Pj'SB)' mmmi GIORNALE DI SCIEJ^ZE, LETTERE ED ARTB ^^ Voi. 367, 368,369 ^ 'M !!=*«^Jì ROMA Tipografia delle Belle Arti 1851 Piazza Poli num. 91. 1^'fKft^ GIORNALE DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI Voi. CXXIII Aprile, Maggio e Giugno 1851 RoniJ. 1851 3 §£i:iM^ii Vurustica applicata alla scienza clinica da Vincenzo Catalani dottore in medicina e chirurgia. tmmmmwwmtmmm D i mano in mano, che i fenomeni morbosi de- terminano in pecLiliai'i mutamenti le attività senso- riali, si percepisce e s'imprime in noi l'indelebile immagine di malattia. Cosiccliè il clinico, nell' atto della considerazione del fenomeno preternaturale, di- spiega completamente le attività sensoriali, onde metterle in rapporto antagonistico con il fenomeno, di cui vuole conoscere gli attributi e la causa eifi- cente. JNon è o questa o quella peculiarie attività sensoriale, la quale specialmente si pi-esta all'analisi del fenomeno preternaturale ; solo nei particolari casi di malattia più un senso che un altro ci som- ministra i materiali , i quali niediante una serie di giudizi analitici ed induttivi ci conducono alla diagnosi lazionale. Nelle dermatose l'organo della vista raccoglie quasi 1' intero stato di malattia , e quello del tatto nei cambiamenti di consistenza: co- me nelle durezze scirrose e nei rammollior»enti. Le vaiiazioni del tuono della voce, la tosse, il singhioz- zo, il rantolo, la broncol'onia, l' egofonia, il petto- nloquio , ed il tintinno metallico sono fenomeni i\ 4- Scienze morbosi, che noi rileviamo mediante 1' organo del- l'udito. L'emanazioni odorifere ed i sapori dei prodotti organici naturalmente e morbosamente se- grecali si rilevano soltanto dagli organi dell' odo- rato e del gusto. Che non sia stata dagli antichi, come pensa la turba degli innovatori francesi, applicata l'acustica all'analisi dello stato di malattia, è un'asserzione gra- tuita sprovvista da qualsiasi argomento storico. Che prima dell'acustico francese (1) non siano stati scritti trattati di ascoltazione, è una veiilà che ad evidenza dimostra , che gli antichi non credevano possibile la diagnosi mediante il solo organo del- l'udito. Ma che nelle opere mediche, pubblicate prima che comparisse alla luce l'aureo trattato deU l'ascoltazione di Laennec , si faccia menzione di tanto in tanto di segni, i quali possono solo rilevarsi dall' organo dell' udito , è altra verità che chiara- mente dimostra, che gli antichi nelle ricerche dia- gnostiche mettevano in azione, e interamente spie- gavano le attività sensoriali ; e che non avevano idee preconcepite, né esaltate al segno da credere possibile la diagnosi razionale ujcdiante una sem- plice attività sensoriale. Quando descrivono le va- riazioni del tuono della voce; e mettono a calcolo, nelle ricerche diagnostiche la tosse, il singhiozzo, il rantolo, ed altri preternaturali suoni, determinati dallo stato di malattia , ad evidensa ci spiegano r importanza e la necessità dell' acustica applicata alla scienza clinica. Che periti fossero in semiotica (1) I.aeiii fc. Acustica applicata alla clinica 5 a prefereniza di noi, ciascuno leggendo le opere de- gli antichi ne rimane intimamente persuaso. Ippo- crate con un segno acustico, il quale determinava mediante la succussione, dingnosticava esistere nel torace raccolte sostanze gazose e fluide. Al gallicano acustico, creduto dalla turba de- gli innovatori francesi inventore dell'ascoltazione, solo si deve il vanto di avere creato un sistema sintomatologico , mediante il quale invano cerca determinare il giudizio diagnostico con l'analisi di soli segni acustici. L' ascoltazione, sia o mediata o immediata, non è ritrovato moderno; ed il padre della medicina (I) raccoglieva i segni acustici me- diante un tubo applicato con una dell' estrejnità al torace e con 1' altra all' orecchio. Cosicché il bene, che fece alla medicina l'aureo trattato dell'ascolta- zione di Laénnec, si riduce in ultima analisi nel- r avere data una soverchia importanza all'acustica applicata alla scienza clinica, onde trattenere l'at- tenzione del clinico nella considerazione dei segni acustici. Fenomeni morbosi, che essendo pel passato soverchiamente trascurati, la diagnosi delle malattie del petto resultava imperfetta, e spesso fallace. Dalle quali cose chiaro risulta, che nelle ri- cerche diagnostiche razionali vi è di bisogno del concorso di tutte le attività sensoriali ; altrimenti la diagnosi risulta sempre imperfetta, e spesso fal- lace. La classificazione dei sintomi, basata nella di- versità degli organi che gli raccolgono, risulta fa- cile, e conforme al modo, con cui da noi si per- (1) (ppocrale. 6 Scienze cepiscono. Nella determinazione del giudizio dia- gnostico ciascun segno ha uno speciale valore, che mediante una serie di giudizi analitici ed indut- tivi ci conduce alla diagnosi razionale. Se parliamo esclusivainenle dell' acustica ap- plicata alla scienza clinica, noi lo facciamo per trattenere l' attenzione dei medici nella scrupolosa e circostanziata considerazione dei sintomi acusti- ci, e per facilitare la lettura delle opere di clinica moderne: che nelle stoiie delle malattie spesso s'in- contrano segni raccolti con 1' acustica applicata alla scienza clinica. Ma nello stesso tempo dichiariamo solennemente, che come i segni raccolti dagli altri sensi non sono sufficienti per la diagnosi razionale; così gli acustici separatamente considerati non con- ducono rettamente il clinico al giudizio diagnostico razionale. Cosicché quei medici , i quali ostinata- mente negano qualsiasi vantaggio che possa otte- nersi dall' acustica applicata alla scienza clinica , senza avvedersene e per ostinala malignità negano i' esistenza dell' orbano dell' udito. u CAPO PRIMO Applicazione degli islrometdi acustici. L' ascoltazione è o immediata o mediata ; la prima consiste nell' applicale direttamente 1' organo dell'udito; l'altra nel servirsi dello stetoscopio, istro- mento destinato a circonscrivere e ad ingrandire i suoni o romori. I segni acustici o esistono natural- mente, td allora basta I' applicazione o immediata Acustica applicata alla clinica T o mediata dell' organo dell' udito, onde rilevarli ; ovvero si determinano mediante l' arte , come per- cotendo o direttamente o indirettamente in vari punti la superficie esterna del corpo, percussione o immediata o mediata, o facendo pronunziare alcuna sillabe, o fare una forte respirazione ; o infine istan- tanei movimenti, siiecussione, all' individuo, che si vole esaminare mediante l' ascoltazione o acustica applicata alla scienza clinica. CAPO li. Esplorazione del petto. La superficie esterna del petto si divide in quindici regioni; dodici delle quali sono doppie , e tre no. Ciascuna di esse rende sotto alla percus- sione un particolare suono ; che importa breve- mente descrivere prima di più oltre procedere. i. Regioìie succlavia. Parte coperta dalla cla- vicola. La clavicola percossa nella parte media e sternale dà un suono chiaro ed ottuso nella parte omerale. 2. Regione anleriore-superiore. Incomincia al disotto della clavicola e termina nella quarta costa. II suono prodotto dalla percussione è meno chiaro di quello, che si ottiene nella regione sternale della clavicola. 3. Regione mammillare. Incomincia sotto alla quarta costa e termina all'ottava. Nelle donne OQij può percuotersi; e negli uomini dà un suono meno forte di quello, che si ottiene nella regione ante- riore e superiore del petto. 8 Scienze 4. Regione sotto-mammillare. Incomincia sotto l'ottava costa e termina alla curvatura delle carti- lagini delle coste spurie. Nella regione destra il vo- lume considerevole del fegato vi rende il suono ot- tuso ; e nella sinistra è cosa rara, che il volume della milza vi renda il suono meno chiaro. 5. Regioni sternali superiore., media., ed inferiore. Lo sterno si divide in tre regioni semplici ; nelle quali si ottiene dalla percussione un suono chiaro analogo a quello della parte sternale della clavicola. Meno negli individui soverchiamente pingui, che la regione inferiore risuona meno, e dà un suono ottuso, 6. Regione assillare. Incomincia alla sommità dell'ascella e discende fino alla quarta costa. Il suo- no, che dà la percussione, è naturalmente chiaro. 7. Regione laterale. Incomincia sotto la quarta costa e termina all'ottava. A sinistra la percussione dà un suono chiaro; a destra un suono ottuso; per- chè il fegato ordinariamente risale più alto del so- lito; ed il polmone destro diviene più denso, e con- tiene minore quantità di aria. 8. Regione laterale-inferiore. Incomincia sotto l'ottava costa e termina alla curvatura delle carti- lagini delle coste spurie. La percussione dà un suo- no oscuro nella parte destra, e meno ottuso nella sinistra. 9. Reg ione acromiale. Regione compresa tra la clavicola, il margine superiore del trapezio e la parte inferiore del collo. In questa regione dalla jpercussione non si produce punto suono. 10. Regione sopra - spmosa. Regione, la quale ACUSTIC4 APPLICATA ALLA CLINICA 9 corrisponde alla fossa sopra-spinosa dell' omoplata. Il suono vi è presso a poco nullo. 11. Regione sollo- spinosa. Regione, la quale corrisponde alla parte della scapola situata sotto l'a- pofesi trasversa. La percussione, in questa regione, non risulta sonora. \'l. Regione inter- scapolare. Lo spazio compre- so tra il margine interno dell'omero e la spina dor- .sale. Negli individui magri la percussione risulla sonora se sono tesi i muscoli romboidale e trapezio. 13. Regione dorsale- inferiore. Incomincia a li- vello dell'angolo inferiore dell'omoplata, e si esten- de fino alla vertebra dodicesima. In alto la percus- sione dà un suono chiaro, e nell'eslremilà inferiore non si ottiene d'essa alcun suono. CAPO IIL Esplorazione della respirazione \\ romore respiratorio presenta caratteri diver- si, secondo che si determina nel tessuto polmonare, nei grossi tronchi, e nella trachea. Nel primo caso è dolce e molle; e l'orecchio sente, che l'aria pe- netra in una moltitudine di cellule, le quali si di- latano per riceverla: romore-respiratorio-polmonare, o respirazione-vescicolare. Nell'altro il suono respi- ratorio è privo di quella specie di crepitazione, la quale accompagna lo svolgimento delle cellule aeree; e si sente, che l'aria traversa tubi più o meno va- sti: romore-respiraiorio - bronchiale, o respirazione- bronchiale. 10 Scienze Il romore respiraloiio-polmonare o respirazio- ne-vescicolare si dislingue presso a poco in lutti i punii tiel polmone ; ma principalmente in quelle parti, che sono più prossime alla superficie esterna: come nelle parti antenori-superiori, laterali, e po- steriori-inferiori, nel cavo dell'ascella, e nello spa- zio compreso tra la clavicola ed il margine superiore del trapezio. La respirazione-puerile si compie naturalmen- te nelle donne e negli uomini di costituzione ner- vosa; ed in quelli, nei quali una considerevole por- zione del polmone si è resa impermeabile all'aria, Nello stato di salute, e nell'uomo sano, la re- spirazione bronchiale si sente nelle parti anteriori e laterali del collo ; e nei soggetti raagrissimi nella sommità dello sterno, e nello spazio inter-scapolare. In altre parti il suono respiratorio bronchiale si con- fonde con la respirazione-polmonare o vescicolare. Quando, per qualsiasi causa, s'ingenera nel pol- mone una preternaturale cavità, allora la penetrazio- ne dell'aria in essa cavità determina un suono analogo alla respirazione bronchiale ascoltata nella parte an- teriore del collo: respipazione-cavernosa. Quando la cavità preternaturale è vicina alla superficie esterna del polmone, allora nell'ispirazione pare che l'aria sia spinta all'orecchio dell' osserva- tore, e che vi sia rispinta nell'espirazione: respira- zione-soffiante. La respirazione soffiante si fa talora in modo, che pare che l'aria agiti un velo mobile posto fra l'orecchio dell' osservatore ed un' escavazione poi- Acustica applic4t4 alla clinica 11 tuonare: soffio-velaio. Fenomeno , che dipende dal- l'ineguale consistenza delle pareti dell'escavazione. CAPO IV. Esplorazione della voce. Quando un uomo sano o parla o canta, la sua voce risuona in tutto l'apparecchio respiratorio. Ri- sonanza, la quale varia nella laringe, nei grossi tronchi dei bronchi, e nel tessuto polmonare. Nella laringe e nella porzione superiore della trachea la voce massimamente risona; e nelle parti inferiori è meno sonora, e non travessa interamente lo steto- scopio. Nei grossi tronchi bronchiali si' nati nella ra- dice del polmone, se l'ascaltazione viene fatta nello spazio infra-scapolare, la risonanza della voce risul- ta forte e diftYisa. La voce non traversa lo steto- scopio, risona nell'estremità in modo da essere in- lesa più facilmente , e con maggiore chiarezza di quella, la quale naturalmente sorte nel medesimo tempo dalla bocca. Nel tessuto polmonare e nelle ultime diramazioni bronchiali la risonanza della vo- ce è quasi nulla; e solo si determina un fremito ana- logo a quello, che sente la mano applicata nel petto di un uomo che parla. Meno negli individui, i quali hanno la voce forte e grave , che in tutta la su- perficie del petto si sente una risonanza simile a quella, la quale si sente nello spazio infra-scapolare. Quando il tessuto polmonare perde in parte la naturale permeabilità , la risonanza della voce di- viene allora sensibile nei piccoli rami bronchiali , 12 Scienze ed aumenta nei grossi se l'indurimento ha sede nella radice dei polmoni, broncofonia-, nella quale il suono della voce si sente in tubi più o meno grossi. La broncofonia si determina eziandio nella di- latazione bronchiale ; cosicché dipende essenzial- mente dall' indurimento parziale del tessuto polmo- nare, e dalla dilatazione bronchiale, o infine da quesse due condizioni insieme riunite. Fenomeno, il quale può sentirsi in tutta la superficie esterna del petto; e per la prossimità dei grossi tronchi bron- chiali, e per la frequenza dell'epatizzazione dei lobi inferiori dei polmoni si sente massimamente nello spazio infrascapolare, e nelle fosse sotto-spinose del- l' omoplata ; come ancora nel cavo dell' ascella e sotto la clavicola per gl'indurimenti tubercolari , i quali spcvsso s'ingenerano nella sommità dei pol- moni. Quando una preternaturale escavazione polmo- nare comunica con i bronchi , allora la risonanza della voce nel punto coirispondente diviene eguale a quella, la quale si sente applicando lo stetosco- pio alla laringe: pettoriloquio. Fenomeno, il quale si compie nell'intera estenzione, se la voce traversa tutto il canale centrale dello stetoscopio ; altrimenti il fenomeno è imperfetto , e la voce non sorpassa la mela dell'altezza dello stetoscopio. Le condizioni indispensabili del pettoriloquio sono la completa va- cuità dell' escavazione ; l'aumentata densità del tes- suto polmonare , il quale ne costituisce le pareti : la comunicazione della cavità coi tubi bronchiali un poco voluminosi, e la sua prossimità alla super- ficie esterna. Il pettoriloquio può sospendersi per Acustica applicata alla clinica 13 un lasso di tempo più o meno lungo; come ancora diminuirsi, e interamente dileguarsi. L' egofonia è una particolare risonanza della voce, la quale si sente presso a poco nei luoghi medesimi ove si sente la broncofonia. Spesso coin- cide con essa , e dipende da condizioni organiche di natura diversa ; imperocché nel mentre che la broncofonia dipende principalmente dall'impermea- bilità del tessuto polmonare, e dalla dilatazione dei bronchi, o da queste due condizioni insieme riu- nite; r egofonia è principalmente dovuta ad un li- quido stravasato nella pleora, il quale leggermente comprime il polmone ; cosicché è la risonanza na- turale della voce nei rami bronchiali, trasmessa per r intermedio di uno strato sottile e tremolante di liquido stravasato. l,a semplice egofonia consiste in una voce tremola ed insaccata con un tuono ar- gentino; raramente s'introduce nel tubo dello ste- toscopio, e non lo traversa quasi mai completa- mente. Se vi si congiunge la broncofonia, rassomi- glia al barmagliamento nasale dei saltibanchi, che fanno parlando il famoso personaggio della scena da piazza designato con il nome di Pulcinella. Il liquido travasato , affinchè abbia ad esservi egofo- nia, deve essere in sufficente quantità ; cosicché può o esistere o mancare nella pleurite. Le cause , le quali lo sopprimono, sono il rapido e l'abbondante stravaso, le antiche adesioni, e la formazione di false membrene senza stravaso. Nello spazio compreso fra la colonna vertebrale e 1' omoplata , nel contorno dell' angolo inferiore di quesso osso , ed in una zona larga tre dita, la quale seguendo la direzione ^4 Scienze deMe eoste si dirige dal margine della scapola al capezzolo, sono i luoghi nei quali ordinaiiannente sentesi V egofonia quando V amnnalato è seduto, o è io piedi ; ed allorché è posato sul ventre non si sente che nei lati. Il pettoriloquio si distingue dall' egofonia per essere circoscritto in un determinato punto. La broncofonia si distingue dall' egofonia per essere acconnpagnata dalla respirazione bronchiale , e per essere fìssa in un determinato luogo; nel mentre che r egofonia cambia posto a seconda dei muta- menti di posizione del malato, e si unisce ad un debole suono respiratorio. CAPO V. Del rantolo. Chiamasi rantolo ogni suono preternaturale , che produce l' aria nell' ispirazione e nel!' espira- zione per causa dei liquidi più o meno densi, che deTe traversare ; o per un ristringimento dei con- dotti aerei , che deve superare. Questo romore o suono si sente meglio col soccorso del cilindro , che ad orecchio nudo. Se ne possono distinguere cinque specie ; ma la natura può offrirne un gran numero di varietà intermedie, cioè ; 1. Il rantolo crepitante umido, o crepito, 2. Il rantolo mucoso, o gorgogliamento. 3. Il rantolo sonoro secco, o russo. 4. Il rantolo sibilante secco, o sibilo. 5. Il rantolo crepitante secco a grosse bolle, o scricchiolante. Acustica applicata alla clinica 15 Il rantolo crepitante umido, o crepito^ è un suono analogo a quello, che produce il sale fatto decre- pitare in una braciera a fuoco lento , o a quello che si ottiene stropicciando una \escica secca , o stringendo fra le dita un polmone sano e pieno di aria. Si compone di una successione di eguali e piccolissime bolle, le quali pare che vadano a scop- piare alla superficie di un liquido tenue quasi quanto l'acqua. Il rantolo crepitante dipende essen- zialmente dalla penetrazione dell'aria in vescichette aeree piene di un liquido. In conseguenza si ma- nifesta nel primo grado della pneumonite, nell'ede- ma del polmone , e nell' ingorgo emottoico ; nei due ultimi casi sembra formato di bolle più gros- se, e assomiglia al rantolo mucoso, e può dirsi rantolo sub-crepitante. Jl rantolo mucoso, o gorgogliamento, è un suono analogo a quello il quale si determina nella tra- chea d'un moribondo, o a quello che si produce soffiando con un cannello nel sapone più o meno denso. Si compone di bolle variabili di numero e di volume ; ed il rantolo mucoso è grosso o tenue, raro o abbondante. L'orecchio distingue benissimo la consistenza del liquido, alla superficie del quale queste bolle vengono a rompersi. Il rantolo mu- coso si determina ogniqualvolta i bronchi sono ri- pieni di un liquido più o meno facile ad essere at- traversato dall'aria: come il sangue, il muco, ed il pus. J:ij hjjj ; e*raTlaiA(aii;ai.totilunIlvi-MJHV8flMc(iin,^J3 , tirile, tn-jN/a tiUlalo VJS|i,h>T™j,lid™ colete «IVBO ]^Kd^,,i„„ Mltì, ia, stoIb anchncum „,_3a'mH nas , PH0fl3l d. iriA^ |„h...(feii.1aih,.,fmJ,b,-)_f«"tliimi_»1»Jj1l1 Ali , t„.ii;,m. :».*. HtVflJ; prm.I,:(uhauB. laJ, i^ .;^ c«ii4]rahitiia^«>mt tX «i sacrai irplaaCi \""m) VIHW HOT» -ISIfKl.ja tjniMWmiVOthybnilaarainna (nran«r-j A J<\uW^iell.X(nó^(Kmon"biij. flhMflti TanmK. wnis<,»i«a«. riiiHt; d.«t 1 1 Q 1 0 1 ano -rol 'Jt'<) (ojnioniio ), 4lO, da Tl>'»^ . fimi IHVWO; TMtOi» (inUÓFen.c). ".""'">' tlUlAjdaneu (roto.nmto) ^-^P^^'l utvil»]o,lnbai OITllI rjmnqHB enfiai» pria^ilo il MRmoJ31,H1fiHtoJa?; BMiqJjì^ 7ajìliinni3;7elìhlTm lipì ifft Tw J.|/oe*,popiiliconeii>-.qJ'm 3nill .pTCcorCTOn* WB,'flt a^/ alle, iDkTOOidii Ulaiih» deRo toetom ab JhJudim: W^WVfcj («-ImVB, aJPWft^,;, (je>i[,iìlnis (inlratoaltfKffibiwJ 47 i^mTTmmAT'umM, Le tavole perusine dichiarate da Secondiano Cam- panari , membro della commissione ausiliare di belle arti e antichità nella provincia di Viterbo; socio della pontifìcia accademia romana d'archeo- logia; delV instituto di corrispondenza archeolo- gica', della R. ercolanese di Napoli; della socie- tà colombaria di Firenze; della 1. e R. aretina, ecc. ecc. ecc. Ocopertosi nel 1822 questo sasso scritto in etru- schi caratteri, il eh. Vermiglioli ne pubblicò nel 1 824 un fac-simile con un suo comento, che ampliò di poi nel 1833, allorché riunì in un solo corpo tutte le antiche iscrizioni perugine etrusche greche e la- line. Bella e lodala andò quell'opera, siccome le al- tre che dettò quel famoso ; la cui morte quanto danno arrecasse alla scienza archeologica e alle buo- pe lettere niuno è che non sappia; ninno che non se ne dolga ancora amarissimamente: che pochi sono invero coloro che con pari amore, quanto n' ebbe il Vermiglioli per questi gravissimi studi, li colti- vasse e favoreggiasse ad un tempo (1). (1) Questo Nestore degli archeologi, che molto ci onorava della sua particolare benevolenza, grandemente confortavaci allo studio di questa lingua; lamentando che sì pochi in Italia vi dessero opera, lui d'anni già vecchio. — 48 Letteratura L'altro non meno sapiente interprete di queste tavole fu Vincenzo Campanari mio padre; il quale nel 1827 più che un semplice comentario ne scrisse nel Giornale nrcadico di Roma (1) una versione : e comunque il Yermiglioli dissentisse grandemente da lui, sia per ciò che riguarda la lezione e lo in- terpretamento di alcune voci, sia pel soggetto od argomento delle tavole; gli è certo che convinto in parte della bontà di quella traduzione fu indotto quasi a forza a seguirla'" e a fargliene plauso. Che se ardilo parve ad altri quel modo d'interpetrare , fu pure quel lavoro una gran prova d'ingegno e di cjuella scienza profondissima ch'egli abbondante- mente possedeva in ogni manieia di lettere greche e latine. Anche il dott. Maggi dettò alcune osservazio- ni su queste tavole etrusche (2); della cui lezione si era in prima occupato gravemente il eh. Orioli, che venne di poi riprodotta dall'archeologo peru- gino nella dotta sua opera (3) in uno a quella di mio padre e all'altra da lui proposta. Il Micali ed altri pubblicarono pure nelle opere loro questa lun- ghissima delle iscrizioni etrusche ; ma contenti di averne solo adornato le loro tavole monumentali , non scrissero verbo intorno al valore di quelle tan- te parole. Se non che le lezioni, le osservazioni e i co- menti che si ebbero fin qui del sasso perugino noa (1) Fol. XXX; XXXU ; XXXf. V. anche il Giorn. dclelterali, settembre e ottobre 1848. (2) Leti, di etrusca erudizione, Firenze pag. 219,33; 243, 35. (3) ^nl. iscrizioni perugine, voi l, pag. 83. Tavole Perusine 49 bastarono a soddisfare al desiderio de'dotti; i quali dubitano ancora del contenuto in quelle tavole, ne sanno per anco decidere se un titolo mortuario sia quello; se di cose agrarie parli; se d'altro: poi che coloro, che dianzi ne scrissero, andarono divisi in troppo varie sentenze. Noi tenteremo oggi di spigolare ancora attor- no a questa selva d'ignoti e non più intesi voca- boli, per vedere se ne riesca di penetrarne il buio e giovare in alcun modo cotesti studi della debole opera nostra; unico scopo, a cui mirammo sempre, quando nel tacere che gli altri si fecero ci demmo coraggiosi alla interpretazione di queste epigrafi etru- sche (1), che disgrazia pare aver condannate a ri- manersi presso che obliate nelle schede degli anti- quari; aspettando forse che un qualche genio, quan- do che sia, calato di cielo ne abbia a dichiarare le oscure leggende. Le tavole perusine, siccome le eugubine, riguar- dano la religione. Sacrifici, epuli sacri, immolazioni di vittime, ludi, preghiere, libazioni; ecco ciò che contengono, e che praticar si doveva con prescritte cerimonie entro alcuni giorni festivi. E aggiungasi somiglianza perfetta di riti co'riti degli umbri, dei romani e de'greci. Dieci giorni continui la festa durava (TEPHNS TEIS) decem dies (VLTIIE; opr-Jj ^ festum) che di- cesi ancora APHVNA da ocnovca-, cessatio ab opere; feriae\ che tanto vale il greco vocabolo, e che al- trove con particolare aggiunto sono chiamate fu- fi) Gior. Arcai, lloma, voi LXXF]LXXHI; LXXXI, CXIX. G.A.T.XXllI. 4 50 Letteratura nebii e più prò joria mente feralia o ferine feralium (APHVNAS PElNTliNx\) da n^vBcg, eh'è luctus, ca- gionato per morte di congiunti o d'amici, quibus ius est paventare (1). Che pubbliche fossero queste ferie lo dichiarano in più modi le tavole. Intanto giova ricordare che le ferie pubbliche vel stativae erant , vel concepii- vae^ vel imperativae , vel nundinae ; che Macrobio cosi definisce: « Et sunt stativae universi populi com- munes certis et constitutis diebus ae menmbtis, et in fastis slatis observationibus annotatae. Conceptivae sunt ^ quae quoiannis a magislratibus vel sacerdoti- bus concipiuntur in dies certos vel incertos. Impe- rativae^ quas consules vel praetores prò arbitrio extra ordinem indicuut. Nundinae sunt paganorum, i. e. ru~ sticorum^ quibus conveniunt negotiis proprlis vel mer- eibus provisuri (2). Le ferie^ delle quali trattano le nostre tavole, non sono nundinae^ non stativae^ non imperativae: (1) Seguace della dottrina del Lanzi fino da'primi anni che mi applicai a questa scienza sotto la disciplina del dotto mio padre, ne segno anche oggi il sistema a dispetto delle nuove dottrine semiti- che , iapetiche o che so io , che si vanno spacciando. Su di che riporterò le parole stesse che scrivevami il Vermiglioli fino del 1840, allorché gì' inviava nn mio opuscolo sui primi popoli abitatori d'Italia. Ella ha tutto provata ecc, . . . e con tanta verità che altri certamente non fece innanzi di lei; e quell'antico grecismo, che tanto frequentemente incontriamo nelle antiche lingue d'Italia, è provato per modo che a parer mio non v'é da fare replica. Questo fu il sistema da me seguito sempre (ino dai primi anni che io mi posi a codesti miei poverissimi studi, né ho saputo abbandonarlo; perchè ad ogni tratto io ne scopriva nuove verità. — (2j Salur. I. 19. Tavole Perdsine 51 perchè né di merci né di mercatura fanno parola^ né di giorni fìssi e stabiliti ne'fasti a celebrare una festa sì fatta; né di magistrali che urgente necessitate ferias indixerint; quali in Roma inlimavansi per lo più al popolo quod lapidibus pluissel (1). Erano dun- que eonceplivae^ quelle cioè che a sacerdotibus con- cipiuìUur in dies vel certos vel incertos^ o come noi le diciamo, feste mobili. Ciò che pariicolarmenie è dichiarato da Festo: « Conceptivae Feralia festa di- eebantiir^ quae in certis diebus observabantiir {2) d: e dichiarato è pure dalle tavole stesse nel bei prin- cipio: « Tannia Laresiae fd. prò concione (et) Lau- tnius Yelthinius Sextilia nat. ferias indixerunt in de- cem dies: » versione che verrà da noi in seguito dimostrata con buone prove; siccome è dell'oHicio di ogni onesto e fedel traduttore; allorché di que- ste e delle singole voci, di che si compongono que- ste tavole, renderemo a tutti specialissimo conto. Della quale solenne e pubblica celebrazione di ferie sono inoltre documento Vepulo pubblico (CENV; xotvo'v) EPLC; publicum epuium:, e le tribù chiamale dal precone alla festa; (THVNCH VLTHE CHIEM PHVSLE ) {ad) hunc festum diem vacato trihv.s ( foldq ) (3) ; e di più la cena ( CVNV ) che vo- (i) Liv. I. 31 in. 55. (2) In V. conceptivae. (3) Non istiaoio in questo discorso preliminare, come di sopra fu detto , a dare le ragioni che ne mossero a così voltare yli etruschi vocaboli di volta in volta che li andiamo qui nominando, per non ca- )v avr'ayop>)j ^s^svoi; i. e. avT» tav nsì^uv 'f^oyuvì oti sv ayopói XpoìVTM Cf. Hom. II. B, 370 ; Od. T 127 ; ed altrove (1) Liv. l, 20. Hi {pontiftces} summam potestatem habcbant, et praecrant ornfiibus sacris publicis, privatisque. Legcs etiam de sacris [erre solebant eie. (2) Hom. Il, J, 467 (3) Feriarum festorumque dierum ratio in liberis requietem ha- bet litium et iurgiortim; in servis operum et laborum. Cic. de leg. 11^ 12. Ibid. 9. Feriis iurgia amovento, easque in fainulis, operibus pa- tratis, habento. Cf. Fest. in Ferias, Macr. Sat. I, 19. — Racconta Po- libio {Bell. Ad. I.) che annunziata appena a Roma la vittoria navale di C.Livio, bandironsì primieramente al popolo nove giorni di ferie, nelle quali tutti dimettono i lavori e sacrilicano agli dei - touto S'eor* ayo'Kcx.ì^ny navSriixsi, xai .9t/av roi^ Ssoi^. (4) II, B, 123. Tavole Perusine 67 ianos quidem legere-^ adoperò il medesimo verbo (I). Presso i romani qiium rogahatur raiione comitiorum, prima che il popolo desse il suffragio, in sortem con- iiciebatur tribus (2),e quella che prima f/e Catella sor- te exieral, dava il voto. Qui le tavole non fanno scelta di tribù, quae a sacerdote rogarentitr^ ma tutte chia- mandole insieme a raccolta (3) ferias^ per usare le? (1) Di questi |)ubblici convegni di popolo e di sacerdoti belli esempi abbiamo in latine iscrizioni e nelle tavole stesse di Gubbio; là dove (F. la Tav- FI.) si legge - Sacrificante Merlo Appii III. si- gn>ficalur Aticriis (uti) populus intersit (Lanzi Sagg, di L.E voi 111, p. 767.) e nella Tav. Ili - /'///. kal. decembr. Oppidum fubium ad- latum populo esto convenire Ateriates etc. Singolarissima b poi !a iscri/. tarijuiniese da noi pubblicala nel Giorn. Arcad. voi. LXXVll. cli'é la seguente f\'l(]^•l 10^38 2Aq?gj:4^ ^flqva che noi ora Toltiamo in que.sti latini termini Caesania Matuesia convocnvit Antistitas omnes festi (ad) libationes; seu infertus. Tralascio di riferire esempi di romani monumenti, che come assai noti possono facilmente trovarsi presso i ricoglitori di sif- fatte iscrizioni. (2) Omero fa proporre per Nestore al duce de'greci secernere viros per tribus et curias, ut curiae curiis tribus tribubus opem fe- rant — Kpiv' avSpai xara ipuXa, xacroc (pp-nrpx^ {Il B, 3tì0.) (3) La voce SLELETU potrebbe qui indicare una scelta ; lo che verrebbe pur dimostrato dalla derivazione, cioJ; dal pr. perfetto del verbo medio Xsyoiy.o!.t , fare scelta ; d'onde XsXaya , XsXoyui ecc. Ma il non vedere nella iscrizione fatto il nome delle scelte tribù mi fece preferire quella versione. Nelle leggi romane dJcevasi per figura tribui Sergiae principium fuit, cioè a dire quum rogabatur lex prima exiit tribus Sergia, ossia principium fuit tribui Sergiae quella che prima rogabatur. Nclfe nostre tavole convocandosi le tribù senza distinzione « senza ordine, nò facendosi parola in particolare di al- cuna di esse^ viene sottinteso lo scompartire che facevast tu Iribli 68 Letteratura p.irole stesse di Svetonio , che paiono tolte dalla no- stra lapida, advocata concione indicit (1). Qual verbo solenne troviamo nell'etrusco Mfl^fa-tvqAD; CAKYTEWN; uno rov y.ocpvaGco, indico^ proclamo [indixerunt] (2). Dicevano i romani calare dies^ calare populum nella significazione di indicere dies^ convocare popu^ lum (3), Quindi calatores furono chiamati qui sacerdo' tibus apparebant^ eoruìiKjue iussu ad indieendum ali- quid mitlebantur (4). I greci dissero rarrco o rwyaa rag viix-pocg^ che era quanto statilo^ indico dies (5); e rocja^ semplicemente indico (6). Usarono poi del verbo y.arjvocoi o xvipvac'ìì per chiamare il popolo a concione o convocarlo a con- cilio. Così Pindaro citato dal Vermiglioli [Isthm. IV, 43) ha /apy^ajffa, quum praeconio promulgasse^ ed Omero xvjjsyffasfv ocyoprjvds, convocare ad concilium (7); del popolo prima che ciascuna desse il suffragi o ; nel modo stesso che praticavasi da'greci , come si raccoglie dalle parole di Omero riferite qui sopra. (1) Claud. U. HAICE VTEl IN CONVENTIONID EXDEICATiS; haecce ut in concione edicatis, è nel S C. de'baccanali. (2) Negli atti degli Arvali leggiamo — Fratres arvalcs sacrifi- cium deae diae indix {erunt). (3) Cf. 51>3l3Jfl> della epigrafe tarquiniese ricordata poc' anzi che ha il suo radicale in xaXw j d'onde ebbe origine l'antico calo de'latiui. (4) Svet. Gratnm. 12. Corn. Epicadius . . . ealatorque saccrdotio augurali. — Grut. Inscr. 304, 9. Q. Caecilio Feroci Kalatori sacer- dotii Titialium Flavialium. Cf. gli atti degli Arvali — In luco deae diae piaculum factum per calatorem et publieos eius sacerdoti, quodctc. (a) Marm. Oxnn. p. 28, 32 — sip' u^gwv o(tuv w o Sjj/xoj ra^ri. (6) Dionys. Alio. IV. 49 — rafa? « Ssi vapex^i £xao-T»y woXiv fi? ra tepiioc. (7j II B, Si. Tavole Perusine 69 ed altrove xvj/ju/j; Xacv y.-rjpva^ovzzg oqzipovrwj, praecones populum praeconio congregent (1), per non recarne come potrei, altri esempi iq3jMVP;PHVSLERI è da fulrjjribus [tribuhus], MI 3+ MH83t; TEPIINS TEIS; decem dies. TEIES per dies è nelle tav. eugubine - TEK- FIAS denas da decem (TESE) nella tav. eugub. V. (2). Eraci già noto che agli offici di un sacerdote aggiungevasi pur quello d'intimare al popolo i giorni de'sacrifici, de' ludi, delle pubbliche feste quae an- nalia non erant ; cioè a dire che a differenza delle feriae slativae [statis observationibus in fasHs adnota- tae) non ricorrevano nello stesso spazio dell'anno; ma ora prima, ora poi; comunque in ciascun anno sem- pre: quali ferie o feste annuali conceptivae diceban^ tur; siccome quelle che non avevano certi e stabi- liti giorni come le stativae ; ma che a sacerdotibus concipiebantur quotannis in cerùos vel incertos dies (3). E sapevamo pure dalle tavole de'fratelli arvali, che il sacerdote Q. Licinio IVepote velato capite contra orientem ... sacrificium deae diae hoc anno erit, aveva solennemente secondo il rito annunciato al popolo, ante diem XV kal. iunias Romae: ante diem Xllf. K. iun. in luco; et domi XUI. kal. iun. consummabifur f4). (f ) // B, V. 438s Cj. Pimi. Olymp. Od. V. 19; Uih. ri, 53. (2) D'onde TEKVRIES, e nelle tav. Ialine W^^SME^' decuria- Uum. - DEVE (DEE) per die legjjesi nella lamina volsea riCerita da Lansi voi III, p. (ji6. (3) Conceptivae [feriae] sunt quae quotannis a ma^istratibus vcl sacerdotibus conciniuntur in dies certos vel etium incertos. Macrob. Satur. /. 19 ; Cf. Farr. L. L F, 3. extr. (4) Nella lav. eu{]. IV — quaestor dicit : quasouinque visum oobis [sacerdotibus] statuile dies. 70 Letteratura Ora di questa sacra ed ugual costumanza presso gli etrusci serbano chiarissima prova le tavole; le quali vedremo in seguito quanta somiglianza abbiano pure di ogni altra maniera di riti e di sacrifici co'popoli eugubini^ con quelli del Lazio e di Roma (1). Quali ferie fossero coleste che i perusini cele- bravano per dieci giorni, lo abbiamo detto nel di- scorso preliminare; cioè Ferali a ^ diis manibus sa- erata festa a ferendis epulis vel a feriendis pecudi- bus (2), che celebravansi nell'ultimo mese dell'anno, febbraio (3), in cui sacrificavasi agli dei inferni, et morluis parentabatur. Il qual mese [februarius) così fu detto con sabina voce da februo^ lustro, expio (4) ; o da februa^ che così chiamavansi sacra expiatoria o piamina con antico vocabolo da' romani. Che non fossero le ferie denicales^ che altri vol- lero così chiamate a denus^ ma che furono così dette' CVESTRE : TIE : VSAIES : VESV : VVEBIS : TITISTE : TEIES Nel trattato *li pace {Marm. Oxoìi p. 28.) fra quei di Smirne ed i magnesi i giorni stabiliti ad sacras epulas furono cinque. 11 preletto dell'erario doveva somministrare commeatum in tot dies quanti il popolo ne avesse stabilito de prrwentibus urbis. L'invito peraltro al sacro epulo si fece al popolo da'sacerdoti KaKso-atua^av Se 0» Ejri/>t'»JVoi Tr)f (3ouX'/)5 , xai Touq jrpstrjSEUTa? Tot/J ita.pocysyo^vQU^ sy Wa-yvijo-iaf , sttì ^svicr^ov su; to TìpuToiVsiov. (1) DEVE DECLVNE STATOM leggiamo al principio della lami- na volsca nominata qui innanzi : il qual participio statum appella senz'altro a feriae stativac certis et constitutis diebus et mensibus, sic- come le definisce Macrobio {loc. cit.) (2) Farr. L. L. V. 3. (3) Plut. quacst. rom. XIX — sv u xaSap/xoi? ts y^puìvrat , xai Toi? (pSi^tvoi? svuyil^ovcn Too svsavTou TsXsvravToi- Cf- Ovid. Fast. II, 52. Qui sacer. est imis manibus, imus erat. (4) Ovid. Fast. II. 19. seq. Tavole Perusine 71 da' romaai a denico , o secondo Cicerone a ncce , quia residentur morluis (I), o quia morluis feria- hantur^ provasi da questo che iriduanac crani ime feriae^ et privatae (2), al dire di Tullio stesso-, cioè propriae singulorum , siccome le parentalia (3). E noi vedremo in seguito continuando i nostri studi nella interpretazione di queste tavole , che pubbli- che al contrario erano queste di che qui andiamo parlando, e non meno delle pubbliche con fasto e grandi apparecchi celebrate. Imperciocché /"erme erant cum feslo^ come le saturnali quibus epulaliones ad- iungebantur (4) , e ludi aki-esi e sacrifici agli dei ; e perchè couceptivae: quali ferie erano sempre pub- Miche nella guisa stessa che pubbliche erano feriae Latinae^ Paganalia^ Compitalin ed altre siflfatte cou- ceptivae tutte, o mobili che vogliano dirsi. Perchè ognun vede quanto bene siano nelle nostre tavole espresse col proprio vocabolo APHVNA ^uno'jKx]; che altro nóri vuol dire se non vncatio a laboribus., che feriae sono esse stesse dics cessai ionnin ab opere. (i) Residere est feriari ; a quiete feriarum ducto voca'ulo. Cf. IHut. Capt. ae. IH. se I, 8. (2) Loc cit. Eas ferias [detncales] in eos dies conferve ius ut ne ipsius^ neque publicae feriae sint -. totaque huius iuris ccmpos'tio pontificalis magnam religionem caerimoniamque declarat. Al qual \uo- f[o di Cicerone così il Wyttenbach. Ut hae fariae neque sint ipsus, id est unius (privatae) familiae, netue publicae; quia non publice pa- tentabalur, sed privatim, ab unaquaque familia. Cf Gesner. ad Cut. R. B. 13S. denicalcs feriae familiae cuique suae et propriae erant. (3) Privatae feriae vocantur sacrornm propriorum, velut dies natalis , et operationes denicales. Fest. — Cf. Geli. XFI, 4. Ma- crob. I. 19. (4) Festis insunt sacrificia., epulie, ludi, feriae. Sacra celebritas 72 Letteratura 53M^fl9'; RASNES; da ps^w , facio ; sacnim o piaculum facio [piacidum facturi) ; cioè Tannia fi- glia di Laresia e Lautnio Veltiuio nato di Sestilia , il quale chiameremo noi il praefectum sacrorum^ avendo tanta parte in queste pubbliche e sacre funzio- ni. Spesso Omero fece uso del verbo osC« nella prò. pria sua significazione di sacruni facio^ sacrifico ecc. e noi volentieri ci gioviamo di così solenne testimo- nianza che tanto raccomanda questa nostra versione ai dotti e cortesi nostri lettori. Così nel I" delie Ilìade: H's ffy, Urikzi^fì, nTnrjrj tvjnccfkoTax' av5j5o;, anes ecc., poi che il ^po, finale k precisamente il per de' latin, {rrpo^ ^ou Aio,- per lovem) e non è che una metatesi dello stes- so ff^of. W R. R. IH, 1.1, s. 74 Letteratura cumfluxit cos cervorum^ aprorum et caeterorum qua- drupedum mulLiludo^ ut non minus formosum (Axio) visum sii spectacidum^ quam in circo maxima aedi' lium sine africanis bestiis^ quum fìunt venationes. Che poi i cinghiali fossero immolali ev a/rov^vj re •/.oci cnlay^oicc'-, iìiter libationem et sacrifieia, lo attestai Ateneo (1), e lo attestano le tav. eugubine, che sif- fatti animali chiamano 8Vsff a Marte nelle tavole di Gubbio [3). MAqVÓ TIIVRAS; sacras, ipag, tspxc: la 0 essendo^ epitetica, come in 3>35 1 A+UVO; in A MAO; in IVO; come nel greco 3m7. per up-c/.; e via dicendo. Le tav. eug. hanno TERA, ERA, «aera; altrove HERIE, sacer^ ed anche V<]AIJ<13i^?ir ha Tacito (6): casiis adolet dum altaria laedis^ Virgilio (7). JVDa^ ^J^^JVlM; MVLML ESGVL rendiamo men- sis cscariis (8). Escariae mensae, secondo Festo, qua- (1) Omero chiama ugualmente sapri gli altari ( ispoug pa^ou^ ) su cui facevano agli immortali perfectas hecatombas. (2) Jp. Macreb. Sat. Ili, 4 — Farro divinarum lib. V dirit aras primum asas et ansas dictas . . . commuta'ione ergo Utterarum aras dici ceptas, ut Falesios et Fusios dictos prius , nunc Valerios et Furios dici. (3) Farr. L. L. Fi. — ^ra, così Jelta ab ansa o asa, in qua sup- plicabatur aut litabatur,inferis diis statuebalur. Ov. Mctam. Ftl,2i3. (4) ITupxooi erano chiamati gli indovini ignispici (Cf- Ilesych. v. Hupxooi ; Apol. Soph. V- Quocrxoo^) usi a congetturare il futuro dalle fiamme de'sacrifici. (3) Serv. ad Aen. I. 704. (fi) Hist III. 23. (7) Aen. FU, 71. (8) Le mense slavano ne'lempU o ne' luoghi sacri, dove si fa- cevano sacri conviti. Paus. iX, cap. XL. 76 Letteratura dralae vocanlur, quihus homines epulahnntur [i). E gli epuli tutti sanno essere pubblici conviti che celebra- vansi a causa di relifjione sia ne'funerali (2), sia ne* trionfi, sia nella dedicazione de'templi (3). Perchè leggiamo in Livio: Ludi funebres per triduum faeùi^ post ludos epulu'in (4). E presso Svetonio: Adiecit epu- lum et viscerationein (5); altro epulo che facevasi ex visceribus seu carnibus immolatisi e distribuivasi a coloro che intervenivano a'sacrifici (6). he tav. eugubine hanno V<]A:tM3lA1, mensarum^ e 3N;tM3H1, mensae. Ma qui nelle tav. di Gubbio mensa sta per ara^ come denota chiaramente l'aggiunto di snero dato a quelle mense (V<]fl| 2<]3d): e sapevamo già da Festo che mensae in aedibus sacris ararum vicem ohtinebant (7) : le quali chiamavansi con proprio vocabolo anclabres (8), quae in sacrificiis diis adda- (1) In escariae — Cf- Farr. L. L. IV, 23. — Queste mense sono da Dionisio Allear, chiamate «pp^aixai; il quale discorrendo ia semplJ cita de'roraani ne'primi secoli, dice di aver visto egli stesso quelle che imijandivansi agli dei, che erano di legno rozzamente lavorato. Che poi l'ossero queste mense a quattro piedi, è chiaro dalla voce rpaTTs^act , quasi rjTpaffi^ai con che vennero dette. Solevano però farsi ancora a tre piedi, chiamate tripodes (2) Poi che ci saremo saziati del triste lutto, dice Achille a'suoi mirmidoni ( Ilom. Il \}< 10 ), ceneremo qui tutti SopTT-na-oiJjy evSaSs (3) E. Q. Visconti, Mon. Gabini Part. III. Op. far. voi. II. 101 (4) Lib. XXXIX, àò. Le romane iscrizioni ne fanno spesso ricordanza. (o) Caes- 38( (6) Virg. Aen. VII, 180 ; Cf. Marita Fratr. Arval. p. 21. (7) V. mensae — Cf. Fest. v. Curiaks — Virg. Aen. II, 7(j4. — Macr. Sat. Ili, 7. (8) Fest. in escariae. Tavole Perusine 77 ratdur. Le nostre mense al contrario sono da han- chelto o convito , conoe ne dichiara apertamente la qualità e la essenza l'ejDitelo ESCVL. IDV^; XVCl è da ay?, sus [suculos) (1). Scri- veva Varrone: Suillum peeus donaium ab natura di- cunt ad epulandum (2). Ma quando abbandonali dalla madre e non più lattanti dopo il decimo giorno o quinto dal parto stimavansi purì^ allora si chiama- vano sacri., perchè atti al sacrifìcio: « Quitm depulsi a mamma., a quibusdam deliei appellanlur., neque iam lactentes dicuntur^ qui a partii decimo die habentur puri (3), et ab eo appellantur ab antiquis sacres, quod lum ad sacri ficium idonei dicuntur prinium (4). E che SMS, vg, fosse detto da'greci in più antico tempo Bug da Bvciv, sacrificare agli dei., fu sentenza dello stesso Varrone (5). Perchè coloro che non fecero esequie a'ioro defunti, o nel farle in alcun modo peccarono, iis porca contrahebatur , che in pena dovevano a Cerere immolarla in ogni anno (6). Imperciocché a (d) Nelle tav. eug. SIM ; SI, SIPiI PHELIYPH; et ipsis terga bovis piìiguis apposuit (2), ed altrove in più luoghi che sarìa lungo ripetere. AnVDMJlO; THILSCVNA; tolte le ridondan- ti lettere riducesi a tesqua-, antico vocabolo ricor- dato da Fe.Hto, che vale loca aiiguriis destinata (3). Qui impariamo dunque che Vepulo doveva celebrarsi nel luogo stesso dove Iraevansi gli augurii. Ma qual luogo era mai questo, in cui volenti e propizi speri- mentavansi gl'iddii? Gli era un 5ace//o, rispondiamo con Cicerone, là dove per costume antichissimo so- levano accattarsi gli augurii, siccome egli narra (4). Giovi qui riferire le sue parole stesse che servono meravigliosamente d'illustrazione a questo importante (1) Verbo proprio delle mense, come sappiamo da Servio [Ad Aen- I, 220); e dicasi allrettanlo del gr. Sew , e del med. napxri^siAon - (2) Od. A, V. 65.— Cr- Ptnd. Pyth. Od. Ili, 68. (3) In Tesqua. — Tesqua, ait Verrixis, esse loca auguriis designata. Opilius Aurei, loca consecrata ad augurandum. Libri autem ponlific. docenl , sancta esse loca undique sepia. In his enim scriptum est : templumque, sedemque, tescitmque, sive dea, sivc dcae dedicaverit, ubi eos accipias volentes propitiosgue. (4) Sacellum a .sacro; e propriamente luogo sacro chiuso all'in- torno da muro e senza tetto ; ossia brolo {Liv. X, 23). I greci lo dissero ispov TTspi^oXov, su di che veggasi Pausania ; dove trovo che ne' sacrari appunto slavano le mense piene di carni e di focacce per i sacri conviti — vao? Ss oux toriv avrà ^■ni^.o^ia nsTTOiri^svo^. aXXcc ■/iocroc ETo? sJcacTTOV 0 upuf^svoi sv oixvj|xaT( [in sacrario) t^st To (TX-nrrTpov y.a.1 ot Soffia» ava Tracrav vì[Jispav Suovrai , x«( Tpairs^x imcpaxsnai ttuvvo- icmuv xpsiiv XXI zrt/z^aTfciv irXYipfii. Tavole Perusiise 81 luogo del nostro classico monumento. » L. Flaccum^ così egli, flaminem martialem ego audivi quum di- ceret^ Caeciliam Melelli^ quum vellet sororis suae fi- liam in mutrimonium collocare, exisse in quoddam sacellum ominis capiendi causa . quod fieri more ve- terum solebat. Quum virgo starei, et Caecilia in sella sederei^ ncque diu ulla vox extitisset^ puellam defa- tigatam petiisse a matertera, ut sibi coneederet paul- lispcr^ ut in eius sella requiesceret; illam autem di- xisse: Fero, mea puella, tibi concedo sedes meas. Quod omen res eonsecuta est. Ipsa enim brevi mortua est; virgo autem nupsit, cui Caeciliae nupta fuerat (1). Dal quale racconto si raccoglie: 1". che i sacelli fre- quenlavansi per aver segni ed auguri delle future cose : 2". che erano questi suburbani : poi che ex- cundum erat in haec sacella ominis capiendi cau- Jia (2) , DJ13 Vn33- CENV EPLC; è xcjvsv [publicum) epulum. Nel trattato di pace tra i magnesi e gli smir- nei rammentato dinanzi si legge » §5rw ij.c3o^tov Koc^hvog 0 Tociiia; to zv. zou KOINOY; praebeto com- meatum Callinus aerarii praefectus ex publico (3). Del resto l'epulo funebre era ^zinvov tcov TispjovTwv [ì.z- xa. Tcv oijio^^i''iovora, e come coena da wvjcg communisj H) De Divinai. I, 46. (2) Qui tescadixit, non erravit (Varr. L. L. VI, 2.) ncque ideo quod sancta, sed quod ibi mysteria fiunt, ac iucntur tuesca dieta, poslea tesca — E il poeta Ostia citalo da Feste (Belli Istrici lib. I.) Per gentes alte actherias et tesca volabis, Tempia antiqua deùm. (3) Marm. Oxon. p. 28. — ^|IVHltlV>l '« epigr. osca pr. Guarirli è populus aito tou xoivov subst. vel tu xoiva , respublica. (Lexicon osco — lat. Neap. i842,( G.A.T.CXXllI. 6 82 Letteratura così Y.o'.vsv epulum dicevasi a significare propriamente epulationem muUorum simul vescenlium (1) . 90JV ÌHVO; THVNCH VLTIIE; traciuciamo hune f estimi diem. Della 0 aspirazione in luogo di 0 abbiamo di sopra parlato e potremmo addurne altri esempi; se qui non si -volesse questo prenome scritto doricamente. 3+HV0 , HVNTE ; e V+WV , VMTV hanno le tav. eugubine ; hunc; hoc; che nelle latine é TOGO. La voce VRTAS ricorre anch' essa nelle tavole suddette (2) (IMQV) ed anche U^inv^ U-\ Saboniae , che troviamo pure in queste tavole : diminutivi simili al MATVSNASCLARVM delle grotte tarquiniesi e al LAVTNESCLE della torre di s. Manno, che nelle traduzioni gli antichi non tenevano a calcolo, rendendo semplicemente i nomi primitivi senza variazioni o vezzeggiativi di sorta. (2) Si ricordi l'affinità della lett. L con R, e il nottro VLTHE sarà quanto TVRTE delle tav. di Gubbio. Tutti sanno che gli an- tichi dicevano Falcsii per Falern, Eemuria e Lemuria ecc., siccome i greci ffoSoXyja e iroSapyia; a/x?pyw ed ajj.sXyu eie. (3) Lib. l, 147, //, 47, 48 — t« Se ùnomau tjjj o/jthj tjj 5op?n*). Tavole Perusine 83 detto ab uUitudine (1). Anche i latini ebbero in co- stume di trasferire i vocaboli in quandam rem ex alia che per similitudine pareva potersi ben trasla- tare ; ciò che chiamavano metafora ; e Velleio (2) deducta translatione a sole^ che quanto è più alto tanto più illumina la terra, diceva : lUe dies virtu- iem Catonis^ iam in muUis rebus conspicuam atque praenilenlem^ altissime illuminavit. PHALAS, alia voce è quanto canora^ pleniore^ perchè da tutti po- tesse essere udita (3) . ma 14.; ClIIEM da ciò ^ eleo ^ i. q. voeo ^ ad- VOGO con ridondante M finale posta qui per eufonia, come a modo di esempio nel fl|Vl per HA IVI di una iscrizione tarquiniese; di che scriveremo altra volta (4) ; nel POPLOAI per POPLO ( popalo ) delle tav. eujjub.; nel signum cum basini [basi) della tav. eracl. , e così dicasi ancora del sub eadem condi- cioncìu per condicione ; ad queni per atque che tro- vansi nelle latine iscrizioni. Ciere^ così Festo, nomi- nare^ vacare. Quindi Virgilio: Magna supremum vo- ce cicmus (5) ; ch'è appunto il PHALAS GIIIEM del- le nostre tavole. Accensi (ab acciendo^ h. e. vocando) erano da- (1) Fest. Falae dictae ab altitudine, a [alando vel a falanlo, quod apud ctruscos signi ficai cocluin. (2) Lib. II, 33. (3) Ilaec fatus alta voce ha Seneca {Troad. 196). Catullo (XLII. 18.) Conclamate iterum altiore voce. Omero (li. E, 413) fjiccxpov au(Ta,q alta voce clamans. Pindaro (Ohjmp. IX; t64) opSiov upvirai 9a(j(7ewy,- alte vocilcrare audactcr. Cf. Nem. Od. X, 143. (4) Veggasi iiilniito ciò che ne dicemmo nel Giorn. Arcad. voi. CXIX, e la nostra interpretazione di quella epigrafe. (5) Aen. IV, 67. — CI Flac IV, 549 ; ///, loS. 84 Letteratura gli antichi nominati i pubblici ministri di quei ma- gistrati, (jiti vocalionis ius habebant. Accensi erat mu- nus vacare populum ad concìonem, dice Varrone (1); il quale ci ha trasmesso anche la formola con cui da costoro chiamavasi il popolo a concilio con sif- fatte parole: C. Calpurnius dicil: Voca ad concionem omnes quirites Ime ad me. Accensus dicit : Omnes quirites^ ite ad concionem Ime ad iudiecs ( h. e. ad consules) . Gli accensi dunque erano quanto i cala- tores o praeeones ( che non intendiamo qui di far parola di quelli che col medesimo nome avevano ordine e grado nella milizia), ossia coloro, che come a'magistratì, così sacerdotibus apparebont. e al loro comando invitavano il popolo a concione, a sacrifìci ed a feste. Quare liic accenso., segue Varrone , illic praeconi dicit ? haec est causa : in aliquot rebus idem^f ut praeco , accensus acciebat (2). Le nostre tavole danno questo officio di chiamare le tribù alla festa A FELICE DI lartia; e dal verbo CIIIEM, che ve- diamo qui adoperato, argomentiamo che siffatti ban- ditori fossero dagli etrusci, siccome lo erano da' ro- mani, appellati accensi. 3J2V8; PHVSLE è tribus da fuXvj ; come di- cemmo altra volta. 3lfl DflOHIH ; HINTHAC APE ; post haec da cvTog hic ; hisce peractis ; zni raurot? , posposta la preposizione APE (zm) ad HINTHAC, /mecce, come nel TOGO PVSTRA post hoc delle T. E. dove tro- (1) L. L. V, 3, ti 9. (2) C{. Cic. de Leg. li, 24. Beliqua sunl in more : funus ut indiratur , si quid Indurum ; dominusq e funeris utatur acccnso. Tavole Perusine 85 •viamo ancora >IRVMV®, ìiaecce\ ed 5VMV®, hoc-^ e con variata aspirazione ^^VHVg e 2^"^hV1: pronomi tutti che ugualmente derivano da que' greci surcg , GTJXTi^ che di sopra abbiamo detto. -l-^JDIMVi^^ ; MVNICLET {vox hyhnda) a mw nìa ( mimerà ) e xhtzcg o yJvro; , clarus , inclytus (muneribus vel honoribus praestans (1), e si riferisce a Veltinio^ che da noi fu chiamato sacrorum prae- fectus. I ministri del culto presso gli antichi non erano diversi dagli altri ordini di cittadini ; ma si bene quegli stessi che offici sacri e civili esercita- vano a un tempo (2). Sceglievansi costoro presso che sempre fra i cittadmi o vuoi per eminente dignità o vuoi per onori i più illustri e cospicui (3) , che Cicerone chiamava honoraios viros , quelli cioè qui honores gesserunt (4); ossia maxima reipublìcae imi- nera-, come a dire la pretura, il consolato, la cen- sura. Di questi era Veltinio, a cui le tavole danno l'onorevole epiteto di MVNICLET, ossia, secondo che noi pensiamo, honoribus praestans; nella stessa guisa che una greca lapida (5) ricorda certo T. FI. One- simo Paterniano Nswzsiosv Twy [Xcyoclcùv ©écoy ^eiJ.Eauv^ (1) Clytum , gloriam. Fcst. v clytum. Jp. tìom. Idomencus hasta — inclytus ISoi^svivi SouptxXuTo? (11. N. 476.) (2) Cic. prò dom. sua init. (3) In antiche iscrizioni abbiamo Pompeius Rusonianus Cos. XV. vir. sacris faciundis (Visconti, Miis. Gab. P. Ili, p. 134) Q. Pompei... Falconi Sosio ... Ponti f. Salio Quaest. K... Decur Sevir. Municipi... (ibid.), per lacere di altri esempi (4) De Leg. II, 24. — In altra iscriz. gabina si ha di T. Flavio Crescente, che omncs honores municipii N. delatos sibi sincera fide gessiti cioè pubblica munera {Visconti l. e. p. 140). Cf. Cic. Verr.T,ii Sull. 29, extr. Brut. 68. — (3) MarmoT. oxon. inscripi. graec p. 52. 86 Letteratura I;r;:ap/!5V , Tpaia/xa roipuXaxa :, Upurocviv ■npurov, AyopocV!}- [xov , Tx(jAa\> zYjg nolta; , KAI TA2 A0inA2 APXA2 «MAOTEIMQZ EK TEAE2ANTA. Questa medesima voce 03J>IMVIa1; MVNI- CLETII apparve ancora in altra iscrizione tarqui- niese, che il Lanzi voltò nel greco [J.ovoy.lsrcg (1) ; ma che a noi pare una cosa stessa col MVNICLE- TH delle tavole perusìne. V^AkU ; MASV, i. q. MARY , mares; da mas maris^ o maris maris^ voce osca (2) ; poi che la R spesso tramutavasi in S e viceversa ; e dicevasi /"oe- desum foederum ; plusima plurima ; asena arena ; lases per lares ecc. (3) , e gli etrusci stessi dissero (\IR^ per Zara, AMI 21Pn per Papiria'^ e nelle T. E. S5Nfl>J"13<]+ ^5<]^:1IY1, che in quelle latine si rendo- no POST VERIR TREBLANIR. Allorché nel 18/i0 pubblicammo uno specchio vulcente rappresentante il risorgimento di Adone (4); là dove con Venere, Adone e la Luna era un Genio portante il nome di inPim, MARIS; noi deducen- dolo da maris maris (poi che i nomi degli dei, dei geni e degli eroi, che figurati sono in cotesti spec- chi, si videro sempre scritti nel caso retto), dicemmo valere il maschio, il forte^ il Genio della Forza. Im- perciocché mas o maris proviene da Mars che for- tem apud oscos significavit (5) . Qui dalla voce MASV o MARV, che per l'affinità di queste due let- (1) Fol. IL pag 463. (2) Scalig. de caus L. L. e 79. (3) F. Quint. I. O. lib. I, e 4 ; Cf- Fcst. in R per S. (4) Giorn. Arcad. voi. LXXXf'- (3) Scalig. l. c. — Cic. de Nat- Deor. li, 26. Tavole Perusine 87 tere S ed R sono una cosa medesima ; cioè mares ; apprendiamo che i xii naper [apri] quibus immo^ landis Velthinius et Tannia piaeulum facturi erant, in parte erano maschi, in parte femmine; e forse fem- mine e maschi per giusta metà: perchè gU stessi dei degU etrusci, che duodecim erant consentes^ divide- vansi in altrettante femmine e in altrettanti maschi, come Ennio racconta (1). E come NAPER valeva tanto aper che apra (2)-, così, volendosi sacrificare i maschi, era mestieri dichiararlo con nome appellati- vo, come nelle tavole si legge (3). Anche i latini scrissero aper^ come già dicemmo, per dire sia del maschio sia della femmina; e Varrone osservava: Ne- que tamen ideo feminino genere effertur, quod qui- dam putant^ qui ap. Phoedr. legunt aprtim insidio- sani contila consensum librorum^ qui insidiosum ha- hent^ licet de femina sermo sit (4). Perchè Virgilio (5) non liipas disse, ma lupos catulos hahentes\ e Pli- nio (6) delphini pariunt ealulos; nel modo medesimo che ovis masculìno genere dixerunt^ ut ovibus duo- bus, non duabus (7). (1) Ap. yipul. de Beo Sncr.-^ Capell. I, 15: (2) Dissero i Ialini anche apra, ae {Prisc. fi, p. 698. Putsch): comunemente aper, il cingliiale sì nriaschio e sì femmina. (3) Jp. Fest. in opima - Terlia spolia lano Quirino agnum marcm caedito - è f'rammenlo di antica le{>ge. — Hom. II. H, v. 313 - Boov ispsuasv .... Aya/ASf/.vwv .... «po-sva Kpuviwvoi - bovcm saerificavit .... Agamemnon... marem Salurnio- Ed altrove (ij/, 147.): Quinquaginta insuper masculos ibidem oves sacrificalurum. UcVTrjxovTa $ svop^a. irctp' aoroSi ^>i'/)V ispst/aeiv. (4) L. L VII, 24. (5) Aen. Il, 3S«. (6) // N. IX. 8, 7. (7) Fest. in ovem. Et in Recto - in libris pontificalibus (regneìi. 88 Letteratura J^tDMflq^ ; SRANCXL; crediamo che meno ima metatesi e nuovi idiotismi, di che è caricata questai voce, sia ella la stessa che 23H^AÌ , sacrificaturuSy di cui parlammo qui sopra. Di no, THII, apponito^ abbiamo pure parlato, ed è inutile ripetere ciò che allra volta si è detto. l+^slfl8 ; PHALSTI è da 9aTcog partic. di ©aw, caedo^ macto [maclandos]^ o da ow.itcò per trasposi- zione di lettere, come in nesi per sme, usato sempre da Omero parlando di vittime scannate ed offerte in sacrificio (1), da ff^ayvj, iuguluni^ strozza: verbo anch'esso sacronim y.ur iv'frip.iGp.ov-> come nota Ser- vio (2); perchè della voce caedes ne'sacrifici, sicco- me di mal'augurio, doveva ognuno astenersi (3). +V H -, HVT è per noi quatuor. Questo numero degli etrusci fu da noi visto altra volta in due dadij di cui si die un cenno nel Bulletlino delV inslUulo di corrispondenza archeologica^ dove in etrusche let- tere erano segnati i numeri seguenti dal 1 al 6; cioè flS— 1>— OV0— JflP-VO-4'flM ter dici hic ovis - Cf- Varr. L. L. IV, 19. wi mari. Erodoto in Eut. adopera «1 in mascolino, siccome Aristotele [lib. IV. de nat An 4.) aiyt tfuatraivTi ro fftip. (t) /<. ^, 439 - Avrocp eìTst p eu'^avro .... Ao ipiicav [/.sv nfUTCt, V.M s(7(^a,^oi.v , xm sSsipav. Cf. II. B, 422 ; 4/, 31 - fì, 621 - U, xm ... oiv upyucfov . . . 2(fia^. - dixit, et ovem candidaci mactavit. (2) Mn. IV, 57. (3) DEIVAST CARNEIS caedito carnes è nel br. lucano edito del Guarini {In Comment. suum V excursus criticus, Neap, 1841) dove trattasi de re maccUaria, e dove nella voce DEI VAST appa- risce manifestamente il FAF^STI delle nostre tavole. Tavole Perusine 89 che noi spiegammo; Mtoc'-, uno\ Ay, due (1), XAL tre (?), IIVTII quattro; poi che l'H equivale in alcuni casi al C ed al Q che gli etrusci non avevano (1) ; CI cinque^ per la ragione stessa che C equivale talvolta a Q C^) 5 S^ 1 *^* i^)' Q"' '^ tavole ci dicono che dei NAPER maschi cbe erano a sacrificarsi, quatuov prosecti profanandi o pollucendi erant; messi cioè a brani dovevano offerirsi in sacrificio; ciò che resta ben chiaro dal verbo che segue, ed esso pure sa- croruni verbum. Z^3M^1 ; PENEXS, che spieghiamo proseccUo. Festo alla voce penis così dice: Penem antiqui co- dam vocabant , a qua anliquitate etiamnum offa porcina ciim cauda in coenis puris offa penila voca- tur : dictum est forsitan a pendendo. Pendo valeva anticamente fendere, tagliare, dividere in parti. Nelle tavole degli arvali (5j: Earuni arborum eruendarum^ ferr. pendendarum, adolendarum etc.^ cioè ferro bi- penni findendarum: poi che penna era la scure, co- me sappiamo da Isidoro (6): Securis apud veteres penna voeabatur, utraque autem parte habens aciem., bipennis., quasi duas pennas habens. Sia dunque che dall'antico penis e da pendo , tagliare; sia che óa penna, scure, con che mettevan- si in pezzi le vittime da sacrificarsi; pare a noi che (1) Nelle T. E. abbiamo AUVI- e 23:)V-i- dua, duo. (2) VY<]3:i>l f- pure nella T. E. (3) Un Quintus, a + HJVD , è nella iscriz. bilingue di Cbiau- ciano — Nelle tav. di Gubbio VVi^ìV>l (4) Con poco differenza dal ^ 2 volsco {Guarini, Lexicon osco lai.) SEVEIR è nelle T. E. in caraUeri latini. (8) Marini num. 43. (6) Orig. XIX, 19. 90 Letteratura l'etrusco PENEXS abbia a dedursi di colà, e che valga il latino proseco^ in cui l'abbiamo voltato (1). Imperciocché proseco est cuin victima maetata, et foco imposita^ partem eius, poslquam coda esset^ se- cabant, et arae imponebant^ adolebanique; partem ve- scebantur qui sacrificio intererant (2). Ricorre nelle T. E. più volte la voce PESNIMV e PEPiSNIMV, della quale addusse il Lanzi più eti- mologie; siccome da mvx, perìia; o da pesnis^ caudaj onde sia la parte^ come egli dice, offerta nel sacri- ficio de'greei, e forse significò del tutto i due quarti 2iosteriori della vittima. E segue: « Pare anche nome » di oblazione diversa dal ferctum., e preso o dal >» precipuo dono quasi pcrsnimen , o da npcxjVEfioj n distribuo\ perchè non si ardesse tutta come il ferto'^ » ma post prosecta se ne distribuisse agli astanti ». Chi amasse sapere maggiori cose intorno le etimo- logie e significazioni di questi vocaboli, consulti l'o- pera di quel dottissimo fra gli interpreti delle an- tiche lingue italiche, alla quale rimandiamo volen- tieri i nostri lettori; contenti noi del poco, ma che ci sembra bastare, che ne abbiamo qui detto. flniM3fl; ACNIiNA; a^m'yìa è quanto carne agni- na ; come vitulina , porcina ; caro vituli , porci ec. Così Plauto (3): Rogito pisces^ indicant caros., agni- nam caram^ caram bubulam (4).: Diceva Cicerone: (1) Il prosecare è spesso ordinalo nelle T. E. col verbo PRO- SESETiR, quasi profeclire. (2) Ovid. Mei. Yll, iS2—Stat. TItcb. F, 641.— Licin. Macr. ap. Non. Ili, 179 — Gut. de iure ponlif. F- 2. (3) kul. Il, 8. \. [^) Quinili agnint dupla dicevasi da'latini quella carne di Tavole Perusine 91 Hostia maxima paventare pietati esse adiunetum (1): ed intendeva ex genere ovili , come riferisce Paolo epitomatore di Festo (2); poiché victimas de niaiori' bus animalibus; hostias de minoribus dici (3); e la ostia massima era sempre ovilli pecoris (4). J3J^; CLEL da xXeco, celebro, solemne habeo [cele- brato] (5). flUVgfl; dicenamo essere da ocnovioc, ferias. flinU q^J; LER XINIA; zg ^cw«y , ad sacras epulas. Non tengo ragione della L prosthetica , né della R cangiata nella sua affine S; di che abbiamo sopra parlato. Non scrivendo noi qui regole di gram- matica, ma invece a'soli dotti e pratici in questi an- tichi linguaggi, non crediamo intrattenerne ad ogni volta i nostri lettori. Eì^coì pertanto, o ^svicr/ac;, sono sacrae epulae^ comunque xenia o ^syja valgano pro- priamente mense ospitali^ d'onde la voce fu traspor- tata al sacro epiilo (6). Così ^zoc,svicx. si dissero sacra agnello, qui duplam agni aetatem habehat {Plaut. Capt. IV, 2, 39) (la vendersi a vilissimo prezzo. (1) De Lcg. Il, 22. (2) In maxima hostia (3) Seal, ad Fest. l. sup. adlat Cf- Franto de differentiis vaca- hulor. II, p. 482. (4) Le ostie dovevano essere carpare intcgrae et decorae; perchè Cicerone {de Leg.l.c.]: Quaeque cuique divo decorae grataeque sunt liostiae, providento. (3) Ilom. Il Q, V. 202 — Celebrare festum, ferias etc, era proprio de'latini ugualmente. Cf- Pind. Isth. F, 34. (6) Il A, 778 ,• Od E, 9. - »v« toi jixp ^sivia Sstu ; ut tibi hospi- ialia apponam. Cf. Od. T,v. 490, et A, 33. — Gli antichi credevano sacra la mensa, quia cius camtnunione hospitalitas et amicitia, quac fraestanlissinia hominibus o Beo data sunt, conciliantur. V Scoi, ad Lycophr. 132 , sega. luvcn. II, 110 — Perciò i lacedemoni, se- condo che narra Plutarco nella vita di Licnrgo^ appellavano qua' pubblici con vili Fiditia, percUl' producevano amistà e cordiale be- 02 Letteratura quae fiebant in omnium deorum honorem-^ e per re- care in mezzo esempi che più si avvicinino al par- lare della nostra tavola , ci gioveremo del trattato di alleanza da noi più volte ricordalo pr. Roberts (1) fra que'di Magnesia e que'di Smirne, dove si legge: Y.xl'.ay.r:ù(ja-J Ss oi Eru^J/rì^jot vri; /3cu>.v3? ym rag Trpsff- (tzinc/.g Tovg 7:apxyivoiJ.ivovg zy Ma7V>3J«ag Eni EENI2- MON sjg zo Uovxavziov E in un decreto del senato ateniese; v.oi.l-Jxt ìi xoci EHI 2ENIA isv moV^oc napoc xo liiiSooVJcov ^ot.ai\iog tq xo TìpvxavBto'j tg oojptov (2): » vo- celar vero et ad xenia qui venit a sidoniorum rege in prytaneum in crastino die. k'i^^+Mi^ INTKM con uguale terminazione come io CIIIEM, è da taxr^u.1, statuito (3) . TIE (dicit) è nelle T. E. , il qual verbo dico vale anche statuo ugualmente che Tsy. Da TIE pertanto e dalla pre- posizione £v, in (indico) può ancora, se vuoisi, de- rivare r etrusco INTEM-, il cui radicale è sempre llxrj'M. q^l^fl; AMER; YìP-^pocg; dies [U). nivoplienza. Savia corrisponJea ancora a lautìa da romani, che secon- do Feste era epularum magnificentia : sebbene ^sviao lautia fossero pli epuli propriamente che hospilii causa davansi in pubblico ai legati delle estere nazioni amiche ed alleate, e i donativi altresì di che venivano presentati da' questori di Roma (Plui. Quest. rom. num. XLIII — Foss. v. fsua): pel quale costume furono poscia i due vocaboli tradotti ai pubblici convili. (1) Marm. oxon. inscript, graec p. 28. (2) ma. p. 22. (3) Omero disse xpnr^pa^ (TTn?. (3) Ibid. 337. Cf Od. X 216. 94 Letteratura priamente alle ostie da-sacrificarsi, e adoperavasi ag- giunto al nome della vittima , come dai latini il verbo caedo: i quali dicevano caedere victimas^ cae- dere piaculum hostia-, e Virgilio il noto eaedit qui- nas de more bidentes. Le nostre tavole richiedevano che porci feminae una mactandae fossero DECEM-) e lo apprendiamo dalla voce ^H^^-i'; TESNE (decem) che tiene presso im- mediatamente al verbo SATENE di sacrificio. RD^; ECA; ^y^ 'I; ex^ab: preposizione notissima, e su cui tante parole spesero dotti archeologi, po- nendola chi più chi meno a gravi torture. Spesso cotesta preposizione apparisce in etruschi monumenti funebri, e non perdendo la sua originaria natura, vi cambia uso; che vari usi ebbero sempre tutte voci negli antichi e ne' moderni linguaggi , pigliandovi il valore di vK'~p , Ktxpo: ecc. , che tanto pur vale il greco 2x presso gli antichi scrittori, nel modo stesso che Vab o Vex de'latini pigliano talvolta la signifi- cazione di 2)er^ post^ apud^ propter ecc. In osco ab- biamo ECAC, ECEIC, ECEIN; cioè ex hac^ exhinc (1); abbiamo ancora TECA assoluto (fl>l3) in iscrizione osca; e, che che ne dica il Guarini, pensiamo che sia la stessa preposizione ex, di che abbiamo parlato (2). (1) Guarini Op. cit. ad h. v- (2) La iscrizione, secondo la lezione del Guarini, è come segue: IIUKIT ■■ fl>\3 ■A^C\)\ ■ ■ ■ <]5m 3^V. . . P1>|A^ fliim • ■• fl- • 3 ^Rmiin • • • n che per noi dice in principio e nel mezzo. A Ttcsio Meddiei Capuae sacra fieni ... da Suw , rem divinata facio ; diis sacrifico etc. Tavole Perusine 95 v>jaB flqvflo Mflqvo; THVRAS TAVRA HELV; sono sacrae taurae helvae; cioè helvo^ colore^ fra il bianco e il rosso (1). Della V. THVRAS parlammo altra volta. Taura [rccvpa) è vacca sterile (2), Tauras, vac- cas steriles appella bant^ alt Verrius^ quae non magis pariante quam tauri • secl verosimilius fil ex graeco dictas^ quia graeci vaccas ruvpu? appellant (3). Seguono ^H$Aq ^M$3r 5 TESNE RASINE ; delle quali avendo sopra discorso, non occorre qui aggiungere nuove parole. I3D- GEI è forse y.ai^ congiunzione, et\ ma non ardisco stabilirlo senza altri esempi. Stando peraltro al contesto e prendendo argomento a tradurre que- sta voce dalla sua posizione , sembra che di altro significato non sia capace. A3M 01A1U ; CHIMTH SPEL; spogliata la ul- tima voce della eolica sua aspirazione (4) sono, per quel che a noi pare, quinque pelanìs; a mluvog^' U- bum^ quocl placentae in modum e farinae polline fie- bat, et sacrificiis adhibebatiir (5) ; e crediamo cosi (1) Ilelvacea, genus ornamenti lydii dicium a colore boum, qui est interrufum ci album., appellaturque liclvus. Cf. Farr. R. R. I1,S. Plinius [II. N.): Iiisignes iam colore inter purpureas nigrasque medio helvolae. — Colum. Ili, 2 R. R. Ilelvolae, ncque purpureac, ncque nigrae, ab hclvo (nisi fallor) colore vocitatae.— (2) Fest. V. Tauras. (3) Cf. Columclla FI. 22s 1. — Farr. toc. cit. Quae steriUs est vacca, taura appellata. (4) Ne abbiamo esempi in o-aXj, o-sf , asn^roc eie. per a>.g , sf , siTTx. Ne' versi saliari è Sesopia per Esopia [F. Fest. inSuppus.). In etr. siscrisse V|i-:^:3^ per Fettius; I^HO^WqV^ per Hormitia etc. (3) Farr. R. R. IM, 8. Cf. Fir. Ed, FU ; 3'ó Georg. Ili, 394 ; Hor. Ep, l, 10, 10. — 9G Letteratura compendiosamente scritto questo vocabolo, che alla distesa lo troveremo ancora scritto qui appresso ; perchè di comune uso e del tulio rituale, non essen- do sacrificio dove non avessero luogo presso che sempre le focacce^ che per populum fumantes dividi mos erat (1). Timeo nel lessico chiama i pelani « r.sij.;j.u~c<. ìK zutr^-xl-o;, 'inxi zkoaoi) y.xi p.-lfco; r.rjùcr/iiJ.tvix Tipo' BuGtav. » Pausania (2), parlando di Cecrope re degli ateniesi, dice che slimò bene di non sacrificare a Giove Ipato animali; ma sole focacce fatte a uso del paese dagli ateniesi chiamati pelani: « x«« onoGo( tnr/fsìpia. zm zav /Swacy Y.a^rìyi'jVj, u IIEAAN0T2 y.xl'^v- civ zxt Y.011 E^ >?/Jt.a:g AS/jvaiJj (3). I pelani sono ricor- dali ancora nella T. E. PELSANA; PELSANV; PEL- SANS (::3Aay5'jg), che lo scoliaste di Sofocle riferito da Lanzi chiosa nocj to mi '^uop.vjo'J (4). fluVD 2flrvO; THVTAS CVNA è tota cena (5). Le T. E. hanno 9H1A1V3 con M ridondante; cena anch'esso (6); quindi KVMNACLE fu in quelle ta- vole il coenaculum. — (1) Ovid. Fast. ITI 670. (2) Lib. Ili, e 2. (3) Cf- I, e. 26 ; Lib. IX, e. io. — Nelle leste Puganaiia vsXauot conferebantur a singulis familiis. Bion. Hai. IF, IS. (4) Biacorso gencr. su le tav. eug. Voi. Ili, del Sagg. di L. E. p. 674. (o) t/ora della cena era la nona o decima del {jiorno ; cioè fra le tre ore o le quattro della sera. La cena dunque non facevasi di notte; ma sub vesperam , sebbene Iraevasi a notte avanzata. Cf- Fest. in epulares, qui noctu epulabantur. — Ne' più antichi tempi anda vasi a cena, quando l'ombra del corpo umano era dieci piedi: Um- bra vero tempus adcenam eundi coniìciebant, quam (noi^^etov vocabant. Et, atof^aa , decem pedum existeule , libandum eral. (6) Antiqui cocsnas dìxerunt prò coenas. Fest- in l'ocsnis. Tavole Percsine * 97 TOTA, TVTE-, TVTAS; tolus; tota; totius ri- corioiio più volte nel citato monumento senza la T aspiiala, clie scambiavano volentieri con la tenue; e vengasi il Lanzi. flM3HiflMV8fl; APIIVNAMENA. Di APIIVNA ((ZTTsvjsi:) conispondente a feriae tenemmo altrove proposito. Qui APHVNAMENA rendiamo festa siet [tota cena)'^ cioè sia celebrata con festa; poiché feriae sunt festi dìes. I latini ebbero festum eonviviiim ap- parare; celebrare cenatn^ epulum etc; ed i greci con' vivium celebre s; ov.itoc Bakctay (1); splendidum cele- hrahant convivium (2); ^xiwy-' zpiY.uota. ^atxoc-) appara- haut convivium laetum^ ziBì'jzo outzx ^aXiiav etc. , e '^uX'.ac, dissero gii epuli solenni , come in quello di Pindaro: v/zi ^uhxg xxc noh^^ habet et iirbs festa con- vivia (3). S^IflH t13H è ciim apris ; come di sopra si è detto (4). JN3 ID; CI CNL; forse x>;t, che poc'anzi ve- demmo esser 1^3; GEI; e qui probabilmente con- tratto in CI. Di CNL nulla diciamo; unica voce che rimandiamo non tradotta. a^VfV^qRH; HAREVTVSE è da ocpu , preces e (1) Hom. II. r, 420, li. t'. 475. (2) Hom. Od. T, 66 (3) Olymp. Od. HI. in fin. (4) Fra i cibi^ di che andavano più ghiolli i romani, aniiovera- vasi il cingliiak, come avevamo ricordalo più innatizi, e die spesse volte servivasi intero ne' banchelli. È poi noto il cinghiale alla troiana, con che alhidevasi al cavallo di Troia gravido d'armati; ((uando intero recavasi sulla mensa ripieno di cacciajjionc e di pollame messi in pezzi. F. Macrob. Saturn. Ili, ?• G.A.T.CXXIII. T 98 ' Letteratura SuoQ verbo di sacrificio, diis sacra facio; che tanto •vale 5voc.y, cioè odoreni vel svffimejduni facio; essen- do che Susry sia propriamente arrostire la vittima^ sicché il fumo sahto al cielo fosse odorato dagli dei. Così Ettore nella Iliade vuole che la madre vada al tempio di Minerva cvj Bviaciv cum suffìmentìs per placare la dea (l); e Achille comandando a Patroclo di sacrificare agli iddii^ mentre esso getta nel fuoco le primizie « £y nvpi /SaXXs SuyjX^g, fa uso ugualmente del verbo Bvm (Bsoiat Bvaat)\ siccome Pausania: ££j3a£«v Tcug {j.y]povq Bvcvoi-, victimarum foemora sacrificant (2); ed altrove in mille luoghi della sua Grecia^ che sareb- be ben lungo di dire. Né questo sacrorum verhum poteva mancare nella T. E., dove leggiamo TVSEIV (3ugsjv) immolelur: TVSITVTV, TVRSITVTV, im- molato: TVRSIANDV {Bvao^vTÌ) sacrificante; e TVSE BERFIE, TVSE IVVIE; e sempre pure da 3y££v, o BvQtoi^ sacrificium (3). La II tavola ha principio dalle parole fili iD^^n? Dv:t fln^-i-fls Rmoj3^ parole tutte tradotte nei nostri comenti alla I ta- vola; e ai quali rimandiamo i nostri lettori. Segue: ai/!flJ5l1^ ; SPELANE; mo tov mlo.voq , scritto per intiero, come abbreviato in SPEL fu da noi vi- sto poc'anzi. Qui cum pelanis^ o placentis a Velthinio profanandi erant suculi; che è quanto Vadorea liba (1) Z, V. 270. (2) Lib. II, cap. 25. (3) Cf. la iscriz. osca del Guarir! rilerita qui sopra fl>(fl^ 32V • •■ i che facilmente è ^^Vj da Suow, come fu nostro avviso. Tavole Perusine 99 ejmlis suhiecta di Virgilio; cioè i pelanl cacciati sot- to ai porchetti arrostili (1). AVi; CHVA è choas a y^ccc;^ yoY] {"/pc/.z) vasi e misure da vino che presso gli attici valevano un congio (2); e sextarios sex presso i romani CS); che è quanto dire la oliava porle delV anfora^ che con- teneva 48 sextarios: o, che è pur lo stesso, A7/ he- minas (4). Scrive Timeo presso Ateneo (5), che Dio- nisio tiranno primo bibenti choam in Choum festo^ che celebravasi in Atene, stabilì a premio una co- rona, e che il primo a vincerla fu il filosofo Xe- nocrate. E bene doveva esser grande e capace vaso siflatti), se per costume vi mescevano il vino da ver- sarsi ne'ciati e ne'bicchieri. Ebbero i greci ancora niu.oyori'j^ pemochoam ; vaso fìttile convohiliim sen- simque profundum (6), che chiamavano per ciò an- che cofijliseum^e adopeiavasi nell' ultimo giorno delle feste in Eleusi, detto altresì da essi plemochoa (ttAvj- IJ.'^X.o'o). Fra le gentili stoviglie antiche, che possiede il sig. Lorenzo Valeri di Toscanelia, è un cyalhus (1) f'irg. Aen. VII, J09. Instituuntque dapes, et adorea Uba per herbam Subìiciunt epuHs — Cf. Ov- Fast. III., 761. (2) Fann. de pondcr. et mens. LXX. (3) V. Quintiliano {f III. 6.) là dove narra di quell'enigma - quadrantaria Cliitaemnesira in triclinio choa, in cubiculo itola: cioè in triclinio beona; qiia.ii cougium vini hauriens. Cf- Rhodig. lib. XXIX e. 1, et lib. XIX, 1. (4) 11 sextarius dividevasi come Vas in 12 parti, ossiano cyathos, che tanto contenevano di vino i|nanto unico haustu commodc bibi poasit {V. Mart. I, 71; IX, 93). II ciato poi era maggiore dell'ace- labulum, e capiva la quarta parte della tiemina. (o) Dipnos. X, 12. (6) Jlhen XI, 15. I 100 Letteratura ' o coppa convivale, entro cui versavasi il vino dai grandi crateri o cogni\ che erano appunto i yoioi^ nude vinum haurìebatur per le libazioni ; secondo l'uso de'greci, con la scritta QUARTIO (sic) RASINI NEMMI; cioè quntrio Rasird Nemmi^ che io credo la quarta parte del sextarius- Misurata da me quel- la coppa conteneva per l'appunto una nostra fo- glietta né più né meno; e corrisponderebbe perfet- tamente alla quarta parte del nostro boccale (1). IO J31^; SPEL THI (pelanos apponilo) sono voci, delle quali abbiamo già fallo parola. Si noli qui che SPEL è di nuovo scritto con abbreviatura, come la prima volta che incontrasi sul finire della tav. L IO ^H3q; RENE THI; rcnes apponi to. Rencs, così Gelso (2), viscera duo utrinque luvihis inhae- reiitia sub imis costis^ a parie enrum rolunda , ah altera vero resima^ quae et venosa sunt et tunicis su- perconteguntuv (3). Nelle T. E. sono più volle no- minati i femori arrostiti MEFA SPEFA, assa femo- ra; e nella V. tav. si ha V-|:n3'l'A 3831M, cioè fe- more [hostiae) apposito. Ma in Omero spesso tro- viamo le terga o i lombi degli animali recati in (1) Il congìo, come alihiamo Jctlo, era rollava parie dell'an- fora; siccome il sc.rtario la sesta parte del congio. Dunque Ihcmina era la metà del seslarius, il quattarius la quart? parie Pare dun- (jiie clie il scslario corripcida nella misura al iioslro boccale, come al quarlarius corrisponde Lene la nostra i'ogliella, e come il nostro mezzo deve corrispondere consegiK'ntemente M'hcmina. (2) Lib. IF, i. (;$) l'enl. lUeiie.s giios mine vocaiMis ; poiclit nei r<'tto «in;;. Ahsi-ro ri.cii pw Idi :, onliqai nifrinulines iqtpcUubaiU, ijUia (jracci vs'ffwg eos vociint. I Tavole Perusine 101 mezzo a'commensali. Così Achille ai legali di Aga- mennone (là in pasto v^tcv c.og xocc ncovog ar/o; (1) e di più cuog aiciloiQ puyjv, e Agamennone onora Aia- ce ysoTcjOTV, tergo (bovis) (2); siccome Eumeo (3): voi- « tergo autem Ulyssem perpetuo honorabat — albis - (lenlibus suis (4) ». 3flTr^3; ESTAC; 07. zou^ apocope da £/ rovrov^ delude , come in Tucidide sy r^jg accorciato da sv 'ovrotg. (4) Le T. E. hanno ^'"i^lR^ uno rou per ano rcjTcu, ],ost id^ ex eo inde tempore; ed v^vv^ alla distesa r/. zovzov, delude^ postea ecc. che nelle nostre tavole è accorciato in 3flT2^, 9HVJ i3fl ; ACILVNE è da ocxtoog ^ cornila non hahens (sine cornibus [vitulos]-^ e della L usata qui per R nessuno vorrà muover dubbio; sapendo che presso gli etrusci, siccome presso gli antichi latini, le due lettere erano affini, e Tuna all' altra equiva- lente; di che recammo pure qui sopra gli esempi. Vitulus era propriamente quum primum aetatis annum nondum explevit (5): e l'aggiunto «Xcosg, sine cornibus^ giova qui a distinguerlo da quelli della seconda età che dicevansi iuvenei'^ ma che spesso ve- nivano pur chiamati vituli , come il vitulus bima curvans iam cornua fronte di Virgilio (6); il quale dà ancora il nome di vitula a giovenca, quae binos (1) 11. I, 207, scg. (2) //. II, 313. (3) Od. S, 437. (4) Steph. Animadv. ad Dial. p. 183. (5) Farr. H. li. Il, 3. !6) Georg. IV, 290. C\. Ed. IH, 29. 102 Letteratura alit ubere fetus. Ma i \itelli cbe dovevano imban- dirsi nella eena^ siccome volevansi della 'prima età, cioè a dire qui nondiim primum aetatis annum ex- pleverant ; così le tavole lo dichiararono espressa- mente con quell'epiteto di ACILVNE, sine cornibus^ nel modo stesso che Marziale, parlando de'vitelli pro- priamente detti, con 1' aggiunto di inermi fronte li distinse dagli altri che portavano la fronte già or- nata di corna (1). S^MVqVi^TVRVNESsono i tauri vituli, di cui ora parlammo; e perciò cornila non liabentes. 8VJ-iri^ 8V0Vt, VITLVPH TVRVPH è nella T. E. IV. Vi- tulos tauros: VITLV TORY nella tav. Vi latina. Seguono altre voci, delle quali abbastanza ab- biamo detto ne'nostri comenti. Quindi ZDIlAlVOfl; ATIIVMICS; i'oinag^ edilis, perfectis [festis funebribus o feralium) che vengono nominate qui presso. Anche Omero adoperò in questo senso il medesimo verbo là dove Achille così risponde agli ambasciatori di Agamennone: Ayyc}.i-/]v ano'paa^B, ro yup yipccg zazr. yspsvTdJv H X£ coiv VV7ÌC; xi aor,, v.O(.i Iolov A./a.i(ù'j 'N-/]u<7rj znt ylv^puprig. ena ov o^piaiv vjds 7' ETOIMH- Hv vuv tfpot.aoa'JTo., ì[j.ìv anop:r}ji(jxvrog {'!): (1) Fitulusque inermi fronte jrrurit in pugnam. Ili, 58. (2) II. I, 422. Nuncium renunciate, hoc cnim munus est Icgatorum; Ut aliud excogitent mentibus consilitim mclius, Quod ipsis navesquc servet, et populum ackivorum Navibus in cavis ; quoniam non ipsis hoc expcJitum {est) Quod nunc excogitarunt, me iram fovenle. Tavole Perusine 103 cioè che non era facile da mandarsi a fine il par- tito ch'ei ruminavano di placar quel feroce, adirato com'era contro Agamennone. Che stoì/j-s; è ad effe- etum perveniens; qui efjici potest; res perfecta et ab- soluta; siccome in quell'altro di Omero (1): H o' ao ETOIMA TBzvKzo » sane autem proinde perfecta sunt. flnOH31 ^flhVsfl; APHVNAS PENTHNA sono p.riis o festis feralium da rcév^^w, lugeo, o ns^J^og lu- cftis; quello che ti viene per morte di congiunti o d'jmici. Che feralia secondo Varrone furono dette ab inferis^ et ferendo; quod feruni tum epulas ad se- pidrrum^ quibus ius ibi parentare (2). Così Teti, udito l'ulUare di Achille all'annuncio della morte di Pa- troclo, corse a lui per vedere il diletto figlio e sentire e, rrt IJ.VJ ixixo ttevS;; » quinam ipsuin invaserit lu- clus (3). Ed altrove: y.cict GOL ilENGO^ tvt (ppiat p.votov uri tt libi luctus in animo immensus esset (4), per non giovarmi di altre prove in cosa che si pare manifesta. Aftlfl; AMA; ci[xcc dicemmo valere simul^ eodem tempore ecc. Anche Omero disse xp^oc 7:xllO; THIL da rsXcg, finis. Finem iniftonere^ ad fìnem perducere ecc. fu de'Iatini e altres/ de' greci. (1) Fest. Taurii ludi instituti diis enferis ex hac causa vi dentur. Tarquinio {Superbo) regnante cum magna incidisset pestilen tia in mulieres gravidas, earum fetus infecti sunl ex carne divendita populo taurorum immolatorum. Ob hoc ludi taurii appellati sunt, et flunt in circo Flaminio, ne intra muros evocentur dii inferi. Cf- Serv- ad Aen. II. 140. Farr. L. L. IV, 32. (2) Liv. XXXIX, 22. (3) Eiv, £v ; in per cum usato da' greci ugualmenle che «la latini. (4) Varr. L. L. IV, 22. — Aysiv OXw/i/.Tria; ifpov,- ìo^t-tì') è celebra re Olympia, sacrificium, festum. (5) Conf Schaef. ad Schol. ap. Rìiod. p. 265. . (6) Pausan. IX, cap. 3. (T) jd. Uh. IV, i7. Così negli antichi calendari leggiamo pei es. Mysteria Minervae hoc mense agebanlur. — Hoc mense Jovis epulum celebrabalur. — Jnthesteria hoc mense agebantur etc. Tavole Perusine 105 Parlando Pausania del sacrificio che non potè fornire Agesilao, perchè nel momento ch'ei sacrificava i te- bani armali gettarono via di su l'altare i quarti del- le vittime che già abbruciavano, dice « Ays^dasv òe {kvnst [J.ZV vj Buacx [j:c rsleaSctaa (1). JOJV invO; THVNCH VLTHL (oorvi) con la ridondante j in fine, come in TIBEL (tihi) è, come sopra dicemmo, ìiocce feslum. U; ICH da £;i(«; haheat^ habeto. 5iVi, 1+^4.33 Ad; CA CECHAXI CHVCHE. - CA, contralto per x^.i , è per noi et. CECHAXI è da yjo).^ f lindo [fundantur). CHVCHE col secondo \ (CH) eufonico da yj^oii^ libaliones (2). In una iscrizione tarquiniese, di che sopra ab- biamo fatto altra volta menzione, abbiamo la voce fl4/AV4., CIIVACHA, che spiegammo libaliones^ m- ferias ; poi che inferiae , che dicevano ancora Tag ■/Qa.g, cioè sacrificia^ qiiae diis manibus inferebant (3), e che facevansi liquoribus libandis., Uffua., vitto., la- cte eie.., sono quanto le stesse libaliones; cioè id quod diis libatur in saeri [iciis. Perchè Virgilio nel V del- la Eneide (4j: Ille agmine longo Tandem inter paleras el levia poenla serpens Libavilque dapes-, ch'è appunto degustare infe- rìas.) o le offerte (xoocc) che sugli altari inlatae erant (5). (1) Vaus. Ub. IH, 9. (2j Più che ridondanze sono qiiesli cangiamenti, come dumceta per dumeta ; ecfalus per effatus ecc. (3) Fcst. Inferiae (4) Fers. 90, 35. (5) f. Serv. ad h. firg toc. 106 Letteratura E per tornare al CECHAXI CHVCHE delle no- stre tavole (1), noi abbiamo in Omero una mede- sima frase nel XP'^Z X^^H-^"-' della Odissea (2) ; liba- zioni che primum viulso^ posteci vero dulci vino^ ter- tic demum aqua avea fatto Ulisse disceso agli inferni. Così in quel verso riportato da Pausania (3j , che faceva parte degli oracoli di Bacide, leggiamo: XuTAoc /MI £K;(co).a;, {j.iCkv iisMxci. r'sy %3cv; X^'^''}'^ dove p.tcXiy[xuzu x^^V ^ libationes fundit^ che hanno forza di placare gli dei, e come nella Iliade Achille vinum haiiriens in humìim (/j^) fundebat, chiaman- do l'anima di Patroclo (4). Del resto dissero i greci ancora x^a; i7:c(pìpiiv^ offerire cioè libazioni agl'iddìi; e ciò valeva quanto vjayii^^iv, mortuis sacrificare^ sa- cra facere ecc. , di che veggasi Pausania , e veg- gansi le note filologiche dell'illustre suo volgarizza- tore Sebastiano Ciampi. (1) Lo stesso verbo CECHASE (^^fl^^^^) ricorre in allra iscriz. tarquluiese; di che scriveremo fra poco, fnfanto notiamo qui come la X del CECHAXI perugino si voltasse in S nella iscriz. larquinie- se ; ciò che prova sempre meglio quanto dicemmo sul valore del- l'etrusco + . (2) A, v. 20. (3) Lib. IX, 17. (4) T, 220. -- Conf. II. T, 296; A, 508. 107 Sulla origine delle belle arti e sulla gara che intorno a ciò feì've ira Italia e Grecia. Discorso recitato aW insigne e 'pontificia accademia di s. Luca dalV accademico di onore Francesco Orioli consigliere di stalo., membro del collegio filosofico e profes- sore di storia antica ed arclteologia nelVuniveV' sita romana , censore della pontificia accademia di archeologia ec. ec. ec. \^uando a testimonianza d'antichi io leggo trova- tori della plastica e del fondere bronzi essere stati Reco e Teodoro di Samo (Sillig - Catal. artific. - a gncslc voci) — quando enomi detto aver per prinaa la figliuola del sicionio Dibutade, segnando in Co- rinto con terra di Sinope sulla parete i contorni d'un volto amato, secondo che nel confine dell'ombra l'ec- clisse d'una fiammella di lampada mostravali alToc- chio, insegnato al genitore, maestro che fu in arte di vasaio, il ripigliarne sopra creta le impronte e cotte in forno perennarle a memoria {Sillig. - ivi): — quando imparo che il fare anella per dita e incasto- narvi gemme trovò Prometeo sul Caucaso (v. i mi- tologi e i poeti):, e cominciamento diedero ad ogni magistero dell'architettare, dello scolpire, del dipin- gere, o Dedalo ateniese, o Smilide egine(a, od Igie- mone, Carmada, Dinia, od Ardice, Cleone, Cleofanto corinzio, o Telefane e Cratoa di Sicione, o il samio Sauria, o lo sciotto Glauco, o que'di nome diverso che noia sarebbe lo aggiungere a'sin qui mentovati [Silltg - ivi): — io non so bene se maggiormente slu- 108 Letteratura pir mi debbo alla superbia di quejjU ellenl clie que- ste sverjjognale favole immaginarono per un loro vanto, od alia credulità e pecoraggine degli altri che senza cura d' esame le accettarono per buona merce, ed abbandonate alla nostra fede, a noi poste- ri, come un pascolo d'erudita curiosità si piacquero tramandarle. Perchè chiamato, sapientissimi colleghi e signori, all'alto onore di favellarvi oggi in dì a tutti solenne, innanzi a sì gran frequenza di riguardevolissimi as- coltanti, intorno a sì fatte nobilissime arti delle quali voi, siccome qui , così nell' intero mondo sedete a pubblica fama lodati maestri, e siete tra poco per dispensare meritati premi a'valenti mostratisi vinci- tori in questa palestra in che voi vinceste già tutti, chieggovi il permesso di quinci dare principio senz' altro prologo all'odierno mio dire. E assumerò da lontano i semi del discorso eh' esser qui dee proe- mio, né dubiterò di me stesso o avrò temenza del mio ardimento, rassicurato da ciò che ne'teatri veg- go usarsi quando vi conveniamo a diletto. Dove pre- parati gli animi a sinfonia , pur si comportano in pace il precedere d' un primo pizzicar di corde a preludio, quasi per metter tutti in ardore ed in orec- chio, e far più desiderato e più accettevole quel che poscia udranno. E innanzi tratto mi fo a chiedere: In che terra le belle arti hannosi a credere generate ? — E do franca risposta: In ogni luogo in che l'uom nacque; non per fermo belle esse d'un subito a quella ra- gione che usiamo chiamarle di lor proprio nome , visto il fine a che vanno o s'avviano, ma sì a bel- Origine delle Belle Arti 100 ìezza dirette sin dall'oiigine, coU'intenzione sempre, se non sempre coli' alto. Che da natura son elle e da un concetto più antico assai di qualunque uma- no divisare, concetto eterno come Iddio , il quale ab eterno preordinavalo nella sua sapienza per po- scia rivelarlo, comechè confusamente, con voce d'i- stinto, e lasciarlo indi condurre ad effetto più o me- no splendido, secondo favore o disfavore de'luoghi e de'tempi. Udite storia certissima e non recondita, e clie tuttavia molti non hanno in mente. Qui non accade parlare de'primi cominciamenli della specie umana. Com'essa nacque lo sappiam tutti, avendocelo insc- (jnalo il santo e sommo codice della nostra fede. Ma campata per divina misericordia dal generale naufiagio dell'acque, moltiplicata indi fino a copri- re la terra delie sue propaggini, e sopra quella dif- fusa dopo la babelica dispersione, in popoli si divise, i quali, perduta delle primitive origini la tradizione e la memoria, tralignarono altri, prosperarono altri, e corser quinci qua e colà le molte fasi del viver civile o in abbrutimento, dove ricacciati tra boschi e abbandonati a vita bestiale, dove raccolti in città e venuti a gentilezza di costume. Così quasi ogni popolo di que'che sono ha una sua storia più o me- no mancante del suo vero principio, e separata da quello per una lacuna d'ignota ampiezza: nella quale storia il più spesso la cuna del popolo è nella fore- sta, e il cangiare in meglio le sorti è più tardi dopo secoli e secoli. Or ponendo a ciò mente, quasi una regola è fatta per le nazioni che oggi conosciamo , la quale per colai modo ci lascia stabilir l' ordine 110 Letteratura de' mutamenti , seconclochè a nostra cognizione si sono andati o si van succedendo, pressocliè in ogni gente la qual nasca, o sia già venuta alla età sua virile. Selvaggio da prima e cacciatore per terre in- colte, r uomo delle tralignate tribù, non ancor pre- parato a deporre la rozzezza in che cadde, è bar- baro e quasi bruto ; pur non sì barbaro mai , che già non ami screziarsi il corpo di colori e di figu- re , ed azzimarsi per feste con artificio e baldanza di veslimenta; né ciò sol oggi o ieri tra i nomadi scorridori delle vergini selve, poni nello stremo o nel cuore delle Americhe, o m mezzo all'isole più sperdute là negli ultimi mari onde i due poli del- la terra han coperchio; ma in ogni età e contrada, in che barbarie fu vista e sinché fu vista , come dire tra i dipinti agatiisi del cantor mantovano, e tra i varieggiati britanni e gli scoti di Cesare e d'I- sidoro. Ed e' si fa capanne esemplate a data stam- pa, vuoi iurte di samoiedi, vuoi magalie di fenici ne' secoli che furono. Ne in fango, sedendo a ozio, s' abbatte che sotto man gli presenti una manegge- vole pasta, senza che le dita gii corrano al model- larlo a forme rozzamente significative d' ogni cosa che vede e che lo diletta. Pastore poscia di greggie e d'armenti, sente già in sé assottigliato lo scoglio dell'intelletto, e l'im- maginativa destarsi levata a maggior potestà. Ed ec- co egli è Giotto disegnante col dito agnelle sull'u- mida arena. É il Menalca o il Dameta di Virgilio, per chi un Alcimedonte della villa scolpisce su cio- tole, guidato da naturale talento, rilievi rozzi di fi- Origine delle Belle Arti 1 ] \ gure con iscaglie di dura selce a difetto di ferri o d'altro argomento efficace a quell'uopo. È il Mopso che a Dafni estinto edifica un tumulo entro a cer- chia congregata d'esterno sasso, e innalza artatamen- te una stela, un cippo, una colonna, un altare. Agricoltore più tardi, prende nuovo consiglio; s'accasa con maggiore stabilità , e fa costrutlure d'edifizi che dureranno trapassando da' figli a' figli de' figli. Bitume impasta od argilla o cemento. In- venta le seste e l' archipenzolo. Cuoce mattoni o ta- glia sassi a poligono con arte di ciclopi , o vogli con isquadro a regolala riquadratura. Legni inca- stella su legni. Materia congiunge a materia; ed ec- co case. Impara a bollire metalli ritolti al fianco della montagna con industria nascente d' una sua docimastica a uso di necessità o di diletto. Educa in sé r istinto del possedere e dell'ornare il posse- duto. Carezza le idee spontanee del bello come del vero e del buono, e in sé le cresce con amore. Id- dio gli si manifesta più scoperto, si eh' ei gii alza templi ed immagini come dentro le vede disegna- te. E prima di saperlo è architetto, é scultore, è di- pintore. Venuto da ultimo a viver più civile, vie me- glio perfeziona l'opere e l'arti sue: né cielo è si in- clemente, né terra sì d'eleganza infeconda, né gente SI di senso povera e diredala , in che a maturità procedendosi, o per propria virtù o con aiutamento d'altri, a tanto non siasi condotti. Di che veggiamo la naturale radice nelle di- sposizioni che ci sono infuse, come dicesi, ab ovo. — Primo, ci spinge al fare un bisogno insito d'imi- 112 Letteratura tazione; secondo, un bisogno, un impulso di crea- zione: comune quello a noi con molti bruii, pro- prio questo pili segnatamente della spezie nostra. Che imitano quadrumani e bimani^ lo scimione nella so- litudine come l'uomo nella capanna; e imitano altri degli animali, l'elefante come l'orso, il pappagallo del bosco come la foca del mare: donde la facoltà di piegarsi ad educazione e di costumarsi a'muta- mentì che lo educatore induce. Ma crea l'uomo solo per una suggestione che gli vien di cervello , per una virtù che gli corre alla mano, per una indu- stria che ha fonte nel senno: ond'egli è artefice pri- ma che l'arte abbiagli dato le sue formule, e l'arte è da lui pria ch'egli sia dell'arte. Cos\ , fanciullo dassi in su lo scarabocchiare omicciattoli con segni, e compaginar suoi fantocci; né gli è mestieri lo ap- prendere dal Venosino aedlficare casas^ plostello ad- iungere mures. Così, a tradizione del satirica di Vol- terra , si ricordavano tra' maggiori nostri dell' età gentilesca Veneri donatae a viryine pupae. Ma recato a questo il discorso, ecco la memo- lia d'un'anlica gara esso in me risveglia, rispetto a cui le fondamenta del giudizio- già sono poste. — Italia e Grecia, due sorelle, da lungo tempo, come spesso le sorelle, ebber contesa tra loro di tutte le preminenze. Ciascuna, nel fiore antico di gioventù, non paga di sua suprema bellezza e prestanza, in- vidiò quella dell'altra. Prime ambedue vollero esser nel mondo, e quel che vollero furono: ma non si tenner contente di divider tra loro questa gloria. Monarchia domandarono, e non consolato. Volle ognu- na esser detta trovatrice unica d'ogni ottima cosa. Origine delle Belle Arti 113 ili che la vila terrena dell'uomo s'allegra ed inor- goglisce. E parte di disputa fu il vanto d'aver crea- to le vostre arti , o signori e colleglli Or conten- liamoci d'esser giusti. Bugiardo è il vanto per l'una e per l'altra, e non quel solo che fin qui favellam- mo n'è prova. Contiaddicono a buon diritto l'Asia madre e la terra feconda del Nilo: né ciò per solo favellare di classici, ma oggimai con linguaggio di monu- menti, antichissimi tra tutti che sono, monumenti in- numerabili più presto che numerosi e frescamente venuti a notizia ed a luce. Imperciocché giovi par- lare pur soltanto dell'Egitto testé studiato con più speranza e vorrei dir sicurezza dello intenderlo, che in ogni passato tempo, da che gli arcani dello scri- vere geroglifico ci sono stali aperti per le congiunte fatiche d'uomini dottissimi, levateci innanzi un pri- mo tratto due gran faci, accese l'una in Inghilter- ra, l'altra in Francia. E che divengono, in Grecia e per intorno, Ti- rinto. Argo, Micene, Sicione, Corinto, Atene, Spar- ta, Tebe beotica . . . Troia anzi e Dodona e le an- tichissime terre de'progenitori pelasgi apparsi in mez- zo a'cureti, a'Ielegi, a' barbari d'ogni nome e senza nome, come primi apportatori d'alcun lume d'arte e di sapere ? e che, a mo' d'esempio, le città ve- tustissime tra le ricordate dagli uomini, dico quel- le a dettato di Varrone mostrateci in ischiera da Dionigi l'alicarnasseo, nell'Italia nostra e poco lun- gi da questo cuore dell' Italia fonte principale di sua vita ( dico da Roma ): Palazio, Trebula, Sue- sbula, Suna, Mefula, Orvinio, Corsula, Maruvio.^ Ba- G.A.T.CKXllI. 8 114 Letteratura tia, Tiora (o cliiamassesi Matieiie), Lista, Colilia? e che le altre altrove sparse appo il mar superiore o r inferiore o l'ionio o l'ejjeo, lunghesso i lidi o su per r arduità de' aionti , scomparse quando questa Roma, fatta adulta e gigante, spazzolle via quasi con mano: che divengono, ridirò, a comparazione colla Tebe egizia dalle cento porte, o coH'emula Memfi, e co'moiiumenti d'arte usciti od uscenti quinci ogni nuovo giorno di sotto il lenzuolo d'arene che li ri- coperse come d'una sindone di morto? Monumenti, de'quali la critica moderna omai pose in chiaro lu- me l'antichità, a giudizio de' più discreti portentosa e quasi agli esordi del mondo contemporanea, che è dir posteriore di poco al gran diluvio allorché ogni contrada dell'occidente nostro era bosco , palude e deserto. Perchè io non conosco in ciò dissenzienti né al di qua né al di là dell'alpi, anzi non cono- sco oggimai dubitanti di qualche polso. Né intendo i palagi dì Luqsor o di Caruacco, siccome li noma- no, tutti saldezza di granito o d'altro sasso, contra il quale ogni strale del tempo non ha punta, e tut- ti impronte di geroglifica scrittura, dove regno, an- no, e mese e giorno, in che mano d'artefice operò sopra ciascuno de'monoliti, e comando di principe ordinò si dirizzassero, è letto; e non intendo le ta- vole d'Abido, conquista oggi di Francia, cogli stem- mi deVe stati in età lontanissime messi per filo; e non gli obelischi, ricchezza oggi di Roma, né più di Roma sola; e non le stele e gli scarabei che tut- ta una cronologia ci distendono innanzi, antica cer- to ed antichissima e palpabile ( a chi ha tatto per questo) come quel che urta la mano: di che spiacemi Origine delle Belle Arti 115 che più interrogar non potete, o signori e onorandi colleghi, que'tliie miracoli di scienza, l'Ungarelli ed il Sarti mancali a' vivi , troppo ahi presto ! ma sì potete, senza lasciar la città, uomini anch'essi da ciò e la Dio mercè superstiti, un Secchi ed un Lanci sì del copto e dell'antico egizio conoscitori profondi. Ben pure unicamente nominerò le piramidi, alle quali recenti scoperte confermarono il vanto d'aver prece- duto di non una decina di secoli la nostra era ; e con esse le pietre sepolcrali de' gerogrammati e de' sergenti di corte d' ogni grado , e lo stesso regale sarcofago del faraone Meucheres, od amisi dirlo alla classica Micerino, quai'to re della dinastia quarta delle Irentadue: sarcofago dissotterrato dalla sepolcrale cella che sotto un monte di sasso involavalo ad ogni vista. Non qui più s'adducono il famoso e combattuto zodia- co di Benderà, né gli altri di menzognera vetustà; ma le moli insane d'uomini, giganti d'ardimento se non di statura, che i nomi e il tempo loro conse- gnarono alla posterità sculli in più duro che bronzo: «ioli a'cui danni nulla poterono barbari d'ogni colo- re e d'ogni immanità, e ingiurie di stagioni, di mar- tello e d'incendio. Né già elle sole sì a lungo mute alzaron di fresco una voce sonora a dirci quel che sono e donde e da chi e da quanto tempo; ma alla resurrezione della loro storia maravigliosi papiri aiu- tano; carte durate contra il morder de'secoli, scrittu- ra originale d'uomini vivuti al tempo, direste, de' pi!Ìffli patriarchi del pentateuco; quando Omero aspet- tar doveva centinaia parecchie d'anni pria di nasce- ve : quando Evandro cogli arcadi compagni non ancora impresso aveva d' unjanc orme questi colli H6 IjEtteratura allor selvaggi e solitari, e dati a balìa delle fiere e a fondamento delle querele e delle marruche. Visitale, signori e colleghi, Torino e Parigi, Berlino e Leida, Londra od almanco l'egizio nostro museo, nuovo ed illustre fregio che al papato dee Roma. Visitate questo e gli altri musei; ma per man ■vi conduca alcuno di que'prodi che il nuovo studio si proposero. Troverete dopo i colossi , ritratto de' faraoni che per un sentimento d'orgoglio a se stessi li ersero mentre vivevono, pagine d'antichissima sto- ria e di primitiva poesia, ma pagine venerande del pugno de' loro medesimi autori , taluna delle cui mummie dopo migliaia d'anni pur intera uscì di tomba quasi a porgervele di sua mano. Troverete liste cronologiche de're, autografi più antichi d'assai, non pur de'Sincelli, degli Eusebi, de'Giuli affrlcani, de'Diodori di Sicilia, ma degli Eratosteni, dei Ma- netoni, degli Erodoti. Troverete non manco pagine restate da'regi archivi di monarchi più vetusti che l'assedio troiano : tutto un mondo di memorie che non avevano avuto fin qui di gran lunga le loro pari negli armadi delle biblioteche più celebrate. E, soccorrendo l'analogia, renderanno esse ottima te- stimonianza all'altre antichità de'paesi, ove Indo ed Eufrate e Gange scorrono, e dove non men remoto aveva fin qui posto la tradizione il cominciaraento del viver civile: dico quelle che pur testé per opera del nostro Botta, delTinglese Layard, e d'altri non so ben quali, ci mostrarono Ninive e le assire con- trade. Dico i templi d'Ellora e d'Elefanta, pagode e sculture d'uu'arte adulta, comechè ne greca uè ita-^ Origine delle Belle Arti 117 lica. Dico per ultimo memorie ed avanzi de'fenici, degli ebrei, de'cinosi e di tartariche estreme genti. Or queste cose promesse, la conseguenza a che viensi voi la vedete. Per fermo le arti, di che par- liamo, così in Italia come in Grecia o non erano, od erano a quelle forme con che per ogni dove hanno spontaneo e barbaro nascimento e una prima infan- zia, lungamente rozze ed imperfette, quando altrove già da secoli conseguito avevano una loro maturità e asceso i gradi dell'incremento che alla natura de' luoghi e de 'tempi s'affaceva. Ma non ciò solo io dico. Queste arti , altrove adulte mentre fra noi non erano che bambine, da' paesi, ove già s'erano a una lor guisa fatte mature, mandarono ai greci ed a noi modelli primi, che ser- virono come non inutili esemplari al nostro senno per far da indi in poi nostro quel ch'era d'altrui, datogli una immagine che co'nostri bisogni e colle nostre idee del bello si raffrontasse. Il fatto è palese: ma, a meglio dichiararlo ne' suoi principi! come ne'suoi conseguenti, alcune con- siderazioni giova premettere. Popoli dell'Eliade e dell'Italia, popoli anzi presso a poco di tutta Europa, essi e tutti, portiamo nella fazione de' visi un argomento principale della deri- vazione da un men lontano comune tralcio del noetico stipite. Asiatico lo si sa dalla Bibbia, e lo si confessa universalmente dai dotti per argomenti ancor altri che i biblici: asiastico, cioè, il tralcio che a'sapienti in etnologia piacque chiamare indo-caucasico, o non guari diversamenie, in ragion delle terre ove ogni tradizione ed ogni argomentazione scientifica eoa- 118 Letteratura corre a collocare la prima sua sede. Cerio siamo speciale razza a linguaggio d'antropologi, razza d'un profilo nostro proprio , d'un nostro angolo facciale come per geometria lo nomano e lo misurano, e di particolari nostre impronte: razza di speciali interio- ri prerogative d'instinto e d'intelletto; staccatici con queste qualità dal grande albero umano innanzi ad ogni fabbricazione d'umane storie. Razza bianca, non inongollica, non etiopica, non malese, non americana del eolor di rame o quale altra si conta: iapetidi , veramente, e non figli d'alcuno abbronzato camita o d'alcun livido o rosso discendente del noetico Se- Io; discosti tutti nel fare de' volti, come in troppo altro, dal camuso affricano e dall'aguzzo tartaro, ma simigliantissimi a que'fratelli e consanguinei nostri, i quali mai non abbandonarono la primitiva stanza, e in casa serbarono i più remoti ricordi di famiglia, e sulla persona i più puri e meno alterati gentilizi contrassegni. Questo .slesso confermano gl'idiomi nostri, e in- tendo sì gli antichi ed antichissimi e sì i moderni: che tutti nella parte nota è oggi mostrato per gram- matica avere assunto le radici ultime ne'più vetusti asiatici linguaggi. Così la scienza profana è buon co- mento alla sacra: ed apprendiamo dall'una e dall'altra il raen bello vero, che i più nuovi noi siamo dell' antico mondo: nuovi dico quanto alla patria che og- gi è nostra, venuti in paese nuovo per cagioni e per viaggi ed aggiramenti, di che la storia non s'è conservala per lingua d'uomini o per lor penna. In difetto di essa però una certezza s'è guadagnata, che ih queste parole io ristringo. — In una età reraotis- OrtctIne delle Belle Arti 1 1 0 sima od antecedente a lutto che ci è stato trasmesso da voce di sciillori o di fama, tranne il pochissimo che ne libri santi se ne parla, tribù e tribù si slac- carono dal primo ceppo dilatandosi in cerca di spa- zio nuovo, secondochè a dismisura moltiplicavano, e o per discordie intestine o per difficoltà di sussi- stenza eran costrette a dividersi e diradarsi. Ve n'e- rano di cresciute tra nevi, e d'inerpicate per le mon- tane pianure del Tibet o vo^jliasi del Caucaso o dell' Imalaia; tribù, a cui freddo di clima e sottilità d'a- ria renduto avevano candida la pelle e svegliato il cervello. Le quali è da credere che più dell'altre prosperassero in numero, in forza, in procedimento verso la civiltà sott'ogni sua forma. Ed elle sentir dovettero tra le prime la ristrettezza perciò dello spazio, o le altre cagioni del separarsi, e di buon' ora pensare al tramutamento ad altro suolo. In che toccò alle uscite più presto esser le meno felici; co- me quelle che separatesi quando la rozzezza non ben cessava, e travagliate poi sempre dalle altre soprag- giungenti torme che le cacciavano innanzi a se, ogni volta più lontano, durar dovettero in inferiorità di senno e di addottrinamenti ed in abbrutimento, sba- ratlate da luogo a luogo e gittantisi di necessità verso le terre più vacanti e più selvagge che gli altri ri- fiutavano. E perchè un amor naturale della luce e del caldo trae l'uomo anzi verso il sol nascente che verso il morente o dal lato del gelo, così egli acca- der dovette che alle occidentali contrade ed alle set- tentrionali, cioè all'europee nostre, venisse in sorte Taver di sì fatte tribù i primi abitatori. Ma, checché di tale storia pur sia, cavata ia 120 Letteratura molta parte da conghieltura, certa è sempre una primitiva barbarie e lungamente tenace de' venuti a queste nostre contrade: barbarie al di là dell'alpi ri- masta per ancora più secoli ostinata e quasi in ri- legazione fino al maturarsi d'altri tempi, e nondi- meno rimasta eziandio per buona pezza e al di qua dell'alpina cerchia e in tutta Grecia, quando era già «sgombrata dalle sorelle stirpi di Egitto, d'Assiria, di Fenicia, di Palestina, d'India e d'altri popoli di que' che a torto o a diritto sogliara chiamare orientali. Nel qual mezzo tempo avvenne che i più civili cominciarono ad aver comunicazioni fuori di guerra co'nostri più barbari; e poiché è natura della civiltà d'esser comunicativa, ecco che gli svariati magisteri d'oriente a'nostri a poco a poco trapassarono. E per noi fu allora quanto all'arte, siccome addiviene, un tempo d'imitazione lungamente servile. Il perchè si videro e fino a noi pervennero e pervengono, mi- steri oggi dall'archeologia, fatture eertamente no- strali in ogni genere d'opere di mano, che non altra arte ci ricordano eccetto quella delle remote contra- de ch'io dissi. Dove il provenimento non essere stato da fab- bricazione forestiera è provato per la qualità delle cose, che trasportamento altre escludono, altre lascia- no inverisimile: poni aichiletlure attaccate a suolo, o dipinture operate su pareti, arche sculte per morti, lavori di scarpello su rupi, o simiglianti, su che a guardare con occhio perito è come leggervi scritto a grosse lettere: Arte babilonese, arte de'medi o de' persiani, arte di Fenicia, d'Egitto. . . , Figure secche, rigide, non mosse, di quelle che Origine delle Belle Arti 121 davan sull'occhio anche a Strabone e ad altri anti- chi. Flguifì che ti rappre sentono divinità a qnatlr'ali siuffolarnaente contornate e connesse, o a coda di pe- sce, fiori di loto, idoli a evidente imitazione de'di- scepoli degli assiri o di Zoroastro, o monumenti, per non qui scendere in tutti i particolari , che qua e là solamente per Asia e per Affrica trovano gli ana- loghi loro: argomento del resto già da troppi oggi- mai toccato perchè a me non bisogni più di cosi ragionarne. Dopo di che a qual conclusione da ultimo io arivo ? — L'arti belle, se figlie nostre possono esser dette, sono figliuole adottive, figliuole per educazione che demmo loro : figliuole, aggiungerò volentieri, per mutamento di lor natura in assai meglio fra noi guadagnato: figliuole d'altro modo non già. Perchè, quanto a quell'uno de'modi , non io si alle nostre glorie sarò avverso che negar voglia a tal grado aver noi trasformate sì fatte arti, noi dico greci del pari e italiani, e noi primamente greci e italiani, dopo che in casa le ricevemmo, da poter dire a buono e legittimo diritto che presto, di nate altrove quali era- no per prima origine ed impastati d' altro sangue, fatte non le abbiamo cosa nostra: e tanto nostra da non aver lasciato loro del primo sangue, sto per dire, più goccia, trasnaturatele al tutto e condottele a tal perfezion di bellezza che più non si può dire. Onde che mal ci si contenderebbe il rivendicar che faccia- mo a noi stessi quel che a nostra cura divennero e sono, cominciata ab antico per esse una gioventù tutta nuova e, spero, anche immortale, colla quale .s' addormentarono, egli è il vero, al sopraggiungere del 1T2 Letteratura medio evo, e per più secoli assonnarono fino a parer morte, ma non sì che non si desiassero poscia un tratto in questa Italia non dissimili da quel che i nostri avi le avevan fatte. Diciamole dunque a que- sta ragione pur figlie nostre, e gloriamoci di questa nostra paternità guadagnata a gran merito. Ma ri- sorgerà allora più viva e più calda che mai la disputa tra greci e noi, essi e noi di si fatto merito creando gara per esserne detti, o gli uni o gli altri, veri e soli eredi. Dove la causa della Grecia io so che mol- ti han giudicato vincente, conosciuto che Italia stessa sembrò avere queste palme solennemente rifiutato. E avravvi chi a qui farmene convinto mi ricor- di Virgilio, e di Virgilio quelle memorevoli e si spesso citate parole nel VII dell'Eneide : E^xcudent ala spirantia mollius aera., Credo equidem.) vivos ducent de marmore vulttis: Tu regere imperio populos^ romane, memento; Hae Uhi erunt arles^ pacisque imponere morem, Parcere subiectis et debellare superbos: o chi tolti ad Orazio (per non abbondare più oltre in testimonianze) contentisi di rinfrancescarmi all'o- recchio i notissimi versi: Graecia capta ferum victorem cepit et artes Jntulit agresti Latio. (Lib. 2 epist , ep. ad Maec.) Ma l'uno e l'altro, se così voglia dirmi, non avrà posto mente che l'epico di Mantova e l'episto- lografo di Venosa favellarono ivi di Roma e del La- ( Origine delle Belle Arti 123 zio romano, non d'Italia per quanto tratto ella s'e- stende e si dilata: e favellarono del Lazio e di Ro- ma quali esser vollero un cerio tempo per libera loro scelta, non quali avrebber potuto essere in ogni tempo sol che lo avesser voluto. Su che tra poco gioverà ritornare. Ora un primo punto tratterò. Fin- ché con greci si disputa, la disputa è assurda: è dis- puta nata dall'essersi frantesi. Grecia e Italia, ho dianzi detto, son due sorel- le: dissi però men del vero. Due? Perchè o come? Due per geografia , non per mia fé' sotto gli altri riguardi quali pur siano. Nel fatto una metà delU Italia fu a memoria d'uomini sì ben parte di Grècia e sì gran parte, che si riputò, tutti il sanno, mag- giore di ogni altra Grecia per modo, che il nome da nessuno ignorato le si diede. Così tutte e due per lungo antico tempo di due corpi fecero un corpo solo, e fu come nella favola di Salmacide mista e confusa in uno col figliuolo di Venere e di Mercurio. Dove alla Grecia toccò in sorte es- , sere come dire la femmina, e assunse Italia le for- ! fne e gli efì'etti della virilità. Laonde l'una si piac- ! que di coltivare più che altro bellezza e grazia , ' l'altra forza e consiglio: non sì però, che per inti- mità di congiungimento non fosse in ambedue una ' mescolanza e compartecipazione alle qualità stesse. Uscendo di favola, Grecia fu in Italia tutta intera la frugifera Trinacria, fu gran tratto del paese bel- lissimo di quanti sono, che da Napoli fino all' ac- que ionie si stende. Quivi da'più remoti secoli non altro popolo quasi che greco. Uguale potenza d'in- gegno, uguale ampiezza di studi, uguale eleganza 124 Letteratura di costumi e qualità di tendenze. La stessa lingua, le stesse arti. Ma ricchezza e splendore di gran lun- ga più al di qua dell'ionio mare, che in Pelopon- neso e nelle altre contrade della primitiva Eliade. Intorno al quale vero basti nominare, illustrissimo delle terre, in Sicilia, Siracusa, Leonzio, Catania, Tauromenio, Messana, Cefaledio, Imera, Selinunte, Agrigento, Gela , Camarina, Enna, Agirio: e so- pra l'italico suolo, Regio, Locri, Caulonia, Scillacio, Crotone, Sibari, Turio, Pandosia, Eraclea, Metaponto, Taranto, Ipponio, Elea. Possidonia , Cuma , oltre a parecchie altre che taccio. Dove quale mancò , od in qual tempo, de'vanti di che l'ellenico senno più ebbe a chiamarsi glorioso? Chieggonsi poeti? D'O- mero non dirò , di cui niun sa riferire ove s'avesse il nascimento. Certo Tltalia ci conobbe, isole e con- tinente. Ma sì dirò tra gli antichissimi di Stesicoro imereo, d'Epicarmo principe de'comediografi, d'Ibi- 00 tra'lirici, di Teocrito e di Mosco tra'bucolici che tennero la sommità di posto, la qual tutti sanno. Vo- glionsi matematici? Nominerò in luogo de'minori astri il sole; Archimede siracusano. Si domandano filosofi? Lascerò Pittagora contrastatoci da biografi di gran nome. Starò contento a tutta intera la ita- lica ed eleate scuola, regina e madre di quante poi furono più celebrate, e varrammi ricordare in essa un Empedoche, un Archita di Taranto, uno Zeno- ne. Si preferiscono gli oratori ? Ci manca Demo- stene. Abbiamo Gorgia leontino, maestro di tutù gli altri nella stessa orgogliosa Atene. Piace passare agli storici? Non ben veggo perchè Erodoto, tra noi vi- Yulo e tra noi scrivente, abbia a dirsi uom più della Origine delle Belle Arti 125 Caria che di Turio e nosfio. Ma Ira'padri della sto- ria ci lascino Timeo, Ippi di Regio, Polizelo, An- tioco di Siracusa , Filisto, Diodoro. E che si trae da ciò, e da quel più che non è bisogno ridire ? Nulla che già senza ancor tutto ciò non potesse esser preveduto. La stirpe era la stessa, e lo stesso l'istinto. Il clima non men qui benigno. La terra non agli uomini vi avversava, né gli uomini alla terra av- versavano. Il vincolo comune con gli altri greci, e la comune fraternità non si mettevano in dubbio. La gloria degli avi da un lido all'altro stiraavasi gloria di tutti. Quando i crotoniati vincevano gli elleni d'o- gni altra stirpe in Olimpia, quella vittoria ninno la contava a vergogna perchè la vittoria era di fratelli. Quando il re di Siracusa egli ancora vinceva, Pindaro magnificandolo sopra gli altri non pensava cantare d'altr'uomo che d'un uomo della stessa sua patria . , . d'un greco, la cui gloria era gloria greca pur sem- pre. Ciascun vanto degli uni era comune agli altri: e come ciò fu d'ogni onore , così fu non manco dell'arti belle. Sicilia o Magna Grecia volentieri abbracciava ed acclamava come suoi tulli i maggiori artefici ap- prodati a essa dall'altre greche terre, le quali non meno facevano buon viso a que'che l'una e l'altra mandavano a contraccambio. Le grandi scuole , a emulazione più presto che a rivalità, moltiplicavano intanto da ogni lato qui e colà, e fede ce ne fanno i classici del pari ed i monumenti. E prima i monumenti di greca impronta in ogni lor genere più lodato, di greca bellezza, di greca perfezione, che in quanto è tra noi d'antiche gre- 426 Letteratura caniche contrade più che in Grecia stessa di gran lunga a universale confessione abbondano e ridonda- no ad argomento palpabile della nostra maggiore prosperità e dovizia sinché fiorimmo. Rovine di tem- pli, come dire a Pesto, a Selinunte, ad Agrigento, teatri, edifizi dell'età più lontane, monete di finissi- mo or getto or conio, vasi dipinti d'egregio lavorio, quantità immensa d'ori, argenti, bronzi, avoj-i, ambre, armature, ornamenti, opere di cesello, di martello, metalli gettati a stampa, condotti a filo, battuti a la- mina, a foglia. Appresso a che quasi è superfluo lo aggiungere l' attestare de' classici, che molti nomi d' artefici nostrali ci hau tramandalo consagrandoli alli'immortalità, il cui catalogo può ciascuno leggere nel già ricordato Sillig. D'uno io non tacerò che vai per tulli, e fia l'eracleota Zeusi, di quel massimo nome che ogni antica storia suona, il qual uomo, se a tanto in arte seppe inalzarsi per potenza d'ingegno , ben solo egli basta a smentire ogni malevolo garrito di chi a' greci italioti non fosse disposto a concedere ingegno e virtù per salir fin a'sommi scanni , che agli altri una felice natura concesso aveva. Né lascerò da uliimo il dir che di molti tra' grandissimi nello stuolo degli operanti in ogni arte la terra natale s'i- gnora, passatala forse a invidia sotto silenzio in tem- pi men virtuosi' de'quali uomini s'io vorrò affermare che almeno alcuni all' italico suolo appartennero, non per fermo avrò detto cosa lontana da massima ve- risimilitudine. E cosi Roma su tutta la penisola nostra non avesse pesato col braccio, e prima di lei non avesse- ro travagliata questa ellenica Italia guerre ad un tera- Origine delle Belle Arti 127 pò inleriori ed esterne; cartaginesi per mare, barbari lucani e bruzii , ed altri scesi dalle balze apenniiie per teira, come per certo veduto non si sarebbe il- languidire a grago a grado e cessare quello spinger- si di gran corso ad ogni più elevato segno, che co- minciato s' era tra tutti a fervida gara con si bella promessa di giungere a sempre più lontana meta se- condi a nessuno. Piacque altrimenti alla Provvidenza. Nel bel mezzo delle glorie maggiori dell'italiche arti, ceco rovine da ogni lato: ed una rovina di tutte massima, l'assoggettamento a questa Roma. Le prime rovine avevan percosso esse arti di grave malattia : l'ultima le ucise o quasi. Roma, che nel libro de'su- premi destini scritto era dovesse distruggere per fab- bricare un nuovo mondo, sì ben distrusse, che la Grecia oltremarina ebbe intanto ogni agio a com- piere quel che al di qua dell'acqua non poteva pili compiersi, giacché più non era. E di qui la cagione per che infuso fin dall'origine al popolo de'quiriti il bisogno del soprastare colla forza governata da senno politico, a forza e a senno politico educò esso popo- lo, e l'altre cose lasciò spregiate e negliette, facendo vero di deliberato proposito il detto di Virgilio e d' Orazio, ma vero, siccome io testé avvertiva, per ele- zione, non per effetto di men felicità di natura. Perché arrivato a questo termine , un ultimo punto io tratterò. Se per una parte quella gara di precedenza o preminenza nell' aver perfezionato le belle arti, per le quali la Grecia con noi contende, va in nulla, considerato che non è distinzione alcuna ragionevole tra essa Grecia e mezza l'Italia, siccome quella che greca ere ancor essa, e compartecipe ap- -128 Letteratura pieno di quel vanto a ogni miglior diritto: per al- tra parte la porzione d' Italia non gieca non si di leggeri in ciò all'altra metà è per cedere, o sia che al diritto si riguardi, o sia che al fatto. E per vero, nel diritto, che mancava al più gran numero de'popoli italiani, altri che di greco sangue, a' popoli voglio dire di vecchia e legittima italica stirpe quanti pur furono, per aspirare nella pratica delle arti alla greca virtù? Se questa così vantata virtù privi- legio esser dovette particolare alla natura felice di quelle giapediche famiglie, le quali elleniche si dis- sessero, per una loro particolare e comune indole che a questo avevale specialmente fatte, io non veggo perchè il privilegio medesimo abbia a dirsi rifiutato a tutte quell'altre che, sebbene portanti altro nome e viventi in separazione più o men perfetta, pure a ogni segno manifestavano in se la non confessala o non saputa consanguineità con quelle prime, e quin- di la ereditata compartecipazione alle stesse disposi- zioni e tendenze e altezze native. Or tanto può dirsi a lode e del più gran numero de'nostrali popoli chia- ramente proceduti da pelasgico seme , o da tribù affini colle pelasgiche, e di quel sangue sin dall'età più remola fortemente tinti: dirette testimonianze, ma lutto altresì che di loro sappiamo ne dà fede, ben facendo conoscere quel che un tempo furono e po- terono. Religioni, riti, governi, costumi e costumanze, natura intima de'linguaggi nel pur puchissimo che ce ne giunse a notizia, vestimenta, leggi ... E ciò dico d'osci e di volsci, di latini e di rutuli, d'equi e d'ernici, delle sabelliche ed umbriche tribù, delle tir- reniche antichissime e dell'etrusche o losche più re- Origine delle Belle Arti 129 eenli: tra le quali in che differirono dalle elleniche o primitive o posteriori le consuetudini della vita quante pur furono? Era forse vestijj^io fermo tra esse di celtiche usanze o germaniche, o d'altre che gre- caniche non fossero? E ugualmente favorivale il cielo d'un sorriso della più bella sua luce; ugualmente la terra del beneficio di sua fecondità; ugualmente l'ab- bondanza d'ogni cosa a lieto vivere necessaria, e al ^ coltivare i semi quanti pur sono dell'ingegno con- fortativa ! Donde fu che in ogni storico più vetusto documento, risparmiato dalla falce del tempo, si parla tra loro , non d'un selvaggio e barbarico vivere, ma d'uno universale accasarsi a forma e regola di città, d'un ergere templi a legge d'architettura e di reli- gione, d'un alzare idoli a umana figura, d'un fecon- dare il suolo con lavori aiutati da buoi , da cavalli, da istrumenti temprati a durezza, efficaci a fendimento ed a solco. Se poi ricerchisi il fallo, esso per due vie ci è manifestato: e sia qui la prima a mentovarsi l'au- torità degli scrittori che lo riferiscono. Ai tempi del corintio Demarato, è Plinio che cel dice (H. N. 35. 3. seg. 6) : lam absoliUa erat pictura^ etiam in Italia (absoluta\ notisi tutta la virtù del vocabolo). Extant 'Certe hodieque (così nel suo tempo) antiquiore urbe picturae^ Arcìeae , in aedibus sacris^ (jiiibus equidem nullas aeque dernìror , tam longo aevo durantes in orbitate tecti , veluli recenies Dunque in Ardea de' lutuli, alle porte di Roma, e dipinte innanzi alla età romulea , secondo che sentenziavasi , eran pareti di templi ornai smantellali, e pur mirabili per aspetto di freschezza non menomata dalla libera percossa G.A.T.CXXm. 9 'J30 Letteratura delle piogge per secoli, e dalla eotidiaria flagellazione de'raggi solari. A che Servio, scoliaste di Virgilio (in Aeneid. 7.94), è riputato alludere ove lasciò regi- strato: ^rdeae, in tempio Castoris et Pullucis^in laeva, intrantibus , post fores Capaneus pictiis est fulmen per utraque tempora traiectus. Plinio seguita: Similiter Lanuvi , ubi Atalanta et Helena cominus pictae sunt nudae db eodem ar- tifice utraque excellentissima forma (si badi a questo), sed altera ut virgo^ ne ruinis quidem templi coneus' sae. Caius princeps eas tollere conatus est , libidine accensui^ si tectorii natura permisisset. E qui pure a confutazione d'Orazio è favellato di paese latino, qui ancora d'un dipinto più antico che Roma con due figure d'eroine d'uno stesso ignorato artefice , e con questo ch'eran bellissime, e d'una mestica re- sistente del pari al morder dell'aria aperta, dell'ac- qua e del sole , e tali che 1' imperatore volentieri avrebbele segate dal muro per portarsele in palagio, se avesse trovato uomini da ciò a secondare il co- mando. L'ultime parole del naturalista non sono meno no- tabili: Durant et Caere antiquiores et ipsae. Fatebitiir- que quisquis eas diiigenter aestimaverit^ nullam ar- tiuni celerius consumatami quum iliacis temporibus non fuisse appareat. Dove allorché s'afferma che ne- gl'iliaci tempi pitture non erano, ciò non può esser vero che di Grecia, sapendo noi che in Egitto ed altrove già erano; allorché poi s'usa la parola con- sumatami chiaro si manifesta che questi dipinti di Cere antiroraulei grande bellezza aver dovevano, e far fede quanto in su salita già fosse di que'di l'ar- Origine delle Belle Arti 131 te nella non greca Eti uria, fino ad avere cagion di dedurne che Italia, entrata di buon'ora colla Grecia in questa lizza, non lasciò all'emula crescere il pas- so; e conceduto che le fu condiscepola, non puossi però di leggieri concedere che cominciò coll'averla a maestra, visto che chi difender volesse contraria sentenza, questo medesimo argomento voltar potreb- be ad uso opportuno. E tuttavia le altre autorità non gli rìfinirebbono, che qui raccorrò in ischiera sarebbe facile, se tempo avanzasse a lasciarle udire: quelle, a cagion d'esem- pio, donde si trae per questa stessa Etruria l'eccel- lenza al tutto antica e sua, la qual ebbe nell'operar figure di terra cotta e di bronzo, delle quali pre- tendeva ella pure essere stata unica trovatrice. Laon- de molte ne'classici se ne ricordano onorate di lode, mira coelatura et arte^ come il testé citato natura- lista dichiara , quoque firmitate canora auro. E si nominano la quadriga celebre di Campidoglio, e il Giove fittile pur capitolino, allogato a un Turriano di Fregelle o vogliasi di Volsinio , o 1' Ercole pur fittile eh' ei lasciovvi. Come non ne si tace la fa- ma somma de' candelabri , e dell' auree fiale che Grecia stessa da'toscani solca comperare. D'un altro lato non veniva meno questa fami- gerata valentìa ne'terapi che vennero appresso: poi- ché Roma celebrava nell'età de'cesari il suo colosso tuscanico del nume Apollo, alto 50 piedi, e dubium nere mirabìliorem^ an puhrUudine (Plinio scrive). Che se per altra via ci piaccia allo stesso con- seguente venire, abbiamo, ecco, fatti i quali ci ca- 132 Letteratura dono sotto gli occhi: que'che usciti dalle sue viscere la terra ci schiera innanzi ogni giorno: bronzi, ori, argenti, statue, figurine, tijrrhena sigilla^ sacri e pro- fani arredi ed attrezzi, 1' arringatore o Metello del regal museo di Firenze, la Pallade dello stesso mu- seo, la Chimera ivi , la lupa capitolina, la cista di Novio Plauzio e di Dindia Macolnia, l'urna quasi tartara del museo Campana, specchi, vasi , monili, armille, anella, orecchini, alfibiagli , monete, gem- me. Abbiam soprattutto l' arte risuscitata a memo- ria de' padri nostri , quando in ogni altro paese e nella Grecia stessa era morta di mala morte a for- fattura d'iconoclasti e di barbari: dico risuscitata in tutta Italia, e in questa Roma e in Firenze e in Pe- rugia e in Bologna e in Ferrara e in Milano e in Venezia e altrove da italiani pur tutti, cioè per ma- no e per ingegno di que'maestri che il mondo mo- derno venerò ed imitò sempre, superò ed agguagliò non ancor mai: fra'quali basterà mentovare un Raf- faello, un Leonardo, un Tiziano, un Michelangelo, un Palladio, gli altri che voi meglio di chicchessia m'indicherete, e che sarebbe in me impertinenza il rammentarvi : di cui voi continuate le tradizioni trasmettendole a più giovani di voi; mentre si pre- parano a sedervi un giorno al fianco i preclari che oggi coronate de'vostri lauri e guiderdonate de'vp- stri premi. E a questi, ultimi nell'ordine con che nomina- va, ornai rivolto il discorso, quali cose ad essi dirò che m'odano presenti? — Signori! Viviamo in un tempo men forse all'arti belle propizio , mentre gli animi alienati ad altro guardano: di che è a rauo- Origine delle Belle Arti 133 \ersi alto il lamento. Ma voi veggo, e me ne allegro, e vieppiò vi lodo, che da nullo aberrante pensiero distolti le avete anzi considerate quale una nave di ricovero a bendiera franca, su cui riparando sfidate iranquilli ogni tempesta di cittadine passioni e vi godete una beata immunità da' tristi effetti loro, passando liberi da qualunque timor di conflitti e non istorditi d'altro romore di guerreschi fuochi , tranne quei che si fanno a saluto ed applauso. Fe- lici I che in questo porto dell'arti vostre dimenticar potete le minacciose conflagrazioni d'un mondo che vuole abbruciarsi come la fenice, sperando di risor- gere dalle sue ceneri più speldente e più giovane che prima ! Felici anche in questo che, le vostre arti essendo pacifiche e gentili per eccellenza , escirà , spero, dalla vista de'capolavori che siete per produrre un sentimento di soavità, come dalla lira di Terpan- dro quando calmava per potenza di suoni i cuori concitati a furore. Perchè è una virtù di queste arti, dalla quale gli uomini sono mansuefatti e perdono ogni naturale o acquistata ferocia, spinti ad amarsi scambievolmente, piuttostochè a lacerarsi con ferina rabbia. E oh ! fosse la solennità, che oggi chiamaci ad unirci, occasione a pensieri di maggiore letizia che quelli, i quali a nostro malgrado ci rampollano in seno! Perchè cinque anni essi ci riducono alla me- moria , ahi come tra loro discordi ! e quali anni ! e quanto poco, alcuni di essi, atti a destarci dentro sentimenti altri che d'immenso dolore ! 0 SOMMO, che da già un primo lustro, cedente il passo ad un secondo il qual comincia , siedi in 134 Letteratura Vaticano, legato di Cristo come crediamo per fedo, scelto a rappresentarlo in terra , primo strumento della Provvidenza divina, sacerdote de'sacerdoti elet- to ad offrire, messaggiere di tutti, innanzi al trono dell'Altissimo i giusti voti degli uomini, o tu dato a noi principe per esserci padre con nome di sovrano, tu sul cui capo augusto l' Onniveggente ha posto tre corone che paion d' oro , e tu solo dei sapere di che veramente sono, parole di pubblica congra- tulazione ed allegrezza dovrei pur da questo luogo, e vorrei, levar oggi sino a te ... . parole che la lin- gua mal sa . . . mal osa pronunciare ! Congratularsi ! ahi di che? Rallegrarsi ! perchè? Piangere ahi sì teco, e spargersi in tempo infelice il capo di polvere 1 vestire il corpo di sacco e di cilicio, e gridare con quanta immensità di grido è più nel bisogno del cuore che nella potestà del lab- bro : — -Signore, pietà ! pietà pel sacerdote ! pietà pel principe ! pietà per popolo \ pietà pel mondo, il qual prende aspetto di volere sconvolgersi da'suoi cardini! Se i troppi nembi, che nero da ogni parte fecero e fanno' l'orizzonte debbono in fiere tempeste risolversi e più fiere di quelle che passarono, che diverranno queste sale alla pace sacre ? che diverranno queste arti di pace nudnte ? — Ma no. Non ancora a tal siamo, che temer dob- biamo maturato il tempo allo scioglimento ultimo delle cose. Quando i mali umani una misura tocca- rono stabilita ne' segreti giudizi di Dio, l'ora è quella segnata all'angelo della misericordia per annunziare la riconciliazione e il perdono. Il demone del di- sordine, cacciato allora in fuga, cede il posto ali'ar- Origine delle Belle Arti 135 cangelo dell'ordine. Gli uomini stendono gli uni agli altri le braccia a forma ed atto d'amplesso. Governi e popoli si riconciliano insieme , e queste arti riac- quistino l'antica prosperità e dignità, chiamate a or- nare colle opere loro le nazioni e a lasciar monu- aenti che dicano alla posterità la felicità del tempo in che poterono esser fatti. Opere di Giordano de'Biancìii marchese di Montrone. Volume secondo. 8°. ISapoli dalla stamperia del Vaglio 1849. {Sono pag. XLIV e 333). Xl primo volume delle opere del marchese di Mon- trone uscì nel 1847: e di esso facemmo parola, colla gran lode che convenivasi, nel tomo CXIV di que- sto giornale, a carte 1 14. Or ecco il secondo, il quale benché rechi la data del 1849, è stato nondimeno pubblicato solo in questi mesi; e subito una mano cortese ce lo ha tramesso da Napoli. E veramente tardavaci di poter leggere il volgarizzamento di Gio- venale, che ben sapevamo dover contenersi in esso volume : perciocché il satirico d'Aquino non erasi ancora mostrato fra noi con tal veste italiana, che (sia senz'offesa di alcuno) paresse al tutto degna di lui. Grande maestro di verso e di lingua , come ognun sa essere stato il Montrone, e tutto caldo de- gli spiriti dei classici, chi meglio di tanto uomo po- tea riparare questo, se così vuol dirsi, difetto delle nostre lettere ? S' era infatti' umanamente possibile il darci in terza rima una fedele traduzione di Gio- 136 Letteratura venale , ciò avrebbe potuto oltre ad OjOrii* altro in Italia il Montrone. Diremo anzi che in assai parti dell'opera, con quella sua potenza d'arte, lo ha po- tuto: e che entrato in molte ardue difficoltà, spesso con maraviglioso valore le ha superate. Degno per forza, per eleganza, per interpretazione del testo i certo il suo lavoro : ma sembraci nondimeno che né pure ad un Montrone abbia Giovenale volato far grazia di traslatare al tutto fedelmente in rima le satire sue. E che n' è avvenuto? N' avvenuto, che qua e là il traduttore , divincolandosi su quel letto di Procuste, si è dovuto passare di non pochi concetti che sono nel testo, e fino d'interi versi, pa- go abbastanza di una parafrasi: ollrechè talora, se non erriamo, egli non altro ha potuto che farsi, co- me direbbe il Casa , piuttosto frantendere che in- tendere. Deh perchè tanta ira in alcuni moderni con- tro il nostro endecasillabo sciolto ! Contro quel verso, che pur tanto hanno nobilitato non solo l'Alamanni ed il Caro, ma il Gozzi, il Parini, il Pindemonte, il Foscolo, e con sì gran dignità omerica Vincenzo Monti ! Né credasi perciò essere nostro avviso, che di esso i nostri poeti seguano a far quell'abuso che fecero nel secolo decimottavo, meritandosi a buon diritto la frusta di Giuseppe Barelti. No certo: che per niun modo il vorremmo usato in molte origi- nali poesie, com e a dire nella lirica, nell'elegia, nella satira, nell'epopea. Ma le tragedie non hanno abba- stanza di possa e di maestà scritte in verso sciolto? Non hanno, verseggiato con esso, abbastanza di sem- plicità, grazia ed urbanità i sermoni ? E tutti^ questi pregi, chi di forza studierà nella lingua e nell'arte Opere del M. di Montrone 137 classica del verseggiare, avranno pure le traduzioni dal greco e dal latino, non poche delle quali sono infatti fra noi vere etnule de' grandissimi originali. Ma, sia che vuoisi, del volgarizzamento del Mon- trone giudichino in fine da loro stessi i lettori. Ecco una delle più belle satire di Giovenale , l'ottava. Peccato che non siansi trovate fra gli scritti del ce- lebre traduttore la quinta, la nona e l'undecima 1 SATIRA OTTAVA. I NOBILI. Stemmi che fanno ? E che, Pontico, giova Scender d'antico sangue, ed i sembianti Pinti degli avi millantarne in prova? A che gli Emiliani in cocchio stanti ? Un Corvin menco e' Curi non interi ? Galba col naso e le orecchie mancanti ? Che prò di equestri duci e di guerrieri Col ditlator nel mezzo ostentar pompe In quadri da l'età già rosi e neri ? Se in cospetto dei Lepidi si rompe Ad ogni vizio ? E innanzi al Numantino Le notti il biscazzar non s'interrompe? Se a dormir prendi in su l'albor vicino, Quando i duci morièno il campo ? Dunque Godrassi originar d'Ercol divino, E '1 nome d'Allobrogico, quantunque Cupido e vano Fabio, e vie più molle Che d'euganeo agnellin lana foss'unque ? 138 Letteratura A che gli squallid'avi a mostra estolle Pelarsi i lombi, e toschi a trattar uso, Perchè d'arder sua effigie di popol bolle ? Ornili pur vecchie cere ogni atrio giuso: Nobiltà sola ed unica è virtute. Sii di costumi un Paulo, un Cosso, un Druso: Questo più vaglia che le immagin mute ; Questo le verghe, te consol, preceda; Le doli in pria de l'alma io vo' compiute. Fai sì che a'detti, a l'opre ognun ti creda Santo e giusto ? Ecco il grande. Salve, o chiaro Getulico, e di nomi insigni creda I Te cittadin la patria egregio e raro Griderà, come il popolo festante Grida del ritrovato Osiri caro. E chi dirà gentile un tralignante Di sua stirpe ? che sol dal nome porJa Chiarezza? Un nano sì nomiamo Atlante; Cigno, un etiope; picciola e distorta Fanciulla, Europa; un can rognoso e strano. Leccante i labbri di luceina smorta, Diran pardo, leon, tigre, o silvano Altro animai che più feroce freme. Guarda non sia così tuo nome vano. A chi parl'io ? Te il mio discorso preme, Rubellio: hai tu de'Drusi enfiato il petto De l'alta insegna, qual se 'l giulio seme Per alcun opra tua t'abbia concetto Chiaro, e non femminella che tessente Lane a l'aperto trae viver dispetto. Voi la feccia, di' tu, di nostra gente : Voi senza patria: ma eecropid'io. Vivi, e tua origin godi lungamente. Opere del M. di Montrone 139 Pur di vii plebe alcun quirite uscio Facondo ad avvocar nobile indotlo, E togato del gius gli enimmi aprìo. Il giovane plebeo corre di botto Là su l'Eufraie e del baiavo domo A l'aquile custodi, e aruieggia dotto. Ma tu solo cecropide, se' corno Un erma tronco: e in tanto a lui maggiore, Che tu vivi, ei marmoreo ha capo d'uomo. Dimmi ^ germe di troi, che dà splendore A male bestie, se non l'esser forti ? Si lodiamo un corsier pieno di ardore, Che più e più palme nel circo riporti, Sbalzi la polve fra' plausi fuggendo, E innanzi a gli altri rapido si porti. Di lui suona vittoria: io lui commendo Nobile, di qual passo e' vegna: e a vile Tardo cavai, sia di gran razza, io prendo. Riguardar noi farà sangue gentile : Cangia a vii prezzo più padroni, e attrita Sotto un carro o a la mola il collo umile. Dunque perchè ammiriam te, non l'avita Virtude, e t'onoriam, fa per te cosa Degna che s'infuturi la tua vita. Ciò basti per la testa boriosa Del giovinastro pettoruto e pieno De l'attenenza di Neron fumosa. Perchè il senso comun spesso vien meno In gran furtuna. Non de'tuoi la lode, Pontico, non vogl'io t'affidi appieno. Che nulla a gli avvenir degno di lode Tu stesso mandi. Egli è pur d'uomo inetto A se puntello far de l'altrui lode. 1A0 Letteratura Piomba, sollratte le colonne, il tetto: Sta la vite senz'olmo al suol deserta. Sii buon tutor, buon duce, arbitro schietto. Se a testimon di cosa ambigua e incerta Citalo unqua verrai, sia che t'imponga Falari stesso con minaccia aperta Dir falso e spergiurar, sia che ti ponga Dinanzi il toro: a sommo eccesso ascrivi Che tu salvezza ad onestà preponga. Non perder per la vita il perchè vivi. Morto è chi vive al vizio, ancor che ceni Lauto, e di odori '1 corpo unga e coltivi. Quando de la provincia in mano i freni A la fine terrai tanto aspettati, Fa che in te l'ira e l'avarizia afFreni: Abbi pietà de'miseri alleati. Vedi gli ossi dei re senza midolle Da cupidigia rea smun'i e succiati. Tieni l'occhio a le leggi, e a ciò che volle La curia. Sai che premio i buoni aspetta, Sai qual gastigo i rei di mezzo tolle. Capitone o Tutor giusta saetta Del senato colpì: d'ambo predoni De'cilici predon prese vendetta. Ma che prò, se del tuo ciò che abbandoni Natta, a rapir verrà Pansa di volo ? Miser, taci, e a l'incanto i cenci poni. Al postutto è follia perderci il nolo. Già gli alleati 'n fior, di fresco vinti, Sentian men crudi i danni, e manco il duolo. Stava allor de le case entro i recinti Agio e ricchezza assai, paludamenti Spartani, e drappi in eoa porpora tinti; Opere del M. di Montrone 141 Di Parrasio le tavole e i viventi Fidiaci avori, e non meu le preclare Statue tli Miron surgean frequenti; Di Policleto ovunque eran le care Figure in marmo e ne'dipinti suoi: Mense senza d'un Mentore eran rare. Venne pria Dolabella, Antonio poi E 'I sagrilego Verre, e in gran vascelli Occulte spoglie si recar fra noi: Sì ne la pace trionfavan quelli. Or buoi pochi e cavalle a'soci, un toro Si rapirà da'presi campitelli. Indi gli stessi lari, alcun lavoro Di bella statua: l'unico idoletto Che a caso in una nicchia riman loro: Perchè 'l meglio quest'è, quest'è l'eletto Che s'abbian quei. Tu forse l'unguentata Corinto e Rodi imbelle avrà' in dispetto: Il mertan esse. E che sì dipelata Giovenlude dal mento a le calcagne, Che ti può far tal gente effeminata ? Vuoisi non provocar l'orrida Spagna, JNon il gallico ciel, non l'aspro seno Illirico cu' il mare adriaco bagna: Vuoisi rispetto a'mietitori almeno, Che satollan di lor fatiche Roma, Roma intenta che '1 circo ognor sia pieno. Ma qual trarresti in fin d'Affrica doma Premio di si gran colpa, or ch'ogni frutto Rubossi Mario, e le aggravò la soma? In pria d'un atto ingiurioso e brutto Contra i miseri e forti è da guardarsi. Lor togli oro ed argento, e togli tutto; 1 42 Letteratura Scudo e spada, elmo e dardi a vendicarsi Tu lasci: a gli spogliali avanzati l'armi. Ciò ch'io dico per vero è da pigliarsi: D'udir fa conto i sibillini carni. Se il tuo seguito è santo, e se ricciuto Donzello esser venale ti risparmi; Se moglie hai buona, ch'ove sei seduto Per tribunal non venga, e 'n ogni vico Arpia non rubi con l'unghione aguto^ Allor tua stirpe puoi contar da Pico; E, d'altri nomi s'hai desio, le pugne De'titani sien tuo stipite antico; Sia pur Prometeo: se più in là tu agugne Progenitor, da qual vuoi libro il togli. Ma, se al furor la tua libidin giugne, Se ti trae disfrenato amor di brogli; Se tu stanchi littori e verghe fragni Nel sangue, e ottuse far le scuri vogli; Ti s'erge innanzi allor de gli avi magni L'immago, in man con fiaccola che schiara Le tue lussurie e' subiti guadagni. Ogni vizio de l'animo dichiara Tanto più le sue colpe, quanto un tale Che pecca stassi in vista altrui più chiara. Mostrarti a gli occhi miei grande che vale ? Tu falsatorne'templi che fé' l'avo E del padre a la statua trionfale ? Tu adultero notturno, il capo ignavo Nel cappuccio santonico ravvolto, Per colorar meglio il disegno pravo ? Oltre l'ossa ed il cenere sepolto De gli avi suoi velocemente vola Su lieve carro il corpacciuto e stolto Opere del M. di Montrone 143 Damasippo; egli stesso con la gola Anelante, egli consolo le ruote Spranga al declivo: è ver, la notte sola, La notte s\; ma le stellanti ruote. Ma la luna l'osserva. Il tempo scorso Del consolato, ei fa cose più note. Di chiaro dì con frusta in man, l'occorso Non paventa d'amico vecchio; e ansante, Facendola scoccar, gli è incontro corso. L'orzo egli stesso e 'l fien di porre amante A gli giumenti affaticati ha cura. E qualora di Giove a l'ara ei stante Cerne un Numa sagrifica, sol giura Per Epona, e per quei visacci lordi Ne le stalle dipinti per le mura. Ma, se il richiaman bettole e bagordi, Quell'unguentario di porta idumea. Tutto spirante odor, vien che l'abbordi; E la succinta Ciane plebea. Come quei, suo signore e re saluta, Di vino un fiasco offrendogli che ben. Dirà chi questi error lievi riputa: Femmo altrettanto noi gioveni pria. Si, ma per poco: in breve a ben ti muta. Certi vizi col primo pel van via. Scusa i garzon. Ma un Daraasippo vade A le terme, e sbevazzi in compagnia ? E maturo a difender con le spade L'Eufrate, il Tigri, il Ren, l'Istro? Può bene Gran fidanza a Neron dar questa etade. Movi, Cesare, movi il campo: in piene Taverne cerca il tuo legato. A fianco Troverail d'un fuggito di catene, i 44 Letteratura 0 in mezzo a ladri, a galeotti, ed anco A becchini, a carnefici, o con sozzo Gallo di pulsar timpani già stanco. Quivi libero è ognuno: ungono il gozzo Tutti a un bicchiere; a un Ietto e quelli e questi, A una mensa il signor giace col mozzo. Che d'un tal uomo, Pontico, faresti, Se fosse servo tuo ? Certo a'Iucani 0 a gli ergastoli toschi '1 manderesti. Ma voi, stirpe gentile di troiani. Tutto a voi lece: a'Volesi ed a'Bruti Sta ben ch'è turpe a'più vili artigiani. Che? se, quantunque infami, atri e polluti Esempli usiam, ne avanzan de'peggiori? Damasippo, tu gli hai tutti compiuti. Tu, sprecato ogni aver, tua voce a 'cori Del teatro allogasti, e nel Fantasma Di Catullo cantasti infra clamori. Lentulo nel Laureolo, anch'ei, senz'asma Montò in croce: e davver merlarla avviso. Né il popol, che ciò mira, men si biasma: Sfacciato il popol è che guarda assiso Sì gran buffonerie, che i Fabi scalzi, Gli Emili schiaffeggiar vede con riso. Che importa di lor vite a quanto s' alzi II prezzo ? Ei si la vendono al pretore Ne'giuochi, senza che un Neron gl'incalzi. Stean là spade, e qua scene. Pel migliore Che scelgli ? Cui di morte orror mai piglia Si ch'a'teatri venda anche l'onore ? Pur nobil mimo non fu maraviglia. Regnante un prenze citaredo. E 'n vero, Altro er'allor che di buffon quisquiglia? Opere DEL M. di Montrone 145 Cresce l'onta di Roma in ciò, che '1 iìero Gracco pugna, non d'armi ricoperto Da mirmillon (che scudo, ehno e cimiero E adunca falce abborre) : il viso aperto Egli mostra : il tridente ecco dimena, Poiché indarno vibrò le reti esperto; Con la faccia levata, acciò che piena Di se contezza a lo spettacol dia, Or qua or là fugge per tutta l'arena. De la tunica sì la leggiadria Gel palesa, e la fascia aurea che scende Giù dal galero, e sventola per via. Dunque ignominia più gravosa offende D'ogni ferita il mirmillon, che astretto Da comando con Gracco a pugnar prende. Se al popolo si desse aprir suo detto Francamente, qual uom, sia de'più tristi, Non avrà su Neron Seneca eletto ? Con una scimia insieme e un serpe misti Poco era entro ad un sacco esser confitto Al supplizio del re de'citaristi. Fu de l'Agamemnonide il delitto Ugual. Ma la cagion fa differenza : Che quegli 'l padre fra i bicchier trafitto, Autori i numi, vendicò : ma senza Che del sangue d'Elettra si macchiasse. De la moglie, o di alcun di sua semenza. Non fu che Oreste in scena unqua cantasse; Né scrisse in versi d'Ilion combusto. Qual mostro era onde più si vendicasse Verginio, Galba e Vindice ? A dir giusto. Non fe'Neron che in tanti anni e sì crudi D'imperio fosse men d'infamia onusto F G.A.T.CXXIII. 10 146 Letteratura Del f>^eneroso prenze eran gli studi Merlar nel greco agon corona indegna, E vilmente trattar scenici ludi. Di tua voce i maggior s'abbian l'insegna: Di Menalippe la maschera prendi, Ponla a'piè di Domizio, ella n'è degna. Ponvi 'l pran manto, onde si 'n scena splendi. Di Tieste e d'Antigooa, e la lira Dal marmoreo colosso alto sospendi. Calilina, Catego, alcun rimira Legnaggio sì gentil che a voi sovraste ? Pur voi con mente torbida e delira Armi notturne e fiamme apparecchiaste A case, a templi; ed un misfatto tanto, Quasi progenie di quei galli, osaste, Voi degni d'esser vivi arsi. Ma intanto Veglia il console a tutto, e lo stendale. Ritto contro alla patria, in man vi ha franto. E' testé cavalier municipale Nuovo d'Arpino in Roma, ignobil prima, Mentre ognuii trema, sol per tutti vale. E, come quei ch'adopera ed istima. Pone ovunqne presidii e si assicura : SI la toga a gli onor levollo in cima. La toga fama diegli entro le mura. Più che Tessaglia ed Azzio, onde si noma Ottavio, e più che la indefessa scura. Ma Roma padre de la patria, Roma Tullio suo salvator libera disse. L'altro, che Arpino ancor per suo rinoma, Pria su l'aratro altrui stentando visse ; Poi sul suo collo ruppe la nodosa Vite, ove il campo a munir lento gisse. Opere del M. di Montrone I4T Pur questi i cimbri ed ogni perigliosa Opra su di se tolse, e lo scompiglio Solo e' quetò ne la città dubbiosa. Onde poi che ne'cimbri con l'antiglio (Che cadaveri sì grossi ed immondi Non toccò mai ) li corvi dier di piglio, Il nobile collega ebbe i secondi Onor del lauro. Fur plebee de i Deci L'alme, i nomi plebei, ma interi e mondi : Tal che per tutte le legioni i Deci, Per gli ausili e' latin, solo a la madre Terra e a gl'inferni dei bastano i Deci. Nato d'ancella e di non chiaro padre, La trabea, i fasci e'I serto di Quirino Mertò l'ultimo re d'opre leggiadre. De gli esuli tiranni al repentino Assalto aprian per le tradite porte I figli d'esso console il cammino, Ei che di dubbia libertà la sorte Spronar dovea ad alcun' alta impresa, Onde Coclite e Muoio e quella forte Vergin che a nuoto varcò il Tebro illesa Ne stupissero. A'padri 'l lacrimato Servo l'occulta tradigion palesa : Ma quei battuti piangon lor peccato, E primi 'l ferro provan de le leggi. Vo'che t'abbia un Tersite generato. Pur che pari a l'Eacide maneggi L'armi vulcanie, e non produca Achille Te, se un Tersite di viltà pareggi. Cerca il tuo nome indietro ad anai mille. Infame asilo abbasserà l'orgoglio : La tua primizia, senza più postille, 0 fu pastore, o quel che dir non voglio. 148 Letteratura Non clevesi passare che il vol(jarizzamento ha un dotto e giudizioso proemio di quel Bruto Fabricato- re, che illustrando in Napoli la famosa scuola di Ba- silio Puoti, già non meno del suo maestro si rende benemerito dell'italiana letteratura. B. Nuove ricerche sulla vita di Vinaria Colonna. Discorso letto in Arcadia dal commendatore Pietro Ercole Visconti commissario delle antichità e segretario -perpetuo della pontificia accademia romana di archeologia. X 1 on e è questa la prima volta, arcadi compastori, gen- tili ascoltanti , non è questa la prima volta che io favello in mezzo al consesso vostro di Vittoria Co- lonna. Molti di voi possono rammentare il discorso eh' io tenni dichiarando l'impresa che questa gran donna aveva levato ad espressione di quell'alto e schivo suo animo, ch'era d'un ginepro che per forza di vento non può i rami dividere ne separare dal tronco. E in quella memoranda occasione , quando le vostre muse accompagnarono sul Campidoglio il trionfo della Colonnese eccelsa, dedicandosi il busto di lei in quelle aule d' immortalità, ebbi io pure la bella ventura di tenervi discorso ricordando quelle singolarissime lodi che la facevan degna d' esser lo- cala in quella sede, ove raro è che il viril senno o coraggio trovi guiderdone di grandi opere o di grandi fatti. Ed oggi da un argomento a me si caro non uji allontano, e pur torno a dirvi di questo singo- Vita di Vittoria Colonna 149 lare ornamento dell'italiano parnaso e della nostra Koma. Perchè non mi parendo che mal abbastanza se ne possa sapere e conoscere, non ho mai cessato fatica nell'indagare quelle notizie che valgano a dare alle azioni di lei quella luce che sì conviene. E aven- do pur sortito di tali mie cure alcun effetto, son lieto di recarne la notizia nel seno vostro, e mi pro- metto quell'ascoltare gentile che si conviene alla gra- zia dell'argomento, se non al merito del dicitore. Tra le varie fonti, alle quali ho cercato di at- tingere le più sicure testimonianze dei fatti di Vitto- ria Colonna, alcune ve n erano sì remote, che per molta volontà che io ne avessi non mi fu dato d'ap- pressarne. E veramente ben poco fu quello che con iterate istanze ottener valsi da Napoli: né da Firenze, onde molto attendeva, aver potei se non solo la no- tizia ed il sunto di certe lettere della Colonnese al gran Michel Angelo, assaissimo al mio intento op- portune , avendo chi le possiede dato sempre inten- zione di volerle mandare in luce egli stesso: e voglio credere che abbia un giorno a sdebitarsi di tale pro- messa. Intanto però essendo, d'onde meno lo spe^ rava, comparso lo scritto che alcune delle cose da me ritrovate nei romani archivi conferma, e di al- tre (e massimamente di quelle che a Michel Ange- lo e a' rapporti suoi con la Colonnese si riferiscono) porge più ampia contezza, ho stimato che sarebbero non senza diletto ascoltate, e per la propria condi- zion loro e per que'nuovi particolari che conoscere- te di breve. A far manifesto di che autorità sia l'autore dello scritto poc'anzi accennato, dirovvi che è questi Fran- 1 50 Letteratura Cesco d'Olanda, intendente quasi d'ogni arte, naa più specialmente celebre in quella dell'architettura e del dipinger di minio. Giovanni III re di Portogallo lo inviava in Italia, perchè alla ispirazione di questo cielo gli formasse quadri e disegni, e dello stato delle arti e degli uomini d'Italia il rendesse certo. Ed egli dopo essere alcun tempo dimorato nella nostra peni- sola, e più lungamente in Roma, ridottosi nuovamen- te in pauia, scriveva poi al generoso monarca la re- lazione delle cose vedute, ed in questa un dialogo intorno allo stato della pittura in Roma. Il mano- scritto di Francesco d'Olanda passò poi, non si può dir per qual caso, nella biblioteca del Gesù a Lisbo- na, d'onde non prima dell'anno 1846 fu dal conte Raczynski, uomo delle arti sommamente benemerito, fatto voltare in francese, e nelle parti più rilevanti pubblicato a slampa in Parigi coi tipi Renouart. Ora incontra assai opportunamente per noi, che in quella parte, della quale io diceva così pubblica- ta per altro oggetto, narri il pittor portoghese di molti illustri che in Roma conobbe, e in più spe- cial modo fra questi di Michel Angelo e di Vitto- ria Colonna. Sicché di tanto lontana parte e per via così poco aspettata ci giunge chi ne faccia presenti a tali due sublimi ingegni, e ci metta quasi a con- versare con essi, descrivendone gli atti, ripetendone le parole, ponendone in luce le consuetudini, e qua- si i volti ed il costume. Laonde io mi penso che né più cara altra cosa né migliore far io mi possa, che recatomi in mano il volume venir qui riducen- do que'luoghi che a Vittoria Colonna più special- mente si riferiscono, facendo argomento dal diletto Vita di Vittoria Colonna lofi che ne ho sperimentato io medesimo, di quello che a voi stessi è per recare la cojrnizione di sì minuti particolari e sì veri, che sembra quasi esser fatti contemporanei di tarli, che ad averli veduti e uditi parlare molti non istimerebbero male speso il sacri fìcio di qualche anno di vita. Narra dunque Francesco d'Olanda come egl avesse per mezzo di Blosio, segretario del pontefice contratto amicizia con Lattanzio Tolomei che era nipote del cardinale di Siena, e come lo avesse poi questi introdotto a Michel Angelo, che poi molto lo ebbe caro, e volentieri con lui delle cose dell'arte si tratteneva. Or avvenne che una certa domenica andando Francesco d'Olanda per messer Lattanzio, trovò che uscito di casa aveva lasciato se gli dices- se, che era andato a Monte Cavallo nella chiesa di S. Silvestro di compagnia con la marchesa di Pe- scara per sentirvi un frate Ambrogio da Siena che vi spiegava le epistole di S. Paolo. E qui il pittore dimostra in quale alto concetto tenesse la Colonnese, dicendo di lei queste proprie parole: « La signora Vit- toria Colonna marchesa di Pescara, sorella del sig. Ascanio Colonna, è una delle più illustri e delle più celebri donne che vi abbia in Italia ed in Eu- ropa, che è dire del mondo. Casta e dotata di bel- lezza, dotta in latino e piena di alti spiriti, possiede tutte virtù e pregi che si possono in donna lodare. Dopo la morte del suo illustre marito ella mena mo- desta vita e separata dal mondo. Sazia dello splen- dore e della grandezza del suo stalo passato , essa non ama adesso che Cristo e i buoni studi : molto è benefica con povere donne, e porge esempio di vera 152 Letteratura pietà cattolica. » Tale era ne' pensieri di Francesco d'Olanda, anzi ne'pensieri di tutti i suoi comtempo- ranei, questa femmina eccelsa. Volete adesso che io qui ripeta alcuna parte di que'colloqui, che narra esso Francesco aver allora tenuto con la Colonnese e Michel Angelo e gli altri comuni amici, che in quella chiesa dopo cessati i discorsi di Ambrogio da Siena si raccoglievano per onesto trattenimento, secondo comportava l'uso dei tempi? Certo io non m' inganno pensando che il vogliate : e ne eleggo una parte, dove appunto la marchesana di Pescara e Michel Angelo sono in discorso. « Il santo padre (dice Vittoria) mi ha fatto grazia di concedermi di fabbricar nuovo monastero di monache qui presso sul pendio del Monte Cavallo nel luogo dov' è quel portico minato, dall'alto del quale dicono Ne- rone guardasse l'incendio della città; acciochè i passi di pure donne cancellino le tracce d'uom sì mal- vagio. Io non so, Michel Angelo, qual forma e qual propozione dare all'edifìzio, né di qual lato formarne l'ingresso. Non si potrebbe egli far che le antiche mura servano in parte alle nuove costruzioni? » » Sì, disse Michel Angelo: il portico in rovina potrebbe servir di campanile». La quale ironica rispo- sta fu detta con tanta serietà, che tenne per alquanto tutti sospesi: ma poi Michel Angelo continuò: « Cre- do che si possa senza pericolo alzare la fabbrica del convento: e uscendo di qui noi potremo, se vi piaccia, guardare un poco nel luogo per dare in proposito qualche idea. » Al che Vittoria: « Io non m'ardiva richiedervcne, ma ben veggo che quella parola del Signore « Deposuit potentes et exaltavil humiles » Vita di Vittoria Colonna 153 s'avvera in ogni incontro. Voi avete di più il me- rito di mostrarvi liberale con sapienza, e non prodi- go con ignoranza: ond'è che gli amici vostri mettono il vostro animo sopra le stesse vostre opere, e le persone che non vi conoscono stiman di voi ciò che ci ha di men perfetto, i lavori delle vostre mani. Quanto a me, certo io non vi stimo men degno d'en- comio pel modo col quale avete saputo farvi tutto solo fuggire l'inutile nostro conversare, negarvi a dipin- gere per tutti i principi che ve ne richieggono, che per l'aver prodotto solo un'opera in tutta la vostra vita, come voi avete fatto. « Vedete con che dilicati e degni concetti si esalti e si giudichi da questa rara donna il grande uomo che la portò si alto nel cuore, che si cinse per lei quella quarta co- rona che già maturo degli anni raccorre pur seppe in su i gioghi più erti di Pindo. Cosi poless'io qui ripetere le parole tutte, che il felice portoghese ascoltò e ridisse, come se ne avrebbe una viva di- pintura delle rare e sublimi doti della mente e del cuor suo! Ma costretto, come io sono, a ristringere in poco quel molto che il tempo accordato al mio dire non comporta, passerò ad altre parti dello stesso volume, non senza aver prima osservato cosa che a meraviglia conferma quanto esattamente Fran- cesco d'Olanda abbia tenuto memoria delle cose che la Colonnese riguardano. Era mal saputo, se non ignoto del tutto, che Vittoria, nel dolore vivis- simo che recato le aveva la perdita dello sposo, avesse voluto chiudersi in un monistero, dove poter meditare e piangere nel silenzio; ma che questo fosse appunto quello di s, Silvestro in Capile^ non era, 154 Letteratura prima ch'io mi volgessi ad illustrare la vita di essa Vittoria, a notizia di alcuno, avendo ritrovato io stes- so il breve che Clemente VII diresse alla badessa perchè potesse riceveila: documento onorevolissimo che serbato viene in quel monastico archivio. Or ri pittore, del quale abbiamo alle mani lo scritto, chiude la prima parte del suo dialogo con dire, che alza- tosi Michel Angelo, eia marchesa fatto il simigliante, venne a sua preghiera stabilito il convegno della società stessa pel gio rno seguente ed in quel luogo. Egli poi insieme a Diego Zappata spagnuolo l'ac- compagnò dal monistero di s. Silvestro a Monte Cavallo all'altro monistero di s. Silvestro in Capite^ dov' essa con le religiose dimorava. E voi vedete come bene per tali parole si contermi quel tanto che nella vita io ne scrissi, e come da quelle cose medesime l'autorità e la fede si dimostri del libro» nuovamente venuto in luce. Ma nel secondo dialogo, che pur in s. Silve- stro sul Monte Cavallo si dice tenuto. Vittoria è introdotta a favellare delle più belle opere dell'arte che in Roma si vedevano: e certo con parole de- gne di lei. Aveva Michel Angelo assai cose detto, nominando le piiì celebri opere che la pittura pro- dotto avesse in Italia: quando avendo fatto silen- zio, la marchesa al narratore rivolta: « Avete, disse, osservato come maestro Michel Angelo evitato ha di ricordar Roma, la maestra della pittura, per non parlarci delle proprie sue opere? Or da che egli ha creduto di agir così per dover suo, noi non lasceremo di fare il nostro per più imbarazzarlo : perchè quando di pittura celebre si parla, niuna « Vita di Vittoria Colonna 155 non deve andare innanzi a la sorgente d'onde essa deriva. Presso s. Pietro v' ha una grande volta di- pinta a fresco co'suoi quadri e lunette d'archi , del pari che una immensa parete, dove Michel An- gelo ha divinamente rappresentato come Iddio creò il mondo; il tutto diviso per quadri accompagnati di gran numero di figure e di sibille , ed altre per- sone assai artificiosamente disposte; e ciò che è de- gno d' essere osservato egli è, che in questa volta sola non peranco finita, sebbene Michel Angelo non abbia fatto che quest'opera , e V abbia cominciata nella sua gioventù, v'ha l'opera di venti pittori riu- niti. « Quello che poi aggiunge in proposito di Raf- faello dimostra una bene scusabile parzialità verso il Buonarroti; giacché dice dell'urbinate, ch'ei sareb- be il primo se l'altro non esistesse. Ma grandissima elevatezza d'animo, e tale che ben agguaglia le sue rime sacre, certo le più sublimi eh' ella scrivesse , viene Vittoria svolgendo colà dove è ragionamento del dipingere le sacre immagini. « Come, dice ella, ove non abbia l'artefice scevro il cuore da ogni basso alFetto, e inteso tutto alle ispirazioni celesti, potrebbe ritrarre la benignità e dolcezza del nostro Redentore e la purità della Vergine e dei santi ? Come imitare la divina immagine di esseri incorporei, la bellezza loro, la loro gloria? » E ciò che dimostra pure lo squi- sito sentimento ch'ella ebbe nelle arti è espresso in quello che dice sulla diversa condizione delle pit- ture; aggiungendo che spesso le immagini mal di- pinte cagionano distrazione, e fanno perdere l'ispira- zione devota : dove pel contrario quelle che sono perfellamete dipinte eccitano anche i men devoli 156 Letteratura alla contemplazione, e fino alle stesse lagrime. Certo son queste considerazioni ben degne di quel santo petto, e viene da esse gran lume a conoscere come poi nelle poesie a tanta soavità di contemplazioni potesse elevarsi, che spira da quelle come un'aura celeste. Queste così semplici e così vere narrazioni deirartefice portoghese mancavano a render com- pleta la eccelsa immagine di questa virtuosissima e sapientissima donna. Parendomi che questi tocchi e quasi lumi prin- cipali, per pochi e ristretti che siano, massimamente al mio desiderio (che mai non sono sì pago quanto allora che ragiono della gran Colonnese) pur basti- no a render sembiante del suo animo, passo ora bre- vemente a favellare di quella sua immagine , che formò velo all'altra più eletta parte, e piiì altera. Al- rinfuori delle medaglie che sin di Francia io pro- curai, e incise posi nel mio libro, non si aveva di Vittoria un ritratto che soddisfacesse al comun de- siderio, e affermar si potesse condotto lei vivente. Ola uno ne ho ritrovato posto in fronte alla stampa delle sue rime, che del 1540, sette anni cioè in- nanzi alla morte sua, fatta venne in Venezia. E nel disegno di questo ritratto, meglio che nella esecu- zione, una straordinaria e grande franchezza, è un modo di veder nell'arte che una gran mente rivela. Io per me son di credere, che questa incisione nel legno provenga da quella immagine, che la Colon- nese stessa mandò a donare al Bembo, che forse la diede per l'uso di questa stampa. Ma sia di questo . pensiero quello che più si voglia, assai rileva che di questo unico ritratto venga opportuno confronto alla Vita di Vittoria Colonna 157 trrancle tavola da Londra recentemenle riportata in Roma, e che si teneva per sola conjrhiettura rappre- sentare la marchesa di Pescara. Quella conghiettura, se io non m'inganno, è fatta adesso certezza : e noi possiamo contemplarvi , se non nei floridi anni di gioventù e nel sorriso della bellezza la celeste donna, almeno in quegli anni più maturi, ne'quali appunto incontra quel tempo che il portoghese descrisse , quando era tutta in santi pensieri, quando nutriva nelle contemplazioni di religiosi affetti que' concetti subUmi , che recati ne' modi della poesia danno a' suoi versi un pregio, che altri prima non ebbero , uè hanno poi avuto. In questo torno di tempo la vide ancora in Ro- ma il conte Fortunato Martinengo : e già tornalo in patria, non sapeva più quasi parlar che di lei e della sua incaiitatrice virtù. Laonde ai 7 di giugno 154G ne scriveva queste proprie parole : « Certo ella è donna rara e singolare, molto accesa dell'amor di Cristo, cos'i sempre ne ragiona non meno col cuore che colla bocca. Che umiltà è poi quella sua 1 Che maniera di principessa, come veramente è ! Lascia- mo che cose sono tutte da farne innamorare la gen- te: sono guide senza dubbio da condurla per quella via, per la quale sì gloriosamente a sì gran passi cammina. Io la visitai più volte : e se non che du- bitava di parerle molesto , io non avrei mai detto di partirmi da lei ... . Ella ha tal forza ne'ragio- nari, che par quasi che della sua bocca escan ca- tene, colle quali tragga i sensi degli ascoltanti. E poiché più oltie non m'è stato concesso, dico d'a- vermi più lungamente ingombra l'anima di que'suoi 158 Letteratura santissimi e bellissimi discorsi , io m' andrò almen consolando d'aver conosciuto e d'esser divenuto ser- vitore della più segnalata e degna donna , eh' oggi vegga il sole. » ( E a carte 25 della rarissima rac- colta di lettere di diversi autori, raccolte per Ven- turin Ruffinelli, e stampata in Mantova nel 1547). Laonde per un felice incontro di cose , ho io potuto, arcadi compastori, presentare ad un tempo in questa raunanza, comunque in disadorne e brevi parole, tal sunto delle nuove mie ricerche intorno a Vittoria Colonna, che ne han fatto meglio conoscere la eccelsa e sublime sembianza del suo animo, e ne hanno accertata ancora di quella immagine deside- rata tanto, che ne dà conoscerne il volto, e ravvi- sarne il sembiante. Che se, come è stato giudizio di quell'insigne consesso che è la pontificia accademia delle belle arti di s. Luca, uscì quell'opera, almeno nella più eletta parte , dalla mano stessa del gran Michel Angelo, sarà questo un nuovo ravvicinamento di due tali pellegrini ingegni. E si vedrà in questa tavola dal Buonarroti dipinta im bel ricambio di quelle lodi, che ad encomiarlo proferite ascoltammo da Vittoria Colonna in quella chiesa del Quirinale, cVie verrà d'ora innanzi più celebre per la rimem- branza di quel consesso che più volte accolse nel seno; e del quale, mercè dello scritto che io primo ho recato ad illustsare la vita di Vittoria Colonna , siamo stati noi stessi dopo tanto volger di tempo chia- mati a parte. 159 X' opinione e la stampa disaminala ìielle attinenze loro colla morale e colla politica da Fortunato Cavazzoni Pederzini modenese. — Modena tipo- grafia della real camera iSòO. [Un voi. di p. 260.) Jr occhi libri ha veduto l'Italia a'nostri giorni, i quali sien pari a questo', sia per la profondità e acutezza delle considerazioni e delle dottrine, sia per la uti- lità e importanza delle cose , tutte addalte a' tempi, che vi sono discusse e mostrate con acuta critica, e con quella nobile moderazione , che rende il libro grato e maraviglioso. Il nome stesso ben chiaro dell'illustre autore ne dispensa dal dire, come bella ne sia la frase , bellissima e tutta pura la lingua , non ostante che si abbia dovuto dire molte cose mo- derne, e forse tutte difficili ad esprimersi, senza ca- dere nel barbaro e nell'afforastierato. Due altre volte l'autore ha trattata e svolta la quistione sulla libertà della stampa , cioè nell'an- no 1842 ne'suoi lodati Dialoghi filosofici [Modena tip. della D. Camera 1842, Dialogo /F, §. CXXVIIl p. 163) e nel 1845 nel Ragionamento coronato dal- l'accademia di Modena sopra i vantaggi e la neces- sità d'una ben regolata censura [Modena 1845) st. negli atti dell'accademia e a parte)-, dicendo dappri- ma , e non senza alcuna dubbiezza, e quindi affer- mando risolutamente, che la stampa non dovea né poteasi permettere libera chi voglia la quiete, l'or- dine, ed ogni bene possibile nelle civili società. Con- fermatosi quindi nella sua sentenza e dal gravissimo 100 Letteratura abuso fattosi della stampa, e condotto da' pondera- zioni, esami e studi ulteriori ed accuratissimi, si fé a ricomporre in questo nuovo libro assai e più assai che non avea per lo addietro appurato , chiarito e rinforzato il suo sentimento. Laonde datosi a consi- derare le condizioni della quasi comune opinione a lui contraria, e di là passo passo procedendo, si trovò essere giunto a conoscere l'intrinseca natura di tutte le simili opinioni in generale , ed a statuire se e quale, e quanto e quando avessero valore di supe- riorità, e meritassero di preponderare al sano e di- ritto raziocinio di ogni privato. « De' così fatti materiali, disposti e coordinati » secondo che pareva, dietro il suo proposito, richie- » dersi dalle loro logiche attinenze, ha elevato l'A. » quasi un piccolo edifizio mentale, che mette fuori 0 semplicemente delineato a contorno, per un riguar- » do di non rubare il tempo, o di non recare fa- H stidio agli uomini periti e valorosi in filosofìa, ma » pur tuttavia ombreggiato e lumeggiato quanto ba- » sti, perchè ne comprendano subito la pianta e lo )» scompartimento e gli usi. Che se pur queglino » istessi il trovassero oscuro , li prega e spera che » si degnino perdonare il difetto all'onesto e rispet- » toso desiderio d'esser breve. » Volendo pur dare qui un qualche sunto in saggio dell'opera, e trovandolo pressoché fatto dal- l'autore medesimo nella sua conchiusione e nell'In- dice Analitico, mi gioverò di questi a siffatto inten- dimento: e molto utilmente, secotìdo che io credo, perchè niuno meglio dell' A. è valevole a com- pendiare e restringere in modo pieno e acconcio i propri pensamenti. L'opinione e là stampa '164 L'autore adunque in tutto il libro ha cerco e chiarito che sia l'opinione , e come si formi tanto nelle persone individue, quanto nel pubblico: ed ha mostrato altresì come può essere formata fallacemen- te, e come riuscendo a signore^(yiare è potentissima, ma di leggieri mutevole e caduca. Appresso: « Farmi » (così ci dice) d'ver dimostrato come 1' opinione » anche interna ha una libertà limitata, e variamente ') modificata dalle leggi della morale; ed eziandio è ♦) soggetta alle leggi civili, s'ella si manifesta. Ho cer- » cato, quanto si stenda l'autorità del principe in ma- >) teria d'opinioni; e parmi d'avere dimostrato ch'ei 1) le dee trattare ugualmente che le altre azioni d'in- » leresse civile , e dee procurare che le opinioni V servano, o per lo meno non disservano, all'ordine » sociale. Siccome poi la slampa è tal modo di ma- » nifestare idee, il quale dà campo a giudicarle con w giudizio e preveniente e susseguente, sono entrato » nella quistione intorno alla libertà della stampa ; » e dopo stabilita la ricognizione del fatto della cor- » ruzione della natura umana, e trattone parecchie 1) gravi conseguenze a carico della stampa medesima, » mi pare d'avere dimostrato, e mantenuto per bene, ') ch'essa non può mai godere d' una libertà illi- » mitata, e ch'ella dev'essere soggettata a censura » preveniente, in onta de'vani e deboli argomenti » di parecchi celebri, che propugnarono la contraria » sentenza.Da ultimo essendo il traltatello dovuto di- » scendere alla specialità de'governi rappresentativi, » appresso toccato alcuna cosa delle loro condizioni, » parmi d'aver mostrato che se la natura loro de- » mocrallca non consente altro genere di censura G.A.T.CXXIII. 11 162 Letteratura )) che la susseguente , e, come dicesi, la via della » repressione, questa larghezza si dee terminare alle »> sole materie amministrative, o se vogliamo anche » politiche, ttia innocenti. » Ora venendo all'^na/m del libro , definito dal Pederzinìche l'opinione è l'inclinazione dell'intellelto verso una cosa come probabile, dice nella formazio- ne di essa concorrere le facoltà intellettive e le sen- sitive : il che dà origine all'opinioni false e difettose che possono essere eccitate in noi anche per azione di cause esterne operanti sovra esse nostre facoltà ; e quindi la varietà delle facoltà in ciascun uomo produce la differenza delle opitìioni in ordine agli stessi oggetti : e variandosi per conseguente la dispo- sizione e il contemperamento , o 1' attitudine delle facoltà medesime, si vorrà l'opinione nello stesso sog- getto. Verità tutte di fatto naturale che si avverano anche per riguardo all'opinione , quando si trova in una moltitudine di privati, e le moltitudini formano le opinioni il più frequentemente dietro l'autorità, isti- tuzione previdenziale, che non di rado è pur causa d'inconvenienti e d'inganno ; e questo è tanto più facilmente per eflfelto, e per l'uso della stampa, che può esser fatta servire ad inganno della moltitudine , ed anche a fine innocente e buono, ma può anche esserlo con soperchicria, imponendo cioè una opi- nione con sopruso. L'opinione riuscita che sia a si- gnoreggiare in una moltitudine , perciò stesso che aumenta di autorità, si estende o diviene potentissi- ma: pur nondi manco ha breve durata, tanto negl' individui, quanto nelle popolazioni. «< L'A. propostasi quindi la quistione, se le opi- L'opinione e la stampa 1G3 nioni siano libere, entra ad esaminarla col distingue- re due specie di libertà, interna ed esterna, e col distinguere pure varie specie di libertà. Mostra li- mitata e variamente modificata da leggi la libertà dell'opinione interna, la quale ne acquista ragione di merito o di demerito morale; prova a priori la convenienza della soggezzione dell'opinione alle leggi morali, e la conferma per argomenti a posteriori. Anche l'opinione manifestata è soggetta alle stesse leggi, come l'interna: e più alle leggi civili. Con- futata una sentenza del Constant, che un' opinione non sia mai colpevole, conchiude di nuovo che pur essa l'opinione pubblica è soggetta alle leggi della morale, come l'opinione privata, sia interna, sia ma- nifestata. Il che conferma esaminando gli argomenti di vari, che tengono contraria e diversa sentenza. Propone di poi quattro criteri della bontà d' una opinione pubblica : i. l'oggetto dell'opinione mede- sima, 2. la durata di. lei, 3. l'utilità, A. la conformità colle dottrine della cristiana religione. » « Avendo così l'A. considerato le attinenze della opinione col soggetto suo, procede a cercare le at- tinenze del soggetto opinante colla società, e la ca- pacità di lei ad essere governata dalle leggi sociali. E perchè in Italia s'incontrano due autorità, che sono la chiesa e lo stato, ei determina prima di tutto l'or- dine correlativo d'esse due fra di loro, per dedurne po- scia le ragioni di ciascuna verso dell'opinante. Chiesa e stato sono due instituti di Dio, ma con diverse condizioni. Amendue hanno per mateiia soggetta delle operazioni loro Tistesso uomo, ma non sempre nel modo istesso, tantoché or s' incontrano e sono 164 Letteratura. congiunte, or procedono separale ed indipendenti. La chiesa ha per fine la santificazione, e per mezzi la grazia, la dottrina, le istituzioni e la disciplina. Il principato, considerato in condizione semplice di na- tura, suole avere per fine ultimo la mondana pro- sperità e la beatitudine del corpo sociale; a cui tende, ed alla quale indirizza coll'uso degli altri mezzi ma- teriali anche ogni genere di verità. La chiesa sovrasta a qualunque principato, senzachè la sua maggioran- za possa muovere invidia , né che leda le ragioni ad altre maggioranze. Al principato laico rimane campo d'imperio, anche in ordine alle stesse dottrine morali ; ma gli bisogna l'aiuto della fede, la quale gliene presta, ed in questo particolare ed in altri di grandissimo servigio della umana civile società. Posto ciò, riesce al tutto convenevole, che la chiesa sìa lasciata libera e sia protetta, e tanto più dove lo slato cattolico è costituito a principii liberali. Mo- stra appresso l'A. come la coesistenza delle due po- destà riliglosa e civile non dà naturalmente luogo ad inconvenienti. E tornato alla considerazione de'merili della chiesa per gli stati nella loro generalità, e quin- di delle ragioni per esser protetta da loro, e massime da' cattolici ; conchiude toccando le spezialissime ra- gioni di proteggere il cattolicismo , che stringono gTitaliani. » {Continua) G. F. RamhellL 165 Compilazione della Eneide di Virgilio fatta volgare in sul principio del secolo XIV da ser Andrea Lan- cia notaro fiorentino. Pubblicata secondo la lezione deW antichissimo codice Martelli. 8." Firenze^ stam- peria sulle logge del grano 1851. (Un voi, di carte Vili e 134.) \Jhi non intenda il latino, e voglia dilettarsi nella divina Eneide, per carità non tocchi questa troppo umile compilazione^ ma cerchi qualcuna delle nobili _, traduzioni che abbiamo, e principalmente quella cui P tutta infiorò del più bell'oro italiano l'elegantissimo Annibal Caro. Chi però vuol esempi di molti be'modi antichi di dire, ed anche di certa semplicità e forza di esporre qua e là i concetti virgihani, l'abbia cara e la studi : che ser Andrea Lancia è de' fiorentini vissuti nel mezzo dell'aureo trecento. Ma come gua- sto da'copisti è giunto a noi il lavoro del buon no- taio 1 Sì certo da'copisti : dalla gente cioè più ma- nuale e ignorante, che dopo i manualissimi e igno- rantissimi della plebe vivesse al mondo prima del ritrovamento della stampa. Non pochi falli ha nel Lancia emendati il benemerito signor Pietro Fanfa- ni , a cui dobbiamo questa ristampa ( perchè già se n'aveva un'edizione assai rozza e rara del 1476) giovandosi di un vecchio codice della libreria Mar- telli. Ed io bene immagino l'opera ch'egli deve aver * durata per uscir salvo di si gran ginepraio. Ma il fatto è che il testo è ancora scorrettissimo : perchè non men bestiale degli altri copisti fu colui che scrisse il codice Martelli. 166 Letteratura Non sarà fatica al tutto perduta, o discara, se io per amor della nostra lingua avendo preso a con- siderare con qualche studio l'edizione suddetta det signor Fanfani, cercherò qui di notare ed anche ri- correggere (se non è troppo arrogante il dirlo) al- quante cose, che sfuggite alla sagacità del valente editore, sono sembrate al mio piccol giudizio ancor bisognose di correzione. Nel che fare due cose so- prattutto avvertirò : la prima, ch'io non intendo re- care offesa ad alcuno, sapendo bene quanto arduo sia il pubblicare un antico manoscritto : la seconda, che io in questa qualsiasi fatica ho solo usato la mia poca pratica in siffatte cose : sicché sdegnando ri- correre a nuovi codici, cioè a nuovi spropositi dfc copisti, non ho tenuto avanti gli occhi che il solo testo latino di Virgilio. OSSERVAZIONI Prologo. Pag. 1. « E così i latini e prossimani popoli, come le barbare e le strane nazioni. » Par- mi non esser dubbio che invece di latini debbasi dir lontani^ e scrivere i lontani e' prossimani popoli. Pag. 2. « Conclosiacosa che Vergilio, uomo scien- zialissimo, poeta ottimo, di nazione mantovano, di sangue, non cosi come di vertude, nobile. » Direi: « Bi sangue non cosi, come di vertude, nobile. >► Ivi. « A onore e a laLvde d'Ottaviano Augusto secondo imperadore di Roma e suo figliuolo adot- tivo e erede. » Figliuolo adottivo ed erede di chi ? È chiaro che il copista ha qui lasciato il nome di Cesare : dovendo il Lancia avere scritto : « A onore di Cesare, e a laude d'Ottaviano Augusto. » Compilazione dell'Eneide 167 LlB. I. Pag. 2. « Dell'aspre battaglie io Virgi- lio in versi narro i fatti di quello uomo, il quale fuggilìo prima venne delle contrade di Troia ec. » Non correndo qui ragionevolmente il senso ' nella prima riga, credo che forse il Lancia abbia scritto: « L'aspre battaglie io Virgilio in versi narri e' fatti di quello uomo ec. » Ivi. « Del quale discese il sangue latino e gli padri d'Albana e l'alta Roma. « Il Lancia ha sem- pre detto Alba e Albano : sicché ho per certo che questo Albana^ in vece di Alba^ sia uno svarione dello sbadato copista. Ivi. « 0 scienzia, reca nella mia memoria le ca- gioni quale deitade fu oflfesa, e perchè la reina delli dii dolendosi cacciò l'uomo chiaro per pietade a vol- gere tante fortune, entrasse in tante fatiche. » Forse il Lancia scrisse : « 0 scienza, reca nella mia me- moria le cagioni : quale deitade fu offesa, e perchè la reina delli dii dolendosi cacciò l'uomo chiaro per pietate a volgere tante fortune e entiare in tante fatiche. » Pag, 3. « Col grande cuore ristrigne il dolore.» Leggasi nel grande cuore, e tutto andrà bene. Pag. 4, « Nascerà i romano Cesaro della bella schiatta. »> / per il sarà un vezzo del plebeissimo copista, mai non trovandolo usato altrove dal Lan- cia. Credo che tale anche sia Cesaro, perciocché in altro luogo dicesi correttamente Cesare. Ivi. '< Il pietoso Enea la mattina ricercò i nuovi luoghi intorno e nasconde il navilio sotto la ripa coperta d'albori : e egli accompagnato con Acate solo ec. » Dopo albori crederei doversi porre un punto. 468 Letteratura Pag. 5. « Usanza è traile vergini di Tirfa ài portare turcascio e arco, e porporino calzamento e legare le polpe delle gambe. » Come legar le polpe delle gambe ? Chiaramente ha Virgilio : Purpureoque alte suras vincire cothurno : né il Lancia potè quasi non dire letteralmente : « e con porporino calza- mento legare le polpe delle gambe. » Ivi. « Li quali (tesori) ella tolse, e poi con sue navi cominciò la fuga. » Dubito che invece di co- minciò dovette il Lancia scrivere acconciò (parahat). Pag. 6. « E li vestimenti (di Venere) riscorsero a'piedi. » Senza qualche altro più sicuro esempio io non m'indurrei mai a legittimare, nel significato che qui vuol darsegli, il verbo riscorrere : potendo il Lancia aver detto iscorsero^ dal latino che ha: Pedes vestis defluxit ad imos. Ivi. « E ivi s'allegrò veggendo cento altari or- nati con odifere ghirlande rendendo odore con fuoco incenso e mirra. » Disse forse il Lancia sul fuoco^ o nel fuoco: cioè rendendo odore, gittati ad ardere sul fuoco, o nel fuoco, l'incenso e la mirra. ìjì Pag. 7. « Ma uno luogo è, il quale i greci chia- maro Esperia terra, e che fu anticamente potente in arme, doviziosa in biada. » Il latino ììa: Est tocus, Hesperiam grati cognomine dieunt: - Terra antiqua, potcns armis atque ubere glebae. Appena posso cre- dere che il Lancia non abbia così tradotto: « Ma vmo luogo è, il quale i greci chiamano Esperiài: terra che fu anticamente potente in arme, doviziosa in biada. » ' '.jiiolvi. « E così favella (Enea) in veritade, e a cia- scuno improviso disse apertamente. » Questo mtwe- Compilazione dell'Eneide 169 ritade, non avendo qui senso alcuno, dev'esser certo uno sproposito del copista : perciocché il verso di Virgilio è sì chiaro, che non so come fra Nastagio abbia potuto oscurarlo, ed il Lancia non dire : « E cosi favella alla regina. » Ecco il latino: Tmn sic reginam ulloquilur^ cimetisque repente - Jmprovisus ad. Pag. 8. « E comanda che siano portati doni pre- ziosi, la veste di Pallas, el velo d'Elena, e la verga reale e la nusca. » La vesta di Palla è un curioso errore del Lancia per poca pratica di latino, come l'editore ha notalo. Ma la nusca è forse uno sfarfal- lone de'soliti del copista : ed ha, se non erro, a dirsi rusca , o ruscìiia [monile haccatum)., voce registrata nel vocabolario. Anche scriverei eH velo. Pag 9. « E incominciando a pensare molte cose sopra Priamo, e molte sopra Ettore ec. » Il latino ha rogitans: ma fra Nastagio deve aver letto cogitans. LiB. IL Pag. 15. « Siccome nella fine del primo libro è detto, il padre Enea fue pregato da Dido , dalla quale era ricevuto in albergo, ch'elli narrasse la rovina di Troia , e la cagione , dalla quale elli fuggilìo era uscito. » Forse il Lancia scrisse: « e la cagione, per la quale elli fuggitìo era uscito. » . Pag. 16. w A lui giovane da mio padre lui man- dato, ma dietro la sua fine, in piànto la vita traeva, dogliendonii della morte del non colpevole amico: e infino che elli visse, alcuna fama e onore acqui- stammo. )) Chi legge a questo luogo il testo di Vir- gilio s'accorgerà facilmente che il Lancia dee avere scritto: « A lui giovane da mio padre fui mandato: e infìno che elli visse, alcuna fama e onore acqui- stammo. Ma dietro la sua fine ec. » ITO Letteratura Pag. 18. « E assalgono la città sopellita cor» sonno e con vino ». Bene spes-so il copista (e certo egli ) scrive con invece del legittimo in e nel. Il che sia detto anche pel guasto evidentissimo d'altri passi di questa Compilazione. Ivi, « Con piedi enfiati per le battiture e per 1' armi e per le ferite portando. » Forse portate. Ivi. << Quale cagione sozzoe li non degni visi sereni »? Qui l'errore è così madornale, e cosi of- fende il buon senso , che l'ho al tutto per merce del copista: non parendomi possibile che il Lancia non abbia scritto: « Quale cagione non degna soz- zoe li visi sereni? » È tanto pur facile il latino! Quae causa indigna serenos foedavit vultusì Ivi. « Colui, me non domandando vane cose, mi tiene. « Che costruito si leva da queste parole.^ dice il valente editore ? Certo nessuno. E già ognun sa che il Lancia è un assai povero traduttore: ma più povero di lui è il copista, che anche qui può aver fatto delle sue solite. Dice Virgilio: Ne e me quae - rentem vana moratur. Or potrebbe il Lancia, a suo modo, aver tradotto così : « Colui non me, doman- dante vane cose, ritiene. « Ivi. « Veggola piena di romore e di grida e di pianti e di giovani e di vecchi e d'uomini e (li fem- mine e di fanciulli e di fanciulle, e di spaventevole grida e strida : rovine e fuochi in ogni luogo veg- gio. » Forse va scritto così : « Veggola piena di romore e di grida e di pianti di giovani e di vec- chi, e d'uomini e di femmine , e di fanciulli e di fanciulle : ed ispaventevole grida e strida, rovine e fuochi in ogni luogo veggio. » Compilazione dell'Eneide Ì71 Pag. 19. «« Altrove istà l'armata in schiera colle isprendienti ispacle : da ora innanzi andiamo nella certa morte, e disiderosamente tegnamo il camino. » Il discorso di Panto sacerdote d'A pollo ha fine ad isprendienti ispade. Ivi dunque pongasi un punto. Quel che segue, assai meccanicaraen te tradotto dal Lancia, è narrazione di Enea. Ivi. « Ma oimmè ! non è 1 icila cosa che alcuni si confidi nelli non volenterosi idii. » Non veggo in lutto il volgarizzamento che il Lancia abbia mai fatto alcuni di numero singolare : sicché parmi che sia qui un error del copista, e che debbasi correttamen- te scrivere alcuno. Pag. 20. « Accendono il tetto e le fiamme git- tano alle sommitadi. » Accendano in vece di ascen~ dono è forse error tipografico. Ivi. (I Allora Priamo gridoe : Per cotali ardiri, o iddii (se alcuna pietade è in cielo, la quale abbia cura di cotali cose) paghino degne grazie e degni meriti a te. » E diiaro (e duolmi di dissentire in ciò dall'opinione del sig.Fanfani) che iddii dev'essere qui nominativo, appunto com'è nel latino, e non vo- cativo : e che perciò debba scriversi gViddii. Pag. 21. « Ed ecco dinanzi agli occhi mi si of- ierse mia madre Venus, e la notte in pura luce ri- splendeo, e co la destra mi prese dicendo. « El punì per ìioctem in luce refulsit - Alma parens. Così Vir- giilio : e forse il Lancia avrà tradotto alla lettera: e per la notte. Ivi. « E te sicuro nella prima porta fermerò. » Il latino ha patrio in limine: sicché abbiasi certo per er- ror del copista questo prima in vece di patria. n? Letteratura Ivi. « Poi che lo onnipotente padre degli dii e degli uomini mi spirò con una folgore, percosse col fuoco. » E certo, come bene avverte l'editore, che . il Lancia non ha inteso qui la frase virgiliana: mas è certo pure, che prima di percosse dee porsi un!e^ ' essendo essa nel latino: et contigit igni. '.:■') Ivi. « Però dico che, quale consiglio o qua-! le fortuna fia conceduto, se io aspetto, verrà Pirro, » Dice Virgilio : Nani quod consìlium, aut quae iam fortuna dabatur F lamqiie aderit multo Priami de sanguine Ptjrrkus. Sicché scriverei : « Perocché quale consiglio o quale fortuna fia conceduta? Se io aspetto, verrà Pirro. » Ivi. <' Or morremo oggi tutti quanti non ven- dicati? » Virgilio: Numquam omnes hodie moriemur imdti. Sicché il Lancia può aver tradotto: « Or mor- remo oggi tutti quanti non invendicati. » Pag. 22. « Ora ogni venticelli ispauriscono e ogni suono istremisce. » Dice in una nota l'editore: « Stre- misce^t cioè spaventa^ sbigottisce: quasi dica riduce allo stremo. » Avendo però noi nel liuti il verbo rn- iremire^ recato pur dalla crusca, e dicendo Virgili» terreni., parrai che qui il Lancia invece dello strano istremisce (merce forse del copista ignorante ) possa avere bene scvìllo intremisce. L'osservi la crusca nella ristampa del suo famoso vocabolario : e se créde ch'io qui abbia colto nel segno, aggiunga all'arti- colo intremire anche questo esempio , il quale ha forza di attivo, quando in quello del Buti é neutro. Ivi. >t Fuggi, figliuolo, egli si approssimano li scudi e l'armi isprendienti : ecco ch'io le yeggio. » Lasciamo stare che il Lancia avrà forse, traducenr Compilazione dell'eneide 173 do Virgilio che dice : Nate, exclamal^ fuge , nate : propinquant : - Ardentes clypeos atque aera mieantia cerno-, avrà forse, dissi, creduto di porre i due punti dopo approssimano, anziché prinoa di ecco. Ivi. « Vo oltre e il palagio e la rocca di Pria- mo riveggio ai guardiani : il crudele Ulisse e Fe- nice guardava la preda. » Si è ben l'editore avve- duto del guasto, ed in nota ha detto: « Il mss. è così: ma si può quasi accertare che ser Lancia avesse scritto : La rocca di Priamo riveggio : ha guardiano il crudele Ulisse : e Fenice ce. » Dicendo però chia- ramente Virgilio : Custodes ledi Phoenix et dirus U- lisses - Praedam asservabant\ crederei più naturale che il Lancia abbia tradotto : « La rocca di Priamo rivegglo : quai guardiani il crudele Ulisse e Fenice guardavan la preda. » Ivi. •< Perchè ti diletta consentire sì lungamente alla mala fatica ? » Curiosa traduzione ! Ma il Lan- cia dovette leggere nella compilazione di fia Nasta- gio insano labori, invece d' insano dolori , come si ha in Virgilio. Ivi. « 0 dolce marito, quesle cose non avven- gono senza vertude divina. « Sine numine divum ^ ha Virgilio : né il Lancia ha mai tradotto il latino nuvnen nell'italiano virtù. Per esempio, nel lib. VI v. 368 dicesi nell'Eneide : Ncque enim, credo, sine numine divum - Flumina tanta paras stygiamque in- nare paludem; ed il nostro notaio a carte 70 volga- rizzò : « Io non credo certo che tu cerchi questi luoghi senza volere divino. » Talché ho quasi per certo che qui, invece di vertude (cosa del copista), dehbasi dir volontade. 174 Letteratura Pag. 23. « Così alla per fine, passata la notte, disiderosaaiente veggio i compagni. » Trovandosi nel testo latino reviso^ forse il Lancia scrisse riveggio. Ivi. « Nel quale luogo molto erano presti per venire dovunque io voglio menare le navi. » Sem- brami certo che delibasi dire molti erano "presti. Ivi. « Partomi, e ricercai per lo padre nel na- scoso monte. » Ben a ragione l'editore grida qui al mostruoso sproposito. Ma è del traduttore o del copista ? Dice Virgilio : Et sublato montem genitore •pelivi. Sicché essendo sì agevole anche al più im- perito latinista il farne la traduzione, forse il buon Lancia scrisse : « E ricercai con lo padre lo nascoso monte. » LiB. III. Pag. 29. « Cadde il superbo Ilione, e tutta la terra arsa e Tioia. « Et omnis humo fumat neptunia Troia., dice Virgilio : ed il Lancia avrà det- to : « E tutta a terra arsa è Troia. » Ivi. « Oi santa fame d'oro, a che non costrigni tu li animi umani d'assalire ? » Veramente curioso strafalcione quel santa fame [sacra fames) invece di fama esecranda ! Ma il povero Lancia non sapevano tanto. Ciò che però sembra non dubbio si è , che forse dovette qui scrivere : « A che non costrigni tu li animi umani d'assai ! >» Pag. 30. « Queste cose disse il sole : è levata una {smisurata letizia e con mescolato grido, e tutti esa- minano quale sia quella terra. » Virgilio : Haec Phoe- bus: mixtoque ingens exorta tumultu - Laelitia^ et cuncti., quae sint ea moenia. quaeriint ? I quali versi il Lancia dovette forse così tradurre : « Queste cose disse il sole : e levata una ismisurata letizia eoa mescolato grido, e tutti esaminano ec. » Compilazione dell'Eneide 175 Ivi. « Dunque confortatevi, e troviamo quello luogo, e non c'è ra olto di lungi. » Forse : « e' non c'è molto di lungi. » Ivi. « E, poi che noi pervenimmo a quello luo- «o, il quale chiamo per nome Troia, e io chiamo la lieta gente per soprannome, io conforto di sagri- ficare e di edificare una rocca. » Qui la traduzione del buon notaio fa veramente pietà ! Nondimeno io credo, che quel secondo io chiamo (che non è af- fatto nel testo virgiliano) sia imbroglio del copista, e non cosa del traduttore. Perciocché dicendo il la- tino : Et laetam cognomine genteni - Hortor amare focos arcemque extoUere tectis : il Lancia non può avere (s'io mal non veggo) che tradotto così : « E la lieta gente per soprannome (cioè la gente lieta per tal soprannome) io conforto di sagrificare e di edificare una rocca. » Ivi. « E già quasi la giovanaglia usava al secco lido e tirare in terra le navi. » Forse : « usava dal secco lido tirare in terra le navi. » Ivi. « Quando una sozza fame venne , corrotto l'aire, sopra li albori e sopra le biade, e il mortale anno abbandonava le dolci anime, o traevano l'ani- me l'infermi corpi. » Qui pure l'editore grida al gua- sto: e n'ha gran ragione : ma non parmi che il dan- no (fatto certamente dal copista negligentissimo) sia fuor di rimedio, quando si osservi un poco Virgi- lio, che dice: Subito cum tabida membris^ ~ Comi- pto coeli tractii^ miserandafiue venit - Arboribusque "Satisque lues et letìfer annus. - Linquebant dulces o« ìiimas^ aut aegra Irahchaut — Carpava. - E forse il Lancia avrà tradotto : « Quando una sozza fame vea- 176 Letteratura ne, corrotto l'aire, sopra li arbori e sopra le biade, e un mortale anno, Abbandouavasi le dolci anime, o traevano l'anime l'infermi corpi. » Pag. 31. « Ma subitamente l'arpie, de' monti , dinanzi ci sono. »< At snbitae horrifico lapsu de moU' tibus adsunt - Harpyiae. Non posso credere che il Lancia non sapesse che il latino de vuol tradursi nel- l'italiano da: e perciò direi che scrivesse: » Ma su- bitamente l'arpie da'monti dinanzi ci sono. » Ivi. « Ancora delli nascosi luoghi e dell'aria la moltitudine risonando intorno ci vola. » Qui pure il copista ha forse scritto delli nascosi luoghi e dal' Varia , invece di dalli nascosi luoghi e dolVaria : avendo il latino ex diverso coeli caecisque latebris. E chi sa che anzi la vera lezione non sia dalli nascosi luoghi delVarial Ivf. « Il Celeno sedea sopra la più alta ri- pa ». Celeno, una delle arpie, è femmina così in Virgilio, come nel Lancia. In questa medesima fac- ciata ha egli detto : « Nelle quali ( strofadi ) abi- ta la crudele Celeno. « E a carte 72; « E la Ce- leno, levando le facelle, contra loro grida ». Sicché il ridicolo il Celeno qui , e del Celeno a carte 33 , non può essere che un farfallone del solo copista. Pag. 31 e 32. « Soprastate alli venti : andrete in Italia ec. » Il latino è qui troppo chiaro perchè possa credersi male inteso dal Lancia : Ventisque vocatis - Ibitis Ilaliam.Che è dunque quel soprastate alli venr <«? Che debba mai dirsi: « Scongiurati li venti, an- drete in Italia? » dando a vocatis il valore che ve- ramente ha d'invocati. Pag. 32. « E fuggiamo per le ispumose onde per mezzo le terre de'nimici verso quella parte che Compilazione dell'Eneide 177 il vento e 'l nocchiere ci tirano ». Forse « a che il vento e'I nocchiere ci tirano ». Ivi. « Lasciammo h scogli d' Itaca , e regni d'Ulisse e monte Leucate ». Forse e' regni. Ivi. « Incantanente ». Se non è errore tipo- grafico, è certo errore del copista: perciocché que- sto avverbio ricorre più altre volte in questa tra- duzione, ed è sempre scritto incontmiente. Ivi. " La quale incantanente che mi vide, scor- se l'armi troiane , ispaventata per grandi miracoli, mirò il mezzo il viso e il calore abandonò l'ossa sue e tramortie ». Certo quel mirò il mezzo il viso è un ircocervo: e come tale è stato anche avver- tito dall'editore. « Poteva (egli dice) correggersi con altri codici in mezzo del viso: ma tanto chi guasta è il mirò , che , anche unito all' in mezzo del viso, dà mercurialissima spiegazione , e che non suona nnlla ». Ottimamente. Veggasi però quel che dice Virgilio: Ut me conspexit venientem, e troia circum — Anna amens vidil; m.agnis exterrila monstris., — Diriguit visu in medio-, calor ossa reliquit ecc. Os- servisi quel diriguit , che non vai certo mirò. Al- tra volta al Lancia occorse di dover tradurre il ver- bo diriguo, cioè al v. 447 del lib. VII : ma se ne passò, non essendo compreso quel verso nella com- pilazione di fra Nastagio. Nelle Metamorfosi di 0- vidio, dove pure questo verbo ricorre, il Simintendi lo recò sempre nell'italiano indurò^ neutro : salvo nel lib. VII V. 114, dove il diriguere metu minyae tra- dusse : E' compagni d'Ianson arricciarono per la su- bita paura. » Or non potrebbe essere che il Lancia, innocente del guasto che poi fece l' ignorantissimo G.A.T.CXXIII. 12 178 Letteratura copista , avesse men male Iradollo nel modo se- guente ? « La quale incontanente clie mi vide , e scorse l'armi troiane, ispaventata per grandi miraco- li, arricciò (o forse smorì ) in mezzo il viso ( o del viso), e il calore abbandonò l'ossa sue e tramortie », Chi alcun poco è pialico del tradurre del Lancia non ne farà forse le maraviglie. Ivi. « Io vivo e per tutte le cose sottili vita meno ». Forse sottile vita meno. Pag. 33. « Va e confortati, e colli fati leva a cielo la grandissima Troia ». Perchè l'editore ac- cusa il Lancia di non aver saputo qui distinguere factis da fatis^ quando egli lo ha ben saputo tante e tante volte nel corso della sua traduzione ? Per- chè anzi non dire che il copista, il quale non si è mai dato nessuna cura dell'ortografia, ha qui scrit- to fati invece di fatti 1 E il medesimo fece altrove, e specialmente a carte 77. Ivi. « Ma ampoi questi medesimi alcuna volta sono usati di tirare il carro, e sono usati di por- tare, per domare, pacifichi freni, o nel tempo pa- cifico freno ». Intorno a questo per domare pon potendo convenire (e di grazia me ne scusi) nell'al- quanto forzata interpretazione del eh editore, dirò che da prima aveva creduto trovarvi storpiata dal copista la voce perdomati^ o sia domatissimi. Ma il non conoscerne altro esempio negli antichi mi ha poi svolto da siffatta credenza. Forse dee dir poi do- mali. Quanto alle altre parole , o nel tempo pacifico freno, dice bene Teditore: « Che cosa ci abbian che fare noi so ». Nulla, cred'io pure: e sono forse o Compilazione dell'Eneide 179 «n male scritto g^lossema, o un' ignoranza del co- pista. Pag. 34. « Quante volte egli muta l'astanco lato ». Astanco non è certo parola del Lancia, che in altri luoghi ha detto stanco ed istanco. Pag. 35. « Ma la generazione delli monachi delle selve e delli alti monti al mare furiosamente corrono ». Monachi è un regalo ignorantissimo del copista. Parlandosi qui di ciclopi , l'editore in una nota ha sospettato che possa sostituirsi monocoli. Ma il Lancia deve assolutamente aver detto monoc- chi, parola usata pure da Ciao, benché non regi- strata ancora nel vocabolario della crusca. Pag. 36. « Qui perdo il padre Anchise alle- gramento d'ogni pensiero e d'ogni fortuna ». Di- cendo Virgilio levamcìt , è chiaro che dee leggersi alleggiamento e non allegramento. LiB. IV. Pag. 41. « 0 scrocchia Aijna, che cose me dubbiose nelli sogni mi spauriscono 1 » Forse, che cose omè dubbiose ecc. Ivi. " Cierto, dopo la morte di Siccéo, costui piegoe i miei sensi e il vano animo ristrinse ». Di- cendo Virgilio impulita il Lancia avrà forse tradotto rispinse.) si spinse. Pag. 42. « Omè ! mente dell'indovini ignorante di quello ch'è a venire ! Che giovami lunghi e ve- dovi vestimenti ? » Forse lugubri e vedovi vesti- menti '{ Ivi- « Fuggiranno li compagni, e fieno da scura notte tinti ». Forse cinti. Ivi. u La quale (Fama) ha tanti occhi volge- voli quante penne sono in uno uccello ». Virgilio ha iSO Letteratura Tot vigiles ùculL, ed il Lancia avrà certamente detto non volgevoli^ ma veglievoli. Pag. AS. « Oi onipotente idio, vedi questa fe- mina, la quale ischifò il nostro matrimonio, e ora Enea nelli regni è signor ricevuto ». Virgilio dice: Ae domhmm Aeneam in regna recepii. Dunque scri- vasi ha signor ricevuto. Ivi. « Tu, che edifichi ora i fondamenti del- l'alta Cartagine, e la bella cittade , tu , tutto dato alla moglie, ordini, guai a te, tu hai dismenticato il tuo regno e tue cose )>. Quell'ord/nj è certo un errore. Dice Virgilio; Tu mine Carlhaginis altae — Fundanicnla locas , pulchramque uxorius urbem — Extruis , heu , regni rerumque oblile tuarum ! Se non erro, la lezione parmi questa: « Tu tutto dato alla moglie , or dirami (guai a te, heu!) , tu hai dismenticato il tuo regno e le tue cose! ». Pag. 45. « Acciò che ella più lievemente com- pia quello che ella ha cominciato e lasci la vita , la quale ponendo oferte in sulli altari vide spaven- tevoli maraviglie ». Se verrà tolto quell'intrusa la quale., tutto qui procederà secondo il testo latino. Pag. 46. « E la reina con ghirlande cuopre il luogo e con rami coi'ona il luogo della morte ». Forse quel primo il luogo è regalo del copista. Ivi. « E le selve e li crudeli mari si posano, quando in mezzo del cadimento del cielo si volgo- no le stelle , quando tace ogni campo e le pecore e li uccelli, e qualunque cosa il latte nutrica, e li aspri campi tegnono nel sonno, poste sono sotto la tacente notte ». Se qui tutto è imbrogliato , come dice l'editore, la colpa non è certo del Lancia. Guar- Compilazione dell'Eneide 181 (lisi il testo latino, e poi senza mutar nulla scrivasi così; « Quando tace ogni campo, e le pecore e li uccelli, e qualunque cosa il latte nutrica e li aspri campi tegnono , nel sonno poste sono sotto la ta- cente notte ». Ivi. « Di ricapo si esamina in lei l'amor cru- dele ». Dice Virgilio: Rursusque resurgens - Saevit amor. Si esamina è dunque manifesta asineria del copista, ed il Lancia dee forse aver detto si inanima. Ivi. « Domanderò io matrimonio di numido, i quali io ho cotante volte disdegnati ? ». Nomadum- ffue petam connuhia supplex., ha Virgilio: ed il Lan- cia avrà ben detto matrimoni di numidi. Pag. 49. « Tre volte sforzandosi si levò per uno cubito ». Certo sur uno cubilo. LiB. V. Pag. 56. « Ed abracciato piacevol- mente il monimento e ancora raccerchia con lun- go giro l'altare: e poi li abbandona e viene al mo- nimento )). Forse il Lancia avrà scritto: « Ed ab- bracciato piacevolmente il monimento e ancora rac- cerchio con lungo giro li altari (altaria) ., e' poi li abbandona e viene al monimento ». Pag. 07. « Colui, levandosi, torna più aspero a la battaglia, e coll'ira incita le forze e la vergogna allora accende la virtù, e molto agramente discorso contro a Darete, e spesso il percuote coU'una mano e coU'altra ». Scriverei così : « e coll'ira incita le forze. E la vergogna allora accende la virtù." e mol- to agramente discorso contro a Darete, e' spesso il percuote coll'una mano e coU'altra ». Pag. 58. « E venne là dov'erano le femmine troiane, che piangono morto Anchise, e aspettavano 182 Letteratura il racconciamento del mare, e de la sua dimoranza si lamentavano e di tanto navicare ». La traduzione è certamente eriata in queWaspetlav ano il rnccon- ciamenlo del mare, non avendo il Lancia in leso il sijjnificalo del PonLum aspectabant di Virjjiiio. Ma che vuol dir poi e de la sua dimoranza si lamen- tavano F Non è nel testo : ed a me pare che forse debbasi leggere e de la ninna dimoranza si lamen- tavano. Cioè quelle infelici donne troiane dolevansi di andar sempre qua e là vagando pel mondo, di non arrestarsi mai in veruna città, e di navigar sem- pre. Cosi il Lancia avrà forse interpretato il virgi- liano: Urbem orant., taedet pelagi pcrferre laborem. Pag. 60. « Quando o tu, Palinuro , il sonno disceso dalle stelle, idio domanda te, e recando a te ec. ». Grande imbroglio! Forse il Lancia avrà scrit- to: (( Quando omè, Palinuro, il sonno discese dalle stelle ! Idio domanda te, e recando a te ecc. ». Ivi. « Forse tu non credi ch'io conosca lo fal- lace riposo de' venti e del mare; spesso ingannano e tosto si mutano ». Dopo mare dee porsi un pun- to interrogativo, com'è nel testo latino. Lib. VI. Pag. 66. « Alla perfine danno rispon- si alla 'ndivina per Enea ». Il testo latino dice va- tis^i e perciò dee scriversi della ^ indivina: se pure il Lancia non avesse letto malamente vati. Pag. 67. « Quelle a poco a poco vanno innan- zi in fino ch'elle pervengono all'albero dov'è il ra- mo dell'oro, e in quello luogo manifestano il disi- deiato alloro ». Qui alloro non ha che far nulla. Il Lancia avrà ripetuto albero., ovvero alboro^ co- me spesso si ha nel codice. Compilazione dell'Eneide 183 Ivi. « Discrive li beneficii per umiliare la dea (l'inferno ». Forse li sacrifìeii. Ivi. « Era un'alta spelunca di pietra con nero colore di lago e oscuro bosco intorneata ». Par chiaro che secondo il testo latino debba scriversi così: a Era un'alta spelunca di pietra con nero co- lore, di lago e oscuro bosco intorneata ». Pag. 69. « E per quale peccato lasciano que- ste la ripa e quelli colli remi passano la livida pa- lude? ». Dee dir questi^ e non (jueste. E già si legge alcune righe più su: « Il nocchiere tristo ora que- sti ora quelli piglia ». Pag. 71. « Dove vidi Fedra e Procri e Eva- dne; intra le quali vidi Dido ». Deve dir vide (cer- nit) tutte e due le volte: perchè non è Enea che par- la, ma è il poeta. Pag. 73. « Qui dice delle escellenti persone ec. e de'sapienti mondani ecclesiastici ». Ho per fermo che il Lancia abbia scritto ììiondani e eccle&iastici. Pag. 77. « Ma , quand' elle perverranno alla luce, quanta guerra intra se e quante battaglie e quan- ti tagliamenti di genti daranno 1 cioè Giulio e Pom- peo ». Dee dir faranno: e forse il cioè Giulio e Pom- peo va chiuso fra parentesi , parendomi ^m glos- sema. Blnir onoft ol » Ati Ivi. (» Ma tu primo perdona , il quale disceso dal cielo per nazione e che meni la gente da Olim- po , getta quella arme che tu hai in mano : al- lora altri scriveranno i corsi del cielo, e altri nar- reranno il levare delle stelle. Ma tu, o romano, ri- corditi di reggere i populi collo 'mperio ». Dopo in mano va punto: e punto e virgola dojDo stelle. '184 Letteratura Lib. VII. Pag. 84. « Per tre volte el padre love onnipotente chiaro dall'alto cielo gridare. » Il Lancia avrà detto gridoe. Pag, 85. « Dite quello per che noi addimandate, e perchè intraste nelle ripe del fiume, e perchè se- dete nel porto di Dardania. Noi non ingiurianao voi uè la vostra patria, imperò che la fama è invecchia- ta per anni ee. » Il guasto del copista è qui eviden- tissimo : certo del copista, e non del traduttore. Ma col testo di Virgilio sotto gli occhi sarà ben facile l'emendazione. Eccola: « Dite (cosi parla il re La- tino agli ambasciatori troiani ) quello per che noi addimandate, e perchè iotraste nelle ripe del fiume, e perchè sedete nel poito, o dardanidi [dicite^ dar- danidae). Noi non ignoriamo voi (atque equidem me- mini) né la vostra patria: imperò che la fama è in- ^'ecchiata per anni, che Dardano, nato di queste par- ti, venne nelle contrade di Troia. » Ivi. « Queste cose. Latino rivolge nella mente le indivinazioni. » Prima di queste cose pongasi un dette, com'è chiarissimo. Ivi. « Alla persine disse. » Che sia voce legittima del Lancia questa persine ? A carte 16 si è scrittoi alla perfine. Ivi. « Io sono vinta (disse Giunone) da Enea; ma 8*^10 non posso piegare li dii di sopra, io riche- derò Acheronte : e andando nell' inferno, disse alla furia della dea : Rompi la composta pace e semina i semi della battaglia. » Dopo Acheronte va punto. Ma che è quella furia della dea ? Emendisi : disse alla furia la dea. Pag 87. « Quando i due fratelli abbandonano i Compilazione dell'Eneide 185 muri di Tiburte, Calillo e Cora e Cedilo edifica- tore della città di Frenesie ec. » Dopo Cora va pun- to : ed il perchè è indicato non solo dal senso di tutto il periodo, ma da ciò che dice Virgilio, lib. VII V. 670 seg. Lib, Vili. Pag. 91. « Bianca giacerà: allatta i bianchi figliuoli dintorno dalle poppe. » Ecco Vir- gilio : Alba , solo recubans , albi cireum ubera nati. Ed il Lancia avrà tradotto: « Bianca, giacerà a terra, i bianchi figliuoli dintorno alle poppe ». Ivi. « Questo fia il luogo della città e certo ri- poso delle fatiche ; del quale , passati XXX anni , Ascanio edificherà Alba città di chiaro soprannome. » Virgilio dice ex quo^ ed il Lancia avrà forse tra- dotto dal quale. Ivi. « E umilmente a lunone porgi prieghi e a- vanza l'ire coi prieghi. » Che debba dirsi ammansa'! Pag. 92. « Fuvvi presente Erculea e accerchia il monte d'Aventino. « Virgilio : Ecce furens annnis aderat Tirynthius. Sicché non presente., ma furente^ avrà forse tradotto il Lancia. La qual voce verrà re- gistrata dall'accademia della crusca nella nuova edi- zione del vocabolario, se non con questo dubbio e- sempio, certo con quello chiarissimo del Boccaccio, Teseide lib. Ili, st. 27. Pag. 93. « In guiderdone di tante lode cignetevi i capi con foglie, e colle mani tutte date bere e in- vocate il comune iddio. » Tutte in vece di tutti è certo un dono del copista. Ivi. « Questi boschi i fauni e ninfì quindi nati leneano. » Altrove scrivesi ninfe. Forse dee dirsi e faxmi e ninfe. 186 Letteratura Pag. 94. « Appena avea dette queste cose , che Venus diede segno, che sprovvedutamente con gran suono appari una saetta percossa dall'aria ec. » Scri- verei : « che Venus diede segno : che (ìiamque) sprov- vedutamente ec. » LiB. IX Pag. 97. « Iscognosconsi li re, e'I do- lore arde nelle dure ossa. » Dice Virgilio: Ignescunt irae^ et duris dolor ossibus ardet. Sicché ben diversa da quella ch'è dev'essere la lezione di questo passo. E sì che il Lancia disse ignisconsi Vìre ? Manca (al- meno ch'io sappia) alla lingua un siffatto verbo: ma pur si ha in essa una buona e antica famiglia d'iene, igneo^ ignicolo^ ignito. E perchè non potrà esservi anche il verbo ignire ? Qui certo non so che il te- sto latino ed il codice italiano si pieghino ad altra lezione più naturale. Ivi. « E la trovata nave con facelline assali- sce. » Dice il testo latino : Aggeribus septum circum. Che debba leggersi travaia , come a dir cinta in- torno da travi ? Ivi. « Quando Enea cominciò ad entrare in ma- re, la madre delli dii e'fu presente a love e disseli.» Dicasi e fu presente. Ivi. « Poi, maravigliosa maraviglia ! s'intendono altrettante faccie di vergine ec. » Virgilio ha reddunt «e, e il Lancia avrà tradotto si rendono. Pag. 98: « Due di que'dentro, Irtacide e Eu- rialo, compagni coniunti d'amore, e Niso era guar- datore della porta. » L'editore ha bene avvisato lo scappuccio del Lancia (ed è suo, e non del copista) nel far tre persone d'Irtaco, d' Eurialo e di Niso : quando son due, essendo Niso da Virgilio chiamato Compilazione dell'Eneide 187 liiacide, perchè fìjrlio d'Irtaco. Ma il povero Lan- cia deve avere poi scritto certissimaitiente erano guardatori^ dicendo Vir(;ilio : Tane quoque communi porlam statione tenebant. Ivi. « Il quale disse : Vani lumi risprendono. » jAimina rara micant^ dice Yiigilio : e forse il Lan- cia letteralmante tradusse rari lumi. Ivi. « Coloro pieni di vino e di sonno sono ad- dormentati e stanno cheti : o Furialo , rag(juarda i radi luoghi ». Ecco Virgilio : Somno vinoque so- lali - Procubuere : sileni late loca. Percipe porro - Quid dubitem. Il Lancia, o forse fra Nastagio, suo compilatore dell'Eneide in prosa, ha disgiunto il si- leni da lale loca., ed il late loca ha congiunto con percipe. Cosa da que'poveri latinanti ! Credo non- dimeno che in vece di radi luoghi abbia almen detto lati luoghi. Ivi. « luto, colui lagrimando, disse. « Secondo Virgilio dee dirsi: e lulo così lagrimando disse ». Ivi. « Quelli neuna cosa rispondono , ma nella selva fuggono ec. » Qui il primo copista del vol- garizzamento (perciocché né fra Nastagio né il Lan- cia avevano ragione di farlo) acconciò malamente il lesto, posponendo e anteponendo i periodi o per isbadalaggine o per capriccio : e senza più gli altri copisti pecore lo seguitarono. Ma con Virgilio alla mano si racconcia tutto, potendosi all'errata sostituire, (juasi senza niun dubbio, la seguente lezione: « Quelli neuna cosa rispondono, ma nella selva fuggono. La selva fu paurosa di ricci e nera di lecci, la quale le folte spine avevano ripiena d'ogni parte, e rado viottolo menava per li occulti scintieri. E perciò 188 Letteratura in quella molli ne perirono. Le tenebre de' rami e la pesante preda impediscono Furialo, e la pau- ra lo 'uganna per la regione delle vie. Della quale coloro ogni entrata con guardia coronano: e, entrati nella selva, Burlalo pigliano e uccidono ec. » Pag. 99. *< E nell'aste ficcano i capi,, e con molto romore seguitano Niso ed Eurialo, » Niso ed Fu- rialo erano caduti moiti, e perciò il popolo non po- lca seguitarli. Qui dee dire : <■ E nell'aste ficcano i capi (e con molto romore seguitano) di Niso ed Eu- rialo : » letteralissima traduzione del virgiliano: In astis - Praefìgunt capita^ et multo clamore sequuntur^ - Euriali et Nisi. Ivi. « 0 rululi, ricevetemi con ferro. » Il testo latino ha : Me primam absumite ferro. E il Lancia avrà forse tradotto risolvetemi. Ivi. « 0 tu, grande Iddio, percuoti questo capo con un lancione idèo : e, lulo lagrimando , la pi- gliano e sotto i tetti la ripongono. » Con Virgilio alla mano potrà emendarsi cosi : « 0 tu, grande Id- dio, percuoti questo capo con un lancione ! Idèo e lulo lagrimando la pigliano ec. » Ivi. « Tutto il cielo risuona per lo romore e vengonne a terra per gravezza i mezzi morti uc- cisi co'lor legni e co'lor lancioni. » Mezzi morii uc- cisi sembra che non possa stare. Virgilio ha : 5e- mineces ad terram^ immani mole sequuta., - Confixi- que suis telis , et pectore duro - Transfossi Ugno , veniunt. Forse il Lancia disse succisi 1 Ivi. " Come l'armigero di love con torti pie- di, addimandando il cielo, riceve la lievre o '1 ci- gno con bianco corpo ». Che il sustulit virgiliano Compilazione dell'Eneide 189 sia stato tradotto dal Lancia riceve^ non posso cre- derlo: ma non mi occorre qui altro verbo da so- stituir{jli. Forse r itene ? Pag. 100. « Né la tarda vecchiezza noi inde- bolisce le forze e non mula il vigore dell'animo ». Forse scrisse, né la tarda vecchiezza non c'indebolì- èce le forze ec. Ivi. « E, mentre che la battaglia, si mescola, vede Turno percotendo il capo di colui colla spada >h Di colui 1 Chi è questo colui! Potrebb'essere che il copista, non sapendo dicifrare il nome Pandaro (chi sa come scritto), 1' abbia saltato di pie pari , so- stituendogli un vago colui. Ciò posto , ecco corno questo luogo, se non erro, potrebbe emendarsi: « E, mentre che la battaglia si mescola, viene Turno per- cotendo il capo di Pandaro colla spada ». Ivi. « Ma Sergesto e Mnesteo, veggendo il ni- mico ritenuto, dicono ec. ». Il testo latino ha ho- stemque receptum : ed il nemico ricevuto sarà stato qui detto letteralmente dal Lancia. Ivi. « Uno è '1 nimico e de' nostri intorneato d'ogni parte, e de'nostri ha cotanti mandati. Allora, accesi per cotali detti, si rattengono ». Il Lancia o il frate ha preso qui un gran marrone , dice il eh. editore. Ma forse il marrone non è né del Lan- cia , né del frate , ma sì al solito del bestiale co- pista. Ecco ciò che dice Virgilio: Unus homo., ve- stris , 0 cives , undique septus — Aggeribus , tantas slrages impune per urbem — Ediderit P iuvenum prì- mos tot miserit Orco ? Ed ecco come il povero Lan- cia deve aver tradotto: « Uno é 'l nimico: e da'no- slri intorneato d'ogni parte, e' de'nostri ha cotanti 190 Letteratura mandati? all'Orco Accesi per colali detti, si ratten^» gono ec. ». Che ha che fare il Lancia, se il copi^ sta invece di da'nosirì intorneato ha scritto de'nostri intorneato : e peggio , se in \ece del sì necessario alVOrco ha scritto allora ? LiB. X. Pag. 105. « Il quale (Giove) i cele- stiali dii mezo portano all'uscio della casa >». For- se, i celestiali di mezzo (cioè in mezzo) portano al- l'uscio della casa. Ivi. « Intanto i rutoli sfanno intorno a tutte le porte e a battere con ferite gli uomini ec. ». Sternere caede viros., dice il latino: e il Lancia avrà detto abbattere con ferite gli uomini. Pag. 106. « Costoro comanda ubbidire Pisa dal cominciamento Alfea città, per nome d'Etruria ». Il latino : Hos parere iubent apheae ab origine Pi-' sae., — Urbs etnisca solo. Ed il Lancia a suo modo con materialità letterale: « Costoro comanda ubbi- dire Pisa, dal cominciamento alfea , città per suolo d'Etruria ». Ivi. « Vennevi Ogno figliuolo di Manto , con il quale, Mantua, ti diede le mura e 1 nome della madre ». Scrivasi pure il quale , senza quel con : dicendo il latino qui. Ivi. « 0 Enea, nella rangolosa non dai a'tuoi membri riposo ». Rangola è voce usata dal Lancia a carte 100, ed ivi ben avvertita in nota dall'edi- tore: e ripetuta a carte 128. Sicché par certo che qui debba scriversi rangola., e non rangolosa come ha fatto il copista. Ivi. (» E ecco a colui nel mezo spazzo appar- ve la compagnia delle sue compagne, cioè ninfe: le Compilazione dell'Enììide i 9 1 quali l'alma Cibele avea comandato essere presenti con XXX navi ». Queste trenta navi né sono nel testo latino, ne credo essere state nella mente del Lancia. Che siano un mal posto glossema, e debba scriversi converse navil Sicché dicesse il Lancia : « E ecco a colui nel mezzo spazzo apparve la com- pagnia delle sue compagne (converse navi, cioè nin- fe) ec. ». Pag. 407. « E lo scudo dell'oro sparge gran fuochi, siccome fa la comete lanata, o vero l'arden- te Sirio ». Povero Lancia, che mai ti fanno dir di ridicolo ! Anche comete lanata ! D'uno svarione sì grosso non sarebbe capace altro che la miracolosa asinaggine di un copista. Dice Virgilio: iVon &ecus ae liquida si quando noete cometae — Sanguinei lu- gubre rnhent: aut Sirius ardor ec. E il Lancia, ab- breviando, ha tradotto: « Siccome fa la cometa la notte (cioè nella notte) , o vero l'ardente Sirio ». Ivi. « E, mentre che la battaglia si facea, veg- gendo Pallas alcun de'suoi tagliare, disse: 0 com- pagni, dove fuggite? », Che c'entra qui tagliareì Il testo latino ha dare terga. La certa lezione sarà cagliare: ed oso pregar la crusca di registrare que- sto non dubbio esempio all'articolo Cagliare del suo vocabolario, che ne ha soli del Firenzuola, del Sal- vìati , del Davanzati , e non d'alcuno scrittore del trecento. Ivi. « Di quinci Pallas contrasta e costrigne: di quindi incontro Lauso: e non molto é disgualitate: e nobili di forma ». Virgilio dice: Nec multum di- screpai aetas: — Egregii forma. E il Lancia avrà ^92 Letteratura letleralmente IraJotto : « E non molto è disuguale l'etatle: e nobili di foraia ». Pag. 108. « La mente degli uomini è igno- rante del fato e della futura fortuna , e insuper- bita e ignorante d'osservare il modo nelle seconde cose ». Forse dee scriversi: e insuperbita è ignorante d'osservare ec. Ivi. « E o grande disinore fue l'ultimo della vita ! ». Il latino dice deciis , e fra Nastagio avrà letto dedecus. Ma parmi che dato vero, com'è, que- sto errore, il Lancia almeno debba avere scritto: u E o grande disinore su l'ultimo della vita ! ». Ivi. « Udendo queste cose, il padre Enea corre contro a'nimici , e quattro giovani piglia , i quali sacrificano l'ombre, e del sangue bagna le fiamme ». Inferias quos immolet umbris^ dice Virgilio: e non parmi probabile che il X^ancia non abbia tradotto, i quali sacrifica alVombre. Ivi. « E Ansur il quale era insuperbito e aveali impromesso vecchiezza e lunghi anni ». Leggasi aveasi impromesso : dicendo Virgilio : Canitiemque siti et longos promiserat annos. Ivi. « Con ciò sia cosa eh' egli (Egeone) in- crudelisse contra le saette di love con colali iguali scudi, e distrignesse cotante spade ». Il latino ha: lovis cum fulmina contra — Tot paribus streperei clypeis, tot stringerei enses. (^ueW incrudelisse è dun- que pretta bestialità del copista, e non del Lancia, il quale deve aver tradotto il latino slreperet coll'ita- liano istrepidisse. Di questo verbo è nel vocabola- rio della crusca un solo esempio del volgarizza- mento di Livio: ed il presente potrà essere il secondo. Compilazione dell'Eneide 193 Ivi. « Allora collo spontone li richiuse il petto nascondimento dell'anima ». Il latino ha recludit\ ed il Lancia avrà tradotto o rischiuse (ma questo ver' bo noi trovo ancora nel vocabolario) o dischiuse. Ivi. « E luno, lacrimando, incontanente da l'al- to cielo discende , facendo tempesta di alzato con nebbia per li venti, adornando la schiera di Enea e lo castello di Laurenzia , e in figura d'Enea colle sue armi a Turno s'apparecchiò ». Non poteva il guasto del copista esser maggiore. Ma col testo la- lino si accomoda lutto : dato sempre però che la traduzione è qui pure, come direbbe il eh. editore, assai mercuriale. Il Lancia dee dunque avere scrit- to cosi: « E luno, lacrimando, incontanente da l'al- to cielo discende, facendo tempestadi (agens hyeìuein) attorniata con nebbia per li venti (nimbo suecincta per auras) , e adomandò la schiera d'Enea e lo ca- stello di Laurenzia ( Iliacamque aciem et laurenlia castra pctivit) , e una figura di Enea colle sue ar- mi a Turno sì apparecchiò ». Pag. 109. « E perseguitola infino alla nave , nella quale era venuto il re Clausino, e intrata in quella, immantanente ruppe la fune e alto volando sé nascose sotto la scura nuvola ». Il Lancia deve qui aver detto , ed il copista al solito deve aver guasto : « E perseguitolla infino alla nave , nella quale era venuto il re Clausino: e intralo (cioè Tur- no) in quella, immantanente luno ruppe la fune, e alto volando ec. ». Ivi. « Discende secando l'alte acque, col secon- do vento e colla spada percossa, del fiume, e è por- tato alla nobile città del padre Dauno ». Forse il G.A.T.CXXIIL 13 194 Letteratura Lancia disse : « Discende secando l'alte acque col secondo vento : e così la sponda percorsa del fiu-r* aie, è portato alla nobile città del padre Dauno ». Ivi. « E quelli (Acrone) morendo, co'calci scaU cheggia la sua terra e le non rotte lancie insangui- na e molti più altri n'abbatte, tra' quali l'alto Oro- de ec. ». Essendo morto Acrone, non poteva abbat- tere altri guerrieri: né potè dirlo Virgilio, né sognar- lo il Lancia. Dopo insanguina pongasi dunque un punto: perciocché quel che segue riferiscesi alle pro- dezze di Mezenzio . Ivi. « Mezenzio va contra le schiere, siccome l'antica orno nasconde il capo tra'nuvoli ». Niente di peggio qui della traduzione del Lancia. Nondi- meno dopo orno avrà forse posto un che. Pag. 110. « L'avventuroso Lauso, il padre ve- dendo, lagrima ». Deve dire certissimamente lo sven- luroso. Né infatti più sventuroso poteva essere il pio Lauso vedendosi mortalmente ferito il padre. Ivi. « E stende (Mezenzio) le palme q cielo e 'l corpo gli si accosta. Tu muori, o figliuolo, e ìq "yivo ? » Forse e al corpo egli si accosta. Ivi. (( Poi l'altra e poi Taltra li ficca, e vola: lo scudo dell'oro lo sostiene: poi che a Enea in- cresce d'avere fatte tante dimoranze ec. ». Vuole ra- gione che dopo sostiene si ponga un pianto, come nei latino vel pone Virgilio. Ivi. « Queste cose favellando, quelli, non igne-, rante dello strozzamento, piglia la spada e con gocf ciolente sangue l'anima spande nell'armi ». Dice Vir- gilio: Haec loqnitur^ iuguloque haud inscius accipit ensem, — Undantique ammani diffundit in arma cruo-^ Compilazione dell'Eneide 105 re. Se alcuno de'nostri vecchi abbia mai detto slroz- zamento invece di strozza^ noi so. Altro però non dee qui significare, avendosi iugulo nel latino. Laon- de il Lancia letteralmente avrà tradotto : « Queste cose favellando, quelli, non ignorante, nello stroz- zamento (o nella strozza) piglia la spada ». LiB. XL Pag. 113. « 0 miserando fanciullo, invidiandoli la fortuna in me che tu non vedesti i nostri regni ». Dicasi, secondo il testo latino, ch'è chiarissimo: « 0 miserando fanciullo, invidiavati la fortuna a me [Tene . . . invidit fortuna mihi) , che non vedesti i nostri regni ? ». Ivi. « Cliente il fiore tagliato col dito grosso della vergine, o vero dilicata viuola o di tignente giacinto ». Il latino ha languentis hijacinthi: e perciò deve dirsi, o languente giacinto. Ivi. « Allora due resplendienti veste d'oro e di porpori tolse Enea, le quali a colui Dido di Si- donia, ammaestrata delle fatiche, colle sue mani avea fatte e dipinte con sottile oro ». Di ìjorpori., in vece- di porpore , anche l'editore ha notato la sconcezza avvertendo che in altri codici leggesi infatti porpore. Ma non posso ancora concordarmi con lui nel cre- dere che qui dipinte valga ricamate. Se il testo con certa lezione dicesse cosi , io non m'opporrei. Ma dubito non senza ragione , che qui dipinte sia er- ror di copista, e che il Lancia abbia scritto distinte^ traduzione pretta lei discreverat di Virgilio. I Psg- 11^- « E in mezo la pace per le selve éanza pena mescolati vanno i latini. » Manca certo la voce troiani., ch'è nel latino : Et pace sequestra - Fer siiuas teucri mixtifiue impune latini - Erravcre 106 Lettehaturà iiigis. Siccliè dicasi : « E in mezzo la pace per le selve sanza pena mescolali vanno i troiani e i Ialini ». Ivi. « E correndo Evandro, lacrimando e cor- rendo disse. » Il testo latino ha lacr ipnaìisque ge- mensque : e sarà qui la vera lezione lagrimando e gemendo. Ivi. « Ma il re disse : 0 cittadini, non facciamo importuna battaglia colla gente delli dii e con uo- mini non vinti. » Bellum importunum, cives , cum gente deorum - Invictisque viris gerimiis., dice Vir- gilio. Sicché scrivasi, noi facciamo. Pag. 115. « 0 Drance, sempre li f uè abbonde- vole copia di favellare : i nimici ci stanno dintorno: perchè te in lingua, e fideràti tu sempre in questi tuoi pie fuggevoli ? » Ecco la nota che l'editore ap- pone a questo passo : « Il codice nostro è senza fallo qui difettivo, né con gli altri si può supplir nulla da cavarne buon costrutto. »> Tutto il guasto però ( e certo del copista ) giace in quel perchè te in lingua. Dice il latino ventosa in lingua., e forse il Lancia tradusse presumente in lingua, o usò altra voce incominciante con p e terminante con te. Io non so trovarne altra di meglio. Ciò poslo, sarà forse questa la lezione : « 0 Drance, sempre ti fue ab- bondevole copia di favellare 1 I nimici ci stanno din- torno : presumente in lingua, e'fiderati tu sempre in questi tuoi pie fuggevoli p » Ivi. « Tu di': Neuna salute è nella battaglia? Tu, smemorato ? canta colali cose al capo dardanio e alle tue cose. Virgilio: Nulla salus bellil Capiti cane talia deniens - Dardanio., rehusque tuis. Sicché parmi che debba punteggiarsi così: « Tu di', neuna [ Compilazione dell'Eneide 197 salute é nella balla jjlia ? Tu, smemorato, canta co- tali cose ec. » Ivi. « Se noi siamo così diserti , una volta ri- mossa la schiera, e senza rimedio siamo raorli^ e la fortuna non ha ricordamento, addomandiamo pa- ce. » Rimossa la schiera non dà senso alcuno. Il la- tino dice agmine verso , e il Lancia avrà letteral- mente tradotto riversa la schiera. E così invece di ricordamento, vera asinaggine del copista, avrà bene scritto ritornameìUo., ch'è il regressum di Virgilio. Sicché direi che tutto il periodo potesse emendarsi così; « Se noi siamo così diserti, e una volta ri- versa la schiera sanza rimedio siamo morti , e la fortuna non ha ritornamento ( ncque habet fortuna regressum)., addomandiamo pace. » Ivi. « Turno per contradio disse : 0 cittadini , costrignete col consiglio, e sedendo lodate la pace.» Cogile consilium ha il latino : e perciò, secondo l'uso di tradurre del Lancia, direi costrignete il consiglio. Ivi. « 0 vergine, onore d'Italia, qual grazia dire e quali renderti m'apparecchio io ? » Ecco il testo latino : Quas dicere grates., - Quasve referre pareml Ond'io stimo che il Lancia dovesse tradurre così : « 0 vergine, onore d'Italia, quali grazie dire o quali renderti m'apparecchio io ? » Ivi. « E pervenne al fiume , ammaestrato , il quale per le piove era molto cresciuto. » Non am- maestrato., ma Amaseno., come dice Virgilio , avrà scritto il Lancia, non reo neppur qui della peco- raggine del copista. Pag. 11G. e La quale colla mano ritta pensando, così favella alle stelle ». Quam de tra ingenti libraììs, 198 Letteratura h.i il latino: e anche qui avrà il notaio letteralmente tradotto pesando. Ivi. u 0 Diana verghine, coltivatrice de'boschi, io padre per li venti tegneado i tuoi primi lancioni, t'ofifero questa fanciulla: ella fugge il nimico : o divina, ricevi questa tua, la quale ora da me è man- data da'dubbiosi venti. » Gran ginepraio ! Ma non sarebbe egli possibile in qualche modo di uscirne? E sì che non parmi difficilissuno, col mutare poche parole, e soprattutto il luogo di esse. Ne ha fatte di queste scempiaggini pur tante il copista! In somma, ecco con Virgilio alla mano come il tutto emen- derei : « O Diana vergine, coltivatrice de' boschi , io padre t'offero questa fanciulla [ipse pater famulam voveo) : ella fugge per li venti, tegnendo i tuoi pri- mi lancioni (tua prima per auras - tela tenens sup- plex hostem fugit ) : o divina, ricevi questa tua . la quale ora da me è mandala a' (non, da') dubbiosi venti (quaè nunc dubiis commitlilur auris) ». Ivi. « E immantanente ch'ella potè ficcare le pal- me, Tarmò coll'aguto lancione. » Qui sonori dice l'e- ditore, confuù i piedi colle mani. No, il buon Lan- cia non ha confuso nulla : e la sì ridicola lezione di ficcare le palme si dee tutta alla miracolosa sci- munitaggine di chi ha copiato. Ecco i versi di Vir- gilio: Utque pedum primis infans vestigia plantis - Institerat., iaculo palmas oneravit acuto. Il primo verso non è stato tradotto dal Lancia, o non lo ha saputo : ma nel suo capo stava certo di voler così esprimere il suo concetto : Appena la fanciullctla Camilla fu atta a maneggiar armi., il padre le arino le moni di acuto lancione. Ond'è che non ficcare . COMPIL.VZIONE dell'Eneide 199 ma probabilmemte il Lancia scrìsse frecciare^ bel- lissimo verbo usato dal Berni, dal Davanzali e da altri : e quindi verrà chiaro pur ciò che segue: le palme Vanno coWaguto lancione. Ivi, « E nella rombola s'ercitò, la quale abbatteat la gruta e'I cigno. » Parrebbe all'editore che que- sta gruta avesse a registrarsi nel vocabolario della crusca. Veramente io ci penserei due volte : consi- derando la novità della voce, la gran bessaggine del copista, e la probabilità che il Lancia abbia potuto scrivere grua. Ivi. « Io non vorrei ch'ella adoperasse la caval- leria incontro a' troiani : ma affrettati eh' ella sarà percossa da crudeli fati. 0 ninfa, discendi del cielo e trai del turcascio la vendichevole saetta, e chiunque ha costretto il santo corpo nella patria e nella se- poltura il corpo e l'armi. « Anche qui non è pic- colo il guasto : e poco è slato tradotto il testo la- tino. Ma infine Virgilio si mostra pure qua e là nella traduzione : e ciò basta perchè possa, s'io non erro, raffazzonarsi così tutto il passo: « Io non vor- rei ch'ella adoperasse la cavalleria incontro a' tro- iani. Ma affrettati : che ella sarà percossa da crudeli fati ! 0 ninfa, discendi del cielo, e trai del turca- scio la vendichevole saetta contra chiunque ha co- stretto il santo corpo. » Dopo di che il latino ha: Post ego nube cava miserandae corpus et arma ~ Infipoliata feram tumulo, patriaeqiie reponani. Ag- giungasi dunque questo reponàm, tradotto forse dal Lancia in riporrò, e tral.iAdiató dal copista: everrà chiaro il concetto dell'altro membro del periodò. 200 Letteratura che sarà questo : « e io riporrò nella patria e nella sepoltura il corpo e l'armi. » Ivi. « Queste cose dette , quella discese per li Tenti, e intorniato il corpo di nera oscurità, risonò. » Nigro cireumdata turbine corpus^ dice il testo lati- no. Possibile che il l^ancia non sapesse come tra- durre la voce turbine^ e che s'inducesse a dire ne- ra oscurità ? Forse scrisse di nera tempesta. Pag. ]n. <( Quelli seguitandola disse: 0 fem- mina, se tu ti fidi nel forte cavallo, che gentilezza fai tu, se tu fuggi ? Combatti meco a piedi e a terra a battaglia a piede; già conoscerai tu a cui la va- nagloria ne rapporta lode. « Né forse minor guasto è qui: e non so per cui colpa. Anche un poco del Lancia, che frantese, e non intese il testo, special- mente traducendo quel non facile ventosa feret cui gloria fraudem., o laudem come leggono altri codici. Solo parmi che i due punti debbano porsi dopo a terra^ non prima di già conoscerai. Ivi. (( Una femmina volge queste schiere: an- che portate voi i ferri? » Non parmi dubbio che debba scriversi: « A che portale voi i ferri ? » Ivi. « E quella non s'avvide del suono di .so- pra vegnente nelancioni dell' aria infino che l'asta s'accostò sotto la gnuda poppa e '1 sangue scorse ». Dice Virgilio : Nihil ipsa ncque attrae., - Nee sonitus memor^ aut venientis ab aethere teli: -Hasla sub exer- tam donee periata papillam - Haesit , virgineumque alte bibit aeta cruorem. Con questi versi sott'occhio non sarà molto difficile l'emendazione del testo ita- liano : e specialmente ne verrà tolto via quel sangue scorse, che vuoisi certissimamente mutare in sangue Compilazione dell'Eneide 20} sorsc^ cioè bibit. Talché potrà siffatto esempio regi- strarsi dalla crusca nel vocabolario, dove del verbo sorsare non si ha che il solo esempio del Boccaccio. Né pui- eredo che sia voce legittima s'accostò^ dicen- do haesit il latino. Infatti nel lib. XII v. 864 dove ha Virgilio Vox faucibus haesit^ il Lancia (p. 128) tradusse la voce s'appiccò alle mascelle. Qui dunque porrei s'attaccò^ come porrei attaecoglisi a carte 118 Hn. 12. Peiciò scriverei: « E quella non s' avvide del suono , de'sopravegnenti lancioni e dell'aria, in- fìno che l'asta s'attaccò sotto la gnuda poppa e 'l sangue sorse. » Pag. I'j8. « Allora la guardatrice di Diana con pianto diede queste voci : Guai a noi ; o vergine , troppo ài sostenuto crudele tormento : isforza di co- strignere i troiani per battaglia, e non t' è giovato avere adorato Diana. » Ecco il latino ; Heu ! ni- mium^ virgo^ nimium crudele luisli - Supplichimi leu- eros canata laeessere bello ! - Nec Ubi desertae in dumis coluisse Dianam - Profuit. E il Lancia deve aver tradotto: « Guai a noi! 0 vergine, troppo hai sostenuto crudele tormento , isforzata di coslrignere i troiani per battaglia ! E'non t'è giovato avere ado- rato Diana ! » Ivi. « Ed elli, rinchiusi dentro a'muri e nella pa- tria e sotto i tetti delle case, mandano fuori l'ani- me. » Vuoisi scrivere dentro o' muri della patria , Ietterai traduzione del moenibus in palriis del latino. Ivi. « Ed ambedue non con lunghi passi si me- nano )). Il latino dice: Nec longis inler se passsibus absunt. Forse il Lancia non ha inteso qui il testo. Ma ben credo che pur qualche cosa abbia vokito di- 202 Letteratura re: e con non lunghi passi si menano^ non dice nulla. Forse si muovono ? LiB. XII. Pag. 123. « Le voci delle madri rice- vette Lavina con lagrime sparte per le risplendienti gote. » Dicasi della niadre^ dicendo matris il latino. Ivi. '* Ma col nostro sangue dividiamo la balta- glia. » Dice il latino : Nostro dirimatur sanguine hellmn : e credo che il Lancia abbia ben tradotto dicidiamo. Pag. 124. « Per cotali detti accesi priegano la pace. » Dirà certo spregiano. Ivi. « Questo cigno i rutoli con gran romore sa- lutano. » Il latino ha augurinm: ed il Lancia tra- dusse certissimamente segno. Ed infatti cinque ri- ghe più sopra avea detto ; « A queste cose un mag- gior segno aiunse Giuturna. » Pag. 125. « E, quando tu sarai cresciuto, ricor- diti della mia virtù e li a sempri de' tuoi; e'I pa- dre Enea e '1 zio Ettore ti commuo vano. » Direi : « E, quando tu sarai cresciuto, ricorditi della mia viitù : e li assempri de'tuoi, e'I padre Enea, e'I zio Ettore ti commuovano. » Ivi. « Ma Enea no gli perseguita , ma per la folta oscurità va cercando : lui per la battaglia do- manda lo forte. » Forse il Lancia avrà scritto: « Ma per la folta oscurità va cercando lui , e nella bat- taglia domandalo solo [solum in certaniine poseit) ». Ivi. « Enea la dritta mano stende, e Latino ir- recusa con alta voce. » Questo verbo irrecusare , della cui legittimità dubita pur l'editore, per me è un errore puro e semplice del copista , che scrisse sbadatamente irrecusa, invece à'incusa (latino, ineU' Compilazione dell'Eneide 203 snt)^ voce antica italiana ed usata da Guiltonc e dal voljjarizzatore di Ijivio. Anche allra volta è occorso al Lancia di dover tradurre in Virgilio il verbo in- cusat^ che in questo medesimo libro XII v. 612, e lo ha fatto coli' equivalente incolpa. Sapeva egli dunque il vero valore della voce latina. Pag. '12G. " Siccome il pastore con amaro fu- mo iscaccia le api e nel nascoso pumice elle van- no per li castelli della cera e tra' sassi suonano e siccome il fumo alle vote aure ». Ad uscire di que- sto spineto ci siano scorta i divini versi di Virgi- lio: Inclusas ut cum latebroso in pumice pastor - Ve- sligavit apcs^ fumoque implevit amaro: - Illae intus trepidae rerum per cerea castra - Discurrunt^ ma- gnisque acuunt stridoribus iras. - Volvitur ater odor iectis; tuni murmure caeco - Intus saxa sonanti va- cuas it fumus ad auras. Fra Nasiagio raccorciò as- sai questo passo: e forse il die al Lancia a volga- rizzare così: « Siccome il pastore con amaro fumo iscaccia le api del nascoso pumice: elle vanno per li castelli della cera, e tra'sassi suonano: e sì corre il fumo alle vote aure ». Ivi, « E così tra'nemici scorre e tra'lancioni, e la trista scrocchia abbandona, e meze le schiere rompe, siccome sasso rovinando del monte e invol- gendo.si nelle selve; e corre a'muri della città, dove di sangue la terra è molle ». Dopo rompe dee por- si un punto. Indi, seguendo Virgilio, scriverei: « Sic- come sasso rovinando del monte e involgendo con se le selve [silvas armenta virosque involvens secum)^ e' (Turno) corre a'muri della città ec. ». Pag. 127. (i Quivi scampali da'pericoll solevano 204 Letteratura il legno riverire e fare sacrifici e appiccare le ve* stimenta ». Dicasi i scampali. Ivi. « Quella con abbassalo volto rispose: Ina- perciò che la tua volontà m'era manifesta, e Turno e le sue terre non volunlaria abbandonai , e ora concedo, e le battaglie abbandono ». Che il Lan- cia abbia tradotto il facilissimo cedo eqnidcm per concedo^ noi posso assolutamente credere: e perciò direi ecco cedo. Pag. 128. « Giuturna li sciolti capelli fiacca )>. Scindit dice il testo : e credo che il Lancia possa aver detto straccia , non cavandosi niun senso ra- gionevole dal fiaccare i capelli. Ivi. « Così abbiendo parlato, si riposò nell'alto fiume «. Forse si ripose (condidit)., essendo molti e belli nella crusca gli esempi di riporsi in signifi- calo di occultarsi, nascondersi ec. Ivi. « 0 tu, Turno, che pensi ? s'alcuna cosa puoi, colla mano coll'arte ora lo dimostra ». Sive animis., sive arte., ha Virgilio. Perchè il Lancia non può aver saputo dire il facilissimo colVanimo o col- Varte ? Ivi. « Queste cose abbiendo dette , un sasso , termine d'un campo, il quale a pena da dodici uo- mini, che 'ntorno produce la terra, potrebbe esse- re portato, gittò contra lui più alto di lui ». Quel- Vintorno è certo un errore del copista: che il Lan- cia dovea pur sapere il significato di ìiunc usato nel testo latino. Non ho memoria che alcuno scrit- tore antico abbia mai detto oggigiorno^ voce regi- strala nel vocabolario della crusca co' soli esempi del Piedi: il quale però, com'era studiosissimo de* Compilazione dell'Eneide 205 padri della lingua, stampati o no, chi sa se abbia da se osato inventarla ! Certo qui non pare che richieg- gasi altro avverbio: e se non piace oggigiorno^ pon- gasi a questo giorno. Ivi. < Allora la pietra in vano per voto rivolta' né tutto lo spazio campò, né tutta la percossa com- piè ». Questa dovrebb'essere la vera lezione: « Al- lora la pietra, per il vano vóto rivolta {vaciium per inane volulus)^ né tutto lo spazio passò (nec spatium evasit) ^ né tutta la percossa compiè ». Ivi. « Pallas ti sacrifica questa fedita e ven- detta piglia dello scellerato sangue ». Pallas te hoc vulnere., Pallas - Immolata, il latino: e perciò direi, Pallas li sacrifica con questa fedita. Ivi. « E da colui con freddo isciolgonsi le mem- bra ». Avendo il latino: illi solvuntur frigore mem- bra; parmi che il Lancia dovesse aver detto a colili. E qui pur una volta sia fine a queste osser- vazione. Se non tutte (ne io n' ho pretensione) po- tranno essere approvate dai dotti : parmi però che sopra di alcune non abbiasi a muover dubbio. Al- meno in una ristampa dell'opera del Lancia potran- no alquanti passi esser meglio punteggiati e virgo- lati ! Almeno non rimarranno più (come spero) ad offendere evidentemente il testo, per la scempia au- torità di copisti ignorantissimi, « lanata, per la notte: » allora, per all'Orco: latini, per lontani: non ven- » dicati, per non invendicati: allatta, per a terra: mo- » nachi, per monocchi; accendono, per ascendono: » avventuioso, per sventuroso: tignente.per languen- <» te: pensando, per pesando: scorse, per sorse: prie- !» gano, per spregiano: anche portate, per a che poi- 206 Letteratura » tate: cigno, per segno: prima, per patria: tagliare, » per cagliare: ricordamento, ;per ritoruamento: ran- » golosa, per rangola: iscognosconsi i re, per igni- » sconsi l'ire: non facciamo, per noi facciamo: vol- n gevoli, per vegjievoli: alloro, per alboro: ingiuria- » mo, per ignoriamo: delle madri, per della madre: » daranno, per faranno: disse alla furia della dea, >! per disse alla furia la dea: per un cubito, per sur n un cubito: ammaestrato, per Araaseno » : e così oso dire di altri non lievi errori, i quali se non ho ben saputo correggere io, ho forse indicati alla sa- gaciià di altri più dotti e più pratici. Salvatore Betti 207 Lo scavo della via oppia fatto nel 1851. \^uegliehe istruito nelle antiche memorie delle clas- siche latine lettere, uscito di Roma inoltrandosi per Tappia ^ia, voglia immaginarsi quale essa fosse ne' prischi tempi della repubblica e dell'impero, grandi cose ad ogni istante \ede che gli si parano agli occhi dell' immaginazione. Dove si presentano orli ameni con magnifici ninfei portici e palagi, dove ampie ville con ogni genere di delizie e private e pubbliche, dove templi eretti alle antiche bugiarde deità, e ad ogni passo lungo la via in ualzati sepolcri in tutte ragioni di specie di tempi, di nomi. Maravi- gliandosi che tale incantevole scena sia del tutto spari- la, chede'più grandiosi sepolcrali monu menti ne re- stino miseri avanzi ove s'abbarbica l'edera e annidansl i corvi, e che su la famosa regina delle vie sepolta pa- scoli l'armento; cercando in sua niente la causa di si variata fortuna, vede che nel moribondo o spento romano impero pel corso di dieci secoli con varie incursioni goti, longobaidi e saraceni spogliarono e davastarono la miseraRoma e i suoi contorni, depre- dando quanto v'avea di prezioso agli occhi loro, e devastando quanto avea saputo creare l'arte greco-ro- mana alimentata da ricchezze e da lus;SO incredibile: vede a tanta decadenza aver posto mano 1' odio delle sempre malaugurate fazioni cittadine, spopo- lando il paese e distruggendo e cambiando i più co- 208 Letteratura spleni e robusti monumenti in fortezze: alle quali cose vede unita la distruzione del tempo Vorace e del male inteso particolare interesse. Ma ad onta di tanti danni e di tante rovine , l'esperienza di più secoli addimostra che scavando questa clas- sica terra feconda sempre di artistiche raeravljjlie, si posson trarre a'ia luce monumenti per arte e per isteriche memorie mirabilissimi. Onde la sco- perta dei sepolcri de'Scipioni, di quei della famiglia di Sesto Pompeo, di quei de'servi e liberti di Livia augusta, per tacer d'altri molti, hanno ispirato l'im- prosa di aprir lo scavo dell'appia via scovrendo i monumenti che le erano d'attorno II progetto di tale impresa fu da S. E. il sig. Camillo lacobini mi- nistro del commercio , belle arti e lavori pubblici, presentato al Sommo Pontefice Pio IX, che coU'innato suo discernimento sull'istante penetrò quanto di de- coro e di gloria avrebbe con quest'impresa cresciuto alla città eterna,, quanto avrebbe avvantaggiato lo studio dell'arti belle in questa lor sede, e quanto avrebbe dato luce a tutti i rami dell' archeologica scienza: onde sull'istante approvò il progetto, desi- derando che tostamente fosse posto ad esecuzione. Il prefato sig, ministro, stimandosi a grande venturi tanta sovrana annuenza, operò che eoa tutto sapere, diligenza ed alacrità fosse dato principio all'impresa. Oggi, che sono compiuti i lavori dell'anno che corre, .sarà utile e non discaro dare de'cenni sulla esecuzione di essi e sopra le principali cose trovate , lasciando il campo intatto a più trita narrazione per una esatta a corredata istoria, allorché sarà eseg uita del tutto l'impresa. Scavo della Vl4 Appl\ 209 Posto dunque mano all'opera nel dicembre 1850, non si è sospesa che al maggio dall'anno corrente , quando l'aria malsana non permetteva che più oltre fossero condotti i lavori. Allo scavo per varie cause si è stimato ragionevole dar principio al quarto mi- glio circa dalla porta capena potraendolo verso Al- bano. Esso é stato approfondato per l'altezza media di un metro e mezzo, sufficiente a ritrovare l'antico piano stradale. La larghezza della zona scavata è di metri 22, bastevole a fare scoprire i monumenti che fiancheggiavan la via. La lunghezza dello scavo eseguito è di tre kilomelri, pari a circa due miglia italiane. Il numero medio degli operai è stato di 150 al giorno. Ovunque è stato trovato il piano stradale antico come lo addimostrano l'antiche crepidini e molti tratti del mirabile lastricato a grandi poligoni di selce solidamente fra loro connessi e sopra solide fondamenta basati: ed arreca meraviglia come essendo questo lastricato vincitore del tempo e d'incredibile attrito, sia stato in glande parte distrutto negli an- dai tempi da nostrale barbarle armata di leva e di mazza. Oltre ogni credere mirabile è la quantità de' monumenti scoperti, che, uniti ai pochi che sorgevan sul suolo, ammontano al numero di 400 circa. La varia maniera cui han servito, o di conservare interi i cadaveri o di averne in serbo le arse ceneri, la costruzione de'nuclei e delle pareti sì ne'materiali e si nella esecuzione, la perfezione delle architettoniche modanature e la bontà delle sculture, le pietre in cui esse sono state condotte, la modesta grandezza e la lussureggiante vastità delle moli, la varietà delle paleograHe e delle dizioni nelle lapidarie iscrizioni, G.A.T.CXXUL 1/i 2)0 Letteratura tutti questi Caratteri chiaramente ci dicono essere essi monumenti stati innalzati dai medi tempi repub- blicani a tutto l'occidentale impero. Le forme, che scorgonsi in essi, sono quelle g:ià conosciute per gli altri superstiti monumenti lungo I 'altre romane vie, e l'appia medesima , non che pei sepolcri che am- miransi nella via di Pom[jei che da essi si appella. Quale ergevasi piramidale, quale quadrato, quale circolare, quale a forma d'edicola, quale a modo di grande ara. Vi son di quei d'un solo ordine, altri ne han due , alcuni ne contano tre, compresavi la camera sotterranea. Parecchi sono stati innalzati alla memoria di un solo, molti per le mortali spoglie d'intere famiglie. Similmente vario n'é stato l'uso: che alcuni han contenuto sarcofagi, altri poi olle cinera- rie. Di tanta varietà di sepolcri, e di variate epoche, ci appresta a dovizia a contemplarne lo scavo dell'Ap- pia. Ma a specificare alcun che dei tempi della re- pubblica libera, debbonsi ricordare dei nuclei di se- sepolcri tuttor coperti al pie di basamenti di belle modanature, con intorno rinvenutivi capitelli di vario ordine, pezzi di trabeazione, coronamenti, pulvini ed altri architettonici ornamenti perfettamente eseguiti in pietre locali albana e tiburtina. Fra i molti mira- bili avanzi di tali monumenti è da ricordarsi un bel- lissimo fregio in pietra albana decorato di putti soste- nenti degli encarpi di fiori e frutta con patere e pul- vini aventi nella fronte una testa di Medusa, e nei fian- chi ornati di fogliami e di papaveri. Egregio lavoro per virtù grande di disegno e di esecuzione, come per vaghezza del mitico concetto argomento a nobili inter- pretazioni. Questo ci richiama alla memoria i bei ro- Scavo della Via Appia 21) soni e triglifi del sarcofago di Scipione Barbato, meta a cui erano sorte le arti nel finir del quinto secolo di Roma: ma il nostro scavo ha dato delle sculture ancora più antiche aventi minor pregio di condotta e di disegno. Dei tempi suddetti pari in bontà di stile è un frontone con sue antefisse, capitelli d'ordine corin- tio, basamenti di bellissime sagonie al posto, il tutto eseguito nella pietra tiburtina: fra le quali cose deb- besi specialmente lodare il soffitto d'una cella con grande rosone nel mezzo ed altri minori nei trian- goli formati dal rombo inscritto nel rettangolo. La co- struzione de'nuclei, i grandi parallelepipedi e le moda- nature in pietra albana e tiburtina, l'antica etrusca forma, assegnano alla stagione repubblicana, forse per la vastità della mole in tempo posteriore de' suddetti, i grandi circolari monumenti, che ripieni di terra dovean terminare con un tumulo a forma di monte, ove avranno verdeggiato degli alberi, come sappiamo che fosse del mavisoleo d'Augusto di simil foggia descrittoci da Strabone. Degli ultimi tempi repubblicani, dell'epoca augustana, de'buoni tempi e di quei della decadenza, vi sono molti monumenti fra i preesistenti e i discoperti. Altri innalzavansi a più ordini , essendo stati vestiti d' ogni maniera di marmoree decorazioni : altri sono cosliuiti d' ot- tima cortina e della migliore opera reticolata, e molti d'imperfetta cortina che trae ai tempi della decadenza. Fra gli ornamenti fu la fortuna propizia nel darci un coronamento dallo edifìcio di finissimo intaglio con altri ragguardevoli frammenti, si che di esso si potrà fare un fedele listauro. V ha un circola- re sepoloio, che sonmiinistiò ammirabili frammenti di 212 Letteratura marmo ^reco: onde si potrà facilmente dimostrare quale sia stata la sua decorazione per i vari pezzi del fregio ornato con grifi, con vasi, con suo archi- trave e molti frammenti della copertura adorna di squamme, il cui ristauro sarà sommamente prege- vole per esser d'esempio a molti altri di simil ge- nere. Similmente un altro circolar monumento è sti- mabile per quantità di frammenti che ha dato, es- sendo essi di squisito lavoro: e sono pezzi di fregio ornato di bucrani, festoni di foglie di lauro, molti pezzi di basamento della cornice , e de' frammenti della porta in marmo. Maraviglioso sarà, restaurato che sia questo edificio. Queste sono le maggiori cose di architettoniche decorazioni, mentre molle altre d' inferiore stile sono state rinvenute ancor esse sti- mabilissime per la storia dell'arte. Passando alle sta- tue che ornavano i .sepolcri, diremo varie essere state le scoperte, tutte panneggiate, pel maggior nume- ro acefale ; fra le quali merita d' essere somma- mente lodata la statua trovata in un colombaio , .scolpita in marmo greco , rappresentante il ri- tratto di Pompea Atzia sposa di T. Didio Euprepe, come lo mostra il titolo scritto nella base in cui era incastrata. Essa è di altezza naturale , genti- le, di belissima taglia, i cui nudi sono eseguiti con mirabile grazia e morbidezza: il partito de' panni è disposto a maraviglioso effetto, mentre è condotto con maestria sorprendente. Tutto ci fa stimare dei tempi d'Augusto questo insigne ritratto dell'infelice giovane spenta nel fior dell' età. Questa statua sarà quanto prima collocata a decorare il musco vatica- no, non essendosi stimato conveniente che con lo ì Scavo della Via Appia 213 altre rimanesse esposta sul luogo tanta perfezione di scultura. Sono stati anche trovati vari bassorilie- vi, altri con cinque, altri con tre figure di vario stile ed ottimamente conservali ; fra i quali è ricordevole quello che porta la protome d'una sacerdotessa d'Isi- de, già posto nel suo monumento ristaurato. Molti sono gli scoperti ritratti, tutti pregevolissimi, e spe- cialmente alcuni di buona esecuzione: certo di distinti personaggi, aventi in fronte, sulle ciglia e sulle gote l'altezza del pensiero e la profondità del sentimento del popolo principe della terra. In fìne^ per tacer d' altre cose , ricorderannosi le grandi olle marmo- ree con entrovi ancora le ossa, are di stile greco or- nate di figure ai lati, ossuari con in fronte gli scrit- ti nomi ed ai lati scolpiti animali. Molte sono state le iscrizioni sepolcrali rinvenute a'piè de'monumenti: e se la fortuna non è stata propizia nel darci al- cun nome famoso , molte pur sono state tali da meritare il commento del eh. sig. cav. Bartolomeo Borghesi, saggio sommo in antichità, al cui nome non v'ha pari nessun elogio. Sull'antiche iscrizioni ci limi- teremo d' osservare, che l'Appia può arrecare grandi vantaggi alla paleografia, che dà molta luce all'epo- che delle iscrizioni, presentandone tanti e varijiti esem- plari da non potersene rinvenire altrove* Quivi ara- miransi degli informi caratteri impressi in pietra al- bana, traenti alle forme arcaiche degli antichi tempi repubblicani: e quindi se ne vede migliorare la for- ma nei tempi posteriori scolpiti nella tiburtina, e si osservano le migliori sagome degli ultimi tempi re- pubblicani in marmo, e le bellissime dell' epoche dell'arti fiorenti: come col decadere di esse si scor- 2 1 4 Letteratura gono scadere le forme de' caratteri nei secoli po- steriori. La via appia già molti ne ha dati, e mol- tissimi abbiamo a sperare che darà di siffatti esem- plari, sì che dai rispettivi confronti di quelli di un tempo, e dal paragone di quelli di epoca diversa, 6Ì potranno fissare dei criteri non ancora stabiliti , onde rischiarare questo ramo di archeologica cro- nologia. In fine conteremo, che il nostro scavo non solo fu ricco di sepolcrali scoperte, ma ancora ha tratto alla luce il magnifico ingresso alla villa de' Quintili , essendosi trovata la gradinata , le basi ai lor posti, e le cadute colonne: presso al quale ven- ne discoperto un grande ninfeo ben conservato e superiore a quanti mai ne esistono di tal genere. Egli fu primitivo divisamento, che compiuto lo scavo verrebbero ristaurati tutti i monumenti, i cui avanzi potessero far concepire una fedele idea della loro antica esistenza sì nella forma e sì negli ornamenti: che i ruderi tutti si dovrebbero fortificare in modo da resistere ai danni dell'intemperie atmo- sferiche: che ad essi verrebbero attaccati i frammenti lor propri : che similmente sarebbero stati collocati gli epitaffi ai respettivi monumenti: e che, partendo dal luogo ben conosciuto della porta capena, sareb- bero state piantate le miliari lapidi agli antichi lor posti. Molti sono i monumenti che appariranno alla luce quali essi furono nella loro grandezza e nelle loro decorazioni, essendone molti che sono degni d in- tero ristauro, nella ragione sì delle grandi are, e si delle edicole e di quei della forma quadrata e cir- colare. Moltissimi saranno i ruderi ove si ammire- ranno ben collocate e statue e cippi e busti e fram- Scavo della Via Applv 215 menti d'ogni miniera di ornati: grand? egualmente sarà il numero di quelli che avranno in fronte l'an- tica lapide della propria iscrizione. Alti torregge- ranno i sepolcri circolari alla foggia etrusca, col gran tumulo di terra con sopravi i piantati alberi , da banda a banda alla via lungo i monumenti bruno- verdeggeranno i cipressi; sì che compiuto lo scavo e compiuti i ristauri dall' antica porta capena alle radici del giogo albano presso l'antica Boville, per lo spazio di circa 11 miglia, Roma avrà un nuovo museo per artistici monumenti e per gloriose me- morie unico e mirabilissimo. Con questi monumenti s'aprirà una scuola agli artisti, ove potranno apparare sopra redivivi esem- plari le meraviglie dell'arti romane, ed istudiarne \ progressi dai primordi de'tempi repubblicani fino all' epoche fiorenti degli Augusti, degli Antonini , de' Traiani: e quindi osservarne la decadenza col deca- der dell'impero d'occidente. Scuola finor non aperta, e che la sola Roma può offrire agli studiosi dell'arti belle. Quivi gli archeologi e gli amatori tutti del- le gloriose romane memorie avranno a deliziarsi e ad appagare la lodevole bramosia di sapere , dove osservando antichi, belli e scadenti caratteri dell'iscri- zioni, dove leggendo antiquate od auree o basse la- tine dizioni , e dove ricordando magnanime gesta alla presenza de'nomi famosi. Colle tante nuove sco- perte e colle piantate miliari colonne abbiamo on- de sperare , che si potrà con maggior certezza o probabilità dire ove fossero i tanto decantati e non ancora rinvenuti sepolcri di Calatino, de'Metelli, de' Servili e di Cecilio, ove gli antichissimi di Grazia, 2-16 I.ETTERATTTRA defili Grazi e de' Curiazi, ed il campo del lor com- battimento alle fosse cluilie. Qui, lipeteiassi, erano i modesti orti di Terenzio, là i magnifici del ricchis- simo Seneca. Qui il nume Redicolo avea campo ed ara, là sorgeva il tempio sacro ad Ercole, e qu\ era il tanto famoso Triopio pago d'Anna Regilla. Là, si dirà, è la recentemente scoperta villa di Massenzio col celebre circo di Romulo, e qui è il testé ritro- vato ingresso alla villa de' Quintili con il prossimo magnifico ninfeo. E quante altre memorie non de- sterà questa ad ogni passo classica via ? Alla pre- senza di tanti sepolcri si afifacceranno alla immagi- nazione le grandi esequie, onde la pietà romana si disfogava verso i defonti congiunti ed amici: quindi si ricorderanno proced ere con faci, con insegne, con immagini de'maggiori, e con cantilene al suon delle trombe, le funebri pompe, ardere negli ustrini i ro- ghi con incensi ed aromi, ed innanzi ad essi spar- gersi umano sangue di servi o di gladiatori com- battenti, raccogliere dentro olle le ceneri, collocarle ne' gentilizi sepolcri, e alla veduta del rogo ban- chettar coronati i congiunti, ed in fine le apprestate mense ai defonti, ed i novendiali sacrifici, e gli an- nui parentali. Alla vista di tanti famosissimi nomi, qui, dirà l'uomo erudilo, si saranno ispirati i per- sonaggi di stato o di lettere, e quindi avran tratto gli auspici i generali comandanti degli eserciti a concepir per ingegno le gigantesche imprese e a trarle per virtù a compimento. Quante mai batta- glie, quanti trofei, quanti trionfi non ricorda questa famosissima via? A quante latine, a quante volsce, a quante sannitiche guerre non ha essa veduto volar Scavo della Via Appia 217 le coorli romane alla vittoria , e ritornar coronate di lauro al trionfo ? E vegjjendo il monte Albano, si presenteranno all' immaginazione le brigate ro- mane che quinci menavansi alle ferie latine, ed i consoli di nuovo creati traenti ai maggiori sacrifici nei templi di Giove Laziale, di Diana Scitica, della Sospite Giunone. Ma tornando sovente il pensiero sul munificentissirao autore di tante redivive artisti- che ed isteriche glorie, sul sommo pontefice Pio IX, ripeteranno ed artisti, ed archeologi, ed uomini tutti di lettele, che massime gli si debbon le grazie pel sommo compartilo favore: che non gli possono in- tessere elogi maggiori di quelli che altamente pro- clama l'insigne monumento d'onore che da se stesso si è eretto sulla regina delle vie: che questo lauda senza adulazione, soverchia l'invidia e passerà glo- riosa ai più tardi nipoti : e che per questo solo po- trà il suo nome annoverarsi fra i nomi famosi de' sommi pontefici, che tanto bene meritarono delle arti belle e della archeologica scienza, d'un Nicolò V, d'un Giulio II, d'un Leone X, d'un Benedetto XIV, d'un Clemente XIV, d'un Pio VI, d'un Pio VII, e d'altri, ed ire fra loro sommamente onorato. Agostino Iacobinl 218 Letteratura alcune delle iscrizioni trovate nello scavo della via appia nel 1851 coi respettivi commenti. Nuiri. I. L . VALERIVS . M . F . OVE . GIDDO L . CALPVRNIVS . M . L . MENOPHIL VALERIANVS VALERIA . L . L . TRYPHERA In cui lejjgesi francamente: Lucius. VALERIVS. Mar- ci. Filius. oyFentina. giddo. Lucius, calpvrnivs. Mar- ci. Libertus. menophiliìs. valerianvs. Valeria. Ludi. Liberta, trypoera. È evidente, che vien nominato un padrone con due suoi liberti, l'uno maschio, l'altro femmina. Ma è da osservarsi che, contro il consueto, Menofilo non porta il gentilizio del suo padrone: ed è anche più strano, che dopo essersi appellato Lucio, si professi liberto di Marco. Però se ne travede la ragione, e ciò può servire di norma in qualche altro caso con- simile. Tengo per fermo che qui sia ripetuto il fatto di Cicerone ( ad Attic. lib. IV epist. XV ), che mano- mettendo il suo servo Dionigi, non lochiamo già col proprio nome di Tullio, ma con quello di Pompo- nio, in commemorazione del suo amico Pomponio Attico. Altrettanto avrà praticato il padre di Giddo o per parentela o per amicizia, quando nel conce- dere la libertà a Menofilo gli diede il nome estra- neo di L. Calpurnio, invece del proprio di M. Va- lerio. Mi ciò non tolse, che questi si dicesse liberto Scavo della Via Appia 219 di Marco, come era realmente, e che di più a de- notare la sua origine si aggiungesse 1' agnome di Valeriane all'uso dei servi, che così costumavano di indicare il loro primitivo padrone, come fu già ri- conosciuto dal Fabbretti e dal Marini ( Mon. Arv. p. 214). Nuovo mi riesce il cognome giddo, che non sembra nato da origine né latina, ne greca. Num. II. L . VALERIVS . L . L BARICHA L . VALERIVS . L . L ZABDA L . VALERIVS . L . L ACHIBA Sono notabili i tre cognomi barbarici BARICHA, zabda, ACHIBA, e starà agli studiosi di lingue esotiche l'in- dicarci a qual nazione appartennero in origine que- sti scivi, divenuti poscia liberti. Num. III. ESCHINVS . PATER OCCISVS . EST . IN . LVSITA... Molto raramente sogliono indicare le lapidi antiche il genere della morte: onde merita di non esser sprez- zalo questo tilolelto , che ci fa sapere che l'ignoto Eschino fu ucciso nella liusitania. 220 Letteratura Num. IV. L . ARELLIO . GLABRAI . L DIOPHANTO TITINIAI . NOBILI VXSORI Il dittongo arcaico Ai invece di AE, nei due nomi fennminili f.LABRAi e TiTiMAi, liraanda questo marma al secolo di Augusto. Fino da quel tempo è cognita in Roma la gente Arellia, giunta molto più tardi an- che agli onori del consolato , avendole dato nome Q. Arellio Fosco il padre, ricordato da Orazio (L. 2, sat. 6 ) , e che dal retore Seneca viene frequente- mente citato come uno dei principali declamatori fra i suoi contemporanei. Num. V. P . SERGIVS . p . p DEMETRIVS VINARIVS . DE . VELABRO SERGIA . p , P . L . RYFA . VXOR P . SERGIVS . P . ET . D. L . BASSVS . L ARB...ATV . RVFAE . VXORIS Nel primo nome Publius SERGivs . P p, duorum Puhliormn^ demetriys, manca sicuramente dopo pp un L. significante Libertus , che forse sarà rimasto obliterato nel marmo: così richiedendo non tanto il senso, quanto l'esempio della sua moglie e conliber- Scavo della Via Appl4 221 ta SERGIA pp., duorum Puhliorum Liberia^ rvfa. All' opposto non si avrà da credere che un altro l so- vrabbondi in fine della quarta riga Publius . sergivs . Publiae et d Sergiae Libertus . bassvs . Liberhis; per- chè egli serve a mostrare che Basso non fu liberto in genere di un Publio e di un Sergio, ma che Io fu del Publio e della Sergia superiormente ricordati nel marmo. Più comune è di trovar ripetuta per la stessa ragione la sigla Filius, la quale nella prima , volta offre la prova dell'ingenuità della persona: nella seconda, che essa è nata dal mentovato di sopra. Del che amplissima dimostrazione ci porge una la- pide del De Vita ( p. xx n. 14) spettante alla fami- glia di Scribonia moglie di Augusto, in cui si scrisse alla distesa l . scribonivs . l . f . libo . pater L . SCRIBONIVS . L . F . LIBO . FILIVS . PATRONEI . La lacuna dell'ultima riga deve supplirsi arbitratv. Questo Demetrio non ha voluto lasciarci ignorare la sua professione di bettoliere o venditore di vino, VINARIVS, che in altre lapidi si disse anche vinaria- Rivs. E né meno è nuovo che gli osti di Roma in- dicassero eziandio ove avevano le loro taverne: onde viNARiARivs . in . CASTRis . maelorìis abbiam nel Gruferò ( p. 112G,7), e due negozianti di vino nel luogo detto A . SEPTEM . CAESARiBVS sono conosciuti per due marmi del Marini ( Arv. p. 210, e p. 245\ Il nostro VINARIVS aveva spaccio nel Velabro, una delle più popolose contrade della città, la cui me- moria assicura al nostio marmo non piccolo pregio. 222 Letteratura Num. VI. SEPTIMIA . P . F . GALLA Lapide semplicissima, da cui null'altro si ritrae se non che Setdmia Galla figlia di Publio fu un'in- genua. La sua famiglia non è del tutto ignota fra quelle di Roma, e il Grutero ( p. 579. 1 ) riferisce una pietra, già esistente alla porta Latina e quindi trasportata a Bologna, la quale ricorda un favstys , M . SEPTIMI . GALLI . DlSPEmator. Num. VIL CHRESTVS LICTOR . CAESARIS L'appellativo grecanico CHRESTVS nei tempi, a cui questo titoletto deve riferirsi, fu proprio dei ser- vi e dei liberti ; e costui, portando unicamente quel nome, si avrebbe da credere della prima condizione, se non si sapesse che i servi erano esclusi dall'uf- ficio di apparilores. Sta bene adunque che il marmo comparisca rotto sul principio, che così la frattura ci avrà rapito il suo gentilizio: ed egli passerà nella classe dei liberti , alla quale realmente appartenne la più parte dei littori. Il eh. Mommsen nella sua bella monografia De apparltoribus^ in cui ha rac- colto tutte le lapidi rimasteci di costoro . non ne Scavo della Via Appia 223 conosce alcuna anteriore di età al L. ANIMVS . L . L . EROS . LiCTOR . AVGVSTi . CAESARis , del Mura- tori ( p. 886. 10 ); ma il nostro Cresto sarà più an- tico di lui, se fu al servigio di Cesare il dittatore, o almeno di Ottaviano prima che assumesse la de- nominazione di Augusto. Nura. Vili. HOC . EST . FACTVM . MONVMENTVM MAARCO . CAICILIO HOSPES . GRATVM . EST . QVOM . APVD MEAS . RESTITISTEI . SEEDES BENE . REM . GEKAS . ET . VALEAS DORMIAS . SINE . QVRA È questa senza contrasto la più stimabile di ogni altra pervenuta dai nuovi scavi. Fra gli indizi che nel Bollettino di questo anno ( p. 74 ) il dott. Henzen vi ha riconosciuto di una remota antichità, quello che più particolarmente ne determina l'età proviene dalla duplicazione della prima vocale nelle parole MAARCO e SEEDES. Quintiliano ( Inst. lib. I. e. 7. 4 ) ci dice in genere, che per denoiare una vocale lun- ga di quantità veteres geminatione earum veluti api- ce utehantur : ma più precisamente il grammatico Terenzio Scauro ( p. 2225, Putsch ) fa autore di que- sto uso il poeta Accio , che sappiamo da Eusebio esser nato nell'anno varroniano 584: Accius gemina- tis vocalibus scribi natura longas siUabas voluit. Vi- ceversa lo stesso Quintiliano (1. 1.7. 4 ) ne deter- mina la durata sino a tutta la vita dello slesso Ac- 22A Letteratura ciò, che moi'i nel 071, e a poco più oltre. A tulio ciò ben coirisponde l'osservazione sui marmi di età conosciula , che ci sono liraasli. Per tutto il sesto secolo di Roma non se ne trova vestigio: onde non se ne ha esempio nel Senatus conauUo dei baccanali del 568, in alcune delle lapidi degli Scipioni, e per sino nelle due iscrizioni di L. Mummio console nel 008 riferite dall'Orelli n. 563 e 1862. Ma poco dopo il 600 non è raro d'incontrarsi in queste lettere du- plicate : e fra i monumenti di data non dubbiosa citerò i frammenti della legge Toria e di altre leg- pi di quel tempo , la sentenza sulle liti fra i ge- nuati e i veluri del 657 ( Orelli n. 3121), la lapide (li Q. Marcio Re console nel 636 ( Bollett. del 1846 p. 185), di Manio Aqullio console nel 635 (Orelli n. 3308), e di C. Claudio Marcello pretore di Sici- lia nel 676 ( Corp. insc. gr. n. 5644), la medaglia di Papio Mutilo uno dei duci della guerra sociale (Eckhel I. 1. p. 103), e il tetradramma di Brultio Sura proquestore di Macedonia nel 666 ( Osser. 1 1 della mia decade XVI ) . Però dopo la dominazione sillana qviesto costume rapidamente decadde : per cui nei tempi vicini alla caduta della repubblica appena può addur.sene esempio nel feelix delle me- daglie di Fausto Siila figlio del dittatore, e nel VAA- LA del denaro della gente Numonia. Può dunque il nostro marmo riportarsi con abbastanza sicurezza verso la metà del settimo secolo di Roma : e può anche asserirsi, che M. Cecilio, di cui ricoperse le ossa, fu un ingenuo. A questi tempi nelle famiglie dei Metelli e dei Cornuti si ha notizia, egli è vero, di alcuno così denominato, ma la mancanza del co- Scavo della Via Appla 225 p-nome, e il tacersi di ogni onore da lui conseguito consigliano a crederlo un ignoto plebeo. Num. IX. LICINIA . L . F , C . LICINIVS . L . F. SER LICINIA . C . F . PAVLLA T , QVINCTIVS . D PAMPHILYS Una Licinia Paola ricordasi altresì nella muratoriana 1183. 3, ma non può essere !a stessa persona^ per- chè la nostra si dice nata da un Caio, mentre l'al- tra si annunzia figlia di un Publio. Num. X. . v^S . L . POM . LICINVS . A . TEIDIA . SEX . F . VXSOR . EIVS . L . F . CAPlTo . FILIVS . VLCRVM . HEREDEM . NON . QVETVR • n Questo Licino, che si presenta con tutti i nomi coti- venienti a chi godeva la piena cittadinanza romana non dovrebbe essere stato un uomo dell'infimo volgo: e lo deduco dalla sua moglie teidia . sex . f , che sernbia nata dal console suffelto dei 783, chiamata dai fasti nolani sex . teidivS . CATVLLmws, mentre in appresso la sua casa si disse Tedia, o Tidia. Quan- G. A. T. CXXIII 15 226 Letteratura tunque il genlilizlo del fifjlio Capitone abbia salvalo una sillaba di più, tultavolta non cedo alla tenta- zione di supplirvi FuntEixs^ o aelivs, perchè il co- gnome CAPITO in quelle due famiglie fu costante: onde il padre non sarebbesi invece chiamato LiciNvs. Le due ultime righe si suppliscono Hoc sePVLCRVM. HEREDEM . NON SCQVETVR. INum. XL SVPSIFANA . T . L . NICE T . SVPSIFANVS . T . L . NlCEPIiOR T . SVPSIFANVS . T . D . L . FRVGI SVPSIFANA . T.L.NICE . TESTAMENTO . SVO . IVSSIT . -ff< .-• '* MONVMENTVM . FIERI . DVO . HEREDES FACTVM . EST . frSr istó ) L) <» 00 9 T . SVPSIFANI . T . J . L . NICEPHORI . ET . BI . S Novissima, per quanto so, è questa gente Su- psifana, del cui nome non si vede né meno la radi- ce. Stando alla sua terminazione, parerebbe che do- vesse provenire da un nome geografico, come M. ACERRANVS.M.F . AEM . SECYNUVS ( Murat. p. 665. 5) dall'^cerre della Campania ; M . CORA- NVS . VRSmVS (Grut. p. 553. 2) da Cora del Lazio^ T. FAE8\ LANVS . STRATOR (Donali p. 286 3) da Faesolae dell'Etruria, e così via discorrendo. E vero che questa città di SupsiFa è ignota, ma ella mostra all'orecchio una tal quale analogia di suono con Sa- lafi, SitiK, Sufasar, Susicaz e simili luoghi dell'Affrica da non recar meraviglia se appartenesse allo slesso paese, ove ogni giorno s' imparano i nomi di nuove Scavo della Via Appja *22T cillà. Sulla fine della prima lapide si è perduto, a quanto pare, il numero dei sesterzi lasciati da Nice nel suo testamento per costruire il suo sepolcro: ma la somma disposta sembra che fosse minore di quanto costò: onde gli eredi notarono nella seconda pietra di avervi erogato 27500 sesterzi, corrispondenti, secondo i calcoli più raederni, a 6875 franchi. Nnm. XII. VVETTeNA . C . C . L . APIRODISIA [sic] FECIT . C . VETTENO . C . L CHRESTO ET . SIBI Il V deve staccarsi dal nome seguente, e inter- pretarsi Viva. Così nel cognome non si sarà badato alla lineetta che doveva congiungere il P colli per farne un H ; per cui nella presente riga si leggerà Viva. VETTENA . C. C. [diorum. Caiorum) Liberta APRHODISIA , La denominazione VETTENVS , o VETTIENVS, che trovasi in ambo i modi, proviene in origine da un VETTIVS, che essendo passato in un'altra famiglia, così allungò il suo nome per le leg- gi dell'adozione. Un esempio identico abbiamo nel celebre giureconsulto Alfeno Varo. Egli era un Alfio, che, adottato da P. Quintilio Varo, divenne Publius Oninlilius Varus Alfeìius\ ma per accorciare questa lunga nomenclatura chia mossi più comunemente P. Alfenus Varus^ e così si dissero i suoi discendenti. Regolarmente così doveasi appellare ALFIEJNVS: ma per delicatezza di orecchio fu sincopato 11, appunto come nel caso nostro da VETl'IEiNVS si fece VET- 228 Letteratura TENVS. Un'iscrizione del Doni (e/. XIV ih 51.) no- mina un C. VETTIENVS . C. L . APHRODISIVS, che potrebbe ben essere il padre della nostra Afrodisia. Num. XIII. r . riAEiNioi EYTTXOI KQMOAOI r . nAEiNioc ZfìClMOC CYNTPO$0 . KAI AnEAEYeEPOI TElMmXATOI C. Plinio Secondo nell'ep. 19 del lib. V ricorda iin suo liberto Zosimo, che gli era carissimo, ed a cui fa molli elogi, il quale dovette chiamaisi C. Pli- nio Zosimo, siccome ci dice chi fece incidere questa lapide greca sulla tomba di C. Plinio Eutico. Ma se Eutico fu fratello di latte, e insieme liberto dell'autore della lapide,^ saia assai diìKcde che questi due Zosimi siano la stessa persona ; perchè se il primo fu liberto del Plinio legato della Bitinia , nacque per conse- guenza in istato servile, e quindi la sua famiglia non poteva avere liberti. Lo che essendo, converrebbe ammettere che egli dopo essere stato manomesso, aves- se assoluto dalla schiavitù. Ma non è da credersi di leggieri, che il figlio di una serva sia stato allevato non dalla propria madre, ma da un'altra serva. Parmi assai più piobabile, che il figlio del liberto Phniano abbia portato gli stessi nomi di suo padre 5 che egli Scavo della Via Appia 220 sia slato allattato nella casa paterna da una serva di lui; e che per diritto ereditario divenuto poscia pa- drone del fratello e gli donasse la libertà. Num. XIV. AVG . PR . . . . . lAE . I AVG . PR . P . . . . LIAE . PRAEF . A . . . Xim . GEM .... FVLGINATIVM . . . . DILI . CVRVL ACHAIAE . TRIB . LAT- lAS . DII . DOM j ,_^,, TRI . • , Bene è da da dolersi, che così miseri siano gli avanci di questo titolo onorario, che ci metteva innanzi tutte le cariche sostenute da un illustre personaggio assai probabilmente consolare. Alcune tuttavia appariscono nel seguente rislauro, che in parie è sicuro. Leg . AVG . PRO . Praet . Provinciae . GennaniAE : inferiori^. Leg. AVG . PR . pr . ProD . Ljciae . et. PamphyiAXE . praef . Aer. Sat. Leg. X[ui . GEwmae . Curat . Rcip . fvjlginativm , Praet. AeDiu . CVRVL . Quaest . Prov. aghaiae , trib . i.at . i.e"- . ., La prima provincia governata da costui è af^ fatto incerta, potendo essere egualmente la Pannonia e la Messia: ma se non è vero, che la prima lettera della seconda riga nel secondo frammento sia un L, non potrà ivi esser nominata se non che la Pamfilia. essendo questa l'unica delle provincie cesaree , che abbia quella desinenza. Assai dubbioso è per me, che 230 Letteratura la quarta riga dello slesso frammento cominci con un E, che non potrebbe essere se non che l'avanzo del nome della provincia, di cui sarebbe stato que- store (1). Ma in questo caso mancherebbe lo spazio per notarci l'ufiìcio del vigintivirato, da cui secondo il solito dovesse incominciare la sua carriera. Sospetto adimque, che sia piuttosto un F : ed allora il supple- mento tutto piano sarebbe QVAEST . Ili . VIR . A . A . A . F . F . TRIB . Più importante sarebbe di fer- mare la lezione della riga susseguente, polendosi da questa avere un barlume per conoscere chi sia co- stui. Col tribunato laticlavio finiscono certamente le cariche: per cui dovrebbe venir dopo il nome di chi dedica il monumento , e ciò viene anche persuaso dalla sillaba susseguenle . . . TI\I che è assai chia- mente una reliquia di PriTRI, o di FraTRI . Si ag- giunge che quel DII non può ivi avere un senso ragionevole se non supponendolo un nominativo plu- rale. Ma lASDII non è nome romano. Si è però notata una specie di lacuna fra lAS e DII. Si veda di grazia se sia lecito d'interpolarvi un I (2) , con che se ne avrebbe una terminazione assai comune nei gentilizi, e si potrebbe pensar ai Nasidii spettanti ad una casa ben conosciuta dagli scrittori, dalle me- daglie, e dai monumenti. Per tal modo qui sarebbero mentovati i figli, che onorarono il padre: e queste due righe potrebbero supplirsi, a modo di esempio: (1) In seguilo di più accurate ricerche si t; riconosciuto avere la lettera E appartenuto al nome Acaia. (2) Da apposita osservazione rilevasi non potersi 'interpolare ^ÌUesla lettera /. Scavo della Via Appia 231 I;. Q. NASIDIL DOMzY/an?/*. et. Salurus. Salvianus PaTKl . Optimo . Bene . Merenti . Fecerunt . Resta r epitaffio metrico posto da im padre a due figli defonti , dei quali la femmina domandasi Pompea. I cultori della poesia latina potranno age- Yolmente rislaurarla; perchè in generale il senso s'in- tende bastantemente , e perchè non contiene se non querele comuni a tutti i genitori. Nuru. XV. ine . SOROR , F.t . FRATER , VIV . . . . . A . PAR Nxrs AETATE . IN . PRIMA . SAEV T POMPEIA . HIS . TVMVUS . CO ........ RIS HAERET . ET . PVER . INMITES . QVE DEF SEX . POMPEIVS . SEXTI . PRAEG . , A . ... i^STVS QVEIW . TENVIT . MAGN VS INFELIX . GENITOR . GEMflVA CTVS A.NATIS . SPENRANS . QVId , . OS AMISSVM . AVXII.IVM . FVNCTAE . POS ..... NATAE FVNDITVS . VT . TRAHEBENT . INVIDA .... AREM QVANTA . lACET . PROBITAS . PIEAS . QVAftJ , VER . . VLTA . EST MENTE . SENES . AEVO . SED . PERfERE I QVIS , NON . FLERE . MEOS . CASVS . POSSITQ . DOLORE . . . . VRARE . QVEAM . BIS . DATVS . ECCE . ROGIS SI . SVNT . dImANES . lAM . NATI . NVMEN . HABETIS PER . VOS . CV . VOTI . NON . VENIT . HO . . . MEI Ciò che ci è di particolare si rinchiude nel terzo di- stico. Tenendo conto non tanto delle lettere, che sono chiare, quanto di quelle di cui mi ha notato le ve- stigie, sembra non dubbio che nell'esametro si abbia 232 Letteratutia da supplite SEX . POMPEIVS . SEXTl . PRAECo Agnomine . IVSTVS., conche avremo l'intera nomen- clatura, non che la professione di chi fece porre la lapide. Nel voi. XX de(jli Annali archeologici p. 245 ho ricordato un ampio colombaio scoperto nel se- colo XV a mano sinistra di chi usciva dalla porta s. Sebastiano (Muratori. Inscr. p. 929), di un lato del quale ci ha dato il disegno Pier Sante Bartoli (AA. GG. Gronovii T. XII, sig. 39) e di cui trovo notate nelle mie schede aver parlalo a lungo il Ligorio nel L. 15 p. 42 dei suoi manoscritti di Torino , che volendo si potrà confrontare colla copia che esiste nella bibilioteca vaticana. In questo colombaio fu- rono sepolti i servi e i liberti di un Sesto Pompeo, che ho creduto il console suffetto nel 749: il che non toglie che ci siano stati ricevuti anche quelli dell'altro Sesto Pompeo suo figlio console ordinario nel 767, in cui si estinse la sua famiglia. Uno di questi liberti reputo che fosse anche il nostro Pom- peo Giusto: ed appoggio la mia opinione al penta- metro, nel quale mi pare di poter leggere QVEM. TENVIT . MAGN« .... rfomVS: avendo già mo- strato che quei due consoli provennero realmente in linea collaterale dalla famiglia di Pompeo Magno, onde questo cognome viene apeitamente attribuito al console del 7G7 da Idatio, dai fasti siculi, dalla cronica pasquale, e da s. Epifanio, llaer. 51. La qua- lità libertina di Giusto viene poi chiarita, non tanto dal suo nome SEX . POMPEIVS , quanto dal suo impiego PRAECO . SEXTI , cioè di praeco di uno di questi Sesti Pompei in tempo del suo consola- to : di tale condizione solendo essere comunemente Scavo della Via Appi a 233 i praecones. Dalle circostanze, che hanno accompa- gnato l'invenzione di questo epitafio, si potrà forse argomentare, s'egU sia stato estratto, quando che sia, da quel colombario, o se Giusto aveva eretto ai suoi un monumento loro proprio (1). Bartolomeo Borghesi (1) Giiislo eresse mi proprio monumento ai suoi figli mollo tlistautc dal hionro del coloinbaio suddetto. 234 Volgarizzamento della epistola di Demostene man- data ad Alessandro re macedo. Testo di lingua. ruglielmo Manzi nel 1816 pubblicò in Ronia un volumetto di Testi inediti tratti da' codici delta bi- blioteca vaticana: ma con tali errori, che fece giu- stamente gridare un dottissimo nella Biblioteca ita- liana. Certo il Manzi nelle cose della lingua del du- gento e del trecento non sapeva spesso, dirò così, dove porsi le mani : ma d'aspra natura, e alquanto pieno di se, com' era, non voleva consiglia di per- sona , né quasi dubitava essergli mai possibile di umanamente cadere in fallo. Tutto il contrario del cav. Pietro suo fratello, di sempre cara e onoranda memoria, di cui non ho conosciuto letterato né più docile, né più modesto e cortese. Di che poi questo è avvenuto, che quanto Guglielmo ha pubblicato di antico, tutto ha bisogno d'essere ben riveduto e pub- blicato di nuovo. Che ciò non sia un'esagerazione, bastano a dimostrarlo, chi ben li consideri, e que' Testi e gli altri tutti ch'egli ci ha dati, non esclu- sone il Reggimento ed i costumi delle donne di Fran- cesco da Barberino. Fra 1 detti Testi , a carte 76, è la supposta Epistola di Demostene mandata ad Alessandro re ma- cedo ( o forse macedone ) : epistola certamente com- posta per esercizio d'arte oratoria da qualche retore de' bassi secoli , come dimostrasi per gì' interi pe- riodi tolti a Cicerone qua e là nell'orazione per Marco Marcello. La trascrisse il Manzi da un codice che appartenne a Baldassar Castiglione , e che poi Epist. di Demost. ad Alessandro 235 fu donato alla vaticana dal cardinale Valenti Gon- zaga. Che sia volgarizzamento di Brunetto Latini, lo dice una nota in fine del codice stesso : ma io non oserei aflfermarlo. E però cosa, se non del dugento, indubitatamente del bel trecento , ed uscita della penna di un valente. Presala ierlaltro in mano, in un'ora d'ozio autunnale, così per dilettarmi un poco in quelle semplici eleganze de' nostri padri, dovetti veramente maravigliare degli spropositi che vi trovai. Oh degna invero e nobile ed utile opera il pubbli- car cose manifestamente prive del coraun senno, ed in modo al tutto meccanico : senza darsi pur la fa- tica di avvertire in nota gli errori, per mostrare al- meno d' essersene avveduto; quando la dappocaggine dell'editore sia tale che non sappia, anche dubitan- do, proporne una correzione ! Se non che per al- cuni è grandissima autorità la pecoraggine d' ogni vecchio copista. Più per passatempo, che per altro, mi provai subito di ridurre a qualche miglior lezione quel te- sto, usando a ciò non l'aiuto de'codici, ma un poco di ragione e di pratica : né tardai ad avvedermi che pure d' alcuna macchia potea riforbirsi. Ora ciocché si giudichi della povertà in se dell'epistola dalla Biblioteca italiana ( e non a torto ), il fatto è che il suo volgarizzamento ci viene dall'aureo se- colo della lingua : come a dire, è vero testo di bel parlare da esser citato cogli altri nel vocabolario della crusca : e perciò non sarà del tutto inutile l'aver qui la lezione com'è nella stampa del Manzi, con a riscontro quella che io proporrei in difeUo d'altra migliore. Salvatore Betti. 23 G Letteratura Testo pubblicato dal Manzi. Non ha alcuna cosa, re Alessandro, la fortuna tua maggiore, o veramente migliore la natura tua, che tu possa e voglia conservare più uomini, poi- ché conciosiacosachè molte e grandi sieno le virtù tue, ninna n' è in te più nobile che la misericordia, né più ammirabile che la clemenza, né più prossi- mano agl'iddii te può fare, che conferendo salute agli uon>ini, dando s'egli abbisogneranno, perdonare se peccheranno, usando misericordia se piegheranno. Imperocché conciosiacosachè gl'iddii in qualunque virtù ed ufficio ti avanzino , la clemenza solamente ti fa a loro eguale. Per la qual cosa rallegrati ed usa tanto eccellente bene, in te naturalmente gene- rato insieme colla gloria della fortuna tua. Ed usa clemenza verso coloro , appresso de' quali tu ti se' nutrito, e dotto ricevesti lume di scienza, e pren- desti principio e forma di tanta grandezza. E cer- tamente e' non sarà niuno che tanto ingiustamente giudichi e dubiti, qual volontà di peccale nel ri- cevere i tebani degli ateniesi verso di te sia stata. Gonciosiachè subito conosciuto lo splendore della serenità tua, semplici a te venimo, e senza dubbio quello che del suo peccato si pente, dichiara certa- mente più tosto tostamente non aver voluto peccare che penterse. E benché noi confessiamo essere ad alcuna colpa tenuti, siano neentedimeno i colpevoli del peccato. E i tebani non tanto miseri , quanto miserabili nella città nostra abbiamo ricevuti, non come tuoi nimici, ma come reliquie di tanta tua vit- Ei'isT. DI Demost. ad Alessandro 237 Proposta di correzione. » Non ha alcuna cosa, re Alessandro, la for- )» luna tua maggiore, o veramente migliore la na- » tura tua , che tu voglia e possa conservare più » uomini ; poiché conciosiacosachè molte e grandi » siano le virtù tue, niuna n'è in te più nobile che ») la misericordia , nò più ammirabile che la cle- » menza : né niente più prossimano agi' iddìi te » può fare, che conferendo (I) salute agli uomini, » dando s'egli abbisogneranno (2) , perdonando s'è' » peccheranno , usando misericordia s' e' pieghe- » ranno. Imperocché conciossiacosaché gì' iddii in » qualunque virtù ed ufficio ti avanzino, la cle- » menza solamente ti fa a loro eguale. Per la qual » cosa rallegrati , ed usa tanto eccellente bene in » te naturalmente generato insieme colla gloria dal- » la fortuna tua. Ed usa clemenza verso coloro , » appresso de' quali tu ti se' nutrito e dolio (^3), » ricevesti lume di scienza, e prendesti principio e » norma di tanta grandezza. E certamente e' non » sarà ninno , che tanto ingiustamente giudichi e » dubiti che volontà di peccare, nel ricevere i te- )) bani, negli ateniesi verso di te sia stata. Concio- )) siacosaché subito conosciuto offuscarsi (4) lo splcn- » dorè della serenità tua, supplici a te venimmo; e )i senza dubbio quelli che tostamente del suo poc- » calo si pente, dichiara certamente più tosto non » aver voluto peccare, che penlerse. E benché noi » conl'essianio essere d'alcuna colpa tenuti (5j, sia- » mo neenlcdimeno incolpevoli (6) del peccato : e 238 IjEtteratura toiia, quasi di una nave perckua le abbiamo con:^ servate. Abbiamo aperte le porte a coloro, i quali sono suti da te vinti, ma verso di te non abbiamo preso le armi. Adunque giudicherai per umanità piuttosto aver peccato , che per iscelleratezza, non per odio di te, ma per errore, non per alcuna pra- vità , ma forse per una sciocca pietà. Aggiugni a queste cose, che l'animo tuo a questi termini, i qua- li la natura a vivere a mortali ha dato , mai potè essere contento, ma sempre disiderò di essere im- mortale. N'è la vita tua da esser detta, come quella che solamente nel corpo e per ispirito si contiene, ma divina. Hai domato la Grecia, lompesti Lacede- mouia, Tebe distruggesti, dovente tu bellare poi e persi, e indi. Ma sono tutte queste cose d'un uomo, perchè hanno condizione e natura, che possono es» sere da lui fatte, ma in vincere l'animo, signoreg- giare se medesima, raffrenare l'ira, temperarsi con- tro a' vinti, perdonare ai miseri. Queste cose chi le fa, non è da essere agli eccellenti uomini compa- rato, ma simigliantissimo a Dio giudicato. Non vo- lere adunque credere all'ira, la quale del consiglio è nimica, non credere alla vittoria, che per sua na- tura è arrogante e superba, ma vinci te medesimo; conciosiacosaché tutti gli altri, e per virtù e per glo- ria vinca. Perocché chi è per nobiltà, o per bontà, o per studio delle ottime arti , o per clemenza , o per alcuno altro titolo , di te più prestante. Quale clarissimo re, o per grandezza di guerra, o per nu- mero di battaglie, o per varietà di vittorie, o per prestezza di conducere, o per amplitudine d'intel- letto, o per durezza ne' ribelli, o per clemenza ne' EpiST. DI Demost. ad Alessandro 239 » i tebani , noa tanto miseri quanto miserabili , » nella città nostra abbiamo ricevuti , non come » tuoi nemici: ma come reliquie di tanta tua vit- » toria, e quasi di una nave perduta, li abbiamo » conservati. Abbiamo aperle le porte a coloro , i )) quali sono stati da te vinti, ma verso di te non » abbiamo preso le armi. Adunque giudicherai per » umanità piuttosto aver peccato, che per iscellera- » tezza; non per odio di te, ma per errore: non per » alcuna pravità, ma forse per una sciocca pietà. Ag- » giugni a queste cose , che V animo tuo a questi » termini , i quali la natura a vivere a'mortali ha » dato, mai non potè essere contento, ma sempre » disiderò di essere immortale. Né è la vita tua da » esser detta quella che nel corpo e nello ispirito » si contiene (7), ma è divina. Hai domato la Grecia, » rompesti Lacedemonia, Tebe distruggesti, dovesti » tu bellare (8) poi e persi e indi. Ma sono state » queste cose d'un uomo, perchè hanno condizione » e natura , che possono essere da lui fatte. Ma » vincere l'animo, signoreggiare se medesimo, raf- » frenare l'ira , temperarsi contro a' vinti , perdo- » nare a' miseri ; queste cose chi le fa, non è da » essere agli eccellenti uomini comparato, ma simi- » gliantissimo (9) a Dio giudicato. Non volere adun- » que credere all'ira, la quale del consiglio è nimi- » ca : non credere alla vittoria, che per sua natura » è arrogante e superba : ma vinci te medesimo : » conciosiacosachè tutti gli altri e per virtù e per » gloria vinca. Perocché chi è o per nobiltà, o per » bontà, o per studio delle ottime arti, o per cle- ') menza , o pei' alcuno altro titolo di loda, di te 240 Letteratura sudditi, o per liberalità in ciascuno, si può a te a, guagliare ? Certamente la gloria tua è già tanta » (benché ella sia da doventare ancora maggiore), »> che ninna età e niun tempo possa porre fine agi' .) illustri Fatti e trionfi tuoi. Né è alcuno liume d'in- » gegno che interamente possa, non che ornare, » ma raccontare quelli. Ma puie neentediuieno ogni » cosa offuscherà ( 12) , e per la vetustà del tempo ') mancherà , se già non e alle lettere e alle me- » morie commendata. Chi adunque intra tante mi- » gliaia d' uomini possono più fedelmente le lode » tue narrare, o meglio descrivere, che gli ateniesi, » appresso de' quali sono i domestici (13) della li- » losofia, i quali per tutto il mondo qualunque te- 1) nore e qualunque facilità di scienza spargono ? » Saranno dunque, re Alessandro, celebrate le lode » tue, tanto per fatti quanto per boce mirabili e 1) gioconde, non solamente a'nostri, ma per cagione » di noi quasi alle lettere e lingue di ogni gente: » né niuna lingua tacerà e niuna età della gloria » tua. Ne ara paura la vita tua di essere per vec- » chiezza ed antichità dimenticata : ma quella me- » desima in memoria di tutti i secoli eternalmente » viverà. Maraviglierannosi i discendenti delle in- » numerabili vittorie e trionfi tuoi. Le quali cose » acciocché elle cosi sieno, preghiamti perdoni alla » città nostra, anzi alla tua, acciocché tu non spen- G.A.T.CXXllL 16 ^42 Letteratura. impunità di quella, per tua clemenza sarà tua loda e gloria. Io implorerò tanto la pace tua, che io sti- mo niuna delle tue lode dovere essere più grande che quella, la quale, quando questo avrai fatto, tu nel presente giorno acquisterai. Epist. di Eemost. ad Alessandro 243 » ga un lume di tutto il mondo. Per lo che come )\ il sole di splendore di lume avanza le altre stelle, .)) così intra le altre città del mondo avanza questa » di sapienza ed eloquenza ; anzi preminente in « ogni genere di tìlosofia , come d' uno fonte a' j) suoi rivi, a qualunque parte del mondo indi ogni )) genere di scienza discende. Adunque la impunità ») di quella per tua clemenza saia tua lode e gloria. » Io implorerò in tanto la pace tua, che io stimo » ninna delle tue lode dovere essere più grande che » quella, la quale (quando questo avrai fatto) tu nel » presente giorno acquisterai ». e (D 1 3 (1) Conferire, in significato di dare, concedere (lat. impertire), noi trovo registrato nel vocabolario della crusca. Si ha pure nel Caro, volume HI lett. 30 delle familiari, così restituita alla sua vera lezione sul codice Battaglini dall'ab. Mazzucclielli (Lett- ined. di A. Ciro, toni. I, p. 68) : « Ma perchè può anco essere, ch'io le sia caduto in considerazione per mezzo de la sua umanità, mi giova di credere che questo favore, in quanto mi vien da lei, proceda da la sua cortesia, et in quanto si conferisce a me, ne debba sa- per grado a la mia fortuna, non vedendo che '1 mio merito ne pos- sa esser degno di gran lunga •,•,. (2) Notisi questo abbisognare, neutro. (3) Notisi anche questo assoluto essersi dotto per essersi ad- dottrinato. (4) Qui nel testo del Manzi manca evidentemente una parola. Se io l'ho indovinala, noi so: ma parmi che il senso non richieg- gane altra molto dissimile. (5) Tenuti è qui nel significalo, non ignoto al vocabolario, di giudicati, reputati. (6) Se non m'inganno, la voce incolpevoli in questo luogo è certissima; e vorrebbesi registrarla nel vocabolario, in cui non se ne ha che un esempio del Firenzuola. 244 Letteratura (7) Ilo emendalo così, perchè il relorf latino, autore dell'epi- stola, tolse nianil'estamente questo passo dall'orazione di Cicerone per Marco Marcello, nella quale si ha: Nec vero haec tua vita di- eenda est, quae carpare et spiritu continctur. Passo cosi recato in italiano da Brunetto Latini nel celebre volgarizzamento di essg ora- zione: « E però non è da dire, che la tua vita sia quella che rin- chiusa nel corpo e nello spirito tuo »■ (8) Bellare ha un solo ed oscuro esempio nel vocabolario. Se non fosse che del verbo debellare non si ha , eh' io sappia , altro esempio che del Redi, avrei scritto qui debellare, e corretto: dovesti debellale poi e persi e indi. Ma e che, in (ine? Non è debellare un pretto latinismo come bellare ? E perchè al pari di bellare, e me- glio, non potè averlo usato uno scrittore non inerudito di quel se- colo, nel quale andava formandosii la nostra lingua? Non era nel- le mani di tutti Virgilio, che disse debellare superbos? Ben piacque debellato [all'elegantissimo Caro nel cinquecento: segno che la pa- rola correva già sulle labbra di chi allora gentilmente parlava. (9) Simigliantissimo è registrato dalla crusca col solo esempio del Boccaccio. (10) Conducere sta qui per recare a fine, compiere. Infatti Cice- rone nell'orazione per Marcello, ond'è tolto anche questo passo, dice nec celeri tate conficiendi: che da Brunetto fu volgarizzato, né per avacciamento di compiere. (11) Di amplitudine non ha il vocabolario altri esempi che del Guicciardini. Eccola dunque voce del trecento. (12) Notisi offuscare, neutro: che noi veggo registrato nel voca- bolario. (13) Domestico, sustanlivo, iu significato d'intrinseco e fami- liare. Nel vocabolario della crusca si ha solo aggetivo. Ma oltre al nostro scrittore del trecento usollo pure sustantivo l'Ariosto , Ori. Pur. e. XX. st. 18: Da le lor donne i giovani assai foro, Ciascun per se, di rimaner pregati: Né volendo restar, esse con loro N'andar, lasciando e padri e figli e frati. Di ricche gemme e di gran somma d'oro Avendo i lor domestici spogliati. Domestici è però nel poeta, siccome pare, in significalo di congiunti. 245 Lettera del prof. Luigi Maria Rezzi bibliotecario cor- siniano al sig. don Baldassarre de'principi Bon- compagni sulla vita e sulle opere di Guido Bonatti. JLie copiose ed erudite notizie, da voi, o eh. sig. don Baldassare, testé pubblicate intorno alla vita e alle opere di Guido Bonatti astrologo ed astronomo del secolo XIII (1), mi hanno messo nell'animo la vo- glia di farvi sopra alcune considerazioni, e risveglia- lo nella memoria alcune coserelle da potervisi a schiarimento e dovizia maggiore aggiungere. Ed esti- mando che forse non sarà per tornarvi ne disutile, ne disaggradevole il conoscerle, mi piglio l'ardire di metterle qui senza indugio sotto gli occhi vostri. Voi, seguitando l'avviso del Tiraboschi, vi con- sigliaste modestamente dapprima di rimettere nel giudizio de' dotti uomini il diflinire qual fosse la vera patria di Guido (2): ma poscia, lasciatovi ti- rare dall'autorità di Filippo Villani, mostraste d'in- chinar l'animo a credere, ch'egli nacque in Cassia villaggio della Toscana posto nel Valdarno supe- riore (3). Io tengo per contrario che le notizie dateci dai più antichi scrittori, ben considerate, mettano fuor di dubbio, che il Bonatti fosse veramente forlivese (11 Roma - Tipografìa delle belle arli 1831 in 8". (2) Ivi a f. 11. (3) Ivi a f. 15. 246 Letteratura e non fiorentino o toscano, e che la contraria opi- nione di Filippo non abbia fondamento che basti. E innanzi tratto, a ben fermare il punto della questione, io reputo necessario di notare, che se i manoscritti tutti del volgarizzamento della vita del Bonatti, da voi fatti con diligenza molta prendere ad esamC; dicono concordemente ch'egli fu nato di Ca- scia (1); il manoscritto latino però ha altrimenti, cioè ch'egli fu per generazione da Firenze , e da Cascia per origine (2). Ora le note leggi della critica ne am- maestrano, che fra due differenti lezioni, l'una dataci dal testo primitivo e originale, l'altra da una tradi- zione di esso, tuttoché antica, quella dee senza dub- biezza anliporsi a questa e prescegliersi. Le quali leggi sono iq ispezieltà da osservarsi qui, scorgendosi chiaramente che il vecchio volgarizzatore o non ha saputo, o non ha atteso con bastevole diligenza a rendere nella nostra favella con proprietà la voce latina oriundus. E adunque a ritenersi per fermo, che la sentenza di Filippo Villani porta che Guido fosse nativo di Firenze e ingenerato in essa città, e non altrove. Filippo però tra gli antichi è il solo e il più gio- vane scrittore che il dica fiorentino; laddove que'tulti, che innanzi a lui ne fecero motto, lo dicono da Porli. E nel vero in una lettera indirizzata al eh. pro- fessore Giovanni Rosini sopra i manoscritti barberi- niaoi commenti alla divina commedia di Dante io ad- dimostrai, che Iacopo dalla Lana dovè aver compiuto (i; Ivi a f. 14 e 15 (2) Geniinra florentiniini ... de oppido Ca.sciae oriuiulum. ivi a e o f <). I Lettera sulla vita del Bonatti 24T il noto commento appostole alcuni anni avanti al 1354; sendochè in tal anno mori Alberico da Rosate, il quale avealo voltato in latino (1). E il eh. sig. vis-- conte Colomb de Batines nella sua bibliografta dan- tesca, per l'autorità d'un ms. appartenente già all'ab. Matteo Canonici, ed ora alla biblioteca dell'università di Oxford, ne fa conoscere che parte di tal commento era già stato tradotto in latino da un certo Guglielmo de Bernardis fin dal 1349 (2). Vi si fa dunque innanzi uno scrittore, che dettava l'opera sua un trent'anni almeno avanti che il Villani scrivesse le sue vite: dac- ché questi, come mostra il Mazzucchelli, non vi potje mano più presto del 1275 (3). E di qual patria affer- ma egli Iacopo che fosse il Bonatti ? Pigliate, se non v'incresca, tra le mani le due stampe di tal commen- to, la prima uscita dai torchi di Venezia nel 1477 e l'altra da quei di Milano nel 1478, ambedue le quali per li confronti fatti dal PortirelU (4) e da me (5) con la latina traduzione ms. di Alberico da Rosate, ne danno in volgare il testo laniano: e troverete che nella chiosa al V. 118 del cap. XX dell'Inferno ne dicono, r una : Questi fu uno da Forlì ; l' altra : Questo fu uno da Forlì. E se mai potesse entrare nell'animo di taluno il (1) Roma. Presso Vincenzo Pofjgioli 1826 in 8» a f. 15 q »eg. (2) Prato. Tipografìa AKlina 18:J3 in 8» p. III. a f. 591. (3) Le Vite d'uoaiini illustri fiorentini scritte da Filippo Villa- ni ora per la prima volta date alla luce colle annotazioni del conte Giammaria Mazzucclielli. Venezia, pres.so Giamhatlisla Pasquali li47i, in 4", a f. 7 della prelazione. (4) Divina Commedia di Dante Alighieri. Milano, dalla società tipografica de'classici italiani 1804, a C. XX della prelazione. (3) Leti. cit. a f. 17. ' 248 LETTERATUflA sospelto che Iacopo, nato e vissuto in Bologna, avesse' potuto essere tratto in errore dalla comune opinione che correva intorno alla patria di Guido e dall'igno- rarne la vera, glielo caverà fuori senza dubbio la testinoonianza di più scrittori fiorentini o toscani , che in ciò s'accordano col bolognese. Fiorentino o toscano si è certamente Io scrittore del commento dagli accademici della crusca chia- mato quando il buono e l'antico, e quando l'ottimo, e dato a luce in Pisa nel 'I82G per le cure del be- nemerito sig. Alessandro Torri. Vero è che il eh. vi- sconte Colomb de Batines s'adopera a provare con più argomenti, ch'esso non monta a tanta antichità a quanta quegli accademici lo levarono, e che dettato venne dopo quello di Iacopo (1): ma sta fermo sem- pre che di parecchi anni sopravanza il lavoro del Villani. E quale si è la chiosa che si legge al verso indicato di sopra ? Questi fu da Forlì (2). All'autorità del quale godemi l'animo di poter aggiungere quella dell'anonimo scrittore del com- mento barberinìano (antico certo, e come dai tratti della penna, dall'ortografia e dal linguaggio appare, scritto intorno alla metà del secolo XIV , se non prima), di cui nella summentovata mia al eh. Ro- sini diedi non breve ragguaglio e alcuni brani (3). E perocché, raftVontatolo col testo dell'Ottimo subitochè questo uscì al pubblico, ebbi il contento (1) Bibliogr. cit. a f. 392 e 393. (2) L'ottimo Commento della Divina Commedia di un contena poraiieo di Dante. Pisa, Captirro 1827 29, voi. I, a f. 372. (3) A f. 22 e .seg. Lettera sulla vita del Bonàtti 249 dì non dovermi penliie del gran bene che ne dissi, anzi mi raffermai nella sentenza che di lunga vince quello di prejjio sì per le cose e si per la maniera del dire, permettetemi che io qui vi ponga innan- zi V intera chiosa al sopraddetto verso, la quale è questa : » Nella persona di questo Guido, il quale fu )) romagnolo della città di Foi'lì, esemplifica un'al- »> tra spezie d'indovini, li quali per ragguardamenti » degli ascendenti segnali danno loro giudizio. Que- )i sto Guido fece libro di giudizi d' astronomia, e » seppe bene quella arte, e diede l'ora del com- » battere al conte Guido da Montefeltro , quando » sconfisse i bolognesi , e quando vinse i france- » sebi, siccome si scrive quivi : » La terra che fé' già la lunga prova ec. » » Capitolo XXVIL » Da idtimo , tralasciando di allegare l'autorità dì Benvenuto da Imola e del pisano Buti, ambidue commentatori del Dante, e del cronista Salimbene da Parma, i quali fiorirono nella stessa età di Fi- lippo, e dissero il medesimo intorno alla patria del Bonatti: e per addurre all'uopo sole quelle scritture che mi son oggi alle mani, il Bigoli con buone ra- gioni ha dimostrato, che l'autore del commento fal- samente attribuito al Boccacci dava opera a scri- verlo nel 1375, cioè l'anno stesso, come detto ho di sopra, che il Villani incominciò a dettare le sue vite(1). Or questi altresì ne fa sapere, che costui^ cioè (1) Chiose sopra Dante. Firenze 1846 in 8" gr. — Lezione di Luigi Rigeli a f. 8 e seg. 250 Letteratura Guido, fu da Frulli : alla quale lezione, per facile transponiuiento di lettera erratamente scritta dall'an- tico copista, l'editore sottopone saviamente la nota : Correggi da Furli o Forlì, ammenda che viene rati' fìcata dal ms. corsiniano del secolo XIV in f." se- gnato del N.° 6 1 1, contenente le slesse chiose, ove si legfge : Questi fu da Furili. Voi avete qui quattro scrittori, l'uno bolognese e gli altri fiorentini o toscani, i quali tutti contro al detto di Filippo testimoniano che Guido Bonatti fu forlivese, qual egli si diceva, non da Firenze o da Cascia. A chi di questi abbiam noi, secondo la buona critica, a prestar fede ? ad un solo e men an- tico, vissuto quasi un secolo dopo ? o a quattro che fiorirono e scrissero in tempi a lui più vicini, alcuni de' quali potei'onlo conoscere, e forse il conobbero di persona ? Recaci egli per avventura il Villani qualche in- dubitabile argomento, cavato da vetuste memorie, o appoggiato alla testimonianza d' uomini fededegni , che ne forzi a mettere la sua al disopia dell'auto- rità degli altri quattro? No, niuno*, né altra prova ne dà della sua opinione, fuorché il detto suo. Solo, a dare alla cosa colore di probabilità e verisimi- glianza, si piglia briga di farne avvisati della cagio- ne, per la quale il Bonatti , sendo fiorentino, amò meglio di chiamarsi da Forli. Fu essa, egli dice, lo sdegno conceputo contro la patria per le molte e vergognevoli ingiurie fatte a se e a' suoi dalla parte avversa, ch'era rimasta vittoriosa : avvegnaché esso medesimo mostri subito dopo di dubitar di tutto Lettera sulla, vita del Bonatti 251 questo, sog{jiungenclo: « se pur non abbia a dirlo for- livese per elezione e per generazione fiorentino (1). » Per lo che gli uomini eruditi , i quali hanno preso in maggior conto che non dovevano le parole di lui, si sono posti a riguardare e compiangere il Bonatti, come uno de' ghibellini, qual egli era ve- ramente, cacciati fuor della patria dai guelfi ; e voi •vi mettete a congetturare, che cosiffatta avversità gli avvenisse nel 1258 all'uscita di luglio, quando fu scoperta la congiura ordita dagli liberti (2) . Ma oltre che di cosiffatto bando in tal anno o prima da lui patito e da'suoi non è riscontro nelle storie, e tra le famiglie parecchie costrette ad an- darsene in esiglio e additateci a nome da Giovanni Villani non si annovera quella de'Bonattj (3), io tro- vo dapprima, ch'essa, anziché bersaglio a bando o a gravi ingiurie, viveva con onore in Firenze. E me ne porge argomento certo il novero de' notarili atti da voi recato, i quali nel Bolleltone dell' archivio arcivescovile s'accennano, rogati da un ser Bonatti: donde appare che tale famìglia esercitasse ivi fin dal 1200 il nobile uffizio del notariato. E dissi tal famiglia: perchè, correndo quegli atti dal 1200 al 1294, non è da presumere che sieno di mano d'un solo, se non voglia aversi per verisimile che il Sere, datogli, siccome è di ragione, un vent'auni almeno (1) Inliiriarum miiltitmliiie, qiiibns tiirpiter impiulenlerque in se siiisque fueral oHensiis ab ipsis de a'iversa factioiie qui vicerant, Cfleberrimum originis locuin repudiare compulsus est; iiisi dixerim ipsum electione sua foroliviensem, [jeiiitiira florentinum. —Notizie vostre succitate , a f. 3. (2) Ivi a f. 38. (3) Storie lioreiitino. l/ibro VI, cap. LXV. t252 Letteratura d'età innanzi d'essere abilitato a tenere si geloso uf- fìzio, trapassasse, vivendo, il cenquattordicesimo an- no, o più (1). Inoltre Giovanni Villani zio di Filippo, secon- dochè voi addimostrale con alle mani tre de'più an- tichi mss. , afferma che Guido ( da lui se non chia- mato da Forlì, ma neppure da Firenze ) fece dap- prima l' ignobil mestiere di copritore di tetti, come Asdente, altro astrologo messogli da Dante a com- pagno nella stessa bolgia, quello di calzolaio (2). Com'è adunque da credere, ch'egli appartenesse alla fiorentina famiglia de'Bonatti, la quale, come si è mostrato sopra, esercitò per poco meno d'un secolo e fin dal 1200 il notariato, e come portava il co- stume di que' tempi, doveva andar tra le nobili, e nobilmente vivere ? Vero è, che nelle note de' banditi ghibellini, tratte dal libro del chiodo e pubblicate dal P. Idel- fonso da S. Luigi si leggono i nomi d'alcuni dei Bonatti, appartenenti a più sesti di Firenze. Ma è da osservare, che oltre ad essere posti tutti quanti nel novero di quelli che sono lasciati stare in città, il decreto di quel bando ha la data del 1268 (3); e perciò non può esser questa l' ingiuria supposta da Filippo fatta dai fiorentini a Guido e a' suoi , per la quale concepì nell'animo odio sì forte da ri- nunziare alla patria e addottarne una strana : dap- poiché, come si ricava da un atto, del quale or ora (1) Noli/., cit. a f. 17 e sej. (2) Ivi a f. 47 e seg. (3) Delizie degli eruditi toscani, l'ircnze. Cainbiagi 1770 — 89 8", voi. S a e. 223. Lettera sulla vita del Bonatti 2>3 parlerò, egli fin dal 1200, cioè otto anni priua , chiamavasi da Forlì. S' ha dunque a tener per fer- mo, che cosiffatta ingiuria, se vera fosse, egi ed i suoi l'avessero ricevuta innanzi a quell'anno E questo a me sembra certo non [)otesi per niun modo supporre ed avere per vero. Io ho dinanzi agli occhi un atto pubbico, ro- gato, sendo potestà di Firenze il conte Gudo No- vello, nel palazzo di questo comune il dì ventidue di novembre del 1260, ove a nome del pubblico Consiglio di quella città si concede al iusperito Ubertino Pegolotti l'incarico e la facoltà d fermare i patti ivi determinali di compagnia e Iga tra la repubblica fiorentina e la sauese ; del qual atto avemmo già un cenno dal Mazzucchelli (), ed ora per diligenza vostra abbiamo copia intet e fedele cavala dall'originale manoscritto, che in erta di pe- cora si conserva nell'archivio delle rifonagioiii di Siena (2). Fra' testimoni, alla cui prescea fu esso stipulato, il terzo è Guido. E come ivi chimasi egli? Gtiido Bonatti , astrologo del comune di Firenze da Forlì (3). Posto ciò, io domando : Se vero ftìse ch'egli, punto dalle ingiurie recate a se e a' su»i, non più fioientino, ma forlivese voluto avesse perodio e per (1) Vile Jel Villani citale a C. 21, aiinolaz. 3 ala pag. LXXV. (2) Pergamene, t. VII, n.- 733. (3) Acluin Florenliae in eliclo palalio coram . .daidone Bo- nudi astrologo comunis Florenliae de Forlivio. Anche il P. Melfonso da s. Luigi nelle summmlovate delizie Ila pubblicalo un lai allo (voi. iX a C 24), ma col cojninie scambia- lo in quello di Donali. Né è maravigli.n^ poicliì egli o trasse da una copia da altra copia trascritta nel Zibaldone di s, Pjplino. ^j4 Letteratura ira nominarsi, avrebbe mai , anche allora die con la vitloria e insieme con la parte sua rientrato era nella patria , avuto cagione e cuore di mantenere l'odievde e disdegnoso proponimento ? Che altro egli e tuelli della sua parte bramavano, ed a che fine aveano prese le armi e messe a pericolo, com- battendo, le proprie vite , se non di racquistare una patra carissima, da cui doloravano d'essere stali costretti i viver lontani ? Ed egli avrìa ardito tanto da incaprsi e seguitare a far pubblica pompa dell' avere rin^ata la sua nativa città là entro alle mura di quellae sotto gli occhi del conte Guido Novello e de' conittadlni suoi ? e mentre aveva di fresco ricevuto q loro l'onorevole uffizio d' astrologo del comune, he a que' tempi valeva quanto ai nostri quello d' stronomo, e non disdegnava che cosiffatto titolo ivi lesso gli si appiccasse ? E tutto ciò senza rimproverced oppugnazione gli saria venuto per- messo di fae dagli astanti fiorentini? o piuttosto, in- dignati, no avrebbero questi rifiutato d' averlo a testimonio,) forzatolo a dichiararsi cittadino di quel luogo, ov'eli era nato ? Io riputerei in verità usci- to di sennochi potesse acconciar l'animo a ricevere come vero m così incredibil fatto. Cosiffatto docu- mento aduque dee a chicchesia parere bastevole a tener per certo, che Guido fu veramente forlivese, e non fiorellino o toscano. Trapaso ora a significarvi alcune notizie , le quali voi potrete, se v'aggradi, aggiungere all'ope- retta vosta Il TiraDoschi è stato quegli, che senza annoiar- si è andfto raccogliendo dal libro dell' astrologia Lettera sulla vita del Bonatti 2ò5 del Bonatli i particolari che ris{jiiardano i viajjgi e i fatti di costui; ed ora cel mostra a Ravenna, ove quegli afferma d'aver veduto un certo Riccardo, il quale diceva di confare 400 anni d' età e d' esser vissuto a' giorni di Carlo Magno: ora a Bologna nel tempo eh' ivi levava di se con la sua predicazione grandissimo strepito e maraviglia fra Giovanni da Vicenza: ora a Forlì, donde trasmetteva a Federico i suoi astrologici predicimenti: ora a Brescia a' ser- vigi del crudelissimo tiranno Ezzelino da Romano: ora a Montaperti , guerreggiante in compagnia del conte Guido Novello, e poscia altrove. Ma duolmi che all'eruditissimo e savissimo storico delle nostre lettere, nel ragguagliarci di due di questi fatti, sia venuta meno l'usata diligenza. Togliendo egli a par- lare dell'avviso dato da Guido a Federico II d'una congiura orditagli contro, congettura che forse ciò avvenne Vanno 1233, quando Arrigo^ ribellatosi con- tro Vimperador suo padre^ cercò di condurre molti altri al suo partito. Ma il Bonatti nel suo racconto determina il luogo, ov' egli allora era, cioè Forlì, e dove Federico invernava, cioè Grosseto, e la spe- ciale congiura altresì manifestatagli, cioè quella che andavano tramando Pandolfo da Fasanella, Teobal- do Francesco ed altri (1). Pertanto il fatto è da ri- portare all'anno 1246, nel quale avvenne, non al 1233. E che veramente Federico si trovasse a que' {!) Illud signifìcabat interfectionem imperatoris romanonim et significavi lune illud ei: erat enim ipse tunc Grosseti et ego For- livii, fuenintque inventi PanduU'us de Pisanella et Thebaldus Fran- ciscus et plures alii de suìs secretariis fecisse coniuralionem, ut iu- lerficercut eum. — Tract. Astroii., edit. basileaen. pag. 182 '250 Letteratura (il in Grosseto, olire il cronista Calaro, ce ne accerta la lettera ch'egli scrisse intorno a tale avvenimento e indirizzò a tutti i re e i piincipi d'Europa ( 1 ^. » Il Bonalti, seguita a dire il Tiraboschi, ram- » menta ancora , come da sé predelta la sconfitta » ch'ebbono i fiorentini guelfi dai ghibellini presso » il castello di Montaperti l'anno 1260, e dice che » Guido Novello era il condottiero de' ghibellini, e » che ciò avvenne , dappoiché egli fu caccialo da •> Firenze, e li fiorentini ebbero distrutti i castelli » che aveva in Toscana. Gli storici antichi non ci » raccontano che Guido Novello avesse parte nella » battaglia di Montaperti, e secondo essi ei non fu » cacciato da Firesize che 1' anno 1266. Ma forse » egli fu cacciato da Firenze due volte, o forse due » battaglie avvennero presso di Montaperti. Certo » non deesi credere che il Bonatti o abbia errato, » o abbia voluto ingannare, fingendo una battaglia » a' suoi tempi che non fosse accaduta » (2j.\v o^\ A mettere d'accordo il detto Guido con la ve- rità del fatto, pare a me non essere d' uopo d' ap- pigliarci a tali supposizioni. Guido Novello era ghi-, bellino, e, come Giovanni Villani ce ne assicura, era della famiglia de' conti Guidi, ed una delle case di rinomo , egli stesso soggiugne, cacciate fuori di Fi- (1) Pelri de Vlneis, Epistol. lib.VI. Ambergae 1609 in 8". Epist. X, lib. Il, pag. 26. « ìNos eliam apuJ Grossetiim lune temporis ex- sistentes, poslquam personae nostrae pericnliim caule praevidimiis... in regnuin cum omni celerilale providimiis procedendiim i>. Vedi Muratori, Annali d'Italia, ali anno 1246. (2) Storia della letleraliira italiana dall'anno il83 fino alt' an- fìO 1300, libro II, capo II, §. XIV e seg. Lettera sulla vita del Bo?^atti 257 lenze nell'anno 1258, cioè due anni prioria che ac- cadesse la rotta di Montaperti, fu quella de' Gui- di (1). Co' tedeschi poi mandati dal re Manfredi e co'sanesi certo è che s'accoppiarono e combatterono eziandio i fuorusciti fiorentini (2). E avvegnaché gli storici non ricordino che il conte Guido fosse que- gli che li capitanasse, come non ricordano se non se pochissime particolarità di quella battaglia, ciò nondimeno è da credere assai verisimile ch'ei vi avesse parte principale , veggendo che entrato in Firenze fu subito dal conte Giordano elettone po- destà: che nel parlamento tenutosi ad Empoli , ove si propose di disfare Firenze a maggiore sicurtà della parte , fu uno de' caporali ghibellini : e che poco dopo lo stesso conte Giordano lo lasciò in sua vece vicario generale di guerra (3). Da ultimo voi, seguitando l'autorità del Mar- chesi e del Mazzucchelli, accennate che tra le opere Iribuite al Bonatti s'indica pure una storia della stra- ge de' francesi, e pare che niente altro più vi soc- corresse a dire (4). Avete dunque a sapere, che nella succennata sto- ria egli aveva tolto a descrivere la rotta grande e la grande uccisione nel 1281 toccata entro e fuori delle mura di Forlì ai francesi assoldati da papa Martino IV al fine di rimettere sotto l'imperio della Chiesa la Romagna che se n'era sottratta, e capitanali da Gio- ii; Storie tìorentine. Libro VI, cap. LI e LXV. (2) [vi cap. LXXV e seg. (3) Ivi cap. LXXX e LXXXII. W Notizie cit. a C. 88. G.A.T.CXXIII. 17 258 Letteratura vanni d'Appia, o d'Eppa, o de'Pa, i! quale secondo alcuni vi perde miseramente la vita, e secondo altri no. In questo fatto darmi, ove il conte Guido da Montefeltro conduceva le masnade ghibelline e for- livesi, ebbe mano anche il Bonatti, non solo co'suoi stolti e dannevoli astrologici indovioamenti , ma eziandio battagliando si che ne riportò una ferita; e poscia ne scrisse, probabilmente in latino, la sto- ria. Di ciò oggidì siamo certi, anzi di tale scrittura possiamo affermare d'avere alle stampe, se non l'in- lero dettato, almeno i particolari, di cui si è gio- vato un antico scrittore, in una cronichetta di ve- tusta data , dal famoso Bernardino Baldi abate di Guastalla al duca d'Urbino indirilta, e non ha guari messa alla luce pubblica dal conte Giuseppe Mamiani della Rovere (1). A confermamenlo de'miei detti eccovi ciò che ivi si legge: » Aveva quella notte Guido Bonato, grande astro- » ligo, confortato secretamente il conte Guido al » fatto d' arme , promettendoli certa vittoria , e il » medesimo fece pubblicare la mattina seguente, » eccitando tutti e dicendo la vittoria esser ceita, » ma che egli vi rimarrebbe ferito ; e scrisse il Bo- j> nato per via di croniche tutte queste cose, alle » quali si trovò presente, e gli scritti suoi capita - » rono in mani di Antonio Gotto da Ravenna, da » cui l'ebbe quell'antico, siccome egli afferma, da » cui 11 copiammo noi » (2). (i) Opuscolo inedito tli Rernanlino BalJi. Pesaro co'tipi il'An- npsio Nohiii 1829 in 8". (2) Ivi a e. 13. Lettera sulla vita del Bonatti 259 E più sotto ( a f." 20 ) : » Nella qual occasione Guido Sonato venne fe- rito i>. Le considerazioni e le giunte sono queste che mi sono recato a debito di manifestarvi intorno al- la vita e alle opere di Guido Bonatti , delle quali potrete, se non vi disgradi, giovarvi a rendere più compiuta l'eruditissima operetta da voi dataci testé ; e desidero che non ad altro fine vi piacciate d'ac- coglierle, se non ad argomento del pregio, in cui ho l'ingegno, la dottrina e gli studi vostri. Al che io reputo essere dover mio d' aggiungere innanzi ch'io levi da questa la mano, che le due stampe in foglio de'dieci trattati d'astronomia di Guido, l'iina fatta in Venezia nel 1506, e l'altra in Basilea nel '1550, a cui si trova aggiunto in fine il Centiloquìo di Claudio Tolommeo tradotto in latino da Giorgio Trapezunzio, si trovano eziandio fra' libri posti in questa libreria, alla quale io presiedo. Dalla Biblioteca Corsiniana il dì 1 ottobre 1851. --»S^t^ 260 Elogio del doti. Rocco Stefani persicetano , letto in c\'.. occasione de' premi da G. F. Zamhelli highese. G li onori, che oltre la tomba soglionsi impartire a' benemeriti, spesso \enj|ono a caso e capricciosa- mente distribuiti : perchè laddove interviene non di rado che 1' uomo di mediocre e pressoché ignoto sapere venga stoltamente celebrato, e di lui favel- lino le lingue, di lui si scrivano vite ed elogi, a lui s'innalzino busti, statue, inscrizioni e durevoli mo- numenti, onde poi l'ingannala posterità crede aver esso tanti e somiglianti onori meritato : il vero sa- piente, il virtuoso, non incontra però sempre sorte eguale: che gli uomini avvisando falsamente il me- rito sommo, che lo adornava in vita, bastare a do- nargli grado eziandio presso le più tarde età , omet- tono di porgli que'segni di onoranza che talora alla mediocrità, al vizio, ed all'impostura si profondono. Così fatta trascuranza si tenne infino ad ora col me- dico Rocco Stefani, che dignissimo di perenne ri- cordazione e di ogni gloriosa testimonianza , pare sia stato ingratamente dimentico da quelli stessi che tante volte e sì amorevolmente avea beneficati. E di vero ove sono le carte, cui sia affidala la narra- zione de' suoi fatti? Ov'è il monumento che pur ten- tarono un dì erigergli i pietosi amici ? Ove sono , sulla pietra che copre il sepolcro, le parole che spon- gano a' futuri le tante sue virtù e benemerenze verso la patria e l'umanità? Se un pio bolognese, a lui già compagno in molte sventure della vita, non Elogio di Rocco Stefani 561 avesse falli scolpite in breve marmo i sensi del suo dolore; se l'afìetto per rillustre defunto non vives- se nel cuore cV oquì savio, ove mai Rocco Stefani sarebbe in patria rammemorato ? Io adunque co- ffjccchè a questi luoghi straniero; ma perchè angolo non ò del mondo ove straniero sia 1' amore della virtù , perchè la vera sapienza è santa e lodevole in ogni terra scaldala da questo sole; per quanto potranno le deboli mie parole vi mostrerò quale si fosse lo Stefani ; e quanto, più che altri, degno di commendazione. E se dopo quasi quattro lustri oh' ei mancò, e se da me che noi vidi e conobbi non potrannosi tanto pienamente narrare le sue geste , confido che voi ascoltandomi non isdcgnerete so- stenermi benignamente col vostro favore. Quella notevole sentenza di Tullio: Non è dirsi avere alcuno troppo poco vissuto , qualora abbia compiuti esattamente i doveri d'una perfetta virtù: la troviamo avverata nell'egregio, di cui imprendo a ragionarvi. Da Angelo Stefani e Maddalena Boati, civile famiglia di probità e pietà specchiata, naccjue Rocco in Persicelo a' dì 5 aprile 1772. I genitori colPammaestramenlo delle parole e con quello più possente degli esempi lo allevarono alla religione ed all'esercizio delle più belle virtù, mettendogliene in cuore un ardentissimo amore. La patria gli fornì mezzo d'erudire primamente il singolare e capace suo ingegno; ed ivi appieso da Michele Mazias e re- gole e pratica di latino sermone, essendo nel terzo lustro, andossene a Bologna; ove il Cane vari gli aprì largamente le fonti della eloquenza e della poetica, il Vogli ed il Palcani quelle della filosofia e della fisica. 262 Letìeratira L'assiduità che il giovanetto ponea negli sludi più presto incredibile sembra che maravigliosa, la sua facilità di apprendere più può dirsi immensa che grande : quindi traendo dolcissima dilettazione dal sapere, si fece degli studi una passione, un bisogno. Laonde e compagni ed ammaestratori non sapeano che lodarlo, esaltarlo, e recarlo in esempio. Lodi so- miglianti racchiuse non istettero entro le pareti della università, ma volarono per ogni bocca, allorché a' 18 aprile 1792 nella chiesa di s. Lucia, preside il Palcani, sostenne tesi difficilissime De solari lumine con tale chiarezza, eloquenza e perizia di franco e pulito latino da disgradarne i più vecchi e solenni maestri. Determinato di dar»i alla medicina, ebbe in essa ìnstitutori TUttini, il Galvani, Carlo Mondi- ni e l'Atti, che lodar si poterono di tale discepolo, che niuna fatica, niun disagio, niun allettamento di piaceri distoglier sapea da'libri, dalle scuole, da- gli spedali. L'alloro, che questa volta venia a po- sarci sul capo di chi n' era veramente degno , co- ronò in ambe le medicine i dotti sudori dello Ste- fani: che lasciata Bologna, in patria nel seno della cara famiglia e fra' concittadini rientrava, che bra- mosamente attendean vedere come tanto liete spe- ranze si avverassero. E lo Stefani coH'opera diligen- tissima e profittevole ogni preconcetta espettazione superò e vinse di guisa che, dopo breve tea)po ( 20 luglio 1797), passava medico agli stipendi di Castel- franco, ove tutto in pieno lume spiegossi il valore del novello seguace di Esculapio. In tal mentre i francesi , cessando dal sangue e dalle intestine di- scordie, volgevano l'armi contro Tltalia, e scende- Elogio di Rocco Stefam 2ti3 vano a donarle libertà, com'essi dicevano, ma di veri» a rubai'la, sconvolgerla, e disertarla. Le utopie re- pubblicane invasavano le leste italiche, e ben presto creavasi una repubblica cispadana, distrutta da una cisalpina che nasceva appresso. Chi scendeva a fra- lernizzare l'Italia , studiavasi porre al reggimento della repubblica uomini, che per probità e sapere fossero venerabili; e perciò anche Rocco Stefani fa scelto fra i deputati del dipartimento del Reno : e se ei pollò in que' consigli la moderazione, la dol- cezza, l'umiltà, la sapienza, trovò che avea a com- battere colla pertinacia, coli' ignoranza, col furore, coll'orgoglio, collo sfrenato amore del proprio esal- tamento. Ciò nondimeno, perchè lo splendore della virtù sempre e in ogni dove si manifesta, fu lo Ste- fani sì pregiato da venir prima ascritto in Milano al collegio de' iuniori della cisalpina , e da seder quindi nel gran consiglio legislativo. Carichi ed ono- ri sì sublimi noi levarono in superbia, né dal so- brio e moderato suo vivere il distolsero ; che anzi filosofo fin nel mantello, lo avreste veduto sempre in dimesso ed ugual vestimento, pulito e nitido sì, ma lungi assai dal fasto, dal lusso, e dallo sfoggio intemperato. E quantunque le cure gravissime della cosa pubblica quasi ogni tempo gli togliessero, ei però quanto gliene rimanea tutto negli studi e nella pratica medica utilmente lo spendea. Ondechè in Milano molle cure laudevolmenle condusse, e difficili morbi vincer seppe, che da altri medici sfi- dati, siccome incurabili si tenevano. La condotta di Castelfranco accordar non potendosi colla lonta- nanza de' luoghi, e colle nuove occupazioui, ei la 264 Letteratura rinunziò a grave dispiacere di que' paesani che sentirono all'anima la perdita doloiosa. Frattanto la battaglia di Cassano cambiava le italiche sorti, e i cisalpini paventando gli austro-russi in Francia si riparavano. L'amore d'istruirsi viemaggiormente, il desiderio di vedere nuove regioni e nuovi costumi e nuovi popoli, più che timore, o coscienza d'avere misfatto, che di certo non avea, trassero Rocco alla popolosa Parigi. E qui lo vedreste frequentare le accademie, recarsi alle università, assistere alle le- zioni de'medici più chiari, trovarsi alle più celebri sperienze, visitare biblioteche, musei, gallerie, co- noscere dotti e stringer con essi amicizia. Quanto non è maraviglioso, signori, che Hocco già da lunga pezza laureato, già rappresentante di una nazione, già avanti negli anni , non si vergogni sedere fra la turba de' discendenti, non arrossisca di essere continuo a scuole, a licei, ad ospedali, a conoscere e spei'imentare come l'arte medica s'insegni, e pra- tichi in quella sì celebrata città ! Molti sono che compiuto appena il corso degli studi, appena cinti il crine d'un ramuscello d'alloro, giltano in disparte i libri, lasciano la consuetudine de'sapienli, si asten- gono dalle scuole ; e quasiché tutto il sapere fosse piovuto nelle lor menti da'primi maestri , quasiché le scienze non fossero progressive , quasiché potenti ingegni non iscoprissero più nuove vie nel cammi- no del sapere, contenti e gonfi di quanto già im- pararono, se pure l'impararono giammai, ogni istru- zione ulteriore s'oltamente disdegnano. Ben diverso dal modo di costoro era quello di Seneca, che vec- chio e sapientissimo intervenia tuttodì alle lezioni Elogio di Rocco Stefani 2G5 di un filosofo, scrivendo su ciò a Lucilio: » Non si » farà dunque }|iuoco, spettacolo o festa pubblica » .senza di me? io \ecchio andrò a lealii , a circhi, » a passeggi, ad ogni soUazzamento, e non sarà cosà » da vergognaisene; vergognerò nimi poi di condur- » mi ad apprendere in buona età ,' sempre, sempre » bassi ad imparare, fintantoché siavi cosa che igno- » riamo, che è quanto dire finché viviamo » . E come già il cordovese in Roma, così Rocco in Pa- rigi, in quelle scuole non imparavano soltanto, in- segnavano. E che insegnavano essi mai ? Che anche all'uomo avanzato in età corre debito di apprendere. Né per verità siffatti studi di Rocco erano di solo apprendimento: erano un ricambio di dottrine, era- no un alterno svelarsi di metodi, di sistemi, di pra- tiche, era un compenetrarsi di due medesime scuole, era un reciproco chiarirsi de' nuovi lumi e delle nuove scoperte di due grandi ed istrutte nazioni. Così e venia egli nella fanjigliarilà de' più valenti francesi, ed ei rendeasi loro caro ed accetto. Ver- savasi tutto in questi studi, quando all'armi fran- cesi sorridendo fortuna, di nuovo Bonaparte dell'I- talia s'insignoriva: e a Rocco che non solo venia per sapienza , ma per probità e disinteresse alta- mente reputato, commettevasi dal Serbelloni il di- stribuire con altri 150 mila franchi agli stipendiali della cisalpina e a que'raminghi e profughi che avean cercato in Francia sicuro asilo. Già tramontava il secolo XVIII, ed il XIX il suo corso incominciando, lo Stefani togliendosi a Parigi rivedea Milano : d'on- de poi chiamavasi a Lione per assistere alla vana con»paisa de'deputati italiani, che piegando il collo ^66 Leiteuatura al giogo elei prepolente soldato approvar doveano quanto stabilito avea quella sua indomita volontà. Allora la cisalpina mutossi in italiana repubblica, e allora il corso ne fu presidente perpetuo. Già l'uomo de'lempi, rovesciando l'opera san- guinosa della repubblica, mostrava disvelatamente la brama di ascendere il trono di Carlo Magno e di s. Luigi ; già gli avveduti lo scorgevano prossimo ad assumere anche l'italica corona. E lo Stefani, stanco e sazio di tante frodi, di tante macchinazioni e simulamenti, nella patria come in quieto e sicuro porto si riparava. E la patria, che onorata teneasi di tal cittadino, al reggimento del municipio più e più volte lo levava, e delegalo lo avea della prefet- tura di Cento, ed alla pubblica isti uzione a presie- dere lo deputava. Magistrato ei fu sì probo, d'inte- grità e fermezza tanto singolare, che in ardui e pro- cellosi tempi, in tante si varie e sì subite mutazioni, la lode e l'approvazione si meritò de' governanti , l'amore e la venerazione de' popoli : cose sovente- mente impossibili ad ottenersi insieme. Cariche so- miglianti non lo allontanavano dall'esercizio dell'ar- te sua; che anzi con tal diligenza a soccorso della languente umanità si prestava, che fino dal 1803 la patria lo avea onorevolissimamente scelto a medico stipendiario. Cessata la dominazione francese , per le vincende che in pochi anni percorsero la storia d'un secolo, da'pubblici negozi disciolto e libero, lutto alla medicina e a' prediletti studi delle lettere e delle lingue si volse. Conciossiaché molto ei seppe d'inglese, tedesco, spagnuolo, francese, latino, scri- vendo eziandio con molto garbo e purità in hngua Elogio di Rocco Stefani 2G? volgare. Infiniti sono gli estratti, che ancor riman- gono da lui per proprio uso compilati sugli autori di tutti cotesti linguaggi. Trovansi in alcuni, squarci eloquenti , leggiadri racconti , descrizioni pittore- sche : in altri massime e sentenze gravissime, e di non picciola utilità. In questo vedreste raccolte scel- te frasi di nostra lingua : importanti notizie biogra- fiche in quello. Altri sono ricettari e prontuari di cose mediche. Non pochi veggonsi divisi secondo materie , come a dire di filologia , chirurgia , chi- mica, materia medica, etica, fisica, metafisica ecc. Che, oltre le mediche scienze, la dovizia fornito erasi l'animo di filosofiche dottrine j non senza averlo ri- pieno delle più scelte cognizioni di quella maestra della vita e della età, la storia. Dotato di calda fan- tasia e facile estro, amava l'alloro de' poeti, e con lode nel verseggiare esercitavasi, mostrando nerbo, chiarezza, e cultura di stile. Comechè egli abbia scritte non poche rime, la modestia, l'umiltà ed il basso sentire di sé, che lo accompagnarono in tutte le azioni della vita, non permisero ch'ei pubblicasse per le stampe quasiché ninno de'componimenti suoi, i quali anzi sovente appena dettati lacerava ed ar- deva. Esempio commendevole per l'una parte, e da opporsi alle sfrenata mania di coloro che incauta- mente corrono a dare alle stampe quanto esce loro dalla penna ; doloroso per l'altra, mentre non ri- mangono tali monumenti di sua sapienza, per cui le venture età conoscer possano che bugiarde non sono queste parole di lode •, se pure mai le nostre parole giungeranno alle venture età. Ondeché po- chissimi restano de' suoi carmi, né d'alcuni sappiani 26S Letteratura che il nome. Soavissima dicono fosse ia Visione in morte d'una fanciulla : sonetti lodevoli ed evidenti si tennero Vestasi di s. Filippo . il sacrifizio d' fdo- meneo^ la morte di Buschiera , o il mancar di pa- rola. E giacché della terza rima, che scrisse pel volo in cui pei'i Francesco Zambeccari, mi venne fatto rinvenire un abbozzo, piacemi recarne i primi versi: Il lieto canto, ond' io sej">Liir pensai L'italo Mongolfier fino alle stelle, Or volto è in lutto ed in dogliosi lai. Che a lui nemica con mani empie e felle Girò fortuna la volubil ruota, Che abbassa il forte, e fa salir l'imbelle. Già la sferica cimba ondeggia e nuota Dal suol sorgendo, e per l'aereo vano Ardua tenta varcar regione ignota. D'ogni intorno echeggiar fa il colle e il piano La folta turba, che il prodigio ammira Con ciglio immoto e con plaudente mano. Ma d'Euro un soffio impetuoso spira. Che al vicin monte, ov'ha selvoso il fianco, La roteante mole urta ed aggira. Al plauso universale ch'ora vien manco, Succede alto silenzio, orrida calma Che di paura a ognun fa il volto bianco. Ma quando poi dell'una e l'altra salma Vedovo appare il volator naviglio, Cassa di speme sbigottissi ogni alma. E stilla di dolor corse sul ciglio Al popol mesto, che in pubblico daano Sentì converso il singoiar periglio. Elogio di Fiocco Stefani 209 De' suoi lavori in prosa non altro conservasi che una corta Vita di Luigi Palcani^ la descrizione d'un feto mostruoso , ed un orazione per s. Filippo Neri delta a' 9 maggio 1808 nella patria accademia de' Candidi-Uniti^ cui era ascritto fino dal 1804. Ami- cizie ebbe molte e celebri in Francia, in Italia , ed altrove, e le coltivò con lealissima fede: sovrattutti però lo ebbero in grazia ed in amore il Serbelloni, il Moscati, il Compagnoni, e il card. Mezzofanti, che solca più volte recarsi a visitarlo. Ma tempo è ornai ch'io mi faccia a dire qua! egli fosse nelTesercizio di sua difiicilissima professione. Do- nalo aveagli natura, come già toccai, ingegno non co- mune : a ciò si arrogeva sottile penetrazione, talché nulla venia a sfuggirgli di quanto era ad osservarsi j né questa era disgiunta da quel posato e tranquillo criterio, che salva la mente dalle illusioni e dai pre- cipitanti giudizi, né da quel latto acuto e sicuro che dall'arte e dallo studio può bene perfezionarsi, ma apprendersi non mai. Privilegialo sifFallamente di doni naturali, ad essi avea saputo aggiugnere quelli tutti che procaccia la dottrina, non solo indefessamente studiando all' arte salutare , ma a quelle discipline ancora che giovar possono di sussidio e di orna- mento. E mentre lenea ognora viva memoria degli appresi dotlrinamenli, piacevagU aver continua co- noscenza de' reali vantaggi e de'grandi progressi, a cui le mediche scienze veniano tuttodì portate. Venerava sì gli antichi maestri, siccome coloro sen- za de'quali ancor ciechi erreremmo in un buio cali- ginoso : ma pregiar sapea del pari que' vigorosi ingegni, che i semi da loro sparsi seppero fecon- 270 Letteratura. dare, sviluppare ed ampliare. Padri e fondatori della naturale istoria riconoscea Aristotile, Plinio e Dio- scoride; pregiava Paracelso, Boerarjve, Lavoisier nella chimica, Haller nella fisiologia ; ma tenea per ne- cessario doversi attingere queste scienze a più fre- sche e sicure sorgenti. Con sififatto cumulo di doti e naturali e procacciatesi da studi, da osservazioni^ da sperienze , da viaggi , e dalla consuetudine dei dotti, qual era il metodo, quale il sistema, cui egli si atteneva a preferenza ? Il medico, di cui vi parlo, senz'essere irritabilista, umorista, browniano, contro- stimolisla,col ragionamento, coll'analisi, e coll'esercizio pratico sapea opportunamente giovarsi delle acqui - .sfate cognizioni. Onorava bensì le autorità : rispet- tavale però soltanto, allorquando gl'insegnamenti di quelle non ripugnavano al proprio raziocinio : se- guiva 81 il ragionamento , ma soltanto allorché i fatti non si opponevano ad esso: sempre tal metodo tenendo, che i fatti avessero il primo luogo, il ra- gionamento il secondo, il terzo le autorità. E con tale circospezione procedea nel formare e la diffi- cile diagnosi e la più diilìcile prognosi, che i suoi giudizi vedevansi dall'esito (ardirei dire) sempre av- verati. Adombrato così all'ingrosso il medico suo sa- pere , restami a dire quai meriti avesse verso l' u- manità: i quali furono sì grandi e maravigliosi, che ben altra eloquenza si richiederebbe a descriverli, che non la mia fiacca e svenevole. Non professava egli Parte salutare con intendimento di accumular tesoro-^ di procurarsi agi e largo censo : pensieri sì bassi e sordidi non allignavano nel cuore dell* Elogio di Rocco Stefani 271 uom generoso. Pieno di vera religione, di calda fi- lantropia, avvisava colPEvangelio doveisi altrui fare ciò che l'uomo per se stesso vorrebbe. Quindi noi vedeste voi sempre accorrere a' bisogni del povero e del ricco in ugual modo ? In ugual modo , io dissi F Non già : che le cure più vive, le diligenze più fervide, le sollecitudini più operose, non le ri- volge egli al possente, al nobile, all'opulento : il tu- gurio del poverello, il letto della vedova, dell'orfano, del pupillo son quelli ov'egli va, corre, vola più e più volte, e di giorno e di notte, e porge a' miseri infermi, non il solo conforto che viene dalle dottri- ne d'Ippocrate e di Esculapio; ma conforto vi ag- giunge di dolci caritative parole, conforti vi unisce di umanità , religione, pietà soavissima. Né i suoi conforti risfannosi alle parole. L'umanità di lui non è quella virtù che gli enciclopedisti scriveano aver veduta in moltissime teste , ma in pochissimi cuori-, non è quella, il cui spirito Rousseau pronunziava apertamente essere nemico del principato e della po- polazione. La sua umanità nasce da verace carità cristiana, carità che è tutta foco, tutta ardore, tutta operosità. Egli e paga il farm ico salutifero, e paga i! nutrimento aconcio, e paga il miglior fornimento allo squallido e lacero tetto: egl i dona largamente danaro all'indigente infermo; egli lo assiste studioso, lo seive sollecito, lo sostenta, lo consola, lo riani- ma, lo sana. Deh perchè non è sempre imitato l'e- sempio d'uomini siffatti ! deh perchè i cuori teneri é pietosi sono si rari sovra la terra, nido impuro d'empiezza,di malvagità, di perlìdia, di velenosa ma- levolenza ! Né ciediate che animo si caritativo ed 272 Letteratura. umano venisse trafitto dagli strali dell'invidia. Inal- zasi talora a cosiffatto segno la virtù, che più non teme i vani sforzi de' tristi e de' maligni , ed essi medesimi loro malgrado costretti si trovano a confes- sarla e venerarla. Con SI fatto tenore di vita era giunto al suo quarantesimo quarto anno, allorché andando infausta la stagione , e trovaudosi faticato al sommo pe'non pochi malati che avea, venne chiamato a visitare un castaido che dimorava a poche miglia da Persiceto. Pronto accorre ad esso il valoroso medico, e il libera dalle fauci della morte ; ma ahi, che egli stesso è per cadervi , che grave infiammazione di visceri il soprapprende ! Lo Stefani adunque sì dotto, sì ope- roso, si amato , cadrà vittima del suo zelo e della sua diligenza? No, miei signori . ci cadde sì, ma per mano soltanto della umanità e della compassione : con- eiossiacosa al periglio d'infelice infermo, che sta vicino alla sua abitazione, si alza dal letto, né punto curando del morbo che lo affligge, recasi di notte a visitarlo, e senza donargli vita e salute, se stesso sagrifica ed- uc- cide. Oh cuore magnanimo ! oh pietosa dilezione de' prossimi, che dispeltare gli fa la propria per la sal- vezza altrui ! E purtroppo da quella notturna visita- zione aggravò egli di guisa, che il Venturoli, l'Atti, il Conti, valentissimi medici e suoi cari amici, venuti di Bologna ad apprestargli i soccorsi dell'arte, non seppero che giudicarlo in fine di vita ! Al diffondersi del tristo annunzio qual lingua varrebbe a descrivere il dolore de 'concittadini? Tutti gli animi erano timorosi, pallidi tutti i volli, continuo il concorrere alla sua casa, continuo il dimandar di Elogio di Rocco Stefani 273 euo stato; e sentendolo ognor peggiorale sovrastando la morte, tutti romper vedeansi in lagrime amarissi- loe, le preci e i voti a Dio per la sua salute volgendo. Ma il predicimento de'medici si avverava : appena gli durava alcun giorno la vita, e a' 26 maggio del 1816 non era più. Sia pace a te, anima generosa : « Dio, che promette ai misericordi il regno de'cie- li, abbiati accolta lieta e raggiante nel gaudio sem- piterno ! Come allorquando un popolo colto da pubblica improvvisa calamità d' allagamento , di pestilenza , di vasto divoratole incendio re^sta dapprima confuso, muto, atterrito ; la piena del dolori chiude il varco allo sfogo, che prorompe dappoi in sì larga vena che tutto empie di lutto, di lagrime, di sospiri, di deso- lazione; così allo spegnersi della vita di Rocco ogni ordine, età, e sesso perturbatissimi alzano un pianto sì accorato, sì vivo, sì affettuoso, che non saprei qui iitrarlo a parole. Perdevano gli uni il compagno , l'amico, il cousigliero : gli altri un padre, un bene- fattore , mi sanatore , un conforto. Uoivansi perciò lutti in folla immensa a decorarne le esequie e se- guirne al sepolcro l'esanimate spoglie. Copia di faci, lugubri suoni , frequente turba di amici in bella mostra le accompagnava in segno d'amore e rive- renza: ma regnava in tutti il singulto, la mestizia a Io squallore. Oh come era eloquente quel compianto e quella folla ! Che non l'attraeva la pompa magni- fica di esequie, con che lussvireggiano anche sul fe- retro i grandi e i doviziosi, non l'attraeva largo te- soro profuso ; non era estorta da mercenarie mire, non dalla convenienza, dall'uso, o da altre somigllan- G.A.T.CXXXIII. 18 274 Letteratur.v li cagioni : la conducea Tamore, la {jralitudine, la benevolenza : era un tributo sincero pagalo alla virtù scomparsa dalla terra: era il g^uiderdone che racco- glie quaggiù Tuoni giusto e veramente utile all'uma- na famiglia. E perchè credete voi, eletti giovani, che tante dimostrazioni di dolore e di ossequio fossero allor date allo Stefani ? perchè credete voi quello scon- forto , dopo quasi vent'anni, si rinnovi e rinfreschi negli animi de'conoscenti e degli amici ? perchè ve- dete voi che duri sì bella la sua ricordazione, e sia per durar lungamente ? Perchè informare seppe l'a- nimo di religione , sapienza e virtù, e in quelle a grado eminente salendo, usar le seppe a vantaggio della umanità. Voi adunque nati nella terra mede- sima , voi nell'amore alla pietà, agli studi, agli uo- mini conformarvi all'esempio dell' uomo, di cui vi tenni parola. E prima chiedete aiuto all'Eterno, senza di óui niun raggio di sapienza s' infonde nell'umano intelletto : poscia aprendo gli occhi, li vogliate rivol- gere alle speranze di quest'antica ed illustre vostra patria. Cacciate da voi la fredda pigrizia , e della turpe ignoranza spogliandovi, il senliero prendete che all'acquisto conduce della sapienza e della virtù. Abbiate presente ad ognora che i savi, che a quelle si volsero, splendettero quaggiù di luce sfolgorantis- sima , e onorando sé slessi e la patria lasciarono bella e durevole ricordanza. Abbiate presente che costoro non giunsero a tanto di gloria colla pigrizia, col sonno, coU'ozio, coi piaceri : ma coll'industria, colla diligenza, colla virtù. Meltelevi animosamente per que' sentieri, e con solleciti passi avanzatevi per Documenti inediti per la storia ec. 275 essi, acciò sliidiando ad nnìpiiare la gloria di questo mostro luogo nativo, più bella e più spendende a que' che \erranno consegnar la possiate. ftocuments inedits pour servir à Vhistoire liltéraire de V Italie depuis le VII! siècle jusquau XII f avee des reeherches sur le moyen aije italien^ par A. F. Ozanam professeur de littératvre étrangère à la [acuite des lettres de Paris. — 8." Paris^ typographie de Firmin Didot frères, me Jacob 1850. (Un voi. di pag. 406.) 1 ra grillusfii stranieri, che a questi giorni si mo- strano teneri delle cose nostre, uno è certo de'pri- mi per sapere e per gentilezza il signor professore Antonio Federico Ozanam : degno perciò dell'amore e della slima degl'italiani, non altrimenti che i Mon- talembert, gli Hurter, i Colomb de Batines, i Witte, i Rio, i De Reumont, ed altri dotti e cortesi ch'oggi fioriscono in Germania ed in Francia. Ora nel nu- mero delle opere, nelle quali il signor Ozanam ha reso bella testimonianza dell'animo suo, pieno sem- pre di benevolenza verso V Italia, vuol degnamente annoverarsi quella che qui è annunciata : ope- ra sì copiosa in fatto di memorie de' nostri buo- ni vecchi, che ben credo dover esserne gradito un sunto a' lettori del giornale arcadico. Le cose eh' ella ci dà sono tutte de' bassi secoli, ne' quali sem- bra che il signor Ozanam ami oggi studiale di pre- ferenza : cose troppo spesso di secondaria e quasi infima importanza (conviene pur dirlo) nella grande storia e letteratura, ma non perciò dispregevoli al 276 Letteratura filologo ed al filosofo ; di mostrandoci , se non altro, a che di brutalità e d'idiotaggine eravamo caduti dall'alto senno e splendore romano, e per quali te- nebre abbiamo dovuto lungamente errare , e qual obbrobrio di mente soffrale , prima di vincere la barbarie che tutta eraci dal settentrione minata ad- dosso, e tornar novamente a vivere nella luce di tempi per sapienza e civiltà nobilissimi. S'apre il libro del signor Ozanam con un suo discorso Des éeoles et de Vinstruction publique en Italie aux temps barbares : dove l'egregio lettei-ato dimostra, che quantunque a quell' orrida età bar- bari anche noi, tali però fummo assai meno degli altri popoli dell'Europa : e ciò in grazia soprattutto dell'opera virtuosa de' romani pontefici e de' nostri monaci. Discorso dottissimo, pieno d'importanti fatti e d'alta ragione, e degno compagno dell'altro (pub- blicato anni sono) Sur la tradition littéraire en Ita- lie : né certo vorrà passarsene chi prenderà quindi innanzi a scrivere sulla nostra condizione letteraria de'lempi di mezzo. Segue la notizia de 'manoscritti pubblicati nel libro. Primo de' quali è la Grophia aiireae urbis Romae. Quest'operetta, forse del secolo XII, era già conosciuta da molti, e soprattutto dal Bandini, che ne stampò alcuni passi nel suo eccellente catalogo della libreria laurenziana di Firenze, Tranne anzi alquante mancanze ed aggiunte qua e là, non guari è diversa dal Liher de mirahilihus urbis Romae trat- to alla luce dal Montfaucon. Veramente non poteva in quello sciagurato secolo giunger più oltre, non dico l'abbandono di ogni critica non meno in chi Documenti inediti per la storia ec. 277 scriveva che in chi leggeva, ma sì la comune stu- pidità nella storia. E si che questa Graphia reputa- vasi allora un libro classico di romana erudizione, e da Galvano Fiamma con gran buona fede era ce- lebrato per valde autenticus ! Eppure niente v'ha di stolto e di ridicolo, che non vi si affermi, sia suU' origine dell'eterna città, sia sulle sue immortali me- morie, e sulla ragione e sul nome de' suoi celebri monumenti d'arte. A Roma, per esempio, pose le fondamenta Noè , che dopo la confusione babellica passò in Italia; i due famosi colossi del Quirinale rappresentano, non già Castore e Polluce, ma i filo- sofi Praxilelo e Fidia venuti in Roma regnante Ti- berio , i quali andando nudi , siccome quelli che nulla stimavano le cose di questo mondo, non d'al- tro richiesero l'imperatore quando volle favorirli, se non d' essere così nudi ritratti in marmo ; la casa dei figliuoli di Pierleone era già il tempio di Cice- rone; [' Ara-coeli \enne così denominata per una vi- sione ch'ebbe Cesare Augusto, a cui apertosi il cielo si appresenlò la Beata Vergine col bambino, gridan- do intanto una voce dall'alto Haec ara Dei est : e così dicasi d'altri grossissimi scerpelloni. In mezzo nondimeno a quel quasi miracolo d'ignoranza qual- che cosa r archeologo potrà trovare : se non altro un aiuto a meglio determinare la topografia di Ro- ma, fondandosi sulla tradizione (sebben confusa, non però al tutto vana) di molti edifizi che tuttavia ri- manevano sopra terra , e sul luogo dove la voce pubblica li poneva. Arroge il Cerimoniale degl'im- peratori di occidente , diverso affatto dal tedesco e dal bizantino: parte curiosa e nuova del manoscritto, 278 Letteratura la quale il signor Ozanam crede essere stala tratta per l'autore della Graphia da uno scritto probabil- mente composto fra il sesto e l'ottavo secolo. Alla Graphia tengono dietro le Praefationes ad chartularium farfense : cose in gran parte inedite. Noi facciamo voti , perchè pur una volta 1' intero Cartulario di Farfa sia pubblicato colle stampe : nessun altro antico manoscritto avendosi forse in Italia così prezioso e cosi autentico per molte im- portanLissime memorie del medio evo, incomincian- do dal settimo secolo e terminando agli ultimi an- ni dell'undecime, in cui con buon .giudizio fu compilato dal monaco Gregorio, Basti che del solo secolo Vili contiene centocinquantacinque diplomi. Ora questo codice singolarissimo, fonte da cui tan- te certe notizie hanno attinto il Duchesne, il Mura- tori , il Mabillon ed altri dotti , è fra' tesori della vaticana : e sarebbeci stato furtivamente tolto in tempo dell'invasione imperiale di Napoleone, se il celebre nostro collega marchese Luigi Biondi non avesse ( come sanno gli amici ) operato sì che il governo se lo facesse l'cstituire dal signor Fortia d'Urban, il quale avealo già chiuso ( disavveduta- mente, com'egli disse ) ne'suoi bagagli quando tor- nossene in Francia. \j' Ohituarium ecclesiae senensis è la terza ope- retta inedita che il signor Ozanam ci ha dato da un manoscritto, già noto, della biblioteca di Siena. È cosa de' secoli XII, XIII e XIV, che sotto la forma di calendario ci porge molte notizie contem- poranee d'Italia e fuori, e parte delle cronache del- l'insigne città toscana. Il che la rende di non pic- colo pregio. Documenti inediti per la storia ec. 279 Un manoscritto vaticano del secolo IX ha poi dato materia all'illustre francese per la quarta sua pubblicazione, ed è : Htjmnorum ecclesiasticorum col- lectio antiqua. Sono tredici gl'inni da lui stampati: degli aliri del manoscritto , pure conosciutissimo , contentandosi dare una compiuta tavola, ovvero in- dice per capoversi. Fra questi tredici inni ve n'ha due o tre di veramente orrida latinità, dove invano cerchi metro e grammatica : ma fra tutti forse i noli fin qui per lingua spropositata credo doversi coro- nare il seguente, che recherò per saggio dello stra- zio che in que' tempi facevasi delle cetre d'oro d\ Virgilio e di Orazio, Hymnus sangti Flaviani confessoris. » Alme confessor, summi regis presuj, » Audique vocis famuli tuorvioj, » Te flagitantes. » Fides preclarus, candidus in vita, » Predicator verus quam spirans illi dedit 1) Spiritu^ sacer, )) 0 bone pastor, Flaviane sacer, » Protege plebe tibique coramissa, » Athletas Dei. » Hostesque tuos undique confligunt : )» Nos sine viri vernuloque tuos » Adiuva, pater. » Ereticorum tu sprevisti dogmas, )) Et confutasti uniceque probat (1), » 0 pater sancte. (1) Tria verba corruptissima ci qvae viac legi possunt. ( Noti del eh. editore. ) Letteratura io<| » Gaudium intrat Dominique luis » Gommissa libi oves representa, » Fidelis serve. « Pro Ghristo passus filium fuisti : » Ibi in carne -vitamque finisti, ,.. » Celos receptos. r.:\\v Aprutiense decoravi tellus : » Noluit Donainus propria frustrare » Nobls patrono. » Qui quondam erat, manet urbis presul : » Nobis coruscat miracula sepulchris, )) Deo iuvante. » Sit laus illi, decus atque virtus, » Qui supra celi resideusque throno » Trinus et unus. Amen. >r Delle poesie latine di Alfano e di Gaiferio , che seguentemente ci sono date dal signor Ozanam, poco dirò. Questi poeti, monaci cassinensi e contempora- nei del grande abate Desiderio ( poi papa Villo- re III ) , erano già conosciuti nella letteratura del secolo XI : ed anche più nella storia ecclesiastica e civile era conosciuto Alfano, ch'eletto arcivescovo di Salerno fu de' più autorevoli e pii personaggi dell'età sua , ed ebbe la gloria d' accogliere ospite l'immortale Gregorio VII, e di assisterlo nella beata sua morte. La parte delle loro poesie , che ci si porge inedita, potrà meglio di qualche lume gio- vare la storia , che di qualche bellezza ornare la poesia. Troppo in esse è ancor la barbarie : benché qua e là talora s'infiorino d'alcune reminiscenze e gentilezze de' classici. Documenti inediti per la storia ec. 28 ì Curiosa è la pubblicazione che viene appresso. Due piccoli poemi : 1' uno di 280 versi intitolato De lerusalcm coelesli et de pulchritudine eius et hca- titiidine et gaudio snnctorum : 1' altro di versi 340 col titolo De Babyloniae civilate et ehi; turpitudine^ et quantis poenis peecatores puniantur incessanter. Dico curiosa pubblicazione, perchè ambedue i poe- mi sono in dialetto veronese del secolo XIII. N'è autore un frate Giacomino da Verona dell'ordine dei minori, persona affatto ignota nella storia e let- teratura francescana : il cui nome torna così oggi a rivivere per opera del signor Ozanam ( dopo 600 anni d'oblìo ) ne' suoi poveri versi trascritti da un codice della marciana di Venezia. Il buon claustrale, uomo di pasta alquanto gi'ossa in certe dottrine, ha cantato della Gerusalemme celeste o sia del pa- radiso, e della città di Babilonia o sia dell'inferno, con tali (valga il vero) scempie immaginazioni, che se ad alcuno possono recar diletto per la loro vol- garissima semplicità, a me invece muovono ben al- tra cosa, vedendovi si spesso offesa stupidamente la dignità e della religione e della ragione. Poco di vero spirituale, o, come dicesi, di cose d'anima, si ha in tutti e due i poemi : moltissimo di materiale. Oh certo in ben altro modo avrebbero trattato sì grandi subbictli que'due sommi dell'età sua, e clau- strali anch'essi, s. Bonaventura e s. Tommaso d'x\qui- no ! Basti qui averne per saggio, che Maria santis- sima, secondo la fantasia di questo fra Giacomino, ha in cielo i suoi cavalieri, a' quali per larghezza ed affetto è usata donare destrieri e palafreni d'ine- stimabil valore sia per la loro bellezza , sia per la sontuosità de' lor guarnimenti. 282 Letteratura E poi canta una prosa de tant'e lai natura Davanzo lesù Cristo e la soa madre pura, Ke nuia cosa è al mondo, né om, né creatura, Ke ve '1 poes cuitar in alcuna mesura. Ke 'l canto è tanto bello, senza nexun mentir, Ke cor noi pò pensar, né lengua proferir ; E solamente quigi lo pò cantar e dir Ke 'l uoso'(1] en questa vila,virgini a Deo servir, Dondo quella donna tant' è zentil e granda, Ke tuti li encorona d'una nobel girlanda, La quala è più aolente ke n'è mosca, ne ambra, Né zuo, né altra fior, né rosa de campagna. E per onor ancora del'alta soa persona, Quella nobel pulcella ke en cel porta corona, Destrer e palafreni tanto ricchi gè dona , Ke tal ne sia en tera, per nexun dir se sona. Ke li destreri è rossi, blanci è li palafreni, E corro' plui ke cervi, né k venti ultramarini, E li strevi, e li selle, l'arzoni, e an' li freni E d'or e de smeraldi, splendenti, clari e fini. Né le cose del poema della Citià di Babilonia pro- cedono gran fatto meglio : dove fra gli altri stra- nissimi e plebeissimi ghiribizzi è fino il cuoco Bel- zebub, che come be'porci arrostisce i dannati, e ne imbandisce la mensa al re dell'inferno, il quale glie ne fa poi un grande rabbuffo per non avere ben cot- te quelle ree carni. (i; L'usarono, {Nola dclì'Ozanam.) Documenti inediti per la storia ec. 283 Slazando en quel tormento, sovra gè ven ud cogo, Zoe Bazabù (1), de li peior del logo, Ke lo meto a rostir, cora'un bel porco, al fogo, En un gran spè de fer per farlo tosto cosro. E pò prendo aqua, e sai, e colusen, e vin, E fel, e forte aseo, e tosego, e venin ; E si ne faso un salso, ke tant è bon e fin, C'a ognunca ma' Cristian si guardò el re divin. A lo re de l'Inferno per gran don lo trameto; Ed elo el meto dentro, e mollo cria al messo : — E no gè ne daria ( zò diso) un figo seco, Ke è la caino crua, e 'I sango è bel e fresco. jVIo tornagel endreo viazamente tosto, E dige a quel fel cogo, ke 'l no me par ben colo, E k'el lo debia metro cum lo cavo (2) zò stravolto En(iro quel fogo c'ardo sempre mai, zorno e noito. E strettamente ancor dige da la mia parto, K'el no mei mando plui, mo' sempre lì lo lasso. — Il signor Ozaoam, trovati qua e là in questo Inferno alcuni concetti che mostrano qualche rassomiglian- za con quelli della Divina Commedia, sospetta che Dante possa aver avuto notizia de'versi di fra Gia- comino. Io non so che rispondergli. Tutto può es- sere : considerando che anche il gran Milton ( ed è cosa certissima ) non arrossì d'inchinare la sua fan- tasia fino alle reminiscenze deW Adamo di Giambati- sta Andreini. (1) Forsfi fu scritto iJazabubù, non aven.lo il verso con Bazabù 1.) sua necessaria misura. (Nota del giornale arcadico ). (2) Dovrà (.lire cav, in grazia pure della misura del verso. (iVo- ta del giornale arcadico) . 284 Letteratura Più importante assai per le nostre lettere e ciò che il chiarissimo francese ha serbalo a darci per ultimo Non dico di alcune rime di Bonaggiunta da Lucca e di Dino Compagni : ma d'un lungo poema in nona rima, intitolato L'intelligenza^ composto da esso Compagni. Intorno a che giovi anzi tutto qui riferire la breve nota trasmessami da un mio col- lega compilatore di questo giornale. Eccola. » Che il poema toscano L'Intelligenza^ pubbli- » cato dall' egregio signor professore Ozanam , sia » opera di un Dino Compagni- non credo che possa » revocarsi in dubbio. Ma di qual Dino ? Due fu- » rono gì' illustri Dini Compagni : l'uno vissuto all' » età che fiorirono Guittone, Brunetto ed il Guini- -> celli, cioè verso la prima metà del secolo XIII, » essendo seduto anziano della repubblica fiorentina » nel 1251; l'altro, il famoso storico, fiorito in sul » finire di esso secolo , e morto nel 1323, coeta- » neo cioè di Dante, di Cino e del Cavalcanti. Ora >' io dubito non questi due Dmi, come poeti, siano » stati talora confusi dagli storici della nostra poe- ') sia : e quasi me ne convince il trovarsi un so- » netto di Dino Compagni mandato a Guido Guini- » celli : perchè questo celebre poeta bolognese, cui » Dante chiamò suo padre, non potè essere, secondo » che avvertiron pure il Crescimbeni ed il Manni, » amico di Dino storico. Il Guinicelli infatti morì » nel 1276, e Dino storico nel 1282 era di tale età, » che per giovanezza ( dice egli di se nella storia) » non conosceva le -pene delle leggi. A questo cre- » detfe subito riparare il Crescimbeni col dire, eh' » erralo è il codice, e che invece di Guido Guini- Documenti inediti per l4 storia ec. 285 » celli vuoisi leggere Guido Cavalcanti. Ma il fatto » è che nel codice effettivamente sta scritto Guido » Guinicellì : il quale , come dissi , fiori appunto » ne' begli anni del primo Dino. Noterò inoltre che » sì in alcune rime (che alquante ne ho lette in » un codice vaticano ) e si nel poema dell' InleUi- » genza.) la lingua ò tale, che parmi anzi ritrarre » dalla sua prima infanzia, che dall'età dello sto- )) rico : la quale onoravasi già di gentilissimi ed » elegantissimi poeti, che quasi del tutto avevano » abbandonato quella rozzezza o scabrosità , che ') troppo spesso offendono e il poema e parte delle )■> dette rime. Veramente io non so chi più di Dino )) storico valesse a' suoi anni nella coltura e quasi » direi perfezione della lingua : sì, di Dino storico, )i ne'cui scritti sono ben poche le parole, delle qua- » li non teriebbesi bello anch'oggi un pulito scritr » tore. Sicché prego gl'intendenti di queste cose, e » soprattutto i fiorentini, a risolvere infine siffatto » dubbio : non parendo, se non erro, improbabile » che del poema Z' Intelligenza sia stato autore , » non Dino Compagni storico o sia il giovane, ma » Dino Compagni il vecchio, cioè l'anziano della » repubblica nel 1251. » Né a ciò si oppone il ri- » cordarsi le ricchezze di Saladino : perché dev'es- « sere stata una pura inavvertenza del sig. Ozanam » il dir morto quel formidabile soldano nel 1293 : » quando è certo che morì nel 1193. » Salvatore Betti. Comunque sia ( perché nulla intendo qui giu- dicarne ) certo è che questo poema é cosa preziosa, non altrimenti che gli scritti ( alquanto però più irti) 286 Letteratura di Guillone e di Brunetto, per chi non senza utilità filologica studia la lingua italiana tli que'vecchi se- coli, e soprattutto per la cooìpilazione d'una delle opere più insigni ed utili della nazione, com' è il ■vocabolario della crusca, aggiungendogli l'autorità di un nuovo testo poetico del dugento, E così non avesse pur troppo 1' imbratto di alquanti errori 1 Alcuni de' quali non sono però difficili ad emen- darsi, chi n' ha qualche pratica, anche senza l'aiuto de' codici. Arroge che i versi non hanno tutti la misura che aver dovrebbero : né mai crederò che potessero in ciò peccare né l'uno né l'altro Dino. Ora quanto alla poesia in se stessa parmi che ve ne sia pur qualche fiore qua e là : ma sepolto, dirò così, in mezzo a vepri ed ortiche. Tutto il poema non è poi che un'allegoria, come per lo più portava il \ezzo di quell'età : ovvero una visione che Dino Compagni ha della bellissima fra le donne e regine abitatrici d'Oriente, cioè deW Intelligenza: » Che porta corona » Di sessanta vertù, come si suona; vma descrizione di campagne, di palagi, di pietre rarissime : aggiuntivi tre lunghi episodi cavallere- schi sull'assedio di Troia, e sulle imprese di Ales- sandro e di Cesare. Incomincia così : Al novel tempo e gaio del pastore Che fa le verdi foglie e fior venire, Quando li augelli fan versi d'amore E l'aria fresca comincia a schiarire. Documenti inediti per là storia ec. 287 Le pratora son piene di verdore E li verzier cominciano a aulire, Quando son dilettose le fiumane E son chiare e surgenti le fontane E la gente comincia risbaldire ; Che per lo gran dolzor del tempo gaio Sotto le ombre danzan le garzetle, Ne' bei mesi d'aprile e di maio La gente fa di fior le ghirlandette, Donzelle e cavalier d'alto paraio Cantali d'amor novelle e canzonette, Cominciano a gioire li amadori E fanno dolzi danze i sonadori E son aulenti rose e violette. Ed io stando presso a una fiumana, In un verziere, all'ombra d'un bel pino ; D'acqua viva aveavi una fontana Intorneata di fior gelsomino : Sentìa l'aire soave a tramontana, Udia cantar li augelli in lor latino; Allor sentìo venir dal fin amore Un raggio che passò dentro dal core, Come la luce ch'appare al mattino. Discese nel mio cor siccome manna Amor soave, come in fior rugiada. Che m'è più dolce assai che mei di canna. D'esso non parto mai dovunque vada E vo' li sempre mai gridar usanna. Amor excelso, ben fa chi te lauda 1 Assavora' lo quando innamorai : Neente sanza lui fui, né fìe mai. Nò sanza lui non vo" che mi' cor gauda. 288 Letteratura Questi versi non mancano certo d'alcuno spirito di leggiadria : anzi li dirò fra' pu'i gentili che i nostri rimatori composei'o nel diigento. Ecco anche l'imi- tazione che fa Dino di un passo de'più belli di Lu* iCano nel lib. V della Farsaglia : Cesare, fatto imperador novello, Tornò verso Brandizlo immantenente. Il vento fu e '1 tempo assai con elio, E 'I mar passivo, per gir tostamente. Girò a monte Pirrusso, ov'era quello Pompeio che tanto amava (1) mortalmente. Antonio tardò più la sua venuta ; Onde Cesar si piagne, e turba, e muta, E turbossi ver lui villanamente. Una nocte n'andò, sol, sanza lume, A la riva del mare a un nocchiere : Tutto dipinto v'è, Cesare come Crollò il frascato, e '1 nocchier dormia bene; In su giunchi giacca, ed avea nome Amiclas, assai pover d'ogni bene. Cesar li disse : — Tosto entriamo in mare. Menami ver Brandizio : i' voglio andare Per quell'Antonio che mi tiene 'n pene. — Il nocchier disse a Cesare : — Signore, r vidi 'I sol ch'avea deboli raggi. La luna inviluppata di buiore ; E '1 tempo non dimostra buoni oraggi. Mettersi in mar sarebbe gran follore ; Il mar batte a le rocce ed a' rivaggi. — li) Deve dir certo armava. ( Nota del giornale arcadico. ) Documenti inediti per la storia ec. 289 Cesar li disse : — Sanz'altra dimoia, Abbandonati a mia fortuna un'ora ; Gl'iddii non ci potrebber trar dannagli. — Gitlarsi ia mare, e vogar vistamente : Un vento si levò novello e forte Che '1 legno percoteo sì aspramente, Che Cesar presso si vide a la morte. Gl'iddii chiamò assai pietosamente Con sue parole assai savie ed accorte , La vela ruppe per troppa pienezza : Da nulla parte vedean lor salvezza : Lor pene raddoppiar vedeano scorte. Stando in cotal fortuna i navicanti, Un vento si levò per lor salvezza : Trovarsi a riva poco adimoranti. La gente non sapea di lui certezza: Co le fiaccole in man givano erranti Chiamando Cesar con gran dubitezza. Tanto cercar, che l'ebber ritrovato. Antonio l'altro giorno fue tornato : Murar lo poggio intorno e la fortezza. Ed ecco in fine un altro passo de' più nobili del poema, cioè la descrizione delle virtù e bellezze di madonna V Intelligenza : e con esso porrò termine a questo sunto. Li quel palazzo sì meraviglioso Vidi madonna e '1 su' ricco valore, Che fa star lo mio cor fresc'e gioioso, E pasce l'alma mia di gran dolzoie. Lo suo soave sguardo e dilettoso G.A.TCXXIIL 19 290 Letteratura Lo mondo rinnoveUa e dà splendore ; Cotante adorno e di bella sembianza, Che fa gioir la sua gran dilettanza Come la rosa in tempo di verdore. La gran biella che procede del viso, Colli amorosi suoi gai sembianti, Chi fosse degno di guardarla in viso Più non vorria che di starle (1) davanti : Cai mondo dona canto, e gioco, e riso. Onde gioiscon li amorosi amanti. Quell'è lo specchio ove bieltà riluce, Splendientissima, serena luce, Al cui splendor si rinvian gli erra^nti. E vidi la sua bella compagnia. Che son sette regine ben ornate : L'una l'adorna di gran cortesia, L'altra di pura e dritta veritate. La terza d'umiltà scorge la via, La quarta pregio di gran larghilate, La quinta adorna di bell'astinenza. La sesta bella (2) castità l'aggenza , La settima d'umil dolze pietate. Poi vidi le sue belle cameiiere : Tant'avenanti mai non fuor vedute, Piane, dolzi ed umili, al mi' parere, Adorne, oneste, cortesi e sapute ; E vidile danzar per lo verziere (1) Credo che debba dirsi : Clicd islarle davanti. ( Nola del (jiourale arcadico ). (2) Forse dee dire della ( IVola del giornale arcadico). Egloga I di Virgilio trad. 291 Ed ieran tulle di bianco veslute, Ciascun'avea di fiori una ghirlanda ; E fanno ciò che madonna comanda, E rendon dolzi e soavi salule. Lettera al sig. ah. Gerardo Montanari sopra il vol- garizzamento della prima egloga virgiliana del eonte commendatore Giovanni Marchetti. Signor abate oìiorandisdmo , r n questi giorni, in cui una lieve indisposizione mi costringe di restare in casa e col togliermi all'usale occupazioni mi porge qualche po' di tempo per ri- crearmi l'animo ne' miei dilelti studi, io soqo tor- nato sopra gli elegantissimi versi del nostro conte Marchetti, che ho riletti con infinito piacere e, dirò pur anche, con moltissimo profitto. Non saprei si- gnificarvi a parole quanto mi sia andata a sangue la leggiadrissima traduzione della prima Egloga di Virgilio , la quale mi è paisà un vero miracolo ; tanto vi è spontanea la rima, elegante e propria la frase, mirabile la fedeltà. Una traduzione , scriveva il Giordani sommo maestro, dev'essere un ritratto : e cow' è ritratto se non rende vera somiglianza P e come può renderla , ^e manca de' più propri linea- menti e colori e atteggiamenti dell'originale ? Queste qualità appunto mi è avviso trovare nel lavoro del Marchetti, il quale ha saputo con finissimo magiste- rio perfettamente ritrarre tutte le bellezze, ed i pre- gi più recondili del latino poeta; ond'io mosso da 292 LKTtERATlRA certa curiosità, e dal desiderio d'ammaestrarimi, ho voluto instituirne un confronto colla versione d' in- signe moderno letterato, quale fu il eav. Strocchi, considerando che o questa non potesse essere altra cosa da quella del Marchetti, se meritata era la lode datale, o l'antico traduttore fosse di gran lunga la- sciato indietro dal nuovo. Da siffatto confronto mi è sembrato poter conehiudere, che appunto il se- condo presupposto si fosse avverato. Anzi confesserà ( con un amico è lecito aprire tutto l'animo senza timore d'essere tacciato di prosuntuoso) che la ver- sione dello Strocchi , perdendo al paragone molta parte di suo apparente splendore, ha cominciato a prima giunta a parermi non molto lodevole ; e che perseverando io nello studio della comparazione, so- no stato alla fine costretto di dire fia me stesso , ch'ella manca di molte delle doli richieste a far pre^ gevole una traduzione. Non solo la poca fluidità del verso, e la soverchia cura della frase , ma lo sco- starsi dall'originale, il trasandare alcune cose, o il colorirle con diversi colori, rende, a mio credere, l'opera dello Strocchi di molto inferiore alla bella rinomanza, ch'egli seppe acquistarsi colla vasta eru- dizione e raro sapere , di che fanno fede i dotti suoi scritti e la celebrata traduzione della Georgica. Egli non era per avventura uomo da porsi all'im- presa di trasportare in italiano la Buccolica , non omnia possumus omnes; che non tutte le frasi dan- tesche, onde avea fatto ricco tesoro, si confanno ai semplici costumi ed alle semplici parole de'pastoi-i; ed è a tenere che se Dante medesimo avesse avuto a comporre egloghe , avrebbe solamente adoperali Egloga I di Virgilio trad. . 293 di qiie' modi semplici e naturalissimi, di cui sono belli alcuni luoghi della Divina Commedia. Spero che non m' imputerete a colpa se ardisco di por- tarvi innanzi questo mio sommesso giudizio; ed ac- ciocché voi, sig. abate chiarissimo , possiate cono- scere s' io male m'apponga, e rettificarlo ove dia in fallo, mi piace di sottoporre al vostro senno quelle poche osservazioni, che la strettezza del tempo mi ha conceduto di trascrivere. Traduzione dello Strocchi. Melibeo. Titiro, tu di boschereccia canna Tenti l'umile verso, e fai di queste Ombre di faggio a te letto e capanna : Tu la bella Amarille a le foreste Insegni risonar ; le patrie arene Noi fuggiam, noi lo dolce loco agreste. Traduzione del Marchetti. Melibeo. Titiro mio, tu sotto 'I vel posando Di spazioso faggio, un carme agreste Vai sulle tenui canne or meditando : Noi ce n'andiam del patrio suol, di queste Dolci campagne, ahi sventurati ! in bando ; Tu ripetere insegni alle foreste Amarilli gentil, ch'arder ti feo, Qui mollemente all'ombra. 294 Letteratura Virg-llio dice 'patitine recubans sub termine fagi ^ che il Marchetti ha italianizzato 50^/0 7 vet posando di spazioso faggio. Lo Strocchi, quasi diaientico dell' uffizio suo , usa di troppa libertà condannando il pastore a farsi letto e capanna deWomhre del faggio-^ nel qual luogo è pur da notare la soverchia ardi- tezza della naetafora , che fa dell' ombre un letto. Chi non sente poi lo stentato di quel verso :iVo/ fug- giam, noi lo dolce loco agreste ; e la soavità ed il patetico di quei del Marchetti: Noi ce nandiam del patrio suol^ di queste Dolci campagne^ ahi sventura- ti ! in bando ? Nello Strocchi indarno si cerca il qui ■mollemente aWomhra, lentus in umbra^ che non dev' essere in Virgilio una zeppa per compiere il verso. Melibeo, colpito dalla crudele condanna che sospin- ge i pastori al di là de' patrii confini , è preso da forte meraviglia nel vedere Titiro tranquillamente assiso sotto l'ombra d'un faggio, e si fa ad interro- garlo su ciò, contrapponendo a tanta tranquillità la misera sua condizione; e siccome quel che più gli ha ferito l'animo si è appunto quel placido stato di Titiro , così , non potendosi riavere dallo stupore , per due volte gliene fa cenno ; e dopo averne detto qual cosa in sul principio, ne torna a muover pa- rola prima di por fine al suo favellare. Era dunque da conservarsi la ripetizione secondo l'ordine di Vir- gilio ; e il Marchetti l'ha conservata. Egloga I di Virgilio trad, 295 Traduzione df.llo Strocchi. Titiro. Noi ha degnati un dio a tanto bene, Un dio: l'are di lui sovente un mio Agnello tingerà delle sue vene : Mercè di lui, le mie giovenche invio Attorno» come vedi, e mi diporto La zampogna a destar come voglio io. Melibeo. Invidia veramente non ti porto, Meraviglio bensì ; tanta tempesta Ha tutto in tutta la campagna absorto. Titiro, ve' che per lontana pesta Peno a cacciar le mie caprette, ed anco Posso a stento parare innanzi questa, Che fra cèrili spessi il grave fianco Qui su la nuda, ahimè ! ghiaia testeso Alleviò di due, speme del branco. Se troppo in me dall'ignoranza offeso Non era l'intelletto, aveano a farmi Di tanta indegnità da prima inteso Fólgori usate ad arbori schiantarmi, Or mi ricorda, e di sinistri augelli In elee bugia gl'importuni carmi. Or di', chi è quel dio, di cui favelli? 396 Letteratura Traduzione del Marchetti Titiro. 0 Melibeo, A noi questi dolci ozi ha fatto un dio, Che qual dio sempre ei si terrà da noi; E spesso un agnellin del gregge mio Rubicondi farà gli altari suoi : Egli per questo verde suol natio Errar, come tu vedi, a' nostri buoi Concesse, e a me quei che in pensier mi viene Per gioco dir su boscherecce avene. Melibeo. Invidia no, ben meraviglia io sento , Che non è campo ove quiete avanzi; Ecco ch'io le mie capre a passo lento Men vo, debil qual son, parando innanzi, E questa mi conduco dietro a stento Che fra nocciuoi, su nuda selce, or dianzi Alleviossi di due parti insieme, E là del gregge abbandonò la speme. Ahimè cotanto mal ch'oggi ne grava ( Se non era la mente sì da poco ) Ricordami che a noi spesso annunziava Quercia percossa da celeste foco , E sinistra cornacchia in elee cava Nel predicea col gracidar suo roco ! Ma chi sia questo iddio tanto cortese Farne ti piaccia, o Tiùro, palese. Egloga I di Virgilio trad. 297 Nel discorso famigliare e semplice e tenero de'pa- stori non è tulio secondo natura, che rispondendo Tiliro a Melibeo lo chiami per nome, sì a dinolar- (jli un lai qual affetto, come a richiamare tutta la sua attenzione sulla risposta che è per fargli ? Per- chè dunque lasciar da parte quel sì aflettuoso vo- cativo 0 Meliheo ^ con cui Virgilio e il ìMarchetti aprono la risposta di Tiliro ? Lo Strocchi traduce hacc otia^ in tonto bene : quanta maggiore efììcacia in quel hacc , che sì bene determina la cosa e la pone sotto gli occhi ! Il Marchetti ha ciò compreso, come ha compreso ed egregiamente tradotto il nnm- fjue crii ille mihi semper deus ; laddove lo Strocchi con quel ripetere un dio ( che facendo rima eoli' ultima parola del verso rende anco mal suono) non guadagna punto il concetto del poeta latino; il qua- le, dopo avere attribuito l'onore della divinità ad Augusto , soggiunge tosto , quasi a dichiarazione ^ che qual dio si avrà sempre da lui pei sommi be- neficii ricevuti, e non già perchè tale ei fosse. Nul- la dico di quello scherzetto ha tulio in tutta ; gio- cami bensì notare il bellissimo verso del Marchetti: E questa mi conduco dietro a stento: nel quale con armonia imitativa è sì mirabilmente espressa la fa- tica durata dal pastore nel trarsi dietro la capretta, che non abbiamo punto ad invidiare il latino : Haìic etiani vix , Titifre , duco. Non so poi comprendere per qual ragione lo Strocchi , cambiando la specie nel genere, abbia detto arbori invece di querele.^ ed augelli in cam.bio di cornacchia. 298 Letteratura Traduzione dello Strocchi. Titìro. Città di Roma a lei, 've degli ovili Mandiam pastori i parti tenerelli, Credea sianl ; si conoscea simili Agni e cagnuoli a madri, e usava io folle All'alte cose comparar le umili: Ma sovra ciascheduna il capo tolle Quella città cosi, che non men sorse Cipresso incontro a stel di giunco molle. Traduzione del Marchetti. Titiro. La città, Melibeo, che Roma è detta, A questa nostra io mi fingea simile, Ove noi Siam pastori usi l'eletta Prole recar del custodito ovile ; Che a la madre la tenera capretta. Al can gagliardo il cagnolin gentile, Ed alta cosa ad ùmile in mia mente Facea ( stolto ch'io m'era ! ) indifferente. Ma quella tanto il nobil capo estolle Sovra qual sia città che più si noma. Quanto il cipresso sul vilburno molle. Anche qui non mi par buono lasciar dall'un de'lati quel vocabolo o Melibeo tanto acconcio all'uopo. La mancanza dell'articolo che dovrebbe precedere l'ac- Egloga I di Virgilio trad. 209 cusativo città ^ e quel nominativo pastori senza il noi e per soprappiiì posposto al verbo mandiam , ingenerano confusione e perplessità ; ed è sempre colpa dello scrittore, dice il Giordani, traviare an- che per pochissimo e tardare l'intelletto di chi leg- ge. Siffatti modi , ond'è sparsa la traduzione dello Strocchi, non si possono al certo lodare in tanto uo- mo, e debbonsi lasciare a que' poveri scolaretti di rettorica , che avendo a fare loro compito anche invitis musis^ dopo essersi invano stillato il cervel- lo, si gittano per disperati allo spediente di far uso di tutte quelle figure grammaticali , di cui trovasi qualche esempio negli scrittori , ma che voglionsi adoperare con moltissima sobrietà e discrezione. Ognun conosce quanto si perda d' evidenza con quel a lei^ in luogo di questa nostra^ e quanto sia aspro il verso città di Roma ec Urbem quam di- cunt Romam leggesi in Virgilio ; e tale maniera si addice a meraviglia a pastori semplici ed ignari delle cose del mondo , i quali , ove loro incontri di pur farne menzione, si riferiscono ingenuamente all'altrui detto, o non essendo essi usi di favellarne, o non avendone notizia che per fama giunta sino a loro. Queste bellezze non sono sfuggite all'incom- parabile conte Marchetti, che neppure una ne lascia desiderare nell'aurea sua traduzione. 300 Lettekatura Traduzione dello Strocciii. Melìheo. E qual tanta cagion colà ti scorse ? Titiro. Libertà : che a me pure uom senza cura, Quantunque si da sezzo, un guardo porse, Che gota più non s'impelava oscura; Libertà lacrimata a me si volse Quando fu l'ora in lungo andar matura. Da che son di Amarillide, mi sciolse Da' lacci Galatea ; che, per ver dire , Mentre in suoi lacci Galatea mi avvolse, Nulla di libertà speme, desire Nullo di averi : ancor che degli dei Vedessi all'are assai vittime uscire, E pingue cacio da' presepi miei Alla ingrata città, con mani gravi D'argento a casa mia non mi rendei. Traduzione del Marchetti. Melibeo. E che mai ù sospinse a veder Roma ? Titiro Libertà, che, sebben tardi, pur volle Egloga 1 di Virgilio trad. 301 Guatar me pigro, allor che mento e chioma Già gli anni mi spargevano di brine : Pur benigna guatommi, e venne alfine. Venne poi che Amari llide m'accolse E a schivo m'ebbe Galalea ; che, in vero, Mentre fui suo, né servitù mi dolse, Né di peculio nacquemi pensiero : Dall' ingrata città, che assai raccolse Di mio presepio e vittime e sincero E pingue cacio, alla magion silvestra Pecunia mai non mi gravò la destra. Nella versione dello Strocchi non è serbala, co- me è in quella del Marchesi , la ripetizione pur tanto eflicace del verbo respexit , guatommi ; e par- mi un po' ti'oppo studiato né molto felice il verso : Che gota più non s' impdava oscura^ rispondente a quel semplicissimo di Virgilio : Candtdior postquam tondenti barba cadebat. L'aggiunto di lacrimata a libertà non ben si lega coWinertem, che il pastore attribuisce a sé stesso ; ed il longo post Jtempore^ tra- dotto dal Marchetti coU'espressivo alfine^ è italianiz- zato dallo Strocchi con queste parole al certo non molto chiare : Quando fa fora in lungo andar ma- tura. A me dispiace assai in una poesia tutta sem- plice e naturale, quale deve essere quella d'un egloga, il frequente uso delle ellissi o tialasciamen- ti; e perciò non saprei lodare quella del verbo che regge la proposizione : Nulla di libertà speme^ desirc Nullo di averi. Di questa figura , adoperata assai volte dallo Strocchi, scrisse saviamente il Perticar! : 5e le ellissi sono fiori dell' eloquenza., clic somigliano 302 Letteratura certo a que' fiori che spuntano suWorlo d4le rupi : che non si odorano senza rischio del coglitore. Ol- tracciò è da osservare, che corre assoluta clifFerenza tra il desiderio d' una cosa , e la cura o lo studio di essa. Traduzione dello Strocchi. Meliheo. Io non sapea perchè gli dei chiamavi Ne' tuoi sospir, mesta Amarille, e a cui Pender le poma in lor pianta lasciavi ; Era Titiro via da' letti sui ; Ogni pino, ogni arbusto, ed ogni rio, Torna torna, dicea, Titiro, a nui. Traduzione del Marchetti. Melibeo. Or ben vegg'io perchè tu mesta ognora Invocassi, o Amarillide, gli dei ; A cui serbassi penzolanti ancora Dal ramo i pomi già maturi e bei ; Era lunge di qua Titiro allora : Oh come questi pin, questi ruscei, E questi pur fragili arbusti, oh come Te chiamavano allor, Titiro, a nome ! Checché dica l'egregio filologo Fornaciari di questi due ultimi versi dello Strocchi, io non sa- prei troppo acconciarmi suo avviso : polche parmi Egloga I di Virgilio trad. 303 che non bene rispondano al Ialino. Non ogni pino, non ogni arbusto, non ogni ruscello chiamava Titi- ro , ma quei pini , quegli arbusti , e quei ruscelli che erano là dove slava Amarille, la quale, non ri- tìnendo dall'invocare il suo Titiro, faceva sì che an- co le cose insensate ne ripetessero il nome. Traduzione dello Strocchi. Tiliro. 0 Melibeo che far dovea ? Non io Polca di schiavo uscir, né trovar sensi Ugualmente cortesi in altro dio. Quel giovine là vidi, a cui gì' incensi Su pe' gli altari nostri in ogni sole Sono per sei e sei calende accensi. Questo rispose a me pronte parole : Servi, seguite a pasturare i buoi, I tauri ad aggiogar come si suole. Traduzione del Marchetti, Titiro. Che far ? né modo a trar mi di servaggio, Né altrove al pregar mio sì fausti numi Trovar polca. Vidi io colà quel saggio Garzon, cui fanno di votivi fumi A ciascun mese l'are nostre omaggio : Dolce ci mi disse : I noti paschi e fiumi A' buoi rendete, o poveri pastori. Ed aggiogate, come prima, i tori. 304 Letteratura Dirò che molto mi garba la traduzione del Marchetti: Né altrove al pregar mio si fausti numi Trovar potea ; e poco quella dello Strocchi : né tro- var sensi Ugualmente cortesi in altro dio ; imper- ciocché oltre allo scemare il concetto dell'originale con que sensi cortesi^ non viene egli per l'omissio- ne àeìVaiibi ad accennare la ragione del trattenersi che faceva Tiliro in Pioma, il quale dice che altrove non poteva linvenire dei a lui tanto propizi, quan- to eragli Augusto. L'aggiunto altro a dio può dino- tare diveisità di persona, ma non diversità di luo- go ; e perciò mal risponde aWalibi di Virgilio. Traduzione dello Strocchl Melibeo. Veglio felice: i Uioi campi son tuoi, E a tue dispense assai; benché si stenda Ivi ghiaia e padul co'giunchi suoi, Non fia però che pasco ignoto offenda Le gravi madri, o di caprette estrane Maligna contagion a tue si apprenda. Tra i noti fiumi e le sacre fontane Starai, veglio felice, all'ombra fresca: E la siepe confine, onde lontane Mai non vanno api d'Ibla, a cui son esca Del saliceto i fìoi-, lieve un ronzare Spesso ti manderà che il sonno adesca. Tu quindi sentirai come sonare Fa l'aria a pie d' un'alta balza il canto Di chi sta gli arboscelli a disfrondare: Egloga I di Virgilio trad. 305 Le a le diletle colombelle intanto La loca voce , e dagli aerei uidi Non cesseranno lortorelle il pianto. Ti tiro. Lo snello capriol tia che si guidi A pasturar nella celeste piaggia, Ignudi i pesci il mar lasci sui lidi^ O dell'Arari a bere il parto traggia, 0 del Tigri il germam, pria che la cara Immagine di lui dal cor mi caggia. Traduzione del Marchetti. Melibeo. Avventuroso veglio! I tuoi terreni i Tuoi saran dunque, e tuo quanto a le basti, Benché sterile ghiaia ai prati ameni E ingombra di vii giunco aequa or sovrasti, Non fìa che sconosciuta erba avveleni Tua greggia, o morbo dell'altrui la guasti: Qui a'fiumi usati e a'sacri fonti in mezzo Godrai, veglio beato, il fosco rezzo. Qui la propinqua siepe, che nutrica L'api de'fiori delle salci amare, Al dolce sonno udrai da la fatica Te con rombo lievissimo invitare; Lo sfrondator sotto la balza aprica Suoi versi all'aura spanderà; le care Colombe tue non taceranno, e insieme La tortorella che dall'olmo geme. G.A.T.CXXIII. 20 30G Letteratura TUlro. E dovrà per ciò stesso in pria vedersi Pascer gli eterei campi il cervo lieve, Prima il mar lascerà nusli e dispersi Tutti sul lido i pesci ond'egli è greve, Prima la Sonna vagabondi i persi Beranno, o il Tigri chi la Sonna beve, Che di quel volto affabile e sereno L'immagin si dilegui entro il mio seno. Sono di credere che ognuno farà buon viso alla tra- duzione del Marclietti, i tuoi terreni Tuoi saran dun- que ; e non troverà altrettanto comendevole quel- la dello Strocchi, nella quale è ommesso Yergo^ ed il futuro manebunt è reso col presente san ; imper- ciocché non solo sono di Titiro i campi, ma, ciò che più monta, rimarranno suoi anche in avveni- re, nullostante l'assegnamento fattone ai veterani. Mancano nello Strocchi gli aggiunti espressivi di 'ghiaia e giunco^ manca l'articolo ai nominativi api e tortorelle^ ed è con poca chiarezza e proprietà apposto il segnacaso, invece dell'articolo, nel verso Maligna contagion a tue si apprenda. E il canto che fa risonare l'aria, e non l'aria il canto, come per la collocazione delle parole taluno potrebbe essere condotto a credere leggendo nello Strocchi; essen- doché la nostra lingua manca d'inflessioni nei casi- e non ha articolo proprio nell'accusativo. Il non badare a queste minuzie produce soventi ambigui- tà , come osserva il Giordani , e toglie allo stile EGLOGA. I DI Virgilio trad. 307 quella tanto cara e necessaria lucentezza, che dà sì spedito l'intendere. Anche nella risposta di Titi- ro si è tralasciato queWergo, che si bene annoda le parole di questi col precedente favellare di Me- libeo. Il cervo poi non è da confondersi col ca- priolo, né credo sia lecito nel volgarizzare il fare di siffatti cambiamenti. Senza che io moltiplichi in parole, voi rileverete per voi stesso come il Mar- f^hetti siasi tenuto lontano da somiglianti diffetti. Tradczione dello St rocchi. Melibeo. Noi parte in Libia di fontane avara, A Creta, a Scizia andrem; parte a britanna Gente, che dalle genti si separa. Quando sarà che della mia capanna Io mi riduca a riveder l'ordito Colmo de'cespi dì palustre canna? Povera stanza mia, mio regno avito! Quando per volger di sestili molti Farò ritorno al mio paterno lito? Queste pingui maggesi, e questi colli Perverranno a guerrier di pietà scemo? Uomo estrano farà questi ricolti? Vedi a che genti seminato avemo JjC semenze ne'campi; ecco per liti E per brighe civili a qual estremo Son divenuti i ciUadin partiti! Ora va, Melibeo, le pere inserta. Ora in ordine e a fìl poni le viti. 308 Letteratura Su via, caprelte mie, jireggia deserta, Felice un dì; non io nel verde speco Prosteso ti vedrò pender dall'erta: JNon desterò co' versi miei più l'eco; Né tu citiso e salci carpirai Sotto il vincastro mio. Titiro. Stanotte meco Qui su verdi posar foglie potrai; Frutta e giuncate qui, castagne molli; Ecco lassù fumar le ville ornai, E più lunghe cader l'ombre dai colli. Traduzione del Marchetti. 1 Meliheo. Ma noi n'andrem per via lunga d'affanni Chi a la Scizia, chi a'torridi affricani. Altri al rapido Oasse, altri a'brilanni Liti, da noi, quanto è il mondo, lonlani ! Or fia che dopo molto volver d'anni Io prema ancor questi diletti piani? Che dietro a messe debile e mal folta Del mio piccol tugurio uiì'altra volta • Io scorga il tettarci d'alglie intrecciato? Ch'io mai riveggia il |)overo mio regno? Dunque sì pei novali empio soldato Sarà di posseder fatto oggi degno? Mieter dunque ad im baibaro fìa dato Egloga I di Virgilio trau. 309 Questa copia di biade? Ecco a qual segno Ne trasse ohimè la cittadina {juerra, Ecco a cui seminato abbiam la terra! Poni or le viti a fil, spendi ora tempo A nestar peri, o Melibeo, con arte! Itene pur, greggia felice un tempo, Ite, caprette mie, di parte in parte. 10 più non vi vedrò nel caldo tempo, A fresc'ombra giacendomi in disparte, Pendere dalla rupe ispida e scabra: Chiuse avrò sempre a ogni canzon le labra. Né condurrovvi ad isbrucar più mai 11 citiso e le salci, o mie caprette! Titiro. Ma tu posar stanotte almen potrai Sulle frondi qui meco. Ho poma elette. Molli castagne, e presso latte assai. Già in lontananza fumano le vette Degli abituri, e già l'ombra discende Dagli alti monti, e più e più si stende. Si è notato di sopra lo scherzetto ha tutto in tiUla; qui pure ne abbiamo due: gente che dalle genti: seminalo avcmo le semenze; il qual ultimo modo però a tempo usato e con parsimonia può recare molta forza al discorso. L'en unquam^ tradotto dal Marchetti in or fia chc^ mi quadra assai più del quando sarà che delio Strocchi; perchè mi sembra che il quando accenni l'incertezza del pastore in- torno al tempo, in cui deve accadere il suo ritor- 3 1 0 Letteratura no, mentre l'altro modo mette in dubbio eziandio se debba mai avvenire. Mi ha assai dell'oscuro quel ordito colmo de'cespi; ed al contiario quanta cara semplicità dimora in quel iellarel d'alghe intreccia- to\ Tutto il terzetto dello Strocchi che viene, ap- presso, è un'inutile ripetizione di quanto è detto prima , colla sola ajjgiunta dei sestili molti , che certo non è una {jemma. Né qui è da passar sotto silenzio, ch'egli non ha felicemente ritratta la va- ghissima pittura della mano maestra di Viigilio , ricopiata con fedeltà dal Marchetti, stemperando in due terzine i tre versi latini, e dimenticando nel suo volgarizzamento quelle alquante spighe, dietro cui scorgesi l'umile tugurio ricoperto di cespi , le quali con la loro radezza ben danno a divedere l'abbandono, in che è lasciato il campo, divenuto perciò povero ed infruttuoso. Paragonate di grazia le due traduzioni del latino Eh quo discordia cives perduxit miseros^ e ditemi se in troppe parole non è andato lo Strocchi, e se non è vinto anche qui della mano dal conte Marchetti. Il volgarizzatore devesi attenere scrupolosamente all'originale, né gli è lecito invertere l'ordine, nel quale sono collocati i pensieri; e ciò massimamenle quando si hanno alle mani cotali scrittori, che tutto hanno disposto per assegnata ragione, né pioc(!dono a capriccio. Perché dunque lo Strocchi ha nella sua versione posto prima quello stupendo En queis consevimns agros] che yien dopo all'epifonema: En quo discor- dia cives perduxit miseros'ì Quanto di forza e d'e- videnza dimora in quel en iterato! Il Marchetti l'ha pure ripetuto. Non istarò a nolaje, che non trova- Egloga I di Virgilio trad. 311 si nel latino quel deserta aggiunto a greggia-^ ma vi dirò schiettamente che non saprei menar buono il tradurre me pascente colle parole sotto il vinca' Siro mio. So bene che col segno si è voluto signi- ficare la cosa in esso simboleggiata; ma io tengo che molta discrezione sia da mettersi in opera nel- l'usare di sififatle figure, potendo talvolta esser con- dotti per esse a falsare i nostri concetti. Chi direb- be, per modo d'esempio, che Tizio impara di leg- gere sotto la sferza di Caio, per significare che que- sti è il suo maestro? Certo ninno il direbbe; sep- pure non avesse a far menzione di chi invece di porgersi amorosa guida , rendesi colla verga aspro e crudele correttore. Il Irasponimento che s'incon- tra nel verso Qui su verdi posar (rondi potrai., mi richiama alla mente quelle parole del Giordani: Es- sere le inversioni odiose alla nostra schiettissima lin- gua. Nella quale ben raro è che riescano utili; e non poco nuocciono alla chiarezza ; e più ancora alla grazia e alla necessaria apparenza di naturalezza. Né punto bisognano alla nostra poesia., la quale non ha mestieri di alzarsi e camminare su questi tram- poli.^ da lasciarsi a scrittoruzzi miserabili che non hanno né ali né gambe. Sentenza invero troppo as- soluta e severa (poiché le trasposizioni, come ha magistralmente addimostrato il Fornaciari, tornano, bene adoperate, assai oppojtune ed efficacissime, e vennero usate felicemente danostri più insigni scrittori) : ma che ho voluto riportare , parendomi che lo Strocchi talfiala ne abusi e in questa egloga e nelle altre. Non è certo biasimevole il verso so- prallegato, ed anzi è da lodarsi tanlo per la sua 312 Letteratura chiarezza, quanto per l'armonia; e sebbene il Mar- chetti non porga esempio di somiglianti inversioni, nulladimeno anch'esso ne adopera alcune, a cui niu- no farà mal viso; quali sono le seguenti: Rubicon- di farà gli altari suoi. A cui serbassi penzolanti ancora Dal ramo i pomi ec. Tutti sul lido i pesci. L'ellissi del verbo rende alquanto duro ed oscuro nello Strocchi il verso Frutta e giuncate ec; né forse sarà chi ne lodi il volgarizzamento del verso Et iam summa proeul villarum culmina fumant.-Ecco lassù fumar le ville oma?'.-Perchè porre nel dimenticatoio quel proeul tanto significativo? perchè hr rispon- dere il lassù al culmina , che dinota i comignoli , le vette delle ville, le quali potevano anche essere rispetto ài pastori in luogo basso? Ma io sono entrato in mare profondo senz'av- vedermene, ed è tempo che raccolga le vele. Che puossi inferire dalle mie osservazioni? Se esse sono ragionevoli e giuste, questo vero: che lo Strocchi non è riuscito a buon fine, ed il conte Marchetti ha aggiunto tal segno che non lascia più speranza ad alcuno di potere, italianizzando la Buccolica, non dico sorpassarlo, ma nemanco raggiugnerlo. Vorrei avere tanto di tempo e d'ingegno da poter mette- re in palese tutte le bellezze della traduzione del Marchetti, della quale si può asserire senza tema d'esagerazione, che se fosse dato a Virgilio di leg- gerla, certamente la troverebbe degna di sé sotto ogni rispetto. Forse voi mi chiederete perché io ab- bia scelta, instituendo il confronto, la traduzione dello Strocchi, mentre altre ne possiede l'italiana letteratura che entrano molto innanzi a quella; ed Egloga I di Virgilio trad, 313 io y\ rispondo che mi sono appi^jliato a lui, come al più recente e nolo traduttore, e d'altra parte col- tissimo ingegno, cui l'Italia avrà sempre in altissi- ma estimazione. Ho letto l'Arici e il Manara, i quali per dir vero colla lluidità e naturalezza del verso, e colla semplicità dello stile s'accostano molto all'au- tore latino, e meglio ne rappresentano il ritratto. Ma chi può pareggiare il conte Marchetti nel fino magistero del verseggiare, nell'eleganza delle frasi, nella fedeltà ed accuratezza in rendere italiane le parole ed i concetti di Virgilio, quali sono , senza aggiunte e mancamenti? Non mi è concesso di accen- narvi tutto quanto ho rilevato leggendo questi due traduttori, da che mi mancano il tempo e le forze; ma non voglio però lasciare di scriverne qualche coserella, come a saggio, sperando che da voi sup- plirete alla mia insuificienza. Prendiamo il Deus no- bis haec olia fecit: Namque erit ille mihi sempre Deus'^ e ditemi in fede vostra quale sia la migliore delle tre traduzioni: Questi ozi e questa pace A noi con- cesse un dio; quegli che dio Avrem pur sempre,^ (k\'\c\).- Questi ozi a nui Fe'un dio; cliei sempre a me, qual dio, fta santo (Manara).- A noi questi dol- ci ozi ha fatto un dio^ Che qual dio sempre ci si terrà da noi (Marchelti).-Più innanzi, Vhaìic etiam vix^ Tityre^ rfuco, è italianizzato dall'Ariel E questa ancor mi segue a mala pena^ verso bello per ar- monia imitativa, ma che oltre essere infedele all'ori- ginale, guasta l'immagine tutta naturale di Virgilio, il quale con quelle poche parole ci ha messo da- vanti agli occhi non solo la pena durata dalla be- stiuola, di fresco alleviatasi del portato, nel tener dietro al pastore, ma ancora lo stento sostenuto da 314 Letteratura questo nel pararla innanzi. Il Manara ha d'uopo per la rima d'aggiungere aìVelce cava l'epiteto di fosca, ohe non è nel latino: e l'Arici ha tradotto il virgi- liano Alias inter caput extulit iirbes, - Ma tra le ville Leva Roma a quel modo il capo altero ec. - nel qual luogo il vocabolo villa, nel senso di città, può in- generare equivoco. L'Arici ha stampato il latino Et qua tanta fìat Romam tibi caussa videndi (recato in italiano dal Marchetti E che mai ti sospinse a vedev Roma ) in questi due versi : Ma come e quando in te surse desìo Di veder Valla Roma^ e che ti mosse. L'aggiunta di speranza nel verso dello stesso tradut- tore Volger d'anni e speranze a me sorrise:, Longo post tempore: là dove parlasi della libertà , non bene si collega con quanto è detto poco prima, cioè ch'ella ragguardò al pastore inerte, che è quanto dire non curante di essa. Superfluo è 1' aggiunto benigni in questo luogo dell'Arici ne più benigni e propizii gli dei., ed è da osservarsi che avendo detto Virgilio; Hic mihi responsum primus dedit ille petenti: non po- trà lodarsi la traduzione dell'Arici Questi cortese- mente a la richiesta Precorrendo., ne disse:, pei-chè il petenti e il dedit responsum mostran ben altro, che il prevenire la domanda. Quel primus ha forse in- dotto il traduttore a credere che Augusto, senz'al- tro, al solo vedere Titiro o chi in lui si raffigura, gli concedesse di ritenersi i suoi campi , ma quel primus devesi intendere in altra guisa, cioè che di quanti Titiro avea pr^egati. Augusto pel primo avea esaudita la sua preghiera. Tutto è bene collegato chi pon mente al Nec tam praesetUes alibi cognosce- re divos. Osserva il Colombo che si richiede gran- Egloga I di Virgilio trad. 315 de studio negli accozzamenti delle parole , i quali allora soltanto saranno propri^ quando sieno affatto conformi alla congruenza delle idee ed alVindole del- la lingua^ il quale preceUo mi è venuto a mente nel leggere il verso del Manara: Ronzando al sonno inviterà i tuoi lumi: parendomi che se ottimo tra- slato si è il chiamar lumi gli occhi, noi sia però in questo luogo, dove l'ufficio degli occhi non è quello di vedere o di sfavillare, ma di chiudersi al sonno. Quante cose ha trasandate l'Arici nell'italia- nizzare questi versi ! En iinquam patrios longo post tempore fines Fauperis et tuguri eongestum cespite culmeu Post aliquota mea regna videns^ mirabor aristas'l . . . . E dopo lungo Volger d'anni non fìa che ritornando Della patria ai confin^ rivegga ancora Della povera mia dolce capanna Sorgere il tetto e tremolar le messii Questa cara pittura fiamminga, serbata intatta dal Manara , è con fedeltà e leggiadria ricopiata , come ho di sopra osservato, dal pennello del Mar- chetti. Ma io non finirei più (e già mi grava d'a- vere abusata la vostra sofferenza) se volessi conti- nuare la comparazione, la quale v'assicuro che tutta rìusciiebbe a convalidare la mia opinione circa il lavoro del Marchetti. Deh perchè il cielo non gli concede tanta salute, quanta gli è necessaria, a pro- seguire e condurre a termine il volgarizzamento di tutte le egloghe di Virgilio ! L'Italia avrebbe ad 316 Letteratura allegraisene assai, ed il nostro Parnaso sarebbe mol- to lieto del nuovo vaghissimo fiore trapiantatovi dal- la mano di tanto cultore. Voi,, sig. abate onorandissimo, che avete la bella ventura d'essere famigliare del Marchetti, non cej?- sate d'adoperarvi a fine che i voti di tutti coloro, i quali hanno in pregio ed amore le italiane lettere, sieno soddisfatti, ed il principe de'lirici ausonii cin- gasi ancora di questa novella onorevolissima corona. Perdonatemi la lunghezza della lettera , la povertà delle osservazioni, l'ineleganza dello stile; e conser- vate la vostra grazia e benevolenza a chi sì pro- fessa. Di voi, sig. abate, P>ologna il 2 marzo 1861. Afflilo servo ed amico ENRICO SASSOLl D. S. Solamente dopo tarminata questa lettera mi è capitata alle mani la raccolta delle poesie gre- che e latine volgarizzale dal cav. Strocchi, uscita a luce in Faenza nel 1843, In essa ho trovato che alcuni mutamenti vennero fatti dall'esimio autore anche nella traduzione dell'egloga, di che v'ho in- trattenuto. Il quarto verso ora si legge così: Qui tu in ozio^ Amarille alle foreste-^ dove lo Strocchi incastrando il lentus in timbra, la cui mancanza ho di sopra notata, ha poi lasciato da parte il formo- som di Virgilio. Il decimo verso è stato cangiato nel seguente: È sua mercè se miei giovenehi invio. Egloga I di Virgilio trad. 317 Nell'anlipenullimo si é afygiunlo dopo giuncate un e, che io non so se dai grammatici sarà approvato, parendomi che un sifFalto uso della terza persona singolare del piesenle dell'indicativo di essere stia qui a pigione, e non si possa facilmente difendere con buone ragioni. Gli ultimi due versi leggonsi in tal modo acconciali: Fumano i colmi delle ville omai^ E lunga Vomhra più stendono i colli; con che si è tolto il lassù, che ho detto potere indurre equi- "voco", ma non si è però provveduto alla mancanza del procul^ certamente non inutile nel latino poeta. Annotazioni del Marchetti alla sua versione. Pag. 296. Di gracidare Cqui preferito per dolcezza di o), esempi. suono), in luogo di crocilare, non mancano buoni Pag. 301. Namque, fatebor enim, duoi me Galatea teaebal, Nec spes libertatis erat, nec cura peculi. Se Titiro non curava del peculio, il quale era mezzo a redimersi di servitù, ne segue ch'egli della libertà non curava. Laonde ho stitnato che per quel- le paiole nec spes liberlatis crai s'avesse ad irUcn- dere che Titiro, perduto di Galatea, più non sen- tiva in suo cuore il desiderio e la speranza della libertà. M in fjuesla opinione mi ha confermalo il fdlelfor enim:, donde ap[)arisce, a mio avviso, com' 3 1 8 Letteratura epli allora ve rjfjog nasse di aver tenuto per colei sì lungamente in non cale qualunque cura e pensieio Ho tradotto né servitù mi dolse: parendonoi che ciò tanto valga, quanto ìion curai della libertà. AGGIUIVTA. de' compilatori del giornale arcadico Non per fare alcuna opposizione alle cose di- scorse qui savissinaamente in lode del celebre signor conte Marchetti (che anzi di cuor sincerissimo le approvianno), ma per non vedere dall'egregio signor avv. Sassoli ricordate tra le più belle traduzioni della Buccolica di Virgilio, insienne con le altre del Manara, dell'Arici e dello Strocchi, quella del nostro illustre collega marchese Luigi Biondi, repu- tiamo far cosa grata l'aggiungerla in questo luogo: stimando che il volume, dov'è stampato, non sia forse conociuto abbastanza fuori di Roma. Il Bion- di , colla rara eleganza e gentilezza eh' ora da lui, volgarizzò non pure l'egloghe di Virgilio, ma sì quelle di Calpurnio siculo, le attribuite erroneamen- te al cartaginese Neraesiano, l'undecima del Petrar- ca, e le piscatorie e le salici del Sanazzaro: le quali, unite insieme, uscirono in un volume, dopo la morte del traduttore, con questo titolo: Egloghe di Virgilio., di Calpurnio.) di Nemesiano, del Petrarca e del Sa- nazzaro., volgarizzate dal marchese Luigi Biondi ro» mano. 8." Roma., tipografia delle belle arti 1841. Ora la prima egloga virgiliana così dal lodato nostro collega è volgarizzata. Egloga I di Virgilio trad. 319 TiTiRO, Melibeo. Melibeo. Titiro, tu sott'ampio faggio assiso Trai suoii dall'umil canna, e ti prepari A canto agreste : io, dal mio suol diviso, Lascio la patria, e i campi a me sì cari : Tu meriggi nel bosco, per disio Ch'esso il bel nome d'Amarilli impari. Titiro. 0 Melibeo, mi fe'quest'ozio un dio : Che qual dio l'avrò sempre : a lui svenato Cadrà spesso un agnel del gregge mio. Ei, tu'l vedi, assentì che per lo prato Errin miei buoi, e che su quest'arena l'canti quel che più mi torna a grato. Melibeo. Invidia no, stupor me prende. E' piena Di tumulto ogni villa : i'son già lasso Via spronando le capre, e traggo a pena Questa che or die qui fra i nocciuoli, ahi lasso 1 Duo figli, speme della greggia mia, E abbandonati gli ha sul duro sasso. Spesso le querce che '1 fulmin colpia, Se men cieca era l'alma, i dì m'avieno Premostrati di questa tiaversìa : 320 Letteratura E la cornacchia, infausto augel, non meno Ne gli avea, dalla cava elee, predetti. Bla qual sia questo dio narrami appieno. Tiliro. La città, detta Roma, io mi credetti Che simil forse (oh stolta opinione 1 ) A questa, u' spesso andiam cogli agnelletti. Così il cane al cagnuolo, in mìa ragione, E alla capra il capretto era simile-, E dal grande al piccin fea paragone. Ma tanto quell'altera e signorile Sovra ogni altra città la fronte pose, Quanto il cipresso sul viburno umile. Melibeo . E che mai fu che quell'andar t'impose ? Titiro. Libertà, che a me pigro i tardi rai Volse (e il tosato pel dalle rugose Guance più bianco già cadeami). Assai Tardò, ma venne, poi che Galatea Mi sciolse, e ad Amarilli io mi donai. Perocché mentre quella mi tenea. Il confesso, non io di libertate Speranza, o cura di peculio avea. Portai vittime molte alla citiate Ingrata, e pingue cacio^ né potei Tornar mai colle man d' oro gravale. Egloga 1 i>i Virgilio trad. 32 Melibeo. M'era ijjnolo, o Amarilli, a che (jli dei Tu invocassi tra'l tluol, per chi alle piante Lasciassi appesi i pomi lor più bei. Titiro, or io l'intendo, era distante : Te allor, Titiro, i pini e gli arboscelli, Te chiamavan le fonti tutte quante. Titiro. Che far? Né mi licea fuori uscir delli Ceppi di servitù, né trovar numi Altrove a me benigni come quelli. Ivi a quel giovin dio volsi i miei lumi, A cui, dodici dì , fìa che s'infiori In ciascun anno l'aitar nostro, e fumi. Ei pronto al mio pregar disse : 0 pastori, Così come in addietro usi eravate, Pascete i buoi ed aggiogate i tori. Melibeo. Felice vecchio ! a te dunque serbate Saran tutte tue ville : e non le chiude Piccolo spazio, come che ingombrate Sien d'ogni intorno dalle pietre ignude, E di limosi giunchi ricoverte Nelle prata la giù dov'è palude. Né fìa che a paschi non usate incerte Vadan le pregne torme, e sien d'ignote Vicine mandre dalla \wi deserte. G.A.T.CXXIII. 21 322 Letteratura Felice vecchio 1 qui presso le note Riviere, e i sacri fonti, il venticello Goder potrai, che le fresche ombre scote. Qua la siepe, che il tuo parte da quello Del tuo vicin, la siepe, u'gl'iblei sciami Suggon sempre de'salci il fior novello, Col sussurro leggier fia che ti chiami A sonneggiar : là sotlo l'aspra vetta Cantare vidrai lo sfrondator de'rami : E in un con le palombe, tua diletta Cura, che i rochi lai non cesseranno, Dall'olmo gemerà la tortoretta. Titiro. Pria dunque i lievi cervi si vedranno Pascer per l'aria: e i flutti in sulla spiaggia Nude l'equoree torme lasceranno ; Pria r Arari berran, mutando spiaggia, Gli esuli parti, e il Tigride i germani, Che la immagin di lui dal cor mi caggia. Melibeo. iVIa noi spersi ne andrem, chi agli alFiicani Arsi, o àgli sciti^ chi al cretense Gasse, 0 ai britanni dal mondo sì lontani. E fia giammai che il sol, volgendo l'asse, Mi arrida un giorno, in ch'io tornar pur deggia Al confin patrio ! E dietro poche e basse Spiche, maravigliando, alfin riveggia Ripien di cespi il tetto dell'amalo Poveio casolar, che fu mia reggia ! 4 Egloga I di Virgilio tf.ad. 323 JDuiKjuc sì bei novali un fier soldato ? Un barbaro s'avrà le messi alCrui t Ecco dove discordia ba trascinato Gli afilitli cittadini : ecco ecco a cui Ponemmo i semi ! Innesta or peri, e schiera Le viti, o Melibeo, ne' terrea tui 1 Ite, o caprette, gregge che un giorno era Sì febee ! Non io, steso in romito Verde speco, vedrò la vostra schiera Pender dalla boscosa erta, né udito Veirarvi il cantar mio, pascendo voi La salce amara e il citiso fiorito. Titiro. Ma questa notte qui potrai, se vuoi, Meco su veidi fronde in securtade Posar : non mancan miti poma a aoi, Molli castagne, e in molta quanlitade Latte rappreso. Ve', già di lontano Fumano i tetti delle ville, e cade L'ombra maggior degli alti monti al piano. •^'-^i^s- 324 Della vita e delle opere di Alessandro Tassoni^ per Ignazio Ciampi. ( Continuazione e fine. ) PARTE SECONDA N< on è certo aggradevole fatica quella che si adope- ra nella ricerca delle edizioni fatte delle opere de- gli autori, e dei manoscritti ch'essi per avventura lasciarono sparsi o nascosti. Che essa sia utile, spe- cialmente se abbellita di buon successo, non tocca a me il provarlo, né mi prenderò l'assunto di dir cose già viete. Ma non può nemmeno mettersi in dubbio, che alla maggior parte dei leggitori sia increscevole il secco novero di titoli e di date e l'arida pompa di notizie, che alla comune degli uo- mini non danno prò né diletto. Sangue e vita vuo- le avere il libro, che si porge a leggere altrui: cia- scuno, che vi lascia scorrer gli occhi sopra, deve senza molta difficoltà cavarne quell'utile che si possa maggiore. Laonde non istimo strana del tutto la sen- tenza di un dotto uomo mancato non ha molto ai viventi : doversi cioè i libri dividere in due parti : l'una, che contenesse ciò che a tutti o a quasi tutti fosse capace di apportare piacere ed utilità ; per l'al- tra, come in fuordopra si riserbasse Lutto ciò che meno può importare ai più, e che solo può eccitare la curiosità di coloro, i quali volessero più special- mente erudirsi nella materia, di che si tratta. La qual cosa non mi pare che abbia ostacolo che dalla sola VlTxV E OPERE DEL TASSONI 325 difficoltà del farla ; e tanto è ciò vero , che quell' erudito stesso, che proferiva siffatta sentenza, si dice che mancò appunto a questo suo detto, e libro non fece che non fosse coperto di cose inutili . A me però è parso di coformarmi un poco a questo pre- cetto: ed ho stimato di dover mettere in una parte ciò che senza noia di moltissimi non poteva porsi nell'altra. Grandi fatiche intraprese e compì Alessandro Tassoni; perchè non credeva esser cosa da pigliare a gabbo il volere esser poeta e filosofo, e potersi, scroc- candosi fama, trapassare alla posterità. Postillava i libri ch'ei leggeva, tanto che di sue cose è disperso gran nu- mero in Italia e fuori. Pertanto era necessaria mag- gior cura a rifrustare ciò che di lui rimanesse e do- ve, di quella che per me non si è potuta adoperare. Il Muratori , il cui nome ne occorre sempre ogni qualvolta si tratti di letterarie o storiche investiga- zioni, mi ha dato gran copia di notizie, come varie altre me ne ha porte il Gamba nel suo libro de'lesti di lingua. A questi due e a qualsiasi altro ho reso il dovuto onore ovunque me ne han dato il destro. Il Gamba in ispecie mi ha dato aiuto circa alle edi- zioni : delle quali ho indicato la maggior parte: molte insegnatemi da altri : molte da me stesso vedute co' miei propri occhi . 326 Letteratura Edizioni della Secchia rapita 1G22. La secchia, poema eroicomico di Andino - vindi Melisom cogli argomenti del canonico Alberta Barisoìii, aggiuntovi il primo conto delVOceano. Pa- rigi , per il Toussainl du Bratj ( è scritto Tussan du Bray) in 12." Si crede che a questa edizione coopeias.se il Marini , che allora era in Francia : cerlamenJe vi diede opera Pier Ivorenzo Barocci , .sep;retario del marchese di CaHuso. Per una nota del Salviaui (Tas- soni) alla stanza 42 del canto VII si ha la rajjione, per la quale vennero mutati alcuni versi delle stan- ze 39 e 40 ( e. A'II ) di questa edizione. L'orig^i- naJe dicea : E Castìgflion fra le percosse mura Sotto si cacherà della paura. Pregando il conte Biglia in finocchione. Che venga a far cessar quella tempesta ; Spiegando di Filippo il gonfalone, Con una spagnolissima protesta. Questi versi furono mutati così : Ma Castiglion fra le percosse mura Minaccerà al nemico aspra ventura. Ecco poi il conte Biglia alla tenzone Moversi, e far cessar quella tempesta Spiegando
  • Esiste questo manifesto a penna, ma la » riverenza dovuta a personaggi tanto riguardevoii » non gli dee permettere il passaporto alla luce ; » perchè sebbene non manca l'autore di rispetto a » que' sublimi principi, pure ecc. » [Murat}^ piscorso in biasimo delle lettere. il Muratori afferma che da don Antonio Saltini fu trovato nella libreria vallicelliana de'pp. dell'orato- rio di Roma, e che sembra scritto di piopria mano del Tassoni, e incomincia : Literarum secreta ecc. Io ho difalti trovato nella biblioteca vallicelliana , nell'indice attribuito al Tassoni, un ms. intitolato : Diseursus in vituperationem literarum-, item de lau- dibus literarum et armorum. P. 64 num. 6. Vita e 01>ere del Tassoni 335 Un volume di lettere diverse. Erano scritte ai più famosi letterali del tempo, ed alcune a Niccola Fabrizio Peirescio- - Apud hae- redes cardinalis Estensis (Leone Allacci). Eredi del cardinale Estense furono i pp. teatini di Modena. » Ma il codice non e' è più : avrà messe le ali. » (Muratori.) Alcune lettere ha pubblicate il Gamba Della guerra della Valtellina. Lib. IL Nescìo an absolvit. (Leone Allacci, Apes urbanae. Ro- mae 1633.) Ristretto degli annali ecclesiastici e secolari , con diverge considerazioni politiche e particolari im- portanti aggiunti alle cose dette dal Baronio e da altri. Tre copie di mano dell'autore sono in Modena: una a Parigi nella biblioteca del re : un'altra si trovava presso Giuseppe Bossi, la quale fu venduta a un inglese. Nella biblioteca casanatense di Roma ve n' ha una copia segnata così : XX. Vili. 11. - XX. Vili. 12. Sono però due soli volumi, cioè il secondo e il terzo, mancando il primo ed il quarto. Quelli che esistono sono in foglio ordinario e legali in carta pecora. Il secondo volume comincia dall'anno di Cristo 306, e si conduce a tutto il 475. Il terzo vo- lume dall'aono 476 a tutto il 756. Quello è di fo- gli 451 , questo è di fogli 393 non numerati a tergo. Ecco due brani di essi annali per saggio delio stile, che vi si adopera. 336 Letteratura » Anno 309. Occorse in questi medesimi tempi il caso di s. Eufrasia vergine di Nicomedia , finto poi dall'Ariosto poeta nella persona d'Isabella e di Rodomonte. Questa essendo stata racchiusa in una stanza con un soldato, perch'ei la stuprasse, gli die- de ad intendere di esser maga e di avere un li- quore, del quale ungendosi la carne, diveniva im- penetrabile contro al ferro ; e perchè egli si mostrava duro a crederlo, gli offerse di farne la prova in sé stessa ; ed ungendosi il collo di cert'olio, che aveva seco , l'indusse a sfoderar la spada ed a ferirla di tutta forza ; onde l'incauto le troncò il capo, ed ella morendo salvò la virginità. L' istoria è descritta da Niceforo. » E raccontando del vescovo Giorgio ucciso dagli alessandrini nell'anno 302: » . . . Saggiamente il sig. Paolo Carson(?), genti- luomo nizzardo molto erudito , avvertì che questo luogo non era stato molto ben considerato dal Ba- ronio, perchè nò Giorgio era stato ucciso per ta- gliare i ricci a' fanciulli, né Diodoro, che era quel- lo che li tagliava, lo facea a fine di farli chierici, ma per levare la superstizione che aveano i figli de' gentili di portare i capelli lunghi sino ad una certa età, per consecrarli poi la prima volta che se li ta- gliavano a qualcuno de' loro dei. Usavanlo i greci fondatori di Alessandria, onde Plutarco nella vita di Teseo : Vigehat et illis temporibus consuetudo^ ut qui ex ephehis excessissent , delati in Delphos de comis Beo primitias darent. E Nonio disse anch'egli : Cir- ros ad Apollinem apponere solent. Usavanlo i galli: onde Silio Italico poeta . Vita e opere del Tassoni 337 Oceubuil Sarmens^ flavam qui ponere Victor Caesariem^ criuemque libi^ Gr adive, vovebat. » Ed usavaiilo i germani , onde Cornelio Tacilo nei quarto delle istorie : Civilis barbaro volo pro- pexum ruUlatnmque crinem., patrata demum legio- fiutn coede , deposuit. Ma ira gli occidentali e gli orientali vi era qualche divario : che gli orientali, lascivi, portavano la zazzera e i ricci per parer più belli, e se li tagliavano quando cominciavano a met- tere la barba ; ma gli occidentali li portavano in segno di non aver fatta azione alcuna virile; e pe- rò , subito avuta qualche vittoria in guerra , se li tagliavano; e come quelli votavano i loro ad Apollo dio della bellezza , cosi questi li votavano a Marte d io del valor militare. » Postille critiche alla prima edizione del vocabo- lario stampato in Venezia 1612. (i L'originale si trova presso i fratelli Medici di Modena, nipoti del dottor Bernardino Ramazzini. E un altra copia dello stesso vocabolario, dell'edizione del 1623, con le stesse postille in margine di mano del Tassoni era in Roma nella biblioteca de' pp. di s. 0- nofrio » corno assicura il sig. Vandelli ». [Marat.) E assicurato dal Vandelli e dal Muratori mi sono portato a sant'Onofrio, in quel sacro ritiro do- ve tutto spira la memoria di Tasso. Nell'indice della biblioteca ha rinvenuto segnato il Vocabolario colle note di propria mano del Tassoni. Credei già di toccarlo; ma ahimè! Il buon frate, che mi accom- G.A.T.CXXIII. 22 538 LEtTERATURÀ bagnava nella ricerca, strabiliò, il libro era sparilo dallo scattale. Il Muratori ben di mostra come lo Zeno s'in~ gannò stampando con nome del Tassoni le annota- zioni al vocabolario , che sono di Giulio Ottonello. Annotazioni sopra il vocabolario degli accademici della crusca, opera postuma di Alessandro l'assoni modenese. » Veneziu 1698. Annotazioni aWApes urbanae. Trovate dal sig. Antonio Saltini nel collegio de' greci in Roma. (Mm^o^) Postille a Dante, dell'edizione di Aldo. (Venetiis in aedibus Aldi MDII. in 8." Son di mano del Tassoni. >» Per attestato del Vandelli nella raccolta de' libri italiani del march. Alessandro Capponi foriere di sua santità. (Murat.) Postille aWErcolano del Varchi stampato in Fi- renze 1570. In Perugia, presso il canonico Perotti. (Murai.) Note al mondo nuovo del cavalier Tommaso Sii- tfliani. Erano presso Giuseppe Bossi segretario della reale accademia di belle arti in Milano. [R. Gironi) Postille censorie alle rime di G. Francesco Maia. Erano presso il Muratori. [Murai.) Annotazioni manoscritte al poema. Erano presso il signor Barbucchielli di Ravenna. [Muratori.) MSS. originali della Secchia. Biblioteca estense; archivio de'conservalori della città di Modena. Vita e opere del Tassoni .130 3/5. originali delle Coiisìder azioni. JNella libreria de'sacerdoli di s. Carlo a Modena, Testamento del 1612. Si trovava presso il Muratori, Testamento del 7 luglio 1630. Incomincia : >» Io Alessandro Tassoni figliuolo *> di Bernardino, ritrovandomi la Iddio grazia sano » d'ogni altra infermità di corpo e di mente, fiior- »> che d'una incurabile, che è l'età d'anni 65 ec. » Ceduto dal Muratori, Manoscritti attribuiti a Tassoni nell' indice della biblioteca vallicelliana di Roma. Tassoni Alexandri apologia prò episcopis ditiónis venetae , scripla occasione inlerdicti veneliarum ap- positi a Paulo V. L. 27 fol, 204. Eiusdem Tassoni Alexandri iudicium de scripto cardin. Baroni cantra monarchiam Siciliae. N. 10. fol. 179. Epistola scripla 16 septemb. 1632, qua dolci se a card. Baronia erroris fuisse notatum in liis., qiiae scripserat in suis libris. Q, 48 fol. 42. Eiusdem Tassoni epistola autographa , in qua sermo est de suis animadversionibus super Petrar- cham. M. 9, fol. 91. Discursus in vituperai ionem lìterarum ; item de laudibus literarum et annorum. P. 64 num. 6. Item epistola in laudem carnificis^ ibid. 340 Letteratura Traduttori delle opere di Tassoni » Scrive Leone Allaccio d'avere inteso da Ga- » briello Naudet , come il Baldovino , chiarissimo » volgarizzatore di libri , avea tradotti in francese » per istamparli i dieci libri de'Pensieri diversi del Tassoni. » [Murat.) Il Perrault tradusse in francese la Secchia ra^ pita e la stampò, accompagnandola d'un esame cri- tico, col titolo : Le seau enlevé poème héroì'comique de Tassoni nouvellement traduit d'italien en francois. Parigi 1678, due volumi in 18." Il Cedols, che alcuni vogliono fosse Dumou- riez padre del generale, tradusse parimenti la Sec- chia e la stampò nel 1759 a Parigi in 3 voi. in 12." piccolo. Il Creuzè de Lessert ne ha fatta una imitazione in versi che dicono facili ed eleganti. - Parigi : un voi. in 18.» 1796, - 2 voi. in 18.» 1798, - 1812, terza edizione. - Si trova citata nel Diclionnaire bi- bliografìque des livres rares. Paris 1789, cosi : Le seau enlevé traduit en francais par Auguste C"** 1796 in 18.» Un inglese, Ozell, pubblicò nel 1700 tre soli canti d'una traduzione della Secchia, ristampati nel .1715. Ebbero poca fortuna. Tra molli che scrissero della vita del nostro fi- losofo e poeta, merita di essere ricordato special- mente, perchè straniero, Giuseppe Cooper Valker irlandese. Il quale venuto a cercare nelle vitali aure del nostro paese un sollievo a' mali del corpo, amò Vita e opere del Tassoni 341 di divertire lo spirito per mezzo di qvielle occupa- zioni che più lo rendono nobile e generoso. Per- tanto raccolse diligentemente le memorie del Tasso- ni, e v'inserì, forse con troppa profusione, molte curiosità riguardanti alcuni uomini celebrati di quel tempo, siccome l'Aldovrandi, il Guarini, il Rinuc- cini, il Tasso, il Chiabrera e il Galileo. Ma sì presto e sì giovane egli morì , che non potè mandare a luce la sua opera, e se ne deve merto di gratitu- dine al suo fratello Simeone Valker , che la fece stampare a Londra nel 1815 (un voi in 8.°) come un monumento alla memoria di quell' infelice let- terato. Questa edizione è adornata del ritratto del poeta e di una tavola in rame designata da Neagle, la quale rappresenta il trionfo dell' esercito mode- nese. Il che mi ricorda che anche il Guercino , al dire di Apostolo Zeno, lavorò un disegno sopra lo stesso soggetto. Precedeva le schiere il capitano, che in cima alla lancia innalzava il famoso trofeo della secchia : dal podestà e dai sindaci in vesti da ciri- monia erano accolti festosamente i vincitori. E qui potrei , o lettore , darti una filatessa di chiari testimoni del valore filosofico e poetico del mio Tassoni : potrei dirti di Gaspare Scioppio, che in una lettera de'suoi Paradossi letterari^ che si na- scondono sotto il nome di Pascasio Giosippo ( quai nomi ! ) e sopra i quali ben pochi eruditi vorran correre il rischio di stemperarsi la vista; lo chiama filosofo preclaro, ornato della scienza di più disci- pline ( lettera del 1G28 n." 14). Potrei dirti di Ia- copo Gaddi, che nella prima parte degli Scrittori , e appunto nel foglio diicentocinque, lo pone quinto 342 Letteratura tra coloro , che gli paiono i primi ciilici italiani , cioè il Castelvetro, il Mazzoni, il Guarini e l'Udeno. Potrei farti maravigliare l'antichità della sua fami- glia, e potrei sciorinarti cento di queste belle coso, e citarti tomi, capitoli, carte, sol che mi prendessi la pena di sfogliare enormi volumi in foglio e mi assoggettassi a sentirmi titillare nelle narici e nelle palpebre degli occhi il pizzicore della polvere scossa. Ma siccome penso che la mia fatica non varrebbe ad altro che a denudare la mia pedat)teria, e au- mentare a te in doppia dose la noia, tanto che ne avrei il danno e le beffe; pi'endo il partito di ta- cermi e di lasciarli in pace, solo che tu mi voglia esser cortese d'attenzione a poche altre parole, ch'io non mi posso cessare di diiti. Non io soltanto, ma parecchi si son dimandati per qual causa il Tassoni, citato pure in una im- pressione del vocabolario della crusca alla voce frappalo; abbia quindi ricevuto esilio, benché egli si dimostri sì valente conoscitore di lingua, ed ab- bia fatto opera , che è, e rimarrà classica a gloria della nostra letteratura. Questa è grande ingiustizia, che non solo da lui, ma da altri de' nostri grandi scrittori si sopporta duramente : ingiustizia che certo verrà riparala dagli onorandi accadennci nell' insi- gne lavoro, a cui sì utilmente e nobilmente haimo posto mano, della quinta impressi ooe di esso voca- bolario. E d'onde si trarrà mai il codice della fa- vella, se pur non si trae in gran parie ì\a quelli , per i quali essa è da tutto il mondo conosciuta ed onorata? Per chi mai, se non per grilluslri, che il vero, il bello, Tulile scopericro, crearono, diffusero, Vita e opere del Tasìoxi 343 avrà \eg^e il culto idioma della nazione ? Per fer- mo se alzar potessero la testa alcuni grandi sepolti di quel secolo , chiederebbero , perchè Io scanno concesso ad alcuni irti ed incolli scrittori, non sia dato loro a dividere con gli alti intelletti , che vi siedono degnamente. Ne dimanderebbero severo con- to tra i matematici e i fisici il Torricelli, il Castelli e il Guglielmini ; tra gli scrittori di milizia, il Mon- tecuccoli ; tra gli storici il Pallavicino, il Bentivo- glio e il Bartoli-, tra i grammatici, il Cinonio*, tra gli scrittori di belle arti e di musica il Doni e il Bellori; tra i poeti il Guidi ed il Testi. E certa- mente ergerebbe alto il capo ilTassoni, e con quel suo piglio vivace e quella sua acuta favella ne di- manderebbe in guisa da confondere la più grave e accigliata persona. Salde ragioni starebbero da sua parte contro a tanta ingiustizia, e fra molte questa, che egli, insieme con quelli che ho detto, abbia un merito singolare al di sopra degli altri ingegni che vissero innanzi. Dal trecento insino a quell'età una beata luce si diffondea sulla terra italiana , e cosa non parca potersi fare da alcuno che seco non si portasse il suggello della bellezza, la quale d' ogni parte spirava. Per l'opposto, quando fiorirono co- storo, il cinquecento era finito in Torquato : eran finite le splendide corti di Alfonso, di Leone, dei Medici. Morivano gli amori cavallereschi, e taceva quell'agitarsi dell'armi non iscompagnale dalla col- tura dell' inlellelto. Non poetava più il nobile guer- riero dentro alla tenda, né le muse gli asciugavano la fronte al tornar che faceva alle mure domesti- che innalzale e dipinte da famosi maestri. Suben- 344 IjETTeratura travano pesti e guerre sterminatrici, delle quali ci ha dato fosco quadro il Manzoni. Gli arlisti qua- si ebbri trapassavano ogni misura del brutto e cer- cavano le inspirazioni nelle orgie de'fiamrainghi. La poesia posava in sant' Onofrio sulla pietra del pio cantore di Goffredo : un'altra, che ne avea preso il sembiante , sfarzosamente vestita, parca irridere la semplicità o la modesta pompa di quella, e gonfiava le gote a trarre gran suoni, perchè non sapeva can- tar più secondo natura. Pochi sommi si scostarono sdegnosi dalla turba : poclii, è vero ; ma il Tassoni per fermo fu tra quei pochi, che piamente raccol- sero la eredità dell'Ariosto, del Tasso, del Cellini, di Raflaele , del Palladio , e recandola riverenti per mezzo alla lue del secolo , la trasmisero, co- me fuoco sacro, almeno in parte al Maffei, al Parini, all'Alfieri, al Metastasio, al Goldoni, al Canova. AVVERTENZA Nella prima parte della vita e delle opere di Alessandro Tas- soni. (T. CXXII di questo giornale arcadico) nella pag. 239 l. 28 ove é scritto GREGORIO XV, leggasi URBANO. I tealri^ carme di Giuseppe Bozzo professore di elo- quenza e poesia italiana nella regia università di Palermo. 8." Palermo nella reale stamperia 1851. (Sono pag. 35.) I signor prof. Bozzo è di quegl' italiani , i quali più gridano alle sozzure che, merce straniera, am- morbano da molti anni le nostre lettere : mostrando così di ben conoscere anch'egli i guasti che hanno fin qui leoafo alla dignità ed onestà deVostmni. Di Carme su i teatri 345 che sia^jli resa lode non solo dai buoni della nazio- ne, ma sì dai saggi governi : i quali , meglio che forse non mostrano, debbano persuadersi che tutto l'edificio civile fondasi ne'costumi, e che tali avran- no i popoli, quali da essi saranno stati educati. Che una parte natabilissima nella educazione voglia at- tribuirsi al teatro, ninno saprebbe revocarlo in dub- bio : ed egregiamente dice il sig. Bozzo: De' delitti freno Sono le leggi : fren de' vizi sono La commedia e la satira. Richiedesi perciò che governi e sapienti gli usino intorno attentissima diligenza, perchè al tutto sia de- gno e della religione, e della morale , e di qvxanto ha di più bello e nobile la civiltà. A che dunque m esso tanti delitti ed oirori, a che tante dissolu- tezze ed infamie, a che tante abborainazioni di ogni fatta? Per l'educazione non già : e se dicasi pel di- letto, io non so che possa risultare ad altro che a danno (ed a gravissimo danno) l'abituare il popolo a dilettarsi come che sia nelle brutalità oscene de' barbari e de'selvaggi. Certo può vedere ognuno a che per l'aiuto di s"i nefande rappresentazioni siamo in fine precipitati, E si che del presente , e peggio forse del futuro, ci spaventiamo 1 Sciolto ornai ( né v'ha esagerazione) ogni freno di leggi ; scemato o tolto l'ossequio de'figli ai padri, delle mogli ai ma- riti, de'giovani ai vecchi, de'citladini ai magistrati : nomi vani riverenza di principe , quiete e conten- tezza di patria, e spesso (ciò ch'è più reo) santità di religione. Oh già, se presto una potentissima for- za non sorge al riparo, già sopra ci è il medio evo, 346 Letteratura nzsea veruna delle sue virtù, mi con tutta la ma- ledizione barbara delle sue discordie, delle sue ire, delle sue violenze, delle sue libidini, delle sette in fine e degli assassini] ! Ebbi anch'io a trattare, otto anni fa, questo te- ma de'tealri, e principalmente della tragedia, nel IV dialogo di quel mio libricciuolo intitolato L'Illustre Italia : intendendo a provare , che in tutto è bello imitare i greci , salvo in certi scellerati ed impuri argomenti delle loro tragedie: perciocché professan- do noi la fede cristiana , non abbiamo più veruna credenza al Fato, cosa ai pagani tremendissima, sic- come quelli che pieni di sbigottimento lo risguar- davano qual decreto, immutabile, dice Aristide, del sommo padre ed arbitrio dell' universo. » Tutto io diceva) nella loro teologia era governato da questa inesorabile volontà : sicché quante volle que' greci e latini vedevano sulle scene imitati i fatti di Mir- ra, di Fedra, di Edipo e di tanti altri colpevoli, al- trettanti commovevansi ad un timor sacro , china- vano umiliati la fronte, raccapricciavano delle uma- ne sciagure , cadevano in fine d' ogni orgoglio e baldanza delle proprie opere, pensando come per una spaventosa forza del cielo potesse anche la virtù inevitabilmente precipitare. A noi però tardi posteri, da lume altissimo rischiarati, non è più questo Fato: sicché mancata la stolta credenza , ed estinta con essa quella teologia che mitica nominò Varrone, at- tribuendole, a dilferenza della fisica e della civile, il regnare nelle favole teatrali , ora cotante abomi- nazioni e sozzure non ci muovono altro che orrore e vergogna. I quali se dirsi debbano seiitimenti de- Carme su i teatri 3-47 gnl d'essere risvegliati per mero diletto ed ozio in una gentil civiltà, com'è la presente d'Italia e d'Eu- ropa, lascio a voi volentieri considerarlo. » Posto il qual principio, io pur diceva: Ma cre- di tu veramente che possa purgare alcuna passione in noi , gente cristiana , il veder Medea ed Atreo commettere impuniti quelle scelleratezze : Clitenne- stra per piacere all' adultero trucidare il marito : Mirra, Canace, Fedra infiammarsi negli amori i più abbominati : Edipo , dopo avere ucciso per errore il padre, per errore sposar la madre : Eteocle e Po- linice empi fratelli trucidarsi 1' un l'altro : e tante nllre simili enormità? Purgare in noi alcuna pas- sione il tornarcene innorriditi e fieménti alle no- stre case, e quasi tinti di sangue , dopo avere in tanti aspetti veduta l'ignominia dell'umana gene- razione, ed assistito sì spesso al trionfo del vizio ed alla oppressione della virtù ! » Godo che dalle mie non dissertano le opinioni del sig. professor Bozzo : il quale stimo che fors'an- che converrà meco nel credere, essere una ragione assai frivola quella recataci dai novelli tragici allor- ché dicono com'essi ci rappresentino in tutto la sto- ria: essendoché sia certo, chi le cose considera sa- viamente, che ad altro fine fu instituito il teatro, <'he a tener cattedra di storia al popolo: come con alta filosofia avvisarono, prima Aristotele nel deci- mo della Poetica, e poi Polibio là dove nel primo dalla storia censurò Fllarco. Se la (rng?dia vuol mostrarsi degna di p;>pDli, che piegiansi di cristiani e di civili , deve in altro modo, che ojd non si fa, esser trattata: in ciò solo 348 Letteratura parendoci ragionevole (cioè per necessità di religio- ne e di costumi ) il partirci dal grande magistero de'greci. Deve cioè aver lieto fine, come quelle a un di presso che compose l'incomparabile poeta e filosofo Metastasio (chiaminsi pur drammi, che non disputeremo del nome) : e lieto fine avrà sempre , quando vi trionferà la virtù, ed il vizio vi sarà pu- nito. Allora dirsi potrà, come dev'essere, \era pur- gazione delle passioni d'uomini che vivono nel se- colo XIX. Ma tornando al slg. Bozzo, non può abbastan- za lodarsi questo suo carme, sia per gravità di su- bietto, sia per efficacia poetica, ed insieme per alta ragione morale e politica. Fiero e vivo soprattutto è ciò ch'egli dice di alcuni o sozzi od orribili fatti, che si ardisce rappresentare dinanzi a giovani ed a fanciulle in teatro civile. Ecco la narrazione di uno di essi, che i nostri cercatori d'infamie (come de'fe- tenti cadaveri i corvi) avvisarono nelle cronache di non so quel principe di Borgogna, e subilo reca- rono ad argomento di drammi e di romanzi. Oh che diranno i posteri di noi ! Quel titolo daranno ad un secolo, che fa oggetto di piacere questi fradiciumi della corrottissima umanità I Chi mi darà lo slil, ch'io possa in luce Tanto male dedurre, ed il ribrezzo Trasfonderne col verso ? - Il guardo volge Real fanciulla allo scudier del padre. Gli fa copia di se, due figli ottiene Fra gl'illeciti amplessi: ad alte nozze E poscia altrove addotta, e di lascivia Carme su i teatri 349 Si fa mostro e di sangue. Un'erma torre E segreta sua stanza; ivi ogni notte Drudo novello accoglie, e dopo accolto Lo fa sgozzare dagl'iniqui sgherri, E gittar lungo il fiume. Per più lustri Fu così rea, in fin che d'ogni fallo Pervenne al colmo. Un bel garzone accoglie, E Io fa spegner; perfida ne accoglia Tosto un secondo: in età pari e in volto, Tra loro inconsapevoli, ma tali Che fratei li direste: e son fratelli, E figli all'empia che dal servo gli ebbe. Il secondo è serbato a maggior pena: Ij'empia il ritiene: è del suo amor l'obietto. Se amor può mai durare in cor di tigre. Allor che lo scudier, drudo suo primo, Sovraggiunge mutato nel sembiante. Capitan di ventura, e la nefanda Tresca seco ripiglia: infausta tresca. D'onde colpe ben altre ! In lui già serpe Di gelosia l'orribile veleno. Tal che nel cor dell'empia un dubbio versa Contro l'amante, e la conduce a fargli Ingannevol richiamo entro la torre, E a farlo trucidare: e trucidato Cade quivi il garzon, prima ch'entrambi Sappian d'esser lor figlio, onde a salvarlo Tardi alle torre accorrono. - Inumana Di stupri e incesti, di adulteri! e morti, Atra mistura ! E tutta rimestarla Non è concesso: che aberra la lingua, JNon pel nuovo, pel rio. 350 Letteratura Della commedia (non meno guas'a e turpe (!<•!- la tragedia) questo poi dice con pari nobiltà e sa- viezza. Il socco torni Qual le grazie il composero; il lavoro Compiasi del gran veneto; si rida, (No, delitto non è), da noi si rida Come risero i padri; il maschio petto Del cittadìn d'Italia non s'afFrange Per allegrezza, che l'Italia vanta Anco decor nel riso; i vizi pigli, Non i delitti; dei delitti freno Sono le leggi, fren de'vizi sono La commedia e la satira. Conosca Sua virtù la commedia, e questa segua^ Senz'irà o sconcio. Possano siffatte sentenze di vera umanità e fi- losofia trovar altri generosi che altamente e le di- cano e le ripetano non solo nella bella Sicilia, ma in tutta Italia, anzi in Europa, affinchè tornici il re- gno del pubblico pudore , e le menti rinsaviscano, come in altre cose , cosi in queste importantissime dc'teat.'-i. S. Betti 35] Edizioni della Divina Commedia di Dante Allighieri (testo italiano) possedute da Carlo Witte^ profes- sore di leggi all'università di Halle (Prussia). 4. 1477. Milano. Viodelino da Spira. Fogl. I.'' Venezia. Scoto. 1484. F, 2. 1491. Venezia. Bern. Benali e Matt, da Parma. Fogl. 3. 1491. Venezia. Petro Cremonese. F. 4. 1502. Venezia. Aldo. 8. (mar. rosik)). 5. S. a. e. l. ContiafFaz. della prima aldina. 8. 6. 1506. Firenze. Fil. Giunta. 8. (mar. rosso). 7. 1507. Venezia. Bart. de Zanni. F. 8. 1515. Venezia. Aldo. 8. (mar. rosso). 9. 5. a. e. l. Aless. Paganino Benacense. 8. 10. 1520. Venezia. Bern. Stagnino. 4. 11. 1536. Venezia. Giov. Giolito. 4. 12. 1544. Venezia. Marcolini (coi coni, del Vellu- tello). 4. 13. 1551. Lione. Bovili io. 16. 14. 1552. Lione. Rovillio. 16. 15. 1555. Venezia. Gabr. Giolito (Ed. del Dol- ce). 12. 16. 1561. Venezia. March. Sessa. F. 17. 1568. Venezia. P. da Fino (e. com. del Da- niello). 4. 18. 1569. Venezia. Dom. Farri. 12. 19. 1571. Lione. Rovillio. 16. 20. 1572. Firenze. B. Sermartelli. (Ed. del Buon- anniV 4. 352 Letteratura 21. 1595. Firenze. Dom. Manzani. (Etl. della Cru- sca. Mar. rosso). 8. 22. 1613. Vicenza. Frane. Leni. 1G. 23. 1G29. Padova. Don. Pasquardi 16. 24. 1620. Venezia. Nic. Misserini. 16. 25. 1716. Napoli. Frane. Laino. 8. 26. .1727. Padova. Gius. Cornino. 8. (2 esempi.), 27. 1749. Verona. Gius. Berno (e. com. d. P. Ven- turi. — L) 8. 28. 1752. Bergamo. P. Lancellotti. 12. 29. 1755. Lipsia. Heinsio. 8. (Esempi, di dedica. - IO- 29.^ 1757. Venezia. Zatta. 4. 30. 1760. Venezia. Ant. Zatta. 8. 31. 1768. Parigi. Marc. Prault. 12. (bell'eseoipl.) 32. 1776. Firenze. Le Clerc (e. trad. del Mouton- net). 8. 33. 1778. Londra {Livorno). Tom. Masi. 12. (bello esempi.) 34. 1784. Venezia. Ant. Zatta (Ed. d. Rubbi). 8. 35. 1784. Norimberga. Schneider. 8. 36. 1787. Parigi. lacob. 24. 37. 1788. Berlino. Lange. 8. 38. 1791. Roma. Ant. Fulgoni. (Ed. d. P. Lom- bardi. — Esempi, di Frid. Aug. Schlegel). 4. 38. '^ 1793. Venezia. Gassi 8. 38.'' 1798 Venezia. Valle, (ed. d. Rubbi) 8. 39. 1804. Milano. Tipogr. de'classici. 8. 40. '1804. Penig. Dienemann. Esempi, in carta ve- lina grandiss. 4. 40.^' 1806. Roma. Poggioli. 8. 41. 1807. Livorno. Tom. Masi. (Ed. d. Poggiali). 8. Edizioni della Divina Commedia 353 42. 1807. Iena. Fiommann. (Ed. ci. Fernow). 8. 2. esempi. 43. 1807. Gotha. Steudel. (Ed. d. Keil). 8. 1. 43." 1808. Londra. Zossi. 16. 44. 1809. Milano. Mussi. 12. 45. 1810. Roma. De Komanis. 18. 2. esempi. 46. 1810. Brescia. Bettoni. 32. 2. esempi, in caria ye\. grande. L'uno in mar. r., l'altro intonso. 47. 1811. Venezia. Vitarelli. 19. 48. 1815. Roma. De Roraanis. 4. I. II. IV. 49. 1816. Avignone. Seguin. 18. 50. 1818. Parigi. Dondey Dupré. (Ed. d. Biagio- li). 8. 51. 1819. Pisa. Prosperi, (e. irad. d. Catellaci). 8. 52. 1819. Bologna. Gamberini. Ed. d. Macchiavelli. 4. Es. intonso. 53. 1820. Roveto. Fantoni (Ms. d. Boccaccio). 8. 54. 1820. Roma. De Romanis. 8. 55. 1820. Parigi. Lefèvre. 32. (Mar. rosso). 56. 1821. Firenze. AU'ins. di Pallade (Parn. class. il.) 8. 57. 1822. Padova. Tip. d. Minerva. 8. 58. 1822. Prato. Vannini. 16. 59. 1822. Londra. Corrali (Diamond -edition). 48. 60. 1823. mine. Matliuzzi (Ed. d. Viviani). 8. 61. 1823. Venezia. Andreola. 16 62. 1823. Parigi. Lefèvre. (Ed. d. Buttura). 8. 63. 1823. Parigi. Bossaoge ( e. trad. di Brait de Lamalhe). 8. 1. 64. 1824. Verona. Libanti (Cesari, Belleze d Com. di D.) 8. 65. 1824. Londra. Knight (e. irad. d. Tarver) 8. 1. G.A.T.CXXIII. 23 054 Letteratura 66- 1825. Miìano. Belioni (Ed. detta del Pertieari;. 8. I. II. 67. 1825. Firenze. Magheri. 32. 68. 1826. Bologna. Cardinali. (Ed. d. Costa). 12. 69. 1826. Firenze. Ciaidetti. 12. 70. 1826. Lipsia. Ern. Fleischer. (Ed. del Wagner.) A. Unico esempi, del D. G. in carta velina stragr. — Altro es. nel Parn. ital. 71. 1826. Londra. Murray, (e. com. di Gabr. Ros- setti). 8. 1. 72. 1827. Pisa. Capurro. (e. com. dell'Ottimo). 73. 1827. Milano. Aug. Bonfanti 12. 74. 1827. Firenze. Borghi. 32. 75. 1828. Milano. Beltoni. 24. 76. 1828. Napoli. Crisculo. (Ristampa d. Nidobeat. procurata dal Dre. Noti.) 4. 77. 1828. Parigi. Didot. (e. trad. d. cav. Artaud. 32. 78. 1829. Milano. Silvestri. 16. 79. 1830. Firenze. Molini. (Ed. del Costa, mar. r.) 24. 79." 1830. Palermo. Gabin. tipogr. 18. 80. 1837. Firenze. Le Monnier (nuova ed. d. Ac- cad. d. Crusca) 8. Es. intonso. 81. 1837. Firenze. Formigli. (Ed. d. Fraticelli). 82. 1837. Venezia. Gondoliere. (Ed. d. Tommaseo) 83. 1838. Parigi. Lefèvre. 32. 84. 1838. Marsiglia. Mossy. (e. com. d. Bargigi). 8. 1. 85. 1839. Genova. (Firenze). Grondona. 16. 86. 1840. Firenze. Passigli. 64. 87. 1841. Napoli. L. Chiari. 12. Edizioni della Divina Co:mmedia 355 :88. 1841. Colle. Pacini. 24 «9. 1841. Parigi. Truchy (Ed. ci. Ronna). 12. 90. 1842. Benevento Tipogr. camer. 4. 91. 1842. Londra. Rolandi. (Ed. detta d. Foscolo). 92. 1842. Berlino. Enslin (e. trad. d. Kopisch.) 4. '93. 1842. Firenze. Piatti (Ed. di Lord. Vernoii). 8. 1. 1 — 7. 94. 1842. Parigi. Blanc. (e. trad, dell'Aroux). 12. 95. 1843. Breslavia. Schletter. 8. 96. 1843. Parigi. Blanc Monlanier. 18. 97. 1843. Pietroburgo. Viter. (e. trad. russa, d. Vaa Wim). 8. ' ;- «''^•'• 98. 1844. Firenze. Moliiii. (Ed. à. fiìanchi). 12. 99. 1844. Parigi. Didot. 8. 400. 1844. Napoli. Stamp. reale. 16. 101. 1844. Parigi. Baudry. 8. 102. 1844. Parigi. Baudry. 32. 103. 1846. Parigi. Thieriot. (Ed. d. Brunetti). 16. 104. 1846. Parigi. Baudry. (Ed. d. Ferranti). 8. 1. 1 —3. 105. 1846. Firenze. Le Monnier. (Ed. d. Bianchi). 12. 106. 1849. Londra. Chapman. (e. trad. d. Carlyle). 8. 107. 1849. Firenze. Le Monnier. (ed. d. Bianchi). 356 jitU dell'accademia pontificia de'lincei compilati dal segretario. Ro- ma, tipoqrafia delle belle arti 1851, in 8. AnnolV. (Volumi sette). XJ Italia non solo, ma l'Europa, farà buon viso alla pubblicazione degli atti di un'accademia, ch'è tanta e sì nobil parte delle scienze romane. Noi per tanti insigni lavori , che leggonsi in questi volu- mi, ci congratuliamo di cuor sincerissimo e cogli onorandi accade- mici d'ogni classe, e col chiarissimo professor segretario , che ha posto e pone una sì iodevol cura nel compilarli. Verrà tempo che forse potremo darne un sunto ragionato : ma giovi intanto di qui recare i soli titoli degli scritti, che fanno pregiabiliisimi questi atti. Sessione I del ili novembre 1880. Scioglimento di un dubbio mosso dal sig. Budan sopra la ge- nerale veridicità dei risultamenti del metodo di Lagrange nella ri- cerca delle radici immaginarie delle equazioni numeriche per ap- prossimazione. Bel prof. Niccola Cavalieri San-Bertolo. Sopra un nuovo fotometro destinato specialmente a misurare l'intensità relativa della luce delle stelle. Bel P. Angelo Secchi. Dimostrazione delle formule date dal celebre Gauss per deter- minare in quante somme, ognuna di due quadrati, può spezzarsi un intero. Bel prof. Paolo Folpicelli. Ricerche sull'orbita della cometa di Peterseu. Bel prof. Igna- zio Calandrelli. Sulle catene così dette idro-elettriche del sig. Pulvermacher di Vienna. Rapporto di una commissione. Sull'arena dell' Adriatico rinvenuta dal sig. Pietro Martinori. Rapporto di una commissione. Sessione II del 22 dicembre 1850. Sul valore della curvatura totale di una superfìcie, e sull'uso Varietà' 357 di questo valore nella delerminazione <1i alcuni integrali definiti duplicati. Del prof. Barnaba TortoUni. Elementi dell' orbila di Partenope , e osservazioui di questo asteroide fatte nel pontificio osservatorio dell'università. Del prof. Ignazio Calandrelli. Sopra un processo del sig. Luigi Romagnoli per tingere in rosso il cotone. Rapporto di una commissione. Sessione III del 23 febbraio 18B1. Sull'applicazione del metodo d'interpolazione del sig. Cauchy alla riduzione delle osservazioni meteorologiche. Del P. Angelo Secchi. Sulle correnti di lava e sopra un nuovo cratere vulcanico nelle vicinanze di Roma. Del prof- Giuseppe Ponzi. Prima correzione degli elementi ellittici di Partenope. Del prof. Ignazio Calandrelli. Nuova generale soluzione della x^ ^ y^ = z^ , e sue conse- guenze. Del prof. Paolo Volpicelli. Due stereoscopi, uno catottrico, l'altro diottrico, presentato dal signor duca di Bignano. Sul fornello del sig. Eugenio De Prez. Rapporto di una com- missione. Sopra un nuovo sistema di chiglie per la sicurezza dalla na- vigazione dei bastimenti a vele fluviali in alto mare, del sig. G. A. Millot. Rapporto di una commissione. Sessione I^ del 23 marzo 1831. Descrizione della carta geologica della provincia di Viterbo , estratta da un rapporto del prof. Giuseppe Ponzi. Sul calcolo degli elementi ellittici di Egeria. Del prof. Ignazio Calandrelli. Descrizione della lampada elettro- dinamica del sig. Duboscq- Soleil : e indicazioni delle principali sperienze ottiche da eseguirsi colla medesima. Del prof. Paolo Volpicelli. Necrologia del geometra Giacomo lacobi. Del prof» Paolo f'oU picelli. 358 V A R I E T a' Sessione V del 6 aprile 1831. Istorico-fìsìco ragionamento sulle culture umide^ e sulle boni- ficazioni da farsi per loro mezzo nelle terre palustri dello sialo pontificio. Parte Prima. Del prof. Agostino Cappello. Osservazioni del quarto pianeta di Hind e di De Gasparis falle nell'osservatorio del collegio romano. Del P. Angelo Secchi. Osservazioni e calcolo degli eleauìnli ellittici del pianeta Irene. Del prof. Ignazio Calandrclli. Formule pel cangiamento, che nelle dimensioni materiali av- viene, cangis^odo temperatura; ed applicazioni delle medesime. Det prof. Paolo Folpicelli. Barometro aneroide a massimi e minimi , presentalo dal prof. Paolo Folpicelli. Effemeride di Parlenope per la futura opposizione calcolata dal prof. D. Ignazio Calandrclli. Sessione VI dell' \\ maggio 1831. Delle versioni fatte da Platone liburtino, traduttore del secolo duodecimo. Notizia raccolte da Baldassare Boncompagni. Sulla determinazione della linea geodesica descritta sulla su- perficie di un' eli.ssoi vista parimenti la esecuzione lorzosa sopra i medesimi. Esaminerà )) i mezzi, dalla dottrina positivamente indicati e dalia giurispru- M denza, o quelli che potrebbero essere per analogia suggeriti, » ond'empiere colle leggi esistenti le lacune, e che sarebbero con- 11 solidati dai testi su questa materia. Dovrà finalmente indicare, 11 qualora vi sia luogo, le ril'orme che sarebbero utili, e che non » dovrebbero isfuggire all'attenzione del legislatore. » Il premio consisterà in una medaglia di oro, del valore di 300 franchi, portante l'enigie di Culaccio. Indipendentemente dal premio, l'accademia si riserva di decre- tare, se vi sia luogo, le menzioni onorevoli. Gli autori delle memorie , che avranno ottenuto la medaglia d'oro, o le menzioni onorevoli, saranno proclamati in un'udienza pubblica che avrà luogo nella terza domenica di maggio. Le memorie dovranno essere indirizzate, franche di porto, a M. Benech professore di giurisprudenza, segretario perpetuo dell' accademia, piazza Saint Etienne 4, che ne rilascerà la ricevuta; ma non saranno ricevute dopo il 31 maggio, ch'è il termine affatto pe- rentorio. Ciascun autore porrà in fronte della sua memoria due segni od epigrafi, l'una in latino, e Faltra in francese, e le trascriverà nell' involto sopra un bollettino, che copra il suo nome, cognome e do- micilio. Immediatamente dopo il giudizio del concorso i segni od epi grafi, negl'involti delle memorie meritevoli di distinzione, saranno aperti nell'adunanza dell'accademia. Varietà' 361 JAechiamo qui alcuue belle e pie iscrizioni italiane in onore di un chiarissimo nostro amico e collaboratore, cioè (lelTab. Domenico Santucci romano, rettore del collegio capranicense, il quale dopo lunga e penosa malattia è passato il 31 di agosto di quest'anno agli eterni riposi nella fresca età di anni 49^ lasciando grandissimo desr- derio di se in quanti ne conoscevano le virtù e l'ingegno, e ne ave- vano ammirati gli scritti, pieni di eleganza, così di verso, come di prosa- CRISTO . GESV DIO . REDENTORE ACCOGLI . RENIGNO KEL . SENO . DEI . SANTI . TVOI L'ANIMA . DEL . SERVO . TVO DOMENICO . SANTVCCI QVEL . REFRIGERIO CHE . AGLI . ACERRI . DOLORI DEL . LYNGO . SVO . MORRÒ NON . ERBE . E . NON . CERCO' . IN . TERRA DEH . TV . GLIELO . APPRESTA . NEL . CIELO 0 . VIVA . FONTE . DI . SEMPITERNA . VITA NON . TENEBRE . DI . MALE . OPERE MA . LVCÉ . DI . SANTE . VIRTV NOI . VEDEMMO . NEL . PIO . SACERDOTE . TVO E . TV . PROMETTITORE . FEDELE AGLI . ETERNI . SPLENDORI . IL . SOLLEVA O . VERA . LVCE . DELLE . ANIME . NOSTRE 36^ Varietà' 4. DIO . DI . xMISERICORDIA PEL . SANTO . NOME . DEL . FIGLIVOLO . TVO SALVATOR . NOSTRO ESAVDISCI . ALLE . PREGHIERE CHE . INDEGNI . TI . OFFERIAMO PEL . SERVO . TVO . CHE . NE . HA . PRECEDVTI NELLA . VIA . DELLA . SECONDA . VITA Elìgio dell'avvocato Luigi Pani, letto nel giorno delle esequie rin- novate 3 gennaio ISSI nella cattedrale di fìimini per ordine della commissione municipale dal professore Giuseppe Ignazio Montanari. 8." Rimini dalla stamperia ^libertini 1831. (Sono pag. 38). \jhi sa che questo elogio è scritto da Giuseppe Ignazio Monta- nari ne immagina subito la facondia, l'eleganza, ed insieme quella sapienza, di che il nobile professore ha pieno il petto e la lingua. Bellissimo tema infatti gli si è qui presentato, a far mostra di tut- ta la bontà dei suo scrivere, in Luigi Pani da Rimino, che fu vero esempio di padre, di cittadino, di giureconsulto, di magistrato. Ba- sti per sa|;gio questo che ne rechiamo. „ Ma egli tornava coll'animo piagato da grave e insanabii fe- rita: rivedeva la casa, l'unanime fratello, i figliuoli: la sua donna, la sua dolcissima compagna, non più: erasi dipartita del mondo, e innanzi tempo lui aveva con due figliuole lasciato. Certo questa sciagura gli fu coltello al cuore, e la piaga glie ne grondò finché visse. Ma perchè si stava rassegnato ai voleri di Dio, l'amarezza sua seppellì in fondo del petto; e per mitigare il dolore si die tut- to a procurare Teducazione delle figliuole, sapendo che questo era il voto supremo della ben amata consorte. Che non è amore ai tra- passati quello che si dislilla in lagrime per gli occhi, e rompe in vane querele; si quello è paragonato e vero, che le ultime volontà e gli afTelti de'raorenti seconda e in seno sì raccoglie, studiandosi Varietà' 3G3 giovare e prosperare quelle cose, che loro furono piil care. Però il Pani vedovo rimaso non risparmiò a se pensiero né cura percln'; le due fanciulle non avessero di multo a desiderare la custodia e la diligenza materna, ed uscissero tali che la madre stessa dovesse compiacersene in cielo. Quindi aiutato dal suo aftezionatissimo fra- Jeilo condusse la casa per forma, quale ognuno vorrebbe la propria, meglio ornata di virtù che di ricchezza, meglio piena di religione che di superstiziose apparenze. Non vorrei che qui alcuno maravi- gliasse, ohe intendendo io ritrarre nel Pani il padre della patria , ora m'impigli della famiglia , quasi le pubbliche e le private cure siano una cosa. Ma se alcuno vi fosse che prendesse di ciò mara- viglia, vorrei che sapesse, che io ho per fermo l'una cosa essere così strettamente collegata coli' altra da non poterne andare divi- sa: né poter riuscire mai buon magistrato o reggitore della pro- pria città chi non seppe esser buono nella propria famiglia: anzi non darsi al mondo pubblica virtù che dalla domestica, come da pro- prio ceppo, non rampolli. Nella famiglia gli affetti incominciano a sviluppare, diramarsi, raddolcirsi- e chi in questa palestra ha comin- ciato a provarsi, ed appreso a divenir buon padre, in qualunque altezza cotal si mantiene. E chi oserebbe chiamare uom di perfetta ■virtù nelle pubbliche bisogne colui, il quale non bastasse alle sue private , o mal conlegno serbasse ? Chi darebbe vanto di bontà a quel cittadino, che al debito di natura non sapesse esser pari, e stu- diasse di porgersi pari al debito di società ? Oh volesse Iddio che tutti gli uomini nelle proprie famiglie avessero intera bontà: non saremmo no allora in tanta penuria di eccellenti cittadini. Ma per rendermi onde mi sono un poco dipartilo, dirò, che sebbene molla consolaziune alla sua vita prendesse dalla proppia famiglia, noa era però qui né tutta, né sola. Egli adoperava sempre al ben della pa- tria o dalla cattedra esponendo leggi e nella sana e vera filosofia, che è Ipr fondamento, assodando i giovani: o nel Iribuuale di com- mercio, a cui presiedeva, amministrando tale e tanto netta giusti- zia, che forza di lusinga o di pratiche non ci valse mai a farlo mi- nimamente declinare dal giusto; o n«l comune parlando, proponendo, consigliando, or come carte da 150,000 indivìdui andò sempre gradatamente a progredire, ed ad onta del colèra e di altri infortuni , al presente sor- passa i 170,000 , senza enumerare li stranieri che talvolta portano la popolazione ai 200,000. E che questo temperato clima ( sebbene taluni lo presumi- no imperfetto ] sia sommamente apprezzabile, come confaoetJte ad ogni fisica costituzione, lo dimostra- no ie iscrizioni, che lungo le nostre vie si osserva- no. Ogni straniera nazione , ogni lontano popolo , ogni cospicua città in questa metropoli dell'univer- so ha la sua contrada, il suo tempio.^ la sua chiaro altresì die nella loro permanenza hanno generaflimente goduto una costante salute. E senza far ricerca di epoche sommamente longeve, e della moltitudine nooessaria mente ignorata , diamo uno sguardo ai grandi che la predilessero per loro soggiorno. Uaa giovane e celebre regina, la quale 1B Scienze avea sul trono conversato con Cartesio, con Salma- zio^ con Grozio, deposta volontariamente la regale corona , dalle rigidissime sponde della Scandinavia si porta in Roma in traccia della verità, e stabilita ivi la sua dimora, tra le occupazioni delle scienze e delle lettere visse in sanità e felicemente fino al termine della sua vita. Dalle terre insulari della Gran Bretagna la regale famiglia Stuarda, in mezzo alle sue sventure, trovò nel tranquillo suolo di Roma conforto, salute, e longevità. Dall' altezza delle alpi i p.'issimi sovrani di Sardegna fra l'ammirazione de filosofi, l'edificazione de' buoni, ed il disinganno di tutti, in questo temperato clima prescelto , in vita privata e virtuosa vissero pacificamente fino agli ul- timi loro giorni. Dalle parti più meridionali di Eu- ropa , un monarca, il cui regno estendevasi fino a quel nuovo mondo dalle flotte de' suoi antenati scoperto, lasciato l'impero de propri dominii, venne a fissare la sua dimora in questo amenissimo clima, serbando col fasto dell' ibera grandezza la salute e la calma delle pacifiche sponde del Tevere. Parecchi altri principi di case regnanti , ed alcuni sovrani , a cui sorte diede e tolse rapidamente lo scettro, si portarono più volte a rintracciar sanità e sicurezza in questa terra ospitale. La descritta luminosa prospettiva però non può non aver le sue ombre : ed ora queste al par di quella è d'uopo per la verità palesare. Allorché si fece parola della breve durata nell'intensità del caldo e del freddo venne necessariamente ad includersi il difetto di una facile varietà nei movimenti atmosfe- , rici ; condizione presso che comune a quasi tutta la Pubblica e privata igiene 17 nostra Italia , in sin<>olar modo nò lillorali , od in quelle parti ove più si ristringe e declina la forma geo}>rafica del terreno penisolare : e di questa en- demica imperfezione , se non in tutto, può la igie- nica pievidenza con sollecite e scrupolose cautele in gran parte rimuovere, o per le meno diminuirne gli effetti, col riparare tanto alla tiascuranza personale, quanto all'incuria che si osserva nelle interne abita- zioni. E quantunque le fabbiiclic in Roma siano nella loro generalità grandi, elevate, e sovente magnifiche, pur tuttavia la costruzione di alcune e la posizione di altre non le rendono del pari comode, ne total- mente salubri ; sebbene con paziente industria pos- sano tali difetti in gran parte scemarsi. Osservasi in parecchie di queste abitazioni l'indole artistica di certe remote epoche, nelle quali a ristretti am- bienti, od infelice località, volendosi dare l'aspetto di palazzi, vennero sacrificati, a questo vano riguar- do, il comodo e la salubrità, che se In qualsiasi co- struzione si esigono, in mediocri abitazioni esser de- vono questi essenzialmente i peculiari requisiti. An- che la loro elevazione non corrisponde in molti luo- ghi all'angustia di alcune contrade: per cui i piani inferiori sono talvolta quasi privi di ventilazione e di luce. Uu'altra non minore imperfezione si scorge nei cortili di alcuni casamenti, i quali posti nel cen- tro de'fabbricali di ristiellissima periferia, con mura elevate fino a formale un quinto piano , aventi al pianterreno de' fontanili, de'pozzi, delle stalle, tie' gallinai , ove d' ordinario gettasi ciò che si spazza dalle camere superiori , inclusivamente anche delle immondezze, accade che dentro quelli circoscritti ed G.A.T.CXXIV. 2 18 Scienze ottusi ambienti s'innalzino dal fondo di essi umide ed ingrate esalazioni, non senza notabile nocumento di chi tì dimora. Ed in quanto alla nettezza , che esser dovrebbe il precipuo pensiero di ogni luogo abitato^ ed aìiche più nell' interno di un'ampia ca- pitale^ pure non si osserva una tal diligenza neanche negli atri delle splendide case de'grandi , ove alle soglie lateraU dell'ingresso, e tion di lado più oltre, è d'uopo sorpassare tra il fetore dei rifiuti più nau- seosi della natura, prima di pervenire alle vaste sale, alk magnifiche gallerie , ai sontuosi apparali degli iiMèrbi appartamenti. Moki dei divisati inconvenien- ti, siccome artefatti, possono in g^ran parte èsser ri- mossi coi regolamenti di polizia sanitaria , ed an- che coattivamente togliersi quando se ne scorgesse il bisogno ; mentre sì fatte cause se non apportano sempre violenti infermità, dispongono per lo meno gl'individui men robiìsti a divenire makani^ produ- cendo ientamente delle malattie , di cm allo volle non sa indovinarsene 1' origine , ma che sono vero fomite e motivo i^imanente di tante morbose afFe- zioini, le «q'uali resistono sovente ad ogni medico trat- tamrte della più parte di quei sommi , cui fu dato discernere la verità fra le tenebre della età loro; e sappiamo come questa fu altresì la sorte Accademia de' Lincei 37 del nostro Federico e de' suoi dotti colleghi. Era l'idea di questo principe grande, generosa, ed a Ro- ma convenientissima 5 ma non era in armonìa colle circostanze, e collo stato sociale di que'tempi; avan- zava essa i medesimi di circa due secoli e mezzo. Dicemmo quella idea grande, perchè non solo riguar- dava Roma, non solo riferivasi alla Italia, ma tutto abbracciava il mondo istruito: la dicemmo generosa, perchè apriva una sorgente inesausta di beni fisici e morali, come appunto sono i frutti che si ottengono dal coltivare le scienze, e dal farle progredire: la di- cemmo a Roma convenientissima, perchè come que- sta nostra città fu destinata sorgente di ogni bene morale, cosi essa dovrebbe pur essere fonte di ogni bene fisico, di ogni prosperità materiale, di ogni so- ciale progresso. Ma non è da maravigliare che Federico non po- tesse riuscire nel suo proposto ; giacché come nella natura il tempo è compagno indivisibile dei feno- meni tutti, per modo che la legge di continuità re- gna sempre in ognuno di essi, e nulla mai succede sia per salto, sia nell'istante; così nella società niun bene si può effettuare senza l'elemento del tempo, comechè il bene medesimo siasi di già ravvisato, ed altamente proclamato. Questo tempo è necessario a disporre gli animi, perchè abbraccino le utili riforme; le quali allora soltanto saranno pienamente conse- guite, quando siensi per gradi e con legge di conti- nuità introdotte. Avviene spesso che questo tempo decorre accompagnato da una lotta, in cui sovente il riformatore diviene vittima; però la sua riforma, quando sia veramente utile, non può col tempo man- care. 38 Scienze Per queste ragioni molti nemici si ebbe il Cesi, e molte persecuzioni dovette patire insieme co'suoi colleghi, tanto nelle domestiche mura, quanto fuori di esse , per avere voluto fondare un'accademia di scienze , la quale doveva i dotti della Europa tutta mettere in relazione fra loro. E cotanta si fu la for- za delle persecuzioni stesse , le quali cominciarono quasi col nascere dei lincei, che all' accademia fu giuoco forza sciogliersi ; ed a' suoi membri toccò , per evitare maggiori mali , disperdersi, e ritirarsi , chi neir uno , chi nell' altro paese. Pare che questa primo decadimento dell' accademia si effettuasse nel 1606, o in quel torno, e durasse fino al 1609; epoca del primo risorgimento della medesima. In questa se- conda epoca l'accademia si acquistò gran fama, così per le produzioni scientifiche de'suoi membri, come per la celebrità degli uomini dotti, che vi si associa- rono; fra'quali nel 1610 un Gio. Battista Porta na- politano, nel 1611 un Galileo Galilei fiorentino; nel- lo stesso anno un Gio. Terenzio di Costanza, e un Teefilo Molitore d'ingolstad, poi gesuiti ambidui; e nel 1612 un Fabio Colonna napolitano; per tacere di molti altri dotti, fra'quali non pochi nobili roma- ni, come un Salviati, un Cesarini, un Muti, un Bar- berini^ ed uno Sforza Pallavicini, che nel principio del secolo decimosettimo , coltivando le scienze , si onoravano del titolo di lincei. Questa scientifica società , divisa in tre classi , era modellata in guisa di un ordine religioso e mi- litare: aveva essa per protettore s. Giovanni Evange- lista , e per insegna una lince, che atterrava l'idra, col motto Sagacius ista; insegna riportata dall'Odes- Accademia de'Lincei 39 calchi nelle sue memorie de' lincei. Lo stemma ed il s. Giovanni si fecero per la prima volta incidere dal nostro collega signor principe D. BalJassare Bon- compagni, che li fece ritrarre dalla biblioteca Al- bani, ove con altre carte originali dei lincei si con- servano; e noi, avendolo egli gentilmente permesso, riportiamo l'uno e l'altro, nella tavola I.'', posta in fine di questo ragionamento. Era poi stemma dell'ac- cademia una lince, contornata di alloro, e sotto co- rona baronale. Gli accademici, raccolti ne'Iicei, dovetano pro- fessare le scienze per via di sperimenti e di osser- vazioni; metodo allora del tutto nuovo in Italia, e contemporaneamente proclamato da Bacone da Ve- rulamio in Inghilterra. L'età per la nomina di lin- ceo, doveva essere, né minore di 22, né maggiore di 30 anni ; di più si richiedeva onestà di natali. Fu prescritto un alfabeto enigmatico ; e questo era per una parte reclamato dal bisogno di far cessare le osti- lità verso tale istituzione, per l'altra disapprovato da migliore consiglio ed avvedutezza. I lincei si chiama- vano tutti fratelli giurati, e dovevano recitare ogni giorno l'officio della B. Vergine; ogni loro liceo do- veva essere fornito di biblioteca e di museo: così essi provvedevano alla maticanza delle università. Era vie- tato trattare di giurisprudenza, di storia moderna, di teologia, di politica, e di poesia. In Roma le riunio- ni loro si tenevano in un palazzo dei Cesi, posto in via della Maschera d' oro; ed il sìg. Ulisse Penlini, che fu poi possessore di quel palazzo, volle nel me- desimo perpetuarne la memoria con la seguente iscrizione, dettata dal eh. abate Giovenazzi : 40 Scienze CAESIORVM . FVl . DOMVS Q VO.OLIM .COET ViVI.S V VMXYNCEOR VM.COGERE HERVS . MEVS . FRIDERICVS . SOLEBAT HAEC . AVLA . HI . PARIETES . ILLOR VM . VOCE ERVDITA . PERSONVERYNT IN.QVIBVS.VNICVSILLE.COELI.SIDERVMQVE SPECTATORXT.IPSE.ALIQVANDO.GALILAEVS AVDITVS . EST NVNC.EX.A. D. . V. . ID.MAI. . AlNN.Cl3l3CCXVIIl IVRIBVS . YLYSSIS . PENTINl INSCRIPTA . HAEC . TE . QVI . LEGIS IVESCIVS . NE . ESSES . YOLYI ì\ divieto dato da Federico per la poesia nella sua accademia forma il più grande elogio di quell' altissimo ingegno; mostra in falli che Federico rav- visò ben da lungi quale doveva essere il vero mezzo per la sociale prosperila , e che questo consisteva , non già negli slanci fantastici della esallata imma- ginazione , ma bensì nella fredda e profonda medi- tazione dei naturali fenomeni, e della esatta, e rigo- rosa scienza. Un tempo, è vero, la poesia fu non solo utile, ma eziandio necessaria per la civiltà; ma oggi essa non è più da tanto presso quelle nazioni, che seguirono l'umano progresso. La storia ne insegna, che questa esagerata produzione dell' ingegno andò sempre cedendo il posto al razionalismo, alla filoso- fia, alle scienze, al tecnicismo; e che attualmente le resta solo procacciare diletto ad alcuni, ed in certe particolari circostanze; ma non può presso le più col- le nazioni riguardarsi couie un mezzo di utilità e d'istruzione. AceAi>EMiA de'Lincei 41 II. La morte del principe Federico successe in Ae- quasparta il 2 agosto del 1630, essendo egli nella fre- sca eia di anni 'i5. Fu perciò grande olire ogni cre- dere il dolore de'lincei, e la perdita che le scienze n'ebbero; dacché l'accademia, priva di capo e di mezzi , cessò allora di esistere , dopo avere per lo spazio di 27 anni prosperato, lottando però incessan- temente colle circostanze de'tempi, ad essa certo non favorevoli. Infatti nel 1625 da una parte Federico negava la solidità flei cieli, e dall'altra Galileo ne- gava la immobilità della terra : queste due verità , proclamate da due lincei, non potevano certo in quei tempi favorire la istituzione dei medesimi. Quella morte segna l'epoca del secondo decadimento dell'ac- cademia nostra, che a somiglianza del primo, credia- mo doversi attribuire all'essere la medesima, come fu dal Cesi concepita, un bene sociale da quell'in- gegno ravvisato a traverso le tenebre del suo secolo, e non compreso dalla comune de'suoi contemporanei, che dovevano, riguardarsi come non abbastanza ma- turi per favorirla, e per goderne. Avviene in. simil guisa di molti altri utili ordinamenti: questi^ come- chè di prosperità fecondi, pure perchè precoci, o ca- dono vittima di una sistematica opposizione, ovvero gli uomini, abusando dei medesimi, li convellono in altrettante sorgenti di male. L' accademia de' lincei cessò di esistere colla morte del suo fondatore; però l' idea di una dotta congrega pel progresso delle scienze già erasi per 42 Scienze l'Europa insinuata, e questa più non si dileguò; che quasi dalle ceneri de' lincei nacque l'accademia fa- mosissima del Cimento in Firenze; ove le menti già si trovavano meglio disposte ad accogliere le istitu- zioni di società scientifiche. Questa disposizione, in- vadendo col tempo ed a gradi l'Europa tutta, pro- dusse quello che vediamo a'giorni nostri con generale soddisfazione avvenuto; cioè che tutte le nazioni ci- vilizzate si procurarono, chi prima, chi poi, un'acca- demia pel progresso delle scienze. La scintilla par- tita dal Cesi fu di molla luce feconda; poiché ovun- que le condizioni sociali erano per opera del tempo e della civiltà, divenule favorevoli, per tutto essa vi accese la face dello scientifico stabilimento. Quello che qui brevemente ho narrato rispetto alla origine de'lincei non è nuovo nella storia delle scienze; e trovasi con assai maggiore sviluppo espo- sto nell'egregio lavoro, che il duca di Ceri D. Bal- dassare Odescalchi, rese di pubblica ragione in Roma nel 1806, col titolo <( Memorie istorico-critiehe del- Vaccademia de'lincei. Quest'opera non potrà mai ba- stantemente lodarsi, siccome quella che molto al pro- gresso delle scienze in Italia contribuì ; che salvò dall'oblìo tante glorie scientifiche della patria nostra; che fu continua occasione al risorgimento dei lincei; che da ultimo diede diritto al suo autore di riscuo- tere dalla più remota età tutta la benemerenza per la pubblicazione di quelle sue memorie. Il sig. prin- cipe D. Pietro Odescalchi figlio, ed il signor principe D. Baldassare Boncompagni nipote dell'illustre auto- re, ambedue nostri colleghi, che tanto contribuiscono al progresso dell'attuale accademia , debbono molto Accademia de'Lincei 43 compiacersi nel vedere, che la medesima è risorta , e che le memorie lasciale di essa da queir illustre loro antenato prepararono questo desideratissimo ri- sorgimento. Oltre quello che de'lincei pubblicò il duca di Ceri D. Baldassare Odescalchi, avvi ancora un ma- noscritto, contenente le tavole fitosofiche del princi- pe Federico, per cura dello stesso duca ordinate, il- lustrale, e conservate nella sua Famiglia (1). Inoltre (1) È molto interessante la dichiarazione che qui riportiamo, posta innanzi al manoscritto medesimo. Avendo io scritta la storia dell'accademia de'lincei, stampata in Roma nel 1806, ebbi occasione di conoscere la importanza ed il pre- gio grandissimo delle tavole fitosofiche, composte dal principe Fe- derico Cesi, fondatore della medesima ; nelle quali si scorge come queir ingegno , veramente straordinario, aveva già vedute tutte quelle scoperte, che i naturalisti dei due secoli seguenti hanno poi poste fuori siccome loro proprie, senza neppure citarlo. Potei ve- dere eziandio che di dette tavole non esisteva se non una copia, anche informe e malfatta, unita all'opera del Recchi. Di più: di que- sto libro e di queste tavole non esiste se non una copia nella biblio- teca del fu sig. card. Valenti, delia quale s'ignora il destino. Temen- do adunque che questo libro potesse andare fuori di Roma, e cosi queste tavole disperdersi, le passai al sig. dott. Nicola Martelli , uomo versato in questi studi come niun altro in Roma; ed egli con una perizia, e con una pazienza inesplicabile, non solamente ha co- piate le presenti tavole, ma corrette eziandio da tutte le conlusioni che erano nell'esemplare stampato, e le ha ridotte alla vera forma, colla quale escirono dalie mani dell' autore. Sono dunque queste ta- vole un monumento preziosissimo ed unico al mondo: perciò ordino e voglio che siano queste tavole conservale in casa mia e nella mia famiglia come un vero tesoro; e non solo non possano mai per qua- lunque ragione alienarsi , ma nemmeno prestarsi; e chi volesse os- servarle debba venire qui in casa, e qui esaminarle, ma in presenza sempre di uno de' miei figliuoli, o di qualche altro individuo della mia famiglia. In fine non posso abbastanza lodare e ringraziare il sig. dott. Martelli, che con tanta fatica ha assicurato a me ed a Ro- ma un monumento così prezioso di quell'illustre nostro concittadi- no. — Questo di 18 agosto 1809. Firmato — Baldassare Odescalchi. 44 Scienze l'esimio letterato romano Francesco Cancellieri, no- mo eruditissimo, lasciò un suo lavoro inedito intito- lato : Storia delV accademia de lincei: che trovasi nel- la biblioteca vaticana. In questo manoscritto, che il nostro chiarissimo collega sig. dott. Dematthaeis, nella prima sessione, proponeva saviamente fosse per mez- zo del governo pubblicato, si trova molto, non an- cora conosciuto, degli antichi lincei (1). (1) Riportiamo qui^ come trovasi nel giornale Arcadico l. 19, p. Il3 an. 1823, il prospello di questa inedita istoria. Imitazione litografica dell'elenco originale di XXXll lincei^ scritto in pergamena di loro carattere, munito de' propri suggelli con la lince, ed illustrato da Francesco Cancellieri (Questo pre- zioso catalogo Cu ai Cancellieri ceduto in originale il 21 Febbraio 1821 da monsignor Filippo Luigi Gilij , suo particolare amico; il quale fu collaboratore nella specola Caetani, ed acquistò l'indicalo ca- talogo dall'ab. Gius. Lelli ) con XXX lettere ugualmente inedite de' medesimi, e con CXV cifre in esse contenute, e spiegate dal eh. sig. conte Domenico Morosi ni , oltre vari squarci di IV lettere di Mar- tino Fogelio di Amburgo a (<) Coppi, Annali JlUilia T. HI. p. 180. 68 Scienze naggi, che all' accademia giovarono in quell' epoca, deve annoverarsi anche il card. Fesch, il quale be- nignamente riguardando lo Scarpellini e la sua istitu- zione, incoraggiavalo con largizioni, ed onorava spes- so di sua presenza le sperimentali accademiche tornate. Per sei anni continui ebbe stanza l'accademia de' nuovi lincei nell' indicato palazzo del duca di Ser- moneta, cioè dal 1801 sino al 1807; ed ivi tenne le private e pubbliche adunanze, con soddisfazione del governo, con applauso ed ammirazione dei letterati nazionali e stranieri che vi accorrevano, e con uti-» lità grandissima della pubblica istruzione. Nel 1804, anno X dal suo terzo risorgimento, l'accademia, co- me rilevasi dai documenti che nell'archivio si con- servano, si denominò senza più dei Lincei^ lasciando 1' epiteto di nuovi. Dopo r esposto fin qui potrà ognuno rilevare, quanto la nobilissima famiglia Caetani sia beneme- rita dell' accademia nostra pei molli e segnalati be- nefici a lui resi dal duca D. Francesco, avo del si- gnor principe di Teano, attualmente uno degli ono-r revolissimi trenta soci ordinari lincei. VII. Risoluto essendosi di chiudere il collegio Umbro- Fuccioli, se ne vendeva il mobilio, e se ne affittava il locale : profittò lo Scarpellini di tale congiuntura per collocare di nuovo l'accademia de'lincei, ove già per suo mezzo si ebbe la culla. Quindi esso non ini dugiò punto a supplicare il S. Padre, affinchè accor- dasse all'accademia di prendere a fitto una parte di Accademia de'Lincei 69 quel fabbricato, per ivi stanziarsi nuovamente. Ac- cordò il pontefice Pio YII l'implorata grazia, ed au- torizzò nel 6 agosto del 1806 il tesoriere monsignor Laute a stipolare V istromento di locazione, perchè l'accademia fosse collocata di nuovo nell' abitazione sua primitiva, che fu rogato per gli atti del Salva- tori nel 18 dicembre 1806, dietro l'annua pigione di scudi dugento, da pagarsi dalla R. C. apostolica. Si volle inoltre che una porzione del medesimo locale venisse destinato ai pratici esercizi della nuova cat- tedra di veterinaria", fondata pure dalla san. memoria di quel pontefice nella università romana. Ottenne altresì 1' accademia dalla munificenza del S. Padre alcune sovvenzioni , tanto ad acconciare quel suo locale, quanto a provvedersi di mobilio. Pertanto nel 17 agosto 1807, giorno in cui già la inaugurazione avvenne dell'antica accademia de' lincei, si fece in memoria di questo celebre avveni- mento l'accademica solenne apertura nelle sale già stabilite; e l'accademia dal palazzo del duca di Ser- raoneta tornò in questo giorno a stanziarsi, ove per lo Scarpellini dodici anni prima ebbe vita. Nello stes- so tempo s' intraprese in questo locale un corso di pratiche dimostrazioni veterinarie dal dott. Giuseppe Oddi, professore di questa facoltà nella università ro- mana; e dal prof. Scarpellini fu incomincialo nuo- vamente il corso delle sperimentali dimostrazioni di fisico-chimica per gli scolari che frequentavano le le- zioni di questa scienza, da esso dettate nel collegio romano. Nel 1808 molte agitazioni politiche succedevano, e fra queste cangiava il governo di Roma; ciò nulla W Scie m z e (astante l'aicc^leniia contiwuò paci&Carmenfó nel sUo sct6ni'tfic& esevch'io^ tome negli Anni precedenlfi. Inp qiuestor »&&Oi é nel 2 1 apiite, moimgn&t Nicolai lesse' in aceademm^ peu intvoàmmox;^ dm progetto di nuove leggi per V accademia de' lincei, che f«t ^àmp>»to 9 spese del governo, pei tipi Lazzàfiniy al&»chè pole»«»e iiìeglio esansinàm dn eiascuu linceo. Ld criticai fatta; dal Nico'bi, co» quesito siw pronti», sì\ìe leggi staf- biVite da' Féiierico G«sf per gli mnicht lincei non ha ki«gd>; e pjocede iinieaojertEe dal 1*0*0 aivere il Nicolai Wn ravviato il fine ài Federico , e ìe circostante ée' sit&i ten$p». Fatto fu , che il progetta medesàniO' non 9Ì riconobbe conveniente per l'accaderwia, e tion p)tc tnandarsi ad effetUo per le molte critiche giw* stissime ad esso fatte da'siior nneinbri. Airaccatleiwia! furono aggregati alcuni dei primi rappresentanti del RUovo ^.^yemo , il quale non solamente la protesse, ma eziandio^ con decreto di quella; consulta »tr aordi- Daria , le aiecordò 1' annuo assegnamento di fra^ecbt 2500. Ciò risulta da lettere di partecipazione, scrìtte nel 2^ e 30 dicembre IStO all'abate Scalpellici dal signor De Gerando, dalle quali rilevasi ancora, es- sere stata intenzione del medesimo, che con questi» somm» si dovesse acquistare il circolo ripetitore, che già egli aveva promesso allo Scarpellini , come da una precedente corrispondenza. Il medesimo De Ce- rando, nel 18 gennaio 1810, lesse in accademia una sua memoria sopra i vantaggi dell'applicazioni delle scienze fisico-matematiche alla ricchezza economica dello slato; e nel 14 marzo 1811 dal sig. Prony si lesse una memoria sopra un barometro microscopi - ùOé II sig. barone De Tournon lesse, nel 18 giugno Accademia DE'LmcEi 7Ì 1812 , in accademia una meosoria sùUa g^eografia potiiica e sulla statistica del dipartimento di Roma, Una delle coretmissioni più rimarchevolii, che iè ebbe l'aGcaderaia de' lincei dal governo fraacese^ fu quella di provvedere con ogni necessaria disposizio- ne ad inlro^liirre il nuoTO sistema metrico in lutto il paese, che allora costituiva i due dipartimenti del Tevere e del Trasimeno. La consulta straordinaria nel 12 agosto 1809 trasse dall'accademia dei lincei una comfmissione, composta dei signori Fessati (pre- sidente), Morichini, Calandrelli, Oddi, Linolte, Fot- chi e Scarpellini ( segretario ) , alla quale poi fu aggiunto Provinciali. Fu perciò immaginala dalla Scarpellini una bilancia di precisione, ed eseguita dal valente artista romano Annibale Caporali, la qua- le .soddisfece pienamente al bisogno; ed ora si con- serva nel gabinetto fisico della università roioaaa , con tolto quanto può riferirsi al sistema metrico. Fu esposta la bilancia medesima in campidoglio pel pre- mio dei concorsi di arti e mestieri; e lo Scarpellini ottenne per la medesima una medaglia di oio, colle dtìe seguenti epigiafi : NAPOLEON . FRANCORVM IMPERATOR ITALIAE . REX FELICIANO . SCARPELLINI LABORI . ET . IINDVSTRIAE PRAEMIVM . ET - HONOR ROMAE . IDIBVS . AVGVSTI MDCCCX 72 Scienze Il lavoro della commissione fu (iiviso in tre parti: la prima, che prese a se il segretario D. Feliciano Scarpellini , consisteva nella storia delle operazioni e delle sperienze, tanto in Francia, quanto in Roma^ istituite pel sistema metrico ; nella spiegazione dei quadri aritmetici ; e nella descrizione della bilancia co'suoi annessi. Tutto ciò fu presentato all'accademia de'lincei nel dì 29 marzo 1810. Il prof. ab. Galan- drelli ripetè la sperienza fatta in Francia per deter- minare il peso di un decimetro cubo di acqua distil- lala, nella sua massima densità. I signori Linotte, Folchi, e Provinciali compilarono , a modo di tarif- fe, le reciproche riduzioni delle antiche e nuove mi- sure, perchè a colpo d' occhio da ognuno si cono- scesse il rapporto delle une colle altre. Questi lavori utilissimi furono pubblicati a spese del go-veriio fran- cese nell'opera intitolata: « Prospetto delle operazioni » falle in Roma per lo slabilimenlo del nuovo si- » slema metrico negli slati romani nel 1811. Pei » lipi del De Romanis. » Ma fatto è, che il sistema metrico non si vede ancora introdotto fra noi, seb- bene siensi fatti ed ancora si facciano continui voti per ottenerlo: speriamo che le persone da cui dipen- dono il commercio, le arti, e la industria, non pri- vino più a lungo il paese nostro di questa utilità universale. L'accademia nel 1812 ebbe per lo meno quattro commissioni dal governo francese, per mezzo del sig. Tournon, allora prefetto del dipartimento di Roma, e tutte relative alla industria ed al commercio. Il prof. Domenico Morichini, esaminando le ma- ravigliose proprietà della luce, dietro le tracce dei ce- lebri Ilerschel, Hitler, Cockman e Wollaston, imma- Accademia de'Lincei 73 jjinò che il sole fosse non pure sorgente inesausta di luce, calorico, ed azione chinoica, ma e di elettricità e magnetismo. Quindi dopo avere sperimentato sulla virtù magnetizzante del raggio violetto, diresse le sue ricerche sulle proprietà elettriche dei diversi raggi dello spettro solare. Per tanto il 10 settembre del 1812 egli lesse in accademia una interessante memo- ria (1), nella quale riferì le sue sperienze per dimo- strare la proprietà dell'estremo lembo del raggio vio- letto di magnetizzare l'acciaio, scoperta da esso il 3 giugno dell' anno medesimo. Neil' aprile del 1813 tornò egli a leggere in accademia (2) sullo stesso ar- gomento, sia per confermare la esistenza dell'indi- cata proprietà , sia per deteiminare, se i raggi più refrangibili dello speltro solare possedessero una, polarità; ed in qual modo questa si comunicasse agi' aghi. Il prof. Barlocci , che assistette alle sperienze del Morichini, trovò meglio riuscire la mag^nelizza- zione degli aghi, raccogliendo nel foco di una lente la luce violetta, e facendo poi scorrere il foco mede- simo dal mezzo dell'ago verso la sua punta, come se quello stato fosse il polo di una magnete. Si propo- neva il Morichini altresì di assegnare in questa se- conda memoria il limite della proprietà magnetiz- zante nello spettro solare; e di rintracciare sino a qual punto si trovasse questa proprietà nei raggi lunari, (1) Vedi Opuscoli scelti di Bolojjiia. — Bibl. brit. t. Llf, Ge- nove 1813. — Ann. de pliys. tom. XLVI von Gilbert. Scheiweigg Journ. C. 37. 20. 16. — Gilb. annal. 43. 212. —Questa prima memo- ria fu innanzi tutto pubblicala pei tipi del De Romanis. Roma 1812. (2) Gilberl'.s annalen der piiisick. t. XLIII, p. 312. — Idem t. XLVI. pag 3G7. 74 Scienze «d in quelli sviluppati dalle combustioni. Esprimeva egli nel tempo stesso la sua gratitudine, verso il no- stro eh, collega sig. prof. Pietro Carpi, e pel suo ze- Ì0, e per la sua intelligente cooperazione ta queste ricerche; né omeiteTa menzionare onorevolmente an- che i signori professori Barlocci e Settele, per l'ami- chevole lof o assistenza negt'indicati suoi sperimenti. 1 fatti narrali dal Morichini nelle due indicate memorie, che videro la pubblica luce pei tipi del De Romanis in Roma , interessarono ben presto i fisici di Europa; i quali però nel ripetere le sperienze del nostro linceo, per verificare la proprietà magnetiz- zante del raggio violetto , non tutti ottennero affer- mativi riwultamenti ; e perciò noa tutti si accorda- rono in ammettere la esistenza della indicata pro- pi'ietà. Questa discrepanza di opinioni fra i fisici su tale argomento esiste ancora ; però il campo dal Morichini aperto ad essi, con quelle sue ricerche in- gegnosissime, fu grande; poiché i medesimi furono da lui spinti ad investigare nella prima sorgente di calorico e di luce qiTclla eziandio della elettricità e del magnetismo ; e perché innumerevoli furono gli sperimenti a tal fine istituiti, le discussioni per ciò in- sorte, da ultimo i vantaggi che la scienza ne ritrasse. Noi siamo di parere che per questi successi, dal Mo- richini procurati coU'annunzio delle sue ricerche sul magnetismo della luce nel 1812, al medesimo ne venga maggior gloria , di quello che gliene possa venire per la sola scoperta del potere magnetizzante del raggio violetto. Oltre queste memorie al pubblico note,^ il prof. Morichini altre due ne lesse in accademia , relative AccADKMiA de'Lincei 75 alle proprietà magnetiche del raggiatnento solare , ed ub' altra sul potere elettrico del raggiamento stes- so ; però siffatti lavori non furono mai consegnati alle stampe. Noi ne daremo una breve notizia nella iatofa che qui apponiamo, nella quale pure indiche- remo i lavori fatti e le opinioni emesse dai vari fì- Mci sulla scoperta del nominato professore (1). (i) A MiiaaOj il Moscati ed il Volta ripeterono la sperieriza del Morichini , senza ottenere però 1' effetto da esso annunziato (a), il Conlìgliachi a Pavia (6), e Bérard a Montpellier (e) si ebbero il me- desimo negativo risultamento. 11 sig. Babbini (d) al contrario rico- nobbtf vere la sperienze del nostro collega, e di più credette vede- re, che Tago era dal raggio violetto attirato: similmente il prof. Cassola di Napoli , ripetendo le sperienze del Morichini, trovò in esse la conferma della sua scoperta (e), ed il sig. Yelin a Monaco (f), il sig. Str^óhl, e Zichock Kartner trovarono altrettanto; come ancora il sig. Enrico Haeser, il quale così si esprime: " Prim^lra negli^enliae » Morichinium accusai Configliachius, non taulam ab eo adhibitam » esse curam in instiluendis observationibus, quantam rei subtililas » et difficullas postulasset. Satis profecto gravis accusatio: sed eo fa- » cilius reiicienda, quo est iniustior (p. 14). Configliachium postea » fere omnes Morichinii adversarii seculi sant » (g); e Davy nella sua lezione becheriana del 1826 ritiene )vr vera la scoperta del Morichini {h). 11 chimico ed agronomo falenlissimo sig. marchese (a) Bibl. brit. giugno 1813. (b) Gilbert'» annaien der phisic'- t- XLVJ, pag. 337. — Gior- nale di fìsica di Lametherie, setletrJre 1813. (e) Annales of Philosophy. IV pag. 228. (d) Bibl. brit. LIV. pag. 171. [e] Bibl. ital. 1830, t. LIX, >• 129. — Cassola, Trat. di chim. Voi. 1, p. 84j seconda edizione. (f) Bibl. univ. dicembre 1823 — Idem t. 24, p. 253. — Le iher- mo-magnetisme exposé, etc. (g) De radii lucis violacevi magnetica, auctore Henrico Haeser vimariensi commenlatio; Jena 1832. [h) The Bakerìan lectuu- On the Relations of Electrical and f 6 Scienze Nell'anno 1813 (XIX accademico) si stampò il linceogiafo, contenente le dodici tavole delle piescri- Ridolfi (o) poi trovò; che gli aghi posti nell'oscurità sotto l'influenr- za del magnetismo terrestre si calamitavano mollo meno di quelli, che dalla luce solare si facevano investire. Mentre a questo modo i risnltamenti delle sperienze sulla proprietà controversa diversifica- vanOj il sig. Arago (b) comunicò all' accademia delle scienze di Pa- rigi, che la signora Sommerville avea fatto conoscere alla società reale delle scienze di Londra (e) un processo, quanto semplice al- trettanto certo, per mettere in evidenza la virti\ magnetici^ del rag- gio violetto; dirigendo cioè la luce di questo colore sopra una delle estremità dell' ago, e nascondendo tutto il resto del medesimo con uno scranno. La estreraith, che all'azione del raggio era sottoposta, diveniva costantemente il polo nord, e l'altra coperta diveniva il polo sud. Il potere magnetizzante dello spettro cresceva dalPazzuro al violetto, ed era nullo dal verde al rosso. Inoltre i raggi violetti ed azzuri, traversando vetri dì questi colori, bastavano a magnetizzare gli aghi, che venivano investiti dai raggi medesimi; e si accelerava questa magnetizzazione concentrando i raggi magnetici con una fente. La signora Somnierville assicura di più avere osservato, che alcuni aghi da cucire, ed alcuni pezzi di molla da orologio, avvolti prima in un tessuto di seta color violetto, ed anche verde, poi co- perti di carta per metV, se al sole si esponevano, ciascuno sotto un tetro di colore uguale i quello della seta, divenivano magnetici do- po qualche ora (rf). Tutti le indicate sperienze, concludeva il sig. Arago nel riferirle, furon» istituite innanzi la società reale delle Chemical Changes. By sir Ilui'phry Davy Bart. Pref R. S. Philoso phical Transactions. 1826. part.WI. (a) Alti della R. accademia •pistoiese 1816, pag. 79. — Ann. di fisica e chim. di Pavia, Voi. IX, o. 333. — Giorn. di Brugnateili, t. IX. [b] Bibl. univ. marzo 1826. (e) Transazioni filosofiche per ianno 1826. Parie II. p. 132 . . . 139 — Ann. de chim. et de phys. t 31. p. 393 — Corresp. malh. I. 2. p. 161. (rf) Ann. de chim. et phys. l. XXX^pag. 393. — Bibl. univ. t. 3f, p. ^(00. Accademia de'Lincei 77 zioni dell'accademia de'lincei ; escito eoa molta niti- dezza di stampa dai torchi del De Romanis. Era esso scienze di Londra ; e sono tanto semplici, che sembra impossibile supporre un errore nelle medesime. Noi però non sappiamo perchè la signora Sommerville, nella sua interessante opera 5una connessione delle scienze fisiche (a), abbia omesso parlare di tutte queste sue spe- rienze, che vengono in conferma Ji una scoperta, e di una proprietà di connessione, tanto interessante del raggiamento solare. Il signor Seebeck, ripetendo le indicate sperienze, non potè mai ottenere i risultamenti favorevoli allo scopo delle medesime [b], cosicché concluse non essere proprio del raggiamento solare com- partire all'acciaio la polarità magnetica, e negò il fatto annunciato dalla signora Sommerville, attribuendolo ad una illusione. 11 sig. Christie (e) poco dopo annunziò , che l'ampiezza delle oscillazioni di un ago calamitato diminuiva più rapidamente, quando era questo esposto ai raggi solari^ di quello che quando era neh' ombra; e che la influenza della radiazione estendevasi alle oscilla zioni tanto dei corpi non magnetizzati, quanto degli aghi calamitati. Equivaleva ciò a mettere in evidenza le proprietà magnetiche della stessa luce bianca. li sig. Baumgaertner a Vienna (d), ripetendo i saggi della illu- stre dama inglese, riconobbe che una sbarra di acciaro, grossa come un ago comune per lavori a maglia^ in alcune parti con pulimento, ed in altre senza, esposta alla luce diretta e bianca del sole, acqui- stava il polo nord in ciascuna parte tersa, ed il polo sud in ciascu- na parte non tersa. Quest'effetto si riconosceva tanto intenso, da non lasciare verun dubbio sul medesimo: si ottennero a questo mo- do sino ad otto poli, sopra un ago di otto pollici di lunghezza. Una sbarra di acciaro, tersa in solo uno de'suoi estremi, riceveva su que- sto un polo sud, e suU' altro un polo nord. I risultamenti erano i (a) De la connexion des sciences physiques. Paris 1837 , par Mary Sommerville. (6) Berzelius, Trai, di chi. l. I, p. 49. Venezia 1830. (e) Bibl. univ. t. 34, p. 191; e t. 41, p. 52. — Edimb. journal, of. sciences, n. XI. — Philosoph. Iransact. 1828, par. 2." (d) Ann. de chim. et phys. toni. 33, pag. 333. — Christie, Bj- jA'wl. univer. XXXIV, pag. 191. — Bibl. ital. l. 63, p. 62. 78 Scienze diviso in due parti: la prima conteneva le sei tavo- le dette d' istituzione , la seconda le altre sei dette medesimi, qualunque fosse la orientazione degli aghi,, solloposti alla sjierienza privi affatto di ogni sorta di magnetismo. Il sig. Walt sospese, alla estremità di una bilancia mobilissima, più dischi di varie sostanze, la collocò sotto un recipiente di vetxo, dal quale tolse l'aria, e vide che sotto l'influenza della luce solare, lunare, ed artificiale, i dischi rivolgevano i loro bordi verso la sor- gente luminosa, e le loro facce piane parallelamente alla direzione dei raggi. Vide altresì che quando i dischi avevano assorbito una certa quantità di luce , cessava l'attrazione , per dare luogo alla ripulsione della luce stessa verso i dischi; e che questi si disponeva- no in guisa, da offrire alla medesima il meno possibile di superficie. Credette il sìg. Walt, che il calorico nulla o poco influisse in que- sti fenomeni. Per mettere in evidenza il magnetismo di cui parliamo, il sig. Walt, membro della società verneriana di Edimburgo, fu con- dotto alla costruzione dcWheliastroVf o bussola solare [a], iu cui le relazioni fra la luce, e gli aghi che compongono l'istromento, sono tanto manifeste, da risultarne movimenti del tutto analoghi a quelli del fiore di un eliotropio (helianthus) volgarmente girasole. Il prof. Barlocci nel 1830 (6) affermò che una debole magnete naturale, capace di sostenere appena una libra e mezza^ dopo essere stata esposta tre ore alla luce diretta del sole, acquistava un aumen- to di forza, equivalente al peso di due once romane; e nelle mede- sime circostanze la potenza di un'altra magnete raddoppiò- Il mede- simo fisico riconobbe che il polo nord di un apparato, composto di due aghi, era piuttosto respinto dalla parte violetta dello spettro, mentre che il medesimo si attraeva dalla parte dei raggi rossi. Qui è da ricordare che, molti anni prima , l'aumento di for^za delle ma- gneti armatesi osservò dal colonnello Gibbs (p), il quale aveva pur anche riconosciuto in una miniera di ferro magnetico a Succasunny, che la parte superiore del filone alla luce rivolta era magnetica; e che la parte inferiore conseguiva questa proprietà , solo dopo qual- (a) Description d'un nouvej inslrument magnetique, ec. Eiimb pbilosopb. jouranal t. XVIM. ^ Bilil. univer. t. 38, luglio 4«28, p. 193. — Giorn. Arcad. 1829, t. CXXII. (6) Bibl. univ. t. 42, p. 11. — Giorn. Arcad. t. ii, p. l^iS. (e) Journal americ. of scieaces, t. I, p. SO. Accademia de'Lincei 79 di organizzazione. Questo lavoro, fatto ad imitazione dell'antico linceografo di Federico (Vedi Odescalcbi, die giorno di esposizione ai raggi solari. Inoltre avendo il Barlocci disposto due (ìli di rame per modo, che uno fosse in contatto c«l tronco, e l'altro colle gambe di una ranocchia, preparala seconde il solito : e che gli altri estremi prolungati di questi fili terminassero con due piccoli dischi anche di rame, però anneriti, vide che po- nendo questi dischi, uno nel raggio violetto, l'altro nel raggio rosM (ilello spettro solare, si ottenevano, appena chiuso il circuito, con- trazioni marcate nella ranocchia (a). Questo fenomeno che non si prodaceva nella oscurità, o quando si riscaldava «no de'due dischi, diede motivo al nominato fisico di attribuirlo alla influenza ,ma- gneto elettrica dei raggi luminosi. Il prof. De la Rive però con- traddisse alte conseguenze di questi sperimenti; poiché avendo egli evitato le azioni di tutte le cause straniere, non potè mai riuscire a trovare i»ei raggi solari la più debole traccia di elettricità (ft). I signori Riess e Moser (e), dopo avere pur essi con accuratez- za sperimentato molto sui fatti esposti dal prof. Morichini, serven- dosi anche della eliostata, trovarono che ni uno dei moltissimi aghi non magnetici, sottoposti all'azione del raggio violetto, acquistato aveva magnetismo -di sorta, che potesse apprezzarsi; quindi negarono formalmente i fatti medesimi, e le conseguenze della sig. Sommer- ville, del sig. Baumgaertner, e degli altri pel potere magnetizzante del raggio stesso. Questo fisico però creale, che i risultamenti ne- gativi dei signori Riess e Moser non distruggano in alcuna parte i fatti osservati da lui. II prof. Zantedeschi pel contrario assicnrò (d) di avere ottenuto i risultamenti tutti, sia del Morichini^ sia della signora Bommervitle; assegnò le ragioni per le quali egli credette, c4ie aitri fisici non po- terono raggiungerli; e fece dipendere l'azione magnetica del raggio violetto dalla sua azione chimica. E riguardo al potere maguetizzan- (a) Giorn. Arcad. voi. CXXII, p. ii5 . . . 138. (6; Cibi. univ. Juillet 1833. (e) Ann. de eh. et phys. tom. XLII, p. 304 e 310.— Bibl. brit. t. 33, p. 195. (d) Poligrafo di Verona 1831, ec. — Sul termo-elettricismo e lucimagnetico ... sez. 4 e 3. — Bibl. univ. t. 41, p. 6'«. — Idem, t. 42, p. 193. 80 Scienze Memorie istorlco-critiche ec. pajj. 204 e 242, Roma 1806), è assai commendevole, per le disposizioni te solare^ di cui diamo questo cenno storico , debbono pure con- siderarsi dal Hsico le osservazioni del prof. Hansteen (o) sopra i periodi annui e diurni, dei oiassimi e minimi d' intensità magneti- ca, in uno stesso luogo. 11 professor Matteucci nel 1829 annunziò che, convinto egli da mollo, esistere la elettricità nei raggi solari, il volle cimentare col conden.satore a foglie d'oro, e che vide chiaramente le foglie stesse divergere, il medesimo espose altresì alla radiazione solare varie la mine di vetro, le quali cimentate in seguito pur esse all'elettrome- tre, diedero segni evidenti di elettricità. Il sig. Pouìllet asserisce (b), che sebbene abbia egli adoperata ogni cura ed ogni diligenza nel ripetere le sperienze del Morichini, tuttavia non potè mai scoprire veruno effetto sensibile di magnetiz- zazione , cagionata dal raggiamento luminoso : ed anche il signor Dhombrè Firmus ebbe in Alais il medesimo risultamento negativo (e); ma dalla sua memoria si vede, che non praticò egli tutte le cautele prescritte dal Morichini, perchè gli erano sconosciute (rf). il sig. Faraday, quando accompagnò a Roma il celebre Davy nel 1814, passò molte ore col Morichini, occupandosi nello sperimen- tare il potere magnetizzante del raggio violetto ; ma tornato ìli Inghilterra, manifestò di non ammettere quella scoperta; e disse non esser egli riuscito a calamitare un solo ago (e): quindi negò l'azione diretta del raggio violetto nella magnetizzazione quando avveniva ; ed opinò che in questo caso era da riconoscere un effetto seconda- rio, accessorio, e forse accidentale. Tuttavia il sig. Faraday nel 2|gen- naio 1846 attribuì un gran valore alle sperienze del sig. Christie, ed alle memorie del medesimo, che trattano della influenza dei raggi solari sulle calamite (fj. Ora deve osservarsi che questi lavori del sig. (a) Edimb. philos. journal, n. 8, p. 293. (b) Elements de phys. sper. Paris 1844, p. 486. (c) Bibl. univ. t. XI. p. 29. — Ann. de chim. et phys. mars 1819, p. 283. {(l) Giorn. Arcad. t. VI, p. 327, e seg. (e) The Life of Sir llumphry Davy by lohn Agston. Paris, voi. llj p. 42. London 1831. If) Transazioni filosofiche per l'anno 1826. Accademia de'Lincei §f .contenute in osso. Avvenne pure, per opera del go- verno di ollora una distribuzione di medaglie di Chrislie, sono una conferma di quelli del Moricliini e della signora Sommerville, com|irovanti la ripetuta virtù del raggio violetto. Per altra parte noi abbiamo avuto l'onore di visitare il sig. Faraday a Londra, nel giugno del 1850, ed avendolo richiesto del suo giudizio sulla scoperta del Morichini, esso francamente ci manifestò i suoi dubbi rispetto alla medesima, enumerando le diverse cause, per le qua- li poteva seguire una qualche magnetizzazione degli aghi, senza la influenza diretta del raggio violetto. Il prof. Haeser però nel 1834 al Morichini scrìveva come siegue: " Tua eslj Morichini amplissime, summa illa laus, primo couiuncliò- » nem arctissimam, quae intercedit inter lucis atque virium magne- si licarum naturam clarissime eruisse, atque tandem aliquando ger- » manicis quidem physicis persuasum est, ea quae tu ante hos viginti » annos in publicum de radii violacei vi magnetica edidisti, esse ve- li rissima. « Il signor Knor nel 1840 ed il sig. de Moleyns nel 1842, dopo lunghe sperienze sopra un grande numero di aghi, affermarono che ia proprietà magnetica della luce non si poteva in dubbio alcuno re- vocare. Il secondo dei nominati fisici riconobbe, che un ago da cuci'-> re, posto accuratamente sulla superficie dell'acqua, può ricevere una manifesta polarità, senza intervento dei raggi dello spettro; e che l'ago si dirige di per se nel meridiano magnetico, colla punta verso il nord e la testa verso il sud. Però se lago venga sottoposto all' azione dei raggi refratti, si calamita in senso contrario, dirigendo al sud la sua punta. Il rovesciarsi dei poli si effettua più rapida- mente nell'ago, quando esso è posto sotto i raggi azzurri e violetti, di quello sia quando ('. posto sotto gli altri dello spettro. Questa inversione polare si manifesta nell' ago , quando la direzione sua non è quella delle correnti magnetiche terrestri ; poiché quando l'ago sta sulla superficie dell'acqua, diretto secondo il meridiano magnetico, lo spettro solare non produce sull'ago medesimo cangia- mento veruno di polarità; e la sua punta si mantiene rivolta verso il nord, i rovesciamenti dei poli sì ottennero dal sig. de Moleyns anche sottomettendo l'ago alla influenza dello spettro lunare; però, questi rovesciamenti non si trovarono permanenti, come quelli pro- dotti dal primo spettro; poioh^ cessala l'influenza del raggiamento, i poli tornavano subito alla posizione loro primitiva nel caso, della, G.A.T.GXXIV. G 12 Scienze oro , in premio dei lavori scientifici sostenuti dagli accademici ; ed i lincei premiati furono i signori spettro lunare, e vi tornavano almeno dopo ventiquattro ore nel Cìrso dello spettro solare. Ora per dire alcun che dei lavori del Morichini snlia luce, ri- gnardo alla magnetica ed elettrica virtù di essa, restati fino al pre- sente fra le carte del medesimo, cominceremo dal notare, che que- sto scienziato in due tornate, l'una dell'll agosto d814, l'altra del 31 Agosto 1815, ksse all'accademia de' lincei una terza memoria, tutt' ora inedita, ove annunziava che a parecchi dotti, tra' qoali Cuvier e Davy, aveva mostrata con successo la sua sperienza per magne- tizzare gli aghi col raggio violetto; che i fisici fiorentini erano rie- sciti nel ripeterla, perchè aveva potuto egli stesso comunicar loro tutte te condizioni necessarie alla sua riescita ; e che tutti gli altri , cui siil'atta sperienza era mancata, non avevano adempiuto alle condizioni necessarie, sia per confermarla, sia per distruggerne le conseguenze (a). Perciò concludeva il Morichini, che a quell'epo- ca la ricerca sulla virtil magnetizzante del raggio violetto non era pili avanzata di quello fosse nel 1812, quando esso per la prima volta l'annunziò. In questa memoria, i." si fa un'analisi assai sviluppata delle sperienze istituite dal fisico Configliachi a Pavia, e sì dimo- stra che le medesime non valgono ad escludere i fatti annunziati dal nostro linceo sul magnetismo del raggio violetto; 2° si esamina la •sservazione fatta dal prof. Babbini di Firenze, sopra un'apparente azione a distanza, del raggio violetto sul ferro; 3.° si rende conto dei tentativi fatti dall' autore per iscoprire se in alcuno dei raggi dello spettro solare, qualche sorta di elettricità esistesse. Alcuni hanno detto , che il celebre Gay-Lussac erasi pronun- ciato Contro la indicata virtù magnetica: e forse ciò asserirono per- chè nella lettera del sig. Moscati al sig. Odier, inserita nella Bibl. brit., e precisamente nel giugno 1813, si legge che il sig. Gay-Lussac in Francia non era parimente riuscito a magnetizzare gli aghi di ac- ciaio col raggio violetto. Ma ecco in qual modo sul proposito si es- prime il dott. Morichini nella terza sua inedita memoria, che abbiamci sott'occhio. « Io era sicuro che questo mio rispettabilissimo amico (Gay-Lussac) non avrebl>e mancato darmi conio de' suoi tentativi, ia) Gior. Arcad. t. VI, p 327, e seg. AceA^EMiA de'Lincei 83 Pogjjioli, Morichini, Martelli, De Matthaeis, Pessuti, Follia (l'Uiban, Metaxà, Maceraci, Alboryhetti, Fl*i qualunque ne fosse stato l'esito; e di fatti ho ricevuto una sua let- tera del 16 luglio 1813, che ho depositala fedelmente nelle mani del prof. Scarpellini, segretario dell'accademia de' lincei, nella quale si contiene quanto siegue riguardo alla mia sperieuza. « Ho ricevuto » (sono parole di Gay-Lussac al Morichini) Tultima vostra lettera, n con gli esemplari della seconda memoria sopra la vostra l>ella sco- j» perta. Credereste voi che fino al presente io non ho potuto tro- » vare un istante per ripetere la vostra sperieuza? Quando vi è il so- n le, le mie occupazioni me lo impediscono; e quando posso, il sole » manca. Pertanto noi siamo in attenzione il sig. Jillaye ed io. Voi » avrete visto nella Biùliot. brit. che il sig. Moscati dice, che io non » ho potuto riuscire. Ciò è nato da quanto gli ha detto il sig. Cuvier; » ma ho provalo dispiacere che non abbia egli aggiunto, che io per »» nulla dubitava del vostro risultamento. Difalti avendomi l'istituto » incaricato, insieme al sig. Arago, di ripetere l'esperienza; io ver- » balmente comunicai che non eravamo riesciti, seuz' altro perchè « non ci eravamo posti nelle circostanze più favorevoli ; ma che « non perciò dubitavo del risultamento annunziato. Mi è rincre- » sciuto dunque che siasi stampato quello che io non penso. Vi » scriverò subito che noi avremo raggiunto qualche risultamento. » Per essere più sicuri di metterci nelle stesse circostanze vostre, » abbiamo tolto il magnetismo ad uno degli aghi che voi mi avete iu- » viali; poiché sarebbe possibile, che una facilità più o meno gran- ■» de a prendere il magnetismo, influisse sul tempo necessario alla » magnetizzazione degli aghi •». In altre due tornate, cioè nel 22 agosto 1816, e uell'll settem- bre 1817, il prof. Monchini lesse all'accademia una memoria, per es- porre alla medesima le sperienze elettro-metriche istituite sulla luce solare da esso, in unione ai signori professori suoi colleghi doti. Pietro Carpi e Saverio Barlocci. Anche questa quarta memoria del Morichini i^- tuttora inedita, ed i risultamenti ottenuti furono i se- guenti : debole indizio di elettricità vitrea nell'arancio; debole al- tresì di elettricità resinosa nel turchino; e mancanza totale di ogni elettrico segno nel giallo e nel celeste. Nel 27 settembre del 1830 il prof. Morichini lesse ai lincei una quarta memoria sul magnetismo solare, pur essa inedita, inti- lobta: « Nuove sperienze sopra la forza magnetizzante della luce vior 84 Scienze iaai, Linolte, Manni , e Barlocci ; quosto però con medaglia di argento. letta: » nella quale si fece a sviluppare le ciscostanze tutte, che influis- cono sulla magnetizzazione prodotta dal raggio violetto negli aghi. Queste circostanze furono dall' autore in tre classi distinte, cioè: i" in quelle che allo stato atmosferico si riferiscono: 2° in quelle che dipendono dalla natura, dalla massa, e dalla forma dell' acciaio sottoposto alla sperienza: 3° in quelle che riguardano il modo, la durata, e l'ora della proiezione dello stesso raggio sugli aghi o fili da magnetizzare. In quest'ultima memoria l'autore preude particolar- mente di mira le sperienze dei signori fisici alemanni Riess e Moser sopra citate, per dimostrare che le medesime non valgono affatto a negare la sua scoperta , e che sotto vari aspetti contengono delle inesattezze. Deduce inoltre da queste sue nuove sperienze il Mori- chini un' altra conferma di quelle istituite già sull'oggetto mede- simo cou favorevole successo dalla signora Sommerville, dal sig. prof. Zantedeschi, e da vari altri fisici: rispetto a quest'ultimo, egli fra le altre dice pure le seguenti cose, nel fine della sua memoria: » Avendo il prof. Zantedeschi osservato, che l'acciaio preparato con » una miniera di ferro piritica era altresì restio alla influenza dol- » la luce violetta, per qualche porzione di zolfo che vi rimaneva, « volli verificare questo sospetto, trattando qualche grano di lima- » tura dell'acciaio di quest'ago (divenuto debolmente magnetico) lì con una debole soluzione di acido idroclorico in un tubo , alla a cui apertura si erano apposte carte bagnate con una soluzione di » acetato di piombo. Appena cominciato lo sviluppo del gas, le car- « te s'imbrunirono in qualche punto: lo che mi provò l'esattezza « della osservazione fatta dal prof, di Pavia. Gli aghi magnetizzali » in queste sperienze esìisivano il polo nord più debole del polo sud » nelle attrazioni e ripulsioni: lo che pure si trova perfettamente di » accordo colle osservazioni del Zantedeschi ». Volle inoltre il IMorichini, che in questa memoria fosse determi- nata numericamente, per ognuno degli aghi, la componente orizzon- tale della forza magnetica terrestre, producente in essi la declina- zione ; e volle incaricare noi di quanto a ciò faceva d'uopo. Ese- guimmo assai volentieri tale commissione, sia per la stima somma che avevamo di lui, già nostro amatissimo precettore, sia per la gra- titudine che al medesimo professavamo in riguardo alla protezione, alla benevolenza, ed ai favori che ci compartì durante il corso de' ACCAEDEMIA DE'LiNCEI 85 Nel 10 maggio 1814, i membri ordinali dell' accademia quasi lutti rilasciarono allo Scarpellini una testimonianza dello zelo e delle fatiche sostenute da esso a ristabilire e conservare l'accademia dei lincei; quale testimonianza, che noi qui riportiamo (1), fu noslri studi nella università romana, e dopo coaipiuli, fino a che visse. Pertanto grandissima b la soddisfazione che noi sperimentia- mo nel dare qui una pubblica testimonianza della gratitudine no- stra indelebile pel Morichini ; uomo che alla scienza univa le più belle doti dell'animo, fra le quali la lealtà e l'amicizia erano eminenti. Le tre memorie inedite che abbiamo qui riferite del prof Mo- richini, due relative alle sue ricerche sul magnetismo, ed una alla elettricità dei raggi solari, ci furono gentilmente comunicate da monsignor arcivescovo di Nisibi, figlio del professore medesimo; e noi glie ne professiamo la più sincera riconoscenza. Ci proponiamo altresì riprendere queste ricerche, a togliere, se per noi sia possibile^ i dubbi che ancora presso taluni fisici rimangono sulle medesime ; al qual efl'elto abbiamo pregato il sig. duca di Rignano , nostro collega linceo, che a noi si unisca per la esecuzione delle medesi- me: ed esso di buon grado avendo favorita questa nostra preghie- ra, noi avremo insieme l'onore, a lavoro compiuto, informare l'ac- cademia nostra dei risultatnenti che otterremo (Dicembre 1851). (1) Nell'anno 1790 il sacerdote sig. ab. D. Feliciano Scarpellini, . compiuto il corso de'suoi studi filosofici e teologici, si dedicò in Roma alla educazione ed alla istruzione della gioventù, particolar- mente nelle scienze fisiche; ed avendo incominciato egli fin dall'anno 1783 ad allestire un gabinetlo delle principali macchine, concepì il progetto di riunire la gioventù studiosa in forma di un' accademia, per destare in essa l'emulazione, e per istradarla nella considerazione delle grandi opere di Dio, e nelle utili applicazioni di questa scien- za. Si accinse perciò esso alla esecuzione di questo progetto; e ben- ch(^ nei primi anni la nascente accademia scarpelliniana non fosse altro, che un privato esercizio di alcuni giovani alievi del medesimo; pure nell'anno 1795 incominciò a prodursi nel pubblico, non senza soddisfazione delle persone che v'intervennero. Vedendo noi che questo scientifico stabilimento incominciava a presentarsi, non solo proficuo ai buoni studi, ma pure onorevole alla nostra patria, credemmo per incoraggiarlo di associarci al mede- gè Scienze procurata certo per difenderlo da quelle malevolen- ze, che il cessato governo imperiale avrebbe potuta attirargli. Simo, e di cooperare col benemerito istitutore alle mire, che col suo progetto si era proposto. La nostra cooperazione non demeritò la compiacenza del governo ; e l'accademia giunse perfino a godere gì' influssi della sovrana beneficenza del regnante Sommo Pontefice Pio VII; il quale poi si degnò anche destinare alla medesima il locale del collegio (lell'Umbria, ove in origine fu istituita. Questi l'avori c'ispirarono il coraggio di l'are rivivere maggiormente in essa il no- me e lo scopo di quella celebre dei lincei; che (ondata nel princìpio del secolo XVII dal duca Cesi, fu di tanta gloria per Roma e per l'Ita- }ia, come il primo stabilimento in questo genere. Di più, con applauso di Roma e delle oltramontane accademie fa accolto il risorgimento de'liucei, .sotto il pontificato e gli auspici di Pio VI!: e si resse così la nostra accademia anche nelle vicende dei tempi più disastrosi; essendosi conservala sempre, tanto la memoria delle sue beneficenze fra noi, qnanlo la sua veneranda immagine nelle sale della medesima. Ripetendosi adunque l'origine e ì progressi di questa riprodu- zione dallo zelo e dalle cure indefesse del prelodato sig. ab. Scar- pellini, che per tanti anni la sostenne, che tutte sacrificò le risorse, e perfino il lavoro delle sue mani per fornirla di un gabinetto di mac- chine fisiche, di apparati chimici, e d' istromenti astronomici, non inferiore forse ai più completi gabinetti d'Italia, e che finalmente di queste sue proprietà lasciò sempre libero l'uso per l'accademia, e pel servizio del pubblico; credemmo, come q'ìelli che fummo testi- hioni di vista di lutto ciò finora esposto, e che per pi'ì anni vi coo- perammo in qualità di soci, di firmare questo documento, e di de- porlo nel!' archivio deiraccademia stessa, per mandare alla posterità la genuina istoria di questo scientifico avvenimento, e rendere al nostro ristauratore e collega quel merito , che si acquistò: porgen- dogli ancora un sincero attestato della nostra afl'ezione e ricono- scenza. In fede delle quali cose munimmo anche del nostro sigillo il ■presente documento. Dato in Roma dall'accademia dei lincei, anno XIX dal suo risla- ■bìlimento, 10 maggio 1814. Nic. Monsig. Nicolai Giuseppe Origo Accademia de' Lincei 87 VUI. In questo medesimo anno, e precisamente nel 24 di majjgio, tornò per la seconda volta gloriosamente in Roma l'immortale pontefice Pio VII ; il quale , chiamalo a se lo Scarpellini, non solo amorevolmente lo accolse, ma con assai provvido consiglio, stabilita nella università romana la cattedra di cosmogonia mosaica, diede al medesimo a dettarne le dottrine. Tutto ciò servì di gran conforto allo Scarpellini, e lo rassicurò dagli effetti di quelle reazioni, solite a svi- luppare nei mutamenti di governo. Il Santo Padre oel tempo stesso ristabilì la compagnia di Gesù in tutto r orbe cattolico ; e le ragioni, che lo condussero a tale determinazione, non furono dissimili da quelle, che lo determinarono a fondare la cattedra di cos- mogonia mosaica; dacché non poco bene la religione Gioacchino Pessuti Giuseppe Tajjliabò Giuseppe Oddi Girolamo Scaccia Lodovico Linotte Alessandro Conti Giuseppe Caiandreili Luigi Melaxà Andrea Conti Pietro Conti Saverio Barlocci Giuseppe Sisco Domenico Morichini Raffaele Stero Giuseppe Vera Giuseppe Settele Luijji Del Gallo 88 Scienze ritrarrà sempre da siffatto insegnamento. Riportiamo nella nota (1) la lettera del card. Consalvi, nella qua- (l) 21 marzo 1816. Una delle principali cure di Nostro Signore a vantaggio de'suoi amatissimi sudditi è stata sempre quella della pubblica istruzione , tanto necessaria ed utile ad ogni nazione. Tornato egli a questa ca- pitale, dopo le ultime passate vicende, istituì le cattedre di clinica medica e chirurgia, e l'altra della farmacia, le quali erano ancora mancanti nell'archiginnasio della Sapienza. Dato cosi nuovo lustro ed incremento alla detta università nel ramo delle scienze naturali, uno studio assai più grande e sublime vuole ora Sua Santità introdurre e promuovere , qual è quello dell' applicazione delle .scienze naturali alla considerazione del su premo Autore della natura; che, se utile si riconobbe per altre na- zioni, indispensabile si rende per la città di Roma, la quale essendo centro e maestra di una religione diffusa in tutto il mondo, ha ti- toli ed obbligazioni speciali ad avere nel suo senO;, e coltivare sopra tutto questo genere d'istruzione; segnatamente nel tempo presente, in cui si abusa dei progressi delle scienze naturali e delle nuove co- gnizioni , per introdurre degli errori a danno della religione cat- tolica. Predisposti pertanto i mezzi necessari a realizzare le provvide sovrane determinazioni, si è degnata la Santità Sua ordinare, che jiell'archigiunasio della Sapienza una nuova cattedra si aggiunga, la quale si chiamerà di Fisica Sacra, titolo che indica appunto la qua- lità della istruzione per cui viene istituita. L' ingegno, e le cognizioni essendo note del sig. ab. Feliciano Scarpellini nelle scienze naturali, non meno che l'abilità sua nelle scienze sacre, ha creduto Nostro Signore che l'esercizio della nuova cattedra, la quale appunto riunisce 1' insegnamento di ambedue que- ste facoltà, troppo ben convenga allo stesso sig. Scarpellini; e perciò si è degnato nominarlo professore di fisica sacra nell' archiginnasio della Sapienza. Per giugnere con maggiore facilità alla conoscenza della natura^ e quindi applicarla alla considerazione dell'Autore supremo della me- desima, molto contribuiscono le dimostrazioni sperimentali, sopra macchine ed islromenti a tal effetto ordinati. Esistendo nel collegio detto dell' Umbria un ricco gabinetto di tali macchine, destinate all' uso ed al comodo òtlV accademia dei Accademia de'Lincei 89 le si affida questo insegnamento allo Scarpellini, affin- chè si conosca tutto il bello del tenore di essa. Fu tanto l'interesse del somffio gerarca Pio VII per l'ac- cademia de'lincei, che volle onorarla di sua presenza: visitò lo stabilimento, ammirò le macchine fìsiche ed astronomiche in esso contenute, e permise che il suo venerando nome fosse registrato nell'elenco dei lincei. A perpetuare la memoria di questa sovrana onorifi- cenza, fu posta nella sala dell'accademia la seguente iscrizione: PIO . VII . PONT . MAX. OPTIMO . PRINCIPI ANNO . MDCCCXVII m . MEMORIAM . AVSPICATISSIMI . DIEI XV . KAL . MART. QVOD . LYNCEORVM . ACADEMIAM ET . THEATRVM . PHYSICES ADITV . EIVS . NOBILITATA . SINT FELICIANVS . SCARPELLINIVS . LYNCEORVM RESTITVTOR D . N , M . Q . E Nel 1819 si ridusse a quaranta il numero dei lincei componenti il corpo accademico deliberante : questi furono registrati secondo l'ordine dell' anzia- Linceì, il big. ab. Scarpellini, che n'é il proprietario e direUore, le olire alleile per uso di quelle dimostrazioni, relative alle scienze, di cui dovrà tenersi particolare ragionameuto nelle applicazioni, che la nuova facoltà suddetta si propone. Al sig. ah. D. Feliciano Scarpellini. C. CAP.D. CO.NSALVi. 9d Scienze nità loro accademica: e nel 2 luglio dell'anno mede- simo si distribuì fra essi tanto il diploma di accade- mico linceo, che per brevità non riportiamo, quanto il linceografo precedentemente stampato, come già è detto^ ed ognuno ricevè altresì la medaglia lincea (J), che fu immaginata dallo Scarpellini come qui appare. Negli anni seguenti ancor più che nei passati l' esercizio accademico fu copioso di memorie e di rapporti fatti per commissione del governo. Nel 1820 con decreto linceo furono accordate tre medaglie per quegli studenti di fisica sacra della università, i quali avessero dato lodevole saggio del progresso loro in questa scienza, che allo scopo si riferiva dei -lincei: fu altresì decretato, che gli studenti medesimi, quan- te volte avessero assai meritato in siffatta istruzione, fossero fatti candidati lincei. In questo discorso non possiamo svolgere gli an- (1) La medaglia riportata sopra non fu più riprodotta, percUè si ruppe il conio della medesima nel suo rovescio, che poi i'u so- stituito da altro più semplice, nel quale veniva meiso il nome di colui che la riceveva in dono. Accademia de'Lincei 91 hall dell'accademia nostra, dalla nascita sino all'epe- ba della stabilità sua, nell'anno 1847 avvenuta. Un lavoro così fatto abbisojjna di molte ricerche ulterio- ti, e di tempo assai maggiore di quello che attual- mente possiamo spendere, senza cessare dalle nrvolte altre nostre occupazioni. Il compilare però questi an- nali sarà molto utile, non solo per tessere una storia bene ordinata e completamente sviluppata di questo scientifico stabilimento; ma eziandio per servire alla continuazione della pregevolissima opera: « Sajjgio storico della letteratura romana dell'avv. Filippo Maria Renazzi. » Noi abbiamo gran copia di materiali pcìC questo lavoro, e non disperiamo poterlo, quando che sia, condurre a termine. In tanto qui limitandoci ai principali fatti dell'accademia nostra, compresi nell' epoca già in principio definita, riporteremo, riguar- do alle commissioni ed alle memorie, alcune soltanto delle più notevoli. Nel 7 agosto 1824 fu l'accademia incaricata da4 governo di esaminare il processo, che il sig. Fortuna- to Castellani gioielliere orafo proponeva per com- partire speditamente ai lavori d' oro il colore detto giallone. Una commissione tratta dall'accademia, e ^composta del prof. D. Feliciano Scarpellini e del prof. Domenico Morichini , esaminato quel processo , lo riconobbe meritevole di ogni encomio ; quindi eoa analogo rapporto interessò il governo a favore del Castellani pel nuovo suo trovato. Due anni dopo , cioè nel 10 di agosto 1826, lesse il Castellani all'ac- cademia de'lincei una memoria, intitolata: « Ricer- ') che chimico -tecnologiche sul colorimento detto » giallone delle manifatture di oro, con alcun cen- 92 Scienze » no sulle dorature dei bronzi: » nella quale (I) per mezzo di sperienze assai bene circostanziate, e di ragionamenti fondati sopra la teorica elettro-chi-^ mica, concluse che il colore detto giallone consisteva in una precipitazione di oro, prodotta dalla elettrici- tà, sulla manifattura; e dimostrò vari processi, dai quali poteva questo effetto costantemente e con ogni speditezza ottenersi , tanto sulle manifatture di oro, quanto su quelle di bronzo. Siffatta memoria per consiglio di vari dotti, fra'quali Morichini e Dona- relli, fu dall'autore pubblicata nel t. 32 del Giornale arcadico, p, 62. Il sig. Castellani erasi adoperato mol- to per l'accademia, tanto colla sua perizia docimastica iielle commissioni, quanto favorendo in altre guise l'esercizio accademico; per modo che i lincei, nel 10 giugno 1826, vollero a lui rilasciare ampio certifi- cato di gratitudine , per quanto aveva egli operato a loro vantaggio. Ma tornando alla indicata memo- ria , noi crediamo che la medesima, debba riguar- darsi come la prima scintilla di tutta la galvanopla- stica, particolarmente della doratura galvanica; e ciò tanto pei fatti annunciati nella memoria stessa, quan- to per la teorica sviluppata in più luoghi di essa. Il Castellani con quel suo scritto, letto neh' accademia nostra , superò i pregiudizi degli artisti sul colore giallone; rimosse il segreto misterioso fino allora con- servato su questo colore; assegnò all'attrazione mo- lecolare ed alle correnti elettriche la causa principale (1) DI questa memoria venne fatta menzione nell' Antologia, Firenze v. 23, p. 161, §. 2. an. 1827. — Nella biblioteca universale e segretario perpetuo vi terrà conveniente abita- » zione; e la preziosa collezione delle sue macchine » avrà ivi un tempio più che un serbatoio. Cosi il » S. Padre rivendica nel miglior modo possibile To- » nore di quella rupe, alla quale le scienze, le let- » tere, le arti , che vi hanno ora una reggia, da- ») ranno uno splendore meno abbagliante dell'antico, » ma pacifico, e tale che la umanità possa gioirne » senza ribrezzo. » Questi favorevoli risultamenti si poterono conse- guire anche per la generosità del senatore di Ro- ma, in allora don Paluzzo principe Altieri; che unito ai conservatori del popolo romano , di buon grado cedette pei lincei e per lo Scarpellini la maggior parte del secondo piano del suo palazzo senatorio in Campidoglio, affinchè ivi onorevole asilo si avessero le scienze. A perpetuare la gratitudine di tanto be- nefìcio, lo Scarpellini co' suoi colleghi posero, nella maggiore delle sale all' accademia destinate , la se- guente iscrizione: 96 Scienze LEONI . XII . PONT . MAX. QVOD . LYNCEORVxM . ACADEMIAM EIVSQVE . RESTITVTORIS THEATRVM . PHYSICES EX . VMBRIAE . COLLEGIO IN . QYO . HAEC . IPSE . COMPARA VERAT IN . CAPITOLIVM AD . SCIENTIARVM . ET . ARTIVM . DECVS DIGNIOREMQVE . SEDEM . TRANSTVLERIT ANNO . MDCCCXXV LYNCEI . BENEMERENTES . POSVERVNT Per tanto si trasportarono tutte le macchine dal collegio Umbro-Fuccioli nella nuova loro stanza in Campidoglio; ed il sig. Fortunato Castellani, ar- tista e coltivatore delle scienze, volle dimostrare la sua amicizia per lo Scarpellini e per lo stabilimento linceo commettendo agli operai della sua officina di tiasportare a mano tutte quelle macchine più fra- gili e più preziose delle altre, affinchè non avessero le medesime ad incontrare sinistro alcuno , essendo al Campidoglio condotte. In questo medesimo anno, e precisamente nell' 11 di luglio, 1' eminentissimo camerlingo Gal elfi , a dimostrare la sua gratitudine all'accademia pei lavori fatti da'suoi membri a van- taggio del commercio e dell'industria, le inviò dici- annove medaglie, cinque di oro e quattordici di ar- gento, da distribuire a quei lincei, che avevano fatto parte delle commissioni per giudicare sopra quesiti del camerlinffato, come risulta dalla lettera che ere- Accademia de'Lincei 97 diamo utile riportare (l). Osserviamo altresì che le commissioni ricevute dall' accademia per parte del governo, nei tre anni 1823, 1824, -1825, furono tren- laqualtro, e tutte di molla importanza riguardo alla industria ed al commercio dello stato. Nel di 27 luglio 1826 tennero i lincei, nelle nuove sale, la prima loro solenne adunanza; e dallo Scarpellini fu dift\isamente commentata (2) la bellis- sima iscrizione, che il principe dei lincei, lasciò ai suoi colleghi accademici, quasi per testamento; e che a caratteri labili si trova in una parete del palazzo ducale in Acquasparla, ove più volte furono essi con- vocati. La scritta in proposito fu riconosciuta dal sig. cav. Pietro Fontana di Spoleto, quando egli portossi (1) n luglio 1823. Sig. ab. Scarpellini, ristauratore e segretario perpetuo dell'ac- 4;a(leniia dei lincei. Sommaineule grato il cardinale camerlingo alla molta diligenza e zelo addimostralo da cotesla illustre accademia, nell' esaurimento delle diver.se commissioni confidatele in servizio del camerlingato^ e nei rapporti di arti e manifatture, ila credulo proprio del suo do- vere dare alla medesima una testimonianza della sua piena soddisfa- zione. Dirige «juindi lo scrivente, in pacco separato, a V. S. cinque medaglie d'oro, e quattordici d'argento, di quelle pubblicate nella solenne ricorrenza teslè celebrala de'SS. apostoli Pietro, e Paolo. La distribuzione di esse dovrà farsi nel seguente modo : una medaglia d'oro sarà per V. S., un'altra pel sig. dolt. Domenico Morichini, e la terza pel sig. Alessandro Conti : riguardo alle altre due, la sorte deciderà fra i signori avv. Moroni, cav. Marini, cav. Fontana, Dall' Armi, dolt. Poggioli, e prof. Oddi. Quelli che la sorte non favorirà, dovranno conseguire due medaglie di argento per ciascuno. Final- mente avranno una medaglia d'argento i signori professori Venturo- li, cav. Scaccia, doti. Carpi, prof. Settele, dolt. Folchi, e cav. Linotte. Si prevale intanto ec. P. F. Card. GALEFFI. (2) Questo commento fu stampato pel De-Romanis nel 1820. G.A.T.CXXIV. 7 98 Scienze colà, per visit^ire quel santuario della universjile dot- trina; ed è conoe siegue : DEI . OPT . MAX . CULTVS EIVSQVE . OPERVM . VNIVERSAE . MVNDI . MACHINAE SEDVLA . CONTEMPLATIO MENS . SAPIENTVM . SCRIPTA . INTER . ET . DICTA SEMPER . ENVTRITA SVIS . PLENE . CONTENTA NEC . VLLO . ADVERSVS . ALIENA . DESIDERIO SED . AVXILIO . SED . FAVORE . MOTA MORES . QVI . ET . TE . IPSVM . DECEANT . ET . ALII8 . PROSINT AMICITIAE . VERAE . NEXVS 8T . CONSVETVDINIS . VSVS EX . PRORITATE SVBDITORVM . FAMILIAE . OPVM AEQVISSIMA . MODERATIO LABORVM . AMOR . OTII . ODIVM OPERA . QVAE . TVA . PERMANEANT Q/AE . MAIORES . SINCERAE . FIDEI . OBSEQVIO OMNES . PERENNI . VTILITATE . DEMEREANTVR HÀEC . VIRI . SVNT . HAEC . NORILIS . HAEC . PRINCIPIS . SVNT BONVM . NOMEN . VERAS . OPES . FELICITATEM . IPSAM PARIVNT FRIDERICVS. CAESIVS . LYNCEORVM . PRLNCEPS . I. ITA . SE . SVOSQVE . PERPETVO . MONITOS . VOLVIT LYNCEI . RESTITVTI . OBSEQVENTES . ITERVM . PP- X. Stando così le cose dei lincei , giunti ad una esistènza onorevole d'assai, e che sembrava non pe- Accademia de'Lincei 99 ritura; monsignor Cristaldi tesoriere di Leeone XII, e rettore clepulalo della università romana , conceipì per istigazione dello Scarpellini l' idea di costruire luia specola in Campidoglio, la quale servisse ad un tempo all'accademia ed agli studenti della università medesima , ove professava 1' astronomia il cano,nico Scitele. Concetto ragionevolissimo, reclamato non pu- re dalla scienza, ma e dal buon senso; giacché allora J'università non aveva specola, e si doveva iu essa in- segnare la teorica e la piatica della scienza degli astri. Quiudi òche nel 28 novembre ;1825 quel pre- lato invitò lo Scarpellini a «manifestargli le condizio- ni, cui debbe soddi>sfare il fabbricato di un osserva- torio astronomico. Egli rispose a tale i,nvito con un rapporto del 15 dicembre dolio stesso amio; quindi monsignor Cristaldi si portò nell'abitazione dei lincei; ed ivi fu stabilito che la specola già divisata sa- rebbesi eretta sopra la toire di Nicolò V , posta di iimpett> un a^ltro. » Per tanto noi uniformandoci ni voto espresso da questo celebre matenjatico riportiamo nella no- ta (I) il sunto del rapporto, fatto dai nominati Cotfi- (1) ... Fino ad ora non si è pollilo produrre immediatamenle colTazione del vapore se non che l'allernativo .alzarsi ed abbassarsi di uno stantuffo in linea verticale. Questa disposi/ione porta con se alcuni inconvenienti, essenziali alla sua fondameulale idea; poiclic oltre che aumenta la mole della macchina; induce la iK^cessità di tra ■ durr'e il vapore per Un condotto sinuoso, ed interrotto da più or- dini dì valvole, per l'alternativo alzarsi ed abbassarsi di-Ilo stantuffo, genera qualche interrompimento di moto nell'istante in cui si (a i! cambiamento della direzione ; e finalmente produce la necessità di congegni pili o meno complicati^ per convertire il moto rettilineo alternativo nel moto circolare, tutte le volte che si ha bisogno di produrre questa specie di moto, siccome avviene nei molini, nei car- ri, e nei battelli a vapore, ed in moltissime altre applicazioni. Il Non vi ha dunque alcun dubbio, che nn.l macchina , nella quale l'azione del vapore produca immediatamente e di prima mano Accademia de'Lincei 103 missari per quella macchina, e le altre notizie che alla medesima si riFeriscono. Inoltre qui agg^iungia- tiri moto rotatorio continuo ed uniforme, sarebbe un prezioso acqui- s(o nelle arti e manifatture. Non è mancato chi abbia posto mente ai mezzi di conseguire un miglioramento di tanta utilità ed importanza. Quindi nell'immenso deposito d'invenzioni meccaniche abbiamo pure alcune macchine a vapore a rotazione immediata, od a stantuffo cir- colante, immaginate dal Verzy e dal Bouvier (*); ma nessuna di que- ste invenzioni, comecché ingegnosa, potè ottenere tanto favore, da essere giudicata riuscibile in atto pratico, a segno che il successo avevasi per disperato ; e non mancò chi sentenziasse non potersi mai, per qualunque mezzo si i»doperi , evitare in queste macchine lina grande perdita di vapore, con attrito enorme ('*). » Con tutto ciò non è mai a disperare dei lampi dell'ingegnò e degli sforzi della industria umana. L' idea del sig. Sarti é nuova, C diversa da quelle finora pubblicate, delle quali abbiamo contezza, e paragonala alle medesime olire rilevanti vantaggi, consistenti nella somma semplicilc'i della costruzione, e nel movimento, che sarebbe in questa sempre continuo ed equabile, non già interrotto da fer- mate periodiche, come nelle altre macchine precedentemente imma- ginate, ec. »... Costruzione della macchina -modello a spese del govèrno. Jlons. Cristaldi tesoriere adottava il parere della commissioni^ liticpa, per la esecuzione del lavoro; e divisava di mettere in uso la macchina nella fabricazione dei tabacchi. — — La morte di Leone XII fece sospenderne il pensiero. — — Fu riassunto ed approvalo da Pio Vili, ordinandosi al card, camerlingo con biglietto del card. Albani segretario di stato, in da- ta del 31 ottobre 1829^ di far costruire la macchina; e questi dava incarico alla commissione lincea di sorvegliarne il lavoro. — — L' esecuzione della macchina fu commessa al macchinista Enrico Springh, che venuto da Milano per la fabbricazione dei tes- suti di cotone, la eseguì diretto dall'inventore di essa il Sarti. — (*) V. Lanz e Bettencour, Essai sur la composition des machines etc. — Annales de Chimie et de Physique. oct. 1816, p. 177. (**) Borgnis, Traité de mécanique appliquée aux arts^ pag. 138. 104 Scienze rao il parere sulla medesima esternato dal professor G. B. Maselli, nel voi. 2, pag. 345 (Bologna 1827) Sunto del rapporto a monsig. tesoriere, dopo compiuto il modello ec. Questo piccolo modello di macelli na è composto di iiuo staii- tufto, fissato ad angolo retto, nell'albero verticale pel quale passa il vapore, ed entra ad esercitare la sua pressione in un cilindro anu- lare orizzontale guarnito di due valvole, che alzandosi per l'urlo dello stantufTo, ed abbassandosi pel proprio peso, dividono successi- vamente il suddetto anello iu due spazi, in uno dei quali agisce la forza del vapore per far girare tutta la ruota, entro cui è ricavalo il medesimo cilindro , mentre l'altro si vuota del vapore che passa nel condensatore. 11 diametro dello slantullo, e del cilindro anulare in cui agisce, è di mill. 62; vale a dire che la sua area, cui è pro- porzionata la forza che può ricevere la macchina dal vapore, h ap- 1 pena — - parte dell'area dello stantuffo delle ordinarie machine a va- 30 pore. La lunghezza del braccio dello stantuffo , ossia la distanza dal centro di rotazione al centro dello stantuffo, ove s'intende ap- plicata la forza, non è che di 165 niillinietrì, e il peso di tutta la ruota che gira è di circa lib. romane 460. Inlrodollovi il va- pore con una tensione minore di due atmosfere , si è messa e mantenuta costantemente la ruota in movimento continuo, uniforme, e regolarissimo, facendo per ogni minuto poco più o poco meno di fio giri, secondo che veniva accresciuta, o diminuita l'ailliienza del vapore; e ciò senza alcun di quei gravi inconvenienti, clie si sono (inora incontrati in tutti i saggi, diretti ad ottenere nelle macchine a vapore, per quanto è a notizia, la rotazione immediata; oggetto delle ricerche di molti valenti meccanici inglesi e francesi pel van- taggio grande, che presenta questo modo di. applicazione del più potente motore. Il movimento di va e viene, che deve fare lo stantuflb in tutte le macchine a vapore già conosciute, richiede che ad ogni pulsazione si estingua due volte la quantità di moto concepita dallo stantuffo, per prendere la direzione opposta; oltre all'aumento di attriti, e la complicazione del macchinismo che occorre a cambiare il moto di va e viene in moto rotatorio. Inoltre per estinguere gradatamente il moto dello stantuffo, conviene impiegare, nelle macchine med(!sime , una forza di vapore molto grande nel momento della sua adluenza, Accademia de'Lincei 105 delle sue noie ed aggiunte alla meccanica ed idrau- lica del prof. Venturoli. « Se non è i' amor patrio \» quale va diminuendo di mano in mano che si didbixle in luLta la rapacità d*d cilindro, (ino ad essere piccolissima sul line delia corsa dello stanluffo; di modocliè la (orza media rar;(;ua[;liala, con cui viene realmente mossa la macchina, è molto minore di quella che deve avere il vapore, per dare il primo impulso allo stantuffo; men- tre nelle macchine a rotazione immediata agisce il vapore sopra lo stantuffo con tutta la sua forza unicamente e continuamente. Nelle migliori macchine a doppio effetto attualmente in uso, la forza nlile trasmessa alla resistenza, d tratta quella perduta nel movimento di va e viene, e negli attriti, si può appena calco- 3 .... lare li — della forza motrice; mentre in una macchina a rotazione 3 immediata, come la nostra, l'effetto utile si può presumere almeno 4 di — della (orza motrice; e però poste tutte le slesse circostanze, 1 si otterrà in questa il risparmio- almeu» di — del combustihile", oltre la semplicità ed il minor costo del macchinismo, per la di- minuzione degli attriti, ed oltre al minor volume: vantaggi che uo- lahilissimi si renderanno in molti casi di applicazione^ e special- mente nella navigazione a vapore. Per calcolare con precisione la utilità risultante dalla rotazione immediata , e dedurla da questo modello , converrebbe avere una macchina di eguali dimensioni, costruita nel modo ordinario, e pa- ragonarne immediatamente g'i elìetti ; giacché variando di molto le dimensioni, gli effettj stessi non sono più proporzionali, nò può far- sene comparazione rigorosa. Così sarebbe necessario di sperimentare questo modello con applicargli una resistenza, per verificare col fatto il momento della sua forza motrice , e concluderne utili perfezionamenti nelle sue parli mobili , che pel peso loro e per gli attriti potrebbero di- minuirla. Sono convinti però i sottoscritti, dall'effetto osservato in questo piccolo modello, che l'invenzione del Sarti ha toccato lo scopo della rotazione immediata delle macchine a vapore, senza grave inconve- niente; e che con esse macchine si otterranno i vantaggi tutti risul- anti da questo modo di applicazione del motore ecc. ccc 106 ' Scienze w che mi accechi (a questo modo il Masetti) , sono )» d'avviso che non vi sia miglior macchina a va- » pore , atta a produrre un moto di rotazione con- » tinuato ed uniforme, di quella immaginata non ha 1) guari dal sig. Vittorio Sarti bolognese , la quale » da lui destlnavasi alla aereonautica, ma che potreb- » be efficacemente servire ad altri usi utilissimi; per » esempio, a mettere in moto molini da grano, do- » ve mancasse un corpo d' acqua ed una caduta a » ciò sufficiente. » E mirabile che quest'uomo, senza veruna co- » gnizione delle macchine a vapore da valenti uo- » mini immaginate, e senza la scorta della meccani- » ca razionale, e della geometria, abbia saputo im- >) maginare un modo semplicissimo , per produrre » coir azione del vapore un moto rotatorio e per- n manente, privo di quegli artifizi, ritenuti indispen- » sabili dagli odierni fabbricatori ed inventori di si- )> mili macchine ; i quali tornano sempre a scapito » della potenza motrice , e quindi dell' effetto utile » della macchina (1). La spesa incontrata dal governo, per la costruzione del modello di questa macchina, fu di scudi mille dugento sessanta. (1) Il Sarli, calzolaio di professione, e perciò non obbligato a sapere ultra crepidam, .seppe ancbe immaginare un con^'^egno aereo- naiilieo del tnlto nuovo; e non isgomeiilato dalla sorte del suo con- cittadino Zambeccari, lento risolvere il problema della navigazione aerea. Consisteva questo congegno in due velieri, l'uno verticale, l'al- tro variamente inclinato ; ambedue formati di vele^ disposte in su- perficie elicoidali per modo, che dalla rotazione loro continua intor- no all'asse rettilineo, sul quale si trovavano disposte, nfe dovesse de rivare il moto ascendente verticale, ed il moto obliquo, pel conge- gno aereonautico stesso. AcCACEiwiA de'Lincei 107 Xlf. Il card. Della Sofnaglia^ segretario di stato dì Leone XII, nel 13 novembre 1826 richiese l'acca- demia dei lincei del suo voto sopra nn nuovo me- todo, che si disse capace di perfezionamento sempre crescente, proposto e praticato dal sig. Alberto Gatti, per mig-liorare la costruzione degli specchi e delle lenti. L'accademia per soddisfare al ricevuto inca- rico nominò v/fìa commissione speciale, formata dei .^ignori professori Giuseppe Oddi, D. Giuseppe Set- tele, e D. Feliciano Scarpellini; la quale nel 1 agosto' 1827 rese pubblico il suo rapporto sul nuovo ritro- vato del Gatti, ed assai favorevolmente si pronunciò pel medesimo. Lo specchio, sul quale fu richiamata l'attenzione dei comtnissari, era di metallo; aveva l'apertura di Ha. So. ed il foco di piedi 4,5; esaminarono essi La commissione Jei lincei, nominala nel luglio 1830 per giiuli- care di questo rtnovo me/.io fii navijjazione aerea, si componeva dei signori Venturoli, Polenziaiii, e Scarpellini Questi commissari, dopo esaminalo il modello di sì fatto congegno , e dopo avere assistito ad una sptirienza, che si eseguì col medesimo in una delle grandi sale d'I palazzo Colonna in Uoma, fecero un rapporto favorevole a que^ sto trovato. Voleva però il Sarti ottenere la rotazione dei due ve- lieri, per mezzo della sua macchina a vapore a rotazione immediata; ma da miglior consiglio fu chiamato ad occuparsi unicamente della sua macchina a vapore; lo che fece. Conlemporanpamente, non abban- donando egli la idea dell'aereonuitica, sostituì al veliero verticale il globo di gas idrogeno, col quale avrebbe voluto innalzarsi; e con- servando il veliero obliquo, avrebbe voltilo con questo dirigersi. Però disgraziatamente la morte lo colse innanzi tempo, insieme al meccanico Springh, esecutore pratico delle sue invenzioni. 108 S e I E N Z E pure un altro simile specchio metallico, avente per diametro IO'"''., 2^"", e per distanza focale circa pie- di A5. Attualmente questo si conserva nel gabinetto fisico delia università romana, eolle firme dei com- missari nominati. Mancavano al Gatti artista ottico i mezzi pcF mandare ad effetto in guisa il suo trovato, da mo- strare al pubblico r utile che la scienza dal medesi- mo ritraeva ; e lo Scarpellini supplì a questa man- canza, ricorrendo alla generosità del sig. principe D. Alessandro Torlonia; il quale non solo fissò al Gatti uno stipendio mensile, ma eziandio gli provvide tutta il bisognevole per esercitare l'arte sua nuova, dalla quale molti speravano grandi progressi per l'ottica. Volendo il governo pontifioio conoscere i mezzi più acconci a produrre il miglioramento e la perfe- zione delle manifatture dello stato , ordinò , appro- vando le risoluzioni prese in proposito dalla s. con- gregazione economica , che il cardinal camerlingo eccitasse l'accademia de'lincei, atrinchè, scelta fra essi una commissione dei più periti nelle meccaniche e nelle arti, questa esaminasse le manifaiture che me- glio si esercitavano o potevano esercitarsi nella ca- pitale , specialmente quelle di lana e di seta , per conoscere i metodi che si praticavano dagli operai, analizzare la qualità de'colori o di altri ingredienti che vi si adoperavano, il modo di applicarli, ed ogni altra cosa, la quale potesse condurre le manifatture slesse ad uno stato di migliore lavorazione. Il no- minato cardinale comunicò queste sovrane disposi- zioni all'accademia, in data del 12 settembre 1827; ed in conseguenza di tale comunicazione, il presiden- ACGÀDEMIA DE'LiNCEI 109 te della medesima monsignor Nicolai nominò una commissione per adempiere all' incarico ricevuto , come rilevasi dalla circolare del segretario perpetuo Scarpellini , che qui riportiamo (*). Il rapporto dei (*) Circolare L' Emo e Rmo sig. cardinale camerliiigo ha fatto sentire con suo dispaccio a S. E. R. monsignor Nicolai, presidente dall'accademia dei lincei, essere ordine di Sua Santità, che una commissine tratta dal corpo accademico si occupi di proporre i mezzi più conducenti per innalzare al debito grado di miglioramento le principali manifat- ture dello stato. Il comitato accademico ha meritamente incluso la S. V. chiaris- siipa in questa commissione: quindi nell'avanzarle per mio oflicio (ine- sta partecipazione, la prego, a nome di monsig. presidente, favorire presso il medesimo nel futuro martedì 11 dicembre, alle ore 22, pel primo congresso che la commissione vi terrà; e con distinta stima passo a rassegnarmi, D^H'accadeniia de'lincei sul Campidoglio 9 dicembre 1827. Pel Comitato Umo. devmo. servitore . Felìciano Sc*rpellim segk. pehp^xuo Membri della commissione . . i . Monsignor Nicolai presidente , Sigg. dolt. cav. Morichini (relatore per la preparazione dei colori] » prof. Vcnluroli » march. Marini u march. Del Gallo (relatore per quello riguarda i drappi di lana j » march. Potetiziani (relatore per proporre i mezzi a miglio- rare la pastorizia, ed a perfezionare le nostre lane] ^■' » dott Metaxà » dott. Carpi » dott. Cappello » prof. Perelli (relatore per la parte pratica delle prepara- zioni) -l'I » prof. Scarpellini segretario perpetuo doiraccademia. 110 Scienze commissari, che approvato dairaccadeinìa fu rimesso al camerlingato il 5 dicembre 1828, concludeva nel seguente modo : » 1 sudditi pontifìcii oel gpiro di fcrent'aani soflfer- » sero grandi perdite, perciò sono afflitti oggi da » grandi bisogni, e sono in questua di soccorso. E » necessario adunque procurar loro una risorsa gran- » de e permanente, allineile abbia lo stato potìtificio » un ordine nuovo di sussistenza, idoneo alla prospe- ») rità di tutte le classi. Una popolazione di due mi- » lioni e mezzo, ricca di prodotti e d'ingegno, po- » sta nel centro dell'Italia, e bagnata da due mari, » può aspirare a quel fisico progresso , che forma » la felicità di varie altre nazioni europee. Questo » si trova unicamente nella industria, nelle nianifat- » ture, e nell'esercizio delle arti utili, che sono più » valutabili delle miniere del Messico e del Perù. » Tocca dunque al governo prendere di mira que- » sta grande opera; e ad esempio delle altre nazioni I) sostenerla col suo potere, contro le difficoltà na- » turali , contro quelle che dalle vecchie abitudini ») derivano, e contro le altre, che la invidia o la ma- » lizia, tanto interna quanto straniera, potrebbe ca- » gionare. » I sudditi dal canto loro faranno plauso e » contribuiranno ben volentieri a tale nobile scopo; » e la classe laboriosa dei cittadini si reputerà for- » lunata nel trovare una perenne risorsa contro la » sua miseria, e nel corrispondere colle sue braccia, » divenute abili, alle mire benefiche del suo immor- » tale sovrano. » Nel 4827 lo Scarpelìini distribuiva cinque me- Accademia de'Lincei 1 1 1 daglie straordinarie, colla epigrafe benemerenti, de- creiate dal comitato accademico, in virtù dell'art. V tav. VI del linceografo, ad ognuno dei quattro lin- cei che avevano fino a quell'epoca presentale più di quindici loro produzioni all'accademia; e questi furo- no i professori Poggioli, De Matthaeis, Metaxà, Mo- nchini. XIII. Merita che sia qui menzionato il dotto ragiaaa- mento , che sulla origine delle febbri periodiche di Roma leggeva il doti. Giacomo Folcili nel di 4 agosto 1828 ai lincei; così pure l'altro del medesimo, col quale rischiarando egli alcun poco la probleioa- tica funziona del sistema nervoso, annunziava ft'a le aitre cose, avere col galvanooietro esplorato due pezzi di cervello umano, l'uno spettante alla parte midol- lare, l'alti'o alla cinerea; e di avere osservato in que- sto caso una piccolissima deviazione nell'ago ! . . . Piacque alle più rinomate accademie di Euiopa questa ricerca, perchè la riconobbero quale preludio di emulazione continuata contro gli ostacoli clvi si oppongono ai progressi della fisiologia. E di fatto poco stette, che il Folchi si trasse vieppiù l'ammira- zione pubbhca, dando a conoscere ai fisiologi un altro suo sperimento, pubblicato negli annali universali di medicina, con una sua lettera del 20 ottobre 1834 diretta al dolt. Oraodei fondatore e compilatore dei medesimi, concepita in questi precisi termini. « .... Mi sono portato al pubblico stabilimeijto » di mattazione, in compagnia del sig. Barlocci, pro- »> fossore di fisica sperimentale , del naturalista sig. 1Ì2 Scienze )) Riccioli , e del sig. Luswergh macchinista della » università. Abbiamo posto un eccellente galvano- » metro di Schweijjger sopra un tavolo ben fermo » ed in modo , che 1' ago fosse nella direzione del » meridiano magnetico, e segnasse lo zero nel semi- » cerchio. Stando l'ago perfettamente immobile, ab- » biamo fatto decapitare un grosso vitello, portando » il coltello tra il forame occipitale e l' atlante : la » testa fu immediatamente posta sopra il tavolo , » mostrando essa forti convelllmenti nei muscoli de- » gli occhi e delle mandibole. Allora senza indugio » una estremità del filo di argento del galvanometro, » munita di una laminetla acuminata, parimente di » argento, fu applicata alla parte esteriore o bianca » del midollo spinale , e 1' estremità dell' altro filo » deirislromento, in egual modo guernita, fu insi- » nuata nel centro, o parte cinericcia del midollo : » neir atto dell' applicazione, l' ago , il quale , come » abbiam detto , stava immobile allo zero , ha de- » viato di sei gradi verso l'ovest; ed è ivi rimasto: » tolti i fili dal midollo,, l'ago è tornato allo zero, e ;> nella linea del suo meridiano. Ripetuto Vesperimen- ») to per quattro volte, con qualche intervallo di mez- » zo, l'indice del galvanometro si è sempre rivolto » all'ovest , con questa sola differenza, che nell'ul- » timo tentativo ha segnato cinque gradi in luogo » di sei. « Il movimento dell'ago all'ovest ci ha fatto co- )» noscere, che la elettricità positiva veniva dal filo, » che si trovava in contatto coll'esteriore del midollo » spinale » . . . . Dalla esposizione di questo secondo sperimento Accademia be'Lincei 113 del Folcili, era da prevedere che sarebbe mi giorno venuto, in cui la sensibililà della materia vivente, per l'eleltrico circolante in essa , di più in più sa- rebbesi manifestata , sino a divenire evidentissima ; e che l'accademia roujana dei lincei sarebbesi allora molto compiaciuta, ricordando essersi nel suo seno il primo germe di siffatti elettro- fisiologici fenomeni prodotto (*j. Nella riapertura dell'accademia, che nel 1830 si faceva , lo Scarpellini, secondo il solito, continuava la narrazione degli atti lincei; e noi troviamo in essa (juesle parole: « Basta che svolgansi gli elenchi del- » le pubbliche nostre adunanze pel corso di anni >> 36 a contestare, che non vi ebbe ramo di scienze, » o di utili applicazioni loro, il quale non fosse dai ['] 111 occasione delle ricerche del professore prussiano sig. Emilio (lu Bois Reymoiul sopra le correnti elettro-fisiologiche, o nervose, il (loti. Marchiaiidi di Torino si levò a rivendic;are ai sigg. professori Puccinotli e Pacinotti di Pisa, e quindi all'ilalia, l'onore di aver veduto per la prima volta la corrente animale abbandonare ossequen- le i suoi naturali confini, per correre le fila del galvanametro [a). Comparvero altresì un Zanledeschi, un Magrini, un Cima, e più di ogni altro un Matteucci a ricordare gli allori da essi mietuti nel campo di f|uesttì delicatissime ed utilissime investigazioni. Ma il sig. doli. Giulio Crescimbeni di s. Giovanni in Persicelo scriveva nell' agosto del 1830 al doti. Luigi Malagodi di Fano, per attribuire al romano linceo doli. Giacomo Folchi la vera priorità nelle sperienze dirette alla scoperta delle correnti elettro-tìsiologi- che (W . (Dicembre J831.) (rt) Vedi Dnlletlino della corrispondenza scientifica di Roma n." 14; settembre 18Ì9;, pag. 111. [b] V. Raccoglitore medico di I^ino n." U; del 13 seltembre 1830, pag. Ifil. G.A.T.CXXIV. 8 f 14 Scienze » nostri dotti colleglli egregiamente trattalo. Si tro- j) vano ivi argomenti , e sopra le scienze esatte , e M sopra le fìsiche, e sopra le chimiche, con applica- » i^ioni sempre utili; spesso poi col pregio delle in- » venzioni. Quindi risulta che nell'indicato corso di » anni le memorie lette in accademia sono più di » 400, le quali forse non sarebbero apparse, quante » volte non fossero i lincei risorti. » XIV. l politici turbamenti, cui soggiacquero alcune province dello stato pontificio , mentre al governa del medesimo veniva eletto Gregorio XVI , furono cagione che nel 1831 silenzio s' imponesse ad ogni specie di pubblica istruzione; quindi anche all'acca- demia dei lincei. Questa però fu la prima fra le ac- cademie di Roma che riprese il suo esercizio; giac- ché il governo si trovò necessitato nel 1832 a con- sultarla pei danni e per la costernazione, che nell' Umbria i terremoti cagionavano. Essa in fatto con dispaccio dell'Emo signor cardinal Bernetti, segretario di stato della s. m. di Gregorio XVI , nel 1 feb- braio 1832 fu incaricata di esaminare una memoria del signor Antonio Rutili-Genlili di Fuligno sulle vicende fisiche , cui andò sottoposto il territorio di quella città, e gran parte dei paesi adiacenti, col 13 gennaio del citato anno ; ed altra simile , del prof. Canali di Perugia, sulle cause che poterono concor- rere alla produzione del terremuoto nella valle dell' Umbria, e sui mezzi per allontanarle o renderle me- no dannose. Accademia de'Lincei 115 Pertanto la commissione lincea , composta dei signori Morichini , Carpi , Scarpellini , Venturoli , Ciccolini , Metaxà , Barloccl (relatore ) , riconosciuto come inefiìcace a preservare la bella valle dell'Um- bria quanto era proposto dai su nominati autori, che si riduceva: 1." agli artificiali allagamenti, 2." ai pozzi artesiani, 3." alle spranghe frankliniane ; fece osser- vare che i più savi provvedimenti, presi finora dai governi per queste vicende, furono conformi a quelli praticati un tempo dagli antichi romani, ed ora dagli abitanti del Giappone e delle isole Filippine come leggi di stato, e adottati anche in Calabria dopo il terremuoto del 1783. Questi provvedimenti si ridu- cono: primo, ad allontanare gli abitanti dai luoghi più minacciati dai terremuoti, ed a ricovrarli pel mo- mento sotto tende, capanne, ed abitazioni di legno : secondo, ai regolamenti da darsi per la costruzione dei nuovi edifizi, che consistono nella scelta di un suolo meno suscettibile di scuotimento, su cui pian- tarli ; e nella solidità dipendente dalla tenacità delle malte, dalla stabilità delle fondamenta, e dal limite di elevazione delle nuove case, che debbono mantenersi basse , connettendone e collegandone i muri per mez- zo di spranghe, ossia catene di ferro, a guarentire così .quanto è possibile la sicurezza degli abitanti nel caso di nuovi disastri. Inoltre faceva riflettere la com- missione stessa; che per lo più straordinari e passeg- geri sono tali fenomeni; che raramente si rinnovano con frequenza e colla stessa intensità; che da ultimo quando la natura in qualche sua catastrofe ha sfo- gato l'impeto delle sue forze, ofFie poi lungo inter- vallo di tregua, prima che tornino a riprodursi le 116 Scienze stesse combinazioni e circostanze: come la storia dei cosmici avvenimenti ne attesta. Il professore Scarpellini segretario perpetuo, nel rimettere alla seg^reteria di stalo l'indicato voto ap^ provato dall' accademia , aggiunse nella sua lettera del 24 febbraio stesso, « che la dignità del governo, i fondamenti della scienza, il decoro dell'accademia, e l'esempio di tanti secoli, guidato avevano i lincei nell'esternare il giudizio loro sopra il più oscuro ed il meno riparabile dei naturali disastri ». XV. Nel medesimo anno 1832 si compiè dal Gatti un riflettore di 8 piedi di foco, e del diametro di 16 pollici , da lui foggiato col nuovo suo metodo in marmo nero antico, detto tenario. Con questo riflet- tore il sig. principe D. Alessandro Torlonla fece, an- che a sue spese, costruire dal macchinista Angelo Luswergh, e sotto la direzione dello Scarpellini, un telescopio catadiottrico newtoniano, da potersi ado- perare pure alla herschelliana. Egli ordinò inoltre che altri due specchi, pure di bellissimo nero antico, fos- sero costrutti dal Gatti; uno del diametro di 26 pol- lici, e del foco di 20 piedi, l'altro del diametro di 28 pollici; questo però avente il foco per una delle due riflettenti superficie di 20, e per l'altra di 40 piedi. Siffatti nuovi riflettori furono dal Gatti lavorati negli ambienti dell'accademia, ove il medesimo pure allog- giava fin dall'anno 1834 per favore dello Scarpelli^ ni stesso. Continuando il sig. principe Torlonia nella in- Accademia de'Lincei 117 trapresa via di generosità verso le buone istituzioni^ e verso coloro che coltivano le scienze ^ volle che il telescopio catadiottrico, già con assai eleganza co- strutto (tav. Il), fosse donato all'accademia de'lincei, come nobilmente apparisce dalla sua lettera del 23 novembre 1837, allo Scarpellini diretta; e volle al- tresì, che presso la specola del Campidoglio si co- struisse a sue spese una camera per collocarvi que- sto islromento ; affinchè agevolmente se ne potesse far uso nelle osservazioni astronomiche. Ciò rilevasi pure dalla sopra citata lettera. Le narrate nobilissime azioni del principe don Alessandro Torlonia onorano molto il suo nome ; e solo per esse, non già per altro, quella eminente con- dizione sociale si raggiunge , che dicesi nobiltà ; la quale al dire dell'Alighieri è « manto che tosto rac- » coree. Sì che, se non s'appon di die in die, Lo tem- » pò va dintorno con le force ». Per queste benefi- cenze furono dall'Emo Lambruschini , allora segre- tario di stato e prefetto della s. congregazione degli .studi, e dall'Emo. Giustiniani, allora camerlingo di S. R. chiesa ed arcicancelliere della università roma- na, indirizzate lettere di ringraziamento nel gennaio 1838 al nominato sig. principe. Per queste medesi- me beneficenze i lincei posero sulla esterna parete della camera, ove fu collocato quel telescopio, la se- guente iscrizione: 118 Scienze ALEXANDRO . TORLONIAE PATRIAE . AMANTISSIMO ARTIVM . SCIENTIARVMQ. PROPAGATORI QVOD . HOC . TELESCOPIVM NOVO . ARTIS . MOLIMINE IMPENSA . SVA . INSTRVI . FECERIT ET . AD . LYNCEORVM STVDIOSAEQVE . IVVENTVTIS . VSVM AEDE . APPOSITE . PARATA . ESSE . VOLVERIT COLLEGI VM . LYNCEO . MVNIFICO PONI . CENSVIT ANNO . MDCCCXXXVII Inoltre una deputazione fu scelta dal corpo ac- cademico, e formata di monsignor Girolamo Galanti, del principe D. Pietro Odescalchi , del duca di Ri- gnano D. Mario Massimo , del prof. Pietro Carpi , del professor D. Feliciano Scarpellini affinchè, offren- do essi al sig. principe Torlonia il diploma di linceo onorario, significassero al medesimo i ringraziamenti e la gratitudine dell'accademia pei doni da lui gen- tilmente fatti alla medesima. Questa commissione sod- disfece all'onorevole incarico nel dì 5 gennaio 1838. La fabbrica di specchi e lenti del Gatti non potè gran fatto progredire; giacché il medesimo nella notte del 14 dicembre 1840 cessò di vivere, in età di anni 75. Lasciò egli un allievo nel signor Pietro Belli di Voghera , il quale nel 1842 produsse un telescopio catadlottrico, di cui lo specchio, pure di nero antico, aveva cinque piedi e mezzo di foco, e quattro di apertura, montato alla herschelliana. Fece Accademia de'Lincei 4 49 jjure il Belli altri lavori simili, e fra questi uno spec- chio di metallo, avente circa 45 piedi di foco, e lo*"*'. Il'"" di apertura, che ritrasse da uno specchio pia- no antico, donatogli dal sig. principe don Marcanto- nio Borghese. Questo riflettore però non fu termi- nato del tutto, ed ora trovasi nel gabinetto fisico della università romana, insieme alla sua sagoma di pietre dure, colla quale, secondo il metodo del Gatti, erasi lo specchio medesimo lavorato. Il Belli poco soprav* visse al suo maestro; e colla sua morte cessò di pra- ticarsi, almeno in Roma, il metodo del Gatti per la costruzione di specchi e lenti; metodo fornito d'illi- mitato miglioramento, secondo quello che il Gatti ed altri asserivano (1). XVI. Fra le memorie lette in accademia nel 1833 ne troviamo una del signor duca di Rignano , attuale nostro presidente; nella quale il medesimo, dopo ave- re brevemente narrata la storia dei passaggi di Mer- curio innanzi al disco solare, comunicava la osserva- zione, che aveva egli fatta nella sua specola, sul pas- saggio di questo pianeta innanzi al sole; e profittava di ciò per giungere ad una rettificazione degli ele- menti dell'orbita planetaria , dopo averli confrontati con le antiche osservazioni, che nuovamente sottopose a calcolo. (1) Per la descrizione di questo metodo si Icfjga la memoria del prof. D. Feliciano Scarpellini — Sopra alenai «uovi riflettori ecc. — Roma dalla tipografia Salvlucci 1833. f<^0 Scienze „., ,JNfel 18,'{G Ili dal nominalo sig. duca falla Paper- liira dell'accademia, e nella medesima egli lesse una sua memoria « Sulla natura delle comete ». Non possiamo dispensarci ora dal far conoscere una disposizione, che il governo ponlificio nel 1836 adottò per favorire il commercio e 1' industria dei suoi sudditi , valendosi dell' accademia dei lincei a raggiungere questo preziosissimo fine. Voleva in som- ma il governo pontificio stabilire un deposito pei modelli di arti e mestieri; e voleva invigilare sul pro- gresso della industria del suo stalo, facendovi prin- cipalmente influire l'accademia de'lincei, come rile- vasi da quanto segue. Nel 13 aprile 1836 il camerlingato faceva pre- sente all'accademia nostra, che 1' editto del 3 settem- bre 1833, sulle dichiarazioni di proprietà per le in- venzioni e scoperte, prescrive all'aiticolo 8" di pre- sentare la descrizione della scoperta, o invenzione, o metodo, o miglioramento con piani, disegni, spaccali, modelli o campioni all'uopo necessari; ed all'ari. 16, §. 4, 5, e 7 , di verificare se nella descrizione pre- sentata sia taciuto, alteralo, o falsificato alcuno dei mezzi necessari , utili, ed anche più economici, per l'esecuzione pratica del nuovo genere di scoperta, od arte, o del nuovo metodo, o miglioramento; e di pren- dere ogni anno legalmente e colle solite cautele i campioni per conoscere, se il genere, o la manifat- tura, che godeva del privilegio, erasi deteriorata. Non conoscendo il cardinal camerlingo, per eseguire ta- li disposizioni , persone piii diligenti e zelanti degli accademici lincei , deliberò trasmettere in deposito air accademia le descrizioni ed i modelli sopranno- Accademia de'Lincei 121 minati , e d'incaricarla delle indicate verificazioni ; al qual uopo inviava l'elenco delle dichiarazioni di proprietà fino a qiiell' epoca concesse , riserbandosi d'inviare poi le altre che di mano in mano sopravver- rebbero: e di naostrare airoccorrenza, in quella mi- sura che gli sarebbe stata possibile, la sua {gratitu- dine per le cure che gli accademici avrebbero do- vuto a tal fine sostenere. Lo Scarpellini per siffatte ingiunzioni rispose, col 22 aprile 1836 , che il corpo accademico linceo avrebbe col massimo gradimento corrisposto alle in- combenze affidategli dal governo , e che tosto egli avrebbe riunito il corpo medesimo affinchè provve- desse al bisogno. A manifestare vie meglio le benefiche intenzioni del governo per la industria de' suoi stati, nuova- mente il card, cameriingo scrisse all' accademia dei lincei, nel 14 luglio 1836, come segue: « Il cardinal Cameriingo è ben sensibile alla pre- » mura, con la quale codesta rispettabile accademia » SI dimostra propensa ad assumere l'incarico, che » nello interesse delle arti e manifatture volle lo » scrivente confidarle. A rendere operoso questo ze- » Io, da cui fu sempre animato cotesto benemerito » istituto^ e ad assicurare l'adempimento delle dis- » posizioni contenute nella notificazione dei 3 set- » tembre 1833 sulle invenzioni e scoperte, il raede- » simo cardinale interessa V. S. chiarissima, perchè » una sezione tratta dal seno dell' accademia prenda )» l'incarico di verificare, se coloro, i quali ottennero '• già da un anno la dichiarazione di proprietà, ab- » biano messo in attività il nuovo opificio, o mani- -122 Scienze ») fattura; e se corrisponda esso perfettamente ai mo- » delli, disegni, e descrizioni presentati al dicastero: » pel qual elFeito è V. S. autorizzata disigillare i pac- » chi che quelli contengono. Ed in questa circo- » stanza dovrà pure la sezione prendere legalmente » i campioni delle nuove attivate manifatture , per » procedere poi all'esame prescritto dal §. VII dell' » ar. 17 della citata legge (1). » [ì] L'accademia per mezzo del suo segretario, neir agosto del 1836, comunicò al camerlingato le disposizioni da lei stabilite per la ricevuta incombenza ; e lo Scarpellini scriveva perciò in cosi fallii guìsa.- Reslavami ancora l'officio di significare all'Einza Vostra Rma, essersi di già partecipato all'accademia la provvidentissima de- liberazione governativa nella decorsa publica adunanza. Mentre fjuesta apre la via a quelle mire benefiche^ che si propone il governo col lavorire il genio e l'industria, ingrandisce a segno il campo coltivato dai lincei, che tutla ne debbono ripetere la gloria dalla protezione e favore con cui 1' Emza V. Rma onorò sempre ed incoraggiò 1 istituto loro. Accoltasi pertanto con giubi- lo questa nuova testimonianza di stima e fiducia, fu sollecita l'acca- demia trarre dal suo seno, come ordina l'È. V., una speciale sezio- ne , la quale sia incaricala di quanto riguarda le attribuzioni sue circa gli articoli dell'enunciato editto. La sezione nominata dal corpo accademico venne com- posta dei seguenti lincei del numero dei quaranta soci ordinari. Sezione Lincea Professore Venturoli (presidente) Professore Carpi Professore Cavalieri Professore Volpicelli Marchese Del Gallo Marchese Potcnziaui Duca di Rignano Professore Scarpeliini (segretario). Accademia de'Lincei 123 Tanto le intenzioni del governo, quanto i lavori utilissimi dei lincei, non ebbero il pieno loro effetto, Questa sezione, per agevolare le operazioni, fu divisa in due classi. Quattro dei membri furono incaricati a prendere in esame gli articoli spettanti alla tìsica, alla cliimica, ed alle arti che ne dipendo- no: altri quattro furono destinati ad occuparsi di tutto ciò che ap- partiene alla meccanica ed alle arti da essa procedenti. Priu\ Classe Duca di Rignano Venturoli Cavalieri Volpicelli Seconda Classe Carpi Del Gallo Potenziani Scarpellini Queste attribuzioni furono così distribuite nella prima seduta della intiera sezione: considerandosi però aver essa bisogno di molli particolari per lo sviluppo delle sue operazioni, fu nella medesima proposto fra i lincei pure il sig. Filippo Tomassini; che, come segretario del camerlingato, specialmente poteva far conoscere alla sezione lo spirito dell'editto e delle provvidenze del governo sul proposito; e per altra parte avrebbe molto potuto giovare all'acca- demia colla sua influenza. Ebbe per tanto il Tomassini la nomina di linceo; ed entrò a far parte della indicata sezione. Nella seconda seduta si procedette all'apertura delle casse trasmesse, contenenti modelli, disegni, e descrizioni. Il tutto fu accantonato provvisionalmente, per angustia di sito, in luogo non adatto, ma sicuro; e fu ogni oggetto in questa seduta disposto possibilmente in forma di deposito, e classificato col nome del suo inventore. Nella terza seduta della sezione, fu la classe per gli ar- ticoli della chimica, e delle arti che ne dipendono, incaricata della 124 Scienze perchè alcune circostanze di luogo , di tempo e di persone sorsero a contrariarlo^, però i modelli , che furono riuniti alla meglio nell'accademia dei lincei, vi rimasero esposti a pubblica istruzione sino al 1840, quando morì lo Scarpellini; e dopo quest'epoca fu- rono di là ritolti. Abbiamo coluto dare un sufficiente sviluppo ai particolari di questa commissione inte- ressantissima , che l'accademia si ebbe; affinchè ri- manga fra noi Tidea della medesima, ed affinchè il nostro governo , sempre disposto a favorire il pro- gresso industriale de' suoi sudditi, non l'abbandoni; anzi coltivandola con maggiore intelligenza ed effica- cia possa finalmente giungere a possedere uno sta- bilimento, nel quale sieno depositate le pratiche ma- nifestazioni del perfezionamento, che la nostra indu- stria e le nostre arti raggiungono. Il metodo pel quale alle sostanze organiche ve- niva procurata una durevole solidità lapidea, senza verun'alterazione dei loro caratteri esterni, sembrava generalmente perduto colla morte di Girolamo Se- gato ; che pel primo fece conoscere in Firenze gli effetti del medesimo , con molto successo ed ap- plauso. Però nel 26 agosto 1839 il sig. Angelo Comi romano presentò all'accademia dei lincei molti esem- plari di sostanze animali, ridotte a solidità pressoché lapidea, coi loro caratteri esterni maravigliosamente verifica Jegli stabilimenli ; e le fiirouo comunicate le opportune istruzioni e le relative carte. Nei giorni appresso incominciò la classe medesima le sue operazioni; e dopo più accessi ai rispettivi stabilimenti, presentò al corpo accademico i suoi rapporti , che furono rimessi al camer- lingato. Accademia de'Lincei 125 conservati; ed in questo medesimo giorno il sig. ab. Gaetano Rossetti con una sua memoria vi esponea la utilità, che le scienze naturali ritrarrebbero dal pro- cesso conservatore del Comi; pel quale, come asseriva esso, potevano le sostanze organiche, non solo con- servarsi lungamente, ma eziandio ricevere quel grado d'indurimento che si voleva. Si fece pertanto un rap- porto assai favorevole dai sigg. commissari lincei Scarpellini, Cappello, e Peretti per l'indicalo proces- so; e parecchi altri dotti, fra'quali Carpi, Folchi, Pog- gioli, Baroni, Maggiorani, ecc. fecero essi pure plauso ai rjsultamenti del metodo praticato dal Comi , che in seguito continuò a presentare oggetti assai ben preparati col medesimo. Non dobbiamo però tacere, che nello stesso anno 1839 il sig. Bartolomeo Zanon , farmacista di Bel- luno, inviò all'accademia dei lincei una sua memoria stampata sopra due processi da esso immaginati per l'indurimento delle sostanze animali (1), nella quale si espongono senza mistero e con molta chiarezza le operazioni chimiche praticate dal nominato farmaci- sta per ottenere il suo fine. XVII. Erano molte le macchine fisiche ed astronomiche, colle quali aveva il prof. Scarpellini adornale le sa- le e la specola dei lincei in Campidoglio ; e queste servivano tanto all'esercizio accademico , quanto ad (1) V. Nuovi annali flolle scienze naturali di Bologna. Serie 2. t. IX. p. 222. an. 1848, — e Biillettino rlelle scienze mediche di Bolo- i;na. Fase. lugl. agosto 1848, p. 138. 126 Scienze altri usi di pubblica istruzione: come per le sperienze relative alla cattedra di fisica sacra , o cosmogonia mosaica, che lo Scarpellini dettava nella università ro- mana (2): per gli esercizi che il prof, di ottica e di astronomia della università medesima eseguiva pe'suoi allievi; ed ancora per le sperienze che facevano d'uo- po alla scuola speciale di artiglieria, istituita la prima volta in Roma da Gregorio XVI nel 1835 , ed in- cominciata nel Castel S. Angelo la mattina del 9 no- vembre dell'anno medesimo. In proposito di questa militare scientifica istituzione dobbiamo riferire, che r eminentissimo Lambruschini , porporato di gran dottrina e virtù, col suo dispaccio del 6 aprile ISSO ringraziava il prof. Scarpellini, per essersi voluto pre- stare a profitto dei cadetti pontifici del genio militare e dell'artiglieria; ponendo a disposizione dei professori della loro scuola speciale, non solamente le sue mac- chine, colle sale dell' accademia de' lincei pei loro saggi; ma pur anco l'opera sua per istruire i cadetti stessi nella costruzione degli strumenti meccanici. Ed in fatti per gli anni 1836, 183T e 1840, nelle sale dell'accademia de'lincei ebbero luogo solenni premia- zioni pei cadetti pontifici delle armi facoltative, alla presenza dell'eminentissimo Lambruschini, e di tutti gU ufficiali superiori della guarnigione di Roma. (1) Questo insegnamento, come già f; detto, fu istituito da Pio VII, dopo il suo secondo ritorno in Roma nel 1814, perchè fosse da- gli ecclesiastici specialmente frequentato; ed il medesimo pontefice U> affidò allo Scarpellini, a rinfrancarlo dei danni sofferti per le passate vicende. Colla morte di questo, compie ora il settimo auno, cessò, quella utilissima istruzione. — Vedi per la medesima un arlicole del eh. sig. ab. prof. Proia: giornale arcadico t. 74. Accademia de'Lincei i2ì Vedendo il governo pontifìcio i molti vantaggi che si ritraevano dal gabinetto fisico -meccanico ed astronomico del professore Scarpellini, volle provve- dere per modo, che dopo la sua morte i vantaggi medesimi non venissero a mancare. Quindi è che il pro-tesoriore di allora , eminentissimo Tosti ; il ca- merlingo di S. R. Chiesa, eminentissimo Giustiniani; ed il segretario di stato, eminentissimo Lambruschini, si posero di concerto a trattare collo Scarpellini stes- so l'acquisto di tutti gli strumenti scienJifici da lui posseduti. Dopo vari congressi a questo fine, l' emi- nentissimo Tosti, che insieme agli altri nominati car- dinali favoriva tale acquisto , anche nella vista lo- devolissima di conservare e promuovere l'accademia de'lincei, ottenne da sua santità Gregorio XVI, nella udienza del 1.° aprile 1840, l'approvazione pel me- desimo; che fu stipulato il 24 luglio dell'anno stesso. Deve ciò reputarsi a gran fortuna ; giacché il tanto benemerito abate D. Feliciano Scarpellini, cavaliere della legione di onore, ai 29 del seguente novembre, dopo breve malattia e coi soccorsi tutti di nostra santa Religione, passò alla eternità , lasciando fama di se onorata e non peritura; ed avendo pure avuta la compiacenza di annunziare sei mesi prima di mo- rire all' accademia , che S. S. Gregorio XVI erasi degnata concedere alla medesima il titolo di poìitift- eia , ponendola sotto la protezione del camerlingo , l'Emo Giustiniani (1). Dal 1799 i presidenti deiraccademla furono, se- condo l'ordine cronologico, l'ab. Scarpellini, il dott. .« (1) Diario di Roma 22 ngoslo ISSO. 128 Scienze Pietro Lupi, il proK Gioacchino Pessuti, il duca di Sermonela, monsignor Nicolai, ed il dolt. Domenico Morichini, che morì nel 19 novembre 1836 essen- do in questa carica; la quale non fu in seguito mai più sostituita. I segretari poi furono Alessandro Fla- iani nel i799, quindi lo Scarpellini, che dopo essere stato presidente, come già è detto, fu sempre segre- tario perpetuo col titolo di restauratore dell'accade- mia. Quando lo Scarpellini si allontanava da Roma, come ne'suol tre viaggi a Parigi, l'uno avvenuto nel 1811 (1), l'altro nel 1812, ed il terzo nel 1813, fu (J) Non arriverà fosse discaro ai lincei se noi tocchiamo una particolarità del nostro Scarpellini, che si riferisce alla sua dimora nella romorosa Parigi; ove si trovava egli sempre nelle officine degli artefici, nei licei, o nel consorzio di quelle persone, che godevano fama di grandi nelle scienze, per tornar poi alla sua Roma, fornito di nuove cognizioni, di utilissimi librij, e di nuovi strumenti, a van- taggio de'suoi accademici (*), t") il più volte nominalo De Gerardo profetizzò che la gita dello Scarpellini a Parigi grandi vantaggi recato averebbe a Homa, come apparisce da una sua lettera, di cui diamo qui conoscenza. » Da Parigi, 28 febraio 18il. » Caro mio professore ed amico : ho voluto lasciare al sig. ge- nerale Miollis, ed al mio amico Tournon, il piacere di farle sentire, che sua maestà aveva voluto onorare in lei il merito modesto, l'eru- dito onor di Roma, il carattere puro e venerato, quello che ha ser- vito le scienze, co'Iumi, co'lavori, co'propri sacrilici; il centro, l'au- tore de'nostri lincei. — Wa voglio pure rallegrarmi di una così giusta ricompensa. Voglio godere del pen.sicro di averla qui un mese in ogni anno. Quanti incoraggiamenti e soccorsi porteranno alle scien- ze iisiche in Roma questi viaggi di Scarjjellini ? — La prego abbrac- ciare per me il caro e venerato Pessuti, Tamico Origo, Oddi, e gli altri nostri: io sono e sarò sempre con loro nel pensiero; essi ne sie- no sicuri, e si rammentino di me; ed il mio Scarpellini sa , che nes- suno gli è più divoto del .^iio w (jiuseppe M. DE CERANDO. « P. S. Mi dia notizie dei lincei "^ Accademia de'Lincei 129 surrogato sempre dal prof. Barlocci nella carica di Fra i molti congegni, clie il lempo sogoellano a misura, già da Ini acqnistati, averebbe voluto egli riunire pure un pendolo a com- pensazione, per gli usi clell'astronomia. Perciò, essendo la prima volta egli a Parigi, amò conoscere in quelle officine i melodi tenuti per la costruzione di siti'atti pendoli, ed i modi a sperimentare prima la di- latazione delle verghe metalliche, di cui si compongono. Avvene che quanto buoni parvero i primi allo Scarpellini, tanto meno sicuri a lui sembrarono i secondi, e che dovevasi perciò avere in qualche dub- bio il conseguimento del voluto effetto coi medesimi. Per la qual co- sa fin d'allora cominciò a ricercare più addentro nella teoria della dilatazione dei metalli, giovandosi non poco dei lumi di que' dotti parigini, ed a immaginare una macchina, per potere sperimentare ac- curatamente quella dilatazione, in riprova della stessa teorica. Quindi neir anno 1811 , tornato che l'u tra noi , leggeva all'accademia su questo argomento; ed occupavasi poi nel costruire una macchina, da lui detta piroscopio, che fu compiuta nel 1812_, e che con altra me- moria espose all'accademia nel 1816 (*). Non ci tratterremo a descrivere minuziosamente questo conge- gno, che troppo sarebbe: riserviamo ad altra epoca l'analisi del me- desimo; il quale consiste in una leva orizzontale a braccia ineguali, poggiata coll'estremo del braccio minore sopra la verga metallica^ di cui si voglia determinare la dilatazione. Questa verga è introdotta verticalmente in un tubo metallico, di capacità bastante a ricevere il ghiaccio fondente^ da cui comincia lo sperimento, e l'acqua bol- lente, colla quale il medesimo termina. L'estremo del braccio mag- giore muove un indice , che segna i gradi di un circolo, mediante un opportuno e bene immaginato congegno. Secondo i diversi gradi di teaiperatura sperimentati col termometro, ai quali viene sottopo- sta la verga, essa dilatandosi muove l'indice: quindi tenendo conto dei gradi medesimi e delle divisioni del circolo, percorse dall'indice, si viene a determinare il rapporto della dilatazione di qualunque ver- ga metallica , conosciuti gli altri elementi necessari al calcolo, che sono dipendenti dalla costruzione della macchina. A questo modo lo Scarpellini esplorò, con assai diligenza e cir- cospezione, alquante verghe di rame e di (erro; ne conobbe con esat- ( ) Tanto la prima memoria , (juanto la seconda , sono ancor; inedite. G.A.T.CXXIV. 9 f30 Scienze segretario dell'accademia; lo che risulta dalla lettera di questo valente fisico, che qui riportiamo (1). Se volessimo qui riportare tanto i nomi dei soci ordinari, corrispondenti, ed onorari dell'accade- mia, quanto i titoli delle memorie lette in essa, dal suo ristabilimento nel 1795 sino al 1840, in cui per la quinta volta essa cessò di esistere, il nostro discorso andrebbe troppo in lungo; ed inoltre imprenderebbe a svolgere quei particolari, che non formano il sog- getto del medesimo. Ci limiteremo pertanto a dire, che non vi ebbe in Roma cultore distinto di scien- ze, il quale non appartenesse come socio ordinario all' accademia; e che nell'archivio della medesima esisto- tezza i rapporti tli loro dUata^ione ; e con quelle poi costrusse il desiderato pendolo a compensazione : che oggi si conserva , unita- mente ad altre stupende macchine dello Scarpellini, nel gabinetto tì- sico della università romana,- e che apparisce nelle sperienze perfet- tamente compensato. (1) Brano di lettera del prof. Saverio Barlocci, vice-segretario dell'accademia. ,, Roma 1 aprile 1813. „ Il 23 dello scorso marzo si dette principio alle riunioni dell'ac- cademia de'lincei vostra iìglia, la quale, non ostante la vostra assen- za, che certo le reca non lieve danno, è sostenuta, custodita, ed incoraggiata con ogni sollecitudine. Avendo raccolto i temi, feci stampare al solito il foglio dal De Romanis; ed essendomi riuscito averli tutti e dieci, ho lascialo indietro il vostro, supponendo che, per essere voi assente, non avreste potuto far conoscere le sperienze, cUe vi siete proposto. 11 sig. cav. Fortia fece l'introduzione, alla qua- le intervennero diversi personaggi rispettabili, come il sig. ponte Ferri , vari consiglieri di prefettura e letterati romani. Così conti- nuerà l'accadeiuia collo stesso vigore; giacché gl'individui sono ani- mati dalla promessa del premio da voi fatta, che attenderete, come spero, al vostro ritorno. Tanto deduco a vostra notizia ec. ,, Saverio Barlocci. „ Al sig. abaie Scarpellini , membro del corpo legislativo a Parigi. Accademia de'Lincei / -laj no gli elenchi, lasciali con ordine dallo Scalpellini, pei- questa classe di lincei; la quale secondo il linceogra- fo avrebbe dovuto limitarsi al numero di quaranta; ma che, specialmente negli ultimi anni, sorpassava sempre il numero stesso. Per quello riguarda i soci corrispondenti , essi pure si trovano registrati nelP archivio medesimo: sono i più distinti scienziati di Europa, fra i quali Airy, Clark, Herschel , Davy , Leslie, Youatt, Saussure, Littrow, Babbage, Quetelet, De Lalande, Gay-Lussac, Biot, Arago, Humboldt, ed altri assai. Erano fra i soci onorari molti cardinali, come Fesch, Pacca, Consalvi, Della Somaglia, Galleffi, Lam- bruschini, Zurla, Micara , Giustiniani, ecc.; alcuni dei principi romani, come Corsini, Torlonia, Santa- croce , Rospigliosi; moltissimi dei diplomatici, come Monge , Miollis, Cortois, monsig. De Pressigny , De Blacas, Kaunitz, De Funchal, Italinsky, Dolgoruky, Gagarin, De Schubart, Metternich, Appony, Montmo- i-ency, Pereira, con altri; ed alcuni dei più valenti artisti, come Canova, Thorwaldsen, ec. Di più non pochi sovrani accettarono di essere soci di onore dell' accademia, cioè Pio VII, Leone XII, Gregorio XVI, il gran duca di Toscana, l'infante di Spagna ducJ di Lucca, l'imperator d'Austria Francesco I, il real principe Alberto d'Inghilterra, il principe ereditario di tutte le Russie, e Luigi Filippo re de'francesi. Dal numero piuttosto grande dei diplomatici, che si tro- vano registrati nell'elenco dei membri ordinari lincei - rilevasi che lo Scarpellini procuravasi, presso i rap- presentanti delle corti straniere, quella protezione , che in Roma più volte mancò ali accademia de'ìinceà. ^132 Scienze Le memorie lette dal 1795 sino al 1840 sono molle; parte pubblicate , parte inedite. L' analisi di queste memorie potrà servire a rendere più chiara e più completa la storia dei lincei per l'epoca di cui par- liamo. XVIII. L'accademia dalla morte dello Scarpellini sino al 1847, non solo tacque sempre; ma, come ora vedre- mo, si estinse completamente per la quinta volta. Lo Scarpellini aveva cooperato al suo risorgimento fin dal 1786, e per anni 54 a sue spese l'aveva sempre sostenuta; ma essa, guardando bene addentro, sempre dipese unicamente da lui, che in realtà non ebbe mai né superiori, né uguali nella medesima: esso con asr solutismo scientifico la dirigeva; e non volle, o non potè mai, col governo strettamente congiungerla in guisa, ohe ne divenisse una diretta emanazione. Vero è che lo Scarpellini nel marzo del 1834, cioè sei an- ni circa prima di morire, presentò a S. Santità Gre- gorio XVI parecchi suoi scritti, a dimostrare la ne- cessità di rendere governativa l'accademia dei lincei, profetizzando eziandio che altramente questa , dopo la morte del suo restauratore, sarebbe cessata. Ma è vero altresì , che nel rappresentare siffatto pubblico bisogno suggeriva egli l'acquisto delle sue macchine al governo pontificio ; acquisto che per altra parte doveva riguardarsi come un tratto di equità dal go- verno stesso. In tanto, siccome le istanze a poter ven- dere le macchine certo non erano men vive di quel- le ad assicurare la stabilità dei lincei; avvenne che si provvide all'interesse privato, e non al pubblico; giac- Accademia de'Lincei 133 tìhè quelle macchine, come fu veduto, si acquista- rono; e raccaclemia rimase unicamente nello stato di prima. Facile perciò riesce a concepire come la mor-» le dello Scarpellini cagionasse altresì quella dell'acca- demia; la quale non trovò sul momento nel suo gre- mio, e molto meno presso il governo , chi fosse rive- stito di facoltà oppoitune a continuarla; ne chi avesse r obbligo e r interesse per farlo. Niuno in somma trovavasi a quell'epoca, il quale avrebbe incontrato giustamente il biasimo dei lincei, e del governo di allora, se non si fosse posto al timone di questo nau- fragante naviglio. Erano già parecchi anni che 1 lincei si mostravano dispiacenti , per vedere che 1' accademia continuava sempre mossa unicamente dalla volontà dello Scarpel- lini; che dal 1835, vale a dire dopo la morte di Mo- richini, essa non aveva più avuto presidente; che la medesima non si faceva con efiicacia di pendere dalla competente autorità governativa; che non si procura- va trarre dal governo i mezzi per una sua esistenza più decorosa; che quel mensile assegno, generosamen- te largito all' accademia dal sommo artista Canova nel 13 dicembre 18 16, fu dopo qualche mese improv- vidamente rinunciato ; che la buona disposizione di Leone XII, a somministrare un assegnamento dall' erario all'accademia, non erasi coltivata come dove» vasi , perchè si realizzasse: disposizione che monsi- gnor Nicolai manifestò egli stesso ai lincei; da ulti- mo che il rescritto di Leone XII del 20 luglio 1828, col quale viene accordato all'accademia nostra pub- blicare le sue produzioni per mezzo della stamperia camerale , non produsse alcun effetto nell' esercizJQ >j34 Scienze accademico. Per questo avvenne, che alcuni soci si astenevano d' intervenire alle adunanze negli ultimi anni; e per questo vediamo negli ultimi elenchi delle memorie lette in accademia qualche nome di quelli che né appartenevano alla classe insegnante, né col- tivavano le scienze come primaria occupazione loro. In fine si verificò nel 1840 per l'accademia de'lincei, dopo la morte dello Scarpellini, quello che già erasi verificato per 1' accademia stessa nel 1630 dopo la morte di Federico Cesi; e per verità poste le mede- sime cause colle medesime circostanze, debbono con- seguitarne i medesimi efletti. - ora ìh.ì XIX. In questo mentre successe, per altra disgrazia, ehe si vollero dal senato romano ricuperare gli am- bienti , che lo Scarpellini aveva tenuti per se, per le sue macchine, e per le tornale dei lincei; giacché i locali medesimi apparivano concessi alla persona dello Scarpellini, e non alla comodità ed all'incre- mento della pubblica istruzione e del pubblico bene, che dall'accademia derivava. Pertanto si esigeva che tutte le servitù arrecate per lo Scarpellini e per l'ac- cademia nel palazzo senatorio in Campidoglio doves- sero cessare immediatamente dopo la sua morte. Inol- tre nacque in taluni, a maggiore calamità, il timore che la specola, costrutta sul bastione di Nicolò V, minacciasse rovina, e potesse anche nuocere alla sta- bilità dei preziosi avanzi del tabulario. Fatto fu , che si riconobbe l'altrui sommo diritto, e si decre- tò che quanto era in quella parte del palazzo sena- Accademia de'Lincei 135 torio , già dallo Scalpellini occupata e dall' acca- demia dei lincei, dovesse con ogni sollecitudine fuori del medesimo trasportarsi. Quindi le macchine, per- chè già divenute proprietà del governo, furono par- te , cioè quelle che alla fìsica , alla chimica , all'ot- tica ed alla meccanica si appartenevano , traspor- tate nel gabinetto di queste scienze nella università romana ; e parte , cioè quelle astronomiche, furono provvisionalmente raccolte nella specola suddetta; da cui dovevansi poi togliere per allogarle non si sa do- ve, quando, riconosciutasi la necessità di demolire quella specola, si fosse proceduto realmente a questa «lemolizione. Intanto le sale dell'accademia e l'abi- tazione dello Scarpellini furono ridotte per uso del tribunale senatorio di Roma; e le iscrizioni, coi busti di essa, furono ricoverati nell' ospizio apostolico di s. Michele, nel quale si conservarono per cura dell' Emo Tosti, che a suo tempo rese tutto alla nipote del- lo Scarpellini. Non avvenne, la Dio mercè, tale de- molizione di specola; giacché l'Emo Tosti, desideroso di salvare quell' edificio, inviò una commissione di architetti, composta di Bosio, Ferretti, e Camporese, ad esaminare quel fabbricato. Questi riferirono, che a togliere ogni dubbiezza era più che sufficiente raffor- zare il fondamento della specola ; e che avrebbe ciò meglio assicurato le condizioni richieste dalla scien- za, per la statica di quell'osservatorio astronomico. Un'altra sventura per l'accademia de'lincei si de- ve pure annoverare fra quelle indicate finora, e que- sta di effetto maggiore; cioè che pochi giorni dopo la morte dello Scarpellini, alcuni lincei furono dal principe di Canino invitati a riunirsi per consultare 136 Scienze sui bisogni dell'accademia. Tale riunione si fece nelle camere del consiglio d'arte a Monte citorio, e fu pre- sieduta dal nominato principe , facendo Filippo De Romanis da segretario. Ciò appena successo, il segre- tario di stato scrisse al card, camerlengo, nel 7 di- cembre 1840, autorevolmente pregandolo a dichiara- re nulli tutti gli atti di quella riunione illegalmente fatta; ed ordinando che, senza la superiore autorizza- zione, più non dovesse l'accademia riunirsi. Col me desimo dispaccio faceva conoscere quel primo mini- stro, che taluno erasi già impadronito arbitrariamente, subito dopo la morte di Scalpellini, delle carte ap- partenenti all' accademia ; ed inolti'e dichiarando es- sere ciò grave sconcio, inviiava reminentissimo ca- merlingo a i-icuperarle non solo, ma eziandio a custo- dirle. Questi eseguì esattamente gli ordini ricevuti, e neir 8 dello stesso mese ordinava che gli fossero consegnate le carte tutte dell'accademia; mentre nel 10 ne commetteva 1' inventario al cancelliere degli offici di camera. Col 14- die. 1840, per mezzo della segreteria degli aftari di .stato interni, fu partecipato al card, prefetto della sacra congregazione degli studi, volere Sua San- tità che r accademia de' lincei non avesse più sede nel palazzo senatorio in Campidoglio; e che fino a nuovo superiore ordine restasse la medesima sospesa. Pertanto il prefetto stesso comunicò nel giorno se- guente al card. Giustiniani camerlingo questa so- vrana determinazione , invitandolo a parteciparla prontamente al vice-presidente dell' accademia. Pe- rò questa carica non aveva mai esistito , ed il doti. Tommaso Prelà erasi, dopo la morte dello Scaipel- Accademia de'Lincei 137 fini, (la se costituito nella medesima. Il cardinal Giu- stiniani mandò ad effetto subito gli otdiui ricevuti, scrivendo al dott. Prelà, nella presunta sua qualifica di vice-presidente, come apparisce dal foglio del 10 dicembre ad esso diretto; e nel dì appresso rispose all'Emo Lambruschini, qual prefetto degli studi, fa- cendogli noto aver egli eseguito la comunicatagli so- vrana disposizione; ma eziandio espose al medesimo i motivi e le ragioni, che dovevano persuadere ognu- no a conservare lo stabilimento scientifico dei lincei, ed a prontamente riattivarlo. Noi, stimando far cosa onorevole per la memoria del cardinal Giustiniani , e volendo meglio porre in chiaro i particolari di que- sto frangente, che si riferisce all' accademia nostra, riportiamo nella nota (1) !a lettera del nominato car- (1) ,, 17 Dicembre 1840. ,, All'Emo sig. card. Lambruschini, prefetto della s. congregazione degli sludi. ,, Come piacque alla Sanlilh di N. S. ordinare, e come fu cortese l'eminenza vostra partecipare col venerato dispaccio n. C520, non ha il sottoscritto card, camerlingo di S. R. Chiesa frapposto dimora per manifestare al sig cav. Tommaso Prelà, nella presunta qualifica di vicepresidente dell'accademia dei lincei, la sovrana volontà, che tale accademia non abbia più residenza nel palazzo senatorio sul Cam- pidoglio ; e che fino a nuovo ordine della stessa Santità Sua resti sospesa qualunque adunanza della medesima. „ Compiuto però a questo debito del suo ufficio, permetta l'emi- nenza vostra che il sottoscritto le rassegni sulla soggetta materia, e previa la narrazione dei fatti principali ed essenziali, taluni suoi forse non ispregievoli rilievi. ,, Ripristinata dopo molti anni l'accademia dei lincei, per opera e cura dell'ora defunto professore Scarpellini, la s. m. di Pio pa- pa VII, riconoscendo la somma utilità di questa instituzione, assegnò alla medesima stanza nel fabbricato del collegio dell'Umbria. ,, Piacque alla s. m. di Leone Xil impiegare siffatto locale ad al- tri usi; ma volle e prescrisse quel pontefice, che fosse trasf'Tita 138 Scienze dinaie. Concludiamo intanto che il 16 dicembre 1840 segna l'epoca del quinto decadimento dell'accademia; giacché ora vederemo che , durante il pontificato di Gregorio XVI, essa più non risorse; né lo poteva per massima governativa. la residenza della suddetta accademia, nel palazzo senatoriale in Cam- pidoglioj dove fu eziandio trasportata la ragguardevole collezione delle macchine Ht>iche ed astronomiche , possedute dal suindicato Scarpellini, cui fu ivi assegnata pure abitazione , come restauratore e come direttore di essa accademia. Tanta e sì grande cura quel sommo pontefice si prese di questa, per la rinomanza che in Roma ed all'estero erasi acquistata; e per provvedere al buon collocamento delle macchine utilmente servite da più anni, e da servire per la istruzione della parie pratica di astronomia e di geodesia, che gra- tuitamente davasi agli alunni della università romana, e ad altri molti giovani, dedicati a siffatti studi; che nell'alto suo accorgimento volle ridotti a certa stabilità i pavimenti delle stanze, per l'uso delle mac- chine in esse collocate; volendo altresì che si erigesse uno studio pratico di astronomia e di ottica sul bastione orientale del Cam- pidoglio. Per queste operazioni, e per altri acconciamenti dell'as- segnato quartiere , fu impiegata la non piccola somma di circa scudi tremila. E la circospezione di quel pontefice l'u tale, che con ben inlesi modi lece a tutto ciò precedere la buona intelligenza ed il consenso de conservatori e del senatore di Roma in allora. ,, Quesli fatti mentre provano che i designati locali del palazzo se^ iiatorio furono^ non senza grave dispendio del governo, per adatta- menti, restaurazioni, e fabbricato, in modo permanente stabiliti a re- sidenza dell'accademia de'lincei, sembra che altresì escludano le pre- tensioni, ora elevate dall'attuale sig. principe senatore, per ottenere di nuovo i delti locali, come se fossero stati, quasi a titolo di sover- chia condiscendenza, ceduti per transitoria abitai;ione al professor Scarpellini. Potrebbesi pure fare avvertire, che il ricordato signor principe senatore, nell'entrare in possesso della sua carica, trovò go- vernativamente dismembrati, ed a tutt'altro uso destinati, que'par- ziali locali del palazzo, che ora egli vuole occupare. Per la voluta remozione poi delle macchine in discorso dal palazzo senatoriale si agfjiunge alla perdita di tante spese incontrate dal governo, essere indispensabile assegnare altri locali con dispendio nuovo: perchè *e non l'accademia dei lincei (che pure pei costanti fatti de'passati Accademia de'Lincei 139 Trascorso circa un anno, parecchi lincei si ri- volsero al card. Giustiniani , rammentandogli esser égli protettore dell'accademia, e pregandolo ad in- terporsi presso il S. Padre e presso il card, prefetto degli studi, percViè la medesima non rimanesse più a lungo priva del suo esercizio, della sua residenza, e di tutt'altro ad essa occorrente. L'ottimo cardinale accolse le preghiere di questi benemeriti; ed i suoi offici valsero tanto, che fu egli autorizzato con di- spaccio del 20 luglio 1841, dal prefetto della s. con- gregazione degli studi , l'eminentissimo Lambruschi- ni, a formare uno statuto nuovo pei lincei, ed a co- municarlo alla s. congregazione stessa. Però in que- sto dispaccio si prescriveva, che le riunioni non do- vrebbero più avere luogo in Campidoglio; ma ben- sì nell'archiginnasio romano, ed in una di quelle sale, ove sogliono tenersi le altre accademie. Si faceva pure nel dispaccio medesimo preghiera, perchè il Giu- stiniani nominasse una commissione di quattro o cin- que dei più savi ed illuminati lincei, affinchè sotto la sua direzione si occupassero di redigere quanto sommi pontefici Pio VII e Leone XII dovriasi avere in qualche significante riguardo), certamente la pubblica istruzione sembra esi- gerlo; siccome per la continuazione di quella già lecero vive pre- mure i rispettivi professori; e Vostra Eminenza ricorda certamente di aver fatto giusti e forti offici al sottoscritto cardinale, perche in quei locali fossero amn^ossi a ricevere istruzione i cadetti del genio e dell'artiglieria pontificia. Da ultimo deve riflettersi, che persisten- dosi nel volere dal palazzo senatorio ritolta l'accademia dei lincei, e conseguentemente portate via tutte le sue macchine, fareblje d'uopo premettere molte provvidenze e disposizioni per un adeguato collo- camento di quelle. Dopo quanto fu esposto, il sottoscritto aspetterà le venerate disposizioni di Vostra Eminenza; mentre ce. „ G. Card. GIUSTINIANI. 140 Scienze erasi prescritto: limitando però l'esercizio accademico alle sole scienze. Questa commissione fu nominata il 28 agosto 1841 dal cardinale medesimo, che la com- pose di monsignor Capaccini, del duca di Rignano D. Mario Massimo, del conte Giuseppe Alborghetti, del dptt. Michelangelo Poggioli, del prof. Giuseppe Venturoli , del prof. Saverio Barlocci , e del prof, abb. Proia. Dopo un anno circa , fu compilato il nuovo statuto; fu ricomposto l'elenco accademico, formato di quaranta soci; e fu tutto speditoli 24 di febbraio 1842 alla s. congregazione degli studi per la sua sanzione. Ma il 9 aprile seguente la medesima fece conoscere all'eminentissimo Giustiniani, che l'an- nua dote da pagarsi all'accademia dall'erario essendo una delle primarie condizioni dello statuto, e que- sta non potendosi accordare, perciò non poteva rista- bilirsi l'accademia dei lincei, salvo che non si prov- vedesse a ciò, mediante un contributo fra i membri della medesima, od in altra guisa. Il cardinal Giu- stiniani non per questo si perdette di animo; e sem- pre nudriva speranza di poter trovare col tempo i mezzi a vincere la indicala economica difficoltà. Scris- se infatti egli col 7 luglio vegnente all'eminentis- simo piefetto degli studi, pregandolo a mettere dal- Tun de'lati la economica questione dell'accademia, ed a rivedere soltanto gli statuti e l'elenco della mede- sima; poiché avrebbe trovato egli modo per prov- vedere il danaro necessario per farla sussistere; il quale nello statuto fu limitato a soli scudi 400 an- nui. Nel giorno medesimo il card. Giustiniani scris- se all'Emo Brignole, presidente della congregazione di revisione, pregandolo a procurare che S. Santità Accademia de'Lincei 141 si degnasse concedere, che dall'erario fosse la indi- cata somma di scudi quattrocento annui all'accade- mia somministrata, come si rileva dal dispaccio che qui riportiamo (1). Ma col 19 dello stesso mese, il (1) ,, 7 Luglio 1842. „ All' eminenlissimo sig. card. Brignole, presidente della congregazione di revisione. » La s. congregazione degli studi, per mezzo del suo prefello, reminentissimo sig. cardinal Lambruschini, fece intendere al sollo- scritto card, camerlingo di S. R. Chiesa , ed arcicancelliere della universiU'i romana, che rimaste, per taluni motivi, dopo la morte del cav. don Felìciaiio Scarpellini, sospese temporaneamente le adunan- ze dell'accademia dei lincei, la S. di N. S. erasi poi degnata mo- strare il suo consenso a permellerne la continuazione. Siccome però questa dovea essere preceduta dal riordinamento degli statuti, e dal- la formazione di un elenco di soggetti, che per la loro probità, e per le loro scientifiche cognizioni, meritassero far parte del novero de gli accademici , volle la stessa s. congregazione crederi', che fosso opportuno affidare allo scrivente il disimpegno di questo duplici; oggetto per conseguire la conservazione e riucremento di sì an- tica ed utile accademia. „ II cardinal sottoscritto ha procurato con ogni studio corri- spondere a questo incarico ed a questa fiducia; e trovasi di avere rassegnato completo il suo lavoro alla ricordala s. congregazione. Però egli prevede pur troppo, che se non si consulti ai mezzi per mantenere questo importante stabilimento, sarà ogni cura frustranea, e vuota d'effetto. Avvegnaché l'accademia dei lincei, che durante la vita del ricordato cav. Scarpellini, direttore e segretario perpeluo di quella, fino alla sua morte, si ebbe da esso il principale sostegno, e fu di grande giovamento in moltissime occasioni al governo, il quale la interpellava di frequente in fatto di arti e manifatture, e potrà esserlo molto più in avvenire con migliori ordinamenti, non potrà risorgere a nuova e desiderata vita , se non si procuri più confacente maniera per sussidiarla, e ciò coli' annuo ben limitato assegno di scudi quattrocento. Che se fu riconosciuto utile, dopo la morte del sommo Canova, il quale porgeva gli aiuti necessari co' suoi privati mezzi all'accademia di archeologia, fissare sul pubblico erario un'annua dotazione di scudi seicento alla medesima ; sembra allo scrivente non essere al certo di minore utilità provvedere 142 Scienze card. Brignole fece noto al cardinal Giustiniani, che S. Santità, udito il rapporto per l'indicato assegno, aveva dichiarato che non credeva opportuno riatti- vare Vaccademia. Così fu definitivamente perduta ogni speranza pel nuovo risorgimento dei lincei \ però era tanto l'interesse del card. Giustiniani al ripristinaraento dei medesimi, che sarebbe stato egli disposto a dotare l'accademia del suo particolare pe- culio, come più volle il signor duca di l\ignano in- tese dal cardinale medesimo, se valevoli ragioni non si fossero naturalmente opposte a questo suo generoso contegno. XX. Federico Cesi morendo in Acquasparta nel 1630 esprimeva il desiderio, che non gli mancasse un suc- cessore a continuare l'accademia da esso fondata; e dopo trascorsi due secoli e due lustri, lo Scarpellini morendo in Campidoglio si confortava con la spe- ranza che all'accademia stessa, da lui restaurata, non sarebbe mancato un valevole sostegno per l'avvenire: Exoriare aliquis nostris ex ossibus fui-ono le ultime parole del Cesi e dello Scarpellini; dac- ché ambedue facevano morendo fervidi voti per eziandio, con più tenue somma, al ravvivamenlo di un isliliilo tanto celebre, quanto è l'accademia de'lincei. ,, Per le quali considerazioni il cardinale cameriingo, ed aroican- celltere, raccomanda vivissimamente all'Eminenza Vostra questa sua proposta , della cui ragionevolezza fatto edotto e persuaso codesto rispettabile consesso, voglia ella benignamente procurare la sovrana sanzione per l'annuo assegno di scudi quattrocento, a favore del- l'accademia dei lincei, ed a carico del pubblico erario. Profitta, ec. „ G. Card. C.IUSTIMAM. Accademia dè'Liiscei 14^ avere chi loro succedesse a reggere l'accademia no-* slra. Questi voti furono esauditi dal regnante sommo pontefice PIO IX, come ora brevemente vediemo. Animato più che chiunque altro pel bene de' suoi sudditi, e tutto adoperandosi a migliorarne la condizione sociale, il nostro adorabile sovrano , fin dai primi giorni che ascese la cattedra di s. Pietro, concepì l'idea di ristabilire l'accademia de'lincei, vin- cendo quelle difficoltà per le quali, spenta essa do- po la morte dello Scarpellini, più non risorgeva: ed H sig. duca di Ri guano, che più volte alla S. Sua la raccomandava , trovò tutto il favore nel S. Padre per la medesima. Nella sua missione sublime di provvedere al co- mun bene sociale Pio IX riguardò particolarmente all'elemento scientifico, il primo che a rendere vol- ga civile, potente, gloriosa ogni nazione. Questo ele- mento bene stabilito , efficacemente sviluppato , ed opportunamente protetto, è di tale natura, da resi- stere ad ogni potenza umana; e tempo verrà, quan- do il primato delle nazioni sarà, non certo nelle ar- mate legioni riposto, ma bensì nelle intelligenze su- periori, e nelle produzioni dell'ingegno, manifestate dalle scienze, dalle arti, dalla industria, e dal com- mercio. Questo tempo é un limite, verso il quale il mondo civile si va sempre più accostando , e nel quale risiede in gran parte la civiltà umana. Vero è che la forza materiale della Grecia fu doma dalle aquile romane ; ma sempre Atene , finché non fu compresa nelle tenebre della ignoranza, colla sua ci- viltà signoreggiò Roma vincitrice. Fra le grandi mo- derne ed illuminate nazioni alcuna potè qualche t44 Scienze fiata nelle armi soccombere , ma le sue istituzioni scientifiche primeggiarono sempre su tutto il mondo. 11 nostro bel paese Fu domo, fu conquistato, fu scisso, perdette quindi la sua materiale potenza; ma nella forza morale non fu mai soperchiato. La italiana inr lelligenza, espressa dal primato de'suoi pensamenti, e dal cattolicismo, sorgente di ogni virti'i e di ogni ordinato progresso, fece scudo alia totale rovina della nostra penisola , e sostenne la sua potenza moi'ale. Mentre il romano imperio cadeva fiaccato da mille cagioni, un potere morale più forte sorgeva da sot- terra in questa città eterna, stabilita « per lo loco santo, U'siede il successor del maggior Piero ». E) fu della provvidenza disposizione altissima, che Ro- ma divenisse il centro della maggior forza morale, da cui la vera civiltà dovesse derivare, per opera di milioni d'intelligenze, tutte rischiarate dalla face del vangelo, che per tutto risplende sulla terra « In una parte più, e meno altrove », Fu questa potenza quella che fece tante gloriose imprese operare ai pontefici, la corte dei quali un dì rappresentava in ogni parte del mondo lo scìbile umano. Di questa potenza deve il nostro paese gloriarsi; di questa de- v' essere geloso più che di ogni altra; e questa deve conservare sempre ed aumentare , promovendo la istruzione con ogni mezzo il più efficace. L' ele- mento scientifico, informato dalla fede divina, e fe- condato da buone istituzioni , produce il maggiore sociale progresso. Infatti esso abitua le menti a ri- flettere, famigliarizza al metodo analitico, rimuove la esagerazione, frena le passioni, diminuisce l'or- goglio, rende gli animi docili, assegna il giusto va- Accademia de'Lincei 145 lore alle capacità, limita i desideri, genera e con- serva r ordine , e guidando sempre alla conquista del vero , conduce alla prima delle verità , svilup- pando negli uomini l'elemento religioso, fine ultimo e suggello di ogni bene ordinala società. Insegnate a tutti^ è il gran precetto lasciato da Cristo ai disce- poli, ed ai romani pontefici che le sue veci com- piono sulla terra. Da questo evangelico precetto non solo proviene il bene morale, come suo scopo prin- cipale, ma eziandio tutta la sociale fisica prosperità; però come niun altro è più di esso utile, così niun altro è più di esso difficile a rettamente praticare per la condizione dell' umana natura. Molto studio infatti e molta dottrina fa d'uopo a separare il fal- so dalla verità in ogni genere d'umano insegnamento. Imperciocché come dalla vera e solida scienza tut- to l'onesto e l'utile deriva, così dal falso sapere tutte le calamità della umana famiglia si debbono ripetere. Per la qual cosa Colui, che ad illuminare gli uo- mini coH'evangelio discese sulla terra , commise al romano pontefice d'insegnare a tutti; onde questi, che dal soprannaturale lume viene assistito, per modo la istruzione dirigesse , che la medesima , divenuta fiume di purissima dottrina, tutto il genere umano felicitasse. Le quali cose così essendo, non v'ha dub- bio che al romano pontefice più che a chiunque si appartiene T istruire , per adempiere al comanda- mento indicato ; dal quale come corollario discen- derà, che l'umana specie tutta in una stessa fami- glia sarà costituita. Di più quel precetto deve ri- guardarsi come il mezzo unico a raggiungere que- sto universale stato di società, verso cui a'giorni no- G.A.T.CXXIV. 10 146 Scienze sui ci vediamo iocaminati pel progresso scientifico. Tutto questo bene infinitamente grande si è conse- guito per lo insegnamento delle vere dottrine , le quali dovranno produrne molto più, sino all'univer- sale propagazione del vangelo sulla terra. Questi principii furono assai meglio riconosciuti dall' in^mortale PIO IX , il quale perciò volle che l'accademia de' lincei fosse ristabilita, con la deno- minazione di accademia Pontificia de Nuovi Lincei^ che fossero pubblicati nuovi statuti per la medesi- ma, ed acconci alle circostanze dell'attuale progres- so; e che questo scientifico stabilimento §i avesse wn decoroso locale in Campidoglio , ed una dote dal pubblico erario; tutte le quali cose sono gloriose a PIO IX, utili alla società, ed onorifiche a Roma. Dobbiamo qui rendere un tributo di elogio e di gratitudine all'Emo e Rmo sig. cardinale Altieri, certo non degenere dal principe suo padre, il quale, come già vedemmo, favori d'assai l'accademia de'lin- cei, vivente lo Scarpellini. Ogni cura questo Emo principe si diede , acciocché le ottime disposizioni del regnante Pontefice per l'accademia nostra fos - sero mandate ad effetto, e molto fece a rimuovere ogni ritardo per la esecuzione delle medesime. Pertanto nel 3 luglio di quest'anno furono pub- blicati gli statuti ; e nei medesimi fra le altre di- sposizioni trovasi, che l'accademia si abbia un pro- tettore nel cardinale camerlingo prò - tempore di S. R. Chiesa. I suoi membri furono in cinque classi distinti: cipè la prima degli ordinari nel numero di trenta; la seconda degli cìneriti; la terza dei corri- spondenti-j la quarta degli onorari: la quinta degli ayfjiuìUi. AccADEMU de'Lincei H7 Termineremo questo discorso concludendo; che l'accademia de' lincei, anteriore a quelle di Parigi, di Londra, di Pietroburgo, di Berlino, del Cimento, e dell'istituto di Bologna, prima fra tutte le istituzioni del suo genere, sorse cinque volte in Roma, ed al- trettante disparve; che per opera di PIO IX fu la sesta volta rialzata, e solennemente ristabilita; che fatta ora una emanazione diretta del governo pon- tificio, non potrà mai più venir meno; e che la mede- sima in tutte le fasi del suo risorgimento, incomin- ciando sin dal suo nascere, sempre contò protettori fra i nobili romani, dai quali fu in varie guise fa- vorita. Noi pertanto facciamo voti che questo fa - vore , oltre quello grandissimo del governo , non possa mai più mancare all'accademia, perchè sempre meglio progredisca nelle scienze, e ad utilità dello stato, e a gloria de'suoi mecenati. 148 Osservazioni sul contagio del colèra indiano. Di Ago- stino Cappello socio corrispondente dell' accade- mia nazionale di medicina di Francia^ delegato dal governo della S. Sede alle conferenze sanita- rie internazionali in Parigi. ( Traduzione dal francese). N el timore che la questione del contagio del co-^ lèra non venga discussa nelle conferenze sanitarie internazionali che hanno luogo attualmente in Pa«» rigi, io vado a mettere sotto gli occhi de'miei col- leghi alcuni fatti che hanno un interesse pratico g andissimo per non essere passati sotto silenzio. Essi sono relativi alla diffusione del colèra negli stati romani; io li ho scelti fra moltissimi altri, tutti basati sopra documenti officiali e riferiti dettaglia- tamente nelle mie memorie (1). Si è per favorire il commercio che una gran parte dell' Italia meridionale è stata colpita dal co- lèra indiano. Tutte le volte che furono prese mi- sure energiche si è veduto il flagello arrestarsi nel suo cammino, siccome quando comparve nelle pro^ vince degli stati romani , ove si eseguirono esalta- mente gli ordini del supremo magistrato di sanità. Ecco i fatti. Nell'anno 1835 il consiglio superiore di sanità degli stati romani stabilì i cordoni sanitari su tutta (1) Memorie istoriche di Agostino Cappello dal maggio i810 a tiiUo l'anno 1847, pag. 120 fino a 336; note da 46 a 122 pag. •'(3<) fino a b32. Tipografia Perpgo Salvioni, Roma 1848. Colèra Indiano 149 la frontiera che confina col regno lonobardo-veneto e colla Toscana. Questa misura salvò gli stati romani che furono esenti dal colèra, ad eccezione della piccola città di Cesenatico e del villaggio di Rovina. L'energia spiegata dalle due commissioni sanitarie di Ferrara e di Farli soffocò il male in quei luoghi ove si era sviluppato in seguito d'infrazioni ai re- golamenti sanitari. Lo stesso accadde nel lazzaretto di Francolino, poco distante da Ferrara, ove le re- clute svizzere venute dalla Lombardia avevano im- portato la malattia. Nel 1836 il colèra continuando ad infierire nel regno lombardo-veneto ed a Trieste, il consi- glio superiore di sanità degli stati romani proibì la fiera di Sinigaglia. Siccome questa misura noce- va al commercio, si permise di fare la fiera in An- cona ove risiede il consiglio di sanità dell'Adriati- co, e che è provveduta di un lazzaretto. Membro del consiglio superiore di sanità io mi opposi a que- sta misura, perchè io sapeva come è impossibile isolare completamente , in una città come Ancona, e gli effetti e le persone provenienti da luoghi in- felli. La maggiorità del consiglio fu di contrario avviso, e la fiera ebbe luogo in Ancona. L'affluen- za dei negozianti e dei viaggiatori provenienti da tutte le parti fu immensa sul principio , dimodo- ché il commercio subito prosperò: ma il colèra si manifestò, e gli affari si arrestarono tutto ad un tratto. Ancona ed una piccola città vicina ed un vil- laggio furono circondati dal cordone sanitario, ed allorché l'epidemia disparve del tutto, si disinfettò 150 S e I E N t E tutta la città ecc. E coki fu che ifuróJió di nuovo preser/ati gli slati rortìanì. Dei bastimenti mercantili napoletani, che face- vano commercio nella parte della costa dellWdria- co infetta dal colèra , partirono per la Puglia , e molti giorni avanti che il magistrato di sanità di Ancona dichiarasse patente sporca, vi portarono là malattia. I medici del paese la caratterizzarono sotto nóme di febbre intermittente perniciosa colerica, in "^uisa che non fu presa alcuna misura sanitaria, ed il colèra si diffuse nel regno di Napoli. A Napoli fece Stragi che si riprodussero l'anno appresso 1837. Dorante questa recrudescenza videsi il colèra avvicinare alla frontiera che tocca la provincia di Prosinone degli stati romani. Il magistrato superio- re degli stati romani aveva stabilito dopo il 1836 dei cordoni sanitari sulla frontiera napoletana. Nel- Vianno 1837 alcuni impiegati, che formavano il cor- dóne, comunicarono con gli abitanti dei paesi infetti, e per questa infrazione la piccola città di Ceprùno e Monte San Giovanni furono invase dal flagello , 'sìbcome risulta dagli atti officiali. Il consiglio su- periore di sanità, a motivo della negligenza di un medico sanitario, non seppe che dopo alcuni gior- ni questa triste novella. Esso ordinò immediata- mente d' isolare i due paesi. Ma , in questo frat- tempo , due povere donne erano di già partite da Ceppano portando la malattia a Róma in un misero albergo ove esse dimoravano. L'albergo fu isolato all' istante per ordine di una commissione provvi- soria speciale. La delta commissione inviò dèi me- dici sulla faccia del luogo, i quah malgrado dell'opi- Colèra Indiano 451 nione contrarla del medico pratico che curava l'am- malata, dichiararono non essere affatto colèra , ma tensl lina gastrica. Allora si ordina di togliere il sequestro dalla casa infetta. Tre gliomi dopo la mor- te della colerica, il colèra si manifestò in due ospe- dali situati a gran distanza l'uno dall'altro , impor- tÈtovi dai medici che avevano fatto la sezione del cadavere durante la notte. Degli agricoltori che si trovavano nello stesso albergo, e che partirono dopo la morte della colerica, arrivati quattro giorni dopo nel villaggio di Fiumicino a sette leghe lungi da Roma, furono colpiti da morte pel colèra. In se- guito la malattia fece altre vittime nel sobborgo. L'alta polizia proibì ai paesi vicini a Roma l'impiego delle misure sanitarie, ed il colèra si mo- strò specialmente a Tivoli ed a Subiaoo^ mentre a Gemano gli abitanti si opposero con le armi alla mano, e presero delle misure sanitarie conformi a quelle stabilite nell' anno 1835 dal supremo magi- strato di sanità, ed essi sfuggirono al flagello, e sal- varono ancora le province di Velletri e di Frosinone. Da tutti questi fatti risulta: 1.° che fu pro- babilissimamente a cagione della fiera di Ancona che l'Italia meridionale, soprattutto Napoli^ Palermo e Roma^ furono desolate dal colèra indiano: 2." che furono le misure sanitarie che preservarono dal colèra diciassette province degli stati romani (1). (1) Nota, h'anlore, giunto a Parijji il 17 agosto I80I, trovò clie nel rli 14 era slata nominata una commissione di quattro medici e tre consoli per proporre gli articoli a tenore del programma francese per discutersi in piena conlVrenza; e lesse con sua sorpresa nel pro- cesso verbale n. 3 del suddetto giorno l'opinione prevalente di non 152 Qual sia Vazione che la digitale porporina « digi- talis purpurea Lìnn. » sviluppa nelle malattìe del sistema cardiaco -vascolare. \. X^ ino a tanto che le ricerche e gli studi dfii cultori delle scienze naturali si rivolgeranno all'^n- vestigazione degli a!li vitali, non si potrà certamente pervenire a dare una razionale spiegazione della causa efficente degli organici noutamenti. Mentre come alti sono fenomeni, i quali essenzialmenfe sca- turiscono dalla peculiare chimica-organica compo- sizione mossa a peculiari determinazioni dalle po- tenze esterne o dalle attività universali. Cosicché chiara apparisce l'insufficenza della massima rosta- niana, cioè: « che le funzioni non sono che effetti, non sono che una conseguenza dell'organica disposi- zione (1) ». L'organizzazione, come organo essen- trallarsi affatto di opportune misure sanitarie contro il colèra delle Indie ; per cui pubblicò queste osservazioni diramandole ai 23 delegati della conferenza, ai ministri francesi ed ai magistrati sanitari italiani e stranieri ecc. f^e discussioni sopra questo morbo furono siffattamente tempestose e diuturne , che occuparono pili sedute, e la finale risoluzione non avvenne che nella seduta del dì 4 ottobre (Processo verbale n. 14). La conferenza dopo replicati di- scorsi dell'autore pubblicali nei processi verbali, e dei delegati me- dici spagnuolo, toscano e napoletano, riconobbe il contagio, l'isola- mento e la necessità delle quarantene, oltre le misure igieniche. Se non che fu per l'autore illusoria la quarantena facoltativa adottata di 3 a S giorni; perlochè i delegali romani volarono contro que- sta misura: lo slesso praticarono i delegali spagnuoli, e per ragione inversa i delegati austriaci. (1) Corso dì medicina clinica. Digitale Porporina 453 ziale degli atti vitali, non può essere la causa mo- trice, né lo stimolo determinante il movimento. Nel- l'organizzazione non devesi separare la proprietà della materia dalle cause esteriori che sulla mate- ria operano; per il legame, che essenzialmente con- giunge l'atto all'organo che lo compie, ed alla cau- sa che lo determina. Per cui i mutamenti d' ela- sticità.^ di eccitabilità, e gli altri chiaramente ci an- nunciano una profonda alterazione n^lla chimica- organica composizione, dalla quale immediatamente svolgonsi gli elateri anteriore e posteriore, l'eccita- mento e il più che non accade dire. Dalle quali cose chiaro risulta due diverse specie di disordini potersi manifestare nell'essere vivente: cioè, disor- dine chimico-organico o materiale, e disordine fun- zionale o fisiologico. Il perturbamento degli atti organici non precede le alterazioni materiali , né i mutamenti sopraggiunti dell'antagonismo, determi- natosi tra le potenze interne ed esterne della vita individualizzata; mentre l'effetto non precede la sua causa; non esiste senza chimico-organica lesione; né senza il perturbamento dell'antagonismo vitale; non esistendo azione senza agente, movimento senza cor- po che muovesi. Svolgendosi adunque gli atti orga- nici tanto fisiologici, quanto patologici, da una pe- culiare organizzazione, determinala a mutamenti na- turali e fuor dell'abituale natura dalle potenze ester- ne ; da ciò discende un'immediata illazione, cioè; « che le cause aggiunte per essere d'ostacolo all'e- sercizio regolare degli atti vitali devono necessaria- mente determinare un alterazione chimico-organica^ e disordinare essenzialmente V antagonismo determina- ^5Ì Scienze tosi fra le potènze interne ed esterne della vit'a indi- vidualizzata: « e siccome è dimostrato dalle espe- rienze di uomini illustri , che tanto gli stimoli ne- cessari al mantenimento della vita , quanto le po- tenze nocive, sviluppano i rispettivi effetti a seconda dello stato sano e preternaturale della chiraica-or- ganica modalità individuale ; e non a seconda del modo di compiersi delle funzioni od atti vitali; da ciò discende altra immediata illazione , cioè « che fino a tanto^ che rimarranno occulti i disordini chi- mico-organici^ non si potrà con certezza e precisio- ne stabilire nello stato morboso la peculiare azione dei medicamenti )>. I quali sintomi vengono talora determinati da cause diverse: come p. e. l'accelera- mento del polso, l'aumento del calore, il freddo e la diminuzione della forza muscolare. Una sostanza in un individuo può rendere più celere il polso , più intenso il calore ed il freddo , più energica la forza muscolare ; ed in altro può determinare effetti interamente diversi. Mentre la potenza remo- ta determina una reazione conforme all'organica mo- dalità, e noii al modo di compiersi degli atti vitali. Cosicché dal poco conto, che gli osservatori fecero della chimica-organica predisposizione, nacquero di- poi funestissime discrepanze. Ma l'azione immediata delle potenze esterne è costantemente a se stessa identica ; e la diversità dell' espressione o esterna manifestazione dell'interna ed immediata azione del- le potenze esterne deriva essenzialmente dalla va- riabilità dell'individuale chimica-organica modalità. E questa è la ragione precipua dei diversi risultati, i quali si ottennero dalle esperienze, che si fecero Digitale Porporina 155 dai curiosi della natura per istabilire l'azione ininnie- diata che la digitale porporina sviluppa nel sisteona cardiaco-vascolare. Discrepanze, le quali durarono fino a tanto, che l'anatomia patologica e l'acustica applicata alla scienza clinica non furono di aiuto, né di soccorso alla medica osservazione. Cosicché prima si ritenne da pochi, in seguito da molti, essere sempre identica e costante l'azione immediata, che essa sviluppa sul sistema della circolazione del san- gue; e che la diversità dell'esterna manifestazione dell'interna ed immediata azione dipende essenzial- mente dalla conformazione organica del sistema car- diaco-vascolare fuor dell' ordinaria sua natura. Se rimane ancora qualche dubbiezza, ciò deriva dall' insufficenza delle cognizioni, che noi ancora abbia- mo delle alterazioni morbose del cuore e delle ar- terie; che anche questa sarà rischiarata di mano ia mano, che l'anatomia patologica e l'acustica appli- cata alla scienza clinica faranno maggiori progressi. 2. Sia pure, come alcuni vogliono, che la di- gitale porporina agisca mediante azione peculiare nel sistema cardiaco-vascolare; o come certi altri sostengono, su quella parte del sistema nervoso, che governa la circolazione del sangue; e così indebo- lisca la contratlibilità dei vasi , ovvero che distur- bando le correnti degli i mponderabili, e alterando la crasi del sangue il cuore e le arterie si contrag- gano più debolmente. Ed essendosi in qualsiasi mo- do la contrattibilità de' vasi sotto l'azione della di- gitale porporina indebolita ; da ciò ne segue, che a seconda delle alterazioni morbose il romore, l'im- pulso «d il ritmo del cuore e delle arterie vengono 156 Scienze diversamenle determinati. Per rendere ragioni, che la diversità dell'esterna manifestazione dell'azione in- terna o immediata essenzialmente deriva dall'indivi- duale chimico-organica predisposizione, fa di me- stieri partitamente analizzare le alterazioni del cuo- re e delle arterie ; e di mano in mano dimostrare quali effetti devono ottenersi dalla digitale porpo- rina amministrata nelle affezioni morbose del siste- ma cardiaco-vascolare; e quali realmente sviluppa- vansi allorché mediante l'acustica applicata alla scien- za clinica si determinava durante la vita, l'indivi- duale organica modalità. 3. Nell'iperemia e nell'infiammazione del pe- ricardio e del cuore si manifestano presso a poco i medesimi sintomi ; cioè dolore sotto allo sterno, palpitazione, soffocazione, aumento d'impulso, ro- raore di soffio, polsi piccoli, irregolari ed intermit- tenti, ansietà, sincope, e lipotomia. I quali sintomi, essendo sostenuti dal processo infiammatorio, dalla soverchia azione del cuore, e dall' irritazione*, così nella prima , come nell' altra affeziona morbosa la digitale porporina all'indebolire la contrattibilità del sistema cardiaco-vascolare diminuisce la palpitazio- ne , rende facile e libera la respirazione, fa ritor- nare l'impulso allo stato fisiologico, rianima e ren- de regolari le pulsazioni arteriose, e diminuisce o interamente dilegua gli altri fenomeni concomitanti l'iperemia e l'infiammazione del pericardio e del cuore. Di fatto questi furono i resultali, che si ot- tennero dal Darwin dalla digitale porporina ammi- nistrata ai cardiaci. Col medesimo successo si pre- scriveva da Kreisig, Barnes, Hodgson ed altri nelle Digitale Porporina 157 malattie inflanimalorie del cuore; dimodoché il pri- mo la dichiarava rimedio sovrano della cardite ; e Mi altri la credettero ottima panacea delle malattie infiammatorie del centro della circolazione del san- gue. In seguito d'iterate esperienze il chiarissimo Giuseppe Franck raccomandava l'infusione delle fo- glie della digitale porporina nella cardite: « Si su- spicio pericarditis chronicae absit . . . infusum fo- liorum digilalis purpureae interpositis iniervallis exhi- beantur (1). Quando il processo infiammatorio in- genera preternaturali aderenze tra il pericardio e la superfice esterna del cuore, o che la membrana sierosa siasi disseccata, come fu osservata da Hun- ter e da Baillie , ovvero che siasi ossificata; allora i sintomi caratteristici, come il senso di oppressione alla regione precordiale, l'irregolarità e l'mtermit- lenza dei polsi, aumentano d'intensità sotto l'azione prolungata della digitale porporina; perchè il cuore ha di bisogno di maggior forza per compiere i ri- spettivi movimenti. A. Quando per una peculiare predisposizione in- dividuale , ovvero sotto l'influenza della perturbata innervazione, cresce o diminuisce la nutrizione del cuore; allora nel primo caso le pareti delle sue ca- vità si ingrossano, ipertrofia'., diminuiscono nell'altro, atrofìa: ed ecco altre cause, le quali disturbano la circolazione del sangue. 5. I sintomi dell'ipertrofia del cuore senza ri- stringimento né dilatazione delle sue cavità, e sen- za ostacoli al libero corso del sangue, sono un au- mento d'impulso, ed una diminuzione del suono dei (1) Inslit. med. pract. i58 Scienze suoi baltitij naa nello stesso tempo il ritmo è repor lare, ed i polsi sono duri, forti e vibrati, e spesso battono le carotidi. Sotto l'influenza di forti patemi di animo, e del moto violento, si determina la pal- pitazione ed il polso diviene celere e frequente. Quin- di si formano congestioni nelle parti permeabili al sangue; cosicché il respiro si rende difficile e soffo- cante; si manifestano accessi di dispnea, ed il roseo colore nella faccia; e raramente hanno luogo emo- ragie consecutive. I quali fenomeni, come l'espres- sione dell'aumentala conlrattibilità del cuore, cosi coH'uso prolungato della digitale porporina si ottie- ne tanto la cura sintomatica, quanto la radicale. Imr perocché la speciale azione del farmaco minorando la contrattibilità del cuore," il sangue viene spinto con minor forza; e così è diminuita la soverchia azione dell'impulso, i polsi divengono molli, meno frequenti , e meno vibrati , e le carotidi diminui- scono i preternaturali battiti, o del tutto essi dile- guansi; in seguito si risolvono le congestioni san- guigne, td il respiro si rende facile e libero; dile- guasi la dispnea, ed il roseo colore dalla faccia. E siccome l'ipertrofia del cuore fu paragonata , non senza una qualche ragione, da Laénnec allo svi- luppo dei muscoli degli atleti , che si accresce in proporzione dell'esercizio in cui questi organi sono tenuti; così la digitale porporina nel diminuire la contrattibilità del cuore diminuisce eziandio il pro- cesso di nutrizione , ed in questo modo si ottiene anche la cura radicale. In seguito d'iterate espe- rienze e diligenti osservazioni i clinici generalmen- te prescrivono le sottrazioni sanguigne, e l'uso in- Digitale Porporina i^9 terno della digitale porporina nell' ipertrofia del cuore. L'autore dell'ascoltazione (1), oltre l'averci lasciato scritto di avere egli ottenuto dall'uso pro- lungato della digitale porporina efifetti analoghi a quelli , che sogliono ottenersi dall' acido idrociani^ co e dal lauro-ceraso , ci assicura, che in Francia si faceva grandissimo uso della digitale porporina nelle malattie del cuore; perchè generalmente le s\ accordava una virtù sedativa. Andrai esperimentava costantemente giovevoli il salasso e la digitale por-^ porina nell'ipertrofia del cuore. « A coté des sairr gtièes viennent se ranger des moyens appellés dèpri- mants^ et au premier rang ori doit piacer la digù tuie (2) ». Giuseppe Franck, parlando dei vizi pre^» cordiali, la raccomanda negli aneurismi del cuore; ed ecco le sue parole: << In primis foliis digitalis piirpurae perpenditur, quod farmacum etiam tumuU tum cordis et sysihematis arteriosi temperare val^t (3,), »>, Dietro gli insegnamenti degli antichi, anche il pro- fessore Folchi amministrava la digitale porporini! con felice risultamento. Nella materia medica, dopo di avere riputata l'opinione del signor Rosori, cosi egli si esprime: « Nihilominus in hyperlrofia cordis plures medici ea passim utuntur ad visceris impe- tum coercendum, neque nos ipsis ab hoc auxilio ah' horemus. Nell'aureo trattato dell'ascoltazione dì Laen- nec si legge quanto siegue: « Allorclw esiste dila- tazione^ con manifesto predominio alV ipertrofia , iì\ (1) Laeniiec. (2) Coiirs de patliologie interne, (3) lustit. metl. pracl. 160 Scienze questo caso si deve In frequenza dei polsi abituale reprimere con la digitale^ e l'infusione di lauro-ceraso. 6. Siccome l'atrofia parziale e generale è un' affezione troppo raranaente osservata, e la scienza appena possiede qualche caso, in cui fu sospettala durante la vita; quindi è che in tal contigenza dob- biamo con il signor Rostan risalire per teoria, per indagine , e per reminiscenza dalle alterazioni or- ganiche ai sintomi, che furono loro attribuiti, an- ziché discendere dai segni dell' affezione alla dia- gnosi. Ed essendo l'atrofia un'alterazione organica onninamente opposta all' ipertrofia, non che occa- sionata e sostenuta da quelle cause , che valgono in qualche modo ad indebolire la contrattibilità e la nutrizione del cuore; così non si allontanano dal vero i patologi, i quali stabiliscono il quadro sinto- matologico dell'affezione in discorso totalmente op- posto a quello dell'ipertrofia. Ed ecco i sintomi, che generalmente si attribuiscono all'atrofia del cuore, cioè ; la mancanza più o meno completa dell' urto e del suono dei suoi battiti; meno nell'aneurisma passivo di Corvisart, mentre in questo si accresce la chiarezza dei romori ; quindi si manifestano la debolezza e la frequenza dei polsi, non che l'uni- versale anemia, la sincope senza causa apprezzabile, affanno di respiro nel primo sforzo, e la palpitazio- ne senza energia. Fenomeni, che come immediato effetto della diminuita attività vitale del cuore, così sono aumentati, e resi maggiormente sensibili dalle sostanze, le quali indeboliscono la contrattibilità del sistema cardiaco-vascolare. Nelle classiche opere di terapia si trovano costantemente raccomandati i te- Digitale Porporina ÌQÌ nici *, e non si fa menzione dei controstimoli né della digitale porporina. 7. Che se poi la disturbata nutrizione avrà prodotti degli ostacoli al libero corso del sangue ristringendo gli orifizi au ricolo-ventricolare destro e sinistro, ovvero l'aortico ed il polmonare; allora nel primo caso si sentirà nella regione precordiale un romore di mantrice, di raspa o di lima, che sur- roga il secondo romore del core ; e nel secondo caso , che surroga il primo romore. E ponendo la mano nella regione precordiale si sente un fre- mito difficile a descriversi, che qualche volta si fa sentire anche nelle arterie. Le pulsazioni sono per ordinario fortissime, e fanno contrasto con la pic- colezza, la debolezza e la disuguaglianza dei polsi; e la respirazione è più o meno disordinata. Ora ve- diamo quali effetti noi otterremo minorando la con- trattibilità del cuore con la digitale porporina. In que- sto caso non si potrà altro ottenere se non che la diminuzione dell'impulso, e forse anche dei romori anormah. Ma i polsi si faranno più piccoli, più de- boli e più irregolari; ed in seguito la respirazione sarà maggiormente disordinata. E siccome in questo slato morboso la natura ha accelerati i moti del cuore, perchè ella ha da superare gli ostacoli che si opponevano al libero corso del sangue; così me- diante Fazione della digitale porporina aumentere- mo sempre più il pericolo che questi ostacoli por- tano seco. Ed il Pigeaux, parlando dei ristringimenti del cuore, così si esprime: a E per lo più sbaglian- do V indicazione, che presenta Vaumento di attività del centro della circolazione^ credono d'avere fatto le G.A.T.CXXIV. 1 1 162 Scienze maraviglie^ con Vaverla abbassata mediante Vuso del- la digitale e del siroppo di sparagi. Quali però sono i sintomi di questa viziosa medicatura (1)? » Ed in ahra pagina della medesima opera: « Ci sembra al- trettanto ridicolo., che nocivo., il combattere la dispnea con lo stramonio ... e V eccitazione del cuore con la digitale.) questo genere di cura è invariabilmente seguito dagli effetti i più funesti. Ed il medesimo scrittore francese ha veduti costantemente peggio- rare gli infermi, i quali avendo dei ristringimenti negli orifizi del cuore , furono intempestivamente sottoposti all'uso prolungato della digitale porporina. 8. Non solamente i ristringimenti, che abbia- mo ora esaminati, sono di ostacolo al libero corso del sangue; ma anche l'insufficenza delle valvole mi- trali e tricuspidali, aortiche e polmonari. Le quali alterazioni organiche danno il romore di raantrice nel primo romore del cuore nel primo caso; e nel secondo romore nell'altro caso, cioè in senso oppo- sto a quello determinato dai ristringimenti degli orifizi del cuore, e dell'ossificazione delle sue val- vole. Queste alterazioni organiche disturbano tanto la circolazione arteriosa, quanto la venosa; cosicché bastava al nostro Lancisi, per diagnosticare l'insuf" fìcenza delle valvole auricolo-ventricolari del lato destro, la pulsazione della giugulare. Nei ristringi- menti e neir insufficenza vi è di bisogno di mag- giore contrattibililà per compiersi la circolazione del sangue, nel primo caso per superare gli osta- coli, e nel secondo per opporsi al reflusso del san- (1) Trattato del cuore Digitale PouporiinA I-G.*) gue: così in queste affezioni morbose la digitale por- porina determina i medesimi inconvenienti. I pra- tici si astengono dalle sottrazioni sanguigne e dai conlrostimoli ; ed il Pigeaux raccomanda la stric- nina (1) per sostenere la contrattibilità del sistema cardiaco - vascolare. Noi tralasciamo di occuparci maggiormente di questa affezione morbosa^ perchè quelle cose, le quali esponevamo allorché ci occu- pavamo dei restringimenti, ci danno ragione anche dei fenomeni prodotti dall'insuflìcenza degli orifizi auiiculo -ventricolare destro e sinistro, dell'aortico, e del polmonare. 9. Il sistema arterioso può infiammarsi ; come ancora un tratto di arteria dilatarsi o restringersi ; le quali alterazioni costituiscono quasi per intero ciò che si conosce su tal punto di anatomia patolo- gica. Ma siccome queste alterazioni organiche su- scitano locali e generali disordini analoghi a quelli generati dalle alterazioni del centro della circola- zione del sangue; cosi, volendo di esse partltamente parlare, converrebbe ripetere quelle cose, che noi esponevamo quando ci occupavamo delle singole malattie del cuore. Ma tanto colT azione diretta , quanto coU'indiretla, suscita nuovi disordini ed ac- cresce quelli che di già esistevano, o mirabilmente diminuisce questi ultimi, operando sempre a seconda del disordine organico e non del disordine funzio- nale. Ed essendosi dai pratici asserito, che il mo- vimento febbrile con reazione, vale a dire la febbre infiammatoria di Pinel, e l'angioitide del Tomma,-. (1) Trattalo delle mnlattìc ilei cuore. 164 Scienze sini sono i sìntomi predominanti dell'arterite ; cosi non è da maravigliarsi se essi costantemente espe- rimentavano giovevole la digitale porporina nella feb- bre infiammatoria di Pinel, e nell'angioitide del Tom- masini. Yeatmann , essendo intimamente persuaso dell'azione diretta che essa esercita sul sistema ar- terioso, pervenne mediante l'uso prolungato di que- sto farmaco a vincere un aneurisma dell'arteria suc- clavia. Quando il canale arterioso è ossificato, allora non sviluppa l'azione diretta: mediante però l'indi- retta accresce maggiormente i disordini: « Essa^ cioè la digitale porporina, nulla può contro le ossifica- zioni dei vasi^ e contro le gravissime degenerazioni organiche (1) ». 10. Ora a seconda dell'ordine che ci siamo pro- posto dovremmo passare a discorrere dei fenomeni, che la digitale porporina sviluppa nell'indurimento e nel rammollimento del cuore, nella sua degene- razione grassosa, cartilaginosa, ossea e nei prodotti etcrologhi, come ancora nelle anormali comunica- zioni delle sue cavità, e nei vizi di conformazione riportati dai monografi; ma siccome queste organi- che alterazioni possono essere appena sospettate du- rante la vita, così noi tralasciamo di partitamente esaminarle. 11. Da quello, che noi abbiamo esposto, chia- ramente rilevasi che di molto sbagliarono alcuni osservatori, i quali amministrarono la digitale porpo- rina nel bruto e nell'uomo senza prima esaminare, mediante l'acustica applicata alla scienza clinica, lo (1) rtostan, Corso di medicina clinica. Digitale Porporina 465 stato del sistema cardiaco-vascolare; e che del pari errarono altri, i quali ne prescrivevano dosi enormi; imperocché è da supporsi, che in questo ultimo caso in cambio di sviluppare la respeltiva azione abbia agito come semplice perturbante. Né vale il dire , che l'esperienze si facevano anche negli animali e negli uomini, i quah apparentemente erano sani; imperocché non mancano nella nostra scienza dei casi di individui morti per una malattia qualsiasi; ai quali essendosi fatta l'autopsia furono trovate del- le marcatissime alterazioni organiche nel sistema car- diaco-vascolare; le quali durante la vita non si so- spettarono neppure dai più esperti clinici. Non esi- stono forse degli individui , che menando una vita regolare, in essi si eseguiscono regolarmente le fun- zioni sensoriali e plastiche ? Ma che sotto l'influenza di forti patemi di animo e del moto violento si su- scitano disordini tali, i quali chiaramente ci mani- lestano un'organica alterazione nel sistema cardiaco- vascolare ? Qual maraviglia se in questi la digitale porporina sconcerta la respirazione e la circolazione del sangue a norma delle alterazioni organiche, le quali non si conoscevano? Cosicché noi riteniamo col signor Rasori: « Che la sorgente primitiva degli errori furono più che altra cosa il di fello e f imper- fezione delle prime osservazioni: i ragionamenti storti, le teorie mal fondale, e tulli insomma i traviamenti dello spirito, furono poi le conseguenze copiosissime deirimperfezione appunto e de difetti dell'arte di os- servare (1) >.. DoTT. Vincenzo Catalani (1) Analisi del preteso genio d'Ippocrate. 166 Memoria del doti. Felice Scalza ferri medico eser- cente in Roma sopra un caso patolgico di somma importanza. Saepe natura novum opus exorditur ubi conatus nostri tlesiere. (Baguvi). imperscrutabili sono gli arcani della natura, me- ravigliosi sono i suoi lavori, e noi troppo ardi- ti ci crederemmo se non contenti d'ammirarli vor- remmo conoscerli nella loro intima essenza e spie- gaie il modo di loro esistenza. Conosciamoli, per quanto ci è dato, ammiriamoli e trasmettiamoli ai nostri posteri: che anzi non trasciniamo di contem- plarli, d'osservarne gli effetti e di scoprirne le di- rezioni. E volendo altresì applicare questi medesi- mi principii a quei fenomeni di natura che spesso incontriamo nell'esercizio dell' arte salutare noi ben sappiamo dalla patologia nella dottrina delle crisi esservi quella forza medicatrice della natura che maravigliosamente agisce, e che nell'atto clinico de- ve altamente valutarsi. Onde ricorderò le parole del celebre Testa: « Che anco le false dottrine han- no vantato i loro prodigi inesplicabili , se non si ammettesse che dove termina l'arte comincia la natura medicatrice ». E prima di lui aveva detto l'immortale Bagli vi: « Saepe natura novum exordi- tur opus ubi conatus nostri dcsiere ». Il perchè non riuscirà oggi inutile tramandare alla storia del- l'arte un caso patologico di somma importanza, tut- Caso Patologico ~^ 167 to dovuto alla natura raeJicatrice: peroccliè è sem- pre a sperarsi che la esposizione d'ogni nuovo fat- to apporti luce più chiara ai progressi della me- dicina e chirurgia. Mosso io dunque da questo solo 8C(jpo narrerò la storia d'un caso patologico il più raro, sebbene non unico, che mercè degli aiuti del- l'Onnipotenza fu coronato di prospero esito. Chiamato il giorno 3 novembre 1851, alle quat- tro della sera, a visitare l'inferma Giovanna Anni- bali di Fermo, moglie dell'impiegato N. N. domi- ciliata in via de'Serpenti n. 39, trovai questa donna dell'età d'anni 27, di sanissima costituzione fisica di corpo, dotata d'un temperamento sanguigno-bilioso, e che per quanto potei raccogliere dai parenti sof- friva di quando in quando d'enteralgia. Gravida, come essa era di nove mesi non ancor compiti, ve- niva già assistita dalla levatrice, perchè aveva fluì' to dall'utero del muco sanguinolento in seguito de' dolori: cosicché supponevasi già sotto i travagli del parto. Però esaminata diligentemente l' inferma potei rilevare che i violentissimi dolori addominali, che la travagliavano, partivano dalle intestina piuttosto che dall'utero, e ad essi associavasi un vomito imponen- tissimo di materie biliose, la costipazione del ventre, la ritenzione delle urine, la tensione di tutto l' ad- dome dolentissimo al tatto, come ancora la lingua arida e rossa, la sete, 1' angoscia , il calore interno ec, ed il polso era contralto ed irregolare, ma non ancora febbrile. Calcolata la natura e l' importanza del male non mancai prestarle subito i sollievi dell'arte or- dinandole il salasso, 1' olio di ricino, i fomenti, l'era- 168 Scienze brocazìoni oleose, i clisteri emollienti, le bevande di- luenti ec. Ma nulla valsero gli apprestati aiuti , e con maggior fierezza imperversarono i dolori anco nel dì seguente insieme allo sviluppo della febbre ed a tutt' i sopra indicati sintomi, la sindrome dei quali mi determinò a dichiarare la malattia per una enterite , che trattai col metodo antiflogistico non trascurando i purgativi oleosi. Non meno violenti si mantennero i dolori durante la notte di questo secondo giorno , ed anco più atroci divennero al terzo, quando alla costipazione ostinatissima del ven- tre si uni anche il vomito stercoraceo: ed allora ben compresi essere avvenuto un invaginamento o vol- vulo, di cui non essendo rimasto bastevolmente tran- quillo per la complicazione della gravidanza nel nono mese, conobbi la necessità d'interpellarne il chi- rurgo 5 ed a tale oggetto fu chiamato l'abile chirur- go sig. dott. Francesco Sani. Sentito il parere di questo professore , che assicurava esser tutto di- sposto secondo l'ordine naturale ciò che riguarda- va lo stato dell'utero gravido, e soggiungevami che agissi pur francamente nell' intrapreso metodo curativo , non desistei dalla cura antiflogistica con una attività anco maggiore. Cos'i tutto procedeva fino al terzo giorno, quando alla mattina del dì se- guente dietro irresistibili dolori addominali si schiu- se il ventre con due copiosissime deiezioni di ma- terie melanotiche (non disgiunte dal solito vomito di materie biliose), che poi furono seguite da altro scarico alvino di materie fecali, liquide ancor esse, biliose ed oltremodo corrotte. Dopo questo flusso di melena cederono alquanto tutt' i sopraindicati sin- Caso Patologico 169 tomi, ed un abbattimento il più grande opprimeva la meschina. Proseguiva intanto il corso dell' ente- rite in tutta la sua forma, quantunque in minor gra- do , e bene erano distinti i così detti polsi addo- minali; tantoché non abbandonammo il metodo an- tiflogistico sempre colla medesima energia. Al quin- to giorno di malattia una sola volta le si affacciò il vomito, con cui rese un grosso ascaride lumbri- coide, ed altii due ne rese per secesso insieme a molte fecce egualmente liquide e biliose; cosicché ben si distinse una leggiera calma nell'inferma: mo- tivo per cui si continuò una cura proporzionata al grado della malattia medesima. Poco era dissimile dal di antecedente lo stato della malata nel sesto giorno: che anzi tutti i sintomi flogistici diminui- rono sensibilmente d'intensità, e taluni ancor si di- leguarono. Come peraltro giungemmo al settimo giorno, vedemmo riprodursi i soliti dolori col con- sueto vomito di materie biliose: ma esaminala me- glio l'inferma, si giudicò esser queste doglie prepa- ratorie al parto. E di fatto alla sera di questo me- desimo giorno si determinarono le vere doglie espul- sive dell'utero, fluirono l'acque dell'amnios, e dopo un travaglio di circa dodici ore si sgravò d'un feto, che sebbene semivivo era perfettissimo in tutte le sue parti, e poco dopo si liberò ancora dell'intiera placenta colle secondine. Fluivano regolari i locliii, e niuna rimarchevole accidentalità sopravvenne al parto, tranne una copiosa metrorargia che ben pre- sto si arrestò. Tutto progrediva in meglio, e dopo la discesa del latte sembrava esser giunta l'inferma allo stato d'apiressia; se non che persisteva ancora '170 Scienze quell'esaltata sensibilìlà dell'addome, che si mostrava sempre dolente sotto la pressione accompagnata ad una leggiera tensione delle pareti addominali, ed a lievissimi tormini di ventre, consensienti colla regione de' lombi, che spesso risvegliavansi nel corso della giornata, e che supponevansi procurati dal flusso de' lochii. A misura che ci allontanavamo dal parto e dalla malattia ben di ragione ci lusingavamo potesse aver fine questo stato irritativo de'visceri addominali; il che a fronte della cura che ancor andavasi prati- cando cogli oleosi, coi diluenti, coi clisteri, colle ap- plicazioni emollienti, e con una dieta tenuissima, non potè in verun modo conseguirsi. Quand'ecco dieci giorni dopo il parto contro ogni nostra aspettazione la puerpera venne di nuovo assalita da dolori inte- stinali fierissimi, e sempre consensienti colla regione de' lombi ( ove accusava pure un senso di calore urente ) associati a meteorismo , a costipazione di ventre, a ritensione d'urine, ad una ansietà la più grande, al cattivo sapor della bocca, a polsi esili ed irregolari, ma non febbrili. Valutata ancor qui l'imponenza de' sintomi non mancai subito soccor- rerla con tutti quei mezzi che sogliono praticarsi in simili incontri : e per buona sorte si schiuse il ventre alla sera di questo medesimo giorno con tre o quattro scarichi di materie concrete putridissime, come se giammai fosse stata purgata , e per tal modo rimase l'inferma notabilmente sollevata. Però io, non sicuro di questo stato di calma, ripetei al dì seguente una seconda dose d'olio di ricino, per- chè dubitavo potesse annidare altra zavorra nel tu- bo intestinale: e fu allora che l'inferma nel primo Caso Patologico 171 scarico di \entre, accompagnato ad atrocissimi do- lori addominali, s'avvide d'aver reso dall'ano poche gocce di sangue: e circa un'ora dopo, avuta una seconda mossa ventrale bene avvertì il passaggio d'un corpo assai voluminoso , tantoché non potè trattenersi dal chiamare i parenti acciò subito ac- corressero ad osservare quel che aveva evacuato; e questi pieni di meraviglia rilevarono un corpo intestiniforrae fra le fecce attorcigliato sopra se stesso a guisa di chiocciola (tale era la loro espres- sione). Quando tornando a visitare l'inferma pieni di stupore e confusione m' annunciarono quanto era avvenuto; quindi appena l'ebbi esaminata, pre- muroso di venire in chiaro di che si trattasse, mi feci immantinente ad osservare il vaso contenente le materie fecali: e pieno di stupore potei osserva- re fra quelle un corpo membranoso di molto volu- me, che separato dalle fecce e posto in altro vaso coll'acqua , ben m'avvidi che presentava forme di organizzazione ed era somigliantissimo all'intestina. Sbalordito come io ero da tal fenomeno, fui incapace a giudicarne; e siccome in casi così strani riesce sempre malagevole rendere un sicuro giudi- zio , così mi diressi all' eccmo sig. dott. Demauro, mio amico e medico primario dell'ospedal di s. Spi- rito, che pregai volesse compiacersi d'esaminar me- co il pezzo patologico, come cortesemente fece: ed allora praticate con ogni diligenza le più accurate indagini anatomiche, e ben conosciuto il numero e la disposizione delle tonache intestinali, non che il pezzo di mesenterio che gli stava annesso, fu deciso non esser già egli una pseudo-membrana, ma una 172 Scienze vera ansa d'intestino, e precisamente dell' intestino ileo lunga oltre due piedi e mezzo parigini col respettivo pezzo di mesenterio. Nel dì seguente il pezzo patologico in discor- so fu portato dal sig. dott. De mauro all'ospedal di s. Spirito, onde mostrarlo a taluno di quegli eccmi primari che rinvenne nell' ospedale , e niuno di questi potè negare esser egli un' ansa d'intestino. Dall'ospedal di s. Spirito venne trasferito all'ospedal della Consolazione, ove molti della professione ac- corsero ad ammirarlo , e tutti egualmente conven- nero esser egli un'ansa intestinale ; e fra questi si compiacque ancor d'osservarlo l'eccmo sig. profes- sqr Baroni, che pur ci assicurò esser egli un pez- zo d'intestino col respettivo mesenterio, e ci ripetè quanto già avevanci annunciato gli annali della scien- za , cioè non esser questo un caso nuovo; sibbene disse essere fra i più rimarchevoli per la sua lun- ghezza. E per verità l'ansa intestinale in discorso è lun- ga oltre due piedi e mezzo parigini, larga la metà più della larghezza naturale; è di color giallognolo macchiata in varii punti da macchie bluastre. Ricup- vata in «e stessa, rappresentava la figura d'una sfe- ra continua internamente al mesenteiìo, le cui la- mine lacerate nel mezzo , e riunite per una lunga e stretta appendice, lasciano qua e là delle parli scoperte, dove sorgono l'altre membrane intestinali, rappresentando dei sacchi ciechi da mentire le con- camerazioni del colon. Scorrono fra di esse nume- rosi vasi lattei e sanguigni poco resistenti, e cede- voli a qualunque iniezione spinta colla massima cau- Caso Patologico ilo tda. Ha due estremità troncate obliquamente per lo spazio di due pollici da un lato, e per quattro dall'altro, nelle quali si rende appena visibile qual- che linea di eangrena. Per queste aperture appa- risce la membrana villosa tinta d'un color giallo- forte , dotata in un sol lato o estremo di valvole conniventi, poco consistenti e pochissime di nume- ro. E per questa ullima circostanza e per quella del colorito sembrami poter decidere con tutta sicurez- za, che l'ansa in discorso appartiene all'intestino ileo alla parte superiore , cioè a quella prossima al di- giuno. Checché poi si dica da taluni, sebbene della pro- fessione, che forse sdegnando la lettura d'alcune ope- re di medicina (nelle quali troverebbero il più delle volte non esser poi tanto nuovo ciò che giudicano novissimo ) posero in dubbio la verità del fatto; a questi io soltanto rispondo, che ben sappiamo co- me Ippocrate nel pronosticare di sì strane e singo- larissime evacuazioni ( che purtroppo sorprendono allorché sussista la vita) giustamente dicesse nel suo 24" aforismo « Si quid inlestinorura gracilium di- scindatur, non coalescit » : ed in altro al numero 13" aggiungesse: « Discissio alicuius ex intestini» tenuioribus lethalis est » : giacché ben conobbe il gran vecchio, che tolta la continuità del tubo ali- mentare le materie contenute piombano nella ca- vità dell'addome, e quindi ne seguita la morte. E di siffatta guisa la pensarono Boerahave, Vanswieten, Areico « De diuturnilate alFectionum (lib. 1. e. 9.) e Tulpio (lib, 122. cap. 17). Però non ignoriamo d'altra parte che il sig. Thompson in un lavoro as- 174 Scienze sai interessante ha raccolto ed analizzato trentacin-r que osservazioni disseminate negli annali della scien- za, e che hanno per soggetto l'evacuazione dall'ano di molte porzioni cilindriche d'intestino ; che il si- gnor Leopoldo Caldani nel 1813 stampò in Vero- na una memoria sopra un tal giovane Saccon di Mei, assistito dal medico Casamatta, che evacuò un pezzo dell'intestino digiuno ; che anco il sig. Bou- chet vide due pezzi di digiuno evacuato da una donna di 60 anni, che sopravisse cinque mesi, e sa- rebbe vissuta più a lungo se per errori dietetici non avesse incontrato delle indigestioni e delle co-? liche che la portarono a morte-, che il sig. Sabeaux presentò all'accademia di Parigi un pezzo di colon lungo 23 pollici con il mesenterio , e l'individuo che espulse detto pezzo d'intestino guarì perfetta- mente, indi si fece soldato; che il sig. Salguer rese consapevole la medesima accademia d'altro pezzo d'intesi ino tenue della lunghezza di 30 pollici, reso da un giovinetto che si ammalò per passione iliaca, il quale conseguì perfetta guarigione; che nel nono bullettino dell'anno 1818 della società di medicina di Parigi leggesi una osservazione riportatavi dai sigg. Tuillier e Cruveilhier riguardante un tal Bro- chet d'anni 37, che evacuò un pezzo d'intestino te- nue lungo 18 pollici col respettivo pezzo di me- senterio , e che ricuperò la salute col pieno eser- cizio delle funzioni ventrali; che i sigg. Delaroque, Millot ed Hevin ne rimarcassero altri consimili casi; che il sig. professor Cittadini d'Arezzo desse rela- zione negli annali d'altro caso analogo curato dal sig. doti. Bartoli; ed infine, per tacerne molti altri, Caso Patologico 175 che il sig. professor Fanzago nel -1820 stampasse in Padova una speciale memoria, in cui tratta di rottura singolare del tubo intestinale con perdita d'un pezzo d'intestino, e successiva stabile unione delle due estremità , avvenuta in un caso di pas- sione iliaca , la cui storia venne scritta dal signor dott. Macri medico curante, il quale indirizzando al Fanzago i pezzi patologici, li corredò della nar- razione de'fenomeni morbosi osservati. E da questa memoria rilevammo, che nella discordanza de' giu- dizi sulla verità del fatto (discordanza che ebbe luo- go due anni e due mesi dopo l'accennata malattia, allorquando si fece la sezione del cadavere morto d'altra infermità) una speciale commissione autoriz- zata a giudicarne dal C. R. Istituto di Padova a richiesta dello stesso Fanzago, e composta da Ma- lacarne, Renier e Rrera, cui furono aggiunti Calda- ni e Fanzago, definitivamente lo sanzionasse. — Esclu- so dunque ogni dubbio tanto sulla possibilità del fenomeno, quanto sulla certezza che il pezzo orga- nico evacuato fosse un vero pezzo d' intestino , ci determinammo farlo disegnare e preparare; e tale incarico venne affidato all'eccmo sig. dott. Mazzoni chirurgo sostituto nello stesso ospedale della Con- solazione Or qui a rendere una probabile spiegazione del fenomeno dell'invaginazione, e del processo im- piegato dalla natura per guarire siffatta malattia, a me sembra di non andare errato se ho conce- pito che l'estremo intestinale inferiore, violentato da basso in alto dal moto peristaltico invertito , siasi mlrodotto nel superiore, ed abbia obbligato questo 476 Scienze a ripiegarsi sopra se stesso seguendo ed obbeden- do al suo impulso; onde l'intestino in quel punto ritrovisi concie composto di tre cilindri, l'un dentro l'altro, il primo cioè interno formato dall' estremo inferiore, il secondo medio, ed il terzo esterno for- mati dal superiore ; cosicché formando ancor due cui di sacco, uno interno e superiore, l'altro ester- no ed inferiore, è avvenuto che la membrana mu- cosa si tradusse a contatto con la mucosa, e la sie- rosa con la sierosa. Ora non essendo potuto acca- dere l'adesione fra le mucose , perchè a ciò non adatte per loro natura, e perchè non sarebbe po- tuta ristabilirsi la continuità del canale intestinale, è avvenuto invece che la membrana sierosa del ci- lindro interno abbia aderito colla sierosa del me- dio cilindro, o con il cui di sacco esterno in modo tale, che continuando una moderata infiammazione dell'intestino, siasi formata mediante una linfa coa- gulabile una cicatrice che a poco a poco abbia con- solidato. Il che ben ci comprova l'idea immaginata da lobert, rinomato chirurgo che ne ha fatto una preziosa applicazione nella cura delle ferite intesti- nali , e che aveva appunto riguardato il ristabili- mento della continuità dell' intestina essenzialmente consistente nella iuxta -posizione d'una superficie sie- rosa ad altra superficie egualmente sierosa. Cosi aderite le sierose, ho immaginato ancora che i pun- ti sottostanti ( ove cioè ha principio l'ansa invagi- nata composta dei due cilindri medio ed interno, e dove questa medesima ansa sia per !o strozza- mento, sia per l'adesione avvenuta fra le sierose, ri- mase priva de'rapporti di vitalità e di nutrimento) Caso Patologico 177 incominciassero a smagliarsi nei tessuti , ed in tal modo si stabilisse una linea di demarcazione, che quanto dire principiasse in essi punti un lavorio di separazione per uno speciale processo d'altera- zione poco dissimile da una cangrena circoscritta avvenuta per atrofia, o dirò anche meglio per un processo pressoché analogo a quello che ha luogo in una parte organica dopo che questa sia stata strettamente compressa da un legame; dimodotale- chè coadiuvala poi questa separazione anco dai co- nati del parto (riguardandoli quali forze meccani- che ) abbiano quei medesimi punti dopo il corso di vari giorni abbandonato l'anza nell'interno del tubo intestinale. Volendo poi dare una spiegazione sufficiente anco all'obbliquità degli estremi dell'an- za intestinale emessa , ho concepito che i due cui di sacco indicati nella descrizione dell' invagina- mento siano avvenuti in disposizione obbliqua; cioè intendo dire il cui di sacco interno e superiore nel- la parte anteriore e libera del suo giro siasi spin- to più in alto, e meno nella posteriore ove risen- tiva lo stiramento del naesenterio che l'imbrigliava; dal che ne segue, che anco il cui di sacco esterno ed inferiore fosse più in basso nella parte poste- riore del suo giro, più alto nell'anteriore o perife- rica dell'intesi ino slesso. Ciò ammesso, ho concepito ancora che quel flusso di melena procedente dalPe- slravaso di sangue per la rottura de'vasi del mesente- rio abbia potuto aver facile passaggio per l'inleslina, perchè il pezzo di mesenterio invaginato nell' esse- re stato tirato da basso in alto dall'anza intestinale che l'accompagnava , sia rimasto come reciso nei G.A.T.CXXIV. 12 178 Scienze punti inferiori, ossia nel collare esterno ed inferio- re dell'avvenuta introsusceptione, che favorito dal- la larghezza del tubo enterico al di là del natura^ le, io virtù della cura e dell'estravaso stesso aves- se alcun poco ceduto nell'obliterazione, e permet- tesse così la sortita al sangue travasato; mentre poi le materie fecali liquide, che trovavansi al disopra dell' invaginamento , abbiano dovuto come feltrare per imbuto, insinuandosi nella parte più bassa del giro obbliquo appartenente al cui di sacco interno, rimanendo impedito sempre l'esito alle materie fe- cali concrete; e queste in seguito sieno andate a spri- gionarsi, allorché avvenne l'ititero distacco dell'an- za intestinale ( forse annunciato da quelle poche gocce di sangue sortite dall' ano circa un'ora pri- ma che evacuasse il pezzo d'intestino) ossia allora quando, purgata l'inferma coU'olio di ricini, rese fuori materie fecali le più grossolane e putrefatte, insieme all'anza intestinale ancor essa alterata. Comunque poi voglia spiegarsi il fenomeno (cosa non molto facile a chi che sia per la man-- canza de'risultati cadaverici) a me solo basta aver dimostrato il fatto nel'a sua nuda verità, sperando che da questo possano trarre lume e profitto la chi- rurgia e la medicina legale nel trattare e giudica- re le ferite intestinali. Volendo finalmente tornare all'osservazione cli- nica di sì fortunata donna dopo avvenuta l'espul- sione della ripetuta anza intestinale, io dirò che una serenissima calma la ristorava appena ebbe emesso per la via dell'ano il detto pezzo d'intestino, fino al punto che potè placidamente dormire in tutta Caso Patològico 179 Id notte SLissegvienle: ed al destarsi nella nuova mat- tina assicurava sentirsi affatto libera de'dolori, anzi provava bisogno di prendere cibo che avidanrìente chiedeva; cosicché i parenti si arbitrarono, sebbene imprudentemente, a darle un pangrattato ed altra leggerissima cosa. Però tìella sera di questo me- desimo giorno, forse per essersi gra vata di cibo, in- cominciò a sentire dei dolori addominali pungiti- vi, tutti concentrati alla regione iliaca sinistra in vicinanza dell'umbilico, e corrispondenti alla regio- ne de'lombi: sperimentava un senso di foimicolio interno, come ancora certa altra sensazione inespii- inibile, sempre nelTindicata regione, che la Invitava a portar la mano in questa parte per comprimerla verso il centro addominale, come se là natura invi- tasse a chiuder quel vuoto, ovvero quella porzione d'intestino, appena cicatrizzata, volesse rendersi più solida in virtù della compressione esterna. Così an- cora le si risvegliò una leggiera febbre con sete dolor di capo, poca angoscia etc, ed il ventre seb- bene cedevole si mostrava alcun poco dolente sot- to la pressione, ne aveva più avuto altra evacua- iione alvina dopo quella con cui rese fuori l'anca d'intestino. Per le quali cose le ordinai un discre- to salasso, le solite fomenta, i clisteri, l'applicazio- ne della rete di castrato sul ventre , e poco olio d' amandorle dolci. Al secondo giorno s'ottennero due piccoli scarichi di semplici materie fecali gial- lognole e semiliquide in virtù d'altra dose d'olio d'amandorle e dei clisteri ; il sangue estratto dalla rena aveva presentato la crosta flogistica: e l'infer- ma, sebbene senza febbre, querelavasi più d'un dQ-. 180 Scienze lore al Iato sinistro del capo che dei dolori addo-» minali. Al terzo giorno dopo l'espulsione dell' anza intestinale accusava soltanto un senso come di spo- stamento dell'intestina, che avveniva allorquando si ■volgeva nei lati, come se l'intestina per il loro ac- caduto raccorciamento , o per lo 8lra|)pamento del mesenterio (che come mezzo di connessione le man- teneva in sito) più non sapessero ricomporsi nella loro naturai situazione; e parimente lagnavasi del- l'accennata emicrania. Niuna rimarchevole circostan- za avvenne al quarto giorno, tranne la solita emi- crania convulsiva, con lagriraazione dell'occhio cor- rispondente, e coi polsi egualmente nervosi, mentre il ventre s'andava mantenendo aperto coi clisteri. Al quinto giorno oltre l'emicrania ebbe dei leggieri tormini di ventre procurati da un meteorismo par- ziale dell'intestina, che ben presto cessarono collo sprigionamento dell'aria dalla bocca e dall'ano, non che con una evacuazione alvina provocata dall'olio e sempre di materie fecali giallognole semplicissi- me. Con maggior violenza l'opprimeva l'emicrania nel sesto giorno , e presentava l'mferma uno stato eminentemente convulsivo, tantoché dovei ordinargli vm leggiero calmante; del resto niuna molestia ac- cusava neir addome , ed ebbe un scarico di fecce semisolide. Al settimo giorno, sebbene fossersi rese regolari l'evacuazioni alvine, e tutto procedesse in meglio, cionondimeno l'emicrania era violentissima ed i suoi polsi erano notabilmente convulsi. Quand' ecco all' ottavo giorno dopo varie ore di placido sonno , che poco o nulla aveva goduto nelle notti Caso Patologico 181 antecedenti, si ristorò ancora dell'enaicrania ed an- nunciava di sentirsi bene. Questo medesimo stato di cose si mantenne per molti giorni, quando la giovane passò dallo stato di convalescenza a quello d'una mediocre salute: se non che devo confessare a lode del vero, che ben di so- vente le si risvegliavano dolori intestinali or più or meno violenti, e talvolta associati al vomito, co- me ancora soffriva una notevole stitichezza di ventre che di leggieri superava con prender dell'olio, ed infine una fame piuttosto vorace, per la quale as- sai difficilmente poteva tenersi a freno sul vitto; per le quali cose ben raccomandai che sciupolosamente osservasse il buon regime dietetico , e non dimen- ticasse l'uso degli oleosi, dei semicupi e dei cliste- ri, e con simile accordo sul cader di decembre mi congedai. Del resto qualunque altra successione morbosa potesse avvenire , a noi bastò d'avere osservalo un sì bel caso di malattia, ancorché non si fosse con- seguita una guarigione completa; quella guarigione (qualunque essa siasi) che giammai ardirò di pro- nunciare dovesse ella da me ripetere , giacché fui semplice spettatore di quanto seppe giovarla la na- tura, e solo mi compiacqui d'essere stato il primo ad ammirare un si bel fenomeno naturale; che anzi posso gloriarmi innanzi a chi che sia , esser mia massima nell'esercizio dell'arte attribuir sempre la felicità del fine alle forze di quella vita , che solo mi é grato di veder sussistere, come mi turba se immaturamente mancar la vegga senza mia colpa; cosicché potendo dir francamente e veramente io non 182 Scienze recai danno al malato, abbia il vantaggio ed il di- ritto di pronunciare col poeta degli amori: « Non est in medico semper relevetur ut aeger ». Essendo stata tutta nostra cura il non perder mai di vista la sopraindicata inferma, venimmo così a conoscere la sua strana determinazione d'essersi recata all'ospetlale di s. Giovanni contro la volontà de' parenti, perchè crasi con questi disgustata allor- ché gli negavano l'uso dei cibi malsani ( cui già varie volle aveva ardito mangiate, perocché trova- vasi alzata di letto). Dopo dieci giorni di sua dimora in detto ospedale, egualmente sapemmo aver essa mangiato gran quantità di pane e formaggio, non senza aver bevuto anco del vino, e per tale errore dietetico nel di cinque di febbraio essere stata presa da dolori intestinali fierissimi, associati ad un vo- mito il più imponente ed a profuse deiezioni alvine (sebbene poi amendue si arrestassero), come ancora a convulsioni violente, a gemiti frequenti, ad un abbattimento il più estremo, a continua agitazione degli arti, a sussulto de'tendini, a polsi celeri e con- tratti, al respiro breve ed ansante, ad un senso di enorme peso e come di tenesmo alla regione ipo- gastrica (che face vagli credere volessero sortir fuori l'intestina; ai quali sintomi sopravvennero dei sti-in- gimenti convulsivi alle fauci con minaccia di sof- focazione, freddo marmoreo nella superficie del cor* Caso Patologico 483 pò, notevole cambiamento nei lineamenti del volto, angoscia estrema, e così morì alle tre pomeridiane del dì sei febbraio senza aver mai perduto le facoltà intellettuali. Tutto questo venne in nostra cognizione allor- ché la presente memoria stava già sotto i torchi: ed è perciò che crediamo opportuno aggiungere alla medesima queste poche linee, per render noto che fu ancor nostro impegno istituir l'autopsia cadave- rica subito il giorno seguente la di lei morte, in- nanzi agli eccmi signori primari medici dell'ospe- dale di s. Spirito signori dott. Bellomo, dott. Gal- li, doti. Luchini medico di collegio, dott, Brunelli, dott. Discendenti, dott. Demauro; ai quali s'unirono ancora gli eccmi sigg. dott. Parisi, dott. Rolli, dott. Silenzi, dott. Sciappui, dott. Ricci, e vari altri del- la professione, I risultati poi di detta autopsia cada- verica, francamente eseguita dall'eccmo signor dott. Mazzoni chirurgo sostituto, furono i seguenti. Aperte le cavità addominale e toracica, e rin- venuti nello stato sano i visceri in questa contenuti, e trovata ripiena d' un umor chiliforme quella ad- dominale, si pose l'attenzione nell' esame del tubo intestinale oggetto di maggiore interesse. Disteso il grand'omento naturalmente aderiva in vari punti alle anze intestinali per mezzo di fiocchi albuminosi, e la massa intestinale non riempiva completamente la ca- vità addominale, ma lasciava un vuoto nella fossa iliaca sinistra per dove si manifestava la S del colon; e da questo punto proseguito l'esame del tragitto in- testinale verso lo stomaco, si rinvenne il colon tra- sverso anch'esso aderente alle sottoposte intestina per 184 Scienze mezzo d'una linfa plastica coagulata, e sani si rileva* rono il colon discendente ed ascendente, il cieco, e tut- to il tragitto del tenue intestino, ad eccezione del di- giuno che nella parte duodenale era ingrandito quasi il doppio del naturale, e nella parte verso l'ileo re- slriogevasi bruscamente nella grandezza normale , formando con il mesenterio un rappiglio colorito in rosso tutto all'intorno, e degno veramente di parti- colare attenzione. Tre linee distante da questo luo- go esisteva nella faccia anteriore un' ulceretta del diametro di due linee circa per dove proseguivano ad aver esito alcune materie organiche consimili a quelle versate nella cavità addominale. La porzione del digiuno, ingrandito oltre il naturale, era in rap- porto coll'arco grande dello stomaco in direzione ob- bliqua da destra a sinistra, e nel luogo dello strin- gimento formava un anello direno obbliquameute da sinistra a destra, vale a dire più lungo nella circon- ferenza , più breve nel centro; in alto, ossia nella circonferenza, appariva un cui di sacco; ed in basso, ossia nel centro, una cicatrice nel mesenterio lunga tutta la estensione in altezza del mesenterio stesso. Aperte in questo luogo le membrane intestinali, si trovarono le superiori ripiegate leggermente sopra loro stesse, ed apparivano come tagliate a becco di flauto, ed in questo senso applicate le une alle al- tre in modo da non poterle disgiungere che con gran- de difficoltà. Le superfìcie sierose erano fra loro ade- renti, e la cavità intestinale non era affatto ristretta oltre il normale. Anche il mesenterio era fortemente aderente con le proprie membiane, né era possibile disgiungerlo senza anche lacerare alcune fibre dure Caso Patologico 485 e resistenti: che anzi esternamente eravi una nuova pseudo-membrana che aumentava la resistenza fra le parti del mesenterio. Il tutto insieme considerato rassomigliava ad una solida cicatrice. COROLLARI Dalla grandezza del digiuno, sua posizione e suo ripiegamento verso la parte interna, mostrasi l'inva- ginamento essere avvenuto dal basso all'alto, cioè dall'estremo inferiore al superiore. L' obliquità è spiegata dalla forma e ripiega- tura delle anze intestinali descritte, più grandi cioè nella circonferenza, e più strette nel centro; più dal- la mancanza di ampiezza nel centro che è il me- senterio, dove posteriormente le collegava; da che è anche nato il cui di sacco verso la parte periferica dell' intestino cicatrizzato, perocché l'intestino infe- riore nello spingersi in alto contro il superiore (en- tro cui invaginavasi) abbia dovuto rigonfiarsi nel pun- to in cui aveva maggiore ampiezza stante la sua obliquità, cioè nella periferia al disotto dell' anello di ricongiunzione: e così siasi leggermente ripiega- to verso se stesso, formando come una cieca dila- tazione. — a «» velia con proprietà la voce latina oriuìulus [Gior' naie Arcadico^ di scienze lettere ed arti^ voi. Ci-XIII , p. 246. Sulla vita e sulle opere di Guido Boiutti^ Let- tera del Professore Luigi Maria RezTi^ estratta dal Giornale Arcadico voi. GXXIII. Roma , Tiflografia delle Belle Arti, 1851, in 8," p. 4.). Filippo Villani afferma, che Guido Bonatti fu genitura Horentinum (Giornale Arcadico voi. CXXII, p. 140 14 1j, cioè nativo di Firenze (Giornale Arcadico^ vjl. CXXIII, p. 246. Rezzi Lettera sopraccitata I. <•) — Pag. 152, lin. 11 e 12. Tn vece di nacoscritto in- titolato Bullettone^ clie inconnincia cos', s; sostituisca quanto segue — « celebre Codice antico ir pergamena )) dell'Arcivescovado Fiorentino, compilato nel 1322. » dopo la morte d'Antonio d'Orso di B.f ietto dell'Orso^ » Vescovo Fior., da quelle antiche Famiglie Fior. ») che aveano il diritto di Advocaitìi nella Chiesa ') istessa, e che erano perciò difensori, e custodi dei » diritti di quella » (Bibliografia sùrico-ragionata della Toscana, o sia catalogo degli scìittori che hanno illustrata la storia delle città, luo^hi^ e persone della medesima , raccolto dal sacerdote Donenìco Moreni. Firenze MDCCCV. Presso Domenici O'ardetti con ap- provazione^ 2 tomi in 4.", t. I, p. U3, articolo BVL- LETTONE). In questo codice, coiosciuto sotto il nome di Bullettone^ trovansi regsfati e transuntati tutti gli antichi Istromenti più noi esistenti, che ri- guardavano la Mensa Vescovile di Firenze, e i diritti, che le si competeano [Moreni 1 ;.). Nel recto della prima carta del codice medesim» si legge : — Ivi, lin, 25. Dopo testibus^ «{giungasi. — Il sud- detto Bullettone fu pubblicalo, cone avvertono il Mo- 190 Scienze reni (l. e), e Francesco Inghirami (Storia della Tor scana (ompilata ed in sètte epoche distribuita dal eav. Francesco Inghirami. Poligrafia Fiesolana , dai torchi der autore 1841-43 tomi in 8.% t. 15, p. 127. Bihliograja storica della Toscana^ articolo BullettO' ne), dal L\mi nell'opera seguente; Sanctae Ecclesiae Florentinae monumenta ab Ioanne Lamio composita et digesta quiki,s Notitiae innumerae ad omnigenam E- truriae aliapMnque regionum Historiam spectantes con- tinentur. Flonntiae. Anno MDCCLVIILEx Typographio Deiparae ab angelo Salutatae. Censoribus ad-probanti-. bus, 3 torri, n foglio. — Pag. léS, nota (1). Dopo la parola verso aggiun- gasi — San&ae Ecclesiae Florentinae monumenta ab io- anne Lamio ionposita et digesta, t. 1, p. 251, col. 1. — Ivi, noti (1). Dopo la parola recto aggiungasi — Sanctae Ecele^ioì Florentinae monumenta ab Ioanne Lamio composta et digesta, t. II. p. 757, col. 1. — Ivi, nota i3} Dopo la parola recto aggiungasi — Sanctae Ecclesne Florentinae monumenta ab Ioanne Lamio composia H digesta, t. II. p. 766, col. 1. — Ivi, nota (l). Dopo la parola recto aggiungasi — Sanctae Ecclesiie Florentinae monumenta ab Ioanne Lamio compositi, et digesta, t. IL p. 772, col. 2. — Pag. 154, nOa []). Dopo la parola verso aggiun- gasi — Sanctae Icclesiae Florentinae monumenta ab Ioanne Lamio conposita et digesta , t. II, p. 773. col 2. — ivi, nota (2). Dopo la parola verso aggiungasi— Sanctae Ecclesiae Florentinae monumenta ab Ioanne Lamio composita e iigesta, t. IL p. 780, col. 1. — - Ivi. nota (3). lopo la parola recto aggiungasi — Vita e opere del Bonatti 19 f Sanctae Ecclesiae Florentinae monumenta ab Ioanne Lamio composita et digesta^ t. II, p, 808, col. 1. — Ivi, nota (4). Dopo la parola recto aggiungasi — Sanctae Ecclesiae Florentinae monumenta ab Ioanne Lamio composita et digesta^ t. I, p. 159 , col. 1. — Pag. 155, lin. 6. Dopo la parola Bonatti aggiun- gasi — notarii. — Ivi, lin. 1 1. In vece di Cresci si sostituisca — Cre- scij. Ivi, lin. 17. In vece di Competrì sì sostituisca—^ Campestri. — Ivi, lin. 20. In vece di quondam si sostituisca — ■ condam. — Ivi, nota (1). Dopo la parola recto aggiungasi — Sanctae Ecclesiae Florentinae monumenta ah Ioanne Lamio composita et digesta., t. 1, p. 1 66, col. 2. -— Ivi, nota (2). Dopo la parola recto aggiungasi'—» Sanctae Ecclesiae Florentinae monumenta ab Ioanne Lamio composita et digesta., t. I, p. 613, col. 1. — Ivi, nota (3). Dopo la parola recto aggiungasi •— Sanctae Ecclesiae Florentinae monumenta ab Ioanne Lamio composita et digesta., t. I, p. 616, col. 1. — Ivi, nota (4). Dopo la parola verso aggiungasi— Sanctae Ecclesiae Florentinae monumenta ab Ioanne Lamio composita et digesta, 1. e. — Ivi, nota (5). Dopo la parola recto aggiungasi— Sanctae Ecclesiae Florentinae monumenta ab Ioanne Lamio composita et digesta, t. I, p. 617, col. 1. — Pag. 156, lin. 22 e 23. In vece di fra Giovanni Schio da Vicenza dell' ordine de' predicatori, si so- stituisca:— fra Giovanni da Schio Domenicano na- tivo di Vicenza. — Ivi, nota (1). Dopo la parola recto aggiungasi — 192 Scienze Sanctae Ecclesiae Florentinae monumenta ab Ioanne Lamio composila et digesta^ t. II, p. 825, col. 2. — Ivi, nota (2). Dopo la parola verso aggiungasi — ■ Sanctae Ecclesiae Florentinae monumenta ab Ioanne Lamio composita et digesta^ t. II, p. 855, col. 1. — Pag. 158, lin. 15. In capoverso aggiungasi — Gui- do Bonatti nel trattato d'astronomia che ho citato di sopra (a p. 21, nota 4) , spesso si duole de' Regolari, ai quali dà il nome di tunicati, per ciò che essi si opponevano alle sue predizioni, e dicevano la sua arte d'astrologia altro non essere che impostura ed inganno (Tiraboschi^ Storia della letteratura italiana, t. IV, p. 268. Lib. II, capo II, par. XVIIj. Con- vien dire, conae avverte il Tiraboschi (I. e), che fra Giovanni da Schio più d'ogni altro parlasse contro il Bonatti; giacché questi in un luogo del suo trat- tato suddetto lo chiama ipocrita [Guidonis Sonati fo- roliviensis mathematici , de astronomia tractatus X , col. 18., Pars prima, cap. XIII)', ed in altro luogo del- l'opera stessa ne forma un assai svantaggioso carat- tere ( Guidonis Sonati foroliviensis mathematici , de astronomia tractatus X, col. 210, 11). Dal mede- simo trattato d'astronomia del Bonatti apparisce per qual motivo egli fosse tanto nemico di fra Giovanni da Schio. Perocché leggesi in quest'opera: Licet su» pcrius sit manifeste ostensum, quod multa utilitas et multa bona possunt sequi de scientia stellarum et eius iudicijs, tam in praeseientia rerum quàm in alijs , tanien fuerunt quidam insipientes fatui, quorum unus fuit ille Ioanes Vineentius hypocrita^ de ordine PraC' dicatorum, qui dixerunt, quòd Astrologia non erat ar.- ncque scientia, sed erat qnoddam appositiuum ab ali- quibus apponeìitibus inuentum (Guidonis Sonati foroli- Vita e opere del Bonatti 193 viensis malhematici de astronomia tractatiis X , col. 18., Pars prima^ caput XIII). Fra Giovanni adunque biasimava e impugnava l'astrologia giudiziaria; e se egli avesse ottenuta in ciò fede dai popoli, il Bonatti avrebbe perduta ogni autorità, e la sorgente di sue ricchezze sarebbesi disseccata per sempre ( Tiralo- schi^ Storia della letteratura italiana^ t. IV, p. 364. Lib. II, cap. IV, par. IV). Però non è da far mera- viglia, che il Bonatti tanto inveisse contro di un uo- mo da cui egli aveva temuta la sua rovina [Tira- boschi 1. e). Il sig. ab. Antonio Magrini nel suo pre- gevole scritto intitolato: Notizie di fra Giovanni da Schio^ avverte, che Guido Bonatti fu forse smasche- rato di sua impostura dal predicare del medesimo fra Giovanni (Per le nobilissime nozze Nanni Gozza- dini^ e Maria Teresa Sarego AlUghieri. Padova^ tip. Sicea, MDCCCLXLI, in 8.% p. 12). — Pag. 159, lin. 18. Dopo la parola partito aggiun- gasi— Tuttavia è certo, che la congiura contro Fe- derico II, della quale parla Guido Bonatti, fu fatta nell'anno 1246. Bartolommeo Scriba, continuatore degli Annali di Genova incominciati da CafFaro, ciò attesta scrivendo sotto l'anno 1246 : Accidit autem^ quod stante in Grosseto Domino Friderico^ et man- dasset Lomhardis omnibus fidelibus suis., et Pisanis , Savonensibus, et Àlbinganensibus^ et lacobo de Car- retto, aliisque Marchionibus., et circumstantibus uni- versis, ut potentem exercitum mari et terra contra lanuenses pararent : nobiles viri Barones de Regno suo Thebaldus Franeus., et alii plures, qui in Curia eius erant tractaverunt eum occidere [Bartholomaei Scri- fcae, Annales Genuenses ab anno MCCXXIV ap. Mura- tori, Rerum Italiearum scriplores, t. VI, col. 510 A,B). G.A.T.CXXIV. 13 |04 Scienze Che l'imperatore Federico II si trovasse in Grosseto, quando seppe la suddelta congiura ordita contro di lui, ce ne accerta anche, come avverte il sig profé Rezzi [Giornale arcadico^ voi. CXXIII, p. 256. Rezzi^ Lettera sopraccitata p. 13 e 14), una lettera dal me- desinao Federico scritta intorno a tale avvenimento, e dà lui indirizzata a tutti i re, e principi d'Europa. In questa lettera si legge; Nos eliam apud Grossetum lune temporis existentes , postquam personae nostrae feHculmn caute praevidimus , in haereditario regno nòstro Siciliae^ velut in pupillam oculorum noslrorum offeìidi nullatenus patientes , eontinuatis laboribus et diebus^ in regnum eum omnium eeleritate praevidimus procedendum. (Petri de Vineis cancellarii Fridericii IL Imp. rom. epistolarufn libri VI. Àmhergae apud loan- nem Sehònfeldium. Anno M. DCIX^ p. 260. Lib. IL Epist. X, Giornale Arcadico voi. CXXIII, p. 256 , nota (1). Rezzi^ Lettera sopraccitata p. 4, nota (1). Nell'edizione fatta da Giovanni Rodolfo Isel nel 1740 delle lettere di Pietro delle Vigne , questo passo si legge a p. 259 d 260 del tomo I. (Petri de Vineis ludicis Aulici et Cancellarii Friderici IL Imp. Episto- laruni Quibus res gestae ejusdem Imperatoris aliaque multa ad Hisloriam ac lurisprudentiam spectantia continentur libri VI. Novam liane editionem adjectis variis Lectionibus curavil Ioli. Rudolphus Iselius JC. Accedit Simonis Schardii Hypomnema de fide, amicitia et observantia Pontificum Romanorum erga Impera- tores Germanicos. Basileae , Sumptibus Ioli. Christ , MDCCLX, 2 tomi in 8." — Petri de Vin. Epist. lib. II, cap. X, t. I, p. 259, 260).— Pag. 169, lin. \^. In capoverso aggiungasi — Nella Riblioteca Marucelliana di Firenze si conserva un Vita e opere del Bonatti 195 esemplare dell'istoria degli scrittori fìoreatioi del P. Giulio Negri con moltissime correzioni e giunte del canonico Salvino Salvini fiorentino. A pagine 317 e 318 di questo esemplare, il Salvini aggiunse in mar- gine quanto segue: « In un Consiglio del 1260 fatto )) in Firenze il di 22 novembre nel Palazzo del Pote- » sta per una Lega tra'Fiorentini e Senesi, ove sono » i nomi di tutti i Fiorentini che furono di detto Con- » siglio, esistente nell'Archivio di Siena, e mandata- » mene fedel copia dal dottissimo Uberto Benvo- » glienti. In fine si legge il rogito fattone dal No- )» taio , corani D. Gilio de Parma Indice et Asses- » sore dicti Pot D. Gorello Milite dJ Pot Guidone » Bonacli Astrologo Communis Fior, de Fori. D. Cap- i) panari de Burgo S. Sepulcri Indice d.' Pot. etc. )i Se egli fosse stato Fioientioo, come si dice, non )» si dovea vergognare di chiamarsi tale iu un Atto •) di tanta importanza per la città nostra. Può ben t) essere, che essendo egli in servizio della nostra >» Repubblica, egli, come benemerito di quella, fosse » ammesso alla cittadinanza Fiorentina. » Iacopo Filippo Tommasini nella Biblioteca di » Padova Manoscritta pubblica e privata, stampata in » Udine nel 1639 in 4.» Alla libreria de'Padri Ere- » mitani registra questo volume alle carte 79. Liber » introductorius ad iudicia Stellaruni editus a Guidone » Sonalo de Forlivio Magistro in Astrologia. Incipit. » In Nomine Domini etc. V. Gio. Matteo Toscano nel » Peplo d'Italia che lo confonde con Guiltone d'A- )> rezzo ». Il consiglio, di cui parla il Salvini in questa giun- ta, trovasi manoscritto nell'Archivio delle Riform igioni di Siena {Pergamene sciolte^ tomo VII, n," 723}. Spe- 1% Scienze IO di far cosa grata agli eruditi riportando qui ap- presso questo pregevole documento , come si legge in una copia estrattane dall'archivio medesimo di Sie- na, la qual copia mi è stata gentilmente procurata dal sig. Gaetano Milanesi, vice -bibliotecario della Biblioteca Pubblica Comunale di quella città. In nomine domini amen. Anno ejusdem millesimo ducentesimo sexagesimo., indiclione quarta., die vige- simo secundo. Novembris. Omnibus presens documentum inspeeluris pateat evidenter quod dominus Comes Guido Novellus., pote- stas Fiorentinorum., filius olim bone memorie Comitis Guidonis dei gralia Tuscie palatini: congregato ge- nerali Consilio trecentorum ad sonum campane et voce preconia., more solito, et eodem modo congregato Con- silio Nonaginta et etiam Vigintiquatuor in Palutio Co- munis Florentie., in quo dictus Potestas moratur; de Consilio et consensu dictorum Consiliariorum , quo- rum nomina inferius continentur, et ipsii iidem con- siliarii vice et nomine dicti Comunis Florentie., fece- runt et constituerunt nohilem virum dominum Lut- terengum filium quondam domini libertini Pegolocti iuris peritum., civem florentinum , presentem et reci- pientem , sindicum et actorem ad contrahendam so- cietatem cuni comuni Senarum., et pacta et conventio- nes infrascriptas inhiendas et faciendas cum dicto Co- muni Senerum , et nomine et vice ejusdem Comunis Senarum: et ad obligandum Comune Florentie prò pre- dictis., et eorum occasione ad implendum et observan- dutn., et ad faciendam omnia et singula que in pre- dictis et circa ea et prò eis fuerint necessaria , et que viderint expedire : et ad faciendum de prcdictis et infrascriptis diclo Comuni Senarum aul eorum Vita e Opere del Bonatti 197 sindico et actori instrumentum ad dictum eorum sa- pientis sine maliiia. Pacla autem et conventiones sunt hec^ videlicet : Quod utrumque Comune Florentie et Senarum et utraque civitas bona fide sine fraude teneantur et de- beant salvare et custodire et guardare honorem et statiim et bona et iura alterius eivitatis , que hodie habent , vel habebunt , vel tenent aut possident vel quasi possidente sive ad eas pertinent et pertinebunt: et teneantur ea non tollere , nec tolli facere nec ea molestare vel molestari facere nec diminuere vel di- minui facere ; salvo quod de liis non teneantur capti- vis (sic) qui sunt in civitate senarum de civitate Fio- renliae vel districtus^ nisi his qui relaxarentur prò- Ghibellini^ et essent Ghibellini: et quod non teneantur omnibus illis et singulis qui essent inimici seu rebel- les domini regis et Comunis Senarum. Item si aliquis predictarum Civitatum vel earum districtus contraxerit vel ohiigationem inhierit cum aliqua persona vel loco alterius Civitatis vel eius di- strictus^ ille solum ex eo contractu et obligatione con- veniatur^ et convenire possit qui contraxerit aut se obligaverit^ et eius heredes et bonorum possessores : ita quod ab eo tantum et eius heredibus exigatur uli dictum est^ et non alius prò alio^ vel ipsa Comunia ìnquietentur : et illud vulgare proverbium intelliga- tur et locum habeat^ et observetur: cui datur ab eo requiratur. Item si quis de una predictarum Civitatum vel districtuum earum offensus fuerit in altera^ vel eius diserictus , puniatur offensor , et eum punire debeat ille rcctor^ sub cuius iurisdiclione esset offensor^ vel in cuius iurisdiclione esset facta offensio^ simili pena 198 Scienze et forma ac si offendisset civem proprium et subdi- tum illius poleslalis et regiminis quam penam tollere debent , exceptis rehelUhus et inimicis domini Regis. Itcm quod Comune Florentie non tollat^ vel tolti permietat in Civitate Florentiae vel comitatu seu di- strictu ipsius ab aliqiio cive senensi vel de comitatu seu districtu ipsius aliquod pedagium vel guidam seu vectigal^ vel aliquod aliud loco predietorum quo- eumque nomine censeatur. Item quod Comune Senarum non tollat vel tolli permietat in Civilate Senarum vel comitatu seu di- strictu illius ab aliquo cive fiorentino, vel de tomi- tatù seu districtu ipsius aliquod pedagium sive gui' dam, seu veetigal vel aliquod aliud loco praedictorum quocumque nomine ceìiseatur. Item quod aliqua praediclarum Civitatum non faciat aliquod devetum de aliquibus mercimoniis seu mercantiis, et speciali ter de lana et pannis et cara- mine, lignamine et ferro, et acciario et oleo alterius civilatis nec hominibus alterius civitatis et eius di- strictus, et quod homines el persone dictarum Civita- tum et earum dìscrictus possint libere et expedite ire et redire cum dictis mercimoniis, et cum salmis lune et boldronum, et pannorum per terram fortiam , et dictrietum alterius Civitatis, et eius discr ictus exce- ptis biada vino et carnihus. Item quod predicle Vniversitates et Comunia di- ctarum Civitatum deheant se iuvare hoc modo', cum opus fuerit alicui ipsarum civitatum, requirat alte- ram per ambasciatores suos, qualiter sibi velit auxi- lium dari et preheri, et super quo et sicut Consilium Civitatis requisite consuluerit at staluerit ita et tale fiat auxilium aeto et dieta eocpressum quod per hoc Vita e opere del Bonatti 199 non derogeiiir in aliquo conlraclihus^ promissionibus^ et obligationibus qiie fiunt a Comuni Florentie seu elus sindico et actore Comuni Senensi de quibus ap- parebunt instrumenta pubblica per manum Guiduc- cini notarli infrascripti. Item quod omnis alia sotietas actenus facta In- ter Comune Florentie et Comune Senarum sit rupia cassa^ et nullius valoris^ et ista Sotietas et eius prò» missiones et obligationes teneant et valeant: et omnia predicta iurent Cives utriusque Civitatis actendere et observare a XVIII annis usque septuaginta per totum mensem Januarii Februarii et Marzii (sic) proximo- rum, que iurameiita singulis decennis renoventur. Item feeerunt et coslituerunl dicti potestas et Con- siliarii dictum dominum Lotteringum presentem et recipientem eornm Sindicum et aclorem ad faciendum Comuni Senensi seu eius sindico et adori promissio- nes^ cessiones^ dationes^ refutationes et promissiones et obligationes infrascriptas, videlicet: quod Comune Florentie per suum sindicum et actorem legittime or. dinalum^ Comuni Senensi seu eius Sindico^ et adori det et cedat et remìctat et refutet omnia iura et adioncs que et quas habet Comune Florentie in ca- stro de Montepulciano et eius distridu^ et in Mon- talcino et eius districtu^et Coslellione Latronorum et eius distridu et aree de CampilHo et eius distridu et in terris et possessionibus didorum locorum et cuiuslibd eornm et hominibus et domini didarmn terrarum.) et cuiuslibd earum seu contra homines d personas et dominos earum et cuiuslibd earum. Et quod Comune Florentie de celerò non acquìrat aliqua iura in didis terris seu aliqua earum et contra ho- 200 Scienze mines dìctnrum terrarum et cuiuslibet earum\ el quod idem faciat et promiclat ipse Sindicus Comunis Fio- rentie Sindico Comunis Senarum de Mensano et Casu- le et terris et posse ssionibus et hominihus dictarum terrarum et cuiuslibet earum. Et quod det^ cedati re- mictat^ et refutet Comuni Senensi seu eius Sindico et Adori omnia iura et actiones que et quas habet Co- mune Florentie aliqua ratione vel causa in Podiobo- nizi et eius districtu^ et Staggia et eius districtu et hominibns dictorum locorum et cuiuslibet eorum: que iura habuit seu quesivit a Comuni Senensi aliquo tem- pore, aliquo iure vel causa. Et quod det et cedat Co- muni Senensi seu eius Sindico et Adori omnia iura que habuit et habet Comune Florentie in Comitatu II- dibrandescho^ Guinisiescha^ et Maritima., et in heredes et contra heredes Comitis Guilielmi et cuiuslibet eo- rum. Et quod casset^ et rumpat omnes conlractus et obligationes et promissiones factas cum Cornile Guil- lelmo et eius filiis vel aliquo eorum aut aliqua alia persona prò eis cum Comuni Florentie vel alio prò eo: et quod promictat dido Comuni Senensi seu eius Sin- dico et adori quod didum Comune Florentie non ute- relur didis instrumentis contradihus et obligationibus vel aliquo eorum^ aliquo tempore, aliquo iure vel cau' sa: et quod promiclat quod Comune Florentie non acquirat aliqua iura in dido Comitatu Ildibrandescho vel aliqua parte eius et Comitìbus seu contra Comites dicli Comitatus vel aliquo ex eis, et hominibus., seu con- tra homines didi Comitatus. Et quod idem promictat et faciat Comuni Senensi seu eius Sindico et adori de Pan- nochiescha et pannoehiensibus et Tornella et homini- hus dictorum locorum et terrarum et cuiuslibet ea- Vita e opere del Bonatti 201 rum et de filiis Gualcherini et Vhertmi de Armariola et eorum complicibus et eonsortìbus et honis: et quod rumpcU et cnsset contractiis^ promissiones et obligatio- nes inhitas et factas cum eis vel aliquo eorum vel alia persona prò eis; et quod eis non utetur Comune Fio- rentie: et quod de celerò non acquirat aliquod, ius Co- mune Florentie in eis vel aliquo eorum^ seu eorum bonis. Et quod promictat Comuni Senensi^ seu eius Sindico et Actori^ quod Comune Florentie promictat ipsum Comìme Senarum paeifice tenere et possidere omnia tura sua que nunc habet vel in antea habebat: et quod non prestabit ei aliquod impedimentum de iure vel de facto in recuperandis vel tenendis iuribus suis: et quod de celerò Comune Florentie non acquiret ali- qua iura in aliquibus terris^ possessionibus personis et loeis in quibus Comune Senarum habet aliquod ius^ aliqua ratione vel causa ; vel in antea habebat : et ffuod non acquiret aliqua iura in preiudicium Co- munis Senarum in aliquibus lerris^ possessionibus^ personis vel locis. Et quod remictat et refulet Comuni Senensi seu eius Sindico et Adori omnia iura pene seu penarum, in quam vel quas Comune Senarum ha- ctenus incidìsset Comuni Florentie aliqua ratione vel causa vel facto: et quod promictat Comuni Senensi seu eius Sindico et Actori quod Comune Florentie non recipiet dominos nec homines dictarum lerrarum^ vel alicuius earum vel aliquem ex eis in cives suos^ vel sub sua prolectione. Et quod promictat Comuni Se- narum seu eius Sindico et Actori quod Comìme Flo- rentie promictet^ Comune Senarum omnes predictas terras et loca et ipsarum terrarum homines et per- sonas dictorum locorum pacifice et quiete tenere et 202 Scienze possidere. Et quod Comune EloreìUie non prestahU di" do Comuni Senarum aiiquod impendiinentum de iure vcl de facto^ nec faciel ei aliquam lilem vel brigam seu controversiam de predictis terris et locis vel ali- qua earum et hominibus et personis dictorum loco^ rum et euiuslibet eorum. Et ad faciendum de predi- ctis omnibus et singulis et infrascriptis Comuni Se- narum seu eius Sindico el Adori instrumenta contra^- ctuum et ohligationum, et promissionum penarum ad dictum sapienlis Comunis Senarum^ sine malitia: ita quod Comune Florentie teneatur et abligetur Comuni Senarum de omnibus et singulis supradictis. Et ad promictendum quod certe persone centum numero de nobilioribus el melioribus^ que modo sunt vel erunt tempore contractus in Civitate Florentie obligabunt se et bona sua ad certam penam Comuni Senarum prò dicMs servandis. Et ad promictendum quod Comune Florentie habebit ei tenebìt rata et firma omnia et sin- gula supradicla. Et quod promictat quod contractus obligationum et promissionum de predictis confirma- bilur per Comune Florentie per totum proximum men- sem Ianuarii\ et quod contra predicta Comune Floren- tie non veniel aliqua ratione vel causa:, et ad iuran- dum in anima predidi poleslatis et consiliariornm , quod predidi et Comune Florentie habebunt rata et firma omnia^ et singnla supradicla et contra non ve- nient vel facient aliquo tempore. Et ad obligandum Comune Florentie ad certam penam et eius bona, et ad dandum vendendi lieentiam ipsa bona., prò predi- ctis omnibus et singulis observundis et firmis tenen- dis et perpetuo valituris et contra non veniendi ; et ad omnia alia et singnla facienda que in predictis et Vita e opere del Bonatti 203 circa predieta et quolibet predictorum fuerint neces- saria^ et ipse Sindicus viderit expedire. Dantes et con- cedentes et plenam et liberam administrationem in omnibus et singulis supradictis^ et omnibus aliis que sibi videbuntur. Promictentes ratum et fìrmum habere quidquid per enm factum fuerit et gestum^ et conlra nulla ratione facere vel venire. Nomina ConsiUariorum sunt hec. Dominus Ubaldinus de Pila Dominus Vgolinus de Senno Ceccus domini lacobi Gerardus aurifex Renerius domini Ormanni Guidaloctus bombaronis Seradnus pag anelli liullius Vite Bindus del conte Arrigo Pepus renaldeschi not. Tacobus de Brunelleschis Lippus de Brunelleschis Banaiutus tancredi Ianni boncambii Acorri bicocchi Dnus Astoldus Franceschini Guido Uguccionis Bernardus lantimi Cinus della Pressa Ormannus Spine Dnus: Guictomannus Ildibrandini Bernardus Ghiselli Cerbius f Cerbii Gaius del Barone 204 Scienze Pierus piaciti notarius Ganus Anchionis Strinatus domini Belfredelli Cinus aliocti Bellus Taeobi Vbaldinus Ardimanni Loclus Tornamontagne Baldinotius Doni Sinibaldus Baldinotti Dnus: lacobus Oderighi Dnus: Brunelleschis Aldibradinus Ceppi Falcone Ugolini Mongiabeccus libertini Forese not. f libertini Michele lacobi Ferraguidi Odericus Burnellini Bindus bonaccursi Neri del Galuzzo Ubaldinns Marabottini Guictus dni: Guidi liberti Filippus dni: Aldibrandini Ghigiis burnellini Sinibaldus tafm (sic) Saracenus de latera Guido Marella Octinellus del testa Vgo Monaldi Berlingerius Bernardi noi: Baldovinus renuccii Cecehus dni: mazzocchi Ianni Belcari ' Vita e opere del Bonatti 205 Schiatta Sìmineti Guicciardus Bertuldi Lapus Ubaldini Dnus Brancaleone de Scolaribus Dnus landonatus de Soldaneriis Dnus Guidoctus Macigni Dnus Oeto Arnolfi Dnus Sinibaldus Filippi Dnus Bernardus de Scolaribus Dnus laeobus Gualterocti Boncione Petri Ianni dni: Dindonati Milliacius medicus Jaeohus del Mula Albertinus Ughi lldibrandinus Rustichi Tingus dni: Soldanerii Mainectus Alberti laeobus Orlandini Lapus Avocati Vgo romanelli noi: Gratia honaiunte Albertus Orlandini Dolcebonus sartor Boniezus f Guidi Galigianus pallantis Sennus del bene Sinibaldus Silimanni Dnus Firenze de ludis Lapus de Tiniozis Vigornese dni: Gerardini Clarissimus del Rosso 206 Scienze Albizus clarissìmi Orlandinus dui: Piscis Vinta del Riguardato Alhertinus Bencivenisti Tezonerius guarnerii Ug uccio Frateeaza Bernardus rusticcij Schialla dni: Renerii Stroza libertini Co mp agn us Clar issim i Bonapressa dni: Vgonis Gualteroctus laeopini Compagnus romei Bernardus guillelmi Milliaccius dni: Chiaromanni laeobiis Gerardi Turrinus riceomanni Cione Gianni Soldanerii Dnus Persus de Compiobio Dnus Renerius ruozi Orlandinus calfueeii Inghileschus Vgoli Lucterius giunte Bindus martelli Segna assalti Neri pariscius Dare f puci cecehi Baldovinus lacobi Locteringus Spinelli Bonus not: f. Ianni Àrrigus Compagni Spada Acerbi VITA E OPERE DEL BoNATTI 207 Guallen'us de Burgo Clone MoUehuoni Donalus Loctorenghi Ra'maldus Benvenuti Rainaldus bonizi I)nus Arrigus de Cascia Capinsuccus de Maccis Riccomannus Arnuldi Dnus: Acconcio de burgo Dnus: Melior rinaldi Dnus rubeus Vgonis rubei Simon dm ruslichi melioris Abbas dui: Abbatis melioris Dnus Rain: dni: Rain: rustichi Giambellinus cantar is Cambius giraldi Durante Vghiccionis Rota A/ ber ti Finaccius Ugonis de lastra Michele dati corri giarii Cerchius de Cerchiìs Corradus Masnerius Donatus Aclaviani Bonafede Albizl Geri rubeus Neri dui: Berlingerii Giiicus Leopardini Rainaldus benvenuti Durante rustichi lacobus bonizi Donatus Bartoli Perondus petri perondi Filippus henrigi de Varlungo 208 Scienze Baluccius Mathei Naddus Cambii Neri gildonis trasei Gerarduecìus de Caponsacchis Rota Alberti Ugo Coretti Bonoiunta lazi Davanzus Ugolini Dovami Guido Belliììcionis Abbas de Ebriacis Guido homodei JaUì de Ciccot . . . Salvi Ziunte Manouellus vergati Ventura fiat: f Vgonìs Guicciardinus riccadonne Guidaloclus bondie Mellus de Quercetanis Angiolellus bencivenni Berlingherius del Salice lacobus de Suriciis Sterius lohannini Bonaiutus honomi Cavalcante Albonecti lacobus Andnee Toscanellus Rainerii Diotiguardi Alamanni Ugo mestafanga Dnus Stefanus medieus Tornanbene Index Petrus rondinelli Simon rainuccini Vita -e opere del Bonatti 200 Tetlus dui: Guidalocti Andreas f Forese Vivianus Condì Rugerius dm: Gherardini Brunectus noi: f Frontis Terius f Albizi Tornasinus de Mannellis Cueus Falconerius Guido Leonardi Taxus gualduccii Stasius de pisignano Gherardus Arrighelti Arrigitlus dui: Aezi Henricus locterii Aliocùus Ardanini Calza ricoveri Guido Aldohrandiui Dnus Gruerius Index Nardus razanelli Dinus durantis de Zicho Dalus dui lohannis Mellius Gottifredi Cavalcante Burnelli Mainectus dui Buldronis Dnus Bindus de Meliorellis Gualduccius pilastri Jiiancus ristori Mellius de Melliorellis Lambertus dni Locteringhi Albizus hahlini Aimerius cose Arnoldus de Ciprianis G.A.T.CXXIV. 14 jjO Scienze Filipì^^is ricevuti Vgheetus ponzetli Lapus Lighieri Lupus benamini Tanus Galgani Allius Sigoli Oderigus eipriani Monacus de Lamberteschis Forese dni Ponzetli Dnus Gherardus Ciccia Loctus hommartini Ceffus de Lamberteschis Bonaguida Ugolini Salvi dni: Lucterii Giambonus dni lacobi Acerhus dni Orlandini Magr: Guido medicus Filippus Ormannelli Gianni Arengerii Orlandus bencivenni Morontus Aliotti Oderigus lamboni Ubaldinus Bruni Uberli lacobus Actaviani Dnus Gualduccius ludex Dnus Berardus de la Casldlina Actavianus Burnecti Aldobrandinus riccieri Bonus fortioris Alioctus raneiri Buonus bernardi Dnus lohannes de Amideis Vita e opere del Bonatti 2ii Chrarus dni: laeohi Lambertus dni herrizini Barone ristori Vhertus dni: Locterii Dnus lanus Arnaldi Dnus: Gallia Upizzini Bonavenuta not Guarnerius Clarissimi Dnus Albizus de Ubertis Dnus: Brunus de Ubertis Chianni dni Curradi Capitaneus de Castello Altafronte Donatus de Infangatìs pubblicato un tal atto (voi. IX, a f. 24), ma col » cognome scambiato in quello di Donali. Né è ma- » raviglia, poiché egli lo trasse da una copia da al- » tra copia trascritta nel Zibaldone di s. Paolo » (Giornale Arcadico , voi. CXXIII, p. 253, nota (3). jRezz?, Lettera sopraccitata, p. 11, nota (3)). Pag. 170, lin. 17. Dopo la parola accaduta «3- giungasi quanto segue — Il sig. prof. Rezzi giusta- mente avverte (Giornale Arcadico, voi. CXXIII, 214 Scienze p. 257. Rezzi, Lettera sopraccitata, p. J5), doversi credere assai verisimile che il conte Guido Novello avesse parte principale nella battaglia di Monta- perti. In fatti si sa che i fuorusciti Fiorentini ap- pena furono ritornati in Firenze dopo questa bat- taglia fecero il medesimo eonte Guido Novello po- destà di Firenze pel re Manfredi. Giovanni Villani ciò attesta scrivendo: « E partiti i guelfi il giovedì, » la domenica vegnente a di 16 di Settembre (del » 1260), gli usciti di Firenze ch'erano stati alla bat- » taglia di Montapertl, col conte Giordano e colle » sue masnade de'Tedeschi, e con gli altri soldati » de'ghibellini di Toscana, arricchiti delle prede de' » Fiorentini e degli altri guelfi di Toscana, entraro- ♦) no nella città di Firenze senza contasto neuno; e » incontanente feciono podestà di Firenze per lo re » Manfredi, Guido Novello de'conti Guidi dal di a » calen di Gennaio vegnente a due anni ». (Cronica di Giovanni Villani a miglior lezione ridotta ceWa- iuto detesti a penna , t. II, p. 113-114, lib. VI ^ cap. LXXIX). Dovendo poscia il conte Giordano ri- tornare in Puglia al re Manfredi, per mandato, dice lo stesso Giovanni Villani, del detto Manfredi fu or- dinato suo vicario generale e capitano di guerra in Toscana il conte Guido Novello de'conti Guidi di Ca- sentino e di Modigliana. ( Cronica di Giovanni Vil- lani, t. II, p. 117, lib. VI, cap. LXXXI). Si sa an- che dal medesimo Villani che una delle case di ri- nomo, com'egli dice, cacciate di Firenze nel 1258 fu quella de'Guidi [Cronica di Giovanni Villani, l. II, p. 92, lib. VI, cap. LXV), alla quale il conte Guido Novello apparteneva, e che co'tedeschi mandati dal Vita e opere del Bona iti 215 re Manfredi e co'Sanesi combatterono eziandio nella battaglia di Montaperti i fuorusciti fiorentini. [Gior- nale Arcadico, 1. e. Rezzi^ Lettera sopraccitata l. e.) — . Pag. 172, lin. \Q. In capoverso aggiungasi — Nel celebre fatto d'armi avvenuto fuori ed entro la città di Forlì il dì primo di Maggio dell'anno 1281 tra Guido conte di Montefeltro e Giovanni d' Appia , d' Eppa o de' Pà, come altri vogliono, generale di papa Martino IV. , Guido Bonatti fu ferito. Leo- ne Cobelli morto ai 14 di Maggio dell'anno 1500,, in età di settant' anni ( Appendice alV Archìvio sto- rico Italiano^ t. VII, n." 23 , p. 10), ciò attesta in una sua narrazione di questo fatto d' armi scri- vendo « Allora Guido Bonatto astrologo, combaten- » do, fo ferito » (Appendice alV Archivio Storico Ita- liano, t. VII, n." 23, p. 25). Negli Annali di For- lì pubblicati dal Muratori si legge: Quo factum est^ ut post victoriam sic gloriose à Liviénsibus peractam^ gens Gallica^ jam pulchra^ el magna^ ad nihilum sit redacta , virtule et calliditate magnanimi Capitaneì populi Liviensis^ et Consilio Domini Guidonis Bonatti^ qui vulneratus fuit in proelio ferendo medicamenta; et omnia praevidit, et ante dixit (Annales Forolivien- ses ap. Muratori^ Rerum Italicarum Scriptorea^ tom. XXII, col. 151, B). Bernardino Baldi nato ai 5 o ai 6 di Giugno dell'anno 1553 (Vita di Monsignore Bernardino Baldi da Urbino primo abate di Guastalla scritta dal P. Ireneo Affò. Parma ^ presso Filippo Carmignani, Stampatore per Privilegio di S. A. R. M. DCC. LXXXIII , in 8.° , p. 2 ) , e morto ai 1 0 d'ottobre del 1617. [Affò, Vita di Monsignore Ber- nardino Baldi., p. 143-144), narrando il medesimo 2IG Scienze fatto d'armi, dice: « Nella qual' occasione Guido Bo- » nato venne ferito » ( Opuscolo inedito di Bertiar^ dina Baldi e versi del conte Terenzio Mamiani della Rovere. Pesaro, coi tipi di Annesio Nobili 1829, in 4.", p. 20). Paolo Bonoli [Istoria della città di Porli, p. 09 ) , Sigismondo Marchesi (Supplemento istorico dell'antica città di Porli: in cui si descrive la Provincia di Romagna . . . il tutto con somma diligenza raccolto da Sigismondo Marchesi. In Porli per Gioseffo Selva aW Insegna di S. Antonio Abbate 1678. Io fog. p. 223-234 _), ed il celebre Muratori ( Annali d' Italia voi. XI, p. 508-511 ), pongono nell' anno 1282 il suddetto fatto d'arme tra il conte Guido da Monte- feltro e Giovanni d'Appia; il che per altro è un er- rore, giacché questo fatto d'armi avvenne nel 1281, come avverte il sig. Giovanni Casali (Appendice alV Archivio storico Italiano, t. VII, n." 23, p. 26, no- ta (3) ). Bernardino Baldi afferma (Opuscolo inedito di Bernardino Baldi e versi del Conte Terenzio Ma- miani della Rovere, p. 21 e 22) che nel muro d'un Oratorio costruito nella piazza di Forlì dopo quella battaglia fu scolpita in marmo l'iscrizione seguente: ARBITRATC MARTINI QUARTI PONTIFICIS ROMANI IOANNES APPIUS DUX TRANCI EXERCITUS IN ITALIA MILITANS FORLIVIUM PRAELIO UTi>INQDE DATO INTROIVIT QUI MOX A POPULIS DEFENSORIBUS REPULSUS EST CUIUS OCTO MILLIA PRAELIANTIUM INTERNECIONE CUM EO PERIERANT EORUM DUORUM MILLIUM SELECTA CORPORA UIC I ACENT DUCE FORLIVENSIUM GUIDO FELTRANO KAL. MAH. MCCLXXXI Vita e opere del Bonatti 217 Leone Cobelli riporta nella sua Cronica quest'iscri- zione [Appendice all' Archivio storico Italiano^ t. VII, p. 26) con alcune varietà, ponendovi CALENDIS . MAH: 1281. in vece di KAL . MAH : MCCLXXXI. Sigismondo Marchesi riporta I' iscrizione medesima [Supplemento istorico dell'antica città di Forlì^ p. 230) ma coiranno MCCLXXXII. in vece di MCCLXXXI. Pag. 183, lin. 28. In capoverso aggiungasi — Gui- do Bonatti possedette certamente alcuni campi. Ne- gli Annali di Forlì pubblicati dal Muratori si legge sotto l'anno 1282 quanto segue: Dum vero dicium Commune Forlivii expectaret fieri exercitum genera^ lem^ ecce quod quadam die Tovis ultima mensis Apri- lis in sero post coenam^ pruefatus Dominus Johannes de Appia movens se cum gente sua^ et loto exercilu^ quod in Civitate Faventiae fecerat congregarti ad Ci- vitatem Forlivii accessit ; et sicut fecerat ordinari , nliquos pedites prohos viros ipsa noete intrare fecit in Burgum Civitatis^ qui erat extra Portam Sclavaniae^ furtive subintrando stecca tum Circlae^ quae erat ad Serralium Columbae usque ad Serralium Burgi de Rupia. UH vero., qui traetaverant dictam proditionen^ ipsa nocte simul se eongregaverunt in quodam, campo tritici Domini Guidonis Bonatti juxta Serralium me- moratum [Annales Forolivienses op. Muratori., Rerum Jtalicarum scriptores., t. XXII, col. 149, C, D). Più oltre ne'medesimi Annali di Forlì sì legge : Millesi- mo CCLXXXFl. Tn Calendis Maji. Martinus Quar- tus Pontifex Summus de Regno Franciae , ajfectans quamplurimum.,ut supra., nanciscì Forolivii Urbem., in Comitem Romandiolae et Ducem., Dominum lohannem de Appia militem strenuum in armis {quo in Francia 218 Scienze nullus erat hellicosior) cum infinUa multitudine pe- (lestrium et equestrium Gallonimi Provincialiumque^ et alìorum de Italia misit. Quibus quidem sic ductis se locante et castramenlati sunt penes Civitatem^ juxta Suhurbia ad Portam Ruptae in quodam agro Domini Guidonis Bonatti mmciipato de Quercu (Annales Fo- rolivienses ap. Muratori^ Rerum Ilalicannn scriptores^ t. XXII, col. 149, E, e col. 150, A). Di questo campo della Quercia posseduto da Guido Bonalti par- lano anche altri scrittori. Paolo Bonoli scrive [Istorie della città di Forlì^ p. 99, libro quarto, an. 1282) •< Diuise l'Appia il suo Essercito in due Campi, yno w à S. Martino verso Mezogiorno, l'altro alla Roue- » re , luoco cosi detto da vna grossissima Rouere » posta in certi terreni di Guido Bonatto, e doue so- » no i Prati del Cassirano, Irà Occidente, e Setten- » trione ». Il Marchesi scrive [Supplemento istorico delV antica città di Forlì , p. 224, Libro IV , anno 1282). « E perche era venuto il mese d'Aprile sta- rt gione propria per l'alimento de gl'istessi caualli, »> l'Appia diede vna scorsa alla campagna, e poi cer- » cando luogo adattato all'esercito da indurre mag- >» giormente alla penuria gli assediati , si accampò »> finalmente sul fiume Montone tra le Porte di Schia- ») uonia, e di S. Valeriano in vn campo di Guido » Bonatto detto Campo della Quercia ». — Pag. 193, lin. 9. In vece di Porto di Cesena, si sostituisca — Cesenatico. — Pag. 194, lin. 9. Dopo bolgia aggiungasi: — In- dicherò qui appresso alcuni comenti alla Divina Commedia di Dante, scritti nel secolo deciraoquar- Vita E opere del Bonatti 219 to, ne' quali si parla di Guido Bonatti. Di questi comenti quattro furono stampati^ e sono i seguenti: 1." Comenlo sulla Divina Commedia, composto da Iacopo della Lana, e stampato nel 1477 in Venezia col testo del medesimo poema di Dante. In questo comento si legge: « questi (Guido Bonatti) fu vno » da furli ilquale indiuino del conte damontefeltro » e vsaua costui distare nel campanile della mastra » chiesa e facea armare tutta la gente del conte pre- » decto Poi quando era lora e questi daua alla cam- )> pana e tutti saliano a cauallo et usciano verso li ») nemici ». {La Divina Commedia di Dante^ con co- mento. Venezia 1477 per Vindelino da Spira., in fog. , carta 81 recto, col. 2). Il sig. Visconte Colomb de Eatines ha dimostrato ( Bibliografia Dantesca , t. I , parte seconda, e terza, p. 591), che nel 1349 un cer- to Guglielmo de Bernaidis tradusse dall'italiana lin- gua nella latina il comento di Iacopo della Lana sulla Divina Commedia di Dante. L'ottimo Commento della Divina Commedia te- sto inedito d'un contemporaneo di Dante citato dagli Accademici della Crusca. Pisa presso Niccolò Ca- purro, 1827-1829, 3 tomi, in 8." di XIV-668, 621, e 770 pagine. A pag. 372 e 373 del tomo primo di quest'edi- zione [Inferno., Canto XX., v. 118-120) si legge: Vedi Guido Bonatti ec. Questi fu da Forlì, il » qual fece sue arti col conte Guido da Monte- » feltro; e dicesi, che per colui il conte Guido schi- >) fo molti pericoli, e molti danni diede ai suoi av- » versarii. Dicesi, che usava di stare nel campanile » della mastra chiesa di Forlì, e faceva armare tut- 220 Scienze )» ta la gente del detto Conte; poi quando era l'ora, » sonava la campana, e questi uscivano fuori verso » i nemici. Dicesi, che tra per 1' astuzia del Conte » e l'arte di costui, elli fece de'Franceschi sangui- M noso mucchio, come è scritto capitolo vigesimoset- » timo Inferni '>. Petri Allegherà super Dnntis ipsius genitoris Co- moediam Commentarium mine prhnum in lucem edi- tum Consilio et sumtihus G. 1. Bar. Yeruon curante Vincentio Nannucci. Florerdiae Apud Angelum Gnri- nei MDCCCXLV. In 8." gr. di XXXT - 741 - CLV pagine con due facsimili. A p. 209 di quest'edizio- ne, il nostro Guido Bonatti trovasi menzionato da Pietro di Dante così: Guido Bonatti de Forlivio. Chiose sopra Dante testo inedito ora per la pri- ma volta pubblicato. Firenze nella tipografia Piatti^ 1846. In 8." gr. A pag. 167 di quest'edizione si legge quanto segue: « Laltro spirito chevide fughuido bonatti cho- » stui fu dafrulli (1) e grande astrolagho efFu al- » tempo delconte ghuido damonte feltro signiore di- » frulli e resse sempre persuo senno econsiglio » eisconfisse ibologniesi perbuonconsiglio diquesto » ghuido bonatti ealtre vittorie assai glife avere. » (1) Correggi: da Furlì o Forlì. Iacopo Alighieri figliuolo di Dante scrisse in lingua italiana nel 1328 (Colomb de Batines., Biblio- grafia Dantesca., t. Il, p. 282), un comento sopra l'Inferno di Dante suo padre. In questo comento si legge : <( Vedi guido bonatti vedi asdente., cioè che Vita e opere del Bonatti 221 » questo guido bonatti sifFue da forili e molto sì » diletto in queste chosse e assai tenpo istette chol- )) clionte guido damonte feltro » (Codice della Bi- blioteca Laurenziana di Firenze, contrassegnato Plut. XL, n." VII, carta 43 verso). Il codice della Biblio- teca Laurenziana di Firenze, contrassegnato Plut. XL, n.° VII, e nel quale ciò si legge, è del secolo deci- tnoquarto (Colomb de Batines, Bibliografia Dantesca., t. II, p. 285). Benvenuto Rambaldi da Imola scrisse nel 1379 {Tirahoschi., Storia della Letteratura Italiana^ t. V, p. 745, lib. Ili, capo II, parag. XI. — Colomb de Ba- tines., Bibliografia Dantesca t. II, p. 302, e 303 , lì." 553 ) un coraento in lingua latina sulla Divina Commedia di Dante. In questo comento si legge quanto segue : ( Excerpta historica ex commentar iis MStis Benvenuti de Imola in Comoediam Dantis, ap. Muratori., Anliquitates Italicae Medii Aevi., t. I, col. 1083, C, D, E, col. 1084, A, B) « Vedi Guido Bo- « natti . . . Heic Vergilius nominai aliura divina- » torem modernum Italicum. Ad cuius cognitio- » nem est sciendum, quod iste Guido Bonatus fuit » magQus Astrologus Comitis Guidonis de Monte Fel- )) tro famosi; et quum ipse Comes teneret Porli vium, » patriam ipsius Guidonis in Romandiola, ubi erat » princeps partis Gibellinae, utebatur Consilio ipsius » Astrologi in omnibus agendis. Et satis constans » opinìo multorum fuit, quod ipse obtinuerit multas )> victorias contra Bononieoses, et alios adversarios » suos, operibus istius Guidonis. Iste Guido quam- » vis reputaretur a vulgo fatuus et phantasticus, ta- » meii saepe mirabilitcr indicabat. Nam fecit Comi- 222 Scienze »> tem praedictum exire centra Gallos, et ipse exiens » siniul cum eo, praedixit se vulnerandum in coxa, >i et sic accidit de facto. Unde statini medicavit se » cum ovo et stuppa, quae omnia portaverat secum, » sicut ipsemet Guido scribit de se ipso. Nam Gui- » do iste fecit Opus pulcrum et raagnum in Astro- ») logia, quod ego vidi. In quo tam dare tradii do- .) ctrinam de Astrologia, quod visus est velie docere » feminas Astrologiam. Tamen iste tantus Aslrologus »> male scivit praeservare istum Comitem in dominio » suo, quia post annum perdidit totum, ut habebis » infra Cant. XXVII. Attamen cum tota sua Astro- » logia iste fuit turpiter delusus ab ignorante quo- » dam rustico. Res jucunda narratur. Nam, quum Co- M mes praedictus starei una die in Platea Forlivii » pulcherrima et magna, venit unus rusticus monta- » narius, qui donavit sibi unam salmam Pirorum. Et » quum Comes diceret: sta mecum in coena; respondil » rusticus: Domine^ volo recedere^ antequam pluat^ quia » infallihiliter erit hodie pluvia magna. Comes de » isto rustico miratus, statim fecit vocari ad se Gui- » donem Bonatum, tamquam magnum Astrologum, » et dixit ei: Audis quod dicit iste ? Respondil Gui- » do: Nescit quid dicat. Sed expectate inodieum. Ivit » Guido ad studium suum, et accepto Astrolabio con- » sideravil dispositionem coeli. Et reversus dixit, quod n erat impossibile, quod plueret die illa. Rustico au- n tem perseveranter affirmante dictum suum , dixit » Guido: Quomodo scis tu'! Respondil Rusticus: quia ») Jiodie asinus meus in exitu stabuli vihravit caput^ et ♦> erexit aures: Et semper^ quando est solitus sic facere, » certissimum est signum^ quod tempus cito mutabi' Vita e opere del Bonatti 223 » tur. Tunc replica\it Guido : Posilo quod sic sit, » quomodo scis tu^ quod ista pluvia erit magna. Dixit )» ille : Quia asinus meus auribiis erectis transvertit )» caputa et rotavit plus solito. Recessit ergo Piuslicus >) cura licentia Comitis festinaater , timens inultutn )) de pluvia, quamvis tempus esset clarissimura. Et >) ecce post horam, coepit tonare, et facta est raa^jna » efFusio aquarum quasi diluvium. Tunc Guido coe- » pit clamare cura magna indignatione et risu: Quis » me delusit ? quis me confudit ? Et fuit diu raa- » gnum solatium in Populo. Et hunc honorem fecit » dominus Agaso magno Magistro Astrologo. Di- » eit ergo Vergilius: » Vedi Guido Bonatti . . . » Et heic nota, quod Auctor ponit istum sia- » gularem Astrologum solum, quia fuit excellens, im- » mo non habuit parem tempore suo, Unde non de- » bes numerare Guidonem inter divinatores mecha- » nicos , sicut quidam ignoranter fecerunt, decepti » ex eo, quod Auctor post eum nominai divinatoretn ») vulgarem, dicens: Vedi Asdente. Ciò che il Rambaldi qui narra del villano che confuse Guido Bonatti predicendo la pioggia, si leg- ge anche negli Annali di Forlì pubblicati dal Mu- ratori (Annales Forolivienses ap. Muratori., Rerum Italicarum Scriptores, t. XXII, col. 236, B, C, D), e nel comento di Cristoforo Landino alla Divina Com- media di Dante. Il medesimo fatto è anche accen- nato dal Mazzuchelli {Gli Scrittori d'Italia, voi. II, parte III, p. 1561), e dal sig. Libri ( Histoire des Sciences mathémaliques en Italie^ t. II, p. 55). 224 Scienze Francesco di Bartolo da Buti, morto in età mol- lo avanzata ai 25 di luglio del 1406 [Memorie isto- riche di più uomini illustri Pisani. Pisa., 1790-92. Presso Ranieri Prosperi. 4 tomi , in 4.", t. IV, p. 173), scrisse un comenlo in lingua italiana sulla Divina Commedia di Dante. In questo comento da lui terminato nel 1385 (Memorie istoriche di più uomini illustri Pisani., t. IV, p. 172 , Studi inediti su Dante Alighieri. Firenze a spese deW Agenzia libra' ria., 1846, in 8.", p. 98) si legge: — Pag. 195, lin. 7. In capoverso aggiungasi: — Un comento anonimo in lingua italiana sulla Di- vina Commedia di Dante trovasi manoscritto nel co- dice 1542 della Biblioteca Barberiniana. Sulla pri- ma colonna del recto della carta 95 di questo co- dice si legge: « Vedi Guido bonatti. etc. INella perso- » na di questo Guido il quale fue romagnolo della » citta di forli esemplifica vnaltra spetie dindouint » li quali per raguardamenti delli ascendenti segnali » danno loro giudicio. Questo Guido fece libro di » giudici] dastronomia et seppe bene quella arte, et » diede lora del combattere al Conte Guido di mon- » tefeltro quando sconfìsse i bolognesi, et quando » vinse i franceschi si come . e. scripto quiuj. la terra » che fé già la lunga pruoua etc. cap." XXVij. » 11 Sig. Prof. Bezzi ha pubblicato questa chiosa nella sua lettera sopraccitata sulla vila e le opere di Gui- do Bonatti (Giornale Arcadico., voi. C XXIII, p. 249. Rezzi., Lettera sopraccitata p. 7). Il Sig. Visconte Colomb de Batines [Bibliografia Dantesca., t. II, p. 343, num. 582) scrive, che il co- dice n." 1542. della Biblioteca Barberina è dell* Vita e opere del Bonatti 225 fine del secolo decimoquarto. Tuttavia il Sig. Prof. Rezzi [Giornale Arcadico, \ol. CXXIII,p. 248. Rezzi^ Lettera sopraccitata, p. 6) dice, che il coraento ano- nimo contenuto in questo codice è antico c.erto^ e co- me dai tratti della pernia^ dall'ortografia e dal lin- guaggio , appare scritto intorno alla metà del seco- lo XI V^ se non prima. Angelo Maria Bandini [Catalogus codicum Ita- lieorum Bibliothecae Mediceae Laurentianae^ Gaddia- nae, et Sanctae Crucis .... Ang. Mar. Bandinius re- censuit illustravit edidit. Florentiae anno 1778, in fol. col. 57-61. Plut. XL. Cod. XLVI), ed il Sig. Vi- sconte Colomb deBatìnes (Bibliografia Dantesca.^ t. II, p. 347, n." 584) attestano, che il codice della Biblio- teca Laurenziana di Firenze, contrassegnato Plut. Vi, n.° XLVI., è del secolo decimoquarto. Sul recto della carta 18 di questo codice si legge: « Guido bonati n fu fiorentino e facea molti inghanni a le femmine » e in diuinanze e malie. » Un comento in lingua italiana inedito sopra l' Inferno ed il Purgatorio di Dante trovasi manoscritto nel codice n.^ 1016 della Biblioteca Riccardiana di Firenze. Il Sig. Pietro Fan- fani crede che questo comento sia stato composto nella seconda metà del secolo decimoquarto {^VEtru- ria^ Studi di Filologia., di Letteratura , di Pubblica Istruzione., e di Belle Arti. Firenze., Per la Società Tipo- grafica sulle Logge del Grano 1851, in 8." Anno Primo. Gennajo., p. 20 ). Leggesi nel comento medesimo il seguente passo relativo a Guido Bonatti ( Biblioteca Riccardiana, Codice n." 1016, carta 105 verso): « fu » da forli maestro del conte Guido da moutefeltro » signore che fu di forli. Et fu grande astrolago G.A.T.CXXIV. 15 226 Scienze » tanto che molte guerre chebbe il conte dando Gui- » do bonacti il puncto et egli uscia della terra et » quando si ritrovasse ancora altrove et dassai sue » imprese ebbe Victoria, fece Guido bonacti più libri » giudiciali in astrologia che anno più corso che » altri libri dastrologo moderno. » Il Sig. Pietro Fan- fani ha pubblicato pel primo questo notabile passo nel giornale intitolato VEtruria [Anno primo , Ago- sto^ p. 495 ). — Pag. 196, lin. 12. Dopo arabi aggiungasi — • Ha alcune iniziali ornate con fioroni, incise in legno. Il marchio della carta è formato da alcuni monti. — Pag. 198, lin. 11. Dopo esemplare aggiungasi: — contrassegnato Scaffale ^, Palchetto 5. N. 44 a. — Ivi, lin. 13. Dopo (4) aggiungasi: — L'esemplare medesimo è benissimo conservato, salvo le prime no- ve carte, che sono forate da una tarma. E unito in un volume di 449 carte in A." coU'edizione seguente: Liber Abraham ludaei de nativitatibus et Magistralis compositio astrolabii Henrici Date. Venetiis arte et im- pensis Erhardi Ratdolt 1485. Questo volume fu già nella Biblioteca Laurenziana di Firenze (Plut. XXIX. Cod. XXIX), e però il Bandirli lo descrive [Catalogus codicum latinorum Bibliotheeae Mediceae Laurentianae t. II, col. 45 e 46. Plut. XXIX. Cod. XXIX). Il celebre P. D. Bernardo de Montfaucou nella sua opera intitolata Bibliotheca Bibliothecarum manuscri- ptorum nova pubblicò un catalogo de' manoscritti della Biblioteca Laurenziana Medicea di Firenze a duobns Doctis concinnatus (Bibliotheca Bibliothecarum manuscriptorum nova: . . . Autore R. P. D. Bernar- do De Montfaucon^ Benedietino Congregationis Sancii Vita e opere del Bo natii 227 Mauri. Parìsiis, Apud Briasson., via Jacobaea^ ad in- signe Scientiae. M. DCC. XXXIX. Cum approbatione et privilegio Regis. 2 tomi in foglio, t. I., p, 239). In questo catalogo sotto il Plutens XXIX. si legge: (De Montfaucon Bibliotheca Bihliothecarum manuscri- ptorum nova., t. I, p. 299 E, col. 2, e p. 300 A, coL 1). )) XXIX. Impr. pap. Guidonis Bonati de Fo- » rolivio Astronomia. » Liber Abraham Jtidaei de nativitatibiis. » Henrici Bate magistralis compositio Astrola- » bii ad petitionem Fr. Vilihelmi de Morbeka Ord. » Praed. D. Papae poenitentiarii, et Cappellani. •' Editus Aiigus'ae Yindelicorum 1491. 7." Kal. I) Apriits ». Il volume così indicato è certamente elusilo stesso che trovasi ora nella Magliabechiana, Scaffale A., Pal- chetto 5, n." 44. — Pag. 199, lin. 3. In capoverso aggiungasi: — 5.° Esemplare della Biblioteca Reale di Londra. Nel catalogo stampato di questa Biblioteca si legge: [Bi- hliothecae Regiae Catalogns. Londini excudehanl Gul. Balmer et Gul. Nicol 1820-29, 5 tomi, in fog., t. I, p. 325, col. 1). .. BONATUS, Guido, de Forlivio. » Liber astronomicus, continens decem Traofa- )) tus Astronomie; cura JoHANNis Angeli-, cum figuris >> ligno incisis. 4to. Erhnrdns Ratdolt^ Augustae A'^in- » delicorum, 1491. Char. Goth. cum sigri. » La Biblioteca Reale di Londra fu nel 1822 riu- nita al Museo Britannico [British Museiim) deWti me* desima città (Colomb de Batines., Bibliografia Dant^-^ ica, t. I, p. 14, nota (2). 228 Scie n z e 6." Esemplare della Biblioteca della Società Reale di Londra. Nel catalogo stampato de' libri scientifici di questa Biblioteca {Catalogne of the scientific books in the library of the Royal Socieùtj. London: Prin- ted and sold by Richard and lohn E. Taylor., Red Lion Court , Fleet Street. MDCCCXXXIX , in 8% p. 1 1T) si legge: « BONATUS (Guido). De astronomia tractatus » X, universum quod ad judiciariam rationem na-^ » tivilatum, aeris, tempestatum attinet comprehen- » dentes; adiectus est C. Ptolemaei fructus, cura com- ») mentariis G. Trapezuntii. fol. Basileae., 1550 ». » — Reghlrum. A." Augustae Vindelicorum., 1491. » indicazione erronea che certamente si riferisce all'e- dizione del 1491 del trattato d'astronomia di Guido Bonatti, giacché sulla prima pagina di quest'edizione si legge: Registrum Guidonis Sonati de Forlivio] il qual titolo si riferisce solamente all'indice o registro del trattato medesimo, non già a tutto questo trattato. 7.° Esemplare del Sig. Avvocalo Gustavo Camillo Galletti Fiorentino. Bellissimo esemplare con antica legatura in tutta pelle assai deteriorata e in parte strappata. Nella prima risguardia fissa trovasi un cartellino stampato , nel quale si legge : Ex libris Bihliot. quam Illmus Archiep. et Prorex Lugdun. Ca- millus de Neuf ville Colleg SS. Trinit. PP. S. JESU Testamenti Tabulis attribnit an. 1693. Sulla risguar- dia volante si legge la seguente firma: Ren. Asgmar. In quest'esemplare mancano le carte prima ed ultima. 8." Esemplare di mia proprietà. L'ho acquistato dal Sig. Paolo Petrucci libraio Fiomano. Sul rovescio della prima carta di quest'eseujplare trovasi uno stem- Vita e opere del Bonatti 229 ma colla seguente iscrizione : FRANCIS VITEL LIVS ARCHPVS THESALLONICAENSIS. Nel catalogo della Biblioteca d'Augusta pub- blicato da Elia Ehinger si legge (Catalogus Blblio- Ihecoe amplissimae ReipuhUcae Aiigustanae, lussu et auloritate Nobilissimorum et Amplissimormn Virorum Dn. lolmnnis Antonii Laugingeri ^ Vllviri ^ Dn. Jo- hannis Udalrici Oesterreicheri, Prnetoris, BibUothecae Pmefeclorum, et Scholarcharum. Studio et opera Eliae Ehingeri, Augustani, BlbUotheearii. Augustae Vlnde- licorum^ typis lohannis Praetorii. M. hC. XXXIII in fog. col. 652. Pluteo XXIII). ' '• XXXIII. Guido Bonatus de Forolivìo decem eontinens tractatus Astronomioe. Augustae 1491. Antonio Reiser nel primo appendice al suo ca- talogo de'manoscritti della Biblioteca pubblica d'Au- gusta ha dato una lista delle principali edizioni del secolo decimoquinto che si trovano in quella Biblio- teca medesima. In quesfappendice si legge {index mnuuscriptonun BibUothecae Augustanae cum Appen- dice duplici, praemissus Hisloriae literariae et libra- riae ibid. à M. Antonio Reisero, N. T. Illustris Rei- pubi. Bibliothec.ar io eie. Sumtu Theophili Goebelii. Typo lacobi Koppmaieri. M. DC. LXXV, in 4.% p. 115;: « p. 652. >' Num. 33. Guido Bonatus de Forolivio decem Tra- " ctatus Astronomici, Augusta, 1491. typis Erhardi ') Radholti ». Quindi è chiaro , che nel 1675 un esemplare dell ed.z.one fatta nel 1491 del trattato d'astronomia d. Guido Bonatti esisteva nella Biblioteca pubblica d Augusta. Probabilmente l'esemplare medesimo tro- vasi ancora in questa Biblioteca. 330 S G I E N Z E Un esemplare di quest'edizione esisteva nella fa- mosa Biblioteca di Maffeo Pinelli Veneziano. In fatti nel catalogo di questa Biblioteca dato in luce dal ce- lebre Iacopo Morelli si legge: « 2025 Bonati Guidonis )) Tractatus decem Astronomiae. Veneliis^ Erhardus ') Raldolt^ 1491. in U." » [Bibliotheca Maphaei Pinellii Veneti magno jam studio coUecta, a lacobo MorelUo Btbliolhecae Venetae D. Marci custode descripta et an- notationibus illustrata. Veneliis typis Caroli Palcsii MDCCLXXXVII, 6 tomi, in 4.% t. I, p. 336). Nel 1790 la sceltissima e copiosissima Biblioteca di Maffeo Pinelli fu acquistata dai librai Signori E- dwards e Robson, e venduta per auzione in Londra (The general biographical dielionary: containing an hi- slorical and criticai account of the lives and writings of the most eminentpersons in evertj nation. Anew edition^ revised and enlarged by Alexander Chalmers. London, 1812-17,32 volumi, in 8". voi. XXIV, p. 510, arti- colo PINELLI (John Vincent) ). Un esemplare dell'edizione fatta in Augusta nel 1491 del trattato d'astronomia di Guido Bonatti tro- vasi indicato in un catalogo intitolato : Catalogne de la bibliothèque dhin amateur., avec des notes et une lob- bie generale des auteurs et des malières. A Bruxelles., P. J. de Mat., Imp.-Lib. de VAcadémie Royale de Bruxelles et de VUniversilé de Louvain. 1823, (2 to- mi, in 8"). A pag. 258 del tomo primo di questo ca- talogo si legge: » 2351. Guidonis Bonati de Forlivio liber astro- » noraicus (in X tractatus distributus) ex correctione )) Job. Angeli. Aug. Vindcl. Erh. Ratdolt., 1491, in -4, M fig. en bois, mar. r. dent., d. s. l. 24 fr. » Bui cxeiuplaire d'un oiivrage fort rare » . Vita e ope;re del Bonatti 231 Il Maitlaire scrive (Annales typographici ab ar- tis inventae origine. Ad annum M. DCLXIV. Opera Mich. Maitlaire A. M- Edilio Nova Auctior et Emen- datior, Amslelodami^ Apud Petrum Humbert. M DCC. XXXHI, un tomo in due parti in 4% tomi primi pars posteriore p. 530). » Liber Astronomicus Guidonis Bonati de For- » livio; magistri Ioannis Angeli viri peritissimi dili- » genti correctione: Erhardi Ratdolt viri solertis exi- » mia industria et mira imprimendi arte:, qua nuper » Venetiis^ mine Augustae Vindelieorum excellit nomi- « natissimus] septimo Kal. Aprii. M. CCCC. LXXXXl. ' » A.'" Aug. Vind. 1491. » 1 Erhardi fialdoU foelicia conspice signa, « Testata artificis qua valet ipse manum. Cornelio da Beughem [Incunabula Typographi- ca sive Catalogus Librorum Scriptorumque proximis ab inventione Typographiae annis usque ad Annum Christi M. D. inclusive in quavis lingua editorum Opusculum sepius expelilum Notisque Hisiorieis Cliro- nologieis et criticis intermixlum Aceurante Cornelio a Beughem Emhrii. Amstelodami Apud Ioannem Wol- ters 1G88 in 8% p. 33), e Fr. Pellegrino Antonio Or- landi ( Origine e progressi della slampa o sia deW arte impressoria e notizie delV opere stampate dal' V anno M. CCCC. LVII. sino all' anno M. D. Bono- niae M. DCCXXH, in 4% p. 299) registrano 1' edi- zione stessa. Alcuni de'libri ne'quali si parla di que- st'edizione, sono dal Panzer indicati così (I. e): Maitt. p. 536. Zapf. I.p. 100 Freìjt. Nachr. von selten. BH- cliern I.p. 137. sqq. Braun IL p. 215. Seemiller IV. p. 19. Bibl. P. Nor. ^eWindex Fontium stampato in fine dell'undecimo volume degli Annales Typpgra-r 232 Scienze phiei de\ Panzer si legge « Catalogus Blblioth. public, » Norimbergensis a nobis confectiis ». (Panzer^ An* nales typographici voi. XI, p. 623). Ivi, lin. 8. In capoverso aggiungasi : — Gio- vanni Giacobbe Bauer libraio di Norimberga scrive ( Bibliothecae librorum rariorum universalis Supple- mentorum. Oder des vollst'àndigen Verzeiehnisses ra- rer Bucher aus den hesten Scliriftstellern mit Fleiss zusammen getragen und aus eigner vieljahrigen Er- fahrung vermehrl von Johann Jacob Bauer. Nurnberg, bey Martin Jacob Bauer. 1774, 2 voi., in 8% volu- men I, p. 234): » Bonati (Guidonis) de Forliuio., iheorica planeta- » rum it. tractatus astrologici X. corr. per Jo. An- » gelum. Aug. Vind. 1491.4 cum figg. ligno incis. » Editio perrara. Hennings , p. 354. Bibl. Salthen. » p. 327. » — Pag. 201, lin. 18. Jn capoverso aggiungasi: — 3." Biblioteca Barberiniana di Boma. Lettera N. Fila IX, n.° 28. Esemplare ben conservato con po- stille marginali. Nella prima pagina di quest'esem- plare si trovano scritte le parole seguenti; liber sum pelri de borgio. Nel catalogo pubblicato nel 1681 de'li- bri stampati di questa Biblioteca (Index Bibliothecae qua Franciscus Barberinus S. R. E. Cardinalis Vicecan- cellarius Magnificentissimas suae Familiae Ad Quirina- lem Aedes magni ficenliores reddidil. Tomi tres librostij- pis edilos complecteiites. Bomae Tìfpis Barberiiìis., Ex- cudebat Michael Hercules. MDCLXXXI., due tomi, in fog. , t. I, p. 168, col. 1). « Guido BONATVS. » Tractalus decem Aslronomiae. Venet. 1506. » fol. LII. E. 32. i.'jh auii Vita e opere del Bonatti 233 4." Biblioteca Corsiniana di Roma^ Colonna 143, Fila I, n." 19. Il Sig. Prof. Rezzi nella sua lettera so- pram mentovata cita quest'esemplare scrivendo: » Al » che io reputo essere dover mio d'ag(ji ungere innanzi » ch'io levi da questa la mano che le due stampe in » foglio de'dieci tiattati d'Astronomia di Guido, l'una » fatta in Venezia nel 1506, e l'altra in Basilea nel » 1550 a cui si trova aggiunto in fine il Gentiloquio » di Claudio Tolommeo tradotto in latino da Giorgio ►) Trapezunzio, si trovano eziandio fra'libri posti in » questa libreria, alla quale io presiedo » {^Giornale Ar- cadico^ t. CXXIII, p. 259. Rezzi, Lettera sopraccita- ta p. IT). 5." Biblioteca Reale Borbonica di Napoli. Nel catalogo pubblicato da Monsignor Giovanni Rossi de' libri stampati di questa Biblioteca si legge: [Catalo" gus libroriim typis impressorum qui in Regia Biblio- Iheca Borbonica adservantur studio et labore Cano^ nici loannis Rossi eiusdem Bibliothecae Seriptoris et Herculanensis Academiae Sodi. Tonius I."' ISea.poli., Ex Regia Tijpographia MDCCCXXXIf^ in fol. , p. 364, col. 2). « BoNATUS (Guido, Foroliviensis Matfieniaticus., « medio saec. Xlll." florens). De Astronomia tracia- » tus decem, universa quae ad iudiciariam ratiouem » nativitalum , aeris etc. altinet, comprehendentes. » Accedit CI. Ptolemaei Centiloquium li. e. Liber fru- » ctus, ex interpretatione, et cura commentariis Gè. n Trapezuntii:, edente Nic. Pruknero. Basileae, 1550. » m fol XXXIII. F. 46. >.. » — Idem opus de ludiciis stellarum etc. Ve- » netiis., mandato et expensis Melch. Sessae, per Jao. n Pentium^ 1506. infoi 80. H. 13.». 234 Scienze Giorgio Guglielmo Zapf dopo avere indicato que- st' edizione nella sua opera intitolata : Augsburgs Buclidruckergescliichle nehst den lahrbuehern der- selben (Parte II, p. 25, anno 1506, num. V), sog- giunge (1. e.): « Trovandosi in fine [di quest'edizione) » il conosciuto steranaa di Erardo Ratdolt, è da tener » per fermo ch'essa usci dai suoi torchi. Non ho » per altro finora potuto avere alcuna ulteriore e più » precisa notizia di quest' opera. » Il Bauer scrive (Bibliotlieca librorum rariorum universalis. Oder vollstàndiges Verzeiclmiss rarer Bu- chera aus den besten Schriftstellern mit Fleiss zusam- men getragen und aus eigener vieljahrigen Erfahrung vermehret, von Johann lacob Bauer^ Arg. Buchliandler in Nurnberg. Nurnberg , bey Martin lacob Bauer. 1770-72, 4 parti in 8." Parte I. p. 137): » Bollati a f'orlivio (Guidonis) decem tractatus >) Astronomiae: Venetiis 1506. in fol. Bun. p. 21 ». La citazione Bun.p.2i. che qui si trova, deve rife- rirsi ad una di due opere dallo stesso Bauer, indi- cate così ( Bibliotlieca librorum rariorum universa- lis. Parte I, p. 12). » BuNEMANNi, lo. Lud. Catalogus MStorum, item » librorum impressorum prò adsignato pretio vena- » lium. Mindae, 1732. 8, mai. » EiDSD. Catalogus auctiouis. P. I. II. Hildes. » 1760. in 8." » — Il Panzer scrive ( Annales typographici ab anno MDIadannum MDXXXVl continuati voi. Vili, p. 380^ CLXXIV. VENETIIS): » 343. Guido Bonatus de Forlivio. Decera conti- » nens tractatus Astronomiae. Figura Bonatum-, A^iror Vita e opere del Bonatti 235 » nomiam, Uraniani^ Musam aliaque exhibens. Infine: » Venetiis mandato et expensis Melchioris Sesse per » Jaeobum pentivm Leucensem Anno dni MDVI. die » IH. Julii. Regnante inclyto Leonardo Lauredano » Venetiarum Principe, fot. » Freyt. Nadir. I. p. 139. Thott VII. p. GO. » Bibl. Rothenh. Neil' Index Fontium, posto in fine del volume undecimo degli Annales typographici del Panzer, si legge: » Eiusdem (Frid. Gotth. Freytayii) Nachrichten » von selteu. iind merckw. Biichern, 1. Band, Gotha » 1776. 8." ». (Panzer., Annales typoyraphici.,\o\. XI, p. 618, col. 1). » Catalogus Biblioth. Monast. Rothenbuch». [Pan- zer., Annales typographici., voi. XI, p. 625, col. 2). » [Erasmi Nyerup) Catalogi Bibliothecae Thot- » tianae Tomus septimus, Libros cura ab inventa )» typographia ad ann. MDXXX. excusos tura Ma- » nuscriptos continens. Havniae 1795. 8. ». ( Pan- zer., Annales typographici., voi. XI, p. 628, col. 1 e 2). Pag. 203, lin. 22. In capoverso aggiungasi — In- dico qui appresso alcuni esemplari di quest'edizione. Biblioteca Corsiniana di Roma. Colonna 143, Filai, n.* 21. Quest'esemplare è indicato dal Sig. Prof. Ficzzi nella sua lettera sopraccitata (v. sopra p. 141 e 142> Biblioteca Chigiana di Roma. Nel catalogo pub- blicato dal celebre Monsignor Stefano Evodio Asse- mani de'Iibri stampati di questa Biblioteca [Catalogo della Biblioteca Chigiana giusta i cognomi degli au- tori ed i titoli degli anonimi colf ordine alfabetico disposto sotto gli auspicj delVEminentissimo e Reve- rendissimo Prencipe Flavio Chigi della S. R. C. Dia- 23G Scienze cono Cardinale di S. Maria in Portico da Monsignor Stefano Evodio Assemani Arcivescovo rf' Apamea. In Roma MDCCLXIV. Nella Stamperia di Francesco Biz- zarrini Komarek Provisor di libri della Biblioteca Vaticana^ in fog. p. 77 ) si legge : w BoNATUS Guido. De Astronomia Traclalus » decem. Accedit Claudii Ptolemaei liber Fructus , « CLim cominentariis Georgii Trapezuntii. Basileae » ex officina Henricpe trina 1550, in fol. Biblioteca Reale Borbonica di Napoli. Armadio XXX III., Scanzia F., n ." 46. Quest'esemplare è indi- calo nel catalogo pubblicato da Monsignor Giovanni Rossi dc'libri stampati della Biblioteca Reale Borbo- nica. (V. sopra 142). Biblioteca della Società Reale di Londra. Quest' esemplare è indicato nel catalogo stampato de' libri scientifici della Società Reale di Londra. (V. sopra, p. 137). Il P. XimcneS scrive ( Del vecchio e nuovo gnomone Fiorentino , pag. LX, nota («) ). (* Quest' » opera fu stampata con questo titolo. Opus Guidi )» Bonatli de Forolivio eontinens X. tractalus Astro- » nomiae. Augustae Vindelicorum 1491. in 4. Vi i) sono di essa più testi a penna. Quattro se ne con- « servano nella Bibliot. Regia Parig. , uno nella Va-' » ticana, due nella Laurenziana nel Banco XXVIII ». li MaZzuchelli indica questi ed altri esemplari mano- scritti del trattalo d'astronomia di Guido Bonalti, scri- vendo (Gli scrittori d'Italia., voi. II, parte II., p. 15G1, articolo BONATTI (Guido) nota (24) ) « Alcuni testi » a penna di delta Opera (cioè del trattato d'Astro- )) namia di Guido Bonatli) si conservano nella Li- » brepia Regia di Parigi, segnati dei numeri 5015. Vita e opere del Bonatti 237 » 6391. G392. e 6393. Altro esiste nella Libreria » Vaticana fra i Codici della Re^jina di Svezia se- » gnato del niim. 479. Uno è nel Banco XXVIII. » della Laurenziana in Firenze, segnato del num. 29. » Un altro sta pur colà nella Libreria di S. Marco » nell'Armario IV. Uno è in Milano nel Codice del- » l'Ambrosiana segnato R. 107 in fogl. Un altro » si trova in Venezia in quella di S. Fiancesco della » Vigna, ed uno in Padova nella Libreria degli Eie- » mitani di S. Agostino ». Il celebre P. D. Bernardo de Montfaucon nella sua opera intitolata Bibliotheca Bibliothecarum ma- nuscriptorum nova pubblicò un catalogo de' mano- scritti della Biblioteca della Regina di Svezia, esi- stenti nella Vaticana. In questo catalogo si legge: {Montfaucon Bibliotheca Bibliothecarum manuscriplo- rum nova^ t. I, p. 24 B, col. 2). » 479. Guidonis Bonati Astrologia ». Il P. Montfaucon nella sua opera sopracciJala pubblicò un catalogo de' manoscritti da lui veduti ne'mesi di Marzo e d'Aprile del 1700 nella Biblio- teca Laurenziana di Firenze. In questo catalogo si legge (Montfaucon Bibliotheca Bibliothecarum nia- nuscriptorum nova^ t. I, p. 237 B. col. 2. » Tn XXIX. pluteo. » Guidi Bonati introductio ». In un catalogo de'manoscritti della Biblioteca Reale di Parigi, pubblicalo dallo stesso P. de Mont- faucon si legge (Montfaucon Bibliotheca Bibliotheca- rum manuscriptorum nova., t. II, p. 754, col. 2, D). » 5015. Rob. Valturius de re militari et postea 238 Scienze )) Heronis, Ptoleniaei, Hali, Bianchi nii, Eiistachii de » Heldris, Hannibalis Raymundi, Albumazaris, Gui- )) donis Bonati opera ». Pili oltre nel catalogo stesso si legge ( Mont- faucon Bibliotheca Bibliothecarum manuscriptortim nova^ t. II, p. 762, col. 1. E, col. 2. A). )) 6391. Guido Bonatus de imbribus. De dispositione aéris et fertilitate anni. De oiansionibus lunae secundum Menopoldum, » 6302. Guid. Bonati tractatus varii Astrologici. » 6393. Guid. Bonati Astrologica. Nel catalogo stampato in quattro volumi in fo- glio de'manoscritti della Biblioteca Reale di Parigi nulla trovasi indicato di Guido Bonatti sotto i nu-» meri 5015, 6391, 6392 e 6393. Il codice della Bi- blioteca Vaticana, contrassegnato n." 479 Regina di Svezia, nulla contiene di Guido Bonatti. Nel 1650 Giacomo Filippo Tomasini pubblicò nella sua opera intitolata J^ìbliothecae Venetae manu- scriptae publicae et privatae un catalogo de'mano- scritti ch'erano in Venezia nella Biblioteca del con- vento di S. Francesco della Vigna. In questo catalo- go si legge [Bìbliothecae Venetae manuscriptae publi- cae et privatae Quibus diuersi Scriptores hactenus in- cogniti recensentur. Opera lacobi Philippi Tomasini Episcopi Aemoniensis. Ad Illtistrissimos Literarum Pa- tronos Petrum et lacohum Pnteanos Fratres. Utini^ Ttjpis Nicolai Schiratti. MDCL, in 4% p. 106, col. 2) Opera de Astrologia^ auctore Guidone Bonatio. Nel 1639 il medesimo Tomasini pubblicò nella sua opera intitolata Bìbliothecae Patavinae manu- scriptae puhlicae et privatae un catalogo de' mano- Vita e opere del Conatti '239 scritti ch'erano allora in Padova nella Biblioteca de- gli Eremitani di S. Agostino. In questo catalogo si legge [B ibliolhecae Patavinae manuscriptae publicae et privatele. Quibus diversi Scriptores hactenus inco- gniti recensetitur , ac illustrantur. Studio et Opera lacobi Philippi Tomasini Sae. TheoL Doct. Pai. et Canonici Secularis S. Georgi) in Alga Venetiarum. Ad Illustri ss imum et Reverendissimum D. Franciscum Vitellium Archiepiscopwn Thessalonicensem etc. Pro SS. D. N. Urbano Vili, et Sede Apostolica apnd Se- reniss. Remp. Venelam Nuntium. Utini^ Typis Nicolai Schiratti. MDCXXXIX, in 4% p. 79, col. 2) : « Li- )) ber Introductorius ad ludicia stellarum editus à » Guidone Bonato de Forliuio Magistro in Astrolo- » già. Incipit. In nomine Domini, ete. »>. In un codice ch'io posseggo trovasi manoscrit- ta una parte del trattato d'astronomia di Guido Bo- netti. Questo codice è cartaceo in foglio, del secolo decimoquinto, e di carte 242. Nel recto della prima carta d'esso codice si trova scritto in caratteri rossi il titolo seguente: In nomine domini Amen Incipit liber introdu- ctorius ad indicia stellarum Et est non solimi Intro- ductorius Ad indicia. Sed est Indiciorum astronomie editus a Guidone bonatto De forliuio Et collegit in eo ex dictis philosophorum ea que uisa sunt sibi fore vtilia ad Introducendum volentes intendere Indicijs astrorum Et ea que uidebuntur competere volentibus indicare secundum significationes stellarum Et ad alia quedam ipsis Indiciis pertinentia Rubrica Dopo questo titolo incomincia nella prima pagina stessa il proemio cosi: In nomine Domini nostri iliesu ^40 Scienze ».* Christi misericordis et pij veri dei et verj hoìninis: cui non est par neque consimilis nec esse posset. Nel me- desimo redo al di sopra del titolo che ho riportato si trovano scritte in caratteri rossi le parole seguenti: Assit ad inceptum Sancta maria meum. Questo codice finisce cosi nel redo della carta 242 : ita quod prò vnaquaque hora accipies vnam 6.""' et si fuerit signifieator circuii dirceli. Finii tradatus denaUuitatibus et de hiis tjue pertinent ad natiuilates et compositus a Guidone bo- nato de forliuio. Il trattato d'astronomia di Guido Bonatti è di-. ■viso in dieci parti o trattati. Sette di questi trattati, cioè dal primo al settimo, si trovano manoscritti nel codice della Biblioteca Vaticana, contrassegnato Re-f gina Svecornm n." 1138. Questo codice è cartaceo in foglio, della fine del secolo decimoquarto, di 248 carte a due colonne. In fronte al redo della prima car- ta d'esso codice si trovano scritte queste parole: Liber D. Grimani CarJ'^ S. Marci. Nel medesimo redo si legge: Incipinnt eapilula guidonis bonati de forlivio magistri in astrologia videlicet. 1. De uiililale astrologie in comuni. 2. Quod stelle imprimuntur in fidia et mutatio- nis in mundo fiunt ab ipsis eie. A carte 5 redo., colonna 1 del codice stesso si trova il titolo seguente scritto in caratteri rossi: Incipit liber introdudorius ad iudicia stellarum editus guidone bonati de forlivio magistris in astro- logia. Questo codice finisce così: In fortuna vero e contrario augebunt malum et Vita e opere del Bonatti 241 minuent bonum secundum siiam naluram et seeundum quod interest iuvare vel nocere anger e vel diminuere. Explicit tractatiis de electionibus ad laudem dei. Nel rovescio della caria 3 di questo codice presso alle parole dell'indice, relative alliiltimo ca- pitolo di questo settimo trattato, si trova scritta nel margine laterale la nota seguente : ultra hoc caput non procedunt contenta in hoc volumine. Pag. 208, Un. 20. Dopo Leone X (4) aggiunga- si — Nel catalogo della Biblioteca Pubblica Comu- nale di Siena, pubblicato da Lorenzo Ilari, si leg- ge [La Biblioteca pubblica di Siena disposta secon- do le materie da Lorenzo Ilari. Siena 1844-48. Ti- pografìa alV Insegna delV Ancora , Via delle Terme N." 976, 7 tomi in 4.% t. Ili, p. 115, col. 1). » SIRIGATTI Francisci, De ortu et occasu si- » gnorum libri II. cum poetices tura astronomiae » studiosis utilissimi. NeapoH 1531, in 4to. Quest'edizione è composta di 81 carte in 4.", numerale tutte nel recto., meno le prime cinque, co' numeri 2-77. Ha nella prima pagina questo titolo : De ortu et occasu signorum libri II. cum poetices tum astronomiae studiosis utilissimi avtore Francisco Si- rigatto. Nell'ultima pagina dell'edizione medesima si legge: impressvm neapoli opera ioannis svltzi ba- CHII HAGENOVENSIS GERMANI VI KAL. AVGVSTI ANNO 1531. Quindi è chiaro, che la soprammentovata edi- zione falla in Lione nel 1536 di quest' opera del Sirigalti è una ristampa. Quest'edizione è in quarto di pagine 136, delle quali la prima e le ultime quattro non sono numerate, e le rimanenti 131 sono numerate co'numeri 2 — 132. Nel frontespizio G.A.T.CXXIV. 16 242* Scienze dell'edizione medesima si legge : De ortu et occasu signorum libri duo Francisco Sirigatto autore Lugduni Apud Seb. Griphium 1536- Un esemplare di quest' edizione trovasi nella Biblioteca Angelica di Roma (B. 5. 13 Miscellanea CCCXXXTI). Bernardino Baldi nella sua Cronica de' matematici (p. 104, anno 1500) parla dell' opera di Francesco Sirigatto de ortu et oeeusu signorum. Il celebre Monsignor Angelo Fabroni scrive : Anno autem 1515. Fiorentini Palres commiserunt Francisco de Sinigattis, ut astrologiam doceret Flo- rentiae quidem, Pisis non item , quamvis ilio ipso tempore huic urbi sua reddita Academia fuisset [Hi- storiae Aeademiae Pisanae. Auctore Angelo Fabronio ejusdem Aeademiae Curatore. Pisis 1791 — 95. Ex- cudebat Cajetanus Mugnainius in aedibus auctoris , 3 volumi in fog. , volumen I , p. 327 ). In questo passo della Storia dell' Università di Pisa del Fa- broni fu stampato erroneamente Sinigatlis in vece di Sirigattis. Il medesimo errore trovasi anche nel- Vindex nominum et rerum , posto in fine del primo volume della Storia medesima del Fabroni, leggen- dosi in quest'indice: Sinigattus Frane. 327. (Fabro- ni Historiae Aeademiae Pisanae, voi. I, p. 492, col. 1). In altro luogo del volume stesso si legge: His aliis- que plurimis.) de quibus alias opportunins dicemus., si addas Marcellum Adrianum , Bartholomaeum Fon- tium , Nicolaum Angelium Bucinensem humaniorum litlerarum doctrina claros., Franciscum Strigatium et Lucani Paccioliuni malhematicorum sui temporis prin- c/pes, qui ad Florentinum magis., quam ad Pisanum Gymnasium pertinebant., facile judicabis quantum abuu- Vita e opere del Bonàtti '243 darei Florentinorum civitas optimarum discipUnaruni praeceplis. ( Fabroni Historiae Academiae Pisanae , voi. I, p. 95). Per errore, forse di stampa, qui si lejjge Strigatium in vece di Sirigathim^ come ben mostra d'aver conosciuto il Prezziner scrivendo : » Nel nostro (studio) poi venne riaperta la Catte- » dra d'Astrologia (V. Fabroni Hist. Acad. Pis. V. I, » p. 97) (*) , e fu essa affidata a Francesco Si- » rigalti , di cui ha date molte notizie ( L. e. ) il » Fabbrucci ». [Storia del pubblico studio e delle società scientìfiche e letterarie di Firenze del Dottore Giovanni Prezziner Socio Colombario e membro di altre Accademie d'Italia. Firenze 1810. Appresso Carli in Borgo SS. Apostoli. 2 volumi, in 8», voi. I, p. 200 e 201). Stefano Maria Fabbrucci scrive (Postrema aetas veteris Pisani Lycei ab an. sai. MDV. Usque ad Me- diceum Principatum auspicatissime constitutum opu- sculnm duodecimum auctore Stephano Maria Fab- hruccio., ap. Calogerà (Padre D. Angelo) Raccolta d'O- puscoli scientifici., e fdologiei. In Venezia^ presso Cri- stoforo Zane., e Simone Occhi., 1728 — 57; 51 tomi, in 12% t. 51, p. 5). <« Franciscus Sirigattius Florentinus, Vir in Ma- » theraaticis Disciplinis versatissimus: cujus Libros » De Orla., et Occasu Signorum., ex Jos. Simlero in »> Epit. Gesnerii., in Biblioth. sua Negrius., et Clariss. )> Georg. Vivian. Marches. commemorant (e), et quem >' distinctiori enunciatione in praedictis Libris con- (*) Qui pare che si dovrebbe leggere 95 in vece di 97, giac- ché il Fabroni a pag: 97 del primo volume della Storia dell' Uni- veriilà di fisa non parla del Sirigatti. » (e) Marches. in prim. Pari. Mus. Honor. in Ferb. Sirigalt. 244 Scienze » tentorum, acceplissimaeque Dedicatìonis Leoni X. » factae, illustriorem reddidit Eredit. Praesul Ber- ») nardinus Baldius (d). » (d) In Chronic. Mathematic. Il sig. Filippo Luigi Polidori si è compiaciuto di farmi sapere che in una lettera di Monsignor Goro Gheri, Eletto di Fano, al Duca Lorenzo de'Medici , scritta il dì primo di Marzo del 1516, e contenuta nel Minutario di esso Gheri, che trovasi manoscritto presso il sig. Marchese Gino Capponi, si legge: « El » Sirigatto mi è venuto a trovare et decto ch'io ri- » cordi alla Exc."" V.*^, che non faccia facto d'arme » dà V a XII di questo mese: ma quando venissi » uno bel tracto che con ragione si vedesse da vincere » e' nimici, io attenderei a quello che io vedessi in » terra, et non in cielo. Pure ho facto alla Exc."" » V." la imbasciata sua » (Biblioteca del sig. Mar-^ chese Gino Capponi, Codice CCLXXXIV, 2.'^% car- ta 40 redo). È da credere che il Sirigatto menziot nato da Monsig. Goro Gheri in questo brano di let- tera, sia quello stesso Francesco Sirigatti, che tra- dusse in lingua italiana il trattato d' astronomia di Guido Bonatti. Il celebre Angelo Maria Bandini pubblicò un documento, dal quale si raccoglie, che ai 23 di de- cembre del 1435 fu conferita la Laurea in Dritto Canonico nel pubblico studio di Firenze Domino Francisco Dominici Thomasii de Sìrigattis Presby- tero Fiorentino ( Bandini Ang. Mar. Specimen lite- raturae Florenlinae Saeculi XV. Flurentiae 1747-51. Sumtihus losephi Rigaceli., 2 tomi, in 8% t. I, p. 188). Secondo il Prezziner, questo Francesco Sirigatti Pre- Vita e opere del Bonatti 245 te Fiorentino è quel medesimo Fianceseo Sirigatti, che nel 1515 fu Professore d'Astronomia in Firenze ^Storia del pubblico studio e delle società scientifiche e UUerarie di Firenze del Dottore Giovanni Prezziner^ voi. I, p. 104). Se così fosse, questo Sirlgatti avreb- be vissuto circa cento anni, giacche non è da cre- dere ch'egli prendesse la laurea in dritto canonico in età minore di vent'anni. — Pag. 209, lin. 12. In vece di una traduzione si so- stituisca. — Alcuni autori affermano che una tradu- zione. — Ivi, lin. 14 e 15 si tolga — sotto il titolo se- guente: Anslegung des Menschlichen Gebulirts-Stun- den ». — Ivi, lin. 24. Dopo (3) aggiungasi: -^ — Il celebre Giovanni Alberto Fabricio attesta, che il trattato d' astronomia di Guido Bonatti fu stampato Germanice Basii. 1572 (Io. Alberti Fabricii Bibliotheca latina mediae et infimae aetatìs cum supplemento Christiani Scììoettgenii, editio prima italica a P. Ioan. Dominico Mansi correcta., illustrata., ancia. Venetiis MDCCLIV. 6 tomi, in 4.° piccolo, t. Ili, p. 130, col. 1, lib. VII, articolo Guido Bonatus). Il Mazzuchelli scrive [Gli scrittori d'Italia, voi. II, parte III, p. 1561, art. BO- NATTI Guido ), che l'opera medesima tradotta in Lingua Tedesca uscì Basileae 1572. Nella Biblioteca Magliabechiaoa di Firenze [Libri stampati., Classe XA', Palchetto 3) trovasi un'opera in lingua tedesca, sul frontespizio della quale si legge quanto segue : » Geburts Stundenbuch Darinen eines jedtlichen >» menschen Natur vnd Eigenschafft, sampt allerley rt zufahlen jausz dea gewissen Leuffen dern gestirn, 246 Scienze » nach rechler warhafftiger \n grundllicher ahrt )) der Gestirnkunst, triit geringer luuli auszgeieitet, » vnd der selb vor zufelligem Viifahl gewarnet: » Auch darnebenallesdas jhenige was zu der Gruridt- » uesle der loblichen Geslirnkunst in alien fàhlen n gehórig ist , nach nottiirft mit gutem bestand » gefunden Averden mag. Insondeiheit Wie man die » Himmels Figuren in auftVichtung der zwolff Heu- » sern, auft' die Geburtsstunden, vnd andere Zufàhl » kunsllich stellen solle - Item Wie die gleichlichen » vnd Sichligen leufife der sieben Planelen vnnd sta- » len Sternen, in die lenge vnnd breite, aufFein jede » zeit zùfinden seyen. Sampt deren angehorigen A- » stronomischen Tafein, auch wie die selbigen ver- n standen vnd gebraucht werden sollen. Guidonis Bo- » nati grundtliche auszlegung der menschiichen Ge- » burtsstiinden, so vor dreyhundert jaren beschrle- » ben. Schirmschilt , der Geslirnkunst einleitung » inn die Arzucy, den menschiichen gebrechen sehr » dienstlich. Ailes mit so klarer vnd AveitleufKgor » einleitung furgeftellt , das der Gemeinej vnd La- » teiiiischen Sprach vnk'ùndige mann, nun hinfurodie » herrliche Gestirnkunst, mit aller ihrer Heiinligkeit, » so biszher auch den Gelehrten arbeitsam gewesen » ist, ohue besondere arbeit gentzlich ergreifFen mag. » Dergleichen in Teutscher Zungen vormalen nie )» auszgangen. Durch Martioum Peigium, der Rechtea » Doctoin, vnnd Saitzburgischen Rhat, e!c. Mit Ròm. » Key. May. Gnad vnnd Freyheit Getruckt zu Ba- »> sei, bey Sixt Henricpetri, anno M. D. LXXII. » Quest'edizione è un volume in foglio di 437 carte, ni una delle quali è numerata. Sul recto delT ultima di queste carte si legge quanto segue : Vita e opere del Bonatti 247 » Getruckt zù Basel^ bey Samuel Apiario , in »» Kosten vnd verlejjiing des Ehrsamen Sixt Heinric- » petr, ina lar, M. D. LXX. den XXIX. Augusti. » Sul recto della caria 328 del volume slesso si legjje il litolo seguente: » Grundliche auszlegung der Menschlichen Ge- » burls stunden, so vor 300 jaren durch Guidon » Bonat beschriben ist worden. » Dalla caria 329 redo alla caria 419 recto di que- sto volume trovasi tradotta in lingua tedesca la quin- ta parte del trattato d astronomia di Guido Bonalti, meno il Proeniium della parte medesima. Il lesto la- tino di questa quinta parte si trova dalla colonna 663 alla colonna 828 dell' edizione fatta in Basilea nel 1550 del suddetto trattato di Guido Bonatti. Un esemplare di quest'edizione trovasi nella Bi- blioteca Bodleiana d'Oxford. Nel catalogo pubblicato nel 1843 dal Sig. B, Bandinel de' libri stampati di questa Biblioteca, [Catalogus librorum impressorum Bibliothecae Bodleìanae in Academia Oxoniensi. Oxonii e typogmpheo Academico M. D. CCC. XLIH^ 3 volu- mi in foglio, voi. I, p. 294 col. 1j si legge : .. BONATUS (Guido) de Forlivio. n De astronomia [seupotius astrologia) tractatus (ìecem.\ fol. Bas. 1.^50. » Anima astrologiae\ or a guide for astrologers, » being thel considerations of G. Bonatus rendered into » Engl. by W.' Lilly; as also thechoicest aphorisms of » Cardan's sevenj segments. 8." Lond. 1676; » Auslegung der menschlicben geburts stunden; » ad calci geburts stunden biich durch Mari. Pei- » f/H(m, q. V. 248 Scienze Più oltre nel catalogo medesimo (Catalogus li- brorum impressorum bihliolhecae Bodleìanae in Aca- (lemia Oxoniensi voi. Ili, p. 75, col. \) si legge : » PEIGIVS, (Martinus) » Geburts Stunden Biich. fol. Bas. 1572. Pag. 210j lin. 19. Dopo .ir?. » aggiungasi: -Il sig. Conte Alessandro Mortara si è compiaciuto di farmi sapere che quest'edizione ha il seguente titolo: » Anima Astrologiae: or a Guide for Astrologers. being » the considerations oF the Famous Guido Bonatus » Faithfully rendred into English. As also the Choi- » cest Aphorisms of Cardans Seaven Segments, tran- » slated, and methodically digested under their pro- » per Heads. Wilh a New tabie of the fixed Stars, » rectified for several years to come and divers ot- w her necessary lilustrations. A work most useful » and necessary forali Students, and recommended as » such to the Sons of Art. By William Lilly , stu- » dent in Astrology. London, Printed for B. Harris at » the Stationers Arms in Sweethings Rents njear the » Royal-Exchange, 1676 ». Il libro cosi intitolalo è in ottavo piccolo, come il Sig. Conte Mortara mi h-i scritto. Nel catalogo pubblicato dal Sig. Bandinel, quest'opera è indicata sotto BONATVS (Guido) de Forlivio {Vedi sopra p. 156). Più oltre nel catalogo medesimo sotto LILLY (William) si legge {Catalogus lìbroì'itm impressorum Bibliolhecae Bodleìanae in Aca' demia Oxoniensi, voi. II, p. 556, col. 2) : » Anima astrologiae or a guide for astrologers » being the considerations of Guido Bonatus rean- Vita e opere del Bonatti 249 « dred into English; as also the choicest aphorisms »> of Cardan's seaven segments » 8. Lond. 16G7. Il Sig. Paulin Paris nel suo catalogo de'raano- scritti Francesi della Biblioteca Nazionale di Parigi scrive « L'Italien Guido Bonati a fait à peu près » dans le naéme temps un Tnlroductorium, ou Liber » inlroductoriiis ad Judieia Stellarum ; '\\ Y dt àe vaè- » me divise en dix traités. Mais son ouvrage, peut- » étre imité de celui de notre astrologue, est beau- » coup plus compacte. (Voy. l'éditiou imprimée par » Erhard Radolt, (sic) Venise, 1491.) ». { Les ma- nuscrits francois de la Bibliolhèque dit Roi, kur hi- stoire et celle des textes Allemands, Atiglois, Hollan- doì's^ Italiens^ Espagnols de la mème colleclion. Par A. Paulin Paris. Paris. Techener., Place du Louvre., 12, 1836-48, 7 tomi, uì 8% t. V, p. 202. Anciens Fonds N.» 7095, II). II Sig. Paulin Paris avrebbe dovuto dire qui Angsbourg in vece di FeM«se, giacché non in Vene- zia ma in Augusta, città chiamata in francese Àug- sbourg., ed in lingua latina Augusta Vindelicorum^ fu stampato nel 1491 il trattato d'astronomia di Gui- do Bonatti. L'opera della quale il Sig. Paulin Paris dice esser forse una imitazione questo trattato del Bonatti, è scritta in lingua francese, e trovasi mano- scritta sotto il titolo d' Inlroductoire d'astronomie nel codice Anciens Fonds N." 7095 della Biblioteca di Parigi. ( Paulin Paris , Les manuscrils francois de la Bibliolhèfiue du Roi., t. V, p. 201, e 202 An- ciens Fonds N.° 7095, II). Quest' opera fu compo- sta nell'anno 1270, come il Sig. Paulin Paris avverte 250 S e I E N Z E (Paulin Paris^ Les manuscrits francois de la Bibliothè- que du Roi^ t. V, p. 201, Aneiens Fonds N." 7095, li). A pag. 223, lin. 20. In capoverso aggiungasi. — Non so se VHistoria Celebris Gallorum cladls di Gui- do Bonalti ancora esista. E da credere ch'egli nar- rasse in quest'opera il fatto d' armi avvenuto fuori ed entro la città di Forlì il 1. di nnaggio dell'anno 1281 tra il conte Guido conte di Montefeltro, e Gio- vanni d'Appia o dEppa o de Pa, generale di papa Martino IV. Leone Cobelli nella sua narrazione di questo fatto d'armi dice : « Unde Guido Bonatto » confortava quella notte secretamente el capitano » conte Guido a li fatti d'arme, che seria vittorioso. » Poi la matina in publico confortava el populo a » la bataglia conlra Francischi; che senza nullo fal- » lo aria vittoria, secondo l'infruencie del cielo. E » manifestando ipso Guido Bonatto lui essere ferito, » e tutte queste cose ipso Guido Bonatto vide e scris- » se, li quali scritori ebbe maistro Antonio Gotto da » Ravenna : e io levai queste cose da li soi coroni- » che ». ( Appendice alV Archivio storico italiano , t. VII, N. 23, p. 21). Più oltre nella narrazione suddet- ta di Leone Cobelli si legge: « Nota, lettore, tutte que- ») ste cose io l'ò levate e copiale de coroniche molto » ottentiche, scritte per littera in carta pecorina; et M io l'ò iscritte qui volgari. Sie certo-, e per la mia » fé non iscriveria nulla busia, che me paresse a me » bubula : io scriverò la verità comò troverò in li- » bri ottenlichi. Qulsta trovo in una coronica de ») Ravenna : dice che Pavia levata dal proprio quiii- » terno de Guido Bonatto: io credo, ma puro con » li provi de altri coronicatori e istorici, li quali par- Vita e opere del Bonatti 251 << lano defFusamente de questa rutta francisa, e di- » cono »: {A'ppendice aW Archivio storico italiano, t VII, n." 23, p. 27}. Bernardino Baldi scrive: « Aveva » quella notte Guido Bonato grande astroligo con- »' fortato secretamente il conte Guido al fatto d'ar- )» me promettendoli certa vittoria, e il medesimo fe- » ce pubblicare la mattina seguente, eccitando tutti tf e dicendo la vittoria essere certa, ma che egli vi n rimarrebbe ferito; e scrisse il Bonato per via di » croniche tutte queste cose, alle quali si ritrovò pre- » sente, e gli scritti suoi capitarono in mani di An- » Ionio Gotto da Ravenna, da cui l'ebbe quell'antico, » siccome egli afferma , da cui le copiammo noi ». ( Opuscolo inedito di Bernardino Baldi e versi del Conte Terenzio Mamiani della Bovere ^ p. 13 , 14). Il medesimo Bernardino Baldi nella lettera dedica- toria del suo sopraccitato opuscolo a Francesco Ma- ria II Duca d'Urbino, dice : « Che la presente cro- » nichelta non sia indegna di fede raccolgo da molti » argomenti, fra' quali, come l'A. V. può vedere , » non hanno piccola forza i particolari minuti che » vi si contengono, s\ de' tempi e de' luoghi, come » delle persone e degli avvenimenti loro. E non può » dirsi che ella sia senza autore affermandoci chi 0 la fece passare a noi d'avola presa da chi si vai- » se delle memorie lasciate alla posterità da Guido » Bonato Forlivese, uomo in que'tempi, e a' nostri )) molto ben conosciuto ». ( Opuscolo inedito di Bernardino Baldi e versi del Conte Terenzio Mamiani della Bovere. p 13, e 14, non numerate). Probabilmen- te il Baldi intendeva di parlare di Leone Cobelli dicendo quell'antico^ e chi la, fece passare a noi. La suddetta de- 252 Scienze dicatoria del Baldi ha la data dei 14 di settembre 1610. Sigismondo Marchesi scrive [Supplemento istorìco del- Vantiea cìtlà dì Foriti p. 231 , Libro IV). « Intanto » diuolgatasi per tutte le parti d'Europa la no- >» uella di questa rotta diede occasione à molti » Scrittori di Farne honoreuole memoria, con tut- » toche fra di loro varijno alquanto nel raccon- » to, come suole per lo più intrauuenire in quasi ») tutti i fatti quantunque heroici , non tanto per » la diuersità de gli auuisi, quanto per la varietà »> de gli animi, poiché sempre v' è qualcuno, che » condotto dalla passione si lascia taluolta deuiare » dal vero. Io però in questo, lasciata addietro l'I- » storia Martiniana, Facio de gli Vberti, Dante, il » Biondo, il Rossi, et altri molti, c'hò letti, ho vo- »> luto seguitare il Cronista Leone Cobelli, che te- » .stifìca hauerla eslratta da'quinterni manuscritti di » Guido Bonatti, che viueua à què tempi, e si tro- » uò presente alla battaglia, nella quale restò anche >) ferito, come da per se stesso già haueua prono- » sticato ». — Pag. 225, Un. 14. In capoverso aggiungasi — Nel catalogo stampato de'vnanoscritti della Biblioteca Bo- dleiana d'Oxford si legge: Guidonls Bonati liber in- troduclorius ad ludieia Astroriim [Calalogi librorum manuseriptoruni Angliae et Hibermae in unum col- lecti cnm Indice alphabelico. Oxonii e theatro Shel- doniano An. Doni. MDCXCVIL 2 tomi in fog. tomi primi., pars prima.j p. 300, col. 2 , Cod. 656. Li^ hrorum manuscriptorum Bibliothecae Bodleianae clas-' sis JF/, cod. 15). Quest'opera trovasi nel codice Sa- Vita, e opere del Bonàtti 253 villano n." 15 della medesima Biblioteca Bodleiana dalla carta 229 recto alla carta 347 redo. Ne'Catalogi Uhrorum manuscriptorwn Angllae et Hìberniae [Tomi primi^ pars II, p. 148, col. 1, Cod. 1689 Librorum manuscriptorum Domus S. Petri apud Cantabrigiam catalogus, luxla EdUionem D. Tho. la- mesii An. 1600. Cod. 27; si legge: Guidonis lionati de Forlivio opera Astrologica. Più oltre nella secon- da parte del tomo primo degli stessi Catalogi (p. 157, col. 2, Cod. 1993. Librorum manuscriptorum In Aula Pembrochiana Apud Cantabrigiam catalogus luxta Editionem D. Tfio. lamesii An. 1600 catalo- gus cod. 64, num. 3) si legge: Sententiae Guidonis lionati de eodem argumento. Nel tomo secondo de'suddetti Catalogi librorum manuscriptorum Angliae et Hiberniae trovasi un ca- talogo intitolato Librorum manuscriptorum Biblio- thecae Norfolcianae in Collegio Greshamensi apud Lon- dinium Catalogus. .'n questo catalogo sotto il num." 65 si legge: Guidonis Lionati de Forlivio Tabulae ma- gnae Astronomicae (Catalogi librorum manuscripto- rum Angliae et Hiberniae^ t. II. pars I, p. 75. col. 2, cod. 2964). Nel 1836 fu stampato in Parigi, con note islo- riche e critiche, un catalogo fatto nel 1373 da Gilles Mallet de'libri dell'antica Biblioteca del Louvre. In quest'edizione si legge: (Inventaire ou catalogue des livres de Vancienne bibliothéque du Louvre., fait en Vannée 1373, par Gilles Mallet ., garde de ladile Bi^ hliothéque. Précède de la Dissertation de Boivin le jeune sur la méme Bibliothéque., sous les Rois Char- les F, Charles VI et Charles VII. Avec des notes hi- 254 Scienze storiques et criliques. A Paris^ Chez De Bure Frères^ Lihraires de la Bihliothéque Royale, Rue Serpente , N.« 7, M. DCCC. XXXVI, in 8.% p. 100). » 569. Guido Bonat. de Fiorino, de Pluuiis 2 Ymbrib^ •> A maist Regn de Chasteaux, xxiiij de janv. >. iiif" 2 iìj. » (1383.) » Bonalus de Forlì vivoit dans le treizième sìècle. Più oltre nell'edizione medesima si leg^ge: {in- ventaire ou catalogne des livres de V ancienne BìhUo': théque du Louvre^ p. 166 e 167). » 10/6. Introductorius ad Judicia Stellarum, » editus a Guidone Bonato de Follinio 2 al. quid', » escript de Ire bastarde, en latin 2 a deux coul., » et est signe Charles, couut de cuir bl. neuf, a ij » frmoers de laton. » Un manuscrlt de Bonalus, aslrologue qui vivoit dans le trei- » zième siècle, est à la Bibliothéque du Boi, n° 7287. » La signature qui se trouvoit dans ce manuscrit étoìt celle du » roi Charles V. Nel catalogo pubblicato dal Montfaucon de'ma- noscritti della Biblioteca Laurenziana Medicea di Fi- renze si legge [Montfaucon Bihliotheca Ribliotheca- rum manuscriptorum nova^ t. I, p. 298, col. 1.C, Bihliotheca Laurentiana Medicea Pluteus XXIX , num. III). De extractione quarumdam partium in nativi- tatibus ^ et revolutionibus ex tractatu partium Gui- donis Ronacti Foroliviensis. Nel catalogo pubblicato dallo stesso Montfau- con de'manoscritti della Biblioteca del convento de' Domenicani di S. Marco di Firenze, si legge [Moni'. Vita e opere del Bonatti 255 faucon^ Bibliolheca Bibliothecnrum manuseriptorum nova^ t. I, p. 428, col. 2, C. Ex Bibiiotheca S. Mar- ci Dominicanorum Florentìae. Armarium fiuarlum num. 29). Traclatus de particularibiis revoliUionibus. In fine Icgitur: Explicit Traciatus quarumlibet pac- tium projectionum Guidonìs Sonati de Furlivio. Amen. Pag-. 22'J', Ho. 1-4. In vece delle parole Tutta- via questi due versi non si trovano nell'edizioni da me vedute de' tre libri del Verino De illustratione urbis Florentìae^ che sono le seguenti, si sostituisca: — 1\ Moren'i [Bibliografia storico-ragionata della To- scana, t. II, p. 445, 44C, art. VERINI Ugolino, Fiorentino) cita quattro edizioni del suddetto poe- ma d' Ugolino Verino. Queste edizioni sono le se- guenti: — Ivi lio. 13. Dopo In foglio, aggiungasi: — di 43 carte, delle quali le prime quattro e le ultime tre non sono numerate, e le trentasei rimanenti sono numerate nel recto co'numeri 1-36. — Ivi Un. 20. Dopo In 4", aggiungasi: — di 124 carte, delle quali le prime dodici e le ultime do- dici non sono numerate, e le cento rimanenti sono numerate co'numeri 1-100. — Ivi lin. 21, e 22. In vece delle parole dell'opera di Ugolino Verino, De illustratione Urbis Florentiae, si sostituisca — di quest'edizione del Landino [Mo- reni, Bibliografia storico - ragionata della Toscana^ t. IL p. 445, articolo VERINI Ugolino, Fiorentino). — Ivi lin. 24. In capoverso aggiungasi — 4.° D'Ugolino Verino poeta celeberrimo fioren- tino libri tre in versi originali latini de illustratione urbis Florentiae con la versione toscana a confronto 256 Scienze del Poema in Metro Eroico. Terza Edizione. Arric- chila di Perpetue Annotazioni Storiche ed Analoghe al Soggetto. Parigi {Siena) MDCCLXXXX. Due tomi in 4°. Quest'edizione fu procurala, come avverte il Moreni (Bibliografia storico-ragionata della Toscana, t. II, p. 350), dal P. Francesco Maria Soldini Car- melitano. Trovasi in essa una traduzione italiana in versi sciolti del poema suddetto d'Ugolino Verino col testo latino di questo poem a a fronte, e con una Dissertazione del medesimo P. Soldini delle Eccellen- ze., e Grandezze della Nazione Fiorentina a pie di pagina in forma di annotazioni [Moreni 1. e). Nella prima di queste edizioni si legge {Ugo- lino Verini poelae fiorentini de illustratione urbis Flo- rentiae. Luletiae 1583, lib. Ili, carta numerata col num. 35, recto) si legge: lamdudum veteres delevit fama Bonatos. Unius illustris domus est Palmeria laude. Nella seconda delle edizioni medesime [Ugoli- ni Verini poetae Fiorentini De Illustratione Urbis Flo- rentiae. Libri tres. Florentiae., Ex Typographia Lnn- dinea 1636, Liber tertius.^ pagina numerata col num. 90) si leggono i versi seguenti: lamdudum veteres deleuil fama Bonatos. Vnius Astronomi tanctum monumenta supersunt., Prisca sed ignoro fuerit stirpe vnde luseppi. Quiq\ Benis trassit nomen de Rare penates Peretolae diues^ se raro lertius haeres Diuitijs fruitur ? nec auituni possidet Aurum. Vnius illustris domus est Palmeria laude. Di questi seUe versi solamente il primo e 1' ul- timo si trovano nella prima edizione del suddetto Vita e opere del Bonatti 257 poema d'Ugolino Verino. Gli altri cinque versi fu- rono aggiunti nella seconda edizione del poema stes- so , dal tipografo Giovanni Battista Landini, che li trasse dal codice originale di quest'opera, posseduto dal Senatore Carlo Strozzi figliuolo di Tommaso. In fatti il Landini medesimo dice: (UijoUnì Verini poetae fio- reniiui De lllustralione Urbis Florentiae. Libici tres. Fio- rentiae, Ex Typographia Landinea 1636, pagina un- decima non numerata): « Haec quae sequuntur ex ori- » ginali codice correxi , et multa alia eiusdem ge- i) neris, ut ipsemet, veterem impressionem Parisien- » sem, et hanc meam legendo cognosces . . .. IN TERTIO LIBRO )> Item quirnjue nlios versus acldidi. )' Vnius Astronomi, etc. ad versum 90. » I sette versi del Verino da me riportati di sopra (V.pag. 166, lin. 15-21) si leggono anche a pag. 382 del tomo X della raccolta intitolata Carmina illu- strium Poetarum Ilalorum. Sono altresì nell'edizio- ne procurala dal P. Soldini del poema d'Ugolino Verino De illuslratione urbis Florentiae (t. II, p. 142). Nella soprammentovata traduzione in versi italiani del poema medesimo, questi sette versi trovansi vol- tati così [D'Ugolino Verino poeta celeberrimo fioren- tino libri tre in versi originali latini de illustratio- ne ìirbis Florentiae con la versione toscana a con- fronto del Poema in Metro Eroico^ t. II, p. 143); " La fama da gran tempo » Tacque e non fa mensiione dei Bonatti. G.A.T.CXXIV. n 258 S G I E xN Z E n Siam nell'oseurità quanto all'antica » Grigia dei Giuseppi; e sol ci resta » D'un inclito Scrittore la memoria, )> Che visse chiaro nell'Astronomia. » Quello, che dal Contado di Peretola » Il suo soggiorno trasse, e fu Del Bene » Appellato; quantunque di fortuna » Arricchito; secondo il consueto » Non ebbe un terzo Erede, che occupa&se )» Le sostanze, e i tesori già raccolti. » D'un solo illustre e nobile Scrittore » Pe'merti, e la virtù, sono i Palmieri » Degni d'esaltazione, e riverenza ». Pag. 94 , lin. 18-21. Si tolga — Autore di que- st'opuscolo è il Signor Pellegrino Canestri Trotti il cui nome trovasi nella pagina 4, a pie della dedi- catoria — e vi si sostituisca -'— Il sig. Giovanni Ca- sali afferma ( vedi sopra pag. 95 ) essere autore di questi Br&vi Cernii il sìg. Conte Avvocato Giuseppe Canestri di Forlì, il cui nome per altro in essi non si trova. Nelle pagine settima ed ottava dell' opu- scolo medesimo si legge una lettera dedicatoria del »ig. Pellegrino Canestri Trotti, diretta, ^r-. Ivi, lin. 21. In capoverso aggiungasi —^ A. Sulla vita e sulle opere di Guido Bonatti Lettera del Pro- fessore Luigi Maria Rezzi Bibliotecario Corsiuiano. Questo eruditissimo scritto trovasi inserito nel Gior- nale Arcadico ( t. CXXIII, p. 245-259j,e fu anche stampato separatamente, — Baldassarre Boncompagni 259 E^mTTmWLAT'^MM. Qsservazioni critiche sopra il cosmografo rQ.vewiale e gii antichi geograft citati da lui. JLi antico cosmografo, cui gli eruditi cqmuneraente appellano l' anonimo ravennate, dal mezzo in circa dello scorso secolo infino ad oggi ha cjato campo e materia a non pochi dubbi e quistioni varia- mente disputate fra i dotti , le quali possono for- se quasi tutte ridursi a tre capi , 1' età cioè , ed il nome di lui, e le fonti alle quali egli attinse. Se- nonchè rinvenuto nell' antica biblioteca dei duchj di Borgogna per op^ra del celeberrimo sig. jPertz yj^ aa|jco codice contenente il Liber Giiidonis (1), cioè una quasi enciclopedia geografica p storica cpm- pilata( pel secolo Xll, una nuova via fu, aperta allo sciqglirqe^^tp di que'dubbi ed un raggjp di 1^9?; vepnp a riflettersi sull' opera dell' anonimo. Del quale non isp^ratq aiuto teste si y^lsp il chiarissimo sig. C. P. jPjo,cl^ (!^) a rischiarare le psp^irità e tpr di mez^o le incertezze, in che era tuttora i^vyplf^ la cosmografia^ ravenqatp. E uiqqp, cre.dq io, vo^rà negare ch'(^|| (1) Archiv (ter gesellschaft fur aeitere deut^che Geschiclskunde t. FU p. 537—40 a. 1839. (2) Neil' annuaire de la bibiioUì,èq\ic ronale de bclgique a. 1851 Lettres à M. L. Bethmann syt,r un mfiiivscril de la bibliothcque de Bouv gogne etc. Lettera IV. 260 Letteratura abbia assai felicemente in alcune parti rag^giunto lo scopo 5 né poteva certo riuscire a vuoto un esame condotto con tanta sagacità e squisitezza di notizie e di dottrine. Ma pur , se grandemente non erro , una delle proposte quistioni , e forse la principale, quella cioè delle fonti a che attinse il cosmografo, sembrerebbe doversi risolvere con sentenza al tutto opposta a quella, che il lodato eh. autore con pres- soché tutti i moderni eruditi, che a questa inchie- sta talora si volsero , sostiene e difende. M' accingo à pubblicar le ragioni del mio dissenso, perchè par- mi non debba per avventura riuscir inutile questa discussione, oggi che mollo conto si fa di quella cosmografia e che se ne vien forse già preparando una nuova edizione. Accennerò brevemente dappri- ma che cosa sia quel Liber Guidonis ^ che testé ri- cordai , e qual mai relazione egli abbia col nostro cosmografo: poiché di queste letterarie notizie, non mai fra noi divulgale , la maggior parte de' miei lettori non sa forse nulla. Quel codice adunque, che fino ad ora unico al mondo serba 1' opera di cotesto Guidone, inco- mincia con le seguenti parole : Incipit prologus li- bri Guidoni^ composili de variis historiis prò divev' sis utilitatihus lectori proventuris (1). L'autore com- pilava il suo libro circa il 1 1 ì% e sembra fosse cit-^ tadino di Pisa , come con ingegnosissime ed in- vero assai stringenti ragioni il sig. Bock ha voluto '*' '(1) V. de ReiHenlierg nel BuUetin de CAeaO. royale de Belgique 1§43 l.\y /.e partie p. 468 2.'^ partìe p. 73 1844 t. XI 1." partie p. lo. e uoìVJnnuaire de la Hibliothique Iloyale 184 4 /*. 99 segg. Cosmografo ravennate 261 dimostrare (1). L' opera divise in sei libri ; nei tre primi trascrisse notizie geografìclie , ne' rimanenti sloriche. In queste seconde non debbo io qui occu- parmi : ed ancor meno al mio assunto si addice il cercare se ad un fine politico, ciò che il Bock vuole ad ogni paltò , sia stata diretta e consecrata questa compilazione. Le notizie geografiche in gran parte trascrisse Guidone dalla cosmografia ravennate e se- gnatamente dai libri IV e V , ed ecco perchè tra questa ed il libro di lui corre strettissima relazione. Se non che il testo, ch'egli ebbe sott' occhio, è ben altra cosa da quello che noi possediamo datoci in prima dal Porcheron sopra un solo codice parigino, e riscontrato poscia dal Gale e dall' Hudson sopra un secondo vaticauo-urbinate (2). Ma ambidue quei testi il volgalo cioè ed il guidoniano, evidentemente appaiono due diverse recensioni latine d'opera ori- ginariamente greca , e la seconda ha, giusta il sen- tire del Bock , questi vantaggi sopra la prima, che mentre questa appare breviata e per parecchie in- terpolazioni ed in altre guise pur sfigurata , quella sembra intera , e se non al tutto libera, almeno ap- pena rare volte tocca da mano interpolatrice. Che se la cosa è veramente così, assai meglio ne sarà da- to ora di giudicare dell' opera del cosmografo so- pra gli estratti fattine da Guidone, che non per l'ad- dietro sopra il testo breviato e corrotto che aveva- mo alle stampe. Ed infatti dubitavasi primieramente se l'anoni- (1) L. e. lettre III. (2) Geographi graeci minores t. Ili n. VI. 1262 Letteratura roo ravertòàlè dovesse prender nome di Guidone, 'perché Flavio Biondo (1), Antonio Galateo (2), e Ga- briele Barrio (3) allegavano sotto quel nome alcuni ^assi d'un' antica geografia che sembrava cosa simi- li^sima ed anzi tutt'uno coi libri del ravennate. Il Ceretti (4) pel primo mise in campo questo dubbio "ed opinò per l' identità delle due opere, e gli ten- arie dietro gran nùmero di eruditi (5); altri però fa- cendo gran caso delle diiFereni^e che córrono fra il testo del Porcberon ed i passi testé ricordali se'n- "tenziava aì contrariò (6). Ma dietro la scorta del WuòVo codice il sig. Bò'ck ha ^tìr dato fine à que- '4tk coiftrove'rsia di qualùnqife peso élla fosse. Tm- ■perdechè per le notizie premesse ognuno già vede chiaro corele il tìieriggio, altra cosa ess^ere la cosmo- grafia raveVinate, altra il Liber Guidonis\ e che quest'ul- timo vider'ò e lessero que' letterati del secolo XV, i quali We citarono sotto il nome del compilatore (Guidone) l'uno ó l'altro di que' passi appunto che costui avea tràsciitti da ufih versione a noi fino ad 'òrà sconosciuta della ricordata cosmog^rafia Non cosi èenrfph'ci e pfiàriè sono le To^seTvaz^iòni cbè condussero il Bock a determinare 1' età, assai più che il nome Controversa, dello scrittor ravennate. La quale egli (1) Ital. ili. lib. I ed. Taurini 1527, p. 47. (2) De .situ lapyjjiae e nella Epistola Loysio palatino. (3) De antiq. Calabriae lib. 2. (4) Proleg. de lab. chorographica med. aevi ap. Mur. S. R. I. "t. X col. X e segg. (5) V. Ginaiini, Scrittori ravennati t. II, p. 428: e Mordani, Vite di ravegnani illustri. Ravenna 1837, p. 21. segg. (tì) V. D'Astrilo., Mem. pour servir Ji l'iiisloire natiirelle du Languedoc p. 148 e segg. CoSMOGRAro RAVENNATE 263 vien sagacemente argomentando da parecchi cenm che quasi a volo coglie qua e là tra le molte pa- role e frasi del cosmografo , e gli semlsra doverla stabilire in quegli anni appunto del secolo VÌI^ ttfe' quali la sede di Ravenna si tenne in possesso del privilegio d' autocefalia accordatole dà 'Costante l'I, e ben presto poi ritirato, E le difficoltà ci*re oppo- ne vansi da chi ad assai più tarda età voleva abbas- sare il cosmografo dimostra svanire dinanzi al testo della nuova recensione guidoniana. Della quale di- squisizione basti quesito cenno: che il trattarne méa brevemente e 1' imprenderne un qualtrnque esame troppo mi condurrebbe lungi dal mio scopo. Entiiamo adunque nella quistione principale, e cerchiamo delle fonti onde derivano le notizie geo- grafiche che ci ha trasmesse l'anonimo ne'sùoi cin- que libri. Se a lui dobbiamo prestar fede, "poco men che iilfiniti scrittori di geografia egli 'ebbe alle ina- ni; tanti son quelli che quasi per ogni regiotie egfli ricorda; ed è una vera meraviglia il leggere qtiéPla hmga serie di nomi di geografi, non so'lo per "no- stra mala ventura oggi perduti ; nfia éhe néctvldhe agli antichi sembrano essere stati assai noti. Già, chi noi sapesse , viene immaginando che l'anonimo sia stato dai critici accusalo di frode e di ciarlataneria por queste sue tanto meravigliose citazioni; ne man- cò infatti l'accusa, ma non sembra che a questa sia stato fino ad ora dato gran peso. Imperciocché in- fino alla mela dello scorso secolo a niuno cadde in mente mai di porre in dubbio la sincerità del cosmo- grafo; talché non solo con piena fiducia il citarono i più dotti ed avveduti scrittori, ma il Fabricio nel- 264 Letteratura la sua biblioteca latina (1) annoverò senza pur l'om- bra del sospetto tutti q.ue' pretesi geografi, de' quali l'anonimo fa tanta pompa. Primo e solo il Wesse- ling levò la voce contro il ravennate, e negò fede alle citazioni di lui (2): né so veramente che veru- no allora il contraddicesse: anzi lo Scheyb nella sua prefazione alla carta peutingeriana (3) confessa, che benché desiderasse riconoscere in que' tanti geo- grafi alcuni almeno di quelli, a'quali fu da Teodo- sio seniore, com'egli falsamente opinava, commes- sa la composizione d'una nuova carta del mondo pur temendo il giudizio del Wesseling se ne aste- neva. Ed a questo giudizio anche s'attenne il Ti- raboschi (4): ma non forse il sommo Marini, il qua- le francamente scrisse ne'suoi papiri (p. 355J: » Gli » autori persiani, che cita nella sua geografìa l'ano- » nimo ravennate, probabilmente scrisser lor libri » stando in Ravenna nel numero de'perso-armeni ». Ma i dotti, ai quali va debitore il cosmografo di sua fama rintegrata o difesa, sono il Mannert (5) e l'Ec- kermann (6): talché niuno forse oggimai s'astiene dal ricordare seriamente, quando faccia d'uopo, i geo- fi) Lib. Il, cap. 8. (2) Nelle prefazioni alia Diatribe de iudacorum archonlibus, Traiecti ad Bhenum 1738, od ai Fct. Rom. Itineraria, Amst. 1733. (3) Peutingeriana tabula itineraria. Findobonae 1733, p. 28. (4) St. della leu. ital., t. MI, p. 228 (ediz. rom. 1783). (3) Tab. itin. Peutingeriana etc. denuo cum codice Vindob. col- lata emendata et nova. C. Mannerti introductione instructa Lips. i 824, p. 41. Di questo libro conosco solo quanto ne citano parecchi re- centi autori: l'opera istessa non ho potuto avere in mano. (6) ^v:\V Allgemeine Eneyklopcdie dcr If'issenschaften und kiinste di Ersch e Gruber Leipzig 1843. Dritte Section t. XX, p. 14 — 34. Cosmografo rayenì'^ate 265 grafi citati dal ravennate (1): ed il sig. Bock, ac- cennata appena più die di volo l'accusa ed afFcr- tuato essere cosa superflua al tutto ed inutile il far- si di proposito a confutarla, con piena sicurezza si dà a cercare e quasi divinare le notizie delP età e delle opere di que filosofi descrUtori del mondo. Imma- gina egli che i tre goti Atanarid, Ilildebald e Marco- mir abbiano compito loro opere in Ravenna sotto Teodorico, e forse per comando di lui, che non al publico ma agli archivi reali le destinava , dove ebbe a vederle e studi.ule il cosmografo. Casto- rio poi, che fra tutti que'geografi sembra primeg- giare , sarebbe , secondo le congetture del Bock , un apocrisario di s. Gregorio il grande , il quale avrebbe dettata la sua cosmografìa perchè servisse a quel pontefice, ed ai successori di lui, nelle ec- clesiastiche bisogne. Degli altri filosofi lodati dal ra- vennate quasi non fa motto. L'autorità benché gra- vissima di colesti eruditi non vale a stornarmi dal mio disegno di trattar nuovamente l accennata qui- stione, e perfin di sostenere apertamente le ragioni del Wesseling contro al cosmografo: per lo che ven- go agli argomenti. Due furono le ragioni che indussero il Wesse- (I) V. p. e. De Santarem Essai sur l'histoire de la cosmographie et de la cartographie pendini le moyen àge. Paris 1859 t. 1. p. 31. Forbiger Handbuch der alien gcographic aus dcn qucllen bearbeitet. Leipzig 1842, t. I, p. 464, 465, Balli- Geschìchte des Bomischen Lite- ralur Carlsruhe 184S t. II, p. S27. Ma il baron de Schayes, doven- do far menzione di qne'^eofjralì, gli ha risoliUamente dichiarali fal- si ed immaginari [BuUetin de Vacad. de Bruxelles 1843, t. XII, P. Il, p. 73); il Bernhardy ne ha dubitato {Grundriss der Bomischen Lit- teratur. Halle 18.50, l. II, p. 578). 268 IjEtteratura ling a dare il bando alla schiera di geografi dispie- gataci innanzi dal ravennate: primo, perchè le no- tizie che il cosmografo afferma da que' moki autori aver traile sembràvaiigli tutte derivate dalla sola carta peutingeriana; secondamente , perchè di qu'e' geografi, da verun altro antico scrittole j^iammai menzionati, perfin la nomenclatura medesima tradi- sce talvolta l'origine falsa e fittizia. Contro il pri- mo argomento veggo pur dimostrarsi dai critici più recenti, molte regioni d'Europa ben altramente es- ser descrttCe ttella cosmografìa ravennate che non sono nella carta peutingeriana, la quale sembra tal- volta difettosa ed imperfetta verso quella cosmog^ra- fià : al secondo però non parmi che sia stata mai data soddisfacente risposta. L'Ecke^'mann ed il Bock, dopo osservato che il cosmografo trovasi alla pro- va sempre esatto nelle citazioni di libri che noi tut- tóra possediamo, si lengon paghi all'affermare che del rimanente i molti geografi citati da lui furono tenuti per falsi ed immaginari solo pe che niun al- tro v'ha fra gli antichi che ne faccia menzione. E ptìre il Wesiséling non poggiò il suo giudizio So- pra argomento di natura sol negativa: egli avvertì che fra que'tanti geografi, de'quali tutti dovremmo noi credere l'esistenza sulla testimonianza unica e sin- golare dell'anonimo, parecchi ve ne ha di tali nomi forniti che bastano soli a far manifesta la frode. Ri- pigliamo l'esame di cotesta nomenclatura: che potre- mo forse spingerlo assai più avanti che non fece il Wesseling medesimo, Tolgansi in prima dal novero di que'nomi i fi- Cosmografia raveìNnate 267 Geon e Risi (o Rici) (1), de'quali non sa de- finii'e TEckermann (2) in qual lingua abbiamo scrit- to: poiché per le varianti forniteci dall'Hudson (3) apparisce evidente il ridicolo errore di chi lesse sen- za sospetto Geon et Rici in luogo di geometrici phi- losophi. De'rimanenti quello che sopratulto non potèa inghiottire il Wesseling erano il Pentesileo e Mar- pesio descrittori insieme col re Tolomeo della patria delle amazzoni^ ed Ila e Piritoo descrittori quello della Sarmazia , questi dell'intero Oriente. « Ausim quovis pignore contendere^ scriveva il Wesseling, ra- veìinatem ex Penthesilea et Marpesia nohilissimis amà- zonum,^ atque ex Hyla Herculìs et Pirithoo Thesei ami- co^ hos nohis geographos procreasse (4) ». Ed infatti si mandi .piir buono ài i-àveònate l'aver citato il re Tolomeo ; ma chi vorrà poi negare stranissima cosa e dà non doversi così leggermente credere sulla fede di cotesto perpetuo allegatore d'ignoti autori, che non solo fossero questi fregiati in parte di nomi mi- tologici, ma che propriamente i descrittori della pa- tria delle amazzoni avessero i nomi delle principa- iissiraé fra quelle Pentesilea e Marpesia ? Credat iu- daeiis Apella\ io per me tengo per certo che l'ano- nimo, appresi da Giordane e da Orosio, autori assai a itìi cari (5), i nomi di coteste amazzoni, le abbia (1) Cotnplectitur auletn portio Chavi quam Geon et Risi philo- sophi Jfricam appellarunl etc. Lib. Ili, §. 12: (2) L. e. p. 32. (3J L. e. p. 9. (4) Praef. ad Diatrib. de iudaeor. archout. (5) lordanes, De reb. Get. cap. VII, Vili. Oros. lib. I,cap. XV. 268 Letteratura trasformale in fitosofl cosmografi come fece, e tosto il vedremo, di molte e molte altre coppie di storici personaggi. Infatti soggiunge il Wesseling (1): « Cae- teri eius auctores^ etsi plura litteris consignarunt^ ui- hil tamen eorum quae anomjmus impudenter menti- tur ». L'anonimo ci vorrebbe dare a credere Giam- blico e Porfirio aver descritto l'Oriente: i medesimi, aggiuntovi per terzo Libanio e talvolta anche Eu- tropio, parecchie regioni attorno al mar nero, e con Libanio Aristarco la Macedonia e la Grecia. Ma ol- treché di questi celebratissimi autori conosciamo ab- bastanza le opere e gli studi, né sappiamo che ve- runo d'essi attendesse mai alla geografia , chi non vede anche qui quel medesimo vezzo, che ho no- tato di sopra nelle due amazzoni , di togliere cioè una coppia od una terna di nomi scelti a caso in non so quale libro , e farne altrettanti geografi ? Quante volte sia accaduto agli antichi, come accade oggi a noi, di nominare insieme Porfirio e Giam- blico, non v'ha chi l'ignori: né men bene a que'due famosi platonici nemici del cristianesimo s'aggiun- ge terzo Libanio, che ne fu non men dichiarato av- versario. Inoltre i nomi di Giamblico (il giuniore) e di Libanio vanno sovente insieme accoppiati an- che perchè qualche epistola dall'uno all'altro fu scrit- ta e communanza di studi e d'affetti gli strinse in amicizia (2). Del rimanente non potrebbe già nel caso nostro un difensore delle citazioni del cosmo- (1) L. e. (2) V. Fabric, BiU. yraec ed. llarless, l. V, p. 7C1. Cosmografia ravennate 209 grafo ricorrere a quel partilo, a che s'apprese Temo Mai per ispiegare le non meno strane citazioni di quel Virgilio giammalico eh' egli die in luce (1). Se il Catone, il Varrone, il Terenzio ed altri molti citati dal grammatico furono dal celeberrimo edito- re creduti omonimi sì a molti antichi autori, ma di- versi da quelli, ed a bello studio fregiantisi di que' nomi famosi, come fu costume de'letterati nell'evo carolino (2), altrettanto non potrebbe dirsi de'nostri geografi. I quali non fan pompa di nomi assai de- siderati ed accetti ne'secoli quarto e seguenti: e d'al- tra parte egli è indubitato, che il cosmografo li tol- se da libri che ricordavano propriamente gli antichi autori conosciutissimi anche oggi sotto que' nomi medesimi; e la prova sta negli epiteti, di che egli accompagna sempre il nome di Porfirio, chiaman- dolo miseruni , miserrhnum^ ncfandum^ nefandissi^ mum (3). Ma altri anche più chiari indizi, anzi pro- ve manifeste, di cotesto ridicolo modo d'impostura tenuto dal ravennate ne porge la nomenclatura che vengo disaminando: e veramente non so come niuno fino ad ora siasene fatto accorto. / filosofi romani Arbizione e Lolliano, che descrissero tanta parte di mondo e delle cui opere protesta le mille volte il cosmografo aver fatto tanto uso, non sono eglino ap- punto i consoli notati nei fasti all' anno 355 ? Si dirà forse che anche questa omonimia è un caso , una combinazione fortuita, o piuttosto che veramente (1) Class, aiict. , t. V, praef. p. XIII. (2) Ma per queste citazioni v. Bernhardy I. e. p. 3t7. (3) Lib. H, 16. IV. 3. 5. 6. 270 Letteratura i consoli del 3i55 furono colleghi nel sommo onore non meno che negli studi geografici ? Sono certo che non si troverà chi voglia bonamente persua- dersi di siffatte stranissime combinazioni note sol- tanto al nostro cosmografo. Del resto le notizie che abbiamo di que'due consoli ce li presentano sotto tutt'altro aspetto, che di geografi (1). Ma se a ta- luno questo esempio non bastasse, eccogli un altro paio di consoli tolti di peso dai fasti e tramutati per la virtù dpi cosmografo in un paio di geografi. Pro- bjflo e Marcello sono per lui filosofi descrittori del- l'Illirico e della Dalmazia (2). Marcellino e Probipo sono i consoli ordinari dell'anno di Cristo 342. Chiun- que abbia una mediocre notizia degli antichi fasti sa bene, che la differenza da Marcellino a Marcello (parlo de'manoscritti, non de'monumenti epigrafici) è al tiUto nulla: e chi ne volesse una prova, forni- t?^gli dal cpsmografo istesso, non avrebbe che a por mente in que'medesirai paragrafi, ne'quali sono mear zionati questi due consoli, ad un terzo filosofo de- scrit'ore ancli'egli dell' Illirico e della Dalmazia, il quale è appellato prima Massinfio, e poi Massimino. Degli altri nomi di cotesto quasi catalogo di antichi geografi non saprai con pari certezza additare don- de sieno stati tolti, e per qual naodp immaginati e creati, avendoli il cosmografo presi, come sembra, qua e colà alla spicciolata e non come que'primi a (1) V. Amm. Marc XIV. 11. XV. 2. 8. XVI. 6. 8.— Borgliesi, Mem. dell'Ist. di corrisp. arch., t. I, p. 283: e lo stesso presso Gervasio , Osserv. sulla iacriz. onoraria di Mqvorzioi LolUano. Nap. 1846, p. 14, e seg. (2) Lib. IV. 13, 16. Cosmografia ravennate 271 due e tre alla volta, tutti in un fascio. Ben partn^ poter sospettare che de' due descrittori dell' Egitto meridionale Cìjnchrin et Blantasin genere aegyptios il primo debba il suo nome al Ceneri (o Chencri) annoverato fra i re della XVIII dinastia egiziana nelle antiche cronache (1), delle quali qualcuna fa- cilmente insieme coi fasti consolari capitò sotto gli occhi del ravennate. Del rimanente gli esempi ma- nifestissimi di frode e di stupida ciarlataneria, che in queste citazioni di lui noi abbiam discoperti, tolgo- no ogni feidc a tutte quelle altre che sono d'un ge- nere istessQ cplle già riconosciute apertamente men- daci. Ne potrebbesi già, come taluno forse vorreb- be (2), ritìutar quelle citazioni che appaiono chiara- mente fallaci, e non negar fede alle altre, stimando aver talvolta errato il cosmografo per sola ignoran- za, non per ^ngli^ia. Imperocché egli è evidente che 9 bello studio e per sistema l'anonimo viene tessen- do quella tela di finte citazioni, le quali doveano, se- condo il goffo immaginare di lui, conciliare allo scritto ed all'autore grande autorità e fama di pel- legrina erudizione. Infatti al novero delle città di ciascuna jiatria-^ cioè regione o provincia, costante- mente premette l'avviso, paolti filosofi, ma assai varia- mente, averta descritta, de'quali nomina due o tre e talvolta anche quattro, che afferma aver letti, ed uno ne presceglie ^ui strettamente attenersi nel corppir (i) Roncalli, Vetust. Lat. Chron. P. I, p. 63. Cf. Mai, Euseb. Chron. p. 247. (2) Dernliardy 1, e. p. S78. Andres, Orij. e progr. d'ogni leU. t. Ili, p II, pag. 163, 164, ediz. roui. 1808. 272 Letteratura la sua descrizione. Per esempio, delle due Aimenie egli scrive: " Quas diversa» provincias multi descri- « pserunt philosophi, ex quibus ego legi Arsatium » et Afroditianum persos, qui lingua graeca Orien- » tem descripserunt, et Castorium romanorum cos- » mographum , sed non aequaliter nomina veruni » civitates et suprascriptas patrias. Ego vero secun- » dura praefatum Castorium etc etc. (1) ». E così per ciascuna provincia sempre sullo stesso metro. Ora oltreché questa uniformità sistematica di stra- nissime citazioni chiaramente rivela un inganno or- dito dal cosmografo, non una serie di errori ne'quali sìa egli semplicemente caduto, ecco che senz'altro il teniamo reo manifesto di apertissime menzogne. Fra que'raolti autori, ch'egli non cita comunque, ma so- vente protesta aver letti, sonovi anche Arbizione e Lolliano, Marcello e Probino, i quali io ho pur ora dimostrato essere stati non geografi ma consoli or- dinari: sonovi inoltre e Piritoo ed Ila, e Porfirio e Giamblico e Libanio, ed in breve tutti quelli scrit- tori, che ho accennato o non esser giammai esisti- ti o giammai avere scritto di cosmografia. JNè si tien pago a menar vanto d'averli solamente letti : pre- tende inoltre darcene gli estratti ed esattamente ri- produrne le indicazioni, di guisa che l'Egitto, per esempio, egli cel descrive come il descrisse Lollia- no, la Tracia ed altre regioni attorno al mar nero come Libanio, la Macedonia la Grecia come Ari- starco, e via discorrendo. Dopo ciò non potrò dav- (1] Lib. !1. §. 12. Cosmografia ravennate 273 vero sembrar temerario aftermando che il buon ra- vennate fu non meno ignorante che mentitore. Né punto scemerà la forza del mio argomen- to se all'esame della nuda nomenclatura aggiungerò quello delle cose riferite sotto i nomi de'citati geo- grafi. Quella tanta pompa di cosmografi o di co- rografi, che assai variamente descrissero il mondo o le diverse patrie nel mondo contenute, non ad altro per lo più alfine riesce, che ad un catalogo di no- mi propri di città, borghi, stazioni postali, mescola- tivi talvolta a contro senso nomi sia di fiumi, sia di monti , che ogni sensato lettore intende esser tolti semplicemente da una antica carta o mappa gene- rale del mondo. Delle quali molte ebbero corso pri- ma nell'impero romano, e poscia in tutto l'Occiden- te invaso dai barbari, cominciando dal celebre Orbìs pietus di Agrippa fino a quelle che delineavansi an- cora ne'tempi carlovingici (1): e ne hanno trattato parecchi recenti eruditi con tanta critica e dottrina, che mi parrebbe imperdonabile vanità l'arrestarmi qui ad enumerarle (2). Del rimanente anche l'Ec- (1) V. Lib. Pont, in Zacharia §. XVIFF. Einhard. FU. KaroU Magni 33. Ann. Berlin, a. 842, ed il Preller néiV Arch'àologische Zeitung di Gherard 1850. Vili. 237—238. (2) V. sopra tulli il Ritschl nel Rheiniscìies Museum fùr philologte Neue Folge, t. I^ p. 481 — 523. Avvertirò soltanto che la tavola teo- dosiana, della quale abbiamo contezza per ì versi dedicatori! di Se- dulio conservatici da Dicuil (Burnì. Antb. Lat. L. V, ep. 115), ed ommessi nella bella edizione romana delle opere di quel poeta data dall'Arevalo, non può certamente spettare al seniore Teodosio, ma al secondo ; ed anzi fu precisamente compita nell' anno di Cristo 435, perchè la frase terquinis aperire fascibus annum, quando anco si voijlia cangiare il fascibus in fastibus, non altro polca significare G.A.T.CXXIV. 18 274 Letteratura kermann confessa, che l'anonimo dee aver avuto di- nanzi agli occhi una di coleste mappe del mondo, e nega soltanto al Wesseling che questa sia stata la peu- tingeriana, la quale egli dimostra non solo talvolta diversa, ma anco meno perfetta di quella che servì al ravennate. Che se in questa sentenza si conviene ora da tutti, qual mai servigio adunque hanno pre- stato que' tanti geografi alla nostra cosmografia , e quali notizie le hanno fornito ? Non le generali no- zioni cosmografiche, per le quali non fu mai dall'a- Qonimo invocata la loro autorità; e meno anche in-p dicazioni esatte di corografia, delle quali è somma penuria nell'opera del ravennate. Vero è che nella recensione guidoniana, oltre quell'elenco geografico di nomi propri, incontrasi qualche cenno risguar- dante sia gli abitatori, sia le più cospicue metropoli d'alcune regioni o province: ma cenni son questi di natura spesso storica anziché corografica, e derivati da tutt'altra fonte, che dalle sognate opere di que' pretesi geografi. Imperocché, per quanto vediamo negli estratti che sono in luce di quella recensione, siffatte notizie risguardano per lo più le condizioni e gli avvenimenti dell'età che corse dopo il secolo quarto ed il quinto; laddove que'geografi sarebbono almeno in parte personaggi o scrittori vissuti assai prima. Infatti di Calcedonia, a cagion d'esempio , narra il cosmografo riposarvi le ceneri della martire Eufemia; in Atene ricorda il Partenone trasformato a que'terapi, che il decimoquinto consolato ordinario (ed appunto nei 435 fu console la decimaquinta volta Teodosio il giovane), non mai l'anno quintodecimo dell'impero di Teodosio il grande. CoSMOGRAFrA RAVENNATE 275 in basilica dedicata alla Vergine (1): ne queste no- tizie poteron dargli Libanio ed Aristarco, che furou da lui prescelti a guidarlo, quegli nella descrizione delle province che sono attorno al mar nero, que- sti in quella della Macedonia e della Grecia. Così avea anco già avvertito il Wesseling (2), ch'egli fa descrivere assai soltilmente a Libanio il paese degli Onogori, de'quali il Sofista non potè avere contezza. Ma saran poi veramente dettato originale del raven- nate quelle notizie, che leggonsi nella sola recen- sione guidoniana e mancano alla volgata; o non do- vran piuttosto tenersi in conto di aggiunte ed inter- polazioni, dalle quali appena accade mai, che siffatte opere sappiano difendersi e liberarsi? Io per me for- temente ne dubito; e d'altra parte veggo consentire tutti in tenere per più o meno interpolato l'uno e l'altro testo. Del rimanente que' geografi sono co- stantemente citati appunto là dove sarebbesi do- vuta citare la carta, e questa, che è stata la base di tutto il lavoro, neppure una volta sola è nominata. Né vale l'insistere sopra alcune indicazioni e noli- zie intorno a parecchie regioni d'Europa, che non possono essere derivate dalle antiche carte romane. Potè l'anonimo far uso d' una carta alquanto, per così dire, ammodernata, e corretta in qualche par- te secondo che richiedevano i grandi rivolgimenti (1) Alliene philosophoriim et oratormn quondam genilrix in qua (iivìnum lumen atque inexllngiiiljile non in tempio quod pro- pilie olim a lasone rege Dei Genitrici semperque Virgini Mariae conditum, miro sumplu miroqiie lapide est ut cernitur. (Lili. Guid, fpi. 33. V. ap. Bock 1. e). (2) L. e. >276 Letteratura avvenuti in Europa; né volli io mai negare, che oltre alla carta anche ad altre fonti abbia egli attinto; le quali però non ha voluto giammai sinceramente ad- ditarci. Imperciocché non già per soli cotesti paesi d'Europa mette egli in campo la numerosa sua schie- ra di geografi, ma per l'Asia e l'Affrica e per quel- le regioni, massime orientali, d'Europa, ch'egli descri- ve, né più né meno, secondo che leggeva e vedeva nella vecchia carta romana, non ne produce in isce- na meno di ventidue. Che se tutto questo non ba- sta a dimostrare vana e mendace l'erudizione del- l'anonimo, non so quale impostore non potrà tro- vare credenza presso gli eruditi. Ma quel Castorio cosmografo romano, cui l'a- nonimo più che a qualsivoglia altro si attenne e segui, ha oggimai acquistalo tanta rinomanza ed autorità, che non debbo forse presumere d'averlo si facilmente abbattuto con un colpo comune a tutti gli altri; perchè non sarà opera male spesa il disaminarne di proposito la causa. L'Eckermann (1), avendo l'occhio a que'moltissimi luoghi, ne'quali l'anonimo confessa tener dietro a questo Castorio, opinò aver lui com- posta una carta generale del mondo, aggiuntavi una esposizione della medesima; nella quale sentenza con- viene, almeno in quanto alla sustanza, anche il Bock, le cui congetture ho di sopra brevemente accennate. Nel codice del Liber Guidonis se ne vede anche l'ef- figie in miniatura (2) ; ma questo non sarà davvero (1) L. e, p. 33. (2) É siala riprodotta in bellissimo fac-simile a colori dal sig. Dock in fronte alle sue quattro lettere. Cosmografia ravennate 277 un argomento per asserire la realtà di sua perso- na. La ragione potissima, che parmi potrebbe pro- dursi in favore di lui, è la descrizione d'Italia, o per meglio dire della divisione di questa in diciotto province, che pretende il cosmografo aver appresa da quel celeberrimo filosofo romano. Qui ci trovia- mo dinanzi ad un ordinamento delle province d' Italia che non è quello delle diciassette province, indicate dalla notizia dell'impero (1), non quella del- le diciotto descritteci da Paolo diacono (2), né quel- la di qualsivoglia antica carta o scritto di geogra- fia pervenuto intìno a noi; è una divisione territo- riale, della quale nulla sapremmo senza il nostro co- smografo, e che pur nondimeno non solo non sem- bra meritare d'esser rifiutata per falsa ed immagi- naria, ma al contrario esattamente risponde alle nuo- ve condizioni politiche in che trovossi l'Italia dopo la guerra gotica di Giustiniano. Imperocché invase dai barbari le due Rezie, e con le alpi Graie anche le Cozzie , e distaccate dall'Italia le sue isole (3) , undici o dodici sole province rimanevano a questo nobilissimo centro dell'impero un dì romano, allora bizantino. E pure mal dovea soffrire la vanità dei greci imperanti che il numero delle diciotto famo- sissime province tanto si restringesse, quando essi erano anzi usi moltiplicarle col dividerne una in più, e ristorare cosi in apparenza le vere gravissime per- dite, per le quali l'impero ivasene di giorno in gior- no in dileguo. Questa osservazione giustissima ha (1) Notit. Occid. cap. 2, ed. Docking, p. 9. (2) Hist. Laiiy. Il, 14 e seg. (3) V. Rock 1. e. lettera IV. 278 Letteratura fatto riconoscere al Bock per vera e post-glustinia- nea la nuova divisione d'Italia indicata dal nostro cosmografo, nella quale il numero delle diciotfo pro- vince è conservato, ma comprese son queste tutte dentro il continente, escluse le due Rezie e le alpi Cozzie. Stimo opportunissimo il tiascrivere dalle let- tere del sÌQ. Bock, e soggiungere al fine di questo mio scritto, il testo della recensione guidoniana com- parato con quello del Porcheron , poiché questo è tanto guasto e difforrnato che ninno fino ad ora aveva sapulo giovarsene e trarne verun partilo^ co- sicché l'importante notizia di cotesta nuova divisio- ne d'Italia ci viene ora per la prima volta fornita dal Liber Guidouis. E volendo agevolare il confron- to della vecchia e nuova divisione d'Italia, aggiun- gerò la descrizione delle antiche diciotto province romane, come l'ho io letta nelle Collellanee d'Albino 5co/are, seibateci dal solo codice otloboniano- vati- cano 3057 (1); la quale sebbene inedita, non è al- tro che un compendio di quella, cui detto od inserì Paolo diacono nelle sue storie. Questa pellegrina ed importante notizia fornitaci dal cosmografo a nome di Castorio potrebbe per avventura sembrare a ta- luno un argomento per asserire la realtà di quell' autore e l'età in che vuoisi ch'egli vivesse, cioè il secolo VI dell'era volgare, se non avessi già avver- tito e fatto palese il mal vezzo del cosmografo d'a- scondere sotto il velame di falsi nomi le vere fonti, alle quali egli attinge. E che l'allegazione della co- fi) Sopra questo codice v- GalleUi, Vita del card. Passiono!, p. 232-— 5; e Mai, Spicil. Roin , t. VI, p. XII, e seg. Cosmografia ravennate 279 smografia di Castorio entri anch' essa in questo si- stema di false citazioni, e non sia piuttosto da Con- ^ìungere a quelle poche che trovansi alla prava esatte e sincere, basta un leggiero esame dell'opera del ravennate per divenirne persuaso e convinto. Le vere citazioni di lui risguardano l'uno o l'altro pas- so, l'una o l'altra notizia estratta da libri e scrittori per lo più ecclesiastici, come Orosio, Isidoro ispa- lense, il Pseudo - Atanasio, pel quale s'è fatto tanto remore (1), ed altri simili; le false sono, come dis- si, costantemente premesse a que'catalogi di nomi piopri, eh' egli unicamente o quasi unicamente vien tr<'«crivendo da una antica mappa generale del mon- do. Ora Castorio fa appunto nella cosmografia ra- venaale quella medesima comparsa che Arbizioue e Loll'ano, Libanio ed Aristarco, e gli altri de' quali sopni abbiamo ragionato; come di Lolliano per esem- pio v'è scritto: » Cuius Aegijpli patriae descriplores » muìti fuerunt philosophi, ex quibus legi Cpichrin » et Blantasin genere aegyplios meridianae partis » descriplores^ sed et Lollianum romanorum cosmo- » grapkum etc. Ego aulem secundum praedictum » Lollianum eie. (2) : » e segue un novero di no* mi trascritti dall' antica carta; così e non altrimenti vien citato ad ogni passo Castorio non meno per le regioni orientali che per le occidentali. Inoltre suo- le egli soprattutto venir accompagnato coi romani cosmografi Arbizione e Lolliano ed esser terzo fra cotanto senno: la qual compagnia non c'invita cer- (1) V. BereUi I. e. col. IX, e seg. (2) FJb 111,2. 280 Letteratura. to a tenerlo per personaggio vivo e reale. Infine se il cosmografo volea additarci Castorio qual vero au- tore della carta, di che egli servi vasi, non avrebbe giammai dovuto allegar questa carta medesima sot- to nomi falsi ed immaginari; e poiché fece sovente cosi, mostrò col fatto ch'egli volle tenerci al tutto ascosa la vera fonte della sua cosmografia [^). Cav. Giovanni Battista De Rossi (1) Aveva io compite queste mie osservazioni quando mi giui- se un nuovo scritto dato pur ora alla luce in Germania (nelle le- riehte der K6n. Sachs. Gesellschaft der TVissenschaften IS febriar Sitzung der philolog. histor. Classe) dal mio oh. amico sig. Teodoro Mommsen e da lui medesimo cortesemente inviatomi, nel quale, con quell'acntezza d'ingegno e criterio finissimo che gli è tutto projrio, toglie ad esaminare la cosmografìa del ravennate , e segnatanenle que'paragrafi cherisguardano Tltalia meridionale. Egli viene soprat- tutto investigando quale e di qual forma fosse la carta cosmogra- fica, che l'anonimo ebbe senza dubbio innanzi agli occhi, e dimo- stra perfino come possa quella anche oggi ricomporsi col solo stu- dio de' libri del ravennate; e ne porge un saggio col riprodurne la sezione dell'Italia inferiore. In quanto ai nostri geografi accenna farne all'incirca quella stima che ne fé il Wesseling: ma non entra a discutere di proposito questo argomento, di guisa che ho potu- to dare allte stampe la mia memoria senza avere a ripetere cose già dette e preoccupate da altri. Anzi con tanto miglior animo mi sono accinto a publicarla, quanto pili vedevo confermala la mia opinio- ne da un sì autorevole consenso, e pareami che il mio scritto, qua- lunque egli siasi, svolgendo quel lato della quistione, ch'era rimasto poco men che intatto, potesse per avventura condurre quasi a com- pimento e pressoché all'ultimo termine la controversia nata intor- no alle fonti della cosmografia ravennate. I Cosmografia ravennate 28f1 EX COLLECTANEJS ALBINI SCHOLARIS IN CODICE OTTO BON I ANO VATICANO 3057, F. 139, i{. Excerptum de historia ecclesiastica (1). talia dicitur ab italo rege hec et ausonia nua^ (1) Non saprei additare l'autore od il libro della Storia eccle' siastica donde Albino trascrisse questo brano geografico. Nella stes- srssima guisa cotesta Historia ecclesiastica, così appellata per anto- nomasia, è ricordata a capo d'un altro Excerptum in una compila- zione del secolo XII intitolata dall'autore Liber politicus, delia qua- le io mi propongo dar quanto prima una piena ed intera notizia agli studiosi degli scritti de'tempi di mezzo. Questo brano geogra- fico leggesi anche sotto il titolo Excerpta de hystoria ecclesiastica nel celeberrimo libro censuale di Cencio Camerario: e poiché nel- le apostille e perfin negli errori, quelli cioè che sono della recen- sione non dell'amanuense, corrisponde a capello con le collettanee d'Albino, parmi evidente che da queste fé passaggio nel libro di Cen- cio. La qual cosa è pur degna d'essere avvertita , poiché entrerà nel novero di que'non pochi argomenti, che ci debbono persuadere molti documenti e molte memorie aver Cencio trascritte dalle col- lettanee d'Albino. Questo medesimo Excerptum non so se dal libro di Cencio o da quello di Albino fu anche trascritto nelle copiose Gollettanee del cardinal Niccola d'Aragona (nell'ottimo esemplare del- la biblioteca di Dresda cod. F. 18 è al f. 89); di guisa che sembra nell'età di mezzo fosse tenuto per uno de'più autorevoli documen- ti che aver potevansi dell'antica geografia d'Italia. Paolo diacono inserì nella sua storia una descrizione delle diciotto province ita- liane, della quale questa nostra è un compendio ed una storpiatura, come apparisce evidente dalla ragione che vi si dà de'nomi delle vie flaminia, aurelia, ed emilia. Un altro assai migliore compendio, se pur non è un testo originale ed indipendente da quello di Pao- lo diacono, leggesi in un prezioso codice del secolo X della biblio- teca reale di Madrid , e ne debbo la notìzia alla rara cortesia del dottissimo e chiarissimo signor dott. Bethmann. Ivi alla enumera- zione delle province ed ai cenni sopra i confini di ciascheduna sog- 282 Letteratura cupatur ab auxo (1) ulixis filio. Italia ergo patria sive regio romanorum a cirtio in eurum extensa habet ab Africo tirrenum mare, et a borea adriati- cum sinum, ab occidente auteoi obicibus alpium ob- ruitur. porro aipes a gallico nuari super ligusticum (2) sinum exurgentes primo narbonensium fines^ demum vero galliam rethiamque secludunt, donec in sinu liburnico (3) defingantur. Habet et italia provincias XVIII, quarura prima histria nuncupatur, secunda liguria a leguminibus vocitatur, quorum ferax esse probatur, in qua est mediolanum atque papia. Ter- tia rethia prima, cui conectitur rethia II inter alpes constituta. Quarta alpes gothie a gotio (4) rege di- cuntur. Quinta vero provincia alpes golie (5) nun- cupatur, in qua ianua civitas sita est. Sexta quoque provincia tuscia nominatur, in qua Roma consistit, giuntesi i] solo e nudo novero delle principali città; delle notizie etimologiche, che leggonsi in Paolo diacono, non v'è traccia veruna. E poiché queste appunto sembrano, direi quasi, il ricamo aggiunto dallo storico all'antica notizia delle diciassette o diciotto province italiane, che inseri ne'suoi libri, io vo congetturando, che il testo «lei codice di Madrid sia l'originale ch'ebbe sotto gli occhi Paolo medesimo. Della qual congettura sarà giudice, senza t'alio, competen- te il lodato eh. sig. dott. Bethmann. (1) Jusono Paul. Diac. II. 24.; nel codice di Cencio ^uso. Que- ste prime parole sono un compendio del capo 24 1. o. di Paolo diacono. (2) Ligusticum. (3) Defìgantur. Dalle parole a cirtio (circio) in eurum fino a defigantur tutto è trascritto dal capo II del libro I delle storie di Orosio. (4) Cottiae a Cottio. (5) Per errore ripetesi qui due volte la stessa provincia, qnan- ^o doveasi con Paolo diacono 1. e. 15. 16 porre quarta la Rezia seconda^ e quinta le alpi Cozzie. Cosmografia ravennate 283 cui adlunjrltnr imbria (1), in qua est perusium et spoletum. Septima autem provincia Campania ab ur- be surait initium et perslringit (2) usque ad siler flurium. habetque opulentissinrias urbes capuana at- que neapolim. Bricia (3) provincia a quadaoa ipsius regina provincie vocatur. Octava est lucania cui con- iungitur bricia sile (4) fluvio usque ad fretum si- culum superiora tirreni marìs perstringens (5), in qua petulanius (6) et regium posile sunt civilatcs. Nona vero provincia in alpibus appennini sita est. Deci- Kia autem emilia nominatur: hec incipit inter alpes appenninas et pergit iuxta padi fluenta versus ra- Tennam; et hec locupletibus urbibus decoralur, pla- cenlia, paima, bononia, et cornelii foro, quod modo castrum imolas appellatur. Undecima autem flaminia vocatur (7) etest inter appenninas alpes et mare adria- ticum posita et iu ea sita est ravenna. Duodecima ve- ro est picenus habens ab austro appenninos monteset ex altera parte adrialicum mare, et porrigitur usque ad piscaniam (8). Appennine autem alpes per me- diani italiam pergentes a punicis, hoc est ab exercitii (1) Umbria. (2) Perlingit. (3) Brulia. Queste parole dovrcbbono ussero soggimilc alla i*i- tlicazioiie della oliava provincia. (4) Briitia a Silere. (3) Il codice di Cencio retlamenle ha pertingcns. ((») Pestiis el Laaius. Paul. Diac. I. e. 17. (7) Al margine sono scritte a guisa di postilla le seguenti pa- role: Flaminia auvelia et emilia a coniractis viris qui romam ve- nerunt vocabula traliunt. Paolo Diacono 1. e. cap. 19 a constratis viis (juae ab urbe Roma veniuul el ab eorum vociìbvlis etc. (8) Piscarium (flnmen). 284 Letteratura annibalis, qui per eas transìtum habuit vocitaiitiir/ Terlia deeima quoque provincia valerla nuncu- palur cui est adnexa nuisia. llulus et pars occi- dua etrurla nominalur. Quarta decima vero provin- cia (1) sannium a piscaria Incipit et Inter campa- niam et mare adriaticum pergit, huius caput est Be- neventus civltas. Quintadecima autem apulia est, con- sociata (2) sibi Calabria, habens opulentas urbes lu ceriam, sipontum, sanuslum (3), Brunduslum, atque tarentum. Sexta decima vero silhllia (4) est, que mari tireno seu iolico alitur (5), Septima decima autem Corsica est, et octava decima Sardinia (6) nuncupatur, Sciendum tamen est, quod liguriam et partem ve- nelie et emiliam atque flamminiam veteres ystorio- graphi galliam cisalpinara appella vere. Siquidem an- tiquo tempore brennus, qui apud urbem regnabat senonensem, cum trecentls mllibus gallorum ad ita- liam venit, et eam usque ad senogalliam, super mare adriaticum sitam, occupavit, et ibi ab invicem sepa- rati sunt galli. Quorum centum m lilla delphos ad- euntes grecorum gladiis perierunt. Alla vero centum milia intra greciam remanentes priraum gallo gre- (1) Al margine come sopra Samnites ab astis quas [erre soliti erant vocanlur. Hasta cnim greco scnna (Paolo Diac. 1. e cap. 20. Sa- mia) vocila t a est. (2) Parimenti al margine, dintlia a perditore (Paolo D. 1. e. 2i. perditione; così anche il codice ili Cencio) cognominatur, celeriter enim ibi solis fervore virentia perdunlur. (3) Il codice di Cencio rettamente Kanusium. (4) Al margine Sithilia (nel codice di Cencio Sicilia) a Siculo duce denominatur. (5) Tyrreno seu ionio alluilur, nel codice di Cencio ionico. (6) Corsica a duce suo cor»o et Sardinia a Sardo Iferculis filic denominatur (al margine). Cosmografia ravennate 285 ci a candore corporìs, postea vero galalhe idem sunt appellati. Hii ergo sunt quibus scribit apostolus Paulus: alia autem centum milia in ytalia reman- serunt ticinuraque, mediolanum, perganum, et bri- xiam construentes cisalpine gallie nomen dederunt, unde gallia transalpina que ultra alpes habetur et gallia cisalpina, que infra alpes est, vocitatur. LI BER GUIDONIS (1). Fol. 5. V. 6. R. 9. R. Sequitur omnium nobilior. amoenior. fertilior. ditior atque potenlior. italia generaliter tota. Quam quidera pluiimi non solum descripsere. sed et lau- dabiliter ac triumphabiliter cecineie philosophi. tani greci quam et latini, nec incongrue quippe totius mundi monarchia m. obsequiumque urbis (2) ac ple- nitaminem. sola in (ea ?) domina et regina omnium urbium. Roma sortita est. Hanc ego iuxta philosophum castorium expo- sui. continentem intra se famosissimas atque victri' ces provincias decem et octo quarum nomina sub- ter anexa sunt. Prima igitur provinciarum italie Liguria est. ubi conslructa cernitur mediolanus nobilissima urbs in qua sanctisslmus requiescit ambrosius. (1) Riproduco il testo quale <'; stato dato in luce dal BocU, se- gnando in nota soltanto qualche emendazione necessaria ed evideiiT le, e qualche breve cenno sopra ai luoghi più oscuri e depravati. (2) L. orhis. 286 Letteratura Secunda histria cum neustria, que veneliarua) antiqua dinoscitur. Teitia propinqua predicte lifjurie transpadine ob constructani viam a romanorum consule emilio provincia emilia est. Quarta ad sinuni nciaris adriatici est provincia flaminia que et ipsa similiter a constructa via per consulem flaminium tale nomen sortita est. In hac circa potentissima et aulhentica urbiuni sita consi- sti! ravenna. in qua requiescens presul et martyr apoUinaris. Quinta provinciarum italie annorica (1) penta- polensis est super quam regio est que castellano- rum (2) appellata est ab antiquis. Sesta a maris sinu Adriatici, iuxta prescriptam pentapolim provincia picinum (3) spoletii saucien- sis (4) est. Septiraa provincia dardensis (5) est. (J) L. Annonaria. (2) Il testo del Porcheron leggesi Castellorum. Questa regio- ne è al tutto sconosciuta. Il Mommsen 1. e. p. 105 congettura che possa essere l'antica Umbria. (3) L. Piceniim. (4) 11 testo del Porcheron ha Sacensis, ma chi saprà dire che nome sia questo ? Il eh. Dock stimò potersi forse correggere il Sau- ciensis in Sabinensis [Savinensis), poiché la provincia Sabinense è molte volte ricordata nelle epistole di s. Gregorio il grande. Ma converrebbe provare che Spoleto fu in questi tempi capoluogo del Piceno e della Sabina^ e perciò la provincia ebbe l'appellazione di Picenum Spoletii Sabinensis, come nel testo del Porcheron la Cala- bria è detta Briniicensis, la Flaminia llaveimalis, e la Campania Ter racinensis ec. (5) Il Bock osservando, che il solo Brutium manca qui al no- vero delie diciotto province , e che (juesto nella recensione del Porcheron è appellato Pritas liegiensis, credette , che sotto questo Cosmografia ravennate 287 Octava coniunctam habens sibi iapijjiam a su- periori id est occidentali plaga, et a superiori id est orientali regioneni salentinam que et locria an- tiquitus dieta est. provincia Apulia est. quam alii ob nimiam fertilitatena omnium copiarum epulìa pro- nunciant quasi epulum id est prandiura paratum omni tempore. Nona Calabria , que primitus ab antiquis brita- nia dieta est ob immensam afìfluentiam totius deli- tie atque ubertatis, hec a superiore parte sui. a ma- re magno gallico, seu tynrenti in adria(ti)cum prò- tractum provinciam habet lucaniam. que autentico nomine, id est greco leucania dicitur. Decima quippe describitur in nullo inferior da- psilitate copiarum apulie vel Calabrie, sed raagis abundantior. que scilicet leucania ob nitorem prò-» spectus sui tale nomen sortita est. Undecima provincia italie est. samnium nobi- lissima, ut retro redeam in qua est Beneventus. lia- bens sibimet marsorum regionem connexam a de- stro romam euntibus latere. Duodecima est Campania venustissima omnium fertilissima atque famosissima in qua est excelsior urbium capua. Tertia decima luscia nobilissima est. Quarta decima nursia. inintelligibile nome di provincia Dardensis debbano necessariamente ascondersi i Bruzzii Megiensi. Il Mommseiin 1. e., ponendo mente alla provincia Demrsis ricordata dal testo del Porcheron ed alla Valeria eum Nursia di Paolo Diacono (11.20.), tentò emendare il Dardensis o Denersis in de Nursia (provincia). Ma la decimaqiiarta provincia non è ella la Nursia in questo testo medesimo ? 288 Letteratura Quinta decima numantia (1) in qua eapud lo- tius mundi preminet Urbus Roma. Se(x)ta decima etruria que et tursdinida (2). Septima decima Umbria. Octava decima vintimilia ripariolum linensis (3) que et maritima. ANONYM. RÀVENN. EDIT. PORCHE RON Lib. IV. cap. XXIX. Item litus raaris Gallici, ad frontera suprascri- ptae provinciae Septimaniae, iterum ad frontem su- prascriptae antedictae Burgundiae , est patria nobi- lissima et omnino fertilis quae dicitur Italia. Quam Italiam plurimi descripserunt philosophi, ex quibus ego legi multoties dictum Castorlum et Lolianum atque Arbitionem Romanorum philosophos, et supra- scriptum A(tha)naridum et Eldebaldum atque Mar- comirum Gothorura philosophos: sed non aequali- ter praefatam exposuerunt patriam, vel eiusdem pa- triae, civitates non consonanter nominaverunt, sed alius dixit aliter, alius dixit alio modo. Sed ego se- cundum praenominatum Castorium, praedictara Ita- liam, ye\ eius civitates nominavi. Quae Italia habet infra se provincias famosissimas decem et octo, id est, Liguria , provincia Venetiarum , Hystria. Nam iterum per imperialem estratam, suprascriptae pro- (1) Confesso non sapere che cosa sia questa Numantia. (2) L. tyrrhenia. (3) L. lunensis. Cosmografia ravennate 289 vinciae Liguriae Transpadinae est provincia , qiiae dicilur Aemilia, et ad mare Adriaticum est provin- cia Flaminia ravennatis ; item Annonaria Pentapo- lensis est super ipsam Penlapolim, id est provincia Casteliorum, quae ab antiquis. Item ad mare ma- gnum Adriaticum , inita prefatam Pentapolim , est provincia Spolitium Sacensis , item provincia quae dicitur Calabria Brindicensis. Gyrat autem ipsa Ita- lia, id est de Adriatico mare in Gallico a provin- cia Pritas Rigiensis. Nam et est provincia inter Adria- ticum mare, et Gallicum media, quae nunc Bene- ventanorum dicitur patria; iuxta vero mare Galli- cum, est provincia Italia, quae dicitur Lucania. Item provincia in ipsa Campania Terracinensis; item pro- vincia Romae Tuscia, item provincia Maritima Ita- lorum, quae dicitur Lunensis, et Vigintimilii et ce- lerarura civitatum. Quae provincia iuxta mare Gal- licum , confìnalis existit de suprascripta provincia Septimania. G.A.T.CXXIV. 19 ^^0 Sul colle tiburtino. Lettere di Staìiislao Viola al cavalier Salvatore Betti. LETTERA I. Signor cavaliere onorandissimo, I l vetusto colle tiburtino non mai intramelte recarci di che nutricare la mente intorno alle cose antiche; e sebbene il nostro animo da alcun tempo impedito sia di ricercarlo dove per avventura la speranza non rimarrebbe delusa , pure il caso ne aiuta tratto trat- to. A V. S. assai volte io prometteva , che quando avverrebbe colai fortuna , non avrei indugiato di rendernela saputa , particolarmente intorno ai mo- numenti scritti , dei quali mi adopero per elezione di studio. Eccomi pertanto alla parola. Non le spia- cerà , spero , se nel comunicarle essi monumenti, vi aggiunga il commento che mi parrà acconcio , e parimente v'incarni il mio pensiero, qualunque si sia, ancorché si tratti di monumenti già tocchi o di- chiarati da valentissimi scrittori , inverso de' quali confesso di nudrire la più grande stima e venera- zione. Perocché , come in altre opportunità ho ma- nifestato, le povere mie parole sono mosse unica- mente dall' amor del puro vero , e dal desiderio che le cose antiche di mia patria siano un giorno vedute e sapute meno tortamente, che fia possibile. Il perchè sarò sordo al blaterare del saccente lette- Sul Colle Tiburtino 291 rato, e solo avrò a cuore di esser compatito dall'uo- mo dotto, e di sapergli grado della giusta sua cen- sura. La qual cosa andrò facendo a modo di lette- re , che con somma mia compiacenza indirigerò a lei, sig. cav. chiarissimo, che il gran Perticari giu- stamente chiamavo » lume delle romane lettere (1) »: né altri da senno per comun voto potrebbe dire al- tramente. Ho avvisato poi di titolarle Sul colle tibur- tino^ come che inspirate e mosse dai monumenti , che lo adornano ed abbellano, e da quelli che non rade volle trae all'aprico. Per il che mi è cosa as- sai cara di poterle dire, come ad Arriano diceva il giovine Plinio: i< Eccoti il libro che li avevo promes- » so nelle lettere precedenti (2) : » e di pregarla ad un tempo , che « secondo sua costumanza le » legga , esamini ed emendi : « volendo anche in questo ormare il mentovato Plinio (3), ed assai più quel sapientissimo restauratore di nostra lingua , il quale il 22 febbraro del 1822 , di simil guisa lesi esprimeva: >> Ti raccomando quel mio lavoro sopra «Dionigi: dove conoscerai, che io ho cercalo di » porre qualche seme di utilità morale sotto quel- » le scorze polemiche e rettoriche. Dividilo a tuo » senno : e se alcuna cosa non garbasse ai colle- (1) Vedi la lettera, che il Perlicari scriveva al principe Ode- scalchi il 14 di marzo del 1822, inserita nel tiioinale Arcadico, t. XV, p. 332. (2) Lib I, ep. 2. Librum hunc, quem prioribus epistolis promi- ieram, cxhibco. (:$) Ivi: Hunc rogo eoe consuetudine tua, et legas, et relegas et emend'ts. 292 Letteratura » ghi (I) , a te , e al nostro Santucci, cangiala e » accomodala alla voglia loro. Perchè io ti corono » e mitrio sovra me slesso (2) ». Nel discorrere le disadorne mie parole non andrà manco , mi lu- singo , col diletto l'utilità scientifica , non mai per le cose da me trattate con la veduta corta d' una spanna , ma pei tentativi , di che mi adopero il meglio eh' io possa , d' imitare nella trattazione il gran maestro d'archeologia , il grandissimo amico suo , il conte cav. Borghesi, come il nominalo Pli- nio era inteso d' imitare Demostene (3). Con vivo affetto me le raccomando. 20 otiobre 1851. LETTERA IL Sul tempio di Vesta in Tivoli. Decimo magno Ausonio , uomo dotto e con- solare , scriveva a Simmaco: Alius alio plura inve- nire potest., nemo omnia (4); e diceva il vero , per- chè infra gli uomini non avvi sapiente senza limi- ti. Per il qual vero , volgendo io l'animo alle co- se di mia patria , ho avvisalo in questa lettera di favellare a V. S. di un punto di antichità da altri già veduto ; considerato però sotto diversa ragione, parmi di cougiungere l'utile alla novità , di guisa (1) Cioè aWOdescalchi, al Biondi, aìV^mati, al Tambroni, dei quali nelle lettere assai volte il Perticari fa menzione onorala. (2) r.iorn. Arcaci, t. cit. p. 353. {^) Plinio - ivi - Tentavi enim imìtari Demostliencm semper luum. (4) Ausonio leti, a t>iinrnaco in proem. all'ldill. XI. Sul Colle Tiburtino 293 che come cosa nuova la manifesto, parendomi, per quanto io sappia , che per lo innanzi sotto la stessa ragione niun altro abbiane parlato. Al che dava vi- ta un monumento nuovo (di cui tratterò nella let- tera seguente ) venuto alla luce non prima del de- corso anno. Conciossiacchè esso monumento ci ri- corda la gente Celia tiburtina, che per assai anni si è intesa confondere con la Gellia^ e precisamen- te con quel L. Gellio figliuolo di Lucio^ che a gran- di lettere scolpito si rinviene in un frammento d'iscri- zione sulla fascia dell' architrave del celebrato no- stro tempio di Vesta. La qual confusione , la Dio mercè , vediamo sapientemente sbandita dai moder- ni scrittori , come parimente vediamo ammendato il grosso errore, eh' esso tempio, anzi che alla dea Vesta., alla Sibilla fosse stato innalzato: quasi che le teste de' bovi con vitte, gli encarpi, o i festoni di frutta e di foglie ne'capitelli, la scanalatura delicata delle colonne, sopra tutto la forma orbiculare o sfe- rica del tempio , ed altre cose che lo compongo- no , non siano sempre stati i simboli riferibili a Vesta madre , la quale raffigura la terra (1). On- dechè di questo bisticcio non farò parola. Solamen- te mi occuperò del frammento della iscrizione: poi- ché dalla disamina di esso, per lo passato praticata, si è voluta inferire l'epoca della costruzione, o rie- (1) Ovidio, Fasti iib. V, V. 267: Festa eadem est quae terra: e ne reca la ragione elimologira al v. 299: Stat vi terra sua. vi standa festa vocatur. 294 Letteratura dificazione del tempio, e il suo autore, ad un tem- po vi si é operato uà supplimento \ però , come parmi, non vi si è adoperata per avventura quella diligenza , che le mentovate particolarità richiede- vano. Intorno alle quali cose si raggireranno le me- schine mie parole, non mai per trarne una conchiu- sione senza peccato, ma per manifestarne il mio av- viso qualunque si sia , sottoponendolo al discerni- mento di V. S. Il frammento è questo: . . . . E . L . GELLIO . L . F Il Piranesi antiquario e disegnatore esimio, con- temporaneo dell'immortale Ennio Quirino Visconti, nell'opera sugli antichi tempi lo suppliva di simil guisa; Aedem . Vestae . S . P . Q . T . Pecunia . Puhlica Restituit . Curatore . L . GELLIO . L . F Ponendo per ora da canto questo supplimento, potrebbe innanzi tratto investigarsi, se la prima vol- ta il tempio era costruito alla maniera , che nella rimanenza si osserva oggidì , ovvero se per lo in- nanzi vi avesse una edicola pel culto della divinità, e che nei tempi, in cui l'arte volgeva all'ottimo, ne venisse ampliata e adorna di quella bellezza di strut- tura architettonica, i cui resti si rimirano al pre- sente con tanta maraviglia. L'adoperarsi però di que- sta licerca è cosa ben malagevole. Con tutto que- sto potrebbe qualcuno suspicare, che vi avesse una Sul Colle Tibcrtino 295 edìcola antichissima, anteriore ancora al tempio, che il re Numa Pompilio pel primo in Roma innalzava a Vesta: tutto che per la manìa propria dei muni- cipii di ormare in tutte le cose la città regina, pò* Irebbe altri ammetterla posteriore a Numa, e ad un tempo anteriore agli avanzi odierni. Intanto sappia- mo dalla storia (sia pure in parte favolosa), e dai poe- ti, che il culto di Vesta originò di Grecia ; che lo avevano i troiani; che Enea partito di Troia lo tras- se in Sicilia; che venuto in Italia, fabbricò Lavinio, e ve lo introdusse ; che Ascanio figliuolo di Enea fondò sul monte Albano la città, domandata Alba Longa^ dove si sa ch'esisteva il culto di Vesta, la cui sacerdotessa Illa o Rea Silvia per opera di Mar- te divenne madre di Romolo e Remo. Fabbricata Ro- ma, Romolo per ragion di sangue ve lo instituiva: e Numa suo successore, siccome è detto, vi eresse il tempio. Anche Tibur è di sangue greco. Più se- coli prima che Roma vedesse i suoi re, il suo fon- datore venne pur di Grecia come prefetto della flot- ta di Evandro, e chiamavasi Catillo. Sostò egli sul colle, nel cui dosso scorreva il Pareusio^ quindi do- mandato Aniene. Con la violenza lo disertò degli occupatori, e vi fondò la città, cui diede il nome del primogenito suo figliuolo Tiburto (1). Non è quin- di fuori di ragione, ch'esso fondatore, o il suo pri- mogenito e i successori , come predilessero per nu- me tutelare della fabbricata città il dio Ercole^ che era pur greco (2), alla stessa maniera poterono in- (1) Solino, cap. Vili. (2) lam vero, veterum tiburtium primarium numeri Hercules fuit. COLEBATUR UIC MAGNIFICENTISSIMQ IN TEMPIO, 296 Letteratura stituirvl il culto di Vesta , che parimente era una greca divinità. M'accorgo esser questa una sempli- ce conghiettura, per non dir bizzarria, la quale non ha altra base, che la simpatia di origine, e quella sperienza (non sempre sicura), che si acquista per le storie antiche intorno ai popoli tramutati di do- micilio , che con le sostanze asportavano altrove i culti e le costumanze loro. Intanto si ha e deve aver per fermo, che, per mezzo dei marmi ritrovati nel no- stro colle tiburtino, si seppe avere ivi esistito il sa- cerdozio degli erculanei^ di cui parlerò in altra let- tera, instituitovi per lo dio Ercole: parimente, che, come in Alba Longa ed in Roma , così in Tibur, abbia esistito il sacerdozio delle vergini vestali per la divinità di Vesta (1). QUOD A CATILLO MAIORE, EIUSQUE FILIIS, TIBURTO, CA- TILLO, ET CORACE, modicis primo aedificiis extruclum, auctum deinde a senatu populoque Tiburte, restitutum quoque et exorna- tum, voti suscepti et soluti causa, tum a potentioribus civibus, tum ab ipsis romanis imperatoribus, inter veteris Latii potissima ac ce- leberrima sacra loca semper computatum est. Volpi, V. L. P. de Ti- burt. lib. XVMI, cap. IV, p. 113. (1) Ecco le iscrizioni ritrovate nel colle tiburtino, che ci assi curano delle vestali tiburtine. L'una è pubblicata dal Fabretti n 436 25, e da altri. I. C . SEXTILIVS V . V . TIBVRTIVM LIB . EPHEBVS HERGVLANEVS AVGVSTALIS L'altra è presso il Muratori, p. 173 n. 3, e molti altri Sul Colle Tiburtino 297 Ciò nulla ostante parmi che sia poca cosa at- tuare conseguenze dietro conghietture , quando vi li. SQVATERIAE . PRISCAI VIR . VESTALI . MAX . SANCTISSI MAI . PVBLIA . DECRIAN SOROR . \ . V . GVSTOIIIIIII CVRA . AGENr . IMPEiND PVBL . P Altra ili pubblicala dal Grutero, p. 1088. 3, e da altri IH. SAVFEIAE . ALEXANDRIAE V~rv . TIBVRTIVM CAPLATORES . TIBVRTES MIRAE . ElVS . INNOCENTIAE QVAM . VIBA . DECREVERANT L . D . S . G Uscendo, come si suol dire, fuori di seminato, perdonerà rottimo mio amico dal molto ingegno e dalla molta dottrina, se io mi preval- go di questo incontro per portarlo alla mia sentenza intorno alla cor- rezione, che io f-iceva, esso contraddicente, alle ultime due sigle di; detta iscrizione, che il Nibby {Piaggio Aiitìq. ne'contorni di Roma, tom. I) spiegava Sententia Collegii, anzi che 5ena<«s Consulto, che io sosteneva. Che i senatoconsulti eran propri del senato di Roma, noi niego. Parimente non si potrà negare che i mucicipii erano in tutte le cose imitatori di Roma, in ispecie in quello che riguarda- va l'ordine amministrativo, di cui a lungo altra volta ho parlato (Decennio in Tivoli ec. parte 1, pag. 20): e perciò prescindendo dal particolarizzarlo, dico unicamente che i municipii avevan la curia, detta senato come Roma, intorno a che favellano i marmi, e passim fra i tiburtini si ha il S. P. Q. T. La concessione di un luogo pubbli- co per allogarvi una statua non poteva esser diritto di un privato, qual era il collegio inteso nel marmo della nostra vestale Saufeia, ma del pubblico, che è quanto dire del senato; ondechè tanto non era conveniente Sententia Collegii, altrettanto lo era Scnatus Consulto, ossia Locus Datus Senatus Consulto. In prova di questo, ecco r mar- 398 Letteratura ha un fatto, che apre la via meno tortuosa ad un giudizio meno incerto. E in fatto, che nella coslru- mi tiburtini , che nella ristrettezza del tempo mi sono venuti alle mani. I. Grutero p. 150. I. C . RVSTIVS . C . F . FLAVOS . ITER L . OCTAVIVS . L . F . VITVLVS lìTl . VIR . D . S . S (*) VIAM . INTEGENDAM CVRAVERE II. Al num. 2. della stessa pagina ne pone altro il Grutero, tra- sponendo solo le prime due linee, dei medesimi quatluorviri, con la memoria istessa, e con le sigle D . S . S. De senalus sententia. III. Al num. 3 si vede ripetuta la stessa memoria in marmo ritrova- to presso le Albule, per dove passava la via tiburtina, ed una tale ripetizione originava senza meno dall'ambizione degli stessi quattuor- riri. Viene preceduta da altra iscrizione un poco guasta nel modo seguente; D . D C . CAES . I . . . IVS . C . F C . HE . IVLIVS . T . F . Q MOTRR . COL . D . S . S (") conseguita la iscrizione del num. I. (') De senatus sententia. (") De senalm sententia. Sul Colle Tiburtino 299 zione del tempio né il nominato Piraaesi, né il Va- ladier, né innan2Ì di essi il Serlio , il Palladio, il IV. Alla pag. 172. n. 3. C . LVCTIVS . L . F . AVLIAN . Q . PLAVSVRIVS . C . F . VARVS L . VENTIDIVS . L . F . BASSVS . C . OCTAVIVS . C . F . GRECHIN Hii . vm PORTICVS . P . CCLX . ET . EXSEDRAM . ET . PRONAON . ITER ET . PORTICVM . PONE . SCENAM . LONG . P . CXL (*) S . G . F . C 11 medesimo Grutero alla pag. 419. n. S. Q . HORTENSIO Q . F . COL FAVSTIiNO ADVOCA TO . FIS CI . PRAEF . FAB PATRONO . MVNlCiPI COLLEGIVM . FABRVM TIBVRTIVM . OB MERITA L . D . S . C (") Si tralasciano le iscrizioni laterali, che risguarJano i curatori dell'innalzamento della statua, e Tanno per mezzo dei consoli. (*) Senatus consulto faciundum curavere. (**) Locus dalus senatus consulto. 300 Letteratura. Desgodets riconobbero orme di opera più antica dei residui che tuttora si veggono : e quello che più VI. Il Muratori a pag. 73, 2: D . ISIDI . AVGVST SACRVM Q . FERRECIDIVS . Q . F . PR05PER TABVL . A . RATION . TIB VOTO . SVSCEPTO . PRO . SALVTE FERRECIDI . ET . FERRECIDIAE FIL L . D . S . C (*) VII. Presso rOderico, Disseit. p 13'4, clie dice ritrovalo in Tivoli nel 1730: L . ROSCIO . M . F . QVI AELIANO . MAECIO CELERI COS . PROCOS . PROVIN AFRICAE . PR . TRPL . QVAEST AVG . X . VIR . STLITIB . IVDIG TRIO . MIL . LEO . IX . HISPAN VEXILLARIOR . EIVSDEM IN . EXPEDITIONE . GERMANIC DONAT . AB . IMP . AVG MILITARIB . DONIS . CORONA VALLARI . ET . MVRALI . VEXILLIS ARGENTEIS .Ti . HASTIS . PVRIS .Ti SALIO C . VECTILIVS . C . F . PAL . PROBVS AMICO . OPTINO L . D . S . C (**) (*) Locus dalus senaius consulto. (**) Locus datus senatus consulto. Sol Colle Tiburtlno 301 monta , non vi ha autorità di scrittori , né verun monumento in marmo , o in altra guisa, che atte- VIII. Né fia inutile rilejjgere il marmo ritrovalo nel dicembre 183S nello sterro presso l'imbocco del traforo del Catillo, illustrato da me (Tivoli nel Decennio p. 7) e pubblicato ancbe da altri: donde a maraviglia si scorge ii potere antico del nostro senato ; T . S ABI DIO . T . F . PAL MAXIMO SCIUBAE . Q . SEX PRIM . BIS . PRAKF FABRYM . PONTIFICI SALIO . CVRATORI FANI . HERCVLIS . V TRIBVNO . AQVARVM Q.'i. PATRONO MVNICIPII . LOCVS SEPVLTVRAE . DATVS VOLVNTATE . POPVLI DECRETO . SENATVS TIBVRTIVM Intorno alla qual cosa, dice il Marini (Fr. Ar. p. 22), che in cento e più altre iscrizioni municipali si nomina il consenso, la sen- tenza, e il consulto del senato. Faccia poi senno il mio amico alla la- pida del municipio di Sezze, riportata dal Muratori (p. 505. 18), dal Pratilli (Della via appia p. 8), e da esso pubblicata di nuovo in un suo opuscolo del 1839, dove ritrarrà, che i bagni furono ristaurati D . C . S. Z>e Consensu Senatus: ne osservi da ultimo una recentis- sima edita per la prima volta dal chiar. Mommsen ( Iscrizioni mes- sapiche p. 48) del municipio di Canosa nella Puglia, cosi concepita 302 liETTERATURA. Stino il contrario. Per questo fatto sembra pili ac- concio l'opinare , che i residui attuali del tempio facevan parte delia primitiva sua costruzione; e se un culto alla stessa divinità ammettersi volesse nel- l'intervallo fra il tempio di Numa e la mentovata costruzione, non ardirei allontanarmi dal parere di chi inclinasse sospettarlo fra quei ruderi, che si ve- dono tuttavia appo il monistero di s. Michele nel- la contrada, che anche al presente conserva il no- me di Vesta. Comunque però sia, non può certamente du- bitarsi che Lucio Gelilo figliuolo di un Lucio ^ co- me dal riferito frammento, si adoperò di quella co- struzione. Il Pirauesi , veneratore degli scrittori di esso tempio, lo vuole municipalista: né mi spiace- rabbe questa sentenza, se al presente gravi diflicol- tà non mi si facessero incontro; però più innanzi farò di tornare sopra questo merito. Ha inoltre cre- duto vederlo , seguendo il Volpi (1), in un asserto marmo tiburtino di un L . GELLIO . L . F . VI- CTORI, che dichiarò duumviro iuridicundo^ cura- VESTAE . SACRVM T . TITIVS . L . F P . CVRTIVS . P . F . SALAS IIM VIR . DE . MVNERE GLADIATORIO EX . S . C (*) (1) V. L. P. (le Til.iirt. lih 18. cap. V. pug. 170. *) Ex senatus consulto. Sul Colle Tiburtino 303 (ore dell'erario e delle pubbliche opere^ dicendo di aver- lo trailo dal Grutero a pag. 1025. 12. Esso però, ho per fermo, averlo letto nel Volpi, e di non averlo confrontato col Grutero : altrannente si sarebbe ac- corto, che questo esimio collettore di marmi aveva scritto COELIO, e non GELLIO, siccome vedremo nella lettera seguente. Né pur badò al duumvirato iuridicundo^ che spetta alle colonie, e non ai mu- nicipi!: né considerò, che la carica di curatore del- le opere pubbliche, per la instituzione di Augusto ricordata da Svetonio , non si dava ad un munici- palista , ma ad un personaggio pretorio, o conso- lare, come "vedremo fra poco. In conseguenza temo forte della rettezza di quanto sul proposito ha egli favellato. Il Sebastiani , uomo dotato di beli' ingegno e di corrispondente erudizione (1), seguendo il dottis- simo Filippo Aurelio Visconti (2), manifestò ancor esso l'abbaglio sommentovato, ma non diede che la ragione tratta dalla materiale differenza del genti- lizio dei due personaggi. Procurò d'investigare (pe» rò con infelice riuscimeoto), se la gente Gellia (non mai famiglia) fosse patrizia o plebea, se romana, o originaria di Tibur ^ limitandosi da ultimo a dire, che fu equestre e consolare. Se però avesse fatto av- vertenza maggiore , in particolare alla censura di (1) Viaggio a Tivoli, p. 30. (2) Raccolta delle più insigni fal)briche di Roma antica e sue adiacenze, misurate dal Valadier ed illustrale da l^il. Aur. Visconti, p. 4. 304 Letteratura L, Gelilo, nominata da esso dopo poche linee, avreb- be veduto in migliore aspetto la cosa- La censura istituita dal re Servio Tullio, che per volontà dei consoli del 311 Macrino e Capi- tolino fu statuita ad un quinquennio, e dal dittato- re del 320 Mamerco Emilio ridotta a diciotto me- si (1) , era propria sulle prime de' patrizi romani. Variò in favore de' plebei , quando la plebe s'in- truse al consolato; G. Mario Rutilo fu il p.imo, che nel 411 salì alla censura, come plebeo. Indi a poco per la legge poblilia fu stabilito , che un dei due censori fosse plebeo , l'altro patrizio. Gos\ andò la cosa fino al 622, in cui due plebei furono censori, Q. Pompeo e Q. Metello. Tunc primum^ dice Livio, uterque ex plebe facti censores lustrum condiderunt (2). Se avesse a starsi a questa particolarità di Livio, sa- rebbe mestieri aver per fermo , che i censori po- steriormente fossero plebei: ed a questo di vero ci saremmo attenuti, se il fatto non dimostrasse il con- trario, cioè che da poi tanto i patrizi, quanto i ple- bei promiscuamente adoperaronsi di quell'officio. Fra i vari mi ricorda ( non allontanandomi dal tempo di Gellio) un L. Aurelio Cotta plebeo , e un Ceci- lio Metello Pio, anche plebeo^ censori del 689; mi M. Valerio Messalla patrizio (questa gente può es- sere anche plebea , secondo la cognazione ) , e un M. Calpurnio Bibulo plebeo , censori del 698 ; un Appio Claudio Pulcro patrizio^ e L. Calpurnio Pi- sone Cesonio plebeo , censori del 703 , che furono (1) Livio lib. IV. 24. [2) Livio Epit. LIX. Sul Colle Tiburtino 305 gli ultimi creali per suflVagio del popolo, sotto la libera repubblica; da ultimo coloro, che furon cau- sa della distruzione della censura , Munazio Fianco plebeo , ed Emilio Lepido patrizio. Né è da omet- tere il collega dello stesso Cn. Lentulo, ch'era pa- trizio., come pertinente alla gente Cornelia, Pare adun- que, che la prevalenza plebea notata da Livio non durasse lunga stagione, e che venisse riassunta, ma non sempre osservata , la summentovala legge po- blilia sui due censori l'uno patrizio , e l'altro ple- beo. Sotto il quale aspetto sarebbe bello e spaccia- to , che il patriziato di Lentulo escludendo quello del suo collega , Gellio per fatto e per diritto sa- rebbe plebeo. Nondimeno un passo di Cicerone può far tentennare nella sentenza, ed è appunto nell'ora- zione prò Scstìo., dove favellando del fratello di Gel- lio ci dice. Qui (ni credo) non libidinis causa, sed ut plehicola videretur^ libertinam duxit uxorem- co- me che il fratello (par che voglia dire), sebbene di gente non plebea , pure per comparire plebeo si sposò ad una libertina. Ma rimarrà svanito ogni dub- bio, se si riflette, che ivi Cicerone è inteso ad op- primere e deridere l'indegno fratello del console : ondechè a dichiararlo il vile della plebe adoperò di quella espressione. Che più ? Quel grande oratore, a renderlo vieppiù spregevole, in maniera derisoria gli contrappone Tonor del consolato, e l'ordine eque- stre del fratello, che si allontanavano dalla popola- rità: gli nomina inoltre l'onore di quel sommo che fu Lucio Filippo suo padrigno (1). Aa sicubi ade- (1) Qupsli è L. Marcio Filippo, the essendo console nel 663 G.A.T.CXXIV. 20 306 Letteratura rit Geilius homo^ et fratre indiynus viro clarissimo atque optimo consule , et ordine equestri , cuius ille ordinis nomen retinet , ornamenta confeeit , id erit populare ? Est enim homo iste populo romano dedi- tus. Nihil vidi magis. Qui cum eius adolescentia in amplissimis honoribus summi viri L. Pliilippi vilri- ci florere potuisset^ usque eo non fuit popularis^ ut bona solus comesset. Il qual favellare ci prova, se- condo il mio corto vedere, che il fratello era no- bile, di quella nobilita ch'è figlia delle azioni, e che faceva salire al consolato, e ad un tempo ricco per l'ordine equestre, cui era ascritto; ma non mai in- chiude ombra di patriziato, che la era ben'altra co- sa, come grado di nobiltà maggiore. Né Cicerone, se Gelilo tì apparteneva, avrebbe omesso ( giacché lo richiedeva la bisogna) di trarne argomento. Par- rai adunque di ravvisare che quel tratto di Tullio, anziché alterare, tenda a confermare la sentenza, che il nostro L. Gellio era in realtà non di origine pa- trizia, ma plebea. Si rifletta poi, che quello era il tempo della repubblica, e che la repubblica per leg- ge non ammetteva, che il sommo potere, qual era la censura, risedesse nella persona di due patrizi. Con tutta ragione adunque il dottissimo Panvinio (1) nel distinguere le genti romane patrizie dalle « genies gravemente si oppose ai voleri del senato con le parole : Videndum sibi aliud esse consilium ilio senatu se rempublicam gerere non pos- te : concitando contro di se acremente i senatori , in particolare L. Grasso e Marco Livio Druso. Il suo primogenito ebbe il con- solato nell'anno 698, fu suocero di Catone Uticense, e padrigno di Augusto. Cic. de Orat. lib. 3 — Abrami, In Cic. de Prov. Cons. nota ad num. 21. La gente Marcia era plebea. (1) Da nominibus Rom. in Graevio voi. 77 col. iOI8, e 1020. Sul Colle Tibdrtino 307 rmnanae plcbciae aule tempora Aiujusli Caesaris » fra quesle ultime designava <= GELLIA CONS. COGN. POPLICOLA: checche vogha sospettarsi da alcuno scrittore , che la gente GeUia potesse essere fra le incerte romane patrizie o plebee. Quello poi che parmi altresì indubitato, si è che la gente Gellia era anche romana : ed oltre al ritrarsi dall' indole della censura , che non conferivasi, se- condo il citato Pighio, che ai soli romani: Ea po- teslas (censoria) in solos quiriles et togatos Cì^at; oltre la citata autorità del Panvinio, che la annovera fra le plebee romane avanti Augusto, può desumersi in conferma anche da altre fonti, nello svolger le quali avremo anche la notizia più chiara di essa gente Cicerone assai volte favella della gente Gellia, come vivente in Roma. Nulla dice della patria , e questo silenzio, secondo la sperienza, ci addita, che fosse romana e non d' altrove. Nel trattato De le- gibus (1. 1) raccorda due Gellii^ uno prenominato Gneo^ e l'altro Sesto\ li qualifica valenti scrittori la- tini di storie; li cita eziandio con Fabio Vittore sto- rico romano, che scrisse correndo il secolo VI di Roma. Nello stesso trattato (num. 20) fa menzione affettuosa di un L. Gellio amico suo e confidente. Questo Gellio fu questore nel 6G6; dopo cinque an- ni fu edile curule, come da una medaglia d'argen- to, riferita dal Pighio (1), con la testa di Giove, e l'aquila fulminifera, e con la iscrizione L. GELLIVS. L. F. POPLICOLA. AED. CVIl. EX. S. C. Pel si- mulacro di Giove è di avviso esso Pighio, che Gel- (1) Annali lom. 2 p. 236. 308 Letteratura lio si adoperasse nei ludi romani. Al 67(^ sostenne la pretura, e l'anno appresso uscito di questa ca- rica , narra Cicerone che fu mandato in Grecia in luogo del console^ là dove ricompose gli animi dis- sidenti dei filosofi ateniesi. Giova recare le parole del grand' oratore per quello che dovrem dire fra poco: Quia me Athenis (è Attico che parla a Cice- rone) audire ex Phaedro meo memini^ GELLIUM FA- MILIARE M TUUM, CUM PRO CONSULE EX PRAE- TURA IN GRAECIAM VENISSE! , Allienis philoso- plios^ qui tum erant^ in locum unum convocasse., ipsis- que magnopere auclorem fuisse , ut aliquando con- troversiarum aliquem facere modum. Quod si essent eo a.nimo^ uè nollenl aelatem in litibus conterere., pos- se rem convenire , et simul operam siiam illis esse pollicilum., si posset inler eos aliquid convenire. Com- pita quest'amministrazione, Gellio fu di ritorno in Roma , e poco da poi ascese alla maggior curule, che amministrò con plauso di guisa che, udimmo già da Cicerone addomandai'lo personaggio chiaris- simo ed ottimo console. Questi è appunto il men- tovato console del 682 cognominato Poplicola (e non Poblieola., come da molti si scrive), nominato innan- zi dal precitato Visconti , e quindi dal Sebastiani. Dal consolato passò alla censura, che nel 684 rigo- rosissimamente esercitò con Gn. Cornelio Lentulo(l). Nel 691 fu scoperta la congiura di Catilina per ope- ra di Cicerone console e Gellio : sedendo in sena- to, come personaggio censorio opinò, che al salva- tore di Roma fosse data la corona civica, come ci (1) Livio, Epa. 98 — Pillilo, Aiioali l. 3. Sul Colle Tiburtino 309 attesta Aulo Gellio, forse suo discendente (1). Con- verrebbe dire alcuna cosa intorno la vita del fra- tello di Gellio: nna di lui basia il testé favellalo con l'autorità di Cicerone per non seguirlo di vantaggio, non parendonnì esso quel Gcllius tusco muri impo- situs^ che da Floro sappiamo essere stato uno dei legali di Gn. Pompeo nella guerra nnarittinia con- tro i pirati (2) superata nel 687, o in quel torno, al quale par che appelli il denaro riferito dall'Or- sino (3). Ci si ofifre però altro Gellio Poplicola^ che per le note paternali senabra che sia il primogenito del nominalo censore. Ne persuade l'anno del conso- lato, che sostenne con M. Cocceio Nerva nell'anno 718, dopo di essere stato quaestor propraetore di An- tonio, come da altro danaro riferito dal detto Or- sino (4). Poco stante abdicò, e gli successe L. Mu- nazio Planco. E deve esser quegli , di cui Valerio Massimo (5) narra, che dal padre fu tradotto in se- nato per purgarsi di un'accusa, e ne fu assoluto. Al- tro Gellio (stando ai fasti dell'Ai meloveen, ed agli annali del Pighio) fu console suffetto dalla metà di gennaio al i luglio del 793, e lo divenne dietro l'ab- dicazione dell' imp. C. Caligola. Per le medesime note paternali, e pel cognome Poplicola, pare an- (1) A. Gellio Noct. Atl. VI : ffac corona civica L. Gellius vir censorius in senatu Ciceronem consulem donavi e republica censuit; quod eius opera esset atrocissima illa Catilinae coniuratio detecta, comburataque- (2) Floro lib. IM, cap. VI. (3) Ursiniis de Fam. Kom. in Graevio, voi. li, col. 1288. (4) Iile Ice. cit. (3; Val. Mass. lib. V, cap. IX. 310 Letteratdra Cora esso il primogenito nipote o pronipote di que- st'ultimo, e pronipote o trinipote del console del 682, E m' avviso che sia quel Gellio medesimo, che al 775 fu uno degli accusatori di Silano, di cui era questore, siccon)e narra Tacito (1). Appresso di que- sto console non parla la storia , almeno per quanto io sappia , di altro Gellio , ad eccezione del men- tovato scrittore delle notti attiche, Aulo Gellio, che fiorì sotto il regno di Adriano : e già dissi , esser fra i possibili che discendesse dai sopra nominali consolari. A non menomar diligenza, mi sono anche ri- volto ai monumenti scritti: e confesso di non aver trovato in I\oma, che due marmi (2), ed uno nella via prenestina (2), ma di poco conto. Fra le varie medaglie , me ne è capitata una greca presso it Maft'ei (4): nella cui faccia sta la testa di Messalina, detta nuova Giunone, con la epigrafe MESZAAINA ÌEBA2TH NEA HPA; nel rovescio la fronte di un anfiteatro, al di sotto NEIKAI EON; all'intorno TE/U AI03 P0r$02 AN0rnATO3. Il nome di Messalina moglie di Claudio ci stabilisce Pepoca in cui fu bat- tuta. Tuttavia, se troviamo un Gellio Bufo procon- sole della provincia di Bitinia, cui come principale città apparteneva Nicea, ignoriamo il suo consolato. Tutto che ammettendo per aggiunto l'agnome Rìifo a quel di Poplicola^ si potrebbe sospettare, che fos- (1) Ann. III. 67 : Auxere numerum accusaturum Gdlius Po- plicola, et M. Paconius: ille quacstor Silani, Me legatus. (2) Muratori 1384. i; 1692. 9. (3) Ide 1786. 4. (4) Storia di Verona, cap. V dogli anfiteatri. Sul Colle Tiburtino 311 se l'ultimo dei testé citati consoli , cioè il sufFetto del 793; anno che precedeva il prinao dell'inapero di Claudio. Dalle quali cose è da inferire di nuo- vo, chela gente Gellia fu incontrastabilmente romana. A pretenderla di origine tiburtina^ o almen che vi avesse da lungo tempo relazione^ siccome ci dice il Sebastiani, m'avviso non esser bastevole la notizia debolissima , che nell' agro tiburtino verso quel di Castelmadama fosse ritrovato un sepolcro della gen- te Gellia ; inoltre lì dappresso un marmo, non ri- portato dal Sebastiani, con le parole G . GELLIVS . GELLIANVS . VIXIT ... di simil guisa comu- nicatomi dal dotto numismatico dott. Stefano Ros- si; poiché questa notizia non altro dimostra che i Gellii in età ben tarda, e correndo il 900 di Roma, vi si diramarono, come per mezzo de'marmi sappia- mo essersi diramati in Napoli (1j, in Firenze (2j, in Cortona (3), in Chiusi (4), ed altrove. Né prima del mentovato secolo ho in pensiero che sian venuti iri Tivoh, perché il cognome GELLIANVS indica, che quel C. Gelilo fu figliuolo di una Gellia: e si sa, che nel nominato secolo (5) i cognomi con eguale terminazione provenivano generalmente dal nome materno, come in Ser. Cornelio Dolabella Petroniano console dell' 839 (6), nato da Cornelio Dolabella e da una Petronia. Il perché esso sepolcro con la epi-^ (1) Muratori 860. 8. (2J Idem 328. i. (3l Idem 1682. 8. (4) Idem 1170. 1, 1348. 11. (3) CCr. Boi-gliesi, Burbulttiu jj 5, (6) Marini Ir. Ar. p. 437. — 312 Letteratura prafe , come non è argomento che da Tivoli po- tesse la gente Gellia esser passata in Roma, così non può esserlo, che i Gellii avesser lunga relazione con i tihurtini. Se però nulla è a statuire positivamen- te dal lato di Tibur, non è pila stessa maniera con la terra dell' anlica Etruria, dove ne'tempi remoti essa gente può sospeltarsi avere avuta la sua ori- gine, e lo ritraggo da due marmi , che mi paiono dell'epoca repubblicana, riportati dal Muratori (1), sebbene ancor là potrebbe dirsi essersi trapiantata da Roma. Dal ritrarre per le premesse cose, che sì Cardi i Gellii venissero in Tivoli, parmi che sia fuori di traccia la presunzione del Sebastiani, che il ristau- ratore (o costruttore) del tiburtino tempio di Vesta potesse essere un /.. Gellio tiburtino (fin qui non dissento]: ed ormando il Tiranesi, che assumesse co- stui la cura delle cose pubbliche del luogo dopoché Augusto istituì i curatori. Non potendo poi indo- vinare aual si fosse (sono sue parole) il nostro L. Gellio., stimò acconcio di attenersi alla sentenza del nominato Fil. Aur. Visconti, cioè che questo (cioè il nostro) L. Gellio fosse quegli medesimo cognomi- nato Poblicola (correggi Poplicola)^ il quale fu con- sole nelVanno di Roma G82, fu proconsole in Grecia., e quindi censore. Prima però di favellare dell'inviluppo contrad- dittorio che sta in questa presunzione, sarà per per- donarmi V. S. chiarissima, che io faccia una pic- (1) Muratori, Appeiulice al tesoro se. 233. 3. E.T Ephem. Li- ter. Fior. t. XXH, col. 194 — ed al n. i della stessa pag. 233 — in Politiano. Sul Colle Tiburtino 313 cola digressione per avvertire un errore forse in- cautamente scritto in queste ultinrie parole, che il Sebastiani pone in bocca del Visconti , senza ba- dare , che se di sirail guisa avesse questi parlato , non avrebbe parlato acconciamente: cioè che L. Gel- ilo fu proconsole in Grecia dopo il consolato^ e che dopo il proconsolalo salisse alla censura. Nel sopra liferito passo di Cicerone De legibus., abbiamo letto, che Gellio cum PRO CONSULE in Graeciam xìenis- set, e non mai cum proconsul in Greciam venisset : di più che vi andò EX PRAETURA , e non mai ex consulatn , o post consulatum. E nota la diflfe- renza, che passa fra il prò consule^ e il proconsul.^ come quella che passa fra il prò praetore., e il prO' praetor. L'uno, cioè i\ prò consule ha luogo prima del consolato , e quando un personaggio pretorio uscito d'officio, è mandalo ad una provincia conso- lare loco consulis: l'altro, cioè il proconsul., ha luo- go dopo il consolato, ed è mandato, secondo l'ordi- nario, alla provincia consolare. Alla stessa manie- ra il propraetor è quegli , che dopo la pretura va secondo l'ordinario alla provincia pretoria ; d'altra parte il prò praetore è quegli che dalla questura, ch'è carica minore, è mandato ad una provincia lo- co praetoris. Giova recar l'esempio di Pisone pres- so Salustio (1), il quale, essendo questore fu man- dato prò praetore nella Spagna: Postea Piso in cite- riorem Hispaniam quaestor prò praetore missus est adiuvante Crasso. L. Gellio adunque, essendo anda- to in Grecia ex practura e prò consule., vi andò usci- li) In Cat. e. la. 314 Letteratdra lo di pretura in luogo del console. Il perchè fu ab- baglio manifesto il dire, che vi andò come procon- sole dopo il consolato^ e che dopo il proconsolato di- venne censore. Tornando quindi a bomba, parmi che la cre- dulità del buon Sebastiani, cioè che il L. Gellio ti- hurlino., divenuto curatore dopo la instituzione au~ gustea^ potè essere il console del 682, racchiuda, non voglio dire uno svarione, ma un equivoco ben gros- so. Ci annunzia Dione (1), che Augusto per con- siglio di Mecenate divise gli offici degli antichi cen- sori in tante cariche. Parimente Svelonio (2) , che Augusto nova officia excogitavit: CURAM OPERUM. PUBLICORUM^ viarum, aquarum, alvei Tiberis, fru- menti populo dividundi. Sappiamo dalla sapienza del Borghesi (3), che questa nuova istituzione ebbe luo- go nell'anno 734 « e che fu evidentemente l'efFet- M to del malcontento, che provò quell' imperatore » per la discordia e 1' ignavia di Munazio Fianco » e di Paolo Lepido ultimi censori creati nel 732: » per cui spirati i dieciotto mesi , concessi dalle ») antiche leggi alla durata della loro podestà, egli » prese il partito di mettere in obblivione quella ♦) carica un dì così cospicua, e di dividerne le at- ») tribuzioni fra' nuovi magistrati ». Se pertanto L. Gellio nel 682 ebbe il consolato, come potè esser curatore delle opere pubbliche dopo \\ 734 ? È vero che sì hanno esempi, che quest' offi- cio poteva esercitarsi da personaggi pretorii prima (1) Lib. Lll. 21. (2) In Aug. e. 37. (3) Burbiileio p 28. Sul Colle Tibdrtino 385 che fosser consoli, e da consolari dopo di aver occu- pato la maggior curule (1); ma è vero altresì (e m'avviso di non trovale opposizione ), che nel se- condo caso non conveniva di esercitar quell' officio dopo di esere stati censori, sapendosi che la censura era il sonomo degli onori , tanto che la assunsero , dopo che ne furon tolti Fianco e Lepido, gli stessi imperatori. L. Gellio , ahbiam veduto , era censore nel 684. Si ammetta pur che non morisse in quell' officio, secondo scrive Valerio Massimo, ed altresì iChe vivesse per assai altri anni. Sempre sì ritrarrà non piccola distanza fra l' anno della censura , e quello della distituzione di Augusto. Sarà poi mag- giore, se prima del consolato, e come personaggio pretorio si volesse fingeilo in ofllcio. Al tempo della repubblica, eh' è quel di Cicerone e di L. Gellio, la pretura non sì aveva prima dei 30 anni, il consolato non prima dei 42 si domandava per averlo nell'anno seguente, giacché la coslituzione celeberrima di Au- gusto , che ne accorciò gli anni al 32, ha la data del 727. Dunque Gellio al 682 avendo anni 43, al tempo della istituzione ne avrebbe avuti 95. Arroge nell'un caso lo spazio fra la età pretoria, e quella del consolato, e sì avrà l'età di Lucio, che per ogni ra- gione distrugge la presunzione dell'ottimo Sebastiani; ed assai più, se si riflette che i romani esercitavano gl'incarichi pubblici fino all'anno 60 di loro vita , dopo il quale si riposavano. Poteva anche pensarsi alPaltro L. Gellio parimente figliuolo di un Lucio , console del 718, che per le note paternali lo arguim- (1) Cfr Borghesi 1. e. p. SS e seg. — 3 1 C Letteratura mo il primogenilo del console del 682. Ma , come ben si scorge , più brevemente sì, ma s'incontrano le stesse difficoltà; sebbene potesse dirsi, che all'anno 60 potesse avere quell'officio sulle opere pubbliche, in cui appunto avvenne la mentovata istituzione. In tanta disamina, come non sospettare del console suf- fetto del 793, che pure era un L. Gellio figliuolo di un Lucio ? Esso era posteriore al 734 ; era in istato, come personaggio illustre, di assumere l'officio di curatore delle opere pubbliche ; il perchè esser poteva il costruttore o il ristauratore del tempio di A^esta. Dopo di che mi fo a riflettere, che sebbene mi ri- manga sempre il dubbio, che trattandosi di un monu- mento municipale, non altri che un personaggio del municipio potè avere l'incarico di costruirlo, e il diritto di porre il suo nome nella fascia del grande architra- ve, tuttavia per la mancanza de'monumenti, e per non contraddire interamente alla sapienza del Visconti, inclino per ora a credere, che Roma, o come repub- blica madre , o come regina de'Iuoghi soggetti all' impero, poteva adoperarsi dietro le inchieste o dei municipii o delle colonie, come della costruzione, cosi della conservazione dei monumenti pubblici sa- cri e profani, per mezzo o de'suoi censori nell'un caso, o de'suoi curatori nell'altro. Due adunque sono le epoche da porsi in bilancia, l'una della repubblica , l'altra dell'impero. Litorno alla prima, stimo cosa assennata di atte- nermi alla sentenza del Visconti non mai nel senso inteso dal Sebastiani, ne alla maniera conoepita da esso; cioè, che quegli che si adoperò della costruzione Sul Colle Tibdrtino 317 del tempio potesse essere il L. Gellio Poplicola con- sole del 682, col titolo di CURATORE mercè della istituzione augustea. Intorno alla qual cosa, m'avviso che l'uomo della illustre famiglia de'romani archeo- logi si sia allontanato dal vero: per il che ardisco di cambiare in parte il supplimento dal Piranesi praticato (cui non dissentiva il Visconti) a quel poco che riniane della surriferita iscrizione. Al punto di storia già trattalo, che i curatori delle opere pubbliche non si avevano al tempo di L. Gellio, che è quel della repubblica, si aggiunga, che la mentovata ingerenza era propria della cen- sura'^ che ve la incarnò il suo istitutore, il re Servio Tullio^ e vi si mantenne sacra fino all'anno 734", in cui, come è detto, Augusto la distrusse. In conse- guenza i censori non solo erano intesi alla buona condotta dei sudditi, ma eziandio alla fabbricazione e conservazione dei pubblici monumenti. Né in questo è avara la storia. Fra i vaii personaggi è a ricor- dare Appio Claudio , che nella sua censura costruiva un gi'ande acquidotto, e portava la prima acqua in Roma nell'anno 441, essendosi i romani serviti per lo innanzi delle acque del Tevere, dei pozzi, e delle sorgenti ; parimente Caio Plauzio collega di Appio, che per assersi occupato di ritrovare le vene di det- t'acqua fu cognominato Venoce : né é da omettere Marco Curio Dentato^ che per mezzo delle spoglie di Piiro, di cui aveva egli trionfato, come censore fab- bricò il grande acquidotto , col quale, correndo il 481 , portò in Roma le acque dell'amene vecchia. Livio nel favellare della giurisdizione dei censori, vi comprese eziandio il diritto dei luoghi pubblici e pri- 318 Letteratura vati (1). Né dalla loro giurisdizione erano esclusi i templi, di guisa che facendo menzione dei censori Lepido e Fulvio: Complura^ dice, sacella publicaque sacra, occupala a privatisi ut paterent^ essenlque popu- lo communia., curarunt (2). E con precisione altrove : Censorem^ cui sarta teda exlgere sacrìs publicis^ et loca tuenda more maiorum fraditum est (3). E ve- nendo al particolare del mentovato censore Q. Fulvio Fiacco , narra lo slesso Livio , che nell'anno 579 fabbricò egli il tempio della Fortuna Equestre, di cui, essendo pretore, fatto aveva voto in Ispagna nella guerra de' celtiberi, mettendovi quanto potea studio maggiore, acciocché non fosse in Roma tem- pio né più grande, né più magnifico: Q. Fulvius Flac- cus censor aedem Forlunne equestris^ quam in Hi- spania pretor bello celtiberico voverat, faciebat enixo studio^ ne ullum Romae amplius aut magnificentius templum esset. Ora se i censori si adoperavano anche delle opere pubbliche sacre, non potrebbe giudicarsi più acconcio di supplire nella mentovata iscrizione cen- 5orE, anzi che curatorEl Si sa che la carica, che dava la facoltà di operare una cosa pubblica, si espri- meva a memoria non peritura nella iscrizione, che si scolpiva nel monumento. Intorno a questo abbia- mo esempi nei marmi: e mi ricorda di quella iscri- (DtJvio lil). 4: Morum disciplinae .uè romanae regimcn, scnatvs equitiimque ccnturUt, decoris decorisque discrimen, sub diclione ius tnagistratus, BUBLICORUM PHIVATORUMQUE LOCOIiUM JUS, et vectigalia populi romani sub iiutu et arbitrio eius {censoris) crant. (2) 1(1. lib. 40. (3) Id. lib. 42 e. 3. Sul Colle Tiburtino 319 zione riprodotta dal Marini (1), ritrovata presso il Tevere , diretta a stabilire il termine fra il terreno pubblico assegnato alle ripe di quel fiume ed il ter- reno dei privati. Officio che parimente era dei cen- sori, e da Augusto fu dato ai curatori, come è a ritrarre dal citato passo di Svetonio, dove leggem- mo ancora : Curam . . . alvei Tiberis. Ebbene la ca- rica di censore fu espressa nel marmo, che trascri- vo qui appresso: p. SERVILIVS . C . ISAVRICVS F M. VALERIVS . M . F M N . MESSAL . . GENS • EX .S.C. TERMIN Dunque parnii non male inteso, che il censore ab- bia a sostituirsi al curatore^ non si potendo d'altra parte dubitare, che Geli io console del 682 era in- contrastabilmente censore al 684. In conseguenza non senza ragione gli si può attribuire la costru- zione, sia pure la riedificazione, del nostro tempio: la cui epoca, calcolando i mesi che la sostenne, po- trebbe determinarsi di circa 70 o 71 anni innanzi l'era volgare. Ma ciò risguarda la ricerca , che primamente ci prefìggemmo , quella cioè della epoca repubbli- cana. Rimane a considerar l'altra dell' impero, alla quale ci chiama L. Gellio parimente figliuolo di (1} Iscrizioni ulbune \f. 21. 320 Letteratura un Lucio cognominato Poplicola^ che Io riuaemiiio console sufFetlo del 793; e come posteriore alla più volte nominata istituzione del 734, ci maravigliam- mo, come non si fosse pensato ad esso , che potea esser curatore delle opere pubbliche o prima di es- ser console sotto il regno di Caligola, o dopo il con- solato, sotto l'impero di Claudio. Ma per quanto uno si voglia adoperare di so- stenere quest' ultimo Gellio per coonestare in quel frammento il curatore o curante del Tiranesi , del Visconti, del Sebastiani, e innanzi tutti del Volpi (1), ci troveremo mai sempre in un ginepraio. E detto eh' esso non potè esser curatore che o sotto Cali- gola , o sotto Claudio. Domando io: Poteva sotto l'impero di questi due mostri fabbricarsi un tem- pio alla greca, e di una bellezza non comune ? Sot- to Caligola non è egli possibile. Si sa che la deca- denza delle arti cominciò sotto l'impero di Tiberio. Caligola le aveva in abbominazione. Basti ricordare, che per suo ordine abbattute furono e rotte le sta- tue degli uomini illustri, ch'erano in canjpo mar- zo (*2)', fece levar le teste alle più belle statue del- le divinità per collocarvi la propria (3); annichilar voleva le opere di Omero (4); fece distruggere una bellissima villa in Ercolano pel solo motivo , che vi era stata custodita una volta la madre (5). Po- teva considerarsi costui capace di fare innalzare un (1) V. L. P. De Tiburt. p. 169. (2) Svet. in Calig. e. 34. (3) Idem cap. 22. (4) IJem e. 34. (5) Seneca, De ira lib. 3. cap 22. Sul Colle Tiburtino 321 monumento d'arte? Ne da meno era la decadenza sotto Claudio. Quanto egli le amasse, basta udir Pli- nio (1) e il Winkelmann (2), che ci narrano di aver fatto intagliare da due quadri le teste di Alessandro per mettervi in vece loro quelle di Augusto. Se per comparire scientifico ampliò il museo, ossia l'a- bitazione de'Ietterati in Alessandria, non fu che ef- fetto d'ambizione. Se immaginò di usare la j ri- voltata , ed inventò nuove lettere, non fu che de- siderio d'esser chiamato un nuovo Cadmo (3). Po- teva ancor questi favorire le arti con la fabbrica- zione di un greco monumento ? Io ho per fermo che no: e credo di non eriare, se dall'epoca impe- riale m'avviso di escludere la costruzione del tem- pio di Vesta per cura del nominato Gellio. D' altra parte al tempo di L. Gellio censore le belle arti salivano a gran passi per giungere a quel grado sublime di grandezza e di pompa, a cui non giungeranno forse mai. Negli anni precedenti si sa che Siila fece rinnovare il tempio di Giove Capi- tolino; Mario il tempio dell'Onore e della Virtù; Pom- peo quel di Venere vincitrice; Cesare quasi con- temporaneamente quel di Marte, d'Apollo, e di Ve- nere genitrice. Cicerone, amico e confidente di esso Gellio, ce ne dà prova non dubbia nella corrispon- denza con Attico, a cui favellando affettuosamente del suo Tusculano, gli dice, che le statue di Megara , (I) Lib. 35. ca|i. 10. ' (2) Tolti. 3. p. 716, eJiz. di Pi-iilo. (3) Claudio invelilo Ire nuove forme di lettere. — Tacit. Ann. jib. 11. 3 e (i. — Svet. in Claud. cap. 41. — Quintil. Inst. Orat. lib I. cap. 7. n. 2fi. — G.A.T.GXXIV. 21 322 Letteratura e quelle di Mercurio intagliate in marmo pentelico con le teste di bronzo, comprategli da esso, gli por- pevano diletto maraviglioso (1). Se si discorrono le opere di belle arti, e innanzi tutte quelle del Win- ckelraann (2) , si avrà per concluso , che in quel tempo le arti erano in bella gara, e che la strut- tura del tempio di Vesta \ì corrisponde a capello. -i Mi spiace però di vedere nella summentovata dissertazione del Visconti di chiarissima memoria , che « questo gentile edificio era sicuramente un tem- )> pio costrutto eoa tutte quelle esatte regole, che )i da Vitruvio sono proferite ». Con le quali pa- role esso Visconti, oltre che ci determina che il tem- pio è posteriore a Vitruvio, pare che in certo modo contraddica la sua opinione per lo innanzi manife- stata, che la costruzione di esso fu opera di L. Gel- lio console del 682. nu Vitruvio fece di pubblica ragione i precetti di architettura assai tempo dopo di quel consolato. Di- vise egli l'opera in dieci libri, ed all'imperatore Ot- taviano dedicolla. Fece precedere ogni libro da un proemio, io ciascuno de'quali Ottaviano è sempre in- vocato o imperator Caesar , o Caesar , o imperator semplicemente. Non mai gli è dato il titolo di Au- gusto. Dalla qual circostanza potrebbe inferirsi, che la data della pubblicazione non fosse prima del 724, in cui fu proclamato imperatore , ne dopo il 727 , in cui per sentenza di Munazio Fianco assunse il ti- tolo di Augusto. Con la quale mia idea peraltro , 1' ''" (1) Cic. ad Alt. lib. I. ep. 4, 6, 8 e 9. (2) Op. cil. l. 3. p. 609. Sul Colle Tiblrtino 323 che sottopongo al giudizio dei dotti, non intendo distruggere la sentenza di valentissimi scrittori , i quali hanno inteso di vedere il mentovato titolo di Augusto nelle parole poste sul principio del proemio del primo libro (sebbene io le intenda scritte per adulazione), e quindi che potesse aver luogo la pubblicazione dell'opera poco da poi dell' assunzione del titolo me- desimo. In tutti i modi però è statuito essere essa posteriore al consolato e alla censura di L. Gellio per un tempo notabile: ciò che montava alla dispu- tazione. Nondimeno potrà taluno dire, che \itruvio pri- ma di pubblicare la sua opera potè sedere lo scan- no di pubblico maestro , potè di simil guisa insi- nuare altrui i suoi precelti. Ma oltre lo intervallo di tempo dalla censura di Gellio in poi, che ci fa es- ser contrari, sappiamo eh' esso passò la migliore e più parte della sua vita nella milizia. Si narra, che sotto Giulio Cesare fu prefetto delle macchine da guerra; ch'ebbe parte nei fatti strepitosi di Spagna, e che non lasciasse le armi prima dell'uccisione di quel dittatore , che segui , se mal non mi ricordo, nell'anno 711; 29 anni dopo il consolato, e 27 do- po la censura di Gellio. Mentre si occupava delle armi, anche in paesi lontani, ancorché potesse occu- parsi de'suoi precetti, ch'erano noti anche a Giulio Cesare (1j, poteva ad un tempo dichiararli in Ro- ma come pubblico precettore ? Aggiungo di più, che (1) Vitr. Praef. ad I lib. Ideo quod primum parenti tuo de eo fueram nolus, et eiiis virttitis slvdiosui. 324 I.EITERATIRA sebbene fosse potulo riuscire a fare l'ima e l'altra cosa, tuttavia si sa per bocca di lui, che i suoi ca- noni , finche visse , non furono gran fatto accolti : e se ne duole egli col dire, che la protezione era accordata agli ignoranti fnon è cosa nuova) anzi che agli uomini dotti (I). Nella prefazione al primo li- bro dichiara ad Oltaviano, che nell'ammirare i gran- di palazzi e i molti monumenti da esso innalzati in Roma, venne spionato a compiere la sua opera , e a dedicargliela-, per il che pochi anni devono es- ser trascorsi fra la pubblicazione e il tempo in cui si adoperò di proposilo de'suol piecelii. La qual co- sa coincide perfettamente con altra di lui espressio- ne, che quando scrisse era già vecchio (2). E di vero, non campò che pochi altri anni, calcolandosi approssimativamente la sua morte , secondo alcuni scrittori, verso il 739: secondo altri , verso il 743 di Roma; anni 15 o 19 prima dell'era volgare. Né il Valadier per mezzo delle locali sue osser- vazioni ci è inutile intorno questo merito, tutto che sia egli di avviso, che il tempio sia stato costruito al tempo di Augusta. Non potè pertanto nasconde- re le assai differenze che passano fra la costruzione di esso tempio e i precetti vitruviani, in particolare nella laighezza dell'ambulacro circolare, ossia nello spazio fra il muro della cella e il vivo delle co- lonne; nel muro della cella che si ritira dal vivo (1) Vilr. lib. 3: Et animadverto jìotius indoctos quam doctos grafia mperare; von case certandum iudicans cum imlncUs nmhitio- ne, yoliuH h' 290 Cantalamessa Carboni, SulV Eneide di Virgilio volgarizzata dal Caro < 332 Neigebaur, La Dacia Traiana , • . . » 368 Varietà. co-. L ;-. IMPRIMATUR Fr. Ih. M. Larco 0. P. S. P. A. M. Socius. IMPRIMATUR F. A. Ligi Vicegs.