GIORNALE
DI SCIEIVZE, LETTERE ED ARTI
Voi. 373, 374, 375
ROMA
TipograBa delle Belle Arti
1851
Piazza Poli num. 91.
Hiì
fitlCft^'
GIORNALE
D I
TOMO CXXV
Ottobre, Novembre e Dicembre
1851
ROMA
TIPOCnAFIA DELLE BELLE ABH
■1851
sciali ^^9 'E^'MTTMMM^
'■■■ ■•.:i'l
Notizie istoriche intorno alla specola di Milano^ rac-
colte neWanno 1 846 da Pietro Biolchini, segretario
della direzione del giornale arcadico.
ALLA CH. MEMORIA
DELL'EMINENTISSIMO SIG. CARD.
FRANCESCO CAPACCINI
1 1 on una lapide, un busto, o altra tale opera di
scarpello s'intitola qui al nome di un grande estinto,
ma una opericciuola di penna, la quale come che
poca cosa, pure al tutto è dovuta alla memoria di
lui , che già tra i vivi degnò gradirla; e ricevuta
l'avrebbe, se appunto allora non incontrava la im-
matura fine di coloro che per molta virtù meritato
avrebbero di non dover mai morire. Avrà questa vo-
lore pur solo per la materia di rammentare la pro-
tezione che esercito quell'illustre porporato a favore
de'buoni studi , a particolarmente dell' astronomia ;
nella quale scienza egli s' intese assaissimo. Ed era
tutto dato alla contemplazione degli astri e della
u
legge che i loro moti governa, quando passato da'
suoi dotti ozi di Napoli alla corte di Roma, seppe ivi
mostrare quanto della contemplazione possa giovarsi
r azione e quanta analogia passi tra l'armonia del
mondo fisico e l'armonìa del mondo morale; così
che la cognizione delle scienze materiali e filosofiche
non sia indifferente per uomo di sublime ingegno e
di retto cuore alla cognizione delle scienze sociali e
del governo degli uomini Egli però nel maneggiare
gli affari della chiesa e dello stato meritò tal fama,
anche oggidì si durevole , che non aspetta i miei
etogi. Il perchè basta questo cenno per tornare con
la mente a venerare il nome di un nomo mancato in-
nanzi tempo per infortunio comune, ma la cui me-
moria si ravviva spesso pur oggi nel desiderio di
molti.
Sì><0
i^i^UttMUìI
Jue notizie intorno alla storia della specola di Mi-
lano, la direzione delle macchine, che vi si trovano
e la esposizione de'Iavori astronomici in essa insti-
tuiti sì teorici e sì pratici, leggonsi qua e colà sparse
in diverse appendici delle effemeridi astronomiche di
Milano, come che se ne vedano de'cenni negli elogi
del Cesaris e dell'Oriani, il primo de'quali fu scritto
dall'astronomo Bianchi da Modena ed il secondo dal
professor Gabba. Noi da tutte queste fonti abbiam
tratte le presenti notizie, ed abbiamo pure accennato
que' luoghi, dove più ampie cognizioni possono su
tal soggetto rinvenirsi.
La corte del Belgio richiese all' I. R governo au-
striaco nell'anno 1838 dei ragguagli intorno alla spe-
cola astronomica di Milano, dal quale ebbe il dotto
rapporto che ci facciamo ad esporre.
Pianta delV osservatorio. — L'osservatorio di Mi-
lano é considerato come parte dell'L R università di
Pavia. Sono stipendiati parte dal pubblico erario,
parte dalla rendita del fondo legato all'osservatorio
dall'astronomo Oriani.
6
Un primo astronomo direttore ha
lire austriache 6000
Secondo astronomo 4500
Primo allievo 1350
Secondo allevo 900
Terzo alievo 900
Macchinista 2365 52
Portiere (oltre il vestiario) . . 540
Hanno essi tutti allojjgio gratuito nell'I. R. pa-
lazzo delle scienze. Sono inoltre ammessi nell'osser-
vatorio gli allievi liberi che si esercitano nei cal-
coli e nelle osservazioni, affinchè possano acquistare
il diritto di poter aspirare all'ufficio di allievo stipen-
diato. E questi, quando abbiano prestato all'osserva-
torio degl'importanti servigi, ottengono talvolta dalla
munificenza del governo qualche straordinaria rin
uiuoerazione.
oli Dotazione. — L'osservatorio ha una dotazione
parte a carico della cassa pubblica, parta proveniente
dagli avanzi della suddetta rendita del legato Oriani.
A questo si aggiunge il danaro ottenuto per la ven-
dila delle effemeridi astronomiche. La dotazione del-
l'osservatorio serve:
r Alla manutenzione del locale, de'mobili, e
delle macchine astronomiche.
2" Alla somministrazione delle materie prime al
macchinista per l'esecuzione dei lavori che gli ven-
gono ordinati.
3° Alla stampa delle effemeridi astronomiche, e
Maitre produzioni relative all'astronomia.
Iti M^,4° Alla provvisione de 'combustibili e lumi oc-
correnti alla specola ed alle camere, dove si radu-
nano i calcolatori e si danno le lezioni.
7
5° Alla provvisione de'libri spettanti all'astro-
nomia.
6° All'acquisto di macchine che non possono
essere somministrate dall'officina meccanica dello sta-
bibilimento.
Occorendo l'acquisto di qualche stromento di
prezzo ragguardevole, l'I. R. governo suole concedere
straodinariamente i mezzi necessari.
Direzione ed amministrazione. — La direzione
dell'ossevatorio è affidata al primo astronomo. Egli
è incaricato dell'immediata corrispondenza col go-
verno : tesse il conto preventivo delle spese di
ciascun anno, custodisce la casa, e tiene il registro
dei volumi delle efFemeridi che si vendono a van-
taggio dello stabilimento ; conserva in un deputato
magazzino gl'istromenti e altri oggetti che cessano
di essere usati nell'osservatorio, dirige finalmente
l'archivio contenente le carte d'ufficio ed il deposito
delle osservazioni e dei calcoli.
Incombenze dei due astronomi. — Uno dei due
astronomi dà un pubblico corso annuale di astrono-
mia teorica. Entrambi si occupano nel fare le osser-
vazioni astronomiche ed in tutte le operazioni spet-
tanti a' progressi dell'astronomia. Dirigono gli studi
teorici e pratici stipendiati ed onorari, ed esamina-
no i calcoli da essi fatti. Pubblicano ogni anno del-
le memorie astronomiche nelle appendici delle effe-
meridi o in altre scientifiche raccolte. Presentano
ogni anno al governo un rapporto sullo stato della
specola e sugli studi degli allievi. Trasmettono pure
annualmente alla direzione della facoltà filosofica del-
l'I. R. università di Pavia i cataloghi scolastici in dop-
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pio esemplare. Manteri{jono una corrispondenza scien-
tifica cogli altri osservatorii e con diverse accademie;
la qnale corrispondenza si conserva nell'archivio in-
sieme colle altre carte di ufficio.
Ogni astronomo, che abbia continuato per 25
anni a pubblicare delle memorie astronomiche ap-
plaudile, va esente dalle occupazioni più faticose, e
dopo altri 5 anni di assistenza e di direzione può
essere, volendo, giubilato col soldo intera.
Incombenze dei tre allievi aggiunti. — I tre
allievi aggiunti calcolano di concerto alcuni anni
preventivamente le effemeridi, ed assistono alla loro
stampa; calcolano le proprie osservazioni, mostrano
la specola agli stranieri ed a' nazionali intelligenti
ogni qual volta ne sono richiesti dagli astronomi.
In tutti i giorni dell'anno, salvo i festivi, si ra-
dunano in una stanza della specola e vi fanno i loro
calcoli e i loro studi almeno cinque ore al giorno,
oppure si trattengono nella specola per farvi le os-
servazioni astronomiche , meteorologiche e magneti-
che che sono loro commesse dal direttore, il quale
regola il tempo delle loro vacanze in modo che uno
o due rimangono costantemente all'osservatorio.
Quello che aspira all'impiego di allievo aggiunto
bisogna che abbia riportato con lode l'approvazione
d'ingegnere in una delle università del regno: o, trat-
tandosi di persona ecclesiastica, abbia ottenuto una
ragguardevole considerazione nel corso del liceo e
negli studi teologici in alcuno dei seminari diocesani:
deve inoltre aver dato prove chiarissime di valore e
di esattezza nelle osservazioni e nei calcoli, esercitan-
dosi [)resso l'osservatorio pel corso di due anni; final-
9
mente deve sottometersi a tutte le regole che sono pre-
scritte pei concorsi degli aspiranti al grado di pro-
fessore.
Se alcuno degli aggiunti si rende noto in ma-
niera particolare col pubblicare opere utili relative
a' suoi studi, il governo sull'informazione degli astro-
nomi gli concede gratificazione straordinaria: e se
continua in così fatta guisa, ha un aumento di solda.
Agli aggiunti, che abbiano proseguito pel corso
di 25 o 30 anni a pubblicare memorie astronomi-
che importanti, sono conceduti quei privilegi sopra
detti, di cui godono gli astronomi in analoghe cir-
costanze.
Incombenze speciali del primo allievo. — h pri-
mo degli allievi aggiunti fa le veci dei due astrono-
mi ogni qual volta questi sono legitimamente im-
pediti, cioè o supplendo nelle pubbliche lezioni o
continuando qualche serie di osservazioni da essi
intraprese. Ammaestra gli altri allievi nei calcoli, tiene
un registro generale di tutte le osservazioni che si
fanno , o che si ricevono per mezzo delle corri-
spondenze. iiobIìM
Per esser promosso all'ufficio di primo allieva
aggiunto bisogna aver adempito con lode a tutti i
doveri di allievo almeno per anni 4, ed aver pubbli-
cato qualche importante lavoro di astronomia.
Incombenze del macchinista. — Il macchinista ha
nell'I. R. palazzo delle scienze, oltre l'abitazione, un'
officina meccanica. Deve impiegare l'opera sua per
qualunque lavoro, che gli venga ordinato, tanto oc-
corrente alla specola, quanto estraneo. Ha l'obbligo
di accettare uno o più allievi da informare nella
sua professione senza pretendere mercede.
to
Ogni settimana passa in rivista ciascuno degli
strouienti della specola per procurarne la forbitezza
e la migliore conservazione, e farvi le riparazioni,
previa l'approvazione degli astronomi. Impiega sei ore
pel servizio della specola, ed occorrendo deve pre-
starsi senza limiti.
Incombenza del portinaio. — Il portinaio deve
assistere alla porta della specola nel tempo che stanno
radunati gli allievi aggiunti, e quando lo richieda il
bisogno. Serve gli artronomi e gli allievi in tutto ciò
che ha relazione alla specola. Nelle ore in cui sono
aperti al pubblico gli uffici delle scienze, il portinaio
può condurre i forestieri alla visita dell'osservatorio,
non piò però introdurli nella sala del circolo meri-
diano e negli altri gabinetti, dove sono le maechine
più delicate.
In caso di vacanza di un impiego presso l'I. R.
osservatorio, si pubblica un concosso, ed il direttore
presenta all'I. R. geverno una terna per la nomina
definitiva.
Osservazioni astronomiche. — Nella specola di
Milano, riccamente provveduta dei migliori stromenti
e di sufficente numero di osservatori, si fanno le os-
servazioni astronomiche riconosciute specialmente
utili al progresso della scienza, dandosi la preferenza
a quelle che richiedendo l'impiego delle macchine
grandi, non possono eseguirsi nei piccoli osservatorii.
Le principali sono :
1° Le osservazioni di ascensione retta e decli-
nazione del sole che vengono regolarmente parago-
nale colle tavole per sempre più perfezionare gli
elementi. Nelle vicinanze degli equinozi e dei sol-
11
stizi le altezze meridiane del sole si osservano con-
temporaneamente per maggior controlleria ad un cir-
colo meridiano, e ad un circolo moltiplicatore, en-
trambi di tre piedi di diametro.
. . 2° Le osservazioni meridiane della luna, delle
quali si procura di non perderne alcuna, tanto al-
lorché passa pel meridiano nelle ore inoltrate della
notte, quanto allorché essendo vicina al sole presenta
una debolissima fase. Le ascensioni rette della luna
al numero di oltre due mila, calcolate e paragonate
colle tavole, abbracciano già il periodo di 22 anni,
e su di esse si stanno determinando le costanti e gli
altri coeflicenti ancor dubbiosi della teoria lunare.
3° Le osservazioni della stella polare affine prin-
cipalmente di rettificare il circolo meridiano e deter-
minare il polo istrumentale.
4* Le distanze dal vertice delle stelle zenitali
determinate mediante l'inversione col circolo moltipli-
catore, che combinate colle distanze dal polo osser-
vato al circolo meridiano, danno con molta precisione
il complemento della latitudine geografica dell' os-
servatorio.
5° Le distanze del vertice delle stelle circompo-
lari nei passaggi superiore ed inferiore, e quelle delle
stelle molto australi affine di determinare con più
precisione le rifrazioni astronomiche. A questo ogget-
to si è scelto un certo numero di stelle, le quali si
osservano di concerto nelle specole di Milano, Padova
e Modena. Sarebbe desiderabile che si osservassero
anche a Brusselles ed in altri osservatori!.
6" Il passaggio delle stelle più cospicue all'orien-
te ed airoccidente pel primo verticale. A questo fine
12
si è collocato su due pilastri di granito uno stro-
luento di passajjgi di cinque piedi di lunghezza e
in posizione norroale al meridiano.
Questi passaggi combinati colle distanze dal zenit,
osservate contemporaneamente col circolo mobile ,
servono, oltre agli altri usi già conosciuti, alla de-
terminazione delle rifrazioni ed a quella della pa-
ralasse della luna.
Le osservazioni delle comete, sia periodiche, sia
nuovamente apparse, che si istituiscono (quando non
siano visibili nel meridiano) con un settore equato~
riale di cinque piedi di raggio.
Il carico di questi lavori viene diviso fra gli
astronomi e gli aggiunti , di modo che nei giorni
sereni le macchine dell'osservatorio non rimangono
mai oziose.
Osservazioni meteorologiche e magnetiche. — Le
osservazioni meteorologiche (barometro, termometro,
igrometro, pioggia, direzione, del vento, stato del cie-
lo) si fanno attualmente sette volte il giorno, di tre
in Ire ore, cominciando dalle sei della mattina, e ter-
minando a mezza notte. Eziandio queste sono divise
fra'vari individui, a cui sono assegnale le ore. Sui
medi mensili si calcolano regolarmente le costanti
delle variazioni orarie del barometro , del termo-
metro, e dell'igrometro, e la direzione del vento op-
posto. Nei giorni poi dei solstizi e degli equinozi
si fanno le osservazioni meteorologiche d'ora in ora
richieste a diversi osservatorii dalle società meteoro-
logiche di Londra. Finalmente nelle consuete giornate
di agosto e di novembie si notano da diversi osser-
vatori le stelle cadenti, indicandone prossimamente
il corso apparente e l'intensità della luce.
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L'osservatorio possiede due apparati per la ri-
cerca della declinazione e della forza magnetica
orizzontale , uno dei quali fu costrutto a Gottinga
sotto la direzione del celebre professore Gauss, e
serve alla determinazione assoluta dei sudetti ele-
menti ; l'altro è una copia di quello, con cui due
ragguardevoli viaggiatori, i sigg. barone Sartorins e
dottore Listing, fecero presso questa specola molte
osservazioni : esso è stato costrutto dal macchinista
e serve per osservare le variazioni diurne ed annuali.
Il medesimo macchinista, sulle istruzioni avute
dall'aggiunto dell' osservatorio sig. Carlo Kreit (ora
astronomo in Praga), ha congegnato un ago d'inclina-
zione di 13 centimetri di lunghezza, sospeso su due
punte che lavorano su pietre dure, e munito d' uno
specchio giusta il principio di Gauss. Per le incli-
nazioni assolute si fa ancora uso dell'inclinatorio di
Lenoir, il cui ago ha 17 centimetri di lunghezza.
Le osservazioni magnetiche si fanno sei volte
ogni giorno alla distanza di ore tre l'una dall'altra.
In determinati giorni, preventivamente concertati fra
diversi osservatori principalmente di Germania, si
osserva la declinazione magnetica di 5 in 5 minuti
per lo spazio di 24 ore continue.
Osservazioni geodetiche, misura della lunghez-
za del pendolo semplice. Gli astromi di Milano fu-
rono in vari tempi incaricati di lavori trigonome-
trici per la descrizione geografica del regno. Negli
anni 1823, 24, 25, d'accordo con altri astrononi, fu-
rono determinate le differenze di longitudine di
di vari osservatorii col mezzo di segnali a fuoco.
Nel 1834 e 35 si ripeterono alcune operazioni geo-
i4
detiche alfine di riscontrare e stabilire i termini del-
la base trigonometrica misurata nello scorso secolo
in Lombardia.
Con un apparato di particolare costruzione si è
determinata dagli aslromi di Milano la lunghezza del
pendolo semplice, tanto in quell'osservatorio, quanto
sulle sommità del monte Cenisio: e si vanno ripe-
tendo gli esprimenti con gravi di diverse materie
per riconoscere l'influenza della resistenza dell'aria
sul moto dei pendoli.
Presso l'osservatorio si ha il deposito dei cam-
pioni dei pesi e delle misure secondo il sistema me-
trico, alcuni in forma autentica spediti da Parigi,
altri costrutti in Milano per servire di modello, e
quelli da diramarsi nel pubblico. Gli astronomi per
l'ordine del governo, o per la domanda di stabilimenti
scentifici nazionali od esteri, si prestano ad eseguire
la verificazione dei modelli, che loro vengono pre-
sentati. A tal uopo le stabilimento è fornito di tre
esattissime bilance e di due comparatori, uno a leva,
l'altro a microscopio.
Istruzione. — I regolamenti dell'osservatorio pre-
scrivono che le lezioni di astronomia si danno ogni
anno in ragione di quattro ore per settimana: le quali
possano anche comprendersi in due lezioni di due
ore l'una, e siano regolate sulle norme delle cattedre
libere dell'università di Pavia.
ii. Non essendo tale istruzione obbligatoria e non
potendosi da essa escludere quegli uditori che non
sono istrutti nelle scienze matematiche, il professore
si regola nella qualità delle materie da trattarsi giu-
sta le circostanze e la capacità dei diversi individui
15
ehe ^'intervengono, divìdendo a tal fine l'insegnamen-
to in due ordini.
Priraanaente si dà un'istruzione regolare e gior-
naliera per coloro,! quali essendo fondati nell'analisi
e nella meccanica sublime amano di conoscere l'a-
stronomia nella sua totale estensione. Poi si dà due
volte per settimana una lezione di astronomia fisica
elementare per quegli uditori, che frequetano l'osser-
vatorio per avere soltanto un'idea della sceinza e
conoscere solo quella perle che può esser disguinta
dalle matematiche.
Gli allievi liberi, e gli stranieri che vengono tal-
volta inviati e raccomandati da diversi governi
d'Italia , affinchè possano perfezionarsi nello sudio
astronomico, oltre le suddette lezioni teoriche rice-
vono dagli astronomi e dal primo allievo un'istru-
zione tutta pratica relativa ai calcoli delle osserva-
zioni ed al maneggio degli stromenti. Il catalogo
degli studenti viene compilato sul modello di quelli
degli studi filosofici delle università.
Pubblicazioni. — Ogni anno si pubblicano pre-
ventivamente le effemeridi astronomiche calcolate
sulle più recenti tavole e sui più sicuri elementi.
I calcoli sono scrupolosamente conservati , affinchè
quando si determinano colle osservazioni gli errori
delle posizioni degli astri, non possa cader dubbio
sugli elementi fondamentali, ai quali debbonsi ap-
plicare le correzioni.
Le sudette effemeridi sono seguite da un'appen-
dice contenente l' esposizione delle più importanti
osservazioni fatie precedentemente nella specola, e i
confronti di esse colle tavole astronomiche. In esse
s'inseriscono inoltre ora delle nuove tavole astrono-
16
miche, ora delle ricerche teoriche relative alla so-
luzione di problemi trigonometrici, al calcolo delle
perturbazioni planetarie.
Le disertazioni di maggiore estensione si dan-
no o in qualche collezione di alti accademici, op-
pure si stampano in volumi separati. Si stampò in
Milano dall'I. R. stamperia nell' anno 1838 in 8."
L'indice alfabetico delle memorie contenute nelle ap-
pendici dei 64- volumi finora pubblicati delle effeme-
ridi astronomiche di Milano secondo V ordine dei no-
mi degli autori. Inoltre vengono di tanto in tanto
somministrati alla gazzetta privilegiata di Milano ,
ed al giornale scientifico intitolato la Biblioteca ita-
liana., degli articoli astronomici diretti ad informare
il pubblico delle più importanti osservazioni e sco-
perte. Un estratto delle osservazioni meteorologiche
•vien somministrato giornalmente alla suddetta gazzet-
ta, e di mese in mese colla maggiore estensione alla
Biblioteca italiana. Questi stessi estratti si riproduco-
no di anno in anno nell'appendice delle effemeridi.
NOTIZLA DELLA PRIMA FONDAZIONE DELLA SPECOLA
E de' suoi successivi incrementi.
L'astronomia pratica cominciò ad esser coltivata,
nell'antico collegio dei gesuiti detto di Brera, molti
anni prima che vi sorgesse il magnifico osservatorio
che ne forma ora uno dei più belli ornamenti. I
padri Pasquale Bovio e Domenico Gerra fin dall'
anno 17G0 avevano ottenuto la facoltà di collocare
alcuni cannocchiali in un appartamento posto nella
parte più elevata del collegio , mentre dove si oc-
17
cupavatio nel passare In rivista le diversi costellazio-
ni ebbeio la soile eli annunziare per primi la com-
parsa di una nuova cometa.
La suppellotile della nascente specola era umile
assai; un cannocchiale non acromatico di 40 piedi di
fuoco , una sfera armillare di ferro, un orolog^io a
pendolo, ed un quadrante parimenti di ferro costruito
da un fabbro ferraio milanese Ma non tardò il ret-
tore del collegio p. Pallavicino a dispone per l'a-
stronomia una rajjguardevole somma per far costruire
dal Canivet, valente meccanico a Parijji, un sestante
ed un quadrante murale di G piedi francesi, e dal
Sisson di Londra un grande settore equatoriale. (Ap-
pendici alle effemeridi degli anni 1776 e 1806.)
Fu in pari tempo chiamato a Milano il p. Lo-
dovico Lagrange, nativo di Macon, il quale si era già
acciuislata molla riputazione essendosi esercitato nell'
astronomia pratica a Marsiglia col p. Pezenez (Ap-
pendice anno 1815).
Lo stesso rettore, secondando il desiderio del
ministro imperiale conte di Firmian, propose allora
la costruzione di un nuovo osservatorio, di cui diede
d disegno e diresse i lavori il celebre p. Boscovich,
ornamento Hno all'anno 1704 della ticinese univer-
sità, e passato di poi ad illustrare in Milano le scuo-
le palatine. Non pago egli di prestar l'opera sua nel
recarlo ad effetto, donò 200 scudi de'propri emo-
lumenti. (Elogio del Cesaris).
Neil' 1765 fu compila la fabbrica, e nel seguente
anno giunsero le macchine ordinate; sì dell'una e si
dell'altra ebbe la direzione il suddetto Lagrange, a cui
era stato dato per aggiunto il p. Luini. Ma passato
G.A.T.CXXV. 2
18
questi ad altre funzioni fu disposto della specola a
questo modo : Lagrange direttore, Boscovich nd ho-
norem^ Reggio e Cesaris astronomi : Chronllial, chia-
mato da Vienna, allievo: Megeie, chiamato pure da
Vienna, macchinista: due giovani allievi della provin-
cia ed il p. Puccinelli allievo speciale del Boscovich.
Nell'anno 1773, avvenuta V aholizione dei gesuiti,
l'osservatorio divenne dell'erario, ed essendosi allon-
tanato il p. Boscovich ebbe il titolo di astronomo
anche il Cronthal. Nel corso di quasi 60 anni ebbero
luogo molti cambiamenti nelle persone addette allo
stabilimento, e non pochi acquisti ed ingrandimenti
della fabbrica concorsero a renderlo sempre più im-
portante. Per brevità verremo esponendo tutti questi
cambiamenti in ordine cronologico.
Anno 1774. Uscì in luce il 1 volume delle ef-
femeridi astronomiche di Milano in lingua italiana;
i successivi fino all' anno 1808 inclusivamente si
dettero in lingua latina, indi ritornarono a scriversi
in volgare. Veggasi però l' indice che già indi-
cammo.
3ii>1776. Sono nominati allievi della specola e
supplenti al prof, di matematica l'ab. Barnaba Oria-
ni eGaetano Allodi.
•1780. L'Oriani è nominato astronomo sopra-
numerario.
1786. Il sopraddetto dal governo è inviato in
Inghilterra per commettere varie macchine. Gli astro-
nomi Reggio e Cesaris segnano la linea meridiana
sul pavimento del duomo di Milano , alla quale fu
data l'altezza di piedi 73. (Vedi la descriziane nelle
effemeridi per l'anno 1788).
19
1788. r tre astronomi sono incaricati della de-
scrizione topografica della Lombardia, e nello stesso
anno compiono la misura di una base geodettica di
lese 6000 di lunghezza,
1789. Il p. Dalmazio Savelli è nominato allie-
vo. Lasciò l'ufficio nel 1796.
1790. Il p. Raimondo Benferneri è nominato
allievo, il quale poi passò professor di filosofia nel
liceo di Milano, indi nella scuola militare di Modena.
1791. Acquistasi il quadrante murale di Ramd-
sen di 8 piedi inglesi di raggio.
1793. Si fa acquisto di un telescopio di Her-
schel di 7 piedi inglesi di lunghezza.
1799- Francesco Carlini è nominato allievo in
età di anni 16.
1803. La descrizione topografica della Lombar-
dia, ch'era stata sospesa nel 1796, viene ripigliata
ed estesa a tutta la repubblica italiana.
1804. Morte dell'astronomo ab. Reggio . Car-
lini nominato astronomo soprannumero.
1805. Gl'ingegneri Giuseppe Brupacher e Car-
lo Bioschi sono nominati allievi.
1809. Acquisto del circolo moltiplicatore di
Reichenbach di 3 piedi di diametro. L' astronomo
Oriani è incaricato dal governo di Francia di recarsi
a verificare le latitudini di Roma e di Rimini che
racchiudono Parco del meridiano già misurato dal
Boscovich.
1811. Il sig. Brupacher passa all'istituto geo-
grafico militare.
1812. Acquisto fatto dell' istromento de'passag-
gi di Reichenbach. Dono fatto all' osservatorio dal
20
ministro dell' interno d' uno specchio di telescopio
di Amici di 16 piedi di fuoco , ridotto nel 1839
alla lunghezza di 12 piedi conservando 1' apertura
d'un piede.
1813. Il sig. Bioschi passa anch'esso all'istituto
geografico. L' ingegnere Mossotti nominato alunno
gratuito.
1815. Il suddetto nominato allievo stipendiato.
L' ingegnere Brambilla nominato secondo allievo.
1816. Oriani ottiene la sua giubilazione conti-
nuando a tenere l'abitazione, e frequentare l'osser-
vatorio.
1817. Carlini nominato secondo astronomo.
1819. Mossotti nominato primo allievo.
1820. Piola nominato terzo allievo.
1822. L'astronomo Carlini è incaricato di mi-
surare di concerto cogli astronomi di Francia e di
Piemonte l'ampiezza dell'arco di parale! lo fra Mila-
no e Bordeaux.
1823. L'allievo Mossotti abbandona la specola,
e passa professore di matematiche prima a Buenos-
Aires, poi a Corfù, e finalmente a Pisa.
1827. Brambilla nominato primo allievo. 11
dottor Frisiani nominato secondo allievo.
1828. Morte del primo allievo Brambilla.
1829. Soppressione fino a niiov' ordine dell'
impiego di terzo allievo. Frisiani promosso al posto
di primo allievo. L'ingegnere Stambucchi nominato
secondo allievo supplente.
1831. Carlo Kreil, già assistente alla specola di
Vienna, è nominato secondo allievo.
1832. Morte dell'astronomo Cesaris. Carlini no-
21
minato primo astronomo direttore. Morte di Oriani,
il quale lascia 200 mila lire alla specola per lo sti-
pendio di un secondo astronomo e di un terzo al-
lievo.
1834. Collocazione del nuovo circolo meridia-
no. Frisiani nominato secondo astronomo,
1836. Osservazioni cominciate cogli apparati
magnetici di Gauss.
1838. Kreil passa astronomo aggiunto all'osser-
vatorio di Praga.
1839. L'ingegnere Stambucchi è nominato pri-
mo allievo. Il sacerdote Giovanni Capelli secondo
allievo. L'ingegnere Curzio Bussetti terzo allievo.
L'astronomo Carlini è incaricato di recarsi a Firen-
ze per far perfezionare dal prof. Amici lo specchio
del suo grande telescopio.
DESCRIZIONE
dei tre corpi di fabbrica che costituiscono
l'osservatorio.
Il piano inferiore dell'antico osservatorio è for-
nito di sei camere, due laterali bislunghe e quat-
tro centrali quadrate, le quali sovrastano immedia-
tamente al piano nobile del lato s. e. del palazzo.
Sulle quattro camere centrali sorge la torre o sala
ettagona, le cui parte d'est e di ovest si aprono so-
pra due terrazzi che formano il coperto delle due
camerre bislunghe. In una di queste ultime sono
praticate nei muri e nella solìitta delle aperture lon-
gitudinali, sotto le quali sono collocati tre istromenli
22
fissi meridiani, cioè lateralmente due quadranti mu-
rali , e nel mezzo sopra due colonne di granito, il
grande istromento di passaggi di sei piedi di lun-
ghezza. Neil' altra sono collocati gì' istromenti ma-
gnelici costrutti sui prmcipii del cel. Gauss.
La sala ettagona è coperta d' una soflilta non
molto pesante, e sorretta nel mezzo da un'altissima
colonna a muro \ ma gli angoli tagliati fuori dal
quadralo sono a volta, ed offrono un solido appog-
gio alle macchine astronomiche fisse che su di essi
SODO collocate. Quattro tetti mobili in forma di co-
no, del diametro di circa 10 piedi, le cuoprono: ed
un ballatoio interno serve alla comunicazione fra
r una e 1' altra. La parte più alta della specola è
praticabile, ed una colonnetta nel mezzo di essa
offre un punto centrale per collocarvi sia un teo-
dolite, sia un circolo mobile, allorché occorra os~
servare gii angoli fra gli oggetti terrestri, che in
gran numero si scuoprono nel vasto ed interamente
libero orizzonte, che si gode da quell'elevata som-
mità , la cui altezza totale sul piano dell' orto bo-
tanico è di piedi parigini novanta.
La facciala dell'osservatorio, parallela al lato
meridionale del palazzo, non è perfettamente all'o-
rientd , ma declina da mezzodì all'oriente di circa
undici gradi, e questa deviazione lungi dall'essere
un inconveniente, risultò favorevole alla disposizio-
ne delle quattro torricelle, le quali in tal modo non
' Huscirono scambievolmente d'incontro, almeno nel-
' Irt direzione del meridiano. Per lo stesso motivo la
i^irezione dell' istromento de' passaggi e del qua-
'd^AiHo murale prolungata verso il nord evitò l'in-
23
contro del tetti del palazzo e si trovò libero iìn
dove l'orizzonte è terminato dalla remota catena de'
monti. ( Effemeridi astronomiche di Milano per l'an-
no n70.)
Allorché gli astronomi di Milano ottennero dal-
la munificenza di S. M. V imperatore Francesco I i
mezzi per acquistare un circolo meridiano di tre
piedi di diametro, s'avvidero che le mura dell'anti-
co osservatorio, sebbene abbiano 80 centimetri .di
grossezza, non erano sufficienti a reggere le piramidi
di pietra, alle quali dovevasi appoggiare il nuovo
istromento. Si prese allora la determinazione di far
lialzare la nuova torre poco discosta dalla specola,
la quale nel 1805 era stata in parte demolita, e
che sopra solidissimi fondamenti presentava dei
muri grossi più di un metro e mezzo. Sugli avanzi
di quella torre, che conta più di 600 anni, si ri-
fece con materiali di eguale solidità e della gros-
sezza di oltre due braccia la parte del muro già
demolita. » Condotta questa in forma quadrata
( Descrizione della nuova torre aggiunta alV impe-
riale regio osservatorio^ e del circolo meridiano do-
nato da S. M. V imperatore Francesco I) fino all' al-
tezza di braccia 40 si gittò un arco a guisa di pon-
te appoggiato a' muri di levante e di ponente, indi
si proseguì con muri di minore grossezza, ed inscrit-
vendo nel quadrato un circolo di 10 braccia di
diametro, il quale costituisce l'area della sala prini-
cipale. Gli angoli tagliati fuori del muro interao
servirono alle scale a chiocciola ed a due gabinetti^
nei quali si stabilirono 1' anemometro a iqdice e
diversi altri stromenti meteorologici. Sull'arco pog-
24
giano due piramidi di granito d'un braccio in qua-
dro di base, e di 3 I3 di altezza, alle quali sono
assicurali con grosse viti i cuscinetti dell'asse dell'
istromento, i fulcri dei contrappesi, e la morsa del-
l'alidada.
Il circolo meridiano è collocato in una ben'a-
dorna sala circolare di 10 braccia di diametro e
quindici di altezza, coperta da una volta emisferica
imitante l'apparente convessità del cielo, ed aperta
dal nord al sud lungo una zona che abbraccia tut-
to il meridiano visibile. Ad eguale distanza dal
centro della sala sorgono due massi di granilo, ed
in mezzo ad essi sta in forma di croce un gi-an
canocchiale col suo asse a doppio cono di lucido
metallo. A fianco un circolo di tre piedi di dia-
metro gira insieme all'asse, ed è composto di due
anelli scorrenti l'uno nell'altro con dolcissimo moto
e perfetto combaciamento. Su lamine d'argento sono
segnate le divisioni, che esplorate con quattro equi-
distanti microscopi lasciano distinguere gli archi
fino a due minuti secondi, e danno il mezzo se-
condo quando fra le quattro letture si prenile il
medio eritmetico.
Un facile meccanismo è pronto ed acconcio
per sollevare tutta la macchina e rivolgerla alter-
nando la posizione dei perni. Un livello a bolla
d'aria serve a riconoscere ed a togliere le più pic-
cole deviazioni dell'asse dalla linea orizzontale: un
secondo a spirare le appena sensibili alterazioni dei
punti che corrispondono sul circolo al vertice nostro
ed al polo del mondo.
Alla scella fatta della suddetta torre erasi opposta
25
l'obiezione, che per tal modo venivansi a costituire
due corpi di fabbrica, due osservatorii, disgiunti af-
fatto l'uno dall'altro. Ma non trascorsero molti anni
che l'occasione si presentò propizia per togliere di
mezzo anche questo non gravissimo inconveniente.
L'astronomo Oriani avea legato,, morendo, all'osser-
vatorio una somma di lire 200 mila affinchè coi
redditi di questo cospicuo capitale si stipendiassero
un secondo astronomo ed un terzo allievo. Ora poi-
ché da tale generosa disposizione risultava un no-
tabile beneficio anche al pubblico erario, 1' I. R. go-
verno volle che una parte della somma, che veni-
vansi a risparmiare, si convertissero in vantaggio
dell'osservatorio. Si propose allora che sul lato est
del palazzo contiguo all'antica specola si fabbricasse
una serie di nuove camere, dall'ultima delle quali
partisse ad angolo retto un corridoio conducente
alla nuova torre, e che oltre a ciò nell'angolo for-
mato dalle due parti della nuova costruzione si eri-
gesse una nuova torre meno delle altre elevata, ma
opportuna a ricevervi un telescopio di 12 piedi di
fuoco, che donalo all'ossevatorio dal passato governo
italiano per mancanza di luogo opportuno era rin-
raasto ozioso.
26
DESCRIZIONE
DEI PRINCIPALI ISTRUMENTI.
Istromento de' passaggi costrutto a Milauo dal
Megele già macchinista dell' osservatorio. Questo
istromento era collocato sulla torricella sud-ovest
alla sommità dell'osservatorio, ove per la soverchia
elevazione andava soggetto a variazioni che ne ren-
devano l'uso non affatto sicuro. Allorché venne ac-
quistato il nuovo canocchiale meridiano di Reichen-
bach, che venne collocato in posizione più bassa e
meglio riparata dall'effetto del riscaldamento delle
mura proveniente dai raggi del sole , l' istromento
di Megele non serviva più che all'esercizio di gio-
vani studenti dell' astronomia. Alcuni anni sono si
pensò di volgere i pilastri di pietra, che lo sostene-
vano, in modo di situarlo nella direzione del primo
verticale per istituirvi le osservazioni suggerite dal
Bassel, fatte in Germania con assai più piccoli ca-
nocchiali.
Sestante di Canivet. Prima dell'introduzione dei
circoli interi, il sestante di Canivet era istromento
importantissimo in quell' osservatorio , poiché era
il solo che per mezzo dell' inversione somministras-
se immediatamente il principio di numerazione delle
distanze del vertice. La parte principale è di ferro
"vestita di un lembo in lamina di ottone, su cui
sono segnate per mezzo di punti minutissimi le di-
visioni di 10 in 10 minuti. Le divisioni si hanno
per mezzo di due micrometri filari. Ai due antichi
obbiettivi di sei piedi di fuoco di assai piccola aper-
27
tura erano slati sostituiti due buoni acromatici del-
la fabbrica di Monaco; ora però ha dato luogo ad
istromenti più perfetti.
Quadrante murale di Canivet. Di costruzione
non molto lodevole, anche pel tempo in cui fu
fatto. Nei primi anni era rivolto al sud: ma fu tra-
sportato al nord, poiché fu giunto il magnifico qua-
drante di Ramsden che occupò il suo luogo. Ora
serve soltanto come pezzo storico. (Appendice alle
effemeridi 1780. )
Grande settore equatoriale di Sesson. Sebbene
di antica data, questo stromento è ancora prege-
vole per la grandezza e forza del cannocchiale e
per la bontà delle divisioni segnate sopra un arco. di
5 piedi inglesi di raggio. E collocato sulla torricella
N. E. dell'osservatorio, e serve moltissimo per Tos-
servazione delle comete. (Appendice alle effemeridi
pel 1778).
Quadrante di Ramsden. È nel suo genere raro
per la precisione del piano dell'arco, e per le divi-
sioni. Ha 8 piedi inglesi di raggio, e porta due di-
visioni, una in 90 e l'altra in 96 parli. Essendo fìsso
al muro, per avere il principio di numerazione era
necessario ricorrere alle osservazioni contemporanee
falle col sestante di Canivet. Posteriormente fu ad
esso applicato il collimatore di Kater. ( Appendice
effepfiendi 179'i, 1806 e 1835).
Circolo moltiplicatore di Reichenbach. E istro-
mento perfettissimo. Ha un cannocchiale acromatico
di 42 pollici di fuoco e di 38 linee di apertura, uà
circolo verticale di Ire piedi di diametro , un ori»-
zonlale di due e mezzo: un eccellente livello a bolla
28
d'aria è posto nella lonicella sul lato N. 0. della
specola. (Appendice alle efFemeiidi del 1812 e 183G).
Parallitica di Mecenier, E costruita tutta in ottone
e mur)ita d'un connocchiale acromatico di 3 piedi e
nnezzo di fuoco e 42 linee di apertura. E collocata
sulla torricella S. E , e sebbene nancante di solidità,
serve a molti usi per la bontà del cannocchiale, e
si conserva come un pezzo storico, perchè era uno
degli stromenti più belli dell'osservatorio del cele-
bre Gagnoli.
Istromento de passaggi di Reichenbach. Ha un
eccellente acromatico di 6 piedi di fuoco a 52 linee
di apertura, ed è costrutto con tutti i più moderni
perfezionamenti.
Circolo meridiano di Stork, di cui si disse. (Ap-
pendice all'effemeridi del 1836).
Telescopio di Herschel. Ha pollici 84 di fuoco
e linee 74 di apertura, ed è tutto simile agli istro-
menti di eguali dimensioni, con cui il celebre astro-
nomo inglese fece una gran parte delle sue osser-
vazioni. Essendo pertanto sopra un piede di legno,
e non essendo applicalo agli oculari alcun sistema
micrometico , ha servito finora più alla contempla-
zione degli oggetti celesti che ad alcuna determinata
misura. (Appendice alla effemeridi, anno 1795. Tran-
sazioni filosofiche di Londra anno 1782).
Telescopio di Amici. Oltre un telescopio quasi
perfettamente simile al sudetto.
Quest' osservatorio ne possedeva un altro del
prof. Amici di 1G piedi di fuoco, e di un piede di
apertura. Essendo riuscito quel celebre ottico a dare
agli specchi la perfella figura parabolica, ha potuto
•29
accorciare notabilmente la lunghezza del fuoco del
teloscopio medesimo senza diminuirne l'apertura. Es-
so è munito di micrometri perché serva alle più mi-
nute osseivazioni de' fenomeni siderali.
Orologi a pendoli cronometri, borometri , ec.
L'osservatorio di Milano possiede un gran numero
dì orologi, fra 1 quali é considerevole quello di Ar-
nold donato nel 1796 dal generale Bonaparte , e
quello a remontoir di Robin che era di Gagnoli.
LAVORI ASTRONOMICI
ESEGUITI nell'osservatorio DI MILANO.
Nell'astronomia pratica, oltre le consuete osser-
vazioni della longitudine e latitudine del luogo, delle
congiunzioni ed opposizioni de'pianeti, dell' ecclissi
ed occultazioni delle stelle, noteremo che nella spe-
cola di Milano vennero osservate più di 20 comete,
della maggior parte delle quali fu calcolata l'orbila.
Debbonsi distinguere la lunga serie delle obbli-
quità dell'eclittica osservata col circolo moltiplicatore
di Reichenbach : la serie non mai interiotta delle
osservazioni meteorologiche, la quale venne sottomossa
ad assalto calcolo per dedurne diversi importanti
slati della costituzione etmosferica: il gran numero
di ascensioni rette della luna, osservate per un pe-
riodo di 18 anni, e già ap[)licate alla determinazio-
ne degli elementi dell'orbita lunare. Nelle effemeri-
di di Milano vennero pubblicale non poche tavole
astronomiche, che furono adottale da diversi astro-
nomi, quali sono le tavole di Urano deU'Oriani, le
30
tavole «lei sole e delle rifrazioni del Carlini: rima
nendo ancora inedite quelle della luna di quest'ulti-
mo , delle quali da più anni si fa uso nel calcolo
delle effen)eiidi, essendo ridotte alla possibile facilità.
Nell'astronomia teorica si distinguono fra i la-
vori più importanti la trigonometria sferoidica , ed
i calcoli delle perturbazioni planetarie dell'Oriani: la
teoria della luna, per la quale ottennero congiunta-
mente il premio dall'istituto di Francia l'astronomo
Plana di Torino ed il Carlini.
Dall'astronomia passando alla geodesia, possono ci-
tarsi come testimonio dell'operosità degli astronomi
milanesi la descrizione topografica della Lombardia, la
verificazione dei gradi del Boscovich e del Beccaria,
la misura dell'ampiezza dell'arco di paralello fra Mi-
lano e Bordeaux, che può vedersi descritta nell'ope-
ra i< Operalions geodesiques et astronomiques a Mi-
lan. Milano 1825. »
Le notizie che abbiamo questa volta riferite
speriamo di continuarle quando ci sarà dato di rac-
cogliere le assidue osservazioni, che si stanno istituen-
do dai giovani allievi dell' osservatorio intorno ai fe-
nomeni del magnetismo terrestre, ai quali sono ora
rivolti gli studi de' più chiari matematiei e fisici
d'Europa; e ciò all'utile scopo di dimostrare ai cul-
tori de' buoni studi i progressi delle scienze esalte
e perfette.
31
S. Pietro Apostolo al Valicano, ovvero la condizione
del cristianesimo e dell'ebraismo in Roma sotto
l'impero di Claudio^ coW analisi di alcuni sìwi
mandamenti relativi ai medesimi. Dissertazione
letta nella pontificia accademia di archeologia
dal prof. Luigi Vincenzi.
D
iceva altra volta della prima epoca, in cui gli
ebrei nelle molteplici e fatali loro vicende della vita
dispersi nel mondo, vennero eziandio ad abitare le
contrade di Roma. Vi parlai della loro prima abita-
zione in Trastevere, e del loro numero abbondante
sotto l'impero di Augusto. Vi ragionava della reli-
gione vera da essi santamente professata, della loro
indole pacifica, dell'obbedienza alle leggi, del rispetto
al magistrato, sicché non solo n'ebbero dal senato e
dai Cesari applauso, slima e protezione; ma e guada-
gnarono con ciò al loro culto molti de' gentili d'ogni
ceto e condizione , i quali comunemente col nome
ebraico di gherim o col vocabolo greco proseliti ap-
pellavansi (1).
Ora conforme al divisamento a voi promesso in
quella circostanza, ritorno ofl'erendo alla vostra con-
siderazione lo stato del giudaismo in Roma all'epoca,
in cui compiuto il mistero della redenzione, la sina-
goga colle sue istituzioni simboliche veniva a man-
care per dare luogo alla verità rappresentata in va-
ria forma nella sua legislazione. Nel qual fatto l'ebreo
(1) Àlludesi alle due dissertazioni Ielle nella suddetta accademia
l'anno 1848, e nel niedesimo anno rese di pubblico diritto col tito-
lo : — L'ebraismo in Roma e nell'impero ec. —
3'2
cieco e renitente alla voce del Redentore, veduto ve -
nir meno nel suo seno e nelle genti il fanatismo
verso la religione patria, e tolta quindi quella spe-
ranza di esaltamento, a cui aspirava, non valse a ce-
lare più olile r impeto delia sua passione senza
ricoriere alla violenza contro chiunque traversava le
le sue tendenze. Se non che l'impero romano per
decreto della divina provvidenza innalzava a sua volta
un ostacolo agli effetti dell'odio e dell'intolleranza ,
che dovunque spiegava contro i seguaci del Vangelo.
E fu pertanto in Roma, siccome nelle province
dell'impero, e specialmente tenendo la somma delle
delle cose Claudio Cesare principe dotato di un
animo moderato e tollerante (sebbene talvolta troppo
debole), che ei mitigando il furore delia sinagoga,
in ogni dove si fé sentire l'effetto della divina grazia
sopra gli uomini di buon volere, sopra il pio israelita,
sopra l'idolatra, e sopra il filosofo ancora, allora
quando gli apostoli mandali dal Nazaieno a predi-
care nel suo nome il Vangelo di salute, percorsero
da ogni lato l'universo, raccogliendo abbondanti frutti
della loro missione.
E qui senza rinnovare innanzi a voi la questione
agitata e ripetuta ancora a nostri dì , e sempre in-
vano, circa la venuta del principe degli apostoli in
Roma, quando che per poco è dissipata da una mente
spregiudicata, e poggiata non solo ad una tradizione
costante della chiesa universale , ma a testimoni di
fiducia, ad uomini le cui parole considerate e nell'a-
spetto dell'antichità, della critica, e del loro carat-
tere, non ammettono opposizione veruna. Tali sono
fra gli altri un Dionisio vescovo di Corinto, ed un
33
Ciijo prete lomano, l'uno vivente ollant'anni al più,
e l'altro un secolo circa dopo la morte dell'apostolo; i
quali entiambi aflermarono avere i due apostoli Pie-
tio e Paolo fondata la chiesa di Roma (1). E se
Eusebio dipoi asseverantemente lo contesta in più luo-
ghi delia sua storia ecclesiastica, il fece con la scorta
di scrittori che lo precedettero, i quali, se non tocca-
rono l'età apostolica, comunicarono certamente con
quei che li videro, e seco loro conversarono (2).
Di non minore fondamento poi si è l'autorità
di Eusebio stesso, il quale fissa all'anno secondo dell'
impero di Claudio la venuta dell'apostolo in Roma.
E sebbene i cronologisti abbiano disputato su questo
punto , tuttavia non mi pare convenevole deviare
dall'epoca stabilita da Eusebio , la cui autorità si
rivolge sopra Africano, da lui preso per guida nella
sua cronologia; che come vi vente nel secondo secolo,
o al più nel principio del terzo, porge un peso al-
l'epoca segnata dal prelodato storico.
(1) Eusel)io, olire l'avere confermata ilaì moiuimenli storici ìa
venula, la prclicazioiie e la morte dei due apostoli in Roma, sog-
{{iunge: « Quin etiam iiisignis ac testata Petri ac Pauli inscriptio ,
» quae in coenieteriis Romae adhuc usque tempori» manet, huius rei
ni gestae lìdera iacit (*) ». La cura e la consuetudine de'primi fedeli,
di conservare la preziosa memoria degli apostoli, non che dei mar-
tiri, iscrivendo sopra i sepolcri i nomi loro, onde meglio consolida-
re ne'posteri la fede e la pietà, sono in oggi ampiamente raffermate
dalle nuove scoperte fatte nelle catacombe di Roma da due illustri
archeologi, il molto rev.p. Marchi della compagnia di Gesù, ed il sig.
cdv. G. 13. De Rossi scrittore di lingua latina nella biblioteca vati-
cana, indefessi e dotti investigatori delle antichità cristiane.
(2) Euseb. Prologus histor. eccles.
(*) Eusebio Ilist. Ecc. lib. 11 e 24.
G.A.T.CXXV. 3
34
Oltre a ciò a chi bene con.sldeii la stoiia tiefjii
atti apostolici , le parole di s. Paolo nell'epistola ai
romani scritta verso la fino dell'impero di Claudio
laddove esaltasi la fede di questo popolo celebrata
per tutto il mondo, non sarà difficile lo scorgere che
non più tardi del second' anno di Claudio di già
s. Pietro fosse venuto in Roma. Mentre in quell'epoca
ebbe luogo la conversione di Cornelio, l'imprigiona-
mento del sant'apostolo, la sua libertà procurata dal-
l'angelo , ed il suo allontanamento dalla Palestina
sfuggendo la persecuzione di Erode. E se non vogliasi
ancora aggiungere , che Cornelio stesso romano e
centurione, convertito in quel tempo al cristianesimo,
giovasse assaissimo al suo viaggio in Roma j tanto
più che raposlolo stesso per quella celeste visione
èrasi tolto dal pregiudizio verso le genti, da Jui cre-
dute incapaci a partecipare al regno di Dio. E si
pVfà pef ultimo maggiore argomento di ciò credere
«e faremo senno a quanto accenna il principe degli
apostoli, allorché , assistente e preside al concilio
gerosolimitano, discorre le meraviglie operate per suo
mezzo, già da molto tempo innanzi , da Dio fra le
genti; « Viri fraires, diceva (1), vos scitis ^ quo-
» nimn ab antiquis diebus Deus in nobis elegil per
» OS meuin audire gentes verbuni cvangelii et ere-
» dere )>. Locché indicava un luogo intervallo de-
corso fra la conversione di Cornelio e la partenza
dell'apostolo dalla Giudea, e la sua presenza al sino-
do apostolico. Nel quale intervallo s. Pietro predi-
cando in Roma il Vangelo, e quindi lungi dalla con-
versazione di s. Paolo e dalle città dell'Asia e della
(i) Ani aposl. e- XV 7 lì.
35
Grecia da questi peicoisu, il sacro isloriografo nulla
accenna della persona di Pietro e degli alti di lui
fino al suo ritorno alla metropoli della Giudea per
assistere a quella sacra adunanza.
Stabilita in modo più che breve la venuta di
s. Pietio in Roma, e determinata l'epoca della me-
desima, subentri alle nostre considerazioni il luogo
ove l'apostolo giunto alla dominante aprì il varco
alla parola evangelica. Non evvi luogo a dubitare,
come altra volta coi monumenti alla mano vi ragio-
nava, che i giudei fino dal primo momento, in cui
vennero, o furono tradotti in Roma, abitassero in
Trastevere, luogo destinato alle nazioni straniere, fra'
quali gli ebrei , come chiaramente su ciò scriveva
Filone egizio, e specialmente quella parte, che dal-
la porta Aurelia, oggi san Pancrazio, estendevasi fiad
ai così detti Prati di Nerone,- laddove in stretto senso
dislinguesi il Vaticano insieme compreso il colle e
la sottostante pianura da Tacito chiamata Valle Va-
ticana [■]).
In cotesto luogo pertanto una ragionevole tra-
dizione, munita ancora dell'autorità di antichi scritto-
li , mostra che il principe degli apostoli giunto in
Roma si arrestasse per Tadempimento della sua mis-
sione celeste, e sempre nel dovuto riguardo di do-
vere , conforme le parole del Salvatore , annunzia-
re innanzi tutto il Vangelo ai figliuoli d'Israele, e
quindi passare alle genti. Ed era per l'appunto nel
Vaticano, ove giusta il citato Filone gli ebrei ebbero
( siccome in tutte le città dell'impero ) le loro si-
nagoghe , ed altri luoghi pubblici , detti col nome
(1) Tacilo Ann. lib. XiV. h. li.
36
greco Proseuchae^ Oralorii, destinati alla preghiera
e alla discussione de'Ioro affari sì religiosi e sì civili,
conforme la facoltà loro accordata dal senato e dai
cesari in contemplazione della fiducia, che avevano
ispirato ed ispiravano per la loro condotta tranquilla
ed ossequiosa al nome romano (1); e voi l'udiste
chiaro in altro tempo. I quali stabilimenti sono dagli
scrittori rappresentati in una forma varia e conforme
l'oggetto per cui erano istituiti: essendo alcuni coper-
ti ed altri chiusi da recinti, ma esposti all'aria, non
dissimili dagli altri edifici presso i greci ed i roma-
ni ad uso delle pubbliche sedute. Epifanio taluno ne
descrive , segnandone l' architettura alla foggia di
teatro senza tetto, situato in luogo piano a comodo
della moltitudine (2). Ma dì tutto questo in altro
tempo.
E frattanto in rapporto alla presenza di s. Pietro
in mezzo alle sinagoghe del Vaticano, richiaminsi le
gesta di s. Paolo, allorcliè percorrendo le province
(1) Filone nel libro De virtutibus richlamamlo alla mente ili Caio
Caligola la prolezione di Augusto sopra i giudei , che abitavano
Roma , dice : « Non ignorabat (Augustus) magnam parlem urbis
» Romae trans Tiberini teneri et habilari a iudaeis .... Noral iis
« esse proseuchas, oratoria, c[ao conveniebant et maxime sacris sab-
» bali (liebus; quo tempore avita sapientia imbuuntur. » Flavio nella
storia della sua vita distingue chiaramente l'uso doila Trpoo-suj^ij,
oratorio , destinato non solo al compimento fra i giudei de' lori
doveri religiosi, ma ancora per ivi trattare i loro all'ari civili: « In
» Proseucham iam convocatum populum deprehendo, qiiem vero in
» (ìnem odvocarentnr in concionem, piane nesciverunl, (|ui conve-
» nerant. » Flavio Aniiquit. |ib. XIV lom. I e. 10 n. 17 etc. In Vita
sua n 54 tom. 2 pag. 20. Ed. D'Avercarap.
(21 Epifan. Haer. 80 num. 1. Baruc e. 1. Atti Aposl. e. XVI.
Mischnà De Synedriis e. IV. n. 2.
37
della Siria, dell'Asia minore e della Grecia, prima
sua cura e dovere riputava visitare le sinagoghe de-
gli ebrei, ed ivi pailare del regno del Messia da
essi aspettalo, e quindi volgere le sue parole ai gen-
tili ancora []). Non altrimenti da ciò compieva il
principe degli apostoli nel suo arrivo alla dominan-
te. L'apostolo delle genti in tutte le sinagoghe ed
altri luoghi, ove gli ebrei convenivano, ebbe mol-
tissimi uditori ebrei e gentili, plebei e filosofi, d'ogni
sesso e condizione, tratti dalla curiosità e dalla fama,
che aveva menato di se nel mondo Gesù Cristo colla
sua doitrina e co'suoi miracoli. Le sinagoghe di An-
tiochia, di Perge, di Listri, di Derbi, di Filippi, di
Berea, di Tessalonica, d'Iconio, d'Efeso, di Atene ,
di Corinto e di altre città, erano aftbllate dal con-
corso non solo de giudei, ma e de' gentili bramosi
di ascoltare le parole di Paolo. Altrettanto accadeva
in Roma in mezzo al Vaticano, ove Tertulliano e
Clemente alessandrino rappresentarono s. Pietro ap-
portatore del Vangelo al popolo romano (2). E lad-
dove (conforme al testimonio di Aureliano vescovo di
Limoges vivente nel principio del terzo secolo) Ste-
fano capitano illustre, convertito con altri a Cristo
da s. Marziale, venuto in Roma ad impetrare la be-
nedizione dell'apostolo, parla di loro l'annalista fran-
cese : « Ingredientes vero Romani , invenermit apo-
stolum in loco^ qui clicitnr Vaticanus^ docentem miil-
tas populorum turmas: » tutto conforme a quei tanto
(1) Atti Apost. e. XIIl. 46. Vobis oporlebat primum loquì ver-
bum Dei; sed quoniam repellitis illiul, et indignos vos iudicatis ae-
ternae vitae, ecce convcrlimur ad gentes.
(2) Clem. Alex, iu libro Ilypolyposeon.
38
operato da s. Paolo nell'Asia minore ed altrove. E
quanto sieno vere e significanti queste ultime parole
docentem mullas populortrm tunnas , ricordate qual
fosse la moltitudine degli stranieri e schiavi e liberi
sotto l'impero di Claudio in Roma; e quanti uomini
di divei'se origini abitassero in modo speciale la re-
gione di Trastevere, come ne fanno ampia fede gli an-
tichi scrittori. Ove cioè l'ebreo, il siro , l'egiziano ,
il persiano, il greco, il macedone, l'affricano, il celta,
l'alemanno, ed altri di altre nazioni soggiogate, pro-
miscuamente là radunati, ascoltavano la parola pro-
digiosa di salvezza.
Ciò premesso, si proceda innanzi ponderandosi
lutto che decretava Cesare Claudio a carico degli
ebrei di Roma, conforme ai monumenti a noi tra-
mandati dagli storici pagani. I quali decreti essendoché
presso alcuni rimasti inosservati, da altri non bene
inteso lo scopo dei medesimi, porsero motivo a false
congetture. E fra questi ultimi si distinguono spe-
cialmente alcuni moderni archeologi di oltremon-
te (1). Perlochè subentrando noi ad un nuovo esa-
me dei citati decreti, lo faremo con una giusta pre-
venzione circa lo scisma provocato nella sinagoga ,
che non volle riconoscere Gesù Cristo come il le-
gato di Dio promesso a' suoi patriarchi, onde appia-
nare la via ad una retta intelligenza de'medesimi.
E primamente mi si permetta una breve digres-
.sipne. Ricorderete, signori, quando vi accennava il
nunjero degli ebrei abitanti di Roma sotto l'impero
d'Augusto; come cioè, su giusti calcoli estratti dalla
(1) Home, Introiluction »o (he criticai sMuly and knowledg^ of
the Holy scripiiues «le. I.onJoii 1828, U)in. 1, pag. 188.
39
storia di Flavio, li riduceva alla somma circa di 25
mila, che per varie vicende o propizie o infauste
qua trasportati dimoravano. E qui , a scanso di op-
posizione allo svolgimento della cosa, avvertasi, che
sebbene Tiberio successore di Augusto, giusta le pa-
role di Flavio, di Svetonio e di Tacito (1), per la
malvagità di quattro soli col voto del senato decre-
tava r esilio di tutti i giudei da Roma, colla mi-
naccia in caso contrario di essere puniti con una
perpetua servitù , e col divieto di loro costumanze
religiose; ed inoltre decretava l'invio di quattro mila
di loro più robusti in Sardegna alla custodia di quel-
l'isola infestata dai ladri; tuttavia in condanna del si-
lenzio nei tre prelodati storici , Filone egizio con-
temporaneo al fatto , neir asserire la verità del de-
creto, ne spiega eziandio la causa, che rimanda so-
pra Sciano, come calunniatore de'giudei. Le quali ca-
lunnie dopo la morte di cotestui, strangolato nel car-
cere mamertino, furono sventate, e ritrattato fu da Ti-
berio il decreto d' esilio. E solo inflitta la pena ai
pochi colpevoli, mandava che nulla s'innovasse sopra
i giudei e loro pratiche religiose (2). E in fatto do-
dici anni dopo vivendo ancora Tiberio, come rica-
vasi dagli atti apostolici (3), vi erano in Pioma ebrei
e proseliti del giudaismo , de' quali molti partirono
alla volta di Gerosolima per la solennità di Penie-
coste, e furono presenti alle maraviglie operale in
quel giorno dagli apostoli nella discesa dello Spiritp
(1) Fi AntiquiL. lib.XVllI, 3, 3. Sv^-loii. in Tiber. n 30. T^tit»
Adii lìb. Il, n. 83.
(2) Filone egizio, De Tirtulibus toni/2, paj; 3fi9 Ed Maugey.
(3) Al. ap. e. 2.
40
Santo vsu di loro. Perlocchè ben calcolato il numero
dei quattro naila ebrei inviati in Sardegna, siccome
della loro più sceha gioventù, col restante di quella
nazione che dovea subire l'esilio, o la schiavitù, ri-
marrà ferma la congettura, che un numero eguale,
se non maggiore, di giudei si trovasse in Roma all'
epoca di Tiberio, di Caio e di Claudio, siccome lo
era all'età di Augusto.
Ora tornando alla questione, tre decreti relativi
agli ebrei di Roma s'incontrano notati dagli antichi
storici e sottoscritti da Claudio. Il primo ci è con-
servato da Flavio nel libro XIX dell'Archeologia (1),
il secondo da Svetonio, il terzo da Dione Cassio; i
quali attentamente meditati, mantengono Ira di loro
uno stretto rapporto e servono moltissimo all'argo-
mento. Quello citalo da Flavio si estende agli ebrei
d'Italia, siccome di Roma, e a tutti gli altri dispersi
nelle province dell'impero.
In esso pertanto segnato l'anno secondo del suo
consolato, e che era il secondo del suo regno, dopo
avere manifestato la sua niente tutta propizia agli
ebrei e alla loro religione, con richiamare eziandio
alla loro memoria i benefìcii sommi prestati da'suoi
antecessori, la libertà del culto, l'esercizio delle leggi
proprie, e la cittadinanza loro donata, le quali cose
voleva egli conservate sotto il suo impero, soggiun-
geva: « Inoltre credo anche convenevole, che i giu-
» dei dispersi per tutto il nostro impero conservino
» senza veruno impedimento gli istituti loro ; ma
» nello stesso tempo comando ancora , che soddi-
» sfatti essi di tanta nostra benignità , mantengano
(1) Cap. 5.
41
» un più modesto portamento, e non disprezzino le
y> religioni delle altre genti; e custodiscano le leggi
» proprie )>. C binde il decreto ordinando, che esso
sìa trascritto dai presidi delle città, colonie, muni-
cipii entro Italia e fuori di essa , perchè fosse co-
modamente letto ed osseivato.
Dopo ciò non è arduo a comprendersi, che il
cristianesimo in Ronia a fronte dell' ebraismo incon-
trava quella slessa diflicollà, che esperimentava nella
Siria, nell'Asia minore, nella Grecia e dovunque. L'
ebraismo aveva in ogni angolo della terra le sue si-
nagoghe; alle quali, lo afferma s. Giustino martire ,
inviava i suoi emissari per combattere il cristiane-
simo, ed oscurare la fama di Gesù Cristo e suoi segua-
ci (1). Essendoché da per tutto si erano risvegliati
in mezzo a' giudei e loro proseliti i sintomi di quello
scisma predetto dal Redentore , sotto cui traballava
il fondamento delle leggi mosaiche, per poi cedere
alla forza onnipotente della chiesa cristiana. Ond' è
(1) La IMischnà, Traclatu de Synetlriiscap. X. ii. 4, conforme al
tlt'tto di s. Giustino , dichiara la pena di morte contro quei che
trasgredivano la legge; la qual pena non era inflitla al reo nella cit-
tJi, ove egli abilava, ma er? questi condotto in (lerosolima, e quivi
giudicalo, per subire dipoi la pena all'occasione delie loro solennità.
Eseguita la sentenza : ^' LUteras conscrtbuut, ac nuncios uiidcqua-
■,-, quaquc millunt Ime formula: T ir talin N. N. fllius talis viri N.
•n N. sententìa senatus morte damnalus.^^ In un archivio de'giudei
cacciali dalla Svezia trovossi copia dì una lettera, scritta da (ìero
solinia, in cui si di» loro contezza della condanna a morte di Gesd
con sifl'alli termini: « Vi significhiamo, che Tempio seduttore Gesù
» Nazareno figliuolo di Giuseppe fu tolto di vita. Imperocché non
» potendo noi più olire tollerare sue bestemmie, l'accusammo pres-
» so il pretore romano, che ascollando i nostri voli lo condannò
» alla croce, ed i suoi discepoli furono dispersi. Addio m (*).
(*) Lib. V pari. 3.
/.2
è che Claudio, quando esortava e voleva che i giudei
rispettassero le reli^jioni delle altre genti , intende
più d' ogni altra il cristianesimo, come quello che
nato in seno della sinagoga dispiaceva gravemente
a' suoi maestri; togliendosi in tal guisa quel presti-
gio, che fino allora aveva trionfato fra le nazioni
in favore del mosaismo; e venendo meno quella spe-
ranza di esaltamento, a cui tendevano , e verso cui
avevano eccitata l'illusione della plebe. Quando al-
trimenti delle altre religioni pagane poco caleva alla
sinagoga, che guardava piuttosto con indifferenza ,
e temendo d'altronde il rigore delle leggi imperiali,
se per poco avesse attentalo all'oltraggio della reli-
gione dominante. A tutto ciò parmi diretta la mente
dell'imperatore, a cui erano ben note, e per sestesso
e per parte dei presidi delle provincie, le questioni
insorte nella sinagoga sopra Gesù Cristo, ed agitate
con calore dal fanatismo giudaico; come egli è ba-
stantemente chiaro a chiunque volga un breve sguar-
do alla storia degli apostoli, come fra poco dirò. E
qui frattanto si osservi , che quando Claudio nell'
anno secondo del suo impero segnava il decreto in
rispetto all'intolleranza giudaica verso le altre reli-
gioni , ciò combina coli' epoca stabilita da Eusebio
per la venuta del principe degli apostoli in Roma a
piedicare il Vangelo.
Dichiarato fin qu\ il primo decreto di Claudio,
e bene inlesi i suoi rapporti all'ebraismo ed al cri-
stianesimo, si passi all'esame del secondo, con bievi
ma significanti parole registrato da Svetonio nella
vita di lui (1). Ed è appunto in esso, che alla mi-
(1) Svetoii. in Clluudiuiii n. 2'S:
43
tezza dell'animo spiegata dall' imperatore nel primo
decreto , subentra un rigore ed una severità non
bene concepita ne'suoi rapporti : opera di una mente
debole, capace di tutte le impressioni, e priva di di-
scernimento, come in parte accadeva nel caso nostro.
Tali pertanto sono le parole di Svetonio : « Judaeos^
impulsore Chresio assidue tumultunnles^ Roma expu-
Ut (Claudius). »
Sembrami in primo luogo strano all'idea dello
storico il non riconoscere nel vocabolo Chresto il no-
me di Gesù Cristo, costituendo esso il termine delle
questioni caldamente e talvolta tumultuariamente
agitate nelle sinagoghe de'giudei; purché si consideri
l'età in cui scriveva Svetonio; e nella quale essendo
noto nell'impero e in Roma il nome di codest'uomo
singolare, lo additò in tal guisa, (e come tale lo di-
stinsero Plinio secondo e Tacito) togliendogli l'idea
di uomo privato e sconosciuto, dicendo quodam Chre-
sto o Chrìsto come avrebbero dovuto scrivere. D'al-
tra parte era facilissimo, a mio parere, che i gentili
ignoranti del mistero racchiuso in quella parola Chri-
Stus^come l'unto del Signoie, potessero per una certa
indifferenza o ignoranza cangiare una lettera, e con
ciò il significato della mistica parola (1).
Che poi presso i gentili il Redentore fosse chia-
mato Creste, cioè buono, ed i discepoli crestiani^ è
(1) A vie meglio scorgere come i gentili in qiicircpoca i(>iio-
rassero, e poco o nulla curassero una distinzione Ira yiutlei e cri-
stiani, basti uno sguardo alla lettera scritta da Adriano, o a noire
suo da Flegonte, dall'Egitto a Serviano console circa lo stato reli-
gioso (li quella provincia. Flavio Vopisco in vita Adriani.
44
un fatto contestato dai primi scrittori della chie-
sa (1). Il martire s. Giustino contemporaneo a Sveto-
nio, nella sua prima apologia (e. 4.) presentata all'im-
peratore Antonino Pio, mostrando l'ingiusti/ia, con
cui si procedeva contro i seguaci di Cristo, ragiona
sul vocabolo cristiano, e lo esprime nel modo, con
cui volgarmente denominavasi, cioè crestiano^ il che
vale uomo dabbene. E quantunque il santo conoscesse
l'errore dei pagani in tale nomenclatura, tuttavia ac-
cettandola la rispetta; e mostra, che volendosi giu-
dicare anche dal nome, i cristiani erano buoni, anzi
ottimi, e quindi non essere giusto odiare quel che
è buono. E Tertulliano nell'Apologetico, offerto al
magistrato romano, conferma il suddetto, e dice
(cap. 3): t( Chrìstianus vero .^quantum interpretatio est.,
de unctione dedueitur. Sed et cum jìerperam chrestia-
nits proìiunciatur a vubis (nam nec nominis certa est
notilìa penes vos) de suavilate vel benignitate compo-
silum est. Oditur iiaque in hominibus innocuis etiam
nomen innocuinn. »
In secondo luogo egli è parimenti vero, che i
primi cristiani si confondevano dai gentili coi giudei,
essendo Gesù Cristo nato dalla famiglia d' Istraele
e dalla tribù di Giuda. E i suoi apostoli parimenti di
quella nazione, siccome moltissimi altri che si sepa-
rarono dalla sinagoga per seguire Gesù, appellavansi
promiscuamente giudei. E sebbene talvolta per una
distinzione fatta dai farisei si denominassero galilei,
o nazarei, tuttavia l'origine ancora di tai nomi rife-
rivasi alla stirpe di Giacobbe , solo destinguendosl
(1) Nel dialogo intilolalo Pliilopatris, attrilniito a Luciano,
(]csii Crislo è ilisliiilo col nome
edictum peccantesanimadvertit. »Le quali parole non hanno veruna
relazione all'antecedente sia per le persone , sia per la ragione del
decreto. I pubblici sconcerti promossi nella plebe avevano la loro
origine dalle taverne. In esse si fabbricavano i partiti e le sedizioni.
Svetonio che ripete un tal editto da Nerone, e ne parla sotto altro
(*) Dione Cassio lib. 60 n. 6. cura annoi. Iler. Reimari Edi. Am-
burf.i 1752.
56
Ma se oltre a tutto questo, e sotto altro aspetto,
vogliasi cousiderare il valore dell'ultimo decreta di
Claudio, con cui sospende l'esilio degli ebrei e cri-
stiani di Roma attesa la loro moltitudine, vietando
solo di convenire insieme, e togliendo le loro adunan-
ze, ci si offre un argomento assai valevole per con-
fermare, oltre il testimonio di s. Paolo, quanto avesse
progredito nella dominante il Vangelo annunziato dal
principe degli apostoli ; rilevandosi dalle parole di
Dione non solo il ritorno di quelli già espulsi, ma la
conversione ognora crescente di ebrei e di gentili ro-
mani alla chiesa di Cristo. E tanto egli è ciò vero,
che Claudio slesso, sebbene bramoso di mantenere
nell'impero la coscienza di ognuno inviolabile nel
senso religioso, tuttavia sensibile, che religioni nuove
e straniere venissero a confondere quelle già prati-
cate in Roma, e sollevarsi sopra le medesime nel ri-
spetto e nell'opinione d'ogni ceto di persone (fra le
quali per certo primeggiava il cristianesimo), con un
nuovo decreto riferito al senato rislaurò il collegio
degli aruspici già caduto in dimenticanza : << Quod
nunc segìiiiis fieri (dice di lui Tacilo (1) ) publica
aspeUo nella vita di Claudio, non fa menzione alcuna de' giudei ,
quasi avessero una parie in qneiriiilerdelto. La legge mirava il po-
polo romano in generale; la riforma cioò dei costumi. E molto
meno i suddetti annotatori hanno intese le parole di Filone egizio
contro Fiacco, laddove il (ilosofo ebreo rimprovera ai nemici d'I-
sraele quel tanto che i gentili commettevano conlra la morale e con-
Irò il governo ne'liioghi piiMilici; dai quali sconcerti, dice, erano
totalmente alieni e per la professione religiosa e pel fatto i suoi fra-
telli ebrei (*).
i>-! (1) Ann. lib. XI, e. li.
I, • (*) Filone egiz. tom. 2, ed. Mangey. De virlutiibs pag. 891.
57
circa bonas artes socordin\ et quia externae supersti-
tiones invalescant. » Le quali ultime parole debbono
essere io modo speciale rivolte all' ebiaismo e vie
maggiormente al cristianesimo, avendo dall'altro lato
Claudio introdotte dall'Attica le feste eleusine (1),
E che veramente il cristianesimo in Roma sotto
l'impero di Claudio avesse conquistato un numero
immenso di proseliti in ogni classe di persone , da
diminuire nei romani il prestigio dell'idolatria com-
presa nelle moltiplici sue forme, verun altro scrit-
tore contemporaneo ci ha desciillo il come e quanto
e fin dove fosse giunta la parola del Vangelo, come
lo descrisse Tacito storico di un fatto avvenuto sotto
i suoi occhi, e che contestava mal volentieri e con
istupore, poiché non seppe o non volle comprendere
nel regime delle cose umane una provvidenza supe-
riore, che le governava. E frattanto ei ragionando
sulla condizione del cristianesimo ammirò, e non po-
teva non ammirare « Come (sono sue parole) per la
» sua origine da un uomo della Giudea sotto la pro-
» cura di Ponzio Pilato condannato a morte, talché
» persona malefica, e con cui doveva cessare il pre-
» stigio della sua fama e della sua dottrina (e parve
» per alcun momento essere accaduto), non ostante
» di nuovo (ei dice) prorompesse non solo per la
» Giudea, ma per Roma ancora, laddove muUUudo
» ingens^wna. moltitudine immensa d i cristiani parte
» confessi, parte denunziati e convinti, venne tratta
» ai tormenti ed alla morte (2) ». Le quali parole
(t) E perciò, Seneca cilalo da s. Agoslino, parlaiulo dell'iufliiea-
za religiosa de'siiddetti a suo tempo, scriveva : « lidi victoribus le-
ges dedcrunt: »
(2) Annali lib. XV e. 44.
58
nella penna di Tacito sebbene riferite all'impero di
Nerone, mirando tuttavia un fatto già compiuto per
l'innanzi, e nel momento stesso in cui gli apostoli
con la loro divina missione e per la Giudea e per
le province dell'Asia, della Grecia, e in Roma an-
nunziarono contemporaneamente il Vangelo, spiega-
no e confermano il detto di Dione Cassio relativo ai
giudei e ai cristiani insieme di Roma sotto l'impero
di Claudio; cioè che attesa la loro moltitudine, Clau-
dio non si risolvette di cacciarli dalla città.
E realmenle l'impero di Claudio ed il consiglio
concepito di lasciare in ciascuno l'arbitrio di ado-
rare Iddio a suo piacimento, costituiscono la prima
epoca gloriosa della chiesa cristiana; sebbene la per-
fidia giudaica ogni raggiro adoperasse per soflfocare
lo zelo degli apostoli e l'energia de'Ioro argomenti,
combattendo, screditando, vituperando sotto qualun-
que rapporto la persona de'Ioro fratelli, e delle gen-
ti che indossarono le divise di Cristo.
Sì, ripeto, fu grande il numero delle anime con-
quistate a Dio nell'alma città, siccome grande e so-
prannaturale era l'animo del conquistatore. Quanto
vera era la sua dottrina, altrettanto infallibili erano
le promesse offerte ai credenti. E quanto evidenti
erano le azioni prodigiose compiute nel suo nome
dagli apostoli •, altrettanto mirabile e prodigioso era
il numero stragrande de'cristiani; tanto che scrittori
sebbene indifferenti, o piuttosto nemici del Vangelo,
nulladimeno confermarono un tal fatto. E lo asse-
rirono a scorno de' moderni filosofanti, de'quali alcu-
ni, negando il progresso del cristianesimo ne'suoi pri-
mordi , rimandano sopra i suoi maestri l' esagera-
59
zione di tai racconti; e fra questi distinguesi Salva-
dor, che ragionando sul progresso del cristianesimo
nella sua nascita, fra tutt'altro scriveva: « Si sa che
)) tutte le società nascenti, fondate sopra l'entusiasmo,
» sono disposte per natura ad esagerare all'ultimo
» punto i loro racconti (1). »
Ed il Matter, che sotto un aspetto diverso volle
considerare la cosa, sono pochi anni che scriveva (2):
<( Una religione che esigeva sacrifizi di tal fatta, e
1) che prescriveva una morale sì rigida , non dovè
c'tie f^''<^ lento cammino. » Eppure le parole di Tacito,
multitudo ingens con l'altra di erumpebat a guisa di
torrente , non significavano un lento cammino. E
perciò a loro dispetto e ad un più marcato rim-
provero sono eglino confutati da un loro pari, che
nulla aveva d'interesse a prò del cristianesimo, che
anzi ne lo abborriva. Tuttavia, come presente a si-
mili avvenimenti, non li potè negare; onde lasciare
con ciò un testimonio pailante contro quelli, che in
oggi ne'loro studi invocando per loro maestri la ra-
gione sola, ed escludendo l'autorità della storia , o
mentendo ai fatti ivi narrati, calpestarono i monu-
menti i più sinceri ed inconcussi dell'antichità.
(i) lesus Christ et sa doctrine tom. 2 pag, 266. Paris 1838.
(2) Matter, Storia della chiesa tom. 1.
60
Elogio di monsignor Gabriele Laurearli^ detto neW adu-
nanza solenne di Arcadia il 4 dicembre 1851 dal
■prof. Giuseppe Spezi.
/\ironore concessomi, principe eminentissimo (1) ,
arcadi illustri, colti e gentili uditori, all'onore conces-
somi di ragionare oggi la prima volta dinanzi a voi,
dovendo io rispondere in alcun modo; l'animo viene
occupato da due diversi affetti : l'uno muove da ri-
conoscenza verso questa chiarissima accademia dell'
ufiicio che mi ha commesso; l'altro da tema di non
poterlo degnamente sostenere, come quegli cui nes-
suna fama di eloquenza né di dottrina qui non pre-
corre. Il che bene dovrebbe svogliarmi di favellare
in sì dotta e nobile radunanza, se non mi assicurasse
il pensiero, che alla mia orazione non si appartiene
facondia, né sapere, ma solo dell'altrui virtù modesto
e grato rimemorare. Onde io son preso alla più viva
gratitudine verso di questo egregio e degnissimo si-
gnor custode, delPavermi come posto nelle mani ta-
le im subietto di discorso, che riuscendo caro alla me-
moria ed al cuor vostro, è pur cagione che io per
questo modo venga da voi accolto con benevolenza.
Poiché quale é uomo di squisite lettere, quale di
amabili costumi , quale di ferma e santa religione,
che non ami di udire ricordato il nome di monsignor
(1) La solenue adunanza ili Arcadia venne onorata della pre-
senza dtirEmo »ig. card. Piclro Marini.
Gì
Gabriele Laurearli? chi non desidera, che di tanto
pio , modesto e sapiente uomo veniva celebrata la
memoria e continuala con lode nell'amore e nella
ricordanza degli avvenire ? Ed a lodare debitamente
il Laureani non fa bisogno di eloquente e dotto par-
latore : solo è duopo che alla nostra mente si ritor-
nino pur con semplice discorrere le sue virtù. Imper-
ciocché bene parmi di credere essere bisognosi ed
avidi dell'altrui eloquenza i piccioli o mezzani fatti
degli uomini; ma virtù grande e costantemente ri-
putata somma dall'universale, è schiva, non cupida
dell'altrui facondia, siccome quella che da sé mede-
sima traendo celebrità, è pur contenta di un umile
e nuovo dicitore.
Laonde qui non mi conduce, o signori, ambi-
zione di scienza, né ostentazione di lettere; ma pio e
forte desiderio di onorare in qualche modo la memo-
ria di monsignor Laureani, ricoitlando gli elettissimi
suoi studi, congiunti mirabilmente con la bunlà della
vita e con la religione. Conciossiachè grande ingiuria
farebbe al vero ed all'ottimo vivere del Laureani
colui, che in celebrando la sua memoria volgesse
gli occhi solamente al sommo latinista, al valentissimo
professore di lettere; e non gli aflìssasse ancora nel-
l'uomo virtuoso, nel cristiano, nel sacerdote religio-
sissimo. E questo raro congiungimento, questo accoi-
do mirabile tra l'intelligenza ed il cuore, l'una eser-
citata di continuo nelle cognizioni del vcro e del bello,
l'altro educato e cresciuto sempre nel buono, stimo che
sia la prima e più onorata parte della civile educazio-
zione , il più nobile e saggio frutto delle lettere e
delle scienze, il subietlo più degno e gradito delle
62
umane lodi e della pubblica imitazione. Per la qual
cosa il vero e proprio elogio di monsignor Gabriele
Laureani non trarrò io del mio immaginare, si vera-
mente di lui medesimo ; il quale ne porge questo di
grande, cioè l'unione strettissima de'più eletti ed
onorati studi con un vivere tutto modestia , piace-
volezza e religione.
Che se mi torna gratissimo il potere oggi con
qualche esterno segno manifestare l' afifetluosa e
sempre viva mia riconoscenza verso di uno , che
mi fu padre in amore, sostegno nelle lettere e prin-
cipale cagione di poter' io condurre la mia vita in
così piena dolcezza e amenità di studi nello eser-
cizio di due uffici letterari , per avermi egli , sua
grazia , messo bene nell'animo di chi potea quelli
commettermi-, molto più cresce la mia allegrezza in
pensando, che le vostre poesie, o accademici, daran-
no a monsignor Laureani più degna e perpetua lode.
E chi meglio di voi può celebrare il suo nome ? chi
più di voi dee procurargli bella rimembranza? Egli
lume di questa accademia , la resse anni ventuno
nell'ufficio di generale custode; la mantenne in onore
pure co' vostri chiari nomi; né mai cessava con ogni
più diligente studio di esserle intorno. In verità niu-
no dubita, che da voi non sia degnamente lodato il
Laureani: solo può altri muovere lamento, che non
prima di questo giorno voi rompiate il silenzio per
onorare la sua memoria. Imperocché ci ha di molti,
j quali dicono: « E non fa ora il terzo anno, dacché
quella carissima anima si partiva del nostro mondo ?
e questa accademia , sempre savia dispensatrice di
63
!odi alla virlù ed allo ingegno di chi le appartenne,
non dovea tosto con pietosi poetari seguitare anche
ella il comune dolore di quella perdita ? e dal pas-
sarsi delle virtù degli uomini senza pubblico elogio,
non si genera forse grande sconforto ne' pochi e li-
midi loro seguaci ? » Ma tale ingrato silenzio, o si-
gnori, non mosse da noi, né dall'accademia; sì bene
dalla condizione de' tempi, i quali volsero tristissimi
non pure alla privata e pubblica quiete degli uo-
mini e degli stati, ma eziandio alle buone arti, alle
lettere ed alle scienze. Che se dopo la morte del Lau-
reani incominciarono a splendere giorni di più sereno
e composto vivere civile, nondimeno duravano an-
cor gli effetti del passato disordine: e le lettere, che
sogliono accompagnarsi con le fortune de' tempi, do-
veano ancor tacersi ed aspettare chi de' comuni timori
le rassicurasse. Giacque in lungo silenzio, e di ninna
pubblica lode fu confortata la memoria di quello, cui
ammirava Allemagna dottissima; invidiava a noi In-
ghilterra, e invitava a sedere professore nelle celebri
Università di Oxford e di Cambridge, il sapientissimo
Emiliano Sarti romano. Giacque in lungo silenzio e
di ninna bella onoranza fu celebrato il nome di colui,
il qual bastò anche solo ad empiere di sé Italia, Eu-
ropa ed il mondo, il degnissimo cardinal Giuseppe
Mezzofanti bolognese. Laonde non a noi, non a questa
accademia debbe andare nessun lamento del silenzio,
tratto sino a questo giorno, della memoria del Lau-
reani; quando neppure altri uomini sapientissimi e
di universale grido vennero subilo di pubbliche lodi
celebrati: né il tardare di questa solenne adunanza
dee togliere all'accademia il pregio di avere innanzi
64
desiderato di ordinarla ad onore dell'oUimo suo cu-
stode.
Il quale, nato in Ronna il dì 14 di settembre
del 1788, da fanciullo mostrava animo disposto ad
ogni bella e cristiana virtù; e si adornava di una dol-
cezza e modestia somma di costumi, cui bene gli po-
terono crescere e guardare le cure di savi e religiosi
genitori. Poiché il cielo gli fu cortese di una madre
piissima in Rosa Antonini romana; gli diede a padre
Francesco Antonio Laureani da Nicotera di Calabria,
che dotto della scienza medica, ne congiungeva ono-
rato esercizio, e uomo di fermezza nelle antiche e
saggie costumanze. Conciossiachè l'adolescenza di Ga-
briele incontratasi in una età malagevole e turbatis-
sima, colpa de' civili tumulti e mutamenti di Francia,
i quali tutta Europa percossero di paura e di danni,
di fughe e di esili, di guerre e di morti, e fecero
assai pericolose agli uomini le antiche usanze e opi-
nioni, l'antica fede ai principi ed alla chiesa , vide
e apprese nulla ostante in Francesco Antonio Laure-
ani il modo di saper durar saldo in quelle. Il perchè
monsignor Gabriele con affettuosa rimembranza di
gratissimo figliuolo solca spesso lodare la pietà della
madre, e nel diritto e quieto vivere cittadino la co-
stanza del genitore. In questo modo egli ebbe da gar-
zone e nella paterna casa la prima e più utile scuola
di virtù, di onore e di religione.
Ma con la grazia e bontà dell'indole accompa-
gnandosegli debilezza di salute, e più che non pati-
scono gli anni dell'adolescenza una persona sover-
chiamente alta e raacra, non consentivano i genitori
ad avviarlo negli studi delle lettere e delle scienze:
65
ì quali oltre di opportuno inj'ejjiio Jim anelano alcuna
vigorìa e sanità di corpo negli stenti, nelle fatiche
e nelle veglie, che ivi sogliono trovarsi. Nondimeno
interna brama di sludi condusse il giovinetto Gabriele
ad api'ire al genitore il desiderio di apparare gram-
matica latina, e correre l'arringo letterario: e quegli
sebbene vedesse il figliuolo aver passato gli anni da
questa prima disciplina, pure discese al nobile desi-
derio di lui. A tale studio e' si voltò di assai buon
volere; sì che nella diligenza e nello amore di ap-
prendere, nella pietà e compostezza de' costumi an-
dava innanzi agli altri suoi compagni. Le quali fe-
lici sue disposizioni di animo e d'ingegno misero in
cuore a' genitori di menarlo alle scuole del collegio
romano; dove tra per la bontà della vita e il desi-
derio degli studi sarebbe venuto in grazia a' maestri
ed a' rettori, e per l'alta rinomanza di quella uni-
versità gregoriana aviebbe quivi colto frutti bellis-
lissìmi di virtù, di letteie e di religione.
Era pur di quel tempo il collegio romano fìo-
rentissimo di buoni studi e di sommi professori di
lettere e di scienze; sopra i quali di grido e di va-
lore si alzavano il Caprano, il Guidi, l'Ostini, il Ca-
vana, il Rubbi, il De-Rossi, il Calandrelli, il Conti,
il Gasperini , il Tiberi , il Marsella, e quegli onde
ho comune la patria , fisico e meccanico eccellen-
tissimo, Feliciano Scarpellini. Vi reggeva le cose degli
studi un grande loro amatore e mecenate, il celebre
cardinal Lilta: vi dimorava colui, che col consiglio
e con l'autorità di primo teologo del secolo movea
ad aiuto di quanti lo richiedevano di parere nella
divina scienza, ilBolgeni. Poiché era proprio di quelli
G.A.T.GXXV. 5
66
non tanto la dottrina eminente nel magistero, quanto
uiio amor tenerissimo de' giovani studiosi, un con-
Tersare continuo nelle scuole e fuori con essi, un ge-
neroso adoperarsi in tutti loro vantaggi del cuore e
della mente. Per la qual cosa la gioventù posta e nu-
tricata in sì feconda e amorevole terra, quanto belli
e saai frutti rendesse, tutto il mondo conosce: e ne
sono testimonianza le città, le famiglie, i licei, la chie-
sa, la corte, ìe quali trassero di quelli onore, esempio,
celebrità, sostegno ed ornamento. Conciossiachè se io
tra per ammirazione verso assai di loro e per gra-
titudine d'insegnamento verso altri, avessi agio qui,
come ho desiderio, di poterne ricordare i principali;
troppo in là porterei il mio discorso, recando solo
ì nomi di quanti sacerdoti, prelati e cardinali degnis-
simi della santa chiesa, di quanti professori chiaris-
simi in ogni guisa di lettere e di scienze, di quanti
magistrati, cittadini e padri di famiglia onoratissimi,
ebbero nella università gregoriana la loro educazione.
Ma riconoscenza ed ossequio di suddito rispettoso,
amore di verità mi spingono a non passarmi di uno,
e far memoria riverente del sommo, dell'augusto e
ottimo pontefice Pio IX ; il quale per Io esempio
e la cura di que' venerabili ecclesiastici, per la dot-
trina e la fama di si valorosi maestri, quivi anche
egli si accendeva alle lettere ed alla pietà, alla cl€-
menza ed alla giustizia. Vivi adunque e fiorisci, o
bene avventuroso ateneo, che di tanto squisiti e ab-
bondevoli frutti di virtù , di lettere e di religione
fosti e se' tuttavia pianta felicissima ! Quanto bene
di te e degli altri nostri licei si ripromettono ancora
Roma, lo stato, la chiesa ed il mondo; i quali in
67
tanto allagamento moderno di rie dottrine e di peg-
giori costumi, in tanto sprezzo ed oblio di religione,
prima radice di ogni civile danno, indirizzando ai
vostri purissimi fonti d'insegnamento, ai belli e co-
tidiani vostri esempi di pietà la loro gioventù, guar-
dano continuo sopra di voi con occhio di conforto;
sì che di più quieto , saggio e religioso avvenite
hanno in voi rivolte le migliori speranze !
Entrò adunque il Laureani nelle scuole e poscia
tra gli alunni di sì famoso collegio: dove inconta-
nente fu de' primi nella pietà e nella diligenza de-
gli studi, non però nello ingegno e negli esercizi
letterari. La qual cosa io scrivo per amore del vero,
e perchè riesca a maggior lode di lui l'essersi di-
poi levato sopra tutti suoi condiscepoli e contem-
poranei nella gloria delle lettere latine. E se dalla vita
de' più chiari uomini si dee prendere non pur di-
letto, ma istruzione; abbiamo a por la mente in co-
noscere il cammino da loro tenuto per venire a qual-
che eccellenza di mano o d'ingegno: affinchè que-
sto sia di sprone e di lume a noi nel volgere sicuri
i nostri passi dietro alle stesse orme di quelli. Il
j>erchè i condiscepoli ed i maestri del Laureani si
prometteano di lui un ottimo e viituoso giovane senza
più; e niuna speranza li teneva di mai vederlo quel
saggio e finissimo letterato che fu dipoi. Infatti o
procedesse da modestia e soverchia timidezza di ani-
mo, ovvero da grande sfidare di sé medesimo, que-
sto e quelle state sempre compagne del Laureani in
qualunque opera a cui metteva mano, in qualunque
ufficio a che si sobbarcava; certo è che egli allora
nelle stesse umane lettere, dove appresso si conquistò
68
veramente una celebrità, non profittava', nel metter
piede in filosofia e nelle matematiche forte sbigottì.
Ne' quali studi bene lo soccorse di opera un giovi-
netto valoroso d'ingegno, e cui da quel tempo strinse
di amor costante al Laureani somiglianza bellissima
di età e di patria, di affetti e di virtù, Paolo Ba-
rola, di questa nostra accademia ora chiarissimo cu-
stode. Ma essendo somma la bontà e modestia del
vivere, somma la diligenza, onde il Laureani dava
opera agli studi, e si apparecchiava allo stato ec-
clesiastico, in cui entrò, cadde in pensiero a' rettori
del collegio di commettergli il carico di prefetto e
poi quello di sotto-rettore degli alunni. Questi uffi-
ci non lo scusarono dalle fatiche degli studi , di
cui tanto amore già gli era entrato in petto , che
attese pure per desiderio d'imparare alla bibliografia,
e per debito del sacro ministero alla liturgia , da
venire per questa in grande stima all'abate Cancel-
lieri. Ebbe a compagno negli uffici della sacra li-
turgia quello , cui in tutte scuole di lettere e di
scienze vide sino d'allora il collegio romano volare
come aquila sopra degli altri, e che io nominerò qui
per cagione di lode e di riverenza, Raffaele For-
nari, oggi uno dell' augusto collegio de' cardinali e
prefetto meritissimo della sacra congregazione degli
studi.
Intantochè il Laureani dimorava in cosiffatti
studi, si abbattè in una felice avventura, e donde
si cagionarono i principii di sua onoratissima pro-
fession letteraria, cioè nella conoscenza di uno de'pri-
mi filologi del tempo, Ignazio De-Rossi. Questi con
la vastità dello ingegno, acconcio a qualunque di-
69
scìplina di lettere e di scienze, con la memoria ba-
stevole alla moltitudine delle cose, e con le opere
messe a stampa, siccome i Laerziani commenti e le
origini della lingua egizia , montò in fama di dot-
tissimo in Italia e fuorij si che di stima e di affetto
gli furono larghi i più colti e rinomati uomini del
secolo, il Visconti, il Lanzi, il Morcelli, il Marini,
l'Akerblad, l'Heyne, il Runcken, il Munster, e quanti
forestieri e nostrali veniano in Roma per \isitarlo e
consultarlo. Era pure virtù del grande gesuita vi-
terbese una mirabile perizia in conoscere gli altrui
ingegni, ed in fiutare le varie disposizioni ai diversi
studi della mente di tutti coloro , che innamorati
delle lettere e delle scienze si accostavano a lui
per ricercarlo di consiglio e di ammaestramenti. Il
perchè egli tratto da cosiffatta sagacità indusse Emi-
liano Sarti , suo familiarissimo , ad abbracciare gli
studi dell'antichità, della filologia e di ogni più pel-
legrina erudizione : incamminò Paolo Barola , suo
dilettissimo discepolo, a quelli delle umane lettere e
delle lingue: stimolò il Fornari alle sacre scienze; e
il nostro Laureani, giovinetto a lui carissimo per
modestia e per ancor nascosto valore d'ingegno, in-
citò e guidava alla più squisita e classica latinità, po-
nendogli in mano Cesare, Virgilio, Plauto e Terenzio.
I quali studiosi giovani usando ogni giorno col De-
Rossi , e da lui traendo ne' propri studi conforto e
insegnamento , vennero a tanto in essi , che la ec-
cellenza loro non mostrò solamente il lungo affati-
carsi e le naturali attitudini in quelli, ma la valentìa
di colui che le conobbe, e poteva bene indirizzare.
Per verità , o signori , io dubito con diritto
70
non ii Lauieani di quella piima sua mezzanità di
Sludi sarebbe mai uscito fuoii per salire ad una
celebrità di lettere, se fortuna amica non lo avesse
menato avanti al De-Rossi. E chiunque interrogava
esso medesimo Laureani a chi aveva egli a render
grazie di tanta letteratura , con riconoscente animo
sempre rispondeva « a Ignazio De-Rossi » : di che
fece pur cenno gratissimo nella stupenda orazione la-
tina , che dopo la morte di quello scrisse e recitò
pubblicamente in suo onore. Laonde io ponendomi
dinanzi agli occhi le fortune umane, e spesso con-
siderando di quale miglior ventura noi possiam go-
dere quaggiù nel mondo; vengo sempre nell'opi-
nione che non è bene, il quale avanzi quel di tro-
vare chi nel buon vivere civile e ne' belli studi sa-
viamente valga a indirizzarci. Conciossiachè tengo
fermissimo che una saggia e perfetta educazion del-
l'animo trapassi di gran lunga la bellezza e vigorìa
di corpo, la nobiltà di sangue, i ricchi patrimoni ,
le amicìzie de' grandi ed i più alti principati. Sicché
non fo le maraviglie se il macedone re Filippo le-
vasse un dì le mani al cielo per ringraziare gli dei
dell'avergli dato un figliuolo al tempo del sapien-
tissimo Aristotile ; e se esso Alessandro medesimo
avesse di continuo in bocca quel suo motto sapu-
tissimo che diceva , gè dovere al gran tìlosofo di
Stagira più che a Filippo ; come colui che a que-
sto era debitore sol della nascita e del itìamc , a
quello del bene usai' la vita e reggere con virtù il
paterno regno. Né soglio prendere maggiore mara-
viglia di quelle saggu parole , che presso a morire
pronunziava il sommo lume dell'anlica filosofia Pia-
I
71
tone; il quale 8u quello estremo passo rendeva gra-
zie al suo genio ed alla sua buona fortuna di es-
sere nato uomo, non animale irragionevole, di essere
venuto al mondo non in terra di barbari, ma nella
dotta e gentile Grecia e ne' tempi del sapiente e vir-
tuoso Socrate. Le quali cose dai due sommi re e
dal filosofo ateniese furono dette e pronunziate di-
rittamente. Né con minor senno e verità rispondeva
a quel modo il Laureani: di cui fu certamente una
felicità la conoscenza d' Ignazio De-Rossi ; ma fu
eziandio sua lode principale l'avere con lo studio e
con la ferma volontà di apprendere corrisposto a
tanto benefizio di fortuna. Imperocché gittatosi alla
latina eloquenza, straordinari e continui n'erano gli
esercizi del leggere e dello scrivere; studiandosi in
ritrarre ed imitare le più fine eleganze de' classici
autori antichi : al che gli riusciva opportuna si la
naturale attitudine dello ingegno e dell'animo accon-
cio a sentire e riprodurre il bello , e sì la voce e
la mano del De-Rossi elegantissimo scrittor latino.
Per la qual cosa a' condiscepoli ed a' maestri del Lau-
reani recava stupore il gusto ed il felice suo imi-
tare dell'antica romana letteratura ne' molti compo-
menti, che già di lui andavano intorno : né i più di
quelli poteano intendere, come un lor compagno,
sembrato quasi beota d'ingegno così nelle scienze co-
me nelle umane lettere, a poco a poco si dimostrasse co-
noscitore finissimo di tutte l'eleganze virgiliane, plau-
tine e terenziane, e quindi valentissimo egli stesso in
dettare latino. Le quali maraviglie assai crebbero
allora che il Laureani non volgendosi indietro del
»uo proposito, aia continuando di forza gli usati &tu-
72
di, fu avulo degno del pubblico insegnamento nelle
discipline letterarie del collegio ronfiano ; da prima
nell'oflicio di accademico, poscia in quello di mae-
stro di oratoria e quinci di poetica, e meritò di sa-
lire in su quelle medesime cattedre, dove sedevano
con voce universale di chiarissimi professori il Ga-
sperini, il Tiberi, il Marsella, e avanti a loro quel
latinissimo ragusino che fu Raimondo Cunich.
Nel quale ufficio di professore, tenuto dal Lau-
reani oltre i sedici anni, e' non giovò solo ad altrui
ed agl'innumerevoli discepoli nel guidarli felicemente
ad apprendere la classica letteratura, ma giovò insie-
me a sé slesso ed alla sua gloria. Imperocché di
sempre maggior lena ed amore seguitando gli studi
delle buone lettere, venne sì eccellente maestro del
sapere e dello scrivere latino da esserne da tutte parti
richiesto ed ammirato non altrimenti che uno del fe-
lice tempo di papa Leone decimo , anzi dell'aureo
secolo di Augusto imperadore. Di che fanno aperta fede
le sue orazioni latine, gli elegantissimi senari, del
quale genere di poesia tanto si piaceva, e le classiche
iscrizioni, onde si adornano tuttavia cento marmi sepol-
crali, le chiese, i palagi, gli archi, le colonne e i monu-
menti di ogni sorta memorie in lloma e fuori ; e che
bene ha in animo di recare sì quelle e sì queste tutte
in un corpo, e di pubblicar con le slampe l'ancora
mesto e degnissimo suo germano. Quindi con gli studi
della eloquenza legando quei della storia e antichità,
della critica e filologia, poggiò sì alto nella fama di
erudito uomo, che fu invitato e scritto nelle prime
accademie di Roma, d'Italia, di Europa; siccome in
questa di Arcadia, col greco nome acconcissimo a
73
lui di Filandro, nella tiberina, tra i virtuosi del Pan-
teon, in quella di archeologia, di religione cattolica,
nel collegio filologico, nella reale di belle lettere ,
storia e antichifà di Arezzo, di Lucca, di Stocolm ,
di Francfort e di altre assai.
Sono io entralo, o signori, discorrendo la vita
del Laureani , nel punto di sua maggior lode e di
maggiore nostra maraviglia ed istruzione. Poiché
grande veramente fu la modestia e piacevolezza de'
suoi costumi; grandissimo frutto e onore a lui fecero
la conoscenza e valentìa d' Ignazio De-Rossi : ma
quelle furono pregi di natura, queste doni della buo-
na fortuna. Fu però vanto unicamente del Laureani
l'onesto desiderare di una eccellenza nella classica
letteratura; e solo col lungo studio e con la forte
volontà il conseguirla. Per tale guisa e non altrimenti
noi lo abbiamo veduto superare sé stesso e la comune
aspettazione , e nella gloria dell'antica romana elo-
quenza tutti i suoi condiscepoli e contemporanei di
gran lunga lasciarsi indietro. Ohi come grande, come
potente è la nostra volontà in tutte l'umane imprese.
Oh! di quanto maggiori e più mirabili frutti ella è
radice nelle opere dello ingegno. Oh! come le scien-
ze , le buone arti e le lettere salutano lei siccome
madre de'più felici e riputati loro maestri. Non date
voi piena fede alle mie parole ? non vi muove ab-
bastanza l'esempio del Laureani ? desiderate forse di
vederne co' vostri medesimi occhi altra prova più
certa, più maravigliosa ? Venite meco, o signori ; ac-
compagnatemi co'vostri pensieri in età lontana, in
lontane contrade; ed assistiamo insieme alla più gran-
de scena, che mai ci porga la storia dell'eloquenza.
T4
Corre il primo anno della centesima quarta olimpìade:
la regione dove abbiam posto i piedi è l'Attica; e
questa è la città sacra a Minerva , cui oggi tiene
Timocrale arconte. Vedete voi là nel Pireo passeggiar
solo e pieno di vergogna e di lagrime un giovi-
netto ? egli è l'orfano peaniense ; ito la prima fiala
ad arringare agli ateniesi per sostenere dinanzi a loro
sue ragioni della paterna roba mal governata da'rei
tutori Onetore ed Afobo : ma in su la bigoncia è
accolto dagli scherni , dai fischi di un popolo uso
a dare le orecchie a più valenti oratori. Sfortunato
giovane ! quanto ci duole della tua tristezza ; quanto
della male riuscita prova di ragionare pubblicamente
dopo molto affaticarti nell'oratoria ! Poiché sino dal
giorno che tu garzonetto di sedici anni eri menato
segretamente nel foro per udirvi Gallistrato favellante
per Oropo con grandissimo plauso di tutta Atene ,
ti arde in petto amor della gloria dell'eloquenza: ma
troppo in alto ponesti i desiderii, perchè inesperto e
rozzo del dire , né favorito punto da natura delle
virtù proprie di un oratore. Però conforta l'addolorato
animo: che sta nelle tue mani, sta nel tuo volere, o De-
mostene, di operare che questo tuo pianto e quelle in-
grate accoglienze della patria gettino i semi di tua
futura gloria e della prima gloria della greca eloquen-
za. Va; ti rinchiudi nella paterna casa: quivi dimora
lunghi mesi sotterra : ti radi mezzo il capo, accioc-
ché tu non esca ridevole a! pubblico, e non isparga
invano i tuoi pensieri nelle feste, ne'giuochi, ne'geniali
passeggi della gentile Atene : passa i giorni e le notti
studiando e scrivendo solo civili orazioni: usa a de-
clamare alto, lungo,sp edito: fa ogni forza alla matrigna
75
natura, castigandone i difetti della lingua, del gesto,
della persona: quindi torna al foro; monta in ringhiera
e vinci la prova. Imperocché tu sì adoperando, sarai
chiamato un giorno, e non lontano, l'orator degno del-
la tua patria; gilterai lo squallore sulla gloria di E-
schine; non tratterai le private ed umili ragioni del fo-
ro, ma la pace e libertà stessa di Grecia; e questo po-
polo, che oggi sì li deride e da sé caccia come inetto
dicitore, tu allora infiammando alla guerra e traendo
fuori con la tua parola alle onorate imprese di Eubea,
di Perinto, di Bizanzio, arresterai l'audacia del po-
tentissimo re macedone; il quale più degli accampali
e valorosi eserciti nemici temerà la tua sola eloquenza.
Signori, a cui di voi ciò aggrada segua pure
col pensiero la storia , e nella celebrità di Demostene
ammiri solo la forza dell'umano volere; perchè io
torno onde ho mosso, e mi raccolgo di nuovo so-
pra il subietto della mia orazione. La quale nel
Laureani vi oftVe pure un esempio bellissimo di
quanto l'uom possa con la sua volontà in conseguire,
tuttoché grande, un bene lungamente desiderato.
Che se egli si recò a tanta estimazione di lettere
con lo studio e col volere , non fu meno riputato
nella diligenza e nel modo, col quale esercitava gli
olfici imposti, E nel tenere quello di maestro di elo-
quenza, è degna di memoria e di lode la sua cura
in provvedere che dal leggere e dallo studio de'
classici autori antichi profani la gioventù non ripor-
tasse danno di sorta nella modestia e religone. Intorno
a che quegli era diligentissimo custode : poiché come
uomo di virtù non patìa, che nelle mani de 'giovani
dilessero tutti Ubri di quelli ; e come grande cono-
76
scitore del bello non gli dava l'animo di rimuovere
gli studiosi dalle prime e più pure fonti del gusto
e dell'eloquenza. Per tale modo procurava insieme
al loro bene morale e letterario : di che riusciva
ad essi un vivo esempio. Conciossiachè in pochi
uomini veramente si videro ad un tempo e di uno
aperto e costante modo accompagnarsi le lettere con
la virtù e religione, siccome nel Laureani , lettera-
tissimo, tutto saviezza ne' costumi , tutto amabilità
verso di altrui, tutto zelo verso di Dio ; per guisa
che quanto di tempo da lui non era speso negli studi,
tanto era posto nella religione e carità. 11 perchè la
sua vita nelle umane lettere fu ammirevole, nella
virtù e nel sacerdozio veneranda. E salito il Laureani
in fama universale di eccellentissimo professore, de-
sideralo a maestro da tutti i licei, scritto in tanto ce-
lebri accademie, oh ! come edificava non solo il de-
voto popolo di Roma , ma ogni ordine di sapienti
uomini quel suo costume di studiare il tempo per
ridursi la sera in santo Apollinare ad intonare nel
portico di quel tempio le preci Innanzi alla immagine
della Vergine Santissima, e con tanto amore e co-
stanza continuare sì pio ed esemplare uffizio.
Le quali virtù del cuore, congiunte con quelle
della mente, lo fecer caro e pregevole a tutti in ogni
tempo, e gli conciliarono la stima de' grandi e della
corte. Lo amava e giandemenle aveva in pregio il
sommo pontefice Gregorio XVI, che il Laureani di
meritali onori privilegiò ; eleggendolo nel 1838 a
primo custode della vaticana biblioteca, per giudi-
carlo degno a succedere in quell'ufficio nobilissimo
di lettere e di corte al Marini, al Mai, al Mezzofanti,
77
nomini celebratissimi: nello stesso anno Io nooriinava
suo domestico prelato , e nel 1843 canonico della
patriarcale basilica di s. Pietro. Con quanta pruden-
za, dottrina e gentilezza sostenea l'ufficio di primo
custode della vaticana, da essere ammirato da' dotti
e curiosi uomini , cui trae quivi amore di studi o
di arti belle ! Ivi eterna vivrà la memoria del La-
ureanij e saranno ricordate con lode e con deside-
rio la cortesia di lui , onde accoglieva e favoriva
gli studiosi, e la sua valentìa nel bello dell'arte nella
raccolta di antiche dipinture dimostrata , e da lui
ordinata e posta nel cristiano museo. Della quale rac-
colta tanto si rallegrava 1' ingegno ed il gusto di
papa Gregorio XVI, che per cessare alquanto la gra-
ve soma dello stato, cui reggeva, quivi usava di rac-
cogliersi ogni dì per suo sollievo e per amore delle
buone arti e degli studi. Ivi era il principe sì ge-
neroso di affetto verso il prelato custode, che in pas-
seggiando la biblioteca, solca con magnanima e rara
benevolenza torsi sotto all'augusto braccio quello del
Laureani, ed in tale amorevole guisa percorrere con
lui la vaticana. Né di minore stima venne onorato
dal sommo pontefice Pio IX felicemente regnante ,
che nel 1848 elesse il Laureani ad uno dell' alto
consiglio di stato: e di altre maggiori onoranze lui
avrebbe distinto, se morte non lo avesse rapito in-
nanzi tempo e solo nel sessantunesimo anno del vi-
ver suo. Di che fu chiaro indizio il dolore, onde il
pontefice accompagnava il pubblico compianto di
quella perdita.
Veramente chiunque ami e cerchi quaggiù
nel mondo quello che solo può render bella e pre-
7S
giala quest'anfjosciosa umana vita, cioè le nobili virtù
del cuore e gli onorati studi della mente, dee pian-
gere la morte di monsignor Gabriele Laureani, stato
alla nostra età esempio di religione e di modestia,
di cortesia e di ottima e grande letteratura. E poi-
ché sempre ho stimato che solo 1' umana dottrina
congiunta con la virtù tiri a sé fortemente l'animo
nostro e torni a beneficio universale; questo pensiero
già mi pose nel cuore l'affetto del Laureani, e mi
ha spinto a scrivere una pubblica lode del savio e
diritto uso che quegli fece di sua letteratura. Con-
ciossiaché la scienza venne da lui per modo colle-
gata con la pietà e religione , che in vita la rese
cara ed utile a tutti, desiderata poi e compianta nella
morte. E se del dotto prelato ognun ricorda con am-
mirazione la penna , che scrivea prose e poesie di
più squisita e classica latinità, con maraviglia minore
non rammenta la bontà dell'animo ed una maniera
di costumi, spogliati delle volgari bassezze e vanità,
in cui sovente cade 1' umana sapienza. Poiché agli
uomini riesce grata e fa prode solamente una sa-
pienza, la quale tragga, non allontani i loro cuori;
una sapienza non bugiarda, o mezzana, ovvero pre-
suntuosa, ma ingenua, profonda, umile e costumata;
e a dir breve una sapienza cristiana. E cristiana sa-
pienza fu quella del Laureani, a cui 1' uomo go-
deva di accostarsi e rendersi amico, e cui possedendo
ebbe una verace ricchezza, e cui perduta suole an-
cora col pianto desiderare.
Ma la sua vita menata unicamente nella pace
e ne' diletti bellissimi degli sludi, forse parrà cosa
indegna d'imitazione e di lode a coloro, che di tali
79
soavissimi piaceri essendo nuovi, non istimano che
in essi possa ninna felicità del mondo ritrovarsi. Per
il che al privato e dimesso vivere de' saggi, al loro
solitario cammino per vie remote e lungi da romori
e da mondane allegrezze portano compassione \ ed
in udire che la vita di essi e di monsignor Laureani
fosse beatissima, non vi aggiungeranno fede: ma bene
la vi porrà colui , che con gli studi abbia presa
alcuna dimestichezza. Questi , non altrimenti che il
Laureani, non farà certo le maraviglie di quello che
scriveva il grande filosofo di Cheronea, Plutarco, cioè:
« Quale uomo affamato o sitibondo vorrà piuttosto
mangiare o bere di quelle cose, che appo i feaci fu-
rono in tavola, che leggere il racconto degli errori
di Ulisse ? 0 chi vorrà meglio seguitare amore, ac-
compagnato delle più belle grazie, che attentamente
considerare le cose, cui scrìsse Senofonte di Pantia,
Aristobulo di Timoclia , Teopompo di Tisbe ?» E
perchè ninno tenga essere questa opinione di filo-
sofi più gravi , o di chi prese uso di vivere negli
studi, e nessuna esperienza porti degli altri piaceri;
si oda uno che in mezzo a tutti i più delicati beni e
ricreamenti del mondo fu collocato, cioè Roberto di
Angiò re di Napoli , detto il buono ed il saggio.
Il quale per questo modo scriveva al Petrarca suo
amicissimo ; e Ma io giuro , che assai più dolci e
care mi tornano le lettere che non il regno : e se
di questo o di quelle avessi a rimaner privo , con
più lieto animo comporterei di essere spogliato del
regno che delle lettere ». Le quali cose saranno in-
credibili e ridevoli al volgo , non ai veri amatori
degli studi, e non le furono al Laureani.
80
Che se tali piaceri putissimi delle lettere si ;ie-
compagnino con quei della virtù e religione, io non
so che altro più gradito e compiuto bene possa quag-
giù gli uomini ricreare. Imperciocché il vero , il
bello ed il buono che noi troviamo nella religione,
nelle lettere, nelle arti e nelle scienze , non danno
solo vita e coltura alla mente ed al cuore , ma ci
fanno come innanzi tempo assaggiare le celesti de-
lizie, ci compongono a modestia e bontà 1' animo,
ci rendon cari ed utili agli uomini , stimabili agli
stessi malvagi. Di che basterebbe anche solo l'esem-
pio di monsignor Laureani, che dallo avere inteso
unicamente a' buoni studi ed alla vita saggia e re-
ligiosa, si fabbricò quasi da sé medesimo una bel-
lissima e costante felicità. Laonde se io portassi in
cuore niun desiderio , che la mia orazione tenesse
alcuna autorità, la bramerei nel termine di essa per
mio ed altrui ammaestramento, per consiglio di co-
loro, i quali la vita, lo ingegno e le voglie pongono
in parte, che di veraci beni deserta, é di ozio, di
pene e di false opinioni infelice albergo. E tale au-
torità, o signori , le si conceda insiem con la vita
dell' ottimo Laureani dalla voce gratissima del Pe-
trarca; la quale, in un secolo molto somigliante a
questo, in siffatta guisa per le belle contrade andava
risonando :
» E quel che in altrui pena
» Tempo si spende, in qualche atto più degno
1) 0 di mano o d'ingegno,
)» In qualche bella lode,
» In qualche onesto studio si converta:
» Così quaggiù si gode,
t) E la strada del ciel si trova aperta
81
Lettere inedite di Paolo Costa ravignano.
AL CHIARISSIMO SIG. PROFESSORE
CAV. SALVATORE BETTI
se(j;etario perpetuo dell'insigne e ponlìHcia
accademia di san Luca.
Carissimo cavaliere,
X erchè reggiate che ho spesso fra i miei pensieri
l'amicizia vostra, e l'amore del giornale arcadico ,
vi presento ora tredici lettere inedite di quel Paolo
Costa che fu tanto nostro amico, e sì bel lume delle
lettere italiane. Le ho avute in dono dalla cortesia
di un mio buon amico, che è don Gaetano Zaccharia
ravennate, bibliografo conosciuto per l'erudito cata-
logo che ne ha dato delle edizioni del famoso tipo-
grafo Francesco Marcolini, del quale è stato parlato
con tanto meritala lode anche nel tomo 123 del gior-
nole arcadico. Egli le trassedagli originali con molta
diligenza, e me ne fece dono. Ed ora io li offro a
voi e al giornale nostro, il quale ne infiorerà le sue
carte. Dalle noterelle apposte alle lettere, e sono cosa
dello stesso don Zaccaria, conoscerete come di molte
ha egli stesso gli autografi, di alcune ha tratto copia
dagli autografi posseduti dal sig. Salvatore CeccoU
ravignano, pur egli valente assai in fatto di bibliogra-
fia, e posseditore di libri italiani assai rari, che con
molto studio ha saputo raccorre. Le quali cose vi
G.A.T.CXXV: 6
82
dico qui, perchè dobbiate meco saper grado ai due
studiosi ravignani che mi hanno dato cosa sì prege-
vole, e modo di offrire a voi questo munuscolo.
E dopo questo vi auguro ogni bene, e lunga e
prosperosa vita a prò delle lettere nostrali, e degli
amici, fra i quali ultimo per merito , ma non per
aifelto, sarà sempre
Osimo 16 febbraio 1851.
U vostro oLino ed afFmo
G. 1. Montanari.
Lettere inedite di Paolo Costa trascritte dalle auto-
grafe da d. Gaetano Zaccaria ravennate^ che le ebbe
in dono dalla nohil donna signora Rosa Costa sorella
di quel chiarissimo ingegno (*).
I
Al nohil uomo signor canonico don Mauro
Costa^ a Ravenna.
Bologna alli 22 febbr. 1830.
La consolazione, che mostrate di aver provalo
(*) Un Vjel ritratto in un busto grande di Paolo Costa rilevato
in plastica da un professore di quell'arte cii'era già discepolo di esso,
fu mandato alla detta sua sorella Rosa nell'anno 1822. Questo ebbe pu-
re in dono il suddetto don Gaetano dall'istessa signora nel 1844. Di
esso poco tempo fa, si servi un pittore veneziano per dipingerlo nel
nuovo teatro eretto in Ravenna fra' suoi uomini illustri: perciocché
avendone fatto ricerca in casa della detta sua sorella Rosa, die anco-
ra vivea, avvisanto a chi ne avea fatto dono, si recò in casa del detto
don Gaetano ove lo ritrasse. Un esemplare con correzioni a mano fatte
83
per l'onore che mi è comparlilo da S. M. il i-e di
Toritio, è una cerla pi'ova del l'amore vostro ver-
so di me: e questa mi è di somma allegrezza. JNun
so se r incomodo che soffro dell' emoroidi vesci-
cali mi lascerà fare un così lungo viaggio : ma
subito che si sararmo sciolte le molle nevi, che in-
gombrano le strade, proverò più di un legno a
molle inglesi: e se ne troverò uno che non mi dia
molestia, mi risolverò di partirmi di qui: altrimenti
mi rassegnerò ai voleri della provvidenza , e sarò
pago dell'onore dell'invito.
Io desidererei moltissimo di poter cavare l'ipo-
teca, che è sul vostro fondo, anche per vantaggio mio,
poiché sborsando la somma del censo si investirebbe
il danaro al selle... Subilo che sarò impiegato potrò
fare lo sborso che desiderate.
Intanto, se aveste il mezzo, potreste voi acqui-
stare il dello censo pagando il luogo pio e traspor-
tando l'ipoteca sui nostri fondi. Io ed Ignazio ci pren-
deremo un termine per estinguerlo rimborsando voi.
In questo caso saranno pagati a voi stesso fino all'estin-
zione del censo i fruiti , che annualmente si paga-
vano agli orfani, frulli che sono in ragione del selle
per cento, siccome ho detto di sopra. Stale sano, e
salutate la Rosa e il marchese Spreti quando lo ve-
drete. Addio.
V. aff. fratello
PAOf.O
dall'autore nostro neirultima opera ilatavi, ch'è l'arte poetica impressa
in Bologna co' tipi della volpe al Sassi nel 1836, ebbe pure il sud-
detto in dono dall'illustrissima signora Giuditta Milzelli, vedova Costa,
poco dopo la morte del marito.
84
li
Alla nohil donna signora Rosa Costa (*), a Ravenna.
Mia cara sorella,
Vi sono molto tenuto della lettera con che mi
avete voluto visitare, secondo che voi dite, e sono
lieto che vi siate rallegrata del mio ritorno. Ora mi
sono messo in riposo e penso soltanto a ricuperare
la santità: e le mie cure non sono inutili, perciocché
le flatolenze sono minori e poco moleste, l'appetito
è ritornato, e coli' appetito le solite forze e il buon
colore del volto, che era sparuto e magro. Questi cibi,
quest'aria, la vista lieta di questi colli, la compagnia
degli antichi amici hanno operato ciò che non poterono
le medicine: e di questo ne ring»azio Iddio. Desidero
che così avvenga della salute vostra, la quale ora non
è perfetta, siccome mi significale. Dello stato di nostra
madre ( dalla quale non ho ricevuta lettera ) nulla
mi avete detto , e quindi mi confido che sia sana.
Salutatela anche a nome di Giuditta, e salutate si-
milmente il fratello canonico. Fate di aver cura della
vostra salute, e riveritemi monsignor vicario, sebbene
io non mi ricordi d'averlo mai conosciuto personal-
mente: conosco i suoi meriti e basta. Addio.
Bologna 17 giugno 1832.
V. aff. fratello
Paolo
(*; Defonla.
85
III
Alla medesima a Ravenna.
Cara sorella,
Bologna alli 25 aprile 1833.
Ho letta con mia piena soddisfazione la pasto-
rale di noonsignor Falconieri. Essa è dettata con senno,
con vera filosofia, e con quella unzione apostolica,
che ha forza di ammollire i cuori più duri. Ralle-
gratevi di avere per arcivescovo un uomo così dotto
e così buono. Io vi ringrazio del bel dono (1) che
mi avete fatto ; ma se mai aveste creduto , che io
avessi bisogno della medicina , che l'ottimo prelato
porge a chi è nemico della fede cristiana , vi dico
che mi avete fatto ingiuria, avendo per tal modo se-
guitato l'opinione di quegli stolti, che intendendo a
rovescio la filosofia , che io professo , ne traggono
torte e matte conseguenze. Leggano le mie note
alla divina commedia di Dante, e vedranno quante
volte ho ivi confessata e confermata la fede: leggano
le prove, che ho recate dell'esistenza, dell'immorta-
lità dell'anima nel mio libro stampato a Corfù, e poi
gridino che io sono materialista. Sono molti, o mia
cara sorella, che ostinati in certe loro opinioni filo-
sofiche tengono per false tutte le altre: hanno per
inimici i loro avversari, e non si contentano di con-
dannare come assurde le dottrine che non intendono,
ma ne deducono conseguenze contrarie alla fede con
una maniera di ragionare tutta loro propria. Spero
(1) Intende del libretto donatogli de'Ia surriferita pasterale ehe
fu impressa per la quaresima dell'anno 1833 presso Antonio Roveri,
stamperia arcivescovile in 4.
86
che non mi vorrete collocare nella schiera di coloro,
de' quali fa cenno l'ottimo vostro arcivescovo , che
si fabbricano in mente stranissimi sistemi a fine di
poter daisi in braccio senza rimorso a tutte le pas-
sioni: perciocché nessuno mi ha mai dato taccia d'uomo
scostumato. Sono io forse di quelli, che dicono che
non vie virtù, e che è bene tutto che torna a propria
utilità? Io ho sempre posta la virtù nella pratica delle
azioni vantaggiose al prossimo, opeiale per sentimento
di carità cristiana, e per conformarci alla volontà
divina. Leggano con attenzione i miei libri, e vedranno
se quello che ora dico è vero, e cessino di calunniarmi.
È forse da cristiano il presumere di leggere nelle menti
altrui e sparger voci contrarie alla riputazione ed
alla dottrina di chi dovrebbero onorare ? Se danno
da credere al volgo , che gli uomini , che si sono
acquistata fama di letterali , hanno in odio la fede,
qual bene vena alla religione ? Il volgo crederà che
più facilmente s' inganni chi ha studiato poco che
chi ha studiato molto. Vedete da ciò, che l'opera di
cotesti infamatori non è né cristiana, né accorta. Diran-
no forse, che se io non fossi della turba de' moderni
disprezzatori della fede non sarei stato cacciato in
esilio. Leggano di grazia i fogli, che furono cagione
del mio esilio, e vedranno che le mie colpe furono
puramente le opinioni politiche. E non fui io forse
che presi a difendeie il saceidozio, che era in peri-
calo di essere perseguitato ? Non difesi in que' fogli
l'autorità del pontefice come capo della chiesa? Non
lo lodai? Non esortai i cattolici a restar fermi nelle
loro credenze ? Questo feci e con sommo calore, e
Roma non mi diede taccia di nemico della religione.
87
Ma che vale ? I maldicenti proseguono a gracchiare.
Gracchino a loro posta , che io proseguirò il mio
cammino, amico de' buoni, che sono pochi, e indul-
gente co' tristi, che sono moltissimi.
Il Cuppini mi disse che avrebbe scritto al conte
Gamba acciocché rlscotesse dal dott. Rasi, e pagasse
mia madre. Quando lo rivedrò gli parlerò di nuovo.
State sana
V. aflf. fratello
Paolo
IV
Alla medesima a Ravenna (*).
Cara sorella,
Noi non dobbiamo piangere del nostro fratello,
che ora sarà certamente con Dio a raccogliere il
premio delle sue rare virtù; ma dobbiamo dolerci
di noi stessi. Voi, perchè avete perduto il compagno
della vostra vita; io perchè non ho avuto il contento,
dopo tanti anni, di rivederlo almeno una volta prima
dell'ultima sua dipartita. Doliamoci dunque, che ci
dogliamo a ragione: ma pensiamo che nel nostro dolore
ci rimane un conforto, che è questo. Siamo già vecchi,
o cara sorella, e non passerà molto tempo che ci
riuniremo a lui per non separarcene mai. Così giova
sperare. Fate di racconsolare nostra madre, che certa-
mente sarà afflitta, e vogliatemi bene. Addio.
Da Bologna alli 21 aprile 1834.
V. aflf. fratello
Paolo
(*) Lettera di condoglianza per la morte del fratello canonico
Mauro, che conviveva con la sorella Rosa.
88
V
Alla medesima a Ravenna.
Cara sorella,
La Margherita, servente in casa mia e da voi
conosciuta, trascurò questa primavera un'infreddatura,
di modochè fu assalita da una fiera tosse che il medico
giudicò pericolosa. Dopo alcuni mesi si è ristabilita;
ma esso medico vorrebbe che la giovane per ben
rinforzare gli organi della respirazione , ehe erano
stati ofiesi, andasse a respirare l'aria grossa della bassa
Romagna. Io avrei divisato di mandarla a Ravenna,
e di metterla sotto la vostra custodia in casa vostra, som-
ministrando quanto occorre pel vitto egli altri bisogni
di lei. Vi prendereste per amor mio questo incomodo ?
La giovane è buona, sincera, timorata di Dio: niente
ciarliera; tale in somma che ha meritata l'affezione
di Giuditta (*), la quale a voi la raccomanda. Se mi
fate questa grazia, vi manderò la ragazza verso la
fine di luglio , e verso la fine d'agosto la manderò
a prendere. Aspetto risposta; salutate in mio nome,
e in nome di Giuditta, nostra madre e baciatele la
mano per me. Addio.
Bologna alli 2 luglio 1834.
V. aff. fratello
Paolo
VI
Alla medesima a Ravenna.
Cara sorella,
Dite benissimo. Della malattia di petto non si
(*) Giuditta Milzelli moglie sua (tlefonta).
89
può fare sicuro pronoslico ; e la giovane , che ora
pare guarita , potrebbe facilmente ricadere inferma
e andarsene al sepolcro. Io mi era lasciato lusingare
dalle parole del medico, e perciò vi scrissi pregan-
dovi a volerla ricevere in casa vostra. Ora penso come
pensate voi e disdico la mia preghiera. Abbiatemi
scusato della mia poca considerazione.
Saprete che ora l'andare in legno non mi dà più
fastidio, e che volendo, posso venirvi a visitare in
Ravenna. Ghisa che non mi salti la fantasia divenire
alla fine d'autunno ! Alcuni miei amici desiderano
di vedere cotesta antica città: forse io verrò con loro
se Dio mi dà vita. State sana, ed amatemi.
Bologna alli 6 luglio 1834.
V. afF. fratello
Paolo
VII
Alla medesima a Ravenna.
Cara sorella,
Bologna alli 9 novembre 1834.
Ho incontrato per istrada Niccola nostro nipote,
il quale mi ha dato la trista notizia della morte di
nostra madre, da voi comunicatagli con vostre lettere.
Ne sono dolente anche perchè speravo di rivederla
fra poco. Raccomandiamola a Dio, affinchè voglia
averla nel regno suo. In quanto agli interessi tem-
porali, che mi riguardano, mi affido in voi. Operate
per me, che ve ne dò tutta la facoltà con questa lettera.
State sana.
V. air. fratello
Paolo
90
Vili
Alla medesima a Ravenna.
Cara sorella,
Bologna 24 dicembre 1834.
Che debbo dirvi delle infinite cortesie che avete
usate a Giuditta ? Non dirò nulla per non dir poco:
e passerò a rallegrarmi con voi del vostro buono
sialo di salute, di che sono minutamente informato.
Mi è piaciuto d' intendere in che modo passate la
vita , cioè parte negli uffici di religione, e parte in
quegli innocenti trattenimenti, che rendono dolcis-
sima la vita solitaria. Io pure , che sono quasi uà
solitario, mi diletto degli animali domestici come
fate voi. Questi servono al fine , a cui Dio gli ha
destinati, meglio che non fanno per la più parte gli
uomini, che vanno per la via delle frodi delle simu-
lazioni, de' tradimenti. Ho una cagnoletta che pare
l'alunna delle grazie e che mi fa festa intorno come
se avesse l'uso della ragione; ho un pappagallo, che
mi domanda il caffè come se fosse un fanciullo; ho
una scimia, che con certi atti buffoneschi caccia di
casa la malinconia. Non è ella questa una bella so-
cietà ? Non è società migliore di quella, che si chiama
società delle dame e de' cavalieri? A me pare che
sì. Addio, mia carissima: proseguite a star sana ed
allegra. Addio addio e buone feste.
V. aff. fratello Paolo
91
IX
Alla medesima a Ravenna.
Cara sorella,
Bologna alli 21 ottobre 1835,
Dal sig. dot, Stanislao Brini ho ricevuto il re-
stante del danaro che avete ricavato dalla vendita
della biancheria. Vi ringrazio della premura, che
per essa vendita vi siete presa.
Io vi sono debitore di scudi cinquanta per il
censo che vi lasciò il canonico Mauro, e voi siete
debitrice a mede' scudi 30 ch'esso lasciò a me; laonde
io vi rimango debitore di scudi 20. Converrà, per
chiudere questo conto, di fare una scrittura che liberi
me dal debito del detto censo. Ciò potremo fare quando
saianno appianate le cose dell'eredità materna, per
la quale penso che resterete debitrice a' vostri fratelli
di una parte della legittima che nostra madre doveva
al figlio defunto. Ve la intenderete col signor Cuppini:
che lutto eiò che egli fa, lo tengo ben fatto. Giuditta
vi saluta e vi ringrazia. Addio,
V. afF, fratello Paolo
X
Alla medesima a Ravenna
Cara sorella,
Bologna alli 29 febbraro 183G,
Ho mandata la vostra letteia al signor Cuppini
acciocché procuri di dar termine agli affari che sono
ancora sospesi...
Aspello il professore Baroni da Roma, che dovrà
farmi l'operazione, che ha fatta a sette altre persone
92
e qui e altrove. Conosco il padre del canonico Ven-
turini, che era afflitto più che non sono io dallo stesso
malore, e che ora sta benissimo. Perchè non vi spa-
ventiate per me, voglio che sappiate in che consista
l'operazione, che si ha da fare.
Si introduce nell'uretere un ferro grosso come
una siringa, fatto al modo che vi disegno qui: intro-
dotto che sia, si tira la parte superiore 5 della canna
verso la mano dell'operatore, e si fa l'apertura A, nella
quale vi fa entrare la pietra (*) Quando la pietra è
abbrancata, colla forza di una viteNsi respinge allo
insù la detta parte superiore , la quale stringendo
fortemente la pietra la mette in polvere. Non vi è
nieute a temere. Addio.
V. aff. fratello
Paolo
«PIETRA
mTTir
D
]V VITE
S PARTE SUPERIORE
93
XI
Alla medesima a Ravenna (*).
Bologna 20 dicembre 1836.
Vi rendo grazie del dono che mi avete fatto,
e spero che ad intercessione della B. Vergine il signore
Iddio vorrà liberarmi fra pochi giorni dalla mia pe-
nosa malattia, o ricevendomi nella sua gloria, o resti-
tuendomi la sanità. Oggi ho ricevuto per divozione
la s. comunione: e posdimani mi sottoporrò al taglio
e alla estrazione della pietra. Pregate Iddio per me.
Mi gode l'animo all'intendere che monsignor
arcivescovo di Ravenna mi onori della sua benevo-
lenza. Io non conosco lui di persona, ma conosco il
suo ingegno, la carità che lo accende, la virtù che
lo rende caro alla chiesa; che si luminose qualità di
lui si manifestano nelle omelie fatte pubbliche, si ma-
nifestano nell'amore, nella riverenza che verso la per-
sona di un tanto prelato hanno le genti da lui governate.
Vi mando due esemplari dell'arte poetica da me publi-
cata leste. Una è per voi, l'altra offeritela in mio nome
a monsignor arcivescovo.
Cara sorella, o ci vedremo presto nel material
corpo in Ravenna, o in ispirilo in Paradiso.
Addio.
V. fratello Paolo
Ho scritto di brutto carattere perchè dal letto
e stando supino.
(*) Questa t- l'ultima lettera scritta dal Costa.
94
XII
Al st'y. Giuaeppe Cuppini^ a Ravenna.
Carissimo Cugino,
Essendo mio fratello fuori di città è venuta alle
mie mani la vostia lettera a lui indirizzata. Mi affretto
a farvi risposta per togliervi dall'animo il timore, che
vi ha cagionato la domanda che vi astata fatta della
somma di scudi 300 da voi pagati a mio padre. I
Costa, dopo la morte del signor Antonio Odorici, fu-
rono e sono tuttavia i legittimi esattori de' crediti
della vecchia tesoreria di Romagna. Voi pagaste in
mano loro, e nessuno potrà mai domandarvi ragione di
quello che a sconto del vostro debito avete sborsato.
L'esservi stala fatta domanda di scudi 300 sarà pro-
ceduto dalla confusione, che è nei libri dell'ammini-
strazione fatta dal defunto mio zio: e tostochè il sig. Ma-
gagnoli, agente del canonico d. Giulio, sarà informato
del contralto che faceste con mio padre, farà che ne'
libri apparirà manifesto a che si riduca oggi il vostro de-
bito. Sebbene non riguardi molto all'interesse vostro il
sapere se i credili della vecchia tesoriera appartengano
alla casa Costa o al patrimonio Odorici, nuUadimeno,
acciò abbiate l'animo tranquillo, vi dico, che oggi
abbiamo ragione di credere, che lutto ciò che rima-
ne da riscuotere sia della casa Costa; e che quand'anche
ciò non fosse, ad essa appartiene indubitatamente un
quinto de' medesimi crediti. I trecento scudi, che avete
N. B. L'aulografo è posseduto dairamico signor Salvatore Chec-
eoli di Ravenna, il quale dal medesimo fece la presente copia per
don Gaetano Zaccaria.
9S
pagati sono meno del quinto del vostro debito; quindi
è che voi non solo avete sborsata la sonnma in mano de'
legittimi esattori, ma de' legittimi creditori. Questo
sia detto in quiete vostra. Oggi domanderò altri schia-
rimenti al signor Magagnoli, e farò in modo che da
lui medesimo siate fatto sicuro. Comandatemi in tutto
che vaglio, e state sano.
Bologna 30 novembre 1818.
V. afF. cugino
Paolo Costa
XIII
Al signor Giacomo Landoni professore di eloquenza
a Ravenna.
A. C.
Mi rallegro che la fortuna, nel tempo che meno
erada credersi, vi sia stata favorevole ed abbia prov-
veduto al vostro stato; duolmi solo che andate lontano
da questi luoghi e che così mi sia tolta la speranza
di rivedervi. Io non posso viaggiare per cagione d'un
malanno, che ho ne' vasi emoroidali: voi non potrete
per cagion della spesa: onde mi penso che se non
venite ora a fare le feste di Natale, non ci potremo
vedere se non nella gloria del paradiso, ove sederemo
a canto al re David, come traduttori de' suoi salmi:
che io pure, è già più d'un anno, quel medesimo
salmo, che avete tradotto, tradussi per recitarlo a questa
accademia felsinea. Se vi capita occasione di venire
a Bologna prima della vostra passata a Pesaro, non
mi private della vostra compvignia almeno per quattro
o cinque giorni. Dormirete in quel letto, nel quale
96
soleva dormire, il mio povero Perticari, e vi sarà
Fatta quella buona cera, che a lui si faceva. Addio.
V. aff. amico
Paolo Costa
Importanza dello studio delle comunanze
dei morbi.
4 x\lcuni ritengono lo studio delle comunanze dei
morbi essere lucifero e non fruttifero ; altri che
sia indispensabile all' esercizio clinico: ecco la di-
screpanza tra il cieco emporismo ed il puro dog-
matismo. Che r uno essendo dominato dallo scet-
ticismo, e l'altro dalla speculativa, tennero la me-
dicina in perenne agitazione e la ragirarono nel
circolo vizioso rimproveratole da Bacone. Questo dà
un ideale, quello un fatto; e nell'ideale separato dal
fatto non consiste la teoria, né la scientifica dimo-
strazione.
2 L'empirismo puro è Pisolata osservazione dei fatti,
che non stabilisce rapporti, né determina regole gene-
rali; e ch'è interamente circoscritto nella forma esterna
dei fenomeni; non stabilisce le dipendenze, né i legami
essenziali che collegono la causa all'oftelto. L'empi-
rico considera i fenomeni come naturalmente si com-
piono. Il dogmatico, dominato dalla speculativa, da
pochi fatti deduce principii universali e con essi spie-
ga tutti i fenomeni particolari. L'empirico si avanza
lentamente nella retta strada; ed il dogmatico spa-
zia nell'ideale.
3 L' idea empirica è il primo elemento della
medica osservazione e dell' intera scienza del mon-
97
do fisico. I fatti raccolti dal puro empirismo sono
rischiarati dall'analisi, e coordinati dalla sintesi in-
duttiva. Un sistema risulta spesso fallace e sempre
imperfetto, se non si compone del fatto empirico ,
dell'osservazione analitica e della sintesi induttiva.
4 L'empirismo ippocratico o i fatti descritti da-
gli antichi , come naturalmente si compiono dalle
semplici forze attive della natura, è il fondamento
irrefragabile della vera medicina. Imperocché uni-
ca è l'arte salutare, ed i sistemi altro non sono che
ritratti di quella pura e candidissima natura, la quale
avvolgendosi nel misterioso velo può solo dal fatto
empirico rilevarsi e la forma e l'espressione.
5 I fatti del puro empirismo, rischiarati dal-
l'analisi, ci si appalesano nitidamente, e nella mas-
sima loro estensione; e sono materiali preziosi, dei
quali dobbiamo esserne principalmente tenuti ai no-
stri sommi padri, i quali ce li descrissero semplice-
mente e senza veruna sistematica preoccupazione. Il
primo passo adunque, che si fece in medicina, fu
l'osservazione empirica, il secondo la ricerca anali-
tica, e l'ultimo la coordinazione o sintesi induttiva.
Cosicché il medico filosofo dall' empirismo puro pas-
sa all' osservazione analitica, e finalmente si ferma
nella sintesi induttiva, che è il punto supremodella
medica speculativa.
6 La patologia generalmente definita - la
scienza delle comunanze - è il punto supremo della
speculativa, la quale non si compone dell' analisi ;
mentre essa rischiara soltanto i fatti empirici, dai
quali si deduce la sintesi induttiva. Ed i principii
generali dedotti dall' empirismo, che stabiliscono le
G.A.T.CXXV. 7
98
comunanze del morbi ^ «odo i cadiui fondameoiali
clinici. torj 3 ,
7 La specula'iva stabillla - a priori - allellìk
l'i^mmaginazione e non si realizza nei falli, dai quali
non è ingenerata. « La scienza dello staio morboso,
» come qualsiasi altra scienza naturale^ non può par-
» tire con le sue ricerche che dai fatti. Una malal-
w tia prodotta da perturbamenti fisici esteni eviden-
ti ti ^ nei complesso del suo andamento e della sua
n soluzione sotto l'impero delle sole forze attive della
i> natura: ecco il tipo di questi fatti puri ed interi^
» visibili e calcolahiii sui quali deve iHcondursi la
» patologiaper osservare nitidamente e completamen-^
» (e, come la natura e con quali semplici leggi vi
>» si comporti. Il fissare qui il punto di partenza è
ìt un fissarlo nella natura medesima.^ ed è un aprirsi
» una via nelle ricerche la più sicura e la. più di'
n retta di agni altra. Questi io chiamo fatti dell'eni'
tv pirismo puro (*). » Dai fatti deirenipirismo puro,
riscbiarati dall'analisi, nascono naturalmente principi!
j]^neraU che signoreggiano i fatti, dai quali furono
ingenerati, e stabiWscono k comunanze dei morbi.
L' empifrismo ippocratico non dirige direttamente
il clinico all'esercizio pratico della medicina; e sta-
bilisce soltanto le basi fondamentali dei principii car-
dinali clinici. I fatti raccolti dal puro empirismo sa»
no gli elementi determinanti il principio ideale 5 e
la speculativa induittiva è l'organo della scienza
clinica. M».jua.
8 Aijmnrftlòi^e empirico delle umane egritudini
' 'n PfJincWctJ FtrtrcìnoUi Pal'olti'gfà' inrfwlliva.
90
èciiite abbandona alle semplici forze atlive della natu-
ra, per osservare come e con quali semplici legg-i vi
si comporli. Che se poi da questi fatti si deducono
principii generali e si applicano ad altre malattie ;
allora dal puro empirismo si passa all'applicazione
del principio ideale o speculativa. L^enipirismo puro
nacque prima della speculativa e in luoghi ove non
esistevano medici; imperocché allora si abbandonano
conscenziosamente le malattie alle semplici forze at-
tive della natura.
9 Dai fatti raccoUi dal puro empirismo , ri-
schiarati dall'analisi, nasce la speculativa , la quale
domina e signoreggia i falti, dai quali è ingenerato
il principio ideale. I sistemi dei pneumatici, dei chi-
miatrici e dei meccanici risultano incompleti e fallaci,
perchè da pochi fatti dedotti , tendono a spiegare
tutti i fenomeni particolari. Cosicché erroneamente
sì rimproverano i sistematici , i quali deducono il
principio ideale dal puro empirismo; ed a ragione
si declama contro quelli, che da pochi fatti dedu-
cono principii generali, con i quali stabiliscono le
comunanze dei morbi.
10 L'empirico raccoglie i fatti come natural-
mente si svolgono, e ne forma delle collezioni o con-
cise rapsodie; l'analitico li decompone per rischia-
rarli, ed il fdosofo induttivo he deduce le comu-
nanze dei morbi, o principii induttivi generali che
gir signoreggiano; e questo è il precipuo scopo della
patologia. Da ciò chiaramente rilevasi essere impro-
priamente applicato questo riome alla scienza, la qua-
le determina le comunanze dei morbi. « Da due voci
» si compone il nome patologia, e però significa di-
100
» scorso intorno alle malattie ed abbracciare dovreb-
« be la trattazione di tutte le cose pertinenti allo
» stato morboso. Ma i medici avendo distinta la sto-
» ria particolare delle malattie dalle cose loro ge-
» nerali e comuni., la consuetudine ha poi ristretta
» la patologia alla sola trattazione di queste, lasciata
>> la prima per subbietto della terapeutica [*). Il nome
patologia pare convenirsi meglio al puro empirismo,
che semplicemente raccoglie e descrive le affezioni
morbose. E alla scienza , che determina il prin--
cipio induttivo o ideale della medicina , che domi-
na e signoreggia l'empirismo, pare convenirsi me-
glio quello di organo della scienza clinica.
1 1 L'empirismo puro può solamente sommìni-
stratre gli elementi determinati la speculativa , la
quale dirige il clinico all'esercizio pratico della me-
dicina. Cosicché chiaramente rilevasi quanto erro-
neamente si esprimano coloro, che dicono curare le
malattie empiricamente ; Mentre la cura empirica
non può esistere nelle mani del medico, e si compie
dalle semplici forze attive della natura. Che se per
essa intendono quella diretta dal principio ideale
ingenerato dal fatto empirico , allora riconoscono
l'importanza della medica spculatina
12 La patologia è essenzialmente sistematica
quando per essa si intende lo studio delle comu-
nanze dei morbi, e consiste interamente nella spe-
culativa, e non esistono patologie empiriche. La dif^
ferenza che passa tra la patologia induttiva e la specu.
laliva (imperocché tutte indistintamente sono indut-
(') M. Bufalini. Patologia analìlica.
101
live o speculalive) consiste in ciò, che il principio
ideale o la speculativa della palolojjia induttiva è
essenzialmente dedotta dall'empirismo puro rischia-
rato dall'analisi; ed il principio ideale della patolo-
gia speculativa è dedotto da pochi fatti ed è appli-
cato a tutti ; cosicché in parie risulta induttivo, e
nel rimanente è immaginalo a priori Ma il medico
nell'esercizio pratico della medicina è essenzialmente
sistematico; meno che non abbandoni le malattie alle
semplici forze attive della natura.
13 Per patologia empirica non può né deve
intendersi quella, la quale insegna a secondare gli
sforzi della natura; e per sistematica quella che sta-
bilisce precetti per signoreggiarli. Imperocché que-
ste varie maniere di iratlare le umane egritudini
sono mirabilmente espresse con le denominazioni di
iriedicina attiva e passiva, delle quali non intendiamo
occuparci in questo luogo: dièci siamo proposti di
discorrere l'importanza dello studio delle comunanze
dei morbi. Molti credono erroneamente potersi fare
il medico empiricamente; cioè senza niuna cogni-
zione della medica speculativa, dedotta dal puro em-
pirismo. Ma di essi scrisse il Sydenham : Medicus
sum^ non vero medicarum forinularum praescriptor:
aurea sentenza degna di quel grande.
14 Ora domandiamo ai clinici empirici, da' qua-
li fonti attingano la somma delle occorrenti cogni-
zioni, per rettamente curare le umane egritudini ;
dal fatto empirico, no; perchè nelle loro mani ri-
sulta infecondo, mentre non ne deducono la spe-
culativa o principio ideale , che dirige il medico
all' esercizio pratico della medicina. Dal principio
!Ì0%
ideale, no; peiiehè Io rilengono essere essenzialmente
falso. Dunque le lespeilive determinazioni dei clinici
empirici nascono nel sensorio comune e sono pel-
assi idee innaie.
Vincenzo dott. Catalani
Elogio del cav. Gaspare Spontini conte di s. Andrea,
letto nel giorno 26 febbraio 1851 nella chiesa
plebale di lUaiolati da G. Ignazio Montanari.
S»l) '.iiì (■
e questa nostra natura potesse per qualche modo
di fra{TÌle e caduca in durevole ed eterna rimutar-
si, e la vita di breve e fugace lallungarsi e durare
quanto il mondo, sarebbe al certo da procurare che
quegli spiriti bennati, che ad illustrare sé stessi e
felicitare la patria e la nazione con ogni sforzo si
adoperano, fossero in questa perpetuità di vita ser-
bati, acciò nelle opere lodate e generose continuan-
dosi, della virtù loro empiessero e rabbelliser la terra.
Ma perchè ciò non è concesso , sendochè cotesto
peregrinaggio che ha nome vita non è se non strada
e tragitto alla vita verace , dobbiamo noi a mani
giunte ringraziare la provvidenza che lutto governa,
ch'ella abbia degnato lasciare alcun poco quaggiù
fra noi queste anime sublimi, senza invidiare né
ritardare ad esse coi voti il premio debito a lor vir-
tù nella stanza dei giusti, e la corona preparata nella
pace del Signore. E quantunque sia gran dolore cre-
derle da noi dipartire, si conviene racquetare il cor-
doglio considerando il bene che n'abbia m ricevuto,
e com' elleno dal carcere e dall' esilio siano in via
1t58
di salire a ^\ovì^ e beatitudine che non conosce tra-
ilDonto. Laonde è omai tempo, o signoriy che voi
resciugfhiate le lagrime e deponiate ogni affanno ,
perchè il grande uomo che piangete, e co'«o.spiri chiaì-
mate, non era fatto per fermare stanca quaggiù, ma
solo concesso all'Italia accia n'acer«Bces«e' le glorie;
a voi acciò degli effetti della sua generosa larghezza
aveste mai sempre consolazione e ristoro. Bene sta
cJie a lui facciate benigna la misericordia del Si^
gnore, se mai ancor tinto del fango mortale indu"
giasse a raccogliere la sua palma in paradiso : poi
che così vuole 11 dovere di cristiani, e là giatitU'
dine di beneficati, ma ogni altra doglia ogni lacri-
ma è tempo cessare. Levate dunqne la meflte a Dio,
e dopo averlo supplicato di cuore in servigio disl-
l'illustre trapassato, ringraziatelo per voi e per ttvlta
la nazione della peculiaie grazia che vi ebbe eom-
pai'tito. Che un vero beneficio a voi fece il cji^jo
donandovi Gaspare Spontini, che la natura formò axJ
essere un genio nell'arte sublime delle armonie, la
religione educò ad essere un benefattore degli jiao-
mini. E perchè so che 11 ragionare di queste cose
gioverà a togliervi dal cuore ogni amarezza, e spai-
gere sulle sue ferite il balsamo della consolazione,
imprenderò brevemente a dichiarare il mio doppio
concetto, e voi benevoli colla cortesia vostra mi sta-
rete ad udire.
Q uando la natura vuol alutare il progresso del-
le arti lodate, forma certe anime singolari da'IM af-
tre, che noi chiamiamo geni, rielle quali impronta
la stampa perfetta del bello in tutta la sua pieneji-
za, e dà loro potenza di esprimerlo con nuovi con-
104
cepiraenti o creazioni, farlo gustare, e siabilirne le
norme. Queste si scoprono al mondo al primo loro
apparirvi: e se riscontrano rinloppo, o trovano cosa
che loro contrasti volgersi là dove sono dirette, so-
vente dalle diilìcollà stesse prendono alimento e vi-
gorìa. Ancora ogni piccola occasione basta loro: e
talvolta il volgo che non sa conorcerle , ammirato
della novità le chiama con titolo di strane. Gaspare
Spontini destinato a portare per non segnata via la
musica italiana ad un'altezza (ino allora sconosciuta^
avendo in sé la sacra favilla del gen io, ben presto
per inusitata maniera ne usciva. Il padre suo Giam-
battista che altri figliuoli aveva avviali al sacerdo-
zio (1), fra i quali quel Antonio che per tanti anni
ebbe qui cura delle anime, la cui memoria dura e
durerà sempre per le molte sue virtù in benedizione
presso voi, amava pure rendere uomo di chiesa il
suo Garpare; e Teresa Guadagnini sua moglie a ciò
il figlioletto disponeva e slimolava fin dalle pri-
me facendogli specchio de' fratelli. Dava mano al-
l'opera lo zio paterno don Giuseppe (2), parroco su-
burbano della regia città di Jesi, famosa culla del
gran Pergolesi, ed ave vasi tolto ad educare il fan-
ciullo colla speranza che lo studio delle lettere la-
line ed italiane, al quale l'avea posto, e poi la scuo-
la del venerabile seminario iesino che l'ebbe alun-
no negli anni vegnenti appresso, tirerebbero la vo-
lontà del giovane al suo desiderio e de' parenti.
Ma Gaspare, comechè obbediente ed ossequioso fosse
allo zio, mostrava poco diletto di quegli insegna-
menti raccogliere , e meglio il rinterzato tintinnire
delle campane ,che cosa altra del mondo, piacevagli
105
La natura così incominciava a manifestarsi, e la men-
te del giovinetto a quegli armonici rintocchi si apriva.
Di que' giorni don Giuseppe ebbe a se un celebre
artista, e sei tenne più mesi in casa acciò gli fab-
bricasse un organo in servigio della sua chiesa.
Questi aveva portato seco un gravicembalo, del quale
giovavasi a mettere in accordo le voci, e sovente lo
toccava; al quale suono il giovane, che ancora non
valicava gii otto anni, così fattamente rimase preso,
che più non si tolse dal fianco del Crudeli (così
chiamava;»! l'artista), e a quando a quando metteva
le mani allo strumento, e riandando fra se le sonate
che aveva udito, ponevasi tutto solo a ripeterle e
con tanta facilità e vivezza da maravigliarne. Il Cru-
deli ne conobbe a prima giunta l'inclinazione, e quan-
to sapevane gl'imparò. Allora lo zio non più incerto
di quello che fare si convenisse, avutone il con-
denso dei genitori, lo die ad istruire prima al Ciuf-
folotti, poi al Menghini, ripulatissimi piofessori. e ve-
dendo rapidi progressi che il giovanelfo faceva, lo
niise alla scuola del Quintiliani e del Bartoli: quindi
da ultimo del celebrato Bonanni che lo ripulì e gli
fece I chiare le profonde teorìe del Martini, del Fux
e di quanti altri grandi maestri ha l'arte della mu-
sica. La vocazione di Gaspare era manifesta, inutile
l'opporsi: però i genitori, benché a mal in cuore,
gli dicrono licenza ed agio di condursi a Napoli,
dove il Ciuffolotti (3), tenerissimo del giovanetto, ave-
vagli trovato modo di collocarsi nel celebre con-
.«ervatorio, allora chiamato della Pietà dei turchini.
Vi andò, studiò di forza e con amor grande il con-
trappunto, e formò 1 a mente alla scuola del Sala, del
1<^6
Tritta e del Salino, nomi celebratissimi. Scrisse can-
tate, oratorii con altre cose da chiesa, e ne riportò
lodi sinfjolarissime: scrisse ancora intermezzi per mu-
sica, i quali comparvero con plauso in sulle scene
medesime ove il Cimarosa e il Paisello spaziavano
e si toglievano il primo vanto. Ciò fu cagione che
tentato s'inducesse a partire di soppiatto (4) e con-
dursi a Roma, chiamatovi a scrivere per il carne-
vale, ove in fatto scrisse un opera buffa a concorrenza
del Cimarosa e de! Marullo. Piacque, anzi n'ebbe un
trionfo: che in vero ebbe faccia di trionfo la festa che
Roma gliene fece. La gloria ripoitalane fe'dimenticare
la colpa della fuga, gli riaperse le porte del con-
servatorio, gli amicò gli emuli, lo mise nella gra-
zia del Piccini e nella benevolenza del Cimaro.sa ,
che uniti gli dierono mano a perfezionarsi nell'aite.
E tanto in poco lempo era salito in fama, che Na-
poli non pareva d'altro più vaga che d'udire le sue
musiche: era fuori in ogni parte desiderato e ri-
chiesto. Ma la corte, costretta per ribellione a rifug-
girsi di Napoli a Palermo, lo volle a sé: cosa che
può ben sola far conoscere il pregio in cui era te-
nuto, e il grido che aveva destato. Senza frapporre
tempo adunque si mise in nave ; ma giunto allo
stretto, il mare si levò in tanta furia, il cielo imper-
versò c(tsl forte , che fortuna non può essere pit'i
terribile uè paurosa. E mentre (5) l'urlo dell'onde
s(i continuava coi tuoni, e l'oscurJià fitta e solo rotta
a q^uando dal guizzo dei lampi, e le strida de' ma-
rinari e i pianti de' passaggeri facevano un doloroso
concento collo etiidor delle funi, lo scrosciar degli f
107
alberi e l'urto de' marosi che ferivano e sormonta-
vano la nave; e tutti col cuor sulle labbra^ la vita,
che avevano per perduta, a Dio raccomandavano, il
giovane immobile si stava a contemplare quel nuovo
spettacolo, e la natura pareva in quel momento sco-
prirgli quanto ella nelle sue commozioni ha di più
grandioso e sublime. Certo è, ed egli sovente volte
lo confessava, che l'anima sua ricevette allora nuo-
ve ispirazioni, e la sua mente incominciò a conce-
pire que' grandi tratti che poi seppe sì bene colo-
rire in appresso. Dopo molti giorni venne a capo
di quel tempestoso tragitto, e tanto fu maggiore l'al-
legrezza delle aocoglienze, quanto era stata la paura
che in quel naufragio avesse rotto. Si stette due anni
interi a Palermo , ove scrisse più opere (6), e tutte
con grande plauso; ma un' avventura stranissima ,
sebbene tutta pro|)ria di quegli anni suoi giovanili,
che qui non mette conto narrare , lo costrinse ad
uscirne. Venne a Roma , di là a Venezia , quindi
a Firenze, e dovunque raccolse palme ed allori no-
velli. Alfine risolse condursi in Fraucia, ove il mag-
gior de' guerrieri in seggio consolare agognava la
corona dei cesari. Tutto era quivi bollor di passio-
ni, desìo di gloria, strepito d'armi; e però la me-
lodiosa musica italiana, usata ai soli affetti gentili e
nudrita di pace e d'ozi domestici, non adeguava an-
cora colla sua delicata melode il ribollimento di po-
polari passioni , i tumulti e lo strepilo del mondo
in battaglia. Era riserbato al genio dello Spontini
farla potente di tanto , distenderla ed allargarla in
campo più spazioso. Aveva egli gareggiato in Italia
col Cimarosa, col Paisello e col Piccini: doveva su-
108
peraili in Fiancia , ed accrescere all'arte ed a sé
gloria e splendore. Venuto ìnFatti a Parigi e da -
tosi a conoscere con un nnelodramma giocoso in pri-
ma, poi con altri appresso, innalzò la sua fama a
tal segno, che tutti parlavano di lui; e l'imperatore
se ne compiacque tanto, che di niun altro più: l'im-
peratrice poi gli prese tanta stima, che lo volle suo
compositore e direttore della musica privata, e Tebbé
sempre in grande protezione ed affetto. Cos\ gli fu
fatta abilità di conoscere e restringersi ai più cele-
bri ingegni che nello splendore di quella corte spa-
ziavano ; e fu somma sua gloria in anni sì verdi
essere amato e riverito dai grandi, careggiato e ono-
rato dagli altri. Aveva a sé rivolti gli occhi di tutti,
e pareva che Paspettazione destata di sé non potesse
essere adeguata dal fatto: ma ben presto egli la sep-
pe a pezza superare. Era, que'dì in Francia grande
divisione lispelto alla musica. Due sommi Niccolo
Piccini napoliiano statogli maestro, e Cristoforo Gluck
che ili Milano aveva appreso l'arte, avevano posto
due scuole, le quali accanii amente l'una contro l'al-
tra lottavano. La musica dell'italiano era signoreg-
giata da una soave e patetica melodia, era condotta
con yena di stile chiarissimo , delicata , deliziosa ,
tutta improntata del sorriso del cielo italiano e delle
forme della classica grandiloquenza. Bella come la
Venere dei Medici , semplice e aggraziata come la
Psiche del Tenerani. Tuttavia talvolta per troppa
njorbidezza mostrava non aver nervo che a grandi
emozioni bastasse, né ricacciati colori a ritrarre il
conflitto delle forze sociali e l'entusiasmo delle mol-
titudini che in massa si urtano, si avventano, si con-
fondono e scrollano le nazioni. La maniera del canto
ancora non era da ciò: i vezzi, i gorgheggi, i trilli,
le arricciate cantilene occupavano il luogo della de-
clamazione. Plaudivasi a chi meglio sapeva tormen-
tare coll'arte la voce, non a chi meglio sapeva espri-
mere gli affetti e lasciar intendere le parole. E il
Piccini e il Sacchini che si, ostinavano a voler pure
mantenere la musica così com'era, non conoscevano
abbastanza che la musica del mondo rinnovellato a
prova d'armi, di tumulti e di battaglie, doveva es-
sere ben altra da quella. Cristoforo Gluck, spingendo
più innanzi la potenza dell'arte, imitava lo strepito
delle grandi passioni e seguitavano la violenza: ab-
bracciava quanto ha di più straordinario la natu-
ra , quanto di più temendo la fantasia. Quindi gli
orrori della guerra , le furie de' venti , le tempeste
del cielo e del mare sdegnati, le sbrigliate e fervi-
de emozioni delle moltitudini faceva nelle sue mu-
siche con vario conserto di strumenti campeggiare.
Questa maniera, siccome quella che più dal secolo
ritraeva, piaceva più: ma non era peranco peifetta,
perchè se vinceva collo strepito, mancava poi del
delicato carattere che nelle cose del Piccini e del
Sacchini graziosamente spiccava. Lo Spontini non
aveva udito mai cosa del Gluck, aveva però in mente
un alli.ssimo concetto, cioè che la musica sia il lin-
guaggio degli affetti del genere umano e debba tutte
abbcacciarne le vicende, le forze e le tendenze. La
tempesta nello stretto di Messina gli aveva fatto na-
scere questo pensiero, ed egli qui meditava. Gli av-
venne alla fine di sentire qualche melodramma del
Gluck, e tosto ne invaghì, ne conobbe la profondi-
410
tA e la grandezza, studiò, s'immedesimò in lui per
ricercarne ogni parie, e vide quale a lui si pi'este-
rebbe, qual no : si tenne alla scuola e al carattere
italiano , e prese soltanto ad arricchirla di quanto
bastasse a renderla pari aitenDpi ed agli avveni menti.
Senza togliere nulla alla semplicità della composi-'
zione aggiunse movenza e calore nelle parti dell'or-
chestra: accrebbe il numero degli strunaetiti e spe»
zialmente di quelli da fiato, trovò nuove combina-'
zioni e nuovi intrecci, mise, direi quasi, in gar;| le
voci coi suoni: e con libertà di genio allargando le
leggi, rese più vigorosa, più potente e non meno
soave l'armonia. Il canto, che era prima tanto ar-
tifiziato e arabescato, dislese ed appianò in bella de-
clamazione , efficacissima a ritrarre e comunicare
gli affetti, non meno che a dilettare. Cosi la mu-
sica italiana per opera dello Spontini incominciava
a farsi europea , e cessate le fazioni non si parlò
più né del Gluck, né del Piccini , ma solo della
musica dello Spontini. Il quale volle ancora gustare
e studiare le grandi opere del Mozart, dell' Haydn,
dell'Hendel ^ e le bellezze di tutte far proprie per
innestarle sul ceppo italiano. Vi riusci: e se fu gran-
de l'ardi mento, non fu meno grande la gloria. Pe-
rocché era ben facile prendere ad imitare l'entusia-
smo e la movenza della musica tedesca e quella sua
sublime profondità ; ma incoi'porarne tutti i pregi
nell'italiana, senza guastarne le forme native, o tur-
bare quella sua caia semplicità, era opera difficile,
e solo pari ad un ingegno straordinario. Era in som-
ma una creazione, per la quale la musica italiana
diveniva il linguaggio universale dell' armonia , la
Mi
musica di (ulti i popoli civili. Il genio poiienloso
(U Gioacchino Rossini Uovo aperla la via, e si levò
gigante a sbalordire l'Europa: ma questa via era
»tata segnata , agevolala , lastricata dallo Sponlini.
Certo è che quando sulle scene di Parigi fu udita
per la prima volta la Vestale^ tanto fu la maraviglia,
lo stupore, l'applauso, che tutti si convennero nel
proclamarlo grande maestro, e senza emuli. Come
poteva aver emuli infatti colui che avava vinto la
prova a concorrenza de' più famosi; del Paisello,
dico, e del Cheiubini, per lacere degli altri ? A lui
fu aggiudicata la vittoria dal volo universale dei
.sapienti. Ne parlarono con graudi.ssima am«»irazione
il Capefìgue, il visconte di Chateaubriand e la fa-
mosa madama Staci , sebbene quel nuovo metodo
di musica non andasse troppo loro a sangue, e le-^
nessero dalle parti del Piccini: e Napoleone aven-
done udito, prima che si mettesse al pubblico, alcuni
bei luoghi alle TuUieres gli diceva: — La vostra ve-
stale non può mancare di buon succico, i recitativi continuamente accompagnati dagli
strumenti, le arie piene di novità e di affetto che va
sino all'entusiasmo. Melodie, ma non profuse e perciò
più potenti, gran forza d'espressione, ritmi originali
che rapiscono e strascinano con se l'uditore. Le ar-
monie variamente consertate in gruppi ed intrecci ,
che rinforzando sviluppano in un pieno robusto e
maraviglioso.
Ninno più di lui ha fatto sentire la dolce potenza
dell'amore, e la violenza degli sdegni^ la squisitezza
del sentimento ad ogni nota traspare. Niuno più di
lui ha mantenuto i caratteri, e distintili e lumeggiati
da capo a fondo con tocchi di potente pennello: l'urto
delle moltitudini, le tempeste, le battaglie, il furore
delle fazioni, tutte insomma le emozioni più gaolìade
trovano nella musica di questo genio la vera espres-
sione nella naiura. Tutto è atteggiato al vero, tutto
ha colore e moto sempre crescente e vivace. Trat-
teggia in sulle prime i suoi ritornelli con tocchi
risentiti, quindi a poco a poco li fa spiegare tutta la
rotondità e la splendidezza delle forme, l più forti
contrapposti, messi l'uno appresso dell'altro, aggiun-
gono movenza ed elficacia. I suoi cori popolari hanno
il bollore e l'impeto delle moliitudini accalorate , i
suoi cori guerrieri risentono l'entusiasmo marziale
destato dal maggior capitano. Il grande, l'immagi-
noso, il sublime sovente in tutta la lor pompa si
mostrano. La lìlosoHa non trova che ridire, e nell'
arte è ritratta maravigliosamente la natura. L'indole
italiana ardente, piena di sentimento, di fantasia e
di grazia, unita alla tedesca profondità, impronta un
G. A.T.C xxy. «
114
carattere speziale alla musica dello Sponlini, la quale
non saprei rreglio assomigliare che ad un dipinto di
Michelangelo o di Lionardo. Con queste doti con-
giunte a squisita gravità, e ricca vena di stile puris-
simo, efiìcacissimo, riusciva a signoreggiare i cuori
sifattamente, che niun altro più innanzi a lui: onde
a ragione ebbe a dire quel grande maestro che oggi
è in Francia il sig. Berlloz; che lo Spontini è modello
della musica erprcssiva.
Ma già tramontava l'astro di Napoleone: l'Eu-
ropa collegata a' suoi danni faceva tremare e star
pensoso 1' universo. Si combattevano sanguinose bat-
taglie: alla fine era vinto il vincitore, e Parigi do-
leva vedere armi e monarchi stranieri imporre regno
e leggi alla Francia. Entravano i trionfatori al suono
delle marce della Vestale e del Cortez, e la musica
dello Spontini era parte bellissima di quel trionfo.
Ne questo solo: fu richiesta in sulle scene la Vestale,
e parve sola degno spettacolo delle prime corone
del mondo. A non molto ricompariva l'imperatore,
e rinfrescava la lotta. Nei campi di Waterloo si ve-
niva all' ultimo cimento : ma la fortuna era stanca
e voleva alla fin vendicarsi di chi troppo spesso
l'aveva sfidata. Fu vinto e rilegalo fuor del niondo:
e i re collegati tornavano di nuovo a Parigi. Il teatro
non ebbe meglio da oflVire, che la Vestale e il Cor-
tez. Fino dalla prima volta a Federico Guglielmo IH
re di Prussia, principe di quell'alto e maraviglioso
intelletto che tutti sanno, entrò grandissimo desiderio
nell'animo di avere alla sua corte lo Sponlini, del
quale aveva assaggiato il valore, e che solo pareva-
gli potesse degnamente lenere il luogo del Gluck:
115
però nella seconda volta gli raddoppiò le carezze, e
gli fece onorevolissime proposte. Ma Luigi XVIII,
salito al trono di Francia, lo avea di fresco nominato
ufficiale della legione d'onore, dichiarato cittadino co-
me nativo francese, e suo compositore drammatico or-
dinario: perciò né a lui si addiceva accettare altre
proposte, né al monarca fargli forza. Tuttavia, per la-
sciargli un segno della sua reale benevolenza, lo no-
minò anch'egli suo compositore drammatico onorario.
Ancora il gran duca d'Assia Darmstadt aveva gran va-
ghezza di lui: ma non potendo altro, si tenne contento
decorailo dell'ordine reale di Luigi di Assia Darm-
stadt. Ma ritornatosi Federico a Berlino, e pur frugan-
dolo più forte il suo deriderio, tanto fece, tanto si
adoperò, che con buona grazia del re Luigi potè ot-
tenere lo Spontini. Partivasi egli dalla Francia con
Celeste Erard sua virtuosissima compagna, e sto per
dire , angelo tutelare della sua vita; partiva dopo
venti anni , colmato d'onori e di gloria da Parigi,
ove la sua musica segnerebbe un' epoca degna del-
l'impero: e preceduto dalla sua bella fama veniva al-
la corte di Berlino con titolo di maestro della cap-
pella l'eale, e sovraintendente generale della musica
della maestà del re di Prussia. Non ignorava egli
gare e lotte che forestiero avrebbe in forestiero paese
a sostenere, sapeva la forza delle rivalità e delle in-
vidie : ma l'anima sua grande non aveva altro in
mira che l'arte: là si appuntavano tutti i suoi desi-
deri, miravano tutti gli sforzi : e per la gloria dell'
arte egli sentivasi capace di combattere e di trion-
fare, E cosi fu. Appena giunto, vennero in scena
prima la Vestale e poi il Cortez^ che riportarono plausi
116
ed onori d'ogni maniera , e presto levarono grido
in tutta la Germania. Lo scrittore ebbe distinzioni
ad altri non concesse prima di lui; il suo genio non
poteva trovare più degno teatro di quello,dove Gluck,
Mozart ed Haydo avevano sfolgorato. La dotta e pro-
fonda Germania lo conobbe , lo apprezzò , e fece
ragione al suo merito accog liendolo come cittadino,
onorandolo come solenne maestro. Appresso mandò
in scena V Olimpia^ già composta in Francia, e di nuo-
vo rinfrescata e rabbellita. Questo lavoro, pur gran-
dioso e profondo come gli altri , da molti critici
tedeschi venne levato a cielo e messo innanzi alla
Vestale ed il Cortez. Non è da noi sentenziare di
tali cose: la storia delTarte darà suo luogo a ciascu-
no : e qui basterà accennare che l'introduzione di
quel melodramma forma la delizia degl'intelligenti.
Bene non è da tacere scalpori che di qua ebbero
origine: perchè avendo il Weber in pari tempo dato
al teatro un suo melodramma e piacuto, fu cagione
che l'opinione dei musicanti in due si dividesse, ed
altri parteggiando tenessero dal Weber , altri dal-
lo Spontini. Fu detto molto, scritto fino a stancar-
ne i gioi-nali : parevano rinati i tempi e gli umori
delle due scuole del Gluck e del Piccini. Il Relislab
con istile invelenito si avventò contro lo Spontini ,
tentò strappargli della fronte l'alloro postovi da tre
grandi nazioni : ma tanta virulenza tornò a lustro
maggiore dell'italiano. La giusta Germania nella sua
saviezza fece buon dritto allo Spontini, e costrinse
l'avversario a consumarsi tacendo. Così la virtù vera
esce più bella dal conflitto. Altre pure tragedie li-
riche venne conìponendo appresso , il Nurmahal ,
117
VAlcklor, VAgnese cVHohcnstaufen, il Milton, delle
quali parlare per disteso non posso qui: tuttavia dirò
che queste valsero al grande maestro il titolo di
principe della tragredia lirica. La eroica fierezza del
medio evo, e que'risentili caratteri con quella nobile
rusticità, non erano stati prima dell'Agnese né me-
dito ritratti , né più vivamente coloriti in musica
scena. E questo fu bellissimo pregio del raro inde-
gno dello Spontini , internarsi profondamente nelle
epoche eh' egli aveva da svolgere, studiarne direi
quasi la fisonomia e le tendenze, per risvegliare que'
medesmii sentimenti, e improntare ne'suoi personaggi
i caratteri ed i costumi tutti proprii di que'popoli
in quelle stagioni. Tu vedi concetti, forme, movenze,
atteggiamenti romani nella Vestale: il costume greco
eroico orientale nell'Olimpia : il Cortez ti trasporta
fra i popoli del Messico e della Castiglia; e quai
il vedi e li odi, lai furono: l'Agnese ti para innanzi
la generosa barbarie e i fieri sdegni del medio evo.
E la musica mette sì bene in rilievo in que'tvrandi
quelle grandi figure, sì bene rinfoca gli affetti, e
a poco a poco crescendo li trasporta nel vortice delle
popolari passioni, che moglio non può uomo desi-
derare. Quale meraviglia se fattagli dal suo re abi-
lità di movere ad erudidi viaggi per la Germania
e nell'Inghilterra, si vide festeggiato e onorato dalle
prime città nel cospetto di popoli interi accorsi in
calca ad udirne le musiche ? associato alle più illu-
stri accademie ? Quale maraviglia se l'università di
Halle gli conferì la laurea di dottore con diploma
amplissimo non concesso a persona prima di lui ?
Quale maraviglia se la unione musicale della Ger-
118
mania in Turinola, che lo aveva eletto a suo diret-
tore, gli coniava una medafjjia , e lo proclamava
primo dei maestri? Spotinio Equiti Claro^ Primo Mu-
usici Agonis Sui Direclori^ Lifricae Trmjoediae Prin-
cipi^Gennania Meriùorum CuUrix. Il suo genio poten-
te si era mostrato; messo alla prova, aveva menato
triolo : l'invidia, anzi che sfrondarne la corona, gliel'
aveva rinverdita e Fatta rifiorire d' immortai luce
sul capo. Gaspare Spontini apparteneva all'Europa.
l'Italia, la Francia, la Germania lo avevano del pari
concittadino: il suo nome era scolpito nel tempio
della Gloria ad indelebili caratteri, studiate ed am-
mirate le sue opere, avute in conto di grandi e ma-
ravigliose: gran danno che alcune, per essere scritte
in tedesco, non siansi lasciate mai udire da noi! Ma
la lode maggiore dello Spontini sarà quella di avere
aperta una scuola, dove l'immenso Rossini potè le-
varsi sopra gli altri a modo di gigante, ed altri ap-
presso lui grandeggiare : sarà, dico, la sua lode più
sfolgorata quella di avere steso i confini dell'arte
italiana e fattala capace di tutte le colte nazioni. La
storia segnerà l'epoca dello Spontini, ed essa con più
giusto esame farà al mondo rilevarne il merito. Ma
egli dopo tante fatiche, mal fermo della salute e
spossato, aspirava a quel riposo che è il più dolce
compenso della vita, dopo la gloria. Offerivaglielo
l'istituto di Francia eleggendolo al luogo già tenuto
dal celebiatissimoPaer. Cosi quella illustre accademia,
onorando lui e se stessa, reslit uiva il suo gran con-
cittadino alla Francia. Egli con beneplacito della cor-
te, a cui aveva vent'anni interi servito, abbandonava
per sempre Berlino, portando seco l'amore del aio-
119
narca, la stima di tutti, e onori e ricompense e fa-
ma bellissima ed immacolata. Ma prima di ricon-
dm-si in Francia livedeva la sua dolce Italia, e que-
sto suo nido nativo dove aveva sempre il cuore e
i pensieri: e visitala Roma e Napoli, sempre distinto
e riverito da' principi e dai popoli, si rendeva all'
onorevole luo{>o, ultimo o degno premio delle sue
ma(jnanìme e virtuose fatiche. Qui il genio crealo
dalla natura alla musica posava sugli allori mietuti,
contento dell' avere nobilitato se stesso, l'arte e la
nazione.
2. Ma la gloria dello Spontini non doveva na-
scere tutta dal suo genio; la pii\ nobile parte do-
veva essere frutto e lavoro della religione; e l'arte
a questo sublime scopo si conveniva servire, acciò
a lui non mancasse modo, né infruttuose si rima-
nessero le generose inclinazioni dellanimo. Perchè
cui Iddio destina a qualche fiae glorioso sommiai-
«tra anche il necessario a conseguirlo , e mette in
via di poterlo ottenere. Avevagli donata un' anima
di soavissime tempre, un cuore più inclinato al be-
ne che mai fosse: intelletto elevato, robusta memo-
ria, volontà sicura con affetti accalorati e risentiti;
e forza di ragiune da tenerli in freno e signoreg-
giarli. Né gli era stato mea largo di que'doni che
diconsi esterni. Alta statura, bella presenza di per-
sona fatta poi maestosa dagli anni, aggraziato e no-
bile portamento, forme rilevale, una dolce aria di
viso velala di soavissima melaaconia, occhi bruni
come i capelli, e vivi e parlanti, e negli occhi l'a-
nima. Un sorriso di affabilità singolare , un suono
di voce chiaro , una facondia senza pari. Al solo
120
vederlo mostrava un uomo di grand' essere e di
gran cuore. Ancora aveva gli consentita una educa-
zione religiosa e veramente cristiana ( e questa è
grande grazia ! ), per opera della quale le subtimi
verità della chiesa cattolica gli avevano gettato in
cuore si profonde radici, che forza o violenza alcu-
na non avrebbe mai bastato a scrollarle od isveller-
le. La vera filosofìa e lo studio della storia gliele
aveva poi ribadite e ricacciate più dentro della men-
te. Erano queste le fondamenta, sopra le quali la
religione voleva edificare e levar alto al cospetto
del secolo vin benefattore degli uomini. Né i bollo-
ri della giovinezza, né il bagli or delle corti, né le
false massime dei filosofanti che avevano pervertila
mezza Europa, gli nocquero punto : egli si tenne
sempre saldo ne'suoi puri priucipii, e alla religione
fidò il governo della sua vita e delle sue fortune.
Ed ella, parlandogli sovente al cuore, gli spirava
dolcezza e calma nel furor delle gare, temperanza
in mezzo i piaceri, modestia in mezxo i trionfi: ella
insegnavagli perdonare le offese, beneficare l'offen-
sore, confortare di buoni conforti rafflitto ed il po-
vero, rispettare il debole , riconoscere nelle vicissi-
tudini di quaggiù il dito di colui che scherza a ta-
lento nell'universo. Mostravagli che la gloria acqui-
stata nel mondo era cosa del mondo e non più: bar-
lume di luce che sguizza e muore in un baleno :
che nulla giova nella vita futura, se dal cielo non
toglie materia a gloria più durevole e salda. Docile
ai dettati, egli cominciò a mettere ogni sua cura
nel beneficare : e tanto a questa si abbandonò, che
il suo cuore sol del far bene al suo simile si com-
121
piaceva, né altro diletto sapeva cogliere più dolce.
Quindi, appena venuto in istato, partecipava larghe-
mente coi congiunti le sue ricchezze, e volevali tut-
ti soddisfatti e contenti: né per largheggiar che fa-
cesse in lui venia meno o si disseccava la vena
della beneficenza. Sconsolato o povero che a lui
per soccorso si accostasse non partiva sconsolato ne
senza ristoro. Alla corte imperiale non era cosa che
potesse a lui essere negata : tanto era nelle grazie
dell' imperatole, tanto godeva favore presso Bona-
paite, tanto viveva nella stima e nella benevolenza
de'prlmi ministri e dei grandi: eppure poco o nulla
per sé adoperavasi , solo si dava moto e pensiero
di giovare agli amici e ai conoscenti; e per venir-
ne a capo non cessava pratiche né industria. E così
ancora in Germania e spezialmente a Berlino, dove
col ritratto delle annuali accademie, tenute a tutto
suo prò , stabiliva vma rendita in servigio degli
artisti che o per infei-milà, o per rea fortuna, od
altra onesta cagione fossero scaduti; e delle vedove
loro e de' figliuoli rimasti nel n)ondo deserti. Che
più ? ingiuriato, assalito, lacerato con maligne scrit-
ture, non se ne dolse, abbracciò l'ofifensore , cercò
ogni via di beneficarlo, l'amò. La casa sua in Fran-
cia era un asilo: non rigettava persona, e dolevasi
solo quando non gli riuscisse rimandarli contenti.
In Berlino potevasi dire la residenza de' cattolici e
degli uomini di grand 'essere, yjerchè quasi tutti in-
torno a lui si raccoglievano. Or ditemi, signori, ove
era più grande lo Spontino, in mezzo ai sommi ar-
tisti, ai magnati, ai principi, ai re, o in mezzo ai
poveri ? Nel cospetto di tutta l'Europa a porgere
122
sulle scene quelle sue stupende tragedie liriche, o
nel recinto delle domestiche mura co' suoi fratelli
cattolici ? Ditelo voi , dicanlo i presenti, dicanlo i
posteri, io noi dirò: perchè parlando a voi fedeli,
in faccia a questi sacrosanti altari, la mia sentenza
anche tacendo si manifesta. Di qua veniva in lui
quella magnificenza che regnava nella sua musica
sacra, e direi quasi divina ; perchè le cose da lui
composte in servigio della chiesa, anche a giudizio
dei grandi maestri, prendendo abito di maestà dalla
religione, e spaziando nell'immensità delle regioni
celesti, si leva a tale grado di sublimità, che non ha
paragone con altra del mondo. Quanto può avere
di elevato, di tremendo, di profondo il dogma, quan-
to di magnifico, di stupendo il linguaggio della re-
ligione , veniva da lui espresso con tale vigoria e
sublimità, con tali conserti di voci e di strumenti
in bellissimo accordo svaiiati, che il solo udirli una
volta era averli sempre fitti nell' anima profonda-
mente. La fede regnava nel suo cuore, destava la sua
fantasia, reggeva la sua mente: e dov'è la fede, ivi
l'arte e l'artista grandeggiano, e si sublimau del pari
prendendo da lei forme e qualità sovrumane. Ag-
giungerò che ancora nelle musiche profane, dove lo
Spontini spiega il sentimento religioso , ivi sovra
sé stesso a gran pezza si solleva e s'innalza.. Però
egli era nemico di quelle musicali lascivie che spesso
con inaudita empietà profanano le chiese del Dio
vivente, e le menti devote intese a meditare i gran-
di misteri della Redenzione a viva forza trasportano
dall'altare alla scena, da Cristo al canto delle sirene,
dalle espiazioni di penitenza alle impure orge della
m
danza. Maledizione tremenda caduta a grande nostra
vergogna nel cristianesimo, la quale giova sperare
per l'autorità de'vescovi, e per l'opera di valenti e
pii maestri, che pur vi sono, debba una volta quando
che sia cessare! Lo Spontini era così spasimato del
toglierla, che col celebre suo amico cav. Francesco
Morlacchi perugino alla corte di Sassonia in Dresda
più volte ne tenne ragionamento : e sarebbero ve-
nuti a capo dell' intendimento loro, se morte anzi
tempo ad amendue la bell'opera non avesse inter-
rotto. Certo è che in Roma la famosa accademia e
congregazione di s. Cecilia , della quale egli era
socio, gli diede incarico di ciò: e certo è pure che
egli mise nelle mani del beatissimo pontefice Grego-
rio XVI un suo disegno per cessare questa vergo-
gnosa profanazione, accennando leggi, stile ed esem-
pio da seguire nelle musiche. L' accolse il vicario
di Cristo coir usata benignità e se ne piacque , e
donò le insegne di cavaliere a chi gli aveva fatto si
degna proposta. Ma a che mi fermo io sopra queste
cose, in luogo di seguitare a mostrarvi in lui l'opera
della religione, che lo aveva eletto ad essere bene-
fattore degli uomini? Tempo è bene che io annoveri
ad una ad una le sue beneficenze, delle quali potrei
invero passarmi parlando a voi, perchè le sono note
e scritte, anzi stampate nel vostro, cuore, o signori
maiolatesi. Ed io non vò passarmene per non sce-
marvi la più soave dolcezza, che oggi a vostra con-
solazione raccoglier possiate; essendo che le cose di
tal fatta ripetute le mille volte, le mille pur tornano
care e gradite ad udire. Dirò adunque che essendo
egli in condizione di privato gareggiò colle larghcz-
124
ze de'principi, ai quali se cedeva in dovizie , non
cedeva certo in [jenerosità (7). Nella reie sinistre, troncate
da sorde e violenti battute, senza essere commosso
sino al dolore , sino allo sbalordimento. Il finale
del primo atto del Cortez è di questa tempera.
Il successo di quest' opera fu veramente trionfa-
le, e fin d' allora potè dir lo Sponlini parlando del-
la Francia - Cette terre est a mois, je ne la quitte
plus - usando le parole del Cortez. La Vestale e
il Cortez formano dello Spontini un genio , non
solo per la creazione, ma per i nuovi mezzi che in-
trodusse nel teatro. Che egli prima di ogni altro
usò moderatamente e con ingegno tromboni, trombe.
137
cornette uniti ai bassi di minugia; talvolta vi uni
ancora la gran cassa^ e forse senza aver esempio
innanzi condusse sulla scena la banda militare: cose
di cui in appresso tanto abuso si è fatto e si fa.
A questo proposito vò riferire qui una risposta
dello Spontini, molto acuta, la quale è tratta dal-
l' opera che ha per titolo - Lo Spontini in Ger-
mania (Lipsia presso Hartknock). - RJolii gli face-
vano rimprovero dell'aver egli introdotto nella mu-
sica soverchio fracasso, e dicevano che il mal esempio
era venuto da lui, mentre egli stesso si dichiarava
nemico del fracasso nelle musiche altrui. Ai quali
egli: « Io l'ho messo dov'era richiesto dalle grandi
« azioni che io trattava: non usato a capriccio come
« fan molti, a solo fine d'intronare gli orecchi. » La
fama a cui era solilo il nostro maestro, e più l'es-
sergli stato conferito dall'imperatore l'officio il diret-
tore generale della musica dell'opera italiana, indus-
sero il signor Erard, celebre fabbricatore di piano-
forti in Parigi, a dargli in moglie la sua figliuola
Celeste. L'aveva più volte richiesta, ma o con un pre-
testo o con un altro gli era stata negata fin allora.
Questa carissima giovane fé gran parte della sua
felicità.
(1814) In quest'anno scrisse, Pelage ou le roi
de la paix. .,
(1815) Scrisse la musica per un gran ballo
nelle Danaidi di Salieri: appresso in compagnia di
Persuis, Berton e Kreutzer un'opera Ballet inti-
tolata Lcx Dieux rivaux ou les Fetcs de Chylére ,
prodotta in occasione delle nozze del duca di Berry.
(1810) In quest'anno diede l'O/mpm, tragedia
138
lirica in tre atti, opera di grande elevatezza; ma
ramoni politiche la fecero sortire esito non lieto.
Alcuni nemici del maestro, e la fazione così detta
liberale^ credette vedere espressioni contro lei dirette
e se ne offese. Fu giudicato che egli volesse alludere
all'assassinio del duca di Berry colle seguenti pa-
role - le denunce a la terre - Et none a sa colere
- L'assasin de son roi. - La persecuzione che gliene
v«nne fu cagione che accettasse le generose offerte
a lui fatte dal re Federico Guglielmo III di Prussia^
il quale sino dal 1814 l'aveva accolto con parti-
oolai^e dimostrazione di benevolenza: e nel 1817 ao-
minato suo compositore drammatico onoraria.
(1820) Accetta la carica conferitagli dal nio-
D»rca prussiano : il 28 giugno dell'anno istesso entra
al suo officio di direttore generale della musica e
e primo maestro della cappella reale. Poco dopo
mette in scena il Fernand Cortez^ poi la Vestale eoa
grandissimo successo, a segno d'essere chiamato sulla
scena con applausi. Tuttavia spiace a motti che lo
Spontini sia stato levato a quel grado, a cui avreb-
bero voluto posto il maestro pur celebre di cap-
pella Carlo Maria Weber. Questo gli move contro
mali umori e guerra. Lo Spontini per la festa aata-
Irzia del re compone il canto popolare prussiano,
ed una grande marcia festiva.
(1821) Lo Spontini, dopo avere rifaUa VOlim-
pin, la rimette in scena: in pari teoipo il Weber pro-
duce il FreischiUz. Nasce gran divisione d'opinioni:
chi parteggia per questo , chi per quello. Rellstab
«Cr4v« ■contro lo Spontini nella gazzetta di Berlino,
«letta di Voss. Costui, dopo avere lodato nella gaz-
139
zelta stessa il Cortez, tenta abbatterlo, e denigrare ia
fama dello scrittore. Lo Spontini dopo avere tolle-
ralo a lungo in silenzio, vedendosi assalito perso-
nalmente, ricorre ai tribunali. Il Rellstab è condan-
nato in appello. Anche uno scriba senza nonae lo
morde in vari giornali , per far cosa grata ai ne-
mici dello Spontini: ma in vari giornali pure è co-
stretto confessarsi in colpa e chiedergliene perdono.
Il re lo nomina cavaliere dell' aquila rossa di ter-
z'ordine.
(1822) h' Olìmpia è rappresentata a Darmsiad
con bellissimo successo. Il gran duca d'Assia-Darm-
stad nomina lo Spontini commendatore di seconda
classe dell'ordine di Lodovico d'Assia-Darmstad.
(1823) A Berlino dà in luce Lalla Rukli - can-
tata tolta da un poema di Tommaso Moore: la qua-
le fu molto applaudita. Da questa ebbe origine il
dramma intitolato - Nurmahal - messo in musica
sopra un libretto dettato in tedesco, cosa non più
ardita, che io sappia, da alcun compositore italiano,
(1824) Il Nurmahal fu accollo con plauso. -
Nell'anno appresso
(1825) Scrisse 1' Alcidor parimenti con parole
tedesche , dramma che piacque assai. Fu composto
sotto la sua direzione dal poeta Theaulon.
(1827; Compose un inno per l'incoronazione di
S. M. l'imperatore delle Russie. In quest'anno me-
desimo fece un viaggio nella Germania meridionale
in servigio del suo olficio. A Monaco diresse egli
stesso la Vestale accoltavi con -entusiasmo. Il re lo
decorò della croce dell'ordine delta cuixjna di Bavie-
ra. Andò a Sairburg a visitare ia vedova del famoso
140
Mozart, madama Costanza di Nisten , la quale lo
donò di alcuni ritratti della famiglia Mozart. Egli
poi, ad intendimento d'innalzare un monumento a
questo celebre maestro, preparò in Berlino una re-
cita del don Giovanili^ la quale die netti due mila
talleri. In ricompensa di che la signora di Nisten lo
donò di un anello prezioso che il Mozart aveva avu-
to in dono dall'imperatrice Maria Teresa. In Berlino
ancora compose gran numero di marce militari
per l'esercito prussiano, canzonette popolari, roman-
ze e balli; e fra questi alcuni detti con torcie in
occasione di nozze reali.
(1829) In quest'anno compi l'Agnese di Hohen-
staufen, opera piena di grandiosi momenti, di subli-
mi tratti, e forti affetti: ma non potè essere posta in
scena per difetto di cantanti, e per intrighi di cor-
tigiani: cotalchè fu differita all'anno 1837.
In quest'anno (1829) la riunione musicale della
Turingia Sassone preparò in Halle una grande fe-
sta di musica. Lo Spontini vi compose la celebre
cantala : Domine salvimi fac regeni. Egli fu inca-
ricato della direzione dell'orchestra, cosa in cui va-
leva assaissimo, e vi aveva merito particolare. L'uni-
versità di Halle gli conferì un diploma, che in fine
offrirò a' miei lettori. La riunione stessa gli fece co-
niare una medaglia, la quale è di questa maniera.
Nella faccia ha l'effigie dello Spontini in bellissimo
rilievo. Intorno ad essa due linee. Nella prima -
SPONTINIO EQUITI CLAIIO PRIMO MUSICI AGO-
NIS SUI DIRECTORI - nella seconda HAL. SAXON.
D. X. - SEPT. MDCCCXXIX: nell'esergo - G. Loos.
Dir. - Il rovescio è girato da una ricca corona di
141
alloro, da quattro punti della quale pendono quat-
tro croci, insegne di altrettanti ordini cavallereschi
di cui lo Spontini era insignito. Fuor della corona
si leggono in giro le seguenti parole - LYRICAE
TRAGOEDIAE PRINCIPI GERMANIA MERITO-
RUM CULTRIX. - Dentro la corona:
VESTALIS
CORTES
OLYMPIA
NURMAHAL ,
ACIDOR
AGNES STAUF.
MILTON
CET.
La gioventù nella sera antecedente alla sua par-
lenza andò con torce sotto le finestre dell'albergo
ov'era lo Spontini, e vi fece una grande serenata.
(1830) Lo Spontini fece un viaggio a Parigi, e tia
via andò a visitare il famoso poeta alemanno Goe-
the, dal quale fu accolto con gran distinzione. In
Parigi si trovò presente alle sanguinose giornale del
luglio; ond'ebbe sì forte commozione, che gliene re-
stò sempre impressa vivamente la memoria.
(1831) Tornò a Berlino, ove mise mano di nuo-
a ricomporre VAgncse sopra un dramma tedesco del
poeta Raupach molto tenero dello Spontini, al quale
consentì di far ridurre quel suo componimento a
suo piacere , come poi fece , valendosi dell' opera
del barone di Lichtenstein poeta teatrale. Non è a
dire lo studio che egli fece nella storia per tratteggia-
142
giare bene e rilevar colla musica que' tempi, que'
caratteri e quelle tendenze.
Nel 1832 in Berlino si formò una società di
dilettanti per tenere in pregio la musica classica ,
la quale poi prese nome, a segno di riconoscenza ,
dal suo maestro Spontini. Questi, come è detto, es»
sendo eccellentissimo direttore di orchestra, condusse
a tal perfezione l'orchestra berlinese, che non si può
desiderare di più,
(1833) Diede termine a\V Agnese^ la quale per
nuovi intoppi non potè essere rappresentata Alla
fin di quest' anno il re di Prussia gli donò il na-
stro per la III classe dell'ordine dell'aquila rossa.
Nel 1836 andò per salute ai bagni di Marien-r
bad. Quivi compose e diresse nella gran sala de' ba^
gni stessi (il 3 agosto) un inno pel natalizio del re.
Dettò ancora in lingua francese un articolo in for-»
ma di lettera : Sullo stato della musica moderna :
stampato poi nella collezione di Dorou fra gli scritti
autografi d'uomini celebri.
(1836) Finalmente il 6 del dicembre fu man-
data in sena VAgnese d' Hoenstauj'en^ e fu giudicata
il capo lavoro dello Spontini. Il pubblico l'accolse
con giubilo universale. L' incanto che produsse fu
siffatto, che non solo fu dimandata da capo la sin-
fonia, ma chiamato fuori il maestro dopo il secondo
alto. Alla fine del terzo ebbe plausi, componimenti,
e corone di fiori. Ogni volta che fu ripetuta fu mag-
giormente applaudita. Cosi lo Spontini si vendicava
deg l'invidi suoi persecutori.
(1838) Usando del permesso datogli dal re, in-
traprese un viaggio in Inghilterra, in Francia, in Ila-
U3
lia, pel quale si tenne assente da Berlino quindici
mesi. Fu un continuato trionfo. In Londra ebbe sin-
golari accoglienze da s. m. la regina, e dai princi*
pali personaggi dell' Inghilterra e della Scozia, ivi
concorsi in occasione che la regina doveva solen-
nemente essere incoronata. Fu ammesso al gran-le-
ver e al bacimano : la regina gli parlò con molta
affabilità , ed egli le offerse alcuni pezzi di canto
da lui composti per quella solennità. Fu richiesto
di accettare la direzione di una compagnia di can-
tanti tedeschi, in qualità di direttor generale : ma
dovette scusarsene. Fu nominato membro dell'acca-
demia musicale di Londra, ed altri onori pur li ebbe.
Venuto a Roma , il sommo pontefice Gregorio XVI
di s. m. lo accolse con affetto di molta benevolenza.
La celebre accademia e congregazione di santa Ce-
cilia, che da trecento anni è istituita, della quale
era membro, non lasciò mostra d'onore per lui. Aveva
ella commesso a molti uomini da ciò di prepaiare
un disegno a riformare la musica di chiesa : e di
quella commissione fe'capo lo ^pontini, dandogli in
oltre titolo di Maestro esaminatore. Egli disegnò la
riforma in uno scritto da me veduto, il quale pre-
sentò al santo padre, che con mollo favore lo ac-
colse. Fu esaminato, lodato, e ordinato si mandasse
ad effetto. Ciò avvenne nel gennaio del 1839. Il
papa lo nominò cavaliere di san Gregorio Magno.
È da sapere che pochi hanno toccato l'eccellenza
nella musica di chiesa , a cui è giunto colle sue
composizioni sacre lo Spontini.
Appresso si condusse a Napoli, ove ricevuto con
grande onore dal re e dalla regina si stette in lungo
ragionamento con essi intorno materie di stalo. Che
agli altri pregi lo Spontini aggiungeva questo , di
avere gran senno politico, e veder molto innanzi in
fatto di diplomazia. Ilo letto in alcuni scritti di sua
mano ch'egli preparava le sue Memorie storiche, nelle
quali dichiarerebbe cose di gran rilievo, spezialmente
trattandosi della corte dell' imperatore Napoleone.
Non so se esistano fra le sue scritture, e se esisten-
dovi le abbia compite : questo so che le prometteva.
Egli offerse al re alcune marce militari, alla regina
lo spartito dell'Olimpia. Sua maestà fece riunire a
Napoli tutte le bande dei reggimenti ivi in guarni-
gione, per fai'e eseguire sotto la direzione del gran
maestro quelle marce stesse. Furono eseguite con
grande plauso ed ammirazione di tutti gli intelli-
genti di musica. La sera stessa lo fece insignire
della decorazione di cavaliere dell'ordine di Fran-
cesco I dal gran cancelliere dell'ordine stesso , il
quale gli consegnò pure una lettera di s. ra. piena
di onorevolissime parole. Quindi si condusse a Pa-
rigi in seno della famiglia Erard, che l'ebbe sem-
pre in luogo di carissimo congiunto , nella quale
il fratello della sua Celeste, emulatore della gloria
gloria paterna nell'arte del fabbricale piano-forti,
l'amava cordialissimamente. Qui pure non gli man-
carono onorificenze e plausi. L' istituto di Francia
da ultimo lo nominò suo membro in luogo del ce-
lebre maestro Paer, mancalo ai vivi, non alla fama.
In fine di queste annotazioni darò a leggere la let-
tera che lo Spontini scrisse all'onorando segretario
d'esso istituto, che lo invitava a condursi al suo no-
vello uflìcio. Ora dirò che in quell'occasione fu do-
l
145
nato di un bel medalgioiie in bronzo col suo
ritratto, e inlornovi le seguenti parole: Gaspar
Louis Pacifique Spontiui reconquis par Vistitut à la
Franee.
Ecco dunque lo Spontini, dopo un nuovo e re-
cente suo viaggio in Italia, per mettere ordine ai
suoi affari domestici, e fondare nella sua patria di-
verse pie istituzioni di beneficenza^ come si scorge-
rà qui appresso, ecco sì finalmente lo Spontini ripri-
stinato e domiciliato in Parigi, sua patria adottiva,
e in seno dell'onorevolissima famiglia (Erard) come
in grembo dell'istituto reale di Francia, accolto da
perlutto generalmente co' sentimenti della più ele-
vata stima, simpatia , ed affezione , espressigli pure
in parte pubblicamente in un articolo della Crona-
ca la Francia letteraria nel 1 ottobre 1843.
A quest' epoca adunque si trova sospesa la
biografìa della vita artistica dello Spontini. Le sue
memorie biografiche, che egli stesso compilava, do-
vevano trattare della sua vita politica , soprattutto
degli undici anni che passò come appartenente alla
corte di Napoleone; e de' ventitré anni consecutivi^
alla corte dedue monarchi delia Prussia.
Piacerai a queste osservazioni aggiungere due
brani della citala biografia del professor Marx. » Nel-
la Fuga in maschera e nella Finta filosofa ( dello
Spontini) vi sono passi di buffo parlante così gra-
ziosi, quanto mai siano slati in Gimarosa, o nelle
migliori opere buffe del Rossini. Anche quegl'im-
mortali crescendo^ coi quali pareva che il genio del
Rossini spandesse le ali nel modo più ardito ed in-
comprensibile, sono distintamente disegnati nelle so-
G.A.T.CXXV. 10
U6
praccitate opere, non meno che nel Teseo riconoscìu'
to . . . . Nelle prime opere dello Spontini, comec-
ché in istile legjjiero , si trovano tutti quei mezzi
sorprendenti nelle melodie, nell'armonia, nella for-
ma e nel ritmo, per cui più tardi il Rossini ed i
moderni italiani hanno prodotto un effetto sì irresi-
stibile sopra la moltitudine; ed in tale guisa lo Spon-
tini può dirsi il creatore di questo genere d'arte ».
Resta che io qui noti gli ordini cavallereschi,
de'quali fu decorato lo Spontini.
. 1. Prima cavaliere, poi ufficiale della legioii
d'onore.
2. Cavaliere dell'aquila rossa di Prussia di ter-
za glasse con nastro.
".'.li. 3. Commendatore dell'ordine del merito civile
di Prussia.
4. Commendatore dell'ordine di Luigi d'Asia-
Darmslad.
5. Cavaliere dell'ordine del merito di Baviera.
G. Cavaliere dell'ordine di s. Gregorio Magno.
7. Ufficiale dell'ordine di Leopoldo del Belgio.
8. Cavaliere dell' ordine di Francesco I di Na-
poli.
Poi con breve — datum Romae apud sanctum
Pelrum sub annulo piscatoris die 21 iaouarii 1845 -—
Gregorio XVI pp. gli diede il titolo di conte di
sant'Andrea.
(7) L'ammini,strazione dei suoi beni, di cui di-
spose nelle opere pie, delle quali qui si darà il no-
vero, fu affidata dal nobile e pio cavaliere conte di
s. Andrea a dodici scelli suoi compatriotti. Questi
membri onorari formano un consiglio organico da
147
lui stesso creato ; e per turno biennale hanno il
carico del reggimento, secondo le norme dal me-
desimo institutore prescritte. Ognuno può da sé
immaginare quale sia lo zelo e l'impegno di co-
teste gentili persone, le quali non lasciano cosa al-
cuna per mostrarsi grate al benefico donatore, e sem-
pre più utili alla patria. Le generose e benefiche
larghezze dello Spontini sono le seguenti:
1838. Fondò con trentamila franchi un mon-
te di pietà nella città di Iesi e nella terra di Ma-
iolati.
1841. Mise una scuola di maestre pie per le
fanciulle di Maiolati.
1843. Fece murare dalle fondamenta un ospi-
zio pei vecchi cronici ed invalidi di Maiolati, e ric-
camente lo dotò.
1843. Assegnò un posto gratuito in perpetuo
nel venerabile seminario di Iesi ad un giovane ma-
iolatese, o a due, dividendo il beneficio.
1843. Per egual modo provvide all'educazione
gratuita di una o due fanciulle in un monastero
della diocesi.
1843. Pose in Maiolati un altro piccolo monte
di pietà.
1844. Fece un legato perpetuo di cento messe
da celebrarsi annualmente in suffragio dei defunti
della famiglia Spontini.
1844. Fece un altro legato perpetuo di sette
messe all' anno in onore dei sette dolori di Maria
Vergine.
1844. Fece pure lui legato per la conserva-
zione dell'organo della parrocchia.
148
1850. Instiluì e dotò due cattedre di scienze
sacre nel venerabii seminario di Jesi. Da ultimo
chiamò erede di tutti i suoi averi la sua patria, per-
chè allarghi le fatte istituzioni , o ne aggiunga di
nuove. Fra quelle da aggiungersi è una pia scuola
pei fanciulli.
(8) Gli ultimi momenti sino alla morte del grand'
uomo, che fu lo Spontini, ho descritto secondo la più
stretta verità. Egli passò di questa vita il 24 gen-
naio del 1851 fra il pianto sincero de'suoi conter-
ranei, che poi nel giorno 2G del febbraio gli rin-
novarono solenni esequie, in mezzo le quali fu letto
questo discorso. Perchè poi ognuno di per se vegga
quanto dolore prese della morte di lui il generoso
suo proleggitore Federico Guglielmo IV re di Prus-
sia, registrerò qui appresso cogli altri documenti la
lettera che ne scrisse alla vedova signora contessa
di Sant'Andrea.
Q. D. B. V.
Avspiciis Sapientissimis Felicissimisqve
Avgvstissimi Et Potentissimi Principis Ac Domini
Domini
Friderici Gvilleìmi III
Borvssorvm Regis
Marchionis Brandebvrgici Svpremi Silesiae Dvcis
Celerà
Patris Patriae
Regis Et Domini Nostri Longe Clementissimi
Academiae Fridericianae Ilalensis
Cvm Vilembergensi Consociatae
Prorectore Magnifico
149
Viro Perillvstri
Frideiico Blvme
Ivris Vtrivsqve Doclore Et Professore
Pvblico Ordinario
Perillvstri Academiae Directore
Friderico Avgvsto Schmelzer
Ivris Vtrivsqve Doctore Et Professore
Pvblico Ordinario
Dvci Brvnsvicensivm A Consiliis Ivstitiae
Sanctoribvs Ordinis Aquilae Rvbrae Equite
Ordinis Ivreconsvltorvra Praeside Ordinario
Alvmnorvm Regìorvm Ephoro
Ordo Philosophorvra
Nobilissimo Et Praestantissimo Viro
Gasparo Spontinio
Eqviti Illvstri
Concentvvm Mvsicorvm
Qvi IvssY Potentissimi Borvssorvm Regis Institvvntur
Svmmo Rectori
Ordinvm Aquil. Rvbr. Leg. Hon. Cor. Bav.
Et Cor. Cattor. Insignibvs Ornato
Artifici Docto Et Ingenioso
Qvod Stvdivm Rei Musicae In Provincia Saxonia
Agone Mvsìco Halensi Sapienter
Institvendo Destre Periteqve Regendo
^ Bene Feliciterqve Exercendo
Adivvit Avxit Propagavi!
Doctoris Mvsices
Ilonores
Die XII Mensis Sept A. S. cidocccxxix
Solemniter Contvlit
Ordinis H. T. Decano
150
Chrisliano Lvdovico Nitzschio
Pliilosophiae Et Mecliciiiae Doctore
Historiae Natvralis Professore Pvblico Ordinario
EXTRAIT DE LA CORRESPONDANCE OFFICI ELLE
DE M. SPONTINI
AVEC M. RAOUL-ROCHETTE
Secrétaire perpétuel de l'académie des beaux-arts
de l'institut de France.
Monsieur le secrétaire perpétuel de Vacadé mie royale
des heaux arls de V instilut royal de France^
moti très illustre confréref
Berlin, ce 6 juillet 1842.
Mon heureux sort est enfio décide et arrété ! .. .
La bonté infinie, l'éslime considérable, l'afFection
bienveillaute et la générosité sans bornes de ce mo-
narque magnanime de la Prusse a mon égard, ont
comblé tous raes voeiix et surpassé mes plus chères
esperances , en me rendant désormais entièrement li-
bre d'aller remplir dans tonte leur étendue mes obli-
gations et mes devoirs envers l'institut royal de
France (ce motif principal et cette considerati on spe-
ciale utant positivement indiqués et répétés dans les
différens ordres de cabinet à ce sujet) de rnème que
de continuer en France ma carrière lyrico-drama--
151
tique ! et tout cela, en me conservant pour toujours^
de pré comme de loin, et dans tonte son intéfjrité,
la totalité de mes émolumens et autres avantages
pécuniaires comme par le passe, aìnsi que mes ti-
Ires (a) piiviléges et honneurs, toujours cui premier
rang dans ma sphère d'activité dépendaiile exclusi-
vement chi roi lui seul ! [b] Je quitte par consé-
quent immédialament Berlin, et je reporte mon séjour
stable et mou domicile à Paris.
Cette lettre est enfin , je crois, tfelle que vous
la désiriez depuis long tems, monsieur le secrétaire,
mon trés illustre confrère, telle que je l'ai constam-
ment promise par devoir depuis mon honorable no-
mination à l'institut, et telle enfin que l'illustre aca-
démie l'exigeait aussi impérieusement a bien juste
droit ! ! Nous voila dune réunis, et je yous appar-
tiens tout entier a la vie et à la raort.
Par raison de sante je vais me rendre d'abord
en Bohème pour faire usage des eaux minérales
d'Egra Franzens-brun. Veuillez je vous prie, mon-
sieur le secrétaire perpeluel, mettre ofTiciellement
en originai sous les yeux de l'illustre académie le
présent avis, et agréer l'expression de ma plus haute
considération et de mon véritable attachement,
Monsieur le secrétaire perpétuel,
Votre trés obéissant et tout dévouvé confrèie
SPONTIiSI
Membre de l'institut royal de France
(a) De surìnteiiJatit et direcleur gi^iiéral de ia inusique, et
premier maitre de chapelle de s. m. le roi de Prusse eie. etc.
(6) Daprès l'ordre royal de cabine» , du li mai 18ì2.
152
Sulla porta della chiesa.
Esequie
Di Gaspare Sponlini
Da Maiolati
Cavaliere Commendatole Conle
Di Cui L'Italia
La Francia La Germania
Ammirarono II Genio Sublime
La Patria Loderà Sempre
Le Generose Beneficenze
Entrate A Pregargli La Mercede
Che Cristo Ha Promessa
A Cui Lui Soccorre Nel Povero
Ai quattro lati della mole funebre.
I.
La Natura
Lo Formò Ad Essere Un Genio
L'Arte E La Dottrina Lo Resero
Maggior Di Se Stesso
II.
La Gloria
Gli Cinse I Suoi Allori
E Ne Scrisse II Nome
Nel Tempio Dell'Immortalità
III.
La Carità
Del Suo Luogo Natale
153
Gli Stelle Viva Nel Cuore
In Mezzo Lo Splendor Delle Corti
Di Napoleone E Di Federico
IV.
\ La Religione
Lo Fece Specchio
D' Ogni Più Rara Virtit
Benefattore Degli Uomini
/ A Gaspare Sponti
Da Maiolati
Cavaliere Commendatore Conte
Che Colla Maestria De' Suoi Concenti
Fé Maravigliare L'Europa
Creato Genio Dalla Natura Perfezionato Dall'Arte
Colle Stupende Sue Opere Rallegrò Le Scene
Delle Prime Città D'Italia Di Francia E Di Lamagna
Maestro E Direttore Dell' Imperatrice Giuseppina
Dalla Mano Del Gran Guerriero
Ebbe Plauso Onore E Premi
Riverito E Careggiato Dai Re Di Francia
Amato E Posseduto Per Venti Anni Interi
Da Federico Guglielmo III Re Di Prussia
Decoralo Di Più Ordini Cavallareschi
Nominato Socio Delle Primarie Accademie
Di Europa
E Dell'Istituto Di Francia
Donò Vivente La Sua Ricca Eredità Alla Terra Natale
Aperse Scuole Gratuite A Povere Zitelle
Fece Murare Un Edifìzio
Perchè Servisse In Appresso A Poveri Fanciulli
Fece Porre Un Ospizio Ai Vecchi E Agli Invalidi
154
Una Casa Di Ricovero E Cura Agli Infermi
A Due Garzoni E Zitelle Diede Agio
Di Civile Educazione
E Nella Regia Città Di Jesi
Con Munificenza Maggiore Di Un Privato
Eresse E Dotò Del Suo Un Monte Di Pietà
Instimi Due Cattedre Nel Venerabile Seminario
Ove Egli Fu Cresciuto Alle Lettere
Da Goderne Anche I Suoi Conterranei
La Patria Riconoscerete
Al Suo Generoso Benefattore E Padre
Oggi Rinnovella Le Esequie Con Pianto
E Funebre Elogio
Visse Anni 76 Mesi 2 Giorni 10
Partì Del Mondo II 24 Gennaio Dell'Anno 1851
Iddio Sia Largo Delle Sue Misericordie
A Chi Fu Largo Al Povero Delle Sue Ricchezze
, ■ , , , i
Quando
Il Municipio Maiolatese
Con Funebre Pompa
Celebrava Nel XXVI Febbraio MDCCCLI
La Venerata Memoria
Di
Gaspare Spontini
Per Opere Di Pietà Munificentissimo
L'Architetto Ciriaco Santini
Che Dirigeva
I Lavori Delle Benefiche lustituzioni
Deplorando
La Perdita Del Vero Filantropo
Questo Monumento Di Animo Grato
Dolente Poneva
155
LETTERA DI SUA MAESTÀ'
IL RE FEDERICO GUGLIELMO IV
DI PRUSSIA
Alla contessa di Sant'Andrea.
Berlin 22 fèvrier 1851.
J'ai été vivement ènau à la nouvelle du decès
de votre époux , madame , de cet homme illustre
dout la gioire est fondée par des grandes et subli-
mes créations. Sensible à cette gioire, j'ai compati
à votre profonde doleur. Je yous remercie affectueu-
sement, madame , des détails pleins d'interét, que
vous avez eu l'attention de me donner sur les der-
niers moments de ceUii dont vous avez embelli l'exi-
stence, calme les afflictions, souteuu le courage et
la résignation dans les soufFrances phisiques qui ont
attristé les derniers années de sa vie. C'est un spe-
ctacle touchant que de voir s'éteindre ce beau genie,
objet de l'admiration du siede, dans la solitude méme
qui était son berceau, là ou les marques d'une pieuse
bienfaisance ont fait bénir son nom. Puisse le TouT-
PDissANT, dans la profonde douleur qui vous accable,
vous accorder ce calme de l'àme que le temps seul
n'améne pas. Les grandes consolations viennent d'en
haut. J'aime à vous renouveller à cette occasion,
madame, l'expression de ma bienveillance toute par-
tic uliére ,
A Madame
Madame Spontini comtesse de Sant'Andrea
a
Majolati
prés d'Ancóne ( Elats Romains )
FRÉDERIC GUILLAUME R.
156
Porrò fine a queste annolazioni registrando qui
la lettera che il comitato degli artisti di Parigi ha
recentemente indirilta ai signori reggenti ammini-
stratori delle pie beneficenze Spontini. Avrei dovuto
pur dire delle onorevoli esequie a lui fatte in Parigi,
del semibusto innalzatogli nella gran sala dell'opera
italiana, delle esequie a lui rinnovate nella città di
Jesi , e dell'accademia tenutavi in suo onore , non
che del semibusto in marmo postogli nel palazzo
municipale della slessa regia città, dalla quale vivente
era stato acclamato patrizio : ma di queste e di altre
cose mi passo , contento delle notizie che ho dato
fin qui, le quali, sono certo, basteranno ai discreti
lettori. — La gazzetta di Bologna già recò l'ordine
de' funerali di trigesima fatti in Maiolati dalla com-
missione municipale, colai che non occorre parlarne
più innanzi. Or ecco la lettera.
GOMITÉ
DE Paris le 24 fevrier 1851
l'association a messieurs Ics régenls ad-
DES ministrateurs de l'hospi-
ARTISTES ce de charité. et inslitu-
PEINTRES SGULPTEURS tiondebienfaisance Spon-
ARCiiiTECTES GRAVEURS tini à Majolati (Marche d'
ET DESSINATEURS Ancone)
Messieurs,
Le cornile de l'association des artistes musiciens
de la France a eu l'honneur de prendre connaissan-
ce de la lettre adressée par vous à son president
monsieur le baron Tavior. Cette lettre avait été de-
157
vancée de plusieurs jours par la douloureiise nou-
velle qu'elle nous apportali, il ne faut pas s'en éton-
ner: ce n'est pas par une missive confidentielle que
l'on apprend la mori d' un horame célèbre; ils ex-
pirent; aussittót l'evenement funeste circule de bou-
€he en bouche; et, de leur lit funebre, sétend ra-
pidement sur le monde qu' ils ont occupé de leur
renommée remplissant tous le coeurs de tristesse et
de deuil.
La gioire et le genie de Sponlini rayonnent sur
l'Europe entiere : les oeuvres imperissables qui sont
sorties de sa piume sont autant d' exemples et de
modéles ou les artistes de tous le temps et de (ous
les lieux viendront puiser de precieux enseignements.
Son mon se conserverà dans les annales des tous
les peuples, parmi cette pleiade d' illustration , dont
Teclat rejaillit sur les arts qui les ont enfantés; mais
c'est à votre pays seul qu'appartient l'honneur de
lui avoir donne le jour, et de ranfermer sa cendre.
Majolati vient d' enrichir le passe de l' Italie d' un
souvenir glorieux, et c'est dans Majolati que celle
patrie des arts offrirà désormais à l'artiste voyageur
une tombe illustre de plus à visiter.
Ainsi que 1' Italie, la France elle avec un lé-
gilime orgueil le nom de Spontini , reconnaissanle
envers l'auteur de la Testale et de Fernand Cortez,
elle l'avait reconipensé de les chefs d'oeuvre en l'é-
levanl à la plus haute dignilé que puisse ambilion-
ner un arlisle : comme aulrefois par reconnaissance
elle temoigne aujourd'hui de ses legrels de son ad-
niiralion pour l'artiste de genie, et de sa profonde
158
estirne pour l' horame de blen que Dieu vient de
rappeller à lui.
Vous n'apprenderez pas sans intérét, messieurs,
qu'un service funebre en l'honneur de Spontlni a
été celebre le 5 de ce mois dans l'eglise de la Ma-
deleine : le cornile de l'association a assiste en corps
à cette solennité touchante , la section de musique
de r institut de Frane ainsi qu' un grand nombre
d'artistes s'etaint empressés de venir rendre un der-
nier et bien triste devoir à un homme , qui pen-
dant sa vie les avait honorés, les uns, de son ami-
lié , les autres , de ses encouragements et ses con-
seils : r orgue et le choeur ne cesserent pendant
toute la durée de la ceremonie de faire entendre
diverses pieces de musique religieuse, panni les quel-
les on reconnaissait de temps à autres les nobles
inspirations du grand artiste que l'on pleurait : pour
tous les assistants T àme de Spontini vibrait dans
ces harmonies pénétrantes , et ces accents émanés
d'un pensée noaintenant eteinte semblait proclamer
la grandeur de Dieu en proclamant 1' immortalité
de l' àme humaine rendue sensible par l' immorta-
lile du genie; un recueillemeut grave peint sur tous
les visages trahissail l' affliclion de tous le coeurs ,
et montrait assez combien etait profondement sentie
la perle immense qui vieni de faire l'art musicale
dans la personne de votre concitoyen. Heureux les
hommes qui, vivanls , joignent le culle du beau à
la pratique du bien ; el , morts , laissent aprés eux
tant de lumieres, et de regrets : heureuse aussi la
patrie qui compie ces bommes au nombre de ces
enfanls !
159
La raort de Spontini a d'aulant plus trislement
emù le cornile de l' associai ion des artistes musiciens,
que le nona de l' inomortel defunt figurait, depuis
son origine, sur la liste de ces membres: aussi, est
ce, pour nous, remplir un religieux devoir en of-
frant ici nos pieux regrels en hommage à son pe-
nie et à ses vertus^
Selon le desir de madame la comtesse Sponti-
ni, à la douleur de la quelle nous nons associations
de tout nolre coeur , monsieur le baron Taylor a
fait pari au président du cornile des auteurs drama-
tiques de l'irreparable malheur qui ^ient de la frap-
per si cruelleraent.
Veuillez étre, messieurs, aupres de madame la
comtesse les inlerpretes de nos sentìmenls de re-
speclueuse consideralion , et soyez assez bons pour
agréer l'expression de nolre consideralion dislinguée.
B.on S. Taylor président.
Con altre 26 firme che si lasciano per brevità.
160
Sul colle tihurtino. Lettere di Stanislao Viola
al cavaliere Salvatore Betti.
(Continuazione)
LETTERA IV.
DELLE GENTI TIBUBTINE COELIA E MEMMIA.
Signor cavaliere onorandissimo,
Liionardo aretino nel vedersi visitato in Firenze da,
un pronipote del divino Dante, chiamato pur esso
Lionardo, ne fece feste, e l'ebbe a grand'onore, co-
me amico della memoria del suo proavo Dante. Gli
mostrò le case di questo e de' suoi antichi: diegli
notizia di molle cose a lui incognite , per essersi
straniato lui e i suoi della patria: sapendosi che Pie-
tro figliuolo di Dante e suo avo fermò suo stato a
Verona, e come legista assai valente riputato, di-
venne uomo di molte facoltà. Di queste cose l'are-
tino favellando, nel narrare la vita di quel grande
poeta , in sul finire diceva che " così la fortuna
questo mondo gira e permuta gli abitatori col vol-
gere di sue rote » !
Lo stesso pensiero è da avere nella più parte
delle genti e famiglie, che la storia conta de' tempi
a quei di Dante assai remole: fra le quali sono da
annoverare le due, che ci reca il novello marmo ti-
burtino da me posseduto, che non prima del decorso
anno rivide la luce , ritrovato in questo territorio
1GI
nella contrada Colle-Nocello, perocché sono due genti
romane^ dappoi divenute tiburtine. Non però roma-
ne di origine, essendo venute, l'una, cioè la Coelia^
dalla patria stessa di Dante e dell'aretino, ex Tuscis^
e come Dionisio, Festo , Tacito e Varrone ci atte-
stano, che originasse di quel Vibenna Coelio o Coele^
principe etrusco , che pel primo sovvenne Romolo
contra i sabini, e che diede il nome al monte Coe-
lio (1): l'altra, cioè la Memmia^ ci venne di Troia
per quel prode capitano compagno di Enea Mnesleo
conduttoie di una delie quattro navi, chiamata Pristi^
di cui Virgilio cantò :
Velocem Mneslheus agii acri remige Prìstin:
Mox italìis Mneslheus: genus a quo nomine MEMMI (2).
(1) l'esto, V. Codius: Coelius mons dictus esl a Coele quondam
er E Ir uria, qui fìomnlo auxitium adversus sabinos praebuit: eo quod
in eo domicilium habuit. Chi ama di vedere la varietà delle sen-
tenze fra i mentovati autori^ e la tavola clandiana intorno a que-
sto, discorra il Lipsie Comm. ad lib- HIl Taciti.
(2) Virgilio lib. V V. 116 e sejjg. Alla stessa maniera la gente
Sergia, ci conia lo stesso poeta, ori{}iiiò da altro compagno di
Enea, Sergeslo, capitano della nave chiamata il gran Centauro- pa-
rimente la Cluentia originò da altro compagno di Enea, Cloanfo,
capilano della nave chiamata Scilla: ivi v. 121 e segg.
Sergestus ,ue (Zomu.s-, tenel a quo SERGIA nomcn,
Centauro invheitur magna, scyllaque CLOANTIJS
CaeruUa; ginus undc tibi, romane CLUENTI.
Mi sowit'iie ene. io abbia per fermo che la scelta dei luoghi non
mai originasse per ghiribizzo, o genio : coociossia-
chè al tempo in cui è da sospettare che i Celii ven-
nero in Tivoli, i luoghi sublimi ed incantevoli del
colle Irovavansi già occupati da altre assai ville dei
grandi di Roma repubblica, e di Roma impero.
Questo luogo di delizie giaceva verso la Sa-
bina a dritta dell'Aniene: alla manca aveva la città,
alla diritta i monti cornicolani, al dorso gli apen-
nini , di fronte prospettava 1' amenissimo orizzonte
coi colli albani. Sembra che assai si distendesse ver-
«o i cornicolani In sino alla campagna che ha no-
me Vitriano^ e ai colli farinelli^ la dove osservansi
più ruderi antichi: e da uno scavo, che nel 1847 vi
faceva il principe del Drago , venne alla luce un
hollo, che al determinarci il tempo della costruzione
di que' fabbricati, cioè di Caio Caligola e di Clau-
dio (1), ci confermava nella sentenza, che quei ru-
deri non potevano farci acconsentire al parere del
dotto ed istancabile iNibby (Dintorni di Roma tom. 1
p. 4-93), il quale avvisò, che potevano appartenere
alla villa di Mnnazio Fianco , che risale ai tempi
di Cesare e di Augusto, trattovi l'erudito autore da
una iscrizione, che favellava di Fianco, ma che noi
nella dissertazione sulla vita e sulle geste dell'illustre
personaggio provammo con incrollabili autorità es-
ser falsa per ogni ragione (Giorn. arcad. voi. CV.
del 1845).
Ma tutto che le coghietture dei mentovati no-
stri scrittori poco reggessero alla critica , poiché i
nomi delle contrade , ognun sa , quanto sia debil
cosa e di poca gravità intorno alle cose antiche ,
nulladimeno, è duopo confessarlo, in genere si sono
verificate, come dai frammenti e dal marmo, di cui
siamo per favellare, sebbene in ispecie non del tutto
cogliessero nel segno.
(1) Era l'agosto del 18i7. quando dal deUo scavo si ebbe il
bollo: C. CAKCILl PF.CVLIARS (sic): che raltroiUalo coi seguenti
ritrovali negli archi deirac(]uidotto dell' Aniene nuova , riportati
clal Fabrelti (pag. 502 n, 72 e. 72): EX . FIGLIMS CAECIL • QVIN-
TAE SVLPICIANI - C C C- CAECILl PECVLIAftIS, non ci fa dubi-
tare che la fabbrica dei mattoni era la stessa Si sa d' altra parte,
che quelTacquìdotto tu cominciato da Caligola e compiuto da Clau-
dio. V. il mio Decennio io Tivoli ec. p. 233.
164
Trattando di presente del marmo, che diede
motivo a questa lettera, come lo diede alle due pre-
cedenti, esso non ci reca una novità storica, né al-
tro merito di rarità: non pertanto è pregevole, per-
chè congiunto ad altri frammenti concorre dall'una
parte a confermare e dall'altra ad ammendare qual-
che opinione falsa in passato avuta per vera. Nella
somma ci dà notizia di un servo manomesso della
gente Celia, Aulo Celio Eufrosino^ che si sposò ad
una liberta della gente Memmia , nomata Memmùt
Deutera, cui , essendogli piemorta, scriveva la se-
guente semplice mcmoiia in marmo statuario, allo
pai. 2. 4 largo pai. 1. 11.
MEMMIAEDEVTE
I\AE (J) ] FEC
A • CUXIVS EVPimOSXNVS (•>)
^OIVGI
B. M
Il caialtere è di forma non buona anzi tende
al pessinjo: in più lettere si accosta al greco anzi
che DO. Ne ho fatto il confronto con più marmi, e
paruji trovarne esempio assai somlglievole nelle co-
lonne traianee in bronzo riportale in fac simile nelle
simbole lillerarie di Firenze stampate nel 1751 (voi.
VUI). Alla linea terza, A • OELIVS, avvi chi leg-
ge Anlus CLELIVS (non ricordando che TE di CLE-
LiVS é dittongo) ingannalo dalla sigla A impressa,
come una lauida ), minuscola, che io m'avviso do-
;l) Dcivltrap, Aiurspcn, .tccini.'oc.
2j Kiii lii()>^yiiiis, EtKfpoeryvof, liwlus.
1G5
versi avere per un A assoluto, accagionando il qua-
dratario della omissione della linea come rettamente
s'era adoperato in tutte le altre A formale alla stessa
maniera. Si sa d'altra parte esser frequente nei marmi,
non pur greci, ma anche latini, di leggere l'A senza
verun taglio, né retto né traverso, e fra i molti esem-
pi recherò il seguente, che mi viene fra mani, ripor-
tato dallo Sponio: VIGILI).. METIA | MXSS>vE. FI-
LIA I MARTI- ALLOVDIO ] V S- L- M- (1), nel
quale vediamo tre lamde minuscole, come nel no-
stro marmo, in vece di tre alfa. Per il che leggo
francamente Aulus CAELIVS, e non CLELIVS: alla
cui lettura mi confermano la denominazione della
contrada, ed as.sai più il frammento d'iscrizione, che
riferirò fra poco.
Si ritrae dal Sebastiani (Viaggio a Tivoli p. 417
e segg.) , che i Coccanari padroni di quella terra
nel 1827 tentaiono uno scavo dappresso ai ruderi,
che già s'avvisava pertenere ad un sepolcro; né fu
invano, perchè oltre il sepolcro scoprirono un por-
tico di marmo, coperto di embrici, e coppi pur di
(I) Sponio Ign. Deor. jrae pr(^sso il Gronovio lom. VII. p 263.
Avvi dei marmi latini con le lamde maiuscole in luogo di A, ed un
esempio ho veduto nel marmo perugino stampato nella descrizione
delle pitture di s. Pietro in Perugia alla pag. 23, e più fedelmente
riportato dal Marini Fr. Arv. p. 6, dove circa 28 A mancano del
taglio. Nella seguente tavoletta del palazzo Rondanini, edita pur dal
Marini I. e. p. 23, tutti li A mancano del taglio: CABLO • AETER
I • NO . I AELIA • COMPSE [ P F | ETATILIA VICTO | RIA •
(IRATIAS I D • D I Né mi spiace di citare un marmo inglese ri-
Cerito dal^Grutero (1006. 8. apud Ould Carlaile in Cumberlandia
Angliae), che reca tutti i lamda X minuscoli in luogo di A, che
ha la data del 993 di Roma, 242 dell'E. V. pei consoli Pretestato
ed Attico, che vi si leggono.
166
marmo, co' suoi antefissi di un buon lavoro: ne' fran-
tumi dello zoforo, dice il Sebastiani, si leg^g^evano in
buoni caratteri alcune lettere, che non si poterono
legare , e fra esse il nome di un A. CAELIO. Que-
ste lettere, che confessa ingenuamente di non aver
potute legare, devono essere appunto quelle , die
restale quivi per più anni, ritraeva uno di essa fa-
miglia , Luigi Coccanari , giovine assai amante di
belle lettere , che a me comunicava gentilmente
nel 1846, ed erano le seguenti . . . A. F. . .PAL.M, , .,
le quali per analogia di concetto non mi parvero
poi si strane da non poterle legare con le summen-
lovate di A. CAELIO, e per assicuranza mancava-
solamente di vedere se la grandezza e forma delle
lettere acconsentissero. E di vero portatomi sul luo-
go, con assai mia compiacenza toccai con mano ,
che non fu né dissennata, né inutile la mia curiosità»
Al punto più elevato della collina trovai i ru-
deri di un sepolcro di non comune grandezza, di
forma rotondo: i grandi massi di pietra liburMna a
incastro di palmi 4. 3 1j4, di che era fabbricato,
imitavano le costruzioni pelasgiche di terza classe,
di cui poco più innanzi ne' luoghi circostanti ai colli
farinelli ve ne ha altri vestigi. Il sepolcro esser
doveva magnifico. Munito di porta, al declinare del
colle, volta alla città, e ai monti albani. Sembra cosa
certa, che ai lati della porta vi avesse un piccolo
portico, che però non si estendeva al dintorno del
monumento Dappresso il quale mi fu dato ritrarre
più ruderi, altri sparsi qua e là, altri ammonticchiati
a manca della prima camera terrena del casino Coc-
canari. Fra essi, olle cinerarie, zampe di leone, una
167
testa fracellata , che parvemi dì un grifo , ed altri
pezzi di animali, iWse di gorgoni, e si sa che sugli
acroterii dei monumenti sepolcrah si ponevano da-
gli antichi quasi a custodia dell^ ceneri de' trapas-
sati, e per terrore 'dei violatori dei sepolcri (l).Niun
dubbio pertanto, che quella mole Fosse un sepolcro.
Sopra la porta v'era un largo architrave, il cui ro-
vescio o parte sottana era fregiata di un lavoro non
comutìe. Vi si ritraeva una fascia con elegante coi-
nice tanto nella parte superiore che nella inferiore, di i
cui non potei ritrovare dopo molle ricerche , che .
tre pezzi unicamente, i quali riuniti formarono una:
porzione di fascia di palmi 6 e due once. In essa
erano impresse le surriferite parole e lettere , che
ritrassi ciascuna della medesima forma e grandezza
di once 4. 2, e vi lessi immutabilmente il frammento
della iscrizione:
A . CAELIO . A . F . PAL . M . . aximo (?) (2).
Aulo Caelio Anli [dio Palatma [Tribù) M
(1) La stessa opinione si aveva parimente di e*si> animali in
ililensioiie delle persone aujjusle. Un sioiuiauro lorleato, venuto in
luce dagli scavi di Gabi, rappresentante Caio Cali(;ola aveva la corazza
ornata d'iulagli, e nel mezzo anìrnali rassomiglianti a due grifi, che
siembravano indicare, come interpretava il gran Visconti (Mon. ga-
bini tav. XXXVtU), la prolezione d'Apollo e del Sole per l'auj^-
sto rapprei^entalo.
(2) Ho avvisato di supplir Marimo, perdio altri marmi anciie
tìbiirtint recano lo stesso cogortmi.', cornee di quel M. tJlpiHs I^fi-
Jtimus putiblieato iii mio pad^-e (Cronaca dell'Anierte p. (32)^ « dh>
me (cit. op. p. 8)j di quel T. Sabidius Maximus, che pai'iraehlei
pubblicai (ivi p. 7); e di quel di Mantova ritrovato nella stessa con-
trada Colle nocello, L. Cominius Maximus, riferito dal Sebastiani
(I. e. p. hS), e in detta mia opera (p. 71). Con tutto questo, noo
diniego che non cessa di essere arbitrario il supplemento.
168
Il perchè io inferiva non esservi dubitazione,
che quel sepolcro fu di appartenenza di un Aulo Ce-
lio figliuolo di Aulo, che proclamava la sua cittadi-
nanza romana per la tribù palatina, cui per altri mar-
mi sappiamo essere stati ascritti parimente altri in-
dividui del nostro municipio (V. il Decennio in Ti-
voli p. 7. e segg.). Chi però era egli positivamente,
quali rappresentanze avrà avute o civili o militari,
o nella capitale , o nel municipio, non è dato sa-
pere per la rottura del marmo. Quello che è da aver
per fermo si è, che alla famiglia di questo Aulo Ce-
lio doveva appartenere Eufrosino del recente marmo:
e lo ritraggo dal portare gli stessi pienome Aulus^e
gentilizio Caelcus^ e parimente dall' essersi ritrovato
il marmo nello stesso suolo. Quindi è che o lo stes-
so Aulo Celio del sepolcro, o il suo padre, che an-
che prenominavasi Aulo, o il suo figliuolo primo-
genito, o altro discendente, che mi arriderebbe di
più, che alla stessa maniera prenominavasi, deve es-
sere stato il patrono manomlttente , al tempo però
non oltre quello degli Antonini, sapendosi che la do-
minante del mondo , da' tempi della Graecia copia
fino a quegli degli Antonini, quasi ultima linea de'no-
stri sepolcreti , esser doveva come un vasto pelago
di mille dialetti: ed è naturale, che il popolo parlò
e scrisse sempre a sua foggia, come nella capitale,
così ne'Iuoghi suburbani, ed altrove (Cfr Amati, Gior.
Arcad. fase, di marzo 1822). Ed il marmo dì Eu-
frosino presenta in vero pessima forma di carattere,
e le lettere sono ima mescolanza di latino e di gre-
co (1): ciò che non si ravvisa nei mentovati fram-
(1) Si sa, che il popolo romano (e lo slesso dicasi del subiir*
banoj ora triylolla; parlava l'osco, // greco, ed il latino.
160
menti, ne' quali la forma delle leltere è bella e ro-
tonda, e pare dell'aureo secolo di Augusto, ovvero
di Traiano,, in cui risurse il buon gusto. Sebbene
non deve diniegarsi, che la diversità della impres-
sione delle lettere originava non rade volte dalla pe-
rizia maggiore o minore dello scarpellino. La cosa
stando di ques.a maniera, m'avviso di dover mani-
festare, che i mentovati Cabrai e del Re dissero co-
sa non vera (non però per intera loro colpa), quan
do scrivevano, che ad un Lucio Celilo (correggi Ce-
lio), anzi che ad un Aulo Celio appartenevano il se-
polcro e le campagne , e sia pure la villa, i cui po-
chi ruderi si osservano in quella contrada.
Ma altro frammento d'iscrizione tuttora inedi-
to m'avvenne di ritrovare nello stesso incontro fra'
mentovati ruderi, il cui carattere è non bello, non
però de'catlivi tempi. E alto palmo 1. 3^, largo 2.
3. Dalle poche parole che seguono è da inferire ,
ch'esser doveva di non piccola dimensione:
GAI .
lANI . ET . TITI . 1 . .
LEGAT . LEG . VT . FÉ
lAE . SICIUAE . P . .
Farmi che favelli di un personaggio, forse della stes-
sa gente Celia, non però sepolto nel mentovato se-
polcro di Aulo Celio, il quale militò sotto Vespasia-
no imperatore , VespasIAN/^ di cui fu legato, però
legionario, e comandava la legione sesta ferrata, LE-
GATO LEGionis VI YErrotae. E come comandante
di una legione, sernbra ch'era già stato questore, ed
170
aveva sostenuta anche la pretura; gradi che per pra-
tica generale, incamminavano un personaggio a quel
grado militare (V. Borghesi -- Burbulejo p. 36). Dal
vedervi nominato anche Tito figliuolo di Vespasia-
no, ET. TITI, non sono lontano dal credere, che l'in-
cognito tlburtino comandava la mentovala legione
nel tempo, in cui Vespasiano , udita la notizia che
le sue truppe distrutto avevano l'esercito di Vitellio,
donde rimase stabilita la sua signoria del mondo, co-
me ci attesta GiosefFo ebreo (Guerra giudaica lib. 5
cap. 20), si determinava di movere alla volta di Ro-
ma, ed ordinava ad un tempo a Tito di portarsi nel-
la Giudea con eserciti forestieri a distruggere Geru-
salemme. Nel quale incontro, è storia non contrad-
detta , fu incendiato quel magnifico tempio , che i
cronisti fissano al 10 agosto del 70, poco dopo dell'in-
cendio del campidoglio, che segna il 10 dicembre del
69. Non è a negare che due legioni si ebbero col
numero VI, ambedue di antica fondazione, cioè la fer-
rata, che risedeva in Oriente, e quella eh' ebbe il
soprannome di vincitrice innanzi dell'impero di Ne-
rone. Pochi marmi recano la prima, e per questo il
nostro frammento non è dispregevole. Avendo detto
Gioseffo, che Vespasiano mandò il suo figliuolo in
Giudea con gli eserciti forestieri., sapendosi che la
legione VI ferrala era stata sempre in oriente, e pre-
cisamente in Syria., come ci narra Tacito (ami. X.V
6 e 26), e quindi, che può annoverarsi fra i men-
tovati eserciti forestieri; conosce ndosi altresì per Dio-
ne (lib. 55), che Leqiones sextae duae,una in inferio-
ri Britannia, VICTRfX: altera in Judaea., FERREA
vosabulo insigniSy parml possa avvisarsi, che il no-
171
Siro locoguito fu comandanle di quella legione nel-
la Giudea, quando fu distrutta Gerusalemme, cioè a
dire nell'anno 70 dell'era volgare. Dopo il quale av-
venimento tornato in Roma, ebbe l'amministrazione
della Sicilia , ProvinclAE SICILIAE, e dopo altre
cariche maggiori, e forse anche il consolato, dev'es-
sersi ritiralo alla sua patria, Tivoli, dove mori. V'eb-
be piccolo sì, ma ricco e ben adorno sepolcro pres-
so quello di Aulo Celio, come è da inferire dai mar-
mi di minor grandezza quivi ritrovati, e che osser-
vansi parimente nell'ingresso del casino Coccanari,
là dove si ritraggono eziandio pezzi di una porta non
grande con la parte suprema a timpano lavorata di
scarpello,a mezzo il quale una testa di leone alquan-
to corrosa , e nei lati due colonne spirali di lavoro
non comune.
Se però questo personaggio pertenesse parimen-
te alla famiglia Celia, non è dato asseverarlo: seb-
bene l'avere ritrovato il frammento della iscrizione
quasi a contatto del grandioso sepolcro, mi faccia
inclinare per l'affermativa: seppure non risguardasse
lo slesso Aulo Celio, di cui dappoi potè aversi men-
te d'enumerare, per tramandarle ai posteri, le cariche,
che sostenute aveva in servigio della capitale del
mondo. D'altra parte a chi dovremo attribuire gli
avanzi dell'altro sepolcro ? Uno scavo per avventura,
o nello slesso luogo, odi quivi poco discosto esser
potrebbe la fonie di luce maggiore.
Intanto si ha per fermo, che nella parte supe-
riore della collina a qualche distanza dai mentovati
ruderi verso tramoulana fu ritrovato, secondo il Se-
bastiani ( 1. e. ) , altro sepolcro, non però della fa-
172
miglia Celia, ma di altro personaggio illustre, di pa-
tria mantovano, già di sopra nominato, L. Cominio
3Iassimo , cjui morto di anni 83 e giorni 18 , dopo
di aver sostenute eospicue cariche civili e militari
presso gP imperatoli Marco Aurelio e L. Vei'o, come
dal marmo ivi di disseppolto, pubblicato dallo stesso
Sebastiani (I. e. p. 418), e quindi anche da me
(op. cit. p. 71). Presso di questo monumento fu-
rono parimente scoperte più camere , ohe non mi
fu dato di vedere, perchè ricoperte, ma che, a se-
conda del Sebastiani, v'aveva pavimenti di musaico
buono, e della costruzione de'buoni tempi: sebbene
quello degli Antonini, cui appella il marmo, me ne
faccia dubitare. Ad ogni modo, il fabbricato testé
accennalo mi fa intendere, ch'era lui luogo abitato,
e senza meno una villetta del mantovano Cominio.
La qual notizia mi fa allontanare dal sospetto di un
sepolcreto, che veramente m'era venuto alla mente
pel numero dei sepolcri ritrovati in uno spazio non
vasto di terreno, e venivane ad un tempo rin»osso dal
non vedere vestigio di strada ne' luoghi circostanti,
sapendosi che in antico i sepolcri per lo più fab-
bricavansi lungo le sliade. Per il che m'avviso di
conformarmi all'opinione di coloro, che come la
gente Celia, alla slessa maniera altre genti ebbero
in quella contrada le loro delizie.
Ma tornando ai Cabrai e del Re, parmi saria
mancante il mio favellare , se non dicessi da dove
costoro ritraessero l'appartenenza del sepolcro e della
villa ad un Lucio Celilo. Intorno alla qual cosa aven-
do essi nominatoli Volpi, è facile l'argomentare, che
presso di lui leggessero la iscrizione che reca per ben
173
due volte nel ^iio Lalinm Vefus fV^.. Non potè lo
slesso Volpi dire in quale parie di Jenitoiio o ilella
cJUà Fu ritrovala, perchè copiolla '^ neppiir bene)
dal Grillerò , che la Irassu dalle Orsiniaue (2) : ed
ecco come la riporta questo collettore :
L . COELIO . L . F . VICTOIU
IlVm . IVR . Die . CVR . PECVN
PVBL . ET . OPER . PVBLICOR
OR . MERITA . EIVS
SEN . POPYLYSQ . TIBVRS
Intorno a questa iscrizione m'avviso di non lasciare
inconsideralo un mio sospetto, che forse a ca{>ioti
del cjuadratario , o di ciii la copiò la prima volia
(seppure non la inventò), doveva dire alla seconda
linea non IIVIR, dmnnoiro^ ma IIIIVIR, quaiuor-
viro: sapendosi, come ho accennalo nella lettera se-
conda , che i duumviri turi dieundo erano propri
delle colonie, come i quatnorviri iuridicundo eiano
propii de' municipii ; per il che sarebbe slato uno
svarione madornale, che il senato tiburtino innalzala
avesse la statua ad un duumviro iuri dicnndo. An-
che il Marini (Fr. Arv. p. 806) reca un marmo con
un duumviro iuri dieundo del municipio di Carsoli,
e ne manifesta a buon diritto poca fede : giacché
Carsoli non era colonia, e ne rimanghiamo assicu-
rati da una iscrizione del museo vaticano ritrovata
(1) Il Volpi L. V. ile Tiburt. p. 93 e 170, scrive in ambedue
le volle CELLIO aiui che COELIO.
(2) Grutero p. 102o 12 - Tibure in base marmorea Ex Ursi-
nianis.
ÌT4
in detto paese , per la prima volta pubblicata dal
celebre Visconti ne'monumenti {jabini (1). Dal che
inferisco, che se non vi è stalo il mentovato errore
nella impressione, o nella copia, mi spiace il dirlo,
converrà dubitare della sincerità del marmo: sospet-
to che parimente mi nasce pel metodo adoperato
nella estensione intera del concetto, ed assai più dal
sapere che ii Grutero la trasse EX URSINIANIS ,
che sa ogni archeologo sapiente avere avuto nella
più parte la scaturigine ligoriana [2) I ! E forse l'uo-
mo da poco in archeologia, sapendo che nel terri-
torio tiburtino v'aveva una contrada nomata Colle-
Nocello^che potè originare dalla gente Celia., non tro-
vando marmo che la contestava, si determinò d'in-
ventarlo, inserendolo, come tanti altri, già ricono-
sciuti falsi, ne'molti suoi volumi!!! Si sopisca tut-
tavia per un momento questo sospetto; sia pure sta-
to errore del quadratario o del copista; non potrà
non affermarsi, che questo marmo concorra a pro-
vare la esistenza della gente Celia in Tivoli, nulla
potendo alterare la diversità del dittongo ae e oe,
(1) Ecco come la reca a p. 92, ed. di Roma Fulgoiu
Q . ALLIENVS . PEL ....
M . OLIVS . SECVNDVS
ini . VIR . I D
PARIETEM . BASILICAE . REF
AB . FVNDAMEiNTiS . ET . ARCV
EX.D.D.P.P.F.C
(2) Cfr Borghesi — Leltera al P. Luigi Bruzza sul consolalo
di Fibio Crispo, stampata in Vercelli nel 18'46.
175
die nella genie medesima lanlo nei marmi quanlo
nelle medaglie è indifferentemente usato (1).
Dopo le quali disquisizioni parrebbe opportuno
di toccare da ultimo la genealogia della gente
Celia, conghielturando, se fia possibile, da cbi po-
sitivamente di essa gente potè originare la nostra: e
trovandomi assai scarso di notizie, servirà il misero
mio dettato per aprire la via , percbè altri se ne
adoperi dappoi con miglior fortuna. La gente Celia,
è già detto, cbe di Etruria si trasse in Roma: on-
dechè è a ritenere essere una delle più antiche fa-
miglie romane, la quale sappiamo pei marmi e per
le istorie aver avuto i cognomi di Caldo^ Rufo^ Sa-
bino^ Viciniano (2), cui altri parimente ne aggiunse
l'età imperiale. Sostenne questura, tribunato, pretu-
ra , e consolato ; quella in ispecie col cognome di
Caldo si segnalò più che le altre fin dai tempi più
remoti. Il più antico, che io conosca, è un C Celio
Caldo figliuolo di Lucio e nipote di Lucio, che nel
625 fu questore, e nel 636 divenne pretore. Né .sono
lontano dal credere, che discendesse da quel L. Ce-
lio istorico e giureconsulto, che ci attesta Cicerone
(Brut, de dar. orai.) essere stato maestro dell'oratore
L. Crasso , e nella storia aver superato M. Catone,
Q. Pittore, e L . Pisone : Vicissc superiores liislori-
(i) Intorno all'origine del riferito dltlongo nella gente Celia, è
varia l'opinione. Coloro che la scrivono con Poe, la deducono ( Pi-
ghio Annali) ab antiquissimo deorum cado: coloro die la scrivono
con l'oe, la originano da cjuel Celio {Coelio) Vibenna principe etru-
sco, il quale è gi.'i detto aver] dato il nome al monte Coelio di Roma.
(2) Pighio Annali: » Coelia gens consularis, Caldi et Rufl co-
Unoninibus, idem Sabini, ci ficiniani. Grut. 330.2,448. 8,1089. 6,
176
COS. M. Catonem^ Q. Pictorem el L. Pitionem. Ap-
presso di lui mi fu dato sapere di altro C. Celio
Caldo, che non assevero essere stalo figliuolo del
mentovato: cominciò la sua carriera nel 642, e nel
652 la compiè col sostenere la pretura. Nel 659 ve-
diamo altro C. Celio collo stesso cognome, ch'ebbe
i fasci consolari con L. Domizio Aenobarbo: ma per
quello che dicono Cicerone (prò Murena n. 8) e Ti-
to l.ivio (lib. 70, 27 e 28), parml non discenda
dai precedenti, poiché lo chianiano uomo nuovo^ for-
se perchè fu il primo in questa linea della gente
Celia, che col giungere al consolato recavale lustro
e nobiltà, di che per lo innanzi era priva: di guisa
che Q. Cicerone scrivendo a Marco suo fratello in-
forno alla domanda del consolato, gli dice: Quanto
melior libi fortuna petitionis data est , quain nupej'
HOM/NI NOVO C. COELIOÌ Ille cuin duobus homi-
nihus ila nobilissimis petebat^ ut lamen in iis omnia
pluris essente quam ìpsa nobilitas: summa ìiigenia ^
summvs pudoi\ plurima beneficia^ summa ratio et di-
ligentia petendi. Tamen eorum alterum^ cum deesset
alter^ Coelius^ eliam cum multo esset inferiur genere^
superior nulla re poerie supernvìt. Ha celebrità quel
M. Celio contemporaneo ed amico dello stesso Ci-
cerone, cui al tempo del suo esilio , comn parmì ,
scrisse diciassette lettei'e, nell'ottava delle quali gli
trascrive alla distesa un senato consulto De provin-
ciis considaribus et praeloriis datato , se non erro ,
il 30 settembre del 702, per la cui compilazione si
ritrae, essersi frapposto un C. Celio, come uno de'
quattro tribuni della plebe. Né saprei dire, se que-
st'ultimo era figliuolo o nipote (ch'é più verosimile)
n7
del console sui riferilo. E toccciin JEKAA '^f'EB. a costui appartenne un ATJIE/iae«.s-
» LA rPdlANI LIB PROC ET EVTVCIIES DISP
f8^
>) memorati in una base, che costoro nel 900 de-
» dicarono a Silvano scoperta nelle vicinanze di Ga-
» pistrano e liportafa dagli annali dell' istituto àT-
)) cheologico tom. VI p. 150. Il terzo finalmente ,
)) ignoto ai passali faslografi, procedette nel 950, e
») ne dobbiamo la conoscenza ad un' iscrizione di
» Lione divulgata prima dalMillin, quindi dall'Orel-
» li n. 2325, la cpiale termina T. SKXTIO. LATE-
» RANO C. CVSPIO. RVFINO. COS. Si conviene
)» che il console di quest' anno è il Lalerano Uno
» degli amici e dei generali di Settimio Severo,^ ai
» quali nel 948 commise la guerra nella Mesopo-
0 tamia (Dione I. 75 e. 2), ch'egli in .seguito molto
» arricchì , e a cui donò un manifico palazzo ri--
» cordato anche, da Capitolino (in Marco e. 1) , e
» che Vittore (Epitome) attesta di aver egli .stesso
» veduto. Naturalmente in tale lasso di tempo dev'es-
» servi stato qualche altro di questa famiglia, che
» ci sia rimasto ignoto , non essendo verisimile ,
» atteso il soverchio inlei-vallo di sessanl'anni, che
» dal console deir847 sia nato quello del 907. Il
» Panvinio nei fasti citò una iscrizione, in cui dis.se
'> legger SEXTILIO. LATERANO. ET. AQVILIO.
» ORFITO. COS, da cui trasse, che a Commodo o
)» sia a L. Vero fosse .sostituito Aquilio Ortìto , se
» non che apparendo poco probabile, Che al figlio
» adottivo dell' imperatore fosse accorciato 1' onore
» p»ima del tempo stabilito , sarebbe stato meglio
" di supporli ambedue suftetti, e d'intercalarli fra
» i due Lalerani testé ricordali. Ma è evidente che
» il Panvinio lia ridotto quei nomi in .sesto caso ,
» perchè si presfa.sserti alla sua opinione: ma.éhe la
184
» lapide da lui citata è questa istessa , che trovasi
» tra QMEpigrammata antiquae urbis del Mazzoc-
» chi p. 149, siccome esistente a s. Maria in Co-
,. smedin: CL BACCHIDI • C • F SEX • LATERA-
>. NVS • ET • AQ VILIVS • ORFITVS • CO^ • Il Gru-
» tero nel ripeterla a pag. 861. 2 della pritììa edizione
» rimase senza dubbio offeso che i consoli si des-
» sero cura di onorare una donna privata, e quindi
)» cambiò il COS in VOSuGrunt: ma la vera correzio-
» ne è dovuta all' ottimo codice rigazziano della
» biblioteca di Rimini , il quale cos'i la riporta, e
» toglie tutte le difiicoltà, mostrandoci, che il Maz-
» zocchi Ila pretermesso una riga:
CL BACCHIDI
C F
SEX LATERANVS
ET AQVILIVS ORFITVS COS
HEREDES
» È chiaro adunque, che questa è una lapide
» sepolcrale posta a Claudia Bacchide chiarissima
)» femina da' suoi eredi e se rimane incerto , se fos-
» sero ambedue consolari, polendosi leggere egual-
» mente consules e consul^ siccome meglio piacereb-
» bemi perchè in un caso identico i due eredi tol-
>) sero ogni dubbio, scrivendo in una lapide di Cor-
>. finio M • ATILIVS BR ADV A • COS ET • M • ACI-
» LIVS- AVIOLA • COS , sarà certo almeno , che
» qui veggonsi riuniti , perchè concorsero ambe-
>' due alla spesa del tumulo, non perchè fosse con-
» temporanea la loro dignità. Laonde ignorandosi
>) in qual tempo abbia vissuto tiinlo la Bacchide ,
1) quanto l'Orfito, non potremo decidere , se anche
» Laterano sia cognito o i{jnoto , o almeno quale
1) sia dei tre , che abbiamo ricordati di sopra. ]Nel
)) qual dubbio saremo pure nell'aggiudicare un'al-
» tra lapide romana del Gudio p. 2T9. 5, in cui
». si memora un MARTIALIS • T • SEXTl- LAlE-
» RANI • VILIC\ S , ed anzi ci troveremmo nella
» stessa oscurità anche riguardo al nuovo T. SEX-
.. TIVSLATERANILIB • EVTVCHVS, se qual-
» che lume non mi sembrasse provenire dal co-
)) gnome del suo figlio MnQÌaìio. Nella mia disser-
» (azione stampata molli anni sono a Milano sulla
» gente Arria notai il costume di alcuni liberti d'im-
» porre ai loro figli oltre il prenome e il nome ,
» ch'essi stessi avevano ricevuto dal patrono , an-
« che un cognome ricavato dalla sua casa : del
)» che addussi parecchi esempi, dei quali mi sarebbe
t) facile di ampliare la lista. E con ciò si spiega
» come poi si trovino ripetuti in uomini di basso
» affare tutti i nomi d' illustri personaggi , le cui
» famiglie erano certamente estinte , come sarebbe
t) in questi due titoletti, uno già farnesiaoo, ora del
» real museo di Napoli, l'aliro di Brindisi:
CN • POMPEIVS SEX • POMPEI
FAVS TYS \S 0 . L MAGNVS
CN • POMPEIVS MERCVRIALIS
MAGNVS VALXVII S
FILIVS
AN XVIII
» il primo de' quali stimo appartenere ad un liberto
» di Pompea figlia di Pompeo il grande maiitata
») a Fausto Siila, l'altra ad un liberto della figlia
» di Sesto Pompeo moglie di Druso Libone. Ciò
» posto, credo di poter ritenere, che il nostro Eu-
» tico sia slato liberto del Sextio Laterano deir847,
» che usò insieme il gentilizio materno di Magio,
1) dal quale avrà egli dedotto il cognome del fi-
» gliuol suo ».
Saputo in siffatto modo e con tanta eccellenza
e probabilità il personaggio illustre, da cui il pa-
dre del nostro municipalista trasse la libertà, mi Fo
a dire alcuna cosa intorno alle rappresentanze che
questi ebbe ne! corto viver suo di anni 22 e mesi.
ini • VIR • AED • POT • Quatuorviro aediliciapote-
stote^ 0 aediliciae potestalis. Questa carica, che mi
fa avvisare essere nato Magiano dopo la manomis-
sione di suo padre, non era la suprema nei muni-
cipi. La precedeva il quattuorvirato per giudicare.
Se però era questa la carica principale, avvi dispa-
rità di sentenza. Il Furlanello nella prefazione alle
lapidi patavine p. XXI manifestò per cosa positiva,
che come il consolato in Roma, alla stessa maniera
nei municipi la carica era dei quatnorvirl iuridicun-
do , come nelle colonie dei duumviri iuridicundo:
magistrato, al quale (dice quel dottissimo) spettava
l'autorità politica , amministrativa e giudiziaria. D'al-
tra parte il celeberrimo Marini (Fr. Arv. p. 780),
e prima di lui il marchese Maffei (V. I. pa3. 1. lib. 5
p. 90 e segg.), fu d'avviso che i mentovati qtiat-
tuorviri o duumviri erano diversi da que che si dis-
sero «TiXwg quatuorviri o duumviri , che chiama su-
187
premo macjistrato de municipi e delle colonie^ eh' è
quanto dire, che tenevano il potere stesso che i con-
soh avevano in Roma. Il che va dicendo nel com-
mentare la tavola LX che contiene la iscrizione in-
signe, che il noslio municipio scolpiva in una base
di statua innalzata a quel famoso P. Aelio Coerano
(esistente ora nell'impluvio del palazzo municipale),
cui il quatuorvirato iuridicundo esercitato in Tivoli
valse come l'urbano decemvirato slilitibus iudieandis^
o altro somigliante, di guisa che qual canditalo fuori
della capitale venne promosso a cariche maggiori
fino al consolato.
Io ignoro aft'alto , se altri si sia adoperato di
verificare se in realtà consti della mentovata diver-
sità. Sembra cosa sicura, che ai tempi di Cicerone
erano riconosciuti per primari di un municipio i
semplicemente chiamati qualuorviri. Lo scrive egli
ad Attico (X. 13 : AìUonins consul evocavit e rnuni-
cipiis denos^ et QUATUORVIRf vetieruiU ad villani
eius mane : si ritiae parimente dalla orazione prò
Cluentio (e. 8j: Oppinnieus per Syllae vini alque vi-
cloriam Larinuni cnm armatis advolavìt. QUATUOR-
VIROS, quos rniinicipes fecerant^ saslulil; se a Stjlla
et alias praeterea tres factos dixit: e finalmente da
una lettera che scrisse, se non erro, nel 701 ai. qua-
luorviri e decurioni di Fragelle (Fam. XIII 76): Ve-
hemenlcr vos (QUaTUORVIROS) etiam alque eliam
rcxjo, ut hniioris mei causa libéralissime C. Valgium
Hippianuin Iracteiis, remque cani eo conficiatis , ut
qtiam possessionem liabel in agro fregellano, a vobis
eniplain , eam liberam et immuneni liabere possit. Il
Cuiucio, queiruomo profondissimo delle antiche leg-
188
}TÌ, ci reca (ar/ lib. X Cod. lom. X p. I3G. Ed. di
Prato) una risposta deU'imperaloi'e Alessandro indi-
ritta qiKUuovvìris et decuriouibus f'a'urelanonun , ed
aggiunge: Scripla est ad QUATUORVIROS , id est
magistralus reipubUcae fabrelaiiunim , nt tu veteri
fiuadani inscriplioiie Hiapaniae QUATUOIiVllilS ET
DECURIONI B US SAR ORENSIUM.
Si potrebbe dire cbe i quatuorviri nominati
da Cicerone e Cujacio erano la slessa cosa che i
quatuorviri iuridicundo, avvisando che quest'ultima
voce potesse essere sottintesa, ovvero che gli .stessi
Cicerone e Cuiacio intendessero di lutti i quatuorviri
municipali, cioè dei iuridicundi)^ di quelli con Vedi-
licia poleslà^ dei quatuorvài ab aerarlo che nelle
lapidi diconsi semplicemente Qunestores^ e dei quat-
luorviri quinquennales. Ma oltre che il passo di Ci-
cerone prò Cluenlio sembra favelli dei soli quattro pri-
mi semplicemente delti quatuorviri: oltre che il volere
sottintesa una voce , parrebbemi una cosa un poco
stentata e vaga; vi sono i marmi, maestri delle sto-
rie anche municipali , i quali intorno alla diversità
pronunciata dal Marini parmi ci rechino non poca
luce : e senza punto rovistare quelli di altri munici-
pi, mi piace di olferirne qualcuno ritrovato in questo
colle ubertoso. Il primo de'quali sì conghiettura ve-
nuto dai residui dell'antico anfiteatro (seppure non
era altro edificio pubblico), di cui st;mbra procuras-
sero la costruzione i quatuorviri nominati nel mar-
mo che segue, dell' epoca senza meno repubblica-
na (1).
(1) Marzi I.st. T. 1. '(, |>. IM). r.iul. 20S1>. 1. Vo!;;! L V ttf
Til>. p. IO.'), Caln-al e .
2 dal Ciriilero 1007, 7 dal l>oiii IV. fi. e dal Volpi I. e- p. 142.
I
195
insigne, cui gli erculanei nostri segnalarono tanta ono-
ranza , e parevami che il conseguimento dei fasci
avesse potuto motivarla. M'indirigeva pertanto al più
volle lodato sig. Borghesi, la cui risposta del 12 mar-
zo di questo anno, per l'utile della scienza, penso di
soggiungerla in nota (1). Ecco intanto la iscrizione:
PMVMMIO • P F • GAL SI
SENNAE • RVTILIANO
COS • AVGVRI • PKOCOS
PROVINCIA E ASIAE • LEGATO . AVG
PR • PR - MOESIAE • SVPERIORIS
PRAEF • ALIMENT PER AEMILIAM
PRAEF • AER • SATVRNI LEG • LEG VI
VICTRIC • PRAE TORI • TR • PL • QVAEST
TRIB • LEG V MACED • XVIRO STLI
TIB • IVDIC PATRONO MVNICI
PlI • CVR FANI II V SAL HER
CVLANll • AVGVSTALES
L.D se
(1) « Avevamo nei fasti deìlSSe un console Sìsenna, die tlal-
< la iscrizione ianuvina del tempio di Anliiioo (Cardinali Diplomi
« n Sto) siamo pressocliè assicurali essersi chiamalo I' Mummio:
« ma la soverchia disianza di 39 anni tra i suoi l'asci e il titolo
« liburlino persuase j/iuslamenle al Marini (l'iguline u. 463) essere
n impossibile, che questi due Mnmmi fossero la slessa persona. Ui-
« tenne a(luna grande sconfìtta sarebbe (jnella, in cui restò
11 ucciso il preCclln del pretorio Vittorino colla maggior parte
« dell' esercito, citi- i'IxKhel D. VII. p. .'52 riporta analogamente
(( ili '
«jl/i'f ,ÌR'!»!A
Ma lasclartdò alla buon' ora cotesti don Raglia dH
Bustiero , pei quali cadrebbe pure in acconcio Ict
domanda del nobil conte presso TAIfìeri :
« Ch'è ella in somma poi vostra scienza? (2) »
ho per evidente, che l' intelligenza di alcuni brani
è divenuta ogiji ben difficile, sia per deficienza di
luoghi paralleli , onde trarre il necessario schiari-
mento, sia per istravolte idee originate dalla turba
de' commentatori e dei traduttori. Qual disordinò
mai non inducono costoro nell' amena filologia, sé
non istudiano fondatamente l'autore che hanno per
le mani, e se l'uno si riveste dell'altrui saio, nettò
o lordo che sia, senza darsi briga di astergerne le
molliplici brutture ?
Che non diverso giudicio formar si debba pel
citato verso del sublimissimo cantor mantovano, di
« quelFa fonte
" Che spande di parlar si largo fiume (3) »
basta leggere in copia coloro, che attesero non so
se ad illustrarlo o deturparlo, e agevol cosa fia il
chiarirsene.
(1) Dante, Purgai, cani. Ili v. 82-8Ì.
(2) Sat. VI V. 25.
(3) Dante. Ini", caii I v. 79. 80.
200
Ivi a prender di là le mosse , onde si convie-
ne, sfoga l'appassionato Virgilio, sotto il nome di
Coridone, l'ardente fìamma, che nutriva pel grazioso
Alessi, vale a dire pel giovinetto Alessandro servo
di C. Asinio Pollione, che fu prefetto della provin-
cia transpadana (1). Ma siccome su di esso :
«... nec quid speraret habebat »
il misero Caridone
«... inter densas umbrosa cacuralna fagos
« Assidue veuiebat (2) »
e quivi dava sfogo a quegli argomenti, che acconci
avvisava a conciliarsi l'aft'etto dell'amato garzone. A
me non mancan dovizie: che la natura volle prodi-
gar meco i suoi doni :
« Mille meae siculis errant in montibus agnae,
t' Lac mihi non aestate novum, non frigore defit (3) »
La eleganza dell'aspetto, che tanto ha di possa nella
signoria de' cuori, mi fu pur favorita, giacché :
«... nuper me in littore vidi,
« Quum placidum ventis starei mare (4) »
(1) V. il cav. Lorenzo Riccardo Trenta, Oper- giovati, di P-
Virgilio Marone, part. II. pag. i22.
(2) Ed. II V. 2-4.
(3) Ibid. V. 21. 22.
(4) Ibid. V. 2S. 20.
201
e ben potei scorgere, che :
« Non sutn adeo inforni is (1); »
anzi :
«... non ego Daplinin,
« Indice te, nieliiam, 5Ì numqiiam fallii imago (2). »
Quegl' incomodi, cui dovresti soggeltarii per amor
mio, non dubitar, caro Alessi, ti verranno abbonde-
volmcnte compensati dai doni, che per te serbo:
i< 0 tantum llbeat mecum libi sordida rura,
»• Alque humiles habitare casas, el figere cervos^
« Haedorumque gregem viridi compellere hlbisco ! (3) >»
Tali erano gl'infocati accenti di Coridone, da cui
erasi pure lasciala :
« Semipulata . . . frondosa vitis in ulmo. (4) »
I
^K Non è punto a dubitare che se il grazioso Ales-
si porgeva docile orecchio alle melanconiche note
dell'amante pastore , compreso avrebbe di leggieri
qual cosa egli intendesse pel figere cervos : ma noi
comprese il dotto grammatico Servio :
(1 E tulli gli altri, che venieno appresso,
Disertissime Romuli nepotum,
« Quot sunt, quotque fuere , . .
(I Quotque post aliis erunt in a&nis. (1) »
e nella XIV delle Filippiche si applica alle punte
delle imbrandite militari spade: « nisi iuucroues etiam
(1) Carm. IL init.
203
nostrornoi militum tremere vuUis, et dubitare utiura
in ci ve, an in hoste figantur. (1) » Lo stesso Vir-
gilio nel X dell'Eneide l'usa per un cimiero fisso in
su l'elmo militare :
« . . . . armaque Lauso
u Donat habere humeris, et vertice figere cristas (2) »
mentre nel IV delle Georgiche V avea pure ap-
propriato a quelle piante, che dal solerte colono si
conficcano in terra
» Ipse feraces
« Figat humo plautas (3) »
ed il soavissimo elegiografo romano l' adopera per
l'impressione lasciata da maligno dente sopra ebur-
neo collo :
» Et dare anhelanti pugnanlibus humida linguis
« Oscula, et in collo figere dente notas. (4) •>
Così anche lo scrittore De re rustica et de arbori-
bus (5) lasciò scritto humo palum figere^ siccome gra-
ziosamente me ne avveiliva il eh. cav. Trenta nella
sua epistola del 10 luglio 1847. [6)
(1) Paratjr. III.
(2) V. 700-701.
(.■)) V. 114-115.
(4) .Ml>. Tilnillus Uh. I cleg. Vili v. 3(1 .17.
(5) Lucio iModernlo Coliimclla.
(()) La quale si riporta per esteso a calce del presente ra[;io-
iiameiilo.
.■204
In seguito avvenne del figere quello che di tanti
altri vocaboli, i quali dal senso proprio furono por-
tali al traslalo: e Lucrezio nel lib. IV del filosofico
suo poema v. 1172:
»... foribus miser oscula figil. »
Virgilio di Turno promesso sposo a Lavinia: (1)
» Illum turbai amor, fìgitque in virgine vultus. »
e la massima delle furie Celeno agli offensori troiani:
» Accipite ergo, animis atque haec mea fìgite dieta. (2) »
Così il venosino esortava la vecchia e sozza Glori:
« Tandem nequitiae fìge modum tuae ! (3y »
E per variare dai poeti ai prosatori , il gran
Tullio nel II delle familiari scriveva : i* Ego o-
mnia mea studia , omnem operam , curam , in-
dustriam , cogilalionem , menteni denique onmem
in Milonis consulatu fixi et locavi ». (4) Si leg-
gano quanti altri sono gli scrittori della età fe-
lice per le lettere, e tale sarìi costantemente il senso,
in che adoperavasi il verbo figo. Che se il gran les-
sicografo Egidio Forcellini altri ne addila , un let-
(1) ^en. lib. XII v. 70.
(2) Aen. lib. Ili v. 230.
i:J) Od. XV lib. III.
(4) Epif^t. VI.
205
tore di sano odorato pienamenle conosce esser di-
verse applicazioni de' si(jnificali predetti, di cui ta-
luno ridondante forse e confuso. Ond'è che mi vol-
gerò tosto al secondo vocabolo, e ne addurrò fedele
gli usi diversi.
E primieramente chi v' ha che ignori prendersi
la voce cervi per indicare il veloce quadrupede tanto
cognito, che viene cosi descritto da Pietro degli An-
geli, elegante poeta del secolo XV, nel suo Cyne-
geticon (1) ?
»... Caput sublime ferunt, frontemque sub altam
Ingentes oculos volvunt, animaraque qualernis
Ducere anhelantes, ac respirare videntur
Naribus, et rostro simi spectantur obeso:
Et quamvis multi mullos pleruraque colores
Infecere, tamen fulvo quam plurima fulgent,
Aut flavo, aut fusco circumlita corpora fuco.
Prosilit ex imo tura cauda brevissima dorso,
Cruraque compresso subsunt exilia ventri.
Illa quidem ad rapidos nata alque exercita cursus,
Grandiaque imbellis sustentat cornua cerfix. »
E colui che
" Arlis apollineae solers arcana retexit
Con Servio convengono que' laboriosi com-
pilatori di dizionari , i quali niun altro senso alfig-
(1) V. 226 segg.
20T
nfono alla frase in quislJone. Germano Valente piesso
il gesuita Fontano (1) asserisce, che anche dai cac-
ciatori si dicevano cervi i loro staggi, onde e so-
slengonsi e s'innalzano le reti; nel che scorgo uni-
soni tutti i greci lessicografi alle voci l.xàXic, e.l'/jX'
li§sg. Forse a que' tempi diversificava alquanto lor
forma dalle moderne, poiché altrimenti non si ve-
drebbe affatto ragione di designare con tal vocabolo
de' retti bastoncelli.
Che pur nella nautica abbian luogo cervi di
legno , 1' apprendeva teslè dal lessico filologico di
Mattia Martini e di Samuele Pitisco, i quali aggiun-
gono, che da' rabbini vengono espressi col nome di
4 Quaque patet campus planis ingressibus hosli,
» Cervorum ambuslis imitantur cornua ramis. »
Siccome leggiamo in Tibullo nel panegirico al gran
Messala : (5)
(1) Lib. VII § 42.
(2) U.sava.Hi piuUosto il Jiininiuivo, quando non l'ossero stati
né mollo grandi tai cervi, né molti forti, come abbiamo nel lessico
di antichità romane del Pitisco: « Isti teneriores et infirmi cervoli
dicebantur, verbo diminuente. >>
(3) Gap. V.
(4) V. 416, 417.
(«) V. 83, segq.
209
« i^uii deceat tutam castris praeducere fossam,
» Qualiler adversos hosti defigere cervos,
» Quemque locum ducto melius sit claudere vallo. »
E il dolto Forcellini aggiunse essersi talora con que-
sti rami, ossia cervi, macchinate insidie all'oste av-
versa, interrandoli in ricoperte fosse, a farvi impac-
ciare e cadere fanti e cavalli: « Saepe etiam ( così
alla V. Cervus) qua transiturus est hostis, humi oc-
culle defiguut, ut incedens railes et praesertim equi-
tatus implicelur et induatur. »
» Domin 1 (direbbe qui il Minzoni) quante ricerche
si fan mai !
» Ma far si denno, né poeta vero
>> Se'tu, se tu medesrao non le fai. »
Qual dunque degli svariati sensi avrem noi d'af-
fìggere alla frase adoperata dal principe de'poeti al
V. 29 della seconda ecloga? Chi ponga mente a quel
che in gran copia ne dicono e commentatori e tra-
duttori e lessicografi avviserà di leggieri, che quivi
si tenga ragione solo di caccia. Ma che una tale in-
terpretazione si allontani dal vero, mi confido bene
dimostrarvi, ottimi colleghi, ragguardevolissimi udi-
tori, dopo avervi riferito colla maggiore schiettezza
e gli esempli e le prove che si adducono a riuscir
vittoriosi nelTarringo. S'incominci dal celebre gram-
matico Servio, da cui ripetono loro abbaglio quanti
in appresso vollero accingersi alla stessa opera. Egli
pertanto dopo aver detto: « Aut furcas quae fìgun-
tnr » con quanto recammo di sopra, aggiunge: « Aut
G.A.T.CXXV. 14
(quod melìus est) figere cervo», id est veuarì et iacu-
lari intelligaraus. » Ascensio ricopiò Servio (1). e lo-
cloco Willichio ne' suoi primi lavori sopra Virgilio
pubblicati in Basilea nell'agosto del 1540: « Nunc
ilerum, diceva, invitai ad se ab exercilio venationis,
paslionis et musicae, si nihil forma sua, oihil suis ope-
ribus, nihil concentu permoverit. » Siccome cel vo-
lea confermato otto anni dappoi dando alla luce nella
città medesima i suoi Scholia posleriora (2). A que-f
sti è da aggiungere il riminese Carlo Malatesta, che
commentando questa frase, la espresse: « Trafiggere
e ferire i cervi all'uso de'cacciatori. (3) » Il fran-
cese Carlo de la Rue, e lo spagnuolo Giovanni Lo-
dovico de la Cerda, l'uno e l'altro della compagnia
di Gesù, confermarono co'loio scritti l'opinamento di
Servio. Quegli nella interpretazione ad uso del Del-
fino di Francia dice : « Transfodere cervos : » que-
sti nel suo commento : « Poeta ipse I Georg. Figere
(lamas : Qui locus mire facit prò posteriore explica-
tione (cioè la posteriore di Servio a noi contraria )
quam elegi: » ed all'uopo adduce l'autorità del tra-
gico Seneca, di Properzio e di Teocrito. [A) Al De
(1) « Et figere, itlest transigere cervos, venando scilicet : aiit
figere in ferra, scilicet cervos, iilest stipiies cornutos ac lurcas ad
cassm conslruenclam: v€ru«i prior lectio praest»t. »
(2) « \'oti*in est iiivitantis Aluxim ab utili et iucundo per con-
cessionem. Eliamsi rura, inquit, videantur tibi sordida, et casae pa-
storales humiles, tatppn multa hic siint coniaioda, quorum est o-i/va-
f)poKTfji.ói. Primum est venatio : pam figere tam ad cuspidem , quam
ad arcnm refertur, »
(3) Vopera di f'irgilio tomment. in ling. volg. tose. Fen.
1623 in 4.
e*) Seiiec. '\nFure)il. et in Hipiiolyt. IVopert. lib. H, cleg. XIX;
l^heocr. Idyl. I, v. H)0.
211
ia Ceida da lui citato si unisce pure il dotto Pietro
Burmanuo (1) e « Cervos (dice) cape de vero ^m-
mali, non de furcis; figere enim passim de telo et
\enabuIo, ut Georg. I, 308 figere damas. Ovid. X,
Metam. 131 figere iaculo cervum. apvos XIV 143. »
Federico Taubmanno dice di Coridone, che col figu-
re cervos « ad voluplatem invitai et i\y.fn^okiu:j. »
Queste sono le parole del Farnabio eziandio e del
Fontano. (2) Il parigino Riccardo Correo, il quale
» Priscos et recentiores
» Auctores recipit probatque, qui cum
)) Labore et studio locos notaruot \
» Plures Virgilii: (3)
sembra non sapersi determinare per alcuna delle op-
poste sentenze; poiché dopo avere interpretato il ^-
gere cervos: « Venando transfigere » adducendo
in ragione: « Nam voeat puerum ad delicias » se-
gue: i' Cervi hic dicuntur furcae, quae ad casae su-
stentationem figuntur , ad similitudinem cornuum
cervinorum, quod ex Varrone comprobatur. » Cosi
il principe de'moderni filologi e chiosatori, siccome
lo chiama l'Arici, il cel. Heyne non rigetta del tutto
l'opinione da noi abbracciata, avvegnaché si mostri
dappoi più inchinevole alla serviana, cui fiancheg-
(1) " Pub. Virg. Maronìs opera ex recens. et cum animadv. P.
£urfnanni. Lìps. 1774, in 8, part. 1, pag. 18. »
(2) 'i EXaipoof ^dXXeiv, dice il primo, venari. Quidam^ de ^ur^iu-
lis inlelligi volunl, quibus aedes rusticae sustealanlur. Nescio au
subtiliori sensu, quam veriori. » L'altro; » figere cervos — 'EXafcfr)-
^Xi'av uno verbo graeci. Nec roihi furcas inuuere videtur. u
(3) Così leggiamo ue'sei endecasillabi anonimi premessi ailPp^ era.
212
pia coll'autorità di bei nomi. Il chiarissimo Wun-
derlich a torre ogni dubbio, che sorger potesse con-
tra l'erronea ricevuta sentenza, asserisce che il Vos~
sio scoprì nel gran bucolico di Siracusa essere pur
la caccia^da noverarsi fra le pastorali bisogne. (1)
Maravigliosa scoperta d'inarrivabile solerzia, onde non
fia, credo, bastevole offrire un ecatombe alle muse,
siccome dal filosofo di Samo, pel celebre matema-
tico teorema ! (2)
Passando ai lessicografi, per non tediarvi colla
lunga loro esposizione, vi assicuro che il gran Por-
cellini, il Nizolio e quant' altri potei svolgere , che
furono a vero dire moltissimi, o recarono 1' una e
l'altra sentenza, incerti cui dar maggior peso, o si
dichiararono apertamente per quella, che noi ten-
tiamo sbandire dalle menti de'lelterati. (3)
Veniamo in fine ai traduttori. Questi ancora ten-
(1) Taccio qui del Valente presso il Ponlano, Symbol, in h. l. ,
che opina contrario al nostro sentimento , perchè Virgilio scri-
vendo nel I Georg, v. 308 :
« Auritasque seqni lepores : (um fìgere damas:
Inter labore» rusticos etiam veriatum et aucupia numerat. y,
Io credo, che nell'udire si bella induzione,
« Romani tollent eqiiites peditesque cachinnum. »
rior;it. E-p- ad JHson. v. 113.
La caccia è occupazione rustica : dunque pastorale ! Povera logica!
(2j 11 XLVIl del I libro di Euclide: Il quadrato della ipolenusa
eguaglia la somma de'quadrati d'ambedue i cateti.
(3) Iacopo Facciolati, quell'uomo di sì vasto sapere, non si sa
per qual ragione asserisse, che da Servio fosse interpretala la frase
in questione nel significato di conficcar pali, trascurando quello che
dal medesimo Servio venne giudicalo migliore.
213
ner dietro a quel sentimento, che se fosse stato ve-
ro, sarebbe stalo insieme il più poetico : ma la sola
cosa,, che in esso e richiedevasi e mancava, era la
verità. Per la qiial cosa udiremo un coro concorde
ed autorevole, che fa deporre ai pastori il rusticano
maglio , e dimentico del gregge adattare al rozzo
fianco ed arco e quadrella, accingendosi a deliziosa
caccia. Il più antico, che si conosca fra i volgariz-
zatori della virgiliana bucolica, si è Bernardo Pulci,
che ne diede una bella ed in oggi rara edizione in
Firenze nel 1481. Noi dobbiamo riferir solo il bra-
no, che riguarda l'invito di Coridone :
k
» 0 le ville habitar meco li piaccia
» A te non grate, et questa casa umile,
)' Et ferir per le silve e cervi in caccia,
)i Et de capreti non ti paia vile
» Al verde ibisco d' inviare le gregge. ')
Dopo il Pulci, tratti in abbaglio dall'espressioni di Apo-
stolo Zeno, l'Argelati. il Viviaui ed il Vaccolini parlano
di Bastiano Foresi, che diversi convertono in Foresti,
e dicono che nel libro intitolato Ainhitione abbia inse-
rito la versione della bucolica virgiliana. Ma eglino
o non vider mai questo libio (che veramente è raio)
o mai non lo svolsero : perchè altrimenti , siccome
avvenne al p. Paitoni , al Villa ed a me stesso, vi
avrebbero rinvenuto la traduzione delle georgiche.
Verrò dunque al Lori, non essendomisi ancor dato
veder pur uno esemplare, o de' semigotici del c.la-
rissimo poeta frate Evangelista Fossa da Cremona^ nò
del Menni e del Negrisoli.
214
» 0 se ti fusse a grado gli urail campì,
» E le rozze capanne abitar meco,
>) E saettare i cervia e gli agnellini
» Mandare a' paschi. «
Siccome nelle nostre pubbliche biblioteche inutil-
mente ho ricercato le canzoni pastorali di Rinaldo
Corso , mi è forza passare a quella del parroco di
Castel Bolognese Girolamo Pallantieri, il quale fu il
primo a traslatare dal latino in volgare verso per
verso, impresa anzi da testa piccola che veramente
maravigliosa^ o piuttosto miracolosa, come la diceva
da Ravenna Muzio Manfredi il primiero giorno d'ot-
tobre 1593;
» 0 ti piacesse meco i rozzi campi
» E i tuguri abitar, ferir i cervi ;
» E col vincastro andar presso a i capretti. »
Tralascio Sperindio Ghirardelli, Antonio Ghislie-
ri, ed il dottore Andrea Dimidri, di cui con tutta la
diligenza usata non potei conoscer che i nomi. Che
Parmindo Ibichense, il parmigiano Francesco Maria
Biacca, traducesse la bucolica di Virgilio, è un ab-
baglio del Viviani, del Vaccolini e di altri che scris-
sero anche ciò, che coi propri occhi non poterono
vedere. Paolo Rolli nel 1742 traduceva :
» Deh benché a te sordidi sian, ti piacciano
» Meco i campi, e abitar l'umili case,
» Gir saettando cervia e de' capretti
» Condur la gregge col vincastro verde. »
Il march. Prospero Manara:
215
» Deh le ville ohe schifi, e rumil KìUo
» Abitar meco alnien ti piaccia, e i presti
« Cervi meco inseguir per tuo diletto^
•) E meco al pasco delle malve agresti
» De'capretti parare il docii gregge ! »
Nella curiosa versione o parafrasi , che il gesuita
Gioacchino Gabardi pubblicava in Carpi nel 1764
colle sole iniziali G. G. G.
» Deh sol ti piaccia di venir ne' campi
» A le vili, e abitar meco i tuguri,
» E i cervi saettare^ e al verde ibisco
)) Ir conducendo de' capretti il gregge! >»
Quasi nello stesso tempo avea tradotto l'Ambrosi ^.
pur della compagnia di Gesù:
» Sol fosse in grado a te quelli, che vili
» Sembrano agli occhi tuoi, semplici campi^'*^^
» E le rozze capanne abitar meco,
» E i cervi saettare^ e al verde ibisco
» Ir conducendo de'capretli il gregge. »
Il marchese Capecelatro:
» Sol ti chied' io, vago garzon, che piacciati
» Meco abitar V incolte ville, e 1' umili
tv Capanne, e { cervi insiem con me trafiggere^
» E insiem con me del malvavischio al pascolo
» Il gregge de' capretti ancor conducere. »
Ed il p. Francesco Soave de' eh. reg. somaschi:
» Deh sol le ville, ch'or disdegni, piacciati
> Meco albergare, e l'umili capanne ,
216
» Ferir i cervi in eorso^ o {jl'lrii capri
» Guidar il verde malvavischio a pascere! »
Della edizione veneta di Marchiò Balbi, e della napoli-
tana di Giuseppe Maria Candido non posso addurvi
i brani, che non mi venne fatto osservare. Addurrò
sibbene la parmigiana del dotto carmelitano Giusep-
pe Maria Pagnini, l'Eritisco Pileneio di Arcadia :
» Deh sol meco li piaccia abitar queste
» Piagge a te vili, e queste rozze case,
» Piagar cervia e cacciar de'capri il gregge
» Con verde malvavischio! »
L'anonimo di Bologna «ni è incognito, siccome Ar-
naldo Tornieri, che la tradusse a Vicenza in ottave
sdrucciole, non che il GalLerone , che nel 1700 la
pubblicava in Torino.
Dopo questi lab. Raffaello Pastoie :
» E eh' è poi quel che da te bramo, Alessi ?
» E sol che tu sia meco ad abitare
» Mia capannuccia, e la poco a te grata
)) Campagna, e meco uscir de' cervi iti caccia^
» E tener lungi i molli caprettini
». Del verde malvavischio. »
E Clemente Bondi , la cui fatica per riguardo alle
opere virgiliane non è a porsi in non cale :
» Ah sol piacesse a te questi, che vili
» Sembrano agli occhi tuoi, semplici campi,
» Abitar meco, e l'umili capanne,
» / cervi saettar^ condur col verde
» Ibisco il gregge de'capietti! »
21T
A Lorenzo Crico, che non mi è dato riportare, si
aggiunga Io scolopio Solari, il quale imitò gli sforsi
del Pallantieri :
» Oh ! sol ti piaccia in umil tetto, in campo
» Che hai vii, star meco; e ferii' d'arco i cervia
» E i capi-etti aggi'egiar mostrando ibisco. »
Il Viviani, dopo Giovanni Fantini , cosi amplificava
l'espressioni del poeta :
» Ah ! meco venir pisciali
Ne'sordidi per te villaggi agresti ;
» Né d'abitare increscati
Al fianco mio nei casolar modesti.
» Talor con me trafiggere
I teneri godrai lesti cei'velti^
n E con la verde e tenera
Altea cacciare al pasco i bei capretti. »
Ed il nostro concittadino Domenico Molaioni, il qua-
le fu uno dei fondatori di questa illustre accademia:
» Deh sol li piaccia i campi, che tu sdegni,
» E le rozze capanne abitar meco,
» E saettare i cervi, e '1 verde ibisco
» Far pascere ai capretti. »
Il Niccolini:
» Deh pur consenti (e che altro bramo? ) alquanto
» Per le ville, che troppo a sdegno prendi,
218
» Star meco, e sotto povera capanna,
» Meco i cervi snettar, meco i capretti
» Tener lontani da le agresti malve. »
Come la traducesse il Bandini nel 1819 non è a
mia notizia. Il Vaccolini , che l'Inseriva nel tomo
LIV del giornale arcadico:
» Oh ti piacesse almeno esser con meco,
» Abitar queste ville, che non curi,
» E de' pastor le povere capanne,
» E dar la caccia ai cervia ed i capretti
» Con ramoscel di verde maivavischio
» Guidare alla pastura ! »
Poscia il precipuo de' traduttori di Callimaco:
» Questi campi a te vili, e questo tetto
» Povero in compagnia nostra abitare,
» Caprioli cacciar ti sia diletto,
» A pascolo d' ibisco agni parare. »
Così lo Strocchi : l'Arici poi :
» Non isdegnare alfin meco le ville
» Rusticane, e degli umili abituri
» La stanza; esci con meco, o mio leggiadro,
» De' cervi in traccia, e meco alla pastura
» Del verde, maivavischio adduci il gregge
» De' teneri capretti. >»
219
Ed il marchese Giuseppe Antinori (I) :
» Oh fosse in grado a te questi, che vili
» Setobrano agli occhi tuoi, campi, e le semplici
>) Al mio fianco abitar capanne umili,
» E i cervi saettar meco^ e gli erranti
» Cavretti addurre il verde ibisco a pascere. »
Oltre a questi e all' Oliva , il sacerdote Francesco
Pucci, professore di eloquenza in Terni, così tradu-
ceva ed inventava nel 1832:
» Che mai ti chieggo ? io ti vorrei sol presso
Tra questi campi, e nel tugurio mio,
E teca unito a caccia irmene spesso ;
» Se t' incresce il cacciar, pago son io
Ch'assista a guardia tu de'miei capretti
Agiato in verde speco, o in riva a un rio. »
A conchiudere il bel numero de' volgarizzatori por-
remo da sezzo e l'erudito cav. Lorenzo Trenta, che
fu de'nostri soci corrispondenti, e si occupò inde-
fesso a dilucidazione delle opere giovanili di Virgi-
lio, ed il eh. professore ab. Giuseppe Jacopo Ter-
razzi, che pubblicava in Bassano la sua versione nel
1845. Il primo esponeva:
» Piaccianti omai queste campagne incolte
» E in umil tetto soggiornar con meco,
(1) Nome illustre ilell'oUimo genitore del eh. nostro presidente
annuale monsig. Spinello Antinori^ uditore delia sacra ruota romana,
che onorò di sua presenza questo ragionamento accademico.
220
» 0 per ferir cacciando i presti cervi,
1) 0 per parare innanzi le agnellette
» Di tenera gramigna al pasco usalo. »
E l'ultimo:
» Oh ti piacesse
» Tra i vili campi e gli abituri agresti
» Campar sol meco, e dar mnriirio ai cervi ;
» Parar al verde malvavischio il branco
» De' bei capretti. »
Ora io mi studierò mostrare, valorosi colleghi,
che gl'illustri autori di sopra allegati nel più bel gior-
no di aprile non si avvidero della luce purissima
diffusa per tutto l'etere. Eglino applicarono alla cac-
cia una espressione, che per le circostanze e di per-
sona e di tempo era solo da l'itenersi adoperata a
significare la costruzione di pastorali capanne.
E vaglia il vero : chi è che parla in questa
ecloga ? . . . Coridone ... un pastore ... Di qual cosa
ei favella ? ... Di sue occupazioni e giornalieri tra-
vagli .. . Egli è dunque a concludere, ohe abbiano
anzi dalo nel brocco l'Ortensio (I) , il Ramo (2), il
(1) Nel suo utilissimo comminuto all'Enei'ttr rolilolnto : Ennrra-
tioves in nex priorcs U'/ros Aeneidus vergilianac pul)I)licnfo d;ill'Opo-
rino a Bnsilca nell'aiTosto i.^o9 asserì cliiaramentH : » A ccrvinorunl
cornniitn sìmìliluJine diciintiir et cervi siuios bicornes in cralihus
extanles, quibns infra in (erra delìxis vimina inlexunUir. Et in e.-»
quidem signi/ìcatione accipieiidiim est in bncoiicis:
» Atque bumiles habitare casas, et figere cervos. »
V. lib. iV V. 133 pag. 22tt.
(2) V. le prek'z. alla tìucolica di Virgilio pubblicate in Parigi
nel 1372.
221
Calepino, il Calderino, il Pasini, il Pilisco, (1) il p. de
Aquino (2) ed il Biondi (^3), che il numero magjjiore
dei dissidenti. Conciossiachè quantunque volle cercan-
do lo volume villereccio di colui, che fu » degli altri
poeti onore e lume (4) » scorgiamo i pastori applicati
nella semplicità loro a diversi uffici, cui elezione o
sorte li sottopose, sdraiali talora
»... Patulae . . . sub legmme fagi
» Sylvestrem tenui rausam nieditantur avena: (5) )>
talora esercitano l' acume del proprio ingegno col
cimentarsi a vicendevoli soluzioni di eoimmatici in-
volucri : e se Dameta provoca Menalca col
(1) YpcIì i loro dizionari alla voce cervi.
(2) Miscellaneorum. lib. I ccip. X. Ivi il dolio gcsuila dcsijjiia
apertamente i cervi quai: » Perticae bicornes, pali rurcillati ad su-
«liiieiidos fornices el ruslica praesertim ìtuguria, a similitudine cor-
iiuum cervinoriim. De liis Virgilius ed- II:
» Atque humilcs habitarv casas, et figere cervos.
Ncque enim (si noti bene ) habere ibi locum potuit cervoruin
venatio, ut aliqui scripserunt interpretes. » Sentimenti ch'egli espri-
me egualmente nel suo Lexicon militare alla parola cervi.
(3) Ecco la bellissima versione di questo illustre romano :
w Oh se i campi che sprezzi, e gli ospitali
lì Miei penati abitar meco vorrai,
« E alzar capanne su bicorni pali,
» E con verghetta, che d' ibisco avrai,
it Guidar capretti. «
(4) Dante Inf. cani. I. v. 82.
(3) Virgil. ed. l v. 1. 2.
222
)i Die quibus in terris
» Tres pateatcoeli spatium non amplius ulnas? [i) »
rintuzza l'altro il rivale col pronto soggiungere :
» Die quibus in terris inscripti nomina regum
» Nascantur flores ? (2) »
Talora siccome la vergine regale Erminia presso il
veglio pastore: (3)
» Guida la greggia a' paschi, e la riduce
Con la povera verga al chiuso ovile ;
E dall'irsute mamme il latte preme,
E 'n giro accolto poi lo stringe insieme.
» Sovente allor che sugli estivi ardori
Giacean le pecorelle all'ombra assise,
Nella scorza de' faggi e degli allori
Segnò l'amato nome in mille guise. »
In una parola se attentamente si leggano le dieci
ecloghe virgiliane, a tutt'altro si rinverranno intenti
i pastori del Lazio, fuorché alla caccia, occupazione
tanto aliena dall'arte loro.
Ma poiché, siccome udiste , il Wunderlich ed
il Vossio si mostrano di contrario parere, e nove-
rando la caccia fra le pastorali bisogne, ne chiama-
no in testimonio il più nobile bucolico della Magna
(1) Ed. Ili V. 104, 103.
(2) Ibid. V. 106, 107.
(3) Tasso, Gerus. liber. canto fll si. 18. 19.
i
223
Grecia, a disingannare i loro ammiratori chiamerò
ad analisi intero il volume del siracusano, ed emer-
gerà anche per questo lato da qual parte militi la
verità, la ragione.
Nel primo de' soavissimi idilli , Tirsi il pastore
dialogizza coll'anonimo capraio, e vi si fa solo men-
zione di canto ai vv. 2, 7, 19 segg., 23, 24, 66 e
in tutto il rimanente, in cui a più riprese odesi l'in-
tercalare di Tirsi :
)) "Apyzxt B^v,oktY.ó(.^y [x^iaoci i^iXai, ct-O'/yz àocdàg. ».
» Incominciate, o care muse, ornai,
» Incominciate i pastorali carmi. »
giusta la bella versione del Torelli.
Di suono parla il v. 13, ed il seguente di pa-
stura. Verso il fine chiedesi il promesso dono al
capraio:
)) Kccì zìi, gli dice Tirsi, §iòou ztj àr/a, to'
Inec'aoi xoug p.oi'ac
Quello poi che a scanso di equivoco vogliamo av-
vertito si è, che ove ai vv. 16 e 110 si fa men-
zione di caccia, viene essa riferita a Pane, deità sil-
vestre, e a queir Adone, il quale, anziché pastore ,
fu figliuolo del re di Cipro.
Del secondo idillio mi passo , che non hanno
(1) « Or tu la capra donami e la tazza,
Si che iibi^ mugnendola, a le muse. »
Giuseppe Torelli
224
troppo di relazione fra loro pastorizia ed incante-
simi di rea femmina appassionata.
L'idillio seguente è quello, che si propose ad imi-
lare il mantovano col suo Alessi. Sul bel principio
certo capraio raccomanda a Titiro il gregge , af-
finchè per lui si conduca agli usali paschi , e ben
pasciutosi adacqui, guardandosi da un intero becco
di Libia, che sovente solea dare di cozzo. Quindi
sfoga libero dal petto le amorose vampe : reca dieci
pomi alla bella, che non ha il bene di vedere ; e
conoscendo di non essere da lei corrisposto, è quasi
addotto da Tentennino a strangolarsi, o lanciarsi nu-
do nelle acque vicine, ove Olpi, il pescatore, adoc-
chiava i tonni. In tali graziosissime occupazioni cre-
do, che i nostri cacciatori non avranno a preten-
dere pur di una sillaba , esser di loro esclusiva
pertinenza.
Il pastore Batto e Coridone il bifolco hanno
molto che dire su di Egone , che da que' campi
erasi partito per andare
<( là 've scorre l'Alfeo (1) »
« s/QV i7x«7r«vj Summovet: non si male nunc, et olim
» Sic erit; quondam cithara tacentem
(«) " Se al .nome vai, non v'andar, Ballo, scalzo. .,
,.,, Il med. ivi.
^ ' " '''-'"^^'' conKderc: craslina siirget
•' Lux melior; vivo spes plurima, nulla sepullo
« Nunc ciet, efru.sos nnne si.slil lupiter imbres.
f^aym- Cunich in vers. bui. idvi.
(3) Od. X lib. II.
G.A.T.CXXV. ^5
« Siuscilat musam, ncque semper arcum
« Tendit Apollo. (1) »
Quesfjo pensiero servì mirabilmente a riempire urj
gl,^p y^Lio nell'abbattuto mio cuore.
JVf^ st^ puye p me riempire altro vacuo iq qucr
s^e pa
In tal nnodo seguitano a regalarsi a vicenda di
belli titoli. Si non^inan furti di diversi pastorali og-
getti: depongono, dietro poetica disfida, Cornata un
becco, ed un lanuto agnello Lacone: cantano alter-
nativamente di tante svariate cose, che lungo fora
il catalogo a solo noverarle. Ma nulla al nostro pro-
posito. Ciò che degno sembra di riflessione è il far-
visi parola di colombi silvestri, di volpi e di scara-
faggi. Cornata dice di avere in odio le volpi, perchè
«... a? T» Mi'xojyjg
« Aht ^oixSìQQn rei no^s'ampx pocyi^o'jzi. (3) »
E Lacone soggiunge sperimentare anche egli l'avver-
sione medesima per gli scarafaggi, i quali
(1) « Ileus fiigite o Sybarilam illuni Lacona, capellae
« Hesterna qui luce meum f'uraUis amictum esl. »
Bern. Zamagua in vers. Imi. idyl.
(2) « Nec Jum a (onte agnae ? non lurem ccrnilis illuni,
" Garrnla cui nuper syrinx moa rapta, Comatan ? »
lei: ibiil.
(3) " Dura Miconi
•!■ Dainna l'erunl uvam populanlos vesperc scro.
kl. ibid.
229
« . . . . T« $2)cóvSa
« 2uxa xarocTjSw'/cvTsg • v7:rìviiJ.io[ cpcpécDiZM. !'l) »
Dei colombi poi ragiona due volte il capraio;
ma la sua caccia non lo diverte punto dalle rusti-
cane occupazioni , poiché avendo loro nido sopra
umile ginepro , ei vi ascendeva a torli per la sua
Alcippe; Alcippe cui dice una fiata scherzando di
non amare,
nijuimoa aia»
<(.... alt fAs no/xv oùy. i(9iXiX(J£ ' ■ '' ^
'( Tqv cotwv xccTsXcTa' ('i) «
Dunque neppur quinci evvi argomento a sgo-
mentarne dal sostenere l'assunto.
Quel che segue è l'idillio « / Bucoliasti » di-
retto ad Arato, ossia il dotto poeta, di cui abbia-
mo (( / fenomeni » o altri di questo nome , amico
di Teocrito, che ne fa menzione anche altrove. Gl'in-
terlocutori Dameta e Dafni
« presso una certa fonte
« Seggendosi di state in sul meriggio
« Cantaro (3) »
ed il loro argomento furono gli amorosi scherzi di
Polifemo e Galatea, mentre
(1) " Philondae
« Qui miseri ficos vaslant, fiigiuntque per auras. « Iti. ibiil.
(2) «... . Nam non dedit oscula captis ^i.;
n Àuribus. » Id. ìbid.
(3) Torelli nella vers. di questo idil.
« su la molle erbetta
« Le vifeHe menavano carole. (1) »
A bla fiine
rt Nessun vimse, che invitCr erano errtrambii. (2) »
fili?. :
le faitisie, O" feste à\ Cerere, di eni nel setdnwo
componimento, non avrebbero neppur meritato' d'es-
sere nominate in questa discussione, se Teocrito con
Eucrito ed Amiuta, che moveano verso Alente, non
si fossero scontrati in un cidoniese
et cafro alle muse,
« A nome det«» Ltcìoia, e capraio. (3) »
Quesdv che
« S GajTraio avea tutto raspollo:
« Però che fulva pelle" m s«i le sp«Me
(( Portava di velloso irsuto becco,
« Che di novello caglio ancora oliva;
i< Un n»a»tel vecchio con pieghevoi cinto
« Stringeasi intorno al petto, e d'oteaslro
« Curva clava tenea nella man dritta: (4) »
Questi, dico, fu da Teocrito invitato a: cantar
seco qualche pastorale canzone: ed il capraio, dolce
(1) Il med. ivi.
(2) Il med. ivi.
(3) Il med. nella vers. di questo idil:
(4) 11 med. ivi.
2^)
ri»
non intromettano discorso di pastorali siringhe foi-
mate da loro stessi e deposte in premio pel vinci-
tore; non è però ch'essi non rammentino pascoli e
lanuto armento, ed api, e lupi, e cani, e secchi, e ca-
nestri da latte. Ma e non vi si ragiona di cervi ezian-
dio ? non si fa parola di loro caccia ? E pur deci-
siva la versione del veronese Torelli:
« Il verno agli aibor, ai ruscei l'ardore,
« Le reti ai cervi, agli augelletti il laccio,
" E di fanciulla all'uom nuoce l'amore. (2) »
E che perciò ? Si potrà forse inferire con nuo-
va logica : dai pastori si parla di caccia ; dunque
era questa la diurna loro occupazione ?
{i) lì med. nella ver. dell'itlill.
(2) Sembra clic da questo luogo traesse il Guarirli nel suo Pa
stor fido att. I se. V :
" Come il gelo alle piante, ai fior l'arsura,
n La grandine alle spijjlie, ni semi 'I verme,
'■'■ \av reti ai cervi, ed a^jli augelli 'I visco,
« Così nemico all'uom fu sempre amore. «
233
Se tale entimema non è sconciamente magagnato,
mi guarderò di ragionare mai più in appresso né
di medicina, né di architettura, né di mineralogia;
mi terrò cauto dal proferir motto alcuno sui furti,
sulle gozzoviglie, sulle congiure, perchè non mi si
apponga essere io un ladro, un crapidone, un sov-
vertitore dell'ordine sociale; né si dica essere da no-
verarsi fra l'ecclesiastiche bisogne l'occuparsi delle
predette onestissime scienze o belle arti. Anch' io pri-
ma di svolgere e Teocrito ed il Torelli sapea be-
ne, che :
« Il verno agli arbor, ai ruscei l'ardore,
« Le reti ai cervi, agli augelletti il laccio,
« E di fanciulla a l'uom nuoce l'amore: »
ma potrei pur giurare per gli dei e semidei lutti
degli elisi , che la caccia non ha giammai formato
le mie delizie , e che fin qui me ne guardai sicco-
me dalle scottature del ranno caldo. Ma v'è di più.
Teocrito qui non paila di cervi. - Come ? - Tant'è.
Le sue precise parole son queste :
« Aivfìpsjc iiìv Xc£/Jt.còy ©^^ìjìsv /.x/.Òj, V(ìaai 9'àu/fjt.5g
(("OpvJCTfv ìì^vanka^jc, dypoTzpotg òs \vjc/.,
« 'Av$p£ §3 -Ktxp^vnYMZ, UTiaì/xg nó^og. »
meglio assai che dal veronese tradotte dal eh. Za--
magna :
«> Triste malum arboribus nimbi sunt, fontibus aestas,
" Alitibus laqueus, retia tecta feris,
« Triste viro crudelis amor. »
234
srccórtie iti termini préssoeh'è ertftìrfli sei'ittó frvea
l'Eirt^ro:
« Teiste marlitrti arfcovibu^ tertìpfstàs', foiWibusf afédcrt',
rt Et voluci'i laqtiéùs^ retia coecfr feris,
« Virginis àt mihi S'amala. »
Quindi il nostro concittadino prof. Domérirc(y Ré-
gólotti :
« Come a' fé piante nuoce 'l crudo Verno,
« E l'arida stagion nemica è a l'acque,
« Agli augelli '1 lacciuol, ed a le fere,
« Che ne le selve albergano, le reti :
(( Così nemico è a Tuom l'amor, che scaldalo
<( Per una beltà tergiTiella tenera. »
ed il siracusano conte Cesare Gaetàiii della Torre :
<^ Terribil' tiK»l, piòta «^accolta in ghiaccio
« È pe' tronchi; per 1' onde est'tVó ardore;
« Per le fere, e gli augelli, e rete, e laccio:
« Per l'uom di vergin tenera l'amore. »
Così il Salvini e pressoché tutti gir altri traduttori.
Ed in vero, chi sostener potrebbe, che fa gre-
ca voce àyporspo; sia o d'origine, o per consuetu-
dine usata dai classici ad indicare i cervi ? Egli è
fuori d* ogni dubbio uno di qué' nomi addiettivi ,
così detti perchè , incapaci d' indicare sustati'z^ ,
abbisognano di subbietto cui possano convenire.
li silvestre precisa mente corYispòrtdente' a(ll' ày()o-
zipsg potrà duncjue riferirsi a t Nel
seguente, ove non interloquiscono pastori, non oc-
corre fermarci.
L'argomento e la materia deiridillio XI è // eì-
clopo. Egli è certo che Polifemo, il ciclopo, esercitavasi^
nella pastorizia , e che poteasi con piena Veracità
agli erranti troiani asserire dall'infelice Acheraenide:
« . . . . cavo Polyphemus in antro
« Lanigeras claudit pecudes, atque ubera pressai. (1) »
anzi in questo idillio medesimo di se dice :
«... Borei x^Xtu ^ó(rA'ji,
Kvj'x tsJtcov xh xpVrt^cv àii.i\y6u.vjov ydXx ni\/a,
(1) Virg. Aen. Ub. IH v. 641 642.
236
Tvpòg ò'o'ij Xsimi n'oùzkv Se'psj, cut' tv òn'^py},
Où yiiiJ.S)Voq àv.pu, rapaoì ^' ùns.px)(^hg xìsi (1)»
Ma chi osereb})e ascrivere genericamente ai pastori
ciò che poteasi contare di Polifemo ? Si potrebbe
forse applicare ad altri il
« Trunca manum pinus regit, et vestigia firmat ? »
« Postquain altos tetigit fluctus
« graditiirque per aequor
» lana mediuna; nec dum fluctus latera ardua tinxit? (2)i
Pertanto se nell' idillio troviamo e gli erbosi pa-
schi rammentali, e gli amorosi canti, e le fiscelle, ed
il cacio, ed altre simili cose, nulla di singolare, nulla
di diverso fra Polifemo e gli altri custodi di lanuto
armento : ma se dice alla sua Galatea:
Uocaug [xxjvo'^éo'jìg. ymÌ cx'jix-joì; -ÉGGapu; «jJXTojy. (3) „
potrei primieramente rispondere, e con piena verità,
che qui neppure un vocabolo porge indizio di cac-
(1) « Pabco una greggia
Di mille pecorelle, e da le mumme
Mungendolo ne bevo ottimo latte :
ISè già cacio mi manca o ne Testate,
O ne l'aiitunno, o nel più Rito verno ;
Che le fiscelle son sempre stracarclie.
Torelli Teocr. trad.
(2) Virg. Ub. Ili Jcn. vv. 662. 664. 66ij.
(3) « A te nutrisco
Quattro orsacchini ed undici cervette,
11 collo adorne d'un gentil monile.
Torcili Tcocr. trad.
237
ciagione (1) ; in secondo luogo torno a memoria la
mole, la forza, e le altre qualità (lall'etneo colosso a
riflettere che il provvedersi di siffatti animali a lui
costar non dovea ne distrazione, né fatica; non così
agli altri pastori sia del Lazio, sia della magna Gre-
cia. Ma ciò ad esuberanza.
Dopo avere accennato che nell'idillio XXVII,
pien di lascivia, (2) non si fa motto che di capre,
di tori, e di pecorelle, e le indicate reti e quadrella
sono le malnate di Venere, arresterò il corso alle in-
(1) Per cui è un poco libera la versione del Zamagna:
« . . . . libi, nyinpba o candida, cervas
u Bis quinas iinamque super per gramina pasco,
« Foecundas oiiiiies, auctas iam foelibus omnes,
» Qualuoret c.hilos venanti in rupe reperto»
11 Ursorum calulos ego servo.»
e mollo più a capriccio quella di Elio Eobano:
11 ... . nunc tilii nutrio cervas
11 Ter Ires alque duas, foecundas foelibus omnes,
» Qualuor ursorum calulos nihilo minus ipsa tenebis,
)) Quamtibi qui luslris ea sum venalus in allis. »
A colui che sopraffallo da melanconica accidia giudicasse spe-
dienle procacciarsi inaleria di sollievo, potrebbe conferir molto la
versione del modenese Pellegrino Roni , pel quale e l'svSsxa e il
TsVffapaf non sono punto differenti in significato dal gemini: udite.
» Praeterea mihi scpositis in sedibus antri
» Pinguescunt geminae praestanti corpore damae,
» Ventre graves, geminique recens e matribus ursi
» Knixi praerupta inter loca, quos libi servo, u
Il Roni però non parla di caccia; siccome di caccia non parla il
co: Gaetani, dicendo:
» Io per te pascolo
» Undici cavriole tutte gravide,
» E quattro orsaccbi: a me ne vieni, avraiti
« Non men di ciò . »
(2) Questo viene da taluni attribuito a Mosco, da qualche altro
Rione ; ma i più lo giudicano del nostro Teocrito.
^38
da^ifìi sul dotto (VQlunie àel mellifluo 6iiaousano.
]Sè persona polirebbe farmele peccalo , quasi non
i5i|Db.ia pienanaente satisfaWo all' impegno. Projnisi di
SY^\Qer Et contenDpta Venus vincitur arte tua. »
Se erasi studiato renderlo desioso di appressare il lab-
bro giovanile alla rustica siringa, perchè inventata
dal caprigeno Dio, non poteva egli aggiungere, sic-
come Tape attica nel suo Kuv/j/stìks; » Ti [xìv zi)pT,p.a.
5awy ATTÓXXwvsg ym Api:ép.i^oz u'/pocc (1) « anzi che »
y,cci Oioì TjuToj rf) spycj ■/a.ipo\)Qi xocì nparrovrsg y.où
òoavTsgl (2)') Non poteva farla preponderare nel pa-
ragone di tante molli e vili occupazioni cittadine-
sche, siccome
» . . . . pictis luderc chartis ,
» Concertare scyphis, mimoque obscaena iocanti
» Plaudere
» .... et peccare docentes
» Historias, vel quas moriendo cygnea cantant
» Ora tragoedorum querulos audire dolores ? (3) »
Non poteva ben concludere egualmente, che il sopra
citato Senofonte » cò^iX-^covrac ^s ci ÌKiOviiT,30(.vxiq
zouTov Tcv srjyov noXXcc ùyt^cuv ti yàp Totg (ja^iccrc nocpoc-
oy.zvàaoiGt, yj/.ì oouv, y.aì ÙY.c'kiv 'j-xllov yrjpxGxitv ài vjr-
TCy; (4) »
(1) » La caccia f; una invenzione degl' iildii Apollo e Diana.»
(2) » I numi stessi sperimentano diletto nell'asercitarsi in tale
occupazione, e nell'esseme solo spettatori. «
(.1) Vanier Praed. rust. Ub. x^Z v. 516. seqq.
(4) Coloro \>o\, che sono dediti ad una tale occupazione e fati-
ca, grande si è il vantagjjio, che ne ritrarranno. Imperciocché si go-
dranno eglino di sanità più robusta pe'loro corpi, più perspicace
sarà lor vista, più sensibile l'udito^ e molto tardi giungeranno a
vecchiezza. »
252
Si a(}giiinQa eziandio ad uberlà majjgiore di ar-
gomenti: Coridone il pastore attendeva alla caccia
(supposta vera la spiejjazione dei più) per assoluto
suo officio, o per diletto? Il primo non si asserirà
giammai senza dare l'idea di sinonimi a quadrella e
maglio; caccia e pastura; cervi, capri, cinghiali, e pe-
core, capre e vacche. Che se il diletto spronato aves-
se Coridone a trafiggere i cervi, e tale occupazione
fosse riuscita spiacevole ad Alessi, oh sì che l'aman-
te glie ne avrebbe fatto un pronto sacrificio ! A che
non spinge l'amore ! Si dia uno sguardo al clavige-
ro domatore di mostri in casa di Jole, si osservi l'ar-
nese che ha egli fra mani, le vesti onde appare ador-
no, e poi si risponda, se iperbolico è il comune ada-
gio: Omnia vinciù amor.
Ma deh ! Si abbia eziandio riguardo alla fama
del gran poeta. Le bucoliche non sono già quell'ope-
ra, che siaci pervenuta imperfetta a motivo della pre-
matura morte del mantovano. Essa è per ogni riguar-
do produzione altamente commendata dagl'intelligen-
ti nella sovrana letteratura del Lazio. Ma ammessa una
fiata la prelesa interpretazione, qual figura faià Virgi-
lio nell'addotto brano ? Prima si parlerà di campi e
capanne, quindi della caccia, ed in ultimo si toine-
rà alla pastuia ? Prima si parlerà di cosa per Alessi
sordida, poi vile, quindi dilettevole, e nuovamente dis-
gustosa ?
» . . . . credat iudaeus Apella,
» Non ego (j) »
(1) lloiat. Salyr. lib. I v. 100 lol-
253
Ecco in qiial guisa provvedono al nome tanto illu-
stre di un esattissimo poeta !
APPENDICE
Quando io pubblicava a forma di lettera, or com-
pie un lustro, le mie riflessioni su la slessa materia,
fui regalato di un gentilissimo foglio, che a me rliri-
geva da Lucca il eh. sig. cav. Trenta. Io lo rimisi con
altra mia al direttore del Viminale^ il quale pubbli-
cava nel suo num. 21 l'annunzio bibliografico di que-
sta mia povera (alica. A migliore intelligenza della
frase poetica ho slimato aggiungerle al presente di-
scorso accademico.
Veneralissinio sig. direttore.
Poiché V. S. si compiace inseriie nel Viminale
l'annunzio bibliografico, che a commendazione di wn
mio tenue letterario lavoro volle stendere il cortese
ed erudito sig. Emanuele Marini , accolga eziandio
un altro scritto, che riguarda l'argomento medesimo.
Esso è una lettera, che il chiarissimo cav. Lorenzo
Riccardo Trenta, nome caro ai profondi cultori del-
la filologia, mi dirigeva graziosamente da Lucca il 10
luglio 1847 per mezzo del .suo illustre cugino, e mio
mecenate mo nsig. Cesare Lippi : lettera che per al-
cuni motivi non poteva io riceverese non dopo l'in-
fausto giorno, in cui fu egli in un isiante rapito alla
terra, che ammirava i suoi lavori, amava le sue vir-
tù. Nel trasmettere a V. S. questo foglio non è solo
ch'io intenda far conoscere alla società qual (giudizio
254
formasse un valente letteralo delle mie povere fatiche,
ma è mia intenzione mostrare con incontrastabili do-
cumenti non essere estranea agli uomini grandi del
secolo XIX la pregevolissima dote della umiltà in se
stessi, della giustizia in altrui. Egli è ben vero, che
la • e rivoltasi in lui l'attenzione di lutti per
260
sentenza tanto contraria, seguitò : » Mi sembra che
ragionevolmente Asdrubale voglia ripetere da Anni-
bale quel fiore di età , ch'egli medesimo già porse
a godere al padre di lui. Ma pure a noi non si con-
viene concedere, che i nostri giovani, invece di ap-
prendere le arti militari , diventino sfrenati dietro le
libidini di più sfrenalo capitano, 0 temiamo che il
figliuolo di Amilcare non troppo tardi abbia a ve-
dere quella tanta potenza, e quasi regio comando
del padre suo? Forse temiamo di servire poco pre-
stamente al llglio (ii chi. fattosi nostro re, lasciò al
suo genero quasi in eredità gli eserciti nostri? Io penso
che questo giovine si debba ritenere io patria, e
che sotto le leggi e là potestà come gli altri impari
a vivere con giustizia, acciocché una volta vasto in-
cendio non secondi questa piccola favilla. >> Pochi e
quasi ciascun ottimo consentiva al parere di An-
none: ma come le più volle suole avvenire, la parte
maggiore all'ottima prevalse.
Annibale, mandato in Ispagna: a prima giunta
a se rivolse l'intero esercito. Parve ai vecchi soldati
che Amilcare redivivo fosse tornato loro innanzi: gli
miravano quella medesima vigoria nel volto, quella
slessa vivacità negli occhi, quella stessa movenza
nella persona, i lineamenti medesimi. In poco tem-
po fece che la memoria del padre non gli fosse più
necessaria a conciliarsi gli animi; perchè non vi fu
uomo più atto di lui a cose tanto diverse, quali sono
l'ubbidienza e il comando; sicché non potresti ben
discernere, se più al generale, o più all'esercito fos-
se caro. Per la qual cosa Asdrubale non commette-
va ad altri alcuna fazione , che richiedeva fortezza
261
e valore^ né la milizia q
264
CAPITOLO SECONDO
Già ogni cosa di là del fiume Ibero era venuta
in mano dei Cartaginesi, eccello i saguntini; contro
i quali la guerra non erasi ancor dichiarata, ma del
resto se ne andavano seminando le cagioni nei com-
battimenti coi popoli vicini, e particolarmente coi
turdelani. A cui avvicinatosi chi era seminatore di
tante brighe, e trapelato che cercava guerra non per
dritto, ma per forza; i saguntini mandarono amba-
sciatori a Roma, per chiedere soccorso nella guer-
ra che senza dubbio loro sopraggiungeva. In quel
tempo erano consoli a Roma P. Cornelio Scipione
e Tito Sempronio Longo, che introdotti gli amba-
sciatori in senato, proposero gli affari della repub-
blica; e fu deliberalo che si mandassero nunzi nel-
la Spagna a vedervi come stessero le cose degli al-
leati, e se loro sembrasse, intimare ad Annibale di
rimuovere l'esercito dai saguntini , soci del popolo
romano, e passassero quindi a Cartagine in Affrica
a portarvi i lamenti degli alleati del popolo roma-
no. Stabilirà questa ambasceria e non anco inviata,
già l'esercito nemico con incredibile fervore si mo-
veva ad espugnar Sagunto, quando la cosa fu nuo-
vamente proposta in senato. Ove alcuni si avvisaro-
no che si destinassero i consoli per le province di
Spagna e di Affrica, e si facesse guerra per terra e
per mare: altri intendevano che si facesse guerra
solo in Ispagna contro di Annibale: eravi pure chi
pensava che si dovessero aspettare gli ambasciatori,
e non rischiar cosa di tanta mole. Vinse questo par-
to che più degli altri pareva sicuro: P. Valerio Flac-
265
co e 0. liebio Tamfilo furono prestamente spedilf
ad Annibale a Sagunto, e se costui non desistesse
dalla guerra, tirassero a Cartagine, facendo richie-
sta della stessa persona del generale, secondo i trat-
tati della pace ch'egli aveva osato violare. Mentre sif-
fatte cose i romani ordinavano già Sagunto con
ogni forza era combattuta. Questa ciltPi ricchissima
stava al di là del Piume Ibero: posta a mille passi
dal mare, si dice che lipete la sua origine dagl'iso-
lani di Zacinto, con altri d' Ardea di sangue rulu-
lo: i quali in poco tempo vennero a molto smisura-
te ricchezze, o per guadagni di mare, o per frutti
di terra, o per cresciuta popolazione, o per interez-
za di disciplina, a cagione di cui venerarono tanto
la fede sociale, che si partorirono la propria mina.
Annibale entrato col nemico esercito nelle terre di
costoro, e guastati e corsi i loro campi, ne assali
la città da tre lati. Eravi un angolo di mino che
guardava «ina parte della valle piana ed aperta più
che altrove. Annibale giudicò bone di portare le vi-
gne (i) di ricontro a quest'angolo, sotto le quali egli
avrebbe potuto facilmente avvicinar l'ariete al muro.
Ma siccome quel luogo lontano dal muro abbastan-
za favorevole prestavasi ad allocarvi le macchine ,
cosi non riusciva egualmente comodo quando veni-
vasi all'effetto, perchè una torre smisurata vi sopra-
stava; e il muro, come in luogo sospetto, era stato
munito più delle altre sommità; e perchè scella gio-
ventù ivi resisteva con maggior forza dove mostra-
vasi più mollo il pericolo e la fatica. Sul principio
■(f) Macchine niililaris
•266
allontanavano i'ininaico con istrunaenli da lanciare,
non parendo loro alcuna opera di difesa sicura ab-
bastanza; nna poi non solo dalle mura e dalle torri
saettavano coi dardi, ma aveano l'animo di uscire
all'assalto contro le tende e le macchine dei nemici:
nelle quali zuffe tumultuarie senza dubbio non ca-
devano più sagunlini che cartaginesi. Ma come An-
nibale poco accorto fattosi sotto alla muraglia fu gra-
vemente ferito di saetta alla coscia e cadde, fu
tanta la fuga e il triemito intorno a lui, che poco
mancò che le macchine e le vigne non fossero ab-
bandonate. Per questo in quei pochi giorni che cu-
ravasi la ferita del generale, la cosa fu piuttosto un
assedio, che un vero assalto: e se vi fu tregua di
combattementi, non però si cessava dall'una parte a
fare apparecchi di nuove macchine, e fortificazioni
dall' altra. Per la qual cosa di poi la guerra si ri-
prese più ferocemente, e da molte parti si cominciò
a spingere innanzi le vigne, e ad avvicinar tanti arie-
ti, che in alcuni luoghi appena eravì spazio da con-
tenerli. L'esercito cartaginese abbondava per la mol-
titudine, perchè si crede che avesse avuto cento cin-
quanta mila uomini di arme. Con molli e vari ar-
tifizi si cominciò a distrarre i cittadini, obbligali
perciò a corere in varie parti per custodire e di-
fendere la città, e non bastavano. Già gli arieti per-
eot«vano i muri , già da molte parti si vedevano
squassati, e da una specialmente che per lunga e
continuata ruina avea denudato un intero fianco del-
la città. Poco dopo tre torri, con quanto muro tra
loro passava, caddero giù con grande fragore. Dalla
quale ruina i cartaginesi presero speranza di tenere
267
già fra le maai la città ; e quasi che la muraglia
fosse stata di riparo all' una parte e all' altra , cOs\
alla sua caduta da quella e da questa corsero alla
pugna. Nella quale niente era simile a quelle pur
gne tumultuarie, che sogliono attaccarsi nella espu-
gnazione delle città, dandone una delle due parti
l'occasione; ma le schiere ordinate come in aperto
campo si stavano incontro tra le ruine del muro e
le case della città poco distanti. Dall'una parte la
speranza incitava gli animi, dall'altra la disperazio-
ne; i cartaginesi credendo con poco altro di sforza
presa la città; i saguntini opponendo i loro corpi
dinanzi alla patria ornai spogliata di muro, e pau-
rosi tutti di non lasciare aperta l'entrata al nemico,
non uno ritiravasi d'un passo: tanto che dove com-
baltevasi più ferocemente e stretto, ivi più erano i
feriti, non cadendo mai invano alcun dardo fra i
serrati corpi e le armi. I saguntini usavano la fa-
larica, sorta d'arme che si lancia, di forma come
un'asta lunga, in tutto rotonda; se n'eccettui l'estre-
mità; donde usciva un ferro, che siccome nel nostro
pilo era quadrato e legato all'asta con stoppa intrisa
di pece: il ferro avea tre piedi di lunghezza da tra-
passare un corpo da banda a banda con tutte le ar-
mi; ma quando anche noi penetrava, solo appiccan-
dosi allo scudo facea paura: perocché lanciato ac-
ceso nel mezzo, adducendo le fiamme pel molo istes-
so molto cresciute, costringeva i soldati a gettar via
le armi, e così nudi li esponeva ai colpi del nemi-
co. Stette lungo pezzo dubbioso il comballimento,
poiché t sagunlieri crebbero di animo per essersi
trovati forti oltre la speranza, e perché i cartagi-
268
nesi non vincendo si tenevano quasi vinti. Ma i ter-
razzani d'improvviso levano un ^rido generale, e
stringono gli assalitori su le mine del muro, donde
impacciati e mal fermi li ributtano fuori: e ultima-
mente sbaragliatili , lì cacciano in fuga sino alle
tende.
CAPITOLO TERZO
Infanto fu annunziato essere venuti da Roma gli
ambasciatori , incontro ai quali su la slessa mari-
na Annibale deputò pei'sone che dicessero, né loro
sicuramente potersi accostare fra tante armi di gente
così fiera, né in quel trambu.sto ad Annibale rima-
ner agio per ascoltarli. Vedeasi chiaro che non am-
messi incontanente sarebbero iti a Cartagine, però
con ogni prestezza spedi lettere e messaggi ai capi
della fazione barcina , acciocché disponessero gli
animi di loro parte contro ogni favore che l'oppo-
sto partito potesse procacciare ai romani. Per la
qual cosa sebbene gli ambasciatori fossero ammessi
e ascollati, pure l'ambascerìa riuscì loro inutile. Il
solo Annone, non ostante l'opposizione di tulio il
senato, osò trattar la causa della rotta alleanza, con
assenso degli uditori e silenzio di tulli per la sua
autorità ch'era grande:» Per i numi arbitri e testimo-
ni della pace, che io vi ammonii e predissi di non
mandare all'esercito questa progenie di Amilcare ,
di cui né gli spirili né la stirpe staranno mai tran-
quilli ; né la romana alleanza sarà quieta, finché
sulla terra avanzerà in alcuno il sangue e il no-
me dei barcini. E voi, quasi ponendo legna al fuo-
co, mandaste all'esercito un giovane infiammato da
269
libidine di regno, e che a ciò non vede che una
strada, di seminar guerre con guerre, e di vivere
cinto di armi e tra le legioni: ecco l'incendio da
voi alimentato che or vi abbrucia. Gli eserciti vo-
stri stanno intorno a Sagunio, da cui dovneno te-
nersi lungi pel trattato: tosto le romane legioni cir-
conderanno Cartagine, guidate da quegli stessi nu-
mi, che nella prima guerra (1) vendicarono la rotta
alleanza. Non vi è noto forse il nemico? non vi
conoscete ? ignorate qual sia la fortuna dei due po-
poli ? L'ottimo vostro generale, contro ogni dritto
delle genti, non ricevè nell'accampamento gli am-
basciadori che gli alleati mandano, e vengono per
gli alleali. Pure ccsloro rigettali di là donde nep-
pure i messi dei nemici si allontanano, vengono a
voi per chiedere cose secondo il trattalo; lungi ogni
pubblica frode; chiedono l'autore della colpa e chi
commise il delitlo. Procedono con mitezza e tardi
cominciano ad operare: ma temo che se comince-
ranno, non abbiano a insevire con maggior perse-
veranza. Abbiate innanzi agli occhi le isole di Ega-
ti (2) e la fortezza di Erice (3) ; che non soffriste
per ventiquattro anni in terra e sul mare ? Né co-
me ora un fanciullo comandava, ma lo stesso suo
padre Amilcare, un altro Marte, come dicono co-
storo (4). Né allora alcun trattalo ci vietava l'acce-
dere ostilmente a Taranto, o per meglio dire all'Ita-
lia, siccome ora a Sagunto. Quella volta vinsero i
il) Punica.
(2) Isole poste tra la Sicilia e l'Affrica.
(3) Og(»i S. Giuliano.
(^) I bai'cini.
270
numi e gli uomini; e sul dubbio, quale dei due po-
poli avesse rotto la pace, l'esito della guerra, quasi
(giudice imparziale, ne fé' certi, perchè die la vit-
toria a quello da cui stava il diritto. Oimè, Anni-
bale >avvicina le vigne e le torri alle mura di Car-
tagine, già le percote e rompe con l'ariete: le mi-
ne di Sagunto (sia bugiarda la mia profezia) cadran-
no sui nostri capi; che la guerra intrapresa coi sa-
guntini si dovrà finire coi romani! Darem dunque
Annibale ? dirà taluno. So bene che la mia auto-
rità per le inimicizie paterne è piccola contro di lui.
E come mi rallegrai della morte di Amilcare, per-
chè se fosse vivo già staremmo in guerra coi ro-
mani; così ora odio e detesto questo giovine furia
e face di questa guerra. E non solo penso che si
dia ad espiazione della rotta alleanza, ma quando
nessuno il chiedesse, che si gitli sopra ignote spiag-
ge marine agli ultimi confini del mondo , donde
nome di lui o fama più non ci giunga , né turbi
il quieto vivere della città. E questo il mio voto;
ohe si mandino subito ambasciatori a Roma , che
dieno soddisfazione al senato ; altri che vadano a
dire ad Annibale che ritiri l'esercito da Sagunto, e
in forza del trattato lo conseguino ai romani. De-
creto pure una terza ambasceria ai sagunlini per
reétituire ad essi le cose loro. >»
Annone avendo finito di parlare, non vi fu bi-
sogno che altri gli contraddicesse: tanto era per An-
nibale tutto il senato , che lo motteggiava di aver
parlato più risentito lui che Fiacco Valerio amba-
tciatore romano. Fu risposto ai legati: die la guer-
ra era nata per cagione dei saguntini, non per An-
271
nibale; e il popolo romano sarebbe ingiusto se pre-
ponesse i saguntini all'antìchissimn alleanza dei car-
taginesi.
M. A. D. L. V.
Artieolo necrologico intorno al conte Giuseppe Ma-
miani^ socio ordinario dell' accademia agraria di
Pesaro^ del socio march. Francesco Baldassini.
Signori ! (1)
-Lia morte percuote con replicati colpi i membri
della nostra accademia. Non ancora fatta tregua al
duolo per la perdita di un dotto nostro collega e
cittadino illustre, ecco che si schiude di nuovo la
tomba per accogliere le spoglie mortali di altro fra*
nostri colleghi rapito pressoché inopinatamente alla
patria ed all'accademia, di cui era valente ed ope-
roso collaboratore. Se il cominciare dello scorso anno
fu infausto, poiché vide spegnersi una delle nostre
glorie patrie il marchese Anlaldo Antaldi , non ne
fu meno infausta la fine, mentre chiuse la sua mor-
tale carriera altro collega distinto il conte Giuseppe
Mamiani della Rovere, ed in una età assai vigorosa:
in quell'età che, ricca già per le dovizie della men-
te , più secura procede nella grand' opara di farsi
(1) Questo articolo fu latto in sulle prime del 1848 poco dopo
seguita le morte dell'illustre socio, cioè nel dicembre 1847, onde
essere letto alla prima adunanza delTaccademia, la qiiale poi non
ebbe luogo.
272
giovevole agli uomini (1)» Pubblica e vera calamità
dovrà dunque chiamarsi quella, che priva la patria
di coloro che formar ne dovevano l'onore ed il so-
stegno. Triste e penosa considerazione ella è que-
sta, non v'ha dubbio, o signori, ma assai più dura
ed opprimente sarebbe, se a rattemprarne il giusto
lamento mancar ne dovesse ben anche la dolce spe-
ranza di vederne restaurate le perdite. Lungi però
da noi 1' idea di tanta sciagura. La vista delle im-
magini famose de' nostri maggiori come non potran-
no a meno d'infiammarci ad emularli, così ne fanno
certi, che le patrie speranze volgeranno ognora ad
un più fortunato avvenii'e.
Il conte Giuseppe Mamiani della Rovere cessò
di vivere nel giorno 21 dello scorso dicembre nella
ancor fresca età di anni cinquanlaquattro. E quegli
stesso che con applaudita orazione rese all' Antatdi
il pietoso ollìcio di celebrarne le virtù, quegli sles-
so ha ora riscosso un simigliante tributo da altro va-
lente nostro collega , la cui orazione fé conoscere
partitamente chi si fosse stato l'uomo, che era l'og-
getto delle più meritate sue lodi.
Nacque il nostro socio nella illustre terra di
s. Angelo poco lungi da Pesaro, feudo che i valo-
rosi e fedeli suoi antenati avevano saputo meritare
dalla munificenza dei signori della Rovere antichi
duchi di Urbino. Dotato di non comune ingegno,
ed avido di sapere, si pose a coltivare le matema-
tiche pure ed applicate, Delle quali si distinse co-
(1) Il iharcbe»e Antaldo Antaltli morì ai 16 gennaio 1847, ed il
conle Giuseppe Mamiani morì ai 21 di dicembre dell'anno Messo.
273
lanlo , (la poter meritare gli elonji di quel sommo
di cui si onora Pllalia, vale a dire del Brunacci i-
speltore della pubblica istruzione del cessato regno
d'Italia, che in allora visitava le scuole del regno.
Quindi in lui si accrebbe I' ardore nel coltivarle ,
rettamente avvisando quanto di giovamento ritrar
ne dovesse la mente per la chiarezza e per l'ordine
nella esposizione delle proprie idee. Forse anco si
rese certo che dalle matematiclie discipline il coi'po
sociale trarre doveva il fondamento della sua pro-
sperità nella pace, ed un valido soccorso nella di-
fesa contro i suoi nemici. Coltivò con pari ardore
le scienze naturali, fra le quali la fìsica, e rivolse
in ispecial modo le osservazioni alla meteorologia,
essendosi procurato a tale oggetto più necessari istru-
menti, le opere più accreditate, ed i giornali, onde
mantenersi al corrente degli avanzamenti delle scien-
ze da lui coltivale. Amò di applicarsi alla minera-
logia, pei- cui fece tesoro di oggetti per lui stesso
raccolti nel vari culli della nostra provincia. Flutti
delle sue applicazioni furono diversi opuscoli che
su queste scienze sparsi si trovano in diverse opere
scientifiche, e che quindi raccolti da lui stesso fu-
rono non ha molto pubblicati in un volume. Primi
fra questi lavori sono gli elogi dei tre celebii matema-
tici di questa provincia, cioè di Guido Ubaldodel Mon-
te pesarese, di Fedeiico Comandino di Urbino e di
Giulio Fagiiani di Senigallia. Nel primo si rese spe-
cialmente benemerito della scienza, mentre ebbe agio
di potere far conoscere due opuscoli inediti , e a
quel che pare autografi del Guido Ubaldo del Monte.
li' uno contenente un Commentario al quinto libro
G..\.T.C\XV. 18
274
di Euclide: l'altro Sulla proporzione composta^ e che
stavauo igaoratt fra i libri degli eredi Giordani, ora
esistenti nella pubblica biblioteca oliveriana. E tanto
maggiore si è il pregio di chi ne fece nota l' esi-
stenza , in quanto che ne il diligente storico delle
matematiche Montucla, né il Tiraboschi, né il San-
tini, né il Bossutnel suo saggio sulla storia generale
delle matematiche, non ne fanno alcuna menzione.
Scrisse quindi la biografia di tre illustri con-
cittadin i, cioè dell' Olivieri, di Giambattista Passeri
e del Merloni stato già suo maestro, dettati da quella
patria carità che lo animava. E a vero dire giusta-
mente scelse que' tre sommi nostri concittadini ad
onorarne la memoria, onde nell' animo de' posteri
non venisse meno giammai quanto di bene operas-
sero a prò della patria, di cui furono zelanti e ge-
nerosi benefattori. Che se il dono di una ricca bi-
blioteca e di musei furono fra i beneficii dei due
primi, non fu di un pregio minore il beneficio del-
l'ultimo, il quale per l'angustia di sue fortune non
potè che don are tutto se stesso, adoperando gli estesi
suoi lumi alla istruzione de' suoi cittadini. Possa
l'esempio del nostro socio rinvenire imitatori fra co-
loro almeno, i quali caldi ancora si serbano al ve-
ro onore, ed ^alla reale utililà della patria, non che
alla riconoscenza per le virtù cittadine che furono
tanto in amore de'trapassati ! E questa carità di pa-
tria fu quella che lo accese e lo spinse ad adden-
trarsi nelle scienze economiche, onde applicare pos-
sibilmente fra noi ciò che poteva rendere più agiata
la classe più laboriosa del popolo, introdurre nuove
sorgenti di ricchezze, e minorare i danni che ar-
^21È
reca l'avidilà di coloro, ai quali troppo sovente fa
ricorso l'indigenza , o la triste sorte di quelli che
astretti si veggono alle più dure necessità. Ed infatti
le scienze econonr}iche non fanno che insegnare à
trai" profitto dalle materie prime che ci fornisce la
terra col mezzo dell'agricoltura. E a che si ridur-
rebbe la ricchezza pubblica se non ne trasformas-
sero i prodotto, ed il commercio non ne trasportas-
se il sovrabbondante, e in tal modo ne accrescesse
il valore e desse nuova vita a produrre ulterior-
mente ? Sono esse di alimento all'agricoltura, poi-
ché senza il soccorso di quelle rimarrebbero senza
essere compensate le cure del possessore terriero e
i sudori sparsi dall'opeioso coltivatore. Queste scien-
ze insieme collegate prestandosi un mutuo soccor-
so, sono la sorgente della ricchezza della nazione.
Con tali vedute procedeva il nostro socio nelle
sue ricerche (ilanti-opiche a prò della patria, onde
eccitare a migliorarne la condizione. Poiché se nel-
r agricoltura vedeva il fondamento assoluto della
ricchezza, e nelle scienze naturali vedeva il mezzo
più sicuro di farla progredire, nelle scienze econo-
miche scorgeva la via immancabile d'incorraggiarne
la produzione, e di volgerla sempre ad uno scopo
profittevole.
Scrisse quindi sulla filandra a vapore eretta in
Fossombrone, poco discosto da noi, dalla casa du-
cale di Leucthemberg, encomiandone lo stabilimento
ed il meccanismo. E qui mi giova notare come il
nostro autore in quell* opuscolo tragga argomento
di encomiare la filantropia di quella casa ducale
per non avere esleso a tutta la filanda l'azione del
276
vapore, onde, com'esso osserva, non privare dei mezzi
di sussistenza tanli infelici che ne la ritraevano con
l'opera delle loro mani. Sembra che con ciò volesse
accennare a quella impoitante questione economi-
ca, che da lungo tempo si agita, e non per anche
decisa, cioè sulla utile influenza delle macchine al
bene della società in riguardo all'economico, al mo-
rale, ed al politico. La questione non è così facile
a risolversi come a prima giunta potrebbe supporsi.
Portando le più scrupolose indagini sui tre accen-
nati articoli , e dall'esame imparziale dei fatti, di
quelli specialmente pe' quali si è vista la società agi-
lata da scosse tremende che ne minacciano la dis-
soluzione, si scorge quanìo sia urgente che le mas-
sime economiche siano in accordo peifetto coi prin-
cipi! morali, che formar ne debbono la solida base,
onde dall' esame attento di essi antivederne possi-
bilmente i disastrosi effetti che ne possono derivare.
Perciò l'economia politica potrà formare un criterio
sicuro per rendere nianifesta la verità ; come pure
se siasi raggiunto lo scopo che si erano prefissi ta-
luni fra gli economisti , cioè il ben essere di tutti
senza ledere i diritti di alcuno. Scrisse pure sulle
casse di risparmio, alla cui istituzione cotanto si ado-
però nel nostro paese eon esito felice, cuiando ad
un tempo col mezzo di alcuni suoi scritti dissipare
que' dubbi contio la loro benefica influenza, che la
ignoranza e la maligna loquacità non si ristava dal
difìbndere in ogni classe, ma specialmente in quelle
alle quali più particolarmente volgevasi il benefi-
cio. Scrisse ancora sul foro annonario non ha molto
eretto nella città di Senigallia , corredando il suo
277
scritto con una tavola in rame presentante quel
celebrato edificio. Con la \eclula a sé presente eli
migliorare la condizione economica dei popoli della
nostra provincia vide come fosse a dovizia fornita
di uve eccellenti, e quanto scarsa ne fosse la ric-
chezza de' privati pioprielari ben poco rispondente
alla ubertosità della sua produzione. Ne rinvenne la
cagione nella erronea manifattura dei vini : quindi
ne indica i mezzi di migliorarla, onde col renderli
navigabili (cosa sin qui tentata invano) aprile una
nuova soi'genle al nostro non molto ricco cornuier-
cio. Scrisse inoltre sulla necessità di formare un co-
dice di leggi agrarie, e di creare un tribunale che
in via economica vegliasse alla loro esecuzione, di-
mostrando l'insufficenza e la imperfezione di quelle
ora vigenti, avuto anclie riguardo alla maggiore spe-
ditezza nei giudizi. Ed a questa speditezza nei giu-
dizi, ed anzi alla maggiore prosperità dell'agricol-
tura, il nostro socio intendeva di provvedere allor-
ché propose la compilazione di un codice agrario
adatto ai bisogni presenti di essa , e la istituzione
di un apposito tribunale formato da alcuni membri
della nostra accademia che vegliasse alla più pronta
sua esecuzione E col dare l'estratto del codice di
Sammarino panni che siasi prefisso lo scopo di ec-
citare a seguirne l'esempio.
Ma non bastavano a lui le scienze economiche
ed agrarie : che anche nelle scienze naturali volle
far tesoro di cognizioni, in quelle scienze che sa-
ranno sempre conosciute per le ausiliarie, od anzi
una solida base dell'agricoltura, mentre formano la
teoria di essa, ovvero la guida più sicura per voi-
2T8
gere le operazioni campestri ad un crescente profìtlo.
Si vogliono perfeziopamenti , e se ne chiedono i
mezzi all'empirismo; si sprezza la teorica come va-
naj e che altro è la teorica se non la ragione delle-
cose ? Perciò disprezzando la teorica si disprezza la
ragione slessa, e si preferisce l'opera del caso. Pure
non sono opera del caso, ma bensì delle scienze na-
turali quei tanti prodigi operati dalle arti a prò della
società, e tanti beni che l'uomo fruisce senza cono-
scere la derivazione. Animato come era per la ri-
cerca del vero volle in quelle scienze vieppiù ad-
destrarsi onde farne ammirare le bellezze attraenti,
e rendere manifeste le utili applicazioni che ne pos-
sono risultare. Primo frutto de' suoi studi fu l'avere
rinvenuto il solfato di sùrontiana in ima collina poco
lungi da Senigallia, che descrisse in una breve me-
moria inserita nel giornale che in allora pubblica-
vasi in Pavia dal professore Luigi Brugnatelli, Alle
dotte e diligenti ricerche di quel grande onore del-
l'Italia, del celebre Brocchi, non era riuscito di po-
ter rinvenire fra le conchiglie fossili, che ricercava,
esemplare alcuno deWArca Glìcimeris di Linneo [Pe-
clvnculus Glicijineris di Lamark). Quindi nella clas-
sica sua opera, che ha per titolo la Conchìgliologia fos-
sile suhappennina^ eccita i naturai isii a farne ricer-
ca. Il nostro collega ebbe agio di compiere il voto
di quel grande uomo, e così riempire una lacuna
che vi esisteva.
Agitavasi in quel tempo la controversia fra som-
naturalisti intorno all' aniinak dell' argonauta., cioè
se questo fosse il vero costruttore della conchiglia,
nella quale rinvenivasi costantemente , ovvero ne
279
fosse un mero parasito. Il nostro socio in una sua
lettera inserita nel giornale suddetto afFerma di ave-
re esaminate le uova rinvenute nella slessa conchi-
glia , e di avere in esse osservato il piccolo ani-
male già munito di un rudimento della sua con-
chiglia. Con ciò contribuì ad accrescere la massa del-
le osservazioni in favore di esserne l'animale il vero
costruttore, come il Poli ed il Cuvier avevano di-
mostrato. Non mancavano però gravi oppositori ai
due anatomici sommi indicati, fra i quali il Blain-
vdle e sir Everard Home, i quali sostenevano vali-
damente il parassitismo dell'animale, e ad onta che
Illustri naturalisti avessero confermata l'osservazione
del Poli e del Cuvier , fra i quali M. Power che
afferma di averne seguito lo sviluppo incominciando
dailuovo smo al suo stalo perfetto, nondimeno la
questione rrniane ancora indecisa. L' importanza di
essa, la delicatezza delle osservazioni, e specialmen-
te il valore e la celebrità de' contendenti, non lo
rattennero dall'addentrarvisi e di prendere una qual-
die parte in una controversia fra tanti sapienti, coi
quali sarebbe gloria somma anche il rimanere soc-
combente. Scrisse pure sei lettere al celebre Arapo
sopra alcun, fenomeni atmosferici. Pubblicò quindi
nel giornale. // progresso alcune note sepia alcuni
c.otto!. prMTutivi rinvenuti nelle colline terziarie di
lesaro, dandone un esteso catalogo delle specie di-
verse d, essi ciottoli. Ma non fu pago il nostro so.
cio d. avere rinvenute queste rocce primitive in un
terreno terziario, che volle tentare puranco di rin-
tracciare possibilmente la eausa di un tale fenome-
no ; e ciò fece col suo scritto che porta per titolo-
280
Di mi singolare terreno di trasporlo nella collina
di Tomba di Pesaro. Sottoposta a scrutinio le opi-
nioni che su ciò avevano emesso alcuni «jeolo^i nao-
(Jerni, non senza far conoscere le osservazioni fatte
un tempo dal celebre nostro Passeri , si appi[jliò a
quanto disse in proposito Marcel de Serres, il quale
opina <( che questi deposili terziari siano slati pre-
(i cipitati nel seno dell'antico mare nella guisa stessa
« che i nostri fiumi attuali trascinano il tributo delle
i< loro acque nell'oceano e nei mari interni, ove ne-
« cessariamenle alternano e si frammischiano più o
« meno col fango con i prodotti marini ».
Continuando nel suo proposilo d'illustrare al-
cune parti del suolo [)esarese, ora viene a darvi com-
pimento, e ciò fece cor! uno scritto avente per ti
tolo : - Vedute generali sul distretto pesarese : - con-
fermando in tal guisa le osservazioni tutte che ave-
va fatte il Passeri, e che il nostro socio afferma es-
sersi tuttora avverate.
Se col dare ed illustrare la geognosia del pa-
trio suolo provvide, jier quanta era in esso, alla glo-
ria scientifica de! suo paese, e se con la traduzione
arricchita di alcune sue note del manuale di fisica
di Bailly provvide alla istruzione elementare della
gioventù; non fu meno caldo di amjre per la sua
prosperità, e nel mostrarsi acceso di zelo per tutto
che valesse a condurla fra noi. Infatti per riguardo
all'istruzione esso considerava, che non ad altro fine
assoggettarono i cittadini al savio reggiinento ed alla
protezione delle leggi la libertà , le forze , 1' indu-
stria, e il prezioso deposito dei talenti e dei beni ,
se non che per divenire più sicuri e più felici. Per-
281
ciò le cure più in'eressanli esser tlcjTfjiono rivolte a
renderli felici utili e viituosi. La {gioventù esser de-
ve un oggeUo priujai'io delle cure di un aiaeslralo,
formando il nerbo e le speranze tutte della patria.
I {jreci coltivarono i giovani colle lettere, i persiani
li formavano coi loro costumi. Non isfuggiva alle
sagge vedute del nostro socÌ'j, che negli anni verdi
col magistero delle arti e delle .scienze si vuole
educare l'intellelto, ma insieme migliorare l'uomo
colla virtù e colla religione. Cosi (|ue' sonuiìi sa-
pienti Paolo Emilio, Catone , Tullio costumarono i
loro figliuoli, cosi Aristotile addottrinò il suo disce-
polo Alessandro. Cosi felicemente si formano a van-
taggio della nazione i maestrati, i guerrieri, i filo-
sofi, gli oratori, i negozianti leali, gli artieri indu-
stri, i padri di famiglia, i cittadini virtuosi. Queste
sublimi verità, che si vorrebbero scolpile nell'animo
di coloro, die nell'ilolismo e nell'ignoranza dei cit-
tadini, non che nel dileggio delle gesti gloriose dei
padri nostri, nel vile mercato , e fors' anclie nella
vandalica distinzione di que' tesori, monumenti pe-
renni dell'arte, e della sapienza antica , fondano le
loro inette cure pei" una sognata prosperità; queste
verità, io diceva, cra.i quelle che lo infiammavano,
e lo rendevano giustamente sdegnoso verso coloi'o,
pe' quali sembra gloria unica il calpestarle. Che se
non giunse a riportarne un completo trionfo , ciò
non può ascriversi a sua colpa, ma bensì a quella
di un secolo mercantile, che misura il pregio della
intelligenza e delle azioni virtuose, non che l'onoie
della patria , sidla bilancia dell'oro e del proprio
tornaconto. Non j)erciò inliepidi lo zelo operoso del
282
nostro collega pel pubblico bene, E ben lo videro
alcuni stabilimenti di pubblica beneficenza, nei quali
sedè come uno de^jli amministratori, e corno si ado-
perasse nel promuovere lutto ciò , che contribuir
poteva al miglior essere ed al buon andamento di
essi. La pubblica biblioteca oliveriana , non che
l'ospedale degli infermi, ed il conservatorio delle or-
fane, ponno far fede dello zelo indefesso per ren-
dere sempre più lieta la loro condizione. Né il pa-
trio ginnasio passò da lui inosservato. Mentre nulla
omise onde procurare che l' istruzione de' cittadi-
ni avesse quel più regolare andamento, e più ac-
concia si fosse allo sviluppo intellettuale del popolo,
pili conforme al bisogni del tempo ed al progresso
della civiltà.
E di questa carità di patria, che sempre lo ac-
cese vivente, volle darne un pegno ulteriore negli
ultimi istanti della sua vita. Poiché prescrisse che
a spese del suo erede fosse decorato di analogo pro-
spetto il tempio comunale , che la pietà cittadina
eresse un tempo onde implorare dal Reggitore su-
premo che costante si fosse la stirpe dei Rovereschi
.signori. Lo vedemmo noi stessi, o signori, come ze-
lasse con attività instancabile il bene della nostra
società . e come sovente facesse udire la sua voce
nelle, ordinarie nostre adunanze, e coll'eccitare l'isti-
tuzione di una scuola di rgricoltura teoricopratica,
e per quella di un lenimento normale. Né gli man-
cò la fiducia del governo e de' suoi rappresentanti.
Poiché se in Senigallia gli fu da quell' ottimo ve-
scovo affidata una parte dell' insegnamento in quel
suo seminario , gli fu altresì dal sovrano in allora
b
283
regnante aflidato il geloso e delicato officio di ve-
gliare alla tutela della vita e delle sostanze de' cit-
tadini.
Né omise di coltivare le amene lettere , che
ebbe in amoie e coltivò con qualche successo. Pro-
va ne fanno varie sue poesie fatte in in occasioni oc-
corsegli, e una tragedia che rimane tuttora inedita.
Tale fu il cittadino che perdemmo, 1' assiduo
collaboratore de' nostri studi , lo zelante promotore
di tutto ciò che reputava onorevole ed utile all'in-
cremento della nostra società, al bene intellettuale,^
ed al decoro della patria. E al certo rettamente av-
visava fondando negli studi il più valido sostegno e le
speranze tulle della nazione. Mentre l'ignoranza è stata
ognora la sorgente delle calamità de' popoli, la cagione
primaria della caduta degl'imperi. JNè valgono a pre-
servarli dalla loro rovina tutte le forze materiali riu-
nite, quando le forze della mente inette si trovino
a farsene le reggitrici. Tali furono i pensamenti,
dai quali mostrossi animato l' estinto collega, e pei
quali si die a tutt'uomo ad adoperare l'ingegno on-
de contribuire per quanto era in lui alla gloria della
patria comune. La virtù e la sapienza de' nostri mag-
giori fu qnella soltanto che li rese un tempo po-
tenti e rispettati, e quindi insieme li fece primeg-
giare sulle estere nazioni. Dalla virtù loro e dalla
loro sapienza ebbero origine quegl' immensi pro-
dotti dell'industria, la floridezza del commercio, la
potenza nelle armi. Di tanto momento sono gli stu-
di, e tanta è la loro influenza sulle condizioni de'
popoli I « Ed infatti quale più invidiabile predomi-
284
« Ilio, e quale più glorioso e civile di quello che
« sorge e si e frdina nella potenza dell'intolletlo ! »
Se nello zelo operoso dello spento collega vi
accenai di avere esso seguite le orme segnate da'
nostri maggiori, (juel sapiente dettato valga a ren-
derne generale e compililo il convincimento. Poi-
ché il tìne delle scienze e delle lettere essendo quello
di migliorare la condizione dell'uomo, e se l'igno-
ranza de' popoli, al dire del Genovesi, è un grande
ostacolo alio sviluppo delle virtù morali e mecca-
niche, o come vuole il Beccai'ia, è causa morale di
spopolazione„ da esse soltanto ritrarre si possono i
mezzi per conseguire la vera e costante prosperità
dello nazioni.
Salire di D. G. Giovenale Iradolle da Zefin'no He
eesenaìc^ cui lesto e con noie. 8. Padova presso
F. A. Sicca e figlio 1840. (Tomi due., il primo di
pa(j. 432, il secondo di pag. 387).
ilei volume CX\11I di questo giornale si è fatta
da noi parola del volgarizzamento di Giovenale da-
toci dai celehrc marchese di Montrone: e per saggio
n'abbiamo recata la satira Ylll. Essendoci ora capi-
tato alle mani que.l'altro volgarizzamento, parimente
in terza rima, di un vivente letteiato di bella fatua,
godiamo di qui annunciarlo,, riparando alla dimenti-
canza in che fu jjoslo nelle ultime tristi vicende dello
slato e delle lettere : e ne diamo altresì per saggio
la medesima satira Vili , alfinchè possano i nostri
285
lettori fare da se slessi comparazione fra questi due
ultimi volgarizzamenti dell'acre satirico di Volterra.
SATIRA Vili.
Pontico, a che gli stemmi ? onor che vale
Di nobil sangue in lunga età (illrato,
E i pinti avi additai- nell'ampie sale,
E gli Emiliani in cocchio, e un smozzicato
Curio, e Corvin senz'omeri, e il pugnace
Galba di orecchie e insin di naso orbalo?
Che frutta l'oslenlar (vanto fallace)
Di mastri cavalieri illustre razza
Col dittatore in tavola capace.
Se turpe mandra epicurea gavazza
De'Le|)idi al cospetto? a che di tarili
Duci rimmagu u'ai dadi si biscazza
Le nileie nolli ai Numanlini innanti,
E assonni ai primi albori, allor che i prudi
Movean le insegne e l'armi trionfatili ?
Nato in erculei lari, il titol frodi
Di allobrogo famoso, e immeritato
L'onor della grand'ara, o Fabio, godi,
Tu ch'avido e leggici', molle e sguaiato
Più d'un'euganea, il pel con catanese
Pomice sbarbi al fianco delicato ?
Vergognan gli avi, o mercator palese
Di toschij e il busto tuo, da infranger degno,
Fra genti osi locar d'orroi- comprese ?
Abbelli gli alrii pur superbo ingegno
Con sculte cere degl'anlichi eroi ;
Solo è virtude a nobiltà sostegno.
286
Un Paolo, un Cosso, un Druso imita, e poi
Preponi a quelle effigie i bei coslumi,
E consol li preponi ai fasci tuoi.
Pria le doti dell'alma io chieggo : i numi
Temi tu pio ? del giusto incontro al vizio
Co' detti e l'opra la difesa assumi ?
Ecco il vero ravviso in te patrizio :
Salve, prode, o Getulico o Silano,
0 da qualunque razza avesti inizio ;
E salve, o egregio cittadin romano,
Cui patria plaude, griderò, qual grida
Se trovi Osiri il popolo egiziano.
Chi nobile dirà colui che annida
Infami voglie in petto, e di morata ?
Sua stirpe indegno, a un nome sol si affida ?
Così a nano talor di forma ingrata
Suol dirsi Atlante, e cigno a etiope adusto ;
Europa a putta piccola e sciancata ;
E cane vii di vecchia scabbia onusto,
Uso a lambir lucerne ed infingardo,
Ha nome di animai fiero e robusto :
Nome di tigre, di lion, di pardo,
Oppur, se v'ha, d'altro bestion che frema
In selva più feroce e più gagliaido.
Di tal scherno all'orror tu dunque trema;
Te in guisa cosi ria esser nomato
Cretico o Camerin punga la tema.
E a chi favello ? E a te mio strai scoccato,
Rubellio Plauto, a cui l'altera schiatta
De' Drusi tuoi gonfiò il cervel sventato.
Come se per insigne impresa fatta
Te nobil concepir dovesse eletta
Ovaia dalla stirpe augusta tratta,
287
E non già quella di pitocca abietta,
Che tesse al vento e al sol tetto le mura,
E dall'altrui mercede il tozzo aspetta.
— 0 meschinelli voi^ porzione impura^
10 ti ascolto esclamar, di vii gentaccia.
Cui Vorigiii del padre é al tulio oscura !
Io cecropide son. — Buon prò ti faccia;
A lungo godi del preclaro onore,
Ed il fango da te del volgo scaccia.
Ma dove troverai sommo oratore,
Che un nobil ciuco pari tuo difenda,
Se da togata plebe il cerchi fuore ?
Dove colui che a sciorre i nodi imprenda
De' cittadini dritti, e insiem d'Astrea
A interpretar il gran volume intenda ?
Dalla plebe, che sprezzi, or or sorgea
11 giovane guerrier, che su l'Eufrate
L'oste nemica a debellar movea:
E quei, pel cui valore alle domate
Batave altere genti ardito il volo
Drizzar di Roma l'aquile onorate:
E tu, ozioso fra patrizio stuolo,
Non altro che cecropide tu sei,
Simile a un tronco d'Erma infisso al suolo;
In ciò soltanto non simil direi,
Che quella è sasso, e la tua immago è in vita;
E di tal vita in forse anco sarei.
0 rampollo troian, belva mi addita
Di nobil fama, e non sia forte; e quale
Lodiam destrier, se non d'indole ardita,
Che ferve e sbulì'a; e, vinto ogni rivale,
Di rauco circo al plauso romoroso
Corre alla mela, e par che impenni Tale ?
288
Questo è il cavallo illiisde e p,eneroso,
Da quale pasco venga, ci che primiei'o
La polve innanzi a tutti erge animoso.
Ma di Coiita e Irpin ronzone altero,
Che dalla razza sua traligna, inetto
A, coglier palme in agonal sentiero,
A vii mercato di padron più abietto
Passa in lurida stalla, ed è negato
All'ombra de'suoi avi alcun rispetti»;
Ed a tirar col collo scoiticato
Le pesanti carrette, e alfin la m;)la
A volger di Nipote è condannato.
Tu dunque intendi a sì verace scola
Ad opre che ammirar faccian te stesso.
Non la virtude in te degli avi sola;
Lascia alcim (itol tuo ue'marmi impresso.
Ove al tuo nome, oltre gli aviti fasti,
Cui lutto or devi, oiior sia pur concesso.
A le, o insensato fanciullo:!, ciò basti.
Che tutto gonfio e trionfìo, esser parente
(Fama cel nana) di Neron vantasti.
Oh quanto in tal fortuna ed in tal gente
Raro è il senso comun ! Pontico, ascolta,
Ed i consigli miei li fìssa in mente.
L'altrui stima a ottener non sia rivolta
Per lustro avito sol tutta tua brama,
E a te per nulla oprar lode sia tolta.
Misero chi si afìlda all'altrui fama !
Cade, se logli le colonne, un tetto;
Gli olmi postrata vite indarno brama.
Prode soldato sii, tutor perfetto,
Incorrutibil arbitro, e laudato
Cultor del giusto, estimalor del retto;
289
In dubbio fatto testiraon chiamato,
Mai non tradire il reo, minacci ancora
Falaride col toro arroventato.
Vita anteporre a onor delitto fora,
Perdendo il sommo bene ed il conforto
Che sol la vita abbella ed avvalora.
Bene a ragion uom senza onore è morto,
Inghiotta ancor di Gauro ostriche cento,
E sia di Cosmo ne'profumi assorto.
E quando fia ohe al grave reggimento
Tu sii preposto di provincia alcuna,, . ,
Tanto da te desiderato evento, .(inK iinsf» i(T
Pon freno all'ire, in cor tue forze aduna
Contro le avare voglie, e dei soggetti
Desti pietade in te la ria fortuna.
Vedi de'regi al nostro giogo astretti b ibaiup 'd
Già smidollate l'ossa, e tìdo osserva ''"'
Le leggi, e del senato indi i precelti;
Pensa al premio che ai buoni 'I ciel riserva,
E al fulmin che piombò su la cervice
Di Capitone e di Tutor proterva.
Del senato colpia giustizia ultrice
Que'pirati de'cilici pirati,
Avvezzi ad ispolpar gente infelice;
Ma a che condanna tal, se gli spietati
Di Pausa artigli sgraffignar ben sanno
Ciò che di Natta pria sfuggi agli agguati ?
Taci, o Cherippo: se i tuoi cenci stanno
In mano al banditor, fora pazzia
Perdere il nolo ancor, per giunta al danno;
Non già lamento un dì pari si udia, ^
Né tanto acerbe eran le piaghe, allora
Che un popol, vinto appena, ancor fìoria.
GA.T.CXXV. 19
290
Copia di tutto in casa: e gravi ancora
V'eran di nummi l'arche, e pregiate
Vesti che Sparta e Coo d'ostro colora;
E statue di Mirone, ed ammirate
Tavole di Parrasio, e le scolpite
Da Fidia in bianco avorio opre animate;
Ed altre molte dalla mano uscite
Di Policleto: né fallia vivace
Mentorea tazza in più mense imbandite.
Dolabella ed Antonio, indi il rapace
Verre in navi traean le occulte spoglie
Di genti amiche trionfate in pace.
Tugurio abietto or pochi bovi accoglie.
Poche cavalle, e logoro stallone;
E, tolto il campicel, tutto si toglie:
E quindi della povera magione
Persino i lari: e se idoletto è ascoso
Pregio abbia alcun, questo a rapirlo è sprone.
Reliquie son di popol valoroso
Poche, ma care; e se di più non resta.
Iattura è somma e spoglio doloroso.
Forse a tenerla a vii ragion ti appresta
L'imbelle Rodi, e ancor la profumata
Molle Corinto, che timor non desta.
E che temer di gioventù snervata,
D'ambo le gambe con resina avvezza
Tutta a spelar la cute delicata ?
Cauto perù l'orrida Spagna apprezza,
Paventa ancora il gallo auriga, e guarda
A non sdegnar l'illirica fierezza;
I mietitori d'Affrica, gagliarda
Gente che nutre Roma, a circo e a scene
Soha/ito intesa, con pietà riguarda :
i
29!
Poi quale avresti dal predar tu spene.
Se Mario affatto denudò lo smunto
Abitator delle affrieane arene ?
Non oltraggiar color, cui va congiunto
A miseria valor: ad essi quando
Tutto a toglier l'argento e l'or se' giunto,
Guai se rimane ai disperati un brando,
Uno strale, uno scudo ed un cimiero !
Loro estremo furor fia memorando.
Non è opinion, non è vano pensiero,
Pontico, questo mio: prestami fede;
Della sibilla annunzio il santo vero.
Se integra è la tua corte, e un Ganimede
Non fa mercato di giustizia, e ria
Moglie a render ragion teco non siede;
Se non prepara a'furti suoi la via,
Teco scorrendo a rastrellar danaro
Per terre e borghi una grifagna arpia:
Discendi pur da Pico, e se più chiaro
Nome si alletta, dai Titani il prendi.
Che un dì animosi al ciel guerra intimare ;
Sino a Promoteo pur tua razza estendi,
E in qualunque tu vuoi cronaca antica
A frugar tuo primier stipite intendi.
Ma se ti accieca orgoglio, ed impudica
Voglia t'insozza, e il tuo litior le dure
Verghe nel sangue del meschin fatica;
Se ottusa rimirar godi la scure
Per spessi colpi, allor sorger vedrai
Con face a disvelar le tue lordure
La prisca nobiltà, di cui tu fai
Superba pompa: in uom, più ch'alto sale,
Appare il vizio più deforme assai.
292
— Nobil li vanti, o falsator sleale
Di testamenti, sin nel tempio avito
Del padre in faccia al marmo trionfale ?
Nobil ti vanti, o bagascion marcito,
Che ti aggiri in santonico pastrano
Tutta notte a scornar più d'un marito ?
— Volante carro, ei console romano,
Oltre l'ossa e le ceneri degli avi
Guida da pazzo il pingue Laterano:
La man, cui Roma affida imprese gravi.
Una imprigiona delle lievi rote,
Perchè troppo al declivio in giù non gravi.
E notte si: ma Cinzia vede, e immote
Dal ciel le luci in lui tiene ogni stella,
E il raggio lor tanta follia percuote.
Deposto poi l'onor, di che si abbella.
Prende la sferza in man per bizzarria,
E si scapriccia a chiaro dì con quella:
Né tema il punge d'incontrar per via
Vecchio assennalo amico; anzi scherzevole
Dà con frusta il saluto ad esso pria.
Reduce a casa poi, copia abbondevole
Agli stanchi puledri ei porger suole
Di fieno e pingue biada sostanzievole;
E se di Giove all'ara avvien che immole
Lanute e grasse agnelle e un toro bianco,
Lo credi un Numa agli atti e alle parole:
Ma solo giura per Ippoua, ed anco
Di quei che in greppie ed in muro merdoso
Numi son pinti pel fetente branco;
E quando il ruzzo del cervel ventoso
In bettole a vegliar di nuovo il porla,
Sirofenice a lui corre festoso.
293
Ei che dimora alla giudaica porta,
Tutto sparso d'amorao, all'avventore
Furbo blandisce con maniera accorta,
E suo rege lo chiama e suo signore,
Mentre Ciane con succinta vesta
Gli oflfre in fiasco venale il vin migliore.
— De'birbi insorge l'avvocato: e, Queste,
Dice , noi femmo pur giovani un giorno
Matte baldorie di fumose teste.
— Sia pur : ma tu però festi ritorno
Nel buon sentiero : almen l'error sia breve :
Col primo pel si sbarbi e vizio e scorno.
Scusa un garzon : ma Laterano beve
Vin delle terme in pinte tende, e freno
Non ha dagli anni, e in cui far senno ei deve
Egli maturo a debellar l'armeno.
Atto a guardar con marzial fatica
I fiumi della Siria, e 1' Istro e il Reno :
Questa appunto è l'età di pugne amica,
Età che far securo anche Nerone
Potria da bellicosa oste nemica.
— Manda, o Cesare, a nobile tenzone,
Manda in Ostia alle navi i tuoi guerrieri ;
Ma dove il lor trovar prode campione?
Lo troverai con sgherri e masnadieri.
Con forusciti in bettola racchiuso.
Con marinai, con ladri e barattieri ;
Col boia e il beccamorto insiem confuso,
E col gallo che, i timpani deposti,
Stanco sen giace con la pancia insuso.
Qui è vera libertà : confusi i posti
De' letti insiem, si trinca a un sol bicchiere,
Né punto i deschi son fra lor discosti.
294
— Politico, un servo di si ree maniere
A un tosco ergastol tu noi manderesti,
0 a trar di vanga nel lucan podere ?
Fra voi, sangue troian, ludi son questi :
E ciò che ai Bruti e ai Volesi par bello,
Siete in cialtron meschino a punir presti.
Di trivio esempli degni e di bordello
Sozzi finor narrai ; ma ne rimane
Ben altro ancor più vergognoso e fello.
— Ogni tuo aver consunto in spese vane,
Te, o Damasippo, alfin nobil fastoso
Trassero in palco vii le voglie strane :
Per declamar lo spettro clamoroso
Di Gatulo se' giunto or di tua voce
A patteggiar TalFetto obbrobrioso.
Ivi poc' anzi Lentulo veloce
Rifar con pazza maestria fu visto
Di Laureolo il salto in su la croce.
Degno di vera croce era quel tristo !
E a tal ti assidi, o popolo sfrontato.
Spettacolo di beJBTe a infamia misto ?
Puoi sostener Ponor vituperato
De'tuoi patrizi, e sghignazzar, mirando
Scalzo un Fabio e un Mamerco schiaffeggiato!
A qual prezzo saper che importa, quando
Al sublime pretor vendon lor vita
Senza che di un Neron stringa il comando ?
Ma fingi essere astretto ad abborrita
Scelta: che meglio? Il palco oppiir l'arena.
Che a te una voce minacciosa addita ì
Sì temi morte a preferii» la pena
Di compagno soffrir Latin cornuto.
Od un Corito scemo m su la scena ì
295
Pur di tal scorno il tempo ecco venuto;
E non è da stupir che il nobil sia,
Se citaredo è il prence, un zanni arguto.
Quindi tutto fra noi spettacol fia:
Vedi di Roma la vergogna , un Gracco
Esempio di viltade e di follia,
Nell'infiammato agon pugnar da fiacco,
E scudo e falce ed ogni poderosa
Arma di mirmillon sdegnar vigliacco;
Né in elmo alcun la turpe faccia ascosa,.
Squassa il forcone, e invano la pendente
Rete egli lancia con la man ritrosa.
A tutte gambe poi fugge repente;
Ma nel fuggire il volto aderge, ed ama
Farsi palese alla stupita gente
È Gracco^ è Gracco ! allora ognuno esclama:
E tunica con nappa aurea che pende ,
E avvolge il pileo suo, per tal lo infama.
Ei, che lo insegue, di rossor si accende;
Più che vincer, ferito esser vorria,
Che nullo onor da tal vittoria attende.
— Libero voto al popolo si dia:
A Seneca un Neron quale delira
Alma perduta preferir potria ?
Non una sola scimmia e serpe dira.
Non un sol sacco era supplicio adatto
Allo spietato a tutti i numi in ira ?
Oreste, è ver, fu rio di ugual misfatto;
Ma, dissimil la causa, ei lo commise
Il padre a vendicar, dai numi tratto:
Ma non la suora, non la moglie uccise,
Né alcun congiunto con bevanda atroce
Di aconito funesto all'orco ei mise;
29G
Non in scena cantar si udio sua voce.
Né con reo carme la troiana sorte
Su l'arsa Roma celebrò feroce.
Congiunto di Virginio il braccio forte
A quel di Galba e Vindice, potea
Scellerato maggior punir di morte ?
Di truce sir, per cui Koraa geraea,
Quali fur l'arti e l'opre generose
Degne di chi del mondo il fren reggea ?
Con fedo canto in scene estranie pose
Tutta gloria a frodar gli achivi onori,
E d'apio ambir corone vergognose.
Folle ! su via, de'tuoi prodi maggiori
I simulacri ad abbellir^ deponi
Tutti i trofei de'lrilli tuoi canori;
A' pie del gran Domizio, insigni doni
J)i Antigone e Tieste, il lungo manto
E il mascheron di Menalippe poni,
Ed al marmoreo ancor colosso accanta
Sospendi alfin la cetra a te si cara,
Memoria eterna dello stolto vanto.
— 0 Catilina, o Cetego, più chiara
Cuna di voi chi potea ambir ? eppure
Qual sorte a Roma preparaste amara !
Ambo intesi in sacrileghe congiure
Ai nostri lari e ai templi venerati
Ferro e fuoco a recar fra l'ombre oscure,
Quai discesi da senoni e bracati
Meditaste nequizia, a cui fia lieve
Supplicio arder di pece incamiciati.
Ma il consol veglia, ed il furor fia breve:
Ei le ribelli vostre insegne doma,
E il popol securtà da lui riceve.
297
Questo ignobil d'Arpin, poc'anzi a Roma
Del municipio cavaliero eletto,
Mentre da tema ogni alma è presa e doma,
Tutto dispone ei sol con saldo petto;
I posti afforza con presidio armato,
Per tutti ha braccia, e l'oste a fuga è astretto.
Chiuso in le mura, a lui nome laudato
La toga die, più che ad Ottavio il brando
In Leucade o in Tessaglia insanguinato.
Padre allor della patria ed ammirando
Liberator Roma il suo Tullio acclama,
Scampata al grave rischio uiemoraodo.
— L'altro arpinate trar sua vita grama
Solca ne'volsci monti, ove operoso
Stancava il non suo aratro in aspra lama;
Poi dato all'armi, in vallo faticoso
Se lento era al lavor, la dura vile
Frangeagli in capo il centurion sdegnoso.
Dell'abietto però le gesle ardite
Domaro i cimbri, e scudo al gran cimento
Fu alle romane genti sbigottite:
E quando ingordi di tant'oste spento
Volsero in sul carname i corvi l'ale,
Cui mai maggior toccò sozzo alimento;
Nell'armi e nel valor degno rivale,
Il patrizio collega a lui cedeo
Il primo onor del lauro trionfale.
— 0 Decii, alme plebee, vanto plebeo !
Vostro gran cor per tutte squadre unite
Pel popol tutto sol bastar poteo;
Ai torvi numi, ch'han l'imperio in Dite,
E alla Terra gran madre ebber più pregio
Delle salve da voi le vostre vile.
298
— Nato da ancella, del diadema il pregio,
La trabea e i fasci ei meritò che a sorte
Fra i buoni ultimo tenne il poter regio.
— Agli esuli che a Roma ordian ritorte
Del consol stesso l'uno e l'altro figlio
Schiuse lasciavan le tradite porte;
In lor la nuova libertà in periglio
Con prode assicurar braccio guerriero
Era pur bello e provvido consiglio;
Coclite ad emular e Muzio fiero,
E lei che fé il tragitto ardito tanto
Del Tebro, allor confin del nostro impero.
Ai padri augusti palesava intanto
Uno schiavo meschin le trame oscure,
Degno al morir del matronal compianto;
De'sciagurati lacerar le dure
Verghe le membra, e poscia in capo ai rei
Delle leggi piombò la prima scure.
— Figlio a un Tersile sii; ma in te vorrei
Di Achille e core ed armi: aver che giova
Per padre Achille, se un Tersile sei ?
Di rivangar l'origin tua fa prova
Nella remota età; pesca e ripesca;
La troverai entro l'infame cova
Cui diede il suol latino asilo ed esca.
Dunque chi fu il primier che il folle orgoglio
Di tua vantata nobillade adesca ?
Fu un villanzone, o quel che dir non voglio.
299
Cronaca inedita de' fatti d'Italia nel secolo XV {*)
scritta da Nicolò della Tuccia.
PREFAZIONE
N
el correre ornai lungo degli anni nniei, Tisiiando
per mio costume biblioteche ed archivi, m'è acca-
duto di trascrivere inediti monumenti in buon dato,
de' quah a poco a poco si fattamente s'è accresciu-
ta la massa da non lasciarmi speranza, non pur dirò
d'illustrarli, ma di pubblicarli io stesso a quel modo
che i più di essi richiederebbero. Dir delle cagioni
che fin qui m' han fatto impedimento, sarebbe so-
verchio, e importerebbe poco all'universale de' let-
tori. So che l'ho desiderato sempre, e non l'ho po-
tuto mai. Giunto oggi a età troppo avanzata, mi son de-
liberato d'affrettarmi, e di metter fuori questa mia ric-
chezza quando che sia, lasciata da parte ogni cura
d' illustrazione e di fatiche dirette a ornare. Così
pubblico qui come giace in un ms. di Montefìasco-
ne la cronaca di Nicolò della Tuccia viterbese, ab-
bandonando ad altri il peso o di correggerla dov'erra
ne fatti e ne' tempi, o d'aiutarla di note più o meno
opportune.
11 ms., per fatto di chi lo trascrisse, è mutilato
nel principio e nella fine. Sarebbe stato da confron-
larJo con un altro esemplare della riccardiana di
(*) Questo titolo non è non è nel ms. il quale ha solo: // fìarte:
p«rchè il raccoDto £a la secoinla parie della cronaca viterbese.
300
Firenze, che forse è più completo, ma che ho ve-
duto per troppo breve tempo, e già da troppi anni,
per avere di ciò memoria sicura. Ciò ancora Fac--
cian altri, a'quali ne caglia.
Questo Niccola è quegli stesso , del quale si
ha un'altra cronaca giacente inedita anch' essa qua
e là per le biblioteche d'Italia; ed è la cronaca de'
fatti particolari di Viterbo, donde molta parte della
sua storia di quella città pubblicò nello scorso se-
colo il p. Feliciano Bussi; ma con poco buona scelta
e con men critica.
Fu già proposito del Muratori Io stamparla in-
tera coir altra su i fatti della città medesima, com-
pilala da Cola e da Giovanni di Cobelluzzo: ma il
Bussi glielo impedì, occupato com'era a farne stra-
zio per suo proprio conto, e ritenendo sotto chiave
l'unica copia la quale allor si conosceva. Oggi del
lavoro del Tuccia sono copie qui in Roma nella
barberiniana, e in parte nella corsiniana, e sotto il
nome di frate Francesco d' Andrea, nell' Angelica.
Altri esemplari ne ha in Firenze la riccardiana poco
fa mentovata, e la capponiana; ed in Londra la bi-
blioteca del museo britannico. Lo stesso ms. di Mon-
tefiascone, donde traggo la presente stampa, contie-
ne altresì la cronaca viterbese mancante solo di po-
chissime carte nella fine per fatto pur sempre di colui
che forse un paio di secoli fa la esemplò.
Finirò dicendo che l'autore delle qui stampale
memorie dice di se stesso in più luoghi dell' altra
cronaca, che fu di Viterbo, nacque Vii di novem-
bre dell' anno 1400 [da Bartolomeo della Tuccia.
Fu mercante di professione , e lasciò di scrivere
30 J
l'anno 1473. Altre più accurate notizie saranno da-
te , se al ciel piace , quando alle menaorie viter-
besi potrassi por mano , e potranno per ora leg-
gersi nella prefazione del Bussi al suo libro dinan-
zi citato.
Francesco Orioli.
Incomincia la cronaca.
Ora in questo tempo fu fatto il concilio di Co-
lìtanza nella Magna , e fu privato papa Giovanni e
papa Gregorio, e creato poi papa Martino V nell'an-
no 1417 il dì di s. Martino. In questo concilio ven-
ne di Praga un valent'uomo chiamato messer Gio-
vanni Hus, e per più cagioni , delie quali si tro-
vano oggi tutti l'articoli, fu abbruciato lui con un
suo discepolo: per la qual morie tutta Praga e Boe-
mia si ribellò alla chiesa , e pigliaro certe eresie ,
per lo che ne moriano migliara di persone. Mosso [)p.
Martino da Costanza venne a Firenze, e lì si posò
un anno . e fra quest'anno accaddero 1' infrascritte
cose — Cioè Tortaglia dell' Avello avendo latto
decollare Beccaccino di Brunoro suo compare den-
tro Toscanella , e fatto lega con Braccio da Mun-
itone, era tutta la brigata circa 2500 cavalli di buon ap-
parere: ed avendo usurpato le terre della chiesa, l'ar-
taglia teneva Toscanella, Montalto, Canino, Castro,
la Badia a ponte Musignano, Castel d'Araldo, Marta,
Gorneto, Sipicciano e Montecal vello con più luoghi
ideila chiesa. Braccio teneva Perugia, Ascesi , CittJi
'di Castello, Todi, Orvieto, Narni, Orte, Terni, Ame-
lia con tutti li loro contaiJi e distretti. Ristrettisi in-
302
sieme volevano torre Viterbo ancora per loro. Per
il che ì viterbesi fecero tra loro consiglio non vo-
lersegli dare , né torsi alla chiesa ; e vedendo che
papa Martino V non era sufficiente a resistere a questi
due capitani, ordinarono mandare alla regina di Na-
poli , che per debito e per favore del papa li do-
vesse mandare il capitano Sforza da Cotigoola in
aiuto. La regina com'ebbe la detta imbasciata udito,
mandò il detto Sforza a Viterbo, ed alloggiò presso
la città 5 miglia in un luogo chiamato s. Vittore ,
lì aspettando Braccio e Tartaglia per far fatto d'ai*-
me insieme. Essendo Braccio in Orvieto e Tartaglia in
Toscanella deliberarono trovarsi insieme in Val di
Laco: e così fecero venendo di notte tempo sotto
Montefiascone e Bagnorea. La nott e predetta Sfor-
za aveva mandata la guardia attorno il campo
suo, della quale fu capitano il conte Nicola da Pi-
tigliano: e avendo il detto conte fatta composizione
con Braccio, la notte predetta gli mandò un suo uo-
mo d'armi, detto Vanni del Rota, ad avvisare, che
Braccio dovesse presto venire per qualche rispetto da
lui compreso. Ora seguendo il nostro conto la mat-
tina per tempo, ai 13 di giugno 1419, mandò Sforza
ai viterbesi gli mandassero qualche soccorso per i
suoi bisogni : e così gli furono mandati 500 fanti
cittadini. Nella propria mattina il conte Nicola consi-
gliò Sforza dovesse partir dal campo , ed andare
verso Montefiascone, e così fecero. Dopo di che an-
dati li detti viterbesi verso s. Giovanni e Vittore si
scontrarono loro soli con li nemici , e dopo lungo
spazio fino a vespero passato combattendo fumo li
viterbesi messi in rotta , e presi 450, e due mor-
303
ti. Al che Sforza non potendo riparare che non lo
sapesse, a tempo andossene a Montefiascone per met-
tere i suoi cariaggi in securo per potersi affrontare:
ma li montefìasconesi non vollero accettarlo , ch«
s'eran voltati , e dati a Braccio di Montone. Onde
Sforza prese partito alloggiare la sera a Ferenti città
guasta presso Viterbo 4 miglia, e là si posò la notte
seguente. La mattina per tempo si fé guidare da
un cavallaro viterbese detto Nofo per la più corta
via a Viterbo, e venendo alle file senza nulln or-
dine , Braccio e Tartaglia ne fumo avvisati ed a
schiere ordinate si diero in mezzo a questa bri-
gata di Sforza, e dopo breve termine li misero in
fuga pigliando una gran quantità d'uomini d' arme
e famigli, e guadagnorono tutti li cariaggi segui-
tandoli verso Viterbo quanto tira un'arco, ed anco
sino a Bagnaia. Ora fuggendo Sforza e Micheletto
suo nipote presso le mura di Viterbo, entrarono den-
tro la porta di s. Sisto, e senza pigliar nessun ri-
poso uscirno fuori la porla di s. Lucia; e vedendosi
presso tutti li suoi nemici, e pigliato il fiore di sua
compagnia lui forse con 20 huomini d'arme come
disperato senza elmetto in testa si dette abandona-
tamente fra nemici, e li fé per forza rinculare indie-
tro, e furo in quella mischia pigliati alquanti huo-
mini d'arme di Braccio e Tartaglia, e vennero alla
terra prigioni. La gente rotta di Sforza si viene rin-
forzando e raccogliendo insieme; e dopo lunga guer-
ra Sforza fu ferito nel collo, perchè era disarmato.
Un suo caporale, chiamato Sante Parente, visto il pe-
ricolo del suo signore volselo far voltare indietro, del
che Sforza non volse udir niente, anzi minacciò farlo
304
impendere per la gola. Sanie non curando ciò, per
soccorso del suo signore mise il braccio dentro le
redini del cavallo di Sforza, e fello voltare indietro,
dicendo: Prima mi fa morire, che moriate voi in si
fallo slato: e così ognuna delle parti si ritirò in die-
tro. Ecco fermati Braccio e Tartaglia con tulle loro
genti in assedio di Viterbo presso un miglio, o me-
no, dalla parte del bolicame fra le vigne. Di giorno
in giorno si fero belle battaglie, e scontri di lance,
che saria lunga materia a dire , sempi-e la brigala
di Sforza migliorando sue conditioni , quale erano
più parte lance spezzale in arme: lo nome d'alquanti
valenti compagnoni fu Petrino da Siena, Pier Zaffino
Gio: Paolo Orsino, Napolione da Napoli, Riccio di
Viterbo, Fiasco e Manno Barile, LongaroUo, Alber-
to da Bagni, Bo'>erto da Paelì, Bastardo dalla Sala,
Sbava Micheletto da Cotognola , Girardo da Coto-
gnola, il detto conte Nicola da Piligliano , che di
prima perde. Gagliardo, e moltissioii altri caporali,
il nome de' quali non sfendo. Venendo Noffne con
sue brigate a far la guardia della terra, s' affranto
con la scoria del campo una nìatlina : la ruppe e
mise in volta per fino alle tende del campo: e non
conoscendo il parlilo del seguitar, fé sonar le trombe
iu raccolta , e così si riliraro in dietro, e furo di
quelli del campo che fuggirò sino a Montefiascone
et a 'J'oscanella. Il dello conte Nicola fuggì da Sfor-
za, et andò a Braccio. Essendo Sforza a lai partito
in Viterbo, e volendo mettere a fine sua guerra ,
mandò messaggi al conte Francesco suo figlio , et
al Furiano grande, che era in sua compagnia e sta-
vano a Roma. Questi sentendo la novella monlaro
305
los(o a cavallo e vennero a Viterbo. Ciò sentilo
Braccio e Tartaglia si partirò dal campo, dove erano
stati iì) di, e andò Braccio a Pistoia e Tartaglia a
Toscanella. Coaiincia Sforza guerreggiare per le ter-
re intorno; pigliò un castello chiamato Capitona, e
simile Lubriano per forza , e felli mettere a sac-
comano et in breve si ristorò del danno ricevuto :
et I suoi huomini d'arme, che fur presi nella rotta
e messi nell'isola del lago di Bolseno, ordinò modo farli
liberare, e così fece. Finite dette cose tornò in Roma,
e lassò in Viterbo alcun suo compagnone per guar-
dia. Ma venuto il mese d'agosto tornò Braccio, e
Tartaglia a campo a Viterbo tra le vigne : allog-
giaro tra Viterbo e Bagnala , et havendo seco le
comunanze di Montefiascone, Toscanella, e Gorneto
fero tagliar le vigne da quel lato. Si fero pertanto
belle scaramucce e scontri di lance presso la terra.
Pervenendo all'orecchie di Sforza che il campo era
tornato a Viterbo, si mise in punto per incontrarsi
con loro, e giongendo a Canepina fu saputo da Brac-
cio, che perciò si levò subito di campo, et ognuno
tornò a sua magione. Tornato Sforza a Viterbo, an-
dò a trovare Tartaglia a Toscanella, e fero di belli
fatti d'arme. Poi n' andò a campo a Montefiascone,
et in un dì s'arrenderò. Così acquistò molte terre
della chiesa usurpate da' detti capitani. Fé poi patti
con Tartaglia, e fello acconciare al soldo di papa
Martino insieme con lui, et andaro a Firenze a vi-
visitarlo; e Sforza fu fatto capitano della chiesa e
della regina, e tornò nel reame.
Tartaglia tornato da Fiorenza fece una correria
a Suriano, et ivi s'accampò, e per spatio di tempo
G.A.T.CXXV. '20
3Ó6
l'acquislò per papa Martino con palli, ch'il castel-
lano se n'andò libero a Fiorenza con quelle robe che
volse portare, e lì nìise in banco gran quantità di
migliaia di ducati, quali haveva male acquistati nella
rocca di Suriano, poiché tulio lo paese faceva ro-
bare. Egli in poco spatio di tempo morì di neces-
sità, e non fu chi lo vedesse morire, morendo nel-
l'ospedale maggiore. Era detto castellano da Negro-
monte, e regnò in delta rocca anni 30. In detto tem-
po papa Martino parli da Fiorenza, e venne in Vi-
terbo riposandosi olio dì: poi andò a Roma. In que-
sta venuta acquistò Orvieto , Nargni et altre terre
per boni patti.
Fra tanto l'armala del re d' Aragona venne a
Napoli contro la regina Giovanna: e molte battaglie
fatte, la legina s'accordò con lui. Quivi rimase Sfor-
za con sue brigate nemico della regina e del detto
re, quali stavano in Napoli. Sforza si mise in Aversa
sempre guerreggiando contro Napoli, e spesse fiale
li metteva campo a dosso. Al che il re di Ragona
tion potendo resistere mandò per Braccio da Mon-
tone, e fello suo capitanio. Gionto Braccio a Napoli
fur fatti belli fatti d'arme, che saria lunga materia
a raccontare. Papa Martino, per fare Sforza più pos-
sente, li mandò Tartaglia in aiuto, e fero contro Na-
poli longa guerra. Perlochè Brnccio ordinò con Tar-
taglia trattato di far rompere guerra nel patrimonio
contro del papa. Così Tartaglia mandò a Toscanella
«n suo condottiere chiamato Aloigi della Cerbara fi-
glio di Luca di Berardo, e quinato del detto Tar-
taglia. Aloigi chiaramente disse ogni cosa a Luce suo
padre, e della moglie di Tartaglia. Luca lo fé sapere
.307
a papa Martino , e '1 papa lo mandò poi a dire a
Sforza, che si dovesse guardar da Tartaglia per del-
ta occasione. Sforza ciò saputo fé prender Tartaglia,
e vilissimamente lo fece decollare, e pigliò gran par-
te della sua compagnia. Morto Tartaglia, la guerra
si raffredda tra Sforza e Braccio con catalani. Ve-
dendosi la regina havcr mal fatto, dette modo far
accordo con Sforza, e misselo in Napoli. Ma egli ve-
dendo non poter restare, mise a saccomano gran
parte di Napoli, et uscinne fuori. Fé poi lo re di
Kagona adunare suoi catalani, e più che Sfoiza ne
guastò, et abruciò, e menossene in galera una quan-
tità di donne , e partissi di Napoli. Quindi tornò
Sforza in Napoli con la regina . e Braccio si tirò
indietro per la più bella. Sforza si mise in pron-
to per andarlo a trovare , et essendo presso l'un
r altro era in mezzo il fiume Pescara ; che te-
meva passare a guazzo la compagnia di Sforza.
Egli per far passar la brigata si mise nel fiu-
me con un suo ragazzo. Questo se n'andò al fondo,
e Sforza per aiutarlo similmente finì sua vita. Ciò
fu del mese di gennaro 1422. S'annegò , e mai fu
trovato, che portollo l'acqua alla foce del mare. Co-
lale fu la fine del pregiato capitano. La sua briga-
la si condusse sotto diversi condottieri, come il conte
Francesco suo tìglio, e Marco suo nepote , et altri
capitani.
Havendo Braccio sentilo sì fatta cosa, fu assai
contenlo: mosse sua hosle et andò a campo alla città
dell'Aquila, che si teneva per la regina, e lì tenne
campo 14 mesi. L'aquilani non potendo più resister»
si raccomandorno a papa Martino, e lui adunò gran
brigata contro Braccio. Ciò fu il conte Francesco,
308
Micheletto, messer lacomo Caldoro, Ludovico Mi-
chelacci,e più capitani, quali erano una volta più gente
di quella di Braccio, cioè 2000 cavalli per parte senza
li fanti. Connincia la gente della chiesa andare per
una montagna per poter scendere al piano dove Brac-
cio era attendalo, e bisognava andare l'uno avanti
l'altro. All'orecchie di Braccio pervenne lor venuta.
Non gli volse dar molestia, anzi tutti li volse nel
piano per non perder nullo, che gli pareva ha ver
gran partiti. Essendo tutti nel piano schierati, l'una
parte e 1' altra s'afFrontaro insieme , e dopo lunga
battaglia la gente di Braccio fu messa in volta, e
lui fu ferito, e preso, e menato avanti li capitani della
chiesa, e per le dette ferite fini sua vita. Morto Brac-
cio, l'Aquila fu libera di maggio li 23.
Il papa prese a se tutte le terre, che teneva
Braccio e Tartaglia , e mandò il conte Francesco
Sforza a campo a Foligni, quale signoreggiava Cor-
rado Trinci, e tolseli molte castella. S'accordò Foli-
gni col papa: e ciò subito fatto, il conte Francesco
venne in Vi?erbo a riposarsi, e fornitosi di ciò die
a lui faceva di mistiero prese soldo dal duca di Mi-
lano contro venetiani, e la su fé di gran prove. Si
che li fu mutato il nome, e chiamato il conte Or-
lando. De' gran fatti de' venetiani e fiorentini ad una
lega contro il duca di Milano non mi stendo, per-
chè l'atti tra loro tenuti non saccio a pieno.
Per tornare al nostro conio il papa Martino
mandò Micheletto e Paolo Tedesco con loro bri-
gate a campo a Mugnano e Bullmarzo, qual teneva
Ulisse di Simiotto Orsino, e dopo molle scaramucce,
e colpi di bombarda e di breccole, Ulisse fu pigliato
a Iradiraenlo da' suui vassalli, e messo nelle mani
309
del papa, quale gli tolse Mugliano, Bulimarzo, Ghia,
e CoUanello, e lui mandò confìnalo nel reame.
In fia questo tempo Bologna si ribellò alla chie-
sa. Ne fu cagione un gran cittadino chiamato Bat-
tista de' Cannetoli, e messer Giovanni Beccai. U papa
li mandò a campo Micheletto e messer lacomo Cal-
doro, e dopo longa guerra feron patto arrendendosi
alla chiesa mezzo mezzo come cosa quasi forzata.
Non occorre dire ogni particella.
Papa Martino fé poi aprire la porta santa di
s. Ioanni, e durò il perdono un anno, 1424, e ven-
nero moltissime genti al perdono a Roma. 1429 fu
la mutatione di Viterbo contro la casa Gattesca, et
in due volte s'incontraro insieme le parti. Fu vin-
citore Giovanni Gatto, e morto Arcangelo suo ne-
mico con 15 de suoi, feriti più di 20 huomini, e
detti Gatteschi hebbero vittoria.
Li 12 di febraro 1431 lunedi di carneviale scu-
rò il sole , e stette scurato quasi 30 punti a bore
22 e 3 o circa , e parve notte in quel tempo.
Alli 21 del detto mese morì papa Martino V a
ore 22. Saputa detta morte certi partigiani di Giovan-
ni Gatto fero romore, e tagliaro a pezzi Cola lan-
ciare nel palazzo del podestà. Seguirò poi altre bat-
taglie fra le parti , delle quali una si chiamava de'
Corbi , l'altra de' Maganzesi: di quella i Gatteschi
erano principali, de' Maganzesi era Marco Angiolo
detto Marcai ignotto.
Alli 3 di marzo fu creato papa Eugenio IV
in s. Maria della Minerba di Iloma. Alquanti giorni
dopo il prencipe di Salerno, nipote d i japa Marti-
no V, si parti di Roma, e così Prospero card, fratello
310
di dello prencipe, e li più principali Colonnesi, e
fatta pasqua, il dì di s. Gjorjjio dello prencipe venne
a Pioma con brigala sua per nemico del papa, e piesa
porta latina per forza le brigate entrorno in Roma
perfino a s. Giorgio , e per Colonna. Quivi furon
fatte gran battaglie, e dopo longhe guerre il prenci-
pe ne fu caccialo fora con sua gente , e tenne
porta latina parecchi mesi per forza facendo guer-
ra a Roma. Teneva il prencipe Marino, Ittnnazzano,
Cavi, contado di lui, contado di Celano , il prenci-
palo di Salerno, Anagrii. et altre terre. Di qua te-
neva Suriano, Mugnano, Chia, Nepi, Orle, Amelia,
Nargne, s. Lorenzo, e caste! d'Araldo. Fé poi il papa
acquistare s. Lorenzo, e Castel' Araldo, e Ghia si die-
de alla moglie d'Ulisse, Si ricoverò in Furano Or-
lando da lennazzano e Paolo Colonna. Questo fé una
correria in quello di Toscanella . e raccolse gran
quantità di pecore e vacche de' viterbesi e to-
scanesi li 25 di maggio. Passando detto Paolo pres-
so Vetralla con lai bestiame , et alquanti prigio-
ni, si riposò la notte tra le vigne di Vetralla, e lì
dentro si rifrescaro. Regnava io Vetralla il prefetto
Jacomo da Vico, quale aveva consentito a detta
correria sotto mantello. Sapulane la novella in Viter-
bo, la mattina seguente molli fanti viterbesi corse-
ro al monte per portarsi alli passi , perchè detto
bestiame doveva andare a Suriano, ed affrontandosi
con nemici due Hate li ruppero. Al che non po-
tendo Paolo far difesa, e vedendosi perditore, si rac-
comandò al prefetto che l'aiutasse, quale stava bene
in punto con un suo capitano dello il sig. de'Campi.
Avevano 200 cavalli di buono apparecchio senza li
311
fanti di Velralla, ^ gridorno: Prefetto, Prefetto. I vi-
teibesi, che non si guardavano da lui tenuto per ami-
co, si sbigoltirno tutti, e deronsi in volta, e furo-
no prigioni più di 80, e tanti toscaoesi, che in tulio
furo 128: (^.pqsì, traditi dal prefetto furo menati a
Suriano e riscossi per denari. , . ,
Regnava in Nepi per parte di detto prencipc.
il capitan Giovanni Malavolla da Siena, e fece pres-)
so a Monterosolo in quel tempo un assalto a molti
romei, che tornavano da Roma tramontani,, e fenne
morire gran quantità, e tutti li rubava. Ciò sapu-
1,0 jial papa,hebbelo molto a male. Il detto Paolo Co-
lonna fé una correria a Roma, e tolse ben 7000 be-
stie vaccine, e condussele sino a Velralla. Trassegli
dietro il conte A verso da Ronciglione, e fatta batta-
glia aVetralla, riscosse detto bestiame. Fé poi il papa
drizzare il campo a Nepi, e mandocci un capitano
detto Menicuccio dall' Aquila. Il prefetto, sentendo
sì fatte cose, mandò in aiuto de' nepesini 70 fanti
de'suoi. Si fero befatti d'aime: e fra questo tem-
po il papa fé accordo col prencipe , e fero pace
ferma, e li 5 di novembre, vigilia di s. Leonardo,
mosse sua oste adosso al piefelto a Velralla, e nella
Montagnola. Li capitani furo questi: Nicolò For-
lebraccio mise campo a Casamala nel fondato ver-
no, ed in piccolo tempo acquistò Casamala, Gapra-
rola, Fabrica, Carmignauo, A'^ignanello, e Valerauo:
prese delle castella col sig. de'Campi che era io
guardia di Gaprarola, e maudollo prigione a Su-;
riano restituito dal prencipe al papa insieme con
Mugnano, e Nepi e tutte le terre che teneva di qua
da Roma, tolto Vico e sciircato dal conte Averso.
312
Dello Nicolò n'andò poi a Vetralla con Ranuccio
da Farnese, e Menicuccio dall'Aquila, e fu commis-
sario del campo messer Giovanni Vitelleschi da Cor-
neto vescovo di Racanati. Avendo il prefelto sen-
tilo siffatte cose, sprovedutamente n'andò a Civita-
vecchia con la sua famiglia, e lì sì rinforzò giusta
suo potere. Rimase governatore di Vetralla detto
Gìo. Malevolta. Sendo detto campo a Vetralla insie-
me col popolo di Viterbo per spatio di pochi gior-
ni s'arrenderò ; e così Orchie, Rispampani, Bieda,
la Tolfa nova, Ancarano, e Cincelle. Acquistate le
dette rocche e castella con Tiivignano, si mosse it
campo, e andonne a Civitavecchia per terra, e per
mare ci venne un'armata di venetiani quasi 48 fu-
ste, e per spa(io quasi d'un mese e mezzo sbom-
bardoino forte la rocca , e con gran quantità di
berrettoni. 11 prefetto non po.ssendo durare s'arren-
dè al papa, et andato a Roma fece patto portar
quanta roba era in detta rocca, salvo il suo forni-
raenlo, di cui ebbe dal papa 4000 fiorini; e così sen-
do il prefetto spodestato delle terre sue, andò sano
e salvo a Siena, acconciandosi al soldo de'senesi con
300 cavalli. E nota che la della guerra col prefetto
fu di \erno nella più cattiva vernata che si vedes-
se mai nel 1431. Sicché caro costolli la pigliala di
viterbesi: e gli fu fatta una burletta, che diceva nel
capostanza : Onne pensiero falla Al prefetto superbo.
Volse disfar Viterbo. Hor si folla Vetralla. Gismon-
do imperatore essendo nella Magna si partì con
poca compagnia per pregarla del duca di Milano Fi-
lippo Maria , che haveva gran guerre co' venetiani
e fiorentini , e venne a Milano , poi a Piacenza, a
313
Parma , e Lucca, dando nova voler venire a Roma
per coronarsi: e così con gran sforzo d'italiani con-
tro volontà de'fiorentini venne da Lucca a Siena li
12 di luglio sabato sera 1432. papa Eugenio IV,
quale era in lega con veneliani e fiorentini, subito
ruppe guerra a' senesi, e fé fare la correria da Ni-
colò della Stella: e dall'altra parte Ranuccio da Far-
nese e fiorentini, che havevano giieira con Siena, fe-
ro ascendere Micheletto da Cotognola e Nicolò da To-
lentino. Havendo l'imperatore sentito questo, mandò
tosto un bando per Siena , che nullo a pena della
vita dovesse offendere terra della chiesa, ma essen-
do offesi si dovessero difendere dentro le terre lo-
ro, e COSI continuare. La gente della chiesa spesse
fiate predava il contado di Siena di prigioni e be-
stiami. Alli 28 di luglio l'imperatore mandò al bapa
un ambasceria con forza di cavalli, e non essendo di
accordo col papa tornaro indietro, e prima giunges-
sero a Siena detti ambasciatori fuio assaliti dalla bri-
gala di Nicolò della Stella, e fu morto un principal
ambasciatore che vi era, e gli altri rubali tornaro a
Siena:onde all'imperatore molto rincrebbe perchè era
uno delli maggiori signori nel suo paese. Haveva detto
ambasciatore dui figliuoli coll'mpeialore in Siena .
quali morto il padre fumo subito rimandati alle lo-
ro terre, e signorie.
Hora fu fatto un consiglio tra li sig. di Siena,
il prefetto, e Ludovico Colonna di far rompere la
guerra nel Patrimonio contro la chiesa; e cosi ce-
naro insieme una domenica sera, e lunedì presen-
te partissi il prefetto, e Ludovico Colonna da Siena,
et andato a Grosseto, di li mandare circa 400 fanti,
314
per terra, a Vetralla, et all'altre terre già perdute,
e con tradimento de'terrazzani enlraro in Vetralla
togliendola alla chiesa: così Bieda, Casamala, Ca-
prarola, Carbognano, Vignanello, e Vallerano che
anco si teneva, e la Tolfa nova nelli XI di ago-
sto, et a dì 12 li canapinesi enlrorno in Vallerano,
e miserlo a saccoraano abbrugiandolo tutto.
Ranuccio da Farnese con sua compagnia andò
alla Tolfa nova, che anco si teneva la rocca, e mis-
sela a saccomano , la guastò, scarcò , scacciandone
fuora tutte le fameglie.
Nel detto dì fu mandata una lettera a Nicolò For-
tebraccio, quale stava a Castello della Pieve , che
dovesse venire a Viterbo quanto prima per cagione
della detta mutatione di Vetralla. Venne a 14 del det-
to mese, e radunò sue brigate a fontana di ... nel leni-
mento di Viterbo, e contasi menasse sotto sua inse-
gna 2000 cavalieri e 1000 fanti. Nel detto dì giunse
a Viterbo per la medesima cagione Menicuccio dell'
Àquila con 500 cavalieri e 200 fanti: e misero cam-
po a Vetralla con le dette brigate. Era venuto in Vi-
terbo certi dì nanzi il card. Orsino, quale andato al
campo parlò con Nicolò e Menicuccio, e poi andò a
Roma nel primo di 7bre. Ogni dì rinforzando detto
campo , ci venne Giovanni Mostarda, il conte A-
verso , e più condottieri della chie.sa , et in spatio
di pochi dì fumo messe in punto bombarde, e driz-
zale alla terra fero cascare gran pezzo di muro.
Onde li vetrallesi e fanti assediati con travi, terre-
no, e tavole fecero molti ripari alli lochi cascati:
e tutti li merli decarpiti (sic forse di carpite) cohri,
315
e cuoia di bovi per meglio potersi difendere, e si-
mile de'sassi in quanlilà. ip
Hora alli 12 di 7bre 1432 tutto lo campo fu
messo io punto per dar la battaglia, e furo ordinate
tre schiere da tre parti della terra. La prima fu di
Menicuccio dell' Aquila, che con suoi compagni a
piedi dovesse dai* la battaglia a quel luogo verso
Viterbo presso la rocca, e così fu messo in assetto. La
2 fu il conte Averso e 'I Mostarda con altri con-
dottieri,che dovessero dar le battaglia pur verso Vi-
terbo ove era rotto il muro presso al Molino, e si mi-
se in assetto. La 3 schiera fu di Nicolò Fortebraccio,
che dovesse dar la battaglia verso Bieda nel capo di
solto ; e fu in sua compagnia Giorgio da Nargni
con 300 fanti e tutti suoi condottieri e soldati.
Hora da tutta la gente s'accostò alle mura con sca-
le lunghe e grosse per voler salire, e molte bale-
striere di fronte la terra , acciò li terrazzani non
potessero fai' difesa Così fu cominciato l'assalto da
ogni parte. Subito li velrallesi e fanti forestieri di
dentro si fero a difesa, e con sassi, balestre, e chia-
verine fero tanto, che quelli dell' hoste non li pote-
rò far niente , imperocché loro erano di sopra, e
bene armati di ciò che fa mestiero , e per fronte
tiraro dentro 4 scale. Fumo morti di quelli del
campo circa 16 huomini , e della terra circa 6.
Hoia si è tirata indietro ciascuna delle parli con
molti feriti , e duiò la battaglia circa 4 bore. Es-
•sendo tutta riposata per alcuni dì, cercorno pigliar
alcuni rimedi, e così alli 21 di detto mese fu por-
lato su carro un trabocco della ciuà di Viterbo e
fu condotto presso Vetralla ad una arcata al lato
316
della chiesa di s. Nicola sul piano di Vetralla. In
questo mezzo a dì 23 fu finito il fornimento del tra-
bocco e fatta una breocola di novo lavorata alla
Porta di s. Matteo di Viterbo, e furo subito man-
dati al campo di Vetralla, e messe in punto ancora
bombarde XI tra grosse e mezzane. Ogni giorno
fecero gran danno alla terra in tal modo che la con-
dussero a cattivo partito. Spesse fiate quei della ter-
ra uscirno fuori a scaramucciare con quelli del
campo , tanto che sarìa materia lunga a dire.
In questo mezzo il papa mandò il card. de'Conti
all'imp. a Siena che dovesse loro discordie accheta-
re, et andò in sua compagnia il card, di Monforte,
quale era stato alcuni dì ad Acquapendente. Gionto
in Siena esso Monfoite morì dentro del mese.
AHI 14 del detto mese venne a Viterbo il card.
s. Chimento, che era camerlengo, e nepote del papa
Tornato da Siena, il card. de'Conti andò dal papa
con patti, che si dovesse levare il campo da Vetral-
la. Il papa non ne volse far niente. Infra quel tempo
all' 11 di ottobre si rinforzò il campo a Vetralla, e
venneci Giovanni Malavolta , che era al soldo del
sig. Giovan da Camerino, e venneci Bultrinello che
era al soldo della chiesa, e tutte le communanze in-
torno Viterbo, Perugia, Todi, Orvieto, Nargni, Orte,
Amelia, Montefiascone, Toscanella, Corneto, et altre
terre, et ordinaro dar la battaglia : e fatta una cava
dal lato di sotto per entrare a scarcar molte mura
con le bombarde, eransi messi tutti in assetto. Ilora
quelli della terra fero lor consiglio vedendosi a mal
partito in questo modo, cioè tutti si radunaro insie-
me , terrazani, e forestieri, e fu per alcun di loro
317
ragionato. « Conciossiacosa che noi habbiamo havuta
« gran guerra, e grand' hoste adesso, ne semo ben
<( salvati per nostre prodezze, e fatto nostro honore.
« Havemo più fiate nnandato al prefetto per soccor-
« so, e non havemo havuto altro che parole, et ha-
« verno avuto mortai guerra. Considerale, che quan-
« ti di noi son stati presi, ^ tutti son stati appesi per
« la gola : havemo a terra mura, e case guaste da
« trabocchi e bieccole : semo affamati assai, e peg-
« gio assetati, e morti per forza più di 60, e ve-
» demo tanta gente più venire adosso , che credo
<< vorranno darci battaglia, e pigliarci per forza; e
« se a loro cresce l'aiuto, semo tulli morii. Onde
<< parrebbe che noi mandamo a Nicolò Fortebrac-
«' ciò nostra ambasciata, e pigliare qualche bono ac-
" cordo meglio che noi potemo : et a questa am-
<< basciata vadano dui vetrallesi e dui fanti fore-
« stieri. » Dopo molto ragionare così fu deliberato,
e andaro. Vedendoli Nicolò venire,^ gli ricepè gratio-
samente, et udita l'ambasciata gli fé rifrescare. Poi
Nicolò chiamò quelli vetrallesi da parte, e disse loro:
« Figlioli miei, come voi sapete havete hauto gran
'<■ danno da noi, e semo tuttavia per farvi. Pertanto
« io voglio in questo consigliarvi, imperochè voglio
« meglio a voi, che a questi fanti forestieri. Io tro-
« vo da loro patti sccretamente in questo modo, che
apa mise la corona
prima all' imperatore , poi andaro nantì 1' altare di
s. Pietro, et ivi li pose la seconda corona : poi n'an-
daro sopra 1' altare dove sta una sedia di marmo
alta e rilevata, e 11 gli pose la terza corona mag-
giore. Il conte Gentile di Pitigliano la dirizzò in cam-
bio del prefetto, il quale fu dispensato che costui
dovesse farlo: essendo il prefetto mandato cercando,
non volle andar.e. Poi detta la messa, e l'offitio tut-
to, montò a cavallo il papa e 1' imperatore, et in-
sieme vennero sino a Castel s. Angelo, e lì il papa
diede la benedittione all'imperatore, e tornò a s. Pie-
tro dove habit^va. Essendo poi l'imperatore sul pon-
te si ferino^ e fece cavaliero a spron d'oro il conte
Micheletto da Cotognola, et anco il detto conte Gen-
tile, et il figliolo di Battista Savello, e dui gentilho-
mini Orsini, e si certi altri italiani e tramontani del
»uo paese tutti fé cavalieri a spron d'oro. Poi n' an-
dò- con quella compagnia a 8. Ioanni Latcrano, e lì
327
desinò, e poi tornò al palazzo del papa dov' era la
sua stanza.
Hora torno a Vetralla. Essendo il suo campò
tuttavia rinforzato per la sopravvenuta di Maso da^
Fiesole, di Gio: Mostarda e Ludovico del Friuli eoa
loro brig^ate, quelli della terra, cioè fanti forestieri,
che pochi vetrai lesi ci erano dentro, bene si defen-
dero, e spesso uscivano a battaglia. Il ve.scovo d' An-
cona, rettore del Patrimonio, nelli 17 di giugno 143S
stando in campo, mandò a Viterbo e fé pigliare tutti
i vetrallesi homini e donne, vecchi e fanciulli, quanti
potette bavere, e felli menare a Vetralla alle 20 bore
e mezza, e cacciolli dentro. Ma quelli ch'erano in
Vetralla, non li volsero accettare, e tutta la notte le
povere donne con li figli e mariti stettero sotto le
mura di Vetralla. Poi la mattina quei fanti rimisero
dentro le donane e li fanciulli , e gli huoraini cac-
ciorno via con berettoni , che li trahevano : e nelT
jstesso punto di bore 20 e mezza scurò quasi il sole
lutto, e rimase come la luna voltata di 4 dì, e l'aria,
tutta era tenebrosa, et iit, questua ,fqrma dm'Ò mezz'
hora. (M't'tfioitt'^T/i •* <)•
Yenne Michelet(o nella Montagnola a campo
con poca gente, perchè tutto il fiore della sua com-
pagnia era rimaso al campo di Castelnovo. Acquistò
per la chiesa, e poi assediò Caprarola, tra il qual tei^-
po Nicolò Fo|:tebraccio con più di 1000 fanti e 100^
cavalli capitò in quel dOrvieto, e mise a saccoma-
no Fichluo e Garnaiola. Onde giunta la novella nel
campo di Vetialla, si diceva veniva per soccorrerla^
e perciò Micheletto lassato Caprarola andò al campo.
Hora avvenne, che quelli della Penna di là dal
328
Tevere si ribellalo alla chiesa, e deronsì a detto Ni-
colò, et egli ci mandò cento fanti sotto la condotta
di Francesco da Lagnano e Beccacino da Piedilu-
co. Haveva Nicolò ben 500 fanti senza soldo chia-
mati la brigata della Strenga. Ogni homo di mala
rascione correva a stare con esso, quale ogni gente
accettava. Per la pace di Toscana tutti i fanti trae-
vano a stare nel Patrimonio. Il duca di Milano per
poter disfare papa Eugenio mandò a detto Nicolò
15 mila fioiini d'oro, e fello suo soldato. Onde det-
to Nicolò mandò per il conte Antonio del Ponte
ad Era, e delli soldo per 400 cavalli, e 400 fanti con
patto che lui voleva venir nel Patrimonio, e di quan-
te terre acquistava gli voleva far parte: e tanta gen-
te raccolse, che furo circa 1500 cavalli, e 3000 fan-
ti, et acquistò con boni patti Ficulle, e tulle le ca-
stella che teneva il conte Giulio d'Orbieto capo di
parte Mercorina per esser stato cacciato da Orbieto
dalli Muft'ati. Detto conte s' accordò con Nicolò , e
così tutte sue castella davanli grand'aiuto. Tuttavia
la novella trascorse al campo di Vetralla. Perlochè
Micheletto , e Menicuccio , e Ranuccio da Farnese
abandonorno Vetralla, e tirorno a Valdarno per es-
ser presso a detto Nicolò , et alloggiorno la notte
a Sorgo a Sesto', e la detta notte Nicolò si mise in
camino con tutta sua gente, e venne verso Monte-
fiascone et alloggiò nel piano di Viterbo. Poi la se-
guente mattina partì con sua gente schierata in 12
schiere , et andò alloggiare nella valle di Vico li
24 di luglio. Sentendo ciò Micheletto, tornò in die-
tro con tutta quella gente haveva, e li 27 del detto
mese gionse a Viterbo. Vi gionse il Gatto suo con-
329
doltievo, partito dal campo di Castelnovo, Carapella
e Paolo di Uoma, che Micheletto aveva mandato per
metterli in Orbieto, pure tornorno a Viterbo il detto
dì. Haveva Micheletto 14 condottieri capi di squa-
dra sotto di se.
Nicolò con sua gente li 28 del detto mese pi-
gliò per forza il borgo di Sutri , dove poca roba
trovaro, perchè i sutrini l' bave vano quasi tutto ab-
bandonato havendo sentito la detta venuta; e volendo
Nicolò per forza pigliar la città, fé dar la battaglia,
che durò gran pezzo , e niente poterò guadagnare,
anzi ci fumo morti 27 de' suoi fanti, e feriti gran
quantità. Per il che li sutrini si rinforzaro fortemente.
Nicolò più lettere gli mandò su li beretloni, volen-
doli fare ogni partito che volevano acciò s'arren-
dessero, e recettassero i suoi cariaggi. Ma li sutrini
niente volsero udire mai. Nel detto dì quelli di Ca-
samala ribellati si dettero a Nicolò. Così Lugnano si
ribellò alla chiesa di là dal Tevere, e andaroiici 100
fanti che stavano alla Penna venuti da Francesco da
Lugano, che fé fare detta ribellione, et ammazzorno
certi partegiani del papa. Hora alli 29 del mese Mi-
cheletto chiamò a se il Gatto, e Jacomo da Roma,
e Paolo Todesco suoi condottieri con ben 100 ca-
valli e 150 fanti, e mandolli che dovessero recet-
tare in Ronciglione : il conte lacomo di Capralica
governatore di Castro non li volse accettare con il
conte Averso di Ronciglione. Nicolò e sua compa-
gnia stavano dentro il borgo di Sutri. Per la qual
cosa li detti condottieri sdegnati fero una correria
fra Sutri e Ronciglione, e pigliaro sei prigioni ca-
prarolesi, e dieci fanti di Nicolò, e più di 400 porci
330
e bestie con some di pane, che andavano al borgo di
Sutri , e menaronli a Viterbo: quali ora quei di
Nicolò havevano guadagnato in una correria a Cam-
pagnano. Poi alli 30 del dello mese Micheletto man-
dò due altri condottieri per metterli in Capralica con
70 cavalli e 70 fanti. Il conte lacomo non li volse
ricettare. Questi condottieri Carapella e Bultrinello
tornando indietro s'affrontaro con altrettanti de'com-
pagnoni di Nicolò , e fu preso un contestabile di
200 fanti detto il marchese, un trombetta, ed otto
huomini d'arme, et altri famegli, in tutto 14 a ca-
Tallo , e più di 40 fanti. Il detto Nicolò, vedenda
non poter prender Sutri, si partì una mattina per
tempo con tutta sua gente dopo haver abbrugiato il
borgo sudetto, e passò presso Fabrica, di h a Sorla-
no, e poi di là dal Tevere verso Amelia,e presso Fo-
ce e Capitona, et Amelia s'accordò con lui. Laonde
Micheletto con sua gente partì da Viterbo et andò
ad Orte, poi a Nargni per esserli più alle frontiere.
Intanto Nicolò si rinforza di gente a piede assai ,
che d'ogni parte vengono a lui, perchè haveva belle
offese da guadagnare. Così una mattina li 4 d'ago-
sto martedì andò con sua gente ad un castello canto
il Tevere chiamato Viano del signor Giulino dal Via-
nò' di casa Orsina, e non essendoci esso Giulina sr
itrise a parlare con la donna sua, e li diceva che li'
desse Caforo con suoi denari per governarsi , e ii^
donna rispondeva farlo prima sapere a Giulino suo
marito, che stava a Guardeia ; in questo li fanti ve-
nivano entrando dentro la terra, e per forza la pi-
gliaro a saccomano, et abbruciaro. Onde quelli d'At-
itghand ciò sentito, levando tutte loro robe e don-
331
ne, le poetarono a Pulimarzo e Mugliano. Dopo Ni-
colò anelò al Po io del detto Giulino, e subito l'heb-
be a patti, e ritornò a Viano. In questo mezzo gli
venne avviso che il prefetto con 300 cavalli s' era
partito dal comune di Siena : perciò passare il fiume,
e misero campo a Castiglione di Paolo Pietro della
Cerbara, dove dotte più battaglie, e fero cavar sot-
terra per poterlo pigliare a forza. Fratanto Micheletto
parti da Orte, e venne a Viterbo, Menicuccio andò
a Toscanella, e Ranuccio a Farnese prese stanza con
la gente.
Alti 12 d'agosto l'imperatore partì da Roma,
Io vi voglio tulli arriccare. con questo che tu con
undici tuoi compagni, mena (piali a le pare, mi pi-
361
gliale eli casa argento et armi, e fuggite verso il ca-
ste! 8. Angelo, et io \i \enò dietro fingendo volervi
pigliare. Voi chiamale da lungi il castellano, e pre-
gatelo vi mandi aiuto, e mettavi in castello , dove
poi cercate acconciarvi con lui, e quando vi parrà
tempo di potere ammazzare il castellano 1' ammaz-
zarete e gettaretelo in fiume, e questo sia il segno
a me dato. Noi poi verremo a darvi soccorso. Se
questo vien fatto ivi prometto 2 mila fiorini per
uno » . Disse detto famiglio farlo volentieri. E così
deliberato entrò con li suoi compagni in detta for-
ma nel castello. Sendo già dentio, il castellano pren-
de a domandarli per qual cagione loro havevano
robato il lor padrone,^ et eiano fuggiti ? Essi rispo-
sero perchè erano da lui maltrattali , et havevagli
promesso farli huomini d'arme, e non ne faceva
niente : onde se a voi piace staremo a soldo vostro
in questo castello. 11 castellano che era pratico , e
saggio d'ogni cosa , conobbe il tratto , e disse che
era contento: et havendoli alquanto assecurati, li fé
poi tutti pigliare, e cominciando col primo ad esa-
minarlo, solo li disse queste parole: (t Figliol mio,
io ho saputo per alcuno de'tuoi compagni come voi
lutti sete ventiti per tradirmi : pertanto se tu me lo
confessi, ti prometto ancora farti ricco: quando tu
non lo confessi, ti prometto farvi tutti impender per
la gola, salvo quelli che me han confessato tal cosa.
0 dichi o non dichi,in ogni modo lo so a pieno..,
Sendo detto famiglio impaurito, e pensando che il
castellano sapesse tutto il tradimento , liberamente
ogni cosa confessò. A questo il castellano prese par-
tilo per mostrare a Roma che tutto loro avviso sia
3G2
riuscito a pieno : temili eletti famigli sotto buona
guardia, fé vista gettare un morto in fiume contra-
fatto, e gridarono tutti li detti famigli come cosa or-
dinata:,, Viva il popolo di Roma, e la libertà.,, A que-
sto, lutti li romani correvano con arme, e parendo
loro aver vinto, cominciarono a montar sopra le pri-
me mura. Ma li detti famìgli; per comandamento
del castellano, dissero:,, Fatevi indietro, se non volete
che v'offendiamo.,, Loro risposero, che cagione li fa-
ceva dir quello ? Dissero li famigli, che prima vo-
levano li denari loro promessi, e poi gli dariano il
castello. Replicorno que'li volerli dare, ma non ha-
verli in quel punto contanti ; e loro soggiunsero ,
che li romani mandassero dentro otto buoni citta-
dini insieme con laoomo a farli carta e promissione,
et a loro dariano il castello. Li romani in questo
caldi e volenterosi mandaronci otto romani richiesti
dal famiglio per ordine del castellano ; et essendo
dentro, il castellano li fé pigliare, e cominciò a dis-
sertar bombarde e balestre, gridando:,, Viva la chie-
sa, papa Eugenio, et il conte Francesco Sforza: „ e
così rimasero ingannali li romani.
Hora torno a quello diceva. Essendo le dette
genti d'arme presso Magliano di Sabina nella forma
predetta ne fu scritto da alcuno di loro al duca ,
che n'ebbe gran dolore: e deliberato farli pacificare
a.ssieme, mandò uno suo nuovo commissario ben da
lui ammaestrato. Gionto nelli campi, e facendo l'im-
basciata del duca, fé tanto col conte, che concertò
la tregua per 7 dì, cominciando li 13 di luglio sino
li 20 per poter meglio praticar quello era stalo
commesso. Essendo capitolata detta tregua la notte
nG3
innan/i, Nicolò della Stella si mosse con gran quan-
tità di fanti, deliberato dare un assalto al campo del
conte. Giunse dove era per antiguardia Pier Brunoro,
uno de' contestabili, e dormendo securo per la tre-
gua bandita la sera nanti, fu da delti fanti assaltato,
toltigli 16 cavalli, pigliati gran quantità di fanti, e
robati denari et arme. Onde fatto giorno, il conte
se ne dolse, e mandò a dire a Nicolò che non era
ben fatto, considerata la tregua bandita : per il che
ogni cosa li fu renduto, salvi li denari perduti. Fi-
niti li 7 dì, il commissario trattò rifermar detta tre-
gua per 5 mesi. Il conte Francesco vedendosi in-
fermo, e non poter cavalcare per giacer in Ietto ,
alla tregua consentì, e così fu capitolata. Il signor
Lorenzo da Cotognola l'hebbe tanto a male, che so-
lo con 4 cavalli si partì dal campo, et andossene a
stare nel cassaro di Spoleti che si teneva per la
chiesa , dove fu ben ricevuto. Il conte havendolo
.sapulo , mandò Troilo suo fidalo a saper perchè sì
era partito, e che tornasse. Ma lui disse non voler
più stare a campo : non piacendogli la tregua, che
già tre fiate ha potuto disfare suoi nemici, e si e
la.ssato ingannare. Ha ve va Lorenzo lassalo in campo
un suo figlio con tutta la compagnia.
Fermata la delta tiegua; Nicolò Piccinino or-
dinò fare ammazzare a tradimento il conte in questo
modo. Haveva il conte un suo contestabile di 125
fanti chiamato Sbardellato da Civita Ducala, et es-
sendo per la tregua nel campo di Nicolò ordinaro
insieme questo trattalo. Diceva lo Sbardellato a Ni-
colò. 11 conte Francesco sta nel letto ammalato in
Utricoli, e vuole ch'io lo porli con miei fanti in una
3G4
varca sino a Narjjni. Onde quando mi parrà tempo,
prima che passi un tal passo, lo scannerò con questa
cortella che io porto a lato. Fate che in quel punto
voi siate schierati, che come la novella sarà sentita
li sforzeschi saran tutti sbigottiti: voi dateli a dosso,
e li farete tutti vostri prigioni. E se questo mi vieu
fatto, voglio mi diate X mille fiorini d'oro , e 500
paghe a vostro soldo. ,, Nicolò rispose esserne con-
tento, e li dette la fede sua. Tornato Sbardellato al
campo del conte presso Utricoli, manifestò la detta
trama ad alcuni suoi compagni , e menoUi dentro
una chiesa fuori d'Utricoli per contarli il fatto. Fu
udito da non so chi die mostrava in detta chiesa
dormire: e partito Sbardellato , e compagni , quel
tale subito n'andò al conte e manifeslolli il tradi-
mento. Il conte fatto pigliare lo Sbardellato lo fa
martorire, e mai volle confessar niente sempre ne-
gando. Il conte si mandò a lamentare con Nicolò,
et egli pure disse non era vero , e non si potria
mai provare. Il conte mostrandosi credente, fé las-
sar Sbardellato; e perchè era guasto, lo fé ben me-
dicare, e tennelo seco. Era il conte di natura pie-
toso, saggio, e bello di persona , più tosto grande
che picoio. Nicolò Piccinino era di mezza taglia ,
grosso nella persona, e pieno di vitii e malitie. Ni-
colò della Stella era piuttosto piccolo, che grande,
magi-antino, superbo, peiicoloso , e crudele a fare
ogni fatti, e cupido nella roba per ogni maniera.
Stante la detta tregua il conte fé mover sue
genti, e passò fra Nargni e Terni , ivi alloggiando
la prima sera. Nicolò Piccinino passò il Tevere, e
la prima sera alloggiò presso Mugnano. Nicolò For-
3G5
tcbraccio andò alla Fara li 22 di luglio 1434. Il
conte andò poi ad Acquasparta et in quel di Todi,
ivi attendendo guarirsi, poi a Todi. Nicolò Picci-
nino passò oltra ad Orvieto et a Perugia, dicea si
voleva andare a Bologna. Non passaro tre dì d'a-
gosto, che passaro presso le mura di Viterbo cer-
ti mandali da Nicolò della Stella, e dlceano venir
dal duca di Milano, e portavano a detto Nicolò alla
Fara 30 mila fiorini d'oro per farlo mettere in ponto di
gente e di roba. Nel tempo che la tregua si trat-
tava, come ho detto, il popolo di Camerino levò ro-
more, et amazzaro Berardo et un suo figliuolo , e
gridaro „ viva il popolo, e il conte Francesco Sfor-
za:,, et in questo modo l'ebbe. Anco ci furo morti
Piergentile e Gentile Pandolfo con loro figliuoli, cir-
ca 14 della casa di Varano , e l'un fratello uccise
l'altro.
Nel detto tempo all'entrar d'agosto il prefetto
tornò a Giugnanello che si teneva per lui, e menò
seco in tutto 12 cavalli che più non bave va, e cos'i
povero cominciò coli' aiuto de' suoi vassalli a rifar
la rocca di Vallerano, che la maggior parte era ri-
masta in piede quando fu abbrusciata la terra. Poi
Nicolò della Stella li rendè Garmugnano e Capra-
rola e così cominciò ad haver delle tene già
perdute. Antonello da Siena teneva Casamala, et era
fratello cugino del prefetto: onde pure in Casamala
haveva qualche podestà tal rispetto
Ilor torniamo un poco a papa Eugenio , che
slava in Fiorenza, senza corte, e senza cardinali. Solo
haveva il cardinal di s. Sisto: poi v'andò 11 cardinal
di s. iMarcollo. In spatio di tempo comincioino poi
366
a tornare in corte alcuni cortegiani smarriti per la
delta disfattione del papa , e prinaa uscisse agosto
li cardinali Orsino e de' Conti si partirò dal paese
romano, et andarono a Fiorenza. Li romani man-
dorno per Nicolò della Stella che andasse a Roma
per difenderli dalla guerra del caste! s. Angelo. V'an-
dò, et alloggiò nel palazzo del papa a lato a s. Pie-
tro di Roma: la qual chiesa era abandonata da' ca-
nonici e preti per la detta gnerra.
In tempo della tregua apparirò nel paese di Bo-
logna gemi d'arme del duca di Milano, circa 2 mila
eavalli bene in ponto, sotto gubernatione e guida
di Aloigi da s. Severino valente capitano, e con-
tinuo faceva guerra in quello di Bologna. Perlochè
la signoria di venetiani che era in lega con fioren-
tini , e Malatesta da Pesoli mandò contra a detto
Aloigi una bella compagnia d' arme circa 6 mila
cavalli sotto la gubernatione di Piergiampaolo, Or-
sino, e cos'i cominciaro romper guerra una parte e
l'altra. Bologna si stava di mezzo, et haveva tregua
con ogn'una delle parti. Hora Nicolò Piccinino es-
sendo in Perugia si voleva partu- et andar contra
le genti de' venetiani; e pregato da |)erugini lassas-
se parte della gente sua per loro bisogni , li lassò
600 cavalli delli migliori ch'havesse, e con quel re.
sto se n andò in Romagna, e fé una correria a Pe-
.soli, e tolseli gran quantità di bestiame, e prigioni,
et acccotossi con l'altra gente del duca. Onde li fio-
rentini per far più tortile genti de' venetiani ci man-
doino in aiuto Nicolò da Tolentino, Giovanni Ma-
lavolta, e Giovanni Mostarda, e Ludovico da Forlì
con altra gente, circa XI mila cavalli. Sendo già
3G7
presso Tuna parte e l'altra, la gente della lega or-
dinò per trattato d'haver Forlimpopoli che era del
duca di Milano. Il trattato venne palese alle genti
del duca, e deliberaro lassai'li tutti venire a Forlì
presso ad un castello chiannato Granarolo. Li tolsero
in mezzo, e coniinciaro battaglia insieme per lungo
spatio. Fumo perdenti le genti della lega, e fumo
presi Piergiampaolo, Nicolò di Tolentino, il Mala-
volta, messer Astorre da Faenza, il Mostarda, et al-
tri condottieri, et huomini d' arme assai, e guada-
gnarono circa 200 cavalli. Tal rotta fu li 28 d'a-
gosto in sabato. Come la battaglia fosse dura e cru-
dele ognuno lo slimi, che nel primo assalto fu get-
tato in terra Aloigi da s. Severino capitano ducale
dal fratello di messer Astorre da Faenza, e fu as-
sai pesto da' cavalli ; poi da' suoi famigli fu raccol-
to, e messo a cavallo. Quello poi operasse contro
nemici ogni huomo potrà stimare per la vittoria
che n'avvenne. Il detto signore di Faenza fé poi di
gran fatti, et in ultimo ferito di doi colpi scampò
dopo la rotta et andossene via. Galtamelata era colla
compagnia della lega, et a lui fu data la prima balta-
glia, ei primo ruppe tre schiere delle genti ducali,
quali fumo cagione far rompere il campo della lega:
poiché quando Galtamelata ruppe dette schiere, tutto
il campo della lega tirò a dosso a quella rotta, et in
quel tempo le genti tutte del duca ordinatamente
da ogni paite ci dero dentro, e cosi li ruppero, e
pigliaro li capitani ec. Galtamelata campò con li
primi prigioni e cavalli ch'haveva guadagnati. Sparsa
la novella in Siena e Roma ne fero gran festa: e
non passò molto, che Nicolò della Stella e romani
fero tregua con castel s. Angelo per tutto novem-
368
bre. Così Nicolò parli da Roma con sue gcnli, et an-
clossene ad Assisi.
Fra questo tempo la regina Giovanna di Na-
poli, et il re Aloigi che signoreggiava Calabria, e
messer lacovaccio Galdoro, tutti tre fero lega insie-
me, e con grand'esercito misero campo aHe terrò del
prencipe di Taranto, che è signore di cinque ha-
l'onie, cioè di grandissima quantità di terre , et in
poco tempo glie le tolsero , salvo Taranto et altre
terre fortissime. Si ridusse il prencipe in Taranto,
dove fu assediato dalle dette genti; e vedendosi di-
sfatto , mandò a pregare il conte Francesco Sforza
che volesse pigliar soldo da lui, et andarli in aiu-
to. Il conte rispose non volerlo fare , perchè mai
contro la regina si trovaria. Tal pregamento venne
alle orecchie della regina, e non sapendo la chiara
risposta del conte, e sospettando ch'egli v' andasse,
ordinò mandarli una imbasciaia, e manifestò al con-
te la lega fatta col re Aloigi e messer lacovaccio e
come haveva disfatto il prencipe di Taranto per il
che il conte restava in gran timore. E più lo man-
dò pregando li fosse in piacere domandar qualche
cosa alla corte in dono, o denari, o castella, o terre.
Rispose il conte che era assai contento d' ogni sua
esaltatione: ma denari, né terre non voleva doman-
dare, perchè tutte le cose che aveva lei li pareva
bavere in sue mani: e con questo tornaro indietro
li messaggi. Non parve per questo alla regina ha-
vcr cavato niente; e non rimanendo contenta, un'al-
tra fiata rimandò 1' ambasciatori a dire che la do-
vesse avvisare della sua inlentione, se li doveva an-
dar per nemico, o no. Il conte rispose non havesse
369
sospetto alcuno, perchè oflfenderia lei quanto lui nae.
desimo. Anco a questo non rimase contenta, e di
nuovo rinoandò l'imbasciata al conte, che li dovesse
jjiurare vassallaria: e se questo faceva, lei s'offeriva
farli guardare tutte le città, castella, e rocche, che
il conte teneva nel reame, che erano assai, a spese
dell'istessa regina. Il conte ciò sentito subito giurò
lui, e fece giurare tutti huomini suoi d'arme vassalleria
alla regina. E manifestarno tutto il fatto. Essendo l'am-
basciatori con cose publiche alla regina ne fece gran-
d'allegrezza, e rimase contentissima con sue genti.
Frattanto li romani per la guerra hauta dal ca-
stello , e perchè non fruttavano i lor terreni come
solevano , e perchè tutti li forestieri s' eran partiti
et a loro pareva che dello stato ne havesse più uno
che un altro, cominciorno entrare in divisione l'Or-
sini e Colonnesi. Laonde l'Orsini mandarono a tutti
li baroni Orsini che stavano nel paese romano, che
dovessero andarli a soccorrere con lor genti d'arme:
onde vanno l'infrascritti signori, cioè di là da Ro-
ma il conte di Tagliacozzo, il conte Antonio da Pon-
te Adera: di qua v'andò il conte Pandolfo da Stab-
bia , il conte lacovo da Capralica, il conte Averso
da Ronciglione, et Orsino fratello carnale del car-
dinale: et insieme tutte le dette brigate si ridussero
nel borgo di s. Pietro di Roma , cioè in pertica, e
non hebbero modo passar più nanli per all' bora.
Dall'altra parte Colonnesi mandorno cercando Rien-
zo Colonna che li dovesse con sua gente andare in
aiuto, il quale ciò sentito andò piesto, e fu messo den-
tro Roma. Et in questo modo li Colonnesi reggevano
lo slato per forza, li quali si tenevano col duca di
G.A.T.CXXV. 24
3T0
MUano, e mandorno messaggi a Nicolò Piccinino e
Nicolò della Stella, che più presto potessero 1' an-
dassero in aiuto, manifestandoli la mutatione fatta
dall'Orsini. Erano partigiani Orsini questi rioni, Pon-
te, Parione, e la Regola, e parte di s. Angelo. Tutti
l'altri rioni si tenevano per Colonnesi, salvo Traste-
vere, che le più fiate stava con sue persone di mez-
zo all'una parte e l'altra. Questa divisione fra' romani
fu scoperta li 15 d' ottobre. Sendo così divisati li
romani , li partigiani Orsini si mandar© a racco-
mandare al papa, ch'era in Fiorenza , li mandasse
qualche aiutorio. Il papa mandò il vescovo di Recana
ti, et il vescovo d'Ancona al conte Francesco Sforza
pregandolo facesse accompagnare questi prelati sino
a Roma ; et il conte ci mandò Lione suo fratello
con 1000 cavalli et 800 fanti , et entrati in Roma
corainciaro a gridare: Viva la chiesa e papa Euge-
nio. Dopo alcuni dì il popolo minuto levò rumore
per tutto gridando: Viva la chiesa et il papa: e così
facendo derno , Roma al papa. Per lo favore che
Lione faceva alli dui prelati fuggirono di Roma la
maggior parte de' principali Colonnesi. Hauta così
Roma, cavaro di prigione il cardinale camberlengo
del papa, e la signoria mandò il bando per tutta la
città clie ogni romano debba tornare a casa sua in
termine di X dì, e chi non tornerà sarà tneiiso per
ribello: omJe gran parie ne tornaro. Era Roma per
la guerra passala, e per l'assedio fattoli dal suo ca-
stello, tutta guasta, et impoverito tutto il popolo mi-
nuto e gran parte de' maggiori. E questo ancora
fu parte di cagione che s' arrenderò al pa()a , per-
chè tuttavia peggioravano loro condilione. Ante la
detta vittoria quei vescovi per loro mandati n' av-
371
KÌsaro il conte, e tulle le tene si tenevano per là
chiesa. Ne gionse la novella a Viterbo li 28 dèi
detto ottobre. I viterbesi ne fero gran festa et alle-
grezza con sonar campane e con fochi grandissimi.
Sapute tali novelle a Montrfìascone un commissario
che ci era per Nicolò della Stella, chiamato Giovan-
ne da Crema, per comandamento del suo signore
subito radunò quanta gente potette , et andonne a
Toscanella, mettendosi in aguato: e perchè li tosca-
nesi non si guardavano per la tregua già falla, li
mandò un messaggio con una lettera manifestan-
doli si debbano guardare. Letta la lettera, fece in
quel punto una correrria in modo che fur presi 38
prigioni di taglia, e gran quantità di bestiame gros-
so e minuto, e menaronli a;Monletìascone*, e così fu
retta la tregua tra il conte Francesco e Niccclò Piccini-
no-HoraMonleficscone da l'oft'esa a tutte le terre intor-
no, salvo Viterbo, e questo riserbava perchè non pote-
va far di meno non potendosi raantenei e se non a Viter-
bo, dove detto Giovanni da Crema si forniva di forni-
menti molti che in Montefìascone non haveva. Così da'
viterbesi fu dimandato detto Giovanni come voleva vi-
ver con loro ? Et egli rispose: Fino a novo ordine del
suo signore non ofFenderia Viterbo. Simile li viterbesi
scrissero a' vetrallesi, et al prefetto che stava a Ca-
prarola; et ognuno di loro rispose, che con Viter-
bo volevano pace e non guerra, che non ne pote-
vano far senza. Hora li viterbesi stanno securi , et
hanno da ogni parte pace. Infra questo mezzo, Lio-
ne Sforza e Fiasco, che stavano in Roma con la delta
gente , rimesso il cardinal nepote e camberlengo del
papa in signoria di Roma si partirono, e tornorono
al conte Francesco e mandarono a Bagnorea circa
372
80 cavalli el huomini d' arme per stantia che si
defendesse da Montefiascone. Così mandare gente al
conte di Gallese per suoi bisogni. Dall' altra parte
il detto camberlengo manda il conte Averso e Polo
Tedesco Orsino con altri soldati a campo alla Tolfa
nova dove il prefetto haveva fatta rilevar la rocca.
Se gli posero in assedio all'entrar di novembre , e
non l'hebbero.
Passati XI di del detto mese, Giovanni da Cre-
ma per comandamento di Nicolò bisognò offendere
Viterbo, e tutte le terre che erano centra di lui. E
cos'i lo mandò a dire a' viterbesi, e delli tanto ter-
mine, quanto a bell'agio potessero mandare per tutto
il bestiame et huomini di fuori, e li fé sapere che
si guardassero che gli bisogna far guerra per forza.
Essendo le cose ne' detti termini, il detto Giovanni e
Biagio da Perugia parente di Nicolò della Stella con
quanta gente potere adunare n'andare a far una cor-
reria a Bagnorea. Del che hauta notilia per qualche
spia, le genti d'arme del conte, che stavano in Ba-
gnorea, mandare fuori tutti li bovi della terra fi^cen-
doli spander per la campagna. Essi pei si misero in
ap^uato de' Bracceschi, e fero insieme fatto d' arme
])er mode che Giovanni da Crema fu pigliato, et a
Bianio fu passata una spalla da un canto all' altro
da una lancia restata , e fumo pigliali gran parte
di quelle genti d'arme , e de monlefiasconesi fumo
ammazzati parecchi, e guasti assai cavalli, e messi
l'.Tvanzo in rotta; e non bastando questo, li Sforze-
schi andare la notte a guardare intorno le mura di
Montefiascone, e quanti ne trovare tutti li pigliare
li 15 di novembre. Rolla la detta guerra, il cardi-
373
naie camberlengo liberato da' romani si parti da Ro-
ma, et andò a Gorneto, ove stette alcuni dì: poi andò
a Fiorenza. Il conte Francesco Sforza fu dal papa
rifermo confalouiero della chiesa e marchese della Mar-
ca, gran contestabile della regina di Napoli, e solda-
to della lega de' fiorentini e venetiani; et in quel tem-
po mise campo a Castiglione di Nicolò, et hebbelo
presto, salvo la rocca, e mandò il campo a Lugnano.
Andaropoi 150 fanti di Nicolò di notte tempo, en-
trati per la rocca di Castiglione là racquistaro la ter-
ra con danno della gente che ci trovarono. Passò
non in tutto il mese di decembre che il conte Fran-
cesco mandò per stanza a Viterbo messer Alessandro,
uno de suoi fratelli carnali, con 150 cavalli, e Lione
l'altro fratello era prima andato a Toscanella per
stanza; e guerreggiavano a Montefiascone et a Piti-
gliano; il quale Pitigliano dopo la morte del conte Gen-
tile che fu ammazzato a Soana da sonanesi propri, e de-
ronsi al comunedi Siena, era retto dalla contessa. Onde
all'hora la contessa moglie del conte già Gentile, e
pitiglianesi s'accostorno con Nicolò Piccinino e Ni-
colò della Stella. E così rotta la detta tregua fecero
guerra alle terre del conte Francesco Sforza, e così
il conte a loro. L'altra guerra fu rolla a Magliano
di Sabina, ohe si teneva per Nicolò Piccinino: onde
li mosse guerra il conte di Foglia che si teneva per
il conte Francesco Sforza, e facevano a Magliano guer-
ra mortale. Così da ogni banda del Patrimonio si
faceva guerra, et era tutto il paese corrotto, e pieno
di tradimenti.
Venuto il 1435, il prefetto fornì la ferma sua
con Nicolò della Stella, et acconciossi al soldo del
374
conte Fianceseo, et ebbe trattato con quei pochi ve-
traUesi ch'erano in Vetralla, e li detti vetrallesi pi-
gUorno il castellano che stava per Nicolò , che si
tidava di loro, e così preso levaro romore , gridando:
Viva il prefetto. Erano in Vetralla per Nicolò forse
20 fanti, de' quali fumo pigliati fino a 12, e dui
loro contestabili Pietro Antonio eRomanello, e messi
in rocca prigioni. E così il prefetto hebhe Vetralla
a sua petitione li 2 di gennaro. Fatta la detta mu-
tatione il prefetto fu avvisato del fatto , e volendo
partir da Caprarola per andare a Vetralla, non si fi
dava per limenza del conte Averso da Ronciglione,
che gli era nemico.
Onde mandò a Viterbo a messer Alessandro
Sforza che li fesse piacere mandarli 80 cavalli per
sua compagnia: et havutili, n'andò a Vetralla facendo
prima una correria a Ronciglione, dove pigliò certi
prigioni, et in Vetralla fu ben ricevuto li 5 di gen-
naro, et alli 7 fece li dui contestabili prigioni get-
tar dalla rocca e morirno. Prima che passasse detto
mese, quei di s. Gemini , Capitona e della Penna ,
che si tenevano per Nicolò Piccinino, tutti con buoni
patti si dettero al conte Francesco Sforza.
A mezzo lebraro Lione Sfojza andò di notte, e
«calò Castel d'Araldo, che si teneva per Nicolò For-
tebraccio. Fra questo tempo il conte Francesco tolse
al comune d'Orbieto tutti li castelli che si tenevano
per il vescovo d'Orbieto slesso, quale teneva la città
sua a petitione di Nicolò Piccinino. Tolte, le mise a
saccomanno, e misevi dentro fanti suoi, et ogni dì
erano su le porte d'Orbieto: tenendolo tanto stretto
che non n'usciva persona.
375
Entrato marzo, il conte Francesco andò a Cor-
Iona, e ricevè denari dalla lega de' veneliani e fioren-
tini: tra denari e velluti 200 mila fiorini d'oro, e eoo
la gente sua che menò seco 1500 cavalli, con tan-
cie in mano, e 1800 faoli con 800 largoni venen-
dosene a Todi passò tra Perugia et Assisi e mandò
a dire a Nicolò Fortebraccio se voleva torli detti
denari che andasse, poicchè li passava a presso. Que-
sto fece perchè Nicolò haveva detto volerli torre
per forza, ma non ne fece niente. Tornato il conte
con detti denari a salvamento in Todi pagò tu(ti
suoi compagni. S'era partito da Nicolò Piccinino con
suo gran dolore e malinconia un capitano di gente
d'arme chiamato il Taliano con 500 cavalli e 400
fanti, gente tutte di buon apparecchio: costui dettesi
con tutti i suoi al soldo del conte Francesco. Era
già detto Nicolò Piccinino con salvo condotto del pa-
pa venuto una fiata al bagno di Siena, e venne per
mare e per terra li vennero per sua guardia 600
fanti, e 100 cavalli. Volendo sotto inganno far venir
Francesco Piccinino suo figliolo da Lombardia con
tutta sua gente volse passar per Faenza: ma il sip.
di Faenza si parò a' passi, e contradisseli il passare
per modo che fero fatto d'arme insieme, et il figliolo
di detto Nicolò perde 200 cavalli: e non potendo di
li passare, cercò passare per il paese de' lucchesi a
30 e 40 cavalli per volta.
Era già principiata la guerra in Lombardia per
cagione che il duca di Milano haveva cercato trat-
tare con padoani per torre Padova a' veneliani, e raan-
docei 4000 fanti prestati a lui dall'imperatore e 2000
fanti de' suoi. Facevano questo per render Padova
376
a Brunoro della Scala, che era coH'imperatore, e li
venetiani I' havevano cacciato da detto paese. Hora
non giungendo li detti fanti per 4 hore a tempo in
Padova, fu scoperto il trattato e da' venetiani furon
pigliati dentro Padova il figlio di detto raesser Bru-
noro , e dui commissari del duca et un commissa-
rio dell' imperatore entrati in Padova sconosciuta-
mente, e furono impicati per la gola.
(Sarà continuata)
377
ITJ^lll^l'i^^
Bella imitazione di Cristo, libri quattro, secondo Vantico volgariz-
zamento ridotto a corretta lezione per M. A. Parenti. — 8."
Boma nello stabilimento di G. A. Bertinelli 1851. (Un voi. di
pag. Vili e 326.)
J^esiJeralissima non meuo dagli uomini pii , ciie dagli amatori
delle italiane eleganze, esce questa ristampa dell'antico volgarizza-
mento (]elV Imitazione di Cristo: perciocché in poche mani trova-
vasi quella che ne fece in Modena il chiarissimo signor professore
Parenti. Noi dobbiamo siffatto favore al benemerito sig. ab. Fabio
Sorgenti, il quale si è dato gran cura perchè l'edizione riesca ni-
tidissima non meno che correttissima. Or ecco un libro, di cui,
dopo il divino vangelo, non sarà fra' cristiani chi più santamente
innamorisi e goda.
Lettera di Baldassare Castiglione a Federico Gonzaga marchese di
Mantova , ora per la prima volta messa in pubblico da An-
tanenrico Mortara membro dell'accademia colombaria di Fi-
renze, della labronica di Livorno, della tiberina, di quella del-
Vimmacolata concezione e delVarcadia di Roma, dell'accademia
pontificia di Bologna, di quella de'risorgenti di Osimo, della
società aretina di scienze lettere ed arti , e di varie altre. —
8." Casalmaggiore coi tipi de' fratelli Bizzarri e comp. 1851.
(Sono pag. 16.)
Lod
diamo V egregio sig. Mortara di questo nuovo n-galo che fa
alle nostre lettere classiche.
378
fita dì Silvia Curtoni feria veronese. — 8.0 Verona eoi tipi di
Dionisio Ramanzini. ( Un voi. di pag. 184 col ritratto della
Verza in bellissima litografia.)
Xja Cartoni Verza fu donna fra le italiane chiarissima nell'età sua:
perchè, scolara del celebre Girolamo Pompei, coltivò ed amò som-
mamente le lettere. Nacque in Verona nel 1731, e vi morì il 20
di agosto 1833. Fiorì nelT amicizia del Parini , del Pindemonle,
del Torelli, del Lorenzi, del Fortis, del Vannettij del Bettinelli e
d'altri illustri , ed ebbe finché visse aperta in patria la sua no.
bile casa quasi ad una serale accademia d'ogni coudizione di lette-
rali e di artisti.
Autore di questa dotta ed elegante vita è il veronese sig. Ben-
nassù Montanari, ben noto all'Italia per l'altra importantissima che
ci die del suo incomparabile maestro ed amico Ippolito Pindemonte.
Biografia del professore Pietro Obici scritta dal prof Giovanni lio-
sini. 4." Pisa tipografia Nistri 1831. (Sono pag. 16.)
JLj Obici fu professore illustre di meccanica e idraulica nell'uni-
versità di Pisa, morto il 19 di agosto 1849 in età di soli 45 anni.
Ci dispensiamo dal lodare, come merita, questo scritto, non aven-
done bisogno ciò ch'esce dalla celebre penna del cav. Giovanni Ro-
tini.
Jlugustini Caporilli Razzae patricia nobilitate, sacerdotis canonici
sanctae ecclesiae alatriensiss hendecasyllabon M0N0BIA02. —
8." Jìomae ex typographìa veuustarum arlium 1850. ( Sono
pag. 46.)
.11 canonico Caporilli Razza fu scrittore di belle eleganze nella lin-
gua latina, la quale apprese a'puri frati de'cl.issici. In questo vo-
lumetto di cadecasillabi v'ha di moli 'oro: ed eccone mi saggio .
379
DE PARTU VIRGINIS
Betlilem heu I Davidis urbs vetusta regis
Teclutn davidicae negat puollae
Ferro durior ac inhospitalis.
0 factum male ! o misella virgo !
Quae nuiic lassula tristinm viarnm,
Uigescens, nive, brumae et impotentis
Acri vi, corniti inque nixa fido
Successit stabuli nidis latebris,
Summi ut progeniem ederel Toiiantis.
Divi sidereae domus aliirani
Eia preclari venite lapsu ,
Sordes vos tuguri absoletioris,
Umbras pallidulasque dimovete:
Matris et piieri levate curas;
Raptim vel potine superuara in autam
Subvecti puer atque mater alis
Inf'erantur Utriciue caelica aula
^umquid dignius est decentiusqiie ?
DE D. ALOISII GOr 96
Montanari, Elogio di Gaspare Spontini . » 102
Viola, Lettere sul colle Tiburtino {Continuaz.) » 160
Diotallevi, Gcnuiua interpretazione della frase
Figere cervos di Virgilio '. . . . . » 197
T. Livio, Frammento di traduzione della sua
deca III , lib. /. » 257
Baldassini, Articolo necrologico del conte Giu-
seppe Mamiani » 271
Re, Traduzione delle satire di Giovenale . » 284
Della Tuccia, Cronica inedita de' fatti d' Italia
nel secolo XV, pubblicata dal prof. Orioli. >^ 299
Varietà.
s,-^'-
IMPRIMATUR
Fr. D. BiUtaoni S. P. A. Mag.
IMPRIMATUR
F. A. Ligi Archiep. Icon. Vices{».
GIORINALE
TOMO CXXVI
Gennaio, Febbraio e Marzo
1852
ROMA
Tipografia delle Belle Arti
mi
Piazza Poli n. 91,
'Si • '^ ^ H O I
ifA/:j Oi/Ui'
l'iA alf'ifl olisi) f,ilin!^(
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DIRETTORE DEL GIORMLE
S. E. il sig. principe ». PIETRO ODESCALCHI,
consigliere di stato,
presidente delle pontiflcie accademie
di archeologia e de' nuovi lincei, ,, ,
membro del collegio fllologico
dclfunivcrsità romana*
@#S^i>ll^^#ll
BETTI cav. SALVATORE , professore di storia e mitolo-
gia e segretario perpetuo dell'insigne e ponlificia acc;ide-
mia di s. Luca, membro del collegio filologico dell' uni-
versità romana, socio ordinario e censore della pontificia
accademia di archeologia, accademico della crusca.
BORGHESI cav. BARTOLOMEO, accademico della crusca,
corrispondente della ponlificia accademia romana di ar-
cheologia e dell' instituto di Francia, membro delle RR.
accademie delle scienze di Berlino, Torino ec.
CAPPELLO cav. AGOSTINO , cotisigliere emerito del su-
premo magistrato romano di sanità, già medico consulente
della san. mem. di Leone XII, socio ordinario delle pon-
tificie accademie di archeologia e de' nuovi lincei.
MAGGIORANI dott. CARLO , membro del collegio medi-
co-chirurgico e professore di medicina politico-legale nel-
r università romana, socio ordinario della pontificia acca-
demia de' nuovi lincei.
POLETTI cav. LUIGI, presidente e professore di architet-
tura teorica nell'insigne e pontificia accademia di s. Luca,
professore ordinario di architettura nell' ospizio aposlo-
IV
lieo di s. Michele , professore onorario della R. accade-
mia delle belle arti di Modena, architetto direttore della
riediBcazione della basilica di s. Paolo , consigliere della
commissione consultiva di antichità e belle arti presso il
ministero del commercio e belle arti, addetto al collegio
filosofico delTuniversità romana, socio ordinario della pon-
tificia accademia di archeologia.
VISCONTI commendatore PIETRO ERCOLE , commissario
delle antichità romane, presidente onorario del museo ca-
pitolino, segretario perpetuo e socio ordinario della pon-
tificia accademia di archeologia , membro del collegio fi-
lologico dell' università romana, consigliere della commis-
sione consultiva di antichità e belle arti presso il mini-
stero del commercio e belle arti.
ONORARI
CARPI Gay. PIETRO , professore di mineralogia , membro
del collegio medico-chirurgico e direttore del gabinetto
mineralogico dell' università romana, socio ordinario del-
la pontificia accademia de' nuovi lincei.
&E-CROLLIS cav. DOMENICO, presidente del consiglio sa-
nitario militare.
GERARDI dott. FILIPPO.
COLLABORATORI
ASTOLFI avv. Angelo, giureconsulto, a Rologna.
RARTOLINI monsignor Domenico, ponente della sacra con-
sulta , socio ordinario della pontificia accademia di ar-
cheologia in Roma.
BIANCHINI Antonio , segretario della società degli amici
delle belle arti, in Roma.
BIOLCHINl Pietro, segretario del giornale, in Roma.
BONCOMPAGNI S. E. don Baldassare, socio ordinario della
pontificia accademia de' nuovi lincei , onorario di quella
di archeologia, in Roma.
V
BRIGHRNTI cav. Maurizio, ing-egncre ispeUore, a Bologna.
BRIGNOLI di Brunoff Giovanni, professore, a Modena.
CAMPANARI avv. Secondiano , socio corrispondente della
pontificia accademia romana di archeologia, a Toscanella.
CANTALAMESSA CARBONI Giacinto, in Ascoli.
CAPOZZI Francesco, a Lugo.
CHELINI padre Domenico, delie scuole pie, professore nel-
l'università, Bologna.
CHIMENZ dott. Baldassarc, chirurgo, in Roma.
CICCONETTl avv. Felice, giureconsulto, in Roma.
CONTI dolt. Filippo, medico , a s. Anatoglia di Camerino.
COPPI ab. Antonio, segretario del pontificio instituto agra-
rio, socio ordinario delle pontificie accademie di archeo-
logia e de' nuovi lincei, in Roma.
CORDERÒ DI S. QUINTINO cav. Giulio , membro della
reale accademia, a Torino.
DE-FERPiARI padre maestro Giacinto, dell'ordine de' pre-
dicatori, commissario generale del s. uflìzio , consultore
delle sacre congregazioni dell'indice, de'vescovi e regola-
ri , di propaganda e del concilio , socio ordinario della
pontificia accademia di archeologia, in Roma.
DE-LUCA monsig. Antonino, vescovo di Averla.
DE MINICIS avv. Gaetano corrispondente della pontificia ac-
cademia di archeologia, a Fermo.
DE-ROSSI cav. Giambalista, scriKorc di lingua latina nella
biblioteca vaticana, socio ordinario della pontificia acca-
demia di archeologia, in Roma.
DIONIGI ORFEI contessa Enrica, in Roma.
FARI de' conti MONTANI monsignor Francesco, cameriere
segreto di Sua Santità , canonico della patriarcale basili-
ca di s. Maria maggiore, pro-custodedi arcadia , consul-
tore delle sacre congregazioni dell' indice e di propagan-
da fide, in Roma,
FERRUCCI cav. Luigi Crisostomo, a Firenze.
FERRUCCI Michele, profossore, a Pisa.
FIORINI MAZZANTI Elisabetta, in Roma.
VI
FOLCHI cav. Clemente , arcbitetto di Sua Santità , consi-
gliere dell' insigne e pontificia accademia di s. Luca, in-
gegnere ispettore emerito membro del consiglio d' arte ,
addetto al collegio filosofico dell' università romana , so-
cio ordinario della pontificia accademia di archeologia ,
consigliere della commissione consultiva di antichità e
belle arti presso il ministero del commercio e belle arti,
in Roma.
F0NT4NA cav. Pietro , corrispondente della pontificia ac-
cademia di archeologia, a Spoleto'.
FRANCESCHI FERRUCCI Caterina, a Genova.
GIACOLETTI padre Giuseppe , delle scuole pie , in Pie-
monte.
GIULIANI padre don Giambatista, somasco, professore d'elo-
quenza sacra nell' università, a Genova.
GRIFI cav. Luigi , segretario generale del ministero del
commercio, belle arti ec, socio ordinario e conservatore
perpetuo dell' archivio della pontificia accademia di ar-
cheologia, in Roma.
GUZZONI DEGLI ANCARANI dott. Carlo, a Spoleto.
LARUS cav. Giovanni, membro dell'I, e R. istituto, a Mi-
lano.
LEONARDI dott. Mauro, medico primario, in Amelia.
LOPEZ cav. Michele, prefetto del ducal museo , a Parnia.
MARCHI padre Giuseppe, della compagnia di Gesù, consul-
tore della sacra congrega/ione delle indulgenze e sacre
reliquie^ membro del collegio filologico dell'università, so-
cio ordinario della pontificia accademia di archeologia, in
Roma.
MASETTI canonico Celestino, a Fano.
MONTANARI Giuseppe Ignazio, professore, a Osimo.
ORIOLI Francesco , consigliere di stato, professore di sto-
ria antica ed archeologia ncU' università, socio ordinario
e censore della pontificia accademia di archeologia, soci(i
ordinario dell' altra pontificia de' nuovi lincei, in Roma.
PAOLI conte Domenico, a Pesaro.
PAULUCCI Domenico, vicesegretario municipale, a Bimini.
PERETTI Pietro , professore emerito di farmacia dell' uni-
versità, in Roma.
PIANCIANl padre Gio. Battista, della compagnia di Gesù,
membro del collegio filosofico dell' università , socio or-
dinario della pontificia accademia de' nuovi lincei , in
Roma.
PLANA barone commendatore Giovanni, membro della reale
accademia delle scienze, professore d' analisi nella univer-
sità, regio astronomo, a Torino.
PUCCINOTTI dott. Francesco , professore nell' università ,
a Pisa.
RAMBELLI Gio. Francesco, professore, a San Giovanni in
Persiceto.
BAMELLI Camillo, professore, a Fabriano.
RANGHIASCF BRANCALEONI marchese Francesco, a Gub-
bio.
RICCARDI dott. Gregorio, medico, in Roma.
RICCI marchese cav. Amico, a Bologna.
ROSSI monsignore Stefano, prelato domestico di Sua San-
tità, delegato apostolico della provincia di Ravenna.
SANTINI dott. Angelo, medico primario, a Mentalboddo.
SECCHI padre Gio. Pietro , della compagnia di Gesù , so-
cio ordinario e censore della pontificia accademia di ar-
cheologia, in Roma.
SORGONI dott. Angelo, primo medico, a Monlolmo.
SPEZI Giuseppe, professore di lingua greca nell' università
romana, socio ordinario soprannumero della pontificia ac-
cademia di archeologia, in Roma.
TORTOLINI ab. Barnaba, membro del collegio filosofico e
professore di calcolo sublime nell' università , professore
di fisica matematica nel collegio urbano di propaganda e
nel seminario romano, socio ordinario della pontificia ac-
cademia de' nuovi lincei, in Roma.
TROMPEO cav. Benedetto, a Torino.
VALDRIGHI conte Mario, a Modena.
VII!
VALORI cav. Francesco , membro uui collegio medico-
chirurgico , professore di sanila nella sacra consulta, in
Roma.
VESCOVALI Luigi, socio ordinario della pontificia accade-
mia di archeologia, in Roma.
VOLPICELLI Paolo , professore di fisica sperimentale nel-
r università, direttore del gabinetto fisico, segretario della
pontificia accademia de' nuovi lincei, in Roma.
ZANELLI ab. Domenico, in Roma.
Lettera del prof. Giuseppe Osenga al eh. sig. cav.
Angelo Pczzana^ bibliotecario della reale biblio-
teca di Parma, intorno all'opuscolo intitolato: —
Della vita e delle opere di Gherardo cremonese
traduttore del secolo duodecimo e di Gherardo
da Sabbioneta astronomo del secolo decimoterzo.
Notizie raccolte da Baldassare Boncompagni. —
Illmo sig. cav. bibliotecario
G
ià da un mese io le debbo mollissime grazie pel
dono fattomi di un esemplare del bell'opuscolo in 4."
recentemente edito in Roma, che ci porge le noti-
zie raccolte dal principe Baldassarre Boncompagni
sulla vita e le opere di Gherardo Cremonese tradut-
tore nel XII. " secolo , e di Gherardo da Sabionetta
astronomo nel secolo XIII."
Questa nuova operetta dell'illustre patrizio ro-
mano colpisce già al primo aspetto per la nitidezza
G.A.T.CXXVI. 1
•i
e ricchezza lipografica; che se poi l'amatore avido,
com'io, di gustare il bello, e l'instancabile indaga-
tore di mende , prendano a studiosamente esami-
narvi i facsimile che numerosi vi si trovano, e ne
considerino minutamente le forme, e le dimensioni,
e le punteggiature, e perfino le tinte, specialmente
riguardo ai due fogli in pergamena , e alle pagine
22% 23% 79», 80% 96' e 97% non potremo che
accordare grande pregio di esattezza a questo libro,
e volgere sentimento di grato animo e di plauso a
quell'agiato cui l'amore degli utili studi induce ad
erogare non lievi somme, e senza pompa, in lavori
come questo, illustrando la patria comune.
Ma né soltanto per tipografico valore parvemi
ragguardevole il libro ch'ella ha voluto favorirmi;
bensì tutto leggendolo con attenzione vi ho scorto
ad ogni pagina squisito tatto di storico, ponderato
giudizio nelle controversie, ed erudizione straordi-
naria e certamente per laboriosissime e dispendiose
compulsazioni acquistatasi; ond'io sebbene assai poco
istrutto d'antiquarie, anche in ordine alla scienza che
con tanto dilett» professo, sentomi attratto ad ac-
coglier« per «indubftaiti i ifattiiin quest'opera dedotti.
E con compiacenza vi leggo luminosamente con-
fermato altro essere stato il Gherardo Cremonese, me-
dico insigne che con tanta lena nel duodecimo se-
colo fu traduttore in Toledo di irapoitanti opeie
scientifiche dall'arabico nell' idioma latino, altro il
3
{Gherardo , pure abilissimo medico lombardo , che
dipoi in Italia, e specialmente nella dotta Bologna,
apportò alla propria estimazione nocumento , e al
progresso delle sane dottrine filosotìche ed astrono-
miche ritardo funesto, facendosi autore e campione
di fole astrologiche e di assurde teorie planetarie :
teorie di cui allora fu gran voga, quantunque vi-
gorosamente le combattesse quel Regiomontano (Mul-
ler ) cui dobbiamo annoverare fra i primi restau-
ratori delle scienze positive in Europa.
E le notizie sul primo Gherardo io ho qui lette
con molta soddisfazione, non tanto apprendendo di
varie sue traduzioni fino ad ora non note abbastan-
za, quanto percorrendo la sua traduzione di quella
operetta inedita che presenta raccolti in breve scrit-
tura i principii elementari dell'algebra, e che sì in-
gegnosamente discorre delle equazioni quadratiche
tentandone una soluzione geometrica , com'è ripor-
tato nella seconda delle pergamene premenzionate .
e facendo uso delle quantità negative nella guisa la
più esplicita ; il che valentemente corrobora , anzi
ineontestabilmente conferma, le opinioni del celebre
Chasles in due interessanti subbietti, cioè essere già
fino dal secolo XIT pervenute all'Europa le teorie
dell'algebra numerica , e fin d'allora al dominio di
codeste teorie avere appartenuto il concetto delle
quantità soUrallive; e sono al principe Boncompagni
bene liconoscenle dell'averci esposto intero codesto
4
trallatello di matematica , perchè ad approfondire Io
studio dei principii metafici della nostra scienza è
di mollo lume il vedere sotto quali aspetti, con quali
forme , e per quali raziocini gli antichi matematici
(de'secoli XP e XIP) scorgessero, esprimessero , e
stabilissero queglirremovibili fondamenti , sui quali
ammiriamo in oggi ergersi cotanto sublimi monu-
menti scentifìci.
Accolga pertanto, chiarissimo sig. cav., i miei
ringraziamenti, e prova della loro vivezza le sia que-
sta indiscreta preghiera ch'io le volgo, di volermi
pure addittare quelle opere di argomento analogo
che in appresso dalla penna del Boncompagni fossero
per crearsi.
Parma 29 febbraio 1852.
Suo Devotissimo Servitore
G. OSENGA
Sul sanitario congresso internazionale aperto a Pa-
rigi nel di 23 luglio 1851 e chiuso nel di 19
gennaio 1852. Cenni storici di Agostino Cappel-
lo^ membro del medesimo^ e consigliere emerito
d el supremo romano magistrato di sanità.
Oe pei progressi degli scientifici lumi e deirinci-
\iliinento si fece a' dì nostri tesoro di utili nozioni
contro gli esotici ed indigeni contagiosi nriorbi, tut-
tavia il sanitario preservativo regime non serbavasi
all'unisono , ma si osservava qua e là svarialo : in
talun luogo anzi tendevasi apertamente alla sua to-
tale distruzione. Quindi non sarà mai abbastanza de-
gno di encomio il filantropico pensiero surto in Ita-
lia ed in Francia per invitare a parlamento i più
illuminati governi di Europa : onde apporre unifor-
me e solido riparo, non meno a vantaggio della pub-
blica incolumità, clie dell'universale commercio co-
tanto oggidì accresciuto per le portentose e rapide
comunicazioni di terra e di mare.
La gloriosa nazione francese intraprese coleslo
importantissimo obbietto con un programma, al qua-
le presero parte altre undici europee potenze , in-
viando nella capitale della Francia i loro rappresen-
tanti (1). Essi non mai più dimenticberanno le cor-
tesie di ogni maniera e gli onori prodigali dallo
stesso supremo governo di Francia, come meglio si
dirà infine di questi storici cenni. In altra epoca
(i) (){;ni governo speili al congresso nn medico eil un console.
ancora aveva io fallo luminoso esperimento della
penlilezza francese (1). Onoralo di nuovo di recarmi
in Fi-ancia dalla Sanlità di Noslro Signore Papa PiolX
per rappresentare il pontificio governo nel sanitario
internazionale congresso, doveva io corrispondere al
mandato anche per intimo coscienzioso convincimen-
to: imperocché racchiudevansi nel mandato sanitarie
norme da me professate in seno della slessa suprema
magistratura sanitaria romana, e più volte da me ri-
schiarate e nel 1835 e poscia virilmente sostenute (2).
Essendo stampato quanto fi^ opinato e risolilo
in ciascuna sessione dell'inlernazionale congresso, mi
era io da ultimo proposto di non tenerne ragiona-
mento di sorta : mentre a chi veniva il destro di
leggere i verbali processi, avrebbe chiaramente os-
servato l'opinamento di ciascun membro. Ma essen-
domisi in questi giorni da Genova rimesso gentil-
mente un opuscolo spacciato dentro e fuori d' Ita-
lia (3), mi corre debito soprattutto pel dotto pubblico
italiano di voltare dalla francese nella italiana favel-
la ciò che fu per me opinato e scritto il più breve-
mente possibile. Imperciocché non solo più opuscoli
e volumi aveva io pubblicati, talora per oflìcio, in-
torno gli esotici ed indigeni contagiosi morbi, ma
ancora per attenermi ai soli fatti, giusta il secondo
articolo del programma sanzionalo in piena confe-
(1) Storia medica del eliderà indiano osservato a Parigi nel
1832. Roma 183.1 pag. V e segg. — e Memorie storiche. Roma 1848
pag. 439 (nota 48).
(2) Memorie sloriche citat. pag 126-29.
(3! Sul congresso sanitario internazionale riunito a Parigi. Di-
scorso del dottor .Angelo Bo - Genova tipografia dei fratelli l^aga-
no 1852.
renza. Ora esaminando nei verbali processi i divisa-
menti dell'autore dell'opuscolo, appaiono chiaramen-
te differenti da quei dianzi professati e pubblicati
dallo stesso (1) : e diversi attualmente dai miei so-
prattutto nelle pratiche applicazioni, sebbene gene-
ralmente unisoni nelle massime fondamentali. Per le
quali il lavoro del sanitario congresso internazionale
di Parigi sarà fecondo certamente di utilissimi risul-
tamenti ; giacché se talune adottate sanitarie appli-
cazioni furono, a mio avviso, azzardate, entro pochi
anni verranno totalmente rischiarate ; e fo ardenti
voti, che, anziché l'altrui, mio sia stato l'abbaglio. In
ogni modo bene si apposero i sapienti del congresso
nel progettare reiterati convegni per aggiungere, mo-
dificare, o torre quanto statuivasi nel sanitario in-
ternazionale regolamento dappresso chiariti fatti nelle
diverse regioni scrupolosamente raccolti da speri-
mentati osservatori.
Apertosi nel dì 23 luglio l'internazionale con-
gresso, fu da' suoi membri nominato preside l'egre-
gio sig. David delegato francese, console ultimamente
in Genova, ed ora ministro plenipotenziario di Fran-
cia. Nel dì 5 agosto onoravasi la sanitaria adunanza
dagli eccellentissimi ministri degli affari esteri e di
agricoltura e commercio, i quali con savio ragiona-
re , se a buon dritto predicavano le utili riforme ,
(1) Citerò solo l'opuscolo intitolalo « Sulla riforma delle qua-
« ranleno proposta dal dott. L. A. Gosse di Ginevra. Riflessioni cri-
<«. liche del dott. A. Bo membro della società medico chirurgica di
« Torino, professore di patologia e d'igiene nella r. università di
« Genova e medico dei lazzaretti ,% Genova tipografia dei fratelli
Pagano.
8
non tralasciavano di avere piiniieramenle in vista
la pubblica salute. Il che venne più volte solenne-
mente ripetuto e sanzionalo nel primo articolo in
piena sanitaria conferenza: ma se io mal non mi ap-
ponjjo mi pare che talvolta s' intese più a favorire
i materiali che i sanitari interessi.
Nella seduta del dì 7 agosto statuivansi i modi
di votare individualmente, e nel dì 9 dopo diverse di-
scussioni s'intitolò il lavoro della conferenza - Pro-
getto di convenzione internazionale seguito da un sa-
nitario regolamento (1).
Nella quinta sessione (14 agosto) Irattavasi di
quali contagiose malattie si sarebbe occnpata la sa-
nitaria adunanza. I signori delegali austriaci sosten-
nero che non si dovesse punto discutere l'argomento
dell' indiano malore. Ma con indicibile stupore il
sig. prof. Bo, dopo avere ammessa l'importazione e
la conlagione di questo morbo, inutili e nocive pre-
dicava le misure di rigore per la peste indiana !!
Né poco sorprende il paragone che ei fa del cho-
lera-morhus col vainolo e la sifìlide; pei quali dice
non essersi mai adottate misure generali e costanti.
Il vaiuolo importato da più secoli , e ciò che più
monta da più secoli divenuto indigeno, non risve-
gliò la rigida sanitaria attenzione, in ispecie a' dì
nostri per la ienneriana scoperta. Sembra poi un'im-
possibile Fisico morale che la sifilide, contagio ge-
losamente celato, potesse comparirsi coi febrili con-
tagi, peste, febbre gialla, cholèra ec. Conchiudeva
quindi il Ro doversi attendere pel cholèra alle sole
(1) Proci'sso verbale n. i pag. (>.
9
misure igieniche , cui faceva eco il medico ingle-
se (1). Ma il medico napolitano con sodo e saggio
ragionamento sostenne il contraiio (2)-
Fu in questa sessione medesima che pel retto anda-
mento si propose un'eletta commissione di sette mem-
bri,quattro medici e tre consoli, per proporre a tenore
del programma francese gli articoli da discutersi (3).
Giunto io a Parigi nel 17 agosto, e conosciuta
la prevalente opinione che pel cholera delie Indie si
praticherebbero igieniche cautele soltanto, nella ses-
sione del dì 22 agosto manifestai opposti sentimenti,
che nel processo verbale di cjuesto giorno sono ri-
portati nei seguenti termini. « li sig. dolt. Cappello
giunto recentemente da Roma, e che assiste per la
prima volta alle seduta della confeienza , fa alcune
osservazioni relative al cholera, dicendo avello stu-
diato in più capitali , offrendo di produrre diversi
documenti di già da esso inviali all' accademia di
medicina di Parigi, La conferenza accetta con rico-
noscenza l'offerta del sig. dolt. Cappello, e dichiara
per organo del suo presidente che essa sentirà col
più grande interesse quanto vorrà communicargli il
delegato della s. Sede » (1).
Atteso che pel lavoro preparatorio della com-
missione richiedevasi necessariamente un non breve
spazio di tempo , credetti opportuno di pubblicare
(1) Proces. verbal. n. S. pag. 5 e6.
(2) Iti ibid. pag. 8 e 9.
(3) La commisrione fu comp' sta dei chiarissimi dilagali ho me-
dico, Costi medico greco, Segovia console spngnvolo, Lnvison conso-
le austriaco, Perrier console inglese, e Betti mcdiro toscnvo, presiden-
te e Melicr medico parigino relatore.
Ct) Proces. veri», n. fi pag. 2.
10
pel cholera un sunto di falli positivi più fiale da
me pubblicati, e non ha guari con documenti ufllciali
riprodotti e chiariti. Una copia del medesimo fu su-
bitamente rimessa ai rispettabili membri della lodala
commissione, quindi a tutti i signori delegati, agli
eccellentissimi ministri ec. ; e stimo a proposilo qui
nuovamente riprodurla.
» Nola sul contagio del cholèra indiano. Di Ago-
slino Cappello socio corrispondente dclV accademia na-
zionale di medicina di Francia^ delegato del gover-
no della, s. Sede alle conferenze sanitarie internazio-
nali in Parigi.
» Nel timore che la questione del contegio del
cholèra non venga discussa nelle conferenze sanita-
rie internazionali che hanno luogo attualmente in
Parigi , io vado a mettere sotto gli occhi de' miei
colleghi alcuni falli che hanno un interesse pratico
grandissimo per non essere passati sotto silenzio. Essi
.sono relativi alla diffusione del cholèra negli stati
romani; io li ho scelti fra moltissimi altri, lutti ba-
.sali sopra documenti officiali e riferiti dettagliala -
mente nelle mie memorie (1).
» Si è per favorire il commercio che una gran
parte dell'Italia meridionale è slata colpita dal cho-
lèra indiano. Tulle le volte che furono prese misu-
re energiche si è veduto il flagello arrestarsi nel
suo cammino, siccome quando comparve nelle pro-
vince degli stati romani, ove si eseguirono esatta-
fi) Memorie isloricbe di Agostino Cappello dal mn[i;(»ip 1810 a
nato l'anno 1847, pag. 120 fino a ."ÌSe; note da 46 a 122 pag. 479
a 532. Tipografia Perego Salvioni, Roma 1848.
11
mente gli ordini del supremo magistrato di sanità.
Eeco i fatti.
» IVeli'aiino 1835 il consiglio superiore di sa-
nità deglvj stati romani stabili i cordoni sanitari su
tutta la frontiera che confina col regno Lombardo-
Tenelo e colla Toscana. Questa misura salvò gli .stati
romani che furono esenti dal eholéra, ad eccezione
della piccola città di Cesenatico e del villaggio di
Rovina. L' energia spiegata dalle due commi.ssioni
sanitarie di Ferrara e di Forlì sofifocò il male in
quei luoghi, ove si era sviluppato in seguito d' in-
frazioni ai regolamenti sanitari. Lo slesso accadde
nel lazzaretto di Francolino., poco distante da Ferra'
rrt, ove le reclute svizzere venute dalla Lombardia
avevano importato la malattia.
« Nel 1836 il cholèra continuando ad infierire
nel regno Lombardo-veneto ed a Trieste.,\\ consiglio
superiore di sanità degli stati romani proibì la fie-
ra di Sinigaglia. Siccome questa misura noceva al
commercio , si permise di fare la fiera in Ancona
ove risiede il magistrato centrale di sanità dell'Adria-
tico, e che è provveduto di un lazzaretto. Membro
del consiglio superiore di sanità , io mi opposi a
questa misura: perchè io sapeva come è impossibile
isolare completamente, in una città come Ancona., e
gli effetti e le persone provenienti da luoghi infet-
ti. La maggiorila del consiglio fu di contrario av-
viso, e la fiera ebbe luogo in Ancona. L" affluenza
de' negozianti e de' viaggiatori, provenienti da tutte
le parli , fu immensa sul principio , dimodoché il
commercio subilo prosperò; ma il cholera si mani-
festò, e gli aft'ari si arrestarono lutto ad un tratto.
12
Ancona ed una piccola cillà vicina ed un villaggio
furono circondati dal cordone sanitario: ed allorché
l'epidemia disparve del tutto, sì disinfettò tutta la
città ecc. E così fu che furono di nuovo preservati
gli stati roniani.
i morbi che
svolgonsi nel continente, le infrazioni sono inevita-
bili, non ostante i sanitari cordoni. Fortunatamente
non tutti gì' infratlori importano la contagione: ma
quando ciò accada , tosto si distrugge il contagio
coll'isolamento. siccome risulta da innumerevoli pro-
ve. Per cotesti fatti e pe' lumi che ci forniscono la
scienza e la esperienza, trascurare oggidì le rigoro-
se misure,, specialmente le quarantene, contro il cho-
lèra, sarebbe un manifesto errore tanto per la pub-
blica Salute, quanto per lo stesso commercio. Io so-
no veramente stupito come possa dirsi che il cho-
lèra cada a guisa di fulmine e peggio ancora. Ricor-
datevi, signori, come il cholèra si sviluppò in Rus-
sia : sebbene il governo avesse adottate le sanitarie
misure, non si eseguirono tuttavia con precisione a
cagione della rivoluzione dì Polonia ; dimodoché il
cholèra fece progressi in Europa. I medici di Pie-
troburgo, quei di Ungheria, di Galizia, le commis-
sioni italiane del Piemonte, quelle del regno Lom-
bardo-veneto ce. dimostrarono ofTicialmente l'impor-
tazione di questa malattia. Il eh. Lombard di Gi-
nevra e vari altri costatarono la stessa cosa. La
commissione romana inviata a Parigi nel 1832 per
.studiare il cholèra , ha riferito nella sua opera 34
importazioni accadute in diversi luoghi di differenti
dipartimenti della Francia, e risultanti da documenti
i9
autentici presi dagli atti officiali : inoltre liportansi
altre importazioni verificate dalla stessa commissio-
ne, e dal eh. Drummen medico spagnuolo. In dette
opere veggonsl ancora numerevoli isolamenti, mercè
de'quali arrestossi l'indiano morbo. Le opere esisto-
no negli archivi dell' istituto di Francia e dell'acca-
demia nazionale di medicina. In virtù dunque di
coteste esperienze furono salvale dal flagello nel
1836-37 le romane province. Ultimamente (1850)
a Bologna, seconda città dello stato pontificio, il cho-
lèra era slato importato dai soldati austriaci, ma la
città fu preservala per l'energia de' membri rispet-
tabili delia magistratura sanitaria , che coli' isola-
mento arrestarono il flagello (1).
« Signori, se io avessi trascurato di richiama-
re alla vostra saggia attenzione questi fatti della più
alta importanza per la pubblica salute, mi sarei cre-
duto responsabile avanti il mio governo, avanti TI-
talia, e presso la posterità » (2).
Il medico austriaco, anche per le istruzioni del
suo governo, persiste con un lungo discorso a so-
stenere l'inutilità delle misure di rigore contro l'in-
diano morbo. In cosìffalli diballimenti nulla si con-
chiude in questa sessione.
NelTundeeima conferenza ( 27 settembre) il re-
latore della commissione, riepilogando quanto si era
quistionato nella precedente sessione, conchiude che
la commissione insiste ad ammettere pel cholèra lesole
(i) Una dotta e diffusa relazione tentò pubblicala in Ferrara,
ove dalle province venete importassi net 1830 il cholerico contagio,
conferma sempre più la profonda doltrimi de' medici italiani.
(2) Processo verb. 10 paj. ii-ì.
20
raisuie igieniche. Tien quindi appresso un acuto ragio-
namenlo il medico spagnuolo dimoslranle la neces-
sità di rigide cautele contro il cholèra non minori di
quelle praticate per la peste e per la febbre gialla:
avvalora il suo discorso con luminosi esempi, inclu-
sive quei per me narrati (1).
Per contrario il console inglese, facendo plauso
al discorso del signor Melier relatore della com-
missione, esclude d'accordo col medico suo nazio-
nale ogni rigorosa sanitaria precauzione, non ammet-
tendo punto contagioso 1' indiano malore; ed asse-
risce che lo stesso divisamento portarono i più dotti
medici di Parigi nel 1832. Il che nella duodecima
sessione vien da me provato diametralmente l'op-
posto.
Dopo diverse altre opinioni , si propongono
emendamenti dai medici greco e portoghese : il qua-
le sebbene esprimesi dell'avviso de'signori delegati
francesi ed inglesi, tuttavia, oltre le igieniche mi-
sure, opina per una quarantena facoltativa minore
di quella per la febbre gialla: ma cotest' opinione
vien modificata dal medesimo nella sessione vegnen-
te. In fine, malgrado di savi schiarimenti da parte
del console spagnuolo, niente si decide in questa
conferenza.
Ha principio la duodecima sessione (30 set-
tembre) con un breve discorso del signor presiden-
te che raccomanda la conciliazione, stante la diver-
sità delle opinioni, cui assente il console ottomano.
Ha luogo quindi un lungo discorso del medico rus-
(I) Proc. verb. 11 pag, I3-'J.
21
so, tendente in fondo alla contagiosità del morbo
indiano ed alla utilità delle quarantene : applaude
alle igieniche misure degli inglesi, ma soggiugne
le seguenti parole: Peraltro mHndrizzarei con gran-
dissima fiducia agli uomini illuminati d' Italia per
imparare qualche cosa di nuovo relativamente alle
quarantene (1).
Con prolisso discorso torna il medico austria-
co sul cholèra, dicendo che questa malattia forma
il nodo gordiano della internazionale conferenza: e
conchiudc che le quarantene per terra e per mare
sono inutili e pericolose per la conservazione ed in-
civilimento delle popolazioni ! dovendosi solo adot-
tare le igieniche cautele. Quindi il console greco pro-
pone una conciliazione con mezzane misure già sug-
gerite dal suo collega. Prosegue con assennalo argo-
mento il medico napolitano a ribattere le avverse
opinioni contro il sistema quaranlenario, dimostran-
do la necessità delle più rigide misure contro l'in-
diano flagello. Dopo questo dotto ragionamento pren-
do io la parola.
» Signori. Attese le differenti opinioni sul
cholèra indiano, mi permetterete di tornare sopra
quest' interessante quistione. Vari miei rispettabili
colleghi affermano che le misure rigorose sono inu-
tili per prevenire questa malattia, a cagione prin-
cipalmente del suo corso irregolare. Ma non vi ha
alcun medico sperimentato, il quale non abbia os-
servato esser ciò la prec isa caratteristica de'morbi
contagiosi, non esclusi i pestilenziali. Consultisi di
(1) Processo verb. 12,pa[j. 10.
22
grazia l'istoria della medica .scienza , e si troverà
Terificato il mio asserto. Fra un numero jjrande di
autori, io citerò Prospero Alpino^ Hussein Sonnini per
la peste di Egitto: Rohoreto e Chicoineau per le pesti
di Trento e di Marsiglia: TFe&Jier, e Rayer per la feb-
bre gialla di America e di Spagna. Pel tifo io non
riporterò le mie osservazioni, ma mi limiterò a ci-
tare i medici Acerbi, Omodei, Puccinotti etc. Le stes-
se osservazioni si avverano pel morbillo e per la scar-
lattina: e le contagiose malattie rispettando paesi, cit-
tà ed individui in un'epoca , in un'altra questi e
quelle ne sono colpite.
<( Un corso totalmente diverso si osserva nelle
malattie essenzialmente epidemiche, giacché queste
provengono da cagioni cosmo-telluriche, come si os-
.serva spesso nelle febbri catarrali, gastriche, inter-
termittenti etc. le quali malattie non ponno mai ar-
restarsi, né isolarsi. Inoltre le malattie epidemiche
hanno una forma variabile, e sono curate con una
diretta terapia, per la quale generalmente si ottengo-
no favorevoli risultamenti. Si confrontino ora colle
malattie contagiose pestilenziali, e si vedrà tosto che
ogni contagioso morbo ha una forma sua propria.
Difalti non vi é dubbio che i contagi hanno un e-
lemento sui generis-, ed è appunto perciò che nello
stato sporadico si può arrestarlo, isolarlo, e distrug-
gerlo. Potrei io citare innumerevoli esempi sia per
la peste, sia per la febbre gialla, soprattutto pel
cholèra , se non temessi di essere indiscreto. Peral-
tro se si trascurano le misure rigorose, le conta-
giose malattìe, in ragione delle loro comunicazioni
dirette ed indirette, si propagano progressivamente,
23
e si è allora ch'elleno prendono l'epidemico caratte-
re. Ciò nulla ostante se si prendono in tempo le
sanitarie precauzioni, si è certi di salvarsi dalle me-
desime. Ecco alcuni fatti relativi al cholèra.
« Il signor Wylie , medico inglese dell'imperato-
re di Russia, riferisce che nel cholèra di Pietro-
burgo il palazzo imperiale di Czarloe-zelo nel qua-
le stavano 10 mila persone, fu isolato, e nessuno
fu attaccato dalla malattia, che menava stragi nella
città.
(I II cholèra essendo stato importato in Egitto
dai pellegrini della Mecca^ il fu Acerbi, già diret-
tore della Biblioteca italiana di Milano, ed allora
console austriaco in Alessandria , s' isolò colle sles=
se cautele praticate per la peste bubonìca, e molti
europei pe'suoi consigli praticarono altrettanto^ di
modochè furon tutti immuni dal morbo. Questo ce-
lebratissimo autore compilò apposita e dettagliata
memoria pubblicata nel suddetto giornale (Biblio-
teca italiana).
L'immortale lussieii nel 1832 trovavasi alla sua
campagna a Mcaux , quando si svolse il cholèra :
egli s' isolò rigorosamente colla sua famiglia, e do-
mestici: e tutti, in numero di 31 individui, restarono
al coperto dal morbo : mentre i vicini pili prossimi
alla sua abitazione furono colpiti, e non pochi re-
starono vittima del male.
In Roma nel 1837 l'uno de'rioni più trava-
gliato dal cholèra fu quello di Trastevere^ dove tut-
ti i conventi fuiono invasi dal cholèra, ad eccezio-
ne del monistero di s. Cosimato preservato dal morbo
per le sanitarie cautele prese dal suo prudente me-
dico. Lo stesso avvenne nella pilglone di correzione,
sebbene fossero flagellali i dintorni a questo stabi-
limento.
« Da tuttociò emerge all' evidenza, che l'aere ,
lungi dall' importare il germe del contagio, lo di-
strugge. Relativamente poi alla terapia delle malat-
tie contagiose, essa non può essere diretta come quel-
la di mali epidemici propriamente detti, ma sempre
sintomatica, e spesso con funesti risultati nelle pe-
stilenze.
Un nostro collega ( il console inglese) ha detto
nella precedente conferenza, che nel cholèra di Pa-
rigi del 1832 vari sapienti medici negavano il cho-
lèrico contagio, fra quali Alibert e Velpeau. E cosa
certa che Alibert ammelleva la necessità delle qua-
rantene contro il cholèra, e Velpeau riporta molti
fatti della cholèrica contagione negli archivi gene-
rali della medicina.. A quest'illustri nomi io debbo
aggiugnere Rayer^ Rècamìer^ Broussais^ Esquirol^ Lar-
rey , Ribes , Caiol , Mare^ Pariset , Rally , Francois ,
Guerin. Morcau medico alla maternità etc.
« Finalmente non sono dell'avviso di coloro che
credono esser del tutto divenuto indigeno il cholèra
in Europa. L'uno de'nostri colleghi (Betti) ha pro-
dotte convincenti ragioni contro siffatta credenza: il
che vien confermato dal cholèra degli stati romani
del 1836-7: ciò inoltre si oppone alla dottrina de'
contagi: mentre dipende dall'uomo di arrestarli, sic-
come si è con numerosi fatti comprovato. Il cholè-
ra certamente si riprodurrà di tempo in tempo, se
si continuano a trascurare le rigide sanitarie misu-
re; e più grande, a mio avviso, sarebbe la filantro-
25
pia de'goveini, che avendole fatalmente abbandona-
te, o totalmenle neglette, le adottassero colla più ef-
ficace attività congiunta con la medica intelligenza
la più avveduta.
» Signori, si è per una lunga esperienza corrobo-
rata da importanti positivi fatti' si è in nome del-
l'umanità, che io spero che questo rispettabilissimo
congresso vorrà valutare il mio dire colla pix\ ma-
tura considerazione" (1).
Nuovi dibattimenti contro le quarantene ed i sa-
nitari cordoni, che sono nuovamente difesi dal me-
dico toscano: e con ragione si grida esser tempo di
metter termine al prolungato argomento. Ma l'otto-
mano console fa riflettere che essendo in questi dì
arrivato il medico delegato della sublime Porta, deb-
ba esser messo al giorno di quanto si è trattato in-
torno l'indiano morbo: trovasi quindi giusto di pro-
trarre ancora la dibattuta quistione.. Quindi il sig.
presidente rimette i diversi proposti emendamenti alla
commissione, perchè riferisca in piena radunanza la
sua finale proposta per dar termine al cholerico te-
ma. La qual cosa neppur si raggiungne nella 13'.
sessione (2 ottobre) : infrattanto la conferenza an-
nuisce alla preghiera del console ottomano, che do-
manda di osser surrogato nella commissione del le-
vante dal medico suo collega per le positive sue co-
gnizioni e ricchi documenti intorno la bubonica pe-
ste. Il medesimo, intervenendo la prima volta alla
conferenza, domanda un aggiornamento, aOine di esa-
minare gli atti del congresso intorno al choléra morbus.
(I) Proo vcrlmle n. 12 pnjj. 22 3
26
Egli nella 14^. sessione (4 ottobre) riferisce dif-
fusamente quanto si è operato e praticato dal go-
verno ottomano, avvertendo da ultimo che non si
trascurerebbero, per garantire la pubblica incolumità,
le quarantene nelle province più esposte all'intro-
duzione del morbo. Dato fine a questo ragionamento,
il signor presidente invila la commissione a ritirar-
si in seduta per riferire in piena conferenza il suo
decisivo proposto. Ritornata la commissione dopo non
breve spazio di tempo nella sala delle conferenze, ri-
prende la discussione il signor Melier relatore, di-
cendo essersi in seno della commissione rinnovati
opposti pareri, ma dappresso i più vivi dibattimenti,
la commissione pe'paragrafi 4,5 e 6 del settimo arti-
colo propone il seguente emendamento.
r. Le provenienze dirette da' luoghi ammorbali
di cholèra^ che conteranno una traversata minore di
cinque giorni^ potranno essere sottomesse ad una qua-
rantena di osservazione di cinque giorni compiuti.
1". Le provenienze de luoghi vicini o intermedii
manifestamente compromessi, che avranno ima traver-
sata minore di 3 giorni., potranno essere sottomesse in
una quarantena di osservazione di tre giorni compiu-
ti.
3°. Le misure igieniche sono obbligatorie nel-
Vuno e nelValtro caso.
Pronunziale appena coleste proposizioni, esprimo
doversi separatamente trattare in tre parti: occupar-
.«li nella 1'. parte della quarantenaria ammissione: am-
messo questo principio, passare a discutere la sua du-
rala, ed in terzo luogo decidere sulla natura e sui
27
mezzi da praticarsi condro l'indiana pestilenza fi]. Il
relatore risponde, che la commissione ha riunite in
globo queste cose, sebbene riferiscansi a tre diversi
articoli: ma ella è slata diretta da gravi cagioni, che
é pronta a dimostrare se la discussione s'impegna
sopra questo punto. Soggiugne il signor presidente
della conferenza, se essa intenda di volare iramedia-
lamente la proposta della commissione o vuol met-
terla in discussione, Osserva che ora non si tratta
che di emendamenti già discussi dalla conferenza, e
rinviati alia commissione per l'iunire il valore de me-
desimi. Torno io ad insistere, che sia più a propo-
sito discutere separatamente le (re proposizioni. In
che, come riferii in Roma, miravo con queste se-
parazioni, che ammesso dapprima il contrastato ele-
mento quarantenario, si potesse nelle susseguenti di-
scussioni più agevolmente raggiugnere non meno lo
scopo di una quarantena non facoltativa, ma obbli-
gatoria e di ragionevole durata, che i mezzi per la
purificazione dei passivi conduttori, inclusive delle
mercanzie, ma invano. Nel mio opinamento con pro-
fondo ragionare convenne il medico spagnuolo. Al
quale si oppose il I>o membro della commissione,
conchiudendo in fine che se non si accettassero le tre
nuove proposte, la commissione sarebbe tornata a so-
stenere quanto fu riportato nei paragrafi 4°, 5°. e G".
dell'articolo settimo. La discussione prosegue animata
da disparati pareri: pe'quali protesto di ammettere
la quarantena, ma non la durata proposta della com-
missione. Il console pontificio domanda associarsi
(t). Processo verb. iU pag. 6.
28
al suo collega, e se ne faccia menzione nel processo
verbale. Il console eli Spagna, membro della cora-
missioue, oltre un savio ragionamento, manifesta es-
sere stato il solo contrario all'attuale progetto. Il qua-
le messo a voti, viene dalla maggiorità adottato. I
delegati romani e spagnuoli domandano che il loro
contrario voto sia segnato nel processo verbale, spe-
cificando che essi non votano contro il principio del-
la quarantena, ma contro la natura e la durata, che
loro sembra del tutto insufficiente. I delegali au-
striaci si astengono dal votare, ripetendo esser già
noli i loro sentimenti sopra cotest'argomento: si asten-
nero pure i medici russo e napolitano : questi pe-
raltro nella vegnente sessione aderì all'adottata riso-
luzione.
Per la verità della storia, e per averne io do-
vuto dare discarico al pontificio governo, sono in ob-
bligo di riferire un curiosissimo incidente. Il signor
presidente David, (le cui amichevoli cortesie inces-
santemente praticate verso di me, come verso tutti
i suoi colleghi, non saranno mai dimenticate,) in que-
.sto torno di tempo essendo andato da monsignor Nun-
zio Apostolico riclamò, che io era un prepotente.
Monsignor degnossi rispondere che oltre le istruzioni
del governo, io sapevo ciò che operavo. Chi legge
può anzi esser certo, che più volle per non esser
padrone del francese linguaggio, omettevansi acconce
risposte, che avrei indubitatamente fatte colla lingua
natia: né dirò il favore dato a chi professava opinio-
ni opposte a miei divisamenti. Né ciò basta: imperoc-
ché dopo reiterate mie insistenze mi fu conceduto
dire le ragioni, per lo quali aveva io volato contro
29
la majjgiofllà, leggeiido molti casi di cliolerica in-
cubazione fino al 1 2. '""giorno onicialmenle raccolti, ed
alcuni nell'istessa Parijji, e pubblicati nella storia me-
dica del cholèra di questa capitale del 1832 (1),
ed al presente accresciuti pel cholèra di 3Ialta (3). Il
lettore stupirà che i casi per me riferiti non furo-
no segnati nel processo verbale: giacché non avevan
luogo, per esser finita la dibattuta questione a secon-
. 13. pag. 8.
3t
10°. // diritto è di premunirsi contro uìia mor-
bosa 0 sospetta provenienza^ peraltro non debbe dar
luogo a respingerla. Per contrario l'umanità esige ,
che i malati a bordo di un basliniento sieno accolti
e curati.
11". A tal uopo ogni paese dovrebbe esser tenu-
to di aver lazzaretti in numero sn/Jicente., e con luo-
ghi riservati per ogni specie di provenienza.
Nella discussione di questi paragrafi adottali, me-
no due astensioni, tutti i delegati dan prova di loro
filantropia. Se non che per one erasi avvertito di pon-
derar bene la quistione: imperciocché esistono por-
ti, ove anche per umanità non si dovrebbero rice-
vere bastimenti con ammorbati di esotici contagi,
senza però omettere, colle più rigide sanitarie cau-
tele, tutti i più convenevoli ajuli. Imperocché in al-
cuni luoghi i lazzaretti sono imperfetti, e dove i ma-
lati, specialmente di bubonica peste, senza poter es-
sere efficacemente soccorsi , ispirarebbero serie in-
quietitudini col pericolo delle popolazioni sane. Il
qual avviso veniva con apposito ragionamento ap-
poggiato dal console sardo e dal medico di Atene (1j.
( Che se ora non si convenne dalla conferenza in
questo divisamento, vedrassi poi adottato nel genera-
le sanitario regolamento).
Si passa qunidi alla discussione dell'art. 8". del
programma, modificato dalla commissione in questi
termini:
1" Per la peste, la commissione propone di ri-
muovere., per essere difficile ed anche pericoloso nel-
(1) Proc. ici. [>aQ. 9.
32
V applicazione la disliiizione di malattia sporadica^ e
di epidemica. Sia dunque sporadica od epidemica la
peste., sarà sempre oggetto di sanitarie cautele., non
esclusa la quarantena. La commissione è però di av-
viso., elle la malattia debba esser certa e constatata.
Pronunciata appena la proposta si combatte da me
questa redazione, poiché nell'ultime parole ravviso l'ac-
cettazione della patente netta del levante. Il relatore
risponde non aver ora luogo la discussione sulla pa-
tente netta, della quale si parlerà in appresso, La sua
risposta a seconda de'suoi divisamenti è giusta, ma
secondo i miei non la credo a proposito : mentre, co-
me si dirà meglio in seguito, non ostante la paten-
te netta, credo permanente sia la peste in alcuni luo-
ghi del levante , e se essa non sarà manifesta, cer-
tamente il morboso seminio si racchiuderà negl'in-
numerabili passivi conduttori di talune località di
quelle regioni.
Molto bene però si appose la commissione di
dichiarare le misure di rigore contro i casi di peste
sporadica , sebbene non ammesse nel programma
per secondare l'opinione dell'accademia di medici-
na: fallace opinione combattuta da molli inclusive da
me nel 18'»7. Imperocché tutti i morbi contagiosi
cominciano a modo sporadico , e per le locali ed
individuali disposizioni assumono l'epidemico genio
per essersi trascurata l'attiva vigilanza d'isolare tan-
tosto il contagio, mezzo unico ed indispensabile per
limovere le dirette ed indirette comunicazioni, con-
seguentemente l'epidemia. La conferenza saviamen-
te adottò la proposta della commissione per le mi-
sure di rigore anche per la sporadica peste.
I
33
Il 2° paragiafo dell'art. 8 riguarda la febbre
gialla, ed è proposto dalla commissione diversamen-
te dal concello della peste bubonica: dicesi perciò:
2". Per la febbre gialla^ stante alla pratica ge-
neralnieute adottata^ la commissione propone Vam~
missione della quarantena solamente, allorché ricor-
re epidemicamente.
Il medico spagnuolo con avveduto ragionamen-
to combatte questa redazione sostenuta dai nciembri
della commissione, sebbene il medico toscano presi-
de della medesima facciasi a domandare diversi schia-
rimenti: e non poche sieno le disparate opinioni ed
emendamenti che han luogo, per cui la quistione si
rimette alla seguente sessione (9 ottobre.) Nella quale
sostiene il Bo la proposta della commissione; diver-
so appare l'avviso in un lungo ragionamento del me-
dico portoghese, in cui rilevansi queste gravi paro-
le: Il male sporadico non può esser forse il primo ca-
so di epidemia ?(1) E conchiude che fintantoché non
siasi potuto stabilire nel golfo del Messico un sa-
nitario servigio simile a quello d'Oriente , debbon-
si adottare quarantene almeno di osservazione con-
tro la sporadica febbre gialla. Con prolisso discorso
si oppone il medico inglese, il quale, se a buon drit-
to sostiene le igieniche discipline, specialmente con-
tro la sozzura de'bastimenti, male a proposito sostie-
ne l'inutilità delle quarantene. Un esempio, di volo
accennato dal portoghese, vien da me diffusamente
chiarito, dicendo:
» Signori, tutte le malattie contagiose pestilen-
(1) Processo verb. 16 pag. 3.
G.A.T.CXXVI. 3
ziall, siccome dissi nell'antecedente sessione, comin-
ciano in forma sporadica, specialmente quando sona
importale in un paese che da secoli almeno fu immu-
ne dalle medesime. D'altronde endemiche esse sono
in alcune località, siccome è la peste nel Levante, e
la febbre g'ialla in America, ove dopo l'epidemico
loro dominio rimanj][ono in forma sporadica, e ta-
lora sì debolmente, che sono appena avvertite da-
gue hanno le tre wuove classi delibe-
rate per novella proposta della commiissione? Impe-
rocché, o signori, se voi ammettete quarantene fa-
coltative per le mercanzie della seconda classe, sor-
gi© il pensiero che posson esse racchiudere conta-
giosi germi: quindi per sicura garanzia dall'inco-
lumità pubblica fa duopo noverarle nella pi-ima clas-
se, nella quale , in onta de' contrasti, »&n poste a
rigida quarantena le lane, le sete ec. E se voi, o
signori, credete che il cottone , la canape ed il li-
no e le Itjro derivazioni commerciali nou sietio ca-
paci d'importare contagioni, allora dovevate metter-
le nella terza classe, nella quale avete collocate le
sostanze che la medica esperienza aveva reputale
iiMuscettibili di racchiudere contagiosi germi. Con-
chiuderò, che se la peste generalmente non si è srvi-
luppata , come si pretende, nei lazzaretti nel ma-
neggiare i coltoni ce, è provenuto, siccome altra
A8
volta dimostrai, daUincessanle rinaovameDlo dell'a-
ria: ma dimostrai del pari i casi di peste avvenuti
per quelle mercanzie intro dotte per contrabando. »
Nella 23. sessione (27 ottobre) seguita la di-
scussione in discorso: in che il medico russo rife-
ferisce, che anche talune sostanze, reputate insuscet-
tibili dalla commissione, rientrano fra le suscettibili:
pensa inoltre che queste parole, fin qui adoperate
nel sanitario regime, sieno più a proposito di quel-
le distinzioni or progettate. Contro le quali sette de-
legati votano contro, tra' quali i romani.
Si mette pure in discussione l'art. 2. del n. 12
così concepito: Con patente brutta di febbt'e gialla^ le
mercanzie sarebbero soltanto sciorinate a bordo , in
cui liberamente circolasse V aria: e lo sbarco delle
medesime al lazzaretto non sarebbe ordinato se non
in circostanze particolari.
Si oppone a cotesla proposta con savio ragio-
namento il medico di Spagna, e varie sono le opi-
nioni. Ancor io pronunzio le seguenti parole: « Re-
lativamente alla febbre gialla, non mi sembra pru-
dente , che con patente brutta sieno le mercanzie
sciorinate a bordo, ad eccezione di casi particolari.
Una volta che si accordano facilitazioni, i capitani
o patroni de'bastimenti mercantili faran sempre ese-
guire l'aereazione a bordo delle suddette, non solo
per guadagnar tempo , ma eziandio pel risparmio
delle spese richieste per il loro scarico al lazzaret-
to. Io conseguenza, io sono d'avviso che in patente
brutta di febbre gialla, le mercanzie sieno sempre
scaricate al lazzaretto per essere compiutamente pu-
49
rificaie, senza Irascurare le più scrupolose misure eli
aereazione e disinfezione de'bastimenti. Quindi volo
contro questa proposta (1) ».
Alili cinque delegati del pari votano contro, ol-
ile un' astensione; sebbene si apponga leggiera mo-
dificazione neir insieme di cotesto argomento , la
chiusura di questa sessione è formulala in questi ter-
mini:
Le mercanzie sono divise in tre classi: 1. clas-
se^ mercanzie soggelle ad ima (piarantena obbliga-
toria ed alle purificazioni: 2. classe^ mercanzie sog-
gette ad UNA QUARANTENA FACOLTATIVA: 3. clas-
se, mercanzie esenti da qualunque quarantena. Un
regolamento dirà esattamente quali oggetti e quali
mercanzie entreranno in ciascuna classe. Al presente
è convemito.) che la jirhna classe comprenderà le mas-
seriziCigli effetti usati., i cenci., gli stracci.,corami e le
pelli., i crini e le penne., i rimasugli di animali in
generale., le lane e le materie da seta: la 2. classe
comprenderà il coltone, la canape ed il lino: la terza
classe comprenderà tutte le mercanzie, e tutti gli og-
getti qualunque non compresi nelle due prime classi.
Regola generale: con patente brutta di peste.) \a
quarantena si applica, non solo alle persone., ma an-
cora alle masserizie., alle vesti ed effetti, ai bastimen-
ti ed alle mercanzie., alle lettere ed ai dispacci.
Le mercanzie ed oggetti della prima classe sono
depositate al lazzaretto., e purificate. Il bastimento ae-
reato., lavato., e disinfettato colle fumigazioni di cloro:
le lettere e i dispacci saranno purificati.
(1) Proc. verb. 2J pag. 7.
G A.T.CXXVI. 4
50
Il trallamento delle mercanzie della seconda classe
SARÀ' FACOLTATIVO.
In patente brutta di febbre gialla, senza casi a
bordo durante la traversata., se questa traversata è
staia minore di 10 giorni^ semplice aereazione a bor-
do per igienica misura nelle mercanzie.
Se la traversata è stata minore di 10 giorni, ma
vi sieno stati casi di febbre gialla a bordo, si possono
FACOLTATIVAMENTE adoprare le misure praticate
per la peste hubonica.
In patente brutta di cholèra, aereazione della na-
ve^ misure igieniche^ purificazione delle lettere., e li-
bera pratica alle mercanzie (1).
Si apre la 2A""* sessione con un discorso del re-
latore, in cui si torna a denegare che la peste di
Marsiglia del 1720, e quella di Noia siensi impor-
tate colle mercanzie.
Quindi il console ottomano relatore della com-
missione de'lazzaretti, legge la relazione, che stam-
pata e distribuita, sarà poi discussa (2).
Si passa poscia al numero 13 dei programma,
in cui il relatore della 1* commissione dice che es-
sa non aveva prevedute le misure che la conferenza
ha adottate per il cholèra: per cui è duopo modi-
£care la redazione di questo numero, che sarà co-
sì concepita:
Per la peste V incominciare delle sanitarie misure
sarebbe regolato dietro le indicazioni delV autorità sa-
nitaria dal momento della partenza., vale a dire dap-
(1) Proc. veri). 23 pag. 11.
(2) Proc. verb. 2i pay. '».
l
5ì
presso V officiale dicfiiavazìone delV autorità^ che la ma-
lattia esista.
La sua cessazione sarebbe regolata sopra consi-
mile dichiarazione^ ma con un certo spazio di tempo
che indichi la certezza della compiuta estinzione dei
morbo.
Cotesto spazio è fissato a 30 giorni per la peste.
Per la febbre gialla., le stesse disposizioni., ma
collo spazio di 15 giorni solamente., a datare dalla
cessazione del male.
Per il cholèra 10 giorni (1).
Dopo una savia riflessione del medico toscano,,
che è duopo fare una riserva nel caso, in cui giu-
gnendo un bastimenlo con patente netta in un por-
to, venisse immediatamente nel medesimo un altro
bastimento dallo stesso luogo di partenza, ma par-
tito più tardi e con pericolose novelle, si dovrebbe in
tal caso adottare dall'autorità una quarantena di os-
servazione.
Si fa quindi per me un' osservazione sul nu-
mero 13, dicendo che nel ponderare una parte di co-
testo numero, credo che le misuro per alcune località
dell'oriente debban sempre essere in vigore (ezian-
dio con patente netta): ben inteso che sarebbero più
o meno rigorose, secondo le circostanze, siccome sa-
rà discusso nel sospeso numero 10 del programma ».
Succedono savii opinamenti del medico spagnuo-
lo, ai quali si oppone il signor Bo: e dopo altre
riflessioni del pari sagge del medico di x\lene, il
medico austriaco con lungo discorso fassi a dimo-
(1) Pioc. verb. ici. pag. 3.
52
strare basato sopra la propria esperienza con riferiti
fatti, provando che non sono bastevoli i giorni sta-
biliti per la cessazione della bubonica peste (1).
Dopo altre discussioni, io domando che s'in-
serisca nel verbale processo » che una perfetta di-
sinfezione e purificazione debban sempre premet-
tersi prima di annunziare la cessazione di qualun-
que contagioso morbo (2) ».
Segue poi im discorso dell'inglese che torna a
ripetere l'inutilità delle misure rigorose contro il
cholèra morbus.
In fine si passa alla votazione del numero 13,
in cui 4 delegati votano contro: fra quali i roma-
ni per le accennate considerazioni.
Si apre la 25"'« sessione (31 ottobre) dal con-
sole pontificio, il quale con sode ragioni ribatte le
opposizioni del relatore della commissione risguar-
danti la peste di Marsiglia del 1720. Ciò nulla ostante
il medesimo ed il signor Bo sostengono la loro opi-
nione
Il '
Quindi il signor presidente previene la confe-
ferenza , che con molto piacere il signor ministro
degli affari esteri riceverà oggi stesso i membri della
conferenza , e si farà un dovere il lodato ministro
dimandare al signor principe presidente Luigi Na-
poleone, ritornato da S. Cloud, l'ora ed il giorno in
cui potrà ricevere i signori delegati del sanitario in-
ternazionale congresso.
Si passa immediatamente all'esame del n. 14
(1) Proo. verb. ii Signori. Egli è vero che l'immensa maggiorità
de' casi di peste generalmente non sorpassa gli otto
giorni d'incubazione: ma vi sono numerevoli ecce-
zioni a cotesta regola. Sono stupito che si citi l'il-
lustre direttore del lazzaretto di Alessandria per so-
stenere l'incubazione di 8 giorni: mentre dietro la
sua risposta data nel 1846 al De Renzi, da me scru-
polosamente esaminata , la durata dell' incubazione
arriva qualche volta alle tre settimane (2). Il mio
rispettabile collega signor Bo, nelle sue critiche ri-
flessioni sopra la riforma delle quarantene proposta
al governo sardo dal Gosse di Ginevra, scrive che
(1) Proc. id. pag. iG-T.
(2) Filiaire Sebezio, luglio 1846. Il Grassi dopo aver al quesito
quarto relativo al periodo (Tincubazione ofiicialmente riferiti casi
d'incubazione oltre i 10, 12, 1 S, 16, fino ai 20 giorni, chiude la
sua risposta colle seguenti parole : La mia opinione poi relativa a
questo quesito è che possa prolungarsi il pericolo fino alle due ed an-
che alle tre settimane: pag. 28.
55
questo medico osservò un caso eli peste nel 18'iT
al lazzaretto di Proinia in Grecia dopo 16 giorni
di quarantena, e dopo praticato lo spoglio ed i ba-
gni. Nella relazione del nnedico congresso tenuto a
Marsiglia nel 1846 si riferisce, che nel 1789 la peste
si sviluppò nel lazzaretto di questa città dopo 24
giorni di quarantena (1).
)) Precisamente dopo le più scrupolose investi-
gazioni j)raticale in tutti i lazzaretti d'Italia, ed an-
cora in alcuni di Francia, il supremo sanitario ro-
mano magistrato lidusse la patente brutta di peste
di 40 giorni a 25, la tocca o la sospetta a giorni 21,
e la patente netta a' 14 dì II magistrato di salute
di Genova, in un dispaccio officiale indiritto a tutte
le magistrature sanitarie dei porli del Mediterraneo e
dell'Adriatico si querelava vivamente delle innovazioni
fatte a Venezia, a Trieste, a Malta, soprattutto in Fran-
cia, per lo scorcio soverchio delle quarantene. Due fatti,
in questo dispaccio citati, farò io rimarcarvi, o si-
gnori. 1 La nave austriaca s. Gio. Ballista^ \)Vove-
niente nel 1818 con patente netta e senza merci su-
scettibili da Durazzo di Albania, giunse a Venezia
coll'equipaggio nella puì perfetta salute goduta nella
(1) (lonsidera/Zioiii in prò della pubblica incoliimitJ» di Agosti-
no Cappello ari. Ili. Il Frari nana di aver osservalo al Cairo un
caso di peste in termine di 17 ijiorni. Il cel. l\'zzoni cui debbonsi
soprattutto le sanitarie istituzioni nell'ottomano impero dopo ave-
re escluso co' fatti gli 8 di, esclamava cosi nelle sue lettere ai Dayy:
Essendo generale il pericolo, speriamo che tutti i magistrati d'Eu-
ropa vorranno associarsi al buon fine, e noi crediamo debito nostro
di unirci ad essi contro le novità adottate oggi in Francia. Annali
universali di medicina di Milano pag. 330. (1845)
56
traversala fina al 14 giorno. Dopo il quale liilli i
marinari furono colpiti e inoili di peste, e del pari
ne morirono il guardiano e tre guardie del veneto
lazzaretto. Nel 1826 il brigantino sardo Nostra Si-
gnora di Loreto^ comandato dal capitano Francesco
Ferrando , e partilo nel di 1 maggio , proveniente
con patente netta da Retimo di Candia con un ca-
rico di olio: giunto al lazzaretto di Genova nel di
1 giugno, fu verificato che il primo caso di peste
si manifestò in Pasquale Marana marinaro dell'equi-
paggio dopo trascorsi 18 giorni dalla partenza, e
precisamente nel di 18 maggio. Molti altri, prose-
gue il genovese magistrato, sono i fatti consimili ac-
caduti in questo lazzaretto del varignano sotto i suoi
occhi, ed in altri luoghi eziandio che per amor di
brevità si tralasciano,
» Emerge quindi non esser affatto prudente la
durata proposta dalla commissinne nel n. 14 dell'a-
nalitico rapporto per la quarantena di peste con pa-
tente brutta. Si pretenderà che la commissione ha
preveduto, che in circostanze gravi l'autorità sani-
taria potrà adottare misure straordinarie; ciò va be-
nissimo: ma siete voi sicuri, o signori, che si ese-
guiranno sempre con precisione \e anhure facoltative ì
» Per rendere dunque uniformi le quarantena-
rie discipline io proporrò, che con patente brulla di
peste, la durata della quarantena sia fissata per gl'in-
dividui a 25 giorni, e per gli effetti e per le mer-
canzie depositate al lazzaretto a 30 giorni di puri-
ficazione, di sciorino ec. (1) ».
(1) I falli riporlali in questo discorso .ivaiili il sanitario con-
Immediatamente risponde il Ijo in questi ter-
mini. « Per rellificare ì fatti che riguardano Geno-
va, mi 0)3pongo con documenti al signor Cappello.
Rispetto al fatto avvenuto nella Spezia, si tratta di
un bastimento venuto con patente netta da Candia,
nel quale si sviluppò la peste dopo 20 giorni: ma
questo bastimento era carico di masserizie e di ef-
fetti comprati a Candia (1) ».
Il non esser pronto a parlare il francese lin-
guaggio mi fece serbar silenzio, perchè sarei uscito
fuori de' limiti di rispetto dovuto al rispettabilissi-
mo consesso: sebbene in altr'occasione, come in se-
guito si dirà , fui costretto a pronunziare franche
parole alquanto acerbe, ma vere. Del resto i docu-
menti, de'quali parla il signor Bo, li attendo anco-
ra: ed i fatti di Genova per me pubblicati nelle no-
tate considerazioni, ed ora accennati alla conferen-
za, furono scritti dallo stesso signor Bo medico de'
lazzaietti, e sottoscritti dal signor marchese Giusti-
niani presidente della magistratura sanitaria di Ge-
nova nel maggio 1847. Degni inoltre di grave pon-
derazione sono casi consimili ai due citati avvenuti
sotto gli occhi della stessa genovese magistratura.
Laonde nella risposta del Bo, pubblicata nel 35"'" pro-
gresso n-an di me pubblicali unitamente ad altri, ora non r;immenlali,
o lejjijoiisi liti tomi t08, 109, e 112 dell'Arcadico, donde si estras-
soro niiniProse copie nel 18iGe 47 col lilolo di » Considerazioni in
prò della pubblica incolnmità »; ed erano responsive all'erronee opi-
nioni dell'accademia medica di l'arigi contcnvile nel citalo rapporto
ilei l^iis, ricordalo dal delegato portoghese per l'opera del Carbo-
naro contro il medesimo Priis.
(1) Proc. verb. id paj. 17.
58
(^esso verbale, si dà una mentila a se slesso ed al ge-
novese sanitario magistrato. Sorprende poi che gli
effetti contaminati comprati a Candia taciuti del lutto
nell'officiale dispaccio del 1847 , appaiano a Parigi
nel 1851 !! (1)
Dal complesso di quanto si è brevemente ac-
cennalo, il lettore, dopo l'autograFa risposta del Grassi
al De Renzi, dopo le critiche riflessioni stampate dal
Bo contro il Gosse, e dopo l'officiale dispaccio del
genovese magistrato ec, darà il suo imparziale giu-
dizio.
Ciò nulla ostante la maggiorila accettò la pro-
posta della commissione de' 10-15 giorni di qua-
rantena in patente brutta di peste. Soli tre delegati,
fra' quali i romani, votarono contro, e due delegati
si astennero dal votaie (2).
Si apre la 26'"" sessione (4 novembre) con una
proposizione del Bo, adottata all'unanimità, di por-
gere cioè i più ossequiosi omaggi e ringraziamenti
al signor principe presidente Luigi Napoleone , ed
al signor ministro degli affari esteri, pel benevolis-
simo accoglimento fatto ai delegali del sanitario con-
gresso, e per gl'incoraggiamenti da essi amorevolmen-
te manifestati, riportandosi le seguenti parole inserite
nel Monitore:
» Ieri a mezzodì il signor ministro degli af-
(1) Del pari Iacinti, quando il Bo applaude alle misure sanita-
rie prese nel 1822 dai genovese magistrato, per le quali avvenne
che la peste importata da Candia fu oircoscrilta nel lazzaretto del
Varignano !!! Riflessioni del Bo citate pag. 20.
(2) Proc verh 25 pag. 19.
59
fari esteri ha presentati al signor presidente della
repubblica i membri della conferenza sanitaria in-
ternazionale.
» Il signor Turgot ha ricordato che lo scopo di
questa conferenza era per parte di dodici governi,
che hanno possedimenti nel Mediterraneo, di con-
ciliare i mezzi più opportuni per la più possibile uni-
formità delle quarantene: la quale uniformità ren-
derebbe al commercio di tuUa l'Europa un indici-
bile vantaggio. Egli di poi ha lodato i delegali pe'
lavori di già compiuti , per lo zelo che han essi
mostrato, e pe' continui sforzi, onde ottenere conci-
liativi risultati.
» Il signor presidente della repubblica ha ag-
giunto a cotesti elogi espressivi sentimenti per 1' in-
teresse che egli medesimo prendeva ai lavori della
conferenza, e la concepita speranza di vederli com-
piuti a vantaggio delle internazionali comunicazioni.
» Il signor C. E. David, presidente della con-
ferenza, ha ringraziato in nome de' suoi colleghi il
signor presidente della republica della cortese acco-
glienza, che esso ed il suo governo avevano fatto ai
rappresentanti di undici nazioni le più illuminate di
Europa, annunziando che la conferenza avrebbe l'o-
nore da qui ad un mese, o sei settimane, di presen-
targli i risullamenti de' coscienziosi dibattimenti ten-
denti allo scopo pacifico e civilizzatore imposto ai
di lei impegni con zelo adempiuti. »
Dato termine all' art. del Monitore , il signor
Melier, relatore della commissione, volgesi al console
pontificio assicurando che i facchini in Marsiglia non
presero mai la peste col maneggio delle mercanzie!!
GO
Dopo altre brevissime discussioni , pel gentile
invito del signor ministro degli affari esteri, i dele-
gali si portano all'apertura dell'assemblea legislativa,
ove è loro destinata apposita loggia.
La 27'"" scftsione (6 novembre) si apre con un
lungo rapporto del medico inglese sulla peste di Mal-
la, e che specialmente mi riguarda. Sopra avendo
io detto di non tenerne proposilo se non dopo la
risposta dello Schembri: tuttavia vuoisi notare, che in
questa inglese relazione (1) si parla del caso di peste
sviluppato nel calzolaio Borg contrabbandiere: da cui
Io Schembri ripeteva l'importazione del male per tele
in contrabbando: ma non ammessa affatto nell'inglese
rapporto.
Tornasi poi a discutere sulla quarantena della
febbre gialla. Lo spagnuolo rinnova la sua proposta,
che il maximum della quarantena sia portato a 15
dì, opinione assentita anche dal medico portoghese
in caso d' infelice traversata: ed il console di Spa-
gna avverte le frodi che si commettono da' capitani
per occultare la malattia. La quale, secondo le os-
servazioni del Bo, non isviluppasi mai, quando fe-
lice sia sialo il marittimo Iragntto: ma soggiugne il
j)ortoghese delegalo, non doversi prestare sicura fi-
danza ai rapporti de' capitani mercantili. Per con-
trario sostiene il signor presidente, che i capitani mer-
cantili francesi .sono iiicapacisssirai di un falso g'iu-
ramento: ma i delegati spagnuoli, portoghese e to-
scano rispondono darsi pur troppo delle eccezioni. Io
stesso, nel ritorno da Parigi sul cammino di ferro da
(1 ) l'roc. veri). 2? pag. A.
61
Avignone a Marsiglia, m' imbattei con un patrono
ohe tornava a prendere il comando di un bastimento
mercantile: interrogatolo, se avesse mai deluso l'au-
torità sanitaria, rispose averlo più volte praticato per
togliersi dalle noie sanitarie, ignorando egli del tutto
la mia condizione.
Ma tornando in sentiero, dopo altre non poche
discussioni, e conciliative transazioni raccommandate
dal signor presidente si propone:
Con traversata felice (ma con patente brutta)
di febbre gialla , il minimum di quarantena cinque
giorni^ il maximum selle.
Il minimum di cinque giorni poirjìbe abbassarsi
a ire., se la traversala ha duralo oltre i trenta gior-
ni., e se il bastimento sia giunto in buone igieniche
condizioni.
l delegati austriaci e romani si sono astenuti
dal votare, ed il medico spagnuolo ha votato contro.
Si passa poi al seguente paragrafo:
Se vi sono casi di febbre gialla durante la traver-
sata, il minimum della quarantena sarà di sette gior-
ni , e di 15 il maximum. In questa discussione vi
sono state due astensioni, ed un voto contro.
Proposto quindi l'ultimo paragrafo del n. 14,
è votato all'unanimità, ed è il seguente :
Pei casi straordinari di una gravità eccezionale
fuori di ogni previsione., le misure per cotesto avve-
nimento sarebbero superiori ad ogni regola : SALUS
POPULI SUPREMA LEX EST (quante volte queste
parole sono inopportunamente ripetute !!), a secon-
da del giudizio dell'autorità sanitar'a e sotto la sua
responsabilità.
62
Per non essere in pronto la relazione della cotn-
missione del levante, si sospende il n, 15 del pro-
gramma, e si passa al 16 risguardanle i diritti sa-
nitari così dalla commissione proposto:
La salute pubblica ispira per se sola le niisure
sanitarie.
Ogni idea di fiscalità deve escludersi.
La gratuità debb'esserne la base.
I diritti sanitari il più possibilmente uniformi
saranno calcolati in modo da coprire le sole spese.
La commissione brama che cotesti principii sieno il
fondamento delle nuove tariffe.
Io non i3ii estenderò a dire le varie obbiezi(mi
fatte alla relazione della commissione delle tariffe
pe'diritti sanitari, la quale ebbi l'onore di presiedere:
ma il lettore osserverà gli articoli votati da una gran
maggiorità e quasi sempre all'unanimità.
II I articolo proposto dalla commissione delle
tariffe è così concepito :
Tutti i bastimenti che giungono in un porto pa-
gheranno un dritto sanitario proporzionato al loro
tonnellaggio.) e che sarà stabilito da ciascun governò
e comunicato alle potenze.
2. Né saranno sottoposti a cotesto diritto: 1 i ba-
stimenti da guerra : 2 le navi rifugiate a cagione
di burasca , o di altro infortunio , a meno che non
entrino in pratica: 3 i bastimenti pescherecci, 4 po-
tranno esser dispensati dal suddetto diritto le navi,
che non saranno soggette alla patente dappresso il
sanitario regolamento.
I due paragrafi sono adottati all'unanimità.
C3
Nella sessione 28""^ (8 novembre) segue la di-
scussione in discorso.
Lungo dibattimento avviene per un' aggiunta
proposta dal console inglese che vien rigettata al-
l'unanimità: altre obiezioni insorgono da parte del
sig. presidente e di alcuni altri. Le medesime essen) Proc. verb. 30; pag. 4—7.
70
zionì ai quaranlenari ^ ogni lazzaretto avrà, una ta-
riffa stabilita daWautorità sunitaria . rinnovata tri-
mestralmente , nella quale sarà specificato il prezzo
dé'viveri colle più moderate condizioni.
E pure adottato il paragrafo 17: I mobili e gli
oggetti di prima necessità per uso de' quarantenari
saranno loro gratuitamente somministrati dalla sa-
nitaria amministrazione appena entrati nel lazza-
retto.
Il paragrafo 18, dopo una modificazione di pa-
role proposta dal signor presidente, è adottalo, ed è
il seguente :
18. Oltre le regole generali praticate ne' laz-
zaretti^ l'autorità sanitaria adotterà con speciali re-
golamenti^ secondo le differenti località., le misure le
più convenevoli pel ben essere dalle persone che su-
biranno la quarantena^ senz'escludere soprattutto le
misure che potranno contribuire a preservare la pub-
blica incolumità.
CAPITOLO III.
Mercanzie
Con ragionato discorso il medico toscano pro-
va non esser punto barbara la pratica tenuta nei laz-
zaretti pel maneggio delle mercanzie: al che dissen-
te il Bo. Dopo lieve discussione, in cui ancor io ac-
cenno la necessità di purificare le mercanzie, è adot-
tato il paragrafo 19 coU'oggiunta di una parola del
medico spagnuolo.
15. Le mercanzie saranno depositate e smosse in
71
vasti magazzini asciutti ed esposti continuamente ni»
la libera circolazione dclVarìa*
Le halle ed i colli saranno aperti, affinchè Varia
possa liberamente penetrarvi.
I paragrafi 20 - 4 adottati e sono:
20. Le mercanzie di differenti provenienze., ap-
partenenti a differenti periodi di quarantene, dovran-
no essere collocate in magazzini separati.
21. Le pelli., i corami., i cenci, gli stracci, i ri-
masugli di animali., le lane e le materie da seta, sa-
ranno depositate in ambienti lontani dalla camere oc-
cupate dai quarantenari e dagli alloggi degVimpie-
gati nel lazzaretto.
22. Le sostanze animali e vegetali in putrefa-
zione non potranno mai ammettersi ne' lazzaretti., ma
saranno bruciate, o gettate al mare con precauzione.
23. fu ogni lazzaretto vi saranno magazzini
destinati al deposilo delle mercanzie purificate.
24. Lo sciorinamento essendo il mezzo di puri-
ficazione generalmente adoperato., tutti gli articoli de-
stinati ad essere purificati saraìino esposti alVariaper
uno spazio di tempo che verrà contemplato nel rego-
mento sanitario.
25. Nei casi in cui le mercanzie volessero riti-
rarsi dal lazzaretto prima di essere compiuta la.
quarantena , la patente di sanità dovrà farne men-
zione.
Piendo io immediatamente la parola di non
trovare regolare che si levino le mercanzie dal laz-
zaretto prima che sia finita la stabilita quarantena.
II delegato medico di Atene risponde, che il
rimbarcamento è permesso pel vantaggio del com-
72
mercio, ma che si ha cura di notare nella patente il
numero de'giorni della fatta quarantena.
Il medico ottomano non accetta questo para-
grafo, se non a condizione che le mercanzie portate
sopra un bastimento, nel quale si sarà sviluppata la
peste, non potranno essere rimosse da'lazzai'etti che
dopo finita la quarantena.
Il paragrafo 25 è tuttavia adottato.
26. Se le mercanzie avessero subito una qual-
siasi degradazione^ per negligenza degl'impiegati^ il
direttore ne sarà responsabile.
Il paragrafo è adottato coH'aggiunta proposta
dal signor presidente, che la responsabilità sia ben
constatata.
CAPITOLO IV.
Misure generali.
I paragrafi 27-9 adottati, e sono:
7. Gli effetti usati., la biancheria e tutto ciò che
sarà servito per le persone morte o attaccate di pe -
ste, dovranno essere purificate col massimo rigore ,
non solo mercé dell'aria Ubera , ma eziandio colle
fumigazioni di cloro., coW immersione nelV acqua di ma-
re., ed in certi casi collazione del fuoco. Altrettanto sarà
praticato ne' casi di ogni altro contagioso morbo.
28. Le lettere ed i dispacci saranno purificati,
ma in modo che non sia lo scritto alterato.
29. La purificazione delle lettere e dei dispacci
si farà in presenza del direttore del lazzaretto.
30. È adottato con un emendamento del console
toscano: « Il diritto è riservato ai consoli o rappre-
73
sentanti delle potenze straniere di assistere all'aper-
tura ed alla purificazione delle lettere e dei dispac-
ci indiritti a loro stessi e respettivi governi^ o destinati
ai loro nazionali*
Nella discussione di questo paragrafo ho rit'ralo
UQ mio avviso, che antecedentemente avevo portato,
e si era di purificare le letlere e dispacci senza l'a-
pertura, affine di conservare il segreto. Avendo ora
appreso che vi si racchiudono talvolta cambioni di
passivi conduttori , sono venuto nell'opinione della
commissione.
31. Addoltato: « La polizia interna de' lazzaretti
e di relativi ordini saranno di competenza dè'rispet-
tivi governi.
Dopo varie discussioni relative alla responsabi-
lità del direttore del lazzaretto per l'adozione dell'
antecedente processo verbale, vien questo adottato nel-
l'apertura della 31"'" sessione (15 novembre).
Il console di Spagna ritorna sul § 22, perchè
i governi adottino rigide cautele : mentre sotto il pre-
testo di nuocere al commercio, si mettono in circola-
zione generi deteriorati e nocivi alla salute. Di che
coll'approvazione generale si terrà in appresso pro-
posilo.
Il delegato medico spagnuolo dà poscia lettura,
come relatore, del rapporto della commissione delle
misure igieniche ; il quale appena sarà impresso ,
verrà distribuito ai membri della conferenza: ma sif-
fatta distribuzione venne talmente ritardata, che suc-
cesse dopo terminata la discussione degli articoli.
Si apre la 32'"" sessione (18 novembre) colla let-
tura del sig. Melier per la relazione della commis-
74
sione sulle amminislrazioni sanitarie : la quale sarà
impressa per esser posola discussa in piena confe-
renza.
Quindi si passano a discutere gli articoli delle
misure igieniche, le quali trovarono spesso opposi-
zione per parte di que' medesimi che predicava»
sempre igieniche cautele: perlocchè la discussione ,
oltre la lettura del rapporto fatta nella 31"'" sessione,
tenne occupata la conferenza per altre sessioni (18
20 e 22 novembre). Io non presi paite ai contrastati
dibattimenti; pel qual contrasto, la commissione due
volte si pronunziò per ritirarsi in massa, ma votai
sempre in favore della medesima. Imperciocché se
io ero stato altamente sorpreso nell'udire la lettura
del rapporto, che le pestilenze sono una necessità, anzi
un benefizio contro il parere di ogni sensata persona,
commendevoli trovai gli articoli discutibili compresi
nel riassunto analitico: e mi parvero degni dell'au-
tore della pubblica e piivata igiene insegnata in tutte
le università delle Spagne: ne creda il lettore che le
accennate opposizioni derivassero da quelle mal ac-
concie frasi del rapporto. D'altronde alcuni articoli eran
già volati, altri eran voto , ed io li riporierò con
quelle lievi modificazioni fatte in seno della conferen-
za nel detto analitico RIASSUNTO DELLA RELA-
ZIONE DELLA COMMISSIONE DELLE MISURE
IGIENICHE.
Art. 1. La conferenza emette il voto che le potenze
segnalane e della convenzione sanitaria si mettano
di accordo per fare esplorare le località, ove svolgon-
si malattie esotiche trasmissibiU., e per {studiare in-
cessantemente le condizioni edi modi del loro sviluppo.
75
2. Affine di assicurarsi dello stato igienico del
bastimento.) la patente specificherà: 1 ° Lo stato di sa-
lute degli uomini delV equipaggio e del loro nume-
ro: 2". Lo stato della nave e del carico relativamen-
te alle loro salubri condizioni; 3". Lo stato del vestia-
rio dell' equijjaggio^ e della, provvisione della bianche-
ria: k". L'esame della qualità e quantità degli ali-
menti e delle bevande^ specialmente dell' acqua potabile.
Art. 3. Gli uomini delV equipaggio saranno
visitati da un medico. L marinari attaccati da una
qualunque malattia trasmissibile non dovranno es-
sere imbarcati.
A. LI bastimento sarà sempre visitato da un im-
piegato deWautorità sanitaria , prima che si passi
a caricarlo. La stiva, le cabine, l'alloggio de'marl-
narì, le stanze da letto, la cava, i magazzini, il pon-
te e tutte le parti e sterne ed interne del bastimento
saranno diligentemente visitate e sottoposte., se creda-
si necessario.) alle igieniche misure reputate indispen-
sabili daW autor Uà sanitaria. Con quest'articolo ha
line la 32"'" sessione.
Prima di seguitarsi la discussione delle igieni-
che misure, io prendo la parola (1). « Signori, ho ri-
cevuto la risposta dello Schembri membro del co-
mitato di salute di Malta , nella quale ammette
che nel 1813 vi fossero persone attaccate da pe-
ste, ma rimase a bordo. Egli tuttavia crede che il pri-
mo caso di malattia in città avvenisse per tele in con-
trabbando (2) in persona di un calzolaio. Del resto
(1) Proces. verb. 32 (20 novembre).
(2) Superlorinenlc nella !>les^>a inglese relazione si purlu di que-
7G
essendovi appcstati a bordo, puossi dubitare che il con-
tagioso appiccamento sia derivato per di retta o in-
diretta comunicazione degli stessi ammorbati, piut-
tostochè da mercanzie. Officialmente però ed incon-
strastabilmente le pesti di Gozzo e di Corfu avven-
nero per merci in contrabando (1) ».
La lettera dello Schembri è depositata negli ar-
chivi della conferenza, e vuoisi qui avvertire che in
essa si riferisce ancora l'incubazione del cholèra di
9 giorni comprovata nel lazzaretto di Malta (1849).
Si tornano quindi a discutere le igieniche mi-
sure.
5. Dopo il carico , il bastimento sarà visitato
una seconda volta per riconoscere la natura e la for-
ma delle mercanzie in buon ordine.
6. Le misure indicate negli articoli 3, 4, e 5
si applicano alle navi di viaggi a lungo corso., e da
coloro che fanno il trasporto de'passeggieri^ non ri-
nunciandosi però a sorvegliare lo stato igienico del-
le altre navi.
Del resto tutte queste misure saranno sottopo-
ste ai mozzi di esecuzione di ciascun luogo.
Art. 7, 8, 9, lo, 11, 12, 13, 14, e 15 ammes-
si seuza modificazione, e sono:
7. Il numero de passeggieri che potrà imbar-
si a lordo de' vascelli a vapore., e delle navi a vela,
sto calzolaio morto di peste, e contrabbandiere, ma senza ammeller-
si l'opinione dello Schembri.
(1) La delegazione inglese, sebbene opinasse clie le mercanzie
non introdussero mai peste, ninna osservazione fecero per le pesti-
lenze di Gozzo e di Corfi)
77
sarà slahilito dopo il tonnellaggio^ e sulla capacità
degli ambienti^ sul numero delle stanze da letto , e
sulle facilitazioni del buon alloggio^ del nutrimento,
e della durata del viaggio.
8. Tutti i bastimenti che fanno il trasporto del-
le persone , qualunque sia il tonnellaggio., e tutti i
bastimenti di una certa capacità , o il cui equipag-
gio compongasi di alcun numero di uomini , saran-
no tenuti di munirsi di una provvigione di medicamen-
ti i più indispensabili e degli apparecchi i più ordi-
nari per curare le malattie.^ e peccasi che più fre-
quentemente avvengono a bordo delle navi.
V amministrazione sanitaria superiore di ciascun
paese farà compilare un catalogo di questi medica-
menti ed apparecchi.^ come ancora un'istruzione ben
dettagliata sulla maniera di adoperarli.
IGIENE DELLA TRAVERSATA.
Alt. 9. La conferenza emette il voto che ciascuna
potenza segnataria faccia compilare e stampare un
manuale d' IGIENE NAVALE., per fuso della mari-
»i« mercantile.
Le prescrizioni le più interessanti di questo MA'
NUALE [di cui i capitani o patroni dovranno tene-
re sempre a bordo alcune copie) saranno rese obbli-
gatorie.
10. La conferenza emette il volo che ciascuna
potenza faccia tenere un registro esatto del numero
delle navi di commercio., come un registro statistico
delle malaUie e dei morti che avran luogo in ciascun
T8
anno. Lo statistico -prospeiio co' più necessari del'
tagli sarà stampato.
Dovranno accorciarsi premi a qne' capitani e pa*
troni delle navi , il cui equipaggio si fosse distinto
pel buono stato di salute.
\1. La conferenza emette il voto che i gover-r
ni segnatari della convenzione aprano concorsi e
dieno premi agl'inventori di nuove scoperte., o de per-
fezionamenti , tostochè il loro risultato sia un vero
progresso pel perfezionamento delle navi., o pel mi-
glioramento delle condizioni ignieniche delV equipaggio.
12. La conferenza emette il voto che ciascun
paese consigli ed incoraggisca con premi e con al-
tri mezzi la presenza di un medico a bordo compre-'
so nelVart. 8.
IGIENE DELL'ARRIVO.
Art. 13. Ln tutti i bastimenti^ prima di essere am'
messi a libera pratica.^ debbe essere scvnpolosamente
constatato lo stato igienico.
14. Se vi saranno malati a bordo., saranno sbar'
cati il più presto possibile., e curati diligentemente a
seconda della natura del morbo., e delle circostanze
del luogo.
15. Dappresso le condizioni di salubrità dello
provenienze., l'autorità sanitaria potrà ordinare come
igieniche prescrizioni:
A. I bagni ed altre cure corporali agli uomini
dell'equipaggio.
B. H rimovimento delle mercanzie a bordo.
C. LJ abbruciamento o sommersione in distanza
79
nel mare di sostanze alimentari^ o di bevande gua-
ste o deteriorate^ come ancora delle mercanzie di na-
tura organica fermentale o corrotte.
D. Il lavamento della biancheria e delle vesti
delV equipaggio^ come ancora provvedernelo in caso di
insufficienza.
E. La nettezza della stiva., V evacuazione compiu-
ta delle acque della sentina., e la sua disinfetlazione.
F. V aereazione di tutto il bastimento.
G. La ventilazione del basimento per mezzo de'
ventilatori a pompa.
H. Le fumigazioni eloriche , la graltura e la-
vamento del bastimento.
I. Il rinvio al lazzaretto.
Poteste operazioni saranno eseguite nelV isola-
mento più 0 meno compiuto a seconda delle spiagge
e dei luoghi., ma sempre innanzi di mettere a libera
pratica il bastimento.
16. In patente brutta , le misure igieniche., che
saranno giudicale indispensabili nei limiti che saranno
stabiliti nel regolamento , verranno sempre praticate
uelV isolamento.
17. Le modificazioni delle misure igieniche nella
loro applicazione alla polizia de'' lazzaretti per le
quarantene di osservazione e di rigore^ saranno spe-
ci ficaie nel regolamento.
18. ed ultimo. Za conferenza emette il voto., che
ciascuna potenza segnalarla internazionale si appli-
chi a migliorare i porti del loro liltorale , e delle
circonvicine località.
Si apre la 35""* sessione ( 25 novembre ), in cui
fo notare un equivoco del dotto e laborioso re-
80
latore della commissione d'oriente sul regime qua-
rantenario dello stato pontificio. Dopo quest'inciden-
te, il signor presidente mette in discussione con me-
ritati elogi il rapporto della commissione. Il signor
Melier, relatore della prima commissione del pro-
gran»ma, opina che debbasi tantosto votare, che la
peste non esiste in permanenza nel levante, opinione
appoggiata fortemente dal Bo (1).
Prendo io poscia la parola. » Signori, io già ho
dichiarato, quando si discusse l'art. 13 del riassunto
analitico della prima commissione , che non saprei
ammettere le condizioni del n. 10 relative alla li-
bera pratica delle mercanzie con patente netta del
levante. Né vi ha dubbio alcuno che 1' accorta re-
lazione della commissione sopra il sanitario servigio
di oriente è stata elaborata colla più grande intelli-
genza, ed arricchita di preziosissimi documenti : ciò
nulla ostante mi si permetterà di fare alcune os-
servazioni sopra quest'argomento della più grande
importanza. Convengo cho perseverando nelle sani-
tarie istituzioni stabilite in oriente dopo il 1838, so-
prattutto aumentandole, si otterrebbero salutevoli ri-
sultamenti : ma io penso che non si giugnerà al
vero filantropico scopo, finché non saranno ammessi
e diligentemente eseguiti tutti i miglioramenti pro-
gettati dalla commissione.
« Concedetemi, o signori, che a questo pro-
posito io dia un cenno di ciò che scrissi nel 1831
in una delle mie opere. Non vi è dubbio^ che i feb-
brili contagi per trascuratezza delle misure sanitarie
fi) Process. vcrb. 35 pag. 3 4.
81
prendono di tempo in tempo il carattere epidemico •
d'altronde non trovo alcun verificalo esempio , che
dimostri la possibilità di UN'EPIDEMIA PROPRIA-
MENTE DETTA^ la quale sia divenuta contagiosa.
Nessuno potrà contestare che l'epidemie osservate in
Europa abhian assunto il contagioso carattere^ e nes-
suno proverà inai che le medesime possano arrestar-
si, isolarsi, e distruggersi, siccome avviene ne' febbrili
contagiosi morbi con provvide misure tantosto prati-
cate. Per incontrastabili fatti , medici sapienti e
sperimentati provarono che l'uomo potrebbe, colle più
scrupolose sanitarie prescrizioni, distruggere ogni ger-
me di febbrile contagio. Dirò peraltro che per arri-
vare a questo scopo , specialmente per la peste d'o-
riente, è indispensabile un accordo generale fra gl'in-
civilitì governi, oltre V adempimento esatto di igieni-
che misure prescritte in un codice universale. Senza
di ciò non potrebbero conseguirsi prosperi risultamen-
ti ecc. [■]).
» La slessa opinione emisi nell'istoria medica
del choléra di Parigi del 4832 (Roma 1833 pag.
18), ed altretlanto ricordai nelle citale considera-
zioni sulla peste bubonica relative al rapporto del-
la accademia nazionale di medicina di Francia (Ro-
ma 1846).
» Risulla quindi che oggi non credo ancora
sufficienti le garanzie assicurate nel rapporto del
programma e nell'art. 10 per ammettere le mercan-
zie con patente netta del levante in libera pratica,
(1) Del cholcra morbus, ossia della febbre pestilenziale cholè-
rica: t. ragionamento di Agostino Cappello. Roma 183J.
G.A.T.CXXVI. 6
82
dopo Una traversala felice di 8 - 10 giorni, come
avvisò la prima commissione. Tornisi di grazia col-
la mente alla storia de' contagi febbrili, soprattutto
della peste. Nei primi anni del mio medico eserci-
zio ho osservato che il vainolo, dopo aver menate
stragi, è tornato a sviluppaisi dopo 7, 9, ed 11 o
12 anni. In cotesti intervalli di rado si sono osser-
vati sporadici casi: la slessa osservazione ho fatta sul
tifo 5 e lo stesso accade per la peste bubonica del
levante.
» Nessuno ignora che un contagio , per non
esser stato circoscritto e distrutto, dopo aver preso e
dominalo con epidemico genio , al suo ritorno col-
pisce specialmente i nuovi - nati, e coloro che non
erano stati attaccati nelle antecedenti pestilenze, es-
sendo rarissime le recidive. In appoggio del mio
asserto vi citerò la statistica della bubonica peste
del fu signor Lavison^ console di Russia in Egitto
nel 1839, il quale stabilisce che sono occorsi undi-
ci anni fra le ultime due pestilenze. Ora, secondo i
ragguagli officiali dati dalla comaiissione d' oriente,
risulta che gli ultimi casi di peste sono del 1844,
e non del 1842 come si legge nella relazione del
programma, di maniera che mancherebbero Ire anrti
pel ritorno della peste, a seconda della suddetta sta-
tistica, ed a mio debole avviso anche di più, atte-
se le accennate istituzioni sanitarie attivate dopo il
1838. A questo mio ragionamento si opporrà, che
precisamente dopo queste istituzioni,^ se avverrà un
caso di peste, sarà immediatamente spento. Ma po-
tete voi, o signori , esserne sicuri? Io non cre-
do che i medici, nello stato attuale, possano sapere
83
i casi sporadici, siccome ben disse nelle discussioni
deiraccademia nazionale di medicina il .signor Ro-
ehoux^ e lo Schemhri nell'istoria della peste di Mal-
ta. Inoltre potete voi essere sicuri dei certificati del-
la morte delle donne fatti dalle donne, e nei villag-
gi dai baibieri ?
» Nel processo verbale ms. della quarta adu-
nanza della commissione, due onorevoli membri di-
chiararono la necessità di far verificare i cadaveri
dai medici : e nella settima riunione ripeterono la
stessa cosa. Che se pure non vi sono casi sporadici
di peste (il che io ripeto di non credere,) niuno por-
rà dubbio che nelle luride abitazioni e negli effetti
de'poveri si racchiudino contagiosi germi da svol-
gersi ed appiccai'si airo|)portunità per favorevoli in-
dividuali condizioni.
« La prima commissione del programma nell'
ammettere in libera pratica le mercanzie del lev.ia-
te con patente netta, propone tuttavia rigide misure
pe' cuoi, cenci etc. Ora chi vi assicura, o signori,
che queste sostanze suscettibilissime di racchiudere
il contagioso seminio, non abbiano prima della par-
lenza avuto contatto diretto o indiretto con altre so-
stanze, come a modo d'esempio lane, seterie etc?
« Si risponderà, che fino ad oggi niun sinistro
è avvenuto ne' porti di Francia, ove dopo un tra-
gitto di 8-10 giorni sono ammesse da pochissimi
anni in libera pratica le mercanzie provenienti dal
levante con patente netta. Ma quest' esperienza è
troppo breve per essere convincente in un'epoca spe-
cialolenle, nella quale non si è osservato l'epidemi-
84
co ritorno della malatlia (1). In conseguenza per
l'ammissione del la pale nte nella del levante a libe-
ra pratica io reputo indispensabile le due seguenti
condizioni.
« 1. Che sia passato un periodo almeno di 12
anni dopo l'ultima pestilenza.
« 2. Che tutte le savie misure prescritte nella
relazione della commissione pel sanitario servigio di
oriente sieno slate perfettamente praticate.
« Dal complesso quindi di ciò che si è per me
ragionato, io voto contro la conchiusione che con-
cerne la patente netta del levante, perchè compro-
metterebbe la pubblica salute , specialmente quella
delle popolazioni delle spiagge del mare x\dria-
tico (2) ».
Il medico di Atene , quantunque abbia fatto
parte della prima commissione, si espresse sempre
in seno della medesima avverso alla stabilita massi-
ma : mentre crede esistente sempre la peste in Egit-
to : ma il signor Melier ripete V assenza di cotesto
morbo essere un fatto compiuto. D'altronde un lun-
go discorso del medico russo, relatore della commis-
sione d'oliente, favorisce piuttosto l'esistenza della
peste in quella regione. Prosiegue il Melier che i fatti
riportati dal greco delegato sono stati diciferati e
riconosciuti insussistenti : che gli stessi medici fran-
cesi colà inviati confermano l'asserto suo. Soggiun-
geva io quindi, che se i dottori colà inviati non a-
(1) iNell'avvicinar.si cotesto sinistro, io son certo che stante l'in-
valso uso, seguitasi a spedire patente netta per l'avidità del guada-
gno, e per la fallacia della dottrina professata da taluni medici.
(2) Proces. verb. id. pag. 4-6.
85
\essero incontrato alcun caso di peste, ciò non ba-
stava a salvaguardia della pubblica incolumità per
le condizioni sopra da me riferite : ripetendo che
dato, e non concesso, che al presente non si ricono-
scesse sporadico il bubonico malore, latente sempre
esisterebbe il germe negli efifetti , nelle robe, nelle
vesti , nelle abitazioni , da svolgersi all' opportunità
ed appiccarsi all'uomo , siccome insegna l'istoria di
cotesto morbo (1). Per contrario con diffusi ragio-
namenti , in ispecie de' medici genovese e toscano ,
si sostiene l'ammissione a libera pratica della patente
netta del levante. Con savie riflessioni, ampiamente
riportate nel rapporto della commissione d' oriente
dall'avvedutissimo relatore, questi si oppone a cote-
sta ammissione, dicendo ancora che se esso era stato
sorpreso per l' ammissione facoltativa del Bo all'
immediata libera pratica della patente netta del le-
vante, stupore non poco destavagli 1' inatteso con-
fronto, che nel suo discorso il Bo paragonò le isti-
tuzioni sanitarie italiane consimili a quelle d'orien-
te!'.'.Onde esclamò come mai fia possibile per la pub-
blica salute comparare l'Italia all'oriente, le cui con-
dizioni sono essenzialmente differenti (2) ? Né man-
cò di ammonire che bastevoli ancor non sono le gua-
rentigie nel levante praticate.
Seguitati quindi i dibattimenti, il signor pre-
sidente rimette diversi proposti emendamenti alla 1.
commissione, ed a quella d'oriente ; affinchè entram-
be unitamente attendano allo studio de'medesimi per
(1) Proc. verb. id. pag. 8.
(2) Proc, verb. id. pag. 16.
86
riferirne il risultameato uella prossima sessione 36'"*
(21 novembre).
Io non mi eslenderò sopra i diversi pareri so-
stenutisi dalle due commissioni presiedute dal pre-
sidente della prima (oonsigUer Betti). Avvertirò sol-
tanto che in seguito de' pericoli nuovamente ricor-
dati sull'Egitto dal delegalo di Grecia, il signor pre-
sidente del congresso dice, che quando l'Egitto avrà
adempiute le proposte condizioni sarà messo al pari
degli altri luoghi di oliente.
Passatosi quindi a discussione il 5 paragrafo
del numero 10 della prima commissione, vien adot-
tato all'unanimità colla seguente redazione : Baste-
vqIì guarentigie^ ulteriormente specificale^ allorché sa^
rQnm ^tale stabilite^ si ammetteranno in libera pratica
le provenienze giunte con patente netta (1). Riportasi
poscia immediatamente l'articolo addizionale propo-
to dalle due commissioni, ed è il seguente: Riguar-
do aW assenza della peste in oriente, nel convinci-
mento che il governo ottomano non mancherà svilup-
pare, e fortificare sempre più le sanitarie istituzioìd
dielrQ le indicazioni deWinternazionale conferenza, le
due commissioni riunite propongono che tutte le pro-
venienze tZ' oriente sicno ammesse fin da ora a libera
pratica dopo 8 giorni di traversata con un' medico a
bordo, e dopo 10 giorni senza medico. Il diritto è ri-
servato ai paesi pili vicini di prendere in certi casi ta-
li misure che essi crederanno indispeusabili pel man-
tenimento delCincolumità pubblica (2).
(2) Proc. verb. 36 pag. 9.
87
Il console austriaco, membro ancora della pri-
ma commissione, disse con ragionato discorso non es-
ser baste voli le garanzie attuali istituite in oriente:
dubbio l'imane per cotest' ammissione al medico di
Portogallo, finché non sieno adempiuti i migliora-
menti proposti dalla commissione d'oriente. Ciò nulla
ostante 1' inglese delegazione ed altri riposano sulla
sicura assenza della peste, onde con gran vantaggio
del commercio debbe ammettersi a libera pratica la
patente netta del levante. Io persisto ragionevolmen-
te nell'opinione superiormente emessa. Son poscia co-
stretto dare la seguente risposta. « Il mio rispettabile
amico e collega (Betti) dice che io credo perpetua
l'incubazione della peste negli effetti e nelle robe.
Io sono stupito che mi si faccia dire, che l'incuba-
zione sia ne'materiali oggetti: mentre dessa è propria
degli organici individui Rispetto poi alle luride abi-
tazioni, ove osservasi una continua sordidezza, pos-
sano esse per lunghissimo tempo racchiudere e ser-
bare i contagiosi germi. In fine domanderò al Betti,
come si riproduca la peste se non pel latente se-
minio in delti oggetti conservato: sebbene io creda
che in alcune località del levante, siccome più volte
ho ripetuto, si osservilo casi isolati di questo mor-
bo M) ». .br. t>lncr:)l lob
Da ultimo passa a voti l'emendamento sopra li-
portalo delle due commissioni relativo al § G del
programma, e viene dalla maggiorità adottato. I de-
legati romani ed austriaci votano contro: gli spa-
gnuoli ed il medico napoletano si astengono (2).
(1) Proc. verb. iti. pag. 19, e pag. 23.
(2) Proc. verb. iJ. pag. 24 nota. Posteriormenle (proc. verb.
88
Nella 37'"" sessione (29 novembre) il console
ponlifìcio depone documenti ricevuti da Marsiglia
relativi alla peste di questa cittii del 1720. 1! conso-
le di Spagna deposila una relazione sulla recente
febbre gialla di Oporto, per la quale le provenienze
del Portogallo erano state messe in quarantena dalla
Spagna. Quindi il signor presidente, riepilogando con
grand'elogio l'antecedente risoluzione della confe-
renza, passa a proporre la discussione del num. 11
del programma così concepito dalla commissione:
Sopra i differenti punti del programma in que-
sto numero \ \ contenuti^ la commissione è di avviso:
1. Per ciò che riguarda V invio de'medici sanitari in
oriente^ la commissione li dichiara utili, anzi ne-
cessari , essendo la loro presenza un essenziale ga-
ranzia pel nuovo sistema sanitario. Perciò la com-
missione avvisa che i medici colà inviati sieno in co-
mune^ ed a spese ragguagliate fra i diversi gover-
ni^ osservando in tal modo una garanzia di più ed
uno scambio reciproco di buon accordo fra le nazioni.
Immediatamente io prendo la parola. » La pro-
posizione della commissione deve senza dubbio es-
sere da tutti accettata. Ma per conseguire buoni e
reali risultamenti, mi sembra prima di ogni altra co-
sa , che i governi del levante adottino scrupolosa-
40) il console greco, che aveva faUo parte della commissione fJ'oiien-
le, riporta nn voto contrario ad ammettere a libera pratica la pa-
tente netta del levante
Vuoisi per me aggiugnere una gravissima riflessione, che la
Turchia assoggetta tuttora le navi provenienti dalla Siria e dall'i?-
gillo ad una quarantena d' osservazione. In conseguenza dubitasi
colà del fatto compiuto ripetuto più volte dai delegati francesi e
da altri.
89
mente il progetto della commissione pel servigio sa-
nitario d'oriente. Il che sembrarebbe doversi verificare
nella considerazione dell'istituzioni stabilite dal 1838
al 1843, e per la leale sicurezza ancora del loro
aumento che ne porge il nostro collega dott. Sarto-
ìetli^ affermando che que'governi nulla trascureran-
no per raggiugnere il saluberrimo scopo. Perlochè
io non dubito punto che i governi di Europa in-
yieranno colà medici , onde meglio rassicurarsi in
prò della pubblica incolumità, e così liberare il com-
mercio dagli ostacoli, cui va necessariamente sog-
getto » (1).
In parlandosi de' medici da inviarsi colà, deb-
b'esserne il numero a seconda dell' estensione terri-
toriale e popolosa di ciascuna nazione.
Importante e diffusa discussione ha poi luogo
per lo stabilimento de' medici ove regna la febbre
gialla, specialmente in Affrica: affine con profondo
studio sulle località possa arrecarsi un qualche utile
risultato per un morbo, che cotanto flagella le po-
polazioni. Si fa per me la proposta che cotesti me-
dici fossero forniti dell'opera AeW Audouard ricca di
profonde cliniche ed igieniche vedute (2).
La proposizione pel suddetto stabilimento è rin-
viata alla commissione , onde poscia giudicarne in
piena conferenza.
Quindi si discute il § 2 del numero 1 1 rela-
tivo all'oriente: Riguardo ai medici che saranno im-
barcali ne' bastimenti per sorvegliare il salutare an-
(t) l'roc. verb, 37 pag. 4.
(2) Id. pag. 8.
90
damento^ i bastimenti a vapore che trasportano viag-
giatori sono obbligati di avere un medico saratario
a bordo^ il quale attenda all' esecuzione delle igieni-
che misure^ e neW approdo renda conto delle circo-
stanze del viaggio.
Dopo varie osservazioni quest'articolo vien adot-
tato air unanimità colla seguente risoluzione: / ba-
stimenti a vapore soggetti a patente , facendo tra-
sporto de' viaggiatori , saran tenuti di avere un
medico sanitario a bordo incaricato come è detto
neir antecedente proposta, oìa coli' aggiunta che la
nomina di questi medici sarà determinata dai rispet-
tivi governi (1).
Nella 38"'" sessione (31 dicembre) si discute il
riassunto analitico della commissione d'oriente, che
dopo lievissime moditìcazioni viene adottato all'una-
nimità, colla riserva di vari delegati inclusive ro-
mani per aver parte, siccome hanno diverse europee
potenze, nel comitato supremo di salute di Costanti-
nopoli. Quindi è adottata all' unanimità la seguente
proposizione:
La conferenza propone che Vattuale organizza-
zione del consiglio supremo di salute di Costantino^
poli sia solennemente sanzionata con una legge ema-
nata da sua altezza medesima (^ì): che le potenze eu-
ropee sieno in questo consiglio rappresentate dai dele-
gati in numero eguale dei funzionari ottomani., e che
abbiano^ coinè al presente^ voto deliberativo^ e che la
(1) 1(1. pag. a.
(2) Vuoisi notare die di presente qnesta suprema istituzione
sanitaria Cu per organo del minislero oUomano, coli'inle.sa del gran
signore, ma senza suo firmano.
9*
prerogativa attualmente goduta dal consiglio dì sa'
fute^ di nominare cioè o rivocare tutti gVimpiegati sa-
nitari^ gli sia egualmente mantenuta in tutta la sua
pienezza.
Dopo alcune savie riflessioni, in ispecie dei de-
legati greci, si approva all'unanimità, meno un'asten-
sione, il 2 paragrafo, La conferenza propone che i
delegati stranieri membri del consiglio supremo di sa-
lute di Costantinopoli sieno nominati dai respettivi
governi, e che siano persone il più possibilmente ca-
paci di raggiugnere il salutare scopo.
Adottato è parimenti all' unanimità il § 3: La
conferenza esprime il voto che gVimpiegati pel servi-
gio sanitario in Turchia sieno bastevolmente retribuir
ti, e che Vemolumento sia proporzionato alla durata
del servigio, il quale potrà esser requisito per V avan-
zamento nelVislessa amministrazione nei casi di va-
canza.
A. Per perfezionare la sorveglianza nell'interno
dell'impero, la conferenza emette il voto che il gover-
no trovi la possibilità di stabilire medici di cantone,
come esistono in vari altri luoghi. La conferenza
emette ancora il voto che il governo della sublime
Porta fin da ora stabilisca: T. sette medici sanitari
sapra sette principali località deW interno, cioè in Ad-
rianopoli, a ÌVidino, e a Travnik iu Europa: a Cu-
laia, a Cesarea, a Diarbekir,e ad Angora nell'Asia mi-
ìiove: 2". Due medici ispettori , che risedendo a Co-
stanlinopoli, sorveglicranno il sanitario andamento ,
l'uno per la Turchia europea, l'altro per l'Asia mi-
nore, dovendo compiere le slesse funzioni e gli ob-
92
blighl medesimi dei medici ispettori della Siria e
del pascialato di Erzerum e di Bagdad (1).
Nel discutersi il § 5". vari delegati, inclusive
il medico romano, dimandano l'aumento de.
Questo voto si era veduto necessario dappresso
ì ragguagli del relatore della commissione , e del
medico ottomano che ricordava l'infelice condizione
de'medici egiziani.
CAPITOLO III.
Patenti.
Questa 39""^ sessione si chiude coli' adozione
del 1 articolo di questo capitolo cosi concepito:
1. « Che in appresso sieno adottate efficacissi-
n me misure perchè un capitano di bastimento non
» sia più portatore di due patenti ».
'* Si apre la 40"*" sessione (6 dicembre) colle se-
guenti parole del signor presidenle. « 11 signor mi-
nistro degli affari esteri mi ha incaricato di ren-
dervi singolari grazie per la fiducia da voi riposta
nel governo francese in mezzo ai gravi avvenimenti
accaduti sin dai due di questo mese ; mentre voi
avete continuato senza interruzione gl'importanti la-
vori che vi sono stati confidati )>.
Seguita poi la discussione del cap. Ili del rap-
porto della commissione d'oriente sulle patenti. Do-
po alcuni dibattimenti diciferati dal medico ottoma-
no, la conferenza adotta all'unanimità l'articolo:
2. « La commissione propone che ogni bastimen-
») lo partito dall'oriente sia munito di una sola pa-
G.A.T.CXXVL 7
98
» tenie rilasciala dall'oflìcio di sanità, vidimata dai
» consoli competenti ».
Varie quindi sono le discussioni sull'art. 3, in
cui prendou parte anche i delegati romani. Da ulti-
mo l'art, è soppresso ad una grande maggioriià ;
ed era relativo alla vidimazione de' consoli da ba-
sarsi sempre sulle relazioni de' medici o degli ofiici
sanitari.
CAPITOLO IV.
Stabilimento de' mudici sanitari in oriente.
I primi Ine; i8rJtÌ;II numero de'medici sanitari europei sul lit-
lorale e nell'intèrno del levante sarà accresciuto. Essi
abiteranno sul .littorale le città munite di lazzaretti
ceintraiUv e ntìll' inlerno i punti che offrono maggior
importanza relativa alle pestilenze. Così l'Egitto avrà
sei medici, la Siria quattro, il resto dell'impero ot-
tomano sedici : nel qual numero son comprosi i sei
medici francesi di già esistenti. . 19(3
2. A ciascuno di cotesti medici vien assegnato
un'estensione di paese per la sanitaria sorvegliatiza.
3. Quattro di questi medici saran distinti coi
nome di medici centrali , e residenti a Costantino-
poli, a Smirne, a Bairuth, ed in Alessandria. Oltre
le. loro ordinarie funzioni come medici .sanitari, sa-
ranno obbligati di compiere generali relazioni ba-
sate sui rapporti de'medici sanitari del loro circon-
dario. Cotesle relaziorii da ciascun di loro saranno
99
rimesse ai corpi consolari locali , ed una volta il
mese al consiglio di salute di Costantinopoli, e due
volte al mese a quello dell'Egitto. Peraltro nel fissar-
si questa corrispondenza, la commissione non inten-
de che i medici centrali abbiano una supremazia so-
pra i loro colleghi. Le vacanze nelle residenze de'
medici centrali saranno preferente mente surrogate
da'medici sanitari più anziani del circondario.
I 2G medici saranno ripartiti in 26 luoghi dei
quattro circondari seguenti. Io accennerò soltanto i
capi luoghi de'circondari.
I. CIRCONDARIO DI COSTANTINOPOLI.
II. CIRCONDARIO DI SMIRNE.
in. CIRCONDARIO DI BAIRUTH.
IV. CIRCONDARIO DELL'EGITTO.
II medico austriaco con savie riflessioni pensa
essere scarso il num. de'26 medici: in che porto io
la medesima opinione , senza convenire in un suo
avviso. Imperocché sembragli che le febbri atassiche
possano degenerare in bubonica peste , la quale è
un male sui generis: potranno al più altri morbi di-
sporre l'individuo a prendere un serpeggiante o do-
minante contagio , o con questo ricorrere in con-
nubio. Del resto la proposta dellauslriaco per l'au-
mento de'medici è rigettata dalla maggiorità (I).
L'articolo 5 della commissione adottato è il se-
guente:
5. « I medici sanitari europei conserveranno
» il più possibilmente la loro libertà d'azione, e non
(1) Proc. vi;rb. 40, piij]. 9 10.
100
» saranno responsabili che in faccia ai loro respettivi
» governi ».
6. Parimenti adottato. Le funzioni di tutti i
medici sanitari^ compresivi i medici centrali, in ge-
nerale consisteranno: 1. Per la pubblica incolumità
dovranno prima di tutto studiare il paese ove si tro-
iano, il clima, le malattie, e tutte le condizioni che
vi si riuniscono, come ancora le cautele prese per
combatterle: 2. a tal uopo essi percorreranno i rispet-
tivi territori, soprattutto l'Egitto, ogni volta che lo
crederanno utile: 3. informeranno di tulio ciò che ri-
guarda la pubblica salute non solo il medico cen-
trale del circondario (due volte il mese in Turchia,
ed ogni settimana in Egitto) , ma eziandio il corpo
consolare di loro residenza ; e, se fia di bisogno, le
autorità locali. Nei corsi di epidemia o di qualun-
que sospetto morbo, come ancora nei casi straordi-
nari, il medico sanitario farà immediatamente una
relazione speciale a tutte le dette autorità ed a tut-
ti i medici sanitari , ed anche ai consoli più lon-
tani, cui giovassero coteste informazioni.
Sono egualmente adottati gli art. 7, 8.
7. In caso di sospetto contagio, i medici sani-
tari informeranno tosto l'ofiìcio di salute e vicever-
sa : e subitamente si terrà medico consulto , il cui
risultato sarà immediatamente comunicato alle sud-
dette autorità.
8. Gli olTici di sanità, le deputazioni ce. avran-
no l'obbligo non solo di mettere al giorno i me-
dici sanitari di tutti i minuti ragguagli relativi alla
pubblica salute, ma di ricevere ancora questi me-
101
dici, onde avere le più esatte notizie ed i verbali
schiarimenti,
CAPITOLO V.
Proposizioni finali.
« Nel caso che i miglioramenti progettali sa-
ranno compiuti in tutta l'estensione della Turchia e
dell'Egitto, e che lo stabilimento de'medici europei
fosse in piena attività, la patente netta del levante
sarebbe messa a libera pratica senza distinzione fra
la Turchia, l'Egitto, e la Siria ».
Quest'articolo è contrastato dalla maggiorila, che
ha già votata la patente netta del levante (dopo 8-10
giorni di felice tragitto) ; prima ancora che in quelle
regioni sieno compiute le misure proposte dalla com-
missione d'oriente, onde si modifica in tal modo:
« Facilitando le proposte garanzie, la patente
» netta del levante sarà messa a libera pratica. La
» conferenza emette il voto che queste garanzie sie-
» no date il più presto possibile ».
Nelle sessioni 41 e 42 ( 9 e 1 1 dicembre) si
discute la relazione della commissione per l'organiz-
zazione delle magistrature sanitarie, eccettuate quelle
d'oriente già discusse. In coerenza quindi del num.
18 proposto dalla 1 commissione, si dice:
« La commissione per l'organizzazione delle
•> magistrature sanitarie trova eccellente l'idea d'u-
» niformità introdotta anche nelle autorità e nelle
>' amministrazioni sanitarie (1) ».
(1) Proc. veri). 41, pag. 3.
102
Pfer altro celesta relazione trovò maggiori op-
posizioni : né io nrii estenderò minutamente sulla me-
desima. Parve per me chiarissimi , che i 23 arti-
coli racchiusi nel riassunto, punto non raggiungano
la decantata uniformità: che anzi essendo uno solo
responsabile all'autorità ed i consigli marittimi se-
condari e non sempre chiamati a far parte integra-
le delle sanitarie determinazioni, maggiormente ri-
levasi la difficoltà. Da un altro canto lo scopo di co-
testa relazione mira solo alle cose di mare; ed aven-
do io osservato ne' dibattimenti e nell' istesso rap-
porto della commissione, che fin ad ora era stato
arbitrio nelle sanitarie intendenze , e che d'ora in
avanti si richiedevano i tre elemenii, governativi cioè,
municipali e sanitari, mi parve a proposilo fare il
seguente brevissimo discorso.
« Signori. Negli stati romani prima del 1836
esistevano solo in alcune provinci e le commissioni
sanitarie: ma in quell' epoca il supremo romano ma-
gistrato di sanità stabilii in ogni comune, ed in cia-
scheduna provincia una sanitaria commissione. Le
prime (dei comuni) dovevano comunicare colle se-
conde (delle province) , e queste col supremo sa-
nitario magistrato presieduto dalTemo ministro del-
l'interno. Inoltre esistevano già, ed esistono com-
missioni marittime nei principali porti dello stato:
nei quali sono ancora due ispettori: l'uno per la co-
sta dell'Adriatico, l'altro per quella del Mediterraneo.
Questi sono obbligati in ogni sei mesi, e più spesso
ancora, se la necessità lo esiga, di fare un'ispezione
generale , e di rimettere il loro analitico rapporto
alla suprema sanitaria magistratura. Le commissioni
103
de'comuni come quelle delle provincie, e le marit-
time, sono composte appunto di ire elementi go-
vernativi , municipali e di medici e farmacisti. Lq
medesime son presiedute dal capo del governo, raa
hanno i membri che le compongono voci eguali:
onde le risoluzioni han luogo secondo la pluralità
de' voti. Le suddette commissioni nei casi urgenti
prendono immediatamente le misure più opportu-
ne coir obbligo di darne relazione alle competenti
autorità (ì).
« Cotesta istituzione mi sembra, o signori, che
nulla lasci a desiderare per la uniformità^ ed a mio
debole avviso potrebbe stabilirsi in ogni paese (2) »,
Quantunque assai dibattuti, sono generalmente
adottati gli art. 1 — 10.
1. liberazioni de'conslgli sanitari per farvi le loro os-
» servazioni, e dare il loro avviso sulle sanitarie qui-
» stioni (1) .).
All'apertura di questa sessione, appena letto il
processo verbale, dissi le seguenti parole:
« Nella discussione del n. 18 del programma
relativo alle magistrature sanitarie mi credetti in
dovere di ricordare alcun che relativo alle medesime
nell'interno di ogni paese , e che sembra mancare
neir attuale relazione della commissione : tantopiù
che nel n. 6 del progi-amma si è parlato delle mi-
sure sanitarie di terra, che furono, dopo diverse di-
scussioni, adottate da questo sanitario internazionale
congresso. Spero che questa interna organizzazione
di magistrature sanitarie di terra sarà in qualche
njodo supplita nel regolamento generale: imperocché
ninno ignora che i contagiosi morbi spesso manife-
stansi neir interno de'paesi (2) ».
Seguitandosi la discussione degli articoli del-
l'attuale sessione, ha luogo l'art.
12. « Tutte le volte che si agirà di prendere
» una speciale l'isoluzione relativa ad un paese per
» metterlo in quarantena, l'agente consolare di que-
» sto paese sarà invitato nel seno del consiglio per
» farvi le sue osservazioni ».
(1) Proc. verb. 42. pag. l'i.
(2) lei. pag. 3.
107
L'articolo fu adottato dalla maggiorità, ma vo-
larono contro i delegati austriaci: i delegati toscani,
i romani^ il console sardo, ed il medico napolitano
si astennero. Si approvarono gli articoli i3 , 14
e 15.
13. « Il numero de'consiglieri è proporzionato
» all'importanza de'porti ».
14. « La suprema autorità stabilisce la sede e
)) l'estensione delle autorità sanitarie, e la loro ge-
» rarchia ».
15. « Il presidente del consiglio è nominato
» dal governo ».
Gli articoli 16 — 19 sono adottati: contro i me-
desimi votano i delegati austriaci: i delegati roma-
ni, sardi, ed il medico napolitano si astengono dal
votare.
Gli articoli sono :
16. « Il consiglio esercita una sorveglianza ge-
» nerale sul sanitario servigio. Deve specialmente dar
» lumi al direttore o agente, inclusive gli avvisi per
» le misure da prendersi in caso d'invasione, o di
» minaccia di un morbo reputato injportabile o tra-
» smissibile, di vegliare all'esecuzione dei regola-
» menti generali e particolari relativi alia sanitaria
» polizia, ed in caso di bisogno denunziare a! go-
» Verno le infrazioni od omissioni ».
17. « II consiglio si liunisce periodicamente in
» epoche determinate dall' autorità superiore , ed è
» straordinariamente convocato tutte le volte che lo
» richiegga la pubblica salute ».
18. K II direttore ed il consiglio sono in ob-
» bligo di tenersi coslantemente informati dello sta-
108
») lo della pubblica salute. A tal uopo tanto diret-
» tamente quanto per mezzo di delejjati hanno fre-
» quenti rapporti coll'amministrazione del comune,
» ricevendone tutte le necessarie comunicazioni in
)i adempimento del loro mandato ».
19. « In caso di dissidenza fra il direttore o
» a{jente ed il consiglio, se ne dà immediata relazio-
» ne al governo centrale. Tutte le volte che lo ri-
» chiegga l'urgenza, il direttore sulla sua respon-
)) sabilità provvede alle provvisorie disposizioni che
» esige la salute pubblica od il sanitario servigio ».
20. « Il direttore ha un emolumento dallo sta-
rt to: le commissioni consiliari sono gratuite ».
Quest'articolo è adottato dalla maggiorità, non
ammesso però da tutti. Difatti dopo gli oneri che
si danno ai consigli, in ispecie al n. 16 e 18, come
pretendersi gratuitamente un esatto adempimento e
una vigile sorveglianza? Perlochè io mi permisi dire:
« Signori: sembrami che non tutte le sanitarie
commissioni debban essere gratuite. Negli stati ro-
mani è totalmente gratuito il servigio de'consiglieri
della suprema magistratura sanitaria , ed eziandio
generalmente de'membri sanitari de'comunì e delle
Provincie: ma non avviene così delle marittime com-
missioni, di cui è qui parola. I consiglieri e vice-
presidente del magistrato centrale di sanità dell'A-
driatico residente in Ancona hanno un emolumento
dal governo, di manierachè la sanitaria sorveglianza
è andata sempre in perfetta regola. Tutti poi gl'im-
piegati sanitari, e sono numerevoli delle due coste
del Mediterraneo e dell'Adriatico, percepiscono rela-
tivi emolumenti dal governo pontificio ».
109
Nella tornata 43"'" (13 dicembre) fassi grazioso
dono del discorso del prof. Roux letto in occasione
dell'apertura della facoltà medica di Parigi. Nello
stesso tempo si rimettono ai delegati biglietti d'in-
vito per l'annuale seduta dell'accademia nazionale di
medicina di Francia del d\ 1G dicembre.
Indi si rinnovano isvariati pareri sugli articoli
precedenti relativi all'organizzazione delle n)agistra-
ture sanitarie. Io stesso torno a ripetere (( che ogni
imbarazzo cesserebbe, quando l'organizzazione de'ma-
rittimi consigli avvenisse, siccome è organizzata ne-
gli slati romani. I medesimi sono sempre consulta-
tivi, eccetto ne'casi urgenti, siccome precedentemen-
te accennai. Il preside è sempre il capo del gover-
no, ma le risoluzioni si fanno alla pluralità de'suf-
fragi: e qualunque risoluzione debbe riferirsi alla su-
prema autorità ed attenderne la sua approvazione ,
che generalmente non suol mai mancare: che anzi
sovente le marittime commissioni sono retribuite di
sommi elogi per l'esatto adempimento delle sanitarie
prescrizioni ». Proseguono tuttavia disparate opinioni
di vari delegati sugli stessi articoli.
Il medico delegato della sublime Porla comu-
nica alla conferenza importanti documenti del suo
governo, dai quali risulta, che sarà vieppiù sempre
per migliorare in Turchia il sanitario andamento,
ed a seconda delle proposte del sanitario congresso
internazionale.
Si discute poscia l'art. 2 1 che vien modificeto
ed adottato all'unanimità: esso è il seguente:
21. <( In ciascun paese rappresentato alla con-
» ferenza vi sarà un servigio di sanitaria ispezione
no
» regolato dal respettivo governo. Questo servigio
» consisterà a visitare i porti del paese, a prender-
« ivi esatta cognizione dell'andamento sanitario, e del
>> modo come vien eseguito, notandosi tuttociò che
» può arrecare miglioramento, onde sia messo dal
» governo in attività ».
Siccome nella discussione di quest'articolo si è
osservato, che taluni porti mancano d'ispettori sanita-
ri, così di nuovo ricordo che nei porti pontifici di
Civitavecchia ed Ancona vi ha in ciascuno l'ispet-
tore sanitario: che anzi, or son vari lustri, per l'A-
driatico ve ne erano due, l'uno chiamato ispettoie
di destra, l'altro di sinistra: questo da Ancona a Goro^
e, quello da Aiicona al Tronto.
.]y Parimenti gli articoli 22 e 23 sono modificali ed
adottati, e sono:
22. « La conferenza emette il voto che in de-
» terminate epoche, almeno in ogni due anni, i de-
» legati di tutte le nazioni segnatarie della con-
» venzione sieno riuniti in uno de'porti del Medi-
» terraneo, ed ora nell'uno, ora nell'altro, per con-
>) ferir fra di loro l'andamento dell'internazionale sa-
» nitario servigio, per comunicarsi le rispettive lo-
» ro osservazioni, e convenire in comune sulle mo-
» dificazioni e perfezioni da praticarsi j proponen-
» dole poi ai loro governi ».
23. <' La conferenza sarebbe di avviso che la
» prima riunione avesse luogo al più tardi durante
■> il secondo anno, che seguirà la ratifica della con-
» venzione » .
Si passa quindi a discutere il numero 20 del
programma proposto dalla commissione , e dalla
maggiorità è adottato.
IH
20. « Un codice sanitario ofìiciale del Medi-
» terraneo , scopo essenziale ad attendersi , sarà il
)> risultamento che le misure uniformi sieno da per
» tutto adottate. La conferenza emette il volo che
)) questo codice divenga un giorno il codice sani-
» tario di tutti i mari ».
Vivissima opposizione incontrò l'ultimo nume-
ro del programma, che intrattenne l'adunanza assai
più dell'ordinario: dimodoché qualche delegato par-
tì senza votare. L'art, era espresso in questi termini:
21 ed ultimo. « l^a commissione propone di
» adottare il principio di una speciale giurisdizia-
» ne in materia sanitaria: e gli darebbe il nome di
» giury arbitrario ».
« Il giury non riconoscerebbe diflicohà da go-
» verno a governo : elleno sarebbero sciolte dalla
» diplomazia. Fatta quest'eccezione, il giuiy cono-
» scerebbe tutto ciò che si riferirebbe all'esecuzio-
» ne della convenzione e dei regolamenti sanitari ».
« In ciascun paese, dove fosse un gran porlo,
» vi sarebbe il giury composto di consoli ».
" L'appello è ammesso, e sarebbe portalo avan-
» li un tribunale del paese ecc. ».
« A tutte queste disposizioni la commissione
» proporrebbe aggiungerne un'altra destinala a mi-
» glilorare le istituzioni sanitarie nell'avvenire e per-
» fezionarle ».
Siccome si disse nella distribuzione del rap-
porto della prima commissione, che era stato sepa-
ratamente compilalo dai 3 consoli della medesima
con volo favorevole a cotesto giury : cosi due di
essi, lo spagnuolo e l'inglese, soprattutto il primo,
H2
cercarono sostenere l'assunlo con (>ravissitni rajjio-
naraenli: ciò nulla ostante fu solennemente rigettato
dopo lunghi dibattimenti. Io non feci discorso in
questa discussione, ma mi limitai a dire « che le
leggi romane si opponevano all' istituzione di un
giury arbitrario (1)».
Diciannove erano i delegati presenti alla vota-
zione: 15 contrari, e 4 favorevoli.
Terminata questa lunghissima discussione il si-
gnor presidente fassi a dire:
« Signori, noi siam giunti al fine delle laborio-
se discussioni, alle quali ognun di voi ha preso una
parte attiva e coscenziosa. E venuto dunque il mo-
mento di riassumere così importanti lavori. Voi de-
cideste che le risoluzioni della conferenza formas-
sero un progetto di convenzione, alla quale sarebbe
unito un sanitario regolamento internazionale. La
convenzione debbe basare sopra i grandi principii
che avete successivamente votati, ed il sanitario re-
golamento ne determinerà l'applicazione la più chia-
ra e la più possibilmente precisa.
<( Per uniformarsi alla pratica generalmente os-
servata, noi dobbiamo subito formulare il progetto di
« convenzione: Ma siccome questa convenzione non
« deve essere che il riassunto di ciò che voi ave-
u te fatto, così giudicherete forse a proposito d'in-
K caricarne immediatamente la stessa conferenza ,
« prendendovi parte tutti i membri per un atto co-
« tanto importante: di modo che potranno essi se-
« gnare il progetto sotto tutte le riserve fatte da cia-
(1) Proc. verb. Ì3, pag. 23.
113
» sciin di essi, duranle il corso delle deliberazioni,
» e salva l'approvazione de respeltlvi governi. Così
» per nulla voi vi pregiudicherete, e niun impac-
» ciò arrecherete a chi vi ha confidato il mandato,
» che voi avete si degnamente adempiuto: voi dun-
» que vi limiterete ad indrizzare e sommettere al-
» l'alta loro approvazione un primo risultamento
» delle vostre fatiche, sotto la forma usata in simil
» caso. Il regolamento sanitario internazionale com-
» pira tantosto un'opera cosi importante e meritoria
» sotto tutti i rapporti: e per la quale il mondo in-
» civilito, siatene sicuri, vi sarà grato ».
I consoli spagnuolo e portoghese propongono
che s'istituisca una commi.ssione per presentare alla
conferenza un progetto di convenzione sanitaria in-
ternazionale. Il medico di Atene opina che per que-
st'importante scopo tutti i membri del sanitario con-
gresso si costituiscano in commissione generale, in-
caricando il signor presidente di formulare il pro-
getto della sanitaria convenzione. Il che adottato,il si-
gnor presidente ringrazia i suoi colleghi per la novella
prova di fiducia, di cui si sono compiaciuti onorarlo.
La sessione è sciolta alle ore sei e mezza po-
meridiane.
In sequela di cotesta risoluzione, la conferenza,
avanti di riprender le ordinarie sessioni, si riunisce
tre volte in separati giorni (16, 17, e 19 dicembre)
in generale commissione, ove son discussi gli arti-
coli del progetto di convenzione. Quindi si riapre
la UÀ'"" sessione nei di 19 dicembre col discorso
del signor presidente per la relazione del progetto
di convenzione. Le più cordiali espressioni racchiu-
G.A.T.CXXVI. 8
114
donsi in cotesto discorso. Si accenna che il progetto
è il riepilogo delle risoluzioni prese nelle preceden-
ti sessioni: né si tralascia di ricordare che i delega-
gati si sono limitati a segnare il progetto di con-
venzione con tutte le loro riserve fatte nel corso
delle deliberazioni.^ e salva ancora l'approvazione de'
rispettivi governi.
La confeienza porge i suoi ringraziannenti al sig-
nor presidente. Si passano poscia a volare gli articoli
del progetto di convenzione, in cui sono prima re-
gistrati i nomi delle 12 potenze che hanno preso
parte al sanitario congresso.
1. « Le alte parti contraenti si riservano il di.
» ritto di premunirsi sulle frontiere di terra con-
» tro un ammorbato o compromesso paese, metten-
» dolo in quarantena ».
Vuoisi qui notare che nella commissione ge-
nerale non poco si discusse, perchè si formulassero in
quest' articolo anche le sanitarie misure di teria. Se-
guita indi l'articolo.
(» Riguaido agli arrivi di mare, le parli con-
» traenti convengono in questo principio: 1 di ap-
» plicare alla peste, alla febbre gialla ed al cholé-
» ra le sanitarie misure che saranno specificale negli
» articoli seguenti : 2 di considerare obbligatoria
» per tutti i bastimenti la prodnzione di una pa-
» lente, salve le eccezioni menzionate nel regola-
» mento sanitario internazionale annesso alla pre-
» sente convenzione ».
« Ogni porto sano ha il diritto di premunirsi
» contro un bastimento avente a b(»rdo una malat-
>• tia reputata contagiosa, come il tifo , il vaiuolo
)» maligno ».
115
(» Le amministrazioni sanitarie rispettive potraii'
» no ancora sotto la loro responsabilità , avanti chi
» ne ha il diritto, adottare le precauzioni contro al-
» tre malattie. Ben inteso peiò: 1 che le misure tc-
» cezionali menzionate ne' due precedenti paragrafi
)) non potranno essere applicate che per le navi in-
» fette, ed in nessun caso comprometteranno il pae-
» se di provenienza: 2 che per qualunque sanitaria
» misura non potrassi respingere mai un bastimen-
» to qualsiasi ».
L'articolo secondo è adottato dopo una savia ri-
flessione del medico spagnuolo (1) per conoscersi dal
servigio medico la cessazione o continuazione della
febbre gialla.
2. « L'applicazione delle misure quarantenarie
» sarà regolata in avvenire dopo l'officiale dichia-
'> zione fatta dall'autorità sanitaria stabilita nel por-
)» to di partenza, che affermi la reale esistenza del-
» la malattia ».
« La cessazione delle misure sarà determinata
» sopra una consimile dichiarazione, in cui si dica
« estinta la malattia: per altro dopo spirato uno spa-
» zio di tempo fissato a trenta giorni per la peste,
» a giorni 15 per la febbre gialla, a 10 giorni per
" il cholèra ».
3. « Messa in esecuzione la presente conven-
» zione, saranno solo due patenti, brutta cioè e nel-
» ta: la prima per la constatata presenza del male:
» la seconda per la sua assenza ».
« La patente dirà ancora lo stato igienico, in cui
(1) Proc. verb. 4'« pag. 3
ne
)) si trova il bastimento. Uu bastimento con paten-
» te netta, le cui condizioni fossero evidentemente
» cattive e compromettenti, potrà essere eguagliato
» per igienica misura ad un bastimento di patente
» brutta e sottoposto al quarantenario regime.
4. « Per la più facile applicazione delle misu-
» re quarantenarie, le alte parti contraenti conven-
» gono di adottare un principio di uu minimum e
» di un maximum. Riguardo alla bubonica peste, il
» minimum è fissato a 10 giorni pieni, ed il maxi-
» mum a quindici ».
Nella discussione di quest' articolo il medico
russo, che non era intervenuto ad una delle radu-
nanze della commissione generale, riclamava l'art.
14 relativo alle misure straordinarie necessarie a ram-
mentarsi nel progetto di convenzione. Il riclamo ,
che vien accennato, era stato fatto da me pel primo
con somma insistenza nell'adunanza della generale
commissione: onde poi il signor presidente ricorda-
valo nel suo rapporto (1).
Segue il 4 articolo :
« Allorquando il governo ottomano avrà com-
» piuto, nei termini preveduti dal regolamento an-
>) nesso alla presente convenzione, l'organizzazione
» del suo sanitario servigio: e che i medici euro-
» pei saranno stati stabiliti dai rispettivi governi
» sopra i punti, ne'quali è stata giudicata necessaria
» la loro presenza ; le provenienze dell' oriente in
» patente netta saranno ammesse a libera pratica
» in tutti i porti delle alte parli contraenti. Intanto
(1) Proc. verb. 44, pag. 3. '
I
117
)» si è convenuto che coleste provenienze, arrivando
» con patente netta, saranno ricevute in libera pia-
» tica dopo 8 giorni di tragitto, se vi sarà a bor-
» do un medico sanitario , e dopo 10 senza nie-
» dico.
» Per altro è riservato il diritto ai paesi più
» vicini dell' impero ottomano , che continua nel-
» l'attuale quarantenario regime, di prendere in al-
)) cuni casi cautele, che crederanno indispensabili a
» salvaguardia della pubblica salute.
» Per la febbre gialla , se non vi sarà alcun
» sinistro durante il tragitto, il minimura sarà di
I) cinque giorni ed il maximum di sette. Cotesto
» minimum potrà essere ristretto a tre giorni, se il
» tragitto ha durato più di 30 giorni, e se il basti-
)i mento si ritrovi in buone igieniche condizioni. Se
» poi vi saranno casi del morbo nel tragitto, il mi-
» nimum della quarantena sarà di sette giorni, ed
t) il maximum di 15.
» Finalmente per il cholèra, le provenienze da
») luoghi, dove dominerà la malattia, potranno es-
» sere sottoposte ad una quarantena d'osservazione
» di cinque giorni pieni, compresovi il tempo del
» tragitto: se le provenienze vengano da luoghi vi-
» cini, o intermedii notoriamente compromessi, po-
1) Iranno ancora soggiacere ad una quarantena di
» osservazione di 3 giorni , compresavi la durata
» del tragitto.
» Le igieniche cautele saranno obbligatorie in
» lutti i casi, e contro tutte le malattie ».
Gli articoli 5, 6, e 7 sono adottati , ma colle
118
riserve espresse da ciascun delegalo in seno della
commissione generale.
5. <• Le mercanzie saranno distinte in tre classi. La
» prima classe sarà formata dalle mercanzie solto-
» poste ad una quarantena obbligatoria ed alle pu-
» rificazioni: la seconda classe sarà soggetta ad una
» quarantena facoltativa: la 3 classe sarà esente da
» qualunque quarantena.
» Il sanitario regolamento internazionale spe-
» cificherù gli oggetti e le mercanzie componenti
» ciascuna classe, non che il regime relativo alle tre
» malattie, peste cioè, febbre gialla e cholèra ».
6. " Ciascuna delle alte parti contraenti s'im-
y> pegna a mantenere, o a stabilire pel ricevimento
» de'bastimenti, de'passaggieri , delle mercanzie ed
» altri oggetti sottoposti a quarantena , il numero
» de'Iazzarelti riclamato dall' esigenza della pubbli-
» ca salute , pel ben essere de' viaggiatori , e pei
» bisogni del commercio, siccome sarà disposto nel
)> sanitario regolamento internazionale ».
7. « Per giugnere, il più che fia possibile, al-
)> l'uniformità ne'diritli sanitari, e per non imporre
). alla navigazione de'loro stali respetlivi che il solo
» carico per coprire semplicemente le spese, le alte
» parli contraenti, colla ri.serva delle eccezioni pre-
» vedute nel sanitario regolamento , acccetlano :
» 1. che tutte le navi giunte in un porto pa-
» gheranno, senza distinzione di bandiera, un di-
» ritto sanitario proporzionato al loro toncllaggio:
» 2. che le navi sottoposte ad una quarantena pa-
1) gheranno inoltre un diritto giornaliero di stazione:
» 3. che le persone, che soggiorneranno nel lazza-
119
» retlo, pagheranno un dirlUo fisso per ciascun gior-
» no tli lesidenza in cotesto slabilimenlio: 4. che le
» mercanzie depositate e disinfettale ne'Iazzaretti sa-
» ranno soggette ad una lassa a seconda del loro
» peso o del loro valore.
» I diritti e le sanitarie lasse menzionate nel
» presente articolo saranno fissate da ciascun go-
» verno e comunicate alle alte parli contraenti ».
8. « Alfine di porre la più grande uniformi-
» tà possibile nell'organizzazione delle sanitarie am-
» minislrazioni, le alte parli contraenti convengono
» di stabilire il servigio per la salute pubblica nei
» porli de loro respettivi stati, che si riservano di
» designare, sotto la direzione di un agente re-
» sponsabile nominato e retribuito dal governo ed
» assistilo da un consiglio rappresentante i locali
» interessi. Vi sarà inoltre in ciascun paese un ser*-
» vizio d' ispezione sanitaria regolata dagli stessi
» governi ».
« In tulli i porti dove le potenze contraenti man-
» tengono consoli, uno o più di questi consoli po-
« Iranno essere ammessi alle deliberazioni de'consi*
» gli sanitari per farvi le loro osservazioni , por-
» gere schiarimenti, e dare il loro parere sulle sa-
» nllarie quistioni ».
« Tutte le volle che si agirà di prendere una
» risoluzione speciale per un qualche paese e di-
» chiararlo in quarantena, l'agente consolare di que-
» sto paese sarà invitato di portarsi in consiglio e
» sentirlo nelle sue osservazioni ».
Quest'articolo dappresso un emendamento del
medico spagnuolo rigettato, ed alcune riserve de me»
dici toscano e romano è adottato.
120
Gli ailìcoli 9, 10, 11 sono adottati.
9. « L'applicazione de'geneiali piincipii conse-
» crati dagli articoli che precedono , e lo insieme
» delle misure amministrative che ne derivano, sa-
» ranno determinate dal regolamento generale an-
» nesso alla presente convenzione ».
10. La facoltà di accedere a queesta convenzio-
» ne è riservata a tutte le potenze che consentiran-
» no di accettare le obbligazioni chela consacrano,
11. « La presente convenzione ed il sanitario
» regolamento internazionale annessovi avranno for-
» za e vigore per anni cinque. Se avanti che spiri
» il termine di sei mesi, le alte parti contraenti non
)» avranno officialraente dichiarato di ritirarsi dalla
» convenzione , essa sarà obbligatoria per un al-
» tr'anno ».
<( La presente convenzione e l'annesso regola-
» mento saranno ratificati secondo le leggi e gli usi
» di ciascuna delle parti contraenti: e le ratificazio-
» ni saranno scambiate a Parigi nello spazio di tre
» mesi , e più presto ancora, se fia possibile etc: »
Il presente progetto di convenzione vien quin-
di adottato all'unanimità nel di 19 dicembre, MA
CON TUTTE LE RLSERVE FATTE DA CIASCUN
MEMBRO IN TUTTO IL CORSO DELLE DISCUS-
SIONI, E SALVA L'APPROVAZIONE DE' RI-
SPETTIVI GOVERNL
Indi seguono le firme dei 24 delegati delle 12
potenze.
Nella sessione 45""^ (15 gennaio) il signor pre-
sidente dopo aver significato che la prima commis-
sione ha teiminato di compilare il regolamento in-
121
ternazlonale sanitario basato sulle risoluzioni della
conferenza, e lettasi dal relatore l'analoga relazione
si passano a discutere gli articoli del regolamento
dopo essersi votato all'unaninoità i ringraziamenti al-
la commissione [i],
u Progetto del regolamento sanitario interna-
zionale annesso alla convenzione segnata a Parigi
nel dì 19 dicembre 1851.
<( Coerentemente ai principii stabiliti nella con-
venzione del dì 19 dicembre 1851 , la conferenza
sanitaria internazionale ha adottato il progetto del
seguente regolamento generale da osservarsi in tutti
i porli del Mediterraneo e del Marnerò, appartenen-
ti alle alte parli contraenti, e da servire di base ai
legolamenti particolari di. ciascun paese. Questi re-
golamenti, dei quali i resp citivi governi si comuni-
cheranno il testo, saianno formulati in modo da in-
trodurre nel servizio sanitario dei diversi paesi la
j)iù grande uniformità possibile (2) ».
(I) Per mettere sotto l'occhio del ledere il seguito non in-
lerrotto degli articoli del regolamento, taluni rilievi (atti dai mem-
l)rl del congresso internazionale nella discussione de'medesimi in
<|uesta sessione, e nella seguente 46" «, saranno riportati in nota.
Debbe ancora avvertirsi che i rispettabili membri nella discus-
sione degli articoli omissero generalmente i rilievi l'atti da ciascun
di loro nei processi verbali: mentre sarebbe stalo un'inutile ripeti-
zione, dopo che nella sottoscrizione del regolamento si richiamava-
no di nuovo le riserve emesse durante il corso delle sessioni nei
detti verbali processi.
(2) Questo esordio, non ostante alcune osservazioni dell'inglese
delegazione, è adottato senza modificazione (proc. verb. 'io pag. 3 4).
122
TITOLO PRIMO.
Disposizioni generali.
ART. 1.
<( Conformemente all' articolo 1 della conven-
zione, le misure di precauzione, che potranno esser
prese nelle frontiere di terra, saranno:
« L'isolamento.
« La formazione de'cordoni sanitari.
« Lo stabilimento dei lazzaretti permanenti o
temporanei per il compimento delle quarantene (1).
ART. 2.
« Il diritto accordato ad ogni porto sano di
premunirsi contro un bastimento sospetto od am-
morbato potrà estendersi sino all' isolamento della
(l) Appena ndollato qiiesl'arlinolo, prendo la parola: che a me
sembrava un deciso mancamento, che in un congresso sanitario in-
ternazionale nulla si dicesse delle epizoozie sovente Ciuieslissime al-
la società, e talora comnnicabiii ali" uomo. Il medico napolitano
era dello stesso avviso: ma una volta che erano in vijjore le leggi
sanitarie non abror^ate d.dla convenzione internazionale, intende-
rebbonsi incluse le misure per le epizoozie. Io risposi tantosto
che in tal caso i 137 articoli dei sanitario regolamento potevano
ridursi ad una trentina.
Meno opportuna fu la riflessione del medico francese che ri-
chiamava il numero 12 del programma, in cui si parla degli ani-
mali portati sui bastimenti prove6ienti da luoghi appestati, ^ella
seguente sessione il signor presidente si compiacque dirmi, che
presso il ministero degli affari esteri nella lettura del sanitario re-
golamento si era altamente meravigliali del totale silenzio intorno
le epizoozie, che non è guari avevan flagellalo qualche francese di-
partimento: ma esso aveva risposto che nell'ultima sessione (45'"")
-»i era dal signor Cappello fatto notare colesia importante omissione.
123
nave , ed all' adozione di quelle misure igieniche
che le circostanze rendessero necessarie.
ART. 3.
« Qualunque sia il numero de' malati che si
troveranno a bordo , e l'indole della malattia , una
nave non potrà mai essere respinta, ma sarà assog-
gettata alle cautele che la prudenza esige , conci-
liando a un tempo i diritti umanitari con gì' inte-
ressi della pubblica incolumità.
» Nei porti dove non sono lazzaretti , l'ammi-
nistrazione sanitaria locale determinerà se il basti-
mento sospetto od ammorbato debba essere diretto
ad un lazzaretto vicino , o se possa dar fondo in
qualche luogo isolato e riservato, sotto la sanitaria
sorveglianza.
Né potrà dirigersi ad un altro lazzaretto senza
aver prima ricevuti i soccorsi e le cure che il
bastimento ed i malati richiedessero , e senza avere
ottenuti i mezzi onde proseguire il tragitto.
ART. 4.
« La peste, la fiebbre gialla ed il cholèra, se-
condo la convenzione, essendo le .sole malattie che
richiedono indispensabili cure generali ed il col-
locamento in quarantena: le precauzioni per le al-
tre malattie, qualunque esse siano, non si adotter-
ranno mai , se non pei soli bastimenti sospetti
od ammorbati.
124
TITOLO n.
Misure relative alla partenza.
ART. 5.
« Le misure relative alla pailenza cornprende-
ranoo l'osservazione, la sorvejj^lianza , la sicurezza
dello stato sanitario del paese, la verificazione e la
certezza dello stato igienico dei bastimenti che par-
tono da quello, del loro carico, dei viveri e della
salute dell'equipaggio, degli schiarimenti, se fia duo-
po, sulla salute de'passaggeri, e finalmente le pa-
tenti di sanità, e tutto ciò che vi ha relazione.
ART. 6.
« L'osservazione, la sorveglianza, l'assicurazio-
ne e verificazione saranno confidate alle autorità de-
signate nel titolo VIIL
ART. 7
» Ogni bastimento, prima di caricarsi, debb'es-
sere visitato da im impiegato sanitario, e sottoposto,
se fia duopo, all'igieniche misure reputate necessarie.
ART. 8.
« Il bastimento sarà visitalo partitamente in tut-
te le sue parti, onde sia assicurato il suo buon igie-
nico slato.
ART. 9.
« Quindi il carico non può aver luogo se non
dopo colesta visita, e l'esalto adempimento delle pre-
ventive misure di nettezza e di salubrità, che l'au-
lorilà sanitaria giudicherà indispensabili.
ART. 10.
<< L'autorità sì assicurerà dello stato dei viveri
125
e delle bevande, specialmente dell'acqua potabile e
dei mezzi di conservarla: ella potrà ancora assicurarsi
dello stato del vestiario dell'equipaggio, e general-
mente sopra tutte le misure relative al mantenimen-
to della salute a bordo.
ART. 1 1 .
« I capitani ed i patroni saranno tenuti di da-
re all'autorità sanitaria tutti gli schiarimenti e tutte
le giustificazioni, che verranno loro richieste.
ART. l'i.
« Se l'autorità sanitaria lo giudica necessario, e
non si creda bastevolmente rischiarata dal capitano
o patrono, potrà procedersi ad una nuova visita do-
po il carico della nave, onde assicurarsi se tutte le sa
nitarie precauzioni e le misure igieniche sieno state
osservate.
ART. 13.
« Le persone dell'equipaggio saranno visitate
da un medico. L'imbarcamenlo di quelle che fosse-
ro affette da un male trasmissibile potrà essere rifiu-
tato dall'autorità sanitaria (1).
ART. 14.
" Queste diverse visite dovranno farsi senza di-
lazione, affine di evitare ogni ritardo ai bastimenti.
ART. 15.
« Rispetto alle navi, che hanno bandiere diver-
se da quelle dei paesi dove sono ancorate, la visita
e le assicurazioni prescritte negl'art. 9 - 14 inclusi-
vamente saranno fatte dall'autorità sanitaria di con-
fi) I medici ottomano e russo domandano a proposito di que-
st'articolo, che nessun ammalato di bubonica peste possa esser im-
barcalo sotto qualsiasi prelesto (proc verb. 45 pag. 5).
126
certo col console od agente consolare della nazione,
alla quale appartiene la nave (2).
ART, 16.
Il numero de' passaggeri da imbarcarsi sopia
navi a vela o a vapoie, l'estensione dei loro allog-
giamenti e la quantità delle provvigioni di bordo,
secondo la probabile durata del viaggio, saranno de-
terminati da regolamenti particolari nei diversi pae-
si segnatari della convenzione del dì 19 dicembre.
ART. 17.
« I bastimenti della marineria militare non sa-
ranno soggetti alle disposizioni degli articoli prece-
denti.
ART. 1 8.
« I bastimenti destinati al trasporto delle per-
sone, qualunque sia la loro portata, e tutti i basti-
menti di una certa capacità, o l'equipaggio de'quali
risulti di un certo numero di persone , saranno
obbligati di munirsi di una cassetta in cui sieno me-
dicamenti più indispensabili, e gli apparecchi più co-
muni per la cura delle malattie e per gli acciden-
ti che più di frequente succedono a bordo delle na-
vi (2).
(1) Il medico oltomano dònnanda la sopressione di qtiesl' art.
perchè non crede nella visita medica necessario il concorso «lei con-
sole; ma questa domanda non è adottala dalla conferenza.
(2) Sebbene non ricordato nel verbale processo, qualche dele-
galo rilevò saviamente, che pei bastimenti a vela, non obbligali di
avere un medico a bordo, era duopo andar cauti nella concessione
ile' medicamenti. Perloechè si dovesse aggiungere all'art, che Vammi-
nistrazione sanitaria superiore di ciascun luogo desse le più minule
istruzioni, e non si concedessero i medicamenti eroici e periroiosi.
127
ART. 19.
e Le patenti di sanità non saranno spedite d'ora
innanzi , salvo dopo l'eseguimento delle foimalità
specificate nel presente regolamento.
ART. 20.
Il tempo del tragitto sarà calcolato per tutti
i bastimenti, dal momento della partenza comprovalo
dal libro di bordo o certilìcato dalla dichiarazione
del capitano o patrono.
Art. 57.
» Ogni bastimento , a bordo del quale vi sia
stato, pendente il tragitto, un caso di una delle tre
malattie riputate importabili e trasmissibili, sarà di
dritto, e qualunque sia la sua patente , considerato
come avesse patente bruita.
Art. 58.
» Se vi è stato uno o più oasi di cbolèra pen-
dente il passaggio e durante la quarantena, questa
quarantena comincerà dal momento dell' arrivo e
dell'esecuzione delle misure sanitarie : non sarà te-
nuto conto del tempo del passaggio.
art. 59.
» Eccettuate le eccezioni temporanee ricordate
qui sopra l'art. 46j), le merci e gli oggetti materiali
di ogni sorta, che arrivano con patente netta sopra
un bastimento in buono stato e ben tenuto , e che
non ebbe né morbi né u)alati sospetti, saranno di-
spensati da ogni trattamento sanitario, ed ammessi
immediatamente alla libera pratica, come lo stesso
bastimento, l'equipaggio ed i passeggieri.
Art. 60.
» Sono eccettuati i corami, i crini, i cenci e
gli stracci. Queste merci potranno, eziandio se con
139
patente netta, divenire 1 oggetto di niisure sanitarie.
L'autorità sarà giudice di queste misure, e ne deter-
minerà la natura e la durata.
Art. 61.
» Sono egualmente eccettuate le merci ed og-
getti alterati o decomposti.
» Conformemente al paragr. A dell'art. 45, l'au-
torità avrà il diritto di farle gettare in mare , o di
ordinarne la distruzione per mezzo del fuoco.
» Le formalità da osservarsi in simili casi sa-
ratmo determinate dai regolamenti locali.
Art. 62.
» In conformità dell' articolo 5 della conven-
zione, e per l'applicazione delle misure sanitarie, le
merci saranno scompartite d'ora in poi in tre classi.
)> Formeranno la prima , e saranno sottoposti
per questo titolo ad una quarantena obbligatoria ed
alle purificazioni, i bagagli e gli effetti di uso, i cen-
ci, gli stracci, i corami, le pelli, le penne, i crini
e gli avanzi di animali in generale , finalmente la
lana e le materie di seta.
» Saranno compresi nella seconda , ed assog-
gettati ad una quarantena facoltativa, il cottone, il
Imo, la canapa.
» Comporranno la terza, e saranno perciò esen-
ti dalle misure quarantenarie, tutte le merci ed og-
getti qualunque che non entrano nelle due prime
classi.
Art. 63.
» Se con patente brutta di peste, le mercan-
zie della prima classe saranno sempre sbarcate al laz-
zaretto e sottoposte alle purificazioni.
140
» Le mercanzie della seconda classe potranno
imnaediatamente essere poste in libera pratica, e sbar-
cate nel lazzaretto per esser purificate , secondo le
circostanze ed i regolamenti sanitari particolari di
ciascheduno dei paesi contraenti.
» Le mercanzie della terza classe essendo state
dichiarate libere, potranno sempre immediatamente
esser poste in commercio sotto la sorverglianza del-
l'autorità sanitaria (i).
Art. 64.
» Con patente brutta di febbre gialla senza ve-
run accidente durante il tragitto, se questo tragitto
durò più di dieci giorni, le mercanzie saranno sot-
toposte per misura d'igiene ad una semplice ven-
tilazione senza scarico.
» Se vi sono stati accidenti, o se il tragiito du-
rò meno di dieci giorni, le mercanzie potranno es-
sere r oggetto delle stesse misure che con patente
brutta di peste : saranno indi sbarcate al lazzaretto
e purificate; ma questa misura sarà facoltativa, e la-
sciata all'approvazione dell'autorità sanitaria.
Art. 65.
» Con patente brutta di cholèra, le mercanzie
non saranno soggette ad alcuna misura sanitaria par-
(1) Il medico russo fa osservare che taluni oggetLi di questa
terza classe meritano precauzione, come a modo d'esempio le mo-
nete. Si risponde die in genere vien ciò previsto in un articolo
speciale del regolamento. Coll'articolo 63 si chiude la 45" sessione,
e colPart. 64 ha principio la 46 (16 gennaio) preceduta da un inci-
dente, m cui si discute che la vidimazione de' consoli nelle patenti
non sarebhe necessaria. Il contrario vien sostenuto dal signor pre-
sidente del congresso.
141
ticolare: il baslimenlo sarà solamente ventilato, e le
misure d'igiene sempre obbligatorie saranno osservate.
Art. 66.
» In tuttti i casi di patente bruita le lettere
e le carte saranno sottoposte alle purificazioni di uso.
Art. 67.
» Qualunque mercanzia ed oggetto proveniente
da un luogo sano che sarà contenuto in un involto
sigillato oflìcialraente, e di una materia soggetta alle
misure di purificazione , sarà immediatamente am-
messo in libera pratica, qualunque sia la patente del
bastimento.
» Se r involto è di una sostanza, per rapporto
alla quale le misure sanitarie siano facoltative, l'am-
missione sarà similmente facoltativa.
Art. 68.
» Gli animali saranno sottoposti alle quarantene
ed alle purificazioni in uso nei diversi paesi.
Art. 69.
» Ogni bastimento che non abbia patente, quan-
do in ragione del luogo di provenienza dovrebbe es-
serne munito, potrà, secondo le circostanze , essere
assoggettato ad una quarantena di osservazione o di
rigore.
« La durata di questa quarantena sarà fissata
dall'autorità sanitaria.
» Essa non potrà eccedere i tre giorni, se il
bastimento viene da un luogo notoriamente sano, e
se si trova in buone condizioni igieniche.
» Il caso di forza maggiore , non che la per-
dita fortuita della patente, saranno apprezzati dal-
l'autorità sanitaria.
142
Art. 70.
» Ogni patente raschiata o ritoccata sarà con-
siderata come nulla, e metterà la nave nelle condi-
zioni previste dall'articolo precedente, e senza pre-
giudizio dei procedimenti che potessero esercitarsi
contro gli autori delle alterazioni.
Art. 71.
» Se durante la qu;irantena, e qualunque sia il
punto cui la medesima sia giunta, si manifesta un
caso di peste, di febbre gialla, o di cholèra, la qua-
rantena ricomincerà.
Art. 72.
» Oltre alle quarantene previste ed alle misure
specificate tanto dalla convenzione del 19 dicem-
bre, quanto dal presente regolamento, le autorità sa-
nitarie di ciascun paese avranno la facoltà, in presen-
za di un pericolo imminente e fuori di ogni pre-
visione , di prescrivere sotto la loro responsabilità
in faccia a chi ne ha diritto tutte quelle misure che
esse giudicheranno indispensabili per il mantenimen-
to della pubblica sanità.
» In mancanza di fabbricati speciali, esse po-
tranno disporre per uso di lazzaretti navi isolate e
custodite in modo da impediie ogni comunicazione
coH'esteriore.
l
143
CAPITOLO III.
Dei lazzaretti.
Sezione I.
Della isliluzione e della disposizione
dei lazzaretti (1).
Art. 73.
» La disposizione interna dei lazzaretti sarà tale,
che le persone e le cose appartenenti a quarantene
di date dififerenti possano essere facilmente separale
Art. 74.
» Dei parlatorii vasti e comodi permetteranno
di ricevervi le persone che vorranno visitare i qua-
^ rantenari, senza pregiudizio delle precauzioni neces-
sarie per la tutela della sanità pubblica.
f> Le inferiate.^ come ogni altra cosa che possa
influire sinistramente sul morale dei quarantenari ,
saranno soppresse.
Art. 75.
» Dei fabbricati , o parte di essi, saranno de-
stinali nei lazzaretti pel servizio dei malati. Essi sa-
ranno distribuiti in modo da permettere la separa-
zione dei malati, e da assicurare nello stesso tempo
le migliori condizioni d'igiene, e soprattutto la ven-
tilazione.
(1) In quest'argomenlo sono tolti alcuni paragrafi dappresso
discussione insorta in piena confercuza. (Processo verb. 4l> pag. 3-4.)
144
Art: 76.
» È interdetto di mettessi in comunicaziona di-
retta ed immediatamente con le persone e le cose
sospette o riputate tali, che sono in quarantena. Ol-
tre alle pene stabilite dalle leggi e dai regolamenti,
chiunque sarà stato in contatto con persone o cose
suddette sarà dichiarato in quarantena, e consideralo
come facente parte della stessa provenienza , salve
le eccezioni che 1' autorità sanitaria credesse potere
ammettere, e di che ella sarà giudice (1).
Art. 77.
» Ogni lazzaretto debb'esser provveduto di acqua
sana in quantità sufficiente per tutti i bisogni del
servizio.
Art. 78.
» Vi sarà in ogni lazzaretto, o nelle sue dipen-
denze, un luogo convenevole destinato alle sepolture.
Sezione II.
Del personale, della sorveglianza e del servizio
interno de' lazzaretti.
Art. 79.
» I posti ed i luoghi riservati destinati alla qua-
rantena delle navij i lazzaretti destinati a quella dei
(t) ISella discussione di quest' art. fo osservare che debbe
contemplarsi il caso che può avvenire in seguito di una tempesta,
per la quale potrebbono accadere forzale comunicazioni con altre
navi, ed anclie località. Il console austriaco ed il medico napolitano
rispondono ciò che questo aveva detto per l'articolo mancante sulle
epizoozie , onde ripetei che in tal caso questo regolamento poteva
scorciarsi della massima parte degli articoli. (Proces. verb. id. pag. 4.)
145
passefjfjieri ed alle merci, e ^\ì slabilimculi qiiaran-
tenari in generale saranno posti sollo la sorvi^giiaQZia
immediata delle autorità sanitarie. ? iM-'U ot
Art. 80.
» Vi saranno in ciaschedun lazzaretto un di-
letlorc od agente responsabile, impiegati in numero
sufficiente per assicurare la disciplina sanitaria , e
guardie di sanità incaricate di eseguire o di fare ese-
guile le misiue prescritte.
Art. 81.
I) Un medico sarà applicato al lazzaretto onde
visitare e curare i quaranlenaii , e concorrere
coi consigli all'esatta esecuzione delle misure sani-
tarie (1).
Art. 82.
» I malati riceveranno nei lazzaretti , sotto il
rapporto religioso e medico, tutti i soccorsi e tutte
le cure che si prodigherebbero a' malati ordinari
negli stabilimenti ospitali i nieglio organizzati, salvo
a costituire in quarantena i medici e le persone com-
promesse.
Art. 83.
» E lasciata facoltà ad ogni malato di farsi cu-
rare da un medico di sua scelta diverso da quello
del lazzaretto. Ma in questo caso la visita del me-
dico estraneo avrà luogo in presenza e sotto la sor-
veglianza del direttore del lazzaretto.
(1) Quest'articolo subì ima modificazione dappresso una ani-
mata discussione fra un console e diversi medici, che sembrami a
buon diritto sostenessero la medica rappresentanza, che voleva sotto-
mettersi del tutto all'arbitrio del direttore del lazzaretto. (Proc.
verb. id. pag. 8 — 6.)
G.A.T.CXXVI. 10
146
» Questo medico dovrà fjire ogni volta all'uf-
ficio di sanità il suo rapporto in scritto circa lo sta-
to della malattia. L'amministrazione invierà tuttavia
di quando in quando il suo proprio medico a vi-
sitare il malato, onde conoscere la natura della ma-
lattia*
- r ^ Art. 8/i.
*""> "»' Le persone, il cui stato di povertà fosse con-
statato dalle autorità sanitarie, saranno non solamente
ammesse, ma eziandio nutrite e curate gratuitamente
nei lazzaretti.
Art. 85.
)) Ciaschedun lazzaretto avrà una tariffa stabi-
lita dall'autorità, e riveduta trimestralmente, nella
quale il prezzo dei viveri sarà regolato secondo la
tassa la più moderata.
Art. 86.
i » I mobili ed effetti di prima necessità per
«so dei quarantenari saranno loro somministrati gra-
tuitamente dall'amministrazione immediatamente do-
po la loro entrata nel lazzareto.
Art. 87.
» Le visite sanitarie del medico saranno gra-
tuite. I quarantenari non pagheranno che le cure
estranee al servizio sanitario.
Art. 88.
» Olile a queste regole generali l'autorità sa-
nitaria , mentre dee vegliare alla preservazione
della satiità pubblica, sarà pure tenuta di adottare,
per mezzo di regolamenti speciali ed a seconda delle
diverse località, tutte le misure convenienti onde as-
sicurare quanto più possibilmente il ben' essere dei
quarantenari. .i / x.x^i.*. i.« .
i;7
Sezione III.
Del trattamento delle merci^ degli effetti d^'uso
e dei dispacci nei lazzaretti.
Art. 89.
» Le merci saranno deposte in magazzini vasti
e perfeltamenie asciutti. Esse saranno sottoposte alla
libera circolazione dell' aria e smosse di tempo in
tempo.
» Le balle e i colli saranno aperti, onde l'aria
vi possa penetrare. Questa ventilazione sarà conti-
nuata pendente tutta la quarantena.
Art. 90.
» Le merci appartenenti a quarantene diverse
saranno separate le une dalle altre e collocate , per
quanto sarà possibile, in magazzini distinti.
Art. 91.
» Le pelli, i corami, i crini, gli stracci, i cen-
ci, gli avanzi di animali morti, le lane e le male-
rie di seta saranno collocate in luoghi scostati dalle
camere occupate dai quarantenari , non che dagli
alloggi degli impiegati.
» In caso di notoria infezione, di sucidume o
di alterazione, queste materie e le merci in gene-
rale potranno essere sottoposte a quel metodo di pu-
rificazione che l'autorità sanitaria giudicherà neces-
sario (1).
(i) Nella discussione di quest'art., il console pontificio depone
diversi documenti rimessigli dal sindacato de'faccliini del porto di
Marsiplia, in cui si riportano malattie e morti per carbone maligno
di antica e recente data pel maneggio di mercanzie. .Menni delegati
148
Art. 92.
» Le sostanze animali e vegetali in putrefazione
non potranno mai essere ricevute nei lazzaretti; esse
saranno abbi'uciate, o gettate in mare, conformemen-
te alle disposizioni dell'articolo 61 del presente re-
golamento.
ART. 93.
<< Yì saranno in ogni lazzaretto dei magazzini
destinati per depositarvi le mercanzie purificate.
ART. 94.
» Gli effetti dei passeggieri dovranno essere ,
pendente la durata della quarantena, esposti alla ven-
tilazione in locali separati ed appropriati a questo ef-
fetto, sotto la sorveglianza dei guardiani.
Il L'autoiità sanitaria veglierà affinchè que-
sta operazione non sia negligentata in veruna cir-
costanza.
medici, sopraUutlo il Bo, sostengono esser esse derivate da conlal-
ti di ijagagli o merci contaminate da mali epizootici incapaci di slen-
der..i nella razza umana, accennando il Bo di averne egli slesso pub-
blicati 200 casi. Dato e non concesso del tutto che nella specie
umana si potesse stendere l'antrace pestilenziale degli animali dome-
stici, sempre sarà l'epizootico seme capace di spandersi nemedesimi
animali : e meritevole in conseguenza di somma ponderazione per
un internazionale sanitario congresso.
Arroge chi prima di negarsi netlamento gli accennati fatti, era
iliiopo isliluire il più accurato esame, osservando, se qne' morbi
o qiille morti fossero avvenute in sequela di provenienze da luoghi
ove avean dominato, o dominavano epizoozie, oppure bubonica peste.
Da ult.mo .sarà stupefatto il lettore del paratZossico argomentare del
Bo e de' suoi consorti: imperocché se si contrae col maneggio delle
mercanzie, inclusive del coltone, (come rilevasi avvenuto ne laccliini,
ed in taluni di quei 200 casi del Bo) l'antrace delle bestie , molto
più si contrarrà quello dell'uomo. Nel quale se assai di rado si av-
verò cotesto sinistro , ciò accade per le diligenti pratiche sanitarie,
e pel sciorino praticato ali'.iria libera ecc.
140
ART. 95.
» Gli effetti di uso, la biancheria e tutto ciò
che avià servito alle persone morte o colpite da
peste, dovranno essere sottoposti a purificazioni più
severe, alle fumigazioni di cloro, all'immersione ne!!'
acqua del mare , all' azione del calore, secondo le
circostanze e la natura degli oggetti. Si praticherà
Io stesso nei casi di qualunque altra malattia conta-
giosa.
ART. 96.
« Le lettere e i dispacci saranno purificati in
modo che la scrittura non sia alterata.
ART. 97.
« Quest'operazione avrà luogo in presenza del
direttore del lazzaretto.
ART. 98.
« E riservato il diritto ai consoli o rappresen-
tanti delle potenze estere di assistere all'apertura ed
alla purificazione delle lettere e dispacci che loro
saranno indrizzali o che saranno destinati ai loro
connazionali.
« Lo stesso diritto è riservato all'amministra-
zione delle poste.
TITOLO YIL
Dei dir ini sanitari.
ART. 99.
« Saranno esenti dal pagamento dei diritti sa-
nitari determinati dall'articolo 7 della convenzione.
1. i bastimenti da guerra; 2. le navi in forma for-
zata, anche quando sono ammesse alla pratica, pur-
ché non facciano alcuna operazione di commercio
150
nel porto che toccano ; 3. i battelli pescherecci; 4.
le navi dispensate dall'obbligo dì munirsi di paten-
te; 5. i ragazzi d'età inferiore ai sette anni (I) e
gli indigenti imbarcati a spese del governo del loro
paese, o per ufficio dei consoli.
ART. 100.
« Qualsiasi diritto sanitario, non menzionato nel-
la convenzione, è formalmente abolito.
TITOLO Vili.
Delle autorità sanitarie. *
ART. 101.
« Salve le disposizioni particolari relative all'orga-
nizzazione sanitaria dell'oriente (tit. IX) e conforme-
mente all'art. 8 della convenzione che mette le au-
torità sanitarie sotto la direzione immediata del go-
verno, queste autorità saranno stabilite da per tutto
sopra basi uniformi, e saranno composte: 1. di un
agente responsabile del governo; 2. d' un consiglio
locale.
ART. 102.
« L'agente rappresenterà essenzialmente il po-
tere centrale.
Egli sarà preso, per quanto fia possibile, nel
(1) Nella proposta della commissione si erano ommessi i rajjazzi
al (li solto degli anni 8, e che fu da me e dal console portoghe:>e
avvertito ed aggitinlo in (iiiest'art. 99 (Proc. verb. id. pag. 7).
In quest'art, il presidente rischiara una domanda del medico Ot-
tomano relativa alle navi che, destinate in un porto, sono dalla tem-
pesta, coslreltc ripararsi ia un altro seuza pagar lasse, (id. ib).
corpo medico , ed avrà il titolo di diretlore della
sanità (1).
ART. 103. .,
« Il direttore od agente sarà il capo del servi-"
zio attivo.
« Egli ne avrà la responsabilità.-— Tutti gl'im-
piegati saranno sotto i di lui ordini— Egli invigilerà
l'esecuzione delle leggi e dei regolamenti.— Riconosce-
rà o farà 'iconoscere Io stato sanitario dei bastimenti
che aiT.vano. — Rilascerà le patenti di sanità a co-
loro che partono, — Avrà la direzione o la sorveglian-
za dei lazzaretti e porti di quarantena.
ART. 104.
" Il consiglio rappresenterà più particolarmente
gl'mteressi locali, e si comporrà dei diversi elementi
amministrativi e scientifici che possono, in ciaschedun
paese, vegliare più eiricacemente al mantenimento della
salute pubblica.
ART. 105. ,
« Il direttore od agente farà, di diritto, parte
del consiglio.
ART. 106.
« Il consiglio eserciterà una sorveglianza gene-
rale sopra il servizio sanitario; avrà specialmente per
missione d'illuminare il diretlore od agente, e di dar-
gli dei pareri sopra le misure da prendersi in caso
fi) I .lelegali russi «licono astenersi da quest'art. 102 fino al
109 (proc. verb. id. ib). Ma vuoisi qui accennare che i delegali ,pa-
gnuol. volevano astenersi interamente quasi sempre dai resto depli
articoli del ragolamenlo : lo stesso per me e per alcun altro : ma si
trovò più volte a dire esser ciò superfluo, tostochò era il regolamento
sottoscr.tto colle riverve praticate nel corso delle sanitari* de-
liberazioni.
152
d'invasione o di n^inaccia d'invasione di una nmlat-
tia riputata inrìpoitabile o trasmissibile; di vegliare
all'esecuzione dei regolaraenti generali e particolari
relativi alla polizia sanitaria ove d'uopo , di denun-
ciare al governo le infrazioni od omissioni.
Egli verrà consultalo sopra tutte le questioni
amministrative e mediche, e concorrerà, col diretto-
re od agente, a preparare i regolamenti locali od
interni.
Art. 107.
"Il consiglio si riunirà periodicamente nelle
epoche che stabilirà l'autorità superiore, e sarà con-
vocato straordinariamente tulle le volle che una cir-
costanza relativa alla salute [)ubblica sembrasse ri-
chiederlo.
Art. 108.
« Il direttore od agente avrà per dovere di te-
nersi costantemente informato dello stato della pub-
blica salute. Esisteranno a questo effetto, sia diret-
tamente, sia per mezzo di delegati, dei frequenti
rapporti con l'autorità comunale, e ne riceveranno
tutte le comunicazioni necessarie al compimento del
loro mandato.
Art. 109.
« In caso di dissidenza fra il direttore od agente
ed il consiglio, ne sarà immediatamente riferito al
governo centrale. Tuttavia, se vi sia urgenza, il di-
rettore od agente, sotto la sua responsabilità, darà
corso alle disposizioni provvisorie che la salute pub-
blica ed il servizio esigessero.
Art. 110.
« Vi sarà in tulli i j)aesi segnatari d<;lla con-
venzione un servizio d' ispezione sanitaria.
153
« Questo servizio , regolato dai respettivi go-
verni, consisterà nel visitare i porti del paese, nel
prendervi cognizione dell'andamento del servizio sa-
nitario, nel tener nota delle imperfezioni che potes-
sero riscontrarsi, e nel segnalarle al governo.
Art. 111.
« Nell'interesse della salute pubblica e per il
bene del servizio, le autorità sanitarie dei paesi re-
spettivi segnatari della convenzione del 19 dicem-
bre sono autorizzate a comunicare direttamente fra
di loro , onde tenersi reciprocamente informate di
tutti i fatti importanti pervenuti a loro conoscenza;
senza pregiudizio tuttavia dei rapporti che è loro
dovere di somministrare nello stesso tempo alle au-
torità competenti ed ai consoli.
TITOLO IX.
Disposizioni particolari per V oriente.
Art. 1 VI.
« Oltre le disposizioni sanitarie comuni ed ap-
plicabili a tutti i paesi segnatari della conferenza ,
la Turchia europea e la Turchia asiatica, come an-
che l'Egitto, saranno l'oggetto di disposizioni parti-
colari destinate a prevenire lo sviluppo della peste,
ad arrestare questa malattia quando ella esista, a se-
gnalarla e ad opporsi alla sua introduzione negli
altri paesi.
Art. 113.
« Queste, disposizioni prese nel doppio interesse
dell'oriente e delle nazioni in rapporto con esso ,
154
consisteranno nello sviluppo delle costituzioni sani-
tarie stabilite dal governo del Sultano e nella pre-
senza de' medici che terranno in oriente le nazioni
contraenti.
Sezione I.
Disposizioni relative alla Turchia.
Art. 114.
« Sua altezza il Sultano promulgherà una legge
speciale per assicurare l'esistenza e regolare le at-
tribuzioni delle autorità sanitarie del suo impero ,
ed in particolare del consiglio superiore di sanità
di Costantinopoli, che sarà mantenuto nella sua or-
ganizzazione attuale
Art, 115.
« Posto alla testa del servizio sanitario, il con-
siglio superiore di Costantinopoli ne sorveglierà le
differenti parti, ed indicherà per tutto l' impero le
misure d'igiene pubblica e di salubrità che saranno
giudicale necessarie. Esso redigerà le istruzioni che
vi si riferiscono , e veglierà alla esatta esecuzione
delle disposizioni prescritte conformemente alle in-
dicazioni della conferenza sanitaria internazionale
(processo verbale 29 ed annessi) , e fisserà i luo-
ghi ove saranno stabiliti i diversi agenti del servi-
zio sanitario.
ART. 1 1 6.
« Le potenze interessate saranno rappresentate
in questo consiglio per mezzo di delegati in nu-
mero eguale a quello dei funzionari ottomani , e
questi delegati avranno voce deliberativa.
455
ART. 117.
(I II consiglio resterà in possesso della preio-
galìva di nominare e rimuovere gl'impiegati sani-
tari di ogni rango.
ART. 118.
« I delegati stranieri accreditati presso il con-
siglio, presi per quanto è possibile fra uomini com-
petenti, saranno nominati dai loro respettivi governi.
ART. 119.
« L'istituzione dei medici ispettori incaricali
di sorvegliare l'andamento del servizio sanitario sarà
mantenuto. Oltre quelli che esistono in Siria e nei
pascialati di Erzeroum e di Bagdad , ne saranno
stabiliti due di più; l'uno per la Turchia europea,
l'altro per l'Asia minore. Essi avranno la loro resi-
denza abituale a Costantinopoli.
ART. 120.
(( Gli ofHzi sanitari e le località dei preposti
saranno mantenute nella loro organizzazione attuale.
Il numero degli uni e degli altri, i luoghi ove essi
saranno stabiliti, la loro circoscrizione e la loro ge-
rarchia saranno regolati dal consiglio superioie di
sanità di Costantinopoli.
ART. 121
« Il diritto di ricevere le provenienze in pa-
tente brutta di peste è ristretto ai soli offici centra-
li, muniti de'lazzaretti.
ART. 122.
(t La facoltà di ammettere in libera pratica le
provenienze in patente netta sarà mantenuta alle lo-
calità dei preposti , fìnchè la peste non esista più.
Questa facoltà cesserà in tempo di peste. Tuttavia
!5C)
questi posti conserveranno in o{jni tempo la facol-
tà di ammettere i bastimenti di cabotaggio.
ART. 123.
« Nel più breve tempo possibile un codice dei
delitti e delle pene in materia sanitaria sarà pro-
mulgato in Turchia per cura del governo otto-
mano.
« Un tribunale speciale , la di cui istituzione
sarà concertata fra le alte parti contraenti , giudi-
cherà in avvenire di tutto le infrazioni alle leggi e
regolamenti sanitari, e sarà incaricato di giudicarle:
il tutto sotto la riserva espressa delle disposizioni sta-
bilite nelle capitolazioni, e senza che possa esservi
portato alcun pregiudizio.
Sezione IL
Disposizioni relative àlV Egitto.
ART. 124.
« L'intendenza sanitaria di Alessandria , com-
posta degli stessi elementi, e stabilita sopra le stesse
basi che il consiglio superiore di Costantinopoli, avrà
diritti e picrogaiive eguali. Siccome questo essa ve-
glierà alla salute pubblica del paese , ed alla ese-
cuzione delle misure che vi hanno rapporto, tanto
nell'interno quanto nel liltorale.
ART. 125.
(i Degli ispettori sanitari e dei medici di offi-
cio saranno stabiliti da pertutto, ove sarà giudicato
necessario, a spese dtl governo egiziano. Gli uni e
gli altri dovranno esser muniti di diplomi rilasciati
dalle università di Europa.
157
Sezione III.
Disposizioni generali relative all'oriente.
ART. 126.
« Le patenti saranno rilasciate dall' officio di
sanità e vidimate dai consoli competenti.
ART. 127.
«» Inerentemente all'articolo 21 del presente re-
golamento, sarà formalmente vietato a qualsiasi ba-
stimento di avere più di una patente.
ART. 128.
<< Il numero de'medici sanitari europei attual-
mente stabiliti in oriente sarà accresciuto sino a 20
divisi in quattro circondari. Le potenze segnatario
della convenzione si concerteranno con il governo
della sublime Porta per l' esecuzione comune di
questa misura (1).
ART. 129.
" I medici sanitari si dividono in medici cen-
trali e in medici ordinari. I medici ordinari saranno
ripartiti secondo il prospetto annesso al presente re-
golamento.
ART. 130.
« Vi sarà un medico centrale nelle città di
Costantinopoli, Smirne, Bairulh ed Alessandria.
(1) Nel processo verbale sono riportati i medici col presente
ordine 4 la Francia, 4 la Gran-Bretagna , 4 la Russia, 4 l'Austria,
4 la Spagna, uno la Grecia, uno la Sardegna, uno la Toscana, uno
Napoli, uno Roma, uno Portogallo. In caso di rifiuto di una o va-
rie di queste potenze il diritto di nomina passerà alle cinque po-
tenze nell'ordine sopra stabilito ecc.
158
ART. 131.
« II medico centrale , senza aver alcuna su-
premazia sopra i suoi colleghi, oltre il suo servizio
come medico sanitario, sarà obbligato di riunire e
coordinare in un generale rapporto le parziali rela-
zioni del suo circondario. Questo rapporto generale
sarà diretto una volta al mese in Turchia, e due
volte al mese in Egitto, al corpo consolare locale e
al consiglio di sanità.
ART. 132.
« In caso di vacanza i medici centrali saranno
a preferenza presi per anzianità fra i medici ordi-
nari dello stesso circondario.
ART. 133.
« I medici sanitari europei stabiliti in oriente
conserveranno tutta la loro indipendenza rinipetto
alle autorità locali, e non saranno responsabili che
appo i governi, che li hanno istituiti.
ART. 134.
« Le funzioni dei medici sanitari consisteranno.
1. a studiare, sotto il rapporto della salute pubblica,
il paese dove si trovano, il suo clima, le sue malat-
tie, tutte le condizioni che vi si riuniscono, come
ancora le misure prese per combattere dette malattie.
« 2. A percorrere a tal uopo le loro rispettive
circoscrizioni tutte le volte che lo crederanno utile,
ed in Egitto più spesso che sia possibile.
3. A informare di tutto ciò che è relativo alla
pubblica salute il medico centrale del circondario,
il corpo consolare, e se fia bisogno le autorità lo-
cali del paese, due volte il mese in Turchia, in tutte
le settimane in Egitto.
/
159
« In caso di epidemia o di qualunque sospetta
malattia e generalmente nei casi straordinari, il me-
dico sanitario spedirà subito un rapporto speciale a
tutte le suddette autorità e a tutti i medici sanitari
e consoli delle vicine circoscrizioni, e sefia d'uopo
a'medicì e consoli più lontani, ai quali potrebbeio
queste informazioni essere utili.
« Da ultimo saranno tenuti di conformarsi det-
tagliatamente al presente regolamento.
ART. 135.
« In caso di sospetta malattia contagiosa i medici
sanitari informeranno immediatamente l'ufficio di sa-
nità, e vice versa. Fin da questo momento si stabilirà
una medica consultazione, il cui risultamento sarà
tosto comunicato a tutte le suddette autorità.
ART. 136.
« Dall'altra parte gli offici di sanità, i posti, le
deputazioni ecc. ecc. avranno l'obbligo di fornire ai
medici sanilari, soprattutto in ciò che riguarda la sa-
lute pubblica, schiarimenti regolari scritti, e dovran-
no ricevere questi medici nelle località dell'ammi-
nistrazione sanitaria tutte le volte che questi giudi-
cheranno opportuno di recarvisi per avere esatte
notizie o verbali schiarimenti.
TITOLO X.
Disposizioni relative aW America.
ART. 137.
« Nei paesi soggetti alla febbre gialla pertinenti
alle potenze segnalarte della convenzione, ed ove già
160
non vi fosse un regolare medico servi/io , vi sarà
stabilito per le cure dei governi respeltivi con
medici sanitari per istudiarvi cotesta malattia, il suo
modo di sviluppo e di pro()agameQto : ricercare i
mezzi di [)revenirla e di combatterla, dando rapporto
della sua apparizione e della sua costatata cessazione
alle autorità: finalmente |)er adempirvi oflicialmente,
rispetto alla febbre gialla, la missione che hanno i
medici sanitari di oriente per la peste.
Articolo transitorio.
« Quando il servizio dei medici sanitari d'orien-
te, siccome è specificato, sarà stato regolato e diviso
tra le potenze contraenti, ciascuna di queste potenze
nominerà ai posti che gli saranno stati assegnati, e
di cui essa si sarà incaricata.
« Tuttavia i medici sanitari stabiliti dalla Fran-
cia resteranno personalmente in possesso dei posti
che ora occupano, e non saranno surrogali da me-
dici appartenenti ad altre nazioni , se non in caso
di vacanza. La Francia si riserva egualmente il di-
ritto di operare tra i medici attuali quei cambiamenti
che credesse utili al bene del servizio.
« Continueranno ad essere in vigore negli .stati
delle alte parli contraenti le disposizioni sanitarie
che non sono conliarie alla convenzione del d\ 10
dicembre 1851 col presente regolamento interna-
zionale.
« Il presente progetto di regolamento sanitario
internazionale letto , discusso e addottalo nelle tor-
nate dei dì 15 e 16 del corrente mese, è stato segna-
to da tutti i membri della conferenza sanitaria in-
ternazionale sotto tutte le riverve fatte da ciascun
161
delegalo, e salva l'approvazione de'loro respettivi go-
verni t).
« Parigi 16 gennaio 1852.
e Seguono le firme dei 24 delegati e dei due
segretari della conferenza ».
Nella 47'"* sessione (17 gennaio), dopo breve di-
scussione sulle tabelle quarantenarie differenti nei di-
versi paesi, per riportarsi al presente a seconda delle
risoluzioni della conferenza alla più possibile unifor-
mità , si passa alla lettura di un rapporto della
commissione. Il quale riguarda i voti proposti dalla
medesima , e formulati e adottati dalla conferenza
internazionale, e sono divisi in 4 sezioni.
SEZIONE I.
( « I. Volo. La conferenza emette il voto che la
questione sull'importazione de'morbi per mezzo delle
mercanzie sia da per tutto studiata: che i governi
interpellino i voti degli scienziati, e che il risultato sia
oggetto di premi e di ricompense. (Proc. verb. n. 23)
« 2. Voto. La conferenza emette il voto che le
potenze segnatario della convenzione sanitaria si met-
tano d'accordo per fare esplorare le località ove si
generano le malattie esotiche trasmissibili, ed il modo
come si propagano cotesti flagelli. (Proc. verb. n. 32).
« 3. Volo. Sarebbe desiderabile che i medici
sanitari fossero estesi nei punti frequentati del litto-
rale di Affrica^ ove dominano mortali malattie, afll-
ne di studiarle di proposito per darne alle autorità
i necessari schiarimenti.
SEZIONE IL
" 4. Volo. La conferenza emotte il voto che
ciascuna potenza segnataria della convenzione si
G.A.T.CXXVI 1 1
162
applichi a migliorare i porli e le località circonvicine.
« 5. Voto. La conferenza emede il voto che cia-
scuna potenza faccia formare uu registro esatto del
numero delle navi di commercio, come ancora una
statistica delle malattie e delle morti che avranno
luogo nel corso di ogni anno. Cotesto prospetto sta-
listico dovrebbe pubblicarsi con tutti i più minuti
dettagli.
«( Dovrebbejo accordarsi premi a quei capitani
o patroni di na^i, gli equipaggi de'quali si fossero
distinti pel loro buono stato.
« 6. Voto. La conferenza emette il voto che i
governi stabiliscano concorsi, e dieno premi agl'inven-
tori di scoperte, o di perfezionamenti, di cui l'im-
mediato risultamento fosse un vero progresso nel
peifezionamento delle navi, o nell'igienico migliora-
mento degli equipaggi.
« 7. Voto. La conferenza emette il voto che cia-
scun paese incoraggi con premi e con altri mezzi
la presenza di uu medico a bordo delle navi di com-
mercio.
« 8. Voto. La conferenza emette il voto che
ciascuna potenza faccia compilare e stampare un ma-
nuale cViyiene navale., per l'uso della marina mer-
cantile.
« Le prescrizioni racchiuse in questo manuale
diverranno obbligatorie.
SEZIONE in.
« 9. Voto. La conferenza emette il volo che in
epoche determinate, ed almeno in ogni due anni, i
delegati di tutte le nazioni segnatario della conven-
zione sieno riuniti in uno deporti del Medi terraneo,
163
ed ora in uno, ora in un altro, per conferire fra di
loro quanto concerne il sanitario servizio internazio-
nale, comunicandosi le loro osservazioni, onde con-
venire in comune sulle modificazioni e peifeziona-
menli, che loro sembrassero opportuni per proporli
ai respeltivi governi.
SEZIONE IV.
» fO. Voto. La conferenza emette il voto che
il goveino ottomano trovi la possibilità d'istallare
medici di cantone e distretto.
etti che si distinsero per il merito
personale innalzandosi sopra la sfera dei loro con-
temporanei, di cui richiamarono fissamente maravi-
gliati gli sguardi , essi sono che hanno diritto alla
pubblica riconoscenza, ed i loro nomi debbono pas-
sar gloriosi fino alla più tarda posterità, senza per-
mettere che il volger dei secoli ne cancelli l'onorata
memoria.
E questo un dovere tanto con facente al cuore
dell'uomo, che una delle più colte nazioni dell'anti-
chità si fece una legge inviolabile di celebrare in
ogni anno 1' elogio di un qualche illustre concit-
tadino, che o si fosse reso benemerito delle scienze,
ovvero per qualunque siasi altro titolo acquistata aves-
se celebrità. Siccome poi nell'istituzione della nostra
società, fra gli altri fini a cui si dirige, v'ha quello
(t) Queste due memorie , che il sig. can. Francesco Barciulli
rettore nell' I. e R. collegio Cicognini di Prato, scrisse or sono
molti anni, non erano destinate, a vedere la pubblica luce. Egli però
ne ha acconsentito la stampa: ma è suo desiderio che sia dato avviso
al lettore che egli, distratto da altre cure, non ha potuto riprenderle
in esame e notare se vi erano cose che meritassero di essere correltek
170
pure d'illustrare l'istoria patria, quindi un tema del
lutto a questo fine addicevole io mi prefijjfjo in que-
sta sera, lusingandomi con ciò di cogliere un doppio
vantaggio, di secondare cioè lo spirilo jJella nostra
accademia, e di rendere al vero merito un tributo
di riconoscenza e di lode. Io fui sempre d'avviso
essere un tratto d'ingrata corrispondenza l'astenersi
far parola di quegli ingegni che consacrarono
la loro vita alle scienze, quando l'opportunità ne oftVa
agevole il mezzo ; quindi da tal pensiero guidato ho
risoluto tener discorso di un lunjinare del secolo XV,
di un matematico il più distinto che contar possa
nei trascorsi secoli la nostra valle, di un restauratore
e promulgatore indefesso di questa scienza in Italia,
di Luca Pacioli. La lontananza dei tempi, nei quali
egli visse, ci priva, è vero, di molte notizie che alle
sarebbero a vneglio illustrar le sue geste: pur nien-
tedimeno, se una vana prevenzione non mi seduce,
se vi degnerete onorarmi della vostra attenzione, o
signori, io mi lusingo che ravviserete il Pacioli quale
testé il sentiste denominato.
Giungeva quasi a mezzo il suo corso il secolo
XV allorquando sorse a respirare le prime aure di
vita in questa stessa città Luca della famiglia Pa-
cioli. Mossi appena in patria i primi passi della sua
carriera scientifica, corse ad abbracciare il seiafico
istituto dei minori conventuali, e nel riliro di una
religiosa osservanza potè senza distrazione esercitare
la forza del suo intellello nelTinvesligare le scienre
divine ed umane. Vestito della divisa che contraddi-
slingue i figli del patriarca d' Assisi, egli si dimo-
strò in faccia dei suoi confratelli qual prodigio
171
straordinario, percorrendo con rapidi passi lo stu-
dio delle teologiche discipline, nelle quali fu ben
presto salutato col nome di maestro. Ma il suo ge-
nio, capace delle più grandi intraprese, non seppe
contenersi nei limiti impreteribili che tìssati 'vengo-
no dalle massime rivelate: onde procurò di esten-
dere la sfera delle sue cognizioni in ogni altro
genere di letteratura e di scienza. Egli infatti si
trova giustamente lodato per l'acuto ingegno, per
la profonda memoria, e per la vasta erudizione, che
tanta stima gli conciliarono di tutti i dotti italiani.
Egli fu oratore eloquente, e la sua voce persuasiva
non solo si fece udire nelle città primarie della no-
stra penisola, ma dilatò le sue maraviglie oltre i
confini del mare e delle alpi che la circondano.
Egli ma quel poco che fin ora udiste, o
signori , ben m'avveggo esser bastevole per farvi
pronunziare sul nostro Pacioli un giudizio che lo di-
chiari luminare del secolo, nel quale egli visse ;
eppure qui dove sembra aver termine il suo elogio,
qui appunto non ha che il principio.
Lo spirito penetrante del nostro Pacioli, arric-
chito di cognizioni sì fatte, die uno sguardo allo
stato intellettuale d'Italia, e calcolò le occupazioni
degli ingegni migliori. Vide che una parte di tisi
si dedicava allo studio delle discipline teologiche;
vide che alcuni coltivavano indefessamente la filo-
sofia; vide che motti formavano il loro gradito eser-
cizio della pittura e della archiltetura ; altri final-
mente ne scorse che ammaestrati alla scuola delle no-
ve sorelle, impiegavano il loro genio, o nel descrivere
le bellezze di Glori , o nel cantare le grazie sedu-
172
centi di Fille; vide infine, che le arti e le lettere con-
tavano un buon numero di seguaci, e che In scien
za del calcolo languiva inosservata per tutta l'Ita-
lia , e che quasi face moribonda attendeva una
mano che l'aiutasse a ravvivare il suo lume, onde
servir di guida per rintracciare le maraviglie della
natura.
A simil vista il Pacioli fu stimolato abbastanza
dalla forza interna del suo intelletto per battere una
carriera dissimile da quella dei suoi contemporanei,
per divenire cioè il primo matematico italiano dell'
età sua; per avanzare di un gran passo la scienza
da lui coltivata, e per esserne un promulgatore in-
defesso.
E qui, o signori, per dimostrare il mio assunto
non crediate già che io voglia far ricorso alle vane
congetture, che sono per Io più il parlo della fan-
tasia che le immagina: ma intendo di appellarmi ad
un monumento infallibile che in tuono veridico
ed autorevole pronunzi gli accennati elogi a fa-
vore del Pacioli. Esiste la di lui opera che ha per
titolo « Sunima de aritmetica et geometria etc. » e
ricorrendo a questa come a limpido fonte si vedrà
chiaramente, che le lodi tributate al Pacioli non
sono il parto del fanatismo che esagera, ma quali si
convengono ad un soggetto di vero merito.
Concepitosi appena dal Pacioli il disegno di
dedicarsi alla cultura delle matematiche, nulla rispar-
mia di ciò che arrecar possa alla scienza da lui col-
tivata avanzamento e decoro. Eccolo infatti, che
appena divenuto studioso ed intelligente degli ele-
menti compilati dal geometra megarese risolve di
in
togliere da un indegno squallore la bella scienza del
vero: e per liuscir nell'intento, opinarono alcuni che
egli intraprendesse il \iaggio dell'oriente per visita- ^
re la prima cuna di questa scienza sua prediletta,
dove pare che l'ingegno dell'uomo giungesse più ra-
pido alla sua perfezione. Comunque sia, egli è cer-
io che contrasse una stretta relazione con gli arabi,
come agevolmente rilevasi da alcune teorie di arit-
metica che egli il primo ridusse a buon senso in
Italia denominandole « Regole di Elhataym » che
ebbero assolutamente la loro origine nell'Arabia.
L'avevano preceduto, è vero, nella carriera ma-
tematica lui Leonardo Fibonacci pisano, un Gior-
vauni Sacrobosco, un Prodocimo padovano, ed altri
ancora: ma progressi oltre ogni credere grandiosi
di questa scienza si mirano ove piaccia di far con-
fronto fra lo stalo suo primitivo in Italia e quello cui
venne innalzata mercè della vSomma del Pacioli. Qui-
vi si trovano risolute le equazioni di algebra fino al
secondo grado inclusive, e le altre di tutti i gradi che
dal secondo derivano; quivi si scorge l'acutezza di
un ingegno straordiario, quando con metodi scono-
sciuti si giunge fino a risolvere un'equazione di quarto
grado; (juivi si miia uno spirilo veiamente analitico
che immagina il primo ed eseguisce diverse applica-
zioni dell'algebia alla geometria ; e in una parola
la Sonìma del Pacioli è il jjrirao libro di algebra
che abbia veduto l'Europa : « e se (come scrive
il eh. abate Ximenes) dietro le pedate di questa
si fosse in Toscana continuata la scienza analitica^
inoltrandola più in /à, coìne sarebbe stalo agevolissi'
ino^ la Toscana avrebbe sola la gloria dell'invenzio-
ne dell'arte alije' rislica. , v.
174
Ma il Pacloli al suo prespicace intelletto accop-
pia una rara dili^jfenza nel tranDandare ai posteri fe-
delmente raccolte le costumanze dei tempi suoi re-
lative al commercio. Egli é che ci dà le più minute
notizie intorno ai diversi rapporti delle monete che
erano in corso a quel tempo; egli ci somministra
l'idea delle merci primarie, sulle quali aggiravasi il
commercio dei popoli; egli infine ci rivela le leggi,
dalle quali garantivasi il traffico delle diverse nazioni;
in guisa che notizie di questa sorte invano si cer-
cherebbero fuori della opera del Pacioli. E'in essa
che troviamo le più antiche nozioni dell'arte di tenere
i libri a doppia scrittura: metodo che il gran mini-
stro Colbert divisato aveva d'introdurre nelle finanze
della Francia, ma per mancanza di persone capaci a
ben seguirne lo spirito ne fu sospesa la pratica fino
ai principi! del nostro secolo. Altre opere pure
sano il parto della penna del nostro Pacioli: e fra
queste si contano, le ricerche sui cinque poliedri re-
golari con figure scolpite per mano del suo ottimo
amico Leonardo da Vinci; De divina proportione^ dove
accuratamente rimarca il grande utile, che risentono
le arti facendo giudiziose deduzioni del problema
che insegna a dividere una retta in estrema e media
ragione: e molte altre; ma la Somma sopra tutte
primeggia, come il sole distinguesi sopra gl'inferiori
corpi celesti. E' dessa che colpi gli sguardi dell'im-
mortal Galileo, che perfezionate le formule algebri-
che le adoperò per interrogar la natura, e la costrin-»
se a rivelar le sue leggi; è dessa che contiene i primi
elementi, sui quali fabbricarono di mano in mano
quei posteriori analisti che hanno innalzata felice-
175
niente la scienza al suo grado di perfezione , fra i
quali a' dì nostri hanno colto le piime palme Paoli
e Giamboni.
Ma nel Pacioli le rare doli dell'intellelto non
ccclissano i bei pregi del cuore. Egli fu di animo
grato e riconoscente; di costumi ingenui; di modi
soavi e gentili, per cui fu tenuto in sommo onore
dai letterati ed artisti del suo tempo e dai più gran-
di d'Italia. Paolo II, Guido Ubaldo, Lodovico Sforza,
Pier Soderini e la repubblica di Venezia gareg-
giarono nel tributare i sensi della loro estimazione
ai Pacioli; ed egli, di animo riconoscente, tutti ram-
menta nelle sue opere i ricevuti favori e non de-
frauda alcuno della debita lode. Celebia la bontà
di Paolo, che per più mesi lo tenne quale ospite
onorato nel suo palazzo; encomia l'ingegno di Guido
Ubaldo nelle scienze matematiche ; loda l'accorgi-
mento dello Sfoiza, che per render colta la città di
Milano chiama in sua casa i primi ingegni d'Italia;
fa plauso al contegno del Soderini, e non sa dimen-
ticare gli onori ricevuti dalla repubblica veneta ,
quando nel 21 agosto del 1508 i più distinti sog-
getti della città dominante accorsero in folla alla
chiesa di S. Bartolomeo per udire dalla bocca del
Pacioli la sua prelezione al libro quinto d'Euclide.
E qui se le leggi della brevità non si oppones-
sero al mio disegno vorrei mostrarvi, o signori, il
raro zelo del nostro Pacioli nel farsi promulgatore
indefesso delle verità matematiche. Vedreste come
egli impiegò la sua vita per dilatare la scienza del
calcolo: e sembra che il campo destinato a licevere
i suoi sudori fosse l'Italia tutta, giacché incomincian-
176
do dalla popolosa Partenope giunse a gettare i semi
di sua scienza novella fino alla città regina dell'Adria,
senza trascurare i migliori climi d'Italia che atti fos-
sero a moltiplicar questa pianta, come sarebbero Ro-
ma, Firenze e Milano, dove occupò la prima catte-
dra matematica instituita dallo Sforza, e dove stimo-
lato da Leonardo da Vinci scrisse il suo trattato di
architettura. Or ditemi, o signori, un ingegno di
questa sorte non potrà chiamarsi luminare del suo
secolo, restauratore delle matematiche in Italia , e
promulgatore indefesso di questa scienza ?
Ma se è vero che il considerare le geste d'illu-
stri soggetti risveglia gli animi ben disposti dalla
loro apatia, e gli spinge ad emularne le glorie, voi,
o giovani di tutte speranze, che il piede movete per
la carriera scientifica, mirate il Pacioli e avrete in
esso un esempio, su cui modellare le vostre occupa-
zioni se bramate di rendere onorati servigi alla so-
cietà. Sia il pensiero di lui una forza, al cui urto
si accenda nei vostri petti il fuoco dell'amor del sa-
pere; e anco minori fatiche vi procureranno mag-
giori conoscenze: giacché se al Pacioli fu d'uopo
ritrovare il primo sconosciuti sentieri a traverso alle
tenebre , che in ciò ricoprivano la nostra Italia,
a voi basta che vi lasciate guidare dai vividi raggi
di quella luce che brilla sugli occhi vostri nei fe-
lici tempi del nostio secolo.
177
Riflessione etiliche sulla vita di Pietro della Fran-
cesca scritte da Giorgio Vasari destinate a servire
d'illustrazione alla vita di Luca Pacioliy e lette
alVaccademia della valle tiberina toscana nella
solenne adunanza del 28 dicembre 1^31 ^^l
socio ordinario F. Bareiulli. . •.,.\^,., -^ .,
kli compie dr già un anno, colleghi ornatissimi, da
che aveste la sofferenza di ascoltare un tributo di
scarse lodi da me reso alla memoria sempre glorio-
sa di Luca Pacioli. Nelle sloriche verità che sotto-
posi alla vostra intelligenza voi lo ravvisaste qua]
lummare del suo secolo, e qual restauratore della
scienza matematica in Italia. Il fondamento, a cui
. . . fi'
appoggiai il mio edifizio, furono le dì lui opere; p
queste appunto son quelle che formano il soggetto
della presente critica discussione, giacche uno scrit-
tore di somma rinomanza ha asserito che il Pacioli
ha pubblicato sotto al suo proprio nome le ope-
re di Pietro della Francesca. ^ ^^^^ \^.^
Lo scrittore, di cui parlo, è Giorgio Vasari pit-
tore aretino nella sua opera che contiene le vite
dei più eccellenti architetti, pittoii, e scultori ita-
liani , e precisamente dove tratta di Pietro della
Francesca, come può vedersi nell'edizione di Firen-
ze dell'anno 1550, parte seconda a pagina 3G0.
Egli comincia il suo articolo biografico dal com-
piangere Tinfelicilà di coloro che si esercitano ne-
gli studi per lasciare al mondo fama di se, giacche
la prosunzione altrui ruba loro i lunghissimi sudori^
G.A.T.CXXVI 12
478
e attribuendosi l'alti ni pregio ricopre la pelle dell'
asino con le fjloriosissime spoglie del Icone. Con
queste parole a un di presso esterna il Vasari la
sua compassione verso quegli scienziati cui tocca
una sorte così ingiusta, e ne fa l'applicazione a
Pietro della Francesca, annoverando il Pacìoli nella
classe dei maligni usurpatori. Ecco le sue parole :
« E colui che con tutte le forze sue si doveva ingegna-
« re di mantenergli la gloria e di accrescergli nome
« e fama^ per aver pure appreso da Ini tutto quello
'« che ci sapeva^ non come grato e fedele discepolo^
« ma come empio e maligno nimico^ annullato il no-
« me del precettore^ usurpatosi il tutto^ dette in luce
« sotto il nome suo proprio^ cioè di fra Luca dal
« Borgo^ tutte le fatiche di quel buon vecchio. « E
più sotto parlando della prospettiva e della geome-
tria applicata all'architettura dice : Che i maggiori
il lumi.) che di tal cose ci sieno., ci sono di man sua.,
» perchè maestro Luca dal Borgo frate di s. Fran-
« Cesco, che sopra i corpi regolari della geometria
« scrisse., fu suo discepolo : e venendo in vecchiezza
i< Pietro che aveva composto di molti libri, maestro
« iMca facendogli stampare tutti., gli usurpò per se
« stesso., come già si è detto di sopra., siccome quello
■o' a cui erano pervenuti nelle mani dopo la morie
« di maestro Pietro «.
Chiunque pertanto delle cose critiche inesperto
sì abbattesse a leggere le citale espressioni, mosso
dalla riverenza e dalla stima che d'altronde merita
il Vasari, concepirebbe del Pacioli un'idea ingiuriosa,
io riguarderebbe come privo di qualunque merito
reale, e a dir breve, nulla più varrebbe della cor-
179
nacchia di Esopo. E siccome fra coloro che si oc-
cupano della lettura , non tutti , anzi convien pur
dirlo, rari son quelli che abbiano la volontà e il
potere di calcolare con esattezza il valore delle al-
trui narrazioni, quindi l'asserzione del Vasari, se fosse
priva del conveniente critico esame, potrebbe, e forse
anche in buona fede, indurre altrui in errore, e
sparjyere una macchia sul nome illustre del mate-
matico Pacioli, cui dobbiamo eterna e somma la no-
stra riconoscenza. Né posso lusingarmi , che l'opi-
nione del Vasari sia general mcnie rigettata: mentre
io la trovo universalmente confermata nelle diverse
edizioni delle sue opere, senza che venga smentita
da nessuna delle varie illustrazioni e note apposte
alle medesime. Che più ? io stesso ho sentito esser
questo il parere di un erudito nostro collega.
Ad oggetto pertanto di togliere ogni ombra, che
possa oscurare il pregio scientiftco e morale del no-
stro Pacioli, io farò alcune brevi riflessioni, da cui ri-
sulterà chiaramente quanto su questo proposito siano
lungi dal vero e Giorgio Vasari ed insieme tutti
coloro che inclinassero a secondarlo 5 risulterà cioè
che al Pacioli non può togliersi il mei'ito reale ,
specialmente nelle scienze matematiche, e che egli
non pensò mai di usurpare le fatiche del suo
maestro.
Per assicurarsi che il Pacioli fu un uomo di
particolari talenti fornito nelle matematiche basta os-
servare quali furono le occupazioni, nelle quali esso
impiegò quasi tutto il tempo del viver suo: giac-
ché noi lo vedremo sempre promulgatore indefesso
di questa scienza, professandone l 'insegnamento nei
480
più rispettabili studi d'Italia. E cosa di fatto che in-
segnò pubblicanriente le matematiche a Napoli , a
Roma , a Perugia, a Urbino, a Venezia, a Firenze,
e che ovunque lasciò di se un nome glorioso, fino
a segno da ess er prescelto ad occupare la prima
cattedra di matematiche istituita dallo Sforza in Mi-
lano. Ora togliendo al Pacioli il merito reale in que-
sta scienza, a che dovremo attribuire gli onori da
esso riportati nell'insegnarla? Anzi sotto questo rap-
porto il suo merito non verrebbe diminuito, sebbene
si supponesse reo dell'usurpazione di cui lo incolpa
il Vasari ; imperocché se il possedere opere classi-
che rendesse i possessori abili ad intenderle ed
insegnarle, oggi che sono fatte di pubblico diritto
le fatiche di Paoli e di Giamboni, col sacrifizio di
poche lire ognuno potrebbe divenire professore di
matematica.
Ma il Pacioli ai chiari lumi del suo intelletto
unisce un animo onesto e gentile, per cui si mostra
sempre grato dei ricevuti favori e giusto estimatore
dell'altrui merito, come lo dimostrano le sue espres-
sioni. Basta soltanto leggere le opere sue per con-
vincerci, che egli non trascura di rendere le debile
grazie ai suoi mecenati , e che rammenta sempre
con lode i nomi dei piùvalenti scienziati ed artisti,
senza lasciar mai travedere alcun segno d'invidia per
l'altrui merito. Una passione infatti cotanto vile non
può albergare se non in un'anima che la somigli.
I nomi del pontefice Paolo II, di Guido Baldo, del-
lo Sforza , di Pier Soderini , e della repubblica di
Venezia sono rammentati sempre in benedizione dal
labbro suo, come pure non vengono defraudati delle
181
giuste lodi i nomi di Leon Ballisla Alberti , di Genti-
le e Giacomo Bellini veneziani, di Girolamo Maialini,
di Alessandro Botticelli, di Filippo e di Domenico
Grilandaio, di Pietro Perugino, di Luca Signorelli,
di Andrea dal Verocchio, di Antonio del Pollaiolo, di
Giuliano e Benedetto Maiani , di Camillo Vitelli, e
di tanti e tanti altri di cui lungo sarebbe il ram-
mentare soltanto il nome. In qual modo adunque
potreni supporre che un imparziale estimatore degli
altrui meriti sia poi un maligno ed ingrato disce-
polo che tenti di annullare il nome del precettore ?
Il pensare in tal guisa è tanto contrario all'indole
del Pacioli , che non può ad esso attribuirsi senza
uno di quegli sforzi di fantasia che unisce in uno
stesso soggetto due principii contraddittorii.
Quantunque però riflessioni di questa sorte sieno
tali da far conoscere molto improbabile il supposto
dal Vasari, e quantunque ad un tribunale di sano
criterio il loro peso distrugga ogni equilibro, pur
non ostante, non è da negarsi, atte non sono a con-
durre l'animo nostro a quel grado di pieno convin-
cimento che è il resultato della certezza morale. Per
giungere però a un tal punto basta riflettere, che il
Pacioli non ha trascurato, secondo che l'opportunità
gliel permise, di rendere a Pietro dalla Francesca i
tributi di giusta lode. In vari luoghi delle sue ope-
re ne fa onorata menzione : ma serva per tutti ciò
che dice nella sua Somma, e precisamente in una
lettera indirizzata a Guido Baldo duca di Urbino,
in cui parlando dell'influenza delle matematiche sulla
prospettiva cos'i si esprime: « La prospettiva, se ben
« si guarda, senza dubbio nulla sarebbe se queste non
182
« li si accomodasse come appieno dimostra el mo-
«< narca alli tempi nosti'i della pittura maestro Pietro
« della Francesca^ nostro conterraneo e assiduo della
« eccelsa vostra ducale casa famigliare^ per un suo
« compendioso trattato che per Varie pittorica^ e
« della lineai forza in prospettiva compose^ il tinaie
« al presente m vostra tUgnissima biblioteca^ appresso
e molto significhi, quando è in poco
ristretta. E di lui raccontano che, passeggiando un
giorno, quand'era il teairo pien di popolo, pensando
fp9 se s^ssp sopi'a la scena, disse un amico suo: Tu
D^i >sem.bri, o FoeWne, pensoso : penso,^ sispose, se
pqsÉKi> levare ale una parte dalle parole, ohe son per
fare agli, ateniesi. E Deaioslene disprezzava molto gli
alili Oliatori : ma, levandosi Foicione, soleva dire agli
amie* sutsì, che, vinti i primi, fu rotto tutto 'I restante, e Plu-
tarco messo in fuga. E alcuni de' nimici entrati
fra gli ateniesi dentro a quel fosso facevano sforzo
di romper la trincea ed abbatterli. Ora essendo già
fornito il sacrifizio, gli ateniesi usciti degli alloggia-
menti, affrontando questi, gli rivoltano in fuga, e n'uc-
cidono gran parte intorno alle trincee del loro campo.
E Focione ordinò che la falange stia pur ferma per
ricreargli alquanto, e per raccogliere gli sparsi pri-
ma nella fuga ; e poi, avendo a se una scella de'
migliori, assaltò i nimici, e nella battaglia, che fu
dura ed aspra, combatteron tutti coraggiosamente, e
senza risparmio di lor persone. E Tallo di Cinea e
Glarico di Polimede, schierati a lato al generale, ri-
portarono il pregio di maggior valore: nondimeno
Cleofane si mostrò degno in quella zuffa di più alta
lode ; perchè , avendo richiamati i cavalieii dalla
prima rotta con gridare e comandare che porgessero
soccorso al generale venuto in rischio di perdersi,
gli fe'ri voltare e dar la vittoria intera alla fanteria.
Dopo questa battaglia cacciò Plutarco d'Eretria, e
preso Zarelra, castello opportunissimo , situato in
luogo , ove la larghezza dell'isola si va stringendo
in angusto cinto serrato d'una banda e d'altra da
due mari, non lasciò pigliarsi i greci prigionieri, te-
mendo che gli oratori d'Atene non costringessero i
popoli a malmenarli per ira. Dopo questa impresa
207
tornalo Focione, i confedeiati dAlene tosto deside-
rarono la sua bontà e giustizia, e gli ateniesi conob-
bero la pazienza e '1 valore : perchè Molosso, suc-
cessore a lui nel governo dell'esercito, guerreggiò
in maniera che rimase vivo in roano de'nimici.
Ma poiché, Filippo pieno di alte speranze, tra-
passò con tutte le sue forze in Ellesponto per piglia-
re in uno stante il Chersoneso, Peiinlo e Bisanzio ,
e gli ateniesi erano risoluti di soccorrii , gli oratori
fecero sforzo che vi fusse mandato generale Carete.
Il quale, là andato , non fece opra degna di tante
forze : perchè le città non ricevettero ne' lor porti
si grande stuolo, ma in sospetto a tutti, andava errando
qua e là raccogliendo moneta da'eonfederati , e di-
sprezzato da'nimici. Il popolo innasprito, dagli oratori,
si sdegnava e pentiva d'aver mandato soccorso a'
bisantmi: onde Focione, rizzandosi, disse : Non con-
viene sdegnarsi co'confederati dilfidenli, ma co'capi-
tani, i quali in guisa adoprano che non hovan fede.
Questi son quelli che fanno temer di voi quelle città,
le quali salvarsi non possono senza voi. Commosso
adunque il popolo da queste parole, cangiando pen-
siero, comandò a Focione stesso che con altro eser-
cito andasse a portare a' confederati in Ellesponto
soccorso La qual risoluzione fu di gran momento
alla salvezza di Bisanzio. Era già ben grande la ri-
putazione di Focione; ma poiché Leone, il primo
de'bisantini in virtù, già slato nell'accademia domesti-
co di Focione, l'affidò; dentro alla sua città lo costrin-
sero ad alloggiare, non fuori delle mura : anzi, aperte
le porte, lo ricevettero, e mescolarono fra loro stessi
gli ateniesi, divenuti per la fede data non solo irrc-
208
prenslbili e modesti nel conversare e trattare , ma
valorosissimi ancora : talché Filippo, stimato prima
invincibile e insuperabile, fu cacciato d'Ellesponto,
e con disprezzo. Anzi Focione prese alcune delle sue
navi e città da lui afforzate con guarnigione; e, sceso
in terra, in più parte de'suoi regni saccheggiava e
faceva scorse , infino a che ferito dal soccorso che
venne, rivoltò le prue per tornarsene.
Avendo in altro tempo celatamente chiamato i
megaresi , e temendo che i heozl , avvertitine, non
anticipassero a mandarvi soccorso, adunò all'alba del
giorno il consiglio, e renduto conto dell'ambasciata
de'magaresi, gli ateniesi deliberarono che v'andas-
se. Egli , fatto sonar la tromba, gli condusse allora
dall'adunanza a pigliar l'armi; e incontanente guida-
ta la genie a Megara , fu ricevuto lietamente dai
magaresi. Fortificò Nisea, e dalla città tirò due alie
di muro infino al porto , congiungendo al mare la
città ; talché poco allora curava degli eserciti di
terra, stando in lega degli ateniesi.
Ora essendosi Atene dichiarata intei-amente ni-
mica di Filippo, ed avendo eletto altri capitani a
questa guerra in sua assenza; tornato che fu dall'i-
sole, incominciò a persuadere il popolo (poi che Fi-
lippo mostrava di voler con essi vivere in riposo,
temendo forte i danni che gli potrien fare) ad ac-
cettare le condizioni della pace. Ed opponendosi al-
cuni degli usati aggirarsi sempre in piazza per ca-
lunniare questo a quello, con dire: E tu ardisci, o
Focione, di sconsigliare gli ateniesi che hanno già
l'armi in mano? Io son quel desso (rispose): e so che
a tempo di guerra comanderò a te , e nella pace
209
domanderai tu a me. Quando poi non ebbe potuto
persuadergli, ma rimase superiore il consiglio di De-
mostene che si tirasse la guerra più lungi che po-
leano dal terreno dell'Attica, disse: 0 là non istia-
mo a considerar ora il luogo , ove guerreggiamo ,
ma il modo di conseguir la vittoria; che così sarà
lontana la guerra: i vinti hanno sempre il male ap-
presso. Ora rotti che furono gli ateniesi da Filippo,
i sediziosi, vaghi di novità, tirarono in consiglio Ca-
ridemo per farlo generale. Di che temendo i mi-
gliori, mescolarono fra'l popolo il senato dell'Areo-
pago, e con molte preghiere e lagrime appena im-
petrarono di rimettere in Focione la salvezza della
patria. 11 quale ben prima era stato di parere che
s'accettasse da Filippo la maniera di governo e le
umane condizioni ofl'erte; ma quando Demade prò.
pose che la città venisse a parte della pace univer-
sale che si trattava, e della comune adunanza degli
stati della Grecia, non volle acconsentirvi, prima che
sapesse qual domanda volesse in essa fare ai greci
Filippo. Non essendo prevaluto allora il suo parere
a cagione de'tempi, quando vide gli ateniesi esserne
pentiti, poi che era forza dar galee armate e cava-
lieri a Filippo, disse: Questa è la paura che ebbi, e
però m'opposi: ma fatto che avete l'accordo, biso-
gna portarlo in pazienza e non mancar d'animo, ri-
ducendovi a memoria, che i nostri progenitori, or
comandando ora essendo comandati , ben portando
l'una e l'altra fortuna, conservaron la città e la Gre-
cia tutta.
Morto Filippo, vietò al popolo il far sacrifizio,
come voleva , per la felice novella , dicendo esser
G.AT.CXXVI. 14
210
•viltà far letizia della morte, e che l'esercilo, il quale
gli avea rotti a Cheronea, non era diminuito che d'
una sola persona. E in altro tempo, gitlando De-
mostene ingiuriose parole conlra Alessando giù qua-
si venuto sotto Tebe, disse:
Miser, ch'aizzi un uom selvaggio ed aspro
e avido sempre di maggior gloria ? or vuoi tu so-
pra sì gran fiamma giltar la città? Ancorché gli a-
teniesi volesser perdersi, noi consentirò mai, avendo
a questo fine acconsentito d'esser capitano. Quando
poi fu Tebe perduta, e domandava Filippo d'avere
in^ mano Demostene, Licurgo, Iperide e Caridemo,
il senato teneva gli occhi volti sopra lui solo, e più
volte chiamandol per nome. Focione infine, drizza-
tosi in pie, s'appressò ad uno de'suoi più familiari,
in cui confidava, e molto si compiaceva, dicendo :
Costoro che sou domandati , hanno la città nostra
ridotta a tale, ch'io son di parere, se alcuno diman
dasse questo Nicocle qui, che se gli debba conce-
dere; ed io per me mi terrei a gran ventura il mo-
rire per la salvezza di tutti voi. Io ho gran pietà,
o ateniesi, de'rifuggiti qua da Tebe, e basta ai gre-
ci piangere la distruzione d'una sola città: e però per
l'una e per l'altra ragione meglio è obbedire e sup-
plicare il vincitore , che ostinatamente combattere.
E si racconta d'Alessandro , che preso che ebbe in
mano la scrittura del primo decreto, la scagliò via,
e voltò le spalle agli ambasciatori , partendosi: ma
accettò il secondo portato da Focione, sentendo diie
a'più vecchi , che il padre suo Filippo ammirava
211
quest'uomo: onde non solamente gli concesse il ra-
gionar seco, ascoltò la domanda, ma seguitò ancora
il consiglio suo. Consigliò Focione , se desiderava
quiete, che posasse l'arme: se gloria, che si rivol-
gesse centra barbari, lasciando i greci. Avendo dun-
que fatto lungo discorso e proporzionato al costu-
me e volere d'Alessandro, sì lo fé cangiar pensiero,
e SI lo addolcì, che disse esser bene che gli ateniesi
stessero vigilanti , perchè se avveniva easo avverso
di lui , essi soli meritavano di comandare. E con-
tratta seco particolar amicizia e diritto d'ospitalità ,
tanto gli fe'd'onore , quanto si facesse a pochi di
quelli che seco usavano domesticamente. Scrive Du-
ri, che divenuto grande per la vittoria conquistata
sopia Dario, levò alle lettere, che scriveva, il saluto
del yjyirM\>^ e lo riserbò nelle scritte a Focione, usan-
do questa maniera con lui solo e con Antipalro. E
ciò viene scritto pur da Carete.
E per trattare ora de'doni, chiara cosa è che
gli mandò a donare cento talenti , i quali reggen-
do portarsi, Focione domandò, perchè essendo tanti
gli ateniesi, a lui solo voleva donar tanto Alessan-
dio? E rispondendo essi: Perchè giudica te solo uo-
mo onoralo e virtuoso; replicò: Adunque lascimi pa-
role ed essere insieme sempre tale. Questi messaggie-
ri nell'accompagnarlo a casa, vedendo grandissima
semplicità, la moglie far il pane, e Focione con l'ac-
qua attinta allora dal pozzo da se stesso lavarsi i
piedi, gli fecero maggiore instanza, e si sdegnavano,
dicendo esser vergogna, che uno amico del loro re
vivesse si poveramente. Veggendo adunque Fociono
passar per la strada un povero vecchio, ravvolto in
212 .
certi lordi stracci, domandò i messag^gieri: Stimate
\oi me peggior di costui? E rispondendo essi: A Dio
non piaccia; egli soggiunse: Or non vive costui eon
meno di me, e si contenta? Insomma, accettando
tant'oro, o io non me ne servirei, e sarebbe come
se non l'avessi: o me ne servirei, e farei dire mal
di me e d'Alessandro insieme a'ciltadini miei E così
il dono riportato fuor d'Atene servì per mostrare a'
greci esser più ricco il non bisognoso dell'oro, che
il donatore dell'oro. Alessandro, sdegnato , riscrisse
a Focione con dire che non istimava amici suoi
quelli che non avevano bisogno di lui: ma né per
questo prese i tesori , e gli domandò in grazia la
liberazione d'Echecrate sofista, Alenodoro d'fmbro,
due rodii Demarato e Sparsone, ritenuti nelle carceri
in Sardi per alcune colpe; i quali Alessandro liberò
subito. E mandando Cratere in Macedonia, gli coman-
dò, che desse a Focione una, qual volesse, di queste
quattro città dell'Asia, Ciò, Gergeto, Milassone o Elea,
aggiugnendo che Alessandro si sdegnerebbe maggior-
mente, se non l'accettasse. Ma né per questo l'accettò
ancora Focione; e Alessandro poco dopo mori
Ancor oggi si mostra la casa di Focione nel
borgo detto Melita, ornala con certe piastre di bronzo,
nel restante umile e semplice. Della prima moglie
che piese, non si trova scritto nulla, se non che Ce-
fìsodoro, foimatore d'immagini, fu suo fratello. Della
seconda si racconta , che non fu meno nominala
in Atene per onestà e semplicità, che si fusse Focione
per la sua gran bontà. E una volta, trovandosi in
teatro gli ateniesi a vedere nuove tragedie, un istrione
nell'uscire sopra la scena donjandò la ntaschcra da
213
Jegina, e una seguenza eli molle damigelle ben ador-
nate per accompagnarla. Non gliene dando il capo
degli strioni, si sdegnava, e interrompeva l'udienza,
non volendo uscire. Melanzio principale di questa
gente , spignendolo in mezzo , disse ad alta voce :
Or non vedi andar sempre la moglie di Focione con
una sola fanticella? e tu ci vuoi fare il pomposo e
corrompere il costume delle donne ? Uditasi fuori
questa voce, il teatro la ricevette con lieto strepito
e battei- di palme. E questa stessa moglie, quando
una forestiera d'Ionia le mostrò l'oro, i gioielli sopra
le sue trecce e le collane, rispose: Il mio ornamento
è Focione, già per venti anni stato generale degli
ateniesi. Ma volendo il figliuolo anco egli gareggiare
a competenza ne'giuochi delle feste panatenaiche, gli
concesse Focione il farlo in quel giuoco, che si scen-
deva e rimontava a cavallo nel correre a tutta briglia,
non perchè bramasse in lui la vittoria, ma perche,
esercitando il coipo , diventasse migliore : che per
altro era il giovinetto amator del vino e disordinato.
Ora avendo egli conseguita la vittoria, volevan molti
farli convito. Focione, disdicciido a tutti gli altri, ac-
cettò la pomposa ofl'erla d'un solo. E là venuto an-
cor egli, vide oltre all'altre magnificenze portate in-
nanzi a quelli che entravano , bacini da lavare i
piedi con vino e spezierie; e, chiamato il figliuolo,
.SI gli disse: Come soffri tu, o Foco, che l'amico gua-
sti questa tua vittoria? E però volendo interamente
rimuovere il figliolo da questa vita dissoluta, lo con-
dusse in Lacedemone, e lo mise fra g^li altri giova-
netti che s'esercitavano nella maniera del vivere detto
laconico. Il che agli ateniesi dispiacque, come se dis-
214
pi-ezzasse e facesse ben picciola stima del natio co-
stucne. Onde dicendogli un giorno Demade: Perchè,
o Focione, non persuadiamo agli ateniesi a pigliar
la maniera del governo spartano? Se tu, voirai tu,
io s(m pronto a proporla e parlarne: Focione rispose:
Ben si converrebbe a te, sì profumato e di sì bella
roba ammantalo, consigliare gli ateniesi a celebrar
que'conviti in comune con tanta parsimonia e a lo-
dare Licurgo.
E in altro tempo avendo scritto Alessandro agli
ateniesi, che li mandassero galee, veggendo opporsi
gli oratori, il senato comandò a Focione che dicesse
il suo parere, che fu rpiesto: Io vi consiglio a vin-
cer con l'armi, o ad esser amici de'vincitori. A Pitea,
quando cominciò a parlar in pubblico agli ateniesi, e
riusciva molto loquace ed insolente, disse un giorno:
Deh cessa ormai di parlar tu al popolo, che no-
vellamente fusti comprato ! Ma poi che Arpalo con
gran tesori fuggito da Alessandro venne dall' Asia
ueirAttica , gli usati a far mercato di lor lingua a
gara correvano a lui, il quale con picciola parte,
rispetto alla gran quantità, adescandoli, gittò e sparse
mollo; ma a Focione mandò a donare settecenlo ta-
lenti, risoluto ancora di dargli il restante e rimetter
in lui tutto l'avere e la persona in franchigia: rispo-
se Focione aspramente, che Arpalo si pentirà, se non
cessa di guastare e corrompere la citlà: onde sbigot-
tito si ritirò. Non guari dopo facendo il senato con-
siglio, vide quelli che avean presa moneta da lui,
cangiati di pensiero, accusarlo per cancellare il so-
spetto; e Focione solo, senza aver preso nulla da lui,
con risguaido sempre dell'utilità pubblica insieme ,
215
avea qualche pensiero di sarvargli la vita. Arpalo
adunque venuto di nuovo ad osservarlo e riverirlo,
ed or per una via, ed ora per un'altra inteso a que-
sto, conobbe infine essere una fortezza inespugnabile
per oro. Ma divenuto amico e domestico di Garicle,
genero di Focione, lo riempiè di mala fama, confidan-
do il tutto in lui, e di lui in ogni aliare servendosi,
infino al darli la cura di fabricare con grandissima
spesa un sepolcro a Pitonica, concubina morta, ama-
tissima da Arpalo , di cui n'ebbe una figliuola. Il
qual sepolcro condotto a perfezione disonorò Garicle
per essere stato il magistero ignominioso. Perchè è
ancor oggi in essere nel luogo detto Erme, onde si
passa nell'andare da Atene a Eleusine, senza alcuna
magnificenza degna della spesa di trenta talenti, come
dicono essere stato il conto renduto da Garicle a Ar-
palo. Anzi morto che fu, questa bambina, presa da
Garicle e da Focione ancora , fu allevata con ogni
diligenza. Nondimeno essendo poi Garicle chiama-
to in giudizio per aver preso denari da Arpalo , e
pregando Focione del suo aiuto a trovarsi in giudi-
zio, gli disdisse con dire: Io ti feci, o Garicle, mio
genero per tutte le cose giuste. Ora essendo stato
il primo a portar la novella della morte d'Alessan-
dro agli ateniesi Asclepiade d'Ipparco, Demade disse
non doverseli credere, perchè tutto 'I mondo già ne
sentirebbe il fetore. Onde veggcndolo Focione già
sollevato a destar novità nel popolo, cercò di miti-
garlo e ritenerlo. Ma saltando molti in cattedra , e
gridando esser vere le novelle d'Asclepiade, e vera-
cemente esser morto Alessandro , disse loro : Se è
morto oggi, sarà ancor morto domane e posdomane:
216
però consigliatevi con agio , e più tosto con sicu-
rezza.
Ma quando poi Leostene sì fece , che mise la
città nella guerra de'greci, e vedevane Focione sde-
gnato, il donoandò qual bene avesse egli portalo alla
repubblica in. lanl'anni che era stato generale degli
ateniesi? E Focione rispose: Non picciolo per certo,
l'essersi seppelliti i cittadini ne'Ior propi sepolcri. Ma
parlando pure audacemente e con pompa e vanti
Leostene al popolo, Focione gli rispose: Le tue pa-
role, o giovanetto, si rassomigliano a'cipressi, che son
grandi ad alti, ma non portano fruito. E quando ad
allra occasione Iperide ii domandò: E quando, o Fo-
cione, consiglierai gii ateniesi a far gueri'a? rispose:
Qualora vedrò i giovani disposti a mantener la loro
posta nell'ordinanza, i ricchi contribuire, e gli ora-
tori astenersi dal rubare la repubblica. E maravi-
gliandosi molti del grand'esercito adunato da Leo-
slene, e domandando Focione del suo parere intorno
a cotante preparazioni: Bene sta, rispose, per corta
carriera, ma temo del lungo arringo della guerra,
non avendo la città altri denari, né navi, né soldati,
come ne rese testimonianza il fatto slesso. Perchè
Leostene in principio s'alzò ad illustre gloria per li
felici successi, avendo vinti in battaj>lia i beozi , e
rispinto Anlipatro in Lamia: e allora si racconta che
la città , colma di grandi speranze , continuamente
festeggiava a faceva sacrifizi agl'iddii per le felici
novelle. E Focione a quelli che convincerlo inten-
devano, domandando: se vorrebbe egli aver falle si
gloriose imprese, rispondeva: .sì veramente, ma aver
ancora consigliato in quel modo. E ad altro tempo.
217
scrivendo e portando sempre lieti avvisi gli uni so-
pra gli altri dalTesereito, diss'egli: E quando cesse-
remo di vincere?
Morto Leostene, quelli che temevano, Focione,
eletto egli generale e là mandato , non terminasse
la guerra, fecero levarsi in piena adunanza un citta-
dino di basso lignaggio , il qual disse , ch'essendo
amico di Focione e stato suo compagno, consigliava
a rispiarmare un tal |)ersonaggio e conservarlo, come
quello che altro simile non ne aveano, e mandar più
tosto Antifilo all'esercito. Ora, piacendo agli ateniesi
queste parole, Focione, venut'oUre, disse non essere
stato mai compagno di costui, e, che è più, non es-
sere suo domestico, ne conoscente. Da oggi innanzi,
diss'egli, chi tu ti sii, io t'accetto per amico e be-
nevogliente, poi che consigliasti l'iitil mio. Goiren-
do pertando gli ateniesi precipitosamente alla guer-
ra contro i beozi, Focione cominciò a contendere,
e dicendo gli amici che sarebbe ucciso , se voleva
opporsi al popolo ateniese: Ingiustamente, rispose, se
a loro procuro utilità; e giustamente, se farò il con-
trario. Poi che vide non allentare, ma gridar forte,
comandò all'araldo che bandisse, che lutti gli ate-
niesi da'sedici infino a'sessant'anni, pigliando da man-
giare per cinque giorni . lo seguitassero allora , al
partire dell'adunanza. Destandosi gran tumulto, e gri-
dando i vecchi , e saltando, rispose: Che cosa è ? Io,
il vostro capitano, che pure ho ottant'anni, sarò in
vostra compagnia. E cosi allora gli quietò , e fece
loro cangiar pensiero.
Ora essendo predata la marina da Mlcione con
molti macedoni e altri mercenari , e avendo posto
218
in terra a Ramnunte, e sconenclo la campagna, là
condusse gli ateniesi: e quando egli vide chi d'una
banda e chi d'altra correre e voler far l'uffizio di ca-
pitano, e consigliare a pigliar quel colle , là man-
dare i cavalieii, e qui accamparsi, disse: Oh quanti
capitani vegg'io, e come pochi soldati! Ma quando
ebbe schierata la fanteria a battaglia, alcuno trascor-
se mollo innanzi a gli altri , e poi per paura d-un
fiero guerriero che gli veniva contro , si ritraendo
fra gli altri irelTordinanza, Focione gli disse: Or non
li vergogni, o giovane, d'aver lasciato due poste, l'una
che li die'il capitano, e l'altra che li pigliasti da te
stesso ? Urlando dunque i nimici, e di forza voltili
in fuga, uccise lo stesso Micione e molt'altri. Di poi
l'esercito della lega de'greci vinse in Tessaglia An-
tipatro unitosi con Leonalo e'macedoni da lui con-
dotti dall'Asia; e vi rimase morto Leonato, essendo
capitano di falange AntiBlo, e della cavalleria Me-
none di Tessaglia.
Poco dopo ripassalo Cratero dall'Asia con gran-
de esercito, fece giornata alla città di Granone, e ri-
masero al di sotto i greci, ma con picciol danno di
morii. Oltre che non obbedivano i soldati a'capitani
che erano troppo umani e giovani, e però al primo
sforzo fallo da Antipatro conlra le lor città, fuggen-
do, vergognosissimamente abbandonarono la libertà.
Incontanente adunque, guidando Antipatro Tesercito
a Atene, Demostene e Iperidc fuggirono dalla città.
Deniade non potendo pagare alla repubblica parte
alcuna della condennagione di sette volte più del ri-
cevuto, ch'era stato convinto d'aver fallito conlra le
leggi, fu dichiaralo infame : e ancor che gli fusse
210
vietato il parlare in pubblico, pur una volta, otte-
nutane licenza, propose un decreto che si nriandas-
sero ambasciadori con piena autorità ad Antipatro
per trattar pace. Avendo paura il popolo, e nomi-
nando Focione con dire di non aver fidanza se non
in lui solo, egli rispose: Se fusse stato creduto a'
miei consigli, non sareste ora in travaglio del con-
sultare sopra affari di sì grande importanza. Vinto
il partito, fu mandato egli ad Antipatro, accampato
allora sotto Cadmea, e preparato a passar tosto quin-
di nell'Attica. E la prima sua domanda fu questa,
di concluder accordo avanti che quindi diloggiasse.
Ma rispondendo Cralero non esser giusta la domanda^
che trovandosi in terreno di confederati e amici, 1q
malmenassero e guastassero, quando posson arricchi-
re di quel de'nemici, Antipatro, pigliandolo per la
destra , gli replicò: Egli si vuol concedere questa
grazia a Focione. Il restante comandò rimettersi in
lui, come si riause egli assediato in Lamia a discre-
zione di Leostene. Tornato Fecione alla patria, gli
ateniesi stretti dalla necessità approvarono le condi-
zioni proposte della pace; e dopo questo s'inviò su-
bilo a Tebe con gli altri ambasciadori, e principal-
mente con Xenocrate filosofo, eletto dagli ateniesi ,
perchè tanta e tale era la riputazione di sua virtù,
la gloria e la stima fattane da tutti , che si pensa-
va non poter ritrovarsi arroganza, né crudeltà, né ira
sì abbarbicata in petto umano, che uno sguardo solo
di Xenocrate non ammollisse e cangiasse in gran
reverenza e onore per la sua persona. Ma egli av-
venne lutto il contrario per la rozza natura di An-
tipatro, nimico ad ogni virtù. Primieramente, ab-
220
bracciando tutti gli altri, non salutò pure XenoCia-
te. Onde si racconta che disse: Ben fece Anlipatro
ad aver vergogna in veder me solo testimonio delle
ingiurie che vuol fare alla mia patria. Poi comin-
ciando Xenocrate a parlare, non ebbe pazienza d'u-
dire: anzi, interrompendo e sdegnando, gli coman-
dò in fine che tacesse del tutto. Ma parlato che eb
be Focione, rispose Antipatro che gli ateniesi aran
pace e confederazione: se gli daranno in mano De-
mostene e Iperide: se ridurranno la loro repubblica
al governo ordinato da'loro antecessori, ove non a-
veva luogo chi non aveva un tanto di valsente: se
riceveranno guardia nella fortezza di Munichia, e
pagheranno le spese fatte nella guerra e cert'altra
somma per ammenda. Gli altri ambasciadori accet-
tarono queste condizioni, parendo loro assai umane:
Xenocrate non già, il qual disse usare Antipatro mo-
destia, se gli ricevea per ischiavi; e se per liberi e
franchi , troppa durezza. Ora non volendo Focione
accettare la guernigione, e pregando, si racconta che
Antipatro gli rispose: 0 Focione, noi vogliamo farti
ogni grazia , in fuor che oprar di maniera cho si
procacci a te e a noi la rovina. Dicono altri non
essere stata tale la risposta, ma aver Antipatro do-
mandato Focione, se posto da parte il metter guer-
nigione in Munichia, voleva egli entrar mallevadore,
che la città manterrebbe la pace senza destar novità?
e che tacendo ed indugiando a rispondere, Callimc-
donte carabo, uomo ardilo, e che odiava il popolo,
rispose egli: E se costui, o Anlipatro, vaneggia, cre-
deraigli tu, e non farai quanto hai deliberato ?
E così ricevettero gli ateniesi la guernigione
\
221
de'tnacedoni col capitano Menillo, persona onorata,
e familiare di Focione. Questo comandamento parve
superbo, e più tosto dimostrazione d'oltraggiosa pos-
sanza , che utile acquisto per gli affari suoi. E'I
giorrno ancora, nel quale ciò seguì, accrebbe il do-
lore; perchè vi fu condotta la guernigione nel ven-
tesimo giorno d'agosto, quando nella celebrazione
de'misteri mandano processionalmente l'immagine del
dio Bacco dalla città a Eleusine: talché rimanendo
confusa questa festa, discorrendo, il popolo parago-
nava le cirimonie antiche alle moderne. Al tempo
antico più avventuroso alla repubblica ebbero vi-
sioni, e ascollarono voci divine con terrore e spa-
vento de'nemici: oia essere gl'iddii spettatori nella
medesima solennità delle più svenluiate miserie del-
la Grecia, e della contaminazione del più santo
giorno e giocondo dell'anno, al presente fatto me-
morevole per la perdita della libertà e 'I più grave
danno unque sofferto. E pochi anni innanzi le sa-
cerdotesse di Dodonea avean portato alla città d'
Alene un oracolo, che le fortezze Di diana ben si
(guardassero, acciò non fusser prese da altri. E in
que'giorni medesimi le fasce , con le quali benda-
no d'ognintorno i misteriosi letti di Bacco, bagnate,
presero un color di tlapsia e smorto (i) invece di
vermiglio che doveano, e ( che fu maggiore ) 1'
altre tele de' particolari nel tignersi ebber (utte il
conveniente colore. E di più un ministro del tem-
pio, andato a lavaie un porcello in un braccio di
mare puro e netto, l'animale preso da un gran pe-
(1) Secondo il lesto (jreco doveva dire; colore sepolcrale e da
cadavere.
222
sce , e inghiottito mezzo, tutte |e parti di sotto infi-
no al venire, mostrando Iddio palesemente ad essi,
che perdendo le parti di sotto sopra! mare, salve-
ranno le parti alte della città. La guernigione per
cagion di Menillo non fu punto grave agli abitanti.
Ma infra' dichiarati inabili al governo per lor pover-
tà, che furono oltie a dieci mila, a quelli che rima-
sero, parve di patire calamità e disonori grandi; e
gli altri che abbandonarono la città per non aver
tanto di valsente, trapassati in Tracia, ebbero da
Antipatro terreni e città, e pareva, a vederli, gen-
te presa per assalto.
La morte di Demostene seguita nell'isola Ca-
lauria, e di Iperiade alle Cleone ( di che abbiamo
scritto altrove ) fu quasi cagione che gli ateniesi
amavano e desideravano il tempo, quando regnava
Filippo e Alessandro. Che si come poco dopo, es-
sendo morto Antigono, e cominciando gli uccisori
a far violenze e oltraggi a'sudditi, un contadino di
Frigia nel cavar la terra, domandato da chi che sia
che facesse, rispose piangendo: Io cerco d'Antigono;
così venne a molti in pensiero di dire il medesi-
mo nel ricordarsi dell'animo di que're quanto aves-
sero di grande e generosa clemenza e agevolezza
di perdonare, non come Antipatro, che sotto'l velo
di privata persona, di semplice vestire e vita sobria,
dissimulava la sua gran potenza, e poi odiosissimo
riusciva a'suoi, principe pessimo e tiranno. Focione
nondimeno con sue preghiere ottenne da lui per
molti il ritorno d'esilio, e altri confinati sopra a'
monti cerauni e nel Tenaro fuor della Grecia eb-
bero per lui licenza d'abitare nel Peloponneso, ias
223
fra'qu.ili fu un certo Agnoiilde, falso calunniaiore.
Nel restante governando gli abitanti dentro alla cit-
tà con nnansuetudine e giustizia, i gentili e graziosi
manteneva sempre ue'magistrali, ma a'sediziosi, a-
matori di novità, col farli languire senza aver ma-
gistrali, né occasione di destar tumulti, inse.frnò
ritirarsi a' campi e amar V agricoltura. E vedendo
Xepocrate pagar certo dazio di dodici dramme, che
pagavano al comune d'Alene ogn'anno gli stranieri,
volle farlo scrivere nel numero de'ciltadini. Ma Xe-
nocrate disdisse, allegando che non voleva aver par-
te in quel governo, per la cui distruzione era stato
ambasciatore.
E quando Menillo gli mandò ricco dono d'
oro ed argento, rispose: Non esser Menillo miglior
d'Alessandro , né migliore l' occasione d' accettarlo
ora a chi non 1' accettò già. Ma pregando Menillo
che lo pigliasse almeno pel figliuolo Foco : Se Fo-
co, rispose, mutalo pensiero, sarà con buon senno,
saranno bastanti i beni del padre; ma, come vive
al presente, non é ricchezza che gli possa esser suf-
ficiente. E ad Antipatro rispose aspramente, quando
voleva fargli fare non so che poco conveniente, di-
cendo: Non può Antipatro avermi insieme per ami-
co e per adulatore. E d'Antipatro stesso raccontano
aver detto, che di due amici che aveva in Atene,
Focione e Demade , non potè l'uno persuader già
mai a pigliar nulla, e l'altro saziare col molto do-
nargli. Così la povertà fu argomento della virtù di
Focione , e con essa nondimeno fu tante volte ge-
nerale degli ateniesi, e invecchiò fra tante amicizie
di re. Ma Demade faceva mostra di sue gran rie-
224
chczze eziandio col trasgredire alle l«{jgi. Perchè es-
sendo legge in Alene, che vietava allo straniero il
far balli, o vero che 'l capo del ballo pagasse mille
dramme , Demade , avendo condotti danzai ori tutti
forestieri intìno al numero di cento, portò insieme
la pena di mille per ciascuno, e gli condusse in
teatro. E nel condurre a casa la sposa al figliuolo
Demade disse: 0 figliuolo, quand'io m'ammogliai
con tua madre, fu sì piccola festa, che 'I vicino non
ne sentì nulla; ma nelle tue nozze ballano in com-
pagnia nostra e festeggiano pr incipi e potenti. E tem-
pestando gli ateniesi Focione, che pregasse Antipa-
tro a liberargli dalla guernigioue di Munichia, o
per non credere di persuaderlo, o più tosto per ve-
dere il popolo più temperante, e regger lo stato con
pili modestia per paura, sempre rifiutò quest'am-
basceria. Ben persuase Antipatro che non volesse ri-
scuoter di presente i pattuiti denari, ma aspettas-
se, e si facesse dilazione. Si rivolsero adunque ad
inviarvi Demade, il quale accettò ben volentieri, e
n'andò col figliuolo in Macedonia , portatovi, come
apparve, in sua mal'ora da qualche rio demone in
quel tempo che giaceva infermo dell'ultima malattia.
Gassandro, suo figliuolo, divenuto arbitro e signore
degli aflfari di là, trovò una lettera di Demade scritta
ad Antigono in Asia, invitandolo a mostrarsi alla
Grecia e alla Macedonia, i cui affari erano appic-
cati a filo vecchio e fracido, in tal maniera scher-
nendo Antipatro. Quando dunque Gassandro il vide
là venuto, le fé' incarcerare, e 'l figliuolo gli fece
innanzi agli occhi scannare sì dipresso, che 'l san-
gue schizzò nel seno al padre, e ne rimase tutto
225
lordo. Di poi, con molte ingiuriosa parole e scher-
ni rimproveratoli l'ingratitudine e '1 tradimento , lo
fece morire.
Poi ohe Antipatro sostituì Poliperconte gene-
rale delle forze di Macedonia, e Cassandro solamen-
te colonnello di mille; Cassandro nondimeno, sur-
gendo, prevenne, e presi sopra se tutti gli affari,
inviò velocemente Nicànore successore a Menillo
nella guernigione avanti al palesare la morte di An-
tipatro, comandandoli che ricevesse Munichia. Fat-
to questo, e dopo a pochi giorni sentendo gli ate-
niesi esser morto Antipatro, era incolpato Focione
e biasimato che l'avesse presentito e taciuto in gra-
zia di Nicànore. Ma Focione nulla curava colali ac-
cuse: anzi trovatosi con Nicànore, e, discorrendo,
oltre ad averlo renduto agli ateniesi mansueto e gra-
zioso, lo persuase a spendere in giuochi e feste a
trattenimento del popolo. In questo Poliperconte, che
avea sotto di se la cura del giovane re Cassandro,
e voleva torselo dinanzi, scrisse una lettera a'cilta-
dini d'Alene, per la quale notificava il suo re ren-
der loro piena libertà di ripigliare il reggimeuto
popolare, e che potessero tutti gli ateniesi reggersi
secondo la maniera usata da'Ioro antecessori. E que-
sto era un lacciuolo leso a Focione. Perchè volendo
ordire Poliperconte questa tela d'impadronirsi della
città ( come mostrò poco appresso nell'opere ) non
isperava poterlo conseguire senza cacciarne Focione.
Scacciato ne sarebbe, qualora i privati già del go-
verno per suo mezzo ritorneranno ad avervi parte:
e potran montar di nuovo in alto i somraovitori
del popolo e i calunniatori. Essendo per questa let-
G.A.T.GXXYI. 15
226
tera commossi gli alaniesi, Nicànore voleva parlar loro
in senato adunato nel porto pireo; e là venuta, rimise
la sua persona sotto la fé di Focione. Dercillo, capita-
no allora in campagna per il re, fé disegno di pigliar-
lo ; ma Nicànore, presentendo, si salvò, e di fatto
mostrò palesemente volerne pigliar vendetta sopra la
città. Focione, dell'averlo lasciato andare, e non rite-
nerlo biosimato, rispovdeva potersi allora credere a
Nicanoro, e non aspettare da lui mal alcuno: e se non
ere da crederli, voler piuttosto ricevere ingiuria che
farla. Questa risposta, ben considerala se fusse sopra
fatto appartenente alla sua persona sola, potrebbe
parere atto di gran bontà e d'animo generoso; ma
in bocca d'uno, il quale metteva in rischio la sal-
vezza della patria , che era come generale e capo
nella sua repubblica, non so se trasgredisse un' altra
giustizia e dirittura di maggior importanza e di
maggiore obbligazione, ch'è la sicurezza de'suoi cit-
tadini. Già non si può in sua difesa allegar questo,
che Focione per paura di non gittar la patria in
guerra s'astenne da Nicànore: ma che per velo ado-
prava la fede promesa e '1 giusto, acciò, portandoli
poi Nicànore riverenza, stesse in pace, e non faces-
se ingiuria agli ateniesi. E veramente altro non
parve cagion di questo, che la gran fede avuta in
Nicànore; perchè, ancorché molti rapportassero e
spiassero che macchinava inganni per entrar nel por-
to pireo, e faceva traghettar gente in Salamina, e
corrompeva alcuni degli abitanti nel porto, non pre-
stò mai l'orecchio e non credette. Anzi proponen-
do Filomelo di Lamptre un decreto, che tutti gli a-
lenicsi stessero j)resti in arme al comando del gc-
227
nerale, Focione non ne tenne conio, inflno a che
traendo Nicànore l'armi fuor di Munichia, inco-
minciò ad alzar trincee intorno al porlo. Appresso
al qual fallo Focione volle guidar fuori gli atenie-
si, ma con istrepiti e tumulti era sbefFato, Venne
poi Alessandro figliuolo di Poliperconle con esercito
in parole per aiutar la città centra Nicànore, ma
in effetto per pigliarla, se poteva, disposta allora
da per se stessa a cadere interamente. Perchè essen-
do trapelati a lui fuorusciti, entraron seco inconta-
nente nella città, e correndovi forastieri e altre per-
sone infami, s'adunò im consiglio misto di tutta gen-
te e confuso, nel quale, privato del governo Focio-
ne, elessero altri capitani: e se non fusse stato ve-
duto Alessandro parlare a solo con Nicànore ititor-
no alle mura e più volte tornarvi ( il che mise gli
ateniesi in sospetto ) la città non arebbe sfuggito il
pericolo. Ma quando poi Agnonide oratole con
gran forza accusò Focione di tradimento, Callime-
donte e Periche per temenza fuggirono dalla città:
e Focione con gli altri suoi amici restati andò a
Poliperconle, e gli accompagnarono Solone plateese
e Dinarco corintio, creduti domestici e familiari di
Poliperconle. Ma per indisposizione di Dinarco fecer
dimora molti giorni in Elatea, ne' quali, a persua-
sione d'Agnonide e per decreto proposto da i\rche-
strato, mandò il popolo ateniese ambasceria a Poli-
perconle per accusar Focione. E appunto gli uni e
gli altri arrivarono insieme a Poliperconle, che an-
dava in compagnia del re a un certo borgo della
Focide, detto Fariga, a pie del monte Acrurio, og-
gi detto Calata. E qui, fatto Poliperconle distende-
228
re un baldacchino d' oro figurato in fornria di cie-
lo, e messovi sotto a sedeie il re e gli amici suoi,
ai primo entrare comandò che fusse preso Dinarco,
e dopo tormenti ucciso ; e poi concedè licenza agli
ateniesi di favellare. Ma quando essi con istiepito e
grida s'accusavano 1' un 1' altio innanzi a quel tribu-
nale, e Agnonide, venuto oltre, ebbe detto : 0 ma-
cedoni, metteteci tutti in una trappola, e mandateci
agli ateniesi per render i-agione delle nostre azioni;
il re cominciò a ridere. Ma gli assistenti macedoni
al tribunale e' stranieri desideravan pure d' ascoltare,
e con cenni invitavano gli ambasciatori a recitar
quivi r accusa. Ma non era pari la contesa • perchè
Poliperconte, più volte l'uppe la pai'ola a Focione ,
infino a che battendo per ira la terra col bastone ,
lo fé ritirare e tacere. E avendo detto Egemone a
Poliperconte che egli stesso poteva esser testimone
della benevolenza portala al popolo, egli rispose sde-
gnosamente: Deh cessa omai di mentire conti'a a me
alla presenza del re ! Il re, levato allora di seggio,
corse per batter con la lancia Egemone ; ma Poli-
perconte lo ritenne, abbracciandolo: e così fu sciol-
ta r udienza.
E ritenendo la guardia Focione e'compagni, gli
altri amici, di lontano ciò vedendo, si nascosero, e
salvaronsi con la fuga. I presi furon condotti da di-
to in Atene con pretesto di processarli, ma in verità
farli morire. E fu questo spettacolo molto doloroso
veder trainarli sopra carri per la strada del Cerami-
co al teatro: ove condotti da Clito, furono arrestati,
infino a che i magistrati cbbei- assembrato il popolo
senza escluder da questo consiglio schiavo, o stra-
229
niero, o vii persona, per infame che fosse, e fu li-
bero il per^jamo e spalancalo il teatro a qualunque
di qualunque sesso o (condizione. Recitata che fu
in pubblico la lettera del re, nella quale si legjjeva,
che aveva ben trovato questi cittadini convinti di
tradimento, ma lasciava loro, come a liberi che e-
rano, e vivevano a lor leggi , di farne giudizio : e
Clito gli condusse loro innanzi. I cittadini migliori
alla vista di Focione si coprivano la faccia, e bas-
sando la testa, piangevano. Ebbe vi pur uno, il quale
in pie levato ardì di favellare, che avendo il re ri-
messo in mano al popolo un giudizio di sì alta im-
portanza, stava bene che gli schiavi e forestieri uscis-
sero dell'adunanza. Ma non acconsentendo il popolo,
anzi gridando che si dovesse cacciar via questo dra-
pello di pochi tiranni, che hanno in odio il popolo,
non si trovò più alcuno, il quale ardisse parlare a
favore di Focione. Egli nondimeno, con malagevo-
lezza e pena sentito, fece al popolo una tal doman-
da: Voleteci voi far morire a torto o con ragione?
E rispondendo alcuni, che per via di giustizia e di
ragione, replicò: E come il farete, se non ascoltate
prima le mie giustificazioni? E non volendo ancora
stare a sentire per questo, appressatosi alquanto più,
disse: Io confesso d'aver usata ingiustizia, e mi stimo
degno di morte per l'amministrazione del governo:
ma perchè, o ateniesi , volete far morir quest'altri
che di nulla v'hanno ingiuriato ? E rispondendo il
popolo: Perchè sono amici tuoi; Focione si ritirò sen-
za più aprir bocca. E Agnonide, tenendo scritto in
mano il decreto, lo recitò: nel quale si leggeva con-
venirsi al popolo dar sentenza sopra questi cittadini,
230
e giudicare se avevano usata ingiustizia centra la
repubblica: e se trovassero che sì, si sentenziassero
a morte. Recitato il decreto , furono alcuni d'avviso
dovervisi aggiugnere, che Focione fusse prima tor-
mentato, e poi morto, e comandarono portarsi la ruo-
ta e chiamarsi i ministri. Ma Agnonide, scorgendone
Clito malcontento, estimando ciò crudeltà barbaresca
ed empia, disse: Quando aremo in mano, o ateniesi,
un mozzorecchi fatto come Callimedonle, allora use-
remo i tormenti. Ma contra Focione non proporrei
mai cotal cosa. Qui ebbe un buon cittadino che sog-
giunse: Certo ben fai a dir così, perche se tormen-
tiamo Focione, a le che fare dovremo ?
Confermato il decreto e preso il partito, stando
tutti ritti e la maggior parte coronati, sentenziarono
a morte questi cittadini: e furono in compagnia di
Focione Nicocle, Tudippo, Egemone e Pitocle. Fu-
rono parimenti sentenziati a morte Demetrio falereo,
Calliraedonte e Caricle, e alcuni altri assenti.
Licenziata l'udienza gli condussero alle carceri.
Gli altri tutti, abbracciando amici e parenti , anda-
vano lamentandosi e piangendo: la faccia sola di Fo-
cione lieta, come soleva, quando eletto generale da'
suoi usciva di consiglio, faceva maravigliar tutti a
vederla, ammirando la sua gran costanza e grandezza
d'animo. I nimici suoi, correndogli innanzi, gli dice-
vano villane parole; ed uno d'essi, accostatosi, gli
sputò nella faccia. E allora si racconta che Focione,
rivolto a'magistrati , disse: Non sarà egli alcun fra
voi, che arresti l'insolenza di quest'uomo ? E quando
Tudippo in prigione nel veder tritarsi la cicuta si
lamentava, e piangeva sua dura sorte con dire, che
231
disconvenientemente moriva in compajjnia di Focio-
ne, egli rispose: Or tu non ti consoli di morir con
Focione ? E domandando un amico , se voleva che
dicesse alcuna cosa al figliuolo Foco, replicò: Sì cer-
to, digli che dimentichi l'ingiuria fattami dagli ate-
niesi. E pregandolo Nicocle, fedelissimo amico suo,
a concedergli il ber prima il veleno: rispose: Grave
domanda è quella che mi fai, e dolorosa; ma poi
che in mia vita non fui già mai teco ingrato, que-
st'ultima grazia ancora ti concedo. Ora avendo già
lutti altri beuto il veleno, ne mancò, e disse il ma-
nigoldo che non triterebbe altro, se non gli fusser
date dodici dramme, che era il prezzo da comprar-
ne una libbra, E però, mettendo tempo in mezzo e
indugiandosi, Focione, chiamato un suo amico , gli
disse : Poi che in Atene non si può morire senza
spendere, dà a costui questo poco di moneta.
Correva il dicianovesimo giorno di marzo, quan-
do i cavalieri han per costume di fare certa proces-
sione in onor di Giove, de'quali alcuni nel passare
si trassero le corone di testa , e rivolsero altri lo
sguardo alla porta della prigione, piangendo. E ben
parve a quelli, che non erano di cuore interamente
crudele, e non avevan l'anima intorbidata dall'ira e
dall'invidia, empio sacrilegio il non astenersi in quel
giorno e aver contaminata la città fesleggiante con
quella pubblica morte. I nimici suoi nondimeno, co-
me se non avessero soddisfatto al loro desiderio, fé-
cer decreto che '1 corpo di Focione fusse portato
fuori de' confini dell' Attica, e non s'accendesse pui'
un lume solo dagli ateniesi per seppellirlo : onde
non ardì amico alcuno toccare il suo corpo. E un
certo Conopione, usato a' simile ministerio, per prez-
232
zo che si gli diede , lo porlo olire ad Eleusine , e
preso fuoco nel paese de' megaresi, l'abbruciò. Ove
una donna di Megara, avvenendosi a sorte con sue
fanticelle, alzò alquanto di terra , sì che pareva un
monumento voto , e sparse secondo il costume ef-
fusioni funerali, e raccolte l'ossa in grembo, di not-
te le portò a casa, e sotterrò appiè del focolare de-
gli iddìi domestici con queste parole : 0 caro fo-
colare, io ti deposito appiè queste reliquie d'un uo-
mo dabbene: rendile tu a' sepolcri paterni, quando
gli ateniesi riconosceranno il fallo commesso.
E di vero non trapassò gran lempo, che avendo
r efl'etlo stesso fatto riconoscere al popolo ateniese ,
che aveva fatto morire il guardiano e 'I manleni-
tore della temperanza e della giustizia, gli alzarono
la statua di bronzo, e seppellirono a spese del pub-
blico l'ossa sue, e Agnonide infra gli accusatori suoi
fecero giustiziare. Epicuro e DemoHIo, fuggiti dal-
la città, furon ritrovali dal figliuolo di Focione, che
ne fece vendetta. Del quale si racconta, che olire al
non essere slato persona di valore, innamorato d'una
fanticella nutrita appresso un pubblico rufìlano , si
trovò per fortuna un giorno nella scuola del Liceo
a sentir fare un colai discorso a Teodoro l' ateista
e miscredente: Se non è veigogna liberare l'ami-
co di servitù, non sarà parimenti il francare l'ami-
ca^ e se non il compagno, né anco la compagna :
e accomodando queste parole come proporzionate al
suo desiderio, trasse la concubina della servitù del
ruffiano. Nel reslante il fatto di Focione rinovellò a'
greci la memoria della morte di Socrate , e fu sti-
mato fallo simigliantissimo, e pari sventura alla cit-
tà di Atene.
233
Intorno all'indole della letteratura^ osservazioni di
Carlo Sigonio volgarizzate dal can. Antonio Fazi
prof, di limane lettere nel ven. seni, e collegio
di Sinigaglia.
AVVEKTl'NZA
Il grande storico modenese , in occasione di rinnovamenlo di
sludi, l'anno looD, lej;geva in Venezia, ove era professor di elo-
quenza, l'orazione in lode ilelle umane lettere. Di questa volevamo
mettere a slampa tutto intero il volgarizzamento, ma ce ne tolsero
buone ragioni : pubblichiamo tuttavia questo saggiO; perchè ci pa
re che molto si raccomandi per la profondità della trattazione, per
la dirittura dei giudizi, e per l'importanza delle dottrine.
Vogliamo ancor che si sappia, che noi primi, per quanto ci è
noto, a trar dal latino questa orazione, abbiamo potuto far uso di
un lesto pregevolissimo {Sigonìi Opera omnia eie. Mcdiolani, 1732
— 37 , 6 voi. gr. in fogl.) ciie possiedono questi RR. PP, Serviti;
e di ciò dobbiamo saper grado alia gentilezza del padre priore Gi-
rolamo Puccini, professor di (ìlosoda in questo ven. seminario e
collegio.
11 OD vogliate porgervi creduli a coloro che già da
molto tempo sono usati a spacciare francamente, es-
sere lo studio delle umane lettere vano e frivolo ,
tutto parole, nudo d' ogni bene, atto ad educare i
fanciulli, non a crescere gli animi nelle sode e ma-
schie discipline. Io però son d' avviso che esso ha
tanta maestà e splendidezza, e racchiude tanta do-
vizia di cose e di arti leggiadre, che chi lo trascu-
ra, a me pare che disprezzi non già un' arte o una
scienza sola, ma tutto il genere umano. E tanto più
234
di buon grado, e per ragion del mio ufizio e pel
grande amore che vi porto e vi porterò sempre, vi
avverto di star bene in guardia, perchè mi accor-
go che esso viene non pure schernito dagli igno-
ranti, ma combattuto eziandio da parecchi eruditi.
Lo sciocco volgo si lascia prendere, e dirci per
poco abbacinare , non dalla bellezza e dallo splen-
dore di una facoltà, ma dal privato suo prò, e dagli
applausi profusi oggidì a chi intende allo studio di
altre arti o scienze. Quelle poi che a' nostri giorni
massimamente ammirano e coltivano gì' imperiti e i
volgari, e a cui spendono tutte le cure attorno, so-
no due principalmente, la giurisprudenza e la me-
dicina; conciossiachè per opera di queste, veggono
spianarsi dinanzi una via non tanto alla dignità delle
conoscenze, quanto a fornire le cotidiane bisogne ;
non tanto alla nobiltà della scienza, quanto alla ne-
cessità dell'arte; non tanto alla fama e agli onori,
quanto alla potenza e alle ricchezze. Di filosofia poi,
madre fecontla di tutte le discipline , se ne traggi
quel pocolino che tengono necessario a scorgerli nel-
le predette facoltà, avvisano non far punto d'uopo
apprenderne un iota.
Ma gli eruditi sono mossi da tutt' altra ragione;
essi avendo in altissimo pregio lo studio della sa-
pienza, che pongono in cima di tutti gli altri, que-
sto unicamente abbracciano e aiutano di lor favore.
Non ponno patire in verun modo chi pone V inge-
gno e r industria in quegli studii, che dai loro per
poco si scostino, e che dalla scienza del diritto pen-
sare si volgano a quella del bel dire , e guardano
e passano non si curando di loro, come di maestri
235
di un' arte frivolissima ; nel che quanto male si ap-
pongano, noi vede se non chi è uscito fuori del sen-
no. Ragguagliano i nostri tempi cogli antichi , ma
ciascheduno di leggieri si accorge quanto siano a
pezza disformi. Da prima tutti si davano allo studio
della sapienza , dal cui seno , come da larghissima
fonte , credevasi che rampollassero in certo modo
tutte le arti^ le quali diramandosi, a tutti si com-
partissero ; dimodoché, quantunque alcuno con lena
più vigorosa coltivasse questa, o alcun altro quella
parte di filosofia, nondimeno tutti miravano di ag-
giugnere alla sapienza. Quivi medesimo adunque ad-
dirizzavano i loro studi, que' che si occupavano del-
le scienze naturali, que' che davan precetti e isti-
tuzioni di morale , e quegli infine che attendevano
alle scienze civili e politiche. Questi scienziati non
tenevano a vile le arti del ragionare e del dire, che
sono le ancelle della filosofia: anzi, ponendo essi ben
mente che questa senza il conforto di quelle non
potevasi con qualche profitto trattare od intendere,
aggiugnevano colle regole e coi precetti ornamento
alla dialettica e alla rettorica. Da ciò pertanto con-
seguitava, che i cultori della filosofia erano una cosa
sola con quelli dell' arte del dire, e che la scienza
delle cose invisceravasi con quella delle parole. E
a diritta ragione; imperciocché tanto stretto crede-
vano essere il legame che annoda il cuore e la lin-
gua, che nulla giudicavano poter correre sulla lin-
gua , se prima non avesse fatto dimora nel cuore,
le parole non riuscire che a un vano suono , ove
non fossero stale le cose, né potersi aver idea delle
cose , se queste non fossero stale significate dalle
parole.
230
Ma i moderni coslunii porJ.iiono un (al dissen-
so fra le aili , che ad alcuni oi- piende vaghezza
d' investi{J[aie sottilmente le ragioni delle cose e del-
le arti le più leggiadre, altri si tengono contenti di
farsi addentro soltanto nel valore e nella forza di
ciascun vocabolo , come in men nobile studio. Né
loro entra in capo quel vero che doveva innanzi
tratto esser ben ribadilo nella mente , che quando
pressoché tutti parlavano ad un modo , non occor-
revano gran fatto le illustrazioni degl' interpreti, né
le dichiarazioni dei maestri: che tutti coll'acume del-
l' ingegno eran volti e penetrere nelle riposte ragioni
delle cose, e quelle che aveano trovate, alle lettere
e alla posterità consegnavanle : lispetto allo splendore
e alla copia del diie non si pigliavano gran fatica,
che ognuno vi conferiva quelle maniere che la na-
tura stessa meltevagli in bocca. A questi dì poi, es-
sendo venuto men 1' uso del loro antico linguaggio,
ed essendosi conservali i nobilissimi monumenti del
loro ingegno, dai quali, come da inesausta minieia,
voglionsl cavare tesori d'ogni sorta di sapienza, di
civiltà, di eloquenza , furono necessariamente ordi-
nati alcuni che sponessero gli usi e i significati non
ben chiari delle parole antiche, ed altri che apris-
sero i più segreti penetrali della sapienza.
Nel fare questa partizione, gli uomini non tan-
to ebbero occhio alla natura delle cose, quanto alla
forza dei tempi, e vollero , più che il proprio ta-
lento, la ragion seguitare. Imperciocché quello che
di sua natura a grave pena si poteva disgiungere, per
necessità e con sottile accorgimento separarono. Ve-
ro è però che non cadde mai loro in animo che si
■237
potessero intendere le dottrine dei filosofi con parole
disconosciute, o le parole degli oratori con idee non
apprese dianzi dall'intelletto.
E a mettere in capo alla genie torte e false
opinioni si aggiunse per soprassello , che quelli a
cui era commesso il carico d' insegnare le lingue
antiche, non comprendendo la gravità delle cose che
■vi si attengono. Io avessero quasi a mestiere igno-
bile, limitato a dichiarare soltanto i significati e gli
usi delle parole antiche. Intorno a che noi , a dir
vero, portiamo questa ferma credenza, che ai mae-
stri delie lingue stia non pure l'illusìrare e il co-
mentare le opere letterarie, ma eziandio le filosofi-
che per dar vita ai poeti, agli oratori, agli storici,
e per discoprire lo stupendo lor magistero, e le ma-
niere di un favellare leggiadro e copioso. Dalle qua-
li cose non volendo, ovvero non potendo, il più de-
gl'uomini comprendere quanto gran lode venga al-
l' ingegno e all' industria , accade che alcuni o-
stentano di consagrarsi interamente allo studio della
filosofia più presto che a quello dei poeti, degli o-
ratori, e degli storici, quasi che quello si avvenga
ad ingegni privilegiati e ad altissimi intelletti , e
questo a chi da natura ha sortito un ingegno s\ pi-
gro e impacciato da non potere spiccar mai un vo-
lo da terra. Nel che quanto diano in falso, ne può
far bene ragione chi ha meditato un po' l'indole e
il ricco apparato di cognizioni dei poeti, degli o-
ratori, e degli storici.
Imperciocché chi è s\ mal pratico delle cose
e s\ strano alle lettere , che discorrendo non abbia
udito dire, esserci stata una generazione di uomini.
238
che colla dolcezza del canto e coll'arraonìe del suo-
no trassero le prime genti disperse qua e là sulla
terra ( prima che si afforzassero di steccati e di mu-
ra , e che dai campi e dai luoghi silvestri conve-
nissero in un sol luogo e vi fermassero stanza), a
Stringersi in comunanze civili con certe leggi e
patti, ispirando loro l'amore alla virtù, al decoro,
all'onestà ? E chi è che non sappia , che fondate le
città, ordinate le leggi, fermati i giudizi , nascendo
spesso qualche contesa intorno all'equo e al giusto,
e parendo venire a cozzo la legge con V equità ,
il diritto colla giustizia , sia per tal modo uscita
r altra classe di uomini non ignari del diritto civi-
le , e non imperiti dell' arte del dire e del muo-
ver gli affetti, chiamati oratori , perchè in ispezia-
lità con le orazioni sortivano il loro intento, i quali
tiravano gli animi dei dissenzienti ovunque era in
grado? Da ultimo ri nfocandosi spesso nelle discordie
gli animi dei cittadini, e venendo sovente alle armi
i popoli finitimi per serhare intatti i propri diritti,
e le memorie de'falti accaduti potendo portare gran-
de vantaggio ai posteri per condursi con senno, e
mettere loro nell'animo gran voglia a conoscere le
cose patrie, chi ignora esser così surta la terza spe-
cie di uomini che fermò di tramandare ai tardi av-
venire ( togliendole all'obblio ) le origini, gli statuti
delle città, i moti intestini, gl'incendi delle guerre,
disvelando le cagioni, lo scopo , e l'ordine succes-
sivo di tutti gli avvenimenti civili?
Or s' è cosi, come avviene che si asserisca che
l'oratore, il poeta, lo storico sieno inferiori d'età al
filosofo, ogno di Esopo gli ateniesi
Una statua dicaro, e sopra base
Eterna collocalo ebbono un servo,
Affinchè noto a tutte genti fusse
Che la strada all'onor è sempre aperta;
Che non la stirpe, ma virtù &\ gloria.
Poi che 'I posto primier preso ebbe un altro,
r m'ingegnai, cotanto mi restava,
Che l'unico non fusse: e questa invidia
Mica non è, ma emulazion soltanto.
Che se il Lazio farà lieta accoglienza
Alla fatica mia, avrà ben molli
Da porre della Grècia a paragone.
Se poi M livor morder vorrà mia cura,
Pur nel segreto è forza che mi lodi.
Se al tu' orecchio il mio libro unqua pervenga,
E queste fa velette ad arte fatte
Intimamente gusti, io son contento
E lascio i lagni. Che se poi si trincia
Il mio dotto lavor da quelli, i quali
Nati sono con indole maligna
Ned altro fan che scardassare i meglio.
Con impavido cor la gran disgrazia
Sopporterò sin tanto che fortuna
Del suo fallo s'avveggia, ed airossisca.
247
LIB. III.
Prologo a Eiitichio.
Se di Fedro le carte legger brami,
Star senza impacci t'è mestieri, Eutichio;
Perchè l'animo tuo disoccupato
Possa de'versi più sentire a fondo
La viva forza. Ma rispondi: - Tanto
Il tuo 'ngegno non vai, perchè a mie brighe ■
Tolga un picciol momento. - In colai caso
Non è bello che tocchin le tue mani
Quel che importuno alle occupate orecchie
Riuscirebbe. Dirai forse: - Aspetta
Che vegna una vacanza, in cui buon agio
M'avrò a studiar senza faccende addosso. -
E che di grazia allora leggerai
L'umili cantafavole più tosto
Che prender cura degli afFar di casa,
Conversar con gli amici, con la moglie
Passarlo, e scioperarti e far tempone
Per tornar con più lena a tue faccende ?
Cangia, cangia proposto, ed il costume
Della tua vita, s'unqua suoi disegni
Delle muse varcar la sacra soglia.
Io generato nel Pierio monte,
In cui la dea Mnemosine, sgravandosi
Di nove figlie, a Giove altitonante
Partorì '1 coro delle arti, io slesso.
Ancor che nato si può dir in quella
Scuola medesma, né cui punse mai
Ingorda voglia d'arricchire, e sempre
248
Intesi a questa vita, avendo lode
Con dispetto d'altrui, pin- fra la schiera
Sono de 'vati a malincorpo accolto.
Che pensi che succeda a quello, il quale
Perdendo i sonni ognora si (apina
Ammontar gran devizie, anteponendo
Ad un dotto lavoro un bel guadagno ?
Ornai, che che egli avvenga (come disse
A Priamo Sinon allor che tratto
Fu al suo sospetto), darò mano al terzo
Libro, seguendo l'esopiano stile,
E sacrandolo a suo merto ed onore.
Se legger lo vorrai, ne avrò gran gusto :
Che se poi no, sicuramente avranno
Da dilettarsi i posteri materia.
Or mostrerò spacciatamente come
Delle fole l'invenzion successe.
Da dura servitude oppresso Esopo.
Non osando parlar liberamente.
A favole sfogò gli affetti propri,
E le accuse schivò con fìnte baie.
Io certamente il piccolo sentiero
Da lui battuto a larga vìa ridussi,
E assai più eh' e' non scrisse immaginai.
Temi scegliendo che facean meglio
A mia sventura. Che se fusse un altro
L'accusatore, il testimonio, il giudice.
Che non Sciano, starmi ben direi
Cotanti guai, ne schermo al mio dolore
Fare' con tai rimedi. Se mai nullo
Nel sospettar s'inganni, e addosso acconciasi
Un abito tagliato per chiunque.
249
I suoi rimorsi svelerà da stollo.
Pur lutla voUa a lui scolpar mi vo,n;lio;
Imperocché non njai vennemi in capo
D'appiccar zane a niuno; ma soltanto
Mostrar la vita ed i costumi in genere.
Forse alcuno dirà clic ad un'impresa
Scabrosa mi piiss'io: ma se potette
Esopo a' frigi, ed Anacarsi ai scili
Fama perenne partorir col loro
Valente ingegno, e perchè io che nacqui
In sito più vicino a' dotti greci
A scuro oblìo commettere dovrei
I/onor della mia patria ? Se la Tracia
Vanta i suo' autori; e Lino figlio a Apollo,
Ed alle muse Orfeo; il qual col canto
A sé trasse le pietre, mansuete
Rese le belve, e con forza soave
II veloce fermò corso dell'Ebro ?
Adunque via di qua, tristo livore.
Perchè invan non ti crucci. Eterna gloria
A me s'addice. Ebben t'ho ancora indotto
A leggere ? Vorre' che tu mi dessi
Col tuo noto candor schietto giudizio.
FAV. VI.
La mosca e la mula.
Una mosca fermossi 'n sul timone,
E con lai detti rampognò la mula: -
Eh quanto mai tu te la prendi comoda !
Non vuoi studiar più il passo ? Guarda bene
250
Che a questo aghetto io non il fori '1 collo. -
La Mula a lei: - Non muovomi a tue ciance.
Se temo, è di costui che in serpa assiso
Con la pieghevol sferza mi governa,
E col freno spumante in briglia lienmi.
Laonde questa tua vana burbanza
Reprimi pur, perchè da me conosco
Quando il passo v'occorre, e quando il trotto.
» Intesa cotal favola, ben puoi
» Farli le beffe di color che, privi
» D'ogni poter, van minacciando al vento.
LIE: IV. FAV. VL
Il Poeta.
Tu, saputello, il qual su'scritli miei
Vai menando la fiusta, e li sa noia
Leggere queste frasche, il libricciuolo
Pazientemente in man tieni un momento,
Finché li spiani la rugosa fronte
E in novelli coturni messo Esopo
A far la parte comparisca in scena.
Oh 1 non avesse mai lessala scure
Nell'erto giogo del peliaco bosco
Tagliato i più: ne, per aprirsi un varco
Ardito incontra a irreparabil morte,
Costrutto avesse col favor di Palla
Argo la nave che primiera i flutti,
A dannaggio de'barbari e de'greci.
Fece del Ponto inospitai palesi.
Quinci piena di lutto è la magione
251
Del glorioso Eéla, ed il reame
Di Palio a terra è volto per infame
Empietà di Medea, la qual, velando
L'indole sua crudel con arti varie,
Là con le membra del fratello sparte
S'aprì '1 varco alla fuga, e qua le mani
Delle figlie di Pelio imbrattar fece
Barbaramente nel paterno sangue
Che te ne pare ? Questo pur, rispondi
Non sa di sale, e un cerpellon dicesti.
Con ciò sia che quel Minos, il qual visse
Ben molto prima d'Argo, il vasto Egeo
Già solcò con sua flotta; e a bello esemplo
Fé risorger giustizia in tutto il regno. -
Ebben che cosa mai far ti poss'io,
0 novel Catoncino che mi leggi ?
Se in alcun modo non ti vanno a verso
Né queste favolette, né nemancd
1 tragici subietti, eh via risparmia
Alle lettere un pò le tue punture,
Se non vuoi che ti pungano più al vivo,
» Sia scritto per coloro, i quali, a posta,
» Per tór nome di sapienti, il naso
» Aggrinzano, e da dir trovan per tutto.
FAV. XVL
// piloto e i naviganti.
» De'easi suoi dolendosi un cotale,
» Questa inventò a consolarlo Esopo,
Da tempesta crudel qua e là sbalzata
152
Una nave fra il pianto de'vialori ,
E 'I timor della morie, in nn momento
Il fosco elei cangiatosi in sereno
A solcar cominciò securamente
Co'venli in poppa, ed anco i naviganti
A trasmodare per la gioia. Allora
Reso saggio il piloto dal periglio : -
Nel rallegrarsi e querelarsi, disse,
Un ritegno ci vuol, perchè la vita
Sempre è mista di gioia e di dolore. -
FAV. XIX.
La volpe e 7 dragone.
Una volpe scavandosi la lana.
Mentre sgombra la terra, e più s'interna
Col molto perforar, nella spelonca
Secreta a liuscii- venne d'un dragone
Che un occulto tesoro aveva in guardia.
Com'ella il vide: - Pregoti, gli disse,
A perdonarmi in pria cotanto ardire;
Poscia, se tu ben sai siccome Toro
Nulla faccia per me, che mi rispondi
Con tutta pace. E qual frutto mai cògli
Da simile fatica, o qual mai premio
Sì grosso te ne aspetti, perchè perda
Tuoi sonni, e fra le tenebre consumi
Tutta la vita ? - Io ninno, egli rispose;
Ma dal gran Giove fummi ciò commesso.
Adunque uè per te cica ne prendi,
Né altrui ne doni ? - Così vuole il fato. -
153
Guarda di non stizzarli, se favello
Liberamente. Degli dei in disgrazia
Nacque colui che a te si rassimigiia.
0 tu che devi gir là dove giro
I padri nostri, perchè mai ti poni
Da mentecatto a tribolar il tuo
Spirto infelice? E questo per te canto,
O avaro, il qual, facendo rider forte
Gli eredi tuoi, neghi l'incenso a' numi
Ed a te stesso il pane; il quale ascolti
Di mala voglia armoniosa cetra;
A cui la dolce melodia de' flauti
Reca tormento, e delli cibi 'l costo
Fa sospiiare, il quale un quattrinello
Per aggiungere al proprio patrimonio
Con sordido spergiuro il cielo stanchi;
II qual tutte le spese del mortorio
Vai risecando acciò che Libitina
Nullo del tuo mai guadagnar non possa.
LIB. V. FAV. V.
Il baffone e '/ contadino.
» Per ingiusto favor peccar son solili
» Gli uomini, e mentre in lor storto giudizio
» S'ostinan fortemente, astretti vengono
» Di ricredersi a pruove assai palpabili.
Propostosi di far illustri giuochi
Un cotal ricco, al pubblico l'invito
Ne diede un premio promettendo, alìine
Che ciascun qualche nuova maraviglia
254
Giusta la propria abilità facesse.
Corsero a quella gloriosa gara
I giocolari, ed un buft'on tra loro,
Pel gentil motteggiare a tutti noto
Disse di aver tal sorte di spettacolo
Che non erasi mai visto in teatro.
La sparsa voce pone tutti in moto
I cittadin. Gli scanni che un momento
Prima eran sgombri, alla soverchia calca
Non bastan più. Però sì tosto come
Quegli si fé' solo soletto in scena
Senza comparse e altri attor, Pistessa
Curiosità produsse alto silenzio.
Egli sotto la toga incontanente
Ficcò la testa, e cosi ben la voce
Del porchetto rifece con la propria,
Che sotto della veste fu creduto
Uno vero tenerne egli celato.
S'ordinò di frugarvi. Fatto questo
E non trovato nulla, oh quante lodi 1
Qual fragoroso battere di palme
Al valentuomo ! Stando li presente
Un contadino al fatto: - In fede mia,
Disse tra sé, non vincerammi 'I prode. -
E tostamente dichiarò che 'I giorno
Appresso fatto avrei la stessa prova,
E meglio ancor. Cresce la folla: ogn'animo
Già in favor del buffone è prevenuto,
E prendon posto solo con l'intento
Di schernir, no ammirar il contadino.
Escon fuori amendue. Primier grugnisce
II buffone, e fa battere le mani,
255
E risonar gran grida. Allor fingendo
Il villano tener sotto la veste
Il porchelto celato (e così era;
Ma veder noi facea, perché nel primo
Non trovar nulla ) pizzica l'orecchia
A quel vero animai che avea nascoso;
E questo la sua voce naturale
Esprime per dolor. La turba grida
Che M buffone assai più tenne del vero,
E vuole espulso il contadin per forza.
Ma quegl i dalla sua vesta fuor cava
Proprio il porchetto istesso, e con tal pegno
Palpabile provando il solle abbaglio. -
Ecco, disse, tal bestia ben dichiara
Che qualità di giudici voi siate.
FAv. vni.
La pittura ilclV occasione.
Quel calvo col ciuffetto in fronte, e nudo
Le membra, il qual co'piè tocca e non tocca
Sul filo d'un rasoio, e stassi in atto
Di correre veloce; il qual, se puoi
Afferrarlo, tien stretto, che una volta
Sfuggitoti di mano, neppur Giove
Riprenderlo polria, quegli ci è simbolo
Che l'occasion tra noi ratto si fugge.
» Gli antichi, per far si che un lento indugio
» Non impedisse effettuar le cose,
» Tale immago dipinsero del tempo.
25G
Di alcuni vizi che guastano maggiormente la nostra
favella. Discorso di Gianfrancesco Rambelli per
premi distribuiti (6 ottobre 1849).
J oichè le parole che io vi dicea lo scorso anno sul
debito che abbiamo di porre studio nella nostra lin-
gua, e di metterla in uso più universalmente, trova-
rono benigne accoglienze, mi è caduto in animo ,
che non sarò mal accetto , se tornerò a ragionare
di materia spettante all'italiana favella, che però sia
più pratica che razionale, più atta a' tempi e agli
uomini presenti che ad altro. E per ciò vedendo io
che dopo d'avere studiato con frutto la propria fa-
vella è a sapere non solo il modo di ben adoperar-
la, sia parlando, sia scrivendo, ma eziandio sono a
scansare i principali scogli , e le false vie in che
l'uomo si possa abbattere, ho determinato ragiona-
re di alcuni vizi che guastano e deturpano le ita-
liane scritture a modo da togliere ad esse o tutte
o in gran parte le loro bellezze. Nò pretendo dir
cose nuove ed insolite, ma soltanto vere, utili, e tali
che giovino a rinfrescarne la memoria a chi se ne
conosca, giovino ad eccitare a qualche buona con-
siderazionei e accennino a questi giovani la buona
via da tenere. Né mi ritrae dal farlo il conoscer che
questa saiebbe
Ben d'altr' omeri soma che da'miei,
ma libero, come sono nella scelta dell' argomento ,
nnir altro mi muove a ciò che vivo desiderio che
251
le dottrine risguardanti la lingua e lo stile si fac-
ciano più comuni ed universali oggi che spegnen-
dosi via yia i principali lunai delle lettere nostrali^
pare che la lingua \ogIia andar di nuovo in decli-
nazione, e voglia prendere a serpeggiare una cor-
ruzione grandissima. Certo è che tutti non possono
riescire scrittori, ma è a procurare che qualunque
parli o scriva il faccia meno male, e meno errata-
mente che può. Tutti dall' umile artigiano al più
alto magistrato, dal più chiaro sapiente all' ultimo
idiota, abbiamo bisogno di saper esporrti acconcia-
mente i nostri pensieri; onde avviso, che quanto di-
rò sia per esser proficuo a questi giovani , e siano
per averlo in luogo di caro e memorevol dono, giac-
ché viene a loro principalmente indirilto nella so-
lennità di questo giorno, che è uno de'più belli di
loro vita , giacché in esso la patria per mano di
questi degnissimi magistrati, alla presenza di tanti
gentili, li fregia munificamente di premi e di lodi,
tutta confidente che al sereno dell'Alba sia per ri-
spondere appieno lo splendore del meriggio: che di
nuU'allro più si onorano le patrie, che di cittadini
pii, virtuosi, dotti, ed utili.
Fate di non mancarmi di attenzione, che io ri-
posando nella molta vostra cortesia entro nella ma-
teria.
Allorquando all'aprire del presente secolo alcu-
ni sapienti si fecero ad avvisare l'immensa corru-
zione che era entrata nella nostra lingua, e la ver-
gognosa declinazione in che era venuta cadendo, si
adoperarono elTicacemente a rimediarvi: e il Monti,
il Lamberti, il Cesari, il Botta, il Giordani, lo Stroc-
G.A.T.CXXVI. 17
258
chi conobbero non essere a ciò nessun rimedio mi-
gliore, che far ritornare i traviati allo sludio de'
primi padri della favella e particolarmente di Dan-
te e degli altri trecentisti che avevano fermata l'in-
dole e la natura dell'italiana loquela. E quindi in-
sistendo sui sentieri che avevano segnati il Gozzi,
il Parini, l'Alfieri, il Varano, il Minzoni, si diedero
colla potenza degli esempi e coli' eloquenza delle
parole a mostrare quanto diversificasse la pura ita-
liana favella dal guasto e viziato parlare che avea
preso piede nelle scritture, e nel discorso degi uo-
mini d'Italia. E allora fu che i meglio avveduti co-
nobbero Terrore, in cui si versavano, si persuasero
d'aver usato a scuole false e pregiudicate- e lasciati,
i Bettinelli, i Frugoni, gli Algarolti. e i Roberti, si
volsero a Dante, al Petrarca, al Boccaccio, al Ca-
valca, a F. Bartolomeo. A vincere poi totalmente
gl'inveterati pregiudizi delle scuole, le futili e per-
tinaci opposizioni de' male usati, dopo la disserta-
zione e il vocabolario del p. Cesari, vennero ultime,
ma di possenti armi fornite, la Proposta del Monti,
e le opere del Perlicari, quando già fiorivano molti
e molli bei scrittori, il Montrone, il Costa, 1' Arici,
il Grassi, il Farini, il Colombo, il Marchetti, il Vii-
lardi, il Parenti, il Betti, il Biondi e somiglianti.
In mezzo però alla gaia rinata fia' viventi di
far risorgere la pura italica favella, e rimetterla in
onore e in uso, furono alcuni, che troppo si fecero
ligi a' trecentisti , troppo si affezionarono a voci
antiquate e dismesse, troppo foggiarono il lor pe-
riodare sul Boccaccio, troppo amarono i provverbi
e le fiorentinerie più smaccate de' comici e de' no-
259
vellieri toscani. Né io ricordeiò la . . . carogna^ né
il far del seco , nò Vamlar del corpo , per morire,
ne il cacasangue e il jwtenzUerra resuscitali, né la
dassaiezza Vaccalugnarc^ il cliente^ la rinomèa, e il
co7iciocosafossechè, e V avvegnadiochè, e il mar sot-
tano ; che quantunque voci
Grommale di fuligine, e di muffa
eran ) qui honores maiiisiralus lUc gerendo prae-
stare debent officia civibus , fanicnda sitnl veslibula regalia, alla
atria, et perisHjUa amplissima, . . . ad decorem miicslalis jurfectae:
praelcrea bibUothccac, piiiacutliecae , HASILIC.J/J , non dissiìni!-
modo qnam publicorXim opcrum ìtuigni/icoUia comparatue , quod
in domibus ev.rnm saepius ci publ.ira Consilia et privata iudicia
arbilriaqne coi-flciunttir. Se le basiliche dovevano, secondo Vilrn-
vio, l'are parie della abitazione ione di martiri, sa-
rebbe stato meglio di chiudere perfettamente <[uella cappellina e tor-
nare all'arcibasilica lateranense in tutta l'integrità il suo unico e
singolare pregio ciie la distingue dall'altre patriarcali, non che ila
quelle di tutto l'orbe, di non avere co»i/"es*(0)ic, vale a dire santuario
di reliquie de'martiri sotto la mensa, perch^ il suo grande santuario
è l'altare ligneo del principe dejl apostoli.
5i1
ne regola fa toccare con mani che il pregio singo-
lare unico ed esclusivo della basilica lateraoense è
quello che si celebri in essa la divina sinassi su
quello stesso idenlilìco altare, su cui aveva celebrato
il divino sagrificio l'apostolo Pietro e i suoi succes-
sori; eccezione che non è stata recentemente indotta,
ma è quella slessa del tempo di Evaristo, il quale
dalla legge comune dei titoli, a'quali presiedevano
i preti intorno l'altare lapideo, esentò il luogo dell'
adunaza del vescovo dove si prosegui ad usare l'al-
tare di legno.
Questo altare nella basilica lateranense, in man-
canza delle reliquie degli apostoli e dei martiri, con.
stituisce il sancta sanctoriim di questo primo tempio
cristiano, come Parca del testamento dell'antica al-
leanza, dopo essere stata trasportata da un luogo al-
l'altro nelle diverse stazioni del popolo ebreo, aveva
formato il sancia sanclorum dell'unico tempio sulla
terra dedicato da Salomone al Dio vivente.
Quivi da Silvestro fino a noi è stato sempre
custodito quell'altare sagrasanto, e nelle varie ruine
ed incendi, cui fu sottoposta nel corso di tanti secoli
la basilica lateranense, sempre per divina provvidenza
si è serbata illesa ed integra quella lacera arca di
legno vincitrice del tempo e della barbarie. Altro
argomento della sua autenticità è quello che da Sil-
vestro tino a noi ninno fuori del romano pontefice
possa celebrare su di essa l' incruento sagrificio,
per riverenza appunto di Pietro e dei suoi saali
successori che su di essa lo celebravano: privilegia
che quindi venne comunicato agli altri altari mag-
giori delle basiliche patriarcali sull'unico esempio del-
312
la basilica lateranense : e quante volte uno dei car-
dinali della s. romana chiesa per ordine del ponte-
fice vi celebra in sua vece, come nei tempi passati
vi celebravano i cardinali dell'ordine dei vescovi che
quali ebdomadari ofììciavano per turno quella basilica,
deve ottenere il permesso dallo stesso sommo ponte-
fice per mezzo delle lettere apostoliche in forma di
breve da valere prò unica vice tantum^ per non in-
trodurre alcuna consuetudine in contrario.
Alcun di voi mi dice: E' poi veramente l'altare
ligneo lateranense 1' identifico altare su cui celebrò
Pietro i suoi successori? Io sono bene contento di
avere dimostrato che la tradizione immemorabile, che
Pietro celebrasse su di un altare ligneo portatile, non
trovasi in opposizione con la storia e le primitive
costumanze della chiesa romana: che anzi da queste
prende un carattere di verità. Che poi questo sia l'i-
dentifico altare, mi rimetto al giudizio di Benedet-
to XIV. Questo pontefice nella sua aurea opera De
servorum Dei beatifìcatione et canonizalione^ lib. 4.
part. 2. cap. 25. art. T, decreta che quando una re-
liquia da tempo antichissimo riscuote il culto dei fe-
deli con non mai interrotta tradizione, della sua au-
tenticità scienti e consenzienti i vescovi e i sommi
pontefici, deve questa ritenersi come autentica, es-
sendo sufficiente per decidere dell'identità delle reli-
quie la morale certezza.
L'augusto nostro signore papa Pio IX, nell'occa-
sione del restauro splendidissimo che fece teste del ci-
borio e tabernacolo che cuoprono questa veneranda
arca, ha ordinalo che fosse inclusa in un nuovo altare
di marmo che imitasse lo stile e del tabernacolo e
313
del ciborio, in modo che la mensa venisse formata
dalla nuda tavola dell'arca: osservando in ciò scrupo-
losamente l'esempio dei suoi antecessori, ai quali
non volle essere inferiore nel rispetto e venerazione
verso quell'altare, su cui il principe degli apostoli
avea oft'erto la vittima di salute.
— •-*-*-«-*^^^i^,^^>^--*-*-«-»—
314
Sul colle tihurtino. Lettere di Stanislao Viola al eh.
cavaliere Salvatore Betti [Continuazione.)
LETTERA VI.
Del culto del Dio Mitra in Tivoli , e del tempio di
Antinoo detto volgarmente della dea Tosse, ed
erroneamente del Sole.
Signore Cavaliere onorandissimo.
U n bel graffito dà motivo a questa lettera, il quale
ci reca il dio Mitra in piccola tavola da me posse-
duta, alta palmo uno e 3^, larga 1-04, ritrovata non
è molto immurata in una fabbrica dove fu già il
nostro tempio di Ercole; ed è veramente un peccato
vederla mancante alla diritta di chi la osserva. Ri-
trarrallo V. S. nel fac-simile , che disgiunto dalla
lettera le invio. Farmi l'artista abbia eseguilo il suo
lavoro con assai maestria: tanta è la precisione, che
usò nel ritrarre il complesso della cosa rappresen-
tala, in particolare la persona deificala al di sopra
del mistico toro, la cui testa tiene con la manca, e
con parazonio alla man deslra lo scanna. Sul capo
ha il berretto frigio , nel resto della persona veste
lunga alla guerriera, sotto del toro il cane o il co-
niglio, il serpente, lo scorpione; da un lato il corvo,
altro scorpione, piante di palme, una scure; dall'al-
tro una face raccomandata forse ad un putto o ge-
nietto, come appunto si rileva in altro mitra impres-
so in una insigne gemma riportata dal Passeri (1),
(1) Gemme aslrifere, lav. CL^XXIV.
315
che col rimanente ci fura la rottura del marmo. Man-
cano gli emblemi del sole e della luna , che esser
dovevano nella parte superiore, dove parimente sem-
bra rotta la tavola. In somma vi si osservano i sim-
boli, che dalla storia mitologica e dai bassirillevi
appariamo rappresentare siffatto nume.
Non mi fo a tessere la spiegazione dei men-
tovati simboli (1) per non ripetere cosa da altri già
dichiarata, fra'quali diffusamente monsig. Filippo della
Torre (2), il marchese Maffei (3), e in tempi a noi
non lontani il P. Tito Cecconi di eh. me. in una
dotta dissertazione, inedita ancora, letta in adunanza
archeologica, di cui ella con tanta lode in assai eru-
dito intertenimento un giorno mi favellava. Nondi-
nieno a farmi strada allo sviluppo di alcuna idea
sulla storia teologica di mia patria, m'avviso oppor-
tuna cosa di premettere , che Mitra è il nome del
sole de'persi; che origina dalla voce persica mihr,
(1) Un cenno pei meno sapienli, che ritraggo da più autori.
Mitra sarebbe il fuoco; il loro la terra, ovvero la materia che re-
ca io grembo i semi di tutte cose, e Mitra dio maschio e demiur-
go, sgozzandolo, apre la via alle acque l'econde: ovvero astronomi-
camente. Mitra è il sole generante portato dal toro equinozi.iie. Il
loro e lo scorpione indicano i due equinozi. Il cane figura il prin-
cipio buono, secondo il magismo: onde solevano condurlo al letto
de moribondi. Il serpe è emblema di Ariman, come la formica. Nei
monimienli mitriaci noi troviamo rappresentato il globo del sole, la
clava, o scure, il toro, simboli della suprema verità, della suprema
attività creatrice, della suprema l'orza vitale: trinità di cui parlano
gli oracoli di Zoroastro, e che consuona con quella di Platone, che
è il bene supremo, il verbo, e l'anima del mondo, con quella di
Ermes triinegisto, che è lume, intelligenza ed anima: con quella di
Porfirio, ch'è padre, verbo, ed anima suprema.
(2) Monum. ant. p. 11. pag. 137 e segg.
(3) Dissert. accad. Cori. tom. IV.
316
sol^ dai ^,vec\ commutata in Mt^p-xg, o MtBorj;', che
il culto (li questo nume dnH'Ejiitto passò alla Persia,
lutto che altri vo{>Iia, che dalla Persia movesse all'
Egitto; che al tempo della {guerra parlica (687 di
Roma) condotta da Gn. Pompeo, dalla Persia passò
in Roma (1; ; che come in Persia , così in Roma
era venerato in una grotta o spelonca : Mithrlaca
item sacra in subterraneis peragchnntur (2) ; die
il suo culto durò in Roma assai tempo, e sotto l'im-
perator Commodo più che in altri tempi ebhe ve-
nerazione, come si ritrae dagli scrittori latini, e dai
marmi (3) ; che al 378 di Cristo, Gracco prefetto
di Roma tolse lo speco e tutti i simboli poitentosi
di mitra, e ne riscosse gli elogi di s. Girolamo (4);
che nonostante il volere del mentovato prefetto, per-
severò esso culto , per quanto ne dicono coi citati
scrittori, i Zoega e Reinesio, fino al 391; che il no-
me di Mitra fu usurpato ancora dai sacerdoti d'Isi-
de, divinità egizia; che divenne parimente cognome
di alcune genti romane, come nella Gurtia (5), quel
C. Anlilius Mithra centurione della seconda coorte
de'vigili sotto Caracalla (6), e quel Calpurnius Mi-
thres di un marmo romano (7)
(1) Plutarco in Ponip. e. 24.
(2) Cori, Iscriz. dall'ani. Elr. lom. I. p. 113.
(3) Cfr Marini Fr. Ar. p. 354.
(4) S. Hieron. Ep. 57 ad Laetain: « Spccum Mithrae et omnia
portentosa simulacra, quibus Corax , Niphus, Miles, Leo, Perses ,
Jlelius, Bromins Pater initiantur, subvertit , fregit, cxarsit. Cod.
Theodos. in cod. Theodos. Golhofr. t. VI, p. 364.
(5) Pighio^ Annali di l\oma: « Mithres cognomentum Curtiac
gentis.
(6) Grutero p. 269. 3.
(7) Id. p. 1140. 3.
317
Se pertanto questa divinila persiana fu venera-
ta in Roma per lo spazio di circa 458 anni, non
è da onaravigliare che di tratto In tratto vi si sia-
no ritrovati assai marmi (1), e che correndo i detti
anni si litragga comunicato parimente alle provin-
ce , ai municipi, alle colonie (2). Tivoli ne dà ar-
gomento nei nostro graffito, che alla maniera di tanti
altri monumenti di tal fatta, reca i suoi simboli, ed
una iscrizione la quale di assai si avvicina a quella
ch'era impressa in un simulacro mitriaco ritrovato
in Koma sub Ara Codi in Capitola parle^ quae aqui-
lonem spedata lemplum (i. e. spelaeum) suhterraneum^
ubi Milhrae simulaermn perelegans et magnifìcum ,
siccome dice il Grutero (3). Di vero nel ventre del
loro del nostro graffilo si ha DEO SOLI INVICTO
MITUHE, e nel monumenlo romano si hanno !e pa-
role istesse, tranne la 8 e l'I in SOLI, che nel giaf-
(ìto è convertita la prima in un sigma minuscolo ,
e l'altro in I parimente minuscolo; l'aspirazione è
posta dopo la II anzi che dopo la T ; manca come
in quello di Roma la lettera A per formare il dit-
(1) !tl. p. 33. 11. 8. 9. 10, p. 3i. n. 2. 3. 6, paj;. 3o. n. 1. 2. 3.
(2) hi. p. 33. 11. 11. pa[;. 34. n. 1. 3. 7. e 10.
(3) Pai{. 3'i. 6. — Pii\ parlicoliiriz/.alo è l'orse laitro. che reca
al num. 7. ritrovato Jiomae in acdibus Jllerìorum ad sanclum Mar-
ciiìtì. — MI ri [li A veluti inipe excavata stai, dcxtra cultrum mon-
straiis, sinistra nescio quid ferens: tuurnm subslratuni calcai, dextro
intcr corniin, sinistro pcde in terg > {josilo. Sub tauro serpcns et
(iliud animai vnnicitlo sim'le. Ad duxlrum sol radialus insculptus
est, et sub eo leo, palma, corvns, scorpius, et puer mitliratus , eo-
que quo ipse Millira luibilu succinclus, facem crectam tcnens. —
Ad sinislram luna, cornna in liumcris gcrvns, ctiam usque ad pectus
inscìilpla est, sub qua gallus, palma aquila fulmen tcnens, et virgo
in anlro cubito innixo dormiens.
318
tongo. Omissioni e permutazioni non rare, tiovan-
dosene assai esempi in altri monumenti scritti (1). Nel
collo del toro in entrambi si legge NAMA SEBE-
SIO. Nel nostro è precisamente irc presso sotto la fe-
rita, donde scaturisce il sangue. Quel NAMA si rav-
visa qual voce siriaca, o persica, e pare voglia si-
gnificare pax, salus, o altra somiglievole parola. Al-
tri crede vedervi il v«^a a^^xCiov, liquor venerabilis
(Dei) , sotto il quale aspetto sembra vi si addimostri
la grande superstizione, che si aveva per questo nu-
me, il cui sacrifizio consisteva Dell'immolare un toro.
E si ha come una delle molte crudeltà di Gommo*
do, siccome ci narra Lampridio scrittore della sua
vita, che per rendere alla verità pratica quel timo-
re, che in apparenza si aveva, o si fingeva avere
nella uccisione del toro, ebbe la malvagità di ucci-
dere un uomo all' occasione dei sacrifizi mitriaci :
Sacra mithriaca. dice quel biografo, hoinieidìo vero
poUuit^ cum illic aliquid ad speciem timoris vel dici
vel fingi solcai. Nella coscia destra é impresso AMt-
2VS SERONENSIS, come in quel di Roma sul ven-
tre C. C. AVFIDll lANVARIVS; nomi senza meno
di coloro, che si adoperarono della dedicazione del
monumento.
Il vedere ritratto in graffito il dio Mitra, parmi,
sia, per quanto io sappia, cosa nuova. Il Winckel-
mann disputando di questa divinità non mai favella
di graffiti, ma soltanto di bassi rilievi, e reca pre-
cisamente quelli , de' quali facevano mostra al suo
tempo le ville Albani , Borghese, e Negroni : ed è
(1) Marini, Fr. Arv. p. 340.
319
di avviso , che lavori di tal falla sono di apparte-
nenza ai tempi de'cesari, eseguiti da artisti greci o
romani, come la veste, e lo stile chiaramente dimo-
strano (1). Appariamo dall'Olivieri (2) essere in Pe-
saro una tavola milriaca, o taurobolica, in vetro lar-
ga due palmi e mezzo romani , ed uno di altezza,
poco più grande in larghezza del nostro graffito: ed
il marchese Maffei giudicò essere la più impoitante
di quante se n'erano vedute lino al suo tempo, poi-
ché rilraevala carica di maggior quantità di simboli,
di una lunga ed erudita iscrizione , e coi consoli
Fabio e Simmaco dell'anno 391 dell'era volgare (3):
ultimo anno, secondo i summentovali Zoega , della
Torre e Reinesio, della durata del culto di Mitra.
Né sono lontano dal credere che il graffito tiburtino
possa parimente appartenere a questi ultimi tempi.
Alla qual sentenza mi trae vivamente il considerare,
che il cullo di Mitra, per volontà di chi in Roma
reggeva la pubblica cosa , ne'menlovati tempi mo-
veva verso il tramonto; era per ciò cosa ben natu-
rale, che quell'interdetto impedisse agli scultoii di
lavorare le grandi tavole per lunga stagione e in
pubblico, che lo rappresentavano. Niuna maraviglia
pertano, che gli artisti a contentare l'abitudine re-
ligiosa de'devoti, qualunque si fosse, erano intesi di
adoperarsene celatamente con imprimerlo o in pic-
cole tavole o nei vetii.
Lasciando pero agli scrittori della storia figu-
(1) Cfr Winckelmann, St. dell'arte voi. I. p. 332 e segg. Ed. di
Prafo.
(2) Olivieri, Alcune ant. crisi, coii.s. in Pe.saro p. 33.
(3) Maffei, Oss. lell. l. V, art. Xil. p. 180.
320
rata quel molto, che si potrebbe dire intorno al no-
stro monumento, m'avviso di favellare di alcuna co-
sa, che può essere utile alla storia del luogo, cioè
a dire del tempo, in cui il culto del dio Mitra può
aver cominciato ad avere stanza in Tivoli: della qual
cosa niuno scrittore parrai si sia occupato fino al
presente: ad un tempo, in quale guisa fu inteso per
lo passato qualche monumento, che ne parlava , e
quali errori ne originarono.
Il portare l'animo investigatore ai tempi della
repubblica romana, è un perdere il tempo : non è
alla stessa maniera in quei dell'impero, in cui per
un marmo tiburtino, che recherò fra poco, parmi di
vedere non poca luce. M'avviso però d'avvertire in-
nanzi tratto, che non si debbe confondere il culto
del dio Sole con quello del dio Mitra^ tutto che i
persi sotto questo nome, siccome è detto, intendes-
sero il Soie. Intorno al maggior pianeta è scienza
non contraddetta, che presso alcuni popoli v'ebbe
nomenclatura svariata. Gl'illiri per esempio, e quei
della Pannonia adorarono il sole, ma lo addoman-
darono Beleno ed Apollo , gli emiseni Malaeabalo
[quasi regem Beluin)^ ed i persi, com'è detto, lo chia-
marono Miirn^ cui aggiugneremo i babilonesi e gli
assiri, che lo addomandarono parimente Mitra (i).
Ognuno però di questi popoli avevane culto diverso.
In Roma v' ebbe il culto del sole, ma non si
sa con precisione il tempo, in cui fuvvi introdotto.
Da Tacito impariamo, che a' tempi di Nerone esi-
steva nel circo massimo un antico tempio dedicato
(1) Gori, Iscriz. dell'ani. Etriiria lom. I, p. 113.
;{2J
al sole, cui per la conj_{iura scoperla di Subiio Flavia
e (Je'cenlurioni furono resi rinjjiaziamenli solenni (1).
Dal Wilckelmann e da molli altri autori si sa pari-
mente , che l'imperatore Aureliano ve ne fabbricò
uno di una magnificenza quant'allra mai (2^; il che
fece, secondo alcuni, perchè originava di Pannonia,
secondo altri, perchè la madre n'era saceidotessa (3^.
Sotlo il nome di Mitra fu anche adorato in Roma,
e già è detto segnar l'epoca della guerra de'paili sotlo
Gn. Pompeo: e dai monumenti è veduto , che vi
conservò la costumanza persica di venerarlo in una
caverna o grotta appo del Campidoglio, ed apparia-
mo dallo stosso Wincekimann sull'autorità de' più
itntichi fra i greci sciittori, che |:»resso quel popolo
il Mitra non aveva né templi, né altari ^4). Intorno
a questi ul'.imi sembra in Roma, come da' marmi,
soggiacesse a variazione.
Appunto perchè si è omesso d'avvertire la di-
versità fra lo dio Sole, e lo dio Mitra, vediamo che
il nostro buon Sebastiani a p. 127 della sua opera
è caduto in un errore non piccolo, produttore di
confusione. Intento egli a provare la esistenza in
Tivoli del da lui ci'eduto teiìijjiu del Sole nel mo-
fiiimento, che corre sotto la volgare denominazione
/Iella Tosse , raccomandava la sua scoperta ad una
iscrizione, che favella evidentemente del dio Mitra,
(1) Tum decreta dona et grnles deli, prnpriu.'• Mediiilani in ianua s. Jìrìbrosii , porla vcrcel-
lensi: Ti. SI. M i P. ACILIVS. PISOMANVS ii PATER. PATRATVS =
QVI. HOC. SPELEVM. VIOL || IGMS. APSVMPTVM (sic) || COMPA-
RATA. AREA. A. REPVBL || MEDIOL. 1>ECV.NIA. SVA || RESTlTViT.
(3) .'Mire formule somiglievuli a questa si hanno in pit\ lavote
votive, come ex iussu, ex imperio, ex praecepto, ex monitis, visti
monitus, s'inleode, sempre di qualche divinila. Cfr Furianello lap.
«»t. p. 26, e se»{». not- 3. In quanto alla l'ormula del nostro marmo
potranno vedersi i due marmi del Muratori p. i, n. 1, ià^ e duo
del (irntero p. 32, n. 3; 1013. 3.
326
un furbesco sacerdote (eJ bollo per certo), il quale
abusando della credenza delle buone genti , dava ad
intendere per trarne lucro, esser questa o quell'altra
la volontà del nume , che asseriva originare dalle
visioni, o da'sogni avuti da esso (1).
Per le cose Hn qui esposte, non vi essendo no-
tizia più antica di questo marmo , parnii si possa
concludere, che il culto del dio Alitra sia stato in-
trodotto nella terra nostra non prima deli'879 di
Roma, 125 dell'era volgare, anno in cui Adriano
tornato dalla prima sua pereg rinazione ordinò, se-
condo la sentenza dei più, la costruzione della villa,
(sebbene i bolli dei mattoni del 123 e del 124 ne
facciano dubitare (2j), né dopo l'891 — 137—; anno,
che precedeva la morie del mentovato imperatore,
ed in cui, è sentenza comune, giungesse al compi-
mento. De! qual \evo siamo assicurati non tanto da-
gli storici, fra' quali non v'ha opin one concorde (né
è questo il luogo di favellarne), ma dai bolli dei
mattoni ritrovati fra i grandiosi luderi di que'fab-
bricati, coi consoli del 123, Q. Articuleio Pelino e
C. Veouleio Aproniano; del 124, Glabrione e Tor-
quato; del 130, Calullino ed Apro; del 134, Ser-
viano e Vero ; e del 137 L, Elio Cesare Vero e
(1) Vedi la nota a p. 14, del Muratori:
(2) Questa piccola rlilFerenza di anni può nascere dalla diversi-
tà delle nòte cronologiche^ giacchf! v'ha chi pone il ritorno di A-
driano all'anno 124, e v'ha parimente chi determina i consoli che
recano pei bolli la data non del 123, ma del 124: potendo anche
essere, che dei mattoni di detti anni si fosse fallo uso negli anui
successivi.
327
P. Celio Balbino (1^. Ciò non ostante al considerare
che il culto tii Mitra era divenuto fanriigliare in Ro-
ma nel tempo di cui si Favella, non è fuor di ragio'
ne che Adriano ne facesse fabbricare la caverna
ne'prlrai anni della costruzione della villa. E natu-
ralmente dalla villa adriana quel culto si sarà co-
municalo agli abitanti del municipio, e ne è argo*
mento il prezioso nostro graflilo.
Provata di simil guisa l'epoca in cui fu intro-
dotto iti Tivoli il cullo di Mitra , non ispiacerà di
litrovare, se fia possibile, l'altra della ricostruzione
della caverna, e ad un tempo quella della incisione
della epigrafe. L'adoperarsene però con precisione,
non è cosa si agevole, né pasto pernici denti: nul-
ladimeno sol per tentativo ne dirò qualche parola,
lasciando ai dotti una sentenza migliore Tenuta per
fermo la sua costruzione all'epoca delia villa di Adriji-
uo; perchè ne avvenisse la bisogna di ricostiuirla,
doveva fuor di dubbio essere trascorso un tempo no-
tabile. Se poniamo mente alla iscrizione, parnii, sen-
za tema di errare, non abbia la semplicità de'buoni
tempi. Ridonda di parole: e la espressione, che addi-
la il sogno o del sacerdote, o di Vittorino , non è
forse di troppo prolungata ? E quel niimini prae-
senti\ e quel dedicavUque^ non indicano per avven-
tura un metodo di scrivere dc'tempi non aurei ? Po-
trebbe aversi in pensiero l'impero di Commodo, sot-
(1) Dai citali tjolli, prescindendo anche da quel ciie ne dice
Sparziano (in Hadr. e. XXII), si deduce essere erronea del UiUo la
sentenza di coloro, che fissano la costruzione della villa adrian»
nel giro di un anno.
328
to del quale è detto che il culto di Mitra era a.ss.ri
venerato; il che si ritrae dagli storici, e quel che più
monta dei marmi, e, fra i molti, basti ricordare quel-
lo votivo, che si ha in Firenze, in cui è segnalo il
consolato del mentovato imperatore e di un Vitto-
rino del 183 (1). Parrni però sia troppo corto il
tempo per avvisarlo bastevole a rovinare una fab-
brica, tranne il caso di eventualità. Ciederei adun-
que più opportuno di scendere a'tempi da noi meno
antichi. Impariamo da Tiebellio Pollione, che sotto
l'impero di Valeriano e Gallieno, ch'è quanto dire
dal 253 al 268, mentre il primo si adoperava dei
grandi negozi della guerra persica, e l'altro viveva
in una dappocaggine effeminata, Uoma fu veduta mi-
serandamente oppressa da trenta tiranni, l'uno pres-
so l'altro. I tiranni quinto e sesto fuiono i due Vit-
torini padre e figliuolo, dei quali il Vaillant reca
■varie monete (2). Il mentovato istorico , favellando
del giuniore, ci rapporta : De hoc ni/iil atnplius in
lileras est relalum quam quod nepos Victoriae^ Vi-
etarmi fdius fuit^ a palre et ab avia sub eadem liora,
qua Victorimis interemptus , caeòar iiuncupatus esl^
ac slatim a mililibus ila oecisus. Extaiii dcnique se-
palerà circa Agrippiiiani brevi marmare impressa hu-
milia^ in qiiibus unus est inscriptiis: HIC DUO VI-
OTORINI TY RANNI SITI SU NT. Si sa che il servo
nato in casa domandavasi verità^ e che per lo più
prendeva il nome del suo padrone. Il che non con-
traddetto, conghietturo, che il VICTORINVS CAlv
(1) Cori, Iscriz. tlellaritica Etruria toin. I, p. 112. 93.
(2} N'aillanl, .Num. Inip. toin. 3, p. \\ v sfg.
329
Saris Nostri VERNA potesse essere un servo nato
nella casa dei mentovati cesari tiranni, chiamati Vi-
ttorini^ e che mentre n'era l'economo, DISPENSA -
TOR., si adoperasse di rifabbricare la grolla del dio
Mitra. E come è da inferire, la villa di Adriano fu
anche occupata dai tiranni all'epoca di Gallieno, e
piecisamente nei tre primi anni del suo impero,
giacché Vittorino padre, secondo il citato Vaillant,
durò questo tempo nella tirannia, cioè dal 260 al
263. A questi anni pertanto , se non falla la mia
conghiettura, m'avviso di detei'minare la ricostruzio-
ne della spelonca mitriaca tiburtina, e parimente la
incisione della epigrafe.
Dalle cose discorse è da ritrarre, a mio avviso,
che il dotto Sebastiani piendeva un bel farfallone
invocando il marmo mitriaco della villa adriana per
provare, che fu introdotto a Tivoli il culto non del
dio Mitra, ma del Sole^ e ne argomentava assai gros-
samente, che il tempio summentovato della dea Tos-
se non ad altri era dedicato, che al Sole. A cor-
roborare poi la sua sentenza recava il seguente epi-
gramma inciso in un marmo ritrovato, secondo An-
tonio del Re, presso di esso tempio (ì ) :
ANTINOO . ET . BELENO . PAR . AETAS . FORMAQVE . PAR . EST
CVR . NON . ANTINOVS . SIT . QVOQVE . QVI . BELENUS
Q . Sir.VLVS
Il quale ci contesta ad evidenza che Quinto Siculo
(1) Del Rp, Ant. Tib. cap V. par 11. p. 87 e. se g V. il Mura-
tori 2V 6, e l'Orelli n. 82:5.
.330
aveva il suo jDcnsiero non ad altri tlireUo, che ad
Anliiioo; ed anialiè la venerazione luverso di lui fosse
più salda ed aUraeale, lo assomigliava al dio Sole de-
gl'illiri e de' pannoni , che lo dei;ominavano Bale-
no (1) ; ponendo a base la ugual ianza di età (for-
se perchè io si dipingeva in tavole , o scolpiva in
marmo setupre giovine (2) ) e di bellezza (secondo
la fantasia de'pagaqi, s'inlende ) , per quindi discen-
dere alla U[jualianza di ragione. In sodlanza con le
(1) Lo slesso Sebasliani (1. e p. 126) si fa a dire, ohe » U Soie
» era ciiiainalo dai greci Eeknoi , pereti.^ colie lettere, che com-
n pongono la parola BiSAKNOS (sic) rivolle in cifre numer'che,
» computando insieme i numeri corrispondenti, ne risulta il totale
» di 363, quanti appunto sono i giorni che compongono l'anno so-
» lare « e ne raccomanua la scoperta, che chiama ingegnosa, allo
Schedio (de Diis Germ. syntagmà 1. cap. VI). Io m'oppongo alla
ingegnosa scoperta, perchè contiene un errore massiccio, sn di che
m'appello ai grecisti. Non so poi come ai greci si voglia attribuire
il Bclenos , sotto il qual nome 1 adorare il soie fu proprio delle
province di Germania, dell' llliria , e della Pnnnonia. Sul Mitra
de' persiani non mi spiace di rif'-rire a questo proposilo quello
»i ritrae dalla dottissima dissertazione VI[I. p. 149 dell' Oderi-
co, parendomi assennala , come quella clie combina a capello
col giro del sole; cioè a dire, che il celebre A'oraxas de'basilidiani
è una cosa stessa col Mitra de'persiani, giacché questo nome scritto
in greche lettere viene anch'egti a formare il nomerò di CCCLXV.
quanti sono i giorni, di cui l'anno è composto, e quanti assegna-
vaiisene al Sole per co.npicre l'annuo suo giro;
200
200
(2j Antinoo vien dello nelle medaglie -no; IloSiof , v*o; laxj^o?
O rei li p 196.
A .
B .
, P
A
s
A
1
, 2 .
. 100 .
1
. 60 .
1
--
—
^^
M
. E
. I .
0
. P .
A
4)
. 8
. 10 .
9
. 100 .
1
i
331
menlovale parole Siculo volle addimostrare » In An-
» lineo e Beleno è eguale l'età e la forma. Perchè
>' Antinoo non dovrà essere quello ch'è Beìeno ?....
Cioè un dio? Nella traduzione del quale epigram-
ma siamo di pieno accordo col Sebastiani: nell'ap-
plicazione però ci troviamo di avviso assai lontani.
Se Siculo era inteso di uguagliare Antinoo al sole
degl'illiri , chiamato Beleno, è fuori di dubbio, ch'è
l'atto di sua venerazione , o a meglio dire di adula-
zione, non poteva essere indiritto che ad Antinoo ,
ch'era slato uomo, e dappoi spinto agli altari; non
mai a Baleno, che sarebbe stata una scipitezza ed
una gofFagine di formare e provocare un culto, che
fin da tempi lontani già si aveva. Ed ho per fermo,
che il tiburtino veneratore a fine d' innalzargli un
tempio era mosso dalla memoria affettuosa, che in-
torno ad Antinoo ritraeva dalle storie, e dalla tradi-
zione. Sappiamo di vero da Sparziano, che Adriano
ne era innamorato alla follia, di guisa che Autinoum
suum dum per Niliiin navigai^ perdidU^ qucm mulie-
hriter flevii . . . et graeei quidem., volente Adriano^
eum. consecraverunl (1): cosa che viene ricantata da
mille altri autori (2). Che anzi la Grecia per adulare
quel principe collocava fra gli astri una nuova co-
stellazione col nome di Antinoo (3): rappresentavalo
(i) Sparlian. in lliulian.
(2) Sext. Aurei Vici, in Hmlrian : Ioan, PoUorì .^rclieoi. graec.
lib. 2, cap. 20, in cron. tom, 12, p. 353 » Io : Meiirsius Graec.
(erial- lib. 1, ibid, tom. 7, p. 724. Pel. Fab, Agonislicon lil). 3.
cap. 27. ibid. lom 8.
(3) Cupero, Ani A'iiminri explic. Polani in coli, graec. lom. 2,
p. 227.
332
ora sotto la furma di Mercurio, ora solto quella di
Bacco, ora sotto quella del dio Pane '^^1/. avvi eziandio
chi lo collocava nell'orbe della luna al fianco di En-
dimione (2). Nei ginnasi di quella provincia, a sollie-
vo dell'animo attristato del principe, furongli innalzate
statue vicino ai simulacri di Ercole, Mercurio, Mi-
nerva e di altri iddii : e ad un ginnico combatti-
mento, statuito per lui, fu dato il nome di Antinoo:
Agoneìn^ dice il Salmusio, in eius honorem gymnicum
ah eius nomine Avtìvwv dicUim (3). Né la sola Gre-
cia, ma quasi tutte le provmce suddite di Roma
si posero in braccio di quell'adulazione, introducen-
do il culto inverso l uomo deificalo (4-j di modo che
si ritraggono le medaglie coniate col suo nome, e ne'
suoi tempii furono istituiti de sacerdoti come ci atte-
sta il mentovato Casaubono (l. e). Una medaglia
d'argento, che ci reca il Caperò (l. e), è di assai
pregio, perchè da un lato ci ritrae un tempio son-
tuosissimo , e dall' altro la testa di Antinoo con la
iscrizione AiMlNOOi AIV02.
Non poteva quindi andar manco, che Adriano
reduce dell'oriente non impriniesse in ogni angolo
della tiburtina sua villa l etììgie del defonto Antinoo,
e non gl'innalzasse templi ed are. Né questo fanati-
smo veniva meno alla dipartita di quell'imperatore.
Durò esso lunga stagione : ed impariamo da Ege-
sippo, scrittore del secondo secolo, che al suo tempo
(1) Dione in Hadriati.
(2) Casaiib. in not. Spart. I. e.
(3) Salmas. in noi. Spart. in Ifadrian.
(4) Dione 1. e.
I
333
il {finnico combaltìmeiilo, detto antinoio^ e i templi
dedicati ad Antinoo esistevano ancora (1): e da Ori-
gene, scrittore del terzo secolo, che l'idolatrico ctdto
di Anlinoo vigeva a' suoi tempi (2). Per il che
non è da maravigliare, che uno de'nostri tiburtini,
Q. Siculo^ forse decurione, o un ricco che fosse, in-
nalzasse parimente un tempio ad Antinoo anche in
tereipi più tardi, ne'qnali pur continuava nella villa
adriana il mentovalo culto sotto altri cesari, le cui
teste vi ritraemmo disseppolte per gli scavi del 1773
di Francesco Antonio Lolli. Intorno alla qual cos) mi
recherò a dovere di riportare l'opinione assennala
dal defonto mio genitore, il quale nel dimostrare un
errore pubblicato in un giornale di Roma (2), ebbe
il destro di parlare, e ne parlò dottamente, del sum-
nientovato tempio detto volgarmente della Tosse (4).
Dopo di aver provalo, che quel tempio non potè
essere il sepolcro della famiglia Tossia^ come si era
tenuto per fermo in detto giornale, discese a mani-
festare una sua congettura, che « durante lo impero
» di Adriano fosse stalo costrutto un monumento
» sacro ad Antinoo in quel luogo, ove ora vedesi lo
» edificio, di cui è questione, o ancora in quelle
» vicinanze, ohe a tal monumento, forse ruinato, o
» minacciando mina, fosse slato sostituito detto edl-
» fìcio nel secolo III, e nel principio della decaden-
(1) Egesippo presso s. Giroianio de Viris illustr. nap 22, tom.
2, p. 849.
(2) Origen. contr;i C.elsiiin. lib. 3, n. Sg.
(3) Noli/.ie del giorno n. 49, 16, diceni. 1819.
(4) Giorn. Arcad. maggio del 1S20.
3a/f
)) za delle arli, in cui era vi^jente lultavia il culto
» di esso Anlinoo, ed in cui la superstizione de' ce-
0 sari romani, e l'adulazione de'popoli verso di essi,
» non era meno forte di quella de'tempi del suc-
» cessore di Traiano. »
Ciò non portanto, per risolvere con arg^omento
anche di fatto la disquisizione, ho avvisato di por-
tarmi sul luogo: e non pago dell'unico veder mio,
traeva meco l'amico mio Domenico Cartoni ingegnere,
la cui veduta non ordinaria mi giovò assai al disco-
primento in parte del vero sulla qualità e sul temj)o
della costruzione, e intorno all'uso del monumento.
La pianta interna dell'edificio è rotonda ; la esterna
ottangolare. E coperto da una volta la cui sommità
ha un'apertura sferica alla maniera del pantheon
d'Agrippa in Roma. la costruzione sembra si sia
eseguita in più tempi. Dalla linea della volta al basso
è più antica, di opera mista, irregolare, composta di
uno strato di piccoli tetraedri in forma di tufa, e
tre o quattro strati di pezzi di mattoni. E opinione
del Nibby (1^, esser somiglievole a quella della villa
di Massenzio presso la via appia. Secondo la qual
notizia l'opera esser non potrebbe anteriore al secolo
IV dell'era volgare. La volta poi pare di tempo po-
steriore. Si ritrae dalla diversità della costruzione ,
e parimente dal vano sferico nella cima, che a mio av-
viso, consentito dal Cartoni , esclude la unità della
invenzione, conciossiacchè standovi all'intorno otto
finestre per renderlo illuminato, era cosa inutilissima
accattare altra luce dall'alto allo stesso fine. Il pali-
li) Dintorni ili Roma toni III, p. 109:
335
teon siiiiimerUovato ha la luce dall' alto: e per-
ciò difetta di finistre ? Ho per fermo perciò , che
un solo artista non fu rinventore di esso edifi-
cio. All'intorno dell' interno esistono otto nicchie o
vani ; quattro rettilinei, conipiesa la porta, e quattro
curvilinei; sopra ciascun vano corrisponde una delle
mentovate otto finestre di luce assai ampia. L'accen-
nata porla muove alla strada pubblica, la quale, con-
senz lente anche il Cartoni, nel modo che si ossei'va
odiernamente , è pure di tempo posteriore. Prova
ne sia l'architrave di marmo, che il lodalo Nibby
ritenne apposto all'epoca della costi'uzione dell'edifi-
cio, quando a colpo d'occhio si scorge quivi immu-
ralo a posticcio, ed anziché di architrave, che l'uso
suo primitivo fu di stipile. Porto avviso pertanto,
die la polla è stata costruita verso il secolo XIII,
quando l'edifìcio fu ridotto a culto cristiano, di cui
si hanno le vestigie di pitture rappresentanti il Sai-
valore e la Vergine. Davanti alla porta gi:ice picco-
lo vestibolo la cui costruzione non saprei dire, se
fo.sse pel tempo del lavoro posticcio , o poco più
innanzi.
Sap[)iamo dalla sperienza essere stato uso de'
primitivi cristiani, che là appunto dove sorgeva un
tempo all'idolatria, innalzavano essi le loro chiese al
nuovo cullo, o tramutavano in chiese gli stessi teni ■
pii, e valga per molti esempli il più volte nominato
■jKinlenn^ che osserviamo convertito in chiesa di s. '/«-
ria della rotonda, ed in Tivoli il tempio di Ercole.,
sulle cui ruine fu innalzala la chiesa di s. Lorenzo
■mar lire (I). Dal che parmi si possa dedurre libera-
fi) Al monte s. Bernardo dov'era il tempio di Giove Pennino
or;i si adora ii)allifr;il.i croce di Cristo. In Konia, dov'era il leitipio
336
mente , che questo eilificio ne'priini tetupi sia sfato
in realtà dedicato all'idoiatria : né di vero può livo-
vocarsi in dubbio, per senleuza concoide de^jli scrit-
tori tiburtini^ ch'esso edificio fosse convertito prima-
inente alla venerazione di s. Maria degli orli^ e dap-
poi di s. Maria della tosse. Ne la sua costruzione può
far tentennare; perchè la parte più vetusta della volta
al basso non può essere, che del IV secolo; e si sa che
quantunque in esso secolo, sebbene sul suo ti-amonto,
Gracco prefetto di Roma, com'è di sopra accennato,
e dopo di lui Teodosio il grande , si adoperassero
di abbattere la idolatria, tuttavia essa durò altra e
più lunga stagione. E volendo quindi divinare ar-
cheologicamente, e ripensando al sammentovato epi-
gramma trasmessoci dal Del Re (ove non gli si volesse
dare una mentita), parrai di poter credere assennala
la sentenza di mio padie , con la unica differenza
del tempo della costruzione : e ch'essa costruzione,
non dell' intero edificio, ma dalla linea della volta
al basso, potesse far parte del tempio pagano innal-
zato ad Anfinoo. Tutto che volgendo il pensiero alla
sentenza del Muratori (I. e.) che favellando del-
l'epigramma diceva » Auctor carmiids., ut principi
aduletur eum [Anlinounij Apollini Beleno jìurem fa-
Ai Giove Fei'Plrio, sia la ctiiesa di s. Maria in Ara CwìijAo\e il
tempio tli Bacco, la chiesa ir-
gli un giorno non pochi fiori alla sua corona ; e
jAcrò alla domanda del giovanetto di voler copiare
a olio in colore un suo bozzetto, lungi di secondar-
lo, il minacciò colla sua pittorica bacchetta : di che
quegli indispettito e insofferente, raccogliendo i car-
tolari, diieguossi borbottando con dire: Sarò pittore
senza di voi. Il disse e il fu: ma senza dubbio per
la influenza del Velasquez, da cui ritrasse, mediian-
done le opere, il hello stile che gli fece onore: perocché
la luce di un grand'uomo si spande, come Cjuella del
sole, per l'universo, né è mestieri di raccoglierla dalla
sua stessa fonte.
D'allora il giovinetto Patania cominciò a dise-
gnare e a dipingere da sé: e scarso com'era di soc-
corsi domestici, imprese, per alimentarsi, a figurare
e colorar i grandi cartelli da teatro, che si espone-
vano al pubblico per adescarlo alla rappresentazione
della sera. Ciascuno di essi era l'opera del giorno
precedente, e la mercede corrispondea al lavoro di
un giovanetto, e al breve tempo impiegatovi ; ma
quelle opere gli giovarono allo sviluppo del genio
e a fargli proseguire gli studi. E per vero, quelle
carte improvvisate schizzavano scintille d'immagina-
zione e di sentimento e piacevano al pubblico; e fu-
rono lodate dal cav. Puccini, fiorentino, gran cono-
scitore e direttore della R. I. galleria toscana, il qua-
le allora qui soggiornava, e presagi qual sarebbe
divenuto in progresso il giovine artista.
346
Egli non tralasciava intanto di frequentare as-
siduamente l'accademia del nudo, diretta dal Velas-
quez, e studiò per molli anni, più che altri sei crede,
il vero e l'antico su' g^essi dei capo-lavori dell'arte,
e formossi gradatamente uno stile, come quello del
suo maestro, che riunisce all' eleganza delle forme
l'efficaeia del vero scelto in natuja.
Nato egli con un versatile ingegno, che a tutti
i modi e generi dell'arte piegavasi, dipinse a fresco,
a guazzo, a calce, ad acquerello, a olio, e sinanco
a miniatura: e diessi non solo alla pittura istorica,
ma al ritratto, al paese, a colorar fiori, fruita, uc-
celli, pesci ed altro. Invitato a trasferirsi in Minorca
da un ricco di quel paese, vi sì recò per esercitarvi
l'arte, e dopo circa due anni di soggiorno lasciovvi
opere di vario genere che incontrarono il general
gradimento.
Restituitosi a Palermo, e avvenuto verso quel
tempo il ritorno da Roma in patria di Vincenzo Riolo,
che qui condusse il colorito del suo maestro cav. Wi-
car per avventura troppo vago, e quella forte mac-
chia pittorica poco vera, ma di grand'offetto, ne re-
stò siffattamente adescato il Patania, che volle tosto
imitarlo: e vi riuscì per modo che una sua tela di
quel tempo, or presso di me, fu credula da valo-
roso pittore opera del Riolo: ma dal Patania rico-
nosciuta per sua, ei consigliommi a bruciarla, come
lavoro di poco conto.
Verso quella stagione fu afl'etto da tale infermità,
che confinollo in casa per tutti gli anni susseguenti
di sua vita : e allora io cominciai a frequentare il
suo studio, e copiai da lui diretto la sua Venere col
satiro, la Danae, e alcuni putti.
347
L'energia dello stile del Riolo era già trascorsa
e divenuta tutta propria nel penìieilo del nostro Giu-
•eppe, quando qui giunse M. Fagan , buon pittore
inglese: di cui osservalo avando le tele condotte a
mezze tinte e per semplici velature, e quindi di un
effetto debole e soave, svogliossi egli dello stile di
Riolo e all'altro appigliossi, e in esso perdurò molti
anni, lusingato dalle lodi di molti, finche viaggiando
io in Italia e contemplali i quadri dei valenti uomini
gli scrissi fra le altre cose: Sagrifieate alla divinità
delle ombre e diverrete sommo ed invidiabile pittore.
INè il mio consiglio tornò vano; perocché d'allora
rafforzò di oscuri i suoi dipinti, e ben dienne argo-
mento la Lucrezia che eseguì verso quel tempo per
l'esimio avvocato sig. Francesco Franco : ma non
caricò mai le ombre per ismania di grand' efifetto ,
ma quanto il vero in luce ristretta richiede: peroc-
ché diceami che col tempo crescendo sempre più
gli oscuri rendono i quadii disgustevoli , e recan
fraude al vero, cui aver dee sempre di mira il pittore.
Il Velasquez e il Riolo, applauditissimi nell'arte,
si videro circa quindici anni piiraa di loro morte
scemati i lavori; perocché molti lor pieferivano il Pa-
tania, e tutti nel ritratto e nel paese lo credevano,
e non a torto , a quelli supcriore ; finché scesi essi
nel sepolcro, rimase a lui il campo della pittura in
Sicilia, che ora é occupato da altri valorosi artisti,
parte da lui educati e parte dal suo maestro e dal
Riolo negli ultimi anni di loro vita, e parte ancora
ammaestrati in Roma e in Firenze, i quali accresce-
ranno, son sicuro, nuovi fasti alla pittura siciliana.
Il Patania fu felicissimo e spontaneo nella inven-
348
zione, fecondo nella composizione, come si può rile-
vale in più centinaia di schizzi a penna ch'efjli im-
provvisava la sera sulla istoria, sulla mitologia e so-
pra altri soggetti: dei quali passati in Parigi quelli
relativi al romanzo del Telemaco, furon lodati in
quei giornali, ed elegantemente incisi. Sua special pre-
rogativa fu la grazia, Tarmonia e la veiità delle tinte;
quindi riusciva in preferenza nei piccoli quadri e
nei soggetti leggiadri, in cui non ebbe competitore.
Tentò anche la pittura di genere, e in essa mo-
strò pure quanto valesse ; talché furono ammirali
i suoi quadri di fiori, di frutta, di uccelli e di pe-
sci che dipinse pel marchese Merlo, per l'avvocato
Franco e per altri.
Nel paese ebbe pochi rivali , anzi fu il primo
del nostro tempo ad esser salutato egregio paesista :
perocché seguiva il bello della natura da lui studia-
ta nella sua prinia gioventù , e il frappeggiar del
Denis e del Pekignon su quadri da lui veduti nella
galleria della regia università di Palermo. Ma la na-
tura era per lui sempre abbigliata in abito da noz-
ze, le sue campagne eran sempre vaghe e ridenti,
e ben rappresentavano quelle che in primavera or-
nano e profumano di odori la bella Palermo, che siede
regina in mezzo ad amenissimo giardino. Egli ne
variava le parti con l'aiuto degli antichi schizzi, co-
me può osservarsi in quelle dipinte per l'avvocato
e indi consultore Vincenzo Gagliani, pel generale e
ministro Fardella, e nelle ultime del sig. Nicolai.
Maggior corona da tutti consentita acquistossi
nei ritratti per la somiglianza, per la verità e la fu-
fusione delle tinte, e per e per la venustà del pen-
349
nello. Egli fu il pilloie delle nostre belle, le quali,
di qualunque condizione si fossero, recavansi al suo
studio per farsi ritrarre, e render durevoli sulla tela
le loro grazio. Da circa cento riliatti d' uomini il-
lustri siciliani antichi e rooderni dipinse per me.
Uno egregiamente condotto per l'inglese M. Lorenz,
e da lui esposto nell'accademia di Nuova-York, fu
preferito agli altri e procacciogli l'onoie di esserne
proclamato socio ad unanimità di voti, come rilevasi
dalla lettera del 13 maggio 18 il del segretario M.
Mortoli.
Il litiatto che fatto avea alla real [)rlncipessa
Maria Amalia, indi regina dei francesi , passato in
in Parigi fu ammirato e fatto ilegno delle lodi del
celebre Chateaubriand.
Il Camuccini, pittore di gran rinomanza, le pro-
fuse a quello della duchessa Brolo , dipinto pel di
lei fratello monsignor Grassellini, residente in Jioma:
e quegli pure mi rammentava con sentita slima al
alcuni schizzi a penna, che ne avea veduti in Napo-
li in casa del marchese Gargallo.
Fra i suoi grandi quadri di sacro argomento
primeggiano il Cristo flagellato nella chiesa della
Magione in Palermo, il s. Vincenzo Ferreri in Ca-
rini, il s. Gaetano in Morreale, e i santi re magi in
Randazzo, abbenchè fosse il primo gran quadro da
lui dipinto. Fin quelli di argomento profano e di
niezzana o piccola dimensione, il cui numero é pres-
soché infinito, io accennerò l'ambasceria dei messi-
nesi a Giacomo d'Aragona, nel quale rappresentò il
Velasquez, il Iliolo, Giambattista Cutelli e me. Leg-
giadro idilio del Gesner, vagamente dipinto, è la fé-
350
sta del villaggio all'arrivo del barone feudatario e
della moglie, e sublime poesia del Niccolini sono due
quadri del vespro siciliano, variali di composizione.
Nei quadri mitologici o di soggetti graziosi egli
fu guidalo dal genio di Anacreonte, di Teocrito o di
Meli. Tale è la Venere che abbraccia Adone al ritorno
dalla caccia, la Speranza che stringe al seno Amore,
una fanciulla che baccia ima colomba, e un regazzo
che ferma col mento e colle braccia un fuggitivo co-
niglio: piccole tele per me dipinte con sommo amore.
Né con minor venustà condotte sono la Psiche con
le ninfe nel bagno , e l'altra trasportata in aria dai
zefliri presso l'egregio avvocato sig. Agnetta, e la
Francesca da Rimini sul concetto di Dante, di|)inte
per l'avvocato Vaginelli, e cento altri quadretti, tutti
di bella invenzione, fioriti di leggiadria e di soave
espressione. Né è da trasandare una sacra famiglia
eseguita, non è che un mese , pel sig. Nicolai con
grande stile e belle forme nella Vei-gine e nel putto
Gesù.
Egli fu pittore di corte , ed esegui più volte i
ritratti dei re Ferdinando e Francesco I e del-
l'attuale nostro, e di altri della real famiglia, e varie
opere nei reali palazzi di Palermo, della Favorita e
della Ficuzza : e fu decorato della medaglia d'oro
dell'ordine di Francesco I , e scello membro della
commissione di antichità e belle arti. Le accademie
di Sicilia gareggiarono ad onorarsi del suo nome.
La sua abituale infermità, che durò circa 30 anni
sino alla morte, se gl'impediva di uscir di casa, tran-
ne poche volte all'anno nell'estiva stagione, gli per-
raetleva di essere operoso, anzi infaticabile nel ma-
351
neggio del pennello al giorno , e della penna alla
sera, in cui lavorava, per divertirsi, conae diceva, i
suoi schizzi. Sul proposito io gli feci osservare, che
l'arie e egli stesso doveano a quella infermità la glo-
ria che ottenuta aveane pel suo concentianiento, per
l'assiduo studio, non mai distratto dai piaceri della
società : al che risposerai: (7/o, se pur fosse vero^ non
■mi ha fatto pero goder del mondo: ma io mi son ri-
vendicalo dei suoi piaceri perduti con quelli migliori
che mi son creato coli' esercizio delV arte che fa la
mia passione.
Il cielo avea versato su lui a piene mani, non
solo i doni dell'intelletto, ma l'egregie qualità del
cuore, cui or tocchiamo di volo, essendo a quei che
il conobbero ben note , ma che è pur giusto ehc
passino non alterate ai posteri.
Egli fu semplice nelle maniere, gentile e gene-
roso con tutti, e più cogli amici (I). Non conobbe
l'invidia e la gelosia di professione ; dignitoso e mo-
desto e senza orpello avverso alle lodi. Ei diceva un
giorno ad un esagerato encomiatore: Lasciate questa
profusione di lodi: io 7ion credo meritarle^ e per altro
mi recan più male che bene.
Sfuggì sempre di censurar menomamente gli
artisti, sebbene ne fosse talvolta provocato da qual-
cuno mediocre. Negossi più di una volta ad osser-
vare qualche nuovo quadro di taluno, per evitare che
gli fosse appiccato un giudizio ch'egli dato non a-
(1) Io debbo in parte alla sua generosità i cenlo e più ritratti
d'uomini illustri siciliani , cbe mi dii)ii)sc. Ricusò la mercede pel
suo e per «jiielio del Vainsqiiez, dicendomi ; io non vendo né la
mia, né la testa del mio maestro: e similmente pei ritratti dei miei
tenitori.
352
vrebbe. Se ascoltava l'altrui troppo aspro e severo,
il moderava colie sue benigne riflessioni , o taceva
se sostener non ne potesse la difesa. Accoglieva alla
sua scuola amorosamente tutti i giovani che a lui si
presentavano , e molta cura si dava a ben guidarli
nell'arte, coU'apprestar loro disegni e modelli e coli'
emendarne di sua mano le copie, e indicarne a voce
i difFetli ragionandoli co'principii dell'arte. Soccorse
spesso coloro, che non eran favoriti da fortuna, dei
mezzi abbisognevoli al lor progresso ; laonde molli
a lui con evano, e le sue stanze eran sempre affollate
di discenti. Né in ciò soltanto utile si rese; perocché
alcuni di essi già provelli, e altri non suoi scolari, ri-
Iraevan le sue invenzioni, e dei suoi cartoni, ch'egli
lor disegnava generosamente, giova vansi per facilitarli
a conseguii' lucro e credito nell'arte.
Tra i suoi migliori allievi , or già artisti di
onorevole riputazione, segnalaronsi Giuseppe Bagna-
.sco, Carlo la Barbera e Giseppe Carta.
Egli fu soccorrevole ai poveri, e segnatamente
ai suoi parenti; laode a loro riguardo non volle ri-
durre a vitalizio un buon valsente, raccolto colle sue
oneste fatiche, come altri il consigliava: ed uno di
essi fu udito sclamare col linguaggio del cuore men-
tre egli agonizzava: Ei travagliò incessantemente ses-
sanVanni per trarne un meschino pranzo^ che altro
la sua salute non comportava^ e per dar da vivere
a tutti noi.
Con queste prestanti qualità d'ingegno e di cuo-
re non è da meravigliare, che meritato avesse in vita
la stima e l'affetto di un Meli, di uno Scinà, di un
Gargallo, di un Torlorici e di quanti uomini dotti
riuniva Palermo a' tempi migliori: né è da meravi-
353
gliar benanco che la sua morte avvenuta per improv-
viso attacco al petto, e invecchiata cislide, dopo dieci
ore dal primo assalto, e dopo di essere stato soccor-
so invano dall'arte medica, e piamente dalla religio-
ne, abbia recato universale dolore. Egli menar potè
il vanto di essere amato da tutti, da nessun odiato.
Spirò il giorno 23 dell'infausto febbraio 1852 alle
ore 18, tre quarti e 10 minuti, con la tranquillità
d'animo dell' uomo virtuoso e del buon cristiano.
Difalti a me che qualche conforto poco innanzi alla
tremenda dipartita gli dava, riconoscendomi, rispose;
La vita e la morte mi è indifferente: accetto la prima
se Dio vuol concedermela , Valtra non mi sgomenta.
E ben ne avea ragione; poiché moriva senza rimorsi
e con l'intimo convincimento di aver fatto sempre
bene ai suoi simili. Conservò fino all'utimo giorno
buona vista, ferma e operosa la mano, lucida la mente
creatrice di tanti singolari concetti ; nel dì innanzi
alla morte terminato avea di dipinger la testa della
signora Piraino, e fino alle ore 3 della sera compi
lo schizzo a penna di Gesù Cristo presentato a Caifas.
Divulgatasi la nuova della sua morte, più rapi-
damente del fulmine, i suoi affezionati scolari mi chie-
sero che io mi facessi lor guida nell'accompagnarne
il cadavere alla chiesa di s. Maria di Gesù, ove de-
stinato avea di essere seppellito modestamente: ma in
ciò fu contraddetto dal pubblico voto, perocché alcuni
della nostra nobiltà il fecero associare dalle loro car-
rozze e dai servitori a lutto, mentre lutti gli artisti
e gli amici suoi a capo scoverto, atteggiati a dolore,
rammentandone a quando a quando le virtù e i pre-
gi dell'ingegno, gli faceano lungo e numeroso cor-
G.A.TCXXVI. 23
354
leggio. Un vecchio artista fu udito gridar fuori di cit-
tà . Abbiam perduto il nostro padre !
A me, suo amico di quarant'anni e suo sincero
ammiratore, nella perdita fatale che di lui ho fatto
è solo rimasa a conforto la sua immagine ch'ei mi
dipinse, la qual par che dicami ad ognistante: Pro-
cura d'imitarmi^ se puoi, nelle virtù , e preparati a
seguirmi., ma ei par che conlento si rimanga di quel-
la epigrafe, ch'io gli scrissi, ed apposi sotto il ritratto:
Franco inventor, sposò natura al bello,
PÌ!)se, e animar le Grazie il S119 pennello.
Agostino Gallo.
X 'opinione e la stampa disaminate nell'attinenze loro
colla morale e colla politica da Fortunato Cavaz-
zoni Pederzini modenese. — Modena tip. della A.
D. Camera 1850, un voi. di p. 260 in 12.
[Continuazione e fine.)
i rosegue V A, ritoccando la duplicità del diritlo
spettante alla chiesa ed al principato in materia di
censura dell' opinione, e restringe la considerazione
alle spettanze del solo principe. Tutte le opinioni se-
grete, e molte delie manifestate, sfuggono all'eser-
cizio dell'autorità del principe, e diconsi libere. Le
opinioni manifestate e lesive degli altrui diritti, so-^
no da essere trattate come tutte le altre azioni d'in-
teresse civile. Il principe deve procurare che le
opinioni riescano tali da servire o da non disservi-
re air ordine sociale , e perciò deve soppravvedere
tutto che può sopra di loro o in bene o in male ,
355
come insegnamenti , costumi , viaggi e spettacoli.
Esamina alcune sentenze riferentisi all' autorità del-
l'opinione per rispetto al principe come principe.
Circa il debito del principe in ordine a religione, in
quanto apparisce atto di opinante , ei non può tol.
lerare nessuno affatto irreligioso, né può essere in-
differente verso qualunque sia religione. Segue a ciò
quali siano i limiti da prescriversi alla tolleranza re-
ligiosa : quali riguardi speciali meriti il fatto degli
ebrei nelle loro attinenze co'principi cristiani : e qual
regola di governo convenga tenersi per rispetto al
protestantismo.
La stampa (dice sempre il Pederzini) è tal modo
di manifestare le idee, che le lascia poter esser giu-
dicate con giudizio preveniente, e non susseguente;
e di ciò levasi la quistione intorno alla libertà della
stampa medesima, la quale per trattar bene, devesi
premettere la ricognizione d'alcuni fatti, e prima di
tutto della corruzione della natura umana. Dal fatto
della curruzione deriva per conseguenza, che la di-
scussione non conduce sempre allo scoprimento della
verità. Derivasi pur anche dall'umana corruzione un'
altra conseguenza , cioè che il più dei libri siano
cattivi ; e che i libri cattivi abbiano maggior effi-
cacia a nuocere, che non i buoni a giovare. Gran-
dissima è l'attività de'libri, cui la stampa moltiplica
fuor d'ogni termine; e perciò ella cagiona per primo
danno un grandissimo consumo d'idee e di opinioni,
e dee nella totalità degli effetti recare alla società
più danno, che non giovamento, senza che basti per
compenso l'assuefazione alle sue impressioni.
Esposto il vero concetto di ciò che debban va-
356
valere le frasi libertà Umilata^ censura^ e repressione
in materia di stampa , ilice che pel comune uso
degli scrittori anche pili celebri si Irovono confusi
e concetti e frasi con danno della quistione : entra
quindi nel trattarli sgombrando le menti dalle idee
false, e prima provando per ragioni intrinseche l'il-
licitudine della libertà illimitata ; mostra poi la stes-
sa cosa indirettamente, convincendo d'insussistenza
e di fallacia argomenti che paiono mantenerla , e
prima vari argomenti di B. Constant , poi altro si-
mile del marchese d'Azeglio , del quale' esaminasi
pur anche una opinione in ordine ai giudici voluti
in materia di stampa. Risponde poi al Constant, che
trova inefficace praticamente e perciò inutili gli or-
dini legali moderatori dell'esercizio della stampa:
risponde al Filangieri, che vorrebbe che il principe
procedesse sempre ed unicamente per via di revisio-
ne ; risponde pure ad altro argomento del Constant,
che concorre per l'opinione del Filangieri. Esamina
alcuni altri argomenti del Constant d'intenzione non
abbastanza determinati: confuta una sentenza del Fi-
langieri intorno alla forza nociva ed alla cadu cita
dell'errore , e tocca la stranezza d'una sentenza di
lui stesso, secondo la quale la libertà della stampa e
tenuta utile alla salvezza delle private riputazioni.
Posto che poi il fatto della slampa ammette cen-
sura preveniente, si dove usare, perchè cosi comanda
la prudenza in tutte le materie ov'è possibile ; di che
sono mostrate le ragioni intrinseche e naturali che
acquistano forza dalla felicità e pienezza deireffelto
che si ottiene prevenendo in materia di stampa ; o
dai vizi contrari che non si possono evitare nel me-
357
totlo (Iella revisione; e principalmente dalle difficoltà
di costituire la prova del delitto, la qual cosa equi-
vale ad una quasi che certa impunità. A questo è
triste riparo il commettere il giudizio ai giurati, co-
me vorrebbe persuadere il Constant: e il fatto con-
ferma il suo giudizio. Appresso a ciò l'autore di-
fende la censura da un primo ragionamento del
Constant, e la difende pure da altra opposizione del
Constant diretta contro i censori ; come la difende
da un ragionamento del Bentham, esaminando infine
un insegnamento del Constant in genere di prudenza
governativa.
Trattato tutto questo, passa il Pederzini dalla
generalità della quistione alle speciali applicazioni al
governo rappresentativo, il quale comunque si nomi-
ni è (come dice) realmente una specie di democrazia,
che ha promotori attivissimi, che operano per seconde
intenzioni segrete e maligne ; e ne ha pur molti di
buona fede, de'quali adduce le ragioni.
A queste ei contrappone alcune considerazioni
dubitative della bontà intrinseca di essa forma di
governo, cui segue una dichiarazione remissoria del-
dell'A. dubitante, che entra poi nella quistione della
necessità della stampa libera ne'governi rappresenta-
tivi; ma prima tocca della possibilità del sussistere
qualunque forma libéralissima di governo, anche
senza nessuna libertà di stampa. Concede che nelle
condizioni de' tempi presenti la forma del governo
rapresentativo si trae dietro la libertà della stampa;
la quale peraltro non fa che minorare la probabi-
lità del bene che se ne possa attendere ; specialmente
per colpa d'alcuni vizi accidentali, che passionano
358
gli spirili del tempo nostro. Stabilisce che la stampa,
e massime i giornali, costituiscono un potere nello
stato; e ne deduce che esso debba essere determina-
to e regolalo come gli altri poteri; espone le grandi
uliiilà sperate dalla libertà della stampa ne' governi
rappresentativi , contrapponendovi alquanti titoli di
\izi reali che distruggono in tutto o in parte esse
utilità: e per primo mostra chela stampa libera non
unisce , né rende forte la pubblica opinione , cui
essa non vale nemmeno a rappresentare bene ed in-
teramente: poiché a conoscere davvero la pubblica
opinione, conviene guardare assai meno alla stampa
che non ai fatti. E vero che per la libertà della
stampa gran moltitudine concorre alla formazione
delle leggi : ma questo é più a danno , che non a
va'ntaggio della cosa pubblica. La slampa libera può
salvare i privati contro gli arbitrii del governo , ma
può altresì farne pericolare sotto la forza del gover-
no istesso, e peggio sotto le ingiurie cui essa rende
immedicabili, ed agevolissime alla malvagità degli
altri privati. Ella non è l'organo fedele per il popo-
lo a conoscere la condotta de'governanli, cui talvolta
aiuta, tale altra violenta ed opprime , rendendo il
governo mobilissimo, e di leggieri caduco. Censura
il sentimento di chi enumera fra i beni della stampa
libera l'attitudine di lei a combattere il governo.
Dal che tutto conchiude il eh. autore « che la
» libertà della stampa debb'e^sere ristretta alle sole
» materie amministrative , ovvero anche politiche ,
)) ma innocenti: e per tutto il resto tenuta sotto il
» freno della censura preveniente ».
Mostrata così la contenenza e insieme la utilità
359
dell'opera, ciascuno vede di per se quanto la gravila
della materia importantissima in essa trattata meriti
di venire, non dico letta, ma sibbene considerata e
ponderata, acciò chi a ha fior di senno possa fare
suo prò delle verità che vi sono espOvSte, e ricredersi
altresì chi tenesse contraria sentenza.
G. F. Rambelli.
Intorno ad alcuni ritratti di recenti arcadi illustri
collocati nella sala del serbatoio. Ragionamento di
monsignor Francesco de'conti Fabi Montani , pra
custode generale delV accademia., letto nella gene-
rale tornata del di 11 di marzo 1852.
U
ffizio delle belle arti , accademici ed uditori rag-
guardevolissimi, essendo ancora il moltiplicare e per-
petuare le immagini di quelle cose, che la natura e
gli uomini producono più leggiadre e desiderevoli^
non è punto a maiavigliare se siansi sempre in par-
licolar guisa adoperati nel formare ritratti. Nacque
ciò dalla bramosìa di vedere tramandati e racco-
mandati ai posteri i lineamenti ed il volto di coloro,
che ne furono più cari, o che per magnanime im-
prese e per utili ritrovamenti si segnalarono. Né l'a-
more e la gratitudine andarono disgiunti dal nobilis-
simo scopo della imitazione. Quindi non solo nelle pa-
terne mura queste immagini si conservavano gelosa-
mente, e a domestica gloria si additavano; ma trae-
vansi eziandio fuori ad accompagnare funebri pom-
pe, e collocavansi dai maestrati ne'Iuoghi più popolo-
si, acciocché ognuno a suo talento potesse rimirarle,
ed in esse e per esse a generose e sublimi azioni
ispirarsi.
Un cosiffallo consiglio, io mi credo, guidò pnre
i nostri padri ad ornare di ritratti queste celebra-
tissime sale. Né mi do a creder ch'esser vi possa
persona di mezzano ingegno fornita, la quale trovan-
do poco meno che a dolce colloquio qui riuniti un
Gravina , un Redi , un Filicaia , un Marchetti, un
Bianchini, un Fortiguerra, un Menzini, un Vico, un
Muratori, unMetastasio, un Tiraboschi (1), un New-
ton , un Fontenelle , una de Boccage ed altre non
poche italiane ed estere celebrità, non sentasi focosa-
mente stimolato ad imitaiie. Cosi Maratona turbava
i sonni del giovinetto Milziade, che non potea sop-
portarsi in pace quel Temistocle pettoruto e primo
starsi là nel Pecile fra i dieci pretori.
Eppure di quanti e quanti uomini per ogni
maniera di sapienza rinomatissimi non sono ancora
vedovate queste nostre pareti? Se non che vedendole
oggi per la prima volta andare dopo molli lu.stri
altere di novelle immagini, forniranno esse il subietto
al mio dire, ed obbedirò così all'onorevole comanda-
mento che il savio collegio de XII a me degnava
di dare.
Per quanto mi é venuto fatto di sapere, non
(1) A sì bei nomi possono aggiungersi gli allri ilei B. Gin
seppe card. Toiiiinasi, del card, di Tournou uno de'foiidatori, del
card. Orsi, «lei card. Gardi! ; de'prelali Assemani e Stay; del p. ab.
Appiano Bonalede ; del Saliceti, del Rolli, del Salvini, del Bellini,
dello Zeno, dell'Olivieri, del lacqnier e Corsini scolopi, del Cunich,
del Zaccaria, d(»l Zamagna gesuiti, della Maralti Zappi, della Soardi,
della Bandettini ec.
3G1
prima deiranno 1770, o in quel torno, inconiinciaro-
lìo qucsle sale ad essere adorne di ritraiti. Imperocché
circa tal tempo i va^janti arcadi vi ebbero domicilio
per le invernali tomaie in addietro tenute nelle ri-
spettive case dei generali custodi. Le tolse il Brogi (1)
in aflìlto della principesca famiglia Mattai, al cui col-
legio appartenevano (2). La modestia de'fondalori. i
quali argomentando forse contrario alla semplicità
pastorale l'uso delle immagini, aveano stabilito l'innal-
zamento delle lapidi di memoria nel bosco Parrasio; le
divisioni malaugurosamente prolungate dal 1728 al
1743 , per tutto lo spazio di tempo cioè in cui il
Jjorenzini ebbe il reggimento dell'accademia, fecero
si che il Morei immediatamente succedutogli ne'ge-
nerali comizi del 1743, mirasse pria di tutto a ria-
micare gli animi troppo dissidenti de'soci, a tenere
con molto decoro le generali e solenni tornate, a
celebrare i giuochi per molte olimpiadi interrotti, a
proseguire la edizione delle rime , delle vite e del-
le prose degli arcadi incominciate dal Crescimbeni,
ad intraprendere la stampa di nuove raccolte, ed in
ultimo a tessere in forma di memorie la storia del-
l'accademia fatta di pubblico diritto l'anno 1761.
fi) L'ab. Giuseppe Brogi, (juarto ciislode [jenerale, eleUo il 12
eli gennaio 17C6. Kra (juasi seUuagennario.
(2) Venne fondato nel 1603 dal card. Girolamo Matlei, die lo
dedicò all'illnslre doUore, del quale portava il nome. Vi si man-
tenevano alunni di nohili Camiglie romane , e per privilegio di
cittadine : studiavano (ilosotia, diritto canonico e teologia, essendo
dal card, istituito per fornire zelanli operai e ministri acconci
alia cura delie anime. Lo animini.s(rava la slessa famiglia Matlei.
Dirninnile le rcinlilc, Cu nel 1777 del ponlcflce Pio \'ì ili sa: mcm.
soppresso.
362
Uomo di grave e bell'aspetto, erudito quanto mai dir
si possa, buon poeta e novellatore gentile, avea l'arte
di guadagnarsi i cuori e di rendersi accetto anche
ai più schivi. Il perchè non potrà mai bastantemen-
te dirsi quanto anche per cosiffatte doti contribuisse a
rimettere in vita la vacillante accademia.
Tornando però al Brogi, ne'cinque anni e poco
più, ne'quali fu l'archimandrita degli arcadi, riunì i
ritratti de'generali custodi, quelli del Zappi, del Ile-
di, del Viviani e di alcuni altri più famosi. La mag-
giore e migliore parte di essi la dobbiamo al Pizzi,
che laico essendo e coniugato, appellava l'arcadia col
dolce nome di sua prima spusa. E quantuncjue re-
cassegli in dote amaritudini e dileggi non rari, eb-
bela nondimeno sempre in cima di ogni suo pen-
siero, e di nulla mai si passò per metterla in una
rinomanza che valicò pur nelle Americhe, ove fondò
colonie, ed inviò diplomi.
Per non dipartirmi dal subbletto, solo dirò che fe-
cesi a dimandare agli eredi ed amici i ritratti de'più
illustri arcadi defunti: che a fine di pungere l'amor
proprio richiesegli eziandio a que'Ietterati che veni-
vano da tutti riveriti quai luminari del secolo: e che
infine invitò i soci dipintori (Ij a lasciare in questa
guisa all'accademia una perenne memoria del loro
valore. Soprattutto però giovossl il Pizzi della splen-
dida munificenza del principe don Luigi Gonzaga di
Castiglione, il quale molti ritratti di defunti arcadi
allogò ad un tal Pietro Milioni, assai proletto da lui.
(1) Fra gli allri arcadi é a i-icordarsi una gentil donna, Maria Sal-
vi,che donò all'accailfmia vari ritiaUi •• diiiinli di sua nano esej^nili.
3G3
I rltratli del Pizzi, di Plelio ed Alessandio Veni,
del Ciiiiich, dei Cesarotti (]) e dell'Aineri, invialo
dalia stessa principessa di Sloiberjjh poco dopo la
morte del sommo tragico , segnalarono la custodia
del Godard, la cui effigie venne qui collocata insie-
lYie al ritratto di Gaspare Mollo, che duca ed im-
provvisatore lasciava alla nostr'accademia non vul-
gare legato (2), unico esempio in cento sessant'anni
d'istoria.
Appena il romano sacerdote e letterato Paolo Ba-
ròla venne da voi il giorno 14 di febbraio del 1850
(1) Per verità il Pizzi avea richiesto il ritratto al Cesarotti,
«•he tardò ad inviario. In questa occasione donò airaccadernia va-
rie sue opere , Ira le quali // sgggio sulla filosafla del buon gusto
dedicato agli arcadi stessi. Il Godard tenne in quest'occasione una
solenne adunanza stampata nel 1795.
La. dissertazione del Cesarotti è notissima; trovasi inserita Ira
j]li schiarimenti apologetici dopo il sagjjio sulla filosofia delle lin-
gue e del gusto. Fra le altre vi si leggono queste parole a commen-
«lazione deiPAroadia: » A voi, valorosissimi arcadi, deve Titalica
poesia la nuova e più vegi'ta e meglio Ibridata sua vita : da voi
riconosce i suoi progressi e il suo slato sempre crescente di flo-
: idezza e di gloria. Tutte le opere, di cui si pregia, sono frutti de'
vostri auspicii, o ebbero dal vostro es«mpiu il primo germe vitale
per cui liorirono. L Italia non vantò poscia alcun valoroso poeta,
che non l'osse o colono o cittadino vostro. ii
(2) Le buone azioni non debbono mai tacersi . Pelegrino Spe-
randio Diaconi, rozzo poeta e di cui gli arcadi si valevano solo per
sollazzevole compagnia , lasciò nel morire erede delle sue povere
robe quell'arcade, che nell'accademia del venerdì santo avesse reci-
tato il migliore componimento, il savio collegio giudicò di ricusa-
re il legalo, e col tenue prodotto sultragò invece l' anima di lui
Cotale cosa assai spesso contava 1' avv. Angelo Maria Tinelli, giu-
reconsulto e latinista di quella perizia che ognun sa.
I^a più compiuta edizione «Ielle opere dello Sni-randio ì- qui-lia
in due volumi l'atta dai Coiiledini.
364
in quesJa medesima sala e con (anta copia di suf-
fragi chiamalo al reggimento di arcadia, fu sua pvì-
ma cura il sollevarla da un languore, nel quale per
colpa principalniente de' tempi eia nelie superiori
anni ricaduta. La modestia di lui e l'amicizia con-
giunta al grato animo , che dalla mia adolescenza
gli professo, mi astringono obbedirlo, e tacere come
per sua principale cura si riparasse ai guasti del bo-
sco Parrasio (1}, in brevissimo spazio di tempo si
riordinasse l'archivio, e vi si preponesse savia perso-
na (2) ed intelligentissima, si arricchisse di arcadiche
produzioni la biblioteca (3); e ad eccezione di que-
sta, tulle si restaurassero ed abbellisseio le altre sale
di un appartamento non mai per lo spazio di quat-
tordici lustri resarcito appieno. Nella quale cosa se
(1) E ben nolo come nel 1849 vi si trincerassero i faziosi. L;«
Sanlilà di N. S. PAPA PIO IX, ordinò che venisse in ogni sua
parte ristaurato, siccome fu mercè delie cure di S. E. il sig. comm.
GaJ-li pro-minislro li giovò la protezione alle lettere e 1' amo-
revolezza del cardinale Raffaele Fornari prefetto della
sacra congregazione degli studi, e fin dalle scuole dei
senriinario romano intimo del Baròla. assai nondimeno
ebbevi egli a sopperire del suo , sia perchè, come
suole per ordinario avvenire, fu tenuto più basso del
vero il preventivo delle spese, sia perchè novelli gua-
sti discoprivansi non appena tocche le mura logore ,
vecchie ed andate ogni anno più in rovina.
Né qui finirono le cure del novello custode: ma
per atfenermi ai soli ritratti dirò, che tutti li volle
a sue spese riverniciati, a buona parte di essi pose
uniformi iscrizioni, e secondo il potere a lui dal savio
collegio coiìferito si studiò di collocarli con un più
lino accorgimento. Trasandata in fatti ogni altra cosa,
fu la serie de'ritralti ordinala e disposta secondo la
grandezza della dignità avuta, ed il tempo della vita:
il perchè ora ad un solo girare di ciglio se ne può
prendere una idea assai chiara e distinta.
Pertanto conservati i generali custodi nella pa-
rete loro destinata ab antico (d'incontro cioè a quella
principale, ove per riverenza campeggia il solo graa
quadro del presepe), e dato, com'era di mestieri, il
più onorevol luogo al regnante pontefice, fu il pri-
mo giro nelle altre laterali pareti attribuito ai pa-
dri del sacro collegio, il secondo ai vescovi e pre-
lati anco di ordini religiosi: il terzo agli altri tutti,
incominciando dai più antichi. Il Perfetti e la Morelli,
decorati amendue nel campidoglio di poetico serto,
sono ritornati a stare I' uno d'incontro T altro. Ac-
canto a quelli de'cardinali Polignac e Gerdil si po-
sero i ritratti di Silvio Valenti Gonzaga e di Giulio
366
Maria della Somaglia, cardinali pur essi, ministri di
slato e promotori solerli di ogni opera d'ingegno. Si
è renduto onore al Sarassi, che pinlo in tutta la
freschezza della gioventù stavasi presso che dinaen-
tico da ognuno, e vennero tolti da uguale oscurità
alcuni altri meritevolissinii di vedere la luce.
Non risparmiò poi indagini , non perdonò ad
inchieste, non temette ripulse. Invitò , pregò, stimo-
lò : tutta pose in opera la sua grazia e la custodia-
le autorità presso gli accademici , affinchè la serie
de'ritratli venisse accresciuta. Né tutte gli fallirono le
speranze. Avemmo in siffatta guisa il Santucci e il
Laureani, festeggiati amendue con isplendissime adu-
nanze (lj, nelle quali prese parte il fiore di Roma.
Debbesi il primo alle cortesia dell'abate Domenico
Santucci, ahi troppo immaturamente rapito alle muse
e alle scienze ! il quale nel morire ingiungeva all'
unico fratello Gaetano, non meno di lui e dello zio
amantissimo della nostra accademia, di qui recarlo
a perpetua memoria della loro affezione. Il ritratto
di monsignor Laureani è copiato dalla illustre no-
str' accademica Amalia De Angeli» Salducci (2) su
di uno assai somiglievole, che a consolazione di fia-
(1) L'adunanza in lode di monsij. Loreto Santucci, sellimo cu-
stode generale, fu tenuta il giorno 5 dicembre 1850 colla prosa di
inonsig. prò -custode generale : in quella per monsig. Gabrielle Lau-
reani, celebrala il 4 di dicembre 1851 l'elogio fu del sig. professore
Giuseppe Spezi. Ambedue le sopraddette prose sono state stampate
dai rispettivi autori.
(2) Il premio dato dall'accademia di san Luca, unico esempio,
a questa romana giovanetta, gli altri da lei meritati dall' artìstica
congregazione de'virluosi al Pantheon, e i lavori eseguiti, ci scusa-
no d'ogni elogio.
367
JeiDO amore serbando il professore Ji medicina Vin-
cenzo Laureani non ha potuto sostenere di venirne
privato.
Rimpetto al Bentivogllo, nunzio della sanla sede
e traduttore immortale della Tebaide di Stazio, ve-
dete oggi per la prima volta il cardinale Bartolo-
meo Pacca M), il decano del sacro collegio, il com-
pagno dell'esilio di Pio VII, lo storico de'plù me-
morandi fatti del suo tempo, de'quali fu egli gran
parte. Più il tempo lo allontanerà da noi, più ne
accrescerà la fama: magnanimo e cortese, finché glie-
lo consentì vecchiezza frequentò le nostre tornate,
caro a tutti per quelFincoraggiamenlo che colla voce
e col gesto porgea sì bene a tutti ed in ispecie alla
timida gioventù.
Per serbare l'ordine de'terapi, con cui vennero
recati i nuovi ritratti , da un nobilissimo cavaliere
ed arcivescovo passerò ad uomo laico e di vulgure na-
zione. Se gli errori della giovinezza non fossero stati
cancellati dalle virtù di un'età più matura, né si mi-
rerebbe oggi fra noi il ritratto di Francesco Gianni
romano : né io uomo di chiesa avrei pur osato di
favellarne. La lunga vita di lui menata in Parigi fino
alla morte c'invita a congratularci coll'uomo che rin-
savisce, e ad onorare colui che improvvisante famoso,
(ì) Il Baròla tu segretario di questo cardinale dall'ottobre del
1834 al 19 di aprile del 1844 in cui morì : cosi il Pizii era stato
segretario del card. Marco Antonio Colonna, vicario gener. di Pio VI
di sa: mein.
368
sprezzatorc di tuUo fuorché della gloria, fu degno di
cantare come Omero le vittorie di Acliille (l).
Chiuso nelle candide insegne del cavalleresco
ordine lusitano della spada, per gentilezza del suo
figliuolo commendatore Gio. Francesco, buon lette-
rato e raccoglitore sagace di codici preziosissimi, toi-
na a rallegrarne del gioviale aspetto Gio. Gherardo
De Rossi, romano per esso e ne' verdi anni emulo
del Berardi, del Battistini e della Gorilla nel decla-
mare non pensati versi. La favola e l'epigramma,
la satira urbana e la commedia sei gareggian fra
loro. Novelliere gentile, studiò la imitazione degli
antichi, favorì le belle arti: ingegno svegliatissimo,
adatto ad ogni qualsiasi cosa, la grazia e lo scherzo
gli piovevano spontaneamente dal labro. Pio qual
visse, moria volgendo nel nostro sermone opere apo-
logetiche e religiose (2).
(1) Vegjjasi I elogio storico ini come il sul-
rnonese, di lui però assai più acorlo, seppe in mezzo
alle corti vivere grato ai principi e ai cortigiani. A
voi che serbate viva la memoria de'versi, con cui il
cantor di Maria (1) (così godea chiamarsi; congedavasi
dalla nostr' adunanza, altro aggiungere non debbo, se
non che monsig. Achille Maria Ricci allogava il di-
dipinto del cavaliere Angelo Maria suo padre a Fau-
stino Meucci romano, quello slesso che per commis-
sione di monsignor Bartolomeo de' marchesi Pacca
eseguiva il ritratto del cardinale, E per vero una
mano stessa dovea pingere due anime che furono
un solo cuore.
Chiuderò la serie de' nuovi ritraiti con due sa-
cerdoti, l'uno al pari dell'altro in Italia e fuori assai
commendato. Il primo accrebbe lustro al Piceno (2),
il secondo all'Umbria (3). L'uno fu singolare per la
perizia del greco e latino sermone , per la storia
della pittura italiana, e pe'saggi sull'antica lingua di
Etruria- l'altro è rinomato per fisiche scoverte, per
macchine immaginate e di sua stessa mano esegui-
(1) Il cav. Ricci così godeva di chiamarsi. Suo ultimo poetico
lavoro l'urono le anacreontiche da cantarsi nel mese di niag{;io, E
a notare come questo letterato e poeta spirasse in Rieti, il 1 di a-
prile del 1850, nel pnnlo stesso, che sodo alla sua casa passava
processi onalmente la immagine di ,\ostra Signora del popolo, di cui
i t-eatini celebravano in quel giorno la festa. Veggausi le elegan-
tiisiriie iscrizioni italiane dettale nella morte del Ricci dal no-stro
accademico marchese Giovauni Broli di Marni, ed inserite nell'Album
anno IX.
(1) Luigi Lanzi nacque in Montolmo, l'antica Pausula; onore da
lui rivendicato alla patria, dichiarala in questo stesso anno ciUà con
tale liooie dalla Santità di Nostro Signore Papa PIO IX
(2) Il cav. Feliciano Scarpellini venne alla luce in Foligno.
an-
te , e per funebri pompe a lui tributate sulla stessa
cuna dell'astronomia (Ij. L'uno fu amico al Winchel-
inann, al Venuti , all'Agincourt, al Visconti: l'altro
all'Humboldt, alT Eischell , al Calandrelli, allOria-
ni, che il chiamava socio nella specola di Milano.
Il primo vesti le divise del Loiola,, tinche stette la
compagnia, e festeggiato dai reali principi della To-
scana n'ebbe in cura i musei divenuti per lui pub-
blica scuola; il secondo, quantunque uomo privato,
dischiuse per primo i gabinetti di fisica alla romana
gioventù, e nel corpo legislativo in Parigi d'innanzi
all'imperatore Napoleone portava abito clericale , il
solo non folgoreggiante di nastri e d' oro. Avemmo
il ritratto del Lanzi dalla cortesia del suo egregio
pronipote avvocato Luigi Lanzi ; quello dello Scar-
pellini è donato da Caterina Scalpellini, che mercè
delle cure dello zio cammuia si bene sulle orme del-
la Herschel e della Sommerville. L' arcadia collo-
cherà il busto del cavaliere Feliciano presso a quello
del Fidia italiano ; ed è ben ragionevole, che il rin-
novellatore de'lincei veggasi accanto al restauratore
fjella scultura.
Se nella prima metà del secolo XIX l'arcadia
(1) La spedizione romana inviata da Grejjorio XVI di sa. me: a
caricare nelT Egitto gli alaba»tri per la basilica ostiense , reduce
dalla Tebaide, nell'approdare al Cairo lidi la morte dello Scarpeliini.
Determinò allora di celebrargli i funerali il di 14 di maggio 1841
nella chiesa di Terra Santa, ov'è il convento de' pp. francescani ri-
formati. Oltre monsig. Teodoro Abukerim, vescovo di Halia e vica-
rio apostolico de'copli, vi assistettero tutte le autorilii indigene ed
europee insieme ad una grande moltitudine di egiziani accorsi alla
novità della cerimonia Veggasi l'elogio dello Scar|)ellini scritto da!
«av. Trompeo.
372
avesse avuto soltanto i lellerali e poeti fin qui nomi-
nati, non sarebbero essi più che baslevoli allo splen-
dore e alla gloria di qualsiasi accademia ? Eppure,
per noverare que'più celebri che vissuti grande spa-
zio di tempo in Roma, più di ogni altro la frequen-
tarono, chi potrebbe tacere i Borgia, i Flangini, i
Litta, i De-Pietro, i Consalvi, i Fontana, i Caprano,
i Mezzofanti; i Devoti, i Marchetti, i Marini, i Bel-
lenghi; i Petrucci, i Fuga, i Finetti, i Gagliulìi , i
Gandolfi, gli Olivieri,, i Enfia; i Pessuti, i Tinelli, gli
Amati, i Fea, gli Appendini, i Biondi, i Mastrofìni,
i Marsuzi , gli Sgricci , i Bestini , le Pellegrini , le
Pizzelli, le Bandeltiui, le Guacci, le Saluzzo e mol-
tissimi altri cardinali e vescovi, prelati e claustrali,
magistrati e giureconsulti, principi e cavalieri, dame
e gentildonne, che alla cultura delle scienze le più
severe unirono l'ornamento della poesia (1)?
Io porto fede che anco i ritratti di arcadi così
valorosi verranno ad albergare in questo teatro di
sapienza umana e divina (2^, e però fin da oggi pren-
do a rimeritare di lode un Salvatore Betti, che dalla
(1) Non finirebbe mai il catalogo, se tulli ricordar si volessero
i più cospicui. Basii il dire non esservi Ictlerato di vaglia in Ita-
lia e fuori, che non abbia gradito di venervi anneverato. Gli auto-
grafi conservali nel nostro archivio ne fanno leslimonianza.
Non è nostro scopo il parlare de'viventi: e moltissimi ve ne
hanno, i quali perpetuano alla nostra acca
abbiano esse in se medesime un intrinseco pregio ed
un utile grandissimo. La sapienza, ognuno il sa, è a se
medesima di nobilissimo conforto: e le arti ingenue,
non solo destano l'altrui ammirazione e plauso, ma
porgono pur anco all'animo un diletto così vivo e
straordinario, cui a niun patto rinunziar si vorrebbe.
Forse che tutto giorno non veggiamo uomini inna-
morati della sapienza non sapersi dislaccare dai libri,
sia per islanchezza di sonno, sia pei- latrare di sto-
maco, sia per inopia di averi, sia tìnalmente per lo
slesso difetto di sanità? Non vedete un PiUagura, un
Zenone, un Demostene (troppo lunga è la schiera co-
minciata da nomi sì grandi) porre ogni altra cosa in
non cale, tutto sembrare ad essi spregevole e vile,
purché giungere possano un giorno ad aver nome di
sapienti, o esser degnali di un ramoscello di quella
fronda
» Gnor d'iujperatori e di poeti.
Per cosiffatto motivo non mancò mai alla no-
377
st l'accademia, che ogni genere di studi in se abbrac-
cia, copia d'ingegni. Né ciò avvenne solo quando,
come io ricordava, veniano cotanto onorati e protet-
ti : ma pur quando parca che più dovessero inari-
dire e venir manco. Si paragonino di grazia fra loro
i quattordici volumi delle rime, le prose, le vile, le
raccolte stampate in ogni tempo dagli arcadi, e saia
manifesto non essere giammai mancato il buon gu-
sto fra noi: essersi anzi propagato e diffuso
« Come passa il valor di vase in vase.
Qual differenza fra le raccolte pubblicate dal Cre-
scimbeni, dal Morei, e quelle messe in luce dal Piz-
zi (1) , ove trovi i robusti versi del Monti, del Cas-
siani, del Paradisi, del Parini, del Manara, del Cer-
retti, dell'Arici, e del Mazza ! Le adunanze del San-
tucci e del Laureani non sono più importanti di quel-
le date in luce sul finire del secolo XVIII.
Il buon gusto nelle lettere e nelle scienze fu il so-
lo scopo deuostri fondatori. Ed eccoli tosto rompere
guerra alle metafore e alle ampollosità del secento,
a poco a poco per loro opera affatto disparite dalla
bella letteratura : eccoli fra il classicismo ed il ro-
manticismo farsi colla voce e collo scritto campioni
della buona scuola, e virilmente combatterla : eccoli
finalmente con sottile industria istillale il buon gu-
sto alla tenera gioventù, che solo a tal fine chiama
non di rado a prendere parte nelle sue più solenni
(i) Il volume XIII pubblicato nel 1780, e il volume XIV slam-
palo nel 1781. Il Gorlard aveva preparato il voi. W, ma ne furo-
no incominciali a stampare i soli primi logli.
378
tornate. Il buon gusto adunque, giovi il ripeterlo, si
proposero i nostri fondatori, e non già ch'ogni pa-
store divenisse un Esiodo, ogni pastorella una Safifo !
Imperocché sapeano bene, come pur voi sapete, es-
sere al pari de'cigni rari i poeti , che indegni non
siano di tal nome (I).
Quantimque in favellando di domestiche co'ie non
sia COSI facile il serbare la convenevole moderazio-
ne: tuttavolta , giusta la sentenza di Patercolo, non
mai per òoveichia modestia devesi detrarre alla ve-
rità. Diviene anzi dovere di assennalo figliuolo di-
fendere l'onore della propria madre. Dopo il Barel-
li fu moda il ricordare le arcadiche pastorelle rie: e
neppure di tal bizzarria, chi lo crederebbe? si pas-
sarono alcuni arcadi slessi , quando con sì vecchio
sarcasmo mirarono a porre in beffe un rivale, o ad
avere un più copioso e prolungato applauso.
A che dunque maravigliare se il mal vezzo con-
tinui (2) e vedasi ripetuto perfino ne'giornali, anco
allorquando trattasi di cose gravissime, e che nulla in-
vero han che fare colle pacifiche lettere ? Non sareb-
be meglio il dire, che niuno mai tanto favella delle
cose vili, e che pure in biasimo non si suole parlar
mai SI spesso se non di quelle, che racchiudono in
se medesime un pregio intrinseco, e che si vorrebbe
disconoscere indarno ?
Mole sua stat^ cantava di Roma il mantovano: e
mole stia stat^ ripeteva il Crescimbeni, sono già cento
(1) » Son come i cigni anco i poeti rari,
Poeti che non sien del nome indegni ec.
Ariosto.
(2) Si potri'bbe tesser pure un licn lungo calaiogo d' illustri
scrittori^ che hanno iodata l'arcadia.
379
cinquanl'anni, ai detrattori dell'accadeinia, cui si rim-
proveravano a puntino i medesimi difetti e le stesse
inezie di oggidì. Potrà essere tenuta in non cale; ma
non verrà mai meno l'arcadia, ispirata dal buon gu-
sto, nata sotto la tutela dell'Infante divino, cresciuta
all'ombra delle sante chiavi , amata dai monarchi ,
e favoreggiata da un sacro collegio, che nel giorno
XV di questo stesso mese andrà lieto di tre nostri
soci chiarissimi (1\ uno de' quali voi stessi vedete
accrescere oggi colia sua presenza lustro e decoro
alla generale nostra tornata.
Sorrida finalmente la quiete amica delle lettere
e delle arti : invocata dal mercatante, non meno che
dall' agricoltore : sospirata dalle nazioni della terra,
disingannate e stanche di politiche rivollure: e tor-
neranno come prima in onore le muse , e vedrassi
come in avanti novellamente rendula 1' arcadia alla
sua celebrità.
(i) Gli eminfntissimi e reverendissimi carJinali Tiiicciardij ve-
scovo di Sinigaglia, De Andrea, segretàrio della sacra congregazio-
ne del concilio; e Carlo F^uigi Morìchini, tesoriere generale della re-
verenda camera apostolica, creati cardinali nel concistoro de'iS di
marzo 1852. 11 solo De Andrea era presente.
380
Lettere edite ed inedite di Bernardo Davanzati BoslicM gentiluomo
fiorentino, raccolte e postillate da Giuseppe Manuzzi. 8° Fi-
rerize, stamperia sulle logge del grano 18o2. (Sono pag. 44.)
E uno de'soliti insigni doni che il cav. abate Manuzzi suol l'are
di quando in (]uando alle nostre lettere classiche. Già intende ognu-
no, nominandosi il Manuzzi, che il lavoro é diligentissimo, e le pò
stille sono quali si convengono al celebre compilatore del vocabo-
lario italiano. Le lettere del Davanzati, scrittore de'più solenni del-
la nostra lingua, si quelle che già si conoscevano, e sì le altro
dall'editore trovate ne'coilioi, sono 31.
Alcune lettere di s. Giuseppe Calasanzio fondatore delle scuole pie,
pubblicate per la prima volta nella promozione alla sacra por-
pora di sua eminenza il sig. cardinale Carlo Luigi Morichini.
8.0 Roma, tipografia delle belle arti 18^2. (Sono pag. XVI e 23.)
Devesi questo importantissimo saggio alle cure dell'egregio P.
Alessandro Checcncci delle scuole pie, rettore del collegio nazare-
no, il quale vi ha premesso un'assai dotta ed elegante lettera, a
modo di proemii), airemiuenlissimo Morichini.
Le lettere del Calasanzio sono qui 23, tutte belle di soavità e
d'amor di Dio e del prossimo, ed anche scritte con certa facilità di
lingua italiana, quando si considera che il santo < ra di nazione spa
gnuolo.
Del libro di Giobbe capitoli nove, con la descrizione del cavallo ,
esposti in vario metro italiano ptr Pompeo Gherardi. 4. Sini-
gagliti, tipografìa vescovile e comunale di Pallonico e Pieroni
1852 (Sono pag. 33).
E lavoro di un nobile giovinetto, il quale con senno maturo dà
opera alle lettere, ed è già onore e conlorio di Sinigaglia sua pa-
tria. Tal vuoisi chiamare e lodare il conte Pompeo Gherardi. Infatti
non so quale de'nostri migliori poeti non si onorerebbe di que.sto
volgarizzamento, 8Ìa per la eleganza e gravità de'versi, sia per l'e-
gregia interpretazione del testo.
381
Due consuUi inedili di Domenico Cutugno tratti dai manoscritti
della libreria Guzzoni. 8° Fano per Giovanni Lana 1852. (So-
no pag. 11.)
Il nome del gran Cotugno raccomanJa abbastanza questi con-
sulti, i quali vengono intitolati al celebre prof. Piiccinotli dal dot-
tore Vittorio Guzzoni degli Ancarani. A pie del volumetto trovasi
inoltre la necrologia del dott Aurelio Guzzoni, fratello di esso Vii-
torio, scritta dal canonico Celestino Masetti di Fano.
Biografia del canonico Haffaele Francolini fanesc. 8° Firenze coi li-
pi di Mariano Cecchi 1831 (Sono pag. 19).
Il Francolini nato in pano nel 1788, ed ivi morto nel 1840, fu
valente cultore de'buoni studi, i quali professò nelle cattedre di
umane lettere, prima in Lugo, poi nell'università di Fano, indi nel
collegio Belluzzi di Sammarino (di cui fu anche rettore), fìnalmenle
nel seminario e collegio di Sinigaglia. Alquante cose pubblicò in
verso ed in prosa, molle ne lasciò inedite : e di tutte discorre in
questa elegante biografia l'ab. Evaristo Francolini.
Albo funereo alla memoria della marchesa Maria Pizzardi nata Ma-
riscolti. 4." Bologna, società tipografica bolognese 1852. (Sono
pag. 128, con due litografie.)
Edizione magnifica e da onorarsene per ogni squisitezza di gu-
•sto la bolognese tipografia. Bene inoltre le corrispondono le cose in
prosa ed in verso die il libro contiene in lode d'una preclarissima
gentildonna, la quale fu sposa e madre d'esempio rarissimo, ed an-
che fiorì per le doti più belle dello spirito, essendo dotta di molte
lingue, ed assai pratica delle storie, e soavemente sonando. Passò
ella al riposo de'giusli nel febbraio di quest'anno , trentesimoseslo
dell'età sua. Fra gli scrittori ìMVaWo troviamo non pochi nomi ,
de'quali è illustre la sempre sapiente Bologna : e, quello che ass^i
ci piace, vi troviamo pure alquante gentili donne, le quali spargen-
do fiori sul sepolcro della iMariscotti Pizzardi hanno dimostralo in-
sieme il proprio valore nelle letlere. Sono esse la principessa Taresa
Angelelli Simonetti, Marianna RerliUi, la contessa Teresa Bernardi
Cassiani, Mariella Gasparini Roncagli, Fanny Ghedini Borlolotti, Em-
ma Ro3SÌ, e Teresa Salaroli Insom.
Degna di lode è la immagine litografica della sua persona, di
segno del Guardasoni, e più quella delle sue virtù, che in elegante
382
e. grave prosa dettò il cav. MinghiHti: clt-ijiio anche il sepolcro
tiella famiglia Pizzardi scolpito dairilliistre Baruz^i e deaerino in
una bella canzone da monsignor Golfi»M-i.
Delle antiche chiese di s- Pietro e di s. Maria maggiore della città
di Toscanella, dissertazione delCavvocato Secondiano Campana-
ri membro della commissione ausiliare di belle arti e antichità
nella provincia di Viterbo, socio della pontificia accademia ro-
mana di archeologia ■■ dell istituto romano di corrispondenza ar
cheologica: della R. ercolanese di Napoli, della società colomba-
ria di Firenze ■ della I. e R. società aretina di scienze, lettere
e arti ec S° Montefiascone dalla tipografia del seminario pres-
to Savini e Sarlini 1862. (Sono pag. 96 con cinque tavole in
rame.)
Assai chiaro per dotte opere è il nome del sig. avv. Campanari
nell'archeologia sacra e profana : n^ qui è a dire di quanta erudi-
zione d'ogni maniera, ma chiaramente ed elegantemente esposta, ab-
bia egli fiorito questo suo libro intorno a due templi cristiani di To-
scanella sua patria edificati intorno all'VIII e IX secolo.
Documenti ad una giovane sposa che aspiri alla gloria di buoìia
moglie. Leltcra di Flaminio Nobili a Camilla Bernardini de'
Guìnigi. - DeWamore coniugale- Ammonimenti di fra Cherubino
da Siena. Modena per Carlo Vincenzi 1852. (Sono pag 26
in 8»)
Il chiaro ed erudito sig. dott. Luigi Maini di Carpi, in nome de-
gli amici , anziché aver ricorso a fatui versi ed armoniose ciance
per le nozze di due gentilissimi, il doti Gaetano Pederzini di Modena
e Anna Brighcnti dì Rimino, nobili rampolli di piante nobilissime,
ha molto lodevolmente unito in questo libretto, quasi due gemme in
vago anello, due prose piene de' più scelti od utili precetti ad una
sposa, e vi ha aggiunto un suo corredo di note filologich,-, biograhche
e bibliografiche dottissime
G F. R.
883
CONTENUTE
NEL TOMO CXXVI
VOLUMI 376, 377, 378.
T^ota de signori compilatori e collaboratori.
Osenga^i Lettera intorno al libro del Boncom-
pagni sulla vita e sulle opere di Gherardo
cremonese e di Gherardo da Sabbioneta. pag. 1
Cappello.^ Sul sanitario congresso nazionale a-
perto a Parigi nel ìSòì ec » 5
Barciulli., Elogio di fra Luca Pacioli. . . » 169
Barciiilli^ Riflessioni critiche sulla vita di Pie-
tro della Francesca scritta dal Vasari . » 177
Adriani, Traduzione della vita di Focione scrit-
ta da Plutarco., pabblieata dal prof. ab. Rezzi. » 186
Sigonio., Lntorno all'indole della letteratura., vol-
garizzamento del prof. ah. Antonio Fazi . » 233
Fedro., Saggio di traduzione de'suoi apologJu.,
fatta dal marchese Broli » 239
fìambelli, Di alcuni vizi che guastano maggior-
mente la nostra favella » 256
Galeotti., Elogio deWab. Giuseppe Berlini . » 267
Bartolini, Sull'altare ligneo della basilica la-
teranense » 287
Viola., Lellera IV sul colle tihurlino. . . » 3l4
Gallo., Necrologia di Giuseppe Patania . . » 344
Cavazzoni Pederzini.^ L'opinione e la stampa di-
saminate (continuazione e fine) > 354
384
Fabi Montani , Intorno ad alcuni ritratti di
recenti arcadi illustri collocati nella sala del
serbatoio > 359
Varietà.
IMPRIMATUR
Fr. Th. M. Larco 0. P. S. P. A. M. Socius
IMPRIMATUR
F. A. Ligi Archiep. Icon. Vicesg.
(^fMXfji