r* ^J/«|4- GIORNALE ARCADICO DI SCIENZE , LETTERE , ED ARTI TOMO XXXIL OTTOBRE, NOVEMBRE, E DICEMBRE MDGCGXXVI. ^^-^^ ROMA NET-LA Sl'AlVIPEIUA DKL GIOUWALS PRESSO ANTONIO BOULZAI. ER Con licenza ile Superiori. SCIENZE Analisi delle memorie pubblicate dal sig. fìnilly sulle febbri periodiche di Roma ; lettera di Car- lo Speranza prof, di clinica medica nella uni- versità di Parma al chiariss. sig. prof. Pucci- notti. (Continuazione e fine). M, .a Bailly quanto ammette e vede in ogni intermittente fenomeni, bene pronunciati d' inflam- maxiono , altrettanto contrasta e nega , che la rot- tura della milza e del fegato , che talvolta avvie- ne nelle medesime , e di cui riferisce alcuni casi , ripeter si debba dalla fleramasia , in quanto che mancano i veri caratteri della infiammazione , e non trovasi nel viscere leso suppurazione , o fonte pu- rulento. Perciò attribuisce il fenomeno ad una vio- lenta congestione sanguigna. Questa, allorché è mi- te , distende la membrana esterna i e da ciò ripe- te gli accidenti nervosi , ed i molti dolori , che sof- frono alcuni individui nelle affezioni della milza : ma quando è forte , rompe i vasi , senza il con- corso dell' azione vitale , che ha luogo nella infiam- mazione. Per questa ragione sotto la maggiore at- tività dell' accesso febbrile si accelera la circolazio- ne , ed affetta essendo la milza diventa suscettiva di congestione a segno di alterarsi e disorganiz- 1* 4 S e I £ N ii E zarsi. A me pare che lo sciitlore francese segua ia CIÒ Tesempio di quei giudici , che ad un tempo islesso condannano ed assolvono . E diiFatli dopo di avere ammessa la esistenza di una infiammazione ili ogni periodica , da qual fonte pretende dedur- re la milza alterata , lacerata , e ridotta allo stato putriii.iginoso , se non da ilogosi , quando tutti gli alili visceri trovansi in condizione fisiologica ? Se anuììelte in simili feb])ri ia milza affetta da cronica flemmasia , perchè ignorar vuole , che una infìam- inazionfì acuta attaccando un organo in preda a lenta flogosi determina in ragione del tessuto una prosita alterazione e persino la degenerazione della stessa parie ammalata ? Non sono forse tali i pre- ziosi insegnamenti di Dumas , i quali ho io stes- so richiamati onde appoggiare la rapida disorga- nizzrizioìie della sostanza cerebrale avvenuta per encefalite acuta sviluppatasi in un tessuto gfa af- fetto da lenta flogosi , ciò che rilevato avrete nell' iiilimo mio anno clinico - medico ! Se Baillj nei casi osservati di rammollimento di fegato e di mil- za non ha trovato suppui-azione, ne fonte puru- lento , argomentare si deve la mancanza di un pre- ceduto processo flogistico , o non ancor giunto a tanto di alterare la sostanza del viscere- Non sap- piamo per recenti osservazioni di Lerminier , di Lalleinand ^ di Andrai^ di Bonilland ^ che il ram- mollimento del cervello , delle membrane nervose , della sostanza muscolare del cuore sono l'effetto di preceduta condizione flogistica acuta o lenta ! Ne diversamente avvenir deve di quello della milza , il quale , perchè trattasi di organo vascolare , è sempre meno consistente. E cosa è mai quella ma- lattia della milza detta tener it lido , se non il prin- cipio , come saggiamente insegna il profens. Grotta- nclli ^ firmila morliijcazioiie della di lui sostanza, se non rcirelto di pregressa lenta alFfìzione infiannua- toria ? Non nego, anzi convengo col cei. cav. Pal- letta , il quale asserisce che ogni congestione sau- euiona non e consecrucMiza o ca^^ione dell' infiam- inazione. \Ia se la ;n;!/.a è ridotta allo stato di rammolliniiiilo; se hi di lei sostanza trovasi con- vertita in una materia puliillaginosa ; cbi mai vor- rà negare , clie tali alterazioni siano l'eil'i.'tto di pre- ceduta affezione itidaramaloria confermata special- mente dalle cagioni , dalla qualità dal tessuto , e dell' esito proprio del tessuto infiammato ? In di- pendenza di questa condizione morbosa del visce- re basta un ingorgo , maggiore di sangue nel mede- simo sotto l'azione del freddo febbrile, o iieli' au- mento di circolazione, come avviene nel soiv^uio calore, per dar luogo alla di lei rottura, la (|ua- lo non avrebbe avuto effetto, senza la precedenza del processo llogistico. Coerente a' suoi vagheggiati principi dichiara Jìdilly , che la milza non è la sede delle febbri in- termittenti , e molto meno , che le di lei alterazio- ni moi])ose , o quelle degli altri visceri abdomiiia- li , il cui sviluppo è sempre tardo , possono dar luogo alle medesime , chiaìnando anche in soccorso le osservazioni del prof. Grotianelli , il quale ha trovato talvolta in simili febbri sana la milza. Sel)- bene non abbiamo positivi e certi argomenti per ammettere negli organi splancnici la sede , o con- dizione patologica delle periodiche , siamo però ad- dottrinati dai fatti costanti , e confermati dalla mag- gior parte dei pratici antichi e moderni, come io stesso ho esposto nel mio primo anno clinico -me- dico , che i primi fenomeni ed cnelti di esse ma- nifeslausi sovra simili organi. Che poi alterata la G S e I E IV Z E milza , od il fejj;iito , nascano febbri poriodiclie , continue remittenti , è cosa che non ammello; alcun dubbio: e basta aver dimorato in climi predominati da tali affezioni per esserne intimamente persuasi. Consimili dottrine, a dir vero, piacere non deggio- no a Baillj , il quale nelle periodiche non vede che infiammazione : e laddove questa non è. prima- ria , non manca a sostegno della propria opinione di sottoporre le stesse intermittenti al predominio della infiammazione. Io pure , seguendo i dettami del mio precettore G. P. Frank , accordo associarsi la flogosi ad una febbre periodica , ma senza che quel- la sia generatrice di questa , anzi diversa a segno da esigere ciascheduna un metodo proprio curativo . E quali , se non questi , sono pure i sentimenti di BiiffaUni , da voi stesso ammessi , e con piti esten- sione dall' ottimo raio amico prof. Goldoni recen- temente pubblicati ! Non immettendo Bailly , che si faccia sotto il freddo la concentrazione del sangue e delle forze nei visceri abdomiiiali, per diffondersi poscia alla cir- conferenza nel tempo del calore , ripete le congestio- ni e le infiammazioni sia nel basso ventre sia al- trove dall' attività più grande della circolazione du- rante l'accesso febbrile. Il negare la concentrazione del sangue sotto del freddo nei visceri contenuti nell'abdome egli è lo stesso , che non conoscere, o volere contraddire all^ osservazioni di tutti i tem- pi e di tutti i pratici. Meno ragionevole poi sem- inami il ripetere le congestioni dal moto circolato- rio reso più energico sotto del calore , sapendosi a chiare note , come quelle invece vengono con tal mezzo dissipale. In questo modo Bailly soverchia- mente allettato dalla propria opinione , e persuaso di vedere flogosi in tutte le periodiche, viene sena* Febbri phriodishe J accorgersi condannato da quegli stessi argomeuti , eh' egli propone a propria difesa : „ Inutil fora „ Contro intelletti al ver durati , o ciechi , „ Forza oprar di argomenti Ma dove , sento da voi domandarmi , ammette lo scrittore francese la sede e la condizione pato- logica di quelle febbri periodiche, nelle quali la infiammazione non ne costituisce l'essenza , m» sol- tanto complicazione , o gli organi splancnici non sono a di lui senso interessati , o per lo meno in modo secondario ? Scusate , amico , se alla vostra curiosità , che fu pur mia , non trovomi in grado di poter soddisfare: „ La mia misura a così largo panno ,, Gik non arriva Ma dal rilevare , che la infiammazione forma la parte principale , e sovente ancora l'essenza delle in- termittenti : che queste trovansi soggette alle «tesse leggi delle febbri acute : che sono composte di fe- nomeni dipendenti da cangiamento organico , e vin- colati a durala necessaria : e clie il miglior metodo curativo si è di toglierò la infiammazione interna; parmi potere argomentare , che l'essenza delle pe- riodiche consister debba in un processo flogistico. Ma i fenomeni infiammatorj non bastano in senso di Baili/ a costituire la febbre periodica , per cui rendesi necessario il concorso di una irritazione , che ammette non in un organo particolare , ma nel si- stema nervoso, e dalla (juale sorge primaria la feb- bre. Perciò l'essenza delle periadiche consiste in una 8 S e ì K N Z E irritazione , o febbre essenziale , ed in una flemma- sia locale. Me per quanto il movimento febbrile sia primario , è però nella maggior parte dei casi sot- to la dipendenza della infiammazione , la quale si oppone alla di lui cessazione , sinché essa non ha finito il suo corso. Anzi la soppressione di un ac- cesso non scema in alcun modo la interna flogosi , ma irapedisce a questa di manifestarsi con sintomi generali, che determinano la febbre , per cui la stes» sa infiammazione reagisce sugli altri organi, gene- rando affezioni secondarie , e profonde lesioni. Quin- di le periodiche non sono per se stesse alterazioni parziali di un org^ano , o di un tessuto , ma altret- tante febbri essenziali subordinate a flemmasie loca- li. Con questo giuoco di viva immaginazione , mi sembra , amico , di poter ripetere, che „ A retro va chi di più gir si affanna. Fintanto che lo scrittore francese considera le feb- bri intermittenti per altrettante malattie acute e flo- gistiche , non abbiamo che sinoche o flemmasie. Era perciò necessario di ammettere l'accesso , spiegare il ritorno del medesimo, la momentanea soppressione, stabilirne le leggi , la dipendenza : giacche senza l'ac- cesso e ritorno periodico del medesimo non esiste febbre intermittente. Ma il dire, che l'accesso consi- ste in un movimento nervoso si e un volere richia- mare lo spasmo di Hnffhiann , di Cullen ; l'eretismo di Senac : l'oscillazione nervosa di Sendrin , di Du- ges , più recentemente ammessa da Brachet , il quale nella produzione della febbre periodica fa in- tervenire il sistema nervoso cerebrale , spinale , e ner- veo - ganglionare. . Poco diversamente pensando l'ot- timo mio amico il cel. Brera , chiama allo sviluppo FlBBRl PERIODJCHE 9 ilnlla febbre pfM-iodica ima irritazione soiferta Jal noi- vo intercostale. Simili opinioni proposte, e ricliiania- te 0 in tutto o in parte per essenza delle febbri ])erio- diche, non ebbero sempre che una breve durata . Inoltre quale è quella malattia , nella quale il siste- ma nervso non prenda parte , senza per altro costi- tuire elemento , ma effetto o complicazione della me- desima ! Se Bailly sottopone il movimento febbrile ad una interna flemmasia , quale agente regolerà il medesimo in quelle periodiche , e non sono poche , in cui assolutamente manca la infiammazione? Come spie- gherà il fenomeno nelle intermittenti a>teniche , df He quali non ammettendo l'esistenza , sarebbe lo stesso che negare le luce del giorUo? Quante volte non fuiisce il movimento febbrile al secondo, al terzo accesso, anzi in un'epoca, in cui la infiammazione non avrebLe ancora compito il proprio corso, e senza alcun danno dell'ammalato? Quante volte non rimane soppresso un parosismo, e poi ricomparisce senza che la sup- posta flemmasia generi secondarie lesioni , leggiere o gravi? Non trovo ragione, perchè, in senso di Bailly , le febbri periodiche debbano talvolta con- sistere in una flemmasia , poi sovente essere subor- dinate alla medesima : perchè queste due affezioni ora sieno dipendenti, ora indipendenti l'una dall'altra; perchè dopo di essersi sviluppate sotto la stessa di- rezione , progrediscano in seguito separate , e per- fino per opposte strade. Meno poi comprendo , co- me le febbri periodiche , quand'anche abbiano sede nel sistema nervoso , e presentino fenomeni locali e caratteristici, siano da considerarsi di provenienza idiopatica , lesione di una funzione generale dell'eco- nomia e non di un organo < e come assoggettate le intermittenti alle leggi delle febbri acute , non debbano al pari di queste considerarsi per allrel- IO SciEMZE tante sintomaticho , e di origine locale. Ma che gio- va clie vi richiami delle osservazioni , e proponga dogli argomenti che si oppongono alle dottrine di Bnillj^ quando voi stesso siete in grado di olFrirne con maggiore cognizione di causa , per cui „ Diventa il proseguir inutil opra ? Temo , amico , e non senza fondamento di es- servi ormai venuto a noja : ma pregovi di avere pazienza, e sentire la terapia , proposta dallo scrit- tore francese nella cura delle febbri periodiche. Non crediate però di essere „ Come colui , che nuove cose assaggia : poiché potete ben prevedere , che il metodo cura- tivo non può variare da' suoi preconcetti principj. Ciò posto, il miglior mezzo, in senso di Baillj^ per vincere le febbri intermittenti si è di combattere la infiammazione interna per indi troncare colla china il movimento nervoso, il quale essendo subordinato nella durata alla flogosi , resiste all'azione del feb- brifugo rimedio , finche la medesima non ha finito il suo corso. Che se la febbre e semplice , basta distruggere la fleramasia , dietro la quale svanisce anche il movimento nervoso. Con questi principi sta- bilisce non doversi dare farmachi anti periodici nal principio e nell' aumento del male , ma sul finire del medesimo , aggiungendo ancora , che in tal mo- do si ottengono migliori effetti con dose minore , e se ne impedisce la recidiva . E laddove si associa- no congestioni di fegato , di milza , raccomanda di usare rimedj antiperiodici , e capaci a diminuire la stase , e la infiammazione , che si stabilisce in or- Frberi periodiche II gani importanti. Ogni metodo , che in questo caso non sia diretto contro l' accesso e la congestione , non combatte, a giudizio dell' autore , che la meta, degli accidenti. Io non vi dirò , amico , se questa sia la filoso- fia dell'arte : ma panni che lo scrittore francese si allontani un poco dall'osservazione , e talvolta an- cora si mostri in contraddizione con se medesimo. DifFatt' , se tutte le periodiche fossero realmente flo- gistiche , o per lo meno complicate con parziale infiammazione , quale miglior mezzo , come insegna- no ^orj/er/ , Frank, e voi stesso avete ripetuto, di togliere prima la flogosi per indi troncare il perio- do col rimedio febbrifugo ? Ma in quelle intermitten- ti , nelle quali non evvi che un esaltamento va- scolare , e che ai meno veggenti impone per uno stato, infiammatorio , perchè voler combattere una malattia, che non esiste, col ritardare intanto il van- taggio che ottener si può dalla sollecita ammini- strazione del febbrifugo rimedio ? E qui mi pare che le tante cure fatte dai saggi professori De Mat- thaeis ., Tagliabò, Folciti^ e da Tonelli , da Rossi etc. neir agro romano doveano persuadere lo scrittore francese , che moltissime febbri accessioiiali , quand' anche accompagnate con sintomi gravi , si curano felicemente troncando il solo periodo , e senza com- battere prima la supposta infiammazione. Promosso neir anno 1820 dalla generosa munificenza di S. M. I. e R. a medico provinciale in Mantova , venni po- chi mesi dopo colpito da terzana ardita, la quale al terzo accesso si rese doppia con attaccare il cervello da imporre ai meno cauti per una flogistica complica- zione. Guidato dall' ottimo mio amico il prof. Ti- nelli, presi il febbrifugo rimedio, il quale troncò imme- diatamente la febbre , col dissipare ancora qualunque 13 Scienze / r^altamento vascolare cereLiale. Se il processo della pe- riodica ,da cui era alletto , fosse realmente stato flogisti- co , e sottoposto alle stesse leggi e durata delle malattie acute, io non sarei così tosto guarito. Né il movimento febbrile in me soppresso ha dato luogo all'infianiraa- zione di reagire sopra altri organi , e generare pro- fonde lesioni. L'ammettersi da Bnillj , che in una febbre semplice basta distruggere la flemraasia , die- tro la quale scomparisce anche il movimento nervoso , è una di quelle proposizioni contrarie ai fatti , comin- ciando da Ippocrate fino ai nostri giorni. E per dir vero se manca la infiammazione allorché nelle periodiche esiste esaltamento vascolare , perchè si do- vrà ammettere quando sono semplici ? E cosa mai indicano le tante cure di febbri accessioiiali curate coi sali medj , colle acque amare , coi blandi evacuan- ti, e persino cogli amuleti, e senza rimcdj diretti alla flogosi od al suo processo , se non che quelle erano semplici e senz' ombra di fiemmasia ? Meno poi ragionevole sembrami il dare il rimedio sul fi- nire del corso della febbre , poiché cos\ operando , si mantiene dippii^i , anzi aggravasi la condizione pa- tologica , e s' imprimono morbose alterazioni nei vi- sceri splancnici. Quante terzane , nelle quali venisse in senso di Baillj ritardata la cura col febbrifugo rimedio , diverrebbero nell' agro romano , nel man- tovano etc. perniciose ! Ne giova il dire, richiedersi minor dose di rimedio , ed essere meno facile la recidiva , essendo invece dimostrato da fatti costan- ti , che quanto più a lungo persiste la febbre , mag- giore si esige la quantità del farmaco salutare , e più pronta ancora diventa la recidiva , ciò che sag- giamente fece conoscere in una memoria coronata il mio benemerito antecessore prof. Rubini. Molto me- no trovo degno di considerazione il metodo propo- FeiìBUì VF.KIODlCnfi i3 sto nella cura UcUe periotlicì)(3 accompagnai!? la coa- gostione al fegato, alla milza, nelle ({uali indegna di apii(; acl un tempo stesso e contro l'accesso, <; coritì-o i sintomi secondar) , da cui nasce la conge- stione. Ma -ìe questa non è flemmasia , qual evvi Lisoinio eli agire con un metodo proprio a scemare la infiammazione ? Se i sintomi secondar] sono pro- dotti dall' accesso febbrile , perchè sotto questo deggiono quelli proseguire? E quand'anche conti- nuino , qual bisogno di trattarli , come processo infiammatorio? E perchè in questo solo caso agire ad un tempo stesso con rimedj diretti contro l'acces- so febbrile , e contro la congestione ; ciò che non si deve praticare , allorché l'accesso si vuole accoui- pagnato, anzi sottoposto a manifesta infiammazione? Sarebbe mai più pericolosa la congestione , che la flemmasia ! Ma che vado io proponendo dei duLbj a sostegno di un argomento , del quale , voi di me più maestro, potete meglio vedere la insussistenza , per cui Et piulet uherius iingcs dare pondas iiieplis. In mezzo però a tante sottigliezze teoriche non man- ca di ritenere e di raccomandare la china come il migliore rimedio , tolta prima coti opportuni rimedj la \ii terna infiammazione. Consiglia pure gU emetici ed i purganti , per distruggere Tirritazione nervosa, ed insiste sulla necessifa della posizione orizon- tale , quale più propria ad impedire la congestione abdominale. Ad eccezione di que-t' ultimo mezzo , il cui vantaggio tutto consiste nella immaginazione di /;-,///} , voi ben vedete, che il di lui metodo cu- rativo non è in alcun modo diverso da quello pra- ticato dai nostri padri , e dai vostri contemporanei , l4 S e I E N Z B tanto neir agro romano , quanto in qualunque altro luogo. Non è quindi la rarieta del metodo , ne dei rimedj, che vediamo nella cura proposta dallo scrit- tore francese , ma del modo , dell' applicazione , e del tempo in cui devono essere amministrati. Ammes- sa per vera , od almeno per probabile la dottrina di Bailly , la parte terapeutica non può non essere al- trettanto corrispondente : ma siccome non regge la prima , cade per se stessa anche la seconda. Crederei di non acconsentire in ogni parte al- le vostre brame , se omettessi di farvi qualche cen- no sulle osservazioni e sulle teorie emesse da Dailly intorno alle febbri algide di Roma , per le quali ha consacrata una apposita memoria. Anzi in questo ar- gomento io già vi scorgo maggiormente curioso, on- de conoscere sino a qual punto convenga lo scrit- tore francese colle massime da voi stesso pubblica- te sulle perniciose di quel suolo , e cosa abbia il medesimo di più interessante aggiunto. Fattosi scu- do il N. A. delle proprie osservazioni cliniche, rife- risce sei storie di febbri algide , nelle quali atte- sta di avere veduto dei sintomi che sono altrettan- ti fatti nuovi estremamente interessanti per la fisio- logia. Eccoci di nuovo al detto di Orazio , Quisque sua laudai. A questi appartiene il freddo insistente, anche du- rante l'apiressia , col proseguire per diversi giorni: la conservazione delle funzioni intellettuali e delle forze muscolari , malgrado che la circolazione sia qua- si nulla : i polsi frequenti a segno d' oltrepassare le cento pulsazioni in un minuto primo , e l'alte- razione flogistica degli orgam interni. Ma per quan- to di novità ed a lui soltanto attribuibile ammet- Febbri pkriodichk i5 ter voglia Bailly in simili fenomeni , mi pare , die questi non siano stati dimenticati dagli sciittori ad esso primi , quand' anche dire non si possano essen- zialmente caratteristici. Diffatti non isfugg'i all' atten- to Mortori darsi delle febbri perniciose , nelle qua- li fortissimo il freddo durava per più giorni. Rile- vo pure in Torti^ che un individuo colpito da feb- bre algida mantenevasi estremamente freddo dal pri- mo a tutto il secondo parosismo, non escluso il tem- po dell' apiressia. Ne in alcun modo alterate con- servavansi le funzioni intellettuali, per osservazione dello stesso autore, in un sacerdote, a segno ch'egli medesimo parlava del suo stato e del suo imminen- te pericolo. Per quanto sia grave la malattia , ri- flette il profondo Borsieri , non manca il paziente di essere di mente tranquillo. Ne diversamente av- viene del polso, il quale sebbene in generale sia pic- colo, concentrato, basso, e quasi insensibile , ven- ne rimarcato frequente da Lanoix in Pithiviers , e da Asti in Mantova. Ma una tale frequenza non ha mai luogo nel principio dell'accesso , bensì nel mag- giore aumento , o nel finire del medesimo. Nei ca- si di Bailly mostravasi il fenomeno , non al brac- cio ma air arteria crurale , anzi nel lungo periodo dell' accesso diveniva ora impercettibile , ora frequen- te : e laddove col bagno ascese a 120 pulsazioni in un minuto primo , si fece in seguito a poche ore insensibile. Da ciò risulta che nelle febbri algide può essere il polso variabile : anzi riflette yjfliberf^ dìctvo le proprie e le altrui osservazioni , essere meno pe- ricolosa la malattia, allorché il polso mostrasi e si mantiene frequente. Quindi mi pare che la conser- vazione delle facoltà intellettuali , e la qualità del palso nella febbre algida non meritino poi tutta quel- la considerazione e rarità , quanta immaginare o i6 Scienze credere possa lo scrittore francese. Ne posso ugual- metite comprendere come Balllr accordar possa tan- to peso alle tracce d'infiammazione da esso rileva- le ora negli intestini , ora nel cervello , ora nel ven- tricolo di cinque individui iti a morte per algida febbre , quandoché consimili alterazioni furono già rimarcate da ^o/z^ze/'o , da Gorghi^ da Valcarejighi ^ e più recentemente in Roma da voi medesimo? Ol- tre di che insegna Alibert, essere le medesime ora relative al sintoma grave e predominante , ed ora non trovarsi alcun rapporto diretto fra le lesioni or- ganiche rilevate coli' autossia , e gli sconcerti mor- bosi che hanno luogo. Che se appoggiato alle pro- prie osservazioni Baillj pretende che tali flogosi sia- no cagioni o primitive delle febbri algide, mi pare di avere abbastanza dimostrato nell' ultimo mio an- no clinico-medico, e per proprio e per altrui fat- to , come lungi dall' essere essenziali, non sono che l'effetto di complicazione, a segno di comparire coli' eccesso , o in corso , od in seguito del medesimo. Ma quivi crederei , amico , e non senza ragione di ofìlendervi col presentarvi dei fatti a sostegno della mia opinione , giacche nessuno meglio di voi ha studiata la flogosi nelle intermittenti perniciose, la natura, lo sviluppo , la provenienza , la complicazio- ne e persino i casi in cui essa manca, o non è av- vertita , o non evvi bisogno di riconoscerla. Meditando Baillj il freddo che accompagna le grandi disorganizzazioni e le febbri ordinarie perio- diche, e fattone paralello con quello delle algide, sta- bilisce che in queste è diverso da tutte le altre ; for- ma il risultato attivo di una forza vitale attualmen- te fissata ad un certo modo di esercizio , il quale non può essere dissipato per un calore venuto dall' eslci no , e si accompagna di circostanze che prova- FeUBRI periodiche l'I no la sua indipendenza da lesioni locali. Aggiunge , che non si conosce il punto o il momento , in cui il trasporto della irritazione alla superficie spie- E;a la cessazione dell* accesso : die sotto il freddo la circolazione si rende quasi nulla , appena percetti- bile il polso , ed il paziente sembra ridotto in rap- porto alla vitalità alla classe degli animali a sangue freddo. Con questi principi parrai, se non erro, di non avanzare in cognizioni a quanto insegnarono Mor- toli, Torti, Valcaren^lii ed i vostri benemeriti ante- cessori. Il quartanario di Van-Swieten , il quale sot- to del freddo abbruciavasi le gambe sino alle os- sa senz' accorgersene , dimostra ad evidenza , come anche nelle periodiche semplici il freddo non può es- sere dissipato da qualunque calore esterno. Così av- venne per osservazione di Mortori ad alcuni indivi- dui , nei quali il freddo era forte, a lungo prosegui- to , ed insuperabile dall' arte. L'ammettersi da Bailly che il freddo nelle algide è accompagnato da circo- stanze , da cui emerge essere indipendente da lesio- ni locali , è un contraddire alla dottrina da esso sta- bilita sulle periodiche, le quali considera per malattie acute, e subordinate ad un processo infiammatorio, se non sempre essenziale , almeno compagno. Ma per- chè non chiama quivi in ajuto il nervoso sistema , col quale la febbre periodica non manca di avere più o meno di analogia? E quand' anche non si possa in quelli ammettere la sede della malattia , niente osta che concorra a prendervi parte , ed aggravare la me- desima , influenzata specialmente da particolari poten- ze nocive. E da qual principio mai sembra ripeter- si la continuazione del freddo , la rapidità dei mor- tali processi nelle egide , se non dal languore piiì o meno proseguito dei poteri vitali inerenti special- mente al nervoso sistema \ Su tal modo non mi pa- G.A.T.XXXII. a j8 Scienze re difficile il render ragione della cessazione dell' accesso, senza ricorrere , a giudizio di Baillj ^ al tra- sporto della irritazione dall' interno all' esterno. Co- me altrettanto facile si è il comprendere la circo- lazione al sommo illanguidita, i polsi quasi mancan- ti , e l'analogia cogli animali a sangue freddo. Ma in ciò avendo voi già offerto una serie di utili ri- flessioni suir affezione del sistema nervoso , e sul di lui influsso nello sviluppo delle febbri perniciose, io non trovomi in grado di proseguire in un argomen- to, nel quale, a paragone vostro , credo di essere ap- pena iniziato : Mecum hahito^ et novi quam sit inihi curia suppellex. Alle cagioni delle febbri algide , e delle flogo- si in esse rilevate, attribuisce Baillr il vino , gli eccitanti , in individui esposti a raffreddamento su- bitaneo. E siccome per morbosa disposizione non può entrare nel corpo il calore esterno , così sviluppasi una malattia caratterizzata per tendenza a respinge- re ogni calore esterno. Fattosi poi scudo delle bel- le ed istruttive riflessioni dell' inglese Edwards , stabilisce che la respirazione non è l'unica sorgente del calore animale : che 1' economia produce meno calore in estale , che in inverno : che la permanen- za di temperatura degli animali a sangue caldo non è da attribuirsi alla evaporazione sotto delle tem- perature medie : che il raffreddamento del corpo , che avviene nelle algide, non dipende dalla evapo- razione : che la forza calorifica attualmente fissata ad un modo particolare di esercizio è precisamente alte- rata nel senso , eh' ella ha seguito allontanandosi dal tipo abituale : e che la febbre ha favorito questa di- sposizione a deviare dal tipo fisiologico. A queste ca- Febbri periodiche *.9 gioni poteva il N. A. aggiungere la insolazione, l'al- terazione del sistema derraoideo , le malattie flogisti- che in avanti sofferte, e tante altre cagioni rimar- cale da Doni, da Petronio , e da voi sottoposte a filosofica analisi : le quali , se non sono immediata- mente produttrici delle febbri algide , sviluppano le complicazioni infiammatorie , che si di frequente accompagnano o seguono le medesime. Da ciò voi ben vedete , che lo scrittore francese non dissente dai medici romani , e da quanto avete saggiamen- te esposto sulla esistenza delle infiammazioni nelle febbri algide , colla sola diversità , che accorda alla flogosi una potenza primaria ed essenziale. Ma che dirà poi Bailly di quelle algide , che per osserva-- zione di Lancisi attaccavano individui mal nvitriti, scorbutici , e nei quali tutt' altro prevale fuorché infiammazione, o predisposizione alla medesima? Nul- la vi dirò della bellissima spiegazione data dallo scrittore francese sul freddo marmoreo esterno , e sommo calore interno , quale fenomeno prevalente nella febbre algida , per essere già stato preventiva- mente esposto in chiara luce da Edwards , e fat- tane l'applicazione alle febbri periodiche perniciose , e specialmente alle algide. Egli è da una diminu- zione nella facoltà di produrre il proprio calore, da cui dipendono , in senso del sommmo fisico ingle- se , i fenomeni che si manifestano nelle periodiche. Diffatti sottomesso il malato in tal caso all' azione del freddo , può anche morire. Pro ducendosi una in- termittente lunga, dipende dal protrarsi per qualche tempo l'effetto dell' applicazione del calore , il qua- le consiste nell' aumentarsi la facoltà di sostenere la propria temperatura. Cos\ le intermittenze sono più o meno lunghe , e gli estremi si trovano per un lato nelle febbri , che scompariscono dopo il primo, 20 Scienze accesso, e per l'altro nelle algide di Torti, All'ottimo e dottissimo sig. conte Paoli di Pesaro dobbiamo la tra- duzione dell'interessante opera di Echvards^ senza del quale ajuto io non potrei a meno di ammirare la Leila applicazione i'atta da Bailly alle febbri algide. Tale importante punto di dottrina parmi assai de- gno della vostra meditazione , per farne estesa ap- plicazione alla pratica medica. Permesse le esposte cagioni stabilisce lo scrit- tore francese , che le febbri algide consistono in una lesione speciale della forza incaricata della di- stribuzione del calore animale, e consistono nelle in- fiammazioni abdominali , il più spesso molto intense, che possono in più casi non essere svelate in vita , non avendo i sintomi sempre in rapporto a tanta intensità. Per quanto sia vero il processo chimico e fisico , non posso d'altronde essere persuaso , che da esso nascer debba la essenza della malattia , ma solamente accessorio , e per la qualità del sintoma prevalente. Non trovo ragione che la febbre algida consista in una infiammazione , avendo detto, ripe- tuto , e provato essere questa per lo più o compa- gna o successiva. Molto meno trovo ammissibile , che la tlogosi abbia a percuotere di preferenza i visce- ri abdominali , avendo appreso dalle necroscopie del chiaris. prof. Falchi , e dalle vostre ancora , come il cervello , i polmoni non vanno esenti dall' infiam- marsi : ciò che pure non isfuggi alle attente indagi- ni anatomico -patologiche dello stesso scrittore fran- cese. Da sei individui colpiti da febbre algida , cin- que dei quali sono morti, ed uno guarito (sul di cui trattamento sono io bene alieno dall' istituire analisi), prende argomento Bnillj per dire, che il salasso è il rimedio principale , e praticato in ogni Febbri pf-riodiche ai tempo con vajitagjyio : che con metodo antico si muo- re : die i L.igui caldi giovano dopo il salasso : die la china , come antipeiiodica , deyesi amministrare , quando è tolta l'attività delle lesioni interne , che potrebbero opporsi alla di lei attività. Se dietro sei casi pratici , e l'esito dei medesimi, sia da proporsi una cura generale , mi appello al vostro giudizio. Per quanto vantaggioso fu in ogni tempo il salasso*. per quanto in oggi utilmente amministrato , rilevo ancora ( per tacere di lìiverio , di Eredin , di Cor- reo ) che Torti curava felicemente non poche algide senza sanguigna , e soltanto colla china , alla quale immediatamente ricorreva. Ne risultati meno soddi- sfacenti , benché escluso il salasso, ot tennevano F'al- carenghi in Cremona , Carghi , Jpti , e Gelmetti in Mantova. Quindi non parmi che il metodo dei nostri benemeriti antecessori sia poi tanto da ripu- tarsi dannoso , il quale è appoggiato non a dottri- ne sistematiche , ma alla vera osservazione ed all' esperienza. E diffatti con qual metodo curò Pinel neir ospizio della Salpe'trie're due donne prese da febbre algida , se non colla china , e col vino di Bordeaux , e senza salasso , ad esempio di Riverio , di Mercato , di Torti ? Come Lanoix trattò simili febbri dominanti epidemiche in Pithiviers , se non colla china a larga dose , cogli stimolanti esterni ed interni.? E quanta circospezione non raccomanda il cel. Alihert nell' amministrazione del salasso , non discostandosi in ciò dai preziosi insegnamenti dei no- stri padri ! In rapporto ai bagni caldi , vi dirò , che Chomel ne ha pure tratto vantaggio usandoli a vapore nelle periodiche , e che Bailly ha in ciò seguito il consiglio delle sommo fisico Edwards , il quale dice , che avendo il calore esterno la virtù di rianimare la facoltà di produrre il calore , giova 22 Scienze praticare i bagni. Il pretendere che si ricorra alla china , tolte prima le interne lesioni, non sembrami il metodo piiì sicuro, potendo benissimo col ritardo farsi luogo ad un accesso mortale. Quindi la ragio- ne e la esperienza insegnano di amministrare im- mediatamente il febbrifugo rimedio , come quello che tronca in un col parosismo anche il prevalente sin- toma. Se tale era il metodo di Mortori , di Tdì^ti , di yalcarenghi , e coronato da esito felice: seguito con pari successo da Pinel , da Lanoix , da Alibert '. perchè Batlly ne condanna l'esempio ! Ma quand' anche dalla insistenza del pericoloso fenomeno con- comitante temer si debba congestione , o complica- zione flogistica , Fosservazione insegna , che tale scon- certo è ben diverso dalla reale infiammazione : che esige salasso bensì , ma éntro i limiti della mode- razione , e che lungi dall' opporsi all' attività della corteccia , cede non di raro e sparisce unitamente air accesso sotto la salutare virtù della medesima. 3)a quanto vi ho esposto sulle recenti memorie di Baillj , e che non potranno rimanere ignote ai medici italiani , e specialmente ai saggi cultori dell' arte salutare nell' agro romano , voglio persuadermi che nessuno di essi vorrà rinunciare alle preziose istruzioni di tanti benemeriti maestri , all' osservazio- ne ed air esperienza non disgiunte dall' analisi filo- sofica per seguire una dottrina basata sovra inamis- sibili principj. Che se Baìlly^ ad imitazione di qual- che altro scrittore della sua nazione , credesse , es- sendo stato in Italia e quivi studiate le febbri pe- riodiche, di dar legge ai medici della nostra bella pe- nisola , voi francamente potete per tutti risponde- re , che in simile materia gli italiani sono tanto ricchi di maestri, di osservazioni , e di fatti , da su- perare non solo la gelosa Francia , ma ben anche FEBBnl PBRIODICHE ^5 qualche altra nazione. E quand' anche egli ' avesse a dolersi di non essere accolte le sue fatiche ia quel suolo istesso , ove ebbero origine , rispondete con altrettanto coraggio ritorcendo quei medesimi sen- timenti diretti coatro noi da' suoi colleghi , vale a dire , che ciò avviene per sua e non per nostra colpa, e che gli italiani sono gli avversar) dell'er- rore , non del maestro. Aggiungete ancora essere stato recentemente pronunciato in Parigi da Billard e da Bouilland , che essendo romantica la dottri- na delle periodiche di Bailly , non otterrà giammai la sanzione dei veri osservatori. Cosa dunque, sen- to da voi domandarmi , dobbiamo noi italiani de- durre dalle osservazioni fatte dallo scrittore fran- cese intorno le febbri intermittenti di Roma , e sul- la dottrina dal medesimo emessa ! Per quanto sia- no apprezzabili le di lui fatiche , interessanti le os- servazioni , e specialmente in punto di anatomia pa- tologica , ingegnose le opinioni , e figlie di vivace immaginazione ^ è forza di confessare , che nessun vantaggio ridondar ne pnote, specialmente in Ita- lia , all' arte salutare : e che sarà sempre per noi miglior partito errare con Lancisi , Baglivi , Ra^- inazzini , e Torti , che seguire le ipotesi dello scrit- tor francese . Questi ha preteso di svelare ai me- dici delle luminose verità sino al punto di volere eclissare la gloria della italiana medicina, superba, e non senza ragione , per le opere di tanti eelinli e viventi maestri. Ma per quanto abbia egli cer- cato di animare le lusinghe dei medici , giudicate voi stesso sino a qual punto possono esse venir soddisfatte 24 Scienze „ Co.s\ di fame e di sconforto piena „ Roma un tempo credè eli' egizia nave „ Grano al Tebro portasse , ed era arena. (*) (i) Era sul procinto di chiudere questa mia lunga ci- calata , allorquando in un recentissimo fascicolo di pei-io- dico gioi'nale francese ebbi a rilevare che lo studio del- le periodiche ò divenuto presso quei medici argomento di più estesa meditazione . Oltre le tante produzioni sinora pubblicate , rilevo nuovissime osservazioni del cavaliere Jourdan , di quell' uomo celebre e rispettabile , cui non andò a garbo la memoria dell' ottimo mio amico cav. Me- li sulla utilità del pepe nero nelle febbri intermittenti , per timore di aggravare la supposta gastrite , e render- la persino mortale. Eccovi , amico , in breve le sue prin- cipali idee : Rinunciando alle infiammazioni intermittenti, dichiava non essere le febbri accessionali prodotte da flem- masia , potendosi soltanto l'una colle altre complicarsi. la prova del suo assunto offre cinquanta e più casi di si- mili febbri , nelle quali il metodo antiflogistico ebbe po- chissimo o niun favorevole successo , anzi nelle pernicio- se divenne fatale. Una irritazione portata in parte sul ner- vo vago , in parte sul tri splancnico , ed una congestione sanguigna costituiscono la febbre. La congestione sangui- gna determinala reazione febbrile. Questa è periodica, perchè la congestione , da cui è prodotta , si dissipa , e si riproduce per accesso piìi o meno regolare o vicino. Se la irritazione ha luogo sxù nervi degli organi digeren- ti , o su quella del polmone , o del cuore , o del cervel- lo , nasce la febbre intermittente semplice o perniciosa. L'intermittenza è più o meno compiuta secondo che la congestione locale totalmente sparisce, ed è più o meno escute da ogni complicazione simpatica. Nella cura inse- Febbri periodichb aS Scasalo , amico , le mie nojose e sovercliiamcn- Ic repetiile digressioni , per la cui lettura vi ho gua combattere le iiifiamnlazioni parziali , se esistono : per indi passare ai febhrifugi. Crede che alle flemmasie lo- cali, le quali spesso complicano le periodiche , si debba in certi casi attribuire la prolungazione di queste, l'inei- ficacia dei febbrifughi , la lentezza ed imperfezione della convalescenza , e la morte stessa , laddove nelle pernicio- se non avviene rapida e pronta. Io non vi dirò gran cosa di questa nuova dottrina , i cui principi sono in parte Insussistenti al pari di quel- li emessi da Bailly. La flemmasia, che in senso di Jour- dan formava un tempo la cagione od essenza della feb- bre accessionale, si è cangiala in oggi in una irritazione nervosa , ed in una congestione sanguigna. Ma se l'una e l'altra si esacerba, a di lui giudizio , sotto del metodo an- tiflogistico , quale mai sarà la natura e l'indole della po- tenza irritante , e della congestione ? Io avrei pure da lour- dan desiderata una migliore spiegazione sullo sviluppo del- la periodica semplice, e della perniciosa: del modo, con cui sparisce temporariamente la cagione locale : delle com- plicazioni simpatiche , della reazione febbrile ; ma deggio candidamente confessai-e di non giungere a tanto, per cui temerci quasi di applicare all' illustre autore il comune sentimento „ Intendami chi può , che m'intend'io. Per quanto una certa affezione degli organi splancnici man- tenga la continuazione della febbre periodica, avviene an- cora che le flemmasie locali sono talvolta apparenti , e spa- riscono in im colla febbre sotto l'azione della corteccia ; come non mancano osservazioni , che iuefiicaci diventano aC Scienze indotto a consumare del tempo , clie poteva a mi- gliore uso essere impiegato , in quantochè „ Il perder tempo a chi più l'ha più spiace. Termino quindi abbracciandovi con animo amico , e richiamando le tenere espressioni del grande roma- no oratore a Trehazio, le quali sono pure quelle del mio cuore: Te valde amamus, nosque a te amari tum etiani con/ìdintus. Da Parma il primo di giugno 1826. Il V. AFF, Speranza. i febbrifugl , lenta , imperfetta la convalescenza in indivi- dui , nei quali nemmeno l'ombra sussiste di locale infiam- mazione. Da ciò voi bene vedete , amico, come anche Jout- dan^ tentando di spargere nuova luce sulle febbri perio- diche , non sa che renderne più oscura la dottrina. Il ve- ro metodo di filosofare non deve ammettere asserzioni va' glie ed azzardate. Quindi è forza , confessare , anzi an- nuire a quanto dice uno dei grandi luminari clie onora il suolo francese , il celebre Alihert , allorché si espri- me. „ Le spectacle des erreurs commises par quelques „ hommes, d'ailleurs tres-reccomandables , est un légon „ coutinuelle pour les ecrivains de notre art qui leur im- „ pose la plus scrupuleuse réserve. „ Ma come pochi odo- no la sua voce ! come pochi la seguono ! 27 lìapidi cenni sulV incaglio del commercio delle nostre granaglie , e su i mezzi onde riparare i danni che ce ne vengono. (*) Ubi res spectatur verba non penduntur. Cic. Oiat. GAP. I.° Quali siano le cause delV incaglio del commercio delle nostre granaglie. JLi incaglio del commercio delle nostre granaglie è una necessaria conseguenza di quella diminuzione di dimande , e dell' aumento di oiFerte cagionato in tutti i mercati di Europa, (i) Giacche come il fu- cile smercio di un prodotto, generalmente parlando, sta in ragion composta della diretta de' bisogni os- sia del numero de' compratori , e della inversa del- le offerte ossia del numero de* venditori , e l'inca- glio viceversa: così aumentate essendosi straordina- (*) Questa memoria fu composta nel marzo 1820, e fu scritta unicamente per esser letta ad alcuni amici dell' autore. Il ti'OTarsi ora inserita in questo giornale è do- vuto pure a questi , non avendo avuto l'autore in animo dì stamparla ; onde non dovrà far maraviglia se accade- rà d'incontrarvi qualche inesattczta. Z' autore. 38 Scienze riamente su tutti i mercati di Europa le offerte de* giani, e diminuite le diraande, n'è venuto in conse- guenza l'attuale incaglio di commercio. §. I.® Diminuzione di dimande. Sonosi diminuite le dimando , perchè quelle na- zioni , che mancavano di questo prodotto , parte per ristorarsi delle perdite sofferte, parte per accrescere la loro nazionale ricchezza, sonosi sì intensamente ap- plicate air aumento e miglioramento dell' agricoltu- ra , che in oggi non solo si trovano in grado di non avere più a ricorrere all' estero per siffatto ge- nere di produzioni , ma potrebbero ancora vender- ne. La Francia per esempio, la Spagna, il Portogallo, e gli stati del re di Torino , un tempo soliti a ricor- rere air estero per siffatto genere di produzioni , e al nostro stato specialmente, portata hanno la loro agricoltura a si alto grado di prosperità , che quei governi sono stati costretti di proibir l'estera im- portazione. (2) Intanto poi si adduce 1' esempio della Fran- cia , Spagna , Portogallo , e degli stati del re di Torino , inquanto che questi popoli solevano farne le più grosse diraande ; e perchè ancora i bisogni di qualche piccolo stato in un calcolo di tanta en- tità non meritano alcuna considerazione. Tanto più poi , che se esistessero ancora de' piccoli stati biso- gnosi di tal genere di produzioni , questi non si provvederebbero da noi (3). Poiché, come vedremo in appresso, è tanta in oggi su i mercati di Eu- ropa la quantità vendibile di questo genere di pro- duzioni , che noi , per le ragioni che verremo ad esporre, non potremmo in alcun modo sostenere la concorrenza» GOMMBKCIO Dk' GRANI 2() §. 2." aumento dì offerte. Mentre che alcuni popoli per migliorare la lor sorte lian fatti tutti gli sforzi immaginabili per non dipendere più dall' esteio per siffatto genere di pro- duzioni , e vi sono felicemente riusciti : altri per alcuni politici avvenimenti si sono veduti sorgere a farne un estesissimo mercato. Cedutasi diffatti dalla Turchia alla Russia pel trattato di pace del 1784 la piccola Tartaria colla Crimea , ed altri paesi verso l'Asia sino al fiume Huban , e per quello di Sasses (1793) il paese di Oczakow , e parte della Bessarabia sino al fiume Hiester ; ed accordatasi altresì per parte della Tur- chia , prima alla Russia , quindi quasi a tutte le altre nazioni di Europa, la libera navigazione del Mar- nero col passaggio del Bosforo ; n'è in conse- guenza venuto , che questi nuovi sudditi russi ab'- biano in tal modo potuto render venale quell'im- menso superfluo di granaglie , che la natura offre loro quasi spontaneamente , inondandone tutti i mercati di Europa, non esclusa nemmeno l'agricola nostra Italia (4), GAP. II. Se V enunciate cause delV incaglio attuale del ccm- m^rcio delle nostre 'granaglie siano o no per esser durevoli. Moralmente parlando essendovi tutta l'apparen- za che le dimando di questo genere di produzioni di- minuiscano sempre più , e che crescano le offerte, pare che per necessaria conseguenza si possa infe- 3o S e I E N Z I rire , che l'ennnciate cause deir incaglio attuale dei commercio delle nostre granaglie siano per essere permanenti. §. 1.° V'è tutta la morale probabilità , che le dimande diminuiscano sempre più, i.° Perchè in generale l'agricoltura va sempre più migliorandosi ed estendendosi. Aumentandosi tutto d\ ed estendendosi le co- gnizioni agrarie , e quelle delle scienze affini , v'è argomento a credere , che l'agricoltura vada anch' essa progressivamente migliorandosi ed estendendosi. 2.*' Perchè tutti i governi hanno in oggi adot- tata la massima di prendere dall' estero meno che sia possibile. Avendo in oggi tutti i governi adottata la mas- sima di non voler dipendere dall' estero in veruna cosa , ne viene in conseguenza , che quegli stati , i quali non sono ancora sufficienti a loro stessi per siffatto genere di produzioni, faranno tutti gli sfor- zi per arrivarvi. E siccome questo genere di pro- duzioni prospera dappertutto , ed è tale altresì, che niun sensato governo amar dee di dipendere dall' estero , quindi gli riuscirà tanto più facilmente : ed ecco come sempre più le dimande andranno a sce-> marsi. §. II.** V'è tutta la morale probabilità , che le offerte crescano, 2." Perchè gì* indicati nuovi dominj russi sono ancora suscettibili di maggior coltura e produzione. Mentre i geografi unanimamente rapportano che l'agricoltura negli indicati nuovi dominj russi è mol- to addietro , e che l'abbondanza delle produzioni agrarie non devesi che alla fertilità del terreno (5) : gli economisti dicono che il miglioramento e l'au- mento dell' agricoltura sta sempre in ragion com- Commercio de' grani 3i posta dei lumi e cognizioni agrarie, non che dei ca- pitali che vi s'impiegano. Ora a misura che i popoli degl' indicati nuovi dominj russi vanno proiittando del commercio delle loro granaglie , profittano di capitali , e , come è naturale, profitteranno altresì delle , cognizioni agra- rie. Dunque a misura che tali popbì* profittano del commercio delle loro granaglie , cbti pari propor- zione è a persuadersi , che aumentino e migliorino la loro agricoltura , e conseguentemente , che deb- bano offrire su i mercati di Europa una maggior quantità di prodotti agricoli. (6) 2.° Perchè i popoli degl' indicati nuovi dominj russi per ora non possono essere che agricoli. Lo stato semibarbaro, dal quale il governo rus- so non e pervenuto ancora a trarre popoli degl' in- dicati suoi nuovi dominj , è certamente il più con- facente all' industria agricola. Ora come la medesima , conformemente si e veduto di sopra, è suscettibile ancora di grande au- mento e miglioramento , così è a persuadersi che i prodotti agricoli di questi popoli abbondino sem- pre pili su i mercati di Europa. GAP- II1.° Quali siano per essere gli effetti delV attuale incaglio del commercio de [le nostre granaglie» Gli effetti dell' attuale incaglio del commercio delle nostre granaglie per noi sono i seguenti: i."* Estrema passività coli' estero. Fiuquì la nostra passività coli' estero è stata certamente grande , ma pure non lieve profitto ci recavano le granaglie , che noi vendevamo all' este- 32 Scienze ro. Oggi però , die aLbianio pcr<^Uilu ia speranza di poterle vendere , per necessaria conseguenza la no- slra passività coli' estero divenir deve eccessiva. 3.** Impossihililk di pagare le imposte. Ammesso , che l'imposte si debbano pagare in denaro : che nel nostro stato non vi siano miniere: che i sudditi dftl'o stato per ora non abbiano altri piodotti a cambi-iW! contro moneta, fuori che le granaglie , e che queste per le ragioni addotte non siano più cambiabili ; ne verrà in conseguenza, che le imposte in denaro un giorno non potranno più pagarsi. Come ha a pagare diffatti le imposte in de- naro il suddito pontifìcio , che non ha altri pro- dotti a cambiare contro moneta , che le granaglie, e (jueste non sono più in grado di essere cambiabili? C A P. IV, Se per riparare i danni che derivano dalV attua- le incaglio del commercio delle nostre granaglie possa esser giovevole , che il governo accordi un premio sulV esportazione delle medesime. Prescindendo dal vedere se i premj accordati air esportazione di qualche prodotto siano o no utili alla nazione produttrice , nel caso nostro sem- bra di potere fondatamente affermare , che no. Av- vegnaché nel caso nostro è presso che impossibile di sostenere la concorrenza dell' estero. Altronde in- tanto possono esser utili per la nazione produttrice i premj sull' esportazione , in quantochc questi pon- gono in istato i produttori di poter sostenere Y este- ra concorrenza. Ma qual premio può mai accordarsi all' esportazione de' nostri grani alfin che possano so- stenere su i mercati di Europa la concorrenza , dap- Commercio de' grani '33 poiché i grani del Mar-nero, ossia degl'indicati nuo- vi dominj russi, saranno sempre capaci di ulteriori ribassi ? Niuno certamente : ammenoché non se ne volesse accordar uno, che equivalesse al prezzo stes- so del grano , onde questo andasse ai mercati di Eu- ropa colla sola spesa del porto , più qualche pic- colo utile per l'intraprendente : locchè volendo non potrebbesi neppure da noi fare , mancandone i mezzi. Qualunque altro premio al disotto del succen- nato non potrebbe mai metterci in istato da soste- nere l'estera concorrenza : giacche per poco che si avverta agli elementi , che compongono il valore na- turale od intrinseco delle granaglie del Mar-nero, si troverà , che questi costano tanto meno dei nostri. Difiatti essendo composto il valore del grano delP interesse del fondo capitale ; ossia del frutto del ca- pitale costituente il valor del fondo, più i tributi rispettivi che lo gravitano : più le spese anticipate per la cultura : più un piccolo profitto pel produt- tore; se ne cava in conseguenza, che quanto meno costosi sono pel produttore gli elementi, che com- pongono il valore del gr-'uo , tanto meno esso co- sta al produttore: quindi che per tanto meno anco- ra possa vendersi. Ma il fruttato del fondo capitale dei suddetti nuo- vi dominj russi appetto a noi è tenuissimo (7): i tri- buti , che lo gravitano sono presso che nulli (8): le spese di coltura pochissime (9): il profitto del produt- tore discreto (io): dunque il costo del grano deve essere assai minore : quindi le vendite devono poter- si fare a minor prezzo degli altri. G.A.T.XXXII. 34 Scienze C A P. V. Quali siano i veri mezzi onde poter riparare ai danni , che ci apporta l'incaglio del commercio delle nostre granaglie. I principali mezzi oiule riparare ai danni , che ci reca la perdita del commercio d(;lle nostre gra- naglie , potrebbero essere i seguenti. i.** Persuadere ai sudditi pontiflcj , che noi per le addotte ragioni non siamo più in grado di ven- dere air estero le nostre granaglie. II più delle volte il popolo non è che un fan- ciullo , il quale non arriva quasi mai a conoscere i suoi veri interessi , o vi giunge dopo un lungo las- so di tempo , dopo una folla di errori , e dopo una funesta esperienza acquistata intieramente a suo ca- rico. Quindi il bisogno di direzione e d'istruzione , e l'intervento dell' azione governativa in quasi tut- te le sue operazioni . Giacche se i governi stessero spettatori indifferenti delle azioni de'loro sudditi, non vi sarebbe nò pubblica tranquilita^ nò ricchezza na- zionale. Tutti i sudditi del governo pontificio vedono col fatto l'incaglio del commercio delle nostre gra- naglie , ma non tutti ne conoscono egualmente le cagioni. Il perchè molti si persuadono , che tale avve- nimento possa essere transitorio, e come tale non so- lo si ostinano a non volerne minorare la produzio- ne , ma arrivano altresì a pretendere, che sia d^^lT interesse del governo di ajutare in questa disgrazia- la circostanza i produttori. Co.'MMERCIO de' GRANI 35 Quanto affatto prive di fondamento tìcLLano ri- putarsi tali speranze , sembra essersi di sopra sufii- cientemente dimostrato. Siccome però non a tutti e ugualmente noto , qoindi è dell' interesse del governo , die venga a. tutti fatto egualmente palese , affinchè quei capita- li, che si vorrebbero senza frutto seguitare a spen- dere colla medesima proporzione di prima nella pro- duzione delle granaglie , possano essere più utilmen- te impiegati in qualche altro ramo d'industria, che oggi più ci convenga (ii). 2.° Indicare quei rami d'industria , che lo sta- to politico delle cose , e la nostra attuai situazione ci permettono di potere attivare. Il miglior metodo , che possa tenere il governo in questa circostanza, sembra esser quello di pub- blicare 1° La tabella di tutte le passività che noi ab- biamo coll'estero, aggiungendo alla medesima una co- lonna di osservazioni nella quale si venissero accen- nando i mezzi co' quali noi potremmo ottenere il dicontro prodotto passivo (12). 2." La tabella di tutte quelle produzioni di cui abbisognano gli altri stati , e che noi potremmo co- modamente produrre. (i3) 3.° Animare e proteggere quei rami d'industria che verranno indicati come i più utili per lo slato. Affinchè quei raduni d'industria indicati come i più utili per lo stato , sia perchè vengono a li- berarci dalla passività dell' estero , ?ia perchè ab- biano l'attitudine di esser cambiali all' estero con- tro moneta , possano essere intrapresi ed attivati ^ bisogna assicurarli della protezione del governo me- diante una ben' intesa tariffa daziaria , e delle sov- venzioni gratuite date saggiamente agli inlraprcu- 3^ 3G Scienze denti . Si è detto mediante una ben' intesa tariffa daziaria , e mediante alcune .sovven,doni accorda- te saggiamente agli intraprentlitori , affine di ec- citare l'attenzione del governo su (jueste due im- portantissime operazioni, le quali somigliano appun- to a quei rimedj , che nulla operano se stanno al di- sotto della dose indicata , ed operano nel caso in- verso se sono maggiori della medesima. Con questo metodo noi potremmo liberarci da molte passività, e sostituire alla perdita del com- mercio delle nostre granaglie , quello di altri pro- dotti. Queste poche idee sarebbero certamente suscet- tibili di maggiore sviluppo , e di una dimostrazio- ne pressoché matematica ; ma ciò pii!i propriamente converrebbe quando ne venisse impugnata la real- ta, o quando taluno amasse di essere ammaestra- to in questa scienza. NOTE (i) In appoggio di ciò riportiamo i seguenti documenti. =» Londra 16 fehh. 1822. = 11 marche- se di Londonderry fa leggere il passo del discorso del re , in cui si parla dell' incaglio dell' agricoltu- ra , e comincia quindi in questi termini : = Io non sono mai stato piiì profondamente penetrato dall* importanza e dalla gravita d' una questione parla- mentaria , quanto oggi alzandomi per discutere quel- la che forma l'oggetto delle vostre deliberazioni. Ge- loso di non farvi perder tempo , passerò subito ai fatti : vi prego di credere che non azzarderò nul- la , la cui esattezza non sia per me dimostrata . Convengo coi membri dell' opposizione della realtà degl' incagli in cui si trovano i nostri agvicoltori \ Commercio de' guani 3*7 cioè convengo die le spese d'un coltivatore sorpas- sino (li gran lunga i prodotti. Ma nella vasta sfe- ra de' diversi mezzi di rimediare a questo male, l'op- posizione e il governo tengono delle strade mollo divergenti. La sola causa reale dell'incaglio è la spro- porzione tra la quantità di grano ch'è prodotta, e la quantità di grano clie si può vendere ; e da questa proviene il ribasso del prezzo ; ma è questo un in- conveniente comune a tutta l'Europa; dappertutto l'andamento ordinario de' grani è disordinato. ( Gaz- zetta di Genova del 2 marzo detto anno ) =^ Lon- dra 3o aprile 1822. = Il marchese di Londonderry Ilo proposto jeri le misure , che d'accordo col co- mitato dell' agricoltura , crede necessarie per solle- varla dallo stato di deperimento e di angustia in cui si trova. Il nobile lord ha parlato molte ore per isviluppare i suoi progetti. Quanto ai mezzi di so- stenere l'agricoltura il ministro dichiara , che una misura legislativa non è valevole ad ottenere l'in- tento , e che bisogna cercarli in una serie di misu- re finanziere, eh' egli sviluppa diffusamente. Le prin- cipali sono, 1° di fare delle anticipazioni ai pro- prietà) j e fittajuoli , sui grani che metteranno in deposito , affinchè non siano obbligati a venderli a vilissimo prezzo : 2° di fare una diminuzione sulle tasse dell' agricoltura, di circa 4 milioni sterlini : 3.^ di non permettere ai grani esteri, dei quali attual- mente si trova una quantità di circa 900 , 000 misure ne' magazzini , di esser venduti sui mercati , finché i porti siano aperti al maximum di 70 scel- lini la misura. ( Gazzetta di Genova del i5 mag- gio d." anno.) - Aidone (Sicilia) 4 giugno = Soprab- bondano i generi , e scarseggiandosi d'altronde di numerario , incominciò in questi dintorni a prcva- Jò S f I E N Z K Icre l'uso di affittare i fondi con corrisposto in tler- rate. ( Diario romano del i8 giugno iS^S. ) (2) Parigi 2& giugno 1819. Neil' adunanza della camera de' deputati del 24 il sig. Lainè fece un rapporto sul progetto di legge tendente ad ap- provare l diritti per l'introduzione de'grani esteii, «se= Se è la prima volta , disse egli , clie la legge si mostra in Francia meno favorevole all' importazione de' grani , gli è perchè alcune fertilissime contrade estere somministrano i grani ad un prezzo si bas- so , che i nostri coltivatori non potendo sostenere la concorrenza , è ornai indispensabile il premunirsi contro gli effetti di una smodata importazione. Dai porti del Mar-nero si vede passare nel Mediterraneo e anche nel Oceano numerosi carichi di grano , che sì accumulano colle provviste che mandano le coste d'Africa , e l'America settentrionale. La fertilità del- le terre , la facilita de' trasporti per mare permet- tono agli speculatori di far venire da questi diver- si paesi immense quantità, di grani , che rinvengono ad un prezzo assai minore di quelli prodotti ne' nostri territor\, anche quando le annate sono favo- revoli. = Portogallo . . . giugno 18 19. Con regio editto in data dell' 1 1 maggio è stato aumentato a Lisbo- na, sino a nuova provvidenza, il dazio per la ven- dita de' grani e granturchi esteri , la cui straordi- naria ed illimitata importazione in quel regno era giunta ad imbarazzar b vendita de'grani nazionali con prossima ravina dell'agricoltura di quelle terre. D'ora innanzi pertanto invece di venti reis , che finora si pagavano per ciascuna miJ^ura detta alqueire,ne pa- gheranno i grani ottanta , e cento i granturchi ; e l'aumento di questo dazio resta applicato a benefìzio della coltivazione delle terre , dovendosi impiegare Coivi!vrRiicio de' grani 39 nelle strade e nei ponti che facilitano i Irasporli de'grani nazionali -( La Qnotidienne) Spagna. Circolare del ministro delle finanze. All' oggetto di applicare un pronto rimedio ai mali cagio- nati dair introduzione de'graiii esteri , il re ha deci- so elle durante l'esame e fino all'approvazione delle disposizioni generali sul commercio delle granaglie , si osservino le seguenti disposizioni : L' introduzione de'grani , farine , e legumi dell' estero resta proibita nella penisola. Madrid i7feh. 1824. (Gazzetta di Genova Num. 21) Torino 6 luglio 1824. Nel determinare coli' editto nostro del 8 decem- Lre p. p. che le contribuzioni dirette del corrente anno rimarrebbero ferme suìl' istesso piede fissa- to per il 1823, noi nutrivamo lusinga, che lo smer- cio delle cereali , e de'raccolti a prezzo ragionevole le avrebbe rese di niun aggravio a'contribuenti. Ma vedendo in oggi deluse le nostre speianze pel costan- te invilimreiilo del prezzo de'grani, abbiamo risoluto di arrecare un qualche sollievo alle strettezze in cui giacciono i possessori di terre con accordar loro una diminuzione, che metta il tributo in più giusta pro- porzione col valore della materia tassabile , malgrado che per tal modo gl'introiti delle nostre finanze ven- gano ad essere scemati di somma rilevantissima. Quin- di ec. ( Gazzetta di Genova Nuin. 55 ) (3) Tanto è vera questa proposizione, che nel Portogallo, mesi addietro essendosi permesso l'intro- duzione de'grani esteri , la quantità, importata è sta- ta maggiore del bisogno; eppure noi in questa cir- costanza non ne abbiamo risentito alcun beneficio. Eccone il documento. Lisbona i5 gennajo iSaS. -L'ul- tima introduzione del grano straniero, accordata da un regolamento , ba prodotto un cos'i grande coucor- 4o " ' Scienze so di arrivi noi porlo , che la quantità introdotta eccede notabilmente il bisogno. - Gazzetta di Genova Niim. 13. (4) Non è questo peraltro il solo avvenimento che abbia influito suU' incaglio del commercio delle nostre granaglie. In tanti anni di continue guerre , nei quali le consumazioni ed i prezzi dei cereali hanno aumen- tato sommamente , ogni popolo ha fatto degli sforzi per migliorare ed accrescere la produzione. Le irre- golari stagioni e l'aumentata popolazione , anche es- so contribuiscono al medesimo effetto. Altre genti da noi lontane non si stettero inoperose; e immensa quan- tità di granaglie eccedenti i loro bisogni si travaro- no possedere con troppo maggior vantaggio di noi. L'America settentrionale ha spedito in Europa un peso enorme di farine. L'Egitto , le coste d'Afri- ca, la Morea, e molti luoghi dell' Arcipelago, han- no anch'essi inviato cereali nell'Adriatico e nel Me- diterraneo. Cessata la guerra, e fatto più. regolare il corso delle stagioni , tutti quei popoli venditori ab- bondantissimi di cereali e scarsi d'oro e d'argento , cercar debbono di procacciarsi questi metalli prezio- si colle granaglie. Sembra quindi ben diflcile , che i popoli collocati sull'Adriatico e sopra alcune par- ti del Mediterraneo possano ottenere i vantaggi fino- ra goduti , poiché dilTicilissimo si fa ognora più il sostenere la concorrenza colle granaglie dei paesi lon- tani. Le grida di quei popoli si fanno anche esse ben da lungi sentire! ( Nota del oonte Dandolo nella sua opera sulle cause dell' avvilimento delle nostre gra- naglie). (5) Buschi ng, parlando della fertilità degl'indica- ti nuovi dominj russi in un tempo in cui erano sog- getti alla Turchia, cosi si esprime: -L'agricoltura vi si Commercio dk' grani 4' potrehbe essercitare con raasjsiore industria e van- 1 DO taggio , ma i cosacchi portano per iscasa di non ave- re occasione di vendere l'abbondanza delle biade: ond' è die spesse volte le lasciano imputridire nella campagna. - Pinkerton, parlando aneli 'egli di questi luoghi , si spiega in questi termini.- L'agricoltura è molto ne- gletta, e pure la messe vi è ubertosa. - (6) È da notarsi che quanto più oro riportano i russi dall'Adriatico e dal Mediterraneo, tanto più progrediscono con esso ad estendere ed animare la loro industria rurale , onde sempre più far languire la nostra. ( Dandolo nella precitata opera sulle cau- se dell'avvilimento delle nostre granaglie. ) (7) In questi luoghi, attesa la grande sproporzio- ne , che regna tra la popolazione e la vastità di territorio , le terre costano pochissimo. I fondi in Crimea ( dice Dandolo nella s uà opera sulle cause dell'avvilimento delle nostre granaglie) non costano presso che nulla. Se ne possono ottenere per colti- varli , e si ricevono anche anticipazioni per intra- prendere la coltivazione. Costando altronde pochissimo le terre, vuol di- re che cola un capitale di 100 impiegato in terre, ne rappresenta per lo meno 200 de'nostri parimente impiegati in terre: mail fruttato dei 100, per quan- to sia mai alto l'interesse del denaro , dovrebbe esse- re certamente minore di quello dei 200. Dunque l'in- teresse del fondo capitale , ossia il fruttato del capi- tale costituente il valor del fondo posto negli indi- cati nuovi dominj russi , è appetto a noi tenuissimo. (8) Ivi ( cioè negl' indicati nuovi dominj rus- si ) i tributi prediali non si conoscono quasi per nul- la : ivi la scienza fiscale per trar denaro dai pos- 4^ Scienze sidenti e dai coloni , vi h ignota. ( Dandolo nella precitata opera sulle cause dell' avvilimento. ) (9) Le spese di coltivazione , gcneralraente par- lando, possono ridursi a queste due classi: lavori d'uomini , e lavori di bestie. Ora tanto gli uni , quanto gli altri negli indicati nuovi dominj russi co- stano assai meno , che presso noi : dunque le spe- se di coltivazione presso gli indicati nuovi domi- nj russ'i costano molto meno , che presso noi. i." Sono meno costosi negli indicati nuovi do- minj russi i lavori d'uomini, perchè quei popoli sono ancora distanti da quell'epoca, in cui dovran- no soddisfare i molti e dispendiosi bisogni d' un avanzato incivilimento. Son questi popoli (dice Dan- dolo nella più volte mentovata sua opera suU' av- vilimento ) , come a tutti è noto , robusti , frugali , di pochissimi bisogni, perchè non ancora inciviliti, os- sia perchè mezzo barbari. Per la cognizione che io ne ho , spende più in un anno una famiglia di dieci persone coloniche tra noi , sia pure astinen- tissima , di quello che forse non ispenda una fa- miglia di 4^ nelli Tarlarla e nel!' Ukrania. Avvegnaché però non per altra ragione le mer- cedi degli operai delle grandi cittk sono più alte di quelle degli operai dei borghi , se non perchè i primi hanno maggiori bisogni a soddisfare dei se- condi : cosi per la stessa ragione le mercedi , Os- sian© i lavori dei popoli inciviliti , come quegli che devono soddisfare a maggiori bisogni , sono più costosi di quelli dei popoli mezzo barbari , come quelli che devono soddisfare a minori bisogni. 2.° Costano assai meno che presso noi i lavori delle bestie inservienti all'agricoltura degl' indica- li nuovi dominj russi , perchè il bestiame presso quei popoli costa molto meno che presso noi , Co>l>IEKCrO D7.' GRANI 4^ avvcgnaccliò !a pastorizia presso i medesimi e este- sissima , e di niuno o poco costo sono i foraggi. • (io) Per le stesse ragioni per cui si è vedu- to esser molto a buon mercato negl' indicati nuo- vi dominj russi le spese di coltivazione in ordi- ne ai lavori d'uomini , per le medesime deve con- cludersi dover esser discreto presso quei popoli il profitto del produttore ; poiché il medesimo non è altro elle il prezzo dell' industria personale. (li) Il card. Nuzzi, osservator giudizioso, mo- strò anch'egli sul principio dello scorso secolo , pel suddetto motivo di scarsa o nulla esportazione dei no- stri grani , la necessita di doversi rivolgere ad al- tra industria: ma disgraziatamente poca attenzione ci si fece. Ecco le sue parole - Il rimedio delle tratte, di- ce egli , certamente anche esso non può essere se non giovevole a ristabilire la coltivazione della no- stra campagna; ma non sarà però tale , quale si ri- cercherebbe al nostro bisogno; mentre nella parte del Lazio che confina col mare, non è sperabile che si possa avere quell' esito de' frumenti , che la gen- te non appieno informata troppo facilmente si per- suade ; imperciocché dei nostri frumenti mai ai no- stri giorni non sono stati mandati fuori d'Italia, sal- vo qualora la Francia ne ha avuto penuria , e si è trovata in guerra viva con tutte le altre nazioni , siccome fu nell' anno 1694- Che se vogliamo fare le nostre riflessioni sopra l'Italia , il bisogno dei grani in essa ordinariamente si riduce alle sole citta e riviere della Liguria , ove però ne concorre ancora dalle maremme della Toscana , dalla Sicilia , dalla Puglia , e dal resto del regno di Napoli , come pu- re bene spesso dalla Francia e dalla Barberia ; sic- ché la speranza che i genovesi vengano a ricerca- re i nostri frumenti è assai mal sicura ed incerta. 4Ì S e 1 3 N Z E E perciò abbiamo veduto , che in tempo di pace gli alfittuarj dello stato di Castro , non ostante la li- bertà degl' imbarchi da essi quasi soli goduta , par* ticolarmente nel pontificato della san. mem. di In- nocenzo XI, si erano ridotti in ^ravi angustie , es- sendo loro convenuto per mancanza di richieste te- nere per tempo considerabile i grani non venduti , oppure di venderli a prezzo assai vile di scudi cin- que o sei al rubbio , ed anche meno alle volte. Ma perchè alcuno potrebbe opporre la qualità de' nostri grani superiore in perfezione a tutti gli altri , si avverte, che sebbene per questa ragione se ne spac- cerà qualche porzione per uso della citta di Geno- va ( il che però per alcuni anni non è seguito ), ad ogni modo le riviere , dove si avrebbe a fare lo spaccio maggiore , come ripiene di gente poverissi- ma , applicheranno sempre a provvedersi di quelli di minor prezzo , quantunque di qualità inferiore ai nostri, specialmente se riuscirà loro di averli per cambio di altre merci, conforme altrove spesso si pra- tica. Il che però non può farsi dai nostri agricoltori , i quali per soddifare alle gravi e continue spese dei lavori della campagna non si trovano in istato di commutare i loro grani con altra cosa , che col de- naro effettivo. A questo si aggiunga , che tra' gra- ni nostrali e forestieri sarà sempre una differen- za molto notabile intorno al prezzo, per cagione del- la spesa che si ricerca assai maggiore nella colti- vazione della campagna di Roma ; come diversa dall' altre per esser vuota di abitanti e coloni , i qua- li perciò calando dalla provincia dell' Abruzzo , dell' Umbria, della Marca, richieggono per conseguenza le mercedi ^m rigorose di quello , che farebbero quan- do fossero nativi e paesani. - ( Discorso sul ristabi- limento della coltivazione della campagna romana. ) COMMKRCIO DS' GUANI 4'^ (12) Per eseguire completamente questa opera- zione bisognerebbe prima conoscere , per mezzo dei libri doganali , di quali oggetti noi andiamo passivi coir estero ; quindi conv^ocare una specie di consi- glio composto di tutti i capi d'arte e mestieri , di agronomi , fisici , e chimici onde sapere se noi sia- mo in istato di poter produrre quegli stessi ogget- ti di cui andiamo passivi , o di sostituirne degli altri. (i3) Per la confezione dì questa tabella sarebbe necessario , che il governo avesse la nota di tutte le passività di quei popoli , che fanno commercio con noi , particolarmente poi di quelli , che fanno con noi il maggior commercio , o che ci sono piìi limitrofi. : conoscesse verso quali nazioni ogni rispet- tivo popolo abbia le sue passività ; e insieme quan- to costi l'oggetto di cui essi vanno passivi , avuto anche riguardo alle spese di porto. Alessandro avv. Farricelli. Dei parti naturali anticipati , delV attitudine a vivere de' prematuri nascenti , e degli loro dirit- ti civili. Dissertazione medico-legale del cav. Do- menico Meli, p. p. di ostetricia nella scuola di Ravenna , membro della società lì. di medicina di Bordeaux, ce. - Per/tf^ia , i8aG. Un voi. in 8 di pag. 133, prezzo paoli otto, ESTRATTO /l-Ua gravita ed all'interesse sommo di questo ar- gomento corrisponde la usata dignità ed il pregio gran- 4(> Scienze de con cui il profondo ed eruditissimo scrittore lo ha da suo pari maneggiato. Daremo qui un breve cèn- no di tal esimio lavoro , onde farlo conoscere ( sicco- me già avevamo promesso favellarne fin dal fascico- lo di ottobre dello scaduto anno ) a'medici non so- lo, ma a quanti il diritto posseggono dell' applicazio- ne delle leggi sovrane a sicurezza e vantaggio della umana società. Non intendiamo per altro riferire con somma estensione gli argomenti dall' A. allegati in so- stegno dell' assunto , poiché giudichiamo di necessita precisa , ed anche di debito d'onesta nell'impiego, l'av- vertire, che debba originalmente possedersi la disser- tazione enunciata del cav. Meli dai giusdicenti tutti di ogni grado , e molto più dai medici , incaricati specialmente di emettere il loro giudizio nel foro in- torno gli affari gravissimi della medicina legale. Fondato coli' incivilimento delle nazioni il di- ritto alla legittimità ed alla successione , sursero infinite quistioni per determinare a quali circostanze di nascita si appartenessero gli obblighi della pater- nità , e quali escludessero i diritti di filiazione al pos- sesso del nome e delle proprietà dei genitori. Si re- sero cosi i parti anticipati un subietto d'interminabili contenzioni , e la virtù delle madri fu talvolta gra- vata da oltraggiosi sospetti. E quantunque abbia sa- puto in alcuni incontri la medica giurisprudenza ap- palesare irragionevole la diffidenza di uno sposo di- venuto padre di una creatura fornita di tutt' i «egni di vitabilità assai prima dell' ordinario termine della pregnezza, pur in altri la innocenza oscurata da tur- pi macchinazioni non potè conseguire dal giudizio dei medico forense , preoccupato da ammesse ma non ret- te fisiologiche opinioni, il suo trionfo. „ Per quanto „ sia stato detto e scritto nel lungo volger de' secoli su „ questa vastissima materia, non fu mai scritto e det- Parti natlrali anticipati à'] „ to abbastanza a fine di assicurare inviolabilmente ,, i diritti di successione , e di guarentire da iranie- „ ritata onta, e dai tanti danni tutte le virtuose e „ fedeli spose ; come per lo contrario onde non si „ sottraggano alla meritata punizione quelle, che po- „ sta obbrobriosamente in non cale la santità de'nii- „ ziali giuramenti , osarono contaminare il talamo „ coniugale. Le decisioni dei tribunali intorno a que- „ sto suggetto , quantunque a senso delle vigenti f, leggi apparentemonte giuste , pur qualche volta „ pe'fallati giudizi e per le incertezze medico-lega- ,, li, dan contro alla ragione e alla giustizia. Ninno „ vi sarà, pens'io,che in buona fede possa darsi ad „ impugnare sì dura veiita ; e veruno perciò spero ,, che vorrà riguardare siccome vano ed infruttuoso „ questo mio lavoro su la vitabilità de'feti prematu- ,, ri, e sul diritto che loro può competere alla suc- „ cessione.,, Noi anzi non solo non infruttuoso, ma ferace di utilissime conseguenze il riteniamo, persua- si della veracità delle prove che corroborano l'assun- to del eh. A. In tre parti , siccome dal titolo istesso emerge , vien divisa la presente dissertazione ; nella prima di esse imprende il Meli a dimostrare la possibilità delle nascenze naturali anticipate. I precipui argo- menti , che in conferma di siffatta asserzione ne ad- duce , pienamente soddisfacenti troviamo. Ritiene a prima giunta, che costante ed invariabile non è già la natura nelle sue operazioni : poiché allrimcnli le si verrebbe a contendeie quclT imperio col quale do- mina sugli esseri che ciei, ed al cui serbamento vi- gile intende. Ne debbano quai bizzarrie e giuochi di natura considerarsi certe singolari variazioni di forme : essendo in vece le medesime altrettanti ef- ficacissimi mezzi da quella posti in opera per giù- 48 Scienze gnere a salutare scopo mercè di svariate modificazio- ni ,^con cui se talvolta non giunge natura a conse- guir questo intento , efficacemente però riesce sem- pre a minorare i danni che dai molti agenti di di- struzione quando più e quando meno ne vengon re- cati. Inerendo anzi sempre la natura a ben operare ed alla conservazione degli esseri da lei creati , non ha potuto aver intenzione di organizzare i mostri. Ten- ta essa invece nuove forme di specie, forse per dila- tare la sfera della vivente organizzazione 5 ma pria di ottenerne un felice successo , forza è che si ve- dano degl' imperfetti abbozzi , i quali però giova- no a schiuderle la via di riuscire nei suoi tenta- tivi. Siffatte idee sotto falso aspetto contemplate nel- la procreazione dell' uomo guitlarono i sapienti a ritenere per immutabile la natura dall' atto della concezione all'istante del parto : e così si volle er- roneamente immaginar disordine in tutto ciò che comunque declinasse dalle norme e dal tempo che la natura impiega in quest' ammiranda funzione per- petuatrice della umana specie ; mentre all' opposto tutto è diretto alla salute della generante e del ge- nerato. Vennero cosi decise per nascite controna- tura le anticipate o tardive , sebbene entro certi limiti abbiano a ritenersi non solo come parti na- tfcrnli , perocché provocati ed eseguiti dalle rego- lari potenze della natura, ma ben anco siccome op- portunissimi alla salvezza della genitrice e della pro- le. E qui troviamo assai giuite le riflessioni del sagace A. nella contemplazione dei nocevoli risul- tamenti , ch'emerger potrebbero a carico della ma- dre e del feto nei casi di rapido accrescimento di alcuni embrioni , ove questi giugner dovessero al consueto termine della gestazione. Un si provvido piogiedir di natura diviene egualmente chiaro , ove PaUTI WATUiiALI AÌNTICIPATJ 49 cangiato ordine di argomentazione riiieltasi alla po- sitiva utilità delle nascite tardive ; utilità che ri- chiesta viene dal lento sviluppo degli organi vita- li , che render potrebbe alcuni feti , benché giun- ti al nono mese, non atti a sostenere il transito dal- la vita vegetativa o fetale alla positiva o respi- rante ; utilità altresì sanzionata dalla scarsa vita- lità di quei feti , che non concederebbe loro di serbar la vita respirante per quel tempo che alla nostra specie fu concesso. Non mira già il N. A. ad impugnare , che il pili dei parti anticipati avvenir possano per morbo- se cagioni , lo che mal a partito si era sentenziato senza eccezione dal Zacchia ; intende in vece di so- stenere , che alcuni pur se ne diano operati giusta l'ordine e l'istituto della natura, nei quali il nato, anco sotto immature sembianze , è capace di soste- nere la sua esistenza sino all' estremo correre della umana vita. Fiancheggiar volendo con nuovi argo- menti l'asserto, ricorre primamente all'analogia, ram- mentando il sollecito spuntar dei fiori in certi anni e sotto alcuni climi , non che il maturarsi e cader dei frutti molto tempo prima della usata epoca del loro maturamente ; astrazion fatta però dal cader dei fiori e dei frutti non isviluppati ed immaturi pel vento per la nebbia e per le tante malattie degli alberi. Il qual avvenimento, da non confondersi cui primo , marca bene la distinzione dei parti natu- rali anticipati da quelli contro -natura prodotti per opera di esterne violenze e di morbose interne ca- gioni. Anche la più breve incubazione degli ovipari venir può in sussidio dell* anticipato termine della pregnezza nella specie umana; siccome acconciamen- te il dimostra il sig. Meli dietro le ricerche dell' ac' G.A.T.XXXIl. 4 5a S e I K N Z E curatissimo Tessier , convalidate da Darcet, e giusti- ficate con l'autorità irrefragabile di Geoflroy Saiut-Hi- laire. A ciò ne aggiugne i risultameli ti delle nume- rose ricarche fatte dall' istesso Tessier intorno alia durata della pregnezza di parecchi animali domesti- ci , come vacche , giumente , pecore , bufale , tro- je , coniglie ; ricerche , dalle ({uali si appalesò va- riabile la portata degli animali , ed insieme dei parti anticipati la naturalezza. E perchè dunque, ripeter giova con FA. , al solo germe dell'uomo si dovrà fissare un tempo invariabile pel compimento del suo sviluppo nel seno materno ? perchè nella sola specie umana si avranno a credere promossi mai sempre da contronaturali cagioni i parti an- ticipali ? Siegne da ultimo in conferma dell' assunto del prof, ravennate l'osservazione medica, dietro cui rasnmenta , che Gapuron dopo aver tenuto di- scorso del peso e della lunghezza dei feti , ammet- te potersi dare tante varietà di questo valutarsi , quanti sono gì' individui medesimi ; cosicché nella disamina di un certo numvero di feti a termine od in qualunque tempo della gestazione, egli è diffici- lissimo , per non dire impossibile , il rinvenire due di un grado uguale di forza , di vigoria , e di ben essere forniti. Rammenta essersi riferito da Murat , che neir ospizio della Maternità di Parigi tra le creature di nove mesi e ben conformate se ne tro- vano di quelle che pesano io libbre e mezzo , e di quelle al contrario che pesano solo due libbre e qualche oncia. Rammenta pur le tante varietà ri- scontrate da Baudelocque , da Voiglet , e quella riferita nell' anno II dell' Osservatore medico di Na- poli , di un feto morto dopo sei giorni di trava- glio , del peso di 17 libbre , con molti denti già Par ri NATURALI ANTICIPATI 5l Sbocciati , ed altri vicini a spuntare. Dalle quali cose discende , che la diversità di peso e di vo- lume suppone nei feti un più o meno rapido in- cremento , una formazione di organi più o manco celere e rigogliosa , in una parola una maggiore o minor soUecitezza nel giugnere a maturamenlo. Riboccano poi le storie dei parti , che incontrasta- bilmente dimostrano potersi da questi di accelerato incremento sollecitare anticipatamente l'azione di quelle arcane potenze , in forza delle quali viene espulso il feto dall' utero materno. Gel confermano le istorie registrate da Fodere , da La Motte , da Silvio , dal Wan-Sevieten , e da altri , ma special- mente dal penetrantissima LoLestein , di figli nati as- sai prima dell' usato tempo , prosperi e vissuti sino a vecchiezza. Ne giova il dire , che in tali feti di precoce sviluppo riscontrinsi un color rosso vivo nella cute , ed altri segni distintivi di maturezza z poiché , sebbene appartener potrebbero i medesimi a parti anticipati da contro-naturali cagioni , pur chi oserà sostenere che i segni opposti siano costan- temente distintivi della vera maturità, dei feti ? Che di vero non ci narran forse Roederer, Plouquet, laegero , Wrisberg , essere non rade volte venuti alla luce dei feti immaturi ora con folti capelli , ora con unghie lunghissime , ora co' testicoli di- scesi nello scroto? Ma ciocche più ammonta si è, che questi pretesi-segni di maturità non costituisco- ne la capacita nel feto di transire dalla vita ve- getativa o fetale alla positiva o respirante , e so- stenerne la successiva esistenza , ove imperfetta e fievole sia l'organizzazion» del sistema vivente. Sta sibbene in proporzione dello sviluppo , e della soda conformazione degli organi esecutori degli uOicj vi- tali , la possanza di eseguire energicamente le iun- 4* 52 Scienze 7Ìoai loro , e non mai nel color della pelle , nel- la maggiore o minor solidira delle ossa , nella esi- stenza o mancanza de'ca pelli , delle unghie , e di che so io. In che si conforta a buon diritto l'A. coli' addottrinamento della esperienza , la quale ha di- mostrato , che i feti più ben formati in queste es- terne parti , dotati costantemente non sono di cor- rispondente altitudine a vivere ; laddove si videro talvolta creature magrissime, delicate, ed affatto pri- ve delle apparenze di maturità, formar uomini ro- busti , e correr questi lunga vita : fra' quali è grato rammentare il celebre Fortunato Liceto. Brevissima digressione fa qui l'A. , legata però al soggetto che tratta. Riflettendo egli , che madri deboli delicatissime ed ancor valetudinarie mettono a luce figli vegeti grossi e ridondanti di vitalità , mentre sommamente languidi e magri nascon da femmine robuste ben nutrite e fiorenti di salute, inclina a credere , che non in grazia delle più fa- vorevoli combinazioni di fìsica prosperità delle ge- nitrici avvenir possa un più rapido sviluppo del feto ed anticiparsene la nascita , ma che massima influenza vi spieghino le eause morali per parte delle madri medesime. I principi finalmente di alcune costumanze con- corrono a giustificare la possibilità dei parti natu- rali anticipati ; mentre sappiamo che in alcuni luo- ghi o per ragione del clima o di altre circostanze la comunissimi osservazione di naturali parti anti- cipati ha dovuto farne, p. e , stabilire il naturai ter- mine della gravidanza ai sette mesi. Che di vero conosciamo per le tradizioni de' rabbini , che Mosè nacque di sette mesi , e che dello stesso tempo ven- nero in luce pur tutt' i patriarchi ad eccezione di Beniamino , siccome ce ne porge conferma la ero- Bica giudaica dell' eruditissimo Gilberto Gaulmino. PaATI NA.TUnAr,I ANTiCIPATI 53 „ !Ma se poi morbose cagioni, o si vero esler- „ ne violenze , determinano anzi tetnpo il parto, si- „ no a qual punto dovrà egli ammettersi la pos- „ sibilila che questi prematuri nascenti resistano al „ passaggio dalla vita vegetativa alla respirante, e „ che prolunghino il positivo viver loro pel corso „ della umana esistenza? ,, La risposta a siflalto im- portantissimo quesito costituisce il subjetto della Se- conda parte appoggiata ad anatomici» - fisiologiche considerazioni suU' incremento de' precipui organi vitali del feto nell'utero materno. Qui è pur dove conosciamo con maggior soddisfazione, mercè del pre- sente lavoro dell'A., quando egli è che il feconda- to" germe dell' uomo giunge a tale stato di svilup- po da potere di per se stesso fuori dell'utero ìna- lerno menar vita. Qui riscontriamo , come quella na- tura stessa , che talvolta non fu valevole a rimuo- vere gli effetti delle violenti cagioni , le quali in- nanzi tempo procurarono il nascimento di prematu- ri e men vitabili feti , sa bene altronde porre in azione e rendere efTicaci alcuni inusitati mezzi per- che si metta in giuoco, e serbisi l'esterna vita. Qui a sagace ed esatta perquisizione sottoponendo l' A. i cambiamenti che nella organizzazione avvengono co' progressi dello sviluppo del feto , dirige prima- mente lo sguardo all'encefalo come il primo a svi- lupparsi nell'embrione, quindi al cuore siccome il pri- mo a muoversi , e dipoi al polmone, che pn^clpua- meute influir dee in appresso sull'esercizio della orga- nica vitalità , onde inferirne per approssimazione in qual epoca della pregnezza giungano essi all'alti- tudine di eseguire le rispettive loro funzioni. Uo- po è per altro fare avvertito, che vengono dal N. A. questi tre organi considerati nello stato in cui rin- vengonsi circa la mela della gestazione , e non più :>\ S e I E N Z E indietro , e die il feto vien sempre risguarJato nelle pii!i prospere e vantaggiose combinazioni di sviluppo. Si conoscono, dice il perspicacissimo nostro sig. Meli , le varietà di peso e di dimensioni offerte dai feti a mezzo il corso della gravidanza; ninno pe- rò investigò le cagioni clie cotanto accelerar posso- no l'accrescimento del prodotto della concezione , is- tessamente che ritardarlo in circostanze opposte. L'A. per altro asserisce trovarsi per part'^ di varie sue osservazioni disposto a credere, che l'età matura del- le madri non solo concorra ad accelerare l' incre- mento del feto nel loro seno , ma ben anco faccia sollecitamente acquistare ai suoi organi vitali la pos- sanza di eseguire le proprie funzioni. Avvedutosi egli che feti d'ordinario debolissimi e co'visceri vitali di lassa tessitura venivano alla luce nel consueto tem- po da madri assai giovani ed appena puberi , si po- se a disaminare i nati da donna di avanzata età , e dallo stato delle parti rimarcò die dalle primi- pare d'inoltrata età nascer sogliono feti di trascen- dente sviluppo e di oltrepassata maturezza. Già il Trinchinetti osservò anticiparsi Tosteogenia nei feti di primipare in età di oltre trent'anni. Sembra per- ciò , che le madri tenere e di verde età , o robuste e mature, partecipino ad essi minori o maggiori ele- menti della loro vitalità. Dopo tali premesse discende TA. ad esaminare lo stato dell' encefalo dei feti a mezza gravidanza , lo sviluppo del sistema nervoso della vita animale, la solidità e spessezza del nevrilema a questo tem- po della gestazione , lo stato di ciascuno degli or- gani dei sensi : e con lalioriosa accuratezza ne rac- coglie , trovarsi nell'encefalo e sistema nervoso alla metà del viver suo vegetativo un sufficiente svilup- po acconcio al disimpegno delle rispettive funzioni. Parti naturali anticipati 55 Porta dipoi lo sguardo all'organo centrale della cir- colazione del sangue nel feto di circa cinque me- si , e tenendo dietro alle diligenti indagini di Me- kel , che trasandò l'ulterior descrizione dell'accresci- mento del cuore dopo il quinto mese, ne trae, che lo stato di formazione di questo viscere debba allora considerarsi già tale , quai si conviene per sostenere il cambiamento della circolazione che av- viene nel passaggio dalla vita vegetativa alla posi- tiva. In esuberante conferma dell' asserto troviamo soddisfacentissiraa la ingegnosa spiegazione con-j'jcui l'A. intende eseguirsi allora la circolazione in gra- zia di un meccanismo , per dir così, medio tra quel- lo della vita vegetativa e quello della vita respiran- te. L'accurata descrizione che l'autore ci offre di un tal medio meccanismo nella circolazione, ne per.sua- de pienamente , che nulla più manca in allora per ridurre cotal funzione allo stato della vita respiran- te , se non che il sangue penetrante nel polmone con- vertasi mercè del contatto dell'aria in arterioso; la qual mutazione si effettua tosto che l'aria dilatando le cellule dell' organo respiratorio quivi richiami il resto del sangue che seguitava ancora a trausire pel canale arterioso, e tutto lo riceva dall'arteria polmo- nare. Questa organica facoltà però di eseguirsi la cir- colazione della vita positiva suppone che il polmo- ne sia in questo tempo capace al ricevimento dell'aria per darsi alla funzione del respiro. Ed ecco la ne- cessita di conoscere se il grado di sviluppo dei pol- moni dopo la meta della vita vegetante ammetia la possibilità dell'eseicizio della respirazione. Si fa stra- da cosi il nostro Meli a discorrerla con molte cri- terio sul progredire del prim iero sviluppo degli or- gani respiratori , e sul diradamento che al quinto me- se della vita del feto addiviene nella compatta tes- 5G S r ] E N Z K sitLira di quel viscere; e staLilisce poter respirare e vivere un feto in eia di cinque mesi „ sotto alcune ^^ favorevoli circostanze di sviluppo , o anco fuori „ del caso di queste favorevoli circostanze , per il „ concorso di certe ^J^o/og^c/^lENTO IN ORO 83 Dietro questi principj , e sempre con la scor- ta dell' esperienza , giunsi a comporre un gran nu- mero di miscelle adatte al colorimento , sotto le ri- cercate condizioni della brevità , e costanza del ri- sultato; aggiunto ancora il non piccol vantaggio, qual si è quello dell' innocuità sanitaria dell' operazione, mentre quella comune per la quantità de'vapori di acido nitroso e di cloro , arreca effettivamente non poco danno ad una delle principali funzioni dell* animale economia , la respirazione. Senza per altro qui riportare tutte le miscelle da me ritrovate buo- ne pel detto colore , dietro gli esposti principj ; per brevità mi ristringo a registrare le due seguenti , che alle altre mi sembrano preferibili , e queste sono. 1.* MI se ELLA Acqua (Danari) Acido idroclorico a 2a.° .... Acido solforico di commercio . . Acido borico cristallizzato . . . i) i5o It IO 1> 4 vt 2 i66 a.« Mise E ILA Acqua „ i5o Idroclorato acido d'allumina liquido . „ i3 Solfato di soda cristallizzato . . . „ 4 Acido borico cristallizzato ...... 3> 170 6* 84 Scienze Qualunque di queste mescolanze , unite che vi sieno venti grani di soluzione neutra d'idroclorato di oro , potrà adoperarsi come ottimo bagno da colorimen- to ; e della prima che sembrami , se noa m'ingan- no , più di ogni altra riuscire allo scopo , mi ser- vo appunto felicemente già da gran tempo nella mia officina; cosicché propongo siccome la migliore. Venendo ora al modo da tenersi nel compar- tire praticamente il colore, dirò innanzi tutto, che l'apparato di cui mi servo , componesi semplicemen- te di un fornello di lamiera di ferro , quale ap- punto comunemente si adopera per la torrefazione del cafFò ; di un cerchio pure di ferro con tre piedi , che incastrano sopra il bordo del fornello stesso ; e di un piccolo matraccio di bocca larga quasi quan- to il restante del vaso , e col fondo lutato do- vendo essere a contatto del fuoco. Si pone la mi- stura aurifera nel matraccio all'azione del calore , e quando è giunta al grado della ebullizione , vi s'immerge la manifattura anticipatamente imbianchi- la , e sospesa ad un filo di oro , onde potersi ma- neggiare. Passati appena pochi minuti , s'immerge nel liquido un filo di rame , e si fa restare in con- tatto dell' oro fintanto , che questo sia divenuto scu- ro. Ciò successo si estrae il filo , e si lascia l'og- getto da colorirsi fino al punto , che si vegga ave- re acquistato il colore. Allora si estrae questo dal bagno, si rimuove in un acqua tiepida acidula d'aci- do solforico od acetico , per toglierli alcuna piccola porzione di ossido di rame, che potesse essergli ade- rente, e poscia si lava ia acqua comune egualmente tiepida t si asciuga allora con pannolino , e perfet- tamente si dissecca in vicinanza di carboni bene ac- cesi, per la quale ultima operazione finisce di acqui- stare il bel colore, forse per la più conveniente di- CoLOlUMSNTO ì?s' ORO 83 sposizione , che le molecole acquistano in tal circo- stanza. Una sola immersione per "ordinario non basta a produrre il desiderato colore, e siccome non gio- va, anzi è dannosa, che questa sia prolungata insie- me al contatto del rame per molto tempo; e percliè un sol contatto , ed una sola immersione assai lunga invece di giovare nuocerebbe alla produzione dell' effetto bramato ; bisogna ordinariamente ripetere l'im- mersione, e'I contatto per piiì volte fino al punto , che si ottenga l'intento; ed è regola generale di ese- guire il colorimento a più riprese, onde possa co- gliersi il più bel punto : e se per aver troppo prolun- gato il contatto del rame, ne sia riuscito rossiccio il co- lore, si deve per assoluta necessita arroventare e bian- chirsi nuovamente il lavoro , per tornar poscia a ri- metterlo nel bagno, come pure deve ciò farsi, se la manifattura nel luogo ove è saldata presentasse del- le macchie nere, lochè suol succedere, non molto di rado , e sembrami dijiendere in alcun modo , dalla maniera tenutasi nel fondere la saldatura , essendo che quasi sempre presentasi se fu adoperata la fiamma di ossidazione, e non quella di riduzione (i). Quia- di con un pò d'avvertenza , mi riesce quasi sem- pre di evitare questo inconveniente , il quale per altro giova avvertire , che se presentasi nel pri- (i) Secondo Boudant ( Traile Elementaire de Mine- ralogie) dicesi fondere con la fiamma d'os<;idazinne, quan- do sulla saldatura non si spinge col cannello ferrumina- torio , sé non l'apice della fiamma; quando poi si spin- ge questa in plano , così che tutta ne venga ricoperta la saldatura , senza che possa essere in contatto dell' aiia , dicesl adoperare la fiamma di riduzione. 8G S ^. 1 4 N Z E rao coloriraento , non apparisce mai nel secondo , dopo di aver nuovamente bianchita , e stropiccia- ta con rena , o grattabrusca la manifattura. Le misture proposte , e quella sopratutto , di cui dissi servirmi a preferenza dell' altra , deve sapersi , essere da me adottata per quegli ori , che contengono la quarta parte di rame, o di argen- to f lo che forma la lega ordinaria da noi ado- perata; essendo d'altronde probabile , che per la di- versa proporzione di questi metalli , o per l'unio- ne di altri abbisognino diverse proporzioni delle materie componenti il bagno , le quali per altro si potranno con facilita determinare con alcuna espe- rienza. Cos\ pure è necessario avvertire , che la di- versità delle manifatture, e la loro grandezza, ri- chiedono delle avvertenze spettanti il contatto del rame. Questo dovrà prolungarsi per piiì tempo , quan- do il lavoro sia voluminoso , e massiccio ; pii^i cor- to dovrà essere quando si tratta di piccole mani- fatture , e di quelle, che contengono molti fili; e nullo, ancora potrà essere quando si dovran colo- rire delle opere a fili molto divisi , come sareb- I>ero quelle catene delle quali usano in oggi le don- ne adornarsi gli omeri. Il bagno non essendo buo- no , che fino al punto , che contiene dell' oro in .soluzione ; quando si è incominciato ad indebolire ( lo che accade dopo alcuni colorimenti ) dovran- no in lui rifondersi delle gocciole di soluzione au- rifera, ed ancora se bisogna alcuna piccola dose de- gli altri componenti: come pure concentrandosi trop* pò per l'evaporazione , dovrà riportarsi alla dovu- ta densità, mercè l'aggiunta di nuova dose di acqua. 11 filo di rame , perchè si trova un poco ossida- to , e ricoperto di piccola quantità di oro metal- lico ogni volta , che togliesi dall* immersione , dee C()I,Oi\J MENTO iy ORO 87 essere sempre nettato avanti di riporlo al contatto dell' oro , onde possa estncitarsi liberamente l'azio- ne elettrica. In ultimo si avverta , che bramandosi un colore un poco più forte , che all'ordinario , do- vrh ripetersi alcuna volta di più l'immersione, ed il contatto del rameose poi si vuol più pallido, baste- rà immergere le ultime volte la manifattura nel li- quido bollente , senza toccarla col rame (i). Da queste avvertenze per tanto, che trovammo necessarie pel buon successo dall' applicazione prati- ca dei ragionamenti , e dalle esperienze sovra espo- ste rilevasi , che questo metodo rinchiiulendo in se la parte pratica , siccome tutte le altre applica- zioni artistiche della fisica, e della chimica, abbiso- gna di molto esercizio, perchè possa riuscire cos'i su- periore agli altri , come io lo propongo , e lo riten- go per prova ; ne potrà essere giudicato dietro uno , o pochissimi saggi. E quegli orefici , che vorranno adottarlo, ne conosceranno il pregio soltanto, quan- do per la pratica si saranno reso famigliare il pro- cesso, e ne avranno attentamente studiati i fenomeni. Ora sarà facile il rilevare , che non già come credono i nostri orefici , il coloriracnto dell' oro , (i) Qui deve avvertirsi , che 1' ebnllizioue prolungata del liquido , 0 Fesposizioue ad u.i calore fiovte iìidcholi- scono prima il colore , e poscia lo tolgono del tutto. Que- sto nel primo caso nasce dall'essere sottratto doli 'acido idroclorico 1' oro , che si era attaccato alla manifattura , dopo di essersi nuovamente ossidata ; nel secondo , la so- la azione del calore basta a farlo volatilizzare , essendo che la sua forza espansiva, basta per rompere la piccola af- finità di adesione od aggregazione , con la quale sono aderenti le molecole sottilissime del metallo alla super- ficie del lavoro. 88 S i. I £ N Z E sia da ri tenersi qual cosa di poco rilievo , e come plausibile la pratica coiiuiaemente tenuta a suo ri- guardo; che anzi tutto all'opposto si conosce que- sta imperfetta , ed il soggetto cosi interessante, e così vasto , da riguardarsi siccome veramente de- gno dell' attenzione degli artisti , e dei chimici. Cosi che questi ultimi , io spero, non già gli empiri- ci troveranno non indegno di loro lo studio di ta- li cose , onde perfezionare e correggere se fia d'uo- po le mie teoriche , e la mia pratica a vantaggio delle arti metallurgiche : mentre ancor' io da mia parte non negligenterò a tale oggetto delle ulte- riori ricerche. Innanzi per altro , di por termine a questi ra- gionamenti , che sebbene contro mia volontà troppo lunghi riuscirono, pur debbo aggiungere, siccome promisi alcun cenno sulle dorature dei bronzi , le quali io veggo poter essere in tutta l'estensione ca- paci di ricevere l'applicazione dei medesimi prin- cipj fino ad ora discorsi. r Ijronzi di fatto si trovano nelle stesse cir- costanze delle manifatture di oro ; giacché dopo che questi han ricevuto sulla lor superficie l'amalgama del prezioso metallo , del quale debbono rivestire l'jsiietto ; dovendosi scacciare il mercurio coli' azio- no del calore; lo strato di oro puro , che rimane ade- rente al lavoro , resta di una tinta giallo bian- chiccia sgradevole, a cagione delle piccolissime ine- guaglianze , che debbono necessariamente rimanere sulla di lui superficie. Si costumò quindi , fino da un tempo indefinito , o di dare a queste dorature il color proprio dell' oro con lega di rame , ov- vero il giallone. Il primo di questi processi si ef- fettua , meicè di un miscuglio di sostanze , ove si contiene mollo solfato di rame , il metallo del COLORIMENTO IN ORO Sq quak precipitandosi sulla superficie deUa doratura va a dargli il suo color rossijj;no , per cui può giu- stamente dirsi con il sig. Ribaucourt ,. Cette ope- „ ration est une maniere d'ap.pliquer une très-le-ère „ couclie de cuivre a la surface de l'or , de cui- „ vrer l'or s'il est perniis de se servir de cette espre- ;, sion,, (i). Il secondo metodo poi è eguale a quel- lo tenuto per gli ori , e per conseguenza imperfet- to , e senza alcun principio di scienza. Sara dunque facilissimo , che l'artista voglioso di perfezionare il colorimento delle dorature dei bron- zi , adatti a queste un miscuglio di sostanze , ove si contenga un sale di oro , e così riesca a dare il più bel giallo , che possa desiderarsi. Da alcuni saggi , che già tentai , deduco , che la cosa sarà per riuscire perfettamente; ma questi ancora son trop- po scarsi , percliè possa dettagliarne il miscuglio, il processo , e le avvertenze da tenersi. Se le circo- stanze per altro saranno per me più adatte alle oc- cupazioni del laboratorio di quello che non furono fino al presente ; e se alcun' al tro più dovizioso di tempo , e di mezzi non mi avrà prevenuto ; spero pregiatissimi Accademici , d'intrattenervi alquanto su tal soggetto neir anno venturo. Gradite intanto vi prego questo mio qualunque siasi lavoro , che so bene non essere pur degno di voi , ne degli ingegni italiani , ma comunque egli sia , entro pure in lusinga dover essere in alcun modo valevole , onde smentire la taccia che suol darsi ai nostri artisti , d'imitatori servili. Che seb- bene il capriccio , e la moda , dalla quale altro non pregiasi se non ciò , che viene d' oltremonti (i) Elèmeus de chimie docimastlque. f)0 Scienze e (l'oltremari , metta un argine agli avanzamenti del- la loro industria ; ed il poco incoraggimento , che questa disgraziatamente ottiene fra noi, obblighi spes- so a sopportare onte , ed ingiurie ; io son pur cer- to , che queste non sono meritate. Osservazioni sopra le radici immaginarie delle equa- zioni di grado superiore al quarto , del dottor Gio\>anni Carandino cefaleno , professore di ma- tematiche sublimi naW università jonia> X-i illustre F. Lacroix , a cui tanto devono le scien- ze matematiche , e che ha pubblicato tanti profondi scritti su questa materia , e specialmente il famoso corso di calcolo differenziale ed integrale, fa nel vo- lume intitolato Compì"'ment des elémenls d"" algebre ^ quarta edizione , pagina 98 numero 4^ 1 la seguente considerazione. „ Les conside'rations pre'cedentes ne me'nent en- „ core qu'a s'assurer si une equalion donnèe a des „ racines imaginaires, et a trouver une limite que leur „ nombre ne puisse axceder: mais en suivant l'esprit „ de la me'thode , on formerait de nouvelles e'qua- „ tions auxiliaires , les unes qui ne pourraient avoir „ de racines ne'gatives qu' autant que le nombre des ,, racines imaginaires de la proposée ne serait pas ,, moindre que quatre, les autre qu'autant qu'il ne se- „ rait pas moindre que six, et ainsi de suite. Il faudrait „ formpr, dans le pre'mier cas, l'equation qui donne les ,, quarrc's des diffc'rences qui se tronvent entre les som- ,, mes des racines ajoutees deux a dcux; dans le se- „ cond , celle qui donne les quarrès des diffe'reaces E Q U A Z I O IV I E e. ()l „ qui se tronvent entrc les sommes des racines ajoii- „ tees trois a trois &c. 11 celebre Lacroix , occupato forse e distratto da cose più alte, noti si è dato la pena di formare le equa- zioni ausiliarie , onde accertarsi di questa sua pro- posizione; ed io , se mi è tanto concesso , oso far vedere , che le accennate equazioni sono in contrad- dizione coir enunciato della proposizione , e che es- se devono esser formate in altra maniera, come so- no per dimosltiare. Poiché avendo la proposta equa- zione un numero qualunque di radici immaginarie , sempre le equazioni ausiliarie avranno delle radici negative , se vengano formate com' espone il signor Lacroix. Siano le radici della proposta equazione h, e,... af B7— 1 , a —BV— I , a'f 13'7— i , a'tB'7— 1 , a"f B"7— i , a" — B"7 — I ec. Se formiamo le loro somme a due a due avremo , bfc, bfd, bfafB7 — i, b-|-a — E7 — i, LfathV-i, bfa'— B'71, bfa'-i-KV— f , bfa'fB'V— i b-f-a" — E'*7i ec. e le loro differenze , fra le altre sono e le ^ — 2B'7 — i, — ^B'V — ^ — 3B7— i,ed il quadrato di ciascuna di queste è una quantità negativa. Per con- seguenza la prima equazione ausiliaria del signor La- croix ha sempre delle radici negative , tanto se la proposta ha due radici immaginarie, quanto se ne ha quattro , o se ne avesse un maggior numero. Se si prendesse poi la somma a Ire a tre come dice l'autore , avremmo i seguenti risultati. dfbfc , bfafaf (BfB') 7—1, H^f (B— B') 7 — I, ec. e fra le differenze di questi risultati si troveranno, — 2 B7 — I, — 2B'7 — I, — 2B*'7 — I ec. l quadrati di queste differenze sono quantità negative , dunque l'equazione formata nel secondo caso ha sempre ra- dici negative qualunque sia il numero delle radici ()2 Scienze immaginarie della proposta. Per conseguenza si è chia- ramente dimostrato , che formando l'equazioni ausilia- rie , com'espouc il signor Lacroix, esse contraddicono l'enunciato della sua proposizione. Ora passerò a far conoscere in che modo esse devono formarsi, onde verificare l'enunciato della pro- posizione del sig. Lacroix. Si prenda la differenza delle radici della propo- sta equazione a due due , e si avrà e— b, , — bf a-fB7— r, — L-fa— B7— i,— b faVB7— I, bfa*— E7— r, bfa^ffc'V 1, — b+a" — B"7— 1> , — 2B7— I, — 2B'7— I, — 2B7 — r ec. , poscia si formino le somme a due a due di queste ditFerenze , e se l'equazione proposta non ha che due sole radici immaginarie, queste som- me altro non saranno , che quantità reali , o reali ag- giunte a dello quantità immaginarie, e siccome il qua- drato delle quantità reali è sempre positivo , ed il quadrato delle quantità che hanno la forma A+B7 — i, fe una espressione immaginaria , cosi l'equazione che ha per radici i quadrati di queste somme non ha radici negative , è ciò tutte le volte che la propo- sta ha solamente due immaginarie ; ma se la propo- sta avesse più di due immaginarie , allora sommando le sopraccennate diffeienze a due a due fra le altre somme, risulterebbe e la somma — 2 (BfB') 7 — i, il quadrato della quale è una quantità reale negativa , e per conseguenza l'equazione formata nel primo ca- so avrà radici negative tutte le volte che il nume- ro delle radici immaginarie della proposta sorpassa il due , cioè ha quattro , sei ce. Ma allorché la proposta ne ha quattro, allora si formino le somme delle accennate differenze a tre a tre , ed avremo fra queste somme o quantità rea- li, o reali unite a delle immaginarie ; ora i quadra- E Q U A 7. I O N I E e. q3 ti della quantità che hanno la forma A-fB7 — t so- no quantità^ immaginarie ; per conseguenza nel se- condo caso l'equazione ausiliaria non ha radici ne- gative, sinché le radici immaginarie della proposta so- no (juattro ; ma se la proposta avesse sei radici imma- ginarie, allora la somma delle tre sopraccennate dif- ferenze , cioè — 2B7 — I, — 2L'7 — I, — 2B"7 — I, da- rebbe — 2(B'fB")7 — I, ed il quadrato di questa som- ma sarebbe una quantità reale negativa. Ne segue da ciò che sino a tanto che la proposta equazione ha meno di sei radici immaginarie , l'equazione au- siliaria formata nel modo or ora esposto non ha ra- dici negative; e questo è ciò che mi sono propo- sto di dimostrare. J)4 LETTERATURA Iscrizioni scoperte da non molto tempo , e più degne di essere consegnate a notizia dei dotti. JL/aremo dovutamente la precedenza di onore a due monumenti di quegli avi nostri buoni e vir- tuosi , clie primi abbracciarono la divina religione, da cui fu assicurata a -Roma ne' successori di san Pietro un* autorità ed una gloria ben più grande e pili durevole della profana passata. Gli allievi di apostolica immediata istituzione solevano per lo più ne' contorni dell' alma citta seppellire i morti loro in quegl' ipogei famosi , o nelle catacombe , stese in lunghissimi corridoj ed in camere talora molto al- te ; nelle quali avean formato perpendicolarmente a lato le pareti tanti loculi , o capaci cassettoni , sovrapposti gli uni agli altri , e chiusi al di fuori con lapida o scritta o nuda, e talvolta distinta con numeri od altri segni. Eglino però adoperarono al- tresì la sepoltura in fosse o scavi fatti orizzontal- mente sul suolo, e con lapidi collocate a pavimen- to ; cosa veramente ignorata da quelli , che scris- sero finora di tali materie , ma da noi osservata in più luoghi delle romane campagne. Terza foggia di seppellire fu quella , usata dagli etnici stessi , di rinchiudere il corpo intiero in arche marmoree : e questa , per la spesa della materia e de' lavori di Scelta epiguafica. qS arte, con cui le quadrilatere casse voleansi ornale, deb!)' essere slata anche presso i cristiani propria de' più agiati e facoltosi. A simili arche o avelli ciascun comprende, che conveniansi locali luminosi ed accessibili ; e che con le già notate lapidi e, fos- se orizzontali , provasi bastantemente , aver esistito sagri cemcterj de' fedeli sopra terra , ossia nelle adja- cenze e recinti delle basiliche. In tempi alti ancora , come dimostrasi dalla bontà della nomenclatura , un Sextus Acerra Vr- b/vms sarà dunque stato ricco ed ottimo cristiano, possidente nelle si celebrate campagne della Sabina prossime a Roma ; poiché egli pose a due suoi ligliuoletti estinti un'arca marmorea per ciascuno, tutte effigiate con semplicità pastorale di evangeli- che rappresentanze , e ben finite in coperchj amo- vibili , ed in altre forme che l'arte avea già inse- gnato a' gentili. Le iscrizioni delle medesime nulla contengono di barbarismo ; ed anzi esprimono l'af- fetto con molta grazia e vivezza ; proprietà da noi altre volte rilevata nelle migliori cristiane. SEXTO ACERBE VRSO SANGTO QVI VIXIT ANNIS . VI . MENSES . Vili . DIEBVS . VII . FILIO DVL GISSIMO VRBANVS ETIVSTINA PARENTES SANCTOHISPIRITO VRSO li\ PACE 9^ L E T T s R A '.r li n A 2. SEXTO AGERRAELVPO DVLGISSIMO FI LIO QVIVIXITANN IS VII . MENS . Vili VRBANVSETIVS TINAPARENTES AMANTISSIMI I nomi desunti dagli animali erano in uso anche fra gì' idolatri ; come appunto questi due di Orso e di Lupo. Tuttavia la maggior frecfuenza di essi , e di altri soprannomi da scliorno fra' cristiani attribuir si può giustamente a quella umiliazione , a queir effettivo disprezzo di tutte le cose mondane, coman- dato SI altamente da Gesù signor nostro nell' evan- gelo. Oltre di ciò gli uomini di vivissima fede e di vita patriarcale non mostraronsi mai alieni dallo scherzo innocente ; cosa che noi abbiamo provato altrove con buoni escrapj, Qual meraviglia quindi , che in una casa virtuosa ed agiata , ma rustica- na , uno de' due figli fosse detto orsacchio e l'altro lupetto ? Di più elevata considerazione dogmatica si è l'epiteto di sanctus dato ad Orso fanciullino di sei anni , e ripetuto in fine con SANGTO HISPIRITO , eh' è l'epifonema di saluto estremo , fatto più vago per l'ISPIRITO già conosciuto , e pura mollezza di pronuncia itaiiaaa , qui ed in altro esempio rinfor- zata con un' H. Proviene dunque a noi pei marmi dalle apostoliche dottrine (ed apostoliche immediate dcbbonsi chiamare quelle de' due primi secoli , con- se^Mialo poscia come per mano a' seguenti ) , che i OCI-LTA KlMGl'./l.- ICA C)n i'aiiciulli defunti dopo il santo LatJosiirta , e prima di giungere agli anni della malizia , voiavausenc iin- mantineuti alla celeste gloria, e per ciò poleano i superstiti genitori venerarli quali beati comprenso- ri. La santa chipsa cattolica fa quindi per essi un. ufTizio distinto di letizia ; e noi sogliamo dire , con- solando noi stessi o gli amici nella perdita di uu fanciullo : al)l)iamo un angioletto , uu protettore in paradiso. Presso genitori pagani , che tutto misu- ravano colle prosperità del secolo , in caso di mor- te di un tenero iìglio , la frase necessaria , solen- ne , indispensabile, era PARENTES INFELICISSI- MI. Notisi che l'ardenza della fede suggerisce a' no- stri piissimi cristiani una frase piìi bella , più de- gna , più espressiva, PARENTES AMANTISSIML Quanto alle sculture , nella prima delle arche vedesi replicato a' due lati quel segno certissimo del buon pastore , qui rappresentato giovane ed imber- be , e con la novità anche maggiore di sostenere sotto il capo dell' agnello , che ha sulle spalle , uà urceolo di un solo manico. Chi non riconosce ia ciò la doppia allusione ed al cruento sagrilizio del divino Agnello Redentore , ed al sagrifizio incruen- to santissimo, che celebrasi giornalmente a' fedeli? — Neil' altra presentasi a destra di chi guarda Cristo Signore, ideato giovane anch'esso ed imberbe, neir atto di sanare il cieco toccandone gli occhi ; ed a sinistra il sagriflzio di Abramo. Nel coperchio hav- vi più consuetamente Giona precipitalo dalla nave, e poscia vomitato dal mostro , e giacente sotto la pianta , di cui tanto scrissero i cementatori. Con ta- li espressioni di figure si del vecchio , che del nuo- vo testamento , i padri nostri dimostravano in pub- blico agi' idolatri , non sempre bene istruiti su que- sto articolo , e la successione del cristianesimo agli G A.T.XXXL n qS Letteratura anticlii ebrei , e la differenza sua dal già riprovato giudaismo. I nomi gentilizj in A, come ACERRA , sono in vero alquanto rari : ma pure noi troveremmo a cagion d'esempio un L. ACCA . VALENS presso il Marini , Arvali pag. 409 i ed una gente ACERRIA risulta dal Grutero CGGXLLIIl. 3. , un' AGERRA- NIA tiburtina dal Doni ci. V. 12^. , e l'Acerronia h più nota dalla istoria. — Le arche dalle quali abbiam tratto un saggio di si degne notizie , e che meritano tanto religioso rispetto, sono picciolo; poi- ché l'artefice le fece adattate per due piccioli cor- pi. A chi ben rifletta , comparirà uguahnente mira- bile reccellenza e la superiorità degli antichi sopra di noi ; o se si voglia credere che gli scultori ne tenessero di belle e preparate di ogni grandezza nel- le offici ne loro , o se si vorrà pensare che fossero allestite prestamente alla morte de' due fanciulli; nel qual caso la precipilanza de' lavori si rende anche più scusabile. — Furono rinvenute sul principio dell' anno corrente , nella tenuta di Olevano , posta a lato la via Nomentana , in distanza di sette miglia dalla città. Lo scavo era fatto per comando di S. E. il sig. principe Borghese, ed eseguito dal sig. Ca- stellani. Che su quel suolo sorgesse una volta l'an- tichissima citta de' Sabini Ficulea , stava da molto a noi fermo per giuste induzioni , e per la confi- nanza di Crustumerio e Fidene : ma dopo le sca- vazioni antecedenti del benemerito nostro sig. Ve- scovali nella contigua tenuta della Cesarina , dalie quali già producemmo su questi fogli più nobili mo- numenti , ciò riuscì totalmente dimostrato con la se- guente interessantissima memoria di opera pubblica municipale, trovata in piedi sulla via di cui tratta, visibile ancora in gran parte. Scelta epigrafica OQ 3. M CONSIVS ML CERINTHVS ACCKNSVS . VELATVS ImMVNIS . CVM . SIM EXVOLVNTATEMEA ClIvOM . STRAVI LAPIDE . AB . llttO SVSYJVl LONGViM . PEDI.S . CCCXL LATvM . CVM . MARGINIBVS PEDES . Villi . FITQVOD STRAVIMILIA . PEDVM CO *00 03 LX IteRVM . EVNDEM ClIvOM . ABIMO . LEVAVI et . clivom . medivm frcgiet depressi Impensamearegioni ficvlbnsi pacovlmaho ET . TRANSVLMANO PELECIANO . VSQVK ADMARXIS ETVLTRA Marco Corisio Gerinto ( liberto di un uomo no- bile Marco Consio , di cui non sapremo il terzo no- . me , finché l'istoria od una pietra dell' istesso seco- lo non ce lo manifesti ) , era accenso velato , insi- gnito cioè di una rispettabile dignità ; della quale veramente ignoriamo l'essenza e l'ufficio , ma che da* marmi , ne' quali è frequente , arguir possiamo es- sere stata un sacerdozio minore di persone addette stabilmente ad un imperadore , o ad altro grande per onori e famiglia , ed anche ad un paese o vi- lo'fr Letteratura co , per compire le religiose funzioni più giornalie- re e indispensabili. Sappiamo < che in tale sufficien- te luce di esempi accumulati ne' tesori lapidar) , tut- tavia alcuni eruditissimi uomini non videro ciò ; come ristesso Marini in quelle sue pandette della epigrafica scienza, i monumenti degli arvali, inciam- pò gravemente sul bel principio dell' indice geogra- fico , ponendovi : Accens . l-^icus ; quasi che debba credersi , aver esistito un vico Accenso , o Accen- se. L'iscrizione , copiata da lui medesimo in Roma , è questa , pag. \\fì. H . F . M . F . P . FALTONIVS . P L . APOLLONIVS MAG . VICI . ACCESS RVRRIA . G . ET . 0 . L . GÈ LIGVRIA . A . L . OLYMPIA FALTONIA . P . L . HEDISTE P . FALTONI . HEDISTENIS . L . EVGHRESTI Ci perdoni l'onorando maestro ! Non v'ha cosa più ovvia della omissione dell' ET congiuntivo: ne v'era a temersi , che il vocabolo Acceiisas così solo fosse inteso per un accenso non velato , cioè per un mi- nistro o famiglio d'inferior condizione; poiché dicen- dosi Faltonio Magister Fici^ ben determinava Tesser suo di AccensiLS velatus , secondo la costante usan- za de' romani , eh' era quella di enunciar prima la dignità civile , indi la sacerdotale. Per simile sacerdozio adunque il nostro Cerin- to avea ottenuto di essere immunis , o esente dagli iifficj e dalle magistrature municipali , cotanto allo- ra distraenti e dispendiose; poiché l'onorato di esse dovea bene dedicarsi tutto ad ogni vantaggio e de- coro della patria. Vedendo però noi e magistrati con sacerdozio , e sacerdoti clie protestano di essere ini' niiines per un sacerdozio {jualu:ii[ue , stimar dovre- mo , che le romane leggi sempre ossequiose verso la religione, lasciassero agi' intesi a sagre cure l'av- bitrio di fruire o no della esenzione loro. — Abba- stanza conosciuta è la gente Consia , che trasse cer- tamente il nome suo dalla primigenia e per ciò oscu- ra divinità di Conso , a cui una tradÌ2Ìone non men- titrice assegna i primi ludi e lo stabilimento vero di Roma sabina. Tal gente dovette durare fino a tempi molto innoltrati dell'impero; posciacchè ab- biamo nel Fabretti , pag. ^720. N." 4*9- ""^ memo- ria posta M. AVR. COx^SIO. QVARTO. IVNIORI. C. V. GORREGTORI. FLAMINIAE. ET. PICENI. Notevole assai è quel REGIONI, cioè in REGIO- NE FIGVLENSI, da cui ci si confei-ma la grand' estensione delle citta sabine , divise in vici fra lo- ro distanti, de' quali uno era l'acropoli o rocca, pei casi di guerra, raltro il foro, che spesso mu- tavasi di luogo secondo i tempi. Ficulea fu detta FIGVLNEA più anticamente , e FIGOLEA , don- de i FIGOLENSES in bel marmo , su cui consultisi il Marini, iscrizioni albane pag. 42- e 2J1. Dagli olmi traevano la denominazione i piagi , o gruppi di case e tempj de' vici di wnai civitas de' Sabini, poiché circondati di campi e viali : ne, ciò sorpren- de punto in un terreno , di cui la fecondità spe- cialmente per le viti era maravigliosa: e celebrala dagli stessi antichi. Ed ora questi terreni «oiio ajffal- to nudi anche di arbusti s il che può farli parere sterili e miserabili a chi non consideri la somma fer- tdita del grano, e de' fièni , e^ de' pascoli particolar- mente invernali , ricercatissimi da' pastori per la vi- cinanza della capka'leù • 103 L E T T E n. A T U IV A Il P'^go trarisulmaao ci ricorda il irauslucano del Grulcio j GGl. 7. Per la ellissi dell' UT , quel PELEGIANÒ è uà terzo pago , degl' intersecali dalla via Gonsia libertina. Ma che direbbono i nemi- ci del ffreco antico e moderno in Italia , se qui vo- lessimo provare a lungo , die il nome di PELE- CIANO è certamente pretto greco , e di alta e no- bilissima grecita ? Accenneremo solo , che vriJAi»! era propriamente il grand' elmo de' numi guerrieri , Mar- te , Minerva o Bellona. Gitiamo almeno il pili ele- gante degli epigrammatici greci , eh' è un italiano , Leonida di Taranto ; Brunck. Analect. tomo I. pag. 236. Questo peleciano pongasi dunque a fian- co di Curis , che sappiamo aver significato l'asta , e insieme la dea dell' asta , innegabile origine de' Quiriti. Non il solo tempio di Marte ornava que- sti pagi ; ma da' frammenti non continuati di due grandi lapidi , che accozzammo con le nostre ma- ni, scorgemmo un' AEDEM. FORTVNAE. ET. VI- GTORIÀE , ed un altra di Gastore , e Polluce. Fi- culea , detta per eccellenza vetus , dovette andare iti decadenza ne' secoli delle barbariche invasioni : e si sa , che la sua diocesi, scritta con ortografìa di allora Jiciliensis , fu riunita da' sorami Pontefici alla episcopal sede di Nomento , che aver dovea in que' tempi, una estensione ben grande , comprenden- do anche la diocesi di Guri. Gli arcarisrai , contemperati da nuova ortografia •e pianezM , ci fanno credere la memoria di Gonsio Ceriato ' aiiteriore di non molto all'età di GatuUo e di. Giulio Gesare. Un altro valentuomo dell'otti- mo secolo fu per noi trattò dal casale della Gesa- rina : il suo cippo cola negletto serviva di scaglio- ne ad una porti cella. Esser ben dovea un valentuo- mo colui che dal grande Augusto ebbe la gelosa Scelta f.pigra.fica io3 e grave cura delle suppliche o memoriali , e delle spedizioni di rescritti e grazie per tutto l'impero . 4. L O G V S SEP VLGHRI ESCHLNIS. AVO. L ABCODICiLLIS IN . F . P . GDL IN . A . P . GXXCV La semplicità maestosa e la quadratura maschia del- le lettere pone su questo travertino un sigillo in-» negabile dell' epoca sua. Esso non era già il tifa-' lus , o riscrizione principale dell' edifizio , o della camera sepolcrale interna ; ma bensì uno di due o pili cippi terminali , posti agli angoli , o al porto- ne del recinto. Né alcuno si maravigli dell'area qua- drangola di piedi 45o. sulla strada, e di i85. pel campo , in sepolcro di un uomo solo. Togliendo gli antichi dalla cultura dell' aratro e frugifera un ter- reno sagro alle spoglie ed alla memoria loro, vol- lero che questo fosse ameno di verzura e salubre; collocandovi specialmente a custodia delle famiglie di servi; donde il VIGILI ARIVM inteso per sinii- le recinto delle tombe , che pubblicammo da mar- mo ostiense del sig. Cartoni ; e donde anche dissero il sepolcro absolute VlRlDlARIViVI, come possiamo all' uopo dimostrare con belle iscrizioni delle collet- tanee nostre. Di piiì ciascun uomo ricco traeva se- co una legione di servi e di liberti , i quali per diritto di famiglia riempivano morendo l'edifizio o gli spazj di tumulo del pnlrono. Sia di esempio dop- piaaieute opportuno la stela funebre intitolata AEGY- lO/j L E T r fi R A T li R \ PTo. sl:i\vo. barbari, avg. lib. a. godi- CILLLS , ora esistoiite ìa Firenze: Gori I. Etr. tomo I. pag. I IO. Biiuard Disse rt. I. col ò^. nel Ma- rator. Tlies. to. I Riilettenclo alla immensità ch'es- servi dovea uell' amministrazione delle cartoline di grazia e di ordini del signore del mondo , ameremmo di vedere in questo Barbaro piuttosto un collega e contemporaneo del nostro Eschine, di quello che un suo successore o antecessore. Preziosissimo resto del secolo augusteo si è pu- re una tessera gladiatoria eburnea , ultimamente acqui- stata dall' onorato e cortese sig. Frediani , incisore di carnei , che tiene il suo studio in via della Cro- ce. Crediamo che niun* altra possa competere con questa , per la conservazione , per la bellezza vera- menie graziosa de' caratteri , e per l'importanza dell' anno che assicura ; in un genere di antichità sempre determinante la cronologia , e non molto frequente per disgrazia , e di facile coutrafFazioiie. 5. FLOROmVS ROMA NFS SP. K . DEC. L. CAN. Q. FABR. COS Concerne l'anno di Roma 716. o 717., in cui il Cesare Ottaviano era ancora semplicemente trium- viro rei publlcae constitueiidae ; e processero con- soli di prima classe Marco Agrippa , e Lucio Ca- «inio Gallo. Avendo dovuto Agrippa allontanarsi dalla citta , onde recarsi a sollecitare l'allestiniento delle ioY/jki navali, che preparavansi contro Sesto Pom- peo ^ sapevasi dal solo gran marmo Ancirano , es- Scelta epigrafica io5 snrgli suboiiliato Quinto Fabricio , come console saf- fetto , 0 piuUosto de' minori o più piccioli : che così appositamente a quest' anno li appella e circostanzia Dione , lib. XLVIII. e. 35. Il eh. sig. Borgliesi , al quale comuiiicheremo al nostro solito questo giojel- lo cronologico , insieme con altri simili sempre ra- ri pur troppo , saprk poi ne' suoi grandi lavori de- rivar da esso i risultamenti lutti , e le correzioni de' fastografi quanti mai sono. A noi basti osserva- re, che da altre tessere di tal fatta conos.consi gla- diatori di tre nomi , cioè onninamente ingenui ; e che Dione appunto nello stesso libro al capo 43- tocca della mania di accoltellare , che allora preu- dea persino i senatori. Floronio , se ROMANVS non era il suo cognome , avrà forse voluto imitare i pugili o altri giostratori greci non mortiferi , che vincendo facean proclamare il proprio nome con quel- lo della patria loro. Ed in fatti fra' sanniti o mir- milloni , artefici d'inumana ferocia , le picciolo ta- glie quadrilatere di avorio o di osso erano visibili xlocumenti di morte per essi ad altri recata , o al- meno di sanguinosa vittoria ottenuta con atterrar l'av- versario , il quale talvolta trovava misericordia pres- so il popolo. Ciò , e non altro , vien significato ret- tamente dalla forinola SPectatus. I crudeli omicidi portavano le taglietto sospese in giro con catenella dall'imo orlo della corazza o panciera , e penden- ti al di fuori sul gonnellino della tonaca succinta; cosicché l'appajato loro scorgeva immantinente con quale tremendo ed esperto uomo, ed autore di quan te uccisioni , misurar si dovea. Da ciò simili tesse- rule oblonghe mostrano suU' allo un traforo , per cui passava la catenella. L'istesso sig. Frediani però , che si è occupato di ricerche di antichità nella sua vigna gii Pieri , loG Letteratura posta al di là delle tre Madonne, fra la via Latinx e l'attuale Albaneuse , oltre un bello e grande nu- mero di titoli e frammenti letterati , de' quali gen- tilissimamente a noi permette copia ed esame , rin- venne parecchi mesi sono un busto di s\ nuova ed interessante rappresentanza, che merita di essere qui descritto a* dotti lettori. In opera molto lodevole di marmo vedesi un uomo d'età alquanto innoltrata, con barba di lutto , e che sembra essere stato gracile e malsano. Egli è in perfetta nudità di busto ; ma in atto di muoversi declamando ; e la sua bocca spe- cialmente mostra espresso assai bene quell' andamen- to , che le parole danno alle labbra. Sul nudo del petto , e precisamente tra questo e la spalla destra, ei presenta incisa di non molto rilievo una larva , o maschera scenica. Tale singoiar novità ci sorpre- se non poco ; e dovemmo riconoscere , esser colui certamente un attore de' romani teatri : considerato anche il chinar del capo, e la tosatura bassa, be- ne acconcia ad imporsi le personas , ossieno le ma- schere di tutta testiera , che aveano il capillizio fin- to. Fummo confortati in questo avviso da una lapi- da del Fabretti , pag. 708. „ In muro vineae alle tre Madonne. „ EX TESTAMENTO . Q. ERVCl . MONTANI . LEGATVM G . QVINTIO . BATHYLLO . GOLVM - BARI . ITVM . AMBIT . DE BETVR Sapendosi , che Batillo e Pilade furono due simmi scenici a' tempi di Augusto , e che ciascuno di es- si lasciò numerosa scuola , e come avveniva a' ric- chi , molte famiglie di liberti successori anche nell' arte , i quali tulli voleano per gloria portare il no- Scelta epigrafica 107 me 0 (li Batillo o di Piladc ; sapendosi , cho i col- legi e le varie società di persone aveano le tombe tutte insieme in determinato luogo , come a cagion di esempio gli equili singolari dell' imperadure al mausoleo di sani' Elena; ci parve in vero assai pro- babile, che in quelle appendici della via Latina fes- sevi stato il sepolcreto comune alla classe tanto este- sa e gradita degli attori teatrali. Ma essendo poi stato veduto il busto dal sig. tlottore Alessandro Visconti, questi giudicò che rap- presenti sicuramente il principe de' comici latini , Te- renzio. Chiunque ben ponderi le dotte e belle indu- zioni , per le quali l'esimio Ennio Quirino nella Ico- nografia determinò le vere fattezze del poeta, e in- di vegga il nostro busto , non potrà certamente di- sconvenire dall' avviso del sig. dottore. Noi ci li- miteremo a ribattere dsue obbjezioni , che furono •fatte a tale sentenza. La prima si è , die la indi- cata larva , per un ciuffo di capelli che ha rileva- to sulla fronte , sia tragica , e non comica. Pollu- ce però , principale autore in questa materia , let- to che sia attentamente nel testo greco da chi può fare a meno delle male versioni latine , persuaderà facilmente i ragionevoli , che alcune delle maschere comiche , e segnatamente quelle de' vecchi duci , o primaruin , fossero distinte con ornato ed elevazio- ne di chiome. Oltre di ciò , essendo stata la detta larva scolpita dopo fatto il busto , e quindi a pu- ra e necessaria designazione del personaggio in un pezzo di nudo, copiato da statua intiera, vestita e caratteri. '.zata , come osservò l'egregio amico nostro sig. Luigi Vescovali ; è verisimile , che l'artefice ab- bia figurato ritta sulla fronte del finto volto quella chioma posticcia , la quale poi abbassavasi e sten- de vasi sulla teìta dell' attore , allorché questi erasi ìo3 Letteratura ) )sto la masch era : cosa che Lene apparisce anche cliile pitture del famoso codice vaticano. L'altra obbjezio ne fu , che siili' Appia ad Mar- tis erano situati gli orti , o la villa prediletta del buon Terenzio ; secondo la vita che n'abbiamo da Svetonio ed Elio Donato. Questo luogo ad Marlis è certamente conosciuto , e poco distante dalla por- ta Gapeiia presente , sia essa Aurelianea o poslerio- re. Li vigna Pieri Frediani , posta al di la della Latina, vede quindi l'alto aggere dell' Appia ad Mar- iis ^ ma n'è discosta quasi di un miglio. — I ritrat- ti degli uomini sommi nelle scienze e nelle arti mol- ti plicavansi a gara da tutti coloro , che avean con essi alcuna attinenza, alcuna relazione di arte, alcun amore in generale delle buone lettere e dell' ele- ganza ; ed i ritratti trasportavansi anche in luoghi lontanissimi. Una tale gara durò più secoli : e con ciò intendiamo di rispondere a'bravi scultori, che nella maniera de' ritagli dell' occhio nel nostro bu- sto avvisarono i tempi degli Antonini. Piiì preme a noi , che i dotti rilevino la villa di Tereniio , si grande cliente degli Scipioni , vicinissima agli orti di questi , visibili ancora intorno al celebrato mau- soleo loro : di che toccammo altra volta in questo giornale. Neil' istessa camera, in cui fu trovato rinsi»ne busto , si raccolsero alcune lapidi sepolcrali , da niu- na delle quali ebbesi il menomo indizio di perti- nenza ne con Terenzio , ne con le tante professioni teatrali. Le due più belle ed erudite fra esse , fu- rono le seguenti. ScEtTA EPIGRAFICA I09 6. TONXAPITJ2NME rEMONTESOPAS KAEINONXAPITONA MOIPANANA IlAHSANTAYSONIHENirH . TIKTE AEZAPAONIHMEPIPPYT02ENAA PATAPEQ . niSTINEXONTA BOYAHS XPHMAT02 AYZONIOY . AAAAPE2A9PH sai: «QTQTOZAEKATPISAYKABANTAS nPOS nENTE *©IMEN02: THNAEniKEIMAlKONI „ Me gratiis plnniun vides illustrem Charitonem, „ Qui fatiiin meuiu impievi (occubui) in Ausonia terra. „ Sardinia me genuit undis circuraflua , (me) qui postea Tarsi „ Fidem coraraissara habui Senatus , vel a Senatu, pecuaiae vel reddituum italicorum ; „ h. e. ad Italiam vel Ronianuiu imperium perti- nentium. „ Ita ergo , quum vidissera lucis (vitae) ter de- cem annos , „ Ac insuper quinque alios , morbo absumptus hunc pulverera injectum liabeo. „ 7- DM M . VLPIO . AVGG . LIB . CHARITONI VLPIA . CHARITINE . FRATRI . DVLCIS SIMO . QVI . VIXIT . ANNIS . XXXV. DIEB XVIII . ET . P . AELIVS . AVGG . HB . AFRICANVS COGNATO . BENEMERENTI . FECHRVNT ET . SIBI . ET . SVI.S . LIB . LIB . POSTERISQ KOUVM . H . M . D . M . A . Ilo Letteratura Grazioso esempio è questo , e non frequente , di due titoli funebri , collocati ad una istessa per-» sona , in due marmi differenti , e nelle due lingue. TJIpio Caritone rappella i tempi dell'ottimo Tra-1% jano ; e l'impiego suo in Tarso sembra essere stato di una procurazione , simile a quella eh' ebbe certo Alessandro , di cui l'epigrafe usci alla luce dalla stessa camera. Questi era P. V. praepositus TA13ELL nriorum ST ationis XX. vlcesimae HER editatiurn. Tralasceremo di parlare del curioso errore , in cui cadde il povero quadratario romano , incidendo il titolo greco. Egli omise una sillaba nel terzo Ter- so , e ne duplicò pili assurdamente un' altra nel quin- to. Di maggior interesse per noi si è il marito di Garitina , Publio Elio Africano. L'aureo Terenzio fu di nome personale , o terzo nella trionimia ro- mana , ed anche di patria , Afer , Africano , car- taginese. Possiamo ben credere, che Publio Elio , detto Africawis per ugual sorte dalla patria , amas- se di avere nella sua domus dell' eterno sonno l'im- magine di Terenzio ; o perchè egli ne fosse discen- dente o afilne , o per la sola comunanza di patria , o per la professione sua scenica , la quale ha ta- ciuto , indicandola soltanto con quella protome dell' antico principe della commedia. Chi mai , saggio e prudente eh' e' sia , vorrà negare , che gli argomen- ti a favore della qualità di Terenzio nel busto , non prendano da queste riflessioni una forza no- vella ? Di quanta utilità sia lo trascriversi paziente- mente su' campi delle scavazioni anche i menomi frammenti , che allora sembrano di niun conto, era già stato da noi conosciuto altre volte nel confron- tare i libretti che sogliamo tenere ; ed ora godia- mo di poter presentare alle antologie greche , da aC- SCELT.V EPIGRAFICA III crescersi ancora moltissimo su' marmi romani , uq distico di cara eleganza e semplicità , raccozzato da tre pezzi per noi segnati sullo schede archeologiche da serbare , in tempi assai diversi , ma dagl' istes- si fondi deir ottimo sig. Frediani. 8. TEIMANAPAKynAPHS KEITENeAAE KAT0ANEN AIAI MHAETONEHA ETH nAHSAMENH BlO TON A OZ AN0IMO? T?^ IIXHX PIA . ©rrATP; yLV&txs X*^'' • „ Timandra Cypares jacet heic. Occubuit heu heu „ Necdum sexenni vitae spatio completo ! „ Lucius ....... ius Antliimus beatae fìliae, „ meraoriae caussa ( fecit ). „ Apparisce bene , che si è voluto rendere piiì noto a' curiosi del villaggio suburbano il nome della fan- ciullina , con aggiungervi non molto consuetamente quello della madre. Fra le iscrizioni albane del Ma- rini , alla pagina 77. , si ha una CLAVDIA CY- PARIS , con dativo eteroclito GYPARI. L'altro pez- zo che manca, e ci toglie di conoscere il gentilizio romano di Antimo , fu poi fatto cercare ne' mucchi di rottami di quella vigna ; ma in vano. Da tanti anni che andiam visitando queste vastità di lagri- nievoli rovine , le quali ad un diligente osservatore porgono giusta idea della grandezza di Roma , me- glio die le magnificenze interne , non abbiamo ve- duto mai in alcnn altro luogo un cumulo più cuor- 112 LETTERATUt». ,V me di epigrafi greche la miggior parto in metro ^ tutte ridotte in ruitiuti frantami , su' quali rintelli- gente , appena ravvisato il pregio , non può che de- plorarne la perdita. Barbara ignoranza , quanto hai tu imperversato liberamente per più secoli ! L'argeo Tchar , tanto superbo di nobili memo- rie , non vuole restarsi senza la sua parte in que- sta onorevol pompa della romana campagna. Esso, per mezzo del gentile sig. N. N. proprietario di un fondo in cui si cercarono antichità , e per cura di queir egregio medico sig. dottore Rossi , al di cui zelo hanno applaudito altre volte i nostri fogli , ci trasmise copiato con esattezza il sottoposto raro ed interessante monumento. 9- D M L . COMINI . L . F . MAXIMI . DOMV . MANTVA p.p. BIS . prx.oqvRATORi . m. . Antonini . avg . pr AEF . LEG . II . xkoiAXAE . FGHTIS • CO . TRIB . CUOR . VII . PRAETORIAE . XUII • VRBAnAE . m . VIGVL. CENTVRIO . CHORTIS . I . PR . X • VRBANAE . V . VIG . EVOCATO . AVGVSTORVH . BENEFICIAR. PRAEF . PRAETOKI . VIXIT . ANNIS . LXXX • H . DIEB . XVm . NVMITORIA . C . F . MOSCHIS . CONIVX . BKNE . MERENTl . HERES . Procureremo di appianarne alquanto la leggenda, rendendola per intiero. „ Dis Manibus Lucii Cominii Lucii filii Maximi , domo Mantua. Primo pilo bis, „ procuratori Marci Antonini Augusti , pracfecto „ legionis secundae Trajanae forlis ducenario , tri- „ buno cohortis septimae practoriae , et decimae Scelta scpigraiici ii3 „ quartae ui'Lanae, et tertiae vigiluni , centurioni „ cohorlis primae praetoriae , et decimae urbanae, „ et quiutae vigilum, Evocato Angus toni in , Bene- „ ficiario Praefecti Praetorio , vel Praetorii. Vixit „ aniiis octuaginta rlaobus , diebus clecem et odo. „ Nnmitoria Caii filia Moschis conjux bene raerenti „ heres (fecit). „ La lunga età di questo valentuo- mo , eh' ebbe la sorte di chiudere i suoi giorni nel tranquillo tiburtino , darebhe lungo studio a chi vo- lesse svolgerne tutta la carriera e militare e civi- le. Dovette certamente essere un valentuomo anche in giurisprudenza e saggezza , se giunse ad essere benefici ariiis , cioè assessore o collaterale nella Pre- fettura del pretorio , tribunale supremo in qne' tem- pi , al fianco dell' istesso imperadore : pel quale al- to impiego egli esente da' servigi castrensi , godeva il benefizio degli stipendj annessi; come nella pro- curazione , o coramessariato imperiale , lo stipendio di ducenario , doppio di quello de' centenarj. L'esi- mio sig. Borghesi , a cui ricorremmo per quel Mar' ci Antonini^ non in regola ne pel Pio , ne per Mar- co Aurelio , così ci rispose brevemente nell' erudi- tissimo carteggio , che si compiace di tenere seco noi. „ Noa è sì facile il definire , chi sia quell' imperado- „ re Marco Antonino. Il Pio no certamente , poiché „ questi ebbe il prenome di Tito, Nella linea sesta „ dicesi , che Cominio fu Evocatiis Augustorum -, „ cioè richiamato dal riposo dopo una prima car- „ riera. Ciò dovette accadere innanzi eh' egli dive- „ nìsse procurator; e quindi l'Antonino potrebb' es- „ sere Marc' Aurelio , allor eh' ebbe compagno Lu- „ ciò Vero. Potre])b' essere altresì Caracalla; e l'evo- „ cazione di Cominio risguardare il tempo , in cui „ questo Cesare fu associato all' impero dal padre „ Settimio Severo. Ma se Cominio prolungò tanto la G.A.V.XXXL 8 ii4 Letteratura. „ vita , niente osta che si possa parlare di Llaga- „ baio ; ritenendosi fermo , che gli Augusti evocan- „ ti sieno Severo e Garacalla. ,, Se non è una sin- goiar combinazione de' due nomi , Massimo e Mosclii- de , che inganni , noi possiam solo aggiungere , che i due conjugi ebbero un figlio , nomato pure Mas- simo , il quale morì d'anni diciasette : Giuter. DGXGV. 12. Della gente Numitoria, ricordante le più alte origini di Roma , conosciamo lapidi anche nelle nostre contrade. Moschis , vezzosissimo nome greco , significa vitelluecia. Sommo dovere di mostrar gratitudine in pubbli- co incombe a quo' letterati onesti , che da altri per cortesia ottenuto abbiano alcun bel prosente di let- teraria rarità. Anni sono l'egregio sig. Michele Lopez, ora prefetto del ducal museo di Parma , trovandosi in Roma , volle farci dono di una greca iscrizione , dissotterrata fra le mine dell'anfiteatro di Aquileja, ed a ini comunicata dal eh. sig- conte Asquini. Egli l'avea tradotta molto bene in italiano; e noi ringra- ziandolo come si conveniva, promettemmo di espor- gli un giorno tutta l'importanza della clausula po- stavi sul l'ine. L'umanissimo signore ci compatirà , se un po' tardi tenghiamo la parola. Gradisca di rive- dere, comunque e non bene ornato , tutto ciò , di cui aveaci fatti debitori la dottrina « gentilezza sua. Ne l'elegante ed erudito epigramma è alieno da que- ste pagine : che in esso celebrasi una donna eccel- lente nel canto e nella teatrale azione, di cui ab- biamo trattato alqua^ito ; ed il sig. Lopez , con un genio ed una intelligenza clie non dimenticheremo giammai, visitò allora in mezzo alla società nostra quelle scavazioni Sa])ino- fìctih^nsi , le quali hanno dato principale argomento alla presente scritlurella. Scelta epigrafica .ii5 IO. THN nOAAOIS AHMOISI nAPOS nOAAAIS TE nOAESSI A02AN *«NAE2ZAN ENI 2KHNAI2I AABOYSAN nANTOIHS APETHS EN ME| MOI2 ENTE XOPOI2I nOAAAKIS EN 0YMEAA12 AI AOYAOY2 QA ESAFOYSIN TH AEKATH MOYSH TO AA AEIN S0*02 HPAKAEIAH2 MEIMAAI BA22IAAH 2THAHN 0ETO BI0A0r02 *Q2 H AH KAI NEKY2 OY2A I2HN BIOY EAAAXE TEIMHN MOY2IKON EI2 AAnEAON 2Qm' ANAnAY2AMENH TAYTA 01 2Y2KHNOI 20Y AEFOYSIN EYtYXEI BA22IAAA OYAEI2 ASA NAT02 „ Eara, quie pridem multis in populis ac multis in civitatibus „ Gloriam vocalein (voce partam) in scenis obtinuit „ Omnigense virtutis, in mimis atque in choris , ,, Pluries etiam in tliymelis , seu canticis, quoe ser- vos Ime introducunt; ,, Decimae huic Musos , Heraclides vir sapiens elo- quio „ Mimne Bassillas stelam ( cippuin sepulcralem ) posuit , ille vir qui orationiLus suis vivit. I 1 6 L K T T E R A T U R A „ Haec autem , etiam mortua ut est , aeqnura ac respondentem vitoe per eam actae honorem ob- tinuit, „ Quum corpus requiescenduni in hoc musico so- lo composuerit. „ Haec. , id est seguenti a , „ Contubernales , vel scenici socii tui , dicunt : Sis bono animo, Bassilla! Nerao immortalis est. „ Otto sono i versi , de'quali sette belli esametri , e l'ultimo solamente pentametro; il che faceasi per la cadenza flebile di tal verso, la quale formava tut- ta l'essenza dell'elegia; cadenza però che non si sen- te , se non da chi sa recitare all'antica, ossia se- condo la quantità , solo e vero accento primitivo. Compatiremo i nati lungi dall'Italia, se si professa- no sordi affatto alParraouia divina de'classici , ch'è la stessa in Omero ed in Virgilio , in Pindaro ed in Orazio, L'accento moderno, provenuto dal toglie- re i due tempi a'dittonghi, resi una vocale sola, e per ciò brevi, e dal dover quindi trasportare i due tempi sulle brevi , ha guastato tutto : ma ciò e ac- caduto soltanto più secoli dopo il vero fiorir del- la lingua. Ci adonteremo piuttosto con gli educati in Italia o in Europa , se non comprendono anco- ra , essere 1' accento e la quantità 1' istessa cosa in secoli diversi , e le lingue mutare bensì con le usan- ze la sede dell' accento sulle parole, ma non mai l'unico accento, che è e fu sempre nelle lingue tut- te un battere o elevare la tal sillaba e non l'altra. Molti e grandi lumi somministrati ci vengono da questo marmo sulla professione delle mime e dc'ini- mi , che risultano attori , ed insieme cantori di com- posizioni tragiche, comiche, satiriche, ed anche in- feriori , cioè di semplici cantate ; se regge special- SCELT.\ EPIGRAFICA HJ monte, come crediamo, la lezione aoyaoys, clie dagl' iiiclizj dell'apografo avuto restituimmo nel ver- so quarto. Sembra certo, che i servi, grande nazio- ne a parte in que* tempi , non fossero ammessi ad altri spettacoli teatrali, che agl'infimi; a cantate co- muni e popolari, eseguite con azione ristretta dagl' is- tessi mimi e mime dell'opera , or diremmo , regia , e de'cori o cantici , che rallegravano 1^ commedie greche. Ben ci avvertiva Polluce, che la flufieAi» non altro era , se non se un jSh|ì« o un fiayiog , un tri- Lunale o un grande altare: ed Al ©YMEAAI qui pren- donsi per le cantate fatte in tal parte degli odeL o teatri. Che i vasti edifizj destinati alle pubhliche letizie fossero comprensivi di molti usi e suddivisio- ni, ci constava da mille luoghi degli antichi au- tori. Cosi potessimo avere un'esatta pianta delPt^di- fizio di Aquileja ; che indi certo soggiacerebbero ad eccezioni le cAix'y^xcpxì sistematiche di Vitruvio ! Bas- silla di origine almeno è latina, da Bassus ., Bassa, Eraclide , l'ammiratore di lei, si è circoscritto ab- bastanza da se stesso per uno di que'professori di eloquenza pratica ed avventuriera , che chiamavan- si sofisti. Dopo il secolo augusteo , costoro sparsi dalla Grecia e dall' Asia riempirono tutto il roma- no impero , segnatamente intorno i tempi degli An- tonini ; alla qual'epoca , o a posteriore di non mol- to , l'epigramma nostro richiama con tutto lo stile e le sue maniere. Oratori fortunati questi sofisti ot- tenevano influenza politica, e condotte lucrose. Po- trebbcsi quindi credere , che Eraclide tenesse il fl^òvo? , o la cattedra nella splendida e dotta Aquilej i. Gli eruditi più versati nelle memorie di quelle contra- de veggano, se abbia che fare con esso l'iscrizione di un'arca o sarcofago di quella chiesa, recata dal Bertoli nella Raccolta Calogeriana , tomo XXXIII. pag. 2 1 5. 1 18 Letteratura SEPTIMIVS . HERAGLIDA . AVREL PANTHIAE . AMITAE . SVAE . POS VI T Solamente dopo la porzione metrica del nostrp epigramma , ineomincia da quel TAYTA la porzion- cella più nuova ed istruttiva per noi , e per tut- ti gli uomini di svegliato ingegno , i quali amino; di penetrare negli arcani delle antiche dottrine, Niun altra cosa impedisce tanto 1' intender bene i classici e le pili interessanti epigrafi, quanto la ellissi, che gli autori adoperavano in formole allora solenni e notissime , le quali ora sono a noi oscure ed igno- rate. Parecchi marmi ci davano in fine di un epi- taffio il solo TAYTA, posposto per lo più ad un altro vocabolo di non chiaro significato , terminante in I. Veggansi questi citati dal Marini , nelle sue Iscrizioni Albane alla pagina 98. Un tal pronome pe- rò, cosi senza costruzione di sorta, era un duro enigma. Che parleremo degli antecedenti raccoglitori ed il- lustratori di lapidi ? L'istesso grand'epigrafico mae- stro nostro , dopo un vano agitarsi conchiude ivi dubitativamente per un proverbio , troppo alieno dalla funebre serietà : ed intorno a ciò nulla di me- glio sepp'egli poi dire nella sua opera maggiore de- gli A r vali. Sia dunque la ben venuta questa nobi- le aquilejese , che sola reca la frase intiera , e dissipa le tenebre ! TAYTA conduce seco sottin- teso il verbo Kèja o Ae70fiev. Qui sta in terza per- sona Aè70U(j-/i/, essendo l'epigrafe in bocca ed a no- me di un estraneo , ch'è il sofista Eraclide , diffe- rente da'socii scenici, i più prossimi di affetto alla forastleraB.issill3,di cui curnhant funus. Nelle brevis- sime, come inEYSTA0I TAYTA del Grutero, DCLX-XI. 14., la relazione portasi a quel nome arcano dell'in- Scelta KPrcR-iFiCA i ìg tiina tenerezza, usato fra' soli congiunti; intorno a Cui , ed a simili acclamazioni o saluti estremi, fi- nora non chiari, e pure adoperatissirai anche da'cri- stiani , stabilimmo sicuri principj su questo giorna- le nel volumetto di maggio iSaS alla pag. 196. La bellezza e la importanza di tale teoria e distinzio- ne, indispensabile nell'esercizio della scienza, richie- derebbe , che ne ponessimo in maggior luce tutto il complesso , con ben partito ed ampio discorso , e con più forza di esempj. Concedasi frattanto un bre- ve respiro all'affaticato scrittore. In un emporio ri- dondante ogni giorno e crescente di dotte spoglie dell* antico , qual si è questa Roma , nulla di piiì facile ad appassionati e vigilanti amatori, che l'in- contrare sconosciute o neglette rarità , sulle quali poter poscia proseguire ed ornar meglio i trattati già institniti sovr' altri monumenti. Facciamo voti , e voti sinceri ed ardenti , che i benemeriti cittadini, per lodevole zelo de' quali le collettanee nostre e questi fogli abbondano di tan- ta e sì veneranda erudizione, trovino coraggio e so- stegno nella imminente stagione ad operare altre ricerche per le inesauribili campagne de' nascosti te- sori; ed in tal guisa noi possiamo, con tutta la de- bolezza del nostro ingegno, e sulle cristiane, e sulle gentilesche antichità novellamente rinvenute, non de- sistere ancora dal ricalcare con profitto le orme ono- rate de'nostri maggiori. Girolamo Aimati. i:èo Considerazioni del cav. Vincenzo Berni degli An- ton j sulle di'jerse censure fatte alle sue comme- die dalla Biblioteca Italiana' V arlò delle mie commedie il giornale arcadico di Roma, nel marzo di questo stessa anno. Ne ha par- lato nel successivo giugno la biblioteca italiana di Milano. Come a quello io già risposi , cosi rispon- do ora a questa. Dalla quale quand' anche stato fossi sì mal concio come fu il Castel vetro dal Caro , il Tasso dal Galilei ,_. il Goldoni dal Baretti , non po- trei non pertanto esserne sì dolente , come lieto mi sono che la biblioteca italiana , dopo di aver detto che r Adulatore ed il Sospettoso mi pongono nel nu- mero di quei pochissimi che non indarno scrivono commedie a di nostri^'^ soggiunse: Se noi aves" Simo del sig. degli Antonj un concetto minore di quello che abbiamo , saremmo a por fine con questa lode alle nostre parole , o toccare alcun poco quel- lo, parti per le quali abbiamo creduto di duverglie- Iti attribuire y ma perchè lo stimiamo più caldo ama- ture delV arte , che desideroso di encomi ; verremo in vece brevemente notando alcune mende , che fanno a parer nostro minore il pregio delle sue com- medie. La opinione a me tanto favorevole che qui si spiega è di gran lunga superiore alle lodi meri- tamente date ai Molieri ed ai Goldoni ; di che io so grado al maggior segno agli illustri autori della biblioteca. Passando al giudizio che si proferisce delle mie commedie 5 soao io pure in concordia che r Irreso- GoM.MiiDiE Di Degli Antonj 121 Jutn^ la Mn^ie sans le secours da diable^ e Le tre sorelle^ dovevano chiamarsi anzi farse che comme- die o si riguardi la loro brevità , o il loro genere Lu riesco piii die altro : le quali due ragioni sono •quelle appnnto che si portano dalla biblioteca Opinano i discreti miei critici che l'argomento delle Tre sorelle più acconcio sarebbe alla, narra- zione che ad essere rappresentato , e che riesce piuttosto vuoto che semplice. E della Magia senza incomodo del diavolo afìermano , che Vastuzia è più, presto ridicola che spiritosa e \ìerisimile. Non avrà fine il presente foglio che l'argomento delle Tre so- relle ristretto non sia in una novella, ma breve as- sai , perchè più lunga non riesca della farsa. Sarò al tutto contento se almeno uno dei due modi non dispiacerà. Io , se vietato non fosse l'essere giudice nella propria causa, preferirei la farsa; perchè mi sembra che lo sviluppo di essa proveniente da in- treccio che è fuori di scena , riesca più maraviglio- so posto in azione che in racconto. Quanto alla Ma- gia dirò questo soltanto , non essere inverisimile, an- zi pure non poterlo essere, quel fatto che 5Ì porta dal comico poeta al solo fine di porre in ridicolo coloro che fede facilmente vi prestano , sebbene ve- ro non sia ne verisimile. Due difetti vengono opposti al Sospettoso- l'uno, che non par dipinto con si vivaci colori da farlo emergere bastantemente dagli altri ; di modo che la commedia cammina al suo fine indipendentemente dal sospettoso-, l'altro, che il processo del cassiere Basilio , da cui dipende la catastrofe della com- media , compiendosi tutto fuor della scena non pub produrre negli spettatori quelV interesse , a cui for- se Vautore llia destinato. ■122 Letteratura Insegnano , se la memoria non mi ha tradito , i maestri dell' arte che le commedie di solo ca- rattere , qualunque sia il loro termine, non perciò sieno difettuose. Di che manifesta è la ragione, poten- dosi qualunque carattere egregiamente spiegare sen- za ch'esso abbia parte nell' intreccio. Quanto al sem- brare che il carattere del sospettoso sia meno vivo di quello che esser dovrebbe ; non potendo io im- pedire che ad altri non paja ciò che ad essi pare veracemente : voglio che mi basti il considerare che il loro giudizio non è decisivo, e che quindi cangiar si potrebbe da quegli stessi che lo hanno dato. Ve- rissimo che il processo contro Basilio si forma fuor della scena : ma dall' aver io stentato assai ad espor- re nella cominedii alcune cose riguardanti il pro- cesso , ho dovuto conoscere che non sarei riuscito a tesserlo interamente; essendo malagevole assai, quand'anche non sia impossibile, di trattenere senza noja, non che piacevolmente, il popolo, rappresen- tandogli tenebrose carceri, esaminatori severi , giu- dici inesorabili. T)e\V Adulatore e detto che di troppo somiglia a Tiburzio del Sospettoso. In fatto come Melanzio tenta di rovinare il fidato cameriere Valerio , e di trarre in dannoso inganno don Tito; così Tiburzio abusa dall' acquistata grazia di Ottavio a danno dell* innocente Basilio, non meno che dello stesso Otta- vio suo ospite. Mille esempi e mille addurre io potrei di ca- ratteri da uno stesso autore più volte replicati nelle sue commedie. Ma del solo incomparabile Goldoni ragionando io , e delle sole sue commedie patrie, non è forse, in tutte il Pantalone un onorato nego- ziante viniziano , il Dottore uno scienziato bologne- se , il Brighella un servo astuto , l'Arlecchino uno Co'.niEDiE DI Degli Antonj laS sciocco malizioso, la Colombina una pettegola? I ca- ratteri degli uoiniai sono sempre gli stessi , e tutta, l'arte del poeta comico è riposta nel trattarli nel modo che più imiti la natura , e che meglio guidi al fine proposto. L'adulatore Tiburzio seconda sol- tanto i sospetti di Ottavio , laddove Melanzio ado- pra un' adulazione piìi fina assai e maligna. Otta- vio è un onesto banchiere, ma senza coltura di Sorte alcuna , e senza alcuna pratica del gran mon- do ; nelle quali cose D. Tito è eccellente. I carat- teri dunque sono gli stessi ma variamente dipinti. I rispettabili miei critici non hanno punto par- lato ne della farsa V Irresoluto , ne della commedia // tartiifo. Non ne chieggo la ragione perchè non tornasse mai in mio danno l'averla chiesta. „ La lingua (cosi termina la critica) potrebbe „ essere non di rado piiì purgata e pii^i elegante. „ Non mi difendo, anche perchè noi potrei , non es- sendomi stato pure un luogo solo indicato di quel- li ne' quali sì afferma che io , ne di rado, ho po- sto il piede in fallo. Spero che ai miei critici di- spiacerà meno lo stile da me adoper ato sì ne' pro- loghi premessi alle farse ed alle commedie , e si nella novella che qui aggiungo aiTme di sciogliere la parola data in principio. NOVELLA. Infiammatosi Calisto perdutamente di Clarice,, la maggiore delle tre nipoti alla sua cura addate dal defunto suo fratello Riccardo,, toglie loro ogni co- municazione con gli sposi. S^introduce uno di essi nella loro casa , dove poi introduce gli altri due sposi : tra* quali tutti e le tre pupille nelV istante si contraggono i tre matrimonj. Sopraggiunge il tu- 124 ^ ^ ^' r E R A T U R A tore , che ravveduto del suo fallo dona i suoi be- ni alle pupille e con esse rimatisi , e tranquillameri' te compie il restante de* suoi giorni. È Bologna ( siccome io penso che noto sia a tutti) una delle più belle ed illustri cittk dell' Ita- lia. Vissero in essa nel principio del passato secolo due fratelli , de' quali uno avea nome Riccardo , e l'altro Calisto ; agiati banchieri , ed onesti. Il pri- mo ne mai prese moglie, ne mai ebbe figliuoli. AH' altro della sua nacquero tre figliuole chiamate Cla- rice , Silvia , Niccolosina. Avvenne che essendo Ca- listo presso a morire , ne alcun altro amico o pa- rente avendo , di cui piìi si fidasse, quanto del fra- tello Riccardo , fattolo a se venire sì gli disse: Tu vedi come vicina è l'ora del mio passaggio di que- sta all' altra vita. Abbandono alle tue cure le mie tre figliuole. Pregoti a tener loro il luogo di padre. Dammene la parola e muojo contento. Riccardo glie la diede, e l'attenne. Perocché morto Calisto recossi ad abitare colle nipoti , la maggiore delle quali ave- va anni dieci , o in quel torno ; ne fra esse v'era altra differenza di etk che di un anno. Affidolle a proba ed accorta matrona ; e le fece instruire in tutto ciò che a gentili donzelle si addicesse. Corri- sposero esse alla buona educazione; con ciò sia co- sa che fornite fossero di ottima indole e di molto ingegno. Erano già. venute all' età da marito , e a tale avvenenza che si chiamavano comunemente le tre grazie. Per la qual cosa , e perchè di ricca do* te provvedute , i più bei giovani ed i più dovi- ziosi e leggiadri della citta ardentemente aspirava- no alle loro nozze. Come lo zio si accorse che le nipoti erano vagheggiate e vagheggiavono , con- dusse le cose in guisa che ciascheduna tale scegliesse uno sposo quale più le conveni-se. E già appres- Commedie di Degli Antoni 123 savasi il tempo da celebrare i matrimonj , quando ( opera della umana fralezza , la quale non di ra- do pare iu cui meno dovrebl^e ) il vecchio zio fu preso ad uà tratto da furente e sconsigliato amo- re? per Clarice , la maggiore delle tre pupille. Det- to fatto , discacciò di casa la matrona ; licenziò i maestri e i domestici ; di guisa che in casa non restò che una fante alla cucina. Piìi a,«evole sia l'im- raaginare che il descrivere quali rimanessero le so- relle chiuse fri quattro mura, divise dai loro aman- ti , colla sola ingrata compagnia del veccliio zio e della vecchia cuciniera. Un solo conforto traevano^ come che assai di rado , al vedere i fedeli sposi da u:i finestrino del granajo ; con che vive si manten- nero le amorose reciproche fiamme. Pregato il tuto- re dalle sue pupille a palesar loro il perchè dell' improvviso e straao cambiamento , si fece egli a ra- gionare di questo modo: Voi non ignorate come al vostro buon genitore io promisi di educarvi come se foste mie figliuole. Se io abbia fin qui il mio do- vere fornito, altri testimonj non voglio che voi stes- se. Giunto era il momento della vostra maggiore con- solazione , che stato pure sarebbe della mia, quan- do il cielo pietoso di voi cura si prese , e altresì di me. Seppi da un grande mio amico degno d'ogni fe- de , che i tre giovani sposi erano , a dir breve, di mal costume e di vita corrotta. Ciò mi strinse ad ap- pigliarmi senza pii^i a quel partito, a cui voi stesse saggio che siete e prudenti appigliate vi sareste, per- chè tutti vedessero , che il vostro costumare co' malvagi prodotto avea soltanto 1' effetto di cercare nel ritiro più sicura cautela. Non andrà guari tem- po che questo slesso ritiro vi procacciera ben' altri sposi, ai quali accoppiandovi sarete felici. Qui tacque lo zio : a cui la Clarice modestamente , ma con fcr- 2^6 L E T T F, IX A T U n A mezza rispose: Checche riferito vi abbia de' nostri sposi l'amico , iiiuna di noi con essi conversando ha potuto scoprire in essi che gentili maniere , sinceri- tà, e saviezza. E si perciò, come perchè siam certe che voi , il quale tanto ci amate , preposti non ce gli avreste senza avere innanzi prese le più accerta- te informazioni del loro modo di vivere , teniamo per fermo che il vostro amico , anziché sgannarvi , abbiavi ingannato : e seguiteremo quindi ad amare i discacciati sposi. Rammenteremo a qualche ristoro della nostra afflizione le vicendevoli fatte promesse , e vivremo della dolce speranza che .... Voleva più dire, ma il pianto la r attenne. Allora il vecchio, veg- gendo che le altre pure piangevano amaramente , si ristette dal più favellare. Non passarono che pochi giorni quand' egli più oltre nascondere non potendo la focosa passione di che ardeva per la nipote Cla- rice , a se chiamo Ha ; e dopo di averla assai com- mendata per la sua piacevolezza singolarmente e do- cilità ; e dopo di averle fatto conoscere i molti pe- ricoli ai quali andava incontro dove sposato avesse nu giovanetto , alla fin fine con un discorso dai sospiri interrotto le palesò di amarla sì, che più avan- ti di lei non vedea ; e se le offerse in isposo, ob- bligandosi a farle dono dell' intero suo patrimonio. La savia nipote , senza nulla dire che punger potes- se lo zio, ma trattenendo a grande stento le risa , rispose se non esser più donna del suo cuore ; e che perciò non isperasse egli giammai che ella ne dispo- nesse altramente da quello che diliberato avea. Ne lasciò di aggiungere che nell'animo soltanto delle vili donzelle l'oro fa comparir giovane il vecchio, e va- loroso e prò e bello della persona. Più altre volte parlò lo zio alla nipote intorno allo stesso argomen- to , ma sempre collo stesso successo. E siccome egli Commedie di Degli Antonj ,2^ in mezzo alle ragioni prontissime a farlo disperare di ottenere giammai il bramato intento , non cessa- va di sperare; cosi proseguiva a tenere le tre jm- p-Ile più ritirate che mai. Le quali da prima ven- nero in tanta melanconia che maggiore immaginare non SI potrebbe. Poscia andando le cose più a lun- go che bisogno non era, rimasero in questa con- cordia ; che avrebbono del continuo caricata di strapazzi la vecchia cuciniera , e liberamente par- lato al tutore , mostrandosi ne' loro diritti ammae- strate , e indispetite del carcere, a cui dannate le avea. Avvisarono che per tal modo lo stato loro , che peggiorar non potea , avrebbe potuto migliora- re. Ne fu di lungi l'eflelto dall' avviso ; perciocché avendo elle fatto come stabilito avevano , Ja vecchia , più reggere non potendo allo contumelie , fuggì im' provvisaraente di casa. Di che essendosi il Vecchio forte querelato colle pupille, queste rivolsero con- tro di lui le querele , perchè a tale condotte le aves- se coir aspro trattamento , che d. costumate che era- no fatte le avea divenire inlollerabili. Comechè ne ciò ne altro valesse a distorre il vecchio dal suo proposito , pure in un colloquio colla sua Clarice le promise che alla cuciniera , di cui le pupille mo- stravano di avere schifo , surrogato avrebbe un cuo- co. Il cielo, che mai non abbandona gb innocenti dispose che la vecchia fuggendo si abbattesse nel giovine Federigo sposo deila Clarice, a cui tutto di- stesamente narrò quanto era accaduto. E siccome amore h scaltro , cosi suggerì immantinente al gio- vane di esibirsi al tutore per cuoco. Per la qual cosa vestitosi egli di cenci , e contrafatto il volto, dove prima era un bel garzone , la comparsa fece di brutto vecchio e deforme, perocché egli ben cono1)be che altramente stato gli sarebbe impossibile <128 L E T T E R A T U U A di ottenere quanto hiamava. Ord\ egli poscia la re- te in modo che il vecchio vi rimase colto. L'aspet- to del nuovo servente eccitò nelle tre sorelle più il riso che il dispetto- Le quali si rincorarono som- mamente quando uscito il vecchio di casa , il cuo- co si dimostrò risoluto di nulla fare di ciò che a loro fosse per recar dispiacere , e che il tutore co- mandato gli avea. Crebbe in esse la speranza al- lorché il cuoco diessi a conoscere per valente suo- natore di pian -forte, e in appresso per infallibile indovino. Il quale accortosi che le giovani nulla sospettavano di ciò che per avventura esser potes- se ed era , lanciò di lontano la finta parucca , ri- compose il viso , spogliossi de' cenci , e si fece ve- dere Federigo. Dolce fu la sorpresa per le tre gio- vani ; dolcissima per la Clarice: ma tutte trepida- vano pel ritorno del vecchio. Se non che Federigo , il quale a tutto provveduto avea , parti facendo vi- sta di andare a prendere due testimonj per torsi in moglie Clarice. Tornò fra pochi istanti in compa- gnia degli altri due sposi ; e sul punto celebraron- si i tre matrimoni ; perchè quando uno sposo pren- deva per mana4a sua sposa, gli altri due servivano da testimonj. Ai gridi di gioja sopraggiunse il vec- chio tutore , il quale da prima infuriò. Poscia a poco a poco tornato in se stesso e avendo il suo fallo conosciuto, e provato rossore, fece alle tre ni- poti quella donazione che far rolea alla sola Clari- ce , e con esse e co' loro ^ sposi in pace e in heae visse pili e più anni. V. DEGLI Antonj ^9 Fersi del cw. y. Monti. V-Josi il principe de'poeti viventi Vincenzo Monti sa- lutava ultimamente il giorno onomastico della di- letta sua consorte Teresa Pickler. Possa egli salu- tarlo ancora lunghi anni, e conservarsi felice all'a- more de'suoi congiunti ed amici, e all'alta gloria delle italiane lettere ! Donna, dell'alma mia parte piìi cara. Perchè muto in pensoso atto mi guati , E di segrete stille Rugiadose si fan le tue pupille ? Di quel silenzio , di quel pianto intendo , O mia diletta , la cagion ! L'eccesso De'miei mali ti towìie La favella , e discioglie In lagrime furtive il tuo dolore. Ma datti pace, e il core Ad un pensier solleva Di me più degno , e della forte insieme Anima tua. La stella Del viver mio s'appressa Al suo tramonto : ma sperar ti giovi Che tutto io non morrò. Pensa che un nome Non oscuro io ti lascio : e tal che un giorno Tra le italiche donne Ti fia bel vanto il dire : Io fui l'amore Del cantor di Basville , Del cantor che di care itale note Vesti l'ira d'Achille. G.A.T.XXXn. 9 l3o L E T T E R A T t R A Soave rimembranza ancor ti Ila , Che ogni spirto gentile A'miei casi compianse (e fra gl'insubri Quale è lo spirto che gentil non sia ? ) . Ma , con ciò tutto , nella mente poni Che cerca un lungo sofferir chi cerca Xiungo corso di vita. Oh mia Teresa , E tu del pari sventurata e cara Mia figlia ! Oh voi che sole d'aleuti dolce Temprate il molto amaro Di mia trista esistenza , egli andrà poco Che neir eterno sonno , lagrimando , Gli occhi miei chiuderete ! Ma sia breve Per mia cagione il lagriraar ; che nulla , Fuor che il vostro dolor , fia che mi gravi Nel partirmi da questo , "" Troppo ai buoni funesto , Mortai soggiorno , in cui Così corte le gioie e cosi lunghe Vivon le pene ; ove per dura prova Già non e bello il rimaner , ma bello L'uscirne , e far presto tragitto a quello De'ben vissuti a cui sospiro. E quivi Di te memore , e fatto Cigno immortai ( che de'poeti in cielo L'arte è pregio , e non colpa) il tuo fedele, Adorata mia donna , T'aspetterà cantando , Finche tu giunga , le tue lodi ; e molto De'tuoi cari costumi Parlerò co'celesti , e dirò quanta Fu verso il miserando tuo consorte La tua pietade ! E Tanime beate , Di tua virtude innamorate, a Dio Pregheranno che lieti e ogaor sereni i3t Sieno i tuoi giorni e quelli Dei dolci amici che ne fan corona : Principalmente i tuoi, mio generoso Ospite amato (*) , che verace fede Ne fai del detto antico , Che ritrova un tesoro Chi ritrova un amico. (*) Il sig. L, Aureggi, nella cui villa in Brlanza albergava l'illustre cantore. 9^ l32 VARIETÀ J frammenti de sei libri della repubblica di Mai'co Tul- lio Cicerone volgarizzati dal principe D. Pietro Ode- scalchi dei duchi del Sirmio ec. 8.° Roma pe' torchi del Sahiucci 1826. { SoJio cart. XXIII e 194, col ri- tratto di Cicerone disegnato dalV/dgricola e inciso dal Fola. ) s e ne parlerà ne' volumi avvenire. // medico giovane al letto delV ammalato^ istruito nei doveri di medico politico e d'uomo morale. Lezioni del cav. Luigi Angeli imolese. - Volumi due in 8.° di pag. a^tì il primo , e di pag. 38a il secondo, Pado- va i8u5. J-icco la quarta edizione di questo prestantissimo lavo- ■ ro di un medico veracemente insigne, di un medico che \ gode la universale riputazione, di un medico ch'è il Ne- store della medicina italiana. Il pregio grande di tali le- zioni non solo emerge dal rapido esaurimento delle precedenti edizioni , una delle quali se ne pubblicò in Li- psia nel i8>.3; ma dall'interesse degli oggetti che vi ven- gon tratlati, siccome giustamente ne rese conto il defun- to prof. Dall' Oste in un discorso preliminare apposto al- V A H 1 E T a' i33 la terza edizione tedesca , che ora qui si riproduce. In sei lezioni è diviso il primo volumetto , ed a ciascuna le- zione si riscontrano unite , a foggia di altrettante appen- dici, alcune aggiunte atte ad illustrare i singoli argomen- ti, e tratte dalle istruzioni cllniche del celebratissimo con- sigliere prof. Brera. Non ci darem cura di compendiare il presente lavoro , ma eccitiamo gli studenti delle me- diche discipline , ed i medici ancora di non maturo eser- cizio, a possederlo attesa la somma utilità sua, che di- scara pur non tornerebbe a'medlci di qualsiasi età. Nel- la prima lezione sì tratta àe' Doveri del medico riguai- do a se stesso. Nella seconda si parla àe" Doveri del me- dico riguardo alVammalato ; e qui si aggiunge una Ta- bella nosografìco - clinica con le istruzioni più acconcie delle maniere di esaminare gCinfermi. Si aiigira la ter- za intorno ai Doveri del medico riguardo agli altri >ue^ dici ^ e qui v'ha un* appendice tratta dai Prolegomeni cli- nici del eh. Brera ove tratta delle consultazioni medi- che. Espone la quarta i Doveri del medico riguardo al- ici religione ( ed oh ! quanto è necessario d' ivi imitare , 1 e scolpirsi neir animo i pensisri dell'A, rapporto agli at- I tributi sublimi dell'Ente increato che dobbiam venerare come facitore di un opera si stupenda com' è l' uomo ; rapporto alla sollecitudine rlsgnardante l' annuncio del pe- l'icolo della vita , e dell' amministrazione de' sagramenti ; rapporto alle somme cautele risguardanti il vitto , e le ! dispense del quaresimale digiuno ; e rapporto all'avvedu- 1 tezza nel condursi colle glo vani donne, o nel rimuovere qua- lunque Superstizione !). Vengono nella quinta registrate le j Cautele da osservarsi nelle malattie contagiose^ e nell'ap- pendice si aggiungono le belle riflessioni del prelodato sig. Brera relative speclalmete ai mezzi di prevenire la diOusione de' contagj. Nella sesta finalmente si discorre Z abuso del salasso condannato dalVautorità dei sommi pratici., dalla ragione e dalla sperienza; e qui si rlpro- i34 Varietà' ducono in aggiunta le due interessanti lettere del prof. Meli in proposito, delle quali abbiamo già reso conto nel nostro giornale. - Nella parte prima del secondo volumet- to si espone un compendio dì una farmacopea econora.ica' ossia catalogo de'rimedj semplici e composti , colla loro siaonimia antica e moderna , italiana e latina. Siegue un ragionamento assai istruttivo Delle sostituzioni farmaceuti- che , ed una Lezione risguardante le cognizioni ed «^»- vej'tenze necessarie per ischivare le convenienti combi- nazioni dei riniedj , la quale può servite all'arte di ben ricettai'e. Nella seconda poi, dopo alcune prefazioni che contengono preziosi avvertimenti del fu prof. Dall' Oste intorno alla composizione delle ricette , intorno alla ma- niera di agire dei rimedj dinamica ed elettiva , intorno alle diverse condizioni morbose che si esigono , viene registrato un Ricettario clinico , una raccolta cioè di me- diche prescrizioni dettate tutte al ktto dell'infermo dallo sperimentato medico accorgimento del prof, consigliere Bre- ra, suggerite dalla momentanea indicazione e dal caso pratico, e sanzionate dalla utilità conseguitane nel corso di diciassette anni . Vi sono due indici disposti in or- dine alfabetico : il primo dei quali versa sui medicamen - ti dai quali risultano composte le ricette; ed il secondo ricorda le malattie in cui furono prascritte le singole for- me medicamentose. Queste sono al numero di 4o2 , ed a ciascuna di esse va unita l'opportuna avvertenza della di lei facoltà medicinale , e delle morbosità nelle quali fìi riscontrata proficua. Siegue finalmente alle medesime un appendice dei materiali immediati dei vegetabili divisi in sostanze alcaline e non alcaline , che di recente sono stati forniti alla pratica della medicina. Di essi annunzian- si l'autore che gli ha scoperti, i caratteri fisici e chimi- ci, e le facoltà Ciedicinali che loro si attribuiscono. ' - ■ G. T. i3: Cenni biografici del cav. Luigi Franali , archiatra consi- gliere privato di S. M. la duchessa di Parma^ Pia- cenza , e Guastalla , detti nella ducale università nel giorno i\ giugno iSaa da Carlo Speranza prof. di terapia speciale e di clinica medica , medico con~ salente di corte ec. ec. Parma , i825. r VJondegno banditore del meriti veracemente rari di quel sommo archiatro è stato il nostro prof. Speranza. La do- vizia delle di lui preziose dottrine , 1' abilità e il discerni- mento singolare per cui si distinse nella difficil arte di guarire , il valore immenso dei di lui lavoi'i degni tutti della pubblica estimazione e riconoscenza , l'intrepido co- raggio neir affrontar pericoli per le medicbe pei-egriiiazio- ni , l'alto onore in cui fu tenuto e da'regnanti e dai più. rispettabili corpi accademici che gareggiarono in posse- derlo a lor membro , la pienezza degli elogj di cui fu col- mato in giusto premio delle sue nobili fatiche nei gior- nali francesi tedeschi ed italiani, la rarità delle sue mo- rali virtìi e de' suoi pregi sociali, sono stati tutti orsetti dallo bperanza contemplati , e con singolare studio ed eleganza descritti. In mezzo al duolo , onde ci afìlloe la ri- membranza di questa perdita, facciam plauso all' egregio A. del presente lavoro. G. T. i3'o Della vita di Carlo Goldoni e delle sue commedie , le- zioni quattro di Domenico Gavi. - Un voi. in la di pag. -20% 'Milano presso Ani. Fort. Stella - 1S26. iie degne lodi de'savj e buoni giovano non pure a lo- ro , cui sono indiritte , ma egualmente e' più a quelli clie le danno od ascoltano. Però queste del Goldoni ci sono care : e tanto più che a guell' unico maestro più glorioso che fortunato ben dee appresso la morie mo- strarsi riconoscente l'Italia , che vivo nal pregiò quanto si conveniva ; onde a lui fu bisogno cercarsi un' asilo sotto cielo straniero , dove in pace riposano 1« sue ce- neri. Ma di là si leva! una voce, che accusa ancora l'in- grata patria, né tacei'k finché a quel grande non sorga nel bel paese un monumento , che ne scusi almeno di- nanzi alle emule nazioni ed alla giusta posterità. Siano grazie antanto a qae'pletosi , che almeno cogli scritti in- tendono a far più chiara la gloria di tale, che volgen- do nell'animo la riforma dell'italiano teatro mirò diritta» mente a queste due cose: i.° „ di escludere le masche- ,, re e toglierle finalmente dalle comiche scene , o alme- „ no di frenarne la soverchia licenza e le troppo insul- „ se sciocchezze , ponendole sotto la disciplina dell'arte ; a." „ d' imitar con le nuove sue produzioni la bella na- „ tura , sempre feconda , sempre cara , sempre maestra, „ e che piaguevagli il cuore di vedere sempre trascurata „ e negletta „: e tanto innanzi procedette che il Gavi non dubitò di affermare di lui: „ finché in Italia sarà la lin- „ gua italiana conosciuta , e , per conseguenza il veneto „ dialetto , dialetto eh' è il suo più vicino , converrà che „ a lui solo s'appiglino i comici ; e facciansi pm-c ten- „ lativi ia contrario , che seguiteranno a riuscire inutili Varietà' 187 „ e vaili: unica gloria a quelle menti concessa, che il „ sommo deli' arte ai rari doni della natura aggiungcn- „ do , sanno toccare al sublime e opere senza eccezio- „ ne produrre. „ Venendo al particolare , egli stesso il Gavi fra le commedie scritte in italiana favella preferi- sce la Pamela ( nubile ) , il Cavaliere e la dama , la Locandiera , La moglie saggia , e la Fìnta ammalata. Noi aggiugneremmo volentieri il Padre dì famìglia , i Mcrcadantì , e co tal altra , che sia lodevole singolar- mente per lo scopo morale. Fra le commedie in vene- ziano dialetto ricorda i Rusieghi ^ e dopo il Todero Broii" tolon , le Bavìijfe Chlozzoite , la Buona moglie , i Pet- tegolezzi delle donne , ed Una delle ultime sere di car^ nevale i che se piacessero in versi, ne addita le Donne dì casa soa , e il Campiello. Tassa poi il Burbero be- nefico e forse troppo acremente ; ma nota egli stesso , che a tutti questi giudizj da esso lui proferiti nel bollore de- gli anni non consentirebbero forse interamente quelli dell'età matura. E ci par vero però quanto conchiude nel paral- lelo tra il Goldoni , il Metastasio , e l'Alfieri: „ il comi- „ co fu buono e mansueto uomo , e raro imitatore del- „ la natura : il tragico superbo e fiero e gran talento ^, nell'arte : il drammatico dignitoso e civile , e posto in ,, niezzo tra arte e natura. ,, Così egli nella quarta del- le lezioni , che ora ne ha date siccome un saggio della sua Storia e critica letteraria ai posteri, dove con sotti- le accorgimento si fa a cercare , a ciò che ne dice , qua- li degli approvati nostri scrittori, morta che fosse (e Dio noi voglia ) la lingua italiana , sarebbero per essere di esCiijpio perpetuo e di ammirazione ai futuri. Aspet- tando di vedere l'opera intera , loderemo che nel bel numero abbia posto, siccome pare, 11 Plauto italiano , al quale starla bene per nostro avviso quell'epitaffio, che con gli altri di Nevio e di Pacuvio già ci lasciò quel pa- dre delle eleganze Aulo GiiUioj ed è il seguente: 1?>^ V A H 1 E T V „ Postquam est morte captus Plautus „ Gomajdia luget , scena est deserta : „ Delude risus , ludusque , locusqae et numeri „ Innumei'l siiiìul omnes collacrymaveruut. Ma come videro i padri nostri a Plauto succedere Te- renzio , di cui lo Scaligero nella poetica ammirò -lectis- siinain orationein et artein suminam - : così possiamo noi rallegrarci di vedere tra gli altri nel Nota chi per non dissimili pregi già si fa degno di succedere allo stesso , benché incomparabile, Goldoni. Domenico VaccoUni La maniera de romantici . Sermone di Melchior Missirini. T r -Li illustre letterato sig. ab. Missirini , prò - segretario dell'accademia di S. Luca , è sul punto di dare alle stam- pe un libro di suoi sermoni poetici. Ha intanto pensato di avventurarne uno , come per saggio degli altri , in que- sto giornale : il che speriamo dover essere gratissirao , anche per l'argomento che vi si tratta, a'uostri cortesi as- sociati i quali amando di cai'o amore l'Italia e le italiane cose , guardano debitamente coli' occhio del disprezzo le miserabili ciance , onde i romantici in mezzo la uni- versal derisione di tutti i veri letterati nostri vituperano se stessi e le lettere. Damasippo , Pantabalo , Stertinio , E Furio noto ai trieterii ludi , Lodino Sceva , che in Parnaso or sorge ^ Rlformator OA caulo aonlo ... A Sceva Piace uatura. Ella fu sempreimadre Del ver , del bello ; ma congiunta all'arte ! A Sceva piace sol scurril aalura , Orrida , inculta , e d'atri spettri ingombra. Suon di timpano , o squilla esprimer dei ? Vuol che l'orecchio gli percuota un cupo Pulsar di cuoja , un diudonio di bronzi. Piani destrier nelk battaglia ? Udirne Vuole il fragor: lo scalpitar: lo stesso Generoso anitrir. Pon la couocchia D'Ecuba in man : d'Elena il liscio : tutto Come natura . . . Tradir deggio il vero ? Vera non è l'arte d'Apollo , o Scerà , Verosimile ella è : per consentite Forme procede. Ben per fondo ha II vero , Ma il veste d'illusion : quindi per vaghi Sogni risplende , e per menzogne accorte , Onde natura poi si fa più bella'. Contenda Ajace le onorate spoglie : Fa eh' egli impazzi , e in suo furor dal vulgo Accatti i giuri , e con villani accenti Proverbi il suo rivai : tu segui il vero : Ma chi il sostiene sulla scena ? Eroe Parli da eroe. Voglio decoro : voglio Ciò clie si parte da servile usanza : Ciò che m'inganui : e in bel delirio • in forte Immaginar , cose mi porga eccelse , E da mortai condlzlon divise ! Questo Omero seguì , Properzio , e Gallo , E il sulmonese , e il chiaro onor di Manto , Primo maestro di gentil sermone. Che dir de'noslri? Soneria si alto L'itala tromba, se il divin Torquato Del franco condottier non facea un nume? Z. , Varietà' Capre, bovi, capanne, ebbre taverne , Vecchie cispose, e villanzoni irsuti ^igae a minuto la tedesca scuola Segue natura : ma la bella scuola , Che un tempo al greco e al roman genio piacque E compie m or la gentilezza ausonia, ^ ^ ' Toghe a natura le piii belle parti, Ciò fanT' ""'''^^';^« ^ migliorarla intende. Ciò fan le muse onde del pari è grande Largivo ApoUo, e l'italo Goffredo! Tabella dello stato del Tevere ^desunto dall' altezza del pelo d"" acqua sull'orizzontale del mare ^osserva- to alV Idrometro di Ripetta^ al mezzo giorno. _ __-_ Ottobre 1826. GIORNI. ' J METRI PAL. ROM, OSSERVAZIONI. 1 5, ^9 25 54 2 5, 65 25 3 1 3 5, 60 25 0 4 ^Altezza, massima met. 7, 3^ 4 5; 70 25 60 5 5, 72 25 ^ , 6 6, 57 29 4 3 Altezza minima mot. ^5,^60 7 6, 85 3o ^4 8 G, 95 ^i 0 4 9 10 6, 6, 59 9" 29 5 4 Jo 10 3 Altezza media met. S, 18 li ^, 85 3o 74 13 6, 38 28 62 i3 6, 40 28 7 4 i4 (ì. 20 27 90 i5 6, 21 27 93 16 6, — 26 10 , 17 6, i3 27 5 1 18 6, 27 28 04 19 5, 98 ^^ 9 J 20 5, 87 26 3 . 21 5, 84 2ff 1 3 32 5, 80 25 u 3 33 5, 78 25 ,0 3 24 5, 76 25 9 2 25 5, 75 25 84 26 5, 78 25 IO 3 27 5, 80 25 1, 3 28 7j 34 32 10 I 29 6. 64 39 8 3 3o 6, 55 29 3 3 3i 6, o5 27 1 0 o Ore Baromct. Te .iiu. 'i'e.esL. is' i.'. Vtnto Pioggia Eva por. Sf.del Cielo 1 ma. .«P^ 0 .8 0 i3 5 4 0 0 0 idem ,f? i,'i. 1» 17 2 19 0 30 3 20 0 <• 0 1 7 cojjei-lo icr. il 51 3 ;) ifi 5 I.') 5 %■. <ình. 5 25 sei'eii. iiui'o- Ili. -8 2 3 i8 0 i3 0 5 0 i>.q.Uul. sereno 17 S- » TI 4 '9 3 22 0 31 5 0 1) 2 8 1 hiaro s. in. . ■1 ■,, 2 18 0 0 17 0 i3 5 ir) 0 Il 0 idem 11 1 0 ., 0 0 idem itj , , I »9 5 21 0 ifi 0 0 0 2 8 coperto 11 l 6" " 0 16 7 8 0 0 0 idem m. 0 i8 5 14 5 A. 4. nuli. iiu'.'oLi) »9 4 '9 5 -1 5 24 0 S. ju. 7 9 idem Ili . ,, 0 8 1' 3 18 0 i(> 5 1 2 0 i.l (1. ser.iiUi-, 5 18 8 8 „ 0 0 idem '^0 3 20 0 22 0 i3 0 i>. deb. lin.pol. 2 5 Jltti'.so.rcji. Ili. 27 11 4 18 4 17 5 8 0 S. ni. 3 0 idem ,,10 "fi i5 5 id. id. sereno 21 V- 5 '9 2 20 7 33 0 S. vari» 4 0 nuvolo s. ìli. M 11 0 0 i5 5 12 5 i5 " 0 f) /jiirissimo 8 -7 8 i3 0 N q. nul idem s- s. in. 28 n 7 5 18 5 20 0 28 0 id. uì.- 3 I nui'olo 71 1 ri a 17 0 9 0 id. id. 3 2 id.tainpi so (1 0 12 » 1 1 5 i.l. m. chiaro ■jS .^- 11 2 0 3 '9 ^ 18 0 S.O id, 2 0 sere. poi nu. s. , ,, 0 17 0 j IO 0 ^. d. iiin'olo IH. I >7 i3 0 12 5 5 ,, N. id. chiarissimo 24 1» n 0 20 5 23 0 0. id. 2 5 se.iiu.so. lit. ,v. 11 1» 0 ,, „ ì6 0 !2 0 '. id purissimo ìli. "fi >7 '9 18 0 14 0 fi 0 i'. 1(1. sere, uui'ol» "^ s. '^ 0 3i 8 '9 8 0 S.S.O. m. 3 8 idem „ .. 11 ifi 0 0 N. d. purissimo III. 3 13 0 4 0 id. q.nul. im\>olo 2« „, fi '9 5 23 0 18 5 S.O. f. J 2 sere, iiiiin'o. s. IH. 11 2 I 6 18 0 0 i5 0 5 0 N. q. nul. purissimo i3 5 4 0 N.E. d. ruggiad. neh, chiarii, chia. \>apur. 2; »0 0 2iS 0 '4 3 N.N.O.id. abbond. 3 I s. ìli. " V 8 iB 8 17 0 1 1 0 " 0 0 purissimo 11 -^ „ 0 ,, ,, N. d. sereno -8 i3* 7 19 3 21 8 23 0 N.O. ni. 2 5 ìiu\>olo S. m. -, ,, ii 18 '7 «9 5 Ifi 0 - 1 0 •'^- q- uul. sereno "" 14 0 5 0 0 0 se.Hu. e i>iip -9 S- 11 1 5 0 11 23 0 i8 5 27 21 0 0 S.O.q.nu. 0. d. " 8 i dcm idem in. 11 0 8 '7 '9 i8 8 i3 5 fi 0 N. d. ruggia. tieblia 3o s. 5 0 22 0 16 5 N.N.O.id. 1 9 Ulivo, e vap. 1» !1 0 G 18 0 7 0 S.O. m. Z.ch.or.va. NIHIL OBSTAT Fr. Antonius Franciscus Orioli Censor Tlieol. NIHIL OBSTAT Petrus Lupi Med. Colleg. NIHIL OBSTAT Lauretus Santucci Gens. Philolog. IMPRIMATUR Fr. Joseph M. Velzi Ord. Praed. S. P. A.;,Magister. IMPRIMATUR Joseph Della Porta Patriarch. Constantlnop» Vicesgereiu . i4j SCIENZE Apolo'^ia (li alcune postille scritte da D. Meli nei margini di una dissertazione fisico-legale pubbli- cata^ in nome del sig. Flajani contro la vita e la 'vitabilità della settimestre figlia di Clementi- na Alida. = Pesaro 1826. Al duplice obietto, a cui mirar si suole nello squitti- nio di qualsiasi diatriba , vien d'ordiuario riferito alla disamina delle ra?^noai e dai fatti per dedurne la cono- scensa di c!ii mentisca o sia in inganno, e dalla natura dello stile di cui l'autore si è giovato nel redarguire il censore e nel rivendicar le censure. La contemplazione per altro di questo duplice obietto può talvolta veni- re annebbiata da vapori spirati da certe preoccupazio- ni. Sembra chiaro però , che nell'attuale contesa ben possa il colto pubblico desumerne con rettitudine il giudizio , senza die mestieri vi sia di un soccorso dell' altrui persuasiva. Nella citta di Albano fu tratta per la gastro-iste- rotomia una figlia settimestre dall' utero di Clemen- tina Auda , appena che restò vittima di un mor- bo , cui era dato il nome di tifo. Il diritto di suc- cessione del marito della defonta venendo conteso dai collaterali , e dovendo perciò istruirsene il giu- dizio , si die luogo al voto dei fisici legali. Com- G.A.T.XXXII. IO ?4'5 Scienze parve allora in iqce una dissertazione fisico-le^. LE stampata in nome del Flajani , indi sottoscrit- ta tanto dal prof. Metaxà quanto da due altri professori distintissimi della università di Ptoma, contro la vita e la vitabilità della fqlia di Cle- mentina Auda. Un rispettabile amico del prof. Me- li , il sig. avvocato Pio Armellini , dopo averlo pregato a dirgli alcun che intorno alle opinioni in quella scrittura esposte, a norma unica del le- gale che patrocinar doveva il diritto di successione del vedovo Auda, a forza delle più strignenti istan- ze ottenne che il Meli alla sfuggita scrivesse in una sera qua e la nei margini della dissertazione qual- che postilla col solo soccorso della memoria. Nel- la trasmissione poi delle menzionate postille a Ro- ma aggiunse l'Armellini , che se la causa si fosse riprodotta , si sarebbe egli impegnato di far esten- dere al Meli con pii!i agio e maturezza un forma- le parere a confutazione della preindicata scrittu- ra. Mentre per altro il Meli in tessere a volo di penna quelle postille non ebbe in animo di scri- vere dignitosamente un parere medico-legale , ma soltanto di dir contro all' errore , di sostenere la giustizia , e di compiacere /' amico ; avven- ne che furono colle stampe date in luce l'enuncia- te postille a nome del Meli stesso , il quale cosi senza volerlo, e molto più senza saperlo, ha figu- rato per provocatore , per uomo contenzioso che avesse molto impegno nella causa dell' Auda. Una llisposta si pubblicò contro il Meli in tre colon- ne divisa , nella prima delle quali si legge // testo delia dissertazione fisico-legale detta di Flajani ac- i^pjiciamente mutilata ; nella seconda si veggono '\\\- m\^fi. le pos,lilk del Meli in qualche loro senso al-. Postille del Meli ,,|y tarate ; nella terza e inserta una risposta a ciascu- na di esse. Ironie , sarcasmi , contumelie , son le frasi che adcmano la prelodata risposta. Non ne mancano, egli è vero , nel presente scritto apologetico del Meli : ma le ingiustissime imputazioni , con le qua- li è stato provocato il prof, di Ravenna , han do- vuto senza dubbio fargli montare al naso la sena- pa , han dovuto arrenderlo alle grida dell' onore e della ragiono , han dovuto spignerlo a brevemente discorrerla contro il prof. Metaxa dal N. A. risguar- dato come autore di gran parte della dissertazione e di tutta la risposta, siccome oltre la concordevole voce itnii'ersale se ne mostra il Meli accertato per par- te di autorevoli persone. Argomento hen. forte di pro- vocazione sembraci ravvisare nel pacifico carattere del Meli stesso ; il quale della sua foggia di pensar.?- e di scrivere ha somministrato in moitiplici emer- genze documenti irrefragabili. Che di vero si dife- se con moderazione esemplarissima contro il si». I. nella sua letteraria diatriba relativa all' uso del pe- pe nero nelle intermittenti: si difese con urbani- tà senza pari contro il sig. P. S. nell' altra sua con- tesa intorno alla teorica della condizione patolo^rica delle febbri biliose. Quantunque per altro abbia il Meli nello scritto di cui favelliamo declinato dall' usato suo letterario contegno , non è però disceso egli a livellare al grado della provocazione quel- lo del suo sdegno ; poiché incapaci sono i veri dot- ti di obliare la dignità delie scienze , por le qua- li nutrono singolare affezione , ed alle quali hanno reso immortali cure di avanzamento. Che se di quest' ultima verità si dovesse esebir conferma , so- verchio sarebbe rammentare al lettore la dovizia delle preziose opere dal Meli rese di pubblico dirit- 10^ l48 S e I E ¥ Z E lo ; bastando a nostro clebol giudizio , il valor sommo della di lui teorica sulla condizione pato- logica delle febbri biliose di cui teste si è falla menzione , ed il pregio veracemente esimio della dis- sertazione sui parti anticipati. Dopo la esposizione delle cose fìnrjui ricord'a- tfì , non ci occuperemo di tutte qui riferire le singole postille del Meli , le risposte del prof. Me- tax'a , e le giustissime apologie del primo. Alcune sibbene ne andremo a trascegUere per informarne i nostri leggitori , qualora ignorassero il giudizio di tali verlenxo oia emesso e nel giornale di me- dicina analitica dello Strambio , e nelT osservatore medico di Napoli , ed altrove. Venne nella prima postilla redarguito dal Me- li il oh. prof. Metaxìi , perche nella dissertazione fisico-legale diiìtentlcaiido il decoro della scienza si fosse impegnato a contraddire ai testinwnii nella narrazione del fatto. Ed invero essendo siffatta at- tribuzione estranea al medico-legale , non male a proposito eransi qualificati dal Meli per arzigogoli illegali le tortuose ciance dello scrittore : ne ciò dovea condurre il Metaxa a grave ira. Notevole sembraci nella risposta alla seconda postilla l'equi- voco del prof. Metaxa. Avea il cav. Meli aggiunto , che lo stato di gestazione sospende non solo le azioni morbose abituali , ma quelle ben anche le quali hanno operato nei tessuti organici notevo- lissime lesioni , siccome addiviene nella tisi polmo- nare. Sifìatta asserzione del Meli, fiancheggiata dalla giornaliera sperienza e dalle irrefragabili testimonian- ze di autorevoli e sommi scrittori , non j\otcva di- chiararsi per ridicola ed essere irrisa quasi che aves- se il Meli inleso di sostenere che la gravidanza è il rimedio costante ed infallibile contro tutte le Postille del Meli ì/\f) tisi: dalla qual proposizione si discosta di assai il senso della prima. E se non piacque al Meli di convenire nell' altra presunzione del Mctaxa , che il feto cioè avesse iuiermato del tifo della madre , e che per esso con lei fosse morto , tanto più clie ragioni patologiche aggiungeva il Meli a dimostra- re che il tifo attacca meno direttunìente di tutti gli altri morbi le funzioni di comunicazione tra la madre ed il feto ; era giuoco-forza di opporvisi eoa salde ragioni , e non con inutili lividezze , sicco- me ha fatto il prof. Mctaxa in rispondendo essere oscura e contorta la maniera di esprimersi del Me- li, e che volendola interpretare suonava lo stesso ch.e dive „ il tifo didoude la sua influenza a tult' i sislcnii ; ma per far cosa grata al sig. Meli rispar- mia Furerò e la vita dei feto. „ Quando a dimostrazione della morte del feto si disse, che,, alcun [-lofluvio , alcuna doglia, al- cun movimento non precedette la morte ( di Cle- mentina) onde arguire che sovrastasse il parto : „ soggiunse il Meli nel margine ch.e tal avvenimento guidava vieppiù a crcHl(;re cìie il [)vodotio delia con- cezione non partecipasse alla malallia della madre. R!])iglia qui il Melaxa , che „ il Ihnddincnto del parto naturale è la nialurila : ma Clementina mo- ri senza la menoma disposizione al parto natura- le ; dunque il Jeio non era rn.it/iro. ,, Ma questa maniera di argomentare non concoida col senso delle postille ( risponde il Meli ) , ne con le pre- messe dell' istesso prof. Metax'a. Lo stato felice drl feto ( asserivasi nella dis- sertazione ) si misura da quello della madre , ed il feto dell' Auda nascondea Corse in se il rio ger- me delle materne impetigini , ohe pur troppo si tras- fondano per la via della generazione. Postillò ivi i5o Scienze il Meli , essersi bene spesso veduto , clie madri de- boli ed iiifermicce partoriscono feti prosperi e pie- ni di vita ; e che i fluidi circolanti non sono vei- colo dei contagj , ripioducendosi il fomite conta- gioso nell'organo della pelle, siccome in proposito del vaccino addiviene , il quale vien reso inellica- ce se diluito venga dal sangue nel trarlo dalle pu- stole , o se venga inoculato a bambini nati di fre- sco. Ma la regola (risponde il prof. Metaxa) non dee confondersi colla eccezione , poiché di rado' si vedono i feti sani nascere da madri inferme. Promulga essere la linfa il veicolo omogeneo dei contagj ; ed apertamente impugna che i bambini più freschi sia- no i meno suscettibili al contagio vaccino ; la qua- le ultima risposta viene dal Meli singolarmente ri- spinta e coir autorità di Husson , e colle istituzio- ni puhijlicate dai governi di Milano e di Roma. N« sembra potersi con buon senno accusare di con- traddizione il Meli , perche dopo aver escluso dai fluidi circolanti la caratteristica di veicolo dei con- tagj , additar volendo una spiegazione acconcia ad esprimere la comunicazione del vaccino dalla ma- dre al feto riferita dal Metaxa , vi aj^giunse sta- re la spiegazione di questo fenomeno nella comu- nicazione del contagio per le acque dell' amnio ; poiché queste non entrano 'nel novero dei fluidi circolanti nel feto. L'essersi altresì nella dissertazione riferito , che Scipione Africano, Cesare, Manlio, e tanti altri era- no lungamente vissuti comecliè tratti per la gastro- isterotoraia dall'utero delle loro estinte madri, sem- brava non molto convenire con l'asserzione, che la figlia dell'AuJa non poteva esser vitale, anche per- cìiè estratta dal seno materno per la medesima ope- razione, esagerandosi così le difficolti che i feti in- Postille del Mkli i5t toiitrano con simil foggia di nascita. Ad emendare (questa collisione d'idee si studiò fra le altre cose di rammentare il Meli , che l'uporazione cesarea nel- le donne morte sareLhe andata in oldivione se del- le malattie della madre dovesse sempre ammalare, il feto, e se con lei avesse sempre a morire. Mali- gììo e calunnioso rilievo dichiarasi (juesto dal Me- taxa, il quale ne aggiunge, che „ la storia delle „ operazioni cesaree non si è mài preteso die ab- „ Lia a provare la diflicolta di aver feti viventi por „ tal mezzo. „ Risolato non è però con tale rispo- sta l'equivoco e l'errore primilivo. Ne vale il dire che ^, se dee credersi ai più autorevoli scrittori ^ e „ Lene scarso il numero dei feti che salvausi cori „ tal mezzo anche quando il parto è maturo, e l'ope- „ razione si fa sulle madri viventi. ,, Poiché a Luon diritto sembra che opponesse il Meli esser peggiori le circostanze per la vita dei feti e per l' indugio sommo nel ricorrersi all' operazione , e pel lun- go soffrire del feto nel micidiale conflitto dei vani conati dell'utero e della madre, e per la difficolti! di trovare feti vitabiii ove quasi lutl'i difetti del bacino indicanti l'operazione si oppongono diretta- mente alla prosperità, al buono sviluppo, ed all'at- titudine vitale del feto. Ma a tali riflessioni dileg- giando risponde il Mctaxa, aggiungendo:,, 11 parto „ cesareo in donna viva è raea vitale che in don- „ na morta- dunque è falso che pochi feti si salva- ,, no coir operazione cesarea in donna morta ! ! ! iv La qual conchiusione, ripiglia il Meli, dovea fian- cheggiarsi con un calcolo da istituirsi sulla sto- ria delle operazioni cesaree per dedurne se la som- ma de'feti vivi sorpassa quella degli estinti. „ Il feto partecipa sempre pii^i o meno dei morbi ,, della madre. „ Lcco l'altra espressione che figurava 13 2 Scienze nella dissertazione postillata dal Meli : il quale con- tro l'asserto oppone le ullinie osservazioni ed espe- rienze dei fisiologi comprovanti che non diret- tamente venga trasmesso dall' utero al feto il san- gue della madre, ma che di molto si elabori entro alla placenta pria di passare per le vene orabelli- cali al feto medesimo. Sulle quali cognizioni scher- za con derisione il prof. Metaxa. Con la scorta di autorità e di fatti non riuscì malagevole al Meli il dimostrare , che il feto può sano serbarsi nell' ute- ro di madri mortalmente inferme , e può ezian- dio serbarvisi più o meno dopo la morte di esse : indicando fra gii altri eserapj qviello riferito da Osian- der di duo feti nati vivi da una donna ( giustizia- ta in Olanda) molte ore dopo che pendeva dal pa- tibolo. Un tal esempio però si dichiara fuori di luo- go dal prof. Melaxa , ed insieme trascura egli di ri- spondere allo precedenti proposizioni. Di varie altre difese si occupa il Meli, rile- vando siiìgolarmente essere menzognere le risposte da- te dal Metaxa ad alcune postille susseguenti che qui nella maggior parte passeremo per brevità sotto si- lenzio. Notava il Meli, che la vita positiva in clie entra il nascente è una modificazione della vita ve- getativa eh' egli viveva nell'utero ; non asserì per altro essere V un modo di vivere eguale all' altro. Scrisse il Meli , che la funzione del respiro debb'es- sere bene stabilita prima che si completi la nuova circolazione del sangue nei polmoni, sceverar vo- lendone r incompleto circolo di sangue che pe' ca- pillari già si efì'ettua nei medesimi ; ne tal distin- zione riferir si può al respiro completo e non completo , siccome mostra di sostenere il prof. Me. taxa. Aveva Bichat pronunziato, che la morte in- debolisce la contrattilità dei tessuti ma non la es- Postille del Meli i53 tinejue , alluder volendo in generale ai tessuti sem- plici o primitivi. Applicò il Metaxa quesf asserto „ al tessuto composto delle arterie , per farle pul- „ sare dopo la morte con moto passivo. ,, E con- tro siffatta applicazione irregolare scagliò il Meli le sue rampogne. Aggiunse il Metaxa , che il feto fln- cliè giace neir utero non ha rappresentanza : della quale asserzione non e difì'cile al Meli il mostrare la falsità e con ranticiiissinia legge dei Digesti, e con quella disposizione emanata dallo stesso Ulpia- no. Parve finalmente al Meli un „ indegnissimo nio- „ do con die freneticava su l'opera più Leila della „ divina mano creatrice „ il prof. Metaxh , allor quando volle quest'ultimo bizzarramente paragona- re il feto limano a varj esseri di classe inferiore, dicendo che „ in quanto alle relazioni e alle dipen- „ denze è un animale parasite , che non può vi- ), vere se non ad altrui carico'^ in quanto al mo- „ to di circolazione è men die rettile; in quanto „ al mezzo che aiuta è simile ad un pesce ; in „ quanto alle sensazioni di cui manca , non diffe- „ risce da un vegetabile, ec. „ Una delle ultime querimonie del prof. Metaxa aggirasi suU' essersi dal Meli isolata^ mufihita^ scon- nessa la dissertazione fisico-legale da esso postilla- ta. A liberarsi il Meli da simile imputazione si ri- volge al lettore esprimendo la impossibilita di ciò eseguirsi mercè della sola apposizione di postille nei margini di una stampa. Noi poi qui ci arresteremo senza andarne piiì oltre , esternando le nostre do- glianze perchè si abbiano a maneggiare gravissimi argomenti declinando da quel nobile e retto fine che la scienza impone: ma sperar vogliamo, che senza portarsi più severo sguardo a provocazione di sdegno tornar possa la calma allo spirito degli i54 Scienze ili. scrittori onde abbiano con più pacifico zelo ad attendere a pregevoli lucubrazioni. Sembrerà dal finquì detto, che a noi sia piaciuto far eco all'apo- logia del prof, di Ravenna; ne per vero dire an- drebbe errato chiunque cosi la pensasse. Ma senza oflendere il valente prof. Metaxa , i cui inori- ti altamente rispettiamo , ci e sembrato usare la solita ingenuità nello scrivere in vista delle gravi ragioni che assistono il Meli, siccome superiormen- te rilegammo. Che se pungente fu la vivezza di alcune espressioni segnate dal Meli slesso nelle po- stille , oltre che non furon esse dettale che per somministrare materiali a chi avesse legalmente scrii" to nel foro , non era poi a dolersene non essendo state dal Meli commesse ai torchj ; ne dovea esse- re lo scrittore imitato , ove avesse per uu momen- to smarrito il sentiero della urbanità. ONELH Corso (T aritmetica pura ed applicata di Camillo Minarelli- Parte I.- Bologna per Annesio Nobi-* li 1825. Un voi. in 8 di pag. 2^G. P. erchè i giovanetti dalle prime scuole vengono alle filosofiche digiuni quasi afTatto di aritmetica , scarso in fine e il profitto che da queste ritraggo- no. La scienza de'numeri non solo è il fondamen- to di quelle che diconsi esatte; ma per l'abito che pone nell'animo di ragionare dirittamente , e di ve- dere molto innanzi e molto acutamente nei rappor- ti , è come il filo d'Arianna nel laberinto di tut- A n j T M E T 1 e A r55 te le altre ; onde Boezio già sentenziò : „ Haec qui „ spernit , idest has semitas sapientias , ei denuntio „ non recte philosophandum. „ Che se a taluno trop- po severa paresse questa sentenza di fdosofo ( e fu già di Socrate e di Platone eziandio) s'acquie- ti air autorità di Quintiliano , tra i retori riputa- tissimo , il quale nel cap. io del lib. I se la pren- de cogli uomini del suo tempo, perchè rispetto an- cora agli adulti non convenivano dell'utilila della geometria : sotto il qiial nome comprendevano ciò che allora si conosceva di quantità sì continua come discreta. „ In geometria partem fatentur esse {e^li di- „ ce) utilera teneris agtatibus; agitari namquc ani- „ mos atque acni ingenia, et celeritatem percipien- „ di venire inde concedunt. Sed prodesse eam non „ ut cgeteras artes cum perceptne sint, sed cum di- „ scatur, existimant; id vulgaris opinio est, nec si- „ ne causa summi viri etiam impensam huic scicn- „ tiae operam dedcrunt : nani cum sit tjeometria di- „ visa in numeros atque formas , numerorum qui- „ dem notitia non oratori modo , sed cuicumque ,, primis saltcm literis erudito necessaria est. „ E se ombra di dubbio pur rimanesse , sarà dissipa- ta dall' autorità di economista assai chiaro del no- stro tempo (il professor Luigi Valeriani Molina- ri ) i ' quale non dubitò definire la scienza del cal- colo e dalla geometria „ la miglior logica che per „ r esercizio del discorso ideare si possa : „ e di questo vero nelle molte e molto profonde sue ope- re ofFerse il più solenne testimonio , in confer- ma eziandio di ciò che a lode dell' aritmetica , di- sputando delle leggi, ne avea detto il sommo Pla- tone. Ma dell'ignoranza quasi universale della scien- za de'numeri in chi usa alle scuole è forse da te- nersi in colpa la negligenza nello studiarla, o l'im- l5C S e I F, IN Z li perfezione del metodo nell'insegnarla , o l'una e l'al- tra cosa ad un tempo. Pur troppo la gioventù , rpia- si generalmente educata nella mollezza , rifugge alla fatica del ragionare: pur troppo ancora l'aritmeti- ca solo praticamente insegnandosi viene ad essere monca e zoppicante: di che si duole il Minarelli, incolpandone principalmente quelL' estrema povertà di vocaboli, in cli.e fu lasciata 1' aritmetica istessa da colf;ro, i qTìali dapprima posero l'animo a farla perfetta. ,, Imperocché, et^li dice ^ questi o per cre- „ denza superstiziosa che la sublimità d;dla scien- „ za si profanasse col divulgarla, o piuttosto affine di „ essere riguardati prr lo scarso lor numero quali „ esseri sovrumani, ischifavano a tn.Lta po>s\ di mo- „ strare in qual modo rinvenivano nelle astruse lo- „ ro investigazioni le regole dell'aritmrtica; e quin- „ di non volendo nemmeno pensare come enunci- ,, queste in termini universali , additavano soli,. ■ . to nella risoluzione di alcuni problemi l'uso pr.<- ,. ico dolle stesse regole; e così paghi della glo- -, ria dejjle invenzioni, lasciavano agli altri la cura ,, di ragionarle allorché questi nel volgere de'tempi „ avessero di per se rintracciata la sorgente di quel „ vero, ond'essi le avevano derivate. „ Non man- carono ingegni che fosser da tanto di risalire a quell' altezza; ma vintala con fatica mirarono più in a- to ancora per cercare più gloria , non guardando la moltitudine che ancora rimanevasi al basso o non cu- rante 0 disperante di seguitarli. Ora questo gentile spirito del Minarelli , ben nudrito alla scuola del si- ciliano Euclide, si (^ posto in animo ,, di far com- „ prendere con tutta evidenza allo studioso che i „ rapporti più complicati, che si ravvisano in arit- „ raetica, altro non sono assolutamente che modifi- „ cazioni dell'idea dell'unita e dei numeri. „ Ed ha A B. I T U ETICA 107 comincialo daJl' aritmetica pura, cui defuiisce „ il „ complesso di quelle proprietà e di tutte quelle rego- „ le fondamentali , che indipeudeiilemente dagli umaui „ Ijiiiogni Sono relative all'essenza de'numeri non che al „ sistema decadico che noi usiamo a rappresentarli. „ E porta opinione che con questi necessar] sussidj chi ver- rà allo studio de]r algebra „ scorgerà sensibilmente ,, non essere questo che una continuazione deli'arit- „ melica ridotto a quello di rappresentare con se- „ gni generali le massime pii\ semplici in questa ,, stabilite, alìlne di proseguire a ragionar faciìmen- „ te intorno ai rapporti numerici più complicati. „ Così egli : e comunque consapevole del profitto fat- to da' giovani allievi avviati secondo il suo corso , consiglia però che riguardo ai fanciulli il pruden- te maestro ometta le più minute considerazioni sul- le quantità e sui numeri le qu;ili sono poste innan- zi , e prenda in vece le mosse dal calcolo dei nu- meri interi , e passi a quello dei decimali , dei com- plessi , e dei fatti : cose tutte che vengono dopo quelle , volendo si aspetti il tempo che le tenere menti apransi poi a ricevere le più sottili conside- razioni ed i ragionamenti più complicati. Che se a taluno potesse parere , che senza perdere di quel rigore , con che ha vestita ogni proposizione , e passando sempre dal noto all'ignoto, avesse potuto presentare le materie con ordine fatto pei piccoli egualmente che pei grandi, noi non vorremmo ne dissentire ne consentire cosi facilmente: faremmo se non altro riflettere, che quanto e agevole il dire, altrettanto e più è malagevole il fare. Lo sa chiun- que intende alla istruzione di gioventù , e lo nota egli stesso r autore , rispondendo innanzi tempo a chi accusar lo volesse di esser talvolta intralciato ed i58 Scienze oscuro , e più spesso prolisso e scrupoloso. Del re- sto guardando alla sua buona intenzione, ed al mo- do con che egli ha corso non breve tratto di via, ci gode il cuore , che a fiancare gì' italici inge- gni da quel pregiudizio, che li tiene soggetti, non senza villa , alle scuole di oltremonte e di oltrema- re, egli abbia aggiunto uno slimolo agli altri, che i più gentili spiriti del bel paese nelle opere loro hanno già dato . Il che nelle matematiche ancora è a desiderarsi , in quanto che l'esperienza ha mostra- to , che avvezzandoci a studiare nella prima età ne'libri , comunque buoni , degli stranieri : fatti gran- di poi ingozziamo tal volta senz'avvedercene il ve- leno da quelle tazze che stimiamo di nettare sem- pre ripiene. Quanto al corso di cui parliamo , lo- deremo che alla parte teoretica si accompagni la pra- tica, ne manchi tra l'altre cose un buon trattato delle nuove misure comparate alle antiche , ed un saggio di quant'altro viene oggidì sotto il nome di aritmetica politica'^ onde in questo ancora possia- mo dire con Fiacco: „ quod magis ad nos perti- „ net agitamus : „ ne ci tocchi 1' amaro rimprovero uscito già dalla bocca di Petronio, e dice: „ ego „ adolescentulos existimo in scholis fieri stultissimos , „ quia nihil ex iis,qua3 in usu habemus, aut audiunt aut „ vident. „ Intanto, perchè meglio sia aperto l'intendi- mento del nostro autore, finiremo con questa nota dell' editore, avvertendo che non abbiamo veduto sinora che il primo volume.,, Il presente corso si distribuirà sol* „ tanto per associazione in tre volumi. Nei primi „ due saranno dimostrate tutte le regole fondaraen- „ tali dell'aritmetica conosciute sino ad, ora; unita- „ mente ad alcune altre ritrovate dall'autore. Nel „ terzo poi si mostrerà, teoricamente e praticamen- „ le. come possonsi applicare le stesse regole alla Aritmetica i5q „ soluzione dei problemi numerici riguardanti il com- „ mercio e la misura . Per con>,eguenza i problemi „ relativi alle operazioni di Lanca, all'interesse del „ denaro, ai riparti sociali, ai rapporti dei diversi pe- „ si e misure oc. saranno esposti nel volume ter- „ zo. „ Ne vogliamo lasciare di riferire in parte il giudizio elle del primo volume lia dato il cb. dottor Giambatista Lapi professore di matematica nell'università di Bologna; anche per ciò che ci è dolce venir ricordando gli studi, che ivi stesso una volta avemmo seco comuni. „ E primieramente, egli „ dice , a noi pare che non si potesse migliore ipo- „ tesi immaginare ne pii^i naturale, per ispiegare l'ori- „ ^ine del sistema decadico, di quella esposta dal „ nostra autore. In questo sistema la necessita di „ servirsi di dieci cifre è presentata con tal serie „ di ragionamenti che si direbbe esser quelli appun- „ tQ che usati furono dagl'inventori delle cifre stes- „ se. Il bisogno delle quattro operazioni aritmeti- „ che è mostrato nel modo il più convincente. L'in- „ venziane della moltiplica degl'interi non può cre- „ dersi avvenuta in modo più probabile di quella „ supposta dal nostro autore. Ma che diremo dell' ,. ingegnosa , completa , ed evidente dimostrazione „ della divisione aritmetica ? diremo che egli solo su- „ peyò questo punto , che fu scoglio a tutti gli es- „ positori dell' aritmetica. Pochi tentarono tale di- „ mostrazione , ninno per altro vi era riuscito sin „ qui in così bel modo. Semplicissima ed originale „ sembraci la maniera proposta e dimostrata dal no- „ stro autore di trovare il valore delle frazioni de- „ cimaU periodiche. Non potevasi ridurre a maggior „ chiarezza e semplicità la dimostrazione del teore- „ ma di Eratostene, e la ricerca che ne consegue dal- „ la tavola dei numeri primi. Originale pure è la l6o Scienze „ ricerca del minimo multiplo di più numeri dati, ,, ed elaboratissima la sua dimostrazione. Le prove ,, del sette, e del nove, e dell'undici ec. non poteva- „ si con maggiore generalità analizzare. A questi „ particolari possiamo aggiungere, else in tutto il „ volume, di cui ragioniamo , abbiijmo scorte bre- „ vi e precise le definizioni , esatte e necessarie le „ distinzioni, le analisi fatte con diligenza ed accu- „ ralezza, le dimostrazioni complete ed evidenti, ed „ in parte anche originali ec. „ ( Bollettino di scien- ze lettere ed arti 182 5.) DoM. Vaccolini Sopra imo stromento meteorologico , destinato ad in- dicare anticipatamente le variazioni deW atmosfe- ra. Lettera del prof. Folcili al eh. sig. cav. Giro- lamo Scaccia. I n occasione che io venni in sua casa, ella si com- piacque mostrarmi tra le altre cose uno stromento meteorologico , destinalo dall' inventore ad indicare anticipatamente le variazioni dell' atmosfera. Era que- sto stiomento una caraffa cilindrica di cristallo , chiu- sa da viera di ottone , e contenente un liquido con entro un gruppo di minutissimi cristalli aghiformi. Surta in me la voglia di conoscere se in realta lo stromento corrispondesse ai mutamenti atmosferici , e qual materia si fosse quella in esso contenuta , ne dimandai a lei la cessione. Ella si degnò lasciar- lo a mia disposizione , facendone venire un* altro da Livorno per suo uso. Lo affidai allora al pregiatis- Srao.lIENTO MKTSOaOLOClCO iGl siino mio collega sig. prof. Peretti : dal quale aven- do avuto in iscritto il qui annesso ragguaglio , mi fo un pregio di parteciparlo a lei, come a quello die ne ha il maggior diritto , e di farlo insieme di pub- Ijlica ragione , onde appagare la curiosità di qual- cun' altro , che abbia veduto i'apparatino di cui le ho parlato. Ecco la relazione dal prof. Peretti a me diretta. „ E' già qualche tempo che voi mi deste uno stro- „ mento, il quale, secondo quello che vi fu annun- „ ciato , era costrutto per servire da termometro e „ barometro, acciò avessi posto in esame la sosta n- „ za in esso contenuta. Esso era una fiala cilindrica „ di lunghezza nove pollici e tre linee, di circonfe- „ renza tre pollici e tre linee , ripiena di un liqui- „ do bianco trasparente , nel quale eran molti cri- „ stalli in forma di dendriti che galleggiavano nel „ medesimo. La fiala era chiusa ermeticamento con „ mastice e ghiera di ottone. Prima di dissigillarla „ mi era proposto di conoscere Fandamento della „ medesima , e per tal Une ho incombenzato il sig. „ Vincenzo Latini, primo giovane della farmacia, ,, acciò prestasse attenzione ai fenomeni che acca- „ devano. E' passato il lasso di un anno , pendente „ il quale egli ha osservato che nel cambiamento „ di temperatura eiavi cambiamento di posizione dei „ cristalli. Nel freddo forte alcuni di essi montava- „ no alla superficie, rimanevano nel mezzo nel fred- „ do mediocre , e restavano inerti al fondo del me- „ desimo , quando la temperatura era di (jtiindici „ gradi sopra lo zero. Nei cambiamenti poi igrome- „ trici ed elettrici dell' atmosfera , quando vicino si „ mostrava un temporale o un oragano, tutta la nias- „ sa dei cristalli era in moto, riempiendo questi „ tutto il liquido esistente nella fiala. Non mi era G.A.T.XXXIL II iGa S e i E *< z r, „ ancora indollo a dissigi Ilare questo stroniento sul „ timore di rom[)erlo , mentre la viera slava cos'i „ aderente e cosi fermata col mastice, che si sareb- „ Le incontrata molta diiFicolla nel rimuoverla ; ma „ ecco una combinazione favorevole, che mi ha „ tolto da questo imbarazzo. Si è preparato per uso „ della farmacia il cosi detto ncr-tu dei (juattro la- „ droni. In questo antisettico, come ben sapete, è „ abbondante la canfora, e questa si discioglie nell' „ alcoole, prima di unirla all' aceto: e cosi si è fat- „ to. Dopo due giorni che era preparato il liquore, „ il detto Latini ha osservato che nel medesimo galleg- „ giavano molti cristalli formati nello stesso modo , ,, come apparivano nella fiala che mi deste : egli ,, mi chiamò ad osservarli, ed io convenni che era- „ no veramente identici. Ed infatti costruì subilo il „ mio giovane lo stromento prendendo una fiala si- „ mile all' antecedente , vi versò dell' alcoole saturo „ di canfora , aggiunse dell' acido acetico , ed a ca- „ pò di pochissimo tempo si mostrò la composizione „ simile a quella dello stromento ; di maniera che „ non può più dubitarsi esser la composizione for- ,, mata di alcoole , canfora ed acido acetico. Tan- „ to vi devo in discarico della commissione da- ., lami ec. „ iG3 LETTERATURA Intorno a dite antiche iscrizioni di Urbisaglia. AL SIG. CARLO FILONI BARTOLOMEO BORGHESI. -olte grazie siano rese primieramente alla gen- tilezza del sig. colonnello Armancli , che mi ha fa- vorita una copia così diligente delle lapidi da lui vedute in Urbisaglia , di poi a voi che avete avu- to r obbligante pensiero di procurarmela. Non vi siete ingannato nel credere, che due di loro mi sa- rebbero riuscite accettissime, risguardando un per- sonaggio che ha diritto di trovar luogo nei miei fasti , e di cui 1' ultima specialmente somministra notizie tali da arricchirne la storia. La prima di queste iscrizioni è cognita fino dai tempi del Gru- tero , e fu poi riprodotta dal eh. monsignor Ma- rini nei suoi Arvali p. i64 con tanta esattezza, che non ha lasciato alcuna cosa da correggere al nuovo esemplare. VITELLL4E C . F . RVFILLAE C . SALVI . LIBERALIS . COS FLAMINI . SALVTIS . AYG . MAIRI OPTVMAE C . SALVIVS . VITELLIANVS . VIVOS i64 Letteratura Ma ignota del lutto erarai la seconda, che mi dite scoperta due anni sono nelle vicinanze di queir antica citta , e nella quale senza alcuno sforzo si ristaura la piccola parte, che le hanno invidiata le ingiurie degli anni. C. Sahn o . e . F . VEL . libbrah Nonio. BASSO . COS . PROCOS . PRO V IN cine, MrtCEDONiAH . legato . avgvstqrvjm provine. BRITANN , LEGATO . LEG . V . MACED Fratri. yi/RVALi . allecto . ab . divo . vespasiano et. divo TÌTO . INTER . TRIBVNICIOS . AB . IsDEM allecto. imsK .praetorios. qvinq.iiii .p . e . hic .sorte procos. JacTvs . proyinciae . asiae . se . excvsavit Dopo aver autenticato la restituzione delle prime due righe colla tavola arvale XXII , nella quale egli si denomina C. SALVIVS. LIBERALIS. NO- NIVS. BASSVS, non isprecherò la carta in diten- dere il supplemento delle rimanenti, che viene sug- gerito dalla frattura delle parole e delle formole: poco importando se nell'ultima invece àiJacTYS, sia stato scritto datus^slectus^o altra cosa simile, quando consta dal senso ch'è superiore ad ogni dubbiezza. Questo marmo avrebbe pienamente rassicurato monsignor Ma- rini , che sembrò rimanere ambiguo se l'arvale fosse la medesima persona del console della lapide prima; e la confessata eguaglianza dei tempi dimostrerà pa- rimenti che ambedue non sono diversi dall' oratore Salvio Liberale , di cui si ha memoria in Sveto- nio e in Plinio giuniore. Sappiamo dal primo nella vita di Vespasiano e. i3, che difendendo egli in faccia all'imperadore la causa di un dovizioso reo, per nome Ipparco , ebbe il coraggio di esclamare: Quid ad C(€sarem , si Ilipparchus US millies ha' Iscrizioni di Urbisaglia iG5 het? Della qual liberta quel principe non solo non mostrossi affrontato , ma anzi ne lo lodò ; e ve- diamo di fatti dalla nuova scoperta che ricolmol- lo d'onori. Ci narra poi l'altro iiell'ep. 9 del 1. 3, cli'essendo stato accusato di prevaricazione in fac- cia al senato Norbano Liciniano , inviso d'altronde per le sue delazioni , duo consulnies heseruiit emn testimonio , tanquam opiid iudicem sub Domitiano Snl\>ii Liberalis accnsatorihns ndfuisset\ per lo che dicendoci il medesimo Plinio , che fu poi condan- nato, e che queste imputazioni ei wa^is quam prct- varicatio nocuerunt ^ se ne avrà gravissimo argomen- to che Salvio eziandio fosse stato relpgalo in quei miserabili tempi posteriori all' anno 93 , dei quali parla Tacito nella vita d'Agricola e. 44 ■> ^ ^^ *^"^ ci dice Filostrato Fita ^ipollonii 1. 8 e 6: Piente insuhe exulum sunt , conlinens vero terra ge/ni- tibus, et exercitus foimidine ^ senatus denique su- spicionibus. Sara dunque stato richiamato da Ner- va , che appena eletto imperatore exules restituii, secondo che attesta Dione 1. G8 e. i. E veramen- te apprendiamo dall'epistola sovracitata, che nell'an- no 100 di Cristo sedeva in senato, ove prese par- te nel giudizio di Cecilio Classico : nella qual con- giuntura viene onorato dell' elogio di vehemens et disertus. Similmente dall'epistola 1 1 del libro a si ricava, che nel medesimo anno , ma qualche mese prima , fu uno dei senatori che perorarono a prò del reo nella celebre causa di Mario Prisco , nella quale quantunque omnes artes suas protulit, dovè non di meno soccombere all'eloquenza dei due ora- tori avversar] Tacito e Plinio, l'ultimo dei quali non gli nega però la lode di vir subtilis, disposi- tus , acer , disertus. Ora venendo alle novelle notizie, che di lui ci presenta la nostra lapida, la dichiarazione di esse- Letteratura re stato figlio di un Caj»-xi-Klo,stierà , ch'egli non ebbe alcuna relazione almeno prossima di parentela coir imperadore M. Salvio Ottone , e ne meno col suo fratello L. Salvio Tiziano , i quali furono figli di un Lucio e nipoti di un Marco . Oltre di che questi erano originar] di Ferentino , mentre all'op-, posto tutto porta a credere che Liberale fosse na- tivo di Urbisaglia, anche perchè vedesi appartene- re alla tribù Velina, nella quale troviamo censiti altri abitanti di quella citta, come c'insegna il la- tercolo militare mariniano p. Saj), e dalla cui fa- miglia fu pensiero del Catalani nelle sue Oiigini Fer- mane p. 87 , che l'antica Pollenza assumesse la de- nominazione di Urbs Salvia. La seconda appellazio- ne di Nonio Basso molto prohabilmcnte c'indiche- rà la famiglia, da cui nacque sua madre, giusta il costume introdottosi sotto l'impero , 0 di annettere, ai proprj nomi quelli dell'avo materno, e talora pa- re quelli dei bisavoli ( ragione da cui provengono tanti polioiiimi ) ovvero di allungare il gentilizio della madre giusta lo stile , cli'era in pratica anti- camente per le adozioni, siccome amò meglio di fa- re il figlio di costui, che dai nomi uniti del padre Salvio Lib'M-ale e della madre Vitellia Rufilla fece chiamarsi Salvio Vitelliano. Molte volte si è in dub- bio se il gentilizio paterno sia l'ultimo o il primo ^ ma qui fu seguita per certo l'usanza più antica, to- gliendo ogni equivoco 1' altra lapide, in cui il no- me materno fu preterito. Di questo Nonio Basso non ho veramente alcun'altra notizia : ma avverti per al- tro monsignor Marini, che questa denominazione fu anche adoperata dal console ordinario dell'anno 81, che nella tavola arvale XXIII chiamasi ripetutamen- te L. FLAVIVS. SILVA. NONIVS. BASSVS, mo- tivo per cui non sembrò estraneo al sospetto, che il nostro Liberale fosse la stessa persona di quel con- LscRizioxi DI Urbisaglia 1(^7 sole. Ma una tale opinione sarà svanita del tutto se si osservi , che colui propriamcute zioniaiulossi Fla- vio Silva, come dopo la lapide capitoìina jìnlìhlica- ta dal Muratori p. 3i3 i, lia ora provato audio l'al- tra prodotta dal eh. Fea nei framm. di fasti p. 8; in ambedue le quali li seconda, denominazione fu r*^- putata superflua. Sara però spiegato f:on tutta sem- plicità, come potessero usarla tanto Salvio Lilìoraie (juanto Flavio Silva, supponendoli o due fratelli uìe- ]ini nati da una medesima figlia di Nfuiio Basso, die fosse passata alle seconde nozze , o pure due cugini generali da due iìglie del medesimo padre. Vi è apparenza che Salvio non sia stato un ram- pollo di famiglia senatoria, perchè la lapide ci fa vedere non essersi egli incamminato alle magisLratu- le per la retta via del XXvirato , come usarono di fare i figli dei senatori , ne essere entrato in senato per l'ordinaria porta della questura , ma es- servi stato portato di slancio da un rescritto del prin- cipe , clie fece uso della podestà censoria conferen- dogli i diritti competenti ai tribuni della plebe, sen- za ch'egli avesse esercitata quelli carica, e ne meno le altre eh' erano prima necessarie per conseguirla. Non è però questa una novità in Vespasiano, aven- doci le lapidi e gli scrittori serbato memoria di al- tri parecchi che furono da lui insigniti di (juesti ono- ri codicillari, narrandoci Svetonio e. (), die ainplis- siinus ordines, et exliaasfos ccede vdiia^ et conta- mìnatos veteri negli gentia ^ pur^nvit ^ supple^^itque ^ recenso senatu et ecpiite , submoiis indignissimis , et IiQiiesfissimo quoque itnlicoruni ac provincialium oUecto. Però oltre V essere e^^li honestissimns nella sua patria, come dimostra la pietra, insegnandoci che fu QVINQ. IIII, e P. C, cioè Patrono di quel- la colonia , e quinquennale quattro volte, dovè non i68 Letteratura poco contribuire alla sua esaltazione il grillo acqui- statosi nell'arte oratoria , attestandoci il lodato Sve- tonio che Vespasiano ingenia et artes quarti maxi- me fuvit'^ e dovè pure avervi qualche parte la pa- rentela toccata di sopra con Flavio Silva , che fu un valoroso ufficiale degli eserciti vespasianei , il qua- le dopo la conquista di Gerusalemme essendo lega- to della Giudea impose l'ultimo fine alla guerra coli' . espugnazione di Masada avvenuta ai i5 aprile del 72 , siccome apprendi^imo da Flavio Giuseppe Bel. Jud. 1. 7 e. 8. Due cnse intanto voglionsi ricavare dal fin qui detto, T una cioè che 1' elezione di Liberale fra i tiibunizj non può essere anteriore all'anno -yS, perchè fu in quell'anno che Vespasiano e Tito as- sunsero la censura: r altra che il nuovo candidato aveva a quel tempo sorpassato venticinque anni , perchè diversamente quell'imperadore, tenace delle leggi, a\ rebbegli conferita l'onorificenza ch'era pro- pria di quell'eia coU'ascriverlo fra i queslorj, non fra i trihunicj , che dovevano avere qualche anno di più. Al contrario il passaggio che fece poco do- po al ceto pretorio, non coireffettivo esercizio del- la pretura , ma per la medesima via di un impe- riale rescritto, ci mostrerà che quando fu accolto in senato non aveva ancora l'età propria per quel- la carica, ch'era fissata all'anno trigesimo, giacché ve- risimilmente in quel caso senz'allri preamboli sareb- be stato aggregato all' ordine più decoroso , come nella stessa occasione avvenne al bresciano Minu- cio Macrino, ch'emendo già maturo , ed eqiiestris or~ clini s princeps, incontanente fu adlectus a divo Ve- spasiano intir prostoìios , siccome ci fa sapere il ripetuto Plinio 1. i ep. i4' La nostra iscrizione dopo aver fatto un fascio degli onori codicillari di Salvio, per le cariche da Iscrizioni di Urbisaglia i6q Ini poscia sostenute seguita l'orfline cronologico in- verso, che suol essere il più frequente nei marmi, sal- vo il consolato ed il proconsolato , di' essendo il calmo di ciò che poteva desiderare un senato- re, è d'oidinario stile che siano annunziati di su- bito , qualunque sia il tempo in cui furono conse- guiti. Conosceremo da ciò che la prima dignità, al- la quale fu promosso dopo essere stato rivestito del latoclavo senatorio, fu il sacerdozio arvale, che gli fu dato alle calende di marzo del 'jS; ed aLhiamo di fatti nella tavola XXII V atto autentico della sua aggregazione a quel collegio , così concepito IN. AEDE. CONCORDIA E. ADSTANTIBVS. FRA- TRIBVS.ARVALIBVS. EX. TABELLA. IMP. CAES. VESPASIANI. AVO. MISSA. C. SALVI VM. LIBE- RALEM. NONIVM. BASSVM. IN. LOCVM. C. MA- TIDII. PATRVINI. DEMORTVL COOPTAMVS. In seguito fu mandato a comandare col titolo di legato la legione V macedonica, ufficio che non concede- vasi ad uomo che fosse meno che pretorio , come ap- parisce da più luoghi degli scrittori, e segnatamen- te dal §. 7 della vita d'Agricola. Il quale ufficio cer- tamente occupava nell'anno 80 , in cui era assente da Roma, per ciò che si ritrae dagli atti arvali di quoU' anno conservatici nella tavola XXIII , dai quali ap- parisce ch'egli a quel tempo non intervenne giam- mai alle adunanze del suo collegio. Questa legio- ne quinta, diversa dall' altra del medesimo numero appellata Alauda che aveva i suoi alloggiamenti nel- la Germania inferiore, si dice da Tacito all'anno 63 che recens e m(6sis excita erat^ e sarà questa la ra- gione per cui fu denominata macedonica : imperoc- ché è da sapersi , che la Mesia e la Macedonia ai tempi di Tiberio e di Caligola formarono una so- la provincia, finche quest'ultima ne fu separata e 1*70 L E T T E R A T U n A restituita al senato da Claudio nel 44 ? secondo die c'insegna Dione 1. Go e. 24- .Piacenii di qui riferi- re una lapida del primo preside della Mesia doj)o la separazione, che fu insieme legalo e verisimil- niente 'il; .primo di questa legione, lapida rJie tro- vavasi in Arezzo nel monastero di S. Caterina, edi- ta da molti , e segnatamente dal Cori Inscr. etr. t. 2 p. 293 , della quale non si era fin qui fatto alcun uso , perc!;è mutila nei suoi fianchi , sebbe- ne fosse facile di accorgersi , che apparteneva ad un personaggio, il quale nella sua vecchiaja è Lea noto nelle storie di Tacito. .e.:.'.../; Z. MARTIO . L . F . VOMpf. 3IncR0 . TPJB . MIL . LEO . II . IIIIVIR . Vmr. Cur.Q. AEB.CYllPìlhEG.ThChAYDl.ClVEs.Jug. iVo.PU . PUOVINC . MOESIAE.LEG.IV.SGYT.'ei . Leg.Y . MACED . PROCOS . PROY . ACHAI«e c/Z/A . SORTEM . EX . D . D . VabUce La legione, di cui parlo, per la guerra coi par- ti fu nel 63 spedita nel Ponto ; e nell' anno susse- guente neir Armenia , ove fu comandata da Annio Viniciano genero del celebre Corbulone , cui era af- fidata la condotta dell' esercito: il quale Annio non avendo ancora l'età senatoria , reggevala col titolo di prolegato ( Tacito an. X.V" e. 26. 28 ) , e che presto abbandonolla per accompagnare a Roma do- po fatta la pace il re degli armeni Tiridate ( Dio- ne 1. 62 e. 23 ) . Cessato il bisogno che si ebbe di lei fu inviata nell'Egitto, d' onde sul principio dell' anno 67 Tito la condusse nella Palestina per la guerra giudaica, giusta l'autorità di Giuseppe 1. 3 e. 4 §• a« Era allora suo legato Sesto Cereale , sotto i cui ordini ebbe parte nell' espugnazione di Gcru- Iscrizioni di Urbisaglia 17I salcmme ( Giuseppe 1. 3 Q..7 §. 32 , 1. G e. 4 §• 3 ) , dopo la cpiale fu da Tito l'anuo 72 rimandata nella Mesia ( idem 1. 7 e. 5 §. 3 ) , ov' ebbe in appres- so la sua stanza ( Grut. p. 4^1 i i P 4o^ 2 ) , e dove fu poscia impiegata nelle guerre daciclie eoa* tro Decebalo ( id. p. S^i 4 1 Visconti Mon. Gab. p. 20G ). Egli e adunque in questa provincia, che Liberale avrà sostenuto l'ufficio di suo legato , nel quale sark stato successore , ma probal^ilniente non immediato , di Sesto Cereale , il quale forse non e diversa persona dal Tuccio Cereale , che Pli- nio nel ep. XI del libro a annovera fra i conso- lari nel io3 , e cui i fasti comuni accordano i fa- sci ordinar] del loG : ma sicuramente a torto, stan- te la discrepanza dei tempi , come ha ben veduto il Dowello p. 44^ delle sue Prcelectiones camdenia' mv ^ a meno che non volesse supporsi , che fosse quello un secondo consolato : del che per altro in tutti gli antichi faslograli non si ha il menomo in- dizio. Non saprei dire quanto tempo perseverasse Li- berale in una tal Iccjazione. Pare tuttavolta eh' eirli ne fosse esonerato avanti la guerra dacica di Do- miziano , il cui cominciamento suole riporsi nell' an- no 80 , non tanto perchè apparisce non aver egli conseguito alcun premio per bellicose azioni , il che fa presumere che militasse in tempo di pace, quan- to perchè Dione 1. Gy e. io ricorda fra i genera- li di ([uella guerra un Giuliano, eh' è probabilmen- te Calpurnio Giuliano di un iscrizione del Murato- ri p. G4 7« Consta da essa eh' egli era nello stes- so tempo legato della V legione macedonica , e della Mesia senza dir quale : il che significa , che fu anteriore alla divisione di quella provincia ia superiore ed inferiore , dopo la quale ognuna di esseebbe.il proprio preside: divisione che si fece o 172 L K T T E R A T U R A sulla fine dell' impero di Domiziano , o sul Lei prin- cipio di quello di Trajano. Celeberrima è la costituzione di Augusto dell' anno 727 di .Roma , rimasa in gran parte in osser- vanza fino ai tempi di Diocleziano , colla quale di- vise le Provincie in cesaree ed in senatorie, dispo- nendo per queste ultime , che l'Asia e l'Africa fosse- ro cavate a sorte e governate per un anno da chi fosse stato console , le altre da chi fosse stato pre- tore : e proibendo a tutti egualmente ìie ante quia- tum avìììun a gesto in urbe magistmtu pro^nnclns sorlireufiir ^ come ci fa sapere Dione 1. 53 e. 14. Per qualche tempo chiunque aveva amministrato quel- le magistrature avanti il limite prescritto ebbe egual- mente parte all' estrazione , quantunque il numero degli aspiranti eccedesse il numero delle provincie da estrarsi ; ma successivamente , e per lo meno ai giorni di Dione coni' egli stesso prosegue , l'impe- ratore jahet tot 'viros , quot sunt provincice , eosque quos voluerit sortem inire. Però restò sempre ferma la sostanza , che le sole persone consolari o pretorie fossero ammesse a concorrere ai rispettivi proconso- lali , e fra tante lapidi che conformemente alla no- stra ci descrivono il progressivo avanzamento nel- le dignità , non si ha pure un esempio che ne di- scordi. La provincia della Macedonia annoverata fra le senatorie da Augusto , richiamata fra le cesaree da Tiberio nel 7G8 ( Tacito an. i , 876 ) e resti- tuita al senato da Claudio nel 797 , siccome ho ac- cennato di sopra, fu dunque una di quelle che ai tempi del nostro Salvio governavasi da un uomo pretorio , e come a tale saragli toccata quando giun- se l'anno della sua sortizione , dopo aver consuma- to o tutto o parte del tempo intermedio nella le- gazion militare. Cosi in questi medesimi tempi ot- tennela il padre di P. Tullio Vairone, dopo essere Iscrizioni di Urbisaglia. jn^ stato legato della legione XIII , il quale avendo pro- gredito nella carriera politica pr^r le vie ordinarie, in una lapide che ho trovata molto più corretta nel codice vaticano 5237 p. i8o, di quello che lo sia nel Grutero p. 476 5, si dice essere stato successi- vamente Q. VRBANO. PRO. Q. PROVINC GRE- TAE. ET. GYRENARVM. AEDILI. PL. PR. LE- GATO. DIVI. VESPASIANI. LEG. XIII. GEMI- NAE. PROGOS. PROVINO. MAGEDONIAE Erasi in dubbio , se il dritto di estrarre la provincia competesse soltanto a chi era stato effet- tivamente pretore , o se fosse altresì comune a co- loro , che per privilegio ne avevano ottenuti gli ono- ri : e questo dubbio era ajutato dal non aversi al- cun esempio irrefragabile, nel quale si vedesse con- ferita una di queste provincie ad un ADLEGTVS. INTER. PRAETORIOS , tuttoché costoro non sia- no rari nei marmi , ed abbiane tessuto un copio- so catalogo il Marini p. 727 e 790, che si potreb- te in oggi impinguare. Fra le due prove che se ne adducevano in favore , una era desunta dalla seguente lapida del Grutero p. 446 3. SEX. OPPIO. PRISCO V. C. X. VIR. STL. IVD ELECTO. INT. ORDINAR. AB ACT. SENAT. AEDIL ADLECT. INT. PRAETOR PROG. PROV LYCIAE PROG. PROV. DAGIAE. PROG. PROV. RAETIAE. ET. VIND QVAEST. PROV. MAGEDONIAE mi. VIR.VIAR. GVRANDAR PATRONO. INCOMPAR S. P. Q. TIBVRS OB. MERITA. EIVS in^ Letteratura Ma prescindendo che questo marmo e di so- spettissima fede , perchè proviene unicamente dalle ursiniane , cioè dalle schede del Ligorio possedute dall' Ursino , ognun sa che raLbreviatnra PPiOG non vuol gik significare procoìisid , ma procurator. E se alcuno si maravigliasse come un uomo preto- rio siasi inchinato all' ufficio tanto men dignitoso di procuratore, avverta che ciò nasce perchè queir imbroglione del Ligorio , che non ha mai toccato lapide che non contaminasse, ha fatto un sol tutto di due diversi frammenti spettanti a due diverse persone , gli onori delle quali recitavansi nel pri- mo per ordine cronologico retto , nell' altro per or- dine inverso. Il che apparirà manifesto se si con- sideri , che contro ogni regola sono ivi attriLuiti ad un medesimo soggetto due diversi nfììcj del XX. virato , cioè il decemvirato delle liti sul principio , e il quadrunvirato delle strade sull' ultimo. Ma di- visi che siano quei due frammenti, andrà bene che Prisco fosse prima Xviro , poi eletto INTER. QVAE- STOR/oi', che cosi vuoisi onninamente emendare quell' insulso INT. ORDINAR , in seguito segretario del senato , edile e pretorio : come del pari si trove- rà regolare che l'altro sconosciuto dal quadrumvi- rato delle strade passasse alla questura della Ma- cedonia, e quindi abbandonando la carriera senatoria per mettersi al servigio diretto di Cesare , ottasse al- la procuratoria della Rezia e della Vindelicia , po- scia a quella della Dacia , e finalmente a quella del- la Licia. Rimarrebbe adunque soltanto l'altro esem- pio proveniente dalla lapide di G. Porcio Prisco Lon- gino, riferita per ultimo negli Arvali tav. LXI, in cui egli si dice ALLEGTO. INTER PRAETORIOS. PROGONSVLI. LYGIAE. PAMPHYLIAE: ma ol- tre che toccò ad essa pure la disgrazia di capitare nel- Is/:;iuzio?«i di Ur.i;i,sa:glia. 175 1{,' mani del Ligoiio , che l'impasticciò al suo solito ili modo che lo stesso Marini noa riuscì a purgar- nela inleramente , ella spetta poi anche ai tempi di Alessandro Severo , che si sa aver fatte non poche innovazioni nel sistema politico dell' impero : onde la sua testimonianza non ha molto peso pei tempi superiori. Importante h adunque sotto questo riguar- do il nuovo marmo , clic le è anteriore di quasi un secolo e mezzo , il quale ci dimostra che il titolo di uomo pretorio accordato per rescritto dal principe attribuiva a cni n'era onorato tutti i diritti compe- tenti a coloro , che di fatto erano stati pretori. ■ Ma molto più preziosa sarà questa pietra per gli eruditi d'Inghilterra , giaccliè da essa ne pro- viene un nuovo legato imperiale di quel paese, che chiuderà una lacuna nella serie datane dairiìorsley nella sua Britannia Romana. Noi ne abbiamo un completo catalogo incominciando da A. Plauzio che ne fu il prinv), fino a Ga. Giulio Agricola, nella vi- ta che il suo genero Tacito scrisse di quest'ultimo , il quale secondo l'opinione che dai critici è ora ge- neralmente ricevuta , prolungò il suo governo fino a lutto l'anno di Cristo 85. La gita adunque di Li- berale in quella provincia non può ad alcun patto farsi precedere a quesl' anno , nel quale incomincia il quinto dell' impero di Domiziano. Altronde la nostra lapide c'insegna eh' egli vi fu legatus augustorum : ma questi due imperatori non ponno essere Vespa- siano e Tito , percliè morti ambedue molto prima che Agricola ricevesse il successore. Perlochè se si tratta di due principi vissuti contemporaneamente , non potranno questi essere se non che Nerva e Trajano, dei qual ultimo ci attesta Plinio nel panegirico Fa- ctiis est simul fiUus ^ simili C cesar <, inox impera- tor et CONSORS tribunicice potestatis -. onde fu 17G Letteratura collega del primo nell' impero circa Ire mesi , sicco- me asserisce l'epitome di Vittore. Se poi s'intende di due augusti successivi , il che non viene esclu- so dalla formola legntus augustorum , perchè ab- biamo più distesamente LEG. PRO. PR. DIVI. AV- GVSTI. ET. TI. CAESARIS. AVGVSTI nella mu- ratoriana 399 5 , LEG. DIVI. TRAIANI , Parthi- ci, et Imp. TRAIANI. HADRIANI. AVG. PRO- VING. HISPAN. GITERIORIS nel Donati p. 282 a, e similmente LEG. AVG. PR. PR. DIVL TRAIA.... DRIANI. AVG. PROVINO. Vhj^nonice nel Fine- stres p. 3o6 , allora oltre Nerva e Traj ano , potreb- bero anch' essere Domiziano e Nerva , Trajano e Adriano. Ma in quest' ultimo caso bisognerebbe di- scendere fino al 117, in cui Trajano mori: il che porterebbe che Liberale fosse già settuagenario quan- do reggeva la Brettagtia , otd molto poco propria pel preside di una provincia bellicosa , nella quale perciò costumossi sempre d'inviare dei generali nel più robusto vigore degli anni. Oltre di che non in- tenderebbesi come un uomo fiorente pel credito che aveva in senato , adorno di talenti e di meriti qua- le il nostro Salvio apparisce per la testimonianza di Plinio , fosse giaciuto negletto per tutto il lun- go governo di un piiiicipe come Trajano cosi ben afletto ai senatori. Parrai adunque altamente impro- babile , che quc'ita sua legazione si abbia a differire fino al principio dell'impero di Adriano: e se ciò è , converrà pure ritirarla al di qua dell'anno io4 , perchè dall' insigne diploma di onesta missione pub- blicato dal Lysons Reliquice Britaninco Romancu Kent. tav. a conosciamo , che V Inghilterra era in quel tempo governata da L. Nerazio Marcello. Dall' altra parte non possiamo tenere che questi due au- gusti siano Doiuiziauo e Nerva , perchè abbiamo Iscrizioni di Urbisaglia ì'j'j veduto di sopra che Liberale fu esigli alo dal primo di questi imperadori , e tutto autorizza a credere , che non fosse richiamato se non dal suo successore^ Non resta aduaque se non che riconoscere in loro Nerva e Trajano , nei quali si verifica di più , che per qualche tratto regnarono insieme : lo che essen- do il titolo di legatus augustorum , ci darà ])uoii fondamento di asserire, che al principio del 98, ia cui Nerva cessò di vivere , Liberale era già alla te- sta della sua provincia. Quindi il suo nome nella serie dei presidi della Brettagna dovrà inserii'si do- po quello di Sallustio LucuUo, clie da Svetouio (Domit. e. 10) sappiamo essere stato rettore di quel- la provincia ai tempi di Domiziano, e che si ritie- ne comunemente pel successore di Agricola: o se an- che si vuole, dopo quello di un ignoto Trebellio , che sotto il medesimo impero gli viene surrogato dall' Horsley , e del quale tutta la fede rimanga appresso di lui. Viceversa dovrà il nostro Salvio premetter- si a L. Nerazio Marcello, che ho detto incontrarsi lecrato nel io4 ì ma- resterà sempre fra loro un po- sto vacante che aspetterà di essere riempito, perchè Salvio al principio dell' anno 100 era già tornato a Roma, ove perorava in difesa di Mario Pjìsco, e Marcello non potè ottenere la provincia se non do- po i fasci ordinarj da lui esercitati nei primi me- si del io3, più ora non dubitandosi dell'errore in- valso nei fasti , per correggere il quale il quinto con- solato di Trajano invece di essergli anteposto deve anzi succedergli. Dalle cose fin qui discorse sarà in gran parte spianata la strada a determinare approssimativamen- te l'età, del suo consolato , che non potrà essere stato se non che sufFetto , non trovandosene alcuna memoria presso i fastografi. E primieramente la pro- G.A.T.XXXIL 12 l'^S Letteratura vincia pretoria della Macedonia da lui governata mi somministra un indizio non disprezzabile, ch'egli lar- dasse ad ottenerlo. Esaminando le lapidi onorarie dei personaggi consolari , delle quali un copioso nume- ro ci è pervenuto , mi sono più volte meraviglia- to , come siano poche in proporzione quelle che lo- ro attribuiscono una delle provincie pretorie dipen- denti dal senato , quantunque non vi sia quasi al- cuno fra loro che non sia stato pretore , e che non vi abbia per conseguenza avuto diritto. Ho quindi osservato che ne mancano sempre tutti coloro , dei quali può argomentarsi che siano presto arrivati ad assidersi sulla maggior curule , ed a questa osser- vazione corrisponde ancora quel poco , che se ne può trarre dalla storia. Imperocché non ebbela Adriano , che il suo biografo ci dice essere stato pretore nel 107 , e che fu poi console nel 109; non Frontino pretore urbano nel 71 secondo Tacito Hist. IV 3f) , e con- sole nel 74; non Agricola, non Pertinace, non Pli- nio infine, nei quali lungo intervallo non decorse tra gli onori pretorj e i consolari. Per lo che mi sono immaginato, che coloro L quali ottennero i fasci pri- ma che giungesse il turno della loro sortizione , per- dessero il gius di avervi più parte , giacche questo dritto veniva in loro commutato coli' altro di aver poi la provincia consolare , e in questa opinione mi raffermo non essendomi riescito, per ricerche che ne abbia fatte, di trovare alcun esempio , dal quale si mostri senza dubbiezza , che alcuno dopo i fasci ab- bia amministrata una provincia pretoria. Trovo be- ne al contrario, che l'imperatore Settimio Severo go- vernò la Sicilia innanzi di esser console , trovo che Giulio Scapula console designato era già stato pro- console di una provincia , di cui si è perduto il nome nel marmo riferito dal Grutero p. 42^. 3 , e Iscrizioni di Urbisaglia, 179 trovo in altre lapidi edite dal Marini Fr. Arv. p. 753 , dal Grutero p. 49* 12 , e da me medesi- mo ucir osservazione 3 della decade XI, nelle qua- li senza alcun dubbio le dignità ricevute sono re- gistrate con esatto ordine cronologico , che L. Giu- lio Marino , Umbrio Primo , ed A. Giulio Quadra- to divennero consoli dopo aver retta l'Acaja , la Licia, e l'isola di Ci età colla Cirenaica, ch'erano tut- te di pertinenza del senato. Dal che se ne avrà buon lume per portare lo stesso giudizio anche per riguar- do alle altre iscri^ioni , nelle quali la disposizione cronologica è meno evidente , o anche non è stata osservata. Ciò premesso, parmi non restare alcun dub- bio , che cosi pure nel nostro Liberale ramminislra- zione della Macedonia precedesse il consolato. La leg- ge d'Augusto prescriveva che fra la magistratura e la provincia s'interponessero cinque anni : ma il fat- to sta , che da Tiberio in poi , o sia per l'accresciu- to numero dei sull'etti , o piuttosto a motivo di dif- fidenza politica, l'esperienza ci mostra che nelle pro- vincie consolari l'intervallo fu di un decennio , ed anche di più , ed io stesso ne bo addotta una nuo- va autorità nell' osserv. i della decade XIV. Per ragione di analogia sembra che debba essere avve- nuto lo stesso anche nelle provincie pretorie : e per verità a ciò si conferma l'unico esempio , che in tan- ta penuria di notizie posso recarne. L'imperatore Set- timio Severo nacque nel i/^Q, e fu fatto pretore di 32 anni: dunque nel 178, secondo Sparziano, il quale dopo aver memorato altri suoi impieghi pro- siegue : Siciliani proconsularem sorte meruit , su- scepitque lìoime nlterum filiiiui' In Sicilia quasi de imperio vates vel cJialdceos consuluisset reus fa- ctus .... ahsoliitus est . Dal che non si può trarre altro senso , se non che essendogli toccata in sorte i8o Letteratura la Sicilia, prima di andarvi o mentre gik v'era gli nacque in Roma il secondo figlio. Ora si è d'accor- do che Geta nacque nel i8() , e quindi fra la pre- tura di Severo e la provincia pretoria s'intromise- ro almeno dieci anni. Se dunque colla stessa misu- ra si ha da determinare il proconsolato di Liberale, ne verrà eh' egli non potè conseguirlo se non inol- trato rimpero di Domiziano : e se il consolato fu ancor posteriore , come potrà supporsi , che ne fos- se onoralo da un principe , il quale gli era si po- co amorevole , che non tardò molto a cacciarlo in esilio ? Air opposto una tal dignità dovè in lui pre- cedere la legazione britannica , perchè quella pro- vincia stante la sua importanza , accresciuta dal co- mando degli eserciti che in essa stanziavano, non fu data che a personaggi , i quali avessero toccato l'apice degli onori: del che potrebbe cumularsi gran numero di prove , se non le rendesse inutili la so- la testimonianza di Tacito, che nella vita d'Agrico- la e. 14 comincia il catalogo di quei presidi colle parole : consularium, primus A- Plautius. Ma vi è di più, che quella provincia fu solita a darsi fre- quentemente subito dopo il consolato. Per Turpilia- no ed Agricola ne abbiamo la fede dello stesso Ta- cito, che negli annali 1. i5 e. 'ya scrive del pri- mo: Detentus rebus gerendis Svetonius tradere exer- citum Petronio Turpiliano , qui iam consulatu abie- rat , iubetur ; e ci dice del secondo nella sua vi- ta e. 9: Consul egregicB tum spei filiam iuveni tnihi dcspondit , ac post Gonsulatiim callocavit , et statini Britaìinice prceposifns est. Un* eguale assicurazione per riguardo a Petilio Cereale ci viene data da Giu- seppe Ebreo , Bel. lud. 1. "7 e. 4= Vespasianus . . . ad Pctilium Cerealem . . . litteras misit , quibus consuleni euni declaravit , iussitque ad Britantiias Iscrizioni di URBisAaLi\ i8i adininistrandas proficisci. Ne dal detto degli scrit- tori discordano le osservazioni. Il citato diploma del Lysons ci ha mostrato che ai 19 gennajo del 104 Nerazio Marcello era già legato dell' Inghilterra, e i fasti ce lo insegnano console sul principio dell' anno avanti. Egualmente i critici ripongono l'anda- ta di Frontino in quella provincia nell' anno ^5 , e il Poleni nella sua vita ha stabilito il primo suo consolato nel 74 • opinione che ha ricevuto gravis- simo fondamento dalla successiva scoperta dei fasti delle ferie latine editi dal Marini p. 129 , dai qua- li si rileva , che nel giugno o luglio di quell' an- no fu veramente console un tale , del cui cogno- me non si è salvato che la misera lacinia .... ON .... Dietro tutto ciò sembrami probabile , cbe Nerva il quale successe a Domiziano ai 18 settem- bre del q6, e richiamò subito gli esuli, fra i qua- li dovette essere ancora Liberale, non tardasse a ri- storarlo delle sofferte traversie cogli onori del con- solato , e colla successiva legazione britannica. Co- sì Giulio Basso, uno dei suoi compagni nell'infor- tunio, al ritorno dall' esiglio fu ricompensato colla provincia della Bitinia per attestato di Plinio 1. 4 ep. 9. Il consolato a questi tempi era già rego- larmente addivenuto quadrimestre : onde si ebbero per lo meno sei consoli l'anno , secondo die ci ha insegnato il prezioso frammento dei fasti ostiensi dell' anno 92 inserito dal ch.° sig. Cardinali nel t. I delle memorie romane di antichità p. 19$ ; ma lo fu talora di due mesi ed anche di meno, come troviamo all' anno G9 nelle storie di Tacito. Può adunque Liberale aver ricevuto jcontemporaneamente il richiamo dall' esiglio e la diguita consolare per l'ultimo bimestre dell' anno 96, e più facilmente può aver conseguilo quest'onore nel successivo 97 , nel l82 L K T T E R A T U R A quale sebbene lungo catalogo di consoli tessa il Pan- vinio , pure non sono certi che i due ordinar] Ner- va e Virginio Rufo , in luogo del quale, defonto nella macfistratura, fu a compimento del tempo asse- gnatogli sostituito lo storico Cornelio Tacito. Am- metterò pure elle si abbiano da attribuire a que- st' anno Domizio Apollinare e Vezzio Proculo , ma ne va escluso certamente Giulio Frontone, che de- ve riportarsi all' anno precedente, per ciò che si ri- cava da Dione 1. 68 ci, come ha ben osservato il Fabricio nella nota sottoposta , e cosi pure Pom- peo Collega , nato da un'erronea spiegazione data al- le parole di Plinio 1. Q ep. r3 collega Certi con- sulatam ^ successurem Certus accepit-^ ove non vuol già dire , che Pompeo collega già consolare iterò quest' onore, ma si bene che Vettius Proculas col- lega Piiblicii Ci-rti ^ come l'ha chiamato poco sopra , fu mantenuto nel consolato promessogli , e che un altro fu sostituito in luogo del suo compagno de- signato Publicio Certo , che per giudizio del sena- to veniva ad esser deposto. Niente poi ci addimo- stra elle gli altri due Fabio o Fabricio Veientone e Fabio postumo, memorati nella medesima ejiistola , fos- sero consoli in queli' anno più che Cornuto Tertullo ricordato subilo appresso , e che sappiamo non esserlo stato se non che tre anni dopo in compagnia di Pli- nio, non altro da quel luogo ricavandosi , se non che costoro furono senatori, i quali in quell'anno diede- ro il loro voto nella causa di quel Publicio. Che an- zi vi e tutta l'apparenza che Veientone , il quale era già vecchio a quel tempo , e ch'era già stato preto- re fino dall' anno 54( Dione 1. Gì e. 6 ), e relegato da Nerone nel G3 (Tacito l. ii4 e. 5o), sia stato con- sole molto prima e probabilmente sotto Domiziano , cui fu molto accetto per la sua adulazione , essendo Iscrizioni di UrbisacliA. i83 che viene annoverato da Giovenale Sat. IV v. !i3 fra i consolari che intervennero al ridicolo consiglio del rombo. Lo che essendo , anche concedendosi che in quell'anno fossero designate soltanto tre coppie di con- soli, giusta lo stile a quei lempi divenuto ordinario, resterà sempre vero, che un pajo non è ancor cono- sciuto: e se non altro mancherà sempre il collega di Vezzio PrucuJo sostituito in luogo di Certo , che non sappiamo chi fosse. Nulla adunque si oppone alla mia congettura, che Liberale possa avere ottenuto i fasci sotto il breve impero di Nerva , dopo i quali sia sta- to mandato legato della Brettagna sulla fine del 97, tempo nel quale era gik stato addottato Traiano , e fatto partecipe del regno , onde potesse dirsi legatus augustorum. E così resterà a Salvio uno spazio con- gruo di due anni per governare quella provincia, ed essere poi tornato alla capitale al principio dell' an- no centesimo. Ai tempi imperiali non si ebbf'ro certamente in Roma altre magistrature che si cavassero a sorte se non che i proconsolali : onde non può appartenere che ad uno di essi la dignità che nella penultima linea di- cesi per tal mezzo ottenuta. Ma siccome quello della provincia pretoria è gik stato annoverato di sopra , cosi necessariamente dovea qui parlarsi dell'altro del- la provincia consolare competente a Liberale pei fasci sostenuti: il che vien ridotto ad evidenza dalla suc- cessiva menzione che si fa della provincia dell'Asia, che fu appunto una delle consolari. Il marmo ci av- verte per altro che il nostro Salvio si scusò dal rice- vere questo benefizio della sorte , non rare essendo state queste rinunzie molte volte non volontarie e pro- curate dagl' imperadori , quali furono quelle di M. Le- pido e di Agricola riferite da Tacito (annal. l. 3 e 35. vita Agr. e. 42)' Altre volte però la vecchiaja o la ma- ^§4 Letteratura la salate coiusigliavano a rinunziare una carica fatico- sa, e che obbligava a lunghi viaggi per assumerla , come fece Frontone , ch'eletto aneli' esso proconsole d'Asia , mentre si preparava al viaggio senti aggra- varsi le sue abituali infermità ; e perciò se ne scusò presso l'imperadore Antonino Pio coli' epistola eh' è rVlII fra quelle che gli ha indirizzate. Una ragione non dissimile deve essere quella che sotto un princi- pe cosi giusto e cosi buono come Trajano mosse Li- berale a fare altrettanto , tanto piiì che dalle cose che si sono discorse apparisce bastevolmente , che all'epoca della sua sortizione egli doveva essere già avanzato negli anni. Solito era per altro che a questi proconsoli abrlicanli si desse una rimunera- zione in denaro dal pubblico erario, che salarium chiamasi da Tacito nella vita d'Agricola e. 42 , e 7e^afff nel l. 78 e. 22 di Dione: dal qual luogo ap- parisce ch'ella ammontava ad un millione di sester- zi , il che sarebbe a dir presso a poco venticin- que mila dei nostri scudi. State sano. S. Marino a dì 34 di novembre 1826. EORGHESI Sulla voce fuia usata da Dante. Lettera al chiaris. prof. Marc Antonio Parenti. J-ia voglia, che io ho grande di servire ad ogni di lei cenno, fece si che subito dopo il ragionamento avuto con V. S. sul vero valore di quella benedet- ta voce fuia di Dante , mi ponessi scartabellando i Sull' antica voce fuia i85 miei carissimi trovatori a vedere se pur ve la riscon- trassi : perciocché mi parca nulla pili vero di ciò che ella m'andava ripetendo , saper cioè questa pa- rola troppo pili odore di provenzale che d' italico, e che se ne doveva in quella lingua riscontrare il vero significato. Ma vedendo dopo parecchie ore che io mi gettava la fatica , preso , quasi per stizza, fra le mani il libro dell' Inferno , ove a canto XII è collocata da prima , mi passò per la mente il ver- bo provenzale yz^/r, che è pur francese antico e mo- derno ; e come piccola scintilla gran fiamma secon- da^ COSI mi si affacciarono di molti pensieri che alla fine mi costrinsero a credere fuia non valere che Jiiggita^ fuggitiva. E ciò quanto a Dante, senza cer- carla in altri : mercechc dopo potè torcere la significazione , o avuto rispetto al suono della vo- ce , o per non essere stata intesa a bastanza , il che non sarebbe oggiraai caso nuovo. La qual mia credenza col riscontro degli altri due passi della Divina Commedia , ne' quali vien posta , così mi raf- fermò , eh' io fui per non dubitarne ; se non che pensando al molto controvertire su questo luogo ed alla mia pochezza, temei subito sulla verità del trovato , e volli a V. S. esporre le ragioni che mi volevan convincere , non già perchè ella non sia per iscorgerle di prima vista , ma solo per avere il com- piacimento di sentirmele , se sari caso , come suole così dottamente ribattere, ch'io posso ben dire di lei „ Tu mi contenti sì quando tu solvi , „ Che non men che saver , dubbiar m'aggrata. Osserviamo dunque il passo dell' Inferno , e prima- mente facciamoci un po' da capo per conoscer be- ne r intendimento dell' autore. Dante e Virgilio ca- i8G Letteratura lano giù per lo scarco di quelle pietre che spesso moviensi sotto i suoi piedi per lo nuovo carco , e giunti al fondo ove i centauri vanno in caccia dell' anime che voneber fuggire , per costringerle saet- tando , dicono a tre che si fanno contra , che daran- no loro novelle a Chirone. „ Noi ci appressammo a quelle fiere snelle : „ Ghiron prese uno strale, e con la cocca „ Fece la barba indietro alle mascelle. „ Quaiulo s'ebbe scoperta la gran bocca „ Disse ai compagni : Siete voi accorti , „ Che quel di retro muove ciò che tocca ? „ Cos\ non soglion fare i pie de' morti. „ E il mio buon duca , che gik gli era al petto „ Ove le due nature son consorti, „ Rispose : Ben è vivo , e sì soletto „ Mostrarli mi convien la valle buia : „ Necessita *1 c'induce , e non diletto. „ Tal si partì dal cantare alleluia ,, Che mi commise questo ufficio nuovo : „ Non è ladron , ne io anima fuia. „ Ma, per quella virtù per cui io muovo „ Li passi miei per si selvaggia strada , „ Danne un de' tuoi a cui noi siamo a pruovo. Veduto così di pieno lo squarcio , veniamo al verso = Non è ladron, ne io anima fuia = . E pri- mamente non mi ho mai sentito spiegare perchè Vir- gilio dica non esser Dante ( vivo , e gi'a per tale riconosciuto ) un. ladrone ; il che forse si potrebbe così. Dante e corporeo e sotto lui muovonsi perciò le pietre dello scarco : questo osserva Chirone , e lo manifesta con gran meraviglia ai compagni , te- nendo una saetta fra le mani. Avverte ciò Virgilio , Sull' antica voce fuia 187 ed intendendo (come lo dovette intendere quel savio gentil che tutto seppe ) la cagione dello star suo sospeso, parmi che dica chiusamente: Non pensar già. che e' sia come Ercole o Teseo che sceser vi- vi all' inferno per furarne le anime; ben egli è vi- vo , ma non è un ladrone , ne lo induce diletto , ma necessita (di purgarsi de' peccati) : e per vede- re me sì soletto, non pensare ch'io sia anima per forza s,\x3i fuggita dalla mia pena: ma mi si convie- ne ciò fare (del mostrarli cioè la valle buia) per- chè uno spirto del cielo mi commise questo nuo- vo ufficio. Io non mi sono come Proserpina , o la moglie d'Admeto , eh' egli mi scampi ; ma bensì tu per quella virtù sovrumana , per cui sola io ho li- berta e potenza di muovermi, solo danne qualcuno de' tuoi che ci sia guida , perchè il nostro viaggio è fatale. E parrai a punto che Dante, avendo fisso al- la mente que' versi del maestro suo Virgilio , con che parlando Caronte dice Nec vero Alcidem me sum Icetatus euntem Accepisse lacu '-, nec Thesea , Pirithoumque : Diis quanquam geniti^ atque invicti viribus essent. Tartareum ille manu custodem in vincla petivit , Ipsius a solio regis traxitque trementem : Hi dominam Ditis thalamo deducere aderti:, ponga qui ascosamente sospetto eguale nel parlare , e nella sospension di Chirone , che uditasi e ve- dutasi da Virgilio, vien forse bene, ch'egli, sov- venendosi di questo suo trapasso , intenda di col- po , e gli vada incontro dicendo : che non è ani- ma sfuggita per un nuovo Alcide , o Piritoo , o Teseo. i88 Letteratura Questo, stimatissimo sig. professore, parrai il cilia- re senso del verso e della voce. Nò dee far contro il notare, che i tre primi centauri che si affronta- rono credettero ciie fossero anime da Minosse yà^^e già volgere , sicché loro chiesero . . . • A qual marliro „ Venite voi che scendete la costa ; perche allora non essendo stato avvisato ancor Dan- te per vivo, non potea loro cader nell'animo fuor- ché fossero dannati, e non Dante un ladrone, Vir- gilio un'anima che fuggisse con lui. Ed il moto eh' essi facevano contrario all' escire tanto poteasi credere da Chirone che lo facessero per liberar qual- che altr' anima, quanto per riuscire dal fondo, co- me infatti avvenne , vittoriosi di tutto V inferno : e ciò pili, perchè la scritta morta che trovasi al som- mo della porta , coWEscite di speranza o i^oi che entrate , non pare che debba somministrare abilita di andarne. Poi quella, dirò cosi, fretta in Virgilio di far noto a Chirone se essere mandato da don- na celeste , e dirò pure , forzato al solo fine di mo- strargli la valle buia, pare che dia una certa aria di verità alla cosa , che io non le so torre l'aspet- to favorevole. E in fine se risguardiamo alla parola, vedremo che Dante su questa si piacque degli scor- ci : perchè come nel XXXII del Purgatorio disse la volse in tanta futa , che altro non è , come osser- va il Poggiali, che sincope di fuggita (verbale per fuga, come altrove gelata per gelo: modo ch'egli po- tè pur prendere dal suo duca e signore la dove dis- se : O nunquam frustrata vocatus - Hasta raeos. ). E così quivi lasciato il t prese all' incontro la / , che da prima avea abbandonata e accostandosi piiì al ver- SuLl' A.NTICA VOCE TUIA. l8f) ho J ai litìce Jìiia, come stando più all'italiano avea primamente composto futa ; voci eh' io credo la ri- ma solo gli suggerisce alla mente fatte di suo getto , come per la stessa ragione creò iiiluia : giacche sap- siamo che egli per sua gran forza non volle mai al- la rima soggetto il pensiero. ■« Ma se ne chiede V. S. prove piiì nette, osservi' che la stessa credenza ascosa c'ì'io do a Chirone l'eb- be poco prima il Minotauro, ijuando questa infamia di Greti se stessa morse , siccome quei cui Vira dentro fiacca. Ecco che di fatto gli disse Virgilio: „ Tu credi che qui sia 'l duca d'Atene , „ Che su nel mondo la morte ti porse. „ Partiti , bestia ; che questi non viene „ Ammaestrato dalla tua sorella, „ Ma vassi per veder le vostre pene. Noti pure quel mal vcngiamino iu Tresco l'as- salto, die dicono le erinni, quando cliiamano il ca- po di Midusa ; ed il padre Cesari al luogo - Bellez. di Dante n. i ec. - e forse che ella perdoner'a al mio supposto. Però qui parmi acconio osservare come il signor Rosa Morando dica totalmente essere chimerico il pensiero d'alcuni di derivare questa voce dal latino furvus , fosco , oscuro ; e poi proponga una spiega- zione, certo degna del suo fino giudicio , e di tanto maggior peso , in quanto che autorizzata dalla Cru- sca , la quale se sia pii^i vera della mia , io , chiaris. sig. professore , starò al di lei detto. Vuole egli adun- que, che per la parentela che passa tra Vi e /'r, l'usi il poeta per fura , ferace. Ivi direbbe perciò Virgilio : Noi non venimmo al tuo cerchio per no- stra colpa che ci sforzi, ma perchè costui il miri &c. igo Letteratura Ma osservi di grazia, e, s'io non prendo un granchio , parmi che il ladrone e l' anima fuia siano stretti di tal legame da non potersi disgiu- gnere , e dove l'uno si ponga , debba l'altro segui- re di necessita. Ora potea egli ben venire in ca- po a que' centauri , eh' essi fossero dannati al mar- tiro del lor girone, quando non credean Dante vi- vo, ma non mai dopo che l'aveano per corporeo riconosciuto , perchè sapean bene ch'ivi non venia di quel d^ Adamo , e che Più leve legno convien che- lo porti. E Virgilio, che avea sentito il detto di Chirone , come dovea dirgli : Questi non è un ladrone ? Perciocché oltre che la scusa non sarebbe valsa , punendosi ivi massime i tiranni ed i violen- ti ; il vedere un uomo che vivo avea passato tanti pericoli , e tanti ostacoli superati , ben' altro dovea fare alla mente del centauro : perchè , ripeto , non potea mai supporre che un uomo vivo venisse all'in- ferno per settostare a castigo. Ne parmi essere fiac- ca la mia opinione intanto che s' attacca a cosa di mitologia , da che nello stesso canto ed il Mino- tauro a guardia dello scarcc , ed i centauri stes- si fanno fede quanto egli sia vago di chiudere d'un tal velame la sua dottrinai a pericolo pure di far parere strani a taluno i suoi versi. E non avea fat- to dire a Farinata poco pii!i sopra La donna che qui regge , mirando ad Ecate creduta dalla genti- lità dea infernale ? Con che permetta in fine che io aggiunga un pensiero del mio Cesari , che entrato nello stesso credere non può vedere come Dante , se fuia va- lesse Jura , abbia cosi distinte le qualità sue e quelle di Virgilio ponendovi quel ne che appar di- sgiuntivo- E nel vero , se amendue volesse scol- pare del venire al cerchio |de'ladri ( se pur quello StLL' ANTICA VOCE FUIA IQI fosse singolarmente ) potea dire , ad esempio - Ne io ne questi abbiam l'anima fuia - , ma ponendo - Costui non è un ladro, ne io son fuio-, pare che importi in quel fuio uno essere ed un significato diverso dal ladro. Ma anche troppo su questo : osserviamo il se- condo passo nel Purg. G. 63. ,, Io veggio certamente , e però il narro , „ A darne tempo gik stelle propinque „ Sicure d'ogni intoppo e d'ogni, 'sbarro , „ Nel quale un cinquecento dieci é cinque „ Messo di Dio ancidera la fuia „ Ed il gigante che con lei delinque. E certo che qui Dante sotto nome à\ Jìiia in- tende quella stessa donna , che nel canto antece- dente descrive tratta col carro mostruoso da un ei- gante per una selva , tanto che furono tolti di vi- sta al poeta medesimo. Ora vediamo se a questa pure si potesse aggiustare l'aggiuntivo ài fuggita. E vero che a prim' occhio il verbo fuggire sem- bra derivare dalla volontà , la quale dir non si potendo concorrere nel caso nostro della femmina tratta entro la selva , parrebbe inferma la spiega- zione : ma non cosi però se si osservi altro non valere propriamente fuggire , che il torsi rapido d'una cosa dal luogo duvera ; e che perciò dicen- do fuggita non tanto si ha riguardo al modo del togliersi di per se , o per altri , quanto al toglier- si rattamente. Perciocché lasciando i sensi figura- ti , in che si trova usata com' io l'intendo , par- mi che , per venire al caso nostro, Bradamente che vede trattole il suo Ruggero per l'aria , possa di- re eh' e'fugge , e piangerlo siccome fuggito; e l'esem- i()3 Letteratura pio forse die la Crusca dk alla voce Juiggire del Passavanti servirehhe per fermare la mia creden- za : onde fe dunque ch'io spiego ucciderà la fug- gita, per quella che gli fuggi d'innanzi tratta dal gigante. Del rimanente, posto che la suddetta alle- goria abbia in mira la corte di Roma , contra la quale il poeta , irritato dallo spirito di parte, in- veiva con tanta acrimonia trapassando la reveren- za dovuta alle somme chiavi , si vede come nel sen- so di lui la selva fatta scudo al piiì vederli siano le alpi, e l'idea di fuga perciò possa convenire all'ade- sione di Clemente V alle istanze di Filippo il Bel- lo , e al trasportamento della sede apostolica ad Avi- gnone da quella Roma , che lo stesso Dante disse fin da principio stabilita per lo loco santo, U'siede il successor del maggior Piero. Ad ultimo il nostro A. pone fuia nel XI can- to del Paradiso cos'i : „ Dio vede tutto , e tuo veder s'inluia , „ Diss' io , beato spirto , si che nulla „ Voglia di se a te puot' esser Jiiia' I comentatori spiegano oscura, nascosta: ne io so come , fuor se non coli' autorità del vocabola- rio , e con quel loro furvus che vedemmo già. ri- provato. Non vorrò dir dunque che certo essi sba- glino , ma noterò umilmente che tenendo la mia pri- ma spiegazione di fuggita , fuggitiva , ne viene an- che qui l'intenzione chiara e nettissima : tanto ^in- dia il vedere di quel beato spirito , che non può fuggirgli od essergli fuggitiva alcuna cosa che sia volontà di Dio. Sull' antica voce FUIA Ip3 Perdoni , stimatissimo signor professore , il fa- stidio della lettura , e sappia che s'ella sprezzando questa mia conghieltura vorrà accettare la opinione del Rosa Morando e del vocabolario, vedendola ca- ra al sottile giudizio di lei come la vera , io pure, tolto di dubbiezza per Ja di lei sentenza, m'accosterò vo- lentieri a rpiel bello intelletto ed ai signori della Crusca. A V. S. mi raccomando caldamente, e la prego vedere in questa lettera il desiderio unico di mo- strarmele servitore. Di casa '7 ottobre 1826. Giovanni Galvani. Ragionamenti intorno la divina Commedia. RAGIONAMENTO V. ( y. Ragionamento If^ nel tomo XXXI alla pag. 3iC ) D. appoicliè è piaciuto al signor Giovanni Galvani di dare nuova interpretazione alla voce J/iia (i) , io, mosso dall'esempio di lui, mi sono proposto di scrivere il presente ragionamento; nel quale questa voce medesima per me s'interpreti e si dicliiari. K primieramente liferirò i tre luoghi di Dante , dove essa trovasi registrata. De'quali luoghi l'uno è nell' Inferno , l'altro nel Purgatorio , il terzo nel Paradiso. (i) V. L'articolo precedente G.A.T.XXXU. i3 if)4 Letteratura Neir Inferno C. XII Virgilio parlando a Chirone centauro , il quale , accortosi di lui e dell' Alighie- ri che Io seguiva , aveva incoccato uno strale ed era per disfrenarlo, gli dice accennando Dante : Non è questi un ladrone', e accennando sé: iVè io sono un anima fuia. „ Non è ladron; ne io anima fuia. Quindi nel Purgatorio C. XXXIII, a quel passo dove Beatrice fa predizione al poeta intorno l'av- venimento di un duce , che mandato da Dio avreb- Le ucciso la meretrice descritta nel canto preceden- te , trovasi di Lei nuovo usata la voce fuia in ([uei verso „ Messo di Dio ancidera la fuia. Finalmente nel canto IX del Paradiso , favellando il poeta a Gunizza, sorella di Azzolino da Roma- no , le dice : „ Dio vede tutto : e tuo veder s'inluia , „ Diss'io, beato spirto, si che nulla „ Voglia di se a te puote esser fuia. Gli accademici della Crusca, pervenuti alla in- terpretazione di questa voce, si cavarono d' imba- razzo assai leggermente. Imperocché tanti sensi di- versi diedero alla detta voce, quante sono le vol- te che trovasi nel poema . E dove Dante avea fat- to dire a Virgilio : lo non sono anima fuia ; dis- sero che fiia avea significanza di India : dove in bocca di Beatrice avea posto la predizione del du- ce che avrebbe ucciso la fuia ^ notarono tanto va- Divina Commkdja iq5 iere la fiiia ^ quanto ìd scellerata: all' ultimo dove il poeta avea detto a Cuiìizza , Che riintui i-o^lia di Dio poteva esseile fnia^ tribuirono a questa voce la signiilcazioiie di (iscnra. Il qual modo d'interpre- tare , comecliò sia facile, non e lodevo!.?, nb stiin- pje gli animi a persuasione. Tanto più c'ìe essendo la parolayv^m della generazione di quelle che Fron- tone ( i ) cliiama veiha remota et requisita, cioè, se- condoclìè egli sjiirga , poco cornimi , non è regola di buon ragionatore; il concederle moltiplicitk di signillcà- ti : perchè le multe significazioni solo da quelle [)aroIe si acquistano , ciie divenendo comuni , e nuiandosi e scrivendosi universalmente, sono, nel moììÌ!)lice loro uso, volto a poco a poco a significare altre cose per artificio di n)etofore e di altri modi reltoiici. Laonde allontanandosi via via ilalla prima origino, diven- gono finalmente a quella origine quasi straniere ; ed è cosa piena di malagevolezza il ritrovale il fi- lo, c^ìe al rimoto loro })rincipio le riconduca. Cosi avviene di albero, che tolto dal suo terreno, e tra- -piantato da luogo a luogo, e co'ranii delle domesti- che piante innestato, cangia quasi la sua natura. Ma le voci che non sono andate so<{j?ette a cosi falle vi- cende ritengono sempre la prima ed unica origine, alla quale vuoisi riandare, chi cerca di scoprirne la vera significanza. Si faccia ora considerar.ione sulle sentenze dei conientatori di Dante. Alcuni di essi hanno offeso nell'errore degli acci l -mici della Crusca, dxndo al- la voce fiia (juelle diverse significazioni , che abbia- mo riferite qui sopra. Fra' quali è il Rosa Morando* Ma i pili, facendo derivare A fido degl'italiani dal (i) Edizione del Mai, pag. 94. i3^ if)6 Letteratura furvits dei latini , che tanto valeva quanto ne^ro , si concordarono insieme nel dire, Ò\q fuia nella sua origine significasse nera , oscura ; che per traslalo fosse poi volta a significare rea^ scellerata'^ che in fi- ne per nuovo traslato ricevesse la significazione di ascosa^ celata: couciosiacchè un'anima cattiva soglia dirsi anima rea-^ ed una celata altrui soglia chiamar- si oscura^ che suona il medesimo clie nera. Cosi il Ven- turi, il Lombardi, il Biagioli: i quali dichiarano i tre luoghi di Dantti nel seguente modo. -Nell'Inferno: Ne io anima fida: „ ne io anima nera, rea, tinta in „ peccato. „ Nel Purgatorio: Anciderà lafuia- „ an- „ cidera la rea, la scellerata. „ Nel Paradiso: ^ /e puote esser f aia: ,, a te puote esser nascosa, celata. „ Dove io nolo, contro alla sentenza di que'dotti: I. Che l'anima di Virgilio aveva, come egli stes- so dice, la reità dell'essere stata rihellante alla leg- ga di queir imperadore che regna in cielo. ( Inf. CI.) II. Cho l'aggiunto y^^/a dato alla meretrice per- derebbe assai di bellezza e di forza , se fosse vol- to a significare rea ; dovendo ivi per bella pro- prietà aver significanza di ladra., come hanno mae- .strevolmente notato gli editori Ijolognesi, e come io appresso dimostrerò. III. Che, secondo il parer mio, ha in se trop- po di arditezza ,il traslatare in ascosa quella voce fuia , che ne'due esempi antecedenti non altro, per sentenza dei tre nominati chiosatori , aveva signifi- cato chere^/, scellcraìa, peccatrice. Ma se vi avesse un qualchocluno , la cui men- te non si piegasse a queste ragioni , potrei aggiun- gere a persuasione di lui , essere cosa al tutto fan- tastica , anzi evitloiitenienle fuori di verità, il trar- re la origine della wdcq Juio (\o^ /una'US de'latini , Dn i"^A Commedia. 197 in clie sta tutta quanta la forza della opinione che è qui posta a disamina. Direi che a ben co- noscere le origini e i mutamenti delle parole, e' si conviene conoscere profondamente lo studio, c]}e i moderni cliiamano i^eiiio , così della lingua dal- la quale le voci si derivano , come di quella nella quale sono derivate. Imperocché le lingue alcuni tramutamenti ammettono, altri ne rifiutano: ne mai avviene che una voce sola , senza che altre le si accompagnino, prenda un suono, o una forma par- ticolare , e diversa da quella che aveva nel suo principio. E ciò accade, perchè a ([ue'mutamenti da quasi sempre cagione il parlare del popolo : il qua- le alterando una voce, rende quelT alterazione co- mune a tutte le altre voci che hanno eguale as- sonanza. Quindi è che per lo frequente vicendevole mutamento della lettera r colla /, vedrai da yì^r- vus essere xì^io J'ulvus ^ e da sr.rilpram scarpello^ e udrai in Firenze nella Locca de'volgari morto in vece di molto. E così può dirsi della lettera b che si è molte volte cangiata in v. Ma non ti verrà fatto mai di trovare, che la terminazione in uìo ., o in aio , sia stata conceduta 0 al furvus o ad alcun altro de'suoi consorti; ciò sono curviis , par- vus , cervus , nerviis , servus , con>us etc Su che lo spendere molte parole sarel)he scarso agi' ignari di queste cose ; soverchio ai conoscitori. Ora vengo a discutere 1' opinione nuovissima del Galvani. E prima che alcuna cosa ne dica , mi congioisco con lui, comechè io noi conosca, del- la lodevole opera in che egli si esercita, travaglian- dosi di dar luce ai luoghi oscuri dcH'Alighicri. E veramente l'arte dello scrivere non meno in prosa che in verso riacquista ora quello splendore , clie aveva miseramente perduto nel iitiirc del secolo , iqS L e t t k r a t u r a q\iandn i ])Uoni nostri prosatori e verseggiatori non potevano opporre fronte al numero influito de'pes- sinii : i quali niente più di studio ponevano nel prosare , else sogliauo porre le femminelle nel de- scrivere die esse fanno de'panni lini , allorché sono per alfidarli alle lavatrici. £ questo è poco a ri- spetto del moda die tenevano nel comporre de'ver- si Imperocché vedevamo taluni levarsi in superbia per' l'arte die puisedevano di saper dividere in li- nee di undici sillabe alcune loro cantafere prosa- stiche , e che parevano aver querela colla ragione. Né lutto dalha loro parte era il torto , se insuper- bivano ; dappoicliè , per lo quasi comune travia- mento 5 quelle scempiezze acquistavano plauso an- zi die derisione. Ma la mercè del Monti, del Ce- sari, del Pindemonte , del Botta, dello Strocchi, del Perticari , del Giordani , del Costa , del Mu- stoxidi, d(d IViccolini, delTAngnleili , del Grassi, del Farini , del Mard'.etti , del Belli , e di tanti altri valorosi , i! regno dell' ignoraiiza è distrutto. Ora chi agogna lode , conviene che la si acquisti con assai sluJio : e vedesi la italiana gioventù ardere nel desiderio di venire in fama, avidamente cer- cando le vere bellezze di questa cara nostra fa- vella in Dante , in Boccaccio , in Petrarca , e in quegli altri sommi, che nei beato trecento rinno- vellarono la eia dell'oro. Ma facendo ritorno la onde mi ha partito l'amore che io porto alle ])uone lettere,, dico es- sere il Galvani degno di incita lode per lo suo buon volere; avvegna che io non mi accordi all' opinione d)e egli tiene intorno la yocc J'ni tu Sem- bra a lui , die essa voce abbia avuta la origine dal verbo francese fuif^ e da a /'ala il significato di fd'^^itÙHi , o fuggita. Quindi spiega cosi il pri- DivixA Commedia 199 mo luogo di Dante: Costui non è ladrone'^ uè io sono un anima fuggitiva , che da questo novello Ercole, o Teseo, sia menata fuori delCinferno. La quale interpretazione cade , lasciando stare le allie , per questa ragione evidentissima: che Virgilio e Dan- te tenevano, non già il cammino che conducesse fuori della citta dolorosa , ma sì l'opposto per cui si andava ai luoghi di maggior pena. Come dun- que poteva mai venire in mente a Chirone, che Virgilio fosse un'anima fuggitiva? La quale obbie- zione è stata prevista dal divani ; ed ha cre- duto sciogliersene dicendo , clie j)otea cader nell' animo a Chirone , che i due tenessero contraria via per liberare gualche al fr anima , ovvero per riusci- re dal fondo. Ma nel nostro animo non cadrà, mai che ciò potesse cadere nell'animo a quel centauro. Meno può convenirsi l'a.f^jginnto di fuggitiva, o /}fg- gita , alla meretrice , la rpiale a forza fu tratta dal gigante per la foresta. Chi è rapito, non fu^gc; anzi fuggirebbe , se non fosse rapito : ed ha un bel fare il Galvani a volerne dare ad intendere , che il fuggire può qualche volta suonare lo stesso che Vessere trascinalo. Certamente ninno si farà trarre in questa sua opinione: anzi tanto se ne dilunghe- rà quanto gli uni dagli altri si allontanano i con- trari termini delle cose. Mi resta il dover dire deìVes^gr fuia , che leg- gesi nel Paradiso: dove non sarei forse restio ad ammettere, che se la ^■ì.xoX'ìì fuggitiva, o fuggita fosse conveniente a' due superiori luoghi, a questo terzo si potesse pur convenire ; se pure non faces- si considerazione , che non ò.\cii?\ fuggire a un luo- go , a una persona , ma si da un luogo , da una persona. 200 Letteratura Vengo ora a spoire la mia opinione , la qua- le è questa : che la voce fina significa ladra , ni- hatrice ; e che questa significanza datale dagli ac- cademici della Crusca per ispiegare il verso „ Non è ladron , ne io anima fuia , e pur atta a dichiarare i due rimanenti luoghi del Purgatorio e del Paradiso. Ad evidenza di che mi farò dapprima ad investigare la origine di essa vo- ce; dappoi dimostrerò come essa si conviene ai luo- ghi che sono a disamina ; da ultimo fortificherò il mio ragionare coli' autorità degli antichi. I. Dal cpu^ de'greci venne il far de' latini , e quindi ì\ fun) degl' italiani. La qual voce furo^ significante colui che nascosamente ruha le cose al- trui, fu in grande uso nel nascimento della nostra favella , e fu adoperata eziandio dal poeta nostro laddove disse (Inf. XXII 44 ^ 43) : „ Mai fu mastino sciolto „ Con tanta fretta a seguitar lo furo ; e canto XX VII 127 : „ Disse: Questi è de' rei del fuoco furo; cioè del fuoco che furava , ossia nascondeva olla vista altrui gli spiriti tormentali. Mutato il fur de'latini nel furo degl'italiani, venne poi questo a rirautarsi in fuio in quella stessa guisa , che dal par latino cLbe origine paro, che dappoi aifratel- lossi cou paio . E fu ed è siffatta maniera assai frequente nel volgar nostro : perche noi diciamo ^ennaro ^Jcbbraro , acciaro , denaro^ migliaro^ no- Divina ^Commedia aoi taro, moro verbo etc. egualmonte che gennaio yjeb' braio , acciaio , denaio , migliaio , notaio , moio , con altri simili. Dal mascolino yv^ro e /ìlio nacque necessariamente il femminino Jura e fuia. E qui notisi , che presso gli antichi romani ehbe una dea nomata Fura , siccome testimonia Marziano Capel- la Uh. II; e fu una del numero di quelle cattive deità , alle quali si offrivano sacrifizi , percìiè non avessero a nuocere. II. Questa interpretazione della parola /ura o faia in significato di ladra , si confà bene ai tre citati passi di Dante. E quanto al primo, unisci al nome sostantivo anima l'addiettivo ladra-, ossia ru- llatrice , e vedrai come sia bello e piano il senso di quelle parole: perchè ti parrà di udire Virgilio gridante contro a Chirone che era in atto di ìqx'ì.- r e: Ferma : non iscoccare la fréccia : fioi non sia- mo già due ladroni. „ Non è ladron , ne io anima fuia. E giustamente il mantovano pose differenza fra se e Dante; perciocché già Chirone si era avveduto, che Virgilio , il quale andava innanzi , era nudo spirito, e che Dante aveva l'incarco della carne di Adamo. Il perchè aveva gridato ai centauri com- pagni suoi: ,, Siete voi accorti, „ Che quel di retro muove ciò che tocca ? „ Così non soglion fare i piò de' morti. Ma basti di ciò : e facendo via si consideri ora il luo- go del Purgatorio. 202 L K X T E n A T U IV A Ivi : Anciclerà la fida , cioè la meretricio che peccava col gi ante, e da quello era sferzata e trat- ta per la foresta. L' Alighieri parlando più e più volte nel suo poema di questa meretrice , sem- pre fu costante nel dire , che ella meiclricava per avarizia , e per far suo dell'altrui. Di lei aveva fat- ta menzione nell'Inferno C. XIK, chiamando rapaci coloro de' quali essa era in balia ; e dicendo con troppo aspre parole, dettale dall'ira sua, che la coloro avarizia aitrisiava il mondo , e che si ave- vano fatto Dio d.\jro e d'argento , con altre ram- pogne fierissirae . sulle quali mi tacerò. Poi nel Pur- gatorio , C. XXXII , la dipinse siccome ini^iusta usurpatrice del carro , sul quale srdeva presso al feroce suo drudo. Ne si tacque nel Paradiso, dove disse , che i principii di lei erano stati senza oro e senza argento ( C XXII v. 88) , con povertà e con digiuno (G. XXIV v. 112) ; e che poi trali- gnando era stala usata ad acquisto d'oro (G. XXVII V. 4^)* •'^ tocca, con amplificate parole, i privilegi venduti (ivi v. 5 3); i pastori trasmutali in lupi rapaci (ivi v. 55); il mer^aìiteggiare di quanto vi avea di più sagro (G. XVII v. 5i) . Laonde se Dan- te , passando olire ai confini del vero , aveva in- dotta nell'animo suo, e voleva indurre nell'animo altrui quella opinione oltraggiosa intorno la tanta rapacità ed avarizia di colei che egli nomò mere- trice ; chi non troverà bellissimo , e secondo il for- te pensar di Dante , convenevole , e rispondente alle altre parti del poema , 1' epiteto che egli in questo luogo le diede di rapace, di rubatrice, di ladra? JN'è posso comprendere, come il Rosa Mo- rando abbandonasse questa significazione , che ave- va data alla voce fuia nel canto XXII dell' In- ferno , per sostituirvi la significazione di scellerata: Divina Commedia 2o3 e meno comprendo , come a ciò si piegasse per aver tenuto cogli accademici della Crusca , niun'altra di- chiarazione convenirsi alle parole avarizia faia , tratte dal Libro (V Amore , da questa in fuori : a^ni- vizia scellerata. Gonciossiachc io creda all' opposto , non potersi dare epiteto all' avarizia più convenien- te , die quello di faia , ladra , ruhatrice. Al certo sant' Agostino diede L Ha definizione degli avari, allora che disse ne' sermoni: Ajari essere coloro , / quali , non che custodire con soverchio di cupidi- gia le proprie cose ^ sogliono eziandio rubare le altrui. Ne a voi che queste cose leggete sarà di- saggradevole l'udire ciò che quel dottissimo padre scrisse intorno gli avari nel libro Delle parale del signore: Le belve sono predatrici per fame -^ e si rimangono di far preda , allorché sentono sazietà. Ma ^avarizia de^ ricchi è insaturabile. Sempre di- ruba : mai non adsmpie le voglie sue : no?i teme Jdio: non ha gli uomini in reverenza. Essa ne al padre perdona-^ ne conosce la madre ; ne s'' inchi- na verso il desio del fratello ; ne tiene fede alV amico. Tiranneggia le vedove-^ si fa contro ai pu- pilli-^ stringe i figliuoli in ischiavità'^ fa testimo- nianza del falso. Che pia? Sono messe a ruba le sagre cose de^ trapassati. Laonde aveva detto vero Aristotele: Che i ladri sono da porre nel novero de- gli avari (lib. IV Ethic. cap. i ) • . Resta che si tocchi delle parole, che sono a leggere nel Paradiso : „ Nulla „ Voglia di se a te puote esser fuia. Come dal nome far dei latini nacque il verLo/w- rari ■> così dai nomi /wo e fuio degl'italiani ebbe- 2o4 Lettura TUTA ro origine i verbi furare e fidare'^ qudlo tuttora in uso, questo caduto in dimenticanza. I latini tra- slatarono quel loro verho furari alla significazione di nascondere t e fu traslalo degno di lode; per- chè Jur propriamente è quegli die ruba occultamen- te , e le rubate cose nasconde : onde il furari è quasi medesimo che nascondere; e perciò gli avver- bi furtim e furtive non altro significano die na- sco'iameute. Ne, in cosa notissima , riferirò molti esempi; ma starò contento a quello solo evidentis- simo , che è nell'Agamennone di Seneca, la dove Elettra dice: (i) „ Germane, veste vultus furabor tuos. I nostri presero giudiziosamente ad imitare la bella metafora dc'lalini ; e spesso adoperarono y^^/'are, ei consorti di lui rubare , involare , ecc. in senso di nascondere. Su che potrei riempiere più di una car- ta : ma per amore di brevità , mi starò pur conten- to alle parole indiritte da Beatrice agli angeli, nel C. XXX del Purgatorio ^ v. io4 e seg^. „ Voi vigilate nell' eterno die , „ Si che notte uè sonno a voi non fura ,, Passo che faccia il secol per sue vie. T> ove fura tanto vale, quanto nasconde., toglie ^ cela. E se vi avessero posto mente gli accademici della Crusca , avrebbero alla voce furare aggiunto un paragrafo , dove quel verbo facesse pure la sua comparsa nel significato di nascondere., togliere., è ti) Act. V. Divina Commedia ao5 celate : ed a questo esempio di Dante avrebbero potuto aggiungerne molti altri. Data al yevho furare ^ o fidare^ la significazio- ne di nascondere^ togliere^ celare^ avrassi pure la y oce Jarato ^ o Juiaco ^ significante nascoso, tolto., celato. Anzi avrassi pure la voce abbreviata Jìiio ; perche è proprio della nostra lingua il dire com- pro e comprato , tocco e toccato , vlsso e i>is~ suto , cerco e cercato , e via discorrendo . Diviene pertanto chiarissima la interpretaxione delle parole di Dante: „ Nulla „ Voglia di se a te puote esser Jìiia. Cioè: Non ti può essere celato , o nascosto alcun vole- re di Dio. Ecco in qual modo nascondo la parola Juia da una sola radice , si rende alla a dichiara- re tre diversi luoghi del divino poema , clie sem- bravano avere diversa e difficile significazione. III. Ma piacemi da ultimo , che i miei argo- menti acquistino forza per via dell' autorilk. Ne di- rò già che i comentatori di Dante all' eia di lui vicinissimi , fra' quali il Enti e l'Anonimo , diede- ro alla voce fuia interpretazione di ladra : che ciò è stato notato da altri , sebbene con poco frutto. Ma farò uso dell' autorità di un antichissimo poe- ta , il quale tradusse la cantica dell' Inferno dall' italico neir idioma francese , verso a verso , e ter- zina a terzina; lavoro di gran fatica, e, più che ad altri possa sembrare , utile a trarre buon senso da molti luoghi oscuri dell' Alighieri. Leggesi que- sta preziosa versione col testo italiano a fronte in un codice cartaceo, che è nella libreria della re- gia-università di Torino, segnato L. V 33. Il te- ao6 Letteratura sto è in carattere romano ; la troduzione francese e in carattere volgarmente chiamato scmigotico. Ivi al cauto XII souo questi versi , che io comincio a trascrivere alrjaanto più innanzi alla voce fui a : e mi piace che abbiano a rincontro il testo italia- no ; perchè gli eruditi portino giudizio sulla ver- sione in lingua francese , e dicano ( ciò che io non mi ardisco dire ) se qnesta lingua col volgere de' secoli , dilungandosi dalla comune lingua romana , abbia fatto acquisto , o veramente perdita di robu- stezza, e siasi fatta più o meno armonica nella par- te che ha riguardo a poesia. „ Noi ci appressammo a quelle fiere snelle : „ Ghiron prese uno strale, e con la cocca „ Fece la barba indietro alle mascelle. „ Quando s'ebbe scoperta la gran bocca , „ Disse a' compagni : Siete voi accorti , „ Che quel di retro muovo ciò che tocca ? ,, Cosi non soglion fare i pie de' morti. „ E'I mio biioii dazi , che già gli era al petto , „ Ove le due nature son consorti, „ Rispose : Ben' è vivo , e s\ soletto ,, Mostrargli mi convien la valle buia : „ Necessità '1 c'induce , e non diletto. „ Tal si part\ da cantare alleluia , „ Che mi commise quest' utlcio nuovo ; „ Non è lidron , nh io anima faia- ,, Noiis approchames lors de ccs bestes legieres: „ Chiroii print tuie flosche ^ et m>ec la conche „ La barbe adone se fit jasque oidtre les maschceres- „ Et quant depoil il heiit descouvert la grant bouche, „ /Jit a ses compaigìwns: f^uiez vous en qiielz sortes „ Celluj qui va derriei^ail moavoirce quiltouche? DlVlìN'A CoMi>lEDIA 20' „ Ce noni acoustume faire piedtz de gentz morfei- „ Muri hon due ayant ia la Jcice hien prochaine „ De san pictz, ou les deiix natures soni consortes-, „ Respondit : Bien est luj'^ et si seni non sans peine „ Moiistrer ms hiy conuien^ ceste vallee no ire : „ Cest la necessite , non piai s ir qui le mene. „ Tel partii de chanter alleluja en gioire „ Naguieres , qui cuwitz ma ce nouvel office-. „ Larron iiest , netnou a:ne oiìCi[i\QsJit jioB^/ro/nE.^-, Ho scritte in caratteri differenti le cinque parole, adone , ia , pictz , naguieres , oncqices ; perciocché le ho credute defjne di alcune cou-àderazioni , che qui sottopo^ngo. I. Adone. Viene ùdìV aduncus de' latini , curvo ^ piegato; nasus aduncus , rostrum nduncwn. Ne'seco- li , che noi chiamiamo di mezzo , siccome quelli che corsero fra il morire della lingua latina e il nasce- re della italiana, era in uso il verbo aditnoare (i), che potrebbe essere eziandio nostro. Quindi , per la frequente mutazione dell' « nell' o , i primi italiani dissero adonco ■, e i primi francesi rtJo«c. A loro non rimane più questa voce: noi non solo conserviamo Padonco, ma abbiamo ricuperato /'fl;^M«co; concios- siachè dicasi non meno adunco che adonco. Ne fu lieve l'errore , nel quale caddero gli accademici del- la Crusca , allorché dissero che l'Ariosto (2) aveva usato adonco per bisogno di rima ; e che laddov^e l'Alamanni (3) aveva scritto adonco doveva leggersi (0 V. Carpentier Gloss. nov. (2) Ori. Fur. XIII 4'- V, Voc. nella voce Adunco. (3) Colt. I. 3o. 2oQ Letteratura adunco (i). Que' due grandi scrissero adonco , per- chè così eziandio avevano scritto i nostri padri. IL la. Si faccia considerazione sopra questa voce nata dal /am de'latini. Tanto i francesi, quantogl'italia- ni , lasciarono la m, che ne pure i Ialini solevano pronunciare. Quelli dissero jn : noi , cangiando Ja / lunga in gi , diciamo già. IIL Pictz. I siciliani e i provenzali si piacque- ro in alcune voci di mutare la e in /. Perciò tro- viamo nella nociva. Wn^ix^ dispetto e despitto , diretto e diritto , getto e giito , tragetto e tragitto , ecc. Per questa stessa ragione il pectus dei latini fu dai fran. cesi cangiato in pictz , in vece di pects. Indi essi al picts sostituirono la poitritie. IV. Naguieres. Ecco il noiz ha guari de' nostri ; e il naguere , o nagueres de' francesi. V. O'iC^we^. Ha origine dal^^^«^^^rt^ dei latini. Noi dai nostri avoli, che furono i latini, prendemmo la voce unqua\ e dai nostri padri , che furono i parlatori della lingua media fra la latina e la no- stra, acquistammo la desinenza in e, e facemmo ric- ca specialmente la poesia della voce unque. Fatte queste considerazioni, che giovano ezian- dio all'intendimento dei versi francesi, mi fo a vol- garizzare i detti versi letteralmente. „ Noi ci appressammo a quelle fiere snelle: „ Ghirone prese una freccia , e colla cocca „ Fece curva incurvo-, piegò) la sua barba fin' ol- tre alle mascelle. (i) V. Voc. nella voce fumerò. Divina Commedia 209 „ E quando del pelo egli ebbe discoperta la gran bocca f „ Disse a' suoi compagni : Vedete voi in qual ma- niera „ Colui che va dietro fa muovere ciò ch'egli tocca? „ Ciò non hanno in costume di fare i piedi delle genti morte. „ Il mio buon duca, avendo già la faccia ben vi- cina „ Al petto di lui, laddove le due mature sono con- sorti , „ Rispose: Ben h vivo; e cosi soletto, non senza pena, „ Mostrare mi conviene a lui questa vallea nera : „ E' necessita, non piacere che lo conduce. „ Tal si parti da cantare alleluia nella gloria (del paradiso ) „ Non ha guari, che mi ha commesso questo no- vello uficio : „ Non h ladrone; ne la mia anima unqua fece ru- beria. Quantunque la voce rohatoire non sia ora più in uso tra' francesi , ne trovisi registrata ne' loro vocabolari , egli è però manifesto , essere stata usa- ta a significare ruberia : il che viene in conferma delle cose che io ho discorse in questo ragionamen- to. Al quale darò fine , osservando che nel codice cassinese, ed anche in un altro da me veduto in Milano , alla voce fuia nel canto IX del Para- diso è sostituita la voce huia^ lezione che piacque al padre Angelo di Costanzo , non che al Porti- relli ; e alla quale potrebbe pur forse inchinare l'ani- mo mio. Che se questa lezione si antiponesse ali* altra , rimarrebbe nel poema la voce fuia nel pu- GATXXXII. i4 2 IO Letteratura ro sigaifìcato di ladra ; ne discenderebbe all' altro di rubata o nascosa : e dall' altra parte la voce buia , senza uopo di traslato , spiegherebbe assai bene, co- me il volere di Dio era buio-, nascoso ^ oscuro a Cu- iiizza. L. BioNl>i Della vita e degli scritti di Didaco Pirro altrimen- ti detto Jacopo Flavio Eborense , commentario di Tommaso Chersa. Firenze nella stamperia Maghe- ri 1836. (Son pag. 65) ri M oclii mesi sono trascorsi , da die fu data ia que- sti fogli la debita lode a Tommaso Chersa di Ra- gusa ) caldo amatore dell' antica lingua italiana , e scrittore assai elegante ; nutrendo speranza , che egli fornito di tanto ingegno , di tante cognizioni , e cosi studioso , sarebbe stato prestamente non ulti- mo fra que' pietosi, che facendo argine co'loro aurei scritti al torrente impetuoso de'novatori, avrebbero tenuta viva la gentile italiana favella del beato tre- cento. E già ci godeva l'animo nel vedere che non tornavano vane le concepute speranze , e che as- sai migliore della p^ita di Giorgio Ferrich era il suo Commentario intorno la vita e gli scritti di Didaco Pirro -^ allorché morte immatura a rapidis- sima ha tolto questo egregio letterato nella fsesca eia di anni /p alla gloria di Ragusa, al bene del- le lettere italiane, e all'amore di quanti conosceva- no di vicino le sue rare virtù. Nato egli nell' av- Tcalurosa terra ove ebbero cuna e gli Stay , e i Notizie di Didaco Piuro 2 1 1 Cunich , e i Boscovich , ed i Zaiuagna fino da gio- vinetto tutto acceso della gloria di questi sommi si diede indefessamente allo studio de'classici , e ne fece largo tesoro nella sua mente : ed abbenchè dot- tissimo cultore delle latine bellezze, sembrò volerle tutte lasciare all' amor cotanto alFettuoso del suo fratello Antonio, per darsi a quelle italiane, le qua- li forse di troppo erano neglette in Ragusa , che per que' valenti dinanzi detti era divenuta amico e glo- rioso ospizio delle muse del Lazio. Di fatto egli giunse prestamente a sentire cotanto addentro in materia di letteratura e di lingua italiana da di- sgradarne quegli stessi fra i nostri , che avuto in sorte di nascere nel bel paese dove il si suona , per- fezionano con lo studio e con l'arte il dono della natura e del caso. Sia che scrivesse in versi, sia che scrivesse in prosa Tommaso Chersa dettava sempre cose tutte pure ed eleganti col sapore de'buoni classici non come schia- vo copiatore , ma come nobile imitatore , che dal iaello degli antichi sapea trarre quella tinta di ori- ginalità , senza cui non avvi vera bellezza ne du- revole gloria. Severo di pensieri e di costumi ebbe talvolta un poco duro lo stile ma non aspro , aman- do di sacrificare più presto alla dignità austera di Pallade , che alla facile dolcezza di Venere. Il che acquistò ai suoi scritti il pregio di buona filosofia e di sodo ragionare , facendo bellamente servire le parole ai pensieri , e tanto adornandoli quanto so- lamente era d' uopo a non farli apparire in luce tutti rozzi e selvaggi. E ciò in lui era degno di somma lode : che al certo è prova di valeute inge- gno il farsi singolare dal volgo e il giugnere al ve- ro punto quando il più degli uomini ne va lungi le mille miglia. Di fatto siamo ridotti a tanto di povertà in questo basso secolo , che le vane paro- .14* aia Letteratura le tengono iuogo di scienza , e pazzamente snperLi del nostro garrire ci crediamo alcun die di grande e di straordinario : e, forse neppure toccando la mo- diocrità , osiamo innalzarci al di sopra degli antichi maestri del vero e del bello: sicché perfino alcuna volta diasi laude alla penna del romantico , e al pen- nello deirim])ianchino, che sacrileghi deturpano col loro fango il divino oro dell'Alighieri e di Michea lagnolo. A noi duole di non potere con più parole ne meglio di questo piccolissimo cenno sdebitarci col pubblico dell'obbligo, che ci stringeva di rendere a Tommaso Chersa quella lode , che egli si meritava ecome buon letterato, e come buon cittadino. Con- tenti però di aver fatto quanto era in poter nostro, privi così come siamo delle opportune notizie e in molta lontananza di luogo, non ci resta che lo spe- rare dall'egregio fratello dell'estinto, e dagli altri buoni letterati ragusei (che di vero e cosa da loro) quel giusto e compiuto elogio, che alla virtìj di Tom» . raaso Chersa è debito: e insiememente invitarli a pub- blicare quegli scritti dKlui, che ancora rimangono inediti: poiché non è possibile, che un letterato si studioso e indefesso siasi ristretto a scrivere si po-^ che cose, come son quelle, che fin qui vennero in luce. E intanto ad onorare vieppiù la sua tomba , vi spargeremo alcuno di quei fiori, che egli stesso si bene educò : togliendo ora a discorrere e dando un piccolo estratto del suo commentario intorno la vitJi e gli scritti di Didaco Pirro: che il più caro e più glorioso ornamento dei sepolcri e certamente l'elogio e la memoria delle belle opere dei trapassati; per cui solo alle egregie cose si accendono i forti ani- • mi, e la virtù dura ancora in tanta malvagità di tempi e di uomini su questa miset'a terra,. NoTIZrK DI DlDACO PlRlVO 2l3 E primamente dirò che il Ghersa , avuto pii^i ri- guardo alla sua modestia che alla verità della cosa, intitolò commentario questo suo ragionamento intor- no la vita e gli scritti di Jacopo Flavio Eborense : poiché le parole e lo stile (di cui nulla dico, aven- do e quelle e questo poco innanzi debitamente loda- to) tengono piuttoslo al genere degli elogi storici , di che forse pi l'i che di tutt'altra scrittura e povera la Italia. Per ciò poi clie riguarda la tessitura del discorso il N. A. , secondo che mi fe di avviso, ha veramente corsa la rotta strada , che forse unica è aperta a chi si faccia a scrivere l'elogio di qualche letterato , avendo egli con molto di maestria tratto la vita e la pittura di Didaco Pirro dagli scritti soltanto che questi lasciò. Le parole non sono che la pura immagine del pensiero , e per quanto vagliasi usare molta arte a tenerlo nascosto e sempre vero che dal modo di percepire e di giudicare le cose pren- de abito il nostro parlare, siccome da quel modo is- tesso tutta si deriva la norma che regge le nostre azioni e i nostri affetti , e tutte s'informano le abi- tudini e le costumanze del nostro vivere. Sicché ras- sicurati nella nostra opinione anche dal fino giudi- ciò di queir insigne e valentissimo nostro letterato e mio dolcissimo amico marchese Luigi Biondi di- remo , che questo commentario è pregevole dì as- sai per la bella maniera con cui è scritto e tes- suto a discorrere la vita e le opere di Didaco Pirro : e molta lode anche per questi titoli ne vie- ne al nostro autore, oltre quella , senza dubbio pili grande , di aver tolto da una turpe dimenticanza la memoria di un insigne letterato, quale fu Didaco Pir- ro , del secolo XVI, di cui saviamente dice Urta- no Lampredi: Gite puh francamente contarsi non ultimo fra que"* letterati italiani , che nel 5oo arric 21 4 Letteratura ch'irono V Italia di vari generi di letteratura lati- na , come il Flaminio , il Fracastoro e cento altri , benché egli non sia nominato ( almeno per le inda- gini da me fatte ) né dal Tirahoschi , ne da altri storici o biografi italiani ^fuoriche dalla recente sto- ria politica e letteraria de* ragusei del P. Fran- cesco Appcndini ^ rettore delle scuole pie nel gin- nasio di Ragusa , nome noto anche in Italia e per questa e per altre sue dottissime produzioni lette- rarie. Ed è appunto per questo che il nostro Cher- la scrive sull' iiicominciamento del commentario , che hanno torto i ragusei di non procurare di far conoscere al mondo letterario le poesie tuttora ine- dite di Didaco Pirro , altramente detto Iacopo Fla- vio. Che se fossero conosciute , sarebhono parago- nate a quelle di Tibullo e di Properzio. E altre parole sogglugnendo su la negligenza spezialmente di non averlo mai lodato, ne di avere sciolto questo debito di gratitudine con l'ospite , che sempre di- morò e scrisse in Ragusa gli eleganti suoi carmi , bellamente si toglie in N. A. questo incarico : e di- ce : come Didaco nncque in Evora o Ebora una delle ragguardevoli città del Portogallo ( non di- lungi alla capitale di esso) a 3 di aprile deiran- no iSiy. E ne trascrive a conferma di ciò alciini versi dell'elegia indiritta a Niccolò Gozze , che art- che a noi piace di ripetere onde levare un saggio del suo buon poetare. .... Num fors tibi cognita dudum Moenia ulisseis proxiraa littoribus, Quae circum lento deducta Argentea rivo Ludit , Joannis nobile regis opus? Donec in has ibit vitalis spiritus artus Illa meo numquam pectore deciderint. Notizie di Didìco Pirro 2i5 Videre illa raeos nonis aprilibus ortus lam tenebris pulsis et veniente die, Cum virides oleas , palraasque oriente petitas Spargit humi il devoto popolo cristiano; Annus et hic magno feitur victore Selino Nobilis , imperii clade Paratonii : come anche più cliiaramente apparisce dalle note, che di per se il Pirro appose a questa elegia. Dopo di che scrivendo il N. A. che troppo lun- go sarebbe il registrare tutti que luoghi delle sue poesie , ne* quali della sua patria fa menzione , e se ne mostra tenerissimo , e sopra modo desideroso di rivederla dopo lungo esilio , e di lasciarvi le stan- che sue ossa , a stringere per cosi dire le molte e qui e qua sparse parole in un sol capo , tutta per l'intero riporta la lunghissima elegia De exilio suo sebbene già stampata, in cui veramente riluce bella poesia per grande affetto e carità di patria* Que- sta fa scritta nel i583 in Castelnuovo piccola cit' tà alla foce del canal di Cattaro , dove da Ragusa per qualche tempo Didaco si portò nella sua vec- chiezza : e da ^juesta e dalle note gran luce ne vie- ne alla storia di quel letterato, e si fa manifesto che egli nacque ebreo , e persevero per mala ven- tura nella sua falsa credenza-, e però andò esule dal suo dolce nido natio- Quindi fatta parola degli studi e de' precettori del Pirro , fra cui trovasi Domenico Soto di Segovia famoso dottore in divinità a Salamanca, narra il Cher- la che Didaco esci della patria a i8 anni nel i535, siccome egli stesso scrive parlando di Giovanni III 2l6 L E T T r R A T U R A re di Portogallo : Sub hoc rege jiissa patris ado- lescens vix duni XVII I annuiti egressus •, id quod non sine lacrjmis scriba , et patria; fìnes et dulcia rura reliqui an. i535 . Ne soffermatosi in Ispa- gna, a aS di aprile del i53G era in Liegi nel Bra- bante, ove compose queir elegia a viodo di dialo- go tra due casti amanti , che è fra le sue cose stam- pate. E dapoi nel i552 lo troviamo in Roma, re- stando sempre incerto per quanto di tempo si trat- tenesse nelle Fiandre , e per quali paesi si trattenesse calando in Italia ; e in Roma strinse cara amicizia con Aberto Foglietta celebre scrittore delle cose di Genova, di cui scrisse: .... Meus ille sodalis Dum veUis liospitium martia Roma dabat. Ma più che in Roma e in Firenze , ove fu molto caro ai Medici , per quanto si pare da' suoi versi , ei visse in Ferrara , clie gli Estensi amicissimi di ogni bella lode facevano fiorire di tutte maniere,, e in cui gli ebrei usciti dalle Spagne ripararono a gran numero : poiché , siccome bene osserva il N. A. , essa era capo e corte di un -vasto ducato frequente di molto popolo , maravigliosamente ric- ca per traffico e splendida : tutte le arti protet- tevi generosamente ,, . Qiambatista FVicar. JL emistocle ateniese , come pochi ignorano , fu co- lui che avendo superata la gran forza de' barbari a Salamina salvò tutta Grecia dall' estremo suo dan- no : anzi , per usare un bel detto di Pindaro nell' istmica Vili , trattenne la rupe di Tantalo che non precipitasse sul capo di tutti gli achei. Edificò egli il Pireo , circondò con suo grave pericolo la pa- tria di mura , e levò infine se e l'ateniese virtù a tanta gloria , eh' essendosi presentato ne' giuochi olimpici apparve a tutti una cosa di maraviglia quasi divina. Ma non molto la sua prosperità fu durevole : che venuto per l'autorità somma e piii che cittadinesca in sospetto a' suoi , fu prima cac- ciato coir ostracismo , poi condannato con senten- za più fiera , quasi avesse voluto in compagnia di Pausania tradire Atene a' nemici. Esempio a tutti gli uomini memorabile de' subiti rivolgimenti della fortuna '. Caduto egli di tanto splendore, riparò pri- ma ad Argo , poi a Corcira , citta da lui somma- mente beneficata. Di la fuggi nell'Epiro: dove scor- gendosi tuttavia mal sicuro dalle insidie non pure Belle-Art i 24^ degli ateniesi , ma di quegli stessi spartani, i qua- li, come scrive Tucidide (1), l'avevano poco tempo ia- nanzi onorato più eh' altro gi-eco giammai (2) , va- gò lungamente per quelle terre straniere ludibrio di tutte le umane disavventure. In mezzo le quali una fine infelice l'avrebbe colto , se nel duro caso non soc- correvagli un pensiero pieno tutto di nuovo e di magna- nimo ardire. Certo i generosi non sanno che a fatti generosi por l'animo. Per la qual cosa stimando Te- mistocle , che le ire de' forti e nobili non possano più. oltre durare , che la forza e la fortuna durino ne* proprii nemici ( perciocché ad ogni più vile è dato il calpestare facilmente chi giace ) ; fece 1' alto pro- ponimento di dar se e le sue cose in mano di Ad- meto re de' molossi, di colui ch'egli ben sapeva do- vergli portare un odio mortale. Nò ciò poteva non essere : che avendo Admeto richiesto di non so qua- le soccorso il popol d'Atene , solo per autoriti di Temistocle n'avea toccato un rifiuto. „ Pure l'esule „ ateniese ( dice Plutarco ) temendo in quella sua „ fuga più la recente invidia de' suoi , che l'anti- „ co sdegno di quel re , determinò sottomettersi da „ se medesimo piuttosto a questo , facendosi a sup- „ plicare Admeto in una certa maniera strana e par- „ ticolare : conciossiachè presone il figliuolo , eh' era „ ancora fanciullo , si prostese pregando dinanzi al „ focolare : la qual foggia di pregare è presso i rao- „ lossi di. efficacia grandissima, e pensano che sia la „ sola , a cui non si possa quasi mai dar ripulsa. (i) Lib. r cap. V. (2) Gli donarouo per decreto pubblico il miglior coc- chio che fosse in Isparta , ed un ramo d'olivo. Vedi Plu- tarco nella vita di Temistocle. •i46 Bell e-A r t i „ Alcuni pertanto vogliono che Ftia , moglie del „ re , suggerito abbia a Temistocle una tal manie- ,. ra di supplicare , e che abbia posto ella mede- „ sima il suo pioprio figliuolo sul focolare insieme „ con essolui : ed alcuni altri dicono , che Adme- „ to stesso fu quegli che ordinò in tal guisa quel- „ la supplicazione , e le diede aria cosi tragica e „ grave, acciocché quindi si trovasse egli necessa- „ riamente obbligato, per cagion di religione, a „ non rilasciarlo a' suoi persecutori (i). „ Tal è il fatto che il celebre pittore cav. Giam- batista Wicar ha tolto a rappresentare in un qua- dro allogatogli dal nobilissimo ravignano conte Giu- lio Rasponi. Fatto , come ognun vede, pieno di di- gnità e compassione, sia per la memoria che ce ne ha tramandata l'antichità di tutti gli storici greci, sia pel recente esempio d'altro fortissimo capitano , che pure di suprema altezza caduto , diede se vo- lontario ed inerme , nuovo Temistocle , in mano del suo nemico. Quattro figure compongono questo quadro (2) , cioè Temistocle, Admeto, Ftia, e il figlioletto del re. Sta Temistocle in un vestire dimesso col ginoc- chio sinistro piegato a terra allato all' altare do- mestico della reggia d'Admeto, e tenendo fra, le brac- cia il fanciullo , in atto supplichevole al re lo pre- senta. Vcdcsi la regina ivi presso , donna piena d'one- stissima leggiadria, la quale tra le regie pompe non avendo ancora dimenticata la sua mortai condizione, (i) Vita di Temistocle , volgarizzamento di Girola- mo Pompei. (2) Che ha di altezza palmi 5 romani sopra 8 di lun- ghezza. Belle-Arti 347 pietosamente riguarda quali' illustre infelice. Pacifi- ca maestà siede sul volto del re , augusto decoro è in tutta la sua persona : e agevolmente in lui scor- gi la maraviglia ond'è preso, in vedersi il proprio ne- mico, il vincitore di Serse, il salvatore di tuita Gre- cia, prostrato a'piedi cosi solo e mendico. Figura in tutto degna di tale maestro qual è il Vi icari Ne di . minore eccellenza è quella altresì di Temistocle , in cui le somme sventure non lianno potuto si fattamen- te scemare l'alterezza di^ll'animo, ch'egli anciie pregan- do in quel modo umilissimo non si ricordi^ d'esser pu- re quel grande, il suono delle cui opere di guerra e di pace empiva la terra. Tale , scriverebbe il Meta- stasio (0? ^ ^^ luminoso carattere delV anima ^ ch'egli porta impresso nella sua fronte, e che anche in mez- zo le miserie vuol riverenza. Ecco , sembra ch'ei di- ca al re, a'piedi tuoi quel Temistocle, per cui vir- tù il nome greco non fu spento da'barbari, ed ora sten- desi cosi largo l' impero ateniese r eccolo esule dalla patria , ramingo , povero , perseguitato! Porge egli a te questa mano, del cui cenno tremarono tanti po- poli e tanti re. „ A te ricorre , il tuo soccorso implora. „ Ti conosce potente , „ Non t'ignora sdegnato; e pur la speme „ D'averti difensore a te lo guida : „ Tanto , o signor , di tua virtù si fida. „ Sono in tua man : puoi conservarmi , e puoi „ Vendicarti di me. Se il cor t'accende „ Fiamma di bella gloria , io t'apro un campo (r) Temistocle , atto I scena III. 348 Belle- A rti ,, Degiio di tua virtù. Vinci te stesso , „ Stendi la mano al tuo nemico oppresso ! (i) Viva poi è la soavità e la bellezza di quel fan- ciullo , di' egli porge mediatore di grazia al re ge- nitore : ne senza tenerezza puoi rimirarlo stendere in atto di pietà così cara ed ingenua le piccolet- to sue braccia. Ben vedi però ch'egli ha vinto : e sì che l'anima te ne gode : talché ad Admeto vol- gendoti , parratti legger chiarissimo ne'suoi occhi il segno della speranza : se pur non t'avvisi di udir proprio ( seguasi col Metastasio, poiché abbiamo in- cominciato con lui ) quella divina risposta : ,, Ah dimmi , „ Temistocle , che vuoi ? Con l'odio mio ,, Cimentar la mia gloria ? Ah questa volta „ Non vincerai. Vieni al mio sen : m'avrai ,, Qual mi sperasti. In tuo soccorso aperti ,, Saranno i miei tesori : in tua difesa ,, S'armeranno i miei regni , e quindi appresso ,, Fia Temistocle e Admeto un nome istesso (a). Con sì bella e sì gentile e sì naturale composizio- ne ha il cav. Wicar condotto il suo dipinto. Non prenderò poi a lodare in esso U correzione e la pu- rità del disegno , e la dotta diligenza posta in tutti i pili minuti particolari : perchè loderei ciò che a tutti facilmente dev' esser chiaro , pen- sando eh' è opera di tale artista. E neppure toc- cherò parola o del vivo delle carnagioni, o della grazia (0 Ivi , scena IX. (2) Iri. Bellk-Arti a^f) delle movenze , o dell' elegante verità dei panneg- giamenti : ognun sapendo , essere il Wicar un felicis- simo seguitatole della grande scuola italiana. Solo ter- minando dirò , che severissima è l'architettura del luo- go in cui si crede essere avvenuto il fatto : la quale ben ricordaci ll'uso': austero di quell' età e di quel regno : se pure , a tale proposito , non sembrasse ad alcuno avere il Wicar senza grande necessita , e contra la chiara testimonianza di Tucidide (i) e di Plutarco (a) , mutato in un vasto sacrario la piccol' ara dedicata agi' iddii lari , la quale soleva costantemente essere situata presso il domestico fo- colare (3) . Se non ^he potrà for se l' egregio ar- tista difendersi dicendo , di aver voluto an/ichè l'isto- ria di que' due greci seguire la narrazione che ce ne ha fatta il siciliano Diodoro (4) , il qual no- mina l'altare di Vesta invece di quello degl' iddii lari . E certo l'altare di Vesta non poteva essere in altro loco che nel sacrario : e di sacrario appunto favella anche Cornelio Nipote. Contro alla quale di- fesa non saprei veramente trovar cosa da oppor- re , se pur non fosse 1' antichità e la fede presso tutti gravissima di Tucidide. Salvatore Betti. (i) Lib, I cip. X, (2) Log. cit. (3) Vedi fra gli altri il Gasaubono Anhnadvers. in DiO' nys. Alioarnass. lib. Vili pag. i8r. (i) Blblloth. lib. XI cap. XVIIL ajo VARIETÀ' J. ulti conoscono il sermone del cav. Monti Sulla mi- tologia , e sanno come ivi qviel sovrano ingegno gridò il vero grido della sapienza contra Yaudace scuola boreale acclamata in Italia da tali uomini, che più non voglio- no veder vestigio degl'italiani modi e costumi. Stolta pro- sunzione , e giustamente in ira a quanti amano di santo af- fetto la patria loro e tengono i primi seggi nelle gen- tili lettere ! Pochi però conoscono i versi seguenti dettati pure dal Monti , e non meno degni di quella nobile musa. Per un esemplare del sermone sulla mitologia scritto in bel carattere da bella mano. Parto d'irato ingegno , Sermon mio meschinello , Bf agro , esangue , deforme , anzi che bello ^ Io ti temeva , e degli sguardi indegno Del mio severo amico Carlo (*) re dell'onore , e senno antico. Or d'onde avvien che brutto Più non mi sembri , e tutto Da quel di pi'ia diverso (*) II cav. Carlo Londoiiio. Varietà' a5i Gaio mi splendi e ben' nudrito t terso ? Dond'è ? , . . Ma folle ! che vaneggio adesso? Tu sei sempre lo stesso : E parer ti fa bello La man che ti trascrisse , o meschiuello ; Magica man che quando Sulle corde sonore Scorre maestra , altrui rapisce il core. Di tanto onor superbo Rispondi dunque a chi ti morde acerbo : Me rigido sermon , ma per dispetto Da certa gente detto Classica ciancerull a , Angelica fanciulla (**) Esemplò di suo pugno : e del sereno De'suoi begli occhi scese La virtù che mi rese Degno d'un guardo del severo amico Carlo re dell'onore e senno antico. Ciò dirai :ma pon mente Che al sovrano parer di certa gente Tu sei sempre un nonnulla , Una classica e sciocca cìancerulla ; E che il raeschin tuo padre , afFascinato Da quel ciarlon d'Omero , Nel romantico impero Senza remìssion scomunicato Va urlando versi si dannati e strani , Che ne puoi disgradar G. . . . e S. . . . (**) Emilia Londonio. a52 Varietà' Versi per li nozze della conlessa Revedin col sig.Tito da' Bassetti. t\° Ferrara presso gli eredi dì Francesco Pomatelli 1826.(80110 pag, 20) v^uesta è una delle migliori scelte di rime che da mol- ti anni in qua siensi pubblicate per nozze , Né dee recar maraviglia : perciocché gli sci'itiori che ne fan- no parte fioriscono tutti per lode 0 di maestri chiaris- simi , 0 di egregi seguitatori della vera e gentile scuola italiana. Sonovi i sonetti del conte Giovanni Cucci , dell' ab. Giuseppe Salvagnoli Marchetti , e di Giambatista Bonac- cioli ; v'è una anacreontica dell' Enrichetta Dionigi Or- fei; v'è ua'ode di monsignor Carlo Emmanuele Muzza- relli scritta a quel fiore d'ogni dottrina ed eleganza Ca- terina Fraaceschi : vi sono sei odi di Anacreonte volga- rizzate dal conte Gio. Antonio Roverella : v'è in fine il volgarizzamento del salmo CXXXVI Super Jlwnina Ba- hjlonis , opera del celebre amico nostro prof. Paolo Co- sta , e dice così : „ Dei fiumi di Babele in su la riva , „ O Sionne , sedemmo , e al cor ci prese ,, Grave di te dolor , terra nativa ! „ Ivi l'arpe e le cetre ai salci appese „ Lasciammo ; che degl'inni i detti santi ,, Di udir bramoso il vincitor n'inchiese , „ Dicendo : Alzate di Sionne i canti ! „ Non fia , signor , non fia che lo straniero „ D'ascoltar gl'inni vostri unqua si vanti. „ Ma se avverrà giammai che del pensiero ,. M'esca Gerusalemme , al mondo ignota „ Sia la virtìi del mio braccio guerriero : Varietà'. ^53 „ Mia lingua ammutì fra le fauci imm)ta „ Qualor Gerusalemirie i labbri mia „ Non suonin sempre , e.^con allegre nota. „ Ricordati , signor ;, che gl'idumei „ Il fatai giorno di Sion gridaro: „ - Pietra non resti sovra pietra in ei. - „ Figlia di Babilonia, ahi quanto cari „ Ti costerà tal detto ! Oh fortunat „ Chi duol dajaiti, come il nostro, amax'O ! „ E jsovra tutti gli uomini beato „ Colui , che avrà da Dio. l'ira e 1 possa , „ Divelti i figli dal 'materno lato , - „ D'infrangerne alle pietre i nervi e 'ossa. Ecco poi un saggio delle odi di Anaceonte volgariz- zate dal Roverella : le quali sì gentili e ì belle appaio- no, che forse piaceranno a pochi: perciocchèpochi pur trop- po sono a' dì nostri coloro, che abbiano vermente intelletto di beltà e di gentilezza! In quanto a noi , questo di cuor sincero diremo : eh' elle ci sanno degnisshe dell' elogio che Fozio fece alle opere del grande oraore Andocide : Sono appunto adorne , perchè non usuo niun orna- mento. O D E XV. „ Gige re lidio „ Su gli aurei scanni „ Sprezzo, e i porpurei „ Torvi tiranni , „ Né d'oro fulgido ,. M'arde desir. „ Amo di balsami „ La barba aspergere , „ Di porporine |54 V A RI E T a' ^ Rose al mio crine , Ghirlanda ordir. •„ Dd di , che vivere , M'è dato, io curot , , Chi '1 guardo spingere 7 Può nel futuro ? , Mentre propìzia I, T'è gioventù , ! „ Scherza , ed à Bromia , Liba festevole V • r . tlg ■ iwrt , Pria che nemica .. / , Febbre a te dica:" • , Non berrai piii. Ode XFI. „ Ahi le belliche :.,.. „Tebane lutte 1 Canti , e le iliache , Mura distrutte : ■é Io le battaglie \ Dirò d'Amor. „ Fati non vinsermi „Navi 0 destrieri, ,,IVIa nuovo esercito : ,,Due vaghi neiù ' „ Dcchi , che vibrano „)trali al mio cor. S. B. V A R 1 a T a' 255 IL capraio o Amarille , idillio IH di Teocrito siraéu^ sano , tradotto ed illustrato dall' avi^. Domenico Mis- siroli. 8.° Rimino 1826 per le stampe di Marsoner e Grandi. ( Sono pag. i4- ) Alcuni idilli di Mosco e Bione volgarizzati dall' avv. Domenico Missiroli. 8.° Rimino pei tipi Marsoner e Grandi 1826. (Sono pag. io.) V^uello clie altra volta abbiamo detto del sig. avv. Mis- siroli , quello stesso casdidamente qui ripetiamo. Egli è un uomo assai culto , e , come son quasi tutti i buoni letterati della Romagna , studiosissimo delle cose di nostra favella : e nondimeno i suoi versi non sanno in tutto pia- cerci , sia per certi ornamenti troppo diremo ambiziosi], sia per certe parole disusate e di non piacevole suono , le quali non di rado ci occorrono ad offender l'orecchio. 11 che se vuol tenersi difetto in ogni gentile poesia , an- zi in ogni scrittura , dovrà poi chiamarsi non lieve col- pa in cose pastorali , come son questi idili , dove tut- to esige naturalezza, semplicità e leggiadria. E che il n»-« stro giudizio non provenga da niuna prevenzione che ab- biamo contra il sig. Missiroli ( il quale anzi per la dot- trina sua e per la sua cortesia sommamente pregiamo ) si farà manifesto dal volgarizzamento dell' idilio 11 di Bio- ne , che qui rechiamo, I^ uccellatore . „ Un giovinetto uccellator , che in traccia „ Movea di prede a folta selva in grembo , „ Vide fuggiasco Amor , che sovra un ramo „ Sedea di bosso. E come scorto ei l'ebbe , „ Pestando , eh' era in vista un grande augello , a56 V A n T E T a' „ L'invescate sue canne insieme accolse , „ Ed appostava Amor , eh' ergeasi a volo „ Qua e là saltando. Arse poi d'ira in foco , „ Che nullo effetto gli sortia l'impresa , „ Ed appressò ( date le canne al suolo ) „ Un antico arator , eh' egli a maestro ,, Ebhe in quell' arte , e l'insueto evento „ Appiea gli spose , ed accennò con mano „ Dove seduto era Cupido. Il veglio „ S'atteggiò d'un sorriso , e le canute „ Tempie quassando : Abborrì , disse , o figlio , „ Da tali agguati , e sì mostroso augello „ Non inseguir , eh' è mala bestia , e fuggi. „ Sarai , finché no '1 giunga , orbo d'affanni. ,, Come tu poi l'età virile attinga , „ Questi , eh' or salta e spiega il voi , questesso „ Fia che non cerco di repente i vanni „ Raccolga , e sul tuo capo immobil sieda. Così il sig. Missiroli traduce il Capraio di Teocrito già da tanti volgarizzato e principalmente con penna d'oro dal cav. Luigi Lamberti , V Amore fuggitivo e il Consi- glio di Mosco , e Y Indole delle muse di Bione medesimo. Opuscoli di Gio. Batista f^ermiglioli ora insieme rac~ colti con quattro decadi di lettere inedite di alcuni celebri letterati italiani defonti nel secolo XIX. Vo- lumi HI e IV. Perugia tipografia Baduel i8a6. ije preziose operette del eh. sig. Vermiglioli conte- nute nel voi. HI sono le seguenti: i. Sunto dell'illustra- zione dell'ara d'Haimburgo fatta dal dott.Labus: %. Statu- ti suntuari sul vestire degli uomiixi e delle donne proda- Varietà 257 mali in Perugia nel secolo XIV ; 3. Lettera a S. E il sig. marchese D. Gio. Giacomo Trivulzlo intorno ad alcuni libri di rime italiane rarissimi stampati in Pei'ugia nella prima metà del secolo XVI ; 4- Lettera a S. E. il sig. principe D. Pietro Odescalchi premessa a due canzoni inedite di Angelo Firenzuola e di Gio. Matteo Faetani in morte dell'Ariosto; 5. Discorso sulla rosa e cenni sul- la sua istori»; 6. Medaglia inedita di Malatesta ÌV Ba- glioni da'suoi fasti illustrata ; 7. Lettere inedite del card- Stefano Borgia , d' Angelo Cortinovis barnabita, del cav. Jacopo Morelli bibliotecatio della marciana , e del P. aba- te D, Giuseppe di Costanzo cassinese. Quelle contenute nel voi. IV sono : i . Sepolcro etru- sco chiusino illustrato nelle sue epigrafi: con una me- moria del sig. cav. Giuseppe del Pvosso sulla parte ar- chitettonica, ed una lettera del prof. Orioli di Bologna; 2. Lettera al sig. prof. Furlanetto sulla gente Vciieta o Heneta scoperta in un necropolio etrusco ; 3. Lettera ali sig. dottor Ferdinando Speroni sopra uu quadrante uni- co ed inedito nel gabinetto dell'università di Perugia; 4- Let- tera sopra un'opera epigrafico - medica del dott. Anniba- le Marietti ; 5. Traduzione della dissertazione del sig. Boettiger su i piccoli sacchi sospesi al braccio j e sum le tasche delle antiche domi» greche 0 romane ; 6. I ri- posi di Braccio Fortebracci in accampamento , quadro a olio del sig. Silvestro Massari perugino , illustrato dal Vermiglioli , e descritto in versi dal prof. Mezzanotte ; 7. Lettere inedite del P. abate D. Giuseppe di Costanzo , del cav. Onofrio Boni, di Simone Assemani, di Francesco Danieli , del cav. Ennio Quirino Visconti , del conte An- gelo d'Elei , del conte Giulio Perticari , di Gio. Anto- nio Cassitto. S ara pregio dell' opera il recar qui la bella lettera del Perticari , come un' aggiunta alle altre molle da noi riferite di quel celebralissimo scrittore e filosofo che già G.A.T.XXXIL 17 258 Varietà' fu nostro collega nel compilare questo giornale. Ella è la seguente : „ Non ho parole che bastino a significarle la mera- „ viglia e la gratitudine mia nel vedermi in tanto favo- „ re avanti la S. V. , che le piaccia inviarmi si cortesi „ lettere , accompagnate da doni cosi preziosi. Già per „ fama aveva saputo come la gentilezza del cuore è „ in lei eguale alla nobiltà ed altezza dell' ingegno : „ ed ora ne ho fatto io medesimo tale prova, che non „ cesserò mai dal predicarla per un esempio d'antica „ cortesia : insegnando il nome di lei a coloro che di- „ spettosi e selvaggi hanno fatto del tempio bellissimo „ delle muse la cloaca del sangue e della puzza. Fra' „ quali certamente è quel meschino , che ella ha tolto „ con troppo valide armi a sconfiggere , forse non ricor- „ dando quell' apotegma di Tacito , ove dice : che non „ s'hanno a ingaggiare cotalì battaglie ove sia vìnci sor- „ didum , vincere ìnglorium. Nondimeno le ingiurie sì „ hanno a respingere : e da molti non si vuole lodata ,, l'indolenza del greco Socrate , quando lasciava che i „ mascalzoni lo prendessero a calci nel mezzo della via ; „ perchè ancora la sofferenza degli eroi ha il suo con- „ fine , oltre il quale ha stanza la pecoraggine. Il nostro „ Borghesi è partito l'altrieri frettoloso da Roma per la „ impi'ovisa morte di im suo congiunto , che l'ha posto „ in molto dolore ed in gravissime sollecitudini. Egli ha „ seco i libri della S. V. , e il debito di farne il com- „ pendio. Né il direltoi'e del giornale arcadico (i) ha sti- ,, mato di darne ad altri l'incombenza : perchè veraraen- „ te non la si potrebbe fidare ad uomo più dotto , più „ savio , piìi tenero della gloria de' buoni. Ond' ella ripo- ni) Quel sunto del ctU Boi'sbe«i è nel volume del mese di lu- glio 1819. ^ Varietà' ^Sc) „ si pure in questa cert.ezza : e solamente perdoni que- „ sto pò di ritardo , che deriva dal viaggio , e dalle cu- „ re del Borghesi che qui le dieo. Intanto il buon Ode^ „ scalchi egli stesso ha scelto per mio consiglio a fare „ il sunto di queir altro suo dottissimo opuscolo ; e di- „ jà di quel poeta e di quel capitano , de' quali ella ha „ cosi bene illustrato i versi e la vita. Queste cose si „ leggeranno nel quaderno di maggio. Lo spero : ma in- „ tanto da tutto ciò ella vegga in quanta riverenza dai „ noi si tengano le sue opere; e quant' obbligo le avre- „ mo , s'ella vorrà esserci cortese di qualche dono che „ illustri le nostre carte (i). Nelle quali cerchiamo sol- „ tanto che de' tristi non si ragioni : e che gli ottimi ci „ abbiano quell' onore che i venali giornalisti concedono „ sempre ai peggiori : come coloro che danno perdono „ a' corvi , e cercano il neo nella piuma delle colombe. „ Miserabili! -Quant' io vedrei volentieri le varianti del „ Petrarca scoperte in quel codice perugino (a) ! Non par- „ lo già di quelle che pertengono a ortografia , eh' io „ conto assai poco : spettando quel codice a un secolo , „ nel quale le leggi ortografiche non erano ancora stanziate. „ Ma dico di quelle varianti che emendassero o cangias- „ sero il valore delle idee ; perchè, specialmente molti „ luoghi de' Trionfi io ho sempre stimato che si possano ac- ,', conciare in modo assai più nitido e sano. Ma è necessa- ,^ ina. l'autorità di qualche codice , almeno che mi con>- ^ forti . nelle fatte iiidovinaglie. Anche la descrizione di „ quel torneo in sesta rima potrebbe fare bella mostra ; (i) Uu' eguale preghiera lipeciamo noi presenleuieiite e al dotlissi- mo sig. Vermiglioli e a tutti coloro clie lui somigliano sia aeila \nn scienza, ti.i nella gentilezza, sia nelFamo re delle cose italiane. { Axtti ilei compilatore. } (a) Nel cod. 24- della publjlica libreria Ji l'cru^fa. '7* aGo Varietà' 5, purché si potesse giudicarlo opera del trecento. Che „ queste poesie seaz' artificio , e così semplici e qua- „ si plebee, a nulla valgono, se non possono allargare il „ patrimonio della favella ; e se questo poema fosse del „ brutto quattrocento , io penso che fosse miglior con- ,, siglio di seguire il giudicio di tanti secoli che l'hanno „ voluto dimenticare. Se le accada di vedere i signori „ Cocchiaroli e Mezzanotte , la prego di porgere a loro „ i miei saluti. Ella segua a volermi bene , e a nume- „ rarmi fra' suoi piìi candidi e rispettosi ammiratori. Stia „ sana : e fiorisca ali* onore delle italiane lettei'e e del no- „ me perugino. Di Roma ai 26 aprile 18 19. „ f^ersi in morte di Tommaso Chersa. 8. Ragusa 1826. {Sono cari. 65.) J. ommaso Chersa fiorì non meno per bontà di costumi che per eleganza di lettere. Non essendosi egli dimenti- cata la cittadinanza che aveva comune con tanti famosi , tut- to si era dato fin da' verdissimi anni allo studio de' la- tini del secol d'oro : né faceva meno le sue delizie de' nostri piti gentili poeti italiani. Se egregiamente poi gì* imitasse , ognuno lo sa : e il nostro giornale ha dovuto favellarne più volte. Ora sì dotto e cortese uomo , nel pivi bello dell' età sua e della letteraria sua gloria , è ne passati mesi mancato^ alla patria , alle lettere , ai buo- ni , al chiainssimo ed affettuosissimo suo germano Anto- nio : e gli amici hanno onorata la »ua memoria, oltre a molte sincere lacrime , anche con questi versi greci la- tini italiani ed illirici , pieni sempre ^d'^affetto e spesso anche di purità e d'eleganza. S. B. Varietà' a<3i DIALOGO. Ti bar zio ed Ubaldo. Tih. „ V/h scellerato abhomiiievol mnstro ! „ Oh caso orrendo ! oli Infamia al seco! nostro ! Uhal. Ma, signor Tiburzio mio , se non mi lasciate parlare! Tib. Che parlare ! che parlare ! „ Venga l'ira del cielo in sempiterno „ Sopra te, bolgia e caina d'inferno. Ubai. Ma vorrei almeno . , . Tìb. Ne ho già intese troppe. Come ! Essere così testar- do da non conoscere , e prosuutuoso da non con- fessare , che tutti voi altri e greci e latini e ita- liani e francesi quanti siete , i quali da tre mila e pili anni scrivete versi , tutti vi trovate in wn be- stialissimo errore ? Ma , grazie al cielo , siamo final- mente venuti noi a far cessare tanta ignoranza , noi grandissimi , che alla barba d' Omero di Virgilio del Tasso e di tali altri imbrattacarte vi daremo la vera definizione della poesia. Ubai. Tutta umiltà delle signorie vostre. Ma io intanto vorrei , signor Tibui-zio caro. . . . Tib. Come ? non credete neppure , che la mitologia era incomprensibile perfino a' greci antichissimi , i qua- li non si sa che diavol facessero quando a que'lo- ro balordi popoli pai-lavano e di Giove e di Mi- nerva e di Apollo ? Ubccl. E nondimeno que' popoli n' erano così commossi che .... Tib. Ebbero torto , e non dovevano mai commoversi per cose che non intendevano. Lo ha provato chiaris- simamente un nostro valente critico ,jqnel bacalare 262 Varietà'' medesimo che scrisse Y opera d(;i Perticavi confa-' tato da Daìite. Uhal. E cosa era da lui. Intanto però , signor Tiburzlo , mi permettereste almen due parole di risposta ad una obiezione che mi avete fatta un' ora fa ? Tih. Se si tratta di classici , non voglio sentirne sillaba. Ubai. Non si tratta né di classici nò di romantici. Si tratta solo dell'essenza della poesia. Tib. Ah sì è vero ! L' essenza della poesia , parlavamo appunto dell' essenza della poesia. Io dico mo eh' ella è posta neirutile. Ubai. Ed io , signor Tiburzio , con vostra buona grazia dico di no. Tib. Come uo, se il desiderio dell' umana perfettibililà^ se i penetrali piìi iìitiini dello spirilo . . . Ubai. A monte un pò queste ciance, che m' han fatto tanto di lesta t e senza le solile asiatiche dicerie , ■ scritte da voi altri in lingua ìiorcina e nello stile di Licofrone , siate contento di rispondermi a que- ste brevi dimande. Tib. Sentiamo le solite. Ubai. Già mi concederete , comecliè l' abbia detto quel barbogio d" Orazio , che la poesia è come la pit- tui'a. Tib. Non so ncgarvelo. Ubai. Ditemi un poco : se un uomo dipingesse un qua- dro pieno zeppo d'empietà e di lascivie, l'opera sua non sarebbe già utile, Tib. Anzi sarebbe scellerata e perniciosissima. Ubai. Cosi per l'appunto. Ma se , malgrado di tutte que- ste ribalderie , usasse egli nel suo dipinto una ma- gistrale invenzione, una viva imitazione della na- tura , un disegno correttissimo , un colorito mara- viglioso : non io stimereste voi per questo un pit- tore ? V A R I E T a' 2(33 Tib. Certo lo stimerei pittore eccellente nell' arte sua , hencliè sozzo l'ariiielio ed infame. Ubai. E se un altr'uomo ci dicesse in verso le cose più empie, piìi laide, e più ribaLle del mondo, come a uà di presso ce [e dissero gli autori della Pul- zella d"" Orlcaìis e degli Animali Parlanti^ che pensereste di lui? Tih. Cli' egli è un uomo non meno sozzo ed infame , die il s^ipradaclto piìtore. Ubai. Ma se tuttavia quwsto nomo s(rÌYesse que' sozzi ed infami versi con una iina iaven/àone , con una squisita imitazione della natura , cui un leggiadro stile, con una favella pura, con una soave armo- nia, non sareLLe egli perciò un poeta? Tib. (Non so clic rispondere, e non vorrei dir qui uno sproposito contro la setta. ) Ubai. Di nuovo : se un artista vi riira-.-ssc la cosa più religiosa e pia : ma strampalatissima fosse Tinven- zione del suo quadro , errato il disegno , disarmo- nico e bestiale il colorito , cbiamei-este perciò pitto- re costui ? Tib. Lo cliiamereì anzi un mascalzone , un asino. Ubai. E se parimente uno scrittore di versi . . . Tib. So quello die volete dire ancor di costui. A ben rivederci. Non vi rispondo ora , ma vi risponderò fra poco , dopo avere inteso l'oracolo del gran mes- sere della setta, romantica. Ubai. Si si, bravo. Ma ditegli che non confonda pueril- mente r essenza, d' mia cosa colla sua perfezione-^ cioè a dire coirO/»«e tulit purìctum d'Orazio, E soprattutto che risponda in lingua italiana , e sen- za queir arcana filosofia , la quale insegnava al Burchiello , vero e gran principe del romanticismo , a mcschiare insieme con tanto gindicio , come voi altri fate , 364 V A n I E T a' „ Puledri magri e corde di strambecco. Buona sera , signor Tlburzio. Fate il felice viaggio per la corte di Galimala. Notizie del P. Giuseppe Piazzi. vX rarissima perdita non ad una città solamente , né ad una provincia , ma a tutta Italia , anzi all' Europa si è quella del celebre astronomo p. Giuseppe Piazzi morto in Napoli il 22 luglio, 1826 sendo colà per regolare, com' era da lui , il sistema de' pesi e delle misure. Nato il 16 luglio ij4'3 a Ponte della Valtellina di onestissimi genitori , e fatto alle scuole del Tiraboschi e del Becca- ria, poi de' lacquier e Le Sueur, Io videro ben presto Genova Malta e Ravenna , e Roma stessa lo vide nell* or- dine de' pp. Teatini divenir degno maestro delle piìi gra- vi e pili alte discipline. Ma chieselo con molte istanze, € se r ebbe nel 1780 l'accademia di Palermo insti tutore di matematica sublime , e riformatore degli studii. La sapienza del principe volle ivi fondare un' osservatorio astro- nomico : e nel 1^90 fu fatto per cura singolarmente del Piazzi , il quale era stato per questo a Parigi a Greenwich ed a Londra : e giovato dalle cognizioni degli scienziati e dall' opera di celebri artisti , era già fatto degno di ve- nire speculando co' primi , e di animare i secondi. Egli nel maggio del i^gr prese a valersi nella nuova specola de' nuovi strumenti, osservando acutamente il cielo quant' altri mai. Il suo catalogo di 674B stelle , e l'altro poscia di 7646 ridotto al 1800, gli fruttarono lodi e premii dall' istituto di Francia. La Gerere Ferdinandea , cui discopri il 1," gennaio i8or% lo rese non meao chiaro di quel- V A R I B T A* a65 lo clic un tempo le stelle medicee rendessero il Galilei. Ma più die altro la stima de' savii , che dalle molte e gravi sue opere lo giudicarono , lo pose tra i primi astro-< nomi del nostro tempo. Basti , che la società reale dì Londra , gli istituti di Francia e d' Italia , la società italiana, e le Accademie di Gottinga, Pietroburgo, Ber- lino e Torino fra le altre lo vollero del loro numero : ba- sti , che il eh. de Lambre gli scriveva : „ L'astronomia „ dovere a Piazzi ed a Maskelyne più che a tutti quan- „ ti gli astronomi da Ipparco insino a noi. „ Ma a dì~ re di lui degnamente molte carte non sarebbero assai : noi stretti dall' obbligo di brevità guardando alle tante vir- tù , che gli ornarono la vita , ci staremo contenti a spar- gere pochi Cori sulla sua tomba col desiderio , che sor- ga chi lo somigli, perchè sia piena la schiera de' valen- tissimi , che la fisica celeste levarono a tanta altezza. SONETTO Dove ti cercherò , spirto gentile , Da poi che l'ali a maggior volo apristi ? Di tanti fior non si riveste aprile , Quanti son gli astri , che da te fur visti. Ma qual di lor t'aggrada? o qual non vile Verso quel che vegghiando a noi scopristi ? Se pur seguir non vuoi con novo stile La via del sol, che pur quaggiù seguisti. Ah ! che pei giri dell' eteree ruote Ti cerco invan : più alto è '1 tuo soggiorno In quella spera , che mancar non puote. Ivi nel lume dell' eterno giorno Ti godi al suon delle angeliche note Fiso nel sol , che ogni altro sol fò adorno. D. V. arranz-ErsnESts Osserifazioni Meteorologa 7ie )(, Collegio Romano ^oi'emhre 182(5. Ore BaronicU I i'c.iut.fTe.esi, 1 700 '9 -,'■ '22 S' 25 iG 7 9 (5 :38 ò' 2 5 7 3 8 5 5 2 lo 5 12 7 " 11 >■ „ •2 9 2 1 1 4 0 3 3 » 2 10 0 '9 •> " 1 (j 8 8 Vento I Pioggia ).iN.O.fl. i4 85 i. d. I V.N.O. .,1 o o 25 so. d. i5 20 N.N.E.dc. N.E. „ 3 3- Eva por. Sr.del Cielo 1 I coperlo Vaporoso niii'olos 0 1 2 si^r-nlc.niiv. chiariisiino i-er.alc-.iiui>. I ■ coperto ssr.td'-.nuu. copcrio nuvole nere 1 4 ser.ori, nu. chiaro niez.nuuvQ. j loperio 7 ser.^iiif.'sp ' eop ero coperto cliLdrissimo I vaporoso sere-ale. mi. ,, oriz.nu coperto scr ali.niiv. I purissimo 3 4 ier.idc-nuv. nuvoloso N.N.E. d.j rugo'' S, in. N. d. I _" I sor-, alc.vap, chiarissimo ?iu voloso ser.7iiiv.spu- il uvoloso Tabella dello stato del Tevere, desunto dalV altezza del pelo d^ acqua sulV orizzontale del mare^osserva- to alV Idrometro di Ripetta, al mezzo giorno. Novembre 1826. GIORNI. METRI PAt. ROM. 1 OSSERVAZIONI. 1 5. 97 26 8 3 2 e. 26 IO l 3 8, 44 37 9 ' ■Altezza massima del gior 4 1 ], o5 ^9 5 2 no 16 alle oie y pomeri 5 8, 55 38 3 0 diane metri i3, 4° 6 7. 80 34 11 0 7 7, i5 33 0 0 8 9 7. 7. 50 33 33 3a 6 4 lO 0 Altezza minima mot. 5, g^; lO 7» 02 3, 5 I ji 5, 78 3o 3 4 l3 e. 63 29 8 1 Altezza media met. 8, 8i i3 6, 48 29 0 0 i4 6, 5o 29 1 0 i5 7. 70 34 5 3 16 «3, 0^ 58 4 I 17 12, 4fi 55 9 » 18 9' 62 43 e ^ 19 20 9' o5 4o 6 0 «I. 11 49 8 4 21 10, ffi 47 6 0 22 9. off 40 6 3 23 9. 27 4i 6 0 7 3 , 24 IO, 21 45 25 ii> 4o 5i « ó 25 10, 2l 45 y l 27 9' 32 4» 8 3 23 9* 7» 43 5 2 29 9» 80 43 10 2 3o «, 70 38 Il 1 NIHIL OBSTAT Fr. Antonlus Franciscus Orioli Censor Theol. NIHIL OBSTAT Petrus Lupi Med. Colleg. NIHIL OBSTAT Lauretus Santucci Gens. Philolog. IMPRIMATUR Fr. Joseph M. Velzi Ord. Pr«d. S. P. A. Magister. IMPRIMATUR Joseph Della Porta Patrlarch. Constantinop. P^icessierens . "b 2lt SCIENZE Lettera di D> Mario Massimo al suo amatissimo Genitore sig. marchese Francesco , siiWeclisse so- lare accaduta il 3f) noven\,b'e 1S26. il E in vero una teneia compiacfìnza per un figlio il potere offerire ai proprii genitori i frutti delle cure da loro impiegale alla cultura del suo spi- rito. Io mi ritrovo us'lli felice circostanza di pre- sentare a lei, amatissimo genitore, un saggio di que- gli studj,clie intrapresi da me per genio ^ mi sono stali agevolati da quei mezzi di cui ella senza ri- sparmio mi ha fornito. Oltre le paterne industrie da lei adoperate , percliè fossi fin dal principio di mia esistenza indirizzato alla vera felicita per una educazione religiosa e civile, qual desiderio risguar- dante i miei studj le ho io manifestato , ch'ella tìpn ahbia compiuto , perchè guidato fossi con vantag- gio e con diletto nella letteraria , e scientifica ca- riera ? Bammento soltanto al presente scopo il pic- ciolo sì, ma all'uopo mio Massimo osservatorio , che ella si è compiaciuta erigere nella propria abita- zione , e fornire di necessarj stromenti , senza di cui non avrei potuto ridurre alla pratica lo stu- dio delle matematiche scienze. Come lasciando quei inoperosi , mi sarei fatto reo d'ingratitudine ver- G.A.T.XXXII. 18 2*^2 S C I E » SS E SO di lei , così spero incontrare il suo gradimento mostrandole l'uso che ne f o , e dedicando per tut- to diritto a lei l'osservazione da me fatta dell' eclis- se solare accaduta li 29 novembre ^ ed i risultati che ne ho dedotti. In tal circostanza fu per me lusinghiera e di stimolo al mio impegno la presenza onde onora- rono l'osservatorio il sig. prof. Scarpellini , ed il sig, cav. Francesco De Rossi , i quali vollero anche prender parte in questa osservazione , per fissare colla possibile precisione l' istante del principio e del fine dell'eclisse. Due telescopi di Dollond, uno di Fraunhofer , un cronometro di Arnold , uno di Pennington , ed il pendolo della Specola furono le macchine di cui abbiam fatt'uso in questa ossei'- vazione , e gl'istanti del principio , e del fine dell' eclisse da noi osservati , ridotti al pendolo della specola , furono come segue : c^ ^ ir • (lo.o^^ 54'. i5". o. Prin. Scarpellmi ^ ^^ ^^ ^^^ ^ ^-^^ De Rossi (^«- ^4. i3. 4- Prin. ( I. 10. 45* 4* ^^n. Massimo i'""' ^^' ]">• «' P^^"' ( I. IO. 49* 4* j^-'^n. Di queste osservazioni prendendo un medio, e quin- di riducendole per l'anticipazione del pendolo sul tempo medio si ha: Princi to.orSA'. 9'. 8 (, , Fine ,. ,0. 43. 3 r""?' "*"'^- Princi .... II. 5. 4i- 5. ( , Fme I. 2u. iG. 9. ( *^™P' ^"^° Eclisse solare a']^ Ver determinare ora dall' osservazione del prin- cipio, e del fine dell' eclisse un luogo della luna, mi servirò del metodo proposto dal eh. sig. profes- sor Conti ; qual metodo trovasi inserito nel sesto vo- lume degli Opuscoli astronomici pubblicato nel 1818. Secondo questo metodo, espressa la longitudi- ne del sole al principio ed al fine dell' eclisse per e, e 0' ; la longitudine del nonagesimo pei mede- simi istanti per N ed W ^ l'altezza del nonagesimo per li ed li ; e finalmente per P, e P' la differenza tra le parallassi della luna e del sole; si calcoleranno ia primo luogo le parallassi di latitudine 'rr e ir\ e di longitudine n e n' mediante le formole TT = — P cos.h ; 'jt'==: — P'cos.ir P scn. Il sen (0— N) n n' = Cos. 7r P* sen. h' sen (©'—IN') Cos. TT Inoltre rappresentino M , ed N i moti veri della lu- na e del sole in longitudine dal principio al fine dell' eclisse, come anche n il moto vero della luna in latitudine nel medesimo tempo, e A la latitudi- ne della luna al principio dell' eclisse. Finalmente J< ir-^'TT tang. « (M— N»i.n'— n) Gos.a' ; come anche V ^(M--N-i.n*--n)Gos.A'; Gos ce e ponendo per brevità si avrà l'angolo /5 dall' equazione Sen*#=|/(^ -^ ^. onde finalmente pel tempo in cui fu osservato il prin- cipio si avrà «/lGos.(^— «) Long. Luna = 8 — n ° GOSTT Latitud. Luna = — t+\>B correzione del Porto, cui mol- to inclina il Bandini (cioè il Lennep) pel solo mo- tivo , che questa voce usò Coluto al v. 3i9 , ed Omero II. lib. 22 v. 40^- Ma se ben si considera ne'due luoghi allegati sta bene il dire gettò via il velo, e qui sta mrglio il dire laceiò, come bene os- serva il T. nella nota 28. Poi ci ricorda ivi mede- simo l'erronea lezione Vèó c. ^^iuo da quando nel 14.92 fu in Brescia costrutto il palazzo municipale , vennero poste nel basamcti- to d'uno dei pilastri del lato meridionale di esso due ijrandi piotie scolpite ab antico di alctitie lettere di l'orma si bella e maestosa , che attraggono gli sguar- di di chiunque ivi passa ed apprezza l'antichità. So- no esse alte trentadue centimetri, cioè quasi un piede parigino, larghe in proporzione, e di elegantis- simo intaglio. Se non che sono così disposte che oscuro molto , e pressoché inestricabile ne lorua il significato. Veggasi come le diede in istampa nelle memorie Bresciane Ottavio Rossi a carte laG , co- me le riprodusse il Vinaccesi a carte 3i5, e con piùr esattezza nel qui unito disegno al n.° i. Il sig. dottore Labus, di cui abbiamo più e più volte fatto onorata ricordanza in questi fogli , aven- do interpretato nel 1822 per commissione del Bre- sciano Ateneo parecchie lapidi quivi allora discoper- te, fra le molte che prese in esame , rammentò ezian- dio le due pietre nel palazzo municipale , e riferi- tele come le reca il Rossi: di grazia^ soggiunse, cA/ ìiulla ne intende ? Pertanto se anteporremo al pri- mo il secondo firammento , se daremo intagliate sul rame le lettere siccome sono effettis^amentt sul maf- G.ATXXXII. 2X) 3p4 Letteratura mo , con facilissimo supplemento ne caveremo il hra-i no (Vepi'^rafe die rettesi nel disegno al n°. 2: ed allora anche i meno pratici ridurranlo alla primi- tiva sua integrità , a leggeranno distesamente IMP . CAES . VESPASIANVS . AVGVSTVS PONT. MAX.TR.POTEST.IIII. IMP. X. P. P. COS. IIII. CENSOR e ne raccorranno uno storico monumento , già posto in fronte di sontuoso edifìcio Varino di Roma Var- roniano 82G , delV' era cristiana 78 , di tale ao^-z piezza e magnificenza da onorarsene qualunque il- lustre metropoli. Quindi chiarito col confronto di al- tre lapidi e di medaglie d'indubitabile autenticità , COSI dover esserne in fatto il supplemento e la in- terpretazione , fidatamente conchiuse: adunque se il nome , / titoli -, le note croniche per. certissim:0 ci manifestano la tr ibunizif a podestà quarta^ V acclama- zione imperatoria decima , il consolato quarto e la censura di Vespasiano , qual gradita sorpresa far ìion ci dee. questa nobilissima epigrafe , qualora col pensiero portandola sul fregio del marmoreo edifi- cio che ornare dovea , dalV altezza di essa , mag^ giore d'un metro ^ e dalla lunghezza di pia che sei metri , evidentemente raccolgasi^ quanto quello do- vette essere grandioso e stupendo? Il Bresciano Ate- neo giusto estimatore delle onorate fatiche de' suoi colleghi, che riconobbe interpretate si questa e sì le altre lapidi , che il principale oggetto costituivano di quella dissertazio.ne , con rara, felicita , coronò la memoria col premio della medaglia d'oro, e la con- gregazione municipale sempre sollecita nel promuo- vere i buoni studj , ne ordinò la stampa, che fu ese- Iscrizione bresciAìna 3o5 guita a pubbliche spese dalla tipografia Beltoni nel i8a3. (a). Niuuo sarebbesi allora immaginato die uti la- cero avanzo di antica epigrafe , introdotto qua- si a caso e per episodio in quella dissertazione ac- cademica, dovesse in men di tre anni divenire sog- getto dei discorsi delle più colte brigate. Ma intor- no alla meta del detto anno 1823 piacque al Bre- sciano Ateneo , coli' appoggio della prelodata con- gregazione municipale, d'intraprendere uno sterra- mento in cerca di patrie antichità , e volle fortuna che fra molte cospicue ruine si scoprisse un magni- fico edificio romano , decorato nella facciala con se- dici sterminate colonne corintie di esquisito lavoro , e che procedendo nelle escavazioni , il 6 d'aprile e il i5 giugno del iSaS , venissero in luce a diciot- lo piedi di profondita due nuovi frammenti lettera- ti , che insieme uniti esibiscono le parole che dia- mo delineate al n". 3. La qualità. , la riquadratura, il pulimento delle pietre; la grandezza, la forma, l'in- cavo delle lettere , la rispettiva loro distanza , la foggia dei punti intermedj : tutto iti fine convenen- do esattissimamente coi due frammenti del palazzo municipale , come del disegno al n". 4 •» non ci fu in Brescia chi ammirandoli ed insieme raffrontan- doli non dicesse : i quattro frammenti aver faUo in origine una sola cosa , la superba mole teste di- scoperta doversi all' imperator Vespasiano , apparte- ner essa all' anno quarto del suo impero, la restau- razione conghietturata dal dottor Labus non poter (a) V. L'opera intitolata intorno vari antichi Monu- menti scoperti in Brescia dissertazione del dott. Giovan- ni Lahiis. Brescia per Nicolò Bettoul 1823 ia 4-° ao* 5oG Letteratura conseguire una dimostrazione più evidente ne più fortunata. Avvegnaché poi la misura dei quattro pezzi , aggiuntovi ciò che fu preventivamente indicato col proposto rislauro , a capello combini colle dimensio- ni del fregio , il quale soprastare dovea alle sei co- lonne che pili si sporgono in fuori , e costituisco- no il pronao del mentovato edificio ; perciò la com- missione che presiede a quella cava fece eseguire un esatto disegno del detto pronao, vi scrisse nel fregio l'epigrafe allatto eguale a quella pubblicata due anni prima dal dott. Labus; e questo disegno verrà inciso in rame e verrà pubblicato a suo tem- po coir altre parli dell' edificio , colla bellissima sta- tua metallica rappresentante la Vittoria in atto di scrivere sopra uno scudo, colle cinque protomi vi- rili , con una muliebre, col simulacro d'un prin- cipe captivo , e colle tante cornici di eccellente mo- danatura , il tutto di bronzo indorato , uscito dal- lo stesso luogo. A compimento delle cos'^ anzidette aggiugner dobbiamo , che la maestà dell' imperatore e re Fran- cesco I , allorcliè rallegrò colla sua augusta presen- za , e col corteggio di tanti principi e personaggi qualificatissimi la citta di Brescia, si compiacque di visitare la cava ; fermò la sua perspicace attenzione su que' ruderi venerandi; ammirò i due frammenti letterati poco prima rinvenuti , ne commendò alta- mente l'ingegnoso prevedimento , e si degnò di gra- dire con singolare benigìiitk l'omaggio fattole dal no- bile signor Girolamo Monti presidente dell'Ateneo, cosi del dis(^giio del pronao ristaurato dall' egregio pittore Luigi Basiletti , come della dissertazione stani- IsCTllZlONE BRESCIANA OOJ pala del eli. doti. Labus. (a) Non liacci collo stra- niero clie passi per Brescia , il quaW; non si porti alla cava , e non faccia plauso a clii mosso da pa- trio adrtto con ottimo accorgiìnento e magnanimo cuore disteria un monumento sì nobile, ed a chi se[)pe antivederne l'edificatore. Tja storia delle cose avvenute essendo in. que- sti piocisi lei mini , non possiamo comprendere co- me mai sorga oggidì Tab. Seletli bussetano colla dis- sertazione sopr' annunziata ; e mostrandosi di tutto ignaro , intenda provare , T'. che le due pietre del palazzo municipale di Brescia non appartengono ali* edificio quivi scoperto, ma invece ad ufi arco, ch'egli pretende eretto in quella cittk per onorar Vespasia- no in occasione del suo trionfo giudaico ; 2°. che i due frammenti nuovamente venuti in luce non pos- sono collegarsi cogli anzidetti , i quali a suo senno debbono reintegrarsi colle parole IMP . CAESAR . VESPASIANVS . AVGVSTVS PONT .MAX.TRIB.POT.II.IIVIP. VJl .P .P. COS. Ili . CElf SOU DE . IVDEIS 3." Che avendo egli scritta una dissertazione nel 1808, colla quale provò che le prime due pietre suppli- re e spiegare si dovevano appunto come afferma con questa dissertazione che offre ora stampata , perciò a lui devesi il merito dell'interpretazione da- tane dal dottor Labus ; e si querela col Bresciano Ateneo perchè premiò la memoria di questi, e colla (a) Veggausi le noll:«ic officiali dell' arrivo • dimova iu Brescia della prenominata M. S. date dalla gazzetta di Mi« jano iu data dv\ 7. lugìio 1825. 3o8 L E T T K 11 A T U R A congregazione municipale per averla fatta stampare. A provar questi assunti adopra il Selotti un vo- lume di i54 carte di testo in 8. e 47 di prefazione. Abbiamo voluto attentamente leggere tutte que- ste carte , e sebbene dalle cose sopraddette e dalla evidentissima diversità che ci ha tra il supplemen- to dato dal dottor Labus, nT^assimamente nelle no- te eronologiche ( nello statuire le quali consiste il principal merito degli studi archeologici ) e il supplemento del sig. Seletti , ci siamo avveduti ch'egli ravvolgesi in uno spinosissimo gineprajo da non uscirne più mai senza grave suo danno; tut- tavia perchè l'animoso favellare di lui non induca veruno in inganno , ne piglino vigore nella mente di chi fosse non molto pratico delle cronologiche disquisizioni gli errori ne' quali inciampò, crediamo opportuno di aggiugnere poche osservazioni che var- ranno a mettere in piena luce questa quistione. I."' Le due pietre del palazzo municipale di Brescia, dice il Soletti, non appartengono all'edi- ficio teste discoperto , ma sì ad un arco eretto dai bresciani all'imperator Vespasiano in occasione che trionfò de'Giudei : sebbene quest'arco da molti se- coli più non esista , ne sia ricordato da verun an- tico scrittore , se ne ha però quivi , egli aggiun- ge, la memoria nel nome d'una contrada detta dell' arco vecchio , e da un cenno fattone dal Todeschi- ni e dal Rossi ( Mem. Bresc. p. 127). Per verità conveniamo con essolui non essere improbabile, che su quella via sorgesse a' tempi romani un cenota- fìo , come a Verona quello dei Gavj , a Pola quel- lo dei Sergi, oppure un arco onorario, come a Su- sa , a Rimini , a lìenevento. Ma chi al Soletti certifi- cò che il da lui supposto arco bresciano recasse il nome di Vespasiano? Il Todcschini ch'egli alle- Iscrizione bresciava. 3ocj ga avvisò che fosse dedicato a Germanico Cesare; al qìial Germànico credette il Rossi eretto anche un tempio , e fogfijiò mia mostruosa iscrizione col- la barbara formula (}ERMANIGO . GÀESARI. OPTI- LO . NVML^l . BHIXiA . ROMANA. (Mem. Bresc. p. i2()). 11 ]>adre Prospero Martinengo , del quale parimente fa il Selciti gran conto s'ideò anch' egli the le prefate due pietre parlassero di Germanico accompagnatone il nome, con quello di altri Angli- sti , i quali divisare non seppe , e che non sapreb- ])ersi di leggeri indicare. Ov'è dunque la prova dell' arco Vespasianèo ? Nella idiotica popolar tradizio- ne buonameùte abbracciata dal nostro autore j di- menticatosi che quando i romani far volevano apier- ta dimostrazióne di afli^tto , di ammirazione o dì gratitudine ai Cesari ])énefattori, alzavano bemi le marmoree moli arcuate da durare ne'secoli; ma pér- ciocciiè oi^li Jagusti le dedicavano, cosi vi soprascri- vevano il nome loro ne! terzo ca.w ., e per lo più coi motivi della intitolazione ad esempio ed istru- zione dei posteri. Tali sono l'epigrafi degli archi di Susa , di Rimini^ di Ancona, e di Benevento; tali quelle degli archi di Tito, di Settimio Severo ^ di Costantino ; tali quante ve n'ha nelle Colletta- nee antiquarie. L' iscrizione bresciana , ammettendo anche la erronea interpretazione da lui datane , re- cando il nome di Vespasiano in caso retto non può adunque appartenere ad un arco; a meno che uoii vogliasi dire mutato in questa unica circostanza l'uso costante richiesto dalla grammatica e pratica- to da tutta ranticliil'a Fu al N. A. manifestata que- sta forte obbiezione dall'ab. Andrea Borda , ch'egli stesso avea fatto intorno a ciò consultare; e per dis- dirla suppone (à carte i5i ) che i bresciani ab- biano olliirto a Vespasiano' uii arco temporario i eidè' 3ro Lexteratura di loglio e di stracci, e quindi rahbiatio renduto per- petuo, costruendolo in marmo. Se con burlevoli sup- posizioni pretendesi elio i vetusti marmi favellino, non come in fatti si esprimono , ma come vogliamo capricciosamente che dicano , non liacci medaglia , non lapide , non monumento comecclicsia , con cui non si possa provare qualunque stranezza. Tutti gli anticln ci narrano che il fatto d' armi , mercè del quale fu assicuralo sulle tempia di Vespasiano l'al- loro imperiale successe a Bedriaco , posto sul con- fine del Municipio Bresciano. Niiin dice «[uali aju- ti prestassero i bresciani all'esercito d'Antonio Pri- mo che sceso impetuosamente dalla Pannonia , in- vase la regio n veneta , e piantato il campo a Ve- rona fu vincitore alle sponde del Po. Ma dove ta- ce la storia suppliscono i monumenti , e l'edificio magnifico teste discoperto chiarisce abbastanza la gra- titudine dell'imperatore verso una citta che in occa- sione di tanta importanza dee aver contribuito armi ed armati per alForzar la battaglia. L'introdurre in quella iscrizione i giudei, il suppo]la sovrapposta ad un arco trionfale, il supporre quest'arco di una gi- gantesca altezza , come richiederebbe la grandiosità ^ delle pietre e dei caratteri che vi sono scolpiti , ci sembrano cose tanto inverisimili die non vediamo co- me sieno entrate in cervello umano. II.° Ma se l'epigrafe non può appartenere ad un arco , ne ricordare i giudei , molto meno possono so- stenersi le note croniche statuite dal Soletti per astrin- gnere la lapida a sorreggere la sua fallace opinione. Egli unisce la tribunizia podestà seconda , 1' accla- mazione imperatoria settima e il consolato terzo col- la censura di Vespasiano; non riflettendo che ninna delle molte iscrizioni di quest' imperatore col conso- lalo III fa menzione della censoria sua dignità; tut- I,SCRrzlONE BRESCIANA 3lf to ehe contengano atti della segreteria imperiale , o sieno state poste per ordine del senato. Veggasi il Gru- tero p. a4>J H' 2, 3, 4; p. o^J i ; ed il Donati p. iSy n. 4 7- Etl in vero il consolato III. di lui segnando l'anno Varroniaiio 824, dopo Cristo 71, in qiial mo- do poteva l'Augusto allora pensare ad assumere la cen- sura col figlio lontano, il quale dopo aver espugna- ta Gerosolima il 2 settembre dell' anno 70 , andò in Egitto per venire nel 71 a Roma, dove col padre trionfò ? Ognun sa che Vespasiano assunse la cen- sura col figlio Tito , e che ciò sia avvenuto , non già nel 71 , come pretende il Seletli , ne tampoco nel 72, tuttoché tenesse in tal anno il consola- to mi , ma nel nò , in cui segnava tuttavia lo stesso numero di consolati , appare dalla magnifica iscrizione gruleriuna 244 2 , nella quale tanto egli, quanto i suoi ii^jli , sono memorati con tutti i ti- toli che loro competevano, e pure quello di cui par- liamo vi manca , tanto nel padre , quanto nel figlio e collega Tito. Tn essa Vespasiano si qualifica TR. POT. un. IMP. villi. COS. un. P. P., Tito , TR. POT. lì. IMP. III. COS. li', e l'altro figlio Domiziano si appella COS. DESIG. TI; ond' e manifesto che ap- partiene al secondo semestre dell' anno 71 , imperoc- ché e certamente posteriore al primo di luglio da cui" data la quarta podestà tribunizia di Vespasiano , ed e anteriore al primo di gennajo del 78, in cui Domizia- no procede console per la seconda volta, onde a quel- le calende non potè più dirsi designato: e se ne Vespa- siano , uè Tito si di con censori , segno è che in tal anno quel titolo non loro competeva. La prima si- cura memoria della censura di Vespasiano, per quan- to si può sapere dai monumenti a' quali principal- mente dee l'antiquario attenersi; apparisce per rispet. 3i2 Lettkra.tura to alle medaglie dal nummo per la prima volta pub- Llicato dal eh. Monaidi sul nostro Giornale, e dal dottor LaLus opportunamente addotto in disegno nella citata sua dissertazione, nel cui diritto vi ha la testa laureata di Vespasiano e l'epigrafe IMP. CAES . VESP . AVG . P . M . T . P . COS . II II. GENS , e nel rovescio la testa parimente laureata di Tito e la leggenda T . GAES . IMP . PO .\ TIF. COS . II . GENS : rispetto poi alle lapidi risulta da un cippo terminale del Tevere , osservato pri- ma da Antonio Lelli , raffrontato poscia da Pierio Valeriane che lo stampò ne' comraentarj a Virgilio,- in cui leggesi, EX . AVGTORITATE . IMP . GAES. VESPASIANI . AVG . P . M . TRIB . POt . IIII. IMP . X . P . P . COS . Hit . GENS . Esso fu scolpito nell'anno stesso in cui fu dedicato l'edifi- cio bresciano , come lo stesso Labus sagacemente osservò. La cifra numerica del consolato si della medaglia, sì della lapide è la medesima. Tuttavia dal- la lapide si raccoglie che la censura spetta al primo semestre del 78, iii cui cade la seconda metà del- la tribunizia podestà IV , e nel quale Vespasiano continuò a dirsi GOS . IIII; ciò risultando dal ti- tolo IMP . X che ce la dimostra posteriore all'altra lapide superiormente citata con IMP . Villi. Se a ciò avesse badato il dottissimo Eckhel non avreb- be detto mancare ogni criterio per distinguer le me- daglie dell'anno 72 e del 78, mentre avrebbe al- lora conosciuto che quelle col GOS . Illl • GENS. vanno riportate al secondo arino, ed all'opposto van- no lasciate al primo quelle col semplice GOS . IlII. Pertanto se dagli esposti monumenti evidente- mente riman dimostrato, che la censura non può com- petere a Vespasiano nel suo consolato terzo ^ e mol- to meno allorché ostentava l'acclamazione imperato- Iscrizione BRrsciANA 3i3 lìa settima, e per la seconda v.alta il poter tribu- nizio, che diremo del nostro autore il quale tutte fonda le sue ragioni sopra una medaglia del Me- diobarba, la cui infedeltà è a tutti palese, e sopra un altra del Sada certamente falsa o alterata ? Di- remo a questi argomenti aver soddisfatto pienamen- te l'Eckhel allorché stanziò : jiumi certce /idei tan- tum in consulatibus IV et V censoris titulum ad- dunt Vespasiano, atque eandem etiam onmino le- gem secjnuntur numi Titi, qui patris fuit in cen- sura collega ; et si hic eo differat quod cenSoris titulum suscitavit in consutatu sexto. In fatti fre- quentissime sono le medaglie battute dopo F an- zidetta medaglia che dee riferirsi al ^3 , come ab- bi am dimostrato ; imperocché ne abbiamo col COS. V . GENS che spettano all'anno -74 ■> nel quale ce- lebrò il lustro, come attesta Censorino. Dopo quest' anno sparisce il titolo di ceasore dai nummi di Vespasiano , ma rimane in qualcuno del suo collega Tito. Nondimeno le lapidi continuano ad attribuir- lo anche al padre , onde per l'anno 7$ si ha nel- la Gruteriana 200 a , e nella Muratoriana 44^ * ? per l'anno 76 nella Gruteriana i54 5; e nella Mu- ratoriana 44^ 2 » ^ P^^" l'anno 77 nelle Gruteriane p. i64 li 189 io; 243 7; 270 2, e nelle Mura- torianc i85 5; 228 2; 2007 4- Con quest'anno però finisce definitivamente un tal titolo anche sui marmi , stantechè per dir d'alcuni non trovasi in quelli del 79 presso il Grutero 243 8 e il Murato- ri 228 4? e così dev'essfSre, perchè sappiamo che l'uffi- cio censorio durava cinque anni , e tanti sono ap- punto dal 73 al 77 inclusivaménte. Niuno ci dice che Vespasiano abbia preso due volte qussta dignità ; il perchè dimostrato che siasi con tante prove eh' egli era ancora censore nel 77 , questa semplicissima os- 3f4 L £ T T E R A T If R A servazione Lasta per far chiaro ch'ei non poteva es- serlo ancora aildivefuito nel 72, e peggio poi nel 71 , come ostinatamente pretende l'aliate Selcili . 11 oh. Eckhel , il quale attesta che la censura Vespasianesi durò quattro anni soli, fondato sul passo di Pli- nio ( 1: 7. e. 49 ): exemplo recentissimi census ^ qiicm intra quaJrieimiiim imperatores Ca'sares Vespasia- ni pater filiasqae censores cgerwif ^ non ha, a no- stro giudizio , inteso per niente il senso di quell' autore. Il naturalista non vuol già esprimere la du- rata di quella censura , ma sì bene clie non era an- cora finito di scorrere \x\\ quadriennio (e perciò di- ce intra) dal tempo in cui egli sciiveva , a quello in cui questi Censori fecero il lustro , che perciò chiama recentissimo. Plinio pubblicò la sua opera nel 77, avendola dedicata a Tito console la VI vol- ta , ed egli stesso determina questa data nel libro 28, sul principio del quale dice espressamente ea omnia approhantihus octingentorum triv^inta annorum even- tihiis ; r 83o varroniano equivalendo appunto al 77. Se dunque il lustro fu fatto nel 74 , e se Plinio di- vulgò il suo libro nel 77 , la sua espressione sarà giustissima nel senso che gli abbiamo attribuito. HI.** Ridotto a termini così chiari e precisi non po- tersi, ne doversi la censura di Vespasiano collegare col consolato III, quindi nemmeno colla tribunizia podestà II, ne coir acclamazione imperatoria VII, avvegnaché i due frammenti suppliti dal dottor Labus offrano le tracce del consolato II II, per le due estreme unita che ostentano , torna più chiaro del meriggio, che quan- to è commendabile l'ingegnoso e dotto ritrovamen- to di lui, altiettanto e riprensibile quello del suo oppositore , massimamente di poi che i nuovi fram- menti venuti in luce hanno recata l'interpretazione I.SCRIZIONH BRESCIANA 3l5 labusiana all'evidenza delle geometriche dimostrazio- ni. Per la qual cosa se l'abate don Pietro Seletti Lus- setano ha scritto , come afferma , la dissertazione nel 1808 , e cercò di provare ciò che rimane con- tradetto dalla storia , e dai monumenti epigrafici e numismatici di tutta l'antichità , anziché pretendere che a lui debbasl il merito di aver dato alle pie- tre del palazzo municipale di Brescia quella luce di cui eran capevoli , ci pare che miglior senno farebbe applaudendo al dottor Labus, il quale ab- bia o no veduta quella inedita dissertazione , ha però saputo condur l'autore sul buon sentiero ; da quella interpretazione cacciando l'erronee note ero- nologicìie , eliminando i giudei , e statuendo che la epigrafe era isterica e non onoraria , e già. posta in fronte non già ad un arco , ma si bene ad un edi- ficio di tale grandiosità e mav^nificenza da onorar^ sene qnalunquc pia illustre metropoli. Quest' edifi- cio si è omai discoperto ; dubitar non si può che si le antiche , sì le nuove pietre letterate al medesimo non appartengano : e se co3i e infatti, che puossi pre- tender di più da un iUustratore di romane anti- chità ? Sono decorsi ben più di trecento anni , dacché quelle pietre rimasero esposte all' ammi- razione d' ognuno . Furono osservate dal Totti , dal Martinengo , dal Lauri , dal Todeschini , dal Rossi ; e nulla questi seppero dedurne che fosse un pò ragionevole: nò più fortunato di loro fu l'abate Se- letti , che pure ardisce ora sollevare tanto rumo- re. Il solo dottor Giovanni Labus ha conosciuto il vero valore , 1' uso e la destinazione di quel monu- mento; e ci è assai grato di avergli renduta la giu- stizia dovutagli , lo che da ogni spirito gentile far 3i6 Letteratura si dovrebbe, quante volte avvenga di veder la pro- sunzione e l'errore alle prese colla modestia e col vero. GVSTVS .A I.CENSOIP COS. 1 3 PASIAN BT. un. JMP. X. 1 VS . AVGVST/^-^ P . COS . 1111 . CKNSOR PASIANVS . AVGVST/^^" 5T.1III.1MP.X.P.P.C0S.II1I.CENS0R R. S. Osservazioni sopra un luogo di Dante dove si nomina Bagnacavallo nella Romagna. AL CH. SIG. SALTATORE BETTI. v< olendo alcun tempo fa lodare un laureando del mio paese , mi caddero dalla penna alquanti versi ; pe' quali io poteva bene aspettarmi da Apollo il viso dell' arme ; non già che altri mi bandisse addosso la croce per ciò che dove l'Alighieri dettò (purg. G. XIV V. Ila) : „ Ben fa Bagnacaval che non rifiglia , io benché a distanza quasi infinita da quel divino imi- tando, iu luogo del non posi ancor', consultate pri- Osservazioni sopra Dante 3i'j ma le ragioni dell' armonìa e quelle del vero. Ma la cosa è ita altrimenti ; essendovi alcuni i quali mi dan- no biasimo e mala voce pei: avere, dicon essi, frante- so quel verso di Dante: e sedati a scranna sentenzia- no senz' ascoltarne non pur me , che è lieve cosa ; ma ben anche la patria mia : a vitupero della quale recano appunto quel verso della divina commedia, e vanno borbottando non so che sciolti pieni di fiele, colla giunta di parecchie terzine cotanto amare , che paco è pia morte. YA io dubitando di me, come deg- gio, volentieri mi tacerei; se non che amore del na- tio luogo mi strigne, e veiita mi comanda, che- non lasci lei e la patria senza difesa. Dico adunque cominciando, che a bene intende- re quel verso si vuole ridursi a mente, che della no- stra Romagna parla a Dante nel purgatorio Tanno del poetico viaggio (i3oo) Guido del Duca da Bertinoro, e piange rammemorando ,, Le donne e i cavalier , gli affanni e gli agi; „ Che ne 'nvogliavà amore e cortesia ,, Lk dove i cor son fatti sì malvagi. Ne risparmia la sua patria, dalla quale pe'mali costu- mi che vi regnavano s'era partita la sua con altre mi- nori famiglie : però con viva apostrofe segue dicendo : „ O Brettinoro, che non fuggi via, „ Poiché gita se n'è la tua famiglia , „ E molta gente per non esser ria ! E subito dopo viene lodando Bagnacavallo , e ri- provando Castrocaro e Conio con queste gravi pa- role : 3i8 Lettraetl'RA „ Ben fa Bagnacaval clie non rKìglia , ,, E mal fa Gastrocaro, e peggio Gonio „ Glie di figliar tai conti più s'impiglia. Al qual luogo non diversamento dal Lombardi cliio- sa il Portirclli : ,, Bagnacavallo e Gastrocaro sono „ terre di Romagna, com' era pure di Romagna Go- „ nio , castello ora distratto , i quali siti avevano „ tutti i loro proprj conti. Pertanto Guido , pro- „ seguendo nell' apostrofe , Inla Bagnacavallo , per- „ che non prò veda di figliuola nza i suoi cattivi con- ,, ti , e ne lasci cos\ terminare la linea : e hiasi- „ ma invece Castrocaro e peggio Gonio , perchè più „ s'imni'^lKi ^ si prende biiga , di provedere i suoi, ,, che degli altri sono anche peggiori. ,, Alla qual chiosa , salve le ragioni dell' istoria , io m'acquie- to ; se non che mi accosto più volentieri al Pog- giali e all'Arabrosoli nel dare qui al verbo ji^lla- re il senso di produrre : e mi conforta quello che nel XX. Vili del purgatorio è detto per Matilde : „ E l'alta terra , secondo che è degna „ Per se o per suo ciel , concepe e figlia „ Di diverse virtù diverse legna. Dove è notabile la variante del codice Villani-e Val- la terra - , quando la comune ha - e Valtra terra - : e più notabile è l'interpretazione del Gosta , il qua- le , dividendosi dagli altri espositori , con fino ac- corgimento per Yalta terra intende l'Italia , e per diverse legna ec. intende diversi uomini di gran valore. Ma comunque si legga ed interpreti , sem- pre sta che qui pure il verbo figliare è posto at- tivamente in senso di produrre ^ e ia simil senso OsiErxVAZlO.M SOPRA Damte 3{q aggiuulovi ili nuu^'o s'ha a intendere eli sopra il suo composto rifi^^liare ; dacché molti verbi italia- ni , come altri notò, \\^ni\Q forza di ripetizione per la particella III che prendono al principio. (I). Ma tornando al proposito , donde queste no- je gramnjaticali forse di troppo ci hanno dilungato , di quali conti ragionasi da Guido del Duca ? Cer- to di quelli , che in queste parti ed altrove pos- sedevano come beni allodiali terre e castella ( Lami Ant. tose): su di che provasi pelMuratori ( Ant. ital. ) che avanti la meta del secolo XII castella e fortezze erano possedute jure allodii dai loro prò- prietarj : e che solo dopo quel tempo cominciaio- iio le infeudazioui , nò i soli re ma i duchi , mar- chesi , vescovi altresì procacciavansi de' vassalli dan- do loro iu feudo siffatti luoghi. „ Siccome poi sino ,, dal principio del secolo XI si trovano investiti „ del dominio di Bagnacavallo i conti Malvicini o „ Malabocca cittadini ravennati. . .saggiamente quin- ,, di il Tonduzzi ( storico di Faenza ) opina che i „ conti Malvicini fossero investiti dagl' imperatori del- „ la signoria di questa terra. „ Così il Malpeli nel- le Dissertazioni sulla storia antica di Bagnacamllo* Comunque però ne fossero investiti , certo è per documenti da esso Malpeli prodotti, che que' conti Malvicini , poi Malabocca , dal principio del seco- lo XI si tennero Bagnacavallo sino al 1248 : m\ qual anno spedito dal pontefice il cardinale Otta- viano Ubaldini a rivendicare alla chiesa i diritti di lei sopra tutta l'Emilia , egli colle sue milizie rin- forzate da'bolognesi riacquistò ancora Bagnacavajlo , che meritò già di essere espressamente ricordato col nome di Tiberìaco o ver C aballo , al pari d'Imola di Ferrara e di altre citta e provincia, ne'riclami del pontefice Stefano contro le usurpazioni de' lon- G.A.T.XXXII. 21 330 Letteratura gobarcU ( Frizzi , Meni. Ferr. ) : e die era |)ur sem- pre magnum castrum , come lo disse Benvenuto da Imola nel comento. Privati cosi verso la meta del secolo XIII i conti Malvicini della signoria di Bagnacavallo, al- lora fu che il comune sull'esempio di cospicue cit- tà d' Italia , riconoscendo pure l'alto dominio del pontefice , statuì di eleggersi magistrati , i quali con assoluta autorità in pace ed in guerra , a tem- po, il governassero : e si colle armi e s\ colla pru- denza operò che vani tornassero al fine gli sforzi de' Malvicini, che a riaverne la perduta sovranità mai non quotavano, Che non manco già di que' giorni la discendenza loro, come pare tengano gl'in- terpreti a (jnel luogo di Dante , ne mancò in es- sa il titolo a conforto del dominio desiderato. Ab- biamo infatti dalle istorie, che circa il i2(;o un Vanni conte di Bagnacavallo fu morto in un con- flitto de' vicentini presso Quartarola ( Muratori Iìei\ Italie. T. X); abbiamo pure che del 1234 la ter- ra fu occupata dal conte Piuggero pretore a quel tempo di Ravenna : e di nuovo del I2f)6 da Mal- vicino III , di cui rimane funesta memoria; „ Usus „ est ad instar suorum proedecessorum omni juris- ,, dictione iu castro ilio et ejus districtu, adeo quod „ XXniI homines suspilldit uno die. „ Ma ne que- sto Malvicino nò Ruggero , ne altri di loro fami- glia (deirullimo essendovi memoria del 13G7) ezian- dio col favore di polenti non valsero a rifermare il piede nella terra , la quale con generosa co- stanza venne mantenendo quella forma di governo di cui si è dello : massime poi dopo 1377 dacché il pontefice Niccolò III con breve diretto Dile~ „ tectis filiis ^ fìofcsfaii ^ Consilio, et comuni Ba-^ « Liìa^avulli 1 li confntò ad essere Costanti ad reca" Osservazioni sopra. Dan'te 32 r „ gnoscendum ejusdem romance ecclesia domininni. „ Al cho (nota il Malpeli) aderirono di buon ani- „ mo i bagnacavalksi essendo per massima inclina- „ ti al partito della chiesa: contrario a quello de'conli , „ dai quali erano stati per tanto tempo tiranneg-^ 5» giati. „ E tanto più che non veniva loro di- sdetto di crearsi i podestà , come fecero , chiaman- do a tal carica da vicine citta e d'altronde i più chiari spiriti, che ci vivessero. Il che si fa anche credibile per ciò che tutte quelle citta e terre che all' alto dominio del pontefice erano soggette, ub- bidivano al conte della provincia nel pagare le ta- glie ed il tributo de' fumanti ; nel resto non altera- vano la primiera forma di reggimento. £ si fa poi certo pei documenti (la più parte municipali) dal no- stro storico allegati. Ne chi abbia fiore di senno vorrà negare, io mi penso, che note non fossero a Dante sifìatte cose; a lui che esule e mendico trovò tanta grazia ne'Polentani signori di Ravenna : alla quale citta trasferendosi l'il- lustre sfortunato dopo la morte di Arrigo impera- tore (non compiuta ancora la divina Commedia , come nota il Dionisi ) visitò eziandio queste nostre contrade : di che vive nella gente la ricordanza , e come con un sol verso rispose a certuni , che in- contratolo per via di la dal fiume Lamone tre di- verse proposte gli avevano fatte. Quanto a me ho per certo , che studioso qual era delle istorie mu- nicipali ignorar non dovesse fra l'altre cose, come per elezione del pubblico consiglio fosse podestà del- la terra nel 1282 Ostasio da Polenta,. che pur fu uno de'cortesi suoi ospiti : e Tanno appresso pei primi sei mesi quell'arcivescovo di Ravenna Bonifazio Fie- «chi (Purg. XXIV V. 39), 11 333 Letteratura „ Che pasturò col rocco molte genti : e per gli altri sei quell' Ugolino Buzzola uno dei primi in Romagna a partirsi dal volgo nelle cose della favella ( /^w/g, El. I 24)' 6 finalmente uno Stefano Colonna nel 1290, per tacere d' altri noa meno famosi. Il perchè al cantore della rettitudine parendo assai bello, che francatosi dal giogo de'tra- lignanti suoi conti il comun nostro si elegesse a ret- tori cotali uomini per anticlie virtù commendati , nel sacro poema noi tacque: dove per opposta ra- gione daruiò altri luoghi della nostra Romagna. Ma di ciò è detto abbastanza , o io m'inganno, a chi non è cieco alla luce del vero. Che se taluno ancora de' veggenti con occliio di dispregio ne sog- guardasse, sappia die questo paese molto hallo e ci- •vile t quale lo predica Leandro Alberti, fu sempre nido di chiari spinti ; e il creda , se non a noi , al Denina il quale nel quadro istoi'ico statistico mo- rale deir alta Italia alFermò che „ Bagnacavallo in „ particolare ha dato all'Italia molti uomini conosciu- „ ti nella storia delle scienze lettere ed arti: „ cre- dalo al P. Coleti gesuita, il quale publicando nel 17725 alcune delle molte memorie raccolte dal nostro cano- nico Graziarli circa la patria istoria , a lode di Bi' gnacavallo non dubitò di ripetere ; Pierides Phoehusque snis in laudihus omne Expediant cariuen , cannine maj'us erit» E se terra , sifFalta iperbole toccare i termini della menzogna , si faccia a leggere i documenti onorevo- li, che il Colpti ed il Malpeli ne publicarono (li); ' e ciò che il Goldoni nelle memorie della sua vita Os.srRvA^'OMi sopp.A DiyTK SaS ne lasciò scrittA : essere cioè Bagriacavallo ricciuta Simo fertili ssimo e di sommo commercio, di ciie ben poteva far testimonio egli che nel i^S» qni onesta- mente fu accolto col padre dottor Giulio, il quale era nel comune secondo medico, e qui Tanno stesso spirò fra le braccia del figlio , cui rimase almeno il con- teuto di lasciare !•' ceneri paterne in terra ospitale nel bel paese , donde allora forse quel savio non s'aspettava , che lui beiicliò glorioso avesse poi a di- videre per sempre Tinvidia: legga in fine il comen- tario sugli studj di Stefano Longanesi (Bologna iSia), e troverà scritto pel P. Pompilio Pozzetti che „ fe- „ race di nobili spiriti è questo cielo, ed ha hene „ di che dispergere il biasimo che diede ad esso un „ tempo la melanconica fantasia di quel verseggia- ,, tore lombardo , che osò gik alTermare , tutte re- „ strignersi a poco numero di versi quante sono „ le bellezze della Divina Commedia. „ Del quale giudizio che s'abbia a pensare lo tocca fra gli al- tri il conte Marchetti in un Discorso sullo sfato attuale della letternfnrd (Bologna 1824): ne io il dirò , contento a questo di aver potuto rivendica- re alla patria per tante e tanto chiare testimonian- ze il debito onore; onde la verità torni in cima , uè sia chi a me dia nota di parziale affetto , se per lodare un giovane di molto care speranze , che io stesso educai alle lettere , mi sono permesso di can- tare nella sua laureazione: ,, Ben fa Bagnacaval che ancor rifiglia „ Anime belle di virtute amiche : ,, Ben fa chi di liudavle si consiglia, „ Perchè non manchi il fior dell'opre antiche. „ Così voce di cielo : ed io le ciglia „ Ergo, e te seggio per dotte fitiche 324 L K T T F R A T l! 1\ A „ 'Salir di gloria il monte, g meraviglia ,, '.Averne ognun che ticnsi a piagge apriche. „ E il cor mi gode pur pensando come „ Co'prirai studi in te posi '1 desio '„ Di gir sublime e far chiaro tuo nome. „ E grido: O dolce mio loco natio, „ T'allegra poi che gipventi^i le chiome „ S'orna di fronda che non teme oblìo. Io m' era appunto in questi pensieri , quando mi vennero innanzi alquanti versi da me nel 1821 in- diritti al eh. D. Pellegrino Farini , il quale lascia- ta per poco la cura del collegio di Ravenna, a riacquistare salute qui meglio che altrove passati avea non pochi mesi: qui crasi perfettamente re- stituito a sanità ; perchè tutto lieto tornandosi agi' intermessi suoi studj porse a me occasione d' inu- sitato rallegramento , che volli significargli il me- glio che per me si poteva con una! piccola stampa, la quale per la molta sua umanità egli non isde- gnò , così scrivendomi fra l'altre cose: „ E sempre „ pure avrò viva e cara la memòria di Bagnaca- „ vallo , dove la perduta salute ho riacquistata, „ e dove ho trovato tanto gentili e cortesi spiriti, „ che io non credo che altra terra sia per tali pre- „ gi pili felice di colesla. „ Bel testimonio di tale che oggidì onora le lettere ! E questo, io concludo, / „ E questo fia suggel , eh' ogni uomo sganni. Ma a chi raccomanderò io questo misero scritto ? Non ad altri meglio che a voi, prestantissimo signor Betti , che siete fiore di dottrina e di gentilezza. Voi faceste buon viso ad' altri suoi non meno infelici fratelli: accogliete, di grazia, anche lui, sempre che OsSERVAZlftNI SOPRA DAlfTÉ 323 non ne mormori la ragione. Che se fosse altrimenti, dannatelo pure liberamente a quella pena , che per Consiglio di Giovenale (Sat. VII ) dovrei pur dar- gli io medesimo : „ . i . lignornm ah'qnid pasce ocyiis ^ et „ * * ,, . . . dona Veneì is « . marito ; cA io non farò motto, se gik non fosse per ringraziar- vi di avere cosi meglio pioveduto alT onore della mia patria ed al mio. Slate sano, ed abbiatemi ne'vo- stri pensieri. Di Bagnacavallo ai 2-7 agosto 1826. Domenico Vaccolinì NOTE (1) Figliare col suo composto, in senso di pro- Vedere alcuno di figliuoli, ne lo lia la Crusca, uè lo nota il Monti nella Proposta. Io non trarrò da ciò argomento , clie non bisogna , a sostegno della in- terpretazione che seguo di quelle voci contro il sen- tire del Lombardi t ne tampoco mi farò a riprende- re il vocabolario di colpa, la quale se pur fosse (al- meno nel mandare p. es- alla classe de' neutri ezian- dio coir esempio di Dante , ov* è usato attivamen- te , il verbo rijigliare ) sarebbe assai lieve , e direi quasi nulla , verso quella gravissima del mancare di tante voci di scienze ed arti , non poche delle qua- li ne avrebbero pur trovatogli accademici, e quan- ti dopo loro hanno sudato in questa polvere , se non avessero dimenticato quell' opera veramente en' cidopedica di Tommaso Garzoni di Bagnacavallo in- 32() L K T T i: K A T U R A titolata : Piazza universale di iuit^. le projo.ssìnni drl j}ìondo'. che uscì prima in Venezia del iSSy, poi per Len tre volte ivi slesso , ed a Francfoit sul Meno comparve eziandio in tedesco con rami nel iCSq. Il die sia detto a lode della terra nativa , e de' compilatori dell' Ortografia enciclopedica univer- sale^ i quali oggidì in mezzo a tanta luce delle let- tere si fanno a cogliere nella Piazza del Garzoni ciò che ha di meglio per le scienze , arti e mestieri. (Il) Se svolgere si volessero cronache municipali , vedrebbesi nella famiglia Brandolini (così detta da un Blando di Brandiburgo che sotto Belisario militò in' queste parli) un Tiberio, che dopo aver combattuto a prò' de'milanesi contro l'imperatore, si tornò glorio- so alla patria , dove mancò del 1009: vedrebbesi un Sigismondo, che venuto nel 1099 all'assedio di Ge- rusalemme crebbe nella sua casa l'onore ereditato dal padre: un altro Tiberio, che alla lesta delle truppe milanesi suU' Adda fece prigione Enzio figlio di Fe- derico II imperatore: e un altro non meno valente, che militò con Giovanni Aucut a favore del ponte- fice , ed a soldo de' veneziani nella guerra d'Albania con 1000 fanti e 4f>o cavalli assoldali a sue spese . ]Nè sfuggirebbero nel secolo XIV un Tiberio ed il figliuol suo Brandolino; che questi fu capitano della chiesa e generale degli eserciti di Gian Galeazzo Vi- sconti signore di Milano , quegli lo fu nella guer- ra del Visconti co'fiorenlini; e Brandolino n'ebbe in premio la contea di Zumelle ed onorata tomba in Tre- vigi , ove mancò del i3qC) : Tiberio poi fu visconte di Arquato, Saliceto e Castrr! nuovo , e la sua morte fu in patria l'anno dopo quella del figlio, come dall' epigrafe , che leggesi ancora intorno alla di lui ima- gine equestre scolpila in marmo nella capella di giu- spadronato di casa sua , che è nella chiesa di que- 0,SSEI\VAZ[OXI .SOPRA IÌA.NTE Zin ,sti min. codvontuali. VedreLLesi pure come nel se- colo XV venne in grido po^r imprese operate peVe- nciiani un'altro Brandolino ; onde s'ebbe da loro del 143G parte della contea di Valmarino , e i5 an- ni ap[)resso dal marcliese Niccolò d'Este l'esenzione dalle gravezze sojira i beni di sua famiglia nel ter- ritorio di Bagnacavallo ( San.sovino Oiig. ài cme ///. - Cliiavenna Isf. de conti Bramlolini ) . Ne sfug- girebbe un'altro famoso il cav. Cesare Ercolani , che militando generosamente sotto Callo V, si di- stinse nella battaglia di Pavia del i\ fcbbrajo iSaG; come, da due diplomi imperiali, l'uno del 3 otto- l>re di queir anno, l'altro del 2G marzo iCQf), che si conservano da questi nostri signori conti Erco- lani : neir ultimo de'quali si legge : „ Strenua iiia- „ nu in acie navavit Coesar Herculanus Caroli V „ divi nostri pi aedecessoris dux egregius , qui ab „ eodem Camardae et Aranii jnrisdictionibns fuit in- „ signitus , «juod ipse primus praelio ad Ticinum ,, Franciscum primum Franciae re^em , equo a se „ vulnerato dejectum , captivum duxcrit. „ Su di che SODO a vedersi le memorie storiche impresse pel Co- leti in Venezia del ^77^^, ove con irrepugnabili ar- gomenti e provato appartenere quel glorioso alla patria nr»stra ; non essendo mancato chi volle ap- propriarselo ( egualmente che i conti Brandolini , come abbiamo dal Malpeli ) non con altra ragione per avventura che quella del più forte ; ma „ la „ verità , quando ella è tocca , saglie quasi favil- „ la . . . subitamente manifestandosi a chi vi mira (Bembo As. 3). „ Venga ora il nostro Cortesi, che fattosi imitatore dell'aureo Poliziano ne diede del i535 il poema del Selvaggio, e dd loco natale canti che n'ha ben donde : 3a8 Letteratura „ Gentil fu sempre e generoso in armi. Che se altre glorie si ricercassero , non manchereb- bero (per tacere i monumenti di romana antichità, di cui è detto nel fascicolo di decembre 1823 dell' arcadico ) e di cavalieri del s. ordine della B. V. gloriosa, qui esistenti sino dalla prima sua fonda- zione ; e di privilegi al comune concessi con bol- la 20 luglio iSgS dal munifìcentissimo pontefice Clemente Vili , che passando di qui il 7 maggio di queir anno con quella pompa che ognun sa nel recarsi a prender possesso del ducato di Ferrara ( di che serbasi per noi sempre dolce e cara me- raoria ) creati avea cavalieri dello speron d'oro al- cuni de'publici rappresentanti : non che di una me- daglia , regio dono alla casa Papini della famosa Cristina di Svezia, che qui pernottò nel secondo suo viaggio a Roma del 1662. Ne sarebbe da trapassa- re l'onore, che ancor vive, di splendidissima con- cattedrale e collegiata, di che ne fu liberale nel 1740 il pontefice Benedetto XIV , il quale pel suo so- vrano giudizio ben sapeva dov* ei collocava cosi se- gnalato favore , avendone anche prima di salire al soglio degnati di sua presenza. La quale insigne te- stimonianza di quel sapientissimo vogliamo ci ba- sti per molte antiche e nuove, che potremmo ar- recare a lume della patria gloria , se mai ne fu offesa dallo sprezzo di chi conoscerla non seppe o non volle. 329 Memoria su di due monete di Lucca, del canonico Giulio Mancini di città di Castello. §. r. D'una moneta Imperiale. N. ella serie delle monete lucchesi illustrale dal chiarissimo signor proposto Muratori ( diss. rx'j Me- dii Aevi ) non veggonsi due monete d'argento , che ho nella mia raccolta. Esse spargono qualche rag- gio di luce isterica , e mi sembrano perciò non im- meritevoli d'esser conosciute. La prima da una par- te ( fig. r ) ha nel mezzo Luca , in circolo Chor- radus. Dall' altra nel mezzo due T congiunte da un' asticciola orizzontale a mezzo la gamba , mono- gramma d'Ottone ; imperator in giro. Le lettere piìi goffe mi fan credere , che quivi sia nominato Cor- rado I.° ; tanto più perchè se il titolo imperator non fosse a lui stato comune con Ottone, in quan- to che vi si alludesse agli altri posteriori, che non l'ebbero , sarebbe stato aggiunto il proprio titolo di re. Egli è da osservarsi di fatto , che la sesta moneta lucchese riportata dal detto chiarissimo si- gnor Muratori mostra da un canto col monogram- ma il nome d'Ottone, ed il suo titolo imperator in circolo ; e dall' altra , Otto Plus lìex. Qui si trat- ta certamente di due Ottoni , cioè di quello che avea privilegiata Lucca, concedendo ad essa la zec- ca in proprietà, e che perciò quasi sempre figurò nella moneta lucchese , e di altro Ottone che neir 33o Letteratura epoca della battuta era soltanto re d'Italia. Poicliè se il tutto riferisse soltanto al primo Ottono, in cui riunivasi aiicììe il regno d'Italia, ne Viinperainr sarebbe stato posposto al titolo di re, ne vi sareb- be stato replicato il nome col monogramma, in pa- ri maniera dunque a questo Corrado, quand'egli non fosse l'imperatore, cioè il primo ed unico di tal gra- do , sarebbe stato aggiunto il titolo di re per far- lo star con onore in compagnia d'Ottone imperato- re. Egli è pfU'ciò il primo Corrado unto imperato- re nel 1027 , cui è comune Viinperator con Otto- ne ; e tanto appunto vedesi praticato con Enrico nelle monete 7. 8. 9. riportate nella citata disser- tazione , dove leggesi da una parte Etiricus attor- no al campo , che ha Luca , e dall' altra imperator con in mezzo il monogramma d'Ottone. Qualunque però dei tre Corradi piaccia di riconoscervi, la mo- neta è sempre d'un' epoca anteriore a quella del quar- to Ottone , il che sta in buon' armonia col Villa- ni ( lib. 4.° cap. i.°), e col Malaspina ( lib. 5.°) j quali scrissero , che Ottone primo concedette ai lucchesi il far moneta, poiché prima aveva appartenu- to il diritto sii di essa ai re d'Italia , e quindi ai marchesi di Toscana , come si vedrà in appresso. Que- sta moneta decide con sicurezza contro la sentenza del eh. sig. Lami , che si die a sostenere non esser- vi memoria del A'olto santo di Lucca anteriore al ca- der del secolo undecimo ( Novel. lett. an.° 1767 col. 8o5 ) , e quindi nega , che alcun degli Ottoni privilegiasse i lucchesi d'aver la zecca, confondendo il decoro piiì antico di batter moneta di diritto re- gio , col nuovo di batterla a proprio profìtto ( ivi col. 8G5 ) . Conseguenza è dunque , che per lui nes- sun degli Ottoni figura nelle monete lucchesi come largitore di si luminoso privilegio. Sembra quindi , Meda.glie di Lucca r 33 1 che iioa indicando egli , ne conoscendosi, altro tito- lo , che renda ragione di tale comparsa di Ottone sulla moneta , stimasse , che in quella solo si veg- ga perchè regnante, o vivente imperatore; ed è ap- punto perciò che giudicando dell' antichità delle mo- nete suddette ottoniane da quella , che gli piacque d'attribuire al volto santo , vuole , che le marcate di questa santa effigie insieme coli' indicazione d'Ot- tone siano tutte riferibili al quarto Ottone. Ma pia- no un poco. Se Ottone vi era espresso solo perchè re, o imperatore vivente, non dovea mai nelle stes- se monete vedersi unito col nome suo quello d'al- tro imperatore. Al contrario nelle tre citate monete muratoriane trovasi con lui Eniicns. Sia pur que- sti il sesto , perchè il monogramma olloniano possa riferirsi al quarto Ottone. Bisognerà però conveni- re , che Enrico fosse slato preceduto da un Otto- ne , ch'entrava in iscena per titolo diverso da quel- lo dell' esser egli vivente ; ciò che il eh. Lami am- metter non volea. Veggo che per sostenersi nel pun- to principale , cioè dell' epoca da esso stabilita al volto santo , potea un tal titolo immaginare nello stesso quai to Ottone , che per altro a'iucchesi det- te gravissimi disgusti, i quali certo non fanno pre- sumer favori. Ma sulla nostra moneta leggesi Cor- ratio , e di tal nome tutti precedettero il quarto Ot- tone : e non ostante anch'essa poita l'ottoniano mo- nogramma. E'forza dunque credere , che quell' Ot- tone , il quale avea titolo a figurar con Enrico, fos- se quello stesso, che anche avea lo per trovarsi uni- to a Corrado. Quegli perciò non può essere il quar- to. E quando v'è necessit'a di riferir la moneta ad uno dei tre d'avanti il mille, come dispensarsi d'at- tribuir l'indicazione ottouiaua al primo, se gli an- tichi storici di lui solo coalano , che desse a'iucche- 33^ Letteratura si 11 diritto della zecca? E se al primo Ottone con- vieri di figurare come privilegiante sulle monete di Lucca , come francamente negare , che alcuno degli Ottoni vi potesse comparir di fatto con detta qua- lità ? Chi anzi potrebbe a tale solo riguardo esse- re d'accordo col eh. Lami , per escludere , che alcu- na moneta col volto santo non sia riferibile al primo Ottone , anche come vivente ? Se s'avesse d'adotta- re l'opinione dell' autore anonimo , che colle stam- pe del Bonsignori nel 1783 pubblicò 1' illustrazione del santissimo crocilìsso di Lucca , portandoci mol- te buone ragioni oer far rimontare l'antichità del- la sua esistenza in Lucca al secolo ottavo, certo che anche senza la notizia dataci dal Villani e dal Ma- laspina , il monogramma che presenta la nostra mo- neta dovrebbe dirsi del primo Ottone, stimando egli che ai tempi posteriori appartengano quelli , che si veggono per qualche modo alterati. Volle con ciò mostrare , che alcune monete col volto santo po- teano riferirsi al primo vivente Ottone, perchè mo- strano il monogramma semplice e schietto , com* egli ne fé uso nei suoi diplomi. Ma se appoggio fosse questo tanto fermo , io noi so. Dubito forte- mente , che il monogramma si conservasse esatto sot- to tutti i quattro Ottoni : e mi sembra , che la mo- neta presente , la quale è del tempo anteriore al quarto Ottone , ma posteriore ai primi tre , ne dia argomento col presentare nella sua purità, il mo- nogramma. Anche le altre monete muratoriane ci- tate di sopra con Enrico , che in conseguenza son certamente posteriori al terzo Ottone, e forse al- cuna d'esse appresso al quarto , portano il mono- gramma similmente genuino. Chi potrebbe dir dun- que, senza scorta della storia , a quale dei tre Ot- toni auleriori a Corrado s'avesse d'attribuire il me- MisDActiE DI Lucca 333 nograraraa della nostra moneta ? Le alterazioni di questo monogramma , e dirò anche i travisamenti fattine, son cose, cred' io, del tempo posteriore al quarto Ottone ^ ed alcuni han tutta la sembianza d'un rizigogolo , che inclina al capriccio del cosi det- to genio gotico nascente. Sulle monete marchesali ^ e precisamente d^U^o marcliese, È una fatalità , che gli uomini di valore lun- gamente esercitati in una professione, prendan tanta fiducia sulla pratica formata in essa , che talvolta sdegnando il freno d'un attento esame sdrucciolano ani- mosi con equivoci ed insulhcienti motivi a concluder troppo , o a malamente escludere. Il eh. sig. proposto Muratori mi sembra, che ne dia un'esempio sulle mo- neto marchesali di Toscana. Era , ed è una questio- ne di fatto, se que' marchesi avessero o no una zec- ca di loro regalia. Era , ed è questione di diritto , se avessero o no facoltà di batter moneta. Egli ha con pregiudizio del vero trattato con poca pondera- zione si dell' una, come dell'altra; fissò l'inesistenza delle monete di tal sorte , e l'autorità venerata di lant' uomo passò in giudicato di moda letteraria , che sebbene indebolito di credito per qualche ecce-T^ zione che ha sofFerio in faccia all'evidenza, pur tut- tavia se ne parla ancora con riserva, lasciando ad es- so buona parte della tirannica sua influenza in dan- no della logica, che reclama i suoi diritti , ne'quali è giusto di liberamente riporla. Colpito dunque egli dal fatto di Carlo Magno , che proibì ai principi di Salerno e Benevento il coniar moneta , se non se 334 Letteratura col nome dell' imperatore , siccome pure dal vedere , cUe ili' imperatori soleano in Italia conceder le zcc- clie ( perciò leggendosi il loro nome sulla moneta , oltre il conservarsene ancora molti diplomi di con- cessione) , si lasciò tanto preoccupar lo spirito , die senza la debita considerazione alla dipendenza , die il diritto aver potea col fatto , volle col primo Ideci- dere del secondo , precipitosamente escludendo le mar- cliesali monete di Toscana. Dovca per altro ben li- flettere , se per la gelos'ia del sjio supremo domi- nio mostrata da Carlo Magno coi principi salerni- tiui , fosse per cpiesto obligo stretto d' aver per fermo che tutti i suoi successori con ciascuno n*aves- ser d'avere altrettanta. Al tutti» non si potea da'lali fattli storici desumer altro , che chi appose il suo nome sulle monete ne dovette aver quando che fos- se facoltà dagl' imperatori. Conveniva dunfjue , che il sipnor Muratori si riportas';e al fatto ; poiché cer- to questo solo potea decidere , se v'era luogo a sup, por privilegio per alcuno a coniar moneta , o se anche in onta dell'impero fossero state efìettivamen- te coniate. Non è questo un capriccioso sottilizzamen- to , ma una riflessione , che la storia suggerisce. Non è e» da riprodurre nel suo corpo di diplomi ? Ep- iim-e il S'g- Muratori ammette di detta inclita fa- miglia la "moneta d'Umberto III." colla data cer- ta di circa il iiP'8. Ammette la moneta di Mei- nardo conte del Tirolo sul cader del secolo XIII; ed andie questa senza nominarne ne produrne di- ploma. Egli fu dunque dal solo fatto persuaso, che sin nel secolo duodecimo esistessero zecche di con- Medaglie di Lucca 335 ti e marchesi in Italia : ne lia ricusato, come con- vieri dedurre , in vista di esso , supporre , ciie il diploma sia pur un tempo stato accordato senza riserva dell'imperiai nome. Non è egli vero, che i principi salernitani coniasser moneta anche contro la proibizione loro fatta da Carlo Magno ? Non erau dunque disusate le contravenzioni. Che se il solo esame del fatto venne ammesso dal signor Murato- ri , come giudice competente, anche senza conoscer- si di plorai pe' conti del Tirolo e pe' marchesi di Su- sa, e contro il divieto fatto pei principi salernitani , convenia pur eh' egli l'ammettesse anche pe'marclie- si di Toscana, non essendo vi maggior ragione di cominciar l'epoca di tali monete più da un fatto, che da uu altro. l'^ vedesi veramente, che detto eh. autore non era quieto di animo nel preso partito d'escluder le monete marche- sali di Toscana, tantoché negligentasse del tutto il consultare i fatti. Ma la tinta forte del sistema pre- maturamente fissatogli stava sugli occhi, e non sep- pe vedervi chiaro. Il non aver egli personalmente veduta moneta marchesale di tal sorte, quasi avesse il diritto esclusivo d'osservarle ; e similmente il non trovarsi diploma di concessione a quei marchesi, e l'ignorare dove alcuna esistesse di tali monete al suo tempo , quasiché le monete tante volte uniche scopei - te un tempo , soggette non fossero a smarrirsi non meno dti diplorai, sembra che fossero le prime idee che s' associassero immediatamente a quell' abbrac- ciato sistema per renderlo inflessibile. Eragli venuto sott'occhio , che Donizzone nella vita della conU^s- sa Matilde racconta , che Attone conte e proavo di essa, mosso da un miracolo fatto da sant'Apol- lonio , offrì in voto all'altare e deposito del suo san- to corpo decltnam monetie : espressione , che se- condo lui dovrebbe riferirsii alla moneta pubblica, G.A.T.XXXII. 32 330 Li;TTERATyRA 0 sia della zecca. Ma che perciò? Perchè trattasi d'un conte, qui per lui h un'arbitrio poetico di Do-» nizzone , e vuol che appelli semplicemente a pecu- vìa , che non vien per zecca. Ma chi non vede , che in questo modo la natura del voto , che sareb^ 3)6 stata ben determinata intendendosi di zecca, di^ vien vaga ed incircoscritta , appellando a moneta in genere, senza poterne formare giusta idea? Co- s'i sapea bene che quell'ottimo galantuomo del Por- cacchi attestato avea nella sua storia della casa Spi- jiola d'aver veduta moneta in cui attorno una te- sta era scritto Adalhertus Thuscce Marchio, Ma che concluse da ciò ? No 'l dice chiaro chiaro , ma nem- men tanto con enigma. Stabilisce , che il Porcac-» chi nella genealogia degli Spinola ha riportate tan- te falsità , che non merita fede alcuna : e cosi non ammette l'esistenza d'una tal moneta , che dava in testa alla sua fissata opinione. Si frnctus illahatur orbist impavidamf evieni mina;. Or questo non chia-' masi confondere il buon' uomo povero di critica col falsario privo d'onesta? Oh! buona davvero. Perchè il Porcacchi non avea buon naso per criticare, man-^ cavangli occhi in testa per vedere fisicamente gli Oggetti ? Va bene , che si rigetti T autorità di lui , quando asperge i suoi scritti del cattivo latte suc- chiato dalle croniche ad occhi chiusi; ma quando. asserisce di aver veduta una tal moneta , e moneta così fatta , se ciò gli si niega , gli s'accocca un' in- giuriosa mentita , senza sufficiente ragiono : il che certo fa poco onore alla logica ed educazione, cho certa grande avea il signor Muratori, difeso solo, dal suo auto non licuisse., e dal non trovarsene pri- vilegio. Non restavagli altro onesto partito , che mostrarlo ingannato da una falsa moneta. Ma su di quali fondamenti :» se U fatto da di accetta ad ogni Medaglie di Lucca. 337 presunzione, die nascer potesse dal diritto, ne ri- sulta dalla descrizione della moneta alcun'indiziodi falsità ? Ancora che per mala ipotesi fosse stata fal- sa , quando essa non esistea , quando più non po- tea incontrarsi , in mancanza d'altri fatti storici es- clusivi , la presunzione stava pel fatto : e giusto era credere al Porcacclii. Vider altri anche moneta di Bonifazio marchese , che non al Salico padre della contessa Matilde , ma al Ripuario cui successe Ra- niero avrà appartenuto, e se ne giudica dal Mura- tori e dal Fiorentini nelle memorie della contes- sa Matilde colla stessa mala critica: cioè per la so- la mancanza dei diplomi si rigettan fatti, che li fan supporre contro i preceti del buon ragionare. Oh che direbbe ora se vivesse il signor Muratori, e nel museo di Lucca vedesse due monete col nome d'Ugo marchese , ed altra nella galleria reale di Firenze colla data di Lucca capo del marchesato di Tosca- na? Le sue ragioni per rigettare le monete di Boni- fazio e d'Alberto son le medesime, per cui colla sua logica dovrebbero escludersi anche queste. Tu Ita vol- ta le monete d' Ugone trionfano in ragion di fatto incontrastabile sulle franche decisioni di quel peraltro insigne letterato. Il eh. signor cavalier Giulio Cor- derò S. Quintino (Ragionam. della zecca. Atti dell' accadera. luce. tom. i pag. 193 ) ha dottamente il- lustrate le due monete di Ugo marchese esistenti nel museo di Lucca: ed egli mc^lesimo indica l'esiste;!- za d'altra nella citata galleria di Firenze- E perchè in questo genere il fatto divien sempre più lumino- so ed autorevole quanto più vedesi moltiplicato in regioni diverse, ho voluto far nota l'altra pure d'ar- gento , che qui vien pubblicata ( fig. n.° 3 ) , e che conservo nella mia raccolta di monete. Essa è stata trovata nel nostro territorio tifernate, ed è come una 338 Letteratura relif|aia dell' antico corso che la moneta lucchese ebbe sulla nostia citta, poiché le pergamene del se- colo undecime specialmente non ci parlano che di quella moneta. Ora l'esistenza di tali marchesali mo- nete, che sciolgono in vapore ogni sospetto ed ogni presunzione contro l'esistenza della zecca propria de'marchesi di Toscana, qual fondamento solido ci ap- presta per creder vere le testimonianze oculari di coloro, che d'ottima fede ci attestarono d'aver avu- to in mano monete di Lucca anche coi nomi de'mar- chesi Adalberto e Bonifazio P Che anzi il citato eh. S. Quintino ha sagacemente nelle dette tre mo- nete data un'estensione al diritto de'marchesi d'aver zecca, accomunandola a più d'uno, col distinguere in quelle due diverdi LTgoni : uno cioè, che cono- sciamo fedele di Berengario in carta del 9G1 appresso il Muratori , e 1' altro posteriore, che fu cliiamalo Ugone il grande i dal che può diiittameute detlursi, che il coniar propria moneta non fu gik privilegio ristretto alla perso- na del secondo Ugon'% come di regio sangue, ma uso inveterato di tale rna}ch'ia. Con quanta giustezza poi detto chiarissimo autore abbia distinto due Ugo ni nelle accennate monete, può vedersi nel lodalo suo ragiona- mento. Siaiiii però lecito d'aggiungere a maggior luce dell' argomento, che se Ugoiie il grande ambi distin- guersi costantemente nei diplomi, o indicandoci d'es- ser egli di legge salica , 0 ripoitandoci il nome di suo pidre, potrebbe e.^^er questo urgente indizio, che altro Ugone l'avesse preceduto in quella marchia , col quale non volea restar confuso ; e come ordinariamen- te i soli imperatori in queil' epoca solean distinguere i medesimi nomi colla nota numerale ; cosi egli per ottener l'intento amò singolarizzarsi con altre insolite indicazioni. Ora s'egli eblie tanta gelosia di partico- larizzarsi nei diplomi , dove fìnalmenle la data dell' Medaglie di Llcca. 3^9 anno sostouula dalla sloria potea diminuir il pericola di restar confuso con altri , il clic pur avvenne per poca avvertenza, quanta più rie dovette avere sulle monete , dove non usava.si la data dell' anno ? Che pelò di fatto in una delle due monete lucchesi, ciie spetta ad Ugone il grande, v'è nominata la sua con- sorte Giuditta : quando nell' altre due, cioè una dei museo liicclìcse , l'altra della galleria fiorentina , v'è il solo nome d'Ugo 1 ;, con qualche variazione sul mo- iiDgramma , che lo sigìiifica : la quale unita ai sud- detto isolamento di nume, da Leu fondata ragione di credcilo un Ugone , dii cui amava distinguersi Ugo- ne il grande. A queste due è simile quella, che qui resta puhblicala: che però quest' ancora spelta all'Ugo- ne predecessore del grande. Anche il chiarissimo Co- simo dell' Arena ( Serie eo. parte i pag. i55 ediz. del Cocchini ) avea per verilk conosciuto doversi distin- guere ne'marchesi di Toscana due Ugoni, congettu- rando giudiziosamente essere il primo quello che di- cesi fedele di Berengario (Murat. Medii Aevi diss. J7): marchese certamente distinto dall' Ugone il grande , il quale nato nel qSS per attestato di san Pier Da- miano ( opusc. 57 ) non potea cosi per tempo far comparsa in dotto diploma. Ma il signor Muratori , sebbene l'un dall' altro distingua , si compiace di ri- lasciare al fedele di Berengario un diploma di mar- chese in partihus i^nofis; e giudicando il Dell'Are- na ingannato nelle sue congetture da certa narra- '/!oncella di san Pier Damiano , pronunzia, che siamo costretti a riconoscere un solo Ugo marchese di To- scana. L'avesse almeti per qualche modo dimostrato '. Vero è j che san Pier Damiano attesta , che ad Ober- to successe immediatamente Ugone il grande suo fi- glio, il che sembra escludere esserci slato altro Ugo- ne di mezzo (presso Dell' Arena pari. ;. pag. i53) 34o Letteratura ma con ciò può star benissimo quella tal narratliin' cala , che il signor Muratori non dice qual sia , e da cui il Dell' Arena secondo lui può aver de- dotta l'esistenza di due Ugoni. Di fatto si verifica esattamente la successione d'Ugone il grande ad Ober- to suo padre, perchè il fedele di Berengario fu mar- chese di Lucca dalla reraozione, o sua fuga sotto il regno di Berengario sino all'epoca del suo ritor- no nel primiero dominio. Che perciò al dominio d'Ober- to successe Ugone il grande , e non già a quello del primo Ugone , che fu preceduto , e poi nuova- mente seguito dal dominio d'Oberto. Per questo conto non v'era luogo a dare una rispettosa pre- sa di bonario a quel santo padre. Anzi rifletto, che un attestato di quel ritorno in dominio d'Oberto può riconoscersi nella gelosìa stessa , ch'ebbe Ugone il grande di non restar confuso con Ugone seniore : gelosia , che non ebbero altri principi , nelle cui monete convien ora divinare se al primo spettino , o ad altro del medesimo nome. Ugone il grande per onor del padre non volle, che riportandosi un tempo il suo governo all'epoca dell' altro Ugone potesse restar velata la gloria del ritorno di detto suo padre, e venisse confuso egli col fedele di Be- rengario , che doveva abborrire. §. 5.° Della fami glia ^ cui appartenne Ugo fedele di Berengario , e cui spetta la nostra moneta» Resta ora eh' io porti al grado di chiarezza le congetture del Dell' Arena, e del padre Soldani (hist. Passign. ) sulla famiglia d'Ugone fedele di Berenga- rio, e con [ciò rettifichi la genealogia del eh. avvo- Meoa.glie di Litccà. 34 1 Cato Coltellini ( Mem. pe'signori marchesi di Petrel- la ) fatta di detto Ugone, dove si concliiude , che la di lui famiglia è quella stessa degli odierni niai'* chesi del Monte, di Sorbello , e di Petrella, cui pei* conseguenza hanno appartenuto tali monete, che di luì abbiamo. Per verità il signor Coltellini ha ben con- dotta la linea retta petrelliana , a meno che uscì di strada per inserirci un Filippo nel 1 163 impegnato per oggetto di causa legale a sostener un falsissimo diploma del primo imperator Federigo, lasciando così anch' egli giusti motivi di creder problema non per ajiche Sciolto la derivazione retta e legittima de'mar- chesi suddetti dagli antichi marchesi di Toscana , d precisamente dal detto Ugone. Con questo diploma vadan pure in obblio perpetuo le solenni imposture diplomatiche di Carlo Magno, di Berengario, di Lo- dovico , e d'Enrico settimo , parto certamente d'im- postori, e specialmente del Ciccarelli da Bevagna^ In un*opera, che dovetti fare sui rapporti della chiaris-* sima famiglia di questi marchesi colla repubblica iti** fernafe, e che ritardata al committente ignaro di qUal peso restino lavori di tal fatta ho fralle mani senz'aver- ne avuta pii!i ricerca, potei riconoscer quei diplomi macchiati di brutti peccati storici , diplomatici, e ge- nealogici: peccati, che non han cancellato le insuffi- cienti difese del Soldani e del Coltellini. Partiamo da documenti certi , e lasciamo deliziarsi colle colorite bol- le di sapone chi ha il talento di pargoiegsfiare. Pub- blicò il Soldani ( Hist. Pass. tom. 5 pag. Sg ) una per- gamena dell'archivio dell'abbazìa di Passignano col- la data deiranno 973, nella quale p^idn comesfilio h. m* Ugonis , qui full marchio^ dona beni all'abbazìa di santa Maria di Petruvio ^ ora Petroja, dicendo, che Ugo pater meus . . . construi fecit in proprio fundo t e che detti beni sono posti in villa comita" 342 LeTTF, RATtJRA tìi castellana. Dell' abbazìa esiste tuli' ora nel ter^ ritovio di questa citta di Castello, non lungi dall'^ an- tiche signorie dei suddetti marchesi. Vido , che dice- si conte, o governatore d'alcun luogo, prende in fine aaclie il titolo di marchese. Forse morto Ugone fu egli che lo rimpiazzò sino al ritorno d'Oberto av- venuto nel 964. Certo è, che i titoli in quell' epoca non davansi a vuoto, ne qualificavano la famiglia, ma la persona che avea governo. Il eh. signor Muratori costruì una branca di mar- chesi (diss. 6) che non conobbe a qual famiglia spet- tassero: e l'erudito annotatore alla seconda parte sui marchesi di Toscana del Dell' Arena, non meno del eh. signor Coltellini ( Mem. Petrelliane) con altri do- cumenti concorsero a certificarla e renderla più com- pita ( vedasi in fine ) . Il signor Coltellini errò per altro in aggiunger Sofia del conte Bernardo ad En- rico fratello d'Uguccione, perchè da pergamena pub- blicata in Dell'Arena (tom. 2 fascic. 3 pag. 66) co- sta, ch'ella fu consorte d'Enrico tiglio d'Uguccione , e fratello di Raniero. Vi ho aggiunto Ugo altro fra- tello , perchè ciò apparisce da carta del 1079 pub- blicata dal eh. Muratori ( Excerpta arch. pisani med. aev. ) , cui usci di memoria nel formar quella branca. Ora che questa s'abbia da riunire con quella di Vido, o Guido conte e marchese, sopra riportata, il mo- strano due pergamene , una dell' abbazia di Monte Araìata del io56 prodotta dal Dell' Arena (parte 2 tomo a fascic. 3 pag. 5 ) • Ivi leggesi Rainerius mar' ch'io Jìglius b. m. JVidoni , qui fiat conies , che dona un suo terreno posto in Corneto alla detta abbazia. L'altra prodotta dal medesimo dell'anno io3i ( parte 2 tomo 2 fase. 3 pag. 4^ ) 7 '" ^^^ ^^ ^'^ terreno, che Vendesi, e che dicesi posto entro i li- mili della pieve di s. Martino nel contado d'Arez- McDAGtiE 01 Lucca 343 to , si assonna por uno dei confini il terreno Rai- nerìi fiUi JVidnni , qui fnit marchio. Intendasi di Raniero , clic fu marcliese non meno di Vidone , e che da pergamena ivi anteriormente prodotta spet- tante al to3a si conosce, che più non esisteva. Ivi pure dicasi Rainerii qui fnit marchio nell' indi- carlo confinante ad altii terreni sul contado d'Arez- zo. Il colp])re antiquario senator Carlo Strozzi cita- to dal Deli' Arena ( parte 2 tomo 2 fa^c. 3 pag. 9 io ) riferisca due pergamene dell' aliììazia di Passignano , in una delle quali del 1018 Raniero marchese be- nefica queir abbazìa per le anime di AValdrada sua moglie , e (PUgone che fa marchese. Neil' altra del IO 16 Ranieri marchese con Waldrada fa ad essa altra donazione per l'anima (FUgone che fu mar- chese. Torna appuntino , che il figlio di Vido suf- fraghi l'anima d:>ir avo. Coli' autorità di tali per- gamene concorrono la nobiltà di famiglia , ed esat- tamente l'epoca cronologica di Raniero marchese. Nel figlio di questo ricade il nome d'Ugo ne , col qua- le volle Raniero conservar la memoria dell' avo ; e Guido ed Uguccione in questa branca si ve^gon altre volte ripetuti. Inoltre la località d'alcune pos- sidenze di questa branca muratoriana e nella re- gione medesima , dove godean beni Ugone , e Vi- do suo figlio. Quindi pergamena del io84 ( Dell' Arena parte 2 tomo 3 fascic. 3 pag. 68 ) porta che Jdelngita comitissa fìlia quondam /ilberti co- mitis , et modo conjux Ugovis filii h. m. Hen. rici Ugo vir ejus similiter ^ et . . ... ffen- ricus fglius suprascripti Henrici garantiscono alla ca- nonica di s. Donato d'Arezzo il castello di Poli- ciano di quel territorio , non riserbandosi altra usan- za di profitto, che quella godutavi da Ugone mar- chese di loro ai'o prima che l'occupasse. Uguccio- 344 L E T T E K A T U n A ne marchese figlio del secondo Raniero viene Ivi indicato avo, o in senso d*antenato , o in riguar- do d' Adelagila , di cui veramente era avo uteri- no, come figlia di Sofìa vedova di Enrico , ricon- giuntasi poi al conte Alberto , come si ha dalla ci- tata carta del 10^9. Dee ben rimarcarsi , che quest' atto rogasi in comitacit castellano , et carte Jio" stra de Colle. I marchesi perciò della branca rau- ratoriana erano i signori del castello di Colle nel territorio tifernate , e posto non lungi dall' abba- zia di santa maria di Petroja. Non sembra questa possidenza in pieno rapporto colla fondazione dell abbazia fatta da Ugone fedele di Berengario in proprio fwido , e beneficata da Vido suo figlio coi beni posti in quella contrada ? Fu già pubblicato dal padre Soldani ( Hist. Pass, tomo 5 pag. 79 ) il testamento d'Enrico avente la data del 1098- In esso dispone dei castelli di Pierle , di Lisciano i posti non lungi da Sorbello, e di altri castelli posti nel confinante territorio aretino, ed in altri luoghi di Toscana. Lisciano e Pierle con Sorbello formano un seguito d'adjacenze al dì la dell' abbazìa di Pe- troja. Lascia di piìi a quest' abbazia molti beni po- sti in vicinanza del suo castello di Colle , il qua- le è pivi d'appresso alla medesima. Ed ecco nuove teneficienze , che per la località e destinazione an- nunziano i discendenti d'Ugone marchese, e di Vi- do suo figlio. A fronte solo di tutte queste con- sonanze di nomi , di g^rado , di cronologia, di pos- sidenze chi può pii!i ragionevolmente dubitare , che il fedele di Berengario non debba stare in capo alla branca formata «dal signor Muratori ? Colla mag- giore evidenza verrà ora ricongiunta la famiglia de'no- stri marchesi del Monte , Sorbello , e Petrella alla ridetta branca muratoriana. Leggonsi negli annali Monete di Lucca. 345 camaldolesi ( tomo 3 nell' appendice ) due pergame- ne, una del iro4, dove Rainerius marchio cum uxo~ re sua Trotta investe il prior di Camaldoli di certi beni d'un Bernardino di Sidonia , eccetto l'uso ch'aves- ser sulla rocca di Vezzano , ed i terreni di Bihhiana e TeverinU' Son questi due vigenti vocaboli di vil- le del nostro territorio tifernate, la prima delle qua- li è d'appresso alle antiche signorie de'nostri marche- si. L'altra pergamena dello stesso anno, in cui Rai- nerius fdius Rainerii marcJiionis , et Trotta jugalis ratificano solennemente quanto era stato fissato nel so- pradetto ricordo , il quale fu rogato m Castro Feli- citatis in loco Pitiliano. Questo Pitigliano è nome d'un già castello, e capo d'una villa dello stesso no- me circa quattro miglia distante da questa citta; che perciò vedesi qui uno dei tanti documenti, che pro- vano esser questa il Castrum Felicitatis dei longo- bardi patria di Celestino secondo. Si noti bene in det- te pergamene quel nome di Trotta moglie di Ranie- ro del fu marchese Raniero , cioè consorte del terzo Raniero della branca muratoriana. Veniamo adesso a conoscerne i figli , che sono la guida per entrar sicu- ri nella genealogìa de'viventi marchesi. In pergamena del 1 1 17 ( Annali Camald. tomo 3 append. ) si dice che Rainerius fllius Rainerii marchionis cimi Uguccione filio offre al priore de' ss. Savino e Gerardo un ter- reno. Non v'è da scambiare in tempo che il titolo di marchese era ben raro. Ci si parla d'un Uguccione fi- glio del terzo Raniero, e però figlio di Trotta. Qui per collegare a questa branca del signor Muratori quel- la de'viventi marchesi resterebbe sempre problematico , come per lo innanzi , l'attacco col semplice nome d'Uguccione. Ma io trovo pergamena troppo dettagliata per riconoscer senza fallo in essa di queste branche la perfetta unione, È dunque da sapere, che nel protocollo 346 Letteratura pergameiio piimo della nostra canonica castellana , «.love autenticamente son gì' istrunienti ridotti in for- ma breve coUci sola sostanza dell' inteiesse cui ri- guardano (pag. 1 1), si fa memoria sotto Tanno i ii4» che Runucius inj'antulas marchio a un Trotta ma- ire , et Guido et Uguccio fratres rifiutano certi Leni posti nel territorio castellano alla canonica , di cui eran livello. Ecco dunque , che di sopra v'è chia- ramente Uguccione di Raniero ; qui v' è anche Uguc- cione di Trotta , che, come si è veduto , .era consor- te di Raniero. Vi si parla adunque dei figli del ter- zo Raniero della branca muratoriana , cioè cV Uguc- cioiie , di Guido , e d'un quarto Raniero , che per esser piccolo comparisce colla madre , e col nome contratto quasi diminutivo di Rancrucius. Di Man- fredi cardinale , che secondo il eh. Coltellini era fi- glio di Ranieri terzo , è meglio lasciare tutto il pen- siero a quel defonto signor avvocato. Torna in cam- po detto Uguccione in pergamena del 1139 tratta dall' abazia di Ripoli dall' annotatore del Dell' Are- na (nel luogo citato pag' 79)» àoY& comitissa Ma- ria filia q. Garnerii mine .... conjiix U^icio?iis Jilii etc. Rainerii marchionis vende al monastero di Fonte Benedetta sull' aretino, con consenso del con- sorte e decreto di giudice, un castello posto in Prejo, oggi Preggio, con gli annessi terreni per utile dell' abbazia della santissima Trinità , didiiarando però, che tal rendita stia solo in ragion di pegno per si- curezza di conservar negli abati il governo della chiesa suddetta. Uguccione era tra i più nel novem- bre del iiG3, poichfe nel diploma di Federigo se- condo , che originale colla bolla intatto conservasi nella canonica castellana , a questa raccomandasi , e di poi marchioiiibus Guidoni , et fdiis q. Uguc- cionis marchionis il vescovo Corbello da lui intru- Mkdaglie di Lucca 347 so nella cliiesa castellana. Detto marchese Guido era figlio doir altro Guido del iii/{ nominato di sopra. Tutti e due compariscono viventi nell'agosto ii63 in atto di Rinaldo eletto coloniense, legato nella Tosca- na, (jubblicato dal signor Muratori (Diss. 5o) tratto dall' archivio de' conti Bichi di Siena. Ma il seiiio- re era ito a far società col defonto Uguccione nel settembre appresso , come si ha dal diploma , che detto legato rilasciò all' abba/.ia di San Sepolcro , che tratto da un codice della Laurenziana pubbli- cò il Dell' Arena (parte 2 tomo 3.° fascic 4-^ P^g- '9)' Di Raniero, il minor dei tre suddetti fratelli, si fa menzione al 1174 ^^ '"i diploma di conferma d'alcu- ni possediìnetiti a favor dei camaldoli di Pernoria dato da Cristiano arcivescovo di Ma^oiiza legato di Toscana , pubblicato dal Dell' Arena (parte a tomo 3.** fascic. S° pag. 91) dove si ordina , che in avvenire R'.iifìerias marcìUo non inquieti gli uomini d'An- gliiari , e non in swtm itsiim vloleiiter audeat revo^ cin^ : Q si comanda ai consoli aretini , di citta di Castello , e di San Sepolcro di garantire ai camal- dolesi detti beni posti ne loro contadi , tra i quali si n(»minau que' beni provenienti da Bernardino di Sidonia loro ceduti da Raniero terzo e da Trotta. L'annotatore del Dell' Arena (parte 2 tomo a." fa- scic. 3.'^ pag. 35.) ignaro dell' addotto istrumento dell' anno \\\!\ credette, che Raniero del 1174 fosse un giovanotto quarto di tal nome , e il fece figlio d'Ugo- ne , che n'era il fratello , ed ambi figli del terzo Ra- niero. Volea entrare in casa del Monte , e subito ne sbagliò la porta. Si noti ora , che Raniero quarto anche fanciullo nel \\\t\ dicesi marchesa , sebben vi- vesse il padre , come può rilevarsi dall' addotta per- giimena dell' anno i i 1^. Ciò fa dedurre , che la mar- cìna fosse slata consolidala iieila famiglia, e resa di- 34u Letterat uka scendentale probabilmente sin da Uguccione. Certo è che questi ed i Ranieri secondo e terzo trovansi sem- pre col titolo di marchesi. Certo ancora che i diver- si documenti, che di quelli abbiamo, ce li danno re- sidenti o nei contorni d'Arezzo , o di citta di Ca- stello. Convien dunque dedurre che in queste vici- nanze avesser una o più marcine minori; giacche non ha dubbio che la marchia grande di Toscana fosse a loro tempo governata da a^ltri marchesi. I due fra- telli ma"«iori non diconsi ivi marchesi ^ ma in tale memoria , comecché abbreviata in pochi versi, potè intitolarsi marchese il minore , come primo nomina- to ; perchè tali si credessero anche i maggiori- Cer- to è che Guido ed Uguccione diconsi anch' essi marchesi negli accennati diplomi della canonica ca- stellana , e di Rinaldo eletta di Colonia. Che se rUguccione marchese , giusta il falso diploma di Fe- derigo secondo, ancor vivente nel marzo del 1162 era certamente figlio del terzo Raniero , che ha che fare in quest' arbore quel fungo di Filippo padre d'Uguccione marchese spuntato in detto diploma , senza che poi ne il padie Soldani , né il Coltellini difensori di questa carta pseudo-diplomatica , abbian mai potuto dimostrare chi fosse il signor padre di Filippo? L'intrusione di costui è piiì che patente. A questi due fratelli Raniero quarto ed Uguccio- ne marchesi conducono mano a mano indeclinabilmen- te i documenti dei lodati viventi marchesi, parte pub- blicati , e gran parte esistenti nei nostri pubblici archivi . Abbiamo dal diploma di Federigo primo del 1167 pubblicato dal eh. Muratori (Diss. G), col quale la marchia del fu Guidone marchese si rende discendentale in Enrico marchese , ed esso mancando senza figli, come avvenne, in Ugolino marchese suo frar tello. Dello Enrico nasce dal nominalo Uguccione. Così Medaglie di Lucca 349 neir atto di Rinaldo legato di Toscana, ed esistente ueir archivio bicliiano sopracitato. Questi due fratel- li Enrico ed Ugolino marchesi ci compariscono iii un' atto di proteggimento da essi accordato all'ab- bazia di Pctroja nel nG6 pubblicato dal padre Soldani (Hist. Pass. tom. i° pag. Gì ) prometten- do beneficarla majoriini nostrorum moreni sequen- tes. Non vediamo qui alludersi alla fondazione fat- tane da Ugone fedele di Berengario , ed alle bene- ficenze di Vido suo figlio, e di Enrico d'Ugone , che qui dichiarano col nome generico di maggiori ed antenati ? Non è qui luogo d'altro dettaglio ge- nealogico del detto Ugolino d'Uguccione. Basta te- ner per fermo, che coi più accertati documenti di questi archivi! , e degl i atti consiliari si dimostra esser disceso da lui Rigone il seniore, e Corrado, dal quale nacque Guido, che fu padre d'Oddone. A quest'ultimo toccato il governo del castel di Colle ch'esistea nel 1 267 , avvenne la disgrazia di vederlo distruggere avanti il 1270 dai ghibellini tifernati , espulsi di citta dai guelfi ; e nel 1276 ne vendet- te il rottame ai tifernati , che è il colle a S. Cri- stoforo , detto Collevecchio , perchè non molto lun- gi altro nuovo castello costruirono i marchesi nel colle S. Biagio , ch'ebber dai tifernati in capita- uanza con riserve dei comunali diritti. Convien qui ricordare che appunto i marchesi della branca muratoriana erano i signori del eastel di Colle po- sto nel territorio castellano . Da quel Rigone poi un altro discese dello stesso nome, che fu padre di Raniero , da cui venner rettamente i viventi mar- chesi di Petrella. Dal medesimo Rigone similmente disceser Ugolino e Guidarello. D' Ugolino fu figlio Rigone , di cui i discendenti estinti in casa Vitelli si disser marchesi di Petriolo. Similmente d'Ugolino 35o Letteratura. suddetto nacque Mira marchese. Poiché non fu già ll;^lio di Gaidarello , come annunzia il falso diploma del settimo Enrico , che con antidiplomatico costume nomina gli antenati di Ghino marchese per sino all' avo (vedasi la memoria petrelliana del Coltellini). Non lancia luogo a dnbitarne un atto consiliare del i353 (annali coraunit. pag. 33;, in cui fu bandita una taglia (Bris et persouiv contro diversi ribelli, e tra questi contro i discendenti e Mira (ìoiiiini Ugoli- ni, ch'avean ribellati i loro castelli di Colle e Ci- vitella. L'atto era troppo geloso per supporvi erra- ta r indicazione, ed era fatto avanti un consiglio , dove i vecchi poleano aver conosciuto Mira mar- chese. È da compitir però rimpasLore del detto di- ploma; perchè di Mira rarissime son le menzioni col nome di suo padre, e cos\ avventurò la discendenza in Gaidarello. Ma sciagurato Edipo urtò nel falso. Il Soldani (liist. Pass, parte [ lib. 3 pag. 87) il dice diretto a Pvigone d' Ugolino , ed a Ghino del fu Rigone. Anche così è infetto di falsa genealogia, poiché detto Ghino era figlio di Mira per molti documenti , che ne fan certissima fede. Da Mira dun- que nacque Ghino contrazione d'Ugolino, il quale ebbe U "'uccio ne , che fu padre di Guido. A questi co'licfli come ribelli toccò di lasciar la testa nel fo- ro tifernata , avendo ripreso la repubblica il castel- lo di Civitella , che distrusse : e con ciò si estinse il ramo di questi marchesi detti di Civitella. Qui ora è da sapere , che Uguccioue padre dell'infelice Gui- do nel 1370 cercò ed ottenne dal cardinal Pietro, legato in Italia d'Urbano quinto , un diploma , dì cui in gra!i p'^rgaraena esiste copia di quel tempo in comnnita: dove tra tante cose vuole che gli sia conservato Pjtruautus ahbatita de Patrojo dicecesis civitaiis Castelli^ si et in quantum ab antiquo est Medaglik di Lucca 35 i consitetum. Questo diritto, com'è naturale, suggeri- to da Ugoue noa corrisponde canonicamente alla fondazione fattane dal fedele di Berengario marche- se Ugone suo antenato? Le medesime conseguenze fan dedurre 1 pos- sedimenti e diritti dei discendenti del quarto Ra- niero , che vedemmo al 1 1 14 e ii']l\- Si conosce dalla comandigia , che fecero nel laoa a Perugia pubblicata dal padre Soldaui (Flist. Pass, tomo i." pag. 94)» che Ugucio et Guido marchiones filli quondam Rainerii marchionis sottomettono a detti citta i castelli da essi tenuti nel perugino, cioè Mon- te Gualdo ( abbreviatura , che sembra dover riguar- dare IMonte Galandro) Castel nuovo, Pierle^ Lucia- no (dovea leggersi Lisciano, come dicesi nel testa- mento d'Enrico del 1098 di sopra portato), e Tl- sciatio lìesco (oggi Reschi). Enrico della branca mu- ratoriana era per appunto il signore di Pie/le e Lisciano. Da detto Uguccione altro ne discese, cui toccò il governo di Valliana presso le chiane, e da esso un Guido padre di altro Guido coU'indicazio- ne di marchesi di Valliana. Dal medesimo Uguccio- ne poi di Raniero quarto, che in carta del i3io(Protoc. pergamen. d' atti vescov. pag. 8a ) ci fa sapere un nuo- vo suo governo di Monte Migiano posto tra Civitella e Monte Castelli , intitolandosene marchese , nacque un Raniero anch' egli da Monte Migiano , che com- parisce in carta del 1226 (Protoc. primo atti vescov. pag. Sa). Da questo venne Guido marchese, il primo del- la famiglia che nel i25o occupasse alla morte di Fe- derigo secondo il castello e curia del monte s. Ma- ria, una delle regalie a se riserbate da detto impera- tore e suo padre nel territorio tifernate sui diplo- mi , con cui dichiararono citta imperiale citta di Ca- stello , lasciando a (|uesta uu solo raggio di tre rai- G.A.T.XXXIL 23 35:? L K T T E li A T V n A glia per ogni direzione da dotte regalie aftatto esente, K già noto, die qiiesti imperatori svevi usurparono buona parte degli stati papali. L'occupazione del mon- te s. Maria seguita per dedizione spontanea di quel popolo fatta a Guido marchese nel momento di con- fusione, in cui vi crollava il governo dell' usurpator Federigo secondo , costa legalmente da un solenne pro- cesso in pergamena fatto in quel secolo medesimo tra gli alti vescovili esistente a protocollo. Dopo la qua- le dedizione spontanea la famiglia Bourbon del Mon- te ne continuò il dominio fino ai a4 agosto i8i5, epoca iu cui atteso l'articolo loo d(,'l congrosso di Vien- na fu riunito al granducato di Toscana. E perclic for- s<^ al tempo dei Giccarelli rimanea viva la tradizione presso dei vecchi tifernali , del come circa soli due ^j^)io l"impv9s.;à del i3,^G falU per cacciave i ùjj Mi:daglie di Lucca Tarlali da cittk di Castello fu tutta opera d' Ugolino e fratelli marchesi del monte s. Maria, chechè si di- cano gli autori che parlano di questo avvenimento, co- me si ha incontrastabilmente dai pubblici annali del comune. Il Villani tuttavia dice , che i marchesi di Valliana partironsi dal monte s. Maria per detta im- presa. Da detto Guido discese un secondo dello stes- so nome, e da questo un terzo. Questi due vivi si tro- vano al 1 328. Fratello di detto terzo Guido fu Ugo- lino padre di Guido di Taddeo , di Ranieri , e di Gia- como : dal quale discesser due fratelli, Lodovico capo della branca di Sorbello , e Gerbone capo di tutte le branche degli attuali marchesi del monte s. Maria. Quel marchese Giacopo ed i suoi tre fratelli, per compor- si nel governo dei loro aviti castelli ed antichi di- ritti, vennero ad una concordia, o patto di famiglia pubblicato dal padre Soldani (Ilist. Pass. part. i pag. Gì) spettante all'anno i3G4, dove tra le altre cose con- vengono , che restino a tutti loro comuni i patronati delle due abbazie di Marzano ( esistente nel mar- chesato del Monte ) , e di s. Maria ili Petroja. Ec- co dunque anche i marchesi del Monte e di Sor- bello per sino nel decimoquarto secolo patroni dell' abbazìa fondata dal fedele di Berengario. Che pii!i i' Se la ricorrenza de'nomi , del grado, delle possidenze, dei diritti uniti ad una corrispondente cronologia non servono a dimostrare sicurissimi gli attaccìii di queste tre branche ugoniana , rauratoriana, e de' vi- venti marchesi del Monte, di Sorbello, e di Pe- trelle , oltre il richiamo genealogico , .che fanno i nomi d'un istrumento delle filiazioni indicate ncH' al- tro con una non mai interrotta successione , si do- manda qual' altra dimostrazione possa aspettarsi in fatto di genealogie .'' Sintantoché altra non se ne ad- diti sarà lecito aver per dimostrato , che la farai- 23* 354 L E r T E R A T U R A glia dell' tigone marchese di Toscana fedele di Be- rengario è la medesima dei presenti signori marchesi soprallodati , e che però le monete, che di lui ab- biamo sin' ora al numero di tre, sono un monumen- to d' onore per essi . Che se a taluno spiacesse di veder tolto alle loro famiglie il pregio di più al- te origini , rifletta , che per un lato ho quelle esen- tate dalla critica ammirazione dei letterati di buon senno , che proscriveranno sempre , come sconciatu- ra diplomatica , i privilegi che le autorizzano ; e per Taltro debbe chiamarsi contento , cli'abbia dimostra- to doversi loro il pregio reale d'aver battuta mo- neta , come marchesi di Toscana primarj e poten- ti signori deli' impero sin nel decimo secolo, ed aver essi date alla storia diplomatica le prime memorie di marchia rosa disceudentale in Raniero quarto al iii4i e senza dubbio il primo diploma di tal concessio- ne in Enrico del 11G7, ^"^ quale il chiarissimo Mu- ratori fece lo stesso rilievo. Mi sapra grado se non altro , che abbia segnate le vere tracce genealogi- che di questa celebre famiglia , nella cui genea- logia si sono stranamente confusi il Sacchi autore del 1613 , di cui è il grand' albero stampato , il eh. avv. Coltellini , e tutti quelli che si sono messi nel difficile cimento di condurla : cosicché han resa schiava dell' opinione varia dei letterati la sua vera origine , che non avrebbe avuto contrasti , se scevre d'adulazione , ed assistite dalla critica le ope- re loro avessero trattate. Pf dei documenti >) ndenza. BK.NCA ^OONIAICA,^;;^^^^"^o^jj j^j^^^y^ ^• u Dalai Peti' oja Guido i4i6. :apitato co' figli ribelli della città le riprese Civilelìa , e la diroccò. Prospetto delle tre branche di marchesi con alcune date dei documeiiti, che giustificano i loro titoli e genealogica discendenza. i UOONIAIfiL JQs 961. Ugo 972. gii * Marchese, e Fedele di Berengario fondatore e patrono dell'Abbazia di Petroja 972. Guido 1016. gii ^ Àlarcliesc , e Conte benefica l'Abbazia di l'elroja. )l8. ioaj. Io3o. già fSf Alberto Conte Ugo io4;. oi( 10/16 Usiccione io5l. 1 oSfl. gii* Marchese e Onca. Signore del Castelfo Pollciano ota Enrico lOIO "ia* Uro. mi'). 'Raniero I060. to«4. con-SoGa de Co..t°e Marchi-se. Gi.illa sua Consorte Bernardo. Signor di Colle S. Salvino nell'Aretino. 1084. Adelagita cuti Ugoue d'Enne Marilicse. Trotta sua Consorte 1084. Ugoiic io«4. '''"'■"^'' con Adcl.ieil.i del Conte Alberto e di Solia T?dova d'Enrico. Signore di Colle e del Castello Poli leiano. 1087. Enrico looR. Signore di Picrle , Lisciano , e CoUc l'i'atcllod' — di Trotta marchese tiatello d'un Ugoccionc figli l 1,14. iiij. Upuceione riag. 1163* ,rcì,ci. Ora intorno al medesimo una mia opinione manifestare vi voglio, die spero non troverete del tutto sragio- nata ; cioè andar io persuaso che ricevuta Raffael- le in Perugia la commissione di dipingere questa tavoletta, e della medesima additatogli il sesto, Pie- tro stesso l'enunciato tempietto, a similitudine del da esso dipinto , gli architettasse , e di prospettiva tirasse: giacche questi era non men valoroso in ar- chitettura, di quello il fosse in prospettiva; come dalle di lui opere si conosce , e l'attesta il novel- lo autore nella di lui vita citala nell' antecedente mia alla pag. 5i, il quale anzi di più vuole, seb- Len senza appoggio, ch'egli in Perugia eziandio ne aprisse pubblica accademia. Quello che a cosi opinare m'invita si è primie- ramente il Bottari, mentre esclude che Raffaelle all' anno i5o4, epoca della sua tavoletta, potesse in Firenze insegnare l'architettura al Frate, ossia a fra Bartolomeo da s. Marco: dicendo , non risul tare in alcun modo ch'egli stesso l'avesse prima di questo tempo da chiccliesia apparata {Nota penultf alla t'/- ta di fra Bartolommeo nel Vas, citai, ediz. tom, 5 pag. i83). Secondariamente vie più mi forza il Va- sari , il quale direttamente mi dice che RafFaelle , ito gik a Roma, l'apprendesse da Bramante suo pa- rente , il quale diresselo in tutte quelle fabbriche occorrenti nelle storie del Vaticano , e le medesime di prospettiva tirogli ( Vasar. vita di Bram. tom. 5 det^' taediz' pag. lig)' Onde se Raffaelle in Roma, ove Belli- Arti 3Ci al dir del Lanzi si condusse nel i5oS, oLLe si fat- tamente bisogno di essere diretto ed ajutato ; mol- to più egli avere il dovette in Perugia , piìi gio- vane e meno esperto , nel si magistralmente con- durre il suo tempietto. Finalmente a ciò più age- volmente credere mi conforta eziandio il vedere , die appunto nel corso dell' anno i5o4 in Perugia si ri- dusse non solo Pietro , che di quel tenipo non era ancor ripatriato , come rilevasi dal detto autore della di Ini vita nella nota pag. 80 ; ma eziandio Raffaelle che già da molto tempo ne mancava , e trattenevasi in Siena per lo motivo die ora dirò. Che poi nell'anno predetto e l'uno e l'altro cosi vi si restituisse , ad evidenza il prova il bellissimo af- fresco della visita de' re magi che Pietro recossi a dipingere all'in oggi citta della Pieve nella chiesa di s. Maria de' Bianchi , nel quale chiara si rav- visa la mano di Raffaelle , e la data del detto an- no 1 5o4 ( Proeni. alla vit. di Raffaello , Vasar. ci- tai, ediz. tom. 5 pag. 228). Laonde tutte queste ragioni m'inducono, per non dir mi forzano, a cre- dere che Pietro stesso disegnasse e di prospettiva ti- rasse il noto tempietto. Ma questa mia conclusione va del tutto a sva- nire , quando il Lanzi , opponendosi alla di sopra allegata opinione del Bottari ed alla stessa auto- rità del Vasari , non sa dubitare, che Raffaelle all'an- no i5o4, anzi dal primo momento ch'egli usci dal- la scuola del perugino , assai bene non sapesse la prospettiva. Egli era uscito dalla scuola del pe- rugino ( ei dice ) che su tale scienza era versatis- simo ; e ne aveva dato buon saggio a Siena , ove stette prima di venire a Firenze ( Stor. piti, citat. edizione rom. pag. i34 nella nota ) . Ma con buo- na pace del Lanzi , io non so recedere dall' espo- 362 I3elli5-Abti sto mio parere, primieramente percliè se il maestro era versatissimo nella prospettiva non ne siogue al certo che eziandio essere il dovesse il discepolp : secondariamente perchè dal Lanzi stesso non ar- reca alcuna convincente e sicura ragione, che tut- to ciò che vedesi si bene di prospettiva condotto nelle dipinture di Siena ( che quelle sono che an- cora freschissime si ammirano in quella famosa li- breria ) , sia slato eseguito da Raflaelle piuttosto che dal Piuturicchio , cui tutta quel!' opera gran- diosa fu dal cardinale Francesco Piccolomini uni- camente alfidata. Che anzi egli è assai più pro- babile e verisimile che le prospettive eseguite fos- sero dal Pinturicchio , che da RalFaelle ; giacche questi alla scuola del perugino non potè stare che il brevissimo spazio di cinque o sei anni al più ; perchè egli essendo appena nell' età di anni undici fuvvi da Giovanni suo padre condotto non prima dell' anno 149^ circa, nel quale soltanto Pietro da Roma restituissi in Perugia per morte di Sisto IV ed Inno- cenzo Vili a' cui servigi egli si stava ; e ne dovet- te poi partire, ed abbandonare il maestro nel j499» o al più nel i5oo , in cui questi partissi per Firen- ze ( Cit. aut. della vita di Pietro pag. 869). Onde non rendesi si facilmente probabile che RafFaelle bensì di vastissimo genio fornito , ma non per altro nato con la scienza infusa, in si corto tempo e il di- segnare e il dipingere non solo apparasse, ma ezian- dio cotanto profondamente V architettura e la pro- spettiva. Non cosi per altro può dirsi del Pinturicchio , il quale all'incontro potè assai più lungamente trat- tenersi alla scuola di Pietro , e resosi egli stesso maestro, lavorò per molto tempo in società col medesi- mo tirando il terzo di tutto il guadagno , che si Belle-Arti 363 J'dceva ( frasai', f-^it. del Pintur. ). Che però esso po- tè assai meglio che Ralfaelle, ed a suo beli' agio ap- prendere e r architettura e la prospettiva. Allorché egli ebbe in Siena a dipingere l'anzidetta libreria, avea già in Roma fatto opere di riguardo specialmente pel cardinale Domenico della Rovere , per Sciar- pa Colonna, per AUessandro VI: e nel 1480, quando RafTaelle non era che di pochi mesi nato, operò per In- nocenzo Vili nelle sale e loggie di Belvedere, ove una principalmente ne dipinse tutta di paesi ^ ritraen- dovi Roma^ Milano ì Genova^ Firenzi , e Napoli al- la maniera de Jiamminghi che , come cosa insino allo/a non più usata, piacque assai ( Vas. Vit. del Pintur.). Ma egli non potè al certo dipinture si latte eseguire in modo da piacere., senza essere assai ben fondato e nell' architettura e nella prospettiva: sen- za che il di lui sapere e nell' una e nell' altra di quest' arti esser possa in alcun modo depresso dalla sto- ria di s. Caterina ch'egli dipinse nelle stanze di Al- lessandro VI , ove figurò di riliei'O gli archi di Roma {l^as. Pit. del Pintur.)'. giacche in questa, che il Vasari stesso meritamente chiama ir- tìl di Raffaello venire con finezza assottigliando e passando la maniera di Pietro. Cosi l'Anonimo Go- raoUiano , allorché asserì che nello sposalizio Raf- faello supero il fare di maestro Pietro ; cosi Iaco- po Barri , allorché nel suo telaggio pittorico l'ap- pellò tavola maravigliosa ; cosi il Baldinùcci nella di lui vita nel misuratamente appellarla di alquan- to miglior maniera e gusto del maestro ; così final- mente il cav. Luigi Bossi , allorché nella sua Guida di Milano del 1818 attesta, che in essa Raffàelle erasi allontanato dalla povertà e secchezza d'al- lora. Dissi questa tavoletta essere stata da Raìiaelle ese^fuita dopo la di lui prima gita a Firenze : e per tale al certo la dimostra quel già avvertito inu- sitato morbido con cui ella è dipinta, e che non acquistò prima eh' egli nella predetta citta 1' opere vedesse del Massaccio , del Vinci , e specialmente del Frate, f^ednto (dice il Baltlinucci) il modo del colo- rire del Frate , in un subito crebbe in lui tanto di Belle-Arti SG^ perfezione nel colorito^ quanto ognun sa ( Ediz-Jio- lent. del ij68 tom. ^ pag. iSa). Ma vie più il pro- va la data del i5o4 in cui fu la medesima dipinta, da che il Vasari ci fa nella di lui vita sapere, ch'egli eccitato dalle ben note gare fra il Vinci ed il Buo- narroti, in fretta vi si recasse da Siena , ove, come dissi , in ajuto trovavasi del Pinturicchio a dipi* gnere pel cardinale Francesco Pie colomini ciuci- la famosa libreria , eh' egli è lo stesso che dire nel [5o3 in questa stavasi appunto dipingendo; co- me apparisce dal testamento del nominato cardina-- le , riportato dal padre della Valle ( Proemio alla vita di Raffiielle nel Vas. ediz. san. tom. V p. 229). Veramente il Lanzi opina che questa di lui gita più tosto accadesse nei i5o4, appoggiato ad una nota del Bottari, il quale dice di ravvisare non solo il disegno^ ma in molte teste anche il co- lore di Raffaclle iu quella storia che esprime la coronazione in pontehce dell'anzidetto cardinal Picco- lomini. E siccome la coronazione di questo ponte- fice non ebbe luogo che verso la fine del detto an- no i5o3 , vale a dire agli otto di ottobre , così sembra che Raffaelle non tanto a disegnarla o in parte o in tutto , quanto a dipingervi sopra , più lungamente in Siena trattener si dovesse; e quindi a Firenze recar non si potesse prima dell' anno i5o4 (Stor. pit. luog. sopracit. pag 383 ) . Ma io stimo ch(; a troppo debole ed equivoco fondamento ap- poggisi il Lanzi ; giacche il Pinturicchio profittan- do della giornaliera compagnia e degli ammaestramen- ti di RafTaelle , sotto i cui occhi egli operava , ben talvolta potè al di lui disegno e colorito accostarsi in modo , da muoverne dubbiezza. Di fatto il I^an- zi stesso parlando del detto Pinturicchio attesta, che essendo stato familiarissinio di Raffaello con cui a G.A.T.XXXII. 34 363 B E L L K - x\ R T 1 Siena dipinse,, ne ha in qualche figura emulata la grazia , come nella tavola di s. Lorenzo a france- scani di Spello , of'è un piccol Battista creduto da alcuni di Rdjfaello stesso ( Citat. ediz. e toih. p. 30G )• Non ista dunque in buona critica , che per sninpre dubbiosa congettura debbasi recedefe dal Va.^arì , che al detto anno f5o3 con tutta precisiórie riferisce la controversa prima gita di RafTaelIe a Firenz'-. Se a me dunque fosse permesso , tre cose direi essere evidentissime intorno à si fatta! gita: pfiniie- ramente, che la medesima succedesse verso la fine dell' anno i5o3: e ciò, come ora dissi, risulta dal citato Vasari , da cui ripeto ìion è lecito si facil- mente discostarsi. Socandarianionte, che egli in Firen- ze si trattenesse gti ultimi due o tre mesi dell' an- no anzidetto , e, se si Vuole, eziandio qualche altro mese del seguente anno t5o4 : e che nel corso di questo , restituitosi in Perugini , non solo ajutasse Pietro nel beli' affresco de' re magi della citta della Pieve, di cui abbiam già parlato , ma eziandio di- pingesse la nostra tavoletta dello sposalizio della Madonna, tanto più che non gli dovette questa gran fatica costare , servitosi dell' invenzione e compo- sizione della nota tavola di Pietro: e tutto ciò si dimostra dalla data del i5o4j la quale scritta trova- si tanto nel prelodato aitresco , quanto nell' anzi- detta tavoletta. In terzo ed ultimo luogo , che Raf- faella verso la fine del detto anno i5o4 cioè néll' ottobre nuovamente irt Firenze si restituisse, dacchb in dett' anno e mese la duchessa d' Urbino prima eh' egli partisse per detta capitale if raccoman- dò al gonfaloniere Pier Sodefini ; e ciò apparisce da questa stessa lettera di raccomaodazione, la [)rima dd tomo I delle pittoriche. E qui in acconcio mi cack d'incidentemente rilevare, che egli né nella saa B K I. L E - A R T I òOg prima gita , né nella seconda potè vedere qiie'ce- lebri cartoni del Vinci e di Michelangelo , i f[uali per vedere erasi nel riferito anno i5o3 in fretta mos- so da Siena; non assendo stati i medesimi termina- ti che nell'anno i5o(> (Lauz. star. pitt. detto toni. ed ediz. pag. 385 nella nota ). L'autore delle Osservazioni ^fascicolo quinto della R. pinacoteca di Milano^ ove eziandio una stam- pa si riproduce dello sposalizio di Raffaelle , apo- crifa crede 1' appostavi iscrizione Raphael Urbi- nas MDIIII. E ciò per due principali critiche ra- gioni , come da Urbino mi avverte il eh. Pungi- leoni : prima , perchè questa collocata non si sareb- be nel mezzo del tempietto : seconda , perchè si sa- rebbe sottoscritto Raphael Sanctius , ma non Urbi' nas ^ per non aver egli a que'giorni per ancora ac- quistato bastante nome. Ma verun peso, com'ognun vede , ha la prima : perchè potè esso la sua iscri- zione collocare ove più gli piacque , non poten- dosi qui addnrne , ch'io sappia , in contrario alcu- na ragione di buona critica. Nella tavola ch'io pos- siedo della Natività, di cui nell'altra mia vi parlai, eziandio a Luca da Cortona egualmente piacque scrivere a grandi lettere il suo nome nel fregio di un lontano tempietto , che popolato da diverse fi- gurine pur vedesi in mezzo di detta tavola. La seconda ragione poi sull' illegittmiita dell' anzidetta iscrizione è del tutto vana perchè contraddetta dal fatto. L' Orsini nella sua Guida di Perw^ia alla pag. 24' ci fa sapere che nelle dipinture in S. Severo di detta citta Raffaelle apertamente scrisse: Rafael de Urbino domina Ootaviano Stephano nolaterano priore , sanctain Trinitafem , angelos astautes, mn' ctosque pinxit. A. D. MDV; e nella soprannominata tavola del crocifisso ch'era in S. Domenico, ed ora 3^0 Bell e-A r t i si possiede dal sig. cardinal Fesch, non tanto il suo nome scrisse , ({uanto eziandio la patria con le lettere iniziali R. S. U. P., sebbene in allora an- che più sconosciuto fosse il di lui nome , per averla dipinta circa quattro anni prima : essa però è si peruginesca , che , come avverte il Va- sari nel principio della di lui vita, Se non vi fos- se il suo nome scritto nessuno la crederebbe opera di Raffaelle ma sihbene di Pietro. Ma io voglio ([ui lasciare RafFaelle e la sua ta- voletta per informarvi di un'antica tavola, ch'egli è già qualche tempo che mi sforzai acquistare perchè in essa i tratti ravvisai di artefice eccellente. So- no alcun tempo vissuto senza affatto conoscerne la mano: quando ito alla prossima toscana citta di Borgo S. Sepolcri» , e fatto insieme con ben istrui- to soggetto una visita a tutte quelle cliicse per osservare le molte bolle tavole che vi si conser- vano di que' borghesi pittori che tanto nel secolo decimosesto si distinsero , entrai in quella dello spedale , ed in una immagine della madonna con- tornata da altri santi molto belli , dipinti dal ce- lebre Pietro della Francesca nativo di quella cittk , tosto parvemi di ravvisare l'artefice della mia ta- vola. Indi altre due di siffatto autore io ne vidi : una nella sagrestia del duomo di un s. Gio. Bat- tista che battezza Gesù Cristo con altre figure; e l'altra in s. Chiara all'aitar maggiore d'un' Assun- ta con s. Francesco e s. Chiara , le quali vieppiù nella mia opinione mi confermarono. Essendosi po- steriormente recato in questa citta l'eccellente pro- fessore di pittura sig. cavaliere Wicar, egli una mat- tina dello scorso ottobre pertossi in mia casa per rivedermi : e si fu appunto in questa circostanza che maaifestaudomi e^so di voler fare una scorsa alla Belle-Arti 3^1 nominata citta di Borgo S. Sepolcro, io caldamnnte il pregai ad ivi attentamente osservare l'accennale ta- vole di Pietro , il cnT stile egli ingenuamente con- fessò di non conoscere , sebbene artefice cotanto nella pittorica storia noto e distinto . Egli pertanto andò, tornò: ed osservata appena l'anzidetta mia tavoia la riconobbe per opera in tutto di Pietro incomincian- do ad esclamare: Io Vi io veduta dipingere ^ io VI io veduta dipingere ; frase ch'egli suole usare quan- do è sicuro della mano di qualche autore. Esso ne gustò la bellezza , ed iiicitommi a descriverla , es- sendo queste ([nelle tavole dove per apparare i. tratti della bella e semplice natura sonosi specchia- ti i più eccellenti ailelici , non esclusi i Uaffaelli ed i Michelaiignoli. Quésta tavola pertanto è alta palmi nove ro- mani , e larga cinque e mezzo : e rappresenta la co- ronazione di Maria Vergine in cielo. Che peiò nel- la parte superiore della medesima nel bel mez,zo d'un cielo sereno , e quasi da iride celeste attorniato, cir- colarmente s'apre un l)en addatalo vano nel quale sedente scorgesi il divino Redentore che con ambe le mani uua dorata corona poiK» iti capo alla san- tissima Vergine , che ad occhi bassi e con le mani giunte umilmente stagli d'innanzi. Più davvicino sta loro attorno una bella corona di serafini con l'ali infuocate, mentre più addietro simmetricamente veg- gonsi volanti quattro angioli vestiti per parte , che vari istromenli toccando , applaudono alla fausta co- ronazione. Nella parte poi inferiore della tavola stes- sa con egual simmetria veggonsi collocati in piedi tre santi per parte , cioè dalla dritta s. Fruncescn e s. Bernardino che un altro santo mt^Ugno in mezzo vestito di rosso senza alcuna caratteristica , e dalla ."^inistra s. Antonino arcivescovo di Fireiiif, 372. Belle- Arti e s. Antonio di Padova con altro sconosciuto san- to egualmente vestito di rosso , i quali mettono in mezzo quattro sante inginocchiate. Con gli occhi al- zati al cielo tutti devotamente stannosi presenti al- la grand' azione che superiormente si rappresenta, e Tarie intanto dorate fiamme dall' alto caggiono so- pra le loro teste. Venendo ora alle bellezze di questa tavola, as- sai rimarchevoli sono le due figure del Redentore « della Vergine : i panni, di cui sono rivestite, so- no tutti neir estremità ricamati d'oro : ed è si scel- to ( e naturale il partito delle loro pieghe a di- mostrarne il nudo , che poco meglio avrebbe sapu- to fare un artefice del secolo XVI. Bello poi , umi- le e di voto è il volto della Vergine . Ella non fa mostra d'altr' ornamento in capo che de' suoi be* capelli ; senonchc le di lei bionde treccie in cir- colo raccolte , e strette sopra al collo, sostengono un sottil velo di tutta trasparenza che graziosamente scen- dendole sopra le spalle , svelto e visibile ne ren- dono l'appiccatura del collo. Sebben gli svolazzi de- gli angioli suonatori sieno alquanto secchi , belle sono però le attitudini , e graziosi i loro volti che sembrano raffaelleschi e miniati. Sulla parte poi in- feriore assai belle sono tutte le teste, e quella spe- cialmente di s. Francesco , di s. Bernardino , e dei due sconosciuti santi vestiti di rosso ; nelle medesi- me il «olore non apparisce col penello dato , ma piuttosto fuso. Dopo ciò io altro non so dirvi se non che m'in- superbisco un poco di possedere una si fatta tavo- la , e perchè quelle di JPietro sono belle, e per- chè al tempo stesso sono rare ; e tanto rare , che im- periale e reale galleria di Firenze ne va, come mi si dice , affatto senza ; e però le cerca per mare Belle-Arti 373 e per terra ; e s' io dar le volessi e potessi questa mia , forse che mi coprirebbe d'oro. Quest' artefi- ce oltr' essere stato eccellente pittore è stato ezian- dio , come sapete , un distinto prospettico e mate- matico del tempo suo. Egli fu maestro del dotto di lui concittadino fra Luca Paccioli, che secondo il Tirabosclii nella sua storia della letteratura italiana in Napoli in Milano, e secondo il Marietti aiìclie in Perugia fu di nia- tr-matica pubblico professore. Essendo io , come ho detto, al Borgo S. Sepulcro fummi insegnata la ca- sa di un certo sig. Marini gentiluomo di quella cit- ta : nella quale, dopo molte succe:isio!ii ed estinzio- ni di linee, sono tutti fiiialmetite ci)lati i libri scrit- ti da Pietro che geloRamente vi si conservano. Ciò combina con quanto aiq)nnla ne scrive il Vasari , il qnale de' medesimi parlindo, chiaramente asserisce conservarsi nel Borgo sua putria (^f^it.. di Piet. ioni, j png. 247 etliZ' seni's ) . Che p(>rò , ciS sussistendo, non dee più maraviglia destare , se al sig. abate GomoUi non venne fatto ritrovarli nella Vaticana , ove diceansi esistere ( Bìhlio'^raf. aichit. awl. 3 Roma l'jii ). Se il nominato sig. Marini una volta permettesse che gli scritti del lodato Pietro da dot- to ed esperto soggetto esaminati fossero, chi sa quan- te belle cose per avventura non vi si troverebbero relative tanto alle arti sorelle quanto alle matematiche! sebbon queste dai Gal lei, dai Newtoii, dagli Euleri,dai Viviani,dai Lagrange ed altri famosi sif^no state poste- liormente si ampliate ed illustrate da rimaner pocp a desiderare. Ma in ogni caso, fattone il dovuto con- fronto , varrebbe ad iscoprire qnell' asserta calun- nia del Vasari , che il detto ira Luca a Pietro suo maestro tutti gli scritti involasse , pubblicandoli poi 374 Belle-Arti sotto lo stesso nome suo ( Vit. di Pietr. citat. ediz. e tom. png> 2/^S) . Ma io voglio dar fine a questa mia col farvi t saluti del nostro professore sig. Vincenzo Ghialli che trovasi all' anzidetta citta di Borgo S. Sepolcro di- pingendo un gran quadro ad olio per quella chiesa cattedrale. Dopo quelli, de'quali io già vi parlai nell' antecedente mia , egli ad istanz,a di monsignor arci- vescovo Giovanni Muzi Vescovo di questa citta ha per la cappella del vescovado operato un quadro , in cui ha rappresentato una povera e modesta stan- zietta ove la B. Vergine si scorge, che con volto umi- le e divoto stassi inginocchiata contemplando il di- vino infante che profondamente dorme su d'una cul- la. E in fondo di questa stanza una porta , che aper- ta ne fa vedere una retrocamera assai piiì luminosa , nella quale parte apparisce del letticiuolo della Ver- gine stessa. Egli ha trattato questo soggetto col so- lito incantatore maneggio di luce , di riflessi e di tinte vere ; cosicché sembra di poter penetrare , e pas- seggiare in quelle stanze. La figura della Vergine , che pure è Leila , nulla ha che fare con la venusta del fanciulletto Gesù, e de' panni che in parte il ricuo- prono , nudo lasciandogli il petto , le braccia , e par- te delle gambe. Questi , con quel suo capo di lanugi- nosi ricciolini ornato , sembra di viva e molle car- ne impastato. Ha poi il lodato sig. Ghialli all' uso de' fiamminghi colorito la nostra b. Veronica Giulia- ni che nel coro fa la Via Crucis con le sue mona- che, espressamente ordinatogli dal sig. marchese Gian Battista Andrea del Monte ciamberlano di S. Altez- za I. e R. il granduca di Toscana. Ha pure un al- tro quadretto colorito rappresentante il san martino delle monache,, ove queste veggonsi di notte in bel- le mosse forare ed assaggiare i deversi vini della Belle-Akti 375 loro cantina. Vi si vede uà corritlojo , in fondo del quale splende la luna , il cui chiarore giungendo a gradi entro alla cantina fa quindi un bel contra- sto con lo splendore degli accesi lumi, col quale va bellamente a confondersi. Questo quadretto è presen- temente nelle mani del sig. DimidofF, doviziosissimo gentiluomo russo al presente dimorante in Firenze. Io non ardirei mai distogliere il sig. Gliialli dall' as- sai più sublime genere istorio : ma dico che s'egli si destinasse a dipingere sullo stile de' fiamminghi , sarebbe il Vander Werf od il Berghem dell' Italia. Amatemi sempre e state sano. Di citta di Castello i3 dicembre 1816. 376 W^'^^^fWg^^— I ] I I i n ^^^— ^^y— p^»»»^iT<"PT-_i_i___L ij L I VARIE T A' Nelle nozze di S. E. il signor oav- D. Andrea de''prin' cipi Corsini collq nohil donzella signora Luisa Sootto ^ canto di Giuseppe Borghi. 8.° Firenze dalla slampe- ria Piatti 1826. (sono cart. i3. } Il signor Borghi per eleganza di elocuzione e per gra- vità di pensieri è ben degno di quella dotta e felice Toscana , la quale in Giambalista Niccolini ha presentemente uno de'più nobili poeti e filosofi di cbe si onori l'italiana sa- pienza. Tutti conoscono il volgarizzamento che il Borghi ci ha dato di Pindaro : e tutti pur sanno che se quel maraviglioso lirico potesse mai in alcuna lingua tradursi ( il che ho grande difficoltà a credere ) , sarebbe stato forse tradotto dal Borghi nell'italiana : tanta è la nobiltà, tanto il fuoco , tanta in fine 1' armonia veramente lirica che si ammirano ne' suoi versi (*). Or ecco un suo canto per nozze : non pieno di quelle miserabili ciance di che simili poesie sogliono andar sovente vituperate : ma tutto bello di leggiadre parole e di care sentenze, secon- co il gran senno de'classici , de'quali il Borghi , non altri- (*) Si attende a momenti la traduzione di varie odi di Pin- dare fatta dal $ig. marchese Cesare Luccliesini , la (juale pe'saggi eh» ne son pubblicati mi par degnissima del magistero di quel celebre letterata e grecista» Varietà' 877 menti che usano tutù gli alti-ì più lodati e gentili , si fa pregio di essere seguitatore. Leviamone uu saggio. Ciò , per esempio , il N. A. con- siglia alla nobilissima coppia , se toccar desidera il se- guo della vera felicità t „ Piìi belle faci non accende Imene , ,, Nò con piìi senno a temperar conforta „ De'contenti l'ebbrezza e delle pene , „ Glie quando voce di marito esorta „ n'onor nell'opi-e giovine compagna , ), La qual va dietro all'amorosa scorta : „ E con lei scende ove il meseliin si lagna , „ E lo consola , e gli rialza il ciglio , ,, E pan gli arreca , e del suo pianto il bagna. „ Con lei va dove pel deserto figlio „ La vedovella tapinando suda , „ E d'aiuto la giova e di consiglir». ,, Talor sorprende la beltade ignuda , „ Cui sozza inopia dall'un fianco assale , „ L'oro dall'altro e J^ libidin pruda i „ E la ricovra nelle proprie sale , ,, Ai rimorsi rapita e alla vergogna , „ Finché l'allegri dì favor dotale, „ Ma quando incontra perfida menzogna „ Delle sembianze dell'onor vestita , „ La respinge animosa e la rampogna. „ Gilè modesta innocenza erra bandita „ Dai grandi alii troppo ! E , più che al buon , si crede „ A chi boutade , non l'avendo , imita. Se queste ed altre tali divine virtù insegnerà lo sposo alla sua dolce compagna , allora ( seguita il poeta ) 378 Varietà* „ Frettolosi per lei battou le piume ,) I cittadini dell'eteree squadre (*) V „ Negli spazi del ciel , di lume in lume ; ,, E trascelgon fra mille alme leggiadre „ L'alma dell'invocato pargoletto „ Che primier le darà gioia dì madre. „ Cresce per esso il maritale affetto , ,, E discende lietissima speranza „ Tacitamente al genitore in petto. Quindi non oblia i domestici esempi : e ricorda con di- letto il bene presente di che la Toscana gioisce , la qua- le in D. Neri Corsini ha da molti a^iui un ministro che « stato il degno amico di Ferdinando III d' immortale memoria , e ch'ora siede al fianco del regnante granduca Leopolda ; cioè a dir di quel principe , che in si giovane età mostra per senno canuto verissima la sentenza di Platone nel terzo delle leggi : Che la virtù é il fondamento è la sicurezza dì tutti i governi : e regina delle virtù e la sapienza. Così prosiegue il Borghi l'egregio suo canto: „ Ed oggi le domestiche sciagure „ Tra genti amiche si ricordan solo „ A farne scuola dell'età future. „ Sollevar oggi dal fiorente suolo „ A miglior fama e a più lodate imprese „ Già san le generose anime il volo. „ E già tanta per loro ala si stese „ Ovunque la gentil favella suona , „ Che non paveutan di nemiche offese. (*J Questi ciiladiiii delle s(/uadre ( scusLrui il eh. A.) non san- no in tuuo placarmi. Varietà* 379 „ Di lor s'elegge splendida corona „ L'inclito duca , e ne circonda il trono , ,, E consiglio e vigor non l'abbandona. „ Tardo alle pene , facile al perdono , „ Ei veglia con cgiial occhio sagace „ Sul ricco altero e sull'umil colono. „ Largo d'aiuti al poverel che tace „ Sua dura inopia vergognando , e parco „ Qualora il tenti adulatov mendace. „ Oh fortunato chi a portar l'incarco „ De'toschi fati per qviel sommo è chiesto , „ E il divide con lui senza rammarco ! S. Betti Del giudicare nelle lettere. Ad Alessandro conte Pap- prifava , SERMONE. U uico è il vero : unico è il buono. Quale Col pensier non lo aggiunge , e in cor noi sente Darne può mai saldo giudizio e schietto ? Glii losco vede, e di fallace setta Servo si fé', tutto che opponsi al vano Opinar suo danna ostinato ! Infermo Da pallida iterizia , ad ogni oggetto Imparte il suo color : ma per clamori , E torto proverbiar d'egro intelletto Mai non si turba il ver: vive incorrollol Prode , che illustri il patavino ciclo , Alunno di virtudc , e de'be'studi Sospitalor , (juesla è la rea sorgente 'ó3o Varietà' Pur dell' eterna faziosa gara Nelle lettere , oud'oggl aaco è partito Il dolce idioma che all'Ausonia piacque Dare agli dei ! ... Se par t'è a grado , ascolta Ciò che di Lelio il buon senno canuto Volse ad Alpino un dì , quando costui , Invaso dalle eumenidi , pugnava Per la licenza del parlar verboso. Tu sacrasti alle muse , il so : versasti Per quattro lustri mille carte , e mille Lettere e autor ; quindi ti estimi adatto A giudicare , o gonfio Alpino , e gitti Come vii merce i carmini di Furio. Ma calchi forse il buon sentier ? Più strade Par che guidino in Piudo; eppur soltanto Una è la via : quella , che segue il vero , D'alte e leggiadre immagini vestito , Con piani modi ! L'hai tu scelta? Sdegna Giudici Furio della non sua scuola ! Guasto veder : sentir corrotto : e capo Pieno d'ampolle , giudicar di Furio Può il grave carme? L'elegante copia Del divin Tvdlio , e suo sermon STrblime Spiacqiie ad Asinio arido, tronco, e tutto Di motti un giuoco ! . . . Né a F^undan scherzoso Potea di Vario tornar grato il fiero ~ Tragico carme ! ... Se Laberlo canta Pe'trivj , e sol de'trivj è degno , invano Morde chi segue il tosco voi ^ che salse Fino all'ultimo ciel ! . . . Ben può smari'ita Plebe far plauso al morder di Laberlo , Ma plel)e alfin di sé vergog!iia : alfine Co"ml"llor stri ! . . . Giace di Nevio in Lete o Spenta la musa , e il Venosin pur sórge inolilo cigno , e agli anni invidi insulta '. MbI/ciuor MissiaiM Varietà' 38 i JraLLnto cleinentare di chinìica generale e particolare teorica e pratica. VoL i° fig> in 8.° di pag. XXX e 6i(i. Padova pei tipi della Mineri'U 1826. E eco un lavoro di quell'acuto giudìzio del prof, Giro- lamo Melandri Contessi : di lui che da venti anni viene insegnando la cliimica nella padovana università con qucU' onore che dicemmo altra volta : il suo nome è sfik tan- lo chiaro , che ci dispensa da ogni elogio. JMa noi vo- gliamo che a (Jnel dotto e cortese spirito degne grazie siano rese , perchè nello stato presente della scienza ha tolto f« darne di nuovo un trattato , che serva di guida sicura non pnre ai giovani allievi ; ma a qaanti vogliono non ignorare le piìi recenti scoperte , e farsi addentro per quanto si può ne'segreti della natura dietro le poste della ragione , che è desta al lume delle osservazioni e delle sperieuTie , non al bagliore di spesso vani sistemi. Intanto in questa prima parte , che ora è fatta di pub- blica ragione , hai nella prima sezione le dottrine gene- rali della chimica teorica e pratica, e quivi un ti»attato del- la cliimica affinità si ben condotto , che diresti il nostro autóre avere in quello vinto se stesso , non che altx'i. JNeiia seconda sezione hai il trattato de'corpì semplici: per tutto poi precisione e Infcido ordine : per tutto vedi l'uo- mo profondo , che li dà luce eziandio dove in tanta os- curità i più non ti daimo sovente , che de'barlumi : per tutto il filosofo , che sa qual tratto di via ha percorso , e come lo ha percorso , l'ingegno umano : e non ignora quello piii grande , che gli resta ancora a percorrere nel Vasto campo di quella scienza sperimentale , che de* prlucipi de' corpi e delle leggi della loro combinaziione si viene utilmente occupando. \ Modulisi 383 Varietà' Cherubini Francesco - Guida per insegnare ai fanciulli italiani i primi elementi qramaticali - Milano per Già. Battista Bianchi 1826. Un voi. in i(i di pag. i^a. Pezzi C. A. - L'arte di leggere necessaria ai discepoli ed ai maestri -Milano per Ant. Fortunato Stella i8a6 - Un voi. in \ì di pag. 47 • X ei-cliè le parole sono i segni delle idee , non é alcu- no di buon giudizio , che voglia oggimai porre in dubbio la convenienza , anzi necessità , di fare che nelle scuole eziandio elementari lo studio delle idee si accompagni mal sempre a quello delle parole. Ma tpiesto metodo , che pei giovanetti è il più profittevole , non è il più facile pe'maestri , se forti non siano quanto bisogna nel- la filosofia della lingua. A quelli fra loi'o , che di tale necessario sussidio per avventura mancassero , non è a dire quanto giovamento possa arrecare la guida del Cheru- bini , per cui si addita come per via dell'analisi venire svol- gendo i primi elementi grammaticali di qualità , che po- nendo in esercizio non pìii che la logica naturale, e passan- do gradatamente dal noto all'ignoto si ottenga , che i gio- vanetti diventino quasi maestri a se stessi : il che vale ben anco ad innamorarli dello studio , dal quale pur troppo rifuggono i più •' perchè spaventati da quella farragine di nudi precetti , cui la ragione apertamente non raccoman- da. La chiarezza ,, la facilità, l'evldcirza , olti^e il lucido ordine e la precisione , regnino in ogni discorso , che si tiene anco ai piccoli allievi , e li vedremo di più in più desiderosi di apprendere ; che a questo li fa la natura. Sino nel leggere si ponga cura , che facciasi a senso , affine d'intendere : su di che vi ha un' arte necessaria ai discepoli ed ai maestri, la quale gli antichi , cui non man- carono fino i servi lettori o anagnosti ., conobbero assai meglio di noi. D. YACcntl:^! Varietà' 383 Dissertazioni inauguj-ali in occasione di laurea m medi- cina e chirurgia , pubblicate da varj distinti a lliei'i del- la 1. e R. università di Padova nelV anno scolasti- co 1825. -i-l numero di queste dissertazioni graziosamente pervenu- teci non permette che si renda di ciascheduna di esse una distinta analisi, dovendoci contenere nei limiti di bre- vità concessi ad un giornale. Abbiamo perciò ritenuto piìi opportuno il trasceglierne alcune per formarne il sul) j et- to di un estratto che rlserbiamo ad uno de'prossimi vo- lumi. Ed intanto delle altre , che tutte conosciamo meri- tevoli di singoldr ricordanza , ci limiteremo a semplice- mente esporre 11 titolo. P. Benvoluti tirolensis - De naturali et morbosa pi- loruinoeconomia. Dissertatio academica ec. Sono in questa dissertazione egregiame nte contempla- ti gli uffizi destinati dalla natura ai peli e capelli , la loro anatomica struttura e chimica composizione , le va- rie morbosità a cui soggiacciono , le cagioni della cal- vizie , ed i danni derivanti dalla colorazione dei mede- simi. B. Bazzica veronensis . - De alterno pectoris mota in respiratione. Dissert. ec. Assume questo distinto allievo a squittlnare la cagio- ne di quella molestia, che ad eseguire la ispirazione e la espirazione ci astringe , riponendo la necessità della se- conda nella irritazione recata dal gas acido carbonico suir apparecchio pneumonico , e la necessità della prima nella soverchia ridondanza di sangue nelle pertinenze del cuore che impone la dilatazione polmonare. /. Fontebasso tarvisinus. - De Irydroceplialo. Dis- sert. ec. G.A.T.XXXII. 25 384 Varietà.' L'età che si predilige da questa malattia , le varietà della medesima distinta singolarmente in idiopatica e simpatica , la di lei condizione patologica , fenomenolo- gia , e ti'attamento curativo sono dall' A. accuratamente esposte, F.I. Pico ex Mantua - De lYe^ralgia , ec. Vengono nella presente dissertazione esaminate le di- stinzioni della nevralgia, le opiiiìoni de' diyersi scrittori intorno alla condizion patologica della medesima , il di lei apparato fenomenologico e la terapia più conveniente. C. Scolari patavinus - De menorrhagia ^ ec : Aggirasi la presente dissertazione nella esatta esposi- zione dei sintomi della malattia j nella investigazione del- le cause ed occasionali e remote acconce a prodni-la, nel- le avvertenze relative alla prognosi ed alla istituzione del piìi opportuno regime teniperativo. A. JY. Basilisco. ~ De prcecipnis pulsunm dijferentiis experientìa clinica deductis , ec. Si Incordano qui dall' A. le varie piìi conosciute dif- ferenze dei polsi , i caratteri delle medesime con le op- portune dilucidazioni , ed in fine le mediche cautele ne- cessarie per un' attenta esplorazione dei polsi onde non li'ovarsi in inganno. /. S. Morizio niedìolanensis . ~ De aneurismatihus internis ee. In che consistano gli aneurismi e le affezioni aneuri- smatiche , la loro sintomatologia e divisione vengono sus- seguite dalla notizia di quei pochi presidj , che talvolta e non sempre possono a queste malattie convenire, P. Volpi. - AmputaUo coxce usque ab articulatioìni lethalis. - Varietà' 385 F. Tonini inanLuan.- De plantanun sonuio. - L. Moretti. Nonnulla de proicipuis rationihut curan^ dee ^radicitusjijrdrocehs in vaginali testiculi. - P. Prohizer. -Ex patliemate animi morbi orili n tur ^ et guiderà graves. - L. Paoli. - De cauterio actuali sive de igne velati medicamento. - P. V. Zeccliinis - Specimen novce niethodus circa divisionem morhorum qui nianu curantur. - A. Collini ^ Historia acu.s in vcsicam introductce. - 1. Sagramora. - De spontanea femoris Inxatione. - F. Ragazzini - Analisi deW astro montano , e parti- colarmente del sugo espresso di questa pianta. - F. Fumiani - Riflessioni intorno allipopio, - P. A Saccardi - De utili hirudinum ad vasa lueino- rhoidalia applicandarum frequentìa. - /. /. De Antonini - De necessitate conjungendoe cum medicina philosophice . - A. Carli - De arctissimo medicinoe et chirurgice nexu. F. Pediani. - De menstruis. - TONELLX MANIFESTO DI ASSOCIAZIONE. Angelo Collina librajo di Ravenna. Il marchese Antonio Cavalli di Ratenaa ha condotto a tei'mine l'intera traduzione in terza rima dell' elegie di Albio Tibullo , e vi ha poste molte note erudite , che val- gono specialmente a portar luce a tutte le antiche costu- manze , delle quali parla quel poeta. Abbiamo in ani»* 2^^ ^80 Varietà* 4i stamparla col testo latino a fj?oq,te , sopra die darc-s jno ragione nella lettera di dedica. Per ruotivi giustissimi non si è ancora deternciinato 1 il luogo , ove si potrà farne la stampa : solamente assi- curiamo tutti gli amici di questo poeta , che vorranno associarsi a quest* traduzione , che saranno buoni i ca- ratteri , e la carta che porremo in pperEi. Il prezzo deir associazione di un volume unico in ot- tavo sarà in tutto di lire italiane /{» ossiano paoli roma- ni sette e mezzo , da pagarsi all' atto della consegna del libyo. Le spese di porto, e dazio saranno a cai'ico dell' associato. Le associazioni si ricevono dall' autore , da me , p dai dispensatori di questo manifesto, E per dare qualche saggio di questo volgarizzamen-? XQ abbiamo creduto di pubblicare 1' elegia XI del libro primo: non già come quella, di cui l'autore sia piì^ so- disfatto , ma bensì perchè è una delle piìx note , essen- do stampata tutta intera perfino ne' Tibulli , che soglio- no spiegarsi nelle prime scuole de' giovinetti. ELEGIA XI DEL LIB. I. Chi mai fu il primo che l'orrende spade Trovò ? quanta ferocia ! ei vcrament» Cor di ferro sortì chiuso a pietade. Allora nate fra l'umana gente E guerra e strage ; e per più corta via Colei ne venne che pietà non sente. Ma chi dannar quel misero potria ? In noi rivolge nostro matto ingegno Ciò che a schermo ei ne die da belva ria. Tutta colpa de l'oro , che niun segno Di guerra apparve , finché il labbro puro Bavette pago nel bicchier di legno. Varietà^ 387 Steccato alloi* non evavi né mui-o : Tra le agnello satolle il buon pastore Placidamente si dormià sicuro. Allor nato io mi fossi ! non furore Ora d'armi vedrei : non ascoltato Avrei la tromba con tremante core* A guerra tratto or son : forse portato E da qualche nemico il maladctto Dai'do che i*omperà questo mio lato. Salvate , o lari del paterno tetto , Il vostro alunno , che dinanzi al piedd (i) Vi saltava innocente pargoletto ,' Né vergognate se uu fabbro vi diede Rozze forme dal legno : l'avo mio Così v'accolse ne l'antic* sede. Era casto ne l'uomo ogni desio ^ Allorché senza pompa fu coverto Da povera celletta uu rozzo iddio , Che tornava placato , ossia che ofìerto Gli fosse un grappol d'uva , o che man pia Gli mettesse di spiche al ci-ine un serto i O se per voto un padre gli venia Portando una focaccia ; e a passo impari Con mei sua figliuoletta lo seguia. Ma lontana da me tenete , o lari , De le punte nemiche la tempesta : Una sci'ofa cadràvvi a' sacri altari ; Seguirolla io medesmo in bianca veste ^ E al crin di mirto mi facendo brolo , (a) Cinta di mirto porterò la cesta, ' Io così vo' piacervi. Altri lo stuolo De l'armi segua , e dal suo brando spenti Cadan gli avversi Capitani al suolo. Narri il soldato i suoi combattimenti^ Quando io bevo ; e dipingami col vino ^5u la {mensa i guerreschi alloggiaueatl. 388 Varietà' A cercar morte in guerra qual destino Strascina mai le genti furibonde ? Essa già vìea con tacito cammino. Di là non son Tineti , o messi bionde • Ma l'orribile Cerbero latrante , E il deforme nocchier de le stigìe onde; (3) E con arsi capelli e con sembiante Magrissimo d'intorno a' lagbi bui (4) Pallida schiera eternamente errante. Oh ! quanto è meglio invidiar colui , Che in picciola capanna si ripara , Già pigro vecchio in mezzo a' figli sui ! Ei guida il gregge ; il figlio ne separa (5) Gli agni , mentre al marito faticato La consoi'te acqua tepida prepara. Questo bene mi avvenga , e mi sia dato Con la chioma già bianca a la futura Gente i fatti contar del tempo andato. La pace abbia de' campì la coltura : Insegnò l'alma pace al contadino Il «ervirsi de' buoi ne l'aratura : Ella cresce le viti, e asconde il vino Ne' bei racemi ; ed al figliuol si rende Il vecchio bacco dal paterno tino. In pace , e marra e vomere i-isplende : Ma de l'atpro soldato a la negletta Armadura la ruggine si apprende. (6) E il villan che del bere si diletta Conduce a casa i figli e la consorte Dal sacro bosco ne la sua carretta. Allor le lùsse degli amanti insorte Si veggiono ; e la femmina si lagna Pel crin stracciato , e per le rotte porte ; E le percosse guancie ella si bagna Di pianto, e piange anch' esso il vincitore, Che demente battè la sua cempagna. Varietà' 389 Ma somministra l'arrogante Amore I detti ingiuriosi , e fra gì' irati Amanti siede con allegro core. Ah ! son dal ferro e dal macigno nati o Que' che fanno a fanciulla atto violento : Essi traggon dal ciel gli dei beati. Basti aver lacerato il vestimento Da le sue membra lenerelle , 0 sciolto Da la sua chioma il vago adornamento, Basti muoverle il pianto ; egli è pur molto Beato chi senza furoi-e insano Le fa bagnar di pianto il caro volto. «X, Ma quei eh' inferocisce con la mano , Quegli lo scudo portisi e lo strilo ; E da Venere mite stia lontano. Ma tu conforto d'ogni nostra male , Vieni , alma pace ; e ne le man le gravi Spiche tenendo , al misero mortale Pveca abbondanza di pomi soavi. NECROLOGIA. E gli è ben giusto che in questo giornale rendasi alcun omaggio alla memoria di quelli che ben meritarono del- la italiana letteratura , ed ajutarono con qualche proprio lavoro le fatiche de'letlerati compilatori. E questo dove- re mestamente per noi ora si adempie annunziando l'acer- ba morte del chiarissimo avvocato Gian - Battista Adriani, alla cui dottrina si debbono varj articoli in questo gior- nale inseriti. Nato egli d'illustre ed antica famiglia di Montelparo nel Piceno si dette con impegno ad ogni maniera di be- gli studi , e mostrò fin dalle prime una prontezza d' in- gegno straordinariamente pieghevole a qual parte si fos- se della scienza. Desideroso però che dai suoi studi tor- 3v)0 Nf. CRO LOGIA nasse alcun utile alla società , applicossi piii seriamente a quello della giurisprudenaa : e fornito com'era quant'al- tri mai di retto giudizio e di acutissiino intendimento , fe- ce in essa ben presto rapidi progressi. Perchè durante il regno dltalia fu vice - segretario della regia procura pres- so la co/'te del dìparlùnenlo del Tronto , ed era già elet- to giudice nel tribunale di prima istanza di Vigevano quando la mutazione delle pubbliche cose tolscgll di oc- cupare il posto a lui destinato. Ptistabllito poi nelle Mar- che il dominio pontificale andò govexuialore a Ripatran- sone : al quale impiego piacquegli dopo breve tempo di rinunziare : e ricondottosi a Fermo ,- che sempre guardò come sua patria , tutto si dette all'esercizio dell'avvocatu- ra che sostenne con somma lode de' buoni , e con quel- la onestà che non è frequente a' dì nostiù :, ed ivi pure sugli ultimi anni del viver suo ottenne la cattedra del- le leggi civili. Lo studio delle quali non impedì che con ardore egli sempre coltivasse pur quello delle amene let- trre a cui per natura era sommamente disposto : e ad esso consecrò tutto l'ozio che gli restava dal foro. Fu elegantissimo scrittore di versi e di prose. E qui è da notare a vera sua lode come docilmente abbando- nata la falsa maniera di scrivere che prevalse nei tempi delle straniera occupazione , ne' quali appunto egli s'ebbe la prima educazione, tutto poscia si dette allo studio dei nostri classici , e della lingua nostra conobbe e fece pro- prie le più squisite bellezze , lontano ugualmente dalla servile imitazione de' piìi vecchi e dalla sfrenata licenza di alcuni moderni scrittori. Di che fan prova e l'elogio del cardinal Petrocchini suo concittadino ed agnato , letto nell'accadiemia de'catenati in Macerata e poscia dato al- le stampe , e gli articoli che in questo giornale furono inseriti sulla interpretazione di un luogo^ della Divina Com- media. Conobbe assai bene la latina epigrafia ; fu de'pri- mi a pori'e in uso la italiana; e le iscrizioni che com- pose per la contessa Spada riprodotte in questo giorna- le fanno fede ch'egli riuscì con lode nell'impegno. Mol- te altre cose pubbHcò colle stampe , piii assai ne recitò nelle varie accademie cui trovavasi ascritto sì nella ca- pitale come nelle proiìncie : le quali , se vedranno un gior- no alla luce , come giova sperare , si vedrà per esse quan- Necrologia 89 i to a buon dritto da noi si lamenti la perdita immatura di così elegante scrittore. Che se la coltura dello ingegao meritamente gli frut- tò la estimazione ; le gentili sue maniere , il basso sen- tir di se stesso , la costanza nelle amicizie , e la effica- ce volontà di beneficare ciascano secondo sua condizio- ne gli conciliarono 1' amore di quanti il conobbero. Fu buon n1^arito , figlio l'iconoscente , fratello amoroso , ami- co sincero , utile cittadino : talcliè mal si potrebbe dif- fiaire se per la sua morte maggior danno sentisse la fa- miglia di lui , la repubblica delle lettere , 0 gli ami- ci : elio della prima formava il sostegno e l'amore ; del- la seconda uudriva le più care speranze ; ed era degli ultimi la delizia e il conforto. Preso da lenta m.ilaltia , conseguenza in gran parte della indefessa applicazione agli studi , cercò inutilm ente z'imedio nella mutazione del clima. Venne da Fermo a Pioma , e di qni trasmutossi a Napoli senza ritrarne van- taggio di sorta. Perdio si risolse di tornarsene in patria: ed aprì il pietoso desiderio di trarre vieppiù sollievo a' suoi mali dalle vere consolazioni , die appresta special- mente ai cuori afililti la nostra divina religione , e di la- sciar le sue ceneri accanto a quelle de'padri suoi, Ando- gli però fallito quest'ultimo voto : poiché stando in sul- le mosse per partir di Pescara e continuare il suo viag- gio , la mattina degli 8 di questo mese consunto dal Ivm- go male cessò di vivere nella verde età di forse 36 anni. Valga questa testimonianza di stima ti-ibutata dall' amicizia, ma dovuta al merito, a spargere di alcun con- fort 0 r amarezza in cui la sua morte immerse una de- solata famiglia, A, G. Fracassetti X giornali d'Italia pressoché tutti hanno annunciala la mor- te di Alessandro d'Este accaduta il giorno 8 di questo me- se. Era egli figliuolo dell' illustre scultor vivente signor Antonio d'Este , ed aveva sortito dalla natura un' indole vivace ed una mirabile prontezza di spirito : le quali do- ti , congiunte colle più belle virtù sociali e religiose , di «ui era adorno , coli' amore pe' suoi congiunti , e soprat- tutto colla carità verso i suoi simili , lo resei'O somma- mente grato a tutti die il conoscevano. Fu ammaestrato >^9* ^• E <; R o L O G I A. nella sculnir.i dal gvan Canova, sotto cui elcvossi rapida- mente sopra tutti 7 |;i;ivaiu artisti dell' età sua. Giunto appena ali' anuo sedivesinio di sua vita, prese auimnsa- JUente a seguire la oiaaicra de' grandi , e ad esempio del suo maestro modellò una statua della proporzione di pal- mi 12 circa, rappresentante Marte: la quale tuttora è a vedersi nel suo stadio , e per lo stile e per le massime d'arte è assai commendata dai professoi'i. Molte opere poi e di vario carattere condusse a termine con plauso dei conoscitori , di guisa che meritossi di essere annoverato fra i soci dell' insigne accademia di s. Ijuca prima d'es - ser giunto all' eia prescritta dagli statuti , e d'ottenere l'ono- revole ulEcio di scultore dei palazzi apostolici e dei mu- sei. Occupato dal governo pontificio in atl'ai-i dìlicatissimi neir arte sua , seppe disimpegnarli con universal gradimen- to : intantochè nella circostanza clie dal sommo pontefice Pio VII di santa memoria venne inviato il Canova a Pa- rigi per la ricupera de' nostri preziosi oggetti d' antichi- tà e di belle arti , gli fu commesso il seguirlo a fine di agevolarne il sollecito ritorno. In benemerenza di tali ser vigj venne eletto segretario generale de' musei , ritenendo H qualità di sotto - direttore . Membro consigliere della rf)mmissione consultiva di belle arti , di cui era designa- to segretario , e ascritto ad altre chiare accademie , sep- pe corrispondere degnamente all' opinione , che il pubbli- co formato aveva delle sue cognizioni artisticlie e lette- rarie. Egli , sebbene colpito nella parte piìi sensitiva del cuore per la repentina notizia della morte del suo Ca- nova, modellò nondimcMio la statua di quell'immortale arte- fice, statua che l'accademia di s. Luca decretò a memoria perpetua di tanto amore e di tanta gloria italiana d'eri- gere nella sala delle adunanze. Questa fu l'ultima opera d'Alessandro d'Esle , e così terminò una carriera illustre, rendendo al suo amato maestro negli ultimi periodi del- la sua vita queir omaggio , clie la sua anima tenera e grata seppe ideare. Noi compiangiamo giustamente la per- dita di questo giovine romano : giacché da tali preludj può a buon diritto argomentarsi qual gloria avrebbe egli pro- cacciato a se stesso e alla patria se fosse lungamente vis- suto , seguendo le orme del suo gran precettore , princi- pe degli artisti europei di questa età , siccome con lau- ta lode faceta. 393 INDICE DEGLI ARTICOLI CONTEM TI NEL TOM. XXXII DEL GIORNALE ARCADICO. SCIENZE Speranza , Aitali si delle memorie del Bailly- sulle febbri periodiche di Ro- ma {/ine) p. 3 — — Far ricelli , Cenni suW incaglio del com- mercio de^grani • P' 27 — — Meli , De' parti naturali anticipati {art. I .) p. 45 — — Castellani , Ricerche chimico - tecno- logiche sul colo i ime to detto giallone nelle manifatture di oro . . . . . p. G2 — — Car andino , Osservazioni sopra le radi- ci immaginarie delle equazioni di grado superiore al quarto . . . . p. qo — — Meli^ Apologia di alcune postille scrit- te su i margini di una dissertazione fisico - legala pubblicata in ìiome del sig. Flajani p, — 145 — Minarelh , Corso d'aritmetica . . . p. — i54 — Folcili e P eretti^ Lettere sopra un istrumento meteorologico ec. . . . p. — iCo — massimo, SulVecclisse solare del ag no- ojenibre 1826 p. — — ^nk Speranza, Anno clinico medico iSaS, 1824- {art. I.) p. — — :ìnn LETTERATURA Amati , Iscrizioni scoperte da non mol- to tempo , p, g4 — — 394 Berni degli Antonj , Considerazione sulle censure fatte alle sue commedie dalla Biblioteca Italiana p. 120 — *^-^ Monti ^ Versi p. I2j) — — ■ Borghesi , Intorno a due antiche lapi- di d* Urhisaglia . . é . . é . . . é p. — i63 — ■ Galvani^ Sulla voce fui a usata da Dante > , , . . p. .— 184 -^ Biondi y Jiagionamento dintorno la di' vina Commedia > * . * p. — iqS *— Chersa , Vita e scritti di Didaco Pirro 4 . , p* — aio — ' Paviani ed Arici i Volgarizzamento del- la bucolica di Virgilio p. — '223 —- P inde monte y Volgarizzamento delVele-' già X di Virgilio * * » . . t * . * p, ' — ■■ ivi — Baudana Vaccolini , Iscrizioni ita- liane « . . . < é ' P' •— 281 ■*— Hausy Sul terrore nella tragedia. . p* — 228 — ■ Coluto , // rapimento d^ Elena volga- rizzato dal Mezzanotte t p. — 269 '— Seletti, Sopra due frammenti di un an- tica iscrizione bresciana * . , , . p. — 3o3 •— Vaccolini , Sopra un luogo di Dante dove si nomina Bagnacavallo . . p, — i3G •— Mancini , Sopra due monete di Luc^ ca {con rame) . p. — — 329 ARTI. BELLE-ARTI Betti y Sul Temistocle dipinto dal cav^ Wicar p. — 324 — ' Mancini , Lettere intorno a varie pit' ture di Raffaello d' Urbino « ^ di Pie' tra della Francesca : p. — — 355 Tabella dello stato del Tevere, desunto dalV altezza del pelo d'acqua suW orizzontale del mare^osserva- to alV Idrometro di Ripetta, al mezzo giorno. Dicembre 18 26. , GIORNI. laETRI PAL, ROM, OSSERVAZIONI. 1 2 8» 8, '7 o5 36 64 36 0 » Altezza massima 9 75 3 4 7» ^\ 34 8 X 33 8 - Altezza minima mot 6, 45 7» 56 5 ^» 63 34 2 - 6 9» 75 43 33 Altezza media met. 7» 19 7 8, 3o 37 I 3 8 ;>» 7° 34 5 3 y 7» 55 33 80 1» y» 20 32 11 - L'altezza massima nel 1826 I» 7» 85 35 1 a è di metri »3, 40 !« 7» 22 32 4 - i3 7' IO 3. 9 :? L'altezza minima 5, 52 ^ì 7' -^ 3, ^ 5 \l <7, 6, 98 80 3, 24 3o 5 , L'altezza media 6, 4j \7 e, 85 3o 74 i8 6-, 83 3(, 64 j9 6, 80 3o 5 - ao 6, 80 3o 5 0 ai 7. 10 3i 92 aa <^, 80 3a 5 0 33 si 75 3o 2 3 24 ff. 7° 3o 00 25 .5, 64 29 8 4 26 6, 6i Sg ;, 0 «7 6, 60 29 62 28 55 K ■ 29 3 3 39 \ 3 29 0. 51 3o 6, 49 29 10 3i ^1 45 a8 102 UHI imi— \m wii rwmnmxaBi Ossert'ciziouì Meteorologiche. )( Collegio Roìna/io Dicembre 1826.' Ore ina. Bàroniot< ,,po li. 2G' o 7 „ o ^ 27 1 1 5 „ „ 9 280 j ■7 i'> 3 „ 8 3 6 o 8 • o ., y 4 .0 G Term. int. 28 '7 'Z'Ó o o „ 1» ., „ 1 0 „ 2 0 " T» 5' ,, 3 6 1) 3 5 „ „ 7 1> 15 4 1) 2 8 n I 55 8 5 * 8" 2 8 55 3 0 8 0 r, " 5) j' 8 „ 51 5 " 0 6 5 15 7 7 " ,, o o 27 II- 8 S 9 „ 8 7 o Terni. I Igi'o. CSI. a cap. 5" 2 8 8 7 3 IO o '7 O 9 5 7 ° 4 o 9 4 4 » 3 7 5 ,1 8 5 5 9 5 7 " 9 3 7 5 12 5 I 5 Ev.ipor.jSt.del Cielo !'• j ILUiXÀosO », vap-oriz, o 7 I nii.soU cop. ,, alcA'ap. ,1 ìiUf.sp, ser.iiit.oriz-\ nu.iol. cop. ,. coperto. N. l„rte ,] 0 0 N. d. 0 0 N. <1. • uggiad. 0 0 S. 111. 0 0 0. m. N.E. d. li. 11 11 0 44 o ff o 55 N.O.q.nul S.S.O. m' S. deb. ser.alc.\>ap, hiarissiino ser.vap.ori' ìiufoloso ,. sol, cop.'i :h. i'ap.ori.' sereno :hiurissimo^ luteo nuvol, nu. soUeop, coperto „ sol. cop. it.soUinlda.] coperto o Ore ' jBaioiuet. ri I ' ma. ] 'iy 1 1 ii. 18 9 « 'l'e.iiu. T.^.eM.. 8 0 9 0 7" 5 »> ;> 9 „ „ ,, :. „ 3 11 5 9 ^ 9 7 23 2fJ 27 28 8 7 „ 8 V 5 7 9 7 6' 8 J_ a 4 5 0 4 7 5 2 0 5 0 10 5 0 II) — «. — _- . ID 4o __' 25 55 51 1 "5 0 27 1 1 2 5t „ 3 55 IO 6- • 1 1» 2 '» 55 8 28 1 4 6 8 (y 3 7 3 8 5 0 5 6- (J 8 ,, 7 7 8 lo 0 •> 3 4 7 5 4 3 o 7 " a 4 1 8 6 5 f. o -o 5 _9_?_ N.O, N. „ " i 10 51 nj. ,1 i'ortiss. " " l l] " 5» 1- III. ;^ icnis. ^! <"m;. ^ à. N " w. 0 • Ioni. xN. forti. , m. K. 0 1 I nuvoloso a 3 se., tu. al sud i ;, ///il', .s/^ I nui'oluso 2 2 ^ Ituc.so.cop sei: nuf.sp. 3 o j vap.svL.lu I nuvoloso « 4 3 8 ! ie/'. uu.spa chiarissimo nuvoloso ;, SO.lu.init ser. nu.spa eh. ìiuv,ori. t'ap.oviz N.O. do. N. „ N.O. ., IN. coperto O a I c/i. MMl/, or/"i purissimo o o ie;' .vupo.sp, chiaro ■ NIHIL OBSTAT Fr. Antonius Franciscus Orioli Censor Tlieol. NIHIL OBSTAT Petrus Lupi Med. Colleg. NIHIL OBSTAT Lauretus Santucci Gens. Philolog. IMPRIMATUR Fr. Joseph M. Velzi Ord. Praed. S. P. A. Magister. IMPRIMATUR Joseph Della Porta Patriarchi Constantlnop* Vices^erem . i