GIORNALE DI SCIEIVZE, LETTERE ED ARTI Voi. 373, 374, 375 ROMA TipograBa delle Belle Arti 1851 Piazza Poli num. 91. Hiì fitlCft^' GIORNALE D I TOMO CXXV Ottobre, Novembre e Dicembre 1851 ROMA TIPOCnAFIA DELLE BELLE ABH ■1851 sciali ^^9 'E^'MTTMMM^ '■■■ ■•.:i'l Notizie istoriche intorno alla specola di Milano^ rac- colte neWanno 1 846 da Pietro Biolchini, segretario della direzione del giornale arcadico. ALLA CH. MEMORIA DELL'EMINENTISSIMO SIG. CARD. FRANCESCO CAPACCINI 1 1 on una lapide, un busto, o altra tale opera di scarpello s'intitola qui al nome di un grande estinto, ma una opericciuola di penna, la quale come che poca cosa, pure al tutto è dovuta alla memoria di lui , che già tra i vivi degnò gradirla; e ricevuta l'avrebbe, se appunto allora non incontrava la im- matura fine di coloro che per molta virtù meritato avrebbero di non dover mai morire. Avrà questa vo- lore pur solo per la materia di rammentare la pro- tezione che esercito quell'illustre porporato a favore de'buoni studi , a particolarmente dell' astronomia ; nella quale scienza egli s' intese assaissimo. Ed era tutto dato alla contemplazione degli astri e della u legge che i loro moti governa, quando passato da' suoi dotti ozi di Napoli alla corte di Roma, seppe ivi mostrare quanto della contemplazione possa giovarsi r azione e quanta analogia passi tra l'armonia del mondo fisico e l'armonìa del mondo morale; così che la cognizione delle scienze materiali e filosofiche non sia indifferente per uomo di sublime ingegno e di retto cuore alla cognizione delle scienze sociali e del governo degli uomini Egli però nel maneggiare gli affari della chiesa e dello stato meritò tal fama, anche oggidì si durevole , che non aspetta i miei etogi. Il perchè basta questo cenno per tornare con la mente a venerare il nome di un nomo mancato in- nanzi tempo per infortunio comune, ma la cui me- moria si ravviva spesso pur oggi nel desiderio di molti. Sì><0 i^i^UttMUìI Jue notizie intorno alla storia della specola di Mi- lano, la direzione delle macchine, che vi si trovano e la esposizione de'Iavori astronomici in essa insti- tuiti sì teorici e sì pratici, leggonsi qua e colà sparse in diverse appendici delle effemeridi astronomiche di Milano, come che se ne vedano de'cenni negli elogi del Cesaris e dell'Oriani, il primo de'quali fu scritto dall'astronomo Bianchi da Modena ed il secondo dal professor Gabba. Noi da tutte queste fonti abbiam tratte le presenti notizie, ed abbiamo pure accennato que' luoghi, dove più ampie cognizioni possono su tal soggetto rinvenirsi. La corte del Belgio richiese all' I. R governo au- striaco nell'anno 1838 dei ragguagli intorno alla spe- cola astronomica di Milano, dal quale ebbe il dotto rapporto che ci facciamo ad esporre. Pianta delV osservatorio. — L'osservatorio di Mi- lano é considerato come parte dell'L R università di Pavia. Sono stipendiati parte dal pubblico erario, parte dalla rendita del fondo legato all'osservatorio dall'astronomo Oriani. 6 Un primo astronomo direttore ha lire austriache 6000 Secondo astronomo 4500 Primo allievo 1350 Secondo allevo 900 Terzo alievo 900 Macchinista 2365 52 Portiere (oltre il vestiario) . . 540 Hanno essi tutti allojjgio gratuito nell'I. R. pa- lazzo delle scienze. Sono inoltre ammessi nell'osser- vatorio gli allievi liberi che si esercitano nei cal- coli e nelle osservazioni, affinchè possano acquistare il diritto di poter aspirare all'ufficio di allievo stipen- diato. E questi, quando abbiano prestato all'osserva- torio degl'importanti servigi, ottengono talvolta dalla munificenza del governo qualche straordinaria rin uiuoerazione. oli Dotazione. — L'osservatorio ha una dotazione parte a carico della cassa pubblica, parta proveniente dagli avanzi della suddetta rendita del legato Oriani. A questo si aggiunge il danaro ottenuto per la ven- dila delle effemeridi astronomiche. La dotazione del- l'osservatorio serve: r Alla manutenzione del locale, de'mobili, e delle macchine astronomiche. 2" Alla somministrazione delle materie prime al macchinista per l'esecuzione dei lavori che gli ven- gono ordinati. 3° Alla stampa delle effemeridi astronomiche, e Maitre produzioni relative all'astronomia. Iti M^,4° Alla provvisione de 'combustibili e lumi oc- correnti alla specola ed alle camere, dove si radu- nano i calcolatori e si danno le lezioni. 7 5° Alla provvisione de'libri spettanti all'astro- nomia. 6° All'acquisto di macchine che non possono essere somministrate dall'officina meccanica dello sta- bibilimento. Occorendo l'acquisto di qualche stromento di prezzo ragguardevole, l'I. R. governo suole concedere straodinariamente i mezzi necessari. Direzione ed amministrazione. — La direzione dell'ossevatorio è affidata al primo astronomo. Egli è incaricato dell'immediata corrispondenza col go- verno : tesse il conto preventivo delle spese di ciascun anno, custodisce la casa, e tiene il registro dei volumi delle efFemeridi che si vendono a van- taggio dello stabilimento ; conserva in un deputato magazzino gl'istromenti e altri oggetti che cessano di essere usati nell'osservatorio, dirige finalmente l'archivio contenente le carte d'ufficio ed il deposito delle osservazioni e dei calcoli. Incombenze dei due astronomi. — Uno dei due astronomi dà un pubblico corso annuale di astrono- mia teorica. Entrambi si occupano nel fare le osser- vazioni astronomiche ed in tutte le operazioni spet- tanti a' progressi dell'astronomia. Dirigono gli studi teorici e pratici stipendiati ed onorari, ed esamina- no i calcoli da essi fatti. Pubblicano ogni anno del- le memorie astronomiche nelle appendici delle effe- meridi o in altre scientifiche raccolte. Presentano ogni anno al governo un rapporto sullo stato della specola e sugli studi degli allievi. Trasmettono pure annualmente alla direzione della facoltà filosofica del- l'I. R. università di Pavia i cataloghi scolastici in dop- 8 pio esemplare. Manteri{jono una corrispondenza scien- tifica cogli altri osservatorii e con diverse accademie; la qnale corrispondenza si conserva nell'archivio in- sieme colle altre carte di ufficio. Ogni astronomo, che abbia continuato per 25 anni a pubblicare delle memorie astronomiche ap- plaudile, va esente dalle occupazioni più faticose, e dopo altri 5 anni di assistenza e di direzione può essere, volendo, giubilato col soldo intera. Incombenze dei tre allievi aggiunti. — I tre allievi aggiunti calcolano di concerto alcuni anni preventivamente le effemeridi, ed assistono alla loro stampa; calcolano le proprie osservazioni, mostrano la specola agli stranieri ed a' nazionali intelligenti ogni qual volta ne sono richiesti dagli astronomi. In tutti i giorni dell'anno, salvo i festivi, si ra- dunano in una stanza della specola e vi fanno i loro calcoli e i loro studi almeno cinque ore al giorno, oppure si trattengono nella specola per farvi le os- servazioni astronomiche , meteorologiche e magneti- che che sono loro commesse dal direttore, il quale regola il tempo delle loro vacanze in modo che uno o due rimangono costantemente all'osservatorio. Quello che aspira all'impiego di allievo aggiunto bisogna che abbia riportato con lode l'approvazione d'ingegnere in una delle università del regno: o, trat- tandosi di persona ecclesiastica, abbia ottenuto una ragguardevole considerazione nel corso del liceo e negli studi teologici in alcuno dei seminari diocesani: deve inoltre aver dato prove chiarissime di valore e di esattezza nelle osservazioni e nei calcoli, esercitan- dosi [)resso l'osservatorio pel corso di due anni; final- 9 mente deve sottometersi a tutte le regole che sono pre- scritte pei concorsi degli aspiranti al grado di pro- fessore. Se alcuno degli aggiunti si rende noto in ma- niera particolare col pubblicare opere utili relative a' suoi studi, il governo sull'informazione degli astro- nomi gli concede gratificazione straordinaria: e se continua in così fatta guisa, ha un aumento di solda. Agli aggiunti, che abbiano proseguito pel corso di 25 o 30 anni a pubblicare memorie astronomi- che importanti, sono conceduti quei privilegi sopra detti, di cui godono gli astronomi in analoghe cir- costanze. Incombenze speciali del primo allievo. — h pri- mo degli allievi aggiunti fa le veci dei due astrono- mi ogni qual volta questi sono legitimamente im- pediti, cioè o supplendo nelle pubbliche lezioni o continuando qualche serie di osservazioni da essi intraprese. Ammaestra gli altri allievi nei calcoli, tiene un registro generale di tutte le osservazioni che si fanno , o che si ricevono per mezzo delle corri- spondenze. iiobIìM Per esser promosso all'ufficio di primo allieva aggiunto bisogna aver adempito con lode a tutti i doveri di allievo almeno per anni 4, ed aver pubbli- cato qualche importante lavoro di astronomia. Incombenze del macchinista. — Il macchinista ha nell'I. R. palazzo delle scienze, oltre l'abitazione, un' officina meccanica. Deve impiegare l'opera sua per qualunque lavoro, che gli venga ordinato, tanto oc- corrente alla specola, quanto estraneo. Ha l'obbligo di accettare uno o più allievi da informare nella sua professione senza pretendere mercede. to Ogni settimana passa in rivista ciascuno degli strouienti della specola per procurarne la forbitezza e la migliore conservazione, e farvi le riparazioni, previa l'approvazione degli astronomi. Impiega sei ore pel servizio della specola, ed occorrendo deve pre- starsi senza limiti. Incombenza del portinaio. — Il portinaio deve assistere alla porta della specola nel tempo che stanno radunati gli allievi aggiunti, e quando lo richieda il bisogno. Serve gli artronomi e gli allievi in tutto ciò che ha relazione alla specola. Nelle ore in cui sono aperti al pubblico gli uffici delle scienze, il portinaio può condurre i forestieri alla visita dell'osservatorio, non piò però introdurli nella sala del circolo meri- diano e negli altri gabinetti, dove sono le maechine più delicate. In caso di vacanza di un impiego presso l'I. R. osservatorio, si pubblica un concosso, ed il direttore presenta all'I. R. geverno una terna per la nomina definitiva. Osservazioni astronomiche. — Nella specola di Milano, riccamente provveduta dei migliori stromenti e di sufficente numero di osservatori, si fanno le os- servazioni astronomiche riconosciute specialmente utili al progresso della scienza, dandosi la preferenza a quelle che richiedendo l'impiego delle macchine grandi, non possono eseguirsi nei piccoli osservatorii. Le principali sono : 1° Le osservazioni di ascensione retta e decli- nazione del sole che vengono regolarmente parago- nale colle tavole per sempre più perfezionare gli elementi. Nelle vicinanze degli equinozi e dei sol- 11 stizi le altezze meridiane del sole si osservano con- temporaneamente per maggior controlleria ad un cir- colo meridiano, e ad un circolo moltiplicatore, en- trambi di tre piedi di diametro. . . 2° Le osservazioni meridiane della luna, delle quali si procura di non perderne alcuna, tanto al- lorché passa pel meridiano nelle ore inoltrate della notte, quanto allorché essendo vicina al sole presenta una debolissima fase. Le ascensioni rette della luna al numero di oltre due mila, calcolate e paragonate colle tavole, abbracciano già il periodo di 22 anni, e su di esse si stanno determinando le costanti e gli altri coeflicenti ancor dubbiosi della teoria lunare. 3° Le osservazioni della stella polare affine prin- cipalmente di rettificare il circolo meridiano e deter- minare il polo istrumentale. 4* Le distanze dal vertice delle stelle zenitali determinate mediante l'inversione col circolo moltipli- catore, che combinate colle distanze dal polo osser- vato al circolo meridiano, danno con molta precisione il complemento della latitudine geografica dell' os- servatorio. 5° Le distanze del vertice delle stelle circompo- lari nei passaggi superiore ed inferiore, e quelle delle stelle molto australi affine di determinare con più precisione le rifrazioni astronomiche. A questo ogget- to si è scelto un certo numero di stelle, le quali si osservano di concerto nelle specole di Milano, Padova e Modena. Sarebbe desiderabile che si osservassero anche a Brusselles ed in altri osservatori!. 6" Il passaggio delle stelle più cospicue all'orien- te ed airoccidente pel primo verticale. A questo fine 12 si è collocato su due pilastri di granito uno stro- luento di passajjgi di cinque piedi di lunghezza e in posizione norroale al meridiano. Questi passaggi combinati colle distanze dal zenit, osservate contemporaneamente col circolo mobile , servono, oltre agli altri usi già conosciuti, alla de- terminazione delle rifrazioni ed a quella della pa- ralasse della luna. Le osservazioni delle comete, sia periodiche, sia nuovamente apparse, che si istituiscono (quando non siano visibili nel meridiano) con un settore equato~ riale di cinque piedi di raggio. Il carico di questi lavori viene diviso fra gli astronomi e gli aggiunti , di modo che nei giorni sereni le macchine dell'osservatorio non rimangono mai oziose. Osservazioni meteorologiche e magnetiche. — Le osservazioni meteorologiche (barometro, termometro, igrometro, pioggia, direzione, del vento, stato del cie- lo) si fanno attualmente sette volte il giorno, di tre in Ire ore, cominciando dalle sei della mattina, e ter- minando a mezza notte. Eziandio queste sono divise fra'vari individui, a cui sono assegnale le ore. Sui medi mensili si calcolano regolarmente le costanti delle variazioni orarie del barometro , del termo- metro, e dell'igrometro, e la direzione del vento op- posto. Nei giorni poi dei solstizi e degli equinozi si fanno le osservazioni meteorologiche d'ora in ora richieste a diversi osservatorii dalle società meteoro- logiche di Londra. Finalmente nelle consuete giornate di agosto e di novembie si notano da diversi osser- vatori le stelle cadenti, indicandone prossimamente il corso apparente e l'intensità della luce. 13 L'osservatorio possiede due apparati per la ri- cerca della declinazione e della forza magnetica orizzontale , uno dei quali fu costrutto a Gottinga sotto la direzione del celebre professore Gauss, e serve alla determinazione assoluta dei sudetti ele- menti ; l'altro è una copia di quello, con cui due ragguardevoli viaggiatori, i sigg. barone Sartorins e dottore Listing, fecero presso questa specola molte osservazioni : esso è stato costrutto dal macchinista e serve per osservare le variazioni diurne ed annuali. Il medesimo macchinista, sulle istruzioni avute dall'aggiunto dell' osservatorio sig. Carlo Kreit (ora astronomo in Praga), ha congegnato un ago d'inclina- zione di 13 centimetri di lunghezza, sospeso su due punte che lavorano su pietre dure, e munito d' uno specchio giusta il principio di Gauss. Per le incli- nazioni assolute si fa ancora uso dell'inclinatorio di Lenoir, il cui ago ha 17 centimetri di lunghezza. Le osservazioni magnetiche si fanno sei volte ogni giorno alla distanza di ore tre l'una dall'altra. In determinati giorni, preventivamente concertati fra diversi osservatori principalmente di Germania, si osserva la declinazione magnetica di 5 in 5 minuti per lo spazio di 24 ore continue. Osservazioni geodetiche, misura della lunghez- za del pendolo semplice. Gli astromi di Milano fu- rono in vari tempi incaricati di lavori trigonome- trici per la descrizione geografica del regno. Negli anni 1823, 24, 25, d'accordo con altri astrononi, fu- rono determinate le differenze di longitudine di di vari osservatorii col mezzo di segnali a fuoco. Nel 1834 e 35 si ripeterono alcune operazioni geo- i4 detiche alfine di riscontrare e stabilire i termini del- la base trigonometrica misurata nello scorso secolo in Lombardia. Con un apparato di particolare costruzione si è determinata dagli aslromi di Milano la lunghezza del pendolo semplice, tanto in quell'osservatorio, quanto sulle sommità del monte Cenisio: e si vanno ripe- tendo gli esprimenti con gravi di diverse materie per riconoscere l'influenza della resistenza dell'aria sul moto dei pendoli. Presso l'osservatorio si ha il deposito dei cam- pioni dei pesi e delle misure secondo il sistema me- trico, alcuni in forma autentica spediti da Parigi, altri costrutti in Milano per servire di modello, e quelli da diramarsi nel pubblico. Gli astronomi per l'ordine del governo, o per la domanda di stabilimenti scentifici nazionali od esteri, si prestano ad eseguire la verificazione dei modelli, che loro vengono pre- sentati. A tal uopo le stabilimento è fornito di tre esattissime bilance e di due comparatori, uno a leva, l'altro a microscopio. Istruzione. — I regolamenti dell'osservatorio pre- scrivono che le lezioni di astronomia si danno ogni anno in ragione di quattro ore per settimana: le quali possano anche comprendersi in due lezioni di due ore l'una, e siano regolate sulle norme delle cattedre libere dell'università di Pavia. ii. Non essendo tale istruzione obbligatoria e non potendosi da essa escludere quegli uditori che non sono istrutti nelle scienze matematiche, il professore si regola nella qualità delle materie da trattarsi giu- sta le circostanze e la capacità dei diversi individui 15 ehe ^'intervengono, divìdendo a tal fine l'insegnamen- to in due ordini. Priraanaente si dà un'istruzione regolare e gior- naliera per coloro,! quali essendo fondati nell'analisi e nella meccanica sublime amano di conoscere l'a- stronomia nella sua totale estensione. Poi si dà due volte per settimana una lezione di astronomia fisica elementare per quegli uditori, che frequetano l'osser- vatorio per avere soltanto un'idea della sceinza e conoscere solo quella perle che può esser disguinta dalle matematiche. Gli allievi liberi, e gli stranieri che vengono tal- volta inviati e raccomandati da diversi governi d'Italia , affinchè possano perfezionarsi nello sudio astronomico, oltre le suddette lezioni teoriche rice- vono dagli astronomi e dal primo allievo un'istru- zione tutta pratica relativa ai calcoli delle osserva- zioni ed al maneggio degli stromenti. Il catalogo degli studenti viene compilato sul modello di quelli degli studi filosofici delle università. Pubblicazioni. — Ogni anno si pubblicano pre- ventivamente le effemeridi astronomiche calcolate sulle più recenti tavole e sui più sicuri elementi. I calcoli sono scrupolosamente conservati , affinchè quando si determinano colle osservazioni gli errori delle posizioni degli astri, non possa cader dubbio sugli elementi fondamentali, ai quali debbonsi ap- plicare le correzioni. Le sudette effemeridi sono seguite da un'appen- dice contenente l' esposizione delle più importanti osservazioni fatie precedentemente nella specola, e i confronti di esse colle tavole astronomiche. In esse s'inseriscono inoltre ora delle nuove tavole astrono- 16 miche, ora delle ricerche teoriche relative alla so- luzione di problemi trigonometrici, al calcolo delle perturbazioni planetarie. Le disertazioni di maggiore estensione si dan- no o in qualche collezione di alti accademici, op- pure si stampano in volumi separati. Si stampò in Milano dall'I. R. stamperia nell' anno 1838 in 8." L'indice alfabetico delle memorie contenute nelle ap- pendici dei 64- volumi finora pubblicati delle effeme- ridi astronomiche di Milano secondo V ordine dei no- mi degli autori. Inoltre vengono di tanto in tanto somministrati alla gazzetta privilegiata di Milano , ed al giornale scientifico intitolato la Biblioteca ita- liana., degli articoli astronomici diretti ad informare il pubblico delle più importanti osservazioni e sco- perte. Un estratto delle osservazioni meteorologiche •vien somministrato giornalmente alla suddetta gazzet- ta, e di mese in mese colla maggiore estensione alla Biblioteca italiana. Questi stessi estratti si riproduco- no di anno in anno nell'appendice delle effemeridi. NOTIZLA DELLA PRIMA FONDAZIONE DELLA SPECOLA E de' suoi successivi incrementi. L'astronomia pratica cominciò ad esser coltivata, nell'antico collegio dei gesuiti detto di Brera, molti anni prima che vi sorgesse il magnifico osservatorio che ne forma ora uno dei più belli ornamenti. I padri Pasquale Bovio e Domenico Gerra fin dall' anno 17G0 avevano ottenuto la facoltà di collocare alcuni cannocchiali in un appartamento posto nella parte più elevata del collegio , mentre dove si oc- 17 cupavatio nel passare In rivista le diversi costellazio- ni ebbeio la soile eli annunziare per primi la com- parsa di una nuova cometa. La suppellotile della nascente specola era umile assai; un cannocchiale non acromatico di 40 piedi di fuoco , una sfera armillare di ferro, un orolog^io a pendolo, ed un quadrante parimenti di ferro costruito da un fabbro ferraio milanese Ma non tardò il ret- tore del collegio p. Pallavicino a dispone per l'a- stronomia una rajjguardevole somma per far costruire dal Canivet, valente meccanico a Parijji, un sestante ed un quadrante murale di G piedi francesi, e dal Sisson di Londra un grande settore equatoriale. (Ap- pendici alle effemeridi degli anni 1776 e 1806.) Fu in pari tempo chiamato a Milano il p. Lo- dovico Lagrange, nativo di Macon, il quale si era già acciuislata molla riputazione essendosi esercitato nell' astronomia pratica a Marsiglia col p. Pezenez (Ap- pendice anno 1815). Lo stesso rettore, secondando il desiderio del ministro imperiale conte di Firmian, propose allora la costruzione di un nuovo osservatorio, di cui diede d disegno e diresse i lavori il celebre p. Boscovich, ornamento Hno all'anno 1704 della ticinese univer- sità, e passato di poi ad illustrare in Milano le scuo- le palatine. Non pago egli di prestar l'opera sua nel recarlo ad effetto, donò 200 scudi de'propri emo- lumenti. (Elogio del Cesaris). Neil' 1765 fu compila la fabbrica, e nel seguente anno giunsero le macchine ordinate; sì dell'una e si dell'altra ebbe la direzione il suddetto Lagrange, a cui era stato dato per aggiunto il p. Luini. Ma passato G.A.T.CXXV. 2 18 questi ad altre funzioni fu disposto della specola a questo modo : Lagrange direttore, Boscovich nd ho- norem^ Reggio e Cesaris astronomi : Chronllial, chia- mato da Vienna, allievo: Megeie, chiamato pure da Vienna, macchinista: due giovani allievi della provin- cia ed il p. Puccinelli allievo speciale del Boscovich. Nell'anno 1773, avvenuta V aholizione dei gesuiti, l'osservatorio divenne dell'erario, ed essendosi allon- tanato il p. Boscovich ebbe il titolo di astronomo anche il Cronthal. Nel corso di quasi 60 anni ebbero luogo molti cambiamenti nelle persone addette allo stabilimento, e non pochi acquisti ed ingrandimenti della fabbrica concorsero a renderlo sempre più im- portante. Per brevità verremo esponendo tutti questi cambiamenti in ordine cronologico. Anno 1774. Uscì in luce il 1 volume delle ef- femeridi astronomiche di Milano in lingua italiana; i successivi fino all' anno 1808 inclusivamente si dettero in lingua latina, indi ritornarono a scriversi in volgare. Veggasi però l' indice che già indi- cammo. 3ii>1776. Sono nominati allievi della specola e supplenti al prof, di matematica l'ab. Barnaba Oria- ni eGaetano Allodi. •1780. L'Oriani è nominato astronomo sopra- numerario. 1786. Il sopraddetto dal governo è inviato in Inghilterra per commettere varie macchine. Gli astro- nomi Reggio e Cesaris segnano la linea meridiana sul pavimento del duomo di Milano , alla quale fu data l'altezza di piedi 73. (Vedi la descriziane nelle effemeridi per l'anno 1788). 19 1788. r tre astronomi sono incaricati della de- scrizione topografica della Lombardia, e nello stesso anno compiono la misura di una base geodettica di lese 6000 di lunghezza, 1789. Il p. Dalmazio Savelli è nominato allie- vo. Lasciò l'ufficio nel 1796. 1790. Il p. Raimondo Benferneri è nominato allievo, il quale poi passò professor di filosofia nel liceo di Milano, indi nella scuola militare di Modena. 1791. Acquistasi il quadrante murale di Ramd- sen di 8 piedi inglesi di raggio. 1793. Si fa acquisto di un telescopio di Her- schel di 7 piedi inglesi di lunghezza. 1799- Francesco Carlini è nominato allievo in età di anni 16. 1803. La descrizione topografica della Lombar- dia, ch'era stata sospesa nel 1796, viene ripigliata ed estesa a tutta la repubblica italiana. 1804. Morte dell'astronomo ab. Reggio . Car- lini nominato astronomo soprannumero. 1805. Gl'ingegneri Giuseppe Brupacher e Car- lo Bioschi sono nominati allievi. 1809. Acquisto del circolo moltiplicatore di Reichenbach di 3 piedi di diametro. L' astronomo Oriani è incaricato dal governo di Francia di recarsi a verificare le latitudini di Roma e di Rimini che racchiudono Parco del meridiano già misurato dal Boscovich. 1811. Il sig. Brupacher passa all'istituto geo- grafico militare. 1812. Acquisto fatto dell' istromento de'passag- gi di Reichenbach. Dono fatto all' osservatorio dal 20 ministro dell' interno d' uno specchio di telescopio di Amici di 16 piedi di fuoco , ridotto nel 1839 alla lunghezza di 12 piedi conservando 1' apertura d'un piede. 1813. Il sig. Bioschi passa anch'esso all'istituto geografico. L' ingegnere Mossotti nominato alunno gratuito. 1815. Il suddetto nominato allievo stipendiato. L' ingegnere Brambilla nominato secondo allievo. 1816. Oriani ottiene la sua giubilazione conti- nuando a tenere l'abitazione, e frequentare l'osser- vatorio. 1817. Carlini nominato secondo astronomo. 1819. Mossotti nominato primo allievo. 1820. Piola nominato terzo allievo. 1822. L'astronomo Carlini è incaricato di mi- surare di concerto cogli astronomi di Francia e di Piemonte l'ampiezza dell'arco di parale! lo fra Mila- no e Bordeaux. 1823. L'allievo Mossotti abbandona la specola, e passa professore di matematiche prima a Buenos- Aires, poi a Corfù, e finalmente a Pisa. 1827. Brambilla nominato primo allievo. 11 dottor Frisiani nominato secondo allievo. 1828. Morte del primo allievo Brambilla. 1829. Soppressione fino a niiov' ordine dell' impiego di terzo allievo. Frisiani promosso al posto di primo allievo. L'ingegnere Stambucchi nominato secondo allievo supplente. 1831. Carlo Kreil, già assistente alla specola di Vienna, è nominato secondo allievo. 1832. Morte dell'astronomo Cesaris. Carlini no- 21 minato primo astronomo direttore. Morte di Oriani, il quale lascia 200 mila lire alla specola per lo sti- pendio di un secondo astronomo e di un terzo al- lievo. 1834. Collocazione del nuovo circolo meridia- no. Frisiani nominato secondo astronomo, 1836. Osservazioni cominciate cogli apparati magnetici di Gauss. 1838. Kreil passa astronomo aggiunto all'osser- vatorio di Praga. 1839. L'ingegnere Stambucchi è nominato pri- mo allievo. Il sacerdote Giovanni Capelli secondo allievo. L'ingegnere Curzio Bussetti terzo allievo. L'astronomo Carlini è incaricato di recarsi a Firen- ze per far perfezionare dal prof. Amici lo specchio del suo grande telescopio. DESCRIZIONE dei tre corpi di fabbrica che costituiscono l'osservatorio. Il piano inferiore dell'antico osservatorio è for- nito di sei camere, due laterali bislunghe e quat- tro centrali quadrate, le quali sovrastano immedia- tamente al piano nobile del lato s. e. del palazzo. Sulle quattro camere centrali sorge la torre o sala ettagona, le cui parte d'est e di ovest si aprono so- pra due terrazzi che formano il coperto delle due camerre bislunghe. In una di queste ultime sono praticate nei muri e nella solìitta delle aperture lon- gitudinali, sotto le quali sono collocati tre istromenli 22 fissi meridiani, cioè lateralmente due quadranti mu- rali , e nel mezzo sopra due colonne di granito, il grande istromento di passaggi di sei piedi di lun- ghezza. Neil' altra sono collocati gì' istromenti ma- gnelici costrutti sui prmcipii del cel. Gauss. La sala ettagona è coperta d' una soflilta non molto pesante, e sorretta nel mezzo da un'altissima colonna a muro \ ma gli angoli tagliati fuori dal quadralo sono a volta, ed offrono un solido appog- gio alle macchine astronomiche fisse che su di essi SODO collocate. Quattro tetti mobili in forma di co- no, del diametro di circa 10 piedi, le cuoprono: ed un ballatoio interno serve alla comunicazione fra r una e 1' altra. La parte più alta della specola è praticabile, ed una colonnetta nel mezzo di essa offre un punto centrale per collocarvi sia un teo- dolite, sia un circolo mobile, allorché occorra os~ servare gii angoli fra gli oggetti terrestri, che in gran numero si scuoprono nel vasto ed interamente libero orizzonte, che si gode da quell'elevata som- mità , la cui altezza totale sul piano dell' orto bo- tanico è di piedi parigini novanta. La facciala dell'osservatorio, parallela al lato meridionale del palazzo, non è perfettamente all'o- rientd , ma declina da mezzodì all'oriente di circa undici gradi, e questa deviazione lungi dall'essere un inconveniente, risultò favorevole alla disposizio- ne delle quattro torricelle, le quali in tal modo non ' Huscirono scambievolmente d'incontro, almeno nel- ' Irt direzione del meridiano. Per lo stesso motivo la i^irezione dell' istromento de' passaggi e del qua- 'd^AiHo murale prolungata verso il nord evitò l'in- 23 contro del tetti del palazzo e si trovò libero iìn dove l'orizzonte è terminato dalla remota catena de' monti. ( Effemeridi astronomiche di Milano per l'an- no n70.) Allorché gli astronomi di Milano ottennero dal- la munificenza di S. M. V imperatore Francesco I i mezzi per acquistare un circolo meridiano di tre piedi di diametro, s'avvidero che le mura dell'anti- co osservatorio, sebbene abbiano 80 centimetri .di grossezza, non erano sufficienti a reggere le piramidi di pietra, alle quali dovevasi appoggiare il nuovo istromento. Si prese allora la determinazione di far lialzare la nuova torre poco discosta dalla specola, la quale nel 1805 era stata in parte demolita, e che sopra solidissimi fondamenti presentava dei muri grossi più di un metro e mezzo. Sugli avanzi di quella torre, che conta più di 600 anni, si ri- fece con materiali di eguale solidità e della gros- sezza di oltre due braccia la parte del muro già demolita. » Condotta questa in forma quadrata ( Descrizione della nuova torre aggiunta alV impe- riale regio osservatorio^ e del circolo meridiano do- nato da S. M. V imperatore Francesco I) fino all' al- tezza di braccia 40 si gittò un arco a guisa di pon- te appoggiato a' muri di levante e di ponente, indi si proseguì con muri di minore grossezza, ed inscrit- vendo nel quadrato un circolo di 10 braccia di diametro, il quale costituisce l'area della sala prini- cipale. Gli angoli tagliati fuori del muro interao servirono alle scale a chiocciola ed a due gabinetti^ nei quali si stabilirono 1' anemometro a iqdice e diversi altri stromenti meteorologici. Sull'arco pog- 24 giano due piramidi di granito d'un braccio in qua- dro di base, e di 3 I3 di altezza, alle quali sono assicurali con grosse viti i cuscinetti dell'asse dell' istromento, i fulcri dei contrappesi, e la morsa del- l'alidada. Il circolo meridiano è collocato in una ben'a- dorna sala circolare di 10 braccia di diametro e quindici di altezza, coperta da una volta emisferica imitante l'apparente convessità del cielo, ed aperta dal nord al sud lungo una zona che abbraccia tut- to il meridiano visibile. Ad eguale distanza dal centro della sala sorgono due massi di granilo, ed in mezzo ad essi sta in forma di croce un gi-an canocchiale col suo asse a doppio cono di lucido metallo. A fianco un circolo di tre piedi di dia- metro gira insieme all'asse, ed è composto di due anelli scorrenti l'uno nell'altro con dolcissimo moto e perfetto combaciamento. Su lamine d'argento sono segnate le divisioni, che esplorate con quattro equi- distanti microscopi lasciano distinguere gli archi fino a due minuti secondi, e danno il mezzo se- condo quando fra le quattro letture si prenile il medio eritmetico. Un facile meccanismo è pronto ed acconcio per sollevare tutta la macchina e rivolgerla alter- nando la posizione dei perni. Un livello a bolla d'aria serve a riconoscere ed a togliere le più pic- cole deviazioni dell'asse dalla linea orizzontale: un secondo a spirare le appena sensibili alterazioni dei punti che corrispondono sul circolo al vertice nostro ed al polo del mondo. Alla scella fatta della suddetta torre erasi opposta 25 l'obiezione, che per tal modo venivansi a costituire due corpi di fabbrica, due osservatorii, disgiunti af- fatto l'uno dall'altro. Ma non trascorsero molti anni che l'occasione si presentò propizia per togliere di mezzo anche questo non gravissimo inconveniente. L'astronomo Oriani avea legato,, morendo, all'osser- vatorio una somma di lire 200 mila affinchè coi redditi di questo cospicuo capitale si stipendiassero un secondo astronomo ed un terzo allievo. Ora poi- ché da tale generosa disposizione risultava un no- tabile beneficio anche al pubblico erario, 1' I. R. go- verno volle che una parte della somma, che veni- vansi a risparmiare, si convertissero in vantaggio dell'osservatorio. Si propose allora che sul lato est del palazzo contiguo all'antica specola si fabbricasse una serie di nuove camere, dall'ultima delle quali partisse ad angolo retto un corridoio conducente alla nuova torre, e che oltre a ciò nell'angolo for- mato dalle due parti della nuova costruzione si eri- gesse una nuova torre meno delle altre elevata, ma opportuna a ricevervi un telescopio di 12 piedi di fuoco, che donalo all'ossevatorio dal passato governo italiano per mancanza di luogo opportuno era rin- raasto ozioso. 26 DESCRIZIONE DEI PRINCIPALI ISTRUMENTI. Istromento de' passaggi costrutto a Milauo dal Megele già macchinista dell' osservatorio. Questo istromento era collocato sulla torricella sud-ovest alla sommità dell'osservatorio, ove per la soverchia elevazione andava soggetto a variazioni che ne ren- devano l'uso non affatto sicuro. Allorché venne ac- quistato il nuovo canocchiale meridiano di Reichen- bach, che venne collocato in posizione più bassa e meglio riparata dall'effetto del riscaldamento delle mura proveniente dai raggi del sole , l' istromento di Megele non serviva più che all'esercizio di gio- vani studenti dell' astronomia. Alcuni anni sono si pensò di volgere i pilastri di pietra, che lo sostene- vano, in modo di situarlo nella direzione del primo verticale per istituirvi le osservazioni suggerite dal Bassel, fatte in Germania con assai più piccoli ca- nocchiali. Sestante di Canivet. Prima dell'introduzione dei circoli interi, il sestante di Canivet era istromento importantissimo in quell' osservatorio , poiché era il solo che per mezzo dell' inversione somministras- se immediatamente il principio di numerazione delle distanze del vertice. La parte principale è di ferro "vestita di un lembo in lamina di ottone, su cui sono segnate per mezzo di punti minutissimi le di- visioni di 10 in 10 minuti. Le divisioni si hanno per mezzo di due micrometri filari. Ai due antichi obbiettivi di sei piedi di fuoco di assai piccola aper- 27 tura erano slati sostituiti due buoni acromatici del- la fabbrica di Monaco; ora però ha dato luogo ad istromenti più perfetti. Quadrante murale di Canivet. Di costruzione non molto lodevole, anche pel tempo in cui fu fatto. Nei primi anni era rivolto al sud: ma fu tra- sportato al nord, poiché fu giunto il magnifico qua- drante di Ramsden che occupò il suo luogo. Ora serve soltanto come pezzo storico. (Appendice alle effemeridi 1780. ) Grande settore equatoriale di Sesson. Sebbene di antica data, questo stromento è ancora prege- vole per la grandezza e forza del cannocchiale e per la bontà delle divisioni segnate sopra un arco. di 5 piedi inglesi di raggio. E collocato sulla torricella N. E. dell'osservatorio, e serve moltissimo per Tos- servazione delle comete. (Appendice alle effemeridi pel 1778). Quadrante di Ramsden. È nel suo genere raro per la precisione del piano dell'arco, e per le divi- sioni. Ha 8 piedi inglesi di raggio, e porta due di- visioni, una in 90 e l'altra in 96 parli. Essendo fìsso al muro, per avere il principio di numerazione era necessario ricorrere alle osservazioni contemporanee falle col sestante di Canivet. Posteriormente fu ad esso applicato il collimatore di Kater. ( Appendice effepfiendi 179'i, 1806 e 1835). Circolo moltiplicatore di Reichenbach. E istro- mento perfettissimo. Ha un cannocchiale acromatico di 42 pollici di fuoco e di 38 linee di apertura, uà circolo verticale di Ire piedi di diametro , un ori»- zonlale di due e mezzo: un eccellente livello a bolla 28 d'aria è posto nella lonicella sul lato N. 0. della specola. (Appendice alle efFemeiidi del 1812 e 183G). Parallitica di Mecenier, E costruita tutta in ottone e mur)ita d'un connocchiale acromatico di 3 piedi e nnezzo di fuoco e 42 linee di apertura. E collocata sulla torricella S. E , e sebbene nancante di solidità, serve a molti usi per la bontà del cannocchiale, e si conserva come un pezzo storico, perchè era uno degli stromenti più belli dell'osservatorio del cele- bre Gagnoli. Istromento de passaggi di Reichenbach. Ha un eccellente acromatico di 6 piedi di fuoco a 52 linee di apertura, ed è costrutto con tutti i più moderni perfezionamenti. Circolo meridiano di Stork, di cui si disse. (Ap- pendice all'effemeridi del 1836). Telescopio di Herschel. Ha pollici 84 di fuoco e linee 74 di apertura, ed è tutto simile agli istro- menti di eguali dimensioni, con cui il celebre astro- nomo inglese fece una gran parte delle sue osser- vazioni. Essendo pertanto sopra un piede di legno, e non essendo applicalo agli oculari alcun sistema micrometico , ha servito finora più alla contempla- zione degli oggetti celesti che ad alcuna determinata misura. (Appendice alla effemeridi, anno 1795. Tran- sazioni filosofiche di Londra anno 1782). Telescopio di Amici. Oltre un telescopio quasi perfettamente simile al sudetto. Quest' osservatorio ne possedeva un altro del prof. Amici di 1G piedi di fuoco, e di un piede di apertura. Essendo riuscito quel celebre ottico a dare agli specchi la perfella figura parabolica, ha potuto •29 accorciare notabilmente la lunghezza del fuoco del teloscopio medesimo senza diminuirne l'apertura. Es- so è munito di micrometri perché serva alle più mi- nute osseivazioni de' fenomeni siderali. Orologi a pendoli cronometri, borometri , ec. L'osservatorio di Milano possiede un gran numero dì orologi, fra 1 quali é considerevole quello di Ar- nold donato nel 1796 dal generale Bonaparte , e quello a remontoir di Robin che era di Gagnoli. LAVORI ASTRONOMICI ESEGUITI nell'osservatorio DI MILANO. Nell'astronomia pratica, oltre le consuete osser- vazioni della longitudine e latitudine del luogo, delle congiunzioni ed opposizioni de'pianeti, dell' ecclissi ed occultazioni delle stelle, noteremo che nella spe- cola di Milano vennero osservate più di 20 comete, della maggior parte delle quali fu calcolata l'orbila. Debbonsi distinguere la lunga serie delle obbli- quità dell'eclittica osservata col circolo moltiplicatore di Reichenbach : la serie non mai interiotta delle osservazioni meteorologiche, la quale venne sottomossa ad assalto calcolo per dedurne diversi importanti slati della costituzione etmosferica: il gran numero di ascensioni rette della luna, osservate per un pe- riodo di 18 anni, e già ap[)licate alla determinazio- ne degli elementi dell'orbita lunare. Nelle effemeri- di di Milano vennero pubblicale non poche tavole astronomiche, che furono adottale da diversi astro- nomi, quali sono le tavole di Urano deU'Oriani, le 30 tavole «lei sole e delle rifrazioni del Carlini: rima nendo ancora inedite quelle della luna di quest'ulti- mo , delle quali da più anni si fa uso nel calcolo delle effen)eiidi, essendo ridotte alla possibile facilità. Nell'astronomia teorica si distinguono fra i la- vori più importanti la trigonometria sferoidica , ed i calcoli delle perturbazioni planetarie dell'Oriani: la teoria della luna, per la quale ottennero congiunta- mente il premio dall'istituto di Francia l'astronomo Plana di Torino ed il Carlini. Dall'astronomia passando alla geodesia, possono ci- tarsi come testimonio dell'operosità degli astronomi milanesi la descrizione topografica della Lombardia, la verificazione dei gradi del Boscovich e del Beccaria, la misura dell'ampiezza dell'arco di paralello fra Mi- lano e Bordeaux, che può vedersi descritta nell'ope- ra i< Operalions geodesiques et astronomiques a Mi- lan. Milano 1825. » Le notizie che abbiamo questa volta riferite speriamo di continuarle quando ci sarà dato di rac- cogliere le assidue osservazioni, che si stanno istituen- do dai giovani allievi dell' osservatorio intorno ai fe- nomeni del magnetismo terrestre, ai quali sono ora rivolti gli studi de' più chiari matematiei e fisici d'Europa; e ciò all'utile scopo di dimostrare ai cul- tori de' buoni studi i progressi delle scienze esalte e perfette. 31 S. Pietro Apostolo al Valicano, ovvero la condizione del cristianesimo e dell'ebraismo in Roma sotto l'impero di Claudio^ coW analisi di alcuni sìwi mandamenti relativi ai medesimi. Dissertazione letta nella pontificia accademia di archeologia dal prof. Luigi Vincenzi. D iceva altra volta della prima epoca, in cui gli ebrei nelle molteplici e fatali loro vicende della vita dispersi nel mondo, vennero eziandio ad abitare le contrade di Roma. Vi parlai della loro prima abita- zione in Trastevere, e del loro numero abbondante sotto l'impero di Augusto. Vi ragionava della reli- gione vera da essi santamente professata, della loro indole pacifica, dell'obbedienza alle leggi, del rispetto al magistrato, sicché non solo n'ebbero dal senato e dai Cesari applauso, slima e protezione; ma e guada- gnarono con ciò al loro culto molti de' gentili d'ogni ceto e condizione , i quali comunemente col nome ebraico di gherim o col vocabolo greco proseliti ap- pellavansi (1). Ora conforme al divisamento a voi promesso in quella circostanza, ritorno ofl'erendo alla vostra con- siderazione lo stato del giudaismo in Roma all'epoca, in cui compiuto il mistero della redenzione, la sina- goga colle sue istituzioni simboliche veniva a man- care per dare luogo alla verità rappresentata in va- ria forma nella sua legislazione. Nel qual fatto l'ebreo (1) Àlludesi alle due dissertazioni Ielle nella suddetta accademia l'anno 1848, e nel niedesimo anno rese di pubblico diritto col tito- lo : — L'ebraismo in Roma e nell'impero ec. — 3'2 cieco e renitente alla voce del Redentore, veduto ve - nir meno nel suo seno e nelle genti il fanatismo verso la religione patria, e tolta quindi quella spe- ranza di esaltamento, a cui aspirava, non valse a ce- lare più olile r impeto delia sua passione senza ricoriere alla violenza contro chiunque traversava le le sue tendenze. Se non che l'impero romano per decreto della divina provvidenza innalzava a sua volta un ostacolo agli effetti dell'odio e dell'intolleranza , che dovunque spiegava contro i seguaci del Vangelo. E fu pertanto in Roma, siccome nelle province dell'impero, e specialmente tenendo la somma delle delle cose Claudio Cesare principe dotato di un animo moderato e tollerante (sebbene talvolta troppo debole), che ei mitigando il furore delia sinagoga, in ogni dove si fé sentire l'effetto della divina grazia sopra gli uomini di buon volere, sopra il pio israelita, sopra l'idolatra, e sopra il filosofo ancora, allora quando gli apostoli mandali dal Nazaieno a predi- care nel suo nome il Vangelo di salute, percorsero da ogni lato l'universo, raccogliendo abbondanti frutti della loro missione. E qui senza rinnovare innanzi a voi la questione agitata e ripetuta ancora a nostri dì , e sempre in- vano, circa la venuta del principe degli apostoli in Roma, quando che per poco è dissipata da una mente spregiudicata, e poggiata non solo ad una tradizione costante della chiesa universale , ma a testimoni di fiducia, ad uomini le cui parole considerate e nell'a- spetto dell'antichità, della critica, e del loro carat- tere, non ammettono opposizione veruna. Tali sono fra gli altri un Dionisio vescovo di Corinto, ed un 33 Ciijo prete lomano, l'uno vivente ollant'anni al più, e l'altro un secolo circa dopo la morte dell'apostolo; i quali entiambi aflermarono avere i due apostoli Pie- tio e Paolo fondata la chiesa di Roma (1). E se Eusebio dipoi asseverantemente lo contesta in più luo- ghi delia sua storia ecclesiastica, il fece con la scorta di scrittori che lo precedettero, i quali, se non tocca- rono l'età apostolica, comunicarono certamente con quei che li videro, e seco loro conversarono (2). Di non minore fondamento poi si è l'autorità di Eusebio stesso, il quale fissa all'anno secondo dell' impero di Claudio la venuta dell'apostolo in Roma. E sebbene i cronologisti abbiano disputato su questo punto , tuttavia non mi pare convenevole deviare dall'epoca stabilita da Eusebio , la cui autorità si rivolge sopra Africano, da lui preso per guida nella sua cronologia; che come vi vente nel secondo secolo, o al più nel principio del terzo, porge un peso al- l'epoca segnata dal prelodato storico. (1) Eusel)io, olire l'avere confermata ilaì moiuimenli storici ìa venula, la prclicazioiie e la morte dei due apostoli in Roma, sog- {{iunge: « Quin etiam iiisignis ac testata Petri ac Pauli inscriptio , » quae in coenieteriis Romae adhuc usque tempori» manet, huius rei ni gestae lìdera iacit (*) ». La cura e la consuetudine de'primi fedeli, di conservare la preziosa memoria degli apostoli, non che dei mar- tiri, iscrivendo sopra i sepolcri i nomi loro, onde meglio consolida- re ne'posteri la fede e la pietà, sono in oggi ampiamente raffermate dalle nuove scoperte fatte nelle catacombe di Roma da due illustri archeologi, il molto rev.p. Marchi della compagnia di Gesù, ed il sig. cdv. G. 13. De Rossi scrittore di lingua latina nella biblioteca vati- cana, indefessi e dotti investigatori delle antichità cristiane. (2) Euseb. Prologus histor. eccles. (*) Eusebio Ilist. Ecc. lib. 11 e 24. G.A.T.CXXV. 3 34 Oltre a ciò a chi bene con.sldeii la stoiia tiefjii atti apostolici , le parole di s. Paolo nell'epistola ai romani scritta verso la fino dell'impero di Claudio laddove esaltasi la fede di questo popolo celebrata per tutto il mondo, non sarà difficile lo scorgere che non più tardi del second' anno di Claudio di già s. Pietro fosse venuto in Roma. Mentre in quell'epoca ebbe luogo la conversione di Cornelio, l'imprigiona- mento del sant'apostolo, la sua libertà procurata dal- l'angelo , ed il suo allontanamento dalla Palestina sfuggendo la persecuzione di Erode. E se non vogliasi ancora aggiungere , che Cornelio stesso romano e centurione, convertito in quel tempo al cristianesimo, giovasse assaissimo al suo viaggio in Roma j tanto più che raposlolo stesso per quella celeste visione èrasi tolto dal pregiudizio verso le genti, da Jui cre- dute incapaci a partecipare al regno di Dio. E si pVfà pef ultimo maggiore argomento di ciò credere «e faremo senno a quanto accenna il principe degli apostoli, allorché , assistente e preside al concilio gerosolimitano, discorre le meraviglie operate per suo mezzo, già da molto tempo innanzi , da Dio fra le genti; « Viri fraires, diceva (1), vos scitis ^ quo- » nimn ab antiquis diebus Deus in nobis elegil per » OS meuin audire gentes verbuni cvangelii et ere- » dere )>. Locché indicava un luogo intervallo de- corso fra la conversione di Cornelio e la partenza dell'apostolo dalla Giudea, e la sua presenza al sino- do apostolico. Nel quale intervallo s. Pietro predi- cando in Roma il Vangelo, e quindi lungi dalla con- versazione di s. Paolo e dalle città dell'Asia e della (i) Ani aposl. e- XV 7 lì. 35 Grecia da questi peicoisu, il sacro isloriografo nulla accenna della persona di Pietro e degli alti di lui fino al suo ritorno alla metropoli della Giudea per assistere a quella sacra adunanza. Stabilita in modo più che breve la venuta di s. Pietio in Roma, e determinata l'epoca della me- desima, subentri alle nostre considerazioni il luogo ove l'apostolo giunto alla dominante aprì il varco alla parola evangelica. Non evvi luogo a dubitare, come altra volta coi monumenti alla mano vi ragio- nava, che i giudei fino dal primo momento, in cui vennero, o furono tradotti in Roma, abitassero in Trastevere, luogo destinato alle nazioni straniere, fra' quali gli ebrei , come chiaramente su ciò scriveva Filone egizio, e specialmente quella parte, che dal- la porta Aurelia, oggi san Pancrazio, estendevasi fiad ai così detti Prati di Nerone,- laddove in stretto senso dislinguesi il Vaticano insieme compreso il colle e la sottostante pianura da Tacito chiamata Valle Va- ticana [■]). In cotesto luogo pertanto una ragionevole tra- dizione, munita ancora dell'autorità di antichi scritto- li , mostra che il principe degli apostoli giunto in Roma si arrestasse per Tadempimento della sua mis- sione celeste, e sempre nel dovuto riguardo di do- vere , conforme le parole del Salvatore , annunzia- re innanzi tutto il Vangelo ai figliuoli d'Israele, e quindi passare alle genti. Ed era per l'appunto nel Vaticano, ove giusta il citato Filone gli ebrei ebbero ( siccome in tutte le città dell'impero ) le loro si- nagoghe , ed altri luoghi pubblici , detti col nome (1) Tacilo Ann. lib. XiV. h. li. 36 greco Proseuchae^ Oralorii, destinati alla preghiera e alla discussione de'Ioro affari sì religiosi e sì civili, conforme la facoltà loro accordata dal senato e dai cesari in contemplazione della fiducia, che avevano ispirato ed ispiravano per la loro condotta tranquilla ed ossequiosa al nome romano (1); e voi l'udiste chiaro in altro tempo. I quali stabilimenti sono dagli scrittori rappresentati in una forma varia e conforme l'oggetto per cui erano istituiti: essendo alcuni coper- ti ed altri chiusi da recinti, ma esposti all'aria, non dissimili dagli altri edifici presso i greci ed i roma- ni ad uso delle pubbliche sedute. Epifanio taluno ne descrive , segnandone l' architettura alla foggia di teatro senza tetto, situato in luogo piano a comodo della moltitudine (2). Ma dì tutto questo in altro tempo. E frattanto in rapporto alla presenza di s. Pietro in mezzo alle sinagoghe del Vaticano, richiaminsi le gesta di s. Paolo, allorcliè percorrendo le province (1) Filone nel libro De virtutibus richlamamlo alla mente ili Caio Caligola la prolezione di Augusto sopra i giudei , che abitavano Roma , dice : « Non ignorabat (Augustus) magnam parlem urbis » Romae trans Tiberini teneri et habilari a iudaeis .... Noral iis « esse proseuchas, oratoria, c[ao conveniebant et maxime sacris sab- » bali (liebus; quo tempore avita sapientia imbuuntur. » Flavio nella storia della sua vita distingue chiaramente l'uso doila Trpoo-suj^ij, oratorio , destinato non solo al compimento fra i giudei de' lori doveri religiosi, ma ancora per ivi trattare i loro all'ari civili: « In » Proseucham iam convocatum populum deprehendo, qiiem vero in » (ìnem odvocarentnr in concionem, piane nesciverunl, (|ui conve- » nerant. » Flavio Aniiquit. |ib. XIV lom. I e. 10 n. 17 etc. In Vita sua n 54 tom. 2 pag. 20. Ed. D'Avercarap. (21 Epifan. Haer. 80 num. 1. Baruc e. 1. Atti Aposl. e. XVI. Mischnà De Synedriis e. IV. n. 2. 37 della Siria, dell'Asia minore e della Grecia, prima sua cura e dovere riputava visitare le sinagoghe de- gli ebrei, ed ivi pailare del regno del Messia da essi aspettalo, e quindi volgere le sue parole ai gen- tili ancora []). Non altrimenti da ciò compieva il principe degli apostoli nel suo arrivo alla dominan- te. L'apostolo delle genti in tutte le sinagoghe ed altri luoghi, ove gli ebrei convenivano, ebbe mol- tissimi uditori ebrei e gentili, plebei e filosofi, d'ogni sesso e condizione, tratti dalla curiosità e dalla fama, che aveva menato di se nel mondo Gesù Cristo colla sua doitrina e co'suoi miracoli. Le sinagoghe di An- tiochia, di Perge, di Listri, di Derbi, di Filippi, di Berea, di Tessalonica, d'Iconio, d'Efeso, di Atene , di Corinto e di altre città, erano aftbllate dal con- corso non solo de giudei, ma e de' gentili bramosi di ascoltare le parole di Paolo. Altrettanto accadeva in Roma in mezzo al Vaticano, ove Tertulliano e Clemente alessandrino rappresentarono s. Pietro ap- portatore del Vangelo al popolo romano (2). E lad- dove (conforme al testimonio di Aureliano vescovo di Limoges vivente nel principio del terzo secolo) Ste- fano capitano illustre, convertito con altri a Cristo da s. Marziale, venuto in Roma ad impetrare la be- nedizione dell'apostolo, parla di loro l'annalista fran- cese : « Ingredientes vero Romani , invenermit apo- stolum in loco^ qui clicitnr Vaticanus^ docentem miil- tas populorum turmas: » tutto conforme a quei tanto (1) Atti Apost. e. XIIl. 46. Vobis oporlebat primum loquì ver- bum Dei; sed quoniam repellitis illiul, et indignos vos iudicatis ae- ternae vitae, ecce convcrlimur ad gentes. (2) Clem. Alex, iu libro Ilypolyposeon. 38 operato da s. Paolo nell'Asia minore ed altrove. E quanto sieno vere e significanti queste ultime parole docentem mullas populortrm tunnas , ricordate qual fosse la moltitudine degli stranieri e schiavi e liberi sotto l'impero di Claudio in Roma; e quanti uomini di divei'se origini abitassero in modo speciale la re- gione di Trastevere, come ne fanno ampia fede gli an- tichi scrittori. Ove cioè l'ebreo, il siro , l'egiziano , il persiano, il greco, il macedone, l'affricano, il celta, l'alemanno, ed altri di altre nazioni soggiogate, pro- miscuamente là radunati, ascoltavano la parola pro- digiosa di salvezza. Ciò premesso, si proceda innanzi ponderandosi lutto che decretava Cesare Claudio a carico degli ebrei di Roma, conforme ai monumenti a noi tra- mandati dagli storici pagani. I quali decreti essendoché presso alcuni rimasti inosservati, da altri non bene inteso lo scopo dei medesimi, porsero motivo a false congetture. E fra questi ultimi si distinguono spe- cialmente alcuni moderni archeologi di oltremon- te (1). Perlochè subentrando noi ad un nuovo esa- me dei citati decreti, lo faremo con una giusta pre- venzione circa lo scisma provocato nella sinagoga , che non volle riconoscere Gesù Cristo come il le- gato di Dio promesso a' suoi patriarchi, onde appia- nare la via ad una retta intelligenza de'medesimi. E primamente mi si permetta una breve digres- .sipne. Ricorderete, signori, quando vi accennava il nunjero degli ebrei abitanti di Roma sotto l'impero d'Augusto; come cioè, su giusti calcoli estratti dalla (1) Home, Introiluction »o (he criticai sMuly and knowledg^ of the Holy scripiiues «le. I.onJoii 1828, U)in. 1, pag. 188. 39 storia di Flavio, li riduceva alla somma circa di 25 mila, che per varie vicende o propizie o infauste qua trasportati dimoravano. E qui , a scanso di op- posizione allo svolgimento della cosa, avvertasi, che sebbene Tiberio successore di Augusto, giusta le pa- role di Flavio, di Svetonio e di Tacito (1), per la malvagità di quattro soli col voto del senato decre- tava r esilio di tutti i giudei da Roma, colla mi- naccia in caso contrario di essere puniti con una perpetua servitù , e col divieto di loro costumanze religiose; ed inoltre decretava l'invio di quattro mila di loro più robusti in Sardegna alla custodia di quel- l'isola infestata dai ladri; tuttavia in condanna del si- lenzio nei tre prelodati storici , Filone egizio con- temporaneo al fatto , neir asserire la verità del de- creto, ne spiega eziandio la causa, che rimanda so- pra Sciano, come calunniatore de'giudei. Le quali ca- lunnie dopo la morte di cotestui, strangolato nel car- cere mamertino, furono sventate, e ritrattato fu da Ti- berio il decreto d' esilio. E solo inflitta la pena ai pochi colpevoli, mandava che nulla s'innovasse sopra i giudei e loro pratiche religiose (2). E in fatto do- dici anni dopo vivendo ancora Tiberio, come rica- vasi dagli atti apostolici (3), vi erano in Pioma ebrei e proseliti del giudaismo , de' quali molti partirono alla volta di Gerosolima per la solennità di Penie- coste, e furono presenti alle maraviglie operale in quel giorno dagli apostoli nella discesa dello Spiritp (1) Fi AntiquiL. lib.XVllI, 3, 3. Sv^-loii. in Tiber. n 30. T^tit» Adii lìb. Il, n. 83. (2) Filone egizio, De Tirtulibus toni/2, paj; 3fi9 Ed Maugey. (3) Al. ap. e. 2. 40 Santo vsu di loro. Perlocchè ben calcolato il numero dei quattro naila ebrei inviati in Sardegna, siccome della loro più sceha gioventù, col restante di quella nazione che dovea subire l'esilio, o la schiavitù, ri- marrà ferma la congettura, che un numero eguale, se non maggiore, di giudei si trovasse in Roma all' epoca di Tiberio, di Caio e di Claudio, siccome lo era all'età di Augusto. Ora tornando alla questione, tre decreti relativi agli ebrei di Roma s'incontrano notati dagli antichi storici e sottoscritti da Claudio. Il primo ci è con- servato da Flavio nel libro XIX dell'Archeologia (1), il secondo da Svetonio, il terzo da Dione Cassio; i quali attentamente meditati, mantengono Ira di loro uno stretto rapporto e servono moltissimo all'argo- mento. Quello citalo da Flavio si estende agli ebrei d'Italia, siccome di Roma, e a tutti gli altri dispersi nelle province dell'impero. In esso pertanto segnato l'anno secondo del suo consolato, e che era il secondo del suo regno, dopo avere manifestato la sua niente tutta propizia agli ebrei e alla loro religione, con richiamare eziandio alla loro memoria i benefìcii sommi prestati da'suoi antecessori, la libertà del culto, l'esercizio delle leggi proprie, e la cittadinanza loro donata, le quali cose voleva egli conservate sotto il suo impero, soggiun- geva: « Inoltre credo anche convenevole, che i giu- » dei dispersi per tutto il nostro impero conservino » senza veruno impedimento gli istituti loro ; ma » nello stesso tempo comando ancora , che soddi- » sfatti essi di tanta nostra benignità , mantengano (1) Cap. 5. 41 » un più modesto portamento, e non disprezzino le y> religioni delle altre genti; e custodiscano le leggi » proprie )>. C binde il decreto ordinando, che esso sìa trascritto dai presidi delle città, colonie, muni- cipii entro Italia e fuori di essa , perchè fosse co- modamente letto ed osseivato. Dopo ciò non è arduo a comprendersi, che il cristianesimo in Ronia a fronte dell' ebraismo incon- trava quella slessa diflicollà, che esperimentava nella Siria, nell'Asia minore, nella Grecia e dovunque. L' ebraismo aveva in ogni angolo della terra le sue si- nagoghe; alle quali, lo afferma s. Giustino martire , inviava i suoi emissari per combattere il cristiane- simo, ed oscurare la fama di Gesù Cristo e suoi segua- ci (1). Essendoché da per tutto si erano risvegliati in mezzo a' giudei e loro proseliti i sintomi di quello scisma predetto dal Redentore , sotto cui traballava il fondamento delle leggi mosaiche, per poi cedere alla forza onnipotente della chiesa cristiana. Ond' è (1) La IMischnà, Traclatu de Synetlriiscap. X. ii. 4, conforme al tlt'tto di s. Giustino , dichiara la pena di morte contro quei che trasgredivano la legge; la qual pena non era inflitla al reo nella cit- tJi, ove egli abilava, ma er? questi condotto in (lerosolima, e quivi giudicalo, per subire dipoi la pena all'occasione delie loro solennità. Eseguita la sentenza : ^' LUteras conscrtbuut, ac nuncios uiidcqua- ■,-, quaquc millunt Ime formula: T ir talin N. N. fllius talis viri N. •n N. sententìa senatus morte damnalus.^^ In un archivio de'giudei cacciali dalla Svezia trovossi copia dì una lettera, scritta da (ìero solinia, in cui si di» loro contezza della condanna a morte di Gesd con sifl'alli termini: « Vi significhiamo, che Tempio seduttore Gesù » Nazareno figliuolo di Giuseppe fu tolto di vita. Imperocché non » potendo noi più olire tollerare sue bestemmie, l'accusammo pres- » so il pretore romano, che ascollando i nostri voli lo condannò » alla croce, ed i suoi discepoli furono dispersi. Addio m (*). (*) Lib. V pari. 3. /.2 è che Claudio, quando esortava e voleva che i giudei rispettassero le reli^jioni delle altre genti , intende più d' ogni altra il cristianesimo, come quello che nato in seno della sinagoga dispiaceva gravemente a' suoi maestri; togliendosi in tal guisa quel presti- gio, che fino allora aveva trionfato fra le nazioni in favore del mosaismo; e venendo meno quella spe- ranza di esaltamento, a cui tendevano , e verso cui avevano eccitata l'illusione della plebe. Quando al- trimenti delle altre religioni pagane poco caleva alla sinagoga, che guardava piuttosto con indifferenza , e temendo d'altronde il rigore delle leggi imperiali, se per poco avesse attentalo all'oltraggio della reli- gione dominante. A tutto ciò parmi diretta la mente dell'imperatore, a cui erano ben note, e per sestesso e per parte dei presidi delle provincie, le questioni insorte nella sinagoga sopra Gesù Cristo, ed agitate con calore dal fanatismo giudaico; come egli è ba- stantemente chiaro a chiunque volga un breve sguar- do alla storia degli apostoli, come fra poco dirò. E qui frattanto si osservi , che quando Claudio nell' anno secondo del suo impero segnava il decreto in rispetto all'intolleranza giudaica verso le altre reli- gioni , ciò combina coli' epoca stabilita da Eusebio per la venuta del principe degli apostoli in Roma a piedicare il Vangelo. Dichiarato fin qu\ il primo decreto di Claudio, e bene inlesi i suoi rapporti all'ebraismo ed al cri- stianesimo, si passi all'esame del secondo, con bievi ma significanti parole registrato da Svetonio nella vita di lui (1). Ed è appunto in esso, che alla mi- (1) Svetoii. in Clluudiuiii n. 2'S: 43 tezza dell'animo spiegata dall' imperatore nel primo decreto , subentra un rigore ed una severità non bene concepita ne'suoi rapporti : opera di una mente debole, capace di tutte le impressioni, e priva di di- scernimento, come in parte accadeva nel caso nostro. Tali pertanto sono le parole di Svetonio : « Judaeos^ impulsore Chresio assidue tumultunnles^ Roma expu- Ut (Claudius). » Sembrami in primo luogo strano all'idea dello storico il non riconoscere nel vocabolo Chresto il no- me di Gesù Cristo, costituendo esso il termine delle questioni caldamente e talvolta tumultuariamente agitate nelle sinagoghe de'giudei; purché si consideri l'età in cui scriveva Svetonio; e nella quale essendo noto nell'impero e in Roma il nome di codest'uomo singolare, lo additò in tal guisa, (e come tale lo di- stinsero Plinio secondo e Tacito) togliendogli l'idea di uomo privato e sconosciuto, dicendo quodam Chre- sto o Chrìsto come avrebbero dovuto scrivere. D'al- tra parte era facilissimo, a mio parere, che i gentili ignoranti del mistero racchiuso in quella parola Chri- Stus^come l'unto del Signoie, potessero per una certa indifferenza o ignoranza cangiare una lettera, e con ciò il significato della mistica parola (1). Che poi presso i gentili il Redentore fosse chia- mato Creste, cioè buono, ed i discepoli crestiani^ è (1) A vie meglio scorgere come i gentili in qiicircpoca i(>iio- rassero, e poco o nulla curassero una distinzione Ira yiutlei e cri- stiani, basti uno sguardo alla lettera scritta da Adriano, o a noire suo da Flegonte, dall'Egitto a Serviano console circa lo stato reli- gioso (li quella provincia. Flavio Vopisco in vita Adriani. 44 un fatto contestato dai primi scrittori della chie- sa (1). Il martire s. Giustino contemporaneo a Sveto- nio, nella sua prima apologia (e. 4.) presentata all'im- peratore Antonino Pio, mostrando l'ingiusti/ia, con cui si procedeva contro i seguaci di Cristo, ragiona sul vocabolo cristiano, e lo esprime nel modo, con cui volgarmente denominavasi, cioè crestiano^ il che vale uomo dabbene. E quantunque il santo conoscesse l'errore dei pagani in tale nomenclatura, tuttavia ac- cettandola la rispetta; e mostra, che volendosi giu- dicare anche dal nome, i cristiani erano buoni, anzi ottimi, e quindi non essere giusto odiare quel che è buono. E Tertulliano nell'Apologetico, offerto al magistrato romano, conferma il suddetto, e dice (cap. 3): t( Chrìstianus vero .^quantum interpretatio est., de unctione dedueitur. Sed et cum jìerperam chrestia- nits proìiunciatur a vubis (nam nec nominis certa est notilìa penes vos) de suavilate vel benignitate compo- silum est. Oditur iiaque in hominibus innocuis etiam nomen innocuinn. » In secondo luogo egli è parimenti vero, che i primi cristiani si confondevano dai gentili coi giudei, essendo Gesù Cristo nato dalla famiglia d' Istraele e dalla tribù di Giuda. E i suoi apostoli parimenti di quella nazione, siccome moltissimi altri che si sepa- rarono dalla sinagoga per seguire Gesù, appellavansi promiscuamente giudei. E sebbene talvolta per una distinzione fatta dai farisei si denominassero galilei, o nazarei, tuttavia l'origine ancora di tai nomi rife- rivasi alla stirpe di Giacobbe , solo destinguendosl (1) Nel dialogo intilolalo Pliilopatris, attrilniito a Luciano, (]csii Crislo è ilisliiilo col nome
  • edictum peccantesanimadvertit. »Le quali parole non hanno veruna relazione all'antecedente sia per le persone , sia per la ragione del decreto. I pubblici sconcerti promossi nella plebe avevano la loro origine dalle taverne. In esse si fabbricavano i partiti e le sedizioni. Svetonio che ripete un tal editto da Nerone, e ne parla sotto altro (*) Dione Cassio lib. 60 n. 6. cura annoi. Iler. Reimari Edi. Am- burf.i 1752. 56 Ma se oltre a tutto questo, e sotto altro aspetto, vogliasi cousiderare il valore dell'ultimo decreta di Claudio, con cui sospende l'esilio degli ebrei e cri- stiani di Roma attesa la loro moltitudine, vietando solo di convenire insieme, e togliendo le loro adunan- ze, ci si offre un argomento assai valevole per con- fermare, oltre il testimonio di s. Paolo, quanto avesse progredito nella dominante il Vangelo annunziato dal principe degli apostoli ; rilevandosi dalle parole di Dione non solo il ritorno di quelli già espulsi, ma la conversione ognora crescente di ebrei e di gentili ro- mani alla chiesa di Cristo. E tanto egli è ciò vero, che Claudio slesso, sebbene bramoso di mantenere nell'impero la coscienza di ognuno inviolabile nel senso religioso, tuttavia sensibile, che religioni nuove e straniere venissero a confondere quelle già prati- cate in Roma, e sollevarsi sopra le medesime nel ri- spetto e nell'opinione d'ogni ceto di persone (fra le quali per certo primeggiava il cristianesimo), con un nuovo decreto riferito al senato rislaurò il collegio degli aruspici già caduto in dimenticanza : << Quod nunc segìiiiis fieri (dice di lui Tacilo (1) ) publica aspeUo nella vita di Claudio, non fa menzione alcuna de' giudei , quasi avessero una parie in qneiriiilerdelto. La legge mirava il po- polo romano in generale; la riforma cioò dei costumi. E molto meno i suddetti annotatori hanno intese le parole di Filone egizio contro Fiacco, laddove il (ilosofo ebreo rimprovera ai nemici d'I- sraele quel tanto che i gentili commettevano conlra la morale e con- Irò il governo ne'liioghi piiMilici; dai quali sconcerti, dice, erano totalmente alieni e per la professione religiosa e pel fatto i suoi fra- telli ebrei (*). i>-! (1) Ann. lib. XI, e. li. I, • (*) Filone egiz. tom. 2, ed. Mangey. De virlutiibs pag. 891. 57 circa bonas artes socordin\ et quia externae supersti- tiones invalescant. » Le quali ultime parole debbono essere io modo speciale rivolte all' ebiaismo e vie maggiormente al cristianesimo, avendo dall'altro lato Claudio introdotte dall'Attica le feste eleusine (1), E che veramente il cristianesimo in Roma sotto l'impero di Claudio avesse conquistato un numero immenso di proseliti in ogni classe di persone , da diminuire nei romani il prestigio dell'idolatria com- presa nelle moltiplici sue forme, verun altro scrit- tore contemporaneo ci ha desciillo il come e quanto e fin dove fosse giunta la parola del Vangelo, come lo descrisse Tacito storico di un fatto avvenuto sotto i suoi occhi, e che contestava mal volentieri e con istupore, poiché non seppe o non volle comprendere nel regime delle cose umane una provvidenza supe- riore, che le governava. E frattanto ei ragionando sulla condizione del cristianesimo ammirò, e non po- teva non ammirare « Come (sono sue parole) per la » sua origine da un uomo della Giudea sotto la pro- » cura di Ponzio Pilato condannato a morte, talché » persona malefica, e con cui doveva cessare il pre- » stigio della sua fama e della sua dottrina (e parve » per alcun momento essere accaduto), non ostante » di nuovo (ei dice) prorompesse non solo per la » Giudea, ma per Roma ancora, laddove muUUudo » ingens^wna. moltitudine immensa d i cristiani parte » confessi, parte denunziati e convinti, venne tratta » ai tormenti ed alla morte (2) ». Le quali parole (t) E perciò, Seneca cilalo da s. Agoslino, parlaiulo dell'iufliiea- za religiosa de'siiddetti a suo tempo, scriveva : « lidi victoribus le- ges dedcrunt: » (2) Annali lib. XV e. 44. 58 nella penna di Tacito sebbene riferite all'impero di Nerone, mirando tuttavia un fatto già compiuto per l'innanzi, e nel momento stesso in cui gli apostoli con la loro divina missione e per la Giudea e per le province dell'Asia, della Grecia, e in Roma an- nunziarono contemporaneamente il Vangelo, spiega- no e confermano il detto di Dione Cassio relativo ai giudei e ai cristiani insieme di Roma sotto l'impero di Claudio; cioè che attesa la loro moltitudine, Clau- dio non si risolvette di cacciarli dalla città. E realmenle l'impero di Claudio ed il consiglio concepito di lasciare in ciascuno l'arbitrio di ado- rare Iddio a suo piacimento, costituiscono la prima epoca gloriosa della chiesa cristiana; sebbene la per- fidia giudaica ogni raggiro adoperasse per soflfocare lo zelo degli apostoli e l'energia de'Ioro argomenti, combattendo, screditando, vituperando sotto qualun- que rapporto la persona de'Ioro fratelli, e delle gen- ti che indossarono le divise di Cristo. Sì, ripeto, fu grande il numero delle anime con- quistate a Dio nell'alma città, siccome grande e so- prannaturale era l'animo del conquistatore. Quanto vera era la sua dottrina, altrettanto infallibili erano le promesse offerte ai credenti. E quanto evidenti erano le azioni prodigiose compiute nel suo nome dagli apostoli •, altrettanto mirabile e prodigioso era il numero stragrande de'cristiani; tanto che scrittori sebbene indifferenti, o piuttosto nemici del Vangelo, nulladimeno confermarono un tal fatto. E lo asse- rirono a scorno de' moderni filosofanti, de'quali alcu- ni, negando il progresso del cristianesimo ne'suoi pri- mordi , rimandano sopra i suoi maestri l' esagera- 59 zione di tai racconti; e fra questi distinguesi Salva- dor, che ragionando sul progresso del cristianesimo nella sua nascita, fra tutt'altro scriveva: « Si sa che )) tutte le società nascenti, fondate sopra l'entusiasmo, » sono disposte per natura ad esagerare all'ultimo » punto i loro racconti (1). » Ed il Matter, che sotto un aspetto diverso volle considerare la cosa, sono pochi anni che scriveva (2): <( Una religione che esigeva sacrifizi di tal fatta, e 1) che prescriveva una morale sì rigida , non dovè c'tie f^''<^ lento cammino. » Eppure le parole di Tacito, multitudo ingens con l'altra di erumpebat a guisa di torrente , non significavano un lento cammino. E perciò a loro dispetto e ad un più marcato rim- provero sono eglino confutati da un loro pari, che nulla aveva d'interesse a prò del cristianesimo, che anzi ne lo abborriva. Tuttavia, come presente a si- mili avvenimenti, non li potè negare; onde lasciare con ciò un testimonio pailante contro quelli, che in oggi ne'loro studi invocando per loro maestri la ra- gione sola, ed escludendo l'autorità della storia , o mentendo ai fatti ivi narrati, calpestarono i monu- menti i più sinceri ed inconcussi dell'antichità. (i) lesus Christ et sa doctrine tom. 2 pag, 266. Paris 1838. (2) Matter, Storia della chiesa tom. 1. 60 Elogio di monsignor Gabriele Laurearli^ detto neW adu- nanza solenne di Arcadia il 4 dicembre 1851 dal ■prof. Giuseppe Spezi. /\ironore concessomi, principe eminentissimo (1) , arcadi illustri, colti e gentili uditori, all'onore conces- somi di ragionare oggi la prima volta dinanzi a voi, dovendo io rispondere in alcun modo; l'animo viene occupato da due diversi affetti : l'uno muove da ri- conoscenza verso questa chiarissima accademia dell' ufiicio che mi ha commesso; l'altro da tema di non poterlo degnamente sostenere, come quegli cui nes- suna fama di eloquenza né di dottrina qui non pre- corre. Il che bene dovrebbe svogliarmi di favellare in sì dotta e nobile radunanza, se non mi assicurasse il pensiero, che alla mia orazione non si appartiene facondia, né sapere, ma solo dell'altrui virtù modesto e grato rimemorare. Onde io son preso alla più viva gratitudine verso di questo egregio e degnissimo si- gnor custode, delPavermi come posto nelle mani ta- le im subietto di discorso, che riuscendo caro alla me- moria ed al cuor vostro, è pur cagione che io per questo modo venga da voi accolto con benevolenza. Poiché quale é uomo di squisite lettere, quale di amabili costumi , quale di ferma e santa religione, che non ami di udire ricordato il nome di monsignor (1) La solenue adunanza ili Arcadia venne onorata della pre- senza dtirEmo »ig. card. Piclro Marini. Gì Gabriele Laurearli? chi non desidera, che di tanto pio , modesto e sapiente uomo veniva celebrata la memoria e continuala con lode nell'amore e nella ricordanza degli avvenire ? Ed a lodare debitamente il Laureani non fa bisogno di eloquente e dotto par- latore : solo è duopo che alla nostra mente si ritor- nino pur con semplice discorrere le sue virtù. Imper- ciocché bene parmi di credere essere bisognosi ed avidi dell'altrui eloquenza i piccioli o mezzani fatti degli uomini; ma virtù grande e costantemente ri- putata somma dall'universale, è schiva, non cupida dell'altrui facondia, siccome quella che da sé mede- sima traendo celebrità, è pur contenta di un umile e nuovo dicitore. Laonde qui non mi conduce, o signori, ambi- zione di scienza, né ostentazione di lettere; ma pio e forte desiderio di onorare in qualche modo la memo- ria di monsignor Laureani, ricoitlando gli elettissimi suoi studi, congiunti mirabilmente con la bunlà della vita e con la religione. Conciossiachè grande ingiuria farebbe al vero ed all'ottimo vivere del Laureani colui, che in celebrando la sua memoria volgesse gli occhi solamente al sommo latinista, al valentissimo professore di lettere; e non gli aflìssasse ancora nel- l'uomo virtuoso, nel cristiano, nel sacerdote religio- sissimo. E questo raro congiungimento, questo accoi- do mirabile tra l'intelligenza ed il cuore, l'una eser- citata di continuo nelle cognizioni del vcro e del bello, l'altro educato e cresciuto sempre nel buono, stimo che sia la prima e più onorata parte della civile educazio- zione , il più nobile e saggio frutto delle lettere e delle scienze, il subietlo più degno e gradito delle 62 umane lodi e della pubblica imitazione. Per la qual cosa il vero e proprio elogio di monsignor Gabriele Laureani non trarrò io del mio immaginare, si vera- mente di lui medesimo ; il quale ne porge questo di grande, cioè l'unione strettissima de'più eletti ed onorati studi con un vivere tutto modestia , piace- volezza e religione. Che se mi torna gratissimo il potere oggi con qualche esterno segno manifestare l' afifetluosa e sempre viva mia riconoscenza verso di uno , che mi fu padre in amore, sostegno nelle lettere e prin- cipale cagione di poter' io condurre la mia vita in così piena dolcezza e amenità di studi nello eser- cizio di due uffici letterari , per avermi egli , sua grazia , messo bene nell'animo di chi potea quelli commettermi-, molto più cresce la mia allegrezza in pensando, che le vostre poesie, o accademici, daran- no a monsignor Laureani più degna e perpetua lode. E chi meglio di voi può celebrare il suo nome ? chi più di voi dee procurargli bella rimembranza? Egli lume di questa accademia , la resse anni ventuno nell'ufficio di generale custode; la mantenne in onore pure co' vostri chiari nomi; né mai cessava con ogni più diligente studio di esserle intorno. In verità niu- no dubita, che da voi non sia degnamente lodato il Laureani: solo può altri muovere lamento, che non prima di questo giorno voi rompiate il silenzio per onorare la sua memoria. Imperocché ci ha di molti, j quali dicono: « E non fa ora il terzo anno, dacché quella carissima anima si partiva del nostro mondo ? e questa accademia , sempre savia dispensatrice di 63 !odi alla virlù ed allo ingegno di chi le appartenne, non dovea tosto con pietosi poetari seguitare anche ella il comune dolore di quella perdita ? e dal pas- sarsi delle virtù degli uomini senza pubblico elogio, non si genera forse grande sconforto ne' pochi e li- midi loro seguaci ? » Ma tale ingrato silenzio, o si- gnori, non mosse da noi, né dall'accademia; sì bene dalla condizione de' tempi, i quali volsero tristissimi non pure alla privata e pubblica quiete degli uo- mini e degli stati, ma eziandio alle buone arti, alle lettere ed alle scienze. Che se dopo la morte del Lau- reani incominciarono a splendere giorni di più sereno e composto vivere civile, nondimeno duravano an- cor gli effetti del passato disordine: e le lettere, che sogliono accompagnarsi con le fortune de' tempi, do- veano ancor tacersi ed aspettare chi de' comuni timori le rassicurasse. Giacque in lungo silenzio, e di ninna pubblica lode fu confortata la memoria di quello, cui ammirava Allemagna dottissima; invidiava a noi In- ghilterra, e invitava a sedere professore nelle celebri Università di Oxford e di Cambridge, il sapientissimo Emiliano Sarti romano. Giacque in lungo silenzio e di ninna bella onoranza fu celebrato il nome di colui, il qual bastò anche solo ad empiere di sé Italia, Eu- ropa ed il mondo, il degnissimo cardinal Giuseppe Mezzofanti bolognese. Laonde non a noi, non a questa accademia debbe andare nessun lamento del silenzio, tratto sino a questo giorno, della memoria del Lau- reani; quando neppure altri uomini sapientissimi e di universale grido vennero subilo di pubbliche lodi celebrati: né il tardare di questa solenne adunanza dee togliere all'accademia il pregio di avere innanzi 64 desiderato di ordinarla ad onore dell'oUimo suo cu- stode. Il quale, nato in Ronna il dì 14 di settembre del 1788, da fanciullo mostrava animo disposto ad ogni bella e cristiana virtù; e si adornava di una dol- cezza e modestia somma di costumi, cui bene gli po- terono crescere e guardare le cure di savi e religiosi genitori. Poiché il cielo gli fu cortese di una madre piissima in Rosa Antonini romana; gli diede a padre Francesco Antonio Laureani da Nicotera di Calabria, che dotto della scienza medica, ne congiungeva ono- rato esercizio, e uomo di fermezza nelle antiche e saggie costumanze. Conciossiachè l'adolescenza di Ga- briele incontratasi in una età malagevole e turbatis- sima, colpa de' civili tumulti e mutamenti di Francia, i quali tutta Europa percossero di paura e di danni, di fughe e di esili, di guerre e di morti, e fecero assai pericolose agli uomini le antiche usanze e opi- nioni, l'antica fede ai principi ed alla chiesa , vide e apprese nulla ostante in Francesco Antonio Laure- ani il modo di saper durar saldo in quelle. Il perchè monsignor Gabriele con affettuosa rimembranza di gratissimo figliuolo solca spesso lodare la pietà della madre, e nel diritto e quieto vivere cittadino la co- stanza del genitore. In questo modo egli ebbe da gar- zone e nella paterna casa la prima e più utile scuola di virtù, di onore e di religione. Ma con la grazia e bontà dell'indole accompa- gnandosegli debilezza di salute, e più che non pati- scono gli anni dell'adolescenza una persona sover- chiamente alta e raacra, non consentivano i genitori ad avviarlo negli studi delle lettere e delle scienze: 65 ì quali oltre di opportuno inj'ejjiio Jim anelano alcuna vigorìa e sanità di corpo negli stenti, nelle fatiche e nelle veglie, che ivi sogliono trovarsi. Nondimeno interna brama di sludi condusse il giovinetto Gabriele ad api'ire al genitore il desiderio di apparare gram- matica latina, e correre l'arringo letterario: e quegli sebbene vedesse il figliuolo aver passato gli anni da questa prima disciplina, pure discese al nobile desi- derio di lui. A tale studio e' si voltò di assai buon volere; sì che nella diligenza e nello amore di ap- prendere, nella pietà e compostezza de' costumi an- dava innanzi agli altri suoi compagni. Le quali fe- lici sue disposizioni di animo e d'ingegno misero in cuore a' genitori di menarlo alle scuole del collegio romano; dove tra per la bontà della vita e il desi- derio degli studi sarebbe venuto in grazia a' maestri ed a' rettori, e per l'alta rinomanza di quella uni- versità gregoriana aviebbe quivi colto frutti bellis- lissìmi di virtù, di letteie e di religione. Era pur di quel tempo il collegio romano fìo- rentissimo di buoni studi e di sommi professori di lettere e di scienze; sopra i quali di grido e di va- lore si alzavano il Caprano, il Guidi, l'Ostini, il Ca- vana, il Rubbi, il De-Rossi, il Calandrelli, il Conti, il Gasperini , il Tiberi , il Marsella, e quegli onde ho comune la patria , fisico e meccanico eccellen- tissimo, Feliciano Scarpellini. Vi reggeva le cose degli studi un grande loro amatore e mecenate, il celebre cardinal Lilta: vi dimorava colui, che col consiglio e con l'autorità di primo teologo del secolo movea ad aiuto di quanti lo richiedevano di parere nella divina scienza, ilBolgeni. Poiché era proprio di quelli G.A.T.GXXV. 5 66 non tanto la dottrina eminente nel magistero, quanto uiio amor tenerissimo de' giovani studiosi, un con- Tersare continuo nelle scuole e fuori con essi, un ge- neroso adoperarsi in tutti loro vantaggi del cuore e della mente. Per la qual cosa la gioventù posta e nu- tricata in sì feconda e amorevole terra, quanto belli e saai frutti rendesse, tutto il mondo conosce: e ne sono testimonianza le città, le famiglie, i licei, la chie- sa, la corte, ìe quali trassero di quelli onore, esempio, celebrità, sostegno ed ornamento. Conciossiachè se io tra per ammirazione verso assai di loro e per gra- titudine d'insegnamento verso altri, avessi agio qui, come ho desiderio, di poterne ricordare i principali; troppo in là porterei il mio discorso, recando solo ì nomi di quanti sacerdoti, prelati e cardinali degnis- simi della santa chiesa, di quanti professori chiaris- simi in ogni guisa di lettere e di scienze, di quanti magistrati, cittadini e padri di famiglia onoratissimi, ebbero nella università gregoriana la loro educazione. Ma riconoscenza ed ossequio di suddito rispettoso, amore di verità mi spingono a non passarmi di uno, e far memoria riverente del sommo, dell'augusto e ottimo pontefice Pio IX ; il quale per Io esempio e la cura di que' venerabili ecclesiastici, per la dot- trina e la fama di si valorosi maestri, quivi anche egli si accendeva alle lettere ed alla pietà, alla cl€- menza ed alla giustizia. Vivi adunque e fiorisci, o bene avventuroso ateneo, che di tanto squisiti e ab- bondevoli frutti di virtù , di lettere e di religione fosti e se' tuttavia pianta felicissima ! Quanto bene di te e degli altri nostri licei si ripromettono ancora Roma, lo stato, la chiesa ed il mondo; i quali in 67 tanto allagamento moderno di rie dottrine e di peg- giori costumi, in tanto sprezzo ed oblio di religione, prima radice di ogni civile danno, indirizzando ai vostri purissimi fonti d'insegnamento, ai belli e co- tidiani vostri esempi di pietà la loro gioventù, guar- dano continuo sopra di voi con occhio di conforto; sì che di più quieto , saggio e religioso avvenite hanno in voi rivolte le migliori speranze ! Entrò adunque il Laureani nelle scuole e poscia tra gli alunni di sì famoso collegio: dove inconta- nente fu de' primi nella pietà e nella diligenza de- gli studi, non però nello ingegno e negli esercizi letterari. La qual cosa io scrivo per amore del vero, e perchè riesca a maggior lode di lui l'essersi di- poi levato sopra tutti suoi condiscepoli e contem- poranei nella gloria delle lettere latine. E se dalla vita de' più chiari uomini si dee prendere non pur di- letto, ma istruzione; abbiamo a por la mente in co- noscere il cammino da loro tenuto per venire a qual- che eccellenza di mano o d'ingegno: affinchè que- sto sia di sprone e di lume a noi nel volgere sicuri i nostri passi dietro alle stesse orme di quelli. Il j>erchè i condiscepoli ed i maestri del Laureani si prometteano di lui un ottimo e viituoso giovane senza più; e niuna speranza li teneva di mai vederlo quel saggio e finissimo letterato che fu dipoi. Infatti o procedesse da modestia e soverchia timidezza di ani- mo, ovvero da grande sfidare di sé medesimo, que- sto e quelle state sempre compagne del Laureani in qualunque opera a cui metteva mano, in qualunque ufficio a che si sobbarcava; certo è che egli allora nelle stesse umane lettere, dove appresso si conquistò 68 veramente una celebrità, non profittava', nel metter piede in filosofia e nelle matematiche forte sbigottì. Ne' quali studi bene lo soccorse di opera un giovi- netto valoroso d'ingegno, e cui da quel tempo strinse di amor costante al Laureani somiglianza bellissima di età e di patria, di affetti e di virtù, Paolo Ba- rola, di questa nostra accademia ora chiarissimo cu- stode. Ma essendo somma la bontà e modestia del vivere, somma la diligenza, onde il Laureani dava opera agli studi, e si apparecchiava allo stato ec- clesiastico, in cui entrò, cadde in pensiero a' rettori del collegio di commettergli il carico di prefetto e poi quello di sotto-rettore degli alunni. Questi uffi- ci non lo scusarono dalle fatiche degli studi , di cui tanto amore già gli era entrato in petto , che attese pure per desiderio d'imparare alla bibliografia, e per debito del sacro ministero alla liturgia , da venire per questa in grande stima all'abate Cancel- lieri. Ebbe a compagno negli uffici della sacra li- turgia quello , cui in tutte scuole di lettere e di scienze vide sino d'allora il collegio romano volare come aquila sopra degli altri, e che io nominerò qui per cagione di lode e di riverenza, Raffaele For- nari, oggi uno dell' augusto collegio de' cardinali e prefetto meritissimo della sacra congregazione degli studi. Intantochè il Laureani dimorava in cosiffatti studi, si abbattè in una felice avventura, e donde si cagionarono i principii di sua onoratissima pro- fession letteraria, cioè nella conoscenza di uno de'pri- mi filologi del tempo, Ignazio De-Rossi. Questi con la vastità dello ingegno, acconcio a qualunque di- 69 scìplina di lettere e di scienze, con la memoria ba- stevole alla moltitudine delle cose, e con le opere messe a stampa, siccome i Laerziani commenti e le origini della lingua egizia , montò in fama di dot- tissimo in Italia e fuorij si che di stima e di affetto gli furono larghi i più colti e rinomati uomini del secolo, il Visconti, il Lanzi, il Morcelli, il Marini, l'Akerblad, l'Heyne, il Runcken, il Munster, e quanti forestieri e nostrali veniano in Roma per \isitarlo e consultarlo. Era pure virtù del grande gesuita vi- terbese una mirabile perizia in conoscere gli altrui ingegni, ed in fiutare le varie disposizioni ai diversi studi della mente di tutti coloro , che innamorati delle lettere e delle scienze si accostavano a lui per ricercarlo di consiglio e di ammaestramenti. Il perchè egli tratto da cosiffatta sagacità indusse Emi- liano Sarti , suo familiarissimo , ad abbracciare gli studi dell'antichità, della filologia e di ogni più pel- legrina erudizione : incamminò Paolo Barola , suo dilettissimo discepolo, a quelli delle umane lettere e delle lingue: stimolò il Fornari alle sacre scienze; e il nostro Laureani, giovinetto a lui carissimo per modestia e per ancor nascosto valore d'ingegno, in- citò e guidava alla più squisita e classica latinità, po- nendogli in mano Cesare, Virgilio, Plauto e Terenzio. I quali studiosi giovani usando ogni giorno col De- Rossi , e da lui traendo ne' propri studi conforto e insegnamento , vennero a tanto in essi , che la ec- cellenza loro non mostrò solamente il lungo affati- carsi e le naturali attitudini in quelli, ma la valentìa di colui che le conobbe, e poteva bene indirizzare. Per verità , o signori , io dubito con diritto 70 non ii Lauieani di quella piima sua mezzanità di Sludi sarebbe mai uscito fuoii per salire ad una celebrità di lettere, se fortuna amica non lo avesse menato avanti al De-Rossi. E chiunque interrogava esso medesimo Laureani a chi aveva egli a render grazie di tanta letteratura , con riconoscente animo sempre rispondeva « a Ignazio De-Rossi » : di che fece pur cenno gratissimo nella stupenda orazione la- tina , che dopo la morte di quello scrisse e recitò pubblicamente in suo onore. Laonde io ponendomi dinanzi agli occhi le fortune umane, e spesso con- siderando di quale miglior ventura noi possiam go- dere quaggiù nel mondo; vengo sempre nell'opi- nione che non è bene, il quale avanzi quel di tro- vare chi nel buon vivere civile e ne' belli studi sa- viamente valga a indirizzarci. Conciossiachè tengo fermissimo che una saggia e perfetta educazion del- l'animo trapassi di gran lunga la bellezza e vigorìa di corpo, la nobiltà di sangue, i ricchi patrimoni , le amicìzie de' grandi ed i più alti principati. Sicché non fo le maraviglie se il macedone re Filippo le- vasse un dì le mani al cielo per ringraziare gli dei dell'avergli dato un figliuolo al tempo del sapien- tissimo Aristotile ; e se esso Alessandro medesimo avesse di continuo in bocca quel suo motto sapu- tissimo che diceva , gè dovere al gran tìlosofo di Stagira più che a Filippo ; come colui che a que- sto era debitore sol della nascita e del itìamc , a quello del bene usai' la vita e reggere con virtù il paterno regno. Né soglio prendere maggiore mara- viglia di quelle saggu parole , che presso a morire pronunziava il sommo lume dell'anlica filosofia Pia- I 71 tone; il quale 8u quello estremo passo rendeva gra- zie al suo genio ed alla sua buona fortuna di es- sere nato uomo, non animale irragionevole, di essere venuto al mondo non in terra di barbari, ma nella dotta e gentile Grecia e ne' tempi del sapiente e vir- tuoso Socrate. Le quali cose dai due sommi re e dal filosofo ateniese furono dette e pronunziate di- rittamente. Né con minor senno e verità rispondeva a quel modo il Laureani: di cui fu certamente una felicità la conoscenza d' Ignazio De-Rossi ; ma fu eziandio sua lode principale l'avere con lo studio e con la ferma volontà di apprendere corrisposto a tanto benefizio di fortuna. Imperocché gittatosi alla latina eloquenza, straordinari e continui n'erano gli esercizi del leggere e dello scrivere; studiandosi in ritrarre ed imitare le più fine eleganze de' classici autori antichi : al che gli riusciva opportuna si la naturale attitudine dello ingegno e dell'animo accon- cio a sentire e riprodurre il bello , e sì la voce e la mano del De-Rossi elegantissimo scrittor latino. Per la qual cosa a' condiscepoli ed a' maestri del Lau- reani recava stupore il gusto ed il felice suo imi- tare dell'antica romana letteratura ne' molti compo- menti, che già di lui andavano intorno : né i più di quelli poteano intendere, come un lor compagno, sembrato quasi beota d'ingegno così nelle scienze co- me nelle umane lettere, a poco a poco si dimostrasse co- noscitore finissimo di tutte l'eleganze virgiliane, plau- tine e terenziane, e quindi valentissimo egli stesso in dettare latino. Le quali maraviglie assai crebbero allora che il Laureani non volgendosi indietro del »uo proposito, aia continuando di forza gli usati &tu- 72 di, fu avulo degno del pubblico insegnamento nelle discipline letterarie del collegio ronfiano ; da prima nell'oflicio di accademico, poscia in quello di mae- stro di oratoria e quinci di poetica, e meritò di sa- lire in su quelle medesime cattedre, dove sedevano con voce universale di chiarissimi professori il Ga- sperini, il Tiberi, il Marsella, e avanti a loro quel latinissimo ragusino che fu Raimondo Cunich. Nel quale ufficio di professore, tenuto dal Lau- reani oltre i sedici anni, e' non giovò solo ad altrui ed agl'innumerevoli discepoli nel guidarli felicemente ad apprendere la classica letteratura, ma giovò insie- me a sé slesso ed alla sua gloria. Imperocché di sempre maggior lena ed amore seguitando gli studi delle buone lettere, venne sì eccellente maestro del sapere e dello scrivere latino da esserne da tutte parti richiesto ed ammirato non altrimenti che uno del fe- lice tempo di papa Leone decimo , anzi dell'aureo secolo di Augusto imperadore. Di che fanno aperta fede le sue orazioni latine, gli elegantissimi senari, del quale genere di poesia tanto si piaceva, e le classiche iscrizioni, onde si adornano tuttavia cento marmi sepol- crali, le chiese, i palagi, gli archi, le colonne e i monu- menti di ogni sorta memorie in lloma e fuori ; e che bene ha in animo di recare sì quelle e sì queste tutte in un corpo, e di pubblicar con le slampe l'ancora mesto e degnissimo suo germano. Quindi con gli studi della eloquenza legando quei della storia e antichità, della critica e filologia, poggiò sì alto nella fama di erudito uomo, che fu invitato e scritto nelle prime accademie di Roma, d'Italia, di Europa; siccome in questa di Arcadia, col greco nome acconcissimo a 73 lui di Filandro, nella tiberina, tra i virtuosi del Pan- teon, in quella di archeologia, di religione cattolica, nel collegio filologico, nella reale di belle lettere , storia e antichifà di Arezzo, di Lucca, di Stocolm , di Francfort e di altre assai. Sono io entralo, o signori, discorrendo la vita del Laureani , nel punto di sua maggior lode e di maggiore nostra maraviglia ed istruzione. Poiché grande veramente fu la modestia e piacevolezza de' suoi costumi; grandissimo frutto e onore a lui fecero la conoscenza e valentìa d' Ignazio De-Rossi : ma quelle furono pregi di natura, queste doni della buo- na fortuna. Fu però vanto unicamente del Laureani l'onesto desiderare di una eccellenza nella classica letteratura; e solo col lungo studio e con la forte volontà il conseguirla. Per tale guisa e non altrimenti noi lo abbiamo veduto superare sé stesso e la comune aspettazione , e nella gloria dell'antica romana elo- quenza tutti i suoi condiscepoli e contemporanei di gran lunga lasciarsi indietro. Ohi come grande, come potente è la nostra volontà in tutte l'umane imprese. Oh! di quanto maggiori e più mirabili frutti ella è radice nelle opere dello ingegno. Oh! come le scien- ze , le buone arti e le lettere salutano lei siccome madre de'più felici e riputati loro maestri. Non date voi piena fede alle mie parole ? non vi muove ab- bastanza l'esempio del Laureani ? desiderate forse di vederne co' vostri medesimi occhi altra prova più certa, più maravigliosa ? Venite meco, o signori ; ac- compagnatemi co'vostri pensieri in età lontana, in lontane contrade; ed assistiamo insieme alla più gran- de scena, che mai ci porga la storia dell'eloquenza. T4 Corre il primo anno della centesima quarta olimpìade: la regione dove abbiam posto i piedi è l'Attica; e questa è la città sacra a Minerva , cui oggi tiene Timocrale arconte. Vedete voi là nel Pireo passeggiar solo e pieno di vergogna e di lagrime un giovi- netto ? egli è l'orfano peaniense ; ito la prima fiala ad arringare agli ateniesi per sostenere dinanzi a loro sue ragioni della paterna roba mal governata da'rei tutori Onetore ed Afobo : ma in su la bigoncia è accolto dagli scherni , dai fischi di un popolo uso a dare le orecchie a più valenti oratori. Sfortunato giovane ! quanto ci duole della tua tristezza ; quanto della male riuscita prova di ragionare pubblicamente dopo molto affaticarti nell'oratoria ! Poiché sino dal giorno che tu garzonetto di sedici anni eri menato segretamente nel foro per udirvi Gallistrato favellante per Oropo con grandissimo plauso di tutta Atene , ti arde in petto amor della gloria dell'eloquenza: ma troppo in alto ponesti i desiderii, perchè inesperto e rozzo del dire , né favorito punto da natura delle virtù proprie di un oratore. Però conforta l'addolorato animo: che sta nelle tue mani, sta nel tuo volere, o De- mostene, di operare che questo tuo pianto e quelle in- grate accoglienze della patria gettino i semi di tua futura gloria e della prima gloria della greca eloquen- za. Va; ti rinchiudi nella paterna casa: quivi dimora lunghi mesi sotterra : ti radi mezzo il capo, accioc- ché tu non esca ridevole a! pubblico, e non isparga invano i tuoi pensieri nelle feste, ne'giuochi, ne'geniali passeggi della gentile Atene : passa i giorni e le notti studiando e scrivendo solo civili orazioni: usa a de- clamare alto, lungo,sp edito: fa ogni forza alla matrigna 75 natura, castigandone i difetti della lingua, del gesto, della persona: quindi torna al foro; monta in ringhiera e vinci la prova. Imperocché tu sì adoperando, sarai chiamato un giorno, e non lontano, l'orator degno del- la tua patria; gilterai lo squallore sulla gloria di E- schine; non tratterai le private ed umili ragioni del fo- ro, ma la pace e libertà stessa di Grecia; e questo po- polo, che oggi sì li deride e da sé caccia come inetto dicitore, tu allora infiammando alla guerra e traendo fuori con la tua parola alle onorate imprese di Eubea, di Perinto, di Bizanzio, arresterai l'audacia del po- tentissimo re macedone; il quale più degli accampali e valorosi eserciti nemici temerà la tua sola eloquenza. Signori, a cui di voi ciò aggrada segua pure col pensiero la storia , e nella celebrità di Demostene ammiri solo la forza dell'umano volere; perchè io torno onde ho mosso, e mi raccolgo di nuovo so- pra il subietto della mia orazione. La quale nel Laureani vi oftVe pure un esempio bellissimo di quanto l'uom possa con la sua volontà in conseguire, tuttoché grande, un bene lungamente desiderato. Che se egli si recò a tanta estimazione di lettere con lo studio e col volere , non fu meno riputato nella diligenza e nel modo, col quale esercitava gli olfici imposti, E nel tenere quello di maestro di elo- quenza, è degna di memoria e di lode la sua cura in provvedere che dal leggere e dallo studio de' classici autori antichi profani la gioventù non ripor- tasse danno di sorta nella modestia e religone. Intorno a che quegli era diligentissimo custode : poiché come uomo di virtù non patìa, che nelle mani de 'giovani dilessero tutti Ubri di quelli ; e come grande cono- 76 scitore del bello non gli dava l'animo di rimuovere gli studiosi dalle prime e più pure fonti del gusto e dell'eloquenza. Per tale modo procurava insieme al loro bene morale e letterario : di che riusciva ad essi un vivo esempio. Conciossiachè in pochi uomini veramente si videro ad un tempo e di uno aperto e costante modo accompagnarsi le lettere con la virtù e religione, siccome nel Laureani , lettera- tissimo, tutto saviezza ne' costumi , tutto amabilità verso di altrui, tutto zelo verso di Dio ; per guisa che quanto di tempo da lui non era speso negli studi, tanto era posto nella religione e carità. 11 perchè la sua vita nelle umane lettere fu ammirevole, nella virtù e nel sacerdozio veneranda. E salito il Laureani in fama universale di eccellentissimo professore, de- sideralo a maestro da tutti i licei, scritto in tanto ce- lebri accademie, oh ! come edificava non solo il de- voto popolo di Roma , ma ogni ordine di sapienti uomini quel suo costume di studiare il tempo per ridursi la sera in santo Apollinare ad intonare nel portico di quel tempio le preci Innanzi alla immagine della Vergine Santissima, e con tanto amore e co- stanza continuare sì pio ed esemplare uffizio. Le quali virtù del cuore, congiunte con quelle della mente, lo fecer caro e pregevole a tutti in ogni tempo, e gli conciliarono la stima de' grandi e della corte. Lo amava e giandemenle aveva in pregio il sommo pontefice Gregorio XVI, che il Laureani di meritali onori privilegiò ; eleggendolo nel 1838 a primo custode della vaticana biblioteca, per giudi- carlo degno a succedere in quell'ufficio nobilissimo di lettere e di corte al Marini, al Mai, al Mezzofanti, 77 nomini celebratissimi: nello stesso anno Io nooriinava suo domestico prelato , e nel 1843 canonico della patriarcale basilica di s. Pietro. Con quanta pruden- za, dottrina e gentilezza sostenea l'ufficio di primo custode della vaticana, da essere ammirato da' dotti e curiosi uomini , cui trae quivi amore di studi o di arti belle ! Ivi eterna vivrà la memoria del La- ureanij e saranno ricordate con lode e con deside- rio la cortesia di lui , onde accoglieva e favoriva gli studiosi, e la sua valentìa nel bello dell'arte nella raccolta di antiche dipinture dimostrata , e da lui ordinata e posta nel cristiano museo. Della quale rac- colta tanto si rallegrava 1' ingegno ed il gusto di papa Gregorio XVI, che per cessare alquanto la gra- ve soma dello stato, cui reggeva, quivi usava di rac- cogliersi ogni dì per suo sollievo e per amore delle buone arti e degli studi. Ivi era il principe sì ge- neroso di affetto verso il prelato custode, che in pas- seggiando la biblioteca, solca con magnanima e rara benevolenza torsi sotto all'augusto braccio quello del Laureani, ed in tale amorevole guisa percorrere con lui la vaticana. Né di minore stima venne onorato dal sommo pontefice Pio IX felicemente regnante , che nel 1848 elesse il Laureani ad uno dell' alto consiglio di stato: e di altre maggiori onoranze lui avrebbe distinto, se morte non lo avesse rapito in- nanzi tempo e solo nel sessantunesimo anno del vi- ver suo. Di che fu chiaro indizio il dolore, onde il pontefice accompagnava il pubblico compianto di quella perdita. Veramente chiunque ami e cerchi quaggiù nel mondo quello che solo può render bella e pre- 7S giala quest'anfjosciosa umana vita, cioè le nobili virtù del cuore e gli onorati studi della mente, dee pian- gere la morte di monsignor Gabriele Laureani, stato alla nostra età esempio di religione e di modestia, di cortesia e di ottima e grande letteratura. E poi- ché sempre ho stimato che solo 1' umana dottrina congiunta con la virtù tiri a sé fortemente l'animo nostro e torni a beneficio universale; questo pensiero già mi pose nel cuore l'affetto del Laureani, e mi ha spinto a scrivere una pubblica lode del savio e diritto uso che quegli fece di sua letteratura. Con- ciossiaché la scienza venne da lui per modo colle- gata con la pietà e religione , che in vita la rese cara ed utile a tutti, desiderata poi e compianta nella morte. E se del dotto prelato ognun ricorda con am- mirazione la penna , che scrivea prose e poesie di più squisita e classica latinità, con maraviglia minore non rammenta la bontà dell'animo ed una maniera di costumi, spogliati delle volgari bassezze e vanità, in cui sovente cade 1' umana sapienza. Poiché agli uomini riesce grata e fa prode solamente una sa- pienza, la quale tragga, non allontani i loro cuori; una sapienza non bugiarda, o mezzana, ovvero pre- suntuosa, ma ingenua, profonda, umile e costumata; e a dir breve una sapienza cristiana. E cristiana sa- pienza fu quella del Laureani, a cui 1' uomo go- deva di accostarsi e rendersi amico, e cui possedendo ebbe una verace ricchezza, e cui perduta suole an- cora col pianto desiderare. Ma la sua vita menata unicamente nella pace e ne' diletti bellissimi degli sludi, forse parrà cosa indegna d'imitazione e di lode a coloro, che di tali 79 soavissimi piaceri essendo nuovi, non istimano che in essi possa ninna felicità del mondo ritrovarsi. Per il che al privato e dimesso vivere de' saggi, al loro solitario cammino per vie remote e lungi da romori e da mondane allegrezze portano compassione \ ed in udire che la vita di essi e di monsignor Laureani fosse beatissima, non vi aggiungeranno fede: ma bene la vi porrà colui , che con gli studi abbia presa alcuna dimestichezza. Questi , non altrimenti che il Laureani, non farà certo le maraviglie di quello che scriveva il grande filosofo di Cheronea, Plutarco, cioè: « Quale uomo affamato o sitibondo vorrà piuttosto mangiare o bere di quelle cose, che appo i feaci fu- rono in tavola, che leggere il racconto degli errori di Ulisse ? 0 chi vorrà meglio seguitare amore, ac- compagnato delle più belle grazie, che attentamente considerare le cose, cui scrìsse Senofonte di Pantia, Aristobulo di Timoclia , Teopompo di Tisbe ?» E perchè ninno tenga essere questa opinione di filo- sofi più gravi , o di chi prese uso di vivere negli studi, e nessuna esperienza porti degli altri piaceri; si oda uno che in mezzo a tutti i più delicati beni e ricreamenti del mondo fu collocato, cioè Roberto di Angiò re di Napoli , detto il buono ed il saggio. Il quale per questo modo scriveva al Petrarca suo amicissimo ; e Ma io giuro , che assai più dolci e care mi tornano le lettere che non il regno : e se di questo o di quelle avessi a rimaner privo , con più lieto animo comporterei di essere spogliato del regno che delle lettere ». Le quali cose saranno in- credibili e ridevoli al volgo , non ai veri amatori degli studi, e non le furono al Laureani. 80 Che se tali piaceri putissimi delle lettere si ;ie- compagnino con quei della virtù e religione, io non so che altro più gradito e compiuto bene possa quag- giù gli uomini ricreare. Imperciocché il vero , il bello ed il buono che noi troviamo nella religione, nelle lettere, nelle arti e nelle scienze , non danno solo vita e coltura alla mente ed al cuore , ma ci fanno come innanzi tempo assaggiare le celesti de- lizie, ci compongono a modestia e bontà 1' animo, ci rendon cari ed utili agli uomini , stimabili agli stessi malvagi. Di che basterebbe anche solo l'esem- pio di monsignor Laureani, che dallo avere inteso unicamente a' buoni studi ed alla vita saggia e re- ligiosa, si fabbricò quasi da sé medesimo una bel- lissima e costante felicità. Laonde se io portassi in cuore niun desiderio , che la mia orazione tenesse alcuna autorità, la bramerei nel termine di essa per mio ed altrui ammaestramento, per consiglio di co- loro, i quali la vita, lo ingegno e le voglie pongono in parte, che di veraci beni deserta, é di ozio, di pene e di false opinioni infelice albergo. E tale au- torità, o signori , le si conceda insiem con la vita dell' ottimo Laureani dalla voce gratissima del Pe- trarca; la quale, in un secolo molto somigliante a questo, in siffatta guisa per le belle contrade andava risonando : » E quel che in altrui pena » Tempo si spende, in qualche atto più degno 1) 0 di mano o d'ingegno, )» In qualche bella lode, » In qualche onesto studio si converta: » Così quaggiù si gode, t) E la strada del ciel si trova aperta 81 Lettere inedite di Paolo Costa ravignano. AL CHIARISSIMO SIG. PROFESSORE CAV. SALVATORE BETTI se(j;etario perpetuo dell'insigne e ponlìHcia accademia di san Luca. Carissimo cavaliere, X erchè reggiate che ho spesso fra i miei pensieri l'amicizia vostra, e l'amore del giornale arcadico , vi presento ora tredici lettere inedite di quel Paolo Costa che fu tanto nostro amico, e sì bel lume delle lettere italiane. Le ho avute in dono dalla cortesia di un mio buon amico, che è don Gaetano Zaccharia ravennate, bibliografo conosciuto per l'erudito cata- logo che ne ha dato delle edizioni del famoso tipo- grafo Francesco Marcolini, del quale è stato parlato con tanto meritala lode anche nel tomo 123 del gior- nole arcadico. Egli le trassedagli originali con molta diligenza, e me ne fece dono. Ed ora io li offro a voi e al giornale nostro, il quale ne infiorerà le sue carte. Dalle noterelle apposte alle lettere, e sono cosa dello stesso don Zaccaria, conoscerete come di molte ha egli stesso gli autografi, di alcune ha tratto copia dagli autografi posseduti dal sig. Salvatore CeccoU ravignano, pur egli valente assai in fatto di bibliogra- fia, e posseditore di libri italiani assai rari, che con molto studio ha saputo raccorre. Le quali cose vi G.A.T.CXXV: 6 82 dico qui, perchè dobbiate meco saper grado ai due studiosi ravignani che mi hanno dato cosa sì prege- vole, e modo di offrire a voi questo munuscolo. E dopo questo vi auguro ogni bene, e lunga e prosperosa vita a prò delle lettere nostrali, e degli amici, fra i quali ultimo per merito , ma non per aifelto, sarà sempre Osimo 16 febbraio 1851. U vostro oLino ed afFmo G. 1. Montanari. Lettere inedite di Paolo Costa trascritte dalle auto- grafe da d. Gaetano Zaccaria ravennate^ che le ebbe in dono dalla nohil donna signora Rosa Costa sorella di quel chiarissimo ingegno (*). I Al nohil uomo signor canonico don Mauro Costa^ a Ravenna. Bologna alli 22 febbr. 1830. La consolazione, che mostrate di aver provalo (*) Un Vjel ritratto in un busto grande di Paolo Costa rilevato in plastica da un professore di quell'arte cii'era già discepolo di esso, fu mandato alla detta sua sorella Rosa nell'anno 1822. Questo ebbe pu- re in dono il suddetto don Gaetano dall'istessa signora nel 1844. Di esso poco tempo fa, si servi un pittore veneziano per dipingerlo nel nuovo teatro eretto in Ravenna fra' suoi uomini illustri: perciocché avendone fatto ricerca in casa della detta sua sorella Rosa, die anco- ra vivea, avvisanto a chi ne avea fatto dono, si recò in casa del detto don Gaetano ove lo ritrasse. Un esemplare con correzioni a mano fatte 83 per l'onore che mi è comparlilo da S. M. il i-e di Toritio, è una cerla pi'ova del l'amore vostro ver- so di me: e questa mi è di somma allegrezza. JNun so se r incomodo che soffro dell' emoroidi vesci- cali mi lascerà fare un così lungo viaggio : ma subito che si sararmo sciolte le molle nevi, che in- gombrano le strade, proverò più di un legno a molle inglesi: e se ne troverò uno che non mi dia molestia, mi risolverò di partirmi di qui: altrimenti mi rassegnerò ai voleri della provvidenza , e sarò pago dell'onore dell'invito. Io desidererei moltissimo di poter cavare l'ipo- teca, che è sul vostro fondo, anche per vantaggio mio, poiché sborsando la somma del censo si investirebbe il danaro al selle... Subilo che sarò impiegato potrò fare lo sborso che desiderate. Intanto, se aveste il mezzo, potreste voi acqui- stare il dello censo pagando il luogo pio e traspor- tando l'ipoteca sui nostri fondi. Io ed Ignazio ci pren- deremo un termine per estinguerlo rimborsando voi. In questo caso saranno pagati a voi stesso fino all'estin- zione del censo i fruiti , che annualmente si paga- vano agli orfani, frulli che sono in ragione del selle per cento, siccome ho detto di sopra. Stale sano, e salutate la Rosa e il marchese Spreti quando lo ve- drete. Addio. V. aff. fratello PAOf.O dall'autore nostro neirultima opera ilatavi, ch'è l'arte poetica impressa in Bologna co' tipi della volpe al Sassi nel 1836, ebbe pure il sud- detto in dono dall'illustrissima signora Giuditta Milzelli, vedova Costa, poco dopo la morte del marito. 84 li Alla nohil donna signora Rosa Costa (*), a Ravenna. Mia cara sorella, Vi sono molto tenuto della lettera con che mi avete voluto visitare, secondo che voi dite, e sono lieto che vi siate rallegrata del mio ritorno. Ora mi sono messo in riposo e penso soltanto a ricuperare la santità: e le mie cure non sono inutili, perciocché le flatolenze sono minori e poco moleste, l'appetito è ritornato, e coli' appetito le solite forze e il buon colore del volto, che era sparuto e magro. Questi cibi, quest'aria, la vista lieta di questi colli, la compagnia degli antichi amici hanno operato ciò che non poterono le medicine: e di questo ne ring»azio Iddio. Desidero che così avvenga della salute vostra, la quale ora non è perfetta, siccome mi significale. Dello stato di nostra madre ( dalla quale non ho ricevuta lettera ) nulla mi avete detto , e quindi mi confido che sia sana. Salutatela anche a nome di Giuditta, e salutate si- milmente il fratello canonico. Fate di aver cura della vostra salute, e riveritemi monsignor vicario, sebbene io non mi ricordi d'averlo mai conosciuto personal- mente: conosco i suoi meriti e basta. Addio. Bologna 17 giugno 1832. V. aff. fratello Paolo (*; Defonla. 85 III Alla medesima a Ravenna. Cara sorella, Bologna alli 25 aprile 1833. Ho letta con mia piena soddisfazione la pasto- rale di noonsignor Falconieri. Essa è dettata con senno, con vera filosofia, e con quella unzione apostolica, che ha forza di ammollire i cuori più duri. Ralle- gratevi di avere per arcivescovo un uomo così dotto e così buono. Io vi ringrazio del bel dono (1) che mi avete fatto ; ma se mai aveste creduto , che io avessi bisogno della medicina , che l'ottimo prelato porge a chi è nemico della fede cristiana , vi dico che mi avete fatto ingiuria, avendo per tal modo se- guitato l'opinione di quegli stolti, che intendendo a rovescio la filosofia , che io professo , ne traggono torte e matte conseguenze. Leggano le mie note alla divina commedia di Dante, e vedranno quante volte ho ivi confessata e confermata la fede: leggano le prove, che ho recate dell'esistenza, dell'immorta- lità dell'anima nel mio libro stampato a Corfù, e poi gridino che io sono materialista. Sono molti, o mia cara sorella, che ostinati in certe loro opinioni filo- sofiche tengono per false tutte le altre: hanno per inimici i loro avversari, e non si contentano di con- dannare come assurde le dottrine che non intendono, ma ne deducono conseguenze contrarie alla fede con una maniera di ragionare tutta loro propria. Spero (1) Intende del libretto donatogli de'Ia surriferita pasterale ehe fu impressa per la quaresima dell'anno 1833 presso Antonio Roveri, stamperia arcivescovile in 4. 86 che non mi vorrete collocare nella schiera di coloro, de' quali fa cenno l'ottimo vostro arcivescovo , che si fabbricano in mente stranissimi sistemi a fine di poter daisi in braccio senza rimorso a tutte le pas- sioni: perciocché nessuno mi ha mai dato taccia d'uomo scostumato. Sono io forse di quelli, che dicono che non vie virtù, e che è bene tutto che torna a propria utilità? Io ho sempre posta la virtù nella pratica delle azioni vantaggiose al prossimo, opeiale per sentimento di carità cristiana, e per conformarci alla volontà divina. Leggano con attenzione i miei libri, e vedranno se quello che ora dico è vero, e cessino di calunniarmi. È forse da cristiano il presumere di leggere nelle menti altrui e sparger voci contrarie alla riputazione ed alla dottrina di chi dovrebbero onorare ? Se danno da credere al volgo , che gli uomini , che si sono acquistata fama di letterali , hanno in odio la fede, qual bene vena alla religione ? Il volgo crederà che più facilmente s' inganni chi ha studiato poco che chi ha studiato molto. Vedete da ciò, che l'opera di cotesti infamatori non è né cristiana, né accorta. Diran- no forse, che se io non fossi della turba de' moderni disprezzatori della fede non sarei stato cacciato in esilio. Leggano di grazia i fogli, che furono cagione del mio esilio, e vedranno che le mie colpe furono puramente le opinioni politiche. E non fui io forse che presi a difendeie il saceidozio, che era in peri- calo di essere perseguitato ? Non difesi in que' fogli l'autorità del pontefice come capo della chiesa? Non lo lodai? Non esortai i cattolici a restar fermi nelle loro credenze ? Questo feci e con sommo calore, e Roma non mi diede taccia di nemico della religione. 87 Ma che vale ? I maldicenti proseguono a gracchiare. Gracchino a loro posta , che io proseguirò il mio cammino, amico de' buoni, che sono pochi, e indul- gente co' tristi, che sono moltissimi. Il Cuppini mi disse che avrebbe scritto al conte Gamba acciocché rlscotesse dal dott. Rasi, e pagasse mia madre. Quando lo rivedrò gli parlerò di nuovo. State sana V. aflf. fratello Paolo IV Alla medesima a Ravenna (*). Cara sorella, Noi non dobbiamo piangere del nostro fratello, che ora sarà certamente con Dio a raccogliere il premio delle sue rare virtù; ma dobbiamo dolerci di noi stessi. Voi, perchè avete perduto il compagno della vostra vita; io perchè non ho avuto il contento, dopo tanti anni, di rivederlo almeno una volta prima dell'ultima sua dipartita. Doliamoci dunque, che ci dogliamo a ragione: ma pensiamo che nel nostro dolore ci rimane un conforto, che è questo. Siamo già vecchi, o cara sorella, e non passerà molto tempo che ci riuniremo a lui per non separarcene mai. Così giova sperare. Fate di racconsolare nostra madre, che certa- mente sarà afflitta, e vogliatemi bene. Addio. Da Bologna alli 21 aprile 1834. V. aflf. fratello Paolo (*) Lettera di condoglianza per la morte del fratello canonico Mauro, che conviveva con la sorella Rosa. 88 V Alla medesima a Ravenna. Cara sorella, La Margherita, servente in casa mia e da voi conosciuta, trascurò questa primavera un'infreddatura, di modochè fu assalita da una fiera tosse che il medico giudicò pericolosa. Dopo alcuni mesi si è ristabilita; ma esso medico vorrebbe che la giovane per ben rinforzare gli organi della respirazione , ehe erano stati ofiesi, andasse a respirare l'aria grossa della bassa Romagna. Io avrei divisato di mandarla a Ravenna, e di metterla sotto la vostra custodia in casa vostra, som- ministrando quanto occorre pel vitto egli altri bisogni di lei. Vi prendereste per amor mio questo incomodo ? La giovane è buona, sincera, timorata di Dio: niente ciarliera; tale in somma che ha meritata l'affezione di Giuditta (*), la quale a voi la raccomanda. Se mi fate questa grazia, vi manderò la ragazza verso la fine di luglio , e verso la fine d'agosto la manderò a prendere. Aspetto risposta; salutate in mio nome, e in nome di Giuditta, nostra madre e baciatele la mano per me. Addio. Bologna alli 2 luglio 1834. V. aff. fratello Paolo VI Alla medesima a Ravenna. Cara sorella, Dite benissimo. Della malattia di petto non si (*) Giuditta Milzelli moglie sua (tlefonta). 89 può fare sicuro pronoslico ; e la giovane , che ora pare guarita , potrebbe facilmente ricadere inferma e andarsene al sepolcro. Io mi era lasciato lusingare dalle parole del medico, e perciò vi scrissi pregan- dovi a volerla ricevere in casa vostra. Ora penso come pensate voi e disdico la mia preghiera. Abbiatemi scusato della mia poca considerazione. Saprete che ora l'andare in legno non mi dà più fastidio, e che volendo, posso venirvi a visitare in Ravenna. Ghisa che non mi salti la fantasia divenire alla fine d'autunno ! Alcuni miei amici desiderano di vedere cotesta antica città: forse io verrò con loro se Dio mi dà vita. State sana, ed amatemi. Bologna alli 6 luglio 1834. V. afF. fratello Paolo VII Alla medesima a Ravenna. Cara sorella, Bologna alli 9 novembre 1834. Ho incontrato per istrada Niccola nostro nipote, il quale mi ha dato la trista notizia della morte di nostra madre, da voi comunicatagli con vostre lettere. Ne sono dolente anche perchè speravo di rivederla fra poco. Raccomandiamola a Dio, affinchè voglia averla nel regno suo. In quanto agli interessi tem- porali, che mi riguardano, mi affido in voi. Operate per me, che ve ne dò tutta la facoltà con questa lettera. State sana. V. air. fratello Paolo 90 Vili Alla medesima a Ravenna. Cara sorella, Bologna 24 dicembre 1834. Che debbo dirvi delle infinite cortesie che avete usate a Giuditta ? Non dirò nulla per non dir poco: e passerò a rallegrarmi con voi del vostro buono sialo di salute, di che sono minutamente informato. Mi è piaciuto d' intendere in che modo passate la vita , cioè parte negli uffici di religione, e parte in quegli innocenti trattenimenti, che rendono dolcis- sima la vita solitaria. Io pure , che sono quasi uà solitario, mi diletto degli animali domestici come fate voi. Questi servono al fine , a cui Dio gli ha destinati, meglio che non fanno per la più parte gli uomini, che vanno per la via delle frodi delle simu- lazioni, de' tradimenti. Ho una cagnoletta che pare l'alunna delle grazie e che mi fa festa intorno come se avesse l'uso della ragione; ho un pappagallo, che mi domanda il caffè come se fosse un fanciullo; ho una scimia, che con certi atti buffoneschi caccia di casa la malinconia. Non è ella questa una bella so- cietà ? Non è società migliore di quella, che si chiama società delle dame e de' cavalieri? A me pare che sì. Addio, mia carissima: proseguite a star sana ed allegra. Addio addio e buone feste. V. aff. fratello Paolo 91 IX Alla medesima a Ravenna. Cara sorella, Bologna alli 21 ottobre 1835, Dal sig. dot, Stanislao Brini ho ricevuto il re- stante del danaro che avete ricavato dalla vendita della biancheria. Vi ringrazio della premura, che per essa vendita vi siete presa. Io vi sono debitore di scudi cinquanta per il censo che vi lasciò il canonico Mauro, e voi siete debitrice a mede' scudi 30 ch'esso lasciò a me; laonde io vi rimango debitore di scudi 20. Converrà, per chiudere questo conto, di fare una scrittura che liberi me dal debito del detto censo. Ciò potremo fare quando saianno appianate le cose dell'eredità materna, per la quale penso che resterete debitrice a' vostri fratelli di una parte della legittima che nostra madre doveva al figlio defunto. Ve la intenderete col signor Cuppini: che lutto eiò che egli fa, lo tengo ben fatto. Giuditta vi saluta e vi ringrazia. Addio, V. afF, fratello Paolo X Alla medesima a Ravenna Cara sorella, Bologna alli 29 febbraro 183G, Ho mandata la vostra letteia al signor Cuppini acciocché procuri di dar termine agli affari che sono ancora sospesi... Aspello il professore Baroni da Roma, che dovrà farmi l'operazione, che ha fatta a sette altre persone 92 e qui e altrove. Conosco il padre del canonico Ven- turini, che era afflitto più che non sono io dallo stesso malore, e che ora sta benissimo. Perchè non vi spa- ventiate per me, voglio che sappiate in che consista l'operazione, che si ha da fare. Si introduce nell'uretere un ferro grosso come una siringa, fatto al modo che vi disegno qui: intro- dotto che sia, si tira la parte superiore 5 della canna verso la mano dell'operatore, e si fa l'apertura A, nella quale vi fa entrare la pietra (*) Quando la pietra è abbrancata, colla forza di una viteNsi respinge allo insù la detta parte superiore , la quale stringendo fortemente la pietra la mette in polvere. Non vi è nieute a temere. Addio. V. aff. fratello Paolo «PIETRA mTTir D ]V VITE S PARTE SUPERIORE 93 XI Alla medesima a Ravenna (*). Bologna 20 dicembre 1836. Vi rendo grazie del dono che mi avete fatto, e spero che ad intercessione della B. Vergine il signore Iddio vorrà liberarmi fra pochi giorni dalla mia pe- nosa malattia, o ricevendomi nella sua gloria, o resti- tuendomi la sanità. Oggi ho ricevuto per divozione la s. comunione: e posdimani mi sottoporrò al taglio e alla estrazione della pietra. Pregate Iddio per me. Mi gode l'animo all'intendere che monsignor arcivescovo di Ravenna mi onori della sua benevo- lenza. Io non conosco lui di persona, ma conosco il suo ingegno, la carità che lo accende, la virtù che lo rende caro alla chiesa; che si luminose qualità di lui si manifestano nelle omelie fatte pubbliche, si ma- nifestano nell'amore, nella riverenza che verso la per- sona di un tanto prelato hanno le genti da lui governate. Vi mando due esemplari dell'arte poetica da me publi- cata leste. Una è per voi, l'altra offeritela in mio nome a monsignor arcivescovo. Cara sorella, o ci vedremo presto nel material corpo in Ravenna, o in ispirilo in Paradiso. Addio. V. fratello Paolo Ho scritto di brutto carattere perchè dal letto e stando supino. (*) Questa t- l'ultima lettera scritta dal Costa. 94 XII Al st'y. Giuaeppe Cuppini^ a Ravenna. Carissimo Cugino, Essendo mio fratello fuori di città è venuta alle mie mani la vostia lettera a lui indirizzata. Mi affretto a farvi risposta per togliervi dall'animo il timore, che vi ha cagionato la domanda che vi astata fatta della somma di scudi 300 da voi pagati a mio padre. I Costa, dopo la morte del signor Antonio Odorici, fu- rono e sono tuttavia i legittimi esattori de' crediti della vecchia tesoreria di Romagna. Voi pagaste in mano loro, e nessuno potrà mai domandarvi ragione di quello che a sconto del vostro debito avete sborsato. L'esservi stala fatta domanda di scudi 300 sarà pro- ceduto dalla confusione, che è nei libri dell'ammini- strazione fatta dal defunto mio zio: e tostochè il sig. Ma- gagnoli, agente del canonico d. Giulio, sarà informato del contralto che faceste con mio padre, farà che ne' libri apparirà manifesto a che si riduca oggi il vostro de- bito. Sebbene non riguardi molto all'interesse vostro il sapere se i credili della vecchia tesoriera appartengano alla casa Costa o al patrimonio Odorici, nuUadimeno, acciò abbiate l'animo tranquillo, vi dico, che oggi abbiamo ragione di credere, che lutto ciò che rima- ne da riscuotere sia della casa Costa; e che quand'anche ciò non fosse, ad essa appartiene indubitatamente un quinto de' medesimi crediti. I trecento scudi, che avete N. B. L'aulografo è posseduto dairamico signor Salvatore Chec- eoli di Ravenna, il quale dal medesimo fece la presente copia per don Gaetano Zaccaria. 9S pagati sono meno del quinto del vostro debito; quindi è che voi non solo avete sborsata la sonnma in mano de' legittimi esattori, ma de' legittimi creditori. Questo sia detto in quiete vostra. Oggi domanderò altri schia- rimenti al signor Magagnoli, e farò in modo che da lui medesimo siate fatto sicuro. Comandatemi in tutto che vaglio, e state sano. Bologna 30 novembre 1818. V. afF. cugino Paolo Costa XIII Al signor Giacomo Landoni professore di eloquenza a Ravenna. A. C. Mi rallegro che la fortuna, nel tempo che meno erada credersi, vi sia stata favorevole ed abbia prov- veduto al vostro stato; duolmi solo che andate lontano da questi luoghi e che così mi sia tolta la speranza di rivedervi. Io non posso viaggiare per cagione d'un malanno, che ho ne' vasi emoroidali: voi non potrete per cagion della spesa: onde mi penso che se non venite ora a fare le feste di Natale, non ci potremo vedere se non nella gloria del paradiso, ove sederemo a canto al re David, come traduttori de' suoi salmi: che io pure, è già più d'un anno, quel medesimo salmo, che avete tradotto, tradussi per recitarlo a questa accademia felsinea. Se vi capita occasione di venire a Bologna prima della vostra passata a Pesaro, non mi private della vostra compvignia almeno per quattro o cinque giorni. Dormirete in quel letto, nel quale 96 soleva dormire, il mio povero Perticari, e vi sarà Fatta quella buona cera, che a lui si faceva. Addio. V. aff. amico Paolo Costa Importanza dello studio delle comunanze dei morbi. 4 x\lcuni ritengono lo studio delle comunanze dei morbi essere lucifero e non fruttifero ; altri che sia indispensabile all' esercizio clinico: ecco la di- screpanza tra il cieco emporismo ed il puro dog- matismo. Che r uno essendo dominato dallo scet- ticismo, e l'altro dalla speculativa, tennero la me- dicina in perenne agitazione e la ragirarono nel circolo vizioso rimproveratole da Bacone. Questo dà un ideale, quello un fatto; e nell'ideale separato dal fatto non consiste la teoria, né la scientifica dimo- strazione. 2 L'empirismo puro è Pisolata osservazione dei fatti, che non stabilisce rapporti, né determina regole gene- rali; e ch'è interamente circoscritto nella forma esterna dei fenomeni; non stabilisce le dipendenze, né i legami essenziali che collegono la causa all'oftelto. L'empi- rico considera i fenomeni come naturalmente si com- piono. Il dogmatico, dominato dalla speculativa, da pochi fatti deduce principii universali e con essi spie- ga tutti i fenomeni particolari. L'empirico si avanza lentamente nella retta strada; ed il dogmatico spa- zia nell'ideale. 3 L' idea empirica è il primo elemento della medica osservazione e dell' intera scienza del mon- 97 do fisico. I fatti raccolti dal puro empirismo sono rischiarati dall'analisi, e coordinati dalla sintesi in- duttiva. Un sistema risulta spesso fallace e sempre imperfetto, se non si compone del fatto empirico , dell'osservazione analitica e della sintesi induttiva. 4 L'empirismo ippocratico o i fatti descritti da- gli antichi , come naturalmente si compiono dalle semplici forze attive della natura, è il fondamento irrefragabile della vera medicina. Imperocché uni- ca è l'arte salutare, ed i sistemi altro non sono che ritratti di quella pura e candidissima natura, la quale avvolgendosi nel misterioso velo può solo dal fatto empirico rilevarsi e la forma e l'espressione. 5 I fatti del puro empirismo, rischiarati dal- l'analisi, ci si appalesano nitidamente, e nella mas- sima loro estensione; e sono materiali preziosi, dei quali dobbiamo esserne principalmente tenuti ai no- stri sommi padri, i quali ce li descrissero semplice- mente e senza veruna sistematica preoccupazione. Il primo passo adunque, che si fece in medicina, fu l'osservazione empirica, il secondo la ricerca anali- tica, e l'ultimo la coordinazione o sintesi induttiva. Cosicché il medico filosofo dall' empirismo puro pas- sa all' osservazione analitica, e finalmente si ferma nella sintesi induttiva, che è il punto supremodella medica speculativa. 6 La patologia generalmente definita - la scienza delle comunanze - è il punto supremo della speculativa, la quale non si compone dell' analisi ; mentre essa rischiara soltanto i fatti empirici, dai quali si deduce la sintesi induttiva. Ed i principii generali dedotti dall' empirismo, che stabiliscono le G.A.T.CXXV. 7 98 comunanze del morbi ^ «odo i cadiui fondameoiali clinici. torj 3 , 7 La specula'iva stabillla - a priori - allellìk l'i^mmaginazione e non si realizza nei falli, dai quali non è ingenerata. « La scienza dello staio morboso, » come qualsiasi altra scienza naturale^ non può par- » tire con le sue ricerche che dai fatti. Una malal- w tia prodotta da perturbamenti fisici esteni eviden- ti ti ^ nei complesso del suo andamento e della sua n soluzione sotto l'impero delle sole forze attive della i> natura: ecco il tipo di questi fatti puri ed interi^ » visibili e calcolahiii sui quali deve iHcondursi la » patologiaper osservare nitidamente e completamen-^ » (e, come la natura e con quali semplici leggi vi >» si comporti. Il fissare qui il punto di partenza è ìt un fissarlo nella natura medesima.^ ed è un aprirsi » una via nelle ricerche la più sicura e la. più di' n retta di agni altra. Questi io chiamo fatti dell'eni' tv pirismo puro (*). » Dai fatti deirenipirismo puro, riscbiarati dall'analisi, nascono naturalmente principi! j]^neraU che signoreggiano i fatti, dai quali furono ingenerati, e stabiWscono k comunanze dei morbi. L' empifrismo ippocratico non dirige direttamente il clinico all'esercizio pratico della medicina; e sta- bilisce soltanto le basi fondamentali dei principii car- dinali clinici. I fatti raccolti dal puro empirismo sa» no gli elementi determinanti il principio ideale 5 e la speculativa induittiva è l'organo della scienza clinica. M».jua. 8 Aijmnrftlòi^e empirico delle umane egritudini ' 'n PfJincWctJ FtrtrcìnoUi Pal'olti'gfà' inrfwlliva. 90 èciiite abbandona alle semplici forze atlive della natu- ra, per osservare come e con quali semplici legg-i vi si comporli. Che se poi da questi fatti si deducono principii generali e si applicano ad altre malattie ; allora dal puro empirismo si passa all'applicazione del principio ideale o speculativa. L^enipirismo puro nacque prima della speculativa e in luoghi ove non esistevano medici; imperocché allora si abbandonano conscenziosamente le malattie alle semplici forze at- tive della natura. 9 Dai fatti raccoUi dal puro empirismo , ri- schiarati dall'analisi, nasce la speculativa , la quale domina e signoreggia i falti, dai quali è ingenerato il principio ideale. I sistemi dei pneumatici, dei chi- miatrici e dei meccanici risultano incompleti e fallaci, perchè da pochi fatti dedotti , tendono a spiegare tutti i fenomeni particolari. Cosicché erroneamente sì rimproverano i sistematici , i quali deducono il principio ideale dal puro empirismo; ed a ragione si declama contro quelli, che da pochi fatti dedu- cono principii generali, con i quali stabiliscono le comunanze dei morbi. 10 L'empirico raccoglie i fatti come natural- mente si svolgono, e ne forma delle collezioni o con- cise rapsodie; l'analitico li decompone per rischia- rarli, ed il fdosofo induttivo he deduce le comu- nanze dei morbi, o principii induttivi generali che gir signoreggiano; e questo è il precipuo scopo della patologia. Da ciò chiaramente rilevasi essere impro- priamente applicato questo riome alla scienza, la qua- le determina le comunanze dei morbi. « Da due voci » si compone il nome patologia, e però significa di- 100 » scorso intorno alle malattie ed abbracciare dovreb- « be la trattazione di tutte le cose pertinenti allo » stato morboso. Ma i medici avendo distinta la sto- » ria particolare delle malattie dalle cose loro ge- » nerali e comuni., la consuetudine ha poi ristretta » la patologia alla sola trattazione di queste, lasciata >> la prima per subbietto della terapeutica [*). Il nome patologia pare convenirsi meglio al puro empirismo, che semplicemente raccoglie e descrive le affezioni morbose. E alla scienza , che determina il prin-- cipio induttivo o ideale della medicina , che domi- na e signoreggia l'empirismo, pare convenirsi me- glio quello di organo della scienza clinica. 1 1 L'empirismo puro può solamente sommìni- stratre gli elementi determinati la speculativa , la quale dirige il clinico all'esercizio pratico della me- dicina. Cosicché chiaramente rilevasi quanto erro- neamente si esprimano coloro, che dicono curare le malattie empiricamente ; Mentre la cura empirica non può esistere nelle mani del medico, e si compie dalle semplici forze attive della natura. Che se per essa intendono quella diretta dal principio ideale ingenerato dal fatto empirico , allora riconoscono l'importanza della medica spculatina 12 La patologia è essenzialmente sistematica quando per essa si intende lo studio delle comu- nanze dei morbi, e consiste interamente nella spe- culativa, e non esistono patologie empiriche. La dif^ ferenza che passa tra la patologia induttiva e la specu. laliva (imperocché tutte indistintamente sono indut- (') M. Bufalini. Patologia analìlica. 101 live o speculalive) consiste in ciò, che il principio ideale o la speculativa della palolojjia induttiva è essenzialmente dedotta dall'empirismo puro rischia- rato dall'analisi; ed il principio ideale della patolo- gia speculativa è dedotto da pochi fatti ed è appli- cato a tutti ; cosicché in parie risulta induttivo, e nel rimanente è immaginalo a priori Ma il medico nell'esercizio pratico della medicina è essenzialmente sistematico; meno che non abbandoni le malattie alle semplici forze attive della natura. 13 Per patologia empirica non può né deve intendersi quella, la quale insegna a secondare gli sforzi della natura; e per sistematica quella che sta- bilisce precetti per signoreggiarli. Imperocché que- ste varie maniere di iratlare le umane egritudini sono mirabilmente espresse con le denominazioni di iriedicina attiva e passiva, delle quali non intendiamo occuparci in questo luogo: dièci siamo proposti di discorrere l'importanza dello studio delle comunanze dei morbi. Molti credono erroneamente potersi fare il medico empiricamente; cioè senza niuna cogni- zione della medica speculativa, dedotta dal puro em- pirismo. Ma di essi scrisse il Sydenham : Medicus sum^ non vero medicarum forinularum praescriptor: aurea sentenza degna di quel grande. 14 Ora domandiamo ai clinici empirici, da' qua- li fonti attingano la somma delle occorrenti cogni- zioni, per rettamente curare le umane egritudini ; dal fatto empirico, no; perchè nelle loro mani ri- sulta infecondo, mentre non ne deducono la spe- culativa o principio ideale , che dirige il medico all' esercizio pratico della medicina. Dal principio !Ì0% ideale, no; peiiehè Io rilengono essere essenzialmente falso. Dunque le lespeilive determinazioni dei clinici empirici nascono nel sensorio comune e sono pel- assi idee innaie. Vincenzo dott. Catalani Elogio del cav. Gaspare Spontini conte di s. Andrea, letto nel giorno 26 febbraio 1851 nella chiesa plebale di lUaiolati da G. Ignazio Montanari. S»l) '.iiì (■ e questa nostra natura potesse per qualche modo di fra{TÌle e caduca in durevole ed eterna rimutar- si, e la vita di breve e fugace lallungarsi e durare quanto il mondo, sarebbe al certo da procurare che quegli spiriti bennati, che ad illustrare sé stessi e felicitare la patria e la nazione con ogni sforzo si adoperano, fossero in questa perpetuità di vita ser- bati, acciò nelle opere lodate e generose continuan- dosi, della virtù loro empiessero e rabbelliser la terra. Ma perchè ciò non è concesso , sendochè cotesto peregrinaggio che ha nome vita non è se non strada e tragitto alla vita verace , dobbiamo noi a mani giunte ringraziare la provvidenza che lutto governa, ch'ella abbia degnato lasciare alcun poco quaggiù fra noi queste anime sublimi, senza invidiare né ritardare ad esse coi voti il premio debito a lor vir- tù nella stanza dei giusti, e la corona preparata nella pace del Signore. E quantunque sia gran dolore cre- derle da noi dipartire, si conviene racquetare il cor- doglio considerando il bene che n'abbia m ricevuto, e com' elleno dal carcere e dall' esilio siano in via 1t58 di salire a ^\ovì^ e beatitudine che non conosce tra- ilDonto. Laonde è omai tempo, o signoriy che voi resciugfhiate le lagrime e deponiate ogni affanno , perchè il grande uomo che piangete, e co'«o.spiri chiaì- mate, non era fatto per fermare stanca quaggiù, ma solo concesso all'Italia accia n'acer«Bces«e' le glorie; a voi acciò degli effetti della sua generosa larghezza aveste mai sempre consolazione e ristoro. Bene sta cJie a lui facciate benigna la misericordia del Si^ gnore, se mai ancor tinto del fango mortale indu" giasse a raccogliere la sua palma in paradiso : poi che così vuole 11 dovere di cristiani, e là giatitU' dine di beneficati, ma ogni altra doglia ogni lacri- ma è tempo cessare. Levate dunqne la meflte a Dio, e dopo averlo supplicato di cuore in servigio disl- l'illustre trapassato, ringraziatelo per voi e per ttvlta la nazione della peculiaie grazia che vi ebbe eom- pai'tito. Che un vero beneficio a voi fece il cji^jo donandovi Gaspare Spontini, che la natura formò axJ essere un genio nell'arte sublime delle armonie, la religione educò ad essere un benefattore degli jiao- mini. E perchè so che 11 ragionare di queste cose gioverà a togliervi dal cuore ogni amarezza, e spai- gere sulle sue ferite il balsamo della consolazione, imprenderò brevemente a dichiarare il mio doppio concetto, e voi benevoli colla cortesia vostra mi sta- rete ad udire. Q uando la natura vuol alutare il progresso del- le arti lodate, forma certe anime singolari da'IM af- tre, che noi chiamiamo geni, rielle quali impronta la stampa perfetta del bello in tutta la sua pieneji- za, e dà loro potenza di esprimerlo con nuovi con- 104 cepiraenti o creazioni, farlo gustare, e siabilirne le norme. Queste si scoprono al mondo al primo loro apparirvi: e se riscontrano rinloppo, o trovano cosa che loro contrasti volgersi là dove sono dirette, so- vente dalle diilìcollà stesse prendono alimento e vi- gorìa. Ancora ogni piccola occasione basta loro: e talvolta il volgo che non sa conorcerle , ammirato della novità le chiama con titolo di strane. Gaspare Spontini destinato a portare per non segnata via la musica italiana ad un'altezza (ino allora sconosciuta^ avendo in sé la sacra favilla del gen io, ben presto per inusitata maniera ne usciva. Il padre suo Giam- battista che altri figliuoli aveva avviali al sacerdo- zio (1), fra i quali quel Antonio che per tanti anni ebbe qui cura delle anime, la cui memoria dura e durerà sempre per le molte sue virtù in benedizione presso voi, amava pure rendere uomo di chiesa il suo Garpare; e Teresa Guadagnini sua moglie a ciò il figlioletto disponeva e slimolava fin dalle pri- me facendogli specchio de' fratelli. Dava mano al- l'opera lo zio paterno don Giuseppe (2), parroco su- burbano della regia città di Jesi, famosa culla del gran Pergolesi, ed ave vasi tolto ad educare il fan- ciullo colla speranza che lo studio delle lettere la- line ed italiane, al quale l'avea posto, e poi la scuo- la del venerabile seminario iesino che l'ebbe alun- no negli anni vegnenti appresso, tirerebbero la vo- lontà del giovane al suo desiderio e de' parenti. Ma Gaspare, comechè obbediente ed ossequioso fosse allo zio, mostrava poco diletto di quegli insegna- menti raccogliere , e meglio il rinterzato tintinnire delle campane ,che cosa altra del mondo, piacevagli 105 La natura così incominciava a manifestarsi, e la men- te del giovinetto a quegli armonici rintocchi si apriva. Di que' giorni don Giuseppe ebbe a se un celebre artista, e sei tenne più mesi in casa acciò gli fab- bricasse un organo in servigio della sua chiesa. Questi aveva portato seco un gravicembalo, del quale giovavasi a mettere in accordo le voci, e sovente lo toccava; al quale suono il giovane, che ancora non valicava gii otto anni, così fattamente rimase preso, che più non si tolse dal fianco del Crudeli (così chiamava;»! l'artista), e a quando a quando metteva le mani allo strumento, e riandando fra se le sonate che aveva udito, ponevasi tutto solo a ripeterle e con tanta facilità e vivezza da maravigliarne. Il Cru- deli ne conobbe a prima giunta l'inclinazione, e quan- to sapevane gl'imparò. Allora lo zio non più incerto di quello che fare si convenisse, avutone il con- denso dei genitori, lo die ad istruire prima al Ciuf- folotti, poi al Menghini, ripulatissimi piofessori. e ve- dendo rapidi progressi che il giovanelfo faceva, lo niise alla scuola del Quintiliani e del Bartoli: quindi da ultimo del celebrato Bonanni che lo ripulì e gli fece I chiare le profonde teorìe del Martini, del Fux e di quanti altri grandi maestri ha l'arte della mu- sica. La vocazione di Gaspare era manifesta, inutile l'opporsi: però i genitori, benché a mal in cuore, gli dicrono licenza ed agio di condursi a Napoli, dove il Ciuffolotti (3), tenerissimo del giovanetto, ave- vagli trovato modo di collocarsi nel celebre con- .«ervatorio, allora chiamato della Pietà dei turchini. Vi andò, studiò di forza e con amor grande il con- trappunto, e formò 1 a mente alla scuola del Sala, del 1<^6 Tritta e del Salino, nomi celebratissimi. Scrisse can- tate, oratorii con altre cose da chiesa, e ne riportò lodi sinfjolarissime: scrisse ancora intermezzi per mu- sica, i quali comparvero con plauso in sulle scene medesime ove il Cimarosa e il Paisello spaziavano e si toglievano il primo vanto. Ciò fu cagione che tentato s'inducesse a partire di soppiatto (4) e con- dursi a Roma, chiamatovi a scrivere per il carne- vale, ove in fatto scrisse un opera buffa a concorrenza del Cimarosa e de! Marullo. Piacque, anzi n'ebbe un trionfo: che in vero ebbe faccia di trionfo la festa che Roma gliene fece. La gloria ripoitalane fe'dimenticare la colpa della fuga, gli riaperse le porte del con- servatorio, gli amicò gli emuli, lo mise nella gra- zia del Piccini e nella benevolenza del Cimaro.sa , che uniti gli dierono mano a perfezionarsi nell'aite. E tanto in poco lempo era salito in fama, che Na- poli non pareva d'altro più vaga che d'udire le sue musiche: era fuori in ogni parte desiderato e ri- chiesto. Ma la corte, costretta per ribellione a rifug- girsi di Napoli a Palermo, lo volle a sé: cosa che può ben sola far conoscere il pregio in cui era te- nuto, e il grido che aveva destato. Senza frapporre tempo adunque si mise in nave ; ma giunto allo stretto, il mare si levò in tanta furia, il cielo imper- versò c(tsl forte , che fortuna non può essere pit'i terribile uè paurosa. E mentre (5) l'urlo dell'onde s(i continuava coi tuoni, e l'oscurJià fitta e solo rotta a q^uando dal guizzo dei lampi, e le strida de' ma- rinari e i pianti de' passaggeri facevano un doloroso concento collo etiidor delle funi, lo scrosciar degli f 107 alberi e l'urto de' marosi che ferivano e sormonta- vano la nave; e tutti col cuor sulle labbra^ la vita, che avevano per perduta, a Dio raccomandavano, il giovane immobile si stava a contemplare quel nuovo spettacolo, e la natura pareva in quel momento sco- prirgli quanto ella nelle sue commozioni ha di più grandioso e sublime. Certo è, ed egli sovente volte lo confessava, che l'anima sua ricevette allora nuo- ve ispirazioni, e la sua mente incominciò a conce- pire que' grandi tratti che poi seppe sì bene colo- rire in appresso. Dopo molti giorni venne a capo di quel tempestoso tragitto, e tanto fu maggiore l'al- legrezza delle aocoglienze, quanto era stata la paura che in quel naufragio avesse rotto. Si stette due anni interi a Palermo , ove scrisse più opere (6), e tutte con grande plauso; ma un' avventura stranissima , sebbene tutta pro|)ria di quegli anni suoi giovanili, che qui non mette conto narrare , lo costrinse ad uscirne. Venne a Roma , di là a Venezia , quindi a Firenze, e dovunque raccolse palme ed allori no- velli. Alfine risolse condursi in Fraucia, ove il mag- gior de' guerrieri in seggio consolare agognava la corona dei cesari. Tutto era quivi bollor di passio- ni, desìo di gloria, strepito d'armi; e però la me- lodiosa musica italiana, usata ai soli affetti gentili e nudrita di pace e d'ozi domestici, non adeguava an- cora colla sua delicata melode il ribollimento di po- polari passioni , i tumulti e lo strepilo del mondo in battaglia. Era riserbato al genio dello Spontini farla potente di tanto , distenderla ed allargarla in campo più spazioso. Aveva egli gareggiato in Italia col Cimarosa, col Paisello e col Piccini: doveva su- 108 peraili in Fiancia , ed accrescere all'arte ed a sé gloria e splendore. Venuto ìnFatti a Parigi e da - tosi a conoscere con un nnelodramma giocoso in pri- ma, poi con altri appresso, innalzò la sua fama a tal segno, che tutti parlavano di lui; e l'imperatore se ne compiacque tanto, che di niun altro più: l'im- peratrice poi gli prese tanta stima, che lo volle suo compositore e direttore della musica privata, e Tebbé sempre in grande protezione ed affetto. Cos\ gli fu fatta abilità di conoscere e restringersi ai più cele- bri ingegni che nello splendore di quella corte spa- ziavano ; e fu somma sua gloria in anni sì verdi essere amato e riverito dai grandi, careggiato e ono- rato dagli altri. Aveva a sé rivolti gli occhi di tutti, e pareva che Paspettazione destata di sé non potesse essere adeguata dal fatto: ma ben presto egli la sep- pe a pezza superare. Era, que'dì in Francia grande divisione lispelto alla musica. Due sommi Niccolo Piccini napoliiano statogli maestro, e Cristoforo Gluck che ili Milano aveva appreso l'arte, avevano posto due scuole, le quali accanii amente l'una contro l'al- tra lottavano. La musica dell'italiano era signoreg- giata da una soave e patetica melodia, era condotta con yena di stile chiarissimo , delicata , deliziosa , tutta improntata del sorriso del cielo italiano e delle forme della classica grandiloquenza. Bella come la Venere dei Medici , semplice e aggraziata come la Psiche del Tenerani. Tuttavia talvolta per troppa njorbidezza mostrava non aver nervo che a grandi emozioni bastasse, né ricacciati colori a ritrarre il conflitto delle forze sociali e l'entusiasmo delle mol- titudini che in massa si urtano, si avventano, si con- fondono e scrollano le nazioni. La maniera del canto ancora non era da ciò: i vezzi, i gorgheggi, i trilli, le arricciate cantilene occupavano il luogo della de- clamazione. Plaudivasi a chi meglio sapeva tormen- tare coll'arte la voce, non a chi meglio sapeva espri- mere gli affetti e lasciar intendere le parole. E il Piccini e il Sacchini che si, ostinavano a voler pure mantenere la musica così com'era, non conoscevano abbastanza che la musica del mondo rinnovellato a prova d'armi, di tumulti e di battaglie, doveva es- sere ben altra da quella. Cristoforo Gluck, spingendo più innanzi la potenza dell'arte, imitava lo strepito delle grandi passioni e seguitavano la violenza: ab- bracciava quanto ha di più straordinario la natu- ra , quanto di più temendo la fantasia. Quindi gli orrori della guerra , le furie de' venti , le tempeste del cielo e del mare sdegnati, le sbrigliate e fervi- de emozioni delle moltitudini faceva nelle sue mu- siche con vario conserto di strumenti campeggiare. Questa maniera, siccome quella che più dal secolo ritraeva, piaceva più: ma non era peranco peifetta, perchè se vinceva collo strepito, mancava poi del delicato carattere che nelle cose del Piccini e del Sacchini graziosamente spiccava. Lo Spontini non aveva udito mai cosa del Gluck, aveva però in mente un alli.ssimo concetto, cioè che la musica sia il lin- guaggio degli affetti del genere umano e debba tutte abbcacciarne le vicende, le forze e le tendenze. La tempesta nello stretto di Messina gli aveva fatto na- scere questo pensiero, ed egli qui meditava. Gli av- venne alla fine di sentire qualche melodramma del Gluck, e tosto ne invaghì, ne conobbe la profondi- 410 tA e la grandezza, studiò, s'immedesimò in lui per ricercarne ogni parie, e vide quale a lui si pi'este- rebbe, qual no : si tenne alla scuola e al carattere italiano , e prese soltanto ad arricchirla di quanto bastasse a renderla pari aitenDpi ed agli avveni menti. Senza togliere nulla alla semplicità della composi-' zione aggiunse movenza e calore nelle parti dell'or- chestra: accrebbe il numero degli strunaetiti e spe» zialmente di quelli da fiato, trovò nuove combina-' zioni e nuovi intrecci, mise, direi quasi, in gar;| le voci coi suoni: e con libertà di genio allargando le leggi, rese più vigorosa, più potente e non meno soave l'armonia. Il canto, che era prima tanto ar- tifiziato e arabescato, dislese ed appianò in bella de- clamazione , efficacissima a ritrarre e comunicare gli affetti, non meno che a dilettare. Cosi la mu- sica italiana per opera dello Spontini incominciava a farsi europea , e cessate le fazioni non si parlò più né del Gluck, né del Piccini , ma solo della musica dello Spontini. Il quale volle ancora gustare e studiare le grandi opere del Mozart, dell' Haydn, dell'Hendel ^ e le bellezze di tutte far proprie per innestarle sul ceppo italiano. Vi riusci: e se fu gran- de l'ardi mento, non fu meno grande la gloria. Pe- rocché era ben facile prendere ad imitare l'entusia- smo e la movenza della musica tedesca e quella sua sublime profondità ; ma incoi'porarne tutti i pregi nell'italiana, senza guastarne le forme native, o tur- bare quella sua caia semplicità, era opera difficile, e solo pari ad un ingegno straordinario. Era in som- ma una creazione, per la quale la musica italiana diveniva il linguaggio universale dell' armonia , la Mi musica di (ulti i popoli civili. Il genio poiienloso (U Gioacchino Rossini Uovo aperla la via, e si levò gigante a sbalordire l'Europa: ma questa via era »tata segnata , agevolala , lastricata dallo Sponlini. Certo è che quando sulle scene di Parigi fu udita per la prima volta la Vestale^ tanto fu la maraviglia, lo stupore, l'applauso, che tutti si convennero nel proclamarlo grande maestro, e senza emuli. Come poteva aver emuli infatti colui che avava vinto la prova a concorrenza de' più famosi; del Paisello, dico, e del Cheiubini, per lacere degli altri ? A lui fu aggiudicata la vittoria dal volo universale dei .sapienti. Ne parlarono con graudi.ssima am«»irazione il Capefìgue, il visconte di Chateaubriand e la fa- mosa madama Staci , sebbene quel nuovo metodo di musica non andasse troppo loro a sangue, e le-^ nessero dalle parti del Piccini: e Napoleone aven- done udito, prima che si mettesse al pubblico, alcuni bei luoghi alle TuUieres gli diceva: — La vostra ve- stale non può mancare di buon succico, i recitativi continuamente accompagnati dagli strumenti, le arie piene di novità e di affetto che va sino all'entusiasmo. Melodie, ma non profuse e perciò più potenti, gran forza d'espressione, ritmi originali che rapiscono e strascinano con se l'uditore. Le ar- monie variamente consertate in gruppi ed intrecci , che rinforzando sviluppano in un pieno robusto e maraviglioso. Ninno più di lui ha fatto sentire la dolce potenza dell'amore, e la violenza degli sdegni^ la squisitezza del sentimento ad ogni nota traspare. Niuno più di lui ha mantenuto i caratteri, e distintili e lumeggiati da capo a fondo con tocchi di potente pennello: l'urto delle moltitudini, le tempeste, le battaglie, il furore delle fazioni, tutte insomma le emozioni più gaolìade trovano nella musica di questo genio la vera espres- sione nella naiura. Tutto è atteggiato al vero, tutto ha colore e moto sempre crescente e vivace. Trat- teggia in sulle prime i suoi ritornelli con tocchi risentiti, quindi a poco a poco li fa spiegare tutta la rotondità e la splendidezza delle forme, l più forti contrapposti, messi l'uno appresso dell'altro, aggiun- gono movenza ed elficacia. I suoi cori popolari hanno il bollore e l'impeto delle moliitudini accalorate , i suoi cori guerrieri risentono l'entusiasmo marziale destato dal maggior capitano. Il grande, l'immagi- noso, il sublime sovente in tutta la lor pompa si mostrano. La lìlosoHa non trova che ridire, e nell' arte è ritratta maravigliosamente la natura. L'indole italiana ardente, piena di sentimento, di fantasia e di grazia, unita alla tedesca profondità, impronta un G. A.T.C xxy. « 114 carattere speziale alla musica dello Sponlini, la quale non saprei rreglio assomigliare che ad un dipinto di Michelangelo o di Lionardo. Con queste doti con- giunte a squisita gravità, e ricca vena di stile puris- simo, efiìcacissimo, riusciva a signoreggiare i cuori sifattamente, che niun altro più innanzi a lui: onde a ragione ebbe a dire quel grande maestro che oggi è in Francia il sig. Berlloz; che lo Spontini è modello della musica erprcssiva. Ma già tramontava l'astro di Napoleone: l'Eu- ropa collegata a' suoi danni faceva tremare e star pensoso 1' universo. Si combattevano sanguinose bat- taglie: alla fine era vinto il vincitore, e Parigi do- leva vedere armi e monarchi stranieri imporre regno e leggi alla Francia. Entravano i trionfatori al suono delle marce della Vestale e del Cortez, e la musica dello Spontini era parte bellissima di quel trionfo. Ne questo solo: fu richiesta in sulle scene la Vestale, e parve sola degno spettacolo delle prime corone del mondo. A non molto ricompariva l'imperatore, e rinfrescava la lotta. Nei campi di Waterloo si ve- niva all' ultimo cimento : ma la fortuna era stanca e voleva alla fin vendicarsi di chi troppo spesso l'aveva sfidata. Fu vinto e rilegalo fuor del niondo: e i re collegati tornavano di nuovo a Parigi. Il teatro non ebbe meglio da oflVire, che la Vestale e il Cor- tez. Fino dalla prima volta a Federico Guglielmo IH re di Prussia, principe di quell'alto e maraviglioso intelletto che tutti sanno, entrò grandissimo desiderio nell'animo di avere alla sua corte lo Sponlini, del quale aveva assaggiato il valore, e che solo pareva- gli potesse degnamente lenere il luogo del Gluck: 115 però nella seconda volta gli raddoppiò le carezze, e gli fece onorevolissime proposte. Ma Luigi XVIII, salito al trono di Francia, lo avea di fresco nominato ufficiale della legione d'onore, dichiarato cittadino co- me nativo francese, e suo compositore drammatico or- dinario: perciò né a lui si addiceva accettare altre proposte, né al monarca fargli forza. Tuttavia, per la- sciargli un segno della sua reale benevolenza, lo no- minò anch'egli suo compositore drammatico onorario. Ancora il gran duca d'Assia Darmstadt aveva gran va- ghezza di lui: ma non potendo altro, si tenne contento decorailo dell'ordine reale di Luigi di Assia Darm- stadt. Ma ritornatosi Federico a Berlino, e pur frugan- dolo più forte il suo deriderio, tanto fece, tanto si adoperò, che con buona grazia del re Luigi potè ot- tenere lo Spontini. Partivasi egli dalla Francia con Celeste Erard sua virtuosissima compagna, e sto per dire , angelo tutelare della sua vita; partiva dopo venti anni , colmato d'onori e di gloria da Parigi, ove la sua musica segnerebbe un' epoca degna del- l'impero: e preceduto dalla sua bella fama veniva al- la corte di Berlino con titolo di maestro della cap- pella l'eale, e sovraintendente generale della musica della maestà del re di Prussia. Non ignorava egli gare e lotte che forestiero avrebbe in forestiero paese a sostenere, sapeva la forza delle rivalità e delle in- vidie : ma l'anima sua grande non aveva altro in mira che l'arte: là si appuntavano tutti i suoi desi- deri, miravano tutti gli sforzi : e per la gloria dell' arte egli sentivasi capace di combattere e di trion- fare, E cosi fu. Appena giunto, vennero in scena prima la Vestale e poi il Cortez^ che riportarono plausi 116 ed onori d'ogni maniera , e presto levarono grido in tutta la Germania. Lo scrittore ebbe distinzioni ad altri non concesse prima di lui; il suo genio non poteva trovare più degno teatro di quello,dove Gluck, Mozart ed Haydo avevano sfolgorato. La dotta e pro- fonda Germania lo conobbe , lo apprezzò , e fece ragione al suo merito accog liendolo come cittadino, onorandolo come solenne maestro. Appresso mandò in scena V Olimpia^ già composta in Francia, e di nuo- vo rinfrescata e rabbellita. Questo lavoro, pur gran- dioso e profondo come gli altri , da molti critici tedeschi venne levato a cielo e messo innanzi alla Vestale ed il Cortez. Non è da noi sentenziare di tali cose: la storia delTarte darà suo luogo a ciascu- no : e qui basterà accennare che l'introduzione di quel melodramma forma la delizia degl'intelligenti. Bene non è da tacere scalpori che di qua ebbero origine: perchè avendo il Weber in pari tempo dato al teatro un suo melodramma e piacuto, fu cagione che l'opinione dei musicanti in due si dividesse, ed altri parteggiando tenessero dal Weber , altri dal- lo Spontini. Fu detto molto, scritto fino a stancar- ne i gioi-nali : parevano rinati i tempi e gli umori delle due scuole del Gluck e del Piccini. Il Relislab con istile invelenito si avventò contro lo Spontini , tentò strappargli della fronte l'alloro postovi da tre grandi nazioni : ma tanta virulenza tornò a lustro maggiore dell'italiano. La giusta Germania nella sua saviezza fece buon dritto allo Spontini, e costrinse l'avversario a consumarsi tacendo. Così la virtù vera esce più bella dal conflitto. Altre pure tragedie li- riche venne conìponendo appresso , il Nurmahal , 117 VAlcklor, VAgnese cVHohcnstaufen, il Milton, delle quali parlare per disteso non posso qui: tuttavia dirò che queste valsero al grande maestro il titolo di principe della tragredia lirica. La eroica fierezza del medio evo, e que'risentili caratteri con quella nobile rusticità, non erano stati prima dell'Agnese né me- dito ritratti , né più vivamente coloriti in musica scena. E questo fu bellissimo pregio del raro inde- gno dello Spontini , internarsi profondamente nelle epoche eh' egli aveva da svolgere, studiarne direi quasi la fisonomia e le tendenze, per risvegliare que' medesmii sentimenti, e improntare ne'suoi personaggi i caratteri ed i costumi tutti proprii di que'popoli in quelle stagioni. Tu vedi concetti, forme, movenze, atteggiamenti romani nella Vestale: il costume greco eroico orientale nell'Olimpia : il Cortez ti trasporta fra i popoli del Messico e della Castiglia; e quai il vedi e li odi, lai furono: l'Agnese ti para innanzi la generosa barbarie e i fieri sdegni del medio evo. E la musica mette sì bene in rilievo in que'tvrandi quelle grandi figure, sì bene rinfoca gli affetti, e a poco a poco crescendo li trasporta nel vortice delle popolari passioni, che moglio non può uomo desi- derare. Quale meraviglia se fattagli dal suo re abi- lità di movere ad erudidi viaggi per la Germania e nell'Inghilterra, si vide festeggiato e onorato dalle prime città nel cospetto di popoli interi accorsi in calca ad udirne le musiche ? associato alle più illu- stri accademie ? Quale maraviglia se l'università di Halle gli conferì la laurea di dottore con diploma amplissimo non concesso a persona prima di lui ? Quale maraviglia se la unione musicale della Ger- 118 mania in Turinola, che lo aveva eletto a suo diret- tore, gli coniava una medafjjia , e lo proclamava primo dei maestri? Spotinio Equiti Claro^ Primo Mu- usici Agonis Sui Direclori^ Lifricae Trmjoediae Prin- cipi^Gennania Meriùorum CuUrix. Il suo genio poten- te si era mostrato; messo alla prova, aveva menato triolo : l'invidia, anzi che sfrondarne la corona, gliel' aveva rinverdita e Fatta rifiorire d' immortai luce sul capo. Gaspare Spontini apparteneva all'Europa. l'Italia, la Francia, la Germania lo avevano del pari concittadino: il suo nome era scolpito nel tempio della Gloria ad indelebili caratteri, studiate ed am- mirate le sue opere, avute in conto di grandi e ma- ravigliose: gran danno che alcune, per essere scritte in tedesco, non siansi lasciate mai udire da noi! Ma la lode maggiore dello Spontini sarà quella di avere aperta una scuola, dove l'immenso Rossini potè le- varsi sopra gli altri a modo di gigante, ed altri ap- presso lui grandeggiare : sarà, dico, la sua lode più sfolgorata quella di avere steso i confini dell'arte italiana e fattala capace di tutte le colte nazioni. La storia segnerà l'epoca dello Spontini, ed essa con più giusto esame farà al mondo rilevarne il merito. Ma egli dopo tante fatiche, mal fermo della salute e spossato, aspirava a quel riposo che è il più dolce compenso della vita, dopo la gloria. Offerivaglielo l'istituto di Francia eleggendolo al luogo già tenuto dal celebiatissimoPaer. Cosi quella illustre accademia, onorando lui e se stessa, reslit uiva il suo gran con- cittadino alla Francia. Egli con beneplacito della cor- te, a cui aveva vent'anni interi servito, abbandonava per sempre Berlino, portando seco l'amore del aio- 119 narca, la stima di tutti, e onori e ricompense e fa- ma bellissima ed immacolata. Ma prima di ricon- dm-si in Francia livedeva la sua dolce Italia, e que- sto suo nido nativo dove aveva sempre il cuore e i pensieri: e visitala Roma e Napoli, sempre distinto e riverito da' principi e dai popoli, si rendeva all' onorevole luo{>o, ultimo o degno premio delle sue ma(jnanìme e virtuose fatiche. Qui il genio crealo dalla natura alla musica posava sugli allori mietuti, contento dell' avere nobilitato se stesso, l'arte e la nazione. 2. Ma la gloria dello Spontini non doveva na- scere tutta dal suo genio; la pii\ nobile parte do- veva essere frutto e lavoro della religione; e l'arte a questo sublime scopo si conveniva servire, acciò a lui non mancasse modo, né infruttuose si rima- nessero le generose inclinazioni dellanimo. Perchè cui Iddio destina a qualche fiae glorioso sommiai- «tra anche il necessario a conseguirlo , e mette in via di poterlo ottenere. Avevagli donata un' anima di soavissime tempre, un cuore più inclinato al be- ne che mai fosse: intelletto elevato, robusta memo- ria, volontà sicura con affetti accalorati e risentiti; e forza di ragiune da tenerli in freno e signoreg- giarli. Né gli era stato mea largo di que'doni che diconsi esterni. Alta statura, bella presenza di per- sona fatta poi maestosa dagli anni, aggraziato e no- bile portamento, forme rilevale, una dolce aria di viso velala di soavissima melaaconia, occhi bruni come i capelli, e vivi e parlanti, e negli occhi l'a- nima. Un sorriso di affabilità singolare , un suono di voce chiaro , una facondia senza pari. Al solo 120 vederlo mostrava un uomo di grand' essere e di gran cuore. Ancora aveva gli consentita una educa- zione religiosa e veramente cristiana ( e questa è grande grazia ! ), per opera della quale le subtimi verità della chiesa cattolica gli avevano gettato in cuore si profonde radici, che forza o violenza alcu- na non avrebbe mai bastato a scrollarle od isveller- le. La vera filosofìa e lo studio della storia gliele aveva poi ribadite e ricacciate più dentro della men- te. Erano queste le fondamenta, sopra le quali la religione voleva edificare e levar alto al cospetto del secolo vin benefattore degli uomini. Né i bollo- ri della giovinezza, né il bagli or delle corti, né le false massime dei filosofanti che avevano pervertila mezza Europa, gli nocquero punto : egli si tenne sempre saldo ne'suoi puri priucipii, e alla religione fidò il governo della sua vita e delle sue fortune. Ed ella, parlandogli sovente al cuore, gli spirava dolcezza e calma nel furor delle gare, temperanza in mezzo i piaceri, modestia in mezxo i trionfi: ella insegnavagli perdonare le offese, beneficare l'offen- sore, confortare di buoni conforti rafflitto ed il po- vero, rispettare il debole , riconoscere nelle vicissi- tudini di quaggiù il dito di colui che scherza a ta- lento nell'universo. Mostravagli che la gloria acqui- stata nel mondo era cosa del mondo e non più: bar- lume di luce che sguizza e muore in un baleno : che nulla giova nella vita futura, se dal cielo non toglie materia a gloria più durevole e salda. Docile ai dettati, egli cominciò a mettere ogni sua cura nel beneficare : e tanto a questa si abbandonò, che il suo cuore sol del far bene al suo simile si com- 121 piaceva, né altro diletto sapeva cogliere più dolce. Quindi, appena venuto in istato, partecipava larghe- mente coi congiunti le sue ricchezze, e volevali tut- ti soddisfatti e contenti: né per largheggiar che fa- cesse in lui venia meno o si disseccava la vena della beneficenza. Sconsolato o povero che a lui per soccorso si accostasse non partiva sconsolato ne senza ristoro. Alla corte imperiale non era cosa che potesse a lui essere negata : tanto era nelle grazie dell' imperatole, tanto godeva favore presso Bona- paite, tanto viveva nella stima e nella benevolenza de'prlmi ministri e dei grandi: eppure poco o nulla per sé adoperavasi , solo si dava moto e pensiero di giovare agli amici e ai conoscenti; e per venir- ne a capo non cessava pratiche né industria. E così ancora in Germania e spezialmente a Berlino, dove col ritratto delle annuali accademie, tenute a tutto suo prò , stabiliva vma rendita in servigio degli artisti che o per infei-milà, o per rea fortuna, od altra onesta cagione fossero scaduti; e delle vedove loro e de' figliuoli rimasti nel n)ondo deserti. Che più ? ingiuriato, assalito, lacerato con maligne scrit- ture, non se ne dolse, abbracciò l'ofifensore , cercò ogni via di beneficarlo, l'amò. La casa sua in Fran- cia era un asilo: non rigettava persona, e dolevasi solo quando non gli riuscisse rimandarli contenti. In Berlino potevasi dire la residenza de' cattolici e degli uomini di grand 'essere, yjerchè quasi tutti in- torno a lui si raccoglievano. Or ditemi, signori, ove era più grande lo Spontino, in mezzo ai sommi ar- tisti, ai magnati, ai principi, ai re, o in mezzo ai poveri ? Nel cospetto di tutta l'Europa a porgere 122 sulle scene quelle sue stupende tragedie liriche, o nel recinto delle domestiche mura co' suoi fratelli cattolici ? Ditelo voi , dicanlo i presenti, dicanlo i posteri, io noi dirò: perchè parlando a voi fedeli, in faccia a questi sacrosanti altari, la mia sentenza anche tacendo si manifesta. Di qua veniva in lui quella magnificenza che regnava nella sua musica sacra, e direi quasi divina ; perchè le cose da lui composte in servigio della chiesa, anche a giudizio dei grandi maestri, prendendo abito di maestà dalla religione, e spaziando nell'immensità delle regioni celesti, si leva a tale grado di sublimità, che non ha paragone con altra del mondo. Quanto può avere di elevato, di tremendo, di profondo il dogma, quan- to di magnifico, di stupendo il linguaggio della re- ligione , veniva da lui espresso con tale vigoria e sublimità, con tali conserti di voci e di strumenti in bellissimo accordo svaiiati, che il solo udirli una volta era averli sempre fitti nell' anima profonda- mente. La fede regnava nel suo cuore, destava la sua fantasia, reggeva la sua mente: e dov'è la fede, ivi l'arte e l'artista grandeggiano, e si sublimau del pari prendendo da lei forme e qualità sovrumane. Ag- giungerò che ancora nelle musiche profane, dove lo Spontini spiega il sentimento religioso , ivi sovra sé stesso a gran pezza si solleva e s'innalza.. Però egli era nemico di quelle musicali lascivie che spesso con inaudita empietà profanano le chiese del Dio vivente, e le menti devote intese a meditare i gran- di misteri della Redenzione a viva forza trasportano dall'altare alla scena, da Cristo al canto delle sirene, dalle espiazioni di penitenza alle impure orge della m danza. Maledizione tremenda caduta a grande nostra vergogna nel cristianesimo, la quale giova sperare per l'autorità de'vescovi, e per l'opera di valenti e pii maestri, che pur vi sono, debba una volta quando che sia cessare! Lo Spontini era così spasimato del toglierla, che col celebre suo amico cav. Francesco Morlacchi perugino alla corte di Sassonia in Dresda più volte ne tenne ragionamento : e sarebbero ve- nuti a capo dell' intendimento loro, se morte anzi tempo ad amendue la bell'opera non avesse inter- rotto. Certo è che in Roma la famosa accademia e congregazione di s. Cecilia , della quale egli era socio, gli diede incarico di ciò: e certo è pure che egli mise nelle mani del beatissimo pontefice Grego- rio XVI un suo disegno per cessare questa vergo- gnosa profanazione, accennando leggi, stile ed esem- pio da seguire nelle musiche. L' accolse il vicario di Cristo coir usata benignità e se ne piacque , e donò le insegne di cavaliere a chi gli aveva fatto si degna proposta. Ma a che mi fermo io sopra queste cose, in luogo di seguitare a mostrarvi in lui l'opera della religione, che lo aveva eletto ad essere bene- fattore degli uomini? Tempo è bene che io annoveri ad una ad una le sue beneficenze, delle quali potrei invero passarmi parlando a voi, perchè le sono note e scritte, anzi stampate nel vostro, cuore, o signori maiolatesi. Ed io non vò passarmene per non sce- marvi la più soave dolcezza, che oggi a vostra con- solazione raccoglier possiate; essendo che le cose di tal fatta ripetute le mille volte, le mille pur tornano care e gradite ad udire. Dirò adunque che essendo egli in condizione di privato gareggiò colle larghcz- 124 ze de'principi, ai quali se cedeva in dovizie , non cedeva certo in [jenerosità (7). Nella reie sinistre, troncate da sorde e violenti battute, senza essere commosso sino al dolore , sino allo sbalordimento. Il finale del primo atto del Cortez è di questa tempera. Il successo di quest' opera fu veramente trionfa- le, e fin d' allora potè dir lo Sponlini parlando del- la Francia - Cette terre est a mois, je ne la quitte plus - usando le parole del Cortez. La Vestale e il Cortez formano dello Spontini un genio , non solo per la creazione, ma per i nuovi mezzi che in- trodusse nel teatro. Che egli prima di ogni altro usò moderatamente e con ingegno tromboni, trombe. 137 cornette uniti ai bassi di minugia; talvolta vi uni ancora la gran cassa^ e forse senza aver esempio innanzi condusse sulla scena la banda militare: cose di cui in appresso tanto abuso si è fatto e si fa. A questo proposito vò riferire qui una risposta dello Spontini, molto acuta, la quale è tratta dal- l' opera che ha per titolo - Lo Spontini in Ger- mania (Lipsia presso Hartknock). - RJolii gli face- vano rimprovero dell'aver egli introdotto nella mu- sica soverchio fracasso, e dicevano che il mal esempio era venuto da lui, mentre egli stesso si dichiarava nemico del fracasso nelle musiche altrui. Ai quali egli: « Io l'ho messo dov'era richiesto dalle grandi « azioni che io trattava: non usato a capriccio come « fan molti, a solo fine d'intronare gli orecchi. » La fama a cui era solilo il nostro maestro, e più l'es- sergli stato conferito dall'imperatore l'officio il diret- tore generale della musica dell'opera italiana, indus- sero il signor Erard, celebre fabbricatore di piano- forti in Parigi, a dargli in moglie la sua figliuola Celeste. L'aveva più volte richiesta, ma o con un pre- testo o con un altro gli era stata negata fin allora. Questa carissima giovane fé gran parte della sua felicità. (1814) In quest'anno scrisse, Pelage ou le roi de la paix. ., (1815) Scrisse la musica per un gran ballo nelle Danaidi di Salieri: appresso in compagnia di Persuis, Berton e Kreutzer un'opera Ballet inti- tolata Lcx Dieux rivaux ou les Fetcs de Chylére , prodotta in occasione delle nozze del duca di Berry. (1810) In quest'anno diede l'O/mpm, tragedia 138 lirica in tre atti, opera di grande elevatezza; ma ramoni politiche la fecero sortire esito non lieto. Alcuni nemici del maestro, e la fazione così detta liberale^ credette vedere espressioni contro lei dirette e se ne offese. Fu giudicato che egli volesse alludere all'assassinio del duca di Berry colle seguenti pa- role - le denunce a la terre - Et none a sa colere - L'assasin de son roi. - La persecuzione che gliene v«nne fu cagione che accettasse le generose offerte a lui fatte dal re Federico Guglielmo III di Prussia^ il quale sino dal 1814 l'aveva accolto con parti- oolai^e dimostrazione di benevolenza: e nel 1817 ao- minato suo compositore drammatico onoraria. (1820) Accetta la carica conferitagli dal nio- D»rca prussiano : il 28 giugno dell'anno istesso entra al suo officio di direttore generale della musica e e primo maestro della cappella reale. Poco dopo mette in scena il Fernand Cortez^ poi la Vestale eoa grandissimo successo, a segno d'essere chiamato sulla scena con applausi. Tuttavia spiace a motti che lo Spontini sia stato levato a quel grado, a cui avreb- bero voluto posto il maestro pur celebre di cap- pella Carlo Maria Weber. Questo gli move contro mali umori e guerra. Lo Spontini per la festa aata- Irzia del re compone il canto popolare prussiano, ed una grande marcia festiva. (1821) Lo Spontini, dopo avere rifaUa VOlim- pin, la rimette in scena: in pari teoipo il Weber pro- duce il FreischiUz. Nasce gran divisione d'opinioni: chi parteggia per questo , chi per quello. Rellstab «Cr4v« ■contro lo Spontini nella gazzetta di Berlino, «letta di Voss. Costui, dopo avere lodato nella gaz- 139 zelta stessa il Cortez, tenta abbatterlo, e denigrare ia fama dello scrittore. Lo Spontini dopo avere tolle- ralo a lungo in silenzio, vedendosi assalito perso- nalmente, ricorre ai tribunali. Il Rellstab è condan- nato in appello. Anche uno scriba senza nonae lo morde in vari giornali , per far cosa grata ai ne- mici dello Spontini: ma in vari giornali pure è co- stretto confessarsi in colpa e chiedergliene perdono. Il re lo nomina cavaliere dell' aquila rossa di ter- z'ordine. (1822) h' Olìmpia è rappresentata a Darmsiad con bellissimo successo. Il gran duca d'Assia-Darm- stad nomina lo Spontini commendatore di seconda classe dell'ordine di Lodovico d'Assia-Darmstad. (1823) A Berlino dà in luce Lalla Rukli - can- tata tolta da un poema di Tommaso Moore: la qua- le fu molto applaudita. Da questa ebbe origine il dramma intitolato - Nurmahal - messo in musica sopra un libretto dettato in tedesco, cosa non più ardita, che io sappia, da alcun compositore italiano, (1824) Il Nurmahal fu accollo con plauso. - Nell'anno appresso (1825) Scrisse 1' Alcidor parimenti con parole tedesche , dramma che piacque assai. Fu composto sotto la sua direzione dal poeta Theaulon. (1827; Compose un inno per l'incoronazione di S. M. l'imperatore delle Russie. In quest'anno me- desimo fece un viaggio nella Germania meridionale in servigio del suo olficio. A Monaco diresse egli stesso la Vestale accoltavi con -entusiasmo. Il re lo decorò della croce dell'ordine delta cuixjna di Bavie- ra. Andò a Sairburg a visitare ia vedova del famoso 140 Mozart, madama Costanza di Nisten , la quale lo donò di alcuni ritratti della famiglia Mozart. Egli poi, ad intendimento d'innalzare un monumento a questo celebre maestro, preparò in Berlino una re- cita del don Giovanili^ la quale die netti due mila talleri. In ricompensa di che la signora di Nisten lo donò di un anello prezioso che il Mozart aveva avu- to in dono dall'imperatrice Maria Teresa. In Berlino ancora compose gran numero di marce militari per l'esercito prussiano, canzonette popolari, roman- ze e balli; e fra questi alcuni detti con torcie in occasione di nozze reali. (1829) In quest'anno compi l'Agnese di Hohen- staufen, opera piena di grandiosi momenti, di subli- mi tratti, e forti affetti: ma non potè essere posta in scena per difetto di cantanti, e per intrighi di cor- tigiani: cotalchè fu differita all'anno 1837. In quest'anno (1829) la riunione musicale della Turingia Sassone preparò in Halle una grande fe- sta di musica. Lo Spontini vi compose la celebre cantala : Domine salvimi fac regeni. Egli fu inca- ricato della direzione dell'orchestra, cosa in cui va- leva assaissimo, e vi aveva merito particolare. L'uni- versità di Halle gli conferì un diploma, che in fine offrirò a' miei lettori. La riunione stessa gli fece co- niare una medaglia, la quale è di questa maniera. Nella faccia ha l'effigie dello Spontini in bellissimo rilievo. Intorno ad essa due linee. Nella prima - SPONTINIO EQUITI CLAIIO PRIMO MUSICI AGO- NIS SUI DIRECTORI - nella seconda HAL. SAXON. D. X. - SEPT. MDCCCXXIX: nell'esergo - G. Loos. Dir. - Il rovescio è girato da una ricca corona di 141 alloro, da quattro punti della quale pendono quat- tro croci, insegne di altrettanti ordini cavallereschi di cui lo Spontini era insignito. Fuor della corona si leggono in giro le seguenti parole - LYRICAE TRAGOEDIAE PRINCIPI GERMANIA MERITO- RUM CULTRIX. - Dentro la corona: VESTALIS CORTES OLYMPIA NURMAHAL , ACIDOR AGNES STAUF. MILTON CET. La gioventù nella sera antecedente alla sua par- lenza andò con torce sotto le finestre dell'albergo ov'era lo Spontini, e vi fece una grande serenata. (1830) Lo Spontini fece un viaggio a Parigi, e tia via andò a visitare il famoso poeta alemanno Goe- the, dal quale fu accolto con gran distinzione. In Parigi si trovò presente alle sanguinose giornale del luglio; ond'ebbe sì forte commozione, che gliene re- stò sempre impressa vivamente la memoria. (1831) Tornò a Berlino, ove mise mano di nuo- a ricomporre VAgncse sopra un dramma tedesco del poeta Raupach molto tenero dello Spontini, al quale consentì di far ridurre quel suo componimento a suo piacere , come poi fece , valendosi dell' opera del barone di Lichtenstein poeta teatrale. Non è a dire lo studio che egli fece nella storia per tratteggia- 142 giare bene e rilevar colla musica que' tempi, que' caratteri e quelle tendenze. Nel 1832 in Berlino si formò una società di dilettanti per tenere in pregio la musica classica , la quale poi prese nome, a segno di riconoscenza , dal suo maestro Spontini. Questi, come è detto, es» sendo eccellentissimo direttore di orchestra, condusse a tal perfezione l'orchestra berlinese, che non si può desiderare di più, (1833) Diede termine a\V Agnese^ la quale per nuovi intoppi non potè essere rappresentata Alla fin di quest' anno il re di Prussia gli donò il na- stro per la III classe dell'ordine dell'aquila rossa. Nel 1836 andò per salute ai bagni di Marien-r bad. Quivi compose e diresse nella gran sala de' ba^ gni stessi (il 3 agosto) un inno pel natalizio del re. Dettò ancora in lingua francese un articolo in for-» ma di lettera : Sullo stato della musica moderna : stampato poi nella collezione di Dorou fra gli scritti autografi d'uomini celebri. (1836) Finalmente il 6 del dicembre fu man- data in sena VAgnese d' Hoenstauj'en^ e fu giudicata il capo lavoro dello Spontini. Il pubblico l'accolse con giubilo universale. L' incanto che produsse fu siffatto, che non solo fu dimandata da capo la sin- fonia, ma chiamato fuori il maestro dopo il secondo alto. Alla fine del terzo ebbe plausi, componimenti, e corone di fiori. Ogni volta che fu ripetuta fu mag- giormente applaudita. Cosi lo Spontini si vendicava deg l'invidi suoi persecutori. (1838) Usando del permesso datogli dal re, in- traprese un viaggio in Inghilterra, in Francia, in Ila- U3 lia, pel quale si tenne assente da Berlino quindici mesi. Fu un continuato trionfo. In Londra ebbe sin- golari accoglienze da s. m. la regina, e dai princi* pali personaggi dell' Inghilterra e della Scozia, ivi concorsi in occasione che la regina doveva solen- nemente essere incoronata. Fu ammesso al gran-le- ver e al bacimano : la regina gli parlò con molta affabilità , ed egli le offerse alcuni pezzi di canto da lui composti per quella solennità. Fu richiesto di accettare la direzione di una compagnia di can- tanti tedeschi, in qualità di direttor generale : ma dovette scusarsene. Fu nominato membro dell'acca- demia musicale di Londra, ed altri onori pur li ebbe. Venuto a Roma , il sommo pontefice Gregorio XVI di s. m. lo accolse con affetto di molta benevolenza. La celebre accademia e congregazione di santa Ce- cilia, che da trecento anni è istituita, della quale era membro, non lasciò mostra d'onore per lui. Aveva ella commesso a molti uomini da ciò di prepaiare un disegno a riformare la musica di chiesa : e di quella commissione fe'capo lo ^pontini, dandogli in oltre titolo di Maestro esaminatore. Egli disegnò la riforma in uno scritto da me veduto, il quale pre- sentò al santo padre, che con mollo favore lo ac- colse. Fu esaminato, lodato, e ordinato si mandasse ad effetto. Ciò avvenne nel gennaio del 1839. Il papa lo nominò cavaliere di san Gregorio Magno. È da sapere che pochi hanno toccato l'eccellenza nella musica di chiesa , a cui è giunto colle sue composizioni sacre lo Spontini. Appresso si condusse a Napoli, ove ricevuto con grande onore dal re e dalla regina si stette in lungo ragionamento con essi intorno materie di stalo. Che agli altri pregi lo Spontini aggiungeva questo , di avere gran senno politico, e veder molto innanzi in fatto di diplomazia. Ilo letto in alcuni scritti di sua mano ch'egli preparava le sue Memorie storiche, nelle quali dichiarerebbe cose di gran rilievo, spezialmente trattandosi della corte dell' imperatore Napoleone. Non so se esistano fra le sue scritture, e se esisten- dovi le abbia compite : questo so che le prometteva. Egli offerse al re alcune marce militari, alla regina lo spartito dell'Olimpia. Sua maestà fece riunire a Napoli tutte le bande dei reggimenti ivi in guarni- gione, per fai'e eseguire sotto la direzione del gran maestro quelle marce stesse. Furono eseguite con grande plauso ed ammirazione di tutti gli intelli- genti di musica. La sera stessa lo fece insignire della decorazione di cavaliere dell'ordine di Fran- cesco I dal gran cancelliere dell'ordine stesso , il quale gli consegnò pure una lettera di s. ra. piena di onorevolissime parole. Quindi si condusse a Pa- rigi in seno della famiglia Erard, che l'ebbe sem- pre in luogo di carissimo congiunto , nella quale il fratello della sua Celeste, emulatore della gloria gloria paterna nell'arte del fabbricale piano-forti, l'amava cordialissimamente. Qui pure non gli man- carono onorificenze e plausi. L' istituto di Francia da ultimo lo nominò suo membro in luogo del ce- lebre maestro Paer, mancalo ai vivi, non alla fama. In fine di queste annotazioni darò a leggere la let- tera che lo Spontini scrisse all'onorando segretario d'esso istituto, che lo invitava a condursi al suo no- vello uflìcio. Ora dirò che in quell'occasione fu do- l 145 nato di un bel medalgioiie in bronzo col suo ritratto, e inlornovi le seguenti parole: Gaspar Louis Pacifique Spontiui reconquis par Vistitut à la Franee. Ecco dunque lo Spontini, dopo un nuovo e re- cente suo viaggio in Italia, per mettere ordine ai suoi affari domestici, e fondare nella sua patria di- verse pie istituzioni di beneficenza^ come si scorge- rà qui appresso, ecco sì finalmente lo Spontini ripri- stinato e domiciliato in Parigi, sua patria adottiva, e in seno dell'onorevolissima famiglia (Erard) come in grembo dell'istituto reale di Francia, accolto da perlutto generalmente co' sentimenti della più ele- vata stima, simpatia , ed affezione , espressigli pure in parte pubblicamente in un articolo della Crona- ca la Francia letteraria nel 1 ottobre 1843. A quest' epoca adunque si trova sospesa la biografìa della vita artistica dello Spontini. Le sue memorie biografiche, che egli stesso compilava, do- vevano trattare della sua vita politica , soprattutto degli undici anni che passò come appartenente alla corte di Napoleone; e de' ventitré anni consecutivi^ alla corte dedue monarchi delia Prussia. Piacerai a queste osservazioni aggiungere due brani della citala biografia del professor Marx. » Nel- la Fuga in maschera e nella Finta filosofa ( dello Spontini) vi sono passi di buffo parlante così gra- ziosi, quanto mai siano slati in Gimarosa, o nelle migliori opere buffe del Rossini. Anche quegl'im- mortali crescendo^ coi quali pareva che il genio del Rossini spandesse le ali nel modo più ardito ed in- comprensibile, sono distintamente disegnati nelle so- G.A.T.CXXV. 10 U6 praccitate opere, non meno che nel Teseo riconoscìu' to . . . . Nelle prime opere dello Spontini, comec- ché in istile legjjiero , si trovano tutti quei mezzi sorprendenti nelle melodie, nell'armonia, nella for- ma e nel ritmo, per cui più tardi il Rossini ed i moderni italiani hanno prodotto un effetto sì irresi- stibile sopra la moltitudine; ed in tale guisa lo Spon- tini può dirsi il creatore di questo genere d'arte ». Resta che io qui noti gli ordini cavallereschi, de'quali fu decorato lo Spontini. . 1. Prima cavaliere, poi ufficiale della legioii d'onore. 2. Cavaliere dell'aquila rossa di Prussia di ter- za glasse con nastro. ".'.li. 3. Commendatore dell'ordine del merito civile di Prussia. 4. Commendatore dell'ordine di Luigi d'Asia- Darmslad. 5. Cavaliere dell'ordine del merito di Baviera. G. Cavaliere dell'ordine di s. Gregorio Magno. 7. Ufficiale dell'ordine di Leopoldo del Belgio. 8. Cavaliere dell' ordine di Francesco I di Na- poli. Poi con breve — datum Romae apud sanctum Pelrum sub annulo piscatoris die 21 iaouarii 1845 -— Gregorio XVI pp. gli diede il titolo di conte di sant'Andrea. (7) L'ammini,strazione dei suoi beni, di cui di- spose nelle opere pie, delle quali qui si darà il no- vero, fu affidata dal nobile e pio cavaliere conte di s. Andrea a dodici scelli suoi compatriotti. Questi membri onorari formano un consiglio organico da 147 lui stesso creato ; e per turno biennale hanno il carico del reggimento, secondo le norme dal me- desimo institutore prescritte. Ognuno può da sé immaginare quale sia lo zelo e l'impegno di co- teste gentili persone, le quali non lasciano cosa al- cuna per mostrarsi grate al benefico donatore, e sem- pre più utili alla patria. Le generose e benefiche larghezze dello Spontini sono le seguenti: 1838. Fondò con trentamila franchi un mon- te di pietà nella città di Iesi e nella terra di Ma- iolati. 1841. Mise una scuola di maestre pie per le fanciulle di Maiolati. 1843. Fece murare dalle fondamenta un ospi- zio pei vecchi cronici ed invalidi di Maiolati, e ric- camente lo dotò. 1843. Assegnò un posto gratuito in perpetuo nel venerabile seminario di Iesi ad un giovane ma- iolatese, o a due, dividendo il beneficio. 1843. Per egual modo provvide all'educazione gratuita di una o due fanciulle in un monastero della diocesi. 1843. Pose in Maiolati un altro piccolo monte di pietà. 1844. Fece un legato perpetuo di cento messe da celebrarsi annualmente in suffragio dei defunti della famiglia Spontini. 1844. Fece un altro legato perpetuo di sette messe all' anno in onore dei sette dolori di Maria Vergine. 1844. Fece pure lui legato per la conserva- zione dell'organo della parrocchia. 148 1850. Instiluì e dotò due cattedre di scienze sacre nel venerabii seminario di Jesi. Da ultimo chiamò erede di tutti i suoi averi la sua patria, per- chè allarghi le fatte istituzioni , o ne aggiunga di nuove. Fra quelle da aggiungersi è una pia scuola pei fanciulli. (8) Gli ultimi momenti sino alla morte del grand' uomo, che fu lo Spontini, ho descritto secondo la più stretta verità. Egli passò di questa vita il 24 gen- naio del 1851 fra il pianto sincero de'suoi conter- ranei, che poi nel giorno 2G del febbraio gli rin- novarono solenni esequie, in mezzo le quali fu letto questo discorso. Perchè poi ognuno di per se vegga quanto dolore prese della morte di lui il generoso suo proleggitore Federico Guglielmo IV re di Prus- sia, registrerò qui appresso cogli altri documenti la lettera che ne scrisse alla vedova signora contessa di Sant'Andrea. Q. D. B. V. Avspiciis Sapientissimis Felicissimisqve Avgvstissimi Et Potentissimi Principis Ac Domini Domini Friderici Gvilleìmi III Borvssorvm Regis Marchionis Brandebvrgici Svpremi Silesiae Dvcis Celerà Patris Patriae Regis Et Domini Nostri Longe Clementissimi Academiae Fridericianae Ilalensis Cvm Vilembergensi Consociatae Prorectore Magnifico 149 Viro Perillvstri Frideiico Blvme Ivris Vtrivsqve Doclore Et Professore Pvblico Ordinario Perillvstri Academiae Directore Friderico Avgvsto Schmelzer Ivris Vtrivsqve Doctore Et Professore Pvblico Ordinario Dvci Brvnsvicensivm A Consiliis Ivstitiae Sanctoribvs Ordinis Aquilae Rvbrae Equite Ordinis Ivreconsvltorvra Praeside Ordinario Alvmnorvm Regìorvm Ephoro Ordo Philosophorvra Nobilissimo Et Praestantissimo Viro Gasparo Spontinio Eqviti Illvstri Concentvvm Mvsicorvm Qvi IvssY Potentissimi Borvssorvm Regis Institvvntur Svmmo Rectori Ordinvm Aquil. Rvbr. Leg. Hon. Cor. Bav. Et Cor. Cattor. Insignibvs Ornato Artifici Docto Et Ingenioso Qvod Stvdivm Rei Musicae In Provincia Saxonia Agone Mvsìco Halensi Sapienter Institvendo Destre Periteqve Regendo ^ Bene Feliciterqve Exercendo Adivvit Avxit Propagavi! Doctoris Mvsices Ilonores Die XII Mensis Sept A. S. cidocccxxix Solemniter Contvlit Ordinis H. T. Decano 150 Chrisliano Lvdovico Nitzschio Pliilosophiae Et Mecliciiiae Doctore Historiae Natvralis Professore Pvblico Ordinario EXTRAIT DE LA CORRESPONDANCE OFFICI ELLE DE M. SPONTINI AVEC M. RAOUL-ROCHETTE Secrétaire perpétuel de l'académie des beaux-arts de l'institut de France. Monsieur le secrétaire perpétuel de Vacadé mie royale des heaux arls de V instilut royal de France^ moti très illustre confréref Berlin, ce 6 juillet 1842. Mon heureux sort est enfio décide et arrété ! .. . La bonté infinie, l'éslime considérable, l'afFection bienveillaute et la générosité sans bornes de ce mo- narque magnanime de la Prusse a mon égard, ont comblé tous raes voeiix et surpassé mes plus chères esperances , en me rendant désormais entièrement li- bre d'aller remplir dans tonte leur étendue mes obli- gations et mes devoirs envers l'institut royal de France (ce motif principal et cette considerati on spe- ciale utant positivement indiqués et répétés dans les différens ordres de cabinet à ce sujet) de rnème que de continuer en France ma carrière lyrico-drama-- 151 tique ! et tout cela, en me conservant pour toujours^ de pré comme de loin, et dans tonte son intéfjrité, la totalité de mes émolumens et autres avantages pécuniaires comme par le passe, aìnsi que mes ti- Ires (a) piiviléges et honneurs, toujours cui premier rang dans ma sphère d'activité dépendaiile exclusi- vement chi roi lui seul ! [b] Je quitte par consé- quent immédialament Berlin, et je reporte mon séjour stable et mou domicile à Paris. Cette lettre est enfin , je crois, tfelle que vous la désiriez depuis long tems, monsieur le secrétaire, mon trés illustre confrère, telle que je l'ai constam- ment promise par devoir depuis mon honorable no- mination à l'institut, et telle enfin que l'illustre aca- démie l'exigeait aussi impérieusement a bien juste droit ! ! Nous voila dune réunis, et je yous appar- tiens tout entier a la vie et à la raort. Par raison de sante je vais me rendre d'abord en Bohème pour faire usage des eaux minérales d'Egra Franzens-brun. Veuillez je vous prie, mon- sieur le secrétaire perpeluel, mettre ofTiciellement en originai sous les yeux de l'illustre académie le présent avis, et agréer l'expression de ma plus haute considération et de mon véritable attachement, Monsieur le secrétaire perpétuel, Votre trés obéissant et tout dévouvé confrèie SPONTIiSI Membre de l'institut royal de France (a) De surìnteiiJatit et direcleur gi^iiéral de ia inusique, et premier maitre de chapelle de s. m. le roi de Prusse eie. etc. (6) Daprès l'ordre royal de cabine» , du li mai 18ì2. 152 Sulla porta della chiesa. Esequie Di Gaspare Sponlini Da Maiolati Cavaliere Commendatole Conle Di Cui L'Italia La Francia La Germania Ammirarono II Genio Sublime La Patria Loderà Sempre Le Generose Beneficenze Entrate A Pregargli La Mercede Che Cristo Ha Promessa A Cui Lui Soccorre Nel Povero Ai quattro lati della mole funebre. I. La Natura Lo Formò Ad Essere Un Genio L'Arte E La Dottrina Lo Resero Maggior Di Se Stesso II. La Gloria Gli Cinse I Suoi Allori E Ne Scrisse II Nome Nel Tempio Dell'Immortalità III. La Carità Del Suo Luogo Natale 153 Gli Stelle Viva Nel Cuore In Mezzo Lo Splendor Delle Corti Di Napoleone E Di Federico IV. \ La Religione Lo Fece Specchio D' Ogni Più Rara Virtit Benefattore Degli Uomini / A Gaspare Sponti Da Maiolati Cavaliere Commendatore Conte Che Colla Maestria De' Suoi Concenti Fé Maravigliare L'Europa Creato Genio Dalla Natura Perfezionato Dall'Arte Colle Stupende Sue Opere Rallegrò Le Scene Delle Prime Città D'Italia Di Francia E Di Lamagna Maestro E Direttore Dell' Imperatrice Giuseppina Dalla Mano Del Gran Guerriero Ebbe Plauso Onore E Premi Riverito E Careggiato Dai Re Di Francia Amato E Posseduto Per Venti Anni Interi Da Federico Guglielmo III Re Di Prussia Decoralo Di Più Ordini Cavallareschi Nominato Socio Delle Primarie Accademie Di Europa E Dell'Istituto Di Francia Donò Vivente La Sua Ricca Eredità Alla Terra Natale Aperse Scuole Gratuite A Povere Zitelle Fece Murare Un Edifìzio Perchè Servisse In Appresso A Poveri Fanciulli Fece Porre Un Ospizio Ai Vecchi E Agli Invalidi 154 Una Casa Di Ricovero E Cura Agli Infermi A Due Garzoni E Zitelle Diede Agio Di Civile Educazione E Nella Regia Città Di Jesi Con Munificenza Maggiore Di Un Privato Eresse E Dotò Del Suo Un Monte Di Pietà Instimi Due Cattedre Nel Venerabile Seminario Ove Egli Fu Cresciuto Alle Lettere Da Goderne Anche I Suoi Conterranei La Patria Riconoscerete Al Suo Generoso Benefattore E Padre Oggi Rinnovella Le Esequie Con Pianto E Funebre Elogio Visse Anni 76 Mesi 2 Giorni 10 Partì Del Mondo II 24 Gennaio Dell'Anno 1851 Iddio Sia Largo Delle Sue Misericordie A Chi Fu Largo Al Povero Delle Sue Ricchezze , ■ , , , i Quando Il Municipio Maiolatese Con Funebre Pompa Celebrava Nel XXVI Febbraio MDCCCLI La Venerata Memoria Di Gaspare Spontini Per Opere Di Pietà Munificentissimo L'Architetto Ciriaco Santini Che Dirigeva I Lavori Delle Benefiche lustituzioni Deplorando La Perdita Del Vero Filantropo Questo Monumento Di Animo Grato Dolente Poneva 155 LETTERA DI SUA MAESTÀ' IL RE FEDERICO GUGLIELMO IV DI PRUSSIA Alla contessa di Sant'Andrea. Berlin 22 fèvrier 1851. J'ai été vivement ènau à la nouvelle du decès de votre époux , madame , de cet homme illustre dout la gioire est fondée par des grandes et subli- mes créations. Sensible à cette gioire, j'ai compati à votre profonde doleur. Je yous remercie affectueu- sement, madame , des détails pleins d'interét, que vous avez eu l'attention de me donner sur les der- niers moments de ceUii dont vous avez embelli l'exi- stence, calme les afflictions, souteuu le courage et la résignation dans les soufFrances phisiques qui ont attristé les derniers années de sa vie. C'est un spe- ctacle touchant que de voir s'éteindre ce beau genie, objet de l'admiration du siede, dans la solitude méme qui était son berceau, là ou les marques d'une pieuse bienfaisance ont fait bénir son nom. Puisse le TouT- PDissANT, dans la profonde douleur qui vous accable, vous accorder ce calme de l'àme que le temps seul n'améne pas. Les grandes consolations viennent d'en haut. J'aime à vous renouveller à cette occasion, madame, l'expression de ma bienveillance toute par- tic uliére , A Madame Madame Spontini comtesse de Sant'Andrea a Majolati prés d'Ancóne ( Elats Romains ) FRÉDERIC GUILLAUME R. 156 Porrò fine a queste annolazioni registrando qui la lettera che il comitato degli artisti di Parigi ha recentemente indirilta ai signori reggenti ammini- stratori delle pie beneficenze Spontini. Avrei dovuto pur dire delle onorevoli esequie a lui fatte in Parigi, del semibusto innalzatogli nella gran sala dell'opera italiana, delle esequie a lui rinnovate nella città di Jesi , e dell'accademia tenutavi in suo onore , non che del semibusto in marmo postogli nel palazzo municipale della slessa regia città, dalla quale vivente era stato acclamato patrizio : ma di queste e di altre cose mi passo , contento delle notizie che ho dato fin qui, le quali, sono certo, basteranno ai discreti lettori. — La gazzetta di Bologna già recò l'ordine de' funerali di trigesima fatti in Maiolati dalla com- missione municipale, colai che non occorre parlarne più innanzi. Or ecco la lettera. GOMITÉ DE Paris le 24 fevrier 1851 l'association a messieurs Ics régenls ad- DES ministrateurs de l'hospi- ARTISTES ce de charité. et inslitu- PEINTRES SGULPTEURS tiondebienfaisance Spon- ARCiiiTECTES GRAVEURS tini à Majolati (Marche d' ET DESSINATEURS Ancone) Messieurs, Le cornile de l'association des artistes musiciens de la France a eu l'honneur de prendre connaissan- ce de la lettre adressée par vous à son president monsieur le baron Tavior. Cette lettre avait été de- 157 vancée de plusieurs jours par la douloureiise nou- velle qu'elle nous apportali, il ne faut pas s'en éton- ner: ce n'est pas par une missive confidentielle que l'on apprend la mori d' un horame célèbre; ils ex- pirent; aussittót l'evenement funeste circule de bou- €he en bouche; et, de leur lit funebre, sétend ra- pidement sur le monde qu' ils ont occupé de leur renommée remplissant tous le coeurs de tristesse et de deuil. La gioire et le genie de Sponlini rayonnent sur l'Europe entiere : les oeuvres imperissables qui sont sorties de sa piume sont autant d' exemples et de modéles ou les artistes de tous le temps et de (ous les lieux viendront puiser de precieux enseignements. Son mon se conserverà dans les annales des tous les peuples, parmi cette pleiade d' illustration , dont Teclat rejaillit sur les arts qui les ont enfantés; mais c'est à votre pays seul qu'appartient l'honneur de lui avoir donne le jour, et de ranfermer sa cendre. Majolati vient d' enrichir le passe de l' Italie d' un souvenir glorieux, et c'est dans Majolati que celle patrie des arts offrirà désormais à l'artiste voyageur une tombe illustre de plus à visiter. Ainsi que 1' Italie, la France elle avec un lé- gilime orgueil le nom de Spontini , reconnaissanle envers l'auteur de la Testale et de Fernand Cortez, elle l'avait reconipensé de les chefs d'oeuvre en l'é- levanl à la plus haute dignilé que puisse ambilion- ner un arlisle : comme aulrefois par reconnaissance elle temoigne aujourd'hui de ses legrels de son ad- niiralion pour l'artiste de genie, et de sa profonde 158 estirne pour l' horame de blen que Dieu vient de rappeller à lui. Vous n'apprenderez pas sans intérét, messieurs, qu'un service funebre en l'honneur de Spontlni a été celebre le 5 de ce mois dans l'eglise de la Ma- deleine : le cornile de l'association a assiste en corps à cette solennité touchante , la section de musique de r institut de Frane ainsi qu' un grand nombre d'artistes s'etaint empressés de venir rendre un der- nier et bien triste devoir à un homme , qui pen- dant sa vie les avait honorés, les uns, de son ami- lié , les autres , de ses encouragements et ses con- seils : r orgue et le choeur ne cesserent pendant toute la durée de la ceremonie de faire entendre diverses pieces de musique religieuse, panni les quel- les on reconnaissait de temps à autres les nobles inspirations du grand artiste que l'on pleurait : pour tous les assistants T àme de Spontini vibrait dans ces harmonies pénétrantes , et ces accents émanés d'un pensée noaintenant eteinte semblait proclamer la grandeur de Dieu en proclamant 1' immortalité de l' àme humaine rendue sensible par l' immorta- lile du genie; un recueillemeut grave peint sur tous les visages trahissail l' affliclion de tous le coeurs , et montrait assez combien etait profondement sentie la perle immense qui vieni de faire l'art musicale dans la personne de votre concitoyen. Heureux les hommes qui, vivanls , joignent le culle du beau à la pratique du bien ; el , morts , laissent aprés eux tant de lumieres, et de regrets : heureuse aussi la patrie qui compie ces bommes au nombre de ces enfanls ! 159 La raort de Spontini a d'aulant plus trislement emù le cornile de l' associai ion des artistes musiciens, que le nona de l' inomortel defunt figurait, depuis son origine, sur la liste de ces membres: aussi, est ce, pour nous, remplir un religieux devoir en of- frant ici nos pieux regrels en hommage à son pe- nie et à ses vertus^ Selon le desir de madame la comtesse Sponti- ni, à la douleur de la quelle nous nons associations de tout nolre coeur , monsieur le baron Taylor a fait pari au président du cornile des auteurs drama- tiques de l'irreparable malheur qui ^ient de la frap- per si cruelleraent. Veuillez étre, messieurs, aupres de madame la comtesse les inlerpretes de nos sentìmenls de re- speclueuse consideralion , et soyez assez bons pour agréer l'expression de nolre consideralion dislinguée. B.on S. Taylor président. Con altre 26 firme che si lasciano per brevità. 160 Sul colle tihurtino. Lettere di Stanislao Viola al cavaliere Salvatore Betti. (Continuazione) LETTERA IV. DELLE GENTI TIBUBTINE COELIA E MEMMIA. Signor cavaliere onorandissimo, Liionardo aretino nel vedersi visitato in Firenze da, un pronipote del divino Dante, chiamato pur esso Lionardo, ne fece feste, e l'ebbe a grand'onore, co- me amico della memoria del suo proavo Dante. Gli mostrò le case di questo e de' suoi antichi: diegli notizia di molle cose a lui incognite , per essersi straniato lui e i suoi della patria: sapendosi che Pie- tro figliuolo di Dante e suo avo fermò suo stato a Verona, e come legista assai valente riputato, di- venne uomo di molte facoltà. Di queste cose l'are- tino favellando, nel narrare la vita di quel grande poeta , in sul finire diceva che " così la fortuna questo mondo gira e permuta gli abitatori col vol- gere di sue rote » ! Lo stesso pensiero è da avere nella più parte delle genti e famiglie, che la storia conta de' tempi a quei di Dante assai remole: fra le quali sono da annoverare le due, che ci reca il novello marmo ti- burtino da me posseduto, che non prima del decorso anno rivide la luce , ritrovato in questo territorio 1GI nella contrada Colle-Nocello, perocché sono due genti romane^ dappoi divenute tiburtine. Non però roma- ne di origine, essendo venute, l'una, cioè la Coelia^ dalla patria stessa di Dante e dell'aretino, ex Tuscis^ e come Dionisio, Festo , Tacito e Varrone ci atte- stano, che originasse di quel Vibenna Coelio o Coele^ principe etrusco , che pel primo sovvenne Romolo contra i sabini, e che diede il nome al monte Coe- lio (1): l'altra, cioè la Memmia^ ci venne di Troia per quel prode capitano compagno di Enea Mnesleo conduttoie di una delie quattro navi, chiamata Pristi^ di cui Virgilio cantò : Velocem Mneslheus agii acri remige Prìstin: Mox italìis Mneslheus: genus a quo nomine MEMMI (2). (1) l'esto, V. Codius: Coelius mons dictus esl a Coele quondam er E Ir uria, qui fìomnlo auxitium adversus sabinos praebuit: eo quod in eo domicilium habuit. Chi ama di vedere la varietà delle sen- tenze fra i mentovati autori^ e la tavola clandiana intorno a que- sto, discorra il Lipsie Comm. ad lib- HIl Taciti. (2) Virgilio lib. V V. 116 e sejjg. Alla stessa maniera la gente Sergia, ci conia lo stesso poeta, ori{}iiiò da altro compagno di Enea, Sergeslo, capitano della nave chiamata il gran Centauro- pa- rimente la Cluentia originò da altro compagno di Enea, Cloanfo, capilano della nave chiamata Scilla: ivi v. 121 e segg. Sergestus ,ue (Zomu.s-, tenel a quo SERGIA nomcn, Centauro invheitur magna, scyllaque CLOANTIJS CaeruUa; ginus undc tibi, romane CLUENTI. Mi sowit'iie
  • ene. io abbia per fermo che la scelta dei luoghi non mai originasse per ghiribizzo, o genio : coociossia- chè al tempo in cui è da sospettare che i Celii ven- nero in Tivoli, i luoghi sublimi ed incantevoli del colle Irovavansi già occupati da altre assai ville dei grandi di Roma repubblica, e di Roma impero. Questo luogo di delizie giaceva verso la Sa- bina a dritta dell'Aniene: alla manca aveva la città, alla diritta i monti cornicolani, al dorso gli apen- nini , di fronte prospettava 1' amenissimo orizzonte coi colli albani. Sembra che assai si distendesse ver- «o i cornicolani In sino alla campagna che ha no- me Vitriano^ e ai colli farinelli^ la dove osservansi più ruderi antichi: e da uno scavo, che nel 1847 vi faceva il principe del Drago , venne alla luce un hollo, che al determinarci il tempo della costruzione di que' fabbricati, cioè di Caio Caligola e di Clau- dio (1), ci confermava nella sentenza, che quei ru- deri non potevano farci acconsentire al parere del dotto ed istancabile iNibby (Dintorni di Roma tom. 1 p. 4-93), il quale avvisò, che potevano appartenere alla villa di Mnnazio Fianco , che risale ai tempi di Cesare e di Augusto, trattovi l'erudito autore da una iscrizione, che favellava di Fianco, ma che noi nella dissertazione sulla vita e sulle geste dell'illustre personaggio provammo con incrollabili autorità es- ser falsa per ogni ragione (Giorn. arcad. voi. CV. del 1845). Ma tutto che le coghietture dei mentovati no- stri scrittori poco reggessero alla critica , poiché i nomi delle contrade , ognun sa , quanto sia debil cosa e di poca gravità intorno alle cose antiche , nulladimeno, è duopo confessarlo, in genere si sono verificate, come dai frammenti e dal marmo, di cui siamo per favellare, sebbene in ispecie non del tutto cogliessero nel segno. (1) Era l'agosto del 18i7. quando dal deUo scavo si ebbe il bollo: C. CAKCILl PF.CVLIARS (sic): che raltroiUalo coi seguenti ritrovali negli archi deirac(]uidotto dell' Aniene nuova , riportati clal Fabrelti (pag. 502 n, 72 e. 72): EX . FIGLIMS CAECIL • QVIN- TAE SVLPICIANI - C C C- CAECILl PECVLIAftIS, non ci fa dubi- tare che la fabbrica dei mattoni era la stessa Si sa d' altra parte, che quelTacquìdotto tu cominciato da Caligola e compiuto da Clau- dio. V. il mio Decennio io Tivoli ec. p. 233. 164 Trattando di presente del marmo, che diede motivo a questa lettera, come lo diede alle due pre- cedenti, esso non ci reca una novità storica, né al- tro merito di rarità: non pertanto è pregevole, per- chè congiunto ad altri frammenti concorre dall'una parte a confermare e dall'altra ad ammendare qual- che opinione falsa in passato avuta per vera. Nella somma ci dà notizia di un servo manomesso della gente Celia, Aulo Celio Eufrosino^ che si sposò ad una liberta della gente Memmia , nomata Memmùt Deutera, cui , essendogli piemorta, scriveva la se- guente semplice mcmoiia in marmo statuario, allo pai. 2. 4 largo pai. 1. 11. MEMMIAEDEVTE I\AE (J) ] FEC A • CUXIVS EVPimOSXNVS (•>) ^OIVGI B. M Il caialtere è di forma non buona anzi tende al pessinjo: in più lettere si accosta al greco anzi che DO. Ne ho fatto il confronto con più marmi, e paruji trovarne esempio assai somlglievole nelle co- lonne traianee in bronzo riportale in fac simile nelle simbole lillerarie di Firenze stampate nel 1751 (voi. VUI). Alla linea terza, A • OELIVS, avvi chi leg- ge Anlus CLELIVS (non ricordando che TE di CLE- LiVS é dittongo) ingannalo dalla sigla A impressa, come una lauida ), minuscola, che io m'avviso do- ;l) Dcivltrap, Aiurspcn, .tccini.'oc. 2j Kiii lii()>^yiiiis, EtKfpoeryvof, liwlus. 1G5 versi avere per un A assoluto, accagionando il qua- dratario della omissione della linea come rettamente s'era adoperato in tutte le altre A formale alla stessa maniera. Si sa d'altra parte esser frequente nei marmi, non pur greci, ma anche latini, di leggere l'A senza verun taglio, né retto né traverso, e fra i molti esem- pi recherò il seguente, che mi viene fra mani, ripor- tato dallo Sponio: VIGILI).. METIA | MXSS>vE. FI- LIA I MARTI- ALLOVDIO ] V S- L- M- (1), nel quale vediamo tre lamde minuscole, come nel no- stro marmo, in vece di tre alfa. Per il che leggo francamente Aulus CAELIVS, e non CLELIVS: alla cui lettura mi confermano la denominazione della contrada, ed as.sai più il frammento d'iscrizione, che riferirò fra poco. Si ritrae dal Sebastiani (Viaggio a Tivoli p. 417 e segg.) , che i Coccanari padroni di quella terra nel 1827 tentaiono uno scavo dappresso ai ruderi, che già s'avvisava pertenere ad un sepolcro; né fu invano, perchè oltre il sepolcro scoprirono un por- tico di marmo, coperto di embrici, e coppi pur di (I) Sponio Ign. Deor. jrae pr(^sso il Gronovio lom. VII. p 263. Avvi dei marmi latini con le lamde maiuscole in luogo di A, ed un esempio ho veduto nel marmo perugino stampato nella descrizione delle pitture di s. Pietro in Perugia alla pag. 23, e più fedelmente riportato dal Marini Fr. Arv. p. 6, dove circa 28 A mancano del taglio. Nella seguente tavoletta del palazzo Rondanini, edita pur dal Marini I. e. p. 23, tutti li A mancano del taglio: CABLO • AETER I • NO . I AELIA • COMPSE [ P F | ETATILIA VICTO | RIA • (IRATIAS I D • D I Né mi spiace di citare un marmo inglese ri- Cerito dal^Grutero (1006. 8. apud Ould Carlaile in Cumberlandia Angliae), che reca tutti i lamda X minuscoli in luogo di A, che ha la data del 993 di Roma, 242 dell'E. V. pei consoli Pretestato ed Attico, che vi si leggono. 166 marmo, co' suoi antefissi di un buon lavoro: ne' fran- tumi dello zoforo, dice il Sebastiani, si leg^g^evano in buoni caratteri alcune lettere, che non si poterono legare , e fra esse il nome di un A. CAELIO. Que- ste lettere, che confessa ingenuamente di non aver potute legare, devono essere appunto quelle , die restale quivi per più anni, ritraeva uno di essa fa- miglia , Luigi Coccanari , giovine assai amante di belle lettere , che a me comunicava gentilmente nel 1846, ed erano le seguenti . . . A. F. . .PAL.M, , ., le quali per analogia di concetto non mi parvero poi si strane da non poterle legare con le summen- lovate di A. CAELIO, e per assicuranza mancava- solamente di vedere se la grandezza e forma delle lettere acconsentissero. E di vero portatomi sul luo- go, con assai mia compiacenza toccai con mano , che non fu né dissennata, né inutile la mia curiosità» Al punto più elevato della collina trovai i ru- deri di un sepolcro di non comune grandezza, di forma rotondo: i grandi massi di pietra liburMna a incastro di palmi 4. 3 1j4, di che era fabbricato, imitavano le costruzioni pelasgiche di terza classe, di cui poco più innanzi ne' luoghi circostanti ai colli farinelli ve ne ha altri vestigi. Il sepolcro esser doveva magnifico. Munito di porta, al declinare del colle, volta alla città, e ai monti albani. Sembra cosa certa, che ai lati della porta vi avesse un piccolo portico, che però non si estendeva al dintorno del monumento Dappresso il quale mi fu dato ritrarre più ruderi, altri sparsi qua e là, altri ammonticchiati a manca della prima camera terrena del casino Coc- canari. Fra essi, olle cinerarie, zampe di leone, una 167 testa fracellata , che parvemi dì un grifo , ed altri pezzi di animali, iWse di gorgoni, e si sa che sugli acroterii dei monumenti sepolcrah si ponevano da- gli antichi quasi a custodia dell^ ceneri de' trapas- sati, e per terrore 'dei violatori dei sepolcri (l).Niun dubbio pertanto, che quella mole Fosse un sepolcro. Sopra la porta v'era un largo architrave, il cui ro- vescio o parte sottana era fregiata di un lavoro non comutìe. Vi si ritraeva una fascia con elegante coi- nice tanto nella parte superiore che nella inferiore, di i cui non potei ritrovare dopo molle ricerche , che . tre pezzi unicamente, i quali riuniti formarono una: porzione di fascia di palmi 6 e due once. In essa erano impresse le surriferite parole e lettere , che ritrassi ciascuna della medesima forma e grandezza di once 4. 2, e vi lessi immutabilmente il frammento della iscrizione: A . CAELIO . A . F . PAL . M . . aximo (?) (2). Aulo Caelio Anli [dio Palatma [Tribù) M (1) La stessa opinione si aveva parimente di e*si> animali in ililensioiie delle persone aujjusle. Un sioiuiauro lorleato, venuto in luce dagli scavi di Gabi, rappresentante Caio Cali(;ola aveva la corazza ornata d'iulagli, e nel mezzo anìrnali rassomiglianti a due grifi, che siembravano indicare, come interpretava il gran Visconti (Mon. ga- bini tav. XXXVtU), la prolezione d'Apollo e del Sole per l'auj^- sto rapprei^entalo. (2) Ho avvisato di supplir Marimo, perdio altri marmi anciie tìbiirtint recano lo stesso cogortmi.', cornee di quel M. tJlpiHs I^fi- Jtimus putiblieato iii mio pad^-e (Cronaca dell'Anierte p. (32)^ « dh> me (cit. op. p. 8)j di quel T. Sabidius Maximus, che pai'iraehlei pubblicai (ivi p. 7); e di quel di Mantova ritrovato nella stessa con- trada Colle nocello, L. Cominius Maximus, riferito dal Sebastiani (I. e. p. hS), e in detta mia opera (p. 71). Con tutto questo, noo diniego che non cessa di essere arbitrario il supplemento. 168 Il perchè io inferiva non esservi dubitazione, che quel sepolcro fu di appartenenza di un Aulo Ce- lio figliuolo di Aulo, che proclamava la sua cittadi- nanza romana per la tribù palatina, cui per altri mar- mi sappiamo essere stati ascritti parimente altri in- dividui del nostro municipio (V. il Decennio in Ti- voli p. 7. e segg.). Chi però era egli positivamente, quali rappresentanze avrà avute o civili o militari, o nella capitale , o nel municipio, non è dato sa- pere per la rottura del marmo. Quello che è da aver per fermo si è, che alla famiglia di questo Aulo Ce- lio doveva appartenere Eufrosino del recente marmo: e lo ritraggo dal portare gli stessi pienome Aulus^e gentilizio Caelcus^ e parimente dall' essersi ritrovato il marmo nello stesso suolo. Quindi è che o lo stes- so Aulo Celio del sepolcro, o il suo padre, che an- che prenominavasi Aulo, o il suo figliuolo primo- genito, o altro discendente, che mi arriderebbe di più, che alla stessa maniera prenominavasi, deve es- sere stato il patrono manomlttente , al tempo però non oltre quello degli Antonini, sapendosi che la do- minante del mondo , da' tempi della Graecia copia fino a quegli degli Antonini, quasi ultima linea de'no- stri sepolcreti , esser doveva come un vasto pelago di mille dialetti: ed è naturale, che il popolo parlò e scrisse sempre a sua foggia, come nella capitale, così ne'Iuoghi suburbani, ed altrove (Cfr Amati, Gior. Arcad. fase, di marzo 1822). Ed il marmo dì Eu- frosino presenta in vero pessima forma di carattere, e le lettere sono ima mescolanza di latino e di gre- co (1): ciò che non si ravvisa nei mentovati fram- (1) Si sa, che il popolo romano (e lo slesso dicasi del subiir* banoj ora triylolla; parlava l'osco, // greco, ed il latino. 160 menti, ne' quali la forma delle leltere è bella e ro- tonda, e pare dell'aureo secolo di Augusto, ovvero di Traiano,, in cui risurse il buon gusto. Sebbene non deve diniegarsi, che la diversità della impres- sione delle lettere originava non rade volte dalla pe- rizia maggiore o minore dello scarpellino. La cosa stando di ques.a maniera, m'avviso di dover mani- festare, che i mentovati Cabrai e del Re dissero co- sa non vera (non però per intera loro colpa), quan do scrivevano, che ad un Lucio Celilo (correggi Ce- lio), anzi che ad un Aulo Celio appartenevano il se- polcro e le campagne , e sia pure la villa, i cui po- chi ruderi si osservano in quella contrada. Ma altro frammento d'iscrizione tuttora inedi- to m'avvenne di ritrovare nello stesso incontro fra' mentovati ruderi, il cui carattere è non bello, non però de'catlivi tempi. E alto palmo 1. 3^, largo 2. 3. Dalle poche parole che seguono è da inferire , ch'esser doveva di non piccola dimensione: GAI . lANI . ET . TITI . 1 . . LEGAT . LEG . VT . FÉ lAE . SICIUAE . P . . Farmi che favelli di un personaggio, forse della stes- sa gente Celia, non però sepolto nel mentovato se- polcro di Aulo Celio, il quale militò sotto Vespasia- no imperatore , VespasIAN/^ di cui fu legato, però legionario, e comandava la legione sesta ferrata, LE- GATO LEGionis VI YErrotae. E come comandante di una legione, sernbra ch'era già stato questore, ed 170 aveva sostenuta anche la pretura; gradi che per pra- tica generale, incamminavano un personaggio a quel grado militare (V. Borghesi -- Burbulejo p. 36). Dal vedervi nominato anche Tito figliuolo di Vespasia- no, ET. TITI, non sono lontano dal credere, che l'in- cognito tlburtino comandava la mentovala legione nel tempo, in cui Vespasiano , udita la notizia che le sue truppe distrutto avevano l'esercito di Vitellio, donde rimase stabilita la sua signoria del mondo, co- me ci attesta GiosefFo ebreo (Guerra giudaica lib. 5 cap. 20), si determinava di movere alla volta di Ro- ma, ed ordinava ad un tempo a Tito di portarsi nel- la Giudea con eserciti forestieri a distruggere Geru- salemme. Nel quale incontro, è storia non contrad- detta , fu incendiato quel magnifico tempio , che i cronisti fissano al 10 agosto del 70, poco dopo dell'in- cendio del campidoglio, che segna il 10 dicembre del 69. Non è a negare che due legioni si ebbero col numero VI, ambedue di antica fondazione, cioè la fer- rata, che risedeva in Oriente, e quella eh' ebbe il soprannome di vincitrice innanzi dell'impero di Ne- rone. Pochi marmi recano la prima, e per questo il nostro frammento non è dispregevole. Avendo detto Gioseffo, che Vespasiano mandò il suo figliuolo in Giudea con gli eserciti forestieri., sapendosi che la legione VI ferrala era stata sempre in oriente, e pre- cisamente in Syria., come ci narra Tacito (ami. X.V 6 e 26), e quindi, che può annoverarsi fra i men- tovati eserciti forestieri; conosce ndosi altresì per Dio- ne (lib. 55), che Leqiones sextae duae,una in inferio- ri Britannia, VICTRfX: altera in Judaea., FERREA vosabulo insigniSy parml possa avvisarsi, che il no- 171 Siro locoguito fu comandanle di quella legione nel- la Giudea, quando fu distrutta Gerusalemme, cioè a dire nell'anno 70 dell'era volgare. Dopo il quale av- venimento tornato in Roma, ebbe l'amministrazione della Sicilia , ProvinclAE SICILIAE, e dopo altre cariche maggiori, e forse anche il consolato, dev'es- sersi ritiralo alla sua patria, Tivoli, dove mori. V'eb- be piccolo sì, ma ricco e ben adorno sepolcro pres- so quello di Aulo Celio, come è da inferire dai mar- mi di minor grandezza quivi ritrovati, e che osser- vansi parimente nell'ingresso del casino Coccanari, là dove si ritraggono eziandio pezzi di una porta non grande con la parte suprema a timpano lavorata di scarpello,a mezzo il quale una testa di leone alquan- to corrosa , e nei lati due colonne spirali di lavoro non comune. Se però questo personaggio pertenesse parimen- te alla famiglia Celia, non è dato asseverarlo: seb- bene l'avere ritrovato il frammento della iscrizione quasi a contatto del grandioso sepolcro, mi faccia inclinare per l'affermativa: seppure non risguardasse lo slesso Aulo Celio, di cui dappoi potè aversi men- te d'enumerare, per tramandarle ai posteri, le cariche, che sostenute aveva in servigio della capitale del mondo. D'altra parte a chi dovremo attribuire gli avanzi dell'altro sepolcro ? Uno scavo per avventura, o nello slesso luogo, odi quivi poco discosto esser potrebbe la fonie di luce maggiore. Intanto si ha per fermo, che nella parte supe- riore della collina a qualche distanza dai mentovati ruderi verso tramoulana fu ritrovato, secondo il Se- bastiani ( 1. e. ) , altro sepolcro, non però della fa- 172 miglia Celia, ma di altro personaggio illustre, di pa- tria mantovano, già di sopra nominato, L. Cominio 3Iassimo , cjui morto di anni 83 e giorni 18 , dopo di aver sostenute eospicue cariche civili e militari presso gP imperatoli Marco Aurelio e L. Vei'o, come dal marmo ivi di disseppolto, pubblicato dallo stesso Sebastiani (I. e. p. 418), e quindi anche da me (op. cit. p. 71). Presso di questo monumento fu- rono parimente scoperte più camere , ohe non mi fu dato di vedere, perchè ricoperte, ma che, a se- conda del Sebastiani, v'aveva pavimenti di musaico buono, e della costruzione de'buoni tempi: sebbene quello degli Antonini, cui appella il marmo, me ne faccia dubitare. Ad ogni modo, il fabbricato testé accennalo mi fa intendere, ch'era lui luogo abitato, e senza meno una villetta del mantovano Cominio. La qual notizia mi fa allontanare dal sospetto di un sepolcreto, che veramente m'era venuto alla mente pel numero dei sepolcri ritrovati in uno spazio non vasto di terreno, e venivane ad un tempo rin»osso dal non vedere vestigio di strada ne' luoghi circostanti, sapendosi che in antico i sepolcri per lo più fab- bricavansi lungo le sliade. Per il che m'avviso di conformarmi all'opinione di coloro, che come la gente Celia, alla slessa maniera altre genti ebbero in quella contrada le loro delizie. Ma tornando ai Cabrai e del Re, parmi saria mancante il mio favellare , se non dicessi da dove costoro ritraessero l'appartenenza del sepolcro e della villa ad un Lucio Celilo. Intorno alla qual cosa aven- do essi nominatoli Volpi, è facile l'argomentare, che presso di lui leggessero la iscrizione che reca per ben 173 due volte nel ^iio Lalinm Vefus fV^.. Non potè lo slesso Volpi dire in quale parie di Jenitoiio o ilella cJUà Fu ritrovala, perchè copiolla '^ neppiir bene) dal Grillerò , che la Irassu dalle Orsiniaue (2) : ed ecco come la riporta questo collettore : L . COELIO . L . F . VICTOIU IlVm . IVR . Die . CVR . PECVN PVBL . ET . OPER . PVBLICOR OR . MERITA . EIVS SEN . POPYLYSQ . TIBVRS Intorno a questa iscrizione m'avviso di non lasciare inconsideralo un mio sospetto, che forse a ca{>ioti del cjuadratario , o di ciii la copiò la prima volia (seppure non la inventò), doveva dire alla seconda linea non IIVIR, dmnnoiro^ ma IIIIVIR, quaiuor- viro: sapendosi, come ho accennalo nella lettera se- conda , che i duumviri turi dieundo erano propri delle colonie, come i quatnorviri iuridicundo eiano propii de' municipii ; per il che sarebbe slato uno svarione madornale, che il senato tiburtino innalzala avesse la statua ad un duumviro iuri dicnndo. An- che il Marini (Fr. Arv. p. 806) reca un marmo con un duumviro iuri dieundo del municipio di Carsoli, e ne manifesta a buon diritto poca fede : giacché Carsoli non era colonia, e ne rimanghiamo assicu- rati da una iscrizione del museo vaticano ritrovata (1) Il Volpi L. V. ile Tiburt. p. 93 e 170, scrive in ambedue le volle CELLIO aiui che COELIO. (2) Grutero p. 102o 12 - Tibure in base marmorea Ex Ursi- nianis. ÌT4 in detto paese , per la prima volta pubblicata dal celebre Visconti ne'monumenti {jabini (1). Dal che inferisco, che se non vi è stalo il mentovato errore nella impressione, o nella copia, mi spiace il dirlo, converrà dubitare della sincerità del marmo: sospet- to che parimente mi nasce pel metodo adoperato nella estensione intera del concetto, ed assai più dal sapere che ii Grutero la trasse EX URSINIANIS , che sa ogni archeologo sapiente avere avuto nella più parte la scaturigine ligoriana [2) I ! E forse l'uo- mo da poco in archeologia, sapendo che nel terri- torio tiburtino v'aveva una contrada nomata Colle- Nocello^che potè originare dalla gente Celia., non tro- vando marmo che la contestava, si determinò d'in- ventarlo, inserendolo, come tanti altri, già ricono- sciuti falsi, ne'molti suoi volumi!!! Si sopisca tut- tavia per un momento questo sospetto; sia pure sta- to errore del quadratario o del copista; non potrà non affermarsi, che questo marmo concorra a pro- vare la esistenza della gente Celia in Tivoli, nulla potendo alterare la diversità del dittongo ae e oe, (1) Ecco come la reca a p. 92, ed. di Roma Fulgoiu Q . ALLIENVS . PEL .... M . OLIVS . SECVNDVS ini . VIR . I D PARIETEM . BASILICAE . REF AB . FVNDAMEiNTiS . ET . ARCV EX.D.D.P.P.F.C (2) Cfr Borghesi — Leltera al P. Luigi Bruzza sul consolalo di Fibio Crispo, stampata in Vercelli nel 18'46. 175 die nella genie medesima lanlo nei marmi quanlo nelle medaglie è indifferentemente usato (1). Dopo le quali disquisizioni parrebbe opportuno di toccare da ultimo la genealogia della gente Celia, conghielturando, se fia possibile, da cbi po- sitivamente di essa gente potè originare la nostra: e trovandomi assai scarso di notizie, servirà il misero mio dettato per aprire la via , percbè altri se ne adoperi dappoi con miglior fortuna. La gente Celia, è già detto, cbe di Etruria si trasse in Roma: on- dechè è a ritenere essere una delle più antiche fa- miglie romane, la quale sappiamo pei marmi e per le istorie aver avuto i cognomi di Caldo^ Rufo^ Sa- bino^ Viciniano (2), cui altri parimente ne aggiunse l'età imperiale. Sostenne questura, tribunato, pretu- ra , e consolato ; quella in ispecie col cognome di Caldo si segnalò più che le altre fin dai tempi più remoti. Il più antico, che io conosca, è un C Celio Caldo figliuolo di Lucio e nipote di Lucio, che nel 625 fu questore, e nel 636 divenne pretore. Né .sono lontano dal credere, che discendesse da quel L. Ce- lio istorico e giureconsulto, che ci attesta Cicerone (Brut, de dar. orai.) essere stato maestro dell'oratore L. Crasso , e nella storia aver superato M. Catone, Q. Pittore, e L . Pisone : Vicissc superiores liislori- (i) Intorno all'origine del riferito dltlongo nella gente Celia, è varia l'opinione. Coloro che la scrivono con Poe, la deducono ( Pi- ghio Annali) ab antiquissimo deorum cado: coloro die la scrivono con l'oe, la originano da cjuel Celio {Coelio) Vibenna principe etru- sco, il quale è gi.'i detto aver] dato il nome al monte Coelio di Roma. (2) Pighio Annali: » Coelia gens consularis, Caldi et Rufl co- Unoninibus, idem Sabini, ci ficiniani. Grut. 330.2,448. 8,1089. 6, 176 COS. M. Catonem^ Q. Pictorem el L. Pitionem. Ap- presso di lui mi fu dato sapere di altro C. Celio Caldo, che non assevero essere stalo figliuolo del mentovato: cominciò la sua carriera nel 642, e nel 652 la compiè col sostenere la pretura. Nel 659 ve- diamo altro C. Celio collo stesso cognome, ch'ebbe i fasci consolari con L. Domizio Aenobarbo: ma per quello che dicono Cicerone (prò Murena n. 8) e Ti- to l.ivio (lib. 70, 27 e 28), parml non discenda dai precedenti, poiché lo chianiano uomo nuovo^ for- se perchè fu il primo in questa linea della gente Celia, che col giungere al consolato recavale lustro e nobiltà, di che per lo innanzi era priva: di guisa che Q. Cicerone scrivendo a Marco suo fratello in- forno alla domanda del consolato, gli dice: Quanto melior libi fortuna petitionis data est , quain nupej' HOM/NI NOVO C. COELIOÌ Ille cuin duobus homi- nihus ila nobilissimis petebat^ ut lamen in iis omnia pluris essente quam ìpsa nobilitas: summa ìiigenia ^ summvs pudoi\ plurima beneficia^ summa ratio et di- ligentia petendi. Tamen eorum alterum^ cum deesset alter^ Coelius^ eliam cum multo esset inferiur genere^ superior nulla re poerie supernvìt. Ha celebrità quel M. Celio contemporaneo ed amico dello stesso Ci- cerone, cui al tempo del suo esilio , comn parmì , scrisse diciassette lettei'e, nell'ottava delle quali gli trascrive alla distesa un senato consulto De provin- ciis considaribus et praeloriis datato , se non erro , il 30 settembre del 702, per la cui compilazione si ritrae, essersi frapposto un C. Celio, come uno de' quattro tribuni della plebe. Né saprei dire, se que- st'ultimo era figliuolo o nipote (ch'é più verosimile) n7 del console sui riferilo. E toccciin JEKAA '^f'EB. a costui appartenne un ATJIE/iae«.s- » LA rPdlANI LIB PROC ET EVTVCIIES DISP f8^ >) memorati in una base, che costoro nel 900 de- » dicarono a Silvano scoperta nelle vicinanze di Ga- » pistrano e liportafa dagli annali dell' istituto àT- )) cheologico tom. VI p. 150. Il terzo finalmente , )) ignoto ai passali faslografi, procedette nel 950, e ») ne dobbiamo la conoscenza ad un' iscrizione di » Lione divulgata prima dalMillin, quindi dall'Orel- » li n. 2325, la cpiale termina T. SKXTIO. LATE- » RANO C. CVSPIO. RVFINO. COS. Si conviene )» che il console di quest' anno è il Lalerano Uno » degli amici e dei generali di Settimio Severo,^ ai » quali nel 948 commise la guerra nella Mesopo- 0 tamia (Dione I. 75 e. 2), ch'egli in .seguito molto » arricchì , e a cui donò un manifico palazzo ri-- » cordato anche, da Capitolino (in Marco e. 1) , e » che Vittore (Epitome) attesta di aver egli .stesso » veduto. Naturalmente in tale lasso di tempo dev'es- » servi stato qualche altro di questa famiglia, che » ci sia rimasto ignoto , non essendo verisimile , » atteso il soverchio inlei-vallo di sessanl'anni, che » dal console deir847 sia nato quello del 907. Il » Panvinio nei fasti citò una iscrizione, in cui dis.se '> legger SEXTILIO. LATERANO. ET. AQVILIO. » ORFITO. COS, da cui trasse, che a Commodo o )» sia a L. Vero fosse .sostituito Aquilio Ortìto , se » non che apparendo poco probabile, Che al figlio » adottivo dell' imperatore fosse accorciato 1' onore » p»ima del tempo stabilito , sarebbe stato meglio " di supporli ambedue suftetti, e d'intercalarli fra » i due Lalerani testé ricordali. Ma è evidente che » il Panvinio lia ridotto quei nomi in .sesto caso , » perchè si presfa.sserti alla sua opinione: ma.éhe la 184 » lapide da lui citata è questa istessa , che trovasi » tra QMEpigrammata antiquae urbis del Mazzoc- » chi p. 149, siccome esistente a s. Maria in Co- ,. smedin: CL BACCHIDI • C • F SEX • LATERA- >. NVS • ET • AQ VILIVS • ORFITVS • CO^ • Il Gru- » tero nel ripeterla a pag. 861. 2 della pritììa edizione » rimase senza dubbio offeso che i consoli si des- » sero cura di onorare una donna privata, e quindi )» cambiò il COS in VOSuGrunt: ma la vera correzio- » ne è dovuta all' ottimo codice rigazziano della » biblioteca di Rimini , il quale cos'i la riporta, e » toglie tutte le difiicoltà, mostrandoci, che il Maz- » zocchi Ila pretermesso una riga: CL BACCHIDI C F SEX LATERANVS ET AQVILIVS ORFITVS COS HEREDES » È chiaro adunque, che questa è una lapide » sepolcrale posta a Claudia Bacchide chiarissima )» femina da' suoi eredi e se rimane incerto , se fos- » sero ambedue consolari, polendosi leggere egual- » mente consules e consul^ siccome meglio piacereb- » bemi perchè in un caso identico i due eredi tol- >) sero ogni dubbio, scrivendo in una lapide di Cor- >. finio M • ATILIVS BR ADV A • COS ET • M • ACI- » LIVS- AVIOLA • COS , sarà certo almeno , che » qui veggonsi riuniti , perchè concorsero ambe- >' due alla spesa del tumulo, non perchè fosse con- » temporanea la loro dignità. Laonde ignorandosi >) in qual tempo abbia vissuto tiinlo la Bacchide , 1) quanto l'Orfito, non potremo decidere , se anche » Laterano sia cognito o i{jnoto , o almeno quale 1) sia dei tre , che abbiamo ricordati di sopra. ]Nel )) qual dubbio saremo pure nell'aggiudicare un'al- » tra lapide romana del Gudio p. 2T9. 5, in cui ». si memora un MARTIALIS • T • SEXTl- LAlE- » RANI • VILIC\ S , ed anzi ci troveremmo nella » stessa oscurità anche riguardo al nuovo T. SEX- .. TIVSLATERANILIB • EVTVCHVS, se qual- » che lume non mi sembrasse provenire dal co- )) gnome del suo figlio MnQÌaìio. Nella mia disser- » (azione stampata molli anni sono a Milano sulla » gente Arria notai il costume di alcuni liberti d'im- » porre ai loro figli oltre il prenome e il nome , » ch'essi stessi avevano ricevuto dal patrono , an- « che un cognome ricavato dalla sua casa : del )» che addussi parecchi esempi, dei quali mi sarebbe t) facile di ampliare la lista. E con ciò si spiega » come poi si trovino ripetuti in uomini di basso » affare tutti i nomi d' illustri personaggi , le cui » famiglie erano certamente estinte , come sarebbe t) in questi due titoletti, uno già farnesiaoo, ora del » real museo di Napoli, l'aliro di Brindisi: CN • POMPEIVS SEX • POMPEI FAVS TYS \S 0 . L MAGNVS CN • POMPEIVS MERCVRIALIS MAGNVS VALXVII S FILIVS AN XVIII » il primo de' quali stimo appartenere ad un liberto » di Pompea figlia di Pompeo il grande maiitata ») a Fausto Siila, l'altra ad un liberto della figlia » di Sesto Pompeo moglie di Druso Libone. Ciò » posto, credo di poter ritenere, che il nostro Eu- » tico sia slato liberto del Sextio Laterano deir847, » che usò insieme il gentilizio materno di Magio, 1) dal quale avrà egli dedotto il cognome del fi- » gliuol suo ». Saputo in siffatto modo e con tanta eccellenza e probabilità il personaggio illustre, da cui il pa- dre del nostro municipalista trasse la libertà, mi Fo a dire alcuna cosa intorno alle rappresentanze che questi ebbe ne! corto viver suo di anni 22 e mesi. ini • VIR • AED • POT • Quatuorviro aediliciapote- stote^ 0 aediliciae potestalis. Questa carica, che mi fa avvisare essere nato Magiano dopo la manomis- sione di suo padre, non era la suprema nei muni- cipi. La precedeva il quattuorvirato per giudicare. Se però era questa la carica principale, avvi dispa- rità di sentenza. Il Furlanello nella prefazione alle lapidi patavine p. XXI manifestò per cosa positiva, che come il consolato in Roma, alla stessa maniera nei municipi la carica era dei quatnorvirl iuridicun- do , come nelle colonie dei duumviri iuridicundo: magistrato, al quale (dice quel dottissimo) spettava l'autorità politica , amministrativa e giudiziaria. D'al- tra parte il celeberrimo Marini (Fr. Arv. p. 780), e prima di lui il marchese Maffei (V. I. pa3. 1. lib. 5 p. 90 e segg.), fu d'avviso che i mentovati qtiat- tuorviri o duumviri erano diversi da que che si dis- sero «TiXwg quatuorviri o duumviri , che chiama su- 187 premo macjistrato de municipi e delle colonie^ eh' è quanto dire, che tenevano il potere stesso che i con- soh avevano in Roma. Il che va dicendo nel com- mentare la tavola LX che contiene la iscrizione in- signe, che il noslio municipio scolpiva in una base di statua innalzata a quel famoso P. Aelio Coerano (esistente ora nell'impluvio del palazzo municipale), cui il quatuorvirato iuridicundo esercitato in Tivoli valse come l'urbano decemvirato slilitibus iudieandis^ o altro somigliante, di guisa che qual canditalo fuori della capitale venne promosso a cariche maggiori fino al consolato. Io ignoro aft'alto , se altri si sia adoperato di verificare se in realtà consti della mentovata diver- sità. Sembra cosa sicura, che ai tempi di Cicerone erano riconosciuti per primari di un municipio i semplicemente chiamati qualuorviri. Lo scrive egli ad Attico (X. 13 : AìUonins consul evocavit e rnuni- cipiis denos^ et QUATUORVIRf vetieruiU ad villani eius mane : si ritiae parimente dalla orazione prò Cluentio (e. 8j: Oppinnieus per Syllae vini alque vi- cloriam Larinuni cnm armatis advolavìt. QUATUOR- VIROS, quos rniinicipes fecerant^ saslulil; se a Stjlla et alias praeterea tres factos dixit: e finalmente da una lettera che scrisse, se non erro, nel 701 ai. qua- luorviri e decurioni di Fragelle (Fam. XIII 76): Ve- hemenlcr vos (QUaTUORVIROS) etiam alque eliam rcxjo, ut hniioris mei causa libéralissime C. Valgium Hippianuin Iracteiis, remque cani eo conficiatis , ut qtiam possessionem liabel in agro fregellano, a vobis eniplain , eam liberam et immuneni liabere possit. Il Cuiucio, queiruomo profondissimo delle antiche leg- 188 }TÌ, ci reca (ar/ lib. X Cod. lom. X p. I3G. Ed. di Prato) una risposta deU'imperaloi'e Alessandro indi- ritta qiKUuovvìris et decuriouibus f'a'urelanonun , ed aggiunge: Scripla est ad QUATUORVIROS , id est magistralus reipubUcae fabrelaiiunim , nt tu veteri fiuadani inscriplioiie Hiapaniae QUATUOIiVllilS ET DECURIONI B US SAR ORENSIUM. Si potrebbe dire cbe i quatuorviri nominati da Cicerone e Cujacio erano la slessa cosa che i quatuorviri iuridicundo, avvisando che quest'ultima voce potesse essere sottintesa, ovvero che gli .stessi Cicerone e Cuiacio intendessero di lutti i quatuorviri municipali, cioè dei iuridicundi)^ di quelli con Vedi- licia poleslà^ dei quatuorvài ab aerarlo che nelle lapidi diconsi semplicemente Qunestores^ e dei quat- luorviri quinquennales. Ma oltre che il passo di Ci- cerone prò Cluenlio sembra favelli dei soli quattro pri- mi semplicemente delti quatuorviri: oltre che il volere sottintesa una voce , parrebbemi una cosa un poco stentata e vaga; vi sono i marmi, maestri delle sto- rie anche municipali , i quali intorno alla diversità pronunciata dal Marini parmi ci rechino non poca luce : e senza punto rovistare quelli di altri munici- pi, mi piace di olferirne qualcuno ritrovato in questo colle ubertoso. Il primo de'quali sì conghiettura ve- nuto dai residui dell'antico anfiteatro (seppure non era altro edificio pubblico), di cui st;mbra procuras- sero la costruzione i quatuorviri nominati nel mar- mo che segue, dell' epoca senza meno repubblica- na (1). (1) Marzi I.st. T. 1. '(, |>. IM). r.iul. 20S1>. 1. Vo!;;! L V ttf Til>. p. IO.'), Caln-al e . 2 dal Ciriilero 1007, 7 dal l>oiii IV. fi. e dal Volpi I. e- p. 142. I 195 insigne, cui gli erculanei nostri segnalarono tanta ono- ranza , e parevami che il conseguimento dei fasci avesse potuto motivarla. M'indirigeva pertanto al più volle lodato sig. Borghesi, la cui risposta del 12 mar- zo di questo anno, per l'utile della scienza, penso di soggiungerla in nota (1). Ecco intanto la iscrizione: PMVMMIO • P F • GAL SI SENNAE • RVTILIANO COS • AVGVRI • PKOCOS PROVINCIA E ASIAE • LEGATO . AVG PR • PR - MOESIAE • SVPERIORIS PRAEF • ALIMENT PER AEMILIAM PRAEF • AER • SATVRNI LEG • LEG VI VICTRIC • PRAE TORI • TR • PL • QVAEST TRIB • LEG V MACED • XVIRO STLI TIB • IVDIC PATRONO MVNICI PlI • CVR FANI II V SAL HER CVLANll • AVGVSTALES L.D se (1) « Avevamo nei fasti deìlSSe un console Sìsenna, die tlal- < la iscrizione ianuvina del tempio di Anliiioo (Cardinali Diplomi « n Sto) siamo pressocliè assicurali essersi chiamalo I' Mummio: « ma la soverchia disianza di 39 anni tra i suoi l'asci e il titolo « liburlino persuase j/iuslamenle al Marini (l'iguline u. 463) essere n impossibile, che questi due Mnmmi fossero la slessa persona. Ui- « tenne a(luna grande sconfìtta sarebbe (jnella, in cui restò 11 ucciso il preCclln del pretorio Vittorino colla maggior parte « dell' esercito, citi- i'IxKhel D. VII. p. .'52 riporta analogamente (( ili ' «jl/i'f ,ÌR'!»!A Ma lasclartdò alla buon' ora cotesti don Raglia dH Bustiero , pei quali cadrebbe pure in acconcio Ict domanda del nobil conte presso TAIfìeri : « Ch'è ella in somma poi vostra scienza? (2) » ho per evidente, che l' intelligenza di alcuni brani è divenuta ogiji ben difficile, sia per deficienza di luoghi paralleli , onde trarre il necessario schiari- mento, sia per istravolte idee originate dalla turba de' commentatori e dei traduttori. Qual disordinò mai non inducono costoro nell' amena filologia, sé non istudiano fondatamente l'autore che hanno per le mani, e se l'uno si riveste dell'altrui saio, nettò o lordo che sia, senza darsi briga di astergerne le molliplici brutture ? Che non diverso giudicio formar si debba pel citato verso del sublimissimo cantor mantovano, di « quelFa fonte " Che spande di parlar si largo fiume (3) » basta leggere in copia coloro, che attesero non so se ad illustrarlo o deturparlo, e agevol cosa fia il chiarirsene. (1) Dante, Purgai, cani. Ili v. 82-8Ì. (2) Sat. VI V. 25. (3) Dante. Ini", caii I v. 79. 80. 200 Ivi a prender di là le mosse , onde si convie- ne, sfoga l'appassionato Virgilio, sotto il nome di Coridone, l'ardente fìamma, che nutriva pel grazioso Alessi, vale a dire pel giovinetto Alessandro servo di C. Asinio Pollione, che fu prefetto della provin- cia transpadana (1). Ma siccome su di esso : «... nec quid speraret habebat » il misero Caridone «... inter densas umbrosa cacuralna fagos « Assidue veuiebat (2) » e quivi dava sfogo a quegli argomenti, che acconci avvisava a conciliarsi l'aft'etto dell'amato garzone. A me non mancan dovizie: che la natura volle prodi- gar meco i suoi doni : « Mille meae siculis errant in montibus agnae, t' Lac mihi non aestate novum, non frigore defit (3) » La eleganza dell'aspetto, che tanto ha di possa nella signoria de' cuori, mi fu pur favorita, giacché : «... nuper me in littore vidi, « Quum placidum ventis starei mare (4) » (1) V. il cav. Lorenzo Riccardo Trenta, Oper- giovati, di P- Virgilio Marone, part. II. pag. i22. (2) Ed. II V. 2-4. (3) Ibid. V. 21. 22. (4) Ibid. V. 2S. 20. 201 e ben potei scorgere, che : « Non sutn adeo inforni is (1); » anzi : «... non ego Daplinin, « Indice te, nieliiam, 5Ì numqiiam fallii imago (2). » Quegl' incomodi, cui dovresti soggeltarii per amor mio, non dubitar, caro Alessi, ti verranno abbonde- volmcnte compensati dai doni, che per te serbo: i< 0 tantum llbeat mecum libi sordida rura, »• Alque humiles habitare casas, el figere cervos^ « Haedorumque gregem viridi compellere hlbisco ! (3) >» Tali erano gl'infocati accenti di Coridone, da cui erasi pure lasciala : « Semipulata . . . frondosa vitis in ulmo. (4) » I ^K Non è punto a dubitare che se il grazioso Ales- si porgeva docile orecchio alle melanconiche note dell'amante pastore , compreso avrebbe di leggieri qual cosa egli intendesse pel figere cervos : ma noi comprese il dotto grammatico Servio : (1 E tulli gli altri, che venieno appresso, Disertissime Romuli nepotum, « Quot sunt, quotque fuere , . . (I Quotque post aliis erunt in a&nis. (1) » e nella XIV delle Filippiche si applica alle punte delle imbrandite militari spade: « nisi iuucroues etiam (1) Carm. IL init. 203 nostrornoi militum tremere vuUis, et dubitare utiura in ci ve, an in hoste figantur. (1) » Lo stesso Vir- gilio nel X dell'Eneide l'usa per un cimiero fisso in su l'elmo militare : « . . . . armaque Lauso u Donat habere humeris, et vertice figere cristas (2) » mentre nel IV delle Georgiche V avea pure ap- propriato a quelle piante, che dal solerte colono si conficcano in terra » Ipse feraces « Figat humo plautas (3) » ed il soavissimo elegiografo romano l' adopera per l'impressione lasciata da maligno dente sopra ebur- neo collo : » Et dare anhelanti pugnanlibus humida linguis « Oscula, et in collo figere dente notas. (4) •> Così anche lo scrittore De re rustica et de arbori- bus (5) lasciò scritto humo palum figere^ siccome gra- ziosamente me ne avveiliva il eh. cav. Trenta nella sua epistola del 10 luglio 1847. [6) (1) Paratjr. III. (2) V. 700-701. (.■)) V. 114-115. (4) .Ml>. Tilnillus Uh. I cleg. Vili v. 3(1 .17. (5) Lucio iModernlo Coliimclla. (()) La quale si riporta per esteso a calce del presente ra[;io- iiameiilo. .■204 In seguito avvenne del figere quello che di tanti altri vocaboli, i quali dal senso proprio furono por- tali al traslalo: e Lucrezio nel lib. IV del filosofico suo poema v. 1172: »... foribus miser oscula figil. » Virgilio di Turno promesso sposo a Lavinia: (1) » Illum turbai amor, fìgitque in virgine vultus. » e la massima delle furie Celeno agli offensori troiani: » Accipite ergo, animis atque haec mea fìgite dieta. (2) » Così il venosino esortava la vecchia e sozza Glori: « Tandem nequitiae fìge modum tuae ! (3y » E per variare dai poeti ai prosatori , il gran Tullio nel II delle familiari scriveva : i* Ego o- mnia mea studia , omnem operam , curam , in- dustriam , cogilalionem , menteni denique onmem in Milonis consulatu fixi et locavi ». (4) Si leg- gano quanti altri sono gli scrittori della età fe- lice per le lettere, e tale sarìi costantemente il senso, in che adoperavasi il verbo figo. Che se il gran les- sicografo Egidio Forcellini altri ne addila , un let- (1) ^en. lib. XII v. 70. (2) Aen. lib. Ili v. 230. i:J) Od. XV lib. III. (4) Epif^t. VI. 205 tore di sano odorato pienamenle conosce esser di- verse applicazioni de' si(jnificali predetti, di cui ta- luno ridondante forse e confuso. Ond'è che mi vol- gerò tosto al secondo vocabolo, e ne addurrò fedele gli usi diversi. E primieramente chi v' ha che ignori prendersi la voce cervi per indicare il veloce quadrupede tanto cognito, che viene cosi descritto da Pietro degli An- geli, elegante poeta del secolo XV, nel suo Cyne- geticon (1) ? »... Caput sublime ferunt, frontemque sub altam Ingentes oculos volvunt, animaraque qualernis Ducere anhelantes, ac respirare videntur Naribus, et rostro simi spectantur obeso: Et quamvis multi mullos pleruraque colores Infecere, tamen fulvo quam plurima fulgent, Aut flavo, aut fusco circumlita corpora fuco. Prosilit ex imo tura cauda brevissima dorso, Cruraque compresso subsunt exilia ventri. Illa quidem ad rapidos nata alque exercita cursus, Grandiaque imbellis sustentat cornua cerfix. » E colui che " Arlis apollineae solers arcana retexit Con Servio convengono que' laboriosi com- pilatori di dizionari , i quali niun altro senso alfig- (1) V. 226 segg. 20T nfono alla frase in quislJone. Germano Valente piesso il gesuita Fontano (1) asserisce, che anche dai cac- ciatori si dicevano cervi i loro staggi, onde e so- slengonsi e s'innalzano le reti; nel che scorgo uni- soni tutti i greci lessicografi alle voci l.xàXic, e.l'/jX' li§sg. Forse a que' tempi diversificava alquanto lor forma dalle moderne, poiché altrimenti non si ve- drebbe affatto ragione di designare con tal vocabolo de' retti bastoncelli. Che pur nella nautica abbian luogo cervi di legno , 1' apprendeva teslè dal lessico filologico di Mattia Martini e di Samuele Pitisco, i quali aggiun- gono, che da' rabbini vengono espressi col nome di 4 Quaque patet campus planis ingressibus hosli, » Cervorum ambuslis imitantur cornua ramis. » Siccome leggiamo in Tibullo nel panegirico al gran Messala : (5) (1) Lib. VII § 42. (2) U.sava.Hi piuUosto il Jiininiuivo, quando non l'ossero stati né mollo grandi tai cervi, né molti forti, come abbiamo nel lessico di antichità romane del Pitisco: « Isti teneriores et infirmi cervoli dicebantur, verbo diminuente. >> (3) Gap. V. (4) V. 416, 417. («) V. 83, segq. 209 « i^uii deceat tutam castris praeducere fossam, » Qualiler adversos hosti defigere cervos, » Quemque locum ducto melius sit claudere vallo. » E il dolto Forcellini aggiunse essersi talora con que- sti rami, ossia cervi, macchinate insidie all'oste av- versa, interrandoli in ricoperte fosse, a farvi impac- ciare e cadere fanti e cavalli: « Saepe etiam ( così alla V. Cervus) qua transiturus est hostis, humi oc- culle defiguut, ut incedens railes et praesertim equi- tatus implicelur et induatur. » » Domin 1 (direbbe qui il Minzoni) quante ricerche si fan mai ! » Ma far si denno, né poeta vero >> Se'tu, se tu medesrao non le fai. » Qual dunque degli svariati sensi avrem noi d'af- fìggere alla frase adoperata dal principe de'poeti al V. 29 della seconda ecloga? Chi ponga mente a quel che in gran copia ne dicono e commentatori e tra- duttori e lessicografi avviserà di leggieri, che quivi si tenga ragione solo di caccia. Ma che una tale in- terpretazione si allontani dal vero, mi confido bene dimostrarvi, ottimi colleghi, ragguardevolissimi udi- tori, dopo avervi riferito colla maggiore schiettezza e gli esempli e le prove che si adducono a riuscir vittoriosi nelTarringo. S'incominci dal celebre gram- matico Servio, da cui ripetono loro abbaglio quanti in appresso vollero accingersi alla stessa opera. Egli pertanto dopo aver detto: « Aut furcas quae fìgun- tnr » con quanto recammo di sopra, aggiunge: « Aut G.A.T.CXXV. 14 (quod melìus est) figere cervo», id est veuarì et iacu- lari intelligaraus. » Ascensio ricopiò Servio (1). e lo- cloco Willichio ne' suoi primi lavori sopra Virgilio pubblicati in Basilea nell'agosto del 1540: « Nunc ilerum, diceva, invitai ad se ab exercilio venationis, paslionis et musicae, si nihil forma sua, oihil suis ope- ribus, nihil concentu permoverit. » Siccome cel vo- lea confermato otto anni dappoi dando alla luce nella città medesima i suoi Scholia posleriora (2). A que-f sti è da aggiungere il riminese Carlo Malatesta, che commentando questa frase, la espresse: « Trafiggere e ferire i cervi all'uso de'cacciatori. (3) » Il fran- cese Carlo de la Rue, e lo spagnuolo Giovanni Lo- dovico de la Cerda, l'uno e l'altro della compagnia di Gesù, confermarono co'loio scritti l'opinamento di Servio. Quegli nella interpretazione ad uso del Del- fino di Francia dice : « Transfodere cervos : » que- sti nel suo commento : « Poeta ipse I Georg. Figere (lamas : Qui locus mire facit prò posteriore explica- tione (cioè la posteriore di Servio a noi contraria ) quam elegi: » ed all'uopo adduce l'autorità del tra- gico Seneca, di Properzio e di Teocrito. [A) Al De (1) « Et figere, itlest transigere cervos, venando scilicet : aiit figere in ferra, scilicet cervos, iilest stipiies cornutos ac lurcas ad cassm conslruenclam: v€ru«i prior lectio praest»t. » (2) « \'oti*in est iiivitantis Aluxim ab utili et iucundo per con- cessionem. Eliamsi rura, inquit, videantur tibi sordida, et casae pa- storales humiles, tatppn multa hic siint coniaioda, quorum est o-i/va- f)poKTfji.ói. Primum est venatio : pam figere tam ad cuspidem , quam ad arcnm refertur, » (3) Vopera di f'irgilio tomment. in ling. volg. tose. Fen. 1623 in 4. e*) Seiiec. '\nFure)il. et in Hipiiolyt. IVopert. lib. H, cleg. XIX; l^heocr. Idyl. I, v. H)0. 211 ia Ceida da lui citato si unisce pure il dotto Pietro Burmanuo (1) e « Cervos (dice) cape de vero ^m- mali, non de furcis; figere enim passim de telo et \enabuIo, ut Georg. I, 308 figere damas. Ovid. X, Metam. 131 figere iaculo cervum. apvos XIV 143. » Federico Taubmanno dice di Coridone, che col figu- re cervos « ad voluplatem invitai et i\y.fn^okiu:j. » Queste sono le parole del Farnabio eziandio e del Fontano. (2) Il parigino Riccardo Correo, il quale » Priscos et recentiores » Auctores recipit probatque, qui cum )) Labore et studio locos notaruot \ » Plures Virgilii: (3) sembra non sapersi determinare per alcuna delle op- poste sentenze; poiché dopo avere interpretato il ^- gere cervos: « Venando transfigere » adducendo in ragione: « Nam voeat puerum ad delicias » se- gue: i' Cervi hic dicuntur furcae, quae ad casae su- stentationem figuntur , ad similitudinem cornuum cervinorum, quod ex Varrone comprobatur. » Cosi il principe de'moderni filologi e chiosatori, siccome lo chiama l'Arici, il cel. Heyne non rigetta del tutto l'opinione da noi abbracciata, avvegnaché si mostri dappoi più inchinevole alla serviana, cui fiancheg- (1) " Pub. Virg. Maronìs opera ex recens. et cum animadv. P. £urfnanni. Lìps. 1774, in 8, part. 1, pag. 18. » (2) 'i EXaipoof ^dXXeiv, dice il primo, venari. Quidam^ de ^ur^iu- lis inlelligi volunl, quibus aedes rusticae sustealanlur. Nescio au subtiliori sensu, quam veriori. » L'altro; » figere cervos — 'EXafcfr)- ^Xi'av uno verbo graeci. Nec roihi furcas inuuere videtur. u (3) Così leggiamo ue'sei endecasillabi anonimi premessi ailPp^ era. 212 pia coll'autorità di bei nomi. Il chiarissimo Wun- derlich a torre ogni dubbio, che sorger potesse con- tra l'erronea ricevuta sentenza, asserisce che il Vos~ sio scoprì nel gran bucolico di Siracusa essere pur la caccia^da noverarsi fra le pastorali bisogne. (1) Maravigliosa scoperta d'inarrivabile solerzia, onde non fia, credo, bastevole offrire un ecatombe alle muse, siccome dal filosofo di Samo, pel celebre matema- tico teorema ! (2) Passando ai lessicografi, per non tediarvi colla lunga loro esposizione, vi assicuro che il gran Por- cellini, il Nizolio e quant' altri potei svolgere , che furono a vero dire moltissimi, o recarono 1' una e l'altra sentenza, incerti cui dar maggior peso, o si dichiararono apertamente per quella, che noi ten- tiamo sbandire dalle menti de'lelterati. (3) Veniamo in fine ai traduttori. Questi ancora ten- (1) Taccio qui del Valente presso il Ponlano, Symbol, in h. l. , che opina contrario al nostro sentimento , perchè Virgilio scri- vendo nel I Georg, v. 308 : « Auritasque seqni lepores : (um fìgere damas: Inter labore» rusticos etiam veriatum et aucupia numerat. y, Io credo, che nell'udire si bella induzione, « Romani tollent eqiiites peditesque cachinnum. » rior;it. E-p- ad JHson. v. 113. La caccia è occupazione rustica : dunque pastorale ! Povera logica! (2j 11 XLVIl del I libro di Euclide: Il quadrato della ipolenusa eguaglia la somma de'quadrati d'ambedue i cateti. (3) Iacopo Facciolati, quell'uomo di sì vasto sapere, non si sa per qual ragione asserisse, che da Servio fosse interpretala la frase in questione nel significato di conficcar pali, trascurando quello che dal medesimo Servio venne giudicalo migliore. 213 ner dietro a quel sentimento, che se fosse stato ve- ro, sarebbe stalo insieme il più poetico : ma la sola cosa,, che in esso e richiedevasi e mancava, era la verità. Per la qiial cosa udiremo un coro concorde ed autorevole, che fa deporre ai pastori il rusticano maglio , e dimentico del gregge adattare al rozzo fianco ed arco e quadrella, accingendosi a deliziosa caccia. Il più antico, che si conosca fra i volgariz- zatori della virgiliana bucolica, si è Bernardo Pulci, che ne diede una bella ed in oggi rara edizione in Firenze nel 1481. Noi dobbiamo riferir solo il bra- no, che riguarda l'invito di Coridone : k » 0 le ville habitar meco li piaccia » A te non grate, et questa casa umile, )' Et ferir per le silve e cervi in caccia, )i Et de capreti non ti paia vile » Al verde ibisco d' inviare le gregge. ') Dopo il Pulci, tratti in abbaglio dall'espressioni di Apo- stolo Zeno, l'Argelati. il Viviaui ed il Vaccolini parlano di Bastiano Foresi, che diversi convertono in Foresti, e dicono che nel libro intitolato Ainhitione abbia inse- rito la versione della bucolica virgiliana. Ma eglino o non vider mai questo libio (che veramente è raio) o mai non lo svolsero : perchè altrimenti , siccome avvenne al p. Paitoni , al Villa ed a me stesso, vi avrebbero rinvenuto la traduzione delle georgiche. Verrò dunque al Lori, non essendomisi ancor dato veder pur uno esemplare, o de' semigotici del c.la- rissimo poeta frate Evangelista Fossa da Cremona^ nò del Menni e del Negrisoli. 214 » 0 se ti fusse a grado gli urail campì, » E le rozze capanne abitar meco, >) E saettare i cervia e gli agnellini » Mandare a' paschi. « Siccome nelle nostre pubbliche biblioteche inutil- mente ho ricercato le canzoni pastorali di Rinaldo Corso , mi è forza passare a quella del parroco di Castel Bolognese Girolamo Pallantieri, il quale fu il primo a traslatare dal latino in volgare verso per verso, impresa anzi da testa piccola che veramente maravigliosa^ o piuttosto miracolosa, come la diceva da Ravenna Muzio Manfredi il primiero giorno d'ot- tobre 1593; » 0 ti piacesse meco i rozzi campi » E i tuguri abitar, ferir i cervi ; » E col vincastro andar presso a i capretti. » Tralascio Sperindio Ghirardelli, Antonio Ghislie- ri, ed il dottore Andrea Dimidri, di cui con tutta la diligenza usata non potei conoscer che i nomi. Che Parmindo Ibichense, il parmigiano Francesco Maria Biacca, traducesse la bucolica di Virgilio, è un ab- baglio del Viviani, del Vaccolini e di altri che scris- sero anche ciò, che coi propri occhi non poterono vedere. Paolo Rolli nel 1742 traduceva : » Deh benché a te sordidi sian, ti piacciano » Meco i campi, e abitar l'umili case, » Gir saettando cervia e de' capretti » Condur la gregge col vincastro verde. » Il march. Prospero Manara: 215 » Deh le ville ohe schifi, e rumil KìUo » Abitar meco alnien ti piaccia, e i presti « Cervi meco inseguir per tuo diletto^ •) E meco al pasco delle malve agresti » De'capretti parare il docii gregge ! » Nella curiosa versione o parafrasi , che il gesuita Gioacchino Gabardi pubblicava in Carpi nel 1764 colle sole iniziali G. G. G. » Deh sol ti piaccia di venir ne' campi » A le vili, e abitar meco i tuguri, » E i cervi saettare^ e al verde ibisco )) Ir conducendo de' capretti il gregge! >» Quasi nello stesso tempo avea tradotto l'Ambrosi ^. pur della compagnia di Gesù: » Sol fosse in grado a te quelli, che vili » Sembrano agli occhi tuoi, semplici campi^'*^^ » E le rozze capanne abitar meco, » E i cervi saettare^ e al verde ibisco » Ir conducendo de'capretli il gregge. » Il marchese Capecelatro: » Sol ti chied' io, vago garzon, che piacciati » Meco abitar V incolte ville, e 1' umili tv Capanne, e { cervi insiem con me trafiggere^ » E insiem con me del malvavischio al pascolo » Il gregge de' capretti ancor conducere. » Ed il p. Francesco Soave de' eh. reg. somaschi: » Deh sol le ville, ch'or disdegni, piacciati > Meco albergare, e l'umili capanne , 216 » Ferir i cervi in eorso^ o {jl'lrii capri » Guidar il verde malvavischio a pascere! » Della edizione veneta di Marchiò Balbi, e della napoli- tana di Giuseppe Maria Candido non posso addurvi i brani, che non mi venne fatto osservare. Addurrò sibbene la parmigiana del dotto carmelitano Giusep- pe Maria Pagnini, l'Eritisco Pileneio di Arcadia : » Deh sol meco li piaccia abitar queste » Piagge a te vili, e queste rozze case, » Piagar cervia e cacciar de'capri il gregge » Con verde malvavischio! » L'anonimo di Bologna «ni è incognito, siccome Ar- naldo Tornieri, che la tradusse a Vicenza in ottave sdrucciole, non che il GalLerone , che nel 1700 la pubblicava in Torino. Dopo questi lab. Raffaello Pastoie : » E eh' è poi quel che da te bramo, Alessi ? » E sol che tu sia meco ad abitare » Mia capannuccia, e la poco a te grata )) Campagna, e meco uscir de' cervi iti caccia^ » E tener lungi i molli caprettini ». Del verde malvavischio. » E Clemente Bondi , la cui fatica per riguardo alle opere virgiliane non è a porsi in non cale : » Ah sol piacesse a te questi, che vili » Sembrano agli occhi tuoi, semplici campi, » Abitar meco, e l'umili capanne, » / cervi saettar^ condur col verde » Ibisco il gregge de'capietti! » 21T A Lorenzo Crico, che non mi è dato riportare, si aggiunga Io scolopio Solari, il quale imitò gli sforsi del Pallantieri : » Oh ! sol ti piaccia in umil tetto, in campo » Che hai vii, star meco; e ferii' d'arco i cervia » E i capi-etti aggi'egiar mostrando ibisco. » Il Viviani, dopo Giovanni Fantini , cosi amplificava l'espressioni del poeta : » Ah ! meco venir pisciali Ne'sordidi per te villaggi agresti ; » Né d'abitare increscati Al fianco mio nei casolar modesti. » Talor con me trafiggere I teneri godrai lesti cei'velti^ n E con la verde e tenera Altea cacciare al pasco i bei capretti. » Ed il nostro concittadino Domenico Molaioni, il qua- le fu uno dei fondatori di questa illustre accademia: » Deh sol li piaccia i campi, che tu sdegni, » E le rozze capanne abitar meco, » E saettare i cervi, e '1 verde ibisco » Far pascere ai capretti. » Il Niccolini: » Deh pur consenti (e che altro bramo? ) alquanto » Per le ville, che troppo a sdegno prendi, 218 » Star meco, e sotto povera capanna, » Meco i cervi snettar, meco i capretti » Tener lontani da le agresti malve. » Come la traducesse il Bandini nel 1819 non è a mia notizia. Il Vaccolini , che l'Inseriva nel tomo LIV del giornale arcadico: » Oh ti piacesse almeno esser con meco, » Abitar queste ville, che non curi, » E de' pastor le povere capanne, » E dar la caccia ai cervia ed i capretti » Con ramoscel di verde maivavischio » Guidare alla pastura ! » Poscia il precipuo de' traduttori di Callimaco: » Questi campi a te vili, e questo tetto » Povero in compagnia nostra abitare, » Caprioli cacciar ti sia diletto, » A pascolo d' ibisco agni parare. » Così lo Strocchi : l'Arici poi : » Non isdegnare alfin meco le ville » Rusticane, e degli umili abituri » La stanza; esci con meco, o mio leggiadro, » De' cervi in traccia, e meco alla pastura » Del verde, maivavischio adduci il gregge » De' teneri capretti. >» 219 Ed il marchese Giuseppe Antinori (I) : » Oh fosse in grado a te questi, che vili » Setobrano agli occhi tuoi, campi, e le semplici >) Al mio fianco abitar capanne umili, » E i cervi saettar meco^ e gli erranti » Cavretti addurre il verde ibisco a pascere. » Oltre a questi e all' Oliva , il sacerdote Francesco Pucci, professore di eloquenza in Terni, così tradu- ceva ed inventava nel 1832: » Che mai ti chieggo ? io ti vorrei sol presso Tra questi campi, e nel tugurio mio, E teca unito a caccia irmene spesso ; » Se t' incresce il cacciar, pago son io Ch'assista a guardia tu de'miei capretti Agiato in verde speco, o in riva a un rio. » A conchiudere il bel numero de' volgarizzatori por- remo da sezzo e l'erudito cav. Lorenzo Trenta, che fu de'nostri soci corrispondenti, e si occupò inde- fesso a dilucidazione delle opere giovanili di Virgi- lio, ed il eh. professore ab. Giuseppe Jacopo Ter- razzi, che pubblicava in Bassano la sua versione nel 1845. Il primo esponeva: » Piaccianti omai queste campagne incolte » E in umil tetto soggiornar con meco, (1) Nome illustre ilell'oUimo genitore del eh. nostro presidente annuale monsig. Spinello Antinori^ uditore delia sacra ruota romana, che onorò di sua presenza questo ragionamento accademico. 220 » 0 per ferir cacciando i presti cervi, 1) 0 per parare innanzi le agnellette » Di tenera gramigna al pasco usalo. » E l'ultimo: » Oh ti piacesse » Tra i vili campi e gli abituri agresti » Campar sol meco, e dar mnriirio ai cervi ; » Parar al verde malvavischio il branco » De' bei capretti. » Ora io mi studierò mostrare, valorosi colleghi, che gl'illustri autori di sopra allegati nel più bel gior- no di aprile non si avvidero della luce purissima diffusa per tutto l'etere. Eglino applicarono alla cac- cia una espressione, che per le circostanze e di per- sona e di tempo era solo da l'itenersi adoperata a significare la costruzione di pastorali capanne. E vaglia il vero : chi è che parla in questa ecloga ? . . . Coridone ... un pastore ... Di qual cosa ei favella ? ... Di sue occupazioni e giornalieri tra- vagli .. . Egli è dunque a concludere, ohe abbiano anzi dalo nel brocco l'Ortensio (I) , il Ramo (2), il (1) Nel suo utilissimo comminuto all'Enei'ttr rolilolnto : Ennrra- tioves in nex priorcs U'/ros Aeneidus vergilianac pul)I)licnfo d;ill'Opo- rino a Bnsilca nell'aiTosto i.^o9 asserì cliiaramentH : » A ccrvinorunl cornniitn sìmìliluJine diciintiir et cervi siuios bicornes in cralihus extanles, quibns infra in (erra delìxis vimina inlexunUir. Et in e.-» quidem signi/ìcatione accipieiidiim est in bncoiicis: » Atque bumiles habitare casas, et figere cervos. » V. lib. iV V. 133 pag. 22tt. (2) V. le prek'z. alla tìucolica di Virgilio pubblicate in Parigi nel 1372. 221 Calepino, il Calderino, il Pasini, il Pilisco, (1) il p. de Aquino (2) ed il Biondi (^3), che il numero magjjiore dei dissidenti. Conciossiachè quantunque volle cercan- do lo volume villereccio di colui, che fu » degli altri poeti onore e lume (4) » scorgiamo i pastori applicati nella semplicità loro a diversi uffici, cui elezione o sorte li sottopose, sdraiali talora »... Patulae . . . sub legmme fagi » Sylvestrem tenui rausam nieditantur avena: (5) )> talora esercitano l' acume del proprio ingegno col cimentarsi a vicendevoli soluzioni di eoimmatici in- volucri : e se Dameta provoca Menalca col (1) YpcIì i loro dizionari alla voce cervi. (2) Miscellaneorum. lib. I ccip. X. Ivi il dolio gcsuila dcsijjiia apertamente i cervi quai: » Perticae bicornes, pali rurcillati ad su- «liiieiidos fornices el ruslica praesertim ìtuguria, a similitudine cor- iiuum cervinoriim. De liis Virgilius ed- II: » Atque humilcs habitarv casas, et figere cervos. Ncque enim (si noti bene ) habere ibi locum potuit cervoruin venatio, ut aliqui scripserunt interpretes. » Sentimenti ch'egli espri- me egualmente nel suo Lexicon militare alla parola cervi. (3) Ecco la bellissima versione di questo illustre romano : w Oh se i campi che sprezzi, e gli ospitali lì Miei penati abitar meco vorrai, « E alzar capanne su bicorni pali, » E con verghetta, che d' ibisco avrai, it Guidar capretti. « (4) Dante Inf. cani. I. v. 82. (3) Virgil. ed. l v. 1. 2. 222 )i Die quibus in terris » Tres pateatcoeli spatium non amplius ulnas? [i) » rintuzza l'altro il rivale col pronto soggiungere : » Die quibus in terris inscripti nomina regum » Nascantur flores ? (2) » Talora siccome la vergine regale Erminia presso il veglio pastore: (3) » Guida la greggia a' paschi, e la riduce Con la povera verga al chiuso ovile ; E dall'irsute mamme il latte preme, E 'n giro accolto poi lo stringe insieme. » Sovente allor che sugli estivi ardori Giacean le pecorelle all'ombra assise, Nella scorza de' faggi e degli allori Segnò l'amato nome in mille guise. » In una parola se attentamente si leggano le dieci ecloghe virgiliane, a tutt'altro si rinverranno intenti i pastori del Lazio, fuorché alla caccia, occupazione tanto aliena dall'arte loro. Ma poiché, siccome udiste , il Wunderlich ed il Vossio si mostrano di contrario parere, e nove- rando la caccia fra le pastorali bisogne, ne chiama- no in testimonio il più nobile bucolico della Magna (1) Ed. Ili V. 104, 103. (2) Ibid. V. 106, 107. (3) Tasso, Gerus. liber. canto fll si. 18. 19. i 223 Grecia, a disingannare i loro ammiratori chiamerò ad analisi intero il volume del siracusano, ed emer- gerà anche per questo lato da qual parte militi la verità, la ragione. Nel primo de' soavissimi idilli , Tirsi il pastore dialogizza coll'anonimo capraio, e vi si fa solo men- zione di canto ai vv. 2, 7, 19 segg., 23, 24, 66 e in tutto il rimanente, in cui a più riprese odesi l'in- tercalare di Tirsi : )) "Apyzxt B^v,oktY.ó(.^y [x^iaoci i^iXai, ct-O'/yz àocdàg. ». » Incominciate, o care muse, ornai, » Incominciate i pastorali carmi. » giusta la bella versione del Torelli. Di suono parla il v. 13, ed il seguente di pa- stura. Verso il fine chiedesi il promesso dono al capraio: )) Kccì zìi, gli dice Tirsi, §iòou ztj àr/a, to' Inec'aoi xoug p.oi'ac Quello poi che a scanso di equivoco vogliamo av- vertito si è, che ove ai vv. 16 e 110 si fa men- zione di caccia, viene essa riferita a Pane, deità sil- vestre, e a queir Adone, il quale, anziché pastore , fu figliuolo del re di Cipro. Del secondo idillio mi passo , che non hanno (1) « Or tu la capra donami e la tazza, Si che iibi^ mugnendola, a le muse. » Giuseppe Torelli 224 troppo di relazione fra loro pastorizia ed incante- simi di rea femmina appassionata. L'idillio seguente è quello, che si propose ad imi- lare il mantovano col suo Alessi. Sul bel principio certo capraio raccomanda a Titiro il gregge , af- finchè per lui si conduca agli usali paschi , e ben pasciutosi adacqui, guardandosi da un intero becco di Libia, che sovente solea dare di cozzo. Quindi sfoga libero dal petto le amorose vampe : reca dieci pomi alla bella, che non ha il bene di vedere ; e conoscendo di non essere da lei corrisposto, è quasi addotto da Tentennino a strangolarsi, o lanciarsi nu- do nelle acque vicine, ove Olpi, il pescatore, adoc- chiava i tonni. In tali graziosissime occupazioni cre- do, che i nostri cacciatori non avranno a preten- dere pur di una sillaba , esser di loro esclusiva pertinenza. Il pastore Batto e Coridone il bifolco hanno molto che dire su di Egone , che da que' campi erasi partito per andare <( là 've scorre l'Alfeo (1) » « s/QV i7x«7r«vj Summovet: non si male nunc, et olim » Sic erit; quondam cithara tacentem («) " Se al .nome vai, non v'andar, Ballo, scalzo. ., ,.,, Il med. ivi. ^ ' " '''-'"^^'' conKderc: craslina siirget •' Lux melior; vivo spes plurima, nulla sepullo « Nunc ciet, efru.sos nnne si.slil lupiter imbres. f^aym- Cunich in vers. bui. idvi. (3) Od. X lib. II. G.A.T.CXXV. ^5 « Siuscilat musam, ncque semper arcum « Tendit Apollo. (1) » Quesfjo pensiero servì mirabilmente a riempire urj gl,^p y^Lio nell'abbattuto mio cuore. JVf^ st^ puye p me riempire altro vacuo iq qucr s^e pa In tal nnodo seguitano a regalarsi a vicenda di belli titoli. Si non^inan furti di diversi pastorali og- getti: depongono, dietro poetica disfida, Cornata un becco, ed un lanuto agnello Lacone: cantano alter- nativamente di tante svariate cose, che lungo fora il catalogo a solo noverarle. Ma nulla al nostro pro- posito. Ciò che degno sembra di riflessione è il far- visi parola di colombi silvestri, di volpi e di scara- faggi. Cornata dice di avere in odio le volpi, perchè «... a? T» Mi'xojyjg « Aht ^oixSìQQn rei no^s'ampx pocyi^o'jzi. (3) » E Lacone soggiunge sperimentare anche egli l'avver- sione medesima per gli scarafaggi, i quali (1) « Ileus fiigite o Sybarilam illuni Lacona, capellae « Hesterna qui luce meum f'uraUis amictum esl. » Bern. Zamagua in vers. Imi. idyl. (2) « Nec Jum a (onte agnae ? non lurem ccrnilis illuni, " Garrnla cui nuper syrinx moa rapta, Comatan ? » lei: ibiil. (3) " Dura Miconi •!■ Dainna l'erunl uvam populanlos vesperc scro. kl. ibid. 229 « . . . . T« $2)cóvSa « 2uxa xarocTjSw'/cvTsg • v7:rìviiJ.io[ cpcpécDiZM. !'l) » Dei colombi poi ragiona due volte il capraio; ma la sua caccia non lo diverte punto dalle rusti- cane occupazioni , poiché avendo loro nido sopra umile ginepro , ei vi ascendeva a torli per la sua Alcippe; Alcippe cui dice una fiata scherzando di non amare, nijuimoa aia» <(.... alt fAs no/xv oùy. i(9iXiX(J£ ' ■ '' ^ '( Tqv cotwv xccTsXcTa' ('i) « Dunque neppur quinci evvi argomento a sgo- mentarne dal sostenere l'assunto. Quel che segue è l'idillio « / Bucoliasti » di- retto ad Arato, ossia il dotto poeta, di cui abbia- mo (( / fenomeni » o altri di questo nome , amico di Teocrito, che ne fa menzione anche altrove. Gl'in- terlocutori Dameta e Dafni « presso una certa fonte « Seggendosi di state in sul meriggio « Cantaro (3) » ed il loro argomento furono gli amorosi scherzi di Polifemo e Galatea, mentre (1) " Philondae « Qui miseri ficos vaslant, fiigiuntque per auras. « Iti. ibiil. (2) «... . Nam non dedit oscula captis ^i.; n Àuribus. » Id. ìbid. (3) Torelli nella vers. di questo idil. « su la molle erbetta « Le vifeHe menavano carole. (1) » A bla fiine rt Nessun vimse, che invitCr erano errtrambii. (2) » fili?. : le faitisie, O" feste à\ Cerere, di eni nel setdnwo componimento, non avrebbero neppur meritato' d'es- sere nominate in questa discussione, se Teocrito con Eucrito ed Amiuta, che moveano verso Alente, non si fossero scontrati in un cidoniese et cafro alle muse, « A nome det«» Ltcìoia, e capraio. (3) » Quesdv che « S GajTraio avea tutto raspollo: « Però che fulva pelle" m s«i le sp«Me (( Portava di velloso irsuto becco, « Che di novello caglio ancora oliva; i< Un n»a»tel vecchio con pieghevoi cinto « Stringeasi intorno al petto, e d'oteaslro « Curva clava tenea nella man dritta: (4) » Questi, dico, fu da Teocrito invitato a: cantar seco qualche pastorale canzone: ed il capraio, dolce (1) Il med. ivi. (2) Il med. ivi. (3) Il med. nella vers. di questo idil: (4) 11 med. ivi. 2^) ri» non intromettano discorso di pastorali siringhe foi- mate da loro stessi e deposte in premio pel vinci- tore; non è però ch'essi non rammentino pascoli e lanuto armento, ed api, e lupi, e cani, e secchi, e ca- nestri da latte. Ma e non vi si ragiona di cervi ezian- dio ? non si fa parola di loro caccia ? E pur deci- siva la versione del veronese Torelli: « Il verno agli aibor, ai ruscei l'ardore, « Le reti ai cervi, agli augelletti il laccio, " E di fanciulla all'uom nuoce l'amore. (2) » E che perciò ? Si potrà forse inferire con nuo- va logica : dai pastori si parla di caccia ; dunque era questa la diurna loro occupazione ? {i) lì med. nella ver. dell'itlill. (2) Sembra clic da questo luogo traesse il Guarirli nel suo Pa stor fido att. I se. V : " Come il gelo alle piante, ai fior l'arsura, n La grandine alle spijjlie, ni semi 'I verme, '■'■ \av reti ai cervi, ed a^jli augelli 'I visco, « Così nemico all'uom fu sempre amore. « 233 Se tale entimema non è sconciamente magagnato, mi guarderò di ragionare mai più in appresso né di medicina, né di architettura, né di mineralogia; mi terrò cauto dal proferir motto alcuno sui furti, sulle gozzoviglie, sulle congiure, perchè non mi si apponga essere io un ladro, un crapidone, un sov- vertitore dell'ordine sociale; né si dica essere da no- verarsi fra l'ecclesiastiche bisogne l'occuparsi delle predette onestissime scienze o belle arti. Anch' io pri- ma di svolgere e Teocrito ed il Torelli sapea be- ne, che : « Il verno agli arbor, ai ruscei l'ardore, « Le reti ai cervi, agli augelletti il laccio, « E di fanciulla a l'uom nuoce l'amore: » ma potrei pur giurare per gli dei e semidei lutti degli elisi , che la caccia non ha giammai formato le mie delizie , e che fin qui me ne guardai sicco- me dalle scottature del ranno caldo. Ma v'è di più. Teocrito qui non paila di cervi. - Come ? - Tant'è. Le sue precise parole son queste : « Aivfìpsjc iiìv Xc£/Jt.còy ©^^ìjìsv /.x/.Òj, V(ìaai 9'àu/fjt.5g (("OpvJCTfv ìì^vanka^jc, dypoTzpotg òs \vjc/., « 'Av$p£ §3 -Ktxp^vnYMZ, UTiaì/xg nó^og. » meglio assai che dal veronese tradotte dal eh. Za-- magna : «> Triste malum arboribus nimbi sunt, fontibus aestas, " Alitibus laqueus, retia tecta feris, « Triste viro crudelis amor. » 234 srccórtie iti termini préssoeh'è ertftìrfli sei'ittó frvea l'Eirt^ro: « Teiste marlitrti arfcovibu^ tertìpfstàs', foiWibusf afédcrt', rt Et voluci'i laqtiéùs^ retia coecfr feris, « Virginis àt mihi S'amala. » Quindi il nostro concittadino prof. Domérirc(y Ré- gólotti : « Come a' fé piante nuoce 'l crudo Verno, « E l'arida stagion nemica è a l'acque, « Agli augelli '1 lacciuol, ed a le fere, « Che ne le selve albergano, le reti : (( Così nemico è a Tuom l'amor, che scaldalo <( Per una beltà tergiTiella tenera. » ed il siracusano conte Cesare Gaetàiii della Torre : <^ Terribil' tiK»l, piòta «^accolta in ghiaccio « È pe' tronchi; per 1' onde est'tVó ardore; « Per le fere, e gli augelli, e rete, e laccio: « Per l'uom di vergin tenera l'amore. » Così il Salvini e pressoché tutti gir altri traduttori. Ed in vero, chi sostener potrebbe, che fa gre- ca voce àyporspo; sia o d'origine, o per consuetu- dine usata dai classici ad indicare i cervi ? Egli è fuori d* ogni dubbio uno di qué' nomi addiettivi , così detti perchè , incapaci d' indicare sustati'z^ , abbisognano di subbietto cui possano convenire. li silvestre precisa mente corYispòrtdente' a(ll' ày()o- zipsg potrà duncjue riferirsi a t Nel seguente, ove non interloquiscono pastori, non oc- corre fermarci. L'argomento e la materia deiridillio XI è // eì- clopo. Egli è certo che Polifemo, il ciclopo, esercitavasi^ nella pastorizia , e che poteasi con piena Veracità agli erranti troiani asserire dall'infelice Acheraenide: « . . . . cavo Polyphemus in antro « Lanigeras claudit pecudes, atque ubera pressai. (1) » anzi in questo idillio medesimo di se dice : «... Borei x^Xtu ^ó(rA'ji, Kvj'x tsJtcov xh xpVrt^cv àii.i\y6u.vjov ydXx ni\/a, (1) Virg. Aen. Ub. IH v. 641 642. 236 Tvpòg ò'o'ij Xsimi n'oùzkv Se'psj, cut' tv òn'^py}, Où yiiiJ.S)Voq àv.pu, rapaoì ^' ùns.px)(^hg xìsi (1)» Ma chi osereb})e ascrivere genericamente ai pastori ciò che poteasi contare di Polifemo ? Si potrebbe forse applicare ad altri il « Trunca manum pinus regit, et vestigia firmat ? » « Postquain altos tetigit fluctus « graditiirque per aequor » lana mediuna; nec dum fluctus latera ardua tinxit? (2)i Pertanto se nell' idillio troviamo e gli erbosi pa- schi rammentali, e gli amorosi canti, e le fiscelle, ed il cacio, ed altre simili cose, nulla di singolare, nulla di diverso fra Polifemo e gli altri custodi di lanuto armento : ma se dice alla sua Galatea: Uocaug [xxjvo'^éo'jìg. ymÌ cx'jix-joì; -ÉGGapu; «jJXTojy. (3) „ potrei primieramente rispondere, e con piena verità, che qui neppure un vocabolo porge indizio di cac- (1) « Pabco una greggia Di mille pecorelle, e da le mumme Mungendolo ne bevo ottimo latte : ISè già cacio mi manca o ne Testate, O ne l'aiitunno, o nel più Rito verno ; Che le fiscelle son sempre stracarclie. Torelli Teocr. trad. (2) Virg. Ub. Ili Jcn. vv. 662. 664. 66ij. (3) « A te nutrisco Quattro orsacchini ed undici cervette, 11 collo adorne d'un gentil monile. Torcili Tcocr. trad. 237 ciagione (1) ; in secondo luogo torno a memoria la mole, la forza, e le altre qualità (lall'etneo colosso a riflettere che il provvedersi di siffatti animali a lui costar non dovea ne distrazione, né fatica; non così agli altri pastori sia del Lazio, sia della magna Gre- cia. Ma ciò ad esuberanza. Dopo avere accennato che nell'idillio XXVII, pien di lascivia, (2) non si fa motto che di capre, di tori, e di pecorelle, e le indicate reti e quadrella sono le malnate di Venere, arresterò il corso alle in- (1) Per cui è un poco libera la versione del Zamagna: « . . . . libi, nyinpba o candida, cervas u Bis quinas iinamque super per gramina pasco, « Foecundas oiiiiies, auctas iam foelibus omnes, » Qualuoret c.hilos venanti in rupe reperto» 11 Ursorum calulos ego servo.» e mollo più a capriccio quella di Elio Eobano: 11 ... . nunc tilii nutrio cervas 11 Ter Ires alque duas, foecundas foelibus omnes, » Qualuor ursorum calulos nihilo minus ipsa tenebis, )) Quamtibi qui luslris ea sum venalus in allis. » A colui che sopraffallo da melanconica accidia giudicasse spe- dienle procacciarsi inaleria di sollievo, potrebbe conferir molto la versione del modenese Pellegrino Roni , pel quale e l'svSsxa e il TsVffapaf non sono punto differenti in significato dal gemini: udite. » Praeterea mihi scpositis in sedibus antri » Pinguescunt geminae praestanti corpore damae, » Ventre graves, geminique recens e matribus ursi » Knixi praerupta inter loca, quos libi servo, u Il Roni però non parla di caccia; siccome di caccia non parla il co: Gaetani, dicendo: » Io per te pascolo » Undici cavriole tutte gravide, » E quattro orsaccbi: a me ne vieni, avraiti « Non men di ciò . » (2) Questo viene da taluni attribuito a Mosco, da qualche altro Rione ; ma i più lo giudicano del nostro Teocrito. ^38 da^ifìi sul dotto (VQlunie àel mellifluo 6iiaousano. ]Sè persona polirebbe farmele peccalo , quasi non i5i|Db.ia pienanaente satisfaWo all' impegno. Projnisi di SY^\Qer Et contenDpta Venus vincitur arte tua. » Se erasi studiato renderlo desioso di appressare il lab- bro giovanile alla rustica siringa, perchè inventata dal caprigeno Dio, non poteva egli aggiungere, sic- come Tape attica nel suo Kuv/j/stìks; » Ti [xìv zi)pT,p.a. 5awy ATTÓXXwvsg ym Api:ép.i^oz u'/pocc (1) « anzi che » y,cci Oioì TjuToj rf) spycj ■/a.ipo\)Qi xocì nparrovrsg y.où òoavTsgl (2)') Non poteva farla preponderare nel pa- ragone di tante molli e vili occupazioni cittadine- sche, siccome » . . . . pictis luderc chartis , » Concertare scyphis, mimoque obscaena iocanti » Plaudere » .... et peccare docentes » Historias, vel quas moriendo cygnea cantant » Ora tragoedorum querulos audire dolores ? (3) » Non poteva ben concludere egualmente, che il sopra citato Senofonte » cò^iX-^covrac ^s ci ÌKiOviiT,30(.vxiq zouTov Tcv srjyov noXXcc ùyt^cuv ti yàp Totg (ja^iccrc nocpoc- oy.zvàaoiGt, yj/.ì oouv, y.aì ÙY.c'kiv 'j-xllov yrjpxGxitv ài vjr- TCy; (4) » (1) » La caccia f; una invenzione degl' iildii Apollo e Diana.» (2) » I numi stessi sperimentano diletto nell'asercitarsi in tale occupazione, e nell'esseme solo spettatori. « (.1) Vanier Praed. rust. Ub. x^Z v. 516. seqq. (4) Coloro \>o\, che sono dediti ad una tale occupazione e fati- ca, grande si è il vantagjjio, che ne ritrarranno. Imperciocché si go- dranno eglino di sanità più robusta pe'loro corpi, più perspicace sarà lor vista, più sensibile l'udito^ e molto tardi giungeranno a vecchiezza. » 252 Si a(}giiinQa eziandio ad uberlà majjgiore di ar- gomenti: Coridone il pastore attendeva alla caccia (supposta vera la spiejjazione dei più) per assoluto suo officio, o per diletto? Il primo non si asserirà giammai senza dare l'idea di sinonimi a quadrella e maglio; caccia e pastura; cervi, capri, cinghiali, e pe- core, capre e vacche. Che se il diletto spronato aves- se Coridone a trafiggere i cervi, e tale occupazione fosse riuscita spiacevole ad Alessi, oh sì che l'aman- te glie ne avrebbe fatto un pronto sacrificio ! A che non spinge l'amore ! Si dia uno sguardo al clavige- ro domatore di mostri in casa di Jole, si osservi l'ar- nese che ha egli fra mani, le vesti onde appare ador- no, e poi si risponda, se iperbolico è il comune ada- gio: Omnia vinciù amor. Ma deh ! Si abbia eziandio riguardo alla fama del gran poeta. Le bucoliche non sono già quell'ope- ra, che siaci pervenuta imperfetta a motivo della pre- matura morte del mantovano. Essa è per ogni riguar- do produzione altamente commendata dagl'intelligen- ti nella sovrana letteratura del Lazio. Ma ammessa una fiata la prelesa interpretazione, qual figura faià Virgi- lio nell'addotto brano ? Prima si parlerà di campi e capanne, quindi della caccia, ed in ultimo si toine- rà alla pastuia ? Prima si parlerà di cosa per Alessi sordida, poi vile, quindi dilettevole, e nuovamente dis- gustosa ? » . . . . credat iudaeus Apella, » Non ego (j) » (1) lloiat. Salyr. lib. I v. 100 lol- 253 Ecco in qiial guisa provvedono al nome tanto illu- stre di un esattissimo poeta ! APPENDICE Quando io pubblicava a forma di lettera, or com- pie un lustro, le mie riflessioni su la slessa materia, fui regalato di un gentilissimo foglio, che a me rliri- geva da Lucca il eh. sig. cav. Trenta. Io lo rimisi con altra mia al direttore del Viminale^ il quale pubbli- cava nel suo num. 21 l'annunzio bibliografico di que- sta mia povera (alica. A migliore intelligenza della frase poetica ho slimato aggiungerle al presente di- scorso accademico. Veneralissinio sig. direttore. Poiché V. S. si compiace inseriie nel Viminale l'annunzio bibliografico, che a commendazione di wn mio tenue letterario lavoro volle stendere il cortese ed erudito sig. Emanuele Marini , accolga eziandio un altro scritto, che riguarda l'argomento medesimo. Esso è una lettera, che il chiarissimo cav. Lorenzo Riccardo Trenta, nome caro ai profondi cultori del- la filologia, mi dirigeva graziosamente da Lucca il 10 luglio 1847 per mezzo del .suo illustre cugino, e mio mecenate mo nsig. Cesare Lippi : lettera che per al- cuni motivi non poteva io riceverese non dopo l'in- fausto giorno, in cui fu egli in un isiante rapito alla terra, che ammirava i suoi lavori, amava le sue vir- tù. Nel trasmettere a V. S. questo foglio non è solo ch'io intenda far conoscere alla società qual (giudizio 254 formasse un valente letteralo delle mie povere fatiche, ma è mia intenzione mostrare con incontrastabili do- cumenti non essere estranea agli uomini grandi del secolo XIX la pregevolissima dote della umiltà in se stessi, della giustizia in altrui. Egli è ben vero, che la • e rivoltasi in lui l'attenzione di lutti per 260 sentenza tanto contraria, seguitò : » Mi sembra che ragionevolmente Asdrubale voglia ripetere da Anni- bale quel fiore di età , ch'egli medesimo già porse a godere al padre di lui. Ma pure a noi non si con- viene concedere, che i nostri giovani, invece di ap- prendere le arti militari , diventino sfrenati dietro le libidini di più sfrenalo capitano, 0 temiamo che il figliuolo di Amilcare non troppo tardi abbia a ve- dere quella tanta potenza, e quasi regio comando del padre suo? Forse temiamo di servire poco pre- stamente al llglio (ii chi. fattosi nostro re, lasciò al suo genero quasi in eredità gli eserciti nostri? Io penso che questo giovine si debba ritenere io patria, e che sotto le leggi e là potestà come gli altri impari a vivere con giustizia, acciocché una volta vasto in- cendio non secondi questa piccola favilla. >> Pochi e quasi ciascun ottimo consentiva al parere di An- none: ma come le più volle suole avvenire, la parte maggiore all'ottima prevalse. Annibale, mandato in Ispagna: a prima giunta a se rivolse l'intero esercito. Parve ai vecchi soldati che Amilcare redivivo fosse tornato loro innanzi: gli miravano quella medesima vigoria nel volto, quella slessa vivacità negli occhi, quella stessa movenza nella persona, i lineamenti medesimi. In poco tem- po fece che la memoria del padre non gli fosse più necessaria a conciliarsi gli animi; perchè non vi fu uomo più atto di lui a cose tanto diverse, quali sono l'ubbidienza e il comando; sicché non potresti ben discernere, se più al generale, o più all'esercito fos- se caro. Per la qual cosa Asdrubale non commette- va ad altri alcuna fazione , che richiedeva fortezza 261 e valore^ né la milizia
  • q 264 CAPITOLO SECONDO Già ogni cosa di là del fiume Ibero era venuta in mano dei Cartaginesi, eccello i saguntini; contro i quali la guerra non erasi ancor dichiarata, ma del resto se ne andavano seminando le cagioni nei com- battimenti coi popoli vicini, e particolarmente coi turdelani. A cui avvicinatosi chi era seminatore di tante brighe, e trapelato che cercava guerra non per dritto, ma per forza; i saguntini mandarono amba- sciatori a Roma, per chiedere soccorso nella guer- ra che senza dubbio loro sopraggiungeva. In quel tempo erano consoli a Roma P. Cornelio Scipione e Tito Sempronio Longo, che introdotti gli amba- sciatori in senato, proposero gli affari della repub- blica; e fu deliberalo che si mandassero nunzi nel- la Spagna a vedervi come stessero le cose degli al- leati, e se loro sembrasse, intimare ad Annibale di rimuovere l'esercito dai saguntini , soci del popolo romano, e passassero quindi a Cartagine in Affrica a portarvi i lamenti degli alleati del popolo roma- no. Stabilirà questa ambasceria e non anco inviata, già l'esercito nemico con incredibile fervore si mo- veva ad espugnar Sagunto, quando la cosa fu nuo- vamente proposta in senato. Ove alcuni si avvisaro- no che si destinassero i consoli per le province di Spagna e di Affrica, e si facesse guerra per terra e per mare: altri intendevano che si facesse guerra solo in Ispagna contro di Annibale: eravi pure chi pensava che si dovessero aspettare gli ambasciatori, e non rischiar cosa di tanta mole. Vinse questo par- to che più degli altri pareva sicuro: P. Valerio Flac- 265 co e 0. liebio Tamfilo furono prestamente spedilf ad Annibale a Sagunto, e se costui non desistesse dalla guerra, tirassero a Cartagine, facendo richie- sta della stessa persona del generale, secondo i trat- tati della pace ch'egli aveva osato violare. Mentre sif- fatte cose i romani ordinavano già Sagunto con ogni forza era combattuta. Questa ciltPi ricchissima stava al di là del Piume Ibero: posta a mille passi dal mare, si dice che lipete la sua origine dagl'iso- lani di Zacinto, con altri d' Ardea di sangue rulu- lo: i quali in poco tempo vennero a molto smisura- te ricchezze, o per guadagni di mare, o per frutti di terra, o per cresciuta popolazione, o per interez- za di disciplina, a cagione di cui venerarono tanto la fede sociale, che si partorirono la propria mina. Annibale entrato col nemico esercito nelle terre di costoro, e guastati e corsi i loro campi, ne assali la città da tre lati. Eravi un angolo di mino che guardava «ina parte della valle piana ed aperta più che altrove. Annibale giudicò bone di portare le vi- gne (i) di ricontro a quest'angolo, sotto le quali egli avrebbe potuto facilmente avvicinar l'ariete al muro. Ma siccome quel luogo lontano dal muro abbastan- za favorevole prestavasi ad allocarvi le macchine , cosi non riusciva egualmente comodo quando veni- vasi all'effetto, perchè una torre smisurata vi sopra- stava; e il muro, come in luogo sospetto, era stato munito più delle altre sommità; e perchè scella gio- ventù ivi resisteva con maggior forza dove mostra- vasi più mollo il pericolo e la fatica. Sul principio ■(f) Macchine niililaris •266 allontanavano i'ininaico con istrunaenli da lanciare, non parendo loro alcuna opera di difesa sicura ab- bastanza; nna poi non solo dalle mura e dalle torri saettavano coi dardi, ma aveano l'animo di uscire all'assalto contro le tende e le macchine dei nemici: nelle quali zuffe tumultuarie senza dubbio non ca- devano più sagunlini che cartaginesi. Ma come An- nibale poco accorto fattosi sotto alla muraglia fu gra- vemente ferito di saetta alla coscia e cadde, fu tanta la fuga e il triemito intorno a lui, che poco mancò che le macchine e le vigne non fossero ab- bandonate. Per questo in quei pochi giorni che cu- ravasi la ferita del generale, la cosa fu piuttosto un assedio, che un vero assalto: e se vi fu tregua di combattementi, non però si cessava dall'una parte a fare apparecchi di nuove macchine, e fortificazioni dall' altra. Per la qual cosa di poi la guerra si ri- prese più ferocemente, e da molte parti si cominciò a spingere innanzi le vigne, e ad avvicinar tanti arie- ti, che in alcuni luoghi appena eravì spazio da con- tenerli. L'esercito cartaginese abbondava per la mol- titudine, perchè si crede che avesse avuto cento cin- quanta mila uomini di arme. Con molli e vari ar- tifizi si cominciò a distrarre i cittadini, obbligali perciò a corere in varie parti per custodire e di- fendere la città, e non bastavano. Già gli arieti per- eot«vano i muri , già da molte parti si vedevano squassati, e da una specialmente che per lunga e continuata ruina avea denudato un intero fianco del- la città. Poco dopo tre torri, con quanto muro tra loro passava, caddero giù con grande fragore. Dalla quale ruina i cartaginesi presero speranza di tenere 267 già fra le maai la città ; e quasi che la muraglia fosse stata di riparo all' una parte e all' altra , cOs\ alla sua caduta da quella e da questa corsero alla pugna. Nella quale niente era simile a quelle pur gne tumultuarie, che sogliono attaccarsi nella espu- gnazione delle città, dandone una delle due parti l'occasione; ma le schiere ordinate come in aperto campo si stavano incontro tra le ruine del muro e le case della città poco distanti. Dall'una parte la speranza incitava gli animi, dall'altra la disperazio- ne; i cartaginesi credendo con poco altro di sforza presa la città; i saguntini opponendo i loro corpi dinanzi alla patria ornai spogliata di muro, e pau- rosi tutti di non lasciare aperta l'entrata al nemico, non uno ritiravasi d'un passo: tanto che dove com- baltevasi più ferocemente e stretto, ivi più erano i feriti, non cadendo mai invano alcun dardo fra i serrati corpi e le armi. I saguntini usavano la fa- larica, sorta d'arme che si lancia, di forma come un'asta lunga, in tutto rotonda; se n'eccettui l'estre- mità; donde usciva un ferro, che siccome nel nostro pilo era quadrato e legato all'asta con stoppa intrisa di pece: il ferro avea tre piedi di lunghezza da tra- passare un corpo da banda a banda con tutte le ar- mi; ma quando anche noi penetrava, solo appiccan- dosi allo scudo facea paura: perocché lanciato ac- ceso nel mezzo, adducendo le fiamme pel molo istes- so molto cresciute, costringeva i soldati a gettar via le armi, e così nudi li esponeva ai colpi del nemi- co. Stette lungo pezzo dubbioso il comballimento, poiché t sagunlieri crebbero di animo per essersi trovati forti oltre la speranza, e perché i cartagi- 268 nesi non vincendo si tenevano quasi vinti. Ma i ter- razzani d'improvviso levano un ^rido generale, e stringono gli assalitori su le mine del muro, donde impacciati e mal fermi li ributtano fuori: e ultima- mente sbaragliatili , lì cacciano in fuga sino alle tende. CAPITOLO TERZO Infanto fu annunziato essere venuti da Roma gli ambasciatori , incontro ai quali su la slessa mari- na Annibale deputò pei'sone che dicessero, né loro sicuramente potersi accostare fra tante armi di gente così fiera, né in quel trambu.sto ad Annibale rima- ner agio per ascoltarli. Vedeasi chiaro che non am- messi incontanente sarebbero iti a Cartagine, però con ogni prestezza spedi lettere e messaggi ai capi della fazione barcina , acciocché disponessero gli animi di loro parte contro ogni favore che l'oppo- sto partito potesse procacciare ai romani. Per la qual cosa sebbene gli ambasciatori fossero ammessi e ascollati, pure l'ambascerìa riuscì loro inutile. Il solo Annone, non ostante l'opposizione di tulio il senato, osò trattar la causa della rotta alleanza, con assenso degli uditori e silenzio di tulli per la sua autorità ch'era grande:» Per i numi arbitri e testimo- ni della pace, che io vi ammonii e predissi di non mandare all'esercito questa progenie di Amilcare , di cui né gli spirili né la stirpe staranno mai tran- quilli ; né la romana alleanza sarà quieta, finché sulla terra avanzerà in alcuno il sangue e il no- me dei barcini. E voi, quasi ponendo legna al fuo- co, mandaste all'esercito un giovane infiammato da 269 libidine di regno, e che a ciò non vede che una strada, di seminar guerre con guerre, e di vivere cinto di armi e tra le legioni: ecco l'incendio da voi alimentato che or vi abbrucia. Gli eserciti vo- stri stanno intorno a Sagunio, da cui dovneno te- nersi lungi pel trattato: tosto le romane legioni cir- conderanno Cartagine, guidate da quegli stessi nu- mi, che nella prima guerra (1) vendicarono la rotta alleanza. Non vi è noto forse il nemico? non vi conoscete ? ignorate qual sia la fortuna dei due po- poli ? L'ottimo vostro generale, contro ogni dritto delle genti, non ricevè nell'accampamento gli am- basciadori che gli alleati mandano, e vengono per gli alleali. Pure ccsloro rigettali di là donde nep- pure i messi dei nemici si allontanano, vengono a voi per chiedere cose secondo il trattalo; lungi ogni pubblica frode; chiedono l'autore della colpa e chi commise il delitlo. Procedono con mitezza e tardi cominciano ad operare: ma temo che se comince- ranno, non abbiano a insevire con maggior perse- veranza. Abbiate innanzi agli occhi le isole di Ega- ti (2) e la fortezza di Erice (3) ; che non soffriste per ventiquattro anni in terra e sul mare ? Né co- me ora un fanciullo comandava, ma lo stesso suo padre Amilcare, un altro Marte, come dicono co- storo (4). Né allora alcun trattalo ci vietava l'acce- dere ostilmente a Taranto, o per meglio dire all'Ita- lia, siccome ora a Sagunto. Quella volta vinsero i il) Punica. (2) Isole poste tra la Sicilia e l'Affrica. (3) Og(»i S. Giuliano. (^) I bai'cini. 270 numi e gli uomini; e sul dubbio, quale dei due po- poli avesse rotto la pace, l'esito della guerra, quasi (giudice imparziale, ne fé' certi, perchè die la vit- toria a quello da cui stava il diritto. Oimè, Anni- bale >avvicina le vigne e le torri alle mura di Car- tagine, già le percote e rompe con l'ariete: le mi- ne di Sagunto (sia bugiarda la mia profezia) cadran- no sui nostri capi; che la guerra intrapresa coi sa- guntini si dovrà finire coi romani! Darem dunque Annibale ? dirà taluno. So bene che la mia auto- rità per le inimicizie paterne è piccola contro di lui. E come mi rallegrai della morte di Amilcare, per- chè se fosse vivo già staremmo in guerra coi ro- mani; così ora odio e detesto questo giovine furia e face di questa guerra. E non solo penso che si dia ad espiazione della rotta alleanza, ma quando nessuno il chiedesse, che si gitli sopra ignote spiag- ge marine agli ultimi confini del mondo , donde nome di lui o fama più non ci giunga , né turbi il quieto vivere della città. E questo il mio voto; ohe si mandino subito ambasciatori a Roma , che dieno soddisfazione al senato ; altri che vadano a dire ad Annibale che ritiri l'esercito da Sagunto, e in forza del trattato lo conseguino ai romani. De- creto pure una terza ambasceria ai sagunlini per reétituire ad essi le cose loro. >» Annone avendo finito di parlare, non vi fu bi- sogno che altri gli contraddicesse: tanto era per An- nibale tutto il senato , che lo motteggiava di aver parlato più risentito lui che Fiacco Valerio amba- tciatore romano. Fu risposto ai legati: die la guer- ra era nata per cagione dei saguntini, non per An- 271 nibale; e il popolo romano sarebbe ingiusto se pre- ponesse i saguntini all'antìchissimn alleanza dei car- taginesi. M. A. D. L. V. Artieolo necrologico intorno al conte Giuseppe Ma- miani^ socio ordinario dell' accademia agraria di Pesaro^ del socio march. Francesco Baldassini. Signori ! (1) -Lia morte percuote con replicati colpi i membri della nostra accademia. Non ancora fatta tregua al duolo per la perdita di un dotto nostro collega e cittadino illustre, ecco che si schiude di nuovo la tomba per accogliere le spoglie mortali di altro fra* nostri colleghi rapito pressoché inopinatamente alla patria ed all'accademia, di cui era valente ed ope- roso collaboratore. Se il cominciare dello scorso anno fu infausto, poiché vide spegnersi una delle nostre glorie patrie il marchese Anlaldo Antaldi , non ne fu meno infausta la fine, mentre chiuse la sua mor- tale carriera altro collega distinto il conte Giuseppe Mamiani della Rovere, ed in una età assai vigorosa: in quell'età che, ricca già per le dovizie della men- te , più secura procede nella grand' opara di farsi (1) Questo articolo fu latto in sulle prime del 1848 poco dopo seguita le morte dell'illustre socio, cioè nel dicembre 1847, onde essere letto alla prima adunanza delTaccademia, la qiiale poi non ebbe luogo. 272 giovevole agli uomini (1)» Pubblica e vera calamità dovrà dunque chiamarsi quella, che priva la patria di coloro che formar ne dovevano l'onore ed il so- stegno. Triste e penosa considerazione ella è que- sta, non v'ha dubbio, o signori, ma assai più dura ed opprimente sarebbe, se a rattemprarne il giusto lamento mancar ne dovesse ben anche la dolce spe- ranza di vederne restaurate le perdite. Lungi però da noi 1' idea di tanta sciagura. La vista delle im- magini famose de' nostri maggiori come non potran- no a meno d'infiammarci ad emularli, così ne fanno certi, che le patrie speranze volgeranno ognora ad un più fortunato avvenii'e. Il conte Giuseppe Mamiani della Rovere cessò di vivere nel giorno 21 dello scorso dicembre nella ancor fresca età di anni cinquanlaquattro. E quegli stesso che con applaudita orazione rese all' Antatdi il pietoso ollìcio di celebrarne le virtù, quegli sles- so ha ora riscosso un simigliante tributo da altro va- lente nostro collega , la cui orazione fé conoscere partitamente chi si fosse stato l'uomo, che era l'og- getto delle più meritate sue lodi. Nacque il nostro socio nella illustre terra di s. Angelo poco lungi da Pesaro, feudo che i valo- rosi e fedeli suoi antenati avevano saputo meritare dalla munificenza dei signori della Rovere antichi duchi di Urbino. Dotato di non comune ingegno, ed avido di sapere, si pose a coltivare le matema- tiche pure ed applicate, Delle quali si distinse co- (1) Il iharcbe»e Antaldo Antaltli morì ai 16 gennaio 1847, ed il conle Giuseppe Mamiani morì ai 21 di dicembre dell'anno Messo. 273 lanlo , (la poter meritare gli elonji di quel sommo di cui si onora Pllalia, vale a dire del Brunacci i- speltore della pubblica istruzione del cessato regno d'Italia, che in allora visitava le scuole del regno. Quindi in lui si accrebbe I' ardore nel coltivarle , rettamente avvisando quanto di giovamento ritrar ne dovesse la mente per la chiarezza e per l'ordine nella esposizione delle proprie idee. Forse anco si rese certo che dalle matematiclie discipline il coi'po sociale trarre doveva il fondamento della sua pro- sperità nella pace, ed un valido soccorso nella di- fesa contro i suoi nemici. Coltivò con pari ardore le scienze naturali, fra le quali la fìsica, e rivolse in ispecial modo le osservazioni alla meteorologia, essendosi procurato a tale oggetto più necessari istru- menti, le opere più accreditate, ed i giornali, onde mantenersi al corrente degli avanzamenti delle scien- ze da lui coltivale. Amò di applicarsi alla minera- logia, pei- cui fece tesoro di oggetti per lui stesso raccolti nel vari culli della nostra provincia. Flutti delle sue applicazioni furono diversi opuscoli che su queste scienze sparsi si trovano in diverse opere scientifiche, e che quindi raccolti da lui stesso fu- rono non ha molto pubblicati in un volume. Primi fra questi lavori sono gli elogi dei tre celebii matema- tici di questa provincia, cioè di Guido Ubaldodel Mon- te pesarese, di Fedeiico Comandino di Urbino e di Giulio Fagiiani di Senigallia. Nel primo si rese spe- cialmente benemerito della scienza, mentre ebbe agio di potere far conoscere due opuscoli inediti , e a quel che pare autografi del Guido Ubaldo del Monte. li' uno contenente un Commentario al quinto libro G..\.T.C\XV. 18 274 di Euclide: l'altro Sulla proporzione composta^ e che stavauo igaoratt fra i libri degli eredi Giordani, ora esistenti nella pubblica biblioteca oliveriana. E tanto maggiore si è il pregio di chi ne fece nota l' esi- stenza , in quanto che ne il diligente storico delle matematiche Montucla, né il Tiraboschi, né il San- tini, né il Bossutnel suo saggio sulla storia generale delle matematiche, non ne fanno alcuna menzione. Scrisse quindi la biografia di tre illustri con- cittadin i, cioè dell' Olivieri, di Giambattista Passeri e del Merloni stato già suo maestro, dettati da quella patria carità che lo animava. E a vero dire giusta- mente scelse que' tre sommi nostri concittadini ad onorarne la memoria, onde nell' animo de' posteri non venisse meno giammai quanto di bene operas- sero a prò della patria, di cui furono zelanti e ge- nerosi benefattori. Che se il dono di una ricca bi- blioteca e di musei furono fra i beneficii dei due primi, non fu di un pregio minore il beneficio del- l'ultimo, il quale per l'angustia di sue fortune non potè che don are tutto se stesso, adoperando gli estesi suoi lumi alla istruzione de' suoi cittadini. Possa l'esempio del nostro socio rinvenire imitatori fra co- loro almeno, i quali caldi ancora si serbano al ve- ro onore, ed ^alla reale utililà della patria, non che alla riconoscenza per le virtù cittadine che furono tanto in amore de'trapassati ! E questa carità di pa- tria fu quella che lo accese e lo spinse ad adden- trarsi nelle scienze economiche, onde applicare pos- sibilmente fra noi ciò che poteva rendere più agiata la classe più laboriosa del popolo, introdurre nuove sorgenti di ricchezze, e minorare i danni che ar- ^21È reca l'avidilà di coloro, ai quali troppo sovente fa ricorso l'indigenza , o la triste sorte di quelli che astretti si veggono alle più dure necessità. Ed infatti le scienze econonr}iche non fanno che insegnare à trai" profitto dalle materie prime che ci fornisce la terra col mezzo dell'agricoltura. E a che si ridur- rebbe la ricchezza pubblica se non ne trasformas- sero i prodotto, ed il commercio non ne trasportas- se il sovrabbondante, e in tal modo ne accrescesse il valore e desse nuova vita a produrre ulterior- mente ? Sono esse di alimento all'agricoltura, poi- ché senza il soccorso di quelle rimarrebbero senza essere compensate le cure del possessore terriero e i sudori sparsi dall'opeioso coltivatore. Queste scien- ze insieme collegate prestandosi un mutuo soccor- so, sono la sorgente della ricchezza della nazione. Con tali vedute procedeva il nostro socio nelle sue ricerche (ilanti-opiche a prò della patria, onde eccitare a migliorarne la condizione. Poiché se nel- r agricoltura vedeva il fondamento assoluto della ricchezza, e nelle scienze naturali vedeva il mezzo più sicuro di farla progredire, nelle scienze econo- miche scorgeva la via immancabile d'incorraggiarne la produzione, e di volgerla sempre ad uno scopo profittevole. Scrisse quindi sulla filandra a vapore eretta in Fossombrone, poco discosto da noi, dalla casa du- cale di Leucthemberg, encomiandone lo stabilimento ed il meccanismo. E qui mi giova notare come il nostro autore in quell* opuscolo tragga argomento di encomiare la filantropia di quella casa ducale per non avere esleso a tutta la filanda l'azione del 276 vapore, onde, com'esso osserva, non privare dei mezzi di sussistenza tanli infelici che ne la ritraevano con l'opera delle loro mani. Sembra che con ciò volesse accennare a quella impoitante questione economi- ca, che da lungo tempo si agita, e non per anche decisa, cioè sulla utile influenza delle macchine al bene della società in riguardo all'economico, al mo- rale, ed al politico. La questione non è così facile a risolversi come a prima giunta potrebbe supporsi. Portando le più scrupolose indagini sui tre accen- nati articoli , e dall'esame imparziale dei fatti, di quelli specialmente pe' quali si è vista la società agi- lata da scosse tremende che ne minacciano la dis- soluzione, si scorge quanìo sia urgente che le mas- sime economiche siano in accordo peifetto coi prin- cipi! morali, che formar ne debbono la solida base, onde dall' esame attento di essi antivederne possi- bilmente i disastrosi effetti che ne possono derivare. Perciò l'economia politica potrà formare un criterio sicuro per rendere nianifesta la verità ; come pure se siasi raggiunto lo scopo che si erano prefissi ta- luni fra gli economisti , cioè il ben essere di tutti senza ledere i diritti di alcuno. Scrisse pure sulle casse di risparmio, alla cui istituzione cotanto si ado- però nel nostro paese eon esito felice, cuiando ad un tempo col mezzo di alcuni suoi scritti dissipare que' dubbi contio la loro benefica influenza, che la ignoranza e la maligna loquacità non si ristava dal difìbndere in ogni classe, ma specialmente in quelle alle quali più particolarmente volgevasi il benefi- cio. Scrisse ancora sul foro annonario non ha molto eretto nella città di Senigallia , corredando il suo 277 scritto con una tavola in rame presentante quel celebrato edificio. Con la \eclula a sé presente eli migliorare la condizione economica dei popoli della nostra provincia vide come fosse a dovizia fornita di uve eccellenti, e quanto scarsa ne fosse la ric- chezza de' privati pioprielari ben poco rispondente alla ubertosità della sua produzione. Ne rinvenne la cagione nella erronea manifattura dei vini : quindi ne indica i mezzi di migliorarla, onde col renderli navigabili (cosa sin qui tentata invano) aprile una nuova soi'genle al nostro non molto ricco cornuier- cio. Scrisse inoltre sulla necessità di formare un co- dice di leggi agrarie, e di creare un tribunale che in via economica vegliasse alla loro esecuzione, di- mostrando l'insufficenza e la imperfezione di quelle ora vigenti, avuto anclie riguardo alla maggiore spe- ditezza nei giudizi. Ed a questa speditezza nei giu- dizi, ed anzi alla maggiore prosperità dell'agricol- tura, il nostro socio intendeva di provvedere allor- ché propose la compilazione di un codice agrario adatto ai bisogni presenti di essa , e la istituzione di un apposito tribunale formato da alcuni membri della nostra accademia che vegliasse alla più pronta sua esecuzione E col dare l'estratto del codice di Sammarino panni che siasi prefisso lo scopo di ec- citare a seguirne l'esempio. Ma non bastavano a lui le scienze economiche ed agrarie : che anche nelle scienze naturali volle far tesoro di cognizioni, in quelle scienze che sa- ranno sempre conosciute per le ausiliarie, od anzi una solida base dell'agricoltura, mentre formano la teoria di essa, ovvero la guida più sicura per voi- 2T8 gere le operazioni campestri ad un crescente profìtlo. Si vogliono perfeziopamenti , e se ne chiedono i mezzi all'empirismo; si sprezza la teorica come va- naj e che altro è la teorica se non la ragione delle- cose ? Perciò disprezzando la teorica si disprezza la ragione slessa, e si preferisce l'opera del caso. Pure non sono opera del caso, ma bensì delle scienze na- turali quei tanti prodigi operati dalle arti a prò della società, e tanti beni che l'uomo fruisce senza cono- scere la derivazione. Animato come era per la ri- cerca del vero volle in quelle scienze vieppiù ad- destrarsi onde farne ammirare le bellezze attraenti, e rendere manifeste le utili applicazioni che ne pos- sono risultare. Primo frutto de' suoi studi fu l'avere rinvenuto il solfato di sùrontiana in ima collina poco lungi da Senigallia, che descrisse in una breve me- moria inserita nel giornale che in allora pubblica- vasi in Pavia dal professore Luigi Brugnatelli, Alle dotte e diligenti ricerche di quel grande onore del- l'Italia, del celebre Brocchi, non era riuscito di po- ter rinvenire fra le conchiglie fossili, che ricercava, esemplare alcuno deWArca Glìcimeris di Linneo [Pe- clvnculus Glicijineris di Lamark). Quindi nella clas- sica sua opera, che ha per titolo la Conchìgliologia fos- sile suhappennina^ eccita i naturai isii a farne ricer- ca. Il nostro collega ebbe agio di compiere il voto di quel grande uomo, e così riempire una lacuna che vi esisteva. Agitavasi in quel tempo la controversia fra som- naturalisti intorno all' aniinak dell' argonauta., cioè se questo fosse il vero costruttore della conchiglia, nella quale rinvenivasi costantemente , ovvero ne 279 fosse un mero parasito. Il nostro socio in una sua lettera inserita nel giornale suddetto afFerma di ave- re esaminate le uova rinvenute nella slessa conchi- glia , e di avere in esse osservato il piccolo ani- male già munito di un rudimento della sua con- chiglia. Con ciò contribuì ad accrescere la massa del- le osservazioni in favore di esserne l'animale il vero costruttore, come il Poli ed il Cuvier avevano di- mostrato. Non mancavano però gravi oppositori ai due anatomici sommi indicati, fra i quali il Blain- vdle e sir Everard Home, i quali sostenevano vali- damente il parassitismo dell'animale, e ad onta che Illustri naturalisti avessero confermata l'osservazione del Poli e del Cuvier , fra i quali M. Power che afferma di averne seguito lo sviluppo incominciando dailuovo smo al suo stalo perfetto, nondimeno la questione rrniane ancora indecisa. L' importanza di essa, la delicatezza delle osservazioni, e specialmen- te il valore e la celebrità de' contendenti, non lo rattennero dall'addentrarvisi e di prendere una qual- die parte in una controversia fra tanti sapienti, coi quali sarebbe gloria somma anche il rimanere soc- combente. Scrisse pure sei lettere al celebre Arapo sopra alcun, fenomeni atmosferici. Pubblicò quindi nel giornale. // progresso alcune note sepia alcuni c.otto!. prMTutivi rinvenuti nelle colline terziarie di lesaro, dandone un esteso catalogo delle specie di- verse d, essi ciottoli. Ma non fu pago il nostro so. cio d. avere rinvenute queste rocce primitive in un terreno terziario, che volle tentare puranco di rin- tracciare possibilmente la eausa di un tale fenome- no ; e ciò fece col suo scritto che porta per titolo- 280 Di mi singolare terreno di trasporlo nella collina di Tomba di Pesaro. Sottoposta a scrutinio le opi- nioni che su ciò avevano emesso alcuni «jeolo^i nao- (Jerni, non senza far conoscere le osservazioni fatte un tempo dal celebre nostro Passeri , si appi[jliò a quanto disse in proposito Marcel de Serres, il quale opina <( che questi deposili terziari siano slati pre- (i cipitati nel seno dell'antico mare nella guisa stessa « che i nostri fiumi attuali trascinano il tributo delle i< loro acque nell'oceano e nei mari interni, ove ne- « cessariamenle alternano e si frammischiano più o « meno col fango con i prodotti marini ». Continuando nel suo proposilo d'illustrare al- cune parti del suolo [)esarese, ora viene a darvi com- pimento, e ciò fece cor! uno scritto avente per ti tolo : - Vedute generali sul distretto pesarese : - con- fermando in tal guisa le osservazioni tutte che ave- va fatte il Passeri, e che il nostro socio afferma es- sersi tuttora avverate. Se col dare ed illustrare la geognosia del pa- trio suolo provvide, jier quanta era in esso, alla glo- ria scientifica de! suo paese, e se con la traduzione arricchita di alcune sue note del manuale di fisica di Bailly provvide alla istruzione elementare della gioventù; non fu meno caldo di amjre per la sua prosperità, e nel mostrarsi acceso di zelo per tutto che valesse a condurla fra noi. Infatti per riguardo all'istruzione esso considerava, che non ad altro fine assoggettarono i cittadini al savio reggiinento ed alla protezione delle leggi la libertà , le forze , 1' indu- stria, e il prezioso deposito dei talenti e dei beni , se non che per divenire più sicuri e più felici. Per- 281 ciò le cure più in'eressanli esser tlcjTfjiono rivolte a renderli felici utili e viituosi. La {gioventù esser de- ve un oggeUo priujai'io delle cure di un aiaeslralo, formando il nerbo e le speranze tutte della patria. I {jreci coltivarono i giovani colle lettere, i persiani li formavano coi loro costumi. Non isfuggiva alle sagge vedute del nostro socÌ'j, che negli anni verdi col magistero delle arti e delle .scienze si vuole educare l'intellelto, ma insieme migliorare l'uomo colla virtù e colla religione. Cosi (|ue' sonuiìi sa- pienti Paolo Emilio, Catone , Tullio costumarono i loro figliuoli, cosi Aristotile addottrinò il suo disce- polo Alessandro. Cosi felicemente si formano a van- taggio della nazione i maestrati, i guerrieri, i filo- sofi, gli oratori, i negozianti leali, gli artieri indu- stri, i padri di famiglia, i cittadini virtuosi. Queste sublimi verità, che si vorrebbero scolpile nell'animo di coloro, die nell'ilolismo e nell'ignoranza dei cit- tadini, non che nel dileggio delle gesti gloriose dei padri nostri, nel vile mercato , e fors' anclie nella vandalica distinzione di que' tesori, monumenti pe- renni dell'arte, e della sapienza antica , fondano le loro inette cure pei" una sognata prosperità; queste verità, io diceva, cra.i quelle che lo infiammavano, e lo rendevano giustamente sdegnoso verso coloi'o, pe' quali sembra gloria unica il calpestarle. Che se non giunse a riportarne un completo trionfo , ciò non può ascriversi a sua colpa, ma bensì a quella di un secolo mercantile, che misura il pregio della intelligenza e delle azioni virtuose, non che l'onoie della patria , sidla bilancia dell'oro e del proprio tornaconto. Non j)erciò inliepidi lo zelo operoso del 282 nostro collega pel pubblico bene, E ben lo videro alcuni stabilimenti di pubblica beneficenza, nei quali sedè come uno de^jli amministratori, e corno si ado- perasse nel promuovere lutto ciò , che contribuir poteva al miglior essere ed al buon andamento di essi. La pubblica biblioteca oliveriana , non che l'ospedale degli infermi, ed il conservatorio delle or- fane, ponno far fede dello zelo indefesso per ren- dere sempre più lieta la loro condizione. Né il pa- trio ginnasio passò da lui inosservato. Mentre nulla omise onde procurare che l' istruzione de' cittadi- ni avesse quel più regolare andamento, e più ac- concia si fosse allo sviluppo intellettuale del popolo, pili conforme al bisogni del tempo ed al progresso della civiltà. E di questa carità di patria, che sempre lo ac- cese vivente, volle darne un pegno ulteriore negli ultimi istanti della sua vita. Poiché prescrisse che a spese del suo erede fosse decorato di analogo pro- spetto il tempio comunale , che la pietà cittadina eresse un tempo onde implorare dal Reggitore su- premo che costante si fosse la stirpe dei Rovereschi .signori. Lo vedemmo noi stessi, o signori, come ze- lasse con attività instancabile il bene della nostra società . e come sovente facesse udire la sua voce nelle, ordinarie nostre adunanze, e coll'eccitare l'isti- tuzione di una scuola di rgricoltura teoricopratica, e per quella di un lenimento normale. Né gli man- cò la fiducia del governo e de' suoi rappresentanti. Poiché se in Senigallia gli fu da quell' ottimo ve- scovo affidata una parte dell' insegnamento in quel suo seminario , gli fu altresì dal sovrano in allora b 283 regnante aflidato il geloso e delicato officio di ve- gliare alla tutela della vita e delle sostanze de' cit- tadini. Né omise di coltivare le amene lettere , che ebbe in amoie e coltivò con qualche successo. Pro- va ne fanno varie sue poesie fatte in in occasioni oc- corsegli, e una tragedia che rimane tuttora inedita. Tale fu il cittadino che perdemmo, 1' assiduo collaboratore de' nostri studi , lo zelante promotore di tutto ciò che reputava onorevole ed utile all'in- cremento della nostra società, al bene intellettuale,^ ed al decoro della patria. E al certo rettamente av- visava fondando negli studi il più valido sostegno e le speranze tulle della nazione. Mentre l'ignoranza è stata ognora la sorgente delle calamità de' popoli, la cagione primaria della caduta degl'imperi. JNè valgono a pre- servarli dalla loro rovina tutte le forze materiali riu- nite, quando le forze della mente inette si trovino a farsene le reggitrici. Tali furono i pensamenti, dai quali mostrossi animato l' estinto collega, e pei quali si die a tutt'uomo ad adoperare l'ingegno on- de contribuire per quanto era in lui alla gloria della patria comune. La virtù e la sapienza de' nostri mag- giori fu qnella soltanto che li rese un tempo po- tenti e rispettati, e quindi insieme li fece primeg- giare sulle estere nazioni. Dalla virtù loro e dalla loro sapienza ebbero origine quegl' immensi pro- dotti dell'industria, la floridezza del commercio, la potenza nelle armi. Di tanto momento sono gli stu- di, e tanta è la loro influenza sulle condizioni de' popoli I « Ed infatti quale più invidiabile predomi- 284 « Ilio, e quale più glorioso e civile di quello che « sorge e si e frdina nella potenza dell'intolletlo ! » Se nello zelo operoso dello spento collega vi accenai di avere esso seguite le orme segnate da' nostri maggiori, (juel sapiente dettato valga a ren- derne generale e compililo il convincimento. Poi- ché il tìne delle scienze e delle lettere essendo quello di migliorare la condizione dell'uomo, e se l'igno- ranza de' popoli, al dire del Genovesi, è un grande ostacolo alio sviluppo delle virtù morali e mecca- niche, o come vuole il Beccai'ia, è causa morale di spopolazione„ da esse soltanto ritrarre si possono i mezzi per conseguire la vera e costante prosperità dello nazioni. Salire di D. G. Giovenale Iradolle da Zefin'no He eesenaìc^ cui lesto e con noie. 8. Padova presso F. A. Sicca e figlio 1840. (Tomi due., il primo di pa(j. 432, il secondo di pag. 387). ilei volume CX\11I di questo giornale si è fatta da noi parola del volgarizzamento di Giovenale da- toci dai celehrc marchese di Montrone: e per saggio n'abbiamo recata la satira Ylll. Essendoci ora capi- tato alle mani que.l'altro volgarizzamento, parimente in terza rima, di un vivente letteiato di bella fatua, godiamo di qui annunciarlo,, riparando alla dimenti- canza in che fu jjoslo nelle ultime tristi vicende dello slato e delle lettere : e ne diamo altresì per saggio la medesima satira Vili , alfinchè possano i nostri 285 lettori fare da se slessi comparazione fra questi due ultimi volgarizzamenti dell'acre satirico di Volterra. SATIRA Vili. Pontico, a che gli stemmi ? onor che vale Di nobil sangue in lunga età (illrato, E i pinti avi additai- nell'ampie sale, E gli Emiliani in cocchio, e un smozzicato Curio, e Corvin senz'omeri, e il pugnace Galba di orecchie e insin di naso orbalo? Che frutta l'oslenlar (vanto fallace) Di mastri cavalieri illustre razza Col dittatore in tavola capace. Se turpe mandra epicurea gavazza De'Le|)idi al cospetto? a che di tarili Duci rimmagu u'ai dadi si biscazza Le nileie nolli ai Numanlini innanti, E assonni ai primi albori, allor che i prudi Movean le insegne e l'armi trionfatili ? Nato in erculei lari, il titol frodi Di allobrogo famoso, e immeritato L'onor della grand'ara, o Fabio, godi, Tu ch'avido e leggici', molle e sguaiato Più d'un'euganea, il pel con catanese Pomice sbarbi al fianco delicato ? Vergognan gli avi, o mercator palese Di toschij e il busto tuo, da infranger degno, Fra genti osi locar d'orroi- comprese ? Abbelli gli alrii pur superbo ingegno Con sculte cere degl'anlichi eroi ; Solo è virtude a nobiltà sostegno. 286 Un Paolo, un Cosso, un Druso imita, e poi Preponi a quelle effigie i bei coslumi, E consol li preponi ai fasci tuoi. Pria le doti dell'alma io chieggo : i numi Temi tu pio ? del giusto incontro al vizio Co' detti e l'opra la difesa assumi ? Ecco il vero ravviso in te patrizio : Salve, prode, o Getulico o Silano, 0 da qualunque razza avesti inizio ; E salve, o egregio cittadin romano, Cui patria plaude, griderò, qual grida Se trovi Osiri il popolo egiziano. Chi nobile dirà colui che annida Infami voglie in petto, e di morata ? Sua stirpe indegno, a un nome sol si affida ? Così a nano talor di forma ingrata Suol dirsi Atlante, e cigno a etiope adusto ; Europa a putta piccola e sciancata ; E cane vii di vecchia scabbia onusto, Uso a lambir lucerne ed infingardo, Ha nome di animai fiero e robusto : Nome di tigre, di lion, di pardo, Oppur, se v'ha, d'altro bestion che frema In selva più feroce e più gagliaido. Di tal scherno all'orror tu dunque trema; Te in guisa cosi ria esser nomato Cretico o Camerin punga la tema. E a chi favello ? E a te mio strai scoccato, Rubellio Plauto, a cui l'altera schiatta De' Drusi tuoi gonfiò il cervel sventato. Come se per insigne impresa fatta Te nobil concepir dovesse eletta Ovaia dalla stirpe augusta tratta, 287 E non già quella di pitocca abietta, Che tesse al vento e al sol tetto le mura, E dall'altrui mercede il tozzo aspetta. — 0 meschinelli voi^ porzione impura^ 10 ti ascolto esclamar, di vii gentaccia. Cui Vorigiii del padre é al tulio oscura ! Io cecropide son. — Buon prò ti faccia; A lungo godi del preclaro onore, Ed il fango da te del volgo scaccia. Ma dove troverai sommo oratore, Che un nobil ciuco pari tuo difenda, Se da togata plebe il cerchi fuore ? Dove colui che a sciorre i nodi imprenda De' cittadini dritti, e insiem d'Astrea A interpretar il gran volume intenda ? Dalla plebe, che sprezzi, or or sorgea 11 giovane guerrier, che su l'Eufrate L'oste nemica a debellar movea: E quei, pel cui valore alle domate Batave altere genti ardito il volo Drizzar di Roma l'aquile onorate: E tu, ozioso fra patrizio stuolo, Non altro che cecropide tu sei, Simile a un tronco d'Erma infisso al suolo; In ciò soltanto non simil direi, Che quella è sasso, e la tua immago è in vita; E di tal vita in forse anco sarei. 0 rampollo troian, belva mi addita Di nobil fama, e non sia forte; e quale Lodiam destrier, se non d'indole ardita, Che ferve e sbulì'a; e, vinto ogni rivale, Di rauco circo al plauso romoroso Corre alla mela, e par che impenni Tale ? 288 Questo è il cavallo illiisde e p,eneroso, Da quale pasco venga, ci che primiei'o La polve innanzi a tutti erge animoso. Ma di Coiita e Irpin ronzone altero, Che dalla razza sua traligna, inetto A, coglier palme in agonal sentiero, A vii mercato di padron più abietto Passa in lurida stalla, ed è negato All'ombra de'suoi avi alcun rispetti»; Ed a tirar col collo scoiticato Le pesanti carrette, e alfin la m;)la A volger di Nipote è condannato. Tu dunque intendi a sì verace scola Ad opre che ammirar faccian te stesso. Non la virtude in te degli avi sola; Lascia alcim (itol tuo ue'marmi impresso. Ove al tuo nome, oltre gli aviti fasti, Cui lutto or devi, oiior sia pur concesso. A le, o insensato fanciullo:!, ciò basti. Che tutto gonfio e trionfìo, esser parente (Fama cel nana) di Neron vantasti. Oh quanto in tal fortuna ed in tal gente Raro è il senso comun ! Pontico, ascolta, Ed i consigli miei li fìssa in mente. L'altrui stima a ottener non sia rivolta Per lustro avito sol tutta tua brama, E a te per nulla oprar lode sia tolta. Misero chi si afìlda all'altrui fama ! Cade, se logli le colonne, un tetto; Gli olmi postrata vite indarno brama. Prode soldato sii, tutor perfetto, Incorrutibil arbitro, e laudato Cultor del giusto, estimalor del retto; 289 In dubbio fatto testiraon chiamato, Mai non tradire il reo, minacci ancora Falaride col toro arroventato. Vita anteporre a onor delitto fora, Perdendo il sommo bene ed il conforto Che sol la vita abbella ed avvalora. Bene a ragion uom senza onore è morto, Inghiotta ancor di Gauro ostriche cento, E sia di Cosmo ne'profumi assorto. E quando fia ohe al grave reggimento Tu sii preposto di provincia alcuna,, . , Tanto da te desiderato evento, .(inK iinsf» i(T Pon freno all'ire, in cor tue forze aduna Contro le avare voglie, e dei soggetti Desti pietade in te la ria fortuna. Vedi de'regi al nostro giogo astretti b ibaiup 'd Già smidollate l'ossa, e tìdo osserva ''"' Le leggi, e del senato indi i precelti; Pensa al premio che ai buoni 'I ciel riserva, E al fulmin che piombò su la cervice Di Capitone e di Tutor proterva. Del senato colpia giustizia ultrice Que'pirati de'cilici pirati, Avvezzi ad ispolpar gente infelice; Ma a che condanna tal, se gli spietati Di Pausa artigli sgraffignar ben sanno Ciò che di Natta pria sfuggi agli agguati ? Taci, o Cherippo: se i tuoi cenci stanno In mano al banditor, fora pazzia Perdere il nolo ancor, per giunta al danno; Non già lamento un dì pari si udia, ^ Né tanto acerbe eran le piaghe, allora Che un popol, vinto appena, ancor fìoria. GA.T.CXXV. 19 290 Copia di tutto in casa: e gravi ancora V'eran di nummi l'arche, e pregiate Vesti che Sparta e Coo d'ostro colora; E statue di Mirone, ed ammirate Tavole di Parrasio, e le scolpite Da Fidia in bianco avorio opre animate; Ed altre molte dalla mano uscite Di Policleto: né fallia vivace Mentorea tazza in più mense imbandite. Dolabella ed Antonio, indi il rapace Verre in navi traean le occulte spoglie Di genti amiche trionfate in pace. Tugurio abietto or pochi bovi accoglie. Poche cavalle, e logoro stallone; E, tolto il campicel, tutto si toglie: E quindi della povera magione Persino i lari: e se idoletto è ascoso Pregio abbia alcun, questo a rapirlo è sprone. Reliquie son di popol valoroso Poche, ma care; e se di più non resta. Iattura è somma e spoglio doloroso. Forse a tenerla a vii ragion ti appresta L'imbelle Rodi, e ancor la profumata Molle Corinto, che timor non desta. E che temer di gioventù snervata, D'ambo le gambe con resina avvezza Tutta a spelar la cute delicata ? Cauto perù l'orrida Spagna apprezza, Paventa ancora il gallo auriga, e guarda A non sdegnar l'illirica fierezza; I mietitori d'Affrica, gagliarda Gente che nutre Roma, a circo e a scene Soha/ito intesa, con pietà riguarda : i 29! Poi quale avresti dal predar tu spene. Se Mario affatto denudò lo smunto Abitator delle affrieane arene ? Non oltraggiar color, cui va congiunto A miseria valor: ad essi quando Tutto a toglier l'argento e l'or se' giunto, Guai se rimane ai disperati un brando, Uno strale, uno scudo ed un cimiero ! Loro estremo furor fia memorando. Non è opinion, non è vano pensiero, Pontico, questo mio: prestami fede; Della sibilla annunzio il santo vero. Se integra è la tua corte, e un Ganimede Non fa mercato di giustizia, e ria Moglie a render ragion teco non siede; Se non prepara a'furti suoi la via, Teco scorrendo a rastrellar danaro Per terre e borghi una grifagna arpia: Discendi pur da Pico, e se più chiaro Nome si alletta, dai Titani il prendi. Che un dì animosi al ciel guerra intimare ; Sino a Promoteo pur tua razza estendi, E in qualunque tu vuoi cronaca antica A frugar tuo primier stipite intendi. Ma se ti accieca orgoglio, ed impudica Voglia t'insozza, e il tuo litior le dure Verghe nel sangue del meschin fatica; Se ottusa rimirar godi la scure Per spessi colpi, allor sorger vedrai Con face a disvelar le tue lordure La prisca nobiltà, di cui tu fai Superba pompa: in uom, più ch'alto sale, Appare il vizio più deforme assai. 292 — Nobil li vanti, o falsator sleale Di testamenti, sin nel tempio avito Del padre in faccia al marmo trionfale ? Nobil ti vanti, o bagascion marcito, Che ti aggiri in santonico pastrano Tutta notte a scornar più d'un marito ? — Volante carro, ei console romano, Oltre l'ossa e le ceneri degli avi Guida da pazzo il pingue Laterano: La man, cui Roma affida imprese gravi. Una imprigiona delle lievi rote, Perchè troppo al declivio in giù non gravi. E notte si: ma Cinzia vede, e immote Dal ciel le luci in lui tiene ogni stella, E il raggio lor tanta follia percuote. Deposto poi l'onor, di che si abbella. Prende la sferza in man per bizzarria, E si scapriccia a chiaro dì con quella: Né tema il punge d'incontrar per via Vecchio assennalo amico; anzi scherzevole Dà con frusta il saluto ad esso pria. Reduce a casa poi, copia abbondevole Agli stanchi puledri ei porger suole Di fieno e pingue biada sostanzievole; E se di Giove all'ara avvien che immole Lanute e grasse agnelle e un toro bianco, Lo credi un Numa agli atti e alle parole: Ma solo giura per Ippoua, ed anco Di quei che in greppie ed in muro merdoso Numi son pinti pel fetente branco; E quando il ruzzo del cervel ventoso In bettole a vegliar di nuovo il porla, Sirofenice a lui corre festoso. 293 Ei che dimora alla giudaica porta, Tutto sparso d'amorao, all'avventore Furbo blandisce con maniera accorta, E suo rege lo chiama e suo signore, Mentre Ciane con succinta vesta Gli oflfre in fiasco venale il vin migliore. — De'birbi insorge l'avvocato: e, Queste, Dice , noi femmo pur giovani un giorno Matte baldorie di fumose teste. — Sia pur : ma tu però festi ritorno Nel buon sentiero : almen l'error sia breve : Col primo pel si sbarbi e vizio e scorno. Scusa un garzon : ma Laterano beve Vin delle terme in pinte tende, e freno Non ha dagli anni, e in cui far senno ei deve Egli maturo a debellar l'armeno. Atto a guardar con marzial fatica I fiumi della Siria, e 1' Istro e il Reno : Questa appunto è l'età di pugne amica, Età che far securo anche Nerone Potria da bellicosa oste nemica. — Manda, o Cesare, a nobile tenzone, Manda in Ostia alle navi i tuoi guerrieri ; Ma dove il lor trovar prode campione? Lo troverai con sgherri e masnadieri. Con forusciti in bettola racchiuso. Con marinai, con ladri e barattieri ; Col boia e il beccamorto insiem confuso, E col gallo che, i timpani deposti, Stanco sen giace con la pancia insuso. Qui è vera libertà : confusi i posti De' letti insiem, si trinca a un sol bicchiere, Né punto i deschi son fra lor discosti. 294 — Politico, un servo di si ree maniere A un tosco ergastol tu noi manderesti, 0 a trar di vanga nel lucan podere ? Fra voi, sangue troian, ludi son questi : E ciò che ai Bruti e ai Volesi par bello, Siete in cialtron meschino a punir presti. Di trivio esempli degni e di bordello Sozzi finor narrai ; ma ne rimane Ben altro ancor più vergognoso e fello. — Ogni tuo aver consunto in spese vane, Te, o Damasippo, alfin nobil fastoso Trassero in palco vii le voglie strane : Per declamar lo spettro clamoroso Di Gatulo se' giunto or di tua voce A patteggiar TalFetto obbrobrioso. Ivi poc' anzi Lentulo veloce Rifar con pazza maestria fu visto Di Laureolo il salto in su la croce. Degno di vera croce era quel tristo ! E a tal ti assidi, o popolo sfrontato. Spettacolo di beJBTe a infamia misto ? Puoi sostener Ponor vituperato De'tuoi patrizi, e sghignazzar, mirando Scalzo un Fabio e un Mamerco schiaffeggiato! A qual prezzo saper che importa, quando Al sublime pretor vendon lor vita Senza che di un Neron stringa il comando ? Ma fingi essere astretto ad abborrita Scelta: che meglio? Il palco oppiir l'arena. Che a te una voce minacciosa addita ì Sì temi morte a preferii» la pena Di compagno soffrir Latin cornuto. Od un Corito scemo m su la scena ì 295 Pur di tal scorno il tempo ecco venuto; E non è da stupir che il nobil sia, Se citaredo è il prence, un zanni arguto. Quindi tutto fra noi spettacol fia: Vedi di Roma la vergogna , un Gracco Esempio di viltade e di follia, Nell'infiammato agon pugnar da fiacco, E scudo e falce ed ogni poderosa Arma di mirmillon sdegnar vigliacco; Né in elmo alcun la turpe faccia ascosa,. Squassa il forcone, e invano la pendente Rete egli lancia con la man ritrosa. A tutte gambe poi fugge repente; Ma nel fuggire il volto aderge, ed ama Farsi palese alla stupita gente È Gracco^ è Gracco ! allora ognuno esclama: E tunica con nappa aurea che pende , E avvolge il pileo suo, per tal lo infama. Ei, che lo insegue, di rossor si accende; Più che vincer, ferito esser vorria, Che nullo onor da tal vittoria attende. — Libero voto al popolo si dia: A Seneca un Neron quale delira Alma perduta preferir potria ? Non una sola scimmia e serpe dira. Non un sol sacco era supplicio adatto Allo spietato a tutti i numi in ira ? Oreste, è ver, fu rio di ugual misfatto; Ma, dissimil la causa, ei lo commise Il padre a vendicar, dai numi tratto: Ma non la suora, non la moglie uccise, Né alcun congiunto con bevanda atroce Di aconito funesto all'orco ei mise; 29G Non in scena cantar si udio sua voce. Né con reo carme la troiana sorte Su l'arsa Roma celebrò feroce. Congiunto di Virginio il braccio forte A quel di Galba e Vindice, potea Scellerato maggior punir di morte ? Di truce sir, per cui Koraa geraea, Quali fur l'arti e l'opre generose Degne di chi del mondo il fren reggea ? Con fedo canto in scene estranie pose Tutta gloria a frodar gli achivi onori, E d'apio ambir corone vergognose. Folle ! su via, de'tuoi prodi maggiori I simulacri ad abbellir^ deponi Tutti i trofei de'lrilli tuoi canori; A' pie del gran Domizio, insigni doni J)i Antigone e Tieste, il lungo manto E il mascheron di Menalippe poni, Ed al marmoreo ancor colosso accanta Sospendi alfin la cetra a te si cara, Memoria eterna dello stolto vanto. — 0 Catilina, o Cetego, più chiara Cuna di voi chi potea ambir ? eppure Qual sorte a Roma preparaste amara ! Ambo intesi in sacrileghe congiure Ai nostri lari e ai templi venerati Ferro e fuoco a recar fra l'ombre oscure, Quai discesi da senoni e bracati Meditaste nequizia, a cui fia lieve Supplicio arder di pece incamiciati. Ma il consol veglia, ed il furor fia breve: Ei le ribelli vostre insegne doma, E il popol securtà da lui riceve. 297 Questo ignobil d'Arpin, poc'anzi a Roma Del municipio cavaliero eletto, Mentre da tema ogni alma è presa e doma, Tutto dispone ei sol con saldo petto; I posti afforza con presidio armato, Per tutti ha braccia, e l'oste a fuga è astretto. Chiuso in le mura, a lui nome laudato La toga die, più che ad Ottavio il brando In Leucade o in Tessaglia insanguinato. Padre allor della patria ed ammirando Liberator Roma il suo Tullio acclama, Scampata al grave rischio uiemoraodo. — L'altro arpinate trar sua vita grama Solca ne'volsci monti, ove operoso Stancava il non suo aratro in aspra lama; Poi dato all'armi, in vallo faticoso Se lento era al lavor, la dura vile Frangeagli in capo il centurion sdegnoso. Dell'abietto però le gesle ardite Domaro i cimbri, e scudo al gran cimento Fu alle romane genti sbigottite: E quando ingordi di tant'oste spento Volsero in sul carname i corvi l'ale, Cui mai maggior toccò sozzo alimento; Nell'armi e nel valor degno rivale, Il patrizio collega a lui cedeo Il primo onor del lauro trionfale. — 0 Decii, alme plebee, vanto plebeo ! Vostro gran cor per tutte squadre unite Pel popol tutto sol bastar poteo; Ai torvi numi, ch'han l'imperio in Dite, E alla Terra gran madre ebber più pregio Delle salve da voi le vostre vile. 298 — Nato da ancella, del diadema il pregio, La trabea e i fasci ei meritò che a sorte Fra i buoni ultimo tenne il poter regio. — Agli esuli che a Roma ordian ritorte Del consol stesso l'uno e l'altro figlio Schiuse lasciavan le tradite porte; In lor la nuova libertà in periglio Con prode assicurar braccio guerriero Era pur bello e provvido consiglio; Coclite ad emular e Muzio fiero, E lei che fé il tragitto ardito tanto Del Tebro, allor confin del nostro impero. Ai padri augusti palesava intanto Uno schiavo meschin le trame oscure, Degno al morir del matronal compianto; De'sciagurati lacerar le dure Verghe le membra, e poscia in capo ai rei Delle leggi piombò la prima scure. — Figlio a un Tersile sii; ma in te vorrei Di Achille e core ed armi: aver che giova Per padre Achille, se un Tersile sei ? Di rivangar l'origin tua fa prova Nella remota età; pesca e ripesca; La troverai entro l'infame cova Cui diede il suol latino asilo ed esca. Dunque chi fu il primier che il folle orgoglio Di tua vantata nobillade adesca ? Fu un villanzone, o quel che dir non voglio. 299 Cronaca inedita de' fatti d'Italia nel secolo XV {*) scritta da Nicolò della Tuccia. PREFAZIONE N el correre ornai lungo degli anni nniei, Tisiiando per mio costume biblioteche ed archivi, m'è acca- duto di trascrivere inediti monumenti in buon dato, de' quah a poco a poco si fattamente s'è accresciu- ta la massa da non lasciarmi speranza, non pur dirò d'illustrarli, ma di pubblicarli io stesso a quel modo che i più di essi richiederebbero. Dir delle cagioni che fin qui m' han fatto impedimento, sarebbe so- verchio, e importerebbe poco all'universale de' let- tori. So che l'ho desiderato sempre, e non l'ho po- tuto mai. Giunto oggi a età troppo avanzata, mi son de- liberato d'affrettarmi, e di metter fuori questa mia ric- chezza quando che sia, lasciata da parte ogni cura d' illustrazione e di fatiche dirette a ornare. Così pubblico qui come giace in un ms. di Montefìasco- ne la cronaca di Nicolò della Tuccia viterbese, ab- bandonando ad altri il peso o di correggerla dov'erra ne fatti e ne' tempi, o d'aiutarla di note più o meno opportune. 11 ms., per fatto di chi lo trascrisse, è mutilato nel principio e nella fine. Sarebbe stato da confron- larJo con un altro esemplare della riccardiana di (*) Questo titolo non è non è nel ms. il quale ha solo: // fìarte: p«rchè il raccoDto £a la secoinla parie della cronaca viterbese. 300 Firenze, che forse è più completo, ma che ho ve- duto per troppo breve tempo, e già da troppi anni, per avere di ciò memoria sicura. Ciò ancora Fac-- cian altri, a'quali ne caglia. Questo Niccola è quegli stesso , del quale si ha un'altra cronaca giacente inedita anch' essa qua e là per le biblioteche d'Italia; ed è la cronaca de' fatti particolari di Viterbo, donde molta parte della sua storia di quella città pubblicò nello scorso se- colo il p. Feliciano Bussi; ma con poco buona scelta e con men critica. Fu già proposito del Muratori Io stamparla in- tera coir altra su i fatti della città medesima, com- pilala da Cola e da Giovanni di Cobelluzzo: ma il Bussi glielo impedì, occupato com'era a farne stra- zio per suo proprio conto, e ritenendo sotto chiave l'unica copia la quale allor si conosceva. Oggi del lavoro del Tuccia sono copie qui in Roma nella barberiniana, e in parte nella corsiniana, e sotto il nome di frate Francesco d' Andrea, nell' Angelica. Altri esemplari ne ha in Firenze la riccardiana poco fa mentovata, e la capponiana; ed in Londra la bi- blioteca del museo britannico. Lo stesso ms. di Mon- tefiascone, donde traggo la presente stampa, contie- ne altresì la cronaca viterbese mancante solo di po- chissime carte nella fine per fatto pur sempre di colui che forse un paio di secoli fa la esemplò. Finirò dicendo che l'autore delle qui stampale memorie dice di se stesso in più luoghi dell' altra cronaca, che fu di Viterbo, nacque Vii di novem- bre dell' anno 1400 [da Bartolomeo della Tuccia. Fu mercante di professione , e lasciò di scrivere 30 J l'anno 1473. Altre più accurate notizie saranno da- te , se al ciel piace , quando alle menaorie viter- besi potrassi por mano , e potranno per ora leg- gersi nella prefazione del Bussi al suo libro dinan- zi citato. Francesco Orioli. Incomincia la cronaca. Ora in questo tempo fu fatto il concilio di Co- lìtanza nella Magna , e fu privato papa Giovanni e papa Gregorio, e creato poi papa Martino V nell'an- no 1417 il dì di s. Martino. In questo concilio ven- ne di Praga un valent'uomo chiamato messer Gio- vanni Hus, e per più cagioni , delie quali si tro- vano oggi tutti l'articoli, fu abbruciato lui con un suo discepolo: per la qual morie tutta Praga e Boe- mia si ribellò alla chiesa , e pigliaro certe eresie , per lo che ne moriano migliara di persone. Mosso [)p. Martino da Costanza venne a Firenze, e lì si posò un anno . e fra quest'anno accaddero 1' infrascritte cose — Cioè Tortaglia dell' Avello avendo latto decollare Beccaccino di Brunoro suo compare den- tro Toscanella , e fatto lega con Braccio da Mun- itone, era tutta la brigata circa 2500 cavalli di buon ap- parere: ed avendo usurpato le terre della chiesa, l'ar- taglia teneva Toscanella, Montalto, Canino, Castro, la Badia a ponte Musignano, Castel d'Araldo, Marta, Gorneto, Sipicciano e Montecal vello con più luoghi ideila chiesa. Braccio teneva Perugia, Ascesi , CittJi 'di Castello, Todi, Orvieto, Narni, Orte, Terni, Ame- lia con tutti li loro contaiJi e distretti. Ristrettisi in- 302 sieme volevano torre Viterbo ancora per loro. Per il che ì viterbesi fecero tra loro consiglio non vo- lersegli dare , né torsi alla chiesa ; e vedendo che papa Martino V non era sufficiente a resistere a questi due capitani, ordinarono mandare alla regina di Na- poli , che per debito e per favore del papa li do- vesse mandare il capitano Sforza da Cotigoola in aiuto. La regina com'ebbe la detta imbasciata udito, mandò il detto Sforza a Viterbo, ed alloggiò presso la città 5 miglia in un luogo chiamato s. Vittore , lì aspettando Braccio e Tartaglia per far fatto d'ai*- me insieme. Essendo Braccio in Orvieto e Tartaglia in Toscanella deliberarono trovarsi insieme in Val di Laco: e così fecero venendo di notte tempo sotto Montefiascone e Bagnorea. La nott e predetta Sfor- za aveva mandata la guardia attorno il campo suo, della quale fu capitano il conte Nicola da Pi- tigliano: e avendo il detto conte fatta composizione con Braccio, la notte predetta gli mandò un suo uo- mo d'armi, detto Vanni del Rota, ad avvisare, che Braccio dovesse presto venire per qualche rispetto da lui compreso. Ora seguendo il nostro conto la mat- tina per tempo, ai 13 di giugno 1419, mandò Sforza ai viterbesi gli mandassero qualche soccorso per i suoi bisogni : e così gli furono mandati 500 fanti cittadini. Nella propria mattina il conte Nicola consi- gliò Sforza dovesse partir dal campo , ed andare verso Montefiascone, e così fecero. Dopo di che an- dati li detti viterbesi verso s. Giovanni e Vittore si scontrarono loro soli con li nemici , e dopo lungo spazio fino a vespero passato combattendo fumo li viterbesi messi in rotta , e presi 450, e due mor- 303 ti. Al che Sforza non potendo riparare che non lo sapesse, a tempo andossene a Montefiascone per met- tere i suoi cariaggi in securo per potersi affrontare: ma li montefìasconesi non vollero accettarlo , ch« s'eran voltati , e dati a Braccio di Montone. Onde Sforza prese partito alloggiare la sera a Ferenti città guasta presso Viterbo 4 miglia, e là si posò la notte seguente. La mattina per tempo si fé guidare da un cavallaro viterbese detto Nofo per la più corta via a Viterbo, e venendo alle file senza nulln or- dine , Braccio e Tartaglia ne fumo avvisati ed a schiere ordinate si diero in mezzo a questa bri- gata di Sforza, e dopo breve termine li misero in fuga pigliando una gran quantità d'uomini d' arme e famigli, e guadagnorono tutti li cariaggi segui- tandoli verso Viterbo quanto tira un'arco, ed anco sino a Bagnaia. Ora fuggendo Sforza e Micheletto suo nipote presso le mura di Viterbo, entrarono den- tro la porta di s. Sisto, e senza pigliar nessun ri- poso uscirno fuori la porla di s. Lucia; e vedendosi presso tutti li suoi nemici, e pigliato il fiore di sua compagnia lui forse con 20 huomini d'arme come disperato senza elmetto in testa si dette abandona- tamente fra nemici, e li fé per forza rinculare indie- tro, e furo in quella mischia pigliati alquanti huo- mini d'arme di Braccio e Tartaglia, e vennero alla terra prigioni. La gente rotta di Sforza si viene rin- forzando e raccogliendo insieme; e dopo lunga guer- ra Sforza fu ferito nel collo, perchè era disarmato. Un suo caporale, chiamato Sante Parente, visto il pe- ricolo del suo signore volselo far voltare indietro, del che Sforza non volse udir niente, anzi minacciò farlo 304 impendere per la gola. Sanie non curando ciò, per soccorso del suo signore mise il braccio dentro le redini del cavallo di Sforza, e fello voltare indietro, dicendo: Prima mi fa morire, che moriate voi in si fallo slato: e così ognuna delle parti si ritirò in die- tro. Ecco fermati Braccio e Tartaglia con tulle loro genti in assedio di Viterbo presso un miglio, o me- no, dalla parte del bolicame fra le vigne. Di giorno in giorno si fero belle battaglie, e scontri di lance, che saria lunga materia a dire , sempi-e la brigala di Sforza migliorando sue conditioni , quale erano più parte lance spezzale in arme: lo nome d'alquanti valenti compagnoni fu Petrino da Siena, Pier Zaffino Gio: Paolo Orsino, Napolione da Napoli, Riccio di Viterbo, Fiasco e Manno Barile, LongaroUo, Alber- to da Bagni, Bo'>erto da Paelì, Bastardo dalla Sala, Sbava Micheletto da Cotognola , Girardo da Coto- gnola, il detto conte Nicola da Piligliano , che di prima perde. Gagliardo, e moltissioii altri caporali, il nome de' quali non sfendo. Venendo Noffne con sue brigate a far la guardia della terra, s' affranto con la scoria del campo una nìatlina : la ruppe e mise in volta per fino alle tende del campo: e non conoscendo il parlilo del seguitar, fé sonar le trombe iu raccolta , e così si riliraro in dietro, e furo di quelli del campo che fuggirò sino a Montefiascone et a 'J'oscanella. Il dello conte Nicola fuggì da Sfor- za, et andò a Braccio. Essendo Sforza a lai partito in Viterbo, e volendo mettere a fine sua guerra , mandò messaggi al conte Francesco suo figlio , et al Furiano grande, che era in sua compagnia e sta- vano a Roma. Questi sentendo la novella monlaro 305 los(o a cavallo e vennero a Viterbo. Ciò sentilo Braccio e Tartaglia si partirò dal campo, dove erano stati iì) di, e andò Braccio a Pistoia e Tartaglia a Toscanella. Coaiincia Sforza guerreggiare per le ter- re intorno; pigliò un castello chiamato Capitona, e simile Lubriano per forza , e felli mettere a sac- comano et in breve si ristorò del danno ricevuto : et I suoi huomini d'arme, che fur presi nella rotta e messi nell'isola del lago di Bolseno, ordinò modo farli liberare, e così fece. Finite dette cose tornò in Roma, e lassò in Viterbo alcun suo compagnone per guar- dia. Ma venuto il mese d'agosto tornò Braccio, e Tartaglia a campo a Viterbo tra le vigne : allog- giaro tra Viterbo e Bagnala , et havendo seco le comunanze di Montefiascone, Toscanella, e Gorneto fero tagliar le vigne da quel lato. Si fero pertanto belle scaramucce e scontri di lance presso la terra. Pervenendo all'orecchie di Sforza che il campo era tornato a Viterbo, si mise in punto per incontrarsi con loro, e giongendo a Canepina fu saputo da Brac- cio, che perciò si levò subito di campo, et ognuno tornò a sua magione. Tornato Sforza a Viterbo, an- dò a trovare Tartaglia a Toscanella, e fero di belli fatti d'arme. Poi n' andò a campo a Montefiascone, et in un dì s'arrenderò. Così acquistò molte terre della chiesa usurpate da' detti capitani. Fé poi patti con Tartaglia, e fello acconciare al soldo di papa Martino insieme con lui, et andaro a Firenze a vi- visitarlo; e Sforza fu fatto capitano della chiesa e della regina, e tornò nel reame. Tartaglia tornato da Fiorenza fece una correria a Suriano, et ivi s'accampò, e per spatio di tempo G.A.T.CXXV. '20 3Ó6 l'acquislò per papa Martino con palli, ch'il castel- lano se n'andò libero a Fiorenza con quelle robe che volse portare, e lì nìise in banco gran quantità di migliaia di ducati, quali haveva male acquistati nella rocca di Suriano, poiché tulio lo paese faceva ro- bare. Egli in poco spatio di tempo morì di neces- sità, e non fu chi lo vedesse morire, morendo nel- l'ospedale maggiore. Era detto castellano da Negro- monte, e regnò in delta rocca anni 30. In detto tem- po papa Martino parli da Fiorenza, e venne in Vi- terbo riposandosi olio dì: poi andò a Roma. In que- sta venuta acquistò Orvieto , Nargni et altre terre per boni patti. Fra tanto l'armala del re d' Aragona venne a Napoli contro la regina Giovanna: e molte battaglie fatte, la legina s'accordò con lui. Quivi rimase Sfor- za con sue brigate nemico della regina e del detto re, quali stavano in Napoli. Sforza si mise in Aversa sempre guerreggiando contro Napoli, e spesse fiale li metteva campo a dosso. Al che il re di Ragona tion potendo resistere mandò per Braccio da Mon- tone, e fello suo capitanio. Gionto Braccio a Napoli fur fatti belli fatti d'arme, che saria lunga materia a raccontare. Papa Martino, per fare Sforza più pos- sente, li mandò Tartaglia in aiuto, e fero contro Na- poli longa guerra. Perlochè Brnccio ordinò con Tar- taglia trattato di far rompere guerra nel patrimonio contro del papa. Così Tartaglia mandò a Toscanella «n suo condottiere chiamato Aloigi della Cerbara fi- glio di Luca di Berardo, e quinato del detto Tar- taglia. Aloigi chiaramente disse ogni cosa a Luce suo padre, e della moglie di Tartaglia. Luca lo fé sapere .307 a papa Martino , e '1 papa lo mandò poi a dire a Sforza, che si dovesse guardar da Tartaglia per del- ta occasione. Sforza ciò saputo fé prender Tartaglia, e vilissimamente lo fece decollare, e pigliò gran par- te della sua compagnia. Morto Tartaglia, la guerra si raffredda tra Sforza e Braccio con catalani. Ve- dendosi la regina havcr mal fatto, dette modo far accordo con Sforza, e misselo in Napoli. Ma egli ve- dendo non poter restare, mise a saccomano gran parte di Napoli, et uscinne fuori. Fé poi lo re di Kagona adunare suoi catalani, e più che Sfoiza ne guastò, et abruciò, e menossene in galera una quan- tità di donne , e partissi di Napoli. Quindi tornò Sforza in Napoli con la regina . e Braccio si tirò indietro per la più bella. Sforza si mise in pron- to per andarlo a trovare , et essendo presso l'un r altro era in mezzo il fiume Pescara ; che te- meva passare a guazzo la compagnia di Sforza. Egli per far passar la brigata si mise nel fiu- me con un suo ragazzo. Questo se n'andò al fondo, e Sforza per aiutarlo similmente finì sua vita. Ciò fu del mese di gennaro 1422. S'annegò , e mai fu trovato, che portollo l'acqua alla foce del mare. Co- lale fu la fine del pregiato capitano. La sua briga- la si condusse sotto diversi condottieri, come il conte Francesco suo tìglio, e Marco suo nepote , et altri capitani. Havendo Braccio sentilo sì fatta cosa, fu assai contenlo: mosse sua hosle et andò a campo alla città dell'Aquila, che si teneva per la regina, e lì tenne campo 14 mesi. L'aquilani non potendo più resister» si raccomandorno a papa Martino, e lui adunò gran brigata contro Braccio. Ciò fu il conte Francesco, 308 Micheletto, messer lacomo Caldoro, Ludovico Mi- chelacci,e più capitani, quali erano una volta più gente di quella di Braccio, cioè 2000 cavalli per parte senza li fanti. Connincia la gente della chiesa andare per una montagna per poter scendere al piano dove Brac- cio era attendalo, e bisognava andare l'uno avanti l'altro. All'orecchie di Braccio pervenne lor venuta. Non gli volse dar molestia, anzi tutti li volse nel piano per non perder nullo, che gli pareva ha ver gran partiti. Essendo tutti nel piano schierati, l'una parte e 1' altra s'afFrontaro insieme , e dopo lunga battaglia la gente di Braccio fu messa in volta, e lui fu ferito, e preso, e menato avanti li capitani della chiesa, e per le dette ferite fini sua vita. Morto Brac- cio, l'Aquila fu libera di maggio li 23. Il papa prese a se tutte le terre, che teneva Braccio e Tartaglia , e mandò il conte Francesco Sforza a campo a Foligni, quale signoreggiava Cor- rado Trinci, e tolseli molte castella. S'accordò Foli- gni col papa: e ciò subito fatto, il conte Francesco venne in Vi?erbo a riposarsi, e fornitosi di ciò die a lui faceva di mistiero prese soldo dal duca di Mi- lano contro venetiani, e la su fé di gran prove. Si che li fu mutato il nome, e chiamato il conte Or- lando. De' gran fatti de' venetiani e fiorentini ad una lega contro il duca di Milano non mi stendo, per- chè l'atti tra loro tenuti non saccio a pieno. Per tornare al nostro conio il papa Martino mandò Micheletto e Paolo Tedesco con loro bri- gate a campo a Mugnano e Bullmarzo, qual teneva Ulisse di Simiotto Orsino, e dopo molle scaramucce, e colpi di bombarda e di breccole, Ulisse fu pigliato a Iradiraenlo da' suui vassalli, e messo nelle mani 309 del papa, quale gli tolse Mugliano, Bulimarzo, Ghia, e CoUanello, e lui mandò confìnalo nel reame. In fia questo tempo Bologna si ribellò alla chie- sa. Ne fu cagione un gran cittadino chiamato Bat- tista de' Cannetoli, e messer Giovanni Beccai. U papa li mandò a campo Micheletto e messer lacomo Cal- doro, e dopo longa guerra feron patto arrendendosi alla chiesa mezzo mezzo come cosa quasi forzata. Non occorre dire ogni particella. Papa Martino fé poi aprire la porta santa di s. Ioanni, e durò il perdono un anno, 1424, e ven- nero moltissime genti al perdono a Roma. 1429 fu la mutatione di Viterbo contro la casa Gattesca, et in due volte s'incontraro insieme le parti. Fu vin- citore Giovanni Gatto, e morto Arcangelo suo ne- mico con 15 de suoi, feriti più di 20 huomini, e detti Gatteschi hebbero vittoria. Li 12 di febraro 1431 lunedi di carneviale scu- rò il sole , e stette scurato quasi 30 punti a bore 22 e 3 o circa , e parve notte in quel tempo. Alli 21 del detto mese morì papa Martino V a ore 22. Saputa detta morte certi partigiani di Giovan- ni Gatto fero romore, e tagliaro a pezzi Cola lan- ciare nel palazzo del podestà. Seguirò poi altre bat- taglie fra le parti , delle quali una si chiamava de' Corbi , l'altra de' Maganzesi: di quella i Gatteschi erano principali, de' Maganzesi era Marco Angiolo detto Marcai ignotto. Alli 3 di marzo fu creato papa Eugenio IV in s. Maria della Minerba di Iloma. Alquanti giorni dopo il prencipe di Salerno, nipote d i japa Marti- no V, si parti di Roma, e così Prospero card, fratello 310 di dello prencipe, e li più principali Colonnesi, e fatta pasqua, il dì di s. Gjorjjio dello prencipe venne a Pioma con brigala sua per nemico del papa, e piesa porta latina per forza le brigate entrorno in Roma perfino a s. Giorgio , e per Colonna. Quivi furon fatte gran battaglie, e dopo longhe guerre il prenci- pe ne fu caccialo fora con sua gente , e tenne porta latina parecchi mesi per forza facendo guer- ra a Roma. Teneva il prencipe Marino, Ittnnazzano, Cavi, contado di lui, contado di Celano , il prenci- palo di Salerno, Anagrii. et altre terre. Di qua te- neva Suriano, Mugnano, Chia, Nepi, Orle, Amelia, Nargne, s. Lorenzo, e caste! d'Araldo. Fé poi il papa acquistare s. Lorenzo, e Castel' Araldo, e Ghia si die- de alla moglie d'Ulisse, Si ricoverò in Furano Or- lando da lennazzano e Paolo Colonna. Questo fé una correria in quello di Toscanella . e raccolse gran quantità di pecore e vacche de' viterbesi e to- scanesi li 25 di maggio. Passando detto Paolo pres- so Vetralla con lai bestiame , et alquanti prigio- ni, si riposò la notte tra le vigne di Vetralla, e lì dentro si rifrescaro. Regnava io Vetralla il prefetto Jacomo da Vico, quale aveva consentito a detta correria sotto mantello. Sapulane la novella in Viter- bo, la mattina seguente molli fanti viterbesi corse- ro al monte per portarsi alli passi , perchè detto bestiame doveva andare a Suriano, ed affrontandosi con nemici due Hate li ruppero. Al che non po- tendo Paolo far difesa, e vedendosi perditore, si rac- comandò al prefetto che l'aiutasse, quale stava bene in punto con un suo capitano dello il sig. de'Campi. Avevano 200 cavalli di buono apparecchio senza li 311 fanti di Velralla, ^ gridorno: Prefetto, Prefetto. I vi- teibesi, che non si guardavano da lui tenuto per ami- co, si sbigoltirno tutti, e deronsi in volta, e furo- no prigioni più di 80, e tanti toscaoesi, che in tulio furo 128: (^.pqsì, traditi dal prefetto furo menati a Suriano e riscossi per denari. , . , Regnava in Nepi per parte di detto prencipc. il capitan Giovanni Malavolla da Siena, e fece pres-) so a Monterosolo in quel tempo un assalto a molti romei, che tornavano da Roma tramontani,, e fenne morire gran quantità, e tutti li rubava. Ciò sapu- 1,0 jial papa,hebbelo molto a male. Il detto Paolo Co- lonna fé una correria a Roma, e tolse ben 7000 be- stie vaccine, e condussele sino a Velralla. Trassegli dietro il conte A verso da Ronciglione, e fatta batta- glia aVetralla, riscosse detto bestiame. Fé poi il papa drizzare il campo a Nepi, e mandocci un capitano detto Menicuccio dall' Aquila. Il prefetto, sentendo sì fatte cose, mandò in aiuto de' nepesini 70 fanti de'suoi. Si fero befatti d'aime: e fra questo tem- po il papa fé accordo col prencipe , e fero pace ferma, e li 5 di novembre, vigilia di s. Leonardo, mosse sua oste adosso al piefelto a Velralla, e nella Montagnola. Li capitani furo questi: Nicolò For- lebraccio mise campo a Casamala nel fondato ver- no, ed in piccolo tempo acquistò Casamala, Gapra- rola, Fabrica, Carmignauo, A'^ignanello, e Valerauo: prese delle castella col sig. de'Campi che era io guardia di Gaprarola, e maudollo prigione a Su-; riano restituito dal prencipe al papa insieme con Mugnano, e Nepi e tutte le terre che teneva di qua da Roma, tolto Vico e sciircato dal conte Averso. 312 Dello Nicolò n'andò poi a Vetralla con Ranuccio da Farnese, e Menicuccio dall'Aquila, e fu commis- sario del campo messer Giovanni Vitelleschi da Cor- neto vescovo di Racanati. Avendo il prefelto sen- tilo siffatte cose, sprovedutamente n'andò a Civita- vecchia con la sua famiglia, e lì sì rinforzò giusta suo potere. Rimase governatore di Vetralla detto Gìo. Malevolta. Sendo detto campo a Vetralla insie- me col popolo di Viterbo per spatio di pochi gior- ni s'arrenderò ; e così Orchie, Rispampani, Bieda, la Tolfa nova, Ancarano, e Cincelle. Acquistate le dette rocche e castella con Tiivignano, si mosse it campo, e andonne a Civitavecchia per terra, e per mare ci venne un'armata di venetiani quasi 48 fu- ste, e per spa(io quasi d'un mese e mezzo sbom- bardoino forte la rocca , e con gran quantità di berrettoni. 11 prefetto non po.ssendo durare s'arren- dè al papa, et andato a Roma fece patto portar quanta roba era in detta rocca, salvo il suo forni- raenlo, di cui ebbe dal papa 4000 fiorini; e così sen- do il prefetto spodestato delle terre sue, andò sano e salvo a Siena, acconciandosi al soldo de'senesi con 300 cavalli. E nota che la della guerra col prefetto fu di \erno nella più cattiva vernata che si vedes- se mai nel 1431. Sicché caro costolli la pigliala di viterbesi: e gli fu fatta una burletta, che diceva nel capostanza : Onne pensiero falla Al prefetto superbo. Volse disfar Viterbo. Hor si folla Vetralla. Gismon- do imperatore essendo nella Magna si partì con poca compagnia per pregarla del duca di Milano Fi- lippo Maria , che haveva gran guerre co' venetiani e fiorentini , e venne a Milano , poi a Piacenza, a 313 Parma , e Lucca, dando nova voler venire a Roma per coronarsi: e così con gran sforzo d'italiani con- tro volontà de'fiorentini venne da Lucca a Siena li 12 di luglio sabato sera 1432. papa Eugenio IV, quale era in lega con veneliani e fiorentini, subito ruppe guerra a' senesi, e fé fare la correria da Ni- colò della Stella: e dall'altra parte Ranuccio da Far- nese e fiorentini, che havevano giieira con Siena, fe- ro ascendere Micheletto da Cotognola e Nicolò da To- lentino. Havendo l'imperatore sentito questo, mandò tosto un bando per Siena , che nullo a pena della vita dovesse offendere terra della chiesa, ma essen- do offesi si dovessero difendere dentro le terre lo- ro, e COSI continuare. La gente della chiesa spesse fiate predava il contado di Siena di prigioni e be- stiami. Alli 28 di luglio l'imperatore mandò al bapa un ambasceria con forza di cavalli, e non essendo di accordo col papa tornaro indietro, e prima giunges- sero a Siena detti ambasciatori fuio assaliti dalla bri- gala di Nicolò della Stella, e fu morto un principal ambasciatore che vi era, e gli altri rubali tornaro a Siena:onde all'imperatore molto rincrebbe perchè era uno delli maggiori signori nel suo paese. Haveva detto ambasciatore dui figliuoli coll'mpeialore in Siena . quali morto il padre fumo subito rimandati alle lo- ro terre, e signorie. Hora fu fatto un consiglio tra li sig. di Siena, il prefetto, e Ludovico Colonna di far rompere la guerra nel Patrimonio contro la chiesa; e cosi ce- naro insieme una domenica sera, e lunedì presen- te partissi il prefetto, e Ludovico Colonna da Siena, et andato a Grosseto, di li mandare circa 400 fanti, 314 per terra, a Vetralla, et all'altre terre già perdute, e con tradimento de'terrazzani enlraro in Vetralla togliendola alla chiesa: così Bieda, Casamala, Ca- prarola, Carbognano, Vignanello, e Vallerano che anco si teneva, e la Tolfa nova nelli XI di ago- sto, et a dì 12 li canapinesi enlrorno in Vallerano, e miserlo a saccoraano abbrugiandolo tutto. Ranuccio da Farnese con sua compagnia andò alla Tolfa nova, che anco si teneva la rocca, e mis- sela a saccomano , la guastò, scarcò , scacciandone fuora tutte le fameglie. Nel detto dì fu mandata una lettera a Nicolò For- tebraccio, quale stava a Castello della Pieve , che dovesse venire a Viterbo quanto prima per cagione della detta mutatione di Vetralla. Venne a 14 del det- to mese, e radunò sue brigate a fontana di ... nel leni- mento di Viterbo, e contasi menasse sotto sua inse- gna 2000 cavalieri e 1000 fanti. Nel detto dì giunse a Viterbo per la medesima cagione Menicuccio dell' Àquila con 500 cavalieri e 200 fanti: e misero cam- po a Vetralla con le dette brigate. Era venuto in Vi- terbo certi dì nanzi il card. Orsino, quale andato al campo parlò con Nicolò e Menicuccio, e poi andò a Roma nel primo di 7bre. Ogni dì rinforzando detto campo , ci venne Giovanni Mostarda, il conte A- verso , e più condottieri della chie.sa , et in spatio di pochi dì fumo messe in punto bombarde, e driz- zale alla terra fero cascare gran pezzo di muro. Onde li vetrallesi e fanti assediati con travi, terre- no, e tavole fecero molti ripari alli lochi cascati: e tutti li merli decarpiti (sic forse di carpite) cohri, 315 e cuoia di bovi per meglio potersi difendere, e si- mile de'sassi in quanlilà. ip Hora alli 12 di 7bre 1432 tutto lo campo fu messo io punto per dar la battaglia, e furo ordinate tre schiere da tre parti della terra. La prima fu di Menicuccio dell' Aquila, che con suoi compagni a piedi dovesse dai* la battaglia a quel luogo verso Viterbo presso la rocca, e così fu messo in assetto. La 2 fu il conte Averso e 'I Mostarda con altri con- dottieri,che dovessero dar le battaglia pur verso Vi- terbo ove era rotto il muro presso al Molino, e si mi- se in assetto. La 3 schiera fu di Nicolò Fortebraccio, che dovesse dar la battaglia verso Bieda nel capo di solto ; e fu in sua compagnia Giorgio da Nargni con 300 fanti e tutti suoi condottieri e soldati. Hora da tutta la gente s'accostò alle mura con sca- le lunghe e grosse per voler salire, e molte bale- striere di fronte la terra , acciò li terrazzani non potessero fai' difesa Così fu cominciato l'assalto da ogni parte. Subito li velrallesi e fanti forestieri di dentro si fero a difesa, e con sassi, balestre, e chia- verine fero tanto, che quelli dell' hoste non li pote- rò far niente , imperocché loro erano di sopra, e bene armati di ciò che fa mestiero , e per fronte tiraro dentro 4 scale. Fumo morti di quelli del campo circa 16 huomini , e della terra circa 6. Hoia si è tirata indietro ciascuna delle parli con molti feriti , e duiò la battaglia circa 4 bore. Es- •sendo tutta riposata per alcuni dì, cercorno pigliar alcuni rimedi, e così alli 21 di detto mese fu por- lato su carro un trabocco della ciuà di Viterbo e fu condotto presso Vetralla ad una arcata al lato 316 della chiesa di s. Nicola sul piano di Vetralla. In questo mezzo a dì 23 fu finito il fornimento del tra- bocco e fatta una breocola di novo lavorata alla Porta di s. Matteo di Viterbo, e furo subito man- dati al campo di Vetralla, e messe in punto ancora bombarde XI tra grosse e mezzane. Ogni giorno fecero gran danno alla terra in tal modo che la con- dussero a cattivo partito. Spesse fiate quei della ter- ra uscirno fuori a scaramucciare con quelli del campo , tanto che sarìa materia lunga a dire. In questo mezzo il papa mandò il card. de'Conti all'imp. a Siena che dovesse loro discordie accheta- re, et andò in sua compagnia il card, di Monforte, quale era stato alcuni dì ad Acquapendente. Gionto in Siena esso Monfoite morì dentro del mese. AHI 14 del detto mese venne a Viterbo il card. s. Chimento, che era camerlengo, e nepote del papa Tornato da Siena, il card. de'Conti andò dal papa con patti, che si dovesse levare il campo da Vetral- la. Il papa non ne volse far niente. Infra quel tempo all' 11 di ottobre si rinforzò il campo a Vetralla, e venneci Giovanni Malavolta , che era al soldo del sig. Giovan da Camerino, e venneci Bultrinello che era al soldo della chiesa, e tutte le communanze in- torno Viterbo, Perugia, Todi, Orvieto, Nargni, Orte, Amelia, Montefiascone, Toscanella, Corneto, et altre terre, et ordinaro dar la battaglia : e fatta una cava dal lato di sotto per entrare a scarcar molte mura con le bombarde, eransi messi tutti in assetto. Ilora quelli della terra fero lor consiglio vedendosi a mal partito in questo modo, cioè tutti si radunaro insie- me , terrazani, e forestieri, e fu per alcun di loro 317 ragionato. « Conciossiacosa che noi habbiamo havuta « gran guerra, e grand' hoste adesso, ne semo ben <( salvati per nostre prodezze, e fatto nostro honore. « Havemo più fiate nnandato al prefetto per soccor- « so, e non havemo havuto altro che parole, et ha- « verno avuto mortai guerra. Considerale, che quan- « ti di noi son stati presi, ^ tutti son stati appesi per « la gola : havemo a terra mura, e case guaste da « trabocchi e bieccole : semo affamati assai, e peg- « gio assetati, e morti per forza più di 60, e ve- » demo tanta gente più venire adosso , che credo << vorranno darci battaglia, e pigliarci per forza; e « se a loro cresce l'aiuto, semo tulli morii. Onde << parrebbe che noi mandamo a Nicolò Fortebrac- «' ciò nostra ambasciata, e pigliare qualche bono ac- " cordo meglio che noi potemo : et a questa am- << basciata vadano dui vetrallesi e dui fanti fore- « stieri. » Dopo molto ragionare così fu deliberato, e andaro. Vedendoli Nicolò venire,^ gli ricepè gratio- samente, et udita l'ambasciata gli fé rifrescare. Poi Nicolò chiamò quelli vetrallesi da parte, e disse loro: « Figlioli miei, come voi sapete havete hauto gran '<■ danno da noi, e semo tuttavia per farvi. Pertanto « io voglio in questo consigliarvi, imperochè voglio « meglio a voi, che a questi fanti forestieri. Io tro- « vo da loro patti sccretamente in questo modo, che apa mise la corona prima all' imperatore , poi andaro nantì 1' altare di s. Pietro, et ivi li pose la seconda corona : poi n'an- daro sopra 1' altare dove sta una sedia di marmo alta e rilevata, e 11 gli pose la terza corona mag- giore. Il conte Gentile di Pitigliano la dirizzò in cam- bio del prefetto, il quale fu dispensato che costui dovesse farlo: essendo il prefetto mandato cercando, non volle andar.e. Poi detta la messa, e l'offitio tut- to, montò a cavallo il papa e 1' imperatore, et in- sieme vennero sino a Castel s. Angelo, e lì il papa diede la benedittione all'imperatore, e tornò a s. Pie- tro dove habit^va. Essendo poi l'imperatore sul pon- te si ferino^ e fece cavaliero a spron d'oro il conte Micheletto da Cotognola, et anco il detto conte Gen- tile, et il figliolo di Battista Savello, e dui gentilho- mini Orsini, e si certi altri italiani e tramontani del »uo paese tutti fé cavalieri a spron d'oro. Poi n' an- dò- con quella compagnia a 8. Ioanni Latcrano, e lì 327 desinò, e poi tornò al palazzo del papa dov' era la sua stanza. Hora torno a Vetralla. Essendo il suo campò tuttavia rinforzato per la sopravvenuta di Maso da^ Fiesole, di Gio: Mostarda e Ludovico del Friuli eoa loro brig^ate, quelli della terra, cioè fanti forestieri, che pochi vetrai lesi ci erano dentro, bene si defen- dero, e spesso uscivano a battaglia. Il ve.scovo d' An- cona, rettore del Patrimonio, nelli 17 di giugno 143S stando in campo, mandò a Viterbo e fé pigliare tutti i vetrallesi homini e donne, vecchi e fanciulli, quanti potette bavere, e felli menare a Vetralla alle 20 bore e mezza, e cacciolli dentro. Ma quelli ch'erano in Vetralla, non li volsero accettare, e tutta la notte le povere donne con li figli e mariti stettero sotto le mura di Vetralla. Poi la mattina quei fanti rimisero dentro le donane e li fanciulli , e gli huoraini cac- ciorno via con berettoni , che li trahevano : e nelT jstesso punto di bore 20 e mezza scurò quasi il sole lutto, e rimase come la luna voltata di 4 dì, e l'aria, tutta era tenebrosa, et iit, questua ,fqrma dm'Ò mezz' hora. (M't'tfioitt'^T/i •* <)• Yenne Michelet(o nella Montagnola a campo con poca gente, perchè tutto il fiore della sua com- pagnia era rimaso al campo di Castelnovo. Acquistò per la chiesa, e poi assediò Caprarola, tra il qual tei^- po Nicolò Fo|:tebraccio con più di 1000 fanti e 100^ cavalli capitò in quel dOrvieto, e mise a saccoma- no Fichluo e Garnaiola. Onde giunta la novella nel campo di Vetialla, si diceva veniva per soccorrerla^ e perciò Micheletto lassato Caprarola andò al campo. Hora avvenne, che quelli della Penna di là dal 328 Tevere si ribellalo alla chiesa, e deronsì a detto Ni- colò, et egli ci mandò cento fanti sotto la condotta di Francesco da Lagnano e Beccacino da Piedilu- co. Haveva Nicolò ben 500 fanti senza soldo chia- mati la brigata della Strenga. Ogni homo di mala rascione correva a stare con esso, quale ogni gente accettava. Per la pace di Toscana tutti i fanti trae- vano a stare nel Patrimonio. Il duca di Milano per poter disfare papa Eugenio mandò a detto Nicolò 15 mila fioiini d'oro, e fello suo soldato. Onde det- to Nicolò mandò per il conte Antonio del Ponte ad Era, e delli soldo per 400 cavalli, e 400 fanti con patto che lui voleva venir nel Patrimonio, e di quan- te terre acquistava gli voleva far parte: e tanta gen- te raccolse, che furo circa 1500 cavalli, e 3000 fan- ti, et acquistò con boni patti Ficulle, e tulle le ca- stella che teneva il conte Giulio d'Orbieto capo di parte Mercorina per esser stato cacciato da Orbieto dalli Muft'ati. Detto conte s' accordò con Nicolò , e così tutte sue castella davanli grand'aiuto. Tuttavia la novella trascorse al campo di Vetralla. Perlochè Micheletto , e Menicuccio , e Ranuccio da Farnese abandonorno Vetralla, e tirorno a Valdarno per es- ser presso a detto Nicolò , et alloggiorno la notte a Sorgo a Sesto', e la detta notte Nicolò si mise in camino con tutta sua gente, e venne verso Monte- fiascone et alloggiò nel piano di Viterbo. Poi la se- guente mattina partì con sua gente schierata in 12 schiere , et andò alloggiare nella valle di Vico li 24 di luglio. Sentendo ciò Micheletto, tornò in die- tro con tutta quella gente haveva, e li 27 del detto mese gionse a Viterbo. Vi gionse il Gatto suo con- 329 doltievo, partito dal campo di Castelnovo, Carapella e Paolo di Uoma, che Micheletto aveva mandato per metterli in Orbieto, pure tornorno a Viterbo il detto dì. Haveva Micheletto 14 condottieri capi di squa- dra sotto di se. Nicolò con sua gente li 28 del detto mese pi- gliò per forza il borgo di Sutri , dove poca roba trovaro, perchè i sutrini l' bave vano quasi tutto ab- bandonato havendo sentito la detta venuta; e volendo Nicolò per forza pigliar la città, fé dar la battaglia, che durò gran pezzo , e niente poterò guadagnare, anzi ci fumo morti 27 de' suoi fanti, e feriti gran quantità. Per il che li sutrini si rinforzaro fortemente. Nicolò più lettere gli mandò su li beretloni, volen- doli fare ogni partito che volevano acciò s'arren- dessero, e recettassero i suoi cariaggi. Ma li sutrini niente volsero udire mai. Nel detto dì quelli di Ca- samala ribellati si dettero a Nicolò. Così Lugnano si ribellò alla chiesa di là dal Tevere, e andaroiici 100 fanti che stavano alla Penna venuti da Francesco da Lugano, che fé fare detta ribellione, et ammazzorno certi partegiani del papa. Hora alli 29 del mese Mi- cheletto chiamò a se il Gatto, e Jacomo da Roma, e Paolo Todesco suoi condottieri con ben 100 ca- valli e 150 fanti, e mandolli che dovessero recet- tare in Ronciglione : il conte lacomo di Capralica governatore di Castro non li volse accettare con il conte Averso di Ronciglione. Nicolò e sua compa- gnia stavano dentro il borgo di Sutri. Per la qual cosa li detti condottieri sdegnati fero una correria fra Sutri e Ronciglione, e pigliaro sei prigioni ca- prarolesi, e dieci fanti di Nicolò, e più di 400 porci 330 e bestie con some di pane, che andavano al borgo di Sutri , e menaronli a Viterbo: quali ora quei di Nicolò havevano guadagnato in una correria a Cam- pagnano. Poi alli 30 del dello mese Micheletto man- dò due altri condottieri per metterli in Capralica con 70 cavalli e 70 fanti. Il conte lacomo non li volse ricettare. Questi condottieri Carapella e Bultrinello tornando indietro s'affrontaro con altrettanti de'com- pagnoni di Nicolò , e fu preso un contestabile di 200 fanti detto il marchese, un trombetta, ed otto huomini d'arme, et altri famegli, in tutto 14 a ca- Tallo , e più di 40 fanti. Il detto Nicolò, vedenda non poter prender Sutri, si partì una mattina per tempo con tutta sua gente dopo haver abbrugiato il borgo sudetto, e passò presso Fabrica, di h a Sorla- no, e poi di là dal Tevere verso Amelia,e presso Fo- ce e Capitona, et Amelia s'accordò con lui. Laonde Micheletto con sua gente partì da Viterbo et andò ad Orte, poi a Nargni per esserli più alle frontiere. Intanto Nicolò si rinforza di gente a piede assai , che d'ogni parte vengono a lui, perchè haveva belle offese da guadagnare. Così una mattina li 4 d'ago- sto martedì andò con sua gente ad un castello canto il Tevere chiamato Viano del signor Giulino dal Via- nò' di casa Orsina, e non essendoci esso Giulina sr itrise a parlare con la donna sua, e li diceva che li' desse Caforo con suoi denari per governarsi , e ii^ donna rispondeva farlo prima sapere a Giulino suo marito, che stava a Guardeia ; in questo li fanti ve- nivano entrando dentro la terra, e per forza la pi- gliaro a saccomano, et abbruciaro. Onde quelli d'At- itghand ciò sentito, levando tutte loro robe e don- 331 ne, le poetarono a Pulimarzo e Mugliano. Dopo Ni- colò anelò al Po io del detto Giulino, e subito l'heb- be a patti, e ritornò a Viano. In questo mezzo gli venne avviso che il prefetto con 300 cavalli s' era partito dal comune di Siena : perciò passare il fiume, e misero campo a Castiglione di Paolo Pietro della Cerbara, dove dotte più battaglie, e fero cavar sot- terra per poterlo pigliare a forza. Fratanto Micheletto parti da Orte, e venne a Viterbo, Menicuccio andò a Toscanella, e Ranuccio a Farnese prese stanza con la gente. Alti 12 d'agosto l'imperatore partì da Roma, Io vi voglio tulli arriccare. con questo che tu con undici tuoi compagni, mena (piali a le pare, mi pi- 361 gliale eli casa argento et armi, e fuggite verso il ca- ste! 8. Angelo, et io \i \enò dietro fingendo volervi pigliare. Voi chiamale da lungi il castellano, e pre- gatelo vi mandi aiuto, e mettavi in castello , dove poi cercate acconciarvi con lui, e quando vi parrà tempo di potere ammazzare il castellano 1' ammaz- zarete e gettaretelo in fiume, e questo sia il segno a me dato. Noi poi verremo a darvi soccorso. Se questo vien fatto ivi prometto 2 mila fiorini per uno » . Disse detto famiglio farlo volentieri. E così deliberato entrò con li suoi compagni in detta for- ma nel castello. Sendo già dentio, il castellano pren- de a domandarli per qual cagione loro havevano robato il lor padrone,^ et eiano fuggiti ? Essi rispo- sero perchè erano da lui maltrattali , et havevagli promesso farli huomini d'arme, e non ne faceva niente : onde se a voi piace staremo a soldo vostro in questo castello. 11 castellano che era pratico , e saggio d'ogni cosa , conobbe il tratto , e disse che era contento: et havendoli alquanto assecurati, li fé poi tutti pigliare, e cominciando col primo ad esa- minarlo, solo li disse queste parole: (t Figliol mio, io ho saputo per alcuno de'tuoi compagni come voi lutti sete ventiti per tradirmi : pertanto se tu me lo confessi, ti prometto ancora farti ricco: quando tu non lo confessi, ti prometto farvi tutti impender per la gola, salvo quelli che me han confessato tal cosa. 0 dichi o non dichi,in ogni modo lo so a pieno.., Sendo detto famiglio impaurito, e pensando che il castellano sapesse tutto il tradimento , liberamente ogni cosa confessò. A questo il castellano prese par- tilo per mostrare a Roma che tutto loro avviso sia 3G2 riuscito a pieno : temili eletti famigli sotto buona guardia, fé vista gettare un morto in fiume contra- fatto, e gridarono tutti li detti famigli come cosa or- dinata:,, Viva il popolo di Roma, e la libertà.,, A que- sto, lutti li romani correvano con arme, e parendo loro aver vinto, cominciarono a montar sopra le pri- me mura. Ma li detti famìgli; per comandamento del castellano, dissero:,, Fatevi indietro, se non volete che v'offendiamo.,, Loro risposero, che cagione li fa- ceva dir quello ? Dissero li famigli, che prima vo- levano li denari loro promessi, e poi gli dariano il castello. Replicorno que'li volerli dare, ma non ha- verli in quel punto contanti ; e loro soggiunsero , che li romani mandassero dentro otto buoni citta- dini insieme con laoomo a farli carta e promissione, et a loro dariano il castello. Li romani in questo caldi e volenterosi mandaronci otto romani richiesti dal famiglio per ordine del castellano ; et essendo dentro, il castellano li fé pigliare, e cominciò a dis- sertar bombarde e balestre, gridando:,, Viva la chie- sa, papa Eugenio, et il conte Francesco Sforza: „ e così rimasero ingannali li romani. Hora torno a quello diceva. Essendo le dette genti d'arme presso Magliano di Sabina nella forma predetta ne fu scritto da alcuno di loro al duca , che n'ebbe gran dolore: e deliberato farli pacificare a.ssieme, mandò uno suo nuovo commissario ben da lui ammaestrato. Gionto nelli campi, e facendo l'im- basciata del duca, fé tanto col conte, che concertò la tregua per 7 dì, cominciando li 13 di luglio sino li 20 per poter meglio praticar quello era stalo commesso. Essendo capitolata detta tregua la notte nG3 innan/i, Nicolò della Stella si mosse con gran quan- tità di fanti, deliberato dare un assalto al campo del conte. Giunse dove era per antiguardia Pier Brunoro, uno de' contestabili, e dormendo securo per la tre- gua bandita la sera nanti, fu da delti fanti assaltato, toltigli 16 cavalli, pigliati gran quantità di fanti, e robati denari et arme. Onde fatto giorno, il conte se ne dolse, e mandò a dire a Nicolò che non era ben fatto, considerata la tregua bandita : per il che ogni cosa li fu renduto, salvi li denari perduti. Fi- niti li 7 dì, il commissario trattò rifermar detta tre- gua per 5 mesi. Il conte Francesco vedendosi in- fermo, e non poter cavalcare per giacer in Ietto , alla tregua consentì, e così fu capitolata. Il signor Lorenzo da Cotognola l'hebbe tanto a male, che so- lo con 4 cavalli si partì dal campo, et andossene a stare nel cassaro di Spoleti che si teneva per la chiesa , dove fu ben ricevuto. Il conte havendolo .sapulo , mandò Troilo suo fidalo a saper perchè sì era partito, e che tornasse. Ma lui disse non voler più stare a campo : non piacendogli la tregua, che già tre fiate ha potuto disfare suoi nemici, e si e la.ssato ingannare. Ha ve va Lorenzo lassalo in campo un suo figlio con tutta la compagnia. Fermata la delta tiegua; Nicolò Piccinino or- dinò fare ammazzare a tradimento il conte in questo modo. Haveva il conte un suo contestabile di 125 fanti chiamato Sbardellato da Civita Ducala, et es- sendo per la tregua nel campo di Nicolò ordinaro insieme questo trattalo. Diceva lo Sbardellato a Ni- colò. 11 conte Francesco sta nel letto ammalato in Utricoli, e vuole ch'io lo porli con miei fanti in una 3G4 varca sino a Narjjni. Onde quando mi parrà tempo, prima che passi un tal passo, lo scannerò con questa cortella che io porto a lato. Fate che in quel punto voi siate schierati, che come la novella sarà sentita li sforzeschi saran tutti sbigottiti: voi dateli a dosso, e li farete tutti vostri prigioni. E se questo mi vieu fatto, voglio mi diate X mille fiorini d'oro , e 500 paghe a vostro soldo. ,, Nicolò rispose esserne con- tento, e li dette la fede sua. Tornato Sbardellato al campo del conte presso Utricoli, manifestò la detta trama ad alcuni suoi compagni , e menoUi dentro una chiesa fuori d'Utricoli per contarli il fatto. Fu udito da non so chi die mostrava in detta chiesa dormire: e partito Sbardellato , e compagni , quel tale subito n'andò al conte e manifeslolli il tradi- mento. Il conte fatto pigliare lo Sbardellato lo fa martorire, e mai volle confessar niente sempre ne- gando. Il conte si mandò a lamentare con Nicolò, et egli pure disse non era vero , e non si potria mai provare. Il conte mostrandosi credente, fé las- sar Sbardellato; e perchè era guasto, lo fé ben me- dicare, e tennelo seco. Era il conte di natura pie- toso, saggio, e bello di persona , più tosto grande che picoio. Nicolò Piccinino era di mezza taglia , grosso nella persona, e pieno di vitii e malitie. Ni- colò della Stella era piuttosto piccolo, che grande, magi-antino, superbo, peiicoloso , e crudele a fare ogni fatti, e cupido nella roba per ogni maniera. Stante la detta tregua il conte fé mover sue genti, e passò fra Nargni e Terni , ivi alloggiando la prima sera. Nicolò Piccinino passò il Tevere, e la prima sera alloggiò presso Mugnano. Nicolò For- 3G5 tcbraccio andò alla Fara li 22 di luglio 1434. Il conte andò poi ad Acquasparta et in quel di Todi, ivi attendendo guarirsi, poi a Todi. Nicolò Picci- nino passò oltra ad Orvieto et a Perugia, dicea si voleva andare a Bologna. Non passaro tre dì d'a- gosto, che passaro presso le mura di Viterbo cer- ti mandali da Nicolò della Stella, e dlceano venir dal duca di Milano, e portavano a detto Nicolò alla Fara 30 mila fiorini d'oro per farlo mettere in ponto di gente e di roba. Nel tempo che la tregua si trat- tava, come ho detto, il popolo di Camerino levò ro- more, et amazzaro Berardo et un suo figliuolo , e gridaro „ viva il popolo, e il conte Francesco Sfor- za:,, et in questo modo l'ebbe. Anco ci furo morti Piergentile e Gentile Pandolfo con loro figliuoli, cir- ca 14 della casa di Varano , e l'un fratello uccise l'altro. Nel detto tempo all'entrar d'agosto il prefetto tornò a Giugnanello che si teneva per lui, e menò seco in tutto 12 cavalli che più non bave va, e cos'i povero cominciò coli' aiuto de' suoi vassalli a rifar la rocca di Vallerano, che la maggior parte era ri- masta in piede quando fu abbrusciata la terra. Poi Nicolò della Stella li rendè Garmugnano e Capra- rola e così cominciò ad haver delle tene già perdute. Antonello da Siena teneva Casamala, et era fratello cugino del prefetto: onde pure in Casamala haveva qualche podestà tal rispetto Ilor torniamo un poco a papa Eugenio , che slava in Fiorenza, senza corte, e senza cardinali. Solo haveva il cardinal di s. Sisto: poi v'andò 11 cardinal di s. iMarcollo. In spatio di tempo comincioino poi 366 a tornare in corte alcuni cortegiani smarriti per la delta disfattione del papa , e prinaa uscisse agosto li cardinali Orsino e de' Conti si partirò dal paese romano, et andarono a Fiorenza. Li romani man- dorno per Nicolò della Stella che andasse a Roma per difenderli dalla guerra del caste! s. Angelo. V'an- dò, et alloggiò nel palazzo del papa a lato a s. Pie- tro di Roma: la qual chiesa era abandonata da' ca- nonici e preti per la detta gnerra. In tempo della tregua apparirò nel paese di Bo- logna gemi d'arme del duca di Milano, circa 2 mila eavalli bene in ponto, sotto gubernatione e guida di Aloigi da s. Severino valente capitano, e con- tinuo faceva guerra in quello di Bologna. Perlochè la signoria di venetiani che era in lega con fioren- tini , e Malatesta da Pesoli mandò contra a detto Aloigi una bella compagnia d' arme circa 6 mila cavalli sotto la gubernatione di Piergiampaolo, Or- sino, e cos'i cominciaro romper guerra una parte e l'altra. Bologna si stava di mezzo, et haveva tregua con ogn'una delle parti. Hora Nicolò Piccinino es- sendo in Perugia si voleva partu- et andar contra le genti de' venetiani; e pregato da |)erugini lassas- se parte della gente sua per loro bisogni , li lassò 600 cavalli delli migliori ch'havesse, e con quel re. sto se n andò in Romagna, e fé una correria a Pe- .soli, e tolseli gran quantità di bestiame, e prigioni, et acccotossi con l'altra gente del duca. Onde li fio- rentini per far più tortile genti de' venetiani ci man- doino in aiuto Nicolò da Tolentino, Giovanni Ma- lavolta, e Giovanni Mostarda, e Ludovico da Forlì con altra gente, circa XI mila cavalli. Sendo già 3G7 presso Tuna parte e l'altra, la gente della lega or- dinò per trattato d'haver Forlimpopoli che era del duca di Milano. Il trattato venne palese alle genti del duca, e deliberaro lassai'li tutti venire a Forlì presso ad un castello chiannato Granarolo. Li tolsero in mezzo, e coniinciaro battaglia insieme per lungo spatio. Fumo perdenti le genti della lega, e fumo presi Piergiampaolo, Nicolò di Tolentino, il Mala- volta, messer Astorre da Faenza, il Mostarda, et al- tri condottieri, et huomini d' arme assai, e guada- gnarono circa 200 cavalli. Tal rotta fu li 28 d'a- gosto in sabato. Come la battaglia fosse dura e cru- dele ognuno lo slimi, che nel primo assalto fu get- tato in terra Aloigi da s. Severino capitano ducale dal fratello di messer Astorre da Faenza, e fu as- sai pesto da' cavalli ; poi da' suoi famigli fu raccol- to, e messo a cavallo. Quello poi operasse contro nemici ogni huomo potrà stimare per la vittoria che n'avvenne. Il detto signore di Faenza fé poi di gran fatti, et in ultimo ferito di doi colpi scampò dopo la rotta et andossene via. Galtamelata era colla compagnia della lega, et a lui fu data la prima balta- glia, ei primo ruppe tre schiere delle genti ducali, quali fumo cagione far rompere il campo della lega: poiché quando Galtamelata ruppe dette schiere, tutto il campo della lega tirò a dosso a quella rotta, et in quel tempo le genti tutte del duca ordinatamente da ogni paite ci dero dentro, e cosi li ruppero, e pigliaro li capitani ec. Galtamelata campò con li primi prigioni e cavalli ch'haveva guadagnati. Sparsa la novella in Siena e Roma ne fero gran festa: e non passò molto, che Nicolò della Stella e romani fero tregua con castel s. Angelo per tutto novem- 368 bre. Così Nicolò parli da Roma con sue gcnli, et an- clossene ad Assisi. Fra questo tempo la regina Giovanna di Na- poli, et il re Aloigi che signoreggiava Calabria, e messer lacovaccio Galdoro, tutti tre fero lega insie- me, e con grand'esercito misero campo aHe terrò del prencipe di Taranto, che è signore di cinque ha- l'onie, cioè di grandissima quantità di terre , et in poco tempo glie le tolsero , salvo Taranto et altre terre fortissime. Si ridusse il prencipe in Taranto, dove fu assediato dalle dette genti; e vedendosi di- sfatto , mandò a pregare il conte Francesco Sforza che volesse pigliar soldo da lui, et andarli in aiu- to. Il conte rispose non volerlo fare , perchè mai contro la regina si trovaria. Tal pregamento venne alle orecchie della regina, e non sapendo la chiara risposta del conte, e sospettando ch'egli v' andasse, ordinò mandarli una imbasciaia, e manifestò al con- te la lega fatta col re Aloigi e messer lacovaccio e come haveva disfatto il prencipe di Taranto per il che il conte restava in gran timore. E più lo man- dò pregando li fosse in piacere domandar qualche cosa alla corte in dono, o denari, o castella, o terre. Rispose il conte che era assai contento d' ogni sua esaltatione: ma denari, né terre non voleva doman- dare, perchè tutte le cose che aveva lei li pareva bavere in sue mani: e con questo tornaro indietro li messaggi. Non parve per questo alla regina ha- vcr cavato niente; e non rimanendo contenta, un'al- tra fiata rimandò 1' ambasciatori a dire che la do- vesse avvisare della sua inlentione, se li doveva an- dar per nemico, o no. Il conte rispose non havesse 369 sospetto alcuno, perchè oflfenderia lei quanto lui nae. desimo. Anco a questo non rimase contenta, e di nuovo rinoandò l'imbasciata al conte, che li dovesse jjiurare vassallaria: e se questo faceva, lei s'offeriva farli guardare tutte le città, castella, e rocche, che il conte teneva nel reame, che erano assai, a spese dell'istessa regina. Il conte ciò sentito subito giurò lui, e fece giurare tutti huomini suoi d'arme vassalleria alla regina. E manifestarno tutto il fatto. Essendo l'am- basciatori con cose publiche alla regina ne fece gran- d'allegrezza, e rimase contentissima con sue genti. Frattanto li romani per la guerra hauta dal ca- stello , e perchè non fruttavano i lor terreni come solevano , e perchè tutti li forestieri s' eran partiti et a loro pareva che dello stato ne havesse più uno che un altro, cominciorno entrare in divisione l'Or- sini e Colonnesi. Laonde l'Orsini mandarono a tutti li baroni Orsini che stavano nel paese romano, che dovessero andarli a soccorrere con lor genti d'arme: onde vanno l'infrascritti signori, cioè di là da Ro- ma il conte di Tagliacozzo, il conte Antonio da Pon- te Adera: di qua v'andò il conte Pandolfo da Stab- bia , il conte lacovo da Capralica, il conte Averso da Ronciglione, et Orsino fratello carnale del car- dinale: et insieme tutte le dette brigate si ridussero nel borgo di s. Pietro di Roma , cioè in pertica, e non hebbero modo passar più nanli per all' bora. Dall'altra parte Colonnesi mandorno cercando Rien- zo Colonna che li dovesse con sua gente andare in aiuto, il quale ciò sentito andò piesto, e fu messo den- tro Roma. Et in questo modo li Colonnesi reggevano lo slato per forza, li quali si tenevano col duca di G.A.T.CXXV. 24 3T0 MUano, e mandorno messaggi a Nicolò Piccinino e Nicolò della Stella, che più presto potessero 1' an- dassero in aiuto, manifestandoli la mutatione fatta dall'Orsini. Erano partigiani Orsini questi rioni, Pon- te, Parione, e la Regola, e parte di s. Angelo. Tutti l'altri rioni si tenevano per Colonnesi, salvo Traste- vere, che le più fiate stava con sue persone di mez- zo all'una parte e l'altra. Questa divisione fra' romani fu scoperta li 15 d' ottobre. Sendo così divisati li romani , li partigiani Orsini si mandar© a racco- mandare al papa, ch'era in Fiorenza , li mandasse qualche aiutorio. Il papa mandò il vescovo di Recana ti, et il vescovo d'Ancona al conte Francesco Sforza pregandolo facesse accompagnare questi prelati sino a Roma ; et il conte ci mandò Lione suo fratello con 1000 cavalli et 800 fanti , et entrati in Roma corainciaro a gridare: Viva la chiesa e papa Euge- nio. Dopo alcuni dì il popolo minuto levò rumore per tutto gridando: Viva la chiesa et il papa: e così facendo derno , Roma al papa. Per lo favore che Lione faceva alli dui prelati fuggirono di Roma la maggior parte de' principali Colonnesi. Hauta così Roma, cavaro di prigione il cardinale camberlengo del papa, e la signoria mandò il bando per tutta la città clie ogni romano debba tornare a casa sua in termine di X dì, e chi non tornerà sarà tneiiso per ribello: omJe gran parie ne tornaro. Era Roma per la guerra passala, e per l'assedio fattoli dal suo ca- stello, tutta guasta, et impoverito tutto il popolo mi- nuto e gran parte de' maggiori. E questo ancora fu parte di cagione che s' arrenderò al pa()a , per- chè tuttavia peggioravano loro condilione. Ante la detta vittoria quei vescovi per loro mandati n' av- 371 KÌsaro il conte, e tulle le tene si tenevano per là chiesa. Ne gionse la novella a Viterbo li 28 dèi detto ottobre. I viterbesi ne fero gran festa et alle- grezza con sonar campane e con fochi grandissimi. Sapute tali novelle a Montrfìascone un commissario che ci era per Nicolò della Stella, chiamato Giovan- ne da Crema, per comandamento del suo signore subito radunò quanta gente potette , et andonne a Toscanella, mettendosi in aguato: e perchè li tosca- nesi non si guardavano per la tregua già falla, li mandò un messaggio con una lettera manifestan- doli si debbano guardare. Letta la lettera, fece in quel punto una correrria in modo che fur presi 38 prigioni di taglia, e gran quantità di bestiame gros- so e minuto, e menaronli a;Monletìascone*, e così fu retta la tregua tra il conte Francesco e Niccclò Piccini- no-HoraMonleficscone da l'oft'esa a tutte le terre intor- no, salvo Viterbo, e questo riserbava perchè non pote- va far di meno non potendosi raantenei e se non a Viter- bo, dove detto Giovanni da Crema si forniva di forni- menti molti che in Montefìascone non haveva. Così da' viterbesi fu dimandato detto Giovanni come voleva vi- ver con loro ? Et egli rispose: Fino a novo ordine del suo signore non ofFenderia Viterbo. Simile li viterbesi scrissero a' vetrallesi, et al prefetto che stava a Ca- prarola; et ognuno di loro rispose, che con Viter- bo volevano pace e non guerra, che non ne pote- vano far senza. Hora li viterbesi stanno securi , et hanno da ogni parte pace. Infra questo mezzo, Lio- ne Sforza e Fiasco, che stavano in Roma con la delta gente , rimesso il cardinal nepote e camberlengo del papa in signoria di Roma si partirono, e tornorono al conte Francesco e mandarono a Bagnorea circa 372 80 cavalli el huomini d' arme per stantia che si defendesse da Montefiascone. Così mandare gente al conte di Gallese per suoi bisogni. Dall' altra parte il detto camberlengo manda il conte Averso e Polo Tedesco Orsino con altri soldati a campo alla Tolfa nova dove il prefetto haveva fatta rilevar la rocca. Se gli posero in assedio all'entrar di novembre , e non l'hebbero. Passati XI di del detto mese, Giovanni da Cre- ma per comandamento di Nicolò bisognò offendere Viterbo, e tutte le terre che erano centra di lui. E cos'i lo mandò a dire a' viterbesi, e delli tanto ter- mine, quanto a bell'agio potessero mandare per tutto il bestiame et huomini di fuori, e li fé sapere che si guardassero che gli bisogna far guerra per forza. Essendo le cose ne' detti termini, il detto Giovanni e Biagio da Perugia parente di Nicolò della Stella con quanta gente potere adunare n'andare a far una cor- reria a Bagnorea. Del che hauta notilia per qualche spia, le genti d'arme del conte, che stavano in Ba- gnorea, mandare fuori tutti li bovi della terra fi^cen- doli spander per la campagna. Essi pei si misero in ap^uato de' Bracceschi, e fero insieme fatto d' arme ])er mode che Giovanni da Crema fu pigliato, et a Bianio fu passata una spalla da un canto all' altro da una lancia restata , e fumo pigliali gran parte di quelle genti d'arme , e de monlefiasconesi fumo ammazzati parecchi, e guasti assai cavalli, e messi l'.Tvanzo in rotta; e non bastando questo, li Sforze- schi andare la notte a guardare intorno le mura di Montefiascone, e quanti ne trovare tutti li pigliare li 15 di novembre. Rolla la detta guerra, il cardi- 373 naie camberlengo liberato da' romani si parti da Ro- ma, et andò a Gorneto, ove stette alcuni dì: poi andò a Fiorenza. Il conte Francesco Sforza fu dal papa rifermo confalouiero della chiesa e marchese della Mar- ca, gran contestabile della regina di Napoli, e solda- to della lega de' fiorentini e venetiani; et in quel tem- po mise campo a Castiglione di Nicolò, et hebbelo presto, salvo la rocca, e mandò il campo a Lugnano. Andaropoi 150 fanti di Nicolò di notte tempo, en- trati per la rocca di Castiglione là racquistaro la ter- ra con danno della gente che ci trovarono. Passò non in tutto il mese di decembre che il conte Fran- cesco mandò per stanza a Viterbo messer Alessandro, uno de suoi fratelli carnali, con 150 cavalli, e Lione l'altro fratello era prima andato a Toscanella per stanza; e guerreggiavano a Montefiascone et a Piti- gliano; il quale Pitigliano dopo la morte del conte Gen- tile che fu ammazzato a Soana da sonanesi propri, e de- ronsi al comunedi Siena, era retto dalla contessa. Onde all'hora la contessa moglie del conte già Gentile, e pitiglianesi s'accostorno con Nicolò Piccinino e Ni- colò della Stella. E così rotta la detta tregua fecero guerra alle terre del conte Francesco Sforza, e così il conte a loro. L'altra guerra fu rolla a Magliano di Sabina, ohe si teneva per Nicolò Piccinino: onde li mosse guerra il conte di Foglia che si teneva per il conte Francesco Sforza, e facevano a Magliano guer- ra mortale. Così da ogni banda del Patrimonio si faceva guerra, et era tutto il paese corrotto, e pieno di tradimenti. Venuto il 1435, il prefetto fornì la ferma sua con Nicolò della Stella, et acconciossi al soldo del 374 conte Fianceseo, et ebbe trattato con quei pochi ve- traUesi ch'erano in Vetralla, e li detti vetrallesi pi- gUorno il castellano che stava per Nicolò , che si tidava di loro, e così preso levaro romore , gridando: Viva il prefetto. Erano in Vetralla per Nicolò forse 20 fanti, de' quali fumo pigliati fino a 12, e dui loro contestabili Pietro Antonio eRomanello, e messi in rocca prigioni. E così il prefetto hebhe Vetralla a sua petitione li 2 di gennaro. Fatta la detta mu- tatione il prefetto fu avvisato del fatto , e volendo partir da Caprarola per andare a Vetralla, non si fi dava per limenza del conte Averso da Ronciglione, che gli era nemico. Onde mandò a Viterbo a messer Alessandro Sforza che li fesse piacere mandarli 80 cavalli per sua compagnia: et havutili, n'andò a Vetralla facendo prima una correria a Ronciglione, dove pigliò certi prigioni, et in Vetralla fu ben ricevuto li 5 di gen- naro, et alli 7 fece li dui contestabili prigioni get- tar dalla rocca e morirno. Prima che passasse detto mese, quei di s. Gemini , Capitona e della Penna , che si tenevano per Nicolò Piccinino, tutti con buoni patti si dettero al conte Francesco Sforza. A mezzo lebraro Lione Sfojza andò di notte, e «calò Castel d'Araldo, che si teneva per Nicolò For- tebraccio. Fra questo tempo il conte Francesco tolse al comune d'Orbieto tutti li castelli che si tenevano per il vescovo d'Orbieto slesso, quale teneva la città sua a petitione di Nicolò Piccinino. Tolte, le mise a saccomanno, e misevi dentro fanti suoi, et ogni dì erano su le porte d'Orbieto: tenendolo tanto stretto che non n'usciva persona. 375 Entrato marzo, il conte Francesco andò a Cor- Iona, e ricevè denari dalla lega de' veneliani e fioren- tini: tra denari e velluti 200 mila fiorini d'oro, e eoo la gente sua che menò seco 1500 cavalli, con tan- cie in mano, e 1800 faoli con 800 largoni venen- dosene a Todi passò tra Perugia et Assisi e mandò a dire a Nicolò Fortebraccio se voleva torli detti denari che andasse, poicchè li passava a presso. Que- sto fece perchè Nicolò haveva detto volerli torre per forza, ma non ne fece niente. Tornato il conte con detti denari a salvamento in Todi pagò tu(ti suoi compagni. S'era partito da Nicolò Piccinino con suo gran dolore e malinconia un capitano di gente d'arme chiamato il Taliano con 500 cavalli e 400 fanti, gente tutte di buon apparecchio: costui dettesi con tutti i suoi al soldo del conte Francesco. Era già detto Nicolò Piccinino con salvo condotto del pa- pa venuto una fiata al bagno di Siena, e venne per mare e per terra li vennero per sua guardia 600 fanti, e 100 cavalli. Volendo sotto inganno far venir Francesco Piccinino suo figliolo da Lombardia con tutta sua gente volse passar per Faenza: ma il sip. di Faenza si parò a' passi, e contradisseli il passare per modo che fero fatto d'arme insieme, et il figliolo di detto Nicolò perde 200 cavalli: e non potendo di li passare, cercò passare per il paese de' lucchesi a 30 e 40 cavalli per volta. Era già principiata la guerra in Lombardia per cagione che il duca di Milano haveva cercato trat- tare con padoani per torre Padova a' veneliani, e raan- docei 4000 fanti prestati a lui dall'imperatore e 2000 fanti de' suoi. Facevano questo per render Padova 376 a Brunoro della Scala, che era coH'imperatore, e li venetiani I' havevano cacciato da detto paese. Hora non giungendo li detti fanti per 4 hore a tempo in Padova, fu scoperto il trattato e da' venetiani furon pigliati dentro Padova il figlio di detto raesser Bru- noro , e dui commissari del duca et un commissa- rio dell' imperatore entrati in Padova sconosciuta- mente, e furono impicati per la gola. (Sarà continuata) 377 ITJ^lll^l'i^^ Bella imitazione di Cristo, libri quattro, secondo Vantico volgariz- zamento ridotto a corretta lezione per M. A. Parenti. — 8." Boma nello stabilimento di G. A. Bertinelli 1851. (Un voi. di pag. Vili e 326.) J^esiJeralissima non meuo dagli uomini pii , ciie dagli amatori delle italiane eleganze, esce questa ristampa dell'antico volgarizza- mento (]elV Imitazione di Cristo: perciocché in poche mani trova- vasi quella che ne fece in Modena il chiarissimo signor professore Parenti. Noi dobbiamo siffatto favore al benemerito sig. ab. Fabio Sorgenti, il quale si è dato gran cura perchè l'edizione riesca ni- tidissima non meno che correttissima. Or ecco un libro, di cui, dopo il divino vangelo, non sarà fra' cristiani chi più santamente innamorisi e goda. Lettera di Baldassare Castiglione a Federico Gonzaga marchese di Mantova , ora per la prima volta messa in pubblico da An- tanenrico Mortara membro dell'accademia colombaria di Fi- renze, della labronica di Livorno, della tiberina, di quella del- Vimmacolata concezione e delVarcadia di Roma, dell'accademia pontificia di Bologna, di quella de'risorgenti di Osimo, della società aretina di scienze lettere ed arti , e di varie altre. — 8." Casalmaggiore coi tipi de' fratelli Bizzarri e comp. 1851. (Sono pag. 16.) Lod diamo V egregio sig. Mortara di questo nuovo n-galo che fa alle nostre lettere classiche. 378 fita dì Silvia Curtoni feria veronese. — 8.0 Verona eoi tipi di Dionisio Ramanzini. ( Un voi. di pag. 184 col ritratto della Verza in bellissima litografia.) Xja Cartoni Verza fu donna fra le italiane chiarissima nell'età sua: perchè, scolara del celebre Girolamo Pompei, coltivò ed amò som- mamente le lettere. Nacque in Verona nel 1731, e vi morì il 20 di agosto 1833. Fiorì nelT amicizia del Parini , del Pindemonle, del Torelli, del Lorenzi, del Fortis, del Vannettij del Bettinelli e d'altri illustri , ed ebbe finché visse aperta in patria la sua no. bile casa quasi ad una serale accademia d'ogni coudizione di lette- rali e di artisti. Autore di questa dotta ed elegante vita è il veronese sig. Ben- nassù Montanari, ben noto all'Italia per l'altra importantissima che ci die del suo incomparabile maestro ed amico Ippolito Pindemonte. Biografia del professore Pietro Obici scritta dal prof Giovanni lio- sini. 4." Pisa tipografia Nistri 1831. (Sono pag. 16.) JLj Obici fu professore illustre di meccanica e idraulica nell'uni- versità di Pisa, morto il 19 di agosto 1849 in età di soli 45 anni. Ci dispensiamo dal lodare, come merita, questo scritto, non aven- done bisogno ciò ch'esce dalla celebre penna del cav. Giovanni Ro- tini. Jlugustini Caporilli Razzae patricia nobilitate, sacerdotis canonici sanctae ecclesiae alatriensiss hendecasyllabon M0N0BIA02. — 8." Jìomae ex typographìa veuustarum arlium 1850. ( Sono pag. 46.) .11 canonico Caporilli Razza fu scrittore di belle eleganze nella lin- gua latina, la quale apprese a'puri frati de'cl.issici. In questo vo- lumetto di cadecasillabi v'ha di moli 'oro: ed eccone mi saggio . 379 DE PARTU VIRGINIS Betlilem heu I Davidis urbs vetusta regis Teclutn davidicae negat puollae Ferro durior ac inhospitalis. 0 factum male ! o misella virgo ! Quae nuiic lassula tristinm viarnm, Uigescens, nive, brumae et impotentis Acri vi, corniti inque nixa fido Successit stabuli nidis latebris, Summi ut progeniem ederel Toiiantis. Divi sidereae domus aliirani Eia preclari venite lapsu , Sordes vos tuguri absoletioris, Umbras pallidulasque dimovete: Matris et piieri levate curas; Raptim vel potine superuara in autam Subvecti puer atque mater alis Inf'erantur Utriciue caelica aula ^umquid dignius est decentiusqiie ? DE D. ALOISII GOr 96 Montanari, Elogio di Gaspare Spontini . » 102 Viola, Lettere sul colle Tiburtino {Continuaz.) » 160 Diotallevi, Gcnuiua interpretazione della frase Figere cervos di Virgilio '. . . . . » 197 T. Livio, Frammento di traduzione della sua deca III , lib. /. » 257 Baldassini, Articolo necrologico del conte Giu- seppe Mamiani » 271 Re, Traduzione delle satire di Giovenale . » 284 Della Tuccia, Cronica inedita de' fatti d' Italia nel secolo XV, pubblicata dal prof. Orioli. >^ 299 Varietà. s,-^'- IMPRIMATUR Fr. D. BiUtaoni S. P. A. Mag. IMPRIMATUR F. A. Ligi Archiep. Icon. Vices{». GIORINALE TOMO CXXVI Gennaio, Febbraio e Marzo 1852 ROMA Tipografia delle Belle Arti mi Piazza Poli n. 91, 'Si • '^ ^ H O I ifA/:j Oi/Ui' l'iA alf'ifl olisi) f,ilin!^( filler iMMMMMMiii DIRETTORE DEL GIORMLE S. E. il sig. principe ». PIETRO ODESCALCHI, consigliere di stato, presidente delle pontiflcie accademie di archeologia e de' nuovi lincei, ,, , membro del collegio fllologico dclfunivcrsità romana* @#S^i>ll^^#ll BETTI cav. SALVATORE , professore di storia e mitolo- gia e segretario perpetuo dell'insigne e ponlificia acc;ide- mia di s. Luca, membro del collegio filologico dell' uni- versità romana, socio ordinario e censore della pontificia accademia di archeologia, accademico della crusca. BORGHESI cav. BARTOLOMEO, accademico della crusca, corrispondente della ponlificia accademia romana di ar- cheologia e dell' instituto di Francia, membro delle RR. accademie delle scienze di Berlino, Torino ec. CAPPELLO cav. AGOSTINO , cotisigliere emerito del su- premo magistrato romano di sanità, già medico consulente della san. mem. di Leone XII, socio ordinario delle pon- tificie accademie di archeologia e de' nuovi lincei. MAGGIORANI dott. CARLO , membro del collegio medi- co-chirurgico e professore di medicina politico-legale nel- r università romana, socio ordinario della pontificia acca- demia de' nuovi lincei. POLETTI cav. LUIGI, presidente e professore di architet- tura teorica nell'insigne e pontificia accademia di s. Luca, professore ordinario di architettura nell' ospizio aposlo- IV lieo di s. Michele , professore onorario della R. accade- mia delle belle arti di Modena, architetto direttore della riediBcazione della basilica di s. Paolo , consigliere della commissione consultiva di antichità e belle arti presso il ministero del commercio e belle arti, addetto al collegio filosofico delTuniversità romana, socio ordinario della pon- tificia accademia di archeologia. VISCONTI commendatore PIETRO ERCOLE , commissario delle antichità romane, presidente onorario del museo ca- pitolino, segretario perpetuo e socio ordinario della pon- tificia accademia di archeologia , membro del collegio fi- lologico dell' università romana, consigliere della commis- sione consultiva di antichità e belle arti presso il mini- stero del commercio e belle arti. ONORARI CARPI Gay. PIETRO , professore di mineralogia , membro del collegio medico-chirurgico e direttore del gabinetto mineralogico dell' università romana, socio ordinario del- la pontificia accademia de' nuovi lincei. &E-CROLLIS cav. DOMENICO, presidente del consiglio sa- nitario militare. GERARDI dott. FILIPPO. COLLABORATORI ASTOLFI avv. Angelo, giureconsulto, a Rologna. RARTOLINI monsignor Domenico, ponente della sacra con- sulta , socio ordinario della pontificia accademia di ar- cheologia in Roma. BIANCHINI Antonio , segretario della società degli amici delle belle arti, in Roma. BIOLCHINl Pietro, segretario del giornale, in Roma. BONCOMPAGNI S. E. don Baldassare, socio ordinario della pontificia accademia de' nuovi lincei , onorario di quella di archeologia, in Roma. V BRIGHRNTI cav. Maurizio, ing-egncre ispeUore, a Bologna. BRIGNOLI di Brunoff Giovanni, professore, a Modena. CAMPANARI avv. Secondiano , socio corrispondente della pontificia accademia romana di archeologia, a Toscanella. CANTALAMESSA CARBONI Giacinto, in Ascoli. CAPOZZI Francesco, a Lugo. CHELINI padre Domenico, delie scuole pie, professore nel- l'università, Bologna. CHIMENZ dott. Baldassarc, chirurgo, in Roma. CICCONETTl avv. Felice, giureconsulto, in Roma. CONTI dolt. Filippo, medico , a s. Anatoglia di Camerino. COPPI ab. Antonio, segretario del pontificio instituto agra- rio, socio ordinario delle pontificie accademie di archeo- logia e de' nuovi lincei, in Roma. CORDERÒ DI S. QUINTINO cav. Giulio , membro della reale accademia, a Torino. DE-FERPiARI padre maestro Giacinto, dell'ordine de' pre- dicatori, commissario generale del s. uflìzio , consultore delle sacre congregazioni dell'indice, de'vescovi e regola- ri , di propaganda e del concilio , socio ordinario della pontificia accademia di archeologia, in Roma. DE-LUCA monsig. Antonino, vescovo di Averla. DE MINICIS avv. Gaetano corrispondente della pontificia ac- cademia di archeologia, a Fermo. DE-ROSSI cav. Giambalista, scriKorc di lingua latina nella biblioteca vaticana, socio ordinario della pontificia acca- demia di archeologia, in Roma. DIONIGI ORFEI contessa Enrica, in Roma. FARI de' conti MONTANI monsignor Francesco, cameriere segreto di Sua Santità , canonico della patriarcale basili- ca di s. Maria maggiore, pro-custodedi arcadia , consul- tore delle sacre congregazioni dell' indice e di propagan- da fide, in Roma, FERRUCCI cav. Luigi Crisostomo, a Firenze. FERRUCCI Michele, profossore, a Pisa. FIORINI MAZZANTI Elisabetta, in Roma. VI FOLCHI cav. Clemente , arcbitetto di Sua Santità , consi- gliere dell' insigne e pontificia accademia di s. Luca, in- gegnere ispettore emerito membro del consiglio d' arte , addetto al collegio filosofico dell' università romana , so- cio ordinario della pontificia accademia di archeologia , consigliere della commissione consultiva di antichità e belle arti presso il ministero del commercio e belle arti, in Roma. F0NT4NA cav. Pietro , corrispondente della pontificia ac- cademia di archeologia, a Spoleto'. FRANCESCHI FERRUCCI Caterina, a Genova. GIACOLETTI padre Giuseppe , delle scuole pie , in Pie- monte. GIULIANI padre don Giambatista, somasco, professore d'elo- quenza sacra nell' università, a Genova. GRIFI cav. Luigi , segretario generale del ministero del commercio, belle arti ec, socio ordinario e conservatore perpetuo dell' archivio della pontificia accademia di ar- cheologia, in Roma. GUZZONI DEGLI ANCARANI dott. Carlo, a Spoleto. LARUS cav. Giovanni, membro dell'I, e R. istituto, a Mi- lano. LEONARDI dott. Mauro, medico primario, in Amelia. LOPEZ cav. Michele, prefetto del ducal museo , a Parnia. MARCHI padre Giuseppe, della compagnia di Gesù, consul- tore della sacra congrega/ione delle indulgenze e sacre reliquie^ membro del collegio filologico dell'università, so- cio ordinario della pontificia accademia di archeologia, in Roma. MASETTI canonico Celestino, a Fano. MONTANARI Giuseppe Ignazio, professore, a Osimo. ORIOLI Francesco , consigliere di stato, professore di sto- ria antica ed archeologia ncU' università, socio ordinario e censore della pontificia accademia di archeologia, soci(i ordinario dell' altra pontificia de' nuovi lincei, in Roma. PAOLI conte Domenico, a Pesaro. PAULUCCI Domenico, vicesegretario municipale, a Bimini. PERETTI Pietro , professore emerito di farmacia dell' uni- versità, in Roma. PIANCIANl padre Gio. Battista, della compagnia di Gesù, membro del collegio filosofico dell' università , socio or- dinario della pontificia accademia de' nuovi lincei , in Roma. PLANA barone commendatore Giovanni, membro della reale accademia delle scienze, professore d' analisi nella univer- sità, regio astronomo, a Torino. PUCCINOTTI dott. Francesco , professore nell' università , a Pisa. RAMBELLI Gio. Francesco, professore, a San Giovanni in Persiceto. BAMELLI Camillo, professore, a Fabriano. RANGHIASCF BRANCALEONI marchese Francesco, a Gub- bio. RICCARDI dott. Gregorio, medico, in Roma. RICCI marchese cav. Amico, a Bologna. ROSSI monsignore Stefano, prelato domestico di Sua San- tità, delegato apostolico della provincia di Ravenna. SANTINI dott. Angelo, medico primario, a Mentalboddo. SECCHI padre Gio. Pietro , della compagnia di Gesù , so- cio ordinario e censore della pontificia accademia di ar- cheologia, in Roma. SORGONI dott. Angelo, primo medico, a Monlolmo. SPEZI Giuseppe, professore di lingua greca nell' università romana, socio ordinario soprannumero della pontificia ac- cademia di archeologia, in Roma. TORTOLINI ab. Barnaba, membro del collegio filosofico e professore di calcolo sublime nell' università , professore di fisica matematica nel collegio urbano di propaganda e nel seminario romano, socio ordinario della pontificia ac- cademia de' nuovi lincei, in Roma. TROMPEO cav. Benedetto, a Torino. VALDRIGHI conte Mario, a Modena. VII! VALORI cav. Francesco , membro uui collegio medico- chirurgico , professore di sanila nella sacra consulta, in Roma. VESCOVALI Luigi, socio ordinario della pontificia accade- mia di archeologia, in Roma. VOLPICELLI Paolo , professore di fisica sperimentale nel- r università, direttore del gabinetto fisico, segretario della pontificia accademia de' nuovi lincei, in Roma. ZANELLI ab. Domenico, in Roma. Lettera del prof. Giuseppe Osenga al eh. sig. cav. Angelo Pczzana^ bibliotecario della reale biblio- teca di Parma, intorno all'opuscolo intitolato: — Della vita e delle opere di Gherardo cremonese traduttore del secolo duodecimo e di Gherardo da Sabbioneta astronomo del secolo decimoterzo. Notizie raccolte da Baldassare Boncompagni. — Illmo sig. cav. bibliotecario G ià da un mese io le debbo mollissime grazie pel dono fattomi di un esemplare del bell'opuscolo in 4." recentemente edito in Roma, che ci porge le noti- zie raccolte dal principe Baldassarre Boncompagni sulla vita e le opere di Gherardo Cremonese tradut- tore nel XII. " secolo , e di Gherardo da Sabionetta astronomo nel secolo XIII." Questa nuova operetta dell'illustre patrizio ro- mano colpisce già al primo aspetto per la nitidezza G.A.T.CXXVI. 1 •i e ricchezza lipografica; che se poi l'amatore avido, com'io, di gustare il bello, e l'instancabile indaga- tore di mende , prendano a studiosamente esami- narvi i facsimile che numerosi vi si trovano, e ne considerino minutamente le forme, e le dimensioni, e le punteggiature, e perfino le tinte, specialmente riguardo ai due fogli in pergamena , e alle pagine 22% 23% 79», 80% 96' e 97% non potremo che accordare grande pregio di esattezza a questo libro, e volgere sentimento di grato animo e di plauso a quell'agiato cui l'amore degli utili studi induce ad erogare non lievi somme, e senza pompa, in lavori come questo, illustrando la patria comune. Ma né soltanto per tipografico valore parvemi ragguardevole il libro ch'ella ha voluto favorirmi; bensì tutto leggendolo con attenzione vi ho scorto ad ogni pagina squisito tatto di storico, ponderato giudizio nelle controversie, ed erudizione straordi- naria e certamente per laboriosissime e dispendiose compulsazioni acquistatasi; ond'io sebbene assai poco istrutto d'antiquarie, anche in ordine alla scienza che con tanto dilett» professo, sentomi attratto ad ac- coglier« per «indubftaiti i ifattiiin quest'opera dedotti. E con compiacenza vi leggo luminosamente con- fermato altro essere stato il Gherardo Cremonese, me- dico insigne che con tanta lena nel duodecimo se- colo fu traduttore in Toledo di irapoitanti opeie scientifiche dall'arabico nell' idioma latino, altro il 3 {Gherardo , pure abilissimo medico lombardo , che dipoi in Italia, e specialmente nella dotta Bologna, apportò alla propria estimazione nocumento , e al progresso delle sane dottrine filosotìche ed astrono- miche ritardo funesto, facendosi autore e campione di fole astrologiche e di assurde teorie planetarie : teorie di cui allora fu gran voga, quantunque vi- gorosamente le combattesse quel Regiomontano (Mul- ler ) cui dobbiamo annoverare fra i primi restau- ratori delle scienze positive in Europa. E le notizie sul primo Gherardo io ho qui lette con molta soddisfazione, non tanto apprendendo di varie sue traduzioni fino ad ora non note abbastan- za, quanto percorrendo la sua traduzione di quella operetta inedita che presenta raccolti in breve scrit- tura i principii elementari dell'algebra, e che sì in- gegnosamente discorre delle equazioni quadratiche tentandone una soluzione geometrica , com'è ripor- tato nella seconda delle pergamene premenzionate . e facendo uso delle quantità negative nella guisa la più esplicita ; il che valentemente corrobora , anzi ineontestabilmente conferma, le opinioni del celebre Chasles in due interessanti subbietti, cioè essere già fino dal secolo XIT pervenute all'Europa le teorie dell'algebra numerica , e fin d'allora al dominio di codeste teorie avere appartenuto il concetto delle quantità soUrallive; e sono al principe Boncompagni bene liconoscenle dell'averci esposto intero codesto 4 trallatello di matematica , perchè ad approfondire Io studio dei principii metafici della nostra scienza è di mollo lume il vedere sotto quali aspetti, con quali forme , e per quali raziocini gli antichi matematici (de'secoli XP e XIP) scorgessero, esprimessero , e stabilissero queglirremovibili fondamenti , sui quali ammiriamo in oggi ergersi cotanto sublimi monu- menti scentifìci. Accolga pertanto, chiarissimo sig. cav., i miei ringraziamenti, e prova della loro vivezza le sia que- sta indiscreta preghiera ch'io le volgo, di volermi pure addittare quelle opere di argomento analogo che in appresso dalla penna del Boncompagni fossero per crearsi. Parma 29 febbraio 1852. Suo Devotissimo Servitore G. OSENGA Sul sanitario congresso internazionale aperto a Pa- rigi nel di 23 luglio 1851 e chiuso nel di 19 gennaio 1852. Cenni storici di Agostino Cappel- lo^ membro del medesimo^ e consigliere emerito d el supremo romano magistrato di sanità. Oe pei progressi degli scientifici lumi e deirinci- \iliinento si fece a' dì nostri tesoro di utili nozioni contro gli esotici ed indigeni contagiosi nriorbi, tut- tavia il sanitario preservativo regime non serbavasi all'unisono , ma si osservava qua e là svarialo : in talun luogo anzi tendevasi apertamente alla sua to- tale distruzione. Quindi non sarà mai abbastanza de- gno di encomio il filantropico pensiero surto in Ita- lia ed in Francia per invitare a parlamento i più illuminati governi di Europa : onde apporre unifor- me e solido riparo, non meno a vantaggio della pub- blica incolumità, clie dell'universale commercio co- tanto oggidì accresciuto per le portentose e rapide comunicazioni di terra e di mare. La gloriosa nazione francese intraprese coleslo importantissimo obbietto con un programma, al qua- le presero parte altre undici europee potenze , in- viando nella capitale della Francia i loro rappresen- tanti (1). Essi non mai più dimenticberanno le cor- tesie di ogni maniera e gli onori prodigali dallo stesso supremo governo di Francia, come meglio si dirà infine di questi storici cenni. In altra epoca (i) (){;ni governo speili al congresso nn medico eil un console. ancora aveva io fallo luminoso esperimento della penlilezza francese (1). Onoralo di nuovo di recarmi in Fi-ancia dalla Sanlità di Noslro Signore Papa PiolX per rappresentare il pontificio governo nel sanitario internazionale congresso, doveva io corrispondere al mandato anche per intimo coscienzioso convincimen- to: imperocché racchiudevansi nel mandato sanitarie norme da me professate in seno della slessa suprema magistratura sanitaria romana, e più volte da me ri- schiarate e nel 1835 e poscia virilmente sostenute (2). Essendo stampato quanto fi^ opinato e risolilo in ciascuna sessione dell'inlernazionale congresso, mi era io da ultimo proposto di non tenerne ragiona- mento di sorta : mentre a chi veniva il destro di leggere i verbali processi, avrebbe chiaramente os- servato l'opinamento di ciascun membro. Ma essen- domisi in questi giorni da Genova rimesso gentil- mente un opuscolo spacciato dentro e fuori d' Ita- lia (3), mi corre debito soprattutto pel dotto pubblico italiano di voltare dalla francese nella italiana favel- la ciò che fu per me opinato e scritto il più breve- mente possibile. Imperciocché non solo più opuscoli e volumi aveva io pubblicati, talora per oflìcio, in- torno gli esotici ed indigeni contagiosi morbi, ma ancora per attenermi ai soli fatti, giusta il secondo articolo del programma sanzionalo in piena confe- (1) Storia medica del eliderà indiano osservato a Parigi nel 1832. Roma 183.1 pag. V e segg. — e Memorie storiche. Roma 1848 pag. 439 (nota 48). (2) Memorie sloriche citat. pag 126-29. (3! Sul congresso sanitario internazionale riunito a Parigi. Di- scorso del dottor .Angelo Bo - Genova tipografia dei fratelli l^aga- no 1852. renza. Ora esaminando nei verbali processi i divisa- menti dell'autore dell'opuscolo, appaiono chiaramen- te differenti da quei dianzi professati e pubblicati dallo stesso (1) : e diversi attualmente dai miei so- prattutto nelle pratiche applicazioni, sebbene gene- ralmente unisoni nelle massime fondamentali. Per le quali il lavoro del sanitario congresso internazionale di Parigi sarà fecondo certamente di utilissimi risul- tamenti ; giacché se talune adottate sanitarie appli- cazioni furono, a mio avviso, azzardate, entro pochi anni verranno totalmente rischiarate ; e fo ardenti voti, che, anziché l'altrui, mio sia stato l'abbaglio. In ogni modo bene si apposero i sapienti del congresso nel progettare reiterati convegni per aggiungere, mo- dificare, o torre quanto statuivasi nel sanitario in- ternazionale regolamento dappresso chiariti fatti nelle diverse regioni scrupolosamente raccolti da speri- mentati osservatori. Apertosi nel dì 23 luglio l'internazionale con- gresso, fu da' suoi membri nominato preside l'egre- gio sig. David delegato francese, console ultimamente in Genova, ed ora ministro plenipotenziario di Fran- cia. Nel dì 5 agosto onoravasi la sanitaria adunanza dagli eccellentissimi ministri degli affari esteri e di agricoltura e commercio, i quali con savio ragiona- re , se a buon dritto predicavano le utili riforme , (1) Citerò solo l'opuscolo intitolalo « Sulla riforma delle qua- « ranleno proposta dal dott. L. A. Gosse di Ginevra. Riflessioni cri- <«. liche del dott. A. Bo membro della società medico chirurgica di « Torino, professore di patologia e d'igiene nella r. università di « Genova e medico dei lazzaretti ,% Genova tipografia dei fratelli Pagano. 8 non tralasciavano di avere piiniieramenle in vista la pubblica salute. Il che venne più volte solenne- mente ripetuto e sanzionalo nel primo articolo in piena sanitaria conferenza: ma se io mal non mi ap- ponjjo mi pare che talvolta s' intese più a favorire i materiali che i sanitari interessi. Nella seduta del dì 7 agosto statuivansi i modi di votare individualmente, e nel dì 9 dopo diverse di- scussioni s'intitolò il lavoro della conferenza - Pro- getto di convenzione internazionale seguito da un sa- nitario regolamento (1). Nella quinta sessione (14 agosto) Irattavasi di quali contagiose malattie si sarebbe occnpata la sa- nitaria adunanza. I signori delegali austriaci sosten- nero che non si dovesse punto discutere l'argomento dell' indiano malore. Ma con indicibile stupore il sig. prof. Bo, dopo avere ammessa l'importazione e la conlagione di questo morbo, inutili e nocive pre- dicava le misure di rigore per la peste indiana !! Né poco sorprende il paragone che ei fa del cho- lera-morhus col vainolo e la sifìlide; pei quali dice non essersi mai adottate misure generali e costanti. Il vaiuolo importato da più secoli , e ciò che più monta da più secoli divenuto indigeno, non risve- gliò la rigida sanitaria attenzione, in ispecie a' dì nostri per la ienneriana scoperta. Sembra poi un'im- possibile Fisico morale che la sifilide, contagio ge- losamente celato, potesse comparirsi coi febrili con- tagi, peste, febbre gialla, cholèra ec. Conchiudeva quindi il Ro doversi attendere pel cholèra alle sole (1) Proci'sso verbale n. i pag. (>. 9 misure igieniche , cui faceva eco il medico ingle- se (1). Ma il medico napolitano con sodo e saggio ragionamento sostenne il contraiio (2)- Fu in questa sessione medesima che pel retto anda- mento si propose un'eletta commissione di sette mem- bri,quattro medici e tre consoli, per proporre a tenore del programma francese gli articoli da discutersi (3). Giunto io a Parigi nel 17 agosto, e conosciuta la prevalente opinione che pel cholera delie Indie si praticherebbero igieniche cautele soltanto, nella ses- sione del dì 22 agosto manifestai opposti sentimenti, che nel processo verbale di cjuesto giorno sono ri- portati nei seguenti termini. « li sig. dolt. Cappello giunto recentemente da Roma, e che assiste per la prima volta alle seduta della confeienza , fa alcune osservazioni relative al cholera, dicendo avello stu- diato in più capitali , offrendo di produrre diversi documenti di già da esso inviali all' accademia di medicina di Parigi, La conferenza accetta con rico- noscenza l'offerta del sig. dolt. Cappello, e dichiara per organo del suo presidente che essa sentirà col più grande interesse quanto vorrà communicargli il delegato della s. Sede » (1). Atteso che pel lavoro preparatorio della com- missione richiedevasi necessariamente un non breve spazio di tempo , credetti opportuno di pubblicare (1) Proces. verbal. n. S. pag. 5 e6. (2) Iti ibid. pag. 8 e 9. (3) La commisrione fu comp' sta dei chiarissimi dilagali ho me- dico, Costi medico greco, Segovia console spngnvolo, Lnvison conso- le austriaco, Perrier console inglese, e Betti mcdiro toscnvo, presiden- te e Melicr medico parigino relatore. Ct) Proces. veri», n. fi pag. 2. 10 pel cholera un sunto di falli positivi più fiale da me pubblicati, e non ha guari con documenti ufllciali riprodotti e chiariti. Una copia del medesimo fu su- bitamente rimessa ai rispettabili membri della lodala commissione, quindi a tutti i signori delegati, agli eccellentissimi ministri ec. ; e stimo a proposilo qui nuovamente riprodurla. » Nola sul contagio del cholèra indiano. Di Ago- slino Cappello socio corrispondente dclV accademia na- zionale di medicina di Francia^ delegato del gover- no della, s. Sede alle conferenze sanitarie internazio- nali in Parigi. » Nel timore che la questione del contegio del cholèra non venga discussa nelle conferenze sanita- rie internazionali che hanno luogo attualmente in Parigi , io vado a mettere sotto gli occhi de' miei colleghi alcuni falli che hanno un interesse pratico grandissimo per non essere passati sotto silenzio. Essi .sono relativi alla diffusione del cholèra negli stati romani; io li ho scelti fra moltissimi altri, lutti ba- .sali sopra documenti officiali e riferiti dettagliala - mente nelle mie memorie (1). » Si è per favorire il commercio che una gran parte dell'Italia meridionale è slata colpita dal cho- lèra indiano. Tulle le volte che furono prese misu- re energiche si è veduto il flagello arrestarsi nel suo cammino, siccome quando comparve nelle pro- vince degli stati romani, ove si eseguirono esatta- fi) Memorie isloricbe di Agostino Cappello dal mn[i;(»ip 1810 a nato l'anno 1847, pag. 120 fino a ."ÌSe; note da 46 a 122 pag. 479 a 532. Tipografia Perego Salvioni, Roma 1848. 11 mente gli ordini del supremo magistrato di sanità. Eeco i fatti. » IVeli'aiino 1835 il consiglio superiore di sa- nità deglvj stati romani stabili i cordoni sanitari su tutta la frontiera che confina col regno Lombardo- Tenelo e colla Toscana. Questa misura salvò gli .stati romani che furono esenti dal eholéra, ad eccezione della piccola città di Cesenatico e del villaggio di Rovina. L' energia spiegata dalle due commi.ssioni sanitarie di Ferrara e di Forlì sofifocò il male in quei luoghi, ove si era sviluppato in seguito d' in- frazioni ai regolamenti sanitari. Lo slesso accadde nel lazzaretto di Francolino., poco distante da Ferra' rrt, ove le reclute svizzere venute dalla Lombardia avevano importato la malattia. « Nel 1836 il cholèra continuando ad infierire nel regno Lombardo-veneto ed a Trieste.,\\ consiglio superiore di sanità degli stati romani proibì la fie- ra di Sinigaglia. Siccome questa misura noceva al commercio , si permise di fare la fiera in Ancona ove risiede il magistrato centrale di sanità dell'Adria- tico, e che è provveduto di un lazzaretto. Membro del consiglio superiore di sanità , io mi opposi a questa misura: perchè io sapeva come è impossibile isolare completamente, in una città come Ancona., e gli effetti e le persone provenienti da luoghi infet- ti. La maggiorila del consiglio fu di contrario av- viso, e la fiera ebbe luogo in Ancona. L" affluenza de' negozianti e de' viaggiatori, provenienti da tutte le parli , fu immensa sul principio , dimodoché il commercio subilo prosperò; ma il cholera si mani- festò, e gli aft'ari si arrestarono lutto ad un tratto. 12 Ancona ed una piccola cillà vicina ed un villaggio furono circondati dal cordone sanitario: ed allorché l'epidemia disparve del tutto, sì disinfettò tutta la città ecc. E così fu che furono di nuovo preservati gli stati roniani. i morbi che svolgonsi nel continente, le infrazioni sono inevita- bili, non ostante i sanitari cordoni. Fortunatamente non tutti gì' infratlori importano la contagione: ma quando ciò accada , tosto si distrugge il contagio coll'isolamento. siccome risulta da innumerevoli pro- ve. Per cotesti fatti e pe' lumi che ci forniscono la scienza e la esperienza, trascurare oggidì le rigoro- se misure,, specialmente le quarantene, contro il cho- lèra, sarebbe un manifesto errore tanto per la pub- blica Salute, quanto per lo stesso commercio. Io so- no veramente stupito come possa dirsi che il cho- lèra cada a guisa di fulmine e peggio ancora. Ricor- datevi, signori, come il cholèra si sviluppò in Rus- sia : sebbene il governo avesse adottate le sanitarie misure, non si eseguirono tuttavia con precisione a cagione della rivoluzione dì Polonia ; dimodoché il cholèra fece progressi in Europa. I medici di Pie- troburgo, quei di Ungheria, di Galizia, le commis- sioni italiane del Piemonte, quelle del regno Lom- bardo-veneto ce. dimostrarono ofTicialmente l'impor- tazione di questa malattia. Il eh. Lombard di Gi- nevra e vari altri costatarono la stessa cosa. La commissione romana inviata a Parigi nel 1832 per .studiare il cholèra , ha riferito nella sua opera 34 importazioni accadute in diversi luoghi di differenti dipartimenti della Francia, e risultanti da documenti i9 autentici presi dagli atti officiali : inoltre liportansi altre importazioni verificate dalla stessa commissio- ne, e dal eh. Drummen medico spagnuolo. In dette opere veggonsl ancora numerevoli isolamenti, mercè de'quali arrestossi l'indiano morbo. Le opere esisto- no negli archivi dell' istituto di Francia e dell'acca- demia nazionale di medicina. In virtù dunque di coteste esperienze furono salvale dal flagello nel 1836-37 le romane province. Ultimamente (1850) a Bologna, seconda città dello stato pontificio, il cho- lèra era slato importato dai soldati austriaci, ma la città fu preservala per l'energia de' membri rispet- tabili delia magistratura sanitaria , che coli' isola- mento arrestarono il flagello (1). « Signori, se io avessi trascurato di richiama- re alla vostra saggia attenzione questi fatti della più alta importanza per la pubblica salute, mi sarei cre- duto responsabile avanti il mio governo, avanti TI- talia, e presso la posterità » (2). Il medico austriaco, anche per le istruzioni del suo governo, persiste con un lungo discorso a so- stenere l'inutilità delle misure di rigore contro l'in- diano morbo. In cosìffalli diballimenti nulla si con- chiude in questa sessione. NelTundeeima conferenza ( 27 settembre) il re- latore della commissione, riepilogando quanto si era quistionato nella precedente sessione, conchiude che la commissione insiste ad ammettere pel cholèra lesole (i) Una dotta e diffusa relazione tentò pubblicala in Ferrara, ove dalle province venete importassi net 1830 il cholerico contagio, conferma sempre più la profonda doltrimi de' medici italiani. (2) Processo verb. 10 paj. ii-ì. 20 raisuie igieniche. Tien quindi appresso un acuto ragio- namenlo il medico spagnuolo dimoslranle la neces- sità di rigide cautele contro il cholèra non minori di quelle praticate per la peste e per la febbre gialla: avvalora il suo discorso con luminosi esempi, inclu- sive quei per me narrati (1). Per contrario il console inglese, facendo plauso al discorso del signor Melier relatore della com- missione, esclude d'accordo col medico suo nazio- nale ogni rigorosa sanitaria precauzione, non ammet- tendo punto contagioso 1' indiano malore; ed asse- risce che lo stesso divisamento portarono i più dotti medici di Parigi nel 1832. Il che nella duodecima sessione vien da me provato diametralmente l'op- posto. Dopo diverse altre opinioni , si propongono emendamenti dai medici greco e portoghese : il qua- le sebbene esprimesi dell'avviso de'signori delegati francesi ed inglesi, tuttavia, oltre le igieniche mi- sure, opina per una quarantena facoltativa minore di quella per la febbre gialla: ma cotest' opinione vien modificata dal medesimo nella sessione vegnen- te. In fine, malgrado di savi schiarimenti da parte del console spagnuolo, niente si decide in questa conferenza. Ha principio la duodecima sessione (30 set- tembre) con un breve discorso del signor presiden- te che raccomanda la conciliazione, stante la diver- sità delle opinioni, cui assente il console ottomano. Ha luogo quindi un lungo discorso del medico rus- (I) Proc. verb. 11 pag, I3-'J. 21 so, tendente in fondo alla contagiosità del morbo indiano ed alla utilità delle quarantene : applaude alle igieniche misure degli inglesi, ma soggiugne le seguenti parole: Peraltro mHndrizzarei con gran- dissima fiducia agli uomini illuminati d' Italia per imparare qualche cosa di nuovo relativamente alle quarantene (1). Con prolisso discorso torna il medico austria- co sul cholèra, dicendo che questa malattia forma il nodo gordiano della internazionale conferenza: e conchiudc che le quarantene per terra e per mare sono inutili e pericolose per la conservazione ed in- civilimento delle popolazioni ! dovendosi solo adot- tare le igieniche cautele. Quindi il console greco pro- pone una conciliazione con mezzane misure già sug- gerite dal suo collega. Prosegue con assennalo argo- mento il medico napolitano a ribattere le avverse opinioni contro il sistema quaranlenario, dimostran- do la necessità delle più rigide misure contro l'in- diano flagello. Dopo questo dotto ragionamento pren- do io la parola. » Signori. Attese le differenti opinioni sul cholèra indiano, mi permetterete di tornare sopra quest' interessante quistione. Vari miei rispettabili colleghi affermano che le misure rigorose sono inu- tili per prevenire questa malattia, a cagione prin- cipalmente del suo corso irregolare. Ma non vi ha alcun medico sperimentato, il quale non abbia os- servato esser ciò la prec isa caratteristica de'morbi contagiosi, non esclusi i pestilenziali. Consultisi di (1) Processo verb. 12,pa[j. 10. 22 grazia l'istoria della medica .scienza , e si troverà Terificato il mio asserto. Fra un numero jjrande di autori, io citerò Prospero Alpino^ Hussein Sonnini per la peste di Egitto: Rohoreto e Chicoineau per le pesti di Trento e di Marsiglia: TFe&Jier, e Rayer per la feb- bre gialla di America e di Spagna. Pel tifo io non riporterò le mie osservazioni, ma mi limiterò a ci- tare i medici Acerbi, Omodei, Puccinotti etc. Le stes- se osservazioni si avverano pel morbillo e per la scar- lattina: e le contagiose malattie rispettando paesi, cit- tà ed individui in un'epoca , in un'altra questi e quelle ne sono colpite. <( Un corso totalmente diverso si osserva nelle malattie essenzialmente epidemiche, giacché queste provengono da cagioni cosmo-telluriche, come si os- .serva spesso nelle febbri catarrali, gastriche, inter- termittenti etc. le quali malattie non ponno mai ar- restarsi, né isolarsi. Inoltre le malattie epidemiche hanno una forma variabile, e sono curate con una diretta terapia, per la quale generalmente si ottengo- no favorevoli risultamenti. Si confrontino ora colle malattie contagiose pestilenziali, e si vedrà tosto che ogni contagioso morbo ha una forma sua propria. Difalti non vi é dubbio che i contagi hanno un e- lemento sui generis-, ed è appunto perciò che nello stato sporadico si può arrestarlo, isolarlo, e distrug- gerlo. Potrei io citare innumerevoli esempi sia per la peste, sia per la febbre gialla, soprattutto pel cholèra , se non temessi di essere indiscreto. Peral- tro se si trascurano le misure rigorose, le conta- giose malattìe, in ragione delle loro comunicazioni dirette ed indirette, si propagano progressivamente, 23 e si è allora ch'elleno prendono l'epidemico caratte- re. Ciò nulla ostante se si prendono in tempo le sanitarie precauzioni, si è certi di salvarsi dalle me- desime. Ecco alcuni fatti relativi al cholèra. « Il signor Wylie , medico inglese dell'imperato- re di Russia, riferisce che nel cholèra di Pietro- burgo il palazzo imperiale di Czarloe-zelo nel qua- le stavano 10 mila persone, fu isolato, e nessuno fu attaccato dalla malattia, che menava stragi nella città. (I II cholèra essendo stato importato in Egitto dai pellegrini della Mecca^ il fu Acerbi, già diret- tore della Biblioteca italiana di Milano, ed allora console austriaco in Alessandria , s' isolò colle sles= se cautele praticate per la peste bubonìca, e molti europei pe'suoi consigli praticarono altrettanto^ di modochè furon tutti immuni dal morbo. Questo ce- lebratissimo autore compilò apposita e dettagliata memoria pubblicata nel suddetto giornale (Biblio- teca italiana). L'immortale lussieii nel 1832 trovavasi alla sua campagna a Mcaux , quando si svolse il cholèra : egli s' isolò rigorosamente colla sua famiglia, e do- mestici: e tutti, in numero di 31 individui, restarono al coperto dal morbo : mentre i vicini pili prossimi alla sua abitazione furono colpiti, e non pochi re- starono vittima del male. In Roma nel 1837 l'uno de'rioni più trava- gliato dal cholèra fu quello di Trastevere^ dove tut- ti i conventi fuiono invasi dal cholèra, ad eccezio- ne del monistero di s. Cosimato preservato dal morbo per le sanitarie cautele prese dal suo prudente me- dico. Lo stesso avvenne nella pilglone di correzione, sebbene fossero flagellali i dintorni a questo stabi- limento. « Da tuttociò emerge all' evidenza, che l'aere , lungi dall' importare il germe del contagio, lo di- strugge. Relativamente poi alla terapia delle malat- tie contagiose, essa non può essere diretta come quel- la di mali epidemici propriamente detti, ma sempre sintomatica, e spesso con funesti risultati nelle pe- stilenze. Un nostro collega ( il console inglese) ha detto nella precedente conferenza, che nel cholèra di Pa- rigi del 1832 vari sapienti medici negavano il cho- lèrico contagio, fra quali Alibert e Velpeau. E cosa certa che Alibert ammelleva la necessità delle qua- rantene contro il cholèra, e Velpeau riporta molti fatti della cholèrica contagione negli archivi gene- rali della medicina.. A quest'illustri nomi io debbo aggiugnere Rayer^ Rècamìer^ Broussais^ Esquirol^ Lar- rey , Ribes , Caiol , Mare^ Pariset , Rally , Francois , Guerin. Morcau medico alla maternità etc. « Finalmente non sono dell'avviso di coloro che credono esser del tutto divenuto indigeno il cholèra in Europa. L'uno de'nostri colleghi (Betti) ha pro- dotte convincenti ragioni contro siffatta credenza: il che vien confermato dal cholèra degli stati romani del 1836-7: ciò inoltre si oppone alla dottrina de' contagi: mentre dipende dall'uomo di arrestarli, sic- come si è con numerosi fatti comprovato. Il cholè- ra certamente si riprodurrà di tempo in tempo, se si continuano a trascurare le rigide sanitarie misu- re; e più grande, a mio avviso, sarebbe la filantro- 25 pia de'goveini, che avendole fatalmente abbandona- te, o totalmenle neglette, le adottassero colla più ef- ficace attività congiunta con la medica intelligenza la più avveduta. » Signori, si è per una lunga esperienza corrobo- rata da importanti positivi fatti' si è in nome del- l'umanità, che io spero che questo rispettabilissimo congresso vorrà valutare il mio dire colla pix\ ma- tura considerazione" (1). Nuovi dibattimenti contro le quarantene ed i sa- nitari cordoni, che sono nuovamente difesi dal me- dico toscano: e con ragione si grida esser tempo di metter termine al prolungato argomento. Ma l'otto- mano console fa riflettere che essendo in questi dì arrivato il medico delegato della sublime Porta, deb- ba esser messo al giorno di quanto si è trattato in- torno l'indiano morbo: trovasi quindi giusto di pro- trarre ancora la dibattuta quistione.. Quindi il sig. presidente rimette i diversi proposti emendamenti alla commissione, perchè riferisca in piena radunanza la sua finale proposta per dar termine al cholerico te- ma. La qual cosa neppur si raggiungne nella 13'. sessione (2 ottobre) : infrattanto la conferenza an- nuisce alla preghiera del console ottomano, che do- manda di osser surrogato nella commissione del le- vante dal medico suo collega per le positive sue co- gnizioni e ricchi documenti intorno la bubonica pe- ste. Il medesimo, intervenendo la prima volta alla conferenza, domanda un aggiornamento, aOine di esa- minare gli atti del congresso intorno al choléra morbus. (I) Proo vcrlmle n. 12 pnjj. 22 3 26 Egli nella 14^. sessione (4 ottobre) riferisce dif- fusamente quanto si è operato e praticato dal go- verno ottomano, avvertendo da ultimo che non si trascurerebbero, per garantire la pubblica incolumità, le quarantene nelle province più esposte all'intro- duzione del morbo. Dato fine a questo ragionamento, il signor presidente invila la commissione a ritirar- si in seduta per riferire in piena conferenza il suo decisivo proposto. Ritornata la commissione dopo non breve spazio di tempo nella sala delle conferenze, ri- prende la discussione il signor Melier relatore, di- cendo essersi in seno della commissione rinnovati opposti pareri, ma dappresso i più vivi dibattimenti, la commissione pe'paragrafi 4,5 e 6 del settimo arti- colo propone il seguente emendamento. r. Le provenienze dirette da' luoghi ammorbali di cholèra^ che conteranno una traversata minore di cinque giorni^ potranno essere sottomesse ad una qua- rantena di osservazione di cinque giorni compiuti. 1". Le provenienze de luoghi vicini o intermedii manifestamente compromessi, che avranno ima traver- sata minore di 3 giorni., potranno essere sottomesse in una quarantena di osservazione di tre giorni compiu- ti. 3°. Le misure igieniche sono obbligatorie nel- Vuno e nelValtro caso. Pronunziale appena coleste proposizioni, esprimo doversi separatamente trattare in tre parti: occupar- .«li nella 1'. parte della quarantenaria ammissione: am- messo questo principio, passare a discutere la sua du- rala, ed in terzo luogo decidere sulla natura e sui 27 mezzi da praticarsi condro l'indiana pestilenza fi]. Il relatore risponde, che la commissione ha riunite in globo queste cose, sebbene riferiscansi a tre diversi articoli: ma ella è slata diretta da gravi cagioni, che é pronta a dimostrare se la discussione s'impegna sopra questo punto. Soggiugne il signor presidente della conferenza, se essa intenda di volare iramedia- lamente la proposta della commissione o vuol met- terla in discussione, Osserva che ora non si tratta che di emendamenti già discussi dalla conferenza, e rinviati alia commissione per l'iunire il valore de me- desimi. Torno io ad insistere, che sia più a propo- sito discutere separatamente le (re proposizioni. In che, come riferii in Roma, miravo con queste se- parazioni, che ammesso dapprima il contrastato ele- mento quarantenario, si potesse nelle susseguenti di- scussioni più agevolmente raggiugnere non meno lo scopo di una quarantena non facoltativa, ma obbli- gatoria e di ragionevole durata, che i mezzi per la purificazione dei passivi conduttori, inclusive delle mercanzie, ma invano. Nel mio opinamento con pro- fondo ragionare convenne il medico spagnuolo. Al quale si oppose il I>o membro della commissione, conchiudendo in fine che se non si accettassero le tre nuove proposte, la commissione sarebbe tornata a so- stenere quanto fu riportato nei paragrafi 4°, 5°. e G". dell'articolo settimo. La discussione prosegue animata da disparati pareri: pe'quali protesto di ammettere la quarantena, ma non la durata proposta della com- missione. Il console pontificio domanda associarsi (t). Processo verb. iU pag. 6. 28 al suo collega, e se ne faccia menzione nel processo verbale. Il console eli Spagna, membro della cora- missioue, oltre un savio ragionamento, manifesta es- sere stato il solo contrario all'attuale progetto. Il qua- le messo a voti, viene dalla maggiorità adottato. I delegati romani e spagnuoli domandano che il loro contrario voto sia segnato nel processo verbale, spe- cificando che essi non votano contro il principio del- la quarantena, ma contro la natura e la durata, che loro sembra del tutto insufficiente. I delegali au- striaci si astengono dal votare, ripetendo esser già noli i loro sentimenti sopra cotest'argomento: si asten- nero pure i medici russo e napolitano : questi pe- raltro nella vegnente sessione aderì all'adottata riso- luzione. Per la verità della storia, e per averne io do- vuto dare discarico al pontificio governo, sono in ob- bligo di riferire un curiosissimo incidente. Il signor presidente David, (le cui amichevoli cortesie inces- santemente praticate verso di me, come verso tutti i suoi colleghi, non saranno mai dimenticate,) in que- .sto torno di tempo essendo andato da monsignor Nun- zio Apostolico riclamò, che io era un prepotente. Monsignor degnossi rispondere che oltre le istruzioni del governo, io sapevo ciò che operavo. Chi legge può anzi esser certo, che più volle per non esser padrone del francese linguaggio, omettevansi acconce risposte, che avrei indubitatamente fatte colla lingua natia: né dirò il favore dato a chi professava opinio- ni opposte a miei divisamenti. Né ciò basta: imperoc- ché dopo reiterate mie insistenze mi fu conceduto dire le ragioni, per lo quali aveva io volato contro 29 la majjgiofllà, leggeiido molti casi di cliolerica in- cubazione fino al 1 2. '""giorno onicialmenle raccolti, ed alcuni nell'istessa Parijji, e pubblicati nella storia me- dica del cholèra di questa capitale del 1832 (1), ed al presente accresciuti pel cholèra di 3Ialta (3). Il lettore stupirà che i casi per me riferiti non furo- no segnati nel processo verbale: giacché non avevan luogo, per esser finita la dibattuta questione a secon- . 13. pag. 8. 3t 10°. // diritto è di premunirsi contro uìia mor- bosa 0 sospetta provenienza^ peraltro non debbe dar luogo a respingerla. Per contrario l'umanità esige , che i malati a bordo di un basliniento sieno accolti e curati. 11". A tal uopo ogni paese dovrebbe esser tenu- to di aver lazzaretti in numero sn/Jicente., e con luo- ghi riservati per ogni specie di provenienza. Nella discussione di questi paragrafi adottali, me- no due astensioni, tutti i delegati dan prova di loro filantropia. Se non che per one erasi avvertito di pon- derar bene la quistione: imperciocché esistono por- ti, ove anche per umanità non si dovrebbero rice- vere bastimenti con ammorbati di esotici contagi, senza però omettere, colle più rigide sanitarie cau- tele, tutti i più convenevoli ajuli. Imperocché in al- cuni luoghi i lazzaretti sono imperfetti, e dove i ma- lati, specialmente di bubonica peste, senza poter es- sere efficacemente soccorsi , ispirarebbero serie in- quietitudini col pericolo delle popolazioni sane. Il qual avviso veniva con apposito ragionamento ap- poggiato dal console sardo e dal medico di Atene (1j. ( Che se ora non si convenne dalla conferenza in questo divisamento, vedrassi poi adottato nel genera- le sanitario regolamento). Si passa qunidi alla discussione dell'art. 8". del programma, modificato dalla commissione in questi termini: 1" Per la peste, la commissione propone di ri- muovere., per essere difficile ed anche pericoloso nel- (1) Proc. ici. [>aQ. 9. 32 V applicazione la disliiizione di malattia sporadica^ e di epidemica. Sia dunque sporadica od epidemica la peste., sarà sempre oggetto di sanitarie cautele., non esclusa la quarantena. La commissione è però di av- viso., elle la malattia debba esser certa e constatata. Pronunciata appena la proposta si combatte da me questa redazione, poiché nell'ultime parole ravviso l'ac- cettazione della patente netta del levante. Il relatore risponde non aver ora luogo la discussione sulla pa- tente netta, della quale si parlerà in appresso, La sua risposta a seconda de'suoi divisamenti è giusta, ma secondo i miei non la credo a proposito : mentre, co- me si dirà meglio in seguito, non ostante la paten- te netta, credo permanente sia la peste in alcuni luo- ghi del levante , e se essa non sarà manifesta, cer- tamente il morboso seminio si racchiuderà negl'in- numerabili passivi conduttori di talune località di quelle regioni. Molto bene però si appose la commissione di dichiarare le misure di rigore contro i casi di peste sporadica , sebbene non ammesse nel programma per secondare l'opinione dell'accademia di medici- na: fallace opinione combattuta da molli inclusive da me nel 18'»7. Imperocché tutti i morbi contagiosi cominciano a modo sporadico , e per le locali ed individuali disposizioni assumono l'epidemico genio per essersi trascurata l'attiva vigilanza d'isolare tan- tosto il contagio, mezzo unico ed indispensabile per limovere le dirette ed indirette comunicazioni, con- seguentemente l'epidemia. La conferenza saviamen- te adottò la proposta della commissione per le mi- sure di rigore anche per la sporadica peste. I 33 Il 2° paragiafo dell'art. 8 riguarda la febbre gialla, ed è proposto dalla commissione diversamen- te dal concello della peste bubonica: dicesi perciò: 2". Per la febbre gialla^ stante alla pratica ge- neralnieute adottata^ la commissione propone Vam~ missione della quarantena solamente, allorché ricor- re epidemicamente. Il medico spagnuolo con avveduto ragionamen- to combatte questa redazione sostenuta dai nciembri della commissione, sebbene il medico toscano presi- de della medesima facciasi a domandare diversi schia- rimenti: e non poche sieno le disparate opinioni ed emendamenti che han luogo, per cui la quistione si rimette alla seguente sessione (9 ottobre.) Nella quale sostiene il Bo la proposta della commissione; diver- so appare l'avviso in un lungo ragionamento del me- dico portoghese, in cui rilevansi queste gravi paro- le: Il male sporadico non può esser forse il primo ca- so di epidemia ?(1) E conchiude che fintantoché non siasi potuto stabilire nel golfo del Messico un sa- nitario servigio simile a quello d'Oriente , debbon- si adottare quarantene almeno di osservazione con- tro la sporadica febbre gialla. Con prolisso discorso si oppone il medico inglese, il quale, se a buon drit- to sostiene le igieniche discipline, specialmente con- tro la sozzura de'bastimenti, male a proposito sostie- ne l'inutilità delle quarantene. Un esempio, di volo accennato dal portoghese, vien da me diffusamente chiarito, dicendo: » Signori, tutte le malattie contagiose pestilen- (1) Processo verb. 16 pag. 3. G.A.T.CXXVI. 3 ziall, siccome dissi nell'antecedente sessione, comin- ciano in forma sporadica, specialmente quando sona importale in un paese che da secoli almeno fu immu- ne dalle medesime. D'altronde endemiche esse sono in alcune località, siccome è la peste nel Levante, e la febbre g'ialla in America, ove dopo l'epidemico loro dominio rimanj][ono in forma sporadica, e ta- lora sì debolmente, che sono appena avvertite da- gue hanno le tre wuove classi delibe- rate per novella proposta della commiissione? Impe- rocché, o signori, se voi ammettete quarantene fa- coltative per le mercanzie della seconda classe, sor- gi© il pensiero che posson esse racchiudere conta- giosi germi: quindi per sicura garanzia dall'inco- lumità pubblica fa duopo noverarle nella pi-ima clas- se, nella quale , in onta de' contrasti, »&n poste a rigida quarantena le lane, le sete ec. E se voi, o signori, credete che il cottone , la canape ed il li- no e le Itjro derivazioni commerciali nou sietio ca- paci d'importare contagioni, allora dovevate metter- le nella terza classe, nella quale avete collocate le sostanze che la medica esperienza aveva reputale iiMuscettibili di racchiudere contagiosi germi. Con- chiuderò, che se la peste generalmente non si è srvi- luppata , come si pretende, nei lazzaretti nel ma- neggiare i coltoni ce, è provenuto, siccome altra A8 volta dimostrai, daUincessanle rinaovameDlo dell'a- ria: ma dimostrai del pari i casi di peste avvenuti per quelle mercanzie intro dotte per contrabando. » Nella 23. sessione (27 ottobre) seguita la di- scussione in discorso: in che il medico russo rife- ferisce, che anche talune sostanze, reputate insuscet- tibili dalla commissione, rientrano fra le suscettibili: pensa inoltre che queste parole, fin qui adoperate nel sanitario regime, sieno più a proposito di quel- le distinzioni or progettate. Contro le quali sette de- legati votano contro, tra' quali i romani. Si mette pure in discussione l'art. 2. del n. 12 così concepito: Con patente brutta di febbt'e gialla^ le mercanzie sarebbero soltanto sciorinate a bordo , in cui liberamente circolasse V aria: e lo sbarco delle medesime al lazzaretto non sarebbe ordinato se non in circostanze particolari. Si oppone a cotesla proposta con savio ragio- namento il medico di Spagna, e varie sono le opi- nioni. Ancor io pronunzio le seguenti parole: « Re- lativamente alla febbre gialla, non mi sembra pru- dente , che con patente brutta sieno le mercanzie sciorinate a bordo, ad eccezione di casi particolari. Una volta che si accordano facilitazioni, i capitani o patroni de'bastimenti mercantili faran sempre ese- guire l'aereazione a bordo delle suddette, non solo per guadagnar tempo , ma eziandio pel risparmio delle spese richieste per il loro scarico al lazzaret- to. Io conseguenza, io sono d'avviso che in patente brutta di febbre gialla, le mercanzie sieno sempre scaricate al lazzaretto per essere compiutamente pu- 49 rificaie, senza Irascurare le più scrupolose misure eli aereazione e disinfezione de'bastimenti. Quindi volo contro questa proposta (1) ». Alili cinque delegati del pari votano contro, ol- ile un' astensione; sebbene si apponga leggiera mo- dificazione neir insieme di cotesto argomento , la chiusura di questa sessione è formulala in questi ter- mini: Le mercanzie sono divise in tre classi: 1. clas- se^ mercanzie soggelle ad ima (piarantena obbliga- toria ed alle purificazioni: 2. classe^ mercanzie sog- gette ad UNA QUARANTENA FACOLTATIVA: 3. clas- se, mercanzie esenti da qualunque quarantena. Un regolamento dirà esattamente quali oggetti e quali mercanzie entreranno in ciascuna classe. Al presente è convemito.) che la jirhna classe comprenderà le mas- seriziCigli effetti usati., i cenci., gli stracci.,corami e le pelli., i crini e le penne., i rimasugli di animali in generale., le lane e le materie da seta: la 2. classe comprenderà il coltone, la canape ed il lino: la terza classe comprenderà tutte le mercanzie, e tutti gli og- getti qualunque non compresi nelle due prime classi. Regola generale: con patente brutta di peste.) \a quarantena si applica, non solo alle persone., ma an- cora alle masserizie., alle vesti ed effetti, ai bastimen- ti ed alle mercanzie., alle lettere ed ai dispacci. Le mercanzie ed oggetti della prima classe sono depositate al lazzaretto., e purificate. Il bastimento ae- reato., lavato., e disinfettato colle fumigazioni di cloro: le lettere e i dispacci saranno purificati. (1) Proc. verb. 2J pag. 7. G A.T.CXXVI. 4 50 Il trallamento delle mercanzie della seconda classe SARÀ' FACOLTATIVO. In patente brutta di febbre gialla, senza casi a bordo durante la traversata., se questa traversata è staia minore di 10 giorni^ semplice aereazione a bor- do per igienica misura nelle mercanzie. Se la traversata è stata minore di 10 giorni, ma vi sieno stati casi di febbre gialla a bordo, si possono FACOLTATIVAMENTE adoprare le misure praticate per la peste hubonica. In patente brutta di cholèra, aereazione della na- ve^ misure igieniche^ purificazione delle lettere., e li- bera pratica alle mercanzie (1). Si apre la 2A""* sessione con un discorso del re- latore, in cui si torna a denegare che la peste di Marsiglia del 1720, e quella di Noia siensi impor- tate colle mercanzie. Quindi il console ottomano relatore della com- missione de'lazzaretti, legge la relazione, che stam- pata e distribuita, sarà poi discussa (2). Si passa poscia al numero 13 dei programma, in cui il relatore della 1* commissione dice che es- sa non aveva prevedute le misure che la conferenza ha adottate per il cholèra: per cui è duopo modi- £care la redazione di questo numero, che sarà co- sì concepita: Per la peste V incominciare delle sanitarie misure sarebbe regolato dietro le indicazioni delV autorità sa- nitaria dal momento della partenza., vale a dire dap- (1) Proc. veri). 23 pag. 11. (2) Proc. verb. 2i pay. '». l 5ì presso V officiale dicfiiavazìone delV autorità^ che la ma- lattia esista. La sua cessazione sarebbe regolata sopra consi- mile dichiarazione^ ma con un certo spazio di tempo che indichi la certezza della compiuta estinzione dei morbo. Cotesto spazio è fissato a 30 giorni per la peste. Per la febbre gialla., le stesse disposizioni., ma collo spazio di 15 giorni solamente., a datare dalla cessazione del male. Per il cholèra 10 giorni (1). Dopo una savia riflessione del medico toscano,, che è duopo fare una riserva nel caso, in cui giu- gnendo un bastimenlo con patente netta in un por- to, venisse immediatamente nel medesimo un altro bastimento dallo stesso luogo di partenza, ma par- tito più tardi e con pericolose novelle, si dovrebbe in tal caso adottare dall'autorità una quarantena di os- servazione. Si fa quindi per me un' osservazione sul nu- mero 13, dicendo che nel ponderare una parte di co- testo numero, credo che le misuro per alcune località dell'oriente debban sempre essere in vigore (ezian- dio con patente netta): ben inteso che sarebbero più o meno rigorose, secondo le circostanze, siccome sa- rà discusso nel sospeso numero 10 del programma ». Succedono savii opinamenti del medico spagnuo- lo, ai quali si oppone il signor Bo: e dopo altre riflessioni del pari sagge del medico di x\lene, il medico austriaco con lungo discorso fassi a dimo- (1) Pioc. verb. ici. pag. 3. 52 strare basato sopra la propria esperienza con riferiti fatti, provando che non sono bastevoli i giorni sta- biliti per la cessazione della bubonica peste (1). Dopo altre discussioni, io domando che s'in- serisca nel verbale processo » che una perfetta di- sinfezione e purificazione debban sempre premet- tersi prima di annunziare la cessazione di qualun- que contagioso morbo (2) ». Segue poi im discorso dell'inglese che torna a ripetere l'inutilità delle misure rigorose contro il cholèra morbus. In fine si passa alla votazione del numero 13, in cui 4 delegati votano contro: fra quali i roma- ni per le accennate considerazioni. Si apre la 25"'« sessione (31 ottobre) dal con- sole pontificio, il quale con sode ragioni ribatte le opposizioni del relatore della commissione risguar- danti la peste di Marsiglia del 1720. Ciò nulla ostante il medesimo ed il signor Bo sostengono la loro opi- nione Il ' Quindi il signor presidente previene la confe- ferenza , che con molto piacere il signor ministro degli affari esteri riceverà oggi stesso i membri della conferenza , e si farà un dovere il lodato ministro dimandare al signor principe presidente Luigi Na- poleone, ritornato da S. Cloud, l'ora ed il giorno in cui potrà ricevere i signori delegati del sanitario in- ternazionale congresso. Si passa immediatamente all'esame del n. 14 (1) Proo. verb. ii Signori. Egli è vero che l'immensa maggiorità de' casi di peste generalmente non sorpassa gli otto giorni d'incubazione: ma vi sono numerevoli ecce- zioni a cotesta regola. Sono stupito che si citi l'il- lustre direttore del lazzaretto di Alessandria per so- stenere l'incubazione di 8 giorni: mentre dietro la sua risposta data nel 1846 al De Renzi, da me scru- polosamente esaminata , la durata dell' incubazione arriva qualche volta alle tre settimane (2). Il mio rispettabile collega signor Bo, nelle sue critiche ri- flessioni sopra la riforma delle quarantene proposta al governo sardo dal Gosse di Ginevra, scrive che (1) Proc. id. pag. iG-T. (2) Filiaire Sebezio, luglio 1846. Il Grassi dopo aver al quesito quarto relativo al periodo (Tincubazione ofiicialmente riferiti casi d'incubazione oltre i 10, 12, 1 S, 16, fino ai 20 giorni, chiude la sua risposta colle seguenti parole : La mia opinione poi relativa a questo quesito è che possa prolungarsi il pericolo fino alle due ed an- che alle tre settimane: pag. 28. 55 questo medico osservò un caso eli peste nel 18'iT al lazzaretto di Proinia in Grecia dopo 16 giorni di quarantena, e dopo praticato lo spoglio ed i ba- gni. Nella relazione del nnedico congresso tenuto a Marsiglia nel 1846 si riferisce, che nel 1789 la peste si sviluppò nel lazzaretto di questa città dopo 24 giorni di quarantena (1). )) Precisamente dopo le più scrupolose investi- gazioni j)raticale in tutti i lazzaretti d'Italia, ed an- cora in alcuni di Francia, il supremo sanitario ro- mano magistrato lidusse la patente brutta di peste di 40 giorni a 25, la tocca o la sospetta a giorni 21, e la patente netta a' 14 dì II magistrato di salute di Genova, in un dispaccio officiale indiritto a tutte le magistrature sanitarie dei porli del Mediterraneo e dell'Adriatico si querelava vivamente delle innovazioni fatte a Venezia, a Trieste, a Malta, soprattutto in Fran- cia, per lo scorcio soverchio delle quarantene. Due fatti, in questo dispaccio citati, farò io rimarcarvi, o si- gnori. 1 La nave austriaca s. Gio. Ballista^ \)Vove- niente nel 1818 con patente netta e senza merci su- scettibili da Durazzo di Albania, giunse a Venezia coll'equipaggio nella puì perfetta salute goduta nella (1) (lonsidera/Zioiii in prò della pubblica incoliimitJ» di Agosti- no Cappello ari. Ili. Il Frari nana di aver osservalo al Cairo un caso di peste in termine di 17 ijiorni. Il cel. l\'zzoni cui debbonsi soprattutto le sanitarie istituzioni nell'ottomano impero dopo ave- re escluso co' fatti gli 8 di, esclamava cosi nelle sue lettere ai Dayy: Essendo generale il pericolo, speriamo che tutti i magistrati d'Eu- ropa vorranno associarsi al buon fine, e noi crediamo debito nostro di unirci ad essi contro le novità adottate oggi in Francia. Annali universali di medicina di Milano pag. 330. (1845) 56 traversala fina al 14 giorno. Dopo il quale liilli i marinari furono colpiti e inoili di peste, e del pari ne morirono il guardiano e tre guardie del veneto lazzaretto. Nel 1826 il brigantino sardo Nostra Si- gnora di Loreto^ comandato dal capitano Francesco Ferrando , e partilo nel di 1 maggio , proveniente con patente netta da Retimo di Candia con un ca- rico di olio: giunto al lazzaretto di Genova nel di 1 giugno, fu verificato che il primo caso di peste si manifestò in Pasquale Marana marinaro dell'equi- paggio dopo trascorsi 18 giorni dalla partenza, e precisamente nel di 18 maggio. Molti altri, prose- gue il genovese magistrato, sono i fatti consimili ac- caduti in questo lazzaretto del varignano sotto i suoi occhi, ed in altri luoghi eziandio che per amor di brevità si tralasciano, » Emerge quindi non esser affatto prudente la durata proposta dalla commissinne nel n. 14 dell'a- nalitico rapporto per la quarantena di peste con pa- tente brutta. Si pretenderà che la commissione ha preveduto, che in circostanze gravi l'autorità sani- taria potrà adottare misure straordinarie; ciò va be- nissimo: ma siete voi sicuri, o signori, che si ese- guiranno sempre con precisione \e anhure facoltative ì » Per rendere dunque uniformi le quarantena- rie discipline io proporrò, che con patente brulla di peste, la durata della quarantena sia fissata per gl'in- dividui a 25 giorni, e per gli effetti e per le mer- canzie depositate al lazzaretto a 30 giorni di puri- ficazione, di sciorino ec. (1) ». (1) I falli riporlali in questo discorso .ivaiili il sanitario con- Immediatamente risponde il Ijo in questi ter- mini. « Per rellificare ì fatti che riguardano Geno- va, mi 0)3pongo con documenti al signor Cappello. Rispetto al fatto avvenuto nella Spezia, si tratta di un bastimento venuto con patente netta da Candia, nel quale si sviluppò la peste dopo 20 giorni: ma questo bastimento era carico di masserizie e di ef- fetti comprati a Candia (1) ». Il non esser pronto a parlare il francese lin- guaggio mi fece serbar silenzio, perchè sarei uscito fuori de' limiti di rispetto dovuto al rispettabilissi- mo consesso: sebbene in altr'occasione, come in se- guito si dirà , fui costretto a pronunziare franche parole alquanto acerbe, ma vere. Del resto i docu- menti, de'quali parla il signor Bo, li attendo anco- ra: ed i fatti di Genova per me pubblicati nelle no- tate considerazioni, ed ora accennati alla conferen- za, furono scritti dallo stesso signor Bo medico de' lazzaietti, e sottoscritti dal signor marchese Giusti- niani presidente della magistratura sanitaria di Ge- nova nel maggio 1847. Degni inoltre di grave pon- derazione sono casi consimili ai due citati avvenuti sotto gli occhi della stessa genovese magistratura. Laonde nella risposta del Bo, pubblicata nel 35"'" pro- gresso n-an di me pubblicali unitamente ad altri, ora non r;immenlali, o lejjijoiisi liti tomi t08, 109, e 112 dell'Arcadico, donde si estras- soro niiniProse copie nel 18iGe 47 col lilolo di » Considerazioni in prò della pubblica incolnmità »; ed erano responsive all'erronee opi- nioni dell'accademia medica di l'arigi contcnvile nel citalo rapporto ilei l^iis, ricordalo dal delegato portoghese per l'opera del Carbo- naro contro il medesimo Priis. (1) Proc. verb. id paj. 17. 58 (^esso verbale, si dà una mentila a se slesso ed al ge- novese sanitario magistrato. Sorprende poi che gli effetti contaminati comprati a Candia taciuti del lutto nell'officiale dispaccio del 1847 , appaiano a Parigi nel 1851 !! (1) Dal complesso di quanto si è brevemente ac- cennalo, il lettore, dopo l'autograFa risposta del Grassi al De Renzi, dopo le critiche riflessioni stampate dal Bo contro il Gosse, e dopo l'officiale dispaccio del genovese magistrato ec, darà il suo imparziale giu- dizio. Ciò nulla ostante la maggiorila accettò la pro- posta della commissione de' 10-15 giorni di qua- rantena in patente brutta di peste. Soli tre delegati, fra' quali i romani, votarono contro, e due delegati si astennero dal votaie (2). Si apre la 26'"" sessione (4 novembre) con una proposizione del Bo, adottata all'unanimità, di por- gere cioè i più ossequiosi omaggi e ringraziamenti al signor principe presidente Luigi Napoleone , ed al signor ministro degli affari esteri, pel benevolis- simo accoglimento fatto ai delegali del sanitario con- gresso, e per gl'incoraggiamenti da essi amorevolmen- te manifestati, riportandosi le seguenti parole inserite nel Monitore: » Ieri a mezzodì il signor ministro degli af- (1) Del pari Iacinti, quando il Bo applaude alle misure sanita- rie prese nel 1822 dai genovese magistrato, per le quali avvenne che la peste importata da Candia fu oircoscrilta nel lazzaretto del Varignano !!! Riflessioni del Bo citate pag. 20. (2) Proc verh 25 pag. 19. 59 fari esteri ha presentati al signor presidente della repubblica i membri della conferenza sanitaria in- ternazionale. » Il signor Turgot ha ricordato che lo scopo di questa conferenza era per parte di dodici governi, che hanno possedimenti nel Mediterraneo, di con- ciliare i mezzi più opportuni per la più possibile uni- formità delle quarantene: la quale uniformità ren- derebbe al commercio di tuUa l'Europa un indici- bile vantaggio. Egli di poi ha lodato i delegali pe' lavori di già compiuti , per lo zelo che han essi mostrato, e pe' continui sforzi, onde ottenere conci- liativi risultati. » Il signor presidente della repubblica ha ag- giunto a cotesti elogi espressivi sentimenti per 1' in- teresse che egli medesimo prendeva ai lavori della conferenza, e la concepita speranza di vederli com- piuti a vantaggio delle internazionali comunicazioni. » Il signor C. E. David, presidente della con- ferenza, ha ringraziato in nome de' suoi colleghi il signor presidente della republica della cortese acco- glienza, che esso ed il suo governo avevano fatto ai rappresentanti di undici nazioni le più illuminate di Europa, annunziando che la conferenza avrebbe l'o- nore da qui ad un mese, o sei settimane, di presen- targli i risullamenti de' coscienziosi dibattimenti ten- denti allo scopo pacifico e civilizzatore imposto ai di lei impegni con zelo adempiuti. » Dato termine all' art. del Monitore , il signor Melier, relatore della commissione, volgesi al console pontificio assicurando che i facchini in Marsiglia non presero mai la peste col maneggio delle mercanzie!! GO Dopo altre brevissime discussioni , pel gentile invito del signor ministro degli affari esteri, i dele- gali si portano all'apertura dell'assemblea legislativa, ove è loro destinata apposita loggia. La 27'"" scftsione (6 novembre) si apre con un lungo rapporto del medico inglese sulla peste di Mal- la, e che specialmente mi riguarda. Sopra avendo io detto di non tenerne proposilo se non dopo la risposta dello Schembri: tuttavia vuoisi notare, che in questa inglese relazione (1) si parla del caso di peste sviluppato nel calzolaio Borg contrabbandiere: da cui Io Schembri ripeteva l'importazione del male per tele in contrabbando: ma non ammessa affatto nell'inglese rapporto. Tornasi poi a discutere sulla quarantena della febbre gialla. Lo spagnuolo rinnova la sua proposta, che il maximum della quarantena sia portato a 15 dì, opinione assentita anche dal medico portoghese in caso d' infelice traversata: ed il console di Spa- gna avverte le frodi che si commettono da' capitani per occultare la malattia. La quale, secondo le os- servazioni del Bo, non isviluppasi mai, quando fe- lice sia sialo il marittimo Iragntto: ma soggiugne il j)ortoghese delegalo, non doversi prestare sicura fi- danza ai rapporti de' capitani mercantili. Per con- trario sostiene il signor presidente, che i capitani mer- cantili francesi .sono iiicapacisssirai di un falso g'iu- ramento: ma i delegati spagnuoli, portoghese e to- scano rispondono darsi pur troppo delle eccezioni. Io stesso, nel ritorno da Parigi sul cammino di ferro da (1 ) l'roc. veri). 2? pag. A. 61 Avignone a Marsiglia, m' imbattei con un patrono ohe tornava a prendere il comando di un bastimento mercantile: interrogatolo, se avesse mai deluso l'au- torità sanitaria, rispose averlo più volte praticato per togliersi dalle noie sanitarie, ignorando egli del tutto la mia condizione. Ma tornando in sentiero, dopo altre non poche discussioni, e conciliative transazioni raccommandate dal signor presidente si propone: Con traversata felice (ma con patente brutta) di febbre gialla , il minimum di quarantena cinque giorni^ il maximum selle. Il minimum di cinque giorni poirjìbe abbassarsi a ire., se la traversala ha duralo oltre i trenta gior- ni., e se il bastimento sia giunto in buone igieniche condizioni. l delegati austriaci e romani si sono astenuti dal votare, ed il medico spagnuolo ha votato contro. Si passa poi al seguente paragrafo: Se vi sono casi di febbre gialla durante la traver- sata, il minimum della quarantena sarà di sette gior- ni , e di 15 il maximum. In questa discussione vi sono state due astensioni, ed un voto contro. Proposto quindi l'ultimo paragrafo del n. 14, è votato all'unanimità, ed è il seguente : Pei casi straordinari di una gravità eccezionale fuori di ogni previsione., le misure per cotesto avve- nimento sarebbero superiori ad ogni regola : SALUS POPULI SUPREMA LEX EST (quante volte queste parole sono inopportunamente ripetute !!), a secon- da del giudizio dell'autorità sanitar'a e sotto la sua responsabilità. 62 Per non essere in pronto la relazione della cotn- missione del levante, si sospende il n, 15 del pro- gramma, e si passa al 16 risguardanle i diritti sa- nitari così dalla commissione proposto: La salute pubblica ispira per se sola le niisure sanitarie. Ogni idea di fiscalità deve escludersi. La gratuità debb'esserne la base. I diritti sanitari il più possibilmente uniformi saranno calcolati in modo da coprire le sole spese. La commissione brama che cotesti principii sieno il fondamento delle nuove tariffe. Io non i3ii estenderò a dire le varie obbiezi(mi fatte alla relazione della commissione delle tariffe pe'diritti sanitari, la quale ebbi l'onore di presiedere: ma il lettore osserverà gli articoli votati da una gran maggiorità e quasi sempre all'unanimità. II I articolo proposto dalla commissione delle tariffe è così concepito : Tutti i bastimenti che giungono in un porto pa- gheranno un dritto sanitario proporzionato al loro tonnellaggio.) e che sarà stabilito da ciascun governò e comunicato alle potenze. 2. Né saranno sottoposti a cotesto diritto: 1 i ba- stimenti da guerra : 2 le navi rifugiate a cagione di burasca , o di altro infortunio , a meno che non entrino in pratica: 3 i bastimenti pescherecci, 4 po- tranno esser dispensati dal suddetto diritto le navi, che non saranno soggette alla patente dappresso il sanitario regolamento. I due paragrafi sono adottati all'unanimità. C3 Nella sessione 28""^ (8 novembre) segue la di- scussione in discorso. Lungo dibattimento avviene per un' aggiunta proposta dal console inglese che vien rigettata al- l'unanimità: altre obiezioni insorgono da parte del sig. presidente e di alcuni altri. Le medesime essen) Proc. verb. 30; pag. 4—7. 70 zionì ai quaranlenari ^ ogni lazzaretto avrà, una ta- riffa stabilita daWautorità sunitaria . rinnovata tri- mestralmente , nella quale sarà specificato il prezzo dé'viveri colle più moderate condizioni. E pure adottato il paragrafo 17: I mobili e gli oggetti di prima necessità per uso de' quarantenari saranno loro gratuitamente somministrati dalla sa- nitaria amministrazione appena entrati nel lazza- retto. Il paragrafo 18, dopo una modificazione di pa- role proposta dal signor presidente, è adottalo, ed è il seguente : 18. Oltre le regole generali praticate ne' laz- zaretti^ l'autorità sanitaria adotterà con speciali re- golamenti^ secondo le differenti località., le misure le più convenevoli pel ben essere dalle persone che su- biranno la quarantena^ senz'escludere soprattutto le misure che potranno contribuire a preservare la pub- blica incolumità. CAPITOLO III. Mercanzie Con ragionato discorso il medico toscano pro- va non esser punto barbara la pratica tenuta nei laz- zaretti pel maneggio delle mercanzie: al che dissen- te il Bo. Dopo lieve discussione, in cui ancor io ac- cenno la necessità di purificare le mercanzie, è adot- tato il paragrafo 19 coU'oggiunta di una parola del medico spagnuolo. 15. Le mercanzie saranno depositate e smosse in 71 vasti magazzini asciutti ed esposti continuamente ni» la libera circolazione dclVarìa* Le halle ed i colli saranno aperti, affinchè Varia possa liberamente penetrarvi. I paragrafi 20 - 4 adottati e sono: 20. Le mercanzie di differenti provenienze., ap- partenenti a differenti periodi di quarantene, dovran- no essere collocate in magazzini separati. 21. Le pelli., i corami., i cenci, gli stracci, i ri- masugli di animali., le lane e le materie da seta, sa- ranno depositate in ambienti lontani dalla camere oc- cupate dai quarantenari e dagli alloggi degVimpie- gati nel lazzaretto. 22. Le sostanze animali e vegetali in putrefa- zione non potranno mai ammettersi ne' lazzaretti., ma saranno bruciate, o gettate al mare con precauzione. 23. fu ogni lazzaretto vi saranno magazzini destinati al deposilo delle mercanzie purificate. 24. Lo sciorinamento essendo il mezzo di puri- ficazione generalmente adoperato., tutti gli articoli de- stinati ad essere purificati saraìino esposti alVariaper uno spazio di tempo che verrà contemplato nel rego- mento sanitario. 25. Nei casi in cui le mercanzie volessero riti- rarsi dal lazzaretto prima di essere compiuta la. quarantena , la patente di sanità dovrà farne men- zione. Piendo io immediatamente la parola di non trovare regolare che si levino le mercanzie dal laz- zaretto prima che sia finita la stabilita quarantena. II delegato medico di Atene risponde, che il rimbarcamento è permesso pel vantaggio del com- 72 mercio, ma che si ha cura di notare nella patente il numero de'giorni della fatta quarantena. Il medico ottomano non accetta questo para- grafo, se non a condizione che le mercanzie portate sopra un bastimento, nel quale si sarà sviluppata la peste, non potranno essere rimosse da'lazzai'etti che dopo finita la quarantena. Il paragrafo 25 è tuttavia adottato. 26. Se le mercanzie avessero subito una qual- siasi degradazione^ per negligenza degl'impiegati^ il direttore ne sarà responsabile. Il paragrafo è adottato coH'aggiunta proposta dal signor presidente, che la responsabilità sia ben constatata. CAPITOLO IV. Misure generali. I paragrafi 27-9 adottati, e sono: 7. Gli effetti usati., la biancheria e tutto ciò che sarà servito per le persone morte o attaccate di pe - ste, dovranno essere purificate col massimo rigore , non solo mercé dell'aria Ubera , ma eziandio colle fumigazioni di cloro., coW immersione nelV acqua di ma- re., ed in certi casi collazione del fuoco. Altrettanto sarà praticato ne' casi di ogni altro contagioso morbo. 28. Le lettere ed i dispacci saranno purificati, ma in modo che non sia lo scritto alterato. 29. La purificazione delle lettere e dei dispacci si farà in presenza del direttore del lazzaretto. 30. È adottato con un emendamento del console toscano: « Il diritto è riservato ai consoli o rappre- 73 sentanti delle potenze straniere di assistere all'aper- tura ed alla purificazione delle lettere e dei dispac- ci indiritti a loro stessi e respettivi governi^ o destinati ai loro nazionali* Nella discussione di questo paragrafo ho rit'ralo UQ mio avviso, che antecedentemente avevo portato, e si era di purificare le letlere e dispacci senza l'a- pertura, affine di conservare il segreto. Avendo ora appreso che vi si racchiudono talvolta cambioni di passivi conduttori , sono venuto nell'opinione della commissione. 31. Addoltato: « La polizia interna de' lazzaretti e di relativi ordini saranno di competenza dè'rispet- tivi governi. Dopo varie discussioni relative alla responsabi- lità del direttore del lazzaretto per l'adozione dell' antecedente processo verbale, vien questo adottato nel- l'apertura della 31"'" sessione (15 novembre). Il console di Spagna ritorna sul § 22, perchè i governi adottino rigide cautele : mentre sotto il pre- testo di nuocere al commercio, si mettono in circola- zione generi deteriorati e nocivi alla salute. Di che coll'approvazione generale si terrà in appresso pro- posilo. Il delegato medico spagnuolo dà poscia lettura, come relatore, del rapporto della commissione delle misure igieniche ; il quale appena sarà impresso , verrà distribuito ai membri della conferenza: ma sif- fatta distribuzione venne talmente ritardata, che suc- cesse dopo terminata la discussione degli articoli. Si apre la 32'"" sessione (18 novembre) colla let- tura del sig. Melier per la relazione della commis- 74 sione sulle amminislrazioni sanitarie : la quale sarà impressa per esser posola discussa in piena confe- renza. Quindi si passano a discutere gli articoli delle misure igieniche, le quali trovarono spesso opposi- zione per parte di que' medesimi che predicava» sempre igieniche cautele: perlocchè la discussione , oltre la lettura del rapporto fatta nella 31"'" sessione, tenne occupata la conferenza per altre sessioni (18 20 e 22 novembre). Io non presi paite ai contrastati dibattimenti; pel qual contrasto, la commissione due volte si pronunziò per ritirarsi in massa, ma votai sempre in favore della medesima. Imperciocché se io ero stato altamente sorpreso nell'udire la lettura del rapporto, che le pestilenze sono una necessità, anzi un benefizio contro il parere di ogni sensata persona, commendevoli trovai gli articoli discutibili compresi nel riassunto analitico: e mi parvero degni dell'au- tore della pubblica e piivata igiene insegnata in tutte le università delle Spagne: ne creda il lettore che le accennate opposizioni derivassero da quelle mal ac- concie frasi del rapporto. D'altronde alcuni articoli eran già volati, altri eran voto , ed io li riporierò con quelle lievi modificazioni fatte in seno della conferen- za nel detto analitico RIASSUNTO DELLA RELA- ZIONE DELLA COMMISSIONE DELLE MISURE IGIENICHE. Art. 1. La conferenza emette il voto che le potenze segnalane e della convenzione sanitaria si mettano di accordo per fare esplorare le località, ove svolgon- si malattie esotiche trasmissibiU., e per {studiare in- cessantemente le condizioni edi modi del loro sviluppo. 75 2. Affine di assicurarsi dello stato igienico del bastimento.) la patente specificherà: 1 ° Lo stato di sa- lute degli uomini delV equipaggio e del loro nume- ro: 2". Lo stato della nave e del carico relativamen- te alle loro salubri condizioni; 3". Lo stato del vestia- rio dell' equijjaggio^ e della, provvisione della bianche- ria: k". L'esame della qualità e quantità degli ali- menti e delle bevande^ specialmente dell' acqua potabile. Art. 3. Gli uomini delV equipaggio saranno visitati da un medico. L marinari attaccati da una qualunque malattia trasmissibile non dovranno es- sere imbarcati. A. LI bastimento sarà sempre visitato da un im- piegato deWautorità sanitaria , prima che si passi a caricarlo. La stiva, le cabine, l'alloggio de'marl- narì, le stanze da letto, la cava, i magazzini, il pon- te e tutte le parti e sterne ed interne del bastimento saranno diligentemente visitate e sottoposte., se creda- si necessario.) alle igieniche misure reputate indispen- sabili daW autor Uà sanitaria. Con quest'articolo ha line la 32"'" sessione. Prima di seguitarsi la discussione delle igieni- che misure, io prendo la parola (1). « Signori, ho ri- cevuto la risposta dello Schembri membro del co- mitato di salute di Malta , nella quale ammette che nel 1813 vi fossero persone attaccate da pe- ste, ma rimase a bordo. Egli tuttavia crede che il pri- mo caso di malattia in città avvenisse per tele in con- trabbando (2) in persona di un calzolaio. Del resto (1) Proces. verb. 32 (20 novembre). (2) Superlorinenlc nella !>les^>a inglese relazione si purlu di que- 7G essendovi appcstati a bordo, puossi dubitare che il con- tagioso appiccamento sia derivato per di retta o in- diretta comunicazione degli stessi ammorbati, piut- tostochè da mercanzie. Officialmente però ed incon- strastabilmente le pesti di Gozzo e di Corfu avven- nero per merci in contrabando (1) ». La lettera dello Schembri è depositata negli ar- chivi della conferenza, e vuoisi qui avvertire che in essa si riferisce ancora l'incubazione del cholèra di 9 giorni comprovata nel lazzaretto di Malta (1849). Si tornano quindi a discutere le igieniche mi- sure. 5. Dopo il carico , il bastimento sarà visitato una seconda volta per riconoscere la natura e la for- ma delle mercanzie in buon ordine. 6. Le misure indicate negli articoli 3, 4, e 5 si applicano alle navi di viaggi a lungo corso., e da coloro che fanno il trasporto de'passeggieri^ non ri- nunciandosi però a sorvegliare lo stato igienico del- le altre navi. Del resto tutte queste misure saranno sottopo- ste ai mozzi di esecuzione di ciascun luogo. Art. 7, 8, 9, lo, 11, 12, 13, 14, e 15 ammes- si seuza modificazione, e sono: 7. Il numero de passeggieri che potrà imbar- si a lordo de' vascelli a vapore., e delle navi a vela, sto calzolaio morto di peste, e contrabbandiere, ma senza ammeller- si l'opinione dello Schembri. (1) La delegazione inglese, sebbene opinasse clie le mercanzie non introdussero mai peste, ninna osservazione fecero per le pesti- lenze di Gozzo e di Corfi) 77 sarà slahilito dopo il tonnellaggio^ e sulla capacità degli ambienti^ sul numero delle stanze da letto , e sulle facilitazioni del buon alloggio^ del nutrimento, e della durata del viaggio. 8. Tutti i bastimenti che fanno il trasporto del- le persone , qualunque sia il tonnellaggio., e tutti i bastimenti di una certa capacità , o il cui equipag- gio compongasi di alcun numero di uomini , saran- no tenuti di munirsi di una provvigione di medicamen- ti i più indispensabili e degli apparecchi i più ordi- nari per curare le malattie.^ e peccasi che più fre- quentemente avvengono a bordo delle navi. V amministrazione sanitaria superiore di ciascun paese farà compilare un catalogo di questi medica- menti ed apparecchi.^ come ancora un'istruzione ben dettagliata sulla maniera di adoperarli. IGIENE DELLA TRAVERSATA. Alt. 9. La conferenza emette il voto che ciascuna potenza segnataria faccia compilare e stampare un manuale d' IGIENE NAVALE., per fuso della mari- »i« mercantile. Le prescrizioni le più interessanti di questo MA' NUALE [di cui i capitani o patroni dovranno tene- re sempre a bordo alcune copie) saranno rese obbli- gatorie. 10. La conferenza emette il volo che ciascuna potenza faccia tenere un registro esatto del numero delle navi di commercio., come un registro statistico delle malaUie e dei morti che avran luogo in ciascun T8 anno. Lo statistico -prospeiio co' più necessari del' tagli sarà stampato. Dovranno accorciarsi premi a qne' capitani e pa* troni delle navi , il cui equipaggio si fosse distinto pel buono stato di salute. \1. La conferenza emette il voto che i gover-r ni segnatari della convenzione aprano concorsi e dieno premi agl'inventori di nuove scoperte., o de per- fezionamenti , tostochè il loro risultato sia un vero progresso pel perfezionamento delle navi., o pel mi- glioramento delle condizioni ignieniche delV equipaggio. 12. La conferenza emette il voto che ciascun paese consigli ed incoraggisca con premi e con al- tri mezzi la presenza di un medico a bordo compre-' so nelVart. 8. IGIENE DELL'ARRIVO. Art. 13. Ln tutti i bastimenti^ prima di essere am' messi a libera pratica.^ debbe essere scvnpolosamente constatato lo stato igienico. 14. Se vi saranno malati a bordo., saranno sbar' cati il più presto possibile., e curati diligentemente a seconda della natura del morbo., e delle circostanze del luogo. 15. Dappresso le condizioni di salubrità dello provenienze., l'autorità sanitaria potrà ordinare come igieniche prescrizioni: A. I bagni ed altre cure corporali agli uomini dell'equipaggio. B. H rimovimento delle mercanzie a bordo. C. LJ abbruciamento o sommersione in distanza 79 nel mare di sostanze alimentari^ o di bevande gua- ste o deteriorate^ come ancora delle mercanzie di na- tura organica fermentale o corrotte. D. Il lavamento della biancheria e delle vesti delV equipaggio^ come ancora provvedernelo in caso di insufficienza. E. La nettezza della stiva., V evacuazione compiu- ta delle acque della sentina., e la sua disinfetlazione. F. V aereazione di tutto il bastimento. G. La ventilazione del basimento per mezzo de' ventilatori a pompa. H. Le fumigazioni eloriche , la graltura e la- vamento del bastimento. I. Il rinvio al lazzaretto. Poteste operazioni saranno eseguite nelV isola- mento più 0 meno compiuto a seconda delle spiagge e dei luoghi., ma sempre innanzi di mettere a libera pratica il bastimento. 16. In patente brutta , le misure igieniche., che saranno giudicale indispensabili nei limiti che saranno stabiliti nel regolamento , verranno sempre praticate uelV isolamento. 17. Le modificazioni delle misure igieniche nella loro applicazione alla polizia de'' lazzaretti per le quarantene di osservazione e di rigore^ saranno spe- ci ficaie nel regolamento. 18. ed ultimo. Za conferenza emette il voto., che ciascuna potenza segnalarla internazionale si appli- chi a migliorare i porti del loro liltorale , e delle circonvicine località. Si apre la 35""* sessione ( 25 novembre ), in cui fo notare un equivoco del dotto e laborioso re- 80 latore della commissione d'oriente sul regime qua- rantenario dello stato pontificio. Dopo quest'inciden- te, il signor presidente mette in discussione con me- ritati elogi il rapporto della commissione. Il signor Melier, relatore della prima commissione del pro- gran»ma, opina che debbasi tantosto votare, che la peste non esiste in permanenza nel levante, opinione appoggiata fortemente dal Bo (1). Prendo io poscia la parola. » Signori, io già ho dichiarato, quando si discusse l'art. 13 del riassunto analitico della prima commissione , che non saprei ammettere le condizioni del n. 10 relative alla li- bera pratica delle mercanzie con patente netta del levante. Né vi ha dubbio alcuno che 1' accorta re- lazione della commissione sopra il sanitario servigio di oriente è stata elaborata colla più grande intelli- genza, ed arricchita di preziosissimi documenti : ciò nulla ostante mi si permetterà di fare alcune os- servazioni sopra quest'argomento della più grande importanza. Convengo cho perseverando nelle sani- tarie istituzioni stabilite in oriente dopo il 1838, so- prattutto aumentandole, si otterrebbero salutevoli ri- sultamenti : ma io penso che non si giugnerà al vero filantropico scopo, finché non saranno ammessi e diligentemente eseguiti tutti i miglioramenti pro- gettati dalla commissione. « Concedetemi, o signori, che a questo pro- posito io dia un cenno di ciò che scrissi nel 1831 in una delle mie opere. Non vi è dubbio^ che i feb- brili contagi per trascuratezza delle misure sanitarie fi) Process. vcrb. 35 pag. 3 4. 81 prendono di tempo in tempo il carattere epidemico • d'altronde non trovo alcun verificalo esempio , che dimostri la possibilità di UN'EPIDEMIA PROPRIA- MENTE DETTA^ la quale sia divenuta contagiosa. Nessuno potrà contestare che l'epidemie osservate in Europa abhian assunto il contagioso carattere^ e nes- suno proverà inai che le medesime possano arrestar- si, isolarsi, e distruggersi, siccome avviene ne' febbrili contagiosi morbi con provvide misure tantosto prati- cate. Per incontrastabili fatti , medici sapienti e sperimentati provarono che l'uomo potrebbe, colle più scrupolose sanitarie prescrizioni, distruggere ogni ger- me di febbrile contagio. Dirò peraltro che per arri- vare a questo scopo , specialmente per la peste d'o- riente, è indispensabile un accordo generale fra gl'in- civilitì governi, oltre V adempimento esatto di igieni- che misure prescritte in un codice universale. Senza di ciò non potrebbero conseguirsi prosperi risultamen- ti ecc. [■]). » La slessa opinione emisi nell'istoria medica del choléra di Parigi del 4832 (Roma 1833 pag. 18), ed altretlanto ricordai nelle citale considera- zioni sulla peste bubonica relative al rapporto del- la accademia nazionale di medicina di Francia (Ro- ma 1846). » Risulla quindi che oggi non credo ancora sufficienti le garanzie assicurate nel rapporto del programma e nell'art. 10 per ammettere le mercan- zie con patente netta del levante in libera pratica, (1) Del cholcra morbus, ossia della febbre pestilenziale cholè- rica: t. ragionamento di Agostino Cappello. Roma 183J. G.A.T.CXXVI. 6 82 dopo Una traversala felice di 8 - 10 giorni, come avvisò la prima commissione. Tornisi di grazia col- la mente alla storia de' contagi febbrili, soprattutto della peste. Nei primi anni del mio medico eserci- zio ho osservato che il vainolo, dopo aver menate stragi, è tornato a sviluppaisi dopo 7, 9, ed 11 o 12 anni. In cotesti intervalli di rado si sono osser- vati sporadici casi: la slessa osservazione ho fatta sul tifo 5 e lo stesso accade per la peste bubonica del levante. » Nessuno ignora che un contagio , per non esser stato circoscritto e distrutto, dopo aver preso e dominalo con epidemico genio , al suo ritorno col- pisce specialmente i nuovi - nati, e coloro che non erano stati attaccati nelle antecedenti pestilenze, es- sendo rarissime le recidive. In appoggio del mio asserto vi citerò la statistica della bubonica peste del fu signor Lavison^ console di Russia in Egitto nel 1839, il quale stabilisce che sono occorsi undi- ci anni fra le ultime due pestilenze. Ora, secondo i ragguagli officiali dati dalla comaiissione d' oriente, risulta che gli ultimi casi di peste sono del 1844, e non del 1842 come si legge nella relazione del programma, di maniera che mancherebbero Ire anrti pel ritorno della peste, a seconda della suddetta sta- tistica, ed a mio debole avviso anche di più, atte- se le accennate istituzioni sanitarie attivate dopo il 1838. A questo mio ragionamento si opporrà, che precisamente dopo queste istituzioni,^ se avverrà un caso di peste, sarà immediatamente spento. Ma po- tete voi, o signori , esserne sicuri? Io non cre- do che i medici, nello stato attuale, possano sapere 83 i casi sporadici, siccome ben disse nelle discussioni deiraccademia nazionale di medicina il .signor Ro- ehoux^ e lo Schemhri nell'istoria della peste di Mal- ta. Inoltre potete voi essere sicuri dei certificati del- la morte delle donne fatti dalle donne, e nei villag- gi dai baibieri ? » Nel processo verbale ms. della quarta adu- nanza della commissione, due onorevoli membri di- chiararono la necessità di far verificare i cadaveri dai medici : e nella settima riunione ripeterono la stessa cosa. Che se pure non vi sono casi sporadici di peste (il che io ripeto di non credere,) niuno por- rà dubbio che nelle luride abitazioni e negli effetti de'poveri si racchiudino contagiosi germi da svol- gersi ed appiccai'si airo|)portunità per favorevoli in- dividuali condizioni. « La prima commissione del programma nell' ammettere in libera pratica le mercanzie del lev.ia- te con patente netta, propone tuttavia rigide misure pe' cuoi, cenci etc. Ora chi vi assicura, o signori, che queste sostanze suscettibilissime di racchiudere il contagioso seminio, non abbiano prima della par- lenza avuto contatto diretto o indiretto con altre so- stanze, come a modo d'esempio lane, seterie etc? « Si risponderà, che fino ad oggi niun sinistro è avvenuto ne' porti di Francia, ove dopo un tra- gitto di 8-10 giorni sono ammesse da pochissimi anni in libera pratica le mercanzie provenienti dal levante con patente netta. Ma quest' esperienza è troppo breve per essere convincente in un'epoca spe- cialolenle, nella quale non si è osservato l'epidemi- 84 co ritorno della malatlia (1). In conseguenza per l'ammissione del la pale nte nella del levante a libe- ra pratica io reputo indispensabile le due seguenti condizioni. « 1. Che sia passato un periodo almeno di 12 anni dopo l'ultima pestilenza. « 2. Che tutte le savie misure prescritte nella relazione della commissione pel sanitario servigio di oriente sieno slate perfettamente praticate. « Dal complesso quindi di ciò che si è per me ragionato, io voto contro la conchiusione che con- cerne la patente netta del levante, perchè compro- metterebbe la pubblica salute , specialmente quella delle popolazioni delle spiagge del mare x\dria- tico (2) ». Il medico di Atene , quantunque abbia fatto parte della prima commissione, si espresse sempre in seno della medesima avverso alla stabilita massi- ma : mentre crede esistente sempre la peste in Egit- to : ma il signor Melier ripete V assenza di cotesto morbo essere un fatto compiuto. D'altronde un lun- go discorso del medico russo, relatore della commis- sione d'oliente, favorisce piuttosto l'esistenza della peste in quella regione. Prosiegue il Melier che i fatti riportati dal greco delegato sono stati diciferati e riconosciuti insussistenti : che gli stessi medici fran- cesi colà inviati confermano l'asserto suo. Soggiun- geva io quindi, che se i dottori colà inviati non a- (1) iNell'avvicinar.si cotesto sinistro, io son certo che stante l'in- valso uso, seguitasi a spedire patente netta per l'avidità del guada- gno, e per la fallacia della dottrina professata da taluni medici. (2) Proces. verb. id. pag. 4-6. 85 \essero incontrato alcun caso di peste, ciò non ba- stava a salvaguardia della pubblica incolumità per le condizioni sopra da me riferite : ripetendo che dato, e non concesso, che al presente non si ricono- scesse sporadico il bubonico malore, latente sempre esisterebbe il germe negli efifetti , nelle robe, nelle vesti , nelle abitazioni , da svolgersi all' opportunità ed appiccarsi all'uomo , siccome insegna l'istoria di cotesto morbo (1). Per contrario con diffusi ragio- namenti , in ispecie de' medici genovese e toscano , si sostiene l'ammissione a libera pratica della patente netta del levante. Con savie riflessioni, ampiamente riportate nel rapporto della commissione d' oriente dall'avvedutissimo relatore, questi si oppone a cote- sta ammissione, dicendo ancora che se esso era stato sorpreso per l' ammissione facoltativa del Bo all' immediata libera pratica della patente netta del le- vante, stupore non poco destavagli 1' inatteso con- fronto, che nel suo discorso il Bo paragonò le isti- tuzioni sanitarie italiane consimili a quelle d'orien- te!'.'.Onde esclamò come mai fia possibile per la pub- blica salute comparare l'Italia all'oriente, le cui con- dizioni sono essenzialmente differenti (2) ? Né man- cò di ammonire che bastevoli ancor non sono le gua- rentigie nel levante praticate. Seguitati quindi i dibattimenti, il signor pre- sidente rimette diversi proposti emendamenti alla 1. commissione, ed a quella d'oriente ; affinchè entram- be unitamente attendano allo studio de'medesimi per (1) Proc. verb. id. pag. 8. (2) Proc, verb. id. pag. 16. 86 riferirne il risultameato uella prossima sessione 36'"* (21 novembre). Io non mi eslenderò sopra i diversi pareri so- stenutisi dalle due commissioni presiedute dal pre- sidente della prima (oonsigUer Betti). Avvertirò sol- tanto che in seguito de' pericoli nuovamente ricor- dati sull'Egitto dal delegalo di Grecia, il signor pre- sidente del congresso dice, che quando l'Egitto avrà adempiute le proposte condizioni sarà messo al pari degli altri luoghi di oliente. Passatosi quindi a discussione il 5 paragrafo del numero 10 della prima commissione, vien adot- tato all'unanimità colla seguente redazione : Baste- vqIì guarentigie^ ulteriormente specificale^ allorché sa^ rQnm ^tale stabilite^ si ammetteranno in libera pratica le provenienze giunte con patente netta (1). Riportasi poscia immediatamente l'articolo addizionale propo- to dalle due commissioni, ed è il seguente: Riguar- do aW assenza della peste in oriente, nel convinci- mento che il governo ottomano non mancherà svilup- pare, e fortificare sempre più le sanitarie istituzioìd dielrQ le indicazioni deWinternazionale conferenza, le due commissioni riunite propongono che tutte le pro- venienze tZ' oriente sicno ammesse fin da ora a libera pratica dopo 8 giorni di traversata con un' medico a bordo, e dopo 10 giorni senza medico. Il diritto è ri- servato ai paesi pili vicini di prendere in certi casi ta- li misure che essi crederanno indispeusabili pel man- tenimento delCincolumità pubblica (2). (2) Proc. verb. 36 pag. 9. 87 Il console austriaco, membro ancora della pri- ma commissione, disse con ragionato discorso non es- ser baste voli le garanzie attuali istituite in oriente: dubbio l'imane per cotest' ammissione al medico di Portogallo, finché non sieno adempiuti i migliora- menti proposti dalla commissione d'oriente. Ciò nulla ostante 1' inglese delegazione ed altri riposano sulla sicura assenza della peste, onde con gran vantaggio del commercio debbe ammettersi a libera pratica la patente netta del levante. Io persisto ragionevolmen- te nell'opinione superiormente emessa. Son poscia co- stretto dare la seguente risposta. « Il mio rispettabile amico e collega (Betti) dice che io credo perpetua l'incubazione della peste negli effetti e nelle robe. Io sono stupito che mi si faccia dire, che l'incuba- zione sia ne'materiali oggetti: mentre dessa è propria degli organici individui Rispetto poi alle luride abi- tazioni, ove osservasi una continua sordidezza, pos- sano esse per lunghissimo tempo racchiudere e ser- bare i contagiosi germi. In fine domanderò al Betti, come si riproduca la peste se non pel latente se- minio in delti oggetti conservato: sebbene io creda che in alcune località del levante, siccome più volte ho ripetuto, si osservilo casi isolati di questo mor- bo M) ». .br. t>lncr:)l lob Da ultimo passa a voti l'emendamento sopra li- portalo delle due commissioni relativo al § G del programma, e viene dalla maggiorità adottato. I de- legati romani ed austriaci votano contro: gli spa- gnuoli ed il medico napoletano si astengono (2). (1) Proc. verb. iti. pag. 19, e pag. 23. (2) Proc. verb. iJ. pag. 24 nota. Posteriormenle (proc. verb. 88 Nella 37'"" sessione (29 novembre) il console ponlifìcio depone documenti ricevuti da Marsiglia relativi alla peste di questa cittii del 1720. 1! conso- le di Spagna deposila una relazione sulla recente febbre gialla di Oporto, per la quale le provenienze del Portogallo erano state messe in quarantena dalla Spagna. Quindi il signor presidente, riepilogando con grand'elogio l'antecedente risoluzione della confe- renza, passa a proporre la discussione del num. 11 del programma così concepito dalla commissione: Sopra i differenti punti del programma in que- sto numero \ \ contenuti^ la commissione è di avviso: 1. Per ciò che riguarda V invio de'medici sanitari in oriente^ la commissione li dichiara utili, anzi ne- cessari , essendo la loro presenza un essenziale ga- ranzia pel nuovo sistema sanitario. Perciò la com- missione avvisa che i medici colà inviati sieno in co- mune^ ed a spese ragguagliate fra i diversi gover- ni^ osservando in tal modo una garanzia di più ed uno scambio reciproco di buon accordo fra le nazioni. Immediatamente io prendo la parola. » La pro- posizione della commissione deve senza dubbio es- sere da tutti accettata. Ma per conseguire buoni e reali risultamenti, mi sembra prima di ogni altra co- sa , che i governi del levante adottino scrupolosa- 40) il console greco, che aveva faUo parte della commissione fJ'oiien- le, riporta nn voto contrario ad ammettere a libera pratica la pa- tente netta del levante Vuoisi per me aggiugnere una gravissima riflessione, che la Turchia assoggetta tuttora le navi provenienti dalla Siria e dall'i?- gillo ad una quarantena d' osservazione. In conseguenza dubitasi colà del fatto compiuto ripetuto più volte dai delegati francesi e da altri. 89 mente il progetto della commissione pel servigio sa- nitario d'oriente. Il che sembrarebbe doversi verificare nella considerazione dell'istituzioni stabilite dal 1838 al 1843, e per la leale sicurezza ancora del loro aumento che ne porge il nostro collega dott. Sarto- ìetli^ affermando che que'governi nulla trascureran- no per raggiugnere il saluberrimo scopo. Perlochè io non dubito punto che i governi di Europa in- yieranno colà medici , onde meglio rassicurarsi in prò della pubblica incolumità, e così liberare il com- mercio dagli ostacoli, cui va necessariamente sog- getto » (1). In parlandosi de' medici da inviarsi colà, deb- b'esserne il numero a seconda dell' estensione terri- toriale e popolosa di ciascuna nazione. Importante e diffusa discussione ha poi luogo per lo stabilimento de' medici ove regna la febbre gialla, specialmente in Affrica: affine con profondo studio sulle località possa arrecarsi un qualche utile risultato per un morbo, che cotanto flagella le po- polazioni. Si fa per me la proposta che cotesti me- dici fossero forniti dell'opera AeW Audouard ricca di profonde cliniche ed igieniche vedute (2). La proposizione pel suddetto stabilimento è rin- viata alla commissione , onde poscia giudicarne in piena conferenza. Quindi si discute il § 2 del numero 1 1 rela- tivo all'oriente: Riguardo ai medici che saranno im- barcali ne' bastimenti per sorvegliare il salutare an- (t) l'roc. verb, 37 pag. 4. (2) Id. pag. 8. 90 damento^ i bastimenti a vapore che trasportano viag- giatori sono obbligati di avere un medico saratario a bordo^ il quale attenda all' esecuzione delle igieni- che misure^ e neW approdo renda conto delle circo- stanze del viaggio. Dopo varie osservazioni quest'articolo vien adot- tato air unanimità colla seguente risoluzione: / ba- stimenti a vapore soggetti a patente , facendo tra- sporto de' viaggiatori , saran tenuti di avere un medico sanitario a bordo incaricato come è detto neir antecedente proposta, oìa coli' aggiunta che la nomina di questi medici sarà determinata dai rispet- tivi governi (1). Nella 38"'" sessione (31 dicembre) si discute il riassunto analitico della commissione d'oriente, che dopo lievissime moditìcazioni viene adottato all'una- nimità, colla riserva di vari delegati inclusive ro- mani per aver parte, siccome hanno diverse europee potenze, nel comitato supremo di salute di Costanti- nopoli. Quindi è adottata all' unanimità la seguente proposizione: La conferenza propone che Vattuale organizza- zione del consiglio supremo di salute di Costantino^ poli sia solennemente sanzionata con una legge ema- nata da sua altezza medesima (^ì): che le potenze eu- ropee sieno in questo consiglio rappresentate dai dele- gati in numero eguale dei funzionari ottomani., e che abbiano^ coinè al presente^ voto deliberativo^ e che la (1) 1(1. pag. a. (2) Vuoisi notare die di presente qnesta suprema istituzione sanitaria Cu per organo del minislero oUomano, coli'inle.sa del gran signore, ma senza suo firmano. 9* prerogativa attualmente goduta dal consiglio dì sa' fute^ di nominare cioè o rivocare tutti gVimpiegati sa- nitari^ gli sia egualmente mantenuta in tutta la sua pienezza. Dopo alcune savie riflessioni, in ispecie dei de- legati greci, si approva all'unanimità, meno un'asten- sione, il 2 paragrafo, La conferenza propone che i delegati stranieri membri del consiglio supremo di sa- lute di Costantinopoli sieno nominati dai respettivi governi, e che siano persone il più possibilmente ca- paci di raggiugnere il salutare scopo. Adottato è parimenti all' unanimità il § 3: La conferenza esprime il voto che gVimpiegati pel servi- gio sanitario in Turchia sieno bastevolmente retribuir ti, e che Vemolumento sia proporzionato alla durata del servigio, il quale potrà esser requisito per V avan- zamento nelVislessa amministrazione nei casi di va- canza. A. Per perfezionare la sorveglianza nell'interno dell'impero, la conferenza emette il voto che il gover- no trovi la possibilità di stabilire medici di cantone, come esistono in vari altri luoghi. La conferenza emette ancora il voto che il governo della sublime Porta fin da ora stabilisca: T. sette medici sanitari sapra sette principali località deW interno, cioè in Ad- rianopoli, a ÌVidino, e a Travnik iu Europa: a Cu- laia, a Cesarea, a Diarbekir,e ad Angora nell'Asia mi- ìiove: 2". Due medici ispettori , che risedendo a Co- stanlinopoli, sorveglicranno il sanitario andamento , l'uno per la Turchia europea, l'altro per l'Asia mi- nore, dovendo compiere le slesse funzioni e gli ob- 92 blighl medesimi dei medici ispettori della Siria e del pascialato di Erzerum e di Bagdad (1). Nel discutersi il § 5". vari delegati, inclusive il medico romano, dimandano l'aumento de. Questo voto si era veduto necessario dappresso ì ragguagli del relatore della commissione , e del medico ottomano che ricordava l'infelice condizione de'medici egiziani. CAPITOLO III. Patenti. Questa 39""^ sessione si chiude coli' adozione del 1 articolo di questo capitolo cosi concepito: 1. « Che in appresso sieno adottate efficacissi- n me misure perchè un capitano di bastimento non » sia più portatore di due patenti ». '* Si apre la 40"*" sessione (6 dicembre) colle se- guenti parole del signor presidenle. « 11 signor mi- nistro degli affari esteri mi ha incaricato di ren- dervi singolari grazie per la fiducia da voi riposta nel governo francese in mezzo ai gravi avvenimenti accaduti sin dai due di questo mese ; mentre voi avete continuato senza interruzione gl'importanti la- vori che vi sono stati confidati )>. Seguita poi la discussione del cap. Ili del rap- porto della commissione d'oriente sulle patenti. Do- po alcuni dibattimenti diciferati dal medico ottoma- no, la conferenza adotta all'unanimità l'articolo: 2. « La commissione propone che ogni bastimen- ») lo partito dall'oriente sia munito di una sola pa- G.A.T.CXXVL 7 98 » tenie rilasciala dall'oflìcio di sanità, vidimata dai » consoli competenti ». Varie quindi sono le discussioni sull'art. 3, in cui prendou parte anche i delegati romani. Da ulti- mo l'art, è soppresso ad una grande maggioriià ; ed era relativo alla vidimazione de' consoli da ba- sarsi sempre sulle relazioni de' medici o degli ofiici sanitari. CAPITOLO IV. Stabilimento de' mudici sanitari in oriente. I primi Ine; i8rJtÌ;II numero de'medici sanitari europei sul lit- lorale e nell'intèrno del levante sarà accresciuto. Essi abiteranno sul .littorale le città munite di lazzaretti ceintraiUv e ntìll' inlerno i punti che offrono maggior importanza relativa alle pestilenze. Così l'Egitto avrà sei medici, la Siria quattro, il resto dell'impero ot- tomano sedici : nel qual numero son comprosi i sei medici francesi di già esistenti. . 19(3 2. A ciascuno di cotesti medici vien assegnato un'estensione di paese per la sanitaria sorvegliatiza. 3. Quattro di questi medici saran distinti coi nome di medici centrali , e residenti a Costantino- poli, a Smirne, a Bairuth, ed in Alessandria. Oltre le. loro ordinarie funzioni come medici .sanitari, sa- ranno obbligati di compiere generali relazioni ba- sate sui rapporti de'medici sanitari del loro circon- dario. Cotesle relaziorii da ciascun di loro saranno 99 rimesse ai corpi consolari locali , ed una volta il mese al consiglio di salute di Costantinopoli, e due volte al mese a quello dell'Egitto. Peraltro nel fissar- si questa corrispondenza, la commissione non inten- de che i medici centrali abbiano una supremazia so- pra i loro colleghi. Le vacanze nelle residenze de' medici centrali saranno preferente mente surrogate da'medici sanitari più anziani del circondario. I 2G medici saranno ripartiti in 26 luoghi dei quattro circondari seguenti. Io accennerò soltanto i capi luoghi de'circondari. I. CIRCONDARIO DI COSTANTINOPOLI. II. CIRCONDARIO DI SMIRNE. in. CIRCONDARIO DI BAIRUTH. IV. CIRCONDARIO DELL'EGITTO. II medico austriaco con savie riflessioni pensa essere scarso il num. de'26 medici: in che porto io la medesima opinione , senza convenire in un suo avviso. Imperocché sembragli che le febbri atassiche possano degenerare in bubonica peste , la quale è un male sui generis: potranno al più altri morbi di- sporre l'individuo a prendere un serpeggiante o do- minante contagio , o con questo ricorrere in con- nubio. Del resto la proposta dellauslriaco per l'au- mento de'medici è rigettata dalla maggiorità (I). L'articolo 5 della commissione adottato è il se- guente: 5. « I medici sanitari europei conserveranno » il più possibilmente la loro libertà d'azione, e non (1) Proc. vi;rb. 40, piij]. 9 10. 100 » saranno responsabili che in faccia ai loro respettivi » governi ». 6. Parimenti adottato. Le funzioni di tutti i medici sanitari^ compresivi i medici centrali, in ge- nerale consisteranno: 1. Per la pubblica incolumità dovranno prima di tutto studiare il paese ove si tro- iano, il clima, le malattie, e tutte le condizioni che vi si riuniscono, come ancora le cautele prese per combatterle: 2. a tal uopo essi percorreranno i rispet- tivi territori, soprattutto l'Egitto, ogni volta che lo crederanno utile: 3. informeranno di tulio ciò che ri- guarda la pubblica salute non solo il medico cen- trale del circondario (due volte il mese in Turchia, ed ogni settimana in Egitto) , ma eziandio il corpo consolare di loro residenza ; e, se fia di bisogno, le autorità locali. Nei corsi di epidemia o di qualun- que sospetto morbo, come ancora nei casi straordi- nari, il medico sanitario farà immediatamente una relazione speciale a tutte le dette autorità ed a tut- ti i medici sanitari , ed anche ai consoli più lon- tani, cui giovassero coteste informazioni. Sono egualmente adottati gli art. 7, 8. 7. In caso di sospetto contagio, i medici sani- tari informeranno tosto l'ofiìcio di salute e vicever- sa : e subitamente si terrà medico consulto , il cui risultato sarà immediatamente comunicato alle sud- dette autorità. 8. Gli olTici di sanità, le deputazioni ce. avran- no l'obbligo non solo di mettere al giorno i me- dici sanitari di tutti i minuti ragguagli relativi alla pubblica salute, ma di ricevere ancora questi me- 101 dici, onde avere le più esatte notizie ed i verbali schiarimenti, CAPITOLO V. Proposizioni finali. « Nel caso che i miglioramenti progettali sa- ranno compiuti in tutta l'estensione della Turchia e dell'Egitto, e che lo stabilimento de'medici europei fosse in piena attività, la patente netta del levante sarebbe messa a libera pratica senza distinzione fra la Turchia, l'Egitto, e la Siria ». Quest'articolo è contrastato dalla maggiorila, che ha già votata la patente netta del levante (dopo 8-10 giorni di felice tragitto) ; prima ancora che in quelle regioni sieno compiute le misure proposte dalla com- missione d'oriente, onde si modifica in tal modo: « Facilitando le proposte garanzie, la patente » netta del levante sarà messa a libera pratica. La » conferenza emette il voto che queste garanzie sie- » no date il più presto possibile ». Nelle sessioni 41 e 42 ( 9 e 1 1 dicembre) si discute la relazione della commissione per l'organiz- zazione delle magistrature sanitarie, eccettuate quelle d'oriente già discusse. In coerenza quindi del num. 18 proposto dalla 1 commissione, si dice: « La commissione per l'organizzazione delle •> magistrature sanitarie trova eccellente l'idea d'u- » niformità introdotta anche nelle autorità e nelle >' amministrazioni sanitarie (1) ». (1) Proc. veri). 41, pag. 3. 102 Pfer altro celesta relazione trovò maggiori op- posizioni : né io nrii estenderò minutamente sulla me- desima. Parve per me chiarissimi , che i 23 arti- coli racchiusi nel riassunto, punto non raggiungano la decantata uniformità: che anzi essendo uno solo responsabile all'autorità ed i consigli marittimi se- condari e non sempre chiamati a far parte integra- le delle sanitarie determinazioni, maggiormente ri- levasi la difficoltà. Da un altro canto lo scopo di co- testa relazione mira solo alle cose di mare; ed aven- do io osservato ne' dibattimenti e nell' istesso rap- porto della commissione, che fin ad ora era stato arbitrio nelle sanitarie intendenze , e che d'ora in avanti si richiedevano i tre elemenii, governativi cioè, municipali e sanitari, mi parve a proposilo fare il seguente brevissimo discorso. « Signori. Negli stati romani prima del 1836 esistevano solo in alcune provinci e le commissioni sanitarie: ma in quell' epoca il supremo romano ma- gistrato di sanità stabilii in ogni comune, ed in cia- scheduna provincia una sanitaria commissione. Le prime (dei comuni) dovevano comunicare colle se- conde (delle province) , e queste col supremo sa- nitario magistrato presieduto dalTemo ministro del- l'interno. Inoltre esistevano già, ed esistono com- missioni marittime nei principali porti dello stato: nei quali sono ancora due ispettori: l'uno per la co- sta dell'Adriatico, l'altro per quella del Mediterraneo. Questi sono obbligati in ogni sei mesi, e più spesso ancora, se la necessità lo esiga, di fare un'ispezione generale , e di rimettere il loro analitico rapporto alla suprema sanitaria magistratura. Le commissioni 103 de'comuni come quelle delle provincie, e le marit- time, sono composte appunto di ire elementi go- vernativi , municipali e di medici e farmacisti. Lq medesime son presiedute dal capo del governo, raa hanno i membri che le compongono voci eguali: onde le risoluzioni han luogo secondo la pluralità de' voti. Le suddette commissioni nei casi urgenti prendono immediatamente le misure più opportu- ne coir obbligo di darne relazione alle competenti autorità (ì). « Cotesta istituzione mi sembra, o signori, che nulla lasci a desiderare per la uniformità^ ed a mio debole avviso potrebbe stabilirsi in ogni paese (2) », Quantunque assai dibattuti, sono generalmente adottati gli art. 1 — 10. 1. liberazioni de'conslgli sanitari per farvi le loro os- » servazioni, e dare il loro avviso sulle sanitarie qui- » stioni (1) .). All'apertura di questa sessione, appena letto il processo verbale, dissi le seguenti parole: « Nella discussione del n. 18 del programma relativo alle magistrature sanitarie mi credetti in dovere di ricordare alcun che relativo alle medesime nell'interno di ogni paese , e che sembra mancare neir attuale relazione della commissione : tantopiù che nel n. 6 del progi-amma si è parlato delle mi- sure sanitarie di terra, che furono, dopo diverse di- scussioni, adottate da questo sanitario internazionale congresso. Spero che questa interna organizzazione di magistrature sanitarie di terra sarà in qualche njodo supplita nel regolamento generale: imperocché ninno ignora che i contagiosi morbi spesso manife- stansi neir interno de'paesi (2) ». Seguitandosi la discussione degli articoli del- l'attuale sessione, ha luogo l'art. 12. « Tutte le volte che si agirà di prendere » una speciale l'isoluzione relativa ad un paese per » metterlo in quarantena, l'agente consolare di que- » sto paese sarà invitato nel seno del consiglio per » farvi le sue osservazioni ». (1) Proc. verb. 42. pag. l'i. (2) lei. pag. 3. 107 L'articolo fu adottato dalla maggiorità, ma vo- larono contro i delegati austriaci: i delegati toscani, i romani^ il console sardo, ed il medico napolitano si astennero. Si approvarono gli articoli i3 , 14 e 15. 13. « Il numero de'consiglieri è proporzionato » all'importanza de'porti ». 14. « La suprema autorità stabilisce la sede e )) l'estensione delle autorità sanitarie, e la loro ge- » rarchia ». 15. « Il presidente del consiglio è nominato » dal governo ». Gli articoli 16 — 19 sono adottati: contro i me- desimi votano i delegati austriaci: i delegati roma- ni, sardi, ed il medico napolitano si astengono dal votare. Gli articoli sono : 16. « Il consiglio esercita una sorveglianza ge- » nerale sul sanitario servigio. Deve specialmente dar » lumi al direttore o agente, inclusive gli avvisi per » le misure da prendersi in caso d'invasione, o di » minaccia di un morbo reputato injportabile o tra- » smissibile, di vegliare all'esecuzione dei regola- » menti generali e particolari relativi alia sanitaria » polizia, ed in caso di bisogno denunziare a! go- » Verno le infrazioni od omissioni ». 17. « II consiglio si liunisce periodicamente in » epoche determinate dall' autorità superiore , ed è » straordinariamente convocato tutte le volte che lo » richiegga la pubblica salute ». 18. K II direttore ed il consiglio sono in ob- » bligo di tenersi coslantemente informati dello sta- 108 ») lo della pubblica salute. A tal uopo tanto diret- » tamente quanto per mezzo di delejjati hanno fre- » quenti rapporti coll'amministrazione del comune, » ricevendone tutte le necessarie comunicazioni in )i adempimento del loro mandato ». 19. « In caso di dissidenza fra il direttore o » a{jente ed il consiglio, se ne dà immediata relazio- » ne al governo centrale. Tutte le volte che lo ri- » chiegga l'urgenza, il direttore sulla sua respon- )) sabilità provvede alle provvisorie disposizioni che » esige la salute pubblica od il sanitario servigio ». 20. « Il direttore ha un emolumento dallo sta- rt to: le commissioni consiliari sono gratuite ». Quest'articolo è adottato dalla maggiorità, non ammesso però da tutti. Difatti dopo gli oneri che si danno ai consigli, in ispecie al n. 16 e 18, come pretendersi gratuitamente un esatto adempimento e una vigile sorveglianza? Perlochè io mi permisi dire: « Signori: sembrami che non tutte le sanitarie commissioni debban essere gratuite. Negli stati ro- mani è totalmente gratuito il servigio de'consiglieri della suprema magistratura sanitaria , ed eziandio generalmente de'membri sanitari de'comunì e delle Provincie: ma non avviene così delle marittime com- missioni, di cui è qui parola. I consiglieri e vice- presidente del magistrato centrale di sanità dell'A- driatico residente in Ancona hanno un emolumento dal governo, di manierachè la sanitaria sorveglianza è andata sempre in perfetta regola. Tutti poi gl'im- piegati sanitari, e sono numerevoli delle due coste del Mediterraneo e dell'Adriatico, percepiscono rela- tivi emolumenti dal governo pontificio ». 109 Nella tornata 43"'" (13 dicembre) fassi grazioso dono del discorso del prof. Roux letto in occasione dell'apertura della facoltà medica di Parigi. Nello stesso tempo si rimettono ai delegati biglietti d'in- vito per l'annuale seduta dell'accademia nazionale di medicina di Francia del d\ 1G dicembre. Indi si rinnovano isvariati pareri sugli articoli precedenti relativi all'organizzazione delle n)agistra- ture sanitarie. Io stesso torno a ripetere (( che ogni imbarazzo cesserebbe, quando l'organizzazione de'ma- rittimi consigli avvenisse, siccome è organizzata ne- gli slati romani. I medesimi sono sempre consulta- tivi, eccetto ne'casi urgenti, siccome precedentemen- te accennai. Il preside è sempre il capo del gover- no, ma le risoluzioni si fanno alla pluralità de'suf- fragi: e qualunque risoluzione debbe riferirsi alla su- prema autorità ed attenderne la sua approvazione , che generalmente non suol mai mancare: che anzi sovente le marittime commissioni sono retribuite di sommi elogi per l'esatto adempimento delle sanitarie prescrizioni ». Proseguono tuttavia disparate opinioni di vari delegati sugli stessi articoli. Il medico delegato della sublime Porla comu- nica alla conferenza importanti documenti del suo governo, dai quali risulta, che sarà vieppiù sempre per migliorare in Turchia il sanitario andamento, ed a seconda delle proposte del sanitario congresso internazionale. Si discute poscia l'art. 2 1 che vien modificeto ed adottato all'unanimità: esso è il seguente: 21. <( In ciascun paese rappresentato alla con- » ferenza vi sarà un servigio di sanitaria ispezione no » regolato dal respettivo governo. Questo servigio » consisterà a visitare i porti del paese, a prender- « ivi esatta cognizione dell'andamento sanitario, e del >> modo come vien eseguito, notandosi tuttociò che » può arrecare miglioramento, onde sia messo dal » governo in attività ». Siccome nella discussione di quest'articolo si è osservato, che taluni porti mancano d'ispettori sanita- ri, così di nuovo ricordo che nei porti pontifici di Civitavecchia ed Ancona vi ha in ciascuno l'ispet- tore sanitario: che anzi, or son vari lustri, per l'A- driatico ve ne erano due, l'uno chiamato ispettoie di destra, l'altro di sinistra: questo da Ancona a Goro^ e, quello da Aiicona al Tronto. .]y Parimenti gli articoli 22 e 23 sono modificali ed adottati, e sono: 22. « La conferenza emette il voto che in de- » terminate epoche, almeno in ogni due anni, i de- » legati di tutte le nazioni segnatarie della con- » venzione sieno riuniti in uno de'porti del Medi- » terraneo, ed ora nell'uno, ora nell'altro, per con- >) ferir fra di loro l'andamento dell'internazionale sa- » nitario servigio, per comunicarsi le rispettive lo- » ro osservazioni, e convenire in comune sulle mo- » dificazioni e perfezioni da praticarsi j proponen- » dole poi ai loro governi ». 23. <' La conferenza sarebbe di avviso che la » prima riunione avesse luogo al più tardi durante ■> il secondo anno, che seguirà la ratifica della con- » venzione » . Si passa quindi a discutere il numero 20 del programma proposto dalla commissione , e dalla maggiorità è adottato. IH 20. « Un codice sanitario ofìiciale del Medi- » terraneo , scopo essenziale ad attendersi , sarà il )> risultamento che le misure uniformi sieno da per » tutto adottate. La conferenza emette il volo che )) questo codice divenga un giorno il codice sani- » tario di tutti i mari ». Vivissima opposizione incontrò l'ultimo nume- ro del programma, che intrattenne l'adunanza assai più dell'ordinario: dimodoché qualche delegato par- tì senza votare. L'art, era espresso in questi termini: 21 ed ultimo. « l^a commissione propone di » adottare il principio di una speciale giurisdizia- » ne in materia sanitaria: e gli darebbe il nome di » giury arbitrario ». « Il giury non riconoscerebbe diflicohà da go- » verno a governo : elleno sarebbero sciolte dalla » diplomazia. Fatta quest'eccezione, il giuiy cono- » scerebbe tutto ciò che si riferirebbe all'esecuzio- » ne della convenzione e dei regolamenti sanitari ». « In ciascun paese, dove fosse un gran porlo, » vi sarebbe il giury composto di consoli ». " L'appello è ammesso, e sarebbe portalo avan- » li un tribunale del paese ecc. ». « A tutte queste disposizioni la commissione » proporrebbe aggiungerne un'altra destinala a mi- » glilorare le istituzioni sanitarie nell'avvenire e per- » fezionarle ». Siccome si disse nella distribuzione del rap- porto della prima commissione, che era stato sepa- ratamente compilalo dai 3 consoli della medesima con volo favorevole a cotesto giury : cosi due di essi, lo spagnuolo e l'inglese, soprattutto il primo, H2 cercarono sostenere l'assunlo con (>ravissitni rajjio- naraenli: ciò nulla ostante fu solennemente rigettato dopo lunghi dibattimenti. Io non feci discorso in questa discussione, ma mi limitai a dire « che le leggi romane si opponevano all' istituzione di un giury arbitrario (1)». Diciannove erano i delegati presenti alla vota- zione: 15 contrari, e 4 favorevoli. Terminata questa lunghissima discussione il si- gnor presidente fassi a dire: « Signori, noi siam giunti al fine delle laborio- se discussioni, alle quali ognun di voi ha preso una parte attiva e coscenziosa. E venuto dunque il mo- mento di riassumere così importanti lavori. Voi de- cideste che le risoluzioni della conferenza formas- sero un progetto di convenzione, alla quale sarebbe unito un sanitario regolamento internazionale. La convenzione debbe basare sopra i grandi principii che avete successivamente votati, ed il sanitario re- golamento ne determinerà l'applicazione la più chia- ra e la più possibilmente precisa. <( Per uniformarsi alla pratica generalmente os- servata, noi dobbiamo subito formulare il progetto di « convenzione: Ma siccome questa convenzione non « deve essere che il riassunto di ciò che voi ave- u te fatto, così giudicherete forse a proposito d'in- K caricarne immediatamente la stessa conferenza , « prendendovi parte tutti i membri per un atto co- « tanto importante: di modo che potranno essi se- « gnare il progetto sotto tutte le riserve fatte da cia- (1) Proc. verb. Ì3, pag. 23. 113 » sciin di essi, duranle il corso delle deliberazioni, » e salva l'approvazione de respeltlvi governi. Così » per nulla voi vi pregiudicherete, e niun impac- » ciò arrecherete a chi vi ha confidato il mandato, » che voi avete si degnamente adempiuto: voi dun- » que vi limiterete ad indrizzare e sommettere al- » l'alta loro approvazione un primo risultamento » delle vostre fatiche, sotto la forma usata in simil » caso. Il regolamento sanitario internazionale com- » pira tantosto un'opera cosi importante e meritoria » sotto tutti i rapporti: e per la quale il mondo in- » civilito, siatene sicuri, vi sarà grato ». I consoli spagnuolo e portoghese propongono che s'istituisca una commi.ssione per presentare alla conferenza un progetto di convenzione sanitaria in- ternazionale. Il medico di Atene opina che per que- st'importante scopo tutti i membri del sanitario con- gresso si costituiscano in commissione generale, in- caricando il signor presidente di formulare il pro- getto della sanitaria convenzione. Il che adottato,il si- gnor presidente ringrazia i suoi colleghi per la novella prova di fiducia, di cui si sono compiaciuti onorarlo. La sessione è sciolta alle ore sei e mezza po- meridiane. In sequela di cotesta risoluzione, la conferenza, avanti di riprender le ordinarie sessioni, si riunisce tre volte in separati giorni (16, 17, e 19 dicembre) in generale commissione, ove son discussi gli arti- coli del progetto di convenzione. Quindi si riapre la UÀ'"" sessione nei di 19 dicembre col discorso del signor presidente per la relazione del progetto di convenzione. Le più cordiali espressioni racchiu- G.A.T.CXXVI. 8 114 donsi in cotesto discorso. Si accenna che il progetto è il riepilogo delle risoluzioni prese nelle preceden- ti sessioni: né si tralascia di ricordare che i delega- gati si sono limitati a segnare il progetto di con- venzione con tutte le loro riserve fatte nel corso delle deliberazioni.^ e salva ancora l'approvazione de' rispettivi governi. La confeienza porge i suoi ringraziannenti al sig- nor presidente. Si passano poscia a volare gli articoli del progetto di convenzione, in cui sono prima re- gistrati i nomi delle 12 potenze che hanno preso parte al sanitario congresso. 1. « Le alte parti contraenti si riservano il di. » ritto di premunirsi sulle frontiere di terra con- » tro un ammorbato o compromesso paese, metten- » dolo in quarantena ». Vuoisi qui notare che nella commissione ge- nerale non poco si discusse, perchè si formulassero in quest' articolo anche le sanitarie misure di teria. Se- guita indi l'articolo. (» Riguaido agli arrivi di mare, le parli con- » traenti convengono in questo principio: 1 di ap- » plicare alla peste, alla febbre gialla ed al cholé- » ra le sanitarie misure che saranno specificale negli » articoli seguenti : 2 di considerare obbligatoria » per tutti i bastimenti la prodnzione di una pa- » lente, salve le eccezioni menzionate nel regola- » mento sanitario internazionale annesso alla pre- » sente convenzione ». « Ogni porto sano ha il diritto di premunirsi » contro un bastimento avente a b(»rdo una malat- >• tia reputata contagiosa, come il tifo , il vaiuolo )» maligno ». 115 (» Le amministrazioni sanitarie rispettive potraii' » no ancora sotto la loro responsabilità , avanti chi » ne ha il diritto, adottare le precauzioni contro al- » tre malattie. Ben inteso peiò: 1 che le misure tc- » cezionali menzionate ne' due precedenti paragrafi )) non potranno essere applicate che per le navi in- » fette, ed in nessun caso comprometteranno il pae- » se di provenienza: 2 che per qualunque sanitaria » misura non potrassi respingere mai un bastimen- » to qualsiasi ». L'articolo secondo è adottato dopo una savia ri- flessione del medico spagnuolo (1) per conoscersi dal servigio medico la cessazione o continuazione della febbre gialla. 2. « L'applicazione delle misure quarantenarie » sarà regolata in avvenire dopo l'officiale dichia- '> zione fatta dall'autorità sanitaria stabilita nel por- )» to di partenza, che affermi la reale esistenza del- » la malattia ». « La cessazione delle misure sarà determinata » sopra una consimile dichiarazione, in cui si dica « estinta la malattia: per altro dopo spirato uno spa- » zio di tempo fissato a trenta giorni per la peste, » a giorni 15 per la febbre gialla, a 10 giorni per " il cholèra ». 3. « Messa in esecuzione la presente conven- » zione, saranno solo due patenti, brutta cioè e nel- » ta: la prima per la constatata presenza del male: » la seconda per la sua assenza ». « La patente dirà ancora lo stato igienico, in cui (1) Proc. verb. 4'« pag. 3 ne )) si trova il bastimento. Uu bastimento con paten- » te netta, le cui condizioni fossero evidentemente » cattive e compromettenti, potrà essere eguagliato » per igienica misura ad un bastimento di patente » brutta e sottoposto al quarantenario regime. 4. « Per la più facile applicazione delle misu- » re quarantenarie, le alte parti contraenti conven- » gono di adottare un principio di uu minimum e » di un maximum. Riguardo alla bubonica peste, il » minimum è fissato a 10 giorni pieni, ed il maxi- » mum a quindici ». Nella discussione di quest' articolo il medico russo, che non era intervenuto ad una delle radu- nanze della commissione generale, riclamava l'art. 14 relativo alle misure straordinarie necessarie a ram- mentarsi nel progetto di convenzione. Il riclamo , che vien accennato, era stato fatto da me pel primo con somma insistenza nell'adunanza della generale commissione: onde poi il signor presidente ricorda- valo nel suo rapporto (1). Segue il 4 articolo : « Allorquando il governo ottomano avrà com- » piuto, nei termini preveduti dal regolamento an- >) nesso alla presente convenzione, l'organizzazione » del suo sanitario servigio: e che i medici euro- » pei saranno stati stabiliti dai rispettivi governi » sopra i punti, ne'quali è stata giudicata necessaria » la loro presenza ; le provenienze dell' oriente in » patente netta saranno ammesse a libera pratica » in tutti i porti delle alte parli contraenti. Intanto (1) Proc. verb. 44, pag. 3. ' I 117 )» si è convenuto che coleste provenienze, arrivando » con patente netta, saranno ricevute in libera pia- » tica dopo 8 giorni di tragitto, se vi sarà a bor- » do un medico sanitario , e dopo 10 senza nie- » dico. » Per altro è riservato il diritto ai paesi più » vicini dell' impero ottomano , che continua nel- » l'attuale quarantenario regime, di prendere in al- )) cuni casi cautele, che crederanno indispensabili a » salvaguardia della pubblica salute. » Per la febbre gialla , se non vi sarà alcun » sinistro durante il tragitto, il minimura sarà di I) cinque giorni ed il maximum di sette. Cotesto » minimum potrà essere ristretto a tre giorni, se il » tragitto ha durato più di 30 giorni, e se il basti- )i mento si ritrovi in buone igieniche condizioni. Se » poi vi saranno casi del morbo nel tragitto, il mi- » nimum della quarantena sarà di sette giorni, ed t) il maximum di 15. » Finalmente per il cholèra, le provenienze da ») luoghi, dove dominerà la malattia, potranno es- » sere sottoposte ad una quarantena d'osservazione » di cinque giorni pieni, compresovi il tempo del » tragitto: se le provenienze vengano da luoghi vi- » cini, o intermedii notoriamente compromessi, po- 1) Iranno ancora soggiacere ad una quarantena di » osservazione di 3 giorni , compresavi la durata » del tragitto. » Le igieniche cautele saranno obbligatorie in » lutti i casi, e contro tutte le malattie ». Gli articoli 5, 6, e 7 sono adottati , ma colle 118 riserve espresse da ciascun delegalo in seno della commissione generale. 5. <• Le mercanzie saranno distinte in tre classi. La » prima classe sarà formata dalle mercanzie solto- » poste ad una quarantena obbligatoria ed alle pu- » rificazioni: la seconda classe sarà soggetta ad una » quarantena facoltativa: la 3 classe sarà esente da » qualunque quarantena. » Il sanitario regolamento internazionale spe- » cificherù gli oggetti e le mercanzie componenti » ciascuna classe, non che il regime relativo alle tre » malattie, peste cioè, febbre gialla e cholèra ». 6. " Ciascuna delle alte parti contraenti s'im- y> pegna a mantenere, o a stabilire pel ricevimento » de'bastimenti, de'passaggieri , delle mercanzie ed » altri oggetti sottoposti a quarantena , il numero » de'Iazzarelti riclamato dall' esigenza della pubbli- » ca salute , pel ben essere de' viaggiatori , e pei » bisogni del commercio, siccome sarà disposto nel )> sanitario regolamento internazionale ». 7. « Per giugnere, il più che fia possibile, al- )> l'uniformità ne'diritli sanitari, e per non imporre ). alla navigazione de'loro stali respetlivi che il solo » carico per coprire semplicemente le spese, le alte » parli contraenti, colla ri.serva delle eccezioni pre- » vedute nel sanitario regolamento , acccetlano : » 1. che tutte le navi giunte in un porto pa- » gheranno, senza distinzione di bandiera, un di- » ritto sanitario proporzionato al loro toncllaggio: » 2. che le navi sottoposte ad una quarantena pa- 1) gheranno inoltre un diritto giornaliero di stazione: » 3. che le persone, che soggiorneranno nel lazza- 119 » retlo, pagheranno un dirlUo fisso per ciascun gior- » no tli lesidenza in cotesto slabilimenlio: 4. che le » mercanzie depositate e disinfettale ne'Iazzaretti sa- » ranno soggette ad una lassa a seconda del loro » peso o del loro valore. » I diritti e le sanitarie lasse menzionate nel » presente articolo saranno fissate da ciascun go- » verno e comunicate alle alte parli contraenti ». 8. « Alfine di porre la più grande uniformi- » tà possibile nell'organizzazione delle sanitarie am- » minislrazioni, le alte parli contraenti convengono » di stabilire il servigio per la salute pubblica nei » porli de loro respettivi stati, che si riservano di » designare, sotto la direzione di un agente re- » sponsabile nominato e retribuito dal governo ed » assistilo da un consiglio rappresentante i locali » interessi. Vi sarà inoltre in ciascun paese un ser*- » vizio d' ispezione sanitaria regolata dagli stessi » governi ». « In tulli i porti dove le potenze contraenti man- » tengono consoli, uno o più di questi consoli po- « Iranno essere ammessi alle deliberazioni de'consi* » gli sanitari per farvi le loro osservazioni , por- » gere schiarimenti, e dare il loro parere sulle sa- » nllarie quistioni ». « Tutte le volle che si agirà di prendere una » risoluzione speciale per un qualche paese e di- » chiararlo in quarantena, l'agente consolare di que- » sto paese sarà invitato di portarsi in consiglio e » sentirlo nelle sue osservazioni ». Quest'articolo dappresso un emendamento del medico spagnuolo rigettato, ed alcune riserve de me» dici toscano e romano è adottato. 120 Gli ailìcoli 9, 10, 11 sono adottati. 9. « L'applicazione de'geneiali piincipii conse- » crati dagli articoli che precedono , e lo insieme » delle misure amministrative che ne derivano, sa- » ranno determinate dal regolamento generale an- » nesso alla presente convenzione ». 10. La facoltà di accedere a queesta convenzio- » ne è riservata a tutte le potenze che consentiran- » no di accettare le obbligazioni chela consacrano, 11. « La presente convenzione ed il sanitario » regolamento internazionale annessovi avranno for- » za e vigore per anni cinque. Se avanti che spiri » il termine di sei mesi, le alte parti contraenti non )» avranno officialraente dichiarato di ritirarsi dalla » convenzione , essa sarà obbligatoria per un al- » tr'anno ». <( La presente convenzione e l'annesso regola- » mento saranno ratificati secondo le leggi e gli usi » di ciascuna delle parti contraenti: e le ratificazio- » ni saranno scambiate a Parigi nello spazio di tre » mesi , e più presto ancora, se fia possibile etc: » Il presente progetto di convenzione vien quin- di adottato all'unanimità nel di 19 dicembre, MA CON TUTTE LE RLSERVE FATTE DA CIASCUN MEMBRO IN TUTTO IL CORSO DELLE DISCUS- SIONI, E SALVA L'APPROVAZIONE DE' RI- SPETTIVI GOVERNL Indi seguono le firme dei 24 delegati delle 12 potenze. Nella sessione 45""^ (15 gennaio) il signor pre- sidente dopo aver significato che la prima commis- sione ha teiminato di compilare il regolamento in- 121 ternazlonale sanitario basato sulle risoluzioni della conferenza, e lettasi dal relatore l'analoga relazione si passano a discutere gli articoli del regolamento dopo essersi votato all'unaninoità i ringraziamenti al- la commissione [i], u Progetto del regolamento sanitario interna- zionale annesso alla convenzione segnata a Parigi nel dì 19 dicembre 1851. <( Coerentemente ai principii stabiliti nella con- venzione del dì 19 dicembre 1851 , la conferenza sanitaria internazionale ha adottato il progetto del seguente regolamento generale da osservarsi in tutti i porli del Mediterraneo e del Marnerò, appartenen- ti alle alte parli contraenti, e da servire di base ai legolamenti particolari di. ciascun paese. Questi re- golamenti, dei quali i resp citivi governi si comuni- cheranno il testo, saianno formulati in modo da in- trodurre nel servizio sanitario dei diversi paesi la j)iù grande uniformità possibile (2) ». (I) Per mettere sotto l'occhio del ledere il seguito non in- lerrotto degli articoli del regolamento, taluni rilievi (atti dai mem- l)rl del congresso internazionale nella discussione de'medesimi in <|uesta sessione, e nella seguente 46" «, saranno riportati in nota. Debbe ancora avvertirsi che i rispettabili membri nella discus- sione degli articoli omissero generalmente i rilievi l'atti da ciascun di loro nei processi verbali: mentre sarebbe stalo un'inutile ripeti- zione, dopo che nella sottoscrizione del regolamento si richiamava- no di nuovo le riserve emesse durante il corso delle sessioni nei detti verbali processi. (2) Questo esordio, non ostante alcune osservazioni dell'inglese delegazione, è adottato senza modificazione (proc. verb. 'io pag. 3 4). 122 TITOLO PRIMO. Disposizioni generali. ART. 1. <( Conformemente all' articolo 1 della conven- zione, le misure di precauzione, che potranno esser prese nelle frontiere di terra, saranno: « L'isolamento. « La formazione de'cordoni sanitari. « Lo stabilimento dei lazzaretti permanenti o temporanei per il compimento delle quarantene (1). ART. 2. « Il diritto accordato ad ogni porto sano di premunirsi contro un bastimento sospetto od am- morbato potrà estendersi sino all' isolamento della (l) Appena ndollato qiiesl'arlinolo, prendo la parola: che a me sembrava un deciso mancamento, che in un congresso sanitario in- ternazionale nulla si dicesse delle epizoozie sovente Ciuieslissime al- la società, e talora comnnicabiii ali" uomo. Il medico napolitano era dello stesso avviso: ma una volta che erano in vijjore le leggi sanitarie non abror^ate d.dla convenzione internazionale, intende- rebbonsi incluse le misure per le epizoozie. Io risposi tantosto che in tal caso i 137 articoli dei sanitario regolamento potevano ridursi ad una trentina. Meno opportuna fu la riflessione del medico francese che ri- chiamava il numero 12 del programma, in cui si parla degli ani- mali portati sui bastimenti prove6ienti da luoghi appestati, ^ella seguente sessione il signor presidente si compiacque dirmi, che presso il ministero degli affari esteri nella lettura del sanitario re- golamento si era altamente meravigliali del totale silenzio intorno le epizoozie, che non è guari avevan flagellalo qualche francese di- partimento: ma esso aveva risposto che nell'ultima sessione (45'"") -»i era dal signor Cappello fatto notare colesia importante omissione. 123 nave , ed all' adozione di quelle misure igieniche che le circostanze rendessero necessarie. ART. 3. « Qualunque sia il numero de' malati che si troveranno a bordo , e l'indole della malattia , una nave non potrà mai essere respinta, ma sarà assog- gettata alle cautele che la prudenza esige , conci- liando a un tempo i diritti umanitari con gì' inte- ressi della pubblica incolumità. » Nei porti dove non sono lazzaretti , l'ammi- nistrazione sanitaria locale determinerà se il basti- mento sospetto od ammorbato debba essere diretto ad un lazzaretto vicino , o se possa dar fondo in qualche luogo isolato e riservato, sotto la sanitaria sorveglianza. Né potrà dirigersi ad un altro lazzaretto senza aver prima ricevuti i soccorsi e le cure che il bastimento ed i malati richiedessero , e senza avere ottenuti i mezzi onde proseguire il tragitto. ART. 4. « La peste, la fiebbre gialla ed il cholèra, se- condo la convenzione, essendo le .sole malattie che richiedono indispensabili cure generali ed il col- locamento in quarantena: le precauzioni per le al- tre malattie, qualunque esse siano, non si adotter- ranno mai , se non pei soli bastimenti sospetti od ammorbati. 124 TITOLO n. Misure relative alla partenza. ART. 5. « Le misure relative alla pailenza cornprende- ranoo l'osservazione, la sorvejj^lianza , la sicurezza dello stato sanitario del paese, la verificazione e la certezza dello stato igienico dei bastimenti che par- tono da quello, del loro carico, dei viveri e della salute dell'equipaggio, degli schiarimenti, se fia duo- po, sulla salute de'passaggeri, e finalmente le pa- tenti di sanità, e tutto ciò che vi ha relazione. ART. 6. « L'osservazione, la sorveglianza, l'assicurazio- ne e verificazione saranno confidate alle autorità de- signate nel titolo VIIL ART. 7 » Ogni bastimento, prima di caricarsi, debb'es- sere visitato da im impiegato sanitario, e sottoposto, se fia duopo, all'igieniche misure reputate necessarie. ART. 8. « Il bastimento sarà visitalo partitamente in tut- te le sue parti, onde sia assicurato il suo buon igie- nico slato. ART. 9. « Quindi il carico non può aver luogo se non dopo colesta visita, e l'esalto adempimento delle pre- ventive misure di nettezza e di salubrità, che l'au- lorilà sanitaria giudicherà indispensabili. ART. 10. << L'autorità sì assicurerà dello stato dei viveri 125 e delle bevande, specialmente dell'acqua potabile e dei mezzi di conservarla: ella potrà ancora assicurarsi dello stato del vestiario dell'equipaggio, e general- mente sopra tutte le misure relative al mantenimen- to della salute a bordo. ART. 1 1 . « I capitani ed i patroni saranno tenuti di da- re all'autorità sanitaria tutti gli schiarimenti e tutte le giustificazioni, che verranno loro richieste. ART. l'i. « Se l'autorità sanitaria lo giudica necessario, e non si creda bastevolmente rischiarata dal capitano o patrono, potrà procedersi ad una nuova visita do- po il carico della nave, onde assicurarsi se tutte le sa nitarie precauzioni e le misure igieniche sieno state osservate. ART. 13. « Le persone dell'equipaggio saranno visitate da un medico. L'imbarcamenlo di quelle che fosse- ro affette da un male trasmissibile potrà essere rifiu- tato dall'autorità sanitaria (1). ART. 14. " Queste diverse visite dovranno farsi senza di- lazione, affine di evitare ogni ritardo ai bastimenti. ART. 15. « Rispetto alle navi, che hanno bandiere diver- se da quelle dei paesi dove sono ancorate, la visita e le assicurazioni prescritte negl'art. 9 - 14 inclusi- vamente saranno fatte dall'autorità sanitaria di con- fi) I medici ottomano e russo domandano a proposito di que- st'articolo, che nessun ammalato di bubonica peste possa esser im- barcalo sotto qualsiasi prelesto (proc verb. 45 pag. 5). 126 certo col console od agente consolare della nazione, alla quale appartiene la nave (2). ART, 16. Il numero de' passaggeri da imbarcarsi sopia navi a vela o a vapoie, l'estensione dei loro allog- giamenti e la quantità delle provvigioni di bordo, secondo la probabile durata del viaggio, saranno de- terminati da regolamenti particolari nei diversi pae- si segnatari della convenzione del dì 19 dicembre. ART. 17. « I bastimenti della marineria militare non sa- ranno soggetti alle disposizioni degli articoli prece- denti. ART. 1 8. « I bastimenti destinati al trasporto delle per- sone, qualunque sia la loro portata, e tutti i basti- menti di una certa capacità, o l'equipaggio de'quali risulti di un certo numero di persone , saranno obbligati di munirsi di una cassetta in cui sieno me- dicamenti più indispensabili, e gli apparecchi più co- muni per la cura delle malattie e per gli acciden- ti che più di frequente succedono a bordo delle na- vi (2). (1) Il medico oltomano dònnanda la sopressione di qtiesl' art. perchè non crede nella visita medica necessario il concorso «lei con- sole; ma questa domanda non è adottala dalla conferenza. (2) Sebbene non ricordato nel verbale processo, qualche dele- galo rilevò saviamente, che pei bastimenti a vela, non obbligali di avere un medico a bordo, era duopo andar cauti nella concessione ile' medicamenti. Perloechè si dovesse aggiungere all'art, che Vammi- nistrazione sanitaria superiore di ciascun luogo desse le più minule istruzioni, e non si concedessero i medicamenti eroici e periroiosi. 127 ART. 19. e Le patenti di sanità non saranno spedite d'ora innanzi , salvo dopo l'eseguimento delle foimalità specificate nel presente regolamento. ART. 20. Il tempo del tragitto sarà calcolato per tutti i bastimenti, dal momento della partenza comprovalo dal libro di bordo o certilìcato dalla dichiarazione del capitano o patrono. Art. 57. » Ogni bastimento , a bordo del quale vi sia stato, pendente il tragitto, un caso di una delle tre malattie riputate importabili e trasmissibili, sarà di dritto, e qualunque sia la sua patente , considerato come avesse patente bruita. Art. 58. » Se vi è stato uno o più oasi di cbolèra pen- dente il passaggio e durante la quarantena, questa quarantena comincerà dal momento dell' arrivo e dell'esecuzione delle misure sanitarie : non sarà te- nuto conto del tempo del passaggio. art. 59. » Eccettuate le eccezioni temporanee ricordate qui sopra l'art. 46j), le merci e gli oggetti materiali di ogni sorta, che arrivano con patente netta sopra un bastimento in buono stato e ben tenuto , e che non ebbe né morbi né u)alati sospetti, saranno di- spensati da ogni trattamento sanitario, ed ammessi immediatamente alla libera pratica, come lo stesso bastimento, l'equipaggio ed i passeggieri. Art. 60. » Sono eccettuati i corami, i crini, i cenci e gli stracci. Queste merci potranno, eziandio se con 139 patente netta, divenire 1 oggetto di niisure sanitarie. L'autorità sarà giudice di queste misure, e ne deter- minerà la natura e la durata. Art. 61. » Sono egualmente eccettuate le merci ed og- getti alterati o decomposti. » Conformemente al paragr. A dell'art. 45, l'au- torità avrà il diritto di farle gettare in mare , o di ordinarne la distruzione per mezzo del fuoco. » Le formalità da osservarsi in simili casi sa- ratmo determinate dai regolamenti locali. Art. 62. » In conformità dell' articolo 5 della conven- zione, e per l'applicazione delle misure sanitarie, le merci saranno scompartite d'ora in poi in tre classi. )> Formeranno la prima , e saranno sottoposti per questo titolo ad una quarantena obbligatoria ed alle purificazioni, i bagagli e gli effetti di uso, i cen- ci, gli stracci, i corami, le pelli, le penne, i crini e gli avanzi di animali in generale , finalmente la lana e le materie di seta. » Saranno compresi nella seconda , ed assog- gettati ad una quarantena facoltativa, il cottone, il Imo, la canapa. » Comporranno la terza, e saranno perciò esen- ti dalle misure quarantenarie, tutte le merci ed og- getti qualunque che non entrano nelle due prime classi. Art. 63. » Se con patente brutta di peste, le mercan- zie della prima classe saranno sempre sbarcate al laz- zaretto e sottoposte alle purificazioni. 140 » Le mercanzie della seconda classe potranno imnaediatamente essere poste in libera pratica, e sbar- cate nel lazzaretto per esser purificate , secondo le circostanze ed i regolamenti sanitari particolari di ciascheduno dei paesi contraenti. » Le mercanzie della terza classe essendo state dichiarate libere, potranno sempre immediatamente esser poste in commercio sotto la sorverglianza del- l'autorità sanitaria (i). Art. 64. » Con patente brutta di febbre gialla senza ve- run accidente durante il tragitto, se questo tragitto durò più di dieci giorni, le mercanzie saranno sot- toposte per misura d'igiene ad una semplice ven- tilazione senza scarico. » Se vi sono stati accidenti, o se il tragiito du- rò meno di dieci giorni, le mercanzie potranno es- sere r oggetto delle stesse misure che con patente brutta di peste : saranno indi sbarcate al lazzaretto e purificate; ma questa misura sarà facoltativa, e la- sciata all'approvazione dell'autorità sanitaria. Art. 65. » Con patente brutta di cholèra, le mercanzie non saranno soggette ad alcuna misura sanitaria par- (1) Il medico russo fa osservare che taluni oggetLi di questa terza classe meritano precauzione, come a modo d'esempio le mo- nete. Si risponde die in genere vien ciò previsto in un articolo speciale del regolamento. Coll'articolo 63 si chiude la 45" sessione, e colPart. 64 ha principio la 46 (16 gennaio) preceduta da un inci- dente, m cui si discute che la vidimazione de' consoli nelle patenti non sarebhe necessaria. Il contrario vien sostenuto dal signor pre- sidente del congresso. 141 ticolare: il baslimenlo sarà solamente ventilato, e le misure d'igiene sempre obbligatorie saranno osservate. Art. 66. » In tuttti i casi di patente bruita le lettere e le carte saranno sottoposte alle purificazioni di uso. Art. 67. » Qualunque mercanzia ed oggetto proveniente da un luogo sano che sarà contenuto in un involto sigillato oflìcialraente, e di una materia soggetta alle misure di purificazione , sarà immediatamente am- messo in libera pratica, qualunque sia la patente del bastimento. » Se r involto è di una sostanza, per rapporto alla quale le misure sanitarie siano facoltative, l'am- missione sarà similmente facoltativa. Art. 68. » Gli animali saranno sottoposti alle quarantene ed alle purificazioni in uso nei diversi paesi. Art. 69. » Ogni bastimento che non abbia patente, quan- do in ragione del luogo di provenienza dovrebbe es- serne munito, potrà, secondo le circostanze , essere assoggettato ad una quarantena di osservazione o di rigore. « La durata di questa quarantena sarà fissata dall'autorità sanitaria. » Essa non potrà eccedere i tre giorni, se il bastimento viene da un luogo notoriamente sano, e se si trova in buone condizioni igieniche. » Il caso di forza maggiore , non che la per- dita fortuita della patente, saranno apprezzati dal- l'autorità sanitaria. 142 Art. 70. » Ogni patente raschiata o ritoccata sarà con- siderata come nulla, e metterà la nave nelle condi- zioni previste dall'articolo precedente, e senza pre- giudizio dei procedimenti che potessero esercitarsi contro gli autori delle alterazioni. Art. 71. » Se durante la qu;irantena, e qualunque sia il punto cui la medesima sia giunta, si manifesta un caso di peste, di febbre gialla, o di cholèra, la qua- rantena ricomincerà. Art. 72. » Oltre alle quarantene previste ed alle misure specificate tanto dalla convenzione del 19 dicem- bre, quanto dal presente regolamento, le autorità sa- nitarie di ciascun paese avranno la facoltà, in presen- za di un pericolo imminente e fuori di ogni pre- visione , di prescrivere sotto la loro responsabilità in faccia a chi ne ha diritto tutte quelle misure che esse giudicheranno indispensabili per il mantenimen- to della pubblica sanità. » In mancanza di fabbricati speciali, esse po- tranno disporre per uso di lazzaretti navi isolate e custodite in modo da impediie ogni comunicazione coH'esteriore. l 143 CAPITOLO III. Dei lazzaretti. Sezione I. Della isliluzione e della disposizione dei lazzaretti (1). Art. 73. » La disposizione interna dei lazzaretti sarà tale, che le persone e le cose appartenenti a quarantene di date dififerenti possano essere facilmente separale Art. 74. » Dei parlatorii vasti e comodi permetteranno di ricevervi le persone che vorranno visitare i qua- ^ rantenari, senza pregiudizio delle precauzioni neces- sarie per la tutela della sanità pubblica. f> Le inferiate.^ come ogni altra cosa che possa influire sinistramente sul morale dei quarantenari , saranno soppresse. Art. 75. » Dei fabbricati , o parte di essi, saranno de- stinali nei lazzaretti pel servizio dei malati. Essi sa- ranno distribuiti in modo da permettere la separa- zione dei malati, e da assicurare nello stesso tempo le migliori condizioni d'igiene, e soprattutto la ven- tilazione. (1) In quest'argomenlo sono tolti alcuni paragrafi dappresso discussione insorta in piena confercuza. (Processo verb. 4l> pag. 3-4.) 144 Art: 76. » È interdetto di mettessi in comunicaziona di- retta ed immediatamente con le persone e le cose sospette o riputate tali, che sono in quarantena. Ol- tre alle pene stabilite dalle leggi e dai regolamenti, chiunque sarà stato in contatto con persone o cose suddette sarà dichiarato in quarantena, e consideralo come facente parte della stessa provenienza , salve le eccezioni che 1' autorità sanitaria credesse potere ammettere, e di che ella sarà giudice (1). Art. 77. » Ogni lazzaretto debb'esser provveduto di acqua sana in quantità sufficiente per tutti i bisogni del servizio. Art. 78. » Vi sarà in ogni lazzaretto, o nelle sue dipen- denze, un luogo convenevole destinato alle sepolture. Sezione II. Del personale, della sorveglianza e del servizio interno de' lazzaretti. Art. 79. » I posti ed i luoghi riservati destinati alla qua- rantena delle navij i lazzaretti destinati a quella dei (t) ISella discussione di quest' art. fo osservare che debbe contemplarsi il caso che può avvenire in seguito di una tempesta, per la quale potrebbono accadere forzale comunicazioni con altre navi, ed anclie località. Il console austriaco ed il medico napolitano rispondono ciò che questo aveva detto per l'articolo mancante sulle epizoozie , onde ripetei che in tal caso questo regolamento poteva scorciarsi della massima parte degli articoli. (Proces. verb. id. pag. 4.) 145 passefjfjieri ed alle merci, e ^\ì slabilimculi qiiaran- tenari in generale saranno posti sollo la sorvi^giiaQZia immediata delle autorità sanitarie. ? iM-'U ot Art. 80. » Vi saranno in ciaschedun lazzaretto un di- letlorc od agente responsabile, impiegati in numero sufficiente per assicurare la disciplina sanitaria , e guardie di sanità incaricate di eseguire o di fare ese- guile le misiue prescritte. Art. 81. I) Un medico sarà applicato al lazzaretto onde visitare e curare i quaranlenaii , e concorrere coi consigli all'esatta esecuzione delle misure sani- tarie (1). Art. 82. » I malati riceveranno nei lazzaretti , sotto il rapporto religioso e medico, tutti i soccorsi e tutte le cure che si prodigherebbero a' malati ordinari negli stabilimenti ospitali i nieglio organizzati, salvo a costituire in quarantena i medici e le persone com- promesse. Art. 83. » E lasciata facoltà ad ogni malato di farsi cu- rare da un medico di sua scelta diverso da quello del lazzaretto. Ma in questo caso la visita del me- dico estraneo avrà luogo in presenza e sotto la sor- veglianza del direttore del lazzaretto. (1) Quest'articolo subì ima modificazione dappresso una ani- mata discussione fra un console e diversi medici, che sembrami a buon diritto sostenessero la medica rappresentanza, che voleva sotto- mettersi del tutto all'arbitrio del direttore del lazzaretto. (Proc. verb. id. pag. 8 — 6.) G.A.T.CXXVI. 10 146 » Questo medico dovrà fjire ogni volta all'uf- ficio di sanità il suo rapporto in scritto circa lo sta- to della malattia. L'amministrazione invierà tuttavia di quando in quando il suo proprio medico a vi- sitare il malato, onde conoscere la natura della ma- lattia* - r ^ Art. 8/i. *""> "»' Le persone, il cui stato di povertà fosse con- statato dalle autorità sanitarie, saranno non solamente ammesse, ma eziandio nutrite e curate gratuitamente nei lazzaretti. Art. 85. )) Ciaschedun lazzaretto avrà una tariffa stabi- lita dall'autorità, e riveduta trimestralmente, nella quale il prezzo dei viveri sarà regolato secondo la tassa la più moderata. Art. 86. i » I mobili ed effetti di prima necessità per «so dei quarantenari saranno loro somministrati gra- tuitamente dall'amministrazione immediatamente do- po la loro entrata nel lazzareto. Art. 87. » Le visite sanitarie del medico saranno gra- tuite. I quarantenari non pagheranno che le cure estranee al servizio sanitario. Art. 88. » Olile a queste regole generali l'autorità sa- nitaria , mentre dee vegliare alla preservazione della satiità pubblica, sarà pure tenuta di adottare, per mezzo di regolamenti speciali ed a seconda delle diverse località, tutte le misure convenienti onde as- sicurare quanto più possibilmente il ben' essere dei quarantenari. .i / x.x^i.*. i.« . i;7 Sezione III. Del trattamento delle merci^ degli effetti d^'uso e dei dispacci nei lazzaretti. Art. 89. » Le merci saranno deposte in magazzini vasti e perfeltamenie asciutti. Esse saranno sottoposte alla libera circolazione dell' aria e smosse di tempo in tempo. » Le balle e i colli saranno aperti, onde l'aria vi possa penetrare. Questa ventilazione sarà conti- nuata pendente tutta la quarantena. Art. 90. » Le merci appartenenti a quarantene diverse saranno separate le une dalle altre e collocate , per quanto sarà possibile, in magazzini distinti. Art. 91. » Le pelli, i corami, i crini, gli stracci, i cen- ci, gli avanzi di animali morti, le lane e le male- rie di seta saranno collocate in luoghi scostati dalle camere occupate dai quarantenari , non che dagli alloggi degli impiegati. » In caso di notoria infezione, di sucidume o di alterazione, queste materie e le merci in gene- rale potranno essere sottoposte a quel metodo di pu- rificazione che l'autorità sanitaria giudicherà neces- sario (1). (i) Nella discussione di quest'art., il console pontificio depone diversi documenti rimessigli dal sindacato de'faccliini del porto di Marsiplia, in cui si riportano malattie e morti per carbone maligno di antica e recente data pel maneggio di mercanzie. .Menni delegati 148 Art. 92. » Le sostanze animali e vegetali in putrefazione non potranno mai essere ricevute nei lazzaretti; esse saranno abbi'uciate, o gettate in mare, conformemen- te alle disposizioni dell'articolo 61 del presente re- golamento. ART. 93. << Yì saranno in ogni lazzaretto dei magazzini destinati per depositarvi le mercanzie purificate. ART. 94. » Gli effetti dei passeggieri dovranno essere , pendente la durata della quarantena, esposti alla ven- tilazione in locali separati ed appropriati a questo ef- fetto, sotto la sorveglianza dei guardiani. Il L'autoiità sanitaria veglierà affinchè que- sta operazione non sia negligentata in veruna cir- costanza. medici, sopraUutlo il Bo, sostengono esser esse derivate da conlal- ti di ijagagli o merci contaminate da mali epizootici incapaci di slen- der..i nella razza umana, accennando il Bo di averne egli slesso pub- blicati 200 casi. Dato e non concesso del tutto che nella specie umana si potesse stendere l'antrace pestilenziale degli animali dome- stici, sempre sarà l'epizootico seme capace di spandersi nemedesimi animali : e meritevole in conseguenza di somma ponderazione per un internazionale sanitario congresso. Arroge chi prima di negarsi netlamento gli accennati fatti, era iliiopo isliluire il più accurato esame, osservando, se qne' morbi o qiille morti fossero avvenute in sequela di provenienze da luoghi ove avean dominato, o dominavano epizoozie, oppure bubonica peste. Da ult.mo .sarà stupefatto il lettore del paratZossico argomentare del Bo e de' suoi consorti: imperocché se si contrae col maneggio delle mercanzie, inclusive del coltone, (come rilevasi avvenuto ne laccliini, ed in taluni di quei 200 casi del Bo) l'antrace delle bestie , molto più si contrarrà quello dell'uomo. Nel quale se assai di rado si av- verò cotesto sinistro , ciò accade per le diligenti pratiche sanitarie, e pel sciorino praticato ali'.iria libera ecc. 140 ART. 95. » Gli effetti di uso, la biancheria e tutto ciò che avià servito alle persone morte o colpite da peste, dovranno essere sottoposti a purificazioni più severe, alle fumigazioni di cloro, all'immersione ne!!' acqua del mare , all' azione del calore, secondo le circostanze e la natura degli oggetti. Si praticherà Io stesso nei casi di qualunque altra malattia conta- giosa. ART. 96. « Le lettere e i dispacci saranno purificati in modo che la scrittura non sia alterata. ART. 97. « Quest'operazione avrà luogo in presenza del direttore del lazzaretto. ART. 98. « E riservato il diritto ai consoli o rappresen- tanti delle potenze estere di assistere all'apertura ed alla purificazione delle lettere e dispacci che loro saranno indrizzali o che saranno destinati ai loro connazionali. « Lo stesso diritto è riservato all'amministra- zione delle poste. TITOLO YIL Dei dir ini sanitari. ART. 99. « Saranno esenti dal pagamento dei diritti sa- nitari determinati dall'articolo 7 della convenzione. 1. i bastimenti da guerra; 2. le navi in forma for- zata, anche quando sono ammesse alla pratica, pur- ché non facciano alcuna operazione di commercio 150 nel porto che toccano ; 3. i battelli pescherecci; 4. le navi dispensate dall'obbligo dì munirsi di paten- te; 5. i ragazzi d'età inferiore ai sette anni (I) e gli indigenti imbarcati a spese del governo del loro paese, o per ufficio dei consoli. ART. 100. « Qualsiasi diritto sanitario, non menzionato nel- la convenzione, è formalmente abolito. TITOLO Vili. Delle autorità sanitarie. * ART. 101. « Salve le disposizioni particolari relative all'orga- nizzazione sanitaria dell'oriente (tit. IX) e conforme- mente all'art. 8 della convenzione che mette le au- torità sanitarie sotto la direzione immediata del go- verno, queste autorità saranno stabilite da per tutto sopra basi uniformi, e saranno composte: 1. di un agente responsabile del governo; 2. d' un consiglio locale. ART. 102. « L'agente rappresenterà essenzialmente il po- tere centrale. Egli sarà preso, per quanto fia possibile, nel (1) Nella proposta della commissione si erano ommessi i rajjazzi al (li solto degli anni 8, e che fu da me e dal console portoghe:>e avvertito ed aggitinlo in (iiiest'art. 99 (Proc. verb. id. pag. 7). In quest'art, il presidente rischiara una domanda del medico Ot- tomano relativa alle navi che, destinate in un porto, sono dalla tem- pesta, coslreltc ripararsi ia un altro seuza pagar lasse, (id. ib). corpo medico , ed avrà il titolo di diretlore della sanità (1). ART. 103. ., « Il direttore od agente sarà il capo del servi-" zio attivo. « Egli ne avrà la responsabilità.-— Tutti gl'im- piegati saranno sotto i di lui ordini— Egli invigilerà l'esecuzione delle leggi e dei regolamenti.— Riconosce- rà o farà 'iconoscere Io stato sanitario dei bastimenti che aiT.vano. — Rilascerà le patenti di sanità a co- loro che partono, — Avrà la direzione o la sorveglian- za dei lazzaretti e porti di quarantena. ART. 104. " Il consiglio rappresenterà più particolarmente gl'mteressi locali, e si comporrà dei diversi elementi amministrativi e scientifici che possono, in ciaschedun paese, vegliare più eiricacemente al mantenimento della salute pubblica. ART. 105. , « Il direttore od agente farà, di diritto, parte del consiglio. ART. 106. « Il consiglio eserciterà una sorveglianza gene- rale sopra il servizio sanitario; avrà specialmente per missione d'illuminare il diretlore od agente, e di dar- gli dei pareri sopra le misure da prendersi in caso fi) I .lelegali russi «licono astenersi da quest'art. 102 fino al 109 (proc. verb. id. ib). Ma vuoisi qui accennare che i delegali ,pa- gnuol. volevano astenersi interamente quasi sempre dai resto depli articoli del ragolamenlo : lo stesso per me e per alcun altro : ma si trovò più volte a dire esser ciò superfluo, tostochò era il regolamento sottoscr.tto colle riverve praticate nel corso delle sanitari* de- liberazioni. 152 d'invasione o di n^inaccia d'invasione di una nmlat- tia riputata inrìpoitabile o trasmissibile; di vegliare all'esecuzione dei regolaraenti generali e particolari relativi alla polizia sanitaria ove d'uopo , di denun- ciare al governo le infrazioni od omissioni. Egli verrà consultalo sopra tutte le questioni amministrative e mediche, e concorrerà, col diretto- re od agente, a preparare i regolamenti locali od interni. Art. 107. "Il consiglio si riunirà periodicamente nelle epoche che stabilirà l'autorità superiore, e sarà con- vocato straordinariamente tulle le volle che una cir- costanza relativa alla salute [)ubblica sembrasse ri- chiederlo. Art. 108. « Il direttore od agente avrà per dovere di te- nersi costantemente informato dello stato della pub- blica salute. Esisteranno a questo effetto, sia diret- tamente, sia per mezzo di delegati, dei frequenti rapporti con l'autorità comunale, e ne riceveranno tutte le comunicazioni necessarie al compimento del loro mandato. Art. 109. « In caso di dissidenza fra il direttore od agente ed il consiglio, ne sarà immediatamente riferito al governo centrale. Tuttavia, se vi sia urgenza, il di- rettore od agente, sotto la sua responsabilità, darà corso alle disposizioni provvisorie che la salute pub- blica ed il servizio esigessero. Art. 110. « Vi sarà in tulli i j)aesi segnatari d<;lla con- venzione un servizio d' ispezione sanitaria. 153 « Questo servizio , regolato dai respettivi go- verni, consisterà nel visitare i porti del paese, nel prendervi cognizione dell'andamento del servizio sa- nitario, nel tener nota delle imperfezioni che potes- sero riscontrarsi, e nel segnalarle al governo. Art. 111. « Nell'interesse della salute pubblica e per il bene del servizio, le autorità sanitarie dei paesi re- spettivi segnatari della convenzione del 19 dicem- bre sono autorizzate a comunicare direttamente fra di loro , onde tenersi reciprocamente informate di tutti i fatti importanti pervenuti a loro conoscenza; senza pregiudizio tuttavia dei rapporti che è loro dovere di somministrare nello stesso tempo alle au- torità competenti ed ai consoli. TITOLO IX. Disposizioni particolari per V oriente. Art. 1 VI. « Oltre le disposizioni sanitarie comuni ed ap- plicabili a tutti i paesi segnatari della conferenza , la Turchia europea e la Turchia asiatica, come an- che l'Egitto, saranno l'oggetto di disposizioni parti- colari destinate a prevenire lo sviluppo della peste, ad arrestare questa malattia quando ella esista, a se- gnalarla e ad opporsi alla sua introduzione negli altri paesi. Art. 113. « Queste, disposizioni prese nel doppio interesse dell'oriente e delle nazioni in rapporto con esso , 154 consisteranno nello sviluppo delle costituzioni sani- tarie stabilite dal governo del Sultano e nella pre- senza de' medici che terranno in oriente le nazioni contraenti. Sezione I. Disposizioni relative alla Turchia. Art. 114. « Sua altezza il Sultano promulgherà una legge speciale per assicurare l'esistenza e regolare le at- tribuzioni delle autorità sanitarie del suo impero , ed in particolare del consiglio superiore di sanità di Costantinopoli, che sarà mantenuto nella sua or- ganizzazione attuale Art, 115. « Posto alla testa del servizio sanitario, il con- siglio superiore di Costantinopoli ne sorveglierà le differenti parti, ed indicherà per tutto l' impero le misure d'igiene pubblica e di salubrità che saranno giudicale necessarie. Esso redigerà le istruzioni che vi si riferiscono , e veglierà alla esatta esecuzione delle disposizioni prescritte conformemente alle in- dicazioni della conferenza sanitaria internazionale (processo verbale 29 ed annessi) , e fisserà i luo- ghi ove saranno stabiliti i diversi agenti del servi- zio sanitario. ART. 1 1 6. « Le potenze interessate saranno rappresentate in questo consiglio per mezzo di delegati in nu- mero eguale a quello dei funzionari ottomani , e questi delegati avranno voce deliberativa. 455 ART. 117. (I II consiglio resterà in possesso della preio- galìva di nominare e rimuovere gl'impiegati sani- tari di ogni rango. ART. 118. « I delegati stranieri accreditati presso il con- siglio, presi per quanto è possibile fra uomini com- petenti, saranno nominati dai loro respettivi governi. ART. 119. « L'istituzione dei medici ispettori incaricali di sorvegliare l'andamento del servizio sanitario sarà mantenuto. Oltre quelli che esistono in Siria e nei pascialati di Erzeroum e di Bagdad , ne saranno stabiliti due di più; l'uno per la Turchia europea, l'altro per l'Asia minore. Essi avranno la loro resi- denza abituale a Costantinopoli. ART. 120. (( Gli ofHzi sanitari e le località dei preposti saranno mantenute nella loro organizzazione attuale. Il numero degli uni e degli altri, i luoghi ove essi saranno stabiliti, la loro circoscrizione e la loro ge- rarchia saranno regolati dal consiglio superioie di sanità di Costantinopoli. ART. 121 « Il diritto di ricevere le provenienze in pa- tente brutta di peste è ristretto ai soli offici centra- li, muniti de'lazzaretti. ART. 122. (t La facoltà di ammettere in libera pratica le provenienze in patente netta sarà mantenuta alle lo- calità dei preposti , fìnchè la peste non esista più. Questa facoltà cesserà in tempo di peste. Tuttavia !5C) questi posti conserveranno in o{jni tempo la facol- tà di ammettere i bastimenti di cabotaggio. ART. 123. « Nel più breve tempo possibile un codice dei delitti e delle pene in materia sanitaria sarà pro- mulgato in Turchia per cura del governo otto- mano. « Un tribunale speciale , la di cui istituzione sarà concertata fra le alte parti contraenti , giudi- cherà in avvenire di tutto le infrazioni alle leggi e regolamenti sanitari, e sarà incaricato di giudicarle: il tutto sotto la riserva espressa delle disposizioni sta- bilite nelle capitolazioni, e senza che possa esservi portato alcun pregiudizio. Sezione IL Disposizioni relative àlV Egitto. ART. 124. « L'intendenza sanitaria di Alessandria , com- posta degli stessi elementi, e stabilita sopra le stesse basi che il consiglio superiore di Costantinopoli, avrà diritti e picrogaiive eguali. Siccome questo essa ve- glierà alla salute pubblica del paese , ed alla ese- cuzione delle misure che vi hanno rapporto, tanto nell'interno quanto nel liltorale. ART. 125. (i Degli ispettori sanitari e dei medici di offi- cio saranno stabiliti da pertutto, ove sarà giudicato necessario, a spese dtl governo egiziano. Gli uni e gli altri dovranno esser muniti di diplomi rilasciati dalle università di Europa. 157 Sezione III. Disposizioni generali relative all'oriente. ART. 126. « Le patenti saranno rilasciate dall' officio di sanità e vidimate dai consoli competenti. ART. 127. «» Inerentemente all'articolo 21 del presente re- golamento, sarà formalmente vietato a qualsiasi ba- stimento di avere più di una patente. ART. 128. << Il numero de'medici sanitari europei attual- mente stabiliti in oriente sarà accresciuto sino a 20 divisi in quattro circondari. Le potenze segnatario della convenzione si concerteranno con il governo della sublime Porta per l' esecuzione comune di questa misura (1). ART. 129. " I medici sanitari si dividono in medici cen- trali e in medici ordinari. I medici ordinari saranno ripartiti secondo il prospetto annesso al presente re- golamento. ART. 130. « Vi sarà un medico centrale nelle città di Costantinopoli, Smirne, Bairulh ed Alessandria. (1) Nel processo verbale sono riportati i medici col presente ordine 4 la Francia, 4 la Gran-Bretagna , 4 la Russia, 4 l'Austria, 4 la Spagna, uno la Grecia, uno la Sardegna, uno la Toscana, uno Napoli, uno Roma, uno Portogallo. In caso di rifiuto di una o va- rie di queste potenze il diritto di nomina passerà alle cinque po- tenze nell'ordine sopra stabilito ecc. 158 ART. 131. « II medico centrale , senza aver alcuna su- premazia sopra i suoi colleghi, oltre il suo servizio come medico sanitario, sarà obbligato di riunire e coordinare in un generale rapporto le parziali rela- zioni del suo circondario. Questo rapporto generale sarà diretto una volta al mese in Turchia, e due volte al mese in Egitto, al corpo consolare locale e al consiglio di sanità. ART. 132. « In caso di vacanza i medici centrali saranno a preferenza presi per anzianità fra i medici ordi- nari dello stesso circondario. ART. 133. « I medici sanitari europei stabiliti in oriente conserveranno tutta la loro indipendenza rinipetto alle autorità locali, e non saranno responsabili che appo i governi, che li hanno istituiti. ART. 134. « Le funzioni dei medici sanitari consisteranno. 1. a studiare, sotto il rapporto della salute pubblica, il paese dove si trovano, il suo clima, le sue malat- tie, tutte le condizioni che vi si riuniscono, come ancora le misure prese per combattere dette malattie. « 2. A percorrere a tal uopo le loro rispettive circoscrizioni tutte le volte che lo crederanno utile, ed in Egitto più spesso che sia possibile. 3. A informare di tutto ciò che è relativo alla pubblica salute il medico centrale del circondario, il corpo consolare, e se fia bisogno le autorità lo- cali del paese, due volte il mese in Turchia, in tutte le settimane in Egitto. / 159 « In caso di epidemia o di qualunque sospetta malattia e generalmente nei casi straordinari, il me- dico sanitario spedirà subito un rapporto speciale a tutte le suddette autorità e a tutti i medici sanitari e consoli delle vicine circoscrizioni, e sefia d'uopo a'medicì e consoli più lontani, ai quali potrebbeio queste informazioni essere utili. « Da ultimo saranno tenuti di conformarsi det- tagliatamente al presente regolamento. ART. 135. « In caso di sospetta malattia contagiosa i medici sanitari informeranno immediatamente l'ufficio di sa- nità, e vice versa. Fin da questo momento si stabilirà una medica consultazione, il cui risultamento sarà tosto comunicato a tutte le suddette autorità. ART. 136. « Dall'altra parte gli offici di sanità, i posti, le deputazioni ecc. ecc. avranno l'obbligo di fornire ai medici sanilari, soprattutto in ciò che riguarda la sa- lute pubblica, schiarimenti regolari scritti, e dovran- no ricevere questi medici nelle località dell'ammi- nistrazione sanitaria tutte le volte che questi giudi- cheranno opportuno di recarvisi per avere esatte notizie o verbali schiarimenti. TITOLO X. Disposizioni relative aW America. ART. 137. « Nei paesi soggetti alla febbre gialla pertinenti alle potenze segnalarte della convenzione, ed ove già 160 non vi fosse un regolare medico servi/io , vi sarà stabilito per le cure dei governi respeltivi con medici sanitari per istudiarvi cotesta malattia, il suo modo di sviluppo e di pro()agameQto : ricercare i mezzi di [)revenirla e di combatterla, dando rapporto della sua apparizione e della sua costatata cessazione alle autorità: finalmente |)er adempirvi oflicialmente, rispetto alla febbre gialla, la missione che hanno i medici sanitari di oriente per la peste. Articolo transitorio. « Quando il servizio dei medici sanitari d'orien- te, siccome è specificato, sarà stato regolato e diviso tra le potenze contraenti, ciascuna di queste potenze nominerà ai posti che gli saranno stati assegnati, e di cui essa si sarà incaricata. « Tuttavia i medici sanitari stabiliti dalla Fran- cia resteranno personalmente in possesso dei posti che ora occupano, e non saranno surrogali da me- dici appartenenti ad altre nazioni , se non in caso di vacanza. La Francia si riserva egualmente il di- ritto di operare tra i medici attuali quei cambiamenti che credesse utili al bene del servizio. « Continueranno ad essere in vigore negli .stati delle alte parli contraenti le disposizioni sanitarie che non sono conliarie alla convenzione del d\ 10 dicembre 1851 col presente regolamento interna- zionale. « Il presente progetto di regolamento sanitario internazionale letto , discusso e addottalo nelle tor- nate dei dì 15 e 16 del corrente mese, è stato segna- to da tutti i membri della conferenza sanitaria in- ternazionale sotto tutte le riverve fatte da ciascun 161 delegalo, e salva l'approvazione de'loro respettivi go- verni t). « Parigi 16 gennaio 1852. e Seguono le firme dei 24 delegati e dei due segretari della conferenza ». Nella 47'"* sessione (17 gennaio), dopo breve di- scussione sulle tabelle quarantenarie differenti nei di- versi paesi, per riportarsi al presente a seconda delle risoluzioni della conferenza alla più possibile unifor- mità , si passa alla lettura di un rapporto della commissione. Il quale riguarda i voti proposti dalla medesima , e formulati e adottati dalla conferenza internazionale, e sono divisi in 4 sezioni. SEZIONE I. ( « I. Volo. La conferenza emette il voto che la questione sull'importazione de'morbi per mezzo delle mercanzie sia da per tutto studiata: che i governi interpellino i voti degli scienziati, e che il risultato sia oggetto di premi e di ricompense. (Proc. verb. n. 23) « 2. Voto. La conferenza emette il voto che le potenze segnatario della convenzione sanitaria si met- tano d'accordo per fare esplorare le località ove si generano le malattie esotiche trasmissibili, ed il modo come si propagano cotesti flagelli. (Proc. verb. n. 32). « 3. Volo. Sarebbe desiderabile che i medici sanitari fossero estesi nei punti frequentati del litto- rale di Affrica^ ove dominano mortali malattie, afll- ne di studiarle di proposito per darne alle autorità i necessari schiarimenti. SEZIONE IL " 4. Volo. La conferenza emotte il voto che ciascuna potenza segnataria della convenzione si G.A.T.CXXVI 1 1 162 applichi a migliorare i porli e le località circonvicine. « 5. Voto. La conferenza emede il voto che cia- scuna potenza faccia formare uu registro esatto del numero delle navi di commercio, come ancora una statistica delle malattie e delle morti che avranno luogo nel corso di ogni anno. Cotesto prospetto sta- listico dovrebbe pubblicarsi con tutti i più minuti dettagli. «( Dovrebbejo accordarsi premi a quei capitani o patroni di na^i, gli equipaggi de'quali si fossero distinti pel loro buono stato. « 6. Voto. La conferenza emette il voto che i governi stabiliscano concorsi, e dieno premi agl'inven- tori di scoperte, o di perfezionamenti, di cui l'im- mediato risultamento fosse un vero progresso nel peifezionamento delle navi, o nell'igienico migliora- mento degli equipaggi. « 7. Voto. La conferenza emette il voto che cia- scun paese incoraggi con premi e con altri mezzi la presenza di uu medico a bordo delle navi di com- mercio. « 8. Voto. La conferenza emette il voto che ciascuna potenza faccia compilare e stampare un ma- nuale cViyiene navale., per l'uso della marina mer- cantile. « Le prescrizioni racchiuse in questo manuale diverranno obbligatorie. SEZIONE in. « 9. Voto. La conferenza emette il volo che in epoche determinate, ed almeno in ogni due anni, i delegati di tutte le nazioni segnatario della conven- zione sieno riuniti in uno deporti del Medi terraneo, 163 ed ora in uno, ora in un altro, per conferire fra di loro quanto concerne il sanitario servizio internazio- nale, comunicandosi le loro osservazioni, onde con- venire in comune sulle modificazioni e peifeziona- menli, che loro sembrassero opportuni per proporli ai respeltivi governi. SEZIONE IV. » fO. Voto. La conferenza emette il voto che il goveino ottomano trovi la possibilità d'istallare medici di cantone e distretto. etti che si distinsero per il merito personale innalzandosi sopra la sfera dei loro con- temporanei, di cui richiamarono fissamente maravi- gliati gli sguardi , essi sono che hanno diritto alla pubblica riconoscenza, ed i loro nomi debbono pas- sar gloriosi fino alla più tarda posterità, senza per- mettere che il volger dei secoli ne cancelli l'onorata memoria. E questo un dovere tanto con facente al cuore dell'uomo, che una delle più colte nazioni dell'anti- chità si fece una legge inviolabile di celebrare in ogni anno 1' elogio di un qualche illustre concit- tadino, che o si fosse reso benemerito delle scienze, ovvero per qualunque siasi altro titolo acquistata aves- se celebrità. Siccome poi nell'istituzione della nostra società, fra gli altri fini a cui si dirige, v'ha quello (t) Queste due memorie , che il sig. can. Francesco Barciulli rettore nell' I. e R. collegio Cicognini di Prato, scrisse or sono molti anni, non erano destinate, a vedere la pubblica luce. Egli però ne ha acconsentito la stampa: ma è suo desiderio che sia dato avviso al lettore che egli, distratto da altre cure, non ha potuto riprenderle in esame e notare se vi erano cose che meritassero di essere correltek 170 pure d'illustrare l'istoria patria, quindi un tema del lutto a questo fine addicevole io mi prefijjfjo in que- sta sera, lusingandomi con ciò di cogliere un doppio vantaggio, di secondare cioè lo spirilo jJella nostra accademia, e di rendere al vero merito un tributo di riconoscenza e di lode. Io fui sempre d'avviso essere un tratto d'ingrata corrispondenza l'astenersi far parola di quegli ingegni che consacrarono la loro vita alle scienze, quando l'opportunità ne oftVa agevole il mezzo ; quindi da tal pensiero guidato ho risoluto tener discorso di un lunjinare del secolo XV, di un matematico il più distinto che contar possa nei trascorsi secoli la nostra valle, di un restauratore e promulgatore indefesso di questa scienza in Italia, di Luca Pacioli. La lontananza dei tempi, nei quali egli visse, ci priva, è vero, di molte notizie che alle sarebbero a vneglio illustrar le sue geste: pur nien- tedimeno, se una vana prevenzione non mi seduce, se vi degnerete onorarmi della vostra attenzione, o signori, io mi lusingo che ravviserete il Pacioli quale testé il sentiste denominato. Giungeva quasi a mezzo il suo corso il secolo XV allorquando sorse a respirare le prime aure di vita in questa stessa città Luca della famiglia Pa- cioli. Mossi appena in patria i primi passi della sua carriera scientifica, corse ad abbracciare il seiafico istituto dei minori conventuali, e nel riliro di una religiosa osservanza potè senza distrazione esercitare la forza del suo intellello nelTinvesligare le scienre divine ed umane. Vestito della divisa che contraddi- slingue i figli del patriarca d' Assisi, egli si dimo- strò in faccia dei suoi confratelli qual prodigio 171 straordinario, percorrendo con rapidi passi lo stu- dio delle teologiche discipline, nelle quali fu ben presto salutato col nome di maestro. Ma il suo ge- nio, capace delle più grandi intraprese, non seppe contenersi nei limiti impreteribili che tìssati 'vengo- no dalle massime rivelate: onde procurò di esten- dere la sfera delle sue cognizioni in ogni altro genere di letteratura e di scienza. Egli infatti si trova giustamente lodato per l'acuto ingegno, per la profonda memoria, e per la vasta erudizione, che tanta stima gli conciliarono di tutti i dotti italiani. Egli fu oratore eloquente, e la sua voce persuasiva non solo si fece udire nelle città primarie della no- stra penisola, ma dilatò le sue maraviglie oltre i confini del mare e delle alpi che la circondano. Egli ma quel poco che fin ora udiste, o signori , ben m'avveggo esser bastevole per farvi pronunziare sul nostro Pacioli un giudizio che lo di- chiari luminare del secolo, nel quale egli visse ; eppure qui dove sembra aver termine il suo elogio, qui appunto non ha che il principio. Lo spirito penetrante del nostro Pacioli, arric- chito di cognizioni sì fatte, die uno sguardo allo stato intellettuale d'Italia, e calcolò le occupazioni degli ingegni migliori. Vide che una parte di tisi si dedicava allo studio delle discipline teologiche; vide che alcuni coltivavano indefessamente la filo- sofia; vide che motti formavano il loro gradito eser- cizio della pittura e della archiltetura ; altri final- mente ne scorse che ammaestrati alla scuola delle no- ve sorelle, impiegavano il loro genio, o nel descrivere le bellezze di Glori , o nel cantare le grazie sedu- 172 centi di Fille; vide infine, che le arti e le lettere con- tavano un buon numero di seguaci, e che In scien za del calcolo languiva inosservata per tutta l'Ita- lia , e che quasi face moribonda attendeva una mano che l'aiutasse a ravvivare il suo lume, onde servir di guida per rintracciare le maraviglie della natura. A simil vista il Pacioli fu stimolato abbastanza dalla forza interna del suo intelletto per battere una carriera dissimile da quella dei suoi contemporanei, per divenire cioè il primo matematico italiano dell' età sua; per avanzare di un gran passo la scienza da lui coltivata, e per esserne un promulgatore in- defesso. E qui, o signori, per dimostrare il mio assunto non crediate già che io voglia far ricorso alle vane congetture, che sono per Io più il parlo della fan- tasia che le immagina: ma intendo di appellarmi ad un monumento infallibile che in tuono veridico ed autorevole pronunzi gli accennati elogi a fa- vore del Pacioli. Esiste la di lui opera che ha per titolo « Sunima de aritmetica et geometria etc. » e ricorrendo a questa come a limpido fonte si vedrà chiaramente, che le lodi tributate al Pacioli non sono il parto del fanatismo che esagera, ma quali si convengono ad un soggetto di vero merito. Concepitosi appena dal Pacioli il disegno di dedicarsi alla cultura delle matematiche, nulla rispar- mia di ciò che arrecar possa alla scienza da lui col- tivata avanzamento e decoro. Eccolo infatti, che appena divenuto studioso ed intelligente degli ele- menti compilati dal geometra megarese risolve di in togliere da un indegno squallore la bella scienza del vero: e per liuscir nell'intento, opinarono alcuni che egli intraprendesse il \iaggio dell'oriente per visita- ^ re la prima cuna di questa scienza sua prediletta, dove pare che l'ingegno dell'uomo giungesse più ra- pido alla sua perfezione. Comunque sia, egli è cer- io che contrasse una stretta relazione con gli arabi, come agevolmente rilevasi da alcune teorie di arit- metica che egli il primo ridusse a buon senso in Italia denominandole « Regole di Elhataym » che ebbero assolutamente la loro origine nell'Arabia. L'avevano preceduto, è vero, nella carriera ma- tematica lui Leonardo Fibonacci pisano, un Gior- vauni Sacrobosco, un Prodocimo padovano, ed altri ancora: ma progressi oltre ogni credere grandiosi di questa scienza si mirano ove piaccia di far con- fronto fra lo stalo suo primitivo in Italia e quello cui venne innalzata mercè della vSomma del Pacioli. Qui- vi si trovano risolute le equazioni di algebra fino al secondo grado inclusive, e le altre di tutti i gradi che dal secondo derivano; quivi si scorge l'acutezza di un ingegno straordiario, quando con metodi scono- sciuti si giunge fino a risolvere un'equazione di quarto grado; (juivi si miia uno spirilo veiamente analitico che immagina il primo ed eseguisce diverse applica- zioni dell'algebia alla geometria ; e in una parola la Sonìma del Pacioli è il jjrirao libro di algebra che abbia veduto l'Europa : « e se (come scrive il eh. abate Ximenes) dietro le pedate di questa si fosse in Toscana continuata la scienza analitica^ inoltrandola più in /à, coìne sarebbe stalo agevolissi' ino^ la Toscana avrebbe sola la gloria dell'invenzio- ne dell'arte alije' rislica. , v. 174 Ma il Pacloli al suo prespicace intelletto accop- pia una rara dili^jfenza nel tranDandare ai posteri fe- delmente raccolte le costumanze dei tempi suoi re- lative al commercio. Egli é che ci dà le più minute notizie intorno ai diversi rapporti delle monete che erano in corso a quel tempo; egli ci somministra l'idea delle merci primarie, sulle quali aggiravasi il commercio dei popoli; egli infine ci rivela le leggi, dalle quali garantivasi il traffico delle diverse nazioni; in guisa che notizie di questa sorte invano si cer- cherebbero fuori della opera del Pacioli. E'in essa che troviamo le più antiche nozioni dell'arte di tenere i libri a doppia scrittura: metodo che il gran mini- stro Colbert divisato aveva d'introdurre nelle finanze della Francia, ma per mancanza di persone capaci a ben seguirne lo spirito ne fu sospesa la pratica fino ai principi! del nostro secolo. Altre opere pure sano il parto della penna del nostro Pacioli: e fra queste si contano, le ricerche sui cinque poliedri re- golari con figure scolpite per mano del suo ottimo amico Leonardo da Vinci; De divina proportione^ dove accuratamente rimarca il grande utile, che risentono le arti facendo giudiziose deduzioni del problema che insegna a dividere una retta in estrema e media ragione: e molte altre; ma la Somma sopra tutte primeggia, come il sole distinguesi sopra gl'inferiori corpi celesti. E' dessa che colpi gli sguardi dell'im- mortal Galileo, che perfezionate le formule algebri- che le adoperò per interrogar la natura, e la costrin-» se a rivelar le sue leggi; è dessa che contiene i primi elementi, sui quali fabbricarono di mano in mano quei posteriori analisti che hanno innalzata felice- 175 niente la scienza al suo grado di perfezione , fra i quali a' dì nostri hanno colto le piime palme Paoli e Giamboni. Ma nel Pacioli le rare doli dell'intellelto non ccclissano i bei pregi del cuore. Egli fu di animo grato e riconoscente; di costumi ingenui; di modi soavi e gentili, per cui fu tenuto in sommo onore dai letterati ed artisti del suo tempo e dai più gran- di d'Italia. Paolo II, Guido Ubaldo, Lodovico Sforza, Pier Soderini e la repubblica di Venezia gareg- giarono nel tributare i sensi della loro estimazione ai Pacioli; ed egli, di animo riconoscente, tutti ram- menta nelle sue opere i ricevuti favori e non de- frauda alcuno della debita lode. Celebia la bontà di Paolo, che per più mesi lo tenne quale ospite onorato nel suo palazzo; encomia l'ingegno di Guido Ubaldo nelle scienze matematiche ; loda l'accorgi- mento dello Sfoiza, che per render colta la città di Milano chiama in sua casa i primi ingegni d'Italia; fa plauso al contegno del Soderini, e non sa dimen- ticare gli onori ricevuti dalla repubblica veneta , quando nel 21 agosto del 1508 i più distinti sog- getti della città dominante accorsero in folla alla chiesa di S. Bartolomeo per udire dalla bocca del Pacioli la sua prelezione al libro quinto d'Euclide. E qui se le leggi della brevità non si oppones- sero al mio disegno vorrei mostrarvi, o signori, il raro zelo del nostro Pacioli nel farsi promulgatore indefesso delle verità matematiche. Vedreste come egli impiegò la sua vita per dilatare la scienza del calcolo: e sembra che il campo destinato a licevere i suoi sudori fosse l'Italia tutta, giacché incomincian- 176 do dalla popolosa Partenope giunse a gettare i semi di sua scienza novella fino alla città regina dell'Adria, senza trascurare i migliori climi d'Italia che atti fos- sero a moltiplicar questa pianta, come sarebbero Ro- ma, Firenze e Milano, dove occupò la prima catte- dra matematica instituita dallo Sforza, e dove stimo- lato da Leonardo da Vinci scrisse il suo trattato di architettura. Or ditemi, o signori, un ingegno di questa sorte non potrà chiamarsi luminare del suo secolo, restauratore delle matematiche in Italia , e promulgatore indefesso di questa scienza ? Ma se è vero che il considerare le geste d'illu- stri soggetti risveglia gli animi ben disposti dalla loro apatia, e gli spinge ad emularne le glorie, voi, o giovani di tutte speranze, che il piede movete per la carriera scientifica, mirate il Pacioli e avrete in esso un esempio, su cui modellare le vostre occupa- zioni se bramate di rendere onorati servigi alla so- cietà. Sia il pensiero di lui una forza, al cui urto si accenda nei vostri petti il fuoco dell'amor del sa- pere; e anco minori fatiche vi procureranno mag- giori conoscenze: giacché se al Pacioli fu d'uopo ritrovare il primo sconosciuti sentieri a traverso alle tenebre , che in ciò ricoprivano la nostra Italia, a voi basta che vi lasciate guidare dai vividi raggi di quella luce che brilla sugli occhi vostri nei fe- lici tempi del nostio secolo. 177 Riflessione etiliche sulla vita di Pietro della Fran- cesca scritte da Giorgio Vasari destinate a servire d'illustrazione alla vita di Luca Pacioliy e lette alVaccademia della valle tiberina toscana nella solenne adunanza del 28 dicembre 1^31 ^^l socio ordinario F. Bareiulli. . •.,.\^,., -^ ., kli compie dr già un anno, colleghi ornatissimi, da che aveste la sofferenza di ascoltare un tributo di scarse lodi da me reso alla memoria sempre glorio- sa di Luca Pacioli. Nelle sloriche verità che sotto- posi alla vostra intelligenza voi lo ravvisaste qua] lummare del suo secolo, e qual restauratore della scienza matematica in Italia. Il fondamento, a cui . . . fi' appoggiai il mio edifizio, furono le dì lui opere; p queste appunto son quelle che formano il soggetto della presente critica discussione, giacche uno scrit- tore di somma rinomanza ha asserito che il Pacioli ha pubblicato sotto al suo proprio nome le ope- re di Pietro della Francesca. ^ ^^^^ \^.^ Lo scrittore, di cui parlo, è Giorgio Vasari pit- tore aretino nella sua opera che contiene le vite dei più eccellenti architetti, pittoii, e scultori ita- liani , e precisamente dove tratta di Pietro della Francesca, come può vedersi nell'edizione di Firen- ze dell'anno 1550, parte seconda a pagina 3G0. Egli comincia il suo articolo biografico dal com- piangere Tinfelicilà di coloro che si esercitano ne- gli studi per lasciare al mondo fama di se, giacche la prosunzione altrui ruba loro i lunghissimi sudori^ G.A.T.CXXVI 12 478 e attribuendosi l'alti ni pregio ricopre la pelle dell' asino con le fjloriosissime spoglie del Icone. Con queste parole a un di presso esterna il Vasari la sua compassione verso quegli scienziati cui tocca una sorte così ingiusta, e ne fa l'applicazione a Pietro della Francesca, annoverando il Pacìoli nella classe dei maligni usurpatori. Ecco le sue parole : « E colui che con tutte le forze sue si doveva ingegna- « re di mantenergli la gloria e di accrescergli nome « e fama^ per aver pure appreso da Ini tutto quello '« che ci sapeva^ non come grato e fedele discepolo^ « ma come empio e maligno nimico^ annullato il no- « me del precettore^ usurpatosi il tutto^ dette in luce « sotto il nome suo proprio^ cioè di fra Luca dal « Borgo^ tutte le fatiche di quel buon vecchio. « E più sotto parlando della prospettiva e della geome- tria applicata all'architettura dice : Che i maggiori il lumi.) che di tal cose ci sieno., ci sono di man sua., » perchè maestro Luca dal Borgo frate di s. Fran- « Cesco, che sopra i corpi regolari della geometria « scrisse., fu suo discepolo : e venendo in vecchiezza i< Pietro che aveva composto di molti libri, maestro « iMca facendogli stampare tutti., gli usurpò per se « stesso., come già si è detto di sopra., siccome quello ■o' a cui erano pervenuti nelle mani dopo la morie « di maestro Pietro «. Chiunque pertanto delle cose critiche inesperto sì abbattesse a leggere le citale espressioni, mosso dalla riverenza e dalla stima che d'altronde merita il Vasari, concepirebbe del Pacioli un'idea ingiuriosa, io riguarderebbe come privo di qualunque merito reale, e a dir breve, nulla più varrebbe della cor- 179 nacchia di Esopo. E siccome fra coloro che si oc- cupano della lettura , non tutti , anzi convien pur dirlo, rari son quelli che abbiano la volontà e il potere di calcolare con esattezza il valore delle al- trui narrazioni, quindi l'asserzione del Vasari, se fosse priva del conveniente critico esame, potrebbe, e forse anche in buona fede, indurre altrui in errore, e sparjyere una macchia sul nome illustre del mate- matico Pacioli, cui dobbiamo eterna e somma la no- stra riconoscenza. Né posso lusingarmi , che l'opi- nione del Vasari sia general mcnie rigettata: mentre io la trovo universalmente confermata nelle diverse edizioni delle sue opere, senza che venga smentita da nessuna delle varie illustrazioni e note apposte alle medesime. Che più ? io stesso ho sentito esser questo il parere di un erudito nostro collega. Ad oggetto pertanto di togliere ogni ombra, che possa oscurare il pregio scientiftco e morale del no- stro Pacioli, io farò alcune brevi riflessioni, da cui ri- sulterà chiaramente quanto su questo proposito siano lungi dal vero e Giorgio Vasari ed insieme tutti coloro che inclinassero a secondarlo 5 risulterà cioè che al Pacioli non può togliersi il mei'ito reale , specialmente nelle scienze matematiche, e che egli non pensò mai di usurpare le fatiche del suo maestro. Per assicurarsi che il Pacioli fu un uomo di particolari talenti fornito nelle matematiche basta os- servare quali furono le occupazioni, nelle quali esso impiegò quasi tutto il tempo del viver suo: giac- ché noi lo vedremo sempre promulgatore indefesso di questa scienza, professandone l 'insegnamento nei 480 più rispettabili studi d'Italia. E cosa di fatto che in- segnò pubblicanriente le matematiche a Napoli , a Roma , a Perugia, a Urbino, a Venezia, a Firenze, e che ovunque lasciò di se un nome glorioso, fino a segno da ess er prescelto ad occupare la prima cattedra di matematiche istituita dallo Sforza in Mi- lano. Ora togliendo al Pacioli il merito reale in que- sta scienza, a che dovremo attribuire gli onori da esso riportati nell'insegnarla? Anzi sotto questo rap- porto il suo merito non verrebbe diminuito, sebbene si supponesse reo dell'usurpazione di cui lo incolpa il Vasari ; imperocché se il possedere opere classi- che rendesse i possessori abili ad intenderle ed insegnarle, oggi che sono fatte di pubblico diritto le fatiche di Paoli e di Giamboni, col sacrifizio di poche lire ognuno potrebbe divenire professore di matematica. Ma il Pacioli ai chiari lumi del suo intelletto unisce un animo onesto e gentile, per cui si mostra sempre grato dei ricevuti favori e giusto estimatore dell'altrui merito, come lo dimostrano le sue espres- sioni. Basta soltanto leggere le opere sue per con- vincerci, che egli non trascura di rendere le debile grazie ai suoi mecenati , e che rammenta sempre con lode i nomi dei piùvalenti scienziati ed artisti, senza lasciar mai travedere alcun segno d'invidia per l'altrui merito. Una passione infatti cotanto vile non può albergare se non in un'anima che la somigli. I nomi del pontefice Paolo II, di Guido Baldo, del- lo Sforza , di Pier Soderini , e della repubblica di Venezia sono rammentati sempre in benedizione dal labbro suo, come pure non vengono defraudati delle 181 giuste lodi i nomi di Leon Ballisla Alberti , di Genti- le e Giacomo Bellini veneziani, di Girolamo Maialini, di Alessandro Botticelli, di Filippo e di Domenico Grilandaio, di Pietro Perugino, di Luca Signorelli, di Andrea dal Verocchio, di Antonio del Pollaiolo, di Giuliano e Benedetto Maiani , di Camillo Vitelli, e di tanti e tanti altri di cui lungo sarebbe il ram- mentare soltanto il nome. In qual modo adunque potreni supporre che un imparziale estimatore degli altrui meriti sia poi un maligno ed ingrato disce- polo che tenti di annullare il nome del precettore ? Il pensare in tal guisa è tanto contrario all'indole del Pacioli , che non può ad esso attribuirsi senza uno di quegli sforzi di fantasia che unisce in uno stesso soggetto due principii contraddittorii. Quantunque però riflessioni di questa sorte sieno tali da far conoscere molto improbabile il supposto dal Vasari, e quantunque ad un tribunale di sano criterio il loro peso distrugga ogni equilibro, pur non ostante, non è da negarsi, atte non sono a con- durre l'animo nostro a quel grado di pieno convin- cimento che è il resultato della certezza morale. Per giungere però a un tal punto basta riflettere, che il Pacioli non ha trascurato, secondo che l'opportunità gliel permise, di rendere a Pietro dalla Francesca i tributi di giusta lode. In vari luoghi delle sue ope- re ne fa onorata menzione : ma serva per tutti ciò che dice nella sua Somma, e precisamente in una lettera indirizzata a Guido Baldo duca di Urbino, in cui parlando dell'influenza delle matematiche sulla prospettiva cos'i si esprime: « La prospettiva, se ben « si guarda, senza dubbio nulla sarebbe se queste non 182 « li si accomodasse come appieno dimostra el mo- «< narca alli tempi nosti'i della pittura maestro Pietro « della Francesca^ nostro conterraneo e assiduo della « eccelsa vostra ducale casa famigliare^ per un suo « compendioso trattato che per Varie pittorica^ e « della lineai forza in prospettiva compose^ il tinaie « al presente m vostra tUgnissima biblioteca^ appresso e molto significhi, quando è in poco ristretta. E di lui raccontano che, passeggiando un giorno, quand'era il teairo pien di popolo, pensando fp9 se s^ssp sopi'a la scena, disse un amico suo: Tu D^i >sem.bri, o FoeWne, pensoso : penso,^ sispose, se pqsÉKi> levare ale una parte dalle parole, ohe son per fare agli, ateniesi. E Deaioslene disprezzava molto gli alili Oliatori : ma, levandosi Foicione, soleva dire agli amie* sutsì, che, vinti i primi, fu rotto tutto 'I restante, e Plu- tarco messo in fuga. E alcuni de' nimici entrati fra gli ateniesi dentro a quel fosso facevano sforzo di romper la trincea ed abbatterli. Ora essendo già fornito il sacrifizio, gli ateniesi usciti degli alloggia- menti, affrontando questi, gli rivoltano in fuga, e n'uc- cidono gran parte intorno alle trincee del loro campo. E Focione ordinò che la falange stia pur ferma per ricreargli alquanto, e per raccogliere gli sparsi pri- ma nella fuga ; e poi, avendo a se una scella de' migliori, assaltò i nimici, e nella battaglia, che fu dura ed aspra, combatteron tutti coraggiosamente, e senza risparmio di lor persone. E Tallo di Cinea e Glarico di Polimede, schierati a lato al generale, ri- portarono il pregio di maggior valore: nondimeno Cleofane si mostrò degno in quella zuffa di più alta lode ; perchè , avendo richiamati i cavalieii dalla prima rotta con gridare e comandare che porgessero soccorso al generale venuto in rischio di perdersi, gli fe'ri voltare e dar la vittoria intera alla fanteria. Dopo questa battaglia cacciò Plutarco d'Eretria, e preso Zarelra, castello opportunissimo , situato in luogo , ove la larghezza dell'isola si va stringendo in angusto cinto serrato d'una banda e d'altra da due mari, non lasciò pigliarsi i greci prigionieri, te- mendo che gli oratori d'Atene non costringessero i popoli a malmenarli per ira. Dopo questa impresa 207 tornalo Focione, i confedeiati dAlene tosto deside- rarono la sua bontà e giustizia, e gli ateniesi conob- bero la pazienza e '1 valore : perchè Molosso, suc- cessore a lui nel governo dell'esercito, guerreggiò in maniera che rimase vivo in roano de'nimici. Ma poiché, Filippo pieno di alte speranze, tra- passò con tutte le sue forze in Ellesponto per piglia- re in uno stante il Chersoneso, Peiinlo e Bisanzio , e gli ateniesi erano risoluti di soccorrii , gli oratori fecero sforzo che vi fusse mandato generale Carete. Il quale, là andato , non fece opra degna di tante forze : perchè le città non ricevettero ne' lor porti si grande stuolo, ma in sospetto a tutti, andava errando qua e là raccogliendo moneta da'eonfederati , e di- sprezzato da'nimici. Il popolo innasprito, dagli oratori, si sdegnava e pentiva d'aver mandato soccorso a' bisantmi: onde Focione, rizzandosi, disse : Non con- viene sdegnarsi co'confederati dilfidenli, ma co'capi- tani, i quali in guisa adoprano che non hovan fede. Questi son quelli che fanno temer di voi quelle città, le quali salvarsi non possono senza voi. Commosso adunque il popolo da queste parole, cangiando pen- siero, comandò a Focione stesso che con altro eser- cito andasse a portare a' confederati in Ellesponto soccorso La qual risoluzione fu di gran momento alla salvezza di Bisanzio. Era già ben grande la ri- putazione di Focione; ma poiché Leone, il primo de'bisantini in virtù, già slato nell'accademia domesti- co di Focione, l'affidò; dentro alla sua città lo costrin- sero ad alloggiare, non fuori delle mura : anzi, aperte le porte, lo ricevettero, e mescolarono fra loro stessi gli ateniesi, divenuti per la fede data non solo irrc- 208 prenslbili e modesti nel conversare e trattare , ma valorosissimi ancora : talché Filippo, stimato prima invincibile e insuperabile, fu cacciato d'Ellesponto, e con disprezzo. Anzi Focione prese alcune delle sue navi e città da lui afforzate con guarnigione; e, sceso in terra, in più parte de'suoi regni saccheggiava e faceva scorse , infino a che ferito dal soccorso che venne, rivoltò le prue per tornarsene. Avendo in altro tempo celatamente chiamato i megaresi , e temendo che i heozl , avvertitine, non anticipassero a mandarvi soccorso, adunò all'alba del giorno il consiglio, e renduto conto dell'ambasciata de'magaresi, gli ateniesi deliberarono che v'andas- se. Egli , fatto sonar la tromba, gli condusse allora dall'adunanza a pigliar l'armi; e incontanente guida- ta la genie a Megara , fu ricevuto lietamente dai magaresi. Fortificò Nisea, e dalla città tirò due alie di muro infino al porto , congiungendo al mare la città ; talché poco allora curava degli eserciti di terra, stando in lega degli ateniesi. Ora essendosi Atene dichiarata intei-amente ni- mica di Filippo, ed avendo eletto altri capitani a questa guerra in sua assenza; tornato che fu dall'i- sole, incominciò a persuadere il popolo (poi che Fi- lippo mostrava di voler con essi vivere in riposo, temendo forte i danni che gli potrien fare) ad ac- cettare le condizioni della pace. Ed opponendosi al- cuni degli usati aggirarsi sempre in piazza per ca- lunniare questo a quello, con dire: E tu ardisci, o Focione, di sconsigliare gli ateniesi che hanno già l'armi in mano? Io son quel desso (rispose): e so che a tempo di guerra comanderò a te , e nella pace 209 domanderai tu a me. Quando poi non ebbe potuto persuadergli, ma rimase superiore il consiglio di De- mostene che si tirasse la guerra più lungi che po- leano dal terreno dell'Attica, disse: 0 là non istia- mo a considerar ora il luogo , ove guerreggiamo , ma il modo di conseguir la vittoria; che così sarà lontana la guerra: i vinti hanno sempre il male ap- presso. Ora rotti che furono gli ateniesi da Filippo, i sediziosi, vaghi di novità, tirarono in consiglio Ca- ridemo per farlo generale. Di che temendo i mi- gliori, mescolarono fra'l popolo il senato dell'Areo- pago, e con molte preghiere e lagrime appena im- petrarono di rimettere in Focione la salvezza della patria. 11 quale ben prima era stato di parere che s'accettasse da Filippo la maniera di governo e le umane condizioni ofl'erte; ma quando Demade prò. pose che la città venisse a parte della pace univer- sale che si trattava, e della comune adunanza degli stati della Grecia, non volle acconsentirvi, prima che sapesse qual domanda volesse in essa fare ai greci Filippo. Non essendo prevaluto allora il suo parere a cagione de'tempi, quando vide gli ateniesi esserne pentiti, poi che era forza dar galee armate e cava- lieri a Filippo, disse: Questa è la paura che ebbi, e però m'opposi: ma fatto che avete l'accordo, biso- gna portarlo in pazienza e non mancar d'animo, ri- ducendovi a memoria, che i nostri progenitori, or comandando ora essendo comandati , ben portando l'una e l'altra fortuna, conservaron la città e la Gre- cia tutta. Morto Filippo, vietò al popolo il far sacrifizio, come voleva , per la felice novella , dicendo esser G.AT.CXXVI. 14 210 •viltà far letizia della morte, e che l'esercilo, il quale gli avea rotti a Cheronea, non era diminuito che d' una sola persona. E in altro tempo, gitlando De- mostene ingiuriose parole conlra Alessando giù qua- si venuto sotto Tebe, disse: Miser, ch'aizzi un uom selvaggio ed aspro e avido sempre di maggior gloria ? or vuoi tu so- pra sì gran fiamma giltar la città? Ancorché gli a- teniesi volesser perdersi, noi consentirò mai, avendo a questo fine acconsentito d'esser capitano. Quando poi fu Tebe perduta, e domandava Filippo d'avere in^ mano Demostene, Licurgo, Iperide e Caridemo, il senato teneva gli occhi volti sopra lui solo, e più volte chiamandol per nome. Focione infine, drizza- tosi in pie, s'appressò ad uno de'suoi più familiari, in cui confidava, e molto si compiaceva, dicendo : Costoro che sou domandati , hanno la città nostra ridotta a tale, ch'io son di parere, se alcuno diman dasse questo Nicocle qui, che se gli debba conce- dere; ed io per me mi terrei a gran ventura il mo- rire per la salvezza di tutti voi. Io ho gran pietà, o ateniesi, de'rifuggiti qua da Tebe, e basta ai gre- ci piangere la distruzione d'una sola città: e però per l'una e per l'altra ragione meglio è obbedire e sup- plicare il vincitore , che ostinatamente combattere. E si racconta d'Alessandro , che preso che ebbe in mano la scrittura del primo decreto, la scagliò via, e voltò le spalle agli ambasciatori , partendosi: ma accettò il secondo portato da Focione, sentendo diie a'più vecchi , che il padre suo Filippo ammirava 211 quest'uomo: onde non solamente gli concesse il ra- gionar seco, ascoltò la domanda, ma seguitò ancora il consiglio suo. Consigliò Focione , se desiderava quiete, che posasse l'arme: se gloria, che si rivol- gesse centra barbari, lasciando i greci. Avendo dun- que fatto lungo discorso e proporzionato al costu- me e volere d'Alessandro, sì lo fé cangiar pensiero, e SI lo addolcì, che disse esser bene che gli ateniesi stessero vigilanti , perchè se avveniva easo avverso di lui , essi soli meritavano di comandare. E con- tratta seco particolar amicizia e diritto d'ospitalità , tanto gli fe'd'onore , quanto si facesse a pochi di quelli che seco usavano domesticamente. Scrive Du- ri, che divenuto grande per la vittoria conquistata sopia Dario, levò alle lettere, che scriveva, il saluto del yjyirM\>^ e lo riserbò nelle scritte a Focione, usan- do questa maniera con lui solo e con Antipalro. E ciò viene scritto pur da Carete. E per trattare ora de'doni, chiara cosa è che gli mandò a donare cento talenti , i quali reggen- do portarsi, Focione domandò, perchè essendo tanti gli ateniesi, a lui solo voleva donar tanto Alessan- dio? E rispondendo essi: Perchè giudica te solo uo- mo onoralo e virtuoso; replicò: Adunque lascimi pa- role ed essere insieme sempre tale. Questi messaggie- ri nell'accompagnarlo a casa, vedendo grandissima semplicità, la moglie far il pane, e Focione con l'ac- qua attinta allora dal pozzo da se stesso lavarsi i piedi, gli fecero maggiore instanza, e si sdegnavano, dicendo esser vergogna, che uno amico del loro re vivesse si poveramente. Veggendo adunque Fociono passar per la strada un povero vecchio, ravvolto in 212 . certi lordi stracci, domandò i messag^gieri: Stimate \oi me peggior di costui? E rispondendo essi: A Dio non piaccia; egli soggiunse: Or non vive costui eon meno di me, e si contenta? Insomma, accettando tant'oro, o io non me ne servirei, e sarebbe come se non l'avessi: o me ne servirei, e farei dire mal di me e d'Alessandro insieme a'ciltadini miei E così il dono riportato fuor d'Atene servì per mostrare a' greci esser più ricco il non bisognoso dell'oro, che il donatore dell'oro. Alessandro, sdegnato , riscrisse a Focione con dire che non istimava amici suoi quelli che non avevano bisogno di lui: ma né per questo prese i tesori , e gli domandò in grazia la liberazione d'Echecrate sofista, Alenodoro d'fmbro, due rodii Demarato e Sparsone, ritenuti nelle carceri in Sardi per alcune colpe; i quali Alessandro liberò subito. E mandando Cratere in Macedonia, gli coman- dò, che desse a Focione una, qual volesse, di queste quattro città dell'Asia, Ciò, Gergeto, Milassone o Elea, aggiugnendo che Alessandro si sdegnerebbe maggior- mente, se non l'accettasse. Ma né per questo l'accettò ancora Focione; e Alessandro poco dopo mori Ancor oggi si mostra la casa di Focione nel borgo detto Melita, ornala con certe piastre di bronzo, nel restante umile e semplice. Della prima moglie che piese, non si trova scritto nulla, se non che Ce- fìsodoro, foimatore d'immagini, fu suo fratello. Della seconda si racconta , che non fu meno nominala in Atene per onestà e semplicità, che si fusse Focione per la sua gran bontà. E una volta, trovandosi in teatro gli ateniesi a vedere nuove tragedie, un istrione nell'uscire sopra la scena donjandò la ntaschcra da 213 Jegina, e una seguenza eli molle damigelle ben ador- nate per accompagnarla. Non gliene dando il capo degli strioni, si sdegnava, e interrompeva l'udienza, non volendo uscire. Melanzio principale di questa gente , spignendolo in mezzo , disse ad alta voce : Or non vedi andar sempre la moglie di Focione con una sola fanticella? e tu ci vuoi fare il pomposo e corrompere il costume delle donne ? Uditasi fuori questa voce, il teatro la ricevette con lieto strepito e battei- di palme. E questa stessa moglie, quando una forestiera d'Ionia le mostrò l'oro, i gioielli sopra le sue trecce e le collane, rispose: Il mio ornamento è Focione, già per venti anni stato generale degli ateniesi. Ma volendo il figliuolo anco egli gareggiare a competenza ne'giuochi delle feste panatenaiche, gli concesse Focione il farlo in quel giuoco, che si scen- deva e rimontava a cavallo nel correre a tutta briglia, non perchè bramasse in lui la vittoria, ma perche, esercitando il coipo , diventasse migliore : che per altro era il giovinetto amator del vino e disordinato. Ora avendo egli conseguita la vittoria, volevan molti farli convito. Focione, disdicciido a tutti gli altri, ac- cettò la pomposa ofl'erla d'un solo. E là venuto an- cor egli, vide oltre all'altre magnificenze portate in- nanzi a quelli che entravano , bacini da lavare i piedi con vino e spezierie; e, chiamato il figliuolo, .SI gli disse: Come soffri tu, o Foco, che l'amico gua- sti questa tua vittoria? E però volendo interamente rimuovere il figliolo da questa vita dissoluta, lo con- dusse in Lacedemone, e lo mise fra g^li altri giova- netti che s'esercitavano nella maniera del vivere detto laconico. Il che agli ateniesi dispiacque, come se dis- 214 pi-ezzasse e facesse ben picciola stima del natio co- stucne. Onde dicendogli un giorno Demade: Perchè, o Focione, non persuadiamo agli ateniesi a pigliar la maniera del governo spartano? Se tu, voirai tu, io s(m pronto a proporla e parlarne: Focione rispose: Ben si converrebbe a te, sì profumato e di sì bella roba ammantalo, consigliare gli ateniesi a celebrar que'conviti in comune con tanta parsimonia e a lo- dare Licurgo. E in altro tempo avendo scritto Alessandro agli ateniesi, che li mandassero galee, veggendo opporsi gli oratori, il senato comandò a Focione che dicesse il suo parere, che fu rpiesto: Io vi consiglio a vin- cer con l'armi, o ad esser amici de'vincitori. A Pitea, quando cominciò a parlar in pubblico agli ateniesi, e riusciva molto loquace ed insolente, disse un giorno: Deh cessa ormai di parlar tu al popolo, che no- vellamente fusti comprato ! Ma poi che Arpalo con gran tesori fuggito da Alessandro venne dall' Asia ueirAttica , gli usati a far mercato di lor lingua a gara correvano a lui, il quale con picciola parte, rispetto alla gran quantità, adescandoli, gittò e sparse mollo; ma a Focione mandò a donare settecenlo ta- lenti, risoluto ancora di dargli il restante e rimetter in lui tutto l'avere e la persona in franchigia: rispo- se Focione aspramente, che Arpalo si pentirà, se non cessa di guastare e corrompere la citlà: onde sbigot- tito si ritirò. Non guari dopo facendo il senato con- siglio, vide quelli che avean presa moneta da lui, cangiati di pensiero, accusarlo per cancellare il so- spetto; e Focione solo, senza aver preso nulla da lui, con risguaido sempre dell'utilità pubblica insieme , 215 avea qualche pensiero di sarvargli la vita. Arpalo adunque venuto di nuovo ad osservarlo e riverirlo, ed or per una via, ed ora per un'altra inteso a que- sto, conobbe infine essere una fortezza inespugnabile per oro. Ma divenuto amico e domestico di Garicle, genero di Focione, lo riempiè di mala fama, confidan- do il tutto in lui, e di lui in ogni aliare servendosi, infino al darli la cura di fabricare con grandissima spesa un sepolcro a Pitonica, concubina morta, ama- tissima da Arpalo , di cui n'ebbe una figliuola. Il qual sepolcro condotto a perfezione disonorò Garicle per essere stato il magistero ignominioso. Perchè è ancor oggi in essere nel luogo detto Erme, onde si passa nell'andare da Atene a Eleusine, senza alcuna magnificenza degna della spesa di trenta talenti, come dicono essere stato il conto renduto da Garicle a Ar- palo. Anzi morto che fu, questa bambina, presa da Garicle e da Focione ancora , fu allevata con ogni diligenza. Nondimeno essendo poi Garicle chiama- to in giudizio per aver preso denari da Arpalo , e pregando Focione del suo aiuto a trovarsi in giudi- zio, gli disdisse con dire: Io ti feci, o Garicle, mio genero per tutte le cose giuste. Ora essendo stato il primo a portar la novella della morte d'Alessan- dro agli ateniesi Asclepiade d'Ipparco, Demade disse non doverseli credere, perchè tutto 'I mondo già ne sentirebbe il fetore. Onde veggcndolo Focione già sollevato a destar novità nel popolo, cercò di miti- garlo e ritenerlo. Ma saltando molti in cattedra , e gridando esser vere le novelle d'Asclepiade, e vera- cemente esser morto Alessandro , disse loro : Se è morto oggi, sarà ancor morto domane e posdomane: 216 però consigliatevi con agio , e più tosto con sicu- rezza. Ma quando poi Leostene sì fece , che mise la città nella guerra de'greci, e vedevane Focione sde- gnato, il donoandò qual bene avesse egli portalo alla repubblica in. lanl'anni che era stato generale degli ateniesi? E Focione rispose: Non picciolo per certo, l'essersi seppelliti i cittadini ne'Ior propi sepolcri. Ma parlando pure audacemente e con pompa e vanti Leostene al popolo, Focione gli rispose: Le tue pa- role, o giovanetto, si rassomigliano a'cipressi, che son grandi ad alti, ma non portano fruito. E quando ad allra occasione Iperide ii domandò: E quando, o Fo- cione, consiglierai gii ateniesi a far gueri'a? rispose: Qualora vedrò i giovani disposti a mantener la loro posta nell'ordinanza, i ricchi contribuire, e gli ora- tori astenersi dal rubare la repubblica. E maravi- gliandosi molti del grand'esercito adunato da Leo- slene, e domandando Focione del suo parere intorno a cotante preparazioni: Bene sta, rispose, per corta carriera, ma temo del lungo arringo della guerra, non avendo la città altri denari, né navi, né soldati, come ne rese testimonianza il fatto slesso. Perchè Leostene in principio s'alzò ad illustre gloria per li felici successi, avendo vinti in battaj>lia i beozi , e rispinto Anlipatro in Lamia: e allora si racconta che la città , colma di grandi speranze , continuamente festeggiava a faceva sacrifizi agl'iddii per le felici novelle. E Focione a quelli che convincerlo inten- devano, domandando: se vorrebbe egli aver falle si gloriose imprese, rispondeva: .sì veramente, ma aver ancora consigliato in quel modo. E ad altro tempo. 217 scrivendo e portando sempre lieti avvisi gli uni so- pra gli altri dalTesereito, diss'egli: E quando cesse- remo di vincere? Morto Leostene, quelli che temevano, Focione, eletto egli generale e là mandato , non terminasse la guerra, fecero levarsi in piena adunanza un citta- dino di basso lignaggio , il qual disse , ch'essendo amico di Focione e stato suo compagno, consigliava a rispiarmare un tal |)ersonaggio e conservarlo, come quello che altro simile non ne aveano, e mandar più tosto Antifilo all'esercito. Ora, piacendo agli ateniesi queste parole, Focione, venut'oUre, disse non essere stato mai compagno di costui, e, che è più, non es- sere suo domestico, ne conoscente. Da oggi innanzi, diss'egli, chi tu ti sii, io t'accetto per amico e be- nevogliente, poi che consigliasti l'iitil mio. Goiren- do pertando gli ateniesi precipitosamente alla guer- ra contro i beozi, Focione cominciò a contendere, e dicendo gli amici che sarebbe ucciso , se voleva opporsi al popolo ateniese: Ingiustamente, rispose, se a loro procuro utilità; e giustamente, se farò il con- trario. Poi che vide non allentare, ma gridar forte, comandò all'araldo che bandisse, che lutti gli ate- niesi da'sedici infino a'sessant'anni, pigliando da man- giare per cinque giorni . lo seguitassero allora , al partire dell'adunanza. Destandosi gran tumulto, e gri- dando i vecchi , e saltando, rispose: Che cosa è ? Io, il vostro capitano, che pure ho ottant'anni, sarò in vostra compagnia. E cosi allora gli quietò , e fece loro cangiar pensiero. Ora essendo predata la marina da Mlcione con molti macedoni e altri mercenari , e avendo posto 218 in terra a Ramnunte, e sconenclo la campagna, là condusse gli ateniesi: e quando egli vide chi d'una banda e chi d'altra correre e voler far l'uffizio di ca- pitano, e consigliare a pigliar quel colle , là man- dare i cavalieii, e qui accamparsi, disse: Oh quanti capitani vegg'io, e come pochi soldati! Ma quando ebbe schierata la fanteria a battaglia, alcuno trascor- se mollo innanzi a gli altri , e poi per paura d-un fiero guerriero che gli veniva contro , si ritraendo fra gli altri irelTordinanza, Focione gli disse: Or non li vergogni, o giovane, d'aver lasciato due poste, l'una che li die'il capitano, e l'altra che li pigliasti da te stesso ? Urlando dunque i nimici, e di forza voltili in fuga, uccise lo stesso Micione e molt'altri. Di poi l'esercito della lega de'greci vinse in Tessaglia An- tipatro unitosi con Leonalo e'macedoni da lui con- dotti dall'Asia; e vi rimase morto Leonato, essendo capitano di falange AntiBlo, e della cavalleria Me- none di Tessaglia. Poco dopo ripassalo Cratero dall'Asia con gran- de esercito, fece giornata alla città di Granone, e ri- masero al di sotto i greci, ma con picciol danno di morii. Oltre che non obbedivano i soldati a'capitani che erano troppo umani e giovani, e però al primo sforzo fallo da Antipatro conlra le lor città, fuggen- do, vergognosissimamente abbandonarono la libertà. Incontanente adunque, guidando Antipatro Tesercito a Atene, Demostene e Iperidc fuggirono dalla città. Deniade non potendo pagare alla repubblica parte alcuna della condennagione di sette volte più del ri- cevuto, ch'era stato convinto d'aver fallito conlra le leggi, fu dichiaralo infame : e ancor che gli fusse 210 vietato il parlare in pubblico, pur una volta, otte- nutane licenza, propose un decreto che si nriandas- sero ambasciadori con piena autorità ad Antipatro per trattar pace. Avendo paura il popolo, e nomi- nando Focione con dire di non aver fidanza se non in lui solo, egli rispose: Se fusse stato creduto a' miei consigli, non sareste ora in travaglio del con- sultare sopra affari di sì grande importanza. Vinto il partito, fu mandato egli ad Antipatro, accampato allora sotto Cadmea, e preparato a passar tosto quin- di nell'Attica. E la prima sua domanda fu questa, di concluder accordo avanti che quindi diloggiasse. Ma rispondendo Cralero non esser giusta la domanda^ che trovandosi in terreno di confederati e amici, 1q malmenassero e guastassero, quando posson arricchi- re di quel de'nemici, Antipatro, pigliandolo per la destra , gli replicò: Egli si vuol concedere questa grazia a Focione. Il restante comandò rimettersi in lui, come si riause egli assediato in Lamia a discre- zione di Leostene. Tornato Fecione alla patria, gli ateniesi stretti dalla necessità approvarono le condi- zioni proposte della pace; e dopo questo s'inviò su- bilo a Tebe con gli altri ambasciadori, e principal- mente con Xenocrate filosofo, eletto dagli ateniesi , perchè tanta e tale era la riputazione di sua virtù, la gloria e la stima fattane da tutti , che si pensa- va non poter ritrovarsi arroganza, né crudeltà, né ira sì abbarbicata in petto umano, che uno sguardo solo di Xenocrate non ammollisse e cangiasse in gran reverenza e onore per la sua persona. Ma egli av- venne lutto il contrario per la rozza natura di An- tipatro, nimico ad ogni virtù. Primieramente, ab- 220 bracciando tutti gli altri, non salutò pure XenoCia- te. Onde si racconta che disse: Ben fece Anlipatro ad aver vergogna in veder me solo testimonio delle ingiurie che vuol fare alla mia patria. Poi comin- ciando Xenocrate a parlare, non ebbe pazienza d'u- dire: anzi, interrompendo e sdegnando, gli coman- dò in fine che tacesse del tutto. Ma parlato che eb be Focione, rispose Antipatro che gli ateniesi aran pace e confederazione: se gli daranno in mano De- mostene e Iperide: se ridurranno la loro repubblica al governo ordinato da'loro antecessori, ove non a- veva luogo chi non aveva un tanto di valsente: se riceveranno guardia nella fortezza di Munichia, e pagheranno le spese fatte nella guerra e cert'altra somma per ammenda. Gli altri ambasciadori accet- tarono queste condizioni, parendo loro assai umane: Xenocrate non già, il qual disse usare Antipatro mo- destia, se gli ricevea per ischiavi; e se per liberi e franchi , troppa durezza. Ora non volendo Focione accettare la guernigione, e pregando, si racconta che Antipatro gli rispose: 0 Focione, noi vogliamo farti ogni grazia , in fuor che oprar di maniera cho si procacci a te e a noi la rovina. Dicono altri non essere stata tale la risposta, ma aver Antipatro do- mandato Focione, se posto da parte il metter guer- nigione in Munichia, voleva egli entrar mallevadore, che la città manterrebbe la pace senza destar novità? e che tacendo ed indugiando a rispondere, Callimc- donte carabo, uomo ardilo, e che odiava il popolo, rispose egli: E se costui, o Anlipatro, vaneggia, cre- deraigli tu, e non farai quanto hai deliberato ? E così ricevettero gli ateniesi la guernigione \ 221 de'tnacedoni col capitano Menillo, persona onorata, e familiare di Focione. Questo comandamento parve superbo, e più tosto dimostrazione d'oltraggiosa pos- sanza , che utile acquisto per gli affari suoi. E'I giorrno ancora, nel quale ciò seguì, accrebbe il do- lore; perchè vi fu condotta la guernigione nel ven- tesimo giorno d'agosto, quando nella celebrazione de'misteri mandano processionalmente l'immagine del dio Bacco dalla città a Eleusine: talché rimanendo confusa questa festa, discorrendo, il popolo parago- nava le cirimonie antiche alle moderne. Al tempo antico più avventuroso alla repubblica ebbero vi- sioni, e ascollarono voci divine con terrore e spa- vento de'nemici: oia essere gl'iddii spettatori nella medesima solennità delle più svenluiate miserie del- la Grecia, e della contaminazione del più santo giorno e giocondo dell'anno, al presente fatto me- morevole per la perdita della libertà e 'I più grave danno unque sofferto. E pochi anni innanzi le sa- cerdotesse di Dodonea avean portato alla città d' Alene un oracolo, che le fortezze Di diana ben si (guardassero, acciò non fusser prese da altri. E in que'giorni medesimi le fasce , con le quali benda- no d'ognintorno i misteriosi letti di Bacco, bagnate, presero un color di tlapsia e smorto (i) invece di vermiglio che doveano, e ( che fu maggiore ) 1' altre tele de' particolari nel tignersi ebber (utte il conveniente colore. E di più un ministro del tem- pio, andato a lavaie un porcello in un braccio di mare puro e netto, l'animale preso da un gran pe- (1) Secondo il lesto (jreco doveva dire; colore sepolcrale e da cadavere. 222 sce , e inghiottito mezzo, tutte |e parti di sotto infi- no al venire, mostrando Iddio palesemente ad essi, che perdendo le parti di sotto sopra! mare, salve- ranno le parti alte della città. La guernigione per cagion di Menillo non fu punto grave agli abitanti. Ma infra' dichiarati inabili al governo per lor pover- tà, che furono oltie a dieci mila, a quelli che rima- sero, parve di patire calamità e disonori grandi; e gli altri che abbandonarono la città per non aver tanto di valsente, trapassati in Tracia, ebbero da Antipatro terreni e città, e pareva, a vederli, gen- te presa per assalto. La morte di Demostene seguita nell'isola Ca- lauria, e di Iperiade alle Cleone ( di che abbiamo scritto altrove ) fu quasi cagione che gli ateniesi amavano e desideravano il tempo, quando regnava Filippo e Alessandro. Che si come poco dopo, es- sendo morto Antigono, e cominciando gli uccisori a far violenze e oltraggi a'sudditi, un contadino di Frigia nel cavar la terra, domandato da chi che sia che facesse, rispose piangendo: Io cerco d'Antigono; così venne a molti in pensiero di dire il medesi- mo nel ricordarsi dell'animo di que're quanto aves- sero di grande e generosa clemenza e agevolezza di perdonare, non come Antipatro, che sotto'l velo di privata persona, di semplice vestire e vita sobria, dissimulava la sua gran potenza, e poi odiosissimo riusciva a'suoi, principe pessimo e tiranno. Focione nondimeno con sue preghiere ottenne da lui per molti il ritorno d'esilio, e altri confinati sopra a' monti cerauni e nel Tenaro fuor della Grecia eb- bero per lui licenza d'abitare nel Peloponneso, ias 223 fra'qu.ili fu un certo Agnoiilde, falso calunniaiore. Nel restante governando gli abitanti dentro alla cit- tà con nnansuetudine e giustizia, i gentili e graziosi manteneva sempre ue'magistrali, ma a'sediziosi, a- matori di novità, col farli languire senza aver ma- gistrali, né occasione di destar tumulti, inse.frnò ritirarsi a' campi e amar V agricoltura. E vedendo Xepocrate pagar certo dazio di dodici dramme, che pagavano al comune d'Alene ogn'anno gli stranieri, volle farlo scrivere nel numero de'ciltadini. Ma Xe- nocrate disdisse, allegando che non voleva aver par- te in quel governo, per la cui distruzione era stato ambasciatore. E quando Menillo gli mandò ricco dono d' oro ed argento, rispose: Non esser Menillo miglior d'Alessandro , né migliore l' occasione d' accettarlo ora a chi non 1' accettò già. Ma pregando Menillo che lo pigliasse almeno pel figliuolo Foco : Se Fo- co, rispose, mutalo pensiero, sarà con buon senno, saranno bastanti i beni del padre; ma, come vive al presente, non é ricchezza che gli possa esser suf- ficiente. E ad Antipatro rispose aspramente, quando voleva fargli fare non so che poco conveniente, di- cendo: Non può Antipatro avermi insieme per ami- co e per adulatore. E d'Antipatro stesso raccontano aver detto, che di due amici che aveva in Atene, Focione e Demade , non potè l'uno persuader già mai a pigliar nulla, e l'altro saziare col molto do- nargli. Così la povertà fu argomento della virtù di Focione , e con essa nondimeno fu tante volte ge- nerale degli ateniesi, e invecchiò fra tante amicizie di re. Ma Demade faceva mostra di sue gran rie- 224 chczze eziandio col trasgredire alle l«{jgi. Perchè es- sendo legge in Alene, che vietava allo straniero il far balli, o vero che 'l capo del ballo pagasse mille dramme , Demade , avendo condotti danzai ori tutti forestieri intìno al numero di cento, portò insieme la pena di mille per ciascuno, e gli condusse in teatro. E nel condurre a casa la sposa al figliuolo Demade disse: 0 figliuolo, quand'io m'ammogliai con tua madre, fu sì piccola festa, che 'I vicino non ne sentì nulla; ma nelle tue nozze ballano in com- pagnia nostra e festeggiano pr incipi e potenti. E tem- pestando gli ateniesi Focione, che pregasse Antipa- tro a liberargli dalla guernigioue di Munichia, o per non credere di persuaderlo, o più tosto per ve- dere il popolo più temperante, e regger lo stato con pili modestia per paura, sempre rifiutò quest'am- basceria. Ben persuase Antipatro che non volesse ri- scuoter di presente i pattuiti denari, ma aspettas- se, e si facesse dilazione. Si rivolsero adunque ad inviarvi Demade, il quale accettò ben volentieri, e n'andò col figliuolo in Macedonia , portatovi, come apparve, in sua mal'ora da qualche rio demone in quel tempo che giaceva infermo dell'ultima malattia. Gassandro, suo figliuolo, divenuto arbitro e signore degli aflfari di là, trovò una lettera di Demade scritta ad Antigono in Asia, invitandolo a mostrarsi alla Grecia e alla Macedonia, i cui affari erano appic- cati a filo vecchio e fracido, in tal maniera scher- nendo Antipatro. Quando dunque Gassandro il vide là venuto, le fé' incarcerare, e 'l figliuolo gli fece innanzi agli occhi scannare sì dipresso, che 'l san- gue schizzò nel seno al padre, e ne rimase tutto 225 lordo. Di poi, con molte ingiuriosa parole e scher- ni rimproveratoli l'ingratitudine e '1 tradimento , lo fece morire. Poi ohe Antipatro sostituì Poliperconte gene- rale delle forze di Macedonia, e Cassandro solamen- te colonnello di mille; Cassandro nondimeno, sur- gendo, prevenne, e presi sopra se tutti gli affari, inviò velocemente Nicànore successore a Menillo nella guernigione avanti al palesare la morte di An- tipatro, comandandoli che ricevesse Munichia. Fat- to questo, e dopo a pochi giorni sentendo gli ate- niesi esser morto Antipatro, era incolpato Focione e biasimato che l'avesse presentito e taciuto in gra- zia di Nicànore. Ma Focione nulla curava colali ac- cuse: anzi trovatosi con Nicànore, e, discorrendo, oltre ad averlo renduto agli ateniesi mansueto e gra- zioso, lo persuase a spendere in giuochi e feste a trattenimento del popolo. In questo Poliperconte, che avea sotto di se la cura del giovane re Cassandro, e voleva torselo dinanzi, scrisse una lettera a'cilta- dini d'Alene, per la quale notificava il suo re ren- der loro piena libertà di ripigliare il reggimeuto popolare, e che potessero tutti gli ateniesi reggersi secondo la maniera usata da'Ioro antecessori. E que- sto era un lacciuolo leso a Focione. Perchè volendo ordire Poliperconte questa tela d'impadronirsi della città ( come mostrò poco appresso nell'opere ) non isperava poterlo conseguire senza cacciarne Focione. Scacciato ne sarebbe, qualora i privati già del go- verno per suo mezzo ritorneranno ad avervi parte: e potran montar di nuovo in alto i somraovitori del popolo e i calunniatori. Essendo per questa let- G.A.T.GXXYI. 15 226 tera commossi gli alaniesi, Nicànore voleva parlar loro in senato adunato nel porto pireo; e là venuta, rimise la sua persona sotto la fé di Focione. Dercillo, capita- no allora in campagna per il re, fé disegno di pigliar- lo ; ma Nicànore, presentendo, si salvò, e di fatto mostrò palesemente volerne pigliar vendetta sopra la città. Focione, dell'averlo lasciato andare, e non rite- nerlo biosimato, rispovdeva potersi allora credere a Nicanoro, e non aspettare da lui mal alcuno: e se non ere da crederli, voler piuttosto ricevere ingiuria che farla. Questa risposta, ben considerala se fusse sopra fatto appartenente alla sua persona sola, potrebbe parere atto di gran bontà e d'animo generoso; ma in bocca d'uno, il quale metteva in rischio la sal- vezza della patria , che era come generale e capo nella sua repubblica, non so se trasgredisse un' altra giustizia e dirittura di maggior importanza e di maggiore obbligazione, ch'è la sicurezza de'suoi cit- tadini. Già non si può in sua difesa allegar questo, che Focione per paura di non gittar la patria in guerra s'astenne da Nicànore: ma che per velo ado- prava la fede promesa e '1 giusto, acciò, portandoli poi Nicànore riverenza, stesse in pace, e non faces- se ingiuria agli ateniesi. E veramente altro non parve cagion di questo, che la gran fede avuta in Nicànore; perchè, ancorché molti rapportassero e spiassero che macchinava inganni per entrar nel por- to pireo, e faceva traghettar gente in Salamina, e corrompeva alcuni degli abitanti nel porto, non pre- stò mai l'orecchio e non credette. Anzi proponen- do Filomelo di Lamptre un decreto, che tutti gli a- lenicsi stessero j)resti in arme al comando del gc- 227 nerale, Focione non ne tenne conio, inflno a che traendo Nicànore l'armi fuor di Munichia, inco- minciò ad alzar trincee intorno al porlo. Appresso al qual fallo Focione volle guidar fuori gli atenie- si, ma con istrepiti e tumulti era sbefFato, Venne poi Alessandro figliuolo di Poliperconle con esercito in parole per aiutar la città centra Nicànore, ma in effetto per pigliarla, se poteva, disposta allora da per se stessa a cadere interamente. Perchè essen- do trapelati a lui fuorusciti, entraron seco inconta- nente nella città, e correndovi forastieri e altre per- sone infami, s'adunò im consiglio misto di tutta gen- te e confuso, nel quale, privato del governo Focio- ne, elessero altri capitani: e se non fusse stato ve- duto Alessandro parlare a solo con Nicànore ititor- no alle mura e più volte tornarvi ( il che mise gli ateniesi in sospetto ) la città non arebbe sfuggito il pericolo. Ma quando poi Agnonide oratole con gran forza accusò Focione di tradimento, Callime- donte e Periche per temenza fuggirono dalla città: e Focione con gli altri suoi amici restati andò a Poliperconle, e gli accompagnarono Solone plateese e Dinarco corintio, creduti domestici e familiari di Poliperconle. Ma per indisposizione di Dinarco fecer dimora molti giorni in Elatea, ne' quali, a persua- sione d'Agnonide e per decreto proposto da i\rche- strato, mandò il popolo ateniese ambasceria a Poli- perconle per accusar Focione. E appunto gli uni e gli altri arrivarono insieme a Poliperconle, che an- dava in compagnia del re a un certo borgo della Focide, detto Fariga, a pie del monte Acrurio, og- gi detto Calata. E qui, fatto Poliperconle distende- 228 re un baldacchino d' oro figurato in fornria di cie- lo, e messovi sotto a sedeie il re e gli amici suoi, ai primo entrare comandò che fusse preso Dinarco, e dopo tormenti ucciso ; e poi concedè licenza agli ateniesi di favellare. Ma quando essi con istiepito e grida s'accusavano 1' un 1' altio innanzi a quel tribu- nale, e Agnonide, venuto oltre, ebbe detto : 0 ma- cedoni, metteteci tutti in una trappola, e mandateci agli ateniesi per render i-agione delle nostre azioni; il re cominciò a ridere. Ma gli assistenti macedoni al tribunale e' stranieri desideravan pure d' ascoltare, e con cenni invitavano gli ambasciatori a recitar quivi r accusa. Ma non era pari la contesa • perchè Poliperconte, più volte l'uppe la pai'ola a Focione , infino a che battendo per ira la terra col bastone , lo fé ritirare e tacere. E avendo detto Egemone a Poliperconte che egli stesso poteva esser testimone della benevolenza portala al popolo, egli rispose sde- gnosamente: Deh cessa omai di mentire conti'a a me alla presenza del re ! Il re, levato allora di seggio, corse per batter con la lancia Egemone ; ma Poli- perconte lo ritenne, abbracciandolo: e così fu sciol- ta r udienza. E ritenendo la guardia Focione e'compagni, gli altri amici, di lontano ciò vedendo, si nascosero, e salvaronsi con la fuga. I presi furon condotti da di- to in Atene con pretesto di processarli, ma in verità farli morire. E fu questo spettacolo molto doloroso veder trainarli sopra carri per la strada del Cerami- co al teatro: ove condotti da Clito, furono arrestati, infino a che i magistrati cbbei- assembrato il popolo senza escluder da questo consiglio schiavo, o stra- 229 niero, o vii persona, per infame che fosse, e fu li- bero il per^jamo e spalancalo il teatro a qualunque di qualunque sesso o (condizione. Recitata che fu in pubblico la lettera del re, nella quale si legjjeva, che aveva ben trovato questi cittadini convinti di tradimento, ma lasciava loro, come a liberi che e- rano, e vivevano a lor leggi , di farne giudizio : e Clito gli condusse loro innanzi. I cittadini migliori alla vista di Focione si coprivano la faccia, e bas- sando la testa, piangevano. Ebbe vi pur uno, il quale in pie levato ardì di favellare, che avendo il re ri- messo in mano al popolo un giudizio di sì alta im- portanza, stava bene che gli schiavi e forestieri uscis- sero dell'adunanza. Ma non acconsentendo il popolo, anzi gridando che si dovesse cacciar via questo dra- pello di pochi tiranni, che hanno in odio il popolo, non si trovò più alcuno, il quale ardisse parlare a favore di Focione. Egli nondimeno, con malagevo- lezza e pena sentito, fece al popolo una tal doman- da: Voleteci voi far morire a torto o con ragione? E rispondendo alcuni, che per via di giustizia e di ragione, replicò: E come il farete, se non ascoltate prima le mie giustificazioni? E non volendo ancora stare a sentire per questo, appressatosi alquanto più, disse: Io confesso d'aver usata ingiustizia, e mi stimo degno di morte per l'amministrazione del governo: ma perchè, o ateniesi , volete far morir quest'altri che di nulla v'hanno ingiuriato ? E rispondendo il popolo: Perchè sono amici tuoi; Focione si ritirò sen- za più aprir bocca. E Agnonide, tenendo scritto in mano il decreto, lo recitò: nel quale si leggeva con- venirsi al popolo dar sentenza sopra questi cittadini, 230 e giudicare se avevano usata ingiustizia centra la repubblica: e se trovassero che sì, si sentenziassero a morte. Recitato il decreto , furono alcuni d'avviso dovervisi aggiugnere, che Focione fusse prima tor- mentato, e poi morto, e comandarono portarsi la ruo- ta e chiamarsi i ministri. Ma Agnonide, scorgendone Clito malcontento, estimando ciò crudeltà barbaresca ed empia, disse: Quando aremo in mano, o ateniesi, un mozzorecchi fatto come Callimedonle, allora use- remo i tormenti. Ma contra Focione non proporrei mai cotal cosa. Qui ebbe un buon cittadino che sog- giunse: Certo ben fai a dir così, perche se tormen- tiamo Focione, a le che fare dovremo ? Confermato il decreto e preso il partito, stando tutti ritti e la maggior parte coronati, sentenziarono a morte questi cittadini: e furono in compagnia di Focione Nicocle, Tudippo, Egemone e Pitocle. Fu- rono parimenti sentenziati a morte Demetrio falereo, Calliraedonte e Caricle, e alcuni altri assenti. Licenziata l'udienza gli condussero alle carceri. Gli altri tutti, abbracciando amici e parenti , anda- vano lamentandosi e piangendo: la faccia sola di Fo- cione lieta, come soleva, quando eletto generale da' suoi usciva di consiglio, faceva maravigliar tutti a vederla, ammirando la sua gran costanza e grandezza d'animo. I nimici suoi, correndogli innanzi, gli dice- vano villane parole; ed uno d'essi, accostatosi, gli sputò nella faccia. E allora si racconta che Focione, rivolto a'magistrati , disse: Non sarà egli alcun fra voi, che arresti l'insolenza di quest'uomo ? E quando Tudippo in prigione nel veder tritarsi la cicuta si lamentava, e piangeva sua dura sorte con dire, che 231 disconvenientemente moriva in compajjnia di Focio- ne, egli rispose: Or tu non ti consoli di morir con Focione ? E domandando un amico , se voleva che dicesse alcuna cosa al figliuolo Foco, replicò: Sì cer- to, digli che dimentichi l'ingiuria fattami dagli ate- niesi. E pregandolo Nicocle, fedelissimo amico suo, a concedergli il ber prima il veleno: rispose: Grave domanda è quella che mi fai, e dolorosa; ma poi che in mia vita non fui già mai teco ingrato, que- st'ultima grazia ancora ti concedo. Ora avendo già lutti altri beuto il veleno, ne mancò, e disse il ma- nigoldo che non triterebbe altro, se non gli fusser date dodici dramme, che era il prezzo da comprar- ne una libbra, E però, mettendo tempo in mezzo e indugiandosi, Focione, chiamato un suo amico , gli disse : Poi che in Atene non si può morire senza spendere, dà a costui questo poco di moneta. Correva il dicianovesimo giorno di marzo, quan- do i cavalieri han per costume di fare certa proces- sione in onor di Giove, de'quali alcuni nel passare si trassero le corone di testa , e rivolsero altri lo sguardo alla porta della prigione, piangendo. E ben parve a quelli, che non erano di cuore interamente crudele, e non avevan l'anima intorbidata dall'ira e dall'invidia, empio sacrilegio il non astenersi in quel giorno e aver contaminata la città fesleggiante con quella pubblica morte. I nimici suoi nondimeno, co- me se non avessero soddisfatto al loro desiderio, fé- cer decreto che '1 corpo di Focione fusse portato fuori de' confini dell' Attica, e non s'accendesse pui' un lume solo dagli ateniesi per seppellirlo : onde non ardì amico alcuno toccare il suo corpo. E un certo Conopione, usato a' simile ministerio, per prez- 232 zo che si gli diede , lo porlo olire ad Eleusine , e preso fuoco nel paese de' megaresi, l'abbruciò. Ove una donna di Megara, avvenendosi a sorte con sue fanticelle, alzò alquanto di terra , sì che pareva un monumento voto , e sparse secondo il costume ef- fusioni funerali, e raccolte l'ossa in grembo, di not- te le portò a casa, e sotterrò appiè del focolare de- gli iddìi domestici con queste parole : 0 caro fo- colare, io ti deposito appiè queste reliquie d'un uo- mo dabbene: rendile tu a' sepolcri paterni, quando gli ateniesi riconosceranno il fallo commesso. E di vero non trapassò gran lempo, che avendo r efl'etlo stesso fatto riconoscere al popolo ateniese , che aveva fatto morire il guardiano e 'I manleni- tore della temperanza e della giustizia, gli alzarono la statua di bronzo, e seppellirono a spese del pub- blico l'ossa sue, e Agnonide infra gli accusatori suoi fecero giustiziare. Epicuro e DemoHIo, fuggiti dal- la città, furon ritrovali dal figliuolo di Focione, che ne fece vendetta. Del quale si racconta, che olire al non essere slato persona di valore, innamorato d'una fanticella nutrita appresso un pubblico rufìlano , si trovò per fortuna un giorno nella scuola del Liceo a sentir fare un colai discorso a Teodoro l' ateista e miscredente: Se non è veigogna liberare l'ami- co di servitù, non sarà parimenti il francare l'ami- ca^ e se non il compagno, né anco la compagna : e accomodando queste parole come proporzionate al suo desiderio, trasse la concubina della servitù del ruffiano. Nel reslante il fatto di Focione rinovellò a' greci la memoria della morte di Socrate , e fu sti- mato fallo simigliantissimo, e pari sventura alla cit- tà di Atene. 233 Intorno all'indole della letteratura^ osservazioni di Carlo Sigonio volgarizzate dal can. Antonio Fazi prof, di limane lettere nel ven. seni, e collegio di Sinigaglia. AVVEKTl'NZA Il grande storico modenese , in occasione di rinnovamenlo di sludi, l'anno looD, lej;geva in Venezia, ove era professor di elo- quenza, l'orazione in lode ilelle umane lettere. Di questa volevamo mettere a slampa tutto intero il volgarizzamento, ma ce ne tolsero buone ragioni : pubblichiamo tuttavia questo saggiO; perchè ci pa re che molto si raccomandi per la profondità della trattazione, per la dirittura dei giudizi, e per l'importanza delle dottrine. Vogliamo ancor che si sappia, che noi primi, per quanto ci è noto, a trar dal latino questa orazione, abbiamo potuto far uso di un lesto pregevolissimo {Sigonìi Opera omnia eie. Mcdiolani, 1732 — 37 , 6 voi. gr. in fogl.) ciie possiedono questi RR. PP, Serviti; e di ciò dobbiamo saper grado alia gentilezza del padre priore Gi- rolamo Puccini, professor di (ìlosoda in questo ven. seminario e collegio. 11 OD vogliate porgervi creduli a coloro che già da molto tempo sono usati a spacciare francamente, es- sere lo studio delle umane lettere vano e frivolo , tutto parole, nudo d' ogni bene, atto ad educare i fanciulli, non a crescere gli animi nelle sode e ma- schie discipline. Io però son d' avviso che esso ha tanta maestà e splendidezza, e racchiude tanta do- vizia di cose e di arti leggiadre, che chi lo trascu- ra, a me pare che disprezzi non già un' arte o una scienza sola, ma tutto il genere umano. E tanto più 234 di buon grado, e per ragion del mio ufizio e pel grande amore che vi porto e vi porterò sempre, vi avverto di star bene in guardia, perchè mi accor- go che esso viene non pure schernito dagli igno- ranti, ma combattuto eziandio da parecchi eruditi. Lo sciocco volgo si lascia prendere, e dirci per poco abbacinare , non dalla bellezza e dallo splen- dore di una facoltà, ma dal privato suo prò, e dagli applausi profusi oggidì a chi intende allo studio di altre arti o scienze. Quelle poi che a' nostri giorni massimamente ammirano e coltivano gì' imperiti e i volgari, e a cui spendono tutte le cure attorno, so- no due principalmente, la giurisprudenza e la me- dicina; conciossiachè per opera di queste, veggono spianarsi dinanzi una via non tanto alla dignità delle conoscenze, quanto a fornire le cotidiane bisogne ; non tanto alla nobiltà della scienza, quanto alla ne- cessità dell'arte; non tanto alla fama e agli onori, quanto alla potenza e alle ricchezze. Di filosofia poi, madre fecontla di tutte le discipline , se ne traggi quel pocolino che tengono necessario a scorgerli nel- le predette facoltà, avvisano non far punto d'uopo apprenderne un iota. Ma gli eruditi sono mossi da tutt' altra ragione; essi avendo in altissimo pregio lo studio della sa- pienza, che pongono in cima di tutti gli altri, que- sto unicamente abbracciano e aiutano di lor favore. Non ponno patire in verun modo chi pone V inge- gno e r industria in quegli studii, che dai loro per poco si scostino, e che dalla scienza del diritto pen- sare si volgano a quella del bel dire , e guardano e passano non si curando di loro, come di maestri 235 di un' arte frivolissima ; nel che quanto male si ap- pongano, noi vede se non chi è uscito fuori del sen- no. Ragguagliano i nostri tempi cogli antichi , ma ciascheduno di leggieri si accorge quanto siano a pezza disformi. Da prima tutti si davano allo studio della sapienza , dal cui seno , come da larghissima fonte , credevasi che rampollassero in certo modo tutte le arti^ le quali diramandosi, a tutti si com- partissero ; dimodoché, quantunque alcuno con lena più vigorosa coltivasse questa, o alcun altro quella parte di filosofia, nondimeno tutti miravano di ag- giugnere alla sapienza. Quivi medesimo adunque ad- dirizzavano i loro studi, que' che si occupavano del- le scienze naturali, que' che davan precetti e isti- tuzioni di morale , e quegli infine che attendevano alle scienze civili e politiche. Questi scienziati non tenevano a vile le arti del ragionare e del dire, che sono le ancelle della filosofia: anzi, ponendo essi ben mente che questa senza il conforto di quelle non potevasi con qualche profitto trattare od intendere, aggiugnevano colle regole e coi precetti ornamento alla dialettica e alla rettorica. Da ciò pertanto con- seguitava, che i cultori della filosofia erano una cosa sola con quelli dell' arte del dire, e che la scienza delle cose invisceravasi con quella delle parole. E a diritta ragione; imperciocché tanto stretto crede- vano essere il legame che annoda il cuore e la lin- gua, che nulla giudicavano poter correre sulla lin- gua , se prima non avesse fatto dimora nel cuore, le parole non riuscire che a un vano suono , ove non fossero stale le cose, né potersi aver idea delle cose , se queste non fossero stale significate dalle parole. 230 Ma i moderni coslunii porJ.iiono un (al dissen- so fra le aili , che ad alcuni oi- piende vaghezza d' investi{J[aie sottilmente le ragioni delle cose e del- le arti le più leggiadre, altri si tengono contenti di farsi addentro soltanto nel valore e nella forza di ciascun vocabolo , come in men nobile studio. Né loro entra in capo quel vero che doveva innanzi tratto esser ben ribadilo nella mente , che quando pressoché tutti parlavano ad un modo , non occor- revano gran fatto le illustrazioni degl' interpreti, né le dichiarazioni dei maestri: che tutti coll'acume del- l' ingegno eran volti e penetrere nelle riposte ragioni delle cose, e quelle che aveano trovate, alle lettere e alla posterità consegnavanle : lispetto allo splendore e alla copia del diie non si pigliavano gran fatica, che ognuno vi conferiva quelle maniere che la na- tura stessa meltevagli in bocca. A questi dì poi, es- sendo venuto men 1' uso del loro antico linguaggio, ed essendosi conservali i nobilissimi monumenti del loro ingegno, dai quali, come da inesausta minieia, voglionsl cavare tesori d'ogni sorta di sapienza, di civiltà, di eloquenza , furono necessariamente ordi- nati alcuni che sponessero gli usi e i significati non ben chiari delle parole antiche, ed altri che apris- sero i più segreti penetrali della sapienza. Nel fare questa partizione, gli uomini non tan- to ebbero occhio alla natura delle cose, quanto alla forza dei tempi, e vollero , più che il proprio ta- lento, la ragion seguitare. Imperciocché quello che di sua natura a grave pena si poteva disgiungere, per necessità e con sottile accorgimento separarono. Ve- ro è però che non cadde mai loro in animo che si ■237 potessero intendere le dottrine dei filosofi con parole disconosciute, o le parole degli oratori con idee non apprese dianzi dall'intelletto. E a mettere in capo alla genie torte e false opinioni si aggiunse per soprassello , che quelli a cui era commesso il carico d' insegnare le lingue antiche, non comprendendo la gravità delle cose che ■vi si attengono. Io avessero quasi a mestiere igno- bile, limitato a dichiarare soltanto i significati e gli usi delle parole antiche. Intorno a che noi , a dir vero, portiamo questa ferma credenza, che ai mae- stri delie lingue stia non pure l'illusìrare e il co- mentare le opere letterarie, ma eziandio le filosofi- che per dar vita ai poeti, agli oratori, agli storici, e per discoprire lo stupendo lor magistero, e le ma- niere di un favellare leggiadro e copioso. Dalle qua- li cose non volendo, ovvero non potendo, il più de- gl'uomini comprendere quanto gran lode venga al- l' ingegno e all' industria , accade che alcuni o- stentano di consagrarsi interamente allo studio della filosofia più presto che a quello dei poeti, degli o- ratori, e degli storici, quasi che quello si avvenga ad ingegni privilegiati e ad altissimi intelletti , e questo a chi da natura ha sortito un ingegno s\ pi- gro e impacciato da non potere spiccar mai un vo- lo da terra. Nel che quanto diano in falso, ne può far bene ragione chi ha meditato un po' l'indole e il ricco apparato di cognizioni dei poeti, degli o- ratori, e degli storici. Imperciocché chi è s\ mal pratico delle cose e s\ strano alle lettere , che discorrendo non abbia udito dire, esserci stata una generazione di uomini. 238 che colla dolcezza del canto e coll'arraonìe del suo- no trassero le prime genti disperse qua e là sulla terra ( prima che si afforzassero di steccati e di mu- ra , e che dai campi e dai luoghi silvestri conve- nissero in un sol luogo e vi fermassero stanza), a Stringersi in comunanze civili con certe leggi e patti, ispirando loro l'amore alla virtù, al decoro, all'onestà ? E chi è che non sappia , che fondate le città, ordinate le leggi, fermati i giudizi , nascendo spesso qualche contesa intorno all'equo e al giusto, e parendo venire a cozzo la legge con V equità , il diritto colla giustizia , sia per tal modo uscita r altra classe di uomini non ignari del diritto civi- le , e non imperiti dell' arte del dire e del muo- ver gli affetti, chiamati oratori , perchè in ispezia- lità con le orazioni sortivano il loro intento, i quali tiravano gli animi dei dissenzienti ovunque era in grado? Da ultimo ri nfocandosi spesso nelle discordie gli animi dei cittadini, e venendo sovente alle armi i popoli finitimi per serhare intatti i propri diritti, e le memorie de'falti accaduti potendo portare gran- de vantaggio ai posteri per condursi con senno, e mettere loro nell'animo gran voglia a conoscere le cose patrie, chi ignora esser così surta la terza spe- cie di uomini che fermò di tramandare ai tardi av- venire ( togliendole all'obblio ) le origini, gli statuti delle città, i moti intestini, gl'incendi delle guerre, disvelando le cagioni, lo scopo , e l'ordine succes- sivo di tutti gli avvenimenti civili? Or s' è cosi, come avviene che si asserisca che l'oratore, il poeta, lo storico sieno inferiori d'età al filosofo, ogno di Esopo gli ateniesi Una statua dicaro, e sopra base Eterna collocalo ebbono un servo, Affinchè noto a tutte genti fusse Che la strada all'onor è sempre aperta; Che non la stirpe, ma virtù &\ gloria. Poi che 'I posto primier preso ebbe un altro, r m'ingegnai, cotanto mi restava, Che l'unico non fusse: e questa invidia Mica non è, ma emulazion soltanto. Che se il Lazio farà lieta accoglienza Alla fatica mia, avrà ben molli Da porre della Grècia a paragone. Se poi M livor morder vorrà mia cura, Pur nel segreto è forza che mi lodi. Se al tu' orecchio il mio libro unqua pervenga, E queste fa velette ad arte fatte Intimamente gusti, io son contento E lascio i lagni. Che se poi si trincia Il mio dotto lavor da quelli, i quali Nati sono con indole maligna Ned altro fan che scardassare i meglio. Con impavido cor la gran disgrazia Sopporterò sin tanto che fortuna Del suo fallo s'avveggia, ed airossisca. 247 LIB. III. Prologo a Eiitichio. Se di Fedro le carte legger brami, Star senza impacci t'è mestieri, Eutichio; Perchè l'animo tuo disoccupato Possa de'versi più sentire a fondo La viva forza. Ma rispondi: - Tanto Il tuo 'ngegno non vai, perchè a mie brighe ■ Tolga un picciol momento. - In colai caso Non è bello che tocchin le tue mani Quel che importuno alle occupate orecchie Riuscirebbe. Dirai forse: - Aspetta Che vegna una vacanza, in cui buon agio M'avrò a studiar senza faccende addosso. - E che di grazia allora leggerai L'umili cantafavole più tosto Che prender cura degli afFar di casa, Conversar con gli amici, con la moglie Passarlo, e scioperarti e far tempone Per tornar con più lena a tue faccende ? Cangia, cangia proposto, ed il costume Della tua vita, s'unqua suoi disegni Delle muse varcar la sacra soglia. Io generato nel Pierio monte, In cui la dea Mnemosine, sgravandosi Di nove figlie, a Giove altitonante Partorì '1 coro delle arti, io slesso. Ancor che nato si può dir in quella Scuola medesma, né cui punse mai Ingorda voglia d'arricchire, e sempre 248 Intesi a questa vita, avendo lode Con dispetto d'altrui, pin- fra la schiera Sono de 'vati a malincorpo accolto. Che pensi che succeda a quello, il quale Perdendo i sonni ognora si (apina Ammontar gran devizie, anteponendo Ad un dotto lavoro un bel guadagno ? Ornai, che che egli avvenga (come disse A Priamo Sinon allor che tratto Fu al suo sospetto), darò mano al terzo Libro, seguendo l'esopiano stile, E sacrandolo a suo merto ed onore. Se legger lo vorrai, ne avrò gran gusto : Che se poi no, sicuramente avranno Da dilettarsi i posteri materia. Or mostrerò spacciatamente come Delle fole l'invenzion successe. Da dura servitude oppresso Esopo. Non osando parlar liberamente. A favole sfogò gli affetti propri, E le accuse schivò con fìnte baie. Io certamente il piccolo sentiero Da lui battuto a larga vìa ridussi, E assai più eh' e' non scrisse immaginai. Temi scegliendo che facean meglio A mia sventura. Che se fusse un altro L'accusatore, il testimonio, il giudice. Che non Sciano, starmi ben direi Cotanti guai, ne schermo al mio dolore Fare' con tai rimedi. Se mai nullo Nel sospettar s'inganni, e addosso acconciasi Un abito tagliato per chiunque. 249 I suoi rimorsi svelerà da stollo. Pur lutla voUa a lui scolpar mi vo,n;lio; Imperocché non njai vennemi in capo D'appiccar zane a niuno; ma soltanto Mostrar la vita ed i costumi in genere. Forse alcuno dirà clic ad un'impresa Scabrosa mi piiss'io: ma se potette Esopo a' frigi, ed Anacarsi ai scili Fama perenne partorir col loro Valente ingegno, e perchè io che nacqui In sito più vicino a' dotti greci A scuro oblìo commettere dovrei I/onor della mia patria ? Se la Tracia Vanta i suo' autori; e Lino figlio a Apollo, Ed alle muse Orfeo; il qual col canto A sé trasse le pietre, mansuete Rese le belve, e con forza soave II veloce fermò corso dell'Ebro ? Adunque via di qua, tristo livore. Perchè invan non ti crucci. Eterna gloria A me s'addice. Ebben t'ho ancora indotto A leggere ? Vorre' che tu mi dessi Col tuo noto candor schietto giudizio. FAV. VI. La mosca e la mula. Una mosca fermossi 'n sul timone, E con lai detti rampognò la mula: - Eh quanto mai tu te la prendi comoda ! Non vuoi studiar più il passo ? Guarda bene 250 Che a questo aghetto io non il fori '1 collo. - La Mula a lei: - Non muovomi a tue ciance. Se temo, è di costui che in serpa assiso Con la pieghevol sferza mi governa, E col freno spumante in briglia lienmi. Laonde questa tua vana burbanza Reprimi pur, perchè da me conosco Quando il passo v'occorre, e quando il trotto. » Intesa cotal favola, ben puoi » Farli le beffe di color che, privi » D'ogni poter, van minacciando al vento. LIE: IV. FAV. VL Il Poeta. Tu, saputello, il qual su'scritli miei Vai menando la fiusta, e li sa noia Leggere queste frasche, il libricciuolo Pazientemente in man tieni un momento, Finché li spiani la rugosa fronte E in novelli coturni messo Esopo A far la parte comparisca in scena. Oh 1 non avesse mai lessala scure Nell'erto giogo del peliaco bosco Tagliato i più: ne, per aprirsi un varco Ardito incontra a irreparabil morte, Costrutto avesse col favor di Palla Argo la nave che primiera i flutti, A dannaggio de'barbari e de'greci. Fece del Ponto inospitai palesi. Quinci piena di lutto è la magione 251 Del glorioso Eéla, ed il reame Di Palio a terra è volto per infame Empietà di Medea, la qual, velando L'indole sua crudel con arti varie, Là con le membra del fratello sparte S'aprì '1 varco alla fuga, e qua le mani Delle figlie di Pelio imbrattar fece Barbaramente nel paterno sangue Che te ne pare ? Questo pur, rispondi Non sa di sale, e un cerpellon dicesti. Con ciò sia che quel Minos, il qual visse Ben molto prima d'Argo, il vasto Egeo Già solcò con sua flotta; e a bello esemplo Fé risorger giustizia in tutto il regno. - Ebben che cosa mai far ti poss'io, 0 novel Catoncino che mi leggi ? Se in alcun modo non ti vanno a verso Né queste favolette, né nemancd 1 tragici subietti, eh via risparmia Alle lettere un pò le tue punture, Se non vuoi che ti pungano più al vivo, » Sia scritto per coloro, i quali, a posta, » Per tór nome di sapienti, il naso » Aggrinzano, e da dir trovan per tutto. FAV. XVL // piloto e i naviganti. » De'easi suoi dolendosi un cotale, » Questa inventò a consolarlo Esopo, Da tempesta crudel qua e là sbalzata 152 Una nave fra il pianto de'vialori , E 'I timor della morie, in nn momento Il fosco elei cangiatosi in sereno A solcar cominciò securamente Co'venli in poppa, ed anco i naviganti A trasmodare per la gioia. Allora Reso saggio il piloto dal periglio : - Nel rallegrarsi e querelarsi, disse, Un ritegno ci vuol, perchè la vita Sempre è mista di gioia e di dolore. - FAV. XIX. La volpe e 7 dragone. Una volpe scavandosi la lana. Mentre sgombra la terra, e più s'interna Col molto perforar, nella spelonca Secreta a liuscii- venne d'un dragone Che un occulto tesoro aveva in guardia. Com'ella il vide: - Pregoti, gli disse, A perdonarmi in pria cotanto ardire; Poscia, se tu ben sai siccome Toro Nulla faccia per me, che mi rispondi Con tutta pace. E qual frutto mai cògli Da simile fatica, o qual mai premio Sì grosso te ne aspetti, perchè perda Tuoi sonni, e fra le tenebre consumi Tutta la vita ? - Io ninno, egli rispose; Ma dal gran Giove fummi ciò commesso. Adunque uè per te cica ne prendi, Né altrui ne doni ? - Così vuole il fato. - 153 Guarda di non stizzarli, se favello Liberamente. Degli dei in disgrazia Nacque colui che a te si rassimigiia. 0 tu che devi gir là dove giro I padri nostri, perchè mai ti poni Da mentecatto a tribolar il tuo Spirto infelice? E questo per te canto, O avaro, il qual, facendo rider forte Gli eredi tuoi, neghi l'incenso a' numi Ed a te stesso il pane; il quale ascolti Di mala voglia armoniosa cetra; A cui la dolce melodia de' flauti Reca tormento, e delli cibi 'l costo Fa sospiiare, il quale un quattrinello Per aggiungere al proprio patrimonio Con sordido spergiuro il cielo stanchi; II qual tutte le spese del mortorio Vai risecando acciò che Libitina Nullo del tuo mai guadagnar non possa. LIB. V. FAV. V. Il baffone e '/ contadino. » Per ingiusto favor peccar son solili » Gli uomini, e mentre in lor storto giudizio » S'ostinan fortemente, astretti vengono » Di ricredersi a pruove assai palpabili. Propostosi di far illustri giuochi Un cotal ricco, al pubblico l'invito Ne diede un premio promettendo, alìine Che ciascun qualche nuova maraviglia 254 Giusta la propria abilità facesse. Corsero a quella gloriosa gara I giocolari, ed un buft'on tra loro, Pel gentil motteggiare a tutti noto Disse di aver tal sorte di spettacolo Che non erasi mai visto in teatro. La sparsa voce pone tutti in moto I cittadin. Gli scanni che un momento Prima eran sgombri, alla soverchia calca Non bastan più. Però sì tosto come Quegli si fé' solo soletto in scena Senza comparse e altri attor, Pistessa Curiosità produsse alto silenzio. Egli sotto la toga incontanente Ficcò la testa, e cosi ben la voce Del porchetto rifece con la propria, Che sotto della veste fu creduto Uno vero tenerne egli celato. S'ordinò di frugarvi. Fatto questo E non trovato nulla, oh quante lodi 1 Qual fragoroso battere di palme Al valentuomo ! Stando li presente Un contadino al fatto: - In fede mia, Disse tra sé, non vincerammi 'I prode. - E tostamente dichiarò che 'I giorno Appresso fatto avrei la stessa prova, E meglio ancor. Cresce la folla: ogn'animo Già in favor del buffone è prevenuto, E prendon posto solo con l'intento Di schernir, no ammirar il contadino. Escon fuori amendue. Primier grugnisce II buffone, e fa battere le mani, 255 E risonar gran grida. Allor fingendo Il villano tener sotto la veste Il porchelto celato (e così era; Ma veder noi facea, perché nel primo Non trovar nulla ) pizzica l'orecchia A quel vero animai che avea nascoso; E questo la sua voce naturale Esprime per dolor. La turba grida Che M buffone assai più tenne del vero, E vuole espulso il contadin per forza. Ma quegl i dalla sua vesta fuor cava Proprio il porchetto istesso, e con tal pegno Palpabile provando il solle abbaglio. - Ecco, disse, tal bestia ben dichiara Che qualità di giudici voi siate. FAv. vni. La pittura ilclV occasione. Quel calvo col ciuffetto in fronte, e nudo Le membra, il qual co'piè tocca e non tocca Sul filo d'un rasoio, e stassi in atto Di correre veloce; il qual, se puoi Afferrarlo, tien stretto, che una volta Sfuggitoti di mano, neppur Giove Riprenderlo polria, quegli ci è simbolo Che l'occasion tra noi ratto si fugge. » Gli antichi, per far si che un lento indugio » Non impedisse effettuar le cose, » Tale immago dipinsero del tempo. 25G Di alcuni vizi che guastano maggiormente la nostra favella. Discorso di Gianfrancesco Rambelli per premi distribuiti (6 ottobre 1849). J oichè le parole che io vi dicea lo scorso anno sul debito che abbiamo di porre studio nella nostra lin- gua, e di metterla in uso più universalmente, trova- rono benigne accoglienze, mi è caduto in animo , che non sarò mal accetto , se tornerò a ragionare di materia spettante all'italiana favella, che però sia più pratica che razionale, più atta a' tempi e agli uomini presenti che ad altro. E per ciò vedendo io che dopo d'avere studiato con frutto la propria fa- vella è a sapere non solo il modo di ben adoperar- la, sia parlando, sia scrivendo, ma eziandio sono a scansare i principali scogli , e le false vie in che l'uomo si possa abbattere, ho determinato ragiona- re di alcuni vizi che guastano e deturpano le ita- liane scritture a modo da togliere ad esse o tutte o in gran parte le loro bellezze. Nò pretendo dir cose nuove ed insolite, ma soltanto vere, utili, e tali che giovino a rinfrescarne la memoria a chi se ne conosca, giovino ad eccitare a qualche buona con- siderazionei e accennino a questi giovani la buona via da tenere. Né mi ritrae dal farlo il conoscer che questa saiebbe Ben d'altr' omeri soma che da'miei, ma libero, come sono nella scelta dell' argomento , nnir altro mi muove a ciò che vivo desiderio che 251 le dottrine risguardanti la lingua e lo stile si fac- ciano più comuni ed universali oggi che spegnen- dosi via yia i principali lunai delle lettere nostrali^ pare che la lingua \ogIia andar di nuovo in decli- nazione, e voglia prendere a serpeggiare una cor- ruzione grandissima. Certo è che tutti non possono riescire scrittori, ma è a procurare che qualunque parli o scriva il faccia meno male, e meno errata- mente che può. Tutti dall' umile artigiano al più alto magistrato, dal più chiaro sapiente all' ultimo idiota, abbiamo bisogno di saper esporrti acconcia- mente i nostri pensieri; onde avviso, che quanto di- rò sia per esser proficuo a questi giovani , e siano per averlo in luogo di caro e memorevol dono, giac- ché viene a loro principalmente indirilto nella so- lennità di questo giorno, che è uno de'più belli di loro vita , giacché in esso la patria per mano di questi degnissimi magistrati, alla presenza di tanti gentili, li fregia munificamente di premi e di lodi, tutta confidente che al sereno dell'Alba sia per ri- spondere appieno lo splendore del meriggio: che di nuU'allro più si onorano le patrie, che di cittadini pii, virtuosi, dotti, ed utili. Fate di non mancarmi di attenzione, che io ri- posando nella molta vostra cortesia entro nella ma- teria. Allorquando all'aprire del presente secolo alcu- ni sapienti si fecero ad avvisare l'immensa corru- zione che era entrata nella nostra lingua, e la ver- gognosa declinazione in che era venuta cadendo, si adoperarono elTicacemente a rimediarvi: e il Monti, il Lamberti, il Cesari, il Botta, il Giordani, lo Stroc- G.A.T.CXXVI. 17 258 chi conobbero non essere a ciò nessun rimedio mi- gliore, che far ritornare i traviati allo sludio de' primi padri della favella e particolarmente di Dan- te e degli altri trecentisti che avevano fermata l'in- dole e la natura dell'italiana loquela. E quindi in- sistendo sui sentieri che avevano segnati il Gozzi, il Parini, l'Alfieri, il Varano, il Minzoni, si diedero colla potenza degli esempi e coli' eloquenza delle parole a mostrare quanto diversificasse la pura ita- liana favella dal guasto e viziato parlare che avea preso piede nelle scritture, e nel discorso degi uo- mini d'Italia. E allora fu che i meglio avveduti co- nobbero Terrore, in cui si versavano, si persuasero d'aver usato a scuole false e pregiudicate- e lasciati, i Bettinelli, i Frugoni, gli Algarolti. e i Roberti, si volsero a Dante, al Petrarca, al Boccaccio, al Ca- valca, a F. Bartolomeo. A vincere poi totalmente gl'inveterati pregiudizi delle scuole, le futili e per- tinaci opposizioni de' male usati, dopo la disserta- zione e il vocabolario del p. Cesari, vennero ultime, ma di possenti armi fornite, la Proposta del Monti, e le opere del Perlicari, quando già fiorivano molti e molli bei scrittori, il Montrone, il Costa, 1' Arici, il Grassi, il Farini, il Colombo, il Marchetti, il Vii- lardi, il Parenti, il Betti, il Biondi e somiglianti. In mezzo però alla gaia rinata fia' viventi di far risorgere la pura italica favella, e rimetterla in onore e in uso, furono alcuni, che troppo si fecero ligi a' trecentisti , troppo si affezionarono a voci antiquate e dismesse, troppo foggiarono il lor pe- riodare sul Boccaccio, troppo amarono i provverbi e le fiorentinerie più smaccate de' comici e de' no- 259 vellieri toscani. Né io ricordeiò la . . . carogna^ né il far del seco , nò Vamlar del corpo , per morire, ne il cacasangue e il jwtenzUerra resuscitali, né la dassaiezza Vaccalugnarc^ il cliente^ la rinomèa, e il co7iciocosafossechè, e V avvegnadiochè, e il mar sot- tano ; che quantunque voci Grommale di fuligine, e di muffa eran ) qui honores maiiisiralus lUc gerendo prae- stare debent officia civibus , fanicnda sitnl veslibula regalia, alla atria, et perisHjUa amplissima, . . . ad decorem miicslalis jurfectae: praelcrea bibUothccac, piiiacutliecae , HASILIC.J/J , non dissiìni!- modo qnam publicorXim opcrum ìtuigni/icoUia comparatue , quod in domibus ev.rnm saepius ci publ.ira Consilia et privata iudicia arbilriaqne coi-flciunttir. Se le basiliche dovevano, secondo Vilrn- vio, l'are parie della abitazione
  • ione di martiri, sa- rebbe stato meglio di chiudere perfettamente <[uella cappellina e tor- nare all'arcibasilica lateranense in tutta l'integrità il suo unico e singolare pregio ciie la distingue dall'altre patriarcali, non che ila quelle di tutto l'orbe, di non avere co»i/"es*(0)ic, vale a dire santuario di reliquie de'martiri sotto la mensa, perch^ il suo grande santuario è l'altare ligneo del principe dejl apostoli. 5i1 ne regola fa toccare con mani che il pregio singo- lare unico ed esclusivo della basilica lateraoense è quello che si celebri in essa la divina sinassi su quello stesso idenlilìco altare, su cui aveva celebrato il divino sagrificio l'apostolo Pietro e i suoi succes- sori; eccezione che non è stata recentemente indotta, ma è quella slessa del tempo di Evaristo, il quale dalla legge comune dei titoli, a'quali presiedevano i preti intorno l'altare lapideo, esentò il luogo dell' adunaza del vescovo dove si prosegui ad usare l'al- tare di legno. Questo altare nella basilica lateranense, in man- canza delle reliquie degli apostoli e dei martiri, con. stituisce il sancta sanctoriim di questo primo tempio cristiano, come Parca del testamento dell'antica al- leanza, dopo essere stata trasportata da un luogo al- l'altro nelle diverse stazioni del popolo ebreo, aveva formato il sancia sanclorum dell'unico tempio sulla terra dedicato da Salomone al Dio vivente. Quivi da Silvestro fino a noi è stato sempre custodito quell'altare sagrasanto, e nelle varie ruine ed incendi, cui fu sottoposta nel corso di tanti secoli la basilica lateranense, sempre per divina provvidenza si è serbata illesa ed integra quella lacera arca di legno vincitrice del tempo e della barbarie. Altro argomento della sua autenticità è quello che da Sil- vestro tino a noi ninno fuori del romano pontefice possa celebrare su di essa l' incruento sagrificio, per riverenza appunto di Pietro e dei suoi saali successori che su di essa lo celebravano: privilegia che quindi venne comunicato agli altri altari mag- giori delle basiliche patriarcali sull'unico esempio del- 312 la basilica lateranense : e quante volte uno dei car- dinali della s. romana chiesa per ordine del ponte- fice vi celebra in sua vece, come nei tempi passati vi celebravano i cardinali dell'ordine dei vescovi che quali ebdomadari ofììciavano per turno quella basilica, deve ottenere il permesso dallo stesso sommo ponte- fice per mezzo delle lettere apostoliche in forma di breve da valere prò unica vice tantum^ per non in- trodurre alcuna consuetudine in contrario. Alcun di voi mi dice: E' poi veramente l'altare ligneo lateranense 1' identifico altare su cui celebrò Pietro i suoi successori? Io sono bene contento di avere dimostrato che la tradizione immemorabile, che Pietro celebrasse su di un altare ligneo portatile, non trovasi in opposizione con la storia e le primitive costumanze della chiesa romana: che anzi da queste prende un carattere di verità. Che poi questo sia l'i- dentifico altare, mi rimetto al giudizio di Benedet- to XIV. Questo pontefice nella sua aurea opera De servorum Dei beatifìcatione et canonizalione^ lib. 4. part. 2. cap. 25. art. T, decreta che quando una re- liquia da tempo antichissimo riscuote il culto dei fe- deli con non mai interrotta tradizione, della sua au- tenticità scienti e consenzienti i vescovi e i sommi pontefici, deve questa ritenersi come autentica, es- sendo sufficiente per decidere dell'identità delle reli- quie la morale certezza. L'augusto nostro signore papa Pio IX, nell'occa- sione del restauro splendidissimo che fece teste del ci- borio e tabernacolo che cuoprono questa veneranda arca, ha ordinalo che fosse inclusa in un nuovo altare di marmo che imitasse lo stile e del tabernacolo e 313 del ciborio, in modo che la mensa venisse formata dalla nuda tavola dell'arca: osservando in ciò scrupo- losamente l'esempio dei suoi antecessori, ai quali non volle essere inferiore nel rispetto e venerazione verso quell'altare, su cui il principe degli apostoli avea oft'erto la vittima di salute. — •-*-*-«-*^^^i^,^^>^--*-*-«-»— 314 Sul colle tihurtino. Lettere di Stanislao Viola al eh. cavaliere Salvatore Betti [Continuazione.) LETTERA VI. Del culto del Dio Mitra in Tivoli , e del tempio di Antinoo detto volgarmente della dea Tosse, ed erroneamente del Sole. Signore Cavaliere onorandissimo. U n bel graffito dà motivo a questa lettera, il quale ci reca il dio Mitra in piccola tavola da me posse- duta, alta palmo uno e 3^, larga 1-04, ritrovata non è molto immurata in una fabbrica dove fu già il nostro tempio di Ercole; ed è veramente un peccato vederla mancante alla diritta di chi la osserva. Ri- trarrallo V. S. nel fac-simile , che disgiunto dalla lettera le invio. Farmi l'artista abbia eseguilo il suo lavoro con assai maestria: tanta è la precisione, che usò nel ritrarre il complesso della cosa rappresen- tala, in particolare la persona deificala al di sopra del mistico toro, la cui testa tiene con la manca, e con parazonio alla man deslra lo scanna. Sul capo ha il berretto frigio , nel resto della persona veste lunga alla guerriera, sotto del toro il cane o il co- niglio, il serpente, lo scorpione; da un lato il corvo, altro scorpione, piante di palme, una scure; dall'al- tro una face raccomandata forse ad un putto o ge- nietto, come appunto si rileva in altro mitra impres- so in una insigne gemma riportata dal Passeri (1), (1) Gemme aslrifere, lav. CL^XXIV. 315 che col rimanente ci fura la rottura del marmo. Man- cano gli emblemi del sole e della luna , che esser dovevano nella parte superiore, dove parimente sem- bra rotta la tavola. In somma vi si osservano i sim- boli, che dalla storia mitologica e dai bassirillevi appariamo rappresentare siffatto nume. Non mi fo a tessere la spiegazione dei men- tovati simboli (1) per non ripetere cosa da altri già dichiarata, fra'quali diffusamente monsig. Filippo della Torre (2), il marchese Maffei (3), e in tempi a noi non lontani il P. Tito Cecconi di eh. me. in una dotta dissertazione, inedita ancora, letta in adunanza archeologica, di cui ella con tanta lode in assai eru- dito intertenimento un giorno mi favellava. Nondi- nieno a farmi strada allo sviluppo di alcuna idea sulla storia teologica di mia patria, m'avviso oppor- tuna cosa di premettere , che Mitra è il nome del sole de'persi; che origina dalla voce persica mihr, (1) Un cenno pei meno sapienli, che ritraggo da più autori. Mitra sarebbe il fuoco; il loro la terra, ovvero la materia che re- ca io grembo i semi di tutte cose, e Mitra dio maschio e demiur- go, sgozzandolo, apre la via alle acque l'econde: ovvero astronomi- camente. Mitra è il sole generante portato dal toro equinozi.iie. Il loro e lo scorpione indicano i due equinozi. Il cane figura il prin- cipio buono, secondo il magismo: onde solevano condurlo al letto de moribondi. Il serpe è emblema di Ariman, come la formica. Nei monimienli mitriaci noi troviamo rappresentato il globo del sole, la clava, o scure, il toro, simboli della suprema verità, della suprema attività creatrice, della suprema l'orza vitale: trinità di cui parlano gli oracoli di Zoroastro, e che consuona con quella di Platone, che è il bene supremo, il verbo, e l'anima del mondo, con quella di Ermes triinegisto, che è lume, intelligenza ed anima: con quella di Porfirio, ch'è padre, verbo, ed anima suprema. (2) Monum. ant. p. 11. pag. 137 e segg. (3) Dissert. accad. Cori. tom. IV. 316 sol^ dai ^,vec\ commutata in Mt^p-xg, o MtBorj;', che il culto (li questo nume dnH'Ejiitto passò alla Persia, lutto che altri vo{>Iia, che dalla Persia movesse all' Egitto; che al tempo della {guerra parlica (687 di Roma) condotta da Gn. Pompeo, dalla Persia passò in Roma (1; ; che come in Persia , così in Roma era venerato in una grotta o spelonca : Mithrlaca item sacra in subterraneis peragchnntur (2) ; die il suo culto durò in Roma assai tempo, e sotto l'im- perator Commodo più che in altri tempi ebhe ve- nerazione, come si ritrae dagli scrittori latini, e dai marmi (3) ; che al 378 di Cristo, Gracco prefetto di Roma tolse lo speco e tutti i simboli poitentosi di mitra, e ne riscosse gli elogi di s. Girolamo (4); che nonostante il volere del mentovato prefetto, per- severò esso culto , per quanto ne dicono coi citati scrittori, i Zoega e Reinesio, fino al 391; che il no- me di Mitra fu usurpato ancora dai sacerdoti d'Isi- de, divinità egizia; che divenne parimente cognome di alcune genti romane, come nella Gurtia (5), quel C. Anlilius Mithra centurione della seconda coorte de'vigili sotto Caracalla (6), e quel Calpurnius Mi- thres di un marmo romano (7) (1) Plutarco in Ponip. e. 24. (2) Cori, Iscriz. dall'ani. Elr. lom. I. p. 113. (3) Cfr Marini Fr. Ar. p. 354. (4) S. Hieron. Ep. 57 ad Laetain: « Spccum Mithrae et omnia portentosa simulacra, quibus Corax , Niphus, Miles, Leo, Perses , Jlelius, Bromins Pater initiantur, subvertit , fregit, cxarsit. Cod. Theodos. in cod. Theodos. Golhofr. t. VI, p. 364. (5) Pighio^ Annali di l\oma: « Mithres cognomentum Curtiac gentis. (6) Grutero p. 269. 3. (7) Id. p. 1140. 3. 317 Se pertanto questa divinila persiana fu venera- ta in Roma per lo spazio di circa 458 anni, non è da onaravigliare che di tratto In tratto vi si sia- no ritrovati assai marmi (1), e che correndo i detti anni si litragga comunicato parimente alle provin- ce , ai municipi, alle colonie (2). Tivoli ne dà ar- gomento nei nostro graffito, che alla maniera di tanti altri monumenti di tal fatta, reca i suoi simboli, ed una iscrizione la quale di assai si avvicina a quella ch'era impressa in un simulacro mitriaco ritrovato in Koma sub Ara Codi in Capitola parle^ quae aqui- lonem spedata lemplum (i. e. spelaeum) suhterraneum^ ubi Milhrae simulaermn perelegans et magnifìcum , siccome dice il Grutero (3). Di vero nel ventre del loro del nostro graffilo si ha DEO SOLI INVICTO MITUHE, e nel monumenlo romano si hanno !e pa- role istesse, tranne la 8 e l'I in SOLI, che nel giaf- (ìto è convertita la prima in un sigma minuscolo , e l'altro in I parimente minuscolo; l'aspirazione è posta dopo la II anzi che dopo la T ; manca come in quello di Roma la lettera A per formare il dit- (1) !tl. p. 33. 11. 8. 9. 10, p. 3i. n. 2. 3. 6, paj;. 3o. n. 1. 2. 3. (2) hi. p. 33. 11. 11. pa[;. 34. n. 1. 3. 7. e 10. (3) Pai{. 3'i. 6. — Pii\ parlicoliiriz/.alo è l'orse laitro. che reca al num. 7. ritrovato Jiomae in acdibus Jllerìorum ad sanclum Mar- ciiìtì. — MI ri [li A veluti inipe excavata stai, dcxtra cultrum mon- straiis, sinistra nescio quid ferens: tuurnm subslratuni calcai, dextro intcr corniin, sinistro pcde in terg > {josilo. Sub tauro serpcns et (iliud animai vnnicitlo sim'le. Ad duxlrum sol radialus insculptus est, et sub eo leo, palma, corvns, scorpius, et puer mitliratus , eo- que quo ipse Millira luibilu succinclus, facem crectam tcnens. — Ad sinislram luna, cornna in liumcris gcrvns, ctiam usque ad pectus inscìilpla est, sub qua gallus, palma aquila fulmen tcnens, et virgo in anlro cubito innixo dormiens. 318 tongo. Omissioni e permutazioni non rare, tiovan- dosene assai esempi in altri monumenti scritti (1). Nel collo del toro in entrambi si legge NAMA SEBE- SIO. Nel nostro è precisamente irc presso sotto la fe- rita, donde scaturisce il sangue. Quel NAMA si rav- visa qual voce siriaca, o persica, e pare voglia si- gnificare pax, salus, o altra somiglievole parola. Al- tri crede vedervi il v«^a a^^xCiov, liquor venerabilis (Dei) , sotto il quale aspetto sembra vi si addimostri la grande superstizione, che si aveva per questo nu- me, il cui sacrifizio consisteva Dell'immolare un toro. E si ha come una delle molte crudeltà di Gommo* do, siccome ci narra Lampridio scrittore della sua vita, che per rendere alla verità pratica quel timo- re, che in apparenza si aveva, o si fingeva avere nella uccisione del toro, ebbe la malvagità di ucci- dere un uomo all' occasione dei sacrifizi mitriaci : Sacra mithriaca. dice quel biografo, hoinieidìo vero poUuit^ cum illic aliquid ad speciem timoris vel dici vel fingi solcai. Nella coscia destra é impresso AMt- 2VS SERONENSIS, come in quel di Roma sul ven- tre C. C. AVFIDll lANVARIVS; nomi senza meno di coloro, che si adoperarono della dedicazione del monumento. Il vedere ritratto in graffito il dio Mitra, parmi, sia, per quanto io sappia, cosa nuova. Il Winckel- mann disputando di questa divinità non mai favella di graffiti, ma soltanto di bassi rilievi, e reca pre- cisamente quelli , de' quali facevano mostra al suo tempo le ville Albani , Borghese, e Negroni : ed è (1) Marini, Fr. Arv. p. 340. 319 di avviso , che lavori di tal falla sono di apparte- nenza ai tempi de'cesari, eseguiti da artisti greci o romani, come la veste, e lo stile chiaramente dimo- strano (1). Appariamo dall'Olivieri (2) essere in Pe- saro una tavola milriaca, o taurobolica, in vetro lar- ga due palmi e mezzo romani , ed uno di altezza, poco più grande in larghezza del nostro graffito: ed il marchese Maffei giudicò essere la più impoitante di quante se n'erano vedute lino al suo tempo, poi- ché rilraevala carica di maggior quantità di simboli, di una lunga ed erudita iscrizione , e coi consoli Fabio e Simmaco dell'anno 391 dell'era volgare (3): ultimo anno, secondo i summentovali Zoega , della Torre e Reinesio, della durata del culto di Mitra. Né sono lontano dal credere che il graffito tiburtino possa parimente appartenere a questi ultimi tempi. Alla qual sentenza mi trae vivamente il considerare, che il cullo di Mitra, per volontà di chi in Roma reggeva la pubblica cosa , ne'menlovati tempi mo- veva verso il tramonto; era per ciò cosa ben natu- rale, che quell'interdetto impedisse agli scultoii di lavorare le grandi tavole per lunga stagione e in pubblico, che lo rappresentavano. Niuna maraviglia pertano, che gli artisti a contentare l'abitudine re- ligiosa de'devoti, qualunque si fosse, erano intesi di adoperarsene celatamente con imprimerlo o in pic- cole tavole o nei vetii. Lasciando pero agli scrittori della storia figu- (1) Cfr Winckelmann, St. dell'arte voi. I. p. 332 e segg. Ed. di Prafo. (2) Olivieri, Alcune ant. crisi, coii.s. in Pe.saro p. 33. (3) Maffei, Oss. lell. l. V, art. Xil. p. 180. 320 rata quel molto, che si potrebbe dire intorno al no- stro monumento, m'avviso di favellare di alcuna co- sa, che può essere utile alla storia del luogo, cioè a dire del tempo, in cui il culto del dio Mitra può aver cominciato ad avere stanza in Tivoli: della qual cosa niuno scrittore parrai si sia occupato fino al presente: ad un tempo, in quale guisa fu inteso per lo passato qualche monumento, che ne parlava , e quali errori ne originarono. Il portare l'animo investigatore ai tempi della repubblica romana, è un perdere il tempo : non è alla stessa maniera in quei dell'impero, in cui per un marmo tiburtino, che recherò fra poco, parmi di vedere non poca luce. M'avviso però d'avvertire in- nanzi tratto, che non si debbe confondere il culto del dio Sole con quello del dio Mitra^ tutto che i persi sotto questo nome, siccome è detto, intendes- sero il Soie. Intorno al maggior pianeta è scienza non contraddetta, che presso alcuni popoli v'ebbe nomenclatura svariata. Gl'illiri per esempio, e quei della Pannonia adorarono il sole, ma lo addoman- darono Beleno ed Apollo , gli emiseni Malaeabalo [quasi regem Beluin)^ ed i persi, com'è detto, lo chia- marono Miirn^ cui aggiugneremo i babilonesi e gli assiri, che lo addomandarono parimente Mitra (i). Ognuno però di questi popoli avevane culto diverso. In Roma v' ebbe il culto del sole, ma non si sa con precisione il tempo, in cui fuvvi introdotto. Da Tacito impariamo, che a' tempi di Nerone esi- steva nel circo massimo un antico tempio dedicato (1) Gori, Iscriz. dell'ani. Etriiria lom. I, p. 113. ;{2J al sole, cui per la conj_{iura scoperla di Subiio Flavia e (Je'cenlurioni furono resi rinjjiaziamenli solenni (1). Dal Wilckelmann e da molli altri autori si sa pari- mente , che l'imperatore Aureliano ve ne fabbricò uno di una magnificenza quant'allra mai (2^; il che fece, secondo alcuni, perchè originava di Pannonia, secondo altri, perchè la madre n'era saceidotessa (3^. Sotlo il nome di Mitra fu anche adorato in Roma, e già è detto segnar l'epoca della guerra de'paili sotlo Gn. Pompeo: e dai monumenti è veduto , che vi conservò la costumanza persica di venerarlo in una caverna o grotta appo del Campidoglio, ed apparia- mo dallo stosso Wincekimann sull'autorità de' più itntichi fra i greci sciittori, che |:»resso quel popolo il Mitra non aveva né templi, né altari ^4). Intorno a questi ul'.imi sembra in Roma, come da' marmi, soggiacesse a variazione. Appunto perchè si è omesso d'avvertire la di- versità fra lo dio Sole, e lo dio Mitra, vediamo che il nostro buon Sebastiani a p. 127 della sua opera è caduto in un errore non piccolo, produttore di confusione. Intento egli a provare la esistenza in Tivoli del da lui ci'eduto teiìijjiu del Sole nel mo- fiiimento, che corre sotto la volgare denominazione /Iella Tosse , raccomandava la sua scoperta ad una iscrizione, che favella evidentemente del dio Mitra, (1) Tum decreta dona et grnles deli, prnpriu.'• Mediiilani in ianua s. Jìrìbrosii , porla vcrcel- lensi: Ti. SI. M i P. ACILIVS. PISOMANVS ii PATER. PATRATVS = QVI. HOC. SPELEVM. VIOL || IGMS. APSVMPTVM (sic) || COMPA- RATA. AREA. A. REPVBL || MEDIOL. 1>ECV.NIA. SVA || RESTlTViT. (3) .'Mire formule somiglievuli a questa si hanno in pit\ lavote votive, come ex iussu, ex imperio, ex praecepto, ex monitis, visti monitus, s'inleode, sempre di qualche divinila. Cfr Furianello lap. «»t. p. 26, e se»{». not- 3. In quanto alla l'ormula del nostro marmo potranno vedersi i due marmi del Muratori p. i, n. 1, ià^ e duo del (irntero p. 32, n. 3; 1013. 3. 326 un furbesco sacerdote (eJ bollo per certo), il quale abusando della credenza delle buone genti , dava ad intendere per trarne lucro, esser questa o quell'altra la volontà del nume , che asseriva originare dalle visioni, o da'sogni avuti da esso (1). Per le cose Hn qui esposte, non vi essendo no- tizia più antica di questo marmo , parnii si possa concludere, che il culto del dio Alitra sia stato in- trodotto nella terra nostra non prima deli'879 di Roma, 125 dell'era volgare, anno in cui Adriano tornato dalla prima sua pereg rinazione ordinò, se- condo la sentenza dei più, la costruzione della villa, (sebbene i bolli dei mattoni del 123 e del 124 ne facciano dubitare (2j), né dopo l'891 — 137—; anno, che precedeva la morie del mentovato imperatore, ed in cui, è sentenza comune, giungesse al compi- mento. De! qual \evo siamo assicurati non tanto da- gli storici, fra' quali non v'ha opin one concorde (né è questo il luogo di favellarne), ma dai bolli dei mattoni ritrovati fra i grandiosi luderi di que'fab- bricati, coi consoli del 123, Q. Articuleio Pelino e C. Veouleio Aproniano; del 124, Glabrione e Tor- quato; del 130, Calullino ed Apro; del 134, Ser- viano e Vero ; e del 137 L, Elio Cesare Vero e (1) Vedi la nota a p. 14, del Muratori: (2) Questa piccola rlilFerenza di anni può nascere dalla diversi- tà delle nòte cronologiche^ giacchf! v'ha chi pone il ritorno di A- driano all'anno 124, e v'ha parimente chi determina i consoli che recano pei bolli la data non del 123, ma del 124: potendo anche essere, che dei mattoni di detti anni si fosse fallo uso negli anui successivi. 327 P. Celio Balbino (1^. Ciò non ostante al considerare che il culto tii Mitra era divenuto fanriigliare in Ro- ma nel tempo di cui si Favella, non è fuor di ragio' ne che Adriano ne facesse fabbricare la caverna ne'prlrai anni della costruzione della villa. E natu- ralmente dalla villa adriana quel culto si sarà co- municalo agli abitanti del municipio, e ne è argo* mento il prezioso nostro graflilo. Provata di simil guisa l'epoca in cui fu intro- dotto iti Tivoli il cullo di Mitra , non ispiacerà di litrovare, se fia possibile, l'altra della ricostruzione della caverna, e ad un tempo quella della incisione della epigrafe. L'adoperarsene però con precisione, non è cosa si agevole, né pasto pernici denti: nul- ladimeno sol per tentativo ne dirò qualche parola, lasciando ai dotti una sentenza migliore Tenuta per fermo la sua costruzione all'epoca delia villa di Adriji- uo; perchè ne avvenisse la bisogna di ricostiuirla, doveva fuor di dubbio essere trascorso un tempo no- tabile. Se poniamo mente alla iscrizione, parnii, sen- za tema di errare, non abbia la semplicità de'buoni tempi. Ridonda di parole: e la espressione, che addi- la il sogno o del sacerdote, o di Vittorino , non è forse di troppo prolungata ? E quel niimini prae- senti\ e quel dedicavUque^ non indicano per avven- tura un metodo di scrivere dc'tempi non aurei ? Po- trebbe aversi in pensiero l'impero di Commodo, sot- (1) Dai citali tjolli, prescindendo anche da quel ciie ne dice Sparziano (in Hadr. e. XXII), si deduce essere erronea del UiUo la sentenza di coloro, che fissano la costruzione della villa adrian» nel giro di un anno. 328 to del quale è detto che il culto di Mitra era a.ss.ri venerato; il che si ritrae dagli storici, e quel che più monta dei marmi, e, fra i molti, basti ricordare quel- lo votivo, che si ha in Firenze, in cui è segnalo il consolato del mentovato imperatore e di un Vitto- rino del 183 (1). Parrni però sia troppo corto il tempo per avvisarlo bastevole a rovinare una fab- brica, tranne il caso di eventualità. Ciederei adun- que più opportuno di scendere a'tempi da noi meno antichi. Impariamo da Tiebellio Pollione, che sotto l'impero di Valeriano e Gallieno, ch'è quanto dire dal 253 al 268, mentre il primo si adoperava dei grandi negozi della guerra persica, e l'altro viveva in una dappocaggine effeminata, Uoma fu veduta mi- serandamente oppressa da trenta tiranni, l'uno pres- so l'altro. I tiranni quinto e sesto fuiono i due Vit- torini padre e figliuolo, dei quali il Vaillant reca ■varie monete (2). Il mentovato istorico , favellando del giuniore, ci rapporta : De hoc ni/iil atnplius in lileras est relalum quam quod nepos Victoriae^ Vi- etarmi fdius fuit^ a palre et ab avia sub eadem liora, qua Victorimis interemptus , caeòar iiuncupatus esl^ ac slatim a mililibus ila oecisus. Extaiii dcnique se- palerà circa Agrippiiiani brevi marmare impressa hu- milia^ in qiiibus unus est inscriptiis: HIC DUO VI- OTORINI TY RANNI SITI SU NT. Si sa che il servo nato in casa domandavasi verità^ e che per lo più prendeva il nome del suo padrone. Il che non con- traddetto, conghietturo, che il VICTORINVS CAlv (1) Cori, Iscriz. tlellaritica Etruria toin. I, p. 112. 93. (2} N'aillanl, .Num. Inip. toin. 3, p. \\ v sfg. 329 Saris Nostri VERNA potesse essere un servo nato nella casa dei mentovati cesari tiranni, chiamati Vi- ttorini^ e che mentre n'era l'economo, DISPENSA - TOR., si adoperasse di rifabbricare la grolla del dio Mitra. E come è da inferire, la villa di Adriano fu anche occupata dai tiranni all'epoca di Gallieno, e piecisamente nei tre primi anni del suo impero, giacché Vittorino padre, secondo il citato Vaillant, durò questo tempo nella tirannia, cioè dal 260 al 263. A questi anni pertanto , se non falla la mia conghiettura, m'avviso di detei'minare la ricostruzio- ne della spelonca mitriaca tiburtina, e parimente la incisione della epigrafe. Dalle cose discorse è da ritrarre, a mio avviso, che il dotto Sebastiani piendeva un bel farfallone invocando il marmo mitriaco della villa adriana per provare, che fu introdotto a Tivoli il culto non del dio Mitra, ma del Sole^ e ne argomentava assai gros- samente, che il tempio summentovato della dea Tos- se non ad altri era dedicato, che al Sole. A cor- roborare poi la sua sentenza recava il seguente epi- gramma inciso in un marmo ritrovato, secondo An- tonio del Re, presso di esso tempio (ì ) : ANTINOO . ET . BELENO . PAR . AETAS . FORMAQVE . PAR . EST CVR . NON . ANTINOVS . SIT . QVOQVE . QVI . BELENUS Q . Sir.VLVS Il quale ci contesta ad evidenza che Quinto Siculo (1) Del Rp, Ant. Tib. cap V. par 11. p. 87 e. se g V. il Mura- tori 2V 6, e l'Orelli n. 82:5. .330 aveva il suo jDcnsiero non ad altri tlireUo, che ad Anliiioo; ed anialiè la venerazione luverso di lui fosse più salda ed aUraeale, lo assomigliava al dio Sole de- gl'illiri e de' pannoni , che lo dei;ominavano Bale- no (1) ; ponendo a base la ugual ianza di età (for- se perchè io si dipingeva in tavole , o scolpiva in marmo setupre giovine (2) ) e di bellezza (secondo la fantasia de'pagaqi, s'inlende ) , per quindi discen- dere alla U[jualianza di ragione. In sodlanza con le (1) Lo slesso Sebasliani (1. e p. 126) si fa a dire, ohe » U Soie » era ciiiainalo dai greci Eeknoi , pereti.^ colie lettere, che com- n pongono la parola BiSAKNOS (sic) rivolle in cifre numer'che, » computando insieme i numeri corrispondenti, ne risulta il totale » di 363, quanti appunto sono i giorni che compongono l'anno so- » lare « e ne raccomanua la scoperta, che chiama ingegnosa, allo Schedio (de Diis Germ. syntagmà 1. cap. VI). Io m'oppongo alla ingegnosa scoperta, perchè contiene un errore massiccio, sn di che m'appello ai grecisti. Non so poi come ai greci si voglia attribuire il Bclenos , sotto il qual nome 1 adorare il soie fu proprio delle province di Germania, dell' llliria , e della Pnnnonia. Sul Mitra de' persiani non mi spiace di rif'-rire a questo proposilo quello »i ritrae dalla dottissima dissertazione VI[I. p. 149 dell' Oderi- co, parendomi assennala , come quella clie combina a capello col giro del sole; cioè a dire, che il celebre A'oraxas de'basilidiani è una cosa stessa col Mitra de'persiani, giacché questo nome scritto in greche lettere viene anch'egti a formare il nomerò di CCCLXV. quanti sono i giorni, di cui l'anno è composto, e quanti assegna- vaiisene al Sole per co.npicre l'annuo suo giro; 200 200 (2j Antinoo vien dello nelle medaglie -no; IloSiof , v*o; laxj^o? O rei li p 196. A . B . , P A s A 1 , 2 . . 100 . 1 . 60 . 1 -- — ^^ M . E . I . 0 . P . A 4) . 8 . 10 . 9 . 100 . 1 i 331 menlovale parole Siculo volle addimostrare » In An- » lineo e Beleno è eguale l'età e la forma. Perchè >' Antinoo non dovrà essere quello ch'è Beìeno ?.... Cioè un dio? Nella traduzione del quale epigram- ma siamo di pieno accordo col Sebastiani: nell'ap- plicazione però ci troviamo di avviso assai lontani. Se Siculo era inteso di uguagliare Antinoo al sole degl'illiri , chiamato Beleno, è fuori di dubbio, ch'è l'atto di sua venerazione , o a meglio dire di adula- zione, non poteva essere indiritto che ad Antinoo , ch'era slato uomo, e dappoi spinto agli altari; non mai a Baleno, che sarebbe stata una scipitezza ed una gofFagine di formare e provocare un culto, che fin da tempi lontani già si aveva. Ed ho per fermo, che il tiburtino veneratore a fine d' innalzargli un tempio era mosso dalla memoria affettuosa, che in- torno ad Antinoo ritraeva dalle storie, e dalla tradi- zione. Sappiamo di vero da Sparziano, che Adriano ne era innamorato alla follia, di guisa che Autinoum suum dum per Niliiin navigai^ perdidU^ qucm mulie- hriter flevii . . . et graeei quidem., volente Adriano^ eum. consecraverunl (1): cosa che viene ricantata da mille altri autori (2). Che anzi la Grecia per adulare quel principe collocava fra gli astri una nuova co- stellazione col nome di Antinoo (3): rappresentavalo (i) Sparlian. in lliulian. (2) Sext. Aurei Vici, in Hmlrian : Ioan, PoUorì .^rclieoi. graec. lib. 2, cap. 20, in cron. tom, 12, p. 353 » Io : Meiirsius Graec. (erial- lib. 1, ibid, tom. 7, p. 724. Pel. Fab, Agonislicon lil). 3. cap. 27. ibid. lom 8. (3) Cupero, Ani A'iiminri explic. Polani in coli, graec. lom. 2, p. 227. 332 ora sotto la furma di Mercurio, ora solto quella di Bacco, ora sotto quella del dio Pane '^^1/. avvi eziandio chi lo collocava nell'orbe della luna al fianco di En- dimione (2). Nei ginnasi di quella provincia, a sollie- vo dell'animo attristato del principe, furongli innalzate statue vicino ai simulacri di Ercole, Mercurio, Mi- nerva e di altri iddii : e ad un ginnico combatti- mento, statuito per lui, fu dato il nome di Antinoo: Agoneìn^ dice il Salmusio, in eius honorem gymnicum ah eius nomine Avtìvwv dicUim (3). Né la sola Gre- cia, ma quasi tutte le provmce suddite di Roma si posero in braccio di quell'adulazione, introducen- do il culto inverso l uomo deificalo (4-j di modo che si ritraggono le medaglie coniate col suo nome, e ne' suoi tempii furono istituiti de sacerdoti come ci atte- sta il mentovato Casaubono (l. e). Una medaglia d'argento, che ci reca il Caperò (l. e), è di assai pregio, perchè da un lato ci ritrae un tempio son- tuosissimo , e dall' altro la testa di Antinoo con la iscrizione AiMlNOOi AIV02. Non poteva quindi andar manco, che Adriano reduce dell'oriente non impriniesse in ogni angolo della tiburtina sua villa l etììgie del defonto Antinoo, e non gl'innalzasse templi ed are. Né questo fanati- smo veniva meno alla dipartita di quell'imperatore. Durò esso lunga stagione : ed impariamo da Ege- sippo, scrittore del secondo secolo, che al suo tempo (1) Dione in Hadriati. (2) Casaiib. in not. Spart. I. e. (3) Salmas. in noi. Spart. in Ifadrian. (4) Dione 1. e. I 333 il {finnico combaltìmeiilo, detto antinoio^ e i templi dedicati ad Antinoo esistevano ancora (1): e da Ori- gene, scrittore del terzo secolo, che l'idolatrico ctdto di Anlinoo vigeva a' suoi tempi (2). Per il che non è da maravigliare, che uno de'nostri tiburtini, Q. Siculo^ forse decurione, o un ricco che fosse, in- nalzasse parimente un tempio ad Antinoo anche in tereipi più tardi, ne'qnali pur continuava nella villa adriana il mentovalo culto sotto altri cesari, le cui teste vi ritraemmo disseppolte per gli scavi del 1773 di Francesco Antonio Lolli. Intorno alla qual cos) mi recherò a dovere di riportare l'opinione assennala dal defonto mio genitore, il quale nel dimostrare un errore pubblicato in un giornale di Roma (2), ebbe il destro di parlare, e ne parlò dottamente, del sum- nientovato tempio detto volgarmente della Tosse (4). Dopo di aver provalo, che quel tempio non potè essere il sepolcro della famiglia Tossia^ come si era tenuto per fermo in detto giornale, discese a mani- festare una sua congettura, che « durante lo impero » di Adriano fosse stalo costrutto un monumento » sacro ad Antinoo in quel luogo, ove ora vedesi lo » edificio, di cui è questione, o ancora in quelle » vicinanze, ohe a tal monumento, forse ruinato, o » minacciando mina, fosse slato sostituito detto edl- » fìcio nel secolo III, e nel principio della decaden- (1) Egesippo presso s. Giroianio de Viris illustr. nap 22, tom. 2, p. 849. (2) Origen. contr;i C.elsiiin. lib. 3, n. Sg. (3) Noli/.ie del giorno n. 49, 16, diceni. 1819. (4) Giorn. Arcad. maggio del 1S20. 3a/f )) za delle arli, in cui era vi^jente lultavia il culto » di esso Anlinoo, ed in cui la superstizione de' ce- 0 sari romani, e l'adulazione de'popoli verso di essi, » non era meno forte di quella de'tempi del suc- » cessore di Traiano. » Ciò non portanto, per risolvere con arg^omento anche di fatto la disquisizione, ho avvisato di por- tarmi sul luogo: e non pago dell'unico veder mio, traeva meco l'amico mio Domenico Cartoni ingegnere, la cui veduta non ordinaria mi giovò assai al disco- primento in parte del vero sulla qualità e sul temj)o della costruzione, e intorno all'uso del monumento. La pianta interna dell'edificio è rotonda ; la esterna ottangolare. E coperto da una volta la cui sommità ha un'apertura sferica alla maniera del pantheon d'Agrippa in Roma. la costruzione sembra si sia eseguita in più tempi. Dalla linea della volta al basso è più antica, di opera mista, irregolare, composta di uno strato di piccoli tetraedri in forma di tufa, e tre o quattro strati di pezzi di mattoni. E opinione del Nibby (1^, esser somiglievole a quella della villa di Massenzio presso la via appia. Secondo la qual notizia l'opera esser non potrebbe anteriore al secolo IV dell'era volgare. La volta poi pare di tempo po- steriore. Si ritrae dalla diversità della costruzione , e parimente dal vano sferico nella cima, che a mio av- viso, consentito dal Cartoni , esclude la unità della invenzione, conciossiacchè standovi all'intorno otto finestre per renderlo illuminato, era cosa inutilissima accattare altra luce dall'alto allo stesso fine. Il pali- li) Dintorni ili Roma toni III, p. 109: 335 teon siiiiimerUovato ha la luce dall' alto: e per- ciò difetta di finistre ? Ho per fermo perciò , che un solo artista non fu rinventore di esso edifi- cio. All'intorno dell' interno esistono otto nicchie o vani ; quattro rettilinei, conipiesa la porta, e quattro curvilinei; sopra ciascun vano corrisponde una delle mentovate otto finestre di luce assai ampia. L'accen- nata porla muove alla strada pubblica, la quale, con- senz lente anche il Cartoni, nel modo che si ossei'va odiernamente , è pure di tempo posteriore. Prova ne sia l'architrave di marmo, che il lodalo Nibby ritenne apposto all'epoca della costi'uzione dell'edifi- cio, quando a colpo d'occhio si scorge quivi immu- ralo a posticcio, ed anziché di architrave, che l'uso suo primitivo fu di stipile. Porto avviso pertanto, die la polla è stata costruita verso il secolo XIII, quando l'edifìcio fu ridotto a culto cristiano, di cui si hanno le vestigie di pitture rappresentanti il Sai- valore e la Vergine. Davanti alla porta gi:ice picco- lo vestibolo la cui costruzione non saprei dire, se fo.sse pel tempo del lavoro posticcio , o poco più innanzi. Sap[)iamo dalla sperienza essere stato uso de' primitivi cristiani, che là appunto dove sorgeva un tempo all'idolatria, innalzavano essi le loro chiese al nuovo cullo, o tramutavano in chiese gli stessi teni ■ pii, e valga per molti esempli il più volte nominato ■jKinlenn^ che osserviamo convertito in chiesa di s. '/«- ria della rotonda, ed in Tivoli il tempio di Ercole., sulle cui ruine fu innalzala la chiesa di s. Lorenzo ■mar lire (I). Dal che parmi si possa dedurre libera- fi) Al monte s. Bernardo dov'era il tempio di Giove Pennino or;i si adora ii)allifr;il.i croce di Cristo. In Konia, dov'era il leitipio 336 mente , che questo eilificio ne'priini tetupi sia sfato in realtà dedicato all'idoiatria : né di vero può livo- vocarsi in dubbio, per senleuza concoide de^jli scrit- tori tiburtini^ ch'esso edificio fosse convertito prima- inente alla venerazione di s. Maria degli orli^ e dap- poi di s. Maria della tosse. Ne la sua costruzione può far tentennare; perchè la parte più vetusta della volta al basso non può essere, che del IV secolo; e si sa che quantunque in esso secolo, sebbene sul suo ti-amonto, Gracco prefetto di Roma, com'è di sopra accennato, e dopo di lui Teodosio il grande , si adoperassero di abbattere la idolatria, tuttavia essa durò altra e più lunga stagione. E volendo quindi divinare ar- cheologicamente, e ripensando al sammentovato epi- gramma trasmessoci dal Del Re (ove non gli si volesse dare una mentita), parrai di poter credere assennala la sentenza di mio padie , con la unica differenza del tempo della costruzione : e ch'essa costruzione, non dell' intero edificio, ma dalla linea della volta al basso, potesse far parte del tempio pagano innal- zato ad Anfinoo. Tutto che volgendo il pensiero alla sentenza del Muratori (I. e.) che favellando del- l'epigramma diceva » Auctor carmiids., ut principi aduletur eum [Anlinounij Apollini Beleno jìurem fa- Ai Giove Fei'Plrio, sia la ctiiesa di s. Maria in Ara CwìijAo\e il tempio tli Bacco, la chiesa
  • ir- gli un giorno non pochi fiori alla sua corona ; e jAcrò alla domanda del giovanetto di voler copiare a olio in colore un suo bozzetto, lungi di secondar- lo, il minacciò colla sua pittorica bacchetta : di che quegli indispettito e insofferente, raccogliendo i car- tolari, diieguossi borbottando con dire: Sarò pittore senza di voi. Il disse e il fu: ma senza dubbio per la influenza del Velasquez, da cui ritrasse, mediian- done le opere, il hello stile che gli fece onore: perocché la luce di un grand'uomo si spande, come Cjuella del sole, per l'universo, né è mestieri di raccoglierla dalla sua stessa fonte. D'allora il giovinetto Patania cominciò a dise- gnare e a dipingere da sé: e scarso com'era di soc- corsi domestici, imprese, per alimentarsi, a figurare e colorar i grandi cartelli da teatro, che si espone- vano al pubblico per adescarlo alla rappresentazione della sera. Ciascuno di essi era l'opera del giorno precedente, e la mercede corrispondea al lavoro di un giovanetto, e al breve tempo impiegatovi ; ma quelle opere gli giovarono allo sviluppo del genio e a fargli proseguire gli studi. E per vero, quelle carte improvvisate schizzavano scintille d'immagina- zione e di sentimento e piacevano al pubblico; e fu- rono lodate dal cav. Puccini, fiorentino, gran cono- scitore e direttore della R. I. galleria toscana, il qua- le allora qui soggiornava, e presagi qual sarebbe divenuto in progresso il giovine artista. 346 Egli non tralasciava intanto di frequentare as- siduamente l'accademia del nudo, diretta dal Velas- quez, e studiò per molli anni, più che altri sei crede, il vero e l'antico su' g^essi dei capo-lavori dell'arte, e formossi gradatamente uno stile, come quello del suo maestro, che riunisce all' eleganza delle forme l'efficaeia del vero scelto in natuja. Nato egli con un versatile ingegno, che a tutti i modi e generi dell'arte piegavasi, dipinse a fresco, a guazzo, a calce, ad acquerello, a olio, e sinanco a miniatura: e diessi non solo alla pittura istorica, ma al ritratto, al paese, a colorar fiori, fruita, uc- celli, pesci ed altro. Invitato a trasferirsi in Minorca da un ricco di quel paese, vi sì recò per esercitarvi l'arte, e dopo circa due anni di soggiorno lasciovvi opere di vario genere che incontrarono il general gradimento. Restituitosi a Palermo, e avvenuto verso quel tempo il ritorno da Roma in patria di Vincenzo Riolo, che qui condusse il colorito del suo maestro cav. Wi- car per avventura troppo vago, e quella forte mac- chia pittorica poco vera, ma di grand'offetto, ne re- stò siffattamente adescato il Patania, che volle tosto imitarlo: e vi riuscì per modo che una sua tela di quel tempo, or presso di me, fu credula da valo- roso pittore opera del Riolo: ma dal Patania rico- nosciuta per sua, ei consigliommi a bruciarla, come lavoro di poco conto. Verso quella stagione fu afl'etto da tale infermità, che confinollo in casa per tutti gli anni susseguenti di sua vita : e allora io cominciai a frequentare il suo studio, e copiai da lui diretto la sua Venere col satiro, la Danae, e alcuni putti. 347 L'energia dello stile del Riolo era già trascorsa e divenuta tutta propria nel penìieilo del nostro Giu- •eppe, quando qui giunse M. Fagan , buon pittore inglese: di cui osservalo avando le tele condotte a mezze tinte e per semplici velature, e quindi di un effetto debole e soave, svogliossi egli dello stile di Riolo e all'altro appigliossi, e in esso perdurò molti anni, lusingato dalle lodi di molti, finche viaggiando io in Italia e contemplali i quadri dei valenti uomini gli scrissi fra le altre cose: Sagrifieate alla divinità delle ombre e diverrete sommo ed invidiabile pittore. INè il mio consiglio tornò vano; perocché d'allora rafforzò di oscuri i suoi dipinti, e ben dienne argo- mento la Lucrezia che eseguì verso quel tempo per l'esimio avvocato sig. Francesco Franco : ma non caricò mai le ombre per ismania di grand' efifetto , ma quanto il vero in luce ristretta richiede: peroc- ché diceami che col tempo crescendo sempre più gli oscuri rendono i quadii disgustevoli , e recan fraude al vero, cui aver dee sempre di mira il pittore. Il Velasquez e il Riolo, applauditissimi nell'arte, si videro circa quindici anni piiraa di loro morte scemati i lavori; perocché molti lor pieferivano il Pa- tania, e tutti nel ritratto e nel paese lo credevano, e non a torto , a quelli supcriore ; finché scesi essi nel sepolcro, rimase a lui il campo della pittura in Sicilia, che ora é occupato da altri valorosi artisti, parte da lui educati e parte dal suo maestro e dal Riolo negli ultimi anni di loro vita, e parte ancora ammaestrati in Roma e in Firenze, i quali accresce- ranno, son sicuro, nuovi fasti alla pittura siciliana. Il Patania fu felicissimo e spontaneo nella inven- 348 zione, fecondo nella composizione, come si può rile- vale in più centinaia di schizzi a penna ch'efjli im- provvisava la sera sulla istoria, sulla mitologia e so- pra altri soggetti: dei quali passati in Parigi quelli relativi al romanzo del Telemaco, furon lodati in quei giornali, ed elegantemente incisi. Sua special pre- rogativa fu la grazia, Tarmonia e la veiità delle tinte; quindi riusciva in preferenza nei piccoli quadri e nei soggetti leggiadri, in cui non ebbe competitore. Tentò anche la pittura di genere, e in essa mo- strò pure quanto valesse ; talché furono ammirali i suoi quadri di fiori, di frutta, di uccelli e di pe- sci che dipinse pel marchese Merlo, per l'avvocato Franco e per altri. Nel paese ebbe pochi rivali , anzi fu il primo del nostro tempo ad esser salutato egregio paesista : perocché seguiva il bello della natura da lui studia- ta nella sua prinia gioventù , e il frappeggiar del Denis e del Pekignon su quadri da lui veduti nella galleria della regia università di Palermo. Ma la na- tura era per lui sempre abbigliata in abito da noz- ze, le sue campagne eran sempre vaghe e ridenti, e ben rappresentavano quelle che in primavera or- nano e profumano di odori la bella Palermo, che siede regina in mezzo ad amenissimo giardino. Egli ne variava le parti con l'aiuto degli antichi schizzi, co- me può osservarsi in quelle dipinte per l'avvocato e indi consultore Vincenzo Gagliani, pel generale e ministro Fardella, e nelle ultime del sig. Nicolai. Maggior corona da tutti consentita acquistossi nei ritratti per la somiglianza, per la verità e la fu- fusione delle tinte, e per e per la venustà del pen- 349 nello. Egli fu il pilloie delle nostre belle, le quali, di qualunque condizione si fossero, recavansi al suo studio per farsi ritrarre, e render durevoli sulla tela le loro grazio. Da circa cento riliatti d' uomini il- lustri siciliani antichi e rooderni dipinse per me. Uno egregiamente condotto per l'inglese M. Lorenz, e da lui esposto nell'accademia di Nuova-York, fu preferito agli altri e procacciogli l'onoie di esserne proclamato socio ad unanimità di voti, come rilevasi dalla lettera del 13 maggio 18 il del segretario M. Mortoli. Il litiatto che fatto avea alla real [)rlncipessa Maria Amalia, indi regina dei francesi , passato in in Parigi fu ammirato e fatto ilegno delle lodi del celebre Chateaubriand. Il Camuccini, pittore di gran rinomanza, le pro- fuse a quello della duchessa Brolo , dipinto pel di lei fratello monsignor Grassellini, residente in Jioma: e quegli pure mi rammentava con sentita slima al alcuni schizzi a penna, che ne avea veduti in Napo- li in casa del marchese Gargallo. Fra i suoi grandi quadri di sacro argomento primeggiano il Cristo flagellato nella chiesa della Magione in Palermo, il s. Vincenzo Ferreri in Ca- rini, il s. Gaetano in Morreale, e i santi re magi in Randazzo, abbenchè fosse il primo gran quadro da lui dipinto. Fin quelli di argomento profano e di niezzana o piccola dimensione, il cui numero é pres- soché infinito, io accennerò l'ambasceria dei messi- nesi a Giacomo d'Aragona, nel quale rappresentò il Velasquez, il Iliolo, Giambattista Cutelli e me. Leg- giadro idilio del Gesner, vagamente dipinto, è la fé- 350 sta del villaggio all'arrivo del barone feudatario e della moglie, e sublime poesia del Niccolini sono due quadri del vespro siciliano, variali di composizione. Nei quadri mitologici o di soggetti graziosi egli fu guidalo dal genio di Anacreonte, di Teocrito o di Meli. Tale è la Venere che abbraccia Adone al ritorno dalla caccia, la Speranza che stringe al seno Amore, una fanciulla che baccia ima colomba, e un regazzo che ferma col mento e colle braccia un fuggitivo co- niglio: piccole tele per me dipinte con sommo amore. Né con minor venustà condotte sono la Psiche con le ninfe nel bagno , e l'altra trasportata in aria dai zefliri presso l'egregio avvocato sig. Agnetta, e la Francesca da Rimini sul concetto di Dante, di|)inte per l'avvocato Vaginelli, e cento altri quadretti, tutti di bella invenzione, fioriti di leggiadria e di soave espressione. Né è da trasandare una sacra famiglia eseguita, non è che un mese , pel sig. Nicolai con grande stile e belle forme nella Vei-gine e nel putto Gesù. Egli fu pittore di corte , ed esegui più volte i ritratti dei re Ferdinando e Francesco I e del- l'attuale nostro, e di altri della real famiglia, e varie opere nei reali palazzi di Palermo, della Favorita e della Ficuzza : e fu decorato della medaglia d'oro dell'ordine di Francesco I , e scello membro della commissione di antichità e belle arti. Le accademie di Sicilia gareggiarono ad onorarsi del suo nome. La sua abituale infermità, che durò circa 30 anni sino alla morte, se gl'impediva di uscir di casa, tran- ne poche volte all'anno nell'estiva stagione, gli per- raetleva di essere operoso, anzi infaticabile nel ma- 351 neggio del pennello al giorno , e della penna alla sera, in cui lavorava, per divertirsi, conae diceva, i suoi schizzi. Sul proposito io gli feci osservare, che l'arie e egli stesso doveano a quella infermità la glo- ria che ottenuta aveane pel suo concentianiento, per l'assiduo studio, non mai distratto dai piaceri della società : al che risposerai: (7/o, se pur fosse vero^ non ■mi ha fatto pero goder del mondo: ma io mi son ri- vendicalo dei suoi piaceri perduti con quelli migliori che mi son creato coli' esercizio delV arte che fa la mia passione. Il cielo avea versato su lui a piene mani, non solo i doni dell'intelletto, ma l'egregie qualità del cuore, cui or tocchiamo di volo, essendo a quei che il conobbero ben note , ma che è pur giusto ehc passino non alterate ai posteri. Egli fu semplice nelle maniere, gentile e gene- roso con tutti, e più cogli amici (I). Non conobbe l'invidia e la gelosia di professione ; dignitoso e mo- desto e senza orpello avverso alle lodi. Ei diceva un giorno ad un esagerato encomiatore: Lasciate questa profusione di lodi: io 7ion credo meritarle^ e per altro mi recan più male che bene. Sfuggì sempre di censurar menomamente gli artisti, sebbene ne fosse talvolta provocato da qual- cuno mediocre. Negossi più di una volta ad osser- vare qualche nuovo quadro di taluno, per evitare che gli fosse appiccato un giudizio ch'egli dato non a- (1) Io debbo in parte alla sua generosità i cenlo e più ritratti d'uomini illustri siciliani , cbe mi dii)ii)sc. Ricusò la mercede pel suo e per «jiielio del Vainsqiiez, dicendomi ; io non vendo né la mia, né la testa del mio maestro: e similmente pei ritratti dei miei tenitori. 352 vrebbe. Se ascoltava l'altrui troppo aspro e severo, il moderava colie sue benigne riflessioni , o taceva se sostener non ne potesse la difesa. Accoglieva alla sua scuola amorosamente tutti i giovani che a lui si presentavano , e molta cura si dava a ben guidarli nell'arte, coU'apprestar loro disegni e modelli e coli' emendarne di sua mano le copie, e indicarne a voce i difFetli ragionandoli co'principii dell'arte. Soccorse spesso coloro, che non eran favoriti da fortuna, dei mezzi abbisognevoli al lor progresso ; laonde molli a lui con evano, e le sue stanze eran sempre affollate di discenti. Né in ciò soltanto utile si rese; perocché alcuni di essi già provelli, e altri non suoi scolari, ri- Iraevan le sue invenzioni, e dei suoi cartoni, ch'egli lor disegnava generosamente, giova vansi per facilitarli a conseguii' lucro e credito nell'arte. Tra i suoi migliori allievi , or già artisti di onorevole riputazione, segnalaronsi Giuseppe Bagna- .sco, Carlo la Barbera e Giseppe Carta. Egli fu soccorrevole ai poveri, e segnatamente ai suoi parenti; laode a loro riguardo non volle ri- durre a vitalizio un buon valsente, raccolto colle sue oneste fatiche, come altri il consigliava: ed uno di essi fu udito sclamare col linguaggio del cuore men- tre egli agonizzava: Ei travagliò incessantemente ses- sanVanni per trarne un meschino pranzo^ che altro la sua salute non comportava^ e per dar da vivere a tutti noi. Con queste prestanti qualità d'ingegno e di cuo- re non è da meravigliare, che meritato avesse in vita la stima e l'affetto di un Meli, di uno Scinà, di un Gargallo, di un Torlorici e di quanti uomini dotti riuniva Palermo a' tempi migliori: né è da meravi- 353 gliar benanco che la sua morte avvenuta per improv- viso attacco al petto, e invecchiata cislide, dopo dieci ore dal primo assalto, e dopo di essere stato soccor- so invano dall'arte medica, e piamente dalla religio- ne, abbia recato universale dolore. Egli menar potè il vanto di essere amato da tutti, da nessun odiato. Spirò il giorno 23 dell'infausto febbraio 1852 alle ore 18, tre quarti e 10 minuti, con la tranquillità d'animo dell' uomo virtuoso e del buon cristiano. Difalti a me che qualche conforto poco innanzi alla tremenda dipartita gli dava, riconoscendomi, rispose; La vita e la morte mi è indifferente: accetto la prima se Dio vuol concedermela , Valtra non mi sgomenta. E ben ne avea ragione; poiché moriva senza rimorsi e con l'intimo convincimento di aver fatto sempre bene ai suoi simili. Conservò fino all'utimo giorno buona vista, ferma e operosa la mano, lucida la mente creatrice di tanti singolari concetti ; nel dì innanzi alla morte terminato avea di dipinger la testa della signora Piraino, e fino alle ore 3 della sera compi lo schizzo a penna di Gesù Cristo presentato a Caifas. Divulgatasi la nuova della sua morte, più rapi- damente del fulmine, i suoi affezionati scolari mi chie- sero che io mi facessi lor guida nell'accompagnarne il cadavere alla chiesa di s. Maria di Gesù, ove de- stinato avea di essere seppellito modestamente: ma in ciò fu contraddetto dal pubblico voto, perocché alcuni della nostra nobiltà il fecero associare dalle loro car- rozze e dai servitori a lutto, mentre lutti gli artisti e gli amici suoi a capo scoverto, atteggiati a dolore, rammentandone a quando a quando le virtù e i pre- gi dell'ingegno, gli faceano lungo e numeroso cor- G.A.TCXXVI. 23 354 leggio. Un vecchio artista fu udito gridar fuori di cit- tà . Abbiam perduto il nostro padre ! A me, suo amico di quarant'anni e suo sincero ammiratore, nella perdita fatale che di lui ho fatto è solo rimasa a conforto la sua immagine ch'ei mi dipinse, la qual par che dicami ad ognistante: Pro- cura d'imitarmi^ se puoi, nelle virtù , e preparati a seguirmi., ma ei par che conlento si rimanga di quel- la epigrafe, ch'io gli scrissi, ed apposi sotto il ritratto: Franco inventor, sposò natura al bello, PÌ!)se, e animar le Grazie il S119 pennello. Agostino Gallo. X 'opinione e la stampa disaminate nell'attinenze loro colla morale e colla politica da Fortunato Cavaz- zoni Pederzini modenese. — Modena tip. della A. D. Camera 1850, un voi. di p. 260 in 12. [Continuazione e fine.) i rosegue V A, ritoccando la duplicità del diritlo spettante alla chiesa ed al principato in materia di censura dell' opinione, e restringe la considerazione alle spettanze del solo principe. Tutte le opinioni se- grete, e molte delie manifestate, sfuggono all'eser- cizio dell'autorità del principe, e diconsi libere. Le opinioni manifestate e lesive degli altrui diritti, so-^ no da essere trattate come tutte le altre azioni d'in- teresse civile. Il principe deve procurare che le opinioni riescano tali da servire o da non disservi- re air ordine sociale , e perciò deve soppravvedere tutto che può sopra di loro o in bene o in male , 355 come insegnamenti , costumi , viaggi e spettacoli. Esamina alcune sentenze riferentisi all' autorità del- l'opinione per rispetto al principe come principe. Circa il debito del principe in ordine a religione, in quanto apparisce atto di opinante , ei non può tol. lerare nessuno affatto irreligioso, né può essere in- differente verso qualunque sia religione. Segue a ciò quali siano i limiti da prescriversi alla tolleranza re- ligiosa : quali riguardi speciali meriti il fatto degli ebrei nelle loro attinenze co'principi cristiani : e qual regola di governo convenga tenersi per rispetto al protestantismo. La stampa (dice sempre il Pederzini) è tal modo di manifestare le idee, che le lascia poter esser giu- dicate con giudizio preveniente, e non susseguente; e di ciò levasi la quistione intorno alla libertà della stampa medesima, la quale per trattar bene, devesi premettere la ricognizione d'alcuni fatti, e prima di tutto della corruzione della natura umana. Dal fatto della curruzione deriva per conseguenza, che la di- scussione non conduce sempre allo scoprimento della verità. Derivasi pur anche dall'umana corruzione un' altra conseguenza , cioè che il più dei libri siano cattivi ; e che i libri cattivi abbiano maggior effi- cacia a nuocere, che non i buoni a giovare. Gran- dissima è l'attività de'libri, cui la stampa moltiplica fuor d'ogni termine; e perciò ella cagiona per primo danno un grandissimo consumo d'idee e di opinioni, e dee nella totalità degli effetti recare alla società più danno, che non giovamento, senza che basti per compenso l'assuefazione alle sue impressioni. Esposto il vero concetto di ciò che debban va- 356 valere le frasi libertà Umilata^ censura^ e repressione in materia di stampa , ilice che pel comune uso degli scrittori anche pili celebri si Irovono confusi e concetti e frasi con danno della quistione : entra quindi nel trattarli sgombrando le menti dalle idee false, e prima provando per ragioni intrinseche l'il- licitudine della libertà illimitata ; mostra poi la stes- sa cosa indirettamente, convincendo d'insussistenza e di fallacia argomenti che paiono mantenerla , e prima vari argomenti di B. Constant , poi altro si- mile del marchese d'Azeglio , del quale' esaminasi pur anche una opinione in ordine ai giudici voluti in materia di stampa. Risponde poi al Constant, che trova inefficace praticamente e perciò inutili gli or- dini legali moderatori dell'esercizio della stampa: risponde al Filangieri, che vorrebbe che il principe procedesse sempre ed unicamente per via di revisio- ne ; risponde pure ad altro argomento del Constant, che concorre per l'opinione del Filangieri. Esamina alcuni altri argomenti del Constant d'intenzione non abbastanza determinati: confuta una sentenza del Fi- langieri intorno alla forza nociva ed alla cadu cita dell'errore , e tocca la stranezza d'una sentenza di lui stesso, secondo la quale la libertà della stampa e tenuta utile alla salvezza delle private riputazioni. Posto che poi il fatto della slampa ammette cen- sura preveniente, si dove usare, perchè cosi comanda la prudenza in tutte le materie ov'è possibile ; di che sono mostrate le ragioni intrinseche e naturali che acquistano forza dalla felicità e pienezza deireffelto che si ottiene prevenendo in materia di stampa ; o dai vizi contrari che non si possono evitare nel me- 357 totlo (Iella revisione; e principalmente dalle difficoltà di costituire la prova del delitto, la qual cosa equi- vale ad una quasi che certa impunità. A questo è triste riparo il commettere il giudizio ai giurati, co- me vorrebbe persuadere il Constant: e il fatto con- ferma il suo giudizio. Appresso a ciò l'autore di- fende la censura da un primo ragionamento del Constant, e la difende pure da altra opposizione del Constant diretta contro i censori ; come la difende da un ragionamento del Bentham, esaminando infine un insegnamento del Constant in genere di prudenza governativa. Trattato tutto questo, passa il Pederzini dalla generalità della quistione alle speciali applicazioni al governo rappresentativo, il quale comunque si nomi- ni è (come dice) realmente una specie di democrazia, che ha promotori attivissimi, che operano per seconde intenzioni segrete e maligne ; e ne ha pur molti di buona fede, de'quali adduce le ragioni. A queste ei contrappone alcune considerazioni dubitative della bontà intrinseca di essa forma di governo, cui segue una dichiarazione remissoria del- dell'A. dubitante, che entra poi nella quistione della necessità della stampa libera ne'governi rappresenta- tivi; ma prima tocca della possibilità del sussistere qualunque forma libéralissima di governo, anche senza nessuna libertà di stampa. Concede che nelle condizioni de' tempi presenti la forma del governo rapresentativo si trae dietro la libertà della stampa; la quale peraltro non fa che minorare la probabi- lità del bene che se ne possa attendere ; specialmente per colpa d'alcuni vizi accidentali, che passionano 358 gli spirili del tempo nostro. Stabilisce che la stampa, e massime i giornali, costituiscono un potere nello stato; e ne deduce che esso debba essere determina- to e regolalo come gli altri poteri; espone le grandi uliiilà sperate dalla libertà della stampa ne' governi rappresentativi , contrapponendovi alquanti titoli di \izi reali che distruggono in tutto o in parte esse utilità: e per primo mostra chela stampa libera non unisce , né rende forte la pubblica opinione , cui essa non vale nemmeno a rappresentare bene ed in- teramente: poiché a conoscere davvero la pubblica opinione, conviene guardare assai meno alla stampa che non ai fatti. E vero che per la libertà della stampa gran moltitudine concorre alla formazione delle leggi : ma questo é più a danno , che non a va'ntaggio della cosa pubblica. La slampa libera può salvare i privati contro gli arbitrii del governo , ma può altresì farne pericolare sotto la forza del gover- no istesso, e peggio sotto le ingiurie cui essa rende immedicabili, ed agevolissime alla malvagità degli altri privati. Ella non è l'organo fedele per il popo- lo a conoscere la condotta de'governanli, cui talvolta aiuta, tale altra violenta ed opprime , rendendo il governo mobilissimo, e di leggieri caduco. Censura il sentimento di chi enumera fra i beni della stampa libera l'attitudine di lei a combattere il governo. Dal che tutto conchiude il eh. autore « che la » libertà della stampa debb'e^sere ristretta alle sole » materie amministrative , ovvero anche politiche , )) ma innocenti: e per tutto il resto tenuta sotto il » freno della censura preveniente ». Mostrata così la contenenza e insieme la utilità 359 dell'opera, ciascuno vede di per se quanto la gravila della materia importantissima in essa trattata meriti di venire, non dico letta, ma sibbene considerata e ponderata, acciò chi a ha fior di senno possa fare suo prò delle verità che vi sono espOvSte, e ricredersi altresì chi tenesse contraria sentenza. G. F. Rambelli. Intorno ad alcuni ritratti di recenti arcadi illustri collocati nella sala del serbatoio. Ragionamento di monsignor Francesco de'conti Fabi Montani , pra custode generale delV accademia., letto nella gene- rale tornata del di 11 di marzo 1852. U ffizio delle belle arti , accademici ed uditori rag- guardevolissimi, essendo ancora il moltiplicare e per- petuare le immagini di quelle cose, che la natura e gli uomini producono più leggiadre e desiderevoli^ non è punto a maiavigliare se siansi sempre in par- licolar guisa adoperati nel formare ritratti. Nacque ciò dalla bramosìa di vedere tramandati e racco- mandati ai posteri i lineamenti ed il volto di coloro, che ne furono più cari, o che per magnanime im- prese e per utili ritrovamenti si segnalarono. Né l'a- more e la gratitudine andarono disgiunti dal nobilis- simo scopo della imitazione. Quindi non solo nelle pa- terne mura queste immagini si conservavano gelosa- mente, e a domestica gloria si additavano; ma trae- vansi eziandio fuori ad accompagnare funebri pom- pe, e collocavansi dai maestrati ne'Iuoghi più popolo- si, acciocché ognuno a suo talento potesse rimirarle, ed in esse e per esse a generose e sublimi azioni ispirarsi. Un cosiffallo consiglio, io mi credo, guidò pnre i nostri padri ad ornare di ritratti queste celebra- tissime sale. Né mi do a creder ch'esser vi possa persona di mezzano ingegno fornita, la quale trovan- do poco meno che a dolce colloquio qui riuniti un Gravina , un Redi , un Filicaia , un Marchetti, un Bianchini, un Fortiguerra, un Menzini, un Vico, un Muratori, unMetastasio, un Tiraboschi (1), un New- ton , un Fontenelle , una de Boccage ed altre non poche italiane ed estere celebrità, non sentasi focosa- mente stimolato ad imitaiie. Cosi Maratona turbava i sonni del giovinetto Milziade, che non potea sop- portarsi in pace quel Temistocle pettoruto e primo starsi là nel Pecile fra i dieci pretori. Eppure di quanti e quanti uomini per ogni maniera di sapienza rinomatissimi non sono ancora vedovate queste nostre pareti? Se non che vedendole oggi per la prima volta andare dopo molli lu.stri altere di novelle immagini, forniranno esse il subietto al mio dire, ed obbedirò così all'onorevole comanda- mento che il savio collegio de XII a me degnava di dare. Per quanto mi é venuto fatto di sapere, non (1) A sì bei nomi possono aggiungersi gli allri ilei B. Gin seppe card. Toiiiinasi, del card, di Tournou uno de'foiidatori, del card. Orsi, «lei card. Gardi! ; de'prelali Assemani e Stay; del p. ab. Appiano Bonalede ; del Saliceti, del Rolli, del Salvini, del Bellini, dello Zeno, dell'Olivieri, del lacqnier e Corsini scolopi, del Cunich, del Zaccaria, d(»l Zamagna gesuiti, della Maralti Zappi, della Soardi, della Bandettini ec. 3G1 prima deiranno 1770, o in quel torno, inconiinciaro- lìo qucsle sale ad essere adorne di ritraiti. Imperocché circa tal tempo i va^janti arcadi vi ebbero domicilio per le invernali tomaie in addietro tenute nelle ri- spettive case dei generali custodi. Le tolse il Brogi (1) in aflìlto della principesca famiglia Mattai, al cui col- legio appartenevano (2). La modestia de'fondalori. i quali argomentando forse contrario alla semplicità pastorale l'uso delle immagini, aveano stabilito l'innal- zamento delle lapidi di memoria nel bosco Parrasio; le divisioni malaugurosamente prolungate dal 1728 al 1743 , per tutto lo spazio di tempo cioè in cui il Jjorenzini ebbe il reggimento dell'accademia, fecero si che il Morei immediatamente succedutogli ne'ge- nerali comizi del 1743, mirasse pria di tutto a ria- micare gli animi troppo dissidenti de'soci, a tenere con molto decoro le generali e solenni tornate, a celebrare i giuochi per molte olimpiadi interrotti, a proseguire la edizione delle rime , delle vite e del- le prose degli arcadi incominciate dal Crescimbeni, ad intraprendere la stampa di nuove raccolte, ed in ultimo a tessere in forma di memorie la storia del- l'accademia fatta di pubblico diritto l'anno 1761. fi) L'ab. Giuseppe Brogi, (juarto ciislode [jenerale, eleUo il 12 eli gennaio 17C6. Kra (juasi seUuagennario. (2) Venne fondato nel 1603 dal card. Girolamo Matlei, die lo dedicò all'illnslre doUore, del quale portava il nome. Vi si man- tenevano alunni di nohili Camiglie romane , e per privilegio di cittadine : studiavano (ilosotia, diritto canonico e teologia, essendo dal card, istituito per fornire zelanli operai e ministri acconci alia cura delie anime. Lo animini.s(rava la slessa famiglia Matlei. Dirninnile le rcinlilc, Cu nel 1777 del ponlcflce Pio \'ì ili sa: mcm. soppresso. 362 Uomo di grave e bell'aspetto, erudito quanto mai dir si possa, buon poeta e novellatore gentile, avea l'arte di guadagnarsi i cuori e di rendersi accetto anche ai più schivi. Il perchè non potrà mai bastantemen- te dirsi quanto anche per cosiffatte doti contribuisse a rimettere in vita la vacillante accademia. Tornando però al Brogi, ne'cinque anni e poco più, ne'quali fu l'archimandrita degli arcadi, riunì i ritratti de'generali custodi, quelli del Zappi, del Ile- di, del Viviani e di alcuni altri più famosi. La mag- giore e migliore parte di essi la dobbiamo al Pizzi, che laico essendo e coniugato, appellava l'arcadia col dolce nome di sua prima spusa. E quantuncjue re- cassegli in dote amaritudini e dileggi non rari, eb- bela nondimeno sempre in cima di ogni suo pen- siero, e di nulla mai si passò per metterla in una rinomanza che valicò pur nelle Americhe, ove fondò colonie, ed inviò diplomi. Per non dipartirmi dal subbletto, solo dirò che fe- cesi a dimandare agli eredi ed amici i ritratti de'più illustri arcadi defunti: che a fine di pungere l'amor proprio richiesegli eziandio a que'Ietterati che veni- vano da tutti riveriti quai luminari del secolo: e che infine invitò i soci dipintori (Ij a lasciare in questa guisa all'accademia una perenne memoria del loro valore. Soprattutto però giovossl il Pizzi della splen- dida munificenza del principe don Luigi Gonzaga di Castiglione, il quale molti ritratti di defunti arcadi allogò ad un tal Pietro Milioni, assai proletto da lui. (1) Fra gli allri arcadi é a i-icordarsi una gentil donna, Maria Sal- vi,che donò all'accailfmia vari ritiaUi •• diiiinli di sua nano esej^nili. 3G3 I rltratli del Pizzi, di Plelio ed Alessandio Veni, del Ciiiiich, dei Cesarotti (]) e dell'Aineri, invialo dalia stessa principessa di Sloiberjjh poco dopo la morte del sommo tragico , segnalarono la custodia del Godard, la cui effigie venne qui collocata insie- lYie al ritratto di Gaspare Mollo, che duca ed im- provvisatore lasciava alla nostr'accademia non vul- gare legato (2), unico esempio in cento sessant'anni d'istoria. Appena il romano sacerdote e letterato Paolo Ba- ròla venne da voi il giorno 14 di febbraio del 1850 (1) Per verità il Pizzi avea richiesto il ritratto al Cesarotti, «•he tardò ad inviario. In questa occasione donò airaccadernia va- rie sue opere , Ira le quali // sgggio sulla filosafla del buon gusto dedicato agli arcadi stessi. Il Godard tenne in quest'occasione una solenne adunanza stampata nel 1795. La. dissertazione del Cesarotti è notissima; trovasi inserita Ira j]li schiarimenti apologetici dopo il sagjjio sulla filosofia delle lin- gue e del gusto. Fra le altre vi si leggono queste parole a commen- «lazione deiPAroadia: » A voi, valorosissimi arcadi, deve Titalica poesia la nuova e più vegi'ta e meglio Ibridata sua vita : da voi riconosce i suoi progressi e il suo slato sempre crescente di flo- : idezza e di gloria. Tutte le opere, di cui si pregia, sono frutti de' vostri auspicii, o ebbero dal vostro es«mpiu il primo germe vitale per cui liorirono. L Italia non vantò poscia alcun valoroso poeta, che non l'osse o colono o cittadino vostro. ii (2) Le buone azioni non debbono mai tacersi . Pelegrino Spe- randio Diaconi, rozzo poeta e di cui gli arcadi si valevano solo per sollazzevole compagnia , lasciò nel morire erede delle sue povere robe quell'arcade, che nell'accademia del venerdì santo avesse reci- tato il migliore componimento, il savio collegio giudicò di ricusa- re il legalo, e col tenue prodotto sultragò invece l' anima di lui Cotale cosa assai spesso contava 1' avv. Angelo Maria Tinelli, giu- reconsulto e latinista di quella perizia che ognun sa. I^a più compiuta edizione «Ielle opere dello Sni-randio ì- qui-lia in due volumi l'atta dai Coiiledini. 364 in quesJa medesima sala e con (anta copia di suf- fragi chiamalo al reggimento di arcadia, fu sua pvì- ma cura il sollevarla da un languore, nel quale per colpa principalniente de' tempi eia nelie superiori anni ricaduta. La modestia di lui e l'amicizia con- giunta al grato animo , che dalla mia adolescenza gli professo, mi astringono obbedirlo, e tacere come per sua principale cura si riparasse ai guasti del bo- sco Parrasio (1}, in brevissimo spazio di tempo si riordinasse l'archivio, e vi si preponesse savia perso- na (2) ed intelligentissima, si arricchisse di arcadiche produzioni la biblioteca (3); e ad eccezione di que- sta, tulle si restaurassero ed abbellisseio le altre sale di un appartamento non mai per lo spazio di quat- tordici lustri resarcito appieno. Nella quale cosa se (1) E ben nolo come nel 1849 vi si trincerassero i faziosi. L;« Sanlilà di N. S. PAPA PIO IX, ordinò che venisse in ogni sua parte ristaurato, siccome fu mercè delie cure di S. E. il sig. comm. GaJ-li pro-minislro li giovò la protezione alle lettere e 1' amo- revolezza del cardinale Raffaele Fornari prefetto della sacra congregazione degli studi, e fin dalle scuole dei senriinario romano intimo del Baròla. assai nondimeno ebbevi egli a sopperire del suo , sia perchè, come suole per ordinario avvenire, fu tenuto più basso del vero il preventivo delle spese, sia perchè novelli gua- sti discoprivansi non appena tocche le mura logore , vecchie ed andate ogni anno più in rovina. Né qui finirono le cure del novello custode: ma per atfenermi ai soli ritratti dirò, che tutti li volle a sue spese riverniciati, a buona parte di essi pose uniformi iscrizioni, e secondo il potere a lui dal savio collegio coiìferito si studiò di collocarli con un più lino accorgimento. Trasandata in fatti ogni altra cosa, fu la serie de'ritralti ordinala e disposta secondo la grandezza della dignità avuta, ed il tempo della vita: il perchè ora ad un solo girare di ciglio se ne può prendere una idea assai chiara e distinta. Pertanto conservati i generali custodi nella pa- rete loro destinata ab antico (d'incontro cioè a quella principale, ove per riverenza campeggia il solo graa quadro del presepe), e dato, com'era di mestieri, il più onorevol luogo al regnante pontefice, fu il pri- mo giro nelle altre laterali pareti attribuito ai pa- dri del sacro collegio, il secondo ai vescovi e pre- lati anco di ordini religiosi: il terzo agli altri tutti, incominciando dai più antichi. Il Perfetti e la Morelli, decorati amendue nel campidoglio di poetico serto, sono ritornati a stare I' uno d'incontro T altro. Ac- canto a quelli de'cardinali Polignac e Gerdil si po- sero i ritratti di Silvio Valenti Gonzaga e di Giulio 366 Maria della Somaglia, cardinali pur essi, ministri di slato e promotori solerli di ogni opera d'ingegno. Si è renduto onore al Sarassi, che pinlo in tutta la freschezza della gioventù stavasi presso che dinaen- tico da ognuno, e vennero tolti da uguale oscurità alcuni altri meritevolissinii di vedere la luce. Non risparmiò poi indagini , non perdonò ad inchieste, non temette ripulse. Invitò , pregò, stimo- lò : tutta pose in opera la sua grazia e la custodia- le autorità presso gli accademici , affinchè la serie de'ritratli venisse accresciuta. Né tutte gli fallirono le speranze. Avemmo in siffatta guisa il Santucci e il Laureani, festeggiati amendue con isplendissime adu- nanze (lj, nelle quali prese parte il fiore di Roma. Debbesi il primo alle cortesia dell'abate Domenico Santucci, ahi troppo immaturamente rapito alle muse e alle scienze ! il quale nel morire ingiungeva all' unico fratello Gaetano, non meno di lui e dello zio amantissimo della nostra accademia, di qui recarlo a perpetua memoria della loro affezione. Il ritratto di monsignor Laureani è copiato dalla illustre no- str' accademica Amalia De Angeli» Salducci (2) su di uno assai somiglievole, che a consolazione di fia- (1) L'adunanza in lode di monsij. Loreto Santucci, sellimo cu- stode generale, fu tenuta il giorno 5 dicembre 1850 colla prosa di inonsig. prò -custode generale : in quella per monsig. Gabrielle Lau- reani, celebrala il 4 di dicembre 1851 l'elogio fu del sig. professore Giuseppe Spezi. Ambedue le sopraddette prose sono state stampate dai rispettivi autori. (2) Il premio dato dall'accademia di san Luca, unico esempio, a questa romana giovanetta, gli altri da lei meritati dall' artìstica congregazione de'virluosi al Pantheon, e i lavori eseguiti, ci scusa- no d'ogni elogio. 367 JeiDO amore serbando il professore Ji medicina Vin- cenzo Laureani non ha potuto sostenere di venirne privato. Rimpetto al Bentivogllo, nunzio della sanla sede e traduttore immortale della Tebaide di Stazio, ve- dete oggi per la prima volta il cardinale Bartolo- meo Pacca M), il decano del sacro collegio, il com- pagno dell'esilio di Pio VII, lo storico de'plù me- morandi fatti del suo tempo, de'quali fu egli gran parte. Più il tempo lo allontanerà da noi, più ne accrescerà la fama: magnanimo e cortese, finché glie- lo consentì vecchiezza frequentò le nostre tornate, caro a tutti per quelFincoraggiamenlo che colla voce e col gesto porgea sì bene a tutti ed in ispecie alla timida gioventù. Per serbare l'ordine de'terapi, con cui vennero recati i nuovi ritratti , da un nobilissimo cavaliere ed arcivescovo passerò ad uomo laico e di vulgure na- zione. Se gli errori della giovinezza non fossero stati cancellati dalle virtù di un'età più matura, né si mi- rerebbe oggi fra noi il ritratto di Francesco Gianni romano : né io uomo di chiesa avrei pur osato di favellarne. La lunga vita di lui menata in Parigi fino alla morte c'invita a congratularci coll'uomo che rin- savisce, e ad onorare colui che improvvisante famoso, (ì) Il Baròla tu segretario di questo cardinale dall'ottobre del 1834 al 19 di aprile del 1844 in cui morì : cosi il Pizii era stato segretario del card. Marco Antonio Colonna, vicario gener. di Pio VI di sa: mein. 368 sprezzatorc di tuUo fuorché della gloria, fu degno di cantare come Omero le vittorie di Acliille (l). Chiuso nelle candide insegne del cavalleresco ordine lusitano della spada, per gentilezza del suo figliuolo commendatore Gio. Francesco, buon lette- rato e raccoglitore sagace di codici preziosissimi, toi- na a rallegrarne del gioviale aspetto Gio. Gherardo De Rossi, romano per esso e ne' verdi anni emulo del Berardi, del Battistini e della Gorilla nel decla- mare non pensati versi. La favola e l'epigramma, la satira urbana e la commedia sei gareggian fra loro. Novelliere gentile, studiò la imitazione degli antichi, favorì le belle arti: ingegno svegliatissimo, adatto ad ogni qualsiasi cosa, la grazia e lo scherzo gli piovevano spontaneamente dal labro. Pio qual visse, moria volgendo nel nostro sermone opere apo- logetiche e religiose (2). (1) Vegjjasi I elogio storico
  • ini come il sul- rnonese, di lui però assai più acorlo, seppe in mezzo alle corti vivere grato ai principi e ai cortigiani. A voi che serbate viva la memoria de'versi, con cui il cantor di Maria (1) (così godea chiamarsi; congedavasi dalla nostr' adunanza, altro aggiungere non debbo, se non che monsig. Achille Maria Ricci allogava il di- dipinto del cavaliere Angelo Maria suo padre a Fau- stino Meucci romano, quello slesso che per commis- sione di monsignor Bartolomeo de' marchesi Pacca eseguiva il ritratto del cardinale, E per vero una mano stessa dovea pingere due anime che furono un solo cuore. Chiuderò la serie de' nuovi ritraiti con due sa- cerdoti, l'uno al pari dell'altro in Italia e fuori assai commendato. Il primo accrebbe lustro al Piceno (2), il secondo all'Umbria (3). L'uno fu singolare per la perizia del greco e latino sermone , per la storia della pittura italiana, e pe'saggi sull'antica lingua di Etruria- l'altro è rinomato per fisiche scoverte, per macchine immaginate e di sua stessa mano esegui- (1) Il cav. Ricci così godeva di chiamarsi. Suo ultimo poetico lavoro l'urono le anacreontiche da cantarsi nel mese di niag{;io, E a notare come questo letterato e poeta spirasse in Rieti, il 1 di a- prile del 1850, nel pnnlo stesso, che sodo alla sua casa passava processi onalmente la immagine di ,\ostra Signora del popolo, di cui i t-eatini celebravano in quel giorno la festa. Veggausi le elegan- tiisiriie iscrizioni italiane dettale nella morte del Ricci dal no-stro accademico marchese Giovauni Broli di Marni, ed inserite nell'Album anno IX. (1) Luigi Lanzi nacque in Montolmo, l'antica Pausula; onore da lui rivendicato alla patria, dichiarala in questo stesso anno ciUà con tale liooie dalla Santità di Nostro Signore Papa PIO IX (2) Il cav. Feliciano Scarpellini venne alla luce in Foligno. an- te , e per funebri pompe a lui tributate sulla stessa cuna dell'astronomia (Ij. L'uno fu amico al Winchel- inann, al Venuti , all'Agincourt, al Visconti: l'altro all'Humboldt, alT Eischell , al Calandrelli, allOria- ni, che il chiamava socio nella specola di Milano. Il primo vesti le divise del Loiola,, tinche stette la compagnia, e festeggiato dai reali principi della To- scana n'ebbe in cura i musei divenuti per lui pub- blica scuola; il secondo, quantunque uomo privato, dischiuse per primo i gabinetti di fisica alla romana gioventù, e nel corpo legislativo in Parigi d'innanzi all'imperatore Napoleone portava abito clericale , il solo non folgoreggiante di nastri e d' oro. Avemmo il ritratto del Lanzi dalla cortesia del suo egregio pronipote avvocato Luigi Lanzi ; quello dello Scar- pellini è donato da Caterina Scalpellini, che mercè delle cure dello zio cammuia si bene sulle orme del- la Herschel e della Sommerville. L' arcadia collo- cherà il busto del cavaliere Feliciano presso a quello del Fidia italiano ; ed è ben ragionevole, che il rin- novellatore de'lincei veggasi accanto al restauratore fjella scultura. Se nella prima metà del secolo XIX l'arcadia (1) La spedizione romana inviata da Grejjorio XVI di sa. me: a caricare nelT Egitto gli alaba»tri per la basilica ostiense , reduce dalla Tebaide, nell'approdare al Cairo lidi la morte dello Scarpeliini. Determinò allora di celebrargli i funerali il di 14 di maggio 1841 nella chiesa di Terra Santa, ov'è il convento de' pp. francescani ri- formati. Oltre monsig. Teodoro Abukerim, vescovo di Halia e vica- rio apostolico de'copli, vi assistettero tutte le autorilii indigene ed europee insieme ad una grande moltitudine di egiziani accorsi alla novità della cerimonia Veggasi l'elogio dello Scar|)ellini scritto da! «av. Trompeo. 372 avesse avuto soltanto i lellerali e poeti fin qui nomi- nati, non sarebbero essi più che baslevoli allo splen- dore e alla gloria di qualsiasi accademia ? Eppure, per noverare que'più celebri che vissuti grande spa- zio di tempo in Roma, più di ogni altro la frequen- tarono, chi potrebbe tacere i Borgia, i Flangini, i Litta, i De-Pietro, i Consalvi, i Fontana, i Caprano, i Mezzofanti; i Devoti, i Marchetti, i Marini, i Bel- lenghi; i Petrucci, i Fuga, i Finetti, i Gagliulìi , i Gandolfi, gli Olivieri,, i Enfia; i Pessuti, i Tinelli, gli Amati, i Fea, gli Appendini, i Biondi, i Mastrofìni, i Marsuzi , gli Sgricci , i Bestini , le Pellegrini , le Pizzelli, le Bandeltiui, le Guacci, le Saluzzo e mol- tissimi altri cardinali e vescovi, prelati e claustrali, magistrati e giureconsulti, principi e cavalieri, dame e gentildonne, che alla cultura delle scienze le più severe unirono l'ornamento della poesia (1)? Io porto fede che anco i ritratti di arcadi così valorosi verranno ad albergare in questo teatro di sapienza umana e divina (2^, e però fin da oggi pren- do a rimeritare di lode un Salvatore Betti, che dalla (1) Non finirebbe mai il catalogo, se tulli ricordar si volessero i più cospicui. Basii il dire non esservi Ictlerato di vaglia in Ita- lia e fuori, che non abbia gradito di venervi anneverato. Gli auto- grafi conservali nel nostro archivio ne fanno leslimonianza. Non è nostro scopo il parlare de'viventi: e moltissimi ve ne hanno, i quali perpetuano alla nostra acca abbiano esse in se medesime un intrinseco pregio ed un utile grandissimo. La sapienza, ognuno il sa, è a se medesima di nobilissimo conforto: e le arti ingenue, non solo destano l'altrui ammirazione e plauso, ma porgono pur anco all'animo un diletto così vivo e straordinario, cui a niun patto rinunziar si vorrebbe. Forse che tutto giorno non veggiamo uomini inna- morati della sapienza non sapersi dislaccare dai libri, sia per islanchezza di sonno, sia pei- latrare di sto- maco, sia per inopia di averi, sia tìnalmente per lo slesso difetto di sanità? Non vedete un PiUagura, un Zenone, un Demostene (troppo lunga è la schiera co- minciata da nomi sì grandi) porre ogni altra cosa in non cale, tutto sembrare ad essi spregevole e vile, purché giungere possano un giorno ad aver nome di sapienti, o esser degnali di un ramoscello di quella fronda » Gnor d'iujperatori e di poeti. Per cosiffatto motivo non mancò mai alla no- 377 st l'accademia, che ogni genere di studi in se abbrac- cia, copia d'ingegni. Né ciò avvenne solo quando, come io ricordava, veniano cotanto onorati e protet- ti : ma pur quando parca che più dovessero inari- dire e venir manco. Si paragonino di grazia fra loro i quattordici volumi delle rime, le prose, le vile, le raccolte stampate in ogni tempo dagli arcadi, e saia manifesto non essere giammai mancato il buon gu- sto fra noi: essersi anzi propagato e diffuso « Come passa il valor di vase in vase. Qual differenza fra le raccolte pubblicate dal Cre- scimbeni, dal Morei, e quelle messe in luce dal Piz- zi (1) , ove trovi i robusti versi del Monti, del Cas- siani, del Paradisi, del Parini, del Manara, del Cer- retti, dell'Arici, e del Mazza ! Le adunanze del San- tucci e del Laureani non sono più importanti di quel- le date in luce sul finire del secolo XVIII. Il buon gusto nelle lettere e nelle scienze fu il so- lo scopo deuostri fondatori. Ed eccoli tosto rompere guerra alle metafore e alle ampollosità del secento, a poco a poco per loro opera affatto disparite dalla bella letteratura : eccoli fra il classicismo ed il ro- manticismo farsi colla voce e collo scritto campioni della buona scuola, e virilmente combatterla : eccoli finalmente con sottile industria istillale il buon gu- sto alla tenera gioventù, che solo a tal fine chiama non di rado a prendere parte nelle sue più solenni (i) Il volume XIII pubblicato nel 1780, e il volume XIV slam- palo nel 1781. Il Gorlard aveva preparato il voi. W, ma ne furo- no incominciali a stampare i soli primi logli. 378 tornate. Il buon gusto adunque, giovi il ripeterlo, si proposero i nostri fondatori, e non già ch'ogni pa- store divenisse un Esiodo, ogni pastorella una Safifo ! Imperocché sapeano bene, come pur voi sapete, es- sere al pari de'cigni rari i poeti , che indegni non siano di tal nome (I). Quantimque in favellando di domestiche co'ie non sia COSI facile il serbare la convenevole moderazio- ne: tuttavolta , giusta la sentenza di Patercolo, non mai per òoveichia modestia devesi detrarre alla ve- rità. Diviene anzi dovere di assennalo figliuolo di- fendere l'onore della propria madre. Dopo il Barel- li fu moda il ricordare le arcadiche pastorelle rie: e neppure di tal bizzarria, chi lo crederebbe? si pas- sarono alcuni arcadi slessi , quando con sì vecchio sarcasmo mirarono a porre in beffe un rivale, o ad avere un più copioso e prolungato applauso. A che dunque maravigliare se il mal vezzo con- tinui (2) e vedasi ripetuto perfino ne'giornali, anco allorquando trattasi di cose gravissime, e che nulla in- vero han che fare colle pacifiche lettere ? Non sareb- be meglio il dire, che niuno mai tanto favella delle cose vili, e che pure in biasimo non si suole parlar mai SI spesso se non di quelle, che racchiudono in se medesime un pregio intrinseco, e che si vorrebbe disconoscere indarno ? Mole sua stat^ cantava di Roma il mantovano: e mole stia stat^ ripeteva il Crescimbeni, sono già cento (1) » Son come i cigni anco i poeti rari, Poeti che non sien del nome indegni ec. Ariosto. (2) Si potri'bbe tesser pure un licn lungo calaiogo d' illustri scrittori^ che hanno iodata l'arcadia. 379 cinquanl'anni, ai detrattori dell'accadeinia, cui si rim- proveravano a puntino i medesimi difetti e le stesse inezie di oggidì. Potrà essere tenuta in non cale; ma non verrà mai meno l'arcadia, ispirata dal buon gu- sto, nata sotto la tutela dell'Infante divino, cresciuta all'ombra delle sante chiavi , amata dai monarchi , e favoreggiata da un sacro collegio, che nel giorno XV di questo stesso mese andrà lieto di tre nostri soci chiarissimi (1\ uno de' quali voi stessi vedete accrescere oggi colia sua presenza lustro e decoro alla generale nostra tornata. Sorrida finalmente la quiete amica delle lettere e delle arti : invocata dal mercatante, non meno che dall' agricoltore : sospirata dalle nazioni della terra, disingannate e stanche di politiche rivollure: e tor- neranno come prima in onore le muse , e vedrassi come in avanti novellamente rendula 1' arcadia alla sua celebrità. (i) Gli eminfntissimi e reverendissimi carJinali Tiiicciardij ve- scovo di Sinigaglia, De Andrea, segretàrio della sacra congregazio- ne del concilio; e Carlo F^uigi Morìchini, tesoriere generale della re- verenda camera apostolica, creati cardinali nel concistoro de'iS di marzo 1852. 11 solo De Andrea era presente. 380 Lettere edite ed inedite di Bernardo Davanzati BoslicM gentiluomo fiorentino, raccolte e postillate da Giuseppe Manuzzi. 8° Fi- rerize, stamperia sulle logge del grano 18o2. (Sono pag. 44.) E uno de'soliti insigni doni che il cav. abate Manuzzi suol l'are di quando in (]uando alle nostre lettere classiche. Già intende ognu- no, nominandosi il Manuzzi, che il lavoro é diligentissimo, e le pò stille sono quali si convengono al celebre compilatore del vocabo- lario italiano. Le lettere del Davanzati, scrittore de'più solenni del- la nostra lingua, si quelle che già si conoscevano, e sì le altro dall'editore trovate ne'coilioi, sono 31. Alcune lettere di s. Giuseppe Calasanzio fondatore delle scuole pie, pubblicate per la prima volta nella promozione alla sacra por- pora di sua eminenza il sig. cardinale Carlo Luigi Morichini. 8.0 Roma, tipografia delle belle arti 18^2. (Sono pag. XVI e 23.) Devesi questo importantissimo saggio alle cure dell'egregio P. Alessandro Checcncci delle scuole pie, rettore del collegio nazare- no, il quale vi ha premesso un'assai dotta ed elegante lettera, a modo di proemii), airemiuenlissimo Morichini. Le lettere del Calasanzio sono qui 23, tutte belle di soavità e d'amor di Dio e del prossimo, ed anche scritte con certa facilità di lingua italiana, quando si considera che il santo < ra di nazione spa gnuolo. Del libro di Giobbe capitoli nove, con la descrizione del cavallo , esposti in vario metro italiano ptr Pompeo Gherardi. 4. Sini- gagliti, tipografìa vescovile e comunale di Pallonico e Pieroni 1852 (Sono pag. 33). E lavoro di un nobile giovinetto, il quale con senno maturo dà opera alle lettere, ed è già onore e conlorio di Sinigaglia sua pa- tria. Tal vuoisi chiamare e lodare il conte Pompeo Gherardi. Infatti non so quale de'nostri migliori poeti non si onorerebbe di que.sto volgarizzamento, 8Ìa per la eleganza e gravità de'versi, sia per l'e- gregia interpretazione del testo. 381 Due consuUi inedili di Domenico Cutugno tratti dai manoscritti della libreria Guzzoni. 8° Fano per Giovanni Lana 1852. (So- no pag. 11.) Il nome del gran Cotugno raccomanJa abbastanza questi con- sulti, i quali vengono intitolati al celebre prof. Piiccinotli dal dot- tore Vittorio Guzzoni degli Ancarani. A pie del volumetto trovasi inoltre la necrologia del dott Aurelio Guzzoni, fratello di esso Vii- torio, scritta dal canonico Celestino Masetti di Fano. Biografia del canonico Haffaele Francolini fanesc. 8° Firenze coi li- pi di Mariano Cecchi 1831 (Sono pag. 19). Il Francolini nato in pano nel 1788, ed ivi morto nel 1840, fu valente cultore de'buoni studi, i quali professò nelle cattedre di umane lettere, prima in Lugo, poi nell'università di Fano, indi nel collegio Belluzzi di Sammarino (di cui fu anche rettore), fìnalmenle nel seminario e collegio di Sinigaglia. Alquante cose pubblicò in verso ed in prosa, molle ne lasciò inedite : e di tutte discorre in questa elegante biografia l'ab. Evaristo Francolini. Albo funereo alla memoria della marchesa Maria Pizzardi nata Ma- riscolti. 4." Bologna, società tipografica bolognese 1852. (Sono pag. 128, con due litografie.) Edizione magnifica e da onorarsene per ogni squisitezza di gu- •sto la bolognese tipografia. Bene inoltre le corrispondono le cose in prosa ed in verso die il libro contiene in lode d'una preclarissima gentildonna, la quale fu sposa e madre d'esempio rarissimo, ed an- che fiorì per le doti più belle dello spirito, essendo dotta di molte lingue, ed assai pratica delle storie, e soavemente sonando. Passò ella al riposo de'giusli nel febbraio di quest'anno , trentesimoseslo dell'età sua. Fra gli scrittori ìMVaWo troviamo non pochi nomi , de'quali è illustre la sempre sapiente Bologna : e, quello che ass^i ci piace, vi troviamo pure alquante gentili donne, le quali spargen- do fiori sul sepolcro della iMariscotti Pizzardi hanno dimostralo in- sieme il proprio valore nelle letlere. Sono esse la principessa Taresa Angelelli Simonetti, Marianna RerliUi, la contessa Teresa Bernardi Cassiani, Mariella Gasparini Roncagli, Fanny Ghedini Borlolotti, Em- ma Ro3SÌ, e Teresa Salaroli Insom. Degna di lode è la immagine litografica della sua persona, di segno del Guardasoni, e più quella delle sue virtù, che in elegante 382 e. grave prosa dettò il cav. MinghiHti: clt-ijiio anche il sepolcro tiella famiglia Pizzardi scolpito dairilliistre Baruz^i e deaerino in una bella canzone da monsignor Golfi»M-i. Delle antiche chiese di s- Pietro e di s. Maria maggiore della città di Toscanella, dissertazione delCavvocato Secondiano Campana- ri membro della commissione ausiliare di belle arti e antichità nella provincia di Viterbo, socio della pontificia accademia ro- mana di archeologia ■■ dell istituto romano di corrispondenza ar cheologica: della R. ercolanese di Napoli, della società colomba- ria di Firenze ■ della I. e R. società aretina di scienze, lettere e arti ec S° Montefiascone dalla tipografia del seminario pres- to Savini e Sarlini 1862. (Sono pag. 96 con cinque tavole in rame.) Assai chiaro per dotte opere è il nome del sig. avv. Campanari nell'archeologia sacra e profana : n^ qui è a dire di quanta erudi- zione d'ogni maniera, ma chiaramente ed elegantemente esposta, ab- bia egli fiorito questo suo libro intorno a due templi cristiani di To- scanella sua patria edificati intorno all'VIII e IX secolo. Documenti ad una giovane sposa che aspiri alla gloria di buoìia moglie. Leltcra di Flaminio Nobili a Camilla Bernardini de' Guìnigi. - DeWamore coniugale- Ammonimenti di fra Cherubino da Siena. Modena per Carlo Vincenzi 1852. (Sono pag 26 in 8») Il chiaro ed erudito sig. dott. Luigi Maini di Carpi, in nome de- gli amici , anziché aver ricorso a fatui versi ed armoniose ciance per le nozze di due gentilissimi, il doti Gaetano Pederzini di Modena e Anna Brighcnti dì Rimino, nobili rampolli di piante nobilissime, ha molto lodevolmente unito in questo libretto, quasi due gemme in vago anello, due prose piene de' più scelti od utili precetti ad una sposa, e vi ha aggiunto un suo corredo di note filologich,-, biograhche e bibliografiche dottissime G F. R. 883 CONTENUTE NEL TOMO CXXVI VOLUMI 376, 377, 378. T^ota de signori compilatori e collaboratori. Osenga^i Lettera intorno al libro del Boncom- pagni sulla vita e sulle opere di Gherardo cremonese e di Gherardo da Sabbioneta. pag. 1 Cappello.^ Sul sanitario congresso nazionale a- perto a Parigi nel ìSòì ec » 5 Barciulli., Elogio di fra Luca Pacioli. . . » 169 Barciiilli^ Riflessioni critiche sulla vita di Pie- tro della Francesca scritta dal Vasari . » 177 Adriani, Traduzione della vita di Focione scrit- ta da Plutarco., pabblieata dal prof. ab. Rezzi. » 186 Sigonio., Lntorno all'indole della letteratura., vol- garizzamento del prof. ah. Antonio Fazi . » 233 Fedro., Saggio di traduzione de'suoi apologJu., fatta dal marchese Broli » 239 fìambelli, Di alcuni vizi che guastano maggior- mente la nostra favella » 256 Galeotti., Elogio deWab. Giuseppe Berlini . » 267 Bartolini, Sull'altare ligneo della basilica la- teranense » 287 Viola., Lellera IV sul colle tihurlino. . . » 3l4 Gallo., Necrologia di Giuseppe Patania . . » 344 Cavazzoni Pederzini.^ L'opinione e la stampa di- saminate (continuazione e fine) > 354 384 Fabi Montani , Intorno ad alcuni ritratti di recenti arcadi illustri collocati nella sala del serbatoio > 359 Varietà. IMPRIMATUR Fr. Th. M. Larco 0. P. S. P. A. M. Socius IMPRIMATUR F. A. Ligi Archiep. Icon. Vicesg. (^fMXfji