma lavoro ancora: e quantunque sia stato moribondo, non sono morto. La mia opera sui nielli è stampata, e mi direte a chi potrei qui consegnarne un esemplare per voi, che smanio vi per- venga per sentire cosa ne dite spassionatamente e sin- ceramente. Qualche esemplare in gran foglio eolle ta- vole in carta della Cina è stato tirato per le biblio- teche dei re, e ne avrei avuto anche forse uno pel Dragonetti, se dopo ricevuto un esemplare iu foglio della seconda edizione della mia storia, non avesse violate le promesse a voi fatte di mandarmi qualche bella antichissima stampa della scuola o della mano del Raimondi, o d'altri che il precedettero. Godo che Paoletti lavori a un quadro che possa 326 Letteratura fargli onore: e gradirò assai di vedere uno schizzo calcato, afìfme di conoscere come avrà potuto cavar- sela dalla bruttezza del soggetto antipittorico: cose che mettono alle più dure prove gli artisti, stante gli strani e goffi abbigliamenti de' nostri giorni. Cosa che non dava fastidio a Raffaello, mentre in quella beata età si vestiva con qualche ragionevolezza. - Ma il Paoletti dovrà ben fare una cosa per me. Emmi venuto in capo di avere il più beli' Album del mondo: e voi non ignorate cosa sia questo. E un libro ben legato con schizzi e piccoli disegni di gran maestri. Io non posso averlo mediocre : e per ottenerlo convien seccare mezzo il mondo e tutti gli artisti di qualche rinoman- za. Soggetto libero , e preferisco io sempre i sog- getti gentili: grandezze come una di queste pagine (') o poco più: modo di esecuzione o a penna o acque» rellato in chiaroscuro, poiché la matita si cancella. Dunque io impegno voi ad ottenermi da Paoletti, e da chi altri vi sembri poter impegnare, alcuni di que- sti ricordi pittorici. Io ho dei bellissimi bozzetti di Camuccini dipinti a olio in tela: egli stesso me ne favorì: né io certo ho coraggio di chiedergli un di- segnino in penna: ma vi sono però alcuni che ne pos- seggono, e sono in persuasione di poter ottenere col vostro mezzo qualche disegnino di cui bearmi, e in- gemmare il mio Album più che mai di cose pregiate. - Quanto bene avete voi detto , che Thorwaldsen avrebbe dovuto sfoggiare di bassi rilievi al monu- mento, tenendosi a primeggiare in quel genere mi- te, ove nessuno poteva contendergli la palma: ma vo- ler primeggiare colle statue, ove sono le opere di insi- (') È un giusto foglio di carta da lettere. Lettere inedite 327 gni età, e degli artisti che il jjiecedettero, è stato fol- lia: che a Miimecicle non potea darsi a scolpire il colosso di Rodi, o a convertire in una statua il mon- te Atos. Le contraddizioni, a cui vanno soggetti i gran- di uonaini, che vi semhrano epidemiche, mì ha fatto dire upa delle più singolari facezie : poiché soggiu- gnete in prova di queste: Chi sa che a voi non venga il (jrillo di scrivere un trattato sulla cuciiml Or dun- que convien che sappiate, che la sola cosa al mondo, dove io ho una pretesa, dove ho fatto studi e prati- che, e intendo di riuscir meglio che in ogni altra, è appunto, non nell'ordinare, ma nell'eseguire un piatto squisito, una cena, un pranzo. Cedo in arte, in lette- ratura, a chi si sia: in cucina ho tutto il mio orgoglio, e la mia fama è stabilita : ma non può esser giunta a voi, che il fumo delle vivande non si moltiplica coi tipi, e svapora in piccola periferia. Se foste una volta potuto venire al mio domicilio, avreste di ciò pienissimo convincimento. Ma claudite^ sat prata hi- benmt: sono debole e stanco, e vi abbraccio con tutto il quore. Leopoldo Cicognara. Al medesimo, Firenze 28 gennaio 1832. 48. La vostra amabilissima lettera fa fede del vo- stro cuore, del vostro spirito. Voi siete in mezzo al- le afflizioni, e scrivete con una leggiadria e con una grazia che innamora. I vostri scherzi in materia cu- linaria volgono un idilio: voi siete in tutto versatissi- mo, nulla è di nuovo o peregrino per voi. Io cei- 328 Letteratura cherò di consegnare al direttore generale delle poste il libercolo per voi: ma per le spedizioni imbarazzano le tavole in foglio, e il testo in ottavo. Basta : vedrò. Vi prometto che a Venezia vi riunirò qualche cosa de' nostri artisti per il vostro album. E voi darete opera acciò in questo vostro soggiorno di Roma pos- sa esser raccolto qualche cosa di bello per me. Stan- do a Firenze fino a mezzo aprile, avrete tutto l'agio di farmi pervenire ogni cosa col mezzo della nun- ziatura e della segreteria di stato. Quando si tratta di sommi uomini come Thorwaldsen, anche se è mati- ta, carbone, o chiodo, tutto è prezioso : ma sul cuo- re ho di avere un qualche disegno di Camuccini del genere gentile. Ne vorrei di Woogd, di Terling, de- gli artisti saliti in fama recentemente: ne vorrei pro- spettici, paesisti, burleschi, d'ogni garbo , purché vi sia grazia e spirito. Paoletti, son certo, mi farà cosa gratissìma e bellissima: ed io leverò in onore, sicco- me oggi ho fatto scrivendo al duca, e dicendogli che il palazzo Hamilton esige una volta a fresco, e che il frescante di Monte Cassino deve fare una grand'ope- ra nelle isole britanniche: poiché un lavoro maravi- glioso sepolto negli apennini é cosa quasi perduta , e che egli deve far fare per onorare l' arte non meno che se medesimo. Ho mandato a Zurla un esemplare dell'opera mia pel papa, accompagnato da una lette- ra. E un esemplare altresì per Zurla, e in foglio. Mi mandaste quei vostri confetti poetici intorno a'bassi rilievi d'amore, a cui si dedica Thorwaldsen: e veramente questo è il vero campo delle sue batta- glie. Ma per chi egli compone questa serie di cose ga- lanti? E ella una commissione o gli scolpisce cosi all' avventura ? Leopoldo Cicognara. Lettere inedite 329 Al medesimo. Venezia li 24 giugno 1832. A9. La carissima vostra lettera 1 5 corr. mi è sta- ta sommamente cara, e per se stessa e per l'acclusa del Paoletti. Io sto attendendo il riscontro alla mia scritta al duca dopo che ebbi le comunicazioni che mi trasmetteste del Paoletti: e appena che io l'abbia ricevuto, io ve lo rimetterò colla possibile rapidità. Veramente avrei un piacer sommo di sapere per ope- ra di questo bravo artista decorata di un grande af- fresco una sala in Iseo zia. Spero in breve poter rin- graziar voi e lui su' disegnini dei quattro amori : ma ci sarebbero volute le relative strofette della pen- na maestra, e non troverò che quella della bilancia: ma il ramingo, il vincitor della fama, e l'amor filoso- fo non so se sieno stati cantati sulle vostre corde d' oro. Intanto comincerò a ringraziarvi assai, assai. Vo- glio dirvi una compiacenza avuta in questi momenti, nei quali non ho acquistato una sola stampa per mil- le e una ragioni, la principale essendo quella di non aver danari. Ma ho potuto avere le due stragi degl' innocenti di M. Antonio, quella avanti, e quella dopo la falcetta, dando per cambio l'unico esemplare in fo- glio, che mi restava della seconda edizione della mia storia della scultura, simile a quello che mandai al nostro poco memore Dragonetti. Non so se vi abbia scritto avermi il gran duca di Toscana regalato ma- gnificamente d'una magnifica tabacchiera gioiellata, e il re di Sardegna dell'ordine de'ss. Maurizio e Laz- zaro colla gran croce di commendatore, in ricompea- G.A.T.CIV. 22 330 Letteratura sa dell'ullima opera mia, di cui loro ho fatto omag- gio. Anche il card. Zurla mi disse che il papa mi avrebbe fatto almeno direttamente un cenno per si- mile omaggio. Mando a regalare alla biblioteca vati- cana una cassa con 200 articoli in aumento della fu mia biblioteca. Tutte queste cose io dico a voi, mio carissimo amico, perchè a voi apro tutta l'anima mia, la quale pure a qualcuno in questo basso mondo bisogna aprire per non ingoiar tutto, e non portarne al mon- do di là il pensiero. Ma io sono sensibilissimo a tutte le dimostrazioni di bontà e d'incoraggiamento .... Ora vorrei pregarvi di un aiuto. Io non so a chi indiriz^ zarmi per ciò a Roma, ove io non ho più relazioni, e voi ne avete moltissime. Io vorrei che da persona avente occhio chiaro-veggente fosse guardato nel mu- reo cufico borgiano, che sarà cred'io a Velletri, e mi si dicesse con evidenza se in quello esistano fram- menti di smalto o vetro colorato trasparente od opa- co, e veramente quali. Io ho per certo che ve ne debbano essere: poiché ne abbiamo di un' antichità più remota da me verificati nei musei di Parigi e di Torino, ove tra le anticaglie egizie trovansi nilome- tri, anelli, collane, perline, ed altre cose rivestite di smalti vario — colorati sì belli e sì chiari, come po^ trebbonsi oggi lavorare nelle officine di Ginevra, di Venezia o di Francia: e di molti di simili frammenti ho fatti eseguire ì tipi in carta colorati a fac-siraile. Voi vedete, caro amico, che non voglio giudizio, iu" dagiai, speculazioni della mente; soltanto vorrei ave- re qualche semplice e positiva e chiara indicazione delle cose esistenti. Resterebbe a dire qualche cosa Lettere inedite 331 sulla mia salute, che sta a cuore della vostra amici- zia: ma questa è debole, incerta, anomala , e mi fa disperare. Sono necessitato a dei riguardi: ma i ri- guardi mi inimicano l'aria e il moto, delle quali due cose abbisogno. Le sole povere forze mentali sono un poco tornate, e ho mandato a Firenze all'antolo- gia un curioso articolo d'archeologia, o per dir me- glio d'iconologia , che leggerete a suo tempo. Non vorrei mai far nulla, e sempre viene il destro e la necessità di far qualche cosa. E voi che fate ? Non è nell'ordine del possibile che siate ozioso: e siete co- me un sole, che malgrado le nubi ed i vapori, tutti spiega ad un tempo i suoi colori - Nella zona dell'iri e gli avvicenda. - Addio, mio caro amico : io vivo di continuo spavento per le grandini che m'han circon- dato finora ne'miei possessi. L' altro giorno per 70 miglia di paese ne cadde grossa come le uova per cinque quarti d'ora, e non rimase foglia sugli alberi, filo d'erba sui prati. Un parente ed amico mio, il padre di lei per cui nacque l'Orologio di Flora, ha perduti tutti i raccolti su d' un possesso di tre mila campi, cioè tutto il suo. Quella fanciulla, di cui can- taste gl'imenei, partorì l'altro giorno la terza bambi- na; speriamo che dopo aver dato vita alle grazie, sia per darla anche ad amore. Leopoldo Cicognara. Al medesimo. Venezia li 28 marzo 1833. 50. Benissimo avete fatto a dar quella forma, che ^ete meglio creduto, a quei versacci che io ho scritti 332 Letteratura in forza d'avermi voi stretto con un flagello di rose a piangere quella degna donna con indegni carmi. Vorrei che foste voi qui: che vi farei censore amico non delle cose, ma perfm dei pensieri. La mia salu- te pare pieghi al meglio. Ma, mio caro, non vorrei che fosse una toppa di ripiego. Vedremo se progre- disce, e se dopo la metà di maggio trarrò profitto dall'aria e dal moto. Ho ricevuto il disegno di Ca- muccini. Ma quel grand'uomo si manifesta bene nel comporre un accozzamento di parli e bellezze di forme. Il suo criterio pittorico e poetico non è gran cosa. L'ingresso d'un Visconte a Milano si confonde- rebbe con un trionfo di Tito o d'Alessandro. Nes- sun carattere dell' età , nessun costume dei tempi , nessuna espressione nazionale. Questa è una mera pol- troneria per abitudine di non avere altro mai imi- tato che il così detto classico. Come se questo non si potesse esprimere in ogni età, salvando il carat- tere dei tempi e delle nazioni: e per salvar l'argo- mento non vi sono che due linee nel fondo del duo- mo di Milano, che in sostanza è poi una cacofonia eoi costumi eroici greci e romani introdotti : e mu- tate le linee del fondo, nulla rimane alla giusta espres- sione del soggetto. Ciò modestamente gli ho fatto sentire: e son certo che pei modi usati non potrà aversene a male. Sia questa apertura con voi ad onore del vero. Non capisco come non abbiate avuti quei versi da Ferrara che vennero spediti. Ne tengo io, e ve li potrò mandare. Ho letto gli eleganti sonetti che avete fatti per favorire a' miei desiderii. Oh come son belli ! meriterebbero altro che disegnini e oboli Lettere inedite 333 pel Belisario. Voi non potete far nulla che non sia saporito, grazioso, commovente. Voi siete veramente pittore e poeta. Paoletti mi mandò belle cose che mi sono pur care. Attendo con impazienza l' invio di ciò che gli ho ordinato. Come sarà bello! è un buon artista, e i suoi pieducci della cupola hanno fatto maravigliare. E molte bellezze sono nel suo giudizio di Aspasia. Ora si tratterebbe che voi colla potenza del con- siglio e della parola moveste il cardinal Zurla a proteggere lo scultore Rinaldi. Questo egregio artista, che io giudico il migliore degli scarpelli moderni, è caduto in melanconia, in miseria. Con me si apre che gli son padre. Con altri tace per verecondia. Ha fa- miglia, è padre e marito, onesto e pio , ed ha una verecondia troppa. Vede che gli intriganti, che ne sanno meno di lui, brigano lavori, ottengono aura e vivono. Egli languisce. Ultimamente si teneva in pu- gno 440 scudi per una statua ordinatagli da certo professor Menighelli senza scrittura, senza anticipa- zione, senza patti: e dopo averla compiuta, gli revoca V ordinazione; poiché credeva pagarla col fumo della sua protezione. L'infelice è misero, non ha pane e ministra pei figli, tiene due statuette finite, bellissime : delle quali un Gesù bambino colla croce, che è cosa mi- rabile, e l'altra Amore vincitore della forza. Ma la prima sarebbe degna del papa o del suo vicario. Cer- cate, se potete, giovare al vero merito, e ne avrete rimunerazione in cielo e in terra. Io ho scritto a ric- chi, a potenti, ad ambasciatori: fo di tutto , vorrei assisterlo: ma io stesso ho bisogno di assistenza , e vorrei pure veder risorgere da morte avita questo 334 Letteratura degno artista. Fate voi qualche cosa per lui. Voi avete una facilità a persuadere che incanta. Dite una parola: chi sa che voi non siate per lui la madonna delle grazie! Sarete ufficiato per qualche articolo di giornale che si stamperà qui. Vi raccomando. Mandateci qual- che cicalata, qualche cosa degna di voi, e la fare- mo stampare. Ne vedrete il piano ed il progetto. Leopoldo Cigognara. (Saranno continuate.) SulV autenticità delle epistole di Dante a Cangrande della Scala ed a Cino da Pistoia. - Lettera al com- pilatore della gazzetta privilegiata di Venezia. Amico pregiatissimo. iD. 'appoichè nell'appendice al n. 235, 16 corrente, della vostra ben riputata gazzetta avete fatto dono al pubblico della molto gentile ed erudita lettera 14 settembre p. p. , che scriveva da Genova nel detto giorno, anniversario della morte di Dante, il eh. C. R. somasco Gio. Battista Giuliani, per avvisare sco- perti due documenti, i quali assicurano, a suo pa- rere, l'autenticità àoWEpistole di Dante, una a Can Grande, e l' altra a Cino da Pistoia; non ometto di assoggettare al vostro giudizio quelle estreme e com- pendiate ragioni, per le quali dopo quanto ho stam- pato e ristampato in proposito, devo tuttavia dubi- tare molto fortemente del vero che si vorrebbe sco- Epistole di Dante 335 perto; tanto più che noa mi parve giammai conces- so dall'arte critica l'attribuire, come pare usato ai dì nostri, agl'illustri che furono, ora libri, ora lettere., di cui non si sono mai veduti gli autogratì, né si ebbero mai notizie, che secoli dopo la morte del cre- duto autor loro. II. Ed è ben vero, che il soprallodato P. Giuliani ci avvisa fatti e scoperte, che, nel particolare delle dette due lettere, potrebbero far vedere tutt'altra la cosa; ma poiché egli medesimo si fa riserva di quel- le più ampie dimostrazioni, che possano mostrare di- strutte una per nna le opposizioni e dubbi proposti sinora contro l'autenticità delle dette due epistole : non posso acconsentire, che intanto suppongasi per alcuno già scoperta e dimostrata l'autenticità loro , ed in ispecialtà di quella , che vorrebbesi dettata per lo Scaligero : tanto mi sembrano insuperabili le ragioni , che a dimostrare il contrario, o derivano dalla stessa lettera del P. Giuliani , o non ne pati^ scono offesa, per quanto è stato dimostrato finora , non solamente da me più volte, come ho già detto, ma più, e meglio ancora, dal mio valentissimo ami- co, e profondo negli studi danteschi, prof. Giuseppe Picei di Brescia. Ili, Tornando dunque al proposito; senza ripe- tere le cose stampate da pagina 15 alla 64 della mia ultima Lettera critica intorno alle Epistole latine di Dante^ invoco il giudizio vostro, e l'imparzialità non dubbia del dottissimo p. Giuliani, a considerare sol- tanto : - che, come appare dalle Eglotjke dell' Alli- ghieri, il Paradiso, cui si riferirebbe l'epistola , fu terminato da Dante poco prima appunto di livplare 336 Letteratura ad esso nel 1321; -che, fatta la ragione della vita di Dante anno per anno, il Paradiso lo si trova co- minciato da Dante intorno al 1315; che quindi Dan- te, tolto da ogni attività politica sin dal 1314, di- morante presso ai signori da Polenta, e condotto al- l'estremità della vita, quasi appena compiuta la can- tica del Paradiso, né aveva più di che pensare allo Scaligero, né tempo e scopo di scrivere una lettera a lui, che già, quasi nell'anno stesso in cui termi- nava il poema, era nel massimo dell'afflizione, per- ché totalmente sconfitto; - che la supposta lettera, tolti i due primi paragrafi, resta manifestamente un puro brano di trattato o commento, per introduzione alla cattedra della spiegazione di Dante , che nel secolo XIV era fatta in latino : - che la finale della suppo- sta lettera ne dà prova in una maniera ancor più eloquente, sebbene già parli da sé abbastanza il pre- ambolo dell'incerto autore che la precede; - che, per ultimo. Dante, nel 1318 o 1320, non poteva a pat- to veruno, né dirsi tenero nella grazia di Can Gran- de; né dirsi sitibondo di essa; né dirsi visitatore dello Scaligero a parità della regina Saba. Non tenero nella grazia di Can Grande, perchè dal 1302 al 1314 era statole mille volte a Verona, od ospite o di passaggio in casa degli Scaligeri. Non sitibondo di essa, perché già, in sì lungo corso di tempo, e rispetto al suo desiderio supremo di ritor- nare in patria, ne aveva potuto fare eflicacissimo esperimento; tanto é vero, che si volse invece alle te- nere e generose cure per lui del co: Guido da Po- lenta, prendendo stanza in Ravenna. Non, infine, as- son]Ì£|liar la sua alla visita della regina Saba, quaa- Epistole di Dante 337 do già, supposto anche Salomone il sapientissimo in Can Grande, la regina Saba non poteva mai esse- re rappresentata da Dante, che aveva scritto all'Italia tutta del vento secco che vapora la povertà doloro- sa., giuntovi per di più: urget me rei familiaris e- gestas. IV. Che se ciò tutto sussiste in genere, contro l'autenticità della lettera allo Scaligero; quanto al- l' odierna domanda del eh. p. Giuliani afllnchè sia pronunciato in contrario , anche per la lettera che vorrebesi scritta da Dante a Gino da Pistoia; osser- verò eh' egli si fa dunque a chiedere la legittima- zione: 1 . Del testo di una lettera, che non ha autografo, che non ha data, che non ha indicazione di luogo dove fu scritta, e che si riferirebbe ad una canti- ca, cui Dante stesso non sopravvisse; 2, Dì un altro testo , parimenti privo di auto- grafo come di data e di luogo, e scritto sotto nome d' un esiliato fiorentino a Gino da Pistoia , per un quesito di filosofia morale, ed in un senso, che, se non erro , non ha riscontro di concordia con altro scritto o sentenza dell'Allighieri. Il primo testo offrirebbe l'epistola XIV; il secon- do la IV delle pubblicate colle note di vari nel- l'edizione di Livorno 1842, dopo quella del celebre Witt nel 1827. V. Frattanto il eh. P. Giuliani appoggerebbe la sua odierna domanda: Per la lettera allo Scaligero ad un codice della Chigiana in Roma, dove Filippo Villani nel suo com- mento latino della Commedia riferirebbe il sunto , 338 Letteratura de quodam introduclorio siipra Cantum I Paradisi ad D. Canem de la Scala; il succo del quale irdroducto- rio coinciderebbe col testo della lettera allo Scaligero; E per la lettera a Gino, ad un codice raaglia- becchiano, dove avrebbe trovato un sonetto di Dan- te a Gino , che coinciderebbe del tutto con quanto esprime l'epistola, e con ciò che Cecco d'Ascoli nel libro III deW Acerba ricorda essere stato trattato poe- ticamente tra Gino e Dante. Ma siccome, quanto alla prima, promette di ri- spondere in appresso a tutte le diflìcoltà da me e dal prof. Picei promosse; e, quanto alla seconda, pro- mette del pari un più ampio ragionamento, ch'egli indirizzerà al sig. visconte de Batines; così mi viene comandato dall'arte critica di rimanere in attesa del- le due pubblicazioni predette : ferma intanto , per altro, la verità semplicissima, che quando di una let- tera manca l'autografo; quando di una lettera, che lo stesso Boccaccio non ha mai citato , non si ha la notizia nei codici , che tre quarti circa di se- colo dopo la morte di Dante ; quando la stampa la presenta per la prima volta al pubblico oltre due secoli dopo la morte dell'autore, e per di più con indosso tutte le più patenti prove della manifattura altrui; e quando, infine, la supposta lettera non sa prendere un posto ragionevole in alcun anno dèlia vita di Dante; questa tal lettera, tanto in giurispru- denza, che in critica, vuol essere confinata di viva forza nell'ampia farraggine delle carte supposte, od almeno dubbie; né mai presa a documento certo di spiegazioni al poema, come fossero già state esposte da Dante stesso. Epistole di Dante 339 VI. Intanto, sino a che vengano in luce le due sud- dette memorie del P. Giuliani (cui mi accompa(jneiò ben volentieri per insistere, e da capo, nella ricerca imparziale del vero , anche rinunciando alle sopra motivate convinzioni mie proprie ) ; non ometterò di OvSservare, che dalla slessa lettera 14 settembre p. p, cui fo riscontro, risulterebbe qualificato lo scritto allo Scaligero non per un' einstola^ ma per un in- troductorio^ brano appunto, come ben vedesi, od in- troduzione ad un commento latino per la DivÌ!:a Commedia; e che Filippo Villani, essendo figlio di Matteo morto nel 1363, ed essendo morto egli stes- so nel 1404, come riferisce il Corniani, sarà dunque nato circa anni 25 almeno dopo la morte di Dante, e non avrà cominciato a scrivere un commento che presso al 1390; onde fra la morte di Dante e lo scrit- to di Filippo Villani havvi sottosopra una distanza di oltre tre quarti di secolo; certo essendo che Fi- lippo Villani leggeva in Firenze la Divina Comme- dia per decreto pubblico nel 1401, terzo dei lettori dopo Giovanni Boccaccio (3 ottobre 1373), ed An- tonio piovano di Vado (1381). Ad ogni modo benché avvalorato anche da que- ste semplici osservazioni nel dovere di riputare la supposta lettera allo Scaligero per un impasto , e fat- tura di qualche claustrale, o cattedratico del secolo XIV : attenderò niente meno, mio pregiatissioto amico, anche le due pubblicazioni predette: ben con- tento frattanto di una nuova opportunità per ripe- termi Di Venezia addì 2 1 ottobre 1 847. -' i i Vostro alfmo. obimo. amico Filippo Dott. Scolari. 340 Letteratura II. All'illustrissimo signor cavaliere S4l¥AT0aE BETTI accademico della crusca, professore e segretario perpetuo dell'insigne e pontificia accademia di s. Luca. Prestantissimo amico O sol che sani ogni vista turbata, Tu mi contenti sì, quando tu solvi, Che, non men che saver, dubbiar m'aggrata. Inf. C. XI. Un forte dubbio sortomi in capo per una let- tera , che testé scriveva al direttore della gazzetta di Venezia ( mira. 242, 25 ottobre ) l' illustrissimo sig. cav. Filippo Scolari, uomo di gran voce negli studi danteschi , mi fa ricorrere vm' altra fiata alla nota vostra dottrina , o prestantissimo degli amici , persuaso di ottenerne tal soluzione, che senza meno mi acquieti. Sarò breve per l'amor grande che mi scalda a voi ed alla vostra gloria ; e non volendo arrecare disturbo, o anche lieve ritardo alle dottis- sime vostre fatiche, vengo di slancio al concepito argomento. Il pregiato nostro amico, e mio venerato confra- tello P. Giuliani, giovane di tanto merito nei gravi studi di Dante, diede avviso sulla gazzetta di Ve- nezia (num. 235, 16 ottob.) come egli in breve pub- blicherà un suo ragionamento a provare l'autenticità della epistola a Gan grande della Scala, dove si ad- durrà l'autorità gravissima di Filippo Villani; il qua- Epistole di Dante 341 le nel suo commento al primo canto della divina Commedia fa lunga e ripetuta menzione di quella come d' indubitato lavoro di Dante. Il chiarissimo Scolari, che voi ben sapete quante volte e con qua- li ragioni a stampa, oppugnando l'autenticità di que- sto documento, intendesse condannarlo quale fattura di qualche claustrale del secolo XVI, udito questo nuovo parlare del nostro Giuliani, riproduce in questo medesimo periodico frettolosamente ed in compendio tutti gli anteriori suoi argomenti in contrario: non- dimeno suscettibile alla forza della ragione, ed in- genuo amico del vero, qual sempre egli si è detto, sebbene conchiuda un'altra volta esser questa fattura di un claustrale, pure ingenuamente ciò dice addi- venuto , non più nel XVI , ma sì nel secolo XIV. Io commendo forte, non fosse altro, questa giustis- sima anticipazione di due secoli; ma pur son d'opi- nione che fosse più sano il dire: « Se Filippo Villani cita veramente, e commenda quella epistola, e con espresso latino e senz' altro forse l'attribuisce a Dan- te, io non so, non posso allontanarmi dalla senten- za di tanto rispettabile autore. » Ma il eh. Scolari la sente in altro modo : egli, giocando il suo ingegno, saprà egli per quali sue buo- ne ragioni , ad infievolire se non altro (che distrug- gere è al tutto impossibile) la forza del testimonio del Villani , si accinge a farlo apparire scritto in epoca sì lontana, da credersi in buon diritto di tut- tavia riputare la lettera suddetta « per un impasto, e fattura di qualche claustrale o cattedratico del se- colo XIV. » Una simile conclusione tanto inoppor- tuna (a quel ch'io ne comprenda) mi sforzò a far 342 Letteratura più diligente esame dei raziocini dell" avversario: e poiché anche dopo ciò non parvemi assai conseguente l'argomentar suo, temendo io non poco di me, ho determinato di chiamar voi giudice e donno della presente quistione. come quello che pel lungo studio ed il grande amore che poneste a cercare tutti i volumi di Dante, non che tutti gli antichi scritto- ri della nostra Italia, siete V uomo veracemente da ciò iji simili divergenze. Però abbiatevi senza più le parole dello Scolari, a cui succederanno le poche mie osservazioni in contrario. " Intanto . . . (cosi il eh. Scolari sul fine della lettera ) non ometterò di osservare , che Filippo Villani, essendo figlio di Matteo, morto nel 13G3, ed essendo morto egli stesso nel 1404, come rife- risce il Corniani . sarà dunque nato circa anni 15 almeno dopo la morte di Dante, e non avrà comin- ciato a scrivere un commento che presso al 1390; onde fra la morte di Dante e lo scritto di Filippo A illani havvi sottosopra una distanza di oltre tre quarti di secolo; certo essendo che Filippo Villani leggeva in Firenze la Divina Commedia per decreto pubblico nel 1401, terzo dei lettori dopo Giovanni Boccaccio (3 ottobre 1373 , ed Antonio piovano di Vado (1381) ». ^ edeste, mio onorandissimo sig. professore, con che pellegrina erudizione e per quai sottili razio- cinii siasi conchiuso che 1' autorità di Filippo Vil- lani è di un'epoca troppo lontana dalla morte dell' Allighieri ? Io nulla apporrò all' anno 1363 in cui morì il padre di Filippo . e concederò che questi Lettere inedite 343 leggesse la divina commedia nel 1401 (1), e che tre anni dopo morisse: ed affinchè fra la morte di Dante e questo lavoro si possa avere la distanza di oltre tre quarti di secolo , mi presterò a lasciar credere che il terzo lettore di Dante abbia cominciato a scrivere un commento sulla divina Commedia presso^ o dopo il 1390: nondimeno, anche dopo ciò, non vedo per qual ragione sia sì poco apprezzabile l'asser- zione del terzo cronista fiorentino, che il eh. Scolari si creda tuttavia « in dovere di riputare (come ei chiude il suo scritto) la supposta lettera allo Sca- ligero per un impasto e fattura di qualche claìistrale , 0 cattedratico del secolo XIV. « Imperciocché , in qualunque anno si cominciasse Filippo il suo com- mento, a portar esatto giudizio sull' autorità e sul- r epoca del nostro documento è innanzi da fissare l'anno della morte e della nascita dello scrittore, per quindi sapere con quali persone egli abbia convi- vuto, e con questo scoprire finalmente da quali fonti egli attingesse le tramandate notizie. Or dunque Fi- lippo Villani morì nel 1404 , secondo i Corniani testé citato ; e per quello che leggesi nel proemio del suo commento, doveva essere in età molto avan- zata ( nos praeventi decrepitae aetatis infirmate. . . ): però poteva essere di già superiore all' 80 anno ; giacché la decrepitezza se non dopo il 70 non ha (1) Il Ratine» nella classica opera che ha per titolo, Bibliografia Dantesca (lavoro molto diligente e tanto prezioso che, anziché utilis- simo, vuoisi dir necessario allo studio di Dante) riferisce documenti sincroni, che affermano come Filippo Villani la prima volta tenne la cattedra di lettura di Dante nel 1391 e la seconda nel 1504. Vedi Top. cit. voi. I a carte o74. 344 Letteratura principio. Ma facciamoci molto discreti, e supponia- mo che nel 1401, allorché diede principio alla let- tura , fosse nel suo 78 ; ed avremo la sua nascita intorno al 1323, secondo anno dalla morte di Dante. Arroge che la casa Villani a quei tempi gloriavasi di un Matteo A'^illani padre di Filippo , e di un Giovanni zio paterno di questo. Laonde essendo mor- to questi per la peste del 1348, e quel primo nel 1363 , il commentatore Filippo avrebbe vivuto 25 anni col zio, e 40 col proprio genitore. Di più, ol- treché questi due antichi Villani, sincroni all'Alli- ghieri, furono fiorentini di gran conto in quella età per onoratezza, per lettere e per patrie cognizioni, come rileviamo dalla storia e dai loro libri, sappia- mo altresì che Giovanni conosceva assai bene Dante di famiglia, di persona, di costumi e di parte, co- me appare dal cap. 135 del 9 libro delle sue sto- rie fiorentine. Pertanto io lascerei immaginare a voi, eruditissimo cavaliere, se di quei dì, che tanto gri- do correva per tutta Italia del fiorentino Dante Al- lighieri, sarassene taciuto in casa del primo cronista di Firenze: ma tanto non mi concede Filippo Vil- lani, il quale ne fa sicuri che e se ne parlò, ed in sua presenza si venne appunto sui particolari delle più minute circostanze della Divina Commedia. Con- ciò sia che discutendo egli nel proemio: « Cur noster comicus opus suum materno sermone dictaverit: » comincia e continua di questa forma il capitolo: «Audivi, patruo meo Ioanne Villani istorico referen- » te , qui Danti fuit amicus et soeiiis , poetam ali- » quando dixisse , quod collatis versibus suis cum ') metris Maronis, Statii, Horatii, Ovidii et Lucani, Epistole di Dante 345 >» visura ei tore iuxta purpuram cilicium collocare. V Cumque se potentissimum in ritmis intellixisset , » ipsis suum accomodavit ingenium. Amplius aie- » bat vir prudeus , id egisse ut suum idioma nobi- » litaret, et lougius veheret. Addebatque sic se fa- » cere, ut ostenderet etiam elocutione bulgari ardua +> quaeque scientiarum posse Iractari. (1) » Sì fatte particolarità , narrate in Firenze, e che il nostro commentatore udiva dal suo zio in- nanzi al 1348 , ci fanno scorti come sino di quei dì ei molto si piacesse delle cognizioni di Dante e del suo poema: e come l'autorità sua cominci, non mica tre quarti di secolo dopo la morte del poeta, ma sibbene, e per autorità di cui non può bramarsi mag- giore, cominci dal tempo stesso della vita del mas- simo Ailighieri. E non potendo 1' uom ragionevole dubitare che Giovanni Villani, come di questi, par- lasse pur anche degli altri curiosi anedoti di Dante e delle sue poesie, io mi trovo già entrato in ferma persuasione che e sì dalla fama che di quei tempi ne correva, e sì dalle vive parole del venerando zio, amico e sozio di Dante, il commentatore attingesse questa novità della lettera a Cangrande signor di Verona. Per cui qualunque cosa questo autore affer- mi della vita e degli scritti del nostro poeta , mi par da tenere non meno credibile che se la ci ve- nisse formalmente narrata dall'amico e sozio di Dante Giovanni Villani. Nondimeno per non troppo con- fidare in me, nel mentre stesso che un tanto critico, quale è il chiar. cav. Scolari, ne conchiude diversa- mente, credo far buon servigio all'onore di ambi- li) Da un codice ilella Biblioteca Chigiana. G.A.T.CXIV. 23 346 Letteratura due se ricorro alla illuminata vostra sentenza. Però decidete pur voi, mio dottissimo amico, chi di noi due meglio si apponga, e quale e quanto buon prò' deriverà da questo documento a favore di chi, co^ me il nostro amicissimo Giuliani fa, sostiene quell'e- pistola per lavoro di Dante, Intanto siatevi sicuro che in qual parte sarà per inclinare la vostra bi- lancia, ella fia norma impreteribile di ferma credenza. Roma il 28 del 1848. Jl sincero ed affmo vostro ammiratore ed amico Marco Giovanni Pont a III. Ill'illustre e nobile sig. CAV. SALVATORE BETTI accademico della crusca, segretario perpetuo dell'insigne e pontificia accademia di s. Luca. Pregiatissimo signore , 1. Né più grato, ne più desiderabile annunzio mi poteva esser porto daW Album^ nel suo N. 51 di questo anno, quanto quello di veder deferita dal eh. padre Ponta al tribunale competentissimo e venerato della S. V. iìlma la definitiva sentenza sulla da me costantemente e fermamente negata autenticità ed at- tendibilità della lettera latina , che si vorrebbe ad ogni patto dovuta a Dante Allighieri , il quale, se vero fosse, l' avrebbe indirizzata allo Scaligero per fargli dedicazione e co mento della terza cantica del suo sovraumano poema. Epistole di Dante 347 II. E perocché appunto di tutto cuore accolgo la citazione, che mi vien mandata dal Tebro , non tardo un istante ad assoggettare all' eccellenza del suo purgato intelletto quello che, brevemente sì, ma pur assai concretamente ra' è d' uopo di farle pre- sente, a modo di risposta, o di replica, nel desiderio di agevolare e sollecitare , anche da mia parte , il sospirato giudizio ; ben sicuro, che, per quanto sia vero aver io di già scritto in più incontri su questo grave e tanto combatutto argomento ciò ch'è più ri- levante a conoscersi ; pure la giustizia della S. V. illma non vorrà mai riposare sulla lettera , benché gentile ed erudita, del eh. P. Ponta, senz'aver pri- ma sott' occhio anche tutte le controdeduzioni mie proprie, non mi distaccando punto dal testo della predetta lettera dell'illustre somasco 28 gennaio p. p. III. Or eccole precise le osservazioni ch'io pure alla mia volta depongo nelle bilance imparziali dì sua giustizia. IV. Premesso, che quanto ho pubblicato finora in proposito, e quanto da suo pari v' aggiunse pur egli nell'ultime sue riviste dantesche il valentissimo e eh. sig. prof. Giuseppe Picei, lo dichiaro sin d'ora per allegato da capo, e costituente parte integrante degli atti necessari alla prolazione dell'odierno giu- dizio; non intendo come invece del eh. padre Giu- liani ( il quale aveva preso impegno di pubblicare un ragionamento a provare l'autenticità dell'epistola coU'autorità gravissima di Filippo Villani) venga ora in campo a contraddir la mia lettera 21 ottobre 1847 (nella Gazz. Priv. di Venezia N. 242 ) il eh. P. Ponta, che gli è bensì confratello , ma che certo sollecita 348 Letteratura un giudizio fuori di tempo , e che sarebbe affatto precoce, sia perchè il lodato P, Giuliani non ha pub- blicato ancora il promesso ragionamento; sia perchè in detta lettera 21 ottobre 1847 io pure aveva preso impegno, nel qual appunto rimango, di farvi la più compiuta risposta. Questo è un fallo d'ordine sì ma- nifesto, che V. S. illma sarà per sicuro nella neces- sità d'attendere, che prima della sentenza si verifi- chino r una e 1' altra delle pubblicazioni predette. Quindi è, che in via d' ordine suU' odierna istanza del P. Ponta debbo implorare per primo capo, che gli sia prescritto di riprodursi , se lo troverà op- portuno, e se ne resterà il bisogno, a suo tempo. V. Non voglio per altro ch'egli mi tenga pei bisognevole di questo , benché legalissimo , ripiego forense, come se mi proponessi di differire a tempo indeterminato una difesa giusta ed evidente, od uni candida confessione del torto , in cui fessi vissute finora. Però continuo ( salva la riverenza e stima sincera che gli professo e gli debbo ) a liberarmi dall'eccezioni, che mi vengono apposte da lui. VI. E qui rileggasi di grazia la delta mia let- tera del 21 ottobre 1847, e dove si troverà che la si possa dire in contraddizione con quanto ho scritto da prima, a segno di collocar ora nel secolo XIV una scrittura ch'io aveva altrove riferito al secolo XVI? Distingue tempora et concordabis scripturas. A chi risponde la lettera 21 ottobre 1847? A chi rispon- deva io nelle antecedenti scritture? Nella lettera ri- sposi a chi, senza farmelo ostensibile, mi citava, e mi cita un codice, che si riporta a tempi e fatti del secolo XIV. Nelle antecedenti scritture a chi mct- Epistole di Dante 349 leva la pretesa epistola di Dante all'ombra della sola pubblicazione a stampa fattane dalla Galleria della Minerva, che non ne diceva di più. - Non sono io adunque che mi traspQrto a due secoli addietro. Lo sono invece i documenti diversi, cui si riferiscono le mie scritture. Questa è infatti la prima Tolta che per la fede dovuta al P. Giuliani ( e salve sempre tutte le competenti riserve sin al momento , in cui il codice, di cui si tratta, potrà essere esaminato an- che da me a tutto comodo ) mi sia stato necessario parlar d un codice, che naturalmente respingeva l'ori- gine della supposta mendacissima, ed anzi impossi- bile, epistola a circa due secoli prima dell'edizione 1700 del BaruflFaldi. ,. VII. Chi vorrà dir poi diligente 1' esame, che dei miei raziocini afferma aver fatto l'onorevole con- fratello e difensore del P. Giuliani, se nella sua let- tera 28 gennaio p. p., pubblicata dall' Album , egli non dà neppur fiato d'argomento alcuno, che possa reggere all'evidente forza e semplicità delli dieci pro- posti nel § III e V della mia lettera 21 ottobre 1847 , e per i quali tanto è vano occuparsi a far valere, pel fatto dell'esistenza di questa lettera, l'au- torità da riferirsi al Villani, quanto più fondamen- talmente distruggono la possibilità medesima dell'epi- stola, e del suo supposto argomento? Diasi ragione al vero: prima di farsi a proteggere l'autorità da ri- ferirsi allo scritto di Filippo Villani , non era egli più conveniente o necessario alla causa farsi a di- mostrare a priori la possibilità della lettera nella stes- sa storia della vita e del poema di Dante? 0 m'in- ganno, o qui non avvi umana possibilità di risposta. 350 Letteratura Vili- Se non che 1' onorevole P. Ponta , dopo aver riferito l'ultima parte del § V della mia lettera 21 ottobre 1847, soggiunge: Che per dar esatto giu- dizio sulV autorità delle cose riferite dal comento di Filippo Villani era da fissare V anno della nascita e della morte di questo Villani per saper con quali per- sone abbia egli potuto convivere^ e da quali fonti at- tignere le tramandate notizie. Sia ptu^ così, e vedia- mone le conseguenze. 1. Filippo Villani parlerà dunque di cose aon sapute da lui, ma raccolte dalla voce del suo zio ; dunque non farà più autorità per se stesso, ma per forza di tradizione : e questa non certa , ma sola- mente probabile. 2. Sarà egli credibile tanto meno , quanto piiV parli di fatto non compossibile colla storia certa della vita e del poema di Dante ; e più ancora ne parli in modo indeterminato , cioè non proprio al tutto del fatto che si pretenderebbe accertato da lui. Or che mai avrebbe accennato nel suo comento questo Filippo Villani (salvo quello che sarà per dir- ne di meglio il eh. P. Giuliani nel ragionamento, di cui si è fatta riserva) in proposito della mendacissi- ma epistola ? — Avrebbe nel suo comento latino offerto il sunto de quodam introduetorio supra Canr tum I Paradisi ad D. Canem de la Scala. E questa è dare per cerio , che Dante scrivesse una epistola allo Scaligero per dedicargli e fargli spiegazione della cantica III ? E questo è far sicuro che la mendace epistola, della cui autenticità fra noi si disputa, sia proprio quella ? . . . . Corpo del Salterello ? Me lo perdoni il eh. P. Ponta: non posso credere ch'egli, mi sia venuto incontro con armi di cotal tempra. Epistole di Dante 351 IX. Ma tutto questo sia per non detto, e valga poco air wopo di cui si tratta. Seguiamo invece i passi del mio gentile avversario. Se io ho fissato coH'autorità del Corniani al 1404 la morte di Filippo Villani; se gli ho dato l'età di 58 anni per farlo na- scere nel 1346, come vorrà il P. Ponta prender van- taggio sulla mia tesi con solo abbandonarsi all'ipo- tesi che nel 1404 Filippo possa aver avuto invece l'età d'80 anni? Collo stesso diritto un altro lo sup- porrà morto nell'età di 90; e così tutto si risolverà in quell'originaria assoluta incertezza e di fatto, e di epistola, e di testimoni, su cui finalmente si posa ( oltreché sulla mancanza dell'autografo) la sicurezza della mia causa. Ma sia pure pacifico fra di noi, che Filippo, morto nel 1404 in età d'anni 80, sia nato invece nel 1324, ed anche prima nel 1323; viva il cielo, rimane ancora liquido, ed evidente, e palpa- bile, che dunque nel 1321 (morte di Dante) il no- stro Filippo Villani non era nato ancora, e che quindi tra lui e l'epoca del suo comento 1401 corrono ben 78 anni d'intervallo, e però appunto i tre quarti di secolo, dei quali ho detto nel § VI della mia lettera 21 ottobre 1847. — Più: ohe importa mai, che Fi- lippo Villani possa esser nato anche nel 1323? Certo egli è, che col suo sig. zio Giovanni non avrà par- lato delle cose di Dante, che in gioventù al tempo de' suoi studi, cioè per lo meno altri venti anni dopo. X. E concedasi pure, che si abbiano parlato fra loro anche prima, e che in casa Villani si sapessero per minuto tutti gli aneddoti, tutti i pensieri, e tutti i fatti di casa Allighieri; dov'è mai, che né Giovanni, né Filippo, abbiano accertato quello, di cui si cerca 352 Letteratura fra noi, cioè una dedica7:i one e comento per lettera, con un balordo preambolo, della cantica del Paradiso a Can Grande, principe vittorioso? Del primo non si ha né scritto, né tradizione; e di Filippo non si ha che il cenno de quodam suo introductorio , del quale ho detto. Come dunque vi potrà essere, e dove, uomo ragionevole alcuno (uso la frase che mi fu po- sta innanzi dal mio avversario), che in tale stato di cose (e sino a che il P. Giuliani non ce ne dica di meglio) possa darsi a credere, che da Filippo Vil- lani ci sia venuta questa novità dell' epistola al si- gnore di Verona ? Cavaliere veneratissimo! Se più ne dicessi, te- merei di trattar l'ombre come cosa salda^ e di farle perder un tempo prezioso , quando so bene: Che ih perder tempo a chi più sa più spiace. Ifìmando adun- que , che per sentenza interlocutoria sia rimesso il mio gentile avversario a dover attendere, come farò io pure, il ragionamento promesso dal eh. suo con- fratello padre Giuliani; e frattanto me le raffermo eoa ogni riverenza e stima Di Venezia, addì 22 febbraio 1848. Illustrissimo sig. cavaliere. Suo (lev. off. servitore Filippo Scolari. Epistole m Dante 353 IV. Al preilanlissimo sìq. CAV. SALVATORE BETTI accademico della crusca professore e segretario dell'insigne e pontificia accademia di s. Luca Valente slg. cav. ed amico soavissimo, Se voler fu, o destino, o forUma non so: mai» questi ultimi giorni del carnevale trovai nella gazzetta privilegiata di Venezia (num. -47,28 febbraio 1848) una lettera di X paragrafi del eh. sig. cav. Filippo Scolari direita a voi, mio prestantissimo amico, nella quale, intendendo rispondere alla mia del 28 gennaio di quest'anno, inserita nel num. 51 dell'Album (dove implorava il vostro parere sull'autorità che può fare Filippo Villani rispetto alla epistola a Cangrande ) si affretta a protestare che la quistione non è con me, ma col p. Giuliani: e che perciò io non ho da in- vocare alcun giudizio, sinché e questi non ha pub- blicato il promesso ragionamento sulla autenticità del- la stessa lettera, ed egli non abbia allo stesso rispo- sto : di più richiede che voi, sig. cavaliere, mi pre- scriviate di attendere tale istante, e riprodurmi, se lo troverò opjwrtuno, e se ne resteià il bisogno, a suo tempo. A questa lettura « Tal mi fec' io ( mio saggio amico ) quai son color che stanno, Per non intender ciò che è lor risposto, Quasi scornati , e risponder non sanno. » In sì nuovo imbarazzo ricorsi alla mia 354' Letteratura lettera per accertarmi se forse la stampa avesse in- sieme col detto falsato anche il mio intendimento: ma non vi trovai menda , quanto alla fatta e discorsa proposizione. La quale, come voi già comprendeste, riducesi a questo: « Che io non vedo ragione, per cui sia SI poco attendibile l'asserzione di Filippo Villani, che il eh. Scolari, contro l'espressa testimonianza di lui, rimanga in dovere di riputare la lettera di Dan- te allo Scaligero per un impasto, e fattura di qual- che claustrale o cattedratico del secolo XIV. » E re- cate le ragioni, ch'io mi ho a molto venerare l'auto- rità di sì antico scrittore, deduco: « Che qualunque cosa da lui si affermi della vita ed opere del nostro poeta, è da tenere non meno credibile, che se la ci venisse formalmente narrata dall' amico e sozio di Dante Giovanni Villani. » E proseguo poi modifìcando il mio parere in questo modo : « Nondimeno per non troppo confidare in me , nel mentre che un tanto critico, quale è il eh. cav. Scolari, ne conchiude di- versamente, credo far buon servigio all'onore di am- bidue, te ricorro alla illuminata vostra sentenza. >» Da sì determinata, espressa e linda proposizione, io intendeva far saputo al eh. Scolari, che, senza en- trare nella quistione incominciata tra esso e il Giulia- ni, se cioè la lettera allo Scaligero sia o no di Dan- te^ io mi ristringo a cercare « del merito che in que- sta contesa possa avere un documento espresso ed autentico di Filippo Villani. » Il perchè io non so, come questo sig. cavaliere entrasse in timore ch'io voglia far parte di una qui- stione già cominciata: né so come gli fosse da pa- ventare tanto, non forse voi, cortese e giudiziosÌ8si- Epistole di Dante 355 mo amico, emetteste su quella il vostro parere, che vi dovesse allegare non solo il da lui pubblicato, e l'aggiunto dal eh. professore Picei sullo scopo me- desimo, ma che anche sulla fine del suo scritto avesse a domandarvi, che per sentenza interlocutoria sia ri- messo io suo avversario a dover attendere il ragio- namento promesso dal p. Giuliani ...(§. IV e X). Domanda inutile, né poco offensiva mi è questa. Io non chiedo ciò ch'ei teme, uè il p. Giuliani è tale personaggio per talenti e per assiduo studio, e per sanissimo intelletto, che per vincere gloriosamente i suoi avversari gii abbisognino i maneggi , o 1* altrui soccorso. E se le quanto onorevoli altrettanto gravis- sime fatiche di censura dall'augusto suo sovrano af- fidateli a prò della cosa pubblica non avessero arre- stato la penna di questo nostro amico; a quest' ora gli studiosi di Dante avrebbero già data la definiti- va e temuta sentenza. Il non fatto sarà fatto di cor- to: ed a quel momento io pure voglio rimesso un sì desiderato giudizio. Però tralasciato quanto il eh. Sco- lari (pensando nell'errore ch'ora ho soluto ) scrive su tal proposito, mi conceda la nota gentilezza vo- stra ch'io qui aggiunga una parola su quello che vien dirittamente opposto alla vera mia proposizione. Da prima si duole il mio pregiatissimo avversa- rio che io abbia detto, sebbene di passaggio e senza mira di offenderlo, che egli anticipa ora di due se- coli l'epoca della discreduta lettera ('§. VI); e si ac- cinge di tratto a provare che egli con ciò non è in contraddizione con se stesso ; poiché, quando la disse fattura del secolo XVI, egli rispondeva a chi met- teva la pretesa epistola di Dante all'ombra della sola 356 Letteratura pubblicazione a stampa fattane dalla Galleria della Minerva^ che non ne diceva di più • e quando la di- ceva fattura del secolo XIV rispose a chi, senza far- glielo ostensibile, gli citava e gli cita un codice che si riporta a' tempi del secolo XIV. E qui conchiude: <* Non son io dunque che mi trasporto a due secoli » addietro. Lo sono invece i documenti diversi, cui t» si riferiscono le mie scritture ». Approvo questa scusa per intero : e già v'immaginate , eruditissima mio amico, ch'io pur mei sapeva che il eh. Scolari credette cessare l'argomento tratto dalla stampa del secolo XVII (che attribuisce quello scritto a Dante) asserendo francamente che ciò non è vero, ma che è anzi opera di un balordo claustrale del secolo an- tecedente. Posto che io qui non indaghi per quali sode ragioni, così disprezzandola, si fissasse l'origine di quella lettera in epoca siffatta ; nondimeno devo accorgermi che, se all'udire più tardi che di essa si fa menzione da chi, morto sul cominciare del seco- lo XV, visse e conversò cogli amici dell'autor della lettera, il eh. Scolari ha potuto anche, senza contrad- dirsi, sentenziarla fattura del secolo XIV, ma pur fat- tura di tutt' altri che di Dante ; è manifesto che fu tutta arbitraria la prima asserzione. E siccome al pre- sente la dice fattura d'un claustrale del secolo XIV a cessare l'obiezione che gli viene dal documento di chi fiorì nella seconda metà di questo centenaro: così ove la buona ventura ci scoprisse (come è facile) un documento preciso del 1330, ei negatala tuttavia a Dante, la dichiarerebbe nuovamente fattura di qual- che cattedratico di pochi anni posteriore al settem- bre del 1321. In questo caso io non mi oppongo al- Epistole di Dante 357 l'opinione altrui, né afifeim ero mai che questi siasi contraddetto : solo a me pare (e la santa face della sana critica mi perdoni se mal io m'appongo ) che chi attribuisce al sedicesimo centenaroquell'una scrit tuia che più tardi e senza contraddirsi può affermar- la più antica di 40 lustri, non debba maravigliarsi ove altri gli soffi all'orecchio, che come nelle epo- che, così possa aver errato nell'attribuire ad un clau- strale un dettato genuino di Dante. Ma questo dicasi di passaggio; che io, toccando questa sua mutazione di parere, intesi onorai-e e non offendere il valente, e per me stimatissimo sig. cav. Scolari : del quale in alcuna delle mie operette mi dichiarai, ed or mi ripeto solennemente, discepolo devoto ed amico. Inoltre egli vi fa notare che, sebbene io dica d'aver- lo fatto, puie non è vero ch'io prendessi diligente esame de'raziocini che in numero di dieci egli nella sua lettera oppose al p. Giuliani (§. VII): « poiché in fatti non do neppur fiato d'argomento alcuno, ce » Quanto al non averne pailato né prò né contro, ha ragione: così è per lo appunto : ma si avverte che io, non dovendo, né volendo entrare al posto altrui, dissi d'aver esaminato non già i detti argomenti, ma sì le opposizioni e le eccezioni che egli faceva all' autorità di Filippo Villani. A quelli, chi deve, a suo tempo risponderà : mio proposito è, com'io dissi, la difesa dell'autorità di questo, cui egli a cessarne il pericolo tentava indebolire. A quest'una mi accinsi: e posto che altrui non garbi , pure gli studiosi di Dante sapran giovarsene con qualche effetto. Se non che vedete, egregio professore, piacer sin- golare dell'illustre mio avversario ' egli mi chiama 358 Letteratura sull'arena già onoratamente occupata : ed a me ripete un'altra volta, che pei suoi argomenti tanto è vano occuparsi a far valere, pel fatto della esistenza di que- sta lettera, l'autorità da riferirsi al Villani , quanto più fondamentalmente distruggono la possibilità me- desima dell' epistola e del suo supposto argomento. « Diasi ragione al vero (così prosegue) : prima di farsi a proteggere 1' autorità da riferirsi allo scritto di Filippo Villani , non era egli più conveniente o necessario alla causa farsi a dimostrare a priori la possibilità della lettera nella storia della vita e del poema di Dante ? 0 m'inganno, o qui non havvi pos- sibilità di risposta (ivi med.). « E il vero da tutti gli intelletti sani sia lodato nella sua pura luce. A che riducesi questa domanda , cui non havvi possibilità di risposta ? S'io veggo luce, riducesi a questa : in- nanzi di cercare autorità che affermi l'autenticità di questa lettera di Dante, si veda se nel corso di sua vita poteva essere da lui composta. Or bene, s>e que- sto è domandato, la risposta è qui, ed è facile, facile, facile. A priori io ho saputo dalla storia che Dante, nato il maggio del 1265, morì nel settembre 1321: che fu a Verona più volte, che vide e conversò col Gran Can della Scala, di cui fu anco encomiatore ed amico : né mi è ignoto per la storia stessa aver lui scritto diverse Epistole latine di alto dettato ( come a quel tempo le venivan dette ) a molti principi e signori. Trovo poi che una stampa veneta del 1700 contiene questa lettera indirizzata a Cangrande, di cui esiste copia in certi codici della prima metà del se- colo XVI : dopo ciò mi sopravviene un documento di autore per lettere, per critica, per condizione, per Epistole di Dante 359 fede gravissimo, nato due soli aani dalla morte di Dante, e vissuto 25 anni con un zio onorandissimo, che fu concittadino amico e sozio di Dante : il quale autore non solo afferma di possedere uno scritto di Dante sull'argomento stesso della contrastata epistola, ma e sì pure « destinato da lui al magnifico signor di Verona: >» e dai brani allegati formalmente si trova che questo concorda letteralmente con quella. Osservato ciò a priori^ lascerò poi a chi dilettasi di più mi- nute ricerche il rinvenire in qual anno, ed in qual mese, si potesse scrivere tal dettato : se veramente in- viato, se ricevuto, o no : e non mi terrò che non mandi a monte ogni altro argomento che un sottile ingegno mi sappia opporre: ma dirò che questo è vero autentico lavoro di Dante. Nel che vengo somma- mente confermato dal riconoscere che quest'uno la- voro, checche altri ne dica, è tale che se non è di Dante, è di persona eruditissima in ogni scienza quan- to Dante : la quale certo doveva sapere i segreti più riposti della divina Commedia quanto Dante. Nella quale sentenza ho molti illustri compagni, e nomina- tamente l'incomparabile piof. Carlo Witte, nome che qui vale l'autorità d'un areopago. Che se alcuno mi opponesse, che questa non poteva essere vergata nel tal mese del tale anno, risponderò col p. Pianciani. Si mostri che non poteva nemmen esserlo alcuni mesi innanzi (1). Argomentate or voi, mio veneratissimo (1) Vedi il volume V, Delle prose e poesie di Dante. Livorno MDCGCXLIl a carte 102 e segg. ed i §§. XVII, XVHI della Prefa- zione alle Epistole di Dante. Indizione eseguita con molla cura daljbe- nemerito degli sludi danteschi sig dottore Alessandro Torri. Vedi pure gli Annali delle scienze religiose. Serie 11, fase. IV, 1846. Uoma : ove trovasi un dotto articolo del p. Pianciani in lode dell'opera Dante ci la philosophie calholique; del prof. Ozanjim 2. edizione. 360 Letteratura professore, qiial forza mi abbiano le ingegnose dif- ficoltà di chi nell'anno presente va dicendo impossi- bile quella scrittura di Dante , che Filippo Villani giudicò e commendò siccome autentica e degna di quel grande ! Ma qui non v 'incresca, onorandissimo signor se- gretario, seguirmi alquanto nelle ragioni postemi in- nanzi contro il testimonio del Villani. Io dissi che a determinare qual grado di fede meriti un docu- mento di Filippo Villani rispetto a Dante « voleasi sapere con quali persone abbia egli potuto convive- re, e da quai fonti attingere le tramandate notizie. » Da questo esame venivami conosciuto che, nato in- torno al 1323, egli convisse intorno a 25 anni col zio Giovanni, e forse 40 col proprio genitore, am- bidue concittadini, ambidue coevi, ambidue amici di Dante. Dal che il gentile oppositore deduce che: « 1. Filippo parlerà dunque di cose non sapute da lui , ma raccolte dalla voce del suo zio (e del suo padre^ doveasi aggiungere); dunque non farà più autorità per se stesso, ma per forza di tradizione : e questa non certa, ma solamente probabile. 2. Sarà egli cre- dibile tanto meno, quanto parli di fatto non compos- sibile colla storia certa della vita e del poema di Dante; e più ancora ne parli in modo indeterminato, cioè non proprio al tutto del fatto che si pretende- rebbe accertato da lui (§. Vili). » Così la ragiona egli: ed io,, rispondendo alla pri- ma sua deduzione, la discorro di quest'altro modo. Certo io dissi che Filippo Villani ebbe cognizione della vita e degli scritti di Dante non per propria scienza, ma per bocca del zio e del padre; i quali Epistole di Dante 361 sìncroni agli avvenimenti erano testimoni validissimi : ma appunto per questo non si può conchiudere che la narrazione sua sia incerta, né venutagli per tradi- zione, ma sì da ottimi testimonii oculari^ come l'arte critica gli appella. Che se poi credesi che le narrazio- ni di tali testimoni non siano attendibili, o che sog- giacciano ad una forte incertezza, e perciò si dannano come non efficaci, a che si ridurrà la vita di Dante e la storia del suo poema, intessuta per nove deci- mi sulle asserzioni di pochissimi autori veramente coevi, dal Boccaccio e dal Benvenuto imolese, i quali tutti nulla veduto, nulla udito personalmente, e non mai conosciuto di presenza l'autore, ci assicurano di riferire ciò che lor venne per altri ritratto l Amraet- WkTl Concetto di un gran bassorilievo rappresentante la de- posizione di Cristo dalla croce (*) , modellato dal commendatore Giuseppe De-Fabris^ presidente deW accademia pontificia di s. Luca , per commissione di S. M. Maria Cristina di Napoli, regina vedova di Sardegna, Quo me operis tanti rapis ausii, quod tua nuper Dextera et ingenium phidliaca arte potens Effinxtt, magne o scnlptor ? (GlACOLEXTI.) \^uantunque la deposizione di Cristo dalla croce sia di per se un subbietto fecondissimo di artistiche e religiose ispirazioni , tuttavolla il cinaenlarsi in esso (*) Questo inarrivabile bassorilievo fu descritto dal cav. Giusep- pe d'Este in un suo erudito Discorso, stampato in Roma, tip. Puc- cinelli, in S; da monsig. Carlo Gazòia in un articolo inserito- nel Diario di Roma, num. 37, 19 luglio 1843, riportato nel Gondoliere di Venezia^ anno Xlll, num. 33 , 16 agosto 1843; dal cav. Angelo Maria Ricci in un elegante Capitolo pubblicato in Roma, pe'tipi del Monaldi, in 4 gr. riportato nel Faglio di Vene.'ia, anno X, nnm. 32, 9 agosto 1843 ; dal eh. p. Giuseppe Giacoletti delle scuole pie in una forbitissima Elegia latina, stampata in Roma, in 8.°, della quale poesia fece menzione onorevolissima il cav. Felice Romani nella Gaz- zetta piemontese del 2 agosto 1843; dal cav. Pietro Ercole Visconti in un suo elaborato articolo, pubblicato wifW Album di Roma , anno Xli, num. 28, ec. Bassorilievo del De-Fabris 367 con qualche novità di concetto sembrar potrebbe opera ardimentosa e direi quasi impossibile. Coocios- siaclìè non fuvvi dipintore o scultore valente che in- torno a sì sublime argomento non abbia adoperato il senno e la mano. Richiamiamoci infatti alla me- moria le eccellenti opere di Daniele da Volterra , di Rubens, del divino Urbinate, di Caravaggio, di Correggio, di Buonarroti, di Canova e di tanti altri, e rìmarrem convinti della malagevolezza dell'impresa per chi volesse provarsi nel medesimo arringo. Ep- pure il chiarissimo scultore sig. comm. Giuseppe De- Fabris, già a buon diritto salito in bella fama per tanti suoi nobilissimi lavori (1), ed ultimamente pel grandioso ed insigne monumento ad Andrea Palla- dio eretto in Vicenza (2) , non soltanto cimentossi alla prova , ma felicemente vi riuscì, superando, di- rem con franchezza, nel concetto^ nella composizione ed espression della scena quanti furono prima di lui a trattare così religioso subbietto. E tanto mag- gior lode a lui debbe tornarne, in quanto che egli non ispirossi a questo o a quell' altro lavoro , ma alla sua pura fonte, alla storia ; e nella lettura del pietoso argomento e nella sensibilità e religiosità del (1) Il comm. De-Fabris ha eseguilo finora intorno a venti monu- menti, molti gruppi, statue, colossi, bassorilievi e busti; opere tutte lodatissime. (2) L'entusiasmo che produsse il mentovato monumento; le ope- rette uscite alla pubblica luce ; la voce de' più accreditati giornali italiani, e le confutazioni di un'impudente critica tutta selvatica (*) pubblicata in un giornale intorno ad esso , formano l' elogio più grande che possa farsene. (*) Si allude al cognome dell' intemperante critico sig. conte Selvatico. 368 Belle arti suo cuore informò quel sovrumano lavoro, intorno al cui concetto noi dettiamo alquante parole, le quali ne disvelino, più chiaramente che fia possibile, i sensi religiosi che vi si comprendono, e le intenzioni del- l'egregio artista. Prima però di svolgerne i sensi ar- cani, sommariamente descriveremo il gran quadro. Sulla vetta del Calvario sorge la croce, da due rozze travi composta , in su la cima della quale si legge il titolo Gesù Nazareno re de' giudei^ scritto nelle tre lingue ebraica, greca e latina. Giuseppe d' Ari- matea e Nicodemo , discepoli di Gesù Cristo , ne sconficcano rispettosamente il sacro corpo ravvolto in bianca sindone, cui non valendo due soli uomini a sostenere , lo scrittore aggiustatamente vi ha in- trodotto Giovanni l' evangelista, personaggio storico anch'esso, ed un altro discepolo, compagni ed: aiu- tatori di Giuseppe e di Nicodemo nella pia azione. l>al lato destro ed a pie della croce è assisa Maria, in atto di ricevere fra le aperte braccia il corpo del figliuol suo, mentre col pie sinistro schiaccia il capo^ al serpente. Alla destra di lei è Maddalena genuflessa, la quale medita su la corona di spine e su' chiodi da lei raccolti ; e quasi rioovrantesi sotto il manto della beata Vergine, piange, amaramente piange. Alla sinistra del quadro è Maria di Cleofe, che adora il divin Redentore, il quale, con quella riverenza che conviensi a discepoli così affettuosi ed a così subli- me maestro, vien dalla croce deposto. E questo l'in- sieme dell' opera , in che racchiudonsi sublimissimt sentimenti di religione, cui tentiamo di far compren- dere, se pure ci vai tanto lo ingegno, a'benevoli no- stri lettori. Bassorilievo del De-Fabris 369 E cosa in vero degaa di esser osservata, come il Redentore, caduto in nnano de'suoi nimici, fu dagli apostoli, ad eccezione di un solo, da'discepoli e da' seguaci di lui vilmente abbandonato. Solo una mano di donne amorose non lo lasciaron giammai: anzi se- guendolo infin sulla vetta del Golgota, dimostraron- gli in cosi lagrimevole congiuntura la costante lor affezione. Frri queste pietose donne trovavasi la gran Vergine, condottasi in compagnia di Giovanni a pie della croce, non solo per l'amorosa sollecitudine del suo figliuolo, ma eziandio per essere spettatrice e partecipare de'grandi misteri che il figlio stava per compiervi, e per cooperare col suo amore e col suo dolore alla nostra salvezza (1). Donde conseguita che Maria « in questa circostanza solenne ha un raini- » stero tutto suo, un incarico particolare da adem- » piere; e cosi .... prende un'attitudine tutta par- » ticolare e tutta sua propria (2). » Ora l'esimio .scultore, penetrato da siffatto vero, ha dato appunto all'augusta donna quell'atteggiamen- to sublime che le si conveniva. Imperciocché ei volle rappresentarla colle braccia aperte e levate in alto, onde ricevere in grembo le mortali spoglie del suo unigenito immolato alla giustizia dell'Eterno pe' pec- cati degli uomini. Ella rinnova in questo istante al divin padre 1' offerta del già compiuto sacrificio con un eroismo veramente degno di lei. E però nel suo volto miransi di conserva pinti un'immensa ras- segnazione ed un immenso dolore ; in esso scorgi l'amore di madre e lo zelo di corredentrice ; affetti (1) lentura, La madre di Dio madre dejjli uomini. Voi. 1. (2) /'entura, Loc. eit. 370 Belle arti tra loro così opposti e sì difficili ad esprimere! Ep- pure come vi è riuscito l'autore! Mira quegli occhi pietosissimi che or guardano il cielo, or il sacro cor- po dell'unigenito che si depone dal legno; mirali, e lascia, se pur ti dà l'animo, dall' esclamare con un ristauratore moderno della italiana favella: « Io non sapeva ch'in mortale aspetto Esser polca divino anche il dolore (i). Maria sul Calvario associavasi dunque col suo fi- gliuol Gesù Cristo alla umana redenzione. Quindi per tale sublimissima opera di carità rimanendo debellato (1) Cesari. Slimiamo prezzo dell'opera il riportar per intiero V accennato Sonetto snl busto di Maria Vergine addolorata, scolpita dal nostro scultore, insieme coU'altro sul busto dell'£'cce Homo, lavoro dello stesso scarpello, credendo far cosa grata a'cuUori del puro no- stro idioma. 1. Io non sapeva ch'in mortale aspetto Esser potea divino anche il dolore. Mei' provò vero, o Fabri, il tuo valore In nostra donna e nel figlio diletto. Dell'un ne'lati, u' parla un dolce affetto, Spasma negli occhi e nella bocca il core : Nell'altra più profonda appar di fuore La piaga, ond^ha dilacerato il petto. Ma duol di madre non fu visto mai. Né d'uom sì dolce, e 'n sì tranquillo viso; Comechè ogni altro duol vinca d'assai. Non piace più di sì bel pianto il riso: E farian lieto que' pietosi rai. Se vivi uom li vedesse, il paradiso. Bassorilievo del De-Fabris 371 l' inferno , ben a ragione Io scultore le pose sotto il pie l'antico serpente con tra le fauci il fatai pomo, perchè appunto nella morte di Cristo fu l'uomo alla salute redento, e là sul Calvario avverossi la nota profezia, che una donna avrebbe al serpente schiac- ciato il capo (1). Ma chi è mai quella giovine bellezza, che ge- nuflessa al lato destro di Maria, con i capelli di- sciolti e sparsi per gli omeri , e col capo poggiato sulla manca, tiene nella destra la corona di spine ed i chiodi che trafisser le membra di Gesù, ed è at- teggiata a profondo dolore? Ah ben la ravviso a quel fiume di lagrime che le inondano il seno, a que'&in- ghiozzi che di bocca le tolgono la parola ! Ella è In que'due volti pien di maraviglia Mentre i' m'affiso, e 'n le fattezze sante^ Io veggo all'altro l'un si somigliante. Che goccia a goccia più non si somiglia. Poi se l'atto de'labbri e delle ciglia Più attento miro, in ambedue parlante: Costei, dico, è la madre ahi! lagrimante, E quella carne d'està donna è figlia. Ma se '1 seren della tranquilla pace, Che dolce in tanto affanno ivi riluce, Miro, e quel pianto, che i cor lega e piace; Virtù sì alta agli occhi miei traluce, Ch'io sclamo: Esto figliuolo. Iddio verace, Tal valor nella madre ei sol produce! (1) Gen. Ili, 15 — Per la Donna s'intende Makia V, e pel5«r- penfe il dimo.mo (s. Agoil.) 372 Belle arif Maddalena! Non rammenti come nella casa del Fa- riseo cosperse di amorose lagrime i pie di Cristo , ne gli asciugò colle chiome e gli asperse di odorosi unguenti (1)? come, perchè amò molto, ottenne la remission de'peccati, ed udì profferirsi dal Reden- tore medesimo quelle dolci parole: Remittuntur Uhi peccata (2) ? Vedeteli l'amorosa ! Ella col pensiero ritorna su le sue colpe, su'benefizi da Gesù ricevuti: e mirando lo strazio che si è fatto di lui, e contem- plando gli strumenti ferali che ha tra mani, non può rimanere dal darsi in preda al più grave ed ango- scioso dolore : dolore e trambasciamento però tutto umano , che forma bellissimo contrasto con quel- lo, direm così, tutto divino della eccelsa madre di Dio. A dimostrar quindi che la genitrice de! Verbo umanato là sul Calvario acquistossi il titolo che me- ritamente le tributa la chiesa di madre di misericor- dia e di rifugio de'peccatori^ lo scultore immaginò, con felicissimo concetto, che la Maddalena le si ri- covrasse sotto il manto, quasi che senza di lei mal sicura fosse la propria eterna salvezza Chi non vede quanta cristiana filosofia racchiudesi nelle due di- scorse figure? Alla sinistra del quadro sta Maria di Cleofe. Questo personaggio, tratto ancor esso dalla sacra isto- ria, rappresenta misticamente V innocenza^ e forma un ammirevole contrapposto colla Maddalena , sotto la cui figura r artista ha voluto indicar la penitenza, (1) Lue. Vn, 38. (2) Ibid. VII, 48. Bassorilievo del De-Fabris 373 Ella piega il destro ginocchio, e mirando fisa nel corpo del Redentor crocifisso che dal supplizio yien deposto, vorria toccarlo e baciarlo a ffettuosamente : ma un senso di rispettoso timor la rattiene; quindi è paga di contemplarne l'amore infinito ch'ebbe per gli uomini, e di adorarlo profondamente. Ed eccoci sdebitali dell'incarico che ci eravamo assunti . di parlare cioè sul concetto di lavoro cosi sorprendente. Ognun s' avvede che non fu nostro scopo di descriverlo compiutamente e artisticamente: che conoscemmo non vi poter riuscire: nonpertanto diremo in poco che quest opera è in tutte partì am- mirevole. Vedine la novità e sublimità della compo- sizione! Osserva com' ella piramidi mirabilmente, e come sia ben inteso il contrasto delle linee fra loro, sì che il lutto produce quell' armonia , che ad un classico lavoro conviensi. Cerchi poi bellezza di nu- do? guarda e contempla il Cristo. Desideri varietà di caratteri e di espressioni? guarda l'illustre d'Arima- tea e 'l compagno, Giovanni e l'altro discepolo, guar- da infin le Marie. Vuoi bel piegare e ravvolgere di panni? fermati a mirar sulla Vergine, sulla penitente e spezialmente su Cleofe, e rimarrai stupefatto. Mi mancano 1' espressioni per magnificar con- venevolmente un'opera che può riguardarsi come un compiuto poema. Non ho eziandio parole che valgano ad esaltare il merito del De-Fabris , il quale nella discorsa opera, improntata del vero bello e sublime artistico, ha certamente superato se stesso e la espet- tazione comune. Oh religione augustissima, madre felice degl'in- gegni! Tu fosti quella che avvivasti la fantasia del- 374 Belle arti l'artista e ne conducesti la mano! Tu, colle prepo- tenti tue attrattive, dilati l' imperio delle nobili arti, sì ch'oggi provansi in ciò che parca non poter riu- scire! Deh iTiantienti l' oggimai acquistato dominio: né mai avvenga che le arti, apparse in terra per eternar le tue glorie , imbrattino la verginale loro purezza nelle laide brutture della sensualità! E voi, illustre artefice, che con tanta filosofia e verità ci rappresentaste uno tra' piii sublimi misteri della nostra fede, rallegratevi di avere per voi stesso scolpito le glorie vostre e le glorie di quella PIA , che ve ne die l'onorevole ordinamento. Emmanuele Marini. 375 ÌNDICE DELLE MATERIE CONTENUTE :\EL TOMO CXIV, VOLUMI -^40, 341, 342 DEL GtOHNACE ARCADICO SCIENZE jRijseìIij Del calcolo de residui . . pag- 1 e 121 Poìetdj Intorno alla lega commerciale e alla rete delle strade ferrate in Italia . . . . » 33 Rapporto del consiglio di amministrazione della cassa di risparmio in Bologna , . . » 52 Biolchini, Cagioni delle inondazioni di Roma ec. » 169 Coppi j Discorso agrario . . . » 198 Consoni j La mnemotecnica e Nicolò Minala ec. n 213 Catalani j La febbre non é una malattia, . » 231 LETTERATURA Betti j, Osservazioni sulVultima edizione napoletana del Sallustio volgarizzato da Bartolomeo da s. Con- cordia . . . . . . . )) 57 Capozzij Versi in morte di Carolina Borghesi sua mo- glie. ...... Montanari^ Elogio di Marcantonio Talhoni Vaccolinij Elogio di Luigi Gramantieri Puoti^ Discorso sulle rime della Guacci-Nobile Guzzoni^ Alcune lettere storiche inedite Castreca Brunetti, Lettere inedite intorno antichità e belle arti e Continuazione. Quelle di L. Cicognara).)> 287 » 79 » 81 » 243 » 255 . » 267 376 Scolari e Fontaj, Lettere suWautenlicilà dell'epistola di Dante a Cannrande della Scala . . >■ 334 BELLE ARTI Cappi, Biografìa di Raffaele Sarti scultore. » Marini, La deposizione di Cristo dalla croce j basso- rilievo del commendatore Giuseppe De-Fahris. » Varietà 99 566 I1>DIGE DE'VOL. 341, 342. Ofe^ SCIENZE PAG, Jìoselliy yllcune formole sul calcolo de residui, (Continuazione.) . .121 lììolchiniy Cagioni delle inondazio- ni di Horna ec 169 Coppi, Discorso agrario . . . .198 Consoni, La mnemotecnia e Nicolò Minata ec 213 Catalani, La febbre non e una ma- lattia 231 LETTERATURA l^occolini, Elogio di Luigi Graman- fieri 243 Puoti , Discorso sulle rime della Guacci-Nobile 255 Guzzoni , Alcune lettere storiche inedite 267 Caslreca Brunetti, Lettere inedite intorno antichità e belle arti.fCon- tinuazione. Quelle di L.Cicognara.)2^7 Scolari e Ponta, Lettere sull'auten- ticità dell'epistola di Dante a Can grande della Scala . . . .334 PELLE ARTI Marini, La deposizione di Cristo dalla croce, scultura del commen- datore Giuseppe De-Fabris . .366