%'iiìA' G I O BJiX L E ARCADICO DI SCIENZE , LETTERE , ED ARTI T03I0 XVt, OTTOBRE 5 NOVEMBRE 5 E DECEMBRE MDCCGXXn» ROMA NELLA STAMPERIA DEL GIORNAHJ PRESSO PAOLO SALVIUCCl E FIGLIO Con licenza de Superiori. «AL v^;, NECROLOGIA. CANOVA. on sono ancora rasciugate le lagrime che ci le-^ ce versare la immatura morie dei conte Giulio Per- ticari , alto leggiadro e generoso scrittore e fdoso- i'o ; quand' ecco nuovo e inaspettato argomento di dolore ci porge la perdita del massimo dogi' italia- ni , di colui che copriva di sua luce tutta la pa- tria nostra, d'Antonio Canova , il cui nome durerà glorioso e fra'piìj lodati, ancora quando saranno per la rahbia del tempo distrutte l'opere sue. Ond' è che il presente anno, in che Vennero meno due co3Ì illu- stri vite , andrà nefasto trà'posteri. Perchè ratti bel- le e le lettere, smarrite dietro Timmagine della fal- sa bellezza , furono da questi due valentissimi ri- condotte al retto sentiero per forza di grandi e bel- li esempj. Ma, a dire il vero, il Perticari giovò di so la sola Italia mostrando qual fosse il sano modo del- la eloquenza : e come si dovessero togliere via del- le scritturale parole vuote di concetto :e lasciò, pochi sì, ma splendidi argomenti dì sue dottrine. Ed in ciò pure fu grande al pari del Canova, cioè neir amore d'Italia : alla quale rivendicòi invinci- bilmente il diritto d'una lingua universale , statole usurpato da pochi ch'ei combattè vittorioso con quel-- la gagliardìa che viene dalla giustizia e dalla verità, 11 trionfo però del Canova fu pìiì esteso , se- pondo la natura dell' arte sua , perocché si dilFuse sopra tutte le civiltà. Entrato dalla più tenera gio- vinezza nella diftìcil carriera della scultura , trovò essere questa al tutto guasta e corrotta , e tanto lon- tana dalla greca vemistà; quanto lo è il falso dal ve- 11 ro. Ma la dlfficoltìi di restaurarla sembrava sopta- slare e per la lungliczza del tempo , e per le auto- rità deir uso e de' maestri, non alle forze di un so* Io e giovanetlo e sprovveduto de' doni della fortu- na e lontano da «picsta Roma , ove trovansi tutti i te- sori dell' arte, ma bensì anche agli sforzi riuniti di molti. Perchè la corrente trascinar suole seco la mol- titudine, e i più battono la strada che, piacendo all' universale , apporta guadagno e lodi : né d'altro si brigano . E certo fu gran fatto che un tal giova- netto s'osasse tentare tanta novità : la quale dove- va ferire nella radice dell'anima vecchi ed applau- diti maf^stri. Ma egli , per quel raggio divino che gli scaldava la mente, non isbigottì ; e infra se di cheto ravvolgendo il mutamento dell' arte, conobbe che non altronde che dalla natura meditata ne'portenti de'greci scalpelli pot evasi trarre l'immagine e l'esempio della bellezza. Perciò a questa mela dirizzando i suoi primi passi, vide non essere il suo pensiero cosa vana; poiché quantunque da molti riprovato ,^nulladime- iio s'ebbe lodi da'que' pochi che meglio dell'arte sen- tivano. Per la qual cosa piiì e piiì inliammandosi dell' amore della gloria , si spinse oltre nell' intra- presa carriera, né perdonò a stenti, a fatiche, ad avversità onde riuscisse il concepito divisamento. Fu sua ventura che dopo aver condotto in 'V^enezia il gruppo d'Icaro e Dedalo potesse muovere , per fa- vore d'un potente , a questa beata Roma, e portar- vi il modello di quell opera, in che tutti traspari- vano i germi dell' eccellenza a cui un giorno dove- va salire. Quali fossero le vicende , e le traversie , e le persecuzioni , e le nimistà per lui sostenute sino air eseguimento del mausoleo di Papa Clemente XIV, narrerà colui che torrà a scrivere la sua vita. A noi basta il dire , che da quo! memento fu rimutata l'ar- iìl te della scultura per Opera di lui : elle la maniera iu per ogni dove sbandita : e che quanti si mostra- ron dappoi imitatori e seguaci delie antiche scuo- le, a lui solo il debbono, e il dovranno i posteri, se pur non vadano di nuovo errati dal diritto sentie- ro. Ed anche in questo fu grande e singolare: che né per fortuna, ne per applausi di tutta Europa chtì lui gridò e consecrò maestro d' ogni nazione mai non si ristette dal cercare il perfezionamento dell' arte sua ; e indefesso operatore riempì delle meraviglie del suo scalpello la terra; cosi che, come ebbe a dire il Quatremere de Quincy , l'età future staranno in for- se se tante opere non sieno state da molti scultori lavorate. Onde che quelle, di noi invidiose, lui appel- leranno l'uomo di molti secoli , e per que' molti che dinnanzi trascorsero , e per que' molti che se- guiteranno senza che siasi veduto o si torni a vede- re così miracoloso ingegno' E a buon drit(o nome- rassi il presente secolo dal Canova. Perocché trop- po avaro n' è il cielo di doni così portentosi e si- mili a luì : il quale riuniva alla massima eccellen- za dell' arte tutte le bellezze e i pregi d un' anima santissima: e tutte le virtù del cuore, onde si vie- ne in fama di zelator della patria gloria, di otti- mo cittadino , d incorrotto e snido amico , d'instan- cabile e generoso soccorritore dogi' infelici , d uo- mo lontano dalle rampogne dal fasto dagli odj pri- vati dalle ingiurie in altrui , e delle offese in se com- piesse facile perdonatore. Ma queste e tante altre do- ti, che fregiarono il sommo degl' italiani moderni, ragionerà, siccome dicemmo distesamente colui che conterà la sua vita. Perchè il voler tutto discorrere sa- rebbe troppo gran tela e peso soperchiante per le nostre forze. Ma fidiamo che l'aureo scrittore e fdo- sofo piacentino, Pietro Giordani , che fu de'pii'. ra- ri amici del Canova , non froderà nostre spciaiv* IV 20, e vorrà col magistero della sua eloquenza man-» dare ornata Ira' posteri la inernoria di tanta eccel- lenza. Ld a ciò farcii confortiamo in nome di tut- ta Italia , non si trovando chi meglio e più degna- mente di lui lo possa. Né presuma volgare scritto- re di passare alla immortalità accanto af Canova. Che de' grandissimi non vuoisi che altri scriva- no che 1 migliori. K fra questi il Giordani, al qua- le incontrò la ventura d'essere ospite e per lunga consuetudine fa mlgliarissimo di quel grande, acconcia- mente uf dirà il candore: la semplicità del costume: la sobrietà: Ja religione : la modestia: Ja pazienza: eia mente alta e tutta ripiena di (ilosoHa e di sen- si generosi. E aggiungerà come degli averi compe- rati per forza di gloriosi sudori ei fosse largo di- spensatore non solo a prò delie arti e degli artisti, ma benanche de' suoi stessi nemici , a quali impar- tiva le sue beneficenz? , ove il richiedessero le loro necessità, con ^ iso sereno e paterno: raro modo di onesta vendetta ! t come non \enno mai in super- bia né per favori o amici/.ie di potenti monarchi : né per onoranze p titoli , co' quali sludiavansi dar pr.-mio a cdsì nuova bontà. Dirà infine, ch'ei non- co- nobbe altr' ambi/ione che quella della gloria, e eh ei pervenne ad ottener questa per le vie del saper re, de' b<^i costumi, e delle virtù degli antichi. J\è altri più di me , il quale scrivo questa bre-r ve nota fra vere lacrime di santa e lunga amicizia, conosce con com'ei lìa d'uopo di molta sapienza a vo- ler tutti ragionare i pre^'i di sì grand'uomo , la cui morte piangonocon esso noi Koma, l'Italia, e l'Europa. JVacque Antonio Canova nel villaggio di PoSt- sagno presso la città di Bassano negli anni di Cri- sto AIDCCLVII il dì primo del mese di novembre; ed è motto a dì i3 dell' otlobie del presente an- ]&o MDCCCXXU ili Ycneziia. XAMBivor^i. SCIENZE Jmiali di medicina pratica compilati neW istituto eli" nico del reni Liceo lucchese da Giacomo Fran-^ ceselli p. profossore ec. ec. f^olume primo . Lue- ca 1 82 1 . E s T n A T T o. TT . t_J na preziosa raccolta di fatti, di osservazioni, e di precetti con somma diligenza , e dottrina ci si offre dall' A. in questo primo volume di cli- nici Annali. Ci previene nella sua breve prefazio- ne aver egli ommesso per varie ragioni il confron- to fra le mortalità e le guarigioni riscontrate ia clinica, per essere un tal quadro spesse volte lu- singhiero, ed il piià delle volte inesatto comeclie subordinato ad un complesso di circostanze non fa- cilmente calcolabili , estranee bene spesso alla in- trinseca natura dell' oggetto , ed incapaci perciò a dar sostegno ad un sano giudizio del pubblico sul- la gloria o censura dei Professori. Viene quest' opera divisa in dodici capitoli, alli quali precede la prolusione alla clinica per l'anno scolastico i8i9-«o- Dello stato attuale della medici^- na Italiana-^ che già or sono due anni vide se- paratamente la luce, e che già meritamente riscosse la sanzione dei dotti , al pari delle varie altre ope- re , che ha reso di pubblico diritto l'egregio pr, Franceschi. Dopo un rapido prospetto nosologie© delle malattie , compilato giusta la divisione da lui L 4 Scienze adottata nella scuoia clinica , e che forma il «iig- getto del primo capitolo, discende al secondo per esporre varie pratiche annotazioni sulle l'ebbri in- termittenti. Fa ivi conoscere che la l'aniiglìa di que- ste è prr la massima parte di natura ipostenica , e complicala tutt' al più con gastricismo . Rileva la collisione dei canoni Browniani con quelli dei controstimolìsti , e sì ne guida a calcare la via media per attenersi ad un sistema eclettico , come in tutto il decorso dell' opera ne insegna ad evita- re gli estremi di queste due mediche l'azioni. JN el- io stabilire eh' egli fa della china qual sovrano ri- medio per vincere le febbri accessionali in quistio- ne, avverte a non abusarne affin di evitare quelle affezioni flogistiche ancor da esso osservate ora en- tro i limiti di semplice fisconia , ed ora con i- radiazione infiammatoria ad altre parli senza eccet- tuarne l'organo pneumonico , dal che assai ragio:. •voi mente trae partito per riconoscere nella china la facoltà tonica contro le dubbiezze insorte non ha guari sulla natura eccitante di questo rimedio . Trasse poi a felice esito il n. A. la cura di que- ste febbri mercè la unione della nominata cortec- cia al tartaro emetico, ginsta grinsegnamenti di Da- TOon , e Cornette, ove la febbre si fosse di vecchia data, o avesse di già mostrato recidive di paro- sismi senza mai essersi riscontrata la sopravvenien- za del vomito, o il regresso della febbre. Assume il clinico lucchese nel terzo cap. a trattare delle f;bbri irritative gastriche, nelle qua- li riconosce un moviin^ito febbrile prodotto dal principio irritante o per l'azione troppo rozza eser- citata sul sistema; o perchè l'individuo fosse so- verchiamente irritabile, o perchè da questa istes- sa iiiitaàoue sia stata suscitata una flogosi, Tro- Franckschì medicina 5 viamo assai istrultiva (non però del tutto nuova dopo }a luce sparsa sulT azione dei faimarlii dal profondo Alibert) nella terapia di somiglievoii feb- Lri la filosofica avvertenza dell' A. , ove riguarda i rimedj purgativi altri capaci di fondere , e discior- re le materie intestinali e renderle perciò più scor- revoli con la loro miscela come gliolj , la manna, e le materie zuccherine; altri diretti ad irritare le membrane intestinali , e promuovere una secrezio- »e sicroso-mneosa, la quale oltre al diseiogliere le fecce ; accresce il movimento degf intestini , qua- li sono i sali purgativi ; altri tendenti ad aumen- tare elettivamente il moto pcristaltiro , donde l'in- tento di scaricare il ventre, come l'aloe, la scia- rappa , e principalmente la gommogolta. Tratta nel cap. quarto assai convenientemente del tifo semplice e complicato, e ne conchìude spe- cialmente che non mai uniforme dev'essere la me- dicatura del tifo nelle moltiplici fasi e complica- zioni di esso, e che deve oltre di ciò regolarsi a norma della varia suscettibilità dei soggetto, che forma il più o il meno della forma morbosa. Espo- ne nel quinto capitolo li suoi ragionamenti sulla sì- noca semplice e complicata ossia sulla febbre in- fiammatoria , ed in confeiraa d'Il'mdole flogistica di essa la conoscere quanto sia in alcune emergen- ze indispensabile la pratica delie proporzionate sot- trazioni sanguigne , da doversi peiò associare all' uso degli evacuanti nelle gastriche frequenti com- plicazioni. Che anzi avvalorar si pregia la sua as- serzione l'erudito clinico col presentarci la interes- santissima istoria di un infermo, il quale nel lun- go corso di una febbre irritali vo- verminosa fu as- salito dopo quaranta giorni da sintomi di una ir- radiazione flogistica nelle vie orinarle emanata dal- 6 Scienze la irritazione gastrica del tubo intestinale , a cui dopo dodici giorni tenne dietro V apertura di un ascesso per Tano annunziato da dolore ai bordi esterni di quésto , e perfine la manifestazione di una vomica che ad altri 4 2 giorni protrasse il perfetto ristabilimen- to del paziente. Dalle quali cose desume l'A. la pos- sibilità di trovarsi il gastricismo associato alla si- noca e sola, e con condizione patologica; eia pos- sibiltà di ordirsi un processo flogìstico anche sot- to il metodo controstimolante il più attivo, quan- do la causa materiale che l'ha prodotta non venga tosto eliminata o distrutta. Sotto il titolo di flemmazie o sinoche con con- dizione patologica comprende nel sesto cap. la ci- nar.che , la pneumonile , Tangioite, la tabe pol- monare, la splenite , la spinite, ed il reumatismo acuto. Molte sono le utili avvertenze che ivi leg- giamo , come quella di doversi nella cinanche più paventare l'esito innesto per la sede che per la in- tensità della flogosi ; e l'altra di non prestare cie- ca credenza nella terapìa di queste flogosi al va- lore dei controstimoli e specialmente dei virosi, che quando riuscir potessero efficaci , sviluppano trop- po tardi la di loro azione , e fuor di tempo onde frennre una malattia sì pericolosa e micidiale , ed unicamente domabile con generosi salassi ^ potendo- si al più ricercare l'uso degl' indicati rimedj ove il processo flogistico assuma un cronico andamen- to. - iVolla cura delle pneumoniti asserisce egual- mente l'A. essersi sempre astenuto dall' uso dell'ac- qua di lauroceraso , della digitale , dell' acido prus- sico , dubitando che iu mezzo all' attuale depres- sione dt'IIe forze, nou potendo sull'istante scioglier- si il processo flogistico , né potendosi che con i soli suoi fenomeni calcolare, venissero tacitamen- Franceschi medicina n' te ad insorgerne delle segrete devastazioni delle par- ti infiammate. Al solo tartaro emetico, che pur spia- se a dose più ardita di uno scropolo entro 24 *>re, si ebbe da lui ricorso affin di abbassare il super"» stile eccitamento della fibra per mezzo della naii" sea tratta dalle lunghe soluzioni di esso ; non che a qualche grano di Kermes minerale, onde con il suo blando controstimolare il sistema favorisse l'escrea-» to e le altre secrezioni , già diminuite sotto lo sta- to di stenicismo. E quando avvenne doversi com- battere le reliquie diatesiche di questo stenicismo vigenti ancor talvolta a malattia superata, giudican- dosi quest' orgasmo residuale come figlio il pia del- le volte di un sangue soverchiamente animalizzato e perciò più stimolante in rispetto alla condizione istessa della fibra ; la pratica di nuovi salassi (nei quali il sangue mostravasi più o meno, ma sempre, cotennoso ) chiudeva il prospero fine di una pur troppo lunga convalescenza. Se non che potendo il precitato orgasmo essere altre fiate una conseguen- za di flogistica irradiazione , che da un centro in- fiammato estendasi ora più ed ora meno lungo il tratto dei vasi medesimi; ne assegna il criterio on- de chiaramente riconoscere che pertenga a qu«stci seconda cagione, allorché superstite nella istessa fog- gia in un con le medesime vibrazioni dopo le ri- petute deplezioni sanguigne si mostri il febbrile or- gasmo, dopo la nausea, dopo le bevande diluenti, dopo in somma un adatto regime; intolleranza piut- tosto di fibra si è questa circostanza che un effet- to di soverchio stimolo per morbosa animalizzazio- ne del sangue. Varie cose pur ne dice in questo capitolo l'A. in rapporto alla labe polmonare , ed avverte in sul- lo prime , eh' egli intende qui tenere unicamente i» SCICNZB discorso per il solo primo grado di essa; giacché in tal epoca soltanto dichiara potersi la indicata affezione trovare in qualche modo sotto 1' impero della medicina . Soggiunge su tal proposito che „ siccome il cangiare lo stato dell' organismo che si porta dalla nascita è alFatto impossibile, come dif- ficilissimo (a) è l arrestare i progressi di Un fuo- . co , cui l organismo stesso serve d incitamento e di pascolo ; così addiviene pur troppo che questa Ja.' tal malattia trionfi quasi sempre delV arte (b) . A vero dire non sembra che il nostro clinico mal si apponga tenendo subordinata alle forze dell ar- te medica la sola prima epoca della lisi; poiché le portc'ulose guarigioni che spesso si decantano di questo malore , dibbono in vece riferirsi al ca- rattere di altra forma morbosa , che venne eoa precipitante giudizio caratterizzata per tisi . Per ■ciò che spetta al curativo trattamento di sì terri- bil malattia, troviamo assai commondeioli le ri- flessioni dell' A. sul salasso da ripetersi , o nò , a norma del rapido andamento della flogosi , o del- lo stato lento di questa , a norma delle varie ac- censioni flogistiche che si succedono talvolta per qnabi t^ito il corso delia tisi. Proscrive egli fuso dei controsti moli positivi quando siasi fatto pas- saggio della condizione patologica alla compiuta suppurazione, riducendosi allora il regime terapeu- ti<:o ad una cura negativa, ad un biu)n regime dietetico , ed al solo uso dell' oppio. — Aon pos- (a) Forse per crior di stampa leggiamo dijfic'dissiino , ove era meglio ripetere impossibile, atlln di formare la concordanza della si- tniiituditie . (il) Qui sembra che in grazia (ioli' i/npos.uhile precedente non ai dovesse moderare la proposizione eoa un (jiutsi. Franceschi medicina 9 siamo per altro convenire con il n. A. in ordine « quanto concerne il contagio della tisi , eh' egli giudica capace di svilupparsi in alcune costituzio- ni , rimanendo inerte in altre a guisa di una pian- ticella che non può aberrarsi in un determinato terreno . Riguardata sotto questo aspetto la tisi Tiene ad esser decisa per una malattia realmente contagiosa; poiché quella idoneità di svilupparsi in alcuni a preierenza risparmiandone altri dall' attacco , è una prerogativa comune a tutti li più decisi e non controversi contagj . E se il n. A. nel bivio delle opinioni , in cui eransi per lo addietro divisi i partiti sul carattere contagioso della tisi polmonare , ha creduto riilularsi al giogo delle au- torità degli SGrillori impugnanti il contagio , e se- dere a scranna con i pochissimi difensori di es- so ; era per altro in dovere di avvalorare la sua proposizione con nuovi fatti non soggetti a dub- biezza e fin qui non controversi , non che di san- zionarla con teoretici raziocinj nuovi e fermi , ne fin qui dichiarati insussistenti . Il solo peso delle autorità non è più da tenersi in grave conio, egli è vero ; poiché si è in oggi di molto perfezionata l'arte di travisare le altrui opinioni ancorché com- messe alle carte; così p. e. Portai e Reid avver- sar] li più insigni alla baja del contagio tisico, divengono sotto la penna del cav. Sementini due scrittori equivoci , e si ascrivono fra i fautori del medesimo . Non hanno [)erò nel loro vigore meno- mato la ragione e la esperienza , colle quali d.u.Q faci poteva il n. Clinico illustrare il bel paragone della pianticella . E siccome gli scrittori per mez- zo della lor penna governano la pubblica opiuio- Jie ; così onde non risorga nuovamente un pregiu- dizio già obbliato , non potremo permettere clic si IO S e 1 K N z r: dirami senza objezioni la idea di questa pianticel- la fondata sulT arbitrio della semplice assertiva ; assertiva nei varj autori medesimi sempre discor- de neir annunziare i fenomeni, l'azione, e le con- seguenze del contagio tabido , la qual discrepan- za (come ripeto l'erudito Federigo di Venezia do- po il Castellani (e) ) è una prova della insussisten- za di esso . Ed infami Sementini non potendo im- pugnare i fatti di lisi non comunicata , ricorre alla omogeneità dei corpi necessaria per rendere attivo il contagio tabido ; ed il n. A. assume il parago- ne della pianticella. Caucanas giuniore mentie dal- la infezione contagiosa non crcd<'He di escludere anche il primo grado della tabe polmonare ; Zap- pala Cantarella di Catania la ristringe al tempo in. cui mandan fuoii gl'infermi tisici le materie cras- se, e non volatili. Ah, diasi una volta fine al rinnovellamento di queste sterili baje ! Il contagio tisico non è che una pianticella coltivata nella gianduia pineale di qualche fervido botanico; il coutiigìo tisico non esiste; non è capace il pol- mone di un tabido comunicare colle sue marcie la tisi ; non è diversa la marcia dei tabidi da quel- la delle vomiche , degli ascessi epatici , spleniti- ci , o altri non creduti mai contagiosi. E se il contagio tisico noiì esiste che nei dtdirj della im- maginazione , non possiamo riguardare con indo- lenza quella impressione vivissima che ne contrag- gono le persone interessate; dobbiamo distruggere nn errore il quale non ò indilfiTenle al bene del- ia umanità, ma che anzi jjuù rendersi causa trop- (r) Vcil. voi. IV. r.iorri. di mcil. prat. di Brera. Il contagio (Idia lisi pnìmnnarc co/nòailulo ec. sa^^óio del dciiore Gaspare Fé» ieri-o , Franceschi medicina ii no atta a portare una scossa perenne e terribile al- la sensibilità sì fisica che morale delle famiglie, in virtù di quella influenza imperiosa eli' esercita nei cuori e nello spirito un mal concepito terrore . Onde per altro formarsi una idea veramente giu- sta di ciò che risguarda il contagio tisico nella sua totalità , e la di lui insussistenza , rimaudia- mo i proseliti del contagio tabido ad esaminare con freddo criterio le auree memorie ed opere di Portai , di Federigo , i pareri sentenziosi di Bre- ra , Matthey, Scaramucci, Puccinotti, e di altri; escludendo sempre la mia produzione in proposito perchè scevra di ogni pregio . Fra noi non si parlerà più oramai di contagio tisico , avendo ii collegio di iirchiatri della nostra Roma riconosciuto il detto contagio nel suo vero aspetto con voto emanato nel IO Febbrajo 181G. Gareggiano poi nella utilità ed importanza i rapporti che ci presenta l'A. con le due sezioni dì cadaveri spettanti a due infermi vittime uno di splenite, e l'altro di spinile. Si rinvenne nel pri- mo la milza cancrenata nel suo centro, ed il pa- renchima ridotto a guisa di fluttuante poltiglia : era quella fortemente adesa con il margine infe- riore alla flessura simmoidea del colon , e con Ja sua faccia interna tenacemente incollata allo sto- maco; il bordo interno della milza immedesimato con quello del fegato divenuto estremamente vo- Juminoso, ed in alcuni punti o suppurato o indu- rito; e finalmente una densa secrezione alla super- ficie non solo di questi visceri , ma lungo ancora la gran curvatura dello stomaco, potendosi dir tut- te le indicate parti essere ricoperte da un velo patologico; lo che dimostra la gran possanza del- la flogosi benché lenta in alterare patologicamente^ 12 S C I t N 7- K l'organica Icssifura disilo pmli sitile quali si stabi- lisce; e la l'ormazione di essa flogosi altresì sotto lo stalo della più apparente astenia anche quando le precedenti affezioni spirato non avessero che deficienza di stimoli, e conseguente uniyersal de- bolezza . JNeir infermo estinto di qiinite ebbe a riscontrarsi quasi eompletamente disfiutta la midolla spi;uiìe dalle prime vertebre dorsali fino a quelle del .sacro, e tutti gì' involucri della medesima injelta- li ed investili da flogistico processo . — Sono 11- Kalmenle pur troppo sane le idee dell' A. sul reu- matismo acuto, in cui riconosce un processo di flogosi nei muscoli , e gli effetti della pregressa flogosi nel cronico, come 1' idrope hcu'.o della va- ginale del nervo effettuatosi sotto il subito proces- so infiammatorio . E consagralo il cap. settimo ad alcune specie dì profluvj , al diabete cioè, al flusso celiaco, ed alla leucorrèa . (ìiudicando noi di non dover oblia- re i pensamenti ilei nostro Clinico in proposito del- la genesi del diabete, diremo esser egli di avviso, che per la esaltala sensibilità del sistema nervoso accrescendosi la forza dei linfatici , suggano questi avidamente dall' atmosfera una copia insolita di fluido acquoso, d onde il diabete insipido; e che per ristesse processo assorbendosi dai medesimi il chilo prima della intiera sua elaborazione, e però innanzi di poter essere convertito in sangue , ne derivi allora il di;ibete chiloso. Si studia ingegno- samente di avvalorare le sue idee con le analogi- che sperienze ed osscrx a/ioni di Krimer , di lier- zelius , e di altii. Vrdijni poi mila cura, che l'A. guarì i due dij«b< tici d( Ila sua e liiiica con do- si fortissime di oppio da lui piesciiUu lino alli 70, «d 80 grani al giorno . Franceschi medicina iS Dopo aver distinto l'emorragie In ipersteniche, jposteniche, e dipendenti da vìzio locale, ne for- ma relativamente i presagi, e vi addice a ciasche- duna di esse il rispettivo trattamento terapeutico, fecendo specialmente conoscere; che la digitale co- sì utile nelle circostanze di orgasmo arterioso, rie- sce di poca o niuna azione ove si tratti di pleto- ra , se precedere non si facciano le sottrazioni san- guigne ; e che l'emorragie da secrezione non to- gliendosi con il salasso perthè subordinate ad una flogosi già ordita nella tibra , abbisognano talvol- ta di una certa latitudine, onde i controstiraoli po- sitivi ( e singolarmente quelli che son forniti di aci- do prussico) abbiano il tempo di^^are poco a po- co una più naturale inflessione alla libra morbosa- mente flogistifìcata . Nella cura del morbo nero d'Ippocrate non venne VA. rattenuto dall' estremo abbattimento di forze dell' infermo per istituire e completare felicemente la cura con i blandi eva- cuanti , essendo egli convinto , che la prostrazio- ne di forze dipenda più in simili emergenze dal- la impressione controstimolanle ed infesta al siste- ma nervoso che esercita su di esso il sangue im- putridito, di quello che lo sia la perdita istessa , ove questa non fosse istantanea, ed eccessiva. Ghiu- desi quest' ottavo capitolo con alcuni plausibili cen- ni sull' cmoriagie vicarie, una delle quali descrit- ta dall' A. presenta realmente fenomeni sorprendenti- Tratiavasi di una soppressione mestruale in una don- na madre già di più figli , ma ora senza sintomo veruno di seguito concepimento , e creduta asci- lica. Era già scorso il sesto mese , era molestissi- mo !(1 peso del ventre , penosissima la giacitura oiii.untale, difficilissima la respirazione. JNella pa- racentesi che venne dall' A, prescritta sgorgù /;/e/- 1^ S e I E N Z K io sangue nel modo stesso e con la s fessa forza che nell ordinaria paracentesi sgorga dalla cannula fumo-' re racchiuso nel bassoventre , ed al peso enorme di 22 libbre, senza indebolimento della inferma e con istantaneo avvallamento dell' addome . Sussìsten- do ancora dopo alcuni mesi la deficienza dei me- strui, andò lentamente formandosi altro ascite sau- guinolenlo, onde fu la medesima di nuovo sotto- posta alla paracentesi . Il fluido estratto era di na- tura sanguigna, come il dimostrò la istituita ana- lisi , ma la quantità non oltrepassò il peso di cir- ca dodici libbre . Riordinatosi quindi il corso me- struo mercè un conveniente trattamento, andò in- tieramente a cessare il riferito singolarissimo acci- dente . Si occupa nel nono cap. delle ritenzioni di di- versi umori , e specialmente delle ritenzioni san- guigne , di varie specie d' idropisia, di (isconia , e dell' itterizia . Su di queste forme morbose espo- ne con molta sensatezza le sue idee unisone all' avviso della più sana parte dei medici ; e merite- voli del più distinto elogio . Riconosce prodotta la fìsconia o da lenta flogosi che rigonfiando il parenchima dei visceri del bassoventre ne accresca il volume, la sensibilità, e la consistenza; o da trattenimento di umori separati nei visceri mede- simi ; o da indurimento ed alterazione del loro tes- suto per effetto di subita infiammazione, non vo- lendo con il generico nome di fìsconia confusi quei tumori di varia natura, che stranieri al pa- renchima dei visceri addominali si formano o per entro le lamine dell' omento, ©rimangono aderen- ti al mesenterio e ad altre parti contenute in quel- la cavità senza l'alterazione di loro struttura , co- me i tumori adiposi, o steatomalosi, o simili or- FriANCESCHI MKDICliYA l5" clinarlanìente mobili . Contro queste forme morbo- se ora riferite, cioè contro le fisconie da indura- mento per effetto d'infiainmazione , e contro que- ste nuove creazioni moibose testé nominale, ebbe motivo 1 A. di molto lodarsi della unione di parti eguali di cerati di mercurio e di cicuta distesi so- pra una pelle ed applicati per un certo tempo al- la regione del viscere offeso . Cliiudesi questo ca- pitolo con alcune lodevoli istruzioni sulla cura ilelT itterizia cronica, dipendente cioè da ostruzione del dutto coledoco , o temporaria , come dell' itterizia spasmodica, o permanente, per condensamento bi- lioso , o pili ancora per la presenza di calcoli biliari . Varie considerazioni sulle scrofole , sulla lue venerea , e sulla rogna , formano l'oggetto del de- cimo capitolo ; » varie cose pur leggiamo interes- santi sopra di alcune specie di neurosi nell' un- decime capitolo . Insorge qui il nostro autore spe- cialmente contro il canone Browniano , ed a te- nore della già ricevuta distribuzione delle neurosi, le classifica in quanto alla forma in convulsioni , ed in paralisi , in neurosi cioè caratterizzate da innormali movimenti , ed in neurosi all' opposto nelle quali non si scorge che difficoltà o impoten- za di moto ; suddividendo poi sì le une che le al- tre in quanto alla causa in neurosi derivanti da ca- gione ipostenica , in quelle dipendenti da morbosa sensibilità del sistema , ed in quelle provenienti da causa irritante , comprovandolo con varie istorie. Viene finalmente nell' ultimo cap. a discor- rere dei medicamenti adoperati nella scuola clini- ca , e del modo di prescrizione dei medesimi . la coerenza alle massime già fissate riconosce egli nei farmachi la triplice aziiìne di stimolanti , contro- ll5 SCIBNZK stimolanti , ed empirici , assegnando questa ultima denominazione a quei medicamenti , ciie sono dall' esperienza cpnsagrati alla guarigione di alcune for- me morbose , contro le quali in modo quasi ar- cano sviluppano i loro pro(ìcui elFetti , come il mercurio nella lue venerea , la corteccia peruvia- na nelle asteniche febbri di accesso , lo stagno nella tenia , e simili . Ed innanzi di por fine a que- sto sunto ci piace far avvertenza ai sommi van- taggi che TA. asserisce aver conseguito dalla unio- ne di varj rimedj che separatamente considerati palesano un indole affatto opposta ; tali sono le pol- Teri di Dower , la china con il rabarbaro , il ca- lomelano con l'oppio, gli oleosi con il laudano, e. simili , come in parte meglio rilevasi dalla natu- ra di varie prescrizioni riferite nel suo ricettario, che ivi annesso chiude il presente volume , ToNELLI. Continuazione delle osservazioni critiche sopra al- cuni principj riguardo alle scienze economiche pro- posti dal sig. Gioja , particolarmente nel tomo primo del suo prospetto ec. X «ssiamo al lib. IL parte I. pag. ^^--jQ, capo L ove tratta dogli agenti naturali . Il sig. Gioja nella prefazione dice di occupar- si a riunire le idee madri: pare per conseguenza, che i suoi agenti, di cui tratta nel primo tomo, e nei «quadri sinottici vengano da esso riguardati quali idee madri. Siccome però credo potere i medesimi Tenir censurati, e come falsi ia «coaomia, e come EcOIfOlVIIA POLITICA ir] pericolosi in morale, ed in metafìsica; così mi, credo in dovere di confutarli ad uno ad uno, per impedire che non vengano ammessi sensa eaame . L'autore doveva immediatamente farci cono- scere cosa egli intendeva per agenti naturali; ma, invece il medesimo ci porge notizia , che il gril- lo, la lucertola, il coccodrillo abbandonano le lo- ro uova, dopo averle poste nella terra, e nella sab- bia. È vero che tosto soggiunge un passo già da me riportato — -Il fenomeao della produzione di- pende in parte dalle forze animate degli esseri vi-, venti, in parte dalle forze meccaniche delia naturi ra . — IVla perchè mai il medesimo non distingue gli esseri viventi, in modo che Tuomo viene con ciò^ confuso coi bruti nelle produzioni e ricchezze? Per qual motivo pone il fenomeno della produzione in- distintamente con la rìcchezz.ì , quando ià produ- zione materiale è tutta opera della natura, e la ric- chezza, è tutt' opera deli' uomo? La terra, le pro- duzioni spontanee della natura formano bensì il sog- guitto su cui l uomo volge le sue cure per procu- rarsi una ricchezza, ma senza tali cure senza le facoltà, dell' uomo ninna cosa avrebbe valore . Così il ve- ro agente della ricchezza è 1 uomo , come è luomo che forma la statua, non il marmo che la contiene^v Inoltre perchè mai chiama queste forze così indi- stinte e confuse agsnti naturali ? Allorché si dice agente si deve intendere, a mio avviso, di un prin- cipio motore o principale diretto a formar qualche prodotto . Gli esseri animati agiscono ; ma so- no essi i veri agenti della ricchezza ? JNo : essi non sono se non se come le ruote di orologio , il cui movimento diretto alla ricchezza ebbe cagio- ne dall' uomo. Soggiunge in seguito,, Ora gli og- „ getti esteriori quali ci vengono presentati dalla G.A.T.XVI. 2 i3 Scienze „ natura, talora frammisti gli uni agli altri, tar ,, loia lontani, e disgiunti , alcuni per le loro for- „ me estrinseche , altri pei loro elementi interni „ non sono sempre dotati di qualità utili , e quan- „ do anche lo siano non si movono da loro stes- ,, si a cenni dei nostri desiderj ,, E perchè dare a tali esseri passivi il grado di agenti , e confonder- li con l'uomo, principio motore, come ha fatto di sopra, o con la natura agente unica nei movimene» ti degli animali e nella produzione spontanea, ma sog- getti allo stesso per la ricchezza? Vedi anche estrat- to 1° nella Bib. Ital. La natura sul rapporto della ricchezza , a mio avviso, si può dire essere siccome una font» da Cui attingesi acqua, o si dirige ad irrigare i campi, o raccogliesi in un alveo per la navigazione, per far agire gli opifizj , o dirò ancora come la creta per lare edifiij ; è sempre l'uomo che sulla stessa azione disila natura dirige le sue facoltà, i suoi mo- vimenti all'acquisto di quella, né vi entrano bru- ti, vegetabili, minerali, se non come soggetto non come vera causa, o veri agenti— Dii omnia labo- ribijs vendunt: labor omnia vincit. Io non seguirò lautore in questo capo ove fa sfog- gio di storia naturale, parla dei vermicciuoli del- le formiche, delle quaglie che vengono dall' Affri- ca , delle api trasportate alla Barbada , e ad altre isole, dei rsgni abitatori delle campagne costretti a fabbricare tele più grosse , e con maggior esat- tezza ma {ematica , dei sorci moscati che nei paesi caldi fanno tane , e nel Canada fanno capanne : e come alle pag. 68. e G»» 2 * 2(0 Scienze vigazioni, che i venti, scogli sono cagioni di nau-i fragj ; che la bussola , scopo , secondo i' autore , della navigazione (Vedi lab. cit. coion. com. nu- meri ultimi pag. 68. Gy.) nel commercio, ed altre peregrine coguizioni , ed ove però non avvi altro di giovevole a sapersi, benché ovvia, la conclusio- ne sua, cioè esser utile l'abilità a profittare della benefica azione degli esseri naturali, ed a sfuggire 1 avversa, la quale cog'nizione a ragione die' egli, è una delle cause cui devesi attribuire la dilleren- za tra i popoli inciviliti , ed i popoli selvaggi , sen- za poi che egli ci abbia instruiti dei mezzi onde ottenere tanta abili ti , il che forse solo importa in questa scienza . iisaminiamo il lib. II. Capo II pag.^G. - 8G. ove tratta del secondo agente , macchine. Pareva che l'Autore dovesse dare immediata- mente la definizione di questo agente, ma egli la ri- porta alla pag ^9. in cui dice ,, macchine, per la ,t quale denominazioBe intendere si debbe qualun- ,T que materia maneggiata o modificata dall' uomo „ col fine d accrescere potere alla sua debolezza , ., e conseguire i scopi dell' economia. ,, Ma perchè 1 Autore vuole riguardare come agenti una materia maneggiata , o modificata dall' uomo , come se una materia inerte siccrme legnami, metalli, sassi, e terre avessero inerente la loro azione, che sia il mar- mo, lo scalpello, e non l'uomo che agisca nella scul- tura, siccome è l'uomo che dirige le stesse forze fì- siche della natura nelle altre arti ? Ma se le mac- chine sono agenti, cosa sarà l'uomo? Perchè poi nel principio c'i questo capo ci fa la descrizione di cor- vi , ed asserisce l'Autore che stanno predando de' nicchi, quali ognuno dessi affcnra col becco , li al- za neir aria, e poi li lascia ca'^ere , riguardando poi ECOITOMIA POLITICA 2Ì quésti uccelli e còme agenti , e come mafcchine hel- lo stesso tempo , quando Tuomo che fa molte e mol- te cose di più dei corvi , e infinitamente più pre- giate , rimane generalmente da esso spogliato della qualità di agente di ricchezza, del quale potere in- veste a suo rigunrdo le macchine , ed i suoi corvi ? Ciò non mi semlìra un ragionar conseguente. Egli poi intreccia simile agente macchine, ed anche i sus- seguenti agenti col potere , volere , e cognizione , con un poter fisico e immediato attribuito alle macchine, air associazione, e division de' travagli, col potere morale del denaro, e del credito; coi quali nuovi tre rapporti, a me pare, che desso siasi proposto di involgere le sue teorie del più denso bujo. Se parla di bestie, secondo esso , il bue avrà oltre il potere 4 volere , e cognizioni , benché il pungolo che tiene l'agricoltore mi provi il contrario ; se vuol parlare in simili casi di uomini, riofelice cristiano rapito per- fidamente dagli algerini, assoggettato sotto la frusta A lavori i più penosi , a lavori che non ha mai fat- ti, agirà e come macchina, e col potere, volere e cognizione. Questa confusione dì agenti è provenuta neìV Autore dal non essersi fatto idee chiare del vero agente anche nelle macchine. È l'uomo che ha sa- puto formare col legname, coi metalli , e con altri materiali , macchine onde poter accrescere le sue for- ze corporee e morali, prevalendosi delle stesse leg- gi fisiche della natura ; che ha perfezionati gli stru- menti, e per cui si estesero il suo potere, la sua vo- lontà , le sue cognizioni. Il vero agente nelle mac- chine, e quindi l'industria umana essa non ha uopo uè dei corvi di Darwin , né delle scimmie Sapa- jous , che rompono i nicchi , né delle marmotte che tagliano l'erbe , né degli orang-otang ^ de' ragni ^ ì 35 Scienze deir uccello sarto , ne della ninfa della tignuola d'a- cqua per imparare ad agire, per formar macchine, bastando a ciò la sua mente , le sue forze naturali e morali , onde eseguire quanto, e più sublimemen- te gli animali i più sagaci far possono , ed in un modo talmente superiore per cui si è procurato il dominio ne'tre regni della natura. iJa fé sole le mac- chine non hanno né potere , né volontà , né cogni- zioni. Anche quando una vecchiarella assicura eh© una vanga, una zappa sollevano e rompono la ter- ra da se slesse, essa suppone esser ciò opera di spi- riti folletti che stanno a cenni di qualche uomo fa- vorito dalle fate: ed allorché l'Autore ci fa conosce- re slla pag. yS' che i primi greci erano mancan- ti d'ancore, che gV inconvenienti sperimentati loro fecero ritrovarle e formarle di diversi materiali, egli porge una prova che fu sempre l'uomo che agì. L'Autore offre , secondo il solito, la sua tabel- la , e ciò per dimostrare l'utililà del suo agente , che in realtà non è che l'utilità che trae l'uomo dalla formazione delle macchine che ripeto egli si for- ma. La sua tabella spezzata accenna i vantaggi del- le forbici, della zappa, delle falci, de' cesti, sac- chi , carri , della macchina per battere il grano , e c'insegna che il sarto fa uso dell'ago; descrive ed indica poi i popoli che mancavano di macchine , e d'istrumenti , e con tal metodo negativo aduna fa- cilmente i suoi esempj in agricoltura , arti , com- mercio. Ma chi non sa che le macchine sono utili non solo sotto i rapporti di agricoltura , di arti , e di commercio, ma ad ogni scienza, cosicché i loro progressi dipendono talvolta dalle operazioni le più vili e meccaniche ? E non sarebbe stalo più giove- vole, come ho di sopra accennato, e come mi sa- rà forza accennare più volte nel seguito , che ci EcorroMiA POLITICA aS' avesse istruito dei modi di perfezionare le macchi- ne e strumenti, proponendone, ove credesse me- glio, anche dei nuovi, od una miglior scelta; tan- topiù che egU si è accinto di parlare ancora dell* economia domestica? e così il pubblico, ed il pri-^ Tato avrebbero potuto discernere nuove fonti di at- tività, e di ricchezza . Ma cosa importa che ci fac- cia sapere che i vasi nelle arti, le tele, le stuoje, gl'involti, i vascellami siano altrettante macchine; che senza barche , vascelli non potrebbe 1' uomo trasportare a nuoto le derrate e le manifatture delle isole al continente , dall' antico al nuovo mon- do ? La sua tabella a pag. 82. sui lavori della zap- pa, o dell'aratro, è senza utile risultamento, non avendo indicato se giova realmente più l'uno che l'altro strumento , o come, e in quali circostanze si debba fare di loro uso o nò; e non già accennar ciò in casi incerti o vaghi , e allorché la prima spesa di compra , la seconda di manutenzione, superano il valore del servigio. JNfiuno nega, né vorrà mai ne- gare (almeno nello stato presente, chela luce scien- tifica , come dice l'autore è estesa e forte) la som- ma utilità delle macchine , quando pure non fos- sero alcuni abitanti della China , che per la supe- riorità della popolazione a fronte delle sussistenze, Vengono costretti a preferire pili il lavoro delle brac- cia , che gli aratri e l'industria. A che dunque in- sistere in tante pagine sulla loro utilità, sia nella dimostrazione del principio, sia nella tabella, sia negli schiarimenti ? Sul finire del pfesente capo pag. 87. l'autore suppone che vi potesse essere un momento nello «tato sociale, nel quale l'applicazione delle mac- chine diverrebbe funesta. Io però, per dire il mior i4 Scienze sentimento, non vedo in un ordine d\ saggia le- gislazione che succeder possa nn tale momento , quando cioè la popolazione è ritenuta coi mezzi pro- ventivi in equililirio con le ricchezze sociali, co- sicchò se il caso ipotetico del sig. Gioja arrivasse, ri difetto sarebbe nella legislazione, e non già nell' esistenza delle macchine sempre utili all' aumento della ricchezza, dell' opulenza, e di un utile po- polazione . Questo principio deve essere costante ; altrimenti il popolo riterrebbe sempre arrivato il termine in cui l'applicazione delle macchine gli di- venta funesta; cioè ginuto il termine dell' autore, in cui debbono arrestarsi i desiderj, i bisogni, eia civilizzazione . Vediamo se l'autore è stato più felice nello svi- luppo del suo terzo agente — Associazione de' tra- vagli, part. I. lib. 3. capo III. pag. Sj-qG; agente che egli vanta quasi la più importante discoperta economica. L'autore però , senza determinare cosa sia questa associazione , porge in esempio delle scimmie dette babbuini che s' uniscono per sac- cheggiare un giardino, alcune delle quali rapisco- no e gettano alle compagne la preda, mentre altre fanno la sentinella . Aggiunge in seguito altri esem- pj dei buoi selvaggi che sanno difendersi con l'u- nione dai lupi, delle gru che volano raccolte in triangolo, e si dispongono in circolo; e parla dei pellicani che si muovono con molla gravità , e nuo- tano a torme, e formatto un circolo per prendere il pesce , e riempire il loro sacco ; finalmente dei leo- ni , e dei castori. Con questi esempj ha egli pre- teso (li stabilire un tanto suo agente a norma di nmana condotta ? Simili esempj , almeno riguardo ai babbuini, non potrebbero riguardarsi piuttosto come un insegnamento adatto a formare un' orda di Economia politica. 35 ìtiàrì , indicando loro come possano fare miglior preda, risparmiando fatica', tempo, spazio, e co- me accrescere perfezione, e dar durata alle cose de- rubate? Eppure questo suo agente, associazione, sembra al medosimo come una verga magica atta fino a fare cose impossibili . Suir appoggio di simili esempj parla vagamen- te dell'associazione, che ha luogo riguardo alla ric- chezza, ed air uomo; solo indicando che Genovesi disse, che l'uomo è una tal potenza, che unito ali' altro uomo non fa un eguale alla somma , ma al quadrato della somma . Con simili rischiarimenti egli vanta il suo agente, associazione, come og- getto di tutta chiarezza, e come indubitabile, e lo pro- pone come fonte della più scelta istruzione alla gioventij ; come se i muratori disposti in fila sui tetti , e che si gettano le tegole, fossero tanti rapitori siccome i suoi babbuini , o siccome se la difesa che fanno i buoi contro i lupi fosse simile all'intelligen- za che adoprano i maniscalchi per battere il ferro, ì fabbri per fare armi , od altri artefici , o professori in costruir fortezze, artiglierie, combinare accam- pamenti nei vasti territorj degli imperj, o piani di tattica, ec. confondendo l'essere più distinto della na- tura con animali spregievoli . Se egli almeno vole- rà prendere degli esempj di analoghe cupidità fe- rine , poteva trarli dalle arti infami dei pirati d'Af- frica che fanno tanto gemere l'Europa. Ma vediamo cosa si può intendere di quest' associazione de' travagli. Associazione nelT uso (*) sì definisce , l'atto di associare , o di associarsi , formando una società , e propriamente un conlrat- (*) V. Alb. Diz. a luesta parola. 36 Scienze to di società; e figurato vale; combinazione ed unìo'^^ ne di certe cose morali , o metafisiche nella men> te, o nel cuore dell' uomo. Vuole lautore chiama- re associazione una combinazione di forze fisiche? E allora si può dire che le radici , il tronco, i ra- mi fanno un' associazione essi pure per formar fo- glie , fiori , e frutti. Vuole fautore intendere per associazione una combinazione di forze animate ? Allora la favola di Menenio non sarebbe immagi- nazione, ma verità . Le combinazioni che fanno gli animali non sono che una semplice comunicazio- ne di atti, opera d'impulso naturale, senza verun grado di libertà morale , e perciò del tutto difFe- Jiente da quelle associazioni umane di cui ho par- lato dì sopra, sia secondo l'uso, sia figuratamente. L'associazione dell' uomo , se riguarda azioni che si diriggano direttamente alla produzione, è la stes- sa cosa della divisione de' travagli, cioè una distri- buzione di ufìizj , di atti , di servizj , di operazio-. ni, o travagli diversi a diverse persone. Quando poi questa associazione viene diretta alla generale difesa , chiamar si deve garanzia sociale, e di cui è immediato effetto la sicurezza , o , come vuole l'autore, l'influsso di sicurezza, e di cui egli po- scia ha costituito un nuovo agente, cosicché, an- che esistendo la sua associazione, egli inutilmente ha formato di questa uà agente separato ed indi- pendente dall'altro. Il volere poi mettere del pari l'associazione animalesca con lo stato di ricchezza propria dell* uomo, è un rovesciare tutti i principj della scien- za economica . Permetta che mi serva anch' io di alcuni passi delle sacre carte, in cui vien detto (*) (*) SiUm. oj. Bciiti, ec. Economia politica 27 air uomo S Intellectuni tibi dato et instruam te in via qua gradieris, ^ Noliti; fieri sicut equus et mu- Jus , quibus non est intellectus. !=; L'autore disse pu- re a pag. 260: in ogni prodotto di fatti si ricono- scono distintamente due azioni ; l azione mentale , o Videa direttrice-^ t azione corporea ^ oi moti di ese* cuzione. Sembra che egli parla quivi dell'uomo an- che dal contesto dei suonatori . Dunque egli ivi comprese , che tutto ciò che è di prodotto e di ric- chezza deriva da quegli , e dalle sue facoltà fisiche e morali , e che si prevale delle forze animate ed inanimate della natura ? Questa proposizione iso- lata, sfuggita all'autore, strappatagli dalla verità, non distrugge tutta la sua ideale associazione , an- zi tutti i suoi pretesi agenti economici? non essen- do infine che l'uomo , e la sua libertà morale che agiscono per la ricchezza , e non l'istinto che solo fa agire i babbuini, i castori, ec. È questa libertà, e lo stato di convenzione proprio solo all' umana con- dizione, che la spinge non solo a comunicarsi alti o cose di diversa natura, variabili in ogni cambio, in ogni individuo. Fa ciò non solo per provvedere alla conservazione attuale , ma per procurare una. riproduzione costante a favore di se, dì sua fami- glia, e fino della sua più remota posterità, e non per una macchinale , o necessaria unione come i bruti. L'autore , secondo il solito , aggiunge alla pag. 92 e 93 una tabella nella triplice catena di agricoltura , di arti , e di commercio , e con cui pretende dimostrare i vantaggi di questo suo agen- te. Ma dica l'autore (tralasciando 1 associazione de' suoi animali , che non comprendo , almeno sotto il rapporto della ricchezza), vuole egli che sia l'asso- ciazione che faccia agire l'uomo, e non l'uomo che si associi j che sul rapporto di agricoltura sia ts- bS S C I £ n z is sa che faccia sempre grandi cascine ; e nelle atti l'unione de' muratori che stanno sui tetti in Illa get- tandosi le tegole, che un solo individuo poi non possa usare la sega ; che ninno abbia lomo parti- colare; che nel commercio non si possa l'are il ban- co da se solo ; che non si debba far commercio Senza compagnie ? se pretende doversi sempre far »iSO di torcie , di telegrafi; ed io gli risponderò che vi sono molti casi in cui torna più a conto agi- re senza associazione per non andar incontro a spe- se, a discapiti. Ma l'autore alla pag. (j^ ; ricono- sce egli pure che può convenire talvolta l'agire sen- za associazione, allorché con più facilità vincer si potesse la resistenza degli oggetti esteriori , o ^vi fosse minor deperimento, ec. e quando non siano ne- cessarie più azioni simultanee. Quindi l'autore met- te l'associazione come un agente necessario , e po- scia egli toglie il bisogno d'ogni sua azione, e lo mette in riposo. L'associazione non agisce che per l'uomo, ed egli solo conosce quando giova l'asso- ciarsi a' suoi simili : o dirò meglio il dividere con loro il travaglio, e quando e come il travaglio stes- so possa supplire alla mancanza dei capitali . È l'uomo infine che solo discerne col mezzo dell'espe- rienza, prevalendomi di un esempio del sig. Gio- ja , come quattro cavalli attaccati a due carri ti- rano sensibilmente di più che attaccali ad un solo; e pepciò quando l'associazione è utile, e quando è dannosa; siccome è egli solo che combina con l'equi- librio dei pesi i mezzi più facili di trasporto. A che dunque vantar un elletto come causa, come agente ? ^Sarà continuato) BOSELLINI 2f> Memoria seconda sopra il metodo di estrarre la pie- tra dalla vescica orinarla per la via deW intestino retto , di A. Vacca Berlin^hieri prof, di clifdca chirurgica ec.^ Pisa. Presso Sebastiano Nistri 182:^. x\.vendo altrove dato contezza ai nostri leggitori di questo metodo di Sanson rettificato dal eh. sig. prof. Vacca, ci crediamo anche in dovere di far loro conoscere il modo col quale il professore medesimo ri- sponde alle opposizioni di alcuni celebri chirurgi ita- liani, Tautorità de' quali merita certamente tutto il rispetto. E poiché il sig. prof- Geri è slato uno dei primi a praticare il nuovo metodo , e con esito in- fausto, ed è stato pur uno de' primi a manifestare al pubblico il suo contrario parere , e le gravi ragio- ni che a questo lo inducono, l'A. nella presente me- moria prendo lui principalmente di mira , e priraii di tutto si fa a mostrare la differenza che passa tru il metodo da se praticato ed insegnalo e quello tenu-i to dal sig. Geri, non che i vizj di questo secondo processo, e le triste conseguenze, che ne debbono de- li vare. Noi ci sludieremo di ridurre la discussione in compendio , e col massimo risparmio di parole presentarla ai nostri lettori. Differenza negli strumenti , e modo di operare. Il sig. Geri per dilatare l'ano e l'intestino retto, e render- lo di più facile accesso alla mano, si è servito di un largo e lungo ^orgeret, che dal sig. Vacca non è sta- io mai adoperato. Quegli ha introdotto il coltello senza alcuna guida : questi lo ha sempre diretto coli' ajuto del dito, o del siringone. Non si rileva dal te- sto se il sig. Geri abbia fatto il secondo taglio prò- 3©^ Scienze cedendo dall' uretra verso il colio della vescica , o nel modo inverso , e sa ognuno quanto importi il farlo dal didentro al di fuori, perchè l'apertura del- la vescica sia alquanto più alta , e serva ad essa di valvola la parete dell' intestino. I resultati delle ope- razioni del sig. Geri indicano manifestamente eh' egli lia ferito il basso fondo della vescica : diiatti le ma- terie stercoracee sono passate in cotesto ricettacolo e in un caso si è trovato offeso il peritonèo, che dall' intestino pavSsa a ricuoprire la vescica. Vizj inerenti a questa vaiietà di metodo - Il gorgeret , di cui il sig. Giri si è servito come dila- tatore dell' ano è inutile , ed incomodo al tempo stes- so, perchè molesta il paziente , protrae foperazione e promuove lo scarico delle fecce nel momento di essa , cosa che imbarazza non poco l'operatore. la secondo luogo quantunque il sig. Geri non siasi espres- so sino a quale altezza abbia portata l'incisione , pu- re V ha ragione di credere che l'abbia condotta trop- po in alto. I suoi malati hanno soiferto que' sinto- mi, che in genere nascono dalle ferite degli intesti- ni ; è avvenuto in essi il passaggio degli escremen- ti dal retto in vescica, e in uno, come poc'anzi si è avvertito , si è trovato offeso il peritonèo. Ora è ben noto che l'incisione di troppo alta dell' intesti- no retto diviene pericolosa non solo perle dirama- zioni arteriose che si possono interessare , ma special- mente perchè il retto partecipa della natura degli al- tri intestini quanto più ad essi è vicino : si sa ezian- dio che l'incisione soverchiamente alta rende possi- bile la ferita del peritonèo , o quella del basso fon- do della vescica , quindi un pericolo maggiore, quin- di il più facile transito dello st«?rco in vescica, quin- di in ultimo la maggior probabilità del rimanervi una fistola : e difalto tre operati dal sig. Geri dopo gravi accidenti son rimasti fistolosi. Vacca* litotomia Si Dopo ciò passa l'A. a rispondere alle obiezioni del suo avversario; la prima delie quali è fondata suir incisione dell intiera prostata , quando la pie- tra sia di grosso volume. L'incisione della prosta- ta (risponde il sig. Vacca) si fa eziandio con il gran- de apparecchio lateralizzato , e con tutte le di lui mo- diticazioni ; si fa con il gorgeret accettato dall' esi- mio Scarpa : la sola difFerenz,a sta che nel nuovo me- todo si taglia la parte media e posleriore di quel cor- po , invece della parte laterale sinistra; ma questa differenza non porta una maggior gravezza nella ferita- li forte dolore al balano che in secondo luo- go si obbietta, il sig. Vacca Iha una sol volta osser- vato ne suoi infermi, e crede che non possa nasce- re dalla lesione del nervo pudendo, il quale secon- do le sue ed altrui indagini anatomiche rischia me- no nel taglio retto vescicale che negli altri meto- di di operare la pietra. Egli è vero che alcuni ten- gono per molto sensibile la parte dell' uretra ove tro- vasi il veruni, inontanum ; ma non è buona conse^ guenza che le ferite delle parti più sensibili nello slato Sano sieno insieme le più pericolose, e conver- rebbe dimenticare che leggiere sono per ordinario le ferite tegumentali comecché molto dolenti , e gtavi quelle del peritonèo, della pleura, delle meningi, sebbene accompagnate da men forte dolore. Nella terza obbiezione si vuol riguardare la fe- rita dell' estremità dell' intestino retto , quanto alla gravezza , al pari di altro intestino , sempre ragio- nando su la di lui sensibilità^ ma già si è detto che questa non dà una giusta rtorma a determinare il pe- ricolo dell' incisione, e il buon esito con cui si ope- ra sovente la fistola dell' ano , lo mostra ad eviden- za. Se negli infermi del sig- Geri si sono risveglia- ti gravi sintomi , l'. da riflettersi che l'operatore non 3a' Scienze ha serbata nell' incidere la misera prescritta , che lo- devole non era la costituzione del soggetto, chele par-» ti incise trovavausi in islato patologico , che per fre- nare il sangue sono state introdotte in alto torun- de o stuelli , che Tintestiuo è stalo dapprima irrita- to dal gorgeret , che inline parte non picciola neU' aggravare il male può aver avuta Tintroduzione del- le lecce in vescica. La quarta obbiezione si aggira su la necessità di estendere il taglio, ove abbiasi ad estrarre una grossa pietra. Risponde il sig. Vacca che essendo il taglio di 2 i linee circa , vale a dire 3 , o y linee nel perinèo, e un pollice nel retto , gli sembra pii!i che sulliciente alT estrazione di qualunque pietra, con- tribuendo ad ampliare la via la mollezza delle parti incise. Negli altri melodi si tagliano il collo della vescica e la prostata pel tratto di <;,o io lime, ed è questa a convenzione de' pratici un' apertura ba- stevolraonte ampia. Quanto poi il sig. Goi i oppone intorno ali' ap- plicazione delle sanguisughe corno mezzo spropor- zionato a prevenire 1 in/iammazioue della ierita , e te- muto in specie dai bambini ; quanto egli aggiunge intorno l'uso della pietra inlernale, che secondo lui non riesce sempre di circoscrivere al lembo della ferita; e quanto in ultimo avverte su l'esito delle fecce, e 1 interrompimento da esse cagionato dell' o- perazione , non forma grave dilìicoltà al metodo ia discorso : imperocché oltre le sanguisughe commen- date dall' esperienza, sono stati dall'A. proposti an- che i salassi generali contro lindammazione della fe- rita, e non sembra poi vero che i fanciulli temano pii'i l'applicazione delle mignatte che la punta del- la lancetta: circa l'uso doUa pietra infernale il mez. IO dall' A. descritto nella sua prima memoria rea-» Vacca.' litotomia 33 de sicuro il chirurgo di non offendere che ìe parti jsu le quali egli Tapplica : l'uscita infine degli escre- menti in tempo dell' operazione non è più Irequente nel taglio retto - vescica le che negli altri metodi, quando in esso non s'inducano delle novità. Il cli- stere fatto dal sig. Geri injettare diverse ore innan- zi l'operazione, e molto più l'introduzione dal gor- geret irritando l'intestino retto , possono aver cagio- nato cotesto accidente , il quale d altronde se avvie- ne , non porta più gravi conseguenze neli' uno che neir altro metodo. Dopo aver detto poche altre cose sul tempo necessario alla guarigione de' suoi operali, messo a pa- raggio con quello che si richiede sotto altri meto- di, ed averne mostrata la brevità col richiamare a memoria le istorie riportate nel primo scritto , pas- sa l'A. a discutere le obbiezioni del cel. Scarpa , la prima delle quali è basata sul taglio a traverso del condotto ejaculatore sinistro, che l'operatore è ob- bligato fare nel processo riformato di Sanson . La risposta del sig. Vacca in poche parole è questa. I! condotto ejaculatorio si taglia obliquamente e non a traverso : può darsi benissimo il caso che si riuni- sca air estremo reciso: non nunendosi rimarrà ac- corciato e si aprirà più dappresso al collo della ve- scica t restando obliterato atfatto , supplisce l'altro: il fatto ha mostrato che gì infermi dopo foperazto- ne han potuto riprendere le funzioni generative/ Seconda obbiezione - Si evita questo inconve- niente praticando la litotomia nalla maniera comu- ne, con la quale si estraggono con fadllità anche le grosse pietre - . Essendo pietra grossa quella che secondo Scarpa ha il peso di tre once e mezzo , e il piccolo diametro di ìG linee, niega 1' A. la facili- tà della estrazione di esfia nel metodo ordinario, e G.A.T.XVI. 3 34 Scienze sostiene che questa veramente si otterrà nel tagilp' retto- vescicale , nel quale I incisione cadala dove le branche del pube lasciano fra loro Tintervallo di 20 linee , 22 , o 34 ; e nel qual metodo si hanno mol- li altri vantaggi, come quello di assicurarsi col di- to del volume e della posizione della pietra, quel- lo di evitare emorragie , infiltramenti orinosi , lace-* razioni ec. Terza obbiezione -Se trattasi di una pietra di e- norrae grandezza, conviene incidere il basso tondo della vescica per trarla fuori; ma 1 esperienza ma- stra che questo metodo è susseguito per Io più da li- stola retto - vescicale: la pietra poi di enorme gros- sezza non dee giammai essere estratta per alcuno dei metodi fino ad ora conosciuti , atteso lo stato pato- logico della vescica, che osta alla guarigione - . Ri- sponde l'A. che il taglio d^ lui praticato è capa- ce di dar esito anco alla pietra che oUrcpnssa il pe- so di tre once e mezza , e le iG lìnee nel piccolo diametro , eh' è quella pietra riguardata in quest' ultima opposizione , avuta insieme ragione della facilità , con cui cedono alla pressjone i molli lembi della ferita. Ma dato che per una pietra di enorme grossezza incider si dovesse il basso fondo della vescica , quest' incisione non porterà al cer- to la fistola , quando sia piccola e ben misurata , e quando 1 introduzione delle fecce sia impedita da quella specie di valvola che forma la parete ante- riore dell' intestino retto. E dato ancora che ri- mring ) la fistola , e che abbia luogo il travasamen- to delle fecce , dovrà sempre anteporsi una con- seguenza incomoda , e l altra non fatale alla morte sicura , che va ad incontrare linftMmo ritenendo in vescica una pietra di straordinario volume <^ Imperocché l'A. non conviene alFatto che si ab-. Vacca.' tixoTouiiA 35 bìa ad abbandonare al suo destino un Infermo af- fetto di simii pietra, mentre lo stato patologico che si crede compagno di essa , non è sempre ve- ro , ed è più di sov ente compagno di una pietra informe e scabrosa comecché di picciola mole : si aggiunga che assai difficile il conoscere a cjual grado egli sia giunto, e tante le volte è anche il- lusorio, vale dire i segni che Io annunciano, pro- vengono da flogosi mantenuta dalla presenza del calcolo , e si dileguano alf estrazione di questo . Allora solamente potrebbe dichiararsi insanabile io stato patologico della vescica , quando se ne igno- rasse la causa, quando questa fosse irremovibile, o quando evidente apparisse la disorganizzazione di quel ricettacolo- Fuori di questi casi, conchiu- de l'A. , dovrà sempre tentarsi Toperazione , e sa- rà d'incoraggimento l'evento felice di essa nelle mani di molti maestri dell' arte , fra gli altri del medesimo Scarpa , il quale ha salvato la vita a certa Margherita di Trumello estraendole una vo- luminosa pietra che passar non poteva fra le bran- che del pube. Resterebbe ora parlare delle istorie di litoto- mia eseguile per la via dell' intestino retto dal sig. Vacca , e da altri valenti professori , che sono an- nesse alla memoria ; ma compendiare non si pos- sono senza ommettere qualche particolarità interes- sante, trascriverle per intiero non conviene al si- stema di un'opera periodica. Diremo piuttosto che le mentovate istorie sono succedute da alcune ri- flessioni deir A., lo scopo principale delle quali si ò di mostrare che il nuovo metodo espone me- no al pericolo la vita degP infermi, in confronto de- gli altri sinora praticati , quantunque non sia per anco provato chje con esso metodo gl'infermi gua- 3G Scienze riscano più presto , e vadano meno soggetti alla fi- stola orinarla. Dice TA. che il processo da lui adottato toglie la vita a venti individui fra i cen- to che vi si sottopongono , mentre dai registri degli spedali francesi sì rileva che in essi perisce un individuo su cinque operati, e da quelli di al- cuni spedali inglesi che poco meno di un sesto degli operati di pietra è vittima dell' operazione :■ Per verità stando a questo confronto noi non rav- visiamo il menomo vantaggio dal lato della scuo- la clinica di Pisa ; traviamo anzi ch'ella sta al di- sotto degli spedali inglesi quanto ai risultati della litotomia. Ma sia comauq'je ; sentiamo anche noi con l'A. il bisogno di accumulare centinaja di os- servazioni , perchè senza tema di errore possa fi- nalmente decidersi a quale dei metodi conosciuti debba concedersi la preferenza per lo bene dell' af- flitta umai^ità . G. F. Elementi di ottica e di astronomia del canonico Giu- seppe Settele, professore neW archiginnasio roma-, no - J^ol. 1 1. Astronomia- 8. Roma , pel de-PiO^ manis , 1 8 1 g^. J[l secondo volume dell'opera del chiarissimo Set- teJe , dagli scien^^iati atteso più assai che l'autore non avrebbe voluto , comprende dodici capitoli , e tratta degli eK-menti di astionomia. La trigonometria sferica è materia del primo capitolo, nò senza giu- sta cagione. Poiché dovendo 1 astronomia insegna- re il curvo senlieco de' corpi celesti , era ben ne-i ÀSTR9N0MIA DEL SeTTELE 3'f ccssario che ai novelli astronomi prima di ogni al- tra cosa si mostrasse quella parte della scienza de' matematici , la quale ragiona delle linee curve , e d'elle varie unioni di queste. L'autore in questo ca- jjitolo parla brevemente della sfera^ ma in modd che il suo dire basta per conoscere la natura dei triangoli sferici ; e come questi ed i triangoli ret- tilinei sono diversi . Considera il triangolo sferico rettangolo, e dimostrando sei teoremi he fa certi ^ che se delle sei cose di questo triangolo ( cioè tre «ngoli e tre lati) tre siatto note, ragionando si pa- lesano le altre , o seguitando il parere dì Giovan- ni Neper, o facendo ciò che altri comunemente lanno . Dopo le cose dette circa i triangoli sferici ret- tangoli ^ è facile parlare dei triangoli obliquangoli^ poiché mercè una normale nasce da questi il trian- golo rettangolo. Perciò l'autore con men di due pa- gine snoda quattro problemi rispetto ai triangoli obli- quangoli. E solo con più diffuso sermone conside- ra due altri problemi con cui , essendo noti tre an- goli de' sì fatti triangoli , si vogliono conoscere i tre lati , ed al contrario. Le considerazioni sul moto dei corpi per le traiettorie , le quali sono le fondamenta della dot- trina degli astronomi, formano l'oggetto del secon- do capitolo. L'autore prima pone, e dimostra il teo- rema dell' immortai Keplero , per cui è manifesto, che se un corpo va per una curva tratto da una forza centripeta , descrive aje proporzionali ai tempi:, e che se questo corpo in tal modo procede, può sicuramente dirsi esser tirato da uwdi J or za centri- peta . Mostra che per questa verità sono noti due altri teoremi , do' quali il primo insegna che „ i ,, tempi periodici dei corpi, i quali descrivano cur* 33 S e 1 E N Z B ,,, ve rienlranti intorno ad un punto fisso, sono iu ,, ragion composta della diretta delle aree intiere ,, comprese dalle orbite, e dell'inversa dei setto- ,, ri descritti nel medesimo tempo . „ Il secondo fa noto , che „ in ciascun punto della trajettoria le ,^ velocità del corpo sono in ragione inversa delle „ perpendicolari calate dal centro delle forze sul- ,, le tangenti. ,, Dopo significate tali cose, dalle qua- li quasi tutte le altre parli di questa materia pro- cedono , il Settele propone due problemi: cioè de" terminare il valore della forza centripeta data la trajettoria^ che si percorre dal corpo ; e viceversa data la forza centripeta , trovare la trajettoria . Sciolti questi problemi , sia qualsivoglia la curva, per la quale giri il mobile, fautore per più avvi- cinarsi al suo proposito finge che questa curva sia lina delle sezioni coniche , o circolo , o parabola , o elissi, non avendo qui luogo l'iperbole . Ed in tal modo stabilisce le principali dottrine delle co^l deiie forze centrali. Dopo che l'autore ha mostrato ciò che dà lu- ce, e guida agli astronomi, entra nella diretta via, e scrive il capitolo III.** della idea generale del cie- lo. Ognuno sa che la scienza de' matematici tutta posa sopra l'esperienza, e che se questa non fosse, vani sarebbero i loro sublimi concetti. E noto al- tresì che i corpi , i quali formano foggetto della meccanica, della idraulica, ec. possono facilmente esser considerati, e che con essi si fanno mille espe- rienze. Ma i corpi celesti , perchè sieno convenien- temente osservati , hanno bisogno di un osservato-' re accorto, e Ibrnito di molli , e ricchi ordigni. Ond' è che il Settele non polendo condurre i suoi Scolari in una specola per additare , e spesso ra- gionar coù essi contro la leslixnouianza de' sensi. Astronomia dex Settele 3t) fa vista di stimar vero ciò che apparisce a cia- scuno, che osserva il cielo in una notte serena; et ex fumo dare luceìn cogitai. Tutti vedono che noi siamo nel centro di una immensa sfera ; e che i corpi celesti si volgono intorno la nostra terra ; ed ogni sera totnano verso là d' onde era- no partiti . Da questa cornune osservazione ^ e da ciò che atferroano i viaggiatori , i quali non vedono le medesime stelle sotto diverso cielo; TA ne trae ,, I." che sotto la terra esiste un altro „ emisfero stellato come quello, che ci sta al di „ sopra ; e che noi non possiamo vedére in un ,, colpo d' occhio la sfera stellata intera , perchè „ ce lo impedisce la terra sii cui stiamo . II.° Che ,, r emisfero celeste a noi visibile non poggia sul- ,, la superficie circolare della terra , come sem- „ bra a prima vista , e che questa non è che ,, un' apparenza , la quale in realtà non ha luo- „ go . 111.° Che la sfera celeste ha un inoto di ,, rotazione da oriente in occidente , che si com- „ pie in 24. ore in circa. IV." Che l'osservato- ,, re in qualunque' luogo della terra si trovi , ve- „ dendo sempre sotto di se una superficie circo- „ lare di cui occupa il centro ; e che osservan- ,, do un vascello, allorché parte dal lido, vede „ che il corpo della nave è il primo che si per- „ de di vista, indi le vele, ed in ultimo la som- ,, mità degli alberi ; e che cambiando luogo vede ,, sempre sopra di se un emisfero stellato ; e dai ^, paesi settentrionali passando ai meridionali ve- „ de nuove stelle, e perde di vista alcune di quel- ,, le , che vedeva prima , è segno che la tèrra è ,, sferica , e che sta nel centro della sfera stel- „ lata ; perchè senza questa supposizione non pos- ^i sonò spiegarsi gli enumerati fenpmeni . Dal noa 4© Scienze ,, accorgersi poi V osservatore della convessità del- ,, la terra, dovremo in V." luogo dedurne, che ,, le altezze della sujjerncie della terra , alla qua- „ le può giunger Y uomo , non sieno da parago- „ Darsi col rdggio della medesima, VI." Fmalmen- „ te , che vedendosi dalla superficie della terra la ,, mela della sfera stellata , deve la terra benché „ assai grande relativamente alla statura di un uo- ,, mp , essere oltremodo piccola , paragonata col ^, raggio delia siera stellata „ iJopo le osservazioni notturne seguono le diur- ne, e VA procede come sopra dicemmo. Egli ad- dita V-^orizonte apparente^ ed immagina il vero , no- tando i punti d' onde nasce il sole, e quelli ove tramonta . Vede il sole mentre tiene il sommo del suo giro , e colà pone il meridiano . Osserva orien- te ed occidente, circa i 21. di Marzo e di Settem- bre , di Giugno e di Decembre ; e fìnge T Equato- re , ed i due tropici che sono i limiti delle am- piezze ottive , ed occidue . Pone mente a quella par- te del cielo, entro la quale continuamente va il so- le, e dove sono dodici costellazioni, e conosce lo Zodiaco. In somma mercè le cose, che ognirno può. per se stesso vedere , il Scitele manifesta ai suoi scolari ia qual modo gli astronomi hanno imma- ginato la sfera armillare celeste . E siccome la ter- la è concentrica alla sfera del cielo , che tutto circoscrive, perciò egli ritrae nella nostra terra quei medesimi cerchi della sfera celeste, salvo lo Zodiaco, e ne forma un'altra terrestre. Mercè la prima conosce la obliquità dell' eclittica^ la eleva- zione del polo , il modo di notare la meridiana . Ad- dita il luogo delle stelle, ed il viaggio de' pianeti, che non sono lucenti per loro naturai lume . Fa molto delle comete, e di molte altre di si fatte co- Astronomia uel Settele 4f sie , che all' astronomia si appartengono. Con la sfe- ra terrestre poi ne insegna la maniera , onde sape- re il grado di latitudine^ e di longitudine di ciascun paese , e mostra le tre posizioni di questa sfera , per cui chiaro apparisce il perchè variano le sta- gioni, eia lunghezza de' giorni, non solo sotto dif- ferenti climi, ma in uno medesimo. Il modo con cui si forma il catalogo delle stel- le è il quarto capitolo, con cui l'A. brevemente ragionando parla delle costellazioni, ed insegna co- me gli astronomi apprendono il nome , o la lette- ra , o il numero , che rappresenta ciascuna stella, la sua grandezza, ^ascensione retta ^ la declinazio- ne boreale, o australe , e la longitudine e latitudine boreale o australe . Nel capitolo quinto si dimostra il sistema del mondo . Questa materia grave per sua natura , e per ragionamenti di uomini antichi e di autorità gravi- de, è toccata dal Settele non senza lode. Egli po- tendo ora meglio essere inteso da' suoi scolari per le cose dette nel capitolo IV., con maniera quan- to esser può breve e chiara, dimostra, che l'appa- renza ne inganna , Poiché fa manifesto esser im- mobili le stelle, ed il sole i questo stare nel cen- tro del largo spazio, ove camminano i pianeti; la terra mentre va intorno al sole , aggirarsi nel suo asse, terminando l'anno con un movimento, e con J'aitro la giornata. Le quali dottrine non essendo contrari* ai fenomeni del cielo, ma ognun di que- sti facendone certa prova , danno ali A. modo on- de insegnarne il perchè i pianeti ora vanno con un movimento retto, ora retrogrado ; e perchè talvol- ta sono stazionar] . Dopo ciò il Scitele ha potuto facilmente rispondere alle questioni fatte su tal pro- positoj ed ha mostrato falso il parere di Apollo- 42 Scienze dìo , ai Tolomeo , di Ticone , ed il sistema di ogni altro, fuorché quello di Copernico - Avendo VA. mostrato come il sole , ed i pia- neti sono ordinati, por dirittamente procedere scri- ve il capitolo VI.* circa ., le leggi del moto de'pia- ,, neti , e delle forze, che li ritengono nelle loro ,, orbile. ,, Egli primieramente narra lo inganno di Copernico, e di Ticone, i quali seguitando il pare- re degli antichi astronomi, credevano che l'orbi- ta di ciascun pianeta fosse circolare . Poi paria dei teoremi di Keplero , e ritoccando le cose dette nel capitolo IL ci fa sicuri che i pianeti vanno per una via elittica , in un fiiocb della quale è il sole; che ,, le aree descritte dai pianeti intorno al sole so- „ no proporzionali ai tempi, ne' quali si descrivo»- „ no ; e che i quadrati de' tempi periodici dei pia- ,, neti SODO come i cubi delle loro distanze medie „ dal sole ,, Il Settele con il dir corto , e chiaro, ci fa sapere per qual modo ragionasse il glorioso Newton , quando con le dottrine di Keplero potò dimostrare, esser dal sole attratti tutti i pianeti; e questi trarre a se i loro satelliti mercè una ibrza, la quale opera in ragione inversa dei quadrati del^ le distanze ; ed è in ragion diretta delle masse ; es- sendo qualità essenziale ad ogni piccola parte di qualsivoglia corpo . Il capitolo VII mostra le ,, correzioni alle qua-^ ,, li sono soggette le operazioni astronomiche . L'A. prima insegna il perchè qupste osservazioni sono di necessità fallaci . Poi stabilisce il triangolo pa- rallatico , e con questo molti teoremi rispetto al cen- tro della terra; al punto, dove sta \ osservatoti^ ^ al suo zenit, al semidiametro terrestre, ai diver- si punti , dove si riferisce l'astro , e dove si rife- rirebbe, ?isto dal centro del nostro globo , alla di- ASTRONOMIA DEL SeTTÉLE J^^ Manza tra la terra e l'astro , e finalmente alU lìnea orizontale . Così fa conoscere la parallasse di al- tezza^ e e/ nella orizontale di longitudine^ e di lati" tudine . I raggi de' corpi celesti prima di venire a noi 5ono dall' atmosfera in varii modi rif ratti , ed in- gannano la nostra vista . Perciò il SeLtele nota che il luogo apparejile di ciascun astro non è il vero , finché questo non giunge allo zenit dell' osserva- tore . Seguitando , insegna che il moto apparente di talune stelle fisse è cagionato dal processo degli ecjuinozj^ e -dalla nutazidhe dell' asse terrestre . Par- la quindi più a lungo, e rettamente della aberrazio- ne della luce. E pone fine al capitolo, ragìonait- do delie osservazioni, e dei varj pareri degli astro- nomi circa la parallasse delle stelle fisse . II sole-, ed i pianeti primarj sono oggetto del Capitolo Vili . L'A. asserisce , che a ben trattare questo argomento è necessario sapere „ il tem- „ pò che i pianeti impiegano nella loro rivoluzio- ,, ne intorno il sole ; la posizione dell' asse mag- „ giore dell' elisse , che percorrono, rispetto aU „ la eclittica , la eccentricità dell' orbita ; il rap- ,f porto , che ha il semiasse maggiore dell' elisse ^, descritta dal pianeta col semiasse maggiore dell' „ elisse descritta dalla terra; la posizione dei due „ punti,in cui l'orbita del pianeta attraversa il piano „ dell' eclitticd , e che diconsi i nodi; il tempo, in „ cui il pianeta trovasi in una delle estremità dell' ,, asse maggiore, ed in uno dei nodi; finalmente ,, l'angolo , che forma il piano dell' orbita del pia- „ neta col piano dell' eclittica, e che chiamasi ,, l'inclinazione dell' orbita. „ Come il Settele con- iSidera ogn' una di queste cose sarebbe qui lungo a dire . Per lo proposito nostro basta far sapere che A^ S e I i: ]N z E questo capitolo, benché non comprendane dirtìo-> strazioni, né verità nuove, pure sommamente Io commendiamo , a cagione dell ordine con che le parti sono disposte, e della tacilissima maniera con la quale quivi si ragiona di alti concetti . Nel capitolo IX.° si esaminano i pianeti secon- dari , e prima la luna . LA. insegna il modo onde conoscere la figura di questo satellite, e le varie parti illuminate di esso ne' vaij tempi- Nota la rivoluzione tropica , e la rivoluzione siderea , se- condo ciò che ne scrisse Cassini. Misura il diame- tro apparente . Parla dei diversi movimenti di que- sta; e quindi della eolissi solare e lunare ^ e à^ì pas^ saggio di Mercurio e di Venere sul disco solare . Ma con molta brevità , per dir cose convenienti al titolo del suo libro . Con il capitolo X si mostra la figura della terra . Per due modi hanno i matematici conosciu- to le linee, che terminano il nostro pianveta : cioè ragionando , ed osservando . Ed il Settele per in- segnare ciò che altri pensarono, e videro, prima pone che una elissoide poco schiacciata formi la Jigura della terra ; e per virtù del calcolo fa no- to il rapporto tra Yasse maggiore ed il minore \ la diversa ampiezza de gradi ^ che sono dalT equa- lore ai poli; ed il vario potere della gravità^ giu- sta la varietà delle zone . Quindi significa le opi- nioni di coloro , i quali vollero misurare la terra avantichò Richer conos< esse la cagione del lento moto del pendolo nelT isola di Cajfnna . Narra le cose dette su tal proposito da llnjghens, da Newton, da Cassini , e da molti altri astronomi , e geologi. E ne fa sicuri per esperienza , e per ragionamen- to, esser la terra una elissoide poco compressa nei poli. Benché alcuni astronomi, mercé l'osservazio-^ Astronomia del Settele 4^ Be di Richer circa il pendolo , sian certi del moto di rotazione della terra intorno al suo asse , pure l'A. scrive ciò che vidde ed operò Guglielraini nel 178^; onde questi potè conoscere la degnazione orientale^ la quale non sarebbe, se il pianeta no- stro non si volgesse continuamente a guisa della rota di un cocchio . Nel capitolo XI. l'A. parla delle comete. Mo- stra i segni , per i quali queste possono essere co- nosciute ; e tratta del loro molo , e della loro na- tura . Egli rettamente ragiona , calcola , e signifi- ca il parere altrui. Ma gli convien ripetere le pa- role di Seneca ; cometas , . . non dum teneri le- gibus certis ; non solo perchè le osservazioni degli antichi circa questi corpi celesti erano fallaci , e le nostre sono scarse , ma perchè andando questi per vie da noi lontanissime, e scontrando altri cor- pi , traviano dall' un de lati . Né questo, traviare è sempre agli astronomi manifesto . ^ Un breve discorso del calendario romano for- ma il capitolo XII, e pone fine ai ragionamenti astronomici del Settele . Quivi si fa motto delle costumanze ebree, e greche circa la divisione del tempo . E poco più diffusamente si scrive di ciò che fecero intorno questa divisione i romani , dal- la loro prima età fino alla nostra . Si parla dell' anno immaginato da Romolo , nel quale senza un giusto perchè si comprendevano dieci mesi . Si nar- ra come i giorni, ed i mesi furono ordinati da Numa , affinchè Vanno lunare non fosse discorde con quello del sole . Si notano le cose fatte da Giulio Cesare per istabllire Vanno bisestile nel tem- po detto da Macrobio anniis confusionis ultiinus ; quindi la correzione del concilio Niceno, che mos- se e guidò Gregorio XUl. r^ella così delta r/^orim AQ Scienze gregorianu^ la quale, eccetto i moscoviti, è attesa da tutta Europa; e di cui l'A. pur chiaro favella; per ragionar poi del ciclo dì Metoue ateniese , e dell' aggiunta^ o se dir si voglia epatla^ le quali ne additano il giorno della nostra Pasqua . L'aver queste poche cose delle circa il secon- do volume deli' opera del Scitele, crediamo che basti per mostrarne la essenza ; non polendosi in uà giornale recare il bello di ciascuna parie di sì fat- ta materia. Uispelto poi al conto in che deve te- nersi il libro tla noi considerato, brevemente di- ciamo : che benché 1 umano intelletto , esaminan- do le cose creale, si duole da ignoranza offeso, J'astronomo forse può alcuna volta esser lieto , e gloriarsi quando al/a la vista all' alte ruote , „ E lì comincia a vagheggiar nell'arie ,, Di quel maestro , che dentro a se l'ama „ Tanto che mai da lei l'occhio non parte . Ma ognuno sa, che quanto sente dolcezza chi giun- se ad alto poggio, tanto angoscioso venne. Wolfio giustamente disse : apicem totiits cruditionis hutna- lue conscendimus aiialjsim traditiiri\ e noi a miglior diritto diciamo, che l'astronomo tiene il colmo del più levato monte, e non senza gran fa- tica là si perviene. Chi considera il fine, per cui il Scitele scrisse; o sa con quai modi gli astrono- mi appresero la loro scienza ; non potrà non lo- darsi di lui , come noi soraniamente ce ne lodiamo - De Crollis. Ì7 Memoria su di un operazione di litotomia degna di particolare considerazione , ec letta da Antonio Trasmondi Romafio , dottore in filosofia e mcdici- na, ec. ec. Roma pel Salviucci 1822. di pag. 27. con tavola in rame . I ja gloriosa accademia ile' Lincei, la quale spes- so ne dà giusti, ed ornati ragionamenli ; ed al- cuna volta è solo motivo ond' altri , considerando- li , mostri il suo ingegno, pare che in quest' an- no sia stata più che non soleva , feconda di scrit- ti pubblicati con le stampe . Avendo il nostro gior- nale già parlato della dissertazione del chiarissimo sig. professor Bomba , medico onorario della San- tità di Nostro Signore , e di quella del dottor Ora- zio Maceroni no^'ello segretario del comitato di Vac" cinazione ., convien che pur discorra di ciò che ha scritto e pubblicato Antonio Trasmondi . Questo espertissimo chirurgo con parole pia- ne , e di buona lega , tranne poche , narra per- chè e conie abbia egli tratta la pietra dalla vesci- ca di un vecchio con l'antica maniera greca , det- ta di Gelso. Ed indi tocca alcuni concetti fisiolo- gici, patologici, e chimici, che più convengono al suo proposito . Un sacerdote di anni Gì, molto piccolo della persona , fu il .soggetto della operazione . Una co- sì della forcinella ^ intorno la quale varj granelli di arena , in vario tempo attaccandosi , avevano formato una pietra , era la essenza della malattia. II Trasmondi conobbe questa per le cose raccon- tate dal sacerdote infermo , e per ciò che sentì con la sua mano , della cui testimonianza egli si è sem- pre a ragione fidato . 41$ Scienze Poiché fu certo della diagnosi , FA. ci fa sa-j pere che egli operando, fece wi tctglio lineale cir- ca due dita trasverse in direzione del rafe ^ che apri la parte spugnosa dell' uretra ; che dilatò un poco il taglio verso lo sfintere ; e che trovò la pietra col- locata ia modo da non poter per altra via esser tirata fuori , eccetto quella commendata da Gelso . Della quale egli afferma essersi prevalso; e dopo 2^ giorni aver veduto l'infermo diventato sano . , Pensando il Trasmondi che taluno nel leggere il suo scritto , e nel considerare le cose delle da* greci , e da' moderni chirurgi rispetto al piccolo ap^ parecchio , forse si sarebbe meravigliato del suo racconto , non solo descrive a parte a parte tutta ciò che fece; ma palesa qiiai ragionamenti lo mos- sero, e gli dettero il migliore ardimento . Egli ram- menta che i greci non usavano il piccolo apparec- ch'io ^ se nona prò di quelli che non erano anco- ra giunti al decimo quarto anno di loro vita . Poi giustamente dice che quegli antichi maestri limita- rono l'età , solo perchè questa , facendo crescere l'ampiezza de' visceri , non permette 1' operare nel conveniente modo ; onde argomenta che se il vo- lume de' visceri, i quali vissero Go anni , fossero pari a quelli che ne vissero i4i vano sarebbe il li- mite, di cui parlarono i greci; e perciò non è me- raviglia , aver dalla vescica del vecchio e pic- colissimo sacerdote tratta la pietra alla maniera di Celso . Con il parere, e con l'esemplo altrui l'A. dà maggior lume al suo argqmento. Egli fa motto di quello che fecero , e scrissero su tal pro|>osito 1 Ei- stero , il JXannoni , il Sisco , ed. altri clairurjji di gran fama . Trasmok^di litotomia Ìj5 Dopo dette queste cose TA. raccosta che trascorsi treotasette giorni, dal dì che aperse il vescica del sacerdote , uscì fuora dall' uretra di questo un calcolo grande quanto un comunal cece ■ senza che Jo molestasse né prima, né mentre uscì-' va . Egl. pensa che il nominato calcolo non era parte della pietra ; perchè né in questa , né in quello SI ravvisa alcun segno nei lati , per cui stati fossero insieme congiunti ; e perchè 1' „no e solfato calcare , e l'altra è urato di ammo- niaca. Finito questo, il Trasmondi, per picciol tem- po assicurando Io sguardo a quella luce di scien- za , innanzi a cui torcono l'animo, e'I volto non pochi suoi compagni ,d'arte , pare che ahbia pene- trato alla cagione , per cui la pietra in quarantot- to anni crebbe ; ed il perchè solo dopo sì lungo tempo fu al prete gravissima . Egli vidde che l'esser la forcmella folcita , e la poca forza , che con giunge i granelli di fosfato calcare , furono forse causa del lentissimo crescere della pietra; e che la sensibilità de' nervi, la quale per lungo uso si per- de , non fece dolente la vescica , se non quando questa fu dopo quarantotto anni molestata da nuo- ve cagioni fisiche , e morali . L'A.. pone fine al suo dire recando in meezo una parte delU/,«//« cA/;m^a fatta dal eh. Morichi- ni . Mercè la quale ci fa certi esser la pietra come g,a dicemmo, urato di ammoniaca , ed il calcolo fosfato calcare. L^aver il Trasmondi vista la pietra allocata in modo, che gh mostrò vano ciò che egli prima di operare SI era proposto; non essersi la sua men- te ombrata per cjfuesta vista ,- ma aver cercato ai> G.A.T.XVI. / trg via per giungere al suo fine ; non esser egli sta- to trattenuto dall' antivedere Tingiusto strazio dei- la sua fama , se dopo le cose da lui fatte il sacer* dote fosse morto : sono queste le cagioni onde noi soniraamente ci lodiamo di lui ; non potendoci do- lere di qualche parola strana al ben dire , o inuti- le ; com' è una di quelle che formano il titolo del- lo scritto : poiché di queste e di «imili macchie sono in più parti ombrate moltissime opere chirur- giche , le quali pur danno ad altri luce e non in- certa guida, (a) De Crollis ti&ttera del dott. Luigi BassanelU all' Eccmo sig, professore Giuseppa del Medico sopra un feto sen^ za lo sterno. Ariccia 21 ottobre 1822. Fi in dallo scorso giugno presi la libertà di notizia- re a V. S. Eccnaa una mia osservazione sopra un feto privo di sterno: ella si compiacque meco visitar- lo , ed esatto rinvenne quanto le acceanava , e rile- vò sincere quelle dimensioni , con le quali geome- tricamente glie lo aveva descritto. Fin d'allora dis- si eh' era per darlene una più minuta contezza in caso di morte , e le prometteva un' esatta descrizio- ne auatomico-patalogica, onde renderle qualclie pen- sata fisiologica ragione, per quanto porta la tenuità de' miei talenti sopra così vaste e difìicili materie. Il feto in questione, o la bambina Vittoria Ra- naglia , dopo aver vissuto quattro mesi e quattro giorni, morì la notte venti corrente circa le ore no- ve italiane. Io mi vidi al punto d'eseguir le mie (a) JSeniammo £eil, Bertrand Àlghisi fissero opcruzlotn: di iitotoinia. Feto privo dello sterno 5« promesse. Non le dico però, e non conviene che le an- nunzi come inurbanamente fossemi tolto il cadave- re. Le partecipo intanto questa notizia con dispia- cere, e le do contezza della malattia chela condus- se alla tomba. Detta morte per quanto io seriamen- te la consideri non è figlia della viziata e nuova to- racica conformazione,- giacché se per lo spazio di quat- tro mesi ha potuto vivere senza incomodi di sorta, meno quelli a' quah è soggetta una cosi tenera età, perchè non sperare che sarebbesi protratta la sua esi- stenza ? Ella molte volte mi diceva ciò , e giornal- mente in pratica lo vedeva io con fermare. Essendo però la bambina restata vittima d'una aliena malattia, la se- zione patologica dalla quale io sperava dedurre una scoperta , non la vedo di quel peso del quale la considerava. Dal respiro sempre esatto , dal non aver la creatura mai sofferto sincopi ec. ec si può dire che l'affezione locale non era per privarla della vita, mentre se ciò si volesse concludere avreb- be presentalo sintomi diversi da quelli che conti- nuamente vedeva. Dal momento che le diedi l'istoria, ch'io osser- vava esattamente, e marcando tutti que' fenomeni e, quelle novità che potevano essere vantaggiose a posseso del fatto, la bambina s'andava nutrendo bene, le sue funzioni bene si eseguivano , e bene de- combeva da tutte le parti. I tegumenti che copri- vano la vacuità dello sterno , eransi alquanto resi più resistenti al tatto , ed il bordo cartilagineo del- le coste lo vedeva leggermente cresciuto, ed anche aumentata quella piccola unione cartilaginosa ov' è il luogo della cartilagine ensiforme (nellit figura del volume 4Ò lettera d,) , e ciò in compagnia del chi- rurgo sig. Carmine Turino abbiamo esaltamente ri- levato. Il suo esteripre totale non era molto van- 4" ^2 Scienze taggìoso: ma ciò a cagione delle circostanze econo- miche di famiglia. La sua resoirazione era regolare, e l'elevazione Bel jugiilo non era tanto visibile , siccome ne' primi momenti di sua vita : eleva- zione che le diceva andar già cedendo fin da que' primi giorni. Le partecipava fin d'allora che aveva sofferte del- le febbri, ma che queste indi più comparse non erano. Altre variazioni però alla sua salute dipendevano dal non buon trattamento della .madre, la quale per le mi- serie doveva cibarsi dì vitto e flatulento e di dif- ficile digestione ; e ciascun conosce il danno, che ne arreca ad una età così fresca . Molte volte la sud- detta era costretta allontanarsi da casa, e lasciava- la in seno del pianto e delle lordure. Io spessis- simo l'ho rinvenuta sola piangente, e com[5assionan- dola la prendeva , onde si tranquilizzasse, non man- cando osservare in que' momenti d'orgasmo la par- te, con li sottostanti moti del cuore. Dilettavasi del- le blandizie, ne rideva, bene intendeva , ft mi di- ceva la madre -- ciangotta con molta grazia - Ta- le stato non prometteva la morte; e sovverrassi che a voce le annunziava sempre queste notizie. 11 giorno 6 corrente fu presa da una febbre , nel mentre che godeva qnesto stato di salute t ma dominando nel paese il vajuolo, ed avendolo avuto in lamiglia altra sorella più grande , non dubitai che essa stessa ne sarebbe stata aggredita. La febbre fe- ce il suo corso regolare, con tutti i sintomi che ac- compagnar sogliono quest' eruzione : e dopo il ter- zo gi )rno» cora3 accennano tutti i pratici, compar- ve regofura site levoluzione d un vajnolo confluente della non miglior qualità. Le pustule non molto si ele- varono . ma rimisero, al dir del pratico Cullen, ap- pianate, e quasi depresse, cornei migliori osserva- tori hciuao molte volte vedul<;^ Feto phivo dbllo stepko 53 Cresceva la tosse , la raucetìiae, associata ad un* iipprcssione di petto, e ad un certo respiro diìHci- ìe. Deglutiva con qualche slentò. LVssiccazione del medesimo vajuolo fu sen'/ ordine. NeiT undecimo glo!i)0 pfjrò sopraggiunsero forti moti convulsivi , coji de' tremori nell estremità: serio prognostico al dir de' medici scrittori . Andavano alternativa- mente comparendo, aumentando TaiTanno, rendendo la voce piccola, fioca , e debole ; finché la notte del decimo quarto, sopragiuntì nuovi insulti convulsi- vi, reser questi la fanciulla vittima del morbo. Dall' istoria della malattia da me osservata , dal corso da essa tenuto, e dal sopraggiungere spa- smi nervosi e convulsioni, V.S. rileverà la morte dulia suddetta Vittoria: e però essa morie è aflfaito indi- pendente dalla straordinaria costruzione patologica , e son propenso a credere che se i moti convulsivi non l'avessero aggi edita nell undecitno, giungendo a strangolarla nel decimo quaito, arr<'bbe Ibr-e sipe- rata la malattia, come lo prometteva ne' primi gior- ni a fronte della confluenza- Neì portarmi giornalmente dalla banbina per osservarla io me ne formava delle quistioni, del- le quali procurava darmene soluzione e chiarezza. Le diceva che aveva tutto l'esterno attentaiifente ve- duto , fin da quando ella si compiacque visitarla in mia compagnia . Ora dall' esistenza di essa fan- ciulla fino a questo momento sembra potersi de- duri'e, che interna viziata conformazione non debba es- servi.Nessuno ignora che il torace non formi una par- te necessaria alla vita ; mentre chirurgiche osser^ razioni ce lo riportano trapanato, schif^ggiato ec. ec E molti anatomici l'hanno trovato diviso in due q tre pezzi. K indubitato che il feto nelT utero contenuto ^4 S e I K N Z K parleéipa, come si esprime Richerand, della vita ge- nerale, avendone però una particolare ed in un tempo anche indipendente dalla madre ; per cui è soggetto a delle malattie , sia che nascano in se stesso , sia che ne riceva il germe. I leti venuti alla luce con de' tumori , con delle ciccatrici , ed anche con delle fratture , provano evidentemente che nel!' utero si soggiace a delle malattie esterne per il fe- to , le quali occupar possono diverse parti. Da tat- ti i segni razionali si rileva, che 1 impressione in- dicala nel ramtì lettera e (volume 4^ citalo) sia una A'era ciccatrice , senza dubbio alcuno. La pre- senza dunque dì questa ciccatrice premette un tumo- re, il quale avendo nairutero materno percorso i suoi- siadj, sia giunto ad aprirsi; e sortila gradatamen- te la materia che lo formava, restato senza irrita- zione sia giunto a ciccatri zzarsi. I feti osservati s ri- portati da Vau-Svvieten con il vajuolo in diversi sta- dj , e quanto si osserva tutto giorno, non ammetto- no quislione sopra questo fatto. Da quanto si asserisce da tutti i fisiologi sì an- tichi che moderni, e comesi esprime Io stesso Bre- ra, le parli fluide si formano anteriori alle solide; e ciò si opinava ancora dagli antichi filosofi: e se con- ceder si voglia essa formazione, come la crede Dar- win,da un semplice filamento vivente, oda un leggie- ro nervo di locomozione piegato in forma d'anello, è certo però che fluidi sono sempre i primi linea- menti di dette parti. Concesso ciò, non troverei dif- lìcoJtà nel supporre che un tumore nato nell' accen- nato luogo della ciccatrice abbia impedito la for- mazione dello sterno: o pure se si volesse an- che porre formalo detto tumore, e che mercè le sue quaifitu acrimoniose la materia puriforme con- tenuta l'abbia distrullo nel nascerò ; cojiie la pra- Feto privo dello Iìterno 55 tjiea chirurgica molle volte dimestra . Ma se ciò fosse non si potrebbe osservare la pif^cola unione cartilaginea nella basealT accennata lettrrA d. (volu- n>e sud") ; e non avremmo lo sterno deficiente an- che nella sua parte superiore , ma mancherebbe so- lo nella parte ov' è Id ciccatrice » Forse 1« fibre os- see non si saranno potute unire per quest' ostacolo, o pure avrà aderito a qualche membrana ec. la qua- le facendo pressione avrà ostato , stante la legge- rezza delle parti, alla sua formazione? Qualunque siano per essere le mie ipotesi sopra di ciò , spero averne una spiegazione da que* vasti lumi, che ador- nano la sua non comune abilitale mi lusingo d'ot- tenerne una più soddisfacente idea : come molte di più ne riconosco fino a questo momento, le quali debbo da Lei ripetere . La prego gradire que' rispettosi sentimenti , coi quali passo a costantemente rasisegnarmi - Pregiai.** sig. Profess. Ariccia 3o ottobre 1823. Dopo inviatale la precedente mia, sono sta- to notiziato da persona autorevole, che fattasi l'aper- tura del cadavere della bambina in un archiospe- dale della città si rinvwinero i visceri tutti in ista- to regolarissimo , ed altro non si osservò che in luogo del mancante sterno eravi una membrana aponeurotica <:he pareva traesse origine dai musco- li sterno ioidei, perchè questi vi si attaccavano ed erano le loro porzioni caint^e assai piccole. Gradisca questa osservazione che in un tende a dimostrare che la infelice fu spenta dal confluen- te vajuoJo,e che la mancanza dello sterno non con- corse a raccorciarne i giorni per alcuna menoma par- te . Gradisca ec. II. Dottor Bas«a.nblh . 56 LETTERATURA SOPRA ALCUNE MEDAGLIE ANTICHE INEDITE LETTERA Al eh. sig. Girolamo Bianconi custode del museo di Bologna , Letta air accademia romana di archeologia^ neW adwianza dei 20 maggio 1822. • P< oichè al dono della preziosa di lei amicizia, di cui mi fu liberale insin dal tempo della mia di- mora in Bologna, ha ella voluto aggiugnerne tan- ti altri coir inviarmi quanto è venuta indi pub- blicando colle stampe intorno alla numismatica o ad altro ramo all' antiquaria spettante, si è in me più accresciuto il debito che giù professavale , e quindi la K:ama di soddisfarlo ricambiando i doni ricevuti , siccome tra persone amanti dello studio e delle lettere si suol fare. Ma come risolvermi a ciò fra l'abbattimento di spirito in che mi ha posto la perdita dalla persona a me più cara , e fra le cure indispf^nsabili del pubblico impiego? Pure dovendo io leggere alcun mio scritto in una delle solite adunanze dell' accademia archeologica, e pro- postomi di tener discorso su varie medaglie anti- che, non vuo' lasciarmi sfuggire questa favorevole occasione orile tesserne una lettera a lei diretta, a lei ch'è pur membro degnissimo di questa stes- sa accademia, e si valente numofilo. I Medaglie inedite * Sy Le cinque medaglie delle quali intendo par- larle furono da me negli scorsi anni acquistate, ed ora trovansi nella scelta collezione del nostro il- lustre e dotto consocio monsig. Giustiniani arci- vescovo dì Tiro nunzio a Madrid , tranne l'ulti- ma che tutt' ora presso di me conservo. Quat- tro sono affatto inedite , ed una a mìo avvi- so non bene osservata dai dotti che primamente la pubblicarono. Ma non voglio più tenerla sospesa, ed eccomi a farlene la descrizione . IMP . CAES .' VESP . AVG . P . M . T . P . COS . ITU . GENS . Caput laureatum J^espasiani . — T . CAES . IMP . PONTIF . COS . II . CENS . i Caput laureatum Titi . -"^ m. 2.(Fig.i.) Ricorda questa inedita medaglia la censura esercitata da Vespasiano e Tito colleghi negli an- ni di Roma 825-826- Bay. È inedita per l'accop- piamento delle due teste, giacche non mancavano medaglie sì dell' uno che dell' altro imperatore, le quali annunziassero nell' epigrafe la censura da en- trambi sostenuta. Anche Plinio, (i) Svetonio (2) e Censorino (3) ci avevan detto che fra gli altri onori conferiti da Vespasiano a Tito quello vi ag- giunse di associarlosì nel grave ufficio della cen- sura ; ma né un marmo , né ,una medaglia eran comparsi finora a mostrarceli insieme uniti con questo titolo . Non può quindi contrastarsi alla presente medaglia e il pregio dell' erudizione rap- porto alla storia, e la somma sua rarità, non tro- vandosene pubblicata altra simile . I consolati iv (1) L. 111. p. i56.£dit. Hard. (2) Gap. vili. (3) i?e die ned. cap, xviii. &$ Letteratura di Vespasiano, e ii dì Tito .che vi si leggono, la fanno scorgere battuta nel tempo stesso che que' (lue imperatori assunsero la dignità censoria : Jo che fu probabilmente nelT anno 824 , come nota Eckhel nel conciliare colle medag^Jie il luogo di Plinio (1) ove dice, ch'essi as^erunt censum intra quadriennium^ contando questi quattro anni per non compiuti. Fa inoltre rispvyenire come Vespasiano e Tito fossero i primi imperatori , che rivestili della censura, volessero anch« prenderne il nome; giacché sebbene G. Cesare , Augusto , e Claudio effettivamente la esercitarono , pure si astennero dall' intitolarsi censori . Cesare prese il nome di morum prcefectus in ciò imitato da Augu-sto, se- condo attestano Svetonio (2), e Dione (3) ; e Io stesso Svetonio parlando di Augusto dice recepii morum le^umque regimen t e poi soggiunge , quo jure , quamquam sine censurce honore , censum ta- men populi ter egit ► Claudio esercita la censura, ma in unione di L. Vilellio, né alcuna medaglia Io intitola censore . I piimi dunque che ne as sunsero la dignità insieme ed il titolo furono i due Vespasiani , i qnali poi , ricorrendo Vanno magno nelf 82'7 ultimo del loro ufficio, celebra- rono il lustro . I marmi chiamano censore Ve- spasiano anche ne' consolati vm e ix , ma ciò potè essere a sola causa d'onore, come L. Vitel- lio fu detto censore nelle medaglie coniate dopo la sua morte; ma Tito appare nuovamente collo stesso nome nelle medaglie segnate del vi conso- lato , e ciò fa supporre che solo egli ne ripren-^ desse per alcun tempo l'uffizio. E così non aves- i — — — — i^— »— — — ^ I ■ ut (1) L: VII. pag. 4o4. (2) Gap. LXjtVi, (3) L. xMji. Medàglie inedite ^ Sq «ero eglino assunta lai dignità , p esercitata Taveg- sero almeno eoa minor gradimento di Roma, che il senato allora non sarebbesi indotto a renderla perpetua nell' infamissimo Domiziano, come, ol- tre Dione che lo attesta (i), molte medaglie di lui , non senza nostro ribrezzo , ci fan vedere ! HA.DRIANVS . AvsvsTvs . Caput laureatum. — cos . Ili . m imo. — Aquila supra fulmen:, hinc ad dexteram noctua sento insistens ; hinc ad lae^ vani pavQ cauda expansa. m . m . m .(Tig-a.) Fra i medaglioni dì Adriano che per recccl- lenza deli' arte , e per la nobiltà dei tipi sono pili stimabili , questo , ch'è ancora abbellito da una rara conservazione, dee certo aver luogo. I simboli delle deità capitoline che vi sì scorgono lo fanno inedito in tal modulo , mentre sì di i che dì 2. grandezza il p. Baldini ne aveva già pub- blicate le medaglie spettanti allo stesso Adriano . Evvi pure altro medaglione del museo Albani, il quale ha una perfetta analogìa col nostro, essendo- vi le figure di quelle deità poste in egual situazitr- ne, cioè Giove nel mezzo. Minerva alla destra, e Giunone alla sinistra . Anche il tempio di Gio- ve Massimo, di che si vedono ornale le medaglie dì Vespasiano e di Domiziano , esibisce i simu- Licrì dì quei numi così collocati, e così parimen- te si vedono in una lucerna pubblicata dal Passe- ri. Sappiamo inoltre da Dionigi, (2) che Giuno- ne e Minerva avevano in quel tempio le loro cel- (1) L. LXVII. §. 4'- (2) L. ir. Co Ij^e tteratura le pari a quella di Giovo, e sub eodetntecto et pìnnaculo . ' ' Senza enirare nella quistione tanto agitata da rarj dotti e singolafriìnnie d:i Lipslo e Becano, cioè qual luogo gli antichi tenessero come più degno ^ o il destro o il sinistro-, e senza parlare del mag* giar cullo che Pallade aveva sul Campidoglio, sti- mo co'ia più accoiicia II rammentarle quel passo Oì Livio ( ) ove parlando delia inlissionc del chiodo annale seguita nel ^9 , cVìce i /Ltus /uìt (clavus) rfe- xtcro lateri nedis I. O. M ea ex parte qua llJiner'va: templuìn est. Dunque Minerva era nel tempio si- tuala alla destra di Giove; e basti* saper ciò per conoscere il motivo onde la civetta allato dell a- quila occupi in questo medaglione il posto mede- simo . Serve inoltre la situazione di questi ani- mali a determinare quale abbia a considerarsi nelle medaglie per lato destro o sinistro ; co^^a male os- servala da alcuni, ì quali, non senza offendere l'e- sattezza e perizia degli antichi, dubiiarono, che poco essi badando ni IT incidere i con] al c.imbia- mento di posto che le figure e gli altri tipi fareb- bero sulla medaglia, non ci avessero lasciata anche su questo ntn regola cfita . Ora sarebbe da investigare il perchè si trovi- no raj)presentale tali deità nelle medaglie d Adria- no ; mentre vedendole in quelle di Vecpimiano e di Domiziano ci l(»rna subito a mente, the il primo ne riedificò ÌT tempio, ed il secondo ne compila solenne dedicazione dopo' i rito, s^ non b;Mie appreudo- no la lor lezione, o se mile imprimono i loro carat- teri, sono per due o tre vol'e a far meglio esor-» tati; se non si emendano, si fanno mettere in ginoe- cliioni nel loro posto, onde riempirli di salutare ver- gogaa. Se poi si mostrano ostinati , vengono allora posti ginocchioni alla jx)rla della loro scuola ; la qual cosa vien tenuta presso loro per grande umiliazio- ne, e il tempo della durata di tal gasligo vien de- terminato dalla combustione d'una canna odorifera», o da una candela di aloè. Qualora poi tutti cotesti mezzi riescano infruttuosi, si procede alte battitu- re, le quali però non mai si danno dopo il pranzo, per timore che non sia loro di nocumento, né tal punizio- ne si eseguisce con violenza, afline di non cagiona- re ad essi un n^ale serio. Anche i maestri hanno delle norme che sono registrale, e che si osservano scrupolosamente. Non faremo altre parole di queste , che sono lunghe e complicate. Diremo soltanto essere tra le principali la raccomandazione che loro è fatta di occupai si esclusivamente della istruzione, onde non essere di- stratti dai doveri di maestri ,, Hannovi , dice un „ autore cinese citato dal rev. Morrison , corti ma- „ estri, i quali alla professione di loro stato aggiun- „ gono ora , con ^^rave danno , la pratica della me- „ dicina o quella degli indovini, o vendono orosco- „ pi, o scrivono memoriali o atti legali , o fanno il „ mestiere di mediatori o di sensali Per le quali ,, coae dividono la loro attenzione, e si allontaaaao Insecwamento cinese 7S ^, dall' insegnamento eh' è l'affare più importante. „ Perciò sono eglino disprezzati e tenuti in nessun „ conto da coloro stessi che se ne servono, giac- „ che Difendono altamente la morale di loro carat- tt rere. ,, E che così debba avvenire non è da porsi i» dubbio, ove si consideri che nell' impero della Ci- na gli scienziati vengono prescelti ad occupare le ca- riche del governo. Quindi è d'uopo che i maestri sìe- no eccellenti ed assidui, onde formare ottimi alunni. Fu nel principio della dinastia dei IViang {cìv- ca r Vili secolo ) che il sistema d'un pubblico esa- me fatto ogni anno solennemente cominciò ad in- trodursi. Le leggi di questo esame sono raccolte ia un libro che si ristampa ogni dieci anni, con quel- le variazioni che soo» consigliate dal mutamento degli usi e de' costumi. Tutta la nazione cinese è interessata a questa solennità , e tutti i particola- ri r accompagnano e la conseguono. Quindi 1 e- same diventa oggetto di quasi tutte le società , e delle conversazioni anche Ira il minuto popolo. L e-^ sanie è spesse volte materia di opere dì letteratu- ra e di poesìa. E certamente è cosa degna di osser- vazione fistituta di esami successivi e graduati , pei quali è lecito ad ogni cinese , qualunque siala sua nascita o la sua condizione, in qualunque parte dell impero egli dimori , il potersi presentare a questi pubblici concorsi , ai quali presiedono magistrati eletti a bella posta. Allorché i concorrenti perven- gono a meritare tre gradi nella scienza , nella stes- sa guisa che costumasi nelle nostre università pe' dottori , possono chiedere ed ottengono le pubbli- che cariche d'ogni maniera. Sembra che nella Ci- na pure , come altrove , abbia luogo la corruzio- Be de' giudici per favore per protezione o per de- ^S L E TT E K A T U R A Baro ; ma questo non esclude ciò che un tale sì- stema può aver in se di buono e di utile a quflT im- pero. Gli abusi s'introducono in tutte le umane in- stituzioni. Secondo Morrison , durante i mille anni che seguirono la morte di Confucio , gli scienziati erano filosofi che non s immischiavano altrimenti nelle cose dello stato, e non occupavansi che della scienza morale. Da dodici secoli in poi , siccome è detto, ha invalso il costume de' pubblici esami, e i dotti vennero in possesso di amministrare Timpe- ro , il quale n'ebbe grandissimo vantaggio : perchè le leggi ferme e saggie sono tra quel popolo il fre- no salutare che r«gge ogni vincolo civile , é la scien- za vale a renderle piìi dolci e obbedite. Memorie istorice- critiche sulla origine progressi e decadenza del foro Trajano di Homa . Artic V ed ultimo. k^e il foro di Trajano e i pubblici monumenti di Roma poco o nulla soffrirono nelle surriferite barbariche invasioni , sembra potersi dire io stes- so quando nell' anno 53^ il re Vitige pose Tasse- dio a quella capitale; poiché non furono allora distrutte che le statue del sepolcro di Adriano, non già dai goti , ma dai medesimi romani , per respingere un assalto de' loro nemici (i). J\è maggior male ai piedetli monumenti ed al foro di Trajìno recò Totila circa Tanno b^i-t epoca in cui Uoma fu presa dal medesimo. Ap- pena entrato fra le mura quel feroce conquistato- ci) Trocop. de Rcb. CoL lib. i. Foro Trajako jn re, mccolse le sue soldatesche in un luogo deter- minato, e vietò che si ditfondessero per la città. ^ella mattina susseguente, mentre portavasi a vi* sitare il tempio di s. Pietro , gli s\ fece incontro il papa Pelagio , implorando mercè per Roma « per gli abitanti. Commosso Totila dalla maestà e dalle preghiere del venerabile pontefice, pubblicò nuovi editti di sicurezza e di pace (i). Ma irritato successivamente dalla perfidia de' ^reci imperadori , concepì il maltalento di distrug- gere col ferro e col fuoco tutte le romane magni- ficenze , e pareggiare al suolo la città ; lo che sa- rebbe senza meno accaduto , se una lettera di Be- lisario non lo avesse distolto dal barbarico dise- gno.,. Tu sai , o Totila (gli scrive Belisario) che „ Roma è la più grande e magnifica città del mon- f, do . La sua grandezza e la sua magnificenza non „ fu l'opera di un sol monarca, o di un breve spa- „ zio di tempo , ma di una luuga serie d' impera- „ dori, di moltissimi uomini iusignì , e di molti „ secoli . La sua grande potenza e le sue imraen- „ se ricchezze chiamavano da tutte le parti dell' „ impero gli artisti pia celebri , i quali fabbrican- ,^ do ed ampliando quella capitale , poterono tras- „ mettere ai posteri i monumenti dell'abilità, dei ta- „ lenti , e del valore di tutti» Io spero inoltre che „ farai attenzione a quanto sono ora per dirti: o „ tu nella presente guerra resterai soccombente, „ 0 sarai vittorioso. Se tu avrai là sorte di pre- „ valere, e distruggerai Roma, tuo sarà il danno , „ perchè dessa è di tua proprietà . Se poi sarai vin- „ to dai romani , lasciandola illesa , ti acquisterai f) favore e protezione presso il vincitore „ (2). Que- (1) Procop, loc. cit. lib. 3. (2) Procop. loc. e ?•" ^17^ Letteratura ste ed altre plausibili ragioni da Belisario in del- ta lettera sviluppate fecero la più favorevole im- pressione sullo spirito di Tonila, il quale salvò Ro- ma, il foro di Trajano , e le altre romane magni- ficenze . Se consta infatti che i goti recassero grandissi- mi mali alla Italia e a Pioma , non è provato che distruggessero i pubblici monamenti- „ Io so (scrive ^, il Tiraboschi) che alcuni moderni scrittori usa- ,, no assai sovente di dire che Roma fu arsa , fu ,, distrutta, fu quasi atterrata dai barbari; ma non „ credo che essi ne possano addurre in testimo- „ nìo alcun' autorevole scrittore . -Di rapine , di ru- „ bamenti, talvolta ancora di strage, trovasi bensì ,, menzione nelle loro opere, ma di ruine e di „ distruzione non già,, (i). jSon così però potrà dirsi de longobardi suc- cessori de'goti . S. Gregorio detto il grande , che se- dette nella cattedra di s. Pietro dall' anno 5go fino al 604, ci ha lasciato il luttuoso ragguaglio dello stato della Italia e di Roma sotto il regno de' lon- gobardi . Spiegava egli le profezie di Ezechiele quan- do circa l'anno SqS Agilolfo re de'longobardi mos- se col suo esercito verso Roma . Quali tracce per ogni parte di crudeltà e di furore quel condottie- ro lasciasse , sentiamolo dallo stesso santo ponte- fice.,, In ogni luogo veggiam dolore, in ogni luo- », go udiara pianti . Distrutte le città , spianati i „ castelli , devastate le campagne, la terra è dive- „ nuta un solitario deserto. Non vi ha coltivato- „ re ne' campi , non vi ha quasi abitante nella „ città ; e nondimeno anche su questi piccoli avan- „ zi dell' uman genere continuamente , e senza ri- Ci) Tiraboschi he, cit. Ub. % cap. 7. Vedi P. Ang-elo di Barga. Foro Tuajan» ^^ n, poso veruno si scagliano nuovi colpi. . . Altri ne 1,, veggiamo condursi schiavi, ad altri essere tronca- „ te le membra, altri essere uccisi,, (i). Collo stesso tuono patetico e dolente passa quindi a descrivere lo stato della capitale, ov'egji risedea . i^, Roma istessa , quella Roma medesima ^, che già sembrava signora del mondo tutto, noi ,, veggiamo quale sia rimasa . Abbattuta da di- „ verse e immense calamità , dalla desolazione de* „ cittadini , dall' impeto dei nemici , dalle freque«t- „ ti ruine . . . Ove è ora il senato? ove è il po- „ polo ? l'ordine delle dignità secolari tutto è pe- ,, rito ... E noi che in sì poco numero siamo ^, rimasi, pur nondimeno dalle spade nemiche e ^, da innumerevoli tribolazioni ogni giorno venia- „ mo oppressi ... I fanciulli, i giovani, i figli del ,, secolo, da ogni parte ad essa accorrevano i\x ,, addietro, per avanzarsi nel mondo, ma ora olii- t» me ! che ella è desolata , deserta , e oppressa da ,♦ gemiti. ,, (a). In altro luogo poi più chiaramente fa cono- scere il carattere brutale de'longobardi. „ La feroce „ nazione de'longobardi, uscita, come spada dal „ fodero, da' loro paesi, contro il nostro capo si „ rivolse, e recò sterminio all'uman genere, che „ a guisa di folta messe era popoloso « fre- „ qiiente. „ Sebbene adunque Venanzio FortunMo ^ che vis- se nel tempo del predetto pontefice, ci dia a co- noscere che a' giorni suoi nel foro di Trajano si recitavano le opere de' poeti (3); ed in conseguen- (i) Hoinil. 18 in Ezech. Tirtiboscki loc. eit. Ii6. 2. toni. 3. (2) Id. dicdog. Ub. 3: cap. 38. Tirabosclii loc, ciU (5) VonanU Fortuna in Epi^^ ad JSerltirwmun .8^0 Letteratura za che questo foro serbavasi ancora intero (i), sem- bra nondimeno indubitalo che il principio della decadenza del medesimo, e delle altre romane ma- gnificenze, dopo l'ingresso del secolo VII debba col- locarsi. Lo stesso s. Grogorio ci fa conuscpre che a' suoi tempi i pubblici editicii andavano tutto gior- no minando, ,, Ma a che parlare degli uomini (di- „ ce egli ), se moltiplicandosi le ruine, veggiamo „ distruggersi gli edilicii medesimi? „ (2) Oltre la invasione longobardica, e la vecchiezza, la stes- sa natura congiurava allora, per dir così, contro i monumenti della prisca romana grandezza. Il me- desimo s. pontefice ci previene che a suo tempo un terribile ed improviso turbine recò i nmunsi guasti alle chiese, agli edificii, ed alle campagne di Roma. „L altro giorno (scrive quel papa) foste „ voi stessi spettatori, miei fratelli, di quel turbi- ,, ne improviso che svelse le annose quercie, di- „ strusse le abitazioni , e rovesciò fin da suoi car- „ diui i templi . „ Altrove poi , dopo avere accennato la profezia di s. Benedetto che dice „ Roma a gentibus non ■exterminahitur , sed tempestatihus , coruscis turbi- nihus , et, terraemotu faticata, marcescet ; soggiunge «osi: „ I misteri di questa profezia sono divenuti •„ pili chiari della luce del sole per noi, che os- ,, serviamo co' propri occhi in questa città diroc- „ cate le mura, svelte le abitazioni, e distrutti „ i templi dal turbine . Dippiù veggiam che i mo- „ numenti della medesima indeboliti dalla lunga ., vecchiezza , con ruine, che tutto giorno si raol- „ tiplicanu, si pareggiano al suolo.,, (0 Fca novelle ilei Tevere, (2) hoc. gìL Fono Tu A j ANO 8i Alcuni liaa supposto che non solo i turbini, la ferocia de' barbari , e la vecchiezza, ma anche Jo stesso santo pontefice Gregorio cooperasse alla distruzione delle romane magnificenze , afìiticliè i pellegrini , che venivano in Roma a visitare i luo- ghi santi , non fossero distratti dalla vista di que- gli oggetti di gentilesimo : ma ,, non vi ha ragio- „ ne, per cui sofiVir dobbiamo (narra il Platina) „ ciò che da alcuni ignoranli si spaccia contro „ s. Gregorio , essere stati cioè per ordin suo dì- ,, strutti gli antichi monumenti di Roma. Vada „ lungi siffatta calunnia da un pontefice romano ,, sì grande, ed a cui, dopo Dio, la patria era ,, più cara della vita . Molti monumenti furon dal- „ la vecchiezza abbattuti , e molli dagli uomini , „ per innalzare colle ruine e sulle ruine de me- „ desimi abitazioni capricciose e a proprio comodo „ destinate . ^, (i). In altro luogo , trattando lo stesso tema , . il medesimo autore delle vite de' papi, si espri- me così . ,, Alcuni autori asseriscono che Sabinia- „ no, ad isligazion di qualche romano, facesse „ spargere la voce calunniosa che il pontefice s. Gre- „ gorio il grande fosse autore della mutilazione di „ tutte le statue antiche di Roma ; la erroneità per „ altro di questa assertiva si è già dimostrata nel- „ la di lui vita. Giacciono al suolo prostrate le „ statue, perchè furono dalla vecchiezza abbalin- „ te, e perchè spogliate delle basi, per cupidigia ,, del metallo e de' marmi : moli sì pesanti noti „ poterono piià lungo tempo sostenersi „ (2). Così parlava e scrivea il Platina nel seco- (1) Plalina in vit. s. G'Vg. (2) Idem in i>it. Fitalum . G.A.T.XYI. $2 Le t t e li a t b r a Io XV, non molto lungi da quella età in cuij»^. Leo- rie da Orvieto^ nella sua cronaca , aveva accennato la pretesa distruzione degli antichi monumenti di Ro- ma, fatta da s. Gregorio, perchè attinto ne avea le mernorle a' fonti limacciosi ed impuri del se- colo XIII . Ma a che mi trattengo a ragionare di un argomento già vittoriosamente discusso da tan- ti autoii di vaglia e dottissimi? Basta fra questi leggere il Gradenigo arcivescovo di Udine (i), il Tiraboschi (2) , ed il più volte lodato chiarissi- mo Fea nel suo critico discorso dato recente- mente alla luce, intitolato novelle del Teve- re (3). La solidità , la evidenza , la forza delle ragioni da essi Sviluppate fanno conoscere nello aspetto il pili luminoso la innocenza di quel som- mo pontefice , e la debolezza delle contrarie oppo- sizioni dal Brukero (4) promosse, e da altri scul- tori , poco amici della Santa Sede e de' papi . Alla ferocia dei barbari adunque >, ai turbini, alla vecchiezza dobbiamo attribuire il principio del- la decadenza delle romane magnificenze, e del fo- ro di Trajano nella epoca succennata . Allora quel suo portico inenarrabile, quell' arco trionfale, il tempio, la basilica, e tutti quegli altri ornamen- ti di cui era abbellito, cominciarono a sentire gli effetti distruttori dell' edace dente del tempo , del- la furia delle meteore, e della irruzione de' longo- bardi . Ma se i venti, la vecchiezza, e le guerre devastatrici guastavano o diroccavano que' monu- menti del genio e delle arti , perchè non veniva- '-••'■ (i) S. Grc^. M. vindicat. cap. 4- (2) Stor. della teli. Hai. lib. 2. toin. 2. pag. 87. (3) Novelle del Terc pag. 4- <-' scg. (4) Bruker. Hisl. crii. /.'hil. to/n: 3. pag. 56o. Foro Trajano 83 no riparati e n'slatirali ? Ciò però non poteva in que' tempi eseguirsi , perchè le idee del buon gu- sto , del bello, del grande, del magnifico erano state da una tenebrosa ignoranza ricoperte: igno- ranza, secondo il Muratori, introdotta fra i popo- li dalla venuta de' longobardi . Questa medesima ignoranza agiva sulle menti in guisa che que' monumenti della romana gran- dezza o cadenti, o sul suolo prosi rati, comparivano agli occhi di chi li riguardava come altretlanli ca- daveri , che appena degnavano di uno sguardo com- passionevole, o che temevano ancoia di rimirare; sicché in tal modo abbandonati e negletti, la ru- vida mano della istessa ignoranza fece quindi sor- gere sulle loro preziose ruine delle abitazioni mo- dellate sul gusto vigente, o ne fece uso pel rico- vero de' bruti, o per disabitati ed inutili io- cali. A tutto ciò si aggiunsero successivamente le disgustose vicende, cui , anche cessato il regno de' longobardi, fu Roma sottoposta, e che portarono la quasi totale desolazione de'predetti pubblici monu- menti. Per non tessere la serie lagrimevole di que- ste vicende , che ebbero luogo nei secoli IX , X, e XI , basta rammentare le devastazioni in quella capitale avvenute sotto il pontificato di Gregorio VII, decorato del triregno nell' anno loyS. Enrico III, in quel tempo imperadore di Germania , avendo mossa una guerra ostinata contro di questo papa, difensore zelantissimo della ecclesiastica libertà, venne in Roma con forza imponente. Roberto Gui- scardo re di Puglia , collegato di Gregorio , entra- to nella medesima città , diede un assalto all' ar- mata imperiale, che gli riuscì di fugare. Quali 6' 84 Letteratura saccheggi, stragi , incendii , e ruine accadessero in siffatta circostanza, li narra il Platina , e dopo di esso, fra gli altri, il Donati (i). Dopo aver raccontato che sotto Leone IK, elet- to l'anno 1040, una grande parte di Roma restò preda delle liamme , questo scrittore soggiunge „ che „ trcnt' anni dopo , essendo papa il detto Grego- „ rio VII, Roma soggiacque ad una sciagura di gran ,, lunga più funesta, per essere stata espugnata, ,, saccheggiata , e incendiata . Il re normanno en- „ trò in questa città per la porta Flaminia ; in- „ contro della resistenza per parte de' cittadini par- „ titanti di Enrico, per cui distrusse col fuoco ,, quanto si trovava dal campo marzo fino all' ar- „ co ora detto di Portogallo . Quindi occupò il „ Laterano , e il palazzo pontificio; e piombando „ da questa parte sopra il Campidoglio da' nemi- ,, ci occupato , si aprì la strada col ferro e col „ fuoco, in modo che quella contrada di Roma fu ,, quasi distrutta e il Campidoglio al suolo ade- „ qualo . „ (2). Disastri di tal carattere, ed altri ancora che a questi si succedettero, uniti alla perdita totale del buon gusto e delle arti, fecero sparire le ro- mane magnificenze ; ed allora fu che il foro di Tiajano restò sepolto sotto le basi delle abitazio- ni , che quinci e quindi , come si è accennato, fu- rono innalzate sulle sue ruine , meno però la fa- mosa coclide colonna, la quale malgrado la for- za doi turbini, della vecchiezza, delle barbariche invasioni , de' saccheggi , e degf incendii, restò fer- (i) Donat. loc. cit. lib. 4- cap. 8. (2) Donul. loc. cil. li/). 4- cap, 8. Foro Traiano 8!)' ma e inalterabile : forse perchè la sua esistenza po- tesse un giorno risvegliare il nobile desìo di rin- tracciare se non tutte , almeno una qualche por- zione degli avanzi di quelle bellezze , dalle quali il circostante fora era abbellito . Eugenio III, che salì su] soglio pontificio nell'anno ii45; sembra che non trascurasse affat- to que'pochi monumenti antichi, che a' suoi tem- pi erano tuttavia restati superstiti , anzi ebbe la cura di farli ristaurare . In seguito però , e preci- samente quando la Santa Sede fn trasferita di là da' monti da Clemente V, eletto nell' anno i3o5, Roma soffrì la più grande calamità . Non solo i profani monumenti ebbero l'ultimo rovescio, ma gì istessì sagri templi, benché di età più recenti dì quel/i, furono sottoposti alla desolazione, e ro- vinarono. ,, La curia romana (scrive il Platina) ,, fu trasferita nelle Gallie, con grandissimo danno „ dei cristiani , e soprattutto di Roma , in cui i „ templi, in gran parte ridotti a solitudine, ro- „ vinarono ,, (i). Francesco Petrarca , testimonio contemporaneo, conoscendo in che deplorabile situazione era Pioma ridotta, vedova del suo capo e della corte, scri- Tea delle lettere veementi e ragionate ai papi resi- denti in Avignone, e gli esortava a tornare nell' an- tica loro sede ,, . Giacciono ruinate le abitazioni „ ( scrive ad Urbano V), vacillano le mura , di- „ Toccano ì templi , vanno in dimenlicaHza i sagri- „ ficìì, le leggi sono conculcate. Vacillano le abi- „ tazioni santìssime degli apostoli l^ietro e Paolo, „ anzi può dirsi che sieno divenute mine, ed un „ mucchio di sassi , che eccitano i sospiri anche (0 Flallna in Clcinenl. V. 8'i L E T T K n A. T U li A „ ai cuori indurati ed insensibili come que' sas- „ si istessi „ . (i). Del tenore medesimo , e col medesimo tuono lugubre e compassionevole parla ancora a Clemente V. „ Quanti sono i templi che io ,, rimiro, quante le rocche, altrettante ferite Ja- ,, cerano l'anima mia . Le mura confuse colle fre- ,, quenti mine , non presentano che gli avanzi ,, funesti di una immensa e addolorata città, e trag- ,, gono dalle pupille degli spettatori un fonte di la-» „ grirae „ (»). Gregorio XI , creato papa nel 1870, tornan- do da Avignone in Roma nelf anno iSyG, portò la speranza di veder dileguate le nere ombre che ricoprivano il volto di quella capitale . Al suo arrivo ,, le mura (narra il Platina), le basiliche, ,, i pubblici e privati edificii da ogni pé^rte mi- ,, nacciavauo ruina „ (3). Egli prestò qualche soc- corso a tanti mali , ma il periodo di soli due an- ni di sua vita fece svanire le speranze de' roma- ni. I papi successori poco poterono occuparsi del benessere di Roma , o per la brevità della loro esi- stenza, o impediti dai torbidi dello stato. Quindi succeduto il noto scisma, quella città ebbe la dis- grazia di perdere nuovamente i suoi pontefici . Giica l'anno t^^Z Martino V fece ritorno al- la sede antica di questi; ma in quale stato afflig- gente egli la ritrovò? „ Ritrovò Roma talmente ,, devastata e distrutta (scrive il lodato Platina,) ,, che non avea più lo aspetto di una città. Avre- „ sii veduto le case cadenti, abbattuti i tempj, de- „ serie le strade, in una parola una città scono- (1) Petrarc. cpist: Uh. 9. cpisi. 1. ad Urb. V, (i) Idem. loc. eli. Epist. cui. Clcinen. V. (3) Plcdina in Grc^. XI. Fono TK/!LJA>ro 87 „ sciuta, e fangosa . „ Mosso da questo quadro, luttuoso della sua capitale , Martino Y vi fece gran- di ristauri , ed i suoi successori egualmente imita- rono le sue plausibili cure . Ei'a però riserbata ad un gran pontefice la nobile idea di ridonare a Roma l'antico, o almeno uno splendido lustro. Sisto V, che ascese sulla cattedra di s. Pietro nell'anno i585, era dotato dal- Ja natura di un genio vasto -,, h nihil medium (di- ce uno scrittore moderno ), sed immensa 'vohebat animo (i) ,, Sisto V (scrive il continuatore di Platina) „ adornò Roma di un numero così grande di fab- ',,'briche e di strade, che deve giudicarsi averla vo- -,, luta rinnovare, e non già ristaurare ,, (2). * Ai tempi di questo pontefice il foro di Tra- 'jaho era talmente sparito che il basamento delia istessa colonna coclide non era visibile, perche ricoperto di ruine e d imtpondezze. Anche qui si riv elisero le cure di quel pontefice, che avendo fat- to riinòvere la massa delle dette immondezze, ri- donò alla luce l'indicato basamento , e le prege- vòlrscùlture che lo abbelliscono, (i) Forse in que- sta circostanza fu trovata fra le accumulate rui- ne' la testa della statua di Trajano, la quale , se- condo la testimonianza del Ciaconio , fu insegui- to trasferita nel palazzo del cardinal della Valle. (3) Fece ristaurare ancora la stessa colonna in qulaclie ■*^' (i) Sandini vii. Pont. Rom, in Sixto f^. (2) In vita. Sixti V. ' (3) -SIXTyS . V . PONT . MAX . B . PETRO . APOST . PONT . AN - IV. Vedi il CiacOnio loc. cit. Il PitiscO loc. cit- art. CoZiz/nMO. 11 Dona- to toc. cit. Uh. 4- cap. 12. Angelo di Barga presso il lodato Cj.i- ponio, il quale ripoi-ra uà epigramnia allusolo 88 I< E T T B R A T U n A parte, ove era siala dal tempo guasta e corrosa; quindi sulla sommità della medesima fece colloca- re una statua di bronzo dell' altezza di quattordi- ci palmi, rappresentante 1' apostolo s. Pietro. Que- sto avvenimeeto seguì nelT anno i589, quarto del di lui pontificato, con ibrme risulta dalla iscrizio- ne in lettere cubitali sul capitello scolpita , che in un colla statua predelta anche presente è visibile. Gosì quella coclide colonna che sul princi- pio del secolo II dell era volgare fu costrutta e ia- naizala per immortalare le belliche imprese di un principe pagano, malgrado la ferocia dei barbari, il furore dei turbini, degl' incendii, delle guerre, e la potenza distruggitrice del tempo, si mantiene sempre immobile e illesa , quasi che la divina pro- videnza , ne' suoi eterni decreti , avesse già stabi- lito che, dopo un lunghissimo periodo di anni, e nel secolo XVI delf era medesima,. servir do- vesse a presentare alla vista dell'universo, ed a so- stenere la sagra immagine del principe degli aposto- li del Redentore, e di uno dei più intrepidi ban- ditori e difensori della vera religione , che sì sta- bilì prodigiosamente sulle ruine di quella di Tra- iano, e del paganesimo, e delle massime divine delle quali derivò la rigenerazione del genere umano. Saivte Viola Continuazione delle lettere inedite del conte Giulio Perticari . X crchè molli hanno mostrato piacere che le let- tere del Perticari venissero continuate in questo Lettere del Ferticari 89 tiornale, noi ben volontieri le siamo anelate cer- cando presso gli amici suoi, e qui le offriamo a've- ri conoscitori d'ogni bontà di scrivere . XVI Al sig. conte Leopoldo Annaroli . Àpignano . Ho letto , ho riletto , e son tornato a rilegge- re la grave e dottissima vostra dissertazione. Po- scia ho fatto che la leggano tutti quelli che hanno fior di sapienza , e quanti amano il vero e la sacro- santa filosofia . Così quel vostro scritto è passato e volato dall' una mano nell' altra, finché alfioe non è più tornato a me: anzi se n'è gito in In- ghilterra , ove l'ha portato il marchese Antaldi , pensando ch'ei possa giovare la causa della regi- na. Vedete or dunque quale accoglienza, anzi qual festa gli abbiamo noi fatta : e quanto io mai deb- ba lodarvene e ringraziarvi . Ma perchè quest' uf- fizio vi sia più grato , ecco io scelgo a recarvene testimonio il vostro e il mio Tambroni , die a vo- ce vi dirà quelle cose eh' io male saprei signifi- carvi per lettera . Fateci sovente di questi doni ; ajutate la povera giurisprudenza: e vene saprà gra- do ogni buono , anzi l'intera umanità , alla quale non è rimasa altra speranza che ne'pochi magnanf- xni vostri pari . Mi raccomando alla bontà ed ami- cizia vostra. State sano . Di Pesaro a' 19 di ot- tobre 1820. XVII M sig. marchese Gio. Carlo di Negro. Genova, V ho promesso di scrivervi , e il faccio più presto che forse non v'aspettate . E quel che più , non solamente vi scrivo , ma vi vengo inqanzi con co L E T T E 11 A 1- U n A un regalo . Questo è la conoscenza di due amici mipi V degnissimi dell' amicizia vostra sì perle do- ti deir animo, come per quelle della mente. L'uno è il conte Paoli : il cui nome è già caro a quanti conoscono le scienze, e specialmente la chimica , L'altro è il marchese Baldassini , felicissimo culto- re della storia naturale e della fisica . Farete loro grazia se farete che conoscano il nostro Mojon , quei raro lume della vostra Genova : cui direte mille cose per parte mia . Di più non iscrivo , perchè ogni parola sarebbe scarsa al paragone del \. mento loro e della cortesia vostra . Addio . Te- netemi vivo alla memoria dell' egregio Gagliufii : e ricordatevi che ninno mi può vìncere neJl amaiv vi. Addio. Di Pesaro a' i3 di dicembre 18211^ XVIII j41 s'ig. conte Francesco Cassi, S. Costanzo . Mio Ghecco . Del non avermi tu scritto ne' giorni andati , non ti chiamo già in colpa , essen- do tu mio creditore per due risposte. Del hon aver \ poi scritto io , m'assolverai di buon grado, come i rifletterai che in qtiesti pochi dì sono stalo vera- ■ mente sfolgorato dalla fortuna : avendo in questo ^ breve giro vista ia mia Costanza pressoché vicina al morire, perduto un bel figliuoletto dopo 18 gior- I ni di vita , e sofferto io stesso una non breve ma-^ f Jattia tra per lo timore della moglie e il dolore del figlio . Dopo ciò non occorre che di più ti di- ca a mia difesa . — Non posso dirti in quanta pena io entrassi, quando sentii le triste novelle della tua cara Elena . Ed era già in sullo spedirti un espres- so jeri nel momento stesso , in che il padre tuo mi mandò avviso che ogni pericolo era cessato , ed I^ETTEKE DKL PeRTICARI yi •gni timore quindi dileguatosi . Per ramore perù che mi stringe a tutte le cose della famiglia tua debbo confessarti che non sono ancora tranquillo, e che voglio che tu stesso me ne dica . Fa dunque ,di compiacermi : che in questo farai cosa gratissi- raa alla mia Costanza e a mia madre , che ne fan- no le maggiori premure del mondo . Salutami i tuoi e gli am^ci : edamami siccome io t'amo. A Dio. Di Pesaro a'r>,4 di marzo i'8i4- XIX ÀI medesimo . Ivi . Se tu stai sano , è buono: io ancora sto sa- no. Abbracciami la tua moglie e la figliuola tua, e ricorda loro il tuo Giulio altra parte di te. Tra pochi dì ci vedremo , perchè ho fermato di ve- nirne alla fiera in sul fine del mese: né verrò sen- za recarti un presente che ti sarà gratissimo . E questo è Tottimo e bravo Costa , che tornato di Napoli, si ristora meco delle sofferte fatiche ne'bea- ti ozj del nostro sant' Angelo . Egli desidera di conoscerti, e credo in te ugual desiderio; onde la farò da Mercurio per servire all' amicizia d'entram- bi . Ma io non posso mover di qua senza aver co- piato il mio. manoscritto del Dittamondo di Fa- zio: del quale, grazie al cielo, son quasi a ter- mine. Mi manca , vedi disgrazia, la carta per iscri- vere : giacché qui non si trova di quella , colla quale incominciai il lavoro: ed è pur du( pò con quella finire. Questo foglio in che scrivo è il mo- dello di essa. E ti prego a spedir quanto prima in Senigallia dal Cotoloni , che debb' essere già in fiera, oda alcun altro cartolajo , s'egli non vi fos- se , ond' io possa aver subito questa carta desid^- i'yz Letteratuha ralissima . Mi raccomando di sollecitudine , se mi vuoi vedere a te: che prima ch'io non abbia fini- to questo scritto non posso muovere del mio ri- tiro . Agli amici tutti , ed a le principalmente mi raccomando. Di s. Angelo . . . luglio i8i5. XX y4l si^. cav. Luigi Biondi . Roma . Vedi bel caso . Quando m' hai chieste colla tua lettera quelle mie vecchie carte sugli estem- poranei, io le aveva proprio sul tavolino, e vi scarabocchiava sopra alcune correzioni ed aggiun- te . E certamente mi sono rallegrato in vedere co- me tu sempre tieni viva memoria del tuo amico e delle povere cose sue . Il qual piacere è cresciu- to in considerare che mi procacci l'onore d'essere nominato in quell' opera del eh. ab. Cancellieri , ch'Io venero come principe de' viventi eruditi nel- le co'so italiane . Che veramente non so chi siavi in (juesta età che servi memorie delle nostre glo- rie domestiche quanto il Cancellieri , che solo omai si rimane della venerabile scuola de' Tira - boschi, de' Zaccaria, e de' Muratori , e degli al- tri eruditi della passala generazione , la quale in questi cari studii fu beatissima . Solo mi pesa che si vogliano pubblicare quelle stanze meschi- nelle, ch'io cantai teco in quella mia prima infan- zia poetica. Sono già dodici anni, mio caro Lui- gi , che noi passavamo i nostri lieti giorni cantan- do : e promettendocene diletto , e non gloria : ed il rileggere quelle inezie canore ora non mi sa- sebbe dolce che per la memoria di quell' antico diletto . Ma nel restante ti giuro , che me ne ver- gogno meco medesimo : e vorrei che versi cotan- Lkttììjib del Perticari 93 lo sconci fossero cancellati da tutte le memorie del mondo . Ora pensa che dolore n'avrei se li ve- dessi in istampa , ed in un libro classico , che durando certamente più d'ogni altra mia cosa , porterebbe il mio vituperio fino ai più lontani ne- poti . In quelle ottave non vi sono altri sofl'ribili versi che i tuoi = e da questi coglierai gran lode . Ma che lode sarebbe a Pilade il figurarlo con Ore- ste scannato a'suoi piedi? Ora tu fa ragione ch'io in quel libro ti giacerei ai piedi in quella forma : il che ti sembrerà al lutto indegno della tua stes- sa umanità. Mi pare adunque che in quella storia potrassi parlare di quell' ardito nostro esperimen- to , senza riportarne l'esempio : o al più col citarne sole alcune tue ottave fra le migliori . E se a me vorrai ch€ si conceda luogo fra la nobilissima turba , lascia ch'io ci venga in mi^jlior veste , « tale che sia detto degno della tua amicizia . Ev- vi un mio canto estemporaneo a rime obbligata sovra l'amore di Leandro , che levò tanto plauso tra quelli che l'udirono, ch'io stesso me ne pia- cqui . Questo adunque ti manderò : e tu ne farai a tuo senno : siccome ancora farai quello che t'ag- grada intorno quel poemetto dell' Jurora: che ad ogni modo io sono fatto per amarti e stimarti tanto , da seguire la voglia tua ancorché fosse tutta lontana dalla mia . Ma questa cosa del mio improviso m'ha tolto fuori di me, ed ho lasciato di significarti quello che più mi preme. Saprai ch'io sono giudice aggiunto al tribunale di Pesaro. Il Santucci t'avrà forse detto, ch'io gli scrissi per- chè quel calice mi si allontanasse : e ch'io ho ac- cettato di mala voglia . Ora so di certo che due giudici di Pesaro andranno al nuovo tribunale d'Ur- bino . Procaccia adunque che non mi sia fatto un \ 94 Letteratura aperto, oltraggio , e cli'io sia nominato, come pri- mo fra gli aggiunti, al loco di giudice ordinario. Non .già eh io voglia fare quel maledetto mestiero : ma perchè la cosa mi perviene quasi di ragione , e io la voglio soltanto per avere l'onore di rinun- ziarla e ringraziarne il sovrano : seguitando però a servirlo nel posto d'aggiunto senza onorario . Nul- la aggiungo perchè tu se'il mio Biondi , cioè la cima degli amici. Dunque t'abbraccio, ti bacio, e pregandoti di pronte risposte ti dico addio . Di Pesaro ai 28 di dicembre 18 16. XXI ^l medesimo . li'i. Le mie lettere somigliano la neve in aprile . Tostochè cominciano a sciogliersi , scorrono a tor- renti. Eccoti le stanze sovr Ero e Leandro: che sono la cosa meno iniqua ch'io m'abbia saputa im- provisare . Così se dovrò venire al pubblico non ri verrò colla cuffia da notte e in farsetto , ma con una veste ricamata ad orpello , che già dal mondo sarà tenuto per oro . E questo mi sarà ba- stante: che non aspiro a infrascarmi la zucca di grandi allori : e mi basta se la stringo d'un poco d'ellera; ed anche in questo mi somiglio alle ro- veri . Vedrai che in que' versi io ho forse impro- visatc le sole parole: perchè le cose sono quasi tutte d'Ovidio, del Marino, e di Museo gramma- tico : onde non v'è per me che la lode della me- moria . Né in questi soggetti ciclici si può acqui- stare altra lode, chi non voglia dare nelle strava- ganze. Dunqne non v'ho posto del mio che le for- ile e le voci , e queste ho inchinate e l'orzate sot- to la tirannide delle desinenze propostemi dagli LETTT^r'.RE DEL PeRTICARI Qj tiditori . E se con questo non ho provato ch'io sotx da porre nella reverenda schiera de'poeti estempo- ranei, ho certamente provalo che vero il grande as- sioma d'Orazio : P^erbatjiie provisam rem non invi' ta sequentur . — Per pietà scrivimi che ti piaccia, e che io debba faie intorno lo S. Non vorrei mancare né a te , ne a monsignor Mauri per tut- to Toro del mondo , Trammi da questa angustia mortale , e consigliami . E perchè voglio che tu vegga, e legga, e sappia tutto, t'accludo lettera che in quest' oggi medesimo ricevo dal Monti . Ve- di in che ballo io mi trovi , e ajutami come vuoi : e pensa che io ho sempre mandata l'amicizia avan- ti a tutte le cose: e che al voler tuo si pieghe- ranno tutti i voleri altrui per quanto sieno di per- sone carissime . Veramente questo S. deve aver fatte grandi pazzie per far che i suoi prolettori si cambino a questo modo. Ma io non gli manche- rò mai né del mio cuore, nò della mia penna, finché il mio Biondi , che mi scrisse guardalo co~ me un altro me , non mi scriva solamente guar- dato come u;t poeta . Sono oppresso delia tristezza . Addio, mio buon Luigi. Ama il tuo Giulio. Di Pesaro a'y gennajo 1817^ XXII. j4ì medesimo. I\n. T ho scritto e molte volte: e non ho anco- i-a la consolazione d'una risposta. Mio caro Luigi ! E che t'ha latto il tuo Giulio ? Non son dunque io piij l'amico della tua giovinezza ? Il tuo più cal- do e vero e saldissimo estimatore? Non so che co- sa pensare. Deh toglimi da questa crudele condizio- ne ; perché il solo dubbio che lu ti sia dimentica- <)G Lettkratura to di me, mi consuma Taniraa. Scrivinìi due sole parole, che mi facciano fede che tu segui ad amarmi^ e basta. Non voglio peccare contra il pubblico ser- vigio , togliendoti alle presenti tue cure (ij. Ma due parole non costano poi tanto, che tu voglia per que- sto infelice sparagno tenere in dolore chi t'ama quan- to la luce degli occhi. Addio. '- Di Pesaro ai 28 d'aprile i8i8. XXIIf. jél medesimo. Ivi. Non posso escire da' confini dello stato senza lasciare all' ultima dogana una lettera per te. La quale ti dica del mio dolore nel lasciarti ; che si conforta solo nella speranza del rivederti. Ho fat- to un allegro cammino : per quanto 1 hanno consen- tito l'acqua , il vento, le cattive osterie , e la via della montagna. Oggi però sai tu dove sono ? In una orribile locanda, mentre Giove e Giunone sof- fiano e adacquano e folgorano l'appennino d'ogni ban- da. E ti scrivo sul Trasimeno, nell' albergo della po- sta, dal tavolino del signor ministro della dogana. Questi è il signor Filippo Bacci, ammogliato a una graziosa e gentilissima giovinetta: la quale per la pes- sima condizione dell' aria e del luogo è caduta infer- ma , e da due mesi soffre di febbri e di dolori in- dicibili. Per quanto ami la bontà e la leggiadria , io ti prego a tener modo perchè il Bacci sia trasloca- to in miglior parte: e se potessi ottenere eh' egli ve- nisse minisiro in Pesaro , te ne sarei grato oltre- modo. Onde qui accludo una preghiera pel sig. P-, (i) Il Jiio:iili era in quel tempo uditore della chiara memorili di moiisigiioi- Tassoni uditore di Sua Santità. LUTTERE DEL PeRTICARI 97 die molto valendo presso monsignor commissario Gasparri , potrà di molto ajutare quest' onestissima desiderio. Perchè di più non mi dilungo: e il rima- nente ti scriverò da Firenze, quando ti dirò di quo' cruscanti, e di quelle sacca di farina ria, - A Pe- rugia ho abbraccialo ii buon marchese Antinori : e ha stretta amicizia con quegli altri cortesi ed ottimi amici d'ogni bene. Fu aperta jer sera la nuova sa- la deir arcadia : e dissero di iarlo in mio onore: e mi cantarono ioJi su! viso che avrebbero fatto ar- rossire Salmoneo e Faraone. Pensa tu la mia confu- sione \ Ma pur ti confesso che quella tanta corte- sìa mi ha preso l'animo : e che non ho parole dì esprimerne la gratitudine.- Salutami gli amici: ama- rai : e sta sano, e certo che ninno può amarti più del tuo Giulio Perticarì. - P. S. Forse la moglie del sig. liacci ti recherà questa lettera : ed allora mi ringrazierai di averti raccomandata una persona co- sì degna del tuo ajuto. Ogni altra mia parola si fa- rà troppa, dopo che avrai uditele parole sue. Ad- dio addio. - Ai due di maggio , alla posti dì Casa del Piano. XXIV. udì sig. Salvatore Betti. Or ciano- Ne più nobile né più gradito dono potevi tu offrirmi , ne poteva io ricevere , di quello onde mi se' stato cortese. Che non so quale memoria per me debba esser più sacra di questa , che ad un tempo mi rammenta e l'avo illustre della mia donna , e l'a- vo illustrissimo tuo (2) : anzi l'amicizia di que' due (2) Intende di due disegni ftuti a mano dal celebre Pickler, e dal Pickler, medesimo regalati a Co;;iino Betti, chiarissimo autore del G.A.T.XVI. 7 9j8 Letteratura grandi uomini ; ed è quasi una tessera veneranda per le famiglie nostre , onde la l'amigliarità Ira i buo- ni antichi annodata mantengasi da" lor nipoti sem- pre viva e crescente. - Il Borghesi ti abbraccia: e mi scrive d avere indirizzata da gran tempo una lette- ra a te in Ancona : offrendoti la casa sua , e i suoi libi-i , e la sua compagnia .E in vero parmi che porto più lieto nou possa aprirsi in tanta procella a un amico delle muse non meno che della pace. Egli crede che la lettera sua non siati giunta : ed io il credo; giacché so b-ne che tu non avresti lascia- ta una tanta generosità ed amicizia senza almeno il conforto d'un ringri^ia nento. - Essendomi state of- ferte alcune modiglie (delle (juali io non io raccol- ta) stimai bene d inviarle al Borghesi , perchè me ne dicesse sopra il suo parere : e le valutasse : ed anco le acquistasse , ove alcuna ne mancasse al suo museo. Ora però egli mi risponde, che niuna è al caso SUO: tranne la sola, che è la raen nobile fra quelle : essendo un mezzo paolo di papa Urbano Vili diverso da un altro eh' egli possiede, perchè porta scritto P. M. invece di PONT. MA-X.Ed ag- gi unge: J7c>co//ocrz/o nella rispondente cartuccia il dop- pio del valore : di che se i possessori non saranno paghi , non monta : dichiaromi pronto a restituire la moneta. Ho poi aggiunto una breve illustrazione del- le medaglie tutte , lusingandomi che non sarà o/fat- to vana agli eredi , i quali co nasceranno il valore di quelle che ameranno di esitare. Queste cose il Bor- gliesi: ed io perciò ti compiego le belle illustrazio- ni , che ti so dire che dovranno piacerti. - Onorami lìù'iMm La coivtwnuzinivi del secolo. Pervenuti essi in potere delsig. SalMitor*^ Bctli, ac fece c;;li un l»el dono al sno dolce amico c maS' stro. Lkttkie del Perticari ». 99 d'alcun tuo comando, o almeno d'alcuna tua lette- ra, la quale mi dica di te e degli studi tuoi. So che ora ti volgi tra le braccia di Melpomene e di Ta- Jia. Se verrà che io mi porti a S. Costanzo, forse godrò anch' io per una sera di questi diletti tuoi. Ed allora ti dirò in voce , com' io sia sempre il tuo eter- no e vero amico. - Di Pesaro a 1 3 di settembre i 8 1 4 - XXV. Jll medesimo. Ivi. Con tutto l'animo ti so grado per la gentile te- stimonianza che m'hai resa di tua memoria , anzi dell' amicizia onde m'onori. La quale non mi po- tevi più chiara mostrare, chenell' assegnarmi sì ono- rato luogo nella tua accademia (3). E a questa ri- sponderò come prima per me potrassi alcuna cosa offerirle , che valga a significazione di riconoscenza. Intanto a te commetto le parti di mio interprete, on- de ad ognuno de' colleghi sia nota la stima som- ma in che tengo l'onore da essi impartitomi. - Già per tuo fratello Venanzio ti sarà stato consegnato il (3) Perle cure principalmente del Betti Panno i8»5 fu restau- rata in Orciano, illastre terra del ducato d'Urbino, l'antica acca- demia de' Tenebrosi sotto il nuovo titolo à'Orcianese di belle lel- tere scienze ed arti . La quale fin da principio andò onorata di mol- ti nomi chiarissimi, e di quelli singolarmente dell' cmiuentissimo Braucadoro proteiiore , del marchese Canova presidente onorario perpetuo , del Monti , del Pindemonte , del Booati , del Perticari , del Mazza , del Cossali , dello Suoochi, del Canterzani del Borghesi, del Fcrroni, di monsignor Mauri, del Cassi , del Peni di s. Costante, del Canali, dell' Antinori , e d'altri tali. Di quest'accademia, e delF esicrue stitto eletto presidente ', intende parlare qui il Perticari. 7' loe Letteratura Boccaccio del Mannelli. E pregoti a restlluirmelo toslochè n'avrai adoperato : essendomi quel buon te- sto necessario per le mie emendazioni Faziane , al- le quali sudo.- Amami , secondo eh' io t'amo : e vi- vi alle lettere , agli amici , ed alla tua madonna. A Dio. - Di Pesaro il i i'ebbrajo i8i5. XXVI. Al medesimo. Ivi. Non ho parole da uguagliare la tanta cortesia vostra : e quindi me ne taccio confuso Veramen- te mi tocca assai questo praeses terfiumdì che mi onorate , né so come sdebitarmene col nostro Sac- ebi'ii , col dottore Marforj , con te, con tutti. Tu dirai loro, con quella usala facondia tua, quante co- se potrai : e poi a te stesso dirai da mia parie quel- le parole , che suoli alle belle glovinotte che t'in- catenano a questi monti. Che se non fossero esse , io so bene che godremmo alcuna volti della soa- vissima tua persona : ed ora tu ancoia avresti go- duto nella mia casa l'ottimo Borghesi, l'Amati , ed il Biondi , tutti ospiti miei. Talché questo mio tu- gurio parrai fatto il tempio della Minerva italica. — Ti mando le tenui opericciuole da me fatte im- primere nel corrente anno : e latte per servire al ca-< so , come vedrai : non già per iscrivere da senno. Quantunque rozze però et male tornatoe ., pure han- no acquistata molta grazia nella voce delia gente -• e perciò solo non le stimo indegne d'essere offerte alla nostra accademia. - Tenetemi tutti fra i vostri cari , eh' io v'ho fra' carissimi : e scrivetemi a Mi- lano, se da que' luoghi posso obbedirvi. Addio—-* Pi Pesaro a' io 4i settembre 181G. LetI'Eìie £>el Perticaìri 1*1. XXVII. Al medesimo , Ivi. Ti scrìvo al suono delle campane, che pian- tono i morti, de' quali è qui ornai spaventoso il nu- mero. Puoi dunque stimare con che cuore io mi sia posto ad esaminare de' versi ; e versi lugubri sic*- come i tuoi. Per quanto però di malizia e dispetto mi si sia cacciato neir anima , io non ho tro. afo in che emendarli : colpa la loro bellezza o la mia ignoranza E quindi te li rinvio così vergini e inte- ri come me gì inviasti. Se non che io penso faresti miglior senno a diffeiirnc la pnbblicizione (ino al ter- mine del vegnente giugno. Peicliètu hai così al ve- ro dipinta la tciribile Faccia di quella ciir(\stia Sonetto di Dante come sfa nel cod. vat. Sai 4 a fac. i35. E certo con pia emendazione che nel- le stampe . N. elle man mostre, o gentil donna mia. Raccomando lo spirito che muore : E' se ne va sì dolente , eh' Amore Lo mira con pietà , che '1 manda vìa , Voi mi legaste a la sua signoria Sì, ch'i' non ebbi poi alcun valore Di potergli dir altro , che : signore , Qualunque vuoi di me, quel vo' che sia. Io so che a voi ogni torto dispiace : Però la morte , eh' i' non ho servita , Molto più m'entra nello cor amara . Gentil mia donna , mentr ho della vita , Per quel eh io m'era consolato in pace, yi piaccia agH occhi miei non esser cara . Salvatore Betti* loG ARTI. BELLE ARTI. IN FVNERE ANTOnI CANOVAE IPICnAMMA . ARTES ET AMICVS. Atnicus . Vosne repente , arfes , nuiic ohmufescere : et acri ISoTi opera artijicum sistere iudicio ? Arles. Mannore qui suerat extinctis aàdere vitam^ Canova interiit-^ nosque patrem gemimus . Amicus . ^t celebrare decet uunc tanti funeris ergo Ingeniuni , et laudes , et henefacta viri . Arles . Vel quod te alloquìmur durum est: nam luctus ut ingen& Jngruit et vuces hiscere posse vetat . IO' VARIETÀ' Nuove osservazioni sopra un plagio letterario , ed appendici sui vetri con epigrafi ciificliCt di Carlo Ottavio Castiglioni. Milano, Tirala, 1822. in 8. di pagine 25. J.1 celeberrimo professore di lingue orientali sig. Castiglioni avca pubblicato fin dall'anno 1819 la illustrazione delle monete cuoche delV imperiale regio museo di Milano; e dorelle vedere usurpate quasi tutte le sue spiegazioni dal sig. dottore Giuseppe Schiepati , in un libro uscito alla luce non molto dopo, e intitolato : descrizione di alcune monete ciifiche del museo Mainoni. Diede per ciò accusa di plagio al secondo con un opuscolo ; a cui questi pretese risponde- re con alcune postille, nelle quali fra le altre cose sostiene, esse- re i libri di erudizione furti da furti, e le illusiraziani pubblicate patrimonio comune. Col presente libretto il sig. Castiglioni rinforza i suoi attacchi contra l'avversario; dimostra partitamente donde sia «tata tradotta ciascuna pagina del sij. dottore ; e ne rileva gli erro- ri ed in arabo ed in altro. Essendo noi digiuni della lingua del co- rano, avremmo potuto consultare due persone, che in essa cotan- to si distinguono , i signori Emiliano Sarti ed abate Andrea Mol- za, meritissimo scrittore della biblioteca vaticana. Per l'indole tut- tavia del nostro giornale , ci parve bastare un cenno del fatto ; a cui soggiungeremo, doversi trovare assai giusta l'inchiesta principale del eh. sig. Castiglioni, che cioè l'opera sua anteriore fosse stata almeno citata nella seconda occupante. S certamente fra tanto numero d'uomini, che trasportati dal- la smania del secolo, comparir vogliono autori , e tutto d'ovunque «i prendono, e decompongono , e raffazzonano; fra tanto numero, sempre crescente di fatiche de' torchj , ella è difiìcil cosa poter di- stinguere a priuu rista l'uswrpato ed il rifatto dal prodotto nuovo ro5 Varietà'' e ^cnuiTTo. A ciò sarebbe d'uopo (jucUa singoiar memoria e petietrA* ziotjc , ch'ebbe uh giudice letterario della gran corte de' Tolomei, «li cui Viiruvio, con la graziosa sua semplicità , narra l'avventura jicìla prefazione al sèttimo libro. Inóltre la infelice necessità di espi- lare gli altrui scrigni toccar dee più facilmente a coloro, che vol- ger si plac(iuero a'iontani paesi d' oriente , a' campi non greci , nò roma'ii, ne nostri, e quindi vienia^^iormente vasti e perigliosi. QtL.'.ct' opuscolo però del eh. autor nostro ascende ad un gradò di utilità j non consueto nelle produzioni polemiche, o di litigio; poiché rappendice contiene varie aggiuiite e correzioni all'opera sua maj-piorc sulle monete cufiche del museo milanese ; e vi si torna a par'are di alcuni vetri con leggende arabo-cufiche, creduti di sosti- tuzione come obsidionale alla moneta di rame , o pesi. Alla secon- da opinione ora propende il A. W, ed invita gli archeologi a nuo- ve ricerche sovra vuia classe di antico non ben conosciuta . Simili rotelline di vetro, fatte a pasta ancor molle, con la impressione di un sigillo rotondo , sono state da noi vedute notate di numeri romani, e se ben ci ricorda, anehe greci. Più leggiere di qualun- que vetreria moderna, appaiono come tagliate a sega, e rozze dalla parte inferiore ; non sorpassano la larghezza del collo dì una bot- tiglia ; e non presentano numeri di grande progressione. Ciò ne ha fatto sospettare che fossero marche annesse alle ampolle de' due li- quidi più. preziosi presso gli antichi , la porpora e gli unguenti . Dovcansi elle infiggere sul primo turacciolo di pece ; dond' eran det- 1-; fjillacio . E ben basia^'a un segno della fabbrica, e della quan- tità in due cose non contrafattibili, e che si guastavano alla meno- ma violazione . Lo studioso nostro collega sig Luigi Vescovali ne possiede una singolarissima, che più ci conferma in qxiesto divisa- incnto. Mostra ella uno di que' grandi monogrammi, che meglio di- rebbonsi poligrammi, da cui risuJta chiaramente nOP*YPA. Que- sti poligrammi sono formati di due aste incrociate ad angolo retto, nel cui centro un cerchietto, o un rombo, fa le veci dell' O e del ncis^=^\jA ^Qcomki ^=^ Gcnercdiu de morbis coz-dis-, ci i>asnruin=^LA terza == Gcncrcdia de afjactionibus tlynainico-organicis orgcaioruin rcspira- iioni inscn'icnliuin ^=1jH q\iHria=^reculiarici de morbis llioracis ^ et vasonon , ci primiim de pecluris contusionibus := Quest' ultima Vari e t a.* ri3* sì divide in sei órdini , dei quali i soggetti sono = VUta san^ui/ica- fionis = sanguinis fiuxus = Rctentiones scm«-uineos = Erysincita -=: Pyorrag-ice= spasmi et dolores =: Qaesta. lezione abbraccia 3? generi. Tractalus VII' Exhibens doctrinain inorborwn sysieinalis lym- phcdici^el orgunorwn secernenthun ac axcernantium. È diviso pur esso in capitoli, ordini, e generi. Tractatus Vili Exliibens doctrinain inorborum organoruin deglutitionis , et gaslro - entericorwn . Tractatus IX. Exhibens doctrinain ìnorboruni sysiemcdis repro- ductionuin . Tractatus X. Exhibens doctrinain morboruin systeinatis inus- cularis . Tractatus XI. Exhibens doctrinain morborum systainatis ossei . Tractatus XII. Exhibens ani/nadirersiones speciales circa mor~ hos positionutn , cetatwn , vitce generis , artiwn , professionuin , cli- matum. ec. ec. ' Recensentur conditiones morbidoe hominis dextri et sinistri^ fcttus , infantwn, pueroruin, puberuih, aslatis provectioris , et se~- nilis; artificuin, luivigantiuin , militum , studentiuin, Ulerutoruni, et madicorunt-, regionwn diversarum . ec. ec. i/a un rapporto fatto intorno la instruzlone del popolo in Inghil- terra appare, che in un anno coi danari provenienti dalle dotazio- ni particolari e dalle Volontarie caritatevoli offèrte nelle diverse con- tee si sono patuti instraire 169, 5i8 fanciulli. I fondi ascendevano alla somma di 278, 387 luigi. Di piCi 4i5 5 65i ragazzi sono stati ammaestrati nelle scuole gratuite, e l^oi, ibi altri nelle scuole della domenica. Per tal modo 976, 32i fanciulli de' due sessi deb- bono la loro educazione alla pubblica carità. Il qual numero equi- vale al decimo della popolazione. Nelle scuole che hanno la loro do- te , la spesa per ogni allievo è di trentasei scellini ( 45. fr. ) alFan- no. Nelle gratuite non oltrepassa i dieci scellini ( 12. fr. 60. e.) G.A.T.XYI. ii4 Varietà' Al cJuarìsshno si^. D. Pietro de" principi OckscctlcHi Biretlore del giornale arcadico. Maurizio Brighenti. JLie presento un saggio di traduzione di alcuni salmi di Davide usciti dianzi alle stampe in questa città. E lavoro del sig. avvocato Giam- battista Spina, del quale si pregia altamente il ceto dei patrizi rimi- nosi , e ogni suo concittadino che tieu caro l'onore della terra na- tale non ultima (e sono pochi anni!) fra le splendienti in Italia per virtù d'uomini dottissimi. Se non mi sviano la insufìjcienza de' mici giudizi , e le tante Iodi che già ne ho udite di gravissimi in- ^co'ni, io spero ch'ella gradirà molto il mio presente, e vorrà or- narne il suo giornale. E con quanto animo ciò speri non le so di- re ; perchè ogni volta che io ripiglio a leggere quelle terzine del sig. Spina, mi si rinnovano alla mente e al cuore la maraviglia e il diletto che ho provato nella lettura della divina commedia, della Iwsvilliana, e degl'inni agi' iddj consenti, de'quali risuona altamente tutta quanta la nostra penisola. L'autore ha sentito la difiicoltà somma di vestire d'abito nazio- nale i sublimi conretti della poesia orientale di David, e in quella sua tersa e nobi'e dedi. atoria all' eminentissimo Sanscverino se ne dichiara apertamente ; ha sentito ancora che sarebbe forse insorta nuovamente una lite anti<-a sulla qualità del metro più atto alla sua versione; enei preferire la terza rima dice modestamente che amerebbe veder confermata questa preferenza Cosi rimoto da ogni quistione , ha provato con questo sperimento che dal salterio si può cavare ma- teria degna d'cjserc cantata collo stile e col numero dantesco . Oh se potessi essere scusato da temerità, quanto volentieri avrei presa questa occasione per ringraziarla con qualche effetto della bontà che mi ha usata annoverandomi fra i suoi collaboratori ! Se nonché io confido che i)uanto giudicherà prudente il mio silenzio, e debito di gratitudine la mia intenzione , cosi il desiderio di ono- rare il sig. Spina diverrà tosto il ?uo e dei letterati che dividono con lei la bella fatica dell'arcadico. Al quale prego una lunga vita per decoro di Roma, ed utile degli studj, e per ma°;giore sua gloria. Varietà* 1 i 5 .Aggiunta de' compilatori . Xie ♦'arie traduzioni che ha l'Italia de' salmi non sembrano aver fin qui tolta la via a nuori tradattori di provarsi in questo arringo, tanto ditlicile per la dissimislianza che corre tra il poetare degli orientali e quello de' classici greci , latini ed italiani . Recheremo qui il primo de' salmi tradotti dal sig. aw. Giambattista Spina , onde 1 nostri leggitori conoscano con quanta bontà di stile e di versi abbia egli saputo voltare e, diremo anzi, adattare la poe- sia davidica alle condizioni del parnaso, italiano. Beato l'uom, che da i pcnsicr de gli empi Torse la mentfr, e per obblique vie Seguir non volle i nequitosi esempi. Beato Tuom, cha di bugiarde e rie Scuole il venen non bebbc, ma fedele Alletta in cor voglie innocenti e pie; E de la legge , ond' è che si rivele La divina bontà , sempre si piacque : O surga W sole, o dentro il mar si cele. Simile ad arbor fia, che in riva a l'acque Si nudre, e cresce sì, che 'I buon cultore Del frutto è lieto che a suo tempo nacque. Esso non perderà fronda né fiore ; E al fecondo alitar d'aura soave Di novo carco reggerà l'onore. JSTon cosi de le stolte anime prave: Non fia cosi; che come polve andranno Sperse da turbo di procella grave. Giudi, atc da Dio tutte cadranno; K senza speme di miglior fortuna. Pondo le premerà di duro affanno. Poi che al mirar quanta virtù s'aduna Noi sentiero de' giusti Iddio sorrise: E lor, che mosser per via torta e bruna. Irato con la folgore conquise. 8* 1 1 5 Varietà* \_jt accademia francese di lettere scienze ed arti stabilita iti Rouet»» propose la qui'stione si lungamente agitata „ perchè possano gV Ua~ ìicmi far versi non rimali „ . 11 sig. Botta , celebre autore della sto- ria d'\mcrica, ha risoluta la quistioiic con precisione G cliiarezza nel modo seguente. Le altre nazioni non possono verseggiare senza rima , perchi? i loro versi non avrebbero armonia ; all' incontro la versificazione italiana non ne abbisogna. Le cagioni che le permettono di trala- sciar la rima sono: i. la graade facilità di accavallare: 2. l'invcrsio- ne delle frasi : X la moltissima varietà degli accenti in relazione alla loro giacitura : 4- l'abbonilanza delle lunghe e delle brevi , che generano tanta variazione nell'armonia: 5. la diversità dei riposi clie si possono distribuire nell' andamento del verso : G. ì periodi più o meno lunghi che distruggono la monotonia: 7. in fine la su- blimità dello stile, a cui s'innalza la lingua poetica it.iliana, più d'ogni altra liagua. Il Botta osserva che chi togliesse le rime alle più belle ottave del Tasso e dell' Ariosto, esse diverrebbero insulse, nel mentre che per altra parte si rilegge sempre con un nuovo piacere l'Eneide tradotta da Annibal Caro . A noi sembra che il Bot- ta abbia omessa un' altra fortissima ragione , soprattutto applicabi- le alla lingua francese , ed è l'estrema povertà di questa : per la quale povertà essa è costretta adoperare «ella poesia sublime le vOoi e i modi usati dal popolo. E se a queste voci tolgasi la rima, non rimane più traccia di poesia ; giacché la mancanza d'armonia non la lascia p-i distinguere dalla prosa , anzi dal parlare stesso del- la moltitudine. La lingua italiana all'incontro è ricchissima ed ha, per cosi dire , tante lingue quanti sono i varii generi della poesia: pcrc'nè non si potrebbe per noi usare nella satira i modi o le vo- ci dell' epia o della tragedia: ne in queste quelli della lirica, al- la quale mal si confà lo strie e le voci del bernesco o giocoso , e del famigliare. La prosa stessa italiana ho lo stile suo proprio, nel quale dcbbonsi sfuggire del pari il parlare de' poeti , e quello del popolo. Da tutte queste ricche varietà della lingua nasi e pure in noi la facoltà di s rivcre ponsia senza rima ; e soli , in ciò , fra gli Clini popoli raviomigUamo ai greci e ai latini. Varietà"* ' ii-j ìÀulo)^, dì quCsla canzone ò il signor marchese ^niinori di Perugicti, tino de'' gintili nostri collaboratori. AL MIO BOSCO 1 L R I T I R e. Plwnina eimem sylvasque ino-Iorius. Virg. Gearg, llb. II. V./jolitarJo e tacito Asi'I del mio riposo, O cura mia gradevole , Ameno bosco ombroso, Pc" tuoi diletti a pascere Io vcgno il cor sovente, E di tue care immagini A confortar la mente. lEntro il tuo seii me scevero Dal cieco vulgo e rio, E il cittadino voi-tice D'error, di vizj oblio. Qui tutto solo io medito , E talor canto e scrivo : È mentre bene ascondere Me cerco io qui, ben vivo, (i) Qui ad incontrarmi voland La Voluttà, la Pace, È de' cortesi zeffiri L^amico stuol vivace. Che mollemente scuotono Degli alberi le cime , E dolce a Talma spirano Malinconfa sublime : Malinconia , che un facile Spiega talor sorriso , E di soavi lagrime Talor ne bagna il viso. Assorto in plaoid' estasi Allor tutto il pensiero, , D'ogni altra cura immemore^, 11 bel contempla e il vere- li bello , che mal cercasi Lontano da natura , j Il ver, che di rado abita Fra popolose mura : Ma in selve ha stanza , e corsero Qui d'esso i saggi in traccia» Che fra i clamosi portici Mal ne scovrir la faccia. Meco talor qui scendono Le caste aonle suore , Che i verdi seggi bramano Ed il selvoso orrore, É le fresche ombre mobili De te agitate fronde , E di miti aure il fremito E il gorgogliar de l'onde^ Impazienti chiedere Sembrano alIor la lira Le man , g i estri lampeggiano, E. i carmi il nume inspira. (i) Bene (jui laiuit , Itene vixit. ii3 Vau 11 nume , a cui Targenteo Arco su l'oiner suona, Ch' ama i recessi ombriferi Di Cirra e d' Elicona. E gli ermi Loschi amarono Pur sempre i saeri vati, A deità benefiche Da loro in guardia dati. Io vi saluto , o amabili Custodi del bel loco , Bionde vezzose Driadi, E fauste ognor v'invoco. Queste frondose roveri Crescan per voi secare, ^c ramo d''esse offendere Osi profana scure. Con lor protette crescano Tante memorie grate Sul non infido còrticc Già di mia man segnate. E quando il sol più fervido Del cicl dardeggia in mezzo , A me ospitai ricovero Dien sempre al dolce rezzo . Grato io ver lor qui teneri Nudrir pur godo affetti, E amo con lor dividere Le pene ed i diletti. Mesto con esse io dolgomi , Se autunno il bel ne toglie. Fin che a la terra rendono Tutte le verdi spoglie. I E T A Con loro esulto al ricderc De la stagione allegra. Che a' nudi prati e a' vedovi Rami l'onor rintegra: E come qui rinnovasi Ciò che distrusse il verno , Sclamo: oh perchè degli uomini Non fassi egual governo ! Ahi non rin verde , e rapida Fugge l'umana vita, 3Mc torna più. a sorridere Per noi l'età fiorita ! O tu, che spesso io visito. Mio confidente amico. Di queste piante altissima, Bruno cipresso antico , Presto nude ossa e polvere M'avrai sotto quel sasso, Ch' Ora al tuo piede accogliere Me suol vagante e lasso : E sul mio capo crescere Quest'erba e questi fiori Vedrai, che or me consolano Co' più soavi odori. E tu, del bosco o aligero Cantor dal dolce pianto. Forse anco il mesto cenere Lusingherai col canto : Mentre verran qui al pallido Kaggio d'argentea luna I fidi amici a spargere Lagrima forse alcuna. Varietà' ng S Paradiso perduto dì Gio. Milion tradoUo dal padre Gio. Fran- cesco Cuneo d''Onviìio, chierico regolare della madre di Dio, con prefazione e noie di M. C. I). 0. editore. Tomi 2. o//rtf. gr. Ro- ma 1822., per F'incenzo Foggioli stampatore camerale. y^nesta traduzione è in otta>^a rima , ed è opera postuma del p. Cuneo d'Ornano . Renderemo ben presto conto di questo lavoro che, in generale , ci sombra molto iFclice , e ripieno di quegli spiriti poe- tici che valgono tanto a trasportare dall' un idioma nell' altro tut- to il foco dell' originale. MATillFESTO DI ASSOCIAZIONE, JL^ssendo cosa 'utilissima moltiplicare i mezzi , per li quali ogni maniera di persone possano leggere gli antichi autori , di cui non intendono la lingua, abbiamo pensato di pubblicare l'intera tradu- zione delle tragedie di Sofocle fatta dal chiarissimo signor marche- se Massimiliano Angelelli bolognese . Per essa traduzione chiunque è indotto del greco idioma può farsi un esatto concetto del- le bellezze originali di quel grande autore vero maestro della tragedia , e gustare quel diletto che nasce nell' animo dalla loro lettura a cui è dato d'intendere la greca favella. E certamente può dirsi , senza tema d'offendere il vero , che in cotesta traduzione si trovano accolti tutti quei pregi , che sparsi in altre s' ammirano ; essendo che o si voglia considerare la fedeltà non timida o servile, o la nobile locuzione veracemente convenevole ai tragici alfctti, o l'eleganza dello stile, o la proprietà delle voci, ola variala e so- stenuta armonia del verso, egli e forza confessare che l'illustre tra? duttore ha saputo meglio di ogni altro profondarsi ne' concetti di quel divino , lume ed onore del greco coturno. Queste tragedie furono stampate separatamente dai fratelli Ma- si per conto del traduttore , il quale avendo fatto dono di po- chissime copie ad alcujii amici , ha lasciato in molti il desiderio di leggerle e di possederle, 11 perchè, dietro le ricerche che ne ven- gon latte continuamente , qì siamo iiroposti di farne u^na nuova^td^- j J20 V A 11 I K T A* zioDC, arnecliùa di molte cose inedite , di cui ci e slato cortese Vìi» lustre traduttore , il quale si è pure esibito graziosamente di for- nirla di note opportune e di discorsi utili all' intelligenza d'alcuni passi oscuri di esse tragedie. Tale edizione si propone ora al pub- blico per associazione sotto i seguenti patti e condizioni. 1." L'edizione sarà in 4-° reale di circa 5o fogli di stampa , car- ta velina , divisa in due volumi contenenti la traduzione delle tra- gedie predette, le noto alle medesime e gl'indici necessari. 2." L'edizione si eseguirà sotto gli occfti del traduttore stesso. 3." Sarà corredata dell'incisione in rame di medaglie .e di mo- numenti utili all' intelligenza dell' opera. 4° Nessun socio sarà obbligato al pagamento se non all' atto della consegna del primo volume , la quale segiiirà nel più breve tempo possibile. 5." Il prezzo d'associazione è di bajoccbi j tanto per ogni fo- glio di stampa, quanto per ogni tavola in rame. 6." II saggio della carta e dei cai-atteri e quello del presente manifesto. y." L'associazione resta aperta sino al giorno , in cui uscirà il primo volume ; dopo il qual termine il prezzo dell' opez-a sarà au- mentato di un terzo. 8." Si stamperanno alcune poche copie in carta veliua cerulea, le quali costeranno un terzo di più. 9." Ciii vorrà associarsi si compiacerà di firmare di propria ma- no la modula unita, e tale sua firma si riterrà. obbligatoria nelle più valide forme. IO." Le . associiizioni si ricevono in Bologna dallo stampatore An- Tiesio Nobili , e nelle altre città d'Italia dai librai distributori ('ci presente manifesto. 11." Le spese di porto e dazio saranno a carico dei signori as- sociati, il catalogo de'quali verrà stampato nell'ultimo volume. Bologna 20 agosto 1822. Gli Editori, In Roma si riceveranno le associazioni anche alla stamperia del giornale ar> adii:o . Varietà' i2i Collezione dei cìassìci laiini con noie e coìmneniarti dei piìi rino- mali Jìlolpgi ani ichi e moderni. Torino, dcdlu iredova Tombu e Ji~ gii. , Condizioni dclV associazione. A*l Q« 'uesta collezione comprenderà non meno di cento volumi in 8.'' grande. . , .«oicrmr, . La carta, ì caratteri , ed ogni altra cosa relativa , tutto sarà esattamente conforme alli quattordici volumi fin qui pubblicati. Saranno prese di norma le più riputate edizioni , pubblicate dai celebri Oberlino , Doering, Drakembork, Heyne, Schnei- DER e simili. Un dotto professore delle lingue greca e latina ne di-* rJge con tutto lo zelo la parte letteraria, facendo la scelta dei testi e delle note, cui debbono servire di norma, assistendo colla mas- sima esattezza alla correzione di stampa. Il prezzo è fissato a 20 centesimi per ogni foglio dì stampa di 16 pagine; per la legatura alla rustica si pagano 26 cent, ogni tomo, ed i ritrajtti degli autori, e le carte che andranno unite agli autori storici, si pagheranno separatamente ad un prezzo di- scnetQ secondo la qualità del lavoro . I volumi già pubblicati, di cui qui sotto ne diamo la nota, sono la più certa prova delle cure che ci diamo per la buona riu- scita di una_-e«si importante raccolta; rispetto al merito della cor- rezione, che è vina cosa importantissima, non spettando a noi di lodarla, mandiamo i nostri lettori a riconoscere il giudizio, chs ne diedero i più rinomati giornali d'Europa. Volwni Jin qui puhblicaii. Cbsabe: Commentarli secondo redizione di Obetlino stampata a Lipsia . . . , ,...., „ 2 Tacito dello stesso Oberlino , secondo V ultima edizione di Parigi „ 5 Catullo di Doering, secondo l'ultima edizione di Lipsia . . ., 1 Tibullo d' Heyne , secondo l'ultima edizione pubblicata in Li- psia da Wunderijkio ,« si 133 Varietà' Properzio di Kvinoel conformo l'edizione di Lipsia del iSoB» il 1. voi » » • - „ L Patercolo ; conforme l'edizione di Leida pubblicata dal Ru- Inikenio, il i. voi , »♦ "^ Ovidio: secondo l'ultima edizione di Parigi, i due primi Vifti^i- ' mi che contengono tutte le cose amorose ■i'-,^ 2 Stanno sóllo i torchi . La continuAzioiie d'OviDio .- H;secondà:;fed uldmo volume di Velleio PATERCOiyd 'Oiia ^ *^'^ Il secondo ed uUiino volume di PnoPERZio. - " • -- r Lo !5V£T0Nio di Baunigarten-Crusio i stampato in Lip'sia i8i8 , à voi. in 8. Le vile di GoRSEiiio Nipote .■ Fallano 7 settembre ^^21. ±1 mattino del dì 4 corrente venne perturbato da un tragico av- venimento . Essendo stata nella sera del di aniccedente tumulata una bambina di circa tre anni, insorse contesa fra i genitori di questa, ed uno dei becchini, richiedendosi da essi la resti luzione (li un semilacero grembiale servito per la pompa funebre della bam- bina. II becchino, forse innocente di questo furto imputatogli, af- lìn di sottrarsi alle contumelie ed alle minacce degli accaniti ge- nitori, o volendo date una testimonianza della propria onestà , pro- pose il compenso di scendere egli medesimo nella fossa sepolcrale del cemeterio onde rendere agi' indiscreti requirenti l'indicato grem- biale. Vi discese infatti per mezzo di una scala, dopo essersi fatto mezzo assicurare con una fune sostenuta dal capo del suo mestie- ro , ed avendo nelle mani una ben luminosa fiaccola. Lo spegner- si di questa non lo avvertì a rinunziare al concepito disegno, ma giunto egli a contatto dei cadaveri si rotolò sopra di essi . Il suo compagno spettatore all'orlo del sepolcro perdette la maniera di ri- trarlo al di fuori , lo abbandonò per divulgare la notizia dell' av- venuto . Intanto fra la inerzia di n olii il signor Alessandro Pc-^ Varietà' i23 trarea si portò di volo sulla faccia dei luogo con zelo molto fi- lantropico per soccorrere il perduto becchino , fissò larga mercede ad un tale solito ad espurgare le coudutturo di latri. le om'e scen- dendo nejla _fQ,ssa. a qualche . altezza procurasse recar fuori il medesimo . Conosciutosi per altro prossimo a, perdersi il secomlo ■individuo per "ìa energia della istcisa causa che avea estinto il pri- mo , venne all' istante tratto fuori , e si rivolsero ad esso tutte le "cure onde ricfiiamarlo a vita da queir asfissia in cui era già cadu- to, e fu l'opera del nobil signore coronata da felice successo.. Tra- versa d'altronde già era circa un ora dall'epoca della sventura del primo becchino , e tradotto che fu a luce si rinvenne cadavere . Tanto deleteria e micidiale si fu Tattività dei gas irrespirabili con- centrati nel divisato asilo di cadaveri • Ivi i! gas acido cairbonico , l'idrofosforico , il gas auKnoniacale esercitando sui polmoni del me- schino la loro venefica '.ifitiuenza itidussero in sulle prime in esso uno stato di asfissia , la quale per deficienza di pronti soccorsi «on tardò a vestire il carattere di morte, di cui era nei primi momen- ti soltanto rimmagine. jfabclla (Idto Stato del Tevere v desunto dalT altezza del pelo d acqua sull orizzontale del mare, osservato aie Idrometro di Ripetta , al mezzo giorno. 0 T T 0 BAR l8?3. ìi. ME IR). PALiVil ROMANI- OàSERVAZ)Ui\'l. 1 5,70 25. 6. 0 2 », 27 07. 0. I 3 9 2L» 4i- 2. I L'altezza massima è stata dì 4 0.44 28. 9- 4 metri y, 20. 6 6. yi5 26: 9- 1 L'altezza minima di metri 6 b. SS 26. 2. 1 5, 6rt. 7 ò, } ^7 Il u 1 12 ', 20 28 0 8 9 I 20 0 28 0 8 Jo 6 3i 4 i3 28 0 5 7 I 15 a 28 0 5 »o I 3" 9 28 0 2 '3 ó li'j 2 23 28 0 3 7 6 12 7 20 0 6 ';> 7 27 7 28 0 3 '^ I 34 4 24 35 ad 0 8 I I " .7 8 22 I 28 I 1 16 a 32 9 28 I I 14 4 'S 4 27 3 28 0 8 i3 4 28 0 8 ,6 5 28 4 28 0 2 l5 2 26 27 'I 5 12 0 13 '> 27 1 1 0 14 8 20 2 37 10 6 13 5 16 7 27 27 9 9 II 8 14 1 27 8 0 'S 3 19 1 27 7 7 13 1 M 8 28 ^7 7 9 10 V IO ') 27 7 7 M 2 aO 0 27 8 4 II 7 9 5 2y 27 9 9 1 1 e 16 I 27 lo 7 16 ,s ■'!3 2 27 ir 8 i3 6 02 ' o>> 28 I 0 IO 4 26 7 28 I 0 16 1 38 7 28 0 8 1 3 h i7 ' 3' «1 20 0 8 8 i> 23 1 28 j I 14 4 33 S 28 1 a 12 9 2Q 6 Of^san'aziorìi. Mjle'-cnJf>^icJìe faffe alla .^parola del Colle^. Rpin. Ottobre 1822. .UATl■l^A otatu , l^va- por. I Vento ii.p.s. s.p.n. s.o.n p.n. n.p.s . n.s. n.p i.p.s. .p II. ■;',"■ 2 3^ .lev. im . If V. a trit.qr. ì ira. I Ira. ma. 1 ira, i tra. < tra.gr. J m tra. o lite si. I sr.iev. o inacs. 1 :ra. 1 ni lra.gr. o ini. I ira. 1 ' ra , o />:u. 1 ev.sir. 1 cv.sir. 1 tra. ma, i tr.a a gre. o tra. I btau del ■p.n. s.p.n. s .p.n. s.it. s.n. s n. s.p.n. n.p.s. II. .p.n. p.n. .p.n. s.p.n. !p.n fcr. GIuRlNO Vento 24 i3-, 3 '34 6 6'. gr.lev. 2 po.lib. 1 nie.Iib. 2 pu.nia. 1 gr.lev. I pò Uh. I maps . I /^C» WJfl. o o po.lib. nirs. 1 1 gr./cf. I yKO »Hn. o /HI? //i. 2 r ITI! I r.;ii pan gr- 4 I tìr 4 per Sr 4 per If 4 per Jf 4 per gr 4 per gì- 4 per ;r 4 per il" 4 per ;i- 4 per ;r 4 per i'' 4 per ;>■ 4 per 6>- 4 per Dopo il qu Dopo il quinto parosismo. Dopo il quarto parosismo. Dopo il quarto parosismo. Dopo il terzo I parosismo. Dopo il quarto parosismo. Dopo il sesto parosismo. Dopo il quinto parosismo. Dopo il terzo parosismo. Dopo il testo parosismo. Dopo il quarto parosismo. Dopo il quarto parosismo. Dopo l'ottavo parosismo. Dopo il settimo parosismo. Dopo il quarto parosismo. Dopo il quinto pairosismo. Dopo il sesto parosismo. Dopo il quarto parosismo. Dopo il sesto parosismo. Dopo il terzo parosismo. Dopo il quarto parosiìmo. Dopo il secondo parosismo. Dopo il quinto parosismo. Dopo l'ottavo parosismo. Dopo il quarto parosismo. Dopo il settimo parosismo. Dopo il quarto parosismo. Dopo il quinto parosismo. Dopo il sesto parosismo. Dopo molti pnrosisini. RISULTATI cessazione della maUtUa. guarigione. guarigione. della malattia dopo altro più mite paros. guarigione. Cessazione della febbte dopo altro j^iù lieve paros. Immediata cessazione di febbre. Cessazione della malattia dopo altri due più miti paros. Perfetta guarigione dopo altro più mite parosismo. Immediata guarigione. Passaggio della malattia in aaa febbre continua remiti. Immediata guarigione. Immediata cessazione di febbre. Immediata guarigione. Cessazione di febbre, e notabile prostrazione. Immediata guarigione. Guarigione dopo altro più lieve parosismo. Immediata guarigione. Immediata guarigio Cessazione della malattia Cess i febbre Im mediai Immediata guari; Perfetta guai " Immediata Immediata Immediata Immediata Immediata cassazione Cessazione di malattia Ce^azione di malattia Immediata cessazione Immediata guarigione, guarigioni lupo I di febbre, di malattia, di malaitia. di febbre. : di : alattia dopo altri più 1 di malattia, dopo altra più i di malattia. Perfetta Cessario Immediata Cessazione di mal Immediata cessazii Immediata guarigi Immadiata cessazii Immediata Immediata guarigione. Immediata guarigione. Immediata guarigione. Immediata cessazione di malattia. Perfiitta guarigione. Cessazione di malattia dopo qualche altro parosismo. Immediata cessazione di malattia. Cessazione di malattia dopo altri due più miti paros. Immediata guarigione. Immediata cessazione di malattia. Immediata guarigione. Perfetta guarigione. Immediata ccssaztouc di malattia- Perfetta guarigione. Immediata cessazione di febbre. Immediata cessazione di febbre. Immediata cessazione di fèbbre. I-?() SCIENZE Rapporto di sperienze cliniche sopra il solfato di chinina , di J^rancesco de liossi medico compri- mano condotto nella cittcX di ydnagni. J j interessantissima scoperta del solfato di chi- nina annunziata nei foglio di Rorna dei i3 de! prossimo decorso giugno , che renderà immortale il nome del medico portoghese che ne fu i' auto- re, presenta un argomento irrefragabile della som^- ma influenza della chimica sulla medicina, e dell' impegno deciso con cui i medici - chimici si oc- cupano in questa lelice epoca nelT analisi delle sostanze medicinali . I nomi famosi àe^V illustri chimici francesi , cioè di Vauquelin , Pelletier e Caventou, che confermarono colle ripetute sperien-» ZG r esistenza nella china gialla di un nuovo mate- riale immediato, salilicabile fino allo stato di per- fetta neutralizzazione, cui dal eh. professor Gomez fu dato il nome di chinina : i felici risultati ot- tenuti in Parigi da tre celebri professori di medi- cina Alibert , Magendie e Chomel nelle ammini- strazioni del solfato di chinina contro le febbri in- termittenti: e rassicurazione ricevuta quindi dai dot- ti medici di Milano di Pavia e di Genova dell' efficacia di questo nuovo prodotto chimico nel tron- care i parosismi febbrili ; tosto m'ispirarono una singolare fiducia per questo nuovo farmaco , e mi desiarono , dirò quasi , una smania di sottoporlo alle prove , tanto più che nel loglio successivo di G.A.T. XVT. 9 |30 S e I £ N 8 B Boni» si pubblicò che tale rimedio troVavasi qua» sì in tutle ie farmacie di quella città. Raccoman- dai all' istante a qu della b-^n grande atti- vità del n lovo la mic(», mentie vidi arrestato ali isumie il periodo delle febbii, seguendo un» per- leiu guai , gioite, \iiimalo dai primi lelici risulta- ti volli sottopone ali azione di questo sale un in- dividuo , il (piale da ciica un anno era aifetlo da ft'bbe (pi;i.tana semplice , ed oltre la quan- tità co:i-i.l''i« 'ile di china, presa nei primi mesi d( Ila Sua malattia , avea inutilmente tentato il nuo- To iJSQ della medesima nell' ingresso della prima- Veca. Coa sorpresa generale dopo la propinazioae Solfato di chinina i3i di una ripetuta dose del mirabile rimedia restò egli perlettamente sanato, ed avrebbe continuato ad esser sano, se grandi e trequenti errori inseguito da lui commessi nel regime profilattico, e special- niente nei dietetico , non avessero dato causa al!o sviluppo di nuova febbre e quindi di una dissen- teria , da cui venne liberato, come apparisce nell' osservazione quarta. Dopo i primi spnrimenli sì favorevoli l'egre- gio mio collega signor dottor Cluirulelli, die con molto decoro della scienza medica presta i suoi valevoli soccorsi a questa popolazione, e che sa l'ar conto delle nuove scoperte e profittare dei feli- ci prodotti deir umano ingegno, non tardò di ser- virsi air opportunità in vantaggio da' suoi malati dell'efficacia del nuovo rimedio, ordinandolo coli' istesso metodo, e nell' istessa quantità che si è co- nosciuta necessaria, ed ottenne risubati non dissi- mili tla quelli da me sperimentati , siccome egli mi asserì , e siccome chiaramente rilevai di poi da un prospetto di sue care eseguite col nuovo febbri- fugo , (la lui esattamente redatto , che gentilmente si compiacque di favorirmi e che fa parte di quel- lo eh è stato da me formato. L eccellentissimo -.ìg. dottor Boscami convinto ancor egli della manife- sta e pronta azione del sale febbrifugo non dubi- tò di amministrarlo, al proprio suo figlio, aif^itto di febbre terzana doppia , che ne conseguì imaie- diata guarigione. Intento, al bene dell' umanità con- tinuò quindi e continua tuttora a farne uso, non allontanandosi in questa imponente circostanza ( ciò che non senza mia grande compiacenza sono a ri- marcare ) dal mio sentimento e da quello del sul- lodato mio collega. Molti vantaggi a prima vista conobbi dover- a' j32 Scienze si necessariamente attendere da questa celebre sco* perla, cioè di poter con facilità e sollecitudine li- berare dall'assalto delle febbri intermittenti, talo- ra micidiali, la classe de fanciulli , a' quali era mol- to difficile, e dirò quasi impossibile, di propinare la china, anche in diverse forme preparala , e di potere amministrare il solfato di chinina alla clas- se di quegi individui , che per loro naturale idio- sincrasia non possono assoggetlarsi all' uso della china . Ma fra tali vantaggi vidi che dovea sen- za dubbio distinguersi in primo grado la sua somma ulililà non solo nelle febbri perniciose , particolarmente nelle perniciose emetiche , ma nel- le febbri sub-continue e sub entranti, nelle quali, succedendo ai lunghi e gravi parosismi febbrili bre- vi intervalli d'intermittenza di febbre, ed una pro- strazione, un avversione ai cibi ed ai medicamen- ti e sptsso ancora una tendenza al vomito , non può che una piccìola ed iusufùcienle quantità di china amministrarsi ai maiali atfetti di simili pe- ricolose malattie. Quindi diflicile si rendea la cu- ra di tali febbri, le quali o divenivano in progreS- 6-0 di tempo refrattarie aìl' anione de' rimedj i più energici , o passavano in febbri continue non di ra- do di cattiva indole e micidiali. Venne realizzata questa mia congetturale persuasione, allorché ordi- nando il solfato di chinina ad una giovine, la qua- le avea di già soifetto varj parosismi di febbre sub- conlinua, ed erasi ridotta in uno stato deplo- rabile , fu air istante sanata dopo la mediocre quantità di uno scrupolo di quel sale benelico ad essa propinata. Restai poi di questa verità piena- mente convinto , quando ramministrazione di sif- fatto insigne rimedio produsse in molti casi di gra- vissime itbbri sub-continue gl'istessi felici risulta- iSoLFATO ni CfifNINA. tSà ti, coila sola differenza, che in alcuni indiviflui, ne' quali probabilmente l'agente febbrile premontò mag- giore resistenza alT azione del sale febbiitugo , e ne' quali si svilupparono perciò ne' giorni successivi alla di lui propinazione altri benfchè meno gravi parosismi febbrili, si è dovuto per tale ragione pre- scrivere altra quantità dell' istessò farmaco per ot- tenere la perfetta guarigione. Effetti sì salutari mi determinarono ad ordinare con franchezza questo inirabile medicinale ad un individuo assalito da leb- bre perniciosa emetica: e mentre erd nel unissimo pericolo per la violenza della nlalaitia , si ebbe M comune consolazione di vederlo ben presto sanato^ succedendo una breve convalescenza . In altro caso di lebbre perniciosa cardialgica non tardai punto ad amministrare I istesso rimedio con egual esito felice. L'istessa fortunata risorsa posi a profitto iti varj altri casi di libbri perniciose , e lesilo non fu meno propizio , come rilevasi nel prospetto di cure di sopra accennato. Solo rimarcai , che se nel- le febbri sub-continue fu qualche volta necessario di far prendere una quantità di solfito dupla di quella, che ordinariamente viene prescritta, fu d'uo- po nelle febbri perniciose quasi sempre impiegarne ripetuta quantità , come appunto nelle medesime febbri una quantità considerabile di china anche la più scelta dee Ror^ininis(,rarsi per superare la lo- ro forza micidiale . . Se tanta energia dimostrò ne' primi Staggi il solfato di chinina contro le lébbri inteimittenti le più pericolose e le più inveterate, nelle quali gran- de e talora insuperabile è h reazione delle poten-^ ze nocive; dovea nel me4psimo con tutto il fon- damento supporsì molto ijaaggiiire azìons^ <, e dovea sittende^'sene una sollecita e sicura guarij^\one, ogni-^. qualvolta fosse amministrato anche in picciola quatt"- tità nelle allre frbbri intermittenti benigne e recen- ti, nelle quali latente lebbjiie oppone molto mi- nor Ibiza air attività de' medici soccorsi. Ed infat- ti in tutte le febbri terzane semplici e doppie, li- bere da ogni sintoma grave , nelle quali fu propi- ziato il sollalo di cbinina nella quantità non mag- giore di uno scrupolo , sì ottenne quasi costante- mente una immodinta guarigione, e rare volle que- sta successe allo sviluppo di qualche altro paro- sismo di febbre. Si dee peraltro notare, che le circostanze locali hanno obbligato di apprestare il nuovo rimedio nella quantità quasi sempre non mi- nore di uno scrupolo agì' iniermi al di là dell' età adulta, ed hanno permesso di esibirlo per maggior comodo ed utilità nella dose qtiasi sempre di quat- tro grani per ciascuna presa ; ed in uno spazio di tempo per lo più non maggiore di un' ora fra luna è l'altra dose , facendoci in qualche modo allonta- nare un poco dal metodo che si pratica dai me- dici di Roma nella prescrizione del sale antifebbri- le, e che è stato recentemente pulìblicato . Giac- ché essendo generalmente contadini gì' infermi , ni quali si è ordinato e si ordina il solfalo di chini- na, si è dovuto questo prescrivere in quantità mag- giore dì quella eh' è sufficiente a togliere le febbri intermittenti in altri individui di costituzione di- versa e dotati di maggiore sensibilità. £d in fatti allorché a qualche contadino pel solo oggetto d'evitare maggior spesa è slata amministrata una quantità di solfato minore di quella che gli fu or- dinata , si è in lui ottenuta la diminuzione della malattia , ma non mai la perfetta guarigione; in guisa che ha dovuto egli soffrire la continuazione de' parosisini febbrili, benché di minore intensità. SotPAtd ■? etiiifTirA i35 Si dee anche rimarcare , che in tutti i cà"?i di feb- bri intermittenti, ne' quali è stato ordinato il nuo* Vo febbrifugo, sì è sempre raccomandato che ve- nisse propinato nelle ore apiretiche , incomincian- dosene la propinazione subito dopo la cessazione del parosismo febbrile, siccome appunto si va pra"» ticando nelT amministrazione della polvere di chi- na, essendo stato riconosciuto necessario un tal me- todo per ottenere i desiderati effetti. J\on dee omettersi , che molti degf infermi curati col nuovo medicinale sono nuovamente ca- duti neir istesso genere di malattie dopo Un tem- po maggiore o minore dalla ottenuta guarigione s ma dee peraltro considerarsi , che a tali recidive hanno dato sempre causa gli errori nelle sei cose Jion naturali: e principalmente nel regime dietetico: errori che frequentemente hanno luogo nella clas- ie de' contadini , i quali più degli altri uomini Vanno per questa ragione soggetti ai nuovi attac- chi delle malattie. Le osservazioni relative a tali individui, che sono stati nuovamente assaliti da febbri intermittenti , rendono manifesta queita ve* ri là. Affinchè possano sotto un punto di vista esa- minarsi le cure eseguite nella città d'Anagni di febbri intermittenti col solfato di chmina ^ ho giudicato necessario dì redigere un prospetto del- le medesime , nominando in esso con ordine di tempo tutti i malati sottoposti alle sperienze. Ho stimato dippiìi necessario di aggiugneie una serie di osservazioni , e per rendere più chiaro il pro- spetto , e per non tacere tutti i fatti accaduti nel decorso delle febbri. Jn questa guisa possono quel- li bene esaminarsi, dedurseae delie utili conseguen- te , arricchirsi d'importaatji considerazioni , e pò- i3<5 Scienze tra ancora proporsi , qualora abbia luogo , qual- che questione o dubbio sui vautaggi del farmaco salino . Non debbo finalmente tralasciare di avverti- re , che tutti i malati iscritti nel prospetto di cu- re sono quelli , i quali hanno dato una ceitezz.i di aver preso tutta la quantità di solfato che stata -loro ordinata ; che sono stati passati sotto silen- zio tutti coloro , i quali o non hanno eseguito in- tieramente Tordinazionc , o non hanno esibiti se- gni certi di avere a quella pienamente soddisfatto ( genere di disordini che speciahnente si osserva presso i contadini); e che i maiali ^ ai quali è sta- ta propinata tutta la quantità di solfato ordinata, sono quelli appunto che hanno sempre alla fine ■ottenuti i bramati effetti . Una soia Jiiferenza deesi rendere manifesta, cioè che in alcuni di essi più prontamente, in altri meno ha il nuovo rimedio operata la guarigione, in alcuni con maggiore , in altri con minor dose , per circostanze diverse che non possono sempre facilmente determinarsi, co- ine pei diversi temperamenti , per la natura di- versa della malattia , pel modo diverso di prende- re il medicinale , talora non in tutto corrisponden- te a quello prescritto ( ciò che difficilmente può con sicurezza conoscersi ) , ed ancora , se non to- talmente almeno in parte, per la diversa qualità deir istesso farmaco più o meno esattamente pre- parato , tanto più che il medesimo proveniente da diverse farmacie . Intanto da tutti i risultati ottenuti neir uso di questo celebre prodotto chi- mico sembrami essere in diritto di concludere; 1. Che il solfato di chinina ò un vero anti-» doto di queir agente specifico morboso produtto- re delle febbri intermittenti. L'osservazione ripor» Solfato di chinina 'i-^j lata al n.* i3 sembra dimostrare anche più diret- taiiiente questa verità ; giacché la cessazione del- la febbre recidiva accaduta subito dopo la buona propinazione del solfato di chinina , non può as- solutamente attribuirsi alle forze della natura , men- tre nello spazio lungo di tempo che vi fu tra la primja nuova febbre e l'amministrazione del far- maco, crebbero in guisa i parosismì febbrili , che sembravano presso a poco seguire Tordine di una progressione geometrica crescente; ed allora fu che spaventati così il malato come i suoi parenti dalla ferocia della febbre , la quale era giunta al grado di perniciosa, sì determinarono a ricorrere nuovamente al salutare rimedio, da cui otteimero un'immediata guarigione . 2° Che per conseguenza la facoltà antifeb- brile della corteccia delle diverse specie di china è totalmente dovuta all' esistenza nella medesima di un particolare materiale immediato ^ il quale avendo la proprietà di passare allo stato di sale al contatto di un acido, può con questo mezzo es- ser separato da tutti gli altri materiali immediati, ed ottenersi così isolato sotto forma salina, riuni- to in tutte le sue parti integranti, le quali si tro- vavano disperse in tutta la massa della china. ó.° Che siffatta base vegetale, la quale è un potente antidoto contro le febbri intermittenti , agisce con maggior prontezza ed efficacia nelle stes- se febbri , allorché è combinata con un solo acido passando allo stato di sale , di quello che quando è inviluppata e strettamente congiunta con tutte le altre sostanze, che le forze vitali organiche han- no introdotte nella corteccia del vegetabile peru- viano ; giacché tali sostanze estranee alla virtù feb- brifuga debbono essere un ostacolo alla pronta ed i58 SciBwrx energica azione di quelT unico principio, clie sì è rì* conosciuto essere esclusivamente Ja potenza antifeb- l>rile . 4." Che l'acido solforico , fi quale combinan- dosi a saturazione con futfe le parti della base ve- getale d'ella (bina , la sottrae dalla sua intima unio- ne cogli altii materiali della china istessa , men- tre per tale completa combinazione passando allo stato di saie perde tutte le sue specifiche proprie- tà , non fa punto perdere, almeno in modo mol- to sensibile , alla base salificnbile la sua specitica proprietà di distruggere 1 agente materiale delle feb- bri intermittenti. Questa c/edu. ione risultante da fatti sembrami essere necessaiia e la più rilevante; giacché da qualcheduno potrebbe avanzarsi una ben fondata obie;iione , cioè che ammesso ancora essere tutta la virtìì febbrifuga della china riunita nel nuovo principio particolare in essa rinvenuto , allorquando un tal principio ha conti aito una per* fetta unione chimica con un acido fino a satura*» zione , siccome appunto l'ha contratta nel soliate di chinina , dee per legge chimica perdere tutte 1« sue proprietà , non eccettuata la proprietà febbri- fuga . td in vero non potrebbe certamente conce- pirsi senza una tale considerazione , come la chi- nina neutralizzata con un acido continua ad agi- re contro le febbri intermittenti , seppure non vo- glia supporsi (ciò che, a mio avviso, è molto meno probabile ) che la così detta base vegetale della china allora acquisti la virtù lebbrituga , quando appunto è saturata di acido solforico. JNon può negarsi peraltro , che siffatta considerazione presenta un'anomalia , la quale a me pare essere ammissibile, relativamente alla legge chimica ge- nerale , ciuò che ne' principj salitìcanti e nelle ba-« Solfato tìi chinina i3<) sì salificabili allorché si uniscono queste in per- fetta combinazione fino allo slato di reciproca sa- turazione , si rendono vicendevolmente latenti le loro proprietà quanto fìsiche che chimiche e me- diche, risultando delle nuove proprietà, le quali caratterizzano appunto i nuovi prodotti salini . Al- tro più fondato parere può ben sostenersi rappor- to alla perfetta combinazione dell' acido solforico colla chinina , cioè che quest' acido se non in tut- to elida almeno in qualche parte nella chinina la sua potenza febbrifuga, in guisa che ne risulti un sale , il quale se è stato riconosciuto di un'aUivi- tà superiore a quella della china , è perù d'un at- tività inferiore a quella della chinina in istato sem- plice . Ammessa questa molto probabile ipotesi ^ si comprende quanto maggiori vantaggi otterreb- be la medicina , qualora si trovasse il modo di estrarre dalla china il nuovo principio scevro da qualunque combinazione . Alla ben grande utilità di venire in possesso di una sostanza libera da qualunque altra, che ne possa diminuire od alte- rare la tanto benefica azione, si aggiuguerebbe quel- la non di minore importanza di allontanarsi dal pericolo , che ritenendosi dal solfato di chinina , per sua inesalta preparazione, un eccesso di aci- do solforico in proporzione maggiore o minore , possa arrecare danni maggiori o minori ai malati per la sua venefica qualità . Dovrebbero quindi i più abili chimici occuparsi con il massimo impe- gno in questa quanto difficile altrettanto utile in- dagine , per tentare di dar così il compimento e la perfezione ad una scoperta di tanto interesse per l'umanità . 5° Che l'uso di questo benefico rimedio dee sempre preferirsi a quello della china ,principalmen- te nelle febbri perniciose e nelle sub -contìnue "e sub-entranti, come ancora in quella specie di feb* bri intermittenti composte cognita sotto il nome di emitriteo ; e perchè si prende colla massima laci- lità, attesa la picciola quantità che se ne richie- de, onde può l'acilmente somministrarsi ai fanciul- li , ai lattanti bambini , ed anche a quelle perso* ne che hanno una invincibile ripugnanza ai me* dicinali ; e perchè la sua azione è più sollecita e piij energica; e perchè non produce alcuna nau- sea , né turbamento alcuno , in guisa che non vie- ne ricusato neppure da quegl individui, ì quali risentono un' ostinata avversione per loro naturale costituzione , o per essersi quella generata nell' istesso processo morboso . 6.° Che questo nuovo farmaco, purché sia perfettamente preparato , non inducendo nel siste- ma generale alcuna nociva sensazione né alcun' altra contraria affezione , anche alloiquando è ne- cessario di duplicarne e triplicarne la quantità or- dinaria , come risulta da molliplici osservazioni, non dee assolutamente collocarsi nella classe de've- leni , ne di quei farmaci , i quuli sogliono cagio- nare sensibili sconcerti nell' economia animale se per poco ollrepassi la solita loro dose, e può essa per conseg:uenza ubarsi impunemente senza ti- more di arrecare il minimo danno , posto ancora che da qualcuno, nemico delle novità benché uti- lissime, non si volesse ammettere, o si volesse du- bitare della sua decisa attività superiore a quella della corteccia peruviana contro le iébbri inter- mittenti. 7.° Che questo innocente rimedio può con tut- ta sicurezza amministrarsi a qualunque individuo di qualunque età e temperamento , come ancora aU& Solfato di chìnina I^i puerpere alle gravide ed alle mestruanti , mortifi- candosene soltanto la consueta quantità , e prestan- dosi ad intervalli più lunghi, noti trascurandosi co- sì ogni possibile cautela. 8.° Che questo energico rimedio dee soltanto porsi a contribuzione nelle febbri inlermittenti , noa escluse alcune malattie periodiche non febbrili, co- me appresso si dirà , nelle quali si è alcune volte veduto vantaggioso l'uso della polvere di china , e non mai nelle febbri continue remittenti ,e mol- to meno nelle febbri continue specialmente d'indo- le infiammatoria , e nelle febbri sintomatiche : pur- ché non sieno queste prodotte da malattie prima- rio di carattere periodico , nelle quali può il solfa- lo di chinina apportare dei vantaggi , siccome la corteccia del Perù. Sembra che la ragione sia evi- dentissima : giacche , ammessa una essenziale dif- ferenza fra le cause che danno luogo allo svilup- po delle altre classi di febbri, e fra le cause che dan- no origine alle febbri intermittenti , come Tesperieri- za e il raziocìnio bastantemente dimostrano, deve ne- cessariamente concludersi che un medesimo antido- to non può distruggere varie potenze morBosedi es- senza diverse. Ed infatti si è sempre sperimentato che la china tanto vantaggiosa nelle febbri inter- mittenti , qualora sia stata erroneamente applicata in altre cbissi di febbri non solo non è stata di alcuna utilità, ma ha apportato danni irreparabili. pi>o- ducendo istantaneo aumento della malattia , e talo- ra anche la morte: principalmente in quelle malat- tie, le quali, di essenza infiammatorie, mentiscono natura diversa. Se qualche benefica influenza ha la china escrciiala nelle febbri putride amministrata o in decozione o in estratto o in tintura, cioè ac- caduto in (Quello stadio appunto delia malattia , nel l42 S e I S ^ 2 I^ quale la debolezza dei sistemi generali, la prostra- zione ed il languore specialmente degli organi chi- lopojettici formano una gran parte della gravezza del morbo , ed è accaduto per la facoltà di cui go- de Ja china d innalzare le lorze vitali. Se dunque il solfato di chinina venga imprudentemente propina- to nelle febbri putride nel loro primo sviluppo , ov- vero per errore di diagnosi (in cui può cadere un clinico anche di qualch;^ esperienza ed abilità) ven- ga somministrato in quelle infermità , le quali men- tre nel loro principio mentiscono il carattere di febbri terzane , si manifestano in seguito per reali febbri maligne , non solo non apporterà alcuna uti- lità, ma per l'improprio ed imprudente uso che n* è stato fatto , potrà ancora produrre delle conse- guenze contrarie. Molto maggiori danni si osserve- ranno poi dal suo inconveniente uso nelle febbri d'indole infiammatoria non conosciuta : e massime saranno le rovine qualora venga per avversa sor- te impiegato in quelle specie d infiammazioni de' vi- sceri , le quali non sempre accompagnate da sinto- mi dichiaranti precisamente l'esistenza di una in- fiammazione, e procedendo talvolta con qualche tre- gua intermedia che mentisce una intermittenza , possono essere considerate e curate quali febbri per- niciose. Ma questi pessimi risultati dovranno forse attribuirsi al solfalo di chinina, quando non furo- np che inevitabili conseguenze o dell' imperizia o dell' inganno di chi ordinò questo rimedio , d'al- tronde salutare , in malattie nelle quali non può cagionare se non che nocumento ? Dovranno que- sti contrarj avvenimenti , qualoi'a abbiano luogo , condannare all' obblio ed al disprezzo il solfato di chinina, il quale suole manifestamente arrecare tan- ti vantaggi, allorché viene amministrato in conve- ^ Solfato di chinina. «4^ nienti malattie ? Il caso riferito nel!' ojsprrazione 11 dimostra anchft più chiaramenle , che il solfa- to di chinina palesa la sua salutare virtù nelle so- le febbri intermittenti , e non in altre specie di feb- bri. Nella malattia di Vincenzo Golantoui, metitre agiva la causa produceate la febbre sub-continua , era latente ca;jsa morbosa d'indole diversa. Il sol- fato di chinina propinato distrusse il primo agen- te morboso, ma non il secondo, il quale essendosi poco dopo sviluppato diede origine al cangiamento della radattia producendo una febbre continua rarail- tente , la quale terminò con una critica evacuazio- ne. Esaurito tutto il processo morboso , per alcu- ne cause occasionali non disgiunte da particolare disposizione del malato , venne questo non molto tempo dopo attaccato da febbre terzana doppia , la di cui causa materiale non essendo unita ad altra causa , restò dal solfato di chinina nuovamente am- ministrato distrutta , e cessò per conseguenza im- mediatamente la nyova malattia; 9."^ Che avvenendo di osservare inoperosa e qual- che volta anche nociva Iasione del nuovo farmaco in alcuni individui affetti di vere febbri intermit- tenti , siara) autorizzati a giudicare , che o esiste- va in quelli altra causa morbosa concomitante di natura diversa , ovvero che il solfato di chinina o non è stalo preso nella quantità necessaria , od era alterata la sua neutralità da eccesso di acido , od era misto a qualche agente chimico atto a de- comporlo ed eluderne 0 cangiarne l'aiione , od an- che (qualora in qualche rarissimo caso siamo costret- ti ad escludere ciascuna di queste circostanze) da un alterazione solfeila o nelle prime vie o nelle se- conde da qualche potenza capace a cangiarne la na- tura. Quindi haa »l Qjuijpreada quuaio sia ueces- i44 Scienze savio , che il provvido governo determini una clas- se di farmacisti, liconosciulì e per sentenza dei più dotti e per voto pubblico i più abili ed i più one- sti , la quale sia unicamente autorizzata a prepara- re un rimedio , la di cui lama percorrendo tutta la superlicle del nostro pianeta si renderà di un uso il più frequente ed il più universale. Ben si compren- de ancora esser nel tempo istegso necessario , che venga espressamente proibito che sinìile medici- nale sia preparato da altro individuo non incluso nella classe determinata, precisandosi delle rigoro- se pene contro chiunque osasse di contravvenire agli ordini supremi. IO.** Che la scoperta del solfato di chinina dee non solo dare origine ad un epoca la più rimarche- vole nella storia della chimica vegetale, per la sua somma influenza eh esercita nell' arte salutare, ma dee costituire una delle epoche le più celebri nel- la storia della n>edicinn. I ; .** Finalmente che il solfato di chinina, per la virtù febbiifuga che in grado eminente possiede , merita di essere collocato per il primo nella clas- se de medicinali, che ciascun farmacista è obbli- gato di ritenere e somministrare ad ogni opporluuilà. È stato di sopra rimarcato , 'che molli degl' infermi trattati col solfato di chinina dopo esser giun- ti alla guarigione sono nuovamente caduti nell istes- so sialo febbrile, come rilevasi dalle osservazioni annesse al prospetto di cure. Su questo fatto e noa sopr' altra ragione basati non solo il volgo , ma an- cora alcune persone intelligenti, hanno contro il sol- fato di chinina pronunciato subito quell islesso ca- lunnioso giudizio , cui va frequentemente soggetta la corteccia peruviana , benché universalmente ap- provata e raccomandata : cioè eh' esso non distrug- Solfato di chinmva i4> ee, ma per poco tempo nasconde le febbri intei- raittenti , riproducendosi queste col primiero vigore. A me pare, che in favore della virtù del solfato di chinina possa francamente asserirsi ciò che iu di- fesa dell' attività della china è stato giustamente da molti illustri medici proclamato , cioè xhe la china ha la facoltà di arrestare i parosisrai feb- brili , distruggendo la causa materiale che li produ- ce , allorché questa è in azione, ma che non ha per altro il potere di distruggere nel tempo istesso nell' individuo che ne restò affetto quel malelìco ger- me , il quale può supporsi che per un tempo più o meno lungo rimanga latente nell' individuo me- desimo , che sia capace sotto certe condizioni di ri- produrre la lebbre: come ancora non ha la tacoltà di sottrarre contemporaneamente quella disposizio- ne alla febbre istessa , che sotto l' azione di cau- se occasioj?ali , talora anche leggiere , dà luogo al nuovo sviluppo di essa , quella disposi/,ione os- sia suscettibilità specifica di conttarre una o un* altra malattia, die conviene ammettere negli esse- ri viventi, quella disposizione, che non può retta- mente definirsi, eia di cui essenza non è lecito h- ziora di conoscere. JJa questa superstite proclività al- la recidiva, da cui di rado restano liberi i conva- lescenti delle febbri periodiche, e che deriva dalie accennate cause, è nata la necessità di raccomandar loro la continuazione delf uso del febbrifugo do- po terminata la malattia , e l'esatta osservanza dei precetti dell' igiene , e non di allontanarsi da que- sto (come suole impunemente praticarsi nello sta- to di perfetta salute) fino a tanto che non si è pres- so a poco conosciuto essersi distrutta silTalta mor- bosa disposizione unitamente al germe lébbrile. Quin- di si comprende esser necessario di raccomandare G.A.T.XYJ^ IO j^O SciENZB che venga il solfato di chinina preso per lo spari* almeno di dieci giorni dopo la cessazione della leb- bre nella dose di circa tre o quattro grani al gior- no, o in l'orma pilotare, o in l'orma di siroppo o di tintura, o dato in altro adattato dissolvente, on- de liberare l'infermo dal pericolo della recidiva co- sì facile ad accadere. Se il solfato di chinina supera V attività della china, mentre in quello è riunita e concen- trata tutta la virtù di questa, sembra potersi giu- stamente congetturare , che in tutti quei casi , nei quali la corteccia peruviana suole apportare dei vantaggi, ne produca maggiori il solfato di chi- nina . Molto utile quindi dee riuscire nelle ma- lattie periodiche non febbrili: come, per esempio, nel- la cefalalgia ed emicrania periodica , nei così det*« te chiodi solali, lunari ed isterici, nelle cardial- gie , neir isterismo ed ipocondriasi , che sogliono spesso tormentare gì' infermi con un certo perio- do più o meno regolare . Non minori vantaggi debbono attendersi dal nif^de>!mo farmaco in tutti quei casi , nei quali sia n- cps-siirio «li eccitare le languenti forze vita- li di tifilo il sisipma salilo, principalmente del sist.TUH ;!«;siaiilaiore , giacché ed il raziocinio e lespeiieiìza g ;ì fallaiii- concorrono a dimostrare, eh n'I «solia <)
  • i già eoo l'elice successo liO' fatto pjreRdefe ìu foirina pìlc^- lare il tjolfato di cloBliìa a d-ioff ìkA'vMbì lilfeìli «la qualche gi©ra€> da penficj'dica» csurdìalgia nelìa dose di soli dodici granì ^ b©ct sapirraDdo i due grani ciascuna pilola , ed avE»^o» presciTìio Ire pilole al giorno . Considerali i felici rìsaliali &. già •XiVtmmCx neir uso dcd solfato di cihiaiss»,, « c®fi3»idssrslì i Tnol- tiplici vantaggi che possono aiieodetsi f,?a tjTJcslo celebre prodotto chimico ^ io- aow l?i9.€iys d" in vi- rare tutti quei medici.^ «W aBa ìorc» iìlosoHa riuniscono 1 altOi pregio di imsD spirito fi}aBlropi- €0 , ad occupaT&i co^a deciso- STops^yno uelF esaroe clinico di una sostanza^ d» cui ì' ìwfeaia uoia- nità può ricevere un taryto n>ai'craìc> ,»;r»'Slie'»'0 : e non posso abhasta-Rsza laceoiiSfEnw.iivdaFe', cfe si cotn- piaeciaoo essi d' iin(pieg.a>re \ib!3 paiie'. dirige iora occupa'zioni ael tvascriveEe i jp5re"CÌ5t lissxlitaìti .o-i'.e*- niyJì , icrotan-do fedeliaeute neì lesu^JO jBltsso latte le anomalie e tutti s pira piccs>ìi avrewiiBcnii ® contrarj; o iavo^revoli os&esrvaù nei sle'oo.rsa d«rOe malattie , degnandosi di rsTsdere <&. pabblico tlìini- lo ìeioro onorate fati diie . Foiì-iì iw^aesta g,*^^* sa, ai di sopra di qualurjqiie- cci:e?.i©Be di iiiaatifai— que opposizione die possa cootsr© di gacslo nuo- vo farmaco insorgere posLeriormenìe , tlecidersi defìnitivaniente ., se Kìerila: dt «sasie sabrìmalo al rango di qne celebri aìedicioali , clìe \\ genera- le cDO&enso de jBedici ila t«ìso di uo uso naivesr- sale . .(Sei teTMa'jsar «^tje-sìo mtìo tjaalwnq'n® siasii la*» vosro 3nfii si pcrrmetta di a^^sszare dsìs con^eSlBra , la qoak essesdo siisceUìbile dii 4?&^>esieaa.e |»uù e»- IO* i48 Scienze sere o smentita o conformata. Come nella corteccia della china esiste un principio particolare, in cui è ri- posta tutta r attività febbril'uga , così per analo- gia può siipporsi che in lutti quei vegetabili , i quali si usano come ausiliari della china nelle febbii intermittenti , ed alcuni de' quali , giusta recenti osservazioni, si crede poter essere succeda- nei della china istessa , esistano din nuovi mate- riali immediati , i quali godono esclusivamente della virtù lebbriluga , ed i quali separati da tut- ti gli altri materiali , e resi isolati , come la chi- nina, per mezzo di reagenti chimici , procurano , come questa , solleciti effetti salutari . Le radici di genziana , le foglie del marrubio bianco , della cenlaurea njinore , le sommità tìorite delle varie specie di cardo , le radici di brionia bianca , che date a picciole dosi o polverizzale o in decozione sono stute talvolta sperimentate utili nelle febbri iptermittenti , il Ijcopus europeus L. cognito nel Piemonte , ov' è in grande abbondanza sotto il nomi; di erba della china , il quale dal eh. prof. Re è stato annunziato essere un Completo succe- daneo della china, le radici di piantagione che, secondo le osservazioni del eh. dott. Perrin , sono similmente dotate di qualità febbrifuga , e varj al- tri vegetabili utilmente usati contro le febbri in- termittenti , possono contenere qualche principio particolare sui generis esclusivamente febbrifugo in maggiore o minor quantità , e di maggiore o mi- nore efficacia . Dalla proporzione maggiore o mi- nore del supposto principio febbrifugo , e dalla di lui maggiore o minor forza di agire può dipen- dere la grande diversità di azione che osservasi nella classe de' febbrifugi vegetali , nella quale go- ' de il primo posto la china . Su^ di questa con^et-. Solfato di chiivika i^rt iura , che sembrami non allontanarsi tanto dalia probabilità, e seguendo le tracce degl' illustri chimi- ci che hanno saputo felicemente estrarre tlulla corteccia del Perii l' unico principio eh' è capace di fugare le febbri intermittenti , possono i sun- nominati vegetabili , principalmente quelli che so- no di vii prezzo e che si hanno in grande ab- bondanza , sottoporsi a varj processi chimici e ten- tarsi così r estrazione e V isolamento de' supposti principj attivi . Qualora questa mia ipotesi venisse ad essere per avventura realizzata , quali salutari vantaggi ne deriverebbero principalmente per la moltitudine innumerabile de' contadini , i quali in mezzo alle loro enormi fatiche sono più degli altri uomini esposti in un colle loro famiglie air assalto delle febbri intermittenti talora epide- miche e micidiali ? Questi individui, tanto neces- sarj per l'esistenza della nostra specie , trovansi non di rado afflitti da malatiie e da miserie , e non potendo sempre godere dei pubblici soccorsi e mancanti per conseguenza de' rimedj salutari per essi di troppo grave prezzo, o rimangono vittime delle febbri , o cadono in croniche infermità , re- stando per lungo tempo nella inerzia e nella inat- tività . Si moltiplicarebbe dopo questa fortunata scoperta la coltivazione di tante piante indigene non per lo scopo ben lieve di somministrai le con- tro le febbri intermittenti , essendo esse di debo- le virtiì febbifuga ed insufficienti a debellarle , ma per il grande oggetto di eslrarre dalle medesime i principj unicamente attivi contro le febbri : principj che diverrebbr'ro in seguilo di molto tacile acquisto anche dalla classe degl' indigeni i , e che soddlsfereb*- bero pienamente al line importante di liberarli da malattie al pari della chma e dd solfato di chinina. Aua^ui li i5 settembre 18:22* f30 0!s.tssrtfazwru r^^atz'ne al malati iscritti nel pnsiSpfMo di cure. N^* e- \^jfefif*t« fa fetóre, so Afri nna certa dolo- ixKA aSàai^fcKe éi sfeorwico , cui è stato altre vol- tet sa|:!f"Eiaj<3 cÌ£e prest® termina riacquistando il pcTittiainis «iato Tiiiturale di salute . Dopo circa ut\ tOéesei per ®ta#»^e c«ose oecssionali venne attaccato Óa a^ìrx tersifia senjpllce, la quale iu inamedia- fatnciifa? É&Jta «eoa ^raai sedici di solfato di chi- nltia -. iì^a|j<® pia •à.k uu. ailro mese per altre cause «cca^itMÈTiìs maggiori T-enRe nuovamente assalito da Sdbthpe f^erEana dojp|fia , che cessò all' istante sotto Tusf» «Jcfi* àsteice rlniedio nella quantità di grani dieciotto - 'JCJana £ rit;©niEs.fcri*»> An.Irca Opiui.i Giuwp|>c AlaMit (iiuvaiiiii SdilTsIitr^ua Angelo Mtirucci N. Fal>i Miilielaiigclo Cioci licili Andrea Muroini TE:\lp^BA>lF.^To 1 I FAf.05I5:\l Gio. Baiiisia CoUcllacci Tcrca Bureili Filippo Cicini ìc.-;i«l,ile li. iccriiaLilc iccilabilc )-erritaI.ÌIe ■e PC il, ibi le qnart. doppia -ccciinlillc -inCccUabile id. -eccitabile id terzaua doppia I M T. Il J 4 «Iciro ",IA DOSE solfato . EFFETTI SEjySlBlLI. ESITO della lato nella dose di gran «lunttro giorni; npircti Fino al terzo parosismo ,ÌOSO ricusò fcbbrifugi; ti giù quindi inutilmente un , che dopo dopo tre altri parosìsmi s sivamcntc minori rest retici la inferma, pronta apiressia. dopo tre altri parosismi apiretico pronta apiressia Dopo Ire allri parosismì apiretii-B. RecidìrÒ pronta apirtisia pronta apiressia id. passò in subcontinua . e quattro ^orni restò apii pronta afiruMia Recidivò dopo otto giorni Recidivò dopo tre giorni Avcfa inutilmente sarbìio in div Recidivò dopo dieci giorni, e dopo raso di l di solfalo restò apiretiro. Recidivò dopo 5 giornijC trenta grani di sollai Si aggiunse li Rendivò. Trasmigrò in • Recidivò dopo aS siornì , e cen So |ran\ di solfito Si aggiunse per alcuni giorni la tintura di solfato. Si I che 1 n.' i3 an.i.ipò la _ _ j, i|uando appen leti delia dose del solfalo. :o-ercitflbiIe cgualmei er il melanconico. I< OsSERVAZlor^I SXJLLE CURE EC. s53 N,** 56. Appena terminata una febbre putrida »uerperale, venne affetta da febbre terzana doppia, fa quale era accompagnala da dolori nella regione Ipogastrica . S incominciò a darle il solfato di chi- nina , ma sopraggiuuse subito lu nuova febbre ac- compa^iata siaiilxiìente da dolori addominali. Nel- ìa successiva intermittenza di febbre le fu ammi- nistralo tutto il solfato, che non arrecò alcun in- comodo alla puerpera , e che la liberò immediata- jtiieQte dalla malattia . N." 57- Cessata la malattia, per varj giorni non soffrì alcun incomodo, e andava riacquistan- do la salute; ma avendo comiiìessi varj errori die- tetici , apparvero alcune altre febbri leggiere , che cessarono sotto l'uso di alcuni decotti amari. i\.° Co. Dopo i primi parosisrai volle pren- atio ibi clesit opor- tct , ubi observatoris judicium a praeconcepta opinio' ne ducitur. Chiunque abbia gustato l'opera di Zim- mermann ( deir esperienza in medicina ) , chiun- que conosca i caratteri assegnati alia vera esser- Solfato di cHiNitvA i5j vazione dai sommi clinici attuali di Bologna e di Padova , sarà ben a portata di conoscere le buo-^ ne osservazioni, e fissarvi con prolbndo criterio un retto giudiiio . Da siffatti principj che vengo ad esporre , potrà ella chiaramente raccogliere co- sa io pensassi intorno al soU'ato di chinina che ha menato e mena tuttavia tanto remore fra' mes- dici ; poiché era ben necessario che ne istituissi qualche sperienza end" essere al grado di soddi- sfare alle di lei richieste . Potrà ella altresì rile-»- vare con quale intenzione abbia io istituito e rac- colto le mie osservazioni, che le invio, nelf aver posto a contribuzione nelle febbri accessionali il sol- falo di chinina. Senza desiderio veruno di con- fermare o distruggere checche siasi tinquì detto in- torno alla efficacia di esso , ho procurato di os- servare con la maggior esattezza, e riunire (co- me dall'annesso prospetto vedrà) quanti clementi ho giudicato poter concorrere a costituire T inte- grità dei fatti - fio moltiplicato a tal effetto le fin- che nel menzionato prospetto , onde conoscer si potesse lo stato del paziente in mezzo a tante con- dizioni che il riguardano , per quindi dedurne utili e proficue conchiusiorii . Li prego per "altro di me- co ti attenersi alcuu poco aliin di esaminare la na- tura dei conseguiti risullamenli ; e siccome per portare in proposito un niono irreprensibile giu- dizio, conviensi dipartire dalla cognizione del fatto medesimo , perciò chiamiamo ai costituti la istessa esperienza sotto un triplice confroito , applicando al caso nostro la condizione sempre richiesta nella cura di qualsiasi nidore, di sanarlo cioè can si- curezza , prontezza , e piacevolezza ; luto , celeri^ ^er , et jucunde . Spetta, per quanto sembrami, alla sicurezza dell' «fletto la ìmmunilà da ogni recidiva, o la j>r©— babìlità almeno di trovarvisi nieno esposto, e di es- serne più garantito . Ma se avrà ella la compia- cenza di porgere allenzione a quanto sarò per di- re dovrà meco pur convenire, che non è atfatto in poter del medico né di qualunque farmaceutica preparazione 1' assolvere impunentemente un indi- viduo dalle future conseguenze di una intemperan- za, o dell'uso di un vitto malsano, il quale nella classe indigente è pur troppo inevitabile : non è in poter del medico il dominare sul!' animo di al- cuni, ed astringere i coniugati all' asl>nenza dei con- gressi venerei : non è in poter del medico il vin^ cere 1' indocilità di altri a fuggire nella convale- scenza le ordinarie o accessorie atmosferiche vicen- de: non è insomma in poter del medico il rimuo- vere tutte le possibili cagioni che tanto influisco- no sulla produzione delle recidive. Contro di esse non vi è farmaco che vaglia ad opporsi, che va- glia ad impunemente preservarne ; e se voglian^a discorrerla con tutta ingenuità , troveremo ragioni da confessare , che nelle altre malattie ancora lo stesso addiviene . JNon potrà infatti aJ una fresca temperatura esporsi un individuo recentemente rii sanato da dissenterìa, non al soffio di un vento boreale un convalescente di pneumonlte , non ad una intemperanza un altro di fresco liberatosi da una colica, senza vedersi riprodotte nei medesimi le istesse forme morbose . In essi l' efficacia del curativo trattamento già tenutosi non era sufficienr- te e valevole a preservarli impunemente dall at-» tività di nuove potenze morbose; come appunto il solfato di chinina che vinse ìe prime invasio- ni non poteva tenere in dietro le conseguen?^ dì nuore cagioni. Ed allora ( ripeliamo ciocché disse Solfato di chinina j5<) in proposito della china il dotto Borsieri De fé- bribus ^. cxxxiii ) : nec mirum proinde est , si ut primiim^ sic iterum et tertlo et quarto f eh rim non revocent modo , sed etiain exciteut atque in- ducant . Oltre di ciò non è da questo medesimo inconveniente affatto immune la istessa chinachi- iìa , la quale se tronca la serie dei parosismi vì- genti , non impedisce la comparsa di altri che si riproducono per novelle cagioni . Potrebbe qtiì ap- plicarsi quanto in rispetto alla china avvertì il no- minato Borsieri ( 1. cit. ) : Hoc vero nec pcrpe- tiiiim est , nec solius corticis peruviani vitium , cun aids quoque medicamentis , quae febres intemiltten- tes propulsant , comrnune id esse soleat . Piiman dunque quasi affatto in balia dell' in termo il sog- giacere a recidive col preservarsi o no dalFiisulto di nuove potenze morbose. E se niun farmaco ha la possanza di sanar ( tuta ) con sicurezza un in- fermo , il quale o non possa o non voglia esen- tarsi dall' azione di cause produttrici la istessa for- ma morbosa ; pretender non possiamo cht* il sol- fato di chinina soddisfar possa a qiesto intento, come neppur la china istessa prò luceva simili pro- digj . JNon rechi perciò sorpresa , se nel numero degf individui da m) sottoposti al uso dell' in- dicato solfato, ne sian caduti in recidiva otto sino al presente momento ; poiché non si è osservato rigorosamente, come dovevasi, l'inculcato regime profilattico . Spetta altresì alla condizione di sicura gua- rigione il carattere innocente del farmaco . Se si abbia a prestar cicca fede alle esperienze istituite dal sig. Magendie sui cani , dee ritenersi , che il solfato di chinina non possegga la più piccola pro- prietà veaelica: ma su questo punto non mi sUw ]Go Scienze* a diffondere, augurando che .nella preparazione- del sale di chinina possa all'acido solforico veuire vin dì sostituito qualche altro acido meno energico . Facendo però astrazione da questo punto, dirò uni- camente, che se nocivo siasi riscontrato ( come lo fu in sei individui citati nel mio pros|3etlo ) possa ciò pienamente attribuirsi alla imperlezioue delle mediche cognizioni . Che di vero quanto è mai grande la varietà delle particolari idiosincrasìa, costituzioni, temperamenti , abitudini , maniere di vivere, ec. , e quanto mai è poderosa la influenza modificatrice, che le ricordate condizioni esercitano sull' organismo nostro sì nello slato sano che nel morboso ! E su di ciò saria pur superfluo che ia m inlertenessi per dimostrarlo. Ramnicnlerò uni- camente un caso non infrequente nella pratica mei- dica , ed a cui avrà posto anch' ella la sua sa- gace riflessione . Trangugiatasi la corteccia febbri- fuga da qualche individuo per liberarsi da una semplicissima e legittima ternana, lo si scorge tal- volta investito immediatamente da l'ebbre risentita con apparenza di continuità e con sintomi flogi- stici. Un salasso , o due ancora, una pozione eine- tizzata estinguono la flogosi ; torna la l'ebbie al primiero tipo e carattere ; si amministra nuova dose di china, la quale non più riesce nociva o tronca il parosismo direttamente . Converrà ella meco ( se mal non mi appongo ) , che in questo paziente abbia la china agito iperstenizzando in qualche modo il di lui organismo, e che in esso o dovea la corteccia esibirsi in minor dose , 9 forse altra varietà di chinachina non avrebbe in- dotto somlglievoli ciretti . E non ò questa una di- mostrazione delle tenebre della scienza ^ Manchia- mo, di accurato studio terapcatico sulle varietà mol- Solfato di chinina i6i te della china, die abbiamo in commercio; stu- dio che dopo le analisi , che grazie ai moderni chimici conosciamo delie varie specie di china , dovrebbe dirigersi ad investigare la convenienza di queste a norma delle costituzioni, temperamen- ti , abitudini , climi , stazioni ec, studio che do- po conosciuta la convenienza di una specie di china in cambio dì un altra pai ad uno che ad un al- tro individuo, por ci dovrebbe in salvo da ogni errore sulla piij opportuna dose da amministrarsi . Or questo medesimo lavoro è quello che in oggi eseguir si dovrebbe rispetto al solfato di chinina; e se alcune idiosincrasie sembran rifiutarlo , sarà forse in altra dose o sotto altro metodo di pre- scrizione che il farmaco riuscirà innocuo in qual- siasi individuo, a cui venga propinato; e da sif- fatto studio otterremo il bel frutto della sicurez- za di effetto . Leggo con piacere nel di lei vene- ratissimo foglio , che favorevoli risultamenti ab- biano conseguito i valenti professori Tommassini e Rima dall' uso del solfato di chinina : non mi è ancor giunta la lettera su tal oggetto pubbli- cata dal dotto ed egregio prof De Matlhaeis ; ma , puichè non mi tradisca la memoria, sembrami che i due sommi clinici di Roma si compiaces- sero riferirmi averne ottenuto plausibili risultanze. La prontezza , con cui risulti lo stato apire- tico nelle febbri accessionali , è la seconda con- dizione da esaminarsi nel solfato di chinina per vedere se esso realmente riesca in sanare gf in- fermi cclerìter . Sembra che sopra 65 individui nominati nel prospetto avendo giovato con pron- ta apiressia in 5i pazienti, dir si possa la pro- porzione ben soddisfacente ; tanto più che om- melto sotto il calcolo di pronta apiresia altri sei G.A.T.XVr. 1 1 iGa Scienze individui, che alquanto più tardi si, ma pur con- seguirono salute, come i num. i. i^. 18. 26. 33. 55. Dissimular por altro non si può , che al- la pronta guarigione ripugni la inefficacia riscon- trata nei num. 2. 4- ^' G- 54 ^ ^^^ oltre che poco ritlessibile sia in confronto degli altri il numero di questi soggetti che sperimentai ono negativa l'a- zione del solJalo di cliiti'na , deve altresì aversi in qualche conto la congettura di una dose lofse maggiore che richiedevasi nei nominati individui, i quali si rifiutarono a nuova prescrizione; e ciò tanto maggiormente , in quanto che ne scorgiamo manifesta la conferma nel num- 54- eh' essendosi quindi prestato a trangugiarne altri quaranta grani, lestò apiretico . JNon esiterei d altronde un mo- mento (ove ciò non credasi sufficiente) a giusti- ficare la inefficacia del sale di chinina, rispondendo die questo inconveniente medesimo lo abbiamo ancor sott' occhio con forse più oidinaiia Irequenza nella istessa chinachina , Pende adunque la bilan- cia in favore piuttosto, del solfato in ordine alla prontezza di tlfetto ; o al più si troverà questo sale in pari condizione di risultamento con la china medesima , A questo articolo di pronta risultanza riferir dobbiamo , sig. professore chiarissimo , le anomalie che possono emergere dalle diverse specie di solfati che abbiamo in commercio . È oiamai notissimo , che o per ignoranza o per frode si tiene da non poclii in vendita un sai di chinina non con- venientemente preparato ; e the maraviglia quindi se lia esso risuiti un' azione negativa Z Una vali- dissima prova ( se non tri o ) possiam d< sumerla dalia discrepanza enorme dei prc/zi , lissando Tat- [ tenzione non dirò a quelli delia nostra iioma, ma Solfato di chinila. i63 a quelli bensì di Senigallia , Bologna , e Venezia , che mi accenna ella nel suo veneratissimo foglio. Kon le sarà difficile rinvenire in alcuni solfali man- cante quella somma di caratteri , che per unani- pie consenso si assegnano ad essi , come in una piccola città dell' Umbria il rinvenni io stesso essere specialmente affatto sprovvisto dì amarez- za . E qui non devo tacere , che af/ìn di dare a queste mie osservazioni un qualche grado di esat- tezza proporzionato ai miei scarsi lumi , ho cre- duto variarle sotto diverse possibili combinazioni, una delle quali mi è sembrata esser quella di va- lermi del solfato di chinina tratto non in una far- macia ma bensì al negozio di due chimici esper- ti , che con piacere ricordo ad onore della nostra capitale , dei sigg. Andrea Conti cioè ed Agostino Manni . In cinque individui , cioè nei num. 34 a 38, ebbi motivo di lodarmi del solfato del chi- mico Conti , di cui non vado a tessere elogj per non urtare la di lui modestia , e perchè d' altron- de risuona ben chiara la di lui fama . Non ho poi abbandonato quello dell' ili. Manni, come la- voro di un chimico , che per solo amore di viep- più istruirsi non ricusò spese , non risparmiò in- comodo di lungo viaggio, e che dopo avere ap- preso ocularmente nella farmacia centrale di Pa- rigi la maniera di preparare questo nuovo sale , ha reso un insigne servigio al pubblico coli' ac- quisto di originali cognizioni, e di ottime vedu- te pratiche nella sua professione . Rimane a dirsi qualche cosa in ordine al trattamento piacevole deil' infermo : terza condi- zione che riclama dal medico la miglior manie'* ra per sanare i pazienti jucunde . Chi non ignora quanto sia dolce questa indicazione ove possa sen- 1 1* iG4 Scienze za imbarazzo soddisfarsi ? L'uomo infatti , bersa- glio già di tante sventure, sorpreso che sia da in- fermità, fra le angosce dei suoi malori e fra i pa- temi di animo deprimenti che nel letto dei suoi dolori lo affliggono , è condannalo altresì ad ama- reggiarsi la bocca con la disgustosa polvere del Perù per risanarsi dalle febbri accessionali ; e tac- cio in questo incontro il peso incomodo al ven- tricolo , le nausee, le tensioni , e pur anco le co- liche che ad alcuni sopravvengono sotto fuso del- la china. E quanti pur vi ripugnano in grazia di loro singolare idiosincrasia non sapendo , o non po- tendo, vincere la propria naturalo avversione a tal farmaco ! E quante poi sono le circostanze, nelle qua- li troviamo assolutamente impossibile la propina- ^ione della corteccia peruviana , come nelle varie malattie dei bambini, nelle febbri perniciose, nelle subcontinue, nelle quali l'infermo incapace il più delle volte di signoreggiare sopra di se medesimo ricusa altamente di trangugiarla , ovvero sufficiente intervallo di tempo bene spesso non v ha ond' esi- birne la dose opportuna ! E dopo ciò non dovrassi esultare per lo sco- primento di un mezzo, che, grazie alla provvi- denza benefica, ci somministrano i sudori dei chi- mici? Son inutili sotto questo aspetto gli sforzi del- la penna in dimostrare la preziosa utilità del sol- falo a pitfereriza della china , concorrendo a san- zionarla , non dirò Tesperienza soltanto, ma la ra- gione ancora . Potrà forse a questa foggia di sanar jiicunde essere di ostacolo il maggiore dispendio che la pri- vata economia risente , ascendendo a somma al- quanto minore la spesa del trattamento di una ieb- Solfato di chinkva i6j bre accessionale colla polvere di china . Ma sono di avviso che ben pochi ameranno di preferire un tenue risparmio piuttosto che incontrare gli espo- sti incovenienti . Dobbiamo poi sperare , che vada ad essere più modificato il saggio attuale del sol- fato di china , specialmente quando anche gli abi- li farmacisti provinciali riescano ad esattamente pre- pararlo, o quando possa alla china con presun- zione di eguale efficacia sostituirsi il principio feb- brifugo di altra indigena sostanza , come già ver- giamo essersi ottenuto dalla genzianina dietro le inde- fesse occupazioni dei celebri chimici Henry e Caventou . Or da tutto il finquì esposto sembiami leci- to portar conchiusione , che il solfato di chinina presenta soddisfacenti risultanze di sua attività con- tro le febbri accessionali, troncandole tuto , cele- riter , et jucunde \ che merita di essere preferito alla chinachina in grazia delle indicate condizio- ni , specialmente nella cura dei bambini , e di tutti coloro che per singolare idiosincrasia si rifiuta- no alla propinazione della corteccia polverizzata; che deve altresì tenersi a preferenza assai profìcuo ed indispensabile a valercene nei casi tutti dì quel- le Gomitate specialmente , che in mezzo al disor- dine delle facoltà intellettuali brevissimo spazio di tempo lasciau frapporre fra i loro micidiali paro- sismi , come anche per questa medesima cagione nelle febbri subcontinue, e nelle subentranti: che deve alla china essere preferito senza verun ri- guardo nelle recidive , che pur dopo la esibizione del solfato riscontransi , poiché non lice rampo- gnare il farmaco d'inefficacia, ove rifonder sene debba la colpa alla oscitanza o disprezzo di ac- curata profilassi, tanto piiì ch'egli è desso wn in- iC6 Scienze conveniente già comune alla china ed ancora fa- cile a riscontrarsi nelle altre forme morbose die- tro la negligenza delle dovute cautele : finalmente ad onta di essere il solfato di chinina riuscito tal- volta nocivo , non dee perciò interdirsene l'uso , per essere di tali anomalie ben manifesta la causa nella deficienza di bastevoli lumi per la migliore di lui amministrazione , dovendosi al più attende- re, che in ordine alla varietà del metodo, formo- Ja e dose venga a pronunziarsi un decisivo giu- dizio dal complesso universale di osservazioni le pili esatte e rigorose . Mi lusingo aver così soddisfatto alle di lei graziose inchieste avendole dato contezza dei ri- sulta menti da me conseguiti con fuso del solfato di chinina , dell' autore che mi ha somministrato il farmaco , ed avendole palesato ingenuamente la mia maniera di pensare in proposito . Le avrò for- se recato tedio con la prolissità di questa mia let- tera ; ma conoscendo da molto tempo il di lei beli' animo son sicuro di benigna indulgenza . Colgo questa occasione per rinnovarle quei sentimenti di stima e di considerazione , che già mi compiacqui costà dimostrarle personalmente nello scaduto mag* gio. Sono Di lei , sig. prof, chiarissimo . ■Paliano G ottobre 1822. ToNELLf. l67 Nouvelle metode ec. , o sia Nuovo metodo di cura-' re il sarcocele senza V estirpazione del testico-" lo . Di Carlo - Teo/ilo Munoir , dottore ec. Gine- vra presso Marco Sestio 1820. D 'i grande momento fu sempre considerata l'ope- razione chirurgica con la quale si estirpano i te- sticoli infetti da incurabile malattia , che diffonden- dosi nelli visceri deli' addome apporta con grandi spasmi la morte . Perciò chiarissimi professori di tutte le scuole e di tutte le età , esattamente classificarono i morbi che possono attaccare que- sti organi caratteristici , presero in ispeciaie con" siderazione la circostanza in cui rcstirpazione do- vea istituirsi , e giovandosi delle sempre crescenti cognizioni anatomiche e fisiologhe le applicarono a ben dirigere il manuale di questa operazione , ad eseguirla con la possibile sollecitudine, e ad evitarne e ripararne le conseguenze . Ma , al dire dell'A., questi conati non corrisposero nell' ospeda- le di Ginevra : e nel tempo che vi apprese la clinica , o fosse difetto di esecuzione o di mal definita o avanzata malattia , quelli cui fu estirpa- lo il testicolo , tutti morirono . Tali infelici risultamenti fecero grande im- pressione suir animo dell' A. , non meno che il troppo lungo soffrire del paziente , e pel taglio grande dei tegumenti , e per la legatura e recisio- ne dello spermatico cordone, e per la separazione del testicolo e scroto morboso, e per l'emmoragia primaria o conseguente , e per gì' ingorgamenti mor- tali nel bassoventre ; quindi si propose di cercare un metodo piiì semplice , che potesse curare il iG8 S e I E N Z K sarcocele . E considerando , che la morbosa tume- fazione dei tfslicoll e de^'li epididimi riconosce per causa prossima vma alterazione di quantità nel- la linfa coagulcjbile , che prima ne ostruisce e poi indurisce il paienchinia cclhdoso ; e che dall' induiamento vengono compiessi i filamenti nervo- si eil i ^ asi linfatici , ed in conseguenza il dolo- Te e la cessazione delTattività assorbente dei detti vasi; pensò che annullando 1 azione deilc arterie spermatiche col reciderle, cessase la caiisa che ur- ge la linfa , si ripristinasse la forza assorbente dei vasi , ed il testicolo si diminuisse fino al punto dì passare alla vera atrofia . Stabilita questa teo- ria , non mancava all' A. che roccasioue di e.c9- guire questa parziale legatura delle arterie sperma- tiche , e vederne gli effetti . Accadde che nel j8i3 l'A. fu destinato chi- rurgo primario nelf ospedale di Ginevra , e fra i malati che gli vennero consegnati , uno ne ebbe che da tre anni vi soggiornava, tormentato da vo-» luminoso e bernoccoluto sarcocele nel sinistro testicolo . Era questi un militare , che cavalcando sulle alpi per tornare in Francia, fu da mal cos- trutta sella di continuo tojmentato nel testicolo anzidetto, e non potendo più sopportare i dolori, né reggere allo spossamento di Ibrze , fu obbliga- to di fermarsi all' ospedale di Gmevra . JNel cor- so dei tre anni , tutti i metodi usati per risolve- re o palliare la malattia, furono inutili . Il testi- colo erasi più che mai indurilo, lo scroto infiam- mato vedevasi sparso di piccoli tumoretti, alcuni suppurati , alcuni in cicatrice . Il malato, stanco da sì lunga insopportabile serie di dolori, chiedeva istantemente di esserne, a qualunque costo, li- berato . la cosegueaza 1' A. si determinò a porre Gl'Rà del sakoocele lOgr in esecuzione il suo ideato metodo . Ne tenne pro- posito con altri professori , che lo incoraggiarono; onde disposto tutto ciò che a bene oprare ia chirurgia si richiede , tagliò i legamenti che stan- no sopra airanello inguinale sinistro , scoprì il cor- rispondente spermatico cordone , ed incisane la membrana che involve i vasi , i nervi , ed il ca- nale deferente , separò i rami arteriosi in un coi nervi, li legò con filo incerato , e li recise al di- sotto della legatura . Colmò il taglio con morbi- de sfilaccie , vi soprappose alcune compresse , e le sostenne con adattata fasciatura . Dopo que- sta operazione nulla accadde di particolare , anzi si notò una notàbile diminuzione di volume nel testicolo. Essendo per altro, come dice 1 A. , riescito piccolo il taglio dei tegumenti , dovette mol- to travagliare, per eseguire la separazione, legatu- ra , e taglio dei rami arteriosi e nervi spermatici; ed a questo prolungato irritamento attribuisce la comparsa di un ascesso nello scroto , che ritardò la depurazione, coalescenza, e cicatrice della feri- ta, che poi seguì circa due mesi dopo colla ve- ra atrofia del testicolo- Vantavasi questo primo espe- rimento , come soddisfacentìssimo. Ma essendosi il militare ripresentato air ospedale, con febbre, do- lore, e gonfiore nel perineo, convenne curargli un nuovo ascesso, che sanò con corso regolare. Dopo questo nulla ebbe a soffrire: e quando lA scrisse , Jo aveva riveduto sano , dopo sette anni che era stato operato pel sarcocele . Volendo poi l'A. ri- cercare se questo nuovo ascesso potesse addebi- tarsi a qualche circostanza da evitarsi in seguito , cre- dette , che la legatura ed il taglio dei nervi potes- se questo disordine apportare , e decise , in al- tra occasione che *i fosse presentata , di ripetere tyo Scienze il suo metodo, ma che altro non avrebbe rescisso , che i rami arteriosi. Gli si preseulò nel principio dell' anno 1819 un giovane molestato da un idro - sarcocele , che a ninna causa a lui nota poteva attribuire. Il testi- colo sinistro era ingrossato e duro , dolente al tat- to, malgrado che la tunica vaginale fosse ripiena di estravasata sierosità. Più volle 1 A. diede esito al fluido morboso con la punzione , e sperava che, tolta quella compressione, si sgravasse il testicolo. Anzi con questa idea tentò di l'are con la pietra caustica una durevole apertura , acciò le linie per quella sortissero , mano mano che si eslravasava- no . Ma ciò fu inutile , anzi aumentava l'indura- mento del testicolo e dell'epididimo , i dolori di- venivano continui e vivissimi , e facevano temere peggiori conseguenze. Venne perciò alla determina- zione di operare secondo il suo metodo , corretto dopo il pi'imo esperimento. Fece un proporzionato ta- glio nella parte superiore anteriore sinistra dello scroto, dirigendolo a seconda dell'anello e cordo- ne spermatico. In questo taglio essendosi incontra- ti varj rami arteriosi , fu costretto legarli per ar- restarne l'emmoragia. Separò poscia la tunica vagina- le gonfia per le estravasate linfe , laprì con taglio lungo un pollice; cosisi scaricarono le dette linfe, e potè trovare il cordone spermatico , che rinven- ne biancastro , e grosso come il dito auricolare di un uomo adulto. Era il detto cordone sano: onde separate le diramazioni arteriose dal canale defe- rente e dalle vene e nervi , mediante una conve- nevole incisione, legolle in un sol fascio, passan- dovi attorno , mediante un ago di punta ottusa , un filo incerato , che strinse con nodo fino ad obli- terarne il corso del sangue ^ tagliò al disotto della Cura del sarcocele, i^i legatura le dette arterie , e la porzione di tunica va- ginale che le avvolgeva , e medicò il taglio cou asciutte filaccie , compresse , e fasciatura convene- vole. JNel tempo della opeva?ione , it malato mode- ratamente soffrì , ed il testicolo poco avvicinossi air anello inguinale . JNei giorni susseguenti gon- fiossi alquanto lo scroto , e con l'uso di fomenta- zioni di un liquore spiritoso diluto , si restituì al- lo slato quasi naturale, e si manifestò Tinfiamma- zione adesiva della tunica vaginale . Parsati quat- tordici giorni, caddero i (ìli delle legature; legge- ra fu la suppurazione dello scroto, ma sensibile la diminuzione del testicolo e dell' epididimo. Verso il trentesimo giorno , il basso ventre ed il cordone spermatici erano tornati in isti»to naturale, e pigian- doli non producevano alcun senso molesto. Al cin- quantesimo giorno il taglio era cicatrizzato , ed il testicolo restituito allo stato naturale- Noi avremmo qualche cosa a ridire sulla teo- ria dell' A. , e di non lieve peso ; ma siccome ci gloriamo di non essere di quelli che pretendono eoa i raziocinj distruggerei fatti, invitiamo i professo- ri di chirurgia a ripetere , quando favorevole op- portunità si presenti loro, questa parziale legatura, ed a tenerci informati di quello che andranno os- servando. Cumulati così pììx numerosi fatti , si po- trà con prudenza defioire , se il nuovo metodo del signor Munoir debba essere il preferito ; ed inten- diamo non diminuir punto la gloria e gli elogi che si debbono a chi cerca coi propri talenti giova- re a' suoi simili. 172 Al signor Cavalieri: Lodovico Giccolini. Giuseppe Galandrelh Castel Gtirìdoìfo 3o ottobre 1822. K ella villoggiatura di Castel Gandolfo , dove S. E. il signor principe di Piombino così gentilmen- te invitai suoi amici, e dove voi medesimo nel- lo scorso anno passaste diversi giorni dell' autun- no , io ho letta la corrispondenza astronomica del sig. barone di Zach . ]\el sesto volume pag. 5i viene riportata una vostra lettera, nella quale da- te una nova formola della pasqua e della lettera domenicale. Alla lettera unite sono diverse note , le quali risentendo troppo del vostro amor proprio, e della propria vostra slima , sono quasi inclina- to a crederle da voi poste in considerazione a( sig. barone. Comunque però sia , poiché le note risguar- dano e voi e me , vi prego volermi amichevolmen- te condonare , se per sì fatto motivo a voi mi diri- go con queste riflessioni , alle quali premetto le di- verse denominazioni da voi e da me usate. ff. Anno qualunque dato deli' era. K- Secoli contenuti nell' anno H. h. Decine ed unità dell' anno //. Z. Lettera domenicale dell' anno dato. N. Aureo numero dell anno dato. £". .Epalta giuliana , o gregoriana. lb.\r. Quantità esprimente il residuo, non curan- do gì' interi. \~ J '• Quantità esprimente gV interi, non curan- do il residuo. o FoRMOLE Analitiche cella pasqua. 173 d. Distanza in giorni della XIV pasquale dal dì 21 marzo. Marzo 22 -{-dz: Marzo 21 -{-fi? i. Giorno seguen- te la XIV pasquale. Marzo 21 -[-d. Giorno della XIV pasquale. e. Distanza in giorni della domenica prossima, e seguente il di 22-\-d marzo. a. Residuo deir equazione solelunare divisa per 3o a. Residuo dell' anno dato H diviso per 19. Poste queste denominazioni sono le vostre for- inole deir epatta giuliana, equazione solare, equa- zione lunare; equazione solelunare, o differenza tra 1 equazione sclaree lunare, lettera domenicale gre- goriana , epatta gregoriana, esposte nel vostro libro Formole analitiche pel calcolo della Pasqua ^817 alle pagine i6, (i5. 22), 21, (aS. 29), k,,(23. 29) Sono le corrispondenti mie formole esposte nell' ul- timo volume Opuscoli astronomici 1822 pag 14, 3 1 , 42 , (53- 54) , 87 , (53. 54. 59. 60). A voi la- scio il confronto di queste formole, e trovandole dif- lereoti, come realmente sono, vi domando se con verità possa dirsi, essere state da me riprodottele vostre formole nel tomo XIX della Società italia- na ; dove poi io non parlo che delle diverse for- molo, le quali possono ripresentare la lettera dome- nicale. Similmente vi domando , se essendo le mie formole non solamente diverse, ma diverse pur an- che le dimostrazioni delle medesime , possa con ve- rità dirsi , che le vostre formole sono state ripro- dotte nel volume citato senza nominarvi , e senza rendere a voi ciò eh' è vostro. In proposito di ciò riflettete , che voi mede- SJRiQ datp la formola dell'epatta giuliana per[^^V, it4 Scienze ... /it«+«> ed ora nella vostra leltera la npresentate pery^ — j — jr. Per qual motivo adunque voi non nominate il De^ lambre , il quale avea già usata la prima formula Conn. des teins 1817 pag. 3o3 ? E bensì vero , che il Delambre dimentica questa sua formola, la quale nella riforma ripresenta per f^' _~* Jr, evi- denteraente=( V _~'^ ^ r — a'= ( -ii ^. ) r. In fatti nel *om. 1 Hist. de C Astr. mod. pag. 5o per dimostrare falsa la vostra formula ( — - — J r (a) propone , prima della riforma ,( ^ ^'j' ' jr , che ritrova nelT Art.de véri/, les dates. Dovea però avvertire, che la vera formola, prima o dopo la rifor- ma. Don può essere chel ^ ^j / Ir + 8 — à..(6). Allora queste due formole (a) e (b) convengono, e ne' soli anni multupli di 19 l epatta derivata da (a) supera di un' unità l'epatta dedotta da (b). Ciò suc- cede, come ho rilevato pag. 1 4 , poiché nel gen- najo , per andare alla prima neomenia dell' aureo T.uraero I , attesa la distribuzione degli aurei nu- jneri , si ha la luna/Jone di 29 giorni , quando la iormola (a), per unica eccezione, porta 3o. Ma, rì- lornaiido a noi, perchè poi non nominate ancor me avendo data la seconda formola Opus^ast. pag. i4 ? lo sono persuaso , che voi bene intendiate come queste , ed altre consimili formole , le quali deri- vano da principi più semplici delia comune aritme- FoUMOLK ANALITICHE DELLA PasqUA l'jS tica , possano conosceisi senzachè uno , per copia conforme, riproduca l'allrui , onde sia in obbligo di restituire ciò che non è suo. Essendo questo il vostro retto e giusto sentimento, potrete comprendere il mo- tivo per cui io non vi nomini alle pag.2J.26, dove da' principj della piìi semplice aritmetica deduco 4 V 3K- oiv— o le due formole ^ 4 / .. ^i) e( t^-—l j/....(2) dell'equazione solare, la formola dell' equazione lu- nare ^ — rr — ) i-,' (3) pag. 44» ^ ^3 formola dell* equazione solelunare 0,43 K + o,— 25 ^-^ Jr-f- o, 44" (4)pag. 57, E, vero p(MÒ , come ho già detto , che io pro- pongo le formole dell' equazione solare , lunare , e solelunare diverse dalle vostre ; ma è vero pur an- che , che queste quattro formole sono del tutto iden- tiche alle vostre pag i5. 22.31. Dalla formola del Delambre per l'equazione solare, ossia da 10+ k— lO — r — 7 — ) i^ io deduco l'equazione solare K — 2— (1) i P^g' 21 , e da questa l'equazione (1) e (2) pag. 25 , la quale dall'equazione (i) deduco anco- ra pag. 24. Voi alla pag 19 trovatela formola dell' equaJcione solelunare data dal Delambre troppo com- posta, lo però vi assicuro , che dall equazione lu- nare I \ 2b J u data dal medesimo si trova con somma facilità l'equazione (3) per due diverse vie a me cognite, una delle quali è stata proposta dai "f^G Scienze sig. Carlini Blhl. ital. marzo 1819 pag. 348 . Stf mai oltre le due dimostrazioni da me date dell' e- qtiazione (3) pag. 44- 58 desideraste una quinta ma- niera , prendelG 1' equazione lunare del Gauss , già dal medesimo corretta primachè voi pubblicaste il rostro libro, e non contando! giorni 3 della rifor- ma, avrete y^ — -^^ \ i — 3=\^ — ::5 — ^/.Era tanto fa- cile al Gauss dedurre questa equazione, onde non pos- so persuadermi che non l'abbia conosciuta. Per l'e- «juazione (i) era ben dovere, che nominassi il De- lambre ,e non voi. Il motivo poi già addotto mi di- spensò dal nominarvi nel dimostrare le tre formo- 3e (2), (3), (4) , usando priucipj molto diversi dai vostri. Anzi questi medesimi vostri principj mi hanno dato più forte motivo a non citarvi. Voi supponete le tre diverse equazioni ripre- sentate da tre diverse espressioni da voi ideate , ma non dimostrate. Formato quindi diverse equazioni snmpre nelT ipotesi di un valore intero senza resi- duo, e da queste derivatele lormole per lequazìo- kì lunare, solare, e solelunare. Dovete però com- prendere, che introducendo nelle vostre equazioni anni diversi, derivano anche equazioni diverse, e false. Come voi conoscete le fidsità ? Colla prova. Come voi mutando ipotesi dimostratela verità del- le formole, le quali presentano oltre un quoto in- tero un qualche residuo ? Colla prova . Dunque tutte le vostre dimostrazioni si riducono alT espe- rimento della corrispondenza delle tre diverse for- mole nei diversi anni, lo al contrario niente sup- pongo, né dalle mie dimostrazioni può derivare una falsa formola , né ho bisogno fare esperimento alcu- no della loro corrispondenza , mentre la stessa di- mostrazione mi assicura essere necessaria la corri- Forcole aivalitichr della pasqua i^y spondenza. Avete bensì voiulo nella B.blioteca ita" liana, marzo i8i. ., o anche zero. Sup. Mando poi il — J il — :i^,sarà — (l=.Pl — ,jj , essrndo E miggiore dii^J. \ Questi due valori di — d soslÌLuiti nei terzo termi- i2* l8o S e I K N E E r+L— ri ne/' — ~ — j r del sig. cav. Cisa De Gresy, ed aggiun- gendo 21,0 49 multipli di 7 , si trova il vostro ter- zo terrnineC^±Il:il'\ r Prima di lasciare la formola generale del sig. cav.uisa ,e precisamente il terzo termine l Jr equivalente all' e del Gauss, può paragonarsi col medesimo terzo terminepel calendario giuliano pag.i3, e collo stesso terzo termine pei calendario grego- riano pag, 22. Facendo dunque le piiì semplici ed evidenti sostituzioni, si trova que sarà \. ^J r=L= V.— Jr . For^ ^ 7 mola sì vostra che mia della lettera domenicale giu- liana , la quale io però deduco da una mia formo- la generale , e non da voi. Che se si prendali terzo termine appartenente al calendario gn-goriano, si tro- ta allora Dunque sarà Formola identica a quella da me derivata dalla cHat^i FORMOLB ANALITICHE DELLA PASQUA l8l formola generale data nel tom.XIX della società Ita- liana , e riferita nr-gli opuscoli astronomici ah. 1812 pag.8j.Io ho voluto rilevare la convenienza di tutte queste diverse formole dip^ndetsti da principj più sem- plici dell'aritmetica. Voi sicuramente da ciò compren- derete , che applicandosi alla ricerca di qutste for- inole , facilmente succede, che si trovino formole identiche , senza la necessità non solo dì copiare, ma né anche di conoscere le altrui. E pi?rciò , che io credo non convenga dare a queste formole quell* importanza , che voi li loro date. Per quanto io penso adunque credo, che il Gauss abbia potuto nel combinare le sue formole ricono- scere nelle medesime 1 epatla , e la lettera domeni- cale- "^redo dunque che voi facciate torto al distin- to merito di questo matematico quando dite nella vostra lettera , che dalle sue formole non s'ottiene liè l'epatta nòia lettera domenicale. Ciò avevate già meno generalmente opposto al Gauss alla pag. ó-j del vostro libro, limitandovi alla sola difficoltà; ed io stimai leggerissima vostra svista quello , che ora conosco essere vostro erroneo sentimento. /aS— K-f-3o\ Richiamate l'equazione arrecata a=^ jo ^ '"' e posto che E sia 28 o zero, divenga «? zero , o an- che 23. Similmente divenendo i? « 2Ò — • c?-|- 3o, si trovino rf, ed E maggiori di aS. Sarà dunque gene-» (:>? — d-f-v>o\ 111 :: ir . Ma dalle formole del 00 / Gauss si ha sempre il valore ài d giuliano,© gre- goriano. Dunque sarà anche data 1 epatta E giulia- na o gregoriana che sia. Similmente il terzo termine e giuliano , o gregoriano nelle formole del Gauss SI npreseata peri J r . (Quando dunque il iSi Scienze niimeralorp del terzo teimine si dica ji ^ sarà Z =; ( :: — ) /' . ]M;i A ed sono S'^mpre noie nelle forniolp i\o\ Gauss ; dunque saia anche data ia let« tei a donipniciile. Sia por rrcnipio Tanno mpflpsimo 4*^00 *^'*^^* proposto. Per la loimola corretta dal Gauss sarà \ • / ; ^2 3. On de 1 epatta E =f — ^- — j r=o . Essendo poi il numc- ratorp di e dato p-T J + AO''^ 1(7)'+^— (4)/+" +G d , sarà 1 =(: '\;)^(0"" (-) ì ,= 5= E= L. ' ' ' . 7 $ono- dunque 1 valori di E ed Z^ quei medesimi, che voi trovale nfila vostra lettera p-ig.SiG. Quando la vostra Jormola della lettera domenicale f>regoria- na l'osse stata identica alla mia, vi sareste l'orse av- vecii.-.o, chele formole della pasqua date dal Gauss danno por anche la lettera domeuicale. La vostra nova l'ortnoia ihiia lettera domeni- cale ni^^rite mi dà a rilevare. Avendola però io let- ta , e dopo pochi momenti axendone cono'^ciula la dmiost razione , qui ora I aggiungo . Con ciò sem- pre pii*i VI persuaderete, che simili formole, come- chè deiivate da" priucipj elementari delTaritmetica, possono lacilmenle rilioxarsi, senza la necessità di ricopiarle da altri. ? Jbia dw d« lei minarsi per Tanno 1800 -{- h la let- tera domenicale. Ilipi essenti ^/ un nuinf-ro qurdiinipie %. inteio, onde ^ n Sia sempre multiplo di y. Lamia FORMOLE ANALITICHE DELLA PASQUA l83 forraola dimostrala nel toni. XIX della società ita^ liana mi dà 7 /r / • 1800 4-h' , /i — 1500 — n — / l' -( \- ^ *-") , Èssendo poi per principio aritmetico '-'xd,oo-Ax=—!\\r-J-)i—\:—r~)r /i8oo + li\ . /iSoo\ / h\ =— 4 \—T') ' — C"4 / '' — U> ^ ^«^* 1800 h 1 / h\ /iSoo + hx —-4- — 4 "^ 4 U; ''- — V-4~ ; ^"- Sostituen- do dunque si trova ^ _.Vi-i8oo-h- 4+ 4 V V r - -X+ Ti) ^ 7 _(T-a25o-4 + 4CV'-+ 7V r .Aggiungendo ora 7 h 7 / 'A . , . tre termini 2254 + 2 i •^+ '^r (^ ^^J r ciascuno multi- plo di 7 , e togliendo il multiplo 7 n^ sarà ( »-h4 + 2(i) '•+4h)^_^^ 7 Esprima quindi 1'^ l'equazione solare, K il numero de' secoli, S Tanno secolare, edyia diìiereaza pò- i84 Scienze siti va tra il multiplo di •• , o — v — ^ . Si sottopon* gano ali' esposto calcolo gii anni secolari dal 1600 in poi, e Si troverà costantemente ^ J r =s i-}.2 ( y ''• La formola dunque della lettera dome- nicnloflal ir)oo per qualunque anno susseguente sarà jipesen ala tome voi proponete, e come io dimo- .tro.per(^'^"^^"^'^'-^'^'>- Volendola formola innanzi la riforma sarà /l f-..( )r+ .( )/+4h^ n f.-» • J' M ( ^ \ y ^ ^ y '^ }r. Potrà quindi rilevarsi, 7 clie tutti gli anni secolari , prima e dopo la rifor- nì , avranno una formola composta di soli due ter- mini. Sono finalmente a richiamare le mie tre formo- le della pasq'fa date per ^ '" J 7 pag. ,o5. P=, , + (^i±^y + O'O "(>"-(-) ^'), pag. 106. Di queste tre formole si stima falsa la prima «d ul- tima, poiché ^ipplicale agli anni i8j) e ;(>>.), dan- no la pas-qua jr r mar/o 2^+0+0 Si crede faha la secuuUa, mcutie a^j^)iicala ali auuu innanzi la ri» FoRMOLK ANALlTICnE DBt,-L\ PASQUA 1 8^ forma 2^4 , tlà similmente la pasqua per marzo 2 1 ^ (, .^ o , quando in. lutti tre i casi diversi dee es- sere nel dì 28 marzo. A farmi poi grazia si vuole, che siami oscurfimente espresso. Richi-imriti vi dunque alla mente , che quando una Ibrtnola esprimente un residuo ha il numerato- re multiplo del denominatore, allora il valore può ess( re zeio, o lo stesso denominatore, ed il caso che si propone , decide di questi due valori. Cosi nel- le ioimole della lettera dcmenicah ,e dell auieo numero il zero residuo non ha mai luogo , ma ben- sì il n nella prima indicala lettera domenicale, e il 1;; dimostra Taureo numtro nella seconda. An- che esprimendo il giorno della pasqua per marzo 22 -J- ---^ — )"+(, "^ — — jrpuo darsi il caso,come nell anno medesimo da voi arrecato 1 8^5, che il secondo termine abbia il numeratore multiplo del denomina- tore , presentando così zero , o 00 per valore. Si pt-enda 3o, ed essendo L =: 3 , ^/ =: 3o, sarà il gior- no della pasqua dato per marzo 22 -J- 3o + 4= mar- zo 5(5 zz 25 aprile domenica Diviene dunque la (or- mo'a lalsa , perchè s'introduce 3o valore talso di d^ il quale ripresentando la disianza della decima quar- ta pasquale gregoriana dal dì •. 1 marzo , non può superare 28. Ripresentando il giorno «Iella pasqua per la forinola medesima, può darsi cheli terzo lermi- ne ( - — '- \r abbia il numeratore multiplo di y. por- tando così due valori zero , o 7. Ma il terzo termi- ne, come ho dimostrato pag ioò^ è la disianza in giorni del'a domenica pie ssima , e seguente il gior- no 2:i-(-r/:i: 2i4-tì'4- 1 marzo , ossia la distanza in giorni della domenica prossima , e seguente il gior- no dopo la decima quarta pasquale, il \aloie óuxì' vero marzo 2 i -{■ d + i -\- ';;. Questo caso dunqu.% come da tulli si conviene, porta il terzo ter- mine uguale a zero. Quando poi s'esprima il giorno della pasqna per marzo 21^ r ]_ j/^_f,i ^{ — l — I — Ir, il terzo termi- ne I + f J^^^l Jr= e + i , come dimostro alla pag. iol5, esprime la distanza in gior- ni delia domenica prossima , e seguente il giorno 21 -f-^/ marzo, ossia il giorno della decima quarta pa- squale. Ma riportandomi alle medesime citate pag. ^9-> 9' ' questa distanza in gimni della domenica prossima, e seguente il dì 2 t -^-d marzo non può es- sere zero , sarà dunque neces -aiiamente 7. Quando dunque , numerando la pasqua dal marzo 2 1 -fr/, il I t ■ /'L,-f-4i-6.l\ . ... , numeratore del terzo termine ( Ir sia multiplo di 7 dovrà prendersi 7 , e non zero. Ciò similmen- te dovrebbe avvei tirsi , ma non s'avverte : poiché lutto il mondo sa, chele regole stabilite non pos- F'inniOLE ANALITICHE DElL.i PASQl'A 1 &y SOho portare la pasqua nel f^iorno flella decima quar- ta , ossia marzo 21 +r/. Questo è il motivo percui alla formola della pasqua numeiata dal 21 +r/ mar- zo pag. io3. io5. 106, sottopongo immedialamen.- te la loimola numerata dal 22 +d mnrzo. In que- sto modo cliiun(jup , clic sia alla portata d'iuttn- derele lormole, ad evidenza comprende, the il ter- /L-(-4 f ' ■■ \ /■'',. ■\-: -\- y \ zo termine/ — I- — )/ = i4- ( ■ — j/=:i|-e sem- pre supera di un giorno il terzo termine e della pa- squa numeiata dal 22+^1 marzo. Può dunque esse- re il massimo va'ore ^ , il minimo 1 , mai però ze- iX). Al '/.evo dunque supposto nelle mie ire lormo- le si sostitiii.sra y,e così non andranno errate le pa- sque . né io mi sarò espresso oscuramente. Credo d'aver soddisfatto pienamente a quanto ini viene opposto ; non sono però certo , che non possa esservi chi voglia entrare di nuovo in cam- po. Quando però ciò sia per accadere, io vi assi- curo, che il balfetsi per cose tanto lri\ ole , e qua- si direi puerili, none del vostro e mio onore. Per darvi dunque anche in questo caso un' attestato del- la mia sincera amicizia , e singolare atima , io sarò sempre soido, e muto a quanto vorrà di novo op- poimisi. T'/i('f,don\ rusconi s. consistono avvocati clissertatio de Mducmavliin ce. ad Ic^. u/iic. eoe/, de ^ladia- toribus peniius tollen. Romce x8jì Boat Uè in ^'* N. el terzo quaderno del nostro giornale (m«/'sO «3 19 yo- 91G ali occasionedi pubblicale 1 estratto del co- Jiienlario De aliuvionibus ec. dato in luce da mon-» l^S S e I E NZ E «IgQor Albprghlni , allora ammesso nel collegio de- gli avvocati concistoriali, fu dato contezza della sag- gia instiluzione del gran pontelice Benedetto XIV il quale ordinò , che la disputa di formalità , soli- ta a tenersi in cancelleria apostolica, fosse dal can- didato accompagnata con una dissertazione a stam- pa. A torma di sì lodevole costumanza il sig. avvo- calo Teodoro Fusconi ricevuto fra i concistoriali , ed eletto avvocato del popolo romano, nel giorno 23 maggio 1822 destinato a tal cerimonia dislribuì un dotto comentario col titolo De monomacliia . Ci facciamo un pregio di dare Testralto di qupst' applaudita produzione, rilardato con dispiacere dall' abbondanza delle materie , e delle brighe forensi. Antichissimo fu pressoi romani lo spettacolo de' gladiatori. Sebbene non sieno d'accordo gli an- tiquari, se quest uso togl lessero dai greci o dagli etruschi ovvero dai campani , tuttavia è certo che questo genere di pugne formava il più grato, il più Irequenle spettacolo del popolo di Marte ; quin- di senza distinzione di condizione scendevano nell arena e servi ed uomini liberi , senza riguardo al grado , e semplici cittadini, e cavalieri, e senatori: finanche senza rispetto al sesso le imbelli femmine fa- cevan sovente pubblica mostra di coraggiosa ferocia. L'origine di tali sp**ttacoli si ripeteva dall opinione, che le anime degli estinti provassero reftigerio dallo spaigimento del sangue umano sulle loro tombe. IVia ben presto il popolo bellicoso si addomesticò a que.sto barbalo costume, e fu esleso dai funerali alle vittorie, ai trionfi, alla dedicazione delle opere jubbli- che, air inaugurazione de magistrali, alla partenza , giorno natali^,io, voti quinquennali, decennali ec degl'imperatori , e ad altre riK'Ite pubbliche solennità, che con simili giuochi venivano celebrule. XI governo De monomachia i8(^ favoreggiava questo genere di spettacoli, perchè ì cit- tadini assuefatti alla vista pressoché giornaliera del- le pugne , del sangue , e della morte , combattesse- ro contro i nemici con più di coraggio. Gli edili poi, i pretori, i questori, e gli altri magistra- ti della repubblica che aspiravano a più alte ca- riche , si concdiavano il favor popolare col dare eoa magnificenza questa sorte di spettacoli , pe quali i romani mostravano un deciso trasporto. Anche ne* privali banchetti si giunse a far comparire alcune paja di gladiatori per divertimento de' convitati , che al dir di Silio Italico godevano miscere eindis spectacula dira .... respersis non parco sangui- ne mensis. Andò quindi crescendo a dismisura il numero de' gladiatori; avevano scuole di esercitazione ia Roma , che P. Vittore appella liidum niatutivi{ni , gallicum, magnum dacicum , aeniilium: due al ten^- po di Cesare ve n'erano, luna a Ravenna, e 1 al- tra a Gapua. Sotto Gommodo, che avvilì la dignità imperiale collo scendere nell' anliteatro a pugnare con questa sorta di gente , formavano in Roma un collegio, secondo la testimonianza di due iscrizio- ni trovate nel i7)5 , ed esistenti nella villa Al- bani. Orribili erano le forraole de' giuramenti , fe- roci i patti fra loro : auh occidere si occupaverié , aut occumbere si cessaverit\ disperati i saluti: ave^ ioi- perator^ morituri te salutante ferina la rabbia del vin- citore fino a bere il sangue del vinto. Contro questo barbaro ed atroce costume al- zarono indarno la voce della retta ragione e dell' oltraggiata umanità Apollonio Tianeo ^ Plinio ^ Ter' tulliano , s. Cipriano , e Lattanzio. L'abuso, quan- tunque contrario al naturale istinto, era troppo gè- igo Scienze nerale e radicato (i). Nerva non osando di vietar-» lodireHaniente, si limilo, al likiir di Dione, a restiin- gpie le spese di sillalli speltacoli . Deve perciò ri- gettarsi 1 opinione di Zbnara, sciilloie poslcriore di molti si/H/)i 2-frtt/<«/ontn, ed inserita nel Tesoro di Meerman lo:n.Ilpa>;. 36 j- e se ., fa rilevare clic gli umani successori di Nerva, sebbene in- volti nelle superstizioni del gentilesimo, pur si studiarono d'infrena- re la sinodata licenza de' gladiatori . Osserva coli' autorità di Plino secondo , che Trajano rimandò assoluto il decemviro Trebonio Ru- fino accusato di aver in Vienna vietato lo spetta -oio de' gladiatori : ed aggiunge, che lo stesso impegno mostrarono Antonino Pio, IVI, Antonino il lilosofo, ed Alessandro col moderare le spcsudi quc'giuO" chi crudeli, secondo la testimonianza di Capitolino e di Lanipridio. JJoi a^giug'icremo , che il testo di Capitolino nuorno le gestc , dell' imperator M Aurelio Antonino g/aJiato. ia speclacu/a oiunifariwn ieinperubil si può intender* per uii generale divieto di celcjrare si De MONOMACHIA IQl liO stesso Imperator Costantino dicci anni avan- ti la pubblicazione delia legge illustiuta nel co- inenlario , cioè nel 3i5, condannò m lucùiin ^ladia- torium i plagiarli : tanto è vero , che dopo iVerva continuarono (jn^-gl inumani spettacoli ad onta del- le cuie in repriineiJi. Ma llnaimente l'anno J25, sot- to lì consolato di Paolino e Giuliano , il pio im- perator Costantino vietò lo spettacolo de' gladiato- li , colla costituzione piomelgala il primo di ot- tobre lu Jierito, colonia siro -fenicia opulentissi- ma tanto pel commercio, quanto per la scuoia giu- ridica che vi liori'a. luloniava quei buon prin- cipe dal concilio niceno ultimato li 2j settembre dello stesso anno: e quindi è assai verosimile, che Je rimostranze di que' padri lo determinassero a pro- ibire le pugne de gladiatori, siccomv;. contrarie ai piin- . cipj di natura ed alla sana m^raje. L'equissima previdenza di Costantino fu com- mendata da E^usebio nella vita di quelT imperato- re , e da Sozomcuo nella storia ecclesiastica. Tri- boniano coli' intemperante sua libertà riportò mu- tdato il testo della costituzione nella lei^. anic. cud. (h i^ladiatonhus pmitits toUeiid. Ih. II. tit, kjì-^ ma intiera si rìlvovd nel Uh. ij. fit. n. del codice te- odosinno di questo tenore - Imperator Costantinus J.Maximo P F P ~ Cruenta spectacula in otio civili et domestica cpciefe non piacenti qua propter qui ontnino gladiatores esse prohibcnius , egs qui for- imi giuochi lidie colonie sen.-.a uno special*; perniusso del printiije; poiché ce ne somministr.iiio Ione argoiiiemo due marini riporiati dal Gruferò alle pag-,,. i^oi n." 2, e 475/1." 5, nel primo de' qua- li si fa menzione del permesso accordalo dal medesimo M. Aure- lio per la colonia Puleolanoriim , e nell'altro si cita una simile li- ceità impetrata da Cominodo per la colonia di Sucjsu. 192 Scienze te dellcfonim cnuva hnnc condicinnpm afqne sen" tendam niercri consucverant , metallo mti^/s facias inservire , ut si ne sanguine sunruni sceleruin paeias a^noscnnt. P P, Ber j io kaleìid. ociobris , Paiduio et Juliano cuss. Entra qui il eh. A. nella questione , se cioè la legge loise iiieranieute locale : e ciiscostau(iosi dal sentimento di Ijaroaio e di Muraiori , elio la cre- dettero generale ed estesa a tutto I impero, si at- tiene ali opinione di Gotqfredo e del Pai^i che la riuutarouo ristretta al solo Oliente (J). A sostegno di sua opinione allega 1' A. di- verse leggi de successori di Costa ntina, che pro- (3)Semf3ra tuttavia, che non sian per maii are d^fensoi-i dcU' opinione di Baronio e di Maratori contro Gotofredo e Paji, suU' appoggio di assai proljabiii argomenti. Poteva difatti Costantino cQir>Q signore assoluto farsi obbedite in tutta fcsteusione dell' impero. La ragione allegata die mal si convenissero- crae/i/rt spc lucala in olio civili <.t loirmsticci (^ui<:fe - era camune a ' oriente e.l all' oc- cidente , poiché se in quello era tutto tranquillo dopo conilusa la pace con Sopore re di Persia, e dopo le amichevoli ainbaìceirie dell' Etiop'a e deir Ind-a, in questo era altresì tutto sommesso e paci- fico dopo la disfatta del tiranno Massenzio , e ia morte dell' emulo Licinio. Ammette lo s;esso Gotofredo, chela frase non piacere deb- ba intendersi per - nm convenire religioni chrislianae-. Sarà dun- que malagevole il persuadere , che il pio principe Costantino, mosso dalle preghiere de' padri del concilio niceno a togliere la turpitu- dine e la barbarie de gladiatori , volesse riparare per metà al di- sordine generale , e restringere al solo oriente la legge proi- bitiva, die più era ne essaria nell' occidente , ed in Roma stes- sa sfrenatamente dedita a simili atrocità. Infme Eusebio di Cesarea, sto- rico di gran peso e coniemporaneo, recato in mjizo dal eh A- u ^ar. ^, non ta bastante lestimonianza, che Costantino inlerdix l onini- èuSjUe.... C/uealis ^iudiuloruni spsiclucuiis urbes cvnlu/niaurenl'ì D£M0:V0ilI ACHIA 1 f) 3 vano la continuazione dell' abuso nelT occiflente a tutto il secolo quarto dell' era cristiana , ed una ne cita di Costanzo augusto e GiTiliano cesare , che nel 337 dichiarò immuni du si detestabile eserci- zio i militari , et omnes qui gubernant officia pa- latina. : Taltra dì Valentiniano seniore, che nel J(j5 vietò, che quicumqiie christiaiius sii in quolibet cri^- niine deprehensus^ ludo non adjudicetur; e quella an- cora di Arcadio ed Onorio , che nel 3()y proibi- rono , che tale infame razza di gente e ludo gladia" torio ad senatoria servitia tr^nsire possent. (4) Finalmente i gladiatori furono in occidente pro- scritti da Onorio circa f anno /\o/\ alle preghiere di Prudenzio , che così lo scongiuiava : Quod ge/f.us ut sceleris jam nesciat aurea Bonza Te precor ausonii dux augustissime regni , Et inni triste sacrum jubeas , ut costerà , tolli . . Nullus in urbe cadat , cujus sii piena voluptas , Nec sua virginitas oblcctet caedibus ora ^ Jam solis contenta feris infnmis arena Nulla cruentatis liomiculia ludat in armis. Se poi vi sì aggiungesse loccasione del martirio di s. Almachio, che declamando conlra quegi' inlami spettacoli venne in mezzo all' arena trucidato dai gladiatori : se Almaohio sia lo stesso che il Telema- (4) Gli esempi allegati dal eh. A potrebbero provar piuttosto, chela saggia provideuza di Costantino fu di breve durata, e che do- po la di lui morte ripullulasse ad onta della legge il pazzo furore de' romani e la baldanza de' gladiatori , sia per la debolezza de' suc- cessori di queir augusto, che non ne seppero mantenere l'osservan- za, sia pel loro personale trasparto a ijue'giuochi sanguinari .Quin- di potrebbe taluno dubitare ciie questi fatti siono siUfinierui a tac- ciar d'errore i due grandi annalisti della Chiesa e diijii' Italia , am-: meticndo tuti' altra e p!au»ibile spiegazione. G.A.T.XVI. i3 Ify4 S C 1 K N Z E CO , di cui parla Teodoreto : se patisse sotto Ono- rio, ovver sotto Teodosio ; il eh. A. in tanta va- rietà di parere si attiene dal pronunciarlo , lascian- do intatta la questione assai difficile a risolvere per la caligine de' tempi , e l'oscurità de' monumenti. T-{lVi è certo però, che dopo Onorio non v'è trac- cia di pui^ne gladiatorie , neppure ne solenni giuo- ciii dati nel Sai da Giustiniano all' occasione del suo consolato. Che se dopo l'epoca di Onorio s'in- contrano nominali dagli scrittori e negli atti de'mar-» Viri, glaffiaf Oreste damnati ad gladium ; devono, se- condo la comune opinione , pe' primi intender- si i carnefici , e pe' secondi gli stessi martiri con- dannati a perder la testa sotto il ferro di que' mi- nistri. Si deve perciò intendere sanamente e non cen- surare s. Isidoro ispalense, scrittore del secolo set- timo, quasiciiè affermasse continuati fino al suo tem- po gli spettacoli gladialntj, mentre egli nel suo e/f- Vìologico sen^ tener ragione de' tempi attende a di- stinguere soltanto genera gladiatorum plwa . An- zi dallo stesso s. Isidoro si può dedurre, elici tor- nei dall'umana m;ilizia sostituiti ai giuochi gladia- torj fossero in uso fin dal suo tempo , e che quin- di si discoslin dal vero que' che ne riportano l'in- venzione al secolo XI sulla fede della cronica tu- ronense , in cui si legge all' anno loGG: Gaiifridus de Pruliaco.qui tomeaincnta invenit, apud Andega- vuni occiditur ; essendo più verosimile il credere che colui proponesse nuove forme soltanto e nuo- ve regole di que' comhatli menti. Che poi diversa fosse la specie di questi giuochi, ben lo piova la si- militudine dell' Alighieri, che nel canto XXU del- lo inferno espressamente li distinse : De MONOMACHIA 1^5 E vidi gir gualdane , JFTsrir toniieamenti , e correr giostra . Poiché , giusta il comentario di Buti , giostra è quan- do luno ca\>aliere corre contra l altro colf aste broc- eate . . . dove non si cerca vittoria , se non dallo scavallare , e in questo è differente dal torneamcnto dove si combatte a fne di morte . Alle proibizioni imperiali si aggiunsiMO i divieti ecclesiastici contra questi pericolosi esercizj de' tornei. Innocenzo II, Eugenio III , ed Alesandro III comminarono con- tro i combattenti pene gravissime , che furono an- cor più severamente inculcate da Clemente V nel concilio viennese : furono però moderate da Gio. XXII a preghiera della corte di Francia e di al- tri principi , allorché vi era bisogno di addestrare i crocesegnati per la spedizione di Terra Santa. Dalla parte isterico - antiquaria del suo co- mentario passando V A. alla parte dottrinale , di-- vide la materia de' duelli, sulla scorta del dotto car- dinale Gerdii, in tre classi principali. Pone nella pri- ma classe i duelli pubblici per autorità pubblica : nel- la seconda i duelli con autorità pubblica per interes- se privato: e nella terza quelli, che per privato in- teresse si fanno senza pubblica autorità. Ilispelto ai duelli della prima classe, che si fan- no reipublicce causa et iniperantium auctoritate , il N. A. è d'avviso, che gli esempj che si hanno nelle sacre carte di Davidde e Golia , e del com- battimento stabilito da Abner e Gioabbo fra do- dici guerriej'i d' Isboset ed altrettanti di Davidd*, non basti in generale a giustiljcarlì , potendo que' duelli essere avvenuti per celeste ispirazione. An- che la storia romana ci presenta l'esempio di T. Man- lio Tarquato , che colf assenso del dittatore pu- gnò , ed uccise quel gallo che sfidava baldanzo-r 16* KjQ Scienze sarnente qualunque de' più forti romani . SobLe- ne però vi siano de' gravi teologi, che in tal cir- costanza stimino lecito il duello , come tendente a confondere il temerario orgoglio dell' inimico e a risvegliare il coraggio di un' esercito avvilito , tut- tavia conclude col lodato card. Gerdil , che queste prove di vdore si assumono per lo più per osten. Iasione di forze e vanagloria , e come tali debbo- no generalmente riguardarsi come illecite. Più astrusa è la disquisizione de' compromessi fatti per terminar le guerre fra' popoli per mezzo de' duelli fra una o più coppie di combattenti ; siccome , oltre gli esempj della greca storia , accad- de nella guerra de' trojaui e de' latini nel duel- lo fra Turno ed l'enea , e nelT altra de' romani ed albani colia pugna singolare fra gli Orazj e i Curiazj . Fa molla illusione per approvarli il rifles- so , che con qu^^sto me^vno in favore dell' umanità si risparmia lo spargimento de! sangue , le devasta- zioni , gf incendj , e tutte le altre conseguenze fu- neste di una guerra . Inclinano , è vero , assai gravi autori a, riputar lecito in astratto questo espe- diente di evitare maggiori mali , quando le forze di due popoli siano in bilancia , ed eguale per en- trambi sia la probabilità delta viltoria nella pugna singolare; e mollo più quando dal popolo più for- te è sfidato il più debole , che potria in battaglia generale più facilmente ed ingiustamente soccom- bere. Ma in pratica è co^a inverosimile , che un popolo supcriore di forze offra ed accetti questo partito . (Jhe se le forze de' due popoli sono in un certo equilibrio , il compromesso non è ritenuto per lecito , come quello che contro le regole di umana prudenza avventura la sorte di un popolo all' esito sempre incerto di un duello . Più sano De MONOMACHIA ^91 consiglio sarà V impiegare con saviezza e misu- ra tutte ie forze dello stato per ridurre V inimico al dovere : imperocché V arie militare ha delle re- gole e delle risorse per antivedere , predisporre , ed assicurare 1 esito della guerra. Tutto si può sperare coH'ajuto della providenza aibitra dei destini de' popoli , quando colla debita accortezza si fa valere la forza intiera dello stato contro la forza dell'inimi- co, impegnandolo alla battaglia in luogo e tempo op- portuni , ed evitandola allorché non è espediente , defatigando T avversario, e distruggendolo a poco a poco. Tutte queste risorse sono ridotte al nulla , qualora dal risultato Ji una pugna singolare si fac- cia dipendere T indipendenza e la soggezione di un popolo intiero esposto al pericolo di perdere la sua libertà senza aver fatto sperimento della totalità delle sue forze . Alla seconda classe appartengono i duelli as- sunti con autorità pubblica per cause private , detti perciò giudiziali. Furon questi introdotti ne' bassi tempi per in- dagare i delitti o r innocenza delle persone , e sì chiamavano giudizj di Dio , per la speranza che il cielo vindice della giustizia desse vittoria ali' in- nocente . Entravano essi fra gli esperimenti appellati purgazione canonica , come lo erano qiaelli del fuo- co , dell' acqua bollente , e della gelata . Dalla Francia , ove forse ebbe principio nel scaccio VII secondo i capilol;»ri di Dagoberlo , si dilatò il cos- tume de' duelli giudiziali presso le altre nazioni r ed esempj notabili ne somministrano la pugna fra Carello campione di Gundeberga sposa del re Ro- doaldo accusata d' adulterio , e Tacnsatore , che ri* mase vinlo : e 1' altra , che alla presenza di Lodo* vie© il pio combatterono JBera conte di Btirceiloua 198 S e 1 E W Z £ incolpato d' infedeltà , e Samilone accusatore , da cui fu superato . Anche nelle cause civili sovente fu ammesso il duello per rivendicare o difendere le proprietà . Sotto i re longobardi , franchi , e germani V abuso invalse cotanto , che gli stessi ecclesiastici per dilesa de' loro beni erano non ra- de volte costretti ad accettare , e , quel eh ò peg- gio , ad olfrire il combattimento . Che anzi questo mezzo irragionevole e disumano di scuoprire la verità e di decider le liti fu quasi per privilegio permesso alle chiese ed ai vescovi . Così Corrado imperatore nel 1028 concesse a Pietro vescovo di Novara , ed Enrico II nel 2o52 a Widone vesco- vo di Volterra per duelluni qualihet legali sententin litem definire. L'età , 1' infermità , ed il sesso delle persone frequentemente non permettevano , che da per se stesse pugnassero senza manifesta disparità di forze. Di qui 1' occasione d introdurre i difenso- ri delle parti , che furon detti campioni e vicariì , perchè scendevano in campo a combattere in ìaltrui vece , ed avvocati quando si trattava di beni di chiesa, come rilevasi dalla legge di Ottone ti : caii- tiim , de ecclesiarum rebus , ut per advocatos pugna fiat . Gli atti del B. Lanfranco vescovo di Pavia provano , che durasse ancora il detestabile abuso nel secolo XII , leggendovisi la storia dell' infelice don- zella Galasia condannata al fuoco per preteso de- litto di veneficio nella persona del fratello , perchè il campione di lei avea soccombuto . Questo siste- ma di giudizj , che per se solo saria sufficente a mostrarci la barbarie de' tempi ne' quali fu intro- dotto , e r ignoranza e la ferocia de' popoli che r adottarono , si andò poco a poco diradando in proporzione del progresso che fece la cultura de' popoli , e lo studio della sana lilosoUa . Incerta è De moivomachia 199 l'epoca della total cessazione , trovandosene esempj nelle Spagne nel i52 3 , in Francia nel i547 , ed in Inghilterra anche nel principio del secolo XVII. Quello però che non ammette dubbiezza si è , che la chiesa ben lungi dall' approvare simile esperi- mento del duello , lo riprovò lino dai primi tempi; facendone fede la lettera di JNicolò I al re Carlo il calvo , zio di Lotario , che , secondo la storia d' Incmaro Reraense de divortio Lotharii et T/ieut- bergae^ pretendeva si decidesse per mezzo del duello la causa sul preteso adulterio della regina . Il pon- tefice francamente scisse : Monomachiam in lege non assumimus .... cum haec et ejusmodl sectantes Deum solummodo tentare videantur . Anche Celesti- no III sul fine del XII secolo tolse T uso scanda- loso del duello fra' chierici , che coli' armi alla ma- no si disputavano il possesso de'beneficj . Per veri- tà era assurda ed empia cosa , che dichiarando il giudice la sua incertezza, il piato col duello si aves- se a decidere : assurda , perchè lo sperimento tutt' altro indicar poteva , che la verità , ed attribuendo alla forza ed all' arte tutto il favor della legge to- glieva al timido e al debole le prerogative dell' in- nocenza e del buon diritto ; empia , perchè trop- po disconveniva alla dignità divina , ed alla nostra bassezza , il volere in certa maniera forzare Dio a far de' miracoli a nostro capriccio . Onde abbiamo da rallegrarci co' secoli nostri , per esser tolte via tali follie , da che i pontefici ed i concilj ne han- no estirpato il seme , ed ha rivendicato i suoi diritti la retta ragione , che insegna non doversi presumere il delitto , copie si credeva in tempi di ferocia e di sospetto , ma doversi assolvere l'accu- sato in mancanza di certa e piena prova dell' im. putazione . '2 00 Scienze Intorno la terza classe di duelli por cause pri- vate , e senza concorso di pubblica aulotità , se lo scopo n è riposto nel solo desiderio delia vendetta , il dritto stesso della natura li condanna , poiché al dire di Cicerone -siint quaedam officia etiam adver- sus eos servanda , a quibus injuriam acceperis ; est enivi ulciscendi et puniendi modus . Osservò il Ve- nosino , che questo cieco furore di scannarsi a vi- cenda è sconosciuto fra le slesse fiere : Ncque Jdc lupis mos , nec Juit leonibus tlnquam nisi in dispar ^enus. Qualunque si cimenta a singoiar tenzone , che finisce eolla morte dell'uno dei due soccombenti, si fa reo d omicidio , se vince: di suicidio , se soccombe . Molto pili è condannabile nello stato di società , in cui gli uomini si posero per assicurarsi dalle recipro- che ingiurie , ed attenderne dalla pubblica autorità la conveniente riparazione . Quindi ben si avvisaro- no gV imperatori Onorio e Teodosio allorché dis- sero: idcirco judiciorum vigor, jurisque publici tutela in medio constituta , ne quisquam sibi ipsi permitte- re valeat ultionem . Nondimeno 1' irruzione de' lon- gobardi in Italia seco porlo questo barbarico costu- me , sconosciuto air antichità , che poi latamente presso le altre nazioni si propagò , e fu in voga nella nostra bella regione sotto i franchi e gli alemanni. In que tempi infelici , ne' quali la for- za aveva usurpato il seggio della ragione , uomini feroci , iracondi , ed inesorabili si provocavano col- la sjyada alla mano per ogni pretesa ingiuria sotto gli occhj stessi de' molti piccoli tiriiuni flell'ifaliche contrade , i quali tiravan partito dalla tolleranza del disordine , togliendosi così dinanzi senza odiosità le persone più torbide , sospette , ed invise . Dfi aiONOM ACHIA 301 Si addolcirono quindi i costumi , ma non ces- sò l'abuso del duello sostenuto dalla falsa idea del- la personale riputazione. Insorsero le massime erro- nee della scienza cavalleresca, e tanti delirj furono scritti in proposito , che appena una biblioteca ne potria contenere i volumi. L" passioni umane co- privano il sentimento della vendetta col velame deli' onore , e questo punto d'onore fomentava i duelli , che fecero versar tanto e sì chiaro sangue , cor- rendo allora il proverbio: che si doveva anteporre 1 onore alla vita stessa , meglio essendo il morire , che il sopravvivere all' infamia. Egli è però ben facile di smascherare lo spirito di vendetta nascosto sot-: to la larva della propria estimazione , e mostrare che il duello non è mezzo né lecito ne adequato a risarcire l'ingiuria , di cui l'offeso sì duole. Non è lecito , perchè in istato di società ne offende i regolamenti chiunque pretende farsi giustizia da se stesso invece di attenderla dai magistrati , che ve- gliano alla riparazione dei torti e delle ingiurie : nou è adequato, perchè a parlar giusto il disdoro ricade non sull'offeso, ma sull'ingiusto offensore ; oltredichè lo stesso offeso può rimaner soccombente con ingiu- ria e danno maggiore, e quand'anche resti superiore, non pertanto nell'opinione degli uomini rimane il so- spetto sulla verità ©gravezza dell'ingiuria vantata. Ep- pure tanto potè l'impero della moda , e l'esempio de' grandi , che non il terrore delle leggi penali , noa il rispetto della religione hanno potuto sradicai'e af- latto un costume contrario a tutti i principi della retta ragione : e sgraziatamente hanno avuto mag- gior numero d' imitatori Carlo V" e Francesco I (sebbene le loro disfide terminassero in semplici bra- vate) , che Mario , Metello , ed Augusto, ì quali più saggi de' moderni, e senza discapito deli' onore, sde- 203 S C 1 E N Z K gnarono, sebbea provocati,di scendere in campo con Pompilio Silone, Sertorio , ed Antonio. Meritamen- te perciò il nocevole abuso de' duelli fu riprovato dai sacri canoni e dal tridentino ; sebbene i det- tami stessi della natura tacevano già abbastanza co- noscere, cbe non poteva esser permesso all' uomo l'e- sporre volontariamente a certo pericolo di morte o la vita del suo simile o la propria ,di cui non siamo arbitri ma depositar] : vetat enim domìnans ille in nobis Deus injussu hinc suo demi^rare , siccome concluse Cicerone nelle Tusculane. Scelta e sobria erudizione, senza ostentatoria ridondanza : gravità e moderazione dì principj, egual- mente lontana da rilassatezza e da rigorismo : di- gnitosa eleganza di stile, scevra da ricercata affet- tazione , sono i pregi che rendono commendevole il comentario , e degno di tenere fra le produzioni di £iinil genere un luogo distinto. P. Avv. Ruga.. ao^ LETTERATURA Osservazioni numismatiche di Bartolomeo Borghesi. DECADE Vili. Osservazione I. u n rarissimo denaro di Siila dittatore , di cui si ha il disegno presso il Morelli nella gente Cornelia tav. 5. n. II , e più esattamente presso il Visconti Iconogr. Rom, tav- iv ti. 9 , rappresenta da un ia- to una testa di donna coperta da un elmo crestato cui una Vittorietta di dietro inghirlanda d'alloro. Mo- stra poi dall' altro un re conorato del diadema , a- vente un'asta sotto il braccio sinistro colla punta rivolta air indietro , il quale congiunge la destra eoa un duce romano in abito militare , che riposa la mancina sul parazonio , dietro cui si vede una na- ve da guerra, coli' iscrizione sylla.imp n eli' es er- go. Debbo far osservare che in altre medaglie colf istessissimo tipo manca del tutto l'addotta epigrafe, in vece della quale apparisce un numero ; onde il III vedesi in una delia mia collezione, e il II fu da me trovato in un' altra del museo Tommasini di Roma. Giudico eh' essi altro non vogliano signi- ficare se non che il solito numero monetale, e in- tanto mi ò parso di farne avvertenza per due ragio- ni. La prima per addurre una luminosa prova , che le note monetuli continuarono ad essvre in uso an-* 2o4 Letteratura. che negli anni in cui la libertà romana cominciò a piegare al suo fine ; del clie parve dubitasse l'E- ckìip] t. V pag.']']. L'altra poi,per accrescere gli esem- pi delle medaglie, sulle quali orasi è scritta, ora si è lasciata la leggenda; e per aumentare in conse- guenza gli argomenti che ci persuadono a classifi- care nelle genti rispettive i nummi incerti , < he seb- bene privi di le'tere pure presentano un tipo alFat- to conforme a quello di una lamiglia già conosciu- ta , come sarebbe per esempio il denaro di Cui par- lai neir osser. vi della decade III. Per assai lun- go tempo niuno ha saputo intendere il vero signi- ficato di questo rovescio. LOrsino vi credè elìigia- to Siila in atto di ricevere oltremare i senatori che la fazione di Ginna e di Carbone aveva espulsi da Roma. Il Vailìant e l'Avercampio vi ravvisarono il suo vittorioso ritorno in Italia , e la legazione rife- rita da Appiano ( bel. cnul. i c- ']\) ) inviatagli dal senato per tentare di placarne lo sdegno. Ma di que- ste opinioni sentenziò TLckhel : De tjpu numi II (juid statuain in incerto suni. Q ice antiquariihactetius at' tulere non satisfaciwit. È veramente fu ragionevole quel giudizio, perchè la giusta spiegazione è dovuta interamente alf eruditissimo Visconti , il quale vi- ceversa ne va debiore alla lorluna di avere avuto sot- to gli occhi una medaglia conservatissima. Egli dun- que avvertì nell' iconografia romana , che qui era rap- presentato il famoso abboccamento di Siila con Mi- tridate , in cui fu conchiusa Ira loro la pace. L ag- giunse poi che questo principe si riconosce al dia- dema di cui ha cinto il capo , e che porta la pic- ca, ondò armato, colla punta a dietro per mostrare che non si presenta come nrmico. Io non ho che una sola cosa da notare su tale eccellente intev- pretamento, che ci addita su questo nummo uno dei Osservazioni numismatiche 2o5 più celebri falli della storia romana : ed è, che tut- ti senza eccezione hanno creduto che Siila vi sia scol- pilo in alto d'uscirp di nave, dal che paresi aves- se a conchiudere eh' egli si recasse a quel congres- so per mare. Ma ciò è contro la stona , perchè il luogo delia conferenza l"u Bardano nella Troade : e Siila dopo aver passato lo stretto ad abido vi an- dò per terra ; mentre al contrario sembra piuttosto che Mitridate vi venisse navigando. Infatti scrive Dione fragm. clxxv , con cui concorda Plutarco: congressns estSjlla cuni Mitridate ad oppidum Troa- dis Dardanuin,quiim naves is ducentas reim^io instru- ctas et teirest riunì copiariim pedites vieniti inillia^equi- tes sex miViahaheret-^ SjUa cuhortes cjuatuor^equites ducentos. Quella nave adunque deve avere un altro significato : e veramente considero che non vi ap- parisce il ponte per poterne scendere , quale si ve- de nella prima medaglia della gente Minazia, in cui si volle indicare lo sbarco di Gn. Pompeo ii giova- ne nella Spagna. Per lo che io porto opinione , che con essa si sia voluto alludere ad uno dei principa- li articoli di quella pace , il quale fu che Mitiida- te cedesse al proconsole settanta triremi, siccome scri- vono Dione e Plutarco : o vero ottanta, se voglia me- glio credersi a Mennone presso Fozio cap.3y. Ac- conciamente adunque sarà qui dipinto Siila, che do- po aver ricevuto le navi siringe la destra del re, giacr chè si sa dagli storici che non permi&e che gli toc- casse la m.uio se non dopo aver promesso di accet- tare tutte le condizioni che gli venivano imposte. E per tal .Tiodo I esercito romano essendo usrilo vit- torioso da quella lotta , giustammite diilla Vittoria si sarà latta coronare la testa di lioma nel diritto . Dal- le quali cose ne consegui', che la presente medaglia o è stata coniata nello stesso anno (>(><;, in cui av- venne questo fatto ,o tult-o al più nell' anno seguente. 2o6 Lbttbratura Osservazione II. Egli è ornai tempo di tor via dai libri numismatici Ja vergogna che si prosiegua a dare in essi un' erro- nea spiegazione di due nummi, quando è tanto tem- po che uno scrittore epigrafico ne ha scoperto la ve- ra . 1/ primo di q^uesti è appresso il Morelli il v. della tav. 3 della gente Giunia , ripetuto nella gen- te Postumia tav.i n.i . che ha da una parte il ritrat- to dì A. Postumio Albo Regillense che nel 358 vin- se! Ialini alla battaglia diRegillo, coli' epigrafe A. posTVMivs. cos , e mostra dall' altra la leggenda aIì - BiNvs. BRVTi. T eutro una corona di spighe di fru- mento coi suoi nastri. Trovasi il secondo nella gen- te Mussidia tav. i n. i , portante nel dritto una te- sta di femmina incoronata di spighe con prolissi capelli , e nel rovescio la stessa corona coi soliti na- stri entro cui leggasi l. mvssidivs . longvs. Alle volte però vi si scorge l. mvssidi. lOiXgi , come nell' altra medaglia consimile che nella stessa tavola gli succede lett. A, ed alcune volte vi capita l. mvssdi. XONGVS, siccome in quella da me posseduta. Riguar- do il primo suppose l'Orsino che a D. Bruto fosse stata donata una corona di spighe in ricompensa for- se di frumento somministrato al popolo in una ca- restia durante Ja sua edilità : ma oppose il Vaillant che non si ha alcun sentore di tali corone donate agli edili. Quindi amò piuttosto che quelle spighe rinnovellassero la memoria del tempio votato a Ce- rere dal citato console Regillense, di cui parla Dio- nigi d'Alicarnasso 1. vi. § [)i -, ^^ qual parere sotto- scrisse l'Avercampio. Intorno poi la seconda meda- glia due spiegazioni propose l'Orsino. L'una deri- vante dalla congettura che Mussidio Longo fosse sta- to incaricato di una qualche commissione fiuraen- Osservazioni numismatichie 207 'aria ; Y altra che ivi si alludesse a Cesare il ditta- tore ai cui tempi coniava le sue monete Mussidio , come costa da altri suoi tipi ; e che perciò la co- rona di spighe ricordasse la largizione che al popo- lo romano nel 708 egli fece fra le altre cose di dieci moggi di grano per testa. A quest" ultima opi- nione aderirono il Vaillant e TAvercampio. Ma né pure una sillaba fu detta dall' Eckhel su questi due rovesci , l'interpretazione de' quali superiormenie ad- dotta ognuno può vedere per se stesso quanto sia stiracchiata . Il primo a penetrarne il vero sen'io tu monsignor della Torre vescovo d' Adria ( monum. vet. Ant. p. 104), il quale si accorse che le coro- ne di spighe eiano proprie dei fratelli arvali . E provò questa sua assertiva con un passo di Masu» rio Sabino presso A. Gellìo 1. 6 cap. 7. Ex eo tem- pore collegium mansit fratrurn arvalium numero duO' declm. Cujus sacerdotii insigne est spicea corona et alh(e infulie. Con esso concorda Plinio I. xvm cap. 2. Arvorum sacerdotes Romulus in primis instituit, seque duodecimwnfratrem appellavit inter illos ab Ac- ca Laurentia nutrice sua , spicea corona , qua: vitfa alba colligaretur , in sacerdotio ei prò religiosissimo insigni data^ quoe prima apud romano s yuit corona. Quindi è che nelle celebri tavole, in cui si registra- vano gli atti del loro collegio, spesso s incontra ^«w- ptisque prcetextis et coronis spiceis vittatis lucum dece Dice swnmoto ascenderunt\ come può vedersi pres- so il Marini tav. xxv , xxxn , xxxv , e specialmen- te a pag. 3i4- Laonde osservando che non vi è co-« sa più comune sui nummi che il vedervi rappre- sentati i simboli dei diversi sacerdozi , di cui erano onorati coloro che li fecero imprimere , giustamen- te conchiuse quel vescovo che le corone di spighe, le quali si vedono su questi denari , nuU' altro vo- 2o8 Letteratura gliono denotare se non che D. Bruto e Mussìdio Lon- go furono ascritti al novero degli arvali . E i nastri poi che legano tali serti ci mostrano chiaramente co- sa erano le albce injuhe di Masurio, e \evittce alba: di Plinio , che furono un altro distintivo di que- sti sacerdoti. Da tutto ciò se ne deduce, che la te- sta del diritto sul nummo di Mussidio rappresen- terà ia dea Dia divinità tutelare di quel collegio : onde questa medaglia fu opportunamente citata dal Marini (Pr. Ar\f. pag.i i ) in sostegno della sua opi- nione , per la qnale questa dea altronde ignotissi- ma fu da lui creduta non diversa da Cerere , che dalia corona di spighe prese appunto il sopranome di aTX')(jJO(yT't(pxvos, e di cui cantò Ovidio nel iv dei fasti : Tuni demiim vulfumque Ceres animumque recepita Iinposuitque suce spicea serta coinw. Osservazione III. II Vaillant (Jam. rom. t. 2 pag. ai3 ) e lo Spa- nomìo ( p. 2. pag. j53) pubblicarono un' asse semion- ciale colla solita testa di Giano da una parte , e colla proradi nave dall'altra, sopra cui trovasi l'e- pigrafe L.p.n.A.p , aggiungendo che nelf esergo leg- gevasi POMA. Conservo io pure quest' asse» anzi pos- siedo ancora la sua metà : ma quantunque il primo non sia mollo conservato nella parte intcriore , pu- re dubito assai che vi sia mai slata la parola roma, la quale manca certamente nel semisse, che presen- ta 1' esergo affatto sgombro dì lettere. Giustamen- te gli editori opinarono che in quelle sigle si na- scondesse il nome di colui che fece improntare la moneta: e veramente nelf ossorv. vi della decade quinta si sono addotti altri esempj di questa com- pendiosa scrittura. Qui basta solo di notare, cli'el- Osservazioni nlmismatichii ^09 la fu in uso anche negli altri tempi della repub- blica , ai quali pel loro peso convien ril'erire que- sti nummi : del che fa luminosa prova il denaro morelliano della gente Cecilia n. V tav. 2 , in cui il suocero di Pompeo Q. Cecilio Metello Pio impe- radore si contentò d'indicare anch' egli il proprio no- me colle antiche lettere q.c.m.p.i. Nel caso presen- te il Vaillant interpretò Lucius Papinus Designatus Aedills Plebis , e volle trovarvi quel Papirio Tordo che il Pighio creò tribuno della plebe nelT anno ca- pitolino 5y5 , e che falsamente giudicò essere sta- to quel medesimo che portò la legge Papiria sulla diminuzione dell' asse, ricordato da Plinio. Conven- go pienamente nella spiegazione delle due ultime lettere , non essendo nuovo che anche gli edili del popolo sieno nominati sui nummi: ma è però chia- ro che quel D. non deve significare designatus ^ e che invece egli è apertamente l'iniziale del cogno- me di questo edile. Infatti per qual ragione Papirio Tordo avrebbe omesso di aggiungere un semplice T per accennare il suo cognome , quando tante era- no le diramazioni della gente Papiria , che il tra- lasciarlo avrebbe generato sicuramente dubbiezza e confusione ? E dunque da cercarsi un' altra casa , il cui nome gentilizio incominci per P , il cognome per D. E qui debbo confessare che, malgrado le lun- ghe e diligenti ricerche che ne ho praticate non so- lo nei tempi della repubblica , ma altresì in quel- li dei primi imperadori , se si eccettui qualche per- sona non romana o deli infimo volgo di cui si ha memoria nelle lapidi , non ho trovato che questa combmazione si avveri se non se dalla gente Plau- zia , che usò fra gli altri il cognome di Deciano : onde abbiamo nei fasti Cajo Plauzio Deciano con- sole nel 423. Un altro C. Deciano tribuno della ple- G.A.T.XVI. i4 3U) Lkttkratura Lr Tanno C^^l trovasi ricordato da Valerio Massi- mo lib. 8 cap. i , e nell'orazione p/^ Rablrio cap. 9. Egli fu padre di un nuovo Deciano , di cui igno- riamo il prenome, che nel GqS fu uno degli accu- satori di L. Valerio Fiacco proconsole d'Asia , co- me risulta dall' aringa con cui fu difeso da Ci- cerone. La corrispondenza dell' età , della famiglio plebea , e delle iniziali del nome e del cognome , possono somministrare un bastevole argomento, su cui fondare il sospetto eh' egli o un suo fratello sia stato l'autore di queste medaglie , sulle quali pro- pongo di leggere Lucius Plautius Decianus AecUlis Plebis. Certo è che il prenome Lucio non cagiona difficoltà , essendo stato anch' egli comunissimo nel- la gente Plauzia. E chi sa che questo Deciano edile della plebe non sia quel L Plauzioo Plozio da cui fu ricevuto in adozione L. Plauzio Planco pretore nel ^11, di cui ho parlato nell' osserva/ione iv del- la decade IH ; parendomi ora pii!i probabile che il fratello di un uomo di tanta importanza , quale fu Munazio Planco, fosse piuttosto adottato da un ma- gistrato che dal semplice retorico L. Plozio Gal- lo , siccome ivi allora sospettai non per altra ra- gione, se non perchè non mi era nota altra perso- na che in quei tempi avesse portato quel nome. Ma checché ne sia di questo secondo sospetto, parnji, se non mi adulo, che l'altra mia congettura abbia alquanti gradi di verisimiglianza più che non ha quel- la del Vaiiiant . Onde linchè non sopravvenga una nuova scoperta che la confermi o la distrugga , po- trà intanto servire per classificare nella serie queste medaglie , di cui gli altri numismatici non hanno tenuto discorso. OsSliRVAZlONl NUMISMATICHE 21 L OsiERVAZlONE IV. L' Orsino nel parlare il primo del dimidialo cognome che si osserva sopra un denaro di L. An- testio die saggio della solita sua csaltezza attestando d'avervi trovato grag , e confessò poi ingenuamen- te d'aver indarno cercata la maniera di compiere quella voce. Meno diligente il Vaillant volle leggervi crac , e supplendo GKiicchus , ch'è notissima denominazio- ne della gente Sempronia , credè che vi si parlasse di G. Sempronio Gracco e di L. Antestlo, che il Pi- ghìo suppose essere stati colleghi nel tribunato del- ia plebe dell'anno 53 1. Malgrado la fedeltà del Mo- relli, che nel suo disegno incise quella sillaba tal qua- le si trova sul nummo , l'Avercampio amò di segui- re la lezione del Vaillant ; se non che in grazia di un denaro forse foderato , che al rovescio di Ante- stio accoppia il diritto di una medaglia della gen- te Vargunteja, stimò che non di tribuni della ple- be, ma di triunviri monetali qui si favellasse. Per lo che conferì contemporaneamente quella carica a L. Antestio, a Sempronio Gracco , e a M. Vargun- tejo : sebbene» piii non ricordandosi in seguito del portato giudizio, cambiasse opinione quand'ebbe a parlare di quest' ultimo, e gli assegnasse allora per collega Cn. Domizio Enobardo. Questa contesa fu ampiamente discussa dall' Oderico in una sua par- ticolare dissertazione inserita nei saggi dell' acca- demia di Cortona t. viii pag i58, nella quale pre- se con buone osservazioni a stabilire la legge pro- mulgata poscia dall' Eckhel, che quando sul dirit- to si trova un cognome e nel rovescio il prenom© e il nome gentilizio, quel cognome appartiene alla persona mentovata nell' altra faccia della medaglia. Per tal modo avendo distrutto i pensamenti del Va- i4' 212 Letteratura illant e dell' Avercampìo , mise fuori di questione che un solo era il soggetto ricordalo su questo num- mo ,e che il «kac era senza dubbio il cognome d'An» testio , così avendo letto ancor egli dietro l'infida scorta degli alfri. E per reintegrare poi quella vo- ce mezzata pubblicò pel primo un triente che offre da un Iato la solita testa di Pallade coi quattro glo- Letti, e dall'altro una prora di nave su cui è po- sato un' uccello con roha nell' esergo , ed ... antes neir area superiore, ove p°r la deficienza del me- tallo resta a desiderarsi il prenome. Egli osservò che molte volte quando il cognome denotavi» alcuna co- sa che poteva rappresentarsi , invece di scriverlo con lettere si usò di scolpire la cosa significata , onde sappiamo da Plutarco (^Apoph. p.m. 2o4) che an- che Cicerone in poculo argeìifeo diis ab se dedica- to praenomen nomcnque lìtieris indicavit, in locum ve- ro Ciceronis cicer insculpsit. Quindi opinò che quelT uccello tenesse sul suo tiiente le veci del cognome enunciato sul denaro : e avendolo giudicato una cor- nacchia, credè che quest' Antestiosi cliiamasse grac- ftl'is , appellazione consimile a quella di Turannio Gracula ricordato da Plinio (lib.J. proem.), che l'Ar- duino volle arbitrariamente tramutare in Gracile. E niun fastidio si prese poi se di questo sopranome de- gli Antestj alcuno degli scrittori non aveva lascia- to memoria : conoscendosi per esperienza che se ai tempi di Cesare e d'Ottaviano le persone più comu- nemente sì denotavano per cognome, tutt'allro fu l'u- so dei tempi più antichi a cui questi nummi ap- partengono , nei quali molto spesso adoperavasi il solo nome. Quest' opinione , che dall illustre suo autore è stata rinforzata coli' appoggio di molti esem- pi consimili, tratti dalla serie monetaria delle fa- miglie, che la rendono probabilissima, non dispiacque Osservazioni NUMifiiwAxicHB 3i3 air Eckhel , il quale tultavolta nell' elenco dei co- gnomi lasciò troncato quel gkac , forse aspettando che il te^npo facesse conoscere qual giudizio ne por- tavano i numismatici , prima di riceverla definitiva- mente per vera. E infatti potè essere giusta questa cautela; perchè pare che una insormontabile difficol- tà contro lei si proponga dalle stesse medaglie, nel- le quali il GRAC è così evidente da non lasciare al- cun dubbio : onde sembra che tutti i ragionamen- ti dell' Oderico abbiano ad essere inutili , allorché quella sìllaba decisamente si rifiuta di ricevere una tale terminazione . Ciò nondimeno deve confessar- si per amore del vero , che le posteriori scoper- te vengono tutte in soccorso del pensamento di qùell' antiquario. La mia raccolta possiede un bel quadran- te colla testa d Ercole e i tre globetti da un lato , il quale ha nel rovescio la stessa cornacchia posata sul- la prora di nave , sopra cui leggesi l. antes , coli' esergo e coi fianchi sgombri affatto d'ogni altra let- tera o nota. Similmente non è molto che mi è capi- tato un altro quadrante colla stessa testa d Ercole nel diritto, ma con grag dietro la nuca: il quale pure mostra dall' altra parte la cornacchia fermata sulla prora, con l. antes nell' area superiore, e ro- me neir esergo. Essi adunque dimostrano che quelT uccello non fu inciso sul triente odoriciano come nota monetale , o per altra ragione estranea aL. Ante- stio; trovandosi sempre costante su tutte le sue mone- te di rame. E se finora non potevano citarsi a prò di questa sentenza se non se gli esemj^j dei cognomi non scritti ma indicati colla nippresentazione della co- sa significala, adesso il secondo quadrante riunirà in suo favore anche gli altri piiì numerosi in numisma- tica , nei quali tanto osservasi il cognome , quan- to il simbolo corrispondente. Per lo che sembrando ai4 Lette n ATURA dubbiosa da una parte la ragione per cui la cornac- chia fu scolpita su questi rovesci , e dall' altra non avendosi alcun' altra parola latina che incominci per GRA6, io porto opinione che i più antichi dicessero Teraniente gr\guIus invece del Graculus , che do- vette mettersi in uso quando la lingua si venne ri- pulendo. Infatti non deve far meraviglia l'uso pro- miscuo dei C e del G , affini essendo queste lettere, siccome attesta lo slesso Prisciano 1. i : Aliae ve- ro siini sibi qfjines . . . per conjngationem et cogna^ iionem ut B P F ^ nec non G et C cum aspiratione , sive sine ea. 1^ di questa promiscuità offre esempio anche la nostra scienza , perchè sui nummi di Agri- gento tanto abbiamo AKPArANTiNfJN , quanto agki- GENTVM. Questo mio pensiere troverebbe un'opposi- zione , se fosse vero che graculus provenisse da gè- raculus , come insinua Festo : Gracidi a sono oris vacati sive a gerendo dietim quasi geraculi , quod jacta segetum semina plurimam gerani-^ vel quod ex olive' tis cubituni se recipientes duas pedibus baccas , ter^ tiam ore ferant. iVla questa derivazione viene rifiu- tata da Quintiliano (I. i. cap. 0 , o secondo altri Gap. io) , quando meritamente deride ancor quel- la di Varrone : Cui non post Varronem sit venia ? qui agrwn quod in 'ìa agatur aliquid , et graculos quia gregntim volent dictos Ciceroni persuadere voluit , cum alterum ex grceco sit manifestum duci , alterum ex vocibus avium. Però tutta in mio favore sta la fal- sa etimologia di Varrone, cioè dell'uomo il più peri- to nella vecchia lingua del Lazio , il quale non può a meno che non avesse in vista quest' antica pro- nunzia allor che scriveva tali cose, giacché tragre- gatim e gragulus si trova pure un affinità , che non vi sarebbe dicendo graculus . Intanto se questa pa- rola è una voce d' imitazione , chi non vede che Osservazioni NUMISMATICHE :ììS graculus essendo più gutturale meglio corrisponde alia rauca voce delle cornaccliie ? Ma un positivo argomento in favore della mia opinione è slato tro- vato dal dottissimo ellenista Girolamo Amati , il quale mi ha fatto avvertire che il verbo enfatico di quest' uccello è ora in grammatica ngóc^a , ma che però l'obliquo sn^xyx ben dimostra esservi stato una volta Kgxycù , cioè y^xyùt. Ora chi non sa Tinfluen- za esercitata dalla lingua greca nella formazione delle parole latine ? E giacche siamo a ragionare di questa voce, osserverò ancora che gracw^^y è , co- me ognun vede, un diiiiiniilivo foggiato secondo il primo modo che conta Prisciano 1. 4 ' Sunt imitar dltniìiutivorumf'irmae generis masciilinl cvlvs vlvs, ut agniculus^ igniculus ^ tantulus^ il quale suppone re- sistenza del positivo , che coli' andar d<4 tempo sa- rà caduto fuori d' uso ; invano cercandosi adesso sui lessici. Ma se questa parola è perita nel corpo della lingua latina , è rimasa però fra i cognomi i quali si dimostra aver tutti avuto un significato. E facile fantivedere ch'io intendo parlare di Grac- cus o Gracch'is cognome antichissimo, siccome quel- lo che trovasi usato da Tiberio Sempronio Grac- co console l'anno DiG , dal quale fu poi tramau- dato ai suoi discendenti. E inrlnbitato che da prin- cipio dovè scriversi (^rflCM* , poiché si sa ch^ sino alla fine del sesto secolo della loro era , ed anche più oltre , i romani non usarono diiplicare le con- sonanti ; onde la famosa conlìnazione fra i genua- ti e i veturj e il senatus consulto dei baccanali non ne offrono verun' esempio. Il che essendo, sarà ma- nifesta la deduzione di graculus da ^racus , o di gragulus da gragus , il quale sarà poi divenuto ^raccus e gracchus per esprimere la primitiva let- tera G più gutturale . Un «imiiissimo cambiameu- 2i6 Lktteuatura to panni aver sofferto la voce saccus , alla quale tutlavolta quando vuol significare veste militare è rimasta l'aulica pronunzia sngus usata in mascoli- no da Ennio, li con questa semplice osservazione saremo arrivati a conoscere il significato di graccus che ci era prima ignotissimo , e che falsamente a ge- stando aveva dedotto il Glandorpio , ma che per altro noi italiani avevamo conservato nel verbo grac- chiare, col quale esprimiamo il suono ch'emettono le cornacchie. Osservazione V. Fra le incerte del Morelli tav. V n, u trova- si un' antichissima medaglia d'argento avente nel diritto la solita testa di donna difesa dall elmo ala- to col X dietro 1 occipite , e coi Dioscuri a cavallo nel rovescio, homa nell' esergo , e le due lettere G. R. sotto il ventre dei destrieri. L'Avercampio aven- do osservato che tanto i Rabirj , quanto i Pvabulci, i Rebili, e i Renii costumarono il prenomo Cajo, non seppe decidere a quale di tali famiglie si dovesse as- segnare. Posseggo io pure questo denaro , il quale mi fa cenoscere che il Morelli restò ingannato for- se dalla mala conservazione di quello eh' egli vi- de : imperocché niun punto esiste fra una lettera e l'altra, e la prima non è un G , ma un lampan- tissimo G; onde non G. R ma G. R vi si legge chia- ramente, Neir osservazione V della decade V ho riunito una quantità di esempj , pei quali resta di- mostrato che le sillabe indicanti il zecchiere, quan- do mancano del prenome, significano piuttosto la fa- mìglia di quello che la gente; dalla qual regola non vi è ragione di allontanarsi ne meno questa volta. Molti sono i cognomi raccolti dal Glandorpio che incominciano per queste due lettere , ma fra questi il Osservazioni numismatiche 31^ Gracula dei Torannj, il Grrecmzw dei Giulj edeiPom- Tpov\\^i\Gratus dei Valer], il Grosplius dei Pompei, e il Griphus dei Plozj non serviranno allo scopo, apparte- nendo tutti ai secoli imperiali. Altri pure per altre ra- gioni vanno esclusi, e soli resterebbero Ottavio Gre- cino che militò sotto Sertorio , i Marj Gratidiani parenti di Mario il vincitore dei cimbri , e i Sem- pronj Gracchi , ai quali dovranno aggiungersi per autorità delle medaglie gli Antestj Graguli. Però questo denaro pel suo tipo deve riferirsi ai primi tempi , nei quali cominciò a coniarsi in Roma l'ar- gento^: né sembra che tutto al più debba ritardar- si gran fatto dopo la seconda guerra punica , co- me si arguisce dalla sua somiglianza con un altro denaro della gente Terenzia , di cui parlai nelTos- serv. Ili della decade III. Laonde non fiaranno tara- poco al caso nostro il Grecino e i Gratidiani, che fi- gurarono oltre un secolo dopo nell età delle fazio- ni sillane. Anche g-li Antestj Graguli non pare che si abbiano ad elevare ad un epoca così remota , per- chè le loro monete dì rame seguono il peso dell' as- se onciale, e perchè C. Antestio , di cui si hanno alcune medaglie con tipo simile a quello di cui ra- giono , non sembra che portasse il cognome di Gra- gulo , ma sibbene un' altro avente qualche relazio- ne col cane , che gli serve costantemente di sim- bolo. Non trovo adunque opportuni se non che i Semproni Gracchi, nella famiglia dei quali prefe- risco di collocare questo nummo , potendo con verisimiglianza essere stato conialo o da Ti. Grac- co console nel 5 16,0 da suo tiglio console anche egli nel 539. Osservazione VI. In tutte le opere numismatiche mal descritto 2 8 Letteratura ritrovasi il denaro morelliano della gente Cecilia tav. 1 n V, rappresentante nel diritto la consueta testa femminile coperta dall' elmo alato colla x tagliata per mezzo «Metro l'occipite. JNel rovescio si è cre- duta effigiata sopra una biga una figura armata di corazza e di elmo, tenente colla sinistra Tasta mi- litare e le redini, alla quale alcuni hanno dato nel- la destra un ramo, altri l'hanno negato. JNelT eser- go leggesi ROMA , e nell area vedesi una testa d'e- lefante , dal collo di cui il più delle volte pendo un campanaccio.il Vaillant e il Morelli,sedotli dalT infedeltà dei disegni che avevano per le mani, giu- dicarono che in quf^lla figura fosse delineata Koma; né migliore fu il giudizio portato dall Eckhel che ravvisovvi Marte. Ma essi furono certamente ingan- nati: perchè io, che nel momento in cui scrivo mi trovo avere sotto gli occhi quattro di queste meda- glie una pili bella dell' altra , posso attestare che quella figura ci mostra una dea vestita della sto- la cinta sotto il petto , con testa nuda, ma coi ca- pelli legati dietro in un nodo , la quale ha nella destra un ramoscello d'alloro, e tiene nella sinistra le briglie e fast?» pura , che per tale si ravvisa al bottoncino in cui termina sulla cima. Non polen- do convenire coli' Arduino Hist. Jug. p. G8G , che volle trovarvi la Vittoria , perchè costei non si ve- de mai priva delle sue ah ; sono stato alcun tem- po dubbioso intorno la divinità che vi si doveva riconoscere , parendomi che non avessero alcun di- ritto in questa immagine l'Ilarilàe la Pace, che so- no le due dee che per lordinario ci si mostrano con un ramo nella destra. Inlatti oltre che da lo- ro non si adopera il lauro, competendo alla prima la palma , alla seconda l'olivo , una piij forte dif- ficoltà mi nasceva dalla conoscenza che il loro cui- OsSTiRVAEIONI NUMISMATICHE 31^ lo in Roma fu molto posteriore dì tempo all' in- cisione della presente medaglia. Imperocché non mi ricordo che sui nummi si abbia memoria dell' Ila- rità innanzi Adriano , e per riguardo alla l'ace pri- mi furono Vespasiano a fabbricarle un tempio , e Augusto ad ergerle un' ara : m< tivo per cui solo sulle monete di quest' ultimo fa la sua prima com- parsa nella numismatica. Per le quali cose mi sono finalmente determinato per la dea Pietà ( la cui te- sta è frequente nella serie consolare ) la quale eb- be un tempio nel foro olitorio fino dal 578 dedi- catole da Acilio Glabrione, e votatole dieci anni prima da suo padre in tempo della guerra col re Antioco . Non nego che i suoi più comuni attri- buti sotto gì imperadori furono la patera, il sira-' pulo , l'ara, e l'acerra; ma il ramo di lauro e l'asta pu- ra sono i simboli che le furono dati più anticamen- te , come sì dimostra dalle medaglie di Sesto Pom- peo (tav a. n. V e vi.) sulle quali è similmente rap- presentata, e dove non lice scambiarla con alcun' altraj , stante l'epigrafe pietas che ce ne dà sicu- rezza. Che se tutti gì' inslrumenti dei sagrificj ben si addicono alla dea della devozione verso i nu- mi , per la stessa ragione le converrà il ramoscel- lo adoperato nella lustrazione , con cui agli stes- si sagrificj davasi incominciamento . Onde scrive Servio ( ^eneid. 1. Ili v. 279 ) : Lustramur ^id est purgamur ^ ut Jovi sacra faciamus . E veramente il ramo , con cui si lustravano le vittime e il popolo, molto spesso fu d'alloro , secondo che si dice da Ovidio : f^irgaque roratas laurea misit aquas ; e si conferma da Giovenale (^Sat. 11 v. 167 ) : Cuperent lustravi , si qua dareutur Sulfura cuni tcedis , et sij'oret humida laurus. Altre testimonianze se ne possono vedere presso gli 220 Letteratura accademici ercolanesi ( Bronzi t. i p. 264 , nota 4.) , e nella collezione degli opuscoli del Galogerà (voi. IV p. 299). Sebbene il Cupero (de elephantis cap. Il pag. 19) restasse incerto della famiglia cui doveva attribuirsi questo nummo, pure ai gior- ni nostri più non si contende sulla sua aggiudica- zione alla gente Cecilia, di cui iu quasi propria im- presa l'elefante, dopo che L. Gecilio Metello con- sole nel 5oJ condusse Fanno dopo in trionfo per la prima volta questi animali presi ai cartaginesi in Sicilia; ond' è che ora tutto intero, ora la sola sua testa, comparisce assai spesso sulle medaglie di quel- la casa. E però da notarsi eh' esistono alcuni spez- zali di un asse mancanti anch' essi di leggenda , in- vece della quale portano nelT area superiore del ro- vescio la stessa testa d'elefante che si vede su que- sto denaro : ond' è fondatissima l'induzione che sie- no stati coniati per ordine di un medesimo zecchie- re. Di questi io posseggo il semisse, il triente, e il quadrante: de' quali il primo è slato anche pubbli- cato dal Morelli tav. 5 n. iv , il terzo dal Ramus {Cat. mus. Dan. t i p. 1 1 pag.2g ) . Il loro peso, tut- to che sia alquanto alteialo dalle ingiurie dell'età, dimostra che facexano pai te di lin'asse onciale, il che sarà di qualche lume per iscoprire il Metello, a cui appartengono H Vaillant attribuì tutte que- ste medaglie a M. M«;tello console nel 63q , di cui abbiamo altri nummi : il ihe per quelle di rame fu ammesso anche dall' Avercampio , dicendo poi che la nostra d'argento poteva anche tribuirsi a G. Metello Gaprario console nel 6^i ; sulla qual discre- panza l'Lckhel non espose il suo giudizio. Riguar- do a quest ultima, l'Arduino era stato di parere con- corde coir Avercampio , ma riferì le pi ime a Me- tello Scipione suocero di Pompeo e consoie nel 702: Osservazioni nlmismatichi 221 il che non potrà esser vero, stante che il loro peso le ricaccia ad un'epoca anteriore ai tempi di Sii- la. Ora il tipo della Pietà , che ho scoperto sopra una di queste monete , parrai che somministri una buona ragione per aggiudicarle piuttosto a Q. Me- tello console nel 674 ■. che ottenne il cognome di Pio per la pietà figliale, con cui essendo giovinet- to si adoperò onde il Numidico suo padre fosse nel 655 richiamato dall' ingiusto esilio. Questa conget- tura , per cui la piesente dea farebbe allusione al merito ed al cognome di chi fece effigiarla, viene coadiuvata da due altre ragioni ; funa che Metel- lo Pio foce veramente batter moneta , come appa- risce dalla morelliana n. 3 tav. 2 ; l'altra che il ri- tratto della Pietà è frequente sui nummi di Metel- lo Scipione, che fu suo figlio .idottivo. Osservazione VII. Devesì lode all' Eckhel per essere stato l'uni- co a darci la vera descrizione della rara medaglia della gente Servilia tav. 2. n. i , che rappresenta da un lato la testa laureata della Libertà coli' epi- grafe e. cAssEi. iMP,eche mostra dall' altro m- ser- viLivs. LEG collo Strano tipo di un granchio che tiene con ambedue le branche un' aplustro, sotto cui vedesi un diadema disciolto ornato di frangie , e più abbasso una rosa ch'erasi creduta prima un balau- sto , ossia un fiore di melo granato . L'esemplare eh' io ne posseggo mi fa fede eh egli ha avuto ra- gione d'emendare lutti i precedenti numismatici, che avevano preso quel diadema per un ramo d'albero da cui sporgesse l'accennato fiore. Il Vaillant , per rendere ragione di questo nummo, suppose che quell' animale marino fosse un gambero , e credè che al- ludesse alia città di Aretusa capitale del regno di Kmisa nella Siria , la quale pretese che da prima 22a L E T T E 11 A T L' n A si chiamasse Gambali , secondo clie si sforzò di provare con un passo del libro vi di Strabone'A^fc5»9-« » Tx^ifii^ov , y/reihusa qiice Gamhari est. Da quel geo- grafo si racconta essere slato regolo di quel paese Sampsicerarao , che aveva un figlio per nome Jam- hlico , ambedue i quali prestarono soccorso a Ce- cilio Basso che a nome di Cesare occupava la cit- tà d'Apamea. Ciò portò il Vaillant ad immaginarsi che quei piccoli principi fossero multati di una buo- jia somma d'argento da Cassio il congiurato , dopo ch'ebbe costretto Basso ad arrendersegli. Aggiunse che l'aplustro era l'emblema della città di Sidone, sulle cui monete trovasi frequentemente, e conchiu- se che con ciò si erano voluti indicare i due luo- ghi dai quali era provenuto il metallo con cui fu fabbricata questa medaglia . Del balauste già non si diede gran pensiero, giudicando ch'egli non vo- lesse denotare se non l'abbondanza che si aveva di tali fruiti in quella regione. Ampia censura di una tale sentenza fu fatta dal Liebe [Gofha num. p. 3^) e dall' Avercampio nella gente Cassia ; adducendo specialmente che quel crostaceo non era altrimen- ti un gambero ma un gianchio , e che il Vaillant non aveva inlesa per nulla la mente di Strabonc , quando ricevè per nome di una città quello ch'era evidentemente il nome di un principe. Conciossia- chè scrive il citato autore in quel passo : scmper aulem pioximi ( arahes) sjris mitiores sunt , et mi- nus arahes et scenltce dominationes habentes me- lius constltutas ; e siegue poi : nx^ónie^ Ji Zo(^<].iiie^xyiOu 'A§èBcva-x , KXi è r«p/5«^oy ©éfieAAa , mt «AA«/ tqiòvtxi , quemadmodum Sampsictrami yìrethusa , et Gambart l^iitmtila^ et alice hujusmodi ;ov'è chiaro voler dir che Aretusa era la città del regolo Sampsiceramo, e Temella quella doli' altro regolo Ganibaro. Perle Osservazioni numismatiche 223 juaìi cose passando rAvercampio a recare una nuo- va spiegazione di quel tipo stimò che vi s indicas- se la vittoria navale conseguita da Cassio sopra i rodiani , alla quale tenne dietro la dedizione della loro isola. Infatti non può negarsi che il fiore rap- presentato sulla medaglia non sia il simbolo di Rodi; e se l'aplustro poi vedesi sulle monete di Sidone , nuir altro v'indica se non eh' era una ciph\\.eYe Jndria- Cum missus , perrupta catena , qua ostri um por- tus claudehatur ^ ad Mjra ascenditi soggiunge: T'unì unixìersa Ijciorum natio , legatis ad Briitum missis^ auxilium et pecunias ci prò facultatibus pollicita est. Ille tributo eis indiato^ xanthiorum ingenua cor- pora domum renàsit , Ijciorum classem universam cuni reliquis navibus /4bjdum navigare jussit y quo ipsc terrestrcs ctiam ducebat copias , Cassium ibi \fenientem ex Jonia prcestolaturus. Trovata per tal modo la ragione di questo tipo , resterà ora da in- terpretare quella lettera l che ho detto compari- re alle volte su questo rovescio , e di cui niun» GSSERVAEIONI SrUMISMATlCHE 3,3 I degli altri numismatici ha voluto tenere discorso. S'ella facesse parte del riraanenta dell'iscrizione , e se volesse indicarci per esempio che Casca Longo era \jegatus di Bruto , ella sarebbe m riga colle altre lettere, né vi sarebbe la ragione per cui ora si fosse posta , ora preterita. La sua posizione presso il trofeo indica adunque che al medesimo trofeo si riferisce. Non è questo il solo esempio di simili sigle isolate, né sempre costanti, le quali sono state messe da qualche zecchiere per ajulare l'inlelligen- za del tipo. Così in una medaglia della gente Goe- lia , di cui ho parlato nell'osservazione Vili della decade sesta, vcdcsi alle volte un s che non può voltr^ dir altro che sol^ e che serve a far conosce- re di chi sia la lesta del nume presso cui è col- locata. Così in un denaro della Marcia l'iniziale * ci avverte che il ritratto rappresentatovi appartie- ne a Filippo re di Macedonia : per tacere di qual- ch*altra di tali lettere , di cui occorrerà di favellare in appresso. Giudico adunque che alcuno degl'inci- sori abbia con questo l voluto significare la Licia, per farci sapere il popolo su cui fu riportato que- sto trofeo : il che verrebbe a confermare la spie- gazione che ho data del presente rovescio- OSSERVAZIONE IX. Si ha un' altra medaglia dello stesso Servili© Casca Longo, ma questa è d'argento: la quale oifre nel diritto ia testa di Nettuno laureata e hai biita , cui sta appresso il tridente coli epigrafe casv,a.lon- evs ; ed ha poi nel rovescio la leggenda buvtvs. iMP , e il tipo di una Vittoria in atto di cammi- nare tenendo colla sinistra una palma appoggiata sull'omero, e portando con ambedue le mani, sic- come tutti hanno detto, una corona. jBeachò sia 2^2 Letteratura esattissimo il disegno che ne diede l'Orsino nella gente Giunta , pure egli aggiunse nell'illustrazio- ne che Ja Vittoria si posava sopra una prora di nave di cui nell'incisione non vi è indizio ; con che pensò volersi indicare la flotta che M. Bru- to si era fabbricata , e nella quale aveva spesi tutti i denari da lui raccolti : onde arrivato a Smir- ne domandò a Cassio che gli facesse parte dei suoi, secondo che ci avvisa Plutarco. Ma il sin- golare si è che nel riprodurre questa stessa me- daglia nella gente Servilia , la prora di nave , su cui aveva detto essere posta la Vittoria , fu da lui cambiata in due stili , ch'egli suppose essere quello , coi quali i fratelli Casca trafissero Cesare. Anche il Vaillant tutte due le volte che la riferì fece menzione della prora, e da lei ne arguì che Ca- scaLongo comandasse l'armata dei congiurati, da cui fu vinto Calvino nel giorno stesso in cui si diede la battaglia di Filippi ; sentenza che ho superior- mente rifiutata, L'Avercampio negò fesistfìnza della prora : e disse che ciò che vedesi sotto i piedi della Vittoria est linea tantum longio>\ gucc scepe pedi~ bus icuncularum in nummi s suhjici solet^ quod de- narius musasi nostri integerrimus dare adstruitt ma tutta volta stante la testa di Nettuno riferì questo tipo alla battaglia navale di Mindo. L'Ec- khel dissimulò del tutto questa controversia di iiatto , e si contentò di notare ch'era incerta la ■ ittoria , cui si voleva alludere con questo rove- scio. Tanta diversità di opinioni mi ha messo in so- spetto: e venne questo ajutato dal mirare che nei di- segni morelliani , ì quali ricopiarono tre volte que- sta moneta , la linea che l'Avercampio pretende rap- presentare il terreno , era contro il solilo curva , e che di più in quello dato nella gente Giunia questa Osservazioni nlmismatiche a33 linea facevasi terminare in una punta di freccia. Ho dunque vedutola necessità di consultare gli originali della medaglia , de' quali per buona sorte mi so- no trovato possederne tre , tutti benissimo mante- nuti. E il risultato delle mie osservazioni è stalo quello di accorgermi che la linea voluta tale dall' Avercampio rappresenta veramente uno scettro che si rompe in due pezzi sotto i piedi della \'ittoria che sopra vi passeggia. La figura dello scettro vie- ne messa fuori di controversia dai due pomi Iche appariscono alle due estremità: uno de' quali es- sendo stato avvertito , ma non bastantemente, dal Morelli diede origine alla punta di freccia , che si scopre in una delie sue incisioni. La mia attenzio ne fu ugualmente richiamata dalla stranissima no- vità di vedere che la Vittoria oifrirebbe la corona al rovescio, perchè se volesse onorarne alcuno ver- rebbe a imporgliela sulla fronte dalla parte dei nastri. E in quest' occasione la beltà delle mie me- daglie mi ha fatto conoscere eh' essa non è la soli- ta corona di lauro o di altre frondi, ma una sem- plice benda : onde dovrà chiamarsi un diadema ; il quale altresì si manifesta per tale alla soverchia larghezza di quelle che credevansi f'ettuccie pen- denti , ed alle frangie di cui sono ornate l'estre- mità. Di pili, ho osservato che dalla parte verso il corpo della Vittoria , questa benda , la cui figuri^ dovrebbe essere circolare , non si continua, ma ter- mina nelle sue mani : ond' è forza conchiudere che si sia voluto rappresentare rotta nel mezzo. E ve- ramente fa meraviglia come i passati numismatici non si sieno di ciò insospettiti, scorgendo quale stra- bocchevole grandezza avrebbe avuto questa loro co-- rona , che non sarebbe stata minoro del seno che forma la Vittoria allargandojs braccia. Quindi per a34 Lbtter atura descrivere esattamente questo rovescio converrà di- re, che rappresenta una Vittoria alata e stolata, la quale cammina sopra uno scettro infranto, e tiene colla sinistra un ramo di palma appoggiato sulla spalla : ma nello stesso tempo mostra un diadema squarciato nel mezzo, avendo in ciascnna delle ma- ni un capo della rottura : mentre intanto gli estre- mi lembi dello stesso diadema , dopo il nodo che gli lega, pendono svola zzanti. Da un tipo adunque a cui non si era fatto avvertenza , perchè reputato comunissimo , eccone venuto fuori uno ben singo- lare • tant' è vero che non è mai soverchia la dili- genza , con cui si debbono esaminare le medaglie. Potrebbesi aver voluto denotare, che le vittorie dei partitanti della libertà distruggevano la tirannia in- cominciata dal dittatore , e proseguita poi dai tri- unviri; ma io non mi nascondo le difiicollà , a cui va incontro quest'opinione. Se la medaglia appar- tenesse ai tempi di Cesare , la rosa andrebbe be- ne , perchè allora ?1 potere era tutto nelle mani di lui solo: Antonio avevagli offerto il diadema : e la principal ragione che mosse ad ucciderlo fu appun- to la sua intenzione di prendere le insegne di re coi pretesto della guerra coi parti. Ma per rappor- to ai triunviri V aifare proced«^ diversamente. Niua sospetto avevano essi dato ancora di aspirare alla dignità reale , né la monarchia poteva conciliarsi con un governo di tre. Per la qual cosa sono piìi volentieri d'avviso , che qui voglia celebrarsi il ri- fiuto che fece Cassio del titolo regio datogli dai ro- diani : del che ci fa testimonianza Plutarco , il di cai passo ho riferito poco sopra nell' osservazione vili, il diadema infatti, che vedesi pure su quel- la medaglia di M. Servilio ove non può avere al- tro significato , sembra dare la preferenza a quest' Osservazioni NUMiSMiLTicfHis a3S opinione ; e veramente il tipo di una Vittoria in at- to di averlo strappato , e di calpestare Io scettro , acconciamente può rappresentare quei fatto. Del pa- ri ben si accorda la testa di Nettuno effigiata sul di- ritto , perchè marittima fu appunto la vittoria che gli aveva partorito quelf onore. Anche i tempi egre- giamente convengono, non essendovi dubbio che quesla| medaglia Ibsse coniata nello stesso tempo dell' altra di cui ho parlato nell' osservazione preceden- te , e che la conquista della Licia, cui ella allude, avvenisse contemporaneamente alla presa di Rodi, a cui questa riferirebbe, Perlo che converrà dire, che Servilio Casca colle sue due monete volle onorare del paro i due principi del suo partito. L'unica op- posizione che potrebbe farsi sarebbe somministrata dal nome di Bruto che su questa medaglia compa- risce : mentre stando alla mia sentenza parrebbe che dovesse esservi piuttosto quello di Cassio. Per altro vi è luogo a rispondere, the secondo tutte le apparenze Casca Longo era legato di Bruto e non di Cassio : ond' è qu està la ragione , per cui solo il nome del primo si fa vedere sui suoi nummi. Dal resto gì* interessi di questi due repubblicani erano uniti così strettamente, che gli ufficiali di uno e dell' altro di loro potevano senza dispiacere al lo- ro capo commendare del pari le geste del compagno che ritornavano in utile comune. OSSERVAZIONE X. Un rarissimo denaro della gente Valeria, che presso il Morelli è il quarto della tavola seconda , porta liscrizione messal/a . rilius ; e rappresent* un busto veduto dalla parte del dorso , colla testa rivoltata di una donna con lunghi capelli coperta dell' elmo crestato , la quale tiene l'asta alla sini- 236' L E TI' E R A T W 11 A stra. Generalmente vi si è credula effigiata Paìiade; ma la penna che orna la celata non lascia dubbio che sia Roma, secondo ciò che notai nel)' osserv. IV della decade prima. Nel rovescio leggesi fatue consule. senatus . consulto , e vi si vede una se- dia curule sovrapposta ad uno scettro e ad un dia- dema. Gli antichi numismatici lo avevano credu- to un tirso ; ma il bellissimo esemplare eh' io pos- seggo di questa medaglia mi fa certo della molta ragione eh' ebbe l'Avercampio di riprenderli su di ciò. Gran contesa vi è sul console eh' è qui ricor- dato , contesa che TEckhel lasciò indecisa , e eh' io prenderò a trattare ampiamente , potendo forse pro- venirne qualche maggior lume sulla famiglia dei Messala , della quale si è molto discorso in Roma nei mesi passati. Quattro sono ì consoli di questa casa , a cui il presente nummo potrebbesi attribuire. Il primo è M. Valerio Messala giunto al consolato nel 69.3, che dai cippi terminali del Tevere ( Fabretti cap. 6 n. 166 e 167) consta essere stato figlio di Mar- co e nipote di Manio ; che da Asconìo nell' argo- mento della Scaut tana e àd\V inà'ice ài Dione chia- masi ancora Niger : e che per attestato di Valerio Massimo 1. 9 cap. i4 § 5, di Plinio 1. vii c. 12, e di Solino cap. 5 ebbe il sopranome di Menogene per la sua somiglianza ad un istrione che così chia- mavasi. Attese all'eloquenza, e fu piò giovane di Cicerone, siccome egli afferma nel B/uto e 70. M' Messala minor natu quam nos ^ nullo modo inopSj sed non niniis ornatus genere verhorum , prudens^ acutus^ minime incautus^ patronus in cau sis cogno- scendis componendisque diligtns , magni laboris , mal- tee operce ^ multarumque causarum. Dilatli l'anoni- mo scoliaste dell' aringa pru SexLo Jìoscio §. 2 OsSERVAaiONI NUMISMATICHE 33^ annunzia che al suo tempo esistevano àncora alcune sue orazioni:, e A sconio Pediano nell' argomento della Scauriana attesta che fu uno dei ditensori di Scauro. Si è preteso di conoscere la sua età dalla citata orazione prò Roselo recitata nel 674, «ella quale dice T. uìho ; Jori judiciic/ue rationefn Messa- la , ut videtis , judices , suscepit. Qui si jam satis aetatis atque roboris haberet, ipse prò Sex, Roselo dicerct. Quoniam ad dlcendum Impedimento est aetas et pudor qui ornai cetatem , causam mlhl tradldlt . Dal che si è voluto ricavare ch'egli a quel tempo non toccasse ancora Tanno diciottesimo, eh era l età legittima per incominciare a trattare le cause. A me pare tuttavia che non se ne possa dedurre cotanto. A buon conio /ori Judlcllque rationem susceperat: onde aveva pur fatto qualche cosa in quella cau- sa , e quindi aveva oltrepassata l'età che gì interdi- ceva il mischiarsene: oltre che la legge anuale co- manda che nel 6gó se gli attribuisca l età prescritta dei 43 anni per esser console. Contentiamoci adunque di credere che quando Roscio fu difeso egli avesse 23 o 24 anni, in cui può dirsi tuttavia che non aveva ancora satis cefatls et roboris ad dlcendum; ed in tal modo sarà stato piti giovane di Cicerone di due anni o tre , il che basta perchè sia salva la sua asserzione . Molti elogi se gli fanno dallo stesso Tullio ( ad Jttlc l. i ep. 1^ e ì6 ) sulla con- dotta da lui tenuta nel consolato . Dal Pighio si opinò eh' egli dopo conseguisse la provincia , ma non si sa qual fosse. iVel 6yG e nel 697 era cer- tamente in Roma , come costa dalle lettere ad Q. fr. l. I ep. i3, ad Attico ì 4 ^p- ^ '-, anzi nei second anno intervenne al collegio dei pontefici , ai quali era ascritto ( de har. resp. §•(>)• ■Nel 699 fu eletto censore in compagnia 4i P« Servilip 338 Letteraturìi Isaurico, come appare dai cippi sopracitati e dall' ep. 3 del l. 4 (id sèttico ; ma i tribuni della plebe gì' impedirono in quelT anno di fare il cen- so ( ad Att. l. 4 ep. ij e 1 1 ) . Morì in età an- cora immatura , perchè Cicerone nelT enunciato luogo del Bruto lo conta fra coloro che perirono avanti la guerra civile , ossia innanzi il ^o5 . Ed io ho poi un gran sospetto eh' egli mancasse di vita durante T uffizio censorio , e precisamente nel settembre dell'anno 700, poco dopo la difesa da lui fatta di Scauro , che iti assoluto I^ nonas septembris . Imperocché trovo che in queir anno pridìe kalendas ocfobris Tullio scrive ad Attico l. 4 ^P- 1 6 : Noji piito (e de lustro , quod jam de- speratum est , quaerere . Di fatti essendo egli mor- to a quel tempo , il suo collega, secondo il con- sueto , era obbligato a rinunziare ; e quindi po- teva dirsi con tutta giustizia eh' era disperato il lustro, il quale per verità non fu fatto se non nel 704 dai successori Appio Claudio e L. Pisone . Il secondo personaggio è un altro M. Valerio Messala] console nel 701 , le cui geste molto spes- so sono stale ad altri attribuite . Ninno ci ha detto chi fosse suo padre , ma Valerio Massimo /. 5 e. 9 §. 2 ci attesta che nacque da una sorella dell' oratore Ortensio . Cousta dall' orazione prò Sylla e l4 eh' egli domandava la pretura per r anno 692 , il che vuol dire che a quel tem- po doveva avere quarant' anni . Per questa ra- gione non posso convenire col sig. Mecenate e con altri che T hanno fatto nascere dal superiore Mes- sala Nigro , il quale, come ho mostrato poco fa, non aveva che due o tre anni più di lui . Ag- giungasi che in questo caso converrebbe dare per moglie al Nigro la sorella d' Ortensio : e ia vece OsSERVAeiONI NUMISMATICHE uZq mostrerò in appresso che fu congiunto in matri- monio con una Polla. Sarà clunq;ie suo cugino, come ha pensato il Glandorpio , o tutto al più suo fratello . Ebbe amicizia con Pomponio At- tico ( ad j4tt. l. iZ ep 9 ) ; onde parlò a Ce- sare in favore del suo affare di Biitroto( ibid. l. l'S ep. iG w. 3 ) ; e ciò portò che fosse anche in buona relazione con Cicerone ( ad Att. l. 5 ep. 19 , ad Q fr. l. 3 ep. 3 ) , il quale ad istanza dello stes- so Attico scrisse una volta a un certo Filotimo per indurlo a non esigere da lui un tal paga- mento , finch' egli era sottoposto ad un giudizio (^ ad Jttic. l. V ep. 19). Pompeo Magno lo con- trariò sempre nella petizione del consolato , del che pel G99 ci fa fede X ep. 9 del l. IV ad Attico . Molto più gagliarda opposizione trovò in lui quando sì pose nel numero dei candidati nel 700 {ad Att. l. ly ep. i5 ) i talché fu latto accu- sare da Q. Pompeo Rufo ( ad Attic. l. IV ep. 16 , ad Q. fr. l. 3 ep. 2 ) . Per altro essendo stato per ordine del senato posto in prigione il suo ac- cusatore , egli coir ajuto di suo zio Ortensio do- po infiniti contrasti riuscì finalmente nel set- timo mese dell' anno 701 a conseguire f ambi- ta dignità ( Dione l. 4o cap. 45 ) ; e ciò es- sendo avvenuto con poco buon grado di Pompeo, non è da meravigliarsi se Cicerone scrivendo a suo fratello gli promette che sarebbe stato favore- vole a Cesare ( ad Q. fr. l. 3 ep. 8 ) . Dopo il consolato i suoi nemici non lo lasciarono in pace ; onde nel yoj fu richiamato in giudizio come reo contro la legge Licinia , e questa volta pure ne uscì vittorioso mercè la difesa di Orten- sio . Però essendo stato poco dopo accusato de ambfff' ., fu alla fine condannato e cacciato in esi- 24« li E T T E R y\. T U n A glio ( ad fam. /. 3 «yo. 2 e 4 1 Brutiis §• 9G ) , dal quale dovè ritornare nel yoS , quando Ce- sare avendo preso possesso della dittatura , richia- mò tutti gli esuli ( Dione l. ^i e. ZQ ) . Nel yoS insieme con P. Siila, quello stesso che fu e- spulso dal consolato del 689 , fu mandato al dit- tatore dai veterani che tumultuavano in Roma domandando T adempimento delle promesse loro fatte ( ad Attic. l. IX ep. 23 ). Neil' anno seguen- te fu con Cesare alla guerra dell' Africa , e ci comandò la cavalleria ( de bel. afr, e. 28 , 86 , 88 ) . Da alcuni si è attribuita quest' incomben- za a Messala Corvino, senza badare che nei gran- di eserciti la carica di legato non si diede quasi mai se non che ad uomini consolari e preterii : che Corvino a quel tempo non era certamente né r uno né V altro : e che ripugna infine ch« un condottiere così prudente come Cesare affidasse tanta parte di quella guerra ad un giovinetto . Questo console visse lungamente : perchè Ma- crobio nel primo de' saturnali cap. 9, riferendo lui passo di una sua opera , che sarà quella degli Bugurj mentovata da A. Gelilo /. i3 e. i4 « 16, attesta eh' egli fu augure cinquantacinque anni . AI. etiam Messala Cn. Domitii in consulatu colle' ga , idemque per annos quinquaginta et quinque augur , de Jano ita injit . Solo a lui dunque può convenire il titolo di vecchio che gli attribuisce Plinio , il quale ben lo distingue da Messala Cor- vino eh' egli chiama l'oratore , e da cui fu con- sultata un' altra sua op^ra de familds ; onde lo cita nel primo libro fra gli autori di cui si è val- so , e di nuovo nel 1f. 34 e. i3 , e piiì neW. 35 e. 2 , ove dice : Similis causa iMessalae seni ex- presfit i'olumifia illa quae de /amiliis condidit , OsSiiUVAZIOm NUMISMATICHE 2^1 cum Scipionìs Africani trnnsisset atrium , vidisset- que adopfione testamentaria Salutionis ( hoc enini ei filerai co^nomen) u4fricanorumdedecore notam ir- repenteiii Scipìonum nomini . (Ah ha preteso che Pli- nio in questo luogo avesse di vista MeSvsala Nigro, non ha abbastanza consideralo che l'epiteto di vec- chio nial si conia ad un uomo morto neli' età di cir- ca cinquant' anni . AH' opposto tutto ciò che si scrive in questo passo egregiamente conviene all' augure, sì perchè è dimostrato da Macrobio esser egli giunto molto avanti nell' età , come perchè lo Scipione Saluzione , che lo mosse a comporre i libri delle famiglie , fu veramente suo contem- poraneo , essendo stato aneli egli alla guerra dell' Africa , siccome affermano Svetonio e Plutarco nella vita di Cesare . Il terzo pretendente alla nostra medaglia mes- so innanzi dall' Avercampio è il celebre oratore Messala Corvino, che consegui i fasci Tanno '723. Io non mi fermerò sopra lui se non quanto basta per indagare la sua origine e la sua età , rimet- tendo chi abbia vaghezza di conoscere le sue ge- sle alle molte vite che abbiamo di lui , e spe- cialmente a quella inserita nel t. xxxiv degli atti dell' accademia di Parigi, o all'altra testé pubbli- cala dal Mecenate . Da Dione /. 47 §• ^4 1 ^^^^ e- pitome di Livio /. 122 , e da Orazio /. i sat. IO, sappiamo che fu suo fratello uterino Gellio Po- blicola gran parteggiano in seguito di M. Anto- nio : essendo nati entrambi da una tal Palla , che i comentatori di Dione hanno ridotto in Polla , onde abbia un nome latino . Questo Gellio fu fi- glio del console del tìSa , e ottenne anch' egli il consolato nel 718 ; dal che se n' arguisce che fos- se nato prima di Messala , e quindi che Polla do- G.A.T.XYI. iG s4^ Letteratura pò essere stata moglie di Gelilo , passasse alle se- conde nozze col padre di Corvino , che fra gli eruditi è controverso chi fosse. Tuttavolta io non dubito di mettermi apertamente dalla parte di co- loro che r hanno creduto figlio di Messala JNigro . Taccio che gli studi dfH eloquenza cui egli si diede sono un buon preludio per reputarlo figlio di un oratore, ed osservo solo che Tibullo, il qua* le tante cose scrive di lui e pel suo conso- lato e pel suo trionfo delP Aquilania , non fa mai alcun cenno di suo padre : dal che ben si deduce che a quei tempi più non vivesse . Ora ciò converrà bene al INigro morto fino dal 700 , non all'augure che se durò in quella carica cinquan- tacinque anni era a quel tempo ancora in vita . egualmente abbiamo veduto che I' augure fu un pai tegiano di Cesare , a cui dovè V obbligo di es- sere richiamato dfflT esiglio ; onde non pare pro- babile che suo figlio dovesse essere, vivente il pa- dre, uno dei piij zelanti seguaci de' suoi uccisori, quale iu appunto Corvino . Ma 1 argomento che per me affatto esclude la sua nascita dal console del joi si è , che in questo caso egli sarebbe stato pronipote d' Ortensio . Se ciò fosse vero , è inconcepibile come Cicerone , Seneca, Quinti- liano , il supposto Tacito , e tutti gli altri reto- rici che tanto parlarono di questi due oratori , e tanti paralelli ne fecero , non avessero una qual- che volta toccalo questa circostanza che avreb- be dato tanto risalto all' eloquenza di Corvino . Aggiungasi che le tavole capitoline nel ricordare il suo trionfo lo dicono Marci . Filius . Marci - Ncpos ; e veramente sappiamo che il iNigro fu per r appunto figlio di un Marco . L questo Marco suo nonno credo io fermamente essere «tato quei OsSERVASilONI NUMISMATICHE 243 Valerio Messala che nel (364 fu legato dal con* sole Rutilio Lupo nella guerra niarsica , secondo che attesta Appiano ( hel. civ. /. i e. 4^ ) - ^'i è gran dissidio sulla fede da prestarsi ad Eusebio, o piuttosto a s. Girolamo nel cronaco , il quale nota che Messala Corvino morì di LKXII anni nel ^63 , e dice poi che nacque nel 6<;5 nello stesso anno , in cui venne alla luce Tito Livio. Imperocché si è opposto che Corvino morì cer- tamente prima che Ovidio andasse in esigilo , sic- come quest'ultimo attesta nell' el. 7 del l. \ de Punto V. 19. Cuinos et lacrima s , supremuni in funere muniis^ Etdedimiis medio scripta canenda foro. E più grave obbiezione si è ricavata dal dialogo de oratoribus , in cui si scrive : Nam Corvinus in medium augusti principatum, , Asinius poene ad extremum duravit. Ma la difficoltà desunta da Ovi- dio non ha forisa alcuna , perchè egli fu esigila to nello stesso anno in cui si pone la morte di Cor- vino, e la sua partenza non avvenne se non in de- cembre : il che da lui si confessa nei tristi l. i e/.XI. Aut liane me^gelidi tremerem cum mense decemhris^ Scnbentem mediis Hadria vidit aquis. Quindi potè benissimo nella primavera o nell'esta- te assistere ai funerali del suo protettore. Contro poi l'autore del dialogo io ho da opporre in di- iesa di Eusebio un altro scrittore dello stesso tem- po , ma che ha molto maggiore autorità , perchè scriveva cogli atti pubblici alla mano. È questi Fron- tino , che si è avuto torto a non chiamare per testimonio nella presente controversia : il quale nel darci l'elenco dei curatori dell'acque che Io prece- derono attesta, che quell'uffizio nel ']\ò lù confe- rito a Messala Corvino, e che nel ^òG gli succes- iG* a4^ li E T T E n A T u n A se Atteìo Capitone. Ora potrà ben supporsi die per un pajo d'anni si tardasse a nominare il suo suc- cessore , facendo intanto amministrare quella ca- rica dal pretore , che se gli era dato per ajutan- te , e che dovè portarne tutto il peso anche noi biennio precedente la sua morte , in cui aveva per» duta la memoria ; ma chi potrà persuadersi che per quasi la metà del lungo regno d'Augusto si lascias- se vacante una dignità che aveva molte incomben- ze , e eh egli stesso aveva istituita ? 11 Poleni che ben sì accorse di questo inconveniente , e che tut- tavolta volle prestar fede all'autore del dialogo , non trovò altro espediente se non quello di suppor-r re che il curatore delle acque fosse il figlio di Cor- vino che egli reputò omonimo , e in quest ultima parte non ebbe tutto il torto ; perchè sebbene co- stui si chiami generalmente M. Valerio Messali-i- no da Tibullo, da Ovidio, daVellejo, da Tacito, da Dione e da altri scrittori , egli tultavolta può citare in suo favore una lapida tuttora esistente in Campidoglio edita dal Muratori p. òiS i , in cui si ha 'li,ntvlo . et . corvino . messala. . cos . Ma però ebbe gran torto nel non avvertire che quel- la carica per la sua istituzione domandava essen- zialmente un consolale , e che il figlio di Corvi- no non divenne tale se non nel ^5 i , vale a dire se non otto anni dopo che gli sarebbe stata con- ferita. Ed egualmente doveva badare che questo giovane non molto dopo il suo consolato avrebbe dovuto rinunziarla, come fecero i successori Porcio Catone per andare legato nella Spagna, Uidio Gal- lo per ottenere la legazione della Mesia , Fon- teio Agrippa per passar proconsole in Asia, atte- so che fu ai) ch'egli promosso al governo della Dal- j mauia , ove nel y5y consej^ul gli onori Irionlnli per Osservazioni numisma.tichk ^45 detto di Dione e di Vellejo Parerculo . Fermo adunque che Frontino parla sicuramente di Cor- vino l'oratore , non è da dirsi quanto da lui ven- ga aiutata la causa d'Eusebio , la quale viene an- che favorita da Ovidio , che scrivendo spesso del suo esiglio a Massimo Gotta altro figlio di Cor- vino , dopo averlo sempre chiamato un giovane, e aver detto ttbi in cimis oscula prima dedi ^ nelT elegia i v del 1. iv dei tristi, che sebbene senza nome puree a lui diretta sicuramente, gli dice che do- veva ben ricordarsi, come il padre fd\orivai suoi studi : Ingeniumque meiim potes hoc meminisse , pìohahat\ con che viene anche egli a protrarre la vita di Corvino olire il tempo che vorrebbe fissare il supposto Tacito. Per lo che io ho un gran dub- bio che in quel dialogo che viene da un codice solo , come si dimostra dall'essere snancante, per un fa- cilissimo errore dei copisti quei nomi abbiano cam- biato posto ; onde vi si debba leggere tutto al «ontrario : f^am Asinius in medi- un Ju^usti prin- cipatum, Corvinus poene ad extremwn duravit. E per verità tutto concorre a persuaderci che Asinio Pollione premorisse al nostro Messala , ch'era molto più giovane di lui. Lo stesso Eusebio nel 737, cioè sei anni avanti la morte di Corvino e dieci in- nanzi quella d'Augusto, scrive Asinius Pollio ora- tur et consularis LX.X.X ( così hanno i migliori Codici ) Cetatis sua anno in mila tusctdana mori- tur. E di fatti in quell'anno per l'appunto cade l ul- tima memoria che abbiamo di quelT oratore cele- bratissimo , conservataci da Seneca nel proemio del libro 4 delle controvesie. Aggmngasi che por attestato dello stesso dialogo §. ó/^, Pollione ave- va 22 anni quando accusò C. Catone: e quel giu- dizio avvenne nell' anno 700, siccome ricaviamo 246 LETTERATURA dalIV^. if) del /. IV ad attico, e da Seneca nella IV coìitr. del /. VII. Posto adunque che quei 22 anni fossero completi , Asinio che ne visse 80 sarà per* l'appunto morto nel r 5^ .Ma se colTappoggio di Fron- tino assai bene si di Tende la lede di Eusebio per riguardo alla morte di Messala , non potrà farsi lo sfesso intorno al suo natale , essendoci contraddi- zione nelle sue parole. Imperocché se morì nel ntj'ì e se visse LXXII anni ( peggio poi se seguasi lo Scaligero che lesse LXXVII ) non sarà più vero il suo nascimento nel 693, come' ha prima asseri- to, ma converrà farlo rimontare al (J91 o al 690. JNè la lezione LXXIl si avrà da credere sbagliata , venendo in di lei appoggio Mariano Scoto, che ri- ferì queste istesse cose nella sua opera. E veramen- te ci è ogni ragione per dovere anticipare la nasci- ta di Corvmo qualche anno innanzi il tempo fis- sato dal cronista. Imperocché come supporre che nel 711 (Cicerone (^ad Brut. ep. XV ) potesse dire di un ragazzo , che non doveva ancora aver depo- sta la pretesta puerile , che nell eloquenza mirabi- lifer excellit : e come credere che nell'anno dopo gli avanzi dell' esercito di Bruto volessero eleggere in loro generale un giovinetto di « 'y anni, e atlidarsi alla sua condotta , siccome risulta da Appiano (bel. civ. l. 4 §- i3G y? Un sicuro argomento per fissare l'età di Messala Corvino trovaci nell' ep. 32 del /. 12 ad Àttico scritta circa il maggio del 709 , nella quale Cicerone dopo arar parlato deilasse- gnamento da farsi a suo figlio che doveva recarsi agii studi in Grecia , soggiunge : Prcestabo : nec Bibulum nec Acidumm nec Messalam , quos jéthe- nis /'uturos audio , majores sumptus facturos. Que- .«.lo Messala altri non può essere che il Corvino, sì per la ragione de' tempi , come perchè dalle/?, la Osservazioni numismatiche 247 e i5 a Bruto appare che egli veramente aveva stu- diato colà. E chiaro che se tutti questi giovani an- darono nello stesso tempo ad apprendere eloquen- za in A-tene , erano tutti coetanei : e ciò per riguar- do al figlio di Cicerone e al nostro Messala pro- vasi ancora dal loro consolato , che il secondo ot- tenne nel 723 , il primo nelT anno appresso. Ora Cicerone giuniore contava a quel tempo dicianno- ve anni , essendo nato nel 690 ; onde si ha nelT ep. 2 l. i ed attico -. L. Julio C cesare C. Marcio J^igulo COS. fiUolo me auctum scito. K nello stes o anno verrà ad esser nato Corvino , se compiti so- no i 73 anni ch'egli aveva quando, secondo lo stes- so Eusebio , morì nel y63 : con che la sua età verrà ad essere fissata in modo non equivoco. L'ultimo dei quattro consoli Valer] è M. Va- rio Messala Polito, che Dione dice essere stato sur- rogato in collega di Augusto nel ^25. Ma per cer- to quello storico si è ingannato , perchè dai fasti mormorei dell' Apiano si è saputo che in quell'anno non si ebbero sufFetti , e che quel Valerio resse i fasci per gli ultimi due mesi del 722 : essendogli succeduto immediatamente Corvino. Null'altro sap- p-iamo di costui , se non che ragionevolmente si crede un suo fratello , vedendosi che ambedue ri- suscitarono per distinguersi due antichi cognomi della loro casa. Poca differenza per altro dev'esse- re stata nell\a loio^tù, sì perchìcontemporaneo fu il loro magistrato , come perchè dall'età di L. Gel- ilo loro fratello uterino che fu poco maggiore di loro, come apparisce dal suo consolato del 718, se ne arguisce che solo pochi anni innanzi il G90 natale di Corvino potè la loro madre Polla passa- re dal letto di L. Gelilo a quello di Messala Nigro. , Premesse queste notizie si potrà con qualche 248 Letthratura maggior fondamento, indagare quale di questi sia il console , sotto il cui governo fu stampata la meda- glia in quistione, Kssa , secondo che attesta l'epi- grafe, fu coniata durante il consolato del padre per ordine di un Messala , il quale era triunviro mo- netale o piuttosto questore : giacché il Senatus Con- sulto aggiuntovi dà un positivo indizio ch'ella non fu impressa per autorità dell'ordinario magistrato della zecca. Gonvien dunque ammettere che que- sto figlio del console avesse a quel tempo venti- sei anni se fu questore, o almeno ne contasse una ventina , quando pure si voglia concedere che vi si tratti di un triunviro . Ciò posto, la medaglia non potrà appartenere a Messala Nigro , perchè, giusta i conti superiormente fatti, i suoi due figli Messala Potito e Messala Corvino nei giorni della sua magistratura erano ancora bambini , e il se- condo non aveva se non due o tre anni. Per lo stesso motivo dovrà negarsi al Corvino , giacché per la distruzione della repubblica essendo cessata l'osservanza della legge annate, egli per le cose dette non contava se non trentadue o trentatrè anni quan- do giunse al consolalo : onde come supporre che potesse avere un tìglio già capace dei pubblici uf- fizi ? E di fatti si prova che non 1' ebbe . Egli dopo il yi8 , in cui morì lo storico Sallustio , aveva sposato la di lui moglie Terenzia ( s. Gi- roLmo 1. i adv. lovinian. ) , ripudiata prima da Cicerone ; la quale per età poteva essergli ma- dre , e che al tempo di tali nozze doveva esser* almeno quinquagenaria ; onde non è supponibile che lo facesse padre. Da Ovidio poi, che ne par- la così spesso nei libri del Ponto , sappiamo che i suoi due figli furono M. Valerio Messalino con- sole nel ySi , e C. Aurelio Cotta Massimo Messa- OSSERVAIIONI NUMI»MATICHK 2^C^ lino che Io fu nel 773 Quest' ultimo, che anche dopo la morte di Augusto seguita a chiamarsi gio- vine dal poeta, e che nacque da un' Aurelia ( dt Ponto l. 4 ci' 16 v. 4^- ) » la quale era ancor viva a quei tempi ( ibid. l. 2 el. 3 a;. 98 ) , non poteva adunque essere ancora venuto in luce al tempo del consolato del padre . Jn fatti Tibullo, che dirige a Corvino l'elegia vi 11 del 1. i nel giorno anniversario del suo trionfo quattro anni do- po il suo consolato, non vi parla che di un jfìglio solo, ch'altri non può essere che Valerio Messaline. E questi vi si dipinge ancora di tenera età , perchè vi si usa la parola subcrescat . At libi subcrescat pro- les , tjuae facta parentis augeat . E' vero che ab- biamo un' altra elegia dello stesso autore ( /.a. el. 5 ) scritta in occasione che quel Messaline fu ina- ugurato quindecinviro dei sacrifizj , ma essa è an- che posteriore all' altra : e ai tempi degl' impe- ratori è cosa solita che i giovinetti nobili fossero decorati di un sacerdozio appena deposta la prete- sta puerile - Egual ragione milita perchè questa medaglia non si conceda a Messala Potito . Il suo figlio, per fede dell' indice di Dione, fu quel barba- ro uomo di L. Valerio Messala Voluso, che nel suo proconsolato dell'Asia avendo fatto giustiziare in un sol giorno trecento persone , passeggiava con com« piacenza fra mezzo quei cadaveri , esclamando o rem regiam; motivo per cui fu condannato sul fi- nire dellimpero d'Augusto ( Seneca de ira l. 2 cap. 5 , Tacito an. 3 eap. 68 ) . Ora costui fu console nel ^58 , e quindi dovette essere anche più giova- ne di suo cugino Valerio Messaline . Ma per negare al Corvino e al Potito la presente medaglia , oltr« le ragioni addotte, vi è ancora l'altra , che al tem- po della loro magistratura Augusto era già bene sta- 5o Letteratura 2'JO bilito nel sovrano potere: ond è rarissimo che i num mi di quell' età o col tipo o colla leggenda non al- ludano a lui , o vero a M. Antonio suo collega nel triunvirato Non resta adunque che il solo conso- le del yoi M. Valerio Messala augure , a cui si possa concedere . t. veramente egli aveva almeno 4o anni nel O93, come ho mostrato di sopra: ne avrà avu- to 49 quando ottenne i lasci ; onde sarà 1' unico dei quattro consoli Messala, il quale in tempo del suo ultìcio abbia potuto avere un figlio in età ca- pace di essere questore , o almeno triunviro mo- netale. Avrà dunque avuto ragione l'Orsino quando air azzardo gli lece dono di quest' impronto . Per altro io non debbo tacere che non mi è riuscito dì ripescare alcuna notizia del giovane , da cui stimo essersi fatto incidere questo conio : patendomi chia- ro eh egli non sia il Messala Barbato che lu conso- le nel y42- Confesso d' essere anch'io dell' opinio- ne del Glandorpio, che fa venire dall' augure la lì- nea dei Barbati: e forse questo congnome, eh era del tutto nuovo nella gente Valeiìa, tu dato per la prima volta allo stesso augure in grazia della molta età : onde sar( bbe equivalente al senex di Plinio. Ma però l'autore della presente medeglia, sì perchè si contenta della nuda appellazione di MtssA/a fìHus , come per la nota patke vonsule^ ha tutta l'apparen- za di essere un figlio legittimo e naturale di suo pa- dre: mentre all' opposto il console del 74^ non en- trò nella casa dei Messala se non per adozione . Imperocché a quel console che morì sul bel princi- pio della sua magistratura , e che nelT indice di Dione si scrive M. f^alerius M.F. Messala Bnrbatus^ dai frammenti delle tavole capitoline si aggiunge un altro cognome che generalmente dai fastografì è stato letto AEMiLiANVS . f atto però sta che nella pietra Osservazioni numismatiche aSi trovasi realmente appianvs , come ha osservato il solo Piranesi : ed io sono testimonio oculare della verità della sua lezione. Si è tenuto da molti ch'egli fosse quel tale , dì cui ha parlalo Suetonio nella vita di Claudio §. 26, ove ci dice che quel principe yaleriam MassaVmam Barbati Messaìae consobrini sulfiliamin matrimonium accepit : per lo che se gli è data per moglie Domizia Lepida che fu madre di quell'imperadrice, secondo Tacito an.xi e. 3y , Ma per poco che si rifletta, si troverà che un tale sup- posto non è da iimmettersi . Imperocché se Bar- baio morì sul principio del consolato, come attesta- no i fasti del Campidoglio , converrebbe dire che almeno 1' anno avanti fosse nata Messalina : onde ne verrebbe ch'ella di cinquantaquattro anni avesse partorito Brittanico , nato secondo Svetonio nel se- condo consolato di Claudio suo padre. Inoltre la sfrenata libìdine che questa donna portò sul trono poco si addice ad un' età così avanzata . Ed u- gualissima tornerà Y obbiezione se si derivi da sua madre Domizia Lepida . Essa nacque da Cn. Domizio Enobarbo console nel ^33 , e da Antonia detta minore da Tacito , e maggiore da Suetonio e da Plutarco. Ora quest'Antonia fu messa in luce da Ottavia che si maritò a M. Antonio nel 714 ♦ on- de com' è possibile che nel breve lasso di meno di 28 anni fessero procreate Antonia madre, Domizia figlia, e Messalina nipote ? Egli è adunque indubi- tato che malamente si è attribuito a questo console una moglie che spetta a suo figlio, e ch'egli non è il padre ma il nonno dell'infedele sposa di Claudio. Per lo che sarà egli , come aveva ben veduto il Glandorpio, uno dei due mariti di Marcella maggiore, liglia anch'essa di Ottavia sorella d'Augusto; onde andrà bene che suo figlio si dica da Suetonio con- 201 Letteratura sobrinus di Claudio , e che Au{?,iisto nello scherzo di Seneca si chiami avunculus major tanto dallo stes- so Claudio quanto da Messalina. Gli eruditi , in gra- zia del cognome aemilianvs , avevano creduto che il nostio Barbato nascesse dalla gente Lmilia, e fosse poi adottato nella Valeria ; ma dopo la coirezione APPiANvs converrà cambiare la lamiglia , da cui pro- venne. iN'ort credo che si riuscirebbe a provaie l'esi- stenza sotto il regno d Angusto d'una gente Appia, o almeno la non si troverebbe certamente cosi ele- vata sopra il volgo da potersi meschiare colla no- bilissima casa dei Massaia . Al contrario osservo che intofno a questi tempi gli scrittori , e fra questi Cicerone, assai frequentemente per denotare la fami- glia dei Claudi Fulcri la chiamano la casa degli Appi pel grad' uso eh' ella fece di questi prenomi . Quin- di ho un sospetto assai violento che costui fosse fi- glio d' Appio Claudio Fulcro console nel '^i(j, il qua- le in vece di prendere l'appellazione di Clodianus^ che gli sarebbe stata comune con tutti i rami dei Claudi , preferisse di assumere quella à\4ppianus^ clie gli era miglior testimonio della sua nobiltà. Que- sta congettura è confermata da uno scrittore di po- co credito, è vero, ma che perù ha bevuto alle fonti più antiche, e dì cui pure vuoisi tenere un qualche conto in un tempo così scarso di notizie istoriche Cora' è quello di Augusto. Kgli è Mariano Scoto , che nel parlare dei consoli del 7 G dice : ^p. Claudius C- Norbanus , quorum filius consularis ante patrem moritur . Da queste parole non si può trarre altro senso , se non che ciascuno di essi avesse un figlio consolare che loro premorisse . E in vero se si par- lasse di una sola persona quanti altri esempi non ci mostra la storia di consoli defonti prima dei loro ge- Xlitori! Mentre al contrario pò tebbe essere degno d'av- Osservazioni wuotismatichb :253 vertenza il nuovo caro, che ciò appunto fosse av- venuto ad ambedue i colleglli . Ora per riguardo a Nerbano è pronto C. JN orbano Fiacco console nel 700; ma relativamente ad Appio Claudio, se il suo figlio non è il nostro Appiano, eh' essendo manca- to di vita nel y/p può con verisimiglianza reputar- si premorto al padre, non si trova alcun' altro che sia capace di verificare il detto di Mariano, ^on sì ha infatti alcun sentore che arrivasse alla dignità consolare 1' altro suo figlio Appio Fulcro condan- nato come reo d' adulterio con Giulia figlia d Au- gusto, siccome narra Paterculo 1. a e. i oc ; e cer- tamente niun Claudio Fulcro si trova poi registrato nei fasti, i quali durante il regno d'Augusto presen- tano omai pili poche lacune anche per rapporto ai suffetti, dopo le molte scoperte fatte negli ultimi tempi, e specialmente dopo T inven^ione del prezio- so frammento di fasti marmorei , che tuttora ine- dito si conserva presso il mio eh. amico cav. Bion- di. Il che essendo, avrò trovate finalmente la ragio- ne, per cui Clodia Pulcra moglie di Quintilio Varo si dice da Tacito ( /. 4 e. 5 a) ^o^»a>za dell'Agrippina di Germanico : ragione eh' é stata indarno -cercata da tutti i compilatori della genealogia dei cesari , e che io stesso confessai d' ignorare quando scrissi Tosserv. V della sesta decade. Ora dunque crederò eh' ella sia stata figlia di questo Appio Claudio Ful- cro divenuto per adozione M. Valerio Messala Bar- bato Appiano , la quale avrà preso i nomi della gen- te Claudia o perchè nacque prima dell' adozione , o perchè al padre piacque piuttosto di denominarla dal- la casa in cui era nato che da quella in cui fu ri- cevuto. Per tal modo venendo ella ad essere sorel- la di Messala Barbato padre di Messalina, sarà stata fi^jlia di Marcella maggiore e nipote di Ottavia sorci- 254 Letteratura la d'Augusto, e per conseguenza seconda cugina di Agrippina nata da M.Agrippa e da Giulia unica figlia d'Augusto. Ma per ritornare alla nostra medaglia conchiuderò, che perle cose fin qui ragionate essa fu coniata nel 70 1, durante il consolato di Messala au- gure, da un suo figlio eh' era probabilmente anche suo questore, il quale suppongo che mancasse pre- sto di vita , e perciò porgesse motivo al padre su- perstite di addogarsi un Claudio per continuare la famiglia . Perciò essendo anteriore di soli tre anni o poco più al nascondimento del ripostiglio di Ga- driano fattosi non più tardi del ^oS , ov' essa non fu trovata , non cagionerà maraviglia , se non ave- va avuto ancora tanta circolazione per arrivare fino a Bologna: oltre che per iscusare la sua mancanza basta la ragione dell' esimia sua rarità, avendo con- fessato il eh. Schiassi che pochissime furono le me- daglie rare^ che da quel tesoro gli fu dato di ve- dere. Dietro tali pensamenti venendo ad interpreta- re il suo tipo dirò, che negl' infiniti contrasti incon- trati da Messala augure per assidersi sulla sedia con- solare io trovo un giusto motivo per cui suo figlio la facesse scolpire sulla sua moneta , onde vantarsi che suo padre 1' aveva (inaimente occupata a dispet- to degli emuli . E nel diadema e nello scettro che le sono sottoposti io scorgo una prova dell' orgoglio romano , il quale con questa rappresentazione volle antepone il grado consolare alla regia dignità. ...V.... 255 Josephi Petritnci interamnatis e societnte Jesu , et yincentii Fugce romani selecta carmina Acce- dunt epigrammata scholasticorum societatis Jesu. 8° Romane ex typographeo Josephi Salviucci, M nccc XXIL V^ual è di noi educato liberalmente , a cui non -ti sieno di grata ricoidanza gli educatoti , i mae- ,, stri SUOI, gl'insegnaton, e persino quel luogo mu- „ to ovVgli tu educato ed amaiacstralo ? „ Que- ste parole di Cicerone (') mi risuonarono nella men- tei allorché io vidi e lessi con avidità il bel volu- me dato alle stampe dal padre Pelrucci : e mi corse al cuore tale una soavità, che male or sapifi descri- vere con parole. Perchè il Petrucci tu mio mae- stro negli anni della adolesv^tìnza , e mi portò gran- de amore: né mai mi risovvieue di lui e di que dolci tempi , che tutta l'anima non mi goda- Al qual diletto, mosso dalla antiche rim 'mbranxe, 1 al- tro si è pur aggiunto derivato dalla bellezza delle poesie latine del Petrucci, le quali spirano per ogni parte venustà ed eleganza. J^ perchè nulla mi re- stasse da desiderare, ho io trovate inserte nello stes- so volume alcune poesie pur latine del delunto Vin- cenzo Fuga : nome a me dolce quanto altro mai ; sendo che il Fuga possa esseie da me chiamalo co- sì amico come maestro, li nel vero si lu egli che udendomi ne primi anni mìei recitar versi e pro- se nelle ragunanze degli arcadi , prese a lodarmi , (*) Pro Cn. PUacio § 53 256 Letteratura e ad amarmi teneramente: sebbene quelle micco*- se giovenili fossero anzi degne di biasimo che di lode. Ma egli non fece come taluni vogliono oggi- dì, i quali sembrano lieti di vieppiù disanimare i già timidi giovinetti , e danno opera che quelle te- nere piante calpestate e neglette mai non si rive- istano di belle fronde , e mai non faccian buon frut- to Al contrario il Fuga m'inanimò colle parole, e mi dirozzò co' precetti : e se io non divenni qua- le egli sperava che dovessi essere, ciò non può tri- buìrsi a colpa di lui , ma sìa mia propria: e vo- lendo in qualche parte escusar me, accuserò la for- tuna , la quale ha consentito che io dovessi abban- donare per molt' anni que' dolci studi , a' quali eb- bi Tanirno inchinevole fin dalla mia fanciullezza. Ma tornando al proposito mio , ond' io mi mossi a fare questo vano discorso , dico , che il volume dato alle stampe dal Petrucci mi sarà sem- pre grazioso sì per le poesie del Petrucci stesso , e sì ancora per quelle del Fuga : perchè io ho ed avrò sempre ambedue in quella venerazione che è dovuta ai chiari uomini e ai precettori . Chiudo- no il volume alcuni epigrammi dei rettorici della compagnia di Gesù : i quali componimenti comec- ché brevi son pur atti a mostrare con quanto ar- dore fatichisi il Petrucci di restaurare il dolcissimo linguaggio del Lazio, che negli andati tempi giace- va negletto ed inonorato con grave danno della religione, della filosofia, della storia , e della let- teratura. Intorno a che ha scritta il Petrucci una bella prefazione De lingua latina revocanda et pro- movenda: e io penso che tutti gli scenziati ne gli avranno buon grado ; anco per la ragione, che lo studio della lingua latina è non che utile ma neces- sario alia scienza della lingua italiana , sondo que- POESIK DEL P. PLTRtCCt 25^ Sta figliuola di quella , e ritenendo in gran parte i modi e. la indole della madre. E siccome noi ita- liani dobbiamo sommamente avere in prezzo la lin- gua nostra sì perchè nostra , sì ani.ora perchè fuor di dubbio è la bellissima di tutte le lingue viven- ti ; così dobbiamo prciimoven e comnieudare ezian- dio Io studio delia lingua Ialina, che è quel fon- te d'onde cade nel nostro linguaggio una grande co- pia di belle voci , e di be modi di favellare , a quella medesima guisa che dailidioraa greco cadeva- no nel Ialino. Ma lasciamo stare di ciò : perciocché la ma- teria irich lederebbe separato ed assai largo ragiona- mento. Ora dalie poesie pubblicate dal Pelrucci le- veremo qua e là qualche saggio , aflinchè i ucslri lettori ne conoscano in qnalche maniera le bellez- ze. E perchè il volume è diviso in tre parti , noi divideremo il dir nostro in tre arùcoli. JNel primo de quali delle poesie del Petrucci : nel secondo di quelle del Fuga : e nel terzo degli epig! arami degli scolari della società di Gesù brevemente ragione- remo. Articolo I. Delle poesie del Petrucci' Sono queste precedute da un hrese Carmen, con che Va. intitola il libro all' eminentissimo cardinal Pacca mecenate e cultore de buoni studi , e proteggi- lore delle belle arti , alla cui validissima protezio- ne è debitore il giornale nostro del suo presente in- cremento- Quindi le poesie del Petrucci sono divi- se in quattro libri. 11 primo contiene la versione del libro primo de' Paralipomeni di Omero composti per Q. Cala- O.A.T.XYI. i7 258 L i: T T K n A T IJ R A bro , o Q. Smirneo : ed havvi in fine un idilid sulla natività del Rr-deulore. Il secondo contiene Tepistole : il terzo le elegie : rultimo gli epigrammi. Libro I. Sarebbe da desiderare che il Petrucci si risol- vesse di volgere tutti intieri dalla lingua greca nel- la latina i XIV libri di Q. Calabro : e sarebbe da pregare Iddio che gli concedesse all' uopo lunga vi- ta e prosperevole: conciossiacliè il primo libro veg- gasi così elegantemente e francamente latinizzato , che induca nelT animo di chi legge forte deside- rio di veder condotta a termine un' opera che ha sì bello e sì felice principio, li ancorché sia verissi- mo che questo libro possa stare da per se solo , come quello che voìgesi intorno le geste e la im- matura morte della vergine Pentesilea; non però di meno io credo che dopo la h-ttura di que' be' ver- si del Petrucci dolga a ciascuno il non poter leg- gere eziandio la latina versione della morte di Achil- le , dell' incindio di Troia , e del sacrilicio di Po- lissena. Anzi di ciò si dorranno pur quelli i qua- li Sten dotti dell' antica lingua do' greci Imperoc- ché lo Smirneo non usò 1 aureo stile di Omero e degli altri grandi; ma scrisse a quel modo che so- levano i sofisti ed i retori . A! contrario il Petruc- ci disleinperò per cosi dire nella sua versione tut- to l'oro viiglliaiio ,e tolse pur da Virgilio la di'- gnità e la gì undcz^a del dire. Di che io stimo che la versione del Petrucci sia da noverare fra quel- le , le quali di gran lunga avanzano loriginale. E perché non si abhia a credere eh' Io sia troppo lar- go lodatore, riltrnùia versione." di quel luogo , do- ve il poeta descrive come Achilie dopo la ucci- Poeòié; del P. Pktrlcci 259 sione della misera Pentesilea discoprisse il volto di Jei ,• e quello apparisse di tanla bellezza da intene- rire gli animi de' greci , e piegare a pietà il leroce animo dell' uccisore. Alla quale scena compassio- nevole altra ne seguita orribile e spaventosa : per- chè Marte, padre della veigine uccisa, precipita ^iu dal cielo disposto a ffirne atroce vendetta : se non che Giove scagliando fulmini lo raffrena. In tal gui- sa per un solo esempio i lettori conosceranno di quanta lode il Petrucci sia meritevole o dolcemen- te scenda allo stile tenero , o maestosamente sal- ga al sublime. ,, Tura galeam insignem cristis rituqiie mìcantem „ Fulguris eripuit capiti , vultumque rete^it , ,, Exiinium forma vel in ipso funere vultum , „ Cui ncque putris adhuc oris decerpsit honorem „ Pulvis , nec patulo labens e vulnere sangui» . „ Qualis ubi jaculoque leras cursuque per altos ,, Fessa sequi montes, posltis Diana sagittis, ,, Procurabit, tenetaque iatus submiltit in hcrba, „ In tenues caput iuflectens accline sopores ; ,, Talis erat species dej<>ctae virginia : artus „ Per pulcros talem indideral Venus aurea for- ,, mam , „ Ut carum ob natae moerenlem funera Martem „ Erigerei ; saevique animum torqueret acerbo „ Aeacidae luctu. Circum undique l'usa Juventus „ Graja stupot : nequeunt leniri corda tucndo „ Non sibi tam pulcram in connubia laela pu- ,, ellam „ Servatam : stu[jet ante alios pelei'us heros „ Multa gemens , laiem saeva quod straverit ha- „ sta, „ Nec thalam < in patiias sociandam ad\exerit „ oras . i^ 2(3o Letteratura „ At sobolein moerens immiti morte peremptara „ Mars saevit , luctuque furens ex aethere summo „ Labitur in terra s : dextra non ocius ilio „ E Jovis erumpit fulmen , liqnidosque profundi „ Igne secat rapido tractus , nigrasque procellas „ Fert secum , aut magno latas super impetu „ terras „ Evolat,et tonitru quatit alti culmen Oìympi. ,, Olii dum coeli lacitus spàtialur in aula „ Efioni proles Aquilonis protinus aurae „ Adstiterunt , natae crudelia fata docentes . „ Ergo ululans, nitnbique modo delapsus in „ Idam , „ Constilit boirendumqne illisis increpat armis ? „ Dissultant valles , sonila Ircmefacta recedunt „ Flumina, concutitur lundo mons lotus ab imo. „ Atque acJeo immani vastasset caede phalanges ,, iMirmidonum , crebns ni rubro ex aethore „ jarlis „ Fulminibus ( volitant olii quae plurima semper „ Ante pedes ) nati procedere longius iias „ Juppitcr, et saevire animis veluisset acerbìs . ,, llle infesta llcet properans in bella , parentis ,, Agnovit jussus , frcmituque exterritus baesit. Libro IL Come, al dir di Virgilio , non ogni terra può produrre ogni frutto; così non ogni poeta può scri- vere in tiTLti stili : e si addita per cosa mirabile esso Virgilio, il quale con pari felicità e perfezio- ne scrisse versi eroici didascalici e pastorali . Ma il Petrucci ne lia dimostrato come egli abbia la musa pieghevole ad ogni suono . E nel vero chi dopo il saggio della versione diQ. Calabro leggerà le e^jiilole coiitenute nel secondo ùbro , avrk buae di Poesie del P. Petrucci 2G1 che maravigliarsi , conoscendo lui essere cosi sper- to in qupsto stile famigliare e rimesso , come lo è in quello eroico e sublime . Di che faranno fe- de i versi che qui intendiamo di riferire : e sono quelli con che 1' A. dà incominciamento alla epi- stola III. jid Liicium XJrbìni humaniores litteras docentem. ,, Dum tu palladias informas gnavus ad artes ,, Pubem urbinatem ,^Luci suavigsime , nec par „ Respondet curae fructus fortasse , operamque „ Atque oleum perdis ; dum lepraecepta loquendi „ Dictante,aut scripiores enarrante vetustos, „ Avei lunt pneri pauilatim lumina libi is :; „ Jamque hic subridet , jumque ille susurrat in „ aurem „ Alterius , late et ludi .strepit angtilus omnis „ Murmurc : dum scalpris audent tevebrare ca- ,, thedras „ Improbuli , aut varias calamo turpesque fi- „ guras „ Fingere , seu longos nasos, seu turgida gibbo „ Terga gravi , immensam cresceas seu corpus „ in alvum ; „ Sacra quirinali qua sese ad proelia clivo „ Lojolidum exercet primaevo in flore Juventus, „ Heic ego , qui tirocinium absolvere , lalinas „ Cecropiasque artes doceo . Sed quam mea felix, „ Dissimilisque tuae sors ! Heic nemo Inter ephe- ,, bos , „ Quorum cura mihi mandata , pigratur etc. Libro III. Seguono le elegie , le quali mostrano quanto lo stile del eh. A. sia da commendare anche in 262 Letteratura questa maniera di versi . Imperocché il Petmcci non si fece servile imitatoro (li ninno tra' grandi poeti elegiaci che fiorirono nel beato secolo di Au- gusto : ma imparò da Ovidio ad esser facile nelle cose difficili, e chiaro nelle oscure: apprese da Properzio la maestà did dire ; da Catullo le gra- zia: e da Tibullo la soavità e l'elegan/.a . Ad evi- denza delle quali cose piaccmi di trascrivere alcu- ni distici tolti dalla elegia HI. Ed ho fermata la mia scplia su questa , perchè si volge intorno un argomento sagro , e potrà far palese ai lettori , che «I Petrucci è facil cosa il discorrere sopra qua- lunque materia . In Virginem Puerpera^. „ Qui mihi nocturni etc. „ Ac veluti pennis crepitantibus Amphitritem „ Gum leviter zephyri et leniter aura ciet , „ Assurgit tremulo de marmore fluctus , et oras ,, Ut teligit, placidis slernitur aequoribus , „ Quem subsidentem coni'estim mille sequuntur ,, Dein fluctus , subeunt dein ahi atque alii ; „ Sic vaiias virgo spccies sub pectore rerum ,, Veisal , sic vaiiis gaudet imaginibus : „ Jam siibit aridulura et madidum nil vellus ab „ imb.e , „ Proxima dum late rore madescit humus ; „ Jam(jue ille e modiis sese rubus ignibus offert , „ Jam sese e mediis fluctibus il!a ratis ; „ Atque rubum repetit non ulla incendia passum, „ Atque jugis navem sospitem in armeniis . „ Quam gest.it bona virgo ! mera oh ! qu(Tt gau- „ dia tenta nt , „ "hX tacitum bue illuc abripiunt animum , I Poesie DEL P. Petrocgi ^03 „ Dum spse in navi, cium sese in veliere, sese „ Tnque rubo agnoscit ; dnm rata signa vìdet ! Fra le elegìe tiene V nUirno luogo la versio- ae di quella dì Callimaco intorno i lavacri dì Pal- l»de : la quale è stata da molli recata dalT idio- ma greco nel latino , e precipuamente dal Cunich: queir ottimo e sapientissimo, che per la traduzio- ne latina della Iliade, degridìllj di Teocrito, e di altre greche poesie ha lasciata nel mondo eterna fama di se. Ne io posso di luì pensare o scrive- re senza che mi venga nel cuore inesprimibile te- nerezza : rammentando che quel buon vecchio qua- si ottogenario m' instruiva intorno i precetti delia rettori ca , e mi portava amore come padie a fi- glinolo : onde io posso dire t;he primo mio mae- stro in letteratura sia stato il Petrnccì , secondo il Cunich, e terzo il Fuga. Ora volendo il Pelrnc- ci far versione di quella celebre elegia di Calli- maco elDbe sotto 1' occhio la versione fattane dal Cunich : né disdegnò d' inserire nel suo lavoro al- cuni luoghi già dal Cunich cosi bene latinizzati » che qualunque avesse voluto cangiarli avrebbe peccato o in istoltezza o in orgoglio. A moltissi- mi versi poi diede novella forma secondo il suo stile ; perchè ciascuno ha il suo proprio : né fu punto inferiore al Cunich : anzi ( sia detto con pa- ce di quel grand' uomo ) iu qualche passo lo su- però . E sia d' esempio il distico 22 , il quala dal Cunich era stato tradotto a questo modo : „ Exi age jara , Pallas , b^llatriv; , casside fui gens ,, Aurata , el clypeum laeta et equum strepita. Ma il Petrucci lo rese , al mio credere , meglio sonoro ; ed imitò lo strepito degli scudi e de' ca- valli , scrivendo : ,, Èxi age , bellipotens virgo, quae casside gaudes „ Aurata, et clypeum et quadrupedum strepitu . 264 L K T T E IV A T U R A Libro IV. L'A. ha preposto a qnest' ultimo libro un bre- ve ragionanienlo dove discorre .sulla natura degli epigra inmi. E dice come essi sono di due manie- re , altri semplici ed altn arguti ; e come i dotti parteggino lodando clii 1 una maniera e chi l'altra: sendo che taluni slimano dover essere gli epigram- mi vestiti in tanta semplicità, che ogni arguzia e sottigliezza abbia a reputarsi vi^iosa: altri poi trat- ti in contraria opinione affermino, che epigrammi poderi di ogni acume sieno come corpi senz ani- ma. Ma il Petrucci , scevro da ogni studio di par- te , saggiamente considera: eh»" le sottigliezze e le arguzie sono da sbandire da ogni scrittura che cer- chi lode ; ma se pur denno avere un asilo , que- sto non di rado possa loro concedersi negli epi- grammi. E nel vero i gteci maestri d'ogni bel di- re , e talvolta eziandio Catullo padre della sempli- cità e delle grazie , si piacquero di scrivere epi- grammi arguti ed artiliciati. Lnonde potranno i mo- derni scrittori seguire 1 esempio di que' grandi scrit- tori antichi ; purché le arguzie e gli artificj non si- eno tali, che venga a mancate al breve componi- mento natura e verità. E perciò coloro i quali vor- ranno scrivere epigrammi arguti dovranno dar ope- ra che la sentenza sia ingegnosa, ma che sia piana e sovra tutto sia vera. i\è posso dire quanto sia cosa difiicile cogliere nel giusto segno: perchè gli è d'uopo prendere un punto, al quale chi non per- venga apparirà freddo ed insipido ; mentre clieo am- pollosi o stravaganti© eziandio stolli parranno co- loro che avranno corso più innanzi. Qualunque poi voglia scrivere epigrammi nella maniera semplice, la quale ha in se meno di pericolo , dovrà porre Po£SIE DEL P. PETRt'CCI 265 Ogni studio neir eleganza e purità dello siile: sen- za che gli epigrammi, privi di ogni altro sostegno, si rimarrebbaro ira la polve. Il Petrucci ha preso nello stile ad imitare Catullo: ed alcuni epigi am- mi ha inventati, di altri ha fatta versione. Il libro è diviso in sette classi o capitoli . Io ne leverò qual- che saggio . Capvt Primvm. Epigrammata Moralia. Ep. XIIL Mulieres pretio capìuntur. Viator et amans. „ V. Cui flores ? A. Gallae. V. Quorsum ? A- Ut „ miserescat amantis. ,, V. Faileris: hoc auro, haud floribus efficilur. Ep. XXIX. Oi>is lupae catulum lactans. „ Subripuit demens quem matris ab ubere , jussit „ Lac praebere lupo me meus upilio ; „ Nec vidit vires versurum ubi creverìt in me, ,, Quas nunc ille meis haurit ab uberibus. „ Nulla illis etenim placandis gratia par est, „ Queis natura ferox indidit ingenium. Incerti ex anthol, Ep. XXXI. Stuliitìa Anioris dux. „ Stultitla infierauit , mater quod Cypris Amori „ Oscula libavit plurima , nulla sibi. „ JXesciaque invidiani compescere , lumina fratris ,, Fodit acu : ex ilio vuìnere coecus Amor. „ Jupiter ast pueri casum ut prospexit iniquum, „ Haud impune scclus tam grave passus , ait : aCG Letteratura „ Lumina quod dempsit fratri, liane soror iaipia poenam „ Persolvet : fratri dux erit usque suo. hiX Carmine vern. Augustini Spiuolae Là nel del forte infierì eo. Gapvt Secvndvm. EPlGhAMMATV SaTYRICA. Ep. I. In Quintum ma^istratu superbientem. ;, Insipiens darò decoratus munere Quintus ,, Degenti summo in culminp par hominì est; „ Cui quotqijot sunt infra homines parvi esse vi- „ denlur ; „ Apparet cunctis ipse sed exignus. Ex Panantio. Ep.X. In Àlexin bibliuthecce custodem . „ Custodii libros , numqnam sed tangit , Alexis: „ Aerarli e ustos quam foret egregi us ! Ex eodem. Capvt Tertivm. EpIGRAMMATA LvDiCRA . Ep. XXFII. Ad Quintillam , cujus morti marìtus ejus raro exemplo pauUulum illacrimavit. „ Sume alacres. Quintina," animos: versabere manes ,, Orci inter quadam non sine gloriola, „ Nam tua non solum conjux tuus ossa sepulcro „ Gondidìt, exirinctae misit et inferias; „ Sed tua, quod nunquiim uxori aut vix conligit ulli, „ Ornavit paucis iuuera iacrimulis. Poesie del P. Petrucci jGc Capvt Skxtvm. Epigramhata Varia. Ep. Fin. Ad Nigellam trium pnellarum et nullius piteri matrenu „ Si, pueruni antea quam paries, enixa puellas „ Ls ternas, noli, pulcra Nigella , queri. „ Ipsa etiam, antea quam piierum peperissetAmorem, „ Enixa est ternas pulcra Venus charites . Eoe gallico anonjmi . Ep. IX. De Galla licet pulcra ab amore famen aliena. „ Qui te. Galla, videt, Venerem te credit , at errai; ,, Namque puer nusquam \a comitatur Amor. Ex- gallico anonjmi. Caput Septimum . Epigrammata Sacra. Ep. XXXFIII. Inscribendum massiliensi s. Marine Magdalenae speluncae . ,, Hoc nemns , has rupes coluit pia Magdalis , ,, heie se „ Occuluit cari post domini iaterttum - „ Indignam heic repetens caedem clavosque cru- ,, cemque , „ lilum, cui fixit gens rabida isacidum , „ Isolabiliter flebat , clavosque crucemque ,, Sculpsit in arboreis anxia corticibus . „ Huc te seu ratio seu fors adduxerit , hujus ,, fn speluncae, liospes , limine siste gradum; „ Signaque pronus humi tanti veneratus amoris „ PauUisper tolam collige mentera animi . 2C}$ Lette UATijRA ,, Quod nisi te tantae movet hapc pietatis ìniag9, ,, Adspprtusqiip luas ni ri^t liic lacrimas, „ Hinc procii! abscede, et clama : liei misero mi- ,, hi , quam sum „ Kupibus his , quam sum durìor hoc nemore ! Ep. xxxrr. De sanctisslmae Mariae nomine contta metricas ìeges producto. ,, Kon ego te arguerim Mariani si dixeris : hoc „ TiHm „ Metrica Jex nomen corripuisse jiibet . „ Ast ego pi'oducam , atque invita lege Marìam „ Dicam , te quoties , o bona virgo , vocem . M Sic etenìra fiet , quovis ut nomine nomen „ Dulcius in nostro longius ore sonet . L' A. ha tolta questa sentenza da un'epigram« ma inedito del Cunicli : ed ha fatta cosa graziosa ai letterati pubblicandolo. Io lo ripeterò: e chiuderò con esso questo primo articolo . „ Die Mariam, haud culpo; sed enim dixisse Ma- „ riam ,, Mi placet, in nostro ut longius ore sonet, ^ Atque utinam hoc adeo produci posset ,. ut „ ipsas „ Mi labro insideat nomen ad exequias . ( Sarà continuato ) L. Biondi . ^69 Elogio if Ennio Quirino Visconti ^ scritto dallab. Giambatista Zannoni regio antiquario nella galle- ria di Firenze - 8.° Firenze nella tipograjia di Luigi Pezzati 1822. Sono cart. 4'- J^ Ennio Quirino Visconti , gran lume delTita- liano sapere , appena venne a morire scrissero degni elogi il Quatrtmere e il Mi Min tra' francesi : e il dottor Labus , e lo Strocchi , ed il Biondi (1) tra' nostri migliori. Or ecco quello che gli ha novella- mente compostoun illustre antiquario di questi gior- ni: il sig. abate Zannoni, di cui vanno sì chiare in Europa le dottissime dichiarazioni alle cose an- tiche della galleria di Firenze. E quest'opera non è meno d onore al suo nome , che sia al Viscotjti : perchè, lasciamo stare la pulita della lingua, vi si narra la vita di quel famoso con tale gravità e filosofia , ch'unico specchio n'è il vero , sommo be- ne dell'intelletto. Onde se belle e grandissime sono giustamente le lodi che vi si discorrono del Vi- sconti, elle però non passano mai la debita con- dizione d'umane ; essendo stato inveio Ennio Qui- rino il fiore di quest'età , a chi pochi altri per altezza di mente sono da uguagliare : ma pure non più che uomo (2): cioè a di/e , secondo Apulejo, un essere anch'egli di corta vita e di tarda sapien- za. Il che a tutti dovrebbe farsi d insegnamento quan- do sono sopra scrivere le memorie d'alcun valen- te ch'abbia ben meritato della pubblica civiltà: avvertendo inoltre che negli uomini grandi le col- (i) Giorii. arcad. t. ii par. i (aprile liiiy) pag. i. (2) Majni àu'it -j ho/nines Uunca. ;^uii»ul. 2nò Letteratura pc , clil saviamente le avvisa , non sono di mi- nore esempio che le virtù. Imperocché noi calili veneratori degli avi in tutte le cose che fecero egre- giamente : e furono molte ed altissime e da dura- re co'secoli ne'petti e per le bocche degli uomini: non sentiremo mai con essoloio quando per ogni mo- do alterarono il ricordo dei domestici fatti. E però ne' greci a buona ragione venereremo e il fioritissimo ingegno , e le forti geste , e le arti , e le lettere , e la filosofia ; ma ci guarderemo bene dal seguitarli Jà dove empierono sempre di miracoli le loro isto- rie, e il cielo di seiaidei. E meglio anche seguite- remo que'nostri venerandi romani , gente libera e intera e gravissima e 1 onor della terra : ma non dove Sì duole Livio d'essere stata per essi , dopo il tanto cianciare delle orazioni funebri e de' titoli delle immagini , corrotta ogni an.ica memoria : f^i" tt'afam memoriam fanebribus laudtbus reor falsis- que imagi nwn titidis , dutn f umilia ad se quoe^iue J miam rerum gcstarum hunorumque /aliente men- dacio traìiitnt (3). Quindi ai sig. ab. Zannoni \<^\\- «icremo un bollissimo merito perchè abbia volalo farsi piuttosto della schiera dei buoni filosofi, che de'miserabili retori: e manifestato solo quello che è ; slimando con fina prudenza che la ragione deb- ba eziandio soprapporsi agli esempi. E così credia- mo e abbiamo creduto sempre anche noi. Le quali cose ci giova d'aver toccate, altìnchè ninno voglia tacciare questo cortesissimo fiorentino di poca ri- verenza per tanto uomo, dov'egli talora ne va no- tando alcun fallo: e scrisse a cart. i3 , eh' Ennio ♦Quirino , primo in Europa nell'antidata figurata, fu poi secondo al Marini nella scienza delle latine iscrizioni, e aH'E.ckhei ed al Sestiui in quella del- (3) Liv. lib. ViJi cap. i^o. Elogio del Visconti 271 le medaglie , e al Lanzi in sapere le cose etrusche , e in conoscere le cgi>.iane al Zoega. Perciocché (sono paiole del N. A. ) per somigliante maniera J pelle che fu primo pittore delle arti antiche cedeva ad Anfione nella disposizione e nel concerto , ad Asclc" piadoro nelle misure, a Protogene nella diligenza', e Raffaello , che primeggiò su pittori delle arti ri- sorte , egual non fu al Buonarroti nel disegno "^le muscoli , a Tiziano nel colorito , al Cortggio nella scienza delle ombre. Savissimo awiso , e da essere ripetuto al continuo , e scritto a molti nella memo- ria: perchè vedano come quella loro superbia di voler lare ogni cosa , e di credere ogni cosa far bene , sia stoltissima presunzione e tutta Inori della uma- na natura : la quale dall autor suo tu stretta a così piccoli termini , che non pure è oltre al possibile saper 1 intero del piii delle cose , ma sì raggiunge- re in una sola alla desiderabile peilezione. Ma perchè a molti non sembia doversi il nome d Ennio Quirino riverire sì grandemente , come si riverisce da' maggiori savi d iìuiopa ; e ciò solo pir la cagione che suo studio principalissimo fu- rono le cose antiche , piuttosto che alcun'altra dot- trina o più utile o pii!i dilettevole ; ecco quello che in dilesa dell antiquaria scrive a cart. 1 1 il nostro sig. abate in un passo , che noi crediamo de sin-^ golari : ,, Mercédi questa domestica istituzione (die' ,, egli ) il grand uomo di che 10 parlo , il quale ,, nel rammentalo esperim'^nto Comparve attissimo ,, ai severi studi della tiloàolia , applicò intensa- „ mente a quelli delle lettere : e meritò ottima- „ mente dell antiquaria . So che coloro , i quali ,, stoltamente coniòndono l'antiquaria collaiie ri- „ devole d'indovinare, estimeranno aver l'atto il „ Visconti, coli appigliarvisi, sprecamento de suoi 27« Lette II ATURA „ talenlì: Che stali sieno, principaì mente nelle p^s ,, sate età , antiquari! che più presto che tali chia- ^ mar si potevano indovini , il crederò volentie- ,, ri : raa dirò insieme, che dì questo sono essi ,, da accagionare , non V arte. Essa , comechè si „ appoggi in gran parte alla probabilità , ha però „ non di rado fondamento fermissimo sulla cer- „ tezza. Le medaglie, che le figure congiungono „ colle iscrizioni , danno lume non dubbio per dì- ,y chiarare le medesime figure in quei monumen- „ ti , e sono i più , i quali mancano d'iscrizione. „ Non si attentano poi oggigiorno gli antiquarii „ a spiegar tutto un fatto che sia in questi monu-, ,, menti rappresentato , se per guida prima non pi- „ glino gli antichi scrittori , e insieme non para- ,, gonitio i monumenti dello stesso argomento. Per „ questo paragone , ciò che di per se stesso è oscu- ,j ro o assai dubbio, chiaro si fa e manifesto: qua- „ si lo stesso avvenendo che nei problemi di ma- „ tematica , nei quali mercè del valore delle quan- „ tità conosciute quello delle incognite si ritrova. „ Ha insomma l'antiquaria , come le altre disci- „ pline , la sua filosofia e le sue regole di cri- ,, tica ; ond ella è omai al possedimento di accer- „ tate verità , le quali ogni dì più T aumentano „ per le cure e i sagacissimi investigamenti dei „ dotti. „ Si fa indi l'autore a discorrere de'più alti tro- vati di che il Visconti accrebbe il tesoro del gre- co e latino sapere : cosa cui già aveva posto la mano anche il cav. Strocchi (4) , e con elegan- za e dottrina uguali al raro suo ingegno. Ma cer- to il sig. Zannoni sé ora allargato su ciò in ter- (4) V. Gioii, ar ad. I. e. cari. »2. m^n. Elogio del Visconti ^^^ mini assai maggiori : essendo egli con indagine più sottile , secondo la sua professione di regio sposi tore d' antichità , andato cercando diremo quasi ogni fiore negli scritti del romano sapiente e pri ma in qnelli che più innalzarono la sua fama , cioè nel Museo Pio dementino, nelle Iscrizioni triopee ne Monumenti borghesimii e gabinii , e nelle Icono^ grafie greca e latina. Le quali cose chi volesse qui ragionare , dovrebbe anzi riferire su queste carte tutta 1 egregia opera sua. Pure ne andremo oua e la avvisando qualcuna. Così, per esempio , ngta egli a cart. ,7 l'interpretazione che dette il Visconti alla parola aaiaaAOS in un antico vaso di tnrra La „ principal figura del bassorilievo, che alla tav. XI „ di questo tomo medesimo si vede , è Vul- „ cano. Esposto secondo verità questo monumen- „ to , procede il Visconti alla spiegazione d'un va- „ so fittile dipinto, recato dal celebre Mazzocchi „ alla pag. 187 del suo bellissimo libro sulle ta- „ vole eracleesi : dei qual vaso quest'uomo dottis- „ Simo disperò in parte l'interpretazione. Ma il Vi- „ sconti vi discuopre Vulcano, allorché , legata „ Giunone su d'una sedia con lacci invisibili è „ dagli altri numi costretto a disciorgliela i\a- „ sce 1 oscurità della pittura, dice con somma sa- „ viezza ed ingegno il grande antiquario , dall'aver „ Vulcano un epigrafe , che non già il nome di „ lui contiene , ma sì un attributo. Essa è aaiaaaos, „ daedalus , voce che non esprime un nome pro- » pno, ma un epiteto che si appropriò poscia al ,, iamoso artefice che cosi fu appellato. Tanto più „ segue a dire il Visconti , convenia tal nomea „ Vulcano, che mventò quelle arti nelle quali De- ,. dalo SI rendè famoso. Quindi ad avvalorare la " G.A.TXVI ''^""°"' "''""'*" opportunamente , 2^4 L E T T E n. A T V; R A „ che Cerpve dagli antichi fu detta talora AsaTTo.^a , ,, Ko^if Proserpina , Tcorei^x Diana e Minerva , AcanTec „ i Castori , Phoehus Apollo , Gradivus Marte „. E segtie . „ Il dotto del pari che acuto pa- „ dre Corsini in ispiegare il celebre bassorilievo ,, del riposo di Ercole, trovò nella iscrizione di ,, di esso la ricordanza della morte che quell'eroe ,, dette al maestro suo, il quale dicono alcuni es- ,, sere stato Lino, ed altri Eumolpo: e lesse per ,, congettura ^ouìktxìito^ ove sono le lettere , per „ danno ricevuto dal tempo, dubbie ed incerte. ,, Aveva TAIlacci ivi medesimo letto nh*oph , e „ questa lezione erasi dal Marini approvata. 11 Vi- „ sconti esamina co' proprii occhi 1 originale: e „ scopertivi certi vestigi della rozza voceNHOPHS- ,, ANTO? ; senza tema d'errore legge c/l>:cFii'«o^;>a-iyi/7os , ,, fidato a Pausania il quale racconta che il più ,, nobile de'tripodi consecrali in Tebe ad Apollo ,, era quello, che dedicò Anfitrione quando Erco- ,, le fu dalneforo „. E a cart. 24 , ricordando le cose che sono ne' monumenti borghesiaoi , scrive : ,, Se i moderni ,, che la storia sciissero delle arti antiche non co- ,, nobbero che un solo Policle tra gli scultori , „ il romano antiquario ad evidenza prova che due „ ne furono di questo nome. Gli sono scorta Pau- „ sania e Plinio , il cui testo, perchè due Poli- ,. eli chiaraoienle novera, iii dall'Arduino, per „ brama di correggerlo , mutilato- Degna che qui ,, se ne faccia men^ione parmi essere anche la con- „ gettiira che la il Visconti illustrando con am- „ pia dottrina e con riflessioni nuove la faivola „ d Atteone espressa da bassorilievo pertinente a „ sarcoiago , nella secomla e terza tavola del tomo „ secondo. Disposta è la favola in quattro com- Elogio del Visconti ijyS ,, partlmenti : rullimo de'qiiali presenta Autonoe „ accorsa a ricercare il cadavere del lacerato fi- „ gliuolo in compagnia della vecchia nutrice di „ lui. Gallimvco e Nonno , rammemorando nei loro ,, versi questa lagrìmevole scen;» , adoperano la „ frase oar&x Ae7ei/ , ossa legere . A ciò ''ponendo „ mente il Visconti , e a lui insegnando Polluce „ che Eschilo fece Atteone argomento d'una sua „ tragedia , si avvisa egli ingegnosamente questa ,, tragedia esser quella che il titolo ebbe degli Os- ,, silegi , e citata è da Ateneo. L questa conget- ,, tura assai reputar si debbe probabile , perchè „ tra le tragedie di Eschilo, diligentemente dalFabri- ,, ciò annoverate , niuna ve n'ha la quale più accon- „ ciamente che gli Ossilegi ^ossa ai miserandi casi ,, d'Atteone essere riferita „. Parlando poi il sig. Zannoni delle due Ico- nografie , avverte tra le altre cose a cart. 26 , che : „ se è ornai da confessare che nell'antica età sta- ,, te sono due Saffo, a ciò ne astringono i vali- ,, dissimi argomenti che addotti furono dui Viscon- „ ti. Prova egli con autorit.'i sì positive e sì ne- ,, gative , che l'amore di Faone e il salto di Leu- „ cade appartengono a una Saffo , la quale più mo- „ derna è della poetessa ; e che Ovidio fu il pri- „ mo a confonderle „. Finalmente intorno al consìglio che, secondo Cassio Dione, diede Agrippa ad Augusto di spo- gliarsi il regno e rimettere la repubblica. „ Rifletè „ te ( egli dice ) il Visconti che è ciò contrario ai „ modi che quel gran politico tenne sempre con ,, Augusto : e congettura ingegnosamente , che la „ narrazione di Dione avesse origine dai romori* ad „ arte sparsi , e da'controversi racconti che i cor- „ tigiani d'Ottavio andar facevano attorno sulla di- 18* „ sposizion ch'egli avesse di dimettere il supremo „ potere ; ovvero dalle declamazioni dei giovani „ retori , che dovettero cerio in questo importan- „ te tema esercitarsi : come Giovenale die pereser- ,, cizio di scuola compose,, siccome egli medesi- ,, mo testimonia , un discorso nel quale consiglìa- „ va Siila a deporre il comando,,. E come , aggiun- giamo noi , l'oratore Isocrate , benché per altre ca- gioni , compose la bella aringa d'Aichid;imo a que' di Sparta, e l'Alfieri il panegirico di Plinio a Tra- iano. Potrebbe però essere anche avvenuto, che Cassio Dione pecondo il solo capriccio suo componesse quella sua diceria del lib. Lii , pigliando la mag- gior forza degli argomenti da Cicerone nel primo della repubblica • siccome chiaro sembraci di ve- dere ne'cap. xxxi e xxxii. imperocché non sareb- be stata la prima volta che quel greco istorico usasse interamente a utilità propria le cose di Mar- co Tullio: il the (u anche avvisato assai sottilmente dal dottissimo nostro Mai là dove scrisse : Jllie' ?iis sane scriptis riti wdemus Dionem , ita un in- teoram quoque Philisci ad Tullium consolationem adsciscere non dubitaverit XXX f^ HI i[) seq. (5)- Queste sole cose ci è piaciuto d'aver notate nelTopera del sig. Zanncni , quasi un picciol sag- gio delle altre moltissime che sono state da esso , avvertite negli scritti d'Ennio Qniiino. Ee quali se in questa età , in che d'altro quasi non si ha di» scorso ohe di pile e d idrogeno e d elettricità , sa- ranno avute da alcuni per pochissimo vantaggiose a chi vive, e noi loro risponderemo: ch'elle ci sembra- no ^nzi di pan utilità che le altre. Imperocché noi slimiamo , che il compimento di tutte le cose a (5) eie. de jH, P. pag. 82, nota (3). Elogio del Visconti 277 desiderare su questa terra sia l'esser felice; segueu- do anche iu ciò il divino Alighieri che dice : fine della virtù è , la nostra vita essere contenta (G). Ora qual contentezza potremmo noi aver mai sen- za goderci lieti quel poco di vita , che ci è stala da Dio conceduta ? L come lieta potremo condni la vita se non ia cousoKtssimo qu.ilche volta d'al- cuno innocente piacere ? Specialmente nella trista vecchiezza, in che tanto solo avremo di bene, quanto ce ne daremo : indeboliti nei cuore , langui- di nello spinto, chini la testa e le schiene. Non tutto però è in ugual piacere sempre di tutti: ond'è che molli vanno beati pel trovamento d'uu'antica moneta , o d'una lapida de'nostri avi , o A\\x\ pas-~ so di scrittore fiorito nel secol doro , che poi ri- traggono perfino gli occhi dal riguardare le novelle sco- perte o d'un acido o d'un minerale owec d'un piane- ta. E così dicasi nel contrario. L' uomo è stato sempre ad un modo : vario ne' suoi pensieri , uè' suoi giudizj , ne'suoi alfetti. E solo questa a noi sembra ottima filosofia ; non le superbe ciance dì alcuni , che vogliono titolo di sapientissimi , 1 quali con dir sonante gridano tutto di a' pove- relli mortali come s'e'fossero tutt'altri esseri che non sono : perchè noi , nemici sempre di fole , il siamo con più ragione di questi importuni e tri- sti favolatori. E diciamo: che se alcuno mji per certa sua sazietà volesse tor via dell'umano sapere tutte le cose di non istretto vantaggio fisico o ver morale: cioè quelle senza cui non potremmo usa- re la vita o lungamente o a bontà ; dovrebbe non pur nelle lettere e nelle arti , ma nelle gravi scien- ze, e prima nell'astronomia nella botanica e nel- (6j Convivio, e.liz. -/-cncta ttsl Pastjuaii -1772, a cari:. 21. 2^8 Letteratura la mineralogia ,sop(3rimere delle dieci parti le nove. La quale melanconica lantasia voglia il cielo che mai non sor^a in alcuno: eh' eì n'andrebbe certo colle risa grandi degli uomini : e sì che T opera sua sarebbe veramente 'delle perdute . Belle sono poi le risposte che fa il eh. A. a certe censure mandate attorno da un alemanno con- Ira gli scritti d' Ennio (Quirino. Questi è il sig. Kohler : il quale a' passati anni venuto in Italia, mostrò di viaggiare per queste terre con quel ta- lento medesimo , con che altri viaggia presentemen- te ne'deserti d'Egitto o per le rovesciale città di Grecia. E dileggiò in mille guise la condizione di nostre lettere : senza però che ninno fra noi vo- lesse chinarsi mai a rispondergli altro , che quel verso del Lasca : Oh mondo ladro ! Or ve chi se t allaccia ! Di che non è a scrivere sei tutto avvampasse d ira. E però a ferirci più al dritto , anzi a portaici qua- si in mezzo al cuore il coltello , subito si gittò fieramente sul nome e le opere del Visconti , pen- sando che maggior lume e sostegno non avesse fi- talìano sapere. E forse pensava il vero. Ma contro al supremo Agamennone non si voleva provare al- tra spada che quella d'un Ettore o d'un Achille; e ben doveva il Kohler considerare , che alla com- pagnia di quel sommo stavano ancora tali Ajaci e Diomedi , che senza molto sudare avrebbero potuto fargli alle schiene quello che già fece Ulisse al ciarla- tore Tersite . Uomini invero dottrinalissimi, che non vaneggiando alla maniera di parecchi settentrio- nali , ma usando gravi e certissime teorie , tengono tuttofa verde in Italia la grande riputazione del Visconti , del Marini , del Sanclemente , del Mor- celli , del Lanzi , di cui sono calde le ceneri. Ha ^79 voluto il sig. Zanno ni nel rispondere airalemanno esser cortese co'cliscortesi : ma noi siamo stanchi oggimai di tollerare in silenzio, che si abusi più oltre la religione del nostro ospizio , e che si git- tino le italiane rose sul braco. Salvat{>re Betti. Piarsi latini del sig. aw. Francesco Guadagni. l^embra indubitato che gli studi delle buone lettere infondano dell' animo de' loro più caldi cultori una singoiar gentilezza e leggiadria di co- stumi. Recar possiamo a prova di ciò le belle ma- niere, onde si adorna il eh. sig. avvocato Guadagni, che ad ogni cortese invito, ad ogni letteraria comu- nicazione degli amici corrisponde sempre col dono di aurei suoi componimenti La seguente epistola, tutta vaga e d' invenzione e di alta e finissima la- tinità, fu per lui ultimamente diretta a due de' no- stri colleghi , che nel volumetto di agosto illustra^»' rouo alcuni antichi epitaffi posti a dimestici anima- li. Giudichino da essa coloro che di queste cose ret- tamente sanno , se a piena ragione quel Perticari , di cui piangiamo ancora la perdita, e ch'era pure il grande maestro delle italiane grazie, chiamasse il Guadagni padre delie latine eleganze . ago Letteratura yid Hieroìjrnium Amntium V, C. et Philippum Merciirium , mirae spei juvenem , qui nomiullos titidos cquis vel canibus positos opera dilij^en- ti illustiarunt , FRANCISCI GUADAGNI ADV, Epistola . Artibus ingenui* exculte ac praedite , quot sunt, Qui dcctae nitidaeque jubrs assuescere luci Saepe int^llectum gaudenlia fallere mancis Obsctirisque nolis prisca aera autmarmoia, Aniati, Tuque premens signata viro vestigia, famam Venture in magnani, sese ut dant orsa, Philippe, JNae vos ( angores liceat, qui me male torquent , Paullisper lenire jocis , musaqu« pedestri ) Nae sapitis salso sale plus , ipsoque salillo . JNamqiie ecce Ine longo blanditur Carmine Achilli, Jaciaio et Laertiadae.Flammam hic et rudera praeter, l'ivino capili minitantia , praeter et iras Regiiantis caeco vcntcrum in carcere regis , Fessum Anchisiaden tiberino in littore sistit : Qiiam pater Aeneas , Laertis nudula et algens Guam proles, quamve Aeacides, aut vera propago Heroum , pioperequae tato e.vcisa maligno est , JMercedem seris cantoribus exsolvisse Concinni potuit castigatique laboris ? Haud uliam . Valri quid vos , planeque recocti? Non tanti est vobis heroum fluxa propago , Ut scinnum abrumpat: vos excitet atque cadurco : t)pd,(pjaesunt et erunt,reparant se et naviter auctu, Muiccti.'i lepidasque canes, et fortia equorum Corpoia p.dpatis. Vobis Speudusa 1 ibyssas Praereri( US, summo vix tangens sed pede, arena»: Eutiij/diciis vobis. Lieo in pulvere Victor; Vobis , deliciae domiuae , Pautia Catella Versi del Guadagni 281 Se debent jiiri extortas Acherontis avari , Isti aevo coraraendatas , aevoqtie nepotum . Non tulit ingratos, non et feret oainibus annis , Terra canes vel eqnos. Semper nomenque caninum Vestra animo recoJet benefacla,et nomen equinum. Ergo ( quae disteni veris finxisse poetani Nerao unus vetuit ) quoties furtiva petìtum Gaudia pergetis , sive Argo , sive Melanipus , Haud vos latrata prodet. Caudamille remulcens?. Aure micans vobis nec non utraque, tacebit . Vectari ast placeat si circunn rura caballo , Non sternax vos ille ferus cervice refusos Allidetsaxis ; non crus , non brachia franget ; Noe oculumexcutiet,vel,quod raage triste,cerebrum. Sed(moneo)tamquam surdo angue, absistiteaseliis. -Haud parcent . Doctos oderunt ; nec cicurabit Vestra umquamPalias,niuitum utcoBtendat,a6ellos. è82 ARTI BELLE -«- ARTI V. SCULTURA . jldamo Tadolini , bolognese . eraniente nuovo e tutto gentile è il pensiere del gruppo, che il sig. Tadolini ha ultimamente con- dotto in marmo , a rappresentare la favola di Ga- nimede rapito da Giove tramutato in aquila . La qual favola fu pur dagli antichi le spesse volte scolpita. E certo di greco maraviglioso artificio fra le altre è l'aquila che si aggruppa col giovinetto; la quale pertenne altra volta ai patrizi Grimani Spago in Venezia . ed ora ammirasi nella L R. biblio- teca di quella città , come uno dei capo - lavori delle arti antiche .Né mancò fra' moderni chi trattas- se lo stesso soggetto: e, per tacere degli altri, ci basterà citare il gruppo del celebrato cav. Thor- waldsen, il quale rappresentò Ganimede che porge a bere in una tazza all' aquila .11 Tadolini però si è allontanato dalle inventive altrui , ed ha espres- so con bel modo il momento che precede al rat- to . Perocché vedesi Ganimede assiso in terra con giovanile fiducia stare tutto intento ad accarezza- re il mentito augello , il collo del quale egli cir- conda col braccio destro , nell' atto stesso che il guarda con ingenua compiacenza . 11 bercilo frigio, e la tazza che tiene colla sinistra, e l'urccoJo che gli sta da un Iato per teiva, servono a dinotare la con- 283 dizione di Ganimede , e V ufficio al quale era de- slìnato . Una ricca clamide gli cuopre in parte il sinistro fianco, ed in parte rimane stesa per terra dalla banda dell' aquila , che vi è montata sopra e mostra di raccoglierla poco a poco fra gli artigli, nel mentre che volge la testa ripiena di contento al giovinetto , in sembiante di godere delle carezze di lui, le spalle del quale rimangono già coperte dall' ala sinistra eh' è tutt' aperta , intanto che la destra comincia a spiegarsi . Il qual modo è naturale de' grandi volatili, i quali per togliersi di terra ten- gono questo uso , forse noto a pochi perchè istan- taneo , ma che dall' artista fu sottilmente investi- gato a meglio significare il soggetto. Il movimen" to e l'inquietudine che si scorge nell' aquila con- trastano a maraviglia colla sicurezza e il riposo di Ganimede , il quale giace con mezza la persona distesa, e s'incurva mollemente col tronco verso la rapitrice da lui non temuta . Questo gruppo ha tanta grazia e bontà di composizione , tanta soavi- tà e dolcezza di linee che più non può dirsi . E se a questi pregi si aggiunga la squisitezza delle scelte forme giovanili : la purità de' contorni : la sveltezza delle giuste proporzioni : la bellezza ideale del volto , e il dilicato e finissimo lavoro del mar- mo : cose tutte di che il Tadolini ha fatto ricca e bella quest' opera ; non si potrà a meno di rav- visare in lui uno di que' giovani maestri dell'ar- te della scultura, ne' quali fonda l'Italia a buon diritto la speranza di conservare la supremazia delle arti belle . E che questo nostro giudizio non ci venga dettato da soverchia benevolenza, ben lo dimo- stra la moltitudine degli artisti e degli amatori clve corre ad ammirare e loda con aperti modi un la- voro così nuovo e gentile . TaMB140XI 3«4 VARIETÀ' M. Thillii Clceronis de re pilhlica quae supersunt , edente Angelo Majo vctiicanue bibliothec^ praefedo . Romcie, in collegio urinino tipud Burlieum, 1822. Un voi. di pag. S56. in 8. {tarleremo di questa immortale opera neVoIumi avvenire. N. I el fine dell' estratto della seconda memoria sul kigiio retto - ve» scicale del eh. sig. prof, fiacca è corso un equivoco , del quale ci crediamo in dovere di avvertire i nostri lettoii . L" autore di esso estratto leggendo alla pag. yS : un metodo che toglie la vita a venti individui fra i cento che vi si sottopongono ; ha attribuito questa perdita al taglio retto-vescicale, mentre in quel luogo parlava il sig. Vacca del metodo laterale, ch'egli riguarda siccome difettoso. Dee pertanto ritenersi , che il prelodato clinico ha perduto un solo in- dividuo sopra undici da lui operati col nuovo metodo , e che in conseguenza i suoi risultati sono più felici di quelli ottenuti negli spedali francesi ed inglesi, dove si pratica tuttora l'antico proces- so. L'illustre clinico di Pisa e il discreto lettore vorranno facilmente perdonare un' abbaglio a chi per iscarsità di tempo legge gli scritti «on qualche celerità, e si fida spesso della sua memoria nel redige- re gli articoli. Opere del conte Giulio Perticciri* x\ on e a dire come ci sia goduto V animo nel sapere che le opere del rostro Giulio , di quell'amico cioè che ancora ci fa ver - Varietà' a85 saie un gran pianto suir acerba sua morte , sieno presso a escir fuori novellamente pc' torchi 4el sig. Melandri di Lago . Certo se si ristampano tutto di tante baie , che d' ogni parte uocend* abbuo- ni costumi e alla pixrità della lingua si voleano anzi o dimenticate ♦ perdute j molto piìi parea che si dovessero rendere di maggior uso fra §4' italiani gli scritti d' un eccellente , che nel più puro idioma insegnò cose alte e novissime, e prima d' ogni altra, T amare ve- racemente la patria . Ben vorremmo che tale ristampa riescisse noa solo di pubblico gradimento, ma degna del Perticari: la cui gloria ci sarà sempre cara quanto la vita stessa . E senza dubbio riescirà, se male non ci apponiamo , là dove principalmente s'avvertano due co- se necessarissime. L'una, che si hanno stampati parecchi scritti, che il conte Giulio a' suoi ultimi anni rifiutò sempre di tenere per suoi : e sono quelli che pubblicò nella prima sua giovinezza , innanzi che levasse il suo stile a quella grande bontà , che Io faa venduto poi sì famoso . Questi non si potrebbero per niun modo tornare alla luce senza otYendere gravemente la memoria del Per- ticari , anzi la sua volontà : quasi alcuno volesse fargli del precct - tore: o, vedendol vestito d'oro e di porpora, trarsi innanzi e gri- dargli : guarda i vecchi tuoi cenci . Il che sarebbe brutta opera di villano, specialmente verso chi seppe tant' oltre non meno in vera letteratura, che in cortesia . La seconda cosa è , che il Perticari non istette nulla contento alla correzione libraria della sua Difesa di Dante . E però il mandar fuori quella celebre opera cosi come va attorno presentemente , piena d' errori d' ogni generazione , sareb- be rendere un mal servigio all' autore e a chi legge . Onde noi qui daremo a comune uso un' errata -corrige che il conte me- desimo aveva scritto di proprio pugno sul margine all'esemplare , che ten6va in sua libreria : il quale noi abbiamo avuto tutt' agio di ricopiare (*) . E di più aggiungeremo due nuovi passi eh' egli avvisava porvi quando la volessero ristampare . 11 primo è a cart. 21 , lin. 9 , e dice : „ E in cuiesf ultimo luogo egli par^ la di ,?e , e ne cita ad esempio una sita canzone ; perchè ijuivi (*) Esso appartiene ora, per un bel dono del sig. conte Gor- diano Perticari, a S. E. il sig. D.Pietro de'piimipi Odcscalchii, no- stro amatissimo direttore . 286 V A li I E T A* non erti discorso di poemi ma di canzoni : siccome erano cjuelle di Beltrame e di Cina . Ma poiché pon^ che Ire sole sicno le ma- terie del volgare illustre : e la sua commedia non canta né la gagliardezza dell' arme , né 1' ardenza dell' amore ^ ne conseguita eh' eoli vi canti la tettitudine , di cui disputiamo : avendo cercalo ec. „ Onde ran tolte quelle altre parole : del suo poema che ha (fuC" sto fine delia. 11 secondo e a lart. iyò, e si dee mettere in fine alla nota i6 , e dice: „ £ i mantovum ., cittadini di Sordello, an- cor dicono bioss in questa si^nijìcazione . y. Murai, diss. 35. f. 6 10 „. Or ecco P errata - corrige dì tutta la Difesa di Dante, P. i5. 1. i8. E Jigli ■ Ed erano Jì^ li . P- 2B. onde per le - onde (juelle . P. 23. 1. 12. discuoprire - discuoprii ne . P. 26. 1. 20. Il quale si -Il quale artificio si. P. 3y. I. 10. che avendosi - ov'' essendosi . P. 4o, 1. b. IVe reo romano - riè ,eo da' roma d. Ivi 1. 26. sannl- iiche-sabine . P.43. ì.\.%. mondo, di cui - mondo : di cui. P.5o I.22. Romena . Benché lo sforzo fu vano , laonde-Romena : benché lo sfor- zo fu vano . Laonde . Ivi 1. ult. n' ebbe o merito - n' ebbero questo merito. P.&4I. ult. ci dovrà -ci dorrei. P. 60 1.4- « Marte-a MurtCt Ivi 1. 8. radici :* radici , P. 68. 1. 5. le voci -le pili scelte voci . P. 74 I. 5. vede da lun^i - è da lungi. P. 77 1. \i. simili - siculi . P. 91 1. 1. che dettava - che gli dettava. P. 96 1. 18. concede - concedere. P. 108 1. 16. sdegnarono - sdegnavano . P. 109 1. 6. in quelli - in quelle. P 110 I. 7. tolto - tolta. Ivi 1. 18. quelle -quel- li P. Ili 1. i5. si vci,gono - si reggono , P. 127 1. 8. da crojo - di crojo . P. 100 1 22 . £ tirare - e birarc . Ivi 1. 28 . tirar- birar . Ivi 1. 28. tirare - bi rare . P. i3i 1. ult. altri fu ■ altri fa . P. i32 1.17. iaiomi: e l:- idiomi, e le. Ivi 1. ult. i sensi -i semi. P.i4i l-i' di scola-di Scola. Ivi I. '4- Bodis - Bcecis . P.i441-2. resons - razons . P. i49 I- *»• o'tit se » o' ti se\ P. »5o 1. 6- carat' gè - corat^e . Ivi 1. 9. devra - dovrà. Ivi 1. 17. mentre - met're . P. 187 1. 19. « afferma la nobile lezione. - si afferma . La nobile lezione: P. 170 1. io. che n' hanno -die se n'hanno. V. ì-jo. 1.4- non solo conoscerà -non solo si conoscerà. P. i85 1. 3. le differen- ic - orrni differenza . P. 127 1. 42- talor meco la mia - talor la mia. P. lyo 1. 17. Sa nuog-La nueg . P. 196 1. i<). destarm • da lena. Varietà' 2S7 F. iy8 1. 22. là mi la mia. P. 206 1. 5. cere , desunto dalt altezza del pelo d'acqua sull orizzontale del mare^osservato all' idrometro di Ripetta , al mezzo giorno. i N 0 V E MERE 1822. 1 GIORNI. MSTRl. PALMI ROMAN ^' OSSERVAZIONI. 1 6, 90 26. 4. 4 2 5,8. 26. 0. 0 3 5,75 5.68 25. 8. 4 La massima altezza a cui è 4 25. 5. 5 salito ii Tevere, in poche 6 .5,66 25. 3. 4 • ore , è stata di metri 3, 20. 6 7 8 5,64 5,66 25. 2 5, 3 i. 4 5,62 25. I. 4 L'altezza minima, di metri 9 6,60 25. 0. 4 5,60. lo 5, 70 43. 4. 4 li 5, 5o 37. i. 3 12 5,40 37. 7- 0 L'altezza media di me- i3 5, 4o 37. 7- 0 tri 6, 19. i4 h, k'^ 28. 8. 7 i5 5,4^ 28. 8. 3 i6 6,17 27. 7- 2 »7 6,o5 27. T 0 i8 6,95 26. 7- 2 ^9 6, 90 26. 4- 4 20 6, 88 26. 3. 4 21 5,80 25. 11. 3 22 5,81 26. 0. 0 23 5,82 26. 0. 3 24 5, 70 2 5. 6. 1 25 5, 70 25. 6. 1 26 5,83 26. ó. 1 a; 5,85 26. 2. 1 28 6, 90 26. 4. 4 29 6,85 26. 2. I 3o 5,8© 25. 11. 3 Os derivazioni Meteorologiche fatta alla Specola dd. CoJlej'. Rom. Novembre 1 ^ 32. 'e u S o ■ M Baromel ATTINA GIORNO r. Baronie SERA ro Term. Igr. i5arometro Term Ig tro Term. Igr- I 28 3 S 8 1 2 II 12 28 3 I 14 3 21 <( 28 3 6 12 0 18 0 28 ,^ 4 8 8.12 1 28 4 3 14 6 22 7 28 3 8 1 1 ;, 17 ■} 6 23 3 <> 7 0' 4 1 28 3 6 '3 « 19 7 28 ? 3 12 j 20 1 4 2» 3 8 b 3 5 2 s8 3 C <3 2 5 3 6 28 8 12 0 21 j 6 6 7 8 28 3 4 7 0 3 2 ^« 3 4 i3 0 22 2 28 3 4 12 0 21 2 iH 3 3 7 3' 8 ! ^■■< 3 5 12 3 18 28 3 3 IO a, 1 - ì 1 () 0 28 T S 6 0, 4 » ^rf 3 3 i3 7 19 (j 28 3 0 1 1 2. :^8 2 s 7 31 à 2 28 2 7 12 0 •7 3 28 2 0 1.1, 0 I 2 y 28 1 7 12 2 r, . 2>i I 7 '5 3 '9 (i 28 1 0 1 1 4 10 X 28 0 4 10 o| 8 j ^S 0 5 14 6 17 9 27 1 1 6 12 II iS 1 27 IO 8 IO SJi' 2 2' I I 0 14 I «') 0 2-> n .S 10 0 ;8 28 4 I " 9 ^7 0 28 3 8 IO 0 17 8 -14 a6 28 i 0 6 " i> 2 28 3 4 I2 0 24 0 28 2 9 IO 3 •4 2 24 0 28 2 3 7 2 12 4 28 I 4 il 2 23 2 28 1 0 12 28 0 0 1 1 J 22 ^ 38 0 3 II 4 18 6 28 0 5 I I 0 IO 2 27 l'8 28 I 6 8 2 !o 8 28 I 6 12 2 22 6 28 I 4 IO 2 12 3 28 I I «» 0 Il 2 ai 0 9 li Q i5 2 28 0 8 II 0 14 2 3q 28 27 0 IO 4 4 7 13 1 2 0 3 I 21 0 j8 0 3 27 IO 0 II 8 13 5 17 26 2 7 27 27 II 10 8 0 IO la ó t 20 0 .8 2 Ossen'azirmi. IMeìerenloi^-ì.ch ì falle alla .^,ocrn 'rt c^e,' CnlJeT. Rnm. Novembre 1822. MA j l'iiMA (jl il -vJ :r.iL'ì.\.\ 'B atito Eva- oi-i r -,tato -- Meteore 1 I del pi r Vento :ei u.g Veiit, ei Vento (ìielo e 0 C o'. f_ 1 0 ',n. . .^.p. .: pò 0 s p.n. ira. 0 ii.b. 1 i ;; . s. o 51 //-rt. 1 U.S. ira . e poii. I neb.b. .■; i'. 0 Si Ira. 0 s.p.n /«aej 0 s p.n. pan. 1 n.'b.*b.. 4 S. I e ira. I tra. 0 ; tra. 0 ne.*b.f IL. 0 48 ira. 1 ll.p.S : p.n. tra. 0 n+P- s. I ?s //■(/. j. ni s.p.n. 0 1 u , Ira. 2 ira. m s.p.tt. 3 2i /ya. am s.n. Ira. ine ira. I ■■'^ a. 0 53 irti. I n.' 0 2/ tra. 1 II. Ira. 1 m n.+p.g. »5 s.p.n. 0 J G Lra.gr. i s. ó 1/ gr.lev. 0 Ira. 1 n.b. IO s.p n. 0 5' //•a. 1 s.p.n. ir. ma. o ;i.s. lev. I u.*b.+ i; ll.p.S. 0 41 kv. I n. me. SI. i t. mez. I 11.* 'V II. 1 20 i/r. 1 II. m z. I '.S. sir. 1 n. s. a. ( 7 //•a. 0 s.p.n. gr.te.v. 0 poli. I ii.*b- + 20 s. I 0 tra, I S p n pò -Uh. I s. Ira. 0 a.f. b.» 2 i n.p.s. 0 5o ira. 0 S p II sir. I i p.s. pan. I b.» 22 s.ll. I là ira. 0 n.s. ' ìt ^0 ;/ja. 0 l.S. lev. ; P-S ^3 s. 0 25 fra. 0 s p.n (r.ma. o .-. po.lib. 0 U.-'g 11- 3,| s.p. Il I 0 irrt. 1 s.p.n. ''•■ A"- • s. tra. I ll.p.S. I 1 1 /ra. 1 II. Ir. ma' o I.P.S. incz. 0 p.n n.p.g.l.t. n.')).*p. n.'^p.n. j.o 2? II. s.p,n. • a.. •5 ij mesi. I fra. 0 II. s.p.n. i. 61 ■ ne.sir. o fr« i,'/'. 0 y.«. i. lib. mcz. I I a8 s.n. 0 40 'r«. 0 n. 2 7 f/a. 0 i. mesi. I 25 s. 0 12 Ira. ma. 0 s.p.n. ^•rt. 0 II. leu. I n.*b.+ 3» II. 0 24 mesi. I IL. 0 2 nicz. 0 Il, ine. SI. j p.n.g. IMPRIMATUR, Si videbitur Reverendissimo Patri Mag. Sacri Palatii Apostolici. J. Della Porta Arcliiepiscopus Damascenus Vicesg. IMPRIMATUR. Fr. Philippus Anfossi S. P. A. Mag. 2()3 SCIENZE Observations et experiences ec. - Osservazioni ed esperienze fatte al Vesuvio in una parte de- gli anni 1821 e 1822 da T. Monticelli e N. Covelli. Napoli 1823 , di pag. ó6. Estratto Xntenti sempre questi dotti ed infaticabili natura- listi a studiare i ténorneni ciie continuamente pre-^ senta il Vesuvio , hanno riunito, in quest'opusco- lo i risultati delle loro osservazioni e sperienze istituite nelle ultime eruzioni che seguirono nell'anno decorso 1821, ed in quelle ch'ebbero luogo sul principio di quest'anno 1832. Varii sono stati i fenomeni che hanno accom- pagnato tutte queste eruzioni. Nuovi crateri si so- no aperti ove più grandi , ove più piccoli in di- versi punti ; nuove eminenze conoidee o mamello- nate si sono formate dalia deposizione delle ceneri, lapilli , ed altre sostanze sciolte ; correnti di lava ancora hanno fluito in diverse direzioni . Ma egli è diflicile di potersi formare una idea chiara delle moltiplici forme che per tali circostanze ha do- vuto prendere il Vesuvio senza essersi trovati sul luogo medesimo, o almeno senza avere una carta che ce le rappresenti . Noi perciò non seguiremo gli A. in tutti questi dettagli , ma ci limiteremo ad indicare alcune sperienze dai medesimi istituì- G.A.T.XVl. 19 mj^. Scienze te sulla lava fluida , ed a far conoscere le sostan- ze ottenute dall'analisi chimica di alcuni prodotti vulcanici. Queste sperienze furono l'alte il giorno ^4 febbrajo prossimo passato sulla coirente di lava che incominciò a sortire nella notte del 22 dello stes- so mese. Aveva la medesima, vicino alla strada che conduce al romitorio, 20 piedi di larghezza , e 5 di altezx,a , e percorreva i5 piedi in 34 mi- nuli. Il termometro esposto davanti alla lava alla distanza di quasi 12 piedi si arrestò ai 38." centi- gr. , mentre air aria libera segnava i5.° Avvicinato fino all.i distanza di 3 piedi dalla lava , si elevava talmente che non bastava a misurarne la tempera- tura. La prima sperienza fu quella del nitro polve- rizzato che introdussero nelle fenditure della lava dove appi»rr>a incandescente. Questo salo non de- tonava aiiaito, ma si liquelaceva senza dare la mi- nima scintilla La sperienza fu ripetala molle vol- te , e sempre col medesinjo risultato. La seconda aveva per oggetto di vedere se l'almosfpra circostante alla lava fluida dava segni di ekttrìriià . A quest'effetto adattai ono alla di- stanza di 8 piedi dalla Java una verga di ferro , la quale era sostenuta da due tubi di vetro : la sua punta era rivolta verso la lava, e 1 estremità oppo- sta toccava il bottone metallico d'un' cleltromclro sensibile rinchiuso in una bottiglia. L'apparato fu tenuto piij di un quarto d'ora in questa situazione sen- za che le pagliette dell elettrometro dessero il mi- nimo segno di divergenza. La temperatura , in cui era situata la verga , era di 4^>-'' ^ ^^ " centìgr. Questa sptrienza fu ripetuta un poco più lontano dalla la\a alla temperatura di 20.° a 30.", e sem- pre coi medesimo risultato negativo. Passarono ai- Esperienze fatte al Vesuvio 29^ lora a vedere se la materia stessa della lava era egualmente inattiva. L'estnnnità di una sbarra di ferro lunga sei piedi fu introdotta nella pasta del- la lava, mentre l'altra si teneva in contatto col bot- tone delfelettrometro. L'apparato restò più di 8 mi- nuti in questa situazione senza die le pagliette des- sero alcun segno di elettricità. Ripetuta anche que- sta sperienza più volte, fu sempre senza eflotto. La stessa lava fu portata a contatto del bottone dell' elettrometro ora allo stato d' incandescenza , ora meno riscaldata , ed ora quasi fredda : ma segni di elettricità non furono mai veduti . Prima d'abban- donare queste sperienze fecero ancora un altro ten- tativo. Presero un tubo di vetro, lo addattarono al- l'estremità di un bastone , e lo fecero arrossare te- nendolo per 3 minuti a contatto della lava incan- descente. Avvicinato in questo stato al bottone dell* elettrometro neppur esso dette segni di elettricità. La terza sperienza fu diretta a misurare per approssimazione la temperatura della lava fluida ; e siccome mancavano gli A. di pirometro, fecero uso di altri mezzi per verità troppo grossolani , Un tubo di vetro , d'un pollice di diametro ^ d'una linea di grossezza , introdotto in una fenditura del- la lava non si fuse nello spazio di ò minuti. L'e- stremità d'una sbarra di ferro sottomessa alla stes- sa prova divenne incandescente in 5 minuti di tempo. Furono staccati alcuni pezzi di lava anco- ra incandescenti e furono immersi nell' acqua , la quale si elevò immediatamente alla temperatura di 100.° Quest'acqua , saggiata con i reagenti , fece conoscere che conteneva in soluzione della calce , e gli acidi solforico e muriatico non liberi , ma in combinazione, non cambiando in rosso la tintu- ra di tornasole. 19* 2()0 Se 1 E N « E Esame mineralogico e chimico dei prodotti delle eruzioni. I. Sabbia caduta il 26 e 2^ Jebbrajo. Esaminata questa con la lente, si trovò esser formala di particelle di lava bruna, di scorie ne- rastre , di protossido e perossido di terrò , di fran- tumi di antigeni , di olivino, di pirosseni , di mi- ca ec. Aveva un sapore di sai marino , e legger- mente acido. Presentava un odore sensibile di aci- do idrocloiico. Secondo I analisi istituita sulla me- desima era composta di Acido idrocloiico . . . ) libero Acjdo idroclorico . - Acido soiiòrico . . . Acido silicico. . . . Soda Potassa ... w .... 1 , . ^. ^ \ combinati dalce ^lumina Ossido di ferro . . . Ossido di manganese . Magnesia ( una traccia ) / (a) 2. Lava del 2Q ^cbbrajo. Colore grigio-bluastro molto cupo : frattura terrosa ineguale , e quasi concoide; durezza tale da scintillare airacciarino. Peso specifico z= 2,(i(y8 presa essendo l'acqua stillata a i^." di Ueaumur. Agisce iortemente sull ago magnetico. Alla lampa- (a) L'analisi completa con !e proporzioni dei principi costitu- tivi della sabbia in questione sarà pubblicala in una mcnjona par- ticolare, che avrà i^er oéijeUtì l'anaasi cimuica uciie sabbie caaute ia vane epoche. Esperienze fatte al Vesuvio 297 da si fonde facilmente e con effervescenza , ridu- cendosi in uno smalto d'un colore nero lucente un poco traslucido sopra i lembi. Racchiude questa lava pirossenl , amfigeni, mica , olivino , e pomici. Contiene 9 , 29 per 100 di parti solubili nell'acqua, consistenti in cloruro di sodio con qualche traccia di cloruro e di sol- fato di potassio. Osservazioni critiche sopra alcuni principi relativ alle scienze economiche , proposti dal sig. Gioja, particolarmente nel tomo primo del suo prospet- to ( art. Ili ) . X assiamo al suo quarto adente lib. II capo IV pag. 98 , di^i^ione de" travagli. Se l'autore non avesse portato uno squarcio di Beccaria , non si potrebbe riconoscere ciò che egli intenda per divisione de' travagli: giacché , secondo il solito , facendo base de' suoi agenti le operazio- ni degli animali , non si potrebbe riconoscere se que- sta divisione fosse propria scianto di lor(>, ose pu- re l'uomo vi ha alcuna parte. Quivi porta l'esem- pio della reguia delle api , che attende alla propaga- zione e sorveglia i travagli dei maschi destinati al- la fecondazione delle lavoratrici , e infine di tutta la loro repubblica che presenta, die' egli , un'idea della division de' travagli. Lautore censura Smith per averne esagerati i vantaggi, lo domando se l'au- tore poteva accusare di esagerazione il tìlosofo in- glese, che poi, anche secondo il passo portato dal sig. Gioja , non la rinviene che nell* uomo , e ncgu ritrovarsi questa appo gli animali : on ne l aper- 298 S e I E 1^ Z E Colt pas dans aucilne antre espéce (Tanimaux , pour les quels ce gerire de contract est aussi inconnu aite tous les autres ; quando l'autore die non esagera , dice esso, Ja ritrova in quasi tutte le specie d'ani- mali ; anzi , suir appoggio di Darwin , scorge in es- si convenzioni e contrattile forse anche il patto so- ciale di Rousseau. Ma se voleva essere conseguente doveva rinvenire questo suo agente, divisione ^ Sin- ché nelle piante : poiché nulla di più facile il pro- vare nella stessa maniera che esiste in queste una divisione di travagli. E curioso ciò che accenna l'au- tore a pag 99 ,, senza pretendere d' indovinare in ,, qua) modo la divisione de' travagli cominciò e „ si distese ,, e ne adduce le cagioni dicendo : „ ,, L'esperienza fece bea presto conoscere , che l'ap- „ plicazlone costante ad un solo genere d'industria „ scemava la fatica ai lavoranti, ed accresceva per- „ fezione all' opera. „ Ecco, dico io , la vera origine della division de' travagli tratta dal suo principio. Quindi lautore parlò più chiaramente allorché non ▼olle indovinare: ma allora perchè variar massime .'' Parimente egli porta uno squarcio di Smith a pag. loò , che deduce questa divisione di travaglio da una tendenza a far cambj e baratti d'una cosa con un' altra. Se lo Smith si esprime con qualche incertezza , egli però ha riconosciuto che la divisio- ne dipendeva totalmente dall' uomo , e quindi non vi era motivo per parte del sig. Gioja di farne un agente separato o indipendente in opposizione alla più chiara verità, cioè che la divisione dipende dall' in- dustria umana illuminata dall' esperienza e dalla riflessione. Se far volessi parziali osservazioni , direi , che non comprendo come alla pag. 99 dica in propo- sito di divisione di travaglio che si la da uomo a Economia politica n^y nomo , che la situazione alpestre chiamò i lavori pa- storali ec. , giacché a me sembra che fosse l'uomo che facesse scelta ora de' plani , ora de' monti , e dei loro collivamenti , né si movesse alla voce delle si- tuazioni , ma del suo interesse. Vieppiù poi osser- verei ad onta dell' autorità di Darwin , pag. ro3 , che mi sono affatto ignoti i contratti degli anima- li e dei piccoli gatti , ed ho veduto che alcuni di questi gatti riportano dall' altro graffiature non indif- ferenti , ed il più debole è sempre costretto a lascia- re il campo. Questi esempj non vedo a cosa siano legati nella division de' travagli dell' uomo. J\on so nemmeno come egli parli qui degli agenti natura- li come causa di divisione de' travagli : impercioc- ché, come ho dimostrato, è sempre l'uomo che agi- sce anche in simile divisione, e che distribuisce le operazioni secondo le attitudini di ciascuno, adat- tandosi ognora alla natura. Io non farò qui osservazioni sulle due tabelle , l'una a pag. loo , l'altra a pag. loa; riservandomi ad esaminarle nell' appendice al suo canone classifi- cazioni. Esaminiamo brevemente la tabella fondamen- tale del suo agente , e secondo la sua solita spez- zata catena di agricoltura , arti , e commercio. In questa invece della sua divisione de' travagli par- la della tendenza delle macchine a conservarei mo- vimenti : riguarda i portici , le stalle , le cascine, i grana] , le cantine quasi tanti travagliatori :e sembra che si siano da esso distribuite le opt ragioni, comeiie l'uomo si stesse colle mani alla cintola per godere i frutti della loro fatica ; indica la dispersione dei foraggi senza 1 ispezione del proprietario , o degli agenti: e che nella Svizzera e iSlorvegia 1 arte di falciare i foraggi è giunta alla perfezione .• parla del- 3oo Scienze le vicfinde atmosferiche che favoriscono e dlslrng- gono i prodotti. Nella colonna arti e commercio rin- nova simili idee di facilità e prontezza di lavoro di questa divisione ; por^e gii esempj dei marinari gre- ci che erano ad un tempo rematori e soldati ; che le arti al Perij erano imperfette. Alla colonna com- mercio c'istruisce sui mercanti di grani che cono- scono ad occhio le loro qualità, e sanno fare un tale traffico , e che per fare piià utilmente il mede- simo si prevalgono dell' opera di altri: che iti Am- sterdam , Londra , Parigi vi sono botteghe in cui non si vende altro che olio e aceto; esempj mol- to straordinarj ! quando vi sono per tutto villag- gi, ove alcuni mercanti non vendono che vino , fa- rine , canepa, legna. Finita questa tabella, a pag. loG egli si lagna, che alcuni per quanto riguarda il loi'o consumo vogliono esercitare le funzioni del commercio (e perchè impuntirlo se a loro torna più conto, se possono ottenere vantaggi in minori pe- ne ,'^tempo , e spese ? ) Ma finalmente questo suo agente deve arrestar- si, e mettersi anch' esso in riposo : giacché Tauto- re trova limiti al medesimo , ed alla pag. 108 cen- sura lo Smith che ha preteso che l'invenzione del- le m.ìccliine debbasi attribuire alla division de' tra- vagli. Rinnoverò alla memoria dell' autore , che tan- to la div ision de' travagli , che l'invenzion delle mac- chine ebbs'ro causa dall' intelligenza delf uomo, dal- la sua previdenza: e posto un tale legame di cagio- ni e di c'ifetti dirò, che la divisione del travag-lio diede luogo a molte e Ibrse alle prime invenzioni di macchine , ed alla loro perfezione. Ciò si può com- prendere anche dalla fabbrica delle spille, in cui la divisione precedette certamente la macchina della fi- liera , avendo dovuto precedere un particolare lavo- Economia politica 3oi ro per ricercare il ferro , per ridurlo a farne uso ; anzi le arti di salare il pesce, e tutte le migliorie d imbianchire , tingere, filare, tessere, e la fusione del ferro e del rame , effetto delle Ificoità fisiche e morali dell'uomo, provennero generalmente dal- la seguita divisione che dovette precedere l'inv^u- zione delle stesse macchine , e degli strumenti a ciò necessarj. Passiamo al suo quinto agente ammassi^ pag. 109. Se gli ammassi della corteccia verde, del salice, pioppo , ontano, fatti dai castori sono un ammas- so agente , fautore poteva prendere la cosa molto più in grande, e dire : i boschi , i monti , i mari , la terra , i cieli sono ammassi , sono capitali ; e fare un agente solo di tuUi i suoi agenti, trovarvi non solo gli agenti naturali , ma le macchine , le asso- ciazioni de' travagli, la divisione, i metalli ec. , in somma ogni sorta di cose e di azioni , e farne ba- se del suo sistema. Ma si potrebbe rispondere: qui nimis prohat , nihil probat. Che un naturalista ripieno delle meraviglie della natura ammiri il lavoro dei castori , ed an- che di altri animali , è ragionevole ; ma che un autore di economia , un filosofo che applica le sue veglie all' umana felicità , voglia ritrovare i capitali presso le bestie , è una cosa del tutto, a mio parere, strana, e opposta al comune intendi- mento delle parole capitali mobili e fissati. L auto- re, è vero, distingue la facoltà d ammassare nell' uo- mo da quella de' bruti in tre parti, die' egli, essen- ziali : 1" durata degli ammassi : 2° estensione : ii" modo d'esecuzione. Ma l'autore in queste differen- ze non vi ha scorte le più importanti, quelle par- ticolarmente per cui l'uomo agisce nell' accumula^ 3o2 Scienze m^nto dogli ammassi diversamenle dagli animai. Gli animali non agiscono cho per forza d'istinto , e necessariamente , e solo por provvedere agli at- tuali bisogni, o per prevenire il prossimo rigore del- le stagioni; quando luorao agisce perchè fornito, ripeto , di libertà morale ,, pei che l»a una ragione ed un linguaggio , e ppl miglioramento della sua spe- cie , o per la perfettibilità; e quimli « ol loro mez- zo si formò i possedimenti , diede luogo all'agricol- tura , alle arti , al commercio , spinse le sue idee di conservazione e di ben essere oltre la sua vi- ta , olire la più tarda posterità, e lino ad una de- stinazione celestiale , premio di sue virtù. L'autore compiacendosi ognora ed in ogni agente di offerire squarcj di stoiia naturale degli animali, nella bel- la sua invenzione di far base le loro azioni del- la scienza economica, sembra avere cognizioni co- sì inlime dei medesimi, e molto meglio di Swift, che non parlava che d' imaginazione: sembra anzi abbia penetrato nella loro essenza in modo di rico- scere in essi i contratti , ed uno stato di ricchezza e di opulenza. L'uomo non fa ammassi soltanto in- determinatamente , e pel suo solo diretto bisogno co- me fanno le bestie , ma si priva col mezzo della frugalità di un bene presente a rendere costante il suo ben essere : anzi fa dei risparmj anche col mez- zo della sua industria sopra i suoi capitali; il che non cr -do facciano gli animali , e se ciò facessero sa- rebbe fatto per altra causa, cheper mezzo della ra- gione e delia libertà, almeno di quella ragione e li- bertà che è del tutto propria dell' uomo. Io non seguirò in questo agente l'autore , non nella sua tabella de'vai'taggi degli ammassi col con- fronto de' contrari casi , nella quale sembra aver vo- lato Stancare la pazienza del Icllore ; nou nell' al- Economia politica 3o3 tra tabella a pag. i iG e i 17 a catena spezzata , nel- la quale volendo provare l'utilità degli ammassi non fa distinzione dai grandi ai piccoli , come se esclu- dendo i grandi ammassi presso i mercanti , non do- vessero nemmeno sussistere i piccioli presso i pro- prietari manifattori ; e parla dei sorci, ed ove uni- sce ai mercanti i tessitori , e accenna osterie, locan- de, alberghi , il tempo di Giobbe ec. Quanta mag- gior chiarezza non avrebbe offerto l'autore se aves- se trascritto ad intelligenza dei lettori alcuni squar- ci dello Smith sui vantaggi degli accumulamenti , e suir impiego loro ne' fondi ? Mentre importa co- noscare lo sviluppo dei medesimi, senza cui non po- trebbero aver avuto esistenza né far progressi gli stabilimenti di agricoltura , di arti , e di commer- cio . Avvertirò , che nella colonna commercio egli confonde il risultato degli ammassi col risultato del commercio: mi spiego. I produttori potrebbero cia- scuno fare ammassi dei loro prodotti , e potrebbe- ro direttamente cambiare fra loro i medesimi sen- za l'intervento del mercante possessore del danaro, che è il commerciante. Vi sarebbero delle difficol- tà nella contrattazione , ma le azioni sono disliele, ed hanno differenti risultati. Il guadagno, ove entru il commercio , appartiene al mercante qual possesso- re del denaro, ed al lucro di compra e vendita che fa questi delle cose de' produttori , e non al sempli- ce ammassamento, proprio anche, comesi è det- to, dei produttori" Passiamo al suo sesto agente , classe seconda. Danaro pag. 118- aoo. L'autore ci fa sapere , parlando della neces- sità del danaro , il suo dispiacere per essergli im- possibile di trarre dalla storia animale dei bruti, co- me ha fatto sinora e farà in seguito,! suoi esem- 3o4 Scienze pi. Nulla ostante egli si sforza nella nota i di tro- vare tracce di cambj nelle bestie: e già con l'auto- rità, die' esso, del Darwin vi ha riconosciuto patti e contratti, e per conseguenza una qualche sorta di monetazione. Invero poteva risparmiarsi tutti gli esempi de' suoi aniniali , siccome agenti , che nul- la possono servire a fondamento della scienza eco- nomica, di una scienza che è soltanto fondata sul- la ragione o special natura delT uomo, sulle suefa- collà fisiche e morali. Per me è al sommo disgusto- sa la sua compiacenza nel voler costantemente inal- 2arp i bruti, e degradare l'uomo. Mi è forza dire al medesimo , che appunto per avere abbandonato lap- poggio degli animali in questo suo agente, e negli altri due seguenti vaglia e banchi, seguendo scor- te più sicure quali sono le opere degl italiani eco- nomisti che ha tanto vilipesi , e che voleva tanto ridotti , di Galliani , Beccaria , Carli , e Vasco ri- guaido al danaro , e di Smith e di Thorenton ri- giiardo al credito , egli cammina con meno incer- ti passi. Mi è duopo nulla ostante far conoscere l'er- roneità di qusto agente , riguardandolo egli sepa- ratamente dall' uomo, e non come un istrumento in mano dell' industria umana per dare la maggiore at- tività alla circolazione e all' irajùego delle cose ; giacché anche quando l' autore conviene di cotesti pregj , tenta attribuirli direttamente ai capitali od al danaro , cioè agli effetti e non alla causa. iSella slessa prima pag. ii8 egli avanza una proposizione che mi sembra sommamente oltraggia n- te la natura umana , ed una prova de' suoi costan- ti sforzi per vilipenderla. JVella nota seconda egli assicura , che tutte le classi della società fanno com- mercio della loro merce , non mettendo differenza Economia politica 3o^ se offrono gratuitamente consiglio e istruzione , o alcuna di queste porge socLorso liberale all' in- digenza , e se un' altra opera per interesse , cioè non dislingueoclo atti correspeltivi da atti di be- neiicenza , e pone assolutamente che tutti quelli che giovano ad altri vendono la loro merce. Llit' posso dire su di ciò? Animi generosi e caritatevoli, be- nefiche società deir uno e dell' allro sesso , che sol- levaste tante volle l'umanità sofferente© inlerma , che faceste tanti sagrifizj , che amministraste con tanto zelo e disinteresse i patrimonj pubblici ; voi, mortali virtuosi, che in ogni secoio avete offerto di- sinteressatamente ai popoli un' istruzione scientifi- ca e morale in mezzo anche alle angusti^», alla per- secuzione, e in onta ali ingratitudine pubblica e pri- vata , voi tutti non avete latto che una vendita di vostra marce facendo compra della merce altrui ! j\ell appendice alle osservazioni sopra il suo canone oscurità affettata , parleremo delie sue ta- belle, r una posta a pag. ii stato economico pri- vo dell" ajuto del denaro : dell' altra a pag. i^o : movimenti necessarj per Ceòtcuzione de camhj non esistendo danaro ^ùgW altra a pag.iaj confronto tra i via^^i necessarj all' esecuiione de cambj ne due opposti casi di moneta esistente , e di moneta non esistente ; in tutte le quali tabelle per due propo- sizioui le più chiare o le più note sembra che si sia proposto d'imbarazzare il lettore, gettando , di- rò , ognora tenebre sulla più chiara luce , e nelle quali tabelle l'autore iniagina società che manca- no di danaro in mezzo a tutti i bisogni della civi- lizzazione. E certo se ogni scrittole di scienze o di arti sì accingesse ad esporre la mancanza dei van- taggi di ciascuna di esse, le perdite che succede- rebbero di conseguenza ad ogni altra arte, ad ogni 3oG Scienze stabilimento , se si estendesse tale supposta mancan- za alle più necessarie, facilmente si dedurrebbe dal- la mancanza di ciascun arte, o scienza , o di ciascu- na loro operazione la distruzione immediata delie borgate o città , e di ogni privato e pubblico monu- mento, la cessazione delle nazioni civilizzate, e mol- to più se per esempio si annichilassero le cognizio- ni della religione, della morale, della legislazione, àeììa medicina , geografia ec. , siccome ha latto l'au- tore nelle accennate supposizioni , essendo ogni arte e scienza legata al sosteg-no delle altre, quan- ta maggior estensione non poteva dare ad ogni di- sciplina scientilica ! e quindi gli si deve esser grato di aver posto una volta un lìmite alla dimostra- zione dei vantaggi del danaro. Ma però se l'amor di scoprire nuove verità fosse a lui stato sprone , cer- tamente avrebbe potuto risparmiar molte pagine d' nn tanto suo scopo , o di un tanto suo disordine, che egli vanametite vuol chiamare ordine scientifi- co. A tanti tesori di ovvia erudizione aggiunge la solita labella spezzata a pag. 126 e 127 , in cui suppone che una nazione Senza denaro non potes- se fare niuna sorta di trasporti, non aver traccia di agricoltura , e forse nemmeno di arti e di com- mercio , come se il Perù od il Messico al tempo del- la loro scoperta, siccome Sparta che aveva proscrit- ta la moneta, non avessero aruta traccia di questi stabilimenti , benché egli stesso abbia indicati più volte simili esempj di nullità di moneta commer- ciale. (') Io mi ristringerò a fare qualche osservazione sulle risposte date dall' autore ad alcune obbiezio- ni tratte dagli scrittori di economia. Alla pag. jay, (*) Carli, lett. americ. , Robertson storia d'America. Economia Colitica 'So^ 1 obblezioTie ; ove censura Smith, die dice dì uni» nazione priva di denaro, cIk^ il suo prodotto annuo delle terre e del travaglio sarebb»^ sempre lo stes- so, o quasi lo stesso. L'autore vi risponde, dicen- do , poter esser l'istessa la somma dei buoi, delle carra, delle braccia , ma che i lunghi trasporti por- terebbero all' annientamento d'ogni prodotto. Ma io non veggo il motivo per cui non possa seguire una produzione, e qualche aumento di ricchezza, ben- ché limitatamente in uno stato di semplice permu- ta, e molto più in uno stato ove alcune produzio- ni, di cui parla anche l'autore in una sua tabel- la in questo capo , facessero le veci di capital cir- colante, o di danaro , e come anche si provò negli esempi adotti dal Perii del Messico ec Vi sareb- bero bensì molte diltìcolta, ma non sarebbe tolto ogni commercio, o la possibilità di un qualche an- nuo aumento di produzione. . Nella stessa pag. , 2 obbiezione : trascrive uno squarcio di Beccaria , in cui questi dice non esse- re utile che si accresca veramente il volume e la massa del danaro , ma bensì che si accrescano e si accelerino i suoi movimenti ;; ed il sig. Gioja ri- tiene che in questo squarcio il Beccaria prescinda del tutto dal bisogno del danaro. Ma la proposi/io- ne di questo autore non ha rapporto ad uno sta- to di annientamento totale di danaro , il che s' in- dica dalla parola veramente ^ ed anche se questa fos- se sua intenzione non prescinderebbe dail esisten- za dei metalli , particolarmente nobili. Ma veramen- te il Beccaria suppone in questo uno stato di sem- plice diminuzione , non di totale privazione ; e ciò egli prova coli' esempio di una nazione che me- diante le carte di credito procura il maggior movi- mento ai capitali riproduttivi , e scema con ciò U 3o8 S e I E N Z E bisogno del danaro in molta parte della loro circo- lazione, e quindi il danaro per questa parte cessa bensì come capitale circolante, ma vi rimarrebbe- ro pronti i metalli come un capitale riproduttivo e permutabile. Non sì potrà forse mai prescindere da una porzione di danaro in uno stato di ricchez- 2st e di opulenza; ma quanto più se ne minora il bisogno mediante i segni rappresentativi , tanto più, dirò , la macchina o strumento demaro rimane più «emplice e perciò meno dispendiosa od intralcian- te ; ed in tal senso si deve intendere la proposizio- ne di Beccaria , che non suppone , ripeto , totale annientamento di danaro , ma un limitato scema- mento nel m;'desimo, esistenza dei metalli, od al- tre cose che suppliscano nei cambi. Alla pag. i3i l'autore fa una differenza tra il danaro e le altre ra^rci : e suppone che il danaro abbia per l'immjigine dei piaceri il vantaggio di ven- ti , quando le altre merci non ne hanno che quin- dici. IVla simile proposizione è inesatta. Per suppor- re lai differenza di un valore è duopo che vi sia per parte dell' acquirente od acquirenti maggior pre- gio nel prendere una certa somma di danaro, piut- tosto che una certa quantità corrispondente di mer- ee. Secondo le circostanze può ritornar a conio a ricevere più la merce che il danaro , e viceversa ; sia per maggior guadagno , sia per soddisfazione de' più interessanti piaceri: e perciò non succede la pretesa differenza fra danaro e merce, né mai il da- naro ha maggior pregio assolutamente . Ma di ciò di scilo. Esaminiano alcune proposizioni dell'autore po- ste a pag. 1^3. La prima, che nessun popolo lece progressi nella prosperità senza metalli pie/-iosi. Que- sta proposi/ionu è troppo vaga- Doveva dire che nia- Economia politica, 3o9 na nazione ha fatto i migliori progressi nella pro- sperità se noli ha fatto uso di metalli preziosi co- me capital circolante . Al Perii , ripeto , nel tem- po di sua scoperta esistevano metalli preziosi, sen- za vera prosperità , perchè eranvi metalli, ma noa circolanti. La seconda proposizione, che le nazio- ni decadono e s' accostano alla miseria a misura che di metalli preziosi o di danaro vengono smun> te; anche quesia è una proposizione inesatta. Una nazione può scemare nella quantità di metalli pre- ziosi, e mollo più di danaro, senza che perciò de- cada e s'accosti alla miseria, allorché sa sostitui- re le carte di credito. Allora potrebbe spedire ali* estero i suoi melaiii preziosi per lar acquisto di al- tri capitali riproduttivi con suo maggior guadagno. Quindi fautore doveva dire, che le nazioni deca- dono e s' accostano alia miseria , quando o perdo- no o consumano inutiimente , o vengono smunte di capitali riproduttivi, stante che poi un eccessivo acquisto di metalli preziosi potrebbe pregiudicare anzi alla pubblica prosperità nel necessario suo av- vilimento. Alla sua ó pro[>osizione, che finerzia po- polare ne borghi e neile ville cresce o decresce a misura che il danaro sparisce dalla circolazione o vi n torna , dirò anche questa proposizione è del tutto fallace . L autore prende il danaro come quel- lo che costituisce la totalità dei capitali ; ma tut- to ciò che è ricchezza mobile, che s'impiega, o può impiegarsi nella riproduzione, od in un utile e ne- cessaria consumazione, è veramente quello che for- ma la massa dei capitali , cosicché il danaro non è che una picciola porzione. Sono tulli questi ac- cumulamenti che Ibrinano i capitali di uno stato , e la misura degli interessi : onde quanto minori in un regno sono gli accumulamenti, più alli si ren- G.A.T.XVI. 30 3io Scienze dono gli intprrssi , e quarto maggiori sono gli accu- mulamenti, tanto divengono più bassi gl'interessi; cagioni vere dell'aumento o decremento dell'industria di una nazione. Così l'inerzia popolare cresce ne mi- nori accumulaiTienli o maggiori interessì;decrescenei maggiori accumulamenti e in bassi interessi, e non già perchè il danaro sparisce dalla circolazione, o vi ritorna. Alla 4 proposizione, cbe molti processi inge- gnosi nati in Jb rancia non vi si poterono realizzare per mancanza di danaro, ed ali opposto si realizzaro- no in Inghilterra di maggior danaro fornita ; a ciò posso rispondere , di non aver mezzi di conosce- re se veramente la Francia abbia minor danaro dell' Inghilterra ; ed una nazione potrebbe possedere una maggior quantità di danaro a fionte di un' altra, e andare in ruina , giacché il solo possedere metalli preziosi o danaro non ha per effetto che di accre- scere il prezzo monetario delle cose. Il Portogallo e la Spagna , come ne conviene l'autore, ebbero il pos- sesso di tutti i metalli preziosi dell' America : ma senza un loro vero vantaggio, per le cause che in paite accenna lo stesso: e aggiungerò io, perchè tut- te le i' ggi particolarmente commerciali , e le opi- nioni di un tal popolo si opponevano agli accumu- lamenti ]mpiegr.bili nella riproduzione, scevre perciò queste nazioni di previdenza e d industria. Se mol- ai processi non si poteiono realizzare in Francia , ciò non iij veramente per mancanza di danaro, ma per mancanza di accumulamento di capitali produt- tivi, assorbiti da guerre le più estese o fatte spari* re da violenze aniministrative , da viziosi tributi sulle propiietà e sulle rendite, da mancanza di fe- de , e da un' eccessiva provocata consumazione. Tut- to cjù poi lo di conseguenza enormi interessi , e de- caUiuienti di prosperità. Tutti questi abusi ebbero Economia politica 3ii per effetto di far mancare in Francia gli accenna- ti processi ingegnosi: il che non seguì in Inghilter- ra, che mantenne costante i suoi capitali nell'im- piego ed in circolazione , dove gì' interessi rima- sero gli stessi, e si minorarono in una più sag^gia pub- blica amministrazioue : onde potò realizzare tante intraprese. Alla 5 , elio alle nazioni mancanti dì da- naro sono impossibili gli anticipati e necessari sbor- si, io risponderò anche qui, che realmente none la mancanza di danaro che rende impossibile gli an- ticipati sborsi, ma la mancanza degli accumulamen- ti impiegabili che esistendo si convertono con faci"-" lità anche in danaro. Ed in realtà la Svizzera man- ca di danaro a fronte dei popoli delle Indie, pressa cui vanno a cadere quasi tutti i tesori d'America ; eppure la Svizzera fa commercio di capitali a mol- to minori interessi degli indiani , giacché il capita- le circolante , che è il danaro, non fa che la figura d'intermedio per facilitare il cambio dei capitali pro- duttivi del cedente e del cessionario, ed i mercan- ti possono supplirvi con i segni,© rappresentanti, ossia con vere carte di credito . Quindi alcuni po- poli che hanno minor danaro possono essere real- mente più ricchi , e possono lare anticipati sborsi anche alle Indie. La Russia non ha potuto fare ac- cumulamenti ugnali agli altri stati d'Europa , o dar loro maggior attività alla circolazione nella difficile comunicazione delie sue provincie e nel!' infanzia della civilizzazione di alcuni suoi popoli : il che im- pedisce la maggiore attività all' industria ed agli accumulamenti generali. Alla 4 obbiezione pag. i83, dirò. Io Smith aver ragione nel dire che il danaro costituisce la par- te più piccola del capitale nazionale. Si faccia il con- fronto di tutti i capitali produttivi o fissati negli 20 3l3 S e 1 K N Z E stabilimenti o «pile professioni , ed anclie della por- zione di metalli non monetati , e si scorgerà che il danaro è la più piccola parte del capital na?ionale. Ciò che deve ritenersi per falso si è che il danaro dia minor piofitto. Certamente che il danaro in ogni suo passaggio di compra e vendita dà un piccolo profitto. Mi sembra poi che il sig. Gioja censuri an- che qui ingiustamente lo Smith , il quale ritiene che in paiità di valori tra il danaro e la mercanzia è indifferente per una nazione che resti V una o l'altra. Quando si parla di pari valore di due cose, dovendosi affatto prescindere da ogni pretesa idea di prezzo assoluto , e si ritiene che il possesso dell' una e dell' altra cosa porti ai possessori dei recipro- chi vantaggi, ciò significa che la nazione che le puà ottenere, non può essere realmente indifferente di prendere la mercanzia o il danaro , ma deve pren- derò pjìi utilmente o il denaro o le merci. Il dire che |p mercanzie stanno al danaro come i zecchini al billione , è una proposizione parimenti inesat- ta ; giacché ciò dipende dalle circostanze di tempo e di luogo e di utilità di ciascun venditore e compntlore , siano individui, siano nazioni. In alcu- ne circostanze può essere più giovevole possedere Uguale valoiepiù in rame che in argento, come suc- iCpsse un ttmpo presso i popoli d'America nella sua coperta, piij in argento che in oio, come succe- de alla China. Alla ò obbiezione pag. i3j in cui lo Smith, il Wcngolti , e tutti gli altri economisti dicono : se i metalli preziosi costituiscono parte dflla ricchez- za di una nazione, succede che saia più ricca quel- la che possiede miniere d oro e drirgento . Questa pioposizione è ceitamantemal espressa. L essere una cosa oggetto di ricchezza, come lo sono anche i me* ' Economia politica 3i3 talli, non fa che essa costituisca tutta la ricchez- za. Una nazione può essere ricca , ripeto , in me- talli , e mancante in tutte le altre cose; per cui la ricchezza metalli rimarrebbe insufficiente ad im- pedire la povertà generale. iVJ5 pare che il sig. Gio- ja , cosa che non poteva credersi di tanto autore, abbia sopra il danaro le istesse idee del volgo, che non vede nel commercio che quello, benché non faccia il più delle volte che una figura di capitale intermedia, per cui una somma di lire looo può far pagamenti per cento e duecento mille e più , o si accenni come sola misura. Lo stesso poi sen- za avvedersi diede una prova di esagerazione allor- ché disse: il danaro era uno stimolo al travaglio su- periore ad ogni altra merce ; onde concederebbe qui avere la Spagna e il Portogallo maggiore atti- vità a fronte delle altre nazioni in opposizione alle sue asserzioni. Alla pag. 137 l'autore porta in una colonna un elenco delle materie che hanno servito di mo- neta , dalle pecore e da' buoi fino al cacao e alle mandorle: e fa il novero di cento popoli barbarie civilizzati, di numidi, sciti, pelasghi , francesi , americani , e di alcuni paesi delf Indie orientali. Devo però avvertire che, nelf annoverare fra le ma- terie che hanno servito di moni^a i pezzetti di cuo- jo a Costantinopoli nclf Vili secolo, i vigl ietti col nome di un re del Gatai, i bullettini di carta de- gli stati ec , a cui avrebbe potuto aggiungere le mo- nete di confidenza in Francia al tempo della rivo- luzione , esso confonde ciò che può aver servilo come vera moneta con ciò che non ne fu che un mero rappresentante, od un credito che non poteva mai avvalorarsi. Parim?nte devo avvertire in que- sto giro del globo ch«' ù fare al lottoie daif orieu- 3 I 4 S e I B N Z K te air occidente, dal sudai nord, nulla curando- si dell' ordine de' tempi o de' paesi , che esso noa appoggia gli esempi di tante genti a veruna auto- rità; aggiungendo solo 1 indicazione d'inconvenien- ti e di osservazioni che nulla servono a migliora- re i suoi scopi , e dirò meglio che nulla giovano ad accrescere la proprietà delle nazioni: siccome quan- do dice che i nostri mulini per macinare sieno macchine di convenzione , pag. izjS. In un secondo articolo a pag. i45 l'autore par- la dell' indole della moneta, e si fa a comprovare per le lunghe , che le monete metalliche non hanno va- lore per convenzione , ma nulla dichiara con pre- cisione delle sue essenziali qualità; quando i metal- li servono direttamente alla produzione, e quando servono di mezzo di comunicazione o sul rappor- to di merce o di capitale circolante ; e vediassi il suo abbaglio nel non riguardare i melalli come mi- sura di valore. L'autore dice a pag. i5i che la moneta non è che rigorosamente misura di valore. Poteva aggiun- gere non esser dessa assolutamente la misura de' valori, ma bensì i metalli. La moneta fu soventi volte sottoposta agli arbitrj de' governi , e per- ciò ebbe spesso un valore incerto : onde per pote- re agire in circolazione come moneta è d uopo che sia ammessa , e perciò vi sia una pubblica appro- vazione. Sonoi metalli e il loro vaio' e che riman- gono indipendenti dalla pubblica sanzione. Così la sua critica contro il presidente Carli, riguardo al rame, argento , e oro come misura, non è ragio- nevole: giacché sarebbe stato solo censurabile se que- gli avesse parlato quivi di monete , il the non ha fatto. In realtà sono i capitali la generale misura d'ogni cosa , perchè susccltibiii di certi dati , cioè EcODTOMIA POLITICA 3l5 numero , peso e misura , e perchè ciascuna coéa for- mante capitale divien misura di valor dell' altra. I metalli poi lo divengono più d'ogni altra m^^rcan- zia , perchè meiao di ogni altra cosa sottoposti ad alterazione , e meglio capaci di divisione e di riu- nione, e, come dice l'autore, per esser forniti me- glio di omogeneità , per cui contengono pesi eguali in volume eguale; ed allorché l'uomo seppe innal- zare i suoi sguardi al cielo e rinvenirvi spazj cer- ti, applicando questi ai metalli, potè oifrire maglio che mediante il grano , una misura certa ed inalte- rabile, lo ho creduto bene di fissare le vere idee della misura del valore delle cose onde escludere totalmente la misura di valore del danaro , e rimet- terla a chi s* appartiene , cioè ai metalli determina- ti solo da titolo e peso. Almeno ciò deve aver ri- guardo alle nazioni che si trovano in un grado d'in- civilimento , e che hanno introdotto 1 uso dei me- talli nel loro commercio. Così una moneta può ser- vire di misura non già per l'autorità pubblica , ma per essere fornita di un certo peso di metallo, e di una determinata finezza. L'aumento di valore del conio non può portare aumento di valore presso le altre nazioni se non se per convenzionerò per ta- cita approvazione. Pretende 1' autore che esser debbano i metal- li preziosi, e particolarmente loro, la vera misura del valore, lo ritengo che la cosa sia del tutto op- posta ; che debbano essere piuttosto i metalli inte- riori la vera misura, come quelli ch'^ sono meno espo- sti ad alterazione di valore. Una sola miniera d ar- gento , e mollo pili di oro , che venga discoperta, se sia in somma abbondanza, può cagionare la pia grande alterazione o diminuzione di prezzo ne' me- talli nobili. Nuove miniere discoperte potrebbero 3l6 S e 1 E Nf TE raddoppiare con facililà Iq quantità dei medesimi . E quanto mai i mpfalli preziosi, dopo la scoperta dell' America e delle sue miniere , non sono dimi- nuiti di valore, comunque se ne sia esteso l'uso, per cui l'oro e l'argento sono aumentati per un triplo o quadruplo ! Ma una simile alterazione non potrebbe seguire nel rame , almeno nell' estensione di un doppio o triplo L'autore trova che i metal- li quanto piiÀ sono inferiori , tanto più vanno sot- toposti a dispendj di trasporti. Ma la vera misura del valore delle cose non si deve dedurre da un og- getto posto in Londra con un altro posto in Parigi: ma l'una e l'altra cosa debb »no essere poste nello stesso luogo. Così per conoscersi il valor dell' oro e del rame deve supporsi che il rame e l'oro sie- no già portati in una stessa piazza , e detratte le Spese, e per conseguenza si dovrebbe dire in una tal piazza : un dramma di rame equivale alla set- tantesima od ottantesima parte di un gramma d'ar- gento , o alla millesima parte di un gramma d'oro, o prendere quella porzione che si rinviene ammes- sa in ogni piazza, ascendendo sempre mai dai me- talli inferiori ai nobili. Prendiamo ad esame il y" suo agente vaglia e cambiali , e 1' 8° agente banchi di deposito e di circolazione , cioè dalla pag. 201 alla pag. 239. Io sarò piij breve nell' esame dei seguenti agen- ti , bastandomi d'aver dimostrato come egli inop- portunamente ha adottato dalla chimica il sistema degli agenti, applicandolo alla scienza economica. Anche in questi agenti , non avendo seguitò i suoi animali, ma i più chiari scrittori di tanto argomento, come si disse, egli non ha potuto in- volgere questa parte che riguarda il credito in tan- ta nebbia melatisica , siccome fece dei passati agenti. Economia politica 3'y Devo però avvertire , che a pag. 202 di- ce „ La base del credito è la persuasione nel sov- ,, ventore che i valori prestati ritornetauno nella ,, loro quantità e a tempo debito. Questa persuasio- ,, ne è convalidata da documento ostensibile ec. o ,, vaglia , pagherò , obbligo , carta di credito. ,, La base del credito non può giammai consistere nella sola persuasione, o ne' documenti. Un uomo può essere in tale persuasione, ed illudersi. Le carte po- trebbero essere mendaci, o senza apgoggio , ove non fosse giustizia, o mancasse fortuna. Se 1 autore aves- se meglio meditato i suoi principj avrebbe osser- vato, che il credito ha il suo fondamento nella ga- ranzia sociale della proprietà e de' dritti , per cui si tengono sottoposti i debitori con i loro fondi e mezzi di fortuna, di travaglio, d'industria, e di parsimonia , e fino con le persone. Sono questi i ve- ri fondamenti della persuasione , e non il semplice appoggio dei documenti, vaglia , pagherò, oblighi, earte di credito, che non sono che semplici prove di un atto o d'una convenzione. L'autore si fa delle difficoltà, supponendo che lo Smith e il Canare ritengano di poter escludere affatto il bisogno del danaro : ma reputo che egli esageri di molto la sua censura. L'escludere in ge- nerale il bisogno del danaro, supplendovi col credi- to, non è un escluderlo totalmente. Passa in segui- to l'autore a parlare delle cambiali , e ciede espor- ne a pag. 2o5 i vantaggi con una tabella di città A. B. , e di Pietro, Paolo , Giovanni, Giuseppe , e con un seguito di altri A B., di Martino, Ambrogio, Giorgio ; onde si rende sommamente difficile il coro-» prenderlo; e a questo, secondo il solito, aggiunge una tabella a pag. 210 21 i co' suoi scopi, conia sua catena spezzata in agricoltura , arti , e coaimeroio. 3t8 S e I R N e K senza che con tanto artifizio rischiarila miteria, ove l'autore pare. vol(;r dedurre ogni st;ibiiimeato , ogni strada e ponte dalT esistenza de' vaglia , delle cam- biali , e com ' se senza queste tutto dovesse perire. A me senbra che dica maglio sopra la vera utili- tà delle cambiali , e senza esagerazione , un para- grafo di Beccaria portato dall' autore alla pag. 207 che tutto questo suo apparato scientifico. (^Sarà continuato) BoSELLINI. Saggio clinico sult iodio e sulle digerenti sue com- binazioni e preparazioni farmaceutiche giusta i rìsultamvnti che se ne sono ottenuti nelt istituto clinico- 'Ridico dell' I. lì. università di Padova. N. Padova 1822 in 8.° Di pag. loG. el saggio che annunciano , e che il eh. autore sig. consigliere Brera ha dedicato al celebre De Car- ro , troviamo un lavoro assai sensato, per tutti i tito:i pregevolissimo ed interessante , Dopo che il dottore Coindet di Ginevra , coi felici risultamenti che ottenne dalle sue sperienze nella cure del goz- zo col mezzo dell' iodio , cangiò in fatto la ra- gionata congettura che aveva egli concepito di do- versi a questo attivo principio la cagione dei mi- rabili efleiti operali dalla spugna marina fin da tem- po iu'memoiabile, ma specialmente secondo la Ibr- jmola tatmaceutica raccommandata contro Tanzidelta xuoibosilà tlalPeruditlssimo Locke; e la cagione al- tresì degli altri non meno salutari effetti consegui- ti dal ,'tco vescicoloso delle coste di Normandia se- condo le prescrizioni di Russe! : si estese con sem« Iodio e sue combinassioni ec 3 19 pre costante profitto la pratica dell' iodio in Vien- na ed in Berlino sotto i dottori De Carro e For- mey . Istrutto quindi col mezzo di peculiari cor- rispondenze r esimio clinico di Padova delle più scru polose precauzioni da tenersi all'uopo, ne in- traprese nel suo clinico istituto le più esatte spe- rÌ€nze , i portentosi lisuUamenti delle quali forma- no gran parte del presente saggio. Nel contras*© poi delle opinioni insorte circa Tuso medico delT iodio avverte il N. A. , che „ questi risultamenti conta- „ no di già alcuni un anno , ed altri nn anno « „ mezzo di data, e che nessuno degl' infermi a ta- „ li cure assoggettato ha, durante tal tempo, dato „ il benché minimo indizio dei perniciosi effetti „ che diconsi esercitati dall' iodio sulla costìtuzio- ,, ne organica quando non sia stato o regolarmen- „ tee prudentemente amministrate, o le di lui pre^ „ parazioni non risultino della più perfetta qualità; „ lo che mostrerà, che l'allegata diversità di clima „ per render ragione delia diversità degli ottenuti ri- ,, sultamenti per nulla influisce sull' esito di tali „ sperienze. „ Tredici sono le osservazioni , che il sig» con- sigliere Brera ci espone su tal particolare, e quat- tro ne riferisce a lui comunicate dal valente dottor Marcolini di Udine. Senza qui presentare il detta- glio di esse, farem conoscere, che dalle medesime risulta utilissima la prescrizione dell' iodio e delle sue preparazioni in dissipare le congestioni delle glandule meseraiche ad onta che di già apparissero i fenomeni di una tabe mesenterica incipiente : ia riordinare la comparsa della mestruazione , anche dove l'arresto di questa avea prodotto 1 emoftisi , ed uno sputo pituitoso-puriforme; anche dove l'emo- ftisi vicaria del flusso mestruo soppresso erasi con- 320 Scienze giunta alla epatalgia, e dove ancora ne faceva le ve- ci lina insolita emorragia dall' angolo interno dell* occhio sinistro, e dove in fine alla mestrua sop- pressione era susseguito un flusso dissenterico as- sociato ad apparenze isterithe. Utilissima emerge iti listabilire le istesse purghe mensili sì nelle femmi- ne robuste che nelle indebolite , clorotiche , e ca- chetithe , nelle quali si erano inutilmente impie- gati i marziali : utilissima in vincere la disposi- zione alla tisi scrofolosa, in risolvere le congestio- ni ed induramenti glandulari di origine scrofolosu- sitililica, ©sifilitica semplice ma inveterata, ed an- co quelli di origine rachitico-scrofolosa : e che fi- nalmente mostrossi proficua nelle affezioni toraciche con copioso escreato pituitoso-purulento ; proficua in individui in deciso processo tisico , ed in altri molestati per anco da ricorrente palpitazione di cuore . Se bramasse taluno sapere a qual classe ap- partenga o rilérir si possa fazione dell iodio, ne av- verte il jN. a. , che il farmaco in quistione non si presta alla distribuzione farmaceutica della teoria dinamica. Il citato dottor iMarcolini, noverando gli effetti salutari dell'iodio nelle sue osservazioni, ri- scontrò in due casi frenarsi con quello la copia esu- berante della mestruazione : lo che darebbe peso al- la ipotesi dell azione elettiva rilevala dal Coindct neir iodio sul sistema riproduttore ed uterino . Il prof. Brera nella esposizione degli effetti didliodio gli accorda il rango nella classe dei rimedj eroici. Apparisce in latti che f iodio , eccitando energica- mente il sistema nervoso della vita sensitiva , e particolarmente di Ila vita organica , accelera i mo- vimenti del cuore e delle arterie, e riordina le fun- zioni sanguigne e vegetanti , allorché bouo que^e Iodio e svs coiibinazioni e»< 3ai divenute prelernaturall . Un tale riordinamento di funzioni non può fin qui certam.^nte ridursi alla duplice classificazione contemplala dai dmamici ; poiché l'uso dell iodio genera l'appetito , rende nu- triti i macilenti ed i magri , e dimagra invece i pingui , promuove la mancante mestruaiione , ma ne modera ancor l'eccedente ; e perciò spiegando sul sistema uterino specifici elFetti , ristabilisce le ordinarie escrezioni sanguigne unicamente ove tro- visi questo in islato preternaturale . Che di vero l'amministrazione dell iodio l'atta regolarmente alle femmine affette da congestioni glandulari scrotolo- so-sitilitiche, cui naturale si era lo stato della gian- duia tiroidea e della mestruazione, non produsse il più sensibile cangiamento né in essa gianduia, né nelle funzioni dell' utero : anzi niun'alterazione av- venne altresì nei casi, nei quali proseguito ne ven- ne l'uso sotto la presenza istessa della mestruazione. Dopo avere il sig Brera fatto così conoscere i fe- licissimi risullamenti conseguiti dalliodio , si trat- tiene alcun poco ad istruirne sulle notizie istori- che risguardanti la scoperta di questa sostanza, ed il modo onde ottenerla : ma con ispeciale accura- tezza di erudizione discende quindi a trattate del- le primarie e secondarie combinazioni dell iodio , non che dei migliori processi atti a prepararle del- la più perfetta qualità. Parla dell' iodio acidificato dall'idrogeno (acido idriodico), dolf acido iodico ( combinazione indiretta dell iodio all' ossigeno), e dell' acido clono lieo. Parla degl' idriodati sempli- ci di potassa , di soda , di barite , di calce , dì magnesia, di zinco, e degl' idriodati iodurati : quindi degli iodati semplici di potassa, di soda, di barite, dì calce, di zinco; appresso degli ioduri,^egli ioduri di mercurio in generale, del piotoioduro di mercurio. 3:22 S e I E N z e dei deutoioduro di mercurio , e del ioduro di ami- do Ragionando di queste chimiche combinazioni non trascura in varie di esse la istoria della sco- perta dei lavori i più interessanti dei chimici; la notizia dei caratteri Usici e chimici delle diverse preparazioni , le proporzioni dei principi costitu- enti, e l'azione che sopra di esse appalesano il ca- lorico , Taiia , 1 acqua , ed alcune delle semplici sostanze , Si occupa in seguito il N.A. in considerare gli effetti dell'iodio sotto un triplice aspetto: il primo articolo dei quali abbraccia ^V\ effetti delf iodio su- gli animali e siili uomo sano- Ottimo divisamento fu questo ; poiché se deve da un lato riguardarsi 1 iodio qual elHcacissimo rimedio, di cui possa an- dare in oggi fastosa la farmacologia , assicurando- ci il sig. Biera che in non poche gravissime e finquì riputate incurabili affezioni ha operato pro- digj , e non ammette sostituzioni; non dobbiamo all'incontro (per quanto le sperienze di Magendie sembrino deporre pel carattere innocuo dell' io- dio ) obbliare le contrarie avvertenze del sig. Or- fila . il quale nella sua celebre opera - Trattato dei veleni - ci nana distintamente le sue interessan- ti esperienze sui cani jn un con le relative ispe- zioni cadaveriche, aggiungendoci ancora gli espe- rimenti tentati per tre giorni consecutivi sopra di se medesimo. Le deduzioni che da questi latti ne trasse il distintissimo sperimentatore, si furono (co- me ognuno forse avrà presente ) che T iodio alla dose di una o due dramme, ove non venga per vomito poco tempo dopo restituito, produce la mor- te costantemente ; che usato per frizioni non di- strugge la vita ; che sembra agire sull' uomo nel modo istesso coit cui agisce sui cani ; e che dev'es- Iodio e sue combinabioni ecs SaS sere collocato fra i veleni corrosivi. La serie del- le indicate sperieaze di Orhja viene per intiero ri- ferita nel presente saggio clinico; ed ingenuamente eziandio c'informa ivi il prelodato clinico di Pa- dova, con un articolo di lettera pervenutogli da un suo rispettabile amico , sulla morte avvenuta avarie persone, alle quali fu imprudentemente am- ministrato 1 iodio. Con bell'ordine poi fa qui succedere il N. A. l'altro articolo su gli effetti dell iodio ^ e delle sue differenti cembinazioni e preparazioni farmaceuti- che nei diversi stati morbosi^ e ne fa specialmen- te intendere con molla sensatezza, che non si con- cepisca già l'idea di trovare nell' iodio una panacea universale. L'eccessiva fiducia , ed ancor limperi- zia in impiegarlo senza riserva e forse anco senza discernimento io ha fatto riuscire in non pochi ca- si nocivo ; e ciò tanto maggiormente per la facili- tà con cui certe costituzioni organiche ne riman- gono gravemente affettate dietro quella istessa dose, che da altre viene impunemente tollerata. Fece già Coindet osservare , che 1' iodio al pari del subli- mato corrosivo, degli acidi minerali concentrati, e di altre simili sostanze, possiede due differenti ma- niere di agire , per dir così ; cioè che sommini- strato una volta in dose eccessiva irrita sul latto, ed in brevissimo tempo corrode la sostanza dello stomaco , come risulta dall' esperienze di Orlila ; ma che introdotto giornalmente nello stomaco a do- si assai piccole, onde non otfendere la tessitura di questo , sviluppa nell' economia animale quei me- dicamentosi ert'etti , che proprj sono di ciascuno di tali I imeclj. Or in questa seconda maniera prescrit- te dal sig. Brera 1 iodio e le preparazioni cKica- cissime di proloioduro e di deutoioduro dì mea- 3a4 S e I E N £ u curio, non ebbe a rimarcarne verun dannoso ac- cidente. L'altro importantissimo avviso si è quel- lo di non accordare identifici effetti a qualunque preparazione iodina in quelle morbosità, nelle qua- li credasi convenire l'iodio. Sarebbe ciò egualmen- te incoerente quanto il prescrivere il calomelano o il sublimato corrosivo indistiutamcnte in quelle af- fezioni , nelle quali si giudicasse indicalo il mercu- rio. Si deve altresì avere in vista la condizione dell' apparato digerente , aflin di dirigere la prescrizio- no deir iodio a seconda dei dettami fisiologici , die- tro i quali denno venir regolale le preparazioni e le formole onde amministrarlo con reale successo. Chiude questo articolo con una sanissima conside- razione su le condizioni patologiclie del gozzo, ed assai sodilislacente troviamo la dottrina del N. /V., allorché in questa morbosità riconosce ora un mor- boso ingrandimento della gianduia tiroidea con istraordinaria ampiezza dei suoi vasi, e preiernatU' rale espansione sp^cialm Mite delle diramazioni dell' arteria tiroidea superiore ; ora uno stravaso di lin- fa più o meno coagulabile avvenuto nelle cellule della glandola tiroidea, che oUremodo la dilata, e ne altera fin anco la consueta tessitura organica ; ed ora finalmente un vero stato di scirro. Ci offre di queste varietà i segni diagnostici annunziando più convenire alla prima Tidriodato di calce, o an- cor di potassa; più indicato nei pi imordj della se- conda specie 1 iodio in sostanza , ma il protoio- duro ed il deutoioduro di mei curio nelTulliroa de- gentuazione di essa; e dando la preferenza nella terza agf idriodati di calce e più di barite, ed al protoioduro e al doutoioduro di mercurio . interessantissimo poi a conoscersi sotto tutt' 2 rapporti si è il terzo articolo , in cui compreu- ♦ IODIO K SUE COMBINAZIONI EC. 323 donsi gli effetti clelt azione medicamentosa dell' 10- dio , delia compiuta iodizznzione e del morbo lo- dale^ i segni che gli annunziano^ e come si pre- vengano e si curino le perniciose loro conseguenze» Vi sono alcune condizioni fisiologicO'patologicUe del- la macchina umana, che non ammettono l'uso dell' iodio. Così rivestito essendo qursto farmaco di una efficacissima attività in esaltare i processi vegetan- ti e riproduttivi, resta controindicato nelle predi- sposizioni infiammatorie e nelle vere infiammazioni, neir emorragie attive, e negli eretismi nervosi di condizione tonica; lo è eziandio controindicato nel- le raccolte saburrali e biliose , nella gravidanza , nella febbre lenta e nel marasmo; sebbene ove l'e- maciazione era effettuala da superabili congestioni meseraiche venne l'iodio dal sig. Brera incontrato di decisa utilità . L' aumento dell' appetito , ed una insolila energia dei polsi annunziano la salutare azione dell' iodio : incomincia da questo istante ad essere sommamente necessaria la sorveglianza per distinguere quindi il momento, in cui la macchi- na se ne annunzierà saturata: essendo questo, per così dire , il limite fra V azione medicamentosa e la nociva dell'iodio. Giacché, quantunque la saturazione prodotta dall'iodio sia forse talvolta uno stato indispensabile nella macchina inferma, onde possa r iodio dispiegare i proprj medicamentosi ef- fetti ; pur volendosi a compiuta iodizzazione insi- stere neir amministrazione dell iodio, deve questo necessariamente operare le perniciose conseguenze del suo eccesso nell umano organismo. Egli è per- ciò , che devesi tosto sospendere 1' uso dell' iodio alla comparsa dei fenomeni indicanti siffatto com- pimento di iodizaazione , fra' quali speciale avver- tenza esigono la celerità e frequenza dei polsi , G.A.T.XVI. ji 01»O S e 1 B N Z E l'appetito talvolta aumentato al grado di voracità, l'arsura delle lauci , leggiero dolore delle orbite, dell' interno degli oreoclii o delle gengive con lo- ro tnmeta/.ione , e dolore degli or};uni affetti, che richiesero ia pr^scriiiione dcjjl'iodio p. e. delia gian- duia tiroidea nel gozzo , delia regione lombare ute- rina neir anìi'noirea , dei tumori scrofolosi ec. ec. JNon è però snfiìciente la sola sospensione del lar- maco per nioi.overe lo stato di esuberante iodiz- za/ione , poiché diviene questa istessa una causa di Coi rispondente malattia da distinguersi col no- me di affezione iodale. Vien essa annunziata da dolori airoci nelle orbite e negli occhi con som- mo offuscamento della vista, e nelle parti affette ancora per ie quali si ebbe ricorso ali iodio ; da oppressione pronta di l'orze . massime vascolari ; da dolori del! indole delle nevralgie ricorrenti nel petto , Stomaco, e venire, ed in altre parli del corpo; da \igi!ie; da gagliarde palpita/ioni di cuo- re , da iremuii insuperabili dell estremità , con- vulsioni , da nausea , ed avversione al cibo , ec. ec Le univeisali e locali sottrazioni sanguigne si esigono pel cui at ivo trattamento di questo mor- bo lodale , 1 frequenti e continuati bdgni tiepidi geieiali, le bevande d idiolatte, Temulsiuni, e si- HRìii: ma speciaimeiite si sedano i treuioii , le con- vulsioni e le palpitazioni con i acido idro-ciamco, e con le altre prepara/ioni di questo. Ma s» nello stomaco agisca l'esuberante copia d'iodio , si avrà n;l vomito il piij pionto rimedio : ed in deficienza di questo si potrà aver r corso alle bibite eopio- se di latte, ed a quanto altro viene raccomanda- to nella i-ura di a\ ■- eleuiimenlo per sostanze cau- slulie . I cuupirismi tnioilienti però e le sangui-» siighe sogliono npuiuic agii sconcerti topici arre- IODIO K SUE COMBIKAZIONI E«. 33» cali dalla eccedente dose deli' iodio usato sotto for ma di linimento, ove abbia irritato, infiammato" od esulcerato le parti. ' Si aggira 1 ultimo articola nella descrizione dplle lormoie per usare V iodio, e ie singole av- vertenze onde impiegarle con profitto, ed applica- re con discernimento ai varj casi le varie prepa razioni di esso. Il pregio grande del lavoro, che può dirsi esuberantemente ricco di nozioni chimi- che, cliniche, e farmaceutiche; non che la novi- tà deli argomento non ancora familiarizzato pres^ so di ognuno; sopo statele cagioni perle quali ci Siamo forse resi prolissi nel sunto di questo sae- g.o clinico. Chiunque per altro bramasse chiamare a contribuzione il nuovo farmaco , di cui favel-' iammo, per la cura delle indicate morbosità, do- vrà necessariamente consultare in fonte l'intero la voro del sig Brera , per ivi apprendere senza equi. VOGO le migliori e più convenevoli maniere di am- ministrare i iodio o in sostanza sotto le forme al- cooiica eterizzata, o pillolare ; o informa acida- o in quella dei varj idriodati , iodati , ioduri, e io- duri mercuriali, uon escluse altresì le diverse for- niole jalralitliche . Aon si abbia mai per altro a dimenticare , che questo nuovo farmaco non am- mette in molte a/fezioni sostituzione di rimedio • e che d altronde finlroduzione di esso nella farmal coiogia va ad airicchire eziandio la nosologia di un buon numero di affezioni pria ignote . Si po- tranno queste per altro agevolmente evitare , po- nendo sempre mente alle riferite avvertenze e sL- gerimenti , con tanta chiarezza e precisione propo- li dail esimio aulo.e di questo saggio, onde mu- dentemente e con profitto valersi deli' iodio a van- taggio della umanità solfeieute. Xo«ìci.li Hi 028 LETTERATURA JFrancisci Orioli viterbiensis , docfon's pìiysicce in ar- chcgym. bononiensi , epistolce in C. ^alerium Ca^ tullum Boti onice ex tjpo^rap/ieo Nobiliano A. MDCCCXXII. Permissu prcesidum. J|l eh. A., mal sofFerendo gli errori introdotti nel- le poesie di Cajo Valerio Catullo, prende ad emen- dargli j)er mezzo di lettere al cavalier Dionisi St.roc- clii , al marchese AntaJdo Antaldi , al conte Paolo Costa , al cavalier Gio. Battista Giusti , nomi cari alla republira delle lettere. Questa prima pistola è diretta allo Strocchi. Quali siano gli argomenti in essa trattaci è detto dall' A. con tale chiarezza , che né 10 certamente , né (orse altri dir saprebbe eoa maggiore . „ De adjumentis ad CatuUwn emen- ,, dandum , declarandum , ilustrandum , adliibi- „ tis . Inaisi cri/nen a Muretu depulsum . Fra^ „ ^menium Pacuvio poetee additum , versus ei re- ,, stitutus Codc'x Calulli oTìiìiiuni aìitiquissimus de- „ tectus, descriptus. Jdinveuti Catulli laus Guari- „ no subluta probabilibus ar^umcntis. Hexasticun ei „ peif)erum tributuni , emmdatius cditum in nonnul- „ lis , et explicatum . Bonius Gambiusque corre' ., pti. Epigramma , quantum novimus , ante hac ine- „ ditum Hci molai Barbari in Mendom. f^ersus in- „ ttger Catullo nunc primum additus. Versus alt^r „ ex eodem sublalus , et Sereno vindicatus. j4uso~ ,, nu Carmen emendaium, Quoidam de proceleusma- Epistolae liv Catullum Saq „ t^co metro. Notata plura in Sereni proceleusmati- ,» co Carmine de lèporis venata. Item alia multa quce „ lector videat. „ Io non farò parola dell' erudizione di cui ri- donda la lettera ; molto meno ne intrametterò io al- tra, perocché temo troppo i rimproveri del grazio- .sissimoGiri di Luna, il quale sferzando leggiadia- mente i vizj degli scialaqnatori di erudizione, ha ren- duto sì celebre il Porco Trojano , da recarne invi- dia al trojano cavallo, sebbene questi , invece del- le viscere , racchiudesse nel ventre un campo di armati. Io senza indugio alla critica a cui (nulla però detraendo alla stima grandissima in che io tengo l'illustre A.) intendo di sottoporre la lettera, esaminerò soltanto le due osservazioni che qui ci dà r A. sopra Catullo. La lettera è di pagme ven- tisette ; ma non si comincia a trattare l'argomento principale che nella decimasettima. ^ Neil' epitalamio per le nozze dì Peleo e Ttj- tide si legge : O nimis optato sceclorum tempore nati, ^^ ,, Heroes, sahete , deùm genus o bona mafer, ''__''•"■[ ^os ego scepe meo, vos Carmine compdlabo. ^on istà bene, osserva lA , il singolare o bona ma- ter dopo li plurale heroes salvate Sii benissimo, replico 10, se non m inganna Tag-evoie costruzione O bona mater , o heroes, sahete. II eh. monsignor Angelo Mai ha trovato che wn antico chiosatore di Virgilio dopo il verso O nimis optato trascrisse gli altri così ,;r;,,. ,, \ Heroes sahete , deum genus, ohjomr^trun^^ Progenies sahet^ iteruni ." . . . \ ',", \ ' ' ' *■/ ' ', '' Fos ego sa;pe meo , vos carminTcompcìlabo'il ne quali all' A. è piaciuto in guisa la replicata sa- 33o L E T T E U A. T U U A lutazione , che ve n'ha aggiunta una terza , riem- pendo il vuoto del secondo verso così sal'vefe, deum gcns^ e ciò per ben quattro ragioni „ /fa primo hanc si ,, lectioncm eli^imus inconcinnitas illa tollitur , de ,^ qua saprà dictum est. Secuwlo multo evadit con- ,, cinnior postretnus versus ^ in qw) tuiit deinrim re^ ., de poeta dicitur suo soepe Carmine com,pellnturus „ heroas , quum altera jam , et altera, vice , vel „ tertia compellavit eos duobus versihus , qui prw \i^ cedunt. Quo autem aptiore modo impleatur dcfi- „ ciens mensura ^ si hcec ratio displiceat^ qua no- ,, stri nihil addidimus ^ unumque id permisinius no- „ bis , uti verba tria , qune scripta semel extabant ■„ in antiquis commentariis , denuo scriberentar ? „ Atqui versus qui sequitur , iterafionem hanc fe~ c„ re jubét o F'erum jubet mas etiam pennilgatus „ ternae invocationis in re qualibet sacra ; jubet -^ itidem ^ vel sundet saltem , quaedam ferme mnje- „ stas , quam longe majorem locus acquirit ita re" „ paratasi %f>o,( v ,^^ wìvm^-'j-.' Io non .posso far plauso alla prima ragione, dopo ch% dianzi negai che nella volgata v.' abbia sconcezza. Non mostra fotse uguale inimicizia al- la contraddizione l'A. tutto aff'acendato a compie- re il mezzo .esametro, quando nella nota ( s. ) si distende lungamente a provare che mezzo per ap- punto il volle: Catullo , per la ragione stessa che «Tmolti ne volle Virgilio, checché ne cieda il vol- go ? Confesso poi ingenuamente di non comprende- re né perchè dopo i tre saluti acquisti qualche pre- gio la promessa di celebrare soventemente gli" eroi , né di qual modo il terzo saluto procacci a questo luogo una maestà longe majorem^ quando il luogo stesso, ì se io ben veggio , non è punto maestosot E?lSTOLAE IN CaTUTUM 33 I Perciò eli® riga irda la terza ragione , fa d' uopo distinguere il saluto dalla invocazione . Per essere ascoltalo da chi non è sordo basta un saluto so- Jo ; ma quegli che implora ajuto o protezione non è mai sazio di ripetere più e più volto il nome della invocata deità , quasi le rf^pi che fosse- ro altrettante preghiere. Catullo nell'epilalainio sul- le nozze di Giulia e di Manlio per bea venti vol- te , nonché per tre, invocò Imeneo . Essendoché però simili verità si sentano più assai di quello che dimostrar si possano ; così non raaraviglierei , se come a me sembra , non cosi sembrasse anche a tutti . Innanzi ch'io lasci l'antico chiosatore, trat- to non ha molto dalla tomba in cui giaceva, gli chiederò sulle pdtvoìe o bona tnatrum progenies,quii\ prole umana , sia buona o sia malvagia , non na- sca di donna? Passa l'A. ai frammenti di Catullo , e fissa \o sguardo al verso : animala miseruìa properiter ahit attribuito da chi al nostro Catullo , da chi a Q. Ca- tullo, o a Q. Lutazio Catullo monografo, o ad al- cun altro de'moiti Catulli . L"A. prova ad eviden- za , con l'autorità singolarmente di Pulschio , che il verso è di Settimio Sereno , il quale dilettavasi assaissimo del metro proceleusmatico . Potrà quiri- di recare qualche sorprf'sa che I A , il quale si è proposto di emendare gli er'rorì introdotti in Ca- tullo , parli di un verso di Sereno che non ha bi- sogno di ammenda . Siamo alla pagina ventesima terza, dove la. scrive questo altro verso , pure di Sereno, tolto da Marziano Capelia : Perit , abit aviptdis animula lèporis ; 332 Letteratura e si trattiene tranquillanifinte collo stesso Sereno alia caccia del lepre siuo alia fine delia lettera e delie copiose note . Pare dunque clie possa concliiudersi , clie le due osservazioni non emendino gli errori introdot- ti in Catullo . Non la prima , percliè la variante non è da preferirsi alla volgata ; non la seconda , perchè il verso è di Settimio Sereno , non di Q. Valerio Catullo . Io sono persuasissinio ch« le lettere che scrì- verà in appresso 1 A saranno ricche di ammende e di osservazioni bellissime . Ma com-? io tollera- re non seppi die egli capovolgesse le lettere gre- che per cangiarle in numi^ri romani , e che si agi- rasse tentone per gK ipogei a conversare con le om- bre de' trapassali ; né anche so tollerare che egli si trattenga di pie fermo nel riformare gli errori del' le membrane o de' copisti , essendo egli fornito di un ingegno nato fatto per ingrandire di nuove sco- perte le scienze più sublimi , nelle quali è versa- to . Il perchè mi pesa che egli si perda in argo- menti al paragone lievissimi , e nella trattazione de' quali a molli non è dovuta neanche la lode, che ebbero le api da Virgilio : In lenui labor , at tennis non gloria. . . . Se taluno qui avvisasse di accusarmi di arro- ganza , come se io dar volessi legge ad insigne let- terato , non mi troverei io già perciò a mal par- tito. Risponderei di presente, non essere delitto il manifestare all' A. il desiderio delle scienze, il qua- le, eseguito che fosse, tornerebbe anche in mag- gior sua lode . Chi ha mai rimproverato Ulisse perchè trasse dal (ianco di Achille la conocchia , e surrogovvi la spada ? Siamo debitori all' A. di aver tolto dalla poi- EpiSTOLAE IW GATUtLUM 333 vere e dall' obblio un anticliissimo codice catul- liano esistente nella pubblica biblioteca dell' insti- tuto di Bologna, egregiamente scrilto in membraoa da Girolamo Donati patrizio veneziano nei 14*2., cbe in fine dell'opera lasciò scritto =: Finivi anno II pont Johannis XXIIL Vlll.kal. aprilis -Rivaiti- Hle- ronimus Donatus patricius ::z .1 maravigliosi pregi del detto codice , i nomi e cognomi di coloro che di mano in mano n' ebbero il possedimento , (') i viaggi lunghissimi che egli intraprese fino al felice suo ritorno in Bologna fra le restituite fran- cesi conquiste, ed altre cose assai, quali sono am- piamente trattate dal pazientissimo autore nella nota K. e nelle seguenti . Né dimentica egli di far menzione di quanto è scritto di straniero nel co- dice o dentro , o fuori , o nel margine, o dal Do- nati, o da altri: o in prosa, o in versi; perchè vi si legge un endecasillabo ed un distico, quel- lo di Ermolao Barbaro a Gregorio Merula , scritto in buono stile ed in mal costume , T altro for- se di Francesco Barbaro , ed è questo assai noto: jéd patriam redeo longis a Jinibus exid : Causa mei reditus compatriota fuit. Hanno fin qui opinato i dotti, e fra essi l'An- taldi , che il primo Catullo fdsse rinvenuto l'an- no 1425. Il Catullo bolognese pertanto sarebbe il primogenito, perchè nato tredici anni innanzi,© É (*) L'ultimo legittimo possessore fu il P. abate Giovan Gri- sostomo Trombelli canonico regolare della renana congregazione ; nomo dottissimo, e religiosissimo, e però grande letterato senza ninna ambizione: coetaneo ai PP. AA. Mingareli , Monsajjvati, ed altri insigni soggetti , che nel secolo passalo fiorirono nCUa rispet- tabile congregazione anzidetta» 334 Letteratura probabilmente non poco prima , so pure V origi- nale dee precedere la copia , e se un copista pa- trizio veneto avrà preso tutto il comodo a com- piere r opera ; la quale però siccome è mollo im- perfetta , percbè mancante di assaissimi componi- menti, così potrebbe dirsi che il Catullo del i4ia fosse un aborto , e che il secondogenito perfetta- mente formato venisse alla luce nel 1433. In sif- fatte materie però ognuno può opinare come gli ò più a grado, ed anche non opinare. Vincenzo degli Antonj Di un antico sigillo romano trovato nelle vicinali^ ze della pieve di Bagnacavallo nel mdcccxix . Lettere due s ove di altri ni nunienti notabilissi- mi ^ che a quel luogo si riferiscono. Al sig. Pao-^ lo Folicaldi , a Roma . N e' mìei sciolti sopra Ferrara, e nelle patrie isto- rie ella ha più volte osservato come gli antichi mar- mi dissolterrati nel i6oj dall'arciprete Bartolomeo Pergo'a nei contornì di questa chiesa Plebale di s. Pi( tro in sjlvis , sono argomenti molto probabi- li deir esistenza di Bagnacavallo , già Tiberiaco , sino dai tempi della romana repubblica. Fra gli altri monumenti non le sia grave, che io le parli ora di quelle tre famose iscrizioni prin- cipalmente, sulle quali non isdegnarono di scrive- re il canonico Venuti, il Marchese Maffei nel t. v, delle osserv. leti. , il p. ab. Ginanni, ed altri eru- ditissimi , come si rileva da|j;li storici nostri Ora- ziani e Malpeli. Antico sigillo rotm4no eg. 335 La I. , scolpita su d'un mjrmo greco tagliato in forma di piedestallo, eoa cornice di ordine com- posito , è la seguente: lOVI OPSLQVENTI PVBLICE La 11. è incisa sJi di un marmo rosso colle pa- role : CVRATORES lOVI LIBLRTATI Nella in. finalmente posta su d'un marmo si- mile alia precedente leggcsi : DIS MANIBVS MEVIORVM. Le prime due altro non sono manifestamen- te , secondo il parere de' più dotti interpreti, che due Are Votive consacrate a Giove dai pubblici magistrati, o dai curatori del tempio a lui dedi- cato, ch'esisteva nei contorni, e forse nel luogo istesso dell' odiesna chiesa plebale, che è distante mezzo miglio circa a maestro dalla nostra terra di JBagtiacavallo ; e l'occasione di erigere quellara vo- tiva alla libertà forse si fu dopo la cactiala dei Galli dalla selva Litana,per U vittorie riportate Tan- no di Roma DLXIII da Scipione Nasica, per cui furono rimessi in libertà gli antichi abitatori di queste contrade. Ma quello di che non si può du- bitare si è, che in questo sito fosse realmente un tempio a Giove dedicato. l>e\ che oltre le citate iscrizioni fanno fede varj frantumi di marmo gre- co, di cui è sparsa la chiesa medesima: come fra gli altri un pezzo d'architrave lavorato a rabeschi, ed un capitello Corinto cogli angoli smussali y che 356 Lettekatura sì fanno servire al presente per uso di pilastro , benché impropriamente , nella confessione di det- ta chiesa, e mostrano ad evidenza provenire essi dalla demolizione di un antico tempio. La terza poi doveva servire di lapide all'avel- lo della famiglia Mevia , nobile fra le romane , e di cui un ramo dovea aver qui fissato il suo do- micilio . I tre marmi suddetti furono nel «778 dalla pieve di Bagnacavallo trasportati a Ferrara, dove fra gli altri antichi monumenti della città e pro- Tincia si conservauo nello studio pubblico. Ma ella meco si duole che io non le parli di queir antico mattone, che alla luce fu tratto dal- lo stesso arciprete Pergola , allora appunto che gli altri tre marmi furono dissotterrati. Ne accusi el- la il tempo, esclamando con Ausonio £^pig- 34' Maiìumenta ^atìscunt. ? Mors etiam saxis , nominibusque venit. O più presto si dolga di chi doveva e non seppe a noi conservare un tal monumento: ma ringrazj il eh. Muratori , il quale di detta figulina lasciò niemoria ( Thesaur. vet. inscript, t. i. p. DUI. n. aS ) , e ne ringrazj pure l'erudito dottor Dioni- gi Andrea Sancassani , che nelle sue Miscellanee nel MDGGIV ne fece copia, rilevandosi così segna- . ^ C. Pansiana) ; . , ^ . , ta ( ^^ per cui la coorte pansiana do- "^ e. PANSJAN\ ^ * pò la battaglia di Modena s'inferisce essersi in que- ste nostre parti ritirata , per ciò che il Sancassa- ni istesso d'altre simili ragionando ne scrisse al- l'Arisi : Te^ulas hasce^quae imbrices videntur ^eum in usum Juisse coìiflatas , ut militaribus sepulcris consarciendis deser virente hoc tamen ordine , ut una tantum tegula sigillo munita prò qmnns sepulchro impenderetur. Antico siGiLto romano bc. 337 Né qui tacerò di altra iscrizione, di cui non fanno menzione gii eterici nostri , la quale fu ri- trovata li 2 3 maggio 1781J ni-1 disfarsi due poggio- li di cotto , ciascuno con coperta di marmo gre- co, esistenti ai lati di una finestra nelf mterno di una stanza a pian terreno nelf antico palazzo de' conti Brandolini. Le due copeiture avendo al di sotto lettere di carattere rotondo romano formaro- no la seguente iscrizione. GIERVLANI. ARTtMISIyE L . ANi\IVS . VEL... MATai . PIENT Fu posta nel muro del palazzo Brandolini , che guarda la pubblica piazza , e vi esiste tut- tora . £ qui mi giova rammentare , che nel feb- brajo del 1819 alcuni contadini scavando in un campo vicino alla Pieve nostra trovarono un si- gillo di bronzo , che lascia questo impronto : L. FL. C. Che tal sigillo sia Romano non è da dubitare, ma r interpretarne le sigle è cosa diftìcile anzi che no . Ma perchè ella ama molto le patrie cose , e sen- te innanzi assai nelle lettere, io mi persuado, che non le sarà discaro di leggere le congetture , che a mia istanza ne formò V eruditissimo , e gentilis- simo amico mio dottor Luigi Grisostomo Ferruz- zi , il quale da Bologna , ove agli studj archeolo- gici era intento, mi scrisse la seguente lettera, che a me pare degnissima di essere insorta nel gior- 338 LlTTERATURl. naie arcadico . Se il giudizio di lei non si allon- tana dal mio, io spero, che eilla darà opera, per- chè ad onore della patria nostra vegga la luce . t m? le raccomando. •— A 27 di Novembre 1820 , di jQa^nacavallo . Domenico Vagcolini. Al sig. Domenico Vmx oUiii , Bagnacavallo . Prima che rni conducessi a dir pure alcuna cosa , ch'^ potesse servire ali interpretazione delle sigle enigmatiche del vostro sigillo , stetti lunga- in» nfe tra due . Perchè quanto 1 amicizia mi per- suadeva all' impresa , tanto me ne ritraeva 1 in- iei 'ojtà d'Il'animo, opponendomi il tenue stato del- ie mie cognizioni arch'^ologiche . Ma poscia che mi Sovvenne alia mente quel d' t^nnio presso Cicero- ne nel tratt. de amici fia: In re incerta cerfus ami~ cus cernifur'. pensai che lo scusarsi del poco ad Un amico fosse segno di scarso amore, 'e di vile an'mo , pprchè non volessi , nò lui soffrire in par- te della mia povera supellettile letteraria, né me «perimenlare nelle forze del mio ingegno , a fron- te di un enigma, del quale tutto ciò che si dica, *e non di virità, può sempre aver lode di beli' ardimento. Però confortandomi spesso di quel di Orazio: mihi dnlces l^nosctmt siquid peccavero stul- tus amici \ pieno di coniiden^a mi diedi a cercare per alcuni iibri della nostia biblioteca , tanto che credetti di aver tratta alcuna scintilla, che riuscis- se a sedare la vostra curiosità. K siccome il parlare solam.MiLe del sigillo proposto, e non insieme dei- 1^ uso di lutti gli altri di tal falla , era più presto Antico sigillo romano f.c. 33o arida e vana cosa, di quello che utile, e dilette- volo, stimai, che meglio per me si raccomande- rebbe quello, che non bene assicurato ragionerei del vostro sigillo , se vi premettessi què non in- certi lumi che di sigilli in generale somministra- no le antiche memorie. 11 Mentfaucon al t. iir. p. 3. cap. 2. della sua insigne opera f antichità spiedata ec. dice che questi sigilli lurono adoperati ad assicurare i finis- simi vini nelle diote, e né grandi vasi doliari , a contrassegnare le salmerie , a molt' altri usi , che noi Ignoriamo . II medesimo riporta un sigillo' del- la coorte detta Felice, coU'inscrizione. Felix: Chors, Prima; ed era forse quello, che imprimevasi ne' SUO! bagagli . Ma di magistrati , e di private per- sone molti si conservano nel museo bolognese, di forma , e di caratteri simili , e dissimili dà qc.esto vostro . Non avviene però di trovarne alcuno che porti le stesse sigle . Fu riputata , e sarebbe vera- mente , fatica vana il tentare la spiegazione delle sigle di ciascun sigillo, se T eruditissimo abb. Ma- ruu, quasi indovinando, a stento avea potuto spie- garne felicemente alcuna in Roma, come riferisce l'Uggieri. Ma voi volete ad ogni modo, che io esponga ciò che mi sembri d'indovinare sulle si- gle del vostro sigillo , non calcolando punto l'esem- pio della messe scarsissima, che in questo camp» fecero dottissimi Archeofili . Dirò dunque che sulla traccia di due sigilli pubblicati d.4 Alontfaui-on , in uno de quali si leg- ge: Marci ralerii. Cerdonis ; nell'altro: Quinti. Marci. Paterni:, pare a m;ì di poter discioglierc le ^-if'.! ^.' ^^^' ^- in questo nome Ludi. Flaminii. Uiiloms , o Cdonis, come volete , finche sia deci- so se Cicerone nel lib. VI. leti. XX. ai/amiglia^ 34o Lbttkratijra ri abbia scritto Chilone , o Cilone . La gente Fla- minia fu plebea , ed ebbe il cognome di Chilo , o aio. Appartenne a questa Lucio Flaminio , del quale riporta Lckel due medaglie. Da una di es- se si ricava come L. Flaminio sostenesse la cari- ca di quadrun viro monetale sotto Giulio Gasare. E questo è forse quello stesso Flaminio , di cui Appiano alla pag. r)5. col. a. narra , che nelf usci- re dalla curia , avendo inteso di essere stato cac- ciaJo dal grado di quadrun viro per opera de'suoi tre colleghi , fuggì frettolosamente da Pvoma accompa- gnalo da cotal Decio . Prima che Giulio Cesare sogi'iogasse la repubblica, e come de' cittadini, così dflla dignità , e delle rose a suo senno dispo- nesse, il magistrato che presiedeva al conio delle monete era composto di tre soli membri. L'an- no di Roma 709, lo stesso in cui Cesare, secon- do che narra Suetonio, colle dispensazioni di fru- mento, olio, e denaro si comprava il cuore del- la ptfbe, per sottometterla più agevolmente al gio- go della tirannide , aggiunse egli a questo magi- strato un quarto membro per dar luogo ad un ple- beo dì più nella rappresentanza. Ma Dione, L. 54» §. 2G. , attesta che Augusto Tanno ']'\\. ridusse di bel nuovo il corpo de monetali a soli Ire perso- naggi , come era al tempo della repubblica. P<- rò se bene avvertasi, non più di '62 anni il ma- gistrato dei raonptali durò a contare quattro mem- bri . In questo termine è circoscritta T età delle due medaglie di Lucio Flaminio , e se potesse ve- rificarsi che il L. Flaminio del vostro sigillo fos- se quadrun viro monetale, ecompoisi cogli anni del- la sua dignità V espulsione ricordata da Appiano*, si Terrebbe egualmente in chiaro dell' età del vo- stro sigillo non solo , ma ancora del tempo , in Antico sigillo romano ec. 34 i cui Lucio Flaminio cominciò -ad usarlo fuori di Roma . E se per antiche mnmorìp {^inng'^sse a co- noscersi, che questo Flnminio nella sua fugasi ri* parò al luogo dell'odierna Pieve, non lungi da selve foltissime, che lo avrebbero di leggieri oc- cultato alle ricerche de' suoi persecutori, oh! al- lora sì che rai parn^bbe di poter drjre qualchi^ pe- ào ai testimonj di antichi scrittori, che adesso espon- go a maniera di leggiere e curiose congetture . Ghecchesiasi , se il vostro sigillo appartiene L- Flaminio Chilo monetale ha h^n diritto di es- sere tenuto in pregio . Da q'iella carica si passa- va alle più cospicue della r^pubb'ica , e mi sem- bra che Ovidio nel iv àS T:isti elc^. o. dica di averla ottenuta esso pure: Caepimns et tenerae pri~ inns aetatis honores , E-iue i^iris quonlnm pars tribus una fui \ giacché io non so indurrai a sospettare conElvezio, che Ovidio in tenera eia fosse chia- malo piuttosto all'altro impiego di Triumviro Ca- pi ale, le attribuzioni di cui appena potevano di- simppgnarsi da uomini maturi d senno, meno poi da fanciulli. V. Pomponium de origjur. L 2. Per ultimo mi sovviene che Cicerone in una let- tera a Trebazio . che è la xi 1 « del lib.vi \.ad famil.^ scherza festivamente sopra amendue questi triumvi- rati capitale e monetale: ecco le sue ptroli: Trevi- ros vites paio: a^'àli) capitnles esse-, mallem auro ^ ar^entu^ aere essent. Avvertite, che la parola Tre- viri per Triumviri s'incontra molto spesso in Li- vio; che Tullio scriveva questa lettera circa il ^00 di Roma, quando Treba/io , che seguiva Cesare , trovavasi ai conlini dei Treviri popoli della Caliia Belgica Ma intorno a questo sch'-r/.o di 'jicerone è da leggersi l'ei udita lettera latina che il Bembo ebbe a scriverne a Beruaidino òandri. G.A.T.XVL 22 342 Lette 11 ATUi\A E non avele altro da schiarirmi per rillustra- zione del mio sigillo ? Apj-)iinto come voi dite nient' altro , uè se volersi di più me lo consentirebbero le mie < ognizioiii e, aggiungete, le jnlinite occu- pazioni . Ad ora ad ora assomiglio la vostra scrit- tura a quvlle larghe cornici , che in mezzo a cen- to trastagli , pr-irnettono che si traveda appena un piUno di dipiri'o . Questo appunto : né io me ne risento , anzi nou dissimulo , che anche il poco che ho detto , lutto è vago ed incertissimo : poiché quale sp^-ran/a di stabilità può ibadarsi siili' inter- pretazione di un indovinello, che è la stessa in- certezza ? Jo so bene , che ognuno che leggv?rà dopo di voi vorrà accusarmi qual di stranezza, qual di teme- rità e ceitameute non io farà a toito, taa^o aggiustan- dosi quelle taccie a chi si afiida di scendere nell'arringo dispaiato di ben riuscirne. Io però, che solo per voi mi condussi a scrivere, pur vergognandomi meco stt-sso del mio ardimento, ripetei ò a voi quello che grecamente scritto in un anello posseduto dallabb. Fauvel fu così trasportato in latino : Pro luhito locjiucntur ; dlcant quod velini , nihll enini curo : tu. me ama., expedlt quippe Ubi. O se pure del mio scritto vi prenda compassione , e vogliate rispar- miargli il vitupero degli altri , farò volentieri a luì quello, che ì romani disegnarono di fare agli schia- vi d' ogni sesso, poscia che, come narra Plinio I. '4^. 2. , le preghiere delle vestali non valevano a ritenerli nella fuga dai loro padroni . Furono af- fibbiati loro de' collari di bronzo e di piombo con certe inscrizioni, che palesando la fuga dei servi esortavano ognuno a trattenere i fuggitivi , e ripor- li nelle mani de loro signori, ex : gr : tene me quia fugio , et. revoca me in septis e e. Antico sigillo roihano ec. 343 Intendete , che questo mio sciitto porta uà collare segnato da'la stessa inscrizione. Sedotto da un' amica troppo lusinghiera , che fu V amicizia , fuggì dal suo padrone, al quale, se vi piace lo ri- melterete, dopo che gli avrete consentito di pas- sare alcun' ora nelle dolcezze dell'amica . Così as- sai m 'glio sarà per voi provveduto allo scritto, e al nome di chi non seppe non addimostrarsi . - Bolognaf,3 Aprile 1819. Luigi Giusostomo Ferruzzi . Istoria di Milano del ca^mlier Carlo de Rosmini roveretano. VKjlumi 4- in 4- Milano dalla tipo- grafia Manini e lìi^ulta. §. I. v_-^o"S3pcvolG 1 che i tipografi Maninì e Ri- volta di Milano avevano finalmente condotto a ter- mine la edizione del tanto desiderato lavoro del ce- lebre signor cavalier Carlo de' Rosmini su le vi- cende di quella insigne e gloriosa città: non so esprimere quanta fosse la smania mia di vederlo. Io era troppo innamorato di questo scrittore egre- gio; e le prerogative che ravvisato aveva in mol- te belle sue produzioni stavanmi così profondann«n- te scolpite neir animo : che tutta naturale tale ma smania poteva dirsi e nulla mirabile . OltremoJo sensìbile e sempre alle sventure degl'infelici, co- me avrei potuto dimenticare la tenera e spesso la- crimosa commozione con cui lessi la patetica e ra- gionata vita di Ovidio; e l'orrore che mi scorre- va per ogni vena al grave racconto delle varie si- tuazioni terribili in cui trovossi il maresciallo Tri- 22 344 Letteratura, Yiilzlo? Differito il compimento dell'ardente mfa brama dal tardo arrivo de' quattro gran tomi che. X opera cont^ni^ono a questa dominante dove non sempre dimoro : ebbi finalmente il piacere di aver- la in mano il dicembre dell'anno precedente ; e al- lora fu die in una specie di estasi assorto , o cit- tà grande e famosa, sclamai , la quale in Italia tra le ptinae risp'endi , ecco giunto il lieto tempo di considerare nel pii^i ampio prospetto i gloriosi tuoi fatti; ed ecco che la descrizione de'mtlesimi ve- desi a fine condotta da uomo di none consacra- to alla immortalità e a' dotti carissimo , p^r le sue aniecedenti tutte encomiate produzioni : oiid' è che non m inca ne all'autore copiosa e sublime mue- ria per degnamente occuparlo ; né a essa chi focr nitQ sia di quanto valore è mestieri per degnamen- te trattarla . 8. a. Non aveva io sì interessante lettura ul- timalo , quando chi con provido senno presede al- ìn direzione di questo giornale arcadico si c nipli speciali in aver confutato l'autore della M i scella ., da cui fu detto che Milano incendiata e distrutta non fu da- gli unni ; e fatto la censura anche di Procopio quando scrisse, che i goti e i borgognoni invaden- dola, trucidarono trecento mila cittadini: macello da non ammettersi in una città la quale aveva a que' tempi due miglia e mezzo di circonferenza sol- tanto . ^. io. Non la chiarezza , di cui nulla di jriù dolce rinvenir Tullio sapea nella storia: alla qua- le si Odetto ile e politica la quale per sc^ coli tace ò è scarsissima , la storia ecclesiastica. Im- perochè i lessici traducendo il vocabolo latino ci- \hIìs derivante da civitas x\A greco 'noKnìiXpa deri- vante da TToAfff che vuol dir ci\>itas ; e in conse- Storia milanese di Rosmiìvi 355 gueuza il greco iroKiriXP'^ nel latino cIjìUs : il ci- vile e il politico non son forse lo stesso ? Que- sta è r obiezione . §. 20. Credo che possa rispondersi , non es- ser novo , che quando i vocaboli latini deriva» dal greco , nel discostavsi dalla loro sorgente , faccia- no talori, cambiamento del primo stretto signifi- cato. La parola yx^ianyjxr per esempio derivante da XP^wv vuol dir regolare. Or come una classe di clau- strali prende T appellazione di canonici regolari ? canonico regolare non significa regolare due volte? Sì , sembra che etimologicamente significhi questo. Ma Tuso , al quale appartiene ogni arbitrio sopra il linguaggio , il significato di •yjiamiyjiiT da quel* \o dì regularis con T andare del tempo ha distinto : talché '^mmiyjìa denoti una specie , e regulnris un genere; e male si spiegherebbe chi invece di or^ clini regolari dicesse ordini canonici . Così e7r/il briga dicasi con Dante quel- la che i cittadini concerne ? Ed ecco perchè a ine 35G Letteratura sembra che drillo civile e oon politico dicasi quel- lo di cui hatt.jiio le instiiu/iioni di Gius'iniatio ; e perchè civili chiamiusi quelle guerre le quali noa vedoosi accese pe»; necessità di governo ò per di- fenderne i legittimi dritti; ma per contumace odio di privati , un partito de' quali tenta l'altro distrug- gere. Ciò posto, siccome lopera rosminiana noti tratta solo di ciò che concerne la ragione di sta- to ma include anche ciò che disgiuntamente da essa fecero i milanesi : ecco perchè con tutta pro- prietà civile e politica pare a me la storia delle vi- cende e delle guerre della loro città nominaisi. ^, -12- A» endo congetturalo qualche altro dal semplice titolo di Storia di Milano , che essa risa- lisse alla fondazione della città e alle venture piìì antiche ; e pe tempi di m^z/o scendesse a (pjelli ne' quali Milano si è anche vista divenir novamen- te per poco metropoli di un regno : ha trovato occasione di censurare il signor ^d «'Rosmini perchè quella che da lui chiamasi <'Spressamente k storia e prende incominciamento con inscrizione di libro I alia pagina i5i del tomo I, comincia soltanto all' anno i i J3 in cui fu elet o re di Germania l^ede- rico Enobarbo; nel modo stesso, ghe il libro XVIH con cui le dà termine non oltrepassa il^ vòSj in cui imperaior Carlo f'^ fa ricoìwsciuto sovrano di Lombardia ; e ceisò Milano , così volendo il suo Jato^di esser capo e metropoli di nazione: onde a primo aspetto non pare , che questa storia ali re. contenga fuori di ciò che trecentottantatre anni appai tiene. Questa censura pertanto ha per oggetto il non essersi dato da lui all' opfra sua titolo cir- coscritto dalle epoche , gli avvenmienti delle qua. li ha preso per scopo principale di sue fatiche, Z. 23. Quanti esempli può egli addurrò in pr-o^ Stoma milanese di Rosmini 'SS^ pria difesa rispettabili assiti / { due bastantemente autorevoli di Bembo e Gniceiardini vagliono tut- ti gli altri. Il primo intitola lìpnim venefarum Iti- ìstoriae Topera stessa cui dà principio coti (jupste parole : Urbis vencfae res annoruvi quatuor et qiut- dmginta scribere a^'j,r-edìor ; — p il secondo in .|uella che chiamò La histuria d Italia^ entra assola tumea- • te con dire : fo ho d'iiherato scrivHre le cose ac- 'Cadute alla memoria nostra in ttUia da poche la ar- mi de franca' Si cluamaie dà nostri principi- medesi- mi C'^miuGiarono con granìiìsimo nostro danno a. perturbarci : di altro ivi non trittauJo , se ooii di quinto accailr! dail i ve.Tit.i di Jirij ^:iL al .jìò. 8. 24. liceo d(jn(|ue il diiUo che col suo ti- tolo di Storia di Milnno verificato colla disposizio- ne dell' opera , in cui di storia ad altro non si dà nome se non alla natra*.ifa delie cose accadute dal ii^Sa ai 1 5 J j , sembra che il signor de' tlusmi- ni devolva ne leggitori : (ju'lio cioè di essere in- struiti di CIÒ che accadde drdl' uno ali" altro degli anni suddeUi. In esigere il qual drillo, essendo ac- ca-luto che la impazieu/.a d'alcuni sia sorvolata dal- la dedicatoria al di sopia della prolissa introduzio- ne di pagine i4'j7 per giungere immediatamente e di slancio al primo libro della storia; e gli abbia iattrislali il supposto , che limitata sia la narrazio- ne a soli anni, ct>me ho detto, trecentottanlalre, con priva «'H cosi l'elegante storiografo del piacete di ve ilei tomo I conlicuii nuu già cosa le quali bunchiì ap- Storia, milanese di Rosmini 35$ partenenti alla storia milanese, sieno tutt'altro che ìa medesima : la storia stessa bensì dalla orit;ine della città, fino a tutto il ii5i ; e si chiami in- troduzione alla storia ciò che è storia non meno di quella ne'dicidotto libri narrata. ^. 26. Se ciò abbia esempio in autori meri- tevoli d'esser presi a moildlo , confesso ignorarlo; e certamente tale esempio noi trovo nò in Tuci- dide ne in Polibio né in Livio né in VlachiaveU lo. Propostosi il primo descrivere la guerra del Pe- loponneso, e incominciandone il racconto dalla co- rintiaca contro quei di Gorcira : tesse 1 epilo- go della storia greca sino dalla uscita di Serse di Grecia, non in separato prologo , mi nel suo li- bro I — Il secondo detfi minato a cominciar la sua storia dalla Olimpiade CKL, le dà senza prefazio- ne assoluto principio col libro I, in cui colloca tutto ciò che crede opportuno a sapersi prima di scendere ai suo speciale soggetto. — Il terzo pre- mette bensì alia rnm -na stona un proemio brevis- simo , in cui d'ultra cosa non dà conto che de motivi di scrivere ; ma narra egli pure solo nel libro I quanto opina doversi premettere dallo in- cendio di Troja alla fondazione di Roma. — ili Ma- chiavello il proemio della sua impiegando in sog- getto non dissimile da quello di Linio , dice ia esso , che avendo destinato da principia scrivere le cose di Fiorenza dal i4.34t ^^ '^"^ la /amiglia deAIedici. per i meriti di Cosimo e di Giovanni suo padre prese più autorità che alcun altra : riso/ve poi meglio cominciar la sua narrazione dal tempo in cut quella sua patria cominciasi a nominare , e tutti gli avvenimenti che precedettero quelT aimo nella in- troduzione non li conlina , ma li divide ne primi ijuattro libri , entrando felicemente coi quinto iieli' 2^ 5(5o Letteratura, epoca tJpl primo suo scopo, e continuando xi scri- Tcre fino al 1492 in cui cessò il gran Lorenzo di vivere. 8. 27. Pure allorché si trattasse di giudica- re il signor de' Rosmini per questo : non sarei cer- tamente io tra' contrarli suoi giudici ; e mi uni- rei a quelli che discreti osservassero, trattarsi me- no di un difetto anch'esso perdonabilissimo d or- dine , che di arbitrio competente all' autore d im' opera di estrinsecamente disporla a pioprio g<'nio ; e innocenlissimo d'altronde , se non deiraudi il leg-r citore di nessuna parte di ciò eh' egli ha dritto ò desiderio di rinvenire nel libro ; ed essere in so- stanza per chi legge lo stesso , apprendere le vi- cende milanesi anteriori al ii52 ò per m^xzo d'una introduzione; ovvesaniente per quello di due ò Ire libri i quali aununtassero il numero de' dicidolto in cui la così delta storia dividesi. 8. 28. 1 piò alti lamenti peraltro contro l'in- signe scrittore li fanno quelli i quali non possono perdonargli aver detlo , che in vece di seguir Ic" sempio di alenili dottisóimi sforici oltramontani^ ha. €on soverchia breviu) parlalo de principii e depro~ eressi d^lle arti pia utdi quali sono a^ricotiurn e commercio ; e infdtsiniamcìife di qwlli delle scien" ze e della lettere ; che non ha fat4o trippa frequente uso di sentenze e di ri/lcssiuni , acciò qiveste 4iscefv dessero spontanee dalla mente de legi^ifori , anzi' che con importunità provocarle-^ e che è stato uni- co int(ndimento suo non coni^iun^ere , come si è dello di sopra, con la civile e politica la storia ec- clesiastica- ^; 39. Come ( d'cono questi queiiili) può uno sto- rico a dritto vantarsi di pitrlare con bre.'ità sover- chia di a,rli le più utili di Suienze e. di lettere -. Storia milanese di Rosmini 3Gr Inlte cose le quali influiscono oltremodo nelle azio- ni di uà poi^olo; e decad'^mlo ò risorgendo ne va- riano sempre la sorte? Come avrebbe demeritato de' leggitori suggerendo loro con più frequente uso di ìiforismi le riflessioni oppo: fune sopra le cose nar- rate , senza cotllidarne l'arbitrio alla loro non sem- pre sana ragione ; e così meglio contribuendo al fine della storia, la quale ci narra le trasandate co- se pi»r documento dell'avvenire? E come là sto- ria di gran città , uno de'ma^giori pregii della qua- le è di esser metropoli di una delle piiJ insigni chie-. sé del cattolico mondo, può andare disgiunta da quel- la della chiesa medesima ? ^. 3ò. Ingiusti che sono ! E dove trovano primieramente brevità soverchia nelT opera del si- gnor de' Kosmini , allorché parla di arti di scienze e di lettere? E come non conòscdmo, che la pro- pria modestia e trepidazione è quella che lo indu- ce a incolparne ingiustamente sé stesso ? Pieno il capo di tutto il dottrinale analogo a dctli oggetti; e conoscendo quanto sopra ciascuno di essi in ope- re separate potrebbe dirsi: chi non vede eh' ei sì rattrista di dover restare tra certi confini , oltre- passare i quali avrebbe consti tuito del suo lavoro un guazzabuglio immeritevole del nome di storia? Ma tra questi cohlini anche ristrettosi, gli si può forse riniacCiare difetto dì quelle notizie che la sto- rica necessità da esso esigeva ; e dalla sobrietà vo- luta dal geilere del suo lavoro gli era permessa? Smentendosi le dichiarazioni sue dal fatto delle sue produzioni : sembrami udire colui il quale invitan- do qualcuno a lauto convito, gli dice che seco lo attende a far penitenxa : imperochè aprendo il suo libro , di tutte le cose trovasi sufficieutemeule for- nito, di cui suppone penuria* 36S LlTTKRATURl. 8. 3i. E per darne alcuni cenni presi da quel- la introduzione che qualche giornalista ha chia- mato prodigiosa , per avere e^li saputo racchiuder^ vi fanti svariati eventi di questa bella penisola i qua" li abbracciano il periodo di quasi dicidotto secoli ; e un bellissimo e lungo squarcio della quale qual- che altro ha trascritto in prova della perfezione dell'opera tutta t che cosa poteva e doveva dell' agricoltura diredi più lo storiografo, ( (he il ge- orgofiio avria tenuto certamente contegno diverso, ) anche se espresso sì fosse di tener dietro alle sue vicende, dopo aver narrato , che uno degli effetti della invasione de'barbari fu , che abbandonata fos- se qucst' arte vera sorgente della felicità e della ricchezza de' popoli ; — Che re Teoderico tutte le sue cure rivolse a promoverla ; e che veden- do ampli tratti di terreni per mancanza di braccia che li coltivassero sterili divenuti e paludosi , con pregiudizio anche della sanità: malgrado della di- visione delle terre, fu obbligato a offrire in do- no a coloro che promettevano coltivarli campi va- stissimi abbandonati daloro possessori; — Che Nar- sete a quest'arte fu favorevole ; •— Che i langobardi non la promossero: di che sono argomento la graa quantità di paludi, / n^oìliss ni hoichi e stlve^eW nu- mero eccessivo di saltuarii cioè di custodi de' boschi di cui le carte di que' tempi fanno men- zione ; -— E che la decadenza dell' agricoltura de- rivò , come si crede , da quello che fece la popolazione, pel numero grandissimo delle per- sone le quali , tollerar non potendo la durezza e la crudeltà de' langobardi , segnatamente ne' tempi del furioso re Cieli e nel successivo de' trentasei du- chi , abbandonarono la patria ? Tale esempio va- igli» per gli altri oggetti . Storia miianese i»i Rosmini 363 §. Sa. E circa il da lui non riputato troppo frequente uso delle sentenze : son pur tutte sue le seguenti che in parte della introduzione medesima disseminatesi vedono: Il comando non ammette vo- lentieri compagni . — • L' uomo timido e vile ne* casi avversi, a ogni aura di fortuna che prospe- ra spiri diviene audace e insolente. — La dispera- zione talvolta converte i vinti in vincitori . — Niu* ho il tiatìvo suolo le proprie fortune e la propria famiglia abbandona per andare ramingo e scono- isciuto in paesi stranieri , quando la sua patria sia sottoposta a giusto liberale e dolce governo. ■— L'Ita- lia fu sempre , sventuratamente per noi , lo scopo piti ardente dei desiderii de' monarchi oltramontani. — Le minacce scompagnate da fatti armi sono del minacciato . — I cattivi esempii più che noni buo- ni d'ordinario sono seguiti. — Quasi sempre addivie- ne che i popoli usano della loro libertà per toglier- la altrui. — — i\on vi ha più eloquente ed efficace ora- tore delle tribolazioni. Se come stanno queste sen- tenze discretamente e con saggia economia sparse neir opera , si succedessero a ogni periodo , e ne fossero affollatamente ingombrate tutte le pagine : chi pili potrebbe chiamarla una storia , e non piut- tosto una sfilza di politici e morali aforismi col ca-» so pratico annesso ; e la seconda parte deUenchi- ridio d'Lpitetto ? §. 33. Vengo al suo divisamento di non con» giungere alla civile e politica la ecclesiastica sto- na . Distinguiamo . Altri sono gli avvenimenti ec- clesiastici i quali politicamente riferiscono anche al- lo stato , e con la storia dello stato indivisibilmen- te connettonsi ; e altri quelli che hanno per ogget- to dogma e disciplina , e formano propriamente quella che ecclesiastica storia si chiama. Tacer de 3C4 Lettératwra primi obbligato avrebbe^ l'autore a interrompet'e be- ne sposso il filo delle narrazioni inlraprese, e for- mare lacune vasti-^sim" ; e si sarf^bbe egli ostinato altresì in progetto assolutamente ineseguibile, qua- le appunto è quello di spparare la storia politica d' una città , le cui più splendide pn-rogative ban- Jno per origine la ragione canonica, dalle vicende politicbe della sua chiesa. 8. 34- li per limitarmi a qualcuno deTattì di tal carattere di lui nella iiitroduzione narrati : ec- co percbè, esposte le irapiese di s. Ambrogio, ora parla de' privilegi! esercitati da arcivescovo- à.nsper- to dì coronare in Pavia re d' Italia jCarlo calvo» e da arcivescovo Lamberto di trasferire la corona- zioni» a Milano, e ivi e non altrove porre la coro- na sul capo di Ugo duca di Provenza : prerogati- ve ecclesiasticb? tanto proprie della cbiesa milane- se , cbe re Ardoino fattosi coronare non da arcive- scovo Arnolfo ma da prelato diverso, produsse la proria rovina, e l'offerta dellitalico regno al bavaro Ar- rij,'o ; e cbe dalla cbiesa milanese coti energia so- slmute , contribuirono alla grandezza dello stato , e la trattativa de" fatti di quella e di questo iena-; cernente e necessariamente congiunsero. —Ora par-- landò dello scisma il quale, morto arcivescovo Ar-' (leiico, nella cbiesa di Milano successe per la dop-'. pia elezione di Adelmanno e Manasse ; e de" bia-i simevoli mezzi con cui arcivescovoLandolfo diCarca- iio hi «"letto e ricuperò quella sede, dopo esserne stato espulso. — Quando delle imprese di arcivescovo Ari-, b' rto ; della prigionia alla quale fu condannato da impf'raror Corrado ; delle premure usate per ottener- gli, la libi-rtà ; della sua fuga ; d(;llo scisma tenta-* to dal! imperatore con nominargli successore da'cit-i ladini non voluto riconoscersi ; e della invenzione Storia milanese di Rosmini 3G5 a lui dovuta del carroccio , in cui non cerclierò se possa considerarsi molto abuso di religione. — Quan- do de'niolti disordini introdotti in quella gran chie- sa, specialmente per la simonia e ppl concubinato de-^ gli ecclesiastici ; dello Zelo con cui Arialdo ed Er- lembaldo si sformarono estirparli ; della morte che questi costantemente soffrirono ; delhi loro canoniz- zazione; dello scisma che in conseguenza ne av- venne ; deir altro scisma della chiesa di Como, per la elezione di vescovo Guido fatta dal clero , e di Landolfo fatta da imperatore Arrigo V; e degli av- venimenti d indole varia , cioè concernenti sì la chiesa che lo stato da ciò c'eri vanti. ^. 35. Questa non è la storia ecclesiastica , da cui ha detto il signor de' Rosmini voler separare la civile e politica ; ma è la civile e la politica stessa , la tela della quale dì delti avvenimenti ne- cessariamente s' intesse ^ Perlochè vederlo trascor- rere per questi fatti , non gli produce il rimprove- ro che da alcuni ode farsegli, di non aver potuto né saputo restar fermo nel proposito al quale erasi egli obbligato da sé medesimo. Lunga promessa^ essi di- cono , e attender corto . §. 36. Se fosse entrato nella discussione di te- si dogmatiche , di teologici problemi , e di punti disciplinari t cose tutte le quali constituiscono il vero oggetto di quella che chiamasi propriamen- te storia ecclesiastica : oh in tal caso sì che si po- trebbe rimproverarlo di non avere né saputo né potuto osservare il piano da esso annunziato a'iet-; tori. Descrive forsVgli le controversie che insorse- ro nel concilio milanese il 343.1 allorché i vescovi Eudossio Martirio Macedonio e Demofilo legati del-- la chiesa orientale una formola di fede esibironvi da essi data per orlodos.sa ^ e da padri per moti-- 3G6 LKTTKRATUJlà Yo di novità di espressioni e di soppressione delU parola consostanziale ^ come eretica rigettata e pro- scritta ? Forse descrive la ritrattazione che fecero dell'arianesimo nell'altro milanese concilio del 3òo 1 due celebri vescovi Ursacio e Valente principa- li autori di quella setta ? Ovveramente narra quan- to accadde in quello del 355 tra i generosi vin- dici della innocenza di s. Atanasio , e il fiero par- tito il qnal sostenuto da imperator Costanzio il vo- leva oppesso e condannato : perlochè quel conci- lio il quale per la sua convocazione potrebbe dir- si ecumenico, a motivo de' disordini e delit- ti che lo macchiarono tra concilii legittimi non si annovera? O almeno specifica i canoni del con- cilio del 1287 con cui fu provisto alla osservan- za delle regole monastiche, alla rigorosa clausura delle sacre vergini , alla preservazione e ricupera de' beni delle chiese, alla esecuzione de* legati pii, alla pena degli spergiuri e de'preti cacciatori ? Que- sti sono oggetti di vera e propria storia ecclesia- stica . De' quali ò il signor de' Rosmini ha tratta- to ò non ha trattato. Se ne avesse trattato j me- ritalo avrebbe il rimprovero d' avere incluso ciò che dichiarato aveva di escludere. Ma egli non ne ha in verun modo trattato : dunque né questo rim- ppovero merita ; ne merita condanna per aver se- parato la storia propriamente detta ecclesiastica dalla civile e politica , alla quale teologiche discus- sioni e mistiche controversie poco ò nulla conven- gono . ^. 37. Cosi riferiti i sostanziali pregii ricono- sciuti neir opera egregia del signor de' Rosmini , e distrutti gì indiscreti e assurdi pretesti d esterno discredito : quando al dottissimo letterato non si dia scrupoloiio carico di qualche raia inesalt«zza Storia niiLAitESE di Rosmini 367 sparsa per l'opera : sono d'avviso , che questa sto- ria di Milano possa annoverarsi tra le più prestan- ti letterarie produzioni di cui fastovsa vada l'Ita- lia ; e la si possa prendere per esempio del mo- do con cui lavori di tal genere debban condursi -a esecuzione vantaggiosa e felice. Ho detto alcune rare inesattezze; ed egli, pagando un leggiero tri- buto alla umanità , vi è sdrucciolato , se mal noa mi appongo , ne' casi seguenti. §. 38. I. Dicendo alla pagina 72 della intro- duzione, che gli ungheri sono popoli usciti dalla Scizia e dalle paludi del Tonai e discacciatori de- gli Unni dalla Pannoni-a: benché avesse d^tto alla p. 2 3 che gli unni erano tartari i quali vennero a porre la loro residenza in Pannonia • il guai pae- se da questa gente prese nome d Ungheria. S. 39. II. Facendo morire imperatore Otto- ne IH in Paterno leco del contado di Civitacastel- lana : fidandosi alla cieca intorno a questo del noa infallibile Muratori ; e cadendo nel non raro equi- voco di chi scrive delle cose di que' tempi, per aver perduto di vista , che detto principe partito da Roma , come prova Cosimo della Rena nel- la sua Serie di duchi e marchesi di Toscana ^ cele- brò in Todi il natale 1001 insieme con papa Sii* vestro II; che tendendo a Ravenna per la via di Toscana, onde farsi monaco sotto la disciplina di s. Romualdo » non era più a portata di retro- cedere al Paterno di Givitacastellana, ancorché tal loco avesse esistilo ; e che per conseguenza quello dove Ottone morì il 2Ó gennaro 1002 bisogna ri- conoscerlo nel Paterno anche oggi esìstente nel ter- ritorio perugino , e non nelT altro forse ideato da Magini, per non aver capito Leone ostiense unico «erittor di tal cosa. Se questi avesse anche detto , 3G8 Letteratura elio Gitone morì apucl oppicìum quod nuncupatuf^ Patcnmm^ non lungo a ci^ntate quae dicitiir Cas^el^ lana: chi avrebbe pollilo decidere, essersi da lui "Voluto indicare non Gìtudicastfllo ò sia il tiberino Tiferno poco discosto dai Paterno perugino; ma Civi- tacaslelUina riputala erroufanicnle per molto tempo l'antica Vejo ? Ma vero è che il codice della cassinese cronica di dello Leone, pubblicala da abate Angelo della Noce in Parigi il iGCiS, e ripr(jdolta d^il iVlura- tori ne'suoi R>'rum italicaiuni scr/pfores, non ha f/uae dicilur Casttlland-^ ma bensì quac cììcitur Castellina : il che dovria per lo meno render perplessi gli scrii-' lori in giudicare , di quale delle due città parlare egli abbia voluto. ^'. 4o- III- Dando il vanto al sommo italiano tragico Alfieri, che l'avvenimento dì Kosmunda mo- glie come tutti sanno di re Alboino, sia noto e ce- lebre pia ancora che per la Rosmujula tragedia di Rucellai ^ ( Giovanni,) per quella sua del titolo stesso . Il che a me sembra non potere asserirsi , se non ammessa una di queste due strane suppo- sizioni. La prima, che la notorietà e celebrità del- le morti di Alboino e Rosmunda , come la guerra titanica, la mulilazione di Urano e le imprese d Al- cide, abbiano per unico appoggio poetiche narrazio- ni ; e non piuttosto la vera storia de' Langobardi e la testimonianza di Paolo diacono, circa le co- se di quella na/,ioue autor classico , il quale essen- do ora il più antico tra quelli che ne parlano^ può in conseguenza considerarsi qual vero l'onda- nienlo della notorietà e celebrità di que' fatti. La seconda , che potendo esse piutUosto che dalla sto- ria dipendere da Iragpdie: qiiclJa di Rucellai, a dir vero ili leggiero \alore ma più antica, (essendo sta- la impu-ssa m Venezia il ij^6.^) e. in cui prenden-. do li poeta per suo soggetto la uccisione di Alboi- Storia milan^b5e di Rosmikt! '369 no , dal racconto di Paolo non si discosta : vi con- tribuir : pfr( h} il pro- • „ mettere sulla fida jza dellv; muse s.ticbb'r feme- „ ri là Solo vi dico eh" porrò ogni mia Ibr^a per „ idi conleuia la vostra cortesia. Addio. Amale- „ mi siccomiì io v' amo. - Di casa a 22 dicem- „ bre 182.. „ Cosi il conte Giulio p.nsava di quelle sue ;.^Cose: né si lidava neppure di recitaile lu un'ac- . cadciuia, dove , bone spesso, come, ognun sa, ba- sta aver solo ùu bel modo di. porgere per trarre a dovizia gli applausi, ovvero, ptr dirlo alla;mariie- ra del liei luccioli , per tar battere a palina le ma- ni (ij. i/i cheli Pei tican non dovea certo temere. -, (1) l'afe'. 47. Memorie e rime del PcnTicARi 37^ f)r che avrebbe egli detto se anzi avesse dovuto Vederle coli' onorato suo nome in fronte mandate attorno in istampa ? Anche al Pert Icari adunque , dopo che Idia eolla morte levagli di mano la penna (2), è tocca- to ciò eh' avvenne all' Alfieri e al Parini : de'q la- li si pubblicò da gente venale o inesperta tut- to quello che fu trovalo loro sullo scriitojo: sti- mando pazzamente che ninna cosa possa scender giù anche improvisa dalla penna d' un uomo som- mo , che subito non sia eccellente e perfetta: e che la fama d'un buono possa far buone anche le co- se pessime. Il che quanto sia fuor di ragione, niun savio è che Io ignori. Onde consigliamo vivamen- te il sig. iVlelandri di Lugo a tralasciare curi se per le noz- ze d'un suo cugino : ed era st.tt» , prima che la mettesse fuori il Bertucciuli , tre altre volte stampa- ta, (jenliìissimà poesia , e tutta bella dell' oro che avea saputo l'autore con avviso così maestrevole raccorre ne' tesori de' classici. La quale poi se vor- rà che non vada unica nella sua edi/.ione, cerche- rà di darle compagna la traduzione di quella fa- mosa egloga dei Petrarca tra Panjilo e Miziune : e (2) Pag. 42. G.A.T.AYI. ^4 S>^6 IjJTTERATTJRX non potendo ciò fare , pubblicherà qiiaìclie bel p!»s- so della sua cantica intitolata ad Amerigo dpgli Araerighi : cosa mollo studiata dal Pt^rticari, e mes- sa fuori il 1811 in Milano quand' e^li avea già la- sciate le frasche del Frugoni e del Bettinelli, e tol- to a sua grande guida il divino Alighieri . ili che ciò sia il vero, eccone un saggio: Siccome i' tacqui , pia mi confortando L'iddia gentil nel lume d'un sorriso , Di lai voci fé' grazia al mio dimando : Chi ha sì dal vero il tuo pensier diviso , Che non sai eh' a' mortali in tanta altezza É ogni cammin non che ogni voi preciso ? Che giovar mal ti può d'un dio larghezza , Mentre lo troppo fango in che ti chiudi Tanto ti porga della sua gravpzza / Qui non di cetre ad oziosi studi. Qui per palestre, onde valor s affina, S intende e suda a'fatìcosi ludi. Segui esemplo di mia turba divina:. JNTè 1 lauro scarso procacciar contendi. Che largo a poche fronti il ciel destina' Onor dfgtio de' forti a' forti rendi: E a ben laudyr lo sangue degli eroi Dentro la scola della forza apprendi. Tempo era che li regi anco fra voi Omaggio avcan ben altro che di carmi , Quando i serti onde ornarli eran da noi,. Marmorea alior nel deriso circo starmi 1' godea , il fior mirando de bennati Gaizon scontrarsi in duro giuoco d'^^rm^. O vagissero infanti a scettro Uriti , O s'innovasse una effìgie di guerra Per Icti/ia di regni trionfali , Memorie e rime dfl Perticari Znn Come tuon che da nube si disserra , Un suon d'aste, elmi, scudi, e carra e usberghi Allo sorreva allor ppr ogni terra. I gagliardi obliando i chiu'^i alberghi In campo l'arme alla patria devote Fean sonar sopra l'anche e i nudi terghi: E in calde arene pe' destrier commote L'ardue quadrighe si vedean le lisse Mete rvjtdr colle volanti rote : E gli striduli e fessi assi e le scisse Armi ed i cesti e i dischi volar alto Fra '1 clamor delle allegre utili risse : E via fuggir le pianto al corso al salto, E traboccar chi lottando sapea Dir se duro del circo era lo smalto. Di lai pompe la vecchia età godea : j\è sol di suon di cetere e di squille A' nascenti suoi re drillo porgea. Ne, qual se il dì bevesse o Bice o Fille , \ Cantavan come donne innamorate Le genti all' ombra di palagi e ville ; Ma per prova di brandi eran laudate , E pochi i vati , e molti i forti , e nulla Cosa minor di regia dignitate. E lo tenero carme, in che trastulla Li bambin la nutrice , era di loro Che vegghiavano a studio della culla: Mentre a Tirteo ed al teban canoro Scendean fra l'arme gì' inni , che pe' forti Sudan di Giove al tron sull' aste d'oro. Nel dì che in Greta sovra i fratei morti " Campò 1 Saturnio , non voci d imbelli A gemito infantil si fean consorti: Ma qual freme luna a'ciclopei martelli Fnji'or s'alzò ch'ogni vagito avanza 3^8 Letteratura Di scossi bronzi e suon d'acciar con elli : E i coribanlì a tondo della stanza I salti avvicenderò infra le spade Una fera agitando armata danza. Nell'aureo tempo della greca etade , Che dall' opre del braccio ancor sì noma , Per tal festa ridean l'elee contrade: E 'I seme onde o^ni terra indi fu doma Per tai palestre scender tea Quirino Quando die la Sabina m madre a Roma ; E sì fra l Campidoglio e TAventino , Pari a granii' elee die s'atforza al vento , Tra le spade crescea Tarbor latino. Ne allor di mirto e rosa era talento , JVJa sul crine all'austera gìoventude Nullo fuor che di quercia era ornamento ' Cuojo ed osso cingea filalo rude , Né gian nelf ostro dallo specchio al campo Li duci paghi a poche lane ignude; Né da censo guerrier chiedeasi scampo , Né mano v'era fredda a cinger ferro , Né occhio chiuso di spada per Inmpo ; Ma ognun più aspro di caccialo verro Già dal circo ringhiando u' più Gradivo Menava a cerchio il suo bistunio Cerro: Fin che oppresso pugnava e semivivo Strascicando lo scudo e l coipu infranto Orribilmente sì eh' io non lo scrino. Né strappavan sul figlio i crini intanto Le strenue madri : e le vii ili spose Su' freddi letti non versavan pianto: Che perigliar per lizze paurose Gli avean pria visti e disiali , vaglie Non di boi cigli . ma di man famose, ec. Avremmo nominato anche {[Prigioniere aposto- Memorie e iiime del Pekticari S79 lieo , poemetto in tre canti scritto dal conte Giulio il i8'4 per lietissima circostanza. Ma bene si sa che quel pregio ed onore degli eruditi intelletti (3) lo compose nel brevissimo spazio di otto giorni : né permise che si stampasse , se non a patto di tacervi il suo nome. Queste poche parole intorno a' suoi versi. Ora vorremo lodare almeno il Bertuccioli per le cose dette da lui nelle Memorie per servire alla vita del Perticari . Ma ci spiace di non poterlo far sempre, tenendo eh egli non abbia spesso toccato il vero intorno le opinioni di quel gran letterato e filosofo e cittadino, che ninno al pari di noi ha più inti- mamente potuto conoscere . Se non che queste co- se meriterebbero qui un più lungo ragionamento ; che forse a varii tristi e accigliati non piacerebbe. E però piglieremo a trattarne altrove : troppo ca- ra essendoci la memoria e la gloria di Giulio no- stro, al quale con pubblica indignazione si sono ora a un dipresso voluti mettere in capo gli stessi av- visi delle la Vanda je di Fontanarossa o del sacrista- no del duomo. Ma tacciasi ora di questo: e passiamo ad al- tre considerazioni. E piaciuto al Bertuccioli ricor- dare i primi maestri che insegnarono a Giulio la Santacroce e il donato, anzi quel prete medesimo che il battezzò : cosa , come ognun vede , necessa- rissima , e da doversi perfino illustrare con una no- ta. E per poco non ci stese la storia della nudri- ce che T allattò sotto gli occhi de' genitori e degli avi . Ma il far sapere gli altri fratelli che il con- te Andrea Perticari diede al suo primogenito Giu- (?) Pag. 53. 38o LETTERAtURA lio non si è poi stimato in veruna gnìsa opportu-i no - Ond' egli ha trascuiiito affatto di nominare i due viventi (liuseppe e Gordiano, e quella loro so- rella Violante, cui lutti sanno di che dolce amo- re il povero Giulio amò sempre in tutta la vita sua . LI con ragione : perciocché poche altre don- ne noi conosciamo , che per altezza di mente e bon- tà di cuore sieno a quella gentile dama da ugua- gliare . Si «sono ben riferite le accademie, alle quali Giulio diede il suo nome : ma si è poi passato in silenzio quello che mollo più delle accademie fece- ro a lui onor grande, cioè tutte le buone e illu- stri amicizie. Il che un diligente isiorico non do- Vea mai trascurare, solo eh avesse vedute le coper- telle delle vite scritte da Svetonio e Plutarco. On- de va egregiamente che il Borluccioli abbia , seb- ben così di passaggio, nominato il Gassi, il Bor- ghesi, il Biondi, r Amati, il Betti, T Antaldi , il Paoli, il Petrucci, e il di- JNegro : ma prTchò non usare la medesima cortesia con quegli altri, che il conte Giulio ebbe ugualmente carissimi , vale a dire col Canova, coll'Odescalchì , col Tam- bioni , col Costa , col Ferri , col Santucci , col Roverella? Perchè non dire una sola parola della grande benevolenza che gli ebbe sempre monsignor Carlo Mauri ? L' asserire che il Perticari apprendesse mai nul- la di greco dal nostro Amati , è pure un asserir cosa falsa : e T Amati slesso ne ha riso. Si sa che il Perticari non si tenne mai un gran che nelle let- tere g^reche, valentissitno com' egli era nella lin- gua ialina e nelT italiana : e che quelle traduzioni di Filostrafo d' Alcifrone e d' Aristentto furono la maggior parte latte da lui sul latino per semplice Memorie s rime del PerTicari 38i ksercixio di bene Scrivere , e non per concederle al- le stampe . Faléo è pure clie Giulio volgari^zasse xnai tutto Catullo . Egli non volgarizzò e pose al- le stampe altro che il poeriietto delle nozze di fe- ti e PeleO : del quale rideva poi saporitamente ne- gli anni maturi , essendogli perfino sfuggito un ver- so di i8 sillabe. Tale è quella versione che il Ber- luccioli chiamò magnifica (4) • Gesummaria ! ! Ma avendo egli ricordate queste sue baje, per non chia- marle col Perticari medesimo letterarie vergogne , perditi noti dir anche in buon'ora una sola parola della traduzione del Pervigilium VeneHs ^ a che Giulio per tanti mesi del i8o5 si stette occupato? Del resto se il Bertuccioli avesse letta la no- ta del Perticari, posta a pie della pagina vi del volume di g(mnajo 1820 di questo giornale, avreb- be saputo eh' egli a buon . dritto ritrattò la Sua prima opinione di stimare che quel leggiadro poe- metto sulla morte del Redentore fosse opera del Boccaccio . Che Giulio poi si dicesse Alcex> nella simpie- xnenia del Rubicone pel grazioso suo verseggiare, è pure falsissimo . Perchè tutti sanno che 1' anti- co Alceo fu poeta grave e magnifico , i cui terri- bili versi non pur dileggiarono Pittaco, ma can- tarono i discacciati tiranni e gli esilj . Onde Ora- j zio disse ( Od. 9. lib. iv ) : ..... Alcaei minaces Stesichorique graves camoenae . E prima avea detto ( Od. i3. lib. lì ): Et te, sonantem pìenìiis aureo , ^■1 ■ ». !■! I. ■ . .1 imi uh' » (l'iÉt 382 Letteratura jlìcnee , plectro dura nai>ìs , Dura Jugae mala , dura belli . Non dunque dalla grazia del verseggiare , ma 4 dal capriccio accademco, come spesso suole suc- cedere , o dagli alti suoi spiriti Tu imposto a Giu- lio il nome d' Alceo . Ma non è questa la sola menda letteraria, che, lasciamo slare le magagne del dirf', si trova nell'opera del Berturcìoli : perchè anche a pag. i6 ( nota 1 7 ) dov' egli loda il J3orgln^si, dice che il nome di lui vola glo'iuso dovunque si onorano l archeologia e l antiquaria. Quasi che l archeolo- gia fosse una scienza diversa daW antiquaria . Intorno quel miracolo di s. Luigi Gonzaga, di che egli parla sì francamente alla pag. i3 , noi lodiamo invero la cristiana pietà del signor segre- tario del comune di Pesaro. Ma vorrà anch'egli conce- derci che noi , altrettanto buoni cattolici , gli ri- duciamo almeno in memoria la severa bolla del pon- tetice Urbano VI IL Per ciò poi che appartiene alle lettere , che abbiamo noi pubblicate in questo giornale , dire- mo al Bertuccioli ed a'suoi pari , eh' elle ci sem- brano esspre una parte grandissima dell istoria let- teraria del conte (Giulio: essetidochè ivi apparisca sinceramente il vero modo suo di pensare. Né si opponga che il Perticari , scrivendo di cose tosca- ne a' toscani , usò spejso un' altro linguaggio : per- ciocché lutti sanno ch'egli era così cortese ( e chi noi sarebbe ? ) da non dir certo le villanie alle persone in sul viso . Ma cogl' inlimi amici adope- rava diversamente, e tutto con bel candore aj)riva 1 auimo suo. Anche Cicerone scrivendo a Cesare / Memorie e rime del Pkrticari 383 è a M. Antonio diceva loro le mille soavità e cor- tesie . K che per questo ? Si dirà eh' egli tenesse mai col tiranno o col satellite suo ? Non già : ma s^ol(^ , che Tullio non Tu villano. E chi vorrà ve- ramente conoscere ciò ch'egli stimasse intorno que' due romani, leggerà piuttosto le lettere che man- dava nel secretissimo a'suoi famlg^liari : le quali do- po la morte sua furono subito pubblicate senza che quei d' Arpino se ne lamentassero , o si facessero a insolentire contra Attico ovver Tirone, Olire a che si vuole considerare , che le lettere del Per- ticari toccono sempre l' universal delle cose, né juai scendono ad offendere alcuno particolarmen- te (5) : sola cagione per cui i compiliitori del gior- nale arcadico , i quali certo non apprendono one- stà dal Bcrtuccioli , le hanno senza diftìcollà lascia- te uscire alla slampa . Che finalmente il povero Perticar] ne' molti mesi di sua malattia fosse , come scrive il Bertuc- cioli a pag. 9Q , divenuto quasi privo del senno , non sappiamo se vorranno così facilmente passar- glielo i signori conti Francesco Cassi e Cristoforo Ferri , eh essendo stati sempre intorno sjl letto di Giulio fino alle ultime ore della sua vita , hanno pubblicamente e non sola una volta affermato , che (5) Abbiamo inteso con singoiar dispiacere , che la N. posta in una lettera del Perticari al Betti, a pag. 356 del volume di set- tembre 1822 , sia stata interpretata per l' iniziale del nome del eh. Wiccolini . A universal disinganno noi possiamo affermare , eh' ella non pure non vuole indicare il Niccolini, ma neppure una perso- na tost-aiia: avendo puramente il valore di quel segno di conven- zione , che usasi porre nelle scritture quando si vuol tacere di chi si psirU. 884 Lettruatura quel grand'iiomo anche pochi giorni innanzi il ino** rire ragionava di sapienza e di iettare coli' usata sua gravità . Onde noi nel por fine a questa pic"» cola iioterella , volgendoci per puro senso di cari- tà al sig. segretario , il pregheremo di raccontare aueste ed altre tali novelle jélle persone grosse , a^ìi animali Che colla vista non passan gli occhiali . G. V. V. 385 ARTI. BELLE — ARTI. Lettere antellane sopra le opere e gli scritti di Frari" Cesco di Giorgio Martini architetto pittore e scul- tore sanese , scritte nelt ottobre del 1 8 i 3 dal professore Giuseppe Del - Rosso , regio consul- tore architetto per le pubbliche fabbriche della To- scana . LETTERA I. Vjome vi è noto, mio dotto amico, per averlo os- servalo da voi medesimo, ogoi volta che io mi trasferisco in questa deliziosa campagna che Antel- la oggi si chiama, mentre ne' passali tempi Inci- nula era detta (a) , cinque miglia da Firenze de- viando per breve tratto dalla strada aretina ; se al- cun dovere relativo ai miei impieghi non richia- mi la mia attenzione; soglio dedicare parecchie ore del giorno in qualche geniale trattenimento , circo- sciilto a quel poco eh' io so intorno a questa be- nedetta arte eh' io professo , e che sono ben lungi da conoscere nella millesima parte . Sono frutti adunque degli ozj autunnali passati in questa mia villa la piupparte delle esercitazioni architettoni- che , che ho ardito dare alla luce ; come, dissipi- ti frutti autunnali della mia vita sono e saranno ^ ■ (a) Lami. lez. XIII. pag. 4 12. 386 Belle Arti no quelli eh' io fossi per produrre d' ora in-- Danzi . Lungi però da me ogni idea melanconica inop- portuna neir amena situazione nella quale mi ri- trovo , voglio rendervi conto del soggetto di cui sono determinato occuparmi nel presente anno: sog- getto per vero dire non poco scabroso : ma poiché per me stesso ne ho fatto il proponimento , vedre- mo ciò che ne riesce. Dovete ricordarvi , per quanto sieno molti an- ni passati, che vi feci osservare nella mia celletta a Firenze , ove mi ritiro per operare , e che altri chiamerebbero studio, gabinetto, o qualche eosa di più, due belle copie del famoso codice d'archi- tettura di Francesco di Gioigio da Siena , il cui originale autografo esiste nella biblioteca sanese . Questa rimembranza vi farà sovvenire ancora del- le alte maraviglie che ne faceste, e che io un po- co maliziosamente usando con voi, volli tacervi il modo per cui avevale ottenute. I motivi del mio silenzio essendo da un pezzo cessati , ve ne laro brevemente la storia . Sappiate dunque che nel "798, tempo in cui dal beneficentissimo nostro sovrano fui spedilo in Siena per presedere ai restauri di quella infelice città percossa da un terremoto de' piìt spaventevo- li , fra le molte relazioni eh' io vi strinsi una fu quella che tenacemente ho conservata fin alla morie, coll'arciprete di quella metropolitana Ansa- no Luti , letterato fra i pii!i distinti , e preside di quella celebre università. Ad esso principalmente, e ad altri professori fatti de' miei amici , debbo la cognizione di questo codice, già visitato da molti chiarissimi ingegni italiani e stranieri; ma niuno ' avrei)be saputo immaginarsi , e molto meno io Belle Arti 387 stesso, eli' e* si fosse potuto estrarre dal suo scan- no per trarne copia. Tanta però e leale era Tami- cizia e la slima reciproca fra il nominato sogget- to e me , che alla semplice mia domanda , inter- media la parola d' onore di rimettere nel termine di tre mesi il codice al suo luogo , mi fu senz' altra formalità consegnato la vigilia del mio ritor- no in Firenze, che fu a i5 ottobre dello steso an- no 1798. Quivi da altro cultissìmo mio amico e pra- ticissimo di vecchie scritture e caratteri fu dili- gentemente copiato nella originale ortografia , e poi di nuovo trascritto nella moderna dizione. Fu in seguito restituito il codice a Siena poco avanti il termine stabilito . Divenuto possessore di sì prezioso cimelio ave- va in animo di pubblicarlo, e di ciò ne detti un cen- no nelle notizie per servire alU vita del dotto- re Leonardo Massimiliano de' Vegni inserite nel se- condo volume df-gli annali delT accademia italia- na 1802 ; ma mi ha sempre disanimato sopra ogni altra cosa la pordiia che supponevasi irreparabile diAìe moltissime figure, alle quali si appoggia il testo , ppr tal motivo in molti luoghi più assai couciso di quello di Vitruvio : ne io era un Ira Giocondo o un Palladio, che a ciò potessi sup- plire , massimam(»nte per riguardo al trattato deile forliticazioni che occupa buona parte del libro , nella qual parte mancando il testo sarebbe stato più facile supplirvi col detcrivere la figura , che vice- versa ricavare la figura dai semplici appunti , che r autore ha indicali per schiarimento della figura medesima. Questo era lo scoglio principale; sco- glio che non ebbero gli espositori delle dottrine vi- ♦ruviane, che per lo rimanente sarebbe stato pos- 358 Belle Arti sibile approssimarsi al sentimento del sanese scrit- tore , quand' anche ci fossimo nei disegni in alcu- na pjrte allontanati dal suo gusto . Spiegati i motivi della mia renitenza; che do- vete accordarmi essere stati ragionevoli , né ciò at- tribuirsi a puro effetto di pusillanimità, da me poco conosciuta ; voglio ora intormirvi dell epoca la più fortunata relativamente a questo codice. Il dotto e diligi^ntissimo sìg. ab. Vincenzo Follini , attuale bibliotecario di questa imperiale e rpgia Magliabecchiana , nel riordinare e ripassare a mano la numerosa collezione de* libri a penna alla dì lui custodia aflidata , sono già s.coi si parecchi an- ni, ritrovò intero e nitido il codicti di Francesco di Giorgio con tutte le sue figure chiaramente de- lineate , e interposte allo scritto. Mancante però di prolegomeni e del nome dell' autore stavasi dubbioso il di'gnissimo biblio- tecario a chi si avesse dovuto attribuire un tal di- ligente lavoro: quindi venuto ciò a uorizia del gen- tile mio amico , che aveva estratta la copia dal codice di Siena, e venuto in sospetto di ciò che po- teva essere , partecipò pure a me tal novella , e iioitampute ci portammo a vederlo. Si ebbe allo- ra il con'ento di riconoscere in questa la copia a buono dell' autogrrafo abbozzo, clie esiste nella libreria sanese. Di tale interessante ritrovamento il pubblico , ch'io sappia, non ne ha per anche avuta notizia; b'nsì ne ho avvertito io, per lettera alcuni lette- rati, coi quali per loro amorevolezza sono stato e sono in corrisponden/a . Ecco dunque che si è disciolta la migliore diliicoltà: che si opponeva alla pubblicazione di questo trattato d' arcluteltu- ra : rjaa un'altra se ne è presentata, che riguar- Bellb A.RTI 38f) da la spesa che esigerebbe l'incisione di tante ta- vole 4 impresa da non rischiarsi da un semplice particolare , la quale riuscirebbe a sola utilità de' libraj , e a scapito manifesto del disgraziato pro- motore . Ben sarebb' ella degnissima di un cospi- cuo mecenate, e più ancora dell' inclita patria dell' autore: patria che in ogni tempo ha dati de no- bilissimi ingegni alle lettere ^ alle arti ; che ha avuto fra i suoi magistrati residenti lo stesso ar- chitetto , che pur si pregia di esser sanese, come da varj passi della sua opera che riporterò . Qual remunerazione di giustizia non sarebbe ella questa verso un figlio sì illustre ? Quale aum:'nto di glo- ria non ne deriverebbe alla citta e al cittailino? Corredato il testo di poche, m» opportune anno-^ ta/ioui , comparirebbe qual lucida gemma a riem- pire una lacuna che esiste fra gli scrittoli ce- lebii «l'architettura, dico fra Leon Bittista Alber- ti ed i trecentisti . Trovalo il libro , pf^iiso che non mancherà chi di questo voglia arricchirne le b biiotecln' dei doLti,edegii artisti nazionali e stranieri col lUc;/.- 7.0 di una decorosa edÌAÌone. Di ciò ne son c«r- to, ancoraché tal cosa non fosse per accadere ai miei giorni • ma aifinchè il sog^ello che si assu- messe rincarico di questa pubblica/ione non an- dasse erralo circa le operazioni eseguite da quest Uomo celebre, come ha fatto il Vasari nella di lui vita , ed altri che per incidenza alcuna cosa ne hanno scritto^ in questa come nelle successive lette- re andrò svolgendo alcuni punti non ancor bime dilucidati , i quali se per fortuna meriteranno qual- che suffragio dalle persone di lettere, potrà il tian- sunto delle cose dimostrate riportarsi tra i prole- gomeni all'opera del sanese Jbrancescodi (iioijiio. Spo Bblie Arti che dal p. Bolla Valle tom. Ili delle lettere s«<» nesi e da monsignore Bottali nelle postille al Va- sari (edizione di Firenze 1771 ) dicesi essere da Murtini ; e così pure dal consigliere Gio Lodovi- co Bianconi in una sua lettera, e dal chiaro nostro amico sig. ab. Luigi De Angelis nelf elogio sto- rico di Giacomo Pacchiarotti ( Siena 1821 ): ai quali autori mi rimetto senz' altro esamf^. Ora per entrar^ in quilclr? discusiiode relati- va alla vita di questo celebre arlisla, dovete sa- pore , che fra le molte appuntature , disile quili sono ricoperte alcune pagine che procedono ii suo trattato (dico sempre delf esemplare autograt'o cha è ia Siena, di cui ho la cop'a sjtto la mano) hav- vene una che dichiara essere stato scolare di Fi- lippo iiriiuelli'schi. Chiunque si foss? , che abbia gettato su q'i 'Ila carta questa Oi^iaìoie , ella non menta dtten/ioie ; ini^jerocchè riportan 1 )SÌ al V^a- si'i . egli ci dice, di' le opne di quest aitore liM-Mio attomo di i^Sj, e ch^ arrivalo ali età dì anni ^7 si morì. \ voler (1 i t pie sostener- , eh; e.;!! fosse «la- to scolare iel Bruneileschi , 1 b s )^'i Tfbbe far ^jre» C'^'iere le op're di Fra k'os.^o , 0 acco lugli u la piij lunga esistenza relrocedi^udo p'r lo iu Li.'tro. Nel primo caso nou vedo miuiera di ailoutanare le sue oppra/.ioni, m» ali opposto h;) lorli motivi per avvicinarle pii'i a noi; poiché avendo egli ope- ralo pel servizio di Federico II di Monte l^'eltio, come ampiftmenle si diià , il quale essendo m ^^ resulterebbe che a quelf epoca il nostro autore Francesco di Giorgio sarebbe stato un fanciulletto di otto in nove anni, nella più favorevole suppo- sizione che poco sopravvivesse a Federico di Mon- te Feltro; che egli avrebbe potuto al piiì aver co- nosciuto il Brunelleschi , ma non aver potuto pro- fittare de' suoi insegnamenti. Per toglierci aifatto da questa incertezza vi dirò intanto, come più eslesamente proverò al suo luogo , che il Vasari è caduto in una strana il- lusione rapporto ai 47 '^^"i ^i ^i^* assegnati a quest'artista, il quale secondo il computo nostro de- ve averne vissuti non meno di sessantasette , avve- gnaché dal padre Guglielmo della Valle al luogo ci- tato si riporta la fede del di lui battesimo , che seguì ai 2 3 settembre 14^9 ; e che da altri dati può ragionevolmente credersi mancato al principio del secolo XVI. Così si atterra chi tenne 1 opinio- ne , cUe Francesco di Giorgio fosse stato un crea- G.A.T.XVI. a5 392 Belle Arti to (Ìp] Brunellesclii ; polche egli era nato cinque anni avanti la morie di quest ultimo. Chi sarà stato dunque l'institutore di quest'ar- tista ? Kiorca iiìutile secondo nii? , e sulla quale non si possa dare veruna soddisfacente risposta . Però credo cli'egli cominciasse, come tutti gli ar- tedci del suo temjjo , da esser prima pittore , scul- tore, e orato ; giacché in tutte queste arti lasciò dei saggi dei proprio valore : e che il solo genio o desiderio di maggior fama lo conducesse allo stu- dio dell'architettura, che all' esemipio del grai Bru- nelleschi tutti da loro stessi apprendevano , por- tandosi a Uoraa , esaminando, e misurando ciò che era rimasto in quella classica terra. L autore stes- so ce ne rende avvertiti nella prefazione apposta nel codice sanese , ove trittaiido delle diflicoltk elio s'incontrano nel bene spiegare il testo di Vi- truvio , si dichiara di aver ,, concordato i detti „ suoi con quelle poche di reliquie delli antichi „ edifizi et sculture , che per 1 Italia sono rima- „ se , delle quali io stimo as>ere visto et considerato „ la maggior parte ,,. Più specificamente parla de* suoi viaggi, come egli fa alla pag. 5o , col descri- Teie alcune pailicoliirità architettoniche osservate in Roma,, de le qua'i era ornato el terzo cincfo del „ CapitoUo : et unaltro difizio ruinato apresso asan- „ cto Adriano in Roma^ et simile ho visto in un ^y edificio destructo in una selva apresso ad Aqui- „ no etc ,, K altrove si esprime cliome ho vi- sto alla porta di Capava . E trattando degli an- tichi cammini, ne cita uno presso Perugia; altro a Baia presso alla piscina mirabile di Nerone ; e altro pure a Civita Vecchia : dai quali passi de- durremo che egli non solo fosse slato a Roma, ma che realmente avesse viaggiato per tutta lltalii» : Belle Arti 3g3 Saremo di più persuasi della diligenza delle sue ricerche , e della precisione delle sue osservazio- ni , mediante le quali cose non ha avuto difiicol- tà il Vasari di asserire sul fine della di lui vita, che al nostro ,, Francesco merita che gli sia avu- „ to grande obbligo , per avere facilitato le cose „ di architettura , e recatole più giovamento che „ alcun altro avesse fatto , da Filippo di ser Bru- „ nellesco ìnfino al tempo suo,,. Ma il Vasari , dico a me medesimo , ha co- sì pensato per aver creduto essere di Francesco alcune fabbriche , che ad altri appartengono , co- me vi proverò nel seguito: dunque quest' elogio è originato da un equivoco ? Sospendiamo fino alla fine, e vedremo quanto per altri edifizi , de quali lo ha defraudato lo stesso Vasari , egualmente se ne è reso meritevole. Senza perdersi dunque in indovinelli circa Tìstitutore del nostro artefice , sarà prudente par- tito quello di attenersi. al più probabile sistema di allora , cioè che la sola meditazione sulle opere degli antichi , unitamente ai precetti di Vitruvio, formasse ,gli architetti: sistema che richiedendo grand' assiduità , molta intelligenza , e soprattutto la cognizione delle matematiche, non tutti i ta- lenti, lenchè animati dal medesimo spirito, erano sicuri di sostenere una prova cotanto penosa . E bensì vero che i pochi dalla natura dotati di at- titudine e di costanza a tale esercizio necessaria, diventarono eccellenti a segno che colle opere e con gli scritti fecero stupire l'Italia. Poche e concise notizie sono a noi venute dei lavori diFrancesco diGiorgio riguardandolo nella qua- lità di pittore, scultore, 0 orafo: delle quali c»»- / 394 Belle Ann se voglio ora sbrigarmi , avanti di riguardarlo cO"? me aichitetto e scriLtore. Jl Vasari nella vita di Duccio sanese, par- lando di una tavola che detto Duccio fatta aveva per il duomo di Siena , la quale fu levata all' oc- casione che vi fu sostituito un ciborio, si duole di non averla potuta rinvenire. Si ha però da una nota ipposta al detto luogo da monsignor Botta- ri, suggeritagli forse dal paure della Valle, che la det- ta tavola sta nel duomo istesso allato ali altare di s. Ansano, e che lu dipinta nel i3ìì. Ora tornan- do ai Vasari si esprime egli non sapere quello die J^ranccsco di Giorgio ne facesse , quando rifece di bronzo detto tabernacolo ( ossia ciborio ) e quel- li ornamenti di marmo che vi sono. Parla pure di questi ornamenti, e de due angioli di bronco nel- la vita di Francesco, dicendo: che furono vera- mente un bellissimo getto, e furono poi rinetti da lui medesimo con quanta diligenza sia possibile imma^ ginursi (a) . Ci dice in seguito, che diede anco ope- ra alla pittura, e fece alcune cose, ma non simi- le alle sculture: fra le quali cita il ritratto del suo signor Federigo Feltro in pittura , ed anco in me- daglia , la quale , supposto che ella non fosse mo- (^) Il precitalo P. Della Valle ( Lettere senesi tom. Ili ) , che più volte avremo ocoa.ione di rauri me alare , ha provato con auten- tici (locumeiui, e contro l'opiaioue del V^asari, che fu ajiitato iu questa operazione da Domenico di Mariano orafo, che n'ebbe per sua mercede scudi 82, io. Dal m idesimo sappia no ancora, che è del- la mano di irraucesco un gruppo di angeli , e la Vergine in rilie- vo sopra l'aitare della eappella fuori della porta aCamulUa, e due statue nella facciata del Casino, una delle quali rJ»pprc32 ma s. An- sano . I Bklie Anfi 3j)5 aelUta e poi di getfo, ci farà cdiarì die Fran- cesco conoscesse ancora Tari- di contare in rae- tajlo , lo che apparl?npva al!" orlfirerla . Rilevo in oltre da un'altra appuntatura esi- stente sulle coperte del codice san^se , ohe il no- stro autore dipingeva la coronazione di M. V^. nel- la chiesa dello spedale di Siena circa al i4'7 i al (474, come da notizie estratte dall' archivio dHJlo spe- dale predetto riportate dal padre della Valltì. Il eh sig. ab. De Angelis in una noJa all'e- logio di Pietro Cataneo , operetia ch^ opportuna- mente loderemo in altro luogo , ci dice che il pa» dre della Valle seguito dal Lanzi afferma , che Fran- cesco dipingesse solamente la tavola che era nel coro di s. Benedetto, monastero degli ©livetani di Siena, ma che amendue s'ingannassero; poiché al- tra sua tavola è stata ritrovata in Monte Olivef.o maggiore rappresentante 1' assunzione della Vergine, trasportata insieme coli altra nella sala dell' acca- demia dì belle arti in detta città . E ben mi ri- cordo io di aver letto, non mi sovvengo ora do- ve, che in Urbino pure mostravasi alcuna cosa di suo dipinto, oltre il bellissimo fregio composto di macchine e strumenti bellici, commendato dd Va- sari , entro a quel magnifico palar.zo ducale ; qual fregio però , a scapito dell'esattezza dello storico , si vuole che sia di rilievo e non dipinto . Pochi in vero sono i saggi de' quali l'istoria ci ha conservata la memoria , ma sono però ba- «tanti a farci compi endere qual fosse il valore di quest' uomo nelle arti che al disegno appar- tengono; e che probabilmente furono le prime eser- citate da esso, se gli esempi di tant' altri profes- sori del suo secolo si ha da credere eh' ci segui- tasse : al clxje sono inclinato. 3r,G BELtE Arti Comunque tal faccenda seguisSe, egli è incon-s trastabile che Francesco di Giorgio si fece distin- guere per un eccellente architetto, quale erede egli si fosse delle dottrine del gran luminare, il cori- feo dpg'i architetti eruditi, Leon Battista Alberti ^ mancato in Roma nel 1472. Seppe egli aprirsi una luminosa strada malgrado le pratiche artificiosa- mente impiegate da altri artisti del suo tempo, dei quali si duole in molli passaggi della sua opera; ma che i mediocri ingegni ed anco i più innetti abbiano prevaluto, è una circostanza di tutti i tem- pi , e di tutte quelle occasioni , nelle quali siavi speranza di gloria e di lucro . Costoro si unisco- no sempre per atterrare il più forte . Sono i cor- vi della letteratura e delle arti . Stridono spesse \olte per fame, e se impotenti sono ad uccidere al- cun loro benefattore o maestro pcv farne pasto, lo divorano da morto. In compensazione per altro delle incombenze» che poterono essere state tolte al nostro Francesco dagli emuli suoi , e anche per contrapporre i pla- gj manifesti che vivendo ancora si permisero a fronte scoperta altri soggetti , verso de' quali si sfo- ga con una lunga diatriba che serve di proemio alla settima ed ultima parte della sua opera ; gli autori della di lui vita, vale a dire il Vasari e dietro a lui il Milizia, gli attribuiscono, com'ho accennalo , alcune fabbriche che ad esso non ap- partengono. Abusiva è dunque questa che abbiamo chiamata compensazione , e che ci viene da altri reclamata. Bisogna malgrado le asserzioni degl'isto- rici restituire a ciascheduno ciò che è sua pro- prietà . Non avrebbero questi autori avuta occasione di alterare e confondere dei fatti , se maggiore Belle Arti 397 attenzióne avessero portato nel ricercare ed asse- gnare al nostro artefice ciò che realmente è di lui, piuttosto che averlo per negligenza taciuto t «osi avrebbero reso miglior giustizia al suo merito, e pili luminosa la verità. Questa disamina la rìspibo ad altre lettere, ^he succederanno alla presente; frattanto voglio qui riportarvi alcuni passaggi del- la sua opera , pei quali due cose si stabiliiaiuK} . Primo, che l'autore del codice era sanese; secon- do , che stava al servizio di un gran signore : due circostanze che s'incontrano in Francesco di (iior- gio Martini. £ che questo signore fosse Federigo II da Monte Feltro duca di Urbino , lo dichiaia l au- tore medesimo in altro luogo, (a) JVella prefazione parlandc^ delle incerte inter- pretazioni date a Vitruvio (ino al suo tempo , si esprime : ,, la qual cosa per forza di grammatica gre- ,, ca e latina non è stato mai possibile venirne „ a fine: benché più peritissimi ingegni nelf una „ e nell'altra lingua in questo si siano affaticati da ,, me e dal signor mio indotti ■ ,, Trattando nella prima parte del libro delle di- verse esposizioni ai venti , e loro effetti: ,, testifico „ io avere visto nella marittima delia mia città di „ Siena . ,, E in seguito nel trattato de'marmi : ,, di que- ,, sta medesima specie si trova nel territorio della „ città mia di Siena in luogo chiamato Cerbjtja ,, ed enumera di poi altre qualità di marmi del sa- nese, e mostra di conoscer bene i luoghi d' ond essi si estraggono. (a) Fu instituito il ducalo di Ui-biao da Sisto IV l'anno i47^» Cosi il P. Vincenz;o Ciinarclli: Istoria dello slato d'I// bino. L. II. e, 26. Brescia 1642 » Avanti ersi contea. 3ì)8 Bblle Arti Infinite dunque sono le testimonianze, che l'aii* tore nominato del nostro codice fosse sanese, ed al servizio del duca F^ederico Feltro , il quale a emulazione de maggiori potentati italiani erigeva contemporaneamente fabbriche sontuose e ricorde- voli di memoria. Ed avendo ora riguardato quest' uomo inge- gnosissimo come scultore, pittore, e forse orafo; nelle seguenti lettere vel dimostrerò come singola- re architetto , e non comune scrittore. Traltanto concedete di potervi abbracciare, e confermarmi tutto vostro. Aniella 7 ottobre i8a3» L zio ni di architettura civile del cav. Raffaello Sterri, / ol. I. Ruma, per Giuseppe Salviucci^ 1822. J_ ra coloro eh' ebbero nome di valenti architetti a dì nostri , e che alla molta scienza mandarono congiunta la pratica, è da notarsi Raffaello Slern: il quale ha dimostrato nelle fabbriche che di lui rimangono in questa capitale quanto egli avesse stu- diato negli antichi edilizii , e come si brigasse ne' suoi ammaestramenti alla gioventù di togliere via da questa nobilissima arte il falso gusto e la ma- niera . Jì non piccola fatica aveva egli durata nel concordare cogli usi e comodi de' moderni i pre- celli e le regole degli antichi , i quali scrissero ed operarono inforno a fabbriche del tutto dissimili dalle nostre e per T uso pubblico e p^l domesti- co , e per la religione, e per gli sp.ettajcoli. Nò seaz* Belle Arti 399 *lté!;?a d' ingf'gno sarebbe egli pervenuto in queir eccellenza cleiT arte , in che basta pei renderlo chia* ro il nuovo braccio del museo valicano. Opera ve- ramente degna della magnificenza degli antichi ro- mani , e tale che può per se sola-bastare a donar fama a un artefice , siccome manderà sempre più gloriosa a' posteri la memoria del sommo pontefi- ce Pio VII per volontà del quale surse così nuo- vo splendore del museo Pio - dementino. La im- matura morte dello Stern ha lasciato un vuoto as- sai difficile a riempirsi tra gli architetti , ed era. ufficio di riconoscente e pio discepolo il pubblica- re le lezioni thVgli dettava agli studiosi in archi- tettura nella insigne accademia di s. Luca . Il qual pensiero cadde in mente al sig. Antonio Sarti pen- sionato in Roma dalla pontificia accademia di Bo- logna . Questo valente giovine si è volto a racco- j[liere con ogni cura gli scritti del maestro per man- dargli in luce. E già n' « uscito il primo volu- aje , corredato di 1/4 slampe in rame, le quali tut- te si pertengono agli argomenti delle lezioni in es- so contenute , che formano la prima delle tre par- li di tutta r opera . E comechè questa non ap- presenti veruna notabile novità, pure non lascia d'es- sere utile, e diremo necessaria, agli studiosi d'ar- chitettura per la chiarezza ed ordine con che si Tede scritta, e pel vantaggio che ne deriva all'arte aella presente nostra età: inlantochè lo Stern , com' è detto di sopra , seppe cogliere gran frutto dalle meditazioni sue intorno le fabbriche degli antichi per addattarne e conciliarne le bellezze cogli usi e colle comodità de' moderni . E volesse il cielo eh' ei non iosse slato tolto così presto dai vi- vi ! Perocché suo intendinnnto era di lavorare an- cora ; e periezionere queste sue lezioni , e accom- 4oo Belle Arti pagnarle cogli esempj della pratica , e non lasciai" indietro cosa che tosse da desiderare . Le lezioni di questa prima parte risguarda- no il comodo e la bellezza degli edificii ; che del- la solidità ei non tiene ragione, siccome cosa che alla architettura pratica si pertiene , e che per un altro professore veniva insegnata nella stessa ac- cademia . K primamente facendosi a discorrere la como- dità , dimostra essere questa pregio principale ia ogni edificio , e quanto debbasi studiare nei par- ticolari della dispositiva e dell' ordinamento . Stabilite le teorie con grande e sottile intel- letto, passa a far conoscere siccome il decoro sia parte integrante dell'euritmia, e come in ogni edi- licio venga esso determinato dall' uso e dall' auto- rità . Ragiona quindi il carattere delle fabbriche , il quale vale a significarne la destinazione , e statui- sce tutto ciò eh' all'aspetto loro si conviene; sie- no elle pubbliche o p'^ivate. Le divide in tempj ; in edefizj di sicurezza; di commercio; di saniiàr d istruzione; e di magnificanza nazionale . Allorché viene a discorrere degli ordini e delle co- lonne isolate, assegna le varie loro indicazioni , e dimostra quanto studio vuoisi avere per l'archi- tetto nella composizione de' primi , e nelT impiego delle seconde, E qui dà a divedere maestrevolmen- te eh' appo i greci 1' architettura a tre ordini soli stringevasi ; e che gli altri , sotto nome di atti- co , cariatido , persiano , rustico e arcuato , im- propriamente furono detti ordini. E medesimamen- te parlando de bugnati . a'quali fu dato nome d'or- dine rustico , prova che debbono in questa vece opera rustica essere appellati . E dopn aver fatto Belle Akti ^oì conoscere quanto essi giovino alla bellezza delle fab- briche , se operati sieno in armonia col carattere di queste, ne prescrive la forma e le dimensioni. Tocca poscia la storia della loro origine , e que' 'tanti monumenti di Grecia e di Roma nf' quali fu costume di adoperarli . Dai bugnati poi s' apre la via a discorrere gli altri modi di antica coslruzio'» ne: cioè, l'incerto: il reticolato: la cortina. Esamina quindi gli archi ne' particolari di co- struzione e di ordinamento, e dimostra siccome ini varie circostanze sieno essi indispensabili , essendo- ché costituiscono il carattere di molti edificii -. Ragionando poscia 1' ornamento e la bellezza delle fabbriche, si distende lungamente su le por- te e le finestre e le nicchie, e conforta la sue sen- tenze con esempi tratti dagli antichi e da moder- ni grandi architetti italiani ; e dimostra che tanto rispetto alle forme quanto agli ornamenti debbono esse concordare coli' euritmia e colla semplicità , onde schivare la strana e capticciosa maniera dada quale derivò la decadenza deJl'architetlura. JNè me- no sottili sono ie restanti sue osservazioni intorno la decorazione esterna delle fabbriche , la quale egli divide in frontespizj, balaustrate, e sculture De'pri- mi dice l'uso e la significanza, e il luogo ove pos- sono adoperarsi, e come debbansi evitare i misti-, linei , gl'interrotti , e i ribaltali , e quanto sia bar- bara cosa ed assurda il soprappor l'uno ad un altro. 11 che pur troppo usarono còntra la ragione dtlT ar- te i moderni. De' secondi , cioi^ de'balaustii, ac- cenna r uso e le migliori forme , e quando e do- ve possano sanamente impiegarsi. Da ultimo, in- torno le statue, i bassi- rilievi, gli enìblemi e qual- siasi altra maniera di ornamenti destinati a deco- ro degli edificii , raccomanda all'architeLto di usa- 4oa Bellk Art! re ogni cura e studio e saviezza nel determinarli per non cadere in errore e in contraddizione col falsarne il carattere . Le quali cose abbiamo qui notate brevemente a dimostrare 1 importanza di questa prima parte dell' opera dello Siern . E per quanto raccogliamo da' suoi discepoli , possiamo affermare che saran- no le altre due di molto maggior pregio ed utì- lifà. Confortiamo quindi il Sarti a proseguire l'im- presa pubblicazione , e gli diamo lode della purga- ta sobria e modesta prefazione , nonché delle ta- vole in rame , colle quali ha ampliata l'opera del suo maestro . Perchè nella prima ha ragionevol- mente dimostrato il vantaggio e il pregio di queste lezioni : e colle seconde ha in bel modo messo in pratica gì' insegnamenti eh esse contengono , e gli ha resi sensibili agli occhi degli studiosi , valen- dosi d' esempi tratti dalle fabbriche migliori de'tem- pi andati , E qucst' opera intitolata a sua eminenza il sig. Cardinale Pacca camarlingo di santa Chiesa, am- plissimo proteggitore delle arti beli* e degli arte* iicì . Monumenti della religione cristiana , o sia raccolta delle antiche chiese o basiliche cristiane di JRo- ì7ia dal quarto sino al decimo terzo secolo^ de^ lineate e pubblicate da I. G. Gutenson , ed I. M. Knapp architetti . Prima distribuzione. Ro" ma nella stamperia de Homanis 1822. Degna di lode è V impresa dei signori Gu- tenson e JCnapp , i ^uali hanno tolto a. pubblica- Belle Arti 4^3 re le antiche chiese cristiane di Roma. Perchè con quest* opera perpetueranno essi la memoria storica di quell'epoca , in che l'architettura si sosteane co- me meglio potè in mezzo alia barbarie de' tempi , fatti deplorabili per le invasioni e l'armi stranie- re, e messi i'uoii d'ogni civiltà. E a chi dritto guarda si farà manifesto quanto la religione gio- vasse in que' calamitosi casi d' Italia a conserva- re parte dell' antica magnilicenza , e le memorie e gli oggetti preziosi de' buoni secoli dell'architettu- ra . Le quali cose sarebbero diversamente state di- strutte per la povertà e pel furore delle pazze discordie , e delle guerre stranie e intestine che combatterono sì lunga età gl'italiani , e gli strasci- narono nelle tenebre della rozzezza. Perchè è ora- mai chiaro che tutto quello che non venne ope- rato a servigio e ornanii-nto de'iuoghi sacri , tutto fu disfatto, franto, annientato. Ricca di sette tavole in rame è questa prima distribuzione. Quattro delle quali sono dedicate alla basilica di s. Paolo fuori le mura. Edilizio de' più vasti e maestosi , e ricchissimo per la seìva di co- lonne di antichi marmi che lo sostengono. 11 mo- . do dell architettura , la irregolarità delle basi e de' capitelli mostra la decadenza dell'arte, e la raa- liiera de' mosaici dà a vedere a quali strettezze fos- se ridotta la piltura . La costruzione del tetto a tra- vature lunghissime è nondim.-no pel suo ardimen- to e per lintelligenza fabbrile un capo -lavoro. La prima tavola serve alla pianta dell'editizio: la seconda alla veduta interna , la quale è lavorala confino ma- gistero di prospettiva e d'intaglio così che non può dirsene più. La terza raffigura lo spaccato della ba- silica; e la quarta rappresenta con minuta parti- colarità i mosaici che ornano l'abside della ^; ran- de uavsita . 4o4 Belle Arti Le altre tre tavolo servono a far conoscere r antichissima chiesa di s. Clemente; quella che tuttavia ha intatto lambone, usato ne'prioiitivi tem- pi de' cristiani , e il luogo destinato ai neofiti , e quello dei penitenti fuori della porta principale . La pianta è accurata . Vorremo poter egualmente lodare la veduta dell' interno : ma avendo gli arti- sti voluto far godere pienamente la vista dell'am- bone, hanno, per quanto ci sembra, sacrificatala parte prospettica togliendo troppo d' allo il punto della visuale. 11 qual ditetto avrebbero potuto evi- tare dando in u/ia tavola separata l'ambone, che meritava certamente 1' onore di questa distinzione. Non meno pregevole è peraltro l'intaglio di que- sta tavola , siccome quello dell' ultima che dona l'esempio de' varìi mosaici del pavimento. Promettono gli autori un testo descrittivo e storico delle basiliche cristiane , e delle singole lo- ro parti, opera del eh. professor Nibby ; il che aggiungerà gran pregio a questa lodevole impresa - Tambroni 4oS VARIETÀ' Al cav. Luigi Biondi. JLl/ccoti una bella lettera di Torquato al duca d'Urbino : la quale, dopo raltra che desti tu di quel grande nel tomo viii cart. 4'7 » sarà la seconda inedita clic per noi si stampa in questo giornale . L'Iio trascritta io medesimo dall' autografo , eh' è in Pesaro presso quel nostro fiore di dottrina e di gentilezza sig. marchese Antaklo Antaldi : il quale sagacemente ragionandovi sopra, è d'avviso ch'el- la debbasi riferire alle cose scritte dal Tasso al celebre Guidiibaldo del Monte in altre due lettere, che nell'edizione veneta in dodici tomi sono a cart. 3o6 del tomo ix. Si le due stampate e si questa mancano della data: ma parve al diligente Serassi di poter asserire {Vii. del Tasso, Bergamo 1790, iom. 1 cart. 276) ch'elle fosser mandate tra '1 gennajo ed il giugno del ibjj. 11 che a me pure sembra essere assai verisimile. Ma ninno meglio di te potrà giudi- cartie , che sei usatissimo in tutto ciò ch'appartiene all' alto canto- re della Gerusalemme , e ti piaci in ogni tuo studio di sagrificare primieramente alla decmia e maggior delle muse, la critica. Sta sano. Il tuo Salvator Betti. ILlustrissiino ed cccalicnlissiino sig. e padron mio colendissimo lo non confidandomi in alcun servigio di' abbia mai fatto a V. E., ma si bene in molti favori e'' fio da lei ricevuti, l '^uali e ragiouevole cli'ella voglia conservare , e mantenerne in me l'obbli- go, vengo a supplicarla d'una grazia, la qual per jacil che sia a lei , sarà nondimeno a ine cosi cara come potessero essere le dif- ficilissime. Quel ch'io desideri, scrivo diffusa. ■ icnte al signor Gui- d Ubaldo. A V. lì. dirò soloa che più gioverà a me (juQsto favore. 4o(J V A, » I K T À* ehe non gioyuvo mai a mio padre tanti moliissiini hcneficj che ri* ce^'è dal suo di gloriosa rìienioria. E benché la divozion mia ye/'- so f. E. non possa crescere , rssc/ido già pervenuta e (juel colmo che non patisce accrescimento , crescerà nondimeno tanto l obbligo^ che non potrò senza grandissima ingratitudine restar di far cK'ellu ed altri conosca » c/i' io le sono svisceratissano servitore. Ed a f^.E. hticio le mani. Si V. E. Illustrissima. VmlUssiao servitore Torcf. Tasso, Decisiones sacrae romanae rotae corcun R. P. D. Hercule Con- salvi ejusdcm sacrae rolue auditore, nane S. R. E. ducono car" dinuli tiluli s- Mariue ad murijres, sanctissimi D. iV. papae Pie VII status brev'umcjue a secretis , cjuas Alexander e.v comìtibus Spetia mevaniensis L C. praepositis ar^wncntis alijue swmnariis, add lo locoruin et conclusiunum indice , curiae coiniiiodo ulilituti- ^ue in unum coUe^it, -fol. Ronuie, tjpis Bernardini Olivieri, 1822. Un voi. di pa^. o4o*. ^i deve gran lode al sig. conte Speda, perchè finalmente abbia adempiuto il comun voto delle persone di curia, pubblicando con si bei metodo le decisioni rotali di cosi rispettabile personaggio. In morie nel conle Giulio Per t: cari, canto del marchese Giuseppe Antinori 8. Perugia, presso Garbinesi e Santucci 1822. N. I on si scrive mai c»sa intorno la morte del Perticari , che su- bito non ce ne scenda al cuore una gran tenerezza: tanto amava- mo queir ini;omparabiie uomo. Quindi ognuno può credere come abbiamo fatto sempre buon viso a tutto eiò «he n« hnuao pubbli- Varietà' 407 caio fin qui tanti valorosi ital, „ O sovran Tosco , il cui poema sacro ., Uitfonde di saver si largo fiume , „ Sulle tue carte se mi fei già macro, „ E per me delle macchie, onde la trista.' 5, Ignoranza bruttolle, ebber lavacro ^ „ Oh qual conforto, emmi or tua dolce vista ! „ E oh qual presente nel mio sen ridesti „ Rivercn/:a verace ad amor mista ! 5, Di te bearmi ancor ti piaccia in questi „ Eterni luoghi , c«me suso in terra „ Beato e lieto del tuo stil mi fesd. E rispondendogli quel divino , fece queste alte parole : n Oh figliuol mio, l'altro rispose, or guerra „ So ben che nova lassù mi sì mosse , „ Onde tormi la pace anche sotterra^ ., Ma non patisti tu che la mia fosse „ Memoria otVesa dagli obliqui strali » „ Di che a mio danno ancor superbia armosse; „ E mio campion cingesti armi fatali ,. Incontro a'miei nemici, e a lo^' baldanza „ Per invitto valor tarpato hai l'ali» G.A.T.XVX. 26 4o8 V A R I ET A,* „ Più onorata festu mia noninanza „ Nel mollilo; e grato all'ovra tua benigna „ Mostrarmi ho a grado in quest'ami a stanza. „ Ma dimni: eterno duciqae l'odio alligna „ Lassù ne' miei eon;ittadiiiI ? E ancora „ Aircor la patria m' è crude! madrigna? „ Poco fu a\erini dell' ovil mio fuora , „ Ov'' agnello dormii, cacciato in bando, „ E ogni ben tolto che la vita infiora? n Poco avermi costretto ir ramingando „ Per varie terre , e in questa parte e in quella „ Digiun del mio lo altrui pan mendicando ? ^ Oggi fassi al mio nome onta novella , ,. Perch' io di te , o Fiorenza , al vero amice „ Dannai gli empi costumi e la t'avella? ^, Or me ingiu-to si gridi e tuo nemico , „ Di maligno rancor dando ni taccia ? ;, Me lodator del tuo bel tempo antico » „ Me che giovine armai per te le braccia, j. Ed animoso perigliai nel campo „ Con fermo viso all'ostil nembo in faccia? f. Me ognor temuto a servii trama inciampo , „ Ch' in te a serbar di libertà la sede „ E senno e voce oprai , sempre a tuo scampo ? „ E fra tante d'amor prove e di fede „ Ancor me ingrato citiadin si noma ? „ Tal di fatti onorati è la mercede ? j, Certo {'blandir tuoi vizi, e l'idioma „ Plebeo laudar doveva, onde aver laude, „ E di civica quercia ornar la chioma: ^ Dovea ligio e venduto all' altrui fraude „ Te vendere al più forte, o generosa: „ Queste son l'arti che più il mondo applaude. Le cose che il Pcrticari interrompendolo gli soggiunse, spira- no p'àxt e eunturlo: essendo c^li tuito in persuader i'An^niuri, uhe Varietà.* 4^9 5el popolo dì Firenze non sono più quelle ire contra V imm i-.a- le suo nome, che ve^jjhiavaiio al tempo del parteggiare iie'vei,vhi. Il che però, e ce ne scusi di grazia il big Autiiiori, non è pie i incu- te la verità : imperciocché se per cara d'alouni cortesissimi fioten- tiai gli si sta ora operando dallo scultore Kn;oi un nobile monu- mento da porsi neila chiesa di s. Croce , certo è che varii di que' letterati non ristanno aiijor di gridare . e Dio a eO£i ^uai' animo de'Luoni italiani, contra le sue dottrine e rimitazioue delle grandi sue opere. S , quel cli'è piti , si vuole ancora da molti ch'eg i odias- se la patria sua , quella si dolce patria che anzi amò sempre sopra tutte le cose, bcnctiè ne fosse cosi ma.e rimeritato d'esilio di mi- seria e d'affanno . Salvatore Betti. Per la morte del p. Antonio Grandi vicentino , vicario generale de" harnubili in Roma, epistola di A. C. 12." f^erona, per Paolo Libanti ,1822. xiuiore di questa epistola è il celebre Antonio Cesari dell' orato- rio: il quale con essa ha preso a iametitare la more d'un rarissimo amico suo , anzi d'un amico di tutti i buoni. Perciocché tale fu il Grandi per candore di animo per fede e per cortesia, che non ave- va altri uguali se non se medesimo. E noi l'abbiamo piacilo , e tut- tavia lo piangiamo teneramente: e sempre più troviamo cagione di dolerci di quest' anno funesto che ha mietute le viiC di tanti e si chiari italiani, e singolarmente del Canova dei Pcrticari e dci G.rti- di , oltre a tutti gli altri, carissimi, ai nostro cuore. -i\la e. , o un saggio di questa pietosa epistola mandata dall' autore all' emiueuiis Simo sig. cardinale Della Somaglia. E tu , Febo , divin mastro dell' arte Che sanità rintegia e vita in, pira Pur nelle membra moribonde » invano 2G* 4iQ Varietà* La tua virtude oprasti a campar quest«| Aluiuio tuo che ti fé' lauto onore ? Ma se vera amistà, se puro affetto Nulla può con le lagrime e co' voti Colà, dove al pregar umile e pio Sempre d^l giusto ciel ben si risponde ; Perchè a me, perchè a me fu to.to almer\^ Essere al letto dell' amico ? Fo.se Dolor pietà caldi sospiri e pianfo Fatto a» riaa forza al ciel , forse vivrebbe Ancor per opra mia di me tal parte. Ma 'I ciel , credo , prevenne antiveggeiido, Questo assalto pietoso ; e pria mei tolse , Ch'io sapessi da lunge il suo periglio. Oia iamo avvisati di far conoscere al pubblico, che I' autore di quel Sennone , annunciato da noi a cart. 109 dei volume l'ottobre p. p., non solo non è, come dicemaio , un professore deli' università di Perugia, ma neppure un perugiiio. Iscrizione composta dal conte Giulio Perlicari a loii stimiamo che s'abbiano a scrivere le iscrizioni in lingua ita- liana: pure, semplici, chiare, imitando i modi latini in quelle co-. se soltanto che non contrastano alla natura del nostro idioma. Dn- perocchè, dice l'autore, oj^ri' idioma, ha certe sue par lieo: uri ijua- lilci che non panno confonderlo con altri : siccome o^^ni faccia ha certi suoi lineamenti , che non si potrebbero conriare senza che un uomo non fosse piti quello. Tralt. degli aut. del trecento lib. 2 oap. VI- Varietà.' ^ , i A . I-riGI . F . DI . FRANCESCO . EVANGELISTt DA . TOLENTINO BELL' . ORBINE . DE' . PATBIZII TOIVIO . DI . FORTE . ANIMO CHE . PER , AlVlORE , AÌ . PRINCIPE SI . FECE . SEVERO . A' . SVOI • E . A . SE . STESSO MAGISTRATO . INTEGÈRRIMO . E . PIO TENERO . DELLA . PATRIA DELLA . STA . FAMIGLIA . AMANTISSIMO CARO . A . TVTTI . FVORCSe' . ALLA . FORTVNA MORTO . d' . ANNI . LTIII a' . XXI . DI . GiVGNO . DEL . MDCCCXK élOVAMNI . COSTARGLI . PATRIZIO . TOLENTINATS POSE . E . DEDICO' . LACRIMANDO AL . SVOCERO . INCOMPARABILE Lettera scritta in italiano dalla si£r. Machenzie scozzese alla sìg. contessa Orsola de'' Conti, a Pisa. Parigi li 12 ottobre 1822. Carissima amica. Q .. . vJapete già eh' 10 non pe?do volentieri un' occasione di rartimentir- mi alla vostra cara memoria. Una signora che parte subito per l'Ita- lia mi ha offerto d'incaricarsi d'una mia lettera: ho adesso dunque so amente il tempo di darvi il mio indirizzo , essendomi staMlfta qui per l'inverno (3o, Rue des pdits auustins , faiih. s. Cermmn) . Non posso darvi le nuove di Parigi , giacché fo una vita ritirata : ma godo la società della mia ottima amica la duchessa d'Hamilton. Questa signora mi ha parlato d'an libro che mi dice èssere stato letto a Roma come opera mia. Non so se voi ne avete inteso par- lare : ma se cosi sarà, sono ansiosissima di assicurarvi ch'io non so- lamente non l'ho fatto, ma non l'ho mai letto. L'ho veduto ««a 4i2 Varietà' volta in casa d'un' amica mia: il soi;èi;tto essendo il viaggio di Ro- na , mi lia intere.s-,ato : l'ho duu.jue aperto. Ma lo stile me ne par- ve tanto impertinente e prosuntuoso, che non avev^a la pazienza di continuare. La sola osservazione ch'io mi rammento di aver fatta, fu 4uesta, che mi avrebbe fatto multa pena se (jualche ami- co mio avesse srrilto un libro simile. Si può dunque giudicare quan- to mi ha (iiipiatluto l'a-rusazione d'esserne l'autrice, lo non avrei crediun possibile che qualcheduno della mia conos.-enza, o che sa- pesse un poco la mia maniera di pjnsare, avrebbe mai dato retta a questa idea ; giacché tutti quelli che ini conoscono , conoscono anche il mio amore per Tlialia , e l'aiia stima eh' io sento per il vero caraitere italiano: e specialmente per le persone che m'han- no onorata «.olla loro amicizia, e la cui società ha reso tanto pia- cevole il mio soggiorno nel vostro bel paese. -Posso assicurarvi che non ho né l'ambizione, né il desiderio, né forse l'ingegno di tare un libro: ma almeno se ne avessi da fare, spero che non sai ebbe tale da dar pena a chiunque fosse, e molto meno a quelle perso- ne che hanno avuto tanta bontà per me. -Essendo, rome dico, questo libro tanto dissimile dalla mia maniera di pensare, e di più, da ciò che ho capito, poco degno di essere nominato tanto lontano, non avrei tor-e toccato questo soggetto se quella cara duchessa non mi avesse detto d'averne inteso parlare in Roma come opera mia- IVli dice anche che le opere di Canova e di Camuccini vi sono mol- to mal criticate . A questi due signori sono molto tenuta per le loro amichevoli attenzioni , ed ho sempre parlato colla più alta stima delle loro persone e delle loro opere, senza mai aver ''orgo- glio d'imaginare che la mia voce potesse aggiungere qualche cosa all« loro giusti.ssime riputazioni, ma solamente per esprimere ia mia ri- conoscenza per le loro gentilezze, ed il piacere che ho goduto nel vedere i loro bei componimenti in trattenermi nella loro piacevo- le società. -Certo non c'è nessuna più disposta a parlare con am- mirazione ed entusiamo deli' Italia e degl' italiain di quel che son IO, a segno che le persone della mia famiglia m'accusano talvolta d'essere piuttosto italiana che scozzese. - Scusatemi , cara amica, s'io vi ho aiinojato con «questo sojigetto. Sarà forse la prima volta che Varietà' 4'^ h'avctc Inteso: ma se al contrario una voce tanto falsa sia arriva- ta sin a voi, e so die la viia vostra è traiit£nilla e ritirata, vi pre- go per amor mio che alj|jiate la bontà di contraddirla per quanto vi sarà possibile : affitich' io non continui ad essere creduta scorte- se ed iiij^rata nella vostra patria e fra i vostri pregiatissimi com- patrioti. E voi stessa ed il caro signor conte , se m'abbiate per un momento creduta capace d'una tal pubblicazione , cosa mai avrete pensato di me! -Addio per adesso , cara amica: procurerò ben pre- sto di scrivervi una lettera più divertente, nel mentre vi pregode' miei distinti ed amichevoli complimenti per il sijj. conte ed i vostri cari figli, ed insieme per i signori cavalieri Biondi e Bernini, e tutte le persone della mia conoscenza, che hanno la bontà di rammen- tarsi di me. Sono sempre la vostra Amica obbUgaiissima ed affeUuosissiina Francesca C. Macksisizie. Iscrizione trovata a Idelberga , e illustrata dal prof. Creazec ^lel Ximtebkdt del 18 marzo 1822. D . ni VOLCIO MER CATORl AN . XXXK LVÉRIA GARANTI CON . PIEN . POS Ne siamo debitori alla singoiar gentilezza del sig. consigliere Koelle regio incaricato di Vittembcrga presso la Santa Sede. jl°^li amatori della bella lingua italiana. A Cesari D. 0. iNon è cosa tanto buona al mondo, che non possa essere miglio- rata. La edizione de' Fioretti di s. Francesco ( libro , in opera di svilito e di lingua, che lia pochi pari) fatta in Firenze il 17^8, è 4'ii Varietà* la migliore che abbiamo, e tino a ijui ebbe voce dì ottima, ma el- la noti è . comeciié sia però buona. L'essermi io abbattuto a mol-* ti ed oitimi codici, mi fece in essa notar molti errori, e non mi- ga leggeri ; e nel medesimo tenpo , di gran miglioramenti ci ho iàtti di più chiara e si.ura lezione, che ho messi sul margine: co' quali vantaggi ho pei;iato di ristamparla. I MSS. finivano tutti al- le vite de' frati Ginepro ed Egidio, che in essi man avano . IVIa nel mio viaggio di Rona e Firenze trovai ne' signori fiorentini tan- ta di gentilezza , che per loro opera ebbi da molti codici un minu- ta ragguaglio aitresi di queste due vite, e molte varietà che ci no- t«riHio. ter lo qual loro servigio, io potrò dare anche queste assai migliorate : e co:ìÌ l'edizione sarà compiuta ; anzi vantaggiata, per un cap telo più, e bello, della vita di frate Ginepro, che mi die-* dero i detti codici. Sopra la fede de'manoscritii, ho tolto vìaanilòe Jlie, èiiQ , sanza, co. per amor degli schifiltosi. L'ortografia ho rac- concia, che vera guasta e confusa. Se la infermità umana lascias- se poter dare un libro senza alcun errore di stampa, io sarei ten- tato di prometterlo di questi fioretti. Ma 4» anni di pratica affo- garono questa prosunzione . Io serberò la stessa forma di 4-'* e la medi-sima numerazione di facce, a;ciocchc pe' luoghi Itati del V^o~ caboiaro, sia un medesimo aver la mia, come l'edizione fiorenti- na. La carta darò più grande del solito e forte , e il carattere nuo- vo; computando il prezzo a centesimi 20 il foglio. La spesa della legatura ,aià de' signori sozi, che avranno il libro legato alla rustica. P. S. Credo stampare questi fioretii medesimi cosi miglioratis ma il puro testo , in forma e baratterò più piccolo , pe' fanciulli a'qua.i non è miglior cosa da porre in mano. Ci pressiamo dirìft ir qui otin auree iscrizioni delV irfvnortah Mor- celti, le quali il colto giovane .?/,-. Giuseppe Fracasselti di Fer- ìtuj ha tornate alla luce in occasione Ji lietissime nozze. Leeoni-', pose il Morrelli ne! 1766 essendo in l'ermo come ognun saprà» ^son: fi! hcUe letten». V A « I E T A.' 4l5 }. In urbem Flrmiim. COLONIA . METROPOLIS . FIRMVM EX . ILI^IS . P^R . QVAS CANNIBALE . ITALIAfll , VASTANTH POPyi.1 . ROMANI . IMPERIVI» SiTÉTIT JI. i^ urUs c(rceni et arci imposi tu/n teinplwn . IIEIC . MAIORES CLIVO . ET . CAMPO . MVNITIS VRBEM . PRAESIDIO CONTEA • HOSTES . FIRMABANT MEPOTES PRO . MVNIMENTO . TBOTPLVBT ¥R0 . PRAESIDIO . TE . HABEMVS MARIA . MATER ASSVMPTA . AD . SVPEROS TV , SIS • VOLENS PROPITIA . WOBIS . ET . LIBERIi POSTERIS . QVE . KOSTRIS III. In ftrmctnorum erga romnnos fidem . BELLO . SOCIALI ex. roniPEivM . straeonemì . cos. ET . CONSVLAREM . EXERCITVIVI A , VENTIDIO . ET , AFRANIO . PVL^VM FIRIVXANI VREÈ . PATRIA . KECEP^RVI^T MII4TE . ARMIS . FKVMENTO . SVPPEDITATO liEVARVJJT un. e • PASA . A . HIRTIO , COSS . BELLVM . CONTRA . ANTONIVM . qERENTIBVfi FIRMANI SENÀTTI . ?0PVLP . ere , desunto dall' altezza del peln dacqiia s alt orizzontale del mare.oss^tvato ali idt umetto di Pupetta , al mezzo giorno. D ." f P Vi B r 1 18-.V. ..-. , ,. Palmi ROMAM. w.... ò, bo 0, 70 25. 1 1. 3 4 2 29- 1 1. 3 8, Hi* 07. 9- 3 Massima altezza metri 11,20. 4 7.9^ 35. ò. 1 b li, 20 60. 1. S 6 9. '4 4o. II. 5 Minima altezza , metri 6 , 7 7W'-' 34- 5. 3 80. b 7, 1^ 32. 0. 0 9 6, 70 ^9- 11. 4 lo 6, 7'J ■■^9' 1 1. 4 Altezza media metri 6, 11 6,62 29. 7- 2 58. 12 6, 5b ^9- 6. 1 ì3 6, 2b 28. T 1 i4 6, 17 27. 7- 2 L'.iltezza minima dell'an- i5 5, 9^» 26. 7' 2 no 1822 , è stata di me- i6 S, 9^ 26. 7- 2 tri 5 , 46. 17 6, «7 26. 3. 1 1» 6, bS 26. 2. 1 ^9 5.80 26. 2. 4 L'altezza massima in d.* 20 6,93 26. 6. 2 anno è stata di metri 11,64. 21 6 90 26. 4- 4 22 6,87 26. 3. 1 20 6,08 27. 2. 3 L' altezza media in detto ^4 6, o5 27. I. 0 anno è stata ili metri 6 , 25 6, 9S 26. /• 2 14. 26 5, ^8 26. 3. 4 27 6, 20 27. 9- 0 28 5, 92 26. 6. 0 29 6, 00 26. lo. , 1 3o 5.86 26. 2. 1 3i K 80 25. 11. 3 osservazioni Meteorologiche fatte alla Specola del Cnlle7 - 27 It 4 9 9 là y 2a 0 ì 4 S 'à 28 0 4 <^ A ■24 j 27 9 2 la 24 ? 6 ^7 8 4 II 6 24 2 il 7 7 3 4 23 4 27 7 ò 12 iu 2 4 -»7 8 ò 1 1 1 ly ^ 27 8 8 U I so 1 ■'7 7 8 IO 2 18 3 6 27 7 I 8 Silo 2 27 6 0 IO Ò '4 6 27 7 2 II ^ ^ , ( ^7 8 7 8 0' 16 1 i7 8 6 II I 27 I 27 8 4 IO Il } 14 , 7 8 27 8 0 8 Il 14 2 27 8 I IO 6 . 1 a e 27 8 4 7 4 27 lo I 8 sjso 0 --•7 II 0 " 3' 28 .S 28 0 1 9 ", ;<5 ^ V 28 2 2 8 2'M' 3 2 ( 2 3 '2 4 40 0 28 2 0 P 2( ;, 28 2 .s 7 o,3o 28 2 5 '2 5 3; 0 28 2 I 8 <■ <3 3 II 28 2 0 t) 0, 0 -^ 23 I 9 12 Ò 'il 7 a8 1 8 9 •* 3 28 0 5 7 2 0 3i 2 28 0 5 12 a IO 0 4' 3 28 0 6 8 3 -•> 4 .3 2S 0 S òs , 28 0 6 4.S 5 28 1 .S 6 0 H 27 1 1 8 4 o'2 1 0 27 II 9 ■' 2, 45 8 27 II 9 4 " 3? > ' :> 27 1 1 7 2 ■?i5^ 4 27 1 1 - 02; 40 ,:; 27 II 6 6 1 09 0 28 0 0 2 8 3ò 2 28 0 2 7 4i 41 Q ■li'. 0 i 4 IO 2 i8 28 0 9 1 8,3i i 23 0 7 6 7| 39 28 0 8 4 3 f« 2 28 0 5 0 043 ' 2H 0 I 1 i^! 4« 4 27 n 3 2 41 2 "J 27 9 3 2 5ku 0 2.7 9 ° 4 5 4S 1 27 9 i 3 II 41 u 20 a? 9 6 2 :,l3o 0 ì7 9 a 6 6 34 9 27 IS 1, 6 ' ^ 1 2 27 lU 8 8 0 io 2 27 II I 'i S 39 7 27 1 1 2 9 t |i> i ■2 2 27 1 1 3 9 3 39 6 ^7 " 3 i3 0 41 ù 27 10 7 IO (2 0 ■»J 27 8 7 8 0 17 2 ■27 8 i " s 3ì 2 .'-7 7 0 9 ^3 5 'il »7 7 1 8 ^' '3 ' 27 7 ■; 100 1" 0 27 8 0 6 6 2S , -6 27 9 8 0 3i 2 27 IO 7 9 4 3. 27 11 8 S /' 4 28 1 8 3 0 ■il 2 28 I 6 ^ 3 36 I 28 1 4 5 <, i 1 2 28 28 2 5 0 5 3' a 28 2 5 5 .S 40 1 28 a 2 •! 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IL. u p.s. n.p s ira. 2 2 9r 0 1 0 . I S. Ir. gre. l n si.tcv. 1 gr.leu. 0 lev.sir. im US. -, :2. /ru. I S.p.lL //a. Ili II. 0 ,s6 tra. 1 s. (r«. I s. s. tra. i //"ij. 3 s- /ra. ini tra. 1 Stato liei Cip. Vento ivl e teiere p.s. s.p.n- n.s. -p.n. ine.lib. I iiicz. ini ine.sir. z iiìc.sir. ini tra. 1 ru. /™.^.r. 1 1 ru . I /ty. I ira. I /n2 o Lrif. I Ira. . ra.gr. tra. tra. ira. 1' S "1 b n p. p gn. p.g.n 1 t. p.ii.g. ne *l)rif gr /tv. a leu. Si r. 1 m tra. tra. tra. ira. tra. ra. neb.* neh.-)- a lp4 eij.f. ne.p ji p.gn. p.n, P S "• p.n g. PS- 4^4 INDICE DEGLI ARTICOLI GONTr:XtJri NKL TO:VT. X7I. DEL GJOXIXALE AKv^ADlCO . OTTOBRE, NOVEiATBRE, DICEMBRE i8aa. SCIENZE Tranceschi , annali di medicina pra^ iica p. 3 — • — Boseliini^ osservazioni sopra alcuni princijjj di scienza economica del Gioja ( art. 2 e ó- ) p. iG — agy ì^'^accfì , memoria seconda stupra il mo- do distrarre la pietra dalla vessi- ca orinarla p. 39 — — Seti eie , elementi d' ottica e d' astro- nomia. f'^ol. 1 i p. 3G — — » T' asmoiidi , memoria su di una ope- razione di litotomia ...... p. 47 — "~* Bassanelli , Leverà seconda sopra un feto senza sterno p- 5o — — De - fiossi^ sperienze cliniche sul sol- Jato di chinino /J. — 129 — Tonelli ^intorno il medesimo solfato, p. — • i5j — Munoir ^ nuovo metodo d' estirpare il sarcocele senza i estirpazione del testicolo p- — 167 — Calandrelli ^ formale analitiche della pasqua p. — \'-jS — • Fusconi , de monomachia ec . . p. — . 87 — Monticelli e Covelli , osservazioni ed esperienze fatte al Vesuvio ... p. — 393 — Brera , Sfoggio clinico sult iodio e sue combinazioni , . . . yo. — 3i8 ^ LliTTEPvATaRA. Monnldi , lettera sopra alcune medaglie antiche inedite . p bG — — Cenni sul pubblico insegnamento della Cina. . /^- 7 ' — ■"" filata , memorie sul foro Trajano ( art. ultimo ) P- ']^ — "^ Perticari , continuazione delle sue lette- re inedite /?. 88 — — Dante , emendazione dun suo sonetto, p. « o5 Borghesi , osservazioni numismatiche ( de- cade, yill ) p. 2o3 P>itrwici ^ poesie scelte latine. ... p. — ^ó'j — Zannoni , elogio dE. Q. Risconti . p. — >G»y — Guadagni , versi latini p. — i'j\) — Orioli., epistola x in C Valerium Ca- tullum . p. — — Ò28 Placco lini e Far ruzzi , lettere sopra un antico sigillo romano p. J34 Rosmini , istoria di Milino p. o4-^ Beìtuccioli ., un morie e poesie del conte Giulio Perticari p. J^o AKT[. ^ELhìù ARTI. Sculfwa. Adamo Tadolini p. — 282 — Caecilia , epigramma in funere A. Ca- 710^'ae p. loG — — * Del- Bosso , lettere antellane sulle opere e gì scritti di Pi ance s co di Giorgio Martihi ( lett. i. ) p 38 j Stein , lezioni d architettura civile . p. JtyS Gutcnson e Knapp , monumenti di re- ligione cristiana p. \o2 Necrologia. Antonio Canova p. i — . — • Errata Corrige; pag. aSG Un . 3 vogliono sogììona :^6o 6 irapetu inijjete 2G4 6 stimano stimino 266 19 Aerarii Aera ri zby 26 Isolabiliter Xnsolabiliter IMPRIMATUR, Si videbltur Reverendissimo Patri Mag. Sacri Palalii Apostolici. J. Della Porta Archiepiscopus f>amascenus f^icesg. IMPRIMATUR. JFr. Plìilippus Anfossi S. P. A. Mag. ^