GIORNALE DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI Voi. 361, 362, 363 ROMA TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI 1850 &tiyt+ GIORNALE ARCADICO DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI Voi. CXXI Ottobre, Novembre e Dicembre 1849 e 1850 B , ,__,__, 1 ROMA TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI 1850 SCIENZE Sulla virtù febbrifuga attribuita alla corteccia delV Adansonia digitata di' Lin. Lettera del prof. cav. Pietro Carpi a sua eccellenza reverendissima mon- signor C. L. Monchini, arcivescovo di Nisibi, pre- sidente della commissione degli ospedali di Ro- ma ec. ec. A voi, monsignor mio veneratissimo , più che ad altri io doveva indirizzare i risul lamenti ottenuti dal- le prime sperienze da me instiluite sulla virtù febbri- fuga attribuita alla corteccia dcìV Adansonia digitala di Lin; virtù annunziata nel Iournal des debals dei 31 luglio a. cor. , mentre da voi ebbi la prima notizia di questo nuovo antifebbrile e dalla vostra solleci- tudine il mezzo per farne la prova. Giunta infatti da Parigi una piccola quantità di questa corteccia, che voi vi procuraste dal nunzio apostolico, vi compia- ceste di metterla subito a mia disposizione; ed io, per corrispondere alla vostra premura e per soddisfare ancora alla mia curiosità, mi affrettai a sottoporla all' esperienza. L'occasione per ciò eseguire non era per me difficile, conoscendo che molli fra i malati che vengono all' arcispedale di s. Spirito sono attaccati A Scienze da febbri periodiche, le quali, come indigene del no- stro suolo, sono quelle che non si vincono se non col mezzo più valevole della china e de' suoi pre- parati; per cui presso di noi più che in qualunque altro luogo si sarebbe potuto decidere se veramente la nuova corteccia goda dell' annunziata virtù anti- febbrile. A tal fine pregai il sig. dott. Brunelli, uno dei medici primari dell' arcispedale , affinchè fra i malati che si fossero presentati al suo quartiere, mi scegliesse quelli che venivano attaccati da una feb- bre periodica di tipo terzanario, escludendo gli altri più gravi per non compromettere la loro vita nello sperimentare un nuovo rimedio. Coadiuvato da esso, non meno che dal suo medico assistente sig. dott. Pietrantoni (1), ho potuto instituire le mie sperienze, delle quali espongo con la più scrupolosa schiet- tezza i risultamenti ottenuti. Ma prima di far ciò non vi sarà discaro ch'io della pianta, da cui viene tolta questa corteccia, vi dia qualche notizia rac- colta da vari scritti già pubblicati. E' questa la spe- cie digitala di Lin : dell' Adansonia, cosi chiamata dall'essere stato Adanson il primo a descriverla ed a farla conoscere nel suo ritorno dal Senegal. E' in- dicato quest'albero comunemente col nome di Boabab o Baobab , ed è rimarchevole per la grossezza stra- ordinaria del suo tronco. Esso ama un terreno sab- bioso ed umido; cresce sul littorale dell'Affrica dalle spiagge della Gambia fino al regno d' Oware e di Benin ed anche al Congo, ove il capitano Tucklay (1) Profitto ili quest'occasione per dare all'uno ed all'altro mi pubblico attestato della mia riconoscenza. Sulla virtù' Febbrifuga 5 lo indica come uno dei principali alberi delle spiag- ge del Zaire. Il tronco non è molto elevato, non acquistan- do ordinariamente che dieci o dodici piedi di al- tezza : il suo diametro è di 25 a 30 piedi. Si di- vide alla sua sommità in un gran numero di rami molto grossi, lunghi da 30 a 60 piedi ; quelli dei lati si estendono orizontalmente e qualche volta , a cagione del loro peso, giungono a toccare la ter- ra: di modo che quest'albero, nascondendo la mag- gior parte del suo tronco , comparisce da lontano sotto la forma di una massa emisferica di verzura, di un diametro di circa 140 a 150 piedi sopra 00 a 70 piedi di altezza. Ai rami del Baobab corrispondono a un dipres- so altrettante radici quasi della stessa grossezza, ma molto più lunghe; quella del centro forma un fitto- ne, il quale simile a un grosso fuso si affonda ver- ticalmente ad una grande profondità: laddove quelle dei lati si estendono e si propagano quasi alla su- perfìcie della terra. La scorza che copre le radici è di un bruno che pende al color di ruggine: quella del tronco e dei rami è cenerina liscia, grossa e come vernicia- ta al di fuori, e di un verde punteggiato di rosso al di dentro. Disseccata diviene di una tinta più cu- pa. Il suo tessuto è formato di fibre dure e tenace- mente unite. Il legno è mollissimo, bianco e legge- ro: finalmente la scorza dei teneri ramoscelli dell'an- no è verdastra e sparsa di rari peli. Le foglie nascono soltanto su i teneri ramo- scelli, e queste sono peziolate, alterne, digitate, com- 6 Scienze poste eli (re, di cinque o sette foglioline ineguali , ovali , appuntate in forma di cono alla lor base , molli, glabre,verdi nella pagina superiore, di un verde pallido in quella inferiore e traversati obliquamente da alcuni nervi alterni. Queste foglioline sono intere o munite qualche volta verso la loro sommità di denti più o meno manifesti. I fiori sono proporzionati alla grossezza del mo- struoso vegetabile: e quando sono aperti, hanno quat- tro pollici di lunghezza e sei di larghezza. Sono solitari nelle ascelle delle foghe sospesi ad alcuni peduncoli lunghi un piede e coperti di tre squam- ine separate fra loro. Ciascuno dei fiori ha un calice coriaceo, ciati- forme, caduco, con cinque incisioni reflesse in fuori; cinque petali bianchi, rilevati per molti nervi para- lelli; stami numerosi (circa 700, secondo Adanson ) riuniti in un tubo nella lor parte inferiore; uno stilo lunghissimo un poco contornato, e dieci a quattor- dici stimmi. II frutto è conosciuto dai francesi, che abitano al Senegal, sotto il nome di pane di scimmia (jpain de strige ) e dai naturali del paese sotto quello di bocci. Questo frutto è una cassida ovoide appuntata alle due estremità, della lunghezza di un piede a un piede e mezzo, della larghezza di quattro a sei pol- lici, e la di cui scorza legnosa è ricoperta da una lanugine rossastra molto folta. E diviso internamente in dieci a 14 loculi formati da tramezzi membra- nosi. Ciascun loculo contiene molti semi reniformi e circondati di polpa. La polpa si mangia ed è di un sapore acidetto e gradevole. Se ne spreme anche Sulla virtd' Febbrifuga 7 il sugo, che mescolato allo zucchero viene impie- gato a formare una bevanda utilissima in quelle re- gioni calde , ed è usato con vantaggio nelle febbri gastriche. Questa polpa perde molto della sua bontà invecchiando: nulladimeno un tal frutto è un oggetto di commercio, poiché i mandingui lo portano nella parte orientale e meridionale dell'Affrica, e gli arabi lo fanno passare nei paesi vicini del regno di Ma- rocco e di là si diffonde anche nell'Egitto. Quando poi codesti frutti incominciano a guastarsi, sono im- piegati dai negri per fare un eccellente sapone, le- vando dalle loro ceneri la lissivia, e facendola bol- lire coll'olio di palma che comincia ad irrancidire. La polpa del frutto del Baobab fu analizzata da Vau- quelin, il quale la trovò composta di Amido ~ ( perfettamente analoga alla ) Gomma > l u- \ ( gomma arabica ) Acido ( analogo all' acido malico ) Zucchero Come i vegetabili del gruppo, al quale appar- tiene il Baobab , tutte le sue parti abbondano di mucillagine , ed hanno virtù emolliente ed incras- sante. 1 negri fanno seccare all' ombra le sue fo- glie e le riducono in una polvere da essi chiamata Lalo e che conservano in sacchetti di tela di cottone, facendone un uso giornaliero col mescolarla ai loro alimenti. Il Lalo modera l'eccesso della loro traspi- razione , e diminuisce 1' ardore che li consuma ; e Adanson stesso ne ha provati buoni effetti , poiché con la tisana fatta con queste medesime foglie potè preservarsi dalle diarree, dalle febbri infiammato- 8 Scienze rie, dagli ardori dell'orina, malattie delle quali son preda frequentemente i francesi e gli europei che risiedono al Senegal. I negri fanno inoltre un uso molto singolare del tronco di questi alberi. Essi ingrandiscono le cavità di quelli che sono attaccati dalla carie, e fa- cendovi alcune specie di nicchie appendono in que- ste i cadaveri di coloro, ai quali sono stati negati gli onori della sepoltura. I cadaveri vi si seccano perfettamente e vi di- vengono vere mummie senz'alcun'altra preparazione. I corpi così seccati sono per la massima parte di quirioti, nomi che hanno i poeti ed i musici che pre- siedono alle feste e alle danze presso la corte dei rè negri; la quale specie di superiorità di talenti li fa rispettare dagli altri negri che li considerano co- me maghi o demoni: ma , appena muoiono, il ris- petto si cangia in orrore , ed essi credono che se questi corpi si sotterrassero o si gettassero nelle acque, recherebbero la maledizione sulla terra; onde li na- scondono nei tronchi di quest'albero. Il Boabab è stato trasportato dall'Affrica in varii luoghi del nuovo mondo: così esiste a s. Domingo, alla Martinicca, ed in varie altre isole del golfo del Messico. Si citano alcune giovani piante all'isola di Francia. Bory de s. Vincent ne ha veduta una a s. E- lena. Si coltiva ancora nei nostri giardini, ed una di esse può osservarsi nell'orto botanico dell'archi- ginnasio romano presso il palazzo Salviati. Ma esi- gendo 1' albero un alto grado di temperatura , non s'innalza mai ad un'altezza rimarcabile, e non dà al- cun'idea della forma gigantesca che acquista nel suo Sulla virtù' Febbrifuga. 9 paese nativo. Si spoglia delle foglie nel mese di no- vembre, rivestendosi di nuovo nel maggio, fiorisce nel luglio e matura i frutti nell'ottobre. Il suo ac- crescimento, ch'è rapidissimo nei primi anni che suc- cedono alla sua nascita, diminuisce di poi conside- rabil mente. La sua durata è tale che sorprende l'im- maginazione, ed ha avuto per questo il nome di al- bero di mille anni. Se vogliamo credere ai calcoli ingegnosi dell'Adanson, a cui dobbiamo una storia estesissima di questo vegetabile, molti di quelli da lui osservati al Senegal avevano perfino l'età di sei mila anni !! Sebbene si conoscessero già da lungo tempo gli usi e le virtù di varie parti del Boabab, come delle foglie, della polpa, dei frutti ec, niuna notizia però si aveva, almeno presso di noi, di quella molto più importante della sua corteccia di debellare le feb- bri intermittenti. Non poteva dunque non risvegliare la nostra attenzione l'annunzio dato dal Ioumal des debats dei 31 luglio, che la corteccia del Boabab era stata riconosciuta efficace a guarire questo ge- nere di malattie ; annunzio che veniva confermato ancora dagli sperimenti instituiti dall'accademia di medicina di Parigi (1). Tale notizia era per noi di tanto maggiore importanza, in quanto che, essendo presso di noi frequentissime queste febbri special- mente in estate , e consumandosi in conseguenza quantità considerabili di china o de'suoi preparati, si sarebbe potuto portare un'economia non piccola (1) Questa conferma si è avuta da una corrispondenza partico- lare. 10 Scienze col nuovo rimedio ai nostri stabilimenti di pubblica carità. Avuta perciò a mia disposizione una piccola quantità di questa corteccia, mi accinsi ad instituirne i seguenti sperimenti. 1. Il giorno 8 ottobre si presentò all'ospedale Paolo Casadei di anni 40, contadino, che fu posto al letto num. 22 del braccio nuovo nel quartiere del sig. dott. Brunelli. Era esso attaccato da una febbre intermittente di tipo terzanario doppio. Terminato 1' accesso e nel tempo dell' apiressìa fu all' infermo amministrato a più riprese una forte decozione fatta con un'oncia (peso medicinale) di corteccia di Adan- sonia. Nel giorno seguente tornò 1' accesso, passato il quale, fu ripetuta la stessa dose di decozione della corteccia, ma senza effetto, mentre verso la sera si presentò di nuovo l'accesso febbrile. Fu proseguito il rimedio nella stessa dose nelle ore mattutine, in cui il malato trovavasi apiretico, anche nei giorni IO, 11, 12, 13, ma sempre senz'alcun risultato: per cui nel giorno 14 si decise di non portare più oltre lo sperimento, e, dato ad esso una dose con- veniente di solfato di chinina, guarì perfettamente. Con sei once di corteccia somministrata in deco- zione a quest' infermo non si potò ottenere che la febbre cessasse. La sola considerazione da farsi in questo casosi è, che il malato era recidivo: ed ognu- no conosce quanto le febbri intermittenti recidive sieno difficili a vincersi, in modo che talvolta non cedono neppure alla china ed ai suoi preparati. 2. Nella mattina dello stesso giorno 8 ottobre venne accolto all'ospedale Filippo Marinelli, campa- gnolo^ temperamento sanguigno, dell'età di anni 24. Sulla virtù' Febbrifuga 1 1 Fu posto al numero 29 elei braccio nuovo nello stes- so quartiere del sig. dott. Brunelli. Era apiretico , e da quanto egli narrava, si conobbe chiaramente che nei giorni precedenti aveva avuto tre accessi di febbre terzana doppia. Fu purgato nella mattina stessa, ma verso la sera tornò V accesso febbrile che durò poche ore: per cui nella notte si potè ammi- nistrare il decotto fatto con un'oncia di corteccia di Adansonia, il quale, sebbene dato a più riprese, fu dal malato reso per vomito. La mattina seguente, tro- vandosi ancora apiretico, s' incominciò di nuovo a somministrargli una seconda dose di decotto, della quale peraltro non potè prendere che una terza par- te pel nuovo accesso di febbre sopraggiunto più forte ancora dei precedenti; cessato però nella sera, si ripetè nella notte altra simile dose della stessa de- cozione. Nella mattina seguente, ch'era il giorno 10, si trovava nel medesimo slato: per cui gli fu som- ministrata altra dose di decozione, che peraltro non potè prendere in totalità, essendo sopraggiunto l'ac- cesso febbrile. Cessata la sera la febbre , si tornò nella notte a somministrargli altra dose della deco- zione. Proseguirono nello stesso modo gli accessi nei giorni successivi 1 1, 12, 13 e 14, e nelle ore di apiressia si continuò 1' uso del rimedio : per cui furono impiegate in tutto circa 6 once di cor- teccia in altrettante decozioni, senza che si potesse giungere ad impedire il ritorno dell'accesso febbri- le. Si passò allora all' uso della china ed il malato guarì. 3. Valeri Luigi di anni 19, di professione cam- pagnolo, di temperamento sanguigno, il quale aveva 12 Scienze già altre volte sofferto febbri periodiche , viene fi giorno 9 ottobre all'ospedale con febbre, ed è po- sto al letto 33 car. del braccio nuovo nel quartiere del dott. Brunelli. Egli riferisce aver avuto altri due simili accessi di febbre nei giorni 5 e 7, essendo re- stato libero negli altri intermedi 6 e 8. Tutto ciò dava a conoscere essere egli preso da una febbre terzana semplice. Alla sera dello slesso giorno 9 ter- mina l' accesso febbrile con sudore e prende nella notte un' oncia di corteccia di Adansonia in decotto. Nel giorno seguente, durando lo stato apiretico, gli vengono somministrate due altre dosi simili di cor- teccia, l'ima la mattina e l'altra la sera. Nella notte e nella mattina seguente si ripetono due altre dosi si- mili. L' accesso febbrile nelle ore pomeridiane non comparisce. Si prosegue 1' uso della medesima cor- teccia nei giorni successivi 12, 13, 14, 15 1G, e nella mattina del 17 partì dall' ospedale perfetta-3 mente guarito. 4. Questo quarto sperimento ebbe luogo in un giovanetto di circa quindici anni , il quale era at- taccato da una febbre intermittente di tipo terzana- rio semplice. Somministrate ad esso nel tempo dell' apiressia due once di corteccia di Adansonia in de- cotto tornò l'accesso febbrile: ma terminato questo e ripetute altre dosi dello stesso rimedio, la febbre non comparve più ed uscì dall'ospedale sanato. Fin qui giungono le mie sperienze, non essen- dosi potute proseguire più oltre per aver esaurita la quantità di corteccia che possedeva. Allorché ne giungerà dell'altra da Parigi, come mi si fa sperare, si potranno moltiplicare le prove sopra la medesima. Sulla virtù' Febbrifuga 13 Intanto, dopo i fatti riferiti, che cosa potrà dir- si intorno alla virtù febbrifuga della corteccia dell' Adansonia? A me sembra che finora non possa sta- bilirsi un giudizio definitivo, essendo troppo scarso il numero degli sperimenti «istituiti, e non essendo stati neppure in questi i risultati uniformi. Che se nei due primi casi la decozione fatta colla cortec- cia dell'Adansonia non è stata valevole a troncare la febbre, non si può neppure negare ad essa una virtù febbrifuga, avendo portato la guarigione negli altri due casi: per cui in tale incertezza è indispensabile che vengano moltiplicati gli sperimenti. Due circo- stanze però, nei casi da me narrati, a me sembra che meritino qualche considerazione: la prima, che, per troncare la febbre, è stata necessaria una dose molto maggiore di quella indicata dal Iournal des debats^ e dalle sperienze istituite dall'accademia di medicina di Parigi; la seconda, che la decozione della cortec- cia dev'essere preparata con una particolare diligen- za, mentre attesa la grande tenacità e compattezza delle sue fibre , è necessaria una ben prolungata ebollizione, onde poter estrarne tutta la parte solu- bile nell'acqua. Per conoscer poi di qual natura sie- no questi principii che agiscono nella decozione, sa- rebbe desiderabile che qualche chimico distinto ne instituisse un'analisi esatta. Di Vostra Eccellenza reverendissima Roma li 10 dicembre 1850. Umo devmo obblmo servo Pietro Carpi. 14 Delle longevità e de' ringiovanimenti. Ricerche medico-fisiche. Mio caro coetaneo, .Lia vecchiaia? Eh si: è una brutta parola, e per noi due, quel che è più doloroso, è un triste fatto. Senectus ipsa est morbus. Essa è una malattia che necessariamente conduce alla tomba. Consoliamoci però. Per solito è infermità cronica : ciocché "vuol dire che, avendola, si può nondimeno strascinare la vita per un certo numero d'anni, se può chiamarsi vita il cotidiano assistere alla lenta demolizione del proprio corpo, sentendosi morire a pezzo a pezzo. Sovente però (non lo dite ad alcuno, perchè non si rida della mia stoltezza) ho domandato a me medesimo se per avventura non vi fosse qualche co- sa di vero nelle cerreteneschc promesse dei promet- titori d'immortalità, ed ho voluto leggere quel che ne ho trovato scritto ne' libri. Ho poi domandato alla mia logica un giudizio imparziale intorno alle cose lette. E so quel che la mia logica ha risposto: ma desidero intendere quel che dice la vostra ; e perciò mi son determinato a scrivervene ciò che da varie parti ho raccolto. Saprò indi a vostro comodo quel che, ben ponderata ogni cosa, avrete deciso. Chiedo dunque: è egli poi ben provato, che la pre- sente nostra natura abbia prescritto alla vita umana tali confini da non poter questa prolungarsi gran fatto Delle Longevità' 15 al di là di cento anni; termine, quel che è peggio, a cui rarissimi sono quei che pervengono ? Certo la esperienza giornaliera sembra rispondere, che pur troppo tale è la legge comune. Ma se la legge è comune (ripiglio la dimanda) è poi legge universale? Narrano il Rudbekio , già prof, celebre della Università di Upsal , nell' opera intitolata Atlantica, ed il Bayle nelle Nouvelles de la republique des let- tres, ianvier 1685 art. 2 pag. 66, che potè rica- varsi dai registri battesimali e morluali di 12 par- rocchie della Svezia, relativi a soli 75 anni, i quali cominciando col 1600 finivano nel 1675, essersi in quel periodo di tempo contate ben 232 pe rsone , altre morte, altre ancora sopravviventi, tra 1 e quali mentre tutte avevan passato 1' età nonagenaria, un vecchio fu ch'era giunto al ducensessantesimo anno (nota bene), ed aveva potuto co'propri occhi vedere la sua discendenza pervenuta alla settima generazio- ne. Un altro aveva toccato l'anno suo cencinquante- simo sesto; alcuni varcarono l'anno cenquarantesimo, o poco meno. Corre anche a stampa la vita d'un Cri- stiano Iacobsen di Norvegia, morto nel 1772, nato nel 1626, stato perciò al mondo egli pure 146 anni. Lessi già nel giornale enciclopedico di Bouillon (Ianv. 1786) un estratto autentico delle più grandi longevità, incontratesi ne'tre regni della Gran Breta- gna dal 1635 in poi, dove s'incontra un Guglielmo Morton trapassato nel 1772 a Balzel prusso Hamilton nella Scozia, dopo aver compiuto anni 179; un al- tro (il famoso pescatore Ienkins, pensionato di Car- lo I), che avevane vivuto 169; un terzo di 134 anni; uno di 141; quattro di 140; uno di 137; due 16 Scienze di 136; uno di 134; uno di 130 . . . due di 152, e tra questi ultimi Tommaso Parr sepolto in Lon- dra, nella celebre abbazia di Westminster, con una epigrafe sulla tomba che una sì lunga età rammenta ad un tempo ed attesta. Lunga menzione è altresì fatta nel giornale medesimo ( Févr. 1780 p. 131 ) d'una mora di anni 175 colle particolarità relative alla vita di costei, le quali provano la realtà del racr conto. S'ebbe pure ne' fogli pubblici del 1836 (lourn. de Paris, e Gazz. di Milano 2 luglio), che in America, o viveva ancora, od aveva appena ces- sato di vivere, la nutrice di Washington, Ioice Heth, giunta allora al censessantaduesimo anno. S'ha final- mente nelle autentiche anagrafi, le quali periodica- mente si pubblicano nel grande impero delle Rus- sie, un numero sempre di longevità di queste non minori, e talune anche maggiori, periodicamente rac- colte a buono altrui documento. Che se per avven- tura alcuno opponesse ciò solo essersi osservato ne' paesi più freddi, non già ne'nostri troppo dal sole favoriti per consentire età sì lunghe, io risponderò con Plinio, il quale ci ricorda i censimenti eseguiti in Italia sotto i due Vespasiani, donde pur s'apprese che la sola Velleia (quella Velleia scavata poi re- centemente di sotto lo scoscendimento di terra che la seppellì come un' altra Pompei ) die sei persone d'anni 110, quattro di 120, una di 140; mentre in Rimini due ve n'ebbero di 150, e una di 137; e così altri altrove. Puossi dunque a buoni conti già di qui dedurre, che la legge di vita, o piuttosto di morte, della quale parlavamo in principio, può bene Delle Longevità' 47 avere alcune eccezioni ; ossia eh' essa non è poi si assoluta, come per avventura i più avvisano. E so che pochi vorran qui digerire la novella del vecchio di 260 anni, non ostante la relazione e l'autorità del Rudbekio e del Bayle; ma eccoti presso Valerio Massimo (VII. 13) quel Litorio, che anche Plinio ricorda, celebre tra gli antichi per aver con- tinuato la vita sino all'anno trecentesimo. Ecco pres- so Elmacino il persiano, che nel secolo VII giunto era a gran fama pe'suoi 236 anni d'età. Ecco l'uo- mo della Sogdiana, ricordato nella vita di Tamerla- 110, che fu vivo per anni 350; ecco il sì rinomato nel medio evo Giovanni di Stamp, o De'Tempi, che gli scrittori del secolo XII attestano morto nell'anno suo treeensessantesimo (Cf. Boterò, Disc, sopra la rag. di stato. Disc X). E non dirò poi , tratti da Plinio e da Valerio Massimo ( ivi ), quel Dantone illirio di anni 500, quel re de' atonii di 600, e quel suo fi- gliuolo di 800. Favole ! mi risponderete , caro mio coetaneo. Favole da raccontare a'fanciulli dalla signora nonna al cantoncello del fuoco. Favole ed imposture, non di questo nostro solo, ma di tutti i tempi , o poco esperti nella critica storica, o facili a lasciarsi ab- bindolare da giuntatori di certa specie. Sul quale proposito mi ricorderete , a cagion d'esempio, il celebre conte di s. Germano, che nel passato secolo tanto die a parlare di sé in Parigi per la imperterrita franchezza , o vogliasi dirla im- pudenza, colla quale vantavasi d'essere dottor massi- mo in arte ermetica, fabbricatore dell' oro, valente in gonfiare diamanti, e successore dell'arcano d'im- G.A.T.CXXI. 2 18 Scienze mortalità : in prova di che dava a sé stesso un' età portentosamente grande. E mi ripeterete la notissi- ma storiella del dialogo tra il lesto fante che servi- vaio come cameriere, e l'Eminentissimo de Rohan. Era un vecchio co' capelli bianchi, e con una maschera di viso, che l'avresti detto l'ingenuità fatta maschio.- Galantuomo, gli disse dunque un giorno, chiamatolo a sé, il Cardinale: mi do tutta la pena del mondo per poter credere le maraviglie che ci narra il vostro padrone, e confesso di non riuscirvi. Che sia ventriloquo, e che profìtti di questa abilità, lo vedo. Che faccia dell'oro, voglio concederlo. Ma che sia nato da or sono duemilanni, e che sia stato un de'commensali di Ponzio Pilato, è pillola troppo dura da digerire. Che ne dite voi ? — Non ne dico nulla, rispose il semplicione. Questo fatto è più an- tico di me. Io sono al servizio di sua eccellenza il signor conte da soli 400 anni — ! {Diclion. Inferri, par. I. Collin de Plancy s. v. Saint Germain ). Mi richiamerete non meno alla memoria l'ugualmente celebre Giuseppe Balsamo , più conosciuto ancora sotto il nome di conte di Cagliostro, il quale noi possiamo aver conosciuto di persona , comechè da fanciulli; e mi narrerete gli uguali vanti che ama- va darsi. Mi parlerete indi dell'altro impostore non manco illustre, Federigo Gualdo, tedesco d'origine, a sua detta, e certamente cosmopolita, scomparso di Venezia il 22 maggio 1G87, dopo avervi dimorato per sopra 40 anni , come principe degli ermetici , sempre colla stessa freschezza, e, ad un tempo, ma- turità di volto, mostrando né più né meno d' una età appunto quadragenaria , ed avente in casa un Delle Longevità' 19 ritratto di sé, che gl'intendenti giudicavano di man di Tiziano: donde amavasi inferire ch'egli contasse in realtà un'età non minore di 200 anni (V. La cri- tica della morte, ovvero l'apologia della vita. - Tra- duzione dall'inglese - Ven. 1717); e ricomparso col- lo stesso nome, se non nella stessa persona, ai tempi del Yallisnieri (Opp. T. 3. Lett. scientif. p. 573). Mi parlerete per ultimo del famosissimo fra tutti giu- deo errante, o si chiamasse, come più comunemente vuole la leggenda, Ahassuero; o, come l'antica fran- cese canzone, Isacco Laquedem (V. Diction. Inferii, a questa voce ) ; o Giovanni Buttadeo, come scrive nella sua Teologia Naturale ( lib. 1 , 10, p. 248) Guglielmo Derham; o Michob Ader, come nella let- tera 82 del T. 2 riferisce YEspion ture, il qual dice d'averlo incontrato, e d'avervi tenuto discorso; o fi- nalmente Cartolilo sinché professò la religione giu- daica, e indi Giuseppe dopo che ottenne il batte- simo per mano d' Anania, secondo la relazione di Matteo Paris (V. Thom. Brown, Saggi sugli errori popolari T. 2, lett. 111, cap. 17, 5). Dico il giudeo errante (Venduto popolare anche all'Italia da un mal romanzo francese di notissima penna), del quale tutti sanno la favolosa condanna all'immortalità e ad una vita perennemente nomade per aver negato il refri- gerio d'un po'd'acqua a N. S. G. C. mentre passava gravato della croce, e per averlo maledetto. Intorno a'quali, speculavano, mi direte, tutti co- storo sulla credulità umana , e sulla paura della morte e della vecchiezza, dando ad intendere chi una favola e chi un'altra, ma più generalmente un'ar- cana virtù o d'elisirre, o di pietra filosofale, o di 20 Scienze liquore formalo con arti di goezia, o di teurgia , o di fisica occulta, o d'altro specifico alto a prolungare quanto più si voglia il vivere, e perpetuarlo. E vor- rete mostrarmi che la promessa o la speranza è quasi vecchia quanto il mondo, non solo rispetto al qui discorso prolungamento, ma perfino rispetto alla re- stituzione della gioventù, quando già si son toccati, o trapassati i confini della vecchiezza. Imperciocché non lascerete di richiamarmi alla mente la favola di Medea che colla potenza di magiche cotture a gio- vinezza richiamò Esone, e dopo Esone le nutrici di Bacco; e quel che Platone (in Charmide, sive de lem- perantia), e Luciano (in Scytha, sive hospile) rac- conta de'discepoli di Zamolxi, prometittori di far- machi di non minore potestà; e il vanto che nella Cina ed in Cambogia si danno i Taossè od i Passe; e quello de'fratelli della Rosea Croce, l'im- postura de' quali fu già svelata da Gabriello Naudè nel libro : Instruction à la France sur le vérité de Vhistoire des frères de la Rose Croix (1623 in 4 et in 8). Ma io lasciata da parte, appunto come troppo incerta, questa specie d'argomenti di fatto troppo po- co atti a persuadere i vostri pari, dirò invece d'altri, e mi servirò di storie, in parte almanco, un po' me- no incredibili, per provarvi da senno che non è poi così fuor di ragione, come a prima vista può sem- brare, il non perdere al tutto la speran za che il tem- po , il quale tante belle cose ci ha fatto scoprire , ei faccia trovare un giorno il segreto o d' allonta- nare la vecchiaia, o per avventura di medicarla, resti- tuendo non le apparenze sole , ma eziandio la so- stanza del vigor giovanile, più o men perduto. Della Longevità' 21 Non voglio nemmen io far gran fondamento sul racconto del Torquemada, nel Disc. I del suo Giar* dillo de' fiori curiosi (Traduz. ital. p. 413), dove fa- cendosi forte dell' autorità di Velasco Tarentasio (lib. VI Philonii e. 12) dice d'una badessa di non so qual monastero di Morvedro, nel regno di Va- lenza, vivuta nel suo tempo , la quale poi che fu giunta all'età di quasi 100 anni, patì in sé sì gran mutazione, che in breve la secrezion d'ogni mese già da moltissimi anni smarrita tornò in essa a mo- strarsi colla stessa regolarità come in gioventù ; i denti caduti rinacquero; i capelli si rifecer neri dalle radici, e poscia in tutta la lor lunghezza; e tutto il corpo ripigliò una giusta rotondità, dissipate le ru- ghe del volto, e cessata la flaccidità negli organi del- l'allattamento, qual se non già più di un secolo di , vita, ma soli 30 anni contasse. Né maggior conto farò del secondo esempio v(p. 414), appreso da esso in Roma verso gli anni Ì530 e 1531, d'un vecchio dimorante in Taranto, il -quale del pari, giunto all'età centenaria, gittò via la vecchia pelle, e con essa ancor l'unghie de'piedi ;e delle mani: e rinnovata così la giovinezza, pro- tratto indi aveva l'età d'altri 50 anni, dopo i quali ^Itanto era per la seconda volta divenuto decrepilo, o ronchioso come un antico tronco d'albero. Dirò lo stesso del terzo fatto, che il Torque- mada narra ivi d'aver appreso dall'ammirante di Ca- stiglia, relativo ad un uomo ch'egli incontrato aveva in Rioia, con un'apparenza nel viso di non più che 50 anni, che pur diceva essere stato lacchè nella casa dell'avolo di esso ammiraglio, e vantava di se 22 Scienze quel che di sopra riferimmo della badessa di Mor- vedro e del vecchio tarenlino. Ben mi sembra che meriti un pò più d'atten- zione la quarta storia, la quale presso l'illustre pa- dre Gio. Pietro Maffei della compagnia di Gesù (nel- le Historie dell'Indie orientali. Traduz. di M. Fran- cesco Serdonali. Venezia 1589, lib. XI, p. 189) al seguente modo si legge: « Mentre queste cose s'appa- » recchiavano, venne al governatore uno della na- » tionc de' gangaridi, che oggi chiamano Bengale , » che era huomo, come dicevano, di 300 e 35 an- » ni. Né vi era chi sospettasse di bugia: perciocché » quelli, che allora erano più vecchi, dicevano di » haver udito parlare alloro maggiori di quest'huo- » mo medesimo, come di vecchio, et egli haveva un » figliuolo di 90 anni; e se bene non aveva cogni- » tione di lettere , le cose che raccontava delle » pruove fatte dagli antichi, corrispondevano benis- » simo alla fede degli annali. A costui erano caduti » già alcune volte i denti, e incontanente glie n'e- » rano nati degli altri: e quando la barba eia del » tutto incanutita, di nuovo diveniva per se stessa » nera, e questo a poco a poco. Cento anni addie- » tro aveva adorato gl'idoli; dipoi, con errore pari- » mente miserabile, haveva seguitato la scelerata set- » ta di Manometto. Questi, per la novità del mira- « colo, era solito essere stipendialo per suoi alimenti » dal sultano , e domandò a Nonnio la medesima » provvisione per la sua vita. Nonnio la concesse » volentieri. » E dico che questa istoria inerita un pò più d' attenzione che l'altre , non solo per la fede dovuta Della Longevità.' 23 ad un autore qual è il Maffei, sì d'altra parte accu- rato nella narrazione di molti particolari , ma ezian- dio perchè non è il solo ad averci trasmesso la me- moria di costui , posto che se ne parla altresì dal Mendoza nel Viridario (1. 4. Probi. 17), e da Her- nando Lopez di Castagneda nel lib. 8 della sua cro- naca: donde s'impara inoltre, che quando al viceré Nugno Acugna fu presentato l'anno 1538, nella città di Diu, contava esso 340 anni; che ricordavasi della fondazione di quella città; che quattro volte fino a quella età era ringiovanito, perdendo la canizie e le crespe, e riacquistando i denti; che quando il viceré lo vide aveva capelli neri e poca barba ; che tro- vandosi alla visita presente un medico, e fattogli ta- stare il polso, fu questo giudicato vigoroso come quello di un giovane; che al re di Portogallo se ne mandò notizia, e ch'egli interrogava spesso i venuti di colà intorno al memorando vecchio ; finalmente che al tempo del Torquemeda era ancor tra'vivi, quantun- que allor contasse ben 370 anni di vita. Nondimeno io mi riterrei dal mostrarmi dispo- sto a crederlo, se di sì fatte maraviglie, od almeno analoghe a queste, troppe altre volte non avessi tro- vato menzione presso scrittori anche rispettabili. Pas- serò sotto silenzio quel che il Mangeto registra nella Bibl. med. pract. lib. XI. S. V. Mania et Melancholia, sulla fede del Penot, d'un rimedio con elleboro qui decrepitimi hominem in iuvenem renovat ; soggiun- gendo : Hoc medicamentum decanus quidam reperiti, et eo usus est, qui annis C et LXXXVI vixit, cuius epitaphium tale est: 24 Scienze Hic iacet edcntulus canus atque decanus; Rursus dentescit, nigrescit, et hic requìescil. Ma incontriamo nel Bartolino (Hist. rarior. cent. F, e. 28) dal Raynaudo, che ivi cita, quibus mediis Po- stellus canus, nigros, cum iuventule, receperit capillos; e poco dopo aggiunge egli di suo: — Consultissimus vir D. Pieruccius iurisconsultus patavinus , magni Scioppii hospes, de germano quodam in Italia degente mihi fìdem fecitv quod 60 aetatis anno dentes novos, et nigros capillos sibi refecerit solo ellebori nigri ex- tracio cum vino et rosis — Narra del pari Cesare Barricello (Hortul. Genial. pag. 349 seq.): — Mulie- rem hic cognovi, Victoriam nomine, eamque honestant et bene morigeratane huic in anno 45 menslrua ces* sarunt, et fausta valetudine vixit. Cum autem sexa- gesimum fere annum attingerete ecce UH menses ru- bri bonique coloris rediere , uberaque , quae prius flaccida erant , more virginum turgida facta sunt , lactisque tanta copia impleta , ut impulsu ferrelur : quare ut puerulum filiae suae lactaret admonila est. E Pietro Borello (Hist. et obs. rar. cent. II, 81): Cum de senibus sermo nobis nunc sit , observavi multos sensus amissos rursus recuperasse ... Multos enim vidi senes, qui auditum, visum, et ambulandi poteslalem, a longo tempore cum amisissent, in decrepita tamen senectute , hisce omnibus , quasi iuvenescentes frue- bantur, adeo ut nec conspicillis, nec bacillo egerent. - E il traduttore del libro poco fa citato (La critica della morte, ovvero V apologia della vita ce. pag. 124): — Io era ancor fanciullo quando praticava nella mia Della Longevità' 25 casa ima femmina in età di 110 anni, che era slata coetanea di latte aitava di mia madre. Ci veniva a vedere uno o due giorni ogni settimana da un ango- lo ben lontano della città, senza alcuna assistenza e guida , mantenendosi essa in salute perfetta , senza, esser punto incurvata per lo peso degli anni. Asseri- va d'esserlesi due volte rinnovata la pelle del viso e di tutto il corpo, ed altrettante aver mutalo i denti che teneva senza alcuno mancante; e mangiava più volentieri il pane biscotto , purché fosse fresco, che le molliche come fanno gli altri vecchi. Vedeva sen- z'aiuto d'occhiali, e conservava un perfetto intendi- mento, parlando delle cose passate con una memoria felice ecc. — E pag. 12G: — Nella casa d'un celebre avvocalo soggiorna attualmente la nutrice balia del fu suo padre, ch'essa pure in età di circa 100 anni conserva un intendimento felice, e mentre aveva già quasi perduta la vista ed i denti, ora ha questi ri- messi, e V altra ricuperala. Oltre a'quali sarà bene ricordare il De Lignae (De Vhomme et de la femme considérés physiquement etc. t. 3 , p. 79), il quale scrive: Un armaiuolo di Montfaucon, delV età di 80 anni, ri-prese all'improvviso le sue forze, che credeva aver perduto per sempre; passò alle seconde nozze, ed ebbe bellissimi figliuoli; e p. 98 : Si trova nel gior- nal di medicina, tom. XVI, pag. 153, V osservazion singolare d'una donna che cessò d'avere le sue regole a 45 anni, e nella quale la periodica perdita riap- parve nel settantaduesimo anno per una paura ch'essa ebbe: seguitando così fino all'anno settuag esimo quinto. Del pari una donna d' alla condizione in Cevellaes riebbe nel suo centesimo anno, dopo 50 anni di soj)- 26 Scienze pressione, il periodico beneficio, come nel fiore delVetà (Mém. de Trevoux, nov. 1708). Essa era la mar- chesa di S che continuò a questa forma sino alV anno 104. E valga non meno quel che si legge in Gio- vanni Rodio (Cent. I. 94) di Giacomo Casotti da Trau nella Dalmazia, nonagenario , a cui , perduti già i denti, alquanti ne rinacquero come in gioven- tù - ; e quel che in Pareo (Chirurg. XXIV. 19) d' una ottuagenaria vecchia, nella quale lo stesso av- venne - ; e ciò che in Sennerto (Pract. lib. II part. I cap. 10) d'un'altra vecchia di 63 anni, che ad egual ventura andò soggetta; e ciò che nell' antico Plinio (H. N. XXIV, 19); e in Giovanni Schenckio (lib. I, obs. 406); ed in Marcello Donato (Med. Hist. lib. VI cap. '2); e nel mentovato Borello (loc. cit.) ; e negli atti fisico-medici dell' acc. cesareo-carolina-lepoldi- na de'curiosi della natura (voi. 2, a. 1730, obs. 9); e nelle satire mediche di Giorgio Franck de Franck- enau (Sat. VI, pag. 96 e seg.) ec. E per finirla valga quel ch'io trascriveva dal Cab. de lect. mere. 20 iuill. 1842. n. 4-0. pag. 64: -Noi leggiamo hi molti giornali così : « Ne si scrive da Venezia che non » vi si parla che d'un fenomeno fisiologico, il quale » è forse senza esempio, cioè del rinnovamento com- » pleto de'denti in una persona dell'età di 80 anni » finiti, suor Teodosia del monastero delle carme- » litane della nostra città. Ciò ch'è più notabile, la » stessa religiosa aveva già una prima volta rinno- » vato tutti i suoi denti nell'età di 47 anni, ed in » quella di 63, di guisa che cinque volte nella sua » vita le è ciò avvenuto. Il primo medico dell' in- Della Longevità' 27 » fermeria del monastero (il dott. Giambattista Pe- » dracca), che ha ora 80 anni, e che quivi esercita » la sua professione da 52 anni, ha pubblicalo sul- » le tre riproduzioni straordinarie de'denti in suor » Teodosia una dissertazione latina, di cui si pro- » pone di dirigere un esemplare a tutte le acca- » de mie mediche d'Europa ». Qui fo termine alle citazioni: non che ne man- cassero altre più o meno concludenti, per poco che mi dessi la pena di cercarle. Ma perchè si potreb- be opporre che queste e tutte le storie simili a que- ste han tale natura, che quali per cagione di ma- nifesta inverisimiglianza, quali per altre cagioni ana- loghe, si guadagnano poca fede nel mondo. Perciò io mi volgerò invece a trattare con argomenti a priori la questione che mi son proposta, per la spe- ranza che s' io riesca a tor di testa a voi ed agli altri la mala prevenzione in che vivono, sarà tolto il più forte ostacolo all'accettar come vere le nar- razioni precedenti. Dirò dunque che non v'è, a mio parere, alcu- na ragione intrinseca, la qual vieti di credere alla possibilità della conservazione della vita per più secoli, anzi della restituzione della gioventù, quan- do già la vecchiaia a gran passi s' è incamminata verso la decrepitezza : rispetto a che mi basti dire così aver pensato al suo tempo, per non citarne altri, anche Vopisco Fortunato Plempio nei Funda- menla Medica lib. 2. §. A. e. 8. , e tra i teologi il Del Rio ( Disquisii. Magic, lib. 2. quaest. 23 ) , il quale cosi al nostro proposito ragiona: — Cur naturalia qnaedam remedia nequeant inveniri tanlaa 28 Scienze efficaciae ... ? Humidum radicale restauravi , nativa illa nimia senectutis ariditas temperati, corrupto sue- cus melior suffiei , eeleraque deperdita, et ad liane commutalionetn requisita, suppleri ad tempus, natu- ra® legi nil repugnat .... Denique metamorphosim , quam nunc defendimus, confirmant non pauci locu- pletes testes: ciocché que'valentuomini non han poi pronunciato cosi alla leggiera, come più d'un sarà tentato di crederlo. E, per vero, io non farò qui uso delle savie, ma troppo generiche considerazioni del Montaigne (Essais 1. 26): — // fault iuger avacques plus de reverence de celle infime puissance de nature, et plus de recognoissance de nostre ignoranee et foiblesse. Combien y at il de choses peu vraissemblables, tes- moignees par genls dignes de fois, desquelles, si nous ne pouvons ètre persuadez, an moins les fault il lais- ser en suspens ? c.ar de les condamner impossibles , c'est se faire fort par une teneraire presumption, de csavoir iusques où va la possibililé. Si fon enten- dait bien la différence qiCil y a entre Vimpossible et Vinusitè, et entre ce qui est contre Vordre de nature et contre la commune opinion des hommes, et ne cro- yant pas temer air ement, ny aussi ne descroyant pas faeilement, on observerait la regie de RIEN TROP comandee par Chilon. — Più di queste considerazio- ni fanno in me forza le altre che mi somministra il fatto delle forze conservatrici, riparatrici, o, se cos'i vuoisi, medicatrici che la natura ha dato agli ani- mali, e delle quali fu liberale all'uomo principe di essi. Imperciocché ella è cosa non oggi da alcun fi- siologo impugnata, che due forze tra loro antagoniste Della Longevità' 29 dominano e reggono ad ogni istante la vita nostra ; e sono la forza per la quale ci andiamo senza in- termissione consumando e distruggendo, ed un'altra per la quale il distrutto e il consunto rifacciamo se- condo che si consuma e distrugge; con questo di più, che se la consunzione e la distruzione trapassa i mo- di ed i limiti propri d'un viver di sano, e ciò per cagione di malattia, non però subito le operazioni destinate a togliere il guasto si restano insufficienti, ma le più volte s'esagerano elle stesse, e s'accomo- dano a' nuovi bisogni che si son manifestati, e solo quando la malattia è gravissima restano inefficaci. E tuttavia , nel caso anche delle malattie gravissime, v' è poi l' arte medica, la quale aiutando la natura fa sì che le forze atte a riparare acquistino quella prevalenza, per la quale bastino all'uopo per che fu- ron date agli esseri viventi. Né se la medicina nell' odierno suo stato d'arte imperfetta non in tutte le malattie gravissime vale a tanto, è giusto dire ch'es- sa non sia suscettiva di tali perfezionamenti, pe'quali ciò che oggi le è disdetto, non siale disdetto in un tempo avvenire. Ne poi le malattie (massime gravi) necessariamente sopravvenir debbono a tutti gli uo- mini prima del morire. V'è bene la necessità d'un' ultima malattia, la quale o più presto o più tardi ci uccida: ma questa ultima malattia , la sola inevita- bile, è la malattia di decrepitezza, ossia l'inettitudine che a poco a poco il nostro corpo alla fine dee con- trarre a sostenere le funzioni della vita. Non è però provato 1.° che il termine di questa decrepitezza non possa essere opportunamente allontanato molto al di là del tempo, nel quale suol esso arrivare ; 2. che 30 Scienze anche arrivato non possa con medicamenti acconci operarsi che quelle alterazioni dell'impasto organico, donde la decrepitezza procede, si distruggano ed ogni cosa torni, per quanto è possibile, a condizione di normalità, e per conseguenza di giovinezza. E ripigliamo il discorso dai suoi principii: ma prima sbrighiamoci delle difficoltà che oppongono le infermità accidentali, per che succede che pochi sono i nati, a' quali è concesso il pervenire all'ultima vec- chiezza. Rispetto a che io non negherò questo esser purtroppo il fatto. Nondimeno niuno (spero) vorrà impugnare che, se questo è il fatto, esso è conse- guenza degli innumerabili errori di vita, i quali ogni giorno tutti più o meno commettiamo. Invero, con- siderato quanto è contro natura tutto che vivendo facciamo, se qualche cosa merita meraviglia, la me- rita il prolungarsi ciò non ostante il viver nostro a quel modo che si spesso pur si prolunga. Sempre avviene di noi quel che Seneca fin dal suo tempo scriveva (Ep. \ 22): Omnia vitia contra naturarti pu- gnanti omnia debitum ordinem deserunt. Hoc est lu- xuriae propositum gaudere perversis. — Vitto, bevan- da, vestito, influenze atmosferiche, veglia e sonno , esercitazioni del corpo, passioni . . . son sempre al contrario di quel ch'esser dovrebbero. Fin dalla pri- ma infanzia riceviamo una educazione che ci snerva: e ci fa sorpresa dopo di ciò se frequentemente am- maliamo, e se innanzi tempo siamo falciati ? Gli ani- mali, che vivono nelle campagne e nelle selve a vera legge di natura, non ammalano guari. Né gua- ri ammala l'uom selvaggio. Cosi quasi è certo, che, salvo qualche imprevisto infortunio, tutti vivremmo Delle Longevità' 31 sino ad estrema vecchiezza immuni da infermità, se sapessimo vivere immuni da sregolatezze. Or ciò premesso, e facilmente concessoci, eccoci ridotti a sol dover dimostrare , per condurre a buon porto 1' assunto nostro , che la vecchiaia stessa può bene allontanarsi assai più di quel che comunemente pen- siamo: e che giunta una volta, è perfìn lecito il dire che può scacciarsi richiamando l'antica freschezza. E rispetto alla prima proposizione posso ornai con un pò più di fiducia, se mal non mi appongo, appoggiarla a'fatti: perchè se alcuni di quegli ad- dotti di sopra è lecito men crederli, altri per fermo son superiori ad ogni eccezione. Dico quelli dai quali appare presso a poco all' evidenza , che , insomma , anche in mezzo a questa nostra vita artifiziale, tutta di spropositi che ci logorano rapidamente, pure non troppo di rado è stato possibile toccare in istato di integrità anche il 160mo, il 170mo, ed il 180mo an- no, più per verità ne'paesi freddi che nel nostro un pò troppo caldo, ma talvolta anche nel nostro: co- sicché non è poi troppo sproposito Io sperare che correggendo il tenor della vita, anche tra noi possan vedersi robusti vecchi, i quali al ducentesimo anno s'accostino, come ciò addiviene talvolta sotto il ge- lido settentrione. Anzi, se de' primi patriarchi della Bibbia, che anteriori furono al diluvio, pur crediam tutti aver essi protratto il vivere non troppo lungi dall'età millenaria; e se di molti animali impariamo dalla storia naturale, che secondo quel che può sa- persene, a questa età o giungono, o la trapassano, o di poco non vi salgono; e se dalla stessa storia na- turale sian fatti consapevoli, che v'è più d'un caso, 32 Scienze in cui le specie inferiori del regno zoologico han po- tuto esser preservate da morte per tanti secoli, quanti non è facile contare, chiuse entro rocce consolidate da tempo immemorabile , di che oggi più nessun dubita ; e se finalmente giunse perfino a' dì nostri l'ili, canonico Bellani, fisico di quel moltissimo va- lore che tutti sanno, a difender con plausibilissime ragioni, in un suo molto sensato opuscolo {Della in- definibile durala della vita nelle bestie ec. Milano -3836) , che i bruti tale hanno in sé forza ripa- ratrice nello stato di natura , da non poter morir mai d'altro modo che per qualche sinistro acciden- te, ma non guari di morte naturale, né di decre- pitezza; ben dovrem chiamarci discreti a mantener le nostre speranze entro sì corto spazio; qual è quel- lo in che le ristringemmo. Né bisognerà perciò, secondo tutte le apparen- ze, condannarsi ad una vita anacoretica, di priva- zioni e d'astinenze. Certo il vivere a stretta regola avrebbe ad essere il mezzo più naturale per tenere discoste tutte le infermità accidentali, e per differire quanto meglio si può quel decremento naturale delle forze fisiche, il quale è prodromo della morte in che l'età senile naturalmente mette capo. Ma può aversi fede, che i progressi della medicina tant'oltre giun- geranno da portar non difficile riparo a' guasti coti- diani, i quali da'nostri disordini, più ancora che dal tempo, in noi sono operati. E so che molti a' progressi appunto dell' arte medica, o fatti , o da fare , massime nella città in cui vivo, non prestan fede: ma questa opinione loro nel resto della dotta Europa non ha credito, e, con- Della Longevità' 33 tessiamola, è tutta locale. Chi a queste arti tien die- tro con occhio intento non può negare che in ogni parte si van facendo progressi maravigliosi, e quali le passate età ne manco sospettavano. Io so, caro coetaneo, che almen voi non li ne- gherete, voi che, in fatto di scienze, non istate colle mani in mano solamente contento a certi venerandi barboni d'un merito innegabile relativamente a'secoli in cui vissero, ma tali che non ebber mai la pre- tensione superba e stolta d'aver segnato le colonne d' Ercole all' arte d' Ippocrale col pochissimo eh' essi eran giunti a saperne. Voi che vi tenetesi bene istrutto d'ogni cosa che 1' uraan senno va trovando per giunta al trovato dagli antichi ..... voi che con si fino criterio distinguete il ben dal male nelle novità che ogni giorno si promulgano , e che come siete de'più acuti nel riconoscere le cattive, e de'più fer- mi nel riprovarle, così siete de'più esperti nel discer- nere le buone, e de'più solleciti nell'accettarle .... voi confessate, che mai non si conobbe con tanta perfezione tutto che ad anatomia fisiologica e pato- logica s1 appartiene , con quanta oggi si conosce e s'insegna nelle scuole. Confessate che immensamente più estesa e più precisa che in ogni trascorsa età è la cognizione delle funzioni nello stato di sanità e di malattia; che s'è perfezionata immensamente la dia- gnosi; che s'è accresciuta la materia medica di nu- merosissimi mezzi terapeutici; che si curan oggi con sicurezza e felicità morbi tenuti una volta per in- curabili; e che il sin qui fatto da 50 anni a questa parte è buon mallevadore del molto, il quale più che probabilmente si farà, sol che l'ardore destato negli G.A.T.CXXI. 3 34 Scienze nomini per avanzar cammino non si raffreddi o non devii verso men nobili direzioni. Gì' increduli re- stino colla loro incredulità. Io non pretendo di con- vertirli. Sappiano però che l'Europa ride di loro, e se ne fa le beffe. Il secolo, che ha scoperto la vac- cina e lo stetoscopio, gli alcaloidi, e l'uso de'rimedi iodici, può dire al secolo d'Ippocrate, o a quel di Baglivi: Io non lascio l'opera da voi cominciata, do- ve voi la lasciaste. Io sono ito innanzi un buon tratto; e aspetto d'esser lasciato indietro la mia volta dagli altri che verranno dopo di me* Ma passiamo alla seconda proposizione. A me par di più non irragionevole, che un qualche artifizio di medicina un giorno si scuopra, pel quale la vec- chiaia già sopraggiunta e sopravveniente s'elimini ri- vocando le membra a sufficiente vigoria : né argo- menti mi mancano per fomentare questa speranza. Tra gli esempli dianzi addotti di spontanei ringio- vanimenti, se di molti s'impugni l'autorità, certo non tutti paiono ragionevolmente negabili. Secondo i criteri che governar denno la fede umana ve ne ha di quelli che han tal corredo di testimonianze, alle quali è di peggio che inofficiosi il contrastare la va- lidità. Ciò affermo e d' alcuni degli esempli che si riferiscono a completo ritorno a gioventù, e di mol- ti di quegli altri che a ritorno parziale. Ciò vien dunque a provare si poco esser vietato all'uomo da natura il depor la vecchiezza , che qualche volta le sole forze che noi chiamavamo di sopra ripara- trici, conservatrici, medicatrici, o simile, bastano, o quasi bastano, a tanto. Ma, se non aiutate, ciò posso- no alle volle, chi vorrà pronunziare la sentenza, che Della Longevità' 35 ove aiutale fossero per conveniente guisa, assai più frequentemente e facilmente lo potrebbero ì Il mal di decrepitezza è insomma una malattia come tutte le altre. La si giudica incurabile, e per- ciò si abbandona a se stessa, e si lascia che venga all'ultimo suo conseguente, che è la morte. Ma, in- vero, se si abbandona costantemente a se stessa, non v'è nò manco ragione di chiamarla incurabile. Per dirla tale a buon diritto, bisognerebbe almeno aver- la fatta subbietto di terapeutici esperimenti. Or ciò è appunto quel che non s'è mai fatto, almeno da persone alte a tentare lo scioglimento d'un sì ar- duo problema. Furono in ogni tempo cerretani che se lo pro- posero, e vantarono la soluzione già ottenuta: né vi ebbe solo il tristo don Felice presso il certaldese ( Giorn. III. Nov. 4 ) che furbescamente ne intra- prese la prova su frate Puccio. Si sa la ricetta di Giuseppe Balsamo che gli fu pagata inutilmente più d'un mezzo milione di franchi. » Quegli che aspira » alla rigenerazione fisica, e ad una vita di 5,537 » anni, dee tutti i 50 anni segregarsi da ogni com- » pagnia nel plenilunio di maggio, alla campagna, » con un amico, e ivi sottoporsi per 40 giorni alla »> dieta la più austera , non mangiando che poche » erbe tenere, e non bevendo che acqua distililata. » Il 17mo giorno si trarrà un pò di sangue, »> pungendosi la vena. Poi prenderà sei gocce del- » Velissir vivificante, e seguiterà così fino al 32mo » giorno. Allora si porrà in Ietto, ed inghiottirà un » grano di materia prima. Questa materia è quella » che Iddio aveva creata a render 1' uomo immor- 30 Scienze » tale ( cosi osava dire il temerario ed impudente » cerretano), della quale l'uomo ha perduto la co- » gnizione in pena del peccato. Quegli che dee con- » seguire il ringiovenimento proverà allora eonvul- » sioni violente. » Il trentaquattresimo giorno prenderà un se- » condo grano di materia prima, che gli farà per- » der la pelle, cadere i denti ed i capelli. Il trenta- » cinquesimo giorno prenderà un bagno tiepido ; » e il trigesimosesto prenderà un terzo grano che » Io farà cadere in un profondo sonno. Allora i ca- » pelli cominceranno a ripullulare, i denti a ger- » mogliare, la pelle a ristabilirsi, ed il quarantesi- » mo giorno la rigenerazione sarà compiuta !!! ». Altri altro dissero e proposero. Le cerretanerie cinesi lodano certo suggere di sangue vivo, e cer- to preparare della radice gin-seng , oltre a certe pratiche di magia, che più o men notate tu trovi del pari tra i santoni dell'India, ed i loro giuogui, tra i fakiri de' turchi, tra i singhilli di Loango e del Congo , tra gli sciamani di Russia, tra i berseki d' Irlanda, nella Clavicola dello Pseudo-Salomone, nei libri dello Pseudo-Leone imperatore, in quelli de- gli ermetici e degli spargirici, de' paracelsisti, e dei vanhelmonziani. Comprende però ciascuno che non è questa la via per giungere ad una soluzione del problema, se soluzione pur v'è, di cui l'impossibi- lità non è però fino ad ora dimostrata. Spetta a'fisiologi ed a'patologi il determinar me- glio con nuovi ed accurati studi le alterazioni che la vecchiaia a poco a poco induce in ogni parte de'tessuli, depisterai, e degli organi umani: ciocché Della Longevità' 37 nel presente stato della scienza delle alterazioni del- la vita non può essere difficile, aiutandosi colle ne- croscopie, colle analisi chimiche, e cogli altri sus- sidi della diagnostica. Ed ottenuto questo, sarà già fatto un primo e gran passo. Si sarà bene e minu- tamente ravvisata la deteriorazione organica dovun- que ella suol essere ed è. Dopo di che più facile ancora dovrà riuscire il conoscere come e quanto ciascuna funzione è affievolita o cangiata. E spette- rà allora alla terapia razionale, prima proporre, ed indi sperimentare colla debita prudenza e cautela, i metodi curativi, de'quali, dirò anche una volta, mal a proposito alcuno affermerebbe l'inutilità in gene- rale e l'inefficacia , posto che per questa nuova via niuno o quasi niuno ( intendo sempre de' veri me- dici) stese fin qui il passo. Finisco con una considerazione. La nostra età ci ha pure avvezzati a miracoli fisici. Chi avrebbe creduto possibile pur soli cinquant'anni fa il tele- grafo elettrico , le locomitive sulle strade di ferro, la navigazione a vapore, la litografia, e il daguer- rotipo, e simili altre maraviglie dell'arti nuove? Ab- biamo trovato la vaccinazione di cui sopra parlava, cioè una malattia che preserva da un'altra malattia. Questo è il principio d'un gran numero di nuove scoperte da tentare, le quali probabilmente sono ri- servate ai nostri posteri. Se una malattia v'è che questo può, perchè altre simili non possono essere che altre malattie prevengano e proibiscano ? L'ana- logia sta contro chi Io negasse. Più d'un missionario cinese ha modernamente scritto, che si sa nella Cina coli' uso interno di certe droghe impedire a'capelli 38 Se I E N Z E non solo il cadere, ma il divenire canuti. Certo è che vi sono morbi, i quali inducono nell'intera mac- china animale mutamenti durevoli così in bene co- me in male. Più d' una malattia contagiosa questo ha di proprio, che distrugge per sempre la facoltà di contrarla una seconda volta. Se ne hanno inve- ce altre che lasciano una predisposizione inevitabi- le a recidive. Non è inverisimile che ogni malat- tia ne'segreti della natura abbia il suo specifico per curarla usato a tempo, come questo è del chinino per la perniciosa, del mercurio per la lue .... ; o che non abbia il suo preservativo. E se tanto si concede, non è inverisimile che ne'segreti della natura pur siavi uno specifico per curare la malattia della vec- chiaia, od un preservativo per impedirla, e che que- sto preservativo sia forse un'altra malattia preceden- te. Oh non si hanno morbi che fan rinnovare pelle e capelli? che ammolliscono le ossa non che i mu- scoli ? che dispongono le cellulari flaccide a ri- prendere il loro turgore ? Non vi sono mezzi che restituiscono tuono al cuore e a 'grandi vasi, ed ener- gia a'nervi.... ? Ciò non s'è ancor trovato pe'vecchi. Bella ra- gione! Quel che non s'è trovato , può trovarsi. E allora non sarà per questo l'immortalità. Ad ucci- derci provvederanno i casi fortuiti. Ma sarem più durevoli. Ripiglieremo l'età de'patriarchi.... E met- teremo forse insieme un maggior numero di cor- bellerie che ci renderanno più spregevoli di quel che oggi giungiamo ad essere. Voi che ne dite ? Rispondetemi e state sano. 39 Isterica relazione di costanti e decisive guarigioni con immediato sollievo dell'infermo per l'applica- zione non mai più fin qui praticata dell7 acetato d'ammoniaca nelle ferite d'armi da fuoco. -Invitato circa il giorno 8 maggio p.p. a curare i fe- riti che il 30 aprile p. antecedente furono trasferiti all'ambulanza centrale della Trinità de' Pellegrini; ed essendomi stati, con altri, affidati i francesi, i quali in quel giorno di attacco erano rimasti feriti sotto le mura di Roma ; e trovando gli uni e gli al- tri di già iniziati in una cura , e la maggior parte con ferite già suppurate; mi fu necessario proseguire quel trattamento che la naturale o indottavi inclina- zione potesse secondare. Non però eh' io nella osser- vazione pratica anche delle altre sale non rilevassi, che nel phì gran numero de' casi il maggior sinto- nia che si manifestava, e del quale i feriti maggior- mente si lagnavano, non fosse un ardente calore della parte lesa. Calore il quale , ripercotendo poi sul si- stema generale, cagionava quello stato di reazione, che tanto osta al buon andamento della parte stessa lesa, non che al sollecito ristabilimento della persona, ed il più delle volte richiede una necessaria opera- zione chirurgica. Rifletteva pertanto che là dove si fosse potuto trovare un mezzo che impedisse la lo- cale infiammazione, e che prevenisse la generale rea- zione, sarebbesi conseguito un risultato, che, ren- 40 Scienze dendo men penose le locali lesioni, avrebbe condotto ad un esito felice. Considerava inoltre che l'applica- zione del ghiaccio, o dell'acqua gelata sulla parte, già approvata da' pratici ed ora poco adoperata , benché intesa allo stesso oggetto , ma tralasciata alquanto, produce una forte reazione, e non è ap- plicabile che al momento dello stato cruento, e pri- ma che qualunque minimo sintonia di flogosi siasi sviluppato per non incorrere in escare gangrenose o in una assoluta gangrena ; pensai che un mezzo che si potesse adoperare^ il quale avendo la medesi- ma temperatura della parte offesa, avesse un'affinità col calorico , senza detrarne la porzione necessaria alla vita della parte pel buon processo di cotali fe- rite, e potrebbe far raggiungere lo scopo desiderato: perciò mi appigliai ad un mezzo, già conosciuto nell' arte salutare, ma che non vidi né intesi praticato mai nelle curabili lesioni per proiettili di moschetteria. Egli è cotal mezzo l'aeetato di ammoniaca, conosciuto sotto il nome di spirito del Minderero. Il quale spirito avendo un' azione elettiva sul sistema sanguigno e nervoso quando è internamente amministrato, ed an- che quando topicamente usato un'azione incisiva sul sistema capillare; io in alcuni altri miei particolari casi ci aveva notato la facoltà di costantemente sot- trarre il calorico dalla parte, alla quale fosse appli- cato. Mi determinai pertanto a questo mezzo, e ne istituii l' applica zione nel seguente modo. In una libbra d'infusione a caldo di fiori di sambuco face- va aggiungere una mezza libbra di acetato di am- moniaca; e bagnando delle fila compresse in questa miscela, ne facea l'applicazione in forma di bagnuolo, Acetato di Ammoniaca 41 avvertendo che la ferita o piaga fosse ricoperta dalla solita medicazione di filacce ed unguenti lenitivi, lasciando cosi l'applicazione di cotal bagnuolo sopra la parte lesa, perchè ne seguisse la indicata sottra- zione di calorico, e quindi la riduzione della parte allo stato normale: avendo prevenuto così quella rea- zione, la quale è cagione di acutissimi dolori, di forte infiammazione, e spesso di gangrena. Un soldato del 20'"° di linea, gravemente ferito nella gamba destra, e questa in uno stato conside- rabile d' infiammazione e di enfiagione , mi porse l'occasione di sperimentar l'indicato rimedio, come- che io fossi persuaso che nel principio di cura sa- rebbe stato assai più utile; pure, animato da un de- siderio grande di giovare al mio simile, rimossi ogni cataplasma che trovai su tutta la gamba, e per l'ap- plicazione del sopraddetto bagnuolo vidi la flogosi cessare, dissiparsi l'enfiagione della parte, ed in bre- ve ridursi prossima allo stato di cicatrizzazione. E- gualmente in un caporale dello stesso regi mento, le- so nella mano destra con ferita trasfossa dal dorso alla palma con distruzione, per la suppurazione for- se, dell' aponevrosi palmare e de' tendini de' flessori sublime e profondo, l' enfiagione e l' infiammazione irradiata in tutta la mano si dissiparono all'applica- zione di cotal mezzo , e le ferite procedettero lode- volmente alla sanazione. In pari modo altro soldato del medesimo reggimento, con ferita trasfossa nella coscia sinistra , interessante la parte posteriore di quella e di lunghissimo tratto, mi dette la soddisfa- zione di vederlo passeggiare per la sala, In pari tempo se alcun ferito di altra sala e sotto altra di- 42 Scienze rezione, nella notte gemea pel dolore che gli recava la piaga, rimossali la medicazione che coibente era al calorico e ripercotealo, sostituitovi il mezzo de- ferente , dai gridi si vedea passare al più placido sonno. Ma tuttociò non bastava a sanzionare la mia indicazione. Dalla battaglia di Velletri contro i na- poletani , dopo vari giorni di quella, mi furono re- cati diversi feriti di quel campo ; qual con ferita trasfossa nella coscia, qual consimile nel braccio, e qual nell' avanbr accio e nelle gambe , e tutti in stadio flemmonoso dell'articolo leso forse pel viaggio di colà a Roma (26 miglia) ; e di tutti in poco tem- po rividi gli articoli ridotti allo stato normale senza dolore, e ciò che è più, di bene in meglio procedere alla guarigione. Mancavami però sempre la circo- stanza , che mi comprovasse poter cotal mezzo non solo dissipare ogni infiammazione, ma prevenirla an- che del tutto; e cotal occasione me la offerse l'attac- co alla porta s. Pancrazio della mattina del 3 giugno p. p. Che essendomisi messi sotto cura vari e di varie ferite affetti sì negli articoli superiori, che negli infe- riori, adempito alle generali e necessarie indicazioni, applicato il mezzo del bagnuolo nel modo già indicalo, rimasero i pazienti, in proporzione delle lesioni, cal- mi e placidi , iniziando così il più lodevole corso. Ma non potei raggiugnere a quanto io desiderava ; che venendomi ordinato di trasferirmi ad altra am- bulanza, non ne vidi così l'ultimo risultato. Per altro dall' ambulanza centrale della Trinità de' Pellegrini fui invitato a portarmi a quella di s. Michele presso i baluardi delle porte Portese e s. Pancrazio, ove gli attacchi erano frequenti; e quivi ebbi stabilmente luogo Acetato di Ammoniaca 43 a vedere compito dallo stadio cruento il benigno corso delle ferite per proiettili di raoschetteria pel mezzo indicato. Assunsi pertanto la direzione in capo di quella ambulanza , e non ebbi più a trattare feriti già iniziati ad un trattamento; che avendoli tutti nel primitivo stadio cruento , ed essendo là stabilmente destinato , comprovossi luminosamente 1' utilità del mezzo adottato , e del quale avea già veduti non dubbi risultati. Mi si offrirono difalti casi di ferite di ogni genere , semplici , complicate da frattura , trasfosse per gli articoli o no; e lasciando i casi di amputazione, e soprattutto delle lesioni viscerali, cui né arte, né natura stessa risanò giammai, di tutti gli altri casi ne vidi compito il corso felice: e partico- larmente di que Ile ferite prodotte da proiettili di moschetteria di forma conica , la quale produce le più lacerate ed orribili ferite. Il processo pertanto della cura lo instituiva nel seguente modo. Applicava immediatamente 1' acqua fredda naturale, di cui tanto abbonda roRoma, a iti- gare e sollevare quell' ardore urente di che lagna- vansi tutti : ed adempito quindi al criterio medico di aver riguardo alla robustezza della individuale condizione e, secondo questa e la qualità della locale lesione, indicate le proporzionate sanguigne generali, e non dimenticato di riguardare alla condizione ga- strica relativamente alla qualità e quantità di cibo che, o per la loro condizione o per le raddoppiate fatiche del campo, comportava la loro naturale di- sposizione , co' purganti compiva alla indicazione minorativa generale , dalla quale dipende il buon esito delle locali lesioni. Dopo le 24 ore della co- /,./,. Scienze stante e rinnovata sempre applicazione di acqua fredda, applicava il bagnuolo della temperatura con- naturale alla stagione e con l'acetato di ammoniaca per mezzo di compresse che avvolgessero tutto l'ar- ticolo , rinnovandolo in ragione della evaporazione che formavasi per la costante sottrazione che dalla parte manteneasi , si che le compresse rimoveansi sempre aride e calde: la quale evaporazione e sic- cità delle compresse, e conseguentemente il bisogno di rinnovarle , diminuiva in correlazione dello stato di eccitamento della parte lesa, la quale gradata- mente riprendea lo stato normale, il colore naturale: ed, in niente affliggendo l'individuo affetto, ebbi la filantropica soddisfazione non pur di vedere il corso il più blando delle ferite le più lacerate, ma sì an- cora di non rinvenire neppure un indizio di reazione nel sistema generale; ed oltre di prevenire così ogni grado d' infiammazione locale , vedere ancora per quello i feriti giacersi nello stato il più placido e tranquillo. Inoltre qualche caso, che avrebbe richiesto l'amputazione dell'articolo per complicazione di frat- tura comminuta , fu visto risolversi placidamente e sanarsi: non però che uon ne seguisse una innormale riunione delle ossa comminutivamente fratte, e forse il difetto del movimento delle estreme parti ; ma comunque ciò riuscisse, 1' individuo non ne andava mutilato. In altri casi, e nel maggior numero, applicai il mezzo indicato senza premettere l'applicazione del- l'acqua fredda, ed eguali e felicissimi risultali ne vidi. Tale è il cenno istorico in genere dell'applica- zione dell' indicato mezzo; il quale , a renderlo più Acetato di Ammoniaca. 45 pronto ad aversi, più economico all'amministrazione di un ospedale, e forse più attivo, dopo i pochi pri- mi casi all'ambulanza centrale della Trinità, istituii che l'acetato si preparasse impuro; cioè che una quan- tità di carbonaio di ammoniaca si neutralizzasse con sufficiente quantità di buon aceto al grado che ri- chiede la chimica preparazione: e di questo acetato, nella proporzione di un terzo con due della infu- sione a caldo di fiori di sambuco, si formasse il ba- gnuolo. L'ardente desiderio che un tal mezzo sia con- statato, nella sua efficacia, da'fatti a sollievo della uma- nità, è il solo che m'indusse a renderlo noto e dar- ne l'esposto rapporto. Roma 1 settembre 1849. Gaetano P. Albites. Nota dei compilatori del giornale. Cotesta re- lazione nell'idioma francese e con urbana lettera nel- la venuta in Roma del chirurgo in capo del"arma- ta francese signor Alquiè, fu ad esso consegnata nel dì 4 novembre (1849). Ma sia forse per fortuita di- menticanza , o per tutt' altra cagione non ebbe di risposta. Crediamo quindi a proposito avvertirne il pubblico. 46 Storia della vita , proposta qual nuovo organo per servire di guida allo studio della clinica. Di Vin' cenzo Catalani dottore in medicina e chirurgia, PREFAZIONE N ella percettività (potenza del subbietto -spirituale distinto dall'organismo e dalla materia) eccitata a peculiari mutamenti dalle potenze materiali, che in- teramente sono diverse da esso subbietto, s'ingene- rano le idee ; ciocche mal paragonano alcuni alla nuova direzione, la quale assume il raggio riflesso nel punto della percussione, che essenzialmente di- pende dalla forza di esso, e dalla modalità del cor- po percosso. Dall'antagonismo o dall' azione e rea- zione de'due sopraddetti agenti emerge nell' anima l'idea empirica, analitica, ed induttiva. Dalla diversa suscettività di questa azione e reazione deriva la diversa intensità dell'attitudine a concepire; e il cre- scere ed il diminuire di essa nei diversi stadi o fasi, in che si divide la vita. Il pensiero dell' esi- stenza, occasionato dalle potenze esterne agenti sullo spirito, dalle quali deriva un eccitamento universale, e l'individualità della nostra vita, nasce nella percet- tività, inerente al subbietto-spirituale e provocata ad atto dalle prime impressioni. Nozione rappresentata dal primo movimento della statua immaginata dal Condillac, e dal primo segno impresso nella tavola rasa ideata da Lock. Accrescesi dipoi la sfera intellettuale, Storia della Vita 47 e dalla semplice idea della propria esistenza si con- cepiscono le cose che colpiscono ed affezionano mag- piormente. Il concepimento della propria esistenza è il primo elemento dello scibile , che ingrandito dall'azione delle potenze esterne, che continuamente agiscono nella percettività, determinano la sfera dell' umano sapere. Dalle prime nozioni nasce dipoi il desiderio di conoscere in che consista l'esistenza, e in che si riponga l'essenzialità della percettività. Co- si la considerazione dell'uomo è il primo studio, che naturalmente si la dall' uomo. Colpiti dall' origine dello scibile e dalla successione dell'umano conce- pimento, abbiamo divisato considerare nei vari as- petti e brevemente descrivere il corso di nostra vi- ta. Limitati a quanto naturalmente si sottopone all' analisi dei sensi, schiviamo qualsiasi considerazione ideale ed astratta che può vagheggiarsi come pia- cevole, ma non riscontrarsi nel fatto. Affinchè il la- voro, che ci proponiamo di compiere , abbia , per quanto è possibile, 1' impronta dell' immagine della natura, consideriamo prima la genesi, dipoi la pro- pulsione e la retrogradazione coi fenomeni con- comitanti, infine contempliamo l'uomo che natural- mente discende alla tomba. Terminata la storia della vita, torniamo indietro a indagare le deformità, a se- guire le anomalie della generazione , a stabilire la natura e le cause del preternaturale organico svol- gimento. Contempliamo eziandio l'uomo predisposto ad ogni sorta di malattia, per seguirlo di bel nuovo nelle anomalie passibili fino alla morte accidentale. Nel descrivere il corso naturale conviene stabilire le condizioni indispensabili o cause determinanti Tesi- 48 Scienze stenza della vita; e nel dimostrare lo svolgimento anor- male importa stabilire le condizioni, e spiegare i fe- nomeni del preternaturale organico svolgimento. Al- tra parte integrale della storia della vita consiste nel- la disamina della forza medicatrice, mediante la qua- le l' essere organico ritorna alla consueta modalità. Dalla speciale considerazione di quanto si concerne alla vita, e dal rapporto della causa remota con la condizione patologica, la costituzione individuale ed i fenomeni morbosi, deduciamo infine, acciò il nostro lavoro riesca maggiormente completo , le massime fondamentali per la giusta valutazione dei sintomi , e la corrispondente applicazione dei sussidi igienici e della cura terapeutica. Storia della Vita 49 DISCORSO PRELIMINARE 1. Il concetto di vita, che non può non vagheg- giare chiunque pon niente all'idea, che alla cogni- zione di se stesso lo conduce, non è prodotto d'idea interamente acquisita. Nato nella sua modalità, dall' antegonismo vitale tra il subbietto spirito e V ob- bietta corpi e dalla loro obbiettiva azione, esso ris- guarda l'idea in che consiste l'espressione di vita. L'at- titudine a concepire essenzialmente appartiene all' uomo; e la determinazione del pensiero vien dalle cose esteriori. L'idee in quanto all'origine, come immedia- to resultato di potenze interne ed esterne della vita, sono innate ed acquisite. Se insita è in noi l'atti- tudine a pensare, e le determinazioni del concepi- mento essenzialmente sono staccate da noi ; riesce facile a concepire che la ricerca del vero deve in- cominciare da esse, che solo possano somministrare i materiali convenevoli all'induzione di principii ge- nerali, in che consiste la spiegazione di non pochi fenomeni. Curzio Sprengel errava allorché stabiliva - la filosofia essere in certi riguardi la madre del- la medicina (1) - Egli averebbe pronunciata una verità, che poteva servire di epigrafe ad un corso di patologia generale, se diceva - la medicina essere in certi riguardi la madre della filosofia - . Un com- plesso di fatti : eccone la parte positiva, e fonda- mentale; un'induzione, mediante la quale si deduce (1) Storia prammatica della medicina. Tomo I. G.A.T.CXXI. A 50 Scienze da essi un principio induttivo, che di poi gli sub- ordina e spiega, ci somministra un elemento fon- damentale della filosofia. È egli possibile un'indu- zione generale, cioè un principio che scaturisca da tutti i fatti, e che sia la ragione ed il fondamento di tutto lo scibile? No: perchè alla mente umana, come essere circoscritto e limitato, non è permesso di abbracciare, ed all'istante comprendere l'infinito. La filosofia delle singole scienze, come la ragione dei fatti, non può ottenersi, se prima non siasi fatta di essi generale scoperta. Come non possiamo sta- bilire il centro dei corpi se non ne conosciamo la intera superficie. Ciò lo dimostra all'evidenza il con- tinuo e perenne cambiamento di qualsiasi sistema induttivo. Discoprendosi maggior numero di fatti, il punto ragionevole esce dal centro; il sistema è in- sufficiente, ed è allora generalmente creduto falso. La mente umana non s' acquieta fino a tanto che non siasi detratto altro sistema, che segni il punto medio dei fatti scoperti, e tutti li signoreggi: che moltipli- candosi il numero di essi, perde il nuovo sistema la rispettiva centralità; e subisce degli altri la medesima sorte. L'induzione dei fatti è l'elemento razionale delle scienze; cosi il fatto legale somministra un fonda- mento all'induzione legislativa; ed il fatto clinico al- l'induzione filosofica della medicina. Se potessimo rac- cogliere i fatti, di cui si compone l'universo, sotto- porli ad una severa analisi, e dedurne un principio generale, averemmo allora trovato il cardine fonda- menta? e valevole a dirigere Io spirito umano alla ri- cerca del vero. Ma possiamo noi credere, che tutti i Storia della Vita 51 sistemi della filosofia speculativa sono una induzione generale dei fatti ? I filosofi abbandonarono la natura, dirò di più, trascurarono la ricerca dei fatti; perchè spaventali dal numero, e dall' immensità della loro grandezza. Si riconcentrarono in se stessi, spaziarono, il più spesso,nel campo dell'immaginazione; stabilirono principii dedotti a priori; e persuasi di avere sciolto il problema, corsero a confroutare la produzione del loro ingegno con la grandezza dell'universo; ed al- lora si avvidero che il lor sistema era un grano di sabbia gettato a caso nell'universo; che non conteneva i fatti, ma che era confuso in essi. Non li spiegava; ma correva invece appresso ad essi, onde ricavarne gli elementi per acquistare un'apparenza ingannevo- le di verisimiglianza. Ogni qualvolta furono appli- cati i sistemi della filosofìa speculativa alle scienze particolari, ci condussero da errore in errore, d'abis- so in abisso. Così la filosofia di Leibnitz aperse il campo al sistema di HofFmann ; quella di Cartesio al chimiatrico del suo secolo; e la filosofìa di Kant ai vari tentativi dei moderni; ed infine lo scetticis- mo condusse i medici a repudiare qualsiasi princi- pio induttivo. 3. Non potendosi abbracciare e tutti sottoporre all'analisi i fatti, di cui si compone l'universo, giuoco forza è di limitarsi ad alcuni di essi, che mediante certe caratteristiche vengono separati dagli altri , e se ne possono dedurre principii particolari , che si rimangono veri, e signoreggiano un dato numero di fatti. E come l'induzione di alcuni non possono es- serlo di altri, perchè la natura nelle singole parti, e riproduzioni è originale, e non si ripete mai. Noi ci 52 Scienze proponiamo dedurre dai fatti clinici un principio in- duttivo, ritenuto dentro i giusti suoi confini, per- chè qualora fosse posto al di fuori del campo che deve signoreggiare riescirebbe falso, o per lo meno inutile; siccome accade della vana pretensione di al- cuni filosofanti, i quali vorrebbero stabilire principii inconcussi, e valevoli a dirigere lo spirito umano in qualsiasi disquisizione scientifica. k. Facciamo precedere ai principii cardinali del- la vita alcune nozioni storiche, affinchè abbiasi a co- noscere da chicchessia da dove mossero e dove or so- no; e come gradatamente dall' una parte cammina- rono da errore in errore; e dall'altra da fatto in fat- to; nel primo caso per segnare i traviamenti dello spirito umano; e nell'altro, onde dimostrare come la severa analisi dei fatti conduce a passi lenti, ina si- curi, alla ricerca del vero. Della medicina antica , che esercitavasi appresso degli indiani, dei cinesi, de- gli sciti, dei celti e dei greci innanzi l'incomincia- mento delle olimpiadi, e dei romani prima di Ca- tone, noi non facciamo verbo; mentre oltre il non conoscere il principio induttivo, che in quei tempi, appo di quelle nazioni signoreggiava; noi solo ne co- nosciamo qualche monumento storico; e ne abbiamo poche e favolose tradizioni. Neppure ci conviene nel secolo, in cui scriviamo , di sostenere o con Ilaller esser la medicina più antica della chirurgia, o con il Brambilla, in quanto all'antichità, accordare a que- sta la preferenza. La natura e l'arte non avendo fino ad ora stabilita una solenne divisione del soggetto, giuoco forza è di rinunziare a qualsiasi ricerca sto- rica. I nomi di chirurgia e di medicina possono dirsi Storia della Vita 53 sinonimi; mentre sì l'uno e sì l'altro esprimono un soggetto, che riesce impossibile partirlo in modo da costituirne due individualità staccate, che in se stesse trovino qualsiasi ragione della propria esistenza. Nep- pure ci conviene in questo luogo di confutare l'o- pinione di Shuckford, che sostiene non essere la me- dicina tanto antica; e che ai tempi di Omero s'in- cominciasse ad esercitare la chirurgia, e che Pitta- gora fondasse la diatetica, ed Ippocrale fosse il pri- mo che visitasse infermi allettati. Il nostro scopo es- sendo di seguire i cambiamenti del principio indut- tivo o razionale della medicina : così senza esporre come appo degli antichi, esercitata essendo da sa- cerdoti profani e bugiardi, riusciva un vile istru- mento d'inganni e di turpitudini ; e come essendo tolta agli avidi mercenari, fosse fatta benefico istro- mcnto, e resa popolare dai pitagorici; noi passiamo ad un tratto a rintracciare il primo elemento indut- tivo, per seguirlo dipoi nel suo tragitto fino ai tempi in cui siamo. 5. Riandando i tempi che furono, e da noi mag- giormente remoti , troviamo in Empedocle i primi cenni della cosmogonia elementare. Galeno smarriva nelle cronologiche ricerche, ed errava in punto di storia allorché accordava ad Ippocrate il concepi- mento di questa teorìa. Mentre altro non fece che riformare, ed applicare alla medicina il pensiero di Empedocle. Questo persuaso dell'immutabilità degli elementi vedeva nascere ed ingrandire i corpi me- diante il concorso e 1' immediata soprapposizione de- gli elementi; quello al contrario riteneva consistere l'essenzialità della genesi nel mescuglio ; e conside- 54 Scienze rava le proprietà e le qualità degli elementi come cause dei fenomeni corporei. Per principio vitale non fissava il fuoco con Pittagora, Eraclito, e Platone; ma un ignoto , invisibile, incomprensibile principio no- minato natura, o calore innato ; in cui riponeva la forza fondamentale del corpo, attiva specialmente nelle malattie, e capace di promuovere la crisi; a cui dava il nome di impetian faciens. Le malattie derivare da sproporzione nata nei quattro elementi per qualità , o mescolanza, o predominio di alcuno di essi; e la natura o il calore innato intendere tutto, e provede- re scientemente tutto; ed il medico non dovere stu- diare che la sua volontà e seguitarla. (Ne'quali con- cetti è chiaro ch'egli confondeva mal a proposito la natura colla Divinità , o davale almeno le qualità d'uno spirito intelligente). Essere causa della morte la decomposizione del corpo nei suoi principii costi- tuenti; per cui gli elementi tornano costantemente ad unirsi, l'umidità all'umidità, il secco al secco, il caldo al caldo, il freddo al freddo. La teoria degli umori elementari non l'applicava che assai di rado, e rara- mente si fermava a parlare dell'essenzialità morbosa- Minutamente osservava la forma delle malattie, e le cause remote ; e dirigeva lo spirito indagatore alla ricerca dei fatti, ed alla severa induzione (salvo le aberrazioni metafisiche, le quali notavamo di sopra). 6. Tessalo, Dragone, e Polibo furono, general- mente, creduti fondatori della scuola dogmatica, ma non inventori; mentre oltre l'essere ad essi anteriore; i monumenti storici e le tradizioni favolose, se non ce ne danno certezza, ci somministrano per lo meno materiali bastevoli per credere, che il sistema dogma- tico sia il più antico, e che la sua origine si perda Storia dell.4 Vita 55 negli abissi del tempo. La dialettomania e la sover- chia speculativa condussero dipoi la medicina da er- rore in errore , facendola signoreggiare dai sistemi della filosofia speculativa. Da Tessalo a Prassagora da Coo fu prima signoreggiata dalla filosofia plato- nica (1); dipoi dallo stoicismo ; e si applicarono ad essa i principii di Zenone (2). 7. Platone dagli elementi dell' universo passa istantaneamente a spiegare e minutamente descrivere i fenomeni della macchina animale. Il suo pensiero risulta uniforme a quello d' Ippocrate , non che di altri predecessori. Il sistema umorale, che ripone la sanità nell'intima mescolanza dei principii elementa- ri, cioè sangue, pituita, bile, ed atra bile (3); e le malattie nell' informe misceìla dei medesimi ; e la morte nel completo discioglimento organico ; som- ministrò gli elementi fondamentali, su cui basarono i diversi sistemi delle vecchie scuole dogmatiche. Le quali, stabilito come assioma: la medicina altro non (1) La cosmogonia platonica nacque dai numeri pitagorici. Pia- Jone ritiene esistere ab eterno una materia informe, composta di atomi elementari; che l'anima maligna del mondo teneva in perenne e singolare movimento; ma che entrò in ordine mediante la comu- nicazione della natura divina del creatore. Al di sopra delle stelle colloca, con lo spirito perfettissimo, le nature divine increate, mo- dello di tutte le realità del mondo sullunare. Questi modelli forma- no un tutto divino; e furono impiegati dall' intelletto eterno nella creazione; ond'è, che nacque ordine, bellezza, bontà, perfezione e qualsiasi realità del mondo corporeo e spirituale. (2) Lo stoicismo di Zenone ritiene esser tutto di natura cor- porea, e di tal natura essere le cose astratte, ed anche il pensiero; ed il fuoco eterno formare la prima materia, ed ordinare il caos. La sostanza corporea di Dio penetrando nel mondo, costituire l'ente pensante, a cui dà il nome di natura. Ella opera dietro leggi im- mutabili e chiamasi anche destino. Vedi assurdità ! (3) Ippocrate. 5G Scienze essere , che un contrapposto , una sottrazione; dove mancava aridità prescrivevano rimedi valevoli a pro- muoverla. Curavano le malattie ardenti con i rifre- scanti; le pituitose flemmatiche con i riscaldanti; e le aride con gli umettanti. I rimedi supponevano ope- ranti su i quattro umori cardinali. Così alcuni eva- cuavano la soverchia pituita, altri la bile ec. 8. Temisone si allontana talora dalla scuola ascle- piadea ; tal' altra segue il sistema del suo maestro , e ritiene la ricerca delle cause prossime esser ba- sata in principii incerti e fallaci. Stabilisce qual nor- ma del suo sistema le determinazioni del corpo ani- male comuni a più malattie. Il solidismo temisonia- no, basalo nelle comunanze, ripone l'essenza di qual- siasi affezione morbosa nella ristrettezza , nella las- sezza, e nelle qualità miste. I rimedi non agire in una parte del corpo, né evacuare un solo umore; ma ristringere, o rilassare, o determinare un'azione mi- sta. Tessalo di Tralles viene considerato come il fon- datore della scuola metodica ; mentre egli estese maggiormente le comunanze, sostenne e generalizzò il sistema metodico di Temisone. Celio Aureliano e Cornelio Celso seguirono Ippocrate in semiotica ed in clinica; ed in altro Asclepiade o Temisone. 9. I pneumatici si allontanano dai dogmatici in quanto ammettono un principio attivo di natura spirituale; dalle cui proporzioni fanno dipendere la vita e la morte. Sistema basato nella teoria pneu- matica di Platone, illustrata e mirabilmente applica- ta alla fisica animale del suo discepolo Aristotele. Gli stoici derivano dal pneuma le funzioni animali; e gli erasistratei gli accordano la massima impor- tavza nell'economia animale in istato di salute, co- Storia della Vita 57 me in quello di malattia. I pneumatici, generalmen- te ritengono il calore combinato all' umidità costi- tuire le condizioni le più conformi alla sanità; ed il caldo ed il secco ingenerare le malattie acute , il freddo e l'umidità le flemmasie, il freddo ed il secco la malanconia; ed in seguito della morte divenire il tutto secco e freddo. Derivano la massima parte delle malattie dallo spirito aereo; e calcolano il più delle volte il miscuglio degli umori cardinali. Areteo, allievo della scuola pneumatica, diveniva eclettico, non persuaso da quella. Distingue le parti costituenti i corpi in fluide , solide e spiriti. Ripone la sanità nella proporzione ed esatta miscella di questi prin- cipii; e l'indole e la natura della massima parte del- le malattie nelle diverse qualità del pneuma. Non trascura la natura degli elementi cardinali; e nei suoi scritti eclettici si scorge ovunque l' impronta del sistema pneumatico di Platone. 10. Nata una grandissima dissensione tra gli erasistratei , gli erofilei , gli ipnocratici , i metodici, ed i pneumatici, sorse Galeno da Pergamo, che per togliere qualsiasi contesa e discrepanza medica, ad imitazione di Alessandro da Damasco, pose ogni ope- ra per ridurre in reciproca armonia e corrisponden- za i dogmi di Platone , di Aristotele , d' Ippocra- te, e di altri illustri greci. E conciliando il platonis- mo con la filosofia aristotelica, ingenerava un eclet- tismo pneumatico. 11. Prima che comparisse il mostruoso sistema di Paracelso , fu dai rivoluzionari posta in dubbio l'infallibilità d'un Ippocrate, d'un Galeno, e d' un Avicenna; e nacquero due formidabili fazioni dalla 58 Scienze scuola ippocratica; una delle quali si proponeva di- scutere liberamente qualsiasi argomento medico; l'al- tra di occuparsi esclusivamente della pratica; lascian- do da banda qualsiasi induzione scientifica. Cosi gli uni profanaado le vecchie teorie e gli altri intera- mente trascurandole , predisposero fin d' allora gli animi al passaggio dal sistema di Galeno a quello di Paracelso. Questo è il corso ordinario delle uma- ne cose; e ad un tratto non si passa dal vero al fal- so , né da questo al vero. In principio pone ogni opera, onde combinare al suo sistema gli elementi d'Isacco Ilollando e di Basilio Valentini; dipoi sogna seco loro, e vede qual fondamento della consistenza, e del residuo dei corpi bruciati un sale astrale, ri- conoscibile solo dal teosofo, fornito di sensi illumi- nati, ed innalzali alla più pura eudemonia; in oltre un solfo sidereo, che vivificato dall' influsso astrale, compone il fondamento dell'incremento dei corpi e della stessa combustione; infine sogna un mercurio sidereo, base della fluidità e dell'evaporazione; e dalla combinazione di questi elementi chimerici ve- de, dormendo, sbucciare i corpi reali. Il sistema d'A- nassagora, avvolgendosi sempre più nel misticismo, era guasto, e non riformato, da Paracelso. La teosofia paracelsica sostituisce alle semplici espressioni di terra, acqua, e fuoco vocaboli mistici, più sublimi, ma misteriosi. Mediante i principii chimici spiega la massima parte delle malattie ; e deriva i fenomeni morbosi dalla fermentazione dei sali, dalla combina- zione del solfo, e dalla coagulazione del mercurio. Cade il più delle volte in grossolana contraddizione; ma riesce impossibile di essere a se stessi coerenti, edi- Storia, della Vita 59 Beandosi sistemi così mostruosi. Spesso pone a cal- colo gli umori cardinali; ed ora trascurandoli, mette in campo Varcheo, la teoria del tartaro, Vens astro- rum, Vens veneris , Vens naturale, Vens spirituale, Vens (leale. Idee così stravolte non potevano sugge- rire che ridicole indicazioni terapeutiche , non as- surde: di tal nome essendone indegne. Wan-Helmon- tio segue nella massima parte i pensieri ideali di Paracelso. Ammette due elementi, acqua cioè, ed aria. L'archeo formare con essi i corpi vivi mediante fer- menti, e con essi regger le operazioni dell' organi- smo animale. Le malattie non essere un ente nega- tivo , ma qualche cosa di sostanziale ed attivo , o ideale dell'archeo; nascere quindi soltanto per erro- re, o affezione di esso. Limita così la cura alla sem- plice direzione dell' archeo, lo che si ottiene co' ri- medi dietetici , o con le inevitabili impressioni dell' immaginazione ; così attribuisce ad alcuni vocaboli attività specifica, e proprietà medicinali. 12. La chimiatria di Francesco Silvio de la Boè, nata dal sistema di Wan-Helmonzio, e da quello di Cartesio, ammette un fermento, che compie la fer- mentazione della digestione; ed un triumvirato ne- gli umori; dalla fermentazione ed effervescenza dei quali deriva qualsiasi fenomeno naturale e morboso. Mediante l'acrimonia esprime il predominio dei prin- cipii chimici degli umori, e spiega la causa delle malattie. I chimiatrici considerano la teoria dei fer- menti come il fondamento irrefragabile e più fermo della medicina. 13. I iatromatematici o diatromeccanici ripon- gono la base dei loro sistemi nel confronto delle CO Scienze macchine artificiali con la fìsica animale; e da esso deducono leggi statiche e dinamiche. Mirano prin- cipalmente ai solidi , e li considerano come canali inanimati; dalla simmetrica riunione dei quali emer- ge il meccanismo animale. Coltivata essendo scienti- ficamente l'idraulica, la medicina divenne un ramo della matematica applicata. Predominando i sistemi chimiatrici, alcuni medici si denominarono chimici; ad essi prevalendo i diatromeccanici o iatromatema- ti, si dissero statici ed idraulici. Contribuirono alla propagazione di essi le scoperte d'Arveo; i tentativi di Santorio; la teoria dei movimenti volontari di Gualtero Charlenton; ed i calcoli della resistenza mu- scolare di Borelli. \ fi. Nel sistema stahiliano la materia è intera- mente passiva; ed il corpo nostro non ha in se stesso alcuna forza di movimento; ed è considerato quasi incapace di occupare uno spazio. Le proprietà in- trinseche del moto sono incorporee; e qualsiasi mo- vimento è un atto ideale unito all'agente inconcre- to. I movimenti e le alterazioni derivono dall' ente incorporeo; e le cause motrici si ascondono nei cam- biamenti dell'essere ideale. Lo stahliano non è coe- rente a se stesso, né trova la causa della morte : e l'uomo vivrebbe eternamente se una causa estrinseca non gli togliesse resistenza. 15. Dominando lo spiritualismo sotto il falso punto di vista cartesiano, la materia era destituita di qualsiasi forza inerente al mondo corporeo; e biso- gnava rimanersi paghi della semplice nozione delle alterazioni , cui seguono immediatamente gli effetti dell'organismo; o rinvenire una dimostrazione filoso- Storia della Vita CI fica delle forze materiali; o ricorrere per ogni fe- nomeno, anche d'ordine fisico, all'anima con gli sta- hliani ed i cartesiani. Per rovesciare i sistemi deri- vati dallo spiritualismo cartesiano, bisognava dimo- strare esser la materia provvista di forze che le si appartengono; delle quali conviene appagarsi nella spiegazione di non pochi fenomeni. Glisson e Leib- nitz, seguendo Aristotele , si accinsero alla gloriosa impresa; ma era riserbato a Kant il trionfo sul car- tesianismo; ed il gittare i primi rudimenti dell'ecci- tabilità. Stabiliti da Kant i fondamenti del sistema meccanico — dinamico, Gualtero Charlenton ondeg- giava tra lo spiritualismo Cartesiano, e la teoria di Wan — Helmonzio. Vincenzo Bellini estendeva la teo- ria degli stimoli; Antonio Pacchioni e Giorgio Ba- glivi seguivano anche essi il nuovo sistema, che an- dava edificandosi. Così a rilento, e non ad un tratto, dallo stahlianismo si passò al sistema meccanico-di- namico di Federigo HofFmann; che nato dalla filoso- fìa di Glisson, e da quella di Leibnitz , predispose gli animi all'eccitamento. 16. Federico HofFmann, calcolate le condizioni remote, stabilisce qual base del nuovo sistema orga- nico-dinamico gli effetti generali, dai quali deriva i particolari. A ciascun corpo attribuisce forze di mec- canica materiale di coerenza e di resistenza. La mac- china animale, il cui puro meccanismo non spiega i fenomeni materiali, è mossa da un principio inco- gnito , che agisce dietro leggi di meccanica sublime ed inesplicabile. Così egli riporta il principio fon- damentale dei movimenti organici ad una sostanza 62 Scienze volatile ed energica, che separata dal sangue nel cer- vello si diffonde nel corpo. Intreccia così al sistema meccanico -dinamico il pensiero di Ernesto Stahl , l'archeo di Wan-Helmonzio, il calore innato di Ippo- crate ; e confrontando l' etere animale di Federigo Hoffmann con le monadi di Leibnitz, il sistema del primo trova un punto di contatto con quello di Er- nesto Stahal, di Wan — Helmonzio , e di Ippocrate. Federico Hoffmann, spiegato il meccanismo della vi- ta, stabilisce ogni malattia dipendere da vizio di mo- to, cioè in eccedente energia, o debolezza del me- desimo. Il nuovo sistema trovava moltissimi proseliti; perchè consuona con la filosofia di Leibnitz, di New- ton , e le dottrine meccaniche degli inglesi e della contaminala Francia. 17. Stabilita la massima, che la forza fondamen- tale non consiste nel meccanismo, ne si ripone nel miscuglio degli elementi ; alcuni ricorsero al prin- cipio puramente metafisico dell'anima; altri al semi- materialismo degli spiriti animali. Glisson, non sod- disfatto né degli uni, né degli altri, cercò una forza fondamentale nella fibra , che indipendentemente e senza l'influenza degli spiriti animali operasse la con- trazione della medesima. Stabilita dal Glisson, dalla fibra muscolare fu, in seguito da Gortero, estesa ne- gli altri solidi vivi. Ma prima di Mailer non si era determinata la sede, né stabilito il modo, onde ren- derla attiva: non si erano scoperte le leggi, né fatte esperienze per mettere in piena luce il di lei rap- porto con le altre forze corporee; né si conoscevano i diversi gradi, che assume nei diversi tessuti. Hal- ler con indefesse ed ingegnose esperienze dette Fina- Storia della Vita 63 pulso a questa sorte di nuove ricerche. L'irritabilità halleriana fu generalmente accetta; ed in essa basa- rono gli assurdi sistemi della scuola dinamica. 18. Il patologo scozzese stabilisce la vita orga- nica essere l'effetto di due forze; una inerente all' organismo, a cui dà il nome di eccitabilità; l'altra propria delle potenze esterne, alle quali accorda quel- lo di stimolo ; e di eccitamento a qualsiasi effetto ingenerato dal medesimo. Giovanni Brown distrug- ge ogni principio umorale, e promulga il perfetto solidismo. L'eccitabilità essere unica, indivisibile, ed equabilmente diffusa nel solido vivo; suscettibile di accumulamento per la deficienza, e di esaurimento per la soverchia azione degli stimoli. Non può ri- prodursi, e nel dinamismo browniano viene conside- rata come ultimo fine di ogni ricerca fisiologica e patologica. Ciascun corpo ne possiede una determi- nata quantità , che gradatamente esaurendosi , per l'azione degli stimoli, determina il corso di nostra vita. Nel dinamismo le malattie si riducono a con- dizioni generali di aumentato o diminuito eccita- mento; tranne le istrumentali, e perciò in due classi racchiudonsi tutte, steniche Fune, asteniche l'altre. Il dinamismo browniano è così semplice , che non accorda ai medicamenti altra proprietà, che Fazio- ne maggiore o minore di stimolo. Darwin con il potere sensoriale esprime interamente l'eccitabilità browniana; ed attribuisce alla fibra vivente le me- desime proprietà. Si allontana dalla teoria del con- nazionale in terapia , inquantochè le accorda una maggiore eslenzioue; e stabilisce varie classi di me- 64 Scienze dicamenti dedotte specialmente dall'azione maggior- mente elettiva. 19. Rasori aggiunse alla semplice dicotomia browniana i controstimoli; e vi fece alcune riforme riguardanti il pratico esercizio. Esclude la cura ri- scaldante ed incendiaria. E la riforma della dicoto- mia browniana fu dipoi dai rasoriani denominata teo- ria del controstimolo. Agli stimoli ed ai controsti- moli aggiunti gli irritanti, e stabilita la condizione irritativa, le malattie furono divise in diatesiche ed adiatesiche. Le prime accompagnate da diatesi o da stato morboso , che progredisce indipendentemente dalle cause che lo hanno prodotto; le altre non so- no curabili con lo stimolo ed il controstimolo, ma col rimuovere , eliminare, o distruggere la potenza irritante. I principali promulgatori della teoria del controstimolo furono Rubini, Guani, Bondioli, Fan- zago ; ed il celebre Tommasini, riunite le riforme del dinanismo browniano in un corpo di dottrina, l'espose e pubblicamente insegnò sotto il titolo di nuova dottrina medica italiana. La dicotomia bro- wniana trovava in Francia altri riformatori: e Brous- sais , riunite le dottrine che si appartengono alla teoria del controstimolo, ne formò un sistema eccle- tico; che essendo da esso esposto, e con eloquenza e dottrina pubblicamente insegnato, riceveva il no- me di dottrina medica brussessiana. E brussessiani furono detti i seguaci del nuovo ecletismo bro- wniano. 20. Si pubblicarono dipoi in Italia il partico- larismo di Maurizio Bufalini, ed il sistema organico- dinamico di Francesco Puccinotti; e nella contami- Storia della vita 65 nata Francia il materialismo clinico di Rostan , e quello d'Andrai. Il celebre porticolarista Maurizio Bufalini stabilisce, qual fondamento del sistema ana- litico, l'eccitabilità non essere forza unica, indivisi- bile, e primitiva; ma risultare dalla particolare ag- gregazione delle particelle della comune materia, e dalle forze primitive. La vitalità e 1' eccitabilà non esistere che per l'organizzazione, e qualsiasi moda- lità della vita da essa dipendere, né potere variare senza che prima soggiaccia a corrispondente altera- zione. Così le malattie sono le alterazioni, i muta- menti, ed i perturbamenti della mescolanza organi- ca; ingenerati o da manifesta chimica o meccanica alterazione, o da segreti processi specifici di altera- zioni di ordine, di positura, di proporzione, e di na- tura delle molecole componenti l'organica mesco- lanza. Le differenze ed i caratteri dei processi mor- bosi si deducono dalle cagioni, dai sintomi, e dall' azione dei rimedi ; e la diversità dell' azione delle potenze esterne dai contrassegni esteriori. » Però » conchiudiamo: verificare col mezzo eli reiterate os- » servazioni la costante successione di certi fenomeni » morbosi a certe cagioni, e di certi effetti a certi » rimedi somministrati, ecco tutto V intento, che vor- » rei fosse nell'animo degli osservatori: fondare poi » soltanto sopra di questa successione tulle le divi- » sioni de'morbi, e dell'azione delle potenze esteriori, » ecco tutto V ordinamento della patologia da me in- » culcata (1). 21. Il celebre clinico e polistorico italiano (1) Maurizio Bufalini, Patologia analitica. G.A.T.CXXI. 6G Scienze Francesco Puccinotti, deduce nuovamente dai falli, ed applica alla medicina, in quanto riguarda il mondo materiale, la vita universale diPittagora, retta da Dio. Se egli parla di vita di alcun essere organizzato, non intende per essa un effetto di peculiare principio o cagione sussistente per essi; ma solo un grado di un modo più perfetto della vita universale; modo, che nei corpi organici mantiene uniformità per la tra- smissione generativa. 1/efficenza dell'organismo esi- stere ora come effetto, ed ora come causa; e da que- sto circolo perenne di attività e di passività emer- gere la manifestazione e la conservazione di vita. Considera in egual modo la malattia, e la riguarda come effetto di ragione composta delle perturbazio- ni delleflicenza, e dei cangiamenti di mistione, di forme nel materiale organico; ma tanto quelle per- turbazioni, che questi cambiamenti, li considera ora come cause, ed ora come effetti scambievoli l'uno dell' altro; e nelle malattie vede espresso quel pe- riodo di organiche mutazioni , che si compie nel corso naturale della vita. Cosi le malattie sono i disordini degli atti della facoltà conservativa, avve- nuti per alterazioni meccaniche, dinamiche, o chi- miche dell'organismo. Il sistema organico-dinamico del celebre clinico e polistorico italiano Francesco Puccinotti è sublimato dall'antichità, basalo nei fat- ti, realizzandosi in essi a preferenza di altri. 22. llostan (considerando anch'egli l'organismo solamente nella sua parte e nelle sue funzioni mate- riali) stabilisce come cardine fondamentale della cli- nica organica: » Non esistere, e non potere esìstere » nell'economia animale vivente, che organi e fan- Storia della Vita 67 » zioni : le finizioni non sono altro che organi in » azione, tutto ciò che non è organo, principio à"or- » gano, effetti di organi, non è nulla per il medi- » co (1). Da questo principio fondamentale deduce rigorosamente , che ogni qualvolta una funzione è alterata in una certa maniera, debba esservi neces- sariamente malattia in un organo , o in una delle parti componenti esso organo. Andrai, uniforman- dosi al principio di Rostan, stabilisce come cardine della patologia interna, che come nel corpo inorga- nico ed organico, così nell'animale, riesce impossibile di separale le proprietà della materia dall'idea della materia. Allorché l'eccitabilità, la contrattilità, e la sensibilità nei Corpi si modifica; tutto ci porta a pen- sare, che una qualche alterazione abbia avuto luogo nella loro mistione organica. Così la scienza non sarà completa , che allorquando saranno conosciute le alterazioni dei principii imponderabili, mediati ed immediati, del sangue, dei liquidi che ne derivano, dei tessuti e degli organi ingenerati da essi. 23. In Italia ed altrove propagandosi e pub- blicamente insegnandosi l'eccletismo browniano, sor- gevano uomini chiari per virtù e sapere; che oppo- nendosi al dinamismo pubblicavano sistemi, e pone- vano ogni opera per crollare il fatale edifizio. Ma il browniano sotto i colpi violenti di tanti uomini illustri, melamorfìzzandosi si riproduceva e diffon- deva maggiormente cambiandosi sempre di forma ; qual idra, che fatta a pezzi moltiplica , e la famiglia si estende , mantenendosi costantemente la specie. (1) Corso di medicina clinica. Parte prima. Prolegòmeni. 68 Scienze Neil' effervescenza di tante discrepanze e contese violente tra i seguaci del puro dinanismo, i rifor- matori , e gli ostinali oppositori degli uni e degli altri, sorgevano in Italia ed altrove uomini medio- cri, che per vaghezza di novità e desio di rinoman- za varie cose di niun conto pubblicarono. Ed allora si costituiva in Germania una setta di medici tra- scendentali sotto il titolo di filosofi della natura; e discendeva all' arena s. Hannemann con la sua ce- lebre epigrafe simiiia similibus curantur , che da molli essendo deriso, altri Io venerarono, e ritennero qual fondatore della vera medicina. Il sistema dei simili e delle qualità deriva da un antico aforismo ippocratico (1); e non sappiamo se egli l'immagi- nasse a priori, ovvero lo derivasse dai fatti. Le mas- sime fondamentali dell' omeopatica medicina furono appoggiate o dedotte da alquanti fatti di natura oc- culta ed indeterminata; che olire il non potere ser- vire di elemento all'induzione , vi è di bisogno di nuova analisi, onde chiarirli. Così il sistema dei si- mili e delle qualità è sprovvisto ài fatti; mentre quel- li, che si adducono in suo favore, sono signoreggiati da altri principii dedotti da fatti generali e solenni, che ne chiariscono, mediante l'analogìa, l'indole e la natura. 24. Chiaro apparisce dalle cose esposte, che la medicina ippocratica, come se la immaginano alcuni, non ha mai esistito. Ippocrate fu grati filosofo e me- dico; e la sua dottrina trova un punto di contatto con quella di Bacone, in quanto sì l'uno e sì l'al- (J) FIiimis itimi curatili'. Storia della. Vita 69 tro deducono 1' induzione dai fatti. Il criterio pra- tico destituito da qualsiasi fondamento, come si pro- fessa dal cieco empirismo, che allontanandosi dagli insegnamenti dei clinici di tutto il mondo, proclama non essere la medicina una scienza, è una chimera; mentre il giudizio dell' uomo non si determina ad una causa qualsiasi, senza un argomento o una ra- gione dedotta dal fatto. I seguaci del cieco empi- rismo, che non sanno dare ragione dei più grosso- lani fenomeni , senza contaminare la celebrità del nome d ' Ippocrate , sarebbero meno impudenti se confessassero candidamente la propria ignoranza. 25. L' essenzialità ed il centro della forza uni- versale del mondo corporeo è una forza infusa dall' Essere Supremo all'universo, forza coordinatrice, che noi chiamiamo ideale ; e ciò che esiste di concreto sono gli elementi della natura, che mediante la re- ciproca azione antagonistica ingenerano la forza ma- teriale, che nei corpi organici mantiene uniformità, per la trasmissione generativa. L'induzione è un ideale anche essa, che nato dai fatti si realizza in essi. Così l'ideale delle scienze è l'induzione, e la parte con- creta sono i fatti. La filosofia speculativa, non es- sendo l'induzione generale dei fatti, che si propone spiegare, alletta l'immaginazione e non si realizza in essi. Solo le particolari induzioni si realizzano nei fatti, dai quali furono dedotte. Una scienza, che si compone di dieci fatti, dà una induzione; come ne dà un'altra se cresce il numero di essi. Così il cen- tro dei corpi cambia di posto, cambiate le relazioni di volume o di massa. I fatti scoperti e la materia dei corpi si rimangono costantemente i medesimi; e 70 Scienze solo cambia di posto il centro e l' induzione gene- rale. L'immenso numero dei sistemi, dai principali dei quali abbiamo estratto il principio induttivo, non danneggiarono ia medicina; ma anzi, essendo dedotti da falli nuovi , furono generalmente creduti splen- dori e meraviglie dell'arte. La parte concreta delle scienze, cioè il complesso dei fatti che lor si appar- tengono, non eambia di natura, e solo ingrandisce e maggiormente si estende; l'ideale o l'induzione, che nasce da essi, è sottoposta a continui cambiamenti. Cambiamenti però, che non danneggiano la scienza; ma anzi la favoriscono, e sono generalmente accetti. Ciò si riferisce ai sistemi induttivi, e non a quelli immaginati a priori, che sempre la deturparono. ^^^&è© ©@rà%v/w 71 PROPOSTA D'UN NUOVO ORGANO, PER SERVIRE DI GUIDA ALLO STUDIO DELLA CLINICA. LIBRO PRIMO FENOMENI NATURALI DELLA VITA. CAPO PRIMO Genesi dei corpi. 1. L i uomo spaziandosi col pensiero nell' immenso spettacolo dell'universo, ed osservando il nascere ed il morire di quella svariala ed estesa serie di esseri che il circondano, ben presto si avvede, che gli ele- menti della natura come entrano in nuove combi- nazioni mantengono quel mirabile e perenne cam- biamento di forme di ciò che ha esistenza , e vive. E come l'analisi segue la sintesi; così in natura non si compie la genesi senza la precedente decomposi- zione di qualsiasi altro corpo. Il principio dell' or- ganizzazione individuale si asconde nella forza idea- le dell' universo , così intesa come poco fa dicem- mo ; e 1' essenzialità degli alti vitali , che ne de- termina il movimento 1' antagonismo tra 1' univer- sale e la vita particolare , dell' organo nelle ri- spettive combinazioni , che gli elementi prendono tra loro , mentre 1' atomo e la fibra elementare , 72 Scienze vagheggiati dalla vecchia scuola, non somministrano idea chiara e precisa, né valevole ad acquietare la curiosità dell' anatomico e del chimico; che con gli istromenti dell'arte incessantemente affaticandosi, cer- cano di sorprendere la natura nei primi passi, che ella fa mentre compie la genesi degli elementi im- mediati dei vegetabili e degli animali. 2. Non ammettendosi alcuni principii materiali privi di ogni sorta di organizzazione, non può con- cepirsi, che i primordiali elementi dei corpi siano di figura lineare o sferica. Lo scarpello dell' anatomico, e gli istromenti dell'ottico, fino ad ora, non ci som- ministrano all' uopo lume bastevole ; anzi guida- ti dall' analogìa ci persuadiamo del contrario ; e al di là dell' organizzazione nulla possiamo descri- vere, né concepire. Di una macchina, comunque essa sia costruita, possiamo conoscere le forme , i pezzi che la compongono, e la ragione dei suoi movi- menti. Così mentre V anatomico che ci descrive gli organi e gli apparecchi della macchina animale, il fisiologo ci dà la ragione delle rispettive funzioni; la chimica somministra materiale bastevole ad a- cquietare lo spirito umano, sia che delinei il qua- dro degli elementi immediati dei vegetabili e degli animali, o che stabilisca i principii di cui questi si compongono: ma oltre le combinazioni degli elemen- ti, nulla ci somministra di positivo; e questo è il pun- to, in che l'anatomico ed il chimico, perdendo la via dell'esperienza, entrano in quella, che dirige lo spirito umano alle conghietture ed alle ipotesi. 3. I corpi, che fino ad ora furono sottoposti ai reagenti chimici, hanno somministrato al di là di Storia della Vita 73 sessanta elementi (1), che isolatamente esistendo, o combinati fra di loro in differenti proporzioni, co- stituiscono quell'immensa e svariata serie di corpi, di cui l'immenso spettacolo dell'universo si compo- ne. L' esistenza dei corpi semplici , cioè di quelli composti d'un solo principio, non può revocarsi in dubbio, quando non si volesse negare ciò che ci viene confermato dai sensi. Ma, che essi siano desti- tuiti di qualsiasi sorta di organizzazione, non è pro- posizione coerente ai fatti, né viene sostenuta dall' analogia, né può concepirsi. L'esistenza dei corpi semplici sarebbe allora rappresentata dall'atomo ele- mentare immensamente esteso ; e così le sostanze semplici potrebbero dividersi , ma non combinarsi con altre; ciò che ci viene solennemente contraddet- to dal fatto. La forza di coesione, che sostiene l'or- ganizzazione dei corpi semplici, non è la medesi- ma forza di attrazione , che mantiene la composi- zione vegetabile ed animale ? Perchè dare due no- mi ad una medesima forza ? o non chiamare con tante denominazioni diverse l'attrazione, per. quanto è esteso il numero delle possibili combinazioni della materia? 4. La forza ideale, cioè la forza primitiva e coordinatrice da Dio infusa, che tende a coordinare ed unire gli elementi, cambia d'intensità nella mas- sima parte dei corpi, nei quali si esercita; cosi ha luogo il processo analitico e sintetico , che inces- santemente si svolge in natura, e mantiene il feno- (1) In fisica non si è ancora stabilito, se gl'imponderabili sia- no materie sottilissime di peculiare esistenza, o solamente manife- stazioni di attività di materie ponderabili. 74 Scienze meno dell'avvicendarsi delle forme della materia. I principii elementari tendono ad unirsi in determi- nate proporzioni; ed i composti trovandosi a con- tatto con altri, che hanno maggiore affinità per i principii costituenti, tosto si disciolgono, ed altri composti s'ingenerano, rimanendo distrutte le forze quiescenti dalle divellenti. Versando nella soluzione di muriato di barite la dissoluzione di carbonato di potassa , restano rotte le prime combinazioni , ingenerandosi il muriato di potassa ed il carbonato di barite. Gli elementi dell'universo sogliono com- binarsi, onde ingenerare i composti a radicale sem- plice, con determinate leggi; così l'acido nitrico sì unisce a preferenza degli altri metalli al zinco; men- tre ha minore affinità per il mercurio, il rame, ed il ferro. 5. Gli elementi dell'universo, posti a contatto, entrano in combinazioni; ed il processo sintetico è favorito da quelle cose che accrescono 1' intensità dell'affinità chimica, e la decomposizione dagli agen- ti che aumentano l'atto di repulsione, e distruggono la forza che mantiene l' aggregazione molecolare. Generandosi i corpi , perdono gli elementi le pro- prietà accidentali, ed il nuovo composto acquista peculiari affinità. L'acido niirico, composto d'ossi- geno e d'azoto , dispiega una peculiare azione sui metalli e vi si combina. Ma l'azoto non ha affinità alcuna per essi; e l'ossigeno unendosi ai metalli gli ossida, rendendoli idonei ad unirsi agli acidi, onde ingenerare i sali. Il zucchero, la gomma, gli acidi acetico, succinico, citrico, e formico ec, sono ingene- rali dall'ossigeno unito al carbonio ed all'idrogeno; Storia della Vita 75 ma i primi diversificano notabilmente dai secondi, riè possono unirsi come questi alle basi salificabili, onde ingenerare i sali. Invertito l'ordine degli ele- menti dell'apparecchio voltaico non si ha più ana- lisi, né sintesi; ed i fenomeni elettrici onninamente si sopprimono. Egli è dunque comprovato dal fatto, che gli elementi dei corpi , posti in combinazioni , acquistano peculiari affinità , e caratteri distintivi suscettivi di cambiare all' infinito; ma che sono dal tempo onninamente distrutti ». Se ci fossero note le » leggi, che reggono resistenza dei corpi organizza- ci ti, riconosceremmo del pari, che resistenza prò- » lungata senza alterarsi sotto le medesime circostan- te ze è uìi impossibilità fisica; la cui cagione appun- » lo dipende da queste leggi » (1). Non può revocarsi in dubbio , che in natura l'avvicendarsi delle forme, come lo scomporsi e ri- comporsi dei corpi , 1' attirarsi ed il repellersi dei medesimi, non siano l'espressione ed il risultato del- la forza detta di sopra, che presiedendo al mondo corporeo, tende a realizzarsi mediante il fenomeno della generazione. Se ci fermiamo a considerare V eterogenìa-generatio haeterogenea , aequivoca, pri- mitiva, primigena, originaria, spontanea - saremo portati a stabilire, che gli elementi dell'universo, in determinati modi combinati, ingenerano gl'infusorii vegetabili ed animali. La compage degli elementi immediati dei vegetabili e degli animali si crea pri- ma che si manifesti la vita; e la primordiale com- posizione delle parti, che li compongono, non è (1) Berzelius, Chimica. 70 Scienze sottoposta all'azione vitale; ma la forza ideale primi- tiva infusa all'universo aggregando gli elementi in- genera un composto, dal quale scaturiscono di poi nella fìsica lor parte gli atti vitali; cioè gli attributi, e le caratteristiche di queste speciali combinazioni. — L'assioma stabilito dal genio del nord Carlo Lin- neo, cioè » che tutti gli esseri si propagano per semi e per uovi » si verifica solo nei corpi, in cui i fe- nomeni vitali sono meno dipendenti dalle proprietà primitive degli elementi, di cui essi si compongo- no (1). 7. Un cambiamento chimico nel liquido e nel- la sostanza solida posta in infusione costantemente accompagna la genesi dei vegetabili e degli animali infusori; fenomeno, che probabilmente deriva dalla reazione, che la sostanza liquida esercita contro la soli- da, distruggendovi la forza di attrazione, considerata da Gruithuisen come una peculiare fermentazione, capace d' ingenerare il muco primordiale analogo alla sostanza, che il corpo della femmina segrega nella generazione per individualizzazione. Scorse se- dici ò ventiquattro ore varie bolle di aria si svol- ti) » La parola (l'ordine degli avversari della generazione spon- » tanea e la seguente sentenza appoggiata sopra la classica autorità: » Onvne vivum ex ovo. » Ma non possono addurre si fatta sentenza » in appoggio della loro opinione, se non trascurando lo spirito, » per attenersi alla pura lettera. Fece già osservare Valeutini, che » lo stesso Harvey, lungi dal volere così negare qualunque gene- » razione spontanea , chiama uovo la sostanza capace di germo- » gliare in generale; vale a dire qualunque materia, dalla quale » si sviluppa immediatamente un corpo organizzato; e che in con- » seguenza estende egli si fatta denominazione fino alla sostanza » del muco primordiale. » Burdach, Fisiologia tom. 1. part. 1. lib. 1. » sez. 1. pag. 13. Storia della Vita 77 gono dall'infusione ed il liquido notabilmente intor- bida; scorse quarantotto ore, diviene di bel nuovo limpido, e si organizza una peculiare mucillagine o gelatina alla superficie del liquido, o si formano dei fiocchi , che rimangono sospesi e galleggiano. In questa sostanza primordiale s'ingenerano le granu- lazioni che si staccono dalla membrana per svol- gersi in infusori. » Ogni volta, che avviene rigene- razione, si scorge spargersi cerio liquido chiaro come acqua, il quale a poco a poco si addensa, prende ve- duto col microscopio un aspello granelloso, e spesso sostituisce perfettamente V'organo perduto con tulle le sue ossa* legamenti, muscoli, e nervi (1). 8. Gli ovicini dei vegetabili e degli animali organizzati dalla forza plastica con l'attitudine ad unirsi al polline ed allo sperma, mediante l'atto del- la fecondazione, subiscono peculiare elaborazione nel mentre che la sostanza prolifica vi si combina, ed acquistono allora l'attitudine a svolgersi in speciali forme. Gli ovicini prima della fecondazione portano il seme dell'individualità; come I'ossiggeno racchiu- de in se quello dell'acido, e l'acido quello del sale; e divengono il primo acido e l'altro sale, allorché le condizioni essenziali per questi avvengono ; vale a dire ogni qualvolta l'ossigeno si combina ai corpi combustibili, e l'acido alle basi salificabili. 9. Il Burdach, in seguito di lunga serie di espe- rienze, stabiliva effettuarsi la generazione mediante un'attività vitale, che procede giusta le leggi dell' elettricità. Nella sua idea ravvisa l'elettricità, come (1) Burdach, Fisiologia Ionio 1. part ì. scz. 1. cap. 1. pagr- t^. 78 Scienze una forza generale della natura ; così in altri ter- mini spiega il fenomeno mediante la forza altrove dichiarata, che si fenomenizza nell' atto della gene- razione. » La propagazione sessuale è un atto dina- ri mieo, che consiste in un continuo conflitto dei ses- » si:, cioè dei due membri della specie opposti Vuno » all'altro, come i due poli di una calamita, che dà » luogo all'atto chimico della formazione. Non pre- » tendiamo adunque sia quella , che procede giusta » le leggi dell'elettricità, che sviluppiamo coi nostri » apparecchi di fisica , poiché non si può con que- » sta fecondare alcun uovo; ma ravvisiamo V elet- » tricità nella sua idea, e come forma di una for- » za generale della natura » (1). La forza gene- rale della natura , rappresentata dal Burdach sot- to la forma dell'elettricità, è adunque una potenza, mediante la quale viene formato il germe con l'at- titudine a svilupparsi sotto le forme di vegetabile e di animale. Ma il conflitto dei sessi, l'atto dina- mico, ed i poli ideale e materiale del Burdach non hanno più luogo quando la deposizione delle uova precede la fecondazione : come negli entozoari fra gli acatacefali, nei molluschi fra i cefalopodi, nella maggior parte dei pesci, e nei batraci anuri. Lo sperma disseminato dai pesci ossosi ovipari, dagli urodeli , e dagli anuri viene raccolto dall' acqua; come il polline delle piante monoiche dall' aria; e cosi la materia prolifica per accidentalità è condot- ta all'ovaio, onde fecondare gli ovicini. Nelle acque adunque ove guizzano i pesci, e nell' aria che noi (1) Burrfach, Fisiologia tomo 1. seq. cap. 3. art. 2. pag. «37. Storia della Vita 79 respiriamo, sono sospese le potenze prolifiche, che si appartengono a diverse specie. Il bastardume ne- gli animali, e l' ibridismo nelle piante sono feno- meni rari; e nel mentre che si sottraggono dalle leggi generali, vanno sottoposti ad altre speciali, senza delle quali non può aver luogo la loro genesi. Così il caso, o peculiari affinità conducono la ma- teria prolifica all'essere che gli si appartiene; ed il polline e Io sperma, avendo affinità per alcuni ovi- cini, vi si combinano, e li fecondano, onde conser- vare la propria individualità. 10. Sia pure la fecondazione, come scriveva l'Harvey, una specie d'infezione, che lo sperma de- termina nel corpo femmineo; in qualsiasi modo sia considerato il fenomeno , fa di mestieri ammettere un cambiamento neh' intima struttura dell'ovicino. Le proprietà fisico-chimiche costantemente si cam- biano , e la fecondazione determina una maggiore proclività alla decomposizione. Cosi le uova non fe- condate di gallina sopportano un calore di trenta- due gradi per trenta o quaranta giorni; nel mentre che le fecondate si decompongono e si putrefanno. Quelle d'autunno, perchè meno atte all'incubazione, si conservano più lungamente di quelle di prima- vera, quantunque la temperatura sia la medesima. Un carattere costante e generale , che annunzia la prossima decomposizione, è l'intorbidamento del li- quido. Nel gambero e nell' echinorino le uova fe- condate perdono la naturale trasparenza, e divengo- no opache. Nel baco da seta il colore giallo, in se- guito della fecondazione, viene cangiato in paonaz- zo. Nei pesci in principio si accresce la trasparenza; 80 Scienze e scorse quarantotto ore nuovamente s'. intorbida. Immergendo nell'alcool un uovo di gallina non fe- condato, la cicatricula si rimane trasparente; e di- viene opaca in quelle che furono sottoposte al pro- cesso della fecondazione. Prevot e Dumas osserva- rono nelle cagne , e Grasmeyer nelle vacche , ed Haighton nelle coniglie in calore, le vescichette ova- riche non crescere di volume; e poche ore dopo la fecondazione gonfiarsi, e crescere a dismisura. L'ovicino dei mammiferi fecondato determina l'af- flusso degli umori; e quello dei vegetabili maggior copia di succhi. Posti in fine gli ovicini fecondati, e alcuni di quelli che non lo furono nelle condizioni favorevoli all'incubazione; nel mentre che questi si putrefanno, dagli altri s' ingenera un essere mag- giormente organizzato. Quando averemo stabilite le qualità e le quantità dei principii negli uovi prima e dopo la fecondazione, avremo allora conosciuta la proporzione, e determinato il principio che deter- mina l'attitudine alla generazione. 11. Per non abbandonare la via dell'esperienza e dell' osservazione, onde battere quella che dirige lo spirito umano alle congetture ed alle ipotesi, os- serveremo i fatti come la natura ce li presenta. Po- sto il seme a germogliare, assorbe l'umidità; e gli in- viluppi seminali si rammolliscono. Penetrata l'acqua nel tessuto dell'embrione, si svolge un'azione chimi- ca con sviluppo di calorico; e l'embrione si dispone a ricevere gli elementi nutritizi. In seguito il pe- risperma si rammollisce in quelle parti, che sono a contatto dell'embrione; e convertito in liquido emul- sivo, percorre i vasi dei cotiledoni; onde servire di Storia della Vita 81 nutrimento al blastema. Neil' alto della generazione è assorbito l'ossigeno ; mentre una certa parte di carbonio viene espulso mediante lo sprigionamento del gas acido carbonico. Le respetti ve quantità dell' ossigeno, dell'idrogeno, e del carbonio, che sono gli elementi della fecula del perispermo, essendo cam- biate per la presenza degli elementi dell' acqua e dell'ossigeno assorbito, non che per l'esalazione di una certa quantità di carbonio, subisce questa una metamorfosi, e da insolubile diviene solubile; e così s'ingenera la compage degli elementi immediati delle piante nascenti : fenomeno costantemente accompa- gnato dall'ingrossamento parziale o totale dell'em- brione , per cui gl'inviluppi seminali sono rotti , e la radicina ingrossata si dirige al centro della ter- ra, nel tempo che la piumetta s' innalza al di so- pra del suolo. Le agame e le criptogame , ed al- cune fenogame, come le cuscute, sono per la mas- sima parte sprovviste di cotiledoni. In questi semi gli elementi dell' acqua e Y ossigeno assorbito si com- binano direttamente con i principii elementari dell' embrione, mediante processi chimici spontanei, per dar luogo alla formazione degli elementi immediati. » Il corpo solido o polpa dei semi contiene una so- » stanza oleosa, o muccosa, o farinacea riposta in » infiniti acinelli o vescichette comunicanti per un » tessuto reticolare d? impercettibile sottigliezza » Tutti adunque contengono materie capaci di scom- » porre V acqua ne1 suoi principii, cioè idrogeno ed » ossigeno. Sono adunque capaci di riscaldarsi, di- » venire spiritosi, acidi, e putridi, e di entrare in » altre combinazioni con i medesimi principii cositi G.A.T.CXXI. 6 82 Scienze » tuenti. Infine i semi farinacei, quelli del lino, del- » la senepa, ed altri, se siano bagnati ed ammuc- » chiati in una certa quantità, si riscaldano e fer- » mentano: e se abbiano abbastanza di calore, e di » umidità, i semi germoliano » (1). 12. Il processo chimico sostenuto , durante la germinazione , dagli agenti che ri svegliano la fer- mentazione, ben presto si modifica e cambia quando la luce perviene ad agire sulla piumetta. Allora il gas acido carbonico e 1' acqua si decompongono, e l'ossigeno viene in gran parte espulso; ed il carbo- nio e gli elementi deir acqua combinandosi insieme generano i prodotti infiammabili, fìssi, e volatili, che subentrano alla materia zuccherina ed alla muci- lagine. Nella germinazione nel tempo che alcuni corpi si decompongono, altri s'ingenerano; e la for- ma ideale, che presiede al mondo corporeo, si rea- lizza nella genesi degli elementi immediali delle piante nascenti. » D'altronde lo sviluppo chimico del- » V embrione vegetabile fu poco studiato : e se pur » sappiamo, che V amido dell embriotrofo si trasfor- » ma in zucchero per assorbimento di ossigeno , e » che per una nuova giunta di ossigeno, questo zuc~ » chero sì metamorfica in fibra legnosa, ed in acidi )) vegetabili ; mentre perdendo l-ossigeno si converte » per gradi in muco , alcaloidi, estrattivo, resina, )> olio essenziale, ed olio grasso : ciò non è che il » lieve principio di ima teoria chimica della jor- » mazione dei vegetabili (2). (i) Targioni, Botanica. (2) Burclach, Fisiologia tom. 4. Solloserie 3 capit. 2. p. 583. Storia delia Vita 83 Ì3ì Croone ed il Malpighi pretesero vedere il rudimento dell' embrione solo nella cicatricula del giallo dell'uovo fecondato. Harvey, Haller e Bonnet assicurano del pari di averlo veduto nella cicatri- cula delle uova non fecondate. Quello che non for- ma oggetto di controversie e discrepanze sono i fenomeni, che nel decorso dell'incubazione si svol- gono nelle uova fecondate. Questi brevemente de- scriveremo, lasciando ad altri risolvere la questione agitata da Croone, Malpighi, Harvey , Spallanzani , Haller, e Bonnet (1). 14. Nel primo periodo dell'incubazione si ren- de sempre più manifesta la distinzione fra il giallo, la membrana proligera e la vitellina. La proligera diviene consistente, e si divide in due lamine; la superiore, di natura sierosa, costituisce l'areola traspa- rente, e s' ingenerano di più in essa il sistema cu- taneo esterno, il muscolare, il nervoso, l'osseo ed il complesso della vita animale, nella sua parte orga- nica; l'inferiore,di natura muccosa, assorbe l'embrio- trofo e lo depone, trasformato in massa organica primitiva, alla superfìce interna. Tra le superfìcie (1) » Ma, innanzi l'incubazione, il turlo non ha che una epi- » dermide, senza -vasi n-> condotto vitellino; il sacco vitellino prò- » priamente detto, col suo condotto ed i suoi vasi, non si forma- » no che nell'incubazione. Cosi dunque non esiste, innanzi la fe- » collazione, nò organo qualunque del feto, né anco meno lo stes- » so fruito, ma solo un embriotrofo. Se Malpighi e Croone credet- » tero vedere l'embrione, s'ingannarono: poiché i moderni, i quali » mettono maggior cura nelle loro osservazioni, e adoperano più » perfetti microscopi, riconobbero che il frullo comparisce a poco « a poco durante l'incubazione. Burdacb, Fisiologia tom. 2 sez. 2 can. 3. art. 1. pag. 577. 84 Scienze mucosa e serosa s' ingenerano le formazioni indi- rette e secondarie; che sviluppandosi maggiormente costituiscono il sistema delle membrane mucose, sede primitiva della vita plastica; dalle quali i principii ele- mentari sono introdotti ed assorbiti ; e le sostanze organiche decomposte vengono portate all'esterno. In seguito nella parte interna del cerchio, che cir- conda l'areola trasparente, si formano i vasi; e tra le superficie mucose e sierose si accumula uno strato di globetti, dai quali sviluppandosi dei vasi, costi- tuiscono la lamina vascolare di Pander. Nel centro longitudinale dell'areola trasparente apparisce la cor- da spinale, simile ad una spilla munita di lesta; com- posta d'una serie di globetti oscuri, che moltipli- candosi acquista maggior solidità e consistenza. Al- tri globetti si riuniscono del pari per formare i primi rudimenti delle vertebre; ed infine l'embrione esce dal tuorlo accompagnato dall'areola trasparente. Incomincia dipoi ad uscire dalla proligera la parte inferiore o addominale dell' embrione. Nelle cellule cerebrali e nel cavo rachideo si formano grossi globetti, dei quali si compone dipoi la sostanza ce- rebrale e midollare. Tra le lamine sierose e muco- se apparisce una massa granellosa, dalla quale s'in- genera il cuore, che dopo un qualche tempo pulsa, e circola nell'interno un liquido, nel quale appari- scono piccole isolette di sangue rosso, che proba- bilmente scaturiscono dalle grondaie dell'areola tra- sparente. In seguito sviluppano sotto la lamina sie- rosa piccole vescichette agglomerate ; composte di tessuto plastico, che presa la forma di piccoli grani si ciscondauo di fissure a guisa di maglie, onde Stoma della Vita 85 costituire l'isolette di sangue descritte dal Wolf, che allungandosi si riuniscono per formare un reticolo con interstizi 5 da cui scorrono correnti tenui di globelti, che a norma della rispettiva grandezza si distribuiscono in rami o tronci. Dal tessuto plasti- co s'ingenerano le fibre, ed ammucchiatesi queste, il sistema muscolare apparisce in quasi tutte le parti. Nel medesimo tempo si svolge il processo di ossifi- cazione, ed appariscono qua e là punti ossei nelle ver- tebre del collo e del petto; e quasi istantaneamente manifestandosi nelle altre parti, progrediscono con grandissima celerità. L'ossificazione è poco identica negli animali, cosicché torna impossibile determinarne la successione normale. Infine sviluppano i rudimenti delle penne sotto la forma di piccoli tubercoli. Nel- l'ultimo periodo dell'incubazione il tuorlo assume un colore maggiormente oscuro, per la continua perdita della sostanza liquida. Il bianco interamente spari- sce; e l'embrione sviluppasi maggiormente a carico dell'embriotrofo esterno; e l'interno, cioè il tuorlo, en- tra per l'apertura ombellicale nel ventre, e l'alimen- ta per qualche tempo, terminata che sia l'incubazio- ne. Dalla serie dei fenomeni, che svolgonsi nel de- corso dell'incubazione, chiaro apparisce, che in prin- cipio non si distingue nell'embrione, che tessuto pla- stico , o la massa fondamentale dei tessuti animali composta di muco albuminoso , e di globetti leg- germente riuniti. L'embrione altro non essere, che la proligera, la quale mediante una serie non inter- rotta di metamorfosi e combinazioni chimiche per- viene ad una maggiore indipendenza. Da principio l'antagonismo si compie tra l'embriotrofo segregato 86 Scienze dal corpo femmineo e la sostanza prolifica da quello del maschio (fecondazione); dipoi tra l'embriotrofo e la prolifera (incubazione). 45. La storia della prima epoca dello sviluppo delle uova nelle femmine non è stata ben dichiarala nei singoli rapporti. Solo dopo le osservazioni di Boer ed altri si stabilisce, mediante 1' analogia , la prima formazione nei mammiferi esser la medesi- ma, in quanto all'essenzialità, che quella degli uc- celli. Possiamo cosi riempire le lacune lasciate nel- la storia dello sviluppo dell' embrione della nostra specie: non perdendo però di vista la differenza, che deve risultare, nel non contenere l'uovo dei mam- miferi la provvigione di embriotrofo, di cui abbiso- gna; ma dovere riceverlo, secondo che gli diviene necessario dal corpo della madre. La genesi dell'em- brione dei mammiferi si compie, come quello degli uccelli, da una massa cioè omogenea, bigiccia, semi- trasparente, che apparisce granellosa al microscopio. Da questa massa organica primordiale si svolgono dipoi le singole parti dell'embrione; che pervenuto al massimo incremento , non potendo più vivere nell'angusta sfera embrionale, spezza i legami, che l'uniscono all'essere procreatore. Viene alla luce, e dai rapporti uterini passa agli universali, ed acqui- sta la massima indipendenza. » Nella generazione » finalmente si forma un essere, nel quale un'idealità » è il principio determinante, e la materialità: la sua » espressione. Nel principio infatti questo essere è un D liquido omogeneo ed amorfo; ma il tipo ideale delV » organismo agisce in questo liquido, e da esso trae » tutte le forme, che richiede V organismo per realiz- Storia della vita 87 » zare Videa, e manifestare la propria essenza. Questo » essere assorbe continuamente sostanze eterogenee, e » le trasforma nella propria forma,- così si nutre » primieramente del bianco, poi del giallo o d'un li- » guido sieroso, quindi del latte, in seguilo di tale o » tal altro alimento; ma fra tutte gucsle divesilà, si » trae sempre la stessa organizzazione. La materia » è giti adunque una cosa subordinata, che si tras- » forma, e non serve che a realizzare Videa; Videa » è la causa primordiale, preesistente, che resta sem- » pre simile a se stessa (1). 16. Dalle cose superiormente esposte ne discen- dono i seguenti corollari, determinanti le diverse maniere con cui può compiersi la genesi dei corpi, cioè : a) Mediante la decomposizione di qualsiasi com- posto; genesi dei corpi semplici. b) Mediante la riunione o combinazione diretta degli elementi della natura; acterogenia; gcneralio ae- therogenea, aequivoca, primitiva, primigena, origina- ria, spontanea. e) Mediante lo svilgppo d'una parte d' un es- sere in modo da generarsi altro essere della mede- sima natura; monogenia o generazioìie solitaria, ases- suale - generatio monogenea. Ma un essere organico ingenera due sorta di parti; quelle cioè che forma- no corpo seco, e si attaccano ad esso mediante le- gami organici; e le altre cui esso separa e stacca dal suo essere, le quali non formano parte di sua sostanza, e sono soltanto a contatto seco, di cui ser- ti) Burdach, Fisiologia tomo 2 sez. 2 cap. 3 art. 2 pag 626. 88 Scienze bacio la forma liquida o la forma solida. La gene- razione delle prime dicesi nutrizione, se non si ma- nifesta che qual conservazione di ciò che esiste; ed accrescimento, ove aumenti la massa già esistente. La genesi delle altre, cioè di quelle cui esso separa e stacca dal suo essere, nominasi secrezione o depo- sizione. Così la monogenìa assume altre peculiari for- me, che la costituiscono, l'accrementizia cioè (1) e la secrementizia (2). d) Mediante il concorso di due sostanze genera- trici, cioè del seme dei vegetabili, o dell'uovo degli animali in cui nasce il frutto; l'altra sostanza consi- ste nel polline o nello sperma, i quali col loro in- tervento determinano la formazione o la fecondazio- ne, generatio digenea. Nella quale l'essere, che pro- fi) ■» La generazione accrementizia o per accrescimento - gene- » ratio accremcntitia - consiste nello spezzare una parte organica ■n i legamenti, che l'uniscano all'individuo, dal quale essa fu forma- ri ta, e con cui ne componeva primordialmente un solo, per svilup- j> parsi in un tutto separalo, e simile all'organismo, dal quale esso 3) procede. Ma l'accrescimento è l'aumento ora della massa delle par- 1> ti, il quale fa che esse diventino più lunghe, o più grosse in » conseguenza di più attiva nutrizione; ora del numero di queste » stesse parti , a cui altre se ne aggiungono , per esempio nuovi » denti, nuovi peli e simili. Dobbiamo adunque distinguere inoltre » la generazione accrementizia in quella dipendente dall'aumento di » massa, e nell'altra procedente dalla moltiplicazione delle parti » . Burdach , Fisiologia tomo 1 part. 1 lib. 1 sezione 2 cap. 1 art. 1 pag. 4. (2) » Nella generazione secrementizia - generatio monogenea se- » crementilia - il germe del nuovo organismo cessa, prima d'avere » acquistata forma organica, di far corpo col ceppo, o in altre pa- li role viene da questo ultimo separato, e quasi sempre si sviluppa » in altro luogo, sia nell'interno od all'esterno dell'organismoma- n dre ii. Burdach, Fisiologìa tomo 1 part. 1 lib. 1 sez, 2 cap. 1 ar- tic. 2 pag. 57. Stori 4 della Vita 89 crea, sviluppò in due metà antagonistiche indicate col nome di sessi. 17. Il corpo semplice svoltesi adunque me- diante l'analisi. Nell'eterogenia il nuovo prodotto vie- ne ingenerato dalla diretta riunione degli elementi dell'universo; e nell' omogenia , la produzione del nuovo individuo deriva costantemente da genitori, di un solo (monogenia), o diverso sesso (digenici). La genesi dei corpi ci somministra materia bastevole , onde stabilire, che l'essenzialità dell' organizzazione, di qualsiasi essere vivente , si ripone costantemente nelle diverse combinazioni , che gli elementi pren- dono fra loro; combinazioni determinate dalla forza ideale (dipendente, noi diciamo, sempre dalla volon- tà divina nel primo atto creatore) , che dispone e regola i movimenti della materia. Da Brown era sta- bilita la definizione la più significante della vita (con- siderandola il resultato di due elementi, cioè eccita- bilità e stimolo), se nell'espressione generica d'eccita- bilità avesse compreso la composizione e simmetrica disposizione organica, che ingenerata dalla forza idea- le, sussiste come individualità dipendente dall'orga- nizzazione universale; per cui si determina un anta- gonismo di azione e reazione , e si stabilisce l'atti- vità e la passività della vita. « 11 mondo esterno » sta dunque in armonia col mondo organico. È di- » sposto come esige il bisogno degli esseri organiz- si zati , ed agisce in modo che esseri viventi si svi- » luppino dovunque. Se ora riflettiamo', che tutti i » corpi celesti reagiscono gli uni sugli altri; che Vat- » tivilà del nostro pianeta cresce e diminuisce per » ritmo regolare; che Vobbliquità dell'eclittica ha per 90 Scienze » conseguenza di spandere uniformemente la vita da » pertutto; che V aria ed il calore sono in islato con- » tinuo dì sviluppo e distruzione; finalmente che, ad » onta di tutte coleste mutazioni, si mantengono pur » sempre, ci è forza riconoscere nell'universo una vi- » ta che non ci si manifesta sotto la forma di tracce » separate, se non perchè non ci è dato abbracciare » il tutto in un solo sguardo. Ma se esiste, nell'uni- » verso, una forza viva che produce tutte le vite di- » verse e le congiunge in un tutto armonico, o che » si palesa per continuità non interrotta di moltipli' » cazione e di ritorno aW unità, tessere organico ed » il mondo organico ci si offrono quale immagine » o riflesso dell'universo. E se l'universo è il multi- » pio sempre ad esso simile, esso deve ripetersi o ri- » flettersi a gradi diversi nei suoi vari prodotti. » Quindi V origine di ogni vita organica, cui non ci » sarebbe possibile spiegare altrimenti, ci apparisce » con una certa evidenza. Allora pure intendiamo » il significato degli agenti dell'incubazione. L'acqua, » Varia, ed il calore, trasportati in corrente perpe- » tua, svaniscono di continuo per sempre ricompari- ti re: e sussistendo in istato di giovinezza, sono le più » pure espressioni della vita cosmica in generale: ma » perciò appunto anche sono favorevoli alla vita di » tutti gli esseri organizzati, e sono le condizioni » più generali del loro sviluppo - (incubazione) - » siccome della loro esistenza; in breve, sono i le- » gami che uniscono la vita particolare alla vita » universale. Negli esseri organizzati superiori , il » riflesso dell' 'universo è più compiuto, e perciò ap- » punto r individualità più perfetta: qui l'organismo Storia della Vita 91 » materno fa vece del mondo, e V embrione da esso » riceve liquidi organici in cambio di acqua, i j>rin- » eipìi costituenti dell'aria in luogo dell'aria in na- ti tura, ed il calore vitale piuttosto che il calore so- » lare; la matrice si sostituisce al suolo, e la vita » materna viene surrogata alV attività generale o » cosmica (1) ». 18. Stabilita la serie non interrotta delle pe- culiari composizioni e decomposizioni , che deter- minano la modalità della vita individuale, avremo la storia dell'organizzazione. E conosciute che sia- no le cause determinanti il processo analitico e sin- tetico ; e stabilito che sia il rapporto antagonistico tra la particolare e la vita universale, con i feno- meni che ne derivano; non più incognite ci saranno le cause determinanti l'organizzazione, e saremo al caso di distinguere il potere attivo dall'atto passivo della vita. Se stabiliremo le condizioni eterogenee all'organismo individualizzato, che disturbano la na- turale azione antagonistica tra la particolare e la vita universale , e determineremo gli sconcerti che ne derivano in quella, allora saremo pervenuti a cono- scere le cause occasionali ed efficienti, e la semiotica di tutti i processi morbosi. CAPO II. Organizzazione 19. Dell'organizzazione dei corpi semplici, cioè degli elementi dell'universo, la chimica non ha rac- (I) Burdach, Fisiologia, toni. 2. Riassunto delle considerazioni sull'incubazione, pag. 775. 92 Scienze colti fatti chiari ne' generali, dai quali ne discenda un princìpio induttivo. Alcuni stabilirono teorie de- dotte a priori, che non corrispondono ai fatti e non ne abbracciano copia bastevole. Altri limitandosi alla semplice descrizione né tacciono i caratteri, le pro- prietà , e le combinazioni , che sono suscettivi di prendere tra loro. Così asseriscono essere il ferro duttile, l'ossigeno alimentare la combustione; il pri- mo unirsi all'acido solforico , e l'altro all' azoto ed all'ossigeno, onde ingenerare il solfato di ferro, l'aria, e l'acqua. 20. Gli elementi dell' universo sogliono unirsi con determinate leggi nelle combinazioni binarie , che risultano a preferenza delle altre semplici. In seguito vengono le ternarie, le quaternarie ecc. cioè le ingenerate da tre, da quattro elementi ecc. » II » mucco vegetale, lo zucchero, V amido, sono composti » di ossigeno, di carbonio, e d'idrogeno. Il glutine, » V albumina, la fibrina, il mucco animale, la caf- » feina ec. contengono ■parimenti nitrogeno in maggio- » re quantità di questi tre elementi. Le riunioni ter- » narie o quaternarie di queste quattro sostanze, in » proporzioni che variano all' infinito, danno origi- » ne ai prodotti immediati dei corpi organici; locchè » risulta chiaramente dalle ricerche fatte da Thè- » nard, Gay-Lussac,Berzelius, Proust, Thomson, Be- » rard, Th. de Saussure, lire ed altri (1). 21. Dovendoci principalmente occupare della de- scrizione dell'essere il più completo e perfetto, cioè dell'uomo, stabiliamo prima di più oltre procedere, (1) F. Tiedmann, Fisiologia generale e comparata. Sf orià della Vita 93 che alcuni elementi dell'universo, determinati dalla idea tipica della specie, si riuniscono in proporzioni, che variano all'infinito, onde ingenerare gli elemen- ti immediati delle combinazioni o disposizioni mec- caniche. Cosi l'universo somministra gli elementi al chimismo animale; ed il chimismo animale alle di- sposizioni o combinazioni meccaniche. Alcuni ele- menti determinati dal tipo ideale della specie si riuniscono in peculiari proporzioni e quantità, onde generare i solidi ed i prodotti animali liquidi. E questi come quelli, generati che siano, vengono sot- toposti, ed ubbidiscono alle leggi delle combinazio- ni o disposizioni meccaniche. 22. Da Haller in poi furono classificati in va- rie guise i tessuti semplici. Così gli halleriani ri- tennero la classificazione, che corrisponde alle for- me cellulosa, vascolare, e nervosa. Altri ne estesero maggiormente il numero: e Saverio Bichat, portan- dolo al ventesimo primo, stabiliva una generale clas- sificazione, che abbraccia i tessuti semplici riportati dagli altri nelle rispettive classificazioni. Così senza esporre quelle di Dupuytren, di Chaussier, di Clo- qet, di Mekel, di Lenhosek, di Mayer, di Heusiger, di Tommasini, e di altri, riportiamo semplicemente quella di Saverio Bichat. Né già perchè a preferen- za delle altre corrisponda all'oggetto, che si propo- ne di dividere in parti, ma come la più estesa: aftinché abbia ognuno a formarsi un'idea astratta dell'altre clas- sificazioni. I tessuti semplici stabiliti da Saverio Bi- chat sono i seguenti: 1. il cellulare: 2. il nervoso della vita animale: 3. il nervoso della vita organi- ca: 4. l'arterioso: 5. il venoso: 6. quello dei vasi 94 Scienze, esalanti: 7. quello dei vasi assorbenti, e delle loro piandole: 8. l'osseo: 9. il midollare: 10. il cartila- gineo: 11. il fibroso: 12. il fibro-cartilaginoso: 13. il muscolare della vita animale: 14, il muscolare della vita organica: 15. il mucoso: 16. il sieroso: 47. il sino viale: 18. il glandolare: 49. il dermoideo : 20. l'epidermoideo: 21. il peloso. Nell'idea di Save- rio Bichat i tessuti semplici sono ovunque gli stes- si, sia qualsivoglia il sito ove si trovano collocati: hanno la stessa natura, eguali proprietà vitali, iden- tiche simpatie. Stanno combinati a quattro a quattro, a cinque a cinque, a sei a sei ecc.; per for- mare gli organi destinati a compiere particolari fun- zioni. I tessuti sieroso all'esterno, mucoso nelle cel- lette, fibro-cartilaginoso nei bronchi ecc. compon- gono i polmoni, organi destinati alla respirazione. Lo stomaco è un composto di tessuti mucoso all'inter- no, sieroso all'esterno, e muscolare nel mezzo. Le arterie, le vene, i vasi esalanti, assorbenti, i nervi, ed il tessuto cellulare ec. entrano come materiali nella struttura organica dei polmoni , e dello sto- maco , non che degli altri organi della macchina animale. 23. Noi consideriamo il chimismo animale in genere, ed in modo maggiormente esteso; ed am- mettiamo tre sorte di combinazioni: quelle cioè, che risultano dalle combinazioni degli elementi dell'uni- verso, principii mediati: ed altre che sono ingene- rate dagli elementi animali, principii immediati', in- fine quelli, che risultano dai composti chimichi : chiamando le prime prodotti animali semplici, ele- menti animali: le altre prodotti animali composti; e Storia della Vita 95 le ultime combinazioni o disposizioni meccaniche. Poco a noi interessando se sono liquidi o solidi; mentre quelli come questi, generati che siano, co- stituiscono combinazioni chimiche , ovvero disposi- zioni meccaniche. L'idea di organo esprime la riu- nione di molti sistemi per formare un sol tutto. Ma la vita non si compone di parti isolate e staccate; ed è il prodotto d'un tutto simmetrico e regolar- mente disposto. Così dalle combinazioni ternarie, quaternarie ec. di certi elementi dell'universo ven- gono generati gli elementi animali; da questi i tes- suti semplici , ed i prodotti animali composti ; dai composti chimici liquidi o solidi, e dalle combina- zioni ternarie , quaternarie ec. dei tessuti semplici ne emergono gli organi; dagli organi gli apparec- chi; e dal complesso armonico e simmetrico degli apparecchi emerge il mirabile fenomeno della vita; e non dagli elementi dell'universo, ne dagli anima- li, né dai prodotti chimici composti; ma dalle com- binazioni o disposizioni meccaniche deriva la mas- sima parte delle caratteristiche dei diversi prodotti della scala zoologica. 24. Dalle cose superiormente esposte discen- dono i seguenti corollari, cioè: a.) Che alcuni elementi dell'universo costitui- scono i principii fondamentali dell'organizzazione animale. h.) Che i prodotti animali semplici, elementi ani- mali, vengono generati dalla chimica combinazione di alcuni elementi dell'universo, principii mediati. e.) Che i prodotti animali composti risultano dalla combinazione dei prodotti animali semplici, elementi animali. 96 Scienze d.) Che gli organi sono composti di parti liqui- de e solide riunite mediante meccaniche disposi- zioni. e.) Che pli apparecchi risultano dalla riunione degli organi, determinata da meccanica disposizio- ne, per compiere peculiari funzioni. f.) Infine, che la macchina animale è un com- plesso di chimiche combinazioni, e di meccaniche disposizioni determinate dall'idea totale. 25. In questo luogo ci si presenta una diffi- coltà a doversi chiarire; cioè se i fluidi segregati, e quelli che tendono a formare parte di esso san- gue, e gli imponderabili, si abbiano a ritenere qua- li elementi della composizione organica. In quanto ai primi, considerandoli come primordiali prodotti dell'antagonismo analitico e sintetico, che incessan- temente compiendosi, mantiene la composizione ani- male , noi di ciò ci occuperemo quando cadrà il destro di dovere parlare della nutrizione e della denutrizione. Rispetto agli altri, sviluppandosi nella macchina animale come effetto dei processi antago- nistici della vita, e non esistendo come potenze ra- dicali, cosi li riportiamo alla categoria delle pro- prietà accidentali della materia, e li consideriamo quali fenomeni ed attributi dell' organica composi- zione animale. CAPO III. Proprietà generali e particolari dei corpi 26. Nei corpi, siano essi semplici o composti, sono sempre a distinguersi due sorte di proprietà-, Storta bella Vita 97 cioè quelle che lor si appartengono indistintamen- te; ed altre che solo ad alcuni di essi si convengo- no. Se la gravità, la porosità, l'estensione , la divi- sibilità, l'impenetrabilità, la mobilità e 1' inerzia so- no proprietà generali, che costantemente si congiun- gono agli elementi dell'universo, e nessuna combi- nazione vale ad annichilare, ciò chiaramente ci mo- stra 1' esistenza di una fina ed impercettibile orga- nizzazione estesa e comune a tutto il mondo orga- nico. Imperocché senza di essa non potremmo for- marci idea chiara né precisa della costanza e indi- struttibilità delle proprietà generali dei corpi. Esi- stono altre proprietà inerenti all' organizzazione , e che la fìsica chiama proprietà accidentali , perchè dipendenti dalle speciali combinazioni, che gli ele^- menti prendono tra loro. 27. Delle proprietà generali dei corpi noi non facciamo verbo-, imperocché sono cosi cognite e chia- re da non abbisognare di veruna sorte di spiega- zione. E tali rimangonsi nella macchina animale, co- me la fisica ce le descrive; ed in qualsiasi parte essa sia considerata, noi la troviamo pesante, este- sa, divisibile, mobile ed inerte. Non è così delle pro- prietà accidentali; imperocché derivando dalla mo- dalità delle combinazioni degli elementi, esse si cam- biano all'infinito, come è infinito il numero delle possibili combinazioni. Possiamo noi dire , ad onta degli indefessi studi di tanti valenti chimici, di tut- te conoscere le combinazioni degli elementi dell'u- niverso ? Noi forse alcune le ignoreremo eternamen- te, e costituiranno il nodo, che non potranno scio-» G.A.T.CXXI. 7 98 Scienze gliere giammai gli osservatori, che verranno lungo tempo dopo di noi. 28. Nell'organizzazione animale devono consi- derarsi tre sorte di proprietà (1); quelle cioè, che dipendono dalla fina ed impercettibile organizza- zione comune, ed estesa a tutto il mondo organico; così la macchina animale è pesante, estesa, divisibi- le, impenetrabile, mobile, ed inerte ec. ; ed ha certe altre proprietà, che derivano dalle combinazioni chi- miche, che prendono tra loro gli elementi della na- tura, principii mediati, e gli elementi animali prin- cipii immediati ; infine quelle che derivano dalle combinazioni o disposizioni meccaniche. Gli elemen- ti dell'universo, ed i prodotti semplici, o elementi animali, nelle peculiari combinazioni chimiche per- dono le proprietà accidentali, ed il nuovo prodotto organico semplice o composto assume certe carata teristiche ed alcune peculiari proprietà. Ma gene- rati, che siano i chimici composti, co'tessuti sem- plici, le combinazioni che sì gli uni e sì gli altri prendono tra loro onde formare gli organi e gli apparecchi , sono unioni o semplici disposizioni meccaniche. I tessuti mucoso, fibroso, e sieroso ec, che entrano nella costruzione del tubo intestinale, non formano un chimico ed identico composto; co- me ancora il sistema muscolare unito all' osseo ed al cartillagineo forma una disposizione meccanica. Le proprietà caratteristiche dei tessuti semplici e (1) Il Glissoo attribuisce ad ogni corpo tre rudimenti sostali- ziali; cioè la sussistenza fondamentale per cui esiste; l'energia coi» cui agisce ; V addizione in cui forza possiede delle proprietà acc dentali. / Storia della Vita 90 dei prodotti organici composti nelle peculiari dispo- sizioni o combinazioni meccaniche , che essi pren- dono nella formazione degli organi, e degli appa- recch i, si rimangono integre e solo cambia di posto il centro di azione di ciascun elemento meccanico, onde in ultima analisi concentrarsi in un sol punto determinato dall'idea totale. 20. Parrà a taluno di coglierci in contraddizio- ne a quello, che abbiano esposto altrove, mentre riteniamo, che di mano in mano che i tessuti sem- plici ed i prodotti organici composti si combinano per formare gli organi e gli apparecchi, si riman- gono integre le proprietà caratteristiche, cambian- do soltanto di posto il centro di azione. Ma ciò non solo non è contraddittorio, ma è anzi conforme a quello che abbiamo superiormente esposto. Men- tre le disposizioni meccaniche, che determinano la formazione degli organi e degli apparecchi,, non di- struggono le chimiche co mbinazioni, i tessuti sem- plici ed i prodotti organici composti si riuniscono insieme, e muovono ad uno scopo comune; e cosi si cambia il centro di azioni. E come negli elemen- ti dell'universo, combinandosi insieme, sussistono le proprietà generali; perchè inerenti a quella fina or- ganizzazione, che si rimane integra, cosi nei tessuti semplici e nei prodotti organici composti nelle com- binazioni meccaniche si rimangono costantemente le proprietà caratteristiche. Se nelle chimiche com- binazioni fosse distrutta la lina ed impercettibile ci> ganizzazione degli elementi, sarebbero allora eziandio annullate le proprietà di essi , e non esisterebbero più proprietà generali dei corpi. Se nella mi^ 100 Scienze rabile composizione della macchina animale venis- sero meno le rispettive proprietà di qualsiasi pro- dotto organico e fosse generato un composto iden- tico , sarebbe allora annullata qualsiasi proprietà particolare, generandosene alcune universali e iden- tiche, e rimanendo distrutta qualsiasi azione anta- gonistica. Ma osserviamo avere luogo il contrario; e nella macchina animale esistono le proprietà del- la fina ed impercettibile organizzazione estesa e co- mune a tutto il mondo organico; quelle che deri- vano dai chimici composti animali ; infine quelle che appartengono alle disposizioni o combinazioni meccaniche delle parti componenti gli organi e gli apparecchi. 30. Nella macchina animale noi ravvisiamo va- ri centri ; mentre ogni funzione o proprietà , di qualsiasi natura essa sia , ha costantemente un particolar suo centro di azione. Di mano in mano, che gli elementi componenti la macchina animale si collegano insieme mediante semplici disposizioni meccaniche, assumono nuove direzioni i centri di azione particolare; e vanno ih ultima analisi a con- centrarsi in un sol punto. Ecco come nella macchi- na animale, mentre ciascun elemento meccanico ha un centro di azione, ed è indipendente per questo lato; i diversi centri, mirando ad un scopo comune, in certa guisa si incastrano gli uni negli altri; o formandosi fra loro equilibrio, generano quel mi- rabile complesso di azioni antagonistiche, determi- nate dall'idea totale. In questo modo considerata la macchina animale, esistono in essa tante vitalità per quanto è esteso il numero dei centri antagonistici; Storia della Vita 101 ed una diffusa in tutto l'organismo che insieme riunisce e determina le vitalità sparse e dissemi- nate nella macchina animale. CAPO IV. Simpatie organiche. 31.1 centri di azione; cioè i puuti di concen- trazione vitale disseminati nella macchina animale; incominciando dai più semplici, e di mano in mano salendo ai più composti, per formare la cosi detta piramide della vita; sono insieme riuniti mediante azione antagonistica; e perciò deviati alquanto dal- la posizione, che essi occuperebbero nello stato di totale indipendenza. Un rapporto qualsiasi tra i cen- tri vitali deve necessariamente esistere ; altrimenti non vi sarebbe l'unità, né l'uniformità della vita; ma esisterebbero tante vitalità staccate ed isolate , che agirebbero in forza della propria esistenza. Ora è a ricercarsi quali siano i rapporti, che esistono tra i centri vitali; e quale sia l'intensità dell'influen- za, che esercitano gli uni negli altri. Noi possiamo stabilire qual assioma » che nella macchina anima- » le qualsiasi parte, minima o grande che sia, ha » rapporti con l'intero organismo; che risultano mag- » giori o minori, a norma della maggiore o mi- » nore estensione, e della diversa intensità dell' at- » tività organica ». Cosi nella macchina animale le simpatie risultano più o meno estese, più o meno attive, a seconda della rispettiva estensione, e della intensità dell' attività vitale propria dei peculiari 402 Scienze prodotti animali, che hanno affinità e simpatizzano con altri. E questa è la ragione, per cui i tessuti semplici simpatizzano tra loro a norma della ri- spettiva estensione; mentre negli organi e negli ap- parecchi si risvegliano simpatie più o meno estese a seconda dell'attività vitale dei rispettivi centri di azione. Nei prodotti organici semplici è naturale che le simpatie siano proporzionate alla rispettiva estensione; mentre il centro d'azione è equabilmen- te disseminalo e diffuso nell'identico tessuto. Negli organi e negli apparecchi , dove il centro di azio- ne si limita in una sola parte, le simpatie vengono determinate dall'attività maggiore o minore dei ri- spettivi centri di azione. 32. Indipendentemente dall'estensione e dall'at- tività dei centri vitali, esistono altre simpatie , che derivano essenzialmente dall' uniformità dell' attività organiche. Una funzione essendo compita da diver- si organi, la debolezza dell' uno viene compensata dalla maggiore attività dell'altro. La traspirazione cutanea esterna viene talora surrogata dall'interna; e l'azione d' un rene da quella del lato opposto. Nella pleuroperipneumonia parziale si osserva la respirazione maggiormente accelerata nel polmone sano. 33. Dalle cose superiormente esposte discen- dono i seguenti corollari. a.) Le simpatie si determinano nella macchina animale a norma della maggiore o minore esten- sione dei chimici composti animali. &.) Le simpatie risultano talora maggiori , tal altra minori, avuto però riguardo alla diversità del Storia della Vita 103 grado d'intensità dell' attività del centro di azione degli organi. e.) La maggiore o minore intensità dell'attivi- tà della forza del centro di azione degli apparec- chi determina simpatie , che essenzialmente le cor- rispondono. d.) Infine si determinano le simpatie a norma della maggiore o minore analogia dei composti or- ganici e delle identiche attività vitali. CAPO V. Composizione e decomposizione organica. 34. Coerenti ai principii, che abbiano altrove esposti , riponiamo l'essenza dell'organizzazione, di qualunque sorta essa sia, nelle combinazioni degli elementi che la compongono; e la consideriamo qual proprietà accidentale della materia. La modalità del- l'organismo animale non è costante, e cambia con- tinuamente : come ci viene dimostrato dagli stadi o fasi, che percorre l'uomo nello spazio che si frappone tra la nascita e la morte. La composizio- ne animale viene perennemente cambiata; e mentre dall'una parte si creano nuovi materiali , dall' altra se ne staccano certi altri, onde cedere il posto ai primi. L'organizzazione animale sussiste come pun- to medio tra due processi antagonistici, cioè anali- tico e sintetico, determinati dall'idea totale. 35. Ora è da rintracciarsi il centro di azione o perno chimico-vitale , attorno a cui si aggirono perennemente l'analisi e la sintesi. Pel fenomeno 104 Scienze della composizione e decomposizione dei corpi è mestieri un perenne cambiamento di forme, che al- ternativamente vadano succedendosi nel punto ove nasce l'organismo, e la disorganizzazione si compie. Ed è carattere generale di ogni corpo vivente, che alcune parti solide ed altre liquide cooperino essen- zialmente per la sua esistenza; ma razione primor- diale deve essenzialmente consistere in un liquido: vedemmo infatti , che gli organi dell'embrione non sono da principio, che prodotti liquidi. » II centro » della vita vegetativa non può esistere, che in un » liquido portante il carattere dell' attività interna » e della generalità. Se il cambiamento delle sostan- ti ze è compito da' liquidi dell' organismo, e consi- » ste tanto nel conflitto col mondo esterno , quanto » nel conflitto delle parli organiche le une colle al- » tre, si posano immaginare due classi di liquidi, » gli uni periferici, gli altri centrali. La prima » classe comprenderà quelli che in proporzione ap- » parlengono maggiormente al mondo esterno, cioè il » succo nulrizio, che è formato immediatamente di » sostanze dell'esterno mediante il loro miscuglio con » prodotti dell'organismo, ed i succhi separali, che » sono formati nella sostanza organica, onde esser » deposti all'esterno. All'opposto il succo centrale, o » succo vitale, sarà il liquido che procedendo dal » succo nulrizio , e producendo i succhi separali , » tiene il mezzo fra gli umori , ed inaffta il cor- » pò intero, per entrare in conflitto coi differenti or- » gani, e mantenere la loro materialità, deipari che » la loro attività vitale. Destinato a nutrire ed ani- » mare gli organi, deve riunire in se le loro qua- Storia della Vita 105 » lità diverse , avere in conseguenza il carattere » della generalità , rappresentare la sostanza orga- » nica sotto forma liquida, e provare che esso è ge- » nerale, spargendosi in tutti gli organi. Tutti gli » atti della vita vegetativa ad esso riportami, dap- » poiché consistono od a decomporre il sangue nelle » secrezioni e nella nutrizione, od a formarlo nelV » assorbimento e nelV assimilazione (1). 36. Stabilito quell' assioma , che nel sangue si ripone il centro o (perno attorno a cui si aggirano perennemente i processi analitico e sintetico, rimane a chiarirsi, come i fenomeni antagonistici della vita plastica si compiono, onde conservare l'individua- lità organica. La nutrizione e la denutrizione vanno compiendosi con maggiore o minore energia nei diversi esseri organici. Non ci fermiamo in questo luogo a chiarire i diversi gradi d' intensità , che assumono nei vari prodotti della scala zoologica: imperocché, oltre all'uscire dal nostro argomento, esporremmo ciò che non ci somministrerebbe ma- teriale utile al nostro proposito. Limitati adunque a chiarire la nutrizione e la denutrizione nell'essere organico il più completo e maggiormente perfetto, stabiliamo, prima di più oltre procedere, le condi- zioni essenziali di questi generali e antagonistici pro- cessi della vita plastica. a.) Una circolazione areolare, che esige, onde abbia luogo, il concorso di due condizione cioè un liquido organizzabile assimilabile , ed una materia solida dotata di un certo orgasmo, di una certa to- (1) Burdach, Trattato di fisiologia tomo 6. part. 1, pag. 481. 100 Scienze nicità , in virtù della quale reagisca contro l'im- pressione del liquido ; circolazione capillare o in- terstiziale. b.) Una identificazione del liquido assimilabile al solido assimilatore, nutrizione. e.) La formazione, al punto del contatto di que- sti due elementi, di un prodotto nuovo, secrezione, che non deve far più parte dell'essere, e che sarà subito eliminato, escrezione. d.) La produzione di una temperatura propria, calorificazione. 37. Il corso della vita si compone di due gran- di periodi , di propulsione cioè e di retrograda- zione. Nel primo percorre le fasi del proprio in- grandimento, nell'altro si ripiega in se stesso, e ri- torna allo stato embrionale. Le due grandi fasi della vita , la propulsione cioè e la retrogradazione, si compongono di movimenti ritmici continui e pe- renni, che essenzialmente dipendono dai fenomeni appariscenti di nutrizione e di denutrizione. Nel primo stadio della vita prevale il processo di nutri- zione, e la macchina animale ingrandisce, e dilata la sfera della propria individualità ; in quello del ritorno la vita si ripiega in se stessa, e finalmente perisce. Quello che dimostra essere la modalità dei fenomeni della vita direttamente collegata ne'pro- cessi antagonistici della vita plastica, è la subordi- nazione di essa ai processi di nutrizione e di de- nutrizione. Le funzioni nella prima rivoluzione del- la vita, o periodo di propulsione, sono rigogliose ed energiche; nell'altra, ossia nel periodo della retro- gradazione, deboli e languide. Storia della Vita 107 38. Che il sangne sia il punto centrale dei processi antagonistici della vita plastica , lo dedu- ciamo dal fatto. La serie delle funzioni destinate a compiere il processo di nutrizione indistintamente concorrono a portare i materiali , e ad accrescere la massa del sangue. I solidi, che sono il punto su- premo dell' organizzazione animale , attingono pe- rennemente dal sangne i materiali , di cui essi ab- bisognano per la propria conservazione. Le fun- zioni tendenti alla disorganizzazione o denutrizione animale incominciano anche esse ad attingere dal sangue : e da esso hanno origine le sorgenti de- stinate a cacciare al di fuori del corpo la materia superflua, o non più idonea al mantenimento della vita. Ecco che il sangue, come punto medio o per- no centrale della vita plastica, somministra i mate- riali al processo sintetico , ed il sangue porge del pari gli elementi al processo analitico; così nel pri- mo tempo somministra i materiali all'organizzazione, nell'altro alla disorganizzazione animale. 39. I processi antagonistici della vita plastica, cioè analitico e sintetico che si svolgono nel punto della composizione e decomposizione organica, ge- nerano eziandio umori, che non vengono all'istante eliminati dal corpo; ma che anzi, mescolandosi alle sostanze introdotte dall'esterno, facilitano la serie del- le funzioni, che somministrano i materiali, e man- tengono la crasi del sangue- Gli imponderabili, che continuamente si svolgono nella macchina animale, essenzialmente derivano dai processi antagonistici della vita plastica; e perciò risultano estesi, e mag- giormente diffusi. Negli animali si svolge maggior 108 Scienze i quantità d'imponderabili durante la propulsione, e meno nel corso della retrogradazione. Nelle sta- gioni, che risultano meno o maggiormente attivi i processi di nutrizione e di denutrizione, si svolgono, con le proporzioni che essenzialmente lor corri- spondono, minori o maggiori quantità d'imponde- rabili. CAPO VI. Vita Embrionale. 40. Se riassumiamo i diversi modi di compier- si la generazione , noi vedremo che nella prima, nella seconda , e nella terza maniera di generarsi, cioè nell'ematica, neWelerogenia e nella monogenia, non esiste incubazione. La genesi dei corpi si com- pie mediante il concorso delle forze universali o co- smiche; e non esiste embriotrofo propriamente det- to, né membrana proligera. La vita embrionale ci si manifesta in tutta l'estensione nella digenia; [cioè neh' uovo generato da due potenze antagonistiche, indicate col nome di sessi. L' uovo dei vegetabili percorre un periodo, che nell'essenzialità corrispon- de all'incubazione, che precede la nascita dei mam- miferi, e lo schiudimento del guscio dell'uova degli uccelli; e dai botanici fu detto germinazione. L'uovi- cino vegetabile è involto da membrane , ed è nel massimo numero provvisto di un perispermo, e di un embrione, che corrispondono il primo all'embrio- tofo, e l'altro alla membrana proligera dell'uovo de- gli animali; e di cotiledoni, che possono considerarsi e come organi elaboratori degli elementi nutrizi , e come organi respiratori. Storia della Vita 109 41. La germinazione, nella massima parte dei semi , si compie mediante un' azione antagonistica tra il perispermo e l'embrione : azione valevole ad assorbire i principii nutrizi, e ad assimilarli; per cui ha luogo l'ingrossamento dell'embrione, e la radi- cina si dirige verso il centro della terra, e la piu- metta s' innalza al di sopra del suolo. La nuova pianticella acquista maggiore attività individuale, e la radice e le foglie diventano organi essenziali del- la nutrizione. Così la vita embrionale incomincia mentre si desta l'azione antagonistica tra l'embrione ed il perispermo, e termina nel venir meno l'azio- ne che determina la germinazione, e nel cominciare che fa la pianta a percorrere le fasi della propria in- dividualità. 42. L'antagonismo, che determina la genesi ne- gli animali, si compie tra l'embriotrofo e la mem- brana proligera, per cui si determina un cambia- mento nella modalità dell'uno e dell'altro. La pro- ligera si divide in due lamine: l'una sierosa, dalla quale si sviluppano dipoi gli organi della vita anima- li (1) ; l'altra di natura mucosa , dalla quale si ge- nerano gli organi della vita plastica. Tra queste due (1) » La lamina sierosa a noi si manifesta finalmente come la » espressione della tendenza all'individualità ; giacché la sua por- » zione persistente forma non solo l'organo della stessa individua- « lità animale, il cervello e la midolla spinale, ma eziandio la pel- » le e le pareti del corpo, vale a dire le parti limitanti : mentre la » sua porzione transitoria avvolge immediatamente l'embrione sotto » la forma di amnio, e lo circonda con un' atmosfera di sierosità , » assolutamente come una membrana sierosa avvolge i principali or- » gani della vita. » Burdach, Trattato di fisiologia tomo 3. Prima Sottosene, cap. 1, pag. 307. 110 Scienze membrane si sviluppano, dalla massa organica pri- mordiale ivi accumulata, due sistemi intermedi, il sanguigno cioè e 1' ureo-genitale. Non facciamo ver- bo in questo luogo dello sviluppo progressivo dell' embrione, essendoci di ciò occupati in altro luogo: e solo diciamo poche cose della vita embrionale , per chiarire di poi le malattie, alle quali va sotto- posta, allorché cadrà il destro di doverne parlare. 43. L'embrione non si svolge regolarmente senza il concorso di peculiari circostanze. Negli uccelli e nei batraci è indispensabile che la membrana pro- ligera, mediante la specìfica gravità, sia spinta alla parte superiore. Le acque dell'amnio, cioè l'ambien- te in cui vive l'embrione , devono essere io suffi- ciente quantità, affinchè si oppongano alle adesioni anormali , e rendano liberi i naturali movimenti ; uniformino la pressione , e moderino l'azione che il feto esercita nella matrice, e la reazione di esso. Le acque dell'amnio si comportano nell' embrione come 1' aria e l'acqua nell'animale dischiuso, o co- me il vapore sieroso verso gli organi rinchiusi nel- le membrane sierose. 44- L'uovo dei mammiferi, prima che contrag- ga aderenze con la matrice, si comporta rispetto ad essa come il seme dei vegetabili rispetto alla ter- ra , dalla quale assorbe il nutrimento necessario al proprio ingrandimento. Le sostanze dell'uovo e del- l' embrione pare che abbiano speciale affinità pel liquido segregato dalla superficie esterna dell'ovaio, da quella interna dell' ovidutto e della matrice ; e che mediante la permeabilità, proprietà generale ed estesa a tutto il mondo organico, entri nella cavità Storia della vita \\\ interna dell'uovo , attraversando le sue membrane : fenomeno che, il più delle volte, si compie nei li- quidi che hanno reciproca affinità , per cui sono scambievolmente attratti. Immergendo nell'acqua una vescica per due terzi piena di orina, il suo peso au- menta di circa 0, 142 in ventiquattro ore; ed ove la si riempia di acqua e s'immerga poscia nell'ori- na, essa scema di circa 0, 209 nell' istesso lasso di tempo. Così avviene la permeabilità ora in un senso, ed ora in un altro; vale a die ora si costituisce un assorbimento, ed ora un'esalazione. Generandosi di- poi il cordone ombellicale, e la placenta organo re- spiratorio ed elaboratorio delle sostanze nutrizie, la massima parte del n utrimenlo , che riceve il feto dalla madre, si prepara nella placenta. Diciamo nella massima parte; imperocché osservarono Dietrich ed altri alcuni feti, ai quali mancava il cordone om- bellicale, vivere fino all'ultimo termine della gene- razione: ciò che dimostra, che la superfìcie interna del corion può assorbire una sufficiente quantità di sostanza plastica. <■ Finalmente siccome V assorbimento » pel corion è pia cerio, e più copioso che quello per » la placenta embrionale; siccome esso risulta ezian* » dio più persistente che quello pei vasi onfalo-me-r » senterici, ma che il liquido assorbito dal corion non » può giungere all'embrione se non attraversando V » amnio, siamo costretti nei mammiferi, in cui la for- » za nutritiva della vescichetta ombellicale si estin- » gue di buon'ora, di ammettere che V acqua delVam- » nio è la sostanza alimentare più generale e più v importante dell'embrione (1). (1) Burdach, Trattato di tisiologia. Tomo IV. 412 Scienze 45. Considerando l'origine dell'embrione sotto l'aspetto della sua modalità, si vede che dall'esisten- za uniforme dell'uovo si sviluppa a poco a poco una diversità di sostanze, di forme, e di attività, e che in principio i movimenti si compiono dall'attrazione e dalla repulsione, che determinano certo modo di formazione; movimenti analoghi all'areolare e inter- stiziale del sangue che determina la nutrizione ne- gli adulti. La genesi è una formazione che si com- pie per analisi e per sintesi; aggregandosi cioè alcuni principii, e fuggendone certi altri, onde abbia luogo la generazione del nuovo prodotto. « E la conforma- » zione organica dell'embrione porta il carattere la si vede isolala dal tutto, e dal suo vero prin- » cipio (1). 83. Quella che possiam chiamare vita dei cor- pi celesti si manifesta mediante rivoluzioni, sotto- poste a leggi generali ed eterne, che costituiscono il fomite propriamente detto della periodicità ritmi- ca. Le fasi della giornata procedono dalla rivolu- zione della terra intorno al proprio asse, in conse- guenza dal suo rapporto con se stessa , cioè dalla rivoluzione della sua periferia col proprio centro. Quelle dell' anno derivano dalla rivoluzione della terra intorno al sole. Così sono in rapporto, in quan- tochè tra il nostro pianeta ed il sole si stabilisce un rapporto antagonistico, che si manifesta median- te due diversi e perenni movimenti. Il moto rivo- luzionario della terra ci si appalesa nell' antago- nismo del giorno e della notte, e nel doppio anta- gonismo delle diverse epoche dell'uno e dell'altro. I due punti tropici della giornata generano diverse modificazioni nell'organismo, cioè il maggiore svol- gimento della vita all' esterno , ed il ritorno della medesima sopra se stessa. I punti di transizione, il mattino cioè e la sera, determinano maggiore atti- vità nei movimenti della vita. 84. La vegetazione, a preferenza di qualsiasi altra cosa, porta l'impronta della rivoluzione annua. Negli animali si manifesta nelle circostanze relative alla vita sensoriale, alla generazione, al soggiorno, ed all'attività della pelle per quella legge, per la quale le circostanze cosmiche influiscono sugli or- gani, i quali sono i mezzi materiali onde le potenze (1) Burdach, Fisiologia. Storia della Vita 139 spirituali operano durante la vita terrena. Di qui è che nell' estate la vita è maggiormente distesa all' esterno, più attiva alla periferia, la sensibilità mag- giore , ed il sonno più breve. Si è maggiormente predisposti alle nervose, al delirio, alla mania, ed alle convulsioni. Nell'inverno la vita si ripiega all' interno, diminuisce la sensibilità, la mobilità, e si accresce maggiormente la forza muscolare. Il sen- timento e l'immaginazione si manifestano più viva- mente nei periodi di transizione e negli equinozi , massimamente nella primavera, sotto la forma di de- siderii e sensazioni piacevoli , e facilmente si de- termina l'appoplesia e la paralisi. CAPO XIII. Modalità della vita. 86. Negli esseri organizzati devono conside- rarsi due sorte di antagonismi: quelli che si com- piono tra gli elementi che compongono, e gli altri che determinano l'armonia tra l'essere individualiz- zato ed il mondo esterno. Da questi diversi mo- menti di azioni antagonistiche nasce l'unità indivi- duale , e si svolge in essa 1' istinto della propria conservazione. Gli agenti della vita, come elementi antagonistici che si rinvengono ovunque, fa di me- stieri che lungi dall'essere nemici siano all'opposto completivi gli uni degli altri, ed esercitano una re- ciproca eccitazione. L' uomo attinge dall' universo, che si trova in reciproco rapporto con le sue parti, i materiali del suo ingrandimento. I movimenti, sia- no animali o plastici, derivano essenzialmente da 140 Scienze potenze eterogenee. Il mondo esterno agisce nell' Uomo, ed esso reagisce alle forze generali o cosmi- che; in guisa però d'attingere dall'universo il biso- gnevole pel suo mantenimento. L' uniformità delle forze, anziché generare vigore, tende alla distruzione individuale. L' armonia emerge costantemente dal contatto di potenze eterogenee, che in certa guisa neutralizzandosi determinano la sensazione piacevole di essa armonia. Così il bello è » V unione indivi- » duale di un tipo intelligibile con un elemento fan- » taslieo fatto per opera dell'immaginazione esteti'- » ca. (1) L'antagonismo si compie tra l'immagina- zione ed il tipo intelligibile , per cui si determina la sensazione del bello. La forza , che dispiega la macchina animale, si compone anche essa di ele- menti eterogenei, e di mano in mano che l' anta- gonismo viene meno, con la medesima proporzione nasce il languore e la debolezza. 87. La vita, come risultato di potenze eteroge- nee, fin dall'origine riceve l' impulso della propria direzione , e in quanto all' essenzialità si rimane sempre la stessa ; nò percorre determinate fasi ; e non può dirsi, che l'essenzialità della vita vada sog- getta alla giovinezza ed alla vecchiaia. Creata che sia, si mantiene costantemente identica a se stessa; cambiano i fenomeni , ed essi soli percorrono de- terminate fasi. L'essenzialità della vita è un rap- porto di propulsioni e di retrogradazioni , che de- rivano da potenze antagonistiche ; dalla cui mu- tua azione scaturiscono i fenomeni attivi e passivi (1) Vincenzo Gioberti, Del bello. Storia, della Vita 141 della vita. L'antagonismo vitale nell'essenzialità non eambia, senza che la vita individuale sia all'istante annientata : cambia solo 1' intensità delle forze ele- mentari, componenti 1' antagonismo vitale; per cui si svolgono i fenomeni con energia nella propul- sione , e con debolezza nella retrogradazione. Le forze universali o cosmiche agiscono equabilmente, e non subiscono dal canto loro speciali cambia- menti, e le sorgenti da cui scaturiscono sono infi- nite. La modalità individuale, cioè la disposizione propria a ciascun essere, essenzialmente deriva dalla combinazione o disposizione organica , salvo negli animali il governo e l'autocrazia dello spirito. Altri- menti non può spiegarsi la diversa maniera , con cui ci si manifesta la vita co' suoi fenomeni. La quale viene creata nelP atto della determinazione dell' antagonismo vitale , che dal primo elemento sintetico l'accompagna nel suo tragitto fino all'ele- mento analitico, cioè al principio della disorganiz- zazione universale. Così la genesi è la creazione di un antagonismo; la vita il compimento o l'esercizio, e la morte il suo discioglimento. CAPO XIV. Cause determinanti la genesi, la propulsione, la retrogradazione, e la morte. 88. I primordiali elementi organici vengono generati dall'attività universale o cosmica, per cui si determina un'azione antagonistica tra la sostanza liquida e solida, eterogenea; ovvero nell'organismo 142 Scienze materno, per cui si staccano certe parti, onde svol- gersi in individualità , e mantenere la specie, mo- nogenia. Nella digenia, il prodotto, che deve svilup- parsi, è generato da potenze antagonistiche indicate col nome di sessi, L'embriotrofo e lo sperma ven- gono determinati da due sorte di azioni e reazio- ni, che si svolgono alcune tra l'organismo femmi- neo e 1' ovaio ; le altre tra l' organismo del ma- schio e le glandule secernenti lo sperma. La fun- zione destinata ad unire questi due elementi, fecon- dazione, si compie mediante l'accoppiamento. L' ovi- cino fecondato determina un'azione, che si diffonde nell'organismo, come lo dimostra il rapido cambia- mento delle funzioni animali e plastiche. L' intero organismo reagisce, ed il movimento universale ri- flettendosi si concentra nell'apparecchio genitale. Si determina un afflusso maggiore di umori nell'ovaio e si stabilisce un' azione antagonistica , per cui ha luogo la separazione. Nella matrice si compie una secrezione specifica, e si forma la membrana anista, che deve inseguito inviluppare V ovicino caduto nella matrice. 1/ embrione si alimenta prima dei succhi segregati dalla superfice esterna dell' ovaio ; dipoi dall'interna dell'ovidutto; ed infine dalla mem- brana mucosa della cavità dell' utero. La causa, che determina la secrezione degli elementi, che de- vono alimentare l'embrione, e che genera la mem- brana anista, è l'irritazione determinata dalla fecon- dazione, che diffondendosi nell'organismo, mediante una generale reazione viene di bel nuovo ricon- centrata negli organi genitali. Così i disturbi univer- sali sogliono scomparire nelle donne quando le for* Storia della vita 143 ze organiche si sono di bel nuovo riconcentrate ne- gli organi genitali. 89. Disceso l'embrione nella matrice, le forze organiche dell' essere procreato si concentrano nel punto ove esiste il prodotto, tendente alla propul- sione. L' eccitabilità della matrice di già esaltata , mediante l'assorbimento degli umori, che si compie dall'embrione, si accresce maggiormente, e si dispo- ne a mettersi in armonia con l'essere procreato, di cui non può per ora sbarazzarsi. Dall'altra parte il prodotto tendente alla propulsione ed all' ingrandi- mento ha bisogno di materiali e di rapporti. Co- sì si stabilisce in virtù di due bisogni un rap- porto tra il prodotto e l'essere procreatore, diretto dalle forze organiche che determinano la formazio- ne individuale. 90. L' essenzialità della vita embrionale essen- zialmente si ripone in un rapporto antagonistico ; cioè nell'azione che il prodotto esercita nella ma- trice, e indirettamente nell'intero organismo; e nella reazione , che 1' organismo femmineo esercita nella azione determinata dall'essere procreato; vale a dire d'un'azione centrifuga sostenuta dall'embrione, e di un'azione centripeta diretta dall' essere procreatore. 91. Il feto e la matrice percorrono un periodo di propulsione, e vanno fino ad un certo tempo d' accordo; ed ingrandiscono egualmente la periferia della propria esistenza individuale. Finalmente ter- mina l'armonia , e la forza centrifuga determinante l'ingrandimento naturale della matrice assume altra direzione , e diviene centripeta. Perde cosi 1' em- brione i naturali rapporti , né può ingrandire la 144 Scienze sfera individuale; e fa di mestieri che egli perisca, ovvero determini altri rapporti. 92. La vita organica dell'uomo è adunque un rapporto; rapporto che in principio si compie tra l'embriotrofo e lo sperma; dipoi tra il nuovo pro- dotto e l'organismo femmineo; infine tra l'uomo e l'attività universale o cosmica. Il feto che non trova rapporti, muore nascendo; ed il bambiuo im- maturo perisce perchè non trova rapporti. L'attività universale o cosmica agisce perennemente ; e gli esseri organici, che sono seco lei in rapporto, ri- marrebbero nello stato d' inerzia, se non avessero per elemento della propria esistenza la propulsione. L' attività universale agisce nell' uomo , e 1' uomo reagisce contro al mondo intero. Nel periodo di propulsione, in cui la sfera individuale si estende ed ingrandisce sotto i violenti colpi dell'attività uni- versale, la vita è florida e rigogliosa. Nel periodo di retrogradazione l'uomo non potendosi maggior- mente ingrandire è costretto ad invecchiare, e peri- re sotto i violenti colpi dell'attività universale. Egli diviene un embrione, che avendo perduti i natu- rali rapporti col mondo esterno, sente il bisogno di cercarne dei nuovi. All'uomo è permesso di na- scere una sola volta; dunque egli si trova nella mi- sera condizione dell'embrione maturo, che deve mo- rire perchè non gli è permesso di nascere. 93. Noi ammettiamo 1' attività e la passività della vita. Consideriamo l'uomo nello stato di liber- tà e di fisica dipendeza. Generalizziamo la propo- sizione del filosofo ginevrino, e stabiliamo qual'assio- ma » che ogni qualvolta siano rimosse le cause, che S TOM A DELLA VlTA 443 m direttamente o indirettamente impediscono, dislur- » bano, o pienamente arrestano lo sviluppo organico, » V individualità percorre regolarmente e compie- re tamente le fasi ; da cui essenzialmente deriva il » corso o V estensione della vita individuale. CAPO XV. Modalità naturale della macchina animale. 94. Noi consideriamo per ari istante la mac- china animale sotto un duplice aspetto; cioè come individualità indipendente che trova in se stessa qualsiasi ragione della propria esistenza ; e come essere relativo, vale a dire come collegato coli' or- ganismo universale. Come essere indipendente e se- parato da qualsiasi rapporto col mondo esterno, ci si appalesa attivo nelle potenze, inerte nell' atto. Si rimangono sospesi i fenomeni vitali , e l'attitudine a vivere esiste ancora. In quella parte di esso che è macchina esiste il meccanismo e la forma ; ecco un primo rapporto; e qualsiasi parte non può an- nientarsi senza alterarsi nel medesimo tempo e l'uno e l'altra. 95. Nella macchina animale , sciolta da qual- siasi rapporto col mondo, gli antagonismi organici si compiono nell'interno; e sono ristretti nei limiti della periferia animale. L' antagonismo si rimane latente , ne si manifesta co' fenomeni appariscenti di movimento. Messa in armonia con l'attività uni- versale o cosmica si compiono completamente i movimenti vitali. Cosi i fenomeni della vita sono G.A.T.CXXI. 10 146 Scienze determinati e messi in azione dal concorso di ge- nerali azioni antagonistiche ; di quelle cioè , che si compiono nell'interno della periferia organica, e di certe altre, che si stabiliscono tra la particolare e la vita universale. La vita, come espressione e re- sultato di due sorte di antagonismi, si compie re- golarmente e nella naturale estensione, quando gli elementi eterogenei che li determinano sono in re- ciproco rapporto. Così si spiega perchè in alcuni individui si compiono regolarmente le funzioni sen- soriali e plastiche in certi determinati luoghi ; e passando da essi in altri, si sconcerta profondamente l'economia animale. Alcune affezioni del sistema nervoso sono maggiormente sensibili in alcuni luo- ghi, e meno in certi altri; e cambiano d'intensità, a seconda dei mutamenti cosmico-tellurici, nei me- desimi individui senza che l'organismo sia disordi- nato ed abbia lievemente sofferto. 96. L'essenzialità della salute' o la modalità naturale della vita abbiamo veduto in che consi- ste; ora ci rimane a rintracciare i fenomeni, median- te i quali ci si manifesta. Noi lo diremo in po- che parole, accennando semplicemente gli atti ele- mentari, di cui si compone l'espressione o manife- stazione di vita ; cioè nel facile e regolare svolgi- mento dei processi antagonistici;da cui essenzialmente deriva la manifestazione regolare dei fenomeni attivi e passivi della vita; non che l'attitudine di conser- vare e di riprodurre la formazione individuale. (Sarà continuato.) m Seconda lettera del doli. Carlo Maggiorala al eh. dott. Giovanni Franceschi. ititorno ai miei dubbi, onorevol collega , e circa le sedi morbose mi sorge questo: se cioè l'attribuire alla località il semplice posto di causa occasionale, come voi adoperate nei Prolegomeni, non trascenda alquanto i dati dell' osservazione. Se io non erro , nel segnalare l'importanza patologica della sede morbosa vuol darsi gran peso alla genesi della ma- lattia. La quale ove proceda da causa interna , o quando almeno sia già preparata da malsania di costituzione, da intemperie de'nervi, da vizio degli umori; in tal caso all'ordirsi del processo morboso, se esso attacca di preferenza un viscere, e vi stam- pa una forma , ciò non toglie che la essenza del male non risieda principalmente nell'universale, e la località abbiasi una importanza secondaria. Al contrario sana essendo la costituzione, ben equilibrati i nervi, innocente il sangue, se il processo morboso derivi tutto dall'applicazione di esterna potenza, p. e. da una causa traumatica, allora è la sede locale che signoreggia: essa è la fucina da cui schizzano le scin- tille che accendono il sangue, e mettono in iscom- piglio tutta la macchina. Nel primo caso la parte obbedisce al tutto , nel secondo il tutto segue le vicende della parte. Qualche differenza intercede per certo fra una pneumonite insorta il secondo o terzo giorno di febbre in individuo, cui la copia di trop- U8 Scienze pò plastico sangue rendeva proclive a tal morbo, e quella che ha origine in ischietto organismo da contusione al torace o da ferita al polmone. Neil' uno la malattia è necessariamente soggetta alle leggi del pepasmo, e la cura dee esser tutta rivolta all' universale; nell'altro può essere acritica, è sempre più vincolata all' andamento del processo locale, e vuoisi attendere anche a questo nel metodo curativo. Ed è si vero che in questi processi originati da causa traumatica la località è il perno della ma- lattia, che quando una valida resistenza organica si opponga alla diffusione morbosa, il male si circo- scrive alla parte su cui agì la potenza nociva, cioè rimane locale. Sordi e profondi sconcerti accadono spesso nei visceri in seguito di commozioni, e ne derivano le conseguenze fatali, prima che ne sia con- sapevole il resto del corpo. Guarisce l'oftalmìa, ci- catrizza la ferita, si risolve la contusione senza che siasi turbato un momento il ritmo dei polsi , com- mossi i nervi, alterata un'altra funzione, oltre quel- la cui adempie la parte offesa. Il vostro principio adunque, che in fatto di valutazioni morbose più importa, ed è di più gran momento la diffusione che non la località, patisce gravi eccezioni. Né credo manderanvi del tutto assolto i pa- tologi per quell' altra sentenza : Colloca pure ove meglio ti piaccia la sede anatomica di un morbo ; che quando la diffusione che ne consegue siasi ele- vata comunque ad alto grado, poco ti parrà che vi aggiunga di differenza la natura del membro affetto. Come ! se a febbre egualmente diffusa, l'aracnite è sempre malattia più grave della risipola, se la ga- Lettura del Maggiorani 149 -strite e la cistite sorpassano in pericolo la splenite e la melrite, se la infiammazione delle vene è più minacciosa che non quelle delle stesse arterie, potrà egli dirsi con sicurezza che la natura della parte affetta poco aggiunga alla entità mnbifica? Se la differente gravezza proceda dalla tessitura del vi- scere che lo rende più inclinalo all' esito cancre- noso, o dalla complicanza del dolore che esaurisca le forze, o dai più forti vincoli eh' ei stringa coi centri della vita, tutto questo appartiene unicamente alla spiegazione del fatto , il quale riman sempre integro e netto; ed è, che la località ha il suo gran peso nel determinare il momento della malattia. Ne giova ricorrere alla nobiltà della funzione eser- citata dall'organo offeso, onde la economia sia posta in più grave pericolo; e certo niun medico si me- raviglia se la infiammazione del cuore tronca spesso la vita sul terzo giorno del male, quando tante al- tre flogosi viscerali decorrono al settimo, ed oltre al settimo con più o meno speranza di fausto even- to. Ma, ripeto, questa circostanza del nobile officio cui adempie la parte, ove ha principal seggio il pro- cesso morboso , dà ragione soddisfacente del mag- gior danno che ne deriva alla macchina, ma è lun- gi dairinfirmare il principio, che a ben stabilire la entità della malattia sia da valutarsi grandemente il punto, da cui essa diffondesi al resto del corpo. E qui potrebbe avvalorarsi l'argomento della importanza delle sedi locali rammentando i casi, in cui la gravezza del processo morboso non risulta e Tion può desumersi dall'apparato febbrile, il quale non le si mostra affatto eguale o proporzionato. Voi 150 Scienze dovete esservi imbattuto nella infiammazione occulta1 degl'intestini, e sapete di quanta solerzia faccia d' uopo al medico per non esser preso alla insidia del piccol tumulto in che entra V universale ; sicché i polsi offransi umili, e quasi naturale la temperatura, e poco o nulla turbati il senso ed il moto; di tale guisa che se non giungessero a scaltrirne la dispo- sizione dell' individuo , 1' indole della causa occa- sionale , l'abito della lingua e le mutazioni della faccia al maneggiare del ventre, la tensione dolo- rosa di questo e il disordine di sue funzioni, si giu- dicherebbe quasi innocente uno stato, che inette in vece a grandissimo rischio la vita dell'infermo. La quale può esser troncata celeremente senza che la diffusione morbosa abbia fatta tal mostra da potersi concludere con voi, che il grado massimo e la mag- giore altezza del processo morbifaciente includasi nel- Vuniversale della macchina, insieda nel tulio insieme della corporazione organica, occupi la sfera, quanf ella è vasta, della intera economia. E se opponeste che il quadro accennato di sopra esprime pure un certo universalizzarsi del male, risponderei che, messi da parte i fenomeni appartenenti alla località gli altri o scaturiscono artificialmente sotto le indagini mediche, come le contrazioni del volto al tratteg- giare l'addomine : o muovono piuttosto da risenti- menti consensuali, come la bassezza dei polsi : o si mostrano a male inoltrato, come Vinsoliti aliquid in facie notato dall'Albertini nelle occulte flagosi inte- stinali. Ma prima che la faccia mostrasse quel suo smarrimento, la malattia non era già forse gravissi- ma ? Yi sono adunque dei casi, in cui la entità mor- Lettera del Maggioraci 151 bosa della parte è massima, intanto che minimo è lo sconcertamento del tutto: senza che tornerebbero vane le avvertenze dei pratici sulla necessità di una tempestiva diagnosi, e il prelodato autore avrebbe inutilmente inculcato al Morgagni: Vigilandum et ca+ venduta esse in dolor ibus inteslinorum : se enitn post leves dolores, aut certe cum minime magnis, nulla ma- nifesta febre, nulla convulsione, nullo vomitu, animo ac corpore satis vigcntibus, de improviso vidisse ae- gros in praeceps mere, et cito eripi ab latente in- flammatione, et spaccio nec opinato inteslinorum. Ho citato l'esempio delle occulte flogosi intestinali per- chè le più ovvie, ed anche perchè l'esito cancrenoso rende in esse più distinto il passaggio dalla cieca fidanza alla totale disperazione; del resto ogni altro viscere può andar soggetto a infiammazioni latenti: e chi si piacesse di erudizione, potrebbe raccoglie- re un bel numero d'ingenue confessioni di medici, che troppo tardi si avvidero di sorde flogosi del polmone, della milza, dell'utero ecc. appunto perchè esse corsero i primi stadi senza manifesta diffusione all'universale. Ed anche nei casi, ove l'apparalo febbrile si estrinseca tutto e solennemente, non riceviam forse il cenno di molte indicazioni curative dalla residen- za del male ? Cos' altro ci spinge più arditi nella pleuritide alla ripetizione del salasso se non la per- sistenza del dolore puntorio? e da che prendiamo motivo più forte di insistere in tal rimedio nella encefalite, se non dalla continuazione della cefalea? Mal ci fideremmo ai polsi, fallacissimo segno: male alla sola natura del sangue che, residuata una fa- 152 Scienze villa di flogosi, seguirebbe a mosti arsi cotennoso fina all'ultima gocciola; e quando se ne potrà estinguer quel resto con altri mezzi senza più incider la vena! E la grandissima utilità del sanguisugio per decider la guarigione aggiunge pure il suo peso alla impor- tanza delle sedi locali. Certo niun medico si confi- derebbe di poter curare un preumonico, e condurlo a guarigione coi sanguisugi soltanto: ma pure tutti si avvisano di dover condurre a fine la cura di una infiammazione cerebrale coli' applicazione delle mignatte alle regioni mastoidee od alle tempia, e quella delle flogosi addominali istituendola ai con- torni del podice. Se adunque a male inoltrato, quan- do cioè si dee presumer compita la diffusione mor- bosa, i fenomeni locali tuttavia signoreggiano, e la cura diretta alla parte riesce di si gran giovamento da risolvere la malattia in sanazione, pare a voi che ciò mostri Ventila morbosa appiattarsi tutta nelVu- niversaleì Laonde a me sembra che o si consideri l'argomento dal verso scientifico, o lo si guardi dal lato pratico, le sedi locali siano sempre di un gran momento per valutare giustamente l'intensità e la natura del morbo. Nulla poi dissi finora delle offese strumentali, perchè in queste la importanza della sede è di tale evidenza che ni uno vorrebbe muoverne dubbio. Dicasi pure che in tali vizi lo sconcio di fabbrica, la deformità della parte, la sproporzion di volume, l'aberrazion di sito, la trasformazion di tessuto, la vegetazione morbosa costituiscono piuttosto le cause della malattia che la malattia islessa; rammentisi pu- re che dallo scirro al piloro si passa alla macilenza, Lettera del Maggiorassi 153 dal vizio precordiale all'idrope, dall'esostosi del cra- nio all'epilessia o ad altra forma di male convulsivo: tutto questo è vero, ma è vero altresì che queste potenze nocive sono talmente legate agli effetti, che pli uni sussistono per le altre, e sono loro propor- zionate: gli è vero che queste cause costituiscono il primo anello permanente ed immobile della catena- zione morbosa, cioè fan parte integrante della ma- lattia: gli è finalmente innegabile che la sede diversa di queste lesioni decide della gravezza del male che ne conseguita. Per le quali ragioni si ha pieno di- ritto a concludere, che nei vizi organici la sede lo- cale è della più grande importanza per istabilire la entità morbosa, se pure con questo vocabolo inten- dasi il maggiore o minor pericolo che sovrasta all' infermo. Che se la natura delle offese organiche è siffatta, che ci venga quasi sempre negato di vin- cerle, possiamo però, usandovi diligenza, conoscerle in tempo opportuno e presagirne l'evento. E non è poco. Io per me riguardo la prognosi come il Pal- ladio della medicina. In mezzo al conflitto delle opinioni, all'impero de'pregiudizi, alla diflìcil ricerca delle cause, e diciam pure nella giusta venerazione ai poteri della natura, si rimane incerti sulla parte avuta dal medico nell'esito delle malattie ; ma un vaticinio veridico fondate sulla esatta conoscenza della sede morbosa ha un merito, che niun errore niuna invidia ne posson ritogliere. Chi non ammira Valsalva che dall'avvallamento dell'epigastrio, dalla protuberanza dell'ipogastrio e dal senso di molesto peso in questa ultima regione pronunciava il così raro prolasso dello stomaco ; e Malpigli! che dalla 154 Scienze tosse inane, dalla costante dispnea in qualunque posizione del corpo, e dalla sensazion di gravezza che dalle fauci estendevasi giù pel torace, prediceva i polmoni tarlarizzati, e Morgagni che contro l'opi- nione de'suoi colleghi giudicava il tumore del Mau- roceno formato dalle stesse intestina, deducendolo dalla natura delle cause , dal disordine delle fun- zioni enteriche, dalla mobilità di esso tumore e dal mostrarsi alcun poco dolente sotto la pressione e nello svolgimento dei flati? In questi e in cento al- tri casi di simil genere l'avere ben precisata la sede del male durante la vita offriva solida base al pro- gnostico: e il rinvenimento del vizio dopo la morte, quale era stato diagnosticato , fruttava venerazione all'arte, e giusta lode all'artefice. Ma io sento che voi mi rimproverate di sguizzarvi di mano forviando per altrove il discorso, il quale dal campo patologico sulla entità della malattia trascorse in quello della medicina divinatoria. Se intanto le sedi locali son di non lieve mo- mento a conoscere la entità morbosa, vacilla già in qualche parte la vostra critica dell'Anatomia Pato- logica; critica, al sentir mio, più che troppo severa. Imperocché niun medico assennato magnificò mai siffattamente l' importanza delle indagini necrosco- piche da costituirle in pietra angolare dell'edifìcio patologico, ma pochi io penso vorran seguirvi nel disconoscerne ogni vantaggio, e bandirle anzi come ingannatrici e falsarle. Vi sarà facilmente concesso che nel cadavere non possa rintracciarsi l'immagine fedele del morbo pregresso , l' interpretazione ge- nuina di ogni suo fenomeno, l'energia spiegata dui Lettera del Maggiorani 155 principio conservatore in combattere la potenza no- civa : ma vi sarà negato, che nel corpo morto non possano studiarsi con gran profitto le alterazioni degli organi che furon primi ad infermare, e dai quali mosse il disordine alle altre parti: che queste alterazioni non possano esser messe in corrispon- denza colle cause che porsero loro occasione : che dagli sconcerti rinvenuti dopo la morte non pos- sano trarsi limpidissime spiegazioni di molti feno- meni apparsi nel corso della malattia; donde poi scaturiscono utili insegnamenti a spiarne l'origine in casi consimili. E le orme della stessa reazione, o almeno gl'indizi comprovanti che vi fu vigorosa resistenza, o appena una prova d'armi, non risulta spesso, a chi ben vi attende, dalle ricerche sul ca- davere? Se trovi il cuore flaccido, il sangue disciol- to, i visceri pallidi, le cellule infiltrate di siero, sarai disposto a concludere che la efficienza conservativa non poteva far mostra di gran valore: e per con- verso gli addensamenti delle membrane, i trasuda- menti di sangue plastico, i visceri rubicondi, le re- ticelle vascolari iniettate, il cuore sodo, t'indurranno a pensare che potè esservi impeto vigoroso in tutta l'economia. E comparando, ove esista , l'alterazione locale colle condizioni generali della macchina ti spingerai qualche volta a inferirne, che nel primo caso l'arte fu troppo operativa e fallì la via, nel se- condo fu di soverchio espettante e parimenti non conseguì il fine. Perciò il Morgagni, che fu gran maestro di volgere lo studio dell'anatomia patologica a benefizio dell'arte, non limitò le ricerche alle sedi locali, ma, quando glie ne fu data copia, descrisse 1 5G Scienze le condizioni tutte del corpo: la conservazione dei calore, la rigidezza, lo stato della fibra, l'aspetto ge- nerale dei visceri , la proporzione delle parli , la quantità e consistenza del sangue, il color della bile, e per sino il sapor della linfa. Voi accusate di falsità il valore dei trovati ne- croscopici, fondandovi sulla massima differenza che dee passare da un guasto organico, che tuttavia si regge in mezzo a corpo vivo, all'altro che ci si mo- stra nello squallor del cadavere. Guardate in fatti, son vostre parole, all'aspetto, per modo di esempio, e le sembianze di un morente, e sebbene si trovino elleno ijià improntate dell'ineffabile patimento di una vicina morte, pure quale immenso divario non s'in- terpone per anco fra esse e le altre che sottende- ranno appena estinto Vinfermo! Sì : non può negarsi che la elfigie di un agonizzante differisca da quella che la morte stamperà sullo stesso individuo; quan- tunque un occhio esercitato sappia spesso discernere nel volto dell'estinto, se la morte fu lenta o solle- cita, placida o dolorosa, naturale o violenta, e in ogni caso vi si possa riconoscere facilmente la iden- tità del soggetto; ciò che prova il divario de' linea- menti non essere immenso : ma però trasportare l' idea di aspetto e sembianze alle interne parti , e dedurne così la somma disformità dopo morte da quel ch'esse erano in vita, questo, scusatemi eregio Franceschi, gli è abuso di analogia. Voi penetrate di un guardo i tanti argomenti che natura ha rac- colto sul volto a ciò questa nobilissima parte dell' uomo fosse l' immagine delle interne vicende, e vi si ritraessero al vivo le affezioni del senso, le ten- / Lettera del Maggiorani 157 (lenze dell' intelletto, le risoluzioni della volontà. Che copia di vasi, di nervi, di muscoli, che artificiosa disposizione di parti, sicché al più lieve accorciarsi di qualehe fibra, all'avvizzire di poche cellule, all' inturgidirsi di due capillari, ecco di un subito mu- tata l'aria, alterato l'aspetto, senza dire degli occhi che aggiungono a quell'artificio un valore tragran- de ! Ora io domando, se nelle interne cavità, nelle membra, nei visceri vi abbia un nonnulla che so- migli anche remotamente al nominato complesso di ingegni organici; domando se possa rinvenirsi la più piccola analogia fra quel che è da un lato il volto delluom moribondo rispetto al morto, e dall' altro quel che intercede di differenza fra una pleura, un ventricolo, un fegato ammalati durante la vita, e i medesimi visceri offesi dentro il cadavere. E se da questa parte mutabilissima del corpo umano, voglio dire dal volto, ricavasi pur dopo morte la identità dell'individuo , se !' occhio esperto vi riconosce le orme degli ultimi patimenti, tanto più è da credere che le interne parti, in cui non sono i descritti ele- menti di mutabilità, presentino al dissettore presso a poco le stesse apparenze che avevano durante ancora la vita. La qual verità è stata illustrata le mille volte nelle vivisezioni degli animali sottoposti all' azion dei veleni, e in quelli che furono uccisi per malattie che li rendevano inutili. Ivi le viscere tuttora palpitanti di vita offrivano alla esplorazione le stesse impronte che sogliono incontrarsi nelle aperture istituite qualche tempo dopo la morte na- turale. La chirurgia conferma ogni giorno un tal fatto nelle sue operazioni, ove incide, maneggia, ri- 158 Scienze pone sul "vivo le parti ammalate e vi ritrova carat- teri non dissimili da quelli , ond' esse rinvengonsi nello sparare i cadaveri. Ma il guasto organico che ci presenta il corpo morto , ove pure si conservasse qual'era all'ultimo respiro, non è certamente il medesimo di giorni, di settimane, di mesi avanti: voi contendete in somma che la reliquia cadaverica non ci rappresenti fedel- mente ciò che fu quella parte nei diversi periodi della malattia, e per tal ragione la giudicate vuota d'importanza e insignificante. Certo se le mutazioni accadute negli organi in forza dello stato patologico non andassero soggette ad alcuna legge di succes- sione, e occorressero in modo al tutto fortuito, noi potremmo valedire ad ogni speranza di leggere nel cadavere l'andamento del processo morboso: ma se come all'esterno la cicatrice ne ricorda la ferita, e il callo accenna alla frattura, così internamente le escavazioni del polmone ci rammentano la fusione dei tubercoli, la perforazione dell'intestino suppone un lavoro ulceroso, l'aderenza insolita delle parti dimostra il seguito trasudamento di linfa plastica : ecco che non siamo privi di qualche guida che ci aiuti a conoscere il passato nel presente, e a risalire via via per i diversi periodi del processo morboso. Vero egli è che alcune alterazioni dell'impasto or- ganico possono riconoscere diverse origini , e che possiamo perciò rimanere infra due, a quale di esse sia da riferire lo sconcerto patologico, di cui sorge questione, come si ordisse in principio e procedesse in seguito fino al termine del corso morboso. Tut- tavia son di credere che molte oscurità potrebbero Lettera, del MaggiorAni 159 dissiparsi se le indagini cadaveriche fossero più scru- polose, non istituendole solo sul viscere offeso, ma scrutando parte a parte il corpo, non eccettuati gli umori. L'ammollimento, a cagion di esempio, può derivare in un viscere da infiammazione sofferta , come pure da stasi di un sangue viziato : prendasi ora la febbre perniciosa in cui trovasi costantemente, non che ammolita, ma spappolata affatto la milza, e ditemi se raffrontando il guasto di questo viscere colla condizione di tutti gli altri, e con quella del sangue, non possa giungersi a definire che gli è ap- punto ad un vizio di questo fluido che dee princi- palmente attribuirsi il riferito disfacimento. Ma voi ne incalzale con altri esempi, rammen- tandoci che talvolta non siasi tanto rimasti incerti sulle origini delle lesioni cadaveriche, ma, quel che è peggio, scambiati gli effetti per le cagioni, come nel caso della famigerata gastro-enterite, e nell'altro più recente della dotinenterite. Ma perchè riversare sugi' insegnamenti dell'anatomia patologica quel che è pretta intemperanza di giudizi, ed erronea inter- pretazione di fatti? Non è al di d'oggi alcun me- dico che sogni la flogosi gastro-enterite qual punto di partenza di tutte le categorie morbose, e pochis- simi riguardano le lesioni follicolari delle intestina come scaturigine della febbre tifoide : noi crede lo stesso corifeo dell'anatomia patologica in Francia, il Cruveilhier. Se intanto le alterazioni delle cripte muci- pare non possono ragionevolmente aversi in conto di causa del morbo tifoide, ma piuttosto di speciale ema- nazione del principio febbrile, non perciò quel tra- 4G0 Scienze vato necroscopico rimane del tutto sterile ed insi- gnificante. Serve esso a spiegare le turbate funzioni del ventre fin dal principio di tal malattia, e i ri- sentimenti consensuali che ne derivano alle altre par- ti nel corso della medesima, e ci ammonisce ad es- ser cauti nell'amministrazione di farmachi irritanti, e ci ordina di procedere con severità quanto al regime dietetico non solo durante il male, ma eziandio nella lunga convalescenza che gli tien dietro. Chia- mai quella lcsion dei follicoli una emanazione del principio febbrile, non sapendo riguardarla con voi un semplice effetto dell' azione acre e corrosiva delle sostanze che sfrattano dalle intestina : ed infatti essa apparisce fin dal periodo di crudità della ma- lattia, come lo provarono le aperture cadaveriche nei casi di sua forma acutissima , e come risulta anche dalla profondità delle ulcere rinvenute in ot- tava o nona giornata, sapendosi d'altronde che tal processo non si compie in brevissimo tempo. E così pure se ripugna al fatto e contrasta alla ragion medica che la flogosi gastro-enterica costituisca la originai condizione di tutti i morbi, non è men vero che questo stato patologico o inizialmente, o a mo- do di complicanza, presentisi nella pratica un poco più spesso di quel che pensasser gli antichi, e che le indagini necroscopiche abbiano confermata in gran parte la tesi già molto innanzi al Broussais sostenuta dall'Hoffman » De frequentissima ventricidi infiammai ione. » E se l'odierna medicina è più schi- va degli alessifarmaci e dei cordiali, se ad ogni dolore di stomaco e in qualunque difficoltà della digestione non ricorre così volentieri ai tonici , agli amari , Lettera del Maggiorami itti alle sostanze aromatiche, se all'uso non raro dei dra- stici ha sostituito in molti casi quelli degli eccopro- tici , se in fine deliziasi tanto del metodo rinfre- scati vo ne ha certamente il suo merito l'anatomia patologica. E seguitate ad accusarla del non rinvenirsi pro- porzione e rapporto fra 1' andamento tenuto dalla malattia e il guasto di struttura rimasto nei cada- veri; dappoiché profonde ed estesissime lesioni spesse volte si ritrovano dapo lievi fenomeni occorsi negli, infermi, ed apprezzabili appena ed equivoche ci si rivelano al contrario in chi o conchiuse d'un subito i suoi giorni, ed in mezzo alla più strana, impe- tuosa e spaventevole sindrome di sintomi. A me sem- bra in vece che questo fatto , vero e significativo com'è, dimostri più tosto l'utilità delle ricerche ne- croscopiche , servendo esso stesso ad illustrare una verità, che senza l'aiuto dell'anatomia patologica non sarebbe venuta in sì piena luce. La verità è questa: che l'organismo può tollerare le mutazioni che av- vengono in qualche sua parte, ove esse procedano lentamente e gradualmente, le tollera senza reagire senza insorgere contro i primi moti che furon ten- tati e poscia eseguiti a ritroso delle leggi organiche; e purché la mutazione prosegua \d essere graduale e lenta, prolungasi la tolleranza dell'organismo fino a che ei vi si adatti e permetta anche il guasto parziale di nobili visceri senza che intanto ne segua un proporzionato disordine delle respetlive funzioni. La vita della parte offesa si ripiega, per cosi dire sulle congeneri, e queste accrescono a poco a poco G.A.T.CXXI 11 162 Se 1 E UE i momenti dell'opera loro e l'equilibrio non si rom- pe del tutto. Il male in somma s' insinua dolce- mente e insensibilmente, sicché la macchina vi si abitui e adagi senza avvedersene, e facendosene quasi natura. Al contrario l'organismo è intollerante delle mutazioni repentine : ei si solleva , s' inalbera , si commuove e chiama i poteri tutti della vila a rea- gire contro l'offesa, che tende a sconvolger di un subito le condizioni della singola parte. L'equilibrio disturbasi non tanto per la offesa parziale, come pei moti tumultuari della reazione. Or questa legge , che esercita pure dominio in tanti altri ordini di fenomeni, nelle cose mediche fu rivelata in prima dalla osservazione; ma ha ricevuto la sua conferma dell'anatomia patologica, e lungi dal ritorcersi in suo biasimo, le aggiunge anzi credito e lode. Im- perocché vi si racchiude un prezioso insegnamento di non perdere mai di mira una parte che fu mal- trattata da potenza nociva , di sorvegliare attesa- mente lo stato di sua funzione , di cimentarla ad ogni prova, di non trascurare alcun indizio che ac- cenni a lento ordirsi di processo morboso, e con- cepitone appena il sospetto, battere sulla cura lo- cale, e soffocare il seme innanzi che germini. Vengo ora di volo alla vostra analisi della ma- lattia. Nervi e sangue, perturbamenti nervosi e al- terazioni sanguigne, ceco, voi saggiamente dettate, i due elementi, i due fattori del processo morbifa- ciente. Se non che io non ho saputo trovare in que- sto capitolo una dimostrazion convincente che in tutte le malattie ( e parlisi pure di quelle sole che si diffondono a interi sistemi ) nervi e sangue en- Lettera del Maggiorani 163 «tino sempre in iscena ambedue , ed ambedue vi rappresentili le parti di veri fattori. Ecco intanto esantemi benigni che percorrono i loro stadi senza nemmeno il bisogno che l'infermo si corichi, e osti- nate cachessie senza turbe ner vose, ed emoragie da pletora che pure si compiono senza un'ombra di patimento; e dall' altro lato ecco morbi convulsivi accompagnati da allucinazione dei sensi, e aliena- zioni di mente, e sconcerti del moto senza una pro- va lampante di intemperie sanguigna. Occorrono ogni giorno convulsioni isteriche per sollecitudini di animo, eclamsìe per dentizione difficile, tetani per causa traumatica senza un positivo argomento che il sistema irriga tore concorresse efficacemente alla composizione del male, ed anzi con grave in- dizio che il sangue non vi cooperasse né punto né poco, dacché esso dissipavasi senza pepasmo e senza crisi. Una notizia consolante troncò quegli insulti convulsivi, un bagno pose fine agli assalti epilettici, larghe dosi di opio sedavan lo spasmo tonico senza una critica evacuazione al mondo. E già pei morbi irritativi voi stesso ne consentite che vi si tratti di puro sconcerto nervoso: ma fedele al vostro assunto vi rifugiate negli estremi momenti del male, quan- do il disordine delle correnti moti fere entra ad in- vadere i movimenti funzionali di qualche viscere di prima necessità, del cuore imianzi tutto e del pol- mone. Ma di grazia investighiamo noi qui la com- posizione del processo morboso o il genere di mor- te? Correre colla mente fino alle ultime conseguenze del male può egli servire a determinarne i fattori? I fenomeni dell'agonia andranno mai in questo con- 164 Scienze to ? E se il morbo reclinava a salute , prima che fossero invasi il cuore o il polmone , cambiava forse per questo la sua natura? L'oppressione dell' elemento materiale tronca la vita in malattie essen-< zialmente spasmodiche, come l'oppressione dell'ele- mento nervoso la estingue in mali di lor natura sanguigni. La natura medicatrice, voi ben lo dite, è un maestoso argomento : ma permettetemi di dubitare anche qui se lo spasmo nell'elemento sensifero, e la cozione nel materiale del morbo rappresentino de- gnamente la maestà del soggetto. Quando all'azione torpente del freddo sussegue un più intenso di- vampar di calore, che vince e distrugge la malefica tendenza di quello ; ove all'i repressione centripeta della paura, che ti avea chiuso il respiro, succede una espansione di circolo che allarga il petto, e ri-? desta la paralizzata capillarità dell'organo cutaneo; allorché un dolore compresso, che ti aveva piantato un macigno sul cuore , sfogasi in un torrente di lacrime che ti solleva da quel peso molesto; se fi- nalmente alla prostrazion della macchina per soverr chia fatica tien dietro un più lungo e profondo sonno che ti ristora e ripara le forze perdute : in tutte queste fugaci sì, ma pur chiare manifestazioni della natura medicatrice, io non so ben vedere qual parte si abbiano la cozione o lo spasmo. Veggo la forza vitale che reagisce incontro una potenza no- civa, che concentrata si espande, accumulata disper- desi e dispersa ristorasi. Diasi pure a questa forza l'origine che più aggrada; sollevisi al grado di cau- sa, o si faccia discendere alla condizione di effetto; Lettera del Maggiorane 165 installisi nella efficienza di un etere dominatore della grossa materia, o la si faccia spremere e distillare da questa ; il netto vero si è, che senza risalire al concetto di una forza non potremo mai farci un adequata idea della natura medicatrice. La cozione almeno e lo spasmo non bastano, al sentir mio, ad illustrarla compiutamente; poiché vi han malattie senza manifesta irritazione e senza cozion manifesta, in cui pure campeggia la natura medicatrice, e ve ne sono di quelle in cui sono evidenti i conati cri- tici e i risentiménti nervosi, senza che ne riesca al malato un profitto di sorta. Porgonci esempio delle prime tante efìmere e tante sinoche suscitate da in- solazione, da eccesso di moto, da abuso di stimoli, e nelle quali la guarigione avveniva senza rimedi e senza escrezioni critiche; ne trionfava la sola natura e non faceva di bisogno il pepasmo. Non eravi labe nel sangue, ma solo accrescimento di moto intestino che sfogavasi in semplici ribollimenti : la febbre di- gerivasi da se medesima , come la collera del fan- ciullo evaporasi battendo, com'ei suol fare, i piedi per terra. Dall'altro lato eccovi accessi di pernicio- se; l'ingresso ne è segnalato da spasmodie, e lo scio- glimento da eliminazione di umori concotti , ma questi conati della natura non raggiungono il fine. Dirassi che non eran pari al bisogno ; ma almeno avrebbero dovuto alleggerire il male portando via qualche parte del fomite morboso: oibò; anzi quanto più durevoli erano stati gli spasmi, quanto più pro- fusi i sudori, tanto è maggiore il pericolo che so- vrasta all'infermo nel parosismo futuro. Intanto con piccola dose di un rimedio che sostenga la tensione 166 Scienze vitale, voi trionfate della febbre, comunque il san- gue rimanga tuttora viziato. Quante volte nella peste in mezzo alla più lodevole suppurazion dei buboni sopraggiunge una sincope mortale; quante altre nel vaiuolo dopo una compiuta eruzione, e una rego- lare maturazion delle pustole, la diarrea tronca in poche ore la vita dell' infermo ; quanto spesso in una ferita accompagnata da lesione di tendini colle migliori apparenze di pus sorviene un tetano che mette a gravissimo cimento i giorni del maialo! In questi e simiglianti casi le vìe della cozione erano aperte, ma difettavano od erano squilibrate le forze, e la natura medicatrice ha dovuto soccombere. Io riconosco adunque la cozione, ma la credo subordinata alla forza vitale, e in questa colloco il magistero della efficienza medicatrice. Una giusta economia delle forze , ecco a mio credere in che principalmente consiste la vis medicalrix. Se un sa- lasso inopportuno, se la temeraria amministrazione di un drastico, se una emozione dell'animo, se uno sbilancio improvviso della elettricità atmosferica di- sturbano spesso le salutari inclinazioni della natura, parmi che il facciano invertendo o arrestando l'in- flusso delle correnti vitali, più che trattenendo nel corpo materiali inaffìni. I quali hanno certamente lor parte , e non lieve nel regno della patologia '. ma la questione di vita e di morte io non so per- suadermi che si agiti tutta nel campo atomistico, e che una sproporzione di acidi o di alcali, di solfo o di fosforo, d'idrogeno o di carbonio decidano in poco d'ora dell'essere o del non essere. Noi c'in- centriamo ogni giorno in uomini allampanati con Lettera, del Maggiorai*! 167 la cera morticela, l'alito puzzolente, le gengìe pu- tride e corrose, le gambe ulcerate; e pure costoro mangiano , bevono e vestono panni , e la impurità degli umori non impedisce che serbino Una tal qual maniera di sanità. Ma fate che li colga una potenza nociva, e non sia di quelle capaci a introdurre un germe di fermentazione; sia una causa traumatica: ed ecco la febbre e con essa i deliqui, gli aneliti, le ambasce ... E la vis medicati' ix !} essa rimane mutola e inoperosa; i meschini son presso a morte. Voi direste, io suppongo, in tai casi che il sangue, già prono a contaminarsi , si contamina tutto più facilmente e non vi è luogo a cozione; altri diranno che non vi è resistenza organica, non vi sono forze in serbo, e al primo impeto di movimento, al pri- mo bollore del sangue si consuma la potenza vitale. La ragione è forse dal vostro lato: ma confesso che la mia mente si riposa con più agio nel secondo concetto. Se mal non compresi quel che insegnate nel capitolo delle crisi voi non diffidereste gran fatto delle escrezioni che avvengono anche in principio di malattia, e le avreste pur sempre come uno sfor- zo della natura medicalrice. Tutto ciò che si elimina da macchine malate indica senza fallo che la natura è già pronta a combattere il malefico effetto delle cause nocenti; e sebbene non serbi sempre né modo né misura, e contristi e perversi principi i spesse volle elimini troppa copia di materiali buoni e salutiferi, nondimeno torna meglio che ella non risparmi co- nato, e mostri di voler eccedere, più tosto che di- chiararsi inefficace e inoperosa. Ma adottando questa f 08 Scienze vostra massima e seguendola in tutte le sue conse* guenze, tornerebbe vana la distinzione delle escre- zioni in critiche e sintomatiche, e vacillerebbe l'an- tico dettato , che le seconde riferisce a tumulto di movimenti, le prime a salutari tendenze: e sarebbe irragionevole il sospetto dei pratici, che guardano di mal'occhio le emorragie, i sudori, le diarree ma- nifeslantesi in principio del male. Non posso poi con- sentirvi ad alcun patto che il salasso rappresenti una specie di crisi artificiale, e che il gran vantag- gio solito a ritrarsene nella cura di alcuni morbi dipende dalla sottrazione di materiali disaffini ed impuri. L'apparato venoso non è poi quel deposito di mondizie che si va dicendo. II sangue venoso ha la sua albumina, la sua fibrina , i suoi globuli così bene elaborati quanto il sangue arterioso. Sgom- bratene un pò d'acido carbonico, avvivatelo con al- trettanto di ossigeno , ed eccolo bello e perfetto ; eccolo acconcio ai più alti suoi ministeri. Questa sì gran reità del sangue venoso non apparisce ai sen- si, e ripugna alla ragion fisiologica, che ci vieta di eredere il solo transito per la via del polmone po- terlo spogliare di tanta malizia. Le quisquilie della denutrizione o si riassimilano, o si vanno eliminando dal corpo a misura che staccansi dai tessuti: e ciò avviene per opera delle arterie , più assai che per quella delle vene. Anche il sangue arterioso non è tutt'oro : si tramischiano pure ad esso particelle ete- rogenee, e quando vige l'infiammazione la cotenna vi si mostra come nel venoso. Se è meno notoria che in questo, ciò accade perchè di rado si pratica l'arteriotomia e si taglia ogni momento la vena. La Lettera del Maggiorani 169 cotenna non costituisce, a mio credere, una impurità del sangue, ma indica piuttosto la tensione dell'appa- rato vasale, atta a coagulare e solidificare una por- zion di albumina. Vi sono individui che ad ogni lieve disordine nel moto ci mostrano il sangue ri- coperto di crosta, e son queglino stessi che sogliono avere i polsi abitualmente duri e vibranti ; ve ne hanno altri che al primo soffiare di un'aura fredda espellon dai bronchi ammassi globulari di densa pi- tuita , e son queglino specialmente il cui torace è angusto o appianato; taluni non possono abbando- narsi alla più piccola licenza nel regime dietetico senza cacciare dall' ano tenaci flemme raccolte in fiocchi, in filamenti, o foggiate a membrane, e son coloro che dalla prima età andaron facilmente sog- getti a coliche, a tenesmi , a dissenterìe. In questi casi si potrebbe non veder altro che un' alterazion degli umori: ma può sostenersi, e con più ragione, che la sia faccenda dei solidi. Il fatto cioè si può interpretare dicendo che in tali individui 1' albero arterioso, il canale aerifero, il tubo gastro-enterico, o per tessitura più compatta, o per innervazion più copiosa, o per qualsiasi altra cagione, sian potenti a verberare i liquidi, ad imprimere sulle molecule del sangue o del muco quel cambiamento, onde ri- sulta la coagulazione di essi; come appunto avviene per opera della scintilla elettrica o della corrente galvanica. Oh eccoci da capo colle ipotesi e coi va- neggiamenti , voi forse direte ! Ed io ripiglio che potrà forse sembrare una mera ipotesi il coagularsi dall'albumina entro il sangue, come il fa al di fuori per virtù dell'elettrico; e vaneggiamento l'equiparare ITO Scienze i canali vivi a macchine fìsiche : peraltro ella é ma- teria di fatto che in certi organismi lo stesso ap- parato mostrisi nelle diverse età disposto sempre a stringersi, a tendersi, ad irritarsi. Nella fanciullezza tormini, nella gioventù dissenterìe, nella virilità flussi mocciosi dalle intestina; e così prima respiro corto, poi emottisi, indi catarri polmonali; e al modo istesso que'che fanciulli o giovani soffrono palpitazioni pro- fonde e durevoli, saranno soggetti nella età consi- stente ad angioiti, a stenocardie, ad aneurismi. Dun- que il vizio ha le sue radici nelle compage dei so- lidi. E il sangue delle gravide credete voi che si mostri così spesso coperto di pellicola per fatto d'im- purità, o non piuttosto per orgasmo dei vasi costretti a raddoppiare l'azione loro per angustia di spazio, per ostacoli al circolo? Il polso teso e vibrante, che ne suggerisce in esse il salasso, non vi prenuncia già una cotenna? Se in fine il taglio della vena ar- recasse vantaggio sottraendo direttamente e spedita- mente una grandissima parte della colluvie morbosa, come voi scrivete, io non saprei più intendere co- me questa operazione soglia riuscite così nociva nella imminenza degli atti critici, per quanto è be- nefica nella crudità della malattia. E pure nel primo caso la materia morbosa ha da essere in più gran copia raccolta nel sangue e matura all'uscita, e nel secondo appiattata in gran parte nei parenchimi viscerali , o non ancora assorbita dagli atri mor- bosi , o almeno non così fattamente rimescolata e intrinsecata col sangue , che in ogni sua goccio- la si nasconda un qualche atomo del fattore mor- boso. Lettera del Maggiorani 171 Ma qui il giornale mi chiede la lettera, ed io sono astretto a conchiuderla. Proseguite intanto a giovare delle vostre fatiche la scienza della salute: che tutti i miei duhbi non vi menomeranno punto la rinomanza di valoroso scrittore. 472 LETTERATURA Sopra un trittico greco di avorio della casanaiense. Dissertazione del P. M. Giacinto de' Ferrari. Quantunque inedito non sia il monumento di cui togliamo a far parola, giacche primieramente il ce- lebre Mamachi , quindi il Gori , ne hanno pubbli- cata una sufficiente illustrazione; nulladimeno merita per molti altri rapporti non ancor accennati una particolare dissertazione. Imperciocché il Mamachi ne toccò solamente que' punti, che strettamente col- legavansi al suo tema sul primato del romano Pon- tefice (1); il Gori non fece che copiare il Mamachi. Entrambi poi ce ne hanno tramandato un disegno molto imperfetto. Noi pure ne abbiamo dettato al- cuni cenni riportati dal Bonnetty ne'suoi stimabilis- simi annali di filosofia (2). Ma la brevità di un dis- corso accademico, e la inesatta litografia onde venne riprodotto il fac-simile, mi hanno determinato a pub- blicarne un particolare trattato ; specialmente dopo che il sig. Ferreri, valentissimo incisore, ne ha ri- levato un esattissimo tipo, per inserirlo nella nuova edizione del Mamachi , la quale riescirà pregevole appunto, perchè da sì valoroso bulino ne sono no- vellamente incisi i rami. Né può encomiarsi abba- (1) Origin. T. V, p. 1, n. 4, e. 2. Romae 1746- (2) Numero 19 (3 serie) luillet 1841. Trittico greco 173 6tanza cotesto artista per 1' ardua impresa a cui si accinse, unitamente all'illustre ed erudito grecista Matranga, di darci una nitida ed elegante edizione dei più rinomato tra gli scrittori de'monumenti ec- clesiastici. Intanto per riordinare le idee, che intor* no a questo prezioso avanzo di sacra antichità si ris- vegliano, ne parleremo primieramente secondo i suoi rapporti generici, per discendere quindi a'singolari dettagli artistici, storici, paleografici ec. ec, da cui non poca erudizione profana e sacra si ricava. Che di somma importanza sia lo studio de' dit- tici si comprende dacché i migliori ingegni ne de- dussero le più sicure notizie e vaste cognizioni per li fasti consolari ed ecclesiastici. Il Sirmondo fu il primo che del dittico compendiense di Filosseno, cònsole dell'anno 525, trasse importanti memorie in- serite nelle note a Sidonio Apollinare, di cui si gio* vò il Bandurio nell'impero orientale, e il Mabillon ne'suoi annali benedettini , unendovi il comodolia- cense del console FI. Felice dell'anno 511. Il Wil- temio diede in luce il leodiense e il bituricense , ambedue di Anastasio console del 517, e un altro del console Flavio Asturio. Anche il Du-Cange ne pubblicò uno di console incerto. Il Cardona, l'Hertzio, il Boudelot , il Buonarroti , il Montfaucon e altri molti lodati da Sebastiano Donati (1). Non meno dei consolari sono rimarchevoli gli ecclesiastici, dai quali quanta materia di sacra storia e liturgia si dispie- ghi, vedasi nel Duranto su i riti della chiesa, nel (1) Dei dittici degli antichi sacri e profani 1. 3. Lucca 17S3 , pag. XX. 1 74 Letteratura Goar, nel Norisi , nel Le-Brun, nel Martene , nel Quirini, nel Salig, nel Gori, nel Zaccaria, nel Maffei e in molti altri celebrati avi tori. Rimontando a'ternpi antichissimi, il primo e più venerando dittico si rinviene menzionato nell'Esodo nelle due tavole lapidee scritte dal dito medesimo di Dio. Deditque Dominus Moysi in monte Sinai . . . duas Tabulas testimonii lapideas seriptas digito Dei (1). Non altro s'intende per Dittico , che due tavole di qualsivoglia materia destinate alle scritture civili o religiose, private o pubbliche, di cui servivasi la so- cietà e la religione per ogni genere di documento. Nella sacra scrittura dunque troviamo le idee più antiche ed autentiche sull'origine e sull'uso dei dit- tici. Piacque all'Eterno di servirsi della pietra come più acconcia alla espressione dei caratteri, e tenace nel conservarli. Gli egizi, gli etrusci, i greci, i la- tini ci tramandarono le loro memorie scolpite in pietra. Tra questi monumenti si distinguono le pi- ramidi egiziane, in cui la scrittura simbolica ci dà indizi delle tradizioni ieratiche e civili. I caldei, al dir di Plinio, adoperarono i mattoni per iscolpirvi le loro astronomiche osservazioni; e come dal mar- mo, dalla terra, dal legno, dai metalli, così dalle foglie dei fiori e degli alberi, specialmente di palma, ricavarono materia di comporre i loro libri , come vedesi nei manoscritti bramini in lingua tulinga, che sono foglie deU'Apamna, o palma malabarica, con- servati in Oxford , e alcuni nella casanatense. Nel 1721 dalle truppe russiane nel paese dei tartari cal- ti) Exod. XXXf, v. 18. Trittico greco 175 muki si rinvenne una biblioteca, i cui libri erano tutti di fogli di cortecce di alberi (1). Si usò più frequentemente la scorza interiore dell'acero, del fag- gio, del tiglio, del frassino, del pioppo, dell'olmo ec. donde poi derivò il nome di libro, con cui i latini, come apparisce da Servio, intendevano quella interna corteccia: Liber dicilur interior corticis pars , quae Ugno adhaeret. Il termine di volume derivò da simili scorze inscritte avvolte in rotoli ; e dittici pure si nominavano le tavole formate di tali cortecce scritte sul diritto e sul rovescio (2). Calmet crede più an- tico il costume di scrivere sopra tavole di legno , fondandosi sulla parola Sepher tradotta dai settanta per a&veg, cioè tavole quadrate. Erano pur dette axo* nes le tavole di legno , ove scrisse Solone le sue leggi, di cui attesta Plutarco aver veduto alcuni ri- masugli (3). Lo stesso narrasi delle XII tavole delle leggi romane. I longobardi si servirono di sottili assicelle di legno; fu in uso presso alcuni la pelle di pesce, gì' intestini degli animali, del cuoio e di molte altre materie, che secondo la varia forma di- ce vansi codici, pugillari, tavolette, codicilli, diplomi, dittici, doppi, polittici, come può vedersi presso l'e- ruditissimo Mazzocchi (4). Dittico dal greco òrn-tv/ov, che decomponesi in (1) Fu distrutta in gran parte, e solo alcuni fogli furono por- lati al czar di Moscovia; ma nessuno potè interpretarli. Ne fu man- dato un foglio nel 1722 a Parigi all'abate di Bignon, che collaiiUo di un dizionario tibetano giunse a intenderne il significato. (Ilist. Accad. R. inscr. t. 3, p. fi). (2) Maffei, Stor. dipi. 1. 1, p. 71. (3) Plut. in Solon. (4) De dipt. Quir. Apud Calogeri. Tom. 34, pag. 293. 176 Letteratura due elementi radicali, cioè fìig ossia bis, e da nru^/j dal verbo nztacico plico, piego] dittico, dico, equivale a cosa doppia e duplicata; e trittico a cosa tripla o triplicata ec. S. Agostino chiama dittico le due ta- vole della legge: Nec lapideo dipttjchio miserabili di- cacitate reprehenso movearis (1). S. Ambrogio ap- pella dittico il guscio dell'ostrica, perchè è doppio come sono tutti i bivalvi, che in due parti apronsi: Si quando ostreum remotis in locis ab omni vento contra solis radios diptycum illud suiim aperiat, et reseret claustra testarum (2). Dal numero delle parti ne fluisce la varia nomenclatura; cosi quelli di due diconsi dittici; di tre trillici ec. e generalmente po- littici di più parti. Il Mazzocchi opina che anche gl'intieri codici siano dittici per riguardo a'due co- perchi esteriori; perciò i libri sono polittici relati- vamente al numero de'fogli, e dittici considerala la duplice apertura. Quello, di cui siamo per discorrere, è un trit- tico, cioè composto di tre parti anticamente insie- me congiunte con due gangheri, che più non esi- stono; ma se ne vedono ancora le tracce de' buchi, ove erano affissi. La materia è un bellissimo avorio, in cui sono scolpite ad alto rilievo le figure de'va* ri santi. Nei dittici consolari era l' effigie del con- sole, alle cui spese si facevano gli spettacoli, o per dono li regalava nel cominciamento dell'anno; il che vedesi praticato ne' pretori , questori , e negli altri magistrati romani. È notabile una lettera di Quinto (1) T. Vili, 1. XV, c. IV, pag. 274. Edit. Paris. 1788. (2) S. Ambr. Hexaem. L. V, e. 8, p. 88. Paris 1G86. Trittico greco 177 Aurelio Simmaco prefello di Roma sotto Onorio, in cui così scrive a' suoi fratelli. » Egli è costume re- » ligioso e votivo, che dai questori candidati siano » distribuiti i donativi solili ai principali cittadini, » ed ai più stretti parenti ed amici, nel cui numero o siete ben voi compresi. Io dunque yi mando un » dittico d' avorio, ed un canestrello d' argento di » libre due in nome di mio figliuolo. Questo è il do- » vere che ha compito il questore: ed io vi prego » quanto più posso a degnarvi di accogliere in gra- » do questa dimostrazione di particolare stima e os- » sequio » (j). Erano questi i dittici consolari, che chiamavansi anche fasti, come osservano Gotofredo, ed il Sirmondo sopra un testo di Apollinare Sidonio, forse perchè dentro ad essi erano de' fogli membra- nacei, o sottili tayolucce, in cui notava nsi i conso- lati. Il casanatense però non è consolare, ma sacro, e conviene co' consolari nella materia che è di avo- rio. I sacri dittici, secondo il Tomasini, vengono de- finiti : solenni monumenti, che leggevansi sull'am- bone, q pulpito nel tempo della messa: Monumenta solemnia, qnae inter missarum solemnia ex ambone sive superiore sugestu praelegebantur (2). Conferma tal definizione il Salig dicendo , che erano tavole pubbliche, che nella primitiva chiesa leggevansi dal- l'ambone nel tempo della messa, e contenevano i no- mi degli offerenti, dei magistrati superiori, dei chie- rici di ordine superiore della stessa comunione; in- (1) Epist. Symmac. Traduzione del Tedeschi I. 7, episl. 77. Ro ma 1724, pag. 337. (2) De Eccl. Dist. L. 1, e. 12. G.A.T.CXXI. 12 1 78 Letteratura oltre dei santi, dei martiri, dei confessori, e final- mente di quelli che erano morti nella fede ortodos- sa, per dimostrare quello strettissimo vincolo di co- munione e di amore , che fra loro anche morti si manteneva (1). Il perchè ricevono vari nomi; s. Pro- clo li chiama hput AsXxa sacre tavole (2). Dicevansi anche ipptkYfitoQin&i noxaloyci ecclesiastici catalogi , presso il Cotelerio (3); efytw Aslroi sante tavole (4); mistiche tavole, mistici dittici, libri anniversari, ma- tricola della chiesa, libri dei viventi ec. (5). Secondo il già lodato Salig si dividono in quattro classi i sacri, cioè dei battezzanti, dei vivi, dei santi e dei martiri. Il casanatense è di questi due ultimi generi, cioè dei santi e dei martiri, come vedremo. Nei primi venivano registrati i nomi dei battezzati , ed erano a somi- glianza dei consolari, siccome fasti della chiesa. Nei dittici dei vivi scrivevansi i nomi dei sommi ponte- fici, dei patriarchi, dei vescovi, dei sacerdoti, de- gli offerenti, dei benefattori ec. ec. Secondo il padre Martene, quando il celebrante era al memento dei vivi il diacono leggeva il ditticq, e ad alta voce pro- nunciava i nomi di quelli che vi erano descritti, e cosi i nomi dei morti al loro memento. Però vi era- no diversi costumi nelle varie liturgie che possono rinvenirsi presso il Donati. Noi ci diffondiamo a par- lare del terzo e quarto genere di sacri dittici, a cui il nostro appartiene; essendo in esso effigiato il Sal- vatore, Maria Vergine, gli Apostoli ec, (1) De Diptych. pag. 3. (2) Epist. ad Domn. Antioch. Act. XIV. (3) Monum. Eccl. graec. T. 2, pag. 205. Paris. 1677. (4) Du-Cange. T. 1, pag. 314. (5) Sebastiano Donali. L. 1, e VI. Trittico greco 179 Nelle più antiche liturgie s'introdusse nei pri- mi tempi il pio costume .d'inserire nei dittici sacri il nome di Maria santissima e dei santi. In quella di s. Giacomo, quantunque annoverata nelle scritture apocrife del primo secolo , si fa commemorazione della vergine Maria, de' profeti, degli apostoli. Nel sacramentario gallicano e in altri sacramentari an- tichi si scorge la stessa religiosa usanza tanto nella chiesa orientale, che nella occidentale. I maroniti si distinguono con menzionare dopo il divin Redentore, Adamo, Eva, Maria ec. Deve però notarsi, che ne' secoli posteriori essendo cresciuto il numero dei santi, non se ne potevano leggere comodamente i nomi: e perciò si costumò di porne le reliquie so- pra i sacri altari, come deducesi dalla messa tìac- ciana e sandionigiana , su di cui dice il Martene: Quid haeic nomina aliud designarti quam dipty- cal (1) Da cotali dittici si deduce l'origine dei calen- dari , martirologi , necrologi , aghiologi , o santi- logi. Nam ex diptycis emanaverunt martyrologia (2). Ne'quali martirologi con più agio non solo il nome, ma anche notavasi il luogo, il tempo, e il genere del martirio. Da qui si ricava l'origine della canonizza- zione de' santi, cioè dai sacri dittici, e non già dalla apoteosi de'gentili, come dimostra Benedetto XI V (3). Al contrario esser cancellato dai dittici era somma vergogna e condanna, che chiamavasi expulsio, ra~ sura nominis e diptycis. Ciò praticavasi cogli ereti- (1) De Ant. Eccles. rit. L. 1, e. IV. (2) Renoudot in Lil. Copi. Ci) De Beat. L. 1, e. 1, n. 11. 180 Letteratura ci, scismatici, e con tutti i colpevoli di enormi de- litti. Ma è difficile determinare quando cessasse l'uso dei dittici; perchè, secondo il Salig, in alcune chiese si lasciò prima, in altre dopo; se ne vedono alcuni dell' Vili, del IX e £ secolo. Nei dittici consolari si tiene per più antico quello attribuito a Stilicone creato console nel 405. Quello di Areobindo il gio- vane del 506; di Basilio console del 541, e successi- vamente fino alla cessazione dei ludi circensi, e alla mutazione dell' impero. Tra i sacri citansi dei più antichi il fuldense, l'ambianense, il trevirense ec. ec. di vari secoli. Notisi che alcuni dittici servivano di coperchi ai sacri codici; come vecfesi nella biblioteca vaticana ne'due evangeli di s. Luca e di s. Giovanni, coperti da una sola tavoluccia di dittico antico, ove da una parte è scolpito Gesù Cristo con angeli, i tre magi dall'altra alla presenza di Erode; fu illustrato dall' eminentissimo cardinal Quirini. Simili dittici di ar- gento furono regalati da Berengario alla chiesa di Vercelli, per vestire il codice degli evangeli. Prati- cavasi tale costume con molto lusso ai tempi di s. Girolamo che ne fa memoria nella prefazione al li- bro di Giobbe. Si trovano ancora dei dittici misti, cioè fatti in prima per uso profano, e passati quin- di al servigio delle chiese; come è quello di s. Mar- tino di Liegi illustrato dal Wiltelmio. E formato di due tavolucce d' avorio coli' effigie consolari , e or serve a coprire i santi vangeli. Il leodiense poi por- ta in uno sportello l'immagine di Anastasio console del 517, e dall'altro la croce, mentre nell'interiore è scritto il canone della messa. Trittico greco -181 Il trittico casanatense merita particolare atten- zione e svolgimento nelle sue relazioni , che ha coi trittici strettamente sacri, che aventi le imma- gini dei santi venivano collocati sopra gli altari, e servivano al medesimo scopo, che ora hanno le ta- vole, o i quadri dipinti e collocati sugli altari che secondo il Buonarroti ebbero origine dai dittici. Tali quadri, per lo più in tavole dipinti a scompartimenti e a foggia dei dittici, si aprivano e chiudevano; o restando tìssi portavano quel disegno di trittici o polittici, che usavansi anche nel 1400, alcuni dipinti da fra Filippo Lippi, da Francesco Anguilla di Luc- ca, e da altri. I Bollandisti si sono occupati anch' essi di tal materia trattando degli agioltici (1), nei quali sono registrati i nomi dei santi È molto importante per colali studi Io svolgere i prelodati Bollandisti nel citato tomo primo del mese di maggio, ove nei preli- minari fino a pag. LXXXVIII si tratta copiosamente di cotali antichità, particolarmente delle effemeridi figurate greco-mosche , in cui in dodici tavole ri- trovi i santi dei dodici mesi dell' anno colle parti- colari spiegazioni. Quindi si annette un' appendice intorno a' dittici , che piuttosto chiamano agiottici: Novum iis appellationcm condidi in titillo , et aagio- ptycha scripsi (2). Apportasi il dittico costantino- politano, il trittico dei moschi ed altri colle analo- ghe elucubrazioni. Noi di loro archeologi notamenti ci gioveremo, perchè vi sono strette analogie col (1) Tom. I. Mai, pat*. LX. (2) . Loc. cit. p. LX. 182 Letteratura trittico casanatense, di cui ora imprendiamo a trat- tare distintamente. Questo si compone di tre tavolette di avorio , di cui una centrale è più grande delle altre ad essa congiunte anticamente per due fermagli, de' quali vedonsi gl'indizi. Per mezzo di questi ripiegavansi i due sportellini, e rinchiudevano una croce. Il trit- tico è intero, ben conservato, eccetto qualche pic- colo danno sofferto nelle parti dei gangheri, nel vol- to di alcune immagini, in qualche particella rotto: ma riunendosi non forma sconcezza alcuna, e il di- segno conservasi integerrimo. Riguardo alle dimen- sioni, rimirisi il fac-simile, che in tutto corrisponde egregiamente al suo originale. Le tavolette sono di- vise in due compartimenti orizzontali, che formano come due nicchie ove contengonsi le statuette, che ascendono a ventiquattro, tutte di eguale grandezza: la base, o fascia divisoria, contiene delle inscrizioni greche, mentre i nomi dei santi sono verticalmente incisi a canto di ciascheduno, siccome può vedersi nella figura. Lo stile, il panneggio, l'espressione, la moven- za, la finitezza rappresentano il magistero della mi- gliore scuola greco-cristiana, che inspiravasi a un bello sovrannaturale e divino, superiore in ciò all'arte pagana, che non seppe sollevarsi sopra il naturale. L'artista ivi ha voluto sfoggiare in tutta la latitudi- ne di sua valentia, prefiggendosi in un lavoro così minuto, e al tempo stesso grandioso, di rappresen- tare il carattere interiore dei soggetti, espresso nel- le più squisite forme dell'esterne sembianze. Una moderata rotondità di disegno, una esatta propor- Trittico greco 183 zione di parti, un' armonia di panneggiamento, il lutto regolare, finito, concentrico, ti offre un assie- me d'inesprimibile beltà e incanto. In tante figure ha saputo evitare il monotono, il ripetuto; in tanta ricchezza di abbigliamento nulla ha commesso di sconcio, di anomalo ; per tutto parla e ragiona lo scultore cristiano, che dall' Alfeo al torrente di Ce- dron portandosi, riunì le grazie elleniche al subli- me delle celesti verità. Era pure una terribile diffi- coltà da superarsi nello scolpire ventiquattro figure della medesima grandezza, senza cadere nella rasso- miglianza monotona di esse, che non poste in nes- suna slorica azione vengono rappresentate come sta- tue, unite, e non collegate con principio di epopea, ne di tempo, né di paese; mentre vi sono santi di differenti tempi e città. Tutte sono ornate di nim- bo, ossia disco rotondo, aureola, o diadema, che al- cuni credono derivato dall'arte gentilesca, che pone- va sulle statue alcuni cerchi detti lennisci, o lunule, che secondo Servio nei commenti a Virgilio, con- venivano agli dei e agli imperatori. Et lunam in nim- bo nox intempesta tenebat (1): sul qual verso dice Servio : Proprie nimbus est qui dearum, vel impera- lorum capita quasi elara nebula nubcre fìngitur. Nella famosa mensa isiaca del Pignorio vedonsi co- tali dischi di luce posti sulle teste degli dei e de- gli animali simbolici. Nell'Apollo tratto dalle terme di Tito, nella Medea dell'Andreini, e in altri monu- menti romani rimirasi praticato tal costume, che poi nei tempi cristiani si praticò solamente colle sa- Eneid. lib. HI. 184 Letteratura ere immagini. Tutti i nimbi del nostro trittico in ori- gine erano indorati per maggiore lucentezza e ornato. Quantunque tutte le statuette siano decorate di tal diadema, pure il nimbo del Redentore differisce da- gli altri, perchè rinchiude la croce. Neil' arte cri- stiana gli artefici, associando alle idee dell' ingegno le credenze dei rivelati misteri, nel nimbo intesero di esprimere l'eterno splendore che in cielo godono i santi. Lumina, qaae circa capila sanctorum in mo- dum circuii depinguntur , designano , quod lumine aelerni splendoris coronati fnerint (1). §■ l GESÙ' CRISTO Passando ora al dettaglio del monumento, co- minceremo dalla tavoletta centrale, in cui scorgesi maggiore diligenza e maestria. Nell'ordine superio- re in mezzo è scolpito il Salvatore con a destra il Precursore, e a sinistra Maria santissima. Con savio divisamento l'artista ha contraddistinta l'adorata im- magine di Gesù Cristo collocandola sopra un suppe- daneo, o trono ornato di preziose gemme, per in- dicarne la eccellenza, la santità, e la divinità, onde infinitamente a tutti i santi sovrasta; quindi, come a soggetto principale della scena, tutte !e figure sem- brano essere ordinate e ossequiose. Il sembiante e la destra mano hanno alquanto sofferto la ingiuria (!) Donati 1 e. 2. p. 195. Veilasi il Marangoni in not. ad s.Vict. pag. 38. e ridi' opera Le cose gentilesche ad uso delle chiese. Ca- pii. XXXV. Trittico greco 185 dei tempi; ma lasciano riconoscere la primitiva bel- tà, e azione di benedire, mentre colla sinistra sor- regge il celeste libro dell' evangelio. Ricca tunica ed ampio paludamento Io ricoprono nobilmente, ac- conciandosi alla movenza della persona ben basata e piramidata. Il grandioso lemnisco, che l'augusto capo adorna, accresce maestà e splendore; a destra il monogramma IC (lesus), a sinistra XC ( Chri- stus). Cotali abbreviature, o compendii del ss. nome, sono di antica data, come vedesi nelle monete con- solari, e in molti altri monumenti sacri riportati dal Mamachi, dal Buonarroti, dal Bosio, dall'Anringhi,dal Boldetti, e dalBottari; ed è molto probabile, che i cri- stiani cominciassero ad usarlo sino nella primitiva chiesa, quando forse ella ancora uscita non era dal- l'oriente (1). Sotto il regno di Constantino si rese più frequente, e quindi si costumò nelle bolle, nei nummi, nei musaici, nelle basiliche. Particolarmente si rinviene colla medesima pa- leografia nei due trittici greco- moschi riportati dai Bollandisti nell indicato volume. Son questi formati di tavolucce di legno ingessale prima e colorite , unte di poi con certa vernice, che le abbella e le fa più durevoli: al che conferisce una custodia di bronzo, con due anelli superiori, per poterle piega- re ed appendere, quando facevano orazione. Nessun monaco, o sacerdote rutenico, poteva recitar le ore canoniche, senz'aver presente qualche sacra imma- gine. Nullus monaeorum nec sacerdotum horas ea- nonicas, ut vocant, orat ni&i habeat imaginem prae- (1) Brumar. pref. p. XIII. 1 8G Letteratura senlem (1). Ora vedesi in essi nella tavoletta centra- le Gesù Cristo sedente in bel trono, o tribunale: costumanza assai familiare anche ai romani, che in tale postura lo dipìnsero nei musaici delle volte dei cori delle basiliche, che diconsi tribune da tal tri- bunale. In entrambi i trittici suddetti stassi alla de- stra s. Giovanni Battista, e alla sinistra Maria santis- sima cogli usitati monogrammi. L'essere situato il Precursore alla destra, e la Madre di Dio alla si- nistra, allude all'antico costume orientale, onde ripu- tavasi più nobile -la sinistra della destra, secondo Barthel de Chasseneux, Goropius, Becanus, il Baro- nio, l'Arringhi, ed altri. Ovvero significa che Gio- vanni, tipo dell'antico testamento, precedette in ra- gion di tempo al nuovo rappresentato dalla gran Madre di Dio. E più probabile però, che il posto più onorato intendasi quello , a cui il principale soggetto volge il discorso, come può vedersi in mol- ti nummi, vetri, e marmi antichi. Nella moneta del museo Farnese Augusto sta alla sinistra di Germa- nico; cosi in quelle di Domiziano, Vespasiano, Adria- no, e Antonino Pio l'imperatore stassi al lato sini- stro (2). Nella medaglia di Giovanni Comneno mirasi la santa Vergine alla sinistra. Presso gli antichi adunque si attendeva assai più all'azione della per- sona, la quale senza alcuna sconcezza favellando ri- volgevasi a quella , a cui dirigeva la parola. Nel nostro , e nei trittici suddetti, il Redentore prima (1) Bulland. t. \, maii p. LX. (2) Vedansi Beger, Gori, Vaillant, Venuti, Pedrusi, Patin, Ma- machi. Trittico greco 187 parla alla sua santissima Madre (1), onde si atteggia a preferirla dignitosamente. §• a MARIA SANTISSIMA. Vedesi dunque a sinistra colei che di sole ve- stita rallegra il cielo e la terra. La Vergine nazza- rena in contegno matronale, tutta spirante grazie vir- ginali e angelica modestia, stassi atteggiata a porgere suppliche per noi, stendendo la destra all'amato di- vin Figlio, mentre colla sinistra accompagna l'azione dell' altra mano avvicinandola dolcemente al seno , per esprimere e l'amore materno, e la pietà che la muove inverso di noi. Espressione significantissima, che caratterizza al vivo una Vergine Madre, e una potentissima avvocata già sicura dell' effetto di sue preci. Il costume non è totalmente greco, ma misto, cioè ebraico-greco , rappresentando il vestire pale- stino. Ciò può affermarsi di tutte le figure, nelle qua- li ammirasi la tunica asiatica chiamata dagli ebrei rOTÙ chitoneth (2), dai settanta /«tcjv», dai caldei «3TD3 dalla radice )fD lino, di cui era composta; ciò che i tedeschi dicono kntten, i francesi tunique, gl'inglesi lunic, gli italiani tonaca. I greci tolsero le arti, le scienze e i loro costumi dai popoli semitici, d'onde trassero origine. Ma i romani fecero prima uso del- (1) Così infatti si deduce dalla inscrizione posta nella base, di che si parlerà. jVam colloquitur Matti et Praecursori etc. (2) Gcn. e. XXXVII, v. 23. \ 88 Letteratura la ioga, come rilevasi da Aulo Gellio: Romani primo quidem sine tunica toga sola amieti fuerunt (1). Più tardi ne fecero tanto uso, che Orazio chiamò i ro- mani populnm tunicatum: al che alludendo Virgilio cantò: Et lunieac manicas, et habent redimicula mitrae (2). Oltre la candida stola, o tunica che discende in forme virginee fino a ricoprir le piante, ammi- rasi il velo bianco che ne ricopre modestamente l'au- gusto capo. Era pur usato presso i frigi particolar- mente nelle cerimonie religiose, come l'attesta Virgilio: Et capita ante aras phrygio velamur amichi (3). Ma se la tonaca ci offre un costume composi- to, il peplo, di cui ampiamente si ammanta la Ver- gine iessea, è puramente greco. A guisa di reale pa- ludamento le piove con graziose pieghe dagli omeri e dalle due mani , da cui il piegheggiare prende mirabil partito. Era presso i greci un ricco man- tello leggermente tessuto di lana, che ponevasi sopra tutte le altre vesti, non già dalle donne vulgari, ma sì veramente dalle attiche matrone doviziose ed il- lustri, siccome notò Isidoro. Spesso era una ricca porpora ornata di aurei ricami, che ondeggiava in nobili ripieghi, che perciò si sollevava dalla mano: a cui fa allusione Claudiano: (1) Nocles Acl'cae 1. VII, e. 12. (2) Aeneid. 1. 9, v. 616. (3) Aeneid. 1. 3, v. 545. Trittico greco 189 Et crines festina ligat peplumquc fluentcm Allevat (1). Era intessuto dalle stesse matrone, e nelle feste panatenee, che ricorrevano ogni cinque anni, ne fa- cevano solenne offerta a Minerva, come ci ricorda Virgilio: (2) Interea ad templum non aeque Palladis ibant Crinibus iliades passis, peplumque ferebant. Con singolare artifìcio fu condotto il peplo virginale di Maria, che con ricchezza di pieghe fluttuanti e con magistrale compartimento orna splendidamente l'eccelsa regina del cielo, di cui è scritto il nome a sinistra di lei col greco monogramma MP Ou Ma- ter Dei. E questo il più glorioso titolo di lei , che ivi appunto fu inciso, per fiaccare l'orgoglio aria- no. Ognuno sa quali tumulti e persecuzioni furono eccitati dall'eresiarca Ario, il quale togliendo la di- vinità al Figlio negava la divina maternità alla Ma- dre; a lui fecero eco i nestoriani, gli eutichiani, i sabelliani , che vennero condannati nel niceno ed efesino concilio, nei quali solennemente si definì il domma della divinità e consustanzialità di Gesù Cri- sto, e alla sua augusta Madre fu dommaticamente attribuito il luminoso inarrivabil titolo di Madre di Dio, che venne scritto nei libri , inciso sui dittici , (1) Epith. Honor. v. 124. (2) Aeneid. J. ì, v. 483, 190 Letteratura pronunciato sui labbri, scolpito nei bronzi, nei mar- mi, e in ogni genere di monumenti a perenne trion- fo della fede. %> ni. S. GIOVANNI BATTISTA. Alla destra del Redentore, come abbiam detto, sta in semplice atteggiamento il precursor Battista ravvolto nel manto palestino, che dalle mani sorretto leggermente si dispiega e fa armonia al peplo già descritto della B. Vergine. L' ultimo de' profeti, il maggiore tra i nati delle donne, la voce del deserto, il battezzante del Giordano, entra a proposito in que- sto mirabil quadro a rappresentare i giusti e i vati dell'antico patto, il cui fine era Cristo: Finis legis Christus. Sembra che rivolto a lui pronunci le umili parole; Sé non esser degno di sciogliere i lacci de' suoi calzari; e perciò indicarlo ai popoli, dicendo: Ecco V Agnello di Dio. Il costume è strettamente efcreo; il panneggio ha del duro per alludere al panno grossolano intes- suto di peli di cammelo. E così sempre più mani- festasi il gusto e il magistero dell'esimio artefice (1). A destra leggesi il suo monogramma: 0 Ay«? toavv-tf (1) 11 Paciaudi, che ha illustrato diffusamente tutto ciò che ri- guarda s. Giovanni Battista, ne reca i monumenti antichi, coi quali conviene il nostro trittico. Particolarmente il costume e la iscrizio- ne vedesi in tutto eguale alle immagini scolpite in avorio in varie tavole eburnee, pag. 181 e pag. 230 nel famoso trittico di Benedet- to XIV, col quale ha molta rassomiglianza. Ma il nostro è più aulico. Trittico greco 191 xpodpcixoS) sanctus Ioannes Praecursor. Ne'monumenli antichi suole vedersi in atto di battezzare il divin Redentore; ma nel nostro conveniva esprimerlo in sembianza di supplice, per corrispondere al soggetto principale che invocato e supplicato invia gli apo- stoli a sanare Costantino; perciò dee significarsi Ge- sù Cristo glorioso già asceso in cielo, al cui trono Maria e Giovanni porgono a nostro vantaggio pie- tose mediazioni. Nel medesimo atteggiamento mirasi ne'già allegati trittici greco-moschi. Notisi che solo in questa nicchia le figure hanno propriamente azio- ne tra loro ; mentre tutte le altre, ancorché nella medesima celletta unite, sono senza collegamento re- ciproco di azione o di parola, ma sembrano collo- cati a guisa di statue isolate , che solamente han- no una razionale unione al soggetto principale. §■ iv. INSCRIZIONE. La base di questa centrale tavola , che divide la prima celletta dalla inferiore, contiene questi gre- ci versi : Qg yncpzi ytip xou yXvfig Xptttcv tvtzìù XpiGXog &§acrxwv noci nvow >jv £tó$poSv Km ovllxXu yap p.r)tpi xou tv npoèpofiot Kcxi xovg fxuQ-qxixg uanep swcsfinq hyzt Ktoorctvuvov hxpovaQz navxccav voow Eyw de tcutm nctv vnoaxpcoaco xepoeg. 492 Letteratura Possono voltarsi in versi italiani cosi: Trema la mano e lo scarpel vacilla Di Cristo a incider l'adorata forma ! Cristo che insegna, e il suo divino spirto Nell'alme infonde. Alla sua Madre ei parla, E al Precursor Battista, e come invìi I discepoli suoi lor manifesta. Di ogni languore a liberare andate II fido Costantin. Saprò ben io Fiaccar l'orgoglio di ogni mio nemico (1). Da tale iscrizione si deduce , che 1' artista ha voluto perennare un miracolo operato dal Redento- re sanando l'imperator Costantino da ogni infermità. Giacche egli fedele alle divine inspirazioni non solo abbracciò il cristianesimo, ma ne divenne il più ma- gnanimo e generoso protettore, dopo averne fiaccati i nemici crudeli e data la pace alla chiesa. Per cui il suo nome fu inserito nei dittici sacri, particolar- mente greci, col titolo e simbolo di santo. Così in- fatti rimirasi nella croce di Murano pubblicata dal Costadoni (2). Vedesi quivi V illustre principe colla (1) Letteralmente il greco traslalato in latino così dice: Ut vacill it manus, cullellusque sculptorius {in) Christi forma. Christus docens, spiritumque affcrens. Nani colloquitur Mairi et Praecursori, Et discipulos, quemadmodum mìttat, dicit. Conslanlinum liberate ab omnibus morbis. Ego aulem hoc omne su'jsternam cornu. (2) Osservazioni sopra un antica tavola, greca, in cui è raccliiu- Trittico greco 193 sua madre Ellena, entrambi col nimbo e col titolo di santo. Ma la chiesa latina noi riconosce che col titolo di pio, di generoso e di grande, e venera per santa la madre. Quando e come accadesse il miracolo suddetto, troviamo irrefragabile documento negli atti del se- condo concilio niceno , ove leggesi una lettera di papa Adriano a Costantino Copronimo e Irene Au- gusta (1), in cui con ogni autorità, difendendo con- tro gì' iconoclasti la verità cattolica sul culto del- le sacre immagini, apporta questo memorando av- venimento, che ci spiega chiaramente l'origine e il fine del nostro trittico. Ne traduciamo in italiano le parole (2): « Ne'primi cominciamenti del cristiane- simo, quando convertivasi alla fede il pio impera- tore Constantino, ci vien narrato il seguente fatto: Finito il giorno , successo il notturno silenzio, ad- dormentossi il re. Ed ecco gli appariscono i santi apostoli Pietro e Paolo con dirgli: Poiché hai posto termine ai tuoi peccati, e avesti in orrore la effu- sione del sangue degli innocenti, siamo inviati dal Signor Gesù Cristo per darti consiglio onde ricupe- rare la sanità. Ascolta adunque i nostri avvisi , e poni in esecuzione quanto t' indichiamo. Silvestro vescovo della città di Roma, per fuggire le tue per- so un insigne pezzo di croce del Signore, che conservasi nel mona- stero di s. Michele di Murano. Vedi volume XXXIX della raccolta di Calogerà. (1) Hadrianus Episc. Serv. Serv. Dei. Dominis . . . Constantino et Irenae Auguslis etc. Concil. Oecum. VII sive Nicaenum II an. 787. Act. Concil. et epist. Decret. T. 4, pag. 79. Parisiis 1714. (2) Loc. cit. pag. 82. In ipsis enim exordiis christianorum cura ad fidem converleretur pius imperator Constantinus , sic legitur •• Transacta die, nocturno regi facto silenlio etc- G.A.T.CXXL 13 194 Letteratura sedizioni, è costretto a ripararsi co'suoi chierici nelle tenebrose caverne del monte Soratte. Manda per lui, ed egli ti indicherà una piscina, in cui dopo esserti immerso tre volte (1) sarai pienamente mondato dal- la lebbra. Ottenuta questa grazia, rimerita il tuo Sal- vatore, comandando che per tutto il romano impero siano restaurate le chiese: e tu ti purificherai in tal modo con abbandonare la superstizione degli idoli, e adorare l'unico e vero Dio, ed eseguirne la vo- lontà. Scosso dal sonno subitamente, chiama i cu- stodi del palazzo, e a tenore di quanto gli fu signi- ficato nel sonno gl'invio al monte Soratte, ove Sil- vestro co' suoi chierici nascosto nell' agro di certo cristiano viveva dedito allo studio e alle orazioni. Appena ei videsi circondato dai militi , credette di esser tradotto al martirio, e rivolto a tutto il clero di sua compagnia disse: Ecco ora il tempo accette- vole, ecco ora giorni di salute. Quindi dai soldati fu condotto al re con tre preti e due diaconi. En- trato disse: Pace a te e vittorie dal cielo. Il re lo ri- cevette con animo ilare e placidissimo sembiante ; gli manifestò tutto quanto avea veduto e udito nel sogno narrato. Quindi domandò chi mai fossero que- sti dei , Pietro e Paolo, che lo aveano visitato per cagione di sua salute , e discoperto il nascondiglio di lui. Rispose Silvestro : Questi non son già dei , ma degni servi di Cristo, da cui furono eletti Apo- stoli, e mandati a predicare a tutte le genti la fede necessaria a salvarsi. Mentre così parlava il papa , (1) Accenna alla Irina immersione del battesimo costumata in «jue'tempi, come leggcsi nel greco loc. cit. pag. 81. Trittico greco 195 1' augusto interrogò , se vi fosse qualche immagine di questi apostoli, per conoscere dalla pittura quelli che gli erano apparsi in sogno. Allora s. Silvestro inviò un diacono per asportare le immagini dei ss. Apostoli. Appena le vide con gran grido esclamò l'imperatore: appunto esser quelli che avea veduti; perciò non dovere differire il conseguimento di sua salute in quella piscina mostratagli da essi nello Spi- rito Santo ». Tpsos esse quos viderat, nec clebere iam differre per Spiritum Sanetum factum ostensionem piseinae ete. (1). Parole quasi letteralmente espresse nella epigrafe incisa nel nostro trittico, il quale può richiamarsi a quel tempo, e riconoscerne la illustre origine nell'ultimo periodo del secolo Vili, siccome può argomentarsi dalla paleografia confrontata co' caratteri di tale epoca espressi nei monumenti pub- blicati dal Montfaucon nella sua paleografia greca. Inoltre nelle due tavole greche pubblicate dal Warmi e dal Foggini si leggono due iambici allusivi alla guarigione di Constantino operata sull'una da s. Gio- vanni e s. Paolo, sull'altra da s. Pietro e s. Andrea colla inscrizione: Xrc/wv foanorq y.ovGxcvitvo) (2), sanale o liberate Constantino. Dal confronto di tanti monu- menti si conferma la nostra opinione, che il trittico casanatense debba definirsi dell' ottavo secolo, reso famoso per la eresia degli iconoclasti, che protetti (1) Loc. cit. pag. 82. Da ciò deriva, che Constantino diventas- se tanto devoto dei principi degli apostoli , con eriger tempii, e farne dipingere le immagini, argomento trattato con vasta erudizio- ne dal Foggini De romano D. Petri itinere et episc- Florentiae 1741. (2) Litteralmenle (Tribuite) liberationem despotae Constantino. 196 Letteratura dagli imperatori greci Leone Isaurico, Constantino Copronimo e Leone IV, mossero sacrilega guerra alle sacre immagini distruggendo i quadri, le sta- tue, e perseguitandone gli adoratori. Nel già accen- nato concilio secondo di Nicea del 787 sotto la im- peratrice Irene fu condannata quella detestabile ere- sia, per cui perirono tanti monumenti dell'arte greca. §• v. S. PIETRO Nella inferiore nicchia sono collocati cinque santi, in mezzo a' quali s. Pietro corrispondente in linea verticale all'imma gine del Redentore posta nel superior compartimento già descritto. Savissimo pen- siero fu quello di situare nel più nobil posto cen- trale il principe degli apostoli, affinchè, come dot- tamente ragiona il Mamachi, anche dai monumenti si conoscesse la cattolica credenza sul primato che compete a s. Pietro di luogo, di giurisdizione, e di onore, trasferito a1 suoi successori, da cui dipende la unità della chiesa. I novatori, gli eterodossi han- no cercato invano di sparger tenebre in tanta luce; e i loro sforzi diabolici hanno servito infine a ren- der più glorioso il trionfo della verità. S. Pietro adunque, l'avventuroso pescator di Galilea, il pastore di tutte le pecorelle di Gesù Cri- sto, è scolpito ivi con atteggiamento dignitoso , di accettar fedelmente la grande missione, e invitar gli altri al medesimo fine. Non tiene nelle mani le chiavi, simbolo dell'eccelso potere , ma un volume Trittico greco 197 o rotolo nella sinistra, indizio della predicazione e del magistero. Collo stesso volumetto scorsesi ne' ve- tri cimiteriali del Buonarroti riportati dalFoggini(l), mentre colla destra è in azione di predicare. Cosi pure rimirasi nel trittico di Benedetto XIV (2), il quale in molti rapporti sembra una copia del no- stro, in cui tutta si verifica la descrizione di Nice- foro intorno alla persona di Pietro, cioè di statura mediocre, di folta capellatura ricciuta (3), di naso alquanto schiacciato, di barba non molto lunga. E vero che alcuni l' hanno rappresentato calvo, fon- dandosi sopra un verso di Claudiano (4): Per cineres Paulì, per cani limino, Petri. Più corretti codici però in vece di cani hanno scritto sancii limina Petri. Il nostro artefice si è attenuto all' autorità di Niceforo , che ha consultato le più antiche tradizioni e i più vetusti monumenti nell' esprimere cotali dettagli di s. Pietro. E nel costume ricordata la tunica e il manto ebraico , che si di- spiega nobilmente accompagnando con fino panneg- gio i' atteggiamento della persona. Leggonsi le pa- role divise a destra e a sinistra O ArlOC JlETPOG sanctus Petrus. (1) Op<;r. cit. -pag. 458. (2) Paciaudi, pag. 231. (3) H. C. L. 2. e. XVII. (4) Epigr. LX. 198 Letteratura §. VI. S. PAOLO Alla sinistra di s. Pietro vedesi s. Paolo, il Taso- di elezione, il dottor delle genti, tenente un libro col- la sinistra, a cui rivolge la destra per alludere alle sue epistole, ove la sublimità della teologia, la ro- bustezza della eloquenza inspirata, e la c.irità larga- mente risplendono e fiammeggiano. Il costume è pre- cisamente il medesimo descritto in s. Pietro. La i- scrizione a sinistra è 0. A. ( Aywg ) IIAVAOS san- ctus Paulus. L'esser collocato a sinistra di s. Pietro, mentre a destra vi è s. Giovanni il teologo, non dee recar meraviglia , avvertendosi a quanto abbiamo spiegato di sopra, esser cioè quello il luogo più degno giusta le riflessioni già discorse. Qui aggiungeremo, nulla essere in questo elegantissimo avorio che sia menomamente contrario alla verità storica, pregio assai raro negli artisti, mentre a' pittori e poeti tut- to si è creduto lecito. Da ciò debbono deplorarsi tanti inconvenienti che si trovano nel confrontare colla realtà della storia i prodotti delle arti imitatri- ci. Nei soggetti positivi non può il genio fare ca- pricciose invenzioni smentite dal vero, né alterare la sostanza dei fatti. A tale precetto si è attenuto il nostro valoroso artefice, mentre anche nelle minime circostanze fa trionfare le dottrine evangeliche, tradizionali, e sto- riche. Osservisi in effetto come le apostoliche sta- tuette non sono a piedi nudi , né arbitrariamente Trittico greco 199 calzati, ma secondo il preciso comando di Gesù Cri- sto, che presso s. Matteo (1) disse a' discepoli di non possedere né oro, né argento , . . né scarpe (neque calceamenta): permise però i sandali, o pianelle (2) ( sed calceatos sandalis ). Perciò lo scultore secondo tali parole pose le solèe o sandali alle piante degli apostoli, sostenuti per mezzo di allacciature che in- torno a'piedi ravvolgevansi, dette coreggie, che era- no strisce di cuoio; alle quali alluse l'umile s. Gio- vanni quando dichiarò, che neppure era degno di sciogliere le coreggie delle scarpe di Gesù Cristo: Cuius non sum dignus solvere corrigiam, calceamen- torum eius (3). §• VII. S. ANDREA Alla sinistra di s. Paolo sta effigiato 1' apostolo s. Andrea colla usata epigrafe a sua sinistra A. (ocyiog) ANAPEAC sanctus Andreas. Non tiene libro, né simbolo alcuno, alludendo alla privazione in cui siamo di sue opere. Così pure è scolpito nel trittico di Benedetto XIV. Essendo, come si è provato, nel nostro dittico considerata la sinistra come posto più nobile, conveniva dopo s. Paolo collocare s. Andrea (1) Matth. X, v. 10. (2) Marc. VI, v. 9. II grande ingegno di s. Bonaventura seppe trarre da tali parole un eruditissimo opuscolo: De sandalis apo- slolorum. Tom. VII op. Romae 1599, pag. 409. Con mirabile erudi- zione parla de'doveri annessi al ministero apostolico. (3) Lue. Ili, v. 16. 200 Letteratura chiamato dai greci 7tpozoxly]zog primus vocatus. Il suo atteggiamento è nobile, sostenendo con la sini- stra Tarapio manto: il che dà partito di ricche pie- ghe, mentre colla destra avvicinata al petto esprime prontezza di animo e caldo amore ai cenni del Re- dentore, che per primo chiamollo alla sua sequela, e quindi s. Pietro presentato fu dal fratello s. An- drea: Et adduxit eam (Pelrum) ad Iesum (1). §. Vili. S. GIOVANNI Alla destra di s. Pietro è collocato s. Giovanni apostolo colle rispettive sigle greche a destra : A. (Aitog) Is>ayvG[J.ZVct; xxTooipxrò; (2) Di quattro illustri martiri Celebrò il potente Valor, onde il serpente Di abisso debellar. Sentimenti cristiani ottimamente espressi dal greco artista, per confermare la cattolica verità, che il de- monio viene fugato dalle preghiere dei santi martiri. Demonas vi fugavi prece ss. murtyrwn testata apud (i) Du cangius Constanlinopolis Christiana. L. IV. (2) Extollam, formans martyrum quaternitatem; his vi fugatur inimicus. Trittico greco 109 maiores res semper fuit (1). Qui cade in acconcio riflettere, che il costume di tener la croce in tutti questi ss. martiri militari allude alla acclamazione de' soldati cristiani solita a farsi prima d'incominciar la guerra, come avea ordinato l'imperator Zenone: vt- xvjt»jj3£5v zou arocvcpov: Victoria crucis (2). § XVI. CROCE. Passando a descrivere l'altra parte del trittico, primieramente osservar dobbiamo nella tavoletta cen- trale una sola croce terminante in quattro fiori cir- colari a guisa di gemme, di cui una nel mezzo. Ve- diamo negli antichi monumenti, che nell'adornar la croce impiegavano i nostri padri tutto lo studio e la ricchezza. Essendo essa il segno del cristiano, che in sé compendia tutta la religione di Cristo, conve- niva perciò adoperarvi 1' arte e le dovizie di oro , argento e ogni genere di. pietre preziose. Si distin- sero dopo Constantino il grande i romani pontefici Ilaro , Simmaco , Sergio , Leone IV. Quest' ultimo particolarmente ordinò, che si facessero a divoto or- namento de'tempii splendide croci auree, argentee, gemmate. Quindi le absidi delle basiliche la portano fregiata in musaico. Onde Prudenzio pose in bocca di G. C. tali versi diretti a Roma: (1) Mamachi loc. cit. pag. 499. (2) Paciaudi pag. 258. G.A.T.CXXI. ' 14 HO Letteratura Agnoscas, regina, meo, sìgna necesse est (1), ìn quibus effìgies crucis aut gemmata refulget, Aut longis solido ex auro praefertur in hastis. Anche nei sneri dittici si costumò incidere la Croce con ogni genere di ornamenti, come vedesi in quello pivi volte citato di Benedetto XIV. Nel nostro è con semplici linee scolpila, e soltanto or- nata nelle estremità e nel centro, come si è detto, E antichissimo tal pio uso, e fin dai tempi apostolici può segnarsene l'origine. Particolarmente quando in- sorsero quelli eretici, che s. Paolo chiamò inimicos crucis Christi (2), appunto perchè cercarono di can- cellare dalla mente dei fedeli la venerazione verso il salutifero legno posto ad emblema di tutta la cri- stiana religione. Il che avvenne non solamente in Macedonia tra i fìlippesi , ma in Egitto ove abita- va l'empio Basilide, nell'i\sia e ovunque scorrevano i nemici della croce. Allora fu che i buoni catto- lici cominciarono a farla* dipingere , o scolpire , o fabbricarla di legno, di metallo, d'oro, di argento. Quindi nelle chiese, nelle case, nei privati e pub- blici oratorii s'inalberò la Croce per distinguersi da- gli eretici (3j, e allineile servisse come di titolo de' luoghi sacri, come puranche in oggi costumasi. S. Ignazio martire ci spiega la causa di tale avve- (1) Contra Symn). U, 1. (2) Philip. 3. (3) Vedasi Bosio, La trionfante e gloriosa croce, par;. 250, Roma 1610. Trittico greco \\\ nimento, perchè vedendola il demonio ne ha orrore e spavento. Princeps enim mundi huius gaudet, cum quis cruccili negarit. Cognoscit enim crucis confessio- 7icm suum ipsius esse exilium. Id enim trophaeum est contro, ipsius polentiam; quod Ubi viderit, horret^ et audiens limet (\). §. XVII. S. BASILIO E S. GREGORIO. Nello sportellino a sinistra nel superiore compar- timento è scolpita la figura del santo vescovo Basilio alla destra di s. Gregorio nazianzeno detto il teo- logo, avendoli l' industrioso artefice insieme uniti , perchè in vita in santa amicizia congiunti ebber comuni gli studi, 1' abitazione, le vicende; in una parola come sta scritto nella Ior vita: ebbero un'ani- ma sola, ita ut una anima bina corpora colligaret (2). S. Basilio colla inscrizione 0. A. BACIAIOC, vestito pontificalmente secondo il ricco costume gre- co, tiene colla sinistra il libro per simbolo di sua dottrina, colla destra è in atto di benedire. Ognuno sa come questo s. padre e dottor della chiesa com- battè e scrisse contro gli eunomiani, sabelliani, aria- ni ed altri eretici. Inoltre quel libro allude alla re- gola monastica per le sacre vergini e per i chierici da lui composta con tanto bene degli ordini di orien- te, a cui diede non solo precetti savissimi, ma lu- (1) S. Ignat. ad Philip. Épist. 8. (2) Vita Gregorii praefixa operilms. Edilio Tao. Bil. 112 Letteratura minosi esempi, essendo vissuto cinque anni nell'ere- mo eoi eenobiti di Ponto. Dopo tante fatiche pasto- rali e tanti patimenti sofferti pel nome di Gesù Cri- sto , morì nel 378. F u venerato assai nell' oriente e nell' occidente, ed ebbe per antonomasia il titolo di Magno. S. Gregorio stassi accanto al fido amico colla inscrizione incisa nella estremità dell'altro sportelli- no, che combaciava chiudendosi alla sua sinistra. 0. A. rpHrOPIOC o 0EOAOrOG s. Gregorio il teologo. Con questo titolo viene a distinguersi dal nisseno fratello del già lodato s. Basilio, di cui però fu ami- cissimo, come abbiamo detto. S. Gregorio nazianzeno fu maestro di s. Girolamo, che lasciò scritto: Gregorius pr itìio Sagimorum, deinde nazianzenus episcopus, vir eloquentissimus, praeceplor meus, a quo script uras ex- planante didici (De script, eccles.). Vedesi nel no- stro trittico in episcopal costume col libro nella si- nistra, mentre colla destra benedice, in tutto simile a s. Basilio. Molto scrisse e combattè cogli eretici del suo tempo, e morì santamente nell' anno 390 , venerato anch'esso qual padre e dottor della chiesa. §. XVIII. S. GREGORIO TAUMATURGO ' E S. SEVERIANO Nell'ordine inferiore della medesima tabella av- vi effigiato un s. vescovo e un s. martire. Il primo è quell' illustre vescovo di Neocesarea , che per la «ingoiare virtù comunicatagli da Dio di far miracoli Trittico greco 113 fu chiamato taumaturgo, cioè operator di prodigi. La sua vita, i suoi miracoli da s. Basilio, da s. Gre- gorio nisseno, da s. Girolamo, e da altri ecclesiastici scrittori furono narrati. Trasportò un' alta rupe per dar luogo alla fabbrica di una chiesa; asciugò una palude, cagione di discordie; frenò il corso al fiume Lieo, che straripando devastava i campi della pon- tica regione segnandogli i confini col piantarvi il bastone, che subito crebbe in alto albero frondoso. In segno di sua dottrina è scolpito col libro nella sinistra, mentre con la destra si atteggia a benedire. Era conveniente porlo nella medesima tavoletta con s. Basilio magno e con s. Gregorio nazianzeno, giacché da essi fu grandemente celebrato. Morì nell' anno 265, venerato da tutta la chiesa qual s. padre e dottore. Leggesi perciò il suo nome col titolo di taumaturgo inciso alla sua destra: 0. A. TPirOPIOC 0 ©AVMATVPrOC s. Gregorius thaumaturgus. Appresso a s. Gregorio è scolpito un s. martire, il cui nome leggesi nell'opposta tabella, che chiu- dendosi combaciava a sinistra del santo. 0. A. CH- YHPIANOC s. Severianus. Il costume è come ne- gli altri di già spiegati: ravvolto in ampia clamide, sotto cui asconde la sinistra, mentre la destra tiene la croce. Molti poi sono i ss. 'martiri di questo no- me. Uno avvene nei santi quattro coronati martiriz- zati sotto Diocleziano (1). Ma dee riconoscersi per quel famoso eroe di Sebaste, il quale frequentemente visitando i quaranta cristiani posti in carcere da Li- cinio, venne accusato, e martirizzato con gravissimi (1) Lambec. T. 8, pog. 267. 114 Letteratura tormenti. I moschi lo ascrissero a' loro fasti: ed es- sendo questo più noto ai greci degli altri dello stes- so nome , si deduce esser esso il glorioso martire Sebastiano (1). Nell'epistilio, che divide i due compartimenti è incisa tale epigrafe : Maprog avvccfQug tv r pi- ai Qw/inokcig maroig : xo xptx- xcv zv{j.zvi&xai aifixa (2). A tre fedeli vescovi Un martire vicino Il Nume unico e trino Supplice placherà. §. XIX. S. GIOVANNI CRISOSTOMO, S. CLEMENTE DI ANCIRA Nella opposta tavoletta sull' ordine superiore vediamo effigiati due santi vescovi, col libro, e in costume pontificale, con poca varietà nella movenza della persona. Il primo è s. Giovanni Crisostomo: 0. A. IOANNHC 0 XPICOCTQMOC: titolo allusivo all' aureo fiume di eloquenza , che prima fu ap- plaudita nel foro, poi consacratosi alla ecclesiastica (1) Act. ss. Sept. die 9, t. 3, p. 355, ove il Baronio, nell' elogio che ne fa, viene dai Bollandisti corretto. (2) Martyr coniunctus tribus sacerdotibus fidelibus, trinimi pla- cai adorabilem Deum. Marnaci). Loc. cit. Trittico greco \ \ 5 milizia su i pergami di Antiochia, e quindi di Co- stantinopoli, eccitò potentemente l'ammirazione uni- versale. Zelantissimo pastore con apostolica libertà avendo declamato contro i vizi della imperatrice Eudossia, fu espulso in esilio a Cucuso nell'Armenia minore; ma presto restituito con prodigio alla sua sede. Però non desistendo dal pastoral ministero, ri- prendendo gl'illeciti ludi, che volevan farsi alla sta- tua di Eudossia in tempo dei divini offici, per opera de' suoi nemici, e particolarmente della imperatrice, fu esiliato la seconda volta. Dopo avere sofferto in- credibili affanni in Cumana vicino al Ponto Eussino, ammonito in notturna visione (l)dal s. martire Ba- silisco, rese la bell'anima a Dio nel 407. Ottenne questo s. padre e dottore gran venerazione e culto in tutta la chiesa, che illustrò colla dottrina e santità. E parimente illustre s. Clemente vescovo di An- dra nella Galazia , martirizzato sotto Diocleziano. Per 28 anni continui disputò contro i gentili e gli eretici; per cui sostenne persecuzioni atrocissime, co- ronate infine con glorioso martirio (2): è qui scol- pito pontificalmente col nome: 0. A. KAHMHG A rie YP AC s. Clemens Ancijras* (1) Noctu in somnis apparuit sibi s. Basiliscus martyr, ae di- xil ci. Bono esto animo, et laetare, frater Ioannes, cras simul eri- mus. Annat. L. 4, pag. 387. (2) Baron. 23 ianuar. Martir. pag. 46. 116 Letteratura §. XX. S. AGATONICO. S. NICOLO'. Nell'inferiore ordine della medesima tavoletta vedasi sant' Agatonico martire e san Niccolò vesco- vo, tutto in armonia della corrispondente tavola de- scritta. S. Agatonico imberbe, vestito all'eroica, con nobil tunica, e ricco balteo; ravvolto in ampio pa- ludamento sostenuto leggermente dalla sinistra, la destra al petto colla croce, siccome tutti gli altri santi martiri di questo ragguardevolissimo avorio. A de- stra : 0. A. ArA0ONIKOC s. Agathonicus. Questi subì il martirio in Nicomedia sotto 1' imperatore Massi- miano e il preside Eutolomio. Giustiniano eresse in Costantinopoli a suo onore un'insigne basilica, co- ma narra Procopio (1). S.Nicolò, 0. A. NIKOaAOC, s. Nicolaus. É que- sti il famoso vescovo di Mira, a cui Giustiniano in- nalzò una basilica in Costantinopoli restaurata da Basilio: e in molte altre parti orientali e occiden- tali si vedono magnifici tempi a lui intitolati. Assai però è celebrato quello di Bari, ove fu traslatato il suo capo stillante manna e prodigioso umore : per cui da Fozio fu chiamato [xvpo^Xvrcvg fundens man- nara. Celebre è la sua apparizione all' imperator Co- stantino per liberar alcuni da morte, che lo avevano invocato |(2 ). E scolpito come gli altri santi vescovi, (\) Marlir. Barou. 22 august. pag. 379. (2) Barou. Martyr. 6 decemb. Trittico greco 117 avente nella sinistra il libro, a cui appoggia la de- stra in atto di confutare gli arriani perfidi nemici della divinità di G. C. Nell'epitaffio leggesi: Ap%ièfei$ xpiig ttq iizaiiuav juuav: vai Rapivi zgxi 7*jv vnovXivav atzyzi (1). Tre sacerdoti principi Intenti a un sol pensiero; Conquide il mondo intiero Un martire con lor. Nella descrizione di cosi bello ed importante trittico rileviamo non solo 1' arte mirabile , ma la teologia cristiana incarnata fedelmente nel magistero artistico. Qui vedi liturgico costume greco, emble- mi dei generosi martiri; la divinità di Gesù Cristo dimostrata : predicata la virtù della croce , il culto delle sacre immagini ; i simboli e gli attributi dei più gran santi della chiesa. Questo monumento per- ciò è un ampio irrefragabile volume di cattolica dottrina, un'apologia trionfante delle verità domma- tiche; è una voce perenne della fede e della pietà degli avi nostri, che attraverso di tanti secoli e di tante tempeste per opera della divina immanchevole assistenza è pervenuta incorrotta e incorruttibile fino a noi : e tale si conserverà finché il tempo quasi (t) Principes sacerdote* tres in meditationem unum, et marlyr adest terram (sibi) subigens corona (martyrii). 1 1 8 Letteratura ruscelletto s' inabisserà nell' immenso oceano della eternità. Infatti la storia monumentale della chiesa ci presenta all' occhio quello che il dogma offre alla fede, la quale chiama l'uomo alla cognizione degli altissimi suoi misteri, giusta la dottrina dell'Angelico, per mezzo di sensibili segni o immagini. I nostri primi padri, volendo far servire alle rivelate verità le opere delle arti, fecero esprimere la interior cre- denza nei dittici, nei musaici, nelle pitture, e in ogni genere artistico, affinchè le arti medesi me conseguis- sero miglior perfezione. Certamente che 1' arte gre- ca o latina, per quanto toccasse l'apice del suo apo- geo, poteva però innalzarsi a più alto grado, a quel- lo cioè di un sovrannaturale ignorato dagli artisti pagani, i quali non conobbero che il bello naturale. Le scienze e le belle arti attinsero perciò dalla re- ligione una sfera tutta propria, cioè di spiritualiz- zare, diciam così, il soggetto, tratteggiandolo in modo, che dall' occhio si passasse facilmente all' intelletto, da questo alla fede, e da questa alle sublimissime verità rivelate, contemplale nel miglior modo possi- bile all'uomo viaggiatore. Il nostro già descritto avorio rappresenta in se stesso il pensiero artistico , e teologico , e storico, venendo «in conforto della cristiana credenza , in- torno al culto delle sacre immagini. L'eresia degli iconoclasti fu empia non solo, ma vandalica, fero- ce e nemica delle arti, e della società. Quanti capi d'opera perirono sotto i colpi del ferro di que' furi- bondi eretici! Quanti quadri, quante statue, quanti dittici si son perduti? Ora è chiaro che il cristiane- Trittico greco 119 simo solo può rendere la società perfetta, e che i nemici di lui sono anche nemici dell'uomo. Imper- ciocché il dogma di poter venerare le sacre imma- gini alimenta non solamente la fede, ma nutrisce le belle arti, le stimola e guida alla più elevata perfe- zione; e coll'idea cattolica promuove e fa fiorire o-Ii ingegni , assicura la tranquillità agli stati , e li fe- licita col mantener viva la religione, da cui sola- mente discende la temporale ed eterna felicità dell' uomo. 120 Elogio storico di monsignor Loreto Santucci VII cu- stode generale di arcadia, letto da monsig. Fran- cesco de' conti Fabi Montani, pro-custode della stes- sa accademia , nella solenne generale adunanza tenutasi a lode del Santucci nella sala del ser- batoio il dì 5 di dicembre 1850. AL CHIARISSIMO SIGNORE ABATE D. DOMENICO SANTUCCI PROFESSORE EMERITO DI FILOSOFIA E GIÀ' UNO DE' XII COLLEGUI DI ARCADIA L AUTORE A Voi , che sì tenero siete delV ottimo vostro zio , che nella virtù e nelle lettere gli andate sì bene d'ap- presso, e a me foste cortese di non poche biografiche sue notizie, debbesi intitolar questo elogio. Fategli , ve ne prego, buon viso non già pel modo con cui è scritto, conoscendo assai bene quanto per ogni verso sia povero e disadorno, ma per la cara persona che ricorda. Abbiatelo poi eziandio a perenne contrasse- gno e memoria di amicizia, di stima e di grato animo. Stale sano. Roma 28 di dicembre 1850. 121 T 11 desiderio di conservare e tramandare a' posteri le costumanze lodevoli de'n ostri maggiori, l'amicizia, la gratitudine, la stima, ci hanno qui oggi, uditori accademici eh., raccolti per onorar la memoria di Larindo Teseio, ossia di Loreto Santucci VII generale custode di Arcadia. - Ed oh! come l'incremento e la gloria della nostr'accademia fu sempre a lui in cima di ogni pensiero! - A ragione dunque ognun di noi si addolora e lamenta, ed io in singoiar guisa di tanta perdita mi attristo e rammarico. Imperoc- ché assai per tempo e contr'ogni mia espettazione vollemi a questo consesso di uomini eruditissimi ag- gregalo, mi fu tenero di amorevolezza, mi giovò di consiglio , e me timido giovanetto incorava a cor- rer animoso l'aringo delle lettere e delle scienze. Che se il pietoso officio sembrar potè ritardato anzi che no, piacciavi, o signori, attribuirlo in pri- mo luogo alle gravi e sempre nuove incumbenze di nobilissimo socio (1) che intimo del Santucci volea rendergli l'estremo pegno di amore tessendone in sì solenne giorno le lodi. Né poco dar conviene alla stagione, che quindi j corse assai contraria agli studi : pria tra gli spassi di lunghi festeggiamenti, che gli animi divagano e svaporan mai sempre : poi fra le angosce e paure (1) S. E. il sig. principe D. Pietro Otlescalchi. 122 Letteratura. di agitamenti civili , per cui dalla stessa Roma ve- demmo ramingare un grande e santissimo pontefice, e stretta la città da un assedio nelle istorie tutte me- morando e famoso. E quasi che non bastassero co- tante sciagure e pene, perdemmo pure quel Laureani (1) che con tanto senno reggeva la pastoral nostra adunanza. Non appena dunque ne fu dato ricomin- ciar l'anno accademico, il savio collegio ed il no- vello custode ordinarono: che innanzi tutto si ren- desse quest' omaggio al Santucci. Che se non giun- gerò io a ritrarlo qual fu, illustre letterato del secolo nostro e dell'Arcadia quanto altri mai benemerito , vagliami il buon volere : e voi, che umani e beni- gnissimi siete, comporterete con indulgenza la tenuità del mio dire. I Non sempre gl'ingegni dalla prima età si ap- palesano: non di rado anzi avviene che, chi ne' te- neri anni molto di se riprometteva, fallisca le date speranze, e chi al contrario sembrava non aver ali per levarsi da terra, dispieghi a somiglianza di aqui- la generosissimo il \olo. Ciò che leggiamo di Plato- ne, di Demostene, e di molti altri, avvenne pure al nostro Loreto, che nato di assai onorevole condizione (1) La sua morte non mai abbastanza lagrimata da tutti, e da me in ispeeie, che lo ebbi in pria a maestro indi ad amico carissimo, avvenne il 14 ottobre 1849. Era prelato domestico di Sua Santità, canonico della basilica di san Pietro, e primo custode della biblio- teca vaticana. Elogio del Santucci 123 ed educato alle umane lettere nella sabina Nomen- to (1) non appena trovossi alunno del collegio Ca« pranicense, cominciò a sviluppar bellamente le in- tellettuali facoltà sembrate nell' adolescenza tardive anzi che no. Usavano i convittori alle scuole di santa Maria sopra Minerva, e sotto que'valenti maestri che furon sempre i domenicani, il Santucci avanzò in mo- ti) L'antica Nomento, detta poi Civilas nomentana, indi Caslrum Nomentanae , da cui deriva il moderno vocabolo Mentana. Nel suo territorio, come ci narra Slrabone,venivan celebrate le acque lebane, ora non più cosi in voga. Meglio di altre città resistette alla poten- za di Roma, di poi al lurore degl'invasori della capitale del mondo. Carlo Maguo, siccome ci riferiscono Anastasio bibliotecario ed altri storici, venendo nell'anno 800 a prendere nel vaticano la corona imperiale fu dal pontefice Leone HI col clero e senato incontrato fino a Mentana, ove ambedue desinarono insieme. Il famoso e con- sole e duca Crescenzo, che sotto l'impero di Ottone III tiranneggiò Roma, era pur egli di Nomento. Perduta la sede vescovile, circa il IX secolo fu data in poter de'cassinesi. Sotto Eugenio III fu feudo de'Capocci, continuando però ad aver qualche dipendenza dai monaci. Per tre secoli la tennero gli Orsini, da cui la comprò Michele Pe- retti principe di Venafro: passata ai Savelli, la ebbero i Borghesi, i quali in virtù del molo proprio del 6 di luglio 1816, ne fecero ri- nunzia alla santa sede. Castello oggidì della Comarca e diocesi di Sabina conta ap- pena 500 anime. Il nostro Loreto nacque il 7 di aprile 1777 dai coniugi Filippo Santucci ed Annunziata Borgia, Sorella a quell'Antonio Borgia, che fu valente poeta, nostro arcade, e carissimo al duca di Ceri D. Bal- dassare Odescalchi, che lo annoverò fra i suoi accademici occulti . Fu Loreto primogenito di otto figli, tre maschi e cinque femmine nati da tal matrimonio. La famiglia de'Santucci è tra le più onorevoli ed an- tiche di quel luogo. Francesco Paolo Sperandio nella sua Sabina anti- ca e moderna, stampata in Roma nel 1790, ci riferisce questa iscri- zione posta nella chiesa parrocchiale di Mentana: ,, Antonius Santucci de Numento civis sabinus vetus hoc sepulchrum temporum iniuria deformalum prò reponendis suis suorumque successorum ossibus ptiortis memor restaura aduno curavit anno Domini MDLXIX ,, 124 Letteratura do da sostener pubblica disputazione in tutta la filoso- fìa, ed essere in divinità conventato. Le quali prove d'ingegno uopo è a credere maravigliose, anzi straor- dinarie, se a ricordanza del giovane, ad emulazion degli alunni, a gloria dell'istituto, si vollero con sin- goiar elogio celebrate ne'fasti di quell'insigne colle- gio (1). Quella gemma de'cardinali che fu Leonardo An- tonelli da Sinigaglia, il quale con apostolico zelo reg- geva la chiesa di Palestrina, udita la valentia dello alunno sabino, tenne modo, perchè uscito dal collegio e quadrilustre appena imprendesse a professare umane lettere ed eloquenza in quel prenestino seminario, che tutta formando la speranza della sua diocesi eragli in cima di ogni pensiero. Comprende il Santucci che quanto è agevole tener nome e grado di maestro , altrettanto è difficile averne il merito, in ispecie, ove (1) La laurea in sacra teologia gli venne conferita il 25 di giu- gno 1796. I professori di sì illustre collegio erano allora il p. mae- stro Olivares reggente, il p. maestro Massabò baccelliere, ed il p Compalati maestro degli studi. Cattedratici casanalensi del testo di s. Tommaso il p. maestro Mancini ed il p. maestro Natta. Lettore primario di filosofia il p. Velzi di poi cardinale vescovo di Monte- fiascone e Corneto, lettore secondo della stessa facoltà il p. maestro Torreua. Eranvi diciotto studenti domenicani e moltissimi altri del clero secolare compresovi il collegio Capranicense. Il p. maestro Galeani attuale provinciale, che ne'sei anni fu compagno di scuola del Santucci, riferisce ch'era di mollo ingegno, studioso, e che in tutto il tempo, in cui frequentò il collegio, fu sem- pre fra i primi e caro in ispecie al Velzi. Mi gode l'animo in nar- rare, che nel corrente anno vi sono state dalla Casanatense rista- bilite le cattedre di s. Tommaso, sostenute con molto valore la pri- ma dal p. maestro Giacinto de'Ferrari nostro accademico, e già pre- letto della Casanatense stessa, la seconda del p. m. Girolamo Gigli ex-vicario generale di quel dottissimo ordine. Elogio del Santucci 125 eli belle lettere e di eloquenza si tratti. Il perchè eoa tale un'alacrità si adopera in perfezionare viemmeglio se stesso, in ben ammaestrare i discepoli, da venirne più in voce il liceo, ed essere le composizioni del piovane maestro lette ed ammirate in Roma me- desima (1). Si è vero che gl'illustri ingegni, ovun- que si celino , mai non possono rimanersi occulti: ma a somiglianza di astri sfolgorantissimi assai da lunge diffondono e spandono la vivezza della lor luce. Col meditar sovra i classici italiani e latini , coll'additarne a'discepoli le più riposte bellezze, sep- pe per primo farne tesoro; e mirando ad un ver- seggiare concettoso e robusto divisò fin d'allora di vestire d'italiane forme quel venosino , che fu sem- pre la cara gioia degli uomini grandi. Ed in vero il nostro Santucci si fattamente invaghì di questo la- tino Pindaro, che anco avanzato in età e fra i ma- neggi di stato non mai, come Apelle, lasciò passar giorno senza deliziarsene alquanto: finché assai tardi (2) e dopo avere di qualche sua ode infiorato l'Arca- dico, s'indusse a pubblicarne un saggio unito a poche originali sue rime. {1) Parecchie di quelle accademie che faceva dai giovani dare ne'saggi autunnali. Fra coloro che lodarono il Santucci deve anno- verarsi il famosissimo Ignazio De-Rossi, il quale più e più volte ai suoi discepoli parlava di questo professore del seminario prenestino. (2) Poche rime dell'abate Loreto Santucci già custode generale di Arcadia. Rema 1835 tipografia delle belle arti in 12. Le odi di Orazio non sono più di venticinque, e nella brevissi- ma prefazione dice l'autore di essersi indotto a pubblicarne tal nu- mero e dì non volerlo oltrepassare. G.A.T.C.XXI. 15 126 Letteratura. Dissero di unanime sentenza i letterati esser que' versi di classico sapore, ed assicurare al poeta nobilissima fama. I quali giudizi ripetuti in pili gior- nali (1) confermava l'acutissimo senno del nostro Montanari (2). Imperocché postosi ex professo a tratta- re sul modo di ben tradurre il Venosino, e parago- nata la versione del Santucci non già colle antiche, che valgon poco, ma colle recenti del Godard, del Vincenzi, del Solari, del Pindemonte, del Gargallo e del Cesari , a lui dava sopra tutte la palma. Vi ravvisava la forza, l'eleganza, l'armonia nel render- ne italiani per fino gli arcaismi, la fedeltà nel mante- nerne l'ordine delle idee, nel conservarne la nobiltà e il laconismo: vedersi Orazio propriamente qual è: restar solo che tutte le volgarizzasse. Ma il lavoro del San- tucci benché intrapreso sì presto, benché di tratto in tratto continuato, non mai venne a fine. Debbesi questo, non v'ha dubbio, in parte at- tribuire all'officio di arciprete per quindici anni da lui tenuto in patria (3): all'affanno che accompagna- valo in Napoli, ove cangiato nome, ed ospite non inutile del Duca Lieto (4), erasi rifuggito per non giu- rar fede all'imperator de'francesi; poi all'incarico di officiale nella segreteria di stato, di proprio talento conferitogli dal Consalvi (5) , nominandolo insieme a quelle due coppe d'oro del Capaccini e del Mo- (1) La ricreazione di Bologna, anno II. L'amico della gioveutù di Modena, tomo XIV ed altri. (2) Giornale Arcadico tom. LXVII. (3) Dall'anno 1801 all'anno 18lo, in cui rinunziò l'arciprelura. (4) S. E. il sig D. Filippo Lieto duca di Polignano, il cui figlio tolse ad educare. x {§) L'anno 1813. Elogio del Santucci 127 laioni: ed in ultimo allo andare (1) incaricato della santa sede in Toscana. Inciunbenze tutte, come voi ben vedete, assai svariate , sempre difficili , spesso noiose, nelle quali il Santucci non volle mai valersi di aiulo, ma di per se stesso tutte e sempre con somma scrupolosità disbrigare. Se non che uno de' più forti motivi, per cui non compi giammai il volgarizzamento di Orazio , non pubblicò quello degl'idilli di Gessner, e fu sì avaro nel divulgar le sue rime, era l'alto concetto del bel- lo poetico e la difficoltà somma in tanta dovizia del- l'italiano Parnasso, in tanta affluenza di pessimi versi di produrne de'buoni; checché gli mostrassero i lun- ghi ripetuti applausi, di cui ad ogni suo componi- mento rimbombarono pur queste sale medesime, già sua bella palestra, o gli dicessero gli amici, a' quali solea talvolta farne parca lettura. Infatti alcuni versi di lui corsero l'Italia tutta, siccome fu l'inno a Ve- sta, per le nozze del Perticari festeggiate dai nostri più valenti poeti (2), le ottave sulla caduta di Simon mago, i sonetti sul san Girolamo e pel ritrovamento della statua di Tito sotto Leone XII , e la solenne cantata, con cui nel campidoglio si festeggiò la ve- nuta in Roma dell'imperatore di Austria Francesco I e della sua augusta consorte (3). (1) Dall'anno 1836 al 1842. (2) La raccolta era intitolata: „ Inni agli dei consenti.,, Fu pub- blicata nel 1812 e vi scrissero il Monti, il Costa, lo Strocchi, ed altri celebri letterati d'italia. (3) Fu posta in musica dal maestro Fioravanti, ed eseguita nella gran sala capitolina la sera de"18 aprile del 1819. Gli stessi augusti principi essendo stati acclamati pastori arcadi, quando la sera de' 24 dello stesso aprile onorarono di lor presenza l'accademia tenuta con 128 Letteratura Né il valore del Santucci limitavasi alla italia- na poesia, che non sarebbe pur poco: assai poteva nella latina, e fu buon prosatore. Ne chiamo in te- stimonio le sacre ed accademiche orazioni, le molte scritture in ispecie di genere diplomatico, le descri- zioni che, a somiglianza di Longo sofista del Caro, fece de'più ameni luoghi campestri da lui visitati in ispecie nella Toscana , e le familiari lettere sempre con nitidezza dettate, sia che trattassero di negozi , sia che alla memoria di amici lo rinnovellassero. Aveva per proprio esercizio fatto lungo studio ne'migliori epistolografi italiani di ogni secolo: e no- tandone i più scelti modi di favellare e i più savi precetti, avea compilato un trattatello, in cui a mara- viglia spiegava la ragione dello stile epistolare. Il qual mss. ben degno di stampa ebbi a bella posta qui ricordato, acciocché niuno, ed i giovani in ispe- cie, non istimino giammai soverchia la diligenza di una culla favella anco nelle cose più familiari e co- muni. E per vero sol che per un poco si svolgano e meditino i nostri più forbiti scrittori siam noi ric- chi a dovizia di elettissimi vocaboli e frasi valevoli ad esprimere con eleganza qualvogliasi cosa ancora moderna, senz' avere con nostra onta e disonore a prenderli ad imprestito dagli stranieri, e così viep- più imbastardire la bellissima e soavissima nostra lingua. Ma troppo di ciò ne vergogna. Il perchè ri- tornando al Santucci, dirò essere appo di ognuno ve- grandisslma pompa nella sala del serbatoio, il Santucci fu tra i sei arcadi destinati in quella occasione a recitare, e a ricevere gl'impe- riali personaggi. Elogio del Santucci 129 mito in lai fama di sapere da volerlo Leone XII annoverar nel collegio filologico da lui nella roma- na università istituito, da chiamarlo il governatore di Pioma a giudice supremo delle accademie improv- visate dallo Sgricci (1), e da onorarsi di si bel no- me la romana accademia di archeologia , i lincei , ed altri scientifici e letterari istituti , il cui parco numero de'soci è garanzia sicura di merito. Che dirò poi di quello spontaneo , pronto ed universale concorrere di tutte le volontà de' centum- viri, allorquando il 23 di aprile dell'anno 1824 nei generali comizi in questa medesima sala con tanto splendore adunati (2) lui a pieni voti col più alto gridar della voce, e giubilar del volto, e battere del- le palme, acclamaste generale custode ? Ed ecco per se medesima lastricarsi la via alla seconda parte del mio ragionamento, la quale, aggirandosi sopra do- mestici fatti, ad isfuggire ogni apparenza o taccia di orgoglio anziché narrare accennerà di volo le cose- (1) Monsignor Marco-y-Calalan di poi cardinale di sartia chiesa. L'accademie si tennero nel palazzo di Venezia: ed al Santucci facean cerchio e corona come deputati pur essi, i principi D. Agostino Chigi e D. Pietro Odescalchi, il prelato Carlo Mauri sostituto della segreteria di stato, il marchese Luigi Biondi, ed altri arcadi di bella fama. (2) Monsignor Alessandro Spada allora uditore della sacra rota, di poi cardinale di eh. memoria, li presiedeva sedendogli a fianco quali scrutinatori i prelati Carlo Mauri, Pietro Marini uditore del camerlengato , or amplissimo cardinale di santa chiesa, e Niccola Grimaldi luogotenente civile del tribunale della reverenda camera apostolica, di poi cardinale pur esso di cara memoria. 130 Letteratura II. Nella vigoria degli anni succedeva il Santucci all'infermo Godard, e a quel gelo e lentezza, con cui tutto far sogliono i vecchi , opponeva la forza di un'indole focosa, ma buona quanto altra mai. Sua prima cura e pensiero fu dunque il nominar pro- custode un Laureani di ogni greca e latina eleganza solenne maestro; il riamicare all'Arcadia alcuni valo- rosi accademici, che a poco a poco eransi col vol- ger degli anni e delle vicende sbandeggiati e divisi. Quindi lo aggregarvi un Amati, un Arici, un Antal- di, un Borghi, un Bagnoli, un Bucheron, un Cassi, un Cecilia, un Conti, un Grassi, un Mezzofante, un Montrone, ed altre celebrità italiane già mancate alle lettere ; per tacere di un Betti , di un Borghesi , di un Mai, d'un Manzoni, d'un Mustoxidi, d'un Pa- renti e di altri bellissimi nomi, un sol de'quali ba- sterebbe alla rinomanza d'un' accademia. Siccome però il nostro letterario istituto non mira soltanto ad ascrivere, ma si a formare buoni letterati, ciò che senza de'giovani ottener non si può, cosi egli pose gran cura in rimettere in voce le let- terarie conversazioni del giovedì. Esercizio utilissi- mo, alimento di ogni accademia, e cui non di rado intervennero i letterati più insigni a dar saggio del- l'opere, pria di avventurarle alla stampa (ì). (1) Il Cunich, il Zamagna vi lessero buona parte delle loro ver- sioni latine di Omero. l'Alfieri del Saulle: il Verri delle notti roma- ne etc. Il Cesarotti mandò il suo — saggio sulle lingue. Elogio del Santucci 131 Voi, ben vel rammenta, scorgevate il Santucci medesimo presiedere a queste private recitazioni di libero argomento, le quali in qualche guisa asso- migliar si potrebbero a quelle del Liceo , del Pe- ripato e del Tuscolo. Incorava i timidi , scoteva i pigri, applaudiva i valorosi, e condiva la conversa- zione di ogni dolcezza; sicché udiansi con sommo diletto gli esempli de' classici che all'uopo gli pio- vevan dal labbro, e le osservazioni da lui sempre opportunamente fatte ad ogni recitato componimento. In tale guisa venn'eziandio a provvedere, per- chè le solenni tornate non mai riuscissero men de- gne di un'accademia, che serbatrice gelosa del fuoco di Vesta propaga da un secolo e mezzo il buon gusto per lei alla italiana letteratura restituito. E per veriti pochi ricordano adunanze sì gremite di udi- tori , e sì belle , di cui non poche vanno pure a stampò, come quelle del Santucci rallegrate assai spesso da musicali armonie, onorate sempre in ga- ra dal fiore de' cardinali e della prelatura, e cui aggiungevano pregio gì' impensati canti dell' illu- stre Licori (1), sia che poetici fiori si versassero sulle tombe del Godard, del Petrucci , del Calan - drelli, e cel Derossi: sia che si cantasse o piagnes- se il nascere o morire del Redentore, sia che le ge- ste si celelrassero de' principi degli apostoli, o di quel duodecimo Leone (2), che tutti raggiunse i suoi (1) Licori Partenopea, sig. Rosa Taddei Muzzidolfi, la quale più volte iraprovvis) in esse. (2) Il Santicci in ogni anno, in cui tornava la festa di s. Leone Magno, cioè il 12 di aprile, tenne nella protomoteca solennissime ac- cademie in lode all'augusto pontefice. Né piccola parte ebber in esse 132 Letteratura antecessori nel pro-tegumento della nostr'accademia. Volle infatti quell' insigne pontefice , che i soli arcadi andassero esenti da certe riforme da lui imma- ginate nella nuova ragion degli studi : che dal pub- blico erario si fornisser le spese per le solenni tor- nate: che per cantar cose più grandi gli umili scan- ni del Serbatoio e del Parrasio cangiati venissero colla sublime vetta del Campidoglio, e che la pasto- rale siringa collocala sul Tarpeo a perpetua memori» sorgesse altera fra simulacri di Costantino e di Mar- co Aurelio. Né qui finivano le beneficenze sovrane. Segia- latissimo privilegio compartiva Leone XH alla noitra adunanza decretando, che i simulacri de'più famosi letterati italiani non si potessero collocare nella Pro- tomoteca senza il suffragio degli arcadi. Così l'u- mil nostr'accademia decreta nel Campidoglio i lommi onori, cui vivi e morti aspirar possano i sorrmi in- gegni nelle lettere: la corona e il busto. Le quali onorevolissime e nobili cose in gran parte a questo general nostro custode si debbono. Imperciocché sepp'egli con fino accorgimaito ado- perar sempre e rivolgere a beneficio e decoro della Arcadia quell' amorevolezza e quel favore , di cui a lui fu sempre largo Annibale Della ' Genga, uso I illustre poeta Jacopo Ferretti, e l'abate D. Fabio Sorbenti, da lui scelti a sottocustodi, oggidì censori ambedue dell'accademia, e let- terati che a motivo di amicizia ed onore volli qui ricordali. Il San- tucci, nel breve tempo in cui fu custode, stampò pi» di ogni altro a nome dell'accademia. Abbiamo di lui le raccolte fer la morte del Godard, del Petrucci, del De Rossi, quella per la festa de'santi Pie- tro e Paolo tenuta l'anno 1828, e cinque iti onoredi Leone XII. Elogio del Santucci 133 fin da prelato a visitarlo eziandio nella sabina sua casa, come pur faceva il Canova, a grato ricambio del correre del Santucci ad ispirarsi sui marmi del Fidia novello. E fosse al cielo piaciuto di averlo per più lungo tempo nostro duce e maestro! Scorsa appena la prima olimpiade , in cui vuoisi dalle nostre leggi o con- ferma, o elezione del nuovo custode , paventando egli solo, che i negozi di stato non gli togliessero parte benché piccola di quelle cure , che dovea all' accademia, ne rinunziò la presidenza. Vano fu il pregare, vano fu l'opporsi, vano il rieleggerlo a pieni voti (1), vano il proporgli qual- siasi condizione , che più gli talentasse. Fu saldo nel preso consiglio, ed in cento cinquantaquattro anni è primo ed unico esempio di generale cu- stode non surrogato per morte. Si piacque egli, è vero, del nome di custode emerito , di cui lo vo- leste perpetuamente onorato: dichiarò che sarebbe stato primo in venire ad ogni nostra tornata : pro- testò di amare ogni giorno più l'Arcadia cui do- nar volle quanto del suo raccolto avea nelle sa- le accademiche: ma il traportarsi a motivo di sa- lute da Roma in Sinigaglia, l' esser poco dopo in- viato da Gregorio XVI in Firenze , ove nominato suo cameriere segreto e nel meglio della diploma- fi) I comizi generali si convocarono nella sala del Serbatoio il giorno 8 di maggio 1828. Vennero presieduti dal cardinal Maraz- zani Visconti in allora prefetto de'ss. palazzi apostolici e maggior- domo di Sua Santità, cui nello scrutinio assistevano due illustri prelati. Vi concorse il fiore degli arcadi: il Santucci fu confermato, a niun costo se ne volle ammettere la rinunzia , accettata poi e comunicata all'accademia per mezzo della segreteria di stato. 134 Letteratura tica carriera fu colto dall' apopletico morbo, che il ricondusse alle sponde del Tebro , più non glielo consentirono: sicché a ragione può dirsi, che da quel momento separossi per sempre da noi. Amarissima divisione! né mai lamentata abbastan- za. Imperocché fin da quell'ora possiam dire di aver perduto un uomo per le doti della mente e del cuore a tutti carissimo, che fu l'intimo del Zingarelli, del Perticari, del Monti: che seppe entrar con decoro nella grazia de' principi e mantenervisi senza bas- sezza. Che dirò poi del disinteresse, della ripugnan- za agli onori cui sarebbe potuto agevolmente sa- lire, e dello aver veduto sì innanzi ne' maneggi di stato da venirgliene lodi da que'due luminari della diplomazia il Consalvi ed il Mettermeli (1)? A questi e ad altri segnalati pregi del nostro generale custode, darete bella fama, voi Arcadi, solo nel cantar valenti (2). Se non che avendo fin qui ragionato di un uomo di chiesa pervenuto a vecchiezza , trasandarne non debbo la integrità de'costumi , lo zelo nell'esercizio del sacro ministero, la generosa carità, il distacca- mento dalle cose terrene, il privarsi innanzi tempo de'libri e perfino de'suoi manoscritti, la rassegnazione nel sopportare senz'aprir bocca lungo e smaniosissi- (ì) Siane fra le altre provala controversia col ministero toscano per la precedenza dovuta nella corte del gran duca tra l'incaricalo della santa sede, e il ministro del re di Svezia. Il Mettermeli, fatto arbitro della quistione, la trovò maestrevolmente sostenuta, e ne die con lodi vittoria al Santucci. (2) ,, Soli cantare periti Arcades Virg. Egl. X. Elogio del Santucci 135 mo morbo, che illesa serbandogli la forza intellet- tiva, faceagli tutta provare e a sorso a sorso sorbire l'amaritudine della morte, ed in ultimo lo aver vo- luto che sulle sue ossa, composte in patria accanto a quelle de'cari suoi, altro non si scrivesse se non: Ossa di un peccatore. A malgrado però di cotesto ultimo tuo coman- damento non rimarrassi occulto ed ignoto il tuo no- me, o Larindo. La pietà de'nipoti a gloria della fa- miglia e della patria t'innalzò monumento (1) da ricor- dar esso solo quanto colle virtù e coll'ingegno illu- strasti il secolo XIX : lugubri melodie a perenner tua (1) Alla prosa fecero eco il carme latino di monsig. Gio: Battista Rosani vescovo di Eritrea uno de'censori, il lirico del dottore Ago- stino Jacobini, l'epigramma latino del canonico D. Mario Bunicich, l'ode di Gaetano Pellegrini, le terzine dell'ab. Gio. Battista Toti, l'e- legia latina dell'avv. prof. Giuseppe Capogrossi e le ottave del prof. Jacopo Ferretti uno de'censori. Queste poesie vennero tramezzate dai sonetti dell'abate D. Paolo Barola custode generale che recitò pure uu latino epigramma, del prof. Francesco Orioli uno de'XII colle- ghi, del commendatore Pietro Ercole Visconti commissario delle antichità romane, dell'ab. d. Antonio Somai uno de'XII colleghi , dell'avv. Pietro Merolli uno de'sotto custodi del serbatoio, di Vin- cenzo Prinzivalli, de'padri Niccola Borelli ed Eduardo Bruno delle scuole pie, ambedue professori di eloquenza. Il eh. suo nipote d. Domenico Santucci , cui la letteraria repubblica deve pure la traduzione in verso italiano della greca antologia, e la descrizione in prosa della bella grotta di Collepardo, dettò la seguente epigrafe. ,, Loreto Santucci — dottor del collegio filologico dell' univer- sità romana — uno de'più vivaci e culti ingegni del secolo XIX — primamente arciprete in questa sua patria , — poi trasferito dal cardinale Ercole Consalvi — a' primi offici della segreteria di stato — VII custode generale di Arcadia — Inviato per la santa sede — alla imperiale e reale corte di Toscana — nitidissimo poeta italiano — amalo e pregiato da quanti il conobbero — d'apoplesia 1 3jt3 Letteratura memoria ti apparecchia valente nostro accademico (t) pel giorno, in cui nel sacro tempio adunati preghe- remo novellamente pace alla tua bell'anima: e questa spirante immagine, che con sì splendida pompa, con tanta frequenza di uomini raggua rdevolissimi (2),col- lochiam'oggi fra quelle de'generali custodi, mentre si congratulano e giubilano mille altre di celebri ar- cadi che ti fan cerchio e corona: e le laudate tue ope- re, e le dolci memorie che a noi tutti lasciasti, ti assicuran, Larindo, rinomanza perenne. Per le quali cose dolenti e fastosi ad un tempo ripeteremo di te, come il mantovano di Dafni (3): Dum iuga montis aper,fluvios dum piseis amabìtv Sempcr honos, nomenque luum , laudesque ma- nebunt. colpito in Firenze — cessò di vivere in Roma — il 12 di otto- bre 1845 — nell'età di anni 75 — Voile riposare in questo tem- pio — insieme co'suoi cari congiunti — lasciando a se medesimo nelle tavole testamentarie — l'epigrafe — ossa peccatoris. ,, (1) Monsig. Pietro Alfieri eh. maestro e compositore di musica: la cui messa venne a spese di alcuni arcadi eseguita nella ven. chiesa de'SS Vincenzo ed Anastasio a Trevi il giorno 14 di dicembre. Il Rino p. abate d. Teobaldo Cesari, procuratore generale de' cister- censi ed arcade anche esso, la cantò solennemente, ed in buon numero vi assistettero gli accademici. Un grazioso tumulo sorgeva nel mezzo del tempio. (2) Gli emi e rmi signori cardinali Marini e Roberti, i monsi- gnori Francesco Medici de'principi di Ottaviano maggiordomo di Sua Santità, Emmanuele Marongriu Nurra arcivescovo di Cagliari, Vincenzo Tizzani vescovo già di Terni, cappellano maggiore delle truppe pontificie, altri vescovi, prelati, capi di ordini religiosi , e persone ragguardevoli per nascita e per ingegno onoravano l'Ac- cademia. Vedi il giornale romano de' 9 dicembre 1850. (3) Virg. Eglog. V. 137 Discorso sopra V apologia di Socrate volgarmente attribuita a Senofonte. I ntorno a quest'opera, che noi presentiamo al pub- blico sotto il nome di Senofonte, in tutte l'età i dotti non furono di accordo in attribuirla a quello scrittore. Alcuni si sforzarono a dirla di lui, altri gliela contesero. Moltissime volte venne data alla luce , e in diversi tempi , e in città diverse ; e spesso senza nome d' autore , come può vedersi in tutte quell' edizioni che precederono il volgarizza- mento che ne diede l'Aretino , il quale fu stam- pato col nome di Senofonte. Diogene Laerzio , Ateneo , Stobeo , manifestamente l'attribuiscono al- lo scrittore delle cose memorabili ; il primo , an- noverandolo tra le altre sue opere, i due ultimi lo- dandone alcuni passi come di Senofonte. D' altra parte i più degli eruditi di Germania, con la solita loro profondità nella scienza del greco, con invitte ragioni si risolverono in contrario. E per recare così di passaggio il giudizio d'alcuni, sceglierò fra i primi quello di Valckenario e di Dindorfìo. Ecco il primo come giudica di quest' opuscolo: Quae vul- gata pr ostai ut Xenophonlis laxoxtov; àuoko'jicc ( So- cratis apologia ) est illa hoc ingenio capitali, si quid ludico, prorsus indigna, ab eodem conflata, cui finem Ojropaediae dcbemus et alia quac legunlur ut Xeno- 138 Letteratura phonlea (1). E altrove il dottissimo alemanno: Et cre- deremus ( Xenophontem ) apologiam scripsisse Socra- tis, in qua nihil alicuius inveniatur momenti, quod non legatur in his commenlariis ? (2). Dindorfio cal- damente aderisce all'opinione di Valckenario, e l'an- tepone in validità a quella di Laerzio , Stobeo, ed Ateneo , e degli altri eruditi che altrimenti opina- rono. E laddove Senofonte dice esser egli stato mos- so a scrivere l'apologia dallo scorgere che molti , avendo trattato il medesimo soggetto, tralasciarono di dire che Socrate in quel termine dell'età sua sti- mava convenirgli più la morte che la vita, commen- tando alcune parole del testo greco, scrive: Cura- vitne Xenophon, quinam alii Socratis defensionem su- sceperint ediderintque ? 5/ quid ab istis omìssum re- perenti, quod cansam /juyaXvjysp/a? socraticae , qua maxime iudices a se causaque sua abalienasse vide, batur, contineret, satisne hoc erat causae, ut Xeno- phon id enarratum copiosius et Apologiae nomine in- scriptum publicaret ? (3) E così sempre il dotto ale- manno mostrasi ardente difensore della opinione che segue, e non pare che per amor di quella non si voglia mettere a qualunque fatica benché durissima e fastidiosissima. Egli numera alcune parole e qual- che frase in tutto il corso dell'Apologia, che in nes- suna di tutte le opere di Senofonte si trovano ado- perate, ovvero non a quel modo. Ed infatti chi pon (i) Xenophontis memorabilia Socratis cum Apologia Socratis , eidem auctori vulgo adscripta. Oxouii, e typographeo clarendoniano 1326, p. 249. (2) Nella stessa p. dello stesso volume. (3) P. 250 dello stesso volume. Apologia di Socrate 139 mente a quelle poche parole e modi di dire , non li troverà usali o raro all'età di Platone e di Seno- fonte; ma invece essi vennero su col dichinare dei tempi. I quali ogni più cara bellezza, o appaia fug- gitiva nella natura, o con dolcissima grazia cavata dai bronzi e dai marmi, o recata su le tele, o che tutta di sua divinità informi e spiritualizzi alcun idioma, sempre o del tutto la disperdono, o mise- ramente la corrompono. E per non uscir di soggetto volgete l'occhio alla Grecia, alla terra benedetta fra quante ne vide il sole; ricorrete con la memoria i tempi dell'antica Roma; considerate la nostra favella da quando s'udì la prima volta bella ed armo- niosa risonare su i toscani clivi, fino al presente; e osservate quanto misere furono le rovine delle due prime lingue, e dell'ultima quanto assidui i rivol- gimenti. Essendo questa verità la più chiara del mondo, e ragionevole per quanto è la gioventù la virilità e la morte negli uomini; perchè non si po- trà supporre che questa scrittura si convenga piut- tosto ad altro scrittore dei bassi tempi , e non già a Senofonte? Massime quando non isprezzabili ragio- ni avvalorano il supposto , e il non appartenergli non toglie un apice alla grandezza della sua gloria, ne all'opera medesima niente della sua bontà lette- raria. Non potreb b essere che quello scrittore, qua- lunque ei siasi, profondamente studiando nelle ope- re di Senofonte, e come imbevuto di quella ma- niera soavissima, abbia voluto assumerla scegliendo quel soggetto che più gli pareva rispondere alla sua intenzione? E veramente a chi si fa a leggere le cose memorabili e l'apologia , occorrono alcuni passi di 140 Letteratura pensieri e parole somigliantissimi; la qual cosa mi riesce molto strana a pensarla di un grande scrit- tore, qual'era l'ateniese; ma non già di uno , che non avendo potuto con piena forza di sé medesi- mo procedere nella sua deliberazione, gli sia man- cato una intera varietà nella espressione del concet- to. Ed in verità non sono alieno da un cotal sospetto qualora considero quello che dice un maraviglioso scrittore del nostro secolo: che la letteratura greca, oltre che nella eccellenza degli originali non fu in- feriore ad alcuna altra, nella felicità delle imitazioni fu di lunghissimo intervallo superiore a tutte (1). Queste poche cose ho voluto dire per mostrare che non la pensarono tanto irragionevolmente coloro che non furono soliti attribuire quest'opuscolo allo scrittore delle Cose memorabili ; e che se, mentre pare che io lo creda piuttosto di alcun altro inge- gno, qualche persona si maraviglia che lo dia a luce sotto il nome di Senofonte, sappia che ciò feci per non discostarmi dall'uso dei più. A chi poi mi vorrà recare in contrario l'ingenua semplicità di que- st'opera e il chiaro modo ond'essa procede per at- tribuirla all'ateniese, rispondo: primo, non esser nuo- va una imitazione che illuda i lettori ed anco talvolta quelli che fan professione di lettere. Secondo : che Senofonte, chiarissimo nelle sue opere, copiato resta pure chiarissimo. Ma qui piacemi di lasciare ad- dietro parecchie altre più minute osservazioni, e ver- rò a dire di alcuni volgarizzamenti. Non intendo (1) Opere di Giacomo Leopardi. Firenze per Felice Le Mou- nier. 1845. Voi. 11, p 340. Apologià di Socrate 141 più discorrere in particolare della traduzione dell' Iliade di Vincenzo Monti, o dell'Odissea del Pinda- monte, o dell'Eneide del Caro: lascio da canto gli eccellentissimi volgarizzamenti che il medesimo ci diede di Aristotile, di S- Cipriano, del Nazianzeno: gli stupendi del Varchi di Seneca e di Boezio ; il Livio del Nardi e il Tacito del Davanzati; che niu- na cosa potrei dirne ch'altri non l'abbia già detta in molto nobilissime ed inimitabili scritture. Solo mi voglio fermare a dire alcuna cosa intorno ai po- chissimi volgarizzamenti di un uomo che fu ai no- stri giorni miserando esempio di sciagura; che dopo una vita, breve degli anni, ma lunghissima e ter- ribilissima per le facoltà intellettive, compose le ossa dove la natura fa del cielo e della terra una ce- leste armonia, e dove si giacciono in pace le pre- ziose reliquie del cantore di Mantova e del Sa- nazzaro, Principal distintivo delle ottime traduzioni, co- me ognun sa, debbono essere quelle precipue qua- lità di eccellenza letteraria , per le quali 1' opera che si traduce merita che sia nella sua originalità sommamente lodata. E pognamo che il testo sia bas- so e sprezzabile nel suo dettato primitivo, sarà pre- gio dell'opera e lode dello scrittore , traducendo , rivestire di più elette forme quelle medesime idee che si mostravano già sotto abbiette vestimenta. Così vediamo aver fatto il Caro in tutti i suoi volgariz- zamenti, salvo i poetici, e il Varchi nei suoi di Sene- ca e di Boezio: 1 quali due senza dubbio riuscirono d'assai maggiore bellezza dei propri autori, che cia- scuno si piacque scegliere a volgarizzare. Ma per G.A.T.CXXI. 16 142 Letteratura ■venire ai volgarizzamenti di quel sommo scrittore , dico , che non penso esservene degli altri pari. E però non si può senza piangere e dispettare consir derar come quelio smisurato ingegno, anzi che dar- ci tradotte opere intere, si sia piuttosto compiaciuto di opuscoli e frammenti. E già, quello che fu sarà sempre. I grandi ingegni amano a crear del pro- prio, e benché intimamente consapevoli della gloria che partoriscono gli ottimi volgarizzamenti , niuna o rarissime volte ci s'inducono, e come per trastullo o prova. Ciò non ostante quei pochissimi che ci diede, come innanzi dicevo, sono di tanta eleganza e purezza inarrivabile di lingua, di tanta nobiltà di stile, di così placida maniera, che leggendoli spesso dimenticavo di leggere volgarizzamenti. Ed eccet- tuatene quello della favola di Prodico, e di un fram- mento dell'impresa di Ciro, che non ardisco ante - porre al dettato primitivo ; tutti gli altri li reputo di maggiore perfezione che gli originali. Il Manuale di Epitetto, e i discorsi morali di Isocrate , hanno ricevuto nella nostra favella forme più schiette e pia- ne. In essi è chiaro che il giovine Recanatese e dove ha tolta alcuna cosa che parea nell' originale abbondare, e dove ornato il periodo d'una più leg- giadra movenza, e dove col chiaro della espressione meglio lumeggiato la idea, e sempre procedendo con arte maravigliosa, sempre ogni cosa levando a magr giore perfezione. Lodi eterne a questo scrittore, i cui volgarizzamenti sono il più grande elogio che si possa fare della nostra leggiadra favella. Per es- si è veduto chiaro , i greci scrittori in niun' al- Apologia di Socrate 143 tra lingua meglio poter rivivere, che nella nostra , solo che valorosi ingegni attendano a farli rivivere. Non è a dire quanto io mi rallegri pensando che finalmente, più che in ogni altro, in questo nostro secolo si vede, mercè di quelle traduzioni, bello e lampante la niuna ragione, o piuttosto vanità di quel giudizio, che diedero alcuni scrittori francesi intorno alla nostra lingua. Finalmente per tutti coloro ( e non saranno po- chi ) che, ignoranti del greco, non potranno giudi- care dell'eccellenza di questi volgarizzamenti, dicia- mo che leggendoli di seguilo non potranno non avvertire il passaggio dall'uno all'altro di essi. Tanto bene venne fatto a ciascuno quell' abito di volto e portamento genuino ! Leggano l'Epitetto e mirino come scorre il suo dettato tutto piano ed ingenuo ; ei pare un amico che cosi alla semplice dà i suoi precetti di filosofia, e che dello stile non cura più di quello che gli è bastevole per adornare modestamente la sua dottrina Passino ai quattro discorsi morali d'Isocrate, e troveranno, quella trop- pa fatica, quell'arte sopramodo appariscente, quelle ricercatezze, e in somma lo studio in tutto dell'o- riginale , reso più facile e come sciolto da quello stento. E cosi della favola di Prodico, e del fram- mento dell'impresa di Ciro, ammirate la bella scor- revolezza: e dell'orazione in morte di Elena Paleo - logina una casta eloquenza che ama con quella sua dolce tranquillità tenervi innamorati di sé e dilet- tarvi. Ma sempre in tutti questi volgarizzamenti os- servasi una tinta vivissima di nobiltà, sempre uguale a sé medesima, sempre greca, e però ineffabilmente \hk Letteratura cara e dilettevole : un' arte maravigliosa dal canto dei traduttore, che non gli manca mai, figliuola non di studio di grammaticale sintassi, ma del suo forte intelletto, un'arte che alla bella prima fa distinguere il sovrano scrittore. Ma riguardo ai predelti volgarizzamenti siami lecito fare un'osservazione, che a me veramente non è accaduto di leggere ne di udir mai. Che sono ec^ cellentissimi, da pochi fu detto; ma questi non usci- rono di quel cerchio che li riguarda come per cose letterarie; ed io l'ho repetuto, non credendo far cosa mala , invece pensandomi che talune cose , benché note, giova il ripeterle. Ogni scrittura, ogni detto o fatto che sia d'un ingegno che pensa, non può esser mai disgiunto o da un vasto pensiero che lo anima, o da un fine che altamente lo nobilita. Il Davanzati vivea in tempi tremendi; Cosimo regnava nella sua Toscana: dal trattar ferri e veleni non si abboniva: ipocrisie, insidie, e tradimenti erano scale ai sommi posti; nelle brutte libidini infermava il duca Cosimo. Tante e tali nefandezze nauseavano la bennat'anima del Davanzati. E però che facea ? Non potendo, o non volendo altrimenti, si levò contro il corrotto se- colo con la nervosissima traduzione di Tacito: ,, il quale parlando per lui fiorentino, veramente par che con mutati nomi narrasse le recenti sventure dell' umana razza „ (1). Ora tornando a proposito, dico, (1) Della vita e delle opere di M. Bernardo Davanzati Bostichi, discorso di Saverio Baldacchini, premesso all'edizione napoletana delle prose del Davanzati, fatta nel 1838, p. XXV. Apologia di Socrate 145 che quei pochi volgarizzamenti innanzi detti sono, per così dire, l'ultima triplice forma che potè assu- mere quel nobilissimo ingegno. „ In poesia ( sono parole del Ranieri, scrittore della sua vita) cantò potentemente prima la caduta e dell' antica ci- viltà , poi quella delle illusioni pubbliche e del- le individuali , poi finalmente il fato , la necessità e la morte „ (1). Sotto questo medesimo giro di pen- samenti vanno ordinate le prose tutte che gli pia- cque scrivere in quelle diverse forme che più gli tornarono a grado: e sotto questo medesimo aspetto, o unità di pensiero, soggiungo che si debbono con- siderar tripartiti i suoi volgarizzamenti. Con questa differenza peraltro, che dove le sue opere originali sono la più terribile espressione di quel dolore , o spasimo onde sentiva palpitar non meno sé medesimo che l'universale natnra ; le traduzioni per Io con- trario sono un farmaco eh' ei cerca contro l'orren- do malore che internamente lo struggeva, e le uma- ne miserie che lo travagliarono. Le opere originali sono un tenero lamento giovanile della sua infelicità; le traduzioni suppongono la esistenza di quella e ne soccorrono alla difesa; esprimono dalla parte del vol- garizzatore un vivo desiderio delle cose in cui ver- sano , e ad un tempo l'animo che non soddisfatto precipitò sciaguratamente nella realtà della più cru- da disperazione. E se pertanto questo smisurato in- gegno, secondo le parole del Giordani „ dev'essere modello all'arte e subbietto di meditazione per tutti (1) Opere di Giacomo Leopardi Firenze per Felice le Mon- nier Voi. 1. p. XIV. 146 Letteratura i tempi ,, (1) sarà pure il massimo esempio dei lu- gubri effetti che derivano dalla grande vanità di quella filosofia, che tenta strapparci fuori del santo ovile , e ucciso il germe della virtù nei cuori, che è la cristiana speranza , persuade il maggior male la vita, il maggior bene la morte. JVI. A. d. Il V. Apologia di Socrate, dal greco di Senofonte. dXkd r&j oq>odpx òliyav. Plat. Phil. 52. 13. Sembrami cosa veramente degna ricordare in che modo Socrate, chiamato in giudizio, si consigliò intorno alla propria difesa e fine della vita. So be- ne che di questa cosa medesima altri pure scrissero, e che a tutti riuscì d'asseguire quella stessa facon- dia di lui, tanto che da ciò ne si fa manifesto che Socrate realmente avesse parlato a quel modo; ma pu- re niuno ancora pose in chiaro com'egli già stima- va in quel termine dell'età sua dovere anzi scegliere la morte che la vita, senza di che quella sua elo- quenza parrebbe la maggior pazzia del mondo. E però Ermogene, figlio d'Ipponico, stretto com'eragli (2) Studi giovanili di Giacomo Leopardi. Firenze per Felice Le Mounier. Vv unico p. XXIX Apologia, di Socrate 147 in amicizia , raccontò di lui le cose che seguono , dalle quali si rileva che quella sua magnanimità di dire procedeva tutta da senno. Infatti ei nana che vendendolo andar ragionando di ogni altra cosa piut- tosto che del giudizio, gli disse: „ Non pensi tu, o Socrate, a ciò che devi dire in tua difesa? „ E Socrate alla bella prima gli rispose : „ E che non ti par'egli che vivendo abbia avuta in somma cura la mia di- fesa ? E quegli soggiunse : Ma come 3 „ E l'altro : Poiché trassi la vita non facendo alcuna cosa ingiu- sta; e questa qualunque cura di difesa io reputo che sia l'ottima fra tutte le altre. Ed Ermogene riprese: Ma non vedi, o Socrate, dai tribunali ateniesi quan- to spesso persone del tutto innocenti per forza di eloquenza furono condannati a morte; e tal'altri tri- fili e malvagi, o con discorso movendo compassione, o graziosamente parlando , assoluti ne vennero ri- mandati? „ Ma, per Giove, Socrate rispose, che già due volte sforzandomi a veder che avrei dovuto dire a mia difesa, un nume me lo impedì. Avendo l'al- tro soggiunto ch'egli diceva cose mirabili , Socrate seguitando tenne questo discorso: ,, Credi tu forse ma- raviglioso se pure a quel Dio sembra che ornai per me sia meglio il morire ? non sai che finora non concedei ad alcuno degli uomini che meglio di me fosse vissuto ? Imperocché sapea ben io essere cosa dolcissima l'aver menata tutta una vita intera di san- tità e giustizia; di che molto meco medesimo com- piaciutomi, m'accorgevo che pure i miei familiari di me sentivano lo stesso. Ma se ora la mia vita avan- zerà più oltre, conosco che sarà necessario sostenere i danni della vecchiezza , che sono veder peggio ,y 148 Letteratura udir meno, lardo essere ad imparare, e ciò che seppi dimenticar finalmente. E se mi accorgessi di me fatto peggiore, ed accusassi me stesso, oh! come potrei dire: la mia vita fu lieta? Forse che un Dio per be- nignità mi concede, non solo che io finisca la vita in opportuno tempo dell'età mia, ma che ciò faccia al modo più facile: poiché se ora verrò condannato, è cosa manifesta che mi sarà lecito usar quel genere di morte che venga giudicato lenissimo pur da colo- ro che n'ebbero incarico, e tale che sia di niuno in- comodo agli amici , e che desti di chi muore vi- vissimo desiderio. Imperocché quando nulla di turpe, nulla di odioso si lasci nell'animo degli astanti, e si distrugga chi abbia sano il corpo, e l'animo capace eli un conversare amichevole, come può egli avvenire che costui non resti desiderato? Bene adunque gli dei mi contrariavano quando le ragioni di scampare a ogni modo ne sembrava doversi ricercare: nelle quali se io a buon termine fossi riuscito, invece di cessare al presente la mia vita, m'avrei preparato finirla, o cruciata dai morbi, o dalla vecchiezza, in cui tutte le cose scorrono moleste e deserte d'ogni consola- zione. Per Giove, o Ermogene, che tali cose non avrò mai in desiderio; ma se facendo chiaro quel che di bello mi penso aver conseguito dalle divinità e dagli uomini, e quell'opinione che io serbo di me stesso, sarò grave ai giudici, mi torrò piuttosto morire che mendicando non libera vita, lucrarmi un vivere peg- giore della morie. „ Ermogene racconta che Socrate così erasi fisso nell'animo: ma poiché i suoi contradittori l'accusa- rono presso i tribunali , eh' ci non aveva in conto Apologià di Socrate 141) di numi quei che la città avea per tali, che anzi ne introducesse dei nuovi, e che corrompeva i gio- vani, fattosi innanzi aver tenuto questo discorso: „ In verità, o giudici, sopra tutto piglio maravi- glia di Melilo, onde mai inferisca e dica, che io non abbia in conto di numi quei che la città tien per tali : poiché mi videro nei giorni festivi e su per le ore pubbliche sacrificare quei eh' erano presenti e lo stesso Melito, se il voleva. E poi come potrò io avere introdotto nuovi numi, dicendo che la voce di Dio mi si mostra, quando m'insegna quello che si convien fare; se pur coloro , i quali usano del canto degli uccelli e delle predizioni degli uomini, dalle voci per certo traggono le congetture dell'av- venire ? Chi dubita, che i tuoni non dieno pur essi una voce, e che questa non sia qualche gran segno? Similmente la sacerdotessa di Apollo dal tripode non ci annunzia colla voce quelle cose, che gli ven- gono da Dio ? E che veramente Dio prevegga il fu- turo, e Io sveli a chi vuole, di questo come ne par- lo io, non altrimenti tutti parlano e pensano. Gli al- tri nominano auspicii, predizioni, segni, e vati ciò che predice l'avvenire: io tutte queste cose chiamo Dio; e credo così chiamandole che io mi dica cosa molto più vera e santa di coloro, che sogliono at- tribuire agli uccelli quella potenza che si conviene ai numi. E che io non dica il falso della Divinità, eccone un bel testimonio: avendo manifestato a molti degli amici quelle cose che mi erano consigliate da Dio, non mai fui ritrovato bugiardo. ,, Ciò udito i giudici cominciavano a tumultuare, altri non prestando fede alle cose che diceva, altri 150 Letteratura invidiando che dagli dei ricevesse doni maggiori di loro; ma Socrate nuovamente prese a dire: ,, Orsù udi- te quest'altra ancora, perchè vie più coloro di voi, che il vogliono, non credano essere io stato onorato dagli dei. Avendo Cherofonte in presenza di molti interrogato su di me l'oracolo di Delfo; Apollo ri- spose, che non v'era alcuno tra g/i uomini né più libero di me, né più giusto, né più prudente. ,, Ciò udendo i giudici , com'era convenevole , maggior- mente ancora tumultuavano. Socrate allora di bel nuo- vo riprese. „ Ma via, o giudici, che poi quel nume annunziò cose maggiori di Licurgo legislatore dei lacedemoni, che di me: imperocché di lui raccon- tasi, ch'entrando nel tempio, il nume gli avesse così parlato : « Io vado pensando se l'abbia a chiamare Dio o uomo » : me poi non paragonò ad un nume, ma giudicò solo che di molto io vada sopra agli altri uomini. Pur voi non vogliate alia cieca prestar fede al Nume , ma una per una considerate tutte quelle eose ch'ei disse. E veramente chi altro avete conosciuto voi che meno di me serva alle cupidigie del corpo? Chi tra gli uomini phì libero di me , che da niuno né regali né mercede prendo giam- mai ? Chi poi meritamente stimerete più giusto di colui, che alle condizioni presenti della vita s'adatti cosi bene, che per nulla ha bisogno dell'altrui ? Chi a buon dritto non mi chiamerà uomo sapiente, che da quando cominciai ad intendere , non mi rimasi mai dal ricercare quel che io poteva di buono , e dall' insegnarlo ? Che pure io non mi sia affaticato indarno, non vi sembra che lo attestino i molti cit- tadini e i forestieri, seguaci della virtù, che amava- Apologia di Socrate 151 no usar meco fra tutti gli altri ? E di che peso non diremo essere in questa causa, che mentre tutti co- noscono non aver'io alcuna facoltà di contraccam- biare, pure molti vogliano farmi dei doni : mentre ninno mi richiede di benefìzio, molti pur confessino avermi obbligo di grazie : mentre nell' assedio gli altri com miseravano sé stessi, di nulla io menava la vita più bisognosa , che quando la città era mag- giormente lieta : che mentre gli altri a carissimo prezzo si acquistano di fuori le dolcezze della vita, io senza dispendio alcuno me le procaccio dal fondo dell'anima mia , e ancor più dolci di quelle ? Che se dunque in tutte queste cose, che ho detto di me stesso, alcuno non può darmi del bugiardo, a causa di che non potrò essere ragionevolmente lodato dalle divinità e dagli uomini ? Dirai nondimeno, o Melito, che io ponendo il mio ingegno in queste cose, pur corrompa i giovani: e avvegnaché conosciamo con certezza quali sieno le corruttele della gioventù , dimmi , avesti notizia di alcuno, che per opera mia fu reso empio di pio, di modesto sfrontato, di fru- gale suntuoso , di sobrio nel vino smodato, di fati- catore ignavo, ovvero messo in balia di alcun'altra voluttà prava? „ Ma per Giove, disse Melito, che ne ho conosciuto certi, ai quali tu hai persuaso di ob- bedire a te piuttosto, che ai loro genitori. „ Così è, disse Socrate : ma ciò in quanto riguarda la loro istituzione, che tutti sanno avermi presa in cura; a quella guisa medesima che gli uomini in ciò che spetta la loro salute sono obbedienti più ai medici che ai loro genitori; e come nelle adunanze pub- bliche tutti gli ateniesi più volentieri obbediscono 152 Letteratura a quei che parlano con prudenza , e non ai loro parenti. E voi forse non iscegliete a capitani coloro, che giudicate peritissimi nell'arte della guerra, messi da banda i vostri genitori, i vostri fratelli , e per Giove anco voi stessi? „ Cosi certamente va la cosa, o Socrate, riprese Melito, ma ne si fa lecito dal be- ne che ne torna e dalla consuetudine. „ Non ti par dunque, soggiunse Socrate, cosa maravigliosa , che mentre nelle altre faccende gli uomini di valore as- seguono non pure di essere uguali agli altri, ma be- nanco nell'onore d'esser preferiti; io poi, perchè ta- luni mi reputano ottimo nel massimo bene degli uomini, ch'è l'istituirli, per questo da te sarò giu- dicato reo di morte ? „ Più cose ancora furono dette da Ini, e dagli amici che difendevano la sua causa. Ma il mio pro- posito non fu narrar tutto il giudizio, sibbene far noto che Socrate non solo in tutte l'opere sue non fu mai empio verso le divinità e ingiusto con gli uomini; ma che benanco pensava non dover egli con umiltà chiedere la vita, che già sentiva essergli cosa opportuna finirla. Che poi Socrate si fosse in realtà così determinato, più chiaramente apparve, dopo che la sentenza venne pronunziata: imperocché da prima impostagli una multa, non la sborsò, né il permise agli amici che il volevano, dicendo che pagar que- sta multa era cosa di chi confessa aver commesso delitti. Che anzi alcuni degli amici volendolo tra- fugare, non li seguitò; invece sembrava quasi ri- dersi di loro, dicendo se mai fuori dell'Attica cono- scessero qualche luogo inaccessibile alla morte. Come ebbe fine il giudizio, Socrate disse: „ Quelli Apologia di Socrate 153 che indettarono i testimoni , affinchè da spergiuri falsamente attestassero contro di me, e quei che ad essi aggiustaron fede, uopo è che l'animo dei primi sia conscio a sé stesso di una grande empietà, dei secondi di una grande ingiustizia. Io poi perchè do- vrò starmene con animo meno eretto di prima che fossi condannato, non essendo convinto di aver com- messo alcuna cosa di quante me ne hanno ascritte ? Che veramente non mai fui trovato di sacrificare a nuove divinità; né invece di Giove, di Giunone , e degli altri numi loro compagni, invocare o nominar nuovi dei ; né i giovani in modo alcuno potea cor- rompere, facendoli adusare alla tolleranza, e ad una vita semplice. Il profanare le cose sagre, il romper muri, il plagio, il tradimento della patria son de- litti , a cui sta pena la morte : ora gli stessi miei contraddittori niuna cosa di simil fatta dicono di me, sì che sembrami cosa maravigliosa quando mai potè venir loro innanzi alcun'opera mia tanto malvagia da esser degna di morte. E sebbene ingiustamente io deggio morire , pertanto l'animo mio non sarà meno di pria sereno: avvegnacchè non io, ma coloro che mi condannarono commisero un fatto indegno. Indi io piglio animo pensando a Palamede, morto quasi alla medesima guisa di me, che ora è il sog- getto di canti bellissimi, assai più d' Ulisse che il fece ingiustamente uccidere. Veggio bene che il pas- sato e il tempo avvenire faranno di me la testimo- nianza, che non offesi né pervertii giammai nessun uomo: che anzi fui benefattore di quei che usavano meco insegnando loro quel che io poteva di me- 154 Letteratura Dette Socrate queste cose, assai concorde a se stesso ne andava ilare negli occhi, nella movenza , e in tutto il portamento della persona, e intendendo piangere quei che lo seguivano, disse : „ Perchè ora piangete? Non sapete che quando io nacqui mi fu aggiudicata la morte? E però cosa chiara che se io venissi tolto di vita, quando questa fosse maggior- mente lieta e abbondevole di beni, tanto io quanto gli amici ne dovremmo essere accorati; ma poiché n'esco con la sola espettazione di mali, che sarebbero per avvenire, mi penso che voi tutti dovreste meco rallegrarvi, come con chi è bene avventurato. „ E qui narrano che un certo di nome Apollodoro, che amava Socrate con tutto l'ardore dell'anima sua, di mente in- genuo, gli avesse detto: „ ma io, dolcissimo Socrate, sento straziarmi il cuore nel vederti che dei morire senza giustizia veruna. „ A cui Socrate leggermente con la mano palpando la testa, e insieme con un sor- riso, disse: Dunque, carissimo Apollodoro, tu vorresti vedermi morire giustamente, piuttosto che ingiusta- mente ? „ In questo narrano che passasse Anito , e che Socrate avesse cosi detto: „ Costui è veramente un uomo egregio , poiché ha compiuto un grande ed onesto fatto, se mi uccide; che vedendolo io molto stimato dai grandi della città nostra, dissi non con- venire che il figliuol suo s' istruisca a lavorar le cuoia. Quanto misero è quell' uomo che pare non sappia , che chi di noi più utile cose e più belle avrà fatte in tutta la sua vita , costui sarà pure il TÌncitore ! E poiché Omero ha fatto ad alcuni nel momento che uscivano di questa vita prevedere l'av- venire, sia pure a me lecito dir qualche cosa a mo* Apologià di Socrate 155 di oracolo. Fu breve tempo meco questo figliuolo di Anito , e parvemi non essere d' animo rimesso ; per la qual cosa io dico che non potrà durare in quella servile condizion di vita, che il padre gli ap- parecchiò, e per non avere alcuna buona guida pro- romperà in qualche odiosa voluttà, e passerà lungo tempo nell'ignavia. „ Né mentì ciò dicendo; che il giovinetto, dilettandosi del vino, né di giorno né di notte cessava dal bere fino a che niente fece di de- coroso né per la patria, né per gli amici , né per sé stesso: ed il padre per la cattiva educazion del figliuolo, e per la sua medesima stolidezza , morto divenne segno d' infamia. Ma Socrate per aver sé stesso magnificato nel tribunale, trattasi contro l'in- vidia di più, operò in modo che di miglior grado i giudici Io condannassero a morte : la quale a me pare essere quella che conseguono gli amici di Dio: avvenga che lasciò la vecchiezza , parte brevissima della vita, e tra le morti si ebbe la facilissima. Mo- strò pure la gran forza dell'animo suo: imperocché persuaso che per lui era meglio il morire che il vivere, e come quei che ad ogni virtù era assueto, cosi neppure contro la morte si presentò mollemen- te, ma con ilarità l'aspettò, e mori. Veramente quando io pongo mente alla sapien- za e generosità di tanto uomo , non posso fare a meno di non ricordarmene, e, ricordatomene, lodar- lo: per la qual cosa se tra i seguaci della virtù si trovò mai chi s'avvenisse . in uomo migliore di So- crate, mi penso che costui sia degnissimo che tutti lo dicano beato. M. A. d. I. V. 156 Lettera inedita del celebre ab. Faustino Gagliuffi, .li professori Dionigi Strocchi e Salvatore Betti ebbero fra loro nel 1833 una contesa onestissima, come si conviene fra uomini gentili, intorno all' in-; terpretazione di que' versi del libro III delle Geor^ giche : Vel scena ut versis discedat frontibus, utquo Purpurea intexti tollant aulaea britanni. Li traduceva così lo Strocchi : » Già miro fin di qui la mobil scena » Cangiar d' aspetti, e la purpurea tenda » Dagl' intesti britanni esser suffolta. Il Biondi invece : » Volte le scene mutar fronte, e i vinti » Britanni alzar la gran purpurea tenda » Tessuta da' lor danni ivi dipinti. Non potè il Betti approvare la versione dello Strocchi , e tennesi piuttosto contento di quella del Biondi. Ciò che scrissero i due cortesi contendenti a difendere le loro opinioni si ha nel tom. LX del Lettera del Gaglioffi 257 giornale arcadico. Terzo entrò nella lizza il Ga- gliuffi , e diede ai versi virgiliani un' altra interpre- tazione , tutta sua particolare. Ella è dichiarata nella seguente lettera inedita, la quale sarà letta con pia- cere anche da chi tenesse diversa opinione, consi- derando P autorità di quel sommo latinista del no- stro secolo. «) AL CH. PROF. SALVATORE BETTI » salute ed amicizia. » Ho letto siili' Utque purpurea intexti lollant ì aulaea britanni V opinione del cav. Strocohi e la » vostra. » Che quell' eruditissimo ed elegantissimo tra- » duttore di Callimaco abbia ragione , non ho co- » raggio di dirlo : poiché con pace sua , ed in gra- » zia dell' antica architettura e latinità , devo dire » che mi sembra spiritosa , ma non sincera la sua » traduzione del verso , che è stato pomo della vo- » stra dignitosa e cortese discordia. » Che voi incantato , come tutti , dal sempre » aureo Biondi abbiate avuto una solenne ragione » nel dichiararvi fautore della traduzione che tgli » ci ha data dello stesso verso , non posso finora » persuadermene, come vorrei. Vorrei poter dire » che il Biondi ha commesso la felicissima colpa » di migliorare I' originale virgiliano ; ma il buon » Virgilio aveva egli bisogno di essere migliorato ? » Io adoro in Virgilio quell' augusta sempli- »> cita , dalla quale il sommo Dante si gloria di » aver appreso lo stile < e, benché la mia religione G.A.T.CXXI. 17 258 Letteratura. » non mi renda superstizioso , faccio però ogni » sforzo per giustificare , se si può e sin dove si » può , la venerazione che mi ha ispirato l' autore » della Georgica e dell' Eneide, » Ciò premesso, dico che la traduzione del » Biondi è anche in quel verso bellissima, se Vir- » gilio ha voluto dire ciò che il traduttore gli fa » dire. Ma che Virgilio abbia voluto dare 1' ag- » giunto intexli ai britanni che alzavano la tenda » intessuta , perdonatemi , io ne dubito assai. Se » Virgilio avesse voluto formare il bel concetto del » Biondi , gli sarebbe stato facilissimo esprimersi in » qualche maniera degna di lui : ed , in caso di » disperazione , in una maniera che a me si pre- » senta prontissima : come , per esempio , Utque in- » lexta aulaeis tollant sua damna ( o fata ) bri- » tanni. Ma Virgilio sarebbe meno virgiliano che » ovidiano , se avesse voluto porre i britanni in » due umiliazioni , ed una di queste quasi imper- •» cettibile. Difficilmente si fa attenzione ad un paio » di bassi operai , che agiscono da luogo forse non » appariscente. Schiavi ammucchiati intorno ad un » carro trionfale, che va al Campidoglio, diventa- » no un grande oggetto : inservienti ad un teatro, » sono un nulla ; e certamente, nell' argomento di » cui si tratta, non poteva curarsi di questo nulla » quel Virgilio, che è sommamente parco nelle de- » scrizioni anche placide, e da gran fisiologo lascia » molte cose all' immaginazione ed all' amor pro- » prio del lettore. D' altronde bandi intexti , per » baiuli quorum baiulorum patria intexta est , ap- » pena sarebbe adoperato da due scrittori , cho Lettera del Gacliuffi 250 » stimo per grandi meriti , per lo stile non già : » voglio dire il contorto o presuntuoso Tacito, ed » il turgido ed ambizioso Lucano. » Parlatene, vi prego, col nostro Biondi. I suoi » costumi, come i suoi scritti, sono semplici, evi- » denti, pieni di dolce calore, veramente virgilia- » ni : e spero che egli o per amicizia compatirà il » mio sbaglio, o per docilità, degna de' soli gran- » di uomini, riconoscerà il suo. Io intanto vi con- » fesso , che avendo avuto la fortuna di leggere » manoscritte le sue prodigiose terzine quando se » ne allestiva la stampa, aveva bevuto come un » bicchierino di Montepulciano la gratissima ter- » zina, in cui si tratta degl' intessuti britanni. Sì , » mi aveva sedotto lo stile, che è sempre un gran » demonio; e sarei rimasto per sempre contentis- » simo. Ma poi me occidisti colla vostra dottissima » lettera ! Voi mi avete indotto a meditare un' al- » tra ed un' altra volta ; ed ho finito col credere, » che Virgilio ha voluto dire una cosa più sem- » plice ed eminentemente poetica. » Osservate i versi che precedono il purpurea » ìntexti, e vedrete un poeta percosso da amabile »> insania. La sua fantasia esaltata fugge, vola : il » suo spirito è fanatico , visionario , in illusione » straordinaria. Egli vede alzarsi la gran tenda : » vi riconosce il futuro gran trionfo di Augusto » sui britanni, che, simili agli uomini di Cadmo , » sorgono dalla terra: Ecco, grida, i britanni che » alzano la tenda, o almeno Tollere videntur ! E » per questa facilissima interpretazione ho in que- » sto momento opportunamente sott' occhi, al voca- 260 Letteratura » bolo Aulaea nel Nuovo Tesauro, il passo da voi » citato di Servio, e immediatamente la nota del » Gesnero : Hi ( intcxti britanni ) dum e sulco suo » paullàtim surgunt , evoluta aulaea, capilibus hu- » merìsque primum emergentibus, tollere ipsa aulaea » videntur. E qui si poteva invocare 1' analogia. » - Intexlusque puer iaculo eervos cursuque fati- » gat. - Videbat ( nelle porte del tempio cartagi- » nese ) uti bellantes Pergama eircum hae fugerent » graii. - Tumidi maris ibat imago. - Delphines » verrebant aequora caudis : - ed altre frasi simili » sullo scudo di Enea. » Conchiudo che, secondo la mia maniera di » vedere, lo Strocchi è stato divertito da nozioni » dubbie di quell' antichità , nella quale voi , per » così dire, vivete : che il Biondi ha aggiunto al >» bel fiore di Virgilio un fioretto grazioso, ma non » necessario, del giardin proprio : che se il fioret? » to del Biondi potesse salvarsi, lo avrebbe salvato » la destra del Betti: che Virgilio è un prodigio » quo nihil maius meliusve : che lo scrivente , se » fosse in Roma, sarebbe neh' abbracciare un an- » tico amico nel Biondi , ed un nuovo nel Betti , » si „ sarebbe più lieto di quello spagnuolo che » fece un lungo viaggio per veder Livio. Vale, n » Di Torino \\ maggio 1833 ». Gagliufft. 261 Cenno sulla vita e sugli scritti ilei dolt. Enrico Castreca Brunetti di Fabriano. J. ra le molte e lacrimabili perdite, che nella reli- gione, nelle lettere , e nella patria fece Io scorso anno 1849, non ultima deve noverarsi quella che avvenne in Roma per morte di Enrico Castreca Brunetti. Né sembrerà esagerazione di animo amico o passionato, ma vera e dovuta ricompensa del me- rito, se io mi studierò con poche ma sincere pa- role raccogliere della sua vita e de' suoi scritti quanto ho veduto e saputo, non già colla pretesa di fare a lui un monumento di onore ( che solo 1' in- gegno a se il può ) ; ma perchè la conoscenza delle sue letterarie fatiche serva agli altri d' incitamento e di sprone, né si tralasci accompagnare di qual- che sospiro la ricordanza degli ottimi lagrimati. Ebbe egli i natali in Fabriano il giorno 9 gennaio del 1815, da Girolamo Luca Castreca Bru- netti e da Maria Nicolai Bonomi, onesti e agiati ge- nitori, che a lui ed agli altri figliuoli prodigarono eguaglianza di cure e di affetti. Uscito di puerizia, non io saprei ridire quali fossero i suoi maestri, e che più abbia potuto a quel primo suo tempo se la voluttà degli studi o l' ambizione di lode, o il consiglio altrui ad incorarlo. Certo egli molte volte s' udì lamentare la condizione misera di quella 262 Letteratura età, la quale ricevendo profondamente le Iracce di ogni passione, e 1' orma de' più lievi affetti, è poi la remota origine del valor nostro o de' nostri danni. Nulladimeno fu condotto a buon fine di studi pel- le cure del prof. Camillo Ramelli , che gli prese grandissimo amore, e cui professò egli riconoscenza di tutto che di eccellente sentiva possedere nell' in- gegno e nel cuore. Ne scrisse e parlò sempre di poi siccome d' istitutore di giovani zelantissimo, e si di- ceva sopratutto fortunato che tra le mura dell' abi- tazione di lui trovò ( com' egli si esprime ) scampo da un genere di vita che, senza ciò, gli sarebbe stato funesto. Nel che sta certo non piccolo merito, lad- dove all' occhio della filosofia e della politica è tan- to stimabile e grande un buono istitutore, quanto colui che fabbrichi la prosperità vera delle nazio- ni: risultamento ultimo della morale e della coltura dei cittadini. Il giovinetto Castreca adunque sotto questa guida saggia e virtuosa aprì la mente alla venerazione dei classici antichi, apprendendo siffatta venerazione dover essere più che da ogni altro po- polo teuuta cara dagl' italiani, cui nulla è quasi ri- masto nel loro naufragio che questa gloria. Così bene in tempo si vide, che ne l' ingegno, né il vo- lere gli mancarono a diventare eccellente ; dap- poiché, avuti i rudimenti di medicina nell' istessa sua patria dal dottor Clemente Nisi, i genitori lo in- viarono a Roma nel novembre del 1834. Ivi nel- 1' archiginnasio della Sapienza, compiendo il corso delle salutari discipline, tutto intese con animo fer- ventissimo a non rimanersi tra gli ultimi, sebbene i tempi , la nemica fortuna , la naturale timidità , e Biografia del Castreca 263 quel misterioso concorso di opposti principii , che dura cosa sarebbe ricercare per via di discorso ( e che pure soli possono render ragione della singoiar vita di tutti gli uomini), l'ebbero fatto di soverchio ritenuto e poco di sé confidente. Studiò poi nel- 1' arciospedale di s. spirito ; né altro divagamento si ebbe, avanti che gli avvenisse di compiere gli studi , se non il tornar che fece nelle vacanze del 1835 a rivedere i suoi. Intanto la lode de' maestri, la glo- ria de' premi ricevuti, e 1' ammirazione de' compa- gni cos'i dovunque l'accompagnarono, che non dovrà parer maraviglia se V invidia niente lo tro- vasse riprensibile in tutto o in parte. Imperciocché agli occhi di ciascuno appariva 1' uomo che si reca addosso quanto può di fatiche e di stenti, e la cui vita per ombra non manca, ovunque si vegga causa di pubblico o privato bene. Del che non dubitabile prova rimane in ciò che avvenne in Roma nel 1837, quando avendo egli di fresco riportata la dottorai laurea in medi- cina ( che fu il 1 di agosto del medesimo anno ) dovette stendere la mano alla pubblica sciagura, di cui ancora la città eterna si duole. Veramente fu- rono degni del più nobile degli encomi que' ge- nerosi che di celeste e fraterna carità infiammati accorsero , chi dai tempii e chi dai recessi degli studi , soccorritori pietosi alla umanità , che con lamentevoli voci in tante forme di dolore e di morte miseramente periva. Udire i gemiti, pieni di dispe- rate parole ; non avere altro mezzo di acquetarli , che la volontà e il coraggio del pericolo; ravvol- gersi in tanto lezzo, né bastare umana provvidenza 264 Letteratura a farlo cessare, dovevano pur essere ad un'anima, naturalmente disposta alla compassione e all' amore, spettacolo di pena e rammarico senza fine. Pure egli, eletto a medico sostituto nell'ospedale delle carceri nuove, per due mesi esercitò il suo officio con tanto amore e diligente carità, che il eh. prof. Valori, medico primario, testimoniò in iscritto che i risuìtamenti felici delle curagioni furono in quel luogo comparativamente superiori a tutti gli altri ospedali colerici eretti nella capitale. A questi mise- randi casi ripensando egli sovente soleva d re , che mai con animo più fermo seppe da vicino riguar- dare la morte, quando allora più infelice e spaven- tevole gli appariva. JNel che si manifesta una fie- rezza di morale carattere che comprova il detto del savio : » Nulla essere che cresca l' animo e lo con- temperi al disprezzo di tutte le cose, maggiormente che la veduta delle umane miserie, quando sono ir- reparabili. » Ma, poiché piacque al cielo por fine a quel pubblico lutto, imprese a redigere sotto la direzione del nominato prof. Valori uno specchio si- nottico intorno il numero degl' infermi estinti o guariti, come altresì intorno a tutto che poteva dar lume rispettivamente all'età, al sesso, ed alle circo- stanze dei medesimi : del qual lavoro fu fatta parte alla commissione sanitaria ed alle locali autorità per discarico di quanto s' era adoperato. In prova poi di quanto egli si adoperò rimane ancora la meda- glia che, incisa dal valente prof. Cerbara, gli venne coniata ; la quale mostrando da una parte all' in- torno il nome di Enrico Caslreca dottore in medi- cina con in mezzo l' epigrafe Solutori aegrotorum Biografia del Castrkca 265 e l' anno dell' infelice avvenimento, serba dall' altra parte il nome e 1' immagine del pontefice ordinatore. Assai lontano dal vero parrà di certo se io mi facessi a ridire di quale utilità letteraria vagheg- giasse egli allora l'adempimento; ma venne a di- stoglierlo nell' ottobre del 1839 il viaggio che fece a Poli, terra ove si portò in qualità di medico in- terino. Essendo poi tornato in Roma, dove già nel- V arcispedale di s. spirito occupava il posto di primo assistente, videsi aperto più largo campo agli studi; né più pensava dipartirsene, se stato non fosse per ricondursi nella sua provincia; tanto più che fin dal 17 luglio del 1840 era stato nominato medico esercente del pio istituto di carità sotto l' in- vocazione di s. Vincenzo de' Paolis, nuovamente al- lora eretto nella parrocchia di s. Maria Maddalena. Ricercatore diligentissimo di ogni cosa che ri- guarda la memoria degl' illustri estinti, e le cogni- zioni de' loro tempi, molto più lo era di tutto che servisse ad illustrare i piceni. Quindi si diede a frugare nelle biblioteche, a consultare la dottrina di uomini insigni, a compilar notizie, e così quasi per diporto ed ammaestramento a preparare e di- sporre materiali , onde intraprendere - La conti- nuazione ed emendazione delle iscrizioni picene rac- colte dal Galletti : - La riforma e il complemento della biblioteca degli scrittori piceni , seguitando dalla lettera L , dove si arrestò, quella lodevole fa- tica ; - e similmente La continuazione deW opera del Pannelli sui medici piceni, cui era molto da ag- giungere, essendoché venne stampata nel 1757. La preziosa raccolta di avori, che il conte Gi- 26G Letteratura rolamo Possenti riunì nella sua patria, che fu patria eziandio del classico Gentile ( il più famoso tra i dipintori della fabrianese scuola ) , meritò pure un' illustrazione del nostro autore , il quale cosi fa- cendo adempì il voto del eh. Cicognara, che della medesima raccolta parlando la chiama unica , la quale possa presentare uri idea di quanto in varie epoche fu fatto dagli uomini in questo genere ; sog- giungendo che illustrare degnamente questo museo poteva essere gratissima cosa agli amatori dalle an- tichità. Entrò pertanto nelP amore e nella stima di quanti allora vissero e vivono in meritata fama di valenti nelle lettere e nelle scienze ; sicché molti se V ebbero amico non che compagno dilettissimo. Poiché quantunque rifuggisse sdegnosamente dalla troppo facile maniera di contrarre obblighi di ami- cizie , pure serbò care fino all' ultimo quelle che una volta ebbe coltivate ; e quelle egli coltivò , dalle quali poteva sperare istruzione e consiglio. Ciò gli fu occasione di raccogliere anche molte opere ed opuscoli preziosissimi , di cui formò tante miscellanee , che strana cosa parrebbe a chi non sapesse che egli viveva in una capitale, e che vo- lentieri sottomettevasi ad alcuna privazione onde talvolta acquistarne e farne tesoro. Specialmente del- le cose stampate da illustri fabrianesi fece copiosa e diligente ricerca, e godè immensamente quando gli venne a mano la Fisiognonomia del celebre Giambattista Porta ridotta a tavole sinottiche da quel Francesco Stelluti, che amicissimo del giovane Federico Cesi duca di Acquasparta, ebbe il vanto di essere con questo principe, e col ternano Ana- Biografia del Castrec* 267 stasi o De Filiis, e coli' olandese Gio : Eckio , uno dei quattro, che nel M agosto 1603 fondarono la illustre accademia de' lincei. Questo lavoro dello Stelluti, non citalo nella storia che de' lincei scrisse il dottissimo principe D. Baldassare Odescalchi , e I' opera grande di Hernandez , ove si fa menzione dell' illustre autore e dove esiste una sua lettera datata da Fabriano , gli furono incitamento onde continuar nella impresa di raccogliere opere patrie. Imperciocché tra gli altri suoi desideri quello era grandissimo di ritornare quandochessia in Fabria- no ; e di ciò scriveva di frequente al eh. Camillo Ramelli suo concittadino ; e specialmente in una epistola del 1840, quando quell'illustre professore dettava la biografia, che poi stampò, del nominato Stelluti nel giornale arcadico (1), così si esprime: » Ho in animo di raccorre libri, in ispecie italia- » ni, riguardanti ogni genere di scienze e lettere, » e spedirli a poco a poco costì. Interesso il suo »> amor patrio a custodirli e farne godere a tutti » quelli che ella crederà. Io amo sommamente che » codesto luogo si vada dirozzando ; e siccome uno » de' grandi mezzi io credo che siano i libri , così » voglio adoperarmi , per quanto è possibile , di » sopperire a questa vergognosa mancanza. Quindi » è che do a lei tutta 1' autorità di disporre dei » medesimi . . . Spero anch' io presto o tardi ve- » nire a godere di questo sacro deposito , che è » prezzo de' miei sudori e del mio pane. Le opere » patrie mi sono a cuore più di tutte le altre : (I) Tom. 87 del 1841. 268 Letteratura » manoscritti, autografi, stampe, medaglie , oggetti » di storia naturale, tutto vado raccogliendo. Molte » cose vengono donate, come vedrà dalle cifre au- » tografe che desidero di conservare. Sarà per me » cosa men dolorosa se andrà smarrito o si lacererà » qualche libro , di quello che sapere che giaccia » polveroso. Queste mie idee, che, se non fossero » dettate dall' amor patrio, sarebbero ridicole , de- » sidero che siano ignote , mentre i malevoli ne » trarrebbero argomento di scherno. Vuoisi ope- » rare e non parlare ». Tali erano i suoi sentimenti, che non devono rimanere ignoti ; né quell' anima onesta se ne può adontare , se è véro che la virtù debba esser pre- mio a se. Di queste opere, essendo gonfaloniere in Fabriano il nobile Nicolò Serafini, gli venne pro- posto fare collocamento nel palazzo del comune ; ed egli volentieri consentì, aggiungendo alle me- desime i vasi etruschi e le medaglie , contento dì una semplice memoria di ricevuta, perchè non riu- scisse duro ai suoi il privarsene. Voleva però in- violabili le condizioni seguenti : I. Che il prof. Ra- ndelli ne fosse il bibliotecario, e che anche in avve- nire vi dovesse essere un uomo di merito, secolare, ed amante della patria e de' libri ; 2. Che se la bi- blioteca si sopprimesse o si disperdesse, i libri ri- tornassero a lui o a' suoi ; e a tal uopo desiderava si ponesse un segno che li distinguesse dagli altri ; 3. Che per allora intendeva soltanto depositarli e non donarli. Sotto queste condizioni i libri furono depositati al comune, e si fece facoltà a tutti di godere siffatto deposito. Biografia del Castreca 269 Mancò intanto la condotta medica in Fabriano, ed egli sebbene vi fosse concorso, pure lungi dal dolersi di non ottenerla, come avrebbe forse dovu- to, se ne rallegrò vivamente, poiché seppe essergli stato preferito un uomo degnissimo di ogni conside- razione. Tanto egli era amico al vero bene del suo paese, che lo desiderava se pur fosse in suo parti- colar danno ! Poiché gli fallì l' andata in Fabriano, si recò a Piperno come medico interino, e vi stette presso che un mese. Durante questo tempo gli fu ospizio dilettissimo la casa del cav. Giuseppe Martelli, nel cui animo ravvisò le doti di un uomo cortese , e versatissimo anche negli studi di medicina, intorno ai quali possedeva libri di antiche e recenti cele- brità. Ma sebbene fosse stato quivi accolto con ogni maniera di gentilezze, e le sue cure fossero riuscite secondo i suoi desideri , pure tale amore lo prese di Roma e delle romane cose, che nel viaggio eh' ei fece per ritornarvi , vedendo da lungi il mirabile prospetto di quella dominante, ne pareva inebriato ed estatico per lo contento. Di ritorno scrisse su- bito l' estratto di un opuscolo della signora Elisa- betta Fiorini Mazzanti intitolato - Specimen briolo- giae romanae. - Oltre la valentia di questa donna , onore del sesso gentile e gloria d' Italia nella scien- za botanica, ei ravvisò nella conversazione di lei siffatta istruzione scientifica e letteraria da disgra- darne moltissimi uomini colti. Intanto a mostrare quanta stima ei facesse delle colte signore, basti il ricordare un suo opuscolo intitolato - Aggiunta alla biblioteca femminile italiana ec. - il cui prin- 270 Letteratura cipio fu il seguente. Aveva il conte Leopoldo Ferri di Padova raccolto e alzato a biblioteca molte e varie opere e componimenti di donne italiane , e nel 1842 ne pubblicò accurato catalogo per mo- strarne la copia e il valore. Il nostro autore nel 1844 volle allargare la gloria del gentil sesso , facendo alla biblioteca suddetta un' aggiunta ragguardevolis- sima di tutti que' lavori letterari di donne , che mancavano nell' opera del padovano, e che gli ve- niva fatto d' incontrare nella faticosa ricerca di molti libri. E perchè non fossero perduti, ne spe- diva o le copie o gli originali al conte illustre , acciocché ne crescesse la ricchezza della raccolta , e questa fosse di stimolo e sprone alle oziose e in- fingarde ; poiché aveva frequente alla bocca V os- servazione : tanto più grandi ed illustri essere state le nazioni, quanto meno debole si è mostrato il sesso, che cosi ora è chiamato. Altra prova se ne ha nelle cure eh' ei prodigò come amico e medico, du- rante il 1843, alla signora principessa Gablanoska, figlia ad Alessandra vedova di Luciano Bonaparte principe ci Canino , quando essa traeva in Roma gli ultimi anni di sua vita infelice. Certo di pa- ziente ingegno più che di medie' arte gli fu allora di bisogno ; poiché la nobile donna nell' abbandono di tutti i suoi più cari , e nella frequente esalta- zione di sue deboli fibre , era piuttosto che di far- machi meritevole di pietà e di affezione. La buona madre di lei mandò al eh. defunto in segno di ani- mo grato e riconoscente alquanti oggetti etruschi ; (Jorio che egli tenne carissimo sino agli ultimi di sua vita, e di cui godeva sempre rammentare agli Biografia del Castreca 27 \ amici osservatori il come , il perchè , e' da chi gli era stato mandato. Uno dei vasi etruschi, da lui pos- seduti , meritò un articolo d' illustrazione dal va- lente marchese Secondiano Campanari , del quale era amicissimo , come di molti e de' più chiari in- gegni, tra cui devesi nominare il celebre prof, don Feliciano Scarpellini , uomo di somma probità e scienza, restauratore e segretario perpetuo dell' ac- cademia de' lincei , alla quale venne egli per sua opera ascritto. Tanta era poi la stima che il prof. Scarpellini nutriva del Castreca,' siccome medico , scienziato, ed uomo di lettere, che sottopose alla sua disamina V opera del cav. I. R. C. De Kirckoff, intitolata - Histoire des maladies observèes a la grande arrnèe francaise pendant le campagnes de Russie en 1812, et d. Allemagne en 1813: - della quale nel 1815 si ebbe la terza edizione stampata in Anversa. Pel voto favorevole e dotto del nostro autore dopo questa disamina il De -Kirckoff fu ag- gregato al novero de' lincei. L' amicizia dell' illustre cav. Salvatore Betti gli valse pure l' onore di essere ascritto fra i col- laboratori del giornale arcadico, e nel volume 82, che è il primo dell' anno 1840, nella nota de' col- laboratori al medesimo trovasi il nome del nostro letterato estinto ; ed indi a poco nel medesimo anno, per consiglio di lui , scrisse e stampò ivi un arti- colo - Intorno Giambattista Da Monte e la medi- cina italiana del secolo XVI , operetta del dottor Giuseppe Cervello di Verona : - ove si rivendica al- l' Italia la prima istituzione della clinica e dell' ana- tomia patolagica ; il che egli s' indusse a fare tanto 272 Letteratura più volentieri , in quanto che non discompagnava gli studi della scienza medica dall' erudizione della storia e dall' amore delle cose nostre. Intorno al medesimo giornale arcadico intraprese dipoi Vin- dice generale di tutti i nomi degli autori e delle materie, che ivi s' incontrano fin dai primi 22 anni che contava allora di esistenza ; lavoro commenda-r bilissimo e che rimarrà a testimonio del suo zelo pei buoni studi , di cui quel giornale è stato sem^ pre mantenitore e zelatore costante. Alcuni amici avrebbero voluto che in quest' indice egli seguisse il metodo tenuto dalla biblioteca italiana di Mila- no , siccome presenta il quadro che dei due primi quinquenni aveva pubblicato 1' Acerbi. Veramente esso sarebbe stato da prescegliere , ove gli fosse riuscito possibile ; ma quello, più che indice, deve considerarsi come un prospetto dello stato scienti- fico e letterario d' Italia dell' anno in cui si pub- blicava. Quindi ne scriveva al Ramelli parlandone come di lavoro, che avrebbe potuto eseguirsi in appresso per 1' arcadico , e com' egli pensava ra- gionando per triennio di tuttociò che fosse materia del giornale medesimo, senza impacciarsi di quel- lo , di che il giornale non faceva menzione. Nulla di meno lo scopo dell' indice, quale ora trovasi , è di fornire il mezzo, onde ricercare il molto buono che nei molti volumi si contiene. E invero per poco che ognuno abbia avuto a mano ne' suoi studi opere voluminose, ben conosce quanto di utilità arrechino si fatti lavori, che i nostri buoni antichi spesso ponevano con diligenza grandissima: come d'altronde in quelle, che ne mancano, qnante Biografia del Castreca 273 diligenze siano necessarie per trarne le ricercale notizie , le quali spesso si raccolgono incomplete ! In un giornale poi, ove scrittori diversi di opina- mento , di nazione e di tempi ragionano intorno ogni maniera di scienze, lettere, ed arti, panni do- versi più che utile riputar necessario una guida che la celebrità de' nomi, e la ricchezza delle cose ne additi. Quindi è da pensare quale e quanta pa- zienza e sudore gli costasse lo scorrere 85 tomi, divisi in volumi 225, per consumare quell'utile, ma ingloriosa fatica. E questo il tempo in cui gli venne fatto di scrivere anche una considerevole quantità di opu- scoli , tra i quali - La vita di Filippo Putì , me- dico di Apiro , - il cui elogio è inserito nel gior- nale delle arti e commercio di Macerata 1781 -tom. U. ) : - Alcune osservazioni sulle morii improv- vise di Roma : La teoria della putredine : - Estratto di alcune memorie scientifiche delV accademia medi- co-chirurgica di Ferrara: - Cenno anonimo sui ri- sultamenti delle operazioni chirurgiche eseguite in «. spirito : - Sulla statistica medica di Milano del dottor Giuseppe Ferrano : - Intorno alcuni lavori sulla vaccinazione eseguiti dalla società medico-chi- rurgica di Bologna : - Sulle lezioni di botanica com- parala di Filippo Parlatore : - Sul trattato delle pietre antiche delV avvocalo Faustino Corsi : - ed altri che gli procacciarono 1' onore di essere ascritto a molte illustri accademie d' Italia. Imperciocché oltre di essere membro ordinario dell' accademia de' lin- cei, ove lesse una memoria sulle ragioni , per cui la loquela sia esclusivamente propria della specie G.A.T.CXXI. 18 274 Letteratura umana ( memoria che fu premiala ) , era pur socio corrispondente dell' accademia gioenia di scienze naturali di Catania , onorario della società agraria provinciale di Ravenna, della medico-chirurgica di Ferrara , degli Ardenti di Viterbo , dei Disuniti di Fabriano , delle scienze , lettere , ed arti di Arci- reale in Sicilia, e di quella di agricoltura ed indu- stria di Macerata, a cui era allora degnissimo pre- sidente S. E. R. monsignor Domenico Savelli. Non è però che tutta lieta e senza affanni gli corresse la letteraria vita. Conciossiachè avendo scritto un estratto dei - Cenni economici-slatistici sullo Stato Pontificio e discorso suW agro romano di Angelo Galli : - molti avrebbero preteso che di loro e delle cose loro tutte , quantunque minime , avesse egli dovuto fare solenne elogio ; il che non si consentiva talora dal merito delle medesime, al- cune volte e il più per la natura di quello scritto, che ne dava conto in correntissimi cenni. Le ine- sattezze e gli errori occorsi in questo lavoro non furono così colpa dell' illustre autore , come del tempo, che gli permise appena di togliere i più so- lenni dal manoscritto, che gli era stato cancellato. Altra cagione di affanni fu a quell' anima rara una statistica sull' arciospedale di s. spirito, nella quale essendo esposte alquante dure verità sull' ammini- strazione economica di allora, queste gli fruttarono non poco di amarezza e cordoglio. Oltre a ciò il disinganno provato nelP esperienza di falsi amici lo faceva sì altamente dolere, che ognuno ne poteva prendere argomento di quanto addentro sentisse nelle cose dell' amicizia, egli che nelle medesime fu Biografia del Castreca 271 tanto costante, quanto alieno a farne delle nuove. In quasi tulli i suoi lavori di storia letteraria ebbe a compagno e aiutatore il conte Muzzarelli , dal quale ancora gli venne il dono di molti e rari ma- noscritti autografi di classici uomini, che tenne pre- giati e cari fintantoché gli bastò la vila, e de' quali meditava comporre una raccolta sotto il titolo di Antologia epistolare. Ma poiché non molti nomi di soci si raccolsero a coprirlo da una spesa superiore alle sue spalle, depose il pensiero della medesima Antologia, e mise a stampa in quella vece un solo volume di Lettere inedite., siccome saggio delle mol- tissime, che aveva in animo di pubblicare. Né tutta questa fecondissima e variala materia di occupazioni, che abbiamo fin qui veduta, gli chiusero il cuore ai più soavi sentimenti; che anzi [in quella natura cosi severa all' aspetto , e sotto quel volto si pieno di malinconici pensieri, si nascondeva uno spirito tanto dolcemente inchinalo alla bontà, e così facile alle tenere afiézioni di famiglia , che arse del più gentile e fervente amore per una gioviue parimenti affettuosa e gentile della casa Ceas ro- mana, alla quale finalmente si congiunse in vincoli matrimoniali. In questo felice connubio si consolò egli in parte delle piaghe apertegli nel cuore dalla lontananza de' suoi più cari, e trovò nella pace do- mestica un sicuro porto alla sua vita solinga , con- dotta il più delle volte senza metodo e senza modo. Di fatti tutto che può sentire cuore di donna , e immaginate mente di uomo , prodigò all' illustre estinto la virtuosa Albina (che tale é il nome della consorte di lui), non che la famiglia di lei, che pure 276 Letteratura gli aveva posto grandissimo amore. Intanto erano già cominciate quelle politiche vicissitudini, che poi fruttarono tante lagrime e tanto sangue alla mi- sera Italia. Il Castreca era stato assunto a compagno dall' esimio prof. cav. Betti, che lo propose a Sua Santità, nella revisione di ogni maniera di scritti , che dovevano venire a stampa coli' approvazione del supremo consiglio di censura ; e come tale di- simpegnava sotto la direzione dell' uomo saggio quell' onorato officio. Ma fattosi poi incontro quel tempo, in cui occorse novità di governi e di leggi nello stato pontificio, anzi in Europa tutta , poiché una smodata libertà di stampa scosse ogni ordina- mento di preventiva censura, dallo stesso cav. Betti fu proposto , e per cura di lui ammesso siccome uno dei compilatori del foglio officiale. Si chiamò egli fortunato di vivere in quella stagione, in cui dapprima pareva che tutti gli uomini d' ingegno aver dovessero il premio della virtù; e certamente non erasi ancora del tutto manifestato quali malvaggi disegni covassero i nuovi politici gridatori nelle belle loro parole e promesse. Ciò nulla ostante con- secrato a quella scienza che contempla fin dal suo nascere gli uomini, ed in ogni azione della vita li segue , e con loro per cosi dire anche estinti ra- giona , vide egli chiaro che dall' applicazione di fallaci opinioni non possono derivare che errale conseguenze. Quindi rammentava al suo amico, il Ramelli, come anche nella classica terra della li- bertà della stampa ( in Francia ) erano nel giugno del 1844 imprigionati 27 tra responsabili e compi- latori di giornali, e che dal 1830 sino a quel tempo Biografia del Castreca 277 il giornalismo aveva pagato sette milioni e mezzo di franchi per multa alla sua libertà , ed aveva su- bito 184 anni e 10 mesi di prigionìa. Dalle quali verità egli veniva deducendo , che qualunque legge può essere abusala dalla nequizia de' tempi ; e che la felicità degli uomini si debba, più che dalle isti- tuzioni , attendere dai costumi. Quando surse perciò dalle pubbliche esorbitanze la sanguinosa repubblica romana, egli si tenne lontano dal prender parte ai consigli de' suoi superiori ; non fu ascritto ad alcun circolo popolare ; non impugnò le armi a favore delle idee che dominavano ; non iscrisse linea con- tro il potere legittimo del pontefice : ma tennesi modesto e tranquillo, anche perchè già da cinque anni le fatiche continuate degli studi gli avevano fatta nascere una infiammazione intestinale, che len- tamente gli logorava la vita. Pertanto nel suo ultimo tempo , quando già erano ricomposte in pace sotto gli antichi principi le cose d' Italia e di Roma, egli, che consumato era fino alle ossa, si avvide che gli veniva dal malauguroso morbo tolto il bene di ri- prendere gli amati studi ; di che si tenne mesto senza consolazione. Era tanto mutato dallo stato pri- miero, che le sensazioni una volta piacevoli e care gli divenivano o indifferenti, o noiose, ed. anche mo- leste ; e se si fosse contrariato a qualche suo desi- derio o aspettazione , rendevasi oltremodo inquieto per la collera, di cui a fatica soffriva gl'impeti pu- ramente meccanici. L'ottima moglie e la famiglia di lei , sperando che 1' aere aperto e leggiero non che la vista della verde e allegra campagna potes- sero farlo rifiorire in nuova salute , il condussero 278 Letteratura ad una lor casa di Arsoli, ove hanno possedimenti e benessere. E veramente pareva che le cure del- l' amorosa moglie , la lontananza dai tumulti della capitale, la quiete de' campi, e la domestica pace, in queir esausto ed infiacchito corpo producessero dapprima un qualche miglioramento. Ma poi tutto a un tratto un giorno fu preso da tale un assalto nervoso, che lo costrinse a svenire. Si abbracciò al- lora con tutte le forze alla sua diletta Albina, chia- mandola replicatamente a nome ; ed essa , nell' af- fanno del suo cuore, con parole di conforto e ca- rezze sembrava volesse colla sua vita rattenere la fuggente vita del consorte. Indi a poco l'anima di lui era volala al cielo, lasciando in terra la moglie, gli amici , e i parenti a piangere l' immatura sua fine , che avvenne nella sua età di 32 anni , il giorno 8 di novembre dello scorso anno 1849. Fu il Castreca di mezzana statura, adusto della persona , di viso piuttosto lungo, ciglio ed occhio nero, fronte larga nei lati, e bocca grande con labbra grosse anzi che no. Folti e lunghi mostacci grandeggiavano sulla sua barba non rasa ; e que- sta, adombrandogli il mento, gli ricopriva in parte la macie del volto. Amò gli umani sludi delle let- tere, e nelle scienze naturali fu versatissimo ; grave nel tratto, taciturno il più delle volte, bastava una sua parola per chiarire quale egli fosse nell' animo. Non seppe né volle mai far servo il proprio voto al volere o potere altrui , onde cattivarne onori e dovizie; ma, integro del sentire, ed aperto nel ma- nifestarsi , imitò invece l' esempio dell' incorrotto Labeone , ove disprezzando I' immeritala taccia di Biografia del Castreca 279 pazzo, che Orazio per interessata obbedienza ad Au- gusto gli tributava , fu presto a rispondere essere ad ogni uomo dato di esporre liberamente, purché innocuo , il proprio giudizio. Né da tanta bontà e sapienza andò scompagnato il corredo d' ogni altra virtù: che fu egli uomo di soda religione e d'in- tera probità, illibato anzi severo nel costume, e cit- tadino pel pubblico bene operosissimo. Non ebbe consolazione di prole , cui lasciare in retaggio l' esempio ; ma la memoria di lui rimarrà eterna- mente scolpita nel cuore de' suoi amici, e più nel- 1' anima della giovane sua moglie, di cui fu amo- revole cura che il chiarissimo mancato ai viventi si avesse degna magnificenza di esequie. La se- guente epigrafe incisa sopra la sua tomba ricorda ai futuri il nome e le virtù dell' estinto. 280 Letteratura D. 0. A-. ONERI . ET . MEMORIA E HENRICI . CASTRECA . RRVNETTI DOMO . FABRIANO QVI MEDICAM . ARTEM . ROMAE . PROFESSVS MORVM . INTEGRITATE . ET . OMNIGENA . DOCTRINA PRAESTANS IN . PLERAQVE . PER . ITALIAM ERVDITORVM . COLLEGIA . COOPTATVS TARIIS . OPER1BVS . ELEGANTISSIME . SCRIPTIS REM . LITTERARIAM . ADAVXIT HEV SÀLVBRIOREM . SIRI . AEREM . ARSVLARVM . QVAERENTEM DIVTVRNl . ILIORVM . MORBI VIS . ABSVMPSIT VI. 1D. NOVEMBR. MDCCCXLIX AETAT1S . SVAE . XXXH . MENS. X ALBINA . ET . IO. BAPT. CEAS CON1VGI . ET . LEVIRO . INCOMPARABILI MVLTIS . CVM . L\CRIMIS . PP. Rimasero per la sua morte incompiuti ed ine- diti molti Inveri letterari e scientifici , tra i quali il seguito dell' Indice del giornale arcadico fino al 1850. Alcuni materiali pel dizionario di enciclo- pedia di scienze , arti , e mestieri. Un catalogo , a forma pure di dizionario, di tutte le citta ove esi- stono biblioteche , e descrizione e storia delle me- desime con quanto in esse vi ha di più curioso e raro. Alcuni elementi di mineralogia. Tre volumi Biografia del Castreca 281 di collezione di cose scientifiche, letterarie, e sto- riche , cavate da celebri autori antichi e moderni. Un intero dizionario di frenologia e di fisiogno- nomia , ove si osservano le principali nozioni di ciaschedun organo del cranio Finalmente ha la- sciato molti autografi preziosi e rari d' uomini in- signi, da lui ( come si è detto ) tenuti carissimi, e con ogni amore conservati. Queste ed altre simili furono le ricchezze, che nella sua morte si rinvennero ; imperciocché, seb- bene non avesse avuto mai occasione di farsi ricco, pure anche potendo non 1' agognava, bastandogli la mediocrità de' suoi guadagni, ed abbonendo dalla sordida avarizia, della quale a ragione teneva non esser vizio più sozzo e nefando; perchè soleva dire d' avere apparate le scienze per acquistarne dot- trina , non per farne basso commercio. Molti gior- nali si onorarono di averlo a collaboratore, ed egli scrisse diversi articoli nel Mondo illustrato di To- rino, nell' Album di Roma, e nella Locomotiva. Nel Perfetto leggendario de santi nove vite si trovano col suo nome , come altresì pubblicò le Memorie sloriche intorno ai cardinali di S. R. C. Guglielmo e Giovanni di Montholon. Se fosse egli vissuto in altri tempi più dedicati agli studi , che non son questi, avrebbe avuto certamente il merito di quel- le lodi , che cessano di essere sospette , quando 1' uomo più non esiste. Ma che vagliono le sole laudi, che i superstiti tributano agli estinti ?... Pre- ghiamo che la ricordanza ognor rediviva del dottor Enrico Castreca Brunetti di Fabriano sia feconda di vero bene, moltiplicando ingegni e cuori simili al 282 Letteratura suo per vantaggio delle lettere e della comune pa- tria, onde compiasi una volta quel sublime ufficio, al quale la provvidenza ci ha destinati. Giuseppe Angelini. Elogio di monsignar Pellegrino Far ini scritto da G. Ignazio Montanari. amore de' lodati studi e il debito della gratitu- dine m' impongono oggi di favellare nelle lodi di un uomo, che fu de' più utili e de' più chiari che la Romagna, madre sempre feconda d' ingegni, ab- bia a' dì nostri prodotto. Che monsignor Pellegrino Farini educando, insegnando, scrivendo, fece di gran bene alle lettere, alla gioventù, ed alla patria; e non è terra d' Italia che o dall' educazione data da lui, o dall' insegnamento , o dalle sue scritture non abbia alcun poco a compiacersi e congratula- re, e verso lui non prenda obbligo grande di rico- noscenza. Ed io principalmente che a lui debbo quella copia, qual eh' ella siasi, so bene che pic- cola, di lettere che a voi, miei giovani, ho dispen- sato e verrò dispensando (1) , io non posso a lui (t) Questo elogio doveva leggersi in occasione eie' premi ui- Mrilmiii: ma per imprevediile circostanze non fu Iella. Biografia, del Farini 283 stesso negare senza taccia d* ingrato quello che in' ebbi da lui, e che in ogni tempo della mia vita da' suoi precelti ed esempi mi convien riconoscere; anzi pure dall' educazione eh' egli mi diede. Perchè essendo io stalo posto nel collegio di Ravenna, di cui egli allora aveva il governo, e con tanta sa- pienza da vincere o almeno per la gloria della ci- viltà e degli studi eguagliare qual altro fosse in voce di buono e lodato, ivi principalmente comin- ciai a comporre la vita all'onestà, la niente alle lettere , il cuore a' virtuosi affetti : ivi cominciai a sentire amor di lode, e prendere vaghezza di quelle fatiche, che allora in prima, poi sempre tutta 1' età mia conforteranno. Giusto è adunque che io vi parli di questo che fu mio maestro e padre dolcissimo, anzi più che padre ; e voi cortesemente , confido , darete orecchio alle vere parole che io di lui vi dirò. Sebbene non vorrei che voi aspettaste che tutte le bontà di lui, tutti i pregi della sua mente e dell' animo suo annoverassi: perchè io dovendo a brevi termini restringermi, non posso né debbo dire tutto, avvegnaché tutto dir mi piacesse. Però la- , sciata da parte ogni altra cosa, a tre sole mi fer- i mero : e parlerò prima del merito eh' egli ebbe i neh' educare, poi del valore che mostrò nell' inse- gnare, da ultimo della gloria eh' egli co' suoi scritti a se ed alla sua patria acquistò : onde poi quella chiarissima fama, a cui venne il suo nome , che niun tempo , niuna permutazione potranno giam- mai oscurare. Prendere officio di educare i giovani è cosa di sì grave momento, che io non so dire se altra 284 Letteratura possa esserle anteposta ; perchù sovente dalla bontà dell'educazione ricevuta dai giovani dipende la for- luna delle famiglie, delle città, delle intere province. E tante sono le cose da codesto officio richieste, e tanto tutte necessarie, che il mancar d' una è quanto toglier peso e menomar pregio all' altre. Le case di educazione non sono che grandi famiglie, il capo delle quali fa le veci di padre , e debbe averne tutte le qualità come n' ha gli attributi. Esse si go- vernano meglio coli' autorità che colla forza , più coli' amore che colla austerità : sempre però che 1' amore non si cangi in debolezza, la quale scio- glie il freno della disciplina , ed ogni cosa guasta e corrompe. E appunto è breve la vita e la fama di cotali luoghi, perchè non è agevol cosa trovare in copia uomini di tanta perfezione, che bastino al reggimento: ond' è che spesso la fortuna de' collegi sorge e tramonta col sorgere e tramontar della vita (Y un uomo solo. Era stato in Ravenna un liceo convitto, lodato abbastanza, ma non sopra gli altri. Cessato il regno d1 Italia, si volle continuarlo , can- giandone forma e reggimento, e si cercò persona che potesse e sapesse ben condurlo. E non era certamente di picciolo affare ricom- porre un luogo di educazione in modo che alla vecchia civiltà non ispiacesse, e non nocesse alla nuova. Perocché in quella stagione appunto torna- vano in lotta amendue: e la prima, forte nei vecchi privilegi, quantunque domati da quello sconvolgi- mento che fé cangiar faccia nell' ultima età del se- colo decimoltavo a tutta la società di Europa , si levava eli nuovo a combattere la seconda, che della Biografia del Famni 285 vita ancor novella sentiva tutti gli spiriti e la vi- gorìa. Vedevano che 1' ordine degli antichi collegi serviva maravigliosamente ai costumi dei tempi pas- sati, né poteva bene acconciarsi a' novelli , princi- palmente per questa ragione, che prima del secolo decimonono usavano agli studi solo giovani di gran sangue, i quali volevano non altro che occu- pare la vita nelle delizie delle lettere , o parlarle ne' gradi più alti, a cui quando che fosse la eou- dizion propria li avrebbe chiamati ; cosicché né fretta né bisogno vi era di correr presto quell'arin- go. Ma dopo quel tempo la novella nobiltà e la borghesia ( che così chiamano la classe di cittadini agiati di beni della fortuna ) aveva bisogno di spae darsi presto più che possibile fosse, ed uscir delle scuole per mantenersi col frutto degli studi : per- chè ogni soverchio indugio scemerebbe il ristoro della spesa e della speranza. La qual cosa vorrei osservassero bene coloro, i quali non guardando che al presente ed ai propri comodi , giudicano così alla sbrigliata del passato: perchè alla fine tro- verebbero che ciò cui essi dan biasimo fu buono utile e lodevole ai tempi in cui nacque, e non eb- bero i padri nostri intenzione di nuocere ai nipoti ritardandone il progresso, ma di giovare a sé nella condizione de' tempi e de' costumi in cui essi vive- vano. Che in vero non fu difetto in essi voler pro- gredire sì lentamente, anzi fu con buon senno : ed è solamente difetto in noi, perchè ad altra condi- zione in diversa società ci viviamo. Ancora dove- vasi procurare di disporre le cose per maniera che nel nuovo collegio i nobili imparassero a piegarsi^ 286 Letteratura e lasciare ogni ombra delle vecchie distinzioni , senza smontare di que' principii di religione e di onestà e cortesia, che sono il più beli' elogio del- l' antica nobiltà : e quei che non avevano vena di vecchio sangue , e uscivano allora o poco innanzi dalle classi inferiori , apprendessero quelle virtù e quelle doti, per le quali V uomo si leva in alto, e si rende degno di riverenza nel mondo , facendo obliare i bassi natali, e le arti con che la fortuna Io volle sollevare. Erano grandi e forti difficoltà : e per riuscire con lode, conveniva vittoriosamente superarle. Fu dunque chiamato Pellegrino Farini, semplice prete e di semplicissima vita , tutto dato alle lettere e alle cure sacerdotali, noto per la dol- cezza de' suoi modi, 1' illibatezza de' suoi costumi , la civiltà del suo nascimento ; che anche questa è cosa di rilievo, specialmente se congiunta colla ci- viltà dell' educazione e degli studi , come appunto in lui avveniva. Stette sul niego in sulle prime: di- ceva bastargli l' incarico dell' insegnare ( poiché già professava ivi lettere italiane e latine ): ma non po- tendo alle inchieste, che tante erano e tanto auto- revoli, negarsi più innanzi, quasi tremando accettò. » Quando penso (egli diceva nel discorso che tenne » per 1' apertura del collegio) che l'allevare i gio- » vani alla pietà, alla virtù, alle dottrine, alle buone » arti , alla gentilezza è cosa che domanda cure » grandissime , e lunghe , e continue , e come di » queste cure gran parte se ne impone a me , io » mi sento tutto tremare. L'obbligo che me ne » viene è sommo per ogni rispetto. . . E se poi a » tanto debito io abbia bene o male soddisfatto, me Biografia del Farini 287 » ne giudicheranno non solamente gli uomini, ma, » quello che monta più assai, ne sarò giudicato da » Dio, il quale so che me ne farà giudizio duris- » simo. Questo pensiero mi conturba tutta 1' ani- » ma ». Ma perchè dubitoso e quasi di se sfidu- ciato ponesse mano al governo del collegio , uon però gli venne meno alcuna di quelle cure che egli avvisava necessarie ; e ben tosto così dispose ed or- dinò, che gli uomini ebbero a maravigliarne, spe- cialmente considerando i frutti che di là dovrebbero a non molto raccogliere. Aveva da natura bellissime qualità; una tempra purissima di animo, una per- spicacia finissima d' intelletto, una maniera di sco- prire le diverse inclinazioni, di secondarle se buo- ne , deviarle se ree ; un' autorità nel contegno e nelle parole, una conoscenza del cuore, che non so io altri che abbia tutte queste doti possedute ad un tempo. Ancora grande ingegno e studio più gran- de, con fama di molto sapere, e tale innocenza di vita , che ognuno gareggiava di torselo a specchio. Le quali doti mise tutte in opera perchè il pio luogo acquistasse grido , e al grido rispondesse il fatto della buona educazione. Ma perchè conosceva quanto era difficile e laboriosa impresa quella di formare i giovaui nell' anima e nel corpo, e come ad un solo malagevole sarebbe disporne le volontà al bene, la mente alle dottrine, gli atti all'urbanità, cercò aiuta- tori, e presto li ebbe trovati quali desiderava. Pose un valente sacerdote alla direzione dello spirito, in- vegliasse, scoprisse inclinazioni, temperasse colla re- ligione i bollori della giovinezza, colle pratiche de- vote disponesse gli animi alla riverenza delle cose 288 Letteratura di Dio, e a riconoscere ogni bene da lui: cosicché T integrità de' costumi, l1 innocenza dei desiderai nei giovanetti si mantenesse, e si avvivasse la credenza di quelle verità , senza le quali 1' uom si confonde spesso cogli animali bruti. E perchè le tante cose me- plio e più profondamente si stampassero nelP intel- letto, volle che sempre le devozioni con debito ap- parecchio si facessero, acciò il senso aiutasse direi quasi la mente a concepirne l' altezza e 1' impor- tanza. Poi ad un altro ecclesiastico, veramente da ciò , commise tener conto di tutto che alla civiltà specialmente e alla disciplina riguardasse. A mae- stri trascelti, coi quali egli era corpo ed anima, fidò 1' educazione dell' intelletto. Ma perchè 1' unità è solo principio di prospera riuscita , egli sovente con essi spendeva tempo nella considerazione delle «ose: ed ove fosse mestieri operare, si univa al fatto per modo , che pareva non molti uomini, ma una sola mente per tutti governare. Ne solamente quasi ogni dì si ristringeva a consiglio con questi suoi valenti aiutatori, ma cogli altri che aveva posto a capo delle camerate de' giovani, i quali erano sem- pre specchiati sacerdoti , o cherici fuori di quella giovinezza che non si acquista rispetto , o almeno entrati alla filosofia. Le camerate poi con gran senno divideva secondo la ragione degli studi, per- chè è pur questo buon mezzo per tenere in più continuati esercizi di studio i giovani : e diceva più che allo sviluppo della persona, a quello della mente, doversi badare. Egli, può dirsi, era prefetto d' ogni camerata, perchè i prefetti erano una cosa con lui, né d' un apice si sarebbero dilungati dal Biografia del Farini 289 consiglio o comando o norma eh' egli avesse dato. Così collegati benissimo fra loro tutti i reggitori , le forze cospiravano in una, e movevano con tale esattezza, che quel collegio aveva faccia di ben go- vernata famiglia. Di qua veniva ne' giovani rive- renza grande verso tutti i superiori, un pronto ob- bedire, un amore di lode, una compostezza di ani- mo , che non si potrebbe abbastanza commendare. Ma se in noi era molto 1' affetto a lutti, perchè in ogni superiore rispettavamo, oltre la sua qualità, la sapienza e la bontà del rettore, sopra ogni credere era grande la riverenza e 1' afletto che a lui porta- vamo. Qualunque cosa noi desiderassimo , bastava dicessero « spiacerebbe al rettore » perchè tutti ad una voce ne cessassero la voglia e il desiderio. Se alcuno mancava agli obblighi o della scuola o d' al- tro , e n' aveva castigo , supplicava a man giunte noi risapesse il rettore, perchè amareggiare I' animo di tal uomo ci pareva colpa da non perdonare. Così se alcuna volta visitando egli le camerate , eh' era quasi ogni dì, ci accorgevamo di esser guar- dati bruscamente, senza eh' ei facesse parola ce ne accoravamo sino alle lagrime. E questo modo te- neva egli sovente di punirci con una occhiata , premiarci con un sorriso , non mai disgiunto da gravità; perchè egli non scendeva mai di quel suo autorevole contegno: e mentre egli ci mostrava cuoi- di padre, non ci faceva mai dimenticare eh' egli era superiore. Però sempre nel conversare con noi te- neva modo affabile sì, ma non domestico; le sue parole erano sempre non solo quali da gentilezza sono richieste , ma quali il minore può dal mag- G.A..T.CXXI. 19 290 Letteratura giore aspettarsi. Talora entrava a vedere i nostri sollazzi, e pareva prender piacere de' giuochi e de- gli esercizi ginnastici, nei quali ci occupavamo; ma io posso giurare che non 1' ho mai visto abbando- narsi al riso , come nelle gravi riprensioni non fu mai chi il vedesse trasportato dalla collera. Mo- strava sdegno delle colpe , era severo , non aspro ne' castighi; ma dalla faccia, dalle parole, dal suono della voce si faceva manifesto che 1' animo suo era composto e tranquillo ; che amor del bene nostro, non ira, 1' induceva a metter mano al castigo, cosa che ben di raro avveniva ; e solo quando o capar- bietà d' animo nel giovane, o scorgeva anche offeso il costume, e violata la disciplina del luogo. Ch' egli veramente nel mantenere salva e vigorosa la disci- plina sopra tutto si adoperava : perchè diceva, che le leggi e le consuetudini poste da maggior sa- pienza, che non è quella de' presenti, non si rompe- vano mai ad un tratto, ma sì a poco a poco , ove si lasciassero lentamente logorar dagli abusi : e però doversi star saldi , e operare che sempre integre ed intatte nel pieno lor vigore si rimangano. Era cauto assai ad ammettere riforme, non però dalle buone e sperimentate si asteneva : perchè diceva , quelle non essere mutazioni, ma miglioramenti co- mandati dall'esperienza, o dal mutare dei tempi, ai quali pur si conviene alcuna cosa concedere ; se no, l'educazione non sarebbe intera e conveniente ab- bastanza. Aveva poi una penetrazione tutta sua propria per entrar dentro la mente di chichessia , e non vi era cosa eh' egli da sé non presentisse , anche prima d' averne un cenno dagli altri : onde Biografia, bel Farini 291 assai facile gli tornava riparare a quegli inconve- nienti che sempre difficilmente si evitano nel go- verno di una grande famiglia. Ancora l' aiutava assai quel suo saper leggere nei cuori de' giovani , scoprirne le inclinazioni, misurarne l' ingegno e gli affetti ; e quel suo pronto trovar medicina secondo l' infermità. E questo era suo studio speciale, e però spesso gli accadeva piegare volontà restie, accendere buoni desideri, cessare pieghe pericolose, innamorare tutti del vero sapere e della virtù ; guadagnandosi T animo de' giovani per modo, che non era chi a lui non iscoprisse, anzi nudasse tutto se, fino a' più re- conditi pensieri. Io credo che in faccia a lui ninno , per tristo che avesse 1' ingegno, abbia voluto o sa- puto mentire giammai : la nostra volontà era tutta nelle sue mani. Noi eravamo sì fattamente presi di lui, che vederlo, parlargli, era una contentezza, una festa ; averne una lode, riputavamo un premio dei maggiori del mondo. Ne 1' uscire del luogo , finita che fosse 1' educazione, cessava in noi il rispetto e V amore ; egli conservava sugli uomini queir auto- rità che sui giovanetti aveva esercitata. Non era poi fuori chi veggendo per lui fiorire quel luogo e cre- scere tanto in fama di sapere, di virtù, di urbanità, noi riverisse : basti dire che dall' un canto all' altro d' Italia accorrevano i giovani ; e credevauo i padri loro aver bene ad essi provveduto, mettendoli nelle mani del Farini in quel collegio, del quale egli era sì savio e virtnoso moderatore. Ma se lui riverivano ed amavano tutti , certo che i suoi discepoli passavano oltre ogni segno. JE come no ? Bellissima fama V accompagnava, la quale 492 Letteratura alla prova era vinta dal fatto Che se alcuno senza conoscerlo pure di nome fosse entralo alla sua scuo- la , gli era forza al primo vederlo ed udirlo pren- dergli affetto e riverenza. Egli nella scuola offriva V immagine d' un padre che tutti egualmente ab- braccia, e al bene di ognuno per quanto può in- tende. Tutti i pregi che Quintiliano domanda nei maestri, erano in lui : eravi ancora una dottrina ol- tre 1' usato grande , una facondia e chiarezza nel- 1' esporre, che io non so se altri n avesse maggiore. La sua scuola poi per la semplicità dell' insegna- mento, e la sodezza delle dottrine, credo poter dire fosse unica e sola a que' tempi. Vero è che Dio- nigi Strocchi ( nome venerando come di grande benefattor delle lettere ) cogli ammaestramenti suoi già molti aveva formato , e principalmente il Fa- rini , eh' ei soleva chiamar suo figliuolo ; e con Paolo Costa, altro suo discepolo non men del Farini potente d' ingegno, aveva un pò stenebrate le menti, e mostrali gli antichi errori de' maestri ; ma questo al bene degli studi non sarebbe al certo bastato. Perchè tornata in pie 1' antica signoria nel mille ottocento quattordici , e con essa in molli 1' amor de' metodi anlichi, era necessario che un forte in- gegno si levasse di nuovo a battagliare , e trion- fasse della vecchia pedanteria. Né solamente rispetto ai metodi era forza combattere , ma ben anche ri- spetto al gusto \ perchè in molti , usati a studiar male , viveva ancora un amor grande alla poesia del Frugoni e de' suoi seguaci ; vuò dire all' am- pollosità ed alla fronda, avuta in luogo del sublime e del vero. Il Farini si pose a tutt' uomo a riordi- Biografia del Farini 193 nare il metodo, e a ripristinare il buon gusto; sgom- brò le scuole da quella mole di precetti, non so se io dica più futili, o più infruttuosi , che martoria- vano i tenerelli ingegni ; la moltiplicità de' libri bandì ; non ci volle che i classici , e pochi , ma molto e profondamente studiati per analisi ; anzi- ché stancar le memorie con una farragine di re- gole, s' arricchiva con esempi tolti dai grandi mae- stri ; nei quali esempi faceva vedere le norme del ben comporre, non meno che 1' eleganza e bellezza dell' una e dell' altra favella. Le lezioni del retore inglese prescelse , come quelle che toccano fondo nella filosofia dell' arte , tutte le letterature civili comprendono , e insegnano ogni forma di compo- nimento, vuoi in verso o in prosa. Ma le lezioni eh' egli a voce faceva , prendendo occasione da quelle del Blair , erano molto più adatte e frut- tuose. Sembrava Isocrate quando parlava; la sua scuola non invidiava alcuna delle greche accade- mie. E se parevagli che alcuna lezione mancasse al bisogno delle lettere nostrali, ei la dettava. Ricor- dami che bellissima fu quella che ci dettò intorno il bello, e il modo di applicarne le norme alle let- tere ed alle arti. Dichiarata così la parte dei pre- cetti (ed era due volte la settimana), si veniva agli esercizi, i quali in prima non erano che imitazioni date a fare de' più bei luoghi o narrativi o descrit- tivi tolti o da Livio o da Sallustio , o da' meglio storici italiani: i quali luoghi, quando poi ci dettava a modo di correzione , esaminava sottilmente , e comparando l' imitazione da noi fatta con quelli , metteva fuori una ricchezza di precelti e di filosofia 5J94 Letteratura che non si potrebbe lodare abbastanza. Egual modo teneva rispetto la poesia, e il più forte esercizio era farci tradurre in rima o in verso sciolto i brani più belli dei poeti latini, e molti bellissimi di poeti italiani voltare in metro latino. Ai quali esercizi dava spazio conveniente di tempo: e senza blandire la naturale pigrezza di alcuno , voleva che tempo si mettesse a comporre, perchè dicea senza tempo non si fa bene, e alla meditazione doversi adusare la mente da chi voglia aver lode dallo scrivere e dal ben favellare. Ancora molto voleva che si tra- ducesse ; ed a quando a quando dava prose da por- tare d' una lingua all' altra, dicendo che con questo mezzo si approfondisce nelle lingue ; e mostrava non esser cosa di picciol conto saper rendere in una le bellezze di un' altra favella. Inoltre dava , ma più di rado, e più specialmente quando v' erano in mezzo giorni feriali, alcuni temi o di prosa o di poesia ; e nei temi della prosa e della poesia non si scostava mai da' classici : nulla dava di che non avesse poi dai medesimi un esempio da farci registrare. Cosa da se composta non dava mai da comporre a' giovani, stimando col Flaminio ed altri grandi, stolta temerità porre le proprie cose in eser- cizio , invece di quelle dei sommi maestri. Cosi poco o nulla dai moderni , tutto dagli antichi e dai più lodati prendeva. Per 1 esercizio dello spie- gare due aveva principalmente in amore fra i la- tini : Virgilio e Cicerone, e nel primo anno ogni esercizio era sopra questi. Nel secondo Livio o Sal- lustio, ed Orazio: fra gli italiani le vite dei padri, e Dante ; poi del Petrarca le canzoni, e del Boc- Biografia del Farini 295 caccio le meglio novelle. Il suo modo di spiegare era siffatto, che non lasciava nulla d' oscuro, nulla di difficile nella mente dei discepoli, e vi ribadiva tutte le eleganze e le bellezze, o di concetto o d' im- magine , o di sentenza o di elocuzione, con osser- vazioni sì chiare, si ben appropriate , che tutti dal suo labbro pendevamo, e avremmo voluto più lungo lo spazio del tempo concesso alla scuola per più goderne. Voleva ancora che i giovani per via della critica si esercitassero da sé a discernere e sepa- rare il vero bello dal falso, 1' oro dall' orpello: e perciò nel second' anno proponeva luoghi di autori famigerati presso le vecchie scuole, acciò se ne ap- puntassero i difetti, e rilevassero bellezze se vi erano. Esercizio di gran prò , e da non trasandare nelle scuole, perchè avvezza gì' ingegni alla meditazione, e li raffina. Quando poi egli toglieva a fare di tai critiche, con tanta urbanità e soavità le faceva, che ne innamorava gli uditori. Per egual modo era una maraviglia ascoltarlo quando dichiarava la Divina Commedia , e faceva vedere come e dove Dante aveva tolto da Virgilio stile e fantasie : e scopriva i fondamenti della poesia esaminandone l? elocuzio- ne, e quel risentito atteggiar d' immagini e di pas- sioni, che fanno di Dante il maggior de' poeti e de' pittori. E non era men bello udirlo quando comparava Virgilio con Omero, e 1' uno e 1' altro o col Tasso o coli' Ariosto, specialmente in ciò che riguarda la poesia epica, e la natura dell' epopea. Uscirei della brevità, a cui debbo servire, se tutte le cose volessi annoverare, che ho fitte nella me- moria , ed alle quali con infinita dolcezza il mi* 20G Letteratura cuore ritorna. Ma non per questo posso io tenermi dal dire come egli ci consigliava a leggere molto e usar pochi libri. Voleva che ogni lettura «re volte si ripetesse , e si estraesse dal libro , trascri- vendo, quanto poteva giovare ad arricchir di sen- tenze, di concelti, di fantasie, di bei modi la mente. Poi studiando egli l'inclinazione diversa degl'inge- gni, e quasi entrando dentro l' animo degli studiosi, vedeva quale de' grandi scrittori più loro si affaces- se, e in quello esortavalo a studiare di forza: perchè meglio e più ci giova quello scrittore a cui eguale indole ci porta, come più ci giova ne' bisogni della vita commetterci a chi è d' un pensiero e d' un af- fetto con noi. Non tutte le cose sono buone infatti egualmente a tutti : non ogni cibo ad ogni stomaco si confà, e sia pur sano : meglio nutre quello che è più appetito , e a cui naturale disposizione ci porta a dar mano. Osservazione in vero fatta da pochi maestri : e ben degna di tal uomo qual era il Farini. Con queste sue cure ed arti gì' ingegni di- sponeva, arricchiva, e rendeva atti a menare bei frut- ti : i quali soli volle egli avere a difesa del suo me- todo contro il gracidare di quelle rane (I), cui non pare né bello uè buono ciò eh' esse non sanno, anzi pur non seppero mai. Così il buon gusto, che lo Strocchi aveva insegnato a lui, nella sua scuola fece fiorire, e di là poi si diffuse largamente : talché, vinta la prova, solo signoreggiò a trionfo pienissimo (0 Si allude al Maestro Irrotte, libro stampalo da Iacopo Lan- donì maoslro ili botanica screditato e deriso. Biografia del Farini 197 e bellissima gloria del nostro maestro e dell' itali che lettere. Un uomo che con tanta cura 1' educazione dei giovanetti così saviamente dirigeva , e che con tanta prudenza nelle buone lettere gli ammaestrava facendoli antiporre ad ogni cosa 1' antica semplici- tà , e per via dell' esempio e della filosofia guida-. vali a gustare le bellezze dell' eloquenza del Lazio e nostra, non poteva essere altro che da quello che in fatto era, cioè sapiente e bello scrittore. Che non può, chi tale non è, rendere buoni scrittori gli al- tri , perchè l'arte mostrata solo per regole e non per prova riesce mai sempre magra e vanissima. Di qua è divario grande da lui al più de' retori de' suoi dì : il dispregio de' quali è tanto , quanta è la lode che a lui ed a pochissimi suoi pari vien consentita, E qui mi torna a mente quello che a me giovinetto soleva dire, in casa di Bartolomeo Borghesi, ov'io mi stava, il celebre Giulio Perticar^ col quale buona fortuna mi tenne alquanti giorni. » Voi siete fortunato (dicevami il grand'uomo) per- chè avete tale maestro che esce del comune : sen- dochè pochi assai , che hanno nome di retori, san 1' arte che insegnano, anzi a contraria menano i gio- vani, che rendono frivoli, inetti, vani, boriosi. Io fra questi pochi principalmente conosco ed onoro il Costa e il Farini e il Montalti ; non dico dello Strocchi maestro di tutti noi; degli altri non so, né potrei il nome pregiare. Questi che io vi dico sono valenti insegnatoli , perchè sanno alla prova mettere in pratica ciò che insegnano ». Grande e paurosa sentenza per noi, che in tale officio siamo 298 Letteratera succeduti a que' valentissimi. E al certo se altri ar- gomenti non vi fossero del valor sommo del Fa- rmi fuor le scritture eh' egli ha lasciato, sarebbero queste più che bastevoli a farlo onorare nei po- steri come educatore , maestro , e scrittore nobilis- simo. Imperocché tutte le sue opere o sono intorno 1' educazione religiosa e morale, o intorno l' istitu- zion letteraria, o intorno le arti lodate , o in servi- gio de' buoni studi ; e tal quale noi lo troviam ne- gli scritti, fu l' ingegno e l'animo suo. Incomin- ciando adunque da quelle scritture che parlano dell' educazione , abbiamo alcuni discorsi, parte dei quali da lui letti in varie occasioni, o inaugurando gli studi, o distribuendosi i premi agli alunni in fin dell' anno scolastico, i quali possono reputarsi un vero tesoro ; tanto sono pieni di ottimi insegna- menti, di gravi e vere sentenze. Il discorso ch'egli lesse per 1' aprimento del collegio di Ravenna, l'al- tro del troppo e del molto nell' educazione, e 1' altro ancora sopra 1' obbligo grande che hanno i giovani bennati di farsi dotti e buoni, sono dettati con tale filosofia, che in leggendoli credi tratto tratto star con Plutarco e con Tullio in tempi assai migliori de' nostri. Bellissimo è pur quello ove si tratta de- gli obblighi de' genitori che danno i figliuoli ad altri da educare, nel quale egli fa toccar con ma- no, che se non è religiosa, costumata e civile la domestica educazione, non può riuscire l' educazione del collegio : perchè quali sono i primi germi posti nell'animo de' giovani, tale è poi la pianta che n'esce. E però egli prima di accettare un giovanetto, faceva lungo esame sull' educazione che in prima avea ri- Biografia del Farini 299 cevuta : e se non gli pareva da ciò, negava di rice- verlo. Pochi e buoni giovani, diceva egli , bastano all' onore del luogo : i molti sovente sono a danno e mal nome. Perchè poi delle cose di Dio era tenerissi- mo, e non pativa che fossero minimamente trascurate, egli a rendere più i religiosi giovani con una let- tura, la quale fosse come specchio all' anima loro , tolse a voltar dal francese le vite degli studenti edu- cati ne' piccoli seminari di Francia; e la traduzion sua elegante assai mise loro in mano. Lamentavano molti che il primo libro, che si dà leggere a' fan- ciulli, fosse dettato in istile barbaro e poco adatto : ed egli si fece a scrivere da capo a fondo la storia del vecchio e nuovo testamento, e la die in luce, con grande plauso di tutti quei che amano la pietà, e la nettezza dello stile. Non mi fermerò ad enco- miare quest' opera, perchè la voce universale fin dap- prima la disse eccellentemente italiana e religiosa ; e il Giordani e il Cesari ed altri l' onorarono di degne lodi. Noi solo pregheremo i maestri a proporla , i giovani a studiarvi dentro: e con ciò crederemo aver data all' autore e all'operala migliore e più vera lode. Compose ancora vari discorsi, e recitati li pub- blicò, intorno le lettere e le belle arti, nelle quali sentiva molto innanzi, e dava rettissimi giudizi ; dei quali i più celebri sono i seguenti: 1. Sulla neces- sità di studiare la lingua italiana : 2. Sopra alcuni versi del Frugoni e di Dante. Intorno al primo de' quali io credo poter affermare, che ivi sono tutte le più forti ragioni a convincere ed a persuadere , cosicché nella brevità di un ragionamento abbia saputo conseguire quel fine che lunghi trattati ap- 300 Letteratura pena si potrebbero promettere. Egli fa conoscere che principalmente nel secolo decimo quarto si dee studiare la lingua, e molto parcamente negli altri, e non senza precauzioni: il quale discorso fu di grande profìtto., perchè dopo ciò che il Farini insegnò, tutte le scuole nostrali impresero a curar meglio che pri- ma la nativa favella, e su migliori norme condurne V ammaestramento. La bellezza poi dell' altro , in- torno alla poesia del Frugoni e dell' Alighieri, gli valse il plauso di tutti i savi. Il Cesari in una sua lettera cosi si esprime: » Del Farini aveva io letto il ragguaglio bellissimo eh' ei fa di una lettera del Frugoni con un canto di Dante; e già fin d' allora conobbi l'uomo e l'amai ». Ancora il Giordani, per tacere d' altri molti , si congratulò con lui , e per 1' amore dell' Italia, per 1' onore delle lettere lo scongiurò a seguire animoso nella lodevole impresa. Vero è che codesta sua fatica gli procurò invettive e sdegni da coloro che delle frondi si pascono; ma egli, che s'era fatto alla scuola dell'Alighieri, seguì il precetto del suo maestro : - Vien dietro a me e lascia dir le genti : - Sta come torre ferma che non crolla - Giammai la cima per soffiar de' venti. - E questo modo eh' ei tenne crebbe a lui fama ed ef- ficacia alle sue dottrine. Intorno a cose di belle arti è da leggere ciò che egli scrisse sui quattro nuovi dipinti del duomo di Ravenna; e l'altro sulla Laura del Petrarca dipinta dall'Agricola: e quello infine in che tratta delle ragioni dell' inventare nella pit- tura vedute nella poesia. Poi a conforto della prima età si diede a compilare la storia di Roma antica, e la condusse a fine con felicità grande. In essa a Biografia del Farini 301 luogo a luogo mise i più eloquenti tratti degli sto- rici latini ; forse per innamorare fin da' primi anni i giovani di quelle maravigliose loro bellezze : poi colse il destro, offertogli a quando a quando dalla narrazione dei fatti, di moralizzare , e intromettere massime e sentenze utilissime e vere per formare ad un tempo l' intelletto ed il cuore. Altre cose an- cora, delle quali ma passo, egli diede in luce; tutte per bellezza, eleganza, e nitidezza di stile degne d' essere poste in esempio, senza temere confronto né di antichi ne di moderni scrittori. Special dote d' ogni suo scritto è poi una invidiabile semplicità, ingenerata in lui dallo studio indefesso de' trecen- tisti, dalla quale egli oltien sempre una elegante chiarezza, e quell' ordine veramente lucido, che ti fa leggere con diletto, e senza provar sazietà. Que- ste sono le opere del Farini pubblicale da lui : forse altre ve n' ha da pubblicare, e mi sarebbe pur caro vi fossero le sue lezioni intorno la Divina Commedia, e quelle intorno le prose del Tasso, di che egli fu tenero oltre ogni credere: tanto gli pa- revano belle di eloquenza, grandiose di stile; e gli altri discorsi in fine che ho ricordato , da lui det- tati sopra il bello considerato nelle lettere e nelle arti. Elegantissimi versi pure egli scrisse, comechè grande vena di poesia non avesse, né poeta fosse : e sono degni d' esser letti e con grande lode ri- cordati il suo Inno a Mercurio e la Catena a" Ime- neo : terzine temperale a dantesca incudine , ma senza ombra di pedanteria o stento d' imitazione ; ed alquante canzoni, tutte soavemente alla maniera del Petrarca , che per diverse occasioni compose , 302 Letteratura. per le quali certo meglio ti parrà quanto egli avesse nello studio de' grandi classici raffinato il gusto, e quanto potesse in altri formarlo. Per le quali cose tutte io credo che non vi sarà chi non consenta a quest' uomo titolo d' essere stato educatore e maestro solenne , e tale scrittore da gloriarsene la religione e 1' Italia, finché al mondo sarà un pò d' amore alla virtù ed agli studi lodati. E qui metterebbe assai bene aggiungere al detto quanto altro potria dirsi delle rare doti di questo insigne ed integerrimo sacerdote, il quale di tanti suoi meriti e fatiche non altro premio si ebbe che essere annoverato tra i prelati , e posto poi a ret- tore del bolognese arciginnasio. La qual mercè se potrà parere troppo scarsa, come infatti tenuissima è , prego chi mi ascolta a considerare in quali an- ni e in quali tempi viveasi , e persuadersi che la modesta ed operosa virtù raro nel mondo trova ricompensa degna, perchè troppo spesso la petulante arroganza se ne appropria i frutti ed il premio. Essa contenta di sé non chiede altra mercè che la compiacenza del ben fare , e soffre volonterosa in pace i disagi della vita, come debito che 1' uora deve pagare all' umanità ; né principe è si avven- turato, né stato è si felice, da accorrere in tempo ad onorare chi spese la vita in bene degli uomini , e seppe tenersi lontano da pur giuste inchieste. La stima di tutti i buoni, 1' affetto de' suoi, la benevo- lenza dei discepoli, a lui tennero luogo d'ogni altro premio; non si dolse della fortuna, e senza desiderii seppe vivere ricco nel poco. Da ultimo logorato dalle fatiche, disgustato de' tempi, affievolito nella Biografia del Farini 303 salute, rinunciò all'incarico di rettore dell'università, con gran dolore della dotta Bologna, e come a stanza di riposo riparò in Padova presso il ben amato suo nipote. Ma dopo pochi mesi venendogli meno le for- ze, e conoscendosi al fine del corso mortale, confor- tato dalla religione, placidamente da questa a mi- glior vita passò, non avendo vivuto più che settan- tun'anno; non molto se guardisi alla età, troppo se si consideri quante fatiche egli aveva sostenute. E fu grande ventura per lui mancare ai primi di questo fortunoso anno 1849 (il quale non so io come sarà nelle storie ricordato ) e non vedere le terre native insanguinate di sangue fraterno, calpestate le stesse leggi più sacre, violato ogni diritto umano e di- vino, e con nome di libertà scritte col pugnale leggi di schiavitù e di barbarie. Sì fu grande ven- tura a lui scampare per morte da' que' mali, eh' egli nella sua mente aveva già antiveduti, la sola ricor- dazione dei quali a noi fa ancora gelare il cuor di terrore. Così anche morendo Iddio gli fu cortese , togliendolo alla vista dei danni della sua patria: ed ora è da sperare che in cielo, facendogli le sue misericordie, renda quel merito alle sue rare vir- tù, che il mondo non seppe , e forse pari non gli potea dare. E noi che tanto prò avemmo dalla sua vita, tanto ne trarremo dalle sue opere, onoreremo 6empre la sua memoria , e lui porremo nel novero dei veri benefattori degli uomini. 304 Sopra alcuni passi della Divina Commedia di Dante Allighieri. Al eh. sig. conte Pietro degli Emili let- tera del dottor Alessandro Torri di Verona. Pisa 10 dicembre 1849. M. entre a' giorni scorsi, ripassando alcuni fasciscoli del giornale - V educatore storico - di Modena {1845), fermavo l'attenzione sopra una nota del prof. Paolo Costa, già da me altra volta osservata, in cui si dà la spiegazione del v. 29 nel C. Ili dell' Infer no di Dante, vennemi a rallegrare l'ulti- ma sua graditissima lettera, nella quale fra le altre cose le piacque darmi Y incarico di compilare una piccola raccolta di lettere inedite di veronesi, che vorrebbe offrire in omaggio alla di lei cugina si- gnora marchesa Giulia Tassoni di Firenze ultima- mente fidanzata al signor Lorenzo Ridolfi, per pre- sentarsi nel giorno che sarà stabilito per le loro nozze. Niente di più gradevole per verità poteva ella ordinarmi ed io eseguire , onde così di river- bero poter dare io pure alla famiglia Tassoni , cui da ben 25 anni mi legano relazioni di rispettosa servitù ed amicizia, un lieve ricambio ai tanti tratti di cordialità che ne ho ricevuti , in attestato della Divina Commedia 305 riconoscenza che le serberò sempre vivissima. I sug- gerimenti che da lei mi son porti, signor conte mio riveritissimo, mi porranno, io spero, in grado di renderla in qualche modo soddisfatta ; e vo' confi- dare altresì , che sia per essere benignamente ac- colto il divisato libricciuolo da chi ne forma il sog- getto. Duolmi per altro che nel mio cartolare man- chino lettere di vari nostri distinti personaggi vivuti nel secolo XVIII, oltre a quelli di cui vedrà qui acchiusi i nomi ; ma nella ristrettezza del tempo non ho lusinga di procurarmene del Beccelli , di F. R. Morando, del P. Ippolito Bevilacqua, de' due fra- telli Ballerini, di Marc' Ant. Pindemonte, d'Ott. Ca- nossa, di due Zeviani, d' un Zinelli, di due Pompei (Alessandro e Girolamo), dell' ab. Eriprando Giu- llari, dell' ab. Tornmaselli, d' Ant. Manzoni, di Be- nedetto Del Bene, di G. B. Gazòla, di Leon. Targa dell' ab. Salvi, del P. Cosali, di due Zamboni, e' d'altri assai pur noti che fiorirono in quell'epoca beata, alcuni de' quali fino a noi , e da noi cono- semi., accrescendo celebrità e splendore alla patria nostra. Tuttavia non sarà, vo' credere, privo d' in- teresse il saggio almeno che se ne pubblicherà nella mentovata occasione; e chi sa non produca l'effetto cui ella mira col desiderio, d' incontrarsi cioè co' due' futun sposi sulle rive dell' Adige, o su quelle del- 1 amemssimo Benaco? Io dunque mi porrò in breve all' opera, né per le lettere, che sono a mia dispo- sizione, tralascerò di chiarire con qualche nota i passi che potrebbero per avventura averne bisogno. E postochè nella stessa lettera ella volle farmi V onore di chiedere il parer mio sulla lezione ri- G.A.T.CXXI. 20 300 Letteratura van, tempo passato, eh' è nel 1 verso della 2 ter- zina, C. XXIX del Purgatorio : » E come ninfe che si givan sole , » Per le selvatiche ombre, disiando » Qual di fuggir, qual di veder lo sole ; mostrando qualche titubanza ad ammetterla, invece della più ovvia giran , tempo presente ; con viva compiacenza mi metto ad obbedirla, non tacendole che a me pure sembrò sempre non sincera quella lezione, non sapendo comprendere come i primi ce- mentatori siensi avvisati di far comparire in quel luogo le driadi, le naiadi, le amadriadi, le napee ed altre favolose femmine, alle quali il poeta non avea necessità d' alludere per una similitudine natu- ralissima, quale si è quella di paragonare Matelda, che cogliea fiori, a donne trastullantisi passeggiando in un boschetto , chi all' ombra e chi affacciandosi un istante al sole. Oltreché sarebbe stato fors' anche sconvenevole, che il confronto cadesse ivi con per- sonaggi dell' antica mitologia. Ma giacché così è scritta la citata parola in tutte le stampe , sarebbe d'uopo rassegnarsi anche a malgrado della diversa convinzione. Tuttavia mi giova significarle, che ve- nutami notizia della nuova pregevolissima stampa della Divina commedia procurata sopra due inedili antichi codici della pubblica biblioteca di Ravenna dal benemerito sig. ab. Mauro Ferranti , gli avevo già dapprima fatto presente il mio dubbio, al quale fu cortese di tosto rispondere nel modo che segue : - » Le dico con tutta verità , che m' incontrò di Divina Commedia 307 » fare le medesime osservazioni ch'ella mi comu- » niea, e di persuadermi che ivi la lettera sia uà » guasto , non avvertito per ciò , che se ne cava » un senso tollerabile. E non le voglio tacere, che » questa persuasione mi venne rincalzata da una » storpiatura di quel codice ravegnano ch'io stimo » più antico ; il quale quivi ha si ginar , non la- » sciando ben avvistare se la terza lettera sia un i) w, o un n ; avendo però indubbiamente un r per >» ultima. Qual maraviglia che 1' amanuense traspor- » tasse 1' n dov' era da porre 1' r, e per contrario? » Non occorre forse sotto mano di commettere si » fatti trasferimenti anche a chi non ha la foga » d' un amanuense ? Però ho stampalo con la voi- » gata, non credendo d' aver sufficiente autorità di » oppormele : poi nelle chiose ne dirò due paro- » le. » - E noi pure ci contenteremo per ora, se a lei piace, ossequiatissimo sig. conte , di attender ciò che dal prelodato ragguardevole soggetto verrà in appresso soggiunto su questo particolare , per poi determinare il nostro avviso. Frattanto pensando che non le incresca seguir- mi nel discorso concernente alla nota del prof. Co- sta, che in principio le accennai, spero eh' ella sarà meco d' accordo nel ritenere, che come sta riferita nel ricordato giornale modenese (fase. n. 20 , pag. 319), e come ivi giustamente si riflette , sarebbe senza dubbio contraria al concetto del poeta , cosi espresso nel citato verso : '25 » Diverse lingue, orribili favelle, » Parole di dolore, accenti d' ira. 308 Letteratura » Voci alte e fioche, e suon di man con elle » Facevano un tumulto, il qual s' aggira 29 » Sempre in quell' aria senza tempo tinta, » Come la rena quando il turbo spira. In quella nota il senza tempo dell' indicato verso 29 è disgiunto da tinta con una virgola. Da quanto rimanevami in memoria per precedente lei- tura , ero di credere che ben diversamente avesse il Costa interpretato quel verso , né che dopo tempo avesse egli posta una virgola di separazione dalla susseguente parola tinta , come nell' accennato fa- scicolo è detto. In fatti avendo ricorso all'esemplare eh' io ten- go dell'edizione approvata dal prelodato cementa- tore, quella cioè del Molini di Firenze 1830, in 24, vidi appunto aver esso corretta la sua primitiva le- zione per conformarsi al parere del prof. Betti, come si esprime nella nota che testualmente riporto qui appresso dalla predetta edizione 1830, pag. 15 : » v. 29. Senza tempo tinta. Nella prima edi- » zione io posi la virgola dopo tempo, seguitando » 1' opinione d' un valente letterato ; ma il Betti mi » scrisse: - Io unisco tinta a tempo, come hanno le » altre edizioni ; perciocché mi pare che dante pomja » qui il paragone tra V aggirarsi di quel tumulto, e » V aggirarsi delV arena spinta dal turbine. - L' opi- >» n ione del Betti mi sembra la più sana ». Molte sono l' edizioni della Divina Commedia che furon fatte col comento di Paolo Costa, dopo la prima bolognese del Gamberiui nel 1819-26, }il-4, che servì a quelle di modello; ma la fìoren- Divina Commedia 300 lina, da me rammentata di sopra, dee riguardarsi la sola genuina, coraechè portante il suggello dell'ap- provazione dell' illustre professore ; e della medesi- ma soltanto va tenuto conto per le varie modifica- zioni ed aggiunte, onde 1' ha corredata. Se pertanto a ragione si disapprova nell' Edu- catore storico la ortografia del summenzionato ver- so, la censura cade a buon titolo sull' edizioni an- teriori a quella del 1830 , e sulle più recenti che a torto non l' hanno seguita ; le quali fanno dire all' Allighieri ciò che di certo non volle. E savia- mente si osserva nel predetto giornale ~ » che 1' ap- plicazione della virgola dopo tempo toglierebbe unità al concetto, poiché in un solo periodo e in mezzo ad un solo costrutto si comincerebbe ad esporre gli effetti dell' udito, e si finirebbe col descrivere quelli della vista ». -- Ben dunque furono avvisati gli espositori, che alla moliniana edizione si attennero, onde per le so- vraesposte considerazioni non si rimanesse il bene- merito professore di Bologna colla taccia d' un er- rore, di cui egli stesso erasi ricreduto, ripudiando implicitamente tutte le stampe disformi dalla lezione per lui nuovamente adottata. Ma giacché mi fu da lei porta occasione di favellare di Dante, ne colgo 1' opportunità per in- trattenerla più brevemente anche sulla voce amburo, che fu registrata nel vocabolario della nostra lingua pubblicalo dal Pitteri di Venezia 1' anno 1765, e in altre successive edizioni, coli* articolo che qui ap- presso trascrivo : - Amburo. V. A. Ambiane. Bui. fnf. 22. 2 : Così gremiti amburo caddero nella pe- 3(0 Letteratura gola bollente. E 9. 2 : Facea (remare amburo le sponde. E 21. 1 : Caricava un peccatore con am- buro 1' anche. Guitt. Lelt. 37, 86 : Poni ad amburo lo freno. Gr. s. Gir. : Col male uomo amburo an- derete -. Questa voce amburo, mancante nel vocabolario degli accademici della Crusca, è una delle aggiunte fatte alla edizione seconda del Pitteri 1765 dianzi ricordata ; e fu pure ammessa nella ristampa vero- nese 1806 dovuta al P. Cesari ( riprodotta ivi 30 anni appresso dall' ab. Paolo Zanotti, 1836 ), e nel- la fiorentina 1833 del eh. ab. Giuseppe Manuzzi , con tre esempi tratti dal comento di Francesco da Buti al poema di Dante ; ma non fu detto , né si sa, da qual codice. Certo è però, che in nessuno dei tre codici che sono a Firenze nelle biblioteche magliabechina , mediceo-laurenziana e riccardiana , non leggesi amburo nei seguenti versi della Divina Commedia , cui alludon le chiose del Buti riferite nelle rammentate edizioni del vocabolario ; mentre i due primi codici hanno, 1. Inf. e. IX, v. 66 : » Perchè tremavan ambedue le sponde » ; e il riccardiano : » Per cui tramavan ambedue le sponde ». 2. - Ivi, e. XXI, v. 35 i tre codici conformi : » Carcava un peccator con ambo l' anche » ; ! Divina Commedia 311 3. - e C. XXII , vv. 14 0-41 i tre codici egual- mente : » ed ambedue » Cadder nel mezzo del bollente stagno » : né in vermi luogo è scritto amburo invece di am- bedue. Laonde gli addotti esempi non sarebbero autorevoli, quanto al testo poetico. Bensì nel cod. magliab. la chiosa butiana dice al 1 esempio : tremavan ambedu ( sic ) le sponde , cioè le ripe di Stige ; e nel laurenz. : facea tremare ambur (sic) le sponde di Stige; ma per altro il co- mento del cod. riccard. legge : » amendue le ripe di Stige » , come ambedue disse nel testo. E nelle chiose di tutti e tre i codici, agli altri due ivi alle- gati esempi 2 e 3 non vedesi punto la parola am- buro citata nei medesimi vocabolari: che però an- dando errati in questa parte dell' articolo, non sono menomamente attendibili. Sicché parrebbe doversi concludere, che quella sgradita voce amburo, la quale avrebbe forse qual- che analogìa colla latina amborum, non siasi voluta ammettere dagli antichi accademici nel loro voca- bolario , perchè propria soltanto dei dialetti pi- sano ed aretino, ed ora ivi pure passata del tutto in disuso, né da doversi quindi accogliere nelle fu- ture ristampe del dizionario italiano. Ancora pochi versi sopra un altro luogo dan- tesco, che cagionò non ha guari un' alquanto vi- vace polemica ; e quindi finisco. Mi sovviene che disputayasi sulla retta intelligenza del v. 85, canto 312 Letteratura ultimo dell' Inferno. Narra ivi il poela, che Virgi- lio (il collo del quale aveva egli avvinghialo) idi- scese giù per le coste di Lucifero fino al centro , e là, volta la testa ov' egli avea le zanche, salì pel- le cosce di quello: - Poi uscì fuor per lo foro oV un sasso, E pose me, dice, in su V orlo a cedere ; » Appresso porse a me l'accorto passo ». Questo verso si spiega in oggi così : Stese appresso il suo passo, e avvicinatosi mi venne a lato ( ed an- che altrimenti da altri). Ma, con permesso, il poeta latino, che si distacca dal collo il nostro toscano, e lo pone a sedere, gli è sì vicino, che nulla più. lo pertanto m' immagino, che la gente rozza col lume pur naturale prendendo l' appresso per poscia, e il porse per mostrò, additò, o cosa simile, l' intendesse in questo modo : Poscia mi diede a vedere il passo, che per accortezza sua aveva io fatto. E ben do- veva compiacersi Virgilio di dirgli : « Guarda per quale scala col senno mio t' ho fatto uscir dell' In- ferno. » Vorrei che di questa spiegazione ella, signor conte prestantissimo, si appagasse, e lo spero ; ed in tal caso ne attribuirà tutto il merito all' ottimo no- stro canonico Dionisi, a cui tanto debbon gli stu- diosi di Dante. Io non feci altro che riferir qui letteralmente quanto sta nel IV de' suoi Aneddoti , pag. 37-38 ; la quale spiegazione , se fosse stata presente a chi si mescolò nella controversia, avreb- be di certo fatto conoscere, che questo e non altro era il modo ragionevole d' interpretare il surrife- rito verso. Divina Commedia 313 Eccole, amatissimo signor conte, una giunta maggiore assai della derrata, avendo io risposto con un quattro all' invito dell' asso ; ma perchè or- mai è tempo di cessarle noia, con ossequiosa stima ho 1' onore di confermarmi Di VS. Illraa Sina affezionat. servi/;, ed amico Alessandro Torri. Elogio del marchese Lelio Riviera, scritto da mon- signor Angelo Antonio Scotti, arcivescovo di Tes~ salonica, già precettore de reali principi e prefetto della biblioteca borbonica. Dominus ait : constans esto. Eccl. C XXIII. P. II. f \Jhe viva il giusto nella memoria de' posteri, che si ragioni e si scriva delle sue onorate azioni, non è solamente un sistema di tutte le nazioni incivi- lite, ma è un ordine ancora della divina provvi- denza, la quale vuole dar loro quel premio, che possono ai defunti impartire i mortali, riserbando a sé stessa il guiderdone corrispondente alla magni- ficenza del creatore, ed ai meriti delle ragionevoli crealure. Né solamente il premio de' trapassati, ma 314 Letteratura il vantaggio ancora de' viventi è un bene , che la provvidenza stessa si propone nel promuovere e so- stenere fra gli uomini 1' usanza di rammentare nel- la terra le virtù già coronate nel cielo. Poiché l' ef- ficacia dell' esempio , il desiderio di acquistare un eguale diritto alla memoria de' posteri , ed il ren- dersi pubblico un tributo ai benemeriti cittadini, sono molle potentissime per muovere il cuore dei superstiti a battere la carriera dell' onestà. Ed è questa una delle poche parti dell1 umano sapere , che presentando sempre 1' aspetto di novità, per es- sere un argomento del suo tempo, apre libero il campo agli scrittori, e si raccomanda da se stessa a tulli gli amatori di utili e piacevoli novità. Stimolato io da siffatti motivi,, colgo volentieri 1' occasione di lodare il marchese Lelio Riviera, ca- valiere dell'ordine gerosolimitano, commendatore dell' ordine di Francesco I , e direttore generale delle poste , chiamato non ha guari da Dio al ri- poso de' giusti ; o piuttosto di lodare in lui la vir- tù, essendo così associate tra loro la memoria di un tanto personaggio, ed il ritratto della virtù, che 1' elogio dell' una quello dell' altra presenta , svi- luppa e tramanda alla posterità. Il carattere per- tanto, che distinse l' illustre defunto , è la costanza nel ben vivere, e la coerenza fra' suoi principii re- ligiosi e la sua morale condotta. Questo carattere è pur troppo raro nel secolo nostro ; il quale, agi- tato dallo spirito di vertigine e di errore , ci offre il dispiacevole spettacolo di tanli protei nella so- cietà, i quali non furon nella vecchiezza ciò che erano nella prima adolescenza : anzi sovente fra Elogio del Riviera. 315 1' una epoca e 1' altra mille fasi han mostrato , nò han voluto o potuto occultare i loro cangiamenti. Gioverà quindi mostrare al pubblico il ritratto di un uomo cospicuo in ogni senso , che fra tutte le vicende politiche e religiose, delle quali 1' età no- stra è stata fecondissima , ha camminato di un passo eguale e costante, dalla prima all' ultima sta- gione della lunga sua vita , lo stretto sentiero dei cristiani doveri. Due errori opposti tra loro leggonsi negli an- tichi e ne' recenti scrittori in ordine alla influenza, che la nobiltà della prosapia possa avere sulla mo- rale condotta de' discendenti. Gli uni vorrebbero che col sangue si tramandi la virtù, e perciò al- zano al cielo i pregi della nobiltà ; gli altri che nessun effetto possa avere sull1 animo degli uomini la virtù de' maggiori, e quindi tentano di annien- tarne fra' popoli tutta la venerazione. Ma il buon senso, la filosofìa, 1' opinione generale delle eulte nazioni, e l' esperienza de' secoli ci assicurano, che 1' educazione, la quale nelle illustri famiglie può e suol essere più regolare, e le memorie gloriose de- gli antenati, dieno ai posteri potentissimi stimoli per battere una carriera onorata, e per mostrare al pubblico quel carattere costantemente virtuoso , che forma un degno erede della gloria comunicata da cospicuo lignaggio. Tale fu il marchese Lelio Riviera, discendente da stirpe, la quale ha comune l' origine , secondo 1' opinione tramandata da storiche ricordanze, con altre splendide famiglie dal gran ceppo partite de- gl' incliti conti de' Marsi. Essa gode in oltre del pa- 316 LETTERATURA Iriziato di Aquila fin dalla fondazione di quella il^ lustre città ; di quello di Roma non più tardi che dal 1560; e di quello di Urbino dal 1630. Ram- menta eziandio 1' onore di non pochi feudi e di moltiplici dignità , e si dislingue fra le famiglie che negli annali ecclesiastici acquistarono gloria. In fatti sommo splendore le arrecarono Goffredo castellano di Bari nel 1291 e di Brindisi nel 1265, Luigi preside di Calabria nel 1480 , Lelio gran croce e gran tesoriere dell' ordine di santo Stefano di Toscana nel 1565 e camerlengo di Aquila nel 1586, Cesare ambasciadore presso la maestà catto- lica nel 1565, Scipione e Baldassare cavalieri ge- rosolimitani nel 1566, Luigi commendatore dell'or- dine di s. Lazzaro nel 1568, Antonio, il quale, cangiato nell' istituto de' camaldolesi il suo nome con quello di Serafino nel 1572, vi morì in odore di santità, Gio. Carlo promotore della laurea otte- nuta in giurisprudenza da Gio. Francesco Albani ( Clemente XI), Domenico cardinale dottissimo del- la S. R. C. nel 1733, e di amplissime lodi ricol^ mato da scrittori di chiarissimo nome, e Francesco arcivescovo di Manfredonia nel 1744, personaggio degnissimo d' ogni encomio per le più belle virtù apostoliche, che lo distinsero. Da stirpe tanto gloriosa non solo alle contrade italiane, ma ancora alle spagnuole, nelle quali si disse de Ribera, e produsse i duchi di Alcalà e marchesi di Tarifa , grandi di Spagna di prima classe, alcuni de' quali furono viceré del regno di Napoli: e alle francesi, nelle quali venne appellata de Rivière, e si vide illustrata specialmente da Elogio del Riviera 317 Adriano de Riviere, morto combattendo valorosa- mente pel suo ordine gerosolimitano nel 1565 , e trasmettendo luce di meriti non volgari ai suoi di- scendenti marchesi de Riviere , pari di Francia ebbe Lelio i natali a' tre di giugno del 17G3 in Manfredonia, e furono suoi genitori Giuseppe, fra- tello germano del prelato leste detto , e Francesca de Angelis, dama ricca di tutti quei pregi, pe' qua- li eransi renduti assai chiari i due rami di sua fa- miglia, l' uno in Napoli da' principi di Bitetto e da' marchesi di Geglie, e l'altro nella Toscana dai marchesi Francesco e Gio. Filippo, priori nell' or- dine di sauto Stefano. Bevve egli le domestiche virtù, secondo l' espressione di Platone, dall' esem- pio e dalla voce de' suoi genitori, e passò a per- fezionare la sua educazione nel collegio de' nobili in Urbino ; città, nella quale conservaVasi viva e cara la memoria di un ramo della sua famiglia, il quale trapiantatovi nel 1630 ed innestato all'in- clita famiglia di Clemente XI, aveva prodotti frutti abbondantissimi di egregie azioni e di ampie muni- ficenze. Gareggiando egli poi d' ingegno e di pietà cristiana col suo fratello maggiore Francesco Rivie- ra, barone di Vittorito, sesto di sua inclita stirpe cavaliere nell' ordine di santo Stefano di Toscana , percorse lo studio della letteratura, della filosofìa e della giurisprudenza, e si distinse fra' suoi coeta- nei non meno per l'illibatezza de' costumi, che per la perspicacia dell' ingegno, e per le utili cognizioni. Camminando di un passo rapido insieme ed eguale per la stretta via de' comandamenti divini , egii intendeva ad accrescere la gloria della sua prò- 318 Letteratura sapia : poiché la vera nobiltà, come insegna il dottor massimo, consiste nel rendersi preclaro per la virtù. Altronde le conoscenze da lui acquistate, e le altre che la continua lezione di scelti scrittori al suo in- tendimento aggiungeva, non erano, come a tanti in- felici avviene, infauste sorgenti di corruzione e di empietà ; ma nuovo corredo per rendersi più caro a Dio, per meglio perfezionare se stesso , e per riu- scire più vantaggioso alla società. Questo infatti esser dovrebbe lo scopo di chiunque ascolta, legge, me- dita le scritture o erudite o filosofiche: essendo il genuino carattere della sapienza, rassodarsi cioè nella religione, conoscere i propri doveri per ese- guirli fedelmente, e formarsi un' ampia raccolta di verità, che possano convenire al ben essere del ge- nere umano. Egli adunque in quell'età, in cui a po- chi uomini è conceduto di sostenere con lode qual- che pubblica amministrazione , gran lode meritò , quando recandosi in Aquila, patria chiarissima dei suoi egregi antenati, fu chiamato a parte de' pub- blici affari. Sagace penetrazione , senno e prudenza senile, inclinazione all' onesto, desiderio della pub- blica utilità, energia e pazienza negli uffizi che gli vennero affidati negli Abruzzi , fecero presagire di lui, che avrebbe felicemente sostenute cariche d'im- portanza maggiore. Così avvenne tostochè recossi in Napoli, ove non 1" incostanza o la noia dello stato già intrapreso, né aura d' ambizione lo sospinsero a venire, ma la premura di dare una compiuta instru- zione alla famiglia, di cui aveva allora ricevuta , come principio, una figliuola, la quale dava fondate speranze di quella riuscita, che ha poi riscossa la Elogio del Riviera 319 pubblica approvazione. Egli peraltro dalla sua sposa Marianna Manieri, dama rispettabile per pregi per- sonali, e per gloria ereditata da Carlo Manieri , pa- trizio aquilano e senatore di Roma nel 1486, più lunga prole attendeva, per educarla cristianamente con tutti gli aiuti, che questa metropoli ampiamente somministra ai buoni genitori ; ma i disegni della provvidenza, la quale ha serbato a se il dfinire il numero de' figliuoli, non voleva gravarlo di nume- rosa prole, perchè meglio potesse dedicarsi alle pub- bliche incumbenze. Preceduto egli adunque dalla fama di ogni bella virtù, si attirò in Napoli gli sguardi de' più illustri personaggi , e tanto per la purità della sua religione, quanto per la prudenza, per la dolcezza, e pel disinteresse. Ferdinando allora IV, ottimo estimatore del me- rito, non volle qui tenerlo ozioso, e nel 1796 gli conferì la splendida ed importante carica di luogo- tenente del corriere maggiore, la quale corrisponde oggidì a quella di direttore generale delle poste. Quanta saggezza e quanta vigilanza richiegga siffat- to uffizio, specialmente in tempi difficili, non saprei esprimerlo più propriamente che col chiamare alla memoria le favolose idee di Argo e di Briareo; poi- ché cento occhi e cento braccia si richieggono per antivedere le frodi, per impedire gli abusi, per ser- vire alle sagge intenzioni del sovrano, per rendere agevoli, sicure e fisse le corrispondenze de' privati. Un buon direttore delle poste è 1' anima del com- mercio, è la vita dello stato, è il sostegno del trono. Ma i tempi erano tali, che i rapporti epistolari isti- tuiti per mantenere la concordia, per accrescere la 320 Letteratura ricchezza, e per comunicare la verità , si adopera- vano da uomini perversi per turbare la tranquilli- tà, per rovinare gli stati, per illudere con false nuo- ve, con fallaci speranze, e con empie dottrine l'ine- scusabile credulità di cittadini immemori del vangelo. Come siasi condotto il Riviera nelle politiche oscilla- zioni, delle quali la nostra età è stata fecondissima, è provato abbastanza non solo dagli applausi ge- nerali, che seppe costantemente meritarsi , ma an- cora dall' approvazione di tre sovrani, che noi vol- lero fino alla decrepitezza rimosso dall' impiego. E qui altra prova della fermezza del suo ca- rattere ; la fedeltà a tutta prova mostrata ai legit- timi monarchi. In fatti, sincero e fermissimo essendo il suo attaccamento alla dinastia, la quale tanta glo- ria e tanta felicità ha recata alle nostre contrade, non volle egli rimanere al suo posto . quando gli stranieri, attraversando le alpi, vennero a reggere i nostri destini ; ed allora nella vita privata affrettò co' voti il giorno faustissimo, in cui ritornò a ren- dere più bello il cielo partenopeo 1' astro benefico, che aveva limitato i suoi influssi alla sola Trina- cria. Ed in quest' epoca appunto egli venne resti- tuito al pristino uffizio, non credendo il re di poter trovare personaggio che più lo avesse meritato, e che meglio in quello potesse servirlo. Era poi bello vedere Lelio alla testa di quel- l' ampia e splendida amministrazione diramata in tutto il regno, reggerla come padre, e padre pieno di affetto, senza deferire a chi noi meritasse, pieno di moderazione senza permettere disordini , pieno di umiltà senza abbassarsi, e pieno di carità senza Elogio del Riviera 321 ledere la giustizia. Egli riseoleva da tulli V adem- pimento de' doveri, soccorreva gli sventurati nelle loro miserie, e coli' esempio e colle parole li con- duceva alle pratiche di religione ed alle regole di probità. E poiché Salomone insegna che il savio deve sì bene dividere le sue ore e le sue cure , che trovi il tempo per tutti i suoi affari, videsi egli, senza intermettere 1' adempimento delle sue pubbli- che occupazioni, far costantemente le parti di ot- timo padre di famiglia. Scelse per la sua dilettis- sima ed unica figliuola Lucrezia Riviera uno sposo, il quale per opere buone meritava una buona mo- glie, scelse, io dissi, il marchese Giovanni d' An- drea ; personaggio, che in se raccoglieva con bel- l' armonia congiunte le virtù tutte de' suoi illustri antenati, ed al quale dopo tante cariche luminose, e sostenute con massima lode d' intelligenza e di probità, e del più sincero attaecamento alle dottrine della cattolica religione , il nostro ottimo principe Ferdinando II ha con somma saggezza e gloria affidati gli ardui ministeri di stalo degli affari ec- clesiastici e delle finanze. Ed avendo ella l' ottima matrona renduto ricco di prole 1' insigne suo ma- rito , Lelio giammai lasciò di riguardare i nipoti come propri figliuoli, e d' insegnar loro il timore di Dio, principio d' ogni sapienza, e di contribuire con esemplare premura a quella felice riuscita, che aggiunge ornamento e splendore all' avita nobiltà. Il savio inculca a tutti i figliuoli della luce, che dalle occupazioni, e pubbliche e private , non sieno impediti di sempre orare, cioè d' implorare G.AT.CXXI. 21 322 Letteratura i soccorsi del cielo eoa tanta frequenza, che possa dirsi questo un perpetuo esercizio , e che ottenga la pienezza delle benedizioni disine su tutti gli af- fari. Da queste massime Lelio veniva intimamente penetrato ; e quindi bello era il vederlo consacrare al Signore le primizie del giorno , non solamente con fervide preci, ma ancora col meditare le eterne verità e le meraviglie della cristiana religione : bello era il vederlo assistere quotidianamente pieno di fede e di raccoglimento all' incruento sacrifizio, ed orare nelle chiese eziandio al declinare del giorno ; bello era il vederlo in mezzo alla sua famiglia adempiere in tutte le sere a pratiche di pietà , e poi da solo a solo trattar con Dio l'affare della sua eterna salute. Né giammai abbandonò i lode- voli sistemi di confessarsi con frequenza, e di ci- barsi, specialmente ne' giorni festivi, del pane ce- leste ; ne gì' increbbe di ritirarsi nella casa degli ottimi figli di s. Vincenzo de' Paoli in ogni anno per attendervi agli esercizi spirituali, in modo par- ticolare negli ultimi giorni delle carnevalesche fol- lie, e nella settimana maggiore , tuttoché ben so- vente si recasse ad ascoltare in altri luoghi la di- vina parola. In questi esercizi di pietà egli fu fermo come il sole, e non ebbe le varie fasi della luna, le quali costituiscono l'emblema degli uo- mini incostanti, che le cominciano per non con Unitarie fino alla morte. Da questa comunicazione con Dio, unica sor- gente di ogni vera virtù, egli attinse quell'affabilità, che lo distinse, e che lo fece caro a chiuuque il co- nobbe. Attinse ancora quella modestia nel parlare. Elogio bel Riviera 323 per la quale sembrava ignaro della gloria de' suoi maggiori, e di ogni suo merito personale, e nel ve- stire ; non di altra cosa essendo egli sollecito, che di allontanare da se tutto ciò che potesse fomentare la vanità, fino al non permettere che si ritraessero in tela le sue sembianze. Attinse ancora quella sin- cerità, che lo fece nemico dell' adulazione e della frode; né gli fece corteggiare i grandi per conse- guire onorificenze, essendo stata del tutto spontanea, come è pur troppo noto , la decorazione riportata di commendatore dell'ordine di Francesco I. Attinse finalmente quella temperanza, che allungò i suoi gior- ni, e per la quale spesso lasciava anche nella frugale sua mensa qualche vivanda più delicata e gradita. Che dirò poi della sua liberalità per Io splen- dore del culto divino, e pel soccorso de' bisognosi? Quantunque egli , memore del precetto evangelico, cercasse di nascondere alla sinistra ciò che si dispen- sava dalla destra; la provvidenza, la quale spesso an- che nella vita presente, ad onta di ogni circospezio- ne, rivela le cose coperte e fa sapere le occulte, ta- luni tratti della gran liberalità eli lui ha renduti noti. E per rammentarli dirò, che grosse somme di da- naro egli spese per fondare in Aquila una casa re- ligiosa, nella quale fossero accolti i seguaci del ve- nerabile p. Paolo della Croce , ed esercitassero in quella città e nelle vicine le opere dell' apostolico loro zelo. Con pari generosità contribuì ad intro- durre in Napoli un istituto egualmente nuovo che il mentovato in Aquila , quello cioè delle adoratrici perpetue dell augustissimo Sagramento. Considerando in oltre essere una sola la chiesa, non limitò la ca- 324 Letteratura rità alle nostre province , ma l'estese ancora ad al- tri paesi più remoti; poiché ai padri della Trappa in Fossanova e Casamari prima diede a titolo di prestito grazioso, ed indi a titolo di donazione, du- cati ventimila : e la sua borsa, sempre aperta ai po- veri, concorse pure ad instituire in Subiaco pubbli- che scuole per l' istruzione delle povere fanciulle : ed in quest'ultimo tratto di cristiana beneficenza si giovò dell'opera personale del suo degnissimo nipote monsignore Girolamo d' Andrea, prelato domestico di Sua Santità La gran regola di fuggire la compagnia de* malvagi, e di stringere leali amicizie con chi è pie- no dello spirito di Dio, fu dal Riviera fin dalla pri- ma età fedelmente eseguita. Ebbe in fatti edificanti relazioni con Maria Saveria Clotilde di Borbone re- gina di Sardegna, con Maria Crocifissa delle cinque piaghe, e con Francesco Saverio Bianchi, persone già dichiarate venerabili dall' autorità del Vaticano , ed alle quali aspettasi con giusta fiducia decretato fra breve l'onore degli altari. Parimenti serbò sino alla morte strettissima corrispondenza con altri illustri servi di Dio, non che con due personaggi chiarissi- mi, sì per la porpora romana, e sì ancora per la virtù e pel sapere, Francesco Fontana e Luigi Lam- bruschini, già prepositi generali de' chierici regolari barnabiti. A dimostrare poi come le persone veramente attaccate al re sono modello di rispetto e di affe- zione al sommo gerarca della chiesa, basterà il nome del marchese Lelio Riviera , che condannerà come nemici dell'altare e del trono coloro, i quali vantarou- Elogio del Riviera. 325 .si di fedeltà al sovrano mostrando insubordinazione al pontefice, e disprezzo della suprema potestà ec- clesiastica. Ed in vero egli si distinse nella fedeltà al suo principe, e si fece ammirare per la divozione alla sede apostolica. Imitatore degli antichi cristiani, e noe curando gravissimi pericoli, mandò magnili' che sovvenzioni raccolte dalla pietà di ricchi fedeli, ed aumentate dalla propria generosità, a Pio VII ehe trova vasi esule da Roma, spogliato de' beni della chiesa, e prigioniero. Quando poi il braccio dell'On- nipotente sciolse come a Pietro le catene del suo successore, egli il Riviera volle tributargli di perso- na un omaggio di filiale venerazione , e ne ricevè insigni testimonianze di gratitudine veramente pa- terna; e fra le altre fu questa di avere quell'im- mortale pontefice amministrato con sommo piacere, e con rarissimo esempio, il sacramento della confer- mazione ai maggiori figliuoli del già detto e me- ritamente encomiato marchese Giovanni d'Andrea, i quali educavano in un collegio aperto alla più fìó- nta nobiltà di Europa, cioè in quello chiamato de- mentino da Clemente Vili che lo fondò. Qual meraviglia adunque, se un tanto uomo, confortato da' soccorsi della religione, e senza „eP- pur sentire i dolori della morte, sia passato ai 21 dicembre dell' anno 1834 nel bacio del Signore al eternità? Qual meravigliale oltre all'esequie, che gì, vennero con tutta la pompa tributate dalla famiglia , e che i padri cappuccini avrebbero vo- luto accompagnare ( se le regole della congrega di nostra Signora de'sette dolori lo avessero permes- so) riguardandolo come già ascritto alla loro socie- 326 Letteratura tà, ed insigne loro benefattore, altre corporazioni ec- clesiastiche ne abbiamo ultroneamente celebrati i fu- nerali? Tale fu in Napoli la confraternita dello spe- dale degl'incurabili, che egli aveva frequentata: tale fu in Roma ed in Aquila V instituto de' padri pas- sionisi: tale fu il convento de' padri riformati^ che hanno la direzione delle scuole in Subiaco; tale fu anche in Aquila la congregazione di quei cavalieri, alla quale egli giovinetto si ascrisse, e da cui gli furon rendute con pubblica magnificenza le ultime dimostrazioni della più viva e della più giusta gra- titudine. Il suo testamento fu suggello della sua pietà. Questa virtù , come insegnano i nostri più insigni filosofi, l'uno di Arpino, l'altro di Aquino, contiene tre parti: cioè il culto di Dio, l'amore ai congiunti, il desiderio pel vero bene della patria. Egli quindi, uomo veramente pio , non contemplò solo i con- giunti , ma per varie cappellanie ancora , funzioni ecclesiastiche e sacri sermoni lasciò ampli legati; e volendo che queste sue disposizioni giovassero par- ticolarmente ad Aquila, che egli considerò sempre co- me sua patria, e pel cui bene ed onore in tutta la sua vita aveva adope rate col più gran successo le sue energiche cure e la sua efficace influenza, ne raccomandò l'esecuzione al suo amatissimo cognato monsignor Girolamo Manieri, vescovo di Aquila, in cui si ammira quel complesso di meriti, onde si re- se chiaro ne'sacri fasti un esimio suo antenato mon- signore Gió. Girolamo Manieri, vescovo di Venosa nel 1585. Adunque il marchese Lelio Riviera compianto Elogio del Riviera 327 da personaggi ragguardevoli, non solamente nazio- nali ma esteri ancora, lasciò ai posteri la vera nor- ma di un uomo giusto e tenace de'saggi proponi- menti , leale di parole , stabile nella fede de' suoi maggiori, e non mancante in alcuna di quelle pre- rogative , le quali formano l'emblema dell' onesto cavaliere; e, ciò cbe importa assai più , del Yero cristiano. 328 b;exi£,ì3 arti — o -SO ®-C?£-o Biografia di monsignor D. Giuseppe Baini del Rino P. Maestro Giacinto De Ferrari recitate in arcadia. AL SI6- MARCHESE D ALESSANDRO GARGANO Signor marchese Vo olendo io per sentimento di gratitudine pubblica- re la biografia dell'illustre monsignor Baini , pensai improntarla del vostro nome, che splende tra i dotti compositori di musica. Soffrirà la vostra modestia vna sorpresa giustificata appieno dalle belle virtù che vi adornano, dalla letteratura, che vi onora nel- V accademie , dal vostro sapere filarmonico , e dalla fedeltà, e dalV attaccamento che manifestaste alla santa Sede ne' procellosi torbidi della sedicente repubblica romana. Io potrei svolgere largamente colali pregi, se io non sapessi, che con ciò mi renderei gravoso, e mo» lesto e altronde è abbastanza nota la vostra onestà, ci- vile e religiosa. Perciò pregovi di gradire questo tenue tributo in segno della mia sincera stima ed amicizia. Minerva 18 settembre 1850. Vostro Dmo servo ed amico Fr. Giacinto De Ferrari 320 JJen conviene, o valorosi arcadi, tessere encomi a ^negl'insigni armonisti, che alla dilettevole arte con- ciliarono l'ammirazione degl'intelligenti, e l'interessa- mento scientifico. A noi arcadi particolarmente si add.ce cotale incarico, ai quali Virgilio rivolse l'en- comio: Soli cantare periti arcades. Più di qualunque altro popolo gli arcadi coltivarono la musica, sic- come quella che sposando il suono istrumentale all'armonia del canto febèo, nulla lascia a desiderare sull'oggetto, che felicita la potenza auricolare, onde si temprano soavemente le amarezze della vita, i pe- ricoli della guerra. Perciò Omero, secondo Valerio Massimo, e, descrive Achille egregio sonatore , per- che gli affanni del campo marziale avessero qualche alleviamento ; e Plutarco ci narra di Cimone e di Epaminonda, che per lo musico sapere furono cele- brati come superiori a tutti i greci campioni. Nulla dico di Apolline, ne di Orfeo, ne di Annone favolosi eroi della musica, perchè l'argomento del mio dire nsguarda la sacra armonia, che non ha uopo di ini- t.che invenzioni per manifestare il suo interesse scien- tifico ed artistico. Essa s'inspira alle rivelazioni delle eterne venta, come un Mosè, un Davide nell'antica alleanza; come un s. Ambrosio, un s. Gregorio Ma- gno , un venerabile Beda nel nuovo testamento, da cu. usci tanta luce da perfezionare ogni scienza, ogni arte. In particolare la musica rimira una nuova epo- ca la p,u sublime nel propagamento del vangelo, poi- 330 Belle Arti che in esso tra i canti degli angeli si annunzia la nascita del divin Redentore , quasi discesi fossero i celesti beati spiriti a invitar l'uomo, e sublimarlo a sovrumana armonia. Noi parliamo di un ingegno il- lustre della scuola romana , la quale seguì quella musica chiamata da s. Agostino dono di Dio. A co- tali musici ci esorta lo Spirito Santo a tributar en- comi: Laudemus viros gloriosos, et parentes nostros in generatone sua. In peritia sua requirentes modos musicos (1). La nostra Arcadia, consacrata al Dio bam- bino coll'emblema della santa armonia degli ange- lici spiriti, mi rinfranca nel mio divisamente di spar- ger fiori sull'onorata tomba del romano maestro, e di perennarne nelle arcadiche memorie il nome il- lustre. E cosa invero mirabile, che l'invenzione della mu- sica sia stata nella pagana antichità attribuita a'nu- mi. Gli egiziani ad Ermete ed Osiride; gì' indiani a Brama ; i cinesi a Fo-hi; i greci ad Apollo, Orfeo, Lino, Anfione; altre nazioni ad altri esseri divinizzati attribuirono quest'arte incantevole, colla civilizzazione primitiva operatasi secondo le favolose tradizioni al chiaror de'prodigi, per cui s' incontrarono le selve e le pietre stesse, ossia si raddolcirono gl'immiti co- stumi dei primi popoli feroci. Ma insomma non al- tro volle significarsi, senonchè da Dio medesimo fu creata la musica; che quindi espressione della gra- titudine dell'uomo inverso del suo Creatore divenne un linguaggio universale del cuore riconoscente: per cui i cinesi diceano, aver la musica avuto per culla (1) Ecclesiastic. 4*. v. 1. 1 BlOGRAKIA DEL BAINI ó'31 il cuore dell'uomo. Specialmente la nimica da chiesa ottenne un carattere grandioso, qual convenivasi alla religione augusta di pace, di verità, che anche in que- sto esiglio fa assaporare alcunché della eterna felicità, a cui conduce; allineile sia il cristiano allietato ne' suoi affanni, e più alacremente cammini neh' arduo sentiero delle virtù. Quindi riconoscenza ci astringe inverso coloro, i quali si segnalarono in sì bella ed utile arte, e tra questi il Baini, di cui narriamo bre- vemente le geste. Ai 21 di ottobre del 1775 da Antonio Baini romano , e Catarina Nesi sanese, nacque in Roma Giuseppe primogenito di due altri fratelli e di una sorella (1). Manifestò fin da principio un'indole in- genua, e nella prima sua adolescenza frequentò le scuole di grammatica del collegio romano. Nell'au- tunno del 1788 ai 21 di ottobre, in età di 13 anni, fu ammesso per concorso nel numero degli alunni del seminario romano, ove vivendo da buon semi- narista, corse la carriera consueta di dieci anni ne- gli studi di umanità, di rettorica e lingua greca, di filosofia, di teologia, s. scrittura, storia ecclesia- stica, e lingua ebraica. Ebbe a maestri di umanità, rettorica e lingua greca i chiarissimi precettori Pe- trucci e Marotti e Cunich: a lettori di logica, me- tafisica, matematica, fisica ed etica i professori Rubbi, (1) Noi abbiamo desunto le notizie biografiche dal Fetis, e da altre biografie degli illustri armonisti già pubblicale. Particolar- mente ci siamo giovati delle sincere relazioni fatteci dal cortesis- simo signor D. Michelangelo del Medico erudito ed esemplare eccle- siastico , che ebbe col Baini fin dagli anni puerili intima e sincera amicizia. Da questi, e da altri viventi accreditati personaggi , ab- biamo diligentemente dedotto quanto di positivo narreremo. 332 BELLE ARTI Calandrali, Guidi, e Cavalli: ed a lettori di teologia dommatica e scolastica, s. scrittura, storia ecclesia- stica e lingua ebraica i professori P. Arbusti con- ventuale, Giovannucci, Marconi, Caprano ed Igna- zio De Rossi, tutti nomi chiari per virtù e sapere. Attese costantemente di proposito agli studi, e pri- meggiò fra' suoi condiscepoli riportando premi nei concorsi alla fine dell'anno scolastico. Fu esattissimo osservatore dei regolamenti interni del seminario : onde assai spesso venne prescelto dai superiori a sorvegliare le camerate inferiori in mancanza dei prefetti. Si applicò allo studio del canto gregoria- no sotto l'insegnamento del sacerdote portoghese D. Stefano Silveira maestro di canto fermo nel se- minario, e ne profittò in modo, che fin dal secondo anno di retlorica era in istato di dirigere il coro nella messa cantata in s. Ignazio in assenza del mae- stro. La voce sonora di baritono, che in lui di cor- poratura grande e ben proporzionata si sviluppò al- l'età di sedici anni, prometteva anche maggiori a- vanzamenti. Talché la pratica cognizione del can- to fermo e del canto fratto gli agevolò la via di apprendere il canto figurato con qualche avverti- mento e precetto suggeritogli dal maestro Silveira, il quale scorgendo nel giovane Baini un genio straor- dinario ed una disposizione particolare alla musica, esortollo a dedicarsi profondamente allo studio della musica del Paleslrina , col metterne in partitura quelle opere che potevano venirgli alle mani. Fu docile al maestro lo scolaro Baini, e e oli' esercì tarsi assiduamente nelle ore di ricreazione nel canto di delta musica pervenne al punto di poterne eseguire Biografia del Baini 233 qualunque pezzo all'improviso: e collo studio fatto nelle partiture presto s'introdusse al conoscimento di quell'armonia di parti, ch'è sì mirabile nelle pro- duzioni di quel sublime compositore. Questo genio per la musica non era del tutto nuovo nella famiglia di Baini. Aveva egli tuttora vivente un zio paterno Lorenzo , il quale, allievo della scuola del famoso Carpani, avea levalo di se grido di maestro distinto, particolarmente colle sue composizioni teatrali, avendo riportato gran plauso per più anni in Venezia, mentre cioè fiorivano in Italia A n fossi , Paesiello , Cimarosa, Pietro Guglielmi ed altri maestri di alta riputazione. Egualmente fu ap- plaudito per le musiche di chiesa scritte in Roma nei ss. XII Apostoli, e nelle cattedrali di Terni e di Rieti, dove compì la sua carriera mortale (1). Non era per Giuseppe Baini l'esercizio nella musica figurata che un oggetto di puro divertimento, quando nel 1795 fu invitalo e stimolato dai can- tori della cappella pontificia a concorrere per una delle voci di basso, per le quali era aperto l'espe- rimento. Ciò avvenne dall'avere il Baini, in occasione della cappella cardinalizia di s. Tommaso di Canlua- ria al collegio inglese, preso parte alla musica nel gran libro che si vedeva da tutti. Ne ammirarono i cantori pontificii la franchezza e la voce, e lo de- (1) Fu questo valoroso compositore lodato dall'almanacco di Milano, il quale asserisce, che Lorenzo Baini dal 1785 fino al 1788 compose molte opere, di cui però non indica i titoli. Secondo il Fetis uno stabat a due tenori e basso, alcuni mottetti a tre parti di tal maestro, si conservano nella biblioteca musicale del celebre abate Santucci (T. 2. pag. 44). 234 Belle arti siderarono fra loro. Monsignor Pacini, in allora se- condo cerimoniere pontificio, ne fu il mediatore, Baini rieusavasi, allegando in iscusa lo studio di teo- logia , al quale attendeva , e la qualità di semina- rista, che non avrebbe mai dimesso, se non al ter- mine degli studi. Tutte le difficoltà furono appia- nate. Il rettore del seminario D. Andrea Lauri vi consentì , ne ottenne il permesso dal card, vicario Corsini, e ne fu anche inteso il sommo pontefice Pio VI. Così in età di anni 19 fu annoverato fra i bassi della cappella pontificia colla condizione di rimanere in seminario per terminarvi i suoi stu- di. Oltre di ciò monsig. Pacini prese l'incarico di condurlo seco in carrozza a palazzo nei giorni di cappella, e di ricondurlo al seminario. Non è da tacere , che quest'ammissione fra i cappellani cantori della cappella pontificia fu ca- gione al Baini di qualche disgusto per l'opinione svantaggiosa che quindi taluni si formarono a mo- tivo della sua applicazione alle scienze, per cui vo- levasi , che o alla musica o allo studio potesse es- sere meno atto; onde si sussurrò con poco favore nelle orecchie del cardinal Zelada prefetto degli studi. Sorsero però a difesa di lui i superiori del seminario , e specialmente il professore di storia ecclesiastica ab. Caprano , il quale ne prese vigo- rosamente le parti, e ne dimostrò il merito delle dissertazioni, che si facevano ne'consueti esami e ne- gli altri esperimenti scolastici , ne' quali riportava premi e lodi. Asceso in dignità ecclesiastica, ed in- fine decorato della s. porpora, mantenne la sua opi- nione sul sapere teologico di Baini, ne divenne me- Biografia del Baini 235 cenate, e Io proponeva come degno di carichi, pe quali si richiedevano soggetti di profonda dottrina Nel primo giorno di aprile del 1797, in quel l'anno sabato sitientes, fu il Baini promosso al sud diaconato, e al diaconato ai 23 dicembre, sabato delle quattro tempora nell'avvento del medesimo anno, e nel seguente 1798 al presbiterato; per cui agli 8 di settembre usci di seminario, quando già Roma oc- cupata da più mesi dalle armi francesi erasi con pochi facinorosi eretta in repubblica. Tempi peri- colosi per un giovane sacerdote! Ma egli nella sua condotta non mai disdisse i primi costumi conve- nienti all' ecclesiastico. Tornato infatti alla paterna casa, ogni sera all'ave Maria si ritrovava alla sua camera, né fu mai veduto girar per Roma di not- te , che per assoluta necessità. Non si trovò perciò giammai presente a verun pubblico spettacolo not- turno di qualunque genere si fosse: e sebbene aman- tissimo della musica, non ne conobbe mai pratica- mente il grande effetto teatrale. Non frequentò nel giorno case particolari, che per dovere e per indi- spensabile convenienza. Il suo divertimento consi- steva nella passeggiata pomeridiana, e non conobbe mai giuochi di sorte alcuna. Ma adempiti i prin- cipali doveri dell'ecclesiastico, era lo studio l'og- getto delle sue occupazioni, colle quali argomenta- vasi ognora di perfezionarsi nella dottrina conve- niente ad un sacerdote, unendo insieme l'applica- zione alla scienza musicale, teorica, pratica e lette- raria , in cui ormai non più per diletto , ma di tutto proposito doveva approfondirsi, per soddisfare decorosamente all' impegnò di cappellano cantore 336 Belle arti pontificio : imitando i celebratissimi compositori di quel collegio, per mantenere nella cappella ponti- ficia quello stile di musica che tanto la distingue sopra di ogni altra. Per evitare le vessazioni, cui andavano soggetti in Roma gli ecclesiastici ai tempi di quella sedi- cente repubblica, empia larva di libertà, si ritirò egli presso di un suo amico e condiscepolo nel terri- torio di Perugia, dove felicemente rimase ignorato. Presto però si restituì in Roma , quando ai primi di ottobre del 1799 fu ripristinato dai napoletani il governo pontificio. Ma essendo giunta la notizia della morte avvenuta in Valenza di Francia del som- mo pontefice Pio VI , si prese grande impegno di fare celebrare nella chiesa vallicelliana ogni giorno le santa messa dello Spirito Santo dai cappellani cantori, dal momento che si aprì il conclave in Ve- nezia fino all'elezione del nuovo papa, che cadde in Pio VII, il quale venne in Roma nel luglio del 1800, ricevuto con acclamazioni universali: e cogli altri affari si ripristinarono le cappelle pontificie. Essendo stati riformati i comuni già in uso sino alle vicende della rivoluzione, furono in loro vece sostituite pei cappellani cantori due accademie per settimana, le quali servissero di esercizio nel canto della cappella pontificia. Queste accademie si vollero stabilire in casa di Baini, cui fu dato il titolo di direttore dei concerti della cappella pontifìcia, seb- bene fosse egli nel numero dei più recenti e gio- vani cappellani. Tanto era l'opinione che di lui ave- vano i suoi vecchi compagni. Abbenchè si avessero per Baini fin d'allora tut- Biografia del Baini 337 fce queste distinzioni, non riputandosi egli bastante- mente istrutto nell'arte della composizione, almeno in lutto il sistema pratico , ne intraprese di sua propria determinazione un corso compiuto sotto la guida di Giuseppe Iannaconi riputato a quei gior- ni il più dotto, e profondo maestro di contrappunto. Incominciò la relazione, o per meglio dire la cor- diale amicizia di Baini con Iannacconi nel 1802, e non ebbe fine che colla morte del secondo avve- nuta il 16 marzo 1815. Da Iannaconi asseriva il Baini essergli state comunicate tutte le tradizioni della scuola romana, che quegli avea ricevuto dal gran Pisari suo amico e cappellano cantore ponti- fìcio: anzi a Baini, come anch'egli dello stesso col- legio, e quasi a titolo di restituzione, volle Ianna- coni consegnare ciò che eragli slato affidato da Pi- sari, memorie cioè, uolizie, foglietti, stracciafogli, composizioni, ed anche originali, nei quali Pisari avea indicato i pentimenti. Tutte queste carte do- vrebbero ritrovarsi nella collezione musicale baiana insieme con alcune composizioni di Iannaconi a 8 e 16 voci, che Baini qualifica per isquisite, e dalle quali affermava di restar umiliato ogni qual volta prendevate a considerare attentamente. Con tali mezzi egli avea grandemente profitta- to nella cognizione della musica antica riguardo alla parte teoretica ed erudita con tale successo , che avendo l'abate Requeno, ex gesuita spagnuolo, pubblicato un'opera sulla musica greca , sepp'egli tenerne tal discorso coll'autore, che questi dovette confessare, solo il Baini essere slato quegli, che aven- G.A.T.CXXI. 22 338 Belle arti do ben compreso quel suo lavoro , glie ne aveva manifestate rilevantissime osservazioni. Né solamente di questa musica, che dicesi an- tica per eccellenza, e che suole formare la parto erudita di un dotto compositore, si mostrava pie- namente istrutto; ma di quella altresì, che dicesi antica comparativamente alla nostra, che forma per così dire i primi anelli di quella serie, sulla quale ha progredito la musica de'nostri tempi. Fu questo il frutto della sua indefessa sollecitudine in raccorre quante opere, memorie, e scritti potevano rischiara- re le tenebre di quei priocipii, e procurarsi un pie- no conoscimento storico-pratico della musica nel suo progre ssivo sviluppo dell' armonia. A lui per- tanto conveniva ricorrere se di tai punti si movea questione: ed egli era al caso di giudicare, se ad una produzione musicale qualunque convenisse il titolo di nuova, che con tanta facilità si suol dare a ciò che non si conosce, o si è dimenticato. Glie ne cadde in fatti l'opportunità nel 1806 allorché l'accademia Napoleone di Lucca premiò solennemente il signor D. Marco Santucci per un mottetto a quat- tro cori , qualificato dall' accademia qual lavoro di genere nuovo. Dee premettersi che il Santucci, dopo la morte di Anfossi maestro di cappella della pro- to-basilica lateranense avvenuta nel febbraio del 1797, era stato eletto da quel capitolo a succedergli, at- tesa la fama che di sua valentia era giunta a Ro- ma. Santucci accettò, e venne da Lucca sua patria in Roma ad esercitare quelP onorato incarico ; ma nei primi mesi del 1798 ripatriò, e di là mandò al capitolo la sua rinuncia. Ora non seppe comporta- Biografia pkl Bawi 33'J re il Baini , che col favore di una decisione di queir accademia, allora di grandioso nome , si ve- nisse a vantare al pubblico l'opera del Santucci co- me produzione di genere nuovo. Perciò con una lettera data alle stampe sopra il detto metodo prese a dimostrare , che non v'ebbe maestro di musica per tutto il secolo decimosettimo , e fino oltre la metà del decimottavo , il quale non producesse composizioni a sedici , a venti , a ventiquattro , a trentasei, e perfino a quarantotto voci. Senza andare tanto indietro , potevano esservi testimoni viventi della prova fatta nella chiesa de' ss. XII apostoli coll'invito di cento cinquanta esecutori del dixil a sedici voci con quattro cori reali di Pasquale Pi- sari composto per la corte di Portogallo nel 1777, e dell' altra prova fatta contemporaneamente nella slessa chiesa di un kyrie e gloria a quarantotto voci in dodici cori reali del maestro Gregorio Bullabeue morto nel 1800, composizione esaminata ed appro- vata dal famoso P. M. Gio. Battista Martini. Que- sta lettera non ebbe alcuna risposta. Dopo di ciò non recherà sorpresa, se essendo insorta quistione fra' giovani maestri di musica su di alcuni punti spettanti l'arJe della composizione , ed avendo co- storo interpellato su i loro dispareri la decisione del rinomato maestro Zingarelli, questi li rimandò a Baini, dichiarando francamente , che da lui più che da ogni altro avrebbero avuto una dotta so- luzione. Di tutto il suo saper musicale riputavasi il Baini principalmente debitore a Gio. Pierluigi da Pale- sfrina, che riguardava qual suo vero e primo mae- 340 Belle arti stro, e nell'opere del quale s' inspirò e si eccitò a spingersi quanto più poteva innanzi nei penetrali di tale scienza. Quindi in segno, per cosi dire, di be- nemerenza si dette ben presto a ricercare e com- pilare una serie di memorie storiche sulla vita di sì famoso compositore , non risparmiando danaro né fatica per raccorre le notizie e i documenti, che servir doveano a corredare la biografìa di un uomo sommo, di cui appena si conoscevano le sole com- posizioni musicali. Molti anni di assiduo lavoro e studio in questo suo imprendimento, non p rima da alcuno tentato, gli hanno meritato l'elogio di sto- rico esatto e severo. Nel medesimo tempo si ac- cinse a formare una scelta biblioteca, che rese sem- pre più copiosa nel lasso di circa quarant' anni, a segno che divenne singolarissima nel genere musi- cale e ne'suoi rapporti, e che destinava dopo a pub- blica utilità. Cominciò altresì nel 1804 a comporre per la cappella pontificia in occasione della solenne benedizione della cappella paolina al Quirinale, e poi nel 1807 per la solennità della canonizzazione dei cinque santi celebrata ai 24 di maggio dal som- mo pontefice Pio VII nella basilica vaticana. Ma da queste e da altre simili composizioni non ri- trasse alcun nome , perchè daj pubblico non si avvertivano come nuove, non se ne cercava l'auto- re, e questi taceva. Appena si stabilì il regime ecclesiastico in Roma nel 1800, si fece egli ascrivere al numero dei sa- cerdoti che assistono alle congregazioni delle scuole cristiane dette degl' ignorantelli : ed in quella, cui venne assegtiato, presso la Trinità de'monti, fece fre- Biografia bel Baini 34 1 onerili instruzioni ai giovani con zelo, chiarezza, e dottrina, e spesso fece a quella scolaresca dei ritiri ed esercizi spirituali. Per tanto suo zelo divenne il su- premo direttore di quelle congregazioni per nomina dell'emo card, vicario. In tale pia opera faticò sem- pre con vigilanza e prudenza fino agli ultimi anni di sua vita. Fin dove portasse il suo zelo nel confessare, e con qual frutto lo esercitasse, ben presto se n'ebbe manifesta riprova. Imperciocché allorché Roma nel 1810, ridotta a dipartimento dell' impero francese, vide deportati e disporsi in un col supremo Ge- rarca e col sacro collegio i principali e più accre- ditati ministri del santuario , e divenuto perciò as- sai scarso il numero degli operai evangelici, non credette di tenersi più ristretto nella congregazio- ne degl'ignorantelli, ma assunse l'incarico di con- fessare in chiesa pubblica , scegliendo fra le chie- se quella di s. Silvestro in Capite, come più accon- cia per rendersi utile a' prossimi nel suo ministero, senza romore, e senza anche l'apparenza di osten- tazione. Avvenne nulladimeno , che ben presto il numero di penitenti di tutte le classi, comprese le primarie della città , andò giornalmente crescendo in sì fatto modo , che la chiesa di s. Silvestro di- venne delle più frequentate; e sebbene per secon- dare l'affluenza de'concorrenti vi si recasse egli in inverno due ore innanzi al giorno , vi era di già atteso da non poche persone, siccome spesse volte ne rese testimonianza il chierico Girolamo che an- dava a prenderlo nella sua abitazione incontro san Lorenzo in Lucina, e Io accompagnava colla lanterna. 3 Vi Bklle arti Il governo di quei giorni non poteva vedere di buon occhio si gran concorso alla chiesa di s. Silvestro; ma non avendo di che attaccare la con- dotta sempre prudente e riservata di Baini, prese il partito di chiamarlo a render conto del suo stato ecclesiastico , ed obbligarlo al giuramento in caso eh' egli avesse goduto di alcun beneficio, prebenda, o pensione. Il colpo però andò a voto, poiché egli dimostrò che vivea unicamente delle sostanze del genitore , il quale fornivagli tutto il bisognevo- le , e quindi fu rimandato senza esigere di più. Cotale tentativo fu fatto più di una volta, e sempre collo stesso risultato ; perciò si pensò ad altro mez- zo, cioè di allontanarlo da Roma: e questo tanto più artifìzioso, quanto più apparentemente diretto a ren- dere onore al suo sapere musicale. Si fece co- noscere a Parigi il suo merito distinto : ed ecco non tarda a veniie di là un invito, col quale è chiamato alla cappella imperiale. Baini senza esi- tare ringrazia agi' invili , quantunque lusinghieri. Però di quei tempi non così facilmente si resisteva senza provarne de' più forti, che alla fine diveni- vano violenti: ed infatti sulla fine del 1811 gli fu partecipata la nomina dell' imperatore Napo- leone, che lo dichiarava direttore generale della mu- sica ecclesiastica di tutto l' impero francese col vi- stosissimo appuntamento di quaranta mila franchi all' anno, coli' obbligo a tutti i dipartimenti dell'im- pero di seguire i melodi, che il Baini avrebbe pro- posti , e di accettare i maestri che avrebbe scelto. La nomina sotto la sua semplice apparenza era som- mamente onorifica e lucrosa ; esso però ne vide Biografia del Baimi 343 subito tulle le conseguenze, e tentò farne la rinun- zia; ma accorgendosi che questa riuscirebbe vana, e forse 1' obbligherebbe ad una più sollecita par- tenza , siccome era già avvenuto ad altri per altre diverse nomine, prese il partito d' indugiare, e così gli venne fatto di ottenere una dilazione fino all'anno seguente. Nel corso del 1812 rinnovò i tentativi per altra dilazione; ma nell' ottenerla limitata gli venne significato, che Napoleone in partendo per la guerra di Russia avea dello: Al mio ritorno da Pietroburgo voglio trovare Baini a Parigi (1). Pareva perciò deciso irrevocabilmente il viaggio di Baini; ma le vicende di quella guerra memorabile cambiarono del tutto la faccia, e la provvidenza che dispose per tal modo il ritorno in Roma del sommo pon- tefice Pio VII , ed il ristabilimento della religione nel suo pieno e libero esercizio, protesse ancora il Baini, il quale in quelle grandi traversie dell' im- pero venne dimenticato , e potè continuare tran» quillamente in Roma il suo santo ministero. Ritornata Roma nel 1814 sotto la domina- zione del sommo pontefice, fu cura particolare di Baini di riorganizzare prontamente il collegio dei cantori pontificii che si ritrovavano per la maggior parte dispersi in vari paesi dello stato : e sebbene non fosse egli ancor giunto ad essere il più an- ziano de' bassi, cui tocca dirigere la nfusica in vi- (1) Così leggesi nella Iconografia d' Euterpe, Italia e Londra 182Ì, ove air articolo Daini, che ancora era vivente, si confer- mano le notizie di sopra esposte, che finisce con asserire , che Baini si deve consiaerare sotto più rapporti , ma più particolar- mente come teorico , il più dotto fra i viventi armoniiti: 344 Belle arti gore delle costituzioni, fu scelto nulladimeno una- nimemente dai suoi colleghi per direttore della cap- pella, e per tal fatto si volle rendere uh distinto onore al suo merito. Oltre a ciò Io stesso sommo pontefice Pio VII lo incaricò di riprendere lutto l' archivio musicale della cappella pontifìcia dalla biblioteca vaticana , dove era stato trasportato in tempo del governo francese , di riporlo nel solito locale del Quirinale, e d' invigilare sul trasporto. Corrispose fedelmente all'onorata incombenza: e non è addire se la disimpegnasse diligentemente, ordi- nando tutto 1' archivio con opportuni cataloghi. Da qui, sebbene non godesse fra' suoi col- leghi di alcuna speciale prerogativa che lo ren- desse superiore agli altri in autorità, cominciò nul- ladimeno ad essere consideralo come il sostegno del collegio de' cappellani cantori: onde il sommo pon- tefice, ed il cardinal segretario di stato, ed il mag- giordomo a lui principalmente si dirigevano in qualunque cosa che riguardasse il canto della cap- pella, o gli affari de'cantori pontifìcii. Crebbe altresì questa considerazione quando nel 1818 fu a pieni voti eletto camerlengo della cappella, elezione che lo costituiva in dignità abaziale del collegio. E qui è da sapere che sebbene la carica di camer- lengo sia annua in forza delle costituzioni apostoli- che, in Baini però fu continua, perchè gli fu sem- pre confermata, e non a voti segreti, nei quali pre- valesse la semplice pluralità, ma per acclamazione unanime di tutti i cappellani votanti. Di tanta par- ticolare considerazione non profittò a suo proprio vantaggio, ma a quello de'suoi colleghi, che amava Biografia del Daini 345 quai suoi più cari fratelli, ed a mantenere per quanto fosse possibile in vigore le costituzioni, delle quali egli mostratasi il primo e più zelante osservatore. Posto in questa preminenza di merito e di onore, ed in frequenti relazioni col maggiordomo de' sacri palazzi apostolici , e tal volta col cardinal segretario di stato, ben presto dette a conoscere di quanto estese cognizioni fosse egli fornito; talché il cardinal Consalvi, in allora segretario di stato, volle far prova del suo sapere , non solo per affari di eappella, ma anche per altri che richiedevano teo- logia, e storia ecclesiastica, e dotto canonista. Perciò era ammesso in udienza dal cardinale nelF ora del suo desinare tutto privato: e in segno di piena sod- disfazione, intorno ai lavori e consigli di lui soleva alcune volte esclamare, che per essere ben servilo dovea ricorrere ai semplici abati. Cominciò frattanto a spargersi la fama di Baini, non di qual semplice pratico nella scienza musi- cale, ma di tal teorico, che ne abbraccia la parte più connaturale alla musica, la poesia, e la filoso- fia , che venne in gran rinomanza presso le più colte persone e di Roma e straniere. Quindi il conte di s. Leu ( Luigi Bonaparte già re di Olanda) avendo voluto tentare ciò che da più rinomati poeti fran- cesi era creduto affatto alieno dalla natura del loro linguaggio , il verso cioè non rimato francese , il quale si sostenga, come in italiano, per forza di suo ritorno nella combinazione delle sillabe , pensò di consultare il Baini, come colui ch'egli riputava il più abile a dare una giusta opinione sulla natura del ritmo poetico. Per soddisfare adequatamente ai que- 34G Celle arti siti dell' illustre personaggio, rispose con un Saggio sopra V identità de ritmi musicale e poetico , il quale fu subito tradotto in francese dallo stesso conte di s. Leu in attestato di sua piena approvazione, e comparve dato alle stampe nelle due lingue in Fi- renze nel febbraio del 1820 presso il libraio Piatti. Sebbene di questo saggio siasi fatta più di una edizione, le copie ne sono divenute rarissime. Aveva egli già dato prove del valore in com- porre a 4, 5, 6, 8 e fino a 12 voci per servizio della cappella pontificia, come si è accennato di so- pra. In particolar maniera è da rammentarsi, che nel 1815 essendo il 21 marzo, giorno anniversario della coronazione del sommo pontefice Pio VII , caduto nel martedì santo, e dovendosi cantare indi- spensabilmente in cotal giorno dalla feria III della settimana santa, Baini ne compose tutto il servizio musicale, che non esisteva, colle risposte concertate della turba nel Passio, e per mottetto dopo l' of- fertorio pose in musica la preghiera Oremus prò pontifice Pio ec. : con tale convenienza di opportu- nità, sentimento di composizione, ed effetto di ese- cuzione, che lasciò negli uditori vivo desiderio di ripetizione, senza che sia stato soddisfatto: perchè non più in appresso ricadde una cotal messa nei primi giorni della settimana santa. È notabile che Baini venne per ordine di Carlo IV re di Spagna incaricato di tutto il servizio annuale della chiesa , il quale fu da lui disposto in più volumi a 4, 6, 8 voci, e vi aggiunse di suo particolare lavoro due acclamazioni in onore di Ferdinando VII , in un Biografia del Baimi 347 canone a 64 voci divise in 1G cori reali , che da luì si condussero a fine nel 1819- Queste ed altre sue produzioni gli acquista- rono il titolo di grande compositore ; ma di tale riputazione ei godeva solamente presso gì' intelli- genti di simil genere di musica, ed eragli comune con quella che si erano acquistata altri suoi colle- ghi, fra gli ultimi de' quali distinguevansi e i Ce- ciliani e i Fazzini, le cui produzioni si eseguiscono tutt' ora nella cappella pontificia , e vengono dal pubblico classificate nella generalità di musica alla Palestrina, senza alludere agli autori. Si deve oltre di ciò considerare, che questo canto alla Palestrina non diletta pienamente le orecchie di tutti gli ascol- tatori , e senza dubbio i più numerosi , assuefatti ad un altro genere di musica più lusinghevole nei suoi modi, cui troppo si oppone lo stile grave di un' armonia , che risuona con tutt' altro movimento di parti ; perciò la celebrità degli autori e della musica alla Palestrina si estende in una sfera assai limitata di conoscitori , tra i quali pareva che il Baini dovesse rimanere confuso ed ignorato. V è però un tal genere di musica nella cap- pella pontificia, che si loda e si ammira da tutti , e per la qualità del canto e per la sua esecuzione divenuta tradizionale fra i cappellani cantori , cioè a dire il canto degl' improperi, delle lamentazioni , e dei miserere nella settimana santa. Ma sopra tutti gli altri pezzi i miserere portano il vanto, e la fa- ma di queste composizioni è divenuta più che euro- pea. Da lungo tempo hanno affluito a Roma fore- stieri di ogni rango ne' giorni della Pasqua, e ac- 348 Bèìle arti corrono in folla alla cappella Sistina per ascoltare il miserere. Tutti ne partono pieni di entusiasmo , e non senza un qualche sentimento religioso impresso nel loro cuore. Basta fra le descrizioni che ne han- no pubblicato gli stranieri leggere quella di mada- ma di Stàel nella sua Corinna, per ammirare co- ni' essa descriva 1' effetto sentimentale del miserere della cappella Sistina, che vuole prodotto da quella sublime armonia, la quale si fa sentire siili' imbru- nir dell' aria, ed al cospetto dell' imponente dipin- tura del gran Michel' Angelo. I miserere pertanto della cappella pontifìcia hanno una celebrità unica nel suo genere , ed i nomi de' loro compositori si spandono colla moltiplicata degli stranieri m remo- tissime contrade. Ora i miserere della cappella Sistina da lungo tempo erano due soli, e perciò uno veniva ripetuto nei tre notturni delle tenebre. Il più antico dei due è di' Gregorio Allegri (1) cantore pontifìcio, che lo compose nel 1629 in due versi, l'uno a cinque, e l'altro a quattro, coli' ultimo a nove voci. Il secondo fu ad istanza del collegio de' cantori pontificii com- posto nel 1714 da Tommaso Bai (2), maestro della (1) Gregorio All'egri prete, e compositore di musica, nacque ih Roma nel 1380. Avendo ottenuto nella cattedrale di Fermo un be- neficio, servi in quella chiesa in qualità di cantore e compositore, e pubblicò vari mottetti a 2 3 4 5 6 voci; per cui venuto in esti- mazione presso Urbano Vili, fu annoverato a' pontificii cantori nel 1620. Seguitò con lode in tale carica fino alla sua morte avvenuta ni 16o2. Si segnalò per molle opere riportate dal Fetis ( tom. 1 pag. 52 ) ma soprattutto si è immortalato nel miserere di cui par- liamo. (2) Tommaso Bai, o Bay, nato a Crevalcuore nel territorio di Biografia del Baini 349 basilica vaticana, con un verso a cinque, e l'altro a quattro, e V ultimo a otto voci. Dopo la produ* zione del Bai, che caminava di pari passo con quel* lo dell' Allegri, furono condannati al silenzio i mì- serere di Felice Anerio e dello Scarlatti , che si cantavano a compiere i tre con quello. dell' Allegri. E vero che si procurò in appresso 1' aggiungere il terzo mìserere ai due, che si cantavano con applauso ed universale soddisfazione. Nel 1767 il famoso vio- linista Giuseppe Tartini fece dono alla cappella pon- tificia di un mìserere a nove voci. La fama del compositore, e l'effetto che parve sentirsene alla prova, fé risolvere i cappellani cantori ad eseguirlo nel melcoledi santo del 1768 alla cappella Sistina, presente il sommo pontefice Clemente XIII, e con gran folla d' intendenti prevenuti a favore dell' au- tore. L' esito non corrispose alla generale aspetta- zione, ed il pubblico giudizio sentenziò 1' opera del Tartini a perpetuo silenzio. I cappellani cantori si rivolsero allora a Pasquale Pisari loro compagno e compositore di tal merito, che dal P. M. Martini venne riputato il Palestrina del secolo XVIII. Lo stimolarono per circa nove anni a profittare della caduta della composizione del Tartini, e a dare alla cappella pontificia un terzo mìserere da stare a con- fronto degli altri due. Pisari finalmente cedette alle loro continuate e lusinghevoli istanze, e compose il Bologna verso il 16o0, dopo molli anni che servì la cappella pon- tifìcia, ne fu eletto maestro nel 1713, e. l'anno appresso 1714 mori lodato come il più antico e virtuoso della cappella. Il suo misererc bastò per assicurargli una fama non peritura ( v. Fetis t. 2 p. 37 ). 350 Belle Arti suo mìserere a nove voci, che fu accettato dal col- legio de' cantori, ed eseguito nel rnelcoledì santo del 1777 alla presenza del sommo pontefice Pio VI. Ma che? furono inutili tntti gli sforzi degli esecu- tori ; il mìserere di Pisari non fu mai riprodotto una seconda volta. Pareva pertanto, che la cappella pontificia do- vesse contentarsi per sempre dei due soli mìserere dell' Allegri e del Bai (I) , essendo riusciti così infausti a'compositori di altissima riputazione, i ten- tativi di aggiungerne loro un terzo. Così però non sembrò alla santa memoria del sommo pontefice Pio VII, il quale dopo la pasqua del 1820 ordina a Baini, per organo dell' eminentissimo Consalvi se' gretario di stato , di comporre un terzo misererò per 1' anno seguente. II comando del sovrano sup- pone in Baini un'abilità corrispondente all' impresa, ed in ciò onora la persona cui vien dato ; ma non dilegua un' opinione già stabilita di una quasi di- chiarata impossibilità , di potersi mettere a livello colle composizioni dell' Allegri e del Bai. Contutto- ciò egli docile piegò il capo al comando, persuaso nella sua obbedienza, che venendo a lui il comando (1) Tredici miserie sono siali scritti a servizio della cap- pella vaticana (dice Fetis toni. 2 p. 37 ) per la settimana santa ; ma un solo venne eseguito, cioè quello dell'Allegri, pel lasso di un secolo ; cioè fino a quello composto da Bai, come si è detto. In esso avvi molla imitazione del primo, ma con melodiose modifica- zioni ben concepite. Fu con applauso adottalo, e cantato ogni anno fino al 1768, in cui si cantò quello di Tartini, che subito fu la- sciato in oblio, e si ripigliò quello di Bai. Il miserere di Pasquale Pisari subì la stessa sorte ; mori nella sua cuna. Si ritornò a quello di Bai, che fu pubblicato da Chorou nella sua collezione. Biografia del Baini %h\ dall' alto della s. sede apostolica, non mancheranno ancora a lui dall'alto gli aiuti necessari. Unisce allo studio la preghiera , ed interpone particolarmente la mediazione di colei, da cui egli protesta di ri- petere ciò che sa, la Vergine Santissima: scrive il miserere e si eseguisce nella cappella sistina il ve- nerdì santo del 1821. Fu tale 1' incontro, il piace- re, e la soddisfazione universale, che il miserere di Baini dal 1821 è stalo ripetuto costantemente in tulli gli anni consecutivi: e questa generale appro- vazione fa presumere che si canterà anche negli anni futuri , come il solo che ha sorpassato gli sforzi di tutti gli altri compositori, ed ha ottenuto la gloria di completare il numero dei miserere della cappella pontificia. Si osservi di più che mentre i due miserere di Tartini e di Pisari furono cantati nel melcoledì santo nel primo giorno cioè dell' of- ficio delle tenebre , e perciò colle voci fresche dei cantori , e senza sostenere anticipatamente il peso della comparazione dei due gran miserere dell' Al- legri e del Bai, quello di Baini fu eseguilo nel ve- nerdì santo, quando cioè gli orecchi erano già stali incantati dalle sublimi armonie dei due vecchi mi- serere, e quando le voci erano già affaticate dai lunghi ollìci precedenti. Eppure pieno fu il trionfo di Baini, e il suo nome corre da quel punto sulle bocche di ogni sorta di viaggiatori , né più ri- mane confuso nel numero dei compositori alla Pa- lestrina (1). (1) Lo stesso Felis assai parco lodator di Baini nel resto, trattando del viiscrere ne fa grandi encomi, affermando, che è i) 352 Belle arti Non si pretende già che il misererò di Baini abbia sorpassato gli antichi nel bello della sua com- posizione : basta solo che abbia potuto sostenerne il riscontro con riputazione nel loro consorzio. Do- vrà nulladimeno rilevarsi, che mentre ai due mise- rere dell' Allegri e del Bai mancano ora voci ade- quate alla perfetta esecuzione, quello di Baini si trova meglio alla portata delle voci degli attuali cantori. Gioverà ancora far conoscere, che il mise- vere dell'Allegri ebbe bisogno di più anni per ar- rivare a quel grado di perfezione , cui pervenne alla metà del secolo decimosettimo , perchè spesso ripulito e cangiato dal suo stesso autore nelle parti a seconda dell' effetto, e perchè ne fu variata e per- fezionata l' esecuzione da altri suoi eccellenti colle- ghi e grandi compositori, che vi studiarono sopra. Tommaso Bai nel comporre il suo si tenne sugli andamenti del miserere dell' Allegri, variando alcun poco, ma con semplicissime ed insieme delicatissi- me armonie, anche gli altri versi. Baini poi tenne una via tutta nuova e sua, mentre non poteva per terzo andar sulle orme degli altri due. Compose il suo miserere con varietà continua di strofe, di modo che il canto non è quello dell' Allegri, non è quello del Bai: dell'uno e dell'altro è lo stile, di cui si è impadronito con un possesso di scienza, che Del- l' effetto sa farsi ammirare da tutti. Ecco dunque solo che abbia potuto reggersi al confronto degli altri suddetti. Est le setti qui a pu soutenir la comparaison des miserere d' Al- legri et de Bai : il est eocecu,té altcrnativcment acce cenci ( t. 2. pag. 44). Biografia del Baini 353 1' epoca., io cui il Baini si manifestò al pubblico con fama perenne di sommo compositore della cappella pontificia, onde ai nomi già famosi dell' Allegri e del Bai ora si aggiunge ancor quello del Baini (1). La descrizione alquanto minuta delle circostanze di una tale produzione musicale è stata giudicata con- veniente a farne apprezzare il merito, e la lode che ne ridonda al compositore ; lode che aumentossi in altre occasioni. Infatti agli 11 di novembre del 1822 venne in Roma dal congresso di Verona il re di Prussia Guglielmo Federico III sotto il nome di conte Rup- pin: e dopo aver percorso tutte le rarità della città ed aver assistito ai vespri dell' anniversario della consacrazione della basilica vaticana, manifestò al cardinal segretario di stato il desiderio di ascoltare alcuno dei migliori pezzi di musica della cappella pontificia. Il cardinal Consalvi si fece un pregio di soddisfare alla richiesta di sua maestà prussiana , disponendo che al suo ritorno da Napoli, dove si era trasferito per alcuni giorni, si facesse un' acca- fi) Così la scuola romana riconosce in Baini un puulo lumi- noso del suo storico progredimento, cominciando dalla sua restau- razione l'atta dal principe della musica Giovanni Pierluigi da Pale- stina. Da lui morto nel 1594 scorse fino all'Allegri morto nel 1652 ; da questo fino a Bai morto nel 17-14. Da Bai a Baini , morto nel 1844, andò progredendo mirabilmente. Potrebbe perciò continuarsi felicemente la storia della cappella pontificia fino al nostro tempo. 11 primo a brevemente tracciarla fu Andrea Ada- mi da Bolsena, che la condusse fino al suo tempo 1711. Ma egli la fa soltanto per modo di proemio all' opera sua Per ben regolare il coro ec. Mentre meritava di essere ampiamente e distintamente sviluppala a gloria di Roma di ogni sapere ed arte madre e maestra. G.A.T.CXXI. 23 $54 Belle arti demia dai cantori pontificii nel suo appartamento di segretario de' brevi al palazzo della con sulla. Baini fu da sua eminenza incaricato della direzio- ne e della scelta dei pezzi da eseguire, fra i quali per una lodevolissima modestia nulla incluse di sua composizione. Vi cantarono i due miserere di Al- legri e di Bai, il mottetto pieno a 8 voci Angelus Domini di Claudio Casciolini, il mottetto pieno a 8 voci In lectulo meo di Pietro Bonomi, due Bene- dictus concertati, 1' uno a 5 e 1' altro a 6 voci di Gio. Batt. Fazzini, gì' improperi concertati a 8 voci, e lo Stabal mater pieno a 8 voci di Giovanni Pier- luigi di Palestrina. L' accademia ebbe luogo nella sera del 10 dicembre coli' intervento del re di Prus- sia e del suo fratello principe Federico, del corpo diplomatico, degli eminentissimi cardinali, e di molta nobiltà romana e straniera. Tutta la musica fu di- stinta in due parti. Nella pausa fra la prima e la seconda parte, il re passando nella camera del canto diresse a Baini un lusinghevole complimento, seb- bene egli non fosse stato di quella musica che il semplice direttore. Anzi per dargli un attestato del- la sua stima, nel lasciar Roma il giorno seguente per restituirsi a Verona, ordinò, che quando i prin- cipi reali suoi figliuoli Guglielmo e Carlo fossero tornati da Napoli a Roma (il che avvenne il 10 dello stesso mese di dicembre) si portassero in un giorno convenuto insieme col generale Vitzleben, col ministro di Prussia residente in Roma , e con altri principali personaggi della loto corte, all' abi- tazione di D. Giuseppe Baini, per assistere all' ese- cuzione di qualche pezzo della musica pontificia. Biografia del Ratini 355 Baini corrispose siccome si doveva all'onorevole in- carico, e fece eseguire in sua casa dai colleghi cap- pellani cantori varie composizioni classiche e di grand' effetto. Ma se il re di Prussia non potè ascoltare al- cuna composizione di Baini, del quale conosceva per altrui relazione 1' alto sapere musicale, volle in compenso avere qualche distinta sua produzione scritta espressamente. Baini non trovò mezzo di ri- cusarsi, e si accinse all'opera per consiglio e quasi per comando superiore : quindi dopo non molto tempo intitolò a sua maestà un volume sugi' inni con una dissertazione preliminare, la quale portava in fronte per soggetto : Tentamen renovationis mu- sicete harmonicae-syllabieo-rhytmicae super eanlu gregoriano saeculo seplimo in Ecclesia pervulgatae. Quanto il re Federico rimanesse soddisfatto di tutta 1' opera, lo dette a divedere coli' onorare il Baini della gran medaglia d' oro destinata nel suo regno ai sommi artisti. Gli venne rimesso quell' emblema di onore dal suo ministro presso la s. sede cavalier Bunsen. Ne a ciò soltanto il re voleva limitare la sua riconoscenza : ma oltre a quell' onore gli fece significare dal detto suo ministro, che era sua in- tenzione di conferirgli uno dei più ricchi benefici i ecclesiastici esistenti nella Prussia , dei quali era a sé rimasta la collazione in vigore dell'accordo con- chiuso colla s. sede nel 1821, e che a lui sarebbe permesso di goderne le rendite tranquillamente in Roma. Baini non consultò che i suoi doveri e la sua coscienza, e rispose con modestia che mentre rendeva somme grazie alle intenzioni certamente be- 356 Belle arti nefiche di sua maestà , non accetterebbe giammai per alcun modo la collazione di un beneficio qua- lunque, il quale dovea essere il patrimonio degli ecclesiastici che attendevano alla cura del gregge cattolico nel regno di Prussia. Non potè a meno il ministro di non ammirare in Baini sì nobili sen- timenti. Informò quindi dell' accaduto il suo so- vrano ; il quale persuaso che non si vincerebbe una tale resistenza, volle invece che gli si offrisse a suo nome in dono una scatola d'oro, ed un bel- 1' anello di brillanti. Baini credè dovere accettare quei cimeli per non apparire orgogliosamente re- stìo verso un personaggio di sì alto rango , ma non ne fece giammai pompa , apzi li tenne ce- lali anche a' suoi più intimi amici: e solo vi- cino a morte e per disposizione testamentaria ne fece dono ad onorare le immagini di Roma più miracolose di Maria Santissima, da cui egli ricono- sceva ogni bene, potendo dire col savio : Venerimi autem mi hi omnia bona pariler cum Ma ( sap. 3. cap. 13 ). Siccome l'uomo grande accoppia col sa- pere la bontà, che di sua natura è diffusiva, inten- dendo più all'altrui, che al proprio bene; così Baini amava di comunicare generosamente quanto avea appreso, giusta l' insegnamento dello Spirito Santo : Quam sine fiottone didici, et sine invidia communico (Sap. 7. v. 13). Perciò senza alcun interesse vogliosamente co- municava ad altri la sua scienza musicale. Sono mol- tissimi gli allievi che fece nell'arte di comporre, non limitandosi a1 soli romani, ma agli stranieri eziandio, e di olirà monti. Fin dal 1807 incominciò ad eru- Biografia del Baini 357 dirsi nel contrapunto un giovane della pia casa de- pli orfani, che prometteva grandi avanzamenti , se nel primo fiore degli anni non fosse prevenuto da immatura morte. Da questo principio incominciò la serie numerosissima degli scolari, che per suo par- ticolar requisito attestava di avere appreso o per- fezionato il contrappunto sotto un cotal maestro, che continuò ad insegnare quasi sino all' ultimo giorno della sua vita. Per cui con ragione dicea il R. P. Grossi nel suo elogio funebre : Chi dei moderni no- stri compositori di musica non è stato scolaro di Baini ? Non sarà poi discaro il sapere che fra i moltissimi suoi allievi Baini teneva in sommo pre- gio NicCola Cartoni, la cui vita fu rapidamente mie- tuta in Roma dal colera del 1837. Ora con un sì gran numero di scolari di ogni classe e nazione , da niuno prese mai la menoma retribuzione : mai non accettò il più piccolo dono in segno di ricono- scenza: che anzi i ringraziamenti stessi doveano es- sere assai parchi e moderati. Dovrà ancora encomiarsi in Baini la compia- cenza, colla quale si prestava allo scioglimento delle difficoltà musicali, e le maniere urbane insieme e semplici, colle quali solea trattare coloro che vole- vano far la sua conoscenza. Fin da' paesi d' oltre - monte furono a lui spedite canzoni antiche a voce sola, ed altri pezzi di musica, de' quali non sapeasi determinare il valore^ e la misura delle note , nep- pure da espertissimi professori; ed egli prontissimo ne rese facile la lettura e l' esecuzione. Non negò giammai i consigli a coloro che a lui sottoposero le loro composizioni, e per conoscere di quanta im- 358 Belle arti portanza si valutasse la opinione di lui, gioverà il sapere, che Pietro Terziani maestro di cappella in s. Giovanni in Laterano non volle eseguire in pub- blico un suo Magnificat, se prima nella prova non veniva sentito ed approvato da Baini. Né fu egli tenuto solo in tanto pregio da' maestri di Roma : fu anche più visitato e ricercato da' compositori di gran nome, che vennero fra noi, nel numero de' quali basterà rammentare e Paer, e Clementi, e Giovanni Mayer, e Stimmel, ed altri tali. Specialmente Cle- menti e Mayer non isdegnarono recarsi frequente- mente da lui nella sera, per udirlo sviluppare nelle opere del Palestrina tutto il sublime di quelle com- posizioni, mentre nella loro ammirazione dichiara- vano pur francamente di aver fin' allora sconosciuto l' eccellenza di quelle armonie. Non è perciò da sorprendere se la sua fama divenisse grande in Ger- mania, in Francia, ed in Inghilterra, dove, mentre ancora era vivente, si pubblicarono articoli biogra- fici a suo elogio, Ài 28 settembre del 1823 fu eletto in sommo pontefice il cardinal Annibale della Genga, che as- sunse il nome di Leone XII: il quale avendo prima occupata la carica di vicario di Roma , conosceva Baini come ecclesiastico di distinto sapere, e di zelo indefesso nel prestarsi all' assistenza della chiesa e al bene dei fedeli. Non tardò pertanto a servirsi di lui coli' incaricarlo a stender voti ed altro, di cui è rimasto, come ben si doveva, segreto il soggetto. Si sa di più che ammettendo talvolta un qualche af- fare allo studio ed all' esame di un R. P. C. il pon- tefice aggiungeva: Ditegli che non faccia nulla senza Biografia del Baini 350 consultare e sentir prima V opinione di Baini. Anzi enfaticamente diceva: // R. P. senza Baini non fa nulla di buono. Non ignorava papa Leone che per comando del sommo pontefice Pio VII aveva il Baini composto il terzo miserere nell'offìzio delle tenebre; e conoscendo per prova come avesse saputo riuscirvi, si degnò ono- rarlo di simile incumbenza, col domandargli qual- che nuova produzione. Fino a tutto il pontificato di Pio VI ed ai primi anni del suo successore le messe di requiem si cantavano col semplice canto fermo nelle cappelle papali. Fu il cardinal Consalvi, segre- tario di stato, che volle si sostituisse il canto con- certato del Palestrina, o di altro maestro di quel genere. I cantori pontificii scelsero allora il Dies trae composto dall' Anerio, nel quale le strofe con- certate sono interpolate a quelle del canto fermo : e 1' altro del Pitoni per le messe più solenni , poi- ché questa era meritamente riputata la più bella composizione che potesse eseguirsi a sole voci. Av- veniva pertanto, che il Dies trae del Pitoni si can- tava quasi sempre nelle cappelle papali pe' defonti, e che quello dell' Anerio era riservato ordinaria- mente a' funerali di grado inferiore. Perciò il sud- detto papa Leone avendo sempre inteso cantare il medesimo Dies irae, combinandosi un giorno a tra- versare la cappella Sistina, mentre ancora v' erano riuniti i cappellani cantori, dimandò loro colla sua solita affabilità, perchè mai nelle messe dei defonti non variassero il Dies irac ? Gli fu risposto rispet- tosamente, che come quello non ne conoscevano al- tro di un più bello eftetto, e che 1' altro dell' Aneri* 360 Belle arti comparirebbe assai inferiore. Al cbe il papa sog- giunse : E perchè non se ne compone uno nuovo ? Intese il Baini il desiderio di Leone XII, che per lui fu un comando, e tosto si accinse all' opera ; ed ecco nuova occasione di merito e applauso. Il Dia trae fu da lui scritto, e cantato nel 1 825 nella cap- pella pontificia con piena soddisfazione del sommo pontefice e di tutti : talmente che si è sempre pro- dotto, e gli stessi cantori pontificii instruid da lui mostrarono vivo impegno di eseguirlo nelle funebri ricorrenze. Piace però rammentare, che nel funerale fatto ai 16 ottobre 4837 nella basilica vaticana , e precisamente nella gran navata dei santi Processo e Martiniano, in suffragio dei morti in Roma di co- lera con cappella papale, e presente il sommo pon- tefice Gregorio XVI che fece P assoluzione, fu ese- guito il Dies trae di Baini: e tanto ne fu ammira- bile e soave 1' effetto , che Basily, insigne maestro della basilica, nell' ascoltarlo la prima volta confessò di non aver potuto in alcuni passi contener le la- grime. Questa seconda sua produzione fa seguito al così celebrato miserere, che entrambi anche soli assicurano all' illustre autore onoranza non peritura. Nel 1825 si celebrò in Roma 1' anno santo. È noto a tutti con quale pubblica edificazione il som- mo pontefice Leone XII andasse processionalmente alla visita delle chiese, e frequentasse le stazioni in alcuni giorni della quaresima. In tutte queste fun- zioni Baini dovette esser presente , anche quando non si richiedeva che un piccolo numero di can- tori, per regolare la recita delle preghiere. Nella mattina del 26 maggio, giorno dedicato alla festa Biografia del Baini 361 «li s. Filippo Neri, il s. padre a punta di giorno partì a piedi scalzi dal Vaticano per recarsi a cele- brar la messa nella chiesa di s. Maria in Vallicella. La cosa fu talmente improvvisa , che la guardia svizzera si avvide del papa al suo passaggio alla porta, ed alcuni di quel posto si dettero a seguirlo per ogni buona precauzione. Il pontefice era se- compagnato da due soli ecclesiastici ai suoi fianchi, e questi erano monsignor Soglia dall' un lato, e Baini dall'altro; e quantunque non si trattasse di canto, pure il papa lo volle compagno della sua privata processione di penitenza ; avendolo la sera innanzi avvisato senza indicargli il motivo : lo volle così direttore delle preghiere che andavano recitando per via. Basta questo tratto per dare a conoscere I' opinione che Leone 'X.II aveva di Baini. Fin qui D. Giuseppe Baini nella sua comples- sione di robusta e ben proporzionata corporatura avea goduto di buona salute ; ma le fatiche straor- dinarie dell'anno santo, l'assistenza allora più che assidua al confessionale , e le applicazioni di tavo- lino, alle quali soleva dedicare non poche ore della notte , furono cagione di un deterioramento assai notevole, che presto degenerò in infermità. Il male si manifestò con un raffreddore , che da prima fu trascurato da chi era solito farne poco conto , ma che poi ebbe bisogno di cura particolare , perchè presentò un carattere serio. I rimedi ed il cambia- mento dell' aria se pervennero a mitigare il male , non giunsero mai ad estinguerlo: e si può ben af- fermare che nel 1826 ebbe principio in Baini quel cronicismo, che per un lasso di' 18 anni, e con yi-> 3G2 Bjeiak arti cende sempre varie , lo afflisse costantemente e lo condusse finalmente al sepolcro. Egli però mentre intraprese una vita regolatissima nel cibo e nelle sue domestiche abitudini , non mancò per quanto gli fu possibile di soddisfare alle sue solite occu- pazioni. Non abbandonò punto il confessionale , e solamente dopo qualche tempo, per patir meno in- comodo , da s. Silvestro in Capite lo trasferì alla chiesa di s. Apollinare, perchè vicina alla sua abi- tazione presso l' archiginnasio romano. Rarissime volte mancò alle cappelle pontificie , alle quali si faceva sempre trasportare in carrozza, ed assai spesso convenne ai suoi compagni sostenerlo nell' ascendere le scale a motivo della sua debolezza , e dell' af- fanno che l' opprimeva. Eppure all' incominciar del canto egli si rianimava, e ne dirigeva con ener- gia T esecuzione , e si vedeva rinvigorire con sor- presa di tutti. In casa egualmente non intermise le sue occupazioni di studio, e il soddisfare a tutti co- loro che a lui ricorrevano per istruirsi: poiché se il corpo a lui s' indeboliva nelle semplici forze di azioni ( giacché conservò sempre ottima vista ed udito ) , Io spirito però mantenne sempre vigorose tutte le sue facoltà: cosicché potè condurre quella assai celebrata opera che pubblicò in Roma nel 1828 per le stampe della società tipografica, che ha per titolo : Memorie storico-critiche della vita e delle opere di Già. Pierluigi da Palestrina ec. (I). (1) Sono tomi 2 in 4 grande, Roma 1828. Il Fetis dice, che la critica letteraria, l'erudizione, il sapere musicale, e la perfetta cognizione dello stile, rispondono in (ulta I' opera, e ne formano Biografia del Daini 363 Epli potè in quest' epoca attendere alle stampe di quello ehe avea preparato col lungo studio e lavo- ro di circa venticinque anni. À chiunque ha per- corso queste opere non reca sorpresa che tanto ab- biano dovuto costare di travaglio all' autore. Innu- nserabili ;ono i documenti, ch'egli ha esaminato, ed in modo da renderne un conto esalto. Quante biblioteche ed archivi ha dovuto rovistare con som- ma pazienza e perizia per illustrare antichi codici e pergamene, per rinvenire quello che bramava ! Innumerevoli materiali ha dovuto raccorre per for- mare una storia critica, di cui egli può dirsi il pri- mo autore in tal genere, che presenterà a' posteri i materiali per continuarla. Vi si discopre inoltre un sorprendente corredo di estesissime cognizioni di tutto quello che ha qualche relazione anche minima al suo oggetto principale. Vi si scorge ch'egli co- nosceva pienamente la parte storica e musicale della cappella pontificia fin da' suoi primi esordi, e uno de' più belli monumenti dell' arte. È vero, che volendo esso trattare profondamente le questioni, che soltanto indirettamente hanno rapporto, smarrisce spesso e perde di vista il soggetto prin- cipale. Inconveniente non piccolo, se si trattasse di opere di se- guila lettura; ma perdonabile in altre destinate ad essere piuttosto consultate, che lette. Baini stesso si avvide di cotal difetto: perciò nel secondo tomo riassunse i principali avvenimenti della vita del Palestrina ( t. 2. pag. 372. 382). La maggior parte degli oggetti in- teressanti dell' istoria del XVJ e XVII secolo sono dall'autore illustra- ti nelle note sparse in tutta l'opera con tal profusione di erudizio- ne, che ascendono al numero di C59. Baini si è servito dei registri della cappella pontificia, delle memorie del Pitoni sopra i composi- tori della scuola romana, e d' altri monumenti esistenti nella eap- pella Sistina. 11 che concilia un'autenticità e ineslimnbil pre/jio all' opera medesima ( Fetis t. 2 p. 46 ,1. 364 Belle arti eh' egli solo era al caso di darla alla luce, siccome ne aveva manifestato l' intenzione, se la salute l'aves- se assistito in modo da intraprendere la compila- zione di un' opera tutta nuova. Dicasi lo stesso delle notizie da lui raccolte sulla cappella Giulia nella ba- silica vaticana, e delle cappelle di musica istituite nelle altre basiliche, delle quali fu successivamente maestro il Palestrina. In conseguenza di ciò non si rimaue sorpresi della critica severa, giusta, e con- veniente , colla quale pone a cribro quello che riguarda le diverse opinioni sul suo Gio. Pierluigi, e padroneggia la mente del lettore a segno da in- durlo a' suoi pensamenti. Che si dovrà dire del giudizio che proferisce sulle composizioni dei grandi maestri che precedettero il Palestrina, che vissero a suo tempo, e che lo seguirono ? Che delle compo- sizioni dello stesso Palestrina, eh' egli divide in dieci stili musicali di diverso grado di perfezione, fra i quali al settimo ed all' ottavo sembra dare la pal- ma, perchè in essi il Palestrina perfezionò lo stile da sorprendere, ed attaccò V animo umano nei sen- timenti più nobili, più elevali, più sublimi con la sorpresa ? Bisognerebbe possedere il sommo sapere musicale di lui, per seguirlo adeguatamente nel- T analisi di questi diversi generi di armonia, e per intendere tutte le gradazioni di stile nel Palestrina. Finalmente si discopre in quest'opera un'erudizio- ne ed una lettura di classici italiani, che sorpren- de e che meritamente può celebrarsi come unica nel suo genere. Che se V autore modestissimo non volle darle molta pubblicità , gli uomini probi ed equi estimatori del vero merito hanno fatto e Biografia del Baini 365 faranno giustizia dovuta a sì eccelso maestro. Il pri- mo pregio di essa è 1' esser dedicata a Maria San- tissima : Deiparae virgini Marine sine labe conceptae, Josephus Bainius quidquid id est operis dìcat et eonsecrat. Teneva ancora il Baini preparato pel pubblico un altro gran lavoro che avrebbe dovuto far se- guito alle Memorie storico-critiche , e che riputava utilissimo non solo alla musica ecclesiastica , ma eziandio agli studiosi di ogni altra maniera di mu- sica. Aveva già pronta una completa edizione di tutte le opere di Giovanni Pierluigi di Palestrina da se spartite e ridotte alla nota moderna: edizione, che dovea comprendere una considerevole quantità di opere ancora inedite di si grande autore. Il copio- sissimo manoscritto condotto a fine con somma pe- rizia nella riduzione delle parti, e con una fatica di molti anni sostenuta interamente da se solo, era stato da lui disposto in 36 volumi. Non mancava che il farne parte al pubblico colle stampe ; ma lo stalo d' infermità sempre crescente ne lo impedì del lutto. Egli però non ha lasciato di accennare quale sarebbe stato nelP edizione il contenuto dei 56 vo- lumi. Iti nove volumi sarebbono stali compresi libri 26 di mottetti a45678e12 voci , e tre di questi nove volumi avrebbono contenuto libri nove di mottetti inediti. Un volume dovea contenere gì' inni a 4 voci, alcuni de' quali sono inediti , ed un altro volume gli offertori a 5 yocì. Tre vo- lumi avrebbero contenuto lamentazioni a 4 5 6 voci, e le inedite doveano riempire due volumi. I Magnificat a 4 5 6 voci, ed uno a 8 voci inedito, 306 Belle arti doveano pubblicarsi in due volumi. Un volume comprendeva le litanie a 4 voci disposte in due li- bri con un terzo libro inedito a 6 ed 8 voci. In quattro volumi doveano contenersi i madrigali a A e 5 voci. Finalmente 106 libri di messe a 4 5 6 e 8 voci venivano divisi in 15 volumi, due dei quali avrebbero contenuto insieme 27 libri inediti. Ben si conosce che un' edizione come questa dovea esigere alcuni anni di lavoro, ed in Baini una fa- tica, di cui non era più abile per la sua infermità a sostenere il peso. Non mancarono però di coloro che informati di cotal progetto vennero a fargli proposizioni vantagiosissime, se concedeva loro questa collezione da farsi ollramonti ; ma egli , presso cui nulla poteva 1' interesse, rispose costantemente, che non avendo la provvidenza a lui permesso di fare un' edizione, per la quale avea faticato fin dalla sua gioventù, non acconsentirebbe mai per qualun- que guadagno, che altri, mentre egli viveva, assu- messe l'incarico di darla alla luce. Sono perciò ri- masti inediti i 56 volumi manoscritti della proget- tata edizione. Ma alla sua morte non si trovarono nella biblioteca, che avea legato alla casanatense , che perciò resta priva di cosi importanti manoscrit- ti con non poco discapito del pubblico. A proposito di questa grande collezione e ri- duzione delle opere del Palestrina narrano anche al presente alcuni de' cappellani cantori , che avendo Baini trovato una parte mancante in una certa com- posizione del Palestrina, la supplì egli con tale esat- tezza di artificio, che dopo qualche tempo essendosi rinvenuta la parte smarrita, fu trovala perfettamente Biografia del Baini 367 eguale alla composta in supplemento. Chi conosce questo genere di musica, in cui le parli non armo- nizzano semplicemente, ma procedono con loro pro- prio movimento e con modulazioni di grande esten- sione, non potrà a meno di non restarne somma- mente sorpreso , vedendo che si era quasi identifi- cato il suo ingegno con quel sommo. Per cui venne giustamente onorato dalle accademie forestiere. Nel 4827 ricevette all'improvviso ai 17 di luglio dal console di Svezia in Roma signor Giovanni Cassio un diploma, col quale in data del 12 maggio del detto anno egli veniva iscritto fra i membri della regia accademia di musica di Svezia stabilita nella metropoli di quel regno, e col diploma gli veniva trasmessa ancora la lettera del segretario dell' acca- demia signor Pietro Frigel in data dei 19 giugno 1827 che glie ne partecipava nelle solile forme la notizia. Sono degne di essere riportate le principali espressioni di questa lettera. Prevede primieramente il segretario che Baini debba rimaner sorpreso, nel vedere a se indirizzato un diploma ed una lettera dalle remote parti del settentrione: ma dilegua una si fatta sorpresa coli' asserire, che siccome i raggi delle stelle risplendono ugualmente agli occhi di nazioni fra loro lontanissime di luogo, cosi i som- mi ingegni spandono da pertutto il lume vivo del loro alto sapere. E facendone 1' applicazione sog- giunge : che la sua solida, profonda, ed esimia scienza nella musica, specialmente sacra , era già da molto tempo nota a quella fiorente accademia , sebbene allora gliene desse l'onorevole testimonian- za. Conchiude finalmente col dichiarare , eh' egli 368 Belle arti sarà l' ornamento dell' accademia , aggiungendo il suo nome a quello degli Hayden, dei Cherubini, e dei Neukom. Baini per mezzo del console rispose al segretario dell' accademia svedese di musica, in- caricandolo di ringraziare il presidente ed i mem- bri dell' accademia suddetta dell' onore compartito- gli fuori di ogni sua espettazione , e dichiarandosi pronto ad eseguire i comandi dell' accademia in quello che poteva desiderare dall' Italia e da Ro- ma in quanto a musica di Palestrina o di altro ge- nere. Il segretario Frigel replicò una seconda let- tera a Baini ai 5 di agosto dell'anno seguente 1828, nella quale gli fa conoscere la soddisfazione dei membri dell' accademia per aver accettato di essere nel loro numero, e la gratitudine alle sue generose esibizioni. Il segretario aggiunge che 1' accademia credea di dover accettare le sue offerte col diman- dare qualche sua particolare composizione per es- sere conservata fra le opere immortali dei Marcel- lo e dei Leoni. Baini impedito dalla sua mallattia non rispose a questa lettera prima dei 7 novembre del 1828, e dopo le convenienze di uso dichiarò apertamente, che alle sue composizioni musicali non poteva convenire un luogo fra le opere di Marcel- lo e di Leoni , ma che per condiscendere in qual- che modo all' inchiesta dell' accademia le spedirebbe 1' opera che doveasi da lui pubblicare fra breve sulle memorie storico-critiche della vita di Giovanni Pierluigi da Palestrina , e ciò come pegno della sua somma considerazione verso quell' accademia. Mantenne di fatto la sua promessa, e con una let- tera in data dei 13 marzo 1829 diretta al segre- Biografia del Baini 300 tario Frigel consegnò al console di Svezia in Roma i due volumi dell' opera recentemente da lui data alla luce, per essere spediti alla regia accademia di musica in Stockolm. Questa prima pubblica ono- rificenza in attestato di somma stima, pari a quella da tributarsi ai più grandi maestri dell' arte di coni- porre in musica, venne conferita a Baini dal setten- trione, da una accademia, di cui appena in Roma si conosceva 1' esistenza. Riguardo alle accademie romane, per volontà espressa del sommo pontefice Leone XII fu ascritto alla congregazione di s. Cecilia, nel numero degli esaminatori. Quivi egli presto si avvide che il si- stema degli esami diveniva difettoso per la man- canza di un piano di soggetti musicali da proporsi ai concorrenti. Assunse pertanto egli stesso l'inca- rico di redigere una serie di temi , di fughe e di altro che servir dovesse a quel fine con tutte quelle graduazioni di difficoltà che danno a conoscere l'abi- lità dell' aspirante. Ne compose un libro manoscritto che fece legare con qualche eleganza , onde ser- visse di codice ag'i esaminatori, i quali rimasero soddisfattissimi di così dotto lavoro. Notisi, che fu necessaria l'espressa volontà del pontefice, affinchè egh prendesse posto fra gli esaminatori della con- gregazione di s. Cecilia, poiché questa si attribuisce una supremazia su i cantori e sonatori di Roma, «el loro artistico esercizio, dalla quale per bolle' pontificie sono del tutto esenti i cappellani cantori della cappella pontificia; e per mantenere intatti questi privilegi non hanno essi mai fatto parte di tale congregazione, riè mai si sono sottomessi a ve- G.A.T.CXXI. 24 370 Belle arti run esame pel loro libero esercizio sia di pubblico maestro, sia di cantante. Questa è stata fin dai re- moti tempi l' origine di una certa rivalità fra le due instituzioni, che sembrava doversi ridurre quasi al nulla colla mediazione di Baini, il cui singolare merito lo faceva primeggiare in ambedue. Nulla di meno appena morto papa Leone si suscitò dalla con- gregazione di s. Cecilia un violento attacco contro alcuni cappellani cantori per una messa battuta da uno di loro nella chiesa degli scarpellini a Tor de' Specchi, in occasione della festa dei ss. quattro coronati, e per avervi messi cantanti non autoriz- zati dalla detta congregazione. La pretensione fu con forza ribattuta dal collegio de' cappellani can- tori. Baini non esitò a prendere il partilo , che la giustizia e la sua qualità primaria di cappellano can- tore esigevano. Si fece egli il sostenitore dei privilegi pontificii accordati al suo collegio e più volte con- fermati da'sommi pontefici: ne presentò le bolle , e ragionò con tale efficacia, che sebbene la quistione fosse stata protratta in lungo per la morte del som- mo pontefice Pio Vili, non tardò a riportarne una piena vittoria poco dopo 1' elezione di Gregorio XVI. Il perchè conoscendo che più non gli conveniva il posto fra gli esaminatori della congregazione di *. Cecilia, se ne ritirò; ma aftinché non si attribuisse tale risoluzione a ignobile risentimento, o avversione conceputa dalla suscitata contestazione , volle far dono alla delta congregazione del libro dei temi , di cui abbiamo parlato. Lo zelo ed impegno mostralo dal Baini nel so- stenere i privilegi e prerogative del collegio de'can- Biografia del Baini 371 lori pontificii si estese ancora, con non minore ar- dore, a mantenerne il pubblico decoro in tutto quello che potesse in alcun modo attenuarne la considera- zione. Imperciocché avvenne nei primi anni del pon- tificato di papa Gregorio XVI che prima un basso di recente ammesso fra i cantori, e non molto dopo anche un tenore, lasciato in servigio della cappella montassero nelle pubbliche scene dei teatri d'Italia. Fino allo spirar del passato secolo era assai spesso accaduto, che alcuno abbandonò il teatro per vestir l'abito ecclesiastico, e divenir cantore della cappella pontificia , e ciò in particolar maniera nei soprani di nome distinto; ma dell'altro passaggio non si avea esempio, o assai raro, e passato facilmente in dimen- ticanza. Ne risentì tutto il rammarico, che sa pro- varne un membro di una corporazione , di cui si ama sinceramente il pubblico onore. Ne fece le sue ben ragionate istanze ai superiori, i quali ne intese- ro tutta la forza; onde ebbe luogo l'ordine emanato il 5 dicembre del 1833 dal sommo pontefice, di non ammettere in avvenire alcun cantore fra i bassi, te- nori , e contralti nella cappella pontifìcia , se pre- ventivamente non fosse ordinato almeno nel sud- diaconato. Si pretese da taluni che una tale prescri- zione avrebbe reso assai scarso il numero dei con- correnti , a sostituire le dette voci, mentre non può attualmente la cappella completarne il numero prescritto. Ma costoro riflettano che si doveva pure apportare rimedio ad un inconveniente ripetuto in cosi breve tempo , e che forse avrebbe trovato in appresso altri imitatori : che in conseguenza l'esser di cappellano cantore sarebbe divenuto per le mi- 372 Belle Arti gliori voci un posto provvisorio, per quindi aprirsi la strada a procurarsi apoche presso gl'impresari de'teatri : che per tal modo veniva in tutta la forza dell'espressione a degradarsi il ceto ecclesiastico, cui appartiene il cappellano cantore almeno per la pri- ma tonsura che riceve indispensabilmente. Riflessio- ni son queste che fece un augusto personaggio in un si fatto cambiamento del basso Coletti. Perciò la misura presa tende direttamente ad accrescere con- siderazione e decoro al collegio de'cantori pontificii, il quale di sua natura è collegio ecclesiastico, e col- legio di cappellani cantori, cui altra volta era an- nesso di obbligo l'officiatura quotidiana: che final- mente la penuria attuale delle voci, specialmente nel- la parie dei bassi, deriva dalla mancanza generale di tali voci , e di quelle particolarmente che sono necessarie alla cappella, e non già da difficoltà che abbiano a presentarsi al concorso. Fatte queste ed altre simili considerazioni cesserà ogni censura, e si converrà che ottima fu la prammatica stabilita. La condotta che Baini mostrava in ogni occa- sione, piena di premura pei suoi colleghi della cap- pella pontificia, gli attirò meritamente L' affezione e il rispetto di essi , talché udivasi sovente ripete- re , esser egli non solamente il direttore e camer- lengo della cappella, ma il vero amico, e per cosi dire, il padre di tutti i cantori, e per la sollecitu- dine che avea di ciascuno di loro nell'assisterli, nell' istruirli, e nel dar loro i consigli i più savi e pru- denti, attesa la sua lunga e ragionevole esperienza. Sono note abbastanza le parli caritatevoli, onde soc- corse i più bisognosi rimasti sprovveduti in tutto il Biografia del Baini 373 tempo dell'occupazione francese; a taluno procurò un posto di sagrestano, ad un altro quello di cap- pellano in qualche casa particolare. Era perciò il rifugio dei suoi compagni in qualunque caso di affanni e di avversità. Ma Iddio , che nell' ordine della sua provvidenza permette il male per ritrarne miglior bene, volle che le virtuose azioni di Baini si rendessero più meritevoli dell'eterno guiderdone, facendo in modo che non venissero rimeritate dagli uomini beneficati. Non mancarono a lui sleali e so- cratici compagni, che mordaci aristarchi Io amareg- giarono. Ma egli non ne mosse querela, non preter- mise occasione di beneficarli , per rendersi degno figlio del celeste Padre. Occupava di recente la carica di maggiordomo e prefetto dei sacri palazzi apostolici monsig. Adria- no Fieschi, allorché approssimandosi l' anniversario della coronazione del sommo pontefice Gregorio XVI gli venne in pensiero, che ad onorarlo distintamente nella messa della cappella papale di quel giorno si dovesse cantare dopo V offertorio un mottetto, che avesse qualche allusione al papa, e fosse composto espressamente per lui. Chiamò perciò a sé Baini e gli commise di comporre un cotal mottetto , e di scegliere parole convenienti alla circostanza. Obbedì puntualmente: e tolse le parole del libro 3 dei re cap. 3 suh" apparizione del Signore a Salomone, e quelle contenute dal verso 5 e 14 unendole in mo- do , che convenissero al suo soggetto : e perciò il mottetto incomincia co\Y Appartiti Domìnus Salomoni, e termina col longos dies, promessa di lungo regno fatta da Dio a Salomone, che nella circostanza ve- 374 Belle Arti ni vano opportunamente applicate al sommo ponte- fice. Queste parole del sacro testo furono da lui mes- se in musica a pieno e grandioso stile di cappella pontificia, o, come suol dirsi, alla Palestrina. Non si contentò del solo mottetto, vi aggiunse la composi- zione di un nuovo Benedictus a grande effetto di mo- di e di concerto, persuadendosi che di questo più che del mottetto rimarrebbe soddisfatta la generalità degli uditori, e che meglio così rimarcherebbero la novità di quel giorno solenne. Si esegui l'una e l'al- tra composizione nel giorno 6 febbraio del 1837 con tanta soddisfazione del sommo pontefice, che da quel punto chiamò suo quel Benedictus. Il Diario ne parlò al pubblico, contentandosi di osservare, che il solo nome di Baini vale un compiuto elogio. Il mag- giordomo poi fece mettere in bella scrittura il mot- tetto ed il Benedictus coll'intitolazione, che ne ram- menta la circostanza e l'autore, e ne formò un libro nobilmente legato; e per commissione del ponte- fice gli offrì una ricompensa. Baini ringraziò, e non accettò per se alcuna particolare rimunerazione, e solamente dimandò che sua Santità si degnasse ac- cordare a tutti i cappellani cantori l'annua distri- buzione della medaglia di argento nella festa dei 6S. apostoli Pietro e Paolo, come già si solea pra- ticare con tutti i palatini. Il papa condiscese alla ri- chiesta: e così ebbe principio fin da quell'anno una tale onorificenza nel collegio de' cappellani cantori, che si continua tutt'ora, come fu decretato dal pon- tefice. Ecco in qual modo si conduceva il Baini in- verso i suoi colleghi, fra i quali non ammettea di- stinzione veruna, bramando che altri godessero delle Biografia, del Baini 375 ricompense alle sue fatiche dovute. Tanto è inge- gnosa la cristiana virtù, che sa sparger beneficii an- che dove ingrato terreno produce triboli e spine! Proseguiamo ora a narrare degli onorevoli attestati, che ei ricevette da altre illustri accademie. Ai 2 di maggio del 1836 fu annoverato fra i membri onorari della società filarmonica dell' im- pero austriaco. Il sig. G. B. Geislet segretario ne par- tecipò a lui la notizia con lettera dello stesso giorno sottoscritta dal presidente dell'accademia, ed alla let- tera andava unito il diploma. Baini con lettera dei 23 luglio rispose al segretario, facendo i dovuti rin- graziamenti per l'onore compartitogli, e pregando di parteciparli a suo nome al degnissimo principe pre- sidente. Dichiarò inoltre che se la sua salute non fosse stata tanto debilitata per gl'incomodi, ai quali era soggetto, avrebbe procurato di rendersi degno di quella nominazione. Perciò non potea far altro, che esprimere la sua buona volontà. Con altra let- tera poi dello stesso giorno ringraziò particolarmente il sig. Giorgio Raffaele Kiesewelter, consigliere di sua maestà I. R. A., da cui potè congetturare con fonda- mento che derivata fosse quella nomina della società filarmonica di Vienna, poiché da lungo tempo avea mantenuto con lui relazione di lettere, e per di lui mezzo avea potuto ricevere di là libri manoscritti, memorie ecc. Ai 19 maggio dello stesso anno 1836 il consi- glio dell'accademia filarmonica romana, riunitosi in seduta, decretò a pieni voti 1' ammissione di Baini nella classe degli accademici di onore. Il presidente dell'accademia principe di Campagnano ne fece a TiG Belle Arti lui la partecipazione nelle forine usuate dall' acca- demia ai 25 dello stesso mese di maggio, e nel di- ploma dichiarò la compiacenza ch'egli provava nel vedere per tal modo fregiato l'albo deW accademia fdwmonica romana di un nome divenuto europeo, e che ogni accademia non poteva non andar fastosa di vederlo annoverato fra i membri che la compongono. Con lettera in data dei 25 marzo 1837 da Ber- lino il segretario dell'accademia delle belle arti par- tecipò a Baini che era stato annoverato dalla me- desima nel numero dei membri ordinari e stranieri della sezione musicale fondata da pochi anni, e gli trasmettea nello stesso tempo la patente sottoscritta dal ministro de' culti e dell'istruzione pubblica ba- rone Attenslein, e dai membri dell'accademia, fra i quali figurarono Spontini ed Kummel. La lettera è piena di espressioni lusinghevolissime. Vi si dice fra le altre cose, che l'accademia se flotte, quii ne de- daigncra pas V hommage quo la seclion musicale a resenti devoir offrir à un maitre de composition et de Iheorie si éminentement distingue cornine lui. Lo invita poi a voler dare un cenno delle principali epoche della sua vita illustrata con tanti meriti nel coltivare la vera musica : meriti che l'accademia sa apprezzare in tutta la sua estensione , e che niun tempo potrà mettere in dimenticanza. Gli fu ancora spedito un libercolo iu tedesco contenente il rego- lamento dell'accademia. La lettera in fine era sotto- scritta dal direttore dell'accademia Schadow, e dal segretario Goecken. Baini rispose ai 28 ottobre dello slesso anno al segretario per li consueti ringrazia- menti da presentarsi a suo nome ai membri dell'ac- Biografia del Bajni 377 endemia, e brevemente accennò l'origine ed il pro- gresso del suo studio nella musica del Palestrina. L'accademia romana di belle arti denominata di s. Luca nell'adunanza del 21 decembre del 4838 lo elesse e lo nominò accademico di onore. In da- ta dei 26 dello stesso mese il segretario perpetuo della delta accademia professor Salvatore Betti, let- terato insigne per vasto sapere e per cortesissime maniere, partecipò l' elezione con suo dispaccio al nominato, e gli rimise nello stesso tempo il diploma sottoscritto dal conte palatino presidente dell' acca- demia Antonio Sola e dal detto segretario. Baini ai 2 gennaio del 1830 rispose al segretario Betti per significargli il gradimento della nomina ed offrire i dovuti ringraziamenti. Per non ritornare sul medesimo soggetto si ag- giunge, che con lettera del 10 gennaio 1840 il con- sigliere di corte Gustavo Schilling scriveva da Stul- gard a Baini per raccomandargli un eccellente so- natore di violoncello tedesco, che veniva in Boma a dar prova del suo valore. Nello stesso tempo l'av- vertiva , che fin da nove mesi innanzi gli aveva spedito pei' occasione del dottor Pietro Lichtenthal il diploma, nel quale veniva dichiarato ascritto a quell' accademia di musica , di cui egli era il se- gretario. Finalmente per decreto dei 5 aprile 1840 dal ministro dell' istruzione pubblica in Francia fu il Baini nominato membro corrispondente degli stabi- limenti scientifici e letterari nella sezione partico- lare dei lavori storici. Il Maitre de requetes capo della divisione degli stabilimenti scientifici e lette- 378 Belle arti rari ne partecipò la nomina al Daini, inviandogli nello slesso tempo tutte le carte che potevano ser- virgli di necessaria informazione per conoscere la natura delle ricerche, sulle quali debbano occuparsi le premure archeologiche della società. Questa è in corto la parte storica dei diplo- mi, che Baini ricevette dalle più celebrate accade- mie di musica e di belle arti d' Europa , ed assai più ne avrebbe ottenuta, se per alcun poco ne avesse mostrato desiderio. Che anzi a prova di non aver egli punto provocato le nomine stesse che gli vennero conferite, non solamente si tenne lungi dal farne parte al pubblico col mezzo dei giornali sic- come si pratica comunemente, ma tenne altresì a tutti celati i ricévuti diplomi, i quali dai medesimi suoi amici hanno potuto unicamente essere cono- sciuti ed esaminati dopo la morte di lui. Non sarà ora privo d' interesse il rammentare i tentativi fatti da alcuni compositori oltramontani per introdurre la loro musica nella cappella ponti- ficia. Fu a papa Leone XII dedicato e mandato in dono un Te Deum , ed a Gregorio XVI dall' altra parte una messa in musica. Ambedue i sommi pon- tefici vollero che il Baini esaminasse le composi- zioni per giudicare se potevano eseguirsi in cap- pella. Egli dalla provenienza delle opere sospettò subito qualche irregolarità nelle parole. Di fatti trovò nel Te Deum mancanti alcuni pezzetti dei principali ad esprimere la fede cattolica, ed alcuni cangiamenti molto essenziali in altri versetti. Nel Credo poi della messa risultava dall' armonia delle parti un senso eretico nelle parole Genitum non fa- Biografia del Baini 379 ctum; perchè iì non era combinato in modo da le- garsi tutto col genitum. Queste osservazioni di Baini, più che le altre sullo stile della musica, bastarono a papa Leone per proscrivere il Te Deum, ed a Gre- gorio XVI per far lo stesso della messa in musica. Dopo di ciò non sembrerà fuor di proposito 1' accennare un avvertimeuto che può avere qual- che analogia alle cose ora riferite. Nel novembre del detto anno 1838 venne in Roma il maestro di musica Gaspare Spontini di Iesi, il quale dopo aver figurato in Parigi ai tempi dell'imperatore Napo- leone, passò in Prussia, ed a Berlino avea da lungo tempo stabilita la sua dimora. La sua venuta fu annunziata dal Diario di Roma come di personag- gio distinto nel valor musicale, alla cui illustrazione si aggiungeva ancora il titolo di cavalier commen- datore. Dimandò ed ottenne poco dopo un' udienza da sua santità. Fu festeggiato dalla congregazione ed accademia di s. Cecilia, la quale nel mese di aprile dello stesso anno V aveva annoverato fra i maestri compositori onorari , e così ne avea prece- dentemente risvegliata in Roma la rimembranza. Era quasi appena giunto fra noi, quando manifestò una sua idea, di riformare cioè la musica che suole farsi nelle chiese di Roma, oltre il canto detto pu- ramente ecclesiastico. Spiegava egli il suo progetto, e dimandava soci di merito per V intrapresa. La proposizione trovò appoggio presso le persone che deploravano lo stile di musica in oggi introdotto nelle chiese, e non si lasciò di farla gustare a chi poteva sostenerla colla sua autorità. Ma vide bene Spontini che all'esecuzione dell'intrapresa era in- 380 Bellk arti dispensabile la cooperazione di monsignor Baioi pel nome e per la considerazione di cui godeva in Ro- ma. Questo fu per lui il grande ostacolo forse non ben preveduto. Baini evitò premurosamente ogni qualunque abboccamento collo Spontini, sebbene questi se lo procurasse più volte anche per sor- presa. Dichiarò francamente a chi ne prendeva le parti, che la musica introdotta nelle chiese di Ro- ma poteva e doveva riformarsi ne' suoi abusi, senza prenderne la norma da chi veniva dalla Prussia e dalla metropoli del più dichiarato protestantismo , il quale in questi ultimi tempi si era costituito per- secutore de' cattolici nelle persone degli arcivescovi di Polonia e di Posnania : che Roma possedeva il modello della musica ecclesiastica o a semplici voci e cogli istrumenti , modello da offrirsi a tutti di esempio , ed al quale bastava richiamare 1' esecu- zione moderna. Tale in corto fu l' opposizione di Baini, che il progetto andò a vuoto, ed il commen- dator Spontini ritornò in Prussia senza nulla aver conchiuso. A Baini la venuta di Spontini a Roma parse una missione provocata dal partito protestante di Prussia pei suoi fini particolari, e da ciò pro- venne quella sua inalterabile fermezza a non vo- lerne udire neppure la semplice proposizione. Il ritorno di Spontini in Prussia, e le circostanze del suo viaggio hanno dato una certa verosimiglianza al sospetto di Baini. Circa questa medesima epoca, cioè nel dicem- bre del 1838 , e mentre era già maggiordomo e prefetto de' sacri palazzi apostolici monsignor Fran- cesco Saverio Massimo , Sua Santità erasi determi- Biografia del Baini 381 nata di nominar maestro del santo ospizio aposto- lico, e suo intimo camerier segreto, il signor D. Gio- vanni Ruspoli allora principe di Cerveteri. Questo posto era vacante fin dai tempi che precedettero le invasioni francesi. Le sue prerogative, che con- servavansi per tradizione nei limili ai quali erano state ridotte, erano andate quasi tutte in dimenti- canza per la cessazione di circa quarantanni dal l' esercizio di tal magistero. Si voleva pure nel ri- stabilirlo aver delle nozioni precise di ciò che avea riguardo a questa carica negli antichi, e nei tempi moderni, e si vide che per ottenerle con precisio- ne non v' era altro mezzo che di ricorrere a Baini, come la persona la più istruita della storia della cappella pontificia , e la più fornita di documenti ad attestarne la verità. Baini non istette gran tempo a porgere l' informazione che si desiderava. Fece in succinto la storia dell' origine e degli urtici, che esercitavansi dai maestri del santo ospizio, i quali potevano in allora riputarsi veri governatori del pa- lazzo apostolico. Fece conoscere la rappresentanza che avevano nelle cappelle papali, ed il posto che vi occupavano nei gradini del trono pontificio. Passò quindi a narrare come gradatamente venne limitato il loro potere e 1' uffizio che esercitavano : e come finalmente la carica si ridusse ad un posto di onore. Discorre in ultimo come due famiglie principesche godevano della prerogativa di occupare successiva- mente questo posto, quella cioè dei duchi di Poli, e 1' altra dei principi Ruspoli: e che essendosi estinta la prima, era rimasta quella dei Ruspoli a riceverne la nomina vacante. 382 Belle arti Mentre si passavano queste cose la salute di Baini andava sempre deteriorando per I' indeboli- mento delle forze, e per V intensità del male. Assai parco era il suo nutrimento, ed appena sufficiente a sostener la vita. II male al contrario , che ap- pariva qual' asma catarrale, prendeva sempre mag- gior forza nel!' infievolirsi della persona , onde as- sai sovente era oppresso nella respirazione, e non rade volte dette a temere non vi rimanesse soffo- cato. Molti furono i rimedi prescritti e tentati dai medici, ma senza notabile o costante miglioramen- to. Un cotale stato di progressiva infermità offriva uno spettacolo assai tristo alle persone che lo assi- stevano , ed agli amici che lo frequentavano \ ma tutti nel medesimo tempo doveano ammirarne la pazienza esercitata con perseveranza in sì lunga prova. Sebbene egli passasse tutte le notti in conti- nuo affanno : sebbene le ore del giorno , che più dimandano tranquillità, quali sono quelle della di- gestione, fossero per lui momenti di angosciosa sof- ferenza, diveniva sempre ilare appena 1' affanno gli accordava tregua, e riprendeva incontanente le sue occupazioni. Giammai non si udì dal suo labbro una parola di lamento, ma sempre di uniformità al divino volere. E pur da dire , che negli ultimi anni di sua vita trovò Baini un qualche sollievo al suo male coli' uso della senapa bianca , che da taluno gli venne consigliata , e non disapprovata dal me- dico. Ne prendeva un mezzo cucchiaio prima di cibarsi , e da esso otteneva un' espettorazione più facile e assai più di rado affannosa. Non venne mai Biografia del Baini 383 riputata per lui questa senapa un vero rimedio, ina solamente un sollievo al suo male, che dai medici era giudicato organico. Allora Baini tornò ad oc- cuparsi con maggior frequenza del confessionale in s. Apollinare: riprese a fare di quando in quando le sue passeggiate prima di mezzo giorno in in- verno, e dopo pranzo di estate; gli amici lo vede- vano per cosi dire risorto da quell' abbattimento in cui era caduto, ne speravano sempre meglio, e se ne rallegravano. II male però non cessava di riaf- facciarsi ad intervalli più o meno lunghi, ed i sa- lassi, ai quali si doveva ricorrere, divenivano tal- volta troppo frequenti. In tutto questo tempo, che fu il più mite nel cronicismo Baini , prese ancora ad occupar- si in opere di letteratura , fra le quali la sto- ria del monistero di s. Caterina della Rosa comu- nemente detta dei Ftman", lavoro condotto molto innanzi, ma lasciato da lui imperfetto. Un' occasione poi gli si offerse di far uso della sua erudizione su di alcune vecchie pergamene. Il signor commenda- tor Giovanni Francesco De Rossi tutto occupato a raccorre una sceltissima e già copiosissima biblio- teca di edizioni del quattrocento, di codici, e scritti quanto gli è possibile preziosi per antichità, fece acquisto di alcuni pezzi informi di scritte perga- mene le quali avean fatto parte di una qualche opera, ma restava ignoto se tutte di una medesima, 6 se a tutte dovesse assegnarsi una stessa epoca. Il signor commendatore fece passare le pergamene a Baini per averne la sua opinione , attesa la slima che ne faceva. Baini dopo qualche giorno rispose 384 Belle arti con uno scritto, che lesse a' suoi amici prima d' in- viarlo al suo indirizzo. Assegnò in primo luogo l'epoca della scrittura delle pergamene con tutte quelle ragioni paleografiche, che sogliono allegarsi dai dotti in tali quistioni. Venne di poi a trattare colla stessa abilità del contenuto, per quanto ne po- teva somministrare materia il poco di ciascuna per- gamena. Il commendatore, eruditissimo particolar- mente in questa parte di antiche scritture , ne fu talmente soddisfatto, che volle il nome di Baini ap- posto al di lui scritto, per farlo legare unito alle stesse pergamene, affinchè rimanesse a tutti nota coli' illustrazione l' autore della medesima. Non dee passarsi sotto silenzio quanto compose in musica, richiesto da monsignor Missiri vescovo greco residente in Roma, da cantarsi nella messa so- lenne greca, che si suole celebrare nella chiesa na- zionale nei giorni dell' Epifania e di s. Atanasio. E opera di Baini il trisagio con alcuni altri dei pezzi principali , e si sperava che fra pochi anni tutta quella musica sarebbe stata del medesimo au- tore. E da osservare , che sebbene il trisagio sia scritto nello stile di quello del Palestrina negli im- properi del venerdì santo, pure ha saputo variarlo di modo, che si debba dire non essere il medesi- mo, sebbene lo stesso ne sia il carattere, che già gì' impresse il suo primo autore. Rimane finalmente a dar conto dell' onorificen- ze, colle quali il sommo pontefice Gregorio XVI volle decorato D. Giuseppe Baini a dimostrazione della grandissima stima che faceva di lui Con bi- glietto di monsignor maggiordomo Francesco Save- Biografia del Baini 385 rio Massimo dei 29 novembre 1841 Sua Santità si degnò annoverarlo fra i suoi camerieri di onore in abito paonazzo , e con altro simile biglietto dello stesso giorno si degnò altresì dichiararlo camer- lengo direttore perpetuo dei cappellani cantori della cappella pontificia. Monsignor Baini occupava di già questo posto, ma per nomina e conferma annua del collegio dei cappellani cantori. Ora il sommo pontefice, in segno di particolare e distinta conside- razione, volle che la carica di camerlengo e di di- rettore non dipendesse più dal detto collegio , ma l'uno e l'altro fossero in lui perpetui. Il Diario di Roma rese conto di questi biglietti nel foglio 4 dicembre 1841 con un articolo di grand' elogio pel nominato. Da queste onorificenze però non prese egli motivo di punto alterare la sua modesta con- dotta verso de' suoi colleghi cantori. Continuò sem- pre a mostrarsi fra loro come per l' innanzi : non mai vestì il mantellone, e perciò non ascese mai a prender posto più distinto fra i camerieri di onore, e non indossò mai la cappa. Tanto era alieno da ciò che può sedurre 1' uomo men virtuoso, e dargli occasione di vanità e di orgoglio. Correvano per lui i primi mesi del 1844 nel- 1' ordinario stato di salute, quando circa nella metà della quaresima di esso anno fu sorpreso repentina- mente da insolita malattia , e per deliquio cadde privo de' sentimenti a terra nel colmo della notte. Fosse o Io scotimento violento della caduta , o un qualche urto al mobile presso del letto, gli si ma- nifestò subito un dolore nelle coste del lato destro, che venne accompagnato da febbre assai gagliarda. G.A.T.CXXI. 25 38G Btlle arti La cura apprestatagli dal dottor Mazzucchelli riuscì perfettamente, onde 8Ì vide sufficientemente ristabi- lito all' approssimarsi della settimana santa , e potè sostenere tutte le fatiche di quelle lunghe e mol- tiplici funzioni. Terminale le feste pasquali apparve meno affaticato degli anni precedenti : e quel che più recava meraviglia si era Io scorgere in lui quasi cessata del tutto quell' asma, dalla quale era stato tormentato acerbamente per lungo corso di anni. Si andava perciò dicendo da tutti i suoi co- noscenti, che 1' ultima malattia gli aveva prodotto un qualche bene. Ma egli non molto vi consentiva, e di tanto in tanto diceva risentire qualche sensa- zione dolorosa dal lato delle coste che avevano sof- ferto nella sua caduta, e fra le quali vi fu allora sospetto di qualche rottura. Il nutrimento giorna- liero andava divenendo sì scarso , che pareva im- possibile non avesse a soflWrne tutta la sua corpo* ratura. Passarono così le cose in maggio, quando nel giorno 21 di detto mese dopo quella malattia aven- do confessato al solilo nella chiesa di s. Apollinare, e nel dopo pranzo avendo conversato con alcuni dei suoi colleghi della cappella pontificia senza far la consueta passeggiata, dimandò alla sorella, che già da circa otto anni abitava con lui e lo assisteva , un poco di vino con un biscottino per rifocillare alquanto l'estrema debolezza, nella quale allora tro- vavasi. Si trattenne per poco tempo a discorrere con lei, e su la mezza ora di notte osservando che in quella sera non avrebbe le visite ordinarie dei suoi amici, si ritirò nella sua camera contigua per Biografia del Daini 387 la recita del mattutino e delle laudi del giorno se- guente. La sorella rimase nella sua camera colla donna di servizio, quando dopo una scarsa mez- z ora sentono un certo romore ed un respiro sof- focato. Corrono all' istante a lui come erano state solite negli accessi di asma, e lo trovano qual loro apparve da principio svenuto sulla sua sedia di ap- poggio. Fecero perciò uso di aceto per richiamarlo ai sensi siccome aveano fatto altra volta , ma inu- tilmente ; ed allora fu che la serva corse ad una vicina spezieria, per chiamare un qualche professore, il quale venuto all' istante , e fatte le convenienti osservazioni, ne dichiarò assolutamente la morte. Così passò agli eterni riposi monsignor Giuseppe Baini, in età di anni G8 e mesi 7 colpito da morte istan- tanea mentre recitava il divino officio, ed era giunto alle laudi, come si potè verificare dal breviario re- stato aperto sul tavolino posto innanzi alla sua se- dia. La sua vita menata sempre con illibatezza di costumi ed esemplarità fa presumere con fon- data speranza, che da quella sedia, per lui assai spesso sedia di dolore , sia passato a cantar lodi eterne nel cielo all'Altissimo fra il coro de' beati del paradiso. Nella mattina seguente fu aperto il suo te- stamento, nel quale dichiarava suo erede fiduciario ed esecutore testamentario monsignor Giovanni Bru- nelli segretario della sacra congregazione di propa- ganda fide. Quindi a seconda della disposizione sul funerale da farsi in santa Maria in Vallicella, per esser ivi tumulato nella sepoltura del collegio de' cantori pontificii, il cadavere scoperto e rivestilo 388 Belle arti degli abiti sacerdotali fu trasportato alla detta chie- sa nella sera dei 22 maggio. Il corteggio funebre era composto di una lunga processione di religiosi francescani, e di un buon numero eli preti col par- roco di s. Eustachio, da cui dipendeva il defonto. Tutto il corpo de' cappellani cantori in abito colle- giale seguiva il feretro, e quattro degli anziani sor- reggevano i lembi della coltre. Fu il cadavere col- locato in mezzo della crociata della chiesa sopra un letto funebre, quale si conviene alla dignità ab- baziale, della quale godeva il defunto le prerogati- ve, come camerlengo della cappella pontificia. Nel- la mattina del 23 furono celebrate 1' esequie dal collegio de' cantori pontificii coli' assistenza in coro dei camerieri pontifìcii in abito di mantellone, e quindi rinchiuso il cadavere nella cassa di piombo fu tumulato nel sepolcro de' cappellani cantori pon- tificii. Con rapidità si sparse la nuova della morte di monsignor Baini, e generale ne fu il rincrescimen to, non solo delle persone che lo conoscevano per sonalmente, ma di quelle ancora, cui era noto so lamente per fama. Il santo padre all' annunzio ch< ne ricevette non si contenne dal dire, che la per dita era grande, e senza lusinga di poterla riparare Il diario di Roma nel foglio 23 maggio ne pub- blicò la notizia, che fu in seguito ripetuta da più fogli stranieri, i quali si unirono ad esaltare i me- riti del defonto , e a deplorarne la morte. Non bastò ai cappellani cantori pontificii di aver celebrato i funerali a monsignor Baini nel giorno della deposizione del cadavere di lui allo Biografia del Baini 389 religioso di suffragio che da loro si presta ad ogni individuo defonto del loro collegio, ma vollero dare ancora un pubblico attestato della stima, della con- siderazione, e del rispetto inverso il loro defonto collega, il quale per cinquant' anni in circa avea prestato un servizio sempre attivo come cantore , come direttore, e come camerlengo, e che era stato in questi tempi splendidissimo ornamento e de- coro del loro collegio. Decretarono perlanto di ce- lebrargli a loro spese altro dignitoso funerale con apposito elogio di valente dicitore. Assunse questo incarico per loro istante preghiera il R. P. Grossi della compagnia di Gesù, e fu destinato il funerale in s. Maria in Vallicella il giorno 21 agosto. Il tutto fu eseguito con apparato sontuoso d'iscrizione apposta all' ingresso principale della chiesa , e di tumulo assai ricco di ceri. La messa pontificale fu celebrata da monsignor sacrista , coli' assistenza in coro dei camerieri pontifìcii in mantellone. In un coretto, eretto espressamente, tutti i cappellani can- tori residenti in Roma, senza distinzione di attivo o di emerito, presero parte al canto della messa che fu del Palestrina. Eseguirono con grande im- pegno e con effetto corrispondente il Dies irae già sublime composizione del defonto. Prima dell' asso- luzione il R. P Grossi lesse il discorso fuuebre , che fu avidamente ascoltato dal numeroso concorso di coloro che si erano colà raccolti ad unire le loro preghiere. Spiccano particolarmente nell' elogio le virtù cristiane esercitale dal fu monsignor Giu- seppe Baini in modo tale, da incutere venerazione alla memoria di lui, che già risplende per alto me- 390 Belle arti rito fra i sommi compositori della cappella ponti- fìcia, e fra i ciottissimi della scienza musicale. Dopo la sua morte fu mia sollecitudine di compiere i voti dell' illustre defonto , di collocare nella biblioteca casanatense i molti libri di lui a vantaggio del pubblico. La sua libreria era special- mente celebrata per la musica, di cui avea formato un ricco archivio : e appunto ciò desideravasi. A tale efletto, io nel nuovo braccio che si aggiunse alla casanatense, aveva destinato alcune stanze, ove convenientemente situare i pregevoli volumi. Ma non tutta la musica a noi fu consegnata, perchè si trovarono mancanti le opere migliori; quelle che pervennero alla casanatense furono ordinatamente collocate, e ne feci quel catalogo che è all' uso del pubblico (1). E inutile movere odiose liti , perchè Baini non ci ha lasciato preventivamente nessun documento scritto dalla sua testamentaria volontà. Alcuni giorni prima della sua morte io mi recai da lui, ed egli mi onorò in biblioteca, ove gli mostrai le stanze suddette. In ogni nostro collo- quio mi esprimeva costantemente il suo volere di rendersi utile anche dopo morte, lasciando nella ca- sanatense tutta la sua libreria. Da ciò deducesi nuo- vo argomento della sua virtù e dell' insigne suo merito. (1) Un volume in fol. ms. Libri de re musica a clarissimo Bainio bibliothccae dono dati anno 18M in cathalogum redacti anno 1845. Preselo Hyac. De Ferrari e! e. Biografia del Daini 391 catalogo cronologico delle opere di raini. Salmi ed inni a 4 voci per la solenne consacrazio- ne dell' altare della cappella apostolica al Qui- rinale eseguita da Pio VII ai 2 marzo 1804. Inni a 8 voci per la solenne canonizzazione di cin- que santi, fatta da Pio VII ai 24 maggio 1807. Tutto il servigio per la solenne messa del martedì santo del 1815 tanto in canto gregoriano, quan- to in musica figurata a 4, e 8 voci, per la co- ronazione di Pio VII. Il Te Deum a 8 voci con un canone a 10 voci so- pra l' intonazione eseguito nella cappella il di 8 settembre 1815 per la ricuperazione delle le- gazioni, delle marche, e dei ducati di Beneven- to e di Ponte Corvo. Tutto il servizio di chiesa annuale in più volumi a 4, 6, 8, voci, ordinatogli da Carlo IV re di Spagna ; e più due acclamazioni iti onore di Ferdinando VII in canone a 64 voci divise in sedici cori reali. Lavoro compito nel 1816. Saggio sopra l' identità dei ritmi musicale e poeti- co. Risposta a varii quesiti del conte di s. Leu, tradotto in francese dallo stesso signor conte, e stampato più volte nelle due lingue in Roma e Firenze. Il Miserere a 10 voci per la settimana santa in con- tinuazione degli altri due di Gregorio Allegri e Tommaso Bai, eseguito la prima volta nel 1821, poi sempre continuato con felicissimo incontro. Molte opere minori, cioè salmi, messe, inni, mottetti, 392 Belle arti concerti a 4, 5, 6, 8 10, 12 voci, tanto per la cappella pontificia , quanto di diverse corti e chiese ; come il miserere composto per le reli- giose del bambin Gesù in Roma, che ogni an- no nella settimana santa eseguiscono con grande maestria e applausi, e altre molte non riportate né cataloghi stampati. Le seguenti trovami nella casanalense. Tentameli renovationis musicae armonicae syllabicae ritmicae super canlu gregoriano, saeculo VII in ecclesia pervulgatae , Federico III potentissimo ac sapientissimo Borussiae regi. Saggi su diversi metodi di solfeggio in due disser- tazioni. Dissertazione sopra i toni del canto fermo. L' artificio e le regole da osservarsi nel comporre tre sorte di canto. Saggio sopra l' identità de' ritmi musicali e poe- tici. Firenze 1820. Memorie storico-critiche della vita e dell' opere di Pierluigi da Palestrina, Roma 1828, volumi 2 in A. 39J vabibva' Per il fautfo ritorno in Roma della Santità di N. S. Papa PIO IX, solenne adunanza tenuta dagli arcadi il giorno 12 di maggio 4 850 nella protomoteca capitolina. — 8 Roma, tipografia della lì. C- Apostolica 1850 (Un voi. di carie 139 ). L'Arcadia seguila il suo degno costume di celebrare i fasti dalla religione e di Roma. E qual ve n'ha maggiore, nelle memorie sì dell'una e sì dell'altra, del vedere il sommo e adorato pontefice PIO IX ricondotto gloriosamente dalle primarie nazioni cattoliche su quella sede, d'onde con forsennato ardire l'avevano espulso l'in- gratitudine, la fellonia, l'empietà! Grande e sublime argomento di re- ligione e romana grandezza, ed insieme di provvidenza divina, il quale sarà materia ai futuri di poemi e di storie. Argomento che dall'Arcadia è stato trattato con dignità ed eleganza così nell'orazio- ne del chiarissimo signor commendatore Pietro Ercole Visconti , commissario delle antichità , come nelle poesie sì greche e latine, e sì italiane, tedesche e francesi di molti valenti arcadi Opuscoli politici di Francesco Orioli , dottore di medicina, membro del collegio filosofico dell'università di Roma, professore di storia antica ed archeologia nella stessa università, già professore di fi- sici nell'università di Bolgona ce. membro corrispondente dell'ac- cademia di scienze morali e politiche, sezione di storia dell'isti- tuto di Francia: accademico benedettino dell'istituto di Bologna, uno dei tre soci esteri attivi della classe di letteratura della rea- le accademia di scienze e lettere di Palermo, socio onorario del- l'I, e R. accademia di scienze e lettere di Padova, socio corris- pondente dell'I, e R. istituto lombardo delle scienze di Milano , delVl. e R. istituto di Venezia, della R. accademia delle scienze e lettere di Torino, e di moltissime altre accademie di Francia, Grecia ed Isole Ionie, Napoli e regno, Róma e stato pontificio, Firenze e Toscana , Parma , Lombardia ec. ec. — 8 Roma, ti- pografia delle belle arti 1830. Voi. 1. ( Sono pag Vili e 243.) Una parte di questi opuscoli ha veduto la luce nel giornale arcadico. Un'altra però, e la maggiore, è qui pubblicata la prima 394 Varietà volta dal celeberrimo letterato, che vi si mostra sì profondo filosofo e pubblicista. Darne un sunto sarebbe cosa difficilissima: tutto es- sendo con severa logica legalo strettamente insieme dall'arte sapien- tissima dell'Orioli. Giovi solo il dire (invitando italiani e itranieri a legger l'opera ) che non poteva l'autore far più solen.ie e degna testimonianza delle alle sue convinzioni politiche, ciò? del suo af- fetto alla santa causa non solo della monarchia fi dell'ordine, ma della religione cattolica e di quell'inclito pontefice, che lo ha poi chiamato meritamente a sedere nel suo consiglio Ji stato. Dei costumi dell' isola di Sardegna comparati cogli antichissimi popoli orientali per Antonio Bresciani D. C- D. G. — Volumi due. -— 8 Nipoti alV uffizio della Civiltà Cattolica nel cortile di S. Sebastiano 1850. ( 11 primo volume di carte LXXI e 139; il secondo di carte 300 con due litografie. ) E' opera di gran polso, soprattutto per le cose che vi sono ragionate dottissimamente sulle antichità pelasghe e de'primitivi po- poli d'Asia, a'<[uali deve tanto l'antica civiltà d'Italia. Quante erudi- zieni sui trogloditi delle diverse nazioni, sulle fogge orientali d'ogni maniera, sui tumuli sepolcrali, e specialmente sui famosi nuraghes della Sardegna ! I quali ha l'illustre autore provato (ed in modo che non possa più dubitarsene) non essere altro che veri sepolcri di genti fenicie o cananee de'secoli più remoti. Nulla poi v'ha né di più dotto, né di più vivace, gentile, evidente, elegantissimo delle descri- zioni che fa degli usi del vivere, sempre quasi patriarcali ed ome- rici, de'popoli della Sardegna. Oh lo scrittor magico ch'ft questo P. Bresciani! Vero emulo in tutto del suo gran confratello Da niele Bartoli. Saggio di alcuni documenti inediti di storia umbra pubblicati per cura di Carlo Guzzoni degli Ancarani. 8. Foligno 1851, tipogra- fia Tomassini (Sono pag. 25). Ecco un altro bel regalo che fa non solo alla storia umbra, ma sì all'italiana, l'esimio signor Carlo Guzzoni. Sono venticinque docu- menti o inediti o rari, parte latini, parte volgari; parte lettere ed ordini di magistrati, capitani e letterati, parte brevi di sommi pon- tefici. V'ha cose di Giulio li , Clemente VII, Giulio III, S. Carlo Borromeo, Lucrezia Borgia, Giuliano de'Medici, Filiberto d'Orange, Francesco Maria I duca di Urbino, Ercole I duca di Ferrara, Mi- chele Antonio marchese di Saluzzo, Orazio Baglioni e d'altri. Varietà' 395 Esercitazioni filologiche. Numero 7. — 8. Modena, pei tipi della R. D. Camera- Dicembre 1850 (Sono jag. 127). Ciò che abbiamo detto degli antecedenti numeri, ripetiamo di que- sto. È opera utilissima alle nostre lettere, piena di savia critica e di belle avvertenze, e degna in tutto di quel maestro che nelle cose della lingua italiana e dell'universale filologia è il celebre signor professore Marcantonio Parenti. Dodici lettere e due sonetti di Torquato Tasso ora per la prima volta pubblicati con note di Antonio Enrico Mortara membro dell'accademia colombaria di Firenze, della labronica di Livorno, dell'I, e R. società aretina di scienze, lettere ed arti, dell'accade- mia tiberina, dell'aura della concezione e dell'arcadia di Roma, dell'accademia pontificia di belle arti in Bologna, di quella de'ri- sorgenti di Osimo e di alcune altre. 8. Casalmciggiore coi tipi de' fratelli Bizzarri 1830 (Sono pag. 32). Le cose che qui si hanno del gran Torquato sono o del tutto ine- dite, o meglio emendate che non si leggono nelle stampe. 11 eh. si- gnor Mortara non solo le ha dottamente illustrate con note, ma sì ha loro aggiunto una tavola delle voci e fogge di dire, o non registrate fin qui nel vocabolario della crusca, o da doversi aggiungere a mag- giore autorità. Delle lettere, che si danno per inedite, ecco un saggio. iNUM. I. Al molto magnifico mio signore onoratissimo il signor Luigi Zampa segretario di Sua Eccellenza in Mantova. Signor mio onoratissimo Ieri giunsi qui a buon'ora; ma perchè il signor don Alfonso, per meglio passar il dolore della moglie morta, era andato ad un suo loco fuor di Ferrara quindici miglia, e bisognandomi far qualche ufficio , non mi potei espedir quel giorno. Qui erano di Francia, con le lettere che portò il Montemerlo mandato dal cardinale di Fer- rara a Sua Santità, nuove coi particolari della pace, i quali non era- no stati pubblicati, perchè ancora non era risoluta la difficoltà del pagar la cavalleria di Alemagna. Da poi è venuto un corriere, con lettere dei 1 del presente, che tutte le cose erano quiete, e la corte in Orleans. L'armiraglio era stato alla corte e partito. Il duca di Nemours con grandissimo dispiacer di tutta la Francia era morto. U 396 Varietà' cardinale di Ferrara voleva partire prima della settimana santa: ma a preghiere della regina madre e soprastato, e doveva partire il pri- mo dì dopo le feste. Altro non ho che scrivere a vostra signoria, se non pregarla che Taccia dare al signor Ferrante Bagno l'alligata: ne si maravigli se la lettera è mal scritta, perchè la scrivo in barca con tanto vento e moto del legno, che non posso fermar la mano: e viva felice, e mi raccomandi a tutti i signori della cancelleria. Di barca presso Argenta il 16 di aprile del 1563. Al servizio di vostra signoria Il Tasso. NUM. Ili (senza direzione). Serenissimo principe Se la mia partila di Mantova fu senza la grazia di vostra altezza, sperava almeno che il ritorno dovesse essere col suo favore: dal qua- le essendo abbandonato, non è maraviglia ch'io tardi tanto a soddi- sfare a questo mio debito. Ma ora , oltre gli altri impedimenti che mi ritengono, è quello dell'infermità e della febbre non cessala, per la quale mi spaventa il lungo viaggio: né mi conforta alcuna spe- ranza del servizio di vostra altezza, conoscendomi io inabile a tutte le cose, per le quali potesse contentarsi ch'io la servissi. Ma quan- to e maggiore la mia imperfezione, tanto aveva maggior fede nel- la cortesia di vostr'altezza, come ho scritto altre volte al signor Fa- bio, dalla quale per avventura non sarei stato ingannalo; ma essen- do il mio rimanere quasi necessario, così per gli miei negozi di Napoli, come per quello ch'io possa trattar col nuovo papa, suppli- co vostr'altezza che non voglia abbandonarmi nell'infermità e nella necessità di tutte cose, delle quali io scriverei a pieno a vostr'al- tezza, ma temo di noiarla con la soverchia lunghezza. E se le pre- ghiere non possono esser brevi , ne io lungo senza fastidio, pre- gherò in sua vece il riveritissimo Brunoro, suo ambasciatore, il quale dovrà perdonare questa mia noia alla mia antica serviti! con vostr'altezza e con tutta la casa sua, ed all'infelicità di molti anni, la quale nel fine della mia vita mi dovrebbe far degno di grazia, non che di compassione: e bacio a vostr'altezza la mano. Di Roma l'ultimo di settembre del 1590. Di vostr'altezza serenissima Devotissimo servitore Torquato Tasso. Varietà' 397 NUM. IX (senza direzione). Serenissima signora Il devotissimo all'etto dell'animo mio , col quale sempre ho re- verila vostr'altezza e quasi adorata, non consente cli'io possa cre- dere che da lei, o con la sua autorità, sia fatto alcun ufficio con- tra me. Vostr'altezza si può ricordare che nella mia gravissima in- fermità si degnò di visitarmi, nel bisogno di sovvenirmi, nel par- lire d'impetrarmi licenza , nell' assenza di scrivere in mio favore al signor duca suo marito ed al gran duca suo zio, e d'onorar me stesso con le sue lettere , le quali conservo per testimonio della sua grazia e del mio obbligo, che sarà immortale. Laonde non pos- so né dubitare della sua cortesia, né dissimulare la mia infermità: infermità chiamo non solo la debolezza e l'indisposizione del corpo, ma la malinconia e l'ambizione dell' animo : dalla qual cosa sono costretto o a ricusare ogni servitù, o a volere i più comodi ed onorati luoghi nel servire e nell'essere servito, come fanno coloro che servono i padroni col consiglio, con le parole e con le scrit- ture: ma sono serviti nelle tavole medesime da gentiluomini e da cavalieri. Questo favore io desiderava dal signor duca di Mantova in tutte le parti, ma in Roma più che in tutte l'altre, acciocché il mondo s'acquetasse al giudizio di sua altezza dimostrato in questa città nella creazione di un nuovo pontefice, nel concorso di tutte le nazioni, e quasi nel teatro dell'universo: ma non parve, o non piacqne, a sua altezza di farmi questa grazia. Non la desidero più da sua eccellenza, ma da vostr'altezza, e dal gran duca ch'è il mag- gior principe d'Italia. Non invidii vostr'altezza questa gloria alla sua casa medesima, alla sua patria, alla sua stirpe, anzi alla sua pro- pria cortesia, né voglia che le sue lettere o le sue raccomanda- zioni abbiano perduta autorità col tempo o con l'occasione. Almeno si contenti, ch'io possa valermi delle sue raccomandazioni per aver mille scudi in dono dal gran duca, affine ch'essendomi negati i pri- mi luoghi nelle tavole de principi e dei cardinali, io possa vivere quel poco che m'avanza con la cortesia di vostr'altezza ne'secondi o negli altri miluoghi senza maggiore infelicità; ed in conclusione la supplico, che se mi stima indegno di questo favore, non voglia giudicarmi degno di vita: ma faccia ogni ufficio ch'io sia condan- nalo a morte, perchè le avrei obbligo d'essere uscito per sua ca- gione d'infelicità. Molle sono le cose che m'inducono in queste opi- nioni, e l'opinioni sono impresse altamente nell'animo. Scriverei 398 Varietà' il medesimo alla signora duchessa di Ferrara e di Urbino: ma non con tanta fede, né con tanta speranza , che mi fosse portato rispet- to. Non conserverò l'intera copia di questa lettera; ma la raccoman- derò al signor abate di Santa Barbara. D ella virtù e del merito di vostr'altezza credo più che non s'afferma, e non posso affermare più che non si crede, e ne spero più che non si conviene alla mia bassa fortuna, o alla depressa condizione. Il Signore le conceda lun- ga e felice vita. Di Roma il 25 di luglio del 1592. Di Vostr' Altezza Devotissimo Servo Torquato Tasso Lettere dì ser Poi pedante nella corte de' Donati a maser Francesco Petrarca, a Gio. Boccaccio ed a Pietro Bembo, dedicate a monsignor Giovanni della Casa. Testo di lingua ridotto a miglior lezione ed illustrato con note per Antonenrico Mortara- 8. Casalmaggiore coi tipi de'fratelli Bizzarri e comp. 1850 (Un voi. di pag. 63). Di questo spiritoso ghiribizzo d'Alessandro Allegri, tutto fioren- tinerie e bizzarrie, non si avevano che due edizioni: la prima ra- rissima, e citata dagli accademici della crusca, uscita in Bologna nel 1613: la seconda fatta tirare in soli 1\ esemplari da Bartolomeo Gamba in Venezia il 1831. Deve perciò lodarsi il signor Mortara, che tenero delle italiane eleganze n'ha con bellissime annotazioni fatto un nuovo dono alle nostre lettere. Commentario latino della vita e degli sludi del prof. Antonio Nodari, scritto dal di lui nipote Pietro dott. Nodari li. medico di delega' zione in Verona, con un saggio di poesie latine. — Verona coi tipi di Giuseppe Antonclli. (Sono pag. 192, in 8.) E un elegante ed affettuoso scritto, col quale ne viene significato qual uomo si fosse monsig. Nodari, e quanto valente nelle latine let- tere, e di quanta pietà e dottrina fornito. È poi a desiderare che molti imitino la bontà di lingua e la squisitezza di stile latino, con che il suo degno nipote sig. dott. Pietro ha reso un sì bel tributo alla memoria dell'illustre suo zio. G. F. Rambellì. Opere varie inedile di Mario Pievi ccrcirese. Corrono di molli anni, cioè fin dal 1829, che il professore Mario Pieri non ha dato al pubblico alcun frutto de'suoi studi, tanto che Varietà' 399 da laliino sarà per avventura stimato per morto, o quasi oppresso dal peso della grave sua età, che vale a un di presso il medesimo. La qual cosa proviene, non dall'essersi egli lasciato languire in tut- to questo tempo in un ozio inutile e vergognoso; ma sì perchè, non essendo mai stali i suoi scritti adulatori di popoli, o di governi, o di principi, o delle inclinazioni del secolo, aspettava tempi migliori, e più adalli, per pubblicarli almeno con qualche frullo. Oltredichè egli non fu mai tra coloro che stampano, e stampano, e stampano; e meno ancora tra quelli che pubblicano il primo fascicolo, innanzi di comporre il secondo, o pubblicando vanno le proprie opere a brani a brani ne'gioraali, di mano in mano che le vengono compo- nendo: usanze ignominiose del nostro secolo, ed infamia eterna della presente letteratura europea. All'incontro egli ba sempre pensato, che fino a tanto che un'opera riposa nello scrigno dell'autore, essa può uscire un giorno più perfetta alla luce. Se non che, ripensan- do ultimamente il professor Pieri, che in ogni azione umana vuoisi fuggire gli eccessi, e che la virtù sta nel mezzo, e ch'egli non solo ebbe praticato il precetto di Orazio Et nonum premantur in annum, ma bene il raggravò, tenendo rinserrate, le proprie scritture non solo nove anni, ma talvolta eziandio meglio che diciolto; e ritro- vandosi inoltre, quasi inaspettatamente, in una età, nella quale l'uomo assennalo, e sopra lutto l'uomo di lettere, convien che pen- si di apprestare il suo vai giotlo pel gran viaggio; è vernilo nella risoluzione di pubblicare almeno una scelta delle sue scritture ine- dite , affinchè non cadano in mani indiscrete dopo che l'autore sarà ito a raggiungere i suoi grandi maestri. Le quali serilture saranno pubblicate nelle forme e nell'ordine qui sotlo indicato. Esse usciranno dalla stamperia del signor Le Mounier, la cui diligenza ed eleganza sono assai note. I due primi volumi comprenderanno la vita dell'autore scritta da lui medesimo; i quali polrebbesi dire che abbracciano la storia letteraria e in parte anche la civile di più di mezzo secolo, essendo nato l'autore nell'anno 1776, e trovatosi per caso in mezzo ai più singolari avvenimenti che in Italia, ed anche fuori, in questo corso di anni seguirono: di tutti i quali egli fa menzione particolare, ag- giungendovi le notizie, i ragionamenti, le sentenze, le opinioni de' letterati italiani più chiari , da lui conosciuti famig Ilarmente ; al- cuni de'quali furono anche suoi maestri, o intimi amici, come dimo- strarlo potrebbe un lungo carteggio da lui sempre conservato gelo- samente, con altre loro scritture autografe e inedite. II terzo volume comprenderà le opere varie inedite del medesi- mo autore; le quali potrebbero estendersi infìno al quarto e quinto volume, se l'autore venisse incoraggialo dall'esito de'tre primi a continuarne la pubblicazione. Però, dopo i due volumi della vita, che non potranno andare disgiunti , gli altri saranno pubblicati e conformali in guisa da potersi dare anche separatamente. Spera per altro l'autore, che chi leggerà i due primi volumi, non vorrà far torto agli altri separandoli dai loro fratelli. Pure in ogni cosa egli si raccomanda alla discrezione de'suoi lettori, e sopra lutto alla gen- tilezza, da lui tante volte sperimentata , de'suoi amici fiorentini. Firenze, 1 febbraio 1851. 400 INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL TOMO CXXI, VOLUMI 561, 562, 565. SCIENZE Carpi, Sulla virtù febbrifuga attribuita alla corteccia dell' Adansonia digitata pag. 3 Orioli, Delle longevità e de' ringiovanimenti ...» 14 Albites, Applicazione dell'acetato di ammoniaca nelle ferite d'armi da fuoco » 39 Catalani, Storia della vita (Prima parte) . ...» : 46 Maggiorani, Seconda lettera al dott. Giovanni Franceschi. » 147 LETTERATURA De-Ferrari, Sopra un trittico greco della casanatense. Fabi Montani, Elogio di Loreto Santucci . Senofonte, Apologia di Socrate tradotta ed illustrata Gagliuffi, Lettera inedita a Salvatore Betti . Angelini, Vita e scritti di Enrico Castreca Brunetti Montanari, Elogio di Pellegrino Farini .... Torri, Sopra alcuni passi della Divina Commedia. Scotti, Elogio di Lelio Riviera . » 313 BELLE ARTI De-Ferrari, Biografìa di Giuseppe Baini .... » 328 Varietà. IMPRIMATUR Fr. D. Buttaoni S. P. A. Mag. IMPRIMATUR P. A. Ligi Vicesg. » 172 )) 220 » 237 » 256 » 261 » 282 » 304 GIORNALE DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI Voi. CXXH Gennaio, Febbraio e Marzo 1851 ROMA foipciiviina belili' libctltv cibt/U 1831 DIRETTORE DEL GIORNALE S. E. il sig. principe ». PIETRO ODESCALCHT, consigliere di stato, presidente delle pontificie accademie di archeologia e de1 nuovi lincei, membro del collegio filologico dell'università romana. i #kii^i ©mi BETTI cav. SALVATORE, professore di storia e mitolo- gia e segretario perpetuo dell'insigne e pontificia acca- demia di s. Luca , membro del collegio filologico del- l' università romana, socio ordinario e censore della pon- tificia accademia di archeologia, accademico della crusca. BORGHESI cav. BARTOLOMEO, accademico della cru- sca, corrispondente della pontificia accademia romana di archeologia e dell' instituto di Francia , membro delle RR. accademie delle scienze di Rerlino, Torino ec. CAPPELLO dott. AGOSTINO, già medico consulente della san. meni, di Leone XII, socio ordinario delle pontifi- cie accademie di archeologia de'nuovi lincei. MAGGIORANI dott. CARLO, membro del collegio medi- co-chirurgico e professore di medicina politico-legale nell' università romana, socio ordinario della pontificia accademia de' nuovi lincei. POLETTI cav. LUIGI , presidente e professore di archi- lettura pratica nell'insigne e pontificia accademia di s. Luca , professore ordinario di architettura nell' ospizio apostolico di s. Michele , professore onorario della R. accademia delle belle arti di Modena, architetto diret- tore della riedificazione della basilica di s. Paolo, con- sigliere della commissione consultiva di antichità e belle arti presso il ministero del commercio e belle arti, ad- detto al collegio filosofico dell' università romana, socio ordinario della pontificia accademia di archeologia. VISCONTI commendatore PIETRO ERCOLE, commissari.» delle antichità romane, presidente onorario del museo IV capitolino, segretario perpetuo e socio ordinario della pontifìcia accademia di archeologia, membro del collegio filologico dell' università romana , consigliere della com- missione consultiva di antichità e berle arti presso il ministero del commercio e belle arti. ONORARI CARPI cav. PIETRO, professore di mineralogia, membro del collegio medico-chirurgico e direttore del gabinetto mineralogico dell' università romana, socio ordinario del- la pontificia accademia de' nuovi lincei. DE-CROLLIS dolt. DOMENICO. GERARDI doti. FILIPPO. COLLABORATORI ASTOLFI avv. Angelo, giureconsulto, a Bologna. BARTOLIN1 monsignor Domenico, ponente della sacra consulla, socio ordinario della pontificia accademia di archeologia, in Roma. BIANCHINI Antonio , segretario della società degli amici delle belle arti, in Roma. BIOLCIIINI Pietro, segretario del giornale, in Roma. BONCOMPAGNI S. E. don Baldassare , socio ordinario della pontificia accademia de' nuovi lincei, onorario di quella di archeologia, in Roma. BRIGHENTI Maurizio, ingegnere ispettore, a Bologna. BRIGNOLI di Brunoff Giovanni, professore, a Modena. CAMPANARI avv. Secondiano, socio corrispondente della pontificia accademia romana di archeologia, a Toscanella. CANTALAMESSA CARBONI Giacinto, in Ascoli. CAPOZZI Francesco, a Lugo. CHELINI padre Domenico, delle scuole pie, membro del collegio filosofico dell'università, professore nel collegio nazareno, socio ordinario della pontificia accademia de' nuovi lincei, in Roma. CHIMENZ dolt. Baldassare, chirurgo, in Roma. CICCONETTI avv. Felice, giureconsulto, in Roma. CONTI doti. Filippo, medico, a s. Anatoglia di Camerino. COPPI ab. Antonio, segretario del pontificio inslituto agra- V rio, socio ordinario delle pontificie accademie di archeo- logia e de' nuovi lincei, in Roma. CORDERÒ DI S. QUINTINO cav. Giulio, membro delia reale accademia, a Torino. DE-FERRaRI padre maestro Giacinto, dell'ordine de' pre- dicatori, primo cattedratico casanatense, consultore delle sacre congregazioni dell'indice, de'vescovi e regolari, di propaganda e del concilio, socio ordinario delia pontifi- cia accademia di archeologia, in Roma. DE-LUCA monsig. Antonino, vescovo di Aversa. DE-MINICIS avv. Gaetano corrispondente della pontificia accademia di archeologia, a Fermo. DIONIGI ORFEI contessa Enrica, in Roma. FARI de'conli MONTANI monsignor Francesco, cameriere segreto di Sua Santità, pro-custode di arcadia, consul- tore delle sacre congregazioni dell' indice e di propa- ganda fide, in Roma, FERRUCCI cav. Luigi Grisostomo, a Firenze. FERRUCCI Michele, professore, a Pisa. FIORINI MAZZANTI Elisabetta, in Roma. FOLCHI cav. Clemente , architetto di Sua Santità, consi- gliere dell'insigne e pontificia accademia di s. Luca, in- gegnere ispettore emerito membro del consiglio d'arte, addetto al collegio filosofiso dell'università romana, so- cio ordinario della pontificia accademia di archeologia , consigliere della commissione consultiva di aniichiià e belle arti presso il ministero del commercio e belle arti, in Roma. FONTANA cav. Pietro, corrispondente della pontificia ac- cademia di archeologia, a Spoleto. FRANCESCHI FERRUCCI Caterina, a Genova. GIACOLETTI padre Giuseppe , delle scuole pie , in Pie- monte. GIULIANI padre don Giambatista , somasco , professore d'eloquenza sacra nell'università, a Genova. GRIFI cav. Luigi , segretario generale del ministero del commercio, belle arti ec, socio ordinario e conservatore perpetuo dell'archivio della pontificia accademia di ar- cheologia, in Roma. GUZZONI DEGLI ANCARANI dott. Carlo, a Spoleto. LABUS cav. Giovanni , membro e segretario dell' I. e R. istituto, a Milano. VI LEONARDI dott. Mauro, medico primario, in Amelia. LOPEZ cav. Michele, prefetto del ducal museo, a Parma. MARCHI padre Giuseppe, della compagnia di Gesù, conser- vatore de'sacri cimiteri di Roma, consultore della sacra congregazione delle indulgenze e sacre reliquie , mem- bro del collegio filologico dell'università, socio ordinario della pontificia accademia di archeologia, in Roma. MASETTI canonico Celestino, a Fano. MONTANARI Giuseppe Ignazio, professore, a Osimo. MORICHINI S. E. Rma monsignor Carlo Luigi , arcivescovo di Nisihi, tesoriere generale della R. C. A., presidente della commissione degli ospedali, consultore della sacra congregazione degli affari ecclesiastici straordinari , in Roma. ORIOLI Francesco, consigliere di slato, professore di sto- ria antica ed archeologia nell'università, socio ordinario e censore della pontifìcia accademia di archeologia, ordi- nario dell'altra pontificia de' nuovi lincei, in Roma. PAOLI conte Domenico, a Pesaro. PAULUCCI Domenico, vicesegretario municipale, a Rimini. PERETI! Pietro, professore emerito di farmacia dell'uni- versità, in Roma. PIANCIANI padre Gio. Rattista, della compagnia di Gesù, membro del collegio filosofico dell' università, socio or- dinario della pontificia accademia de' nuovi lincei, in Roma. PLANA barone commendatore Giovanni , membro della reale accademia delle scienze, professore d'analisi nella università, regio astronomo, a Torino. PUCC1NOTTI dott. Francesco, professore nell' università, a Pisa. RAMRELLI Gio. Francesco, professore, a San Giovanni in Persicelo. RAMELLI Camillo, professore, a Fabriano. RANGHIASCI RRANCALEONI marchese Francesco , a Gubbio. RICCARDI dott. Gregorio, medico, in Roma. RICCI marchese cav. Amico, a Rologna. ROSSI monsignore Stefano, prelato domestico di Sua San- tità, delegalo apostolico della provincia di Ravenna. SANTINI dott. Angelo, medico primario, a Mentalboddo. Tir SANTUCCI ab. Domenico , rettore del collegio caprani- ccnse, in Roma. SECCHI padre Gio. Pietro, della compagnia di Gesù, mem- bro ordinario e censore della pontificia accademia di archeologia, in Roma. SQRGONI dolt. Angelo, primo medico, a Monlolmo. SPEZI Giuseppe, professore di lingua greca nell'università romana, socio ordinario soprannumero della pontificia ac- cademia di archeologia, in Roma. TORTOLINI ab. Rarnaba, membro del collegio filosofico e professore di calcolo sublime nell'università, professore di fisica matematica nel collegio urbano di propaganda e nel seminario romano, socio ordinario delle pontificia accademia de' nuovi lincei, in Roma. TROMPEO cav. Renedetto, a Torino. VALDRIGHI conte Mario, a Modena. VALORI dott. Francesco , membro del collegio medico- chirurgico, professore di sanità nella sacra consulta, in Roma. VESCOVALI Luigi , socio ordinario della pontificia acca- demia di archeologia, in Roma. VOLPICELLI Paolo , professore di fisica sperimentale nel- 1' università , direttore del gabinetto fisico , segretario della pontificia accademia de' nuovi lincei, in Roma. ZANELLI ah. Domenico, in Roma. SCIEHTZU Storia della vita , proposta qual nuovo organo per servire di guida allo studio della clinica. Di Vin- cenzo Catalani dottore in medicina e chirurgia. (Continuazione e fine.) PROPOSTA »"l A Sl'OVO ORGANO PER SERVIRE DI GUIDA ALLO STUDIO DELLA CLINICA LIBRO SECONDO MUTAMENTI PRETERNATURALI DELLA MODALITÀ' DELLA VITA. CAPO I. Mutamenti preternaturali della modalità della genesi. JLJ unr 97. JLj universo può considerarsi esso stesso come un organismo propriamente detto, che ripetendosi, seondo leggi ricevute dal Creatore, produce gli esseri arganizzati. Una primitiva forza da esso Creatore in- fusa al mondo corporeo, come inconcreta, ed indivi- sibile e da noi chiamata precedentemente forza idea- le, cioè forza agente secondo l'idea archetipa rice- vuta, agisce egualmente conforme alla propria natura. G.A.T.CXXII. 1 2 Scienze Non degenera mai, ed è sempre a se stessa uniforme. Le particolari aggregazioni o primordiali organiz- zazioni, in cui l'idea fisica si realizza, sarebbero co- stantemente identiche al tipo della specie; se le ac- cidentalità non cambiassero le individuali condizioni degli elementi dell' universo, nelle cui peculiari ag- gregazioni la vita universale si fenomenizza. La causa efficente delle anomalie della genesi non consiste es- senzialmente nei cambiamenti quantitativi e qualita- tivi del principio da noi detto ideale o forza conser- vatrice; ma nelle peculiari condizioni delle aggrega- zioni o primordiali composizioni organiche. Medesimi effetti sono determinati da identiche cause, che agi- scono nei medesimi corpi. L'indole e la natura dei fenomeni naturali si modifica, o interamente si cam- bia nel mutarsi l'intensità , o la natura della forza, o la qualità dei corpi, in cui essa si esercita. L'essen- zialità e la natura della forza universale suddetta, nata nel mondo corporeo, è identica sempre a se stessa, né soffre alcun cambiamento. Le anomalie o degenera- zioni , che si compiono nell'atto della fenomenizza- zione o realizzazione dall'idea tipica della specie, non derivano da essa; ma essenzialmente dipendono dalle peculiari condizioni delle aggregazioni o primordiali organiche composizioni , dalle quali cambiandosi di forma nasce nella materiale sua parte la vita in- dividuale. Queste primigenie condizioni o elementari disposizioni organiche sono le cause effìcenli dei deviamenti o mostruosità della generazione. 98. Noi limitiamo le ricerche patologiche della genesi al materiale impasto ed ordinamento dell'es- sere il più cemplicato, e maggiormente organizzato. Storia della vita 3 Non sappiamo se in principio fosse ingenerato per eterogenea ; e che dipoi si propagasse per digenia. La fisica intorno a ciò niente insegna ; e non sono che deboli tentativi gli argomenti di Burdach (1), che tendono a dimostrare assere Yeterogenia la pri- mordiale genesi degli animali. Nella di genia l'es- sere , che procreasi si sviluppò in due metà anta- gonistiche indicate con il nome di sessi. Nell'ova- rio della femmina, mediante peculiare secrezione di materia plastica , s'ingenera l'embriolrofo ; nel testi- colo dell' uomo lo sperma ; e nell' atto dell' accop- piamento si determina la fecondazione; cioè la mi- stione o spontanea unione dello sperma con l'em- briotrofo. Prima di più oltre procedere fa di me- stieri chiarire il fenomeno della fecondazione. L'u- nione dello sperma con Tembriotrofo è una com- binazione chimica; ovvero una semplice miscella ? Un carattere essenziale della chimica combinazione è l'identificazione dei principii , per cui è ingene- rato il nuovo composto con speciali caratteri, e la totale abnegazione delle proprietà accidentali de'priu- cipii costituenti. Nelle combinazioni chimiche sì ot- tiene costantemente il medesimo identico composto. Cosicché gii acidi uniti in combinazione chimica alle basi salificabili danno costantemente i medesimi pro- dotti. Nella semplice miscella , dove gli elementi snno gli uni confusi e semplicemente misti agli al- tri , sussistono le proprietà accidentali in istato di antagonismo; vale a dire, che tendono a distrug- gersi scambievolmente , a neutralizzarsi, o a darsi (1) 1. Trattato dì fisiologia tomo 1. h Scienze reciproca forza. Se Io sperma unito all'embriotrofo ingenerasse una chimica combinazione , il nuovo prodotto sarebbe formato , ed il voto della natura compito. In seguito della fecondazione non termi- nano i movimenti, come nella saturazione; ma che anzi da essa ha origine la serie dei movimenti, che tendono alla realizzazione, ed al compimento della nuova organizzazione. Lo sperma e V embriotrofo devono unirsi in semplice miscella antagonistica; e determinare, in seguito della fecondazione, azioni e reazioni tra l'uno e l'altro , da cui ne emerge un movimento propulsivo tendente alla realizzazione dell'idea tipica della specie. Con questa ipotesi si spiega la diversità dei sessi; e come in alcuni si de- termina il carattere paterno, ed in altri si manifesta l'impronta materna. Se nell'atto della fecondazione s'ingenerasse una chimica combinazione, oltre l'es- sere sciolto il voto della natura, si otterrebbe co- stantemente il medesimo identico composto. 99. Le principali cause delle anomalie della generazione si riferiscono alla costituzione degli es- seri procreatori; dai quali viene formato lo sperma e l'embriotrofo. Ciascuno tende a realizzare la pro- pria individualità; e dall'azione prevalente dell'uno o dell' altro è determinalo il sesso ed il carattere personale. Dalle preternaturali organiche condizioni dell'uno, o dell'altro, o di entrambi, sono determi- nate le predisposizioni e le malattie materne, o pa- terne , o dell'uno e dell'altro. In alcuni si scorge l'impronta materna, in altri paterna; nel mentre che certi altri portano nascendo il carattere fisico pa- terno, e le proclività materne, vale a dire un carat- Storia della vita 5 lere sui gereris, che segna il punto medio tra quello del padre e quello della madre; cioè un eclettismo ereditario. L'embriotrofo e Io sperma segregati dagli organismi femmineo e maschile hanno il carattere dell'individualità; e come prodotti di naturali secre- zioni porlono con se l'espressione dei mutamenti , che nell'atto della rispettiva formazione organica si compiono negli organismi degli esseri procreatori ; come ancora delle simpatie ed antipatie, che si de- stano nell'atto dell'accoppiamento fecondo. 100. In seguito della fecondazione l'embriotrofo e Io sperma in atto di antagonistica mescolanza eser- citano reciproche azioni e reazioni; e determinano l'alto propulsivo, che tende alla realizzazione dell'i- dea tipica della specie. Il nuovo prodotto, determi- nato da forze antagonistiche, è in diretto rapporto con l'organismo materno. Nel uovo fecondato si hanno due sorta di antagonismi; la prima circoscritta nella rispettiva organica periferia, e determinata dallo sperma e dall'embriotrofo; e l'altra dal nuovo pro- dotto e dall'organismo femmineo. Dall'armonia o re- ciproca corrispondenza degli antagonismi ne emerge lo svolgimento normale del nuovo organismo; e dal disturbo di esssi 1' anormale prodotto o la genera- zione dei mostri. 101. In principio l'antagonismo si compie tra gli organismi procreatori e gli organi secernenti l'embriotrofo e lo sperma ; dipoi tra l'embriotrofo e Io sperma; infine tra il nuovo prodotto e l'intero organismo femmineo, e specialmente con l'ovario. La determinazione, che tende alla realizzazione dell'i- dea tipica , fa sì che il nuovo prodotto discenda 6 Scienze noli' ovidutto ed entrai nella cavità interna della matrice ; onde stabilire in essa l'antagonismo per- manente , per cui si svolge completamente la vita embrionale. 102. L'uomo, come essere procreatore o dà l'im- pronta al nuovo prodotto nell'atto dell'accoppiamento fecondo; ed impresso che abbia in esso il carattere fisico personale, termina qualsiasi influenza paterna. Le predisposizioni ereditarie sono impresse nello sperma dall'azione antagonistica determinatasi tra le glandole secernenti e l'intero organismo. Gli organi secernenti l'umore prolifico, quantunque siano ben conformati, ed abbiano impresso il tipo del carattere della sessualità, non fermano le malattie , le quali esistono in altre parti del corpo; e dall'essere pro- creatore, nell'atto dell'accoppiamento fecondo, pas- sono al nuovo prodotto. Le potenze esterne, e quelle insite all' organismo, che direttamente o indiretta- mente disturbano la fisiologica separazione dello sperma e dell'embriotrofo, sono le cause dirette delle predisposizioni, dei vizi congeniti , e delle malattie ereditarie, che dagli esseri procreatori passano al nuovo prodotto o composto organico. 103. Nell'atto della fecondazione si determina una mistione tra l'embriotrofo e Io sperma ; e si determinano tra gli elementi della generazione azioni e reazioni; e si stabilisce l'antagonismo , che tende alla realizzazione dell'idea tipica della specie. L'ef- ficenza dell'azione e della reazione è inerente agli elementi antagonistici della genesi ; e viene deter- minala dall'azione e dalla reazione stabilitesi tra l'in- tero organismo femmineo ed il nuovo prodotto. Co- Storia della vita 7 sicché l'influenza materna continua ancora ; e può eziandio determinare novelle impronte all'essere pro- creato. L'embrione passando dall'ovario all'ovidutto, e da questo nella cavità interna della matrice , è sempre determinato nei rispettivi movimenti dalla diretta e indiretta reazione dell'organismo materno. La diretta si compie tra le parti, che sono a con- tatto seco; l'altra, dalla reazione che l'intero orga- nismo esercita negli organi della generazione. 104. Esposta la determinazione delle anomalie o mostruosità della generazione, discendiamo a sta- bilire i preternaturali mutamenti materiali, mediante i quali la forza procreatrice disordinata si realizza. a) Straordinario sviluppo organico. 6) Defìcenza di sviluppo organico. e) Anomalie di conformazioni organiche. d) Anomalie di prodotti organici. e) Aumento di parti. f) Mancanza di parti. 105. Cosicché nello sviluppo organico devono considerarsi tre sorte di anomalie dell'attività plastica; cioè l'esuberanza, la debolezza ed il pervertimento. Nel primo caso si ha lo straordinario, e nell' altro la mancanza dello sviluppo organico; e nel terzo l'attività plastica, rimanendo nell'ordine consueto, né difettando nella maggiore o minore attività; solo si disordinano le leggi , che determinano la naturale composizione organica, e la simmetrica conforma- zione della macchina animale. 8 Scienze CAPO II. Mutamenti preternaturali della modalità organica, 106. La modalità del mondo corporeo è de- terminata da una forza, che essenzialmente le ap- partiene come primitivamente infusagli. Le parti, che compongono l'universo, sono organiche e viventi, e sono regolate dall'idea fìsica totale che il Creatore ha lor dato per legge. Costituiscono l'unità organi- ca , né possono separarsi , né distruggersi in parte senza disturbare nel medesimo tempo l' armonia universale. Lo scioglimento, e la nuova determina- zione della modalità delle organiche individualità sono i fenomeni e l'espressione, con cui la vita uni- versale si fenomenizza. L'universo materiale e l'idea- le fisico sono in armonia e reciproca corrisponden- za; l'ideale tipico dispone il materiale ; ed il ma- teriate corrisponde all' ideale. L' organizzazione , come diffusa ovunque, non può distruggersi senza annullarsi nel medesimo tempo l'esistenza dei corpi, quanti essi sono. L'essenzialità dei fenomeni dell'uni- versale e della vita particolare consiste interamente nel continuo e perenne mutamento delle modalità individuali. Nella prima ci si appalesa mediante la nascita e la morte ; nell'altra coi fenomeni appari- scenti di nutrizione e di denutrizione. Cosicché cam- biano i rapporti individuali, e l'essenzialità organica rimane costantemente. Nell'organizzazione animale, sia che noi la consideriamo come individualità re- lativa, o come aggregato di parti organiche separa- Storia della vita 9 te, noi vi scorgiamo costantemente nel punto della nascita la creazione d' un antagonismo, che deter- mina una peculiare modalità, che cambiandosi con- tinuamente giunge al punto del suo discioglimento; cioè all'atto della formazione di un nuovo antago- nismo, determinante altra organica modalità. Cosic- ché l'organizzazione in quanto all'essenza è sempre a se stessa identica , in quanto poi alla rispettiva modalità è sottoposta a continui e perenni muta- menti. 107. Le condizioni essenziali, che determinano le variazioni della modalità individuale, sono i cam- biamenti del chimismo animale , della meccanica simmetria, e delle condizioni esterne, che determi- nano l'attività organica; cioè i mutamenti del misto organico , delle combinazioni o meccaniche dispo- sizioni ; ed in fine i cambiamenti delle coudizioni esterne indispensabili al compimento degli alti vitali. CAPO III. Mutamenti 'preternaturali della modalità delle proprietà organiche. 108. Nell'organizzazione animale esistono le pro- prietà generali comuni ed estese a tutto il mondo organico; quelle, che si riferiscono ai chimici com- posti; infine altre, che si appartengono alle combi- nazioni o meccaniche disposizioni. Le prime sono suscettive soltanto di mutamenti d' intensità : così l'organismo può essere più o meno grave, più o me- no esteso. Le altre subiscono perturbamenti quanti- 10 Scienze tativi e qualitativi. Cosicché la modalità morbosa si esprime ora con l'irritazione; lai' altra volta con l'a- tassia; ed in certi altri casi mediante l'adinamia. 109. Il duplice mutamento preternaturale della modalità dell' attività organica, ci si appalesa nella macchina animale mediante l'espressione diretta ed indiretta. Nel primo caso noi osserviamo il perturba- mento delle proprietà direttamente collegate all'orga- nismo alterato; nell' altro i perturbamenti universali, prodotti dal disquilibrio o mancanza di alcuni anta- gonismi organici; per cui è mutata la modalità in- dividuale regolata dall'idea totale. CAPO IV. Mutamenti preternaturali della modalità delle simpatie organiche. 110. La macchina animale si compone di parti provviste di attività vitale, ciascuna delle quali com- pie peculiari funzioni ed azioni antagonistiche. Dal contrasto di esse grandi o minime che siano, e da quello dei centri vitali ne emerge il punto di con- centrazione, o l'unità della forza che determina la simmetria organica, e l'attitudine all'espressione at- tiva e passiva della vita. Cosicché nella macchina animale esistono tanti centri vitali riuniti sotto l'im- pero della idea tipica, che determina la simmetria organica e l'unità della vita. Le parti componenti il meccanismo animale hanno tra loro maggiori o minori rapporti a seconda della maggiore o minore estensione dei chimici composti, e della diversa in- Storia della vita 1 1 tensilà di attività dei centri vitali sparsi e dissemi- nati nella macchina animale. 111. Dai principii superiormente esposti chiaro risulta , che le simpatie morbose devono determi- narsi in forza dell'esaltamento, del pervertimento, e dell'indebolimento dell' attività organica dei cen- tri di azione. Qualsiasi trasporlo morboso non può spiegarsi senza una di queste peculiari organiche condizioni. I fenomeni locali o diretti derivano co- stantemente da un cambiamento della modalità or- ganica; gl'indiretti od i simpatici, dal perturbamento che la condizione locale apporta alla modalità indi- viduale. CAPO V. Mutamenti preternaturali della modalità della composizione, e dell'organica decomposizione. 112. I processi antagonistici di composizione e di decomposizione determinano la modalità organica. Le condizioni fondamentali, che compiono lo svol- gimento del processo generale della vita plastica, sono da una parte la presenza della materia idonea ad assumere forme animali; per cui viene perenne- mente introdotta all'interno, ed assimilata; dall'altro lato la sostanza animale disposta a prendere nuove forme, e ad essere perennemente espulsa dal corpo. Infine l'attività organica regolata dall'impronta della idea tipica totale ; per cui da una parte si com- pone, e dall'altra si decompone, e si mantiene pe- rennemente l'organismo nello stato di giovinezza, conservandosi costantemente le forme e le disposi- zioni organiche. 12 Scienze 113. Dal perenne antagonismo, che eompiesi nella macchina animale dai liquidi, dai solidi e dal- l'attività organica regolata dalle leggi della idea to- tale, ne emerge la perenne composizione e decom- posizione animale. Fenomeni, che in quanto all'es- senzialità sono identici; mentre nell'uno come neh' altro vi è sempre un cambiamento di forma. Nel periodo di propulsione prevale il processo sintetico; per cui la macchina animale si dispiega, e percorre le fasi del suo ingrandimento; ed in quello di re- trogradazione viene leggermente respinto; e si com- pie con maggiore attività il processo analitico. Al- lorché 1' aumento di volume si compie nel tempo stesso in tutta l'economia, si deve riguardare come una determinazione fisiologica. Se fosse possibile la diminuzione generale dell'organismo animale, sareb- be anche essa un fenomeno fisiologico. L'organiz- zazione individuale, percorse che abbia le fasi del rispettivo ingrandimento, è impossibile che soggiac- cia o ad una graduata ed uniforme diminuzione, o ad accrescimento. Il processo antagonistico della vita plastica non è sottoposto ad un aumento né ad una diminuzione morbosa generale. Nella consunzione e nelle tabe alcune parti diminuirono di volume e di massa ; nel mentre che certe altre rimangono nello stato naturale. L'atrofia e l'ipertrofia esistono parzialmente e sono circoscritte in alcune parti; ed il più di sovente si determinano nel medesimo individuo, nello stesso apparecchio , e nel medesi- mo organo; fenomeni morbosi, che in qualche modo dimostrano l'impossibilità dell'atrofia , e della gene- rale ipertrofia ipertrofia. Cosicché le condizioni, che Storia della vita 13 determinano sì l'una e sì l'altra , devono essere es- senzialmente locali; ed esistere come condizioni par- ziali dell'individualità organica. L'attività plastica , nello stato morboso, è adunque sottoposta a diminu- zione e ad aumento parziale. Altra anormale direzione può assumere l'attività della vita plastica ; e senza difettare nel più o nel meno, è talora perturbata, ed ingenera un cattivo impasto organico , i processi morbosi, e le sostanze eteraloghe. CAPO VI. Mutamenti preternaturali della modalità della incubazione, e dei fenomeni concomitanti. 114. Nel seme dei vegetabili e nelle uova degli uccelli l'incubazione incomincia nel momento, in cui sono poste nelle condizioni favorevoli alla generazio- ne ed all'incubazione. Ne' mammiferi e nel uomo in- comincia nell' atto dell' accoppiamento fecondo. Il primo periodo si compie nell'ovario, il secondo nel- ovidutto, ed il terzo nella matrice. Nel primo perio- do si svolgono azioni e reazioni tra il nuovo prodotto e l'ovario , per cui si stacca e viene spinto nel- l'ovidutto; ove si determina la contrazione ed il ri- lassamento, e l'ovicino fecondato è cacciato nella ca- vità interna della matrice; organo destinato a com- piere interamente l'incubazione. 1 1 5. Nel primo e nel secondo periodo scarsi so- no i materiali, che l'embrione riceve pel suo ingran- dimento. In questi primi duestudii della vita embrio- nale i principali fenomeni si riducono nell'azione e nella reazione, che si determinano tra l'ovicino fé- 14 Scienze condato e gli organi della generazione con l'intero organismo dell'essere procreatore; per cui il nuovo prodotto viene spinto nella matrice. Velpeau (1) ri- tiene essere causa delle false direzioni, che prende l'embrione, le preternaturali conformazioni del nuovo prodotto, la cattiva collocazione, i difetti di confor- mazione, e le malattie dell'ovario e dell'ovidutto. La essenzialità della causa prossima della gravidanza e- straulerina consiste nella preternaturale direzione, che assume il movimento del nuovo prodotto; e quella delle cause remote nelle alterazioni degli organi, che lo determinano. Aslruc, e Kruger ritengono, che il nuovo prodotto rimanga nell'ovario, si fermi nell'o- vidutto; perchè lo spavento, il timore, lo sdegno im- possessandosi improvvisamente della donna nel mo- mento dei più vivi godimenti o poco dopo, imprime in tutto l'organismo un turbamento che deve .comu- nicarsi anche nelle parti, che determinano la direzio- ne del movimento, che conduce il nuovo prodotto dall'ovario alla cavità interna della matrice. Opinione convalidata dalle osservazioni di Boudeloque, Lale- mand, e Bellinieri. 116. La persistenza della mestruazione, i dolori ipogastrici più violenti, la nausea, i vomiti maggior- mente copiosi accompagnano il più di sovente la gravidanza estrauterina. Alcune volte l'utero si gon- fia, si rammollisce, e subisce quei medesimi cangia- menti, che caratterizzano la normale gravidanza. E quantunque gli organi generali, generalmente, poco si allontanino dallo stato normale; ciò non ostante (1) Ostetricia. Storia della vita 15 né segni razionali , ne segni diletti bastono a certi- ficare la gravidanza estrauterina sino al fine del ter- zo mese. « La sola gravidanza utero-tubaria lasce- » rebbe sospettare ìa possibilità (lustrar il feto per » le vie naturali. Quelle della incurvatura retlo-va- » ginale, e la gravidanza interstiziale potrebbero a » stretto rigore farsi strada ancora per la vagina. » Il calibro della tromba, la sua poca dilatabilità » non permettono di pensarvi in alcuna delle altre » specie. Sotto questo riguardo, la gravidanza estrau- » terina riesce dunque sempre pericolosa per la ma- il dre e per lo feto ; i suoi esiti naturali si riferis- » cono quasi tutti alla morte del feto, ed alla rot- » tura della cisti (1). 117. Deviatosi il movimento del nuovo pro- dotto dalla direzione naturale, l'embrione viene col- locato al di fuori della matrice; e si sviluppa incom- pletamente, perchè mancante dei naturali rapporti. In seguito della morte, che avviene ordinariamente nel terzo o nel quarto mese per la mancanza di nutrizione, o per l'infiammazione del suo guscio, pos- sono avere luogo i seguenti fenomeni. Il liquido amiotico, e le altre parti fluide sono talora riassor- bite, e l'embrione si converte in sostanza adiposa, o si petrifica. La cisti si ristringe, diviene fibro- cartilaginea, e si risolve in tumore solido. Il sacco può cangiarsi in una vera collezione marciosa , il feto decomporsi, e la cisti aprirsi in una cavità mu- cosa, o direttamente all' esterno, o immediatamente nel peritoneo; infine il nuovo prodotto può dege- (1) Velpeau. Ostetficia. 16 Scienze nerare e formare un liquido ora più, ed ora meno inspessito e trasparente , di colore giallo bruno , bianco, o rossiccio, ma non purulento , e conver- tirsi in una cisti, che talora assume una grandezza straordinaria; in cui si trovarono persino a cento- cinquanta libbre di materie fluide, fra le quali on- deggiavano frastagli di feto. Il primo esito è me- no pericoloso degli altri; e la cisti indurita può ri- manersi nell'addome senza porre a rischio i giorni della donna. Di tale sorta sono le gravidanze, che durarono persino quaranta anni. Negli altri casi, o la malata cade nella febbre etica, mentre una sup- purazione abbondante la sfinisce; o il sacco si vota a poco a poco , si asterge, si ristringe, e la piaga finisce con cicatrizzarsi, o col ridursi allo stato di un ulcere fistolosa. Il più di sovente l'infiamma- zione si estende alle parti vicine, suscita una rea- zione violenta, e con varia rapidità conduce ad un esito fatale. 118. Disceso l'embrione nella cavità interna della matrice , la reazione, risvegliata in essa dalla irritazione determinata dalla fecondazione, cambia direzione. Cosicché nel mentre che l'embrione agi- sce nella matrice , questa e l'attività universale reagiscono alla forza centrifuga determinata dall' embrione; e da questo antagonismo di azioni e rea- zioni emerge lo svolgimento simmetrico e rego- lare del nuovo prodotto , che tende alla realizza- zione dell'idea tipica della specie. Né devesi collo- care nella matrice una peculiare attività organica, in forza della quale si determini lo svolgimento del nuovo prodotto. Mentre osservarono alcuni l'incti- Storia della vita 17 bazione e lo svolgimento dell'embrione in altre par- ti; fenomeno., che direttamente dimostra che il nuovo prodotto trova al di fuori della cavità interna del- la matrice i necessari rapporti. Il fenomeno della ge- nerazione essenzialmente deriva dall'azione antago- nistica; e non da peculiare organica disposizione della matrice. La genesi della placenta, qualora non si voglia credere essere interamente opera dell'em- brione, deriva essenzialmente dalla medesima azio- ne antagonistica. Mentre nella gravidanza estraute- rina esistono placente formate ed inserite al di fuo- ri della matrice. Pointe (1) osservava il cordone ombellicale inserito al mesenterio. Arnault (2) e Zais (3) trovarono la placenta fetale inserita al da- vanti della colonna vertebrale; e Bricheteau (A) at- taccata ai reni ed agli intestini. L'antagonismo in principio si stabilisce tra la superfìcie interna della matrice e l'esterna del nuovo prodotto. In seguito si forma la placenta ed il cordone ombellicale, e si determina una circolazione diretta tra il prodot- to e l'essere procreatore. Le azioni e le reazioni non risultano circoscritte tra il prodotto e l'utero , e si estendono e rapidamente diffondonsi nell'intero or- ganismo dell'essere procreatore. Senza questa uni- versalità di azioni e reazioni organiche non si spie- ga ne concepisce il massimo numero dei fenomeni fisiologici e patologici dell'incubazione e del parto. 119. Il nuovo prodotto, che va realizzandosi , (1) Gazzette raéd. de Paris 1831 p. 273. (2) Tesi num. 294. Parigi anno 2. (3) Archiv. gèn. ec. tomo 23 p. 417. (4) Bibl. medicale 1818 tomo 60 p. 3S4. G.A.T.CXXII. 2 18 Scienze come resultato di azioni e reazioni ci conduce ad alcune considerazioni generali, onde chiarire il fe- nomeno dell'aborto. Il nuovo prodotto discende nel- la cavità interna della matrice con la disposizione propulsiva, e la tendenza alla realizzazione di un nuo- vo organismo-, e l'essere procreatore reagisce ad esso, onde realizzare l'idea tipica, e sbararzzarsi del nuovo prodotto. Per parte dell' embrione esiste una natu- rale tendenza alla progressione ; ed un'azione, che si diffonde nell'organismo materno, il quale reagi- sce concentrando le attività organiche negli organi della generazione. L'embrione esercita un'azione di- retta nella matrice, ed altra indiretta che si diffon- de nell'organismo materno. L'essere procreatore ha un' azione diretta negli organi genitali , e indiretta nell' embrione. Il contrasto armonico fra l'azione e la reazione determina lo svolgimento naturale dell' embrione, e realizza completamente l'idea tipica della specie. Cosicché l'aborto essenzialmente dipende dal disturbo o pervertimento dell'antagonismo determi- natosi tra il nuovo prodotto e l'organismo materno; per cui si disturba la genesi dell'organismo embrio- nale, e viene espulso all'esterno. Le cause, che di- sturbono l'azione e la reazione si riferiscono alle al- terazioni di quei medesimi elementi, che determinano l'antagonismo normale. 120. Le condizioni, che per parte della donna determinano l'aborto, alcune dipendono da certe di- sposizioni generali dell'organismo; altre dalle alte- razioni speciali degli organi sessuali. Relativamente al prodotto ha luogo il fenomeno dell' aborto nello stesso modo , che le frutta appassiscono prima di Storia dell.4 vita 19 essere perfettamente sviluppate. » Le donne plelo- » fiche abbondantemente ed irregolarmente mestrua- » te, irritabili, eccessivamente sensibili, nervose, iste- » riche, linfatiche, bionde, deboli, malaticce; le per- » sone colpite da sifilide, da scorbuto, da rachitide; » quelle, che hanno il bacino mal conformato, o che » soffrono una lesione organica, una malattia ero- » nica qualunque; le asmatiche, le idropiche; quelle » che sono affette da cachesia, che si nutrono male, »> che si stringono il ventre o si tengono troppo » stretti i vestiti, si sconciano più facilmente delle » altre Per ciò » che spetta agli organi genitali, tutte le malattie » croniche cui questi sono soggetti, le aderenze, le » deformità, gli slogamenti , le degenerazioni scir- » rose, enee f aloidi, idatiche , le subinfiammazioni e » lutti i disordini ; che ne derivano le alterazioni » organiche delle trombe; le produzioni fibrose, po- » lipose o di altra specie nel tessuto della matrice, » o ne' suoi dintorni; le aderenze contro natura dei » legamenti larghi, o dei rotondi; delle trombe, o del' » le ovaie colle parti circonvicine o fra loro; final- » mente tutto ciò che può incomodare lo sviluppo fa- » die e regolare della matrice, durante la genera- » zione (1) ». In quanto si appartiene al prodotto, la morte dell' embrione è una condizione, che de- termina necessariamente l'aborto. Le alterazioni va- levoli a indurla sono infinite. » Ora la malattia in- » comincia dalle membrane; il corion si {spessisce, » diviene opaco, si cuopre di rugiada all'interno, le (11) VHpenu, Ostetricia. 20 Scienze » granulazioni della sua faccia si rigonfiano e dan- » no origine alle idatidi in grappoli dell'utero. Va- » mnio soffre alterazioni quasi simili, si disorganiz- » za, o contrae aderenze alle parti circonvicine. La » placenta non si forma punto, o si sviluppa irre- » golarm,enle, e diviene la sede di tutte le specie di » degenerazioni. In altri casi la malattia sulle pri- » me attacca la vescichetta onibcllicale, o il suo con- » dotto, o il sacco allantoideo. Vi sono delle circo- » stanze in cui la viziatura interessa il cordone, o » l'embrione: e sotto questo riguardo, le alterazioni » offrono forme e gradi al sommo differenti (1) ». Il salasso, il bagno, l'emetico, i purganti, gli eme- nagoghi, le malattie acute , l'asfissia, il canto smo- dato, le scosse del ventre, i movimenti violenti, non promuovono l'aborto senza il disturbo dell'antagoni- smo determinatosi tra l'organismo materno e l'es- sere procreato. Ecco come il più di sovente coli' uso smodato degli emenagoghi si sconcerta l'orga- nismo materno , ingenerandosi eziandio gravissime malattie, senza che abbia luogo l'aborto. 121. Inoltre le malattie, alle quali è soggetto il bambino dopo la nascita, sogliono ingenerarsi duran- te le fasi della vita embrionale. Cosicché furono osservate in tutte l'epoche della genesi o sviluppo embrionale aderenze patologiche; distruzioni ulce- rose nelle mani, nel basso ventre, nella testa ed al- trove; e incontrastabili alterazioni nel polmone, nel fegato, nel peritoneo; come ancora il cordone om- bellicale incompletamente, a perfettamente atrofìz-- (1) Velpeau, Ostetricia. Storia della vita 1\ zalo; parziali atrofìe; e la chirronosi descritta da Lo- bstein (1). Veron (2) e Andres (3) fanno menzio- ne, e riportano -vari casi di malattie sviluppatesi nel decorso della vita embrionale. Velpeau, Magendie, Lereboullet , Bouilland , Kerckhove , Elsoesser , ed Hill osservarono a Parigi nel 1832 il colera nel massimo numero dei casi uccidere il feto. Molli ca- si furono registrati nei fasti della medicina di feti nati affetti da vaiuolo, da sifilide e da altre malat- tie. Lo storico della febbre intermittente di Roma (4) fa menzione d'una perniciosa embrionale, la quale si manifestava mediante scosse violenti ed intermit- tenti. Una donna, che prese dell'oppio prima di sgra- varsi , partorì un figliuolo , che manifestava i più espressivi segni di narcotismo (5). Altra disturbala essendo dal terrore della guerra, dava alla luce un maschio, che manifestava un'agitazione straordina- ria; e lo stato convulsivo gradatamente si dileguava nel corso di un anno (G). 122. La costituzione individuale, qualora si sta- bilisca altro non essere che la modalità organica ; non vi è più dubbio, che le predisposizioni sono im- presse nell'atto della generazione, nel decorso dell' embrionale e della vita indipendente. Le predispo- sizioni e le malattie organiche s'ingenerano nell'em- brione tanto dopo la formazione dell'organismo in- (1) lournal des progès lom. 1. (2) Rev. mètl. 1833 lom. 3 p. 314. (3) Io urna! de progès lom 1. (4) Francesco Puccinolti. (5) Mend. Handbuch der Gericlitlichex medichi torti. 3 p. 42. (6) Asklacpicion, 1811 p 187. 22 Scienze dividuale, quanto nell'atto della primordiale gene- razione. Come le potenze nocive disturbando l'assi- milazione organica ingenerano talora le predisposi- zioni, e la trama dei processi morbosi negli adulti; così queste medesime cause od altre disordinando la genesi, e la conformazione o simmetrìa organica, ingenerano con maggiore facilità le predisposizioni e le malattie nell'essere in cui si realizza l'idea ti- pica della specie. Come non esistono emenagoghi i che determinano l'aborto senza disturbare l'antago- nismo determinatosi tra V embrione e 1' organismo materno; così non possiamo prevenirlo ed evitarlo senza allontanare le cause disturbatrici; e senza ri- ordinare il corso naturale dell'antagonismo, che esi- ste naturalmente tra il prodotto e l'essere procrea- tore. Le donne irritabili e soverchiamente sensibili provarono grandissimo giovamento nel preservarsi dalle commozioni morali; le deboli e le linfatiche, da un metodo di vita puramente analettico; le pleto- riche, dal salasso e dagli alteranti. Alle malattie or- ganiche dell' utero e di altre parti solo giovarono i rimedi valevoli a modificarle, o interamente cor- reggerle. 123. La nuova direzione che prende la vita, ol- tre ai fenomeni consueti e caratteristici dell' incu- bazione, ci si manifesta mediante l'esaltamento delle proprietà organiche. Si consolidano i temperamenti delicati ; ed alcune malattie terminano spontanea- mente. Si sospende la tisi polmonare, ed il rammol- limento delle ossa. La clorosi , le febbri intermit- tenti, e certe affezioni cutanee, il più delle volte si dileguano, per ritornare spontaneamente, terminata Storia della vita 23 che sia la gestazione. Si stabilisce uno stato di ple- tora, e si vedono donne incinte acquistare una spe- cie di pinguedine; ed il sangue estratto dalla vena coprirsi di cotenna flogistica. La calorificazione si aumenta; il polso diviene pieno, forte, piuttosto lento che celere, e più molle che duro. Il tempe- ramento sanguigno, oltrepassando i limiti della sa- nità, cagiona battili di cuore, ansietà, afflusso di sangue verso la testa-, vertigini, alterazioni senso- riali, e imponenti emorragie. Le secrezioni prendono altro carattere ; ed un sentimento di soddisfazione e di orgoglio regna nell' animo delle incinte. Rea- lizzandosi l'idea tipica della specie, il più delle vol- te 1' antagonismo , determinatosi tra il prodotto e l'essere procreatore, viene disturbato; ed i fenomeni morbosi si manifestano nell'organismo materno, nel mentre che l'embrione regolarmente si svolge. Il pervertimento della sensibilità cagiona le più singo- lari idiosingrasie rispetto ai sensi dell'odorato, e del gusto. Le nause ed i vomiti di succhi gastrici chia- ri e liquidi sono accidenti comunissimi. In certe donne si manifesta sete , calore lungo V esofago , la tiroide si gonfia , e cangia il suono della voce. Il pervertimento della sensibilità, oltre il determinare le convulsioni e V affezione isterica , da luogo alla stessa mania; perdono le donne l'uso della ragione, che riacquistano in seguito del parto. Il perverti- mento dell'attività della vita plastica ci si manifesta talora con stravaganti fenomeni. » Una donna ve » niva attaccata nel secondo mese di ciascuna gra- » vidanza da infiammazione con suppurazione e ca- » rie alla falange unghiate di un dito, che cadeva 24 Scienze » dopo quattro o cinque settimane, dopo di che il » dito si cicatrizzava ; essa perdeva in tal guisa » nelle sue quattro prime gravidanze l'estremità del » medio, dell'indice, dell'auricolare, e del pollice del- » mano sinistra; e nelle tre seguenti, quelle dell'in- » dice, del dito mignolo, e del pollice della mano » destra (1). CAPO VII. Mutamenti preternaturali della modalità del parto , e dei fenomeni relativi al prodotto ed all'essere procreatore. 124. I primi fenomeni relativi al parto si rife- riscono ai movimenti primitivi, che determinano la posizione dell'embrione. Le preternaturali direzioni sono determinate dal disturbo di quel mirabile rap- porto antagonistico , che determina e regola i mo- vimenti embrionali. Se le leggi della gravità, come pensa Aristotele (2), o l'istinto, come credono Pa- reo (3), Mauriceau (4), e Dubois, determinassero la posizione dell'embrione, doverebbe costantemente pre- sentarsi la stessa. Immaginaria e puerile è l'ipotesi d'Ippocrate e di Galeno, che ritengono il feto avere la testa in alto, e l' estremità pelvica rivolta verso il margine del bacino ; e la parte posteriore delle (1) Burdach, Trattato di fisiologia tom. 2 part. 2 sezione 2 smV- divisione 1 cap. 1 artie. 1 pag. 721. (2) Storia degli animali tomo 1. (3) Opere complete cap. 13. (4) Malattia delle donne. Storia della, vita 25 natiche appoggiata contro l'angolo sacro-vertebrale; e circa al settimo mese, ih conseguenza di movi- menti convulsivi e determinati , rovesciarsi ad un tratto; di modo che la fronte viene ad occupare il luogo che avevano le natiche , e le natiche quello che occupava la fronte. I perturbamenti dell' anta- gonismo, che determina i movimenti embrionali, sono le cause delle preternaturali posizioni; le quali non apportano fastidio, ne nocumento al prodotto ed all' essere procreatore. Solo prepararono quella serie infinita di sofferenze e di mali che devono sopportarsi nel travaglio del parto. Altri ostacoli, i quali impediscono che abbia a svolgersi regolar- mente \\ movimento , che determina il parto, sono le sproporzioni esistenti tra gii organi genitali della donna ed il volume dell'embrione; l'attività organica dell'uno relativamente a quella dell'altro. Cosicché la soverchia ristrettezza per parte della donna, e lo smodato sviluppo dell'embrione, rendono difficile ed anche impossibile il parto. Qualsiasi disordine del travaglio essenzialmente deriva dalla mancanza di correlazione o reciproca corrispondenza tra l'orga- nismo del prodotto e gli organi genitali, e l'attività organica dell'uno relativamente a quella dell'altro; per cui l'antagonismo, che determina il movimento del parto, è disordinato o interamente sospeso. 125. I fenomeni relativi all' uscita della secon dina si riferiscono al dislacco della placenta, ed all' estrusione di essa dagli organi genitali. Le contra- zioni uterine, che persistono dopo il parto, sono le potenze destinate ad espellere qualsiasi corpo estra- neo esistente nella matrice, ed a ricondurla allo stalo 26 Scienze di non gravidanza o stato normale. La causa effi- ciente del trattenimento della secondina consiste es- senzialmente nella debolezza relativa delle contra- zioni uterine; per cui non si compiono i fenomeni, che seguono costantemente il parto naturale. I cor- pi, che rimangono nella matrice, non trovano natu- rali rapporti, formano centri morbosi, e diffondono il disordine nell' intero organismo. 126. L'attività organica, compito il parto, dalla centralità organica individuale viene alla periferia. Fenomeno mirabilmente espresso dalla secrezione dei lochi, da quella del latte, e dall'aumentata tra- spirazione cutanea. La nuova direzione, che assume la vita, deriva dalla separazione del nuovo prodotto dall'essere procreatore-, per cui manca uno dei prin- cipali elementi del mirabile antagonismo, che erasi determinato nell'alto della fecondazione. I lochi, co- me resultato di un libero dispiegamento dell'attività plastica, diminuiscono la vitalità, e dileguano la con- gestione. La secrezione del latte, ed i sudori abbon- danti , che emanano principalmente nei primi otto giorni, servono anche essi a dare all'organismo fem- mineo una nuova direzione. La diminuzione e la istantanea soppressione delle secrezioni, che seguono il parto, cioè delle tre nuove direzioni, che prende la vita , onde dispiegarsi all' esterno, determinano spesso l'infiammazione degli organi genitali, la feb- bre puerperale , e talvolta una secrezione di certo liquido carico di albumina nelle superficie infiam- mate, negli intestini, e nelle vescichette dell'eruzio- ne miliare. Esquirol osservava nella Salnitriera, che le puerpere , come più sensibili alle commozioni Storia della vita 27 morali, sono a preferenza delle altre soggette alle alienazioni mentali che sogliono manifestarsi in se- guito del disturbo o pervertimento delle secrezioni naturali, e caratteristiche del puerperio. 127. Le lesioni organiche, che in seguito del parto anormale possono determinarsi negli organi della generazione dell'essere procreatore, ed in quel- li del nuovo organismo, che viene alla luce, in quan- to all'essenzialità, si riferiscono a quelle., che acci- dentalmente si determinano negli esseri completa- mente sviluppati. CAPO Vili. Mutamenti preternaturali della modalità, delle fasi della vita. 128. La vita indipendente, preparata dall'in- cubazione , incomincia dal momento della nascita. Nel corso naturale si svolge mediante alternativi movimenti ritmici, che tendono alla propulsione ed alla retrogradazione. I perturbamenti o mutamenti preternaturali della modalità delle fasi della vita si manifestano mediante una serie disordinala di va- riazioni e di cambiamenti delle attività organiche. Le rivoluzioni ed il corso della vita o non si com- piono completamente, o in modo disordinato ed in- comodo da costituire una serie non interrotta di anomalie, di sofferenze e di dolori. Il bambino sot. to i colpi violenti dell'attività universale o cosmica dispiega completamente la rispettiva individualità. Egli reagisce alle forze generali della natura, e dal rapporto antagonistico tra la particolare e la vita 28 S C I E N z universale ne emerge la serie non interrotta di mu- tazioni e di movimenti ritmici regolari o preterna- turali , nei quali si ripone interamente la manife- stazione o 1' espressione di salute e di malattia. Il feto vitale nasce con le disposizioni organiche ido- nee a stringere alleanza, e mettersi in perfetta ar- monia e corrispondenza con l'attività universale o cosmica. Quello non vitale, non trovando i naturali rapporti con il mondo esterno, deve morire nascen- do. L'uomo che s'immerge nell' acqua, ed il pesce che si estrae da essa, periscono, perchè perdono i naturali rapporti. 129. Prescindendo da quanto l'organismo deve soffrire nel travaglio del parto; il rapido passaggio dai rapporti materni a quelli dell'attività universale gli fanno comportare una profonda metamorfosi. Nella prima infanzia le malattie e la mortalità sono maggiormente estese. L'attività plastica, dirigendosi specialmente nel sistema della sensibilità, degenera spesso nelle infiammazioni delle membrane cere- brali, delle palpebre, e del condotto uditorio. La sensibilità risulta massimamente commossa, e stabi- lisce certe predisposizioni agli spasimi, alle convul- sioni, alle coliche, al Irismo delle mascelle, allo >lor- cimcnto degli occhi ecc. La veglia protratta, ed il ridestarsi con orgasmo, annunciano una sofferenza continua del bambino. L'attività plastica indebolita non comporta un completo sviluppo del sistema mu- scolare, né lo svolgimento regolare del processo di ossificazione. I denti di latte o non appariscono, o spuntano difficilmente, determinando gravissimi in- convenienti. Storia della vita 29 130. Nella seconda infanzia l'atti vita della vita plastica prosegue disordinatamente a svolgersi. Gli organi della respirazione riescono soverchiamente irritabili , i singhiozzi e la pertosse si determinano specialmente in questa epoca della vita. Le ma- lattie febbrili sono comuni, ed impressionano vio- lentemente l'organismo. Né risulta meno frequente d'incontrare nella seconda infanzia i catarri, le con- gestioni verso la testa , le ottalmie , e l'infiamma- zione dell'orecchio interno, che facilmente si esten- de al cervello. L'attività della vita plastica assume direzioni preternaturali. L'albumina , che in sover- chia quantità esiste nei prodotti delle secrezioni, ingenera gli entozoari , gli esantemi infiammatoli, e l'eruzioni cutanee croniche ed apiretiche: come la tigna , le croste di latte ec. La scrofola ed il rachitismo sono anche esse malattie della seconda infanzia. Il processo antagonistico della vita plasti- ca maggiormente si disordina; e le glandolo linfa- tiche s'ingorgano, e sopraggiungono infiammazioni atoniche con tendenza alla decomposizione ed alla suppurazione. Difficilmente si compiono la locomo- zione e la masticazione ; e l'attitudine alla loquela si svolge difficilmente ed incompletamente. 131. Nella prima giovinezza apparisce una diffi- cile ed incompleta dentizione permanente , ed un preternaturale svolgimento dell' attività plastica. Se creder vogliamo alle osservazioni di Nasse, la via— nopatia, è mortale nel massimo grado nei giovinetti dagli undici ai quindici anni. La prima giovinezza come il precursore dello stato permanente, si svolge nel corso preternaturale della vita coi fenomeni pro- dromi di un'adolescenza incompleta e disordinata. 30 Scienze 132. Nella seconda giovinezza il sangue affluisce maggiormente ai polmoni; per cui gli organi della respirazione acquistano il massimo svolgimento. Le malattie del petto sono frequenti e violente; spesso si determina la tosse, la corizza, l'angina e si versa abbondantissimo sangue dalle narici. Altre volte si svolge la pleuro-pneumonite; s'ingenerano i tuber- coli, e sopravviene l'emottisi. Lo sviluppo anormale dell' attività procreatrice non determina nell' uomo rimarchevoli inconvenienti; e nella donna la nuova direzione che prende l' attività vitale degli organi sessuali disturba violentemente l' economia animale. Questo è il periodo maggiormente critico delle no- stre femmine. I disordini derivano essenzialmente dagli ostacoli , che si oppongono al libero cammino della natura , e che non permettono che abbia a compiersi il completo svolgimento dell'attività degli organi sessuali. Disturbi o movimenti preternaturali, che lungi dal presentare costantemente i medesimi caratteri, cambiano nel variare la condizione indi- viduale della donna; gli organi sessuali ; il genere di vita, e le consuete abitudini, cosi alcune soffrono violenti reazioni organiche, altre eruzioni cutanee; nel mentre che in certe altre sgorga abbondante flusso sieroso dalla vulva , si determina la clorosi , l'isterismo e la ninfomania. 133. Nell'età adulta o nella prima metà della vita giunta al termine di sua maturità, la completa astinenza dei piaceri venerei nuoce più all'organismo femmineo, che a quello del maschio. Spesso la ma- linconia ed il furore nascono nelle donne per i de- sideri non soddisfatti. I vasi capillari contengono me- Storia della vita 31 no sangue ; le vene prevalgono alle arterie ; e nel declinare dell'età adulta il sistema della vena porta assume maggiore importanza; s'ingenerano i ealcoli biliari, si formano parziali ostruzioni nella vena por- ta; si determina facilmente l'epatite, il colera, l'ipo- condria. Cosicché la proclività morbosa discende dalla testa al torace, dal torace all'addome; e final- mente si stabilisce nel sistema uropoietico. 134. Nell'età del ritorno, le attività organiche ri- concentrandosi maggiormente , la vita prende altra direzione. La debolezza naturale o il ritorno della vita si manifesta prima nelle nostre femmine col cambiamento del tipo della mestruazione; ed infine con la completa soppressione della medesima. Le con- dizioni generali dell'organica individualità, non tro- vandosi in correlazione o reciproca corrispondenza con la diminuzione graduata e naturale della mestrua- zione, si determinano i medesimi disordini, che so- gliono manifestarsi nel ritardare o incompletamente apparire il flusso mestruo nell'adolescenza. Si deter- mina in alcune la difficoltà di respiro, ed il disor- dine della digestione; in altre congestioni, infiamma- zioni, emorragie , e sintomi d'isterismo ; in fine gli accidenti variano a seconda della predisposizione a questa o a quella malattia. Nelle donne, che conti- nuano a godere dei piaceri sessuali fino agli estremi, sviluppano negli organi della generazione le pseu- domorfosi, le scirrosilà , gli sleatomi , i polipi, e le scirrosità nelle mammelle. Il sangue si accumula mas- simamente negli organi addominali. La bile diviene are ed abbondante. In questa età della vita riuven- 32 Scienze gonsi più stati atra biliari, più ingorgamenti ed ostru- zioni, l'emorroidi, e l'infiammazioni erisipelatose. 135. Nella vecchiaia scorgesi una macchina lo- gora, e l'attività organica irritata ripiegandosi in se stessa, la proclività morbosa si stabilisce negli organi uropoietici. L'ossificazioni delle fibre, le obliterazioni dei vasi , la stasi , e la degenerazione dei liquidi , lungi dall'essere i fenomeni essenziali della vecchiaia, costituiscono 1' espressione e la manifestazione dello svolgimento anomalo dell'ultimo periodo della vita. CAPO IX. Mutamenti preternaturali della modalità della morte naturale. 136. La condizione più immediata della vita consiste nel concorso delle azioni organiche; quella della malattia nel pervertimento; e della morte nel completo discioglimento; per cui non vengono più regolate dall' idea tipica totale. La morte naturale differisce dall'accidentale, inquantochè essa costitui- sce il termine della realizzazione dell'idea suddetta; e circonstanze individuali non la determinano pri- ma che Io comporti il carattere della specie. 137. La parte materiale della vita è un com- plesso armonico di parti; la manifestazione di essa lo svolgimento facile, e regolare dei fenomeni attivi e passivi regolati dall'idea totale. La causa primor- diale, che determina il tipo organico, e la sua com- pleta realizzazione consiste essenzialmente nella for- za ideale o conservatrice , che data per legge al Storia della vita 33 mondo corporeo si realizza in esso nell' atto della generazione. Nella macchina animale , come com- plesso di parti che tendono ad uno scopo comune, ogni funzione è un tributo che la parte paga al tutto. Nella piramide della vita noi abbiamo ve- duto , come dagli elementi dell' universo sono ge- nerati gli elementi animali; da questi i meccanici; dagli elementi meccanici gli organi e gli apparec- chi; e dagli apparecchi, determinati dall'idea totale, emergere il mirabile fenomeno della vita indivi- duale. Nella macchina animale, come in qualsiasi altra organizzazione, esistono certe parti ed alcune funzioni, che a preferenza delle altre si attaccano all'esistenza peculiare, e costituiscono un anello as- solutamente necessario alla catena delle attività or- ganiche. La circolazione, la respirazione, e l'attivi- tà sensoriale sono le funzioni, che a preferenza del- le altre attaccandosi alla vita, furono dette condi- zioni immediale di essa. 138. La morte accidentale essenzialmente di- pende dalla soppressione di una di esse ; così noi abbiamo tre generi di morte; cioè quella per sin- cope, che parte dalla circolazione; quella per asfis- sia, che ha per punto di partenza la respirazione; in fine per appoplesia, in cui è annientata per pri- ma l'azione cerebrale. Stabilito che la circolazione, la respirazione , e l'innervazione costituiscono un anello assolutamente necessario alla catena delle azio- ni organiche; qualsiasi causa diretta o indiretta, che ferma l'esercizio di una di esse, sospende la mani- festazione di vita, morie apparente ; che se intera- G.AT.CXXIL 3 34 Scienze mente la sopprime, determina la morte accidentale, morte reale. 439. Il complesso delle funzioni organiche, co- me l'espressione o la manifestazione dell' antagoni- smo stabilitosi tra l'universale e la vita individuale, dipende non solo dalle condizioni organiche , ma inoltre dalle cause esterne; nel novero delle quali si appartengono come condizioni immediate della vita l'aria, il calore ec. ; e come condizione mediata il nutrimento. Cosicché la morte accidentale talvolta dipende dalla mancanza di correlazione o reciproca corrispondenza tra le cause interne ed esterne della vita; taraltra dal perturbamento dell'armonia delle azioni organiche, determinato da potenze chimiche, meccaniche e dinamiche. CAPO X. Mutamenti preternaturali della modalità individuale. 140. La manifestazione o l'espressione dei pote- ri organici dipende essenzialmente non solo dalla organizzazione; cioè dalle qualità fìsiche, e dalle pro- prietà chimiche del corpo organico: come compo- sizione, coesione, tessitura, volume, forma e situa- zione dei solidi; quantità, composizione, coerenza, e situazione dei liquidi; ma inoltre dall' attività uni- versale o cosmica. Cosicché l'aria , il calore ecc. sono condizioni immediate della vita; e gli alimenti la condizione mediata. La simmetria organica de- riva da leggi chimiche e meccaniche. L' essere in- dividualizzato, dal momento che viene determinato, Storia della vita 35 ha in se una peculiare modalità; la quale svolgen- dosi nella realizzazione dell idea della specie, ci si appalesa mediante una maggiore o una minore proclività a ricevere l'impressione degli agenti e- sterni. L'organica modalità si compone di elementi chimici e meccanici; ed è suscettiva di cambiamen- ti essenzialmente dipendenti dal pervertimento degli elementi chimici , e da quelli delle disposizioni o combinazioni meccaniche ; e come essere relativo , cioè formante parte dell'universo, ai preternaturali movimenti, che dipendono dal perturbamento della correlazione, che naturalmente riunisce in antago- nistica corrispondenza l'essere individualizzato all'at- tività universale. 'Ì41. La salute, in quanto all'essenzialità, è l'e- spressione facile e regolare di un complesso armo- nico di parti fluide e solide regolate in speciali movimenti secondo le leggi dell'idea totale. Le pre- disposizioni o proclività morbose sono i preterna- turali mutamenti della modalità individuale , che essenzialmente consistono nei perturbamenti o chi- mici, o meccanici, o meccanico-chimici. Quelle del misto organico predispongono ai processi che le cor- rispondono, e che dipendono dal medesimo pertur- bamento chimico innalzato al massimo grado. Co- sicché la predominanza consueta nel sangue o di parti fluide, o di quelle che sono a preferenza del- le altre animalizzate, costituiscono due speciali pre- disposizioni chimiche/ una tendente a stabilire la idroemia, e le malattie che da essa derivano; l'al- tra la pletora, e le affezioni morbose che le corri- spondono. Le meccaniche , cioè le predisposizioni 36 Scienze consistenti nelle preternaturali combinazioni o dispo- sizioni organiche, sogliono disturbare le funzioni che compiono. La cattiva informazione del bacino ren- de difficile, ed anche impossibile, nelle donne il par- to ; la mancanza di estenzione relativa della carotide determina un maggiore afflusso di sangue nella te- sta; per cui si stabilisce prima l'abito appopletico, e si formano dipoi i versamenti sanguigni. 142. Le predisposizioni chimiche e le meccani- che predispongono prima ai disturbi funzionali rela- tivi, ed agli analoghi processi morbosi; e consecuti- vamente a qualsiasi manifestazione o espressione mor- bosa. L'idroemia, oltre il predisporre alla clorsio ed all'isterismo, disturba i movimenti ritmici del cuore, ed ingenera, qualora sia lungamente protratta, la di- latazione dei ventricali, o la parziale, o la generale ipertrofia del cuore, e la congestione polmonare. Le predisposizioni organiche si comportano nel medesi- mo modo delle chimiche. La cattiva conformazione della cassa toracica, sia originaria, sia acquisita in se- guito di sofferto rachitismo, disordina prima la re- spirazione, dipoi il processo chimico dell'ematàsi; ed infine ingenera talora l'infiammazione, tal'altra la tisi polmonare. 143. Alle predisposizioni chimiche ed alle organi- che devono aggiugnersi le miste, le quali si compon- gono del perturbamento del chimismo animale, e del disordine delle combinazioni o disposizioni meccani- che. La diatesi scrofolosa o tubercolare deriva talvolta dallo stato idroemico del sangue ; tale altra dalla preternaturale conformazione degli organi della re- spirazione, e principalmente della cassa toracica, che Storia della vita 37 ne impedisce la libertà dei movimenti. Spesso le proclività morbose derivano da pervertite condizioni organico-chimiche; o per lo meno le une derivano dalle altre, ed esistono di poi come condizioni, e non come complicazioni omopatie, di preternaturale condizione organica, o chimica, o chimico-organica. 144. La naturale modalità della vita è prodotta nell'atto della fecondazione. Determinatasi l'esistenza individuale, percorre un periodo di propulsione, ed un altro di retrogradazione onde realizzare comple- tamente l'idea della specie. Cosicché la modalità della vita cambia ad ogni istante; e se le cause ester- ne non impedissero il regolare svolgimento, sarebbe soltanto sottoposta a cambiamenti d' intensità ; e le proclività morbose sarebbero soltanto formate neli* atto della generazione. Le condizioni più immediate della vita dipendono non solo dall'organizzazione; ma inoltre dall'attività universale. La vita embrionale è determinata da azioni antagonistiche sostenute dal prodotto e dall'organismo materno; e la vita indipen- dente d'altre determinate dall'organismo individuale e dall'attività universale. Le preternaturali condizioni dell'organica modalità individuale si determinano an- cora nell'atto della primordiale procreazione: come la macchina mal conformata, che non eseguisce regolar- mente i rispettivi movimenti, perchè una qualche par- te sia stata rotta; ma per essere stata dall'inesperto ar tefice rozzamente costruita. Si determinano formata che sia l'organica individualità; perchè una causa remota disturba le combinazioni chimiche, o le mec- caniche disposizioni, senza ingenerare chimico-orga- nico processo morboso. Il vaiuolo e la sifilide, che 38 Scienze contraggono i feti, non sono immedesimati all'orga- nismo nell'atto della primordiale procreazione. Gli infettano sviluppati che siano, ed in istato di com- portare l'azione deleteria del virus contagioso della sifilide e del vainolo. 145. Le predisposizioni devono infine partirsi in naturali ed acquisite. Le naturali sono i cambia- menti successivi , nei quali si ripone l'essenza del corso della vita Le acquisite consistono nelle pri- mordiali condizioni , o nelle profonde impressioni, che comporta l'organismo nel corso della vita; per cui si determina una preternaturale modalità. Al- cune malattie, che sono determinate dall'esaltamento di certe predisposizioni, qualora siano prodotte da cause interne ed esterne, modificano in guisa l'or- ganismo da predisporlo alla recidiva. CAPO XI. Mutamenti preternaturali della modalità del chimismo animale. 146. I preternaturali mutamenti del chimismo animale determinano costantemente o le proclività o i processi morbosi. In principio si costituisce un lieve cambiamento nella composizione chimica dei fluidi o dei solidi, che senza alterare profondamente le funzioni, determina una peculiare predisposizione a ricevere l'impressione di certe potenze esterne. Le medesime cause, che valsero a cambiare lievemente la. chimica modalità, protratte che siano, o accre- scendosi soverchiamente l' intensità della forza, de- Storia della vita 39 terminano talora i processi morbosi. Quelle tendono a svolgersi, e ad innalzarsi alla condizione di ma- lattia; questi a distruggere interamente l'organica individuale modalità. 147. Lo stato di alterata mistione, detto al- trimenti chimico-organico, viene da noi considerato in astratto, ed isolato da qualsiasi complicazione or- ganica e dinamica. Imperocché riesce impossibile il perturbamento della modalità chimica , senza la lesione della meccanica simmetrìa, ed il perturba- mento del movimento dinamico. Ma per determi- nare i mutamenti preternaturali della modalità della vita, noi deduciamo dalle condizioni immediate che la determinarono i principali perturbamenti; e sta- biliamo i mutamenti preternaturali del chimismo animale; quelli della meccanica simmetrìa; ed infine i disturbi di correlazione , o reciproca corrispon- denza tra l'essere individualizzato e l'attività uni- versale. 148. I preternaturali cambiamenti della chimi- ca composizione animale non sono generali, né uni- versali da estendersi neh' intero organismo. Corri- spondono ai particolari centri di attività vitale, dif- fusi e disseminati nella macchina animale, e rimau- gonsi il più di sovente limitati e circoscritti in al- cuni tessuti, in certi organi o in alcuni liquidi , e raramente si estendono ed attaccano un intero si- stema. I preternaturali chimici mutamenti della com- posizione del sangue costituiscono le alterazioni del chimismo animale, che a preferenza delle altre pre- sentano maggiore estensione. 149. Alcuni riducono le funzioni alla nutrizia- 40 Scienze ne, alla denutrizione, ed alla sensazione. Questi ge- nerali atti organici non solo costituiscono il proces- so-chimico-vitale dell'economia animale; ma nessuna vita peculiare di alcun organo sussiste senza che in esso si compia Io esalare, l'assimilare, ed il sentire. Stabiliscono così morbi idiopatici determinati essen- zialmente o da processi perturbati di nutrizione, o di denutrizione, o di sensazione. L'integrità organi- ca esiste come centro o perno, attorno al quale si aggirano costantemente i processi antagonistici del- la vita plastica, cioè analitico e sintetico ; cosicché il misto organico o chimismo animale è ugualmente alterato dal disordine di qualsiasi di questi generali atti della vita. Le forze distruggenti e procreanti trovansi entro di noi in incessante attività, ed in perpetuo conflitto, e ciascun momento della nostra esistenza è un punto di procreazione e di distru- zione. Il preternaturale mutamento o della nutri- zione, o della denutrizione, o della sensazione, fino a quel momento che non cambiano la modalità or- ganica di qualsiasi parte, sussistono come semplici condizioni etiopatiche sostenute da cause remote: le quali, rimosse che siano, il disturbo funzionale istan- taneamente dileguasi. Ma alterata , che sia la chi- mica composizione in seguito di disturbata nutrizione, disassimilazione, e innervazione; il disordine sussiste fino a tanto, che l'attività organica non abbia di- strutto quanto è esuberante, e di prava natura; o rifatto di quanto è manchevole l'animale economia. J50. Le sostanze venefiche, e quelle non affini alle individuali disposizioni che si rimangono in istato di semplice miscella^ o nelle interne cavità, Storia della vita 41 come gli entozoari , ed i calcoli ec, o interposte nell'organismo, come la spina di Wan-Helmonzio, costituiscono forme etiopatiche , o disturbi dinami- ci, essenzialmente dipendenti dalle cause remote, ed esistono senza peculiari processi chimico organi- ci; per cui, rimosse le cause remote, ogni disturbo di- namico istantaneamente dileguasi. Ma ingeneratosi il processo morboso, cioè l'idiopatia, anche allontanata che sia la causa remota, sussiste, e percorre indipen- dentemente da essa un determinato corso. Cosicché i veleni, miasmi, ed i contagi o si rimangono fuori di combinazione chimica, ed in stato di semplice me- scolanza irritano violentemente il composto organico; ovvero immedesimandosi ad essa disturbano i pro- cessi antagonistici della vita plastica, cambiano, o inte- ramente distruggono l'individuale organica modalità. 151. L'ipertrofia e l'ipotrofìa sono l'espressione dei mutamenti preternaturali d'intensità della modalità del- la vita plastica. Le morbose potenze direttamente pro- duttrici dell'ipertrofia sono quelle, che dall'azione assi- milativa degli organi possono essere trasmutate in ma- teriali organici esuberanti, delle quali soltanto può es- sere immediato effetto un parziale processo accresciuto di nutrizione. Laddove le potenze morbose agiscano col loro modo dinamico, non può mai avere per effetto immediato ipertrofia; e solo può essere succedanea di stato itiopatico anteriore, o dinamico, o meccani- co-organico. L'ipertrofia universale, o l'effetto imme- diato dell' equabile aumento dell' attività della vita plastica, anziché costituire stato di malattia, distende e maggiormente ingrandisce la sfera dell'esistenza in- dividuale. L'aumento graduato e simmetrico della U% Scienze macchina animale si svolge soltanto nel periodo di propulsione come effetto naturale; e non può esistere uno stato morboso capace di determinare l'equabile organico aumento; imperocché cessando allora, se il fenonemo avesse luogo, di collegarsi allo stato pre- ternaturale, si collocherebbe nel circolo dei fenomeni naturali. Il complesso dei fenomeni essenzialmente collegati all'accresciuta attività del potere della vita plastica, oltre l'essere costantemente parziale e circo- scritto, altera talora il composto organico, le forme, e la meccanica simmetrìa; per cui si determina una preternaturale organica modalità individuale, capace di manifestarsi con molteplici for me. 152 L'ipotrofìa o l'espressione diretta della di- minuita attività della vita plastica, in quanto all'es- senzialità, è lo stato contrario del complesso dei fe- nomeni, che immediatamente si collegano al preter- naturale esaltamento dell'attività plastica. Dipende dal- le potenze nutrienti, che nella quantità si trovano al di sotto di quanto è necessario a ristorare l'animale economia della materia: che nel continuo esercizio dei vitali poteri ciascun suo organo, ciascuna sua parte s'impoverisce. L'universale ed equabile diminuzione dell'espressione della diminuita attività della vita pla- stica nello stato naturale ci si appalesa nel periodo di retrogradazione. E fino ad un certo grado è com- patibile allo stato fisiologico; o per lo meno a guisa della pletora con uno stato di preparazione morbosa. I fenomeni organici che direttamente si collegano o all'aumentata, o alla diminuita attività del potere della vita plasticagli quanto costituiscono stato di malattia, sono costantemente limitati e circoscritti in alcune Storia della vitì 43 determinate parti. L'ipotrofia primaria è sempre l'ef- fetto immediato della pochezza dei materiali chilih- cabili, e de'principii respirabili e assorbibili che val- gono all'arterizzazione del sangue; per cui si stabi- lisce prima l'anemia, e dipoi si determina il processo chimico-organico d'ipotrofia. Altre volte si stabilisce per morbosa successione di altro morbo; per effetto del quale l'organismo subisce abbondantissime perdite. 153. Le condizioni morbose, che dipendono dal- la diminuita o dall'aumeutata attività del potere della vita plastica alcune derivano da potenze nutrienti esuberanti, e non proporzionate ai materiali, che con- tinuamente si perdono nell'esercizio dei vitali poteri; per cui certe para dell'organismo ne rimangono so- praccaricale , e s'ingenera il processo chimico-orga- nico d'ipertrofìa. Altre derivano da condizioni essen- zialmente contrarie, e sono l'effetto immediato della pochezza dei materiali chilificabili ed assimilabili; per cui s'ingenerano parziali processi chimico-orga- nici d'ipotrofìa. Quando a perturbare direttamente i processi di nutrizione concorrono potenze nutritizie, che non accrescono né diminuiscono l'intensità della vita plastica ; e che quantunque improprie ad una sana chilifìcazione, ed ematosi, sono assimilabili , ed atte a subire tale mutamento, che ne avviene una specie di saturazione, si disturba allora il potere del- la vita plastica, e si stabilisce una nutrizione mor- bosa per vizio intrinseco di qualità nei suoi mate- riali « Sia adunque nei solidi o nei fluidi, che questo » tramestio o composizione diversa di particelle or- » gaìiiche non proprie a mantenerli nella loro crisi » naturale si compia: sia che questo modo patologico 44 Scienze » si stabilisca neW organismo per effetto immedialo » delle succennate cause remote esterne , ovvero da » altre cagioni interne che perturbino in qualche par- » te quel mirabilissimo magistero vitale, per cui nel » circolo progressivo di elaborazione e nutrizione eia- » ciascun principio riparatore va a depositarsi, e a » ristorare il tessuto che gli è affine, e che ne ab- » bisogna ; esso esprime per noi una nutrizione non » morbosa per eccesso o per difello, ma per vizio in- » Irinseco di qualità nei suoi materiali. Questo idio- » patico processo lo diciamo paralrofia, la di cui si- » gnificazione concorda con quella che gli antichi da- » vano alle loro voci di discrasia, di cacochimia (1). 1 54. Nella procreazione , e nella conservazione dell'organica composizione, l'attività della vita plasti- ca, nell'ordine consueto e naturale dell'organico svol- gimento, nel mentre che ingenera gli elementi ani- mali, determina, ingrandisce , e mantiene la forma delle parti componenti la simmetrìa animale. Cosic- ché nei mutamenti preternaturali l'attività plastica non aumenta, né diminuisce, senza subire qualche pertur- bamento nella direzione dei rispettivi movimenti. La condizione morbosa consistente essenzialmente o nel- l'ipertrofia, o nell'ipotrofia, o neiìa paratrofia, si ve- rifica solo in idea, cioè considerata in astratto; men- tre nel fatto empirico riesce impossibile di riscon- trarla. (1) Francesco Puecinotti; Patologia indulti va. Storia della vita 4.5 cap. xn. Mutamenti preternaturali della modalità della meccanica animale. 155. I mutamenti preternaturali della chimica modalità sono o quantitativi o qualitativi. L'attività dei processi della vita plastica talora crese d'inten- sità, tal'altra diminuisce , in certi altri casi prende anormali direzioni, e s'ingenerano i processi morbosi d'ipertrofia, d'ipotrofia, e di peratrofia. Il potere pla- stico ben rare volte determina nei rispettivi preter- naturali mutamenti , una nutrizione morbosa o per semplice eccesso, o difetto, o vizio intrinseco di qua- lità; ed il più di sovente i preternaturali mutamenti quantitativi determinano occulti processi di paratro- fia, ed i qualitativi alterono le proprietà fisiche del composto organico. Nella pletora cresce, e nell'ane- mia diminuisce la massa del sangue; in quella facil- mente si coagula, è più plastico , ed è più tenace ; contiene maggiore quantità di fibrina, e nella massa grumosa si rinvengono talora degli strati pseudo- membranacei bianchi, o gialli; ovvero mostrasi coten- nosa. Nell'anemia il sangue scarseggia di fibrina , e soprabbonda di sierosità, e di parti poco animalizzate, viene meno la plasticità, difficilmente si coagula, e la massa grumosa è poco tenace, e quasi disciolta. 156. La meccanica animale o si disordina, o si discioglie ; e si altera , o interamente distruggesi la modalità individuale. Le cause sconcertatrici il mi- rabile fisico ordinamento della meccanica animale , oltre i preternaturali mutamenti dell'attività plastica, 46 Scienze sono i poteri che direttamente o in qualsiasi altro modo distruggono l'integrità organica. Cosicché le lesioni della meccanica simmetria, in quanto valgono a cambiare la modalità individuale , comprendono manifestamente i vizi, che si riferiscono alla connes- sione ed alla collegazione delle diverse parti orga- niche, ovvero alla proporzione relativa del volume , della massa , e della forma dei singoli composti; o alla debita proporzione tra le parti contenute colle contenenti. La meccanica simmetria si altera egual- mente per la presenza di corpi estranei, e che non formano parte del composto organismo : come so- stanze gazose, fluide, o esseri viventi. 157. La preternaturale fenomenologia dei cam- biamenti anormali della meccanica simmetria è es- senzialmente collegata alle alterazioni di fabbrica inerenti al tessuto medesimo in conseguenza di po- tenze meccaniche, o prodotte per conversione d'idio- patie, o per cause congentite; o nasce e sussiste per la presenza di cause remote che non formano parte del composto organico ; ed allora viene determi- nata da potenze meccaniche, e dianmiche , la cui impressione nella fibra guasta la forma o la fabbri- ca del composto organico. La meccanica simmetrìa è alterata dalle malattie , che si domandono istru- mentali; e dalle potenze estranee all'organismo, cause remote, che con le loro immediate qualità fanno im- pressione continua su la fibra ; potenze però , che non rinchiudono in se la duplice condizione di mor- bo e di causa maccanica , come la malattia istru- mentale. » Ritengasi però che la qualità essenziale d'ambedue le specie è sempre la stessa; imperocché a Storia della vita 47 » si considera il morbo istrumeniale come morbo » in se stesso, ed è sempre a reputarsi come altera- >» zione della struttura anatomica del tessuto; o si con- » sidera come causa, e non può in tal caso agire che » meccanicamente. Cosicché se invece dell' alterazione » (strumentale , atta a turbare come causa le forme » degli organi prossimi, poniamo sopra a questi alfro » agente meccanico, come vermi, calcoli ec, la ma- » lattia che ne risulta è semper la stessa (1). 158. Le cause morbose introdottesi,© ingene- ratesi nell'organismo animale, disturbano le qualità chimiche dei corpi organici, accrescendo, minorando, o disturbando essenzialmente il potere dell' attività plastica. Ingenerano processi organico-chimici d'i- pertrofia, d'ipotrofia, e di paratofìa. La proclività, o la individuale predisposizione, ed i processi morbosi immediatamente collegati ai perturbamenti qualita- tivi del chimico-vitale processo di organica assimi- lazione, non possono instantaneamente ingenerarsi; e vi è di bisogno d'un certo determinato tempo af- finchè si alteri profondamente la mistione organica. L'imponente e spaventevole fenomenologia determi- nata da alcuni veleni, da certi contagi, e dal mia- sma palustre ; che in poche ore alterano profonda- mente le forme esterne del corpo, suscitano terribili disordini funzionali , e distruggono in poche ore la modalità individuale , non dipende , né si collega essenzialmente ai disordini del potere dell' attività plastica. Operano a guisa delle cause remote, che im- mediatamente ingenerano V etiopatìe\ le quali rimosse (1) Francesco Puccinotti Patologia, induttiva. 48 Scienze che siano termina qualsiasi disturbo dinamico. Inge- nerata dal miasma palustre la perniciosa coi sintomi allarmanti e minaccevoli l'istantanea estinzione della vita individuale, se si amministra per tempo Tanti- periodico si riordina istantaneamente il disordine di- namico, ed in brevissimo tempo ritorna la tranquil- lità e l'ordine. Se la condizione morbosa dell'impo- nente apparato sintomatologico dipendesse essen- zialmente da chimico-organico processo di paratrofia; oltre che non potrebbe ingenerarsi istantaneamente, dovrebbe percorrere i periodi di aumento e di gra- duato decremento. Ne può essere effetto imme- diato di chimico-organico processo morboso la pro- fonda alterazione dei delineamenti delle forme esterne, j copiosi vomiti, ed altra sorta di evacuazioni acri- tiche , la prostrazione celerissima ed enorme delle forze, il freddo all'estremità, e l'ardore divorante ed insopportabile all' interno , il polso manchevole con incredibile prostrazione , l'albuginea dell' occhio co- perta di viscida sierosità, e la pelle bagnata di freddo sudore, i dolori atroci dello stomaco, e vari altri fe- nomeni morbosi, sotto al tormento dei quali i colerici terminano miseramente la vita qualche volta in due o tre ore, qualche altra in una giornata, di rado in tre. Il virus contagioso della sifilide, che altera pro- fondamente i processi di organica assimilazione, de- termina la diatesi venerea essenzialmente collegata al chimico organico idiopatico processo. Sviluppasi lentamente, né si risolve instantaneamente, né i fe- nomeni si rinnovano periodicamente, né il mercurio arresta il suo corso , come la china mirabilmente riordina i disturbi dinamici della perniciosa. Per le Storia della vita 49 quali cose si scorge chiaro come alcuni veleni,cerli con- tagi, ed il miasma palustre, che operano istantanea- mente,stabiliscono etiopalie; cioè morbi essenzialmente dipendenti da cause remote; le quali irritano violen- temente il composto organ ico, e perturbano istanta- neamente la modalità dei fluidi, e quella dei solidi; sconcertano il meccanico ordinamento della simme- trìa animale, perturbano violentemente gli alti vitali, e determinano talora la morte dinamica. In questo stato di perturbamento universale si alterono ancora i processi di organica assimilazione; per cui rimossa la causa remota rimane una condizione morbosa, che esige un qualche tempo , onde essere dileguata. I morbi, che dipendono immediatamente da idiopatico processo morboso, percorrono costantemente il periodo di aumento, e quello di graduato decremento. Quelli, che direttamente si collegano alle cause remote ol- tre l'essere acritici , non hanno corso determinato ; ed allontanate le cause, solo rimangono le omopatie, cioè i processi chimico-organici determinati dai di- sturbi dinamici. CAPO XIII. Mutamenti preternaturali della modalità della correlazione della vita individuale con V attività universale. 159. La modalità individuale, come resultato di cause interne ed esterne, e dello stato presente della forma e mischione organica, è alterata o essenzial- mente mutata dalle cause interne ed esterne, dai mu- G.A.T.CXXIII. 4 50 Scienze tamenti di forme, e dagli intimi perturbamenti del composto organico. Cosicché ci formiamo idea chia- ra e generale dello stato di malattia, dichiarandolo essere un perturbamento delle potenze, che determi- nano la modalità individuale, avvenuto per alterazio- ne meccanica, chimica, e dinamica dell'organica in- dividualità. In questo modo determinata la malattia, noi la consideriamo nella massima estensione, e qual essere reale e positivo; immediatamente dipendente dai cangiamenti di mistione, o di forma del mate- riale organico; o dalla mancanza di correlazione tra l'essere individualizzato e l'attività universale. 160. Il vitale movimento, siccome è soggetto a pre- ternaturali mutamenti qualitativi e quantitativi; cosi tre maniere di alterarsi si riconoscono in esso, il di- fetto cioè, l'eccesso, ed il pervertimento. Alle prime due corrispondono le distinzioni stabilite da Brown tra la diatesi iperstenica ed ipostenica, ed alla terza i movimenti inversi di Darwin, e l'irritazione di Gua- nterie sono come irregolarità o disordini di movimenti organici. Oltre che i disturbi dinamici essenzialmente dipendono da cause interne ed esterne; egli è impos- sibile di riscontrare nel fatto empirico o l'accresciu- ta, o la diminuita, o la semplice perturbata attività dei movimenti dinamici; mentre, come i preternatu- rali mutamenti dei processi di organica assimilazione, esistono promiscuamente, vale dire composti di ele- menti quantitativi e qualitativi. 161. I preternaturali mutamenti della modalità dinamica essenzialmente derivano dai perturbamenti dell'organica assimilazione; da quelli della meccanica simmetria; e dalla pervertita correlazione tra l'essere Storia della vita M individualizzato e l'attività universale. Nel primo caso sono immediato effetto di chimico-organio idiopatico processo; nel secondo e nel terzo dipendono essen- zialmente dai vizi della meccanica simmetrìa, o da cause remote, che non formano parte dell'organica composizione; ma che trovandosi a contatto seco, irri- tano violentemente il composto organico. I disturbi dinamici, i preternaturali mutamenti di mistione, e di forma del materiale organico sono ora causa, ed ora effetto scambievole gli uni degli altri; e nello stato morboso è rappresentato quel periodo di orga- niche successioni, in che consiste l'esistenza di vita. La pervertita corrispondenza tra l'esistenza individua- le e l'attività universale disordina il movimento di- namico, i mutamenti preternaturali del movimento dinamico determinano gli idiopatici processi morbo- si; questi il disturbo dinamico: ed ecco costituito un circolo di fenomeni morbosi, che in quanto all'essen- zialità corrisponde a quello, che naturalmente deter- mina l'esistenza individuale. 162. Noi abbiamo considerata la vita individuale come essere relativo, vale a dire come parte integra- le dell' universo. Esiste necessariamente una corris- pondenza tra la parte ed il lutto: senza questo reci- proco rapporto le vite peculiari sarebbero in istato d' isolamento e d' indipendenza totale, trovandosi in esse qualsiasi ragione della propria esistenza. L'atti- vità universale determina l'esistenza fisica individua- le, e l'accompagna nel periodo di propulzione e di retrogradazione, eccitandola lievemente, dandole cosi movimento e vita. 163. Ora devesi rintracciarsi la condizione, che 52 Scienze disturba la correlazione tra le potenze esterne ed in- terne, e che determina il preternaturale movimento dinamico. Onde chiarire il fenomeno, devesi riportare un assioma tisico, cioè » che eguali effetti risultano dalle stesse cause, che agiscono nei medesimi corpi.» Onde abbiasi il semplice disturbo dinamico, che di- penda dalla pervertita correlazione tra le potenze in- terne ed esterne della vita , alcuna causa morbosa non deve esistere nell' organizzazione individuale ; perchè altrimenti la condizione, che determina il fe- nomeno, sarebbe o un processo chimico-organico di idiopatia , o un vizio istrumentale , o una potenza esterna, che non forma parie dell'organismo; ma che trovandosi a contatto seco, disturba i peculiari mo- vimenti, e determina forme morbose di malattie. Le quali sono accresciute dalle cause remote o perchè aumentano l'intensità delle cause prossime, o perchè la preternaturale modalità individuale, in seguito di condizioni morbose interne non trovandosi più in corrispondenza con 1' attività universale, la vita è maggiormente impedita nei suoi peculiari movimen- ti. Le individuali organizzazioni sono in perenne rap- porto antagonistico con l'attività universale. Nel pe- riodo di propulsione si estende ed ingrandisce la sfe- ra individuale; ed in quello di retrogradazione, sotto i colpi violenti dell'attività universale, riconcentran- dosi in se stessa, perisce l'esistenza individuale. 164. Gli atti dinamici, cioè i movimenti dei pe- culiari poteri della vita, sono determinati da cause interne ed esterne. Cosicché la materia ne costituisce con le rispettive peculiari combinazioni l'essenza fon- damentale, le proprietà l'espressione, determinata in Storìa della vita 53 movimento degli agenti esterni , che perennemente adiscono in essa. Esistono adunque la materia, la forma , e la forza. L' attività universale ^ intèsa pur sempre nel senso che abbiamo spiegato, determina la modalità individuale, nella quale essenzialmente con- sistono le forme organiche e le forze interne , che poste in correlazione o reciproca corrispondenza con l'attività universale si determina l'espressione dina- mica della vita. La base fondamentale dei corpi è la materia, delle proprietà organiche le forme; così le potenze esterne nelle condizioni preternaturali agi- scono in esse, e le determinano a movimenti anor- mali. Si disturba essenzialmente il movimento dina- mico, o si ordiscono peculiari processi chimico-or- ganici d' idiopatie. Nel primo caso il pervertimento degli atti vitali essenzialmente dipende dalla man- canza di correlazione tra l'esistenza individuale e l'at- tività delle potenze esterne; e nell'altro l'espressione fenomenologica di malattia deriva immediatamente dall'ordito chimico-organico processo idiopatico., che disturbando la correlazione delle forze interne colle esterne, alimenta ed accresce maggiormente l'espres- sione di malattia, ed il processo morboso è alimentato da cause interne ed esterne. 165. L'espressione di vita esiste come perno o punto centrale tra il composto organico e le potenze esterne; cosicché il movimento dinamico è 1' effetto immediato dell' antagonismo, determinato dalle po- tenze interne ed esterne della vita, cioè dall'azione che queste esercitano nel composto organico, e dalla reazione, che quelle oppongono a queste. Determi- natosi il movimento dinamico, come forza esistente, 54 Scienze deve necessariamente avere un'azione, la quale agi- sce nel composto organico, accresce, o diminuisce, o interamente neutralizza l'esterne potenze morbose. Nella vita devono adunque contemplarsi tre elemen- ti, vale a dire forme organiche, potenze esterne, e movimento dinamico. Le forme derivano dagli ele- menti dell'universo, determinati in peculiari chimi- che e meccaniche combinazioni secondo le leggi dell'idea totale; il movimento dinamico dall'antago- nismo o azione e reazione determinato dalle potenze esterne e dal composto organico. Il chimismo e la meccanica animale sono alterati da cause esterne , mentre 1' organica composizione non può guastarsi da per se stessa per l'attività conservatrice, o forza d inerzia estesa e comune a tutto il mondo organi- co. Determinatasi la preternaturale organica modali- tà, l'attività universale determina un nuovo movi- mento dinamico, sostenuto dall'acquisita modalità, e dalle consuete potenze eccitanti della vita. Cosicché si spiega, come nei convalescenti rimanga pertur- bato il movimento dinamico, e perchè essi abbiano di bisogno di una cura più o meno protratta, allon- tanala che sia la causa prossima, o condizione imme- diata di malattia. 160. Il movimento dinamico perturbasi senza che la chimica o la meccanica animale abbiano sof- ferto, e solo per l'azione deleteria delle cause remote. Allora l'idiopatico processo morboso incomincia dal disturbo dinamico , che come forza disordinata di- sturba il processo chimico-vitale , o la meccanica simmetrìa. Cosicché noi abbiamo pervertimenti dina- mici essenzialmente collegati o agli idiopatici prò-» Storia della vita 55 cessi morbosi, o alle cause remote. Esiste altro per- turbamento del movimento dinamico, che essenzial- mente dipende cibila modalità individuale, che con- genitamente , o per condizione acquisita, si trova predisposta a reagire completamente all'attività delle potenze esterne , senza che esista un chimico pro- cesso morboso . o una lesione nella simmetrìa ani- male; ma per effetto di conformazione universale, o generale predisposizione chimico-organica, non rea- gisce equabilmente all' azione delle potenze esterne. Cosicché il vario genere di vita, i consueti esercizi, e la varietà dei climi influiscono potentemente nelle peculiari organizzazioni. Alcuni periscono se non tra- lasciano l'esercizio di certi mestieri, che ad altri gio- vano, e vi prosperano ; certi altri sono costretti ad abbandonare la vita sedentaria, nel mentre che altri non possono esercitarsi nei fisici movimenti; ad al- cuni sono giovevoli i climi caldi , e a certi altri i freddi; ad alcuni è giovevole l'aria maggiormente continentale, nel mentre che ad altri giova immen- samente il respirare quella , che lambisce le onde salse del mare. CAPO XIV. Complicazioni dei mutamenti preternaturali della modalità della vita. 1G7. Il chimico organico processo morboso idio- patico, e la centralità delle etiopatie, ed il punto di conlatto delle cause remote, dalle quali immediata- mente dipende il perturbamento del movimento di- 56 S e r e n z e riamico, in principio è circonscrilto nei punti oganiei lesi direttamente dal processo morboso, o dalla cau- sa remota. Ove si ordisce il processo morboso, o è diretta l'azione perturbatrice del movimento dinami- co, si stabilisce un potere morboso, che tende a dif- fondersi nell'intero organismo, e si determina per par- te di questo l'universale reazione; onde modificare, e interamente dileguare la. modalità morbosa. In que- sto antagonismo di azioni e di reazioni consistono essenzialmente la forza medicatrice della vita, e quel- la che tende alla disorganizzazione della modalità individuale. 168. L'antagonismo tra la forza medicatrice della natura ed il potere morboso suscita da una parte consensi fisiologici, e dall' altra i patologici. Riesce impossibile in uno stato di tanto perturbamento che non si abbiano a ridestarsi le attività organiche uni- versali. Siccome le cause determinanti l'azione e la reazione sono essenzialmente patologiche e fisiologi- che; cos'i il ridestarsi delle peculiari attività organi- che deve consistere in movimenti fisiologici, e in per- turbamenti essenzialmente dipendenti dalla centralità morbosa. 169. Dall'una e dall'altra parte, cioè dalla pola- rità vitale, e dalla morbosa, si determinano ondula- zioni di forze, che, sempre crescendo in estensione, si diffondono nell'organismo individuale, diminuen- do gradatamente d'intensità. In questo perturbamento universale si determinano fenomeni morbosi consen- suali o simpatici; che essenzialmente dipendono dalle lesioni organiche primitive, e sono diffusioni o ra- diazioni dell'ordito chimico-organico processo mor- Storia della vita 57 boso. II trasporto degli elementi morbosi dall'inter- no all'esterno, o dall'esterno all'interno, o da parti meno collegate al principio vitale a quelle che lo so- no maggiormente, e da queste a quelle che lo sono meno, sono trasporti o metaslasi del medesimo pro- cesso morboso, che non costituiscono complicazione, omopalia. 170. Ma che si diano affezioni morbose in com- plesso costituite da patologici processi idiopatici di •varia indole e natura, è verità clinica scoperta dal- l'antico empirismo, e da quello fino a noi raccoman- dalo da lutti i buoni pratici. Qualche scuola siste- matica per dialetto-mania, o soverchia vaghezza di immaginare sistemi a priori , fece talora dimenti- carla; ma il furore teoretico cedendo alla fredda os- servazione, il suo valore empirico sempre risorse. Co- sicché il soverchio teorizzare di alcuni, ed il con- fondersi da altri un sintomo con un nuovo centro morboso , per non avere ben fissata la natura e la centralità del processo idiopatico, furono le ragioni che contribuirono; a far sì che le complicazioni, omo- patie, come fatti clinici restassero talora confuse e indeterminate. 171. 11 parallelismo o le complicazioni morbose consistono essenzialmente in etiopatie o idiopatie di indole e sede diversa, che coesistono nella medesi- ma individualità. In questo modo considerata la com- plicazione morbosa, omopatia, si vede essere ben diversa dalle successioni o trasformazioni morbose, melaptosi; imperocché come conse guenze naturali dei processi primitivi, importa necessariamente un cambia- mento nella modalità primordiale dell'idiopatia; come 58 Scienze per esempio il carcinoma, che succede alla flogsoì. I processi morbosi coesistenti nel medesimo indivi- duo, onde abbiano a costituire omopatie, importa ne- cessariamente che abbiano una individualità stac- cata e indipendente, cioè che siano promossi e so- stenuti da cause remote diverse d'indole e di natura; che abbiano un'espressione fenomenologica partico- lare , e che siano curabili con diversi sussidi tera- peutici; infine , che il risolversi non derivi , né es- senzialmente dipenda dal dileguarsi l'uno o l'altro dei coesistenti processi morbosi. 172. La totale indipendenza dei processi mor- bosi coesistenti nella medesima individualità esiste solo in idea, mentre nella macchina animale, come aggregato di parli riunite dall'idea totale, non pos- sono coesistere processi morbosi slegati , e onnina- mente indipendenti gli uni dagli altri. L'azione de- gli uni tende a neutralizzare, o ad aumentare il po- tere degli altri. La fenomenologia di ciascun centro morboso conserva le caratteristiche della propria in- dividualità ; ed esiste promiscuamente confusa con quella degli altri. Come le piccole onde, che si for- mano nella superficie dell' accpia percossa in vari punti, che costituiscono tante piccole zone, che di mano in mano dilatandosi si urtano scambievolmen- te, e si confondono le une con le altre; rimanendo soltanto le centralità di ciascuna zona marcate e distinte. 173. I morbi coesistenti nella medesima indi- dualità , che costituiscono , omopalia , esigono spe- ciali sussidi igienici e terapeutici. Che prescritti a norma delle peculiari morbosilà si stabiliscono di- Storia della vita 59 verse centralità,che determinano movimenti diretti a confondersi gli uni con gli altri: come le zone delle onde sonore promosse da varie voci istantaneamente modulate , che ingenerano armonia mediante l'urto scambievole. CAPO XV. Periodicità dei mutamenti preternaturali della modalità della vita. 174. La primordiale organica modalità della vi- ta , determinata dalla forza conservatrice o ideale , presidente al mondo corporeo, regola un movimento interno che essenzialmente le appartiene. Il misto organico, e la meccanica simmetria costituiscono il fondamento dei movimenti universali della peculiare organizzazione. Le potenze esterne, regolate dall' attività universale, eccitano il composto organico, e nella risultante dei poteri organici si stabilisce una centralità , che regola i movimenti dinamici , nei quali interamente consiste l'esercizio e l'espressione della vita. 175. Il composto organico è l'organo dei mo- vimenti , le forze determinanti, alcune sono esterne, altre insite all' organismo : ed i movimenti attivi e passivi della vita sono regolati dalla centralità idea- le, determinatasi nell'interno dell'organismo. Il cir- colo dei fenomeni , mediante i quali ci si appalesa la vita, è dimostrato da fenomeni eclatanti essere essenzialmente di natura ritmico. Nell'universo non esiste uniformità di movimento, ed ogni variazione 60 Scienze di modalità si compone di una serie successiva di mutamenti, tendenti alla propulsione ed alla retro- gradazione, che in quanto all'essenzialità corrispon- dono agli elateri anteriore e posteriore dei corpi elastici. La vita è unica ed indivisibile , e si com- pone di fenomeni elem entari antagonistici , i quali costituiscono un circolo di movimenti. La periodi- cità elementare si svolge nelle azioni semplici e pri- mordiali della vita; segue periodi corti, e riesce im- possibile di misurarne l'estensione. La funzionale si svolge manifestamente, e la sua natura ritmica non lascia veruna dubbiezza. La periodicità universale ritorna ad intervalli più o meno determinati , che coincidono con le diverse fasi del nostro pianeta; cioè il giorno e la notte, che corrispondono alla veglia ed al sonno. 17C). Il processo morboso cambia la rispettiva modalità, e l'essenzialità della vita rimane sempre a se stessa identica. Cosicché la periodicità o la ma- nifestazione ritmica del circolo dei movimenti vitali sussiste, ed il processo morboso nella manifestazione dei rispettivi fenomeni è sottoposto al medesimo pe- riodico movimento. I momenti dei movimenti o azio- ni antagonistiche della vita, siano elementari, fun- zionali, o universali, non più si corrispondono nello slato morboso: così l'espansione della fibra non cor- risponde alla contrazione, l'espirazione all'ispirazio- ne, la veglia al sonno ec. La modalità morbosa, ol- tre il pervertimento universale delle varie periodicità della vita , ne determina altre , che essenzialmente le corrispondono. Nel perturbamento dei consueti ritmici movimenti della vita, ed in quelli che im- Storia della vita 61 mediatamente derivano dalla modalità morbosa, con- siste interamente l'espressione fenomenologica o di- namica dello stato di malattia. 177. La periodicità dei movimenti ritmici della vita non deriva dalla modalità morbosa; ed il per- turbamento di essa essenzialmente le corrisponde. » E di fatto , o tu consideri la vita dal lato del suo » passivo commercio col mondo esteriore, e come in » questo stato si compie a periodi, così periodici pure » si fanno i fenomeni vitali che ne dipendono: o tu » la consideri dal lato della sua forza attiva o del » processo di vita individuale, e qui pure vedrai ogni » azione progressiva tornare a tempo al suo princi- » pio, e ciò che fu causa mutarsi periodicamente in » effetto, e viceversa. E siccome anche lo stato mor- » boso si mostra sempre in parte 2>assivo ed in parte » attivo , così volendo il clinico tenere conto della. » periodicità nei fenomeni di malattia , è necessario » che sappia ridurli alle loro sorgenti, e ne conosca » i principali motori: ciò che distinguo quelli che di- » pendono passivamente dall'azione periodica di certe » cause esteriori da quelli che partono dalla periodi- » cita propria de'processi attivi di vita. Quindi emerge » che la periodicità, che si lega col periodico potere » morboso delle cause esterne, non può essere che del » vitale movimento, sia poi che in questo consista as- » solutamenle la malattia-paracinesie-sia che le sue » alterazioni sussistano come sintomi d'un idiopatia. » Questa maniera di periodicità noi già la chiamavi- » mo di parosismo o di accesso, come appartenente » al morbo febbrile; ma, considerata in generale può »> dirsi dinamica. L'altra che è tutta attiva, e sussiste 62 Scienze >» per sé come V idiopatia , anzi non é che il corso » determinato dell'idiopatia stessa, e che appunto per » questa ragione chiamammo periodicità di processo, » può dirsi anche chimico-organico (1). CAPO X. Mutamenti naturali della modalità morbosa. 178. I fenomeni simpatici, le metastasi di dif- fussione o di successione, ed i processi omopalicinon cambiano la natura dello stato di malattia. Diffon- dendosi maggiormente gli elementi morbosi di già esistenti, cambiando di sede, o ingenerandosene dei nuovi, la modalità individuale prende altra direzione, e variasi nelle accidentalità l'espressione fenomenolo- gica del primitivo processo morboso. Mentre l'atti- cità organica che reagisce all' azione del processo morboso, per la nuova direzione dello stato di ma- lattia, non si oppone nel medesimo modo , né con la medesima intensità di forza all' azione morbosa ; e per le mutate condizioni del processo morboso , sia per cambiamenti di sede, sia per omopatie soprag- giunte variasi del pari l'intensità e la direzione del potere morboso; onde è che si altera l'espressione o la manifestazione di malattia. 179. Determinatasi la modalità morbosa, come essenzialmente collegata all' organica composizione animale, è sottoposta a successivi e perenni muta- menti. Nella sfera animale, che tutto è azione e mo- ti) Francesco Puccinolli, Patologia indulti va. Storia della vita G3 vimento, qualsiasi preternaturale modalità in essa de- terminatasi non può rimanersi in riposo, e necessa- riamente è spinta dal potere, che determina il mo- vimento universale. Il corso della malattia si com- pone del periodo di propulzione, e di quello di re- trogradazione; così in essa esistono tre punti , cioè quello in cui si determina la genesi morbosa., l'altro in cui si risolve e interamente dileguasi il processo morboso ; in fine quello che determina il massimo svolgimento, o la maggiore estensione. Viucremen- timi ed il decremcnlum degli antichi esprimono due verità dichiarate dal fatto empirico ; ma lo status non può esistere nella sfera dell'organica composi- zione animale , in cui tutto è successione e movi- mento. Le fasi del processo idiopatico, destinte in erudita, cozione, e crm, mirabilmente ci confermono consistere l'essenzialità del corso della malattia in successivi e continui mutamenti. 180. 0 tu consideri la malattia nel lato della chimica composizione, o della meccanica animale , ovvero in quello del perturbamento dinamico, ve- drai lo stato di malattia consistere essenzialmente in un punto segnato nella sfera morbosa dell' indice della rispettiva modalità ; ed il rimanente o non esi- stere perchè passato, o perchè non è ancora entrato nella catena successiva dei mutamenti naturali dello stato di malattia, La modalità individuale e l'univer- sale è un punto, che nel circolo del tempo non si riproduce; mentre la natura nelle rispettive direzio- ni è originale, e non si riproduce. 181. Lo slato di malattia, come la modalità della viia, si compoue di movimenti successivi e antago- 64 Scienze nistici, che tendono alla propulsione ed alla retro- gradazione; ed in essa viene ripetuto quel medesimo circolo di movimenti ritmici , iti che consiste inte- ramente la manifestazione di vita. Le trasformazioni, metastasi, delle cause prossime o processi morbosi tanto nella stessa sede, come la suppurazione, lo scirro, la cancrena in che si trasforma la dogasi ; quanto fuori di essa, come allorché un morbo eliopatico si trasforma in idiopatico; sono fenomeni ben diversi dei mutamente successivi e naturali, in che consiste essenzialmente l'estensione morbosa. Le metastasi suc- cessive e le di flussi ve, ritenendo la medesima natura del morbo, che si trasloca, sono una continuazione di esso, e non un modo di loro trasformazione metaptosi. » Alcune etiopatie meccanico -organiche, e specialmente » quelle che dipendono da materie irritanti, conver- » tomi in morbi idiopatici, che restano anche dopo » espulse le cause locali, e cessata la locale lesione » del tessuto. Tale è la febbre putrida che succede » al gastricismo: tali sono quelle cachessie in che si » converte la verminazione, durabili anche dopo che » la presenza de vermi più non esiste nel tubo ente- » rico: tale è la paralisi, in che si converte la colica » saturnina. Come pure il passaggio di una etiopatia » dinamica in morbo idiopatico rappresenta sempre una » metaptosi. Il convertirsi del reumatismo acuto in » cronico sotto forma di par atrofia linfatica o scor- » bulica: la parastesia ganglionica sotto forma d'ipo- » condriasi , che è pure un modo di successione di » esso reumatismo, sono tutte metaptosi , nelle quali » può mutarsi il processo di paradiapnia. Egli ha » pure delle converzioni etiopatiche di vizi instrumen- Storia della vita 05 » tali , che sono i tumori ossei ; le anchilosi e via » dicendo (1). CAPO XVII. Cause determinanti i mutamenti 'preternaturali della modalità della vita. 182. Le anomalie o mostruosità delia genera- zione, o realizzazione dell'idea della specie, non deri- vano immediatamente dal principio ideale o forza conservatrice; ma essenzialmente dipendono dallo sta- to preternaturale delle primordiali organizzazioni, dalle quali cambiandosi di forma nasce la vita par- ticolare. Cosicché le principali cause dei mutamenti preternaturali della modalità della generazione sono le predisposizioni fisico-morali degli esseri procrea- tori, dai quali viene segrecato lo sperma e l'embrio- trofo. Le potenze esterne, e le insite all'organismo, che direttamente o in qualsiasi altro modo distur- bano la fisiologica formazione dell'uno e dell'altro, sono le cause remote delle preternaturali organiche disposizioni, dei vizi congeniti, e delle malattie ere- ditarie, che dagli esseri procreatori passano al nuo- vo composto organico. 183. Determinatosi l'antagonismo tra il prodot- to e l'essere procreatore, l'atto di propulsione svolge completamente il corso naturale delle fasi o periodi della vita embrionale. La preternaturale direzione del movimento , che determina il corso successivo (1) Francesco Puccinolti, Patologia Induttiva. G.A.T.CXXII. \ 66 S C I E 1S Z E dei fenomeni organici dell' essere che va realizzan- dosi, essenzialmente dipende dalle variate condizio- ni delle attività organiche, che sostengono l'azione e la reazione, le quali regolano qualsiasi atto pro- pulsivo della vita embrionale. Come ancora i feno- meni preternaturali del travaglio e del parto essen- zialmente dipendono dal perturbamento di quelle medesime cause interne ed esterne, le quali deter- minano la spontanea e naturale separazione del pro- dotto dall'essere procreatore. 184. I preternaturali mutamenti dell'attività or- ganica nel prodotto e nell'essere procreatore, in se- guito della naturale e spontanea separazione, deri- vano immediatamente dal perturbamento delle con- dizioni, le quali dirigono nell'essere procreatore la vita dall' interno all' esterno, e nell' essere procreato dall' esterno all' interno. Il nuovo organismo com- pletamente sviluppato, percorse interamente le fasi della vita embrionale, dai rapporti uterini o mater- ni passa agli universali o cosmici. Si determinano due sorte di antagonismi ; alcuni si rimangono ri- stretti nell' individuale organica periferia ; altri si estendono tra la peculiare e la vita universale. Le condizioni preternaturali degli elementi, che deter- minano la varietà degli antagonismi interni ed ester- ni, ingenerano i preternaturali mutamenti della mo- dalità delle fasi, in che internamente consiste l'esten- sione della vita. Alterano il potere plastico, ed ingene- rano i processi chimico- organici d'ipertrofia, d'ipotro- fia, e di paratrofia Finalmente i preternaturali poteri interni ed esterni della vita arrestano il corso naturale degli atti vitali, cioè la circolazione, la respirazione, Storia delia vita. 67 e linnervazione; ed ingenerano lesioni organiche da rendere impossibile il ripristinamento e l'esercizio degli atti essenzialmente collegati alla vita; sciolgo- no 1' antagonismo individuale , e determinano altra organica modalità. CAPO XVIII. Esiti delle proclività morbose della modalità della vita. 185. Le proclività o predisposizioni morbose abbiamo veduto consistere essenzialmente o in suc- cessivi cambiamenti naturali, o in preternaturali mu- tamenti della modalità chimico-organica ; per cui nel variarsi i periodi o fasi della vita siamo mag- giormente sottoposti a certe malattie, e meno ad al- cune altre , e non siamo egualmente attaccati dai medesimi processi morbosi. Gli esiti delle proclività naturali della modalità della vita , le quali essen- zialmente consistono nei cambiamenti successivi de- terminanti il corso e l'estensione della vita, consi- stono nei mutamenti successivi e naturali , che la modalità organico-chimica subisce nel corso della vita peculiare. Le proclività caratteristiche della pro- pulsione cedono il posto a quelle della retrograda- zione; quella della prima a quella della seconda in- fanzia; quella dell'infanzia propriamente delta a quel- la della puerizia ; quella della prima giovinezza a quella dell'adolescenza; quella della pubertà a quel- la della media età ; quella dell' età adulta a quella dell'età del ritorno; quella della seconda metà della 68 Scienze vita matura a quella della vecchiaia. La proclività morbosa dalla testa discende al torace , dal torace all'addome , e finalmente nell' ultimo periodo della vita si stabilisce nel sistema uro-poietico. 186. Le preternaturali predisposizioni o procli- vità morbose, siano acquisite o congenite, consistono essenzialmente in mutamenti preternaturali del chi- mismo, o della meccanica simmetrìa, o dell'uno e dell'altra. Le proclività chimiche sono suscettive di mutamenti : e come profonde alterazioni del com- posto organico non si dileguano istantaneamente, e richiedono una cura lungamente protratta. Le po- tenze dell'igiene tengono il primo posto, perchè bi- sogna impiegare quei rimedi, la cui azione facciasi sentire perennemente , e che in tutti gì' istanti sia riprodotta. Il regime alimentare, il clima, ec. sono le cattive abitudini che bisognano modificare. La pro- clività morbosa chimica o si mantiene costantemente nel corso della vita , predisponendo l' individualità ad alcune speciali malattie, o interamente si dile- gua; o innalzandosi alla condizione di malattia sta- sbilisce altra proclività morbosa, o interamente scio- glie l'antagonismo vitale, determinando la disorga- nizzazione generale della vita individuale. 187. La meccanica proclività morbosa non ra- ramente persiste nell'intero corso della vita, e non sempre è in nostro potere di risolverla. Gli agenti dell' igiene e della terapìa chirurgica non valgono il più delle volte a togliere le proclività meccaniche. Le predisposizioni chimico-meccaniche facilmente si ri- solvono se dipendono essenzialmente dai preternatura- li mutamenti dell'attività del potere plastico; diflicil- Storia della vita 69 mente ed incompletamente se la predisposizione chi- mico-meccanica si compone di elementi meccanici in- dipendenti dai mutamenti preternaturali del chimismo animale; infine risultano superiori a qualsiasi com- penso igienico e terapeutico se consistono intera- mente nel perturbamento inamovibile della meccani- ca simmetrìa. CAPO XIX. Esiti dei mutamenti preternaturali della modalità del chimismo animale. 488. L'attività plastica talvolta diminuisce d'inten- sità , tal' altra si estende oltre i limiti consueti , ed ingenera nel primo caso i processi chimico-organici d'ipotrofìa , e nell'altro quelli d' ipertrofia ; ovvero non alterandosi nel più o nel meno è essenzialmente perturbata nella direzione , per cui s' ingenera una nutrizione non morbosa per eccesso o per difetto^ ma per vizio intrinseco di qualità nei suoi materiali. Orditosi il processo morboso, è in parte sottoposto alle leggi consuete della vita, non totalmente, per- chè i poteri organici subiscono profonde alterazioni. Il preternaturale antagonismo, stabilitosi nell'interno della periferia animale tra la condizione immediata della malattia e l'attività organica, perturba essen^ zialmente la modalità individuale. Cosicché oltre il determinarsi un preternaturale circolo di poteri or- ganici, variasi la correlazione tra le potenze inter- ne ed esterne della vita. Nel perturbamento univer- sale le potenze organiche tendono a riordinare la modalità individuale, ed il processo morboso a per- turbarla maggiormente. D'un lato si vuole il discio- 70 Scienze glimento dell' antagonismo vitale ; dall' altro quello del processo inerboso. Nel corso della malattia esi- stono due preternaturali momenti di forze; il primo consiste nell'azione che il processo morboso esercita nelle parti vicine, per metterle nel medesimo disor- dine ; l' altro nella reazione che le parti sane op- pongono all'azione della causa prossima o condizio- ne immediata di malattia ; cioè la forza che opera, onde conservare 1' individuale organica modalità. Questa somma di poteri reazionari od automatici è quella forza medicatrice che fu tanto vagheggiata nelle prische scuole; e che nel nostro organismo pe- rennemente fa resistenza a quanto contraria l'ordi- ne della mistione, e dell'organica simmetrìa, ed il libero esercizio del movimento dinamico. La rea- zione, che l'attività organica oppone all'azione mor- bosa, non opera scientemente, ne con alcun preve- dimento, ed è la reazione automatica, che si op- pone allo stato morboso con uno sforzo insolito o un di più di attività promossa dalle stesse potenze perturbatrici o condizioni immediate di malattia. L'attitudine a determinare peculiari reazioni all'a- zione che comunica il potere morboso all'economia animale, consiste essenzialmente nel composto orga- nico, regolato dall'idea totale; e considerato da noi come organo dei movimenti vitali. E dalla resistenza o attività vitale sono determinati i processi di ri- parazione organica, che introducono nell'organismo novi principii , levano gì' inconvenienti, e aggiun- gono gli acconci, per cui incessantemente sono ri- parati i danni , che alla mistione organica ven- gono recati dal continuo agire dei nostri organi. Storia della vita 71 180. Dal preternaturale antagonismo determi- natosi tra il processo morboso e l'attività organica universale deriva immediatamente il perturbamento della modalità individuale , e la nuova maniera di compiersi dei processi antagonistici del potere pla- stico; dai quali dipende interamente il corso e la ma- niera di risolversi dei chimico-organici processi mor- bosi. Il processo morboso idiopatico, come dipendente dai poteri vitali, procede con andamento regolare ; né è in nostro potere di troncarlo in un subito, e \i abbisogna tanto tempo quanto è richiesto dalle successioni delle azioni assimilative intese a togliere le particelle non più idonee al mantenimento dell' esistenza individuale , e a rimettervi delle nuove convenientemente ordinate. 190. I mutamenti preternaturali della modalità del chimismo animale sono quantitativi e qualita- tivi. A indebolire la soverchia energia dei processi di organica assimilazione basta una protratta dieta, a rianimarli valgono i nutrienti. Determinatosi il chimico-organico processo morboso d'ipertrofia, pos- sono dileguarlo i cambiamenti dei momenti, dei pro- cessi del potere plastico ; imperocché accrescendosi la composizione, s' indebolisce, mediante la dieta, il processo sintetico di assimilazione. Cosicché i digiu- ni, la dieta vegetabile, l'aumentata attività delle piandole secernenti gli umori che sono cacciati dal corpo, le abbondantissime perdite di sangue dimi- nuiscono l'obesità ; e qualora siano soverchiamente protratte determinano la consunzione e la tabe. I preternaturali mutamenti del composto organico, i disquilibri idraulici, l'accresciuta, la diminuita, e la 72 Scienze pervertila attività delle funzioni essenzialmente di- pendenti dalla soverchia energìa del potere plastico si dileguano, accrescendosi la decomposizione, e mi- norandosi il processo di disassimilazione o organica decomposizione. 191. I nutrienti, il vitto animale, i tonici ana- lettici sciolgono il processo chimico-organico d'ipo- trofia. Condizione morbosa, che essenzialmente con- siste nell' insufficiente organica assimilazione ; cosi deriva immediatamente da potenze nutrizie, che nel- la loro quantità si trovano al disotto di quanto è necessario ad equilibrare il momento di organica decomposizione. Questa insuflìcente organica assimi- lazione, dalla quale immediatamente derivano non pochi morbi di \aria indole e natura, non può in altro modo ristorarsi, che col diminuire il momen- to di decomposizione, e coll'aumentare, mediante i nutrienti, il processo chimico-vitale di organica as- similazione. Il potere plastico , come composto di due processi antagonistici, cioè analitico e sintetico, mantiene l'integrità organica se gli elementi anta- gonistici, di cui si compone, nelle alternative suc- cessioni uno rifa quanto dall'altro si disfà; forman- do così un circolo d'azioni vitali, come i momenti alternativi degli elateri anteriore e posteriore dei corpi elastici; che l'azione dell'uno distrugge la for- ma determinata dall'azione dell'altro; per cui il cor- po elastico, perennemente percosso, si mantiene in alternativo e perenne movimento. Il processo sinte- tico prevalendo all'analitico ci si appalesa mediante l'apparato fenomenalogieo dell'attività esuberante del potere della vita plastica: che se a questo pre- Storia della vita 73 vale il precesso d'organica clisassimilaziene , allora sollo V influenza dell'indebolita attività plastica si determinano i chimico-organici processi d'ipotrofìa. L'espressione fenomenologica o della diminuita o dell'accresciuta attività plastica rimane costantemen- te, se non sono riordinati i perturbamenti della cor- relazione o reciproca corrispondenza tra l'estensione dei movimenti antagonistici, cioè analitico e sinte- tico, dei quali si compone il potere plastico. 192. I poteri , che determinano il processo chimico- organico di nutrizione non eccedendo nella quantità, né mancando nei suddetti poteri la suffi- cente quantità di materia necessaria a riparare le continue perdite, che incessantemente si fanno nell' esercizio degli atti vitali; e solo difettando per la qualità, ne deriva immediatamente una parziale, o generale discrasia nel fomite interno di nutrizione. S'ingenera il chimico-organico processo morboso di paratrofìa non riparabile coi poteri regolati per qualità. Si determina adunque nel corso di questa affezione una composizione chimica realmente mor- bosa , dacché non conviene ai poteri della vita, e tende anzi a rompere l'integrità organica. Gli esiti dei preternaturali mutamenti qualitativi del potere plastico non possono consistere, che nella distruzio- ne intera dello stato organico, e quindi nella morte parziale o totale, o nel riordinamento della turbata disposizione dei principii elementari; o infine nella liberazione da essa di qualunque materia inconve- niente che vi si fosse introdotta o prodotta. Le par- ti uscite dalla capacità a vivere, e che non sono più atte a rimettersi ai consueti posti fa di mestieri, al 74 Scienze riordinamento della salute, che siano assorbite dai linfatici, e fuori mandate per gli emuntori, mentre altre se ne appongono piene della facoltà di vivere. Ai perturbamenti del chimismo animale, che dipen dono dalla mancanza di alcuna base elementare, si richiede più particolarmente, e in maggiore quan- tità, proporzione avuta alle altre, l'aggiunta di quel- la medesima base eh' è deficiente. CAPO XX. Esiti dei mutamenti preternaturali della modalità della meccanica animale. 193. L'universo somministra gli elementi im- mediati al chimismo animale , ed il chimismo ani- male alla meccanica simmetrìa. Nella generazione, dai preternaturali mutamenti della correlazione tra le potenze, le quali determinano l'antagonismo vi- tale, che determina la formazione di nuove parti organiche, sono assimilati incongrui principii, per cui si compie la genesi morbosa o per eccesso, o per difetto, o per vizio intrinseco di qualità nei suoi materiali. Le potenze morbose disturbano talora gli agenti o cause immediate della generazione , ed il chimico-organico processo morboso s'ingenera nell' atto della primordiale formazione. Il labbro leporino, le anomocefalie e anomorachie, e secondo alcuni i cefaloematomi , la cianopatia , ed in fine ogni ge- nere di mostruosità o per difetto, o per eccesso , o per trasposizione di parti, sono lavori morbo- si immediatamente collegati ai perturbamenti delle Storia della vita 75 leggi, le quali regolano il naturale organico svol- gimento. 194. La meccanica animale è alterata dai fisici mutamenti preternaturali degli elementi componenti la piramide della vita. Il chimico-organico processo idiopatico, le potenze morbose, che direttamente o in qualsiasi altro modo alterano le proprietà fisiche degli elementi animali, guastano la meccanica sim- metrìa. Pel riordinamento della quale vogliono es- ser rifatte le perdite, e le forme simmetriche degli elementi meccanici. Ristaurazione compita dalla for- za medicatrice della vita. Così si risolve il chimico- organico processo idiopatico, e mediante chimica- vitale adesione sono rifatte e insieme riunite le parti lese e disgiunte da meccanica potenza. Come ancora dall' attività organica vengono cacciate dal corpo le potenze remote , che non formano parte dell'organismo, ma che trovandosi a contatto seco guastano la meccanica animale. Per alcuni difetti di meccanica disposizione , che spontaneamente , e dalle semplici forze della natura non sono risolvi- bili: come certe preternaturali collocazioni, e adesioni di alcune parti, vi è di bisogno della terapìa chi- rurgica. Spontaneamente non si ripone al consueto posto l'anza intestinale strozzata nell' ernia incarce- rata; ne si caccia fuori dalla vescica il calcolo, che mediante collocazione meccanica attura il canale destinato ad emettere le orine. Le lesioni meccani- che non risolvibili dalle forze della natura, né da quelle dell'arte, cambiano essenzialmente l'organica modalità individuale, e così gli atti organici si com- piono con maggiore o con minore difficoltà. I pi in- 76 Scienze cipii eterogenei alla vita introdottisi nella meccanica animale , o internamente ingeneratisi , i quali non costituiscono chimica combinazione, e sono inter- posti nelle fibre, o sospesi nei fluidi animali in sem- plice miscella o sospensione meccanica, sono potenze remote le quali irritano violentemente il composto organico, ed essenzialmente guastano la meccanica simmetrìa. Potenze morbose, che se prima di avere ingenerato chimico-organico processo idiopatico so- no eliminate e cacciate dal corpo, qualsiasi disor- dine dinamico da esse determinato istantaneamente dileguasi. I vermi negli intestini , il calcolo nella vescica , il laccio che stringe un arto , conturbano violentemente il movimento dinamico; ma cacciati che siano dal corpo, ogni perturbamento dinamico ed ogni movimento disordinato ritorna allo stato consueto; e l'ingorgo vascolare, tolto che sia il lac- cio, se non si è ordito il processo flogistico ed il rilassamento delle membrane dei vasi , con la me- desima facilità e quasi istantaneamente si dilegua. CAPO XXI. Esiti dei mutamenti preternaturali della modalità della vita , determinati dalla pervertita correlazione tra resistenza individuale e V attività universale. 195. Le cause immediate delia vita individua- lizzala sono essenzialmente riposte nel chimismo e nella meccanica animale , nelle proprietà generali ed accidentali della materia, e neh' attività univer- Storia della vita 77 sale ; così nei mutamenti preternaturali dei poteri interni ed esterni della vita si perturba immedia- tamente il movimento dinamico, l'espressione o ma- nifestazione di vita. Il chimico-organico processo morboso altera prima le proprietà organiche, dipoi la correlazione tra le potenze interne ed esterne della vita. L'attività universale comunica all'orga- nismo disordinato la medesima forza , dalla quale deve emergere, come in fatto ne emerge, il pertur- bamento dinamico. Il circolo dei poteri o cause immediate della vita consiste essenzialmente in po- tenze esterne, ed in altre insite all' organismo in- dividuale. Queste sono determinate in azione da quelle, cioè dall'antagonismo determinatosi tra l'or- ganizzazione individuale e l'attività universale. Così si spiega, come l'influenza cosmico-tellurica, senza ledere il chimismo animale e la meccanica simme- trìa, talora disordina, tal* altra riordina i perturba- menti dinamici. Come la vita in certe stagioni è ri- gogliosa, e massimamente attiva e reagisce violen- temente alle potenze esterne ; così in altre ricon- centrandosi in se stessa difficilmente risponde al- l' azione delle esteriori potenze , quantunque sia- no maggiormente attive. Onde guarire certe affe- zioni morbose, alcune volte conviene intraprendere la cura in determinate stagioni. Lo stesso fatto em- pirico ci mostra, come alcuni, che vivono prospe- ramente nei climi marittimi , soffrono violenti per- turbamenti dinamici neir internarsi nei climi mag- giormente continentali, e vi perirebbero se non li abbandonassero per ritornare a quelli che incauta- mente lasciarono. La periodicità di ciascuna vita 78 Scienze peculiare nei rispettivi ritmici movimenti corrispon- de interamente ai grandiosi e periodici movimenti della vita universale, e perciò li consideriamo quali ripetizioni o consensuali vibrazioni degli immensi movimenti, che determinano l'espressione fenomeno- logica della vita universale. 196. Gli esiti dei perturbamenti e della sospen- sione degli atti vitali, che immediatamente derivano dai mutamenti preternaturali della correlazione tra la vita individuale e l'attività universale, si riducono ai seguenti ; o il perturbamento della correlazione tra le potenze interne ed esterne della vita oltre il pervertimento dinamico ingenera il chimico-organico processo idiopatico-, ed allora lo stato morboso per- corre i suoi stadi o fasi indipendentemente dalle cause remote. I preternaturali mutamenti siano di quantità e di qualità delle proprietà organiche , i quali immediatamente derivano dalla perturbata correlazione tra le potenze interne ed esterne della vita; riordinata che essa sia, ogni pervertimento dei movimenti dinamici si riordina, tornando istantanea- mente la quiete e la tranquillità. La sospensione dei movimenti ritmici della vita o termina rimettendosi in esercizio gli atti vitali ; ovvero, essendo la so- spensione soverchiamente protratta, per la costante e persistente mancanza tra le potenze interne ed esterne della vita, ne segue il disciogliere completo dell'antagonismo vitale, cioè la morte dinamica. Co- sicché gli asfitici per gas deleterio respirato, o per essere stati inversi neh' acqua, se durante lo stato d'asfisia non si formano lesioni organiche o ritor- nano nello stato di completa salute, rimettendosi in Storta della vita 79 esercizio e perenne movimento gli alti in elie con- siste interamente 1' espressione e la manifestazione di vita; o si rimangono nel sonno di morte, non po- tendosi riordinare ne mettere in movimento l'anta- gonismo vitale. CAPO XXII. Bàtti delle complicazioni dei mutamenti preternaturali della modalità della vita. 197. Le diffusioni dello stato morboso median- te simpatici consensi, o disquilibri idraulici, o me- tastasi di diffusione o di successione , come imme- diatamente dipendenti dall'affezione morbosa primi- tiva , seguono il corso e 1' andamento di essa. Le complicazioni morbose, omopalìe (1), seguono un corso peculiare e indipendente dalla malattia primi- tiva. Non formano parte della siutomatologa ; esi- stono da per se , ed hanno in se stesse la ragione della propria esistenza : come i vegetabili di varia specie, che germogliano, e fecondano nel medesimo terreno, dal quale traggono i materiali, di cui essi abbisognano. Dirò di più, come i feti gemelli, che indipendentemente l'uno dall' altro determinano un antagonismo vitale con l'essere procreatore; dal qua- (1) Per omopalìe intendono alcuni un processo morboso di natura idiopatica diverso d'indole e di sede dalla primitiva idiopa tia già stabilita, e accompagnatasi a questa per effetto di qualche causa remota primitiva o secondaria. Noi estendiamo maggiormente il valore del vocabolo omopatia a tutti gli stati morbosi, dei quali è suscettiva la macchina animale , poco interessandoci se sono di natura etiopatica o idiopatica. 80 Scienze le ne emerge lo svolgimento simmetrico e regolare della peculiare esistenza individuale. 198. L'affezione morbosa non può esistere sola, onde abbia a costituire omopalìa. Imperocché fino a quel momento che lo stato morboso è isolato non vi può essere complicazione ; e se la malattia so- praggiunta sussiste dileguatosi il primitivo processo morboso; allora cessando di essere omopatìa, diviene malattia primitiva. Le complicazioni omopalìe alcune volte terminano prima dello stato morboso primitivo; tali altre nel medesimo tempo ; in certi altri casi, risolvendosi lo stato morboso, l'omopatìa prende il carattere di malattia primitiva. La forza conserva- trice della vita, cioè la reazione, che 1' attività or- ganica oppone allo stato morboso , può con la me- desima intesità di forza opporsi all'azione dello stato morboso primitivo, ed alla complicazione, omopalìa, e l'evacuazione critica compiersi dal medesimo mea- to escretorio, e risolversi nel medesimo tempo, ed allora facilmente si prende uri omopatìa per un feno- meno simpatico promosso dallo stalo morboso pri- mitivo, o per una metastasi di diffusione. Se il mea- to escretorio, pel quale l'una e l'altra si compie, è diverso, se avvengono in tempi diversi, un etiologista potrà facilmente ridurle ai rapporti di affinità coi ri- spettivi centri patologici. Storia della vita 81 CAPO XXIII. Esiti della periodicità dei mutamenti preternaturali della modalità della vita 199. La vita, in quanto all'estensione, si com- pone del periodo di propulsione e di quello di retrogradazione. Nel primo si svolge ed ingrandi- sce la sfera individuale; nell'altro diminuisce, e ri- piega in sé stessa. Queste due grandi fasi della vi- ta si compongono di periodi di una minore esten- sione. Durante i quali si compiono altri movimenti periodici, che coincidono con le diverse fasi della giornata , i quali corrispondono alla veglia ed al sonno. Nella periodicità universale della vita indi- viduale si compiono i movimenti ritmici funzionali; in questi gli elementari, di una durata brevissima; onde è che riesce impossibile nello stato naturale di calcolarne l'estensione. 200. I poteri morbosi disturbano i movimenti periodici; siano essi universali, funzionali, ed ele- mentari. I perturbamenti ritmici dei movimenti della vita corrispondono ai preternaturali mutamenti quan- titati e qualitati, riconosciuti dai dinamisti moderni. La periodicità diminuisce o cresce d'intensità; ed i mutamenti ritmici si succedono gli uni agli altri lentamente, o con maggior celerità; come ancora i movimenti, di cui essi si compongono, non più si corrispondono; e l'uno si estende a carico dell'al- tro: come quando il movimento antiperistatico su- pera l'intensità e l'estensione del peristatico; per cui G.A.T.CXXII. 6 82 Scienze si determina il vomito. Cosicché risulta chiaro, che gli esiti dei perturbamenti dei movimenti periodici della vita sono i seguenti; cioè il movimento ritmi- co perturbato o ritorna allo stato consueto, o rimane interamente sospeso, o cresce o diminuisce d'inten- sità, o infine si disordina maggiormente ; ed i mo- menti, di cui esso si compone, non più si corrispon- dono. La debolezza, e l'aumentata intensità, od il perturbamento possono estendersi al segno da deter- minare l'asfìsia , la sincope, l'appoplesia e la morte dinamica. 201. La periodicità morbosa assume talora un intensità straordinaria , ed i mutamenti ritmici si succedono gli uni agli altri così rapidamente da spe- gnere la vita; tal'altra un tipo più largo, ed i mo- vimenti si corrispondono dopo lungo lasso di tempo; ovvero accorciandosi si succedono quasi istantanea- mente. La periodicità, che immediatamente dipende dallo stato morboso, allargando il tipo, gradatamente o quasi istantaneamente si dilegua. Che se poi si ri- stringe, ed i movimenti disordinati si compiono più celermente, allora i perturbamenti periodici diven- tano continui , e rimangono solo i perturbamenti ritmici, dei quali si compongono i grandi periodi , che col rendersi continui la periodicità ne rimane soppressa. Nella febbre intermittente , che diviene continua, termina la periodicità universale, e non si ha più apiressia né parossismo, e solo rimangono i perturbamenti ritmici, dei quali si compone e l'una e l'altro. Storia della vita 83 CAPO XXIV. Cause determinanti gli esiti dei mutamenti preternaturali della modalità della vita. 202. Lo stato di malattia stabilisce nell'interno della periferia organica una centralità morbosa , la quale sostiene il disordine universale; mentre tende a mettersi in correlazione e reciproco rapporto con le attività organiche. Tendenza, che non può com- piersi senza determinarsi o una nuova modalità in- dividuale \ o la morte accidentale. Le potenze orga- niche, regolate dall'idea totale, per la forza conser- vatrice o inerzia organica si oppongono all' azione perturbatrice del processo morboso, risvegliando una reazione universale. 203. La forza conservatrice della vita essen- zialmente deriva dalle potenze organiche determinate dall'idea totale in speciali e regolari movimenti. E l'azione che si oppone all' organica reazione , onde determinare la disorganizzazione universale, consiste essenzialmente nel processo morboso sostenuto dalle cause remote. Cosicché l'essenzialità del potere, il quale determina il riordinamento dei mutamenti o preternaturali direzioni della modalità individuale consiste nella reazione organica regolata dall' idea totale, e sostenuta dagli agenti igienici e terapeutici. Ciò chiaramente dimostra essere erronea la cura at- tiva delle malattie ; cioè quella che si oppone al movimento o sforzo naturale determinato dai poteri organici; mentre l'arte altro non può fare, che ria- 84 Scienze tracciare e calcolare la determinazione o proclività della forza conservatrice della vita, e secondarla; cioè togliere gli ostacoli, che impediscono il facile e re- golare procedimento della natura, onde risolvere la condizione immediata di malattia. CAPO XXV. Modalità della malattia* 204. Dalle idee preconcepite di quanto si con- cerne alla vita ne nacquero di poi, quali immediate illazioni, i concepimenti, co' quali invano tentarono raggiungere e spiegare l'essenzialità della modalità morbosa. Alcuni si contentarono di una breve e concisa descrizione; altri, che poco o nulla versati erano nelle empiriche osservazioni, in un fenome- no, o nel misterioso significato di un vocabolo col locarono l'essenzialità della modalità morbosa. Nel- le semplici teorie atomistiche , o nelle combinazio- ni delle fibre elementari , invano cercarono alcuni la causa ellìcente della vita; come del pari si smar- rirono altri, che la collocarono nelle proprietà se- condarie o accidentali della materia : come nell'ec- citabilità browniana, e nell'irritabilità halleriana; o collocarono enti immaginari nell'organismo, come il pneuma di Platone, il calore innato d'Ippocrate, l'archeo di Paracelso, e l'etere animale di Federigo Hoffmann ecc. Alcuni vedono l'organo; altri l'espres- sione; ma si gii uni e si gli altri non comprendono la causa primordiale, la quale determina la genesi, Storia della vita 85 l'espressione di vita, l'estensione, ed il discioglimenlo dell'antagonismo vitale. 205. Il puro materialista nelle combinazioni de- gli elementi, e nelle simmetriche disposizioni mec- caniche; e il puro spiritualista cartesiano nelle pro- prietà assolute e indipendenti dalla materia, non tro- vano che il prodotto di fervide immaginazioni ; e come non hanno esatta cognizione della vita , così non possono formarsi una giusta idea della mo- dalità morbosa. Quelli che la considerano qual es- sere relativo, cioè come parte integrale dell'universo materiale e spirituale, la vedono nella massima esten- sione. Nella modalità morbosa contemplano un cir- colo di mutamenti preternaturali, i quali immedia- tamente derivano dal disordinamento del chimismo animale, e della meccanica simmetrìa; per cui variasi la vita peculiare, e si determina una nuova corre- lazione tra la preternaturale individualità organica e l'attività universale. L'antagonismo determinato dal- la pveternat urale modalità organica e dall' attività universale è il centro ideale o perno, che sostiene e regola gli alti, nei quali riponemmo l'espressione o manifestazione di malattia. Il disordine dinamico, come essenzialmente collegato all'antagonismo vitale, non si svolge se rimane integra la naturale corre- lazione tra le potenze interne ed esterne della vita. Variatasi la correlazione pel difetto dei poteri ester- ni, si ha il pervertimento funzionale, o la morte di- namica : come l'uomo asfìtico per deleteri gas respi- rati, o per essere immerso nell'acqua. In questo bre- vissimo tratto di tempo non si formano lesioni chi- mico-organiche : come ci viene confermalo dalle ne- 86 Scienze croscopiche osservazioni. Gli infelici cadono asfiliri o morti nel mancare le condizioni indispensabili ed esterne della vita : come il pesce estratto dall' ac- qua non muore in seguito di lesioni o processi chimico-organici-, ma per essere l'aria un elemento insufficiente a sostenere l'azione organica; nella quale consiste l'interno elemento dell'antagonismo vitale. 206. I preternaturali movimenti dinamici inti- mamente collegati alle alterazioni del misto orga- nico, ed a quelle della meccanica simmetrìa, disor- dinano talora i processi antagonistici del potere pla- stico, tal'altra i meccanici rapporti; e possono esser causa di morte. Nel primo eome nell'altro caso il di- sordine dinamico è sempre secondario ; e diviene causa di disquilibri idraulici, e di chimico-organici processi morbosi, ed esiste nel medesimo tempo e come causa e come effetto. Come causa altera talora i processi di organica assimilazione, tal'altra i movimen- ti idràulici dei liquidi; e come effetto prende alimento dai medesimi perturbamenti che vanno ingeneran- dosi o nel misto organico, o nei meccanici rapporti: ed ecco nella modalità morbosa compiersi quel me- desimo circolo di attività organiche, in che consiste interamente l'esistenza e l'espressione della vita in- dividuale. 207. Il chimico-organico processo idiopatico varia essenzialmente la maniera d'esistere dell'orga- no, nel quale si stabilisce ; e determina un nuovo antagonismo, che come eterogeneo alla vita pecu- liare, non trova il posto naturale nella periferia or- ganica. Si determina dalla modalità morbosa un'a- zione centrifuga, la quale tende a dilatare e diffon- Storia della vita 87 dere lo slato di malattia; e dalle potenze organiche una reazione centripeta, la quale si oppone all'azio- ne centrifuga dello stato morboso. Da questa azione e reazione ne emergono immediatamente i disordini funzionali, i quali accrescono l'intensità del processo morboso, e la preternaturale correlazione tra le po- tenze interne ed esterne della vita. Le cause remote, che non formano parte dell'organismo, ma che tro- vandosi a contatto seco, irritano violentemente il composto organico; ed i vizi istrumentali, che diret- tamente alterano la meccanica simmetrìa, o riman- gono inerti, viziando una qualche parte, o costitui- scono un centro di azione, il quale determina una universale reazione organica. La modalità morbosa si comprende nella sua integrità, e nella massima estensione dichiarandola « Un preternaturale muta- mento della vita peculiare, essenzialmente dipendente dalla variata correlazione degli elementi determinanti V antagonismo , nel quale consiste V essenzialità della vita: o per parte del chimismo animale, o della mec- canica simmetrìa, o del movimento dinamico, determi- nato a preternaturali mutamenti dalle potenze esterne. CAPO XXVI. Cause determinanti la modalità morbosa. 208. Determinate le condizioni immeiiate della vita , e quelle della modalità morbosa , riesce facile il concepire le cause remote e prossime dello stato di malattia. Quelle della vita consistono interamente in alcuni poteri esterni, ed in certi altri insiti all'or- 88 Scienze ganismo. Cosicché dal peculiare antagonismo vitale, determinato da potenze interne ed esterne, ne emerge come immediato effetto l'espressione o la manife- stazione di vita. 209. L'espressione dello stato morboso o con- dizione immediata di malattia consiste interamente nel preternaturale svolgimento dell'antagonismo vi- tale. Cosicché i perturbamenti del chimismo animale, le lesioni di meccanica simmetrìa, l'azione violenta e preternaturale delle potenze esterne o insite all'or- ganismo, sono le cause immediate o prossime dello stato di malattia. Le cause, le quali determinano i mutamenti preternaturali del potere plastico ; per cui si ordiscono i chimico-organici processi idio- patici ; e quelle, le quali alterano la meccanica animale, e determinano lesioni istrumentali o orga- niche, sono le cause mediate o remole, le quali de- terminano la modalità morbosa. CAPO XXVII. Modalità della convalescenza. 210. Nella formazione dell' antagonismo vitale noi contemplammo il primo elemento sintetico della vita; e nel suo discioglimento l'ultimo elemento ana- litico ; fenomeni naturali che essenzialmente corri- spondono alla genesi ed alla morte. Nel momento propulsivo e nel regressivo dell'antagonismo vitale, ordinali e disordinati noi contemplammo del pari l'essenza di salute e di malattia. Dalla modalità mor- bosa deriva immediatamente o lo scioglimento dell' Storia della vita 89 antagonismo vitale , o il suo riordinamento. Della morte accidentale e naturale abbiamo di già fatto verbo ; ora ci rimane a chiarire in che consiste la modalità della convalescenza. 211. Alcuni considerano il fenomeno della convalescenza qual ultimo periodo della malattia ; altri qual preludio di salute; i primi lo credono parte integrale della malattia, i secondi della salu- te. Infine altri ritengono essere un anello che con- giunge la malattia alla salute ; e perciò avere i caratteri dell'uno e dell'altra. La convalescenza, considerala senza idee preconcepite, è pel periodo che immediatamente si manifesta , dileguatosi inte- ramente il processo morboso o causa immediata di malattia. La modalità della vita peculiare , ritor- nata alla naturale centralità , dirige altrimenti il complesso dei poteri organici , nei quali consiste l'esistenza e l'esercizio della vita; così il fenome- no della convalescenza è il periodo di ritorno e di assuefazione alle antiche e naturali abitudini. 212. Il trasporto al di fuori della macchina animale di principi i non convenevoli, né più ido- nei al mantenimento della vita, si compie nello slato di malattia con maggiore energia del proces- so d' organica riparazione. Quindi è , che dilegua- tasi la malattia, la fibra rimane manchevole nel suo stalo di organica assimilazione, e però più debole di sua attività. Questa è altra condizione dei con- valescenti da trattarsi nella slessa maniera ; cioè quella del più pronto e regolare succedimento del- l' organica assimilazione. La condizione uniforme della convalescenza e sempre a se stessa identica 90 Scienze non ci permette di supporta parte del processo morboso. Mentre essa sussiste dileguato che sia qual conseguenza od esito, metaptosi. La debolezza e la consunzione sono fenomeni compatibili, tanto allo stato di salute , come a quello di malattia. L' astinenza ed il digiuno soverchiamente protratti determinano 1' una e V altra ; predispongono e non costituiscono da per se stessi lo stato di malattia ; né la morte per inedia deriva essenzialmente da chimico-organico processo morboso. CAPO XXVIII. Cause determinanti la modalità della convalescenza. 213. Le cause remote determinano le imme- diate condizioni morbose, le condizioni morbose lo stato di convalescenza. Nel perturbamento univer- sale, cioè nel conflitto di preternaturali azioni e ra- gioni organiche, l'attività del potere plastico non si compie regolarmente , né si dispiega completa- mente. Cosicché dileguatasi la condizione morbosa, il processo chimico-vitale deve riparare le perdite ed il consumo organico , determinatesi nel corso naturale della modalità morbosa. Come le cause remote determinano il processo morboso , cosi il processo morboso prepara lo stato di convalescenza. 214. Oltre il consumo della materia organica, che si compie nello stato di malattia , variansi d' in- tensità, e direzione le attività organiche ; cosicché dileguatosi e interamente risolutosi il processo mor- boso, la vita riprende la naturale determinazione : Storia della vita 91 ed ecco, oltre il consumo organico, altro elemento della modalità della convalescenza. Imperocché le morbose abitudini non si tralasciano ad un istan- te ; ne si passa senza stento e sofferenza dalle pre- ternaturali consuetudini all'esercizio naturale dei poteri organici. LIBRO TERZO FORZA MEDIATRICE DELLA VITA. CAPO PRIMO. Potere riordinatore i mutamenti preternaturali della modalità della genesi. 215. La genesi si compie mediante peculiari alti ; cioè dalla secrezione dell' embriolrofo e dello sperma ; dall'unione di questo con quello in seguito dell'accoppiamento fecondo; e dall'evoluzione o svolgimento completo del nuovo prodotto. Cosicché le anomalie dei movimenti preternaturali della mo- dalità delle genesi si compiono in questi periodi o fasi, nelle quali si svolge completamente il nuovo organismo. Il potere organico, che riordina le dire- zioni anormali della modalità della genesi, consiste essenzialmente nell' organismo debitamente confor- mato ; il quale è sostenuto e determinato dagli agenti, che mediante le regole consuete e naturali della vita eccitano il composto organico. 216*. Peculiari poteri organici, costituiti dalle 92 Scienze leggi tipiche della specie , determinano la naturale secrezione dello sperma e dell' embriotrofo ; e cor- reggono, per quanto è possibile, la prava natura , e le cattive disposizioni dell' uno e dell' altro. 217. Nel nuovo prodotto determinato dall'ac- coppiamento fecondo, le potenze fisiologicamente costituite, e quanto esiste in esse conforme alla natu- rale organica individualità, modificano i preternaturali mutamenti, ed i prodotti anormali, i quali si svol- gono nella generazione preternaturale , in forza di quell'impulso o potere organico, il quale determi- na lo svolgimento anormale del nuovo organismo. 218. L'ordine deriva dall'ordine, ed il disor- dine dal disordine ; vale a dire le potenze interne ed esterne della vita stabiliscono il regolare svol- gimento della composizione animale, e determinano i naturali mutamenti organici ; e le potenze interne ed esterne della morte stabiliscono il preternatu- rale procedimento dei mutamenti organico-chimi- ci; ed infine determinano la disorganizzazione uni- versale della vita o organizzazione individuale. CAPO II. Potere riordinatore i mutamenti preternaturali della modalità organica. 219. Le condizioni immediate dei mutamenti preternaturali della modalità della vita peculiare, o individualità organica, sono le alterazioni del chi- mismo animale, e della meccanica simmetrìa, ed in- fine il pervertimento delle condizioni esterne indi- spensabili al compimento degli atti vitali. Storia della vita 93 220. La deformata organica modalità indivi- duale non può riordinarsi, né rientrare nel circolo dell' ordine, senza il riordinamento dei preternatu- rali mutamenti chimico-organici , ed il ripristma- mento dei rapporti degli organici poteri. La mo- dalità individuale è riordinata da' poteri interni ed esterni, i quali si muovono o per lo meno tendono a muoversi regolarmente, e conforme alla naturale organica individualità. 221. La forza medicatrice della vita, in quan- to si appartiene all' organica modalità , cioè l' im- pulso mediante il quale le lesioni organiche sono rintegrate, consiste essenzialmente nel potere, che ciascun essere organico possiede ; onde conserva- re e mantenere la forma individuale. Potere or- ganico, che non agisce scientemente, come di esso fu pensato nelle prische scuole di medicina ; ed è la forza automatica, la quale si muove conforme al- le leggi prestabilite nell' atto della primordiale crea- zione ; forza che noi dichiariamo altro non essere , che 1' inerzia organica. CAPO III. Potere riordinatore i mutamenti preternaturali della modalità delle proprietà organiche. 222. L' espressione e 1' esercizio degli atti negli esseri viventi derivano immediatamente dal composto organico , mosso e determinato a peculiari mutamenti dalle potenze esterne. Movimenti regolati dal reciproco rapporto dei pò- 94 Scienze teri organici , i quali non sono determinati da cau- se che direttamente agiscono in essi ; mentre esi- stono come effetti , che derivano immediatamente dal composto organico. Cosicché il potere, il quale riordina i preternaturali mutamenti delle proprietà organiche, è la potenza che direttamente o in qual- siasi altro modo ripristina l'organica individualità; e determina la naturale corrispondenza degli orga- nici poteri. 223. La fenomenologia dei mutamenti preter- naturali della modalità della vita segue direttamen- te i mutamenti anormali dell' antagonismo vitale. Cosicché nei poteri interni ed esterni , i quali ri- pristinano il preternaturale antagonismo vitale, con- siste interamente la forza medicatrice della vita, la quale riordina i movimenti anormali delle proprie- tà organiche. I perturbamenti degli atti vitali imme- diatamente derivano da potenze esterne, e da altre insite all'organismo. Le malattie dinamiche indipen- denti da questi poteri sono astrazioni , che si ri- mangono nell' idealità, e non si realizzano nel fatto. CAPO IV. Potere riordinatore i mutamenti preternaturali della modalità delle simpatie organiche. 224. I poteri che ripristinano la correlazione delle parti organiche, determinate in peculiari mu- tamenti dall'idea totale, riordinano i mutamenti pre- ternaturali delle simpatie organiche. Imperocché da quello, che abbiamo altrove esposto, chiaro risulta Storia, della vita 95 che le simpatie morbose dipendono interamente dal- l'esaltamento, dal pervertimento, e dall'indebolimento dell' attività di alcuni centri vitali ; per cui si di- sordina 1' armonia e la naturale organica corrispon- denza. Bene inteso però che le potenze tanto inter- ne che esterne devono agire nel composto organi- co , onde riordinare le preternaturali manifestazioni dei movimenti simpatici. 225. Movimenti dipendenti dal composto orga- nico, e determinati in peculiari azioni dal preter- naturale antagon ismo sostenuto da quei medesimi agenti, i quali determinano il compimento degli alti vitali. Mentre l' organica simpatia interamente consiste nell'atto dinamico modificato dal potere di altro organo, che naturalmente o morbosamente le corrisponde. CAPO V. Potere riordinatore ì mutamenti •preternaturali della modalità della composizione e dell'organica de- composizione. 22G. I preternaturali mutamenti del potere plastico sono quantitativi e qualitativi; nel primo caso si accresce o la composizione , o l' organica decomposizione; nell'altro, senza difettare nel più o nel meno, è perturbato nei peculiari movimenti, e s' ingenera una nutrizione morbosa per vizio in- trinseco di qualità nei suoi materiali. Le potenze , le quali si prestano qual materiale istrumento alla riparazione organico, sono le sostanze chilitìcabili , 96 Scienze ed assimilabili. L? essenzialità del potere esterno, il quale riordina i preternaturali mutamenti del potere plastico , consiste interamente nella qualità e nella quantità delle predette sostanze. La dieta protratta diminuisce 1' azione dei processi chimi- co-vitali di riparazione organica , e l' uso smodato di sostanze assimilabili ne estende maggiormente 1' attività. La cattiva qualità degli alimenti deter- mina una nutrizione viziosa per qualità, la qnale solo possono correggere le potenze, le quali rior- dinano i processi antagonistici del potere plastico. 227. Nelle potenze chilifìcabili ed assimilabili, le quali si prestano qual materiale istromento alla vita plastica , consiste interamente la parte mate- riale e passiva dell' organica composizione ; e nei poteri interni, i quali preparano ed assimilano le sostanze venute dall' esterno, si ripone il potere attivo della vita plastica. La forza medicatrice del- la vita , la quale riordina i preternaturali muta- menti del potere plastico , si compone delle so- stanze chilifìcabili ed assimilabili; e dei poteri or- ganici, i quali assimilano e compongono conforme alle leggi impresse nella primordiale organica formazione. CAPO VI. Potere riordinatore i mutamenti preternaturali della modalità dell'incubazione. 228. I mutamenti preternaturali della modalità dell'incubazione alcuni si riferiscono al nuovo orga- Storia della vita 97 ttismo, che va realizzandosi; altri all'essere procrea- tore. In quanto si appartiene al primo, uno dei prin- cipali consiste nella preternaturale direzione del ri- spettivo suo movimento. Movimento anormale, che solo può riordinarsi col togliere le cause, le quali direttamente lo determinano. L'embrione collocato al di fuori della matrice sviluppasi incompletamente ; perchè mancante dei naturali rapporti. Il liquido amiotico e le altre parti fluide sono talora riassor- bite-, e l'embrione si converte in sostanza adiposa, o si petrifica. 229. L'aborto essenzialmente dipende dal per- vertimento dell'antagonismo, determinato dal nuovo prodotto e dall'organismo materno ; per cui si di- sturba la genesi embrionale, e si determina il parto immaturo. Le potenze , le quali operano conforme alla naturale organica individualità tanto per parte del nuovo prodotto, che dell'essere procreatore, de- terminano e sostengono la naturale corrispondenza tra l'uno e l'altro. 230. Altri fenomeni preternaturali si manife- stano nel corso dell' incubazione; alcuni dei quali si riferiscono allo sviluppo incompleto e morboso del prodotto ; altri ai disordini più o meno sensibili, i quali si manifestano nell' organismo materno. Feno- meni preternaturali, che come dipendenti dal disor- dinamento dell' antagonismo determinato dal nuovo organismo e dall' essere procreatore ; così solo pos- sono modificare , ed essenzialmente correggere le potenze , che direttamente o in qualsiasi altro mo- do cooperano, onde ripristinare la naturale azione e G.A.T.CXXII. 7 98 Scienze reazione , le quali determinano V evoluzione , ed il compimento naturale della vita embrionale. CAPO VII. Potere riordinatore i mutamenti preternaturali della modalità del parlo, e dei fenomeni relativi al prodotto ed all'essere procreatore. 231. Agli immediati fenomeni dei mutamenti preternaturali della modalità del parto appartengo- no i movimenti disordinati, i quali determinano la posizione preternaturale dell'embrione : che solo può riordinare il ripristinamento del mirabile antago- nismo , che determina e regola i movimenti em- brionali. 232. Qualsiasi disordine del travaglio del parlo immediatamente deriva dalla pervertita correlazione del nuovo prodotto con gli organi genitali dall'es- sere procreatore; dall'attività organica dell'uno con quella dell'altro. La preternaturale direzione che de- termina il movimento del parto può solo essere rior- dinata dalle potenze organiche, le quali operano, o per lo meno tendono ad operare conforme il rego- lare procedimento prestabilito dalle leggi tipi che della specie. 233. La preternaturale direzione dell'attività or- ganica, la quale naturalmente, compito il parto, da- gli organi genitali viene alla periferìa, possono solo riordinare le potenze, che sostengono l'integrità or- ganica , e quelle che riattivano le naturali secrezio- ni, o ne determinano altre; onde dare un libero di- spiego all'attività plastica. Storia della vit4. 99 CAPO Vili. Potere riordinatore i mutamenti preternaturali della modalità dell' estensione della vita. 234. Ingeneratosi il nuovo organismo nell'atto dell' accoppiamento fecondo , con la tendenza alla propulsione , si svolge completamente mediante un potere che essenzialmente le appartiene. Potere pe- rò, che rimane nello stato d'inazione, se altra forza esterna e interamente staccata da esso non lo deter- mina alla realizzazione dell'idea della specie. 235. Quando nel nuovo organismo si ordisce una preternaturale condizione nell'atto dell'accoppia- mento fecondo, o nel decorso dell'embrionale, o della vita indipendente, allora si stabiliscono nell'interno della periferìa organica due centri di azione; uno tendente al disordine, ed alla disorganizzazione uni- versale della vita individuale; l'altro all'ordine ed alia conservazione individuale. Come ancora si stabi- liscono due correlazioni coti le potenze esterne, che da un lato tendono a sostenere e ad alimentare la predisposizione organica ; e dall' altro a dar forza ed attività al potere vitale , onde debellare la pro- clività morbosa. 236. Il potere riordinatore i preternaturali mu- tamenti dei periodi o fasi delle vita consiste intera- mente nel potere organico, il quale opera, o per lo meno tende ad operare conforme alla naturale esi- stenza individuale, onde conservare l'integrità or- ganica. Le cause remote conservatrici della vita p né incorporarsi con esso. 257. La causa efficiente della forza medicatrice della vita consiste interamente nelle potenze organi- che , le quali agiscono meccanicamente , chimica- mente, e dinamicamente; della condizione di malat- tia nel processo morboso, il quale determina azioni meccaniche, chimiche, e dinamiche. Gli elementi o cause tanto interne, che esterne, cioè prossime e re- mote, delle quali si compone la modalità della forza medicatrice della vita, essenzialmente consistono in poteri chimici, meccanici, e dinamici, i quali ope- rano, o solo tendono ad operare conforme alla na- turale organica individualità. CAPO XIX. Modalità della forza medicatrice della vita. 258. L'essenzialità della modalità della forza medicatrice della vita consiste interamente nell'iner- zia organica; che è quanto dire nel potere conser- vatore l'esistenza individuale. Qualsiasi composto pos- siede delle proprietà: le proprietà come forze hanno peculiari determinazioni, nelle quali consiste intera- mente l' espressione o l' attributo del composto. Il 110 Scienze movimento ha la forza d' inerzia, la quale non va- riasi , senza che una potenza impedisca il regolare procedimento del movimento, determinatosi in spe- ciale direzione. Ingeneratosi il nuovo organismo nell' atto dell'accoppiamento fecondo , viene determinato dall' organica inerzia a percorrere regolarmente il periodo di propulsione e di retrogradazione , onde realizzare completamente l'idea della specie. Impe- rocché il nuovo organismo racchiude in se le orga- niche condizioni , mediante le quali, sotto l'azione dell'attività universale, si svolge un determinato mo- vimento. L'organizzazione individuale e l'espressio- ne o la manifestazione di essa si variano continua- mente; senza però distruggersi l'inerzia dell'orga- nica individualità. Ma che anzi l'inerzia sarebbe di- strutta ogni qualvolta la modalità della vita non più percorresse quella determinata linea, la quale ne cir- coscrive la rispettiva estensione , rimanendosi nello stato di assoluto riposo. Imperocché 1' inerzia con- siste interamente nel mantenimento costante e rego- lare della naturale esistenza; cosicché viene meno nel corpo, che essendo in riposo, si mette in movimen- to ; come in quello , che essendo in movimento si mette in riposo. 259. La forza medicatrice della vita, come l'i- nerzia organica „ determina la modalità individuale a mantenersi, ed a percorrere regolarmente lo spa- zio, nel quale interamente consiste l'estensione della vita peculiare. Nelle potenze organiche non guaste, e piene di vita, le quali reagiscono completamente, e conforme alle leggi fisiche della specie, alle po- tenze esterne, consiste essenzialmente la forza medi- Storia della vita 111 catrice della vita. Qualsiasi sforzo dell'arie affinchè sia giovevole, e sciolga la condizione di malattia, de- ve aggiungere forza e tuono al potere organico, che essenzialmente opera per la conservazione dell'e- sistenza della vita peculiare. LIBRO QUARTO ESPRESSIONI, POTENZE, RAPPORTI E INDUZIONE DELLA MODALITÀ' DELLA VITA. CAPO PRIMO. Espressione chimica. 260. La manifestazione o l'espressione della vita consiste interamente in fenomeni attivi e passivi ; questi sono determinati dalle potenze esterne, quelli dai poteri organici. L'antagonismo vitale si compone d'esterne azioni e di organica reazione ; sicché la centralità dei movimenti dinamici risulta ideale ; mentre esiste come punto o perno centrale tra le po- tenze esterne ed i poteri organici. La vita, in quanto allo svolgimento dei rispettivi fenomeni, è attiva e passiva. 261. La forma morbosa, che è quanto dire pre- sente immagine o fisionomia di esso morbo, si com- pone anche essa di fenomeni attivi e passivi. La preternaturale modalità dell' espressione della vita deriva immediatamente dalla condizione di malattia ,

organo, principio d'organo, effetti di organo, non è » nulla pel medico » (giacché a lui non ispetta il considerarlo) (1). Nella macchina animale, complesso (1) Roslan . Corso di clinica organici 116 Scienze di parti armoniche e simmetriche, ciò che non è chimica o meccanica combinazione o espressione o manifestazione dell' una o dell' altra. La simmetrìa animale incomincia dalla chimica combinazione , prosegue con la meccanica disposizione, e termina con 1' armonia dinamica. Dalla correlazione dei pro- cessi chimici , e dalla reciproca corrispondenza delle disposizioni meccaniche , e dall' armonia dei movimenti dinamici, deriva immediatamente la na- turale modalità della vita o la salute. 267. Nello stalo di salute, consiste l'espressio- ne dinamica nel compimento facile e regolare del- le proprietà delle potenze chimico-organiche, deter- minate in peculiari combinazioni e mutamenti dal* le potenze interne ed esterne , regolate dall' idea totale; e nello stato di malattia nel perturbamento più o meno profondo degli alti, nei quali riponem- mo la manifestazione o 1' espressione della vita pe- culiare. CAPO IV. Potenze chimiche. 268. Il circolo dei poteri , i quali determi- nano l'individuale organica modalità, è di ragio- ne chimica , meccanica , e dinamica. Gli stimoli interni ed esterni, mediante i quali si manifestano e si mantengono la vita e la salute, trapassando nel grado o nel modo della loro azione su 1' orga- nismo certi limili, che possono perciò rendersi no- civi e determinare malattie, si denominano e si in- Storia della vita 117 tendono per potenze morbose. Triplice risulta essere la varietà delle cause, le quali determinano la pri- mordiale genesi dei corpi, dai quali emerge dipoi l'espressione e la manifestazione della vita indivi- dualizzata. 269; Le potenze , di qualsiasi natura esse sia- no, nell' esercizio dei peculiari poteri determinano azioni miste ; così le chimiche svolgono, oltre l'azio- ne che essenzialmente loro appartiene , movimenti dinamici ed effetti meccanici; le dinamiche, le com- binazioni chimiche ; le meccaniche talora determi- nano le combinazioni chimiche , tal' altra i movi- menti dinamici. Ritengono le denominazioni di po- tenze chimiche , meccaniche , e dinamiche per 1' effetto predominante , che sogliono determinare. Neil' esercizio degli organici poteri , negli agenti chilitìcabili ed assimilabili, e nelle parti organiche atte a subire il processo di decomposizione, consi- stono immediatamente le cause dei processi di as- similazione e di organica disassimilazione. Le cause remote sono i poteri esterni, che determinano l'eser- cizio dei processi antagonistici della vita plastica. Cosicché la prossima chimica potenza morbosa con- siste essenzialmente negli agenti , che quantunque non affini, né idonei al mantenimento della vita , sono chilificabili ed assimilabili. Lo stimolo , che determina i poteri organici ad una preternaturale assimilazione di sostanze eterogene, né atte al man- tenimento della vita individuale, è la causa remota che essenzialmente perturba il potere plastico. La combinabilità costituisce il carattere precipuo delle potenze, nelle quali primeggia un'azione chimicav 118 Scienze Il misto organico risulta più o meno alterato, se- condochè più o meno combinabile è la potenza no- civa. Quindi è che le sostanze, le quali non pre- sentano ai processi chimico-vitali veruna combina- bilità, non agiscono che per impressione , e non possono essere che meccaniche o dinamiche. CAPO V. Potenze meccaniche. 270. Gli elementi dell' universo si prestano qual materiale istromento ai processi chimico-vita- li ; ed i prodotti del chimismo animale alle dispo- sizioni o combinazioni meccaniche. L'ordinamento mirabile della meccanica animale è determinato da leggi meccaniche ; e la modalità organica della vita individuale è un composto armonico e sim- metrico di elementi chimici e meccanici , determi- nati da potenze interne ed esterne , e regolata del- l' idea totale. I prodotti del chimismo animale sono le cause prossime ed immediate delle disposizioui o combinazioni meccaniche ; e le remote consisto- no nelle cause che le determinano. Nella macchina animale ciò che non è effetto di chimico -processo- vitale, deriva immediatamente dai poteri meccani- ci. Cosicché il potere delle potenze meccaniche-vi- tali è la forza, che gli elementi meccanici svol- gono nelle peculiari antagonistiche combinazioni. 271. Le potenze morbose meccaniche sono i poteri, i quali direttamente distruggono , o defor- mano Y integrità' organica; cioè l'ordine della mec- Storia della vita 119 tanica simmetria. « La struttura anatomica delle » parti che dicemmo forma o fabbrica organica, » ove venga a contatto di potenze che morbosamen- » le la comprimono , la scindono , la spostano , » passa ad uno stalo patologico che dicesi appunto » meccanico-organico, perchè indotto immediatamente » da un modo di agire di quelle potenze stesse » non atto ad indurre immediati cangiamenti nel » modo di essa parte, né nei processi chimico~vi~ » tali della sua mischione ; ma solo a guastare la » struttura meccanica istrumeatale. Il qual modo » di agire prende per tal ragione il nome di mec- »> canico. Ma gli effetti, che le potenze meccaniche » inducono, non sussistono che per la presenza del- » la potenza morbosa ; quindi i rapporti fra quelli >i e queste, nelle ediopatie meccanico -organiche, sono » il più spesso evidenti (1). CAPO VI. Potenze dinamiche. 272. Il movimento dinamico immediatamente deriva dall' antagonismo o azione e reazione delle potenze esterne coi poteri organici. L'antagonismo, ristretto nella periferia organica, rimane inoperoso se non viene determinato in peculiari mutamenti dalle potenze esterne. Dagli antagonismi interni po- sti in reciproco rapporto con 1' attività universale ne emerge l' espressione della vita. Che se viene (1) Francesco Puccinolli, Patologia induttiva. 120 Scienze meno la correlazione delle potenze antagonistiche interne, o quella che naturalmente esiste tra le in- terne e 1' esterne , si perturbano allora gli alti or- ganici e ne segue la difficile manifestazione della vita, o la morte dinamica. « Siccome nelle altera- ci zioni de' movimenti vitali non ci ha cangiamento » di mistione se non corrispondente a quelle altera- la zioni medesime ; quindi le malattie puramente di- ti namiche sono anche esse mantenute in necessaria » dipendenza dal potere esterno ed interno che le » promossero. Essendo adunque V immediato effetto » delle potenze di si fatta causa , o per meglio di- » re di sifatla maniera cT azione di tali cause , » un perturbamento nelV ordine , e nella direzione » de' movimenti vitali ; cotesla maniera d' agire è » evidentemente dinamica, e corrisponde alla na- » tura dell' effetto, di cui è immediata e presente » cagione (1). 273. Il potere dinamico consiste negli otimsli, i quali determinano il movimento organico , o es- senzialmente lo perturbano, senza ingenerare lesioni organico-chimiche ; mentre pare che i mutamenti degli atti vitali dipendono dalle condizioni delle potenze esterne, le quali costituiscono 1' esterno ele- mento dell' antagonismo vitale. Cosicché l'essenzia- lità delle morbose potenze dinamiche consiste inte- ramente nei mutamenti preternaturali, i quali su- biscono le potenze esterne \ mutamenti che senza alterare il misto organico , o la meccanica simme- trìa, diminuiscono, accrescono, o essenzialmente di- (1) Francesco Puccinolli, Patologia imlulliva. Storia della, vita 121 sturbano gli atti , nei quali consiste 1' espressione ed il movimento elei poteri organici. CAPO VII. Rapporto dei poteri della modalità della vita. 274. La vita nel libero esercizio dei suoi po- teri è un complesso armonico di combinazioni chi- miche, di disposizioni meccaniche, e d'espressioni dinamiche. Le preternaturali modalità si compongo- no dei medesimi elementi; e nel perturbamelo di essi consistono essenzialmente : ecco un primo rap- porto ; mentre riesce impossibile determinare l'una senza la piena conoscenza dell'altra. Se la malattia, come essere positivo, non differisce dalla salute, co- me la curva, la quale più o meno si allontana dalla linea retta; ciò non ostante in quanto si riferisce ai perturbamenti degli atti, i quali costituiscono la fe- nomenologia dello stato di malattia, riesce indispen- sabile la cognizione chiara ed estesa dell'intera fi- siologia, come ancora della fisica e della chimica animale; se si vuole rettamente indagare, e precisare la condizione prossi ma e immediata dello stato di malattia. Di tre elementi si compone la naturale, e nel perturbamento d'essi consiste essenzialmente la preternaturale manifestazione di vita. Triplice risulta l'azione delle potenze, le quali determinano la mo- dalità organico-chimica, e l'espressione dinamica; e triplice del pari è l'a zione dei poteri, i quali sta- biliscono la preternaturale organico-chimica moda- lità, e disturbano gli atti, nei quali consiste Teserei- 122 Scienze zio e l'espressione dei poteri organici , determinati in peculiari combinazioni dall'idea totale. Di quanta entità sia la cognizione dei rapporti si rileva pie- namente, allorché si determinano mediante l' indu- zione le cause prossime delle preternaturali moda- lità della vita. 275. Nel mondo fisico qualsiasi parte grande o minima è in armonia e reciproca corrispondenza coll'universo. L' analisi delle leggi , infuse nell'atto della primordiale creazione, è il calcolo dei rap- porti. La scienza fisica sarà completa, ed il proble- ma della natura sciolto, quando sarà stabilito il qua- dro differenziale dei mutui rapporti. Le nostre co- gnizioni, come il riflesso del mondo fisico, hanno la medesima dipendenza; e l'unità dello scibile ristretto a ciò fu espresso da Bacone con l'immagine la più espressiva e la più significante. CAPO Vili. Induzione dei poteri, nei quali consiste essenzialmente la preternaturale modalità della vita. 276. L'uomo osservatore diligente dell'avvenimen- to di tanti sorprendenti fenomeni, che ovunque occor- rono, ed incessantemente si rinnovano sotto i di lui occhi, solo è a portata di percepire quello che si sot- topone all'analisi dei propri sensi. La materia, in mille svariate forme disposta e combinata, è ciò che vale a mettere in azione gli organi sensienti, ed è la cau- sa fondamentale dello scibile fisico. Se dall'uomo si Storia della vita 123 concepisce eziandio l'impossibile, e ciò che non esi- ste, questo solo dimostra la possibilità d'una disor- dinata associazione d' idee : come allorché reputan- do superfluo lo studio della natura si riteneva eon Eraclito e Talete essere il fuoco o l' acqua gli ele- menti primitivi, donde il tutto si compone. Eraclito e Talete non immaginavano tali assurde ipotesi senza l'idea del fuoco, dell'acqua, e dell'universo. 277. Dall' accurata osservazione delle singole parti dell'universo, ossia dall' impressione che que- ste destano su noi, hanno origine tanto quella or- dinata serie d' idee donde lo spirito umano si ab- bellisce; come una stravagante concatenazione delle medesime; allora si confonde la realtà con 1' appa- renza, non si conoscono più i rapporti, o si deter- minano dove assolutamente non esistono. Così dalla disordinata associazione delle idee crediamo aves- sero origine i traviamenti dello spirito umano; per- chè le singole parti dell'universo coi fenomeni na- turali si manifestano nello stesso modo; e le prime nozioni, che si acquistarono dai curiosi della natura, furono in tutti costantemente le medesime. In se- guito dalla diversa associazione di esse ne nacque- ro gli stupendi progressi delle scienze e delle arti: come ancora le stravaganti ipotesi, ed i sistemi i più manifestamente assurdi. 178. Lo studio adunque della natura può ren- dere solo feconda la mente del filosofo d'una or- dinala serie d'idee, le quali si trovano dipoi in diretta corrispondenza con le più minime produ- zioni componenti la gran mole dell'universo. Dalla sintesi ordinata di queste idee, attinte dagli oggetti 4 124 Scienze che ci circondano, come furon a noi rappresentati dai sensi, ne nascono in seguito le idee generali ed induttive, le quali rappresentano il multiplo dei fe- nomeni naturali. Come dalla naturale successione dei fenomeni che incessantemente si rinnovano, se ne de- ducevano dai fisici le idee rappresentanti oggetti, i quali per l'imperfezione degli istrumenti della fisi- ca e della chimica erano a noi impercettibili , ma che in seguito il progresso scientifico ne dimostrò la reale esistenza. 279. Egli è dunque principio di buona logica l'incominciare lo studio dei fenomeni naturali da quelle cose che sono più manifeste, per passare di- poi alla disamina di ciò che è meno sensibile: co- me si procedeva dai primi osservatori, che si fer- mavano a considerare quegli oggetti e quei feno° meni, che gli toccavano con maggiore violenza , e gli affezionavano più piacevolmente. Determinate le proprietà, e stabilite le leggi di ciò che maggior- mente si appalesa , allora per quanto il permette l'induzione, e l'argomento d'analogia potrà innalzarsi lo spirito umano a ragionare , e dimostrare quello che si sottrae all'analisi dei sensi; come appunto si opera dal matematico nella soluzione del problema. Archimede e Galileo non dimostrav ano quelle teo- rie, le quali seguono un reale progresso scientifico nella matematica e nella fìsica, col formare i calcoli nelle quantità incognite, che questi distinti italiani si proponevano di dimostrare. 380. Da ciò chiaro apparisce, che gli empirici nella cura dei morbi rettamente s' incamminavano, prendendo in considerazione la causa occasionale, ed i sintomi patognomonici. Ma tosto traviavano Storia della vita 125 quanto dail'etiologia, e dalla semiotica deduce vano il metodo curativo. Questi avrebbero rettamente proseguito il loro cammino se dalle cause occasio- nali e dal sintomo patognomonico , che sono due elementi cogniti , ne avessero rilevata la quantità incognita; vale a dire la causa prossima : ed allora la diagnosi era debitamente eseguita. Ippocrate e seco lui tutti gli empirici , non conoscevano come malattie che riunioni di sintomi , contro a cui si metteva in opera un determinato metodo cura- tivo. Lo studio della condizione morbosa non co- stituiva l'occupazione prediletta degli empirici ; essi attendevano con maggiore diligenza alle cause re- mote, e raramente soddisfacevano alle inchieste dei dominatici. Gli empirici adunque si fermano nel mezzo del loro cammino, ed il più di sovente sono condotti in errore. In peggiori condizioni si trova- no i dommatici, i peripatetici, ed i metodici, i quali dipartendosi dall'assioma » che non esiste effetto sen- za causa » stabiliscono o per male ponderata ana- logia , o falsa induzione, la causa prossima a tutte le malattie. Ma tanto i primi, che gli altri non pos- sono con sicurezza passare direttamente dalle loro ricerche alla cura ed alla prognosi delle umane egritudini. 271. L'analisi delle cause remote, e l'elimina- zione dei sintomi, guidano direttamente il clinico alla cognizione della causa prossima ; e indiretta- mente alla determinazione dei sussidi terapeutici. Quando i disordini delle forze secondarie, cioè de- gli atti vitali, sono promossi, e sostenuti da più al- terazioni organiche , che è quanto dire dipendono 126 Scienze da più condizioni morbose : come per esempio il disturbo dei moti respiratori , e circolatori , delle funzioni intellettuali , e via discorrendo ; sarà egli possibile , che la medesima medicatura sia nello stesso modo in tutti i casi giovevole? No certamen- te: meno che non si ritenga in patologia, che l'a- zione dei medicamenti agisca direttamente sulla vi- talità. Ma non è forse contraddetto dall'esperienza? 282. Dimostra ad evidenza il celebre Tomma- sini essere l'esito dei morbi onninamente dipenden- te dalla maggiore o minore profondità dell' altera- zione della fibra organica, e della varia natura de- gli organi attaccati dal processo morboso; cosicché non sarà possibile di stabilire una giusta prognosi senza prima determinare la condizione patologica. L' amaurosi dipendente da paralisi della retina , o del nervo ottico ; e quella, che è simpatico effetto del muco, della bile, dei vermi raccolti nelle vie digerenti, o che si appalesa nel decorso della gra- vidanza: non hanno la medesima durala, né risol- vono nello stesso modo. Come neppure si appartie- ne la medesima prognosi ai versamenti dipendenti da stato flogistico delle sierose, da vizio precordiale, o infine dalla soppressa traspirazione cutanea. 283. Asclepiade e Temisone, capi della scuola metodica, riducevano tutte le malattie allo striclum ed al laxum. Classificazione, che interamente corri- sponde all' ipostenia ed all' iperstenia , che furono dipoi stabilite dal patologo scozzese. Il sorgere ed il cadere dei sistemi, che molti credono splendore e meraviglia dell'arte, in qualche modo dimostra , che senza alcun vantaggio scorrono i secoli per le Storia della vita 127 scienze sperimentali. Le teorie ed i sistemi hanno un corso periodico , e dopo un certo tempo i me- desimi errori risorgono e si propagano con la slessa sorte. I fatti reggono all' urto dei secoli , e riman- gono costantemente i medesimi: dunque i principii generali e le induzioni non si deducono da essi ; e sono il frutto dall'immaginazione dei filosofi specu- culativi, che non reggono all'analisi. 284. Asclepiade, Temisone, Brown , e tutti i riformatori della scuola metodica, nelle ricerche dia- gnostiche operano nello stesso modo degli empirici. Questi dall' analisi delle cause occasionali passano alla reduzione dei sintomi, ed in questo modo sta- biliscono lo strictum ed il laxum; cioè la diatesi ipo- stenia , ed iperstenia di Brown. Altro adunque non fanno, che porre in relazione le cause occasionali, e più sintomi con un solo; quale è appunto la for- za e la debolezza degli atti vitali ; mentre i sintomi morbosi sono atti vitali anormalmente eseguiti. L'e- sperienza ha posto fuori di dubbio , che la causa prossima delle malattie non è in verun conto riposta nella forza vitale , sia essa accresciuta o diminuita d'intensità. 285. Lo spirito di teorizzare ed immaginare sistemi a priori fu portato tanto oltre, che nell' in- cominciare del nostro secolo i sistematici rigettando le cause prossime dei dommatici, dei metodici, dei peripatetici, stabilirono essere l'irritazione la causa prossima di tutte le malattie. Così rispetto alla na- tura ed essenza erano tutte le medesime, e diversi- ficano l'une delle altre soltanto per il grado. Ed allora fu, che nelle investigazioni diagnostiche si con- 128 Scienze fuse il sistematico coll'empirico; imperocché se questo trascurava lo studio delle cause prossime, perchè lo credeva superiore all'umana condizione; quello insfor- za del suo sistema credeva dannosa, o per lo meno inutile, la ricerca della diagnosi. Ed ecco che il troppo generalizzare dei sistematici, come il sover- chio particolarismo degli empirici, ci trascinano nel medesimo errore. Per sostenere un tal paradosso fa di mestieri abbandonarsi al più cieco emperismo, o d'invertire talmente l'ordine naturale dei fatti da poterne a proprio talento dedurne delle generalità le più manifestamente strane ed assurde. Desterà mera- viglia e somma sorpresa alla posterità , come l'elo- quente penna del Rostan (1) con impegno ed ener- gia soverchiamente siasi trattenuta a dimostrare 1' utilità della diagnosi ; e nel sostenere che il cie- co empirismo non è bastevole a rettamente stabi- lire il metodo igienico e terapeutico; e che le ma- lattie non sono identiche nella loro essenza. 286. Gli atti fisiologici, come 1' interata espe- rienza apertamente lo conferma , tutti indistinta- mente scaturiscono da una peculiare organizzazio- ne determinata in movimento dalle potenze ester- ne ; come del pari i patologici sono generati dal medesimo organismo in qualche modo alterato dal- le cause remote , o dalla perturbata correlazione dei poteri organici. Cosicché le malattie sono or- ganico-dinamiche , perchè composte di due ele- menti ; cioè dell' alterazione del composto organico e del disordine dinamico ; nel mentre che il per- vi) Corso di medicina clinica- Storia della vita 129 vertimento degli atti vitali dipendente dalla per- vertita correlazione dei poteri organici è assoluta- mente dinamico. Ma siccome da questa nostra pro- posizione potrebbe nascere una qnalche dubiezza ; così prima di più innanzi procedere stabiliremo , che nella denominazione generica di modalità or- ganica si comprende tutto ciò che esiste di mate- riale nella macchina animale. E perciò le malattie essenzialmente consistono nel disordine della com- posizione, e della simmetrica ordinazione del com- posto organico e dei fenomeni che ne derivano come effetti essenzialmente dipendenti dal processo morboso, e dalla perturbata correlazione dei poteri organici. Imperocché se pel difetto d' un principio elementare si altera la composizione chimica della bile , e del sangue ; così per la rottura di una fibra, di un nervo, o d' una arteria si disordina la composizione della macchina animale. Perciò sotto la generica denominazione di alterazione della mo- dalità organica comprendiamo tanto la soluzione di continuità, come Io sportamento delle fibre e de- gli organi ; e quelle alterazioni , le quali fortuita- mente avvengono nelle combinazioni chimiche, sia- no esse quantitative o qualitative dei solidi, e dei fluidi. Alle quali riportiamo eziandio le cause mor- bose che semplicemente circolano con gli umori , o sono interposte nei tessuti : come la spina di Wan-Helmonzio, che la crediamo causa remota del processo flogistico , e prossima dello spostamento della fibra organica ; ed il calcolo , che lo consi- deriamo come causa remota degli sconcerti dina- mici, e prossima della ritenzione dell' orina. G.A.T.CXXII. 9 130 Scienze 287. Gli atti vitali onde sussistano e regolar- mente si compiano, fa di mestieri, oltre la simme- trica composizione dell' organica modalità , d' un determinato numero di stimoli, che agiscano su di essa con una data forza. Altrimenti rimangono gli organi inoperosi, oppure gli atti deviano dalla ri- spettiva normalità. Nel primo caso, perchè manca l' azione delle potenze esterne ; e nell' altro perchè la diminuita o 1' accresciuta intensità disordina la reciproca corrispondenza dei poteri organici ; o es- senzialmente altera la composizione dell' organica modalità. Così rimane fermo , che l'azione degli stimoli e delle potenze morbose agiscono diretta- mente nell1 organismo ; e che i perturbamenti fun- zionali non possono esistere senza alterazioni del- l' organica modalità ; e senza perturbamento della correlazione o reciproco rapporto delle interne col- le esterne potenze. Esiste una corrispondenza tra il corpo animale e l1 universo ; e da questo reci- proco rapporto crediamo abbia origine così la vita e la nsorle, come la salute e la malattia. 288. Per determinare la ragione dei movi- menti naturali e preternaturali di una maechiua qualsiasi, prima d'ogni altro si porta l'analisi nelle parti che la compongono, e nelle reciproche cor- rispondenze; dipoi nella forza , la quale ne deter- mina il movimento ; ed infine nel moto regolare o disordinato che ne risulta. Nelle ricerche diagno- stiche, onde procedere con ordine , ci diportiamo nel medesimo modo; vale a dire prima di ogni al- tro consideriamo la modalità organica , di poi gli stimoli naturali e le potenze nocive , le quali ordi- Storia della viti 131 scono il processo morboso, ed infine gli atti preter- naturali che ne derivano. 289. Conosciuto il meccanismo degli organi , dei quali si compone l'organica modalità, e deter- minate le singole funzioni, le quali si appartengono agli umori ed ai tessuti, non che agli organi ed ai sistemi, ed agli apparecchi che risultano dalla loro unione, saremo a portata di conoscere per quali condizioni si mantiene la salute. Incognita allora non ci rimane la somma generica dei poteri, pei quali la si può alterare, ed alterata riordinare. Il modo d'esistere degli esseri organici varia nei singoli in- dividui; e se tutti costano dei medesimi organi, pure in essi diverse sono le corrispondenze o relazioni organiche; ed i sistemi, per modo d' esempio, non hanno costanti ed identici rapporti , i quali negli individui esistono costantemente nel medesimo modo. Per questo le preternaturali condizioni della salute o proclività morbose non sono in tutti le medesime; ed i rimedi non sono egualmente giovevoli nei casi che più si rassomigliano. Celso, seguendo Aristotele, stabiliva che i medici commettono gravissimi erro- ri, perchè si lasciano il più di sovente imporre dal- l'apparenza delle somiglianze. Al medico adunque , nelle ricerche diagnostiche, non è bastevole la sola cognizione della fìsica animale ; ma esso con ogni diligenza e circonspezione deve analizzare la costi- tuzione individuale. La diversità del sesso, dell'età, del temperamento, il vario genere di vita, le ma- lattie sofferte , e le idiosincrasie sono le principali fonti, dalle quali deve attingersi la somma delle occorrenti cognizioni. 132 Scienze 290. Il patologo quando stabilisce per assioma » che le eause predi-ponenti non agiscono senza il » concorso delle occasionali; e queste senza di quelle » ad evidenza spiega per quali ragioni quelli che si espongono ad un medesimo contagio non sono tutti del pari sottoposti al medesimo processo morboso ; e perchè quelli, i quali ne sono attaccati, non hanno la malattia nel medesimo grado; e nel mentre che alcuni muoiono , altri con facilità guariscono. Ciò dimostra, che l'azione degli stimoli, siano omogenei od eterogeni alla vita, corrisponde alla divesità della disposizione individuale: che è quanto dire al modo peculiare di esistenza, propria di ciascun individuo. Imperocché se tutti gli esseri viventi sono sottopo- sti ad alcune leggi generali e comuni; ciascuno poi ne ha delle particolari, per cui diversifica dagli altri individui della medesima specie. Per queste pecu- liari leggi o condizioni organiche siamo sottoposti in modo speciale ad alcune malattie, e meno a certe altre; e tanto queste, che quelle hanno una partico- lare forma; per cui dicono benissimo i pratici, che malattie simili non esistono. La disposizione indivi- duale si deve con diligenza e circonspezione analiz- zare, non solo per rilevare l'effetto del potere delle cause morbose; ma ancora per determinare l'azione dei sussidi terapeutici , che devono distruggere il processo morboso. 291. Quindi è che furono errati quei fisiologi, che stabilita in modo generico ed astratto la parte organica e dinamica degli esseri viventi, non tro- vano corrispondenza identica e costante tra l'azione degli slimoli , ed il modo di compiersi degli atti Storia della vita 133 vitali. Come del pari Io furono quei patologi , i quali dipartendosi dai medesimi falsi principii non ammettono corrispondenza tra causa morbosa e con- dizione patologica. Ma se il fisiologo nello studio degli atti vitali, ed il patologo in quelle dello stato di malat- tia posto avessero a calcolo quelle speciali leggi, per cui gli organismi diversi sono notabilmente gli uni dagli altri; con facilità avrebbero rilevato, che il po- tere diverso dello stimolo fisiologico , e della po- tenza morbosa, è in diretta corrispondenza colla con- dizione individuale. Un debole raggio di luce di- sturba grandemente l'occhio infiammato , o resosi oltramodo sensibile; e bastarono poche e deboli vi- brazioni sonore per fare cadere in deliquio alcuni individui affetti da tenia. Ciò dimostra come l'ef- fetto degli stimoli e delle potenze nocive sia in co- stante rapporto con quelle peculiari condizioni, in cui si trovano i differenti organi della macchina animale. I rapporti tra la causa e l'effetto , vale a dire tra lo stimolo e l'atto vitale, la potenza mor- bosa e la condizione patologica, esistono costante- mente. Il patologo rimane intimamente persuaso di questa verità ogni qualvolta pone a calcolo nelle ricerche diagnostiche la disposizione individuale. Quando non trova queste reciproche corrispondenze è infallibile prova, che non è a portata di stabilire quel peculiare momento di corrispondenze o rela- zioni organiche , il quale varia in tutti gli esseri organizzati ; ovvero che non diede giusto valore alle cause remote, e non le sottopose tutte all'analisi. 291. Se esiste una costante corrispondenza tra la causa remota e la condizione patologica , grave è 134 Scienze dunque l'errore dei dommatiei, i quali le trascu- rano. Quando il sistematico , disprezzando lo studio delle cause occasionali, mediante l'eliminazione pone in correlazione i sintomi essenziali col processo mor- boso nelle malattie di condizioni determinata , la cosa è razionale. Ma se l'eliminazione dei sintomi cade sulle malattie di condizione occulta ed inde- terminata; allora quale sarà il canone per istabilire il processo morboso , o per lo meno determinarne la sede ? In questo caso, rimane solo la corrisponden- za, la quale può esistere tra la quantità cognita con l'incognita; che per noi vi si interpone la medesima differenza, la quale passa tra l'esistente ed il non esistente: dove i rapporti sono nulli. Ma se si prende in considerazione la causa remota e si mette in cor- rispondenza con la disposizione individuale ed i sin- tomi, i rapporti esistono costantemente : così il pa- tema d'animo, il quale agisce in una donna nervosa, e sviluppa i sintomi dell'affezione isterica, ad evi- denza dimostra, che il processo morboso si è ordito nel sistema nervoso. Nel delirium tremens e nella colica saturnina in quante incertenze non si trova il clinico; nel primo caso per distinguerlo dalle al- tre pazzie che l'assomigliano, e nell'altro per ista* bilire che si tratta di malattia specifica? Negli avve- lenamenti il medico rimane costantemente dubbio- so; e non sa qual rimedio amministrare al suo infer- mo. Ma tosto si decide, determina la diagnosi e la cura, e salva da certa morte l' infermo se perviene a conoscere la sostanza venefica. 293. Ed ecco così, che le ricerche dganostiche razionali si versano prima di ogni altro sulla costi- Storia della vita 135 tuzione individuale, e non sulla fisica animale in generale ; mentre essa può solamente somministrare i materiali, dai quali si rilevano quelle peculiari leggi , le quali governano la modalità individuale. La causa remota ed i sintomi potagnomonici sono altri elementi, che sommamente interessano al cli- nico ; imperocché dai rapporti della causa remota con le individuali organiche condizioni, ed i sinto- mi essenziali, se ne deduce la condizione morbosa ; la quale fa di mestieri di metterla in corrisponden- za con le cause remote ed i sintomi essenziali. Quando avremo trovate le corrispondenze tra la cansa remota e quelle peculiari leggi proprie di ciascun individuo, e si avranno poste in correla- zione e reciproca corrispondenza, il processo mor- boso con la causa remota ed il sintomo patogno- monico ; allora saremo guidati per una serie di giu- dizi analitici ed induttivi ad una terapia razionale. Se gli effetti dei medicamenti corrispondono ai no- stri desiderii , saremo certi di avere conosciuta e rettamente determinata la causa immediata della pre- ternaturale organica modalità della vita individua- le; altrimenti il criterio a iuvantibus et laedentibas sarà una prova irrefragabile del nostro errore. Cosi studieremo di bel nuovo la condizione individuale , le cause remote ed i sintomi, e ne stabiliremo i re- ciprochi rapporti , onde rilevare la causa prossima ed il metodo curativo. Quando il prognostico , la cura igienica, e la terapeutica corrispondono alle aspettative del clinico, potremo essere certi, che egli con esattezza e circonspezione ha determinata la causa prossima o condizione immediata della pie- 436 Scienze ternaturale organica modalità della vita. Ed il pro- blema è risoluto. CAPO IX. Induzione della nuova modalità della vita. 295. Dalla cognizione integra e chiara della causa prossima o condizione morbosa, la quale de- termina la preternaturale modalità della vita , ne risulta la somma dei poteri dello stato di malattia, e quella delle attività organiche. I primi diretti a diffondere ed a perturbare maggiormente gli atti , nei quali consiste interamente 1' esercizio e la ma- nifestazione dei poteri organici ; gli altri a scioglie- re la condizione morbosa, ed a ricondurre all' or- dine consueto i movimenti dinamici perturbati. Dall' analisi esalta e circostanziata dell' azione e del- l'organica reazione o dell'antagonismo morboso de- terminato dalla condizione di malattia e dalle po- tenze organiche, ne discende qual immediata illa- zione, se la condizione di malattia, o la preterna- turale modalità della vita abbandonata alle semplici forze della natura abbia un esito felice, o funesto. Che se poi alla somma della attività organiche si aggiunge quella delle potenze medicatrici ; si determina allora rigorosamente e con la massima esaltezza la nuova modalità, la quale deve determi- narsi ; e si pronuncia quell' anticipato giudizio , il quale determina il succedimento dei fenomeni. 295. Il prognostico dei mutamenti o delle succes- sioni di modalità, tanto nell'atto del ritorno al con- Storia della vita 137 sueto stato , quanto nel maggiore disord inamento o nello scioglimento totale dell' antagonismo vitale, presenta infinite difficoltà. Mentre oltre la cogni- zione precisa della modalità o costituzione indivi- duale, della causa prossima e remota, e dei sintomi caratteristici, il medico, per quanto diligente e pe- rito esso sia , non è mai a portata di conoscere la vera azione dei medicamenti , né 1' amministra- zione esatta e circonspella delle rispettive ordina- zioni. Alle quali difficoltà aggiunta la pertinacia dell' infermo e degli assistenti, i quali sempre ag- giungono o tolgono qualche cosa alle prescrizioni del medico : ecco come nell' esercizio pratico della medicina il pronostico riesce spesso fallace. 138 Della vita e delle opere di Guido Bonatti, astrologo, ed astronomo del secolo decimoterzo. Notizie raccolte da B. Boncompagni. u n' antica traduzione italiana della vita di Guido Bonatti, scritta in lingua latina da Filippo Villani, fu nel 1747 pubblicata in Venezia, dal conte Giamma- ria Mazzuchelli (1), e nel 1826 ristampata in Firen- ze (2). Il testo latino, finora inedito, di questa vita trovasi manoscritto nel codice n.° 898 della biblio- teca Barberini di Roma. In questo codice, a car- te 68, verso 69, e 70 recto, si legge quanto segue (3): De Guidone Bonatti illustri astrologo. Inter artes liberales, astronomia, tum procerum tum vulgi opinione , (4) confercntis boni grafia prò maxima celebrata est: eo enim usque mortalium cura producta est, ut futura, quae soli Deo, vel cui reve- (1) Le vite d'uomini illustri fiorentini scritte da Filippo Villa- ni, ora per la prima volta date alla luce, colle annotazioni del conte Giammaria Mazzuchelli. Venezia 1747, in 4.° p. LXXIII— LXXVI. (2) Le vite d'uomini illustri fiorentini, scritte da Filippo Villani, colle annotazioni del conte Giammaria Mazzuchelli. Edizione secon- da. Firenze 1826, in 8.° p. 41—44. (3) L'ortografia di questo testo s'è mutata in parte, specialmen- te nella interpunzione, a fine di rendere più facile la lettura del testo medesimo. (4) Il codice ha oppinione. Vita di Guido Bonatti 139 laverit ipse, nota sunt , scire volueril; et quod Deus, bono generis humani, lettere vohiit, et nostro inlelleclui denegavit , nos coeli syderumque mota , et slatione servala, de abgsso aeterni (1) consilii conemur eruere. Angimur miseri, quo nescio urgente falò, de futuris cvcnlibus , eaque vexali inquietudine , etiam mulier- culis divinandi scienliam pollicentibus , quod turpis- simum est, aurem eredulam adlùbemus. Ah hac ergo fascinalae (2) mentis sollicitudine, et aslrorum, et au- gurandi scientiae profectae sunt. Mos enim antiquis fuit romanis, praesertim quibus publice cura vel domi, vel foris demandaretuì% nihil (3) inauspicato moliri. Mos fuit regibus, atque tyrannis, quibus, conscientiae aculeo, futura formidolosa sunt, peritos mutheseos con- sulere, ut laudabili sydere motus maximos, vel inchoa- rcnt, vel praecaverent. Neque his (4) solum ea cura fuit in rebus arduis atque periculosis , neque etiam viris nobilibus, quorum proles potuerit sperari celsiora prospicere, ut scilicet scirent unde possent ad locum la- lem aliquando conscendere; sed etiam plebeiis (5) sorlis extremae sollicitudo fuit hoc scire; quorsum evaderent exeuntes ex eis polestates. Ea demenlia in pretto gen- tile populi arles tales fuere, quibus existimarent fu- turos eventus eludere posse, seu anticipare Consilio. Un- de in errores turpissimos , et calamitates multas et irreparabiles (6) incurrebant. At poslquam soljustitiac (1) Il codice ha eternit. (2) Il codice ha fascinale. (3) Il codice ha nichil. (\) Il codice ha hiis (5) Il codice ha plebeis. (6) Il codice ha inreparabilcs. 140 Scienze mundo illucescere cepit , anguria penitus oblillerata sunt , caeteraeque sordes futura praenoscendi conti- euere , sola manente astrorum scientia. Igitur cum astrologia censura ecclesiae non sit usquequaque dam- nabilis, multi rectae fìdei cultores ad ipsam artem stu- dia posuerunt, inter quos, ex noslris , Guido Brunet- ti (]) maxime floruit. Verum quia quanto animus eelsior est, tanto UH , ex ignobili offensione , fortior promptiorque indignatio; nemo enim, vel palientissi- mus, aequo feret animo innocentiam suam plebeiis (2) machinalionibus (3) violar ì; nemo latrunculorum atque sicariorum labefactari contumeliis: (ei enim ego fer- reum pectus ausim a/firmare, qui, animi tranquillitale, hujuseemodi acerbissimos insultus aequanimiter tolera* re (A) potuerit): de hae animi magnitudine atque digni- late Guido Bonatti iralus, cum esset florentinus ori- gine (5), de Foro Livii (6) se maluit appellari. Verebor igitur umbris suis, ubicumque eas, conscientiae staterà, locaverim, ne sim iniurius, si, contra propositum animi sui,ipsum lenlaverim meis florentinis illuslribus aggre^ gare. Iniuriarum siquidem multitudine, quibus turpi- ter, impudenterque, in se-, suisque, fueral offensus ab ipsis de adversa facilone, qui vicerant, celeberrimum originis locum repudiare compulsus est; ni si dixerim ipsum eleclione sua foroliviensem, genitura Fiorenti- li) Così nel codice per Bonatti. (2) Il codice ha plebeis. (3) Il codice ha macchinationibus. (4) Il codice ha tollerare. (5) Il codice ha orrigine. (6) Il eodice ha forolivij. Vita di Guido Bonatti 141 nutrì: sicque profitebor, illuni, ex irati animi indignato- ne, sibi constituisse quid ei placuerit, me, ex veritale qaae scripserim. Fuit sane quicquid ipse iralus loquatur de oppido Casciae (1) oriundus, familia, prò loci qua- litate., satis antiqua; primosque adolescenliae suae dies civilibus ediscendis legibus solerter impendit: quo in studio satis adeptus est. Ceterum, cum siderum dispo- sìtiones devitare penitus, vel evertere difficile sit, Guido, tnotus coeli inclinalione, legibus der elicti s, studio astro- nomiae cepit feliciter inhaerere, eaque ductus volu- ptate (2), curis omnibus aliis penilus relaxalis, eius artis consideratone vigilanter intenditi in qua anti- quorum nobilissima ingenia coaequavil, et, ne dictu superbum forel, fortasse etiam superavit: in judiciis enim particularibus, quod raro solet accidere, veridicus reperlus est. Inter haec tempora, dum suis studiis Gui- do contenderei, quibus se in dies meliorem oslenderet, Guido alter emersit, qui fuit Moutis Feretri comes, vir plenus astu omni atque sagacia, ila ut novus Ulixes, apud ylalos putaretur, qui ea tamen fama insignis fuit, Guidonis Bonatti non secus quam proprio: nihil Co) enim arduum comes Guido, sine Guidonis Bonacti ju- dicio ausus est attentare, et sic, quidquid vulpes illa versulissima gloriosum peregit, de sinu Guidonis Bo- nacti proponendum omne prevenit. Ipse quippe Guido Bonacti aeream statuam equitis armali fieri fecit, non arte magica, ut infamatores sui nominis voluerunt , sed astrologia^ diligenlia et observatione, quam quidam (i) II codice ha cascie. (2) Il codice ha volluptate. (3) Il codice ha nichil. 142 Scienze retulerunt certis temporibus aliqua de fuluris eventibus praemonere; de qua ereditimi est manasse , (si quid tamen astronomis credi potest) , multos profectus co- mitis in adepti one et gubernatione Romandiolae, cui ali- (juamdiu lyraìinice praefuit, et pracsertim circa lega- tiones terrarum foroliviensium, quae semper obslinato proposito, dominio ecclesiae fuere rebelles, sallem in animo. Statua haec, tempore quo Acgydius hispanus (1) cardinalis prò romana ecclesia Romandiolae imperabat, dìini in Foro Li.vii(2) casualiter foderetur,repertaesl, et vulgo oslensa, ut inde intclligerent se impio dominio conlra eeclesiam militasse. Amplius relalum vetere fama est, quandocumque, ad quameumque rempublicam, se Guido comes destiualione praeparasset, tunc Guidonem Bonacti, in campanili Sancii Mercuriulis consideratimi sijdera consedisse, atque praemonuisse comilem, ut ilio in momento, quo tintinnimi nolae primitus audiret, una cimi suis indueret arma; ad seeundum equos ascende- rei^ ad tertium, raplis signis, velociter equilarent: in- deque inventum, experientia teste, aiunt Guidonem co- miteni egregia multa forliler peregisse. Hic homo, dum viverci, de laboribus suis noluil posteros fraudare. Com- postiti siquidem in arte aslrologiae latissimum valde et utilem librimi, qui reputatus est, iudicio peritorum, emendalissimus et snbtilis ; in quo antiquorum multo- (1) E da credere che il cardinale, di cui qui parla Filippo Vil- lani, sia Egidio d'Albornoz, nativo di Cuenca, città di Spagna. Si sa che nel 1353 papa Innocenzo VI spedì questo cardinale in Italia, in qualità di legato, e di generale, a fine di riconquistare gli stati della chiesa. (2) Il codice ha foroliviì. Vita di Guido Bonatti 143 rum senleuliis ordinalissime recitatis , mirabililer et ('esiine docuit de futuris evcntibus indicare. Obiit tan- dem, dierum piemie, adì tue contile Guidone vivente, qui, una cum multo foroliviensium concursu, in sancto Mercuriali ossa sua honoriftee lumulavit. Guidone Bo- nacli perdilo, Guido comes spem tenendae tijrannidis penitus dereliquit , sumptoque ìtumili habilu sancii Francisci religionem professus, in qua minor frater inter minorimi fratres, de Itac luce migravit; multi enim, eius sporlula, paneni in ìtelemosina, omni vitae prioris faslu deposilo, precare viderunt. Il codice n.° 898 della biblioteca Barberini con- tiene un'opera di Filippo Villani, divisa in due li- bri, il primo de'quali tratta dell'origine ed antichità di Firenze. Nel secondo libro di quest'opera, com- posto d'un proemio, e di trentadue capìtoli, si tro- vano le vite di alcuni uomini illustri fiorentini. Il testo latino, da me riportato di sopra, della vita di Guido Bonatti, forma il capitolo vigesimolerzo di que- sto secondo libro. Ciò fece conoscere fino dal 1772 il P. ab. D. Mauro Sarti, indicando il capitolo me-» desimo cosi: Cap. XX.III, De Guidone Bonatti illustri astrologo (1). Nel redo della prima carta del suddetto codice Barberiniano n.° 808 trovasi il titolo seguente: Domini Filippi Villani Solitarij de origine Civilalis Florentiae et de eiusdem famosis Civibus ad illustr&m Dominimi (1) De claris Archigymnasii Bononiensis professor ibus a saeculo XI usque ad saeculum XIV (auctoribus Mauro SarLi et Mauro Fat- torini). Bononiae 1769-72; i tomo, in 2 parti, in log., tomi I, pars II, p. 205, col. 1. (Jppcndix Monumentorum mim. XII ). 144 Scienze Filippum de Aleconio Episcopum hosliensem Romanae ecclesiae Cardinalem liber primus feliciter incipit. A tergo della carta 49 del codice stesso si legge: Pili- lippi Villani Solitari] de origine Civilatis Florentiae et de eiusdem Famosis Civibus ad illustrem dominimi Phi- lippum de Alenconio episcopum osliensem Romanae ec- clesiae cardinalem liber primus felicitere xplicit,et se- cundus de Illustribus Florenlinis feliciter incipit. Il car- dinale Filippo d'Alencon, a cui questi due libri so- no dedicati, era vescovo d'Ostia fino dal 1387; ciò essendo dimostrato, come avverte il Tiraboschi (1), da un Breve d'Urbano VI, pubblicato dal P. De Ru- beis, che porta la seguente data: Dat. Perusii V kal. decembris Pontificatus nostri anno decimo (2) cioè : Perugia ai 27 di novembre del 1387. Di fatti leggesi in questo breve : « Yen. Fratrem nostrum Philippum Osliensem funi sabinensem Episcopum (3) ». Il cardi- nale Filippo d'Alencon tenne il vescovato d'Ostia fino al 1397 (4) nel qual anno morì (5). La soprammentovata opera di Filippo Villani trovasi anche manoscritta nel codice della biblioteca Laurenziana di Firenze, contrassegnato Plut.LXXXIX (1) Storia della letteratura italiana di Girolamo Tiraboschi. Mi- lano , 1822-24; 10 tomi in 16 volumi in 8." t. V, p. 615, lib. Il, cap. VI, paragr. XVI. (2) De Rubeis (Io. Frane. , Bernardus, Maria) Monumenta Eccle- siae Aquileiensis. Argentinae 1740, in fol. , col. 980. (3) De Rubeis Monumenta ecclesiae Jquileiensis, col. 979. (4) Tiraboschi 1. e. (5) Memorie sloriche de'Cardinali della Santa Romana Chiesa scritte da Lorenzo Cardella. In Roma 1792-97, 9 tomi in 8°, t. II, p. 252. Vita d/ Gdido Bonàtti 145 Iofer. n.° XXIII. Manca per altro io questo codice la vita di Guido Bonatti, come ha recentemente av- vertito il sig. avvocato Gustavo Camillo Galletti; giacché parlando del codice medesimo egli scrive quanto segue (1): » In esso codice è l'opera (del » Villani ) divisa in due libri , trattando il primo » dell'orìgine di Firenze, e di questo per contenere » i soliti racconti in gran parte riconosciuti per fa- » volosi, e datici anco dal Malcspini e da Giovan- ni ni Villani, poco più che il Proemio si è creduto » di dare ora in istampa. » Il libro secondo poi, che tratta dei di lei h Uomini Illustri, e che veduto in antico da Dome- »> nico di B andino, da Giannozzo Marietti, dal Vol- » lerrano e da altri fornì loro le aneddote notizie y> che negli scritti loro si riscontrano; oltre al pre- ti sentare notabilissimi passi tralasciati dal volgariz- » zatore, siccome dal prefato Mehus, nella dotta Pre- » fazione all' Epistole del Traversare, e prima dal » P. Leonardo Ximenes nella celebre Introduzione » all'Opera sullo Gnomone Fiorentino (Firenze 1757, ») in U. fig.) venne osservato, contiene di più del Com- » pendio volgare le vite di Dante e del Petrarca » (recentemente sopra l'altro solo Codice che di que- » st'Opera si conosca in Firenze nel 1826 dal be- »> nemerito Moreni, sebben manchevoli, come può (i) Philippi Fillani liber de civiìatis Florentiae famosis civi- bus ex codice Mediceo -Laurentiano nunc primum editus et de flo- rentinorum litteralura principes fere synchroni scriptores denuo in lucetti prodeunt cura et studio Gustavi Camilli Galletti. Florentiae 1847, in 4.° p. IV, V ( prefazione). G.A.T.CXXII. 10 146 Scienze » -vedersi coi confronto colla nostra edizione, stami » paté) di meno poi quella di Guido Bonatti, che » di fatto pare debbasi convenire esser piuttosto » Forlivese ('). (') » Che fosse veramente Forlivese sembra da » non porsi in dubbio dopo i riscontri cumulatine » dal Mazzuchelli, e ultimamente dal Ch. Sig. Pel- » legrino Canestri Trotti ne'suoi Brevi Cenni sulla » vita e sulle opere di Guido Bonatti pubblicati ita » elegantissima edizione per nozze Salili e Visconti - » Aimi, Bologna alla Volpe (1844) in 8. » I dotti imparziali giudicheranno se i riscontri cumulati dal Mazzuchelli, e dal sig. Canestri Trot- ti, abbiano maggior valore dell' autorità di Filippo Villani , il quale chiaramente dice che Guido Bo- natti fu fiorentino, e che pel suo sdegno contro Fi- renze volle chiamarsi Forlivese. Guido Bonatti iratus cum csset florenlinus origine de Foro Livii se maluit appellari. Varie differenze si osservano fra il codice Lau- renziano Plut. LXXXIX Inf. n.° XXIII, ed il Bai- beriniano n.° 898. Nel primo in fatti Filippo indi- rizza la sua opera ad Eusebio suo fratello mentre nel secondo la dedica al cardinale Filippo d'ÀIen- con (1). I titoli e gli argomenti sono in gran par- te diversi ; ed un compendio della storia di Fran- cia, che nel codice Barberiniano 898 è incorporato al libro primo, manca nel Laurenziano, e trovasi in un codice al tutto diverso della biblioteca stessa (2). (t) rimboschi, Storia della letteratura italiana, t. V, p. 615, lih. II, capo VI, parag. XVI. (2) Tiraboschi I. e. Vita di Guido Bonatti 147 La vita di Guido Bonalli, che trovasi nel Barberi- niauo, manca, come si è già detto, nel Laurenziano. Panni adunque che questi due codici si debbano riguardare come due diverse edizioni d'una mede- sima opera. Il signor avv. Gustavo Camillo Galletti dice (1) che frutto di seconde cure è da ricono- scersi esso Codice della Biblioteca Barberini. Proba- bilmente questo codice contiene la seconda edizione dell'opera suddetta del Villani, nella quale edizione il Villani medesimo avrà aggiunto la vita di Guido Bonatti, da me riportata di sopra, la quale doveva mancare nella prima. Il sig. Libri giustamente dice: » Ce n'est pas seulement depuis l'invention de l'im- » primerie que les ccrivains ont donne différentes » éditions de leurs ouvrages. Ce sout ces diverses » éditions qui ont produit souvent ces variantes )> qu'il est presque impossible d'altribuer à des fau- » tes des copistes, et qui font le désespoir des édi- » teurs modernes, lorsqu'ils parlent de ce principe » faux, que les anciens ccrivains n'ont pas pu cor- » riger leurs ouvrages après les avoir publiés (2) ». Il Bandirli dice che il codice Plut. LXXXIX Inf. n.° XXI della biblioteca Laurenziana di Firenze è del principio del secolo decimoquinto (3). Il chia- mi) Philippi Villani liber de civitatis Fiorentine famosis civibus p. IV. Prefazione, parag. I. (2) Histoìre des sciences mnlhémaliques en Italie, depnis la re- naissance des lettres, jusqiià la fin du dix-séptième siede, par Guil- laume Libri. A Paris, 1838 41, 4 lomi in 8° t. lì, p. 24, nota 1. (3) « Codex cliartac. ms. in 4° min- sacc. XV ineunti» » (Calalo- gas cotlìcum latinorum bibliothecae Medicene Laurent innac, Angelus Maria Bandinius recensuit, illustrava, edidit. Ilorenlìae 1774 77 , 4 tomi in Col. t. Ili, col. 383., Plut. LXXXIX. Ini., CoJ. XXIV). 148 Scienze rissimo sig. Ab. Luigi Maria Rezzi, ora bibliotecario della Corsiniana, attribuì la medesima età al codice Barberiniano ri." 898, secondo che attesta il Moreni(1). Tre brani del testo latino, da me qui riportato, mancano nella traduzione italiana, pubblicata dal Mazzuchelli,delle vite d'uomini illustri fiorentini scrit- te da Filippo Villani. Questi brani sono i seguenti: 1.° Dal principio Inter artes ìiberales fino a censura ecclesiae non sit usquequaque damnabilis (sopra, pag. 140 Iin. 4, 5 ) 2.° Tutto il brano che incomincia: ei enim ego (sopra, pag. 140, lin. 12) e finisce lolera- re potuerit (sopra, pag. 140, lin. 14 e 15). 3.° Tutto il periodo che incomincia Iniuriarum siquidem (sopra, pag. 140, lin. 21 e finisce ex ventate quae scripse- rim (sopra, pag. 141, lin. 2,3). La traduzione italiana stampata della vita di Guido Bonatti incomincia cosi: » Infra i molti cultori della vera fede, che all'astro- » logia si dettero, fiorì eccellentemente Guido Bo- » natti, il quale fu fiorentino; ma perchè quanto l'ani- » mo è maggiore, tanto la indignazione è più forte, » perocché nessuno è sì paziente, che possa sofferire, » la sua innocenza da' plebei essere violata, né da' » viziosi e tristi essere offeso; per questa grandezza » dell'animo Guido Bonatti sendo adirato, volle, sen- (1) « Il Bandirli nel T. Ili del suo Indice col. 383 lo dice scritto » verso la metà della prima decade del secolo XV; e tale appunto » è il sentimento di Mons. Rezzi in rapporto al codice della Bar- » heriniana ». (Vitac Danlis, Petrarchae, et Boccaccii a Philippo J Manin scriplae, ex codice inedito Barberiniano. Florentiae, 1826, in 8°, p. XVI, nota i ). Vita di Guido Bonatti- 149 » do fiorentino, esser chiamato da Forlì (1) ». Il tra- duttore incominciò a voltare dalla parola quos: ma invece di tradurre letteralmente i quali, il che sarebbe stato oscuro, pose i molti cultori della vera fede, giacché in fatti poco prima della parola quos nel testo latino si leggono le parole multi recte fidei cul- tores , alle quali il relativo quos si riferisce. Nel- le precitate edizioni della traduzione italiana si leg- ge: Fu Guido, ciò che altro sì dica .... nato di Ca- scia (2). Il dottissimo antiquario e letterato Gio- vanni Lami, fino dal 1748, aveva indicato il modo di riempire questa lacuna, dicendo in un suo pre- gevole articolo sulla prima edizione della versione medesima (3): ù Ove è la lacuna a pag. LXXIII e » LXXIV si restituisce col MS. Riccardiano: Fu Gui- » do, ciò che altro se ne dica irato, nato di Ca- » scia ecc. Un testo a penna scritto nel 1475 dal » signor dottor Giuseppe Brocchi stato di fresco re- » galato al sig. Marchese Suddecano Gabriello Ric- » cardi, ha: Ciò che altro dica irato ec. » A tergo della carta 206 del codice n.° 1849 della biblioteca Riccardiana di Firenze si legge: fu Guido ciò che altri se ne dica irato nato di Casciu. (1) Le vite d'uomini illustri Fiorentini scritte da Filippo fil- lani. Venezia 1747, p. LXXIII. (2) Le vite d'uomini illustri Fiorentini scritte da Filippo l'U- lani Venezia 1747, p. LXXIII, LXXIV (erroneamente numerala LXXX). Le vite d'uomini illustri Fiorentini scritte da Filippo Villani. Edizione seconda, Firenze 1826, p. 42. (3) Novelle letterarie di Firenze, Anno 1748, num. 22, col. 3*3. 450 Scienze Nel recto della caria 244 del codice n.° 1162 della medesima biblioteca Riccardiana si trovano le paro- le seguenti: Fu Guido ciò eli altro si dica irato na- to di Cascia. In un codice della biblioteca Maglia- bechiana di Firenze contrassegnato Patch. 10 n.° 33 Conventi soppressile proveniente dalla Badia di Ripoli a tergo della carta 18 si legge: Fu G Imi do co (ciò) chaltro lui si dieha irato nato di Cascia. Due altri codici della Magliabechiana cioè il n.° 123 della clas- se IX, sul recto della carta 29, ed il n.° 556 della classe XXV, sul recto della carta 205, hanno. « Fu « Guido ciò che altro, si dica irato nato ecc. ». In al- tri due codici Magliabechiani cioè nel n.° 28 del Palch. 9 a tergo della carta 40 e nel n.° 33 del Palch. 10 a tergo della carta 20 si legge : « Ciò chaltro si » dica irato ». Il codice della biblioteca Laurenzia- na di Firenze Plut. LXI n.° XLI nel recto della carta 65 ha: Fu Guido ciò eh' altro si dica irato nato di cascia. Guido P>onatti nacque certamente in Cascia vil- laggio della Toscana nel Val d'Arno superiore. Fi- lippo Villani ciò attesta scrivendo: Fuit sane (Gui- do Bonatli) quicquid ipse iratus loqualur de oppido Casciae oriundus (1). Nella traduzione italiana, pub- blicata dal Mazzuchelli, della vita di Guido Ronat- ti„ scritta dal Villani, si legge: fu Guido . . . nato di Cascia (2). Il Lami dice: » Cascia in Ialino Ca- li) Vedi sopra, p. 141, lin. 3, 4. (2) Le vite d'uomini illustri fiorentini scritte da Filippo Villani. Venezia 1747, p. LXXIÌI, LXXIV. Vedi sopra, p. 149. Vita di Guido Bonatti 151 )> xa è in oggi UH villaggio con Piove dedicata a » S. Pietro, nel Piano di Sco, nel Valdarno di so- J) pia (1) ». Il Sig. Emanuele Repetti scrive: » CA- » SCIA (Cassia) nel Val-d'Arno superiore. Contrada >, da cui presero il titolo due castelli, l'antica Pie- » ve di S. Pietro a Cascia e tre parrochie dello * slesso piviere nella Comune Giurisdizione e uno y, in due miglia a scirocco di Reggello, Diocesi di » Fiesole, Compartimento di Firenze (2) ». Il sig. Canestri Trotti scrive (3): « Egli è vero » del pari ciò che coli' autorità del Villani asseri- » sce il Poccianti, e cioè che in Firenze o piuttosto » in Cassia la famiglia Bonatti fosse nel 1220 se- » condo il luogo assai antica, aggiungendo che nel- » l'Archivio del vescovato di Firenze si conserva un » rogito del 1221 di ser Bonatto, ch'egli fa padre » di Guido ». Non saprei a chi si debba riferire questo secondo egli. Certo è che ne il Poccianti, né il cavalier Viviano Marchesi, poco più sopra citalo dal sig. Canestri Trotti (4) parlano di ser Bonatto (1) Novelle letterarie di Firenze, an. 1748, col. 343, 346. (2) Dizionario geografico, fisico, storico della Toscana, conte- nente la descrizione di lutti ì luoghi del Granducato . Ducalo di Lucca Garfagnana, e Luigiana, compilato da Emanuele Jìepclti. Fi renze 1833—46, 6 voi. in 8", voi. I, p. 499, col. 1. (3) Brevi cenni sulla vita, e sulle opere di Guido Bonatti, pubbli ■ cati per le nozze del conte Ferdinando Sauli di Forlì, colla Mar- chesa Antonietta Visconti Almi di Milano, seguite nella primavera del MDCCCXLIV. Bologna (1844), Tipi Governativi alla Volpe, iti 8°, p. 11. (4) Brevi cenni sulla vita, e sulle opere di Guido Bonatti, p. 10. 152 Scienze o del padre di Guido. Il Lami per altro nel soprac- citato suo Ragguaglio sopra le vile degli uomini illustri scritte da Filippo Villani dice: » La vita di » Guido Bonatti che succede , ha ancora bisogno » di essere castigata e supplita; io lo farò in qual- » che luogo, e intanto io dubito che questo Guido » non fosse figliuolo di Ser Bonatto Notaio, il quale » trovo rogato in Islrumento del 1221 nel Registro » del Vescovado fiorentino (1) ». Neil' archivio dell' arcivescovato di Firenze si conserva un manoscritto intitolato Bullettone , che incomincia così: « In Xpi Nomine Amen. Hoc est re- gistrum, repertorium, et inventarium factum de Bo- nis et Juribus episcopatus Fior, eadem episcopatu vacante per morteni bone memorie domini Antonij olim episcopi fiorentini per nobiles et egregios vi- ros etc. etc. scriptum per me Iohannem Arrighetti notarium infrascriptum in anno Domini millesimo trecentesimo vigesimo tertio, indictione sexta. Tem- pore sanctissimi Patris domini Iohannis divina pro- videntia pp. vigesimi secundi supradicta sede va- cante in Episcopali palalio et publicatum die quar- todecimo mensis Maij presente ser Iohanne Vieri not. qui mecum se subscribere debet et presenti- bus testibus ». Il notaio ser Bonatto trovasi menzio- nato nei seguenti passi di questo manoscritto: « Qualiter dominus Iohannes episcopus florenti- nus cassavit electionem factam de Presbytero Ama- ti) Novelle letterarie di Firenze, anno 1748, i. e. Vita di Guido Bonatti 153 dorè in ecclesia sancii Andree de fabbrica per do- minimi Bencivennem plebanum plebis de Campoli ut coustat ex imbreviaturis ser Bonacti notarii sub millesimo dugentesimo quinquagesimo octavo pridie ydus aprilis indictione prima que imbreviature sunt in episcopatu (1). » « Qualiter reperitur quoddam instrumentum con- tinens servitia que debentur episcopatui fiorentino in Petruolo et eius Curia per homioes ipsius loci. Carta manu Bonacti notarii sub M.° CC" XX.0 quar- to nonas Martii indictione nona (2). » « Qualiter dominus Iohannes episcopus supradi- ctus excomunicavit et anatematizayit omnes homines de Sexto et ipsius plebalu qui ingiuriabantur et mo- lestabant ipsum episcopum et episcopatum de juri- bus pertinenlibus eidem in dicto plebatu de Sexto. Carta manu Bonatti notarii sub M°. CC° XVII0 X'\ Kl. aprilis indictione Vili'1 (3). » « Qualiter dominus Iohannes episcopus florentt- nus reasciavit Accorrem filium olim Aringhi de quo- dam resedio et poderi posito ad Capalle quod po- dere olim tenebat Belchiarus quondam Piatoli fide- lis et colonus episcopatus fiorentini de quo pode- ri idem Aringus proinde equum tenere et illa ser- \itia prestare dicto episcopatui que idem Belchia- rus prestabat. Carta manu Bonatti notarii sub M°. CC° XVIII0 ydus decembris indictione VUa (4). » (1) Bullettone, carta 13, verso. (2) Bullettone, carta 71, recto. (3) Bullettone, carta 77, reeto. (4) Bullettone, caria 82, recto. 154 Scienze « Qualiter quidam consules de Capalle deputati ad reinveniendum avere et ima dicli comunis con- dennaverunt quosdam ad restii uendum certam pe- cunie quantitatem. Carta manti ser Bonatti notarii sub M°. CC° XXXIII0 pridie idus novembris indi- elione Vili'1 (1). » « Qualiter Pierus olim Ugolini de Montebivano iuravit obedire mandatis domini lohannis episcopi fiorentini. Carta manu Bonatti notarii sub M.° CC.° LXXXXVI.0 nonis octobris indictione octava (2) ». « Qualiter Ugolinus Bellamoglie de dicto Burgo ( ad Sanclum Laurcnlìum de Mucello ) recognovit se esse hominem et eolonum domini episcopi et epi- scopati^ fiorentini et proinde dare et solvere annua- tim perpetuo dicto episcopatui unum par caponum et quedam alia servitia facere. Carta manu Bonatti notarii sub M.° CC.° XVII1I.0 ydus novembris in- dictione octava (3). » » Qualiter dominus lohannes episcopus florenti- nus reamasciavit Martinum Fantinelli de quodam re- sedio posito a la Valle de quo dare et solvere pro- inde dieto episcopatui annuatim soldos sedecim pi- sanorum veterum et unam gallinam. Carta manu ser Bonatti notarii sub M.° CC.° XXI.0 sexto kl. maii indictione nona (4). » » Qualiter Bonsignore Aldibrandini de Rostolena (1) Bullettonc, caria 82, verso. (2) Bullettone, carta 86, verso. (3) Bullettone, carta 102, recto. (4) Bullettone, carta 106, recto. Vita di Guido Bonatti 155 taravi t fidelitatem episcopatui florcntino. Carta manti ser Bonatti notarii sub M.° CC.° XX.0 indictione nona XIII.0 kl. martii (1). » » Qualiter dominus Iohannes episcopus florentinus emit a Strinato Cacciaguerre clecem et septem petias terrarum positas Carta manti Bonatti sub M." CC.° XX.0 pridie ydus febr. indictione Villi3 (2). » )> Qualiter Gianni Corbaccionis finivit et refuta- vit domino lohanni episcopo fiorentino et episcopa- tui orane ius quod habebat et eidem pertinebat in quadam petia terre posila in populo sancti Cresci ad Valcavam loco dicto fontefredda. Carta marni Bonatti notarii sub M.° CC.° LXXXXIIII.0 ydus martii indictione IIII.a (3). » « Qualiter Gianni fìlius Peruzzii vendidit domino lohanni episcopo fiorentino et episcopatui unam pe- tiam terre positam a Competri. Carta manti Bonatti notarii sub M°. CC° XXI0 tertio Kl. maii indictione vnir (4). » « Qualiter Ferrabecchtis quondam Guiduccii ven- didit domino lohanni episcopo fiorentino et episco- patui quoddam resedium ctiin quibusdam petiis ter- rarum positis .... Carta manti Bonatti notarii sub M°. CC° XXI0 indictione nona tertio kl. maii (5). » « Qualiter Bencivenni del Bene fuit confessus et (1) Bulleltone, caria 113, recto. (2) Bullettone, carta 134_, verso. (3) Bullettone, carta 136, recto. (4) Bullettone, carta 136, verso. (5) Bullettone, carta 137, recto. 156 Scienze recognovit se esse hominem et colonum episcopatus fiorentini et ita fuisse eius patrem et proinde sta- re et morari in resedio dicti episcopatus et iuravit fidelitatem dicto domino episcopo. Carta manu Bo- natti notarii sub M°. GC° decimonono nono kl. no- vembris indictione octava (1) ». « Qualiter Cencius Rodulfini obtulit et concessit episcopatui fiorentino quedam antiqua servitia que habere tenebatur et debebat a Fantinello de Mon- tagnano. Carta manu Bonatti notarii sub M°. CC° XX0 kl. decembris (2) ». Non si sa in quale anno Guido Bonatti nasces- se: ma certamente, come avverte il Tiraboschi (3), egli era già vivo, ed in età da poter conoscere altri nel 1223; giacché egli narra che in quell'anno vide in Ravenna un certo Riccardo, il quale diceva d'avere quattrocento anni, e d'essere stato ai tempi di Carlo Magno. Et vidi Ricardum Ravennae, così il Bonatti scrive , aera Christi millesima ducentesima vigesi- ma lertia (4). Doveva anche il medesimo Guido esser uomo di qualche autorità nel 1233, giacché parlando egli del celebre fra Giovanili Schio da Vi- cenza dell'ordine de'predicatori, dice ch'ei fu il solo che ricusasse di venerarlo come uomo santo, e che per ciò era dal popolo considerato come empio ed (1) Bullettone, caria 144, recto. (2) Bullettone, carta 167, verso. (3) Storia della letteratura italiana di Girolamo Tiraboschi, t. IV, p. 262, lib. II, capo II, paragr. XIV. (4) Guidonis lionati foroliviensis mathcmatici, de astronomia, tractatus X, Basileae, anno 1550, in fol. , col. 209. Vita di Guido Bonatti 157 eretico (1). Secondo il Tiraboschi (2), questo passo medesimo dimostra che Guido Bonatti era allora in Bologna, ove forse egli aveva fatto i suoi studi, ed ove sembra che avesse conosciuto Pier dalle Vipne. È certo che nel 1233 F. Giovanni da Vicenza com- mosse colla sua apostolica predicazione a non più veduto rumore la città di Bologna (3). Di fatti in un'antica cronaca di Bologna, pubblicata dal Mura- tori, si legge, sotto il medesimo anno 1233, quanto segue: « Venne a Bologna uno dell' Ordine de'Pre- » dicatori, che avea nome frate Giovanni da Vi- >• cenza, che per tal modo predicava al Popolo, che >» tutti i Cittadini, Contadini, e del distretto di Bolo- » gna gli credevano, e seguitavano alla predicazione » e comandamenti, e con Croce, e Gonfaloni, e in » ispezie le genti d'arme di Bologna. E fece fare » infinite paci nella Città, Contado, e distretto di » Bologna. E fece rilasciare tutti i prigioni dalle »> carceri di Bologna. Comandò a tutti, che in o„ii » salutazione sempre s' invocasse il nome di Gesù » Cristo. Vietò, che le donne portassero il capo or- » nato di frange, e di ghirlande. Tutti gli Statuti di » Bologna gli furono dati, perchè gli ornasse a suo » arb.tno. Ogni uomo grande e picciolo il segui- » tava con bandiere, e incensi, sempre benedicendo (1) Tiraboschi I. e; « Nec erat aliquis ai.sus contracUcere sui, mandat.s n.si ego solus, „0„ la,„en Bononiae „ ( Guidoni* Banali, de astronomia, col. 211). (2) L. e. (3) Tiraboschi storia della letteratura italiana, t. IV, p 358 I"b. II, cap. IV. paragr. III. 158 Scienze » il nome di Gesù Cristo. Comandò alle donne, che » portassero i veli in capo. A di 14 di maggio fu » fatta Processione dal detto fra Giovanni col Po- » polo di Bologna per tutta la Città a pie scalzi. Fra » Giovanni per virtù di Gesù Cristo fece molti mi- » racoli per Bologna e in molti altri luoghi. A dì ;: 16 di maggio apparve il segno della Croce in fron- » te del detto fra Giovanni, essendo egli nel Con- > siglio del Comune di Bologna. In questo Anno fu » traslatato il corpo di san Domenico dall'Arca, eh' » era in terra nella quale esso era posto, e fu mes- » so in un'Arca molto bene scolpita, e fu messa dal » predetto Fra Giovanni, e da altri Frati con gran » riverenza e allegrezza; e fu a dì 23 di maggio. E > a dì 28 Fra Giovanni andò in Lombardia » (1). È da credere che Guido Bonatti facesse un lun- go soggiorno in Bologna; giacché egli si mostra, nel suo trattato d' astronomia, molto bene istruito delle cose di questa città. Nell'opera de'Padri Mauro Sarti e Mauro Fattorini intitolata: De Claris Archijgimna- sii Bononiensis professoribus a saeculo XI usque ad saecuhim XIV (2), si legge: » Et ille ipse astrologo- » rum suae aelatis princeps Guido Bonattus, cuius » ineptissimos libros de iudiciis stellarti m typis edi- » tos habemus, longiori tempore Bononiae versatus » esse videtur; peritissimum enim rerum nostrarum (1) Cronica di Bologna, an. MCCXXXIII, apud ! Muratori (Lud. Ani.) Rerum Italicarum scriptores ab anno acrac christianac quin- gcntcsimo ad millesimum quingentesirnum. Mecliolani 1723 — 51, 25 lumi in 2S o 29 volumi iu fog. t. XVIll,col. 257, E., col. 258, A, B. (2) Tomi I, pars \, p. 492, Philosophiae Professores, paragr. IX. Aita di Guido Bonatti 159 » in iis libri» sese prodit: et fuisse aiiquos ex Bonal- » tis foroliviensibus, qua ex gente Guido natus est, » qui Bononiae mercaturam facerent Guidonis ipsius » aetate, compertum sit ex tabulis publicis noslrae » ci v itali s >. Guido Bonatti nel suo trattalo d'astronomia nar- ra cbe essendo in Grosseto l'imperatore de'romani, cioè Federico II, ed egli in Forlì, dalla combinazione de' pianeti conobbe che tramavasi congiura contro l'imperatore medesimo, e che avendonelo egli av- vertito, trovossi in fatti che Pandolfo da Fasanella, Teobaldo, Francesco, e più altri de'suoi segretari ave- vano contro di lui congiurato, senza che alcun de- gli astrologi che stavano in sua corte ne avesse avu- to presentimento (1). Il Tiraboschi avverte (2) che forse ciò avvenne nell'anno T233, quando Arrigo , ribellatosi contro l'imperatore Federico II suo pa- dre, cercò di condurre molti al suo partito. Nel suddetto trattato d'astronomia di Guido Bonatti (1) « Ego tameii probavi, quod Pianeta esset in angulo, usqne » prone complementum quiiique gradii uni ultra cuspidem cuiusvis » anguli : nani dum quodani anno ego invesligareni revolnlionem » ipsius anni, inveni Marlem in quinto gradu ultra cuspidem an- » guli terrae, et erat in Capricorno, et erat eius lalitudo meridiana, » et illud signifìcabat iuleriectioueni Imperatori* Komanorum et si- » gnificavi tunc illud ei: erat eniin ipse tunc Grosseti, et ego For- lì livii: fuerunlque inventi Pandulfus de Fasenella, et Theobaldus, » Franeiscus, et plures alii de suis secretarli*, fecisse coniurationem » ut interlìcerent eum, et nullus suorum astrologorum inveri it hoc » (Guidonis Boriati foroliviensis matlicmatici , de astronomia, col. 182) ». (2) Storia della letteratura italiana t. IV, p. 263, lib. Il, cap. Il, paragr. XV. 160 Scienze si legge che un cotal Simone Mestaguerra, uomo di vii condizione, guadagnatosi l'amor del popolo in Forlì venne in sì alto stato, che niuno ardiva di oppor- glisi, benché facesse quanto sapea fare di male. II solo Guido Bonatti , se dee credersi a quanto egli scrisse di se medesimo, osò di fargli fronte e resi- stergli. Soggiunge il Bonatti che Simone Mestaguer- ra, dopo aver tiranneggiato per tre anni, fu sban- dito e cacciato dalla città (1); il che pare che avve- nisse nel 1257, giacché Paolo Bonoli, storico forli- vese, così scrive: » Anzi del 1257 (tempo nel quale »> vogliono poi fusse già sotto Bolognesi per star in >' pace) seguì gran rissa in Forlì come attesta il cro- » nista Pietro Forlivii D. Andreas Mastaguerra in- » teremptus est a familia D. Pepi de Pipinis, a Ti- » 6en"o, Ioanne , Guidone , AlioUo , et Bartolomeo^ » et eorum Domus igne cremata est , ipsis expul- » sis (2) ». Il sig. Libri avverte che Guido Bonatti fu for- se astrologo anche dell'imperatore Federico II (3). (1) « Idem accidit Forlivii de quodam qui vocabatur Symon Me- n staguerre, qui de vili patre natus est, qui devenit ad lantani sii- li blimilalem, quod totus populus sequebatur ipsura: nec audebat ei » aliquis resistere, ìiisi ego solus qui pure noverano illuni, et quic- » quid mali poterat operabatur contra omnes, et duravit illud qua- li si per tres annos. Ultimo tamen depressus est, et devenit quasi » ad nihilum, fui L enim bannitus et expulsus de civitate, quod acci- » dit propter vilitatem sui corporis atque pusillanimitatem (Guido- » ni$ Boriali foroliviensis rnathematìci de astronomia, col. 210) » (2) Istorie della città di Forlì intrecciate di vari accidenti della Romagna e dell'Italia distinte in dodici libri di Paolo Bonoli. io Forlì 1661, in 4.°, lib. IV, p. 81. (3) « Si sa patrie est douteuse il n'est pas douteux qu'il flit con- ti sidéré (Gui Bonatti) comme le premier bomme de son siècle, etqu' Vita di Guido Bonatti 161 In fatti Giovanni Gavinet, medico del secolo de- cimosesto, scrive: Nani melius est praevenire, quam praeveniri. Cuius rei exemplum habetur in libro Gui- donis Bonali de partibus Ilaliac, proprie de Forlivio, qui suo tempore magnus fuit aslrologus, et lanlus, quod post ipsum non fertur fumé tantus cilra mare, de quo sit memoria. Ponit enim in quodum libro suo, qui nolabilis est liber inter aslrologos, quod tempore cuiusdam Imperatoris Romanoritm, qui vocabatur Hen- ricus, a quo idem Guido habebat orimi anno stipen- dia inorando in civitale B orioni en. et non in Alema- nia, ubi est curia imperatoris, qui Imperator habe- bat multos astrologos, tam Pìujsieos , quam alios in domo propria, qui laborabant prò Imperatore dando Consilia, et praeveniendo perieulis futuris (1). L'autore de Lustri antichi e moderni della città di Forlì, dietro a quanto scrisse il Gavinet in questo passo del suo Amicus medicorum, dice: » L'imperadore Enrico che » nulla operava senza il pronostico delle stelle, lo » trattenne un tempo con grossi stipendi nella sua » corte (2) ». Il Mazzuchelli avverte (3) che forse i> il fiU successivemenl aslrologue d'Ecelin, de Giti de Monteltro (sic), » de la république de Florence, et peut-étre de Frédéric 11 » [Libri, Hisloire des sciences mathématiques en Italie, t. II, p. 84). (1) Amicus mcdicorum magistri Ioannis Gavincti. Cum opuscu- lo quod inscribitur Cadi enarrant et cum abbrevialionibus Abrahae Avenczrae de luminaribus et dicbus criticis, quibus adiecimus Astro- logiam Ilippocratis et indicèm copiosissimum. Lugduni, 1550, in 12", p. 207, 208. (2) / lustri antichi e moderni della città di Fori), coll'onorata memoria de'suoi più celebri cittadini, nella santità della vita, nelVec- elesiastiche prelature, in ogni sorte di scienze, nell'armi, e ne'gradì cavallereschi. In Forlì, in 4.° 1757, p. 160, 161, cap. VI. (3) Gli scrittori d'Italia, cioè notizie storiche, e critiche iuior- G.A.T.CXXII. 11 162 Scienze quivi in vece ri'Enrico si dee leggere Federico , il quale fu appunto l ' imperadore che visse attempi del nostro Bonatii. Si sa in fatti che Federico II, della ca- sa d'Hohenstauffen, nato ai 26 di dicembre del 1 194, fu solennemente incoronato imperatore d'Alemagna, da papa Onorio III, ai 22 di novembre del 1220 (1), e morì nel 1250, circa la metà del mese di dicem- bre (2)f Sappiamo inoltre che questo medesimo im- peratore era seguace e fautore dell'astrologia giu- diziaria, e che sempre aveva seco molti astrologi (3). Per ciò sembra probabile ch'egli desse anche a Gui- do Bonalti un annuo stipendio. Guido Bonatti nel trattato d'astronomia, di cui si è fatta menzione più volte , afferma che l1 impe- ratore Federico II visse al suo tempo e che dopo aver regnato per trent' anni , vincendo tutti i suoi nemici , traditori e ribelli , morì di veleno. Durant lamen, scrive Guido, aliquando in magnalibus et di- vitibus qui sunt apli regno, sunlque magnanimes et fortes eorde, quorum meo tempore unus fuit Fride- ricus seeundus Romanorum Imperator, qui cum essct indigens atque in necessitate magno, positus , indio ho alle vite e agli scritti dei letterati Italiani del conte Giamma- ria Mazzuchelli Bresciano. In Prescia, 1753-63, 2 voi., in fog., voi, li, parte III, p. 1560, nota 16. (1) Storia degli stati italiani, dalla caduta dell'impero romano, fino aWanno 1840, di Enrico Leo — Prima versione dal tedesco di A. Loeive, e E- Alberi. Firenze, 1841 43, 2 voi. in 4°, voi. 1, p. 314, col 2, lib. IV, §. IX. (2) Leo, Storia degli stati italiani, voi. 1, ». 367, col. 1. (3) Tirabosehi, Storia della letteratura italiana, l. IV, p. 2q8, lib. Il, cap. Il, par. XII. Vita di Guido Bonatti 163 potente sibi resistere Imperator est effeelus , sìbique Apuliam, regnum Siciliae atque lerusalem, Cracovia-m, Italiani, Romanumque Imperium praeter partem Lom- bardiac: omnes e ti ani suos inimicos proditores alque rebelles subiugavit, stetitque in tali stata annis fere triginla. Ultimo lameu miserabiliter mortuus est, a suis propriis fuit venenatus tolaque sui prosapies fuit extirpata, ita quod quasi ex eis nulli penitus reman- serunt (1). Il Mazzuchelli, in una delle sue erudite note alla vita di Guido Bonatti, scritta da Filippo Villani, dice: » Il nostro Autore ( Filippo Villani ) non ci » segna in quest'articolo del Bonatti alcuna nota di » tempo in cui questi vivesse. Intorno a che vo- » lendosi da noi supplire diremo ch'egli nella sua » Opera De Astronomia dell'edizione di Basilea 1550 » in fogl. parlando a car. 152 di Eccelino di Ro- » mano signor di Padova, ed a car. 209 di Fede- » rigo II imperadore come di principi già suoi con- » temporanei; e finalmente a car. 311 narrando di » esser egli intervenuto alla spedizione contro ai » Lucchesi nell'esercito fiorentino condotto dal conte » Guido Novello, ci fa conoscere chiaramente che ') egli fiorì poco dopo la metà del secolo XIII (2) ». Nel 1259 Guido Bonatti era in Brescia, come avverte il Tiraboschi (3) , al seguilo del celebre (1) Guìdonis Sonali Foroliviensis mathemalici de astronomia, col. 209. (2) Le vite d'uomini illustri fiorentini, scritte da Filippo l'Ulani, Venezia 1747, p. LXXIII, noia 1. (3) Storia della letteratura italiana, t. IV, p 25'j, 260, 263, hb. II, eap. II, paragr. XIII, XV. 464 Scienze Ezzelino da Piomano, signore di Padova, con allri famosi astrologi di quel tempo. Iacopo Malvezzi, scrittore Bresciano del secolo decimoquinto (1), nella sua cronaca di Brescia, l'anno 1259 dice: Sequenti ve- ro mense Februarii die secunda in eadem urbe Brixia vi- dit Ezelinus somnium, quod arcem suam Romani egres- sus esset, atque vaslissimam silvani profectus, ibique se venalionibus exerceret, praeciperelque servis suis ut ad praeparandam coenam, et locum dormiendi praeirent. Et eunles ab co longe quasi milliario centesimo coenam sibi ac cubile ordinassenl. Deliinc cvigilans, et somnium quod viderat animadverlcns,mane facto inox ad Astro- logos, Negromanticos quoque, et quosdam Magos, quos in eadem Civitate Brixiae habebat, hoc est Guidonem de Sonalo, qui Librimi in Astrologia composuit, in quo Astronomicae artis, ut ita dixerim profunda ri- matus est, Salionum Canonicum Paduanum, Ripran- dinum Veronenscm , Paulum de Briria, et quemdam Sarraccnum virimi barba prolixa , aspectu , et acitt Balaam illius Arioli ex aliqua parte non ab simile m, ut ad eum citius adventarent nuntium misit. Cumque mox in palatium venissent, mirificam se illis visio- nem vidisse narravit; relulitque eis cuncta, quae per somnium viderat, instanter ab eisdem sciscitans quid huiusmodi somnium portenderet. A quo cum spaiium unius diei expetiissenl, posterà die ad eum accedentes dixerunt. « Vicloriose triumphator, et Domine, visio tua magnae libi nuntia futurae felicilalis exsistit. Tu enim Romani palatium tuum egressus, vastam silvani, (1) rimboschi, Storia della letteratura italiana, t. IV, p. 303, lib. Il, cap. II, paragr. XXXVII, t. VI, lib. Ili, pap. I, paragr. XLV, Vita di Guido Bonatti 165 hoc est Lombardiam, ingressus es, ubi le venati oni- bus luorum hostium exercens, hoc anno tuorum ar- migerum victricem cohorlem ad praeparandam Ubi tanti Principatus coenam, pcdem longius diriges, quo- rum denique auxilio longe lateque tuum dilalabilur dominium, et in longinqua urbe dabitur libi solium Principatus totius Lombardiae ». Veruni providentia eius, cuius ad nutum sidera moventur, horum Astro- logorum senlenliam post non multos dies rerum re- probavit eventus. At forte venerabilem Guidonem, ce- lerosque Astronomos timor aut odium Tyranni a ve- ntate retraxit (1). L'anonimo monaco padovano di santa Giustina, scrittore del secolo decimoterzo (2), narra che nella corte di Ezzelino da Romano si vedeano onorati Sa- lione canonico di Padova, Riprandino veronese, Gui- do Bonatli, e Paolo Saraceno, tutti astrologi a lui cari (3). Quare non salvaverunl, dice questo mo- naco, de tanto periculo Ecelinum Augures coeli, ca- stra eius sequenles qui contemplabanlur sidera , et supputabant menses, ut ei ventura certissime nuntia- rent; scd revera parcendum est eis , quia tam gra- (1) Iacobi Malvecii, CUronicon, Distinctio Vili, cap. XXVIH, apud Muratori , Rerum Italicarum scriptores, t. XIV, col. 930, B, C, D, E. (2) Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, t. IV„ p 49 j. Biografia degli scrittori padovani di Giuseppe Vedova. Padova 1832—36, 2 voi. iu 8°, t. I, p. 610. (3) Annali d'Italia, dal principio dell'era volgare sino all'anno MDCCXLIX, compilati da Lodovico Antonio Muratori. Milano 1818—21, 18 volumi in 8°, voi. XI, p. 317, a. MCCLIX. 166 Scienze vissimo proelio imminente, adacquare Planetas, acci- pere Aslrolabium, et stadere in tabulis Aslronomiae minime potuerunt: vel forte in tam gravi discrimine pugnae plus in equorum velocitate , quam in plane- tarum auxilio confìdebant. Et ne aliquis ignarus istius negocii valeat dicere in futuro, magistrum scelerum de talibus non curasse, tota Marchia in testimonium deducatur, quae vidit in eius Curia plures Astronomos magnifice honoratos: Magistrum scilicet Salionem Ca- nonicum Paduanum, et Riprandinum Veronensem, Gui- donem de Bonato Aslronomum Forlivensem, Paulum etiam Saracenum cum barba prolixa^ qui de Baldach venit , a remotis finibus Orientis : qui tam origine , quam aspectu et actu esse alter Balaam ariolus me- rito videbatur (1). Questo passo trovasi riportato nella cronaca Estense latina, pubblicata dal Muratori, sotto il mede- simo anno 1259 (2). Giacomo Filippo Tomasini, let- terato padovano del secolo decimosettimo, scrive: 1256 Polestale Marco Quirino liberata fuit civitas a tirannide Ecelinì mense Iunio. Hic anno 1259 \h Septemb. captus fuil atq; vulnere obiit annos agens 65 Solicini, ibiq. condilus. Huic plures astrologiae prò- fessores gratos fuisse accepimus , nempe magistrum Salionem canonicum patavinum et Riprandinum ve- (1) Monaci Patavini Chronicon, de rebus gestis in Lombardia praecipue in Marchia Tarvisina ab anno 1207 usque ad ari. 1270 , A. MCCLIX, apnd Muratori, Rerum Itaiicarum Scriptores, t. Vili „ col. 705, B, C. (2) Chronicon Estense, A. MCCLIX, apud Muratori, Rerum Ita- iicarum Scriptores, l. XV, col. 329, B, C. — Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, t. IV, p. 259, li!> li, cap. II, paragr. XIII. Vita di Guido Bonatti 1G7 ronensem, Guidonem de Bonetto, et Paulum Sarace* num, (fui solilas erat barbavi prolixam alcre , unde veluti alter Balaam ariolus a seriptoribus vocalus est (-1). Guido Bonatti parla nel suo trattato d'astrono- mia delle crudeltà d'Ezzelino da Romano dicendo: msi esset homo silvester, et valde feralis, cuius mens non consoeiarelur hominibus, nec palerelur associa- ri, sicul ille tijrannus Cilinus de Romano, cuius ty- rannidi non fuit inventa similis , qui nulli pepereit ordini : nulli pepereit religioni : nulli pepereit nobi- litati : nulli pepereit aetati : nulli pepereit sexui : nulli pepereit sanguini suo , vel alieno , immo sine causa proprium f rat-rem: proprium nepolem propriis manìbus interfecit. Et ego vidi omnia haee (2). Più oltre Guido Bonatti, nel medesimo suo trattato d'a- stronomia, descrive 1' infelice morte d' Ezzelino da Romano. Fuit, dice il Bona» ti, quidam alius E cilinus de Romano , qui cum non esset multimi sublimis , exaltatus est valde prue omnibus Italis , ita quod fama eius transfrelaverat atque per multas sonue- rat regiones. Dominabatur mini quasi loti Marchiae Trevisiensi eliam usque iti Alamaniam, et usque Tri- dentum, et usque prope Venetias per quatuor vel per quinque miliaria, stetitque tyrannus in illis partibus, et duravit eius tyrannides per vigintisex annoS: ulli- (t) Gymnasium Patavinum lacobi Philippi Tomasini episcopi Aemoniensis libris P. comprehensum. IHini, 1634, in 4°, p. 357, 33* (2) » Guidonis Boriati de astronomia, col. 152, pars 1, tractatus. » II, pars II, cap. XXII ». 168 Scienza ino tamen omnia haec finita sunl in eius malum. Cum enim videretur impossibile ip&um posse deprimi, ceci- dit in manus maiorum inimicorum quos habebat in (jiiodam praelio quocl gessit in eomitalu Mediolanensi apud Cassianum, et miserabili ter mortuus est, et tota eius progenies est destructa , ex ipsa nemine rema- nente (1). Ezzelino III da Romano, signore di Padova, del quale qui parla Guido Bonatti, morì ai 27 di set- tembre dell anno 1259 (2). Lorenzo Mehus dice che Guido Bonatti servì la repubblica di Firenze col titolo d'astrologo del- la repubblica stessa (3). Il sig. Libri afferma (4) essere cosa certa che Guido Bonatti fu astrologo del- la . repubblica di Firenze. In fatti nella prefazione del Mazzuchelli alle vite d'uomini illustri fiorenti- ni, scritte da Filippo Villani, si legge: « pag. LXXV » annotaz. 3. In prova che Guido Bonatti fosse co- » munemente detto da Forlì anche ne'più antichi » tempi riporta l'eruditissimo sig. canonico Salvino » Salvini nelle sue note mss. al P. Negri il docu- » mento d'una carta pecora dell'archivio di Siena » toccante un consiglio del 1260 fatto in Firenze (1) » Guidonis Bnnati de astronomìa, col. 209, 2:10 ». (2) Leo (Enrico), Storia degli Stali Italiani, voi. I, p. 3S4. (3) » Iniecitque Bonnctum, qui qualem Foroliviensis fuit,atque Astrologi tantum titillo Florentinae Reipnblicae inserviil ». (Jmbro- sii Traversarti Gencralis Camaldulensium, aliorumque ad ipsum, et ad alios de eodem ambrosio Epistolae. Fiorentine 1759, 2 tomi, in foglio, t. I, p. CXXVIIJ, Laurentii Mehus Prael'atio). (4) Histoire des sciences malhématiques en Italie, t. Il, p. 34. Vita di Guido Conatti 169 » ai 22 eli novembre, per una lega tra i fiorentini » e i sanesi , nel cui rogito in fine fatto dal no- » tajo si nomina fra gli altri come pei' testimonio , » Guido Bonactus astrologus communis Florentiae de » Forlivio etc. (1) » Ciò che si legge in questa addizione ad una delle note del Mazzuchelli, relative alla vita di Gui- do Bonatti, dev'essere stato comunicato da Lorenzo Mehus al Mazzuchelli medesimo, giacché questi nella sua prefazione sopraccitata dice: « Noi avevamo scritto » sin qui, e già era per essere consegnata allo stam- » patore questa prefazione quando il più volte no- » minato signor abate Mehus, a cui avevamo fatti » spedire i fogli della presente opera, di mano in » mano che uscivano dal torchio, ci ha comunicate » diverse sue osservazioni sopra di essa , le quali, » poiché non si possono inserire a proprj luoghi » saranno qui sotto da noi aggiunte (2) ». Guido Bonatti, nel suo trattato d'astronomia, scri- ve quanto segue : Verum est {amen quod ego elegi quadam vice corniti Guidoni Novello de Tuscia con- tra Florentinos qui expulerunt eum de Florentia et straverunt ei omnia sua castra quae habebat in Tu- scia , et expoliaverunt eum omnibus suis bonis : qui habebat ex parte sua 3200. milites et forte 13000. pedites et 300. balisterios:et adversarii habebant 5300 . milites et forte 12000. pedites et 5000. balislcrios et (1) Le vite d'uomini illustri fiorentini scritte da Filippo ViU lani, p. 24, col. 2. (2) T'ite d'uomini illustri fiorentini scritte da Filippo filimi, p. 17, Prefazione. 170 Scienze ultra: et lamen debellavimus eos et vicimus ex loto: et futi hoc, in valle ArbiuB apud montem aperlum (1): La battaglia, di cui Guido Bonatti qui parla, sembra essere quella famosa di Montapcrli, che, come at- testa Giovanni Villani (2) , fu combattuta ai 4 di settembre del 1260, e nella quale i guelfi di Firen- ze vennero sconfitti dai ghibellini. Il Tiraboschi per altro dice (3): « Gli storici antichi non ci raccon- » tano che Guido Novello avesse parte nella batta- >» glia di Montaperti, e secondo essi ei non fu cac- » ciato da Firenze che l'anno 1266 (Vi IL 1. 7. e. 14). » Ma forse egli fu da Firenze cacciato due volte, » o forse due battaglie avvennero presso di Mon- » taperti. Certo non deesi credere che il Bonatti o '> abbia erralo , o abbia voluto ingannare fingendo » una battaglia a' suoi tempi che non fosse acca- » duta. Guido Bonatti narra ancora, nel suo trattato di astronomia, che avendo il conte Guido Novello mos- sa guerra ai lucchesi, il che secondo Giovanni Vil- lani avvenne 1' anno 1261 (4), ed essendo i due eser- (1) Guidonis Sonati Foroliviensis mathematica de astronomia, col. 393, pars III, cap. V. (2) Cronica di Giovanni Villani,a miglior lezione ridotta coll'a- iuto de'tesli a penna. Firenze 1823, tomi 8 in 8°, t. II, p. 112 , lib. VI, cap. LXXVIII. (3) Storia della letteratura italiana, t. IV, p. 265, lib. II, cap. II, parag. XV. (4) ti Negli anni di Cristo 1261 il conte Guido Novello vicario •» per lo re Manfredi in Firenze, colla taglia di parte ghibellina di D Toscana feciono oste sopra il contado di Lucca nel mese di Set- » tembre ». (Cronica di Giovanni Villani, t. II, p. 118, lib. VI, cap. LXXXII). Vita di Guido Bonatti 171 citi l'uno dall'altro non mollo discosti, lo stesso con- te l'interrogò se sarebbe allora seguita battaglia (1), ed egli rispose che no, e che così in fatti avvenne (2). Più oltre il Bonatti soggiunge che il conte Guid o JNovello, mentre stringeva d'assedio un castello, l'in- terrogò se questo castello sarebbe stato espugnato (3), e ch'egli rispose di no per codardia degli assedian- ti (4). Il che secondo il Tiraboschi (5), deesi inten- der del castello di Fucecchio, che per trenta giorni fu inutilmente assediato dal conte Guido Novello , come narra il Villani (6) , il quale per altro non attribuisce l'infelice esito dell'assedio alla viltà degli (1) » Cam comes Guido novellus esset potestas Florentiae, et es- » semus in exercilu supra districlum Lucensium, et Lucenses lene- » rent in pectus eius cum suo exercitu prope ari unum milliariim » vel minus,quaesivit utrum esset fulurum praelium inter exercitu* » illos an non (Guidonis Boriati, de astronomia , col. 311 , pars II , » cap. XXV11I). (2) » Unde indicavi ei quaestionem et ita devenit quia non po- lì sueruntse ad locum praeliandi: et ita postea discessit ulerque exer- » citus [Guidonis Boriati, de astronomia 1. e.) (3) » Quaesivit dictus comes cum esset in obsessione cuiusdam » castri comitatus Lucae, si esset occupaturus illud (Guidonis Bona- » ti, de astronomia, col. 313, pars II, cap. XXIX). (4)» Unde respondi ei sub ista conditione: dixique sibi quod Vi- ti debatur milii tanta eorum vilitas, quod potius remaneret castrum .» quam caperetur (Guidonis Bonati, de astronomia, col. 314. pars » II, cap. XXIX). (5) Storia della letteratura italiana, t. IV, p. 264, lift. II, cap. it, paragr. XV. (6) » E poi tornarono all'assedio di Fucecchio, che v'erano den- » tro il fiore di tutti gli usciti guelfi di Toscana, e a quello stettono » all'assedio, pillandovi più dificii, e con molti ingegni e assalti, più » di trenta dì ». (Cronica di Giovanni ViUanit\. II, p. 119, lib. VII, » cap. LXXX1I). 172 Scienze assediatoli, ma alla forza del castello ed al coraggio dei difensori. Girolamo Rossi, storico illustre, nato ai 15 di luglio del 1539 (1), e morto ai 22 d'aprile del 1607 (2), nella storia da lui scritta di Ravenna sua patria, sotto l'anno 1264, fa menzione di Guido Bo- natti dicendo: « Exitu anni, in Senatu Foroliviano, cum adessent Richelmus Forolivianus, Aimericus Fo- ropompilianus Episcopi, Rainutius Zanzi Index com- munis, Guido Ronattus, et alii: inita pacta sunt Inter Philippum Archiepiseopum nomine suo, successorum- que et Eeclesiae Ravennalis ex una parte: et Nicolaum Ramberti Razalerii, Praetorem, Bartholomeum e Prin- eipibus, Praefectum, Guidonem Albianum Reipubl. Fo- rolivianae proeuratorem ex altera, omni probante Se- natu\ tribus exeeplis qui dissenserant (3) ». Filippo Villani narra che Guido Bonatti fu co- stretto a rinunziare alla sua patria Firenze, per le molte ingiurie fatte a lui, ed a'suoi, da quei della fazione contraria, che avevano vinto. Iniuriarum si- li) Memorie storico-critiche degli scrittori Ravennati , del Re- verendissimo Padre Abate D. Pietro Paolo Ginanni di Ravenna- In Faenza 1769, due tomi, in 4?. t. II, p. 313. (2) Ginanni (Z>. Pietro Paolo ) Memorie storico-critiche degli scrittori Ravennati, t. II, p. 318. (3) Hieronymi Rubei Historiarum Ravcnnatum libri decem hac altera editione libro undecimo aucti, et multiplici, insignisq.antiqui- tatis historia amplissime locupletati. Veneliis, MDLXXXIX, in fol. , p. 440, lib. VI, ann. MCCLXIIII. Thesaurus antiqnitatum et historiarum Italiae, digerì coeptus cura et studio Ioannis Georgii Graevii, et ad fi.icm perductus a Petro Burmanno. Lugclimi Balavorum, 1704-23, 9 tomi, in 30 voi. in fol., t VH, pars I, col. 424, B, C. Vita di Guido Bonatti 173 quidem, cosi leggesi nel testo latino da me ripor- teto della -vita del Bonatti, muUitiidine quibus tur- piter impudenterque in se suisque fueral òffensus, ab ìpsis de adversa facilone qui vicerant cehberrimnm originiti locum repudiare compulsiis est. Il Mazzu- chelli avverte (1) che Guido Bonatti aderiva al par- tilo de'Ghibellini. Erano in fatti Ghibellini Ezzelino da Romano, e Guido, conte di Montefeitro, de'quali il Bonatti medesimo fu astrologo come si è veduto di sopra. Questi fu anche singolarmente caro, come avverte il Tiraboschi (2), al conte Guido Novello, ch'era, egli pure, Ghibellino. Però è da credere che i Guelfi vittoriosi facessero ingiurie a Guido Bo- natti, ed a' suoi, e cosi lo costringessero a partire da Firenze. Forse ciò avvenne nel 1258, quando fu scoperta la congiura, ordita dagli Uberti , e da al- tri Ghibellini di Firenze, contro i Guelfi, allora do- minanti in quelle città. Ricordano Malispini, illustre storico fiorentino, che morì nel 1281, scrive: « Negli » anni di Cristo MCCLVIII, essendo Podestà di Fio- » lenza Messer Iacopo Bernardi di poco, all'uscita » di Luglio; quelli della casa degli Uberti con loro » seguaci Ghibellini, per soducimenlo di Manfredi » ordinarono di rompere il popolo di Fiorenza che » parea loro che pendesse in Parte Guelfa. Scoper- » to il trattato, fatti richiedere dalla Signoria non )> comparirono, e la famiglia del Podestà da loro » duramente fediti, per la quale cosa il popolo coli' (t) Gli scrittori d'Italia voi. Il, parte III, p. 15G0. (2* Storia della letteratura italiana, l. IV, p. 264, lib. lì, cap. II, paragr. XV. 174 Scienze » arme a furore corsone» a casa degli Uberti e ueci- » sono Schiattuzzo degl'Uberti, e più loro masna- » dieri e famigliari, e fu preso Uberto Caini degl' » Uberti e Mangia Infangati , i quali confessata la » congiura in parlamento, in Orlo Santo Michele » fu loro tagliato il capo, e gl'altri degli Uberti, » con più altre case Ghibelline uscirono di Fiorenza, » cioè gl'Uberti, Fifanli Giudi, Amidei, Lamberti, » Scolari, e parte degli Abati, Caponsacchi, Miglio- » relli, Soldanieri, Infangati, Ubriachi, Tedaldini , » e parte de'Galigai, e parte de'Bonaguisi, e que'da » Cersina: Razzanti parte, e parte de'Giuochi, e più » altre schiatte de'grandi, e di popolari, che troppo » sarebbe lungo a raccontarli tutti, che non raccon- ti tiamo se non di quelli ch'aveano più nome (I) ». Sembra che Guido Bonatti viaggiasse in Ara- bia; giacché Benvenuto Rambaldo, o de'Rambaldi, da Imola, scrittore del secolo decimoquarto, che mo- rì nel 1391 (2), nel suo Comento latino alla Divina Commedia di Dante, dice: Heic nota, quocl istud Si- (jnwm Scorpioni* non dat honiini minus nigrum et pestiferum venenum, quam Scorpio animai frigidum. Seribit enim Guido Bonali Foroliviensis, magnus Astro- logia, se vidisse in Arabia unum Astrolabium mira- bilis magnitudinis, in quo erant figurata omnia Si- (1) Storia Fiorentina di Ricordano Malispini, col seguito di Gia- cotto Malispini dalla edificazione di Firenze, sino all'anno 1286, ri- dotta a miglior lezione e con annotazioni illustrata da Vincenzio Fol- lini. Firenze, 1816, in 4°, cap. CLX, p. 128. (2) Bibliografia Dantesca, compilata dal sig. Visconte Colomb de Balincs. Prato 1845—48, 2 tomi, in 8.°, t. II, p. 303, noia I. Vita di Guido Bonatti 175 gna Zodiaci; et in Signo Scorpiouis eral jiguralitr, unus Aetltiops, tenens stercus ad nasum, ad indican- Uumì quod nati ascendente Scorpione dclectaulur fo- deve in slercoribus, et rebus putridis, qualcs multos saepe videmus (1). Il Tiraboschi (2) dice eh' egli non aveva veramente potuto trovare ne'libri di Gui- do Bonatti un tal passo, ma che se Benvenuto da Imola in essi lo aveva letto, sembra poter egli a ragione in ciò esiger fede. È da credere che Guido Bonatti dimorasse per qualche tempo in Parigi, giacché negli Annali di Forlì, pubblicati dal Muratori, si legge : Ncc eliam praevidere scivil mortem suam ( Guido Bonattus ) quae fuit in redilu suo a Parisio, et ab aliis sludiis Ilalicis, in quibus augnicntavit admodum Scientiam suam Astrologiae, et copiam Librorum suorum a se conditorum reliquit (3). Giorgio Viviani Marchesi , scrittore Forlivese del secolo passato , afferma , senza per altro darne alcuna prova, che Guido Bonatti insegnò l'astrono- mia in Parigi (4). L'autore do' Lustri antichi e moderni (I) Excerpta ex Commcntarìis Benvenuti de Imola super Dani in Voetae Comoedias, ad Purgatorii Cant. IX.vcrs. 6, ap. Muratori (Lu- dov. Anton.) Antiquitates ltaticae medii aevi, MeJiolani 1738—42, 6 tomi in fog. , t. 1, col. 1183, D, E, Dissertalo XVIII. (2) Storia della letteratura italiana, l. IV, p. 262, lib. II, cap. II, parag. XIV. (3) Annalcs Forolivienses ab anno MCCLXXV usque ad annum MCCCCLXXIII, anonymo auclore, ap. Muratori, lierum llalicarum Scriplores, t. XXII, col. 236, D, E. (4) » Caetera quae scripsit (Guido Bonattus) partim Luleliae Pa- » risiorum, ubi sycleream Artem clocuit » (Georqii Viviani Marche- sa Vitae Virorum Illustrium Foroliviensium, Forolivii 1726, in h", lib. Il, cap. VI, p 246, 247). 176 Scienze della città di Forlì scrive: » Lesse (Guido Bonatti) » tra gli universali applausi nell' Università di Pa - » rigi (1) ». Antonio Tognocchi da Terrinca, del- l'ordine cle'Minori osservanti , scrittore toscano del secolo decimosetlimo, dice essere stato Guido Bonatti un professore cosi celebre di matematiche e d'astro- logia, che da tutte le parti di Europa, gli venivano discepoli (2). Fra Salimbene di Adamo, dell'ordine de'mino- ri, nella quinta ed ultima sua cronaca, parlando del celebre frate Elia da Cortona, compagno, e poi suc- cessore di s. Francesco, dice: Sì aulem aliquis querat cui quantum ad effigiem corporis similis fuerit iste fraler Hehjas dicimus quod totaliler assimilavi po- test fratri Uqoni de regio qui d'ictus est hugo pan- ca palea et fuit' magister in gramatica in secalo, et magnus trnphator, et magnus prolocutor, et in ordine fratrum minorum sollennis et optimus predicatore et qui mordaces ordinis confutabat et confundebat pre- dicationibus et exemplis. Nani quidam magister Gui- do bonaltus de furlivio qui se philosophum et astro- logum esse dicebat, et predicationes fratrum mino- rum et predicatorum viluperabat, ita ab co fuit con- fusus corani universilate et populo liviensi, ut toto (1) I Lustri antichi e moderni della città di Forlì, cap. VI, p. 161. (2) » Matheseos, et astrologiae quarum ea aetate frequens et ce- » lebre erat apud magnos viros exercitium, ita celeberrimus extitil » professor (Guido Bonattus), ut ad eum undique ex universis Eu- » ropae partibus confluerent discipuli ». [Genealoyicum et honorifi- cum Theatrum Etrusco- Minoriticum a P.F. Antonio a Terrinca Mi- norità Osservantino Anno Domini MDCLXXX claboratum.Viorenlhe 1682 in 4°, 3 parti in 1 voi., Pars III, Titubi» I, parag. LXX, p. 202). Vita di Guido Bonatti 177 tempore quo frater ugo fuit in partibus illis non so- limi non loqui, veram etiam nee apparere auderet (1). Questo passo della cronaca di fra Salimbene fu pub- blicato dal Tiraboschi, nella sua Biblioteca Modene- se (2). Intorno alle parole Guido Bonattus de fur- livio il medesimo Tiraboschi osserva (3) che que- sti è quel celebre Guido Bonatti professore di astro- logia giudiziaria, di cui egli ha parlato nella sua storia della letteratura italiana. Fra Salimbene, nato in Parma, ai 9 d'ottobre del 1221, secondo ch'egli stesso attesta (4), scrisse la sua cronaca suddetta fra il 1283, ed il 1287, come l'Af- fò ha notato (5), e come apparisce da alcuni passi della Cronaca medesima. Nella pregevolissima edizione» stampata in Fi- renze "nel 1823, sotto la direzione d'Ignazio Moutier, della Cronica di Giovanni Villani, si legge: « I Fran- » ceschi ch'entrarono in Forlì corsouo la terra san- » za contasto niuno; e 'l conte da Montefeltro, che « sapea tutto il trattato, con sue genti se n'uscì fuori » della terra, e dissesi per agurio e consiglio d'uno » Guido Bonatti ricopritore di tetti , che si facea » astrolago, ovvero per altra arte, il conte da Mon- (1) Chronica fralris Salimbeni de Parma ordinis minorum, codi- ce vaticano n.° 7260, carta 278, verso. (2) Tiraboschi (Girolamo), Biblioteca Modenese. In Modena 1781- 86, 6 tomi in !\°, t. IV, p. 220, 221, art. Pocapaglia (Ugo). (3) Tiraboschi (Girolamo) Biblioteca Modenese t. IV, p. 221, art. cit. (4) Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, raccolte dal Padre Ireneo Affò. Parma, 1789 — 97, 5 tomi, in 4", t. \, p. 208. (5) Memorie degli scrittori e letterali parmigiani, t. 1, p. 225. G.A.T.CXXII. 12 178 Scienze » tefekro «si reggea , e dava egli le mosse, e alla » detta impresa gli diede il gonfalone, e disse: In » tale punto l'hai, che mentre se ne terrà pezzo ove )) il porterai sarai vittorioso: ma piuttosto credo che » le sue vittorie fossero per lo suo senno , e mae- » stria di guerra: e come avea ordinato, e percosse » a quegli di fuori ch'erano rimasi all'albero, e b miseli in rotta » (1). Una parte di questo passo cioè da e dissesi per agurio fino a rimasi all'albero, non trovasi nell'edizione fatta in Firenze, nel 1537, de'primi dieci libri della Cronaca di Giovanni Vil- lani. Manca pure nell'edizione stampata in Venezia, nel 1559, dai Giunti di tutti e dodici i libri della Cronaca stessa. Trovasi per altro questo brano in tre pregevoli esemplari manoscritti della suddetta Cro- naca di Giovanni Villani, cioè nel codice n.° 1532 della biblioteca Riccardiana di Firenze, nel codice n.° 1534 di questa medesima biblioteca, e nel co- dice o.° 312 della Corsiniana di Roma. Nel codice Riccardiano n.° 1532 si legge: « I )> franceschi chentrarono in l'orli corsono la terra » sanza contasto ninno el conte damonte feltro che )> sapea tutto il trattato con sue genti senusci fuori )> della terra e dissesi che per agurio e consiglio » duno guido bonalti ricopritore di tetti chessi fa- )> ciea astrolago overo per altra arte il conte da » monte feltro si reggiea e davegli le mosse e al- l' la detta impresa gli diede il gonfalone e disse (l) Cronica di Giovanni Pillarti a miglior lezione ridotta coli' aiuto detesti a penna. Firenze 1823, 8 tomi in 8°, t. II, p. 269, lib. VH, cap. LXXX1. Vita di Guido Bonetti 179 » in tale punto lai che mentre seneterra pezzo ove » il porterai sarai vittorioso ma più tosto credo » chelle sue vittorie fossero per lo suo senno e mae- » stria di guerra e come avea ordinato e percosse » quelli di fuori cherano rimasi allalbero e miscli » in rotta. » Si sa che il codice Riccardiano n.° 1532 fu fatto Copiare da Matteo Villani, figliuolo di Giovanni , cioè dell' autore della Cronaca. In fine di questo codice si legge : « Il quale libro feci assemprare io )> Matteo di Giovanni Villani l' anno mccclxxvii. » come sta appunto » (1). Nella prima pagina del codice medesimo v'è l'arme di casa Villani (2), e però si crede come avverte il Massai (3) essere stato di questa famiglia. A pie della prima faccia vi si trova scritto : « comprato G. 28 a dì 9 d' Aprile » 1588. Io Bernardo Davanzati » Per ciò questo prezioso codice è comunemente conosciuto sotto il nome di Testo Davanzati (4). Nel recto della carta 81 del codice Riccar- diano n.°1534 si le after. « I franciesebi chentrarono in )i forli chorsono la terra samza chomtasto niuno e » Ichomte da monte feltro chessapea tutto il trat- » tato chom sue gienti senusci fuori della terra e (1) Cronica di Giovanni Villani (edizione ti' Ignazio Montier) t. I, p. XV, XVI, t. VII!, p. XVI, nota (3). (2) Cronaca ali Giovanni Villani (edizione del Montier) t. I, p. XV, t. Vili, p. XVI, nota (3). (3) Cronaca di Giovanni Villani (ediz. del Montier) t. Vili , p. XVI, nota (3). ('0 Cronaca di Giovanni Villani (ediz. del Moulier) t. I, p. XVI. 180 Scienze » dissesi per agurio e corosiglio duno guido bonatti « ricopritore di tetti chessi faciea astrolago o vero » per altra arte. Il comte damonte feltro si reggiea » e davagli le mosse e alla detta impresa gli diede » il gonfalone e disse in tale punto lai che mentre » seneterra pezzo ove il porterai sarai vitturioso » ma più tosto credo chelle sue vittorie fossero per » lo suo senno e maestria di guerra eccome avea » hordinato e perchosse a quelli di fuori cherano » rimasi allalbero e misseli in rotta » Il codice Ric- cardino n.° 1534 sembra del secolo decimoquinto, anche inoltrato (1). Nel codice n.° 312 della biblioteca Corsiniana, a carte 118 recto, col. 1 si legge: « I francieschi » eh entrarono in forli corsono laterra sanza con- » tasto ninno E il conte damonte feltro che sa- » pea tutto il trattato con sue gienti se nosci fuori » della terra. E dissesi per agurio e consiglio duno » guido bonati ricopritore di tetti chessi facea astro- )> lago, overo per altra arte II conte da monte feltro )> si reggiea e davali le mosse E alla detta impresa » gli diede il gonfalone e disse: in tal punto lai che » mentre se ne terra pezzo ove il porterai sarai » vittorioso Ma più tosto credo chelle sue vittorie « fossero per lo suo senno e maestria di guerra. >> E come avea ordinato e percosse a quelli di » fuori cheran rimasi allalbero e miseli in rotta. Nell'edizione, pubblicata in Milano, nel 1729, (4) Cronica di Giovanni Fillani ( edizione d'Ignazio Moutier ) t. I, p. XX. Vita di Guidò Bónatti 181 dal Muratori, della Cronaca di Giovanni Villani si trovano riportate in una nota al capitolo 80 del libro settimo le parole seguenti: « della terra , e » dissesi per agurio e consiglio d' uno Guido Bo- « natti ricopritore di tetti, che si facea Strolago, » overo per altra arte il conte da Montefeltro si » reggea, e da vagli le mosse , e alla detta impresa » li diede il gonfalone, e disse: in tale punto l'hai, » che mentre se ne terrà pezzo, ove il porterai sa- » vai vittorioso. Ma più tosto credo che le sue \it- » torie fossono e per lo suo senno e maestria di » guerra. E come avea ordinato, percosse a quegli » di fuori, ch'erano rimasi all'albero » (1). Nella ristampa, fatta in Milano , nel 1802, della sud- detta Cronaca di Giovanni Villani , queste parole si trovano riportate, in fine del volume terzo, fra le varie lezioni. È da credere che il Muratori traesse le parole medesime dal famoso codice di Giovanni Battista Recanati patrizio Veneto ; giacche nella pre- fazione del Muratori alla cronaca del Villani si leg- ge (2): Itaque cum eximio Recanali Libro integram Iunctarum edilionem diligentissime contuli, caqìie in re tantum temporis posici ( spissum quippe Villani opus est ) ut me saepe toeduerit suscepti improbi la- boris, cuncta tamen vorarim incommoda in commune bonum intenlus. Quid vero praestiterim , quidve ex hujusmodi collatione emerserit , infra palebil : nimi- (1) Historie Fiorentine di Giovanni p'illani cittadino fiorentini), lib. VII, cap. LXXX, nota (6), ap. Muratori; Rerum Italicarmn Seri- ptores, l. XIII, col. 291, 292. (2) Rerum, Italicarum Scriptores, t. XIII, p. 4. 182 Scienze rum sylva varianlium atqae ufilium plerumque Le- ctionum ; emendationes vero non paucae. Supplemento, eliam acccssere, qunm ex incuria praecedentium edi- toriali exciderint non tantum complures periodi, sed etiam integrimi Caput alicubi. Quae vero minutiores emendationes erant, has inter Notas re f erre non su- stinui, sed in ipsum texlum conjeci. Il Muratori, parlando di Guido Bonalti, dice: « Iohannes Villanius eum appellat : Ricopritore di tetti che si facea Strolago » (1). Il Tiraboschi av- verte (2) che nell' arte di ricopritore di tetti Guido Bonatti non dovea certamente impiegare gran tem- po. Il Signor Canestri Trotti dice (3): « Non ci fare- » rao a descrivere le strane predizioni di Guido né » le varie e bizzarre avventure eh' egii ci raccon- » ta della sua vita , perchè le sono presso che a » tutti note : aggiungeremo solo eh' egli non fu » mai - Copritore di Tetti -, come da alcuni si so- » stiene, e che questa favola fu tratta la prima vol- » ta da una nota aggiunta alla storia di Gio. Vil- » lani , in latino , ricavata da un Codice mano- » scritto di Gio. Battista Recanati veneto (IO), giac- » che all'epoca appunto in cui vuoisi ch'egli eser- » citasse quest'arte, cioè nel 1233, Bonatti era già a (1) Muratori, Antiquitates Italicac mediì aevi, t. Ili, col. 946, A, B, Dissertalo XLIV. (2) Storia della letteratura italiana, t. IV, p. 262, lib. 11,. cap. II, parag. XIV. (3) Brevi cenni sulla vita e sulle opere di Guido Bonatti, p. Il, 12, 20. Vita di Guido Bonatti 183 » Bologna ove conobbe Pier dalle Vigne « qui raen- » dicabat, nec habebat quid comederet. (i°) » La nota è al Cap. 80 disila riconiala Cronaca, che fu pu!>- » blicaJa col seguente titolo: lofmnnis f Ulani fiorentini /Ustoria » universalis e condita Florentia ùsqué ad 1348 ilalicc scripta, ab » innumcris mendis erpurgala ci plurimum aucta ex MS. Codi- » ce etc. ». Nel Tomo XIII della raccolta del Muratori intitolata Rerum Italieariwi Scriplores, la nota, dì cui qui parla il Signor Canestri Trotti, trovasi uon in latino, ma in italiano; né il Muratori dice d'aver- la tradotta. Tutti sanno ebe in purissima lingua ita- liana Giovanni Villani scrisse la sua cronaca. Ne' co- dici della medesima Cronaca del Villani, contenenti il passo da me recato di sopra, questo passo tro- vasi .sotto il 1282. Non so cbi abbia scritto che precisamente nel 1233 Guido Bonatti esercitasse 1' arte di Copritore di Tetti. Ma s' egli l' esercitava, perchè non potea trovarsi in Bologna , e conoscere ivi PieF dalle Vigne, che mendicava, e non aveva di che vivere ? Il Signor Canestri Trotti poco esat- tamente dice che la nota è al Cap. 80. della ricor- data Cronaca (di Giovanni Villani); giacche que- sta Cronaca è divisa in libri, ciascuno de' quali è suddiviso in capitoli. La nota, di cui qui parla il Signor Canestri Trotti, trovasi posta al capitolo 80 del libro settimo dell' edizione del Muratori , come si è già avvertito di sopra. Cristoforo Landino illustre scrittore Fiorentino del secolo decimoquinlo nella sua Apologia di I>uìdc e di Firenze dice: « Bicordianci di Guido bonalto » fiorentino: benché lui tanto sdegno prese del suo 184 Scienze « exilio: che ponendosi el domicilio in Forlì volle >, non fiorentino : ma forlivese esser chiamato. Cho- » stui ne suoi tempi fu molto veridico ne suoi » giudicii. Scripse utilissimo volume a glastrologi : » et universale in ogni spetie di doctrina. Nella )> sua ultima età entro nellordine de frati minori : )» et humilmente fu veduto mendicare el pane » (1). Due cose sono da notare specialmente in questo passo, una delle quali è che il Landino dice es- sere stato Guido Bonatti esiliato da Firenze, il che fu anche asserito da scrittori più recenti del Lan- dino cioè da Francesco degli Albertini, dal Pocciau- ti, da Bernardino Baldi, e dal Negri. Francesco degli Albertini scrittore Fiorentino , che fiorì sul prin- cipio del secolo decimosesto (2), enumerando gli uomini illustri di Firenze nelle matematiche, dopo aver parlato di Paolo geometra, e di Fazio degli Uberti , soggiunge : In Astronomia Bonatum , sed exul a patria Forliviensem appellari se maluit (3). Il Poccianti scrive : Guido Bonattius ( perperam a quibusdam Donatus) qui cum exulabundus vitam ageret ( leste Landino) Forliviensis voluit appellari (A). Giti- (1) Contento di Cristoforo Landino Fiorentino sopra la Come- dia di Dante Alighieri poeta fiorentino. Impresso in Firenze per INicholo di Lorenzo della Magna adi XXX dajjosto M.CCCC.LXXXF. Proemio, carta preliminare 7. (2) Mazzuclielli, Gli Scrittori d'Italia, voi. I., parte I, p. 321. (3) Opusculum de mirabilibus novae et veteris urbis Remine edi- timi a Francisco de Albertinis clerico Fiorentino. Roaiae, per laco- bum Mazochium 1510, in 4°, carta 100, recto. (4) Catalogus scriptorum florentinorum omnis generis quorum et memoria extat atque lucubralioncs in literas rclalae sunt ad no- Vita di Guido Bonatti 185 do Sonalo Fiorentino , dice Bernardino Baldi , per esser slato mandato in esilio fatto Cittadino di Forlì si disse Forlivese (1). Il Negri scrive: « Guido Bo- » natti Fiorentino, non Forlivese, com'esso bandito » dalla sua patria ne' Tempi fastidiosissimi delle » Guelfe, e Gibelline Fazzioni, ritiratosi nella Città » di Forli, volle essere denominato » (2). L' altra cosa notevole, nel passo, da me riportato, del Lan- dino, è il leggersi in questo passo che Guido Bo- natti nella sua vecchiezza entrò nell' ordine de' frati minori. Il Sig. Libri scrive (3): « Tiraboschi croit » que Bonatti n' a jamais été moine, et il suppose ti que celle erreur est peut-ètre derivée d' un pas- « sage de Villani qui a été mal compris ( Tirabo- » schi storia della lelt. ital. tom. IV. pag. 171. ) « Mais Mazzuchellia cité un si grand notnbre d'au- )> teurs qui attestent la fin devote de Bonatti qu'il » est difficile de ne pas y croire (Mazzuchelli, scrit- » tori d'Italia, Brescia 1756-G3, 2 voi. in fog., voi. II, » part. 3, pag. 156) » Il Tiraboschi per altro ave- va una buona ragione di dubitare che Guido Bo- natti entrasse nell' ordine de'Minori, cioè il silenzio slra usque tempora M. D. LXXXL Auctore R. P. M. Michaelc Poe- ciantio. Florentiae 1589, in 4°, p. 76, 77. (1) Cronica de' matematici ovvero epitome dell'istoria delle vile loro, opera di monsignor Bernardino Baldi da Urbino. In Urbino 1707, in 4°, p. 81, n. 1290. (2) Istoria degli scrittori fiorentini, opera postuma del P. Giù Ho Negri Ferrarese della Compagnia di Gesù. In Ferrara, 1722, in log., p. 3 «7, col. 2. (3) Hisloire des sciences mallicmatiqucs vn Italie, l. II, p. 86, nota 3. 186 Scienze intorno a ciò de' più antichi scrittori che hanno parlalo del medesimo Bonalti. Della conversion, di Guido, dice il Tiraboschi (1), nulla han parimenti né le antiche Cronache sopraccitate , né gli Annali di Forlì) india ne dice né Benvenuto da Imola, né Filippo Villani, scrittori di tempo vicino a Guido, ehe non avrebbon ignorata tal cosa , né V avrebbon taciuta. Solo due secoli dopo la morte di Guido si cominciò ad affermarla; e, come suole avvenire, gli sc-rittori seguenti, copiandosi felicemente f un V al- tro , moltiplicarono il numero r/e' seguaci di questa opinione, ma non perciò la renderon probabile. » Nella traduzione italiana stampata della vita di Guido Bonalti si legge : Morì ( Guido Bonatti ) già vecchio, vivendo ancora il Conte Guido, il quale con gran concorso de' Forlivesi seppellì V ossa sue in Santo Mercuriale molto onorevolmente. Perduto Guido Bonatti, il Conte Guido perde la speranza di poter te- nere la tirannia; ma quella al lutto lasciò; e preso umile abito entrò nella Religione di S. Francesco, nella quale tra' Frati minori Frale minore passò di questa vita. Molli furono quegli, che lo videro, lasciata tutta la pompa della prima vita, mendicare il pane per li- mosina (2). Benché queste parole siano troppo chia- re perchè non si possa intendere di Guido Bonatti ciò che il Villani qui narra del conte Guido di fi) Storia della letteratura italiana, l. IV, p. 272, lib. II, cap. II, p. XIX. (2) Le vite d'uomini illustri fiorentini, scritte da Filippo Villani. (Venezia 1747), p. LXXV, (numerata erroneamente, LXXXI), LXXVI. Vita di Guido Bonatti 187 Montefeltro (1), tullavia parve non improbabile al Tiraboschi che alcuno leggendole in fretta prendes- se 1' un Guido per l'altro, e narrasse del Bonalti ciò che il Villani qui narra del conte Guido (2). In fatti Cristoforo Landino, ed altri più moderni scrittori, come il P. Michele Poccianli (3), e Ber- nardino Baldi (4), i quali narrano essere Guido Bo- natti entrato nell' ordine de' Minori , toccano anche la circostanza dell' andare accattando il pane per amor di Dio , il che dal Villani si dice del conte Guido (5). Il Mazzuchelli scrive (G): « Questi (Guido Bonatti), siccome da molti si nar- » ra (2U), conosciuta alla per fine la fallacia dell'arte » sua Astrologica, e pentitosi de' suoi errori, vesti, » dietro l'esempio del detto Conte di Montefeltro, )> l'abito dell'Ordine di S. Francesco. (2°) » Cristoforo Landino, Apologia di Dante e di Firenze; Poc- » cianti, Terinca, Baldi, e Marchesi ne'luoghi citati; Vaddingo An- » nal. Ord. Min. Tom. II, pag. 1*59; Aroldo, Epitome Annal. Ord. » Min. Tom. Il, pag. 442; Gio. da S. Antonio, Bibl. Univ. Francisc. » Tom. II, pag. 33, ed altri ». Il più antico degli scrittori qui nominati dal Mazzuchelli è il Landino. (1) Tiraboschi, 1. e. (2) Tiraboschi, 1. e, (3) » Ingressus est ordinem fratrnm Minorimi, vitamrjue cum » aliis hostiatim non erubuit ». (Poccianti, Catalogus scriptorum Florentinorum, p. 77). (4) » Fecesi finalmente (Guido Bonato) Frate Francescano, e per » Immilla andò chiedendo il pane a uscio a uscio ». (Baldi, Cronica de' matematici, p. 81, an. 1290). (5) Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, t. IV, p. 272, 273, lih. II, cap. IF, parag. XVIII. (6) Gli Scrittori d'Italia, voi. 11, parte III, p. 1S61. 488 Scienze Non si sa precisamente in quale anno Guido Bonatti sia morto. Il Tiraboschi (1), ed il Sig. Ca- nestri Trotti (2) avvertono che il conte Guido di Montefellro entrò nel!' ordine de' frati Minori sola- mente dopo la morte di Guido Bonatti. In fatti Fi- lippo Villani dice (3): Guidone bonacli perdito Gui- do comes spem lenendae tyrwmidis penitus dereliquit, sumploque humili habitu saneti Francisci religionem professus in qua minor frater inter minorimi fralres de hac luce migravit. Neil' antica traduzione italia- na della vita di Guido Bonatti si legge : » Perduto » Guido Bonatti, il Conte Guido perde la speranza » di poter tenere la tirannia, ma quella al tutto la- » sciò : e preso umile abito entrò nella Religione » di San Francesco, nella quale tra' Frati minori » Frate minore passò di questa vita (4). Gli scrittori che hanno parlato della conver- sione del conte Guido di Montefeltro non sono d' accordo in determinare 1' anno ed il giorno in cui questi prese 1' abito de'Frati Minori. Girolamo Rossi nella sua storia di Ravenna, sotto l'anno 1296, scrive : « Guido Montisfeltrii Comes. XV. kal. De- cembr. die Divi Gregorii cognomento Thaumaturgi memoriae dicalo, mililaribus Imperiis, et gloria ubi- que fllorentissimus, ordinis Franciscani habitum in- (1) Storia delta letteratura italiana, t. IV, p. 273, lib. II, cap. II, parag. XIX. (2) Brevi cenni sulla vita e sulle opere di Guido Bonatti, p. 17. (3) Vedi sopra, pag. 143, lin. 5— 9. (4) Le vite d'uomini illustri fiorentini scritte da Filippo Villani. Edizione di Venezia 1747, p. LXXVI, (Edizione seconda) p. 44. Vita di Guido Bonatti 189 (luti ), (1). Rinaldo Reposati pure afferma che il conte Guido di Monlefeltro vesti 1' abito de' Frati Minori ai 17 di Novembre del 1296 (2). Il Rinaldi per altro attesta che in un manoscritto del conte Fe- derico Ubaldini, si leggeva » Guido ex nobilissimis comilibus de Montefellro strenuus dux belle-rum, cum jam declinassct ad senium anno Domini MCCXCVIF. spretis honoribus saecularibus , induit devotissimi Francisei habitum in quo terminimi vilae dedit » (3). Anche il Signor Ferdinando Arrivabene dice che il conte Guido di Montefeltro nel 1297 tra' frati minori gravò i suoi settantaquattro anni della co- colla e dell' umile cordone di S. Francesco (4). Lo- dovico Iacobilli scrittore del secolo decimosettimo dice che il medesimo conte Guido » prese 1' habito » sacro de' Minori per mano del Ministro Provin- » ciale della Marca in detta Città d' Ancona a di » 17 d'Agosto 1296 » (5). Il Sig. Enrico Leo af- (1) Hicronymi Rubei Hisloriarum Ravennalum libri decem, Lib. VI, p. 498. (2) Della zecca di Gubbio e delle geste de'conti e duchi di Urbi- no. Opera del Prevosto Rinaldo Reposati. In Bologna 1772 — 73, 2. tomi, in 4", t. I, p. 85. (3) Annales ecclesiastici ab anno MCXCVILI ubi desinit cardi- nalis Baronim auctore Odarico Raynaldo. Lucae, 1747 — 36 (73 tomi in log.) t. IV, p. 199, col. I, an. 1296, III. (4) La Divina Commedia di Dante Alighieri giusta la lezione del Codice Bartoliniano. Udine 1823 — 27, 3 voi., in 8", voi. Ili, par- te I, p. 365. (5) Iacobilli {Lodovico), File dei santi e beati dell'Umbria, e di quelli i corpi de quali riposano in essa provincia. In Foligno 1647- 61, 3 tomi, in fog., t. II, p. 269, 23 settembre. 190 Scienze ferma (1) che il conte Guido di Montefeltro entrò in un convento di Francescani nel novembre del 129G. Il Wadding pubblicò un Breve, scritto, eia Pa- pa Bonifacio Vili, al provinciale de' Minori, della Marca d'Ancona, affinchè ejuesti ricevesse nelP or- dine medesimo il conte Guido di Montefeltro (2). Questo Breve, riportato anche dal P. D. Luigi To- sti (3), ha per data: « X Kal. Augusti Pontificatus anno II. » (4), cioè ai 23 di luglio dal 1296. L' Orlandi (5) , eel il Marchesi (6) affermano che Guido Bonatti morì nel 1300. Quest' asserzione è certamente erronea, se, come attesta il Sig. En- rico Leo (7), il conte Guido di Montefeltro mori nel 1298, giacché ejuesti sopravvisse a Guido Bo- natti, secondo che attesta Filippo Villani dicendo : (1) Storia degli stali italiani, voi. II, p. 24, col. 1, lib. Vili, capitolo I, §. IV. (2) Annate s Minorum, scu trium ordinum a S. Francisco insli- tutorum, auctore A. fi. P- Luca fVaddingo Hiberno. Editto secunda locupletior et accuratior, opera et studio fi-"" P. Josephi Fonseca ab Ebora. Romae 1731—43, 13 tomi, in fol. , t. V, p. 349, an. 1296, paragr. X. (3) Storia di Bonifacio FUI, e de'suoi tempi, divisa in libri sei per D. Luigi Tosti. Milano, 1848, 2 voi, in 8°, voi. I, p. 333, 354, documento L. (4) JVaddingus [Lue), Annales Minorum l. e; Tosti (D. Luigi.) Storia di Bonifacio FUI, e de'suoi tempi, voi. VI, p. 334. (5) Origine e progressi della stampa, ossia dell'arte itnpressoria. Bologna 1722, in 4°, p. 299, art. bojutvs. (6) „ Obijt Anconae (Guido Bonattus), an. DÌTi 1300 ». (Geor- gii Fiviani Marchesa, Fìtae Firorum Illustrium Forolivicnsium. Forolivii 1726, in 4°, p. 246). (7) L. e. Vita di Guido Boss atti 191 Obijl Guido Uonatlus .... adhuc cornile Guidone vivente (i). Girolamo Rossi attesta che il conte Gui- do di Montefellro morì ai 29 di Settembre del 4298 (2). Lodovico Iacobilii dice che il medesimo conte Guido fermatosi nel convento di S. Francesco dentro Assisi, se ne passò al suo Signore santamente, a di 23 Settembre 1298 (3> Il Signor Canestri Trotti scrive (4): » Se dunque il conte Guido da Montefeltro entrò » fra i Minori nel 1296 (36), siccome conferma anche * il Rossi ( '?), e morì in Ancona TERTIO KALEN. » OCTOBRIS 4298 (*) oppure XV. KALENDAS « DECEMBRIS 1297 DIE DIVI GREGORII CO- 6 GNOM. THAVMATVRGI MEMORIAE DlCA- )> TO (39), e vi entrò, come si disse, solamente do- » pò la morte del Bonatti , converrà conchiudere » che quest'ultimo non morì prima del 1296 peli' )> età di quasi novant' anni (4°). « (36) Wadingo loc. cit. « (37) Rubeus Histor. Ravenn. » (38) Arold. Epit. Anna!. I. e. « (39) Aunales Eccles. Alidore Fr. Abrahamo Bzovio toni. 13. « e. 1093. « (4°) Benvenuto «la Imola Excerplae ad XX. Coment. ». Questa conclusione non mi pare giusta; giacché se il conte Guido entrò nell' ordine de' Minori nel (1) Vedi sopra p. 143, lin. 2, 3. (2) » Tertio kal. oolobris, Guido Montisf'ellrii Comes, Franoisca- » no iam babitu, ut supra meinoravimus, indutus Anconae, migra- » vit ex hac vita » (llieronymi Rubei, Historiarum /ìavennalum li- bri Decem, Ann. 81. CCXCVM, p. 4i»9, lib. VI). (3) L. e. (4) Brevi cenni sulla vita e sulle opere dì Guido Bonatti, p. 17, 22. 192 Scienze 1296, e dopo la morte del Bonatti, sembra doversi conchiudere che questi morì nel 1296 , o prima d' un tale anno. Negli estratti storici del comento di Benvenuto da Imola alla Divina Commedia di Dante, pubblicati dal Muratori, non mi è riuscito di trovare alcun passo, da cui possa dedursi che Guido Bonatti mo- rì neW età di quasi novanf anni. Tuttavia è certo che il medesimo Guido morì in età molto avan- zata ; giacché Filippo Villani ciò attesta , nella vi- ta che scrisse di lui, dicendo: Obiit tandem dierum plenus (1). Morì già vecchio , leggesi anche nel- 1' antica traduzione italiana dal Mazzuchelli stam- pata di questa vita (2). Nel proemio al suo trattato d'astronomia, Guido Bonatti dice d'essere già avan- zato in età (3). F. Antonio Tognocchi da Terrinca (4), F. Gio- vanni da S. Antonio (5) , ed il P. Sbaraglia (6) (1) Vedi sopra, p. 143, Ila. 3, 4. (2) Le vite d'uomini illustri fiorentini scritte da Filippo FU- lani (Venezia 1747) p. LXXVI. — Edizione seconda, p. 44. (3) » Licet processerim in diebus » (Guidonis Bonetti decem tractalus astronomiae, Augustae Vindelicorum, 1491, carta 16 recto, Venetiis 1506, carta 2, recto). (4) » Humiliter et sancte reliquam plurium annorum vii. un transegit , et l'eliciter terminavit, circa annum 1300. [Tognocchi a Terrinca [Antonius) Genealogicum et honorificum theatrum Hetru- sco — Minoriticum anno Domini MDCLXXX elaboratum. Florentiae 1782, pars IH, titulus I, parag. LXX, p. 202). (5) » Obiit (Guido Bonatus) circa annum 1300 ». (Bibliotheca universa franciscana, concinnata a R. P. fr. Iohanne a S. Antonio, Matriti, 1732 — 33, 3 tomi, in fog., t. II, p. 35, col. 2). (6) » Obiit (Guido Bonattus) circa ann. 1300 ». (Supplemcnlum et castigano ad scriplores trium ordinum minorum a JVadiingo alii- Vita di Guido Bonatti 193 attestano che Guido Bonatti morì intorno all'an- no 1300. Intorno al luogo in cui il Bonatti mo- rì , gli scrittori che hanno parlato di lui non so- no d' accordo. Il Marchesi (1), e l'autore de Lustri antichi e moderni della città di Forlì (2) attesta- no ch'egli morì in Ancona. Negli Annali di Forlì, pubblicati dal Muratori, si legge che mentre Guido Bonatti, tornando da Parigi, e da altre università d'Italia, recavasi dal Porlo di Cesena a Cesena, fu in mezzo alla strada trafitto da alcuni assassini , e lasciò quivi il suo corpo. Nec etiam praevidere sci- vit (Guido Bonatus) mortem suam, quae fuit in re- ditu a Parisio, et ab aids studiis Italicis, in qui- bus augmentavit admodum Scientiam suam Astrolo- giae , et copiam librorum suorum a se conditorum reliquit. In itinere enim discedendo a Porta Caese- natense prò applicando Caesenam, se transferendo per medium iter (heu proli dolori) à malandrìnis perfì- dis crudeliter transfìxus fuit, relinqueìido ibidem cor- pus suum (3). Dante pone Guido Bonatti nella quarta bolgia dell'ottavo cerchio dell'Inferno, fra quei che viven- do ebbero la presunzione di predire le cose future. sve descriplos, opus posthumum fr. Io. Hyacinthi Sbaialeae, Romae 1806, in fol. , p. 316, col. 1, art. MDCLIV). (1) « Obiit Anconae » (Georgii Viviani Marchesa Vitae Vi- rorum illustrium Foroliviensium , p. 240). (2) » Finì santamente , e con atti di eroica mortificazione •S in Ancona i suoi giorni ». (/ Lustri antichi e moderni della città di Forlì, p. 161, cap. VI). (3) Annales Forolivienses apud Muratori {Lud. Ant) Rerum Italicarum Scriptores, t. XXII, col. 236 D, E. G.A.T.CXXII. 13 ID'i Scienze Quell'altro, che ne'fìanchi è cosi poco, Michele Scotto fu, che veramente Delle magiche frode seppe il giuoco Vedi Guido Bonatti, vedi Asdente, Ch'avere atteso al cuoio ed allo spago Ora vorrebbe, ma tardi si pente (1 \. Così Virgilio dice a Dante, indicandogli aldi- ni degl'indovini degni di noia (2), ch'erano ne Ha medesima quarta bolgia. Francesco da Bartolo da Boti nato nel 13'24, e morto nel 1406 (3) nei suo corneale inedito alla Divina Commedia esponendo il medesimo verso Guido Bonatti etc. scrive : « Vedi » Guido Bonatti. Dice Vergilio a Dante: Costui fu da » forli e stette col conte da monte feltro e stava nel » campanile della chiesa maggiore. Et dicea quando » toccherò la campana fate montare la gente a ca- » vallo e quando darò laltro cavalcate e tornerete con » Victoria e così veniva poi fatto » (4). Filippo Villani narra che quando il Conte Guido da Montefeltro si . (1) La Divina Commedia di Dante Alighieri col Contento del P. Baldassarre Lombardi M. C- ora nuovamente arricchito di mol- te illustrazioni edite ed inedite. Firenze 1830, 3 volumi, '•» **', voi. I, p. 437, 438, Inferno., Canio XX, v. 118—120. (2) La Divina Commedia di Dante Alighieri. Inferno, Canio XX, v. 104, voi. I. p. 43tì. (3) Colomb de Batines, Bibliografia Dantesca, t. Il, p. 317, pa- rag. 857. (i) Biblioteca Palatini-Vaticana, codice n.° 1728, carta 127, t'fr- so, col. 1, 2. Vita di Guido Bonatti 195 preparava a cpjalche impresa, Guido Bonatti saliva sul campanile di S. Mercuriale in Forlì ad osserva- re gli astri, e prima di salirvi avvertiva il conte me- desimo che quando egli udisse il primo tocco delU campana vestisse le armi co' suoi, al secondo salis- sero a cavallo, ed al terzo movendo le bandiere ve- locemente cavalcassero (I). Ho più volte fatto menzione di sopra d'un trat- tato d'astronomia composto da Guido Bonatti. Di que- st'opera si hanno tre edizioni, delle quali la prima fu stampata in Augusta, nel 1491, da Erardo Ratdoll , la seconda in Venezia nel 1506, e la terza in Ba- silea nel 1550. Descrivo qui appresso ciascuna di queste edizioni. Edizione d'Augusta del 1491. È un volume in quarto grande, di 422 carte, stampato in caratteri gotici., che occupano 44 linee nelle pagine intere, senza numeri di carte, e senza richiami. Nel recto della prima carta si legge: lkegiftrtttti©ttiboni^ (1) Veli sopra a p 143 Jalla lin. 12 alla liti. 2J; I ite d'uomi- ni illustri fiorentini scritte da Filippo Fillani. Venezia 1740, p. LXXV erroneamente numerata LXXXI. 196 Scienze A tergo di questa carta trovasi una lettera de- dicatoria latina che ha in fronte le parole seguenti: £3&oìms£aìifcrfTtftti$foàtvi*M Nella medesima pagina sotto questa lettera si trovano: C^twtiiemcatminaaSmndmfupertnàiKrinpc^nKopmftddUo» Nel recto della seconda carta incomincia l'indice che finisce nella decimaquarta carta. Il primo qua- derno, composto di 14 carte, ha i registri segnati solamente con numeri arabi. Il rimanente del volu- me ha le segnature a- a, A-Z, AA-EE con numeri arabi. Nel recto della carta decimaquinta trovasi il ti- tolo seguente : ^uibo bonacce foiUufoJ@ccgm Nel recto della carta decimasesla si legge: C^ntioTe & ntamdH.IT '■Jftdpft tibet* introbuctozius ab iubìcia MlawwU « èftnon folil inttobuctoitiis ab lubìctatfeb eit iubicto^ aftronomie :ebitu£ àguibone boriato be fozliùio be pzoutncta romaubiole itaU'e : % collegi]: in- «o e* biette j>b ilofopbo» ca que vifa funi ftb i foie vtilìa ab intro&ucenbitj -volentes intenbere mbicite eftroitim SteflttC -vibebant competere voleiv tibue inbfcatif Irò fignificationee ftellamm «ab alia que&am ipfis iwbicij» pcrttaentàu Vita di Guido Bonatti 197 A tergo dell'ultima carta trovasi la seguente nota tipografica: CZ. iberaftronomfats Bnibonte lionati be fózlivio eyptfcft féliciter. #&&• glM^ohiannis angeli viri peritifìimi diligenti collettorie» èrbarbiqj ftitbolt vinfolcrtie : eyimia inòttftna. t mira ùrtpzimenòi arte: qua nupep wwecijs:minc adulte viiibeUcoramercellit nomìnatiflunus.ScpUma Mal'ZLpsilis.flCscccc.lxxxxJ. Le parole di questa nota Magistri Iohannis an- geli viri peritissimi diligenti correctione ci mostra- no che quest'edizione fu corretta da Giovanni En- gel , astronomo del secolo decimoquinto , e nativo d'Aichach città della Baviera. Questi latinizzò, secon- do l'uso del suo tempo , il proprio suo cognome Engel in Angelus (1): giacche la parola engel in lin- gua tedesca significa angelo. Però Sebastiano See- miller a buon dritto indica quest'edizione in un ca- talogo da lui dato, nel suo opuscolo intitolato De vita et scriptis Iohannis Angeli Aichachensis Boii (2) de'libri composti, o corretti dal medesimo Giovan- ni Engel. Nella sua opera intitolata Bibliothecae Aca- demicae Ingolstadiensis Incunabula typographica lo stesso Seemiller avverte che il celebre bibliografo Michele Denis aveva ommesso di notare l'edizione medesima, in un elenco da lui dato de'lavori di que- (1) » Discimus inde, no ine n ei genlilitium fuisse Engel quod » more doctorum illius aetatis Ialino Angelus exprimere consuevit. » (Seemiller (Sebastianus), De vita et scriptis Iohannis Angeli Ai- » chachensis Bori. Ingolstadii 1791, in 4°, p. 8) ». (2) Pag. 13, § II, seu Catalogus historicocriticus librorum quos Johannes Angelus vel composuit vel a se correctos in lucem eden- dos curavit artic. V. 198 Scienze gl'astronomo (I). Errò adunque il Mazzuchelli affer- mando che quest'edizione ci fu procurala e corret- ta da Giovanni Angelo Bonalli (2). Di quest'edizione sono a me noli gli esempla- ri seguenti. 1.° Esemplare della biblioteca Casanatense di Roma. Quest'esemplare è indicato nel catalogo pub- blicato dal P. Audiffredi de'libri stampali della Ca- sanatense (3). 2.° Esemplare della biblioteca Magliabeehiana di Firenze. Quest' esemplare trovasi accuratamente descritto dal Fossi nel suo catalogo delle edizioni del secolo XV che sono nella Magliabeehiana (-4). 3.° Esemplare della biblioteca dell'Università di I-ngolsladl città della Baviera. Sebastiano Seemiller indica quest'esemplare nel catalogo da lui pubbli- cato dell'edizioni del secolo decimoquinto della bi- blioteca medesima (5). (1) Seemiller (Sebastianus\ Biblio'.hccae Acaiemicae Ingolsta diensis Incunabula typographica. Ingolstadii 1787 — 92, 4 voi., in 4°, faficiculus III, p. J 12, num. 1488, art. XXIX. (2) » La «piai edizione ci in procurala e corretta da Gio: An- » giolo Bouatti (Le vite d'uomini illustri fiorentini scritte da Fi- » lippo Fillani. Ediz. di Venezia 1747, p. LXXX1) ». » La qual edizione ci fu proccurala e corretta da Gio: Angelo » Bonatti « (Mazzuchelli. Gli Scrittori d'Italia ». Voi. 11, parte 111, p. 1561). (3) Dibl olhecae Casanatensis Catalogni librorum typis impres- sorum. Romae 1761 — 88; 4 tomi in fol., I. I, p. 733, col. 1, ari. Bo- nalus (Guido). (4) Catalogni codicum satculo XV impressorum , qui in p«- blica bibliotheca Magliabeehiana Florentiae adservantur , auctore Ferdinando Fossio. Florentiae 1793, 3 tomi in fol. , t. I, col. 394, 395, art. Bonati (Guidonis). (5) Bibliothecae deademicae Ingolstadiensis Incunabulo, typo- graphic, Fasciculus IV, p. 29, an. 1491, num. 5. Vita di Guido Ronatti 199 4." Esemplare della biblioteca del monastero dei SS. Udalrico ed Afra d'Augusta. Placido Berna de- scrive quest'esemplare (1). Giorgio Guglielmo Zapf (2), e Giorgio Volfgango Panzer (3) indicano questa edizione. Essa è anche descritta da Ludovico Haiti (4), il quale deve aver- la veduta, giacch'egli la contrassegna con un aste- risco (5). Edizione di Venezia del 1505. È un volume in foglio di 191 carte, con se- gnature in lettere maiuscole A-Z AA-QQ, e numeri arabi. Nel recto della prima carta trovasi il titolo seguente: (1) Notitia historieo'lileraria de Hbris ab artis typogràphieae in- rfntione,usque ad annum 1501 impressisi in bibliotheca Uberi, ao im- periali* monasteriì ad SS. Vdalricum et Jfram Jugustae extanti- bus. Auguslae Vindelicorum, 1788 — 89, 2 parti, in 4», pars II, p. 215, 216, an. MCCCCXCI, ari. Vili. (2) Jugsburgs Buchdruckcrgeschichte von Georg Wilhelm Zapf Augsburg 1786—91, 2 parti in 4°, parte I, p. 100, 1491, art. Ili (3) Panzer {Georg. Jf'olfg.) Annate* typografhici ab artis inven- tae origine ad annum 1536. Norimbergaet 1793— 1803; 11 volumi, in 4«, voi. I, p. 119, an. MCCCCXCI, art. 109. (4) fiepertorium bibliographicum, in quo libri omnes ab arte ty- pographica inventa, usque ad annum MD typis exprcs*i, ordine ai- pnabetico, vel simpliciter enumerantur, vel accuratius recensentur. - Opera Ludovici Ilnin. Sluttgartiae et Tubingae, 1826—38, 2 tomi in 4 parti, voi. i, pars I, p. 475, col. 1, art. 3461. (5) L. e. 200 Scienze Il rovescio della prima carta medesima nulla contiene. Nel recto della seconda carta, colonna 1, si legge romàdxolc italiesi còire^itiaeocs? wtis^biMopbopeaqiievifafut tibifozc vtilta ad iittroduicendunn t eaque videMtar coirapetere ve kntibttó indicare f m figmfkatio* ma ftelknimt^adàlu^dS tpfé ttidictf$peftfàmt&» Nel recto della carta 181 trovasi la lettera di Iacopo Canter a Giovanni Miller colle seguenti pa- role in fronte: 3acoì>najMarWiu$3oani^ Più sotto nella pagina stessa si trovano i versi soprammentovati del Canter col titolo seguente: £inft>enK3nttina ab eimbmfitper fubice imperarne open oòbito, A tergo della carta 181, col. 1, incomincia l'in- Vita di Guido Bonatti 201 dice del trattato d'astronomia di Guido Bonatti. Nel recto dell'ultima carta, col. 2, si legge: Jlatoijs rfkaTtcfeto -jacpèfis flkel clpioms feffetlftcr ^acopu'piliu$ 5.<5uli}.lTte^nantc^nclYto Zeonardo^auretao tie netiarwn principe. A tergo di questa carta si trova lo stemma del- lo stampatore Melchiorre Sessa, colle lettere A 0 S. Di quest'edizione sono a me noti gli esemplari seguenti: 1.° Biblioteca Casanatense (Miscellanea in fog. voi. 49 in CC). Quest'esemplare è indicato nel Ca- talogo de'libri stampati della Casanatense pubblica- to dall'Audiffredi (1). 2.° Biblioteca Albani di Roma camera 1, scan- zia 76, mira. XIII. Edizione di Basilea del 1550. E in foglio. Nel frontespizio trovasi il titolo seguente: Guidonis Boriati Foroliviensis mathematici de astronomia traclatus X universum quod in iudi- ciariam ralionem Nalivitatum, Aeris, Tempestatum, atlinet, comprehendentes. Adiectus est CI. Ptolemaei liber Fructus, cum Commentariis Georgii Trapezun- ti't. Basileae anno M. D. L. Il rovescio della prima carta contiene una let- (1) Loc. cit. 202 Scienze lera dedicatoria di Nicola Pruckuer di Strasburgo, diretta a Guglielmo Paget, uomo di stato Inglese. Generoso Domino Gulielmo Payelo Baroni et Regio conlrar oliar io, Domino suo. Questa lettera ha la da- ta seguente : Argentorati lertia Augusti, Anno Ver- bi incarnali millesimo quingcntesimo quinquagesimo, cioè: Strasburgo ai 3 d'Agosto del 1550. Segue l'in- dice del trattalo d'astronomia del Bonatli. Quest'iu- dice è compreso in sei carte non numerate dalla seconda alla settima del volume. L'ottava carta nel recto contiene: Nomina quorum autori Bonatus sua iuetur. Il rovescio di questa carta nulla contiene Il trattato di astronomia del Bonalti è in quest'edi- zione diviso in sei parti. È contenuto in 848 co- lonne tutte numerate , ossia in 212 carte; giacché ogni pagina ha due colonne. Nel recto della carta 220 del volume si trova questo titolo: CI. Ptolemaei Cenliloquium, sive aphorismi à Georgio Trapezuntio ex graeco in latinum versi, et commenlariis illustrati. Il rovescio di questa carta contiene una lettera de- dicatoria colle seguenti parole in fronte : Georgius Trapezuntius Alphonso Regi Arragonum Ncapolis et Siciliae. Seguono in 15 carte (dalla carta 221, alla carta 237) la traduzione fatta da Giorgio di Tra- brsonda del Centiloquio di Tolomeo, ed il Comento del medesimo Giorgio a quest'opera. Queste 15 car- te contengono 58 colonne delle quali 5G sono nu- merate co'numeri 7 — 62. In fine della colonna 62 si legge: Finis. Il Marchand parlando di quest'edi- zione dice (1): « Elle est in folio de méme que la (1) Viclionnaire hislorique, t. I, p. 116, col. 2, Remarque C. Vita di Guido Bonàtti '203 t précédente, conlient 848 colonne» el a élé dori- ti née par Nicolas Pruckuerus de Strasbourg, qui » la dediée à Guillaume Paget Baron et Control - » leur royald'Angleterre; promellant de donner dans » peu l' Apologia Aslrologiae Ludovici Bellantii » adversus calumnias Iohannis Pici , corame il » donnoit pour le présent le Commenlaire de Geor- » gè de Trébizonde sur le livre de Plolémée; et dat- » tant celle dedicace de Strasbourg , le 3 rf' Aoùt » 1550. Malgré ce» te promesse réitérée et celle du » tilre ce livre de Ptolémée in le Commenlaire de » George de Trébizonde ne se Irouvent point dans » celle éditiou ». Tuttavia è certo che il Pruckner mantenne la sua promessa, giacché tanto il libro di Tolomeo, quanto il comenlo di Giorgio da Trabi- sonda si trovano in quest'edizione , come apparisce dalla descrizione che ne ho dala di sopra, seguendo un esemplare, ch'io posseggo, dell'edizione medesi- ma. Però è da credere che il Marchand ne aves- se veduto un esemplare mutilo, cioè mancante del- le 17 carte, che contengono il Centiloquio di Tolo- meo, ed il Comenlo di Giorgio da Trebisonda. Francesco Sirigatti, scrittore Fiorentino, di cui parlano Corrado Gesner (1), Giovanni Cinelli Cai- voli (2) ed il P. Giulio Negri (3) tradusse dalla (1) Bibliothcca universalis . . . authore Conrado Gemerò Ti- gurino. Tiguri, apiul Cliristophornm Froschoveri:m mense Septein- bris anno MDXLV, in fot-, carta 239 recto e verso. (2) La Toscana letterata o vero storia degli scrittori fiorentini e toscani di Giovanni Cinelli Calvoli. Manoscritto della Biblioteca Corsiniana «li Roma (Scanzia 31, manoscritti, lettera DJ. Parte J, \ol. t, carte 385, verso, 386 recto. (3) Istoria degli scrittori fiorentini, p. 222, col. 1. 204 SCIENZE latina lingua nell'italiana il trattato d'astronomia di Guido Bonalti. Questa versione, dedicata dal me- desimo Sirigatti a Gino Capponi, trovasi manoscrit- ta nel codice Plut. XXX , n.° XXX della biblio- teca Laurenziana di Firenze. In fronte alla prima carta di questo codice si legge il titolo seguente: » Traduclione di Francesco Sirigatti sopra tucte Io- pere facte dallo egregio e prudente Guido Bonacii di lingua latina in lingua toscha ». Appresso a que* sto titolo trovasi nella medesima prima carta recto e verso la seguente lettera dedicatoria: E non fu mai per alchuno tempo prestantissi- mo Cittadino scriptore nessuno o traduttore di lingua in lingua che dirizasse lopere sue a principe o cit- tadino più convenientemente che dirizzerò io questa mia tradultione a te. Impero che chosa è più ra- gionevole che dirizare e monumenti dello ingegnio suo a cholui che avanzi di nobiltà digiegnio e disi- derio di dottrina tutti gli altri e perchio dovessi più tosto riducerlli a quella 'fonte della quale il corso della presente opera avuto origine edonde egli è usci- to: imperò benché perito adietro tutto quello tempo che mavanzava dalle mie Curie familiari io lo chon- sumassi per me medesimo nelle cognitioni delle stelle e nel considerare i loro moti corsi regressi stationi direttioni orti occasi augumenti danni gaudi società di loro effetti accioche pigramente ettristamente e non traschoressi e chonsumassi sanza frutto alchuno. Non- dimeno lanimo mio era più lento alli sludi assai che non e al presente non dicho perita cholpa de nostri cipttadini ma per la conlraditlionc de tempi conciosia Vita di Guido BonAtti 205 perita povertà et la inopia delle cose necessarie mi costrignessi mettere quasi tutto il tempo mio non nelli studj matematici chomio desideravo ma alchuno gua- dagnio per sostentare la mia vita. Ecciertamenle an- cìiora che la instutictione della mia vita sie stala sempre di stimare più la virtù che la pechunia non dimeno i nostri ciptladini da pochi infuori sono slati sempre negrigienli ettardi in levare e ornare coni premii gluomini dotti elloro sottili ingiegnj ettal elio- sa anno fatto chi per ignoranza delle buone arti citi per avere più stimato più la degnità el guadagnio e altre loro volontà che la propria virtù e dottrina la qual chosa essendo grave e molesta agi uomini buo- ni e dotti a alienata la mente di molti da il pen- siero del comporre e dallo scrivere Impero chegli e chosa indegnia e da non essere soporlata pallentemen- te dalli uomini savj vedersi proporre così nelle de- gnila come nelli premii gluomini vilissimi di condi- ctione e di dottrina. Tu solo gino Capponi (ì) con alchuni altri ciptladini delti quali altra volta dire- mo ^ Tu solo dicho se in questa nostra cippla che chognoscendo ottimamente la virtù esser guida della (1) Angelo Maria Bandini, nella descrizione ch'egli dà del co- dice Laurenziano Plut. XXX, n.° XXX, dice: Praecedit Epistola Nun- cupatoria ad Ginum quemdam, quem summis effert laudibus, ob exi- miam qua pollcbat Astronomiae cognitionem. ( Catalogus codicum Italìcorum bibliothccae Mediceae Laurenlianae Gaddianae et San- ctae Crucis . . . Ang. Mar. Bandinius recensuit, illustrava, edidìt. Florentiae, anno 1778, in f'ol ., col. 17, Plnt. XXX, Cod. XXX). Le parole Tu solo Gino Capponi, che in questa lettera dedicatoria si leggono, mostrano ch'essa fu diretta da Francesco Sirigalti ad uno che si chiamava Gino Capponi. 206 Scienze lutiti de mortali volentieri aiuti essollievi gluomini eccellenti di dottrina e tradurgli dal pigro olio allo essercilio dello scrivere. In modo che veramente que- sta nostra cippta si può groriare davere uno ciptta- dino tragli altri suoi cipttadini egregi et nobili che sia si studiosissimo e amantissimo delli studiosi della sapienlia la qual chosa essendo veramente dono di dio e da essere stimato tanto quanto è da essere proposta la virtù a vitii per clic dove ciessano li esercita delle dottrine dove non si fa differenzia tra dotti elli indotti dove la virtù non a suo luogho dove nom sa rispetto all'i studi e alle buone arti è necessario che quivi e vitii curegghino elli ingegnii vi prigrischino e i princi- pati e regni vi rovinino e alla fine vi sia una confu- sione di tutte le chose si che la virtù e bontà tua non si potrebbe mai tanto lodare quantella meriterebbe più: la quale avendo messa grande parte della vita passata in cognosscere e intendere varie dottrine o imperscrupta* re gli ochulti segreti della natura e quelli com gran- dissimi sumpti aprire e a lucie recitare favorisce al, presente a dotti e virtuosi e cholla sua magnificien- tia e liberalità invita gli altri asseguire similmente le virtù. E che sia vero Io Francesco Sirighatti ne posso fare buona teslimonianzia. Impero che dessen- do io tragli altri debole e di dottrina e deloquentia comfesso me essere suto adocto e pe sua comforli e perita sua liberalità a tradurre di latino in lingua toschana la presente opera di Guido bonatli Dottore egregio sapiendo chio sottomettevo le spalle mie a peso troppo grave alle mie forze et apto a essere biasi- malo da molti. Il quale biasimo benché sia da esse- Vita pi Guido Bonatti '207 re stimalo podio : nondimeno essendogli bastato la vista di mordere quelli antichi Uuomini di somma alterità e dottrina che è da slimare faccia di noi i quali non ci difende ne lautorità ne la degnila. Ma fidatomi nel giudicio tuo che è evquisi lissimo e delli huomini dotti o fornito la detta opera. Tenendo que- sto modo e ordine che in tutti quelli luoghi douio o veduto essere parole superfrue chome usano al'e vol- le gli autori latini di fare o lasciato andare quelle e preso la sentenzia osservalo la fede delle tose reli- giosissimamente. Echosi perllo opposito agiunlo do- uio o veduto essere di bisognio allargharc e dichia- rare le scnlenzie honde chiegho di grulla a lettori chelli sieno conlenti alla nostra facilità e che non voglino danuoi più che si possi no le nostre forze. Anzi sappino chess eglino volessino dannai più che le facilità nostre palissino farebbe Inficio delluomo in- grato non essendo contenti di quelle cose chessanza ulcliuna sua spesa sponlunamente colla mano lar- gha gli sono porle. Ma accio che nessuno stimi tal chosa essersi sala falla damme per igniorantia sap- pi che io lo falla per essere breve dove è suto di bi- sognio e aperto dove è suto necessario aperire: Aca- cia chellu prolissità non ncciessaria non partorissi fastidio allettore elaschurità arechasse tedio e dispe- ralione: e bene che da l autore nello exordio del li' bro si dicha assai pienamente della utilità e profit' to della astrologia : nondimeno e racolto di tutto il corpo della strologia chessi contiene in detto libro e da essere lodato maravigliosamente essommamente exaitato: perchè il detto guido bonatti traendo da- 208 Scienze gli antichi dottori e scripttori di malematicha ciò chessi può trarre di buono in ogni genere spetie faculta di detta santissima arte a mostrato una via aperta e facilissima a volenti studiare in detta sacratissima scienzia et adunque questa opera varia et egregia et splendida et in tal modo utile a desiderosi di tale prestantissima scienzia chio stimo le gienti dovere sapere il buono grado alla nostra falicha perita co- gnilione di tante essi varie et exeellenli cose che in essa opera si comtengono e che chosi sia attendi di- letto gino cheggia esso guido chomincia a parlare. Il Bandini afferma che il codice Laurenziano Plut. XXX, n.° XXX è del secolo decimoquinto (1). Il Poccianti non parla di Francesco Sirigatti. Una opera del medesimo Francesco Sirigatti in due libri, intitolata De ortu et occasu signorum, fu stampala in Lione dal Griffi nel 1536, secondo che attestano Corrado Gesner (2), ed il P. Negri (3). Quest'ope- ra fu dall'autore dedicata al sommo Pontefice Leo- ne X (£> Giovanni Cinelli Calvoli, scrittore Fiorentino del secolo decimosetlimo, nella sua opera intitolata: La Toscana letterata ovvero Storia degli scrittori Fiorentini dice : » Francesco Sirigatti letterato di (i) » Codex ehartac. Ms. in fol., Saec. XV. Constat foliis scri- ptis. 354. » (Bandini Ang. Mar.) Catalogus codicum Italicorum bi- bliothecae Medìceae Laurentianae, Gaddianae, et Sanctae Crucis, col. 18, Plut. XXX, cod. XXX). (2) Bibliotheca universalis, carta 259 recto. (3) Istoria degli scrittori Fiorentini, p. 222, col. 1. (4) » Ex praefactione authoris ad Leonem X pont. max. » (Gesnc- ri {Conradi) Bibliotheca universalis, carta 259 recto e verso). Vita di Guido Bonatti 209 » stima per quanto Veggo ancorché non molte opere » di lui si trovino so bene che con molta diligenza » tradusse l' « Opere di Guido Bonatti » che M. S. nell'insigne libreria di S. Lorenzo si leg- » pono (1) ». Nell'articolo della sua Toscana letterata relativo a Guido Bonatti il Cinelli dice (2): « La » Libreria di S. Lorenzo era una versione in lingua » toscana di tutte le sue opere fatta da Sirigatti, ma » dubito che sia stata rubata come di molti altri » codici è addivenuto ». Una traduzione in lingua tedesca del suddetto trattato d'astronomia di Guido Bonatti fu stampata in Basilea, nel 1572, sotto il titolo seguente: Ausle- gung des Menschlichen Gebuhrls-Stunden. Cristoforo Hendreich, storico Prussiano del secolo decimoset- timo, scrive: bonatvs Guido, Ilalus, apud Forum Li- vii vel Foro-Iidii natus, Astrologus, scripsit Theo- rieas planelarum, lib. /, super Astrologiam Iudicia- riam lib. 10. qui impressi sunt Veneliis 1506. Ba- sii. 1530. 1536. in fol. Aug. V. 1491. 1581. 4 Transl. in Germanicum sub Ut. Auslegung des Men- schlichen GebuhrtSsStunden. Basii. 1572. Contra Fran- ciscanos lib. I. Et alia. Claruit anno 1280 (3) ». Nel catalogo pubblicato da Roberto Fisher de'libri (1) La Toscana letterata. Parte I, voi. I, carte 385, verso, 386 recto. Bibl. Corsiniana, Scanzia 31, manoscritti lettera D. (2) La Toscana letterata. Parte I, voi. I, carta 142 verso (Bibl. Corsiniana, Scanzia 31, manoscritti, lettera D.) (3) Hendreich ( Christophorus ) Pandectae Brandeburgicac. Be- rolini, 1699, in fol., p. 639, col. 1. G.A.T.CXXIL 14 210 Scienze stampati della biblioteca Bodleiana d'Oxford si leggo: » Guido Bonatvs. v. W. Lilly. » De Astronomia (seu potiti s Astrologia), Traela- » tus X, Bas. 1550, A. 1. 12. Art. Seld, » Auslegung des Menschlichen Geburls Stunden, » Bas. 1572. H. 1.3. Art. Seld. » (1). Tutte e due queste edizioni sono indicate an- che nel catalogo de' libri stampati della Bodleiana pubblicato da Tommaso Hyde (2). Prospero Mai- chand avverte che secondo il catalogo pubblicato nel 1738 de'libri stampati della biblioteca Bodleia- na, una parte del trattato d'astronomia di Guido Bo- natti fu anche tradotta in lingua inglese (3). Di fatti in questo catalogo , all' articolo Will. Lilly Student in Astrologi} , si legge (4): » Anima Astro- » logiae; or a Guide for Astrologers* being the Con- » siderations of the famous G. Bonatus rendered into » English: as also the choicest Aphorismsof Cardan's .» VII Segments. Lond. 1676, 8.° M. 1G Art. ». Nel catalogo pubblicato da Gustavo Haenel de'manoscritti in lingua francese , che si trovano nella biblioteca dell'Arsenale di Parigi, si legge » 208 Astrologie de Guido Bonatti; fol. « (5). (1) Catalogus imprcssorum librorum bibliothecae Bodleianae in Academia Oxoniensi. Oxonii, e theatro Sheldoniano, 1738, 2 voi. m fol., voi. I, p. 171, col. 1. (2) Catalogus impressorum librorum bibliolhecac Bodleianae in Academia Oxoniensi. Cura et opera Thomae Hyde. Oxonii e theatro j Sheldoniano, 1674, in Ibi., p. 97, col. 2. (3) Diclionnaire historique, t. I, p. 116, col. 2, Reraarque C.| (4) Voi. Il, p. 92, col. 2. (3) Catalogt librorum manuscriplorum, qui in bibliolhecia Gali Vita di Guido Bonatti 211 L' Hendreich indica le tre seguenti edizio- ni del trattato d'astronomia di Guido Bonatti: Basi- leae 1530, 1536 in fol. ; Augustae Vindclicorum 1581. 4. È probabile che queste tre edizioni non abbiano mai esistito. In fatti Prospero Marchand serive (S): » Ce qu'il y a de certain c'est qu'il n'est » point non plus dans la troisième édition , dont » je vais parler ; car jusqu'à ce que je les voie » mieux attestées je compte pour rien,et simplement » cornine fondées sur des erreurs de chiffres, cel- >» les de 1530, 1536, et 1581, indiquées par Hen- » dreich , Compilateur aussi inéxact qu'avide de » grossir indiscrètement son recueil ». Il Lalande nella sua Bibliographie astronomique, non cita que- ste edizioni. Egli per altro registra quelle del 1491 e del 1506 (2) da me descritte di sopra. Anche il Fabricio, ed il Mazzuchelli citano le pretese edizio- ni: Basileae 1530, ed Augustae Vindelicorum 1581 del trattato d'astronomia di Guido Bonatti. Il Fabri- cio dice: Ejus (Guidonis Bonati) decem traetalus Astrologici, Augustae Vindel. 1491. 4. ex correctione Magistri Ioannis Angeli, per Erharduni Batdolt cum figuris Ugno inctsis. Inde Venetiis 1506. fol. Basii. tiae, Helvetiae, Beigli, Britanniae M., Hispaniae, Lusitaniae as- scrvantur , nunc primum editi a D. Gustavo Haenel. Lipsiae 1830, in 4.", col. 345. Paris, Bibliolhèque de Monsieur, à l'Arsenal, Mss. Francais, 111, sciences et arts. (1) L. cit. (2) Bibliographie astronomi que ■ avec fliistoirc de Vaslronomic depuis 1781 jusqu'à 1802, par Jerome de la lande. A Paris, 1803, i» 4°, p. 19, 32. 212 Scienze 1530, 1550. Augustae Vindel. 158J. et Germanice Basii. 1572 (1). Il Mazzuchelli scrive (2): » Com- » pose (Guido Bonalti) un'Opera di Astronomia che » si ha alle stampe con questo titolo : Opus Guido » Bonalti de Forolivio conlinens X Tractatus Astro- » nomiae. Augustae Vindelicorum per Erhardum Bai- « dolt 1491. in 4, la qual edizione ci fu proccu- » rata e corretta da Gio. Angelo Bonatti, e seguita » da varie ristampe, che si fecero Venetiis 1506. in » fogl. Basileae 1530. e 1550. in fogl. Augustae Vin- » delieorum 1581. e tradotta in Lingua Tedesca uscì » Basileae 1572 ». I deeem tractatus astronomiae del Bonatti, ben- ché siano pieni degli errori dell'astrologia giudizia- ria che al suo tempo era molto in credito, e che po- scia gli fece acquistare il titolo di Principe degli astro- loghi (3; , tuttavia contengono, come avverte il P. Ximenes (4^ pregevoli nozioni di soda astronomia. Nel suo trattato d'astronomia Guido Bonatti parla d'una battaglia , che fu data presso Valbo- (1) Io. Alberti Fabrùr UìMiolìuca latina mediae ci in/imae ae- fatis, cum, supplemento Chrlstiani Schoettgenii, cdilio a P. Ioan. Do- minico Mansi correda, illustrata, aucta. Veuetiis 1734, fi tomi in 4" piccolo, l. iil, p. 130, col. 1, lib. VII. (2) Gli scrittori d'Italia, voi. 11, parte III, p. 15(51, art. Bo natii (Guido), (o) Mazzuchelli, gli scrittori d'Italia, voi. Il, parte III, p. 1581, 15(52. (•'») Bel vecchio e nuovo gnomone Fiorentino, libri IV di Leo nardo Ximenes della Compagnia di Gesù. In Firenze 1757, p. LX. Introtl u/ione islorica, parte II, para;;. 2. Vita di Guido Bonatti 213 na. Idem , die' egli , in electionibus videtur posse dici , sicut accidit nobis quando equitavimus Valbo- nam: fuit enim aseendens Taurus et Mars in ascen- dente: vicimus enim omnes volentes nobis resistere (1). Il Tiraboschi avverte (2) , che questa forse fu la battaglia di cui parlasi negli Annali di Forlì all'an- no 1276, seguita tra1 Ghibellini Forlivesi, ed i Guel- fi loro nemici, i quali aveano appunto posto il cam- po a Valbona: Leggesi in fatti ne' suddetti Annali di Forlì: Tunc Dominus Raynerius de Calbulo, et Do- minus Lucius de Valbona, et Domini de Protexeta, Ci- ves et Comitatini Civitatis Forlivii, se a dieta Civi- tate rebellarunt, et occupaverunt inter celerà Bur- gum Castri Civitellae, et Planettum, ad quem praedi- cti Milites devenerunl, et ipsum optime munierunt de bonis viris, et opportunis prò defensione ipsius Burgi. Et iverunt ad Valbonam, et ibi castramentati sunt die Sabbati XIII. mensis Novembris, et habuerunt Valdoppiam,Valcapram,Montem-VeteremRochorum (3). La battaglia di Valbona è l'ultimo de' fatti storici raccontati dal Bonatti nel suo trattato d'astronomia. Da ciò il Tiraboschi deduce (4) che dopo Tanno 127G Guido Bonatti scrivesse quest'opera; giacché (1) Guidonis Sonali Foroliviensis Mathematici de Astronomia Tractalus X. Basileae, 1550, coL 2i>9. (2) Storia della letteratura italiana, t. IV, p. 265, lib. II, ca- po II, parag. XV. (3) Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, t. XXII, col. 140 D, E Annales Forolivienses a. 1276. (4) Storia della letteratura italiana, t. IV, p. 273, lib. II, ca- po li, parag. XIX. t 214 Scienze in quell'anno probabilmente avvenne, come si è mo- strato di sopra, la battaglia medesima di Valbona. Nel proemio al suo trattato d'astronomia Gui- do Bonatti fa menzione d'un Bonatti suo nipote. In questo proemio si legge: Ego igilur, guido bo- natus de forliuio cum atiquid in astronomie slu- duissem et multa opera noslrorum predecessorum in- spexissem qui licei honorandi sunt plurimumque a nobis reuerendi tamen quidam eorum breviloquium amantes quamuis dicerent se locuturos introduceu- dis fuit eorum intenlio loqui prouectis in alijs scien- tijs licei in astronomia et maxime in iudicijs in- troducendi forerà et rudes . volui componere hoc opus atque compilare ex dictis antiquorum qui mi- hì visi sunt incessisse itinere i>eritalis vtiliora que in ipsis reperta sunt et in hoc opere ponere ad hoc vt tam illis qui non sunt multum in aliis inlroducti scientijs quantum in astronomia utile foret et ipsi leuiter licei forte non multum brevi ter invenire pos~ sent ad optatum finem iudiciorum rogans sapien- tiam atque divinam benignitatem licei processerim in diebus quod mihi gratiam cum integritate cor- poris vita comitante prestare dignefur ita quod opus inceptum ad dei honorem possim perficere et omnium aliorum stridere volentium et praecipue lui bonatì nepotis mei vtilitatem (1). Così, sciolte le abbrevia- ture, leggesi nella prima edizione del trattato d' a- stronomia di Guido Bonatti. Nella ristampa del trat- ti) Guidonis Bonati decem tractatus astronomiae. Anguslae Vindelicorum 1491, carta 16 recto. Vita di Guido Bonatti 215 tato medesimo, fatta in Venezia, nel 1506, leggesi « et precipue lui bollitati nepolis mei utilitatem (1) ». In un codice ch'io posseggo del trattato stesso trovo scritto: et precipue lui bonatti nepolis mei utilitatem (2). II sig. Canestri Trotti scrive (3): » L'opera che » del Bonatti si ha alle stampe porta per titolo : » LlBER ASTRONOMICVS GuiDONIS BONATTI DE FOR- » LIVIO EXPLICIT FELIC1TER MAGISTER IOANNES An- » GELVS VlR PERITISS. DILIGENTI CORRECTIONE. Au- » GUSTAE VlNDELICORVM ERHARDvS RATDOLT SEPTI- » MO kalen. aprilis 14-91, ristampata in Venezia in » foglio CVM FIGVRIS ligno incisis nel 1506. Due » altre edizioni in foglio se ne fecero a Basilea nel » 1530 e 1550; una versione in Tedesco, pure in » foglio, si pubblicò a Basilea nel 1572; finalmen- » te un'altra edizione in foglio uscì nel 1581 Au- » gustae Vindelicorum. Le edizioni del 1506, 1530, » 1550 e 1581 hanno per titolo: Opus Guidi Bo- » NATTI DE FORLIVIO CONTINENS X. TRACTATUS AsTRO- » NOMIAE EX CORRECTIONE MAGISTRI IotlANNIS An- » GELI. Questo Giovan Angelo sembra che fosse ni- » potè al Bonatti, giacché dopo avere egli in prin- » cipio dell'opera invocato lo Spirito Santo, Maria » Vergine e san Valeriano protettore della sua pa- » tria , aggiunge di aver composto questo libro »> PRAECIPUE PROPTER UTILITATEM lOHANNIS ANGELI (1) Bonatus (Guido) Decem tractatus astronomiae. Venetiis 1506, caria 2 recto, col. 2. (2) Il proemio di Guido Bonatti al suo trattalo d'astronomia non si trova nell'edizione di questo trattato fatta in Basilea nel ISSO. (3) Brevi cenni sulla vita e sulle opere di Guido Bonatti, p. 13,14. 216 Scienze » NEPOTIS mei ». Intorno a questo passo de' Brevi cenni sulla vita e sulle opere di Guido Bonatti parmi utile di fare le seguenti osservazioni: 1.a Le edizioni del 1530 e del 1581, citate dal Sig. Ca- nestri Trotti, probabilmente non hanno mai esisti- to (1). 2.a I titoli delle edizioni del 1506 e del 1550, riportati di sopra (2), sono ben diversi da quello che ad esse è attribuito dal Sig. Canestri Trotti. 3.a Guido Bonatti nel proemio al suo trattato d'a- stronomia fa menzione d'un Bonatti suo nipote; ma che questi si chiamasse Giovan Angelo, non si legge nelle edizioni da me vedute del trattato medesimo. 4.a II Sig. Canestri Trotti sostituisce nel proemio stesso, senza darne alcuna ragione, le parole loHAN- Nis Angeli alle parole lui bonati, che si trovano nel- l'edizione del 1491. Nella traduzione italiana della vita di Guido Bonatti scritta dal Villani si legge: » Questi (Guido » Bonatti) vivendo non volle delle sue fatiche pri- » vare i successori; ma compose nell'arte dell' Astro- » logia uno diffuso e utile libro, che a giudizio de' » dotti è giudicato molto sottile ed emendato: nel » quale ordinatamente recitata la sentenza di molti » antichi, mirabilmente e con prestezza insegna de' » futuri avvenimenti giudicare (3) ». Il Mazzuchel- li avverte (4) che l'opera di Guido Bonatti, menzio- ni Vedi sopra, p. 211. (2) Vedi sopra, p. 195, 199. (3) Le vite d'uomini illustri Fiorentini, scritte da Filippo FU- lani. Ediz. di Venezia 1747, p. LXXV (erroneamente numerata LXXXI). (4) Le vite d'uomini illustri Fiorentini scritte da Filippo Vil- lani, 1. e. , nota 4. Vita di Guido Bonatti 217 nata in questo passo del Villani, è it trattato d'a- stronomia stampato in Augusta nel 1491. E da cre- dere che del trattato medesimo intendesse di par- lare Benvenuto Rambaldi da Imola dicendo : Nani Guido iste fecit Opus pulcrum et magnum in Astro- logia , quod ego vidi. In quo tam dare Iradit do- ctrinam de Astrologia, quod visus est velie docere fé- minas Aslrologiam (1). Negli Annali di Forlì pub- blicati dal Muratori si legge: « Nam Guido (Bona- » tus) fecit opus pulchrum et magnum in Astrologia; » quod idem Benvenulus de Imola scribit se vidisse. » Et ego eliam vidi » (2). Del trattato d'astronomia; di Guido Bonalli parla anche Cristoforo Landino nel- la sua Apologia di Dante e di Firenze , come di sopra si è veduto. Nel suo comento al verso 118 del Canto XX dell' Inferno il Landino fa nuovamente menzione del trattato stesso di Guido Bonatti di- cendo: « Guido Bonatto fu da Forlì: et quanto fusst » optimo astrologo dimostra per un libro dastrolo- » già: el quale compose et hoggi e molto stimato » da gli astrologi » (3;. Guido Bonatti nel suo trattato d'astronomia parla de'mulini a vento. Aedifìcantur, dic'egli, molendina (1) Excerpta historica ex commentariis Ms. Benvenuti de Imo- la in Comoediam Danlis, Ad Cani. XX inferni, vers. 118, ap. Mu- ratori, Antiquilates Ilalicae Medii Aevi, t. I, col. 1083 D. (2) Annales Forolivienses ap. Muratori Rerum Italicarum Seri- ptores, t. XXII, col. 233 C, D. (3) Comento di Cristoforo Landino Fiorentino sopra la Come- dia di Dante Alighieri poeta Fiorentino, caria 113, verso. 218 Scienze pluribus modis : narri alimi aedificatur in navibus , aliud aedificatur in staterà, ila. quod elevalur et de- primilur ad volunlatem sui Iraclatoris, et illud di- cilur molendinum pendulum. Aliud aedificatur fir- mum , ita quod nec deprimitur ne e elevatur , immo permanet firmum, et illud dicilur molendinum tran- sversarium. Aliud aedificatur in domo habitanda, quod volvitur ab aliquo animali vel cum aliquo insiru- menlo fabrili, et illud dicilur prosternum. Aliud ae- dificatur in locis altis, quod voloitur vento, et illud dicitur molendinum venti (1). Più oltre Guido I5o * natti scrive : Si vero fuerit molendinum quod vol- valur vento, sicut in quibusdam locis consuevit ali- quando fieri, sii ascendens signum aereum et Luna in praedictis signis, vel in ascendente vel in decimo vel in undecimo (2). Questo notabile passo ci mo- stra che nel secolo decimoterzo i mulini a vento erano già ben conosciuti, e si costruivano in varii luoghi. I mulini a vento erano conosciuti fin dal secolo duodecimo (3). Corrndo Gesner nella sua celebre Bibliotheca universalis non parla che d'una sola opera di Gui- do Bonatti, cioè del suo trattato d'astronomia (4). (1) Guidonis Bonati foroliviensis mathematici, de astronomia, traetatus X, Basileae 1530, col. 442, pars IH, traetatus II. De quar- ta domo e. XIII. (2) Guidonis Boriati foroliviensis mathematici de astronomia traetatus X, col. 443, pars III, traetatus II, De quarta auteur d'un traité des Théoriques des planètes , » imprimé à Venise en J506. (1) ». Tuttavia né il Panzer ne'suoi Annales Typographici, né lo Schei- bel nella sua Bibliografia astronomica in lingua te- desca, né il Lalande nella sua Bibliographie astro- nomique fanno menzione delle Theorìcae planetarum di Guido Bonatti. Il Panzer (2), ed il Lalande (3), indicano sotto il 1506 l'edizione da me descritta di sopra, del trattato di astronomia del Bonatti stam- pata in quell'anno in Venezia. Negli Annali di Forlì pubblicati dal Muratori si legge (4): » Nec potuit praevidere dictus Domi- nus Guido (Bonaltus), quin Dominus Comes Guido Capilaneus Populi Forlivii non amilleret Capitanìa- tum suum, et Civitas Forlivii non mutar et ita lune statum suum Popularem, et deveniret sub dominio Ec- clesiastico, et Papae Martini Quarti. Nec eliam praevidere scivit morlem suam quae fuit in redilu suo a Parisio, et ab aliis studiis Ita- (1) Wstoire des nmthématiques, par 1. F. Montitela Nouvelle édi- tion achevée par I. de Lalande- Paris, an. VII — X, (1799 — 1802), 4 tomi, in 4°, t. I, p. 512, troisième parfie, ari. V. (2) Annales Typographici, voi. Vili, p. 380, art. 343. (3) Lalande, Bioliojraphie aslronomique, p. 32. (4) Jnnales Forolivienses ab anno MCCLXXV usque ad an- num MCCCCLXXIII , ap. Muratori, Rerum Italicarum Seriptores t. XXII, col. 236, D, E. Vita di Guido Bonatti 221 licis, in quibus augmentavit admodum Scientiam suam Astrologiae, et copiam Librorum suorum a se condi- lorum reliqttù. In itinere enim discedendo a Portu Caesenalense prò applicando Caesenam , se transfe- rendo per medium iter (heu proli dolor!) a malan- drinis perfidis crudeliter trausfixus fuit, relinquendo ibidem corpus suum. Unus quorum Librorum ego habitans Caesenam vidi in domo Domini Caroli de Lapis militis Caesenatensis, et eliam legi , et non- nullas Tabulas Astrologiae importavi, a. Il Muratori crede che un Forlivese intorno all'anno 1483 com- pilasse i suddetti Annali di Forlì, riunendo insieme varie storie precedenti. Si quid igitur video, Foro- liviensis quidam Anonymns circiter Annum 1483. e* variis praecedenlibus Historiis hosce Annales (Foro- li vienses) concinnavit (1). Tuttavia è da credere che il compilatore degli Annali medesimi fosse quegli, il quale dice di aver veduto in Cesena uno de'libri di Guido Bonaiti in domo Domini Caroli de Lapis. Paolo Bonoli, scrittore Forlivese del secolo de- cimosettimo (2), nelle Addizioui alle sue Istorie di Forlì, dice: » Nello stesso lib. in fine, discorrendo » di Guido Bonallo, mi occorre dire, che questa » famiglia si estinse in vn Vincenzo, e le facilità » pervennero alli Sig. Boncioni di Boma, per vna » Donna de'Bonalti hauuta, che rimase erede, e co- » sì fra l'altre cose, hebbero i ma. scr. di Guido (1) Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, t. XXII, p. 133- (2) Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, voi. II, parte IH, p. 1677, art. Bonoli {Paolo). 222 Scienze » che sino ad bora ita coppia consentano (1) ». Cosi leggesi nella prima edizione delle Istorie di Forlì del Bonoli, edizione registrata, come avverte il Mazzuchelli (2), fra i libri assai rari, della quale nondimeno io posseggo un esemplare. Nella ristam- pa fatta in Forlì nel 1826 delle Istorie medesime, si legge: » La famiglia del Bonatti si estinse in un » Vincenzo, e gli averi pervennero alli signori Ron- » cioni di Roma per essersi loro impalmala una »> donna de' Bonatti rimasta erede, i quali tra Val- » tre cose ebbero li MSS. di Guido , che tuttavia » conservami in copia. Addizione dell'Autore » (3). Il Marchesi scrive: « Obijt Anconae (Guido Bonattus) » an. Domini 1300, et reliquit Opus Guidi Bonatti » de Forolivio, continens decem Traclatus Astrono- » «ime, Augustae Vuindelicorum an. 1491. Caetera » quae scripsit partim Lutetiae Parisiorum, ubi sy- » deream Artem docuit, Romae apud Roncionam Do- » miirn in qua mulier Bonatti sanguinis postrema » nupsit; et partim Caesenae apud Carolimi de Lapis, » Linarij Comitem et Senatorem Almae Urbis ser- » vabantur » (4). (1) Istorie della città, di Forlì intrecciale di vani accidenti del- la Romagna e dell'Italia distinte in dodici libri di Paolo Bonoli, p. 349. (2) L. e. (3) Storia di Forlì da Paolo Bonoli distinta in dodici libri cor- retta ed arricchita di nuove addizioni. Seconda edizione distribui- ta in due volumi. Forlì 1826, 2 vo]., in 8", voi. I, p. 27S , no- ia 1, li». IV, anno 1282. (4) Georgii Fiviani Marchesa, Vilae Firorum Illustrium Fo- rolivietmum, p, 246, 247. Vita di Guido Bonatti 223 Andrea Tiraqueau, scrittore francese del secolo deeimosesto, cita un trattato di Guido Bonatti inti- tolato: De proiectione partium, dicendo: et Guido. Bo- natum in traclatu de proiectione partium parie 2. e. 13. et alibi saepe (i). Più oltre il medesimo Ti- raqueau, dice: et Guidonem Bonatum in tractatu de proiectione, parte 3. in 10. domo e. 2 (2). Il Mazzu- chelli avverte (3) che il trattato De proiectione par- tium, attribuito dal Tiraqueau a Guido Bonatti, al- tro per avventura non è che una parte del trattato d'astronomia dello stesso Bonatti. Fu anche attribuita a Guido Bonatti un'opera intitolata : Historia Celebris Gallorum cladis. Leone Cobello fece menzione di quest' opera secondo che attestano il Marchesi (4), ed il Mazzuchelli: (5). Il Marchesi scrive: (6) « Gondidit etiam [Guido Bonat- » lus) Traetatum de Proiectione Partium: et Hislo- » riam Celebris Gallorum cladis, ut memoriae man- » darunt Andreas Tiraquellus [■], et Leo Cobcllus ». •< £J3 Ex relat. Fuadingh. lom. 2. pag. 149. column. 2. » Il Marchesi afferma che alcuni scritti di Guido (1) Andreae Tiraquelli Regii in Curia Parisiensi Scnatoris Com- mentarli de nobilitate et iure primogeniorum. Lugduni, apud Giiilel Itovillium, MDLIX, in fol , De nobilitate, cap. XI, p. 93, pàrag. 1 (2) Andreae Tiraquelli, De nobilitate, cap. XI, par. 2, p. 93. (3) Gli Scrittori d'Italia, voi. II, parie III, p. 15G2. (4) Georgii Fiviani Marchesa Filae f irorum Illustrami Fo- voliviensium, p. 247. (3) L. e. (6) L. e. 224 Scienze Bonatti , diversi dal suo trattato d' astronomia , si conservavano in Parigi ('!). L'autore de Lustri an- tichi e moderni della città di Forlì dice: » Scrisse » (Guido Bonatti), e sortì dalle stampe d'Augusta- - » Opus Guidi Bonatti de Forolivio continens decem » Tractatus Astronomiae ». Fece anche un Tratta- » to — De proiectione Partium — Historiam cele- » bris Gallorum cladis — ed altre Opere manuscrit- » te , che si conservano nella Libraria Regia in » Parigi » (2). Nel catalogo stampato de'codici manoscritti del- la biblioteca Nazionale di Parigi sono indicate le se- guenti opere di Guido Bonatti: ^. Introductio ad iudicia slellarum. Trovasi nei codici ancien Fonds n.' 7326, 7327, 7329, 744 1 (3). 2. Tractatus de electionibus. Trovasi ne'codici ancien Fonds mss. latins n.' 7328 e 7442 (4). 3. De revolutionibus annorum mundi. Trovasi (1) » Caetera qnatì scripsil partim Lutetiau Parisiorum .... n servabantur. » ( Georgìi Fiviani Marchesa, Fitae Firorum illu- strium Foroliviensium, I. e) (2) / Lustri antichi e moderni della città di Forlì , p. 161 , cap. VI. (3) Catalogus codicum manuscriptorum bibliolhecae Iìegiae. Pa- risiis 1739—44,4 tomi, in fpl,, t.IV, p. 341, col \, cod. viim cccxxvi, viim cccxxvii , col. 2 , cod. viim cccxxix, l.°, p. 359 , col. 1, coti. VIIM CDXLI. (4) Catalogus codicum manuscriptorum bibliothecae Iìegiae, t. IV, p. 341, col. 2, cod. vii», cccxxviu, 1° p 359, col. 1, cod. viim, CDXLII, lo. Vita di Guido Bonatti 225 ne' codici ancien Fonds mss. latins n.' 7328 e 7442 (1). 4. De imbribus et aeris mutationibus. Trovasi nel codice ancien Fonds mss. lat. n.° 7448 (2). Il Mazzuchelli avverte (3) che questi quattro scritti non saranno forse altro che alcune parti dei dieci trattali d'Astrologia stampati di Guido Bonatti. Nel codice della biblioteca Nazionale di Parigi contrassegnato ancien Fonds n.° 7328, dalla carta 4 redo alla carta 38 recto, trovasi la quarta parte del trattato d'astronomia di Guido Bonatti (4). Que- sta parte incomincia: Cum post iudicia prae caeteris. Finisce: Secundum qnod sua interest iuvare vel no- cere augere vel diminuere. Nell'apparato fatto in Firenze per l'entrata dell' Arciduchessa Giovanna d'Austria in quella città, e per le sue nozze con Francesco de' Medici, furono rappresentati in un quadro i Fiorentini più illustri ne'diversi rami dell'umano sapere. Vedevasi in que- sto quadro il ritratto di Guido Bonatti fra i matema- tici, come attesta Domenico Melimi, scrittore Fioren- tino del secolo decimosesto, dicendo: « Di Medici vi >» erono Maestro Dino, Taddeo et Tommaso del Gar- >' ho, con Maestro Torrigiano Valori, et Maestro (1) Calalogus codicum manuscriptorum bibliolhecae Regiae, t. IV, P. 3*J, col. 2, co,i. vi* cccx.xvur, 2,° p. 339, col. 1, cod. viim £dxlii, 2°. (2) Catalogus codicum manuscriptorum bibliolhecae Regiae, t. IV, p. 339, col. 1, cod. viim cdxliii. (3) Gli Scrittori d'Italia, voi. II, parie III, p. 1362 (4) Guidoni* Bonati Foroliviensis de astronomia, pars III, col 385—490. G.A.T.CXXII. 15 226 Scienze » Niccolò Falcucci. Nelle Matematiche, l'antico Gui- » do Bonalto, Maestro Paolo del Pozzo » (1). Ugolino Verino o Vieri, poeta Fiorentino del secolo decimoquinto, in un'opera intitolata De illu- stratione urbis Florentiae libri tres, fa menzione di Guido Bonatti scrivendo: Clarus et astronomus Guido de stirpe -Bonatti (2). Il Padre Antonio Tognocchi da Terrinca (3) , il P. Negri (4) ; Giovanni da S. Antonio (5), ed il Marchand (6) asserirono che Ugolino Verino nella medesima sua opera soggiunse : Iandudum veteres delevit fama Bonallos. Unius Astronomi tantum monumenta supersunt. Il Marchand deduce da questi due versi (7) , che il Verino scrisse essere la famiglia di Guido Bo- (1) Descrizione dell'entrala della sereniss. Reina Giovanna d'Au- stria. El dell'Apparalo, fatto in Firenze nella venuta, et per le fe- licissime nozze di S. Altezza Et dell'Illustrissimo et È'eèéìtntiss. S. Don Francesco de' Medici Prencipe di Fiorenza e di Siena, scritta da Domenico Mcllini. Ristampata e riveduta dal proprio Autore. In Fiorenza appresso i Giunti MDLXl'I. Con licenzia e prievilegio, in 12», p. 12, 13. (2) Ugolini Ferini poetae Fiorentini de illustrai ione urbis Flo- rentiae, libri tres, Lutetiae 1583, caria 14, verso. (3) Genealogicum et honorificum theatrum Hetrusco Minorilicum , pars HI, titulus J, paragr. LXX, p. 203. (4) Istoria degli scrittori fiorentini, p. 318, col. 1. (5) L. e. (6) Dictionnaire historique, l. I, p. Ila, art. Bonatus, Remar- que A, col. 1. (7) C'est ce qu avoit autrefois observé Ugnlinus Feriuus , qui éisoit que celie famille [Bonatti) cloit cteinte dcjà depuis très long ttms. (Marchand 1. e). Vita di Guido Bonatti 227 natti estinta da lunghissimo tempo. Tuttavia questi due versi non si trovano nell'edizioni da me vedute de' tre libri del Verino De illustratone urbis Fio- rentine, che sono le seguenti: 1.a Ugolini Verini poetae Fiorentini De Illustra- itone vrbis Florentiae libri tres. Pi une primum in lucem editi ex Bibliotheca Germani Audeberti Aure- Hi: cuius labore atque industria multae lacuna e, quae eraut in manuscripto, repletae; ne multi loci parlim corrupti, partim vetustate exesi, restituii et restau- rati sunt. Lutetiae. Apud Mamertum Patissonium Tijpographmn Regium. in Officina Roberti Stephani M. D. LXXXIII. In foglio (I). 2.'" Ugolini Verini Poetae Fiorentini De illustra- tione Urbis Florentiae. libri tres Sereuissimae Prin- cipi Victoriae Fdtriac }Iag. Elrnriae Duci. Secunda editto magis ancia et castigata. Cum privilegiis Summ. Pont. Urb. Vili et Seren. Ferd. 11 Mag. Etruriae Ducis. Florentiae. Ex Typographia Landinea MDCXXXV1. Superiorum permissu. In U." (2). 3.a Ristampa fatta dell'opera di Ugolino Verino De illuslratione Urbis Florentiae nel Tomo X, p. 325-386 della raccolta seguente: Carmina illustrium poetarum Italvrum. Florenlia,e 1719-20, Il tomi, in 4.° (3). (i) Di quest'edizione, «lai Morelli chiamata rarissima (Moretti {Domenico) Bibliografia storico ragionata della Toscana. Firenze, 1805, 2 tomi in 4°, t II, p. 4#&)j un esemplare trovasi nella Casa- nalense, ini altro nella Corsiniana, ed un terzo nella biblioteca del- l'Cuiversità di Roma. (2) Un' esemplare di qnesl' edizione trovasi nella Biblioteca Corsiniana. (3) l.a Biblioteca Cors'rniana possiede un'eseuipl.ire compiuto di qnesl a raccolta. 228 Scienze In tutte queste edizioni al verso Clarus et astro- nomus etc. segue immediatamente quest'altro: Paulus et astronomus, Paulus geometer et idem. Il Bailly scrive (1): » Guido Bonatus né dans » le Frioul, écrivit deux traités ou chapitres sur l'a- rt stronomie; il a fait aussi des Théoriques des pla- » nètes, mais sa piume étoit consacrée à l'astrologie; » ses traités sont pleins de regles pour les prédi- » ctions et de semblables puérilités. C'est un re- » cueil de tout ce que les Arabes ont fait en ce » genre. Il vivoit en 1284 (a) ». « (a) ÌVeidler, p. 285. » In questo passo del Bailly si trovano i due se- guenti errori: 1.° Che Guido Bonatti nascesse nel Friuli, 2.° Deux in vece di dix (dieci). Il Delambre dice: « Guido Bonatus, de Fré- » jus vivait en 1284; il composa dix traités d'Astro- » nomie ou plutót d'Astrologie, qu'il avait com- » pilés d'après les aslrologues arabes (2) ». Non so come il dottissimo Delambre possa esser caduto nel- lo strano errore di credere che Guido Bonatti, chia- mato Forlivese in tutte tre le edizioni del suo trat- tato d'astronomia, fosse di Fréjus, città di Francia, (1) Histoire de l'astronomie moderne depuis la fondation de fé- cole d'Alexandrie jusqu'à l'epoque de MDCCXX, nouvelle edition. A Paris 1785; 3 tomi in 4°, t. I, p. 677. Eclaircissemens détails historiques et aslronomìques, livre VII, §. IX. (2) Histoire de Vastronomie du moyen age par M. Delambre, Paris 1819, in i«, p. 258. Vita di Guido Bonatti 229 del dipartimento del Varo detta in latino Forum Iu- Hi, o Cìvitas Foroiuliensis (1). Il Signor Libri afferma che Guido Bonatti fu un uomo di grande ingegno , ed uno de'più dotti astronomi del suo tempo (2). Fra gli scritti che trattano della vita e delle opere di Guido Bonatti, sono da notare i seguenti: 1. L'articolo Bonatus del Dictionnaire Ristori' que et crilique di Prospero Marchand (3). 2. L'articolo Bonatti ( Guido ) deli' opera del conte Giammaria Mazzuchelli intitolata Gli Scrittori d'Italia (4). 3. L'opuscolo intitolato » Brevi cenni sulla vita » e sulle opere di Guido Bonatti , pubblicati per le » nozze del conte Ferdinando Sauli di Forlì colla » marchesa Antonietta Visconti - Ajmi di Milano » seguite nella primavera del MDCCCXUV. Bolo- » gna Tipi Governativi alla Volpe, in 8°. » Autore di quest'opuscolo è il Signor Pellegrino Canestri Trotti, il cui nome trovasi nella pagina 4, a pie della de- dicatoria al Nobile Signor Conte Ferdinando Sauli. (1) Nuovo Dizionario geografico universale. Venezia 1826, 4 tomi, in 8°, t. Il, p. 819. (2) „ Et malheureusement il faut compter parrai les astrolo- » gues (hi treizième siede, un homme d'un grand talent, Gui Bo- » natti, qui fut l'un des plus savans aslronomes de son temps ». {Libri, Histoire des sciences mathématiques en Italie , t. II, p. 54). (3) T. I, p. 113—H8. (4) Voi. II, parte III, p. 1559—1562. 230 Le terme acquasanlane illustrale da Baldassarre Cor- sini dottore in medicina e chirurgia direttore delle terme suddette ecc. ecc. Roma 1851 tipo- grafia Puccinelli alla chiesa nuova , voi. in 8% pag. 108 con tavole e prospetti chimici e medici. D a remotissima antichità celebratissime furono le acque termali di Acquasanta nell'ascolano. Fino agli ultimi tempi erano per verità manchevoli di tutte quelle comodità indispensabili non meno per trar- ne i più salutari effetti, che per quella convenevole agiatezza e decenza cotanto necessarie in siffatti sta- bilimenti. Ma il signor conte Piccolomini Contini divenutone possessore, dopo avere innalzati decoro- si fabbricati, ed arricchito il bagno di tutte le più desiderabili migliorie e fornitolo di ogni sorla di macchine e nitide bagneruole, volle pure che le saluberrime acque non più empiricamente venissero praticate, ma sibbene co' fondamenti della più ra- gionevole terapia rischiarata da un rigoroso esame fisico-chimico non disgiunto da dotta topografica e geologica descrizione. D'onde vidersi non solo con- fermati i prodigiosi risultamene conseguiti nei di- versissimi cronici morbi , ma in malattie eziandio , per le quali in avanti il volgare medico empirismo anziché giovevole reputava nocevole l'uso di cole- ste acque. Le Terme Acquasantank 231 Concorsero quindi all'utilissimo scopo scienziati illustri, del cui travaglio seppe avvedutamente pro- fittale il medico direttore dello stabilimento. L'ope- ra perciò divisa in tre parti , e suddivisa in dieci capitoli, è ricca ancora di 4 tavole con un prospet- to dimostrante le svariale croniche morbosità oltre un lustro accuratamente osservate, e le più interes- santi con diligenza registrate. Nella 1.a parte, alla storica e topografica fisica de- scrizione di Acquasanta, succedono i geologici cenni del chiar. Antonio Orsini. La parte 2.a dovuta al chiar. Sgarzi professore nell'università di Bologna, e noto per altri non po- chi scientifici lavori, ridonda di profonda dottrina ed erudizione per la temperatura delle acque minera- li, per la formazione dell'acido solforico nelle pareti e volta del magnifico antro delle termali di Acqua- santa, per le cristallizzazioni che vi si ammirano e per le diverse varietà e qualità di corpi organici ed esseri organizzati. Poscia viene la più esatta chi- mica analisi quantitativa e qualitativa delle famose terme elaborata con somma perizia: della quale in fine di questo articolo darassi il sintetico risultato. Lo Sgarzi nel chiudere il dottissimo suo la- voro (pag. 51) rende tributi di riconoscenza al eh. Ger onsi, già allievo della bolognese università, e di presente professore nell'università di Macerata: il quale con filiale amore, con fina solerzia e colla su- gatila di provetto analista volle assisterlo, e gran- demente coadiuvarlo. Tributi del pari di riconoscen- za esprime verso V amico e collega carissimo il lo- 232 Scienze dato Orsini, che non gli fu meno prodigo di lumi di consigli, delle cure migliori e più necessarie. Il professor Corsini, medico direttore del bagno, nella terapia, che comprende la 3.a parte del libro divisa ne' capitoli VII, Vili, IX e X e suddivisa in molti articoli, porge un preziosissimo lavoro pe' clinici risultati conseguiti per oltre Y accennato lu- stro sopra circa tremila individui variamente am- morbati. I quali per la quantità e qualità de'mine- rali principicene racchiudono coteste acque termali solfuree-saline-iodurate-bromate (oltre le gazose so- stanze ), riportarono sovente portentose guarigioni , o notabili miglioramenti nelle svariate croniche loro morbosità. Né sapremmo mai abbastanza lodare la clinica perspicacia ed i precetti, con cui il Corsini tragge all'opportunità profitto in prò dell'egra uma- nità, sia per l'esterno od interno loro uso, sia net fanghi e nelle altre diverse applicazioni convene- voli alle morbose evenienze. Crediamo inoltre che per le circostanze saviamente dal Corsini additate non potrebbero a perfezione raggiugnersi sì prosperi risultamenti in altri simili stabilimenti de' pontificii domini, manchevoli di quanto concorre nelle terme acquasantane. Imperocché la topografica posizione di quella terra la ripara da' venti settentrionali: ma ciò che più monta, ivi non mai allignarono epide- mici e contagiosi morbi: né intermittenti febbri di sorta alcuna , siccome svolgonsi in altre località. Arrogo la rinnovazione incessante di abbondante acqua che forma un lago capace di contenere 200 per- sone (oltre quelle che amano separati camerini): per- loché nota sagacemente il Corsini i vantaggiosi ef- Le Terme Acquasantane 233 fetti che in talune malattie riportano i bagnanti pel ginnastico nuoto da essi praticato. Né poco all'ac- cennata ricchezza de' minerali principii di coteste terme riesce proficua la costante loro temperatura di gradi 27 del termometro di Rèaumur. Ne vuoi- si omettere la bontà ed amorevolezza degli abitanti di Acquasanta pel contentamento e tranquillità dei bagnanti. Quindi con ragione ben si appone il chiar. Cor- sini nell'osservare l'efficace valentia di coteste acque contro le viziate elaborazioni dell'albero linfare-ve- noso. Imperocché pe' torrenti della linfatica e san- guigna circolazione penetrando le loro medicamen- tose sostanze , dissasimilano le innormali condizioni eliminandone o modificandone fino all'intima orga- nica compage i diversi elementi costitutivi le singole croniche morbosità. Notissima, e può dirsi specifica, l'azione delle termali di Acquasanta nelle dermatosi croniche: uti- lissime non poco sperimentansi nelle diverse affe- zioni ghiandolari. Assai proficue scorgonsi nelle mol- tiplici croniche affezioni reumatiche, senz'escludere la gotta, e le varie malattie che affettano il sistema osseo. Giovevoli pure veggonsi nelle affette parti in- servienti al muliebre generativo apparato. Sovente efficaci riuscirono nell'apiretiche malattie dell'orga- no respiratore. Né mancaron mai di giovare ne'cro- nici mali del sistema muscolare nervoso. Mentre poi non reputavansi volgarmente opportune pe'mor- bi venerei, efficacissime le rinvenne il Corsini nelle molte sifilitiche affezioni secondarie e terziarie. Il perchè egli nell'aver dato un generale prospetto 234 Scienze dell'accennate croniche morbosità precedente imme- diatamente la terza parte del libro, ne ragiona po- scia articolo per articolo col più assennato medico criterio avvalorato sempre dalla più soda e matura esperienza. Né tralascia le più minute circostanze, per le quali si richiedesse l'addizione di alcun me- todo curativo, onde meglio conseguire il salutevo- le scopo: ammonisce ancora quando momentanea- mente dovesse sospendersi il vario loro uso: e mo- stra parimenti i casi, ne'quali debbe non convenire; o del tutto abbandonarsi, se sia incominciato. Crediamo pertanto siffattamente pregevole cote- sto libro delle terme acquasantane , che ne accre- scerà maggiormente la loro ben meritata rinomanza. A. Cappello. QUADRO ANALITICO DIMOSTRATIVO DELLE TERME DI ACQUASANTA. Sostanze volatili Materie fisse frammiste in lib. 100 contenute nella stessa di acqua quantità Acido idrosolforico ce. 30 § Idroclorato di soda gr. 100, 00 — Carbonico » 32 di magnesia » 032, 00 Azoto » 25 di calce ) Cenfimelrici cubici » 96| Ioduri ) tracce Bromuri ) Solfato di soda » 044, 0 — di calce »> 022, 00 — di magnesia » 011,06 Carbonato di calce » 011,76 Le Terme Acquasantane — i di magnesia gì — di ferro Silice Materie organiche 235 009, 97 ). 002, 27 -. 002,27 » tracce gr. 236, 00 Fanghi appartenenti alle medesime in rapporti centesimali Solfo Carbonato di calce — di ferro Ossido di ferro Silice Allumina Sali dell'acqua Materie organiche 80 16 20 08 36 05 03 04 100 ->m&zm- 236 TLMTT'ERATVRA Della vita e delle opere di Alessandro Tassoni per Ignazio Ciampi. PARTE PRIMA. C ome dell' architettura e della pittura , date- si 1' una ai cartocci , alle curve , ai bizzarri foglia- mi e alle colonne attorcigliate, l'altra agli scorci te- merari, ai gonfi panneggiamenti e alle ardite mo- venze; così avvenne nel secolo decimosettimo della poesia, la quale dilungatasi dal naturale andamento, a cui l'aveano mossa i poeti del secolo antecedente, si die tutta a un falso stile ripieno di strane simi- litudini, di gonfie metafore , che la favella rivolse in vanità di falsi concetti. 0 questo fosse accaduto per naturale processo delle cose umane , le quali giunte alla cima della curva debbono di necessità traboccare all'opposto lato; ovvero che gì' ingegni sforzandosi di avanzare ai trapassati nella sublimità dei pensieri e dello stile, si mettessero senza avve- dersene per una via del tutto lontana dal bello e dal vero ; egli è certo, che, comunque si guardi , deplorevole fu Io stato delle lettere e delle arti in Italia a quel tempo. Eppure allora si videro na- Vita di Alessandro Tassoni 237 scere e fiorire il Galileo, il Torricelli, il Redi ed altri uomini giganteschi, i quali a sì ardito volo spinsero gli studi filosofici quasi a compenso del perduto onore artistico e letterario, e che danno ancor me- raviglia al mondo come 1' amore e la pazienza dei fisici sperimenti, piuttosto che nelle menti conside- ratrici e fredde de' settentrionali, nascesse nelle vi- vaci e immaginevoli degl' italiani. Né manca chi vuole aggiunger cagione del corrompimento del gu- sto nel dominio degli spagnuoli , ingegnosa nazio- ne , che appunto per la propria sottigliezza die al mondo meglio scolastici che oratori e poeti ; ed os- serva che ivi fu più andazzo, anzi gola di smisu- rati accozzamenti e di bizzarri contrasti , insomma più fradicia corruzione , ove questi tennero fermo dominio, che nei paesi, ove non poterono stabil- mente appoggiar 1' alabarda. In tal guisa meno della Lombardia e del napolitano furono infetti i toscani come più separati e lontani dai luoghi do- minati dagli spagnuoli ; e in quel felice paese ri- mase qualche rio di quel limpido fiume di poesia e d' eloquenza, a cui dopo i tre sommi del tre- cento aveano attinto 1' Omero di Ferrara e il pio cantore della crociata. Né tutti gli scrittori di quel secolo anche nati fuori di Toscana furono simili ai Marini, agli Achil- lini, ai Ciampoli e ad altri, ch'io chiamerei piut- tosto trombatori che poeti. Ve ne furono altri me- no onorati, forse perchè più modesti : certo più grandi. Mi giova annoverare tra questi Alessandro Tassoni modenese, celebre per una nuova specie di poema donato all' Italia,, quale fu la Secchia ra- 238 Scienze pila. Nacque egli ai ventolto di settembre del 15G5 da Bernardino e Gismonda Pellicciare Sia da fan- ciullo rimasto orfano, ebbe a lottare con infermità e inimicizie. A Bologna portatosi circa il 1585 eb- be a maestri Claudio Betti e Ulisse Aldrovandi. Allora pure, siccome oggi, un uomo non si dovea aspettare di essere onorato, se non avea cinto il capo di un qualche berretto dottorale: e il Tassoni, forse conscio di ciò, attese in Ferrara agli studi di giurisprudenza quasi sempre indigesti ai caldi ingegni meno per la propria natura, che pel me- todo intricato e secco con cui si danno a im- parare. Ma in quel tempo eranvi, come oggi non ve ne sono, degli uomini, che in alto grado saliti, si studiavano di onorare e di provvedere agl'inge- gni nobili, i quali per la povertà, quasi sempre a loro compagna , non avrebber potuto senza aiuto siffatto darsi a tutt' uomo agli studi, cui aveano l'animo e la mente inclinati. E il Tassoni, non tro- vando protezione negli Estensi non più signori di Ferrara e ristretti a Modena e a Reggio , parte per propria corruzione, parte per impotenza tra- lignati dalla grandezza dei Leouelli, dei Borsi, de- gli Alfonsi; si portò a Roma nel 1597 (due anni dopo che V infelice Torquato spirava la grand' ani- ma a sant'Onofrio) e si ebbe un protettore nel cardinale Ascanio Colonna figlio del Trionfatore. In quel tempo a Roma si erano ricovrate tutte quelle nobili famiglie , che incastellate dapprima aveano dato tanto travaglio ai pontefici ; e accanto ad esse sorgeva la nuova nobiltà nata per i lucro- si parentadi e le largizioni dei papi. Fra queste Vita di Alessandro Tassoni 239 famiglie, in tanto numero e ricchissime, era nata gara di magnificenza, a cui né voleano star di sotto i cardinali e gli ambasciadori stranieri. Cia - scuna di queste case tenea corte da principe : feste sontuose: letterati a stipendio. Grandi edilizi e molti si fecero in quel secolo: laonde è piena Roma, più che d' altro, di quel cattivo stile, che poi gli artisti chiamarono barocco. E a questo si fece sacrifìcio di cose antiche : sei sanno il tempio della Pace, il Panteon, le terme di Costantino. Libri, carte, me- daglie raccoglieansi avidamente , forse meno per passione che per vanità : ma né per questo devono esser meno riconoscenti i posteri di sì larga copia di artistiche e letterarie dovizie imbandite alla me- raviglia del volgo e allo studio dei dotti. Pittori, scultori, architetti, poeti abbondavano: pochi sommi, il resto turba servile che adulava il cattivo gusto del secolo o il proprio orgoglio. Mecenati erano moltis- simi: tanto che il vederne sì numerosi a quel tempo, e sì pochi i proletti che si levassero all'altezza di que' del cinquecento, ha fatto dubitare se alle arti e alle lettere la protezione sia causa di accrescere o di scadere. Egli è certo però, che se fosse vero il secondo effetto, ciò non potrebbe attribuirsi che alla incapacità di scegliere i più degui : né per questo potrebbero i potenti scusarsi del non porgere una mano soccorrevole alle venerande miserie, che per lo più circondano i cultori di quelle. Gregorio XV diceva al Bernino nel dì della sua esaltazione : Voi vi felicitate di veder papa Maffeo Barberini; ma più fortunato si crede egli, che il Bernini viva sotto il suo regno. E Urbano Vili allo slesso Bernino teneva 240 Scienze lo specchio, mentre il famoso artista ritraeva sé stesso nel Davidde. E intorno a questo papa si erano rac- colti i maggiori letterati del tempo, come il sordido Bracciolini, l'orgoglioso e sfortunato Ciampoli e tutti quegl'ingegni, di cui ci dà notizia nell' Api urbane quel Leone Allacci bibliotecario della vaticana, che rifiutava nobilmente una pensione di quindicimila lire offertagli da Luigi XIV il gran re, quando an- che tra gì' italiani non ne ricusavano i doni il Vi- viani, il Siri ed altri moltissimi (1). Lo stesso papa era amoroso cultore di lettere: e ne fan testimonio il nome a lui dato di ape attica per significare, con allusione alle api di famiglia , quant' e' s1 intendesse di greco, come anche le correzioni da lui fatte agi' inni della chiesa e i versi italiani e latini, che abbiamo di lui stampati (2). In mezzo dunque a cotesto sfoggio di lettere e di grandezze, Alessandro acconciatosi con il Co- lonna, navigò con questo in Ispagna : per la qual cosa ebbe agio di conoscere più da vicino quella corte, contro la quale poi si ha fondamento di cre- dere scrivesse le Filippiche, da lui però costante- fi) V. DUCLOS. Memoir. I. 224. Luigi XIV donava a' lette- rati torastieri, specialmente italiani. Die pensioni al Viviani , allo storico Siri, al Bernini : al milanese Ottavio Ferrari cinque dop- pie per un panegirico: al Graziani ceucinquanta doppie : all'Achil- litii altre per un' ode pomposa e pel celebre sonetto : Sudate o fuochi. — Leone Allacci di Chio fu uno de'più dotti del tempo. Nel- Vjpes urbanae dà notizia dei dotti che fiorirono in Roma dal 1630 al 1632. Fu stampato questo libro a Roma nel 1633, e per cura del Fabrizio in Amburgo nel 1611. (2) Maffei Barberini poemata. A Parigi nel Louvre 1642. E le poesie italiane. Roma 1640 in 12. Vita di Alessandro Tassoni 2A\ mente negate per sue. Soddisfece a diversi incari- chi datigli dal cardinale , tra i quali fu quello di ricondursi a Roma per ottenere da papa Clemente ottavo la facoltà di accettare il vicereame di Ara- gona ad esso cardinale offerto. Fu in quel tempo eh' ei prese la tonsura, sperando, a dire del Mura- tori, che largamente su lui dovessero piovere le ru- giade ecclesiastiche. E visse Alessandro negli agi, o almeno non povero, fino a che non gli mancò l' aiuto del Colonna morto nel 1608. Quanto più impazzavasi dietro ai fuochi sudan- ti, ai chiovi del cielo e ad altre stranezze (3), tanto più sbucciavano da ogni parte accademie , raduno di oziosi e arroganti letterati. I nomi ridicoli di ma- linconici, d' intricati, di negletti, di assetati , d' in- fecondi ed altri di siimi conio, eran segno delle ri- dicole cose, che dentro di esse si proferivano con molta gravità. E il Tassoni fu ascritto all'accademia degli Umoristi fondata del patrizio Paolo Mancini (3) I francesi hanno oltremodo ripreso ì concelti degl'ita- liani, prendendo ad esempio il Marino, come, perchè fu pazzo colui, tutti gli scrittori italiani fossero pazzi. Eppure prima del Marino e dei secentisti italiani sali in gran fama presso i francesi Guglielmo du Bartas (morto giovane nel 1590) che scrisse a imi- tazione del Tasso il poema La settimana. (La semaine, ou les sept jours de la crcation) , nel quale parla de'montì di Guascogna en- farinés d'une neige eternelle, il sole è chiamato le due des chan- delles, i venti postillons d'Eole, e il tuono è detto tamburo degli dei, e mille altre di queste pazzie da fare spiritare i cani. Par- rebbe egli giusto, che noi, volendo dar saggio del poetare dei fran- cesi , dessimo il poema del Bartas, che l'u in più lingue tradotto e ristampato trenta volte in sei anni? Sarebhe egli giusto che per dar saggio della germanica poesia mettessimo innanzi la scuola di Lohenslein ; della inglese l'eufuismo; della spaglinola i Gongoriani ? G.A.T.CXXII. 16 242 Letteratura romano; il quale, dopo aver disfogato l'umore guer- resco nella pacifica guerra di Ferrara, disfogò l'u- more poetico in questa raunanza , a cui presiedè per quasi trent' anni, e finì prete (4). Tra costoro Alessandro fu principe ed ebbe il nome di Bisqua- dro, cui pose in fronte alla edizione del poema del 1624. Nella sala in cui si radunavano gli accade- mici nel palazzo Mancini al corso ( che fu poi comperato dal cardinal Fleury nel 1738 e desti- nato ad accademia di pittura ) vedeasi ancora nel 1759 r impresa del Tassoni, eh' era una sega che incominciava a recidere un rozzo marmo con una catinella piena d' acqua da un lato e con la scrit- ta : Si non (alta el umor ( se non manca l'acqua), forse a indicare la fatica eh' è necessaria a diroz- zare l'ingegno, e il suo proposito di far molte e grandi cose, se non gli fossero per esser contrari i tempi e la fortuna. Più basso era 1' arma del Tassoni, che nella parte superiore aveva in campo azzurro un'aquila nera con le ali spiegate, e al di sotto un tasso eretto in sulle zampe. Ma gli umoristi furono molto scandalizzati al- lorché lessero nel 1608, e di mollo accresciuti nel 1612, i Pensieri diversi scritti dal Tassoni. Questi vennero la seconda volta alla luce per la stampa di Giovanni Maria Verdi col titolo: Varietà di pai' sieri di Alessandro Tassoni divisa in IX parti., nel- la quale per via di quesiti con nuovi fondamenti e ragioni si trattano le più curiose materie morali, ci- vili, politiche, isloriche , e ) Biografia Universale. Venezia 1829. Art. Tassoni. Vita di Alessandro Tassoni 245 d' Italia. Elogio forse esagerato, ma tanto più caro, in quanto è si avara la lode degli stranieri alle opere nostre. Intanto negli accademici crebbe vieppiù lo sba- lordimento per la tracotanza del nostro poeta, poi- ché vennero a luce nel 1609 le Considerazioni sopra il Petrarca, quali egli le avea scritte nel suo viaggio dalla Spagna in Italia per ricrearsi dalle noie della navigazione. In quel tempo erasi quasi gettato in un canto il meraviglioso poema, che dovrebbe essere il primo e l' ultimo studio degl' italiani, siccome Omero fu pei greci, ai quali tanto ci assomigliamo per glorie o sventure. I letterati poco o nulla vol- geano gli occhi alla Divina Commedia , fonte pe- renne di grandi e forti pensieri ; ma tutti si get- tavano al Petrarca, per nulla imitandolo nelle grazie dello stile, nella purezza della lingua e nella viva- cità de' pensieri, ma bensì contraffacendolo nel lungo favellare d'amore e nel descrivere con le loro pro- prie stranissime frasi le bellezze della donna amata, e nel supplire in tal guisa all' affetto non sentito l' artificio e lo stento. Egli è perciò che il nostro poeta con quella naturale forza, che spinge l'uomo j? sostenere un contrario, volendo sferzare e correg- gere un eccesso, traboccò nell' opposto, e trovò nel- 1' appassionato cantore di Laura difetti, di cui agli animi pacati neppur 1' ombra traspare. Ma quanto d' altra parte facesse stima di quel poeta è a ve- dere nelle annotazioni alle tre canzoni sorelle, ove dice (7) : « Queste tre sorelle, che reine delle altre (7) Canz. IX, VIH. X. fegl. 128. Modena 1609. 246 Letteratura « canzoni si possono chiamare , bastavano da sé « sole a far meritare la corona al poeta. Però piene « di ogni eccellenza , non meritano che in esse si « ponga bocca, eccetto che per sommamente lodar- « le : il che pur io stesso ho pensiero di fare, se « non per altro, almeno per dimostrare quanto io « ammiri questo gran poeta : delle altre rime del « quale se ho detto qualche cosa più arditamente « di quello, che all' autorità di tal uomo parca si « convenisse , non è stato per acquistar fama del « biasimo suo 5 ma per mostrare a certi granchi « nuovi, come si conosce il pesce dagli scalogni. 1 II Bembo, che conobbe la bellezza di queste tre « canzoni, se ne prese quanti concetti potè adottar « di nascosto nelle sue rime. » E in un altro luogo, cioè nell'annotazioni alla seconda canzone: « Ben- « che questo poeta, dove ha spiegato concetti amo- « rosi, abbia detto assai meglio, che non altrove; « nelle canzoni nulladimeno è stato tanto eccel- « lente, che ancora dove non parla d' amore, veg- « gonsi certi spiriti e certe grazie più facili ad « essere ammirate, che imitate. » Queste cose da lui dette non avvertirono i letterati di quel tempo: e meno badando alle lodi che alle censure, si lecer vivi con molto rumore incontro all'ardito uomo; e corno questi si era la- sciato trascorrere a rinvenire errori ove non erano , così coloro vollero sostenere il cantore di Laura anche dove era veramente da rimproverarsi. Il gio- vane Giuseppe Aromatari di Assisi (autore di un trattalo sopra la Rabbia contagiosa , primo a ne- gare la generazione degli animali per via di pu- Vita di Alessandro Tassoni 247 t refazione ammessa dagli antichi) (8), si levò a difesa del Petrarca. Quindi da ambe le parti rom- persi lancie e mordersi come i mastini dipinti dal gran Lodovico. Rabbia che usavasi, come oggi del- l'adulazione, fra i letterati del tempo. A qualcosa si è giunti : almeno oggi i letterati si allisciano, né sono a temere quelle archibugiate che pur toccarono al Marino per un suo confratello in Pindo , il Min- tola ; ne le stoccate che diede ed ebbe Geminiano Montanari, filosofo modenese, per la questione dei fe- nomeni capillari. E Dio ci guardi 1 Condotto a povertà il Tassoni e privo di pa- drone (dappoiché bisognasse averne qualcuno) dopo la morte del cardinale avvenuta circa il 1613 s'in- trodusse nella servitù (gergo del tempo) del duca d'i Savoia Carlo Emanuele. Questi in mezzo alle guerre, che di continuo sosteneva, non ebbe a schi- vo le dottrine de' sapienti, e cingevasi di letterati e filosofi d'ogni fatta. Fu veduto dal Tassoni, quando in corte fu condotto, assiso a mensa circondato da cinquanta vescovi e molti cavalieri , matematici e medici, ragionando in varie lingue di storia, di poe- sia, di medicina, d'astronomia e d'alchimia (9). Dapprima il Tassoni fu nell'anno 1618 nominato dal duca segretario dell'ambasciata di Roma e gen- tiluomo ordinario del principe cardinale suo figliuo- lo , con una pensione di circa duemila scudi, che non fu mai pagata. Poscia, dopo due anni, fu creato (8) De rabic contagiosa. Venezia 1625. Tìrabosclii, T. Vili. Lib. VII. Gap. III. §. S. (9) Relazione delle cose a sé avvenute in Piemonte. MS. del Tas- toni citato dal Tirabosebi. Stor. letter Vili. Lib I. C 2. $• 6. 248 Letteratura primo segretario delle lettere de' principi e de' com- plimenti presso allo stesso cardinale di Savoia ; e perciò si recò nel 1620 a Torino. Dolorose furono le sue vicende in questo servigio. Or tratto in alto, ora avvallato secondo il vario soffio del vento cor- tigiano ; talvolta ebbe onori e stipendi meravigliosi , tal' altra poco meno che non fu come vii servo cac- ciato di casa. Le paci e le guerre, che si succedeano tra gli spagnuoli ed il duca, fecero sì che Alessan- dro, considerato come nemico della corte di Spagna, venisse o accarezzato o avversalo secondo che si trat- tava o la spada o la penna. Egli è certo che a lui si attribuirono le Filippiche e l'Esequie della monar- chia spagnuola : intorno a che veggansi il Muratori nella vita de! Tassoni e il Tiraboschi nella storia let- teraria, i quali minutamente ricercano se veramente debbansi queste opere dirsi sue. L' ultimo de' due, con ragioni abbastanza solide, decide per il sì. Ne io son lungi dal crederne Alessandro incapace, se si guardi specialmente al poco amore da lui portalo verso la Spagna durante V intera sua vita. Venuto a Roma, fu dal cardinale, timoroso di Spagna, perseguitato e infine nel 1623 cacciato, col prelesto che avesse ardito far l'oroscopo (che allora diceasi anche far la figura ) allo slesso cardinale , predicendo che sarebbe stato un' ipocrita. Indarno i cardinali di La Vallette, Barberini e di Belluine am- basciatore francese lo vollero proteggere. Ebbe dieci giorni di esiglio, eh' egli trapassò a caccia, e, ritor- nato, comperò una casetta presso il palazzo de'Riari alla Longara. Quivi passò tre anni in ozio tranquil- lo, datosi allo studio, alla caccia e alla coltura dei Vita di Alessandro Tassoni 249 fiori: nuovo Fabrizio che attendea la dittatura , se- condo il suo detto. E come per irriderlo, verso gli ultimi anni da sua vita varia e raminga, gli si aperse sereno il viso della fortuna. Imperocché nel 1624 dal cardinale Ludovisio, nipote di Gregorio XV, avesse grasso stipendio e onorevole stanza in pa- lazzo; e dopo morto esso cardinale nel 1632 si traes- se alla corte di Francesco I di Modena e ne avesse titolo di gentiluomo e buon trattamento. Quivi si ab- battè a Girolamo Graziani, giovane di non piccolo ingegno, cui esortò a scrivere il poema della Con- quista di Granala. E dopo soli tre anni, da che avea visto il cielo senza nubi , cioè ai 25 di aprile del 1635, nell'età di setlant' anni si morì e fu sepolto in san Pietro de' monaci benedettini Dell' arca dei suoi maggiori. Due ingrati e lontani parenti, sopra i quali era, si può dire, piovuto un abbastanza pin- gue retaggio, non gli resero nemmeno 1' onore d'una iscrizione, fosse anche stata quella del piovano Ar- lotto (10). Il canonico Annibale Sassi glie ne scrisse una nello stile del tempo, la quale ancora si con- serva nella casa dei Sassi (11). A un figlio naturale di pessima natura, com'egli stesso si esprime, e che di quando in quando derubavalo, lasciò nel testa- mento del 1635 una pensione vitalizia di venticin- que ducati al mese : imperocché paresse a quel tempo essersi tanto emendato da giungere, come uomo di vaglia, ad essere capitano a' servigi del (10) « Questa sepoltura il piovano Arlotto la fece fare per sé e per chi ci vuole entrare. » (11) Vita del Tassoni di Robustiano dironi innanzi all'edizione di Firenze 18Ì0 f. 18. 250 Letteratura duca d' Este (12). Né mancò il poeta di volere es- ser ricordato ai posteri come protettore dell'arte di- vina, a cui sapeva di dovere la gloria futura ; as- segnando duemila scudi per due premi annui, l'uno per versi italiani , l' altro per un discorso latino. Esempio tanto più commendevole, in quanto che pochi sono i grandi, che meglio seguir lo potreb- bero, i quali vogliano in tal guisa raccomandarsi alia posterità. Molle cose il Tassoni stampò, che ho accennate, e molte altre che inedite rimangono ancora. Non voglio annoverare tra le prime le annotazioni al vo- cabolario della Crusca per cura di Apostolo Zeno stampate in Venezia nel 1C98. Il celebre annalista dubita che di queste non sia autore il Tassoni, ma bensì Giulio Ottonelli, nativo di Fanano nelle alpi (12) È curioso leggere un testamento del Tassoni del 1612, che incomincia : « lo Alessandro Tassoni, per la grazia di Dio sano del « corpo e della mente , se non l'orse eccettuata la comune febbre « dell'umana ambizione accesa uel desiderio di vivere dopo la mor- ie te, volendo in questo presente stato dichiarare la mia ultima vo- « lontà, che è quel conforto estremo , che si puoi concedere per « mitigare l'amarezza di sì gran pardita, com'è la vita: primiera- « mente lascio l'anima mia, che è la più cara cosa ch'io abbia, al « primo principio suo, da cui fu creata, invisibile, ineffabile, sempi- « terno: il corpo mio, per essere cosa fetente, lascereilo che fosse ar- « so; ma essendo ciò contra il rito della religione, in che io nacqui, « prego i padroni della casa dov' io morirò ( non avendone alcuna « che sia mia ), o s'io morissi sotto il letto comune, eh' è il cielo, « prego i vicini e gli amici, che '1 facciano seppellire in luogo sacro. « Dichiarandomi, che la mia intenzione sarebbe, che nel mortorio '( mio non si facesse altra spesa che d'un sacco e d'un facchino, che « portasse il mio corpo racchiuso in esso di notte con un sol prete « colla croce e una candela ec. ( Presso il Muratori - Vita del Tas- « sani - Ediz. di Modena 1744, f. 32. ) Vita di Alessandro Tassoni 25 1 modenesi sulla fine del secolo diacesettesimo, vissulu in corte di Toscana. Causa dell' errore sembra che sieno state alcune postille alla prima e seconda edi- zione del vocabolario, che di mano propria del Tas- soni si conservano nella biblioteca estense (13). Da queste come da tutti i suoi scritti s' impara qual profonda conoscenza si avesse della lingua italiana, e come meritamente venisse nel 21 di giugno del 1589 aggregato tra gli accademici della Crusca. Dall' opinione dei quali lungamente si discostava , stimando doversi agli scrittori del secolo decimo- quarto anteporsi i migliori del cinquecento: né manca nei quesiti, a ribadire i suoi argomenti, di censurare fieramente lo stile di Giovanni Villani e i lunghi e sonori periodi di Boccaccio : 1' imprudente esempio del quale fu cagione ( al dire d' un grande scrit- tore testé mancato alla misera superbia del secol no- stro ), che venissero dislogate le ossa e le giunture della lingua , per darle violentemente del latino le forme che meno le si confanno. Non è dunque me- raviglia se a lui fossero attribuite le annotazioni , nelle quali contro a molte voci e modi di dire da- gli accademici inserite si fa acerbissima guerra. Scrisse egli ancora, e medito rimane, il com- pendio degli annali ecclesiastici del cardinale Baro- nio, cominciato in latino, quindi rifatto e compiuto in lingua italiana. A questa fatica si sobbarcò nel corso dell'anno 1615, come da lui sappiamo in una lettera al canonico Barisoni del 25 dicembre di quel- 1' anno. Più copie esistono di quest' opera : tre di (13) Tiraboschi, Vili. Lib. HI. C. IV. I. 7. 252 LETTERATURA propria mano dell' autore in Modena col titolo : Ri- stretto degli annali ecclesiastici e secolari con diverse considerazioni politiche e particolari importanti ag- giunti alle cose dette dal Baronio e dagli altri. Un'al- tra copia, a detto di De Cedols, è a Parigi nella bi- blioteca del re (14). Un altro esemplare autografo in quattro grandi volumi ne possedeva il pittore Giu- seppe Bossi segretario dell' accademia delle belle arti in Milano, e che fu, dicesi, venduto a un inglese : un'altra copia, monca del primo e del quarto volu- me, ho io veduto nella biblioteca casanatense (15). Ma di ciò parleremo più distesamente, allorché si ver- ranno a dare notizie esalte, per quanto si possa, dei manoscritti dal Tassoni lasciati; pochissimi de'quali sonosi da me potuti vedere ad onta di molte e dili- genti ricerche. Andò anche smarrita una sua storia della guerra della Valtellina ( vera Elena di nuova Iliade più che non fu la Secchia) scritta da lui nel tempo che fu segretario di Orazio Ludovisi duca di Fiano, gene- rale della santa sede, il quale a nome di questa fu depositario di quel paese nel 1623. Vi avea aggiunta una narrazione in versi molto faceta del suo viaggio colà a imitazione della quinta satina di Orazio. Di- cesi che il cardinale Ludovisi, figlio del generale, gli la traesse di mano e la consegnasse alle fiam- me , forse per non far ridere i posteri alle spalle del padre suo. E ciò si ha da Leone Allacci e dalla tradizione confermata da autorevoli persone (16). (14) Biografia universale citata. (15) Giuseppe Maffei, Storia della letteratura italiana. Voi. II. Lib. IV. Cap. VI. Napoli 1844. (16) Leone Allacci, facendo il catalogo delle opere del Tassoni, Vita di Alessandro Tassoni 253 Compose un primo canto e ne incominciò un secondo d'un poema che chiamò l'Oceano, sulle im- prese di Cristoforo Colombo. Ma sembra che in questo egli dovesse approdare a ciò che già lo Sti- gliani e il ViMafranchi , e quindi il Giorgini , il Gualterotti e il Benamati ( che sono forse i tre da lui accennati nella lettera che precede quel canto) (17) e moltissimi altri, che logorarono inutilmente la fan- tasia ed i versi su questa sfortunata materia del nuovo mondo. Soggetto di meraviglioso poema sa- rebbe questo. Ma ne all'età dell'oro della italiana e spagnuola letteratura, ne ai secoli dappoi seppero i poeti valersi di quelle narrazioni , che son pur poesie, de' viaggiatori, i quali vedeano innanzi agli occhi aprirsi nuova specie di vita umana e di ter- restre vegetazione. Gì' ingegni, che a tal materia si rivolsero, non ebber cuore di scostarsi dalle Ama- rillidi, dalle ninfe , dall'ombre de'faggi e dalle pal- lide viole. Fu muta per loro la vergine selva or- nata a mo' di tempio da festoni di variopinte liane, popolala da uccelli somiglianti a gemme; furon muti per loro gli alberi giganteschi, che offrono ad un tempo cibo , vestito e abitazione , e le grandi ca- tene de'monti, gl'immensi fiumi scendenti da mon- tagne a picco, e i laghi più simili a mari, le for- scrive : « Della guerra della Valtellina, lìb. II. Nominai absolvit. » ( Apes urbanae. Romae 1633. ) (17) Il mondo nuovo in XXXV canti di G. Giorgini da Iesi 1596. -L'America di Raffaele Gualterotti. Firenze 161 1. - Poemi eroici ■■ Delle due trombe i primi fiati, cioè tre libri della vittoria navale e tre libri del mondo nuovo di Guidubaldo Benamati di Gubbio. Parma 1622. (Cancellieri Dissert. sopra il Colombo. Roma 1809. LXVU pag. 160). 2ó4 Letteratura re inaccessibili, e i vulcani, e gli uragani, e i nuo- vi animali, e l'ignota origine eli nomadi popolazioni pure un giorno vissute a vita civile, e i nuovi co- stumi , e i selvaggi avventurieri venuti dalla vec- chia Europa a far le conquiste incivilitrici , come un giorno Giasone e gli argonauti. Né quel gran- de che fu Camoens, viaggiatore anch'esso, potè del tutto distaccarsi dalla scuola: e resta ancora dub- bio se quelle grandi e temerarie azioni de' conqui- statori sieno sì poetiche per se stesse da non po- tersi raggiungere non che superare dall'arte, o se sia colpa di coloro, che, come il Tassoni, imprese- ro a vestirle di poesia, di non essersi abbastanza sa- puti ispirare a sì nuovi ed altissimi fatti. Ma ciò che alzò a grandissima fama il Tassoni e che meritamente lo infutura, si è il celebre poe- ma della Secchia rapita, per mezzo del quale si aper- se nuovo campo ai poeti e novella corona si cinse la italiana poesia. Almeno con questo fu in parte riparata la vergogna di non vedere fra tanti poe- mi, che allora si scrissero (e que' del Chiabrera, e l'Adone del Marino, e il Mondo Nuovo dello Si i — gliani, e la Croce riacquistata del Bracciolini, e il Mondo crealo del Mintola e cento altri) alcuno che si levasse in tal grido da stare a petto o almeno dappresso a quelli maraviglisi del secolo trascor- so. L'autore dice, la Secchia esser opera di sua gio- ventù: quasi stimasse vergogna a uri uomo maturo spendere il tempo su d'una materia burlesca. Ma è certo che fu opera compiuta in poco tempo quan- do avea trapassati i quarantacinque anni, come si ha per documenti, e come può vedersi nella bella Vita di Alessandro Tassoni 255 ■versificazione, sicuro indizio di età e di sludi ma- turi. Gianandrea Barotti , nella prefazione da lui premessa alla edizione di Modena del 1744, narra con diligenza le diverse vicende di questo poema dalla sua composizione insino a che non venne alla luce , e prova che quantunque stampato più tardi (cioè nel 16'22 a Parigi), il poema del Tassoni ab- bia preceduto di molto Io Scherno degli dei del Bracciolini (pubblicato a Firenze nel 1618), ed al nostro Alessandro debbasi la gloria di questa nuo- va e ingegnosa invenzione. Ne solo il Barotti, ma il Muratori, il Tiraboschi e il Mazzucchelli convengono in tale sentenza, che ormai è ricevuta come incontra- stabile tra i letterati italiani e stranieri. E per cer- to, se astraendoci dal fatto vogliamo esaminare, se all'epoca della pubblicazione o all'epoca del com- ponimento debbasi riguardare per la precedenza di una nuova invenzione o di qualsiasi altra produ- zione d'ingegno, non vi sarà alcuno che abbia fior d'intelletto, il quale non affermi doversi dar merito di gloria a chi prima compose e non a chi prima pubblicò. E se così non fosse, qual guiderdone si avrebbe colui, che abbia scritto un libro o una nuo- va macchina ritrovato, e che per tristezza di tempi o di fortuna abbia dovuto tenere sepolto il frutto di lunghi sudori e d'indefesse fatiche ? Frattanto il sor- dido Bracciolini per lo Scherno e per altri poemi (che ben cinque ei ne compose, quando uno soltanto può essere appena la fatica della vita d'un grande intelletto) si ebbe inquartate nelle armi gentilizie le api dei Barberini. Al Tassoni poco meno che miseria. E che altro poteva aspettarsi chi era più inchine- vole a satire che a panegirici ? '256 Letteratura Una secchia, che vecchia e fasciata di ferro ve- desi ancora nella Ghirlandala di Modena e che di- ceasi dai modenesi tolta a Bologna, fu il soggetto, da cui trasse il Tassoni i suoi canti. Egli slesso cosi dice ne'suoi annali manoscritti all'anno 1249: » Questa » guerra, dove fu preso il re Enzo, fu poi cantata » da noi nella nostra gioventù in un poema inti- » tolato la Secchia rapita , la quale crediamo per » la sua novità viverà, essendo un misto di eroi- » co e di comico e di satirico , che più non era » stato veduto. La secchia di legno , per cagione » della quale fingemmo che nascesse tal guerra, si » conserva tuttavia nell'archivio della cattedrale di » Modena; ed è fama che alcuni mesi prima (18) » fosse stata levata dai modenesi ai bolognesi den- » tro la porta di san Felice ». Falsa o vera che fosse questa tradizione, non è bugiarda pur troppo la fama di quelle guerre ci- vili, che si guerreggiavano in quel tempo tra i po- poli della penisola; né sola la secchia è trofeo che ancora si serba a memoria di quelle gare funeste! Non ha guari si restituirono ai pisani due pezzi di catena appesi alle colonne di porfido avanti la por- ta maggiore del tempio di san Giovanni tolti dai fiorentini all'antico porto pisano nell'anno 1361 (19). E questo uno de'mille infami trofei, che do- vrebbero restituirsi o distruggersi per sempre, per- ché di tali guerre non rimanesse, non che vestigio, memoria alcuna ai presenti od ai futuri. (18) Si riferisce ai mesi antecedenti a questo , ove è giunto lo scrittore degli annali. (19) Per decreto del 14 marzo 1848. Vita li Alessandro Tassoni 257 Sopra tale soggetto dunque Alessandro condus- se a compimento un poema misto di tragico e di comico, di sublime e di ridicolo, del quale allora e adesso ancora si attribuisce a lui l'invenzione. Non già che esempi non vi fossero di tale specie di mista poesia. Egli è certo che dopo il Berni nes- suno ardirebbe chiamarsi inventore del genere eroi- comico. Ma questi si restrinse a brevi componi- menti, e molto meno si distese a un lavoro sì gran- de, com'è un poema, dove da un capo all'altro l'au- tore si attenga a cotal modo di esporre gli avve- nimenti. Né è a dire che il Tassoni fosse prece- duto dalla Gigantea dell'Amelunghi, o dalla Nanea dell'Aminta, o da qualche altro saggio somigliante a cotesti. Paragone è questo da non meritarsi da Alessandro, che tanto è lontano da que' due, quan- to il sublime Alighieri da que' poeti, che balbetta- vano ancora la lingua del sì. Quel mostro della Gi- gantea di Girolamo Amelunghi, detto il Gobbo da Pisa, è cosa che meritamente è perduta nell'oblìo, e gli dà troppa gloria chi solamente a noi la ram- menta (20). E sconosciuta al nostro poeta fu per (20) La Gigantea fu pubblicata sotto il nome di Forabosco nel 1566 a Firenze. Edizione rarissima. A dare un saggio del poetare deU'Àmelungbi, ecco alcuni versi: » Non venga Orfeo colla ribeca, ch'io « Non voglio e posso cantar cosa buona; » Venga l'alma Pazzia, dolce e gradita, » Ch'io la vo' sempre mai per calamità. E quando descrive la battaglia de'giganti ; » Gerastro la piramide alta e grossa » Fra sette gran miracoli oggi della G.A.T.CXXII. 17 258 Letteratura certo, perchè ristretta nel cerchio delle mura fioren- tine e troppo povera nella invenzione e nello stile e però ben presto dimenticata , la Battaglia delle vecchie colle giovani di Franco Sacchetti per la pri- ma volta in questo secolo tratta nella Laurenziana da un codice del secolo decimoquinto (21). Ma se pure da tali misere opere avesse tratto il concetto del suo poema il Tassoni; tanto potrebbe chiamarsi piaggiatore, quanto Milton, che dicesi traesse idea del Paradiso perduto dall'Adamo, tragedia di Gian- battista Andreini, ch'egli avea veduto rappresentare in Italia. Così nemmeno può esser posto il suo poema tra l'Orlando e il Morgante e gli altri poemi ca- vallereschi , dallo stile de'quali è lungo tratto di- stante (22). Il poema romanzesco , così detto per- chè nella lingua romanza da principio si racconta- rono le meravigliose avventure dei paladini; e die nato nel duodecimo secolo compie la su a vita nel decimottavo col Ricciardetto del Fortiguerra; alquan- » (Che fé già Chemmi re d'Egitto) ha scossa « E trapanata tutta con gran fretta. » L'aggiusta appunto, e con destrezza e possa r> Difficilmente a modo suo l'assetta; » Poi se la pon qual cerbottana a bocca , » E monti spesso al ciel per palle scocca. (21) La battaglia delle vecchie colle giovani — Canti due di Franco Sacchetti pubblicati per la prima volta ed illustrati da Ba- silio Amati da Savignano. Bologna 1819. —Questo poemetto sembra essere stato scritto nel 1354, (22) » Si levò gran dispula qual de' due ( Braccioliui e Tas- » soni) inventasse il genere eroicomico. Nò l'un né l'altro dirà chi » abbia letto il Morgante, l'Orlando furioso e l' innamorato ». Cau- ta, Storia universale. Epoca XVI. C. 37- Vita di Alessandro Tassoni 259 to differisce nella forma e nella sostanza dal poe- ma eroicomico datoci dal Tassoni. La forma han preso i poemi romanzeschi dai racconti, che facea- no delle gcste cavalleresche nelle case, nelle piaz- ze, nelle corti i trovatori, moderni rapsodi. Pertan- to a bella posta s'interrompono le favole a destare la curiosità di udire i seguenti canti, che principia- no per lo più con massime e avvertimenti morali; il tutto in istile popolare e porgentesi all'intesa di lutti. Essi non hanno bisogno di quella severa uni- tà, che si richiede negli epici: ed hanno», in ciò che riguarda alla sostanza , un fondo di ridicolo reso sempre più palese a mano a mano che col proce- dere degli anni meno si presta fede alle geste ter- ribili dei paladini, finché si scuopre quasi del tutto nel Ricciardetto. Ma egli è pur vero che quegli in- credibili fatti sono quasi sempre narrati con una tal' aria di naturalezza e di credulità, che inganna i meno accorti: e il contrasto delle idee, onde nasce il ridicolo, è più nel soggetto stesso (imperocché si donino ad uomini qualità superiori agli altri tutti), che nel modo con cui vengono raccontate le cose. In somma in tal sorte di poemi si scrive con quel- l'umore (e mi perdonino i linguisti questa parola), che dal Pulci e dal Boiardo hanno imitato gl'inglesi, e che sembra si sia perduto presso di noi, i quali ab- biamo preso da qualche altra nazione il gusto di recar sorpresa o di far ridere sbardellatamenle, piuttosto che di far sorridere, pensando. JNel poema eroicomico al contrario una frivola cagione è per lo più sog- getto di grandi avvenimenti, coi quali si intrecciano grandi azioni e ridicole avventure, cui imprendono 2lì0 Letteratura. i vari personaggi tutti nel loro carattere eli veri eroi o di eroi burleschi. Così Gherardo. Manfredi , Sa- linguerra e il re di Sardegna alte cose parlano ed alte ne imprendono, mentre il Polla, il conte di Cu- lagna e il Titta romanesco danno cagione di ride- re per le burlesche imprese a cui si accingono, e che maggiormente sono ridicole quanto più contra- stano ai magnifici vanii e ai grandi fatti, che in- nanzi a loro si compiono. Quivi è meglio palese il contrasto delie idee, quando piccole le cose alle grandi si paragonano, le grandi alle piccole, e a giganti si affibbiano modi e costumi che a nani si convengono e al contrario; e dal sublime si cala recisamente al- l'infimo stile, o dall'infimo e dal medio al sublime: il che commuove a riso le menti piacevolmente sorprese dal mutamento de' suoni. I poemi roman- zeschi che si aggirano sopra le stupende avventure dei cavalieri e si raggruppano intorno ad Amadigi, ad Artù, a Carlomagno, e che vestiti di poesia me- ravigliosa resero vita novella sotto il bel cielo d'Ita- lia, hanno corso la lor via, e più non possono ri- sorgere ora ch'è finita quella età, in cui la giovine fantasia si dilettava di essi, né più si crede alle an- tiche leggende di Vasco Lobeira , di Goffredo di Momouth e dell'apocrifo Turpino. Il poema giocoso al contrario , rivolto a tali soggetti che destino in altrui la curiosità e il diletto, può vivere ancora, pur- ché tal poeta l'imprenda, che sappia in mezzo alle risa e agli scherzi attingere quello scopo morale e filosofico, che più d'ogni altro ricerca e vuole l'età in che viviamo. Pietro Giordani, clic scrisse delle finali interi- Vita di Alessandro Tassoni 261 zioni di alcuni poemi, non so , se avesse spinto il suo sguardo profondo entro di questo, quale avrebbe avuto avviso circa il suo vero ed ultimo significalo. Alcuni dissero che è un poema fatto per ridere. Io mi faccio a credere che non sia proprio degl' italiani il ridere per ridere, come di qualche altra nazione; e che il Tassoni, olire al segnare col marchio po- tente del ridicolo le discordie antiche, abbia anche inteso in mezzo ai giuochi sferzare le miserabili ca- gioni di guerre, che a suo tempo pur si guerreg- giarono senza gloria e senza speranze, con tanto pian- to e mina de' popoli. Così nella corte di Giove ha forse voluto dipingere alcuna corte di allora, e nel conte di Culagna, eroe burlesco del poema, i tanti militi gloriosi, che in cambio de'valenti, colle bra- chesse alla sivigliana e in collare di Cambrai, faceano i bravi e i terribili , percorrendo il paese. È vero però che tale scopo o è nascosto di troppo, od egli l'ha obliato in mezzo a tanta furia di combattimenti, che prendono troppa parte de'canti del suo poema, e che non ci difendono da una certa stanchezza, ne vorrei dire da un cotal senso di noia. Ma ciò è lar- gamente compensato dallo stile ora nobile, ora gra- zioso, or sollazzevole, sempre vario, leggiadro, faci- le, immaginoso, elegante: come anche dallo scopo raggiunto a meraviglia, quale è quello di far nascere facile e spontaneo il riso : tanto che si è persuasi aver questo scrittore sortito dalla natura le due dif- ficili qualità sì necessarie a un poeta giocoso : l'una che chiamasi naturalezza : l'altra, che non essendosi potuta chiamare vivacità, brio, acutezza , lepidezza di mente, si è dagl' italiani con accoppiamento di 262 Letteratura. due vocaboli nominala bell'ingegno, (l'esprit dei fran- cesi, il ivit degl'inglesi ) la quale consiste nel saper fondere in una sola idea composta due o più idee semplici, ma dissimili e lontanissime : qualità, di cui fu privilegiato sopra gli altri il Berni non a torto chiamato maestro e padre del burlesco stile. L'umore satirico del cantore della Secchia si versa più spe- cialmente sull'indole dei diversi popoli italiani, e sui costumi e sulle persone del tempo : delle quali ulti- me, ora quasi dimenticate, però non è in noi si viva curiosità e interesse, come per avventura fu allora, quando que' nomi furono celebri e forse noti ad ognuno. Vedasi, per tacermi d'altro (che ciò con- verrebbe meglio a chi prendesse ad analizzare mi- nutamente il poema ) nel sesto canto la maestria, con la quale è raccontata la prigionia di Enzo, dove al sublime dell'epopea è commista la viva pittura de'eo- stumi del tempo , e splende la ridevole eloquenza d'un capitano, che in dialetto fiorentinesco anima i suoi alla battaglia. Se non che a ragione è ripreso il nostro poeta di essersi talora dimenticato di quella decenza, che è necessaria in ciascuna opera d'arte, dove sempre mirar si deve al miglioramento degli uomini ; e di non avere schivato di attingere gli scherzi a impura sorgente , tanto che degenera in golfo e schifoso talvolta. Come anche potrebbe de- siderarsi ch'egli fosse stato più profondo dipintore di affetti, e che con più forte dito avesse toccato qual- che piaga, perchè più sensibile ne fosse il tocco ai pazienti. Né riguardo a certi mali adoperò quella po- tente ironia, che si tramezza all'invettiva e al ridi- colo, come fra Aristofane e Demostene s' interpon- gono Luciano e Platone. Vita di Alessandro Tassoni 263 Ciò non ostante questo poema è sempre una gemma della italiana letteratura, e come piacque al- lora in Italia, gli fu fatto buon viso al di fuori, e fu da Boileau imitato nel Lutrin, da Pope nel Riccio rapilo. Il primo de'quali forse superò il Tassoni nella grazia e nella correzione, non già nel concetto, trop- po meschino essendo quello d'un leggìo che in un convento è cagione di liti e di zuffe. E Pope del pari non seppe schivare tale difetto, troppo compensalo dalla eleganza e dalle poetiche bellezze, che in copia risplendono in quel leggiadro componimento (23). Fu il Tassoni di acre e libero ingegno, e nemico dei pregiudizi specialmente in ciò che riguarda la smoderala ammirazione degli antichi scrittori. E in ciò ebbe l'ingegno formalo a mo'di quello del Ca- slelvetro : a lui somigliante nell'acutezza di rinvenire i difetti e nella franchezza di palesarli, quantunque Io superi, se non nell'eleganza, almeno nella maggior copia di dire, e nella facilità di volgere in giuoco i più seri argomenti, piacevolmente, con sottile e fa- ceta critica intrattenendo i lettori. Danno vera im- magine di questa novità del suo ingegno le parole, con le quali rispondeva a chi lo rimproverava di aver messo in dubbio se le lettere e le dottrine sieno ne- cessarie nelle repubbliche e a'principi e alla gio- ventù (Lib. VII) : « Io amo più questa singolarità » di biasimare una cosa non biasimata da alcuno , » che il concorrere con la comune in lodar quel- (23) Pope scrittore energico, pieno di affetto e di eleganza, tale insomma che non è più di moda sul Tamigi, ove si ammira chi chia ma le stelle poesia del cielo, e la malinconia canchero della mente. (G. B. Niccolini, Sul Riccio rapito tradotto da S. Uzielli). 264 Letteratura » lo, che alcuno non biasima. Così Cameade si corn- » piacque di lodar l'ingiustizia devoniani, dalla qua- » le tanti buoni effetti erano poscia nati. Così Dio- » gene si fé beffe di colui, che volea lodar Ercole, » domandandogli, chi il metteva in così fatto far- » netico di lodar uno, che non era stato mai bia- » simato » (24) ? Così egli fu amante di dir cose nuove e di sostenere strane sentenze, delle quali egli non sembrava nel fondo dell'animo persuaso. È vero però che con leggiadria le sostiene, e in mezzo a' suoi paradossi rilucono acuti giudizi e utilissimi veri. Ebbe natura faceta a un tempo e malinconica. Alcun poco rozzo nei modi, e irascibile e vendica- tivo al segno, che aggiunse due canti al poema (che dovea essere di dieci ) per isferzare a sangue un suo letterario nemico. I modenesi credono che questi fosse il conte Paolo Brusantino, il quale per il suo segretario dottor Maiolino in due libelli lo avea cen- surato. Altri vogliono fosse il conte di Bismozza fer- rarese, un solenni ssimo vantatore e poltrone, siccome il poeta dice in una sua lettera al canonico Bariso- ni. Ma qualunque si fosse quel tristo, che fu sì tre- mendamente forbottato , colui fu punito molto più che non si meritava, e dovè fremere di dispetto nel vedersi dipinto in quel vigliacco del conte di Cula- gna venuto a sì mala celebrità, che i signori della rocca smantellata di tal nome, posta sulle montagne di R.eggio, non osarono più assumerne il titolo di- venuto sì vergognoso. Altro testimonio del suo ani- mo pronto all'ira è quel libercolo contro all'Arorna- (24) Muratori, Vita cit. f. 22. Vita di Alessandro Tassoni 205 tari della Tenda rossa (così chiamato ad esempio di Tamerlano, che esponeva una tenda di siffatto colo- re, minaccia di morte a' suoi nemici ) stampato nel 1613 col motto : Ignem gladio ne fodias; nel quale è tutto il fiele , di cui può far mostra un letterato montato in bizza. Un contemporaneo Io disse d'ingegno grande , elegante ed ameno, ma torbido e superstizioso (25). Ne adduce per prova l'aver lui voluto dardi cozzo ad Omero e al Petrarca, ed essersi con le sue no- vità fatto di molti nemici. E quanto alla superstizione, di cui è ripreso, non può negarsi che uomo di tanto libero pensiero non fosse portato fortemente verso l'astrologia giudiciaria, di cui si mostrò non medio- cre cultore. Imperocché nella questione decimaterza del decimo libro de'pensieri esamini se la congiun- zione della libra col sole possa essere funesta, e se il settembre apporti sventure a coloro che vi nasco- no: da ciò conclude potere essere queste le cagio- ni, per le quali tante sventure sopportò la sua vita. Scrive poi al canonico Sassi dover succedere la sua morte nell'anno settantesimosesto di sua età-, e allora che nacquero tante opposizioni alla stampa della Sec- chia , così scrisse al Barisoni : » V. S. ha opinione » che si possa stampare la Secchia, mentre l'au- » loie ha congiunti il sole e la luna in quadrato » di Saturno che sta nella nona: e io tengo certo » di no, e non ne aspetto se non male , perchè la » congiunzione del sole alla luna suol fare cose no- (28) lani Nicii Erilliraei (Giovanni Vittorio Roscio de Rossi ) Pinacotheca imaginum illu->trium.Coloniae Agrippinae. C1C ICC XLV. 266 Letteratura » labili , ma non cose buone ». Pertanto si deve toccar con mano quanto sia vero, che non vi ab- bia uomo sì grande per virtù di animo o d'intel- letto, che non abbia di che esser ripreso. Né il Tas- soni fu dissimile in questo ( ma sì meno degno di scusa) da quel grande di Torquato, che nel tempo della infermità di sua mente credette di avere ac- canto talora uno spirito avverso, che si piaceva di fargli dispetto ; e talora ebbe opinione , come So- crate un giorno, di vedere uno spirito buono ed amico e avere con esso lui lunghi e soavi ragio- namenti. E a tutto questo deve aggiungersi l'an- dazzo del tempo molto proclive a siffatte opinioni e a pratiche superstiziose. Tralascio il dire del seco- lo antecedente, in cui Francesco I si facea fare il pronostico dal napolitano Angelo Pisano , e la Ca- terina de'Medici dimandava a Gabriele Simeoni l'o- roscopo per la incoronazione di Carlo IX (26). Ai giorni stessi del Tassoni tanto si era creduli ad oro- scopi e ad incanti, che l'animoso Giovanni de'Me- dici generale dei veneziani non poteva altra causa indicare dell'affetto, che lo stringeva alla Livia Ver- nazza, fuorché qualche ben costrutta malìa di essa Livia, o d'altro amico o nemico che si fosse (27). Ebbe amici il Cesi, il Preti, l'Allacci, e i migliori spiriti della sua età. Delle accademie, a cui fu socio (26) Documenti di storia italiana copiati sugli originali auten- tici e per lo più autografi esistenti in Parigi da Giuseppe Molini. Firenze 1836 n.° CCCXXX1. Pronostici dì Angelo Pisano a France- sco 1, da Venezia 1330 n.° CCCCLVI. Gabriel Simeoni a Caterina de' Medici, da Clermont 31 maggio 1561. (27) Galluzzi, Lib. VI, e IV. Vita di Alessandro Tassoni 2GT Alessandro, gli rende più onore quella de' lincei fon- data dal Cesi , la quale avea per iscopo esaminare le cause de' naturali fenomeni e sottoporre a sana critica l'antica filosofia di Aristotele. Né si dimen- ticò il poeta di rendere onore al grande ingegno del principe de lincei, e a quell'altro che dal Bellarmi- no fu detto un nuovo Pico , in quella stanza del- l'undecimo canto, ove racconta come il romanesco Titta, credendosi di aver trapassato il corpo del Cu- lagna, sparpaglia avvisi per tutte le parli ed anche a Roma « ai due romani famosi ingegni, il Cesi e 7 Cesarmi (St. Ut). Per lungo tempo non avendo colto frutto al- cuno di sue fatiche, Alessandro si fé dipingere con un fico in mano, segno del misero guiderdone del lungo avvolgersi per le corti. Vogliono alcuni, che egli aggirandosi un dì per un mercato di Roma, di- mandasse a una rivenditrice il prezzo di alcuni fi- chi; e che la donna glie ne facesse assaggiare uno: di che tutto lieto sclamasse , esser quello il primo dono avuto in sua vita ; e che da ciò gli venisse in pensiero di farsi dipingere con quel fico in ma- no e col distico: Dextera cur ficum quaeris mea geslet inanem ? Longi operis merces haec fuit: aula dedit. Questo ritratto in tal guisa rappresentato ve- deasi nella biblioteca di Cassiano dal Pozzo nobile piemontese (28 \ Nondimeno egli in vecchiezza ebbe (28) Cassianut. Puteus. — Iani Nidi, Pinacolhaeca. 268 Letteratura agio di avanzare tanto, da poter morire in pace e lasciare qualche ricchezza a ingratissimi eredi. Così potè esser sepolto il suo corpo senza che avari cre- ditori lo tenessero in pegno di pagamento. Più for- tunato dell Ariosto, che ricevuto da Ippolito d'Este pel poema dedicatogli vii proemio di pochi scudi (più vergognoso vii premio che nulla) , con tremen- da ironia, disse rivolto agli amici: Andiamo a man- giarci il premio di venti anni di fatiche. Fu egli di bianco colore, di capello in gioventù biondo, occhi vivi, fronte aperta, volto lieto. Insom- ma, dicono i suoi biografi, aveva tutto l'aspetto d' un galantuomo. Lettera del P. D. Luigi Bruzza barnabita al P. Ver- celione, sopra alcune iscrizioni antiche trovate a Montevcrde. Carissimo amico, Fuel tratto di colline, che uscendo di Roma per l'antica porta portuense s' incontra sulla destra del Tevere, ed a cui i presenti romani danno il nome di Monleverde, fu certamente in antico frequentato dai romani, non solo perchè vicino alla città, ma sì ancora perchè l'amenità del luogo facilmente ve gì' invitava. E voi ben ricordate, che avendo alcuni anni passati perlustrato insieme quel luogo, scorgemmo qua e là costruzioni sotterranee, ove di opera reti- colata, ed ove di grossi macigni di peperino, e spar- samente per la campagna grande quantità di piccoli Iscrizioni antiche 269 frammenti di marmi lavorati; e taluni d'essi preziosi; donde raccogliemmo che un qualche nobile edilìzio dovesse un giorno adornare quei colli. Non ci venne allora fatto di scoprir nulla di figurato o di scritto; ma da chi avea per vari anni goduto sopra quei colli le fresche aure di autunno udimmo raccontare esservisi scoperti per lo addietro sepolcri ed iscrizio- ni. E di vero un titoletto si conservava murato nella nostra casa di villeggiatura, e di quivi era stato tra- sportalo nella casa nostra di s. Carlo in Roma l'os- suario di Polla Valeria. Ora essendo voi ritornato da alcuni anni a rivedere que'luoghi, foste abbastanza fortunato di scoprir nuove lapidi, le quali e per la ricordanza delle ricerche quivi fatte insieme, e per l'amore delle cose antiche che abbiamo comune, vi piacque di comunicarmi; e veramente non potevate far cosa che più di questa mi fosse cara e gradita. Ed io, per dimostrarvi quanto mi riuscisse accetto siffatto dono, ve le rimando adorne di un piccolo commentario; il quale se vi parrà ridire cose note e comuni, attribuitelo in parte all'insufficienza mia, e in parte alle iscrizioni stesse che per se non ci pre- sentano nulla di nuovo, ma accettatelo in segno del- l'amore e della gratitudine che vi porto. I. SALYIANVS . AVGVSTI LIB . FILIVS VLPIAE . DORCADI MATRI . DVLCISSIMAE ET . SANCT1SSIMAE . ET INCOMPARABILI . FEC . 270 Letteratura Questa iscrizione non è da porre fra quelle di età incerta, perchè 1' augusto qui indicato è certamente Traiano, da cui Salviano e Dorcade ebbero la libertà, ed acquistarono il suo nome gentilizio; che espresso nell'enunciazione di Dorcade, si tace in quella del fìplio, che da lei prende lume bastante per conoscere di qual augusto fosse liberto. Gli encomi, con cui Salviano commenda la madre, non hanno nulla di nuovo, essendo i soliti che si trovano nelle iscrizioni poste a'parenti; espressi però, come qui sono, in- sieme, dimostrano che d'animo affettuoso fosse costui. Del resto osservate che il cognome Dorcade, sebbene non raro nelle iscrizioni, e sia uno di quelli che si desumevano dalle specie degli animali, era forse im- posto e gradito alle schiave romane per quella ca- gione di gaiezza e vivacità che rendeva usata presso le donne orientali quell'appellazione medesima, indi- cata però con vocabolo proprio della loro favella. Imperocché del brio, o della agilità delle damme o cavriuoli (AOPKAAE2), tanto si dilettavano, che nei libri santi troviamo Sebia £?l'3tf), lo stesso che Dar- crcs, qual nome della madre del re Ioas v2 Reg. XII, 2 ; Parai. XXIV , 1 ) ; e la voce caldaica Tabi t ha (Kn'313), con cui si chiamò la pia donna di cui par- lano gli atti apostolici {IX, 301, interpretavasi Dor- cas (AOPKA2 (i) ), come ce lo insegna il testo me- desimo. E manifestamente allude al nome dell'isola di Capri, Capreaeì la denominazione di Dorcade li- ti) » Hoc autem nomen timi familiare fuisse indaeis , docuit •n Lightfootus in Cent, corografica Mattliaeo praemissa, e. 18, et Bo- » chartus in Hierog. tom. 2 pag. 305 seqq. edit. Lips. » (Roscmmili. ad aet. IX 36). ISCEIZIONI ANTICHE 271 berta di Giulia figlia di Augusto, che leggiamo in una iscrizione presso il Fabrelti (e. 2. n. 74) come ne fa fede l'epigrafe stessa qualificandola Vertute ca- prensis, perchè cioè era figlia di quei servi che Giu- lia avea nelle terre dell'isola di Capri. ii. D . M . ARRIAE T . LIB . V1CTORIAE BONAE FEMINAE Più singolare è il titolo che si vede in questa iscrizione di Arria Vittoria liberta di Tito Arrio, che con bellissimo e semplicissimo elogio è detta buona femmina. Mulieri bonae l'abbiamo in Grutero 792. 6. Non mancano esempi, in cui si vedono ugualmente iodati anche gli uomini. Chi vuole notizie della gente Arria vegga la dissertazione dottissima che ne stampò il Borghesi in Milano nel 1817. Del titolo di bono ragiona il De Vita nel Thesaur. Beneventani, p. XL. 272 Letteratura. III. D . M . CORNELIAE conIvgis . Kariss . CVM . QV« . VÌxit ANNIS . XX . . . . L . CORNELIVS patronvs . LÌbertae B . M . 11 frammento, che ne resta di questa iscrizione, non ci lascia desiderare gran fatto il perduto, com- parandosene pienamente il senso da quel che rima- ne. Questa iscrizione, posta da L. Cornelio patrono alla sua consorte e liberta Cornelia, ricorda la legge Poppea pubblicata da Augusto nel 763, per la quale era permesso ai padroni di sposale le proprie liber- te, ed è da aggiungere agli esempi che ne ha rac- colti il Fabrelti cap IV, §. XX. Molli ne reca pure il Grutero, e ne ragionano il De Vita p. LII; il Zac- caria, Ist. cap. 132; l'Eineccio, Adp. Ani. Rom. e. I, §. 36; e quanti altri trattarono di epigrafia. Iscrizioni antiche 273 IV. D . M . TROIA . PRIMA RASSO . FILIO SVO . DVLCISSIMO FECIT . IN . AG . P . II . IN . FRO . PUS Nel titoletto di Basso il gentilizio della madre mi fa sospettare che costei fosse di genere libertino, es- sendo che quello che da prima era cognome potè divenire nome, e trasmettersi a' discendenti. Non so se fra i nomi di città, che trovansi imposti a serve, rinvengasi quello di Troia: o almeno io non ne ho per ora alla mano alcun esempio. Osserverò che Bas- so doveva essere un fanciulletto di poca età e forse di pochi giorni, se furono sufficienti per lunghezza due piedi e mezzo di terreno ad acconciarlo nel se- polcro; tanto più che si vede ancora privo del pre- nome. V. D . M . AELIA FORTV NATA . TERENTIO ALVMNO . DVL CISSIMO . FEC Q . V . AN . I . D . XXX VIII . G.A.T.CXXII. 18 274 Letteratura D'un altro faneinllelto è pur questo (Itolo, e la voce alumno ne richiama tosto alla memoria quel mise- rando spettacolo, che porgevano i depravati costumi romani, di esporre pubblicamente i fanciulli nati di fresco, come ne fanno fede innumerabili lapidi; e tale uso non solamente era invalso in Roma , ma altresì nelle province anche le più lontane , come della Bitinia: ne fa testimonianza la lettera 74 del li- bro X di Plinio a Traiano. Non è però che io stimi costui uno di que' disgraziati fanciulli, che incerto patre nati erano indubitatamente esposti a perire, se prontamente non soccorreva loro qualche pietosa persona; perchè vedendolo ornato di nome gentili- zio, mi fa credere col Fabretti (p. 351-52) che egli possa essere uno di quegli ingenui che si consegna- vano altrui ad essere nutriti ed educati, i quali si- milmente si denotavano col nome di allunili; se pure non si voglia supporre, che Elia avendo marito ( il che non possiamo arguir dalla lapide perchè lo tace), Terenzio avesse il nome da lui, come in altri mar* mi dei tempi imperiali troviamo altri alunni, ornati del gentilizio de' loro nutrizi ed educatori. VI, P . FVLVIS . P . L . PHILOMVSYS . Troppo semplice e di comune dettato è questa iscri- zione di Filomuso liberto di P. Fulvio, soggetti am- bedue ignoti alla storia, che non merita di fermar- vici sopra (1). (1) Questi nomi si leggono anche in altri titoli, come si può Iscrizioni antiche 275 VII. OSSA POLLAE . VALERIAE Il disegno dell'urna di Polla Valeria ci mostra che questa era un ossuario , insegnandoci il Fabretti p. 16: Hasce lapide as urnas ossuario vocari: ed ad- ditandocelo l'iscrizione stessa, dicendo ossa valeriae. Non era infrequente presso gli antichi cotale for- inola, in cui talvolta si trova usato OSSVA per ossa; ed è notissima l'iscrizione di Nerone figlio di Ger- manico, trovata, se ben mi ricorda, nel mausoleo d'Augusto, la quale comincia : OSSA neronis ecc. Fre- quente pure, e forse come vezzeggiativo, è polla per Paulla, in quella guisa che era un medesimo nome Clodius e Claudius , Plolius e Plautius ecc. Fostlus per Fauslulus leggiamo nelle medaglie della gente Pompeia (1). Ma la singolarità di questa iscri- zione consiste nella trasposizione del nome al co- gnome, il che fa una eccezione alle regole ordinarie dell'epigrafìa; e sebbene se ne abbiano esempi del vedere nella Guida del for ostiere al Museo di Parma, compilata da Pietro De Lama, pag. 85. (1) Negli opuscoli ecclesiastici di Scipione Maft'ei (Trento 1742, pag. 156), ove il codice di Cassiodorio legge daugma per dogma, l'autore scrive : » Sic plaustrum et plostrum : Plautia et Plotia « i vescovo, et delti maestri di sacra teologia, per essersi ammazzato » lui medesimo da DisPEUAio : ma non possano spendere ultra dieci » fiorini. G.A.T.CXXII. 20 306 Letteratura. la latina del Lucatelli. Né inlenda qui alcuno che si voglia dar titolo al Lucatelli di essere stato il primo grammatico di latinità in Italia, come fu il Foi lunio del volgar nostro: perchè de' grammaticanti prima e poi ve n'ebbe una mano, anzi un esercito. Ben si vuole qui dichiarare che fu primo a det- tare nella lingua nativa le regole della latina: cosa non fatta innanzi a lui nelle contrade marchiane, ove il latino si voleva insegnato col latino: pessima deK le usanze, e non mai abbastanza confutata. Ma non è ancor tempo che io tocchi questo tasto , perchè vò seguitare il filo del mio racconto. Dico adun- que che fu chiamato in Ancona il Lucatelli nel 1608, e il 22 novembre di quell'anno fu eletto a pubblico maestro nel ginnasio con cinquantotto suffragi in fa- vore, quattro contro ; cosa che si ha dagli atti. La lode poi dell'averlo invitatovi è tutta del cardinale Carlo Corti, che era vescovo della chiesa anconitana » Die xll lan. 1857. » Ptiblico et generali Consilio extraordinarie congregato. ti Che sia . . . il presente consiglio solimi per honorare il corpo « di messer Io: Francesco Fortunio locotenente defuncto, non ob- » stante che per la cpngregatione non siano servate le sollemnità )> dello statuto. » Che li magistrati signori antiani e regolatori hassino auclo- » rilà quanto al magnifico Consilio di honorare, et fare sepellire il ■» corpo di messer Io: Francesco Fortunio locotenente defuncto : ma „ non possano expendere delti denari del comune più di vinti » fiorini. n Che siano dati vinti fiorini al figliolo di messer Io: France- » sco Fortunio locotenente defuncto et in lui sia rimesso di faro v, sepellire el patre per essersi ammazzato da lui medesimo. « Dopo questo mi pare che non abbia più luogo alcuno a dub- biezza, e sia fermato che l'infelice da sé si diede la morte, della quale resta ancora bene stabilito il giorno, il mese e l'anno. Vita ed opere del Li catelli 307 a que' dì ; sapiente, e proteggitore de' buoni studi, non meno che di coloro, i quali s'erano dati a col- tivarli. Questi avendo a suo vicario generale Camil- lo Lucatelli, fratel germano di Luca, prete peritissi- mo della ragion civile e canonica, savio e letterato molto , volle chiamare a se anco il fratello , acciò insegnasse pubblicamente grammatica. E per dargli segno della stima che aveva di lui, lo nominò an- cora santese della sua chiesa , come fanno fede le memorie che si conservano nell'archivio del capitolo cattedrale. Molta fu 1' aspettazione che si aveva di lui: ma egli la vinse col fatto, e parve poca al suo merito la fama che lo aveva precorso, quando ebbe incomincialo a dare le sue lezioni. Trovo infatti che quattro anni dalla sua elezione, cioè nel 1612 il 23 del novembre, fu confermato in quell'officio con ses- sanladue voti. Prima di questo tempo ( e fu nell'an- no 1606) egli aveva dato in luce in Ancona colle stampe di Pietro Salvioni la sua Preparazione gram- maticale, la quale fu accolta con tanto plauso che indi a poco fu riprodotta in Venezia per Giovanni Guerigli nel 1617. E perchè questa è l'opera prin- cipale, che di lui ci rimane , piacemi , e spero sia ancora con piacere di chi leggerà, fermarmi un po- co a parlarne. La grammatica è scienza grave e sottile, non come avvisano alcuni, cosa da poco: conciossiachè ella insegni il buon uso del favellare, senza di che è vano aver nella mente ricchezza di molti pensieri. Ella dunque fu chiamata a ragione primo istrumenlo delle dottrine, porta e scienza delle scienze tutte, la quale se schiusa sia, pur l'altre sono; se no, anche 308 Letteratura l'altre sono serrate. Che norma infatti avremmo a significar con parole i pensieri nostri, se non la ci desse la grammatica? In quella guisa adunque che la logica dirige V intelletto a ben pensare , ella di- rige la parola a ben significare le cose pensate : e però ben disse nel suo Convivio l'Alighieri, che per la sua infinitade, li raggi della ragione in essa non si terminano in parte. Errano adunque a par- tito coloro che ne fanno una magra ed arida arte da tormentare i fanciulli ed impoverire l'ingegno; perocché ella è anzi cosa tutta dell' erudizion libe- rale, e come avvisò il Salvini: Se con filosofia non s' insegna, non fa prò. Presso i latini i grammatici erano uomini di gr and' essere, e di lettere assai ; e presso noi furono in tanta estimazione i dottori di questa scienza , che nel secolo XIV il nome di grammatico sonava quanto sapiente. Ma la vanità di molti fé sì che codesta scienza cadde presto dal- l'opinion degli uomini, e molto della nobiltà ed utilità propria ci perdette : sendo divenuta campo di continue battaglie e fallacie, e tanto ingrossata, che la vita d'un uomo ci bastava appena per ve- nirne a capo. Però fu ottimo consiglio di savi e probi maestri ridurla ne' suoi confini, nettarla dal rigoglio, ed esporla con semplicità in prò de' gio- vanetti. Ma se da costoro fu riordinata la scienza, non fu esposta per modo che potesse riuscire a quell' effetto che avria dovuto, perchè le leggi del latino si vollero dettare in latino: « Error grande (dice Vincenzo Gravina): perchè le regole, ordinate ad aprirne il senso degli scrittori, hanno pur esse d' uopo di quella chiave medesima , che le regole Vita ed opere del Lucateli,! 300 sfesse denno insegnarci ad usare. Or quale inconve- nienza può darsi Maggior di questa? Cercar la luce dalle tenebre, cercar d'intendere una lingua da' pre- cetti scritti nella lingua slessa sconosciutaci ? Il na- turale ordine delle cose domanda che colla luce si cammini nelf oscurità ; e guest' ordine slesso pur vuole, che regole dettale nel volgar nostro ci abbia- no ad aprire la strada ad altra lingua. Precetti chiari si ribadiscono nella memoria più agevolmente che gli oscuri : e non vi è tormento né miseria più grande che dover imparare cose al tutto ignote, per mezzo di ima lingua ignota. Eppure a questo mar- tirio si prova Vetà puerile, la quale dee spesso nella scuola sconiare a sferzate V ignoranza de' maestri. » Ques'o doloroso lamento menava nel secol passato quella veramente filosofica testa del Gravina; eppure quanti ci avevano col consiglio e coll'opera provato a togliere questo sconcio dalle scuole! Francesco Pri- scianense fiorentino fin dal 1540 aveva dato una grammatica latina in volgare : Giovanni Fabrini da Figline pochi anni appresso aveva pubblicato in Roma (1544) tre libri Della interpretazione della lingua latina per via della toscana , libro che fu in grido, e meritò privilegio con un breve di Paolo III onorevolissimo al Fabrini, nel quale quel pontefice, largo estimaJor delle lettere e degli uo- mini letterati, cos'i si esprime: « Abbiamo inteso che il diletto fìgliuol nostro Giovanni Fabrini fiorentino con lunga e molta diligenza abbia composto e com- pilato ad utilità di lutti, e alla intelligenza de'gio- vani e de' fanciulli, un'opera intitolata della lingua volgare e latina, e con questa abbia sì bene age* 310 Letteratura volate le regole della grammatica, che parve averue egli dischiuse le serrate porte. » Dalle quali parole, o io m' inganno, si fa chiaro come gli andasse a gusto il metodo dell' insegnare il latino per via del volgare. Paolo Manuzio fìgliuol d'Aldo aveva pure, consigliatovi dalle parole del padre, seguito l'esem- pio lodato del Fabrini : ma invano, che il malvezzo dell' insegnar il latino ancora si manteneva , e il Bonciario stesso aveva voluto tener questa via,sendo troppo perdutamente innamorato di quell'idioma che dal Mureto in prima, poi meglio dagli scrittori del secol d'Augusto, aveva appreso. Tanto è vero che difiìcil cosa è sradicare gli abusi ribaditi dal tempo nell' insegnamento, ancorché i savi alzino contro la voce. Né questo è male che avvenga, perchè si vo- glia il mal da coloro che nelle antiche usanze si ostinano; che essi vogliono tutt' altro che male, e si fidano dell' esperienza del passato, senza badare quai passi faccia la società, e come talor si rimuli secondo i bisogni. Usare il latino ad insegnare quel- la lingua, finché ella era viva e parlata o nei chio- stri, o negli uffici pubblici, stava bene; ma quando ella fu morta al tutto , e non rimase che viva e parlante nei libri, allora si convenìa cangiare modo nell' insegnarla. Non si attese alla mutazione, l'an- tico metodo si seguì, e divenne infruttuoso, o scar- samente fruttuoso l'insegnamento. Tuttavia si è pro- seguita quasi sino ad oggi l'usanza prima, già di- venuta abuso; la quale se ora nel più si è rimessa, noi ne andiamo debitori a quegli eccellenti gram- matici che ebbero forza ed animo da opporsi alla corrente. Fra i quali certo è da annoverare il no- Vita ed opere del Lucateixi 311 stro Lucatelli; il quale, seguitando l'esempio di quei che ho nominato, fu primo nelle nostre contrade ad insegnare per via del volgare il latino, e la grammatica sua diede alle stampe, rendendo ragione a tutti del perchè 1' aveva scritta anzi così che in altra guisa, e non si era voluto acconciare alle grammatiche, che allora erano in voga. » Ho poi » spiegato questo mio pensiero, dice egli, con la » lingua materna , perchè con la lingua materna » dee insegnarsi la lingua latina , atteso che tutte »> le lingue s'imparino o per pratica o per trasmu- » tazione. Per pratica, e chi non vede solo impa- » rarsi quelle del luogo ove si nasce, che a poco a » poco vansi imparando ? E chi non sa che chi na- » sce in Toscana, in Francia, ed in altra provincia, » udendo di continuo favellare, impara in modo la » lingua , eh' in breve la favella senz' avvedersene, » e fassene possessore benissimo? Per trasmutazione » vediamo impararsi quando s'impara a trasmutar » una lingua in un'altra, come oggi fassi della la- » tina: che chi l' impara , l'impara trasmutando in » lei la sua, che essendo mancata, non puossi per » altra via che per trasmutazione imparare. Quinci » esser vera appare l'opinione del signor Giambat- » tista Vangelista , già pubblico maestro di questa » città ( d'Ancona), il quale nel ventunesimo capo » del primo libro de'suoi discorsi afferma, non do- » versi la grammatica con la lingua latina insegna- » re. Il medesimo disse prima di lui Aldo Manu- » zio nella sua grammatica: e Paulo suo figliuolo » lasciò in lingua materna un breve trattato per ap- » prendere i primi principii della lingua, per sup- 312 Letteratura » plire (credo io) con la viva voce dove mancava» » con la dotta sua penna. Ed io, questi imitando, il » simile ho procurato di fare. » Queste parole degne d'un vero sapiente mette- va innanzi alla sua grammatica: le quali mentre ci fanno manifesto, com'egli vedeva necessario insegna- re colla lingua materna la lingua latina , e 1' altre tutte che si volessero apprendere, ci danno anche a conoscere eh' ei vedeva quanto fosse necessario saper prima la propria e poi l'altre lingue. Il tempo e l'esperienza hanno condotto oggi il più de'maestri a tener modo nell' insegnar la grammatica quale il Lucalelli accennò: cioè a valersi nell'insegnamento della favella nostra per far entrar meglio in capo a' fanciulli la grammatica latina: e il tempo e l'espe- rienza saranno quelli, che poi dopo tanti schiamaz- zi di dotti e d'indotti costringeranno i maestri a far precedere l'insegnamento della lingua nativa a quel- lo della latina, per abbreviare le lungaggini, e to- gliere tutte le vane ambagi , che ingombrano le scuole prime de' latinsnti. Conciossicchè sia certissi- ma cosa, che molti di que'gineprai e di quelle spine che tribolano i teneri cervellini de'ragazzi, con un gusto degl'insegnanti così grande che non si potria descrivere, nascono di qua, dal non saper bene l'i- taliano. Saputo infatti che il tenebroso verbo fasti- dio^) non vale infastidire, ma schifare, aver in fa- ti) Questo verbo, che ha la sua radice nella parola faslus che vuol «lire sprezzo , non significa propriamente che sprezzare una cosa per noia che te ne viene ;e sotto questa significazione si debbe insegnare; tanto più che gli altri significati li prende dalla metafo- ra, e non sono come questo così tutti suoi propri. Lo stesso dicasi Vita ed opere del Lucatelli 843 stidio, sdegnare, rigettare, cadono tutti gli agnati, e i lacciuoli de' grammaticanti restano inutili. E così dicasi di somiglianti bizzarrìe fatte per accalappiare e stordire i fanciulli, nelle quali chi vuol far pompa, scopre il proprio difetto di sapere. Ma di questo mi passo perchè non si paia ch'io voglia trarre materia di qua per parlar d'altro, che dell'argomento mio, e toccar tasti che mal rispondono all'intenzione di mol- ti. A me basterà aver detto che il Lucatelli fu gram- matico molto savio a suoi dì, e che vorrei che a' no- stri ve ne fosse copia. La sua grammatica è sempli- cissima. Si divide tutta in tre libri. Tratta nel primo degli elementi grammaticali, declinazione de' nomi, coniugazione de' verbi, disposti e divisi secondo le lor classi, e cosi dell'altre parti del discorso: e questo libro egli chiama de' primi prineipìi. Il secondo li- bro che è detto àe' secondi principii si divide in tre parti: nella prima è la divisione di tutti i verbi: nel- del verbo fallo, che già non significa fallare, ma fallire, ingannare: e usandolo così non può persona prendere errore : né i teneri stu- diatili di latino errerebbero di leggeri se tu lor dicessi la via ti fallì. Dico questo per mostrare che nel più i grammatici fanno ope- ra di creare a bella posta gì' intoppi e le diflicollà , come proprio diceva il Berni della mula di Mr. Florimaute: Dal più profondo e tenebroso centro, Ove Dante ha risposto e i Bruti e ì Cassi, Fa, Florimante mio, nascere i sassi La mula vostra per urtarvi dentro. Se la grammatica latina insomma s'ingegni da chi sa, ed a chi co- nosce l'italiana , quest'imbrogli non vi son più, e V insegnamento sarà facile, breve, spedito, e più proficuo, perchè non istancherà gli ingegni che oggi la mala pratica, a dir con Orazio, terrei occiditque docendo, » 314 Letteratura la seconda si tratta brevemente delle figure, della dizione, dell' arte metrica, e dell' ortografia : nella terza delle bellezze tutte proprie della lingua latina, de' tropi, e della variazione de' temi, in che s' in- chiude una maniera facile d' imitazione , a fine di dare varietà al discorso, e agevolare ai giovanetti la via dell'eleganza. Ad ogni libro seguono annotazioni brevi, ma succose: le quali fanno vedere il valore del maestro, e com'egli aveva il filo da assicurare i giovanetti in quel laberinto , ove i più perdono la pazienza, talvolta anche se stessi ; poiché indispettiti dalle aggiunte e tortuose volte e rivolte dell' inse- gnamento lunghissimo, danno le spalle ai libri, e si mettono o a men onorata carriera, o ad oziare. Di- rammi alcuno: se tanto ti piace il disegno di quest' opera , e tanto l'apprezzi, consiglieresti tu di met- terla in mano de' nostri giovani nelle scuole, l'an« tiporresti tu a tulle quante ve ne ha, che certo è un numero senza fine ! Conosco il veleno dell'argo- mento : pur tuttavia rispondo, che così com' è non la darei, perchè è in tale scrittura che oggi non vor- rei lodar troppo : bensì desidererei che sul disegno di questa se ne formasse un' altra che fosse nella semplicità, nell'ordine, nella brevità e nella chiarez- za e nell'estensione al tulio somigliante. Allora non vi sarà più mestieri né dei limai , uè delle ianue , né della chiave d'oro, e somiglianti : perchè quanto riguarda al declinare e al coniugare s'avrebbe nel- la grammatica stessa, e tornerebbero ancora inulili tante divisioni e suddivisioni che si fanno ( e non so io perchè), e si vedrebbe al fatto come si toc- cano insieme la grammatica e la rettorica; cioè come Vita ed opere del Lucatelli 315 nella correzione del dire sia il principio dell' ele- ganza ; e come l'arte de' retori non è che una con- tinuazione di quella dei grammatici. Ancora segui- tando tale metodo si farebbe spendere assai meno di tempo ai fanciulli, e si torrebbero di mezzo quel- le divisioni che della grammatica fan tante vane classi, l'ima delle quali fa impaccio all'altra, e tutte insieme al progresso vero ne'buoni studi. La gram- matica latina, a parer mio, va insegnata, direi quasi, di getto : e si può fare quando s' insegni a chi sap- pia 1' italiana ; la quale è breve ed agevole in sé, ed abbrevia ed agevola mirabilmente ogni altra, che dopo si voglia insegnare. E così al certo la pensava il Lucatelli, il quale perciò fu in tanto grido di buon grammatico, e vide in due edizioni ri prodotto il suo lavoro , e quel che più è , n'ebbe lodi mirabili da tale che allora era posto in cima a tutti i gramma- tici ; anzi i latinanti del suo tempo : vò dire Marco Antonio Bonciario , discepolo stato del lodatissimo Marco Antonio Mureto,, il cui nome è un elogio , senza pur ch'altri vi spenda intorno parole di lode. Questi adunque scriveva al Lucatelli tal lettera della quale non è chi non si tenesse onorato: la quale perchè tutti leggano e giudichino da se , vò porre qui voltata in italiano. » Marco Antonio Bonciario a » Flaminio Lucatelli S. Ancona. - Che tu voltassi » in volgare il mio Guarino e l'arricchissi di nuove » annotazioni e di abbondante commento, non mi » sarei io aspettato mai; che sperare una tal cosa » saria stata imprudenza, vanità desiderarla. Piace- » vami che alcuni di qua e anche di là dall' alpi » l'avessero introdotto nelle scuole, e mi pareva 31 G Letteratura » riuscire a non piccolo onorario, che molti dalle" » Marche, più ancora dalla Toscana, e presso che » tutta l'Umbria appigliandosi a questa mia manie- » ra d'insegnare, con prò, brevità e speditezza mag- » gioie (secondo che dicono) scorgessero alle buone » lettere i giovinetti. Ma che quel rozzo libretto » mio, quasi garzon forastiero, fosse ripulito, e non » avendo più che dodici anni, mutasse la pretesta » in toga virile per le mani di uom sì lodato di bel » dire ed insegnare come tu se', io non poteva io » aspettarmi, né lasciarmi credere. Si aggiunse an- » cora, a mettere il colmo all' allegrezza mia , ve- » derlo andare del pari con una sorellina sua molto » ben vestita all' italiana , vò dire di quella o cu- » stode , o portinaia che guida dalla grammatica i » giovani alla scuola de' retori. Vò tu che io ti » parli schietto, o mio Lucatelli ? I miei libri mi » hanno aria più gentile nei nuovi panni che tu » hai lor messi indosso , che negli antichi e lor » proprii. Grande obbligo hotti io adnnque dell'a- rt verli cosi rabbelliti, e fattomi tanta cortesia, della » quale son presto a ricambiarti quando in al- » cuna cosa ti possa valere l'opera mia. Intanto » faccia Iddio, che quell'onore che ora viene a me » dalla tua penna ritorni tutto a tuo vanto e frutto » nei presenti e negli avvenire. E stanimi sanno. - » Il 23 febbraio » . Questa lettera poi non solo su- gella quanto ho scritto in prima del pregio in che fu tenuta la grammatica del Lucatelli a que'giorni, ma ci scopre ch'egli aveva volgarizzato quell' isti- tuzione grammaticale intitolata Guarino che il Bon- ciario aveva esposta latinamente. La qual traduzione Vita ed opere bel Lucatelli 317 in vero (se non sia quella che va sotto il nome eli Donato al senno ecc. ) non ho né io , né altri vedu- ta. Forse della fatica del buon aguglianese altri si sarà fatto padrone, e per questo non emrni riuscito trovarla sotto il nome del vero traduttore. Sebbene però più mette conto alla lode di lui aver fatto quel lavoro, che averne al presente noi copia: per- chè tutto il vanto suo appunto in ciò è, di aver adoperato di mani e di pie per introdurre fra noi il metodo d' insegnare il latino per mezzo del vol- gare, e così agevolata ai giovani la via, e tolto, per quanto era da lui, un brutto sconcio dall' insegna- mento. Ancora dalla stessa lettera esce chiaro, che il Bonciario credeva più utile l' insegnare per questo modo, che per quello stesso ch'egli aveva tenuto in prima. Non vorrei che a qualcuno paresse eh' io dia troppo peso a questo libro , e mi stenda nelle iodi dell'autore, piucchè non si addirebbe , e altri forse non avria fatto, trattandosi d'un semplice gram- matico, non di un retore, o scrittore di belle prose. E però qui dichiaro che la fama di tali uomini re- puto si debba in prima onorare , perchè la fatica dell'insegnare tali minutezze è maggiore d'ogni al- tra, e quasi senza diletto : mentre poi dall'altro Iato ha maggiore importanza d'ogni altra, perchè agli altri studi apre la strada. Ingiustizia grande è in- vero largheggiare di encomi a chi sappia addobarti una casa, e non dir parola di chi prima l' edificò adatta a ricevere quell'adornezza. I buoni gramma- tici sono da tenere in grande pregio, a mio giudi- zio , perchè dalle mani di quelli riceve la prima forma V ingegno, e tal forse mantiensi poi sempre, 3 1 8 Letteratura qual da essi formato. Per la qua! cosa ho io voluto parlare per disteso di costui e dell'opera sua, e dargli quel luogo onorevole, che egli merita fra gli illustri e benemeriti marchiani. In che anno mancas- se agli studi, e dove si morisse, non si sa bene; ne per diligenza di cercare mi è riuscito trovarne un indizio. Certo è però eh' egli visse per ducento anni e più nella memoria de' suoi concittadini , i quali nel 1848 gli fecero porre la seguente epigrafe nella chiesa del Ssmo Sacramento , in cui anche al pre- sente si soddisfa ad un legato di messe lasciato dalla benemerita famiglia dei Lucatelli. Fu dettata da Mon- gnor Lorenzo Barili primicerio della chiesa cattedrale di Ancona, e dice cosi: HONORI . ET . VIRTVTT FLAMIMI . LVCATELLI SACERDOTIS . PIENTISSIMI QVEM . ORDO . AGVGLIANENSIS RECTOREM . BENEFICIARIVM . S. BERNARDINI . SEN. ANNO . MDCXXXV . RENVNCIAVIT QVEMQVE . GRAMMATICVM . PRAESTANTEM ET . INSIGNEM . LATINI . ELOQVII . CVLTOREM DE . LITTERARIA . IVVENVM . INSTITVTIONE OPTIME . MERITVM TESTANTVR . EGREGIA . SCRIPTA A . MARCO . ANTONIO . BONCIARIO VEL . PROBATISSIMIS . LAVDIBVS . CVMVLATA VT . PRAECLARIS . TANTI . VIRI . VESTIGIIS STRENVE . POSTERITAS . INSISTAT CONTERRANEI . POSVERE . ANNO . MDCCCXLVIH Vita ed opere del Lucàtelli 319 Chi leggerà questa bella iscrizione, conoscerà non solo come n'era degno il Lucàtelli, sacerdote spec- chiato, maestro e scrittore lodatissimo, ma vedrà ancora quanto negli animi de' suoi concittadini sia civil gentilezza : poiché solo negli animi gentili è il desiderio d'onorare i benemeriti trapassati, e far di loro un vivo esempio alla posterità. Quanto a me, che richiesto da cortese persona, la quale in me fi- dando, ha voluto ch'io scriva alcuna cosa, come ho fatto, del suo concittadino, non altro posso afferma- re, se non che volentieri al buon desiderio dell'a- mico mi sono prestato, perchè reputo util cosa an- dar mettendo nelle orecchie de' restii alcune eccel- lenti verità, e negli occhi della gioventù esempi bel- lissimi da imitare. Ben io non avrò risposto all'aspet- tazione, e men duole; ma certo non ho lasciato (e questo pur mi consola) cosa o diligenza alcuna che per mia parte usare si potesse. Però coloro che leg- geranno, vogliano essere contenti: e se vi è cosa che loro men piaccia, alla tenuità mia vogliano attribuir- la: se poi alcuna che paia buona, ne sappiano grazia principalmente a quel cortese, che a quest'opera mi ebbe con tanta fiducia invitato. *nn%££§@,@^L9«c£/\/v* 320 Su Cornee e Tisia antichi oratori siracusani, e in- torno alla rettorica inventala dal primo , e al trattato che ne scrisse attribuito ad Aristotile, ed or rivendicato al suo vero autore. Saggio storico- critico di Agostino Gallo palermitano. x^/uella potenza intellettuale, che collo strumento di splendida, efficace ed ornata parola assale e con- quide gli animi altrui, e li strascina al suo volere, fu concessa a pochi da natura, la quale, come delle gemme e dell'oro, di rado è pur generosa de'prege- voli doni dell' ingegno. E a' pochi suoi prediletti non la die né anco bella e forbita, ma come le gem- me e l'oro grezza ed incolla; laiche abbisogna si- milmente dell'arte per ridursi a quella perfezione, di cui è suscettiva. Or quest'arte di tanta importanza sorse prima in Sicilia dalla mente di Corace: passò, qual' elettrica scintilla, in Tisia e in Gorgia, nati del pari in que- st'isola: e da qui trascorse con essi in Grecia, e for- mò que' famosi oratori, le cui opere superstiti sono ancor l'ammirazione e il modello di eloquenza di tutti i colti popoli dell'Europa. Ivi l'eloquenza afForzossi con le armi della dia- lettica, che Corace e Tisia diedero informi a Zeno- ne di Cizia, il quale, avendole il primo ben forbite e affilate, ne fu creduto inventore. Di Corace e di Tisia, decoro e fasto della no- stra antica letteratura, farò ragionamento per accer- SO CORACE E TlSlA 321 tar loro quel vanto da alcuni contrastato, o suppo- sto diviso con altri. Il mio dotto amico Nicolò Palmeri di acerba e cara ricordanza, tutto intento all' istoria civile di Sicilia, ne sfiorò appena la letteraria, come oggetto accessorio, né potè esaminar colla sua consueta sa- gacissima critica alcune quistioni oscure e involu- crate, che riguardan quest'ultima. Quindi asserì, che la reltoriea di Coraee consistea nell'arte di trovare sofismi più presto che argomenti: ed adduce in prova la sfida ch'ebbe col suo scolare Tisia di un dilem- ma capzioso; onde il primo ottenere, e l'altro schi- vare di pagargli la pattuita mercede dell' insegna- mento (I). Però con quel rispetto, che si debbe al Palmeri, io intendo valermi delia stessa libertà, che mi ac- cordava vivente ad oppugnale alcune sue opinioni, in questa che riguarda Coraee e Tisia da lui poco apprezzati. Costoro non furono, come egli crede, sottili e spregevoli sofisti, e quel dilemma loro attribuito ap- partiene a Protagora di Abdera e a Edvatlo suo di- scepolo, secondo riferisce Aulio Gellio (2). E sicco- me Protagora, cacciato da Atene per aver proclamato sfacciatamente 1' ateismo, erasi ricoverato in Sicilia, rimanendo qui memoria di quella strana argomen- tazione, in tempi posteriori fu attribuita a Coraee e Tisia che si eran già resi famosi nella oratoria giu- diciale e popolare. fi) Palmeri p.ig. 261. (2) Noci, attic. lib. X cap. 10. G.A.T.CXXH. 21 322 Letteratura L'arte sofistica, abuso della rettorica, esercitata di proposito e insegnata sistematicamente per pre- celti, sorse indi con Gorgia leontino, il quale abba- cinò Atene colle sue sfolgoranti ed armoniose ar- ringhe , e col suo possente e rigoglioso ingegno , onde talor sosteneva il prò, e talora il contro sullo stesso argomento. Talché fu proverbiato da Platone di esser simile ad abile cuoco, che dilettando il gusto co'suoi intingoli e manicaretti, assassina lo stomaco e la salute de' ghiotti. Egli è vero che i germi di quest'arte esisteva- no nell'acuto ingegno de' siciliani, e certo in quello di Corace e di Tisia; ma costoro ne usarono discre- tamente nelle controversie del foro, ove talvolta è necessaria. Pertanto non devono accagionarsi del danno che indi recò all'eloquenza', e se ad essi vuoi- si ascriverne l' invenzione, non però l'uso rivolto a falsar di proposito il vero, e molto meno lo strano dilemma accennato dal Palmeri. Il carattere de'siciliani, riconosciuti da Cicerone per gens acuta et contraversae naturae, li ha spin- ti in ogni tempo ad assordare l'aule di giustizia con animate declamazioni. Le forme di governo popola- ri, od oligarchiche sin dall'arrivo dell'elleniche co- lonie da loro adottate , e l'ambizione suscitala in molti di prestante ingegno, furon potentissime cause che nascer fecero e progredir l'eloquenza in Sicilia innanzi che in Grecia. Della favella, che lor fioriva sulle labbra, si valsero essi per trionfar presso i ma- gistrali e sul popolo. L'eloquenza precesse tra noi la coltura e l'arte, e cresceva in questo suolo qual pianta spontanea Su Corace E TlSIA 323 e rigogliosa, che dà fiori e fruita pria che fosse col- tivata. Il prisco Stesicoro, che di qualche secolo se- gui Omero, con energica arringa, e con 1' apologo del cavallo e dell'uomo, debellò in Imera numeroso partito sedotto dall'astutissimo Falaride, che sotto co- lore di difenderla, volea ridurla in servitù. A Corace siracusano appartiene bensì tutta in- tera la gloria dell' invenzione della rettorica , e di averne scritto il primo i precetti. Né ciò è picciol vanto; perocché quell'arte divina ingagliardisce e rende efficace la ragione per mezzo di fulminanti ed ornate parole, e soccorsa dalla dialettica, sua sorella, fa valere presso i magistrati i diritti degli uomini, e rivolta al popolo può salvar la patria da gravissimi pericoli. Se non che diviene talvolta fa- tale pel tristo uso che se ne fa ; di che non deesi incolpar l'arte del dire, ma la naturai tendenza de- gli uomini a rivolgere in male quanto dall'Essere supremo è stato loro in bene concesso. Corace vide la luce in Siracusa verso Polimpia- de LXXI ( 406 an. av G. C.) ( ì). Nella sua prima gioventù vide egli innalzar quel Gelone, che prode in armi e maestro di astuzie, profittando delle fa- zioni de'Geomeri e Calliri, che agitavano quella cit- tì) Ho stabilito l'epoca approssimativa della nascita di Corace sull'asserzione di Ermogene e dì altri, che egli visse sotto Gelone, e fiorì dopo la morte di Cerone, di cui, al dir dello scoliaste dello stesso Ermogene, In cortigiano. Gelone morì dopo sette anni di regno nell'olimpiade LXXV. 3, e Cerone dopo un regno di undici anni cessò di vivere Dell'olimpiade LXXVIIl. 2. Or supposto che Corace,divenulo uomo di slato sotto Cerone, contasse allora almeno l'età di anni trenta, egli dovette nascere verso l'olimpiade LXXI. 324 Letter atcra tà, ne usurpò il potere, favonio dagli esuli da lui a disegno richiamativi, e ne divenne tiranno. Essendogli succeduto Trasibulo, ed espulso co- stui dopo undici mesi di violenta oppressione , Co- race pervenuto in età \irile seguir dovette la fazio- ne di Gerone, che gli assicurò la corona di Siracusa, lasciatagli dal suo fratello Gelone. Perocché divenne a lui familiare, ed ebbe parte negli affari del go- verno, che per vero non fu da pria meno aspro ed abborrito di quello de'suoi predecessori. Se non che negli ultimi anni, oppresso da grave male, divenne egli più mite, e circondossi dello splendor delle let- tere, che diessi a proleggere. Corace quindi parte- cipa al biasmo, alla gloria di Gerone, e all'onore di aver conversato con Simonide, Pindaro, Bachilide, Eschilo ed Epicarmo che erano alla corte di quel munificente sovrano, e lenivano la lunga ed affan- nosa infermità che consumava la sua vita. Ma i poeti che lo accostavano, e Pindaro principalmente, co'loro sublimi encomi non poterono cancellar le brutte e sanguinose pagine che lasciò di sé Gerone nell'isto- ria. Però il suo cortigiano Corace, fattosi fautore ed orator del popolo , colla sua mirabile invenzione e con la sua opera ingegnosa, che assoggettò a certe leggi l'eloquenza, acquistossi eterna rinomanza. Ecco quanto scrisse Ermogene sul proposito di Corace : » Syracusis Siciliae urbe primum coeptam » exerceri rhetoricam, cura videlicet opprcssae Ge- » lonis et Hieronis tyrannide vexarentur crudelissi- » me, itaut etiam loqui prohiberentur lingua , et » per signa marmimi et pedum , nutus oculorum, >» conceptus animorum mutuos promere cogeren- Su Corace E TlSIA 325 » tur : quo tempore dicunt saltationes et tripudia » coepisse. Ita vexati syracusani supplicarunt Jovi, » ut tara saeva tyrannide liberarentur: quod factum » est numinis miseratione. Ab eo tempore syracu- » sanorum populus, veritus ne in similem tyranni- » dem inciderei, non amplius res suas tyranno cre- » diderunt, sed populari dominatione se regere coe- » perunt, Corax syracusanus, unus ex populo sa- » pientior contemplatus populum rem inconstantem » et mulabilem esse, sciensque orationem esse, qua » omnia fierent et gubernarentur, moresque homi » num in primis componerentur, excogitavit oralione » inducere populum ad loquendum, amissis signis, » quibus antea tyranni timore utebatur ; quare ad- » vocata concione, curri populus convenisset, primum » coepit blando et miti sermone plebem permul- » cere, et tumullum popolarem lenire, quae verba » proemia et principia vocant. Curri vero post mo- li dum multitudinem sedasset, et silentium omnes » agerent, coepit consultare de necessariis, et quae » optabat, populo persuadere: quod genus sermonis » narrationem nominavit. Post haec quaecumque di- » xerat breviter resumens, in medium vulgi deprom- » psit. Primas itaque partes principia, Tel proemia » \ocavit, secundas exercitamenta, tertias epilogos » vel conclusiones; et ita Corax syracusanus opus » rhetorices ostendens populo syracusano, persuasit » quae voluit, quae finis est artis nostrae (1). Fin qui Ermogene: né altrimenti Cicerone narra l'invenzion della rettorica, attribuendo bensì il \anto (1) Hermoyenes in rhetor. compend. 326 Letteratura. non solo a Corace siracusano , ma insieme a Tisia suo conciladino e scolare, dal quale ragioneremo ap- presso. Però, aggiungendovi alcune rilevanti partico- larità, noi crediamo opportuno qui inserire le sue parole : « Ait Aristoliles , quum, sublatis in Sicilia « tyrannis, res privatae Iongo intervallo iudiciis repe- « terentur, tum primum, quod esset acuta illa gens « et controversa natura, artem et praecepta siculo» « Coracem et Tisiam conscripsisse. Nani antea nemi- « ném solitum via, nec arte, sed accurate tamen, et « de scripto plerosque dicere (1).» E lo stesso Tullio in altro luogo conferma ciò sull'autorità di Carma- da : <' Nani primum, quasi dedita opera, neminem « scriptorem artis (Rhetoricae) nemediocriter quidem « disertimi fuisse dicebat (Charmadas) quum repete- <( ret. usque a Corace, nescio quo, et Tisia, quos artis- « illius inventores et principes fuisse constaret: elo- « quentissimos autem homines, qui ista nec didicis- « sent, nec omnino scire curassent, innumerabiles « quosdam nominabat (2). » Dagli addotti brani di Ermogene e di Cicerone puossi ritrarre, che Corace creato da natura abilissimo e facondo oratore, meditando sulle proprie arringhe rivolte al popolo siracusano, ancora estuante pel ces- sato oppressivo regime di Gelone e di Gerone, abbia ricavato che ogni orazione ben condotta costar debba di tre parti; cioè l'esordio e la proposizione, la nar- razione e prova dell'assunto, che gli antichi chiama- vano exercitamenta, e l'epilogo. Or siccome son queste (1) Cic. De dar. orat. n. 12. (2) De orai. lib. 1. n. 20. Su Corace E TlSI.V 327 le basi fondamentali dell'arte rettorica, e furori da Corace speculate ; così a lui ascriver se ne debbe l'invenzione. Le due orazioni poi che egli profferì al popolo, appartenendo la prima al genere dimostra- tivo, e l'altra al deliberativo, ed essendosi, come attesta Cicerone, esercitato in seguito nelle controver- sie forensi, onde è costituito il genere giudiziario , pria che gli altri col suo ingegno perspicace conobbe e stabilì i tre generi dell'oratoria che sono le più interessanti dell'arte rettorica. Dalle osservazioni quindi sulle sue varie ora- zioni ricavò i principali precetti , che giovano all' oratore, e ridusse ad arte l'eloquenza connaturale più o meno agli uomini; ma più o meno rozza, se- condo la lor peculiare attitudine e forza intellettuale. Cicerone rammentando insieme Corace e Tisia, come primi scrittori delle regole dell'arte del dire, par che ad entrambi ne accomuni l'onore, intendendo forse di averle Tisia accresciute e migliorate; ma da una lettera di Aristotile ad Alessandro magno si ricava, che Corace composto avea un trattalo di rettorica. Laonde Tisia, suo allievo, potè in seguito estenderlo e corredarlo di esempi, ma non già esserne il primo a darne in iscritto le norme. Diogene Laerzio nella vita di Empedocle, citando Aristotile nel trattato perduto del Sofista, e nella vita di Zenone di Elea, adduceudo l'autorità di Satiro, die il primato ad Empedocle nell'invenzione e nel dettare le regole della rettorica , e Quintiliano, Fa- bio e Sesto Empirico asseriscono, che qualche cosa 328 Letteratura ne abbia scritto ( 1 ). Su di che è da considerare che Empedocle fiorì dopo Corace, essendosi reso famoso nell'eloquenza verso l'olimpiade LXXXIV, allorché arringando il popolo , lo indusse a fargli abolire il senato di mille e a riformar la repubblica agrigen- tina; laddove Corace acquistato avea celebrità nella democrazia siracusana colle sue orazioni tostochè cessò di vivere Gerone primo, il che avvenne nella LXXIII olimpiade: e in quest'occasione, come narra Ermogene allegato di sopra, speculò l'arte rettorica, ne dettò i precetti ed ebbe per suo primo discente Tisia. Or se Corace n'era stato inventore circa qua- rantanni innanzi ad Empedocle, non puossi darne ragionevolmente la gloria al filosofo agrigentino, il quale altronde ha tanti fasti da non mendicar que- st'altro, che appartiensi incontrastabilmente all'illu- stre siracusano. Né è da credere infine che Aristotile, il quale nella sua lettera citata nomina soltanto Corace pel suo libro della rettorica, sia venuto in contraddizione con sé stesso. Ond'io suppongo o che il trattato del Sofista gli sia stato attribuito, o che Diogene rac- coglitore di notizie senza critica l'abbia male inter- pretato, trascinando seco Sesto Empirico suo coeta- neo e Fabio a lui posteriore. Quintiliano bensì con più giudizio accennò : Movisse aliqua circa rheto- ricam Empedocles dìcitur (2]: il che indica una tra- dizione, anziché un fatto contestato. Ermogene però nel passo di sopra trascritto designa Corace qual ri- fi) Quint. De institut. orai, lib. III. cap. I. Sest. Emphir. adver malhem. lib. 8 (2) liist. orat. loc. cit. Su CORACE E TlSIA 329 trovatore e primo compilatore delle regole dell'arte oratoria, e tace al tutto eli Empedocle. Non pertanto il filosofo ed oratore agrigentino sulla rettorica inventata e scritta da Corace , non che sulle proprie arringhe, far potè utili osservazio- ni, onde ammaestrare Gorgia leontino nella elo- quenza; ma non per questo fu il primo a trattarne. Peiò anche Gorgia, al dir di Quintiliano, segui pria gli ammaestramenti di Corace e di Tisia ; e poscia ebbe da Empedocle le norme della magniloquenza popolare, non che della dialettica e della filosofia, che sono guida e sostegno dell'arte e della favella. Ad Empedocle adunque puossi dar lode più presto di avere spinto innanzi l'eloquenza; ma egli non fu il solo ; perocché adopraronsi pure al suo incremento i surriferiti Tisia e Gorgia e il suo di- scepolo Polo agrigentino , Aristotile siculo che ri- spose al panegirico d'Isocrate (1j, Lisia, Teodoro ed altri illustri oratori siciliani, che tutti devono ri- guardarsi come usciti dalla scuola di Corace. E do- po che il suo trattato di rettorica penetrò in Atene, recatovi forse da Tisia, e allorché questi e Gorgia ne diffusero l'insegnamento, levarono il grido nell' oratoria Trasimano di Calcedonia e Prodico di Ceo e Protagora di Abdera e il suo allievo Evatlo ed altri rammentati da Quintiliano (2). Ma Gorgia sopra tutti salì in altissima fama ed ebbe numerosi discendenti, fra 1 quali Pericle , Isocrate , Prosseno , Alcidaraa, Anlistene, ed acquistossi tanta stima e ricchezza, che (1) Laerzio nella vita di Aristotile il filosofo. (2) Instit. orai. loc-. cit. 330 Letteratura gli fu consentilo l'innalzamento d'una statua d'oro nel tempio di Apollo delfico (1). Al modesto Corace vuoisi bensì lasciar integra e indivisa la celebrità per la sua grande invenzione, la quale, imperfetta come uscir dovea della sua men- te creatrice, pure gli dà diritto di preminenza di onore sugli altri che poscia la migliorarono e alla eccellenza la spinsero; perchè in ogni facoltà è diffi- cile e torpido il primo passo, spediti e pronti sono gli altri: onde quell' antico assioma: Facile est in- vcnlis addere. Alla occupazione della curia e di arringare il popolo congiunse Corace l' altra dell' insegnamento della gioventù in quell'arte che procacciato gli avea tant'onore ; e poiché la ridusse a regole in iscritto, apri scuola in Siracusa ; e fu, come dissi, suo primo allievo Tisia. A quel gran precettore correr dove- vano quanti in Sicilia e nella vicina magna Grecia ambivan di segnalarsi nell' eloquenza giudiziaria e della bigoncia, onde ottener influenza e cariche nel- le repubbliche e bene arricchirsi nell'esercizio della professione forense. Lo stesso Corace ne avea dato l'esempio ; perocché divenne con la sua ordinata fa- condia l'arbitro del popolo siracusano e ne guada- gnò la fiducia, non ostante che era stato il confi- dente e forse 1' istrumento del tristo governo di Ge- rone. Nel foro echeggiava ogni dì la sua voce per sostener le controversie, recate innanzi ai magistra- ti, dopo che cessarono i tumulti pel mutato regime; e richiamativi gli esuli, domandavano essi la resti- ti) Plin. lib. XXX1I1. e. 4, et Pliiloslr. p. 497. Su Corace E TlSIA 331 tuzione de' loro beni (1): e affollativi gli stranieri, ne sollecitavano la cittadinanza, contrastata loro da- gli antichi nativi. Tisia allora divise col maestro i clienti, e divenne suo emolo ne'piati, in cui vincea per acutezza di mente tutti gli altri suoi condisce- poli, e al dir di Pausania, gii oratori della età sua: di che die chiaro argomento l'ingegnosa al certo e sottile orazione che profferì nella lite di una donna siracusana (2). II citato Pausania ci narra inoltre che Tisia fu scelto da' leontini compagno di Gorgia nell' amba- sceria da loro spedita agli ateniesi per chieder soc- corso contro Siracusa (3) . Ma l'esser egli nativo di questa città, e il silenzio di Diodoro scrittoi- siclia- no, Io salva dalla taccia di traditor della patria, qual sarebbe stato, se accolto avesse quell'incarico da'suoi nemici. Tisia e Gorgia erano in Atene allo stesso tem- po, il primo per farvi fortuna coll'ammaestramento nell'arte rettorica, e l'altro per sostenere l'onorevole ambasceria de' suoi concittadini. Se gli antichi scrittori non ci riferiscono che Tisia perorasse in favor di Siracusa, che a questo officio non l'avea destinato, è da credersi verisilmen- te che l'abbia fatto da sé per debito ed amor verso la patria. Però se in Atene non conseguì i primi onori, al paragon di Gorgia più splendido e amma- liante oratore, vi ottenne bensì i secondi, finché sorse Isocrate. Ma que' che apprender voleano le regole (1) Ciò ricavasi da Cicerone nel passo citato De dar. orai. (2) Descript. Craec. 1. VI. cap. 18. (3) Descript. Graec. loc cit. 332 Letteratura dell'eloquenza, faceansi uditori ed allievi di Tisia e di Gorgia. Difaiti il riferito Isocrate fu discendente dell'uno e dell'altro, al dir di Plutarco e di Dionisio di Alicarnasso (1) , e sembra che più si riconoscesse grato per la fama acquistatasi a Tisia ; perocché nel suo sepolcro scorgeasi scolpita la immagine di costui, anziché di Gorgia, essendosi egli più allo sti- le del primo accostato nelle sue orazioni che a quel- lo dell' altro ; e ciò argomentasi dall' essere esenti dell'abbagliante orpello del leontino oratore. Platone però nel suo dialogo del Fedro taccia Tisia e Gorgia di anteporre nelle loro orazioni il verisimile al vero , d' ingrandire le piccole cose, e talvolta impicciolir le grandi, di farvi apparir nuo- vo ciò che è vecchio, ed all'incontro, e infine di es- ser prolissi nella dizione. Ma Platone era educato alla scuola severa di Socrate, cui pone per interlo- cutore nel suo dialogo , mostravasi avverso alla eloquenza artificiosa del foro, ed amava in prefe- renza quella più forte e di soda argomentazione fi- losofica, rallegrala bensì ed abbellita da fiori poetici, che ciascuno ammira nelle opere sue. Laonde far non poteva buon viso a Tisia, e molto meno a Gorgia, per cui altronde una certa ruggine han creduto di ravvisare nell'animo suo (2) E qui convien riflettere che altro è la filosofia, altro la rettorica, sebbene questa debbasi giovar di quella. Il filosofo aver deve per unico scopo il vero, il retore non sempre , ma si pure all'occorrenza il (1) Plut. in vlt. X Rhetor. Dion. de antiq. rhelor. (2) Garofalo Discorsi sopra Gorgia. Su CORACE E TlSU 333 verisimile ; perchè così l'arte sua richiede. Non vuoisi quindi di ciò demeritar Tisia e con lui tacitamente Corace, come Platone fa dire a Socrate nel suo dia- logo; essendo obbligo del magistrato o di chiunque sia ben fornito di ragione di giudicare rettamente , se 1' oratore abbia sostenuto il vero o il falso. La rettorica insomma appresta le armi pel prò e pel con- tro. Però deesi accagionar l'oratore di poco decoro nel solo caso in cui il vero e 1' onesto non presentano alcun dubbio , ed egli a dispetto dell'evidenza so- stiene il falso e l'ingiusto. Da nessuno si è osservato finora che Corace coll'invenzion della rettorica e coll'esercizio del foro, in che divenne famoso, ritrovar dovette insieme la dialettica che n'è inseparabil compagna , della quale però si è attribuito il vanto a Zenone cizieno (3). Ma se questi fiori verso l'olimpiade CXXX, e Corace nell' olimpiade LXXVIII, a lui anziché all' altro è giusto di concederlo. Aristotile prova gl'intimi rap- porti della rettorica colla diatetica (4j. Gli storici appellavano la prima l'arte di ben parlare e di per- suadere , e l'altra il metodo di ragionare con la cognizione del vero, del falso e del verosimile (5). Or perchè il retore col suo ornato pai lare giunga a persuadere, ha mestieri di conoscere il metodo di ra- gionare, affinchè s'accinga a provare il vero e distin- guerlo dal falso e dal verosimile; talché se Corace, secondo la testimonianza di Aristotile, di Ermogene, di Cicerone e di Quintiliano, fu l'inventor della ret- ti) Diog. erz. Lancila vita di Zenone lo stoico. (2) Trattato della rettorica in tre libri, capitolo i, del lib. 1. (3) Diog. loc, cit. tom. I, pag, 413. 334 Letteratura torica e il più antico oratore presso il popolo e i tribunali, egli fu del pari l'inventor della dialettica, e a Zenone a lui posteriore altro pregio non devesi ragionevolmente concedere che quello di averla forse migliorata, ovvero di averla applicata alla filosofia. Aristotile nella lettera surriferita rammenta un trattalo di reltorica di Corace ; Platone nel Fedro uno di Tisia e Cicerone, nell'opera de'chiari oratori, dice che il maestro e lo scolare abbiano scritto su quell' arte. M. Garnier lesse all'istituto di Francia una sua dotta memoria per provare che delle due rettoriche, che si trovano tra le opere di Aristotile, una sia quella antica di Corace con qualche aggiunzione forse di Tisia (1), Or dall'egregio lavoro di M. Garnier, e degli argomenti da lui addotti per restituire a Corace la rettorica per l' addietro attribuita ad Aristotile, con- viene adesso far parola. Essendo di gran momento per la letteratura si- ciliana il suo assunto, ho creduto mio debito, come nazionale, di convalidarne le prove con alcune mie particolari osservazioni, che qui esporro unitamente alle sue. Ecco quanto ho potuto ritrarre dal diligente esame de' due trattati che corrono a stampa tra le opere di Aristotile. Il primo è diviso in tre libri, ciascuno de'quali in molti capitoli. La materia vi è sviluppata ampia- mente con distinzione , sottigliezza , perspicacia e (1) Mcmoir. de Clst- de France voi, III, pag, 44 e seg. SD CORACE E TlSIA 335 giustezza di mente propria del sommo ed acuto stabilita, e corredala di larga erudizione. Comincia egli, parlando della rettorica, a mostrarne i rapporti di convenienza con la dialettica, e così tratta de'tre generi dell'oratoria e delle correlazioni principali e secondarie; indi ragiona delle figure e di tutt'altro che direttamente o indirettamente possa interessare ed istruire l'oratore. Nel capitolo XXII del secoudo libro, che versa sugli entimemi veri, adduce moltissimi esempi ricavati dall'istoria civile e letteraria ellenica, alcuni dei quali anteriori, altri posteriori a'tempi di Corace siracusano. Negli altri capitoli trovansi similmente indicati avve- nimenti di Grecia, e appena qualch'uno di Sicilia pei rapporti comuni con quella. Per tutto sono accen- nati miti, personaggi politici , filosofi, oratori e poeti greci , e non già di Sicilia. Deesi osservare partico- larmente di esser fra tanti uomini illustri rammentalo Socrate: il che mostra ad evidenza che quell'opera fu scritta in tempo a lui posteriore (1). L'altro trattato, che segue, è in unico libro, diviso in trentanove brevi capitoli , a'quali manca qualch'uno finale , a giudizio de' critici. L' autore , senza disgressioni e sottilità, è in tutto precettivo. Da lui poco o nulla si accenna delle cose e de' gran personaggi di Grecia, e comincia senza definizione della rettorica a ragionar de' tre generi dell'oratoria. Va unita a questo trattato la citata lettera di Aristotile ad Alessandro, nella quale, inviandogli i precetti della rettorica richiestigli, coglie il destro di mostrargliene (1) Lib. II, eap. 22. 336 Letteratura l'importanza e l'influenza, ove sieno bene usati ne- gli affari del governo e del foro, e indi rivolto al suo regio allievo conchiude: Impendes autem operam etiam (rhctoricae) hisce duobus libris, quorum alter meus est, eas continens arles , quas ad Theodectem scripseram , alter autem est Coracis. Reliqua vero omnia quae sive ad civilìa praecepta, sive ad judi- cialia pertinente separatim hoc in libro scripta sunt: quapropler et hisce ad te commentariis ad ea conse- quenda abunde Ubi adiumenta suppetent. Or dal riferito passo senz'alcun dubbio rilevasi che Aristotile spediva al suo inclito allievo un trat- tato di rettorica che scritto avea per Teodette, in cui erano svolti tutti gli artificii di essa, ed un altro già composto da Corace,come pure un commentario, ove avvalorava cogli esempj delle cose civili e giudiziarie i precetti proposti dallo stesso filosofo. E perchè questo comentario non trovasi tra le sue opere , talché è da credere che siasi smarrito , cosi tra i due trattati che ci rimangono , amendue per lo innanzi attribuiti ad Aristotile, non essendosi posto mente all' accenno della lettera, par che l'uno appartener debba a lui, e l'altro a Corace. A prima giunta sembra però che egli sia autore di quello, al quale va premessa la lettera in tutte 1' edizioni delle sue opere.Ma facendo riflessione al contenuto di essa, e riferendola alle contingenze politiche, civili e giu- diziarie, in cui s'adopera la rettorica, e per le quali abbisognano molti svariati precetti, ben si scorge che per ignoranza de' primitivi amanuensi fu la lettera premessa non al vero ed ampio trattato di Aristotile in tre libri, ma a quello aridissimo in un solo. Questo Su Corace e Tisi A 337 altronde mostra l'infanzia dell'arte nella prima inven- zione di Corace, laddove nell'altro si scorge il pro- presso della medesima a'tempi dello stagnila. Laonde per le addotte ragioni e per altre molte di M. Garnier, che esporremo, è da stabilire che la lettera sia stata erroneamente collocata, e che il trattato di Corace sia quello in unico libro , ed appartenga ad Aristotile l'altro in tre. A corroborare poi questa opinione basterà ri- cordarsi che Aristotile era un filosofo di acutissima mente,. e Corace uomo di alto ingegno, ma solo esercitato nelle controversie forensi di Siracusa. Or il capitolo 3 del trattato in unico libro, il 5 e particolarmente il 37 titolato Accusationis quaeslio- nisque praecepta, si occupa a ridondanza degli artificii necessari agli avvocati nelle difese e nelle accuse presso i tribunali: il che prova che l'autore sia stato un forense di professione, e ben lo dimostrano le sue stesse parole nel citato capitolo 3: Neeesse enim est, nos et consultare et orare tum in senalu, tum apud populam. Ciò appunto richiama al pensiero, che Co- race era avvocato, e con gli altri suoi colleghi soleva perorare innanzi al senato per piati, ed al popolo per pubblici affari. Nell'altro trattato all'incontro, sebbene ogni arti- colo sia sviluppato con sottigliezza e filosofia, pure sono indicati di volo e brevemente gli artificii del foro: e parlandosi del genere giudiziario dicesi sec- camente che è rivolto ad accusare e difendere : il che appalesa che l'autore era un filosofo , e non già esercitato nelle scaramucce della curia. Non so come sieno sfuggiti a M. Garnier queste G.A.T.CXXII. 22 338 Letteratura osservazioni , tendenti a provare vieppiù il suo as- sunto. Egli bensì contentasi di accennarne l'idea. Ma si protrebbe da'critici presentar l'obbiezione, che essendosi perduto il trattato di Corace, i due che ci rimangono sieno di Aristotile , come finor si è creduto, perchè corrono insieme stampati colle altre sne opere. Esclude il caso supposto lo scorgersi in entram- bi, non già quella perfetta somiglianza di principii, di ordinamento e di stile (1), che tra gli scritti di uno stesso autore si vuole osservare, come tra i figli di un medesimo padre Varia di famiglia, che a lui gli ravvicina. Molto più che essendo uno detrattati pi ù esteso, e l'altro assai ristretto da occupar la terza parte, ed amendue sullo stesso argomento, o dovrebbe quest'ultimo esser un compendio del primo , o lo scheletro e il piano dell'altro. Ma tutti e due differir non potrebbero che nella estensione e nello sviluppo; però chiunque si accorge che sono parli di diversi (1) Avendo io pregato il chiariss. monsignor Giuseppe Crispi, vescovo de'greci , e dottissimo professor di lingua ellenica nella R. università di Palermo, a cui deesi la diffusione della medesima, non che nel seminario delle colonie albanesi , ma in Sicilia , di farmi conoscere la differenza , se ve ne abbia, dello stile e della lingua, ne' due trattati , egli dopo maturo esame mi ha riferito le seguenti osservazioni Amendue sono scritti in dialetto attico, dai greci generalmente adoperato nelle materie didascaliche, come sono i precetti di rettorica. Questo dialetto però nel trattato in tre libri di Aristotile, anzi che nell'altro, par che abbia più gusto di atti- cismo. Lo stile del primo trattato in tre libri è più strettamente logico e condotto con più sottili raziocini, che nell'altro. Le quali osservazioni tendono a confermare l'assunto di M. Garnier da me difeso e sostenuto , cioè che la retlorica più estesamente trattata sia di Aristotile, e quella compendiosa di Corace. SO CORACE E TlSIÀ 339 ingegni, giacché diversamente vi è maneggiata la materia, e solo s'incontrano ne'punti esenziali della medesima e in poche regole che sono invariabili. Talché sarebbe più ragionevole che fosse giudicato quello piccolo di uno scrittore anonimo, ma non già di Aristotile, il cui ingegno è solo visibilmente im- prontato dèli' altro. Ma anche in questa supposizione dovrebbe credersi anteriore a quel filosofo; impercioc- ché chiunque l'avesse composto dopo di lui, profit- tato avrebbe de'suoi lumi e dell'estensione della sua dottrina rettorica: e anziché scemarla, come in es- so si scorge, si sarebbe studiato di accrescerla, co- me han praticato tutti gli autori che lo seguirono, e più i moderni che in sostanza ci han dato la ret- torica di Aristotile più spianata e adattata a'nostri usi e alle nostre forme di governo. Se dunque questo lavoro non è dello stagiri- ta , né di autore di tempi posteriori , è certo di Corace che fu il primo a scrivere di quell'arte, secon- do l'autorità della dello stesso filosofo, citata da Cice- rone: ed è appunto l'identico trattato che nella lettera diretta ad Alessandro fu spedito a quel sovrano dal precettore. A queste nostre osservazioni, desunte in in parte di quelle di M. Garnier, aggiungeremo ora gli ulteriori suoi argomenti. Stabilisce egli che quello smilzo trattato è quale esser dovea ne'primi vagiti dell'arte; laddove l'altro senza alcun dubbio annunzia il suo progresso e il tempo , in cui fiorirono Giorgia , Lisia , Isocrate, Prod.co ed altri. Però bambina, quale era uscita dell' ingegno di Corace, ha già quelle vaghe fattezze che posteriormente migliorò con l'ulteriore sviluppo. 340 Letteratura Difatti non si fa parola in quel trattato della differenza degli stili, adattabili a'diversi genere dell' oratoria, i quali Del suo inizio non si erano ancora osservati e distinti nelle orazioni de'buoni dicitori, e che al tempo di quel filosofo si erano mostrati e riconosciuti nelle arringhe di molli. Manca parimente a quel trattato ciò che conve- niva precettarsi sul ritmo peculiare e necessario alla nobil prosa, in che Gorgia segnalossi: né ciò poteva essere sfuggito ad Aristotile, e non l'avrebbe al certo trascurato. Vi mancano del pari gli avvertimenti e le regole della declamazione , sì studiata da' greci oratori al tempo dello stagirita. Appena sono ivi accennate quattro o cinque figure rettoriehe, né si fa pur motto della metafora e della comparazione , che vaghezza ed ornamento aggiungono al discorso. Ma ciò che merita particolare osservazione si è, che in quel libro non trovisi neppure usata la voce rellorica , che il Garnier suppone posteriormente adoprata dagli scrittori per indicar l'arte di ben dire; talché par che sia stata apposta al titolo dell'opera in tempi posteriori dagli amanuensi, insieme col nome di Aristotile. Tutto ciò mostra, a credere del critico francese, che quel trattato , per quanto vogliasi commendar come opera primitiva, è pure incompleto e diffeltoso, quale esser dovea alle prime mosse dell'arte. Ma un argomento più gagliardo presenta il Garnier per sostener la sua opinione. Crede egli che l'opera di Corace, come a noi è pervenuta, sia stata ampliata Su Corace e Tisi A 341 e corredala di esempi da Tisia. E in effetto , posta a disamina da Piatone nel suo dialogo del Fedro, parla quegli di Tisia come autore , e covertamente di Corace. Or l'opera anzidetta sì per la parte esenziale primitiva, come per quella di accrescimento, dimo- stra che i due autori furono siciliani, anzi siracusani. E ciò rilevasi dagli esempi ivi adotti che han sempre rapporto a Siracusa o agli avvenimenti di Sicilia. Nel capitolo XXX raccomanda l'autore che la proposizione del discorso sia annunziata con chiarezza e precisione , e reca questo esempio : Io sorgo per consigliarvi di prender le armi in favor dei sira- cusani: e ove l'orator voglia sostenere il contrario, ei soggiunse che dovrebbe esordir così : » Io sorgo per dimostrarvi che non dobbiamo apprestar soccorso a' siracusani. Nel capitolo XXIII relativamente all' epilogo leggesi in esempio questa conclusione : Io credo di avervi provato abbastanza che la giustizia richieda di doversi apprestare aiuto à'siracusani. Nel capitolo IX si accenna la spedizione di Dione contro Dionisio, che avvenne in tempo po- steriore a Corace e Tisia. Questo ricordo fu aggiunto probabilmente all' opera da qualche siciliano nell' interesse di avvenimenti strepitosi della nostra istoria; tanto ciascuno de' siciliani ch'era uscito dalla scuola de'due famosi retori siracusani, riguardando di co- mune proprietà il trattato che ivi si leggeva, credeasi in diritto di aggiungervi qualche cosa. Ma sì lo scritto di prima origine, che le addizioni fattevi, mostrano che fu pianta, ia quale nacque in Sicilia e fu col- tivata da mani siciliane : e sarebbe forse più oltre cresciuto il libro, se non se non si fosse indi pubbli- 342 Letteratura calo quello migliore di Aristotile, che '1 fé' cadere quasi in dimenticanza. Che se costui reca pure l' apologo del nostro Stesicoro del cavallo e dell'uomo , a ciò fu spinto dall'esser quel componimento celebrato anche in Gre- cia, sì perchè con fino ingegno concepito, come per la conseguenza che produsse di aver fatto sfuggire ad Ira-era il giogo di Falaride. E qual altro più bello e nobile esempio egli presentar poteva di apologo, rivolto a politico e grande scopo? Corace o Tisia non l'avrebbero omesso, se avessero, come fece sag- giamente Aristotile, trattato in qualche capitolo del parlar coverto o allegorico, come artificio oratorio. A me sembra che a' tanti saldi argomenti di M. Garnier, e agli altri da me aggiuntivi, nulla avvi a rispondere. Ben si comprende poi perchè Aristotile abbia inviato ad Alessandro insieme col suo trattato quello di Corace. Volevasi da lui mostrar col paragonare al suo allievo come era informe la rettorica del si- racusano inventore, e come dallo stagirita era ri- dotto a perfezione ne' suoi scritti , ne' quali colle proprie osservazioni su' discorsi de' celebri oratori avea supplito ciò che nel primo mancava , dando migliore ordine alla materia e indicandone i precetti con maggior estensione ed esattezza logica al suo solito. Diguisachè scorger potesse Alessandro al con- fronto la superiorità della sua opera su quella del vecchio siracusano, che riguardar dovea come un abbozzo, anziché un lavoro finito. Ma ciò appunto consolida gli argomenti del letterato francese a giu- dicar quel trattato in unico libro, non già di Aristo- Su Corace 0 TlSIA. 343 tile, come fino adesso si è creduto, ma del retore siracusano, colle aggiunte forse di Tisia o di altri. I critici tedeschi non han fatto il viso dell'armi all' ardita proposta del Garnier, bene accolta dall'isti- tuto di Francia, che ne fé' pubblicar la memoria tra quelle del secondo volume della classe di storia e di letteratura. Anzi lo Schoell, esaminandolo espres- samente , così si esprime : Cornee lasciò i prineipii dell'arte da lui inventata in una opera che si credeva generalmente smarrita ; ma che forse c'è rimasta sotto il titolo di retlorica di Aristotile (1). Ne quel forse dell'erudito tedesco è di ostacolo alla convincente memoria del francese ; perocché ben si sa , che le opinioni letterarie che dalla Fran- cia passano in Alemanna di raro vi han pieno acco- glimento ed applauso: ma lo scorger che fino adessso non sia stata , per quanto io ne sappia, oppugnata in Germania, le dà il suggello dell'approvazione di quei critici non meno dotti che sottili. Che se alla Sicilia appartiensi la gloria di avere inventato quell'arte che domina i cuori e le opinioni degli uomimi, ed a Corace siracusano, che la speculò, è stato restituito l'insigne monumento del suo mara- viglioso ingegno , di ciò vuoisi rendere tributo dì lode da' siciliani ai perspicace ed erudito francese, che di questa scoverta fé' ad essi dono generoso; ma non senza il tacito rimprovero di esser questi trascu- ranti della propria gloria, che dovrebbero gelosa- mente conservare e difendere qual prezioso retaggio degl'illustri loro maggiori in tempi sì miserabili, in cui nulla han di meglio o di uguale a contrapporvi ! (I) Stor. della leu grec. tom. 2, part. 3, p. 7. Yen. 1827. 344 beub awlti Gran concorso dementino - Pellegrini dell' insigne e pontifìcia accademia di S. Luca. T ' JU insigne e pontifìcia accademia romana di san Luca, colPautorità di Sua Eccellenza il signor Ca- millo Iacobini ministro del commercio, belle arti, agricoltura ed industria, invitò secondo il consueto programma, nel febbraio del 1850, gli artisti d'ogni nazione a fare esperimento del loro valore ne"1 gran- di concorsi: l'uno (com'è celebre in Italia e fuori) fondato per le tre arti primarie dalla santa memoria di Clemente XI, che pieno dello spirito generoso de' sommi pontefici , primi sempre in ogni opera che per virtù e bellezza giovi ad accrescere la ci- viltà vera della nazione , precorse lutti i principi d'Italia Dell'aprire alle arti una si nobil palestra: l'al- tro instituito per la sola pittura, con benemerenza immortale, dal già nostro collega professor Dome- nico Pellegrini d'onoratissima ricordanza. Trascorso l'anno conceduto dagli statuii dell'ac- cademia agli artisti per condurre le opere loro di pittura, di scultura e di architettura, il pontificio corpo de'professori nel febbraio dell'anno corrente, eseguite avendo quante sono formalità dalla legge richieste, e quella soprattutto essenzialissima di sot- toporre i concorrenti alla prova estemporanea, vero testimonio di abilità nell'arte, procedette all'esame e giudizio dei due concorsi. Concorso Clementino -Pellegrini 345 Niun concorrente si presentò nella prima clas- se della pittura del dementino (1). Né all' acca- demia recò maraviglia: perciocché essendo di se. 130 il premio di quella classe, gli artisti, che trovavansi animo di avventurarsi all'arringo, anteposero meglio di farlo nel concorso Pellegrini, il cui premio som- ma a scudi 600. Nella seconda classe della pittura (2) fu me- ritalo il premio dal signor Cesare Dies romano, avu- to riguardo non pure al fior di disegno e di stile. che ammirasi nell'opera sua, ma sì anche all' otti- ma espressione del soggetto rappresentato. Nella prima classe della scultura (3j, con lode singolarissima ed unanimità di voti, fu aggiudicato per ogni ragione il premio al signor Gustavo Kau- pert di Assia-Cassel : concedendosi quello straor- dinario della seconda classe (4) al signor Giacomo Cerulli romano per la lodevole esecuzione del grup- po e per la bontà dello stile. Niun dica se grave riuscì all' accademia il ve- (1) Tema: Daniele in Babilonia difende Susanna avanti i giu- dici dalle false accuse che le danno i due vecchi. V. il libro di Daniele cap. 13. —Quadro ad olio in tela. (2) Tema: S. Giovanni Battista rimprovera il tetrarca Erode Antipa del suo incesto con Erodiade. V. il Vangelo di S. Marco cap. 6. — Disegno. (3) Tema: Un episodio della strage degl'innocenti Gruppo di lutto rilievo. (4) Tema: Trovandosi N S. Gesù Cristo con gli apostoli, se gli avvicinò una donna e l'adorò, pregandolo che gli piacesse gua- rirle una figliuola, ch'era posseduta dal demonio. Gesù Cristo, dopo averle fatta alcuna domanda, le disse: 0 donna, grande e la tua fe- de .' Sia l'atto ciò che desideri. V. il T'aricelo di S: Marco cap. 'ó. — Bassorilievo. 34G Belle Arti dere scarsissimo il numero de'concorrenti dell'archi - lettura (1). E sì che negli altri grandi concorsi fu sempre de'più copiosi, e spesso de'più lodati ! Né sa- prebbe di questa scarsità trovarsi cagione che soddi- sfaccia: quando ognun sa come una bella schiera di giovani architetti fiorisce oggi fra noi , onore del magistero dell'accademia e speranza di Roma e del- l'arte. Aggiungasi che il premio nel presente con- corso è stato accresciuto dagli scudi 88 ai 130 per- la prima classe: e dagli scudi 44 ai 70 della seconda classe. Premi convenevoli, come ognun vede, a rimeri- tare qualsiasi progetto architettonico anche di valente maestro. Comunque sia, l'accademia ha onorato del premio straordinario della seconda classe l'unico con- corrente della prima signor Francesco Dasti di Corneto, considerata principalmente nell'opera sua (sono parole de'signori professori ) la conveniente disposizione dei passaggi di comunicazione combinata in modo, che anco a fronte della vastità dell'edificio non se ne risente l'in- comodo. Ma de'più ricchi e lodati , che mai si ricor- dino neh' accademia , è stato il concorso Pellegri- ni (2) , che soprattutto a se trasse per ben sedici giorni di pubblica esposizione gli sguardi ed il plauso di quanti in Roma si pregiano d'intendenti dell'arte. I signori professori, fatto ragione dell' ot- (1) Tema della prima classe: Una basilica da edificarsi sulle norme delle costantiniane tanto nella parte interna , quanto nella esterna. Teina della seconda classe: Un battisterio isolato e prossimo alla stessa basilica che dovrà trattarsi nella prima classe. (2) Tema: I tre principi idumei che compiangono Giobbe , mentre la moglie di lui lo schernisce. V. il libro di Giobbe cap. 2. — Quadro ad olio. Concorso Clementino-Pellegiuni 347 timo stile di disegnare e di colorire , della bella invenzione, e della dignità del carattere, reputarono meritevole del premio assoluto l'opera del signor Ca- simiro de'Rossi piemontese. Prossima ad essa di me- rito giudicarono quella del signor Roberto Bom- piani romano: né può credersi quanto rincrescesse all' accademia il non potere d'alcun premio rime- ritarla. Di che reso però consapevole Sua Eccel- lenza il signor Ministro, il quale non lascia occa- sione di mostrare l'egregio animo suo costantemente propenso ad ogni cosa che onori l'accademia, o sia utile alle arti e a chi le coltiva , presentatosi alla generale adunanza si compiacque determinare, che non essendosi avuto verun concorrente nella prima classe della pittura del concorso clementiuo , quel premio di scudi 130 fosse straordinariamente con- ceduto al signor Bompiani: lasciando in piena li- bertà del pittore il dare il suo quadro, com'è do- vere de' premiati , alla galleria accademica. Ma il romano artista, non men valoroso che grato e cor- tese, dispose di non volere esser vinto in genero- sità." sicché fece subito del suo quadro un presente accettissimo all' accademia. Se altri premi fossero potuti conferirsi, è agevole il credere che anche al- tri concorrenti n'avrebbero ricevuti: come, per esem- pio, i numeri 2 e 6, dei quali, ragguardevoli per diversi pregi , l'accademia ha ordinato che si fac- cia qui special menzione di lode. Signori concorrenti io son ben lieto di poter- vi da questo luogo dire in nome della pontificia accademia, ch'ella è slata sommamente paga del saggio che dato avete del vostro valore. Oh levia- :ì4S Belle Arti nioci alia speranza, che non tardi a sorgere il gior- no , che permesso vi sia raccogliere, nella tran- quillità che le arti richieggono, il degno frutto di questo seguir che fate con pie sì franco le orme de'grandi maestri ! E in lutti sia una fede, che pos- sono i tempi volgersi men propizi, anzi rei e ca- lamitosi, ai più splendidi concepimenti dell' umano spirito; ma che la fiamma, che scalda queste no- bili menti, ed avviva di tanta luce le belle arti in Italia ed Europa, per qualsiasi avversità non ver- rà meno giammai. Or ecco, o valenti, che in quest'aula sì piena delle memorie de'sommi d'ogni nazione nelle arti che professate, in quesl' aula siete oggi accolti ad onore per ricevere i premi che avete ben meritati. Riceveteli dalle mani di quest'inclito ministro, che se ne pregia e rallegra qual di cosa carissima al- l'animo suo. Riceveteli in mezzo a questa eletta co- rona di professori, che altamente d'ogni vostro be- ne consolasi, come i maestri dei discepoli, gli ami- ci degli amici , anzi i padri dei figli. Riceveteli in fine alla presenza di tanti egregi d'ogni ordine, che principalmente sono qui convenuti ad onorar- vi e a farvi festa. Ed accresca ciò l'allegrezza di questo ben augurato giorno, in cui co'più vivi sensi del cuore innalziamo voti a Dio ottimo massimo per- chè sia felice e fausto al santissimo Signor Nostro PIO IX, all'augusto prolettore dell' accademia e di ogni opera gentile, il sesto anno che va per divina provvidenza a prendere cominciamento dopo la sua gloriosa coronazione. Salvatore Betti Segrelario perpetuo dell'accademia. 349 Pontificia accademia romana di archeologia I n adempimento de,'' paragrafi 1 e 2 del titolo 8.° dello statuto , si propone uh premio a chi meglio dichiarerà il seguente argomento : » Ordinare ed emendare, completandola critica- » mente, la serie dei prefetti di Roma, secondo gli » scrittoli ed i monumenti nuovamente scoperti ». Potranno concorrere al premio i letterati di qualunque nazione, eccettuati i soli soci ordinari ed onorari dell'accademia. 11 premio è di una medaglia d'oro di zecchini quaranta. Le dissertazioni , in lingua latina, italiana , o francese, dovranno essere presentate, senza nome di autore, a tutto il 10 aprile del futuro anno 1852. Dovranno essere scritte in carattere chiaro e leggibile. Porteranno esse una epigrafe, ed avranno una scheda sigillata con entro il nome e l'indirizzo dell' autore, e di fuori l'epigrafe stessa posta alla disser- tazione. II giudizio sarà pronunziato nel mese di aprile del medesimo anno. La dissertazione premiata verrà impressa negli atti. Le schede appartenenti a quegli scritti, a' quali non sarà stato aggiudicato il premio, non si apriranno, ma saranno bruciale. Le dissertazioni dovranno essere dirette per la posta, od altrimenti, ma chiuse, sigillate, e franche di porto, al Commendatore Visconti segretario per- 350 petuo della pontifìcia accademia romana di ar- cheologia- Quando non vengano per la posta, dovranno essere consegnate nelle mani del detto segretario perpetuo dell' accademia, il quale ne darà ricevuta al portatore. Dall' aula del romano archiginnasio il dì 1 I aprile 1851. IL PRESIDENTE PRINCIPE D. PIETRO ODESCALCHI IL SOCIO ORDINARIO SEGRETARIO PERPETUO COxMMENDATOR VISCONTI 351 NECROLOGIA DEL GEOMETRA GIACOMO IACOBI SCRITTA DAL PROFESSORE PAOLO VOLPICELI,! PER LACCADEMIA PONTIFICIA DENUOVI LINCEI s tavano le intelligenze di Europa in grande per- plessità fra la speranza e il timore, perchè un fu- nesto annunzio di morte precoce fra esse circolava dicendo: « Forse Iacobi non è più «.Speravano tutti da un lato che tanto infortunio non fosse ; cosicché ognuno ritenevasi dall' acconciarvi fede; mentre dal- l'altro tutti temevano forte non si avverasse. Ma poco stette, che all' ansia della perplessità sottentrò il dolore disperato della certezza; la quale venia di- cendo: « Per certo un luminare fu spento fra quelli che più onorano la umana famiglia; esso è Iacobi!» Se perdasi ciò che solo il cuore interessa, ne conseguita profondo un dolore, cui non pertanto è farmaco il tempo ; che alla fin fine lo dilegua. Però non così perdendosi ciò che interessa la mente ; dacché allora il dolore mai più non rimette, e cresce anzi col tempo. Il vuoto difficile a riempiere, che nelle regioni dello scibile si fece allo speguersi di quel prezioso luminare, tale produsse un' angoscia 352 Necrologia del Iacobi negli animi, usi a vagheggiare il sublime, che que- sti né dimenticarlo punto, né consolarsene potranno quando che sia. Disgraziatamente i lincei contemplano vicino d' assai questo vuoto; essi lo trovano e nell'aristo- telica generale famiglia, ed in seno a loro; poiché nel novero dei corrispondenti stranieri lincei oggi mai non altro è il nome di Iacobi , fuorché una invisibile celebrità, una mula illustrazione dell' ac- cademia nostra. L'acerbità del caso ne affligge assai, o colle- ohi, lo veggo, e lo sento ; ma per confortarci non avvi altro che tornar col pensiero, non pure alle opere di quel sommo restate , ma ben anco ai par- ticolari di sua vita, breve di troppo ; i quali spe- riamo saranno di presente pubblicati anch' essi ; che tutto interessa caramente quanto agli uomini som- mi appartiene, sia della vita loro pubblica, sia della privata. L' umano intelletto è favilla di eternità ; la luce sparsa da esso non è spenta dalla morte ; e 1' uomo superstite si trova per questa luce in rap- porto coli' uomo che fu. La inesorabile figlia della colpa non miete le messi dell' ingegno, le quali trion- fando eziandio del tempo proclamano la potenza in- vincibile dell' umano pensiero, e ristorano gli uo- mini dalle sciagure della vita. Rifugge l'uomo vol- gare alla reminiscenza del perduto, e tiene l'oblio a farmaco del dolore ; ma il sapiente si conforta ri- cordando chi gli fu caro per sublimità di animo : e tornando sulle cose non periture di lui, tutto se ne contenta, disprezzando la voracità del tempo, e la umana fralezza. Necrologia del Iacobi 353 Vi sarà dunque caro, colleghi ornai issi mi, ri- cordare che Giacomo Iacobi ebbe i suoi natali nel 1804 in Postdam, ove frequentò il ginnasio. Non appena l' anno diciassettesimo di sua giovinezza egli compieva, che mosse all'università di Berlino, in cui dando agli studi filosofici e filologici opera , sotto il magistero di Hegel e Bockh, intraprese ad un tempo, e di per se, gli sludi eziandio delle ma- tematiche discipline. Ciò non tolse che il Iacobi fos- se caro pure alle muse, da cui a quando a quando fu ispirato; ed egli manifestò il fuoco pindarico, dettando versi nelle tre dotte lingue, greca, germani- ca, e latina: talché 1' onore della fronda penea non gli sarebbe mancalo, dove agli argomenti di scienze esatte non avesse tutto l' animo rivolto. Fu tanto lo sviluppo delle facoltà intellettuali del Iacobi, sino al quarto suo lustro, che tutti ne maravigliarono, ed egli stesso ricordavalo e narra- valo agli amici nella età sua più matura. Potrebbe taluno trovare argomento in questo fatto ad avva^ lorare la opinione, che la face dell' ingegno, quanto più copiosa e sollecita svolge luce, tanto più abbi- sogna di spogliare la mortai veste per quindi ri- splendere senza impaccio di sorta, in seno di quel- l'oceano di verità, donde prima fece partita. Viene la storia e conferma di questo pensie ro col ricordarci, fra gli altri assai, un Tommaso 1' angelico, un Pa- scal, un Fresnel, un Abel (I), un Raffaello. Il desi- li) Due anni prima del Iacobi,, cioè nel 1802, nacque Abel nel -villaggio detto Frindoe (Norvegia) ; studiò in Cristiania; morì il 6 aprile 1829 alle miniere di ferro di Froland (Norvegia), ovi si por- tò per visilare i suoi parenti. G.A.T.CXXII. 23 354 Necrologia del Iacobi derio di sprigionarsi dal corpo essere può in taluni l'effetto di una intellettuale tensione, sviluppata ener- gicamente, ed innanzi tempo, che raccorciando l'or- bita della vita sulla terra, liberi lo spirito anelante di verità. Appena compiuto il quarto lustro il Iacobi si eb- be la laurea, e l'abilitazione altresì ad insegnare nella università di Berlino : poscia fu inviato al- l'università di Koenigsberga qual professore straor- dinario della medesima. In questa città, unitamente al celebre Neumann, fondò un seminario per edu- care la gioventù nelle scienze fisico-matematiche. Le più importanti verità relative alla teorica delle funzioni ellittiche, trovate dal Iacobi, furono contem- poraneamente vedute dall' illustre Abel. Questi ri- mase però inferiore al Iacobi, perchè più lontano dall'accademia delle scienze dell'istituto di Francia, ove gli annunzi scientifici del geometra di Koenigs- berga giunsero più solleciti di quelli dell'infelice e non meno grande analista di Cristiania; il.quale se non fosse morto in età di 27 anni, le scienze esatte avrebbero per suo mezzo fatto grandi progressi, ed egli avrebbe ricevuto vivo quegli onori e quelle ri- compense che, lui morto, gli venivano largite. La prima opera dell'illustre Iacobi , che destò ammirazione in tutti coloro, i quali all'analisi dell'al- gebra superiore intendono, si ebbe per titolo : Furi* (lamenta nova theoriae funclionum ellipticaritm : pubblicata da esso nell'età di anni venticinque. A tale celebrità questo egregio lavoro pervenne, che l'autore poteva giustamente apporvi l'epigrafe « Non omnis niortar: » ma la sua modestia, che certo era grand is- y Necrologia del Ucobi :r>r> sima , non glie lo avrebbe consentito. Altre molte produzioni di questo filosofo, che fu membro di tutte le accademie scientifiche di Europa , si trovano in- serite nel giornale del sig. Creile, in quello del sig. Schumacher, e negli atti della reale accademia delle scienze di Berlino. Quel voto, che già fu pubblicato in varie occasioni pei lavori de' grandi uomini , e non ha guari per quelli del maestro di color che sanno, il celebre Gauss (1), noi qui ripetiamo per le opere sparse, tanto edite, quanto inedite del no- stro Iacobi. Voglia il cielo che la Germania, solle- cita com'ella è della gloria sua nazionale, raccolga le opere medesime, pubblicandole tutte pel progresso della scienza ! Nel 1849 fu il Iacobi chiamato a Vienna per professare in quella I. R. università le matematiche; ma il re di Prussia non gli permise lasciare Berli- no, che di tanta capacità non volea privare. Il Iacobi seppe molto, ed in molti rami dello sci- bile: noi lo vedemmo in questa nostra città interes- sarsi tanto del bello artistico, quanto può e sa chi molto addentro senta nelle arti liberali. Assai pre- giava egli le cose nostre, e dimorando in Roma per oltre a sei mesi, co' suoi colleghi dottissimi signori Dirichlet e Steiner, cioè dall'ottobre 1843 sino al- l'aprile 1844, sovente conducevasi alla biblioteca vaticana, per consultarvi, esso diceva, il codice greco di Diofanto alessandrino, intitolato: Arithmeticae li- li) Nou\eIles annales de mathématiques par M. Terquem. Pa- ris 1850. T. IX. 356 Necrologia del Iacobi bri septem cum quibusdam observationibas etc. (1) Conobbe i romani che coltivano le scienze , quelli specialmente destinati alla pubblica istruzione ; fu con essi di tale cortesia, che maggiore non poteva desiderarsi da tant' uomo ; e fra questi usò assai fa- miliarmente coi signori professori Chelini e Tor- tolini. Non è da obliare che, oltre all' idioma greco e latino, conosceva il Iacobi eziandio l'italiano, per modo che in questo, con molta proprietà di voca- boli e di stile, stando egli fra noi, scrisse tre im- portanti memorie : la prima sopra le funzioni di due angoli, proposte da Laplace nelle ricerche sulla figu- ra della terra: la seconda sulla condizione di egua- glianza di due radici dell'equazione cubica, dalla quale dipendono gli assi principali di una superficie di second' ordine : la terza sul principio del molti- plicatore ultimo, e del suo uso come principio ge- nerale di meccanica. Tradusse altresì nell' italica fa- vella una memoria del sig. Kurnmer sull'equazione cnbica, per la quale si determinano gli assi princi- pali delle superficie di second' ordine : così pure un' altra del sig. Steiner intitolata : « Nuovi teore- mi sulle coniche iscritte e circoscritte » (2j\ (1) Aiorpcc'-jTov A\{qo>. 351 IMPRIMATUR Fr. D. Buttaoni S. P. A. Mag. IMPRIMATUR P. A. Ligi Vicesg. JBKrfiiililWJJJ