ÈÈÈ ^^%.M GIORNALE DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI Voi. 427 428 429 ROMA Tipografia delle Belle Arti 1856 Piazza Poli man. 91. GIORNALE DI SCIE1\ZE, LETTERE ED ARTI VOLUME CXLIII APRILE, MAGGIO E GIUGNO 1856 ROMA TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI 1856 SCIENZE, LETTERE ED ARTI. r— — • » Intorno alV iscrizione ardealina di Mario Massimo. abate Matranga di chiarissima ricordanza Del- l'aprile del 1854 fra altre lapidi venute fuori da recenti scavi operati in Ardea trovò una base ono- raria d' illustre personaggio romano, ch'ebbe la cor- tesia di tosto farmi conoscere, confessando di averla trascritta con grave stento , ed anzi di non essere riuscito a leggerla interamente a motivo delle ma- nifeste ingiurie, che aveva sofferte dall'età. Poco ap- presso mi scriveva di essere tornato sul luogo per usarle le seconde cure , le quali gli avevano frut- tato di migliorarne la lezione, e di completare quella della settima riga: ma che la sesta aveva continuato a mostrarsi ritrosa alle sue diligenze, non avendogli permesso di ricavarne se non che sole due lettere, mentre nell'ultima gli era stato negato di ben di- stinguerne alcuna. Conchiudeva col commettermi di tenerla segreta, avendo in animo d' illustrarla : ma r immatura sua morte gli vietò di adempiere il suo proposito. Sono decorsi oltre due anni da che que- sta lapide fu rinvenuta, né da alcuno è stata pro- dotta , forse perchè a niun altro venne da lui co- municata. Per lo che trovandomi essere il deposi- tario di questa sua scoperta , credo un dovere di giustizia verso la memoria dell'estinto amico di as- 4 sicui'argliene il merito: al quale effetto qui la sot- topongo giusta la seconda copia che da lui mi pro- venne. L . MARIO . MAXIMO PERPETVO . AVRELIANO C . V . PRAEF . VRBI . PROCOS PROVINCIAE . ASIAE . ET . PRO 5 COS . PROVINCIAE . AFRICAE . COS . iT CURA TORI . COLONIAE ARDEATIVM DIGNISSIMO 10 . , Questo Mario Massimo fu presso che ignoto ai nostri antichi eruditi , non essendosi salvata altra commemorazione di lui presso gli scrittori, se non che nei frammenti del L. LXXVIII di Dione rin- venuti dall'Orsini. Primo a metterlo in onore è stato il Noris nell'epistola consolare, dopo che la celebre tavola canosina (Mommsen J. N. 365) ritornata alla luce nel 1675, che porta la data L. M4RI0 MA- XIMO . Il . L . ROSCIO . AELIANO . COS , gli ebbe insegnato che occupò per la seconda volta il consolato ordinario nel 976 varroniano , o sia nel 223 dell'era nostra. Abbondano al contrario le sue memorie epigrafiche, che sarà opportuno di qui rac- cogliere, alcuna delle quali non era stata prima av- vertita, mentre le più sono state dissotterrate dap- poi? e dal loro numero argomentandosi quello delle statue, che gli furono dedicate, se ne deduce age- volmente a quale alto grado di riputazione doveva essere pervenuto. Queste sue lapidi ponno comoda- mente dividersi in due classi, l'una anteriore, l'ai- 5 tra posteriore al suo gemino consolato. Spetta alla prima la gran base disseppellita nel 1708 sul monte Cello nella villa Fonseca, che primeggia sopra tutte le altre, perchè contenendo un cronologico ed ac- curato sommario delle sue dignità e delle sue ge- ste, cominciando dal principio della sua carriera fino al declinare del principato di Settimio Severo, com- pensa il silenzio che se n' incontra nella digiuna isto- ria di quell'età. Fu pubblicata dal Muratori (p.397. 4.) che 1' ebbe da Apostolo Zeno, e che sulle prime contro ogni ragione l'aveva attribuita all'Aureliano prefetto del pretorio d'Oriente, collega di Stilicone nel consolato del 400, ma che poscia se ne ritrattò ( p. 202. t. 5). Come a suo luogo sarà avvertito , discorda in un punto importante dalla copia che si ha da preferire datane dal Bimard (Pmefa^. ad t. 1. Murat. p. 146) e dal Maffei (Ver. ili. L. V. n. V), il quale la trasse dalle schede originali del Bianchi-' ni, che l'aveva veduta. N. 1. L . MARIO . L . F . QVIR MAXIMO . PERPETVO AVRELIANO . COS SACEROTI . FETIALI . LEG . AVGG . PR . PR PROVINCIAE . SYRIAE . COELAE . LEG . AVGG PR PR PROVINO. GERMAMAE . INFEiìIORIS . ITEM PROVINC . BELGICAE . DVCl . EXERCITV MYSI\ CI . APVT. BYZANTIVM . ET . APVT . LVGDVNVM LEG. LEG . I .ITALIC. CVR . VIAE. LATINAE ITEM . RE!P . FAVENTINORVM . ALLECTO IN TER . PRAETORIOS . TRIB . PLEB . CANDID \TO QVAESTORI . VRBANO . TRIB . LATICL LEG XXII . PRIMIC . ITE,\I . Ili . ITALICAE UH V . VIARVM . CVRAND\RVM M IVLIVS^ ARTEMIDORVS . 7 LEG \\\ . CVRENAiCAE 6 Dalla stessa villa Fonseca si ebbe pure quest' altra, che ora si serba nella villa Aldobrandini. Fa confrontata dal Kellermann (Vìg. n. 288) , ed era già stata edita dal Maffei (Ver. illusts. 1. XV n. VI), dal Muratori (p. 719. 1) e dal Donati (p. 76. 6). N. 2. L . MARIO . MAXIMO PERPETVO AVREl.IANO . C . V PRAESIDI . PROVINC GERMANIAE . INFER A . POMPEI . ALEXANDRl P . P . QVI . SVB . EO . MILITAVER A . POMPEIVS . SACERDOS FILIVS . ET . HERES POiNENDAM . CVRAVIT Anche la terza si pone sul monte Celio: dal che potrebbe originarsi un sospetto, che Mario avesse ivi la sua abitazione. L' ho trovata ripetuta due volte nel codice manuzziano della biblioteca vaticana (n. 6035 pag. 57, e pag. 60), e fu divulgata dal Mu- ratori (p. 354. 4). N. 3. L . MARIO . MAXIMO V.C. PRAEF . VRB . COS Q . ATTIVS . Q . F . SABINVS OB . MER Dovrebbe qui aggiungersene una quarta princi- piante da lOVl . 0 . M . ET . FIDEI . CAND . che lo Spon [Misceli, secl. IH- n. 97) pone ad ae- dem lovis Slaloris , essendo stata ammessa anche dal Noris nella seconda epistola consolare f. 258, il quale ne assunse in parto la difesa. Con tutto ciò dispiacque al Maffei (A. C. L. col. 427), e veramente 7 non si tace dallo Spoii di averla desunta dalle so- spette schede Barberine. Il fatto sta che sì questa come una quinta, che dicevasi esistente nella vigna di Roberto Strozzi , ambedue le quali il Muratori (p. 354. 5, e p. 719. 1) confessa di aver ricevute direttamente dal Ligorio, non sono che due diversi supplementi immaginati da quel falsario del seguente miserabilissimo frammento, che il codice vaticano 5237 colloca presso uno scarpellino a porta del po- polo , e coir ultima riga allungata, non so quanto giustamente, in SVFFRAGAT non restò ignoto al medesimo Muratori (p. 2023. 6). N. 4-. MARI . MAXI PRAEF . V PROCOS SVFFRAG Passando alla seconda classe, meriterà la pre- ferenza per ragione di età una pietra di Velletri spezzata pel lungo , che dal Feoli trasse il Cardi- nali nelle sue iscrizioni veliterne n. XXXV , ripro- dotta con alcune mie osservazioni nel t. XXII di questo nostro giornale p. 115, e che dal Labus così è stata supplita a pag. 24 de'suoi marmi bresciani, da lui con universale rincrescimento lasciati imper- fetti. 8 N. 5. . L . MArjo L . FIL MAXtwio AVRELt ano YETiali BIS . COs ASIoe . il PROCos VRB . PKaef PATRono Sebbene pel confronto col numero susseguente non possa negarsi che appartenga al medesimo sog- getto anche questo briciolo di marmo trovato egual- mente a Velletri , e riferito dallo stesso Cardinali n- XXXVIll, nulla tuttavia può ricavarsi da lui, se non che invece di VD vi si aveva piobabilmente da leggere VRA. N. 6. ASloe. . . PROCos . AFRI cae VD Ho poi veduta io medesimo nel museo capito- lino la seguente romana già nota da un pezzo , e recata scorrettamente dal Begero [Spicil Antiq.f.92), e dal principe di Torremozza {Inscr. Siciil p. 52. 26) , ma con maggior fedeltà dal solito Muratori (p. 2023.5) e dal Guasco (T. 1- p. 121). 9 N. 7. L . MARIO . MAXIMO PERPETVO . AVRELIANO C . V . PRAEF . VRBIS PRO . CONSVLI . PROVINO ASIAE . ITERVM PROCONSVLl . PROVINC AFRICAE M . IVLIVS . CEREALIS MATERNVS . EX . CIVITATE FORO . IVLIENSIVM PATRONO . OPTiMO Infine la raccolta dei marmi fin qui conosciuti di Mai'io Massimo si chiuderà dal nuovo del Matranga spettante anch'esso, come il superiore, agli ultimi anni della sua vita, e che ha il merito di offrirci una serie alquanto più completa degli onori da lui conseguiti dopo la prefettura di Roma. Volendo condurre ad effetto le intenzioni del Ma- tranga, e profittare dei materiali qui sopra appre- stati per ordinare le memorie di questo console, si dovrebbe premettere d' ignorare totalmente l'origine della sua famiglia , se anche da questa parte non venisse in nostro soccorso l'epigrafia- Fra le iscri- zioni di Lione il sig. de Boissieu p. 263 sommi- nistra la sottoposta, che per l'esatta corrispondenza dei nomi, della tribù ed anche dell' apparente sua età, a giudizio pure del eh. Mommsen (Annali Ar- eheol. T. XXV p. 66) devesi assegnare a suo pa- dre: ed io aggiungerò al padre egualmente di suo fratello L. Mario Perpetuo consolare delle tre Dacie, di cui sarò per dire in appresso- 10 L . MARIO . L . F . QVIR . PERPETVO PONFIFICI PROCVRATORl . PROVINCIARVM LVGDVNENSIS . ET . AQVITANICAE PROCVRATORl . STATIOINIS . HEREDITAT PROCVRATORl . XX . HERÉDITATIVM PROCVRATORl . PATRIMONI PROCVRATORl . MONETAE PROMAGISTRO . HERÉDITATIVM Q . MARCIVS . DONATIANVS . EQVES CORNICVLARIVS . ElVS Quantunque di una casa non senatoria, se Mario nacque da uno dei principali dell'ordine equestre , ch'esercitò le piiì illustri procurazioni, non sarà me- raviglia se ottenne fino da principio due tribunati colle insegne del lato davo , e se fu destinato di buon'ora a battere la strada degli onori. Egli vi die il primo passo partendo al solito dal vigintivirato, in cui fu uno dei quattro sovrastanti alle strade di Roma, e la percorse regolarmente sotto Commodo fino alla cura pretoria della via latina. Dopo que- sta si nota che fu legato nella legione prima ita- lica, e quindi dux exercitus mysiaci apud Byzan- thim et apud Liigdunum. h manifesto che qui si tratta del notissimo assedio di Bisanzio nella guerra contro Pescenio , fatto intraprendere da Settimio Severo sulla fine del 946 , mentr' egli tragittava 1' l'Ellesponto inseguendo l'esercito del rivale, che fu disfatto alla giornata di Cizico. Lo che essendo, è da ricordarsi che la legione prima italica fu tra le prime a concorrere all'esaltazione di quell' imperatore: del che fa fede la sua medaglia presso l'Eckhel (T. VFI p- 178), e ch'ella appunto stanziava nella Mesia in- 11 feriore, secondo Dione (L. 55 e. 24), o poco lontano nella Tracia medesima in cui era posto Bisanzio » secondo un' iscrizione trovala a Tivoli ai nostri gior- ni: VAL . SVEDIO . MILITI . LEG . 1 . ITAL . PROVINGIAE.TRACIAE . Sta bene pertanto che al suo legato fosse commessa l'espugnazione di quella vicina città, e che a tale effetto si aggiungessero sotto i suoi ordini le altre milizie raccolte dalle due Me- sie , dandosegli la qualifica di Dux. xVlcuno aveva creduto di poter ricavare da questo titolo, che Ma- rio fosse in allora o divenisse poco dopo legato con- solare di alcuna di quelle due provincie. Ma il Bi- mard [Praef. ad Marat, p. 145) a proposito appunto dell' iscrizione di cui parliamo ha dottamente av- vertito, che fino dai giorni di Adriano la voce ge- nerica i)«j; aveva cominciato ad acquistare la signi- ficazione particolare di generale, a cui era affidato il comando di una data spedizione , il quale però non aveva giurisdizione se non che sui propri sol- dati a difforenza del Legalus Angusti prò praetore, che l'estendeva eziandio sopra una provincia. Con- seguentemente egli osserva che Spartiano (Sev.c.lO) e Capitolino (Alb. 8 e 9) , non danno altra deno- minazione ai generali che Severo inviò contro Al- bino: e poteva anche aggiungere che la distinzione in questi tempi fra Dux e Legalus apparisce mani- festissima da un altro luogo dello stesso Spartiano nella vita di Pescenio (e. 6), ove ci dice: fuit Niger miles optimus, tribunus singularis , dux praecipuus , legatus severissimus, consul insignis. Vero è che io non mi ricordo di averne incontrato esempio nel lin- guaggio ufficiale delle iscrizioni di Adriano e di 12 M. Aurelio , nelle quali anche questi legati spedi- zionari seguitano a chiamarsi legati di Augusto, come Lollio Urbico in un nuovo sasso dell'Algeria, di cui aspettiamo la pubblicazione dal sig. Kenier, LEG . LEG . I . MIN . LEGATO . IMP . HADRIANI . IN . EXPEDITIONE . IVDAICA ; e in un altro presso il C. /. Graec. 5366 di Geminio Marciano sotto gli augusti fratelli LEG • AVG . LEG . X . GEMINAE . LEG . AVG . SVper . VEXILLATIONES . IN . CAPPAdoCIA . Ma è vero altresì, che il nuovo ti- tolo si trova introdotto anche sui marmi fino dal principio di Settimio Severo: onde Claudio Candido uno dei suoi primitivi condottieri si annunzia DVX. EXERCITVS. ILLYRICL EXPEDITIONE . ASIANA. ITEM . PARTHICA . ITEM . GALLICA (Grut p. 389. 2) , e Fabio Cilone DVX . VEXILL . PER . ITALIAM . EXERCITVS . IMP . SEVERI (Marini, Iscr. Albane p. 50). Per lo che senza allargare la pedcstà di Mario sopra alcuna delle Mesie, che nel- r inferiore gli verrebbe in questi anni contrastata dai legati Gentiano, Aurelio, Appiano e Pollenio Au- spice delle medaglie di Marcianopoli e di Nicopoli, e nella superiore, dall'anzidetto Cilone, ci contente- remo di esser obbligati a questa base di averci con- servato il nome invidiatoci dalla storia di chi co- mandò quel celebre assedio, durato ostinatamente tre anni , e terminato finalmente colla dedizione degli assediati nella primavera del 949. Dopo di che apprendiamo dalla medesima base, che il no- . stro Mario insieme col suo corpo di esercito seguì Severo alla nuova guerra contro Albino finita tra breve colla vittoria di Lione dei 19 febbraio del- 13 l'anno seguente. Successivamente la slessa lapide , che ci serve di guida , gli conferisce la legazione della Germania inferiore , che sarà la prima delle Provincie consolari da lui amministrate dopo che se gli è superiormente rifiutata una delle Mesie. È questo pertanto l' intervallo, a cui dovrà re- stituirsi il suo primo consolato qui messo aperta- mente fuori di luogo , per seguire il .più frequente costume di collocarlo alla testa dell' iscrizione a mo- tivo della supremazia di quella dignità, mentre qual- che altra volta per la stessa ragione segnossi da ultimo, come in questa del Matranga, specialmente quando la lapide con ordine retto dalle cariche più antiche discendeva alle più recenti. E un perditempo il ricordare le opinioni dei vecchi antiquari, i quali credevano che tutti i consolati si avessero da tro- vare nei fasti che ci sono rimasti , come sarebbe nel nostro caso quella del Demadeno nel Delectiis script, ter. neapolit. p. 751, che lo tenne pel Mas- simo uno degli ordinari del 925 mentovati nella gruteriana p. 1014. 1. e. p. 1072. 3. Ma la nostra lapide rifiuta decisamente di rimandarlo cotanto in- dietro, e dall' ultima riga del secondo frammento dei fasti dei Salii Palatini (Marini Arv. p. 166) si è ricavato, che quel Massimo appartenne alla cono- sciuta casa dei Quintili: senza dire che in tutto il decimo secolo di Roma non si ha alcun esempio di un privato, che abbia tenuto ripetutamente i fa- sci ordir^ari. Piuttosto non è da tacersi che il Cor- sini {de Praef. Urbis p. 119), attribuendo a Mario Massimo ciò che il Reimaro aveva avvisato per Oc- latinio Advento , fu di sentimento che questo suo 14 consolato fosse di semplice tìtolo, o sia che ne con- seguisse soltanto gli ornamenti: alla qual sentenza pure molte ragioni si oppongono. Primieramente si è già veduto che nella medesima lapide in discor- so egli fu detto ADLECTVS . INTER . PRAETO- RIOS. Perchè adunque nello stesso caso non si sa- rebbe scritto egualmente ADLECTVS . INTER CON- SVLARES ? Dipoi nel terzo dei marmi sopra rife- riti si torna ad asserire che fu PRAEFec/«« VRRi CO«Sm/. Dione (L. 78 e. 14), che indirizza tanti rim- proveri a Macrino per aver data la prefettura ur- bana prima del consolato ad Advento, che ne aveva già ricevuto gli ornamenti, come non glie li avrebbe raddoppiati se avesse fatto altrettanto con Mario di lui successore, del quale parla nel medesimo luogo? Infine ciò che decide la questione si è, che Mario in grazia di aver seduto iteratamente sulla maggiore curule ottenne due volte, come vedremo, una delle Provincie consolari senatorie, cioè prima 1' Asia, e poi l'Affrica. Ora le provincie consolari di sua sfjet- tanza, finché gli durò questo diritto, non furono mai date dal senato se non a chi aveva trattalo real- mente i fasci. Fu dunque il suo un consolato ef- fettivo, benché suffetto. Non potrà però anticipar- segli innanzi la vittoria sopra ^libino, pritna della quale é dimostrata la sua continuata assenza da Roma senza aver avuto campo di ritornarvi per oc- cuparlo : oltre di che è ben da supporsi, che non gli fosse concesso il premio dell' espugnazione di Bisanzio se non dopo averla ottenuta. Siamo dun- que al 950 aperto con Cuspio Rufino da Sestio La- terano (Orelli 2325), uno anch'esso dei generali spe- 15 dizionari nella guerra contro Pescenio, e nelle suc- cessive di oriente (Dione L. 75 e. 2). Dovremmo fermarci agli ultimi mesi di quest'anno per appre- stargli una nicchia nella serie consolare, se si avesse da credere al Muratori (p. 397. 4), che lo manda nella Germania col titolo di LEGalus WGiisli, cioè del solo Severo: il che vorrebbe dire che fosse già in possesso di quella provincia innanzi che quel principe si associasse il suo primogenito all' impero nel seguente anno 951, secondo i giusti calcoli dell'E- ckhel T, Vili. p. 4-24 confermati da una nuova lapide di Lambesa (Reoier. Inscr. de l'Alger. n.56), e dall'orel- liana 3687, in cui ai 19 settembre di quell'anno Cara- calla già dicesi augusto. Niun lume su di ciò ci viene somministrato dalla nostra lapide n 2, che si contenta di appellarlo con espressione generica PRAESES . PROVINC . GERMANlAE . INFERIO- RIS. Ma ho notato poco fa che nella trascrizione di queir epigrafe muratoriana merita maggior fede la concorde lezione del Bimard e del Maffei , che ne trassero LEO . ASGGustorum: il che sembra an- che pili conveniente per dare la dovuta estensione al governo del suo antecessore Valerio Pudente, il quale per attestato di un celebre marmo di Olanda, riferito tra gli ultimi dal solito Orelli 3586, vi era legato di augusto propretore mentre Severo era an- cora il solo imperatore, e Caracalla già cesare , o sia dopo che questi a Viminacio era stato elevato alla dignità cesarea, trascorsa la prima metà del 949. Laonde senza stringermi entro cancelli cosi angusti sarò pago di stabilire, che dopo la fine della guerra gallica non s' indugiasse molto nel concedere 16 a Mario la meritata promozione, seguita tra breve, ma non prima del 952 , dalla consolare legazione della Germania inferiore ampliata coli' annessione della Belgica. Non si sa quanto durasse nel loro reggimento , e né meno quando sotto i medesimi augusti passasse all' altro della Siria , essendo egli l'unico preside di quella provincia, di cui ci sia per- venuta contezza durante il regno di Severo. Ella per differenziarsi richiamò 1' antica appellazione di Cele, invece della quale usò talvolta l'altra di mag- giore, quando lo stesso Severo dopo l'uccisione di Pescenio, irritato contro gli antiocheni pel favore da essi prestato al suo emulo, ne staccò la Siria Fe- nicia per crearne un'altra provincia: divisione ch'era già consumata nel 951, come più largamente mo- strai nel mio Burbuleio p. 60. E qui termina l'elenco dei suoi onori registrati nella prima delle sue lapidi, dopo la quale le altre ce ne offrono la continuazione, cominciando concor- demente dalla prefettura urbana. Il n. 3 ci ha di- mostrato ch'egli r ottenne prima del secondo con- solato: il che pienamente corrisponde a quanto ri- cavasi da Dione (L.78 e. 14). Narra egli che dopo l'uccisione di Caracalla, seguita agli 8 di aprile del 970, Macrino subentrato in suo luogo elevò alla prefettura di Roma Oclatinio Advento già suo col- lega in quella dei pretoriani ; ma che dopo, attesa la sua vecchiezza e la sua incapacità, fu costretto a dargli un successore nella persona di Mario Mas- simo. Durò questi certamente nella carica finché durò nel potere chi glie l'aveva conferita (id. 1.78 e. 36. e. 1. 79 e. 2), il quale fu vinto presso An- 17 liochia agli 8 di giugno del 971, emesso a motte non molto di poi. Ma è presumibile, che la conser- vasse qualche altro tempo ancora, e per lo meno fino all'arrivo di Valerio Comazonte che Io surrogò (id. 1. 79 e. 4 e e. 21) , uno dei primi ministri e prefetto del pretorio di Elagabalo, il quale preve- nendo la venuta del nuovo prencipe, che svernò a Nicomedia , è difficile che potesse essere a Roma prima del cadere dell' anno, affine di assumervi il successivo consolato ordinario. La quinta delle nostre lapidi interpone a Mario tra la prefettura e i secondi fasci il proconsolato dell' Asia: il che mi fa nascere il sospetto che per ottenere quest'ultimo abbandonasse, o se gli facesse abbandonare la prima. La congettura si fonda sul- l'avere osservato, che presso a poco in questo inter- vallo gli sarebbe competuto il diritto di conseguirlo, per la ragione da una parte dell'anzianità, e seguendo dall'altra le norme della pratica contemporanea, in- torno la quale è notabile un luogo di Dione (1. 78 e. 22 ). Apprendiamo da lui che Macrino nel 970 fece accettare a Giulio Aspro il proconsolato del- l' Asia non ostante la rinunzia da lui datane negli ultimi giorni di Caracalla, ma che tra breve per so- pravvenuti disgusti glie lo tolse mentre era già in viaggio per recarvisi, dandolo in vece ad Anicio Pe- sto, ch'era stato preferito nell'estrazione a sorte delle Provincie. E poiché era vicina la scadenza dell'anno prefisso alla sua amministrazione, glie la prolungò anche per l'anno veniente in sostituzione ad Autì- dio Frontone , benché avesse a questo promesso 1' Asia in cambio dell'Aff'iica, che gli era toccata nella G.A.T.CXLIII. 2 18 sortizione: per cui finì che non ebbe nò Tun:» né V altra. Nulla può precisarsi sul conto di Giulio Aspro, che durante la prefettura urbana ebbe il secondo consolato nel 965 , chiaro essendo che in virtìi di esso niuna pretesa poteva muovere sopra alcuna delle Provincie senatorie, troppo mancandogli al decennio per lo meno d' interstizio prescritto dalle antiche leggi: onde conviene ammettere, che il diritto glie ne provenisse dai primi fasci , che non sappiamo quando ottenesse. All' opposto Aufidio Frontone è indubitatamente il console ordinario del 952. Ri- guardo poi ad Anicio Festo è da osservarsi , che fra le due varianti del testo dioneo Festo e Fausto (Reimaro pag. 1.330 nota 2) i suoi editori mala- mente hanno preferito la prima senza badare che egli sarebbe un uomo ignotissimo; e che ignoto sa- rebbe pure quel cognome nella gente Anicia, men- tre poscia fu celebre in essa quello di Fausto. Molto meno si sono risovvenuti che quel personaggio chia- mato Q. Anicio Fausto , il quale era stato legato di Settimio Severo nella Mesia, era già cognito fi- no dai tempi dello Spon (Misceli., sect. V jn fine). Ora poi dalle iscrizioni algerine del Renier n. 56 e 63 si è saputo di più , che nel 951 era designato console, naturalmente suffetto, o per la fine di quel- l'anno 0 per l'anno successivo , come lo fu difatti, in un altro di quei marmi intitolandosi apertamente COS. Da tutto ciò sembra adunque raccogliersi che l'intervallo fra il consolato e il proconsolato , che fino ai giorni di M. Aurelio fu di tredici anni all' in- circa, a quelli di Macrino si fosse elevato ai dician- nove e ai venti: del che non sarà difficile di tro- 19 vare la ragione nell'accrescimento dei candidati ori- ginato dall'esuberanza dei fasci prodigati da Com- modo, e anche in parte dai successori. Quindi es- sendosi mostrato di sopia, che anche Mario Massimo dev'essere divenuto consolare circa il 951 , potrà credersi non senza apparenza di verità , che venti anni dopo ha succeduto ad Anicio Fausto nella ret- toria dell'Asia. La nuova lapide del Matranga, e 1' altra n. 7 lo dicono Pvoconsul ilerum : per cui ttii sono creduto in dovere di aggiungere Vilerum al sup- plemento che del n. 5 erasi fatto dal Labus. Non per questo si avrà da tenere, ch'egli sia stato man- dato due volle in quella provincia , ma solo che l' amministrò per due anni consecutivi: del che senza cercarne altro esempio facile a rinvenirsi, l'abbiamo già avuto prontissimo nell'antecessore. Succede secondo la progressione dei tempi il consolato, a cui fu assunto replicatamente nel 976 in compagnia di L. Roscio Eliano. Quantunque, a ri- serva del solo Idatio, le altre vecchie collezioni di fasti, solite a curarsi poco del precedente onore sur- rogato, preteriscono di chiamarlo secondo: basta però ad assicurarlo per tale l'autorità della precitata ta- vola canosina, suffragata da una pietra di Bonna edita più correttamente dal Lersch (Central museum t. II n. 14). Da un pezzo i prefetti di Roma erano in possesso di raddoppiare i fasci consolari durante la loro magistratura, o poco dopo che ne avevano cessato: ond' è probabile che Alessandro sul princi- cipio del suo impero non avesse altra vista nel dar- glieli se non quella di riparare all' ommissione del suo predecessore. 20 Resta per ultimo il proconsolato affricano sfug- gito al Morcelli, talché indarno se ne fa ricerca nella serie da lui datane nel t. 1 dell' Affrica Cristiana. L'allegato n. 5, che dopo quello dell' Asia nota la rinnovazione dei suoi fasci senza far cenno di que- st'altro , mette fuori di controversia che fu a loro posteriore. Infatti ho già avvertito, che solo colla ri- petizione del consolato potè acquistare il gius di ottare alla ripetizione della provincia. Il lungo spa- zio di tempo richiesto dal raddoppiato intervallo , che pei'ciò si doveva subire, rende ragione della som- ma rarità di chi abbia preseduto ad ambedue le provincia consolari: di modo che dopo la loro isti- tuzione sotto Augusto nel 727 non ne conosco che un altro solo esempio nell' imperator Balbino recato da Capitolino {Max. et Balb. e. 7). E questa ragiono obbligherebbe noi pure a procrastinarlo di soverchio, se non fossimo già pervenuti al principato di Ales- sandro Severo. È innegabile, e l'esperienza ce lo fa vedere ogni giorno, ch'egli fu autore di molte ri- forme nell'amministrazione interna dell'impero, ben- ché finora siano state poco avvertite dagli eruditi, e sebbene relativamente alle provincie non- se ne abbia che un semplice cenno da Lampridio [Alex. e. 24. ); Proviìicias legatorias praesidiales plurimas fecitf proconsulares ex senatus auctoritale ordinavit. Due di queste innovazioni sono importanti nel no- stro caso. Da prima l'Affrica e l'Asia si cavavano a sorte dai consolari secondo l'anzianità del tempo in cui avevano prestato il loro nome ai fasti, e secondo la lista degli ammessi alla sortizione data dagl' im- peratori, i quali ne escludevano quelli che loro non 21 talentavano. Alessandro invece le lascio alla libera collazione del senato , ristretta però sempre fra i consolari. Infoiti riguardo ad esse non sì sente più a parlare di sortizione , ma vi si trovano in vece proconsoli missi ex senatus consulto (Capito!. Gord. tres e. 2). Da Vopisco (Aurei, e. 40) ci si dice che nei sei mesi dopo l'uccisione di Aureliano restarono al loro posto tutti i quindici, quos aut Aurelianus , aut senatus dclegerat,nisi quod proconsulem Asiae Fai- tonium Probum in locum Aurelii Fusci senatus dele- gii. Ed anzi lo stesso Capitolino [Gord. tres e. 5) ci ha conservata l'epistola ipsius Alexandria qua se- natiti (jratias egit, quod Gordianum in Africam prò- considem destinaverat. L'altra riforma, venuta di con- seguenza alla prima, dev'essere stata quella di aver soppressa l'antica prescrizione dell' intervallo fra il consolato e il proconsolato: quantunque sia difficile di addurne prove contemporanee in un secolo ri- coperto di tanta caligine quanto è quello che suc- cede, nel quale oltre la carestia delle notizie, l'uso frequentissimo di i-icordare le persone con un nome soltanto fa riuscire assai malagevole di poterne di- mostrare r identità. Se ne ha tuttavolta qualche ar- gomento in tempi poco lontani, ed anteriori ai nuovi cambiamenti operati da Costaatino dopo che per la vittoria sopra Massenzio nel 1065 si fu impadro- nito di Roma, in seguito dei quali i consolari per- dettero l'esclusivo diritto di reggere le due Provin- cie, ch'erano loro riservate: cambiamenti avvenuti prima del 1068, in cui il proconsolato dellAffrica trovasi conferito al conosciuto Petronio Probiano , che non fu ascritto ai fa&ti se non che nel 1075. Jntatito, preferendone qualche altro meno sicuro, si può citare Cassio Dione console nel 1014, procon- sole d'Affrica nel 1048 (Ruinart negli atti di S. Mas- similiano) e prefetto urbano nell'anno seguente: non che Annio Andino console nel 1048, ivi proconsole pel 1056 (idem negli atti di S. Felice), e prefetto anch'egli nel 1059. Sarebbe inutile di cercarne al- tre prove, se potesse farsi maggior capitale dell'evi- dentissima somministrata dallo stesso Capitolino (Goni, tres e. 2) nel raccontarci che Gordiano affri- oano ex consulalu, quem egerat cum Alexandro, ad proconsulatum Africae missus est ex senalus considlo: ripetendo poco dopo (e. 4) post consulalum procon- ml Africae facius est. Ma egli ci ha detto altresì (e, 4) che quel Gordiano consulalum primum iniit cum Antonino Caracalla, secwidum ctim Alexandre: e questo secondo consolato viene poi formalmente snfientito da una testimonianza superiore ad ogni eccezione, qual' è quella della sua medaglia coU'epi- grafe P . M . TR . P . COS . P . P . , la quale certifica che anche dopo la sua elevazione all' im- pero non ne contava che un solo, lo pure, che nel mentre che scrivo ho questo nummo conservatissimo innanzi gli occhi, posso attestare che non è possi- bile di scambiare la sua faccia con quella del figlio, come da prima fu supposto dall'Eckhel (D. N-v. t. VII p. 301) per non dare una mentita al biografo. Che che pertanto si abbia da giudicare dei suoi detti, tolta che sia per altra parte l'opposizione dell' in- tervallo , io collocherò volentieri questo proconso- lato del nostro Mario sotto Alessandro Severo in- nanzi quello del lodato Gordiano, sembrandomi so- 23 vercliio r indugio se si avesse da differire dopo la di lui morte, e la successiva occupazione di Gapelliano, ed anzi dopo i pritni anni di Gordiano Pio impe- diti da Sabiniano. Con esso avranno fine i suoi onori, giacché la posizione del COS . II , con cui la la- pide del Matranga ne chiude l'elenco, non perchè il posteriore di tempo, ma perchè il maggiore di tutti in dignità, dimostra abbastanza che alcun altro non le rimaneva da ricordare. In conseguenza ritengo che la susseguente laguna sarà convenientemente ri- empita supplendo Patrono et CjiRATORl . COLO- NIAE . ARDEATIVM . DIGNISSIMO : mentre non è dubbioso che l'estrema riga, riconsciuta non leg- gibile, doveva contenere V indicazione di chi fece in- nalzare la statua coli' iscrizione. Nuovo merito della seconda sarà poi quello di aver fatto menzione della colonia di Ardea, e di aver così prolungate di un secolo le memorie di quelT antichissima città. Il Nibby (Analisi della carta t. I. p- 237) confessò di non averne più trovato sentore dopo l'avviso rice- vuto dal libro Coloniarum I, che l'imperatore Adriano la sottopose a nuovo censimento. Non si ha da dissimulare , che le cose fin qui discorse cadrebbero a voto, se reggesse 1' opinione del Corsini ( De praef. urb. p. 107 e p. 118) , il quale divise Mario Massimo in due diversi pei'sonaggi. Attribuì al primo le tre iscrizioni che ho trascritte ai n. 1, % 7, e trovando mentovata nell'ultima la prefettura urbana, s'immaginò di assegnargliela circa il 953. Quattro altre ne riferì al secondo , che in sostanza si riducono a due, vale a dire al n. 3 delle nostre, e al frammento n. 4: giacché le rimanenti 24 non sono, come ho detto, che due diversi supple- menti di quel frammento usciti dal cervello del Li- gorio. Ammise che questi fosse il console del 976 e il memorato da Dione: onde a lui confermò l'al- tra prefettura del 971- Su due ragioni stabili que- sta sua distinzione. Desunta la prima assai debole dalla differenza dei nomi, adducendo che il più an- tico si disse L. Mario Massimo Perpetuo Aureliano, e pretendendo che il secondo si chiamasse soltanto L. Mario Massimo. L'altra,, dedotta dalla diversità delle cariche, allorquando la propose era falsa, per- chè le dignità di console e di prefetto, che sono le sole indicate nei marmi da lui concessi a chi ebbe y\ governo di Roma nel 971, ricorrono egualmente negli attribuiti al suo prefetto del 953. A snervare il primo dei suoi argomenti sarebbe bastato di op- porre la ridicolezza della pretesa , che i polionomi si avessero sempre da memorare collo strascico di tutti i loro nomi. Chi asserirà, per esempio, che il Sosio Prisco dellorelliana 2625, perchè non ne porta che due, sia differente del console del 922, che in un suo cippo onorario di Tivoli ne infilza fino a trentaquattro? Ma quest'argomento fu poi maggior- mente infirmato dal n. 5 del Cardinali, da cui si apprese, che il console del 976 ebbe anche il co- gnome di Aureliano provenutogli probjibilmente, se- condo un uso allora assai comune, dalla madre. E viene ora interamente abbattuto dalla nuova sco- perta del Matranga, che gli aggiunge altresì il co- gnome paterno di Perpetuo, mentre col titolo COS. Il toglie ogni dubbio esser. egli la medesima persona che nella data della tavola canosina si disse sem- 25 plicemente L . MARIO . MAXIMO . II . La nuova pietra ci fa inoltre vedere, che a torto dal Corsini si era di soverchio anticipata 1' incisione dell'altra qui descritta sotto il n.7, quando V identità degli onori mentovati in ambedue ci convince, ch'esser debbono quasi contemporanee. Vero e che così verrebbe ad acquistare qualche forza la seconda delle sue ra- gioni: ma è vero altresì, eh' è facile di spiegare con tutta naturalezza questa diversità d' impieghi avver- vertita nelle lapidi di Mario, ripetendola dalle di- versità del tempo , in cui furono incise. La base n. 1 registra generalmente tutti quelli ch'egli ebbe, cominciando dalla prima gioventù tino al giorno in cui fu scolpita prima della morte di Settimio Seve- ro. Gli altri numeri al contrario, dedicatigli piiì tardi sotto Alessandro, per non farne così lunga enume- razione non curarono le cariche degli anni più flo- ridi, e si contentarono di citare soltanto le coperte da lui in età più matura, ed anche in vecchiezza. Per tal modo verrà esclusa non solo la supposta di- visione in due di questo personaggio, ma con una migliore ordinazione dei suoi monumenti sarà an- che dimostrata l' insussistenza della prima sua prc fettura nel 953, ch'era già stata negata dal Cardi- nali (Lett. sui prefetti p. 12). A cacciarla dall'anno assegnatole sarebbe stato sufficiente il più volte ci- tato n. 1, che non ne fa motto, quantunque poste- riore non di poco, siccome si fa chiaro dal triennio ordinariamente richiesto per la durata di ciascuna delle legazioni della Germania e della Siria soste- nute ambedue dopo che Caracalla era stato asso- ciato all'impero nel 951. Ma le sarà tolto ogni 26 fondamento coll'essersi in oggi veduto che il pre- detto n. 7, su cui unicamente fondavasi, a motivo della menzione che fa dei suoi due proconsolati deve nportarsi a tempi successivi a quello, in cui real- mente cccupavala nel 970 e nel 971. Ed è poi certo ch'egli non Tebhe se non che una volta soltanto , negandosele la nota della ripetizione da quei marmi medesimi, che l'aggiungono al suo consolato, e al suo proconsolato dell'Asia. Alcuno sulle tracce del Casaubono, come ve- dremo, potrebbe opporre, che coU'accumulare sopra una testa sola tutte le notizie superstiti di Mario. Massimo si viene a prolungare la sua vita oltre i termini convenevoli- Vediamo pertanto ciò che può essere di vero in questa obbiezione: tanto pili che una tale indagine ci gioverà nell'ultima questione a luì relativa, che ci resta da trattare. L'unico dato che abbiamo per giudicare presso a poco della sua età proviene dalla legazione legionaria che sosteneva al tempo dell'assedio di Bisanzio incominciato sulla fine del 946. Si conosce che ai primi tempi dopo l'i- stituzione fattane da Augusto bastava essere di già senatore per ottenerla, ma che col progredirà del- l' impero non fu più data che dopo la pretura. E si conosce pure che perdevasi, come ogni altro uffi- cio, coll'essere promoss^o al consolato: per cui noi durava ordinariamente pili di due o tre anni. No- tissimo è poi che in seguito della legge annale del medesimo Augusto, a meno che non intervenisse una rarissima dispensa del principe, non si diveniva pre- tore se non che a ventinove anni compiti, né con - sole se non dopo un triennio. Anche Mario ebbe 27 prima regolarmente la pretm-a: non però effettiva , ma codicillate, datagli per quanto pare ad oggetto che potesse assumere la cura della via latina, che era una carica anch'essa pretoria. Nulla dunque im- pedisce di poter stabilire , che possa essere stato ascritto fra i pretorii da Commodo nel 945, e che nel susseguente 946 possa aver ricevuta la legazione da Pertinace, quando aveva già finito il suo trentesimo anno di età. Così sarebbe stato prefetto di 54 nel 970, nuovamente console di 60 nel 976, e ne avreb- be contato 72 quando Alessandro fu ucciso nel marzo dal 988. Sebbene ne restasse favorito il mio assun- to, io provo tuttavia qualche ripugnanza nell' am- mettere col Morcelli, che Gordiano affricano, da me reputato di sopra il suo successore, sia stato inviato rettore dell'Affrica nel 983, avendo già addotto le difficoltà che incontra il passo di Capitolino (Cord. e. 5) da lui invocato, e troppo straordinario, anzi i- naudito del tutto, sembrandomi un proconsolato di otto anni , quanto avrebbe durato quello di Gor- diano che si privò di vita nel 991. Il più lungo che sìa noto, e che si cita come una stranezza, essendoché il proconsolato fu annuo di sua natura, è l'antico di Giunio Silano protratto ad un sessennio al finire del- l' impero di Tiberio. Da tutto ciò ne consegue, che quand'anche si togliessero due o Ire anni a Gor- diano, resterebbe sempre vero che Mario non sa- rebbe stato il suo antecessore, se non che a set- tant'anni all' incirca: età non disconveniente ad un proconsole, e che sarebbe sempre ampiamente difesa dall'esempio dello stesso Gordiano, che per comune consenso morì ottuagenario in quella provincia dopo un principato che non giunse a due mesi'. 28 La questione che ho accennata verte su questo, se il Mai-io , di cui si ò ragionato finora, sia quel inedesiino che scrisse le vite di molli imperatori. Il Vossio, quando trattò del secondo nella sua opera De hisloricis latiniSi mostrò di non essergli nò meno passato per mente. Chi primo portò l'opinione del- l' identità dello storico e del prefetto di Roma è stato il Valesio nelle note al L. XXVIII. 4. 14 di Ammiano Marcellino, sulla quale il Noris nell'epi- stola consolare , e il Tillemont ( art. XXVI sopra Alesssndro) sospesero di pronunziare il loro giudi- zio. I moderni hanno generalmente inclinato a fa- vorirla: ma ninno, che sappia, l'ha presa partico- larmente in esame. Tutti convengono che le sue vite cominciavano da Traiano, e finivano con Alessan- dro Severo. Né può dubitarsi che questa sia stata l'ultima» niun'altra ricordandosene di seguito: tal- ché se viene anche citato da chi tenne discorsa de' principi posteriori, come sarebbe Vopisco (in Probo e 2, e in Fi rmo e- 1), non lo fa che per annove- rarlo fra gii storici trapassati. Degno però di spe- ciale attenzione è il silenzio di Capitolino, il quale dopo essersi a lui riportato più volte nelle sue vite di Antonino Pio (e. 11), di Pertinace ( e. 2), e di Albino (e 3, e. 9, e 10), non ne ta più ricordo nelle successive di Massimino, dei Gordiani, di Balbino e di Pupieno: segno non equivoco che quella sua scorta gli era poscia mancata. Intanto è notabile che fra i moltiplici scrittori , i quali hanno parlato di lui, giacché ai soprannominati si hanno da aggiungere Lampridio, Spartiano, Volcatio, Ammiano Marcel- lino e lo scoliaste di Giovenale (Sat. IV, v- 53), 29 ninno ci abbia dato alcun lume sulla sua persona e sull'età precisa, in cui visse. Io non ho potuto tro- varne se non che un leggiero cenno in Lampridio (Coni. e. 13), ove ci dice : Versus in Commodum multi facti simty de quibus etiam in opere suo Ma- riiis Maximus gloriatur. 11 Casaubono, sentenziando arbitrariamente che Mario appartenne a tempi più bassi, appose a questo luogo la chiosa seguente: Nun quod illos vei'sus fecisset, ne erres, iunior enim Ma- rius Maximus fuit, sed quod diligenler coUegissef. Ma con buona pace di un critico così solenne , tutti comprendono che alcuno possa gloriarsi dei versi propri, mentre assai pochi sapranno vedere qual glo- ria si acquisti col ricopiare gli altrui. Fermo adun- que che lo storico qui si vanta di versi suoi, io os- serverò che da questo passo si schiarisce non poco la nostra questione. Abbiamo già veduto che al prin- cipio del regno di Settimio il prefetto doveva nu- merare circa trent'anni, e che quindi condusse sotto Commodo la sua più fresca gioventù , vale a dire l'età più propria per dare opera alla poesia. Arrogo che non gli mancò ne meno 1' occasione di appli- carla alle satire contro quell' imperatore , avendo passata in Roma l'ultima metà dell' impero di lui, come consta dalla natura degli uffici che vi occupò. Di più se fu uno dei compagni di Settimio, ed anzi uno dei suoi generali nella guerra contro Albino, si spiegherà facilmente come potesse esser conscio dei segreti pensieri del primo riguardo al secondo, quale lo storico si manifesta (Capit. Alb.c. 3) quando ri- feriva che queir imperatore da prima aveva avuto nell'uniitio, se fosse venuto a mancare, di lasciare 30 l'altro suo successore nel trono. Infine quantunque non si voglia procrastinare il suo proconsolato del- l'Affrica fin dopo la morte del primo Goidiano, si dimostrerà almeno da esso, che giunse ben avanti neir impero di Alessandro; e si è anche notato che quando questi fu ucciso nel 988 , Mario forse non oltrepassava i settantadue anni. (]osa vi è dunque di strano, che gli bastasse tanto la vita per compiere la sua opera , conducendo a termine la storia di queir augusto? Per lo che oltre la somiglianza dei nomi risultando eziandio dal fin qui detto un'esatta corrispondenza fra l'età dello storico, e quella del prefetto, ne resterà grandemente avvaloralo il sen- timento del Valesio, che riconobbe in essi una stessa persona. Una qualche conferma di ciò potrebbe anche ri- trarsi dal non conoscersi posteriormente alcun altro coi medesimi nomi, ne mono nella sua casa- Quelli che porta in un marmo di Bonna ( Lersch Oentr. mus. Un. 16) Q. Venidio Rufo Mario Massimo Calviniano , il quale fu poscia legato della Fenicia nel sesto anno di Settimio Severo, non furono evi- dentetnente i suoi propri, ma pel luogo in cui si scorgono collocati si confessano da loro stessi per nomi di parentela, siccome si ratifica dal confronto con altre sue lapidi presso l'Orelli 905, e presso il Donati p. 464- 4. Non sarebbe infatti difficile, né alieno dagli usi di questi secoli in cui le persone pili non si distinguevano colla diversità del preno- me, ma con quella del cognome, non sarebbe, dico, diffìcile che il padre di L.Mario Perpetuo procuratore della Lionese, di cui si è favellato di sopra, si fosse 31 chiamato L. Mario Massimo, da una figlia del quale fosse nato Venidio: mentre da questo suo nome pa- terno il nostro Mario avrebbe ereditata l'appellazione di Massimo, Ma propriamente della sua famiglia non conosco alcun altro, fuori che il memorato in que- sta iscrizione di Carlsburg riportata con non poco dissenso fra loro dall'Hoenhauseu p. 137, dal Sei- vert p. 57, e dal Neigebaur p. 128 n. 18 ep.l55 n. 232. Dal paragone delle loro varianti se ne re- stituisce in parecchi luoghi la retta lezione, senza toglierne però tutti gli errori: poiché nella settima riga si avrà per esempio da riporre VRBISALv/en- sium ET, in cambio di VRBIS , IM : e così pure nella decima o QVAES, o PRAET, invece di OAES: restando poi sempre da emendare i titoli delle le- gioni: il che non può farsi senza ricorrere a degli arbitrii. L . MARIO . PER PETVO . CoS . DAC iTl . LEG . AVG PRO PR . PROVINCIAE « MOESIAE . SVPEft CVRAT . RERVM . PV BUCAR . VRBIS . IM TVSCVLANOR . PRE SIDI . PROV . ARABIA E 10 LEG . LEG . XIV . FIOAES CANDID .AVO . TRIB LATICE. LEG . HlfXVP . PRAES iVSTISS _M . VLP . CATVS 7.LEG . Ili . ITAL . ANTONINI 43 ANAE . Le tre Dacie sono conosciute fino dai tempi di M. Aurelio, e un altro COS . DAC • HI sotto Se- 32 vero ci è stalo dato in L. Pomp. Liberale dal eh. cav. Aineth (Baschreibung etc. Wicn 1853). Questa lapide invece viene circoscritta entro V impero di Caracalla dal ricordarvisi un solo augusto , e dal- Tappellarsi antoniniana la legione III italica. Impe- rocché non sembra che possa avervi diritto Ela- gabalo , por la ragione che in tal caso questa de- nominazione , come altre volte , sarebbe stata poi cancellata. Ora se l'onorato da Ulpio Cato fu con- sole prima almeno del 970, in cui fu messo a morte Caracalla , ed anzi alcuni anni più presto , atteso che anche la Mesia superiore fu provincia consolare, difficilmente potrebbe essere un figlio di chi fu con- sole circa il 951, ma si avrà piuttosto da reputare un suo fratello : nella qual credenza si troverebbe anche il motivo, per cui quest'altro, a fine di di- stinguersi da lui, avesse prescelto di chiamarsi più comunemente Massimo. Del resto ponendo mente alla rarità dal cognome Perpetuo, si potrà tutto al più concepire un sospetto, che da uno di questi due fra- telli sia nato il Perpetuo collega di Pomponio Cor- neliano nel consolato ordinario del 990, del quale s' ignora il gentilizio. Per un pezzo nei fasti si è continuato a seguire il Panvinio, che gli aveva at- tribuita una mal copiata iscrizione ripetuta dal Gru- tero (p. 474. 3), e dedicata P . TITIO . PERPE- TVO .V.C. CONSVLARI . TVSCIAE . ET . VMBRIAE. Ma il eh. cav. De Rossi nella sua di- samina delle prime raccolte di antiche iscrizioni p. 164 n. 168, inserita nel t. CXXVIII di questo giornale, dopo aver corretto BETITIO nel suo nome, ha rimandalo decisamente costui quasi un secolo e 33 Tijezzo più tardi , per l' invincibile ragione che la Tuscia e l'Umbria, rette da prima da un correttore, non cominciarono ad avere il consolare se non che verso il 370 dell'era nostra, o sia il 1123 di Roma. AGGIUNTA L' iscrizione ardeatina, che forma il soggetto del mio discorso, essendo stata traspostata a Roma tro- vasi in possesso del sig. cav. Giambattista Guidi , che la conserva nel magazzino di cose antiche per la strada di porta s. Sebastiano, presso la chiesa di s. Sisto. 11 sig. Carlo Lodovico Visconti, degno erede di un cognome così illustre nei fasti dell'ar- cheologia, che ha potuto esaminarla a suo bell'agio, informato che io aveva in animo di ragionarne, ha avuto la cortesia di farmi parte spontaneamente della fedeHssima copia che con diligente studio è riuscito ad estrarre da questo marmo parte corroso, parte malconcio dal ferro. Ma la sua comunicazione non mi è pervenuta se non dopo avere spedito alla stampa il mio articolo: per cui ho preso il consiglio di sog- giungergli la presente postilla, sì per rendere a lui solenni grazie della sua gentilezza , come per non defraudare gli eruditi di una più completa lezione di questa lapide. G.A.T.CXLIII. 34 L . MARIO . MAXIMO PERPETVO . AVRELiANO C.V.PRAEF.VRUI . PRO.COS PROVlNCIAEASIAE.lT.PIUì COS PROV.AFRlCAE.COS.lT FETIALI.PATRON.ET.CVRA TORI . COLONIAE ARDEATIVM DIGNISSIMO i I I |B| I I I I I I Due novità qui s'incontrano facendone confronto colla descrizione del Matranga. Sta la prima nel- l'aggiunta alla sesta riga del FETIALI, notato altresì nel cippo superiormente riferito al n.2. Questa giunta è per me importantissima, perchè all'identità di tutti i nomi da me opposta accrescendosi ora quella pure del sacerdozio, si viene a darmi del tutto vinta la causa contro il Corsini, che, come ho esposto, pre- tendeva di dividere questo Mario Massimo in due distinte persone. L'altra è la lacuna avvertita dopo COLONIAE , non capace di piià di tre o quattro lettere, niuna delle quali è al presente riconoscibi- le. Dal luogo, in cui è posta, giustamente arguisce il sig. Visconti, che doveva contenere un cognome di quella colonia: per cui si potrebbe supplirvi IVLme, supponendo che Ardea, oltre 1' antichissima dedu- zione nell'anno varroniano 312, sull'esempio di molte altre città delle vicinanze di Roma fosse coloniz- zatì^ dì nuovo dai soldati dei triumviri dopo la morte 35 di Cesare. Ma si potrebbe ugualmente prediligere da altri di riporvi AELme in memoria di Adriano, ricordando il detto del Liber colonianim (pag.231, edizione del Lachmann): Ardea oppidum. Imperalor Hadrianus censuit. B. Borghesi. 36 Bibliografia della Dalmazia e del Montenegro. Sag- gio di Giuseppe Valentinelli , membro della so- cietà slavo-meridionale ecc. Zagabria 1855, voi. 1. in 8 di facce 339. wuesta bibliografia è stata messa a stampa per cura della società slavo-meridionale , la quale ha per tal modo inteso di giovare a quegli studi e a quelle ricerche , che sono principalmente lo scopo della sua riunione. Il sig. G. Valentinelli aveva già nell'anno 1842 mandato in luce lo Specimen de Dal- malia et agro labeatium , che fu come il primo tentativo di questo lavoro , che ha poi accre- sciuto e ordinato come oggi sì vede. Ma i libri di questa specie, che danno un aiuto non mediocre ai cultori delle lettere, sono in verità quasi senza li- mite per la propria loro indole. Fatica e diligenza non bastano. Lodiamo quindi l'A. d'aver dato al suo volume il modesto titolo di saggio : e lo lodiamo similmente d'aver confessato ingenuamente, che gli è stato giuoco forza di lasciare indietro una parie im- portante e preziosa della sua bibliografìa, per non avere nessuna conoscenza della lingua illirica: invocando per ciò l'opera d'alcuno fra i letterati di quella pa- tria, che voglia recar sopra di se la parte di lavo- ro, che rimane come intatta. Intanto un tei tratto dì via si è percorso. E se il libro avrà le nuove cure, che l'A. stesso reclama, altre forse ne saprà aggiungere anch'egli. Perchè ci è sembrato, all' infuori ancora delle cose scritte in 37 illirico, esservi qui e colà qualche opera da dovere essere aggiunta. Vedemmo, per darne un esempio, esser ricordato a carte 89 Io scritto di Sebastiano Dolci, col quale difese l'opinione sua intorno all'an- tichità e alla diffusione della lingua illirica contro le affermazioni contrarie di Girolamo Francesco Zan- netti (Ferrariae 1754); ma invano ricercammo il ti- tolo della dissertazione ch'esso Dolci aveva nel me- desimo anno 1754 fatto stampare in Venezia ap- punto sull'argomento posto in quistione, ed è la se- guente: Dolci Seb. De ilhjricae linguae vetustate et amplitudine, disserlalio. Veneliis 1754. , 4. Anche i due libri seguenti sembra a noi che si sarebbero trovati al loro luogo in questa bibliografia. Bellosztenecz. Gazofilacium latino-illyricorum onomatum. Zagabriae 1740. 4. Papenk Gè. De regno regibusque slavorum, et de statu civili et ecclesiastico gentis slavae. Quinque-ec- clesiis 1780. 4. Nicoli NI Gio. Giorgio. Spalato sostenuto Vanno 1657. Venezia 1665 voi. 1. 12. Diario delV armata veneta nelle vicinanze di Le- sina, nel 1617. Venezia 1618. 12. Della Monaca Andrea. Discorso politico e cri- stiano, nel quale si toccano le parli piìi principali appartenenti al buon governo degli stali, recitato alV Illma ed Eccma repubblica di Ragusa. Lecce 1657, nella stampa di Pietro Micheli. 4. P. E. VlSCONT/, 38 Gita da Roma a Porto cV Anzio a Nettuno e ad Aslura. CAPITOLO I. Da porta S. GrovANNi a porto d'Anzio. E ra il dì 17 luglio del corrente 1856, ed un omni- bus (1) traeva me e nove altri viaggianti fuor di porta s. Giovanni. Il punto di vista, che ci colpiva, for- mavano da ogni lato non solo ubertose praterie sparse di torri, ma pure la catena de'monti albani e tusculani che azzurreggia a levante. I monumenti della prossima via appia schieravansi sotto il guardo in lunga fila, cominciando dal sepolcro di Cecilia Metella, in sembianza di città desolata , degno al- bergo di potenti estinti. Si vede piegare la via me- desima dalla linea retta verso sinistra in rispetto de' due tumuli terragni degli Orazi e Curiazi. Le ruine di Roma vecchia^ ossìa della villa de'Quintili, rassembrano ad un castello diruto de' bassi tempi. Fatti uccidere idue fratelli Quintili Condino e Massimo r imp. Commodo se ne impossessò , e vennevi a tripudiare. A quella volta dirige gli archi spezzati e tortuosi un acquedotto. E mentre s' indirizzava la vista a rimirare Casal rotondo, ossia l'area sparsa di olivi e di un casale, area del più grande sepol- (1) F-,'ofEcio degli Omnibus h in via Bocca di Leone. 39 oro lungo l'appia che si conosca, e Torre selce an- ch'essa sepolcro costretto a sostenere una torre com- posta nel medio evo con selci ; un grido unanime di: tcco il vapore - rivolse la nostra attenzione sulla strada ferrata di Frascati a guardarvi messo in opera •I più stupendo ed utile ritrovato moderno. La lo- comotiva e i vagoni poteano dirsi da un poeta il candido carro, su cui Giove Laziale volava ad as- sistere all'annuale sacrifizio sul prediletto suo monte Giunto il vapore alla stazione, si fermarono gli oc chi sull'ampia Aia di Troi, ove le bionde figlie de' solchi cadute recise aveano ingombra di manipoli tutta la campagna {per usar l'espressione del Monti, iliade hb. XI). Dopoché si rimarcò sull'Appia il Tor- raccio o Palombaro (cosi detto perchè ricetto di pa- lombelle), un tumulo grandissimo sopra basamento quadrangolare di pietra albana, e sotto un clivo una grandiosa mole rotomla, e mentre i seguenti sepolcri avvicinando si andavano alla strada postale di Al- bano, VOsteria delle Frallocchie e' indicò un divei- ticolo a destra, pel quale si vedeano giacer sui campi Il circo, un sacrario, ed il teatro apud Bovi llas città fondata da Latino Silvio (1), la quale trasse nome da un bove che ferito dal sacerdote nel monte Al- bano, m vece di umiliare le dorate corna, rotti i sacri canapi e spaventati i ministri fu^gì per la china sino alla detta città trascinando ^gl' intesti- ni (2). Uopo averia messa Coriolano a sacco, a ferro (1) Vittore, Origo gentis romanae e. XVII «rJ« ^""•'^ ^^'-'^'^"^ ^- ^^ffillas intestina veteres esse dixerml- unae Bovtlla oppiaum in Italia, guoé eobos intestina vulnere Tra 40 e a fuoco, risorse come prima stazione dell' Appia, e come diporto de' nobili romani sotto gì* imperato- ri (1). Gli oliveti, dove poi entrammo , non eran per noi tanto attraenti, come verso il XIII m. a destra Ta- spetto delle torri smantellate di Castelluzza, forte nel 1347 presidiato da Rinaldo e Giordano Orsini con- tro le truppe romane condotte dal tribuno Cola di Rienzo, il quale (secondo si narra al cap. 31 della contemporanea di lui biografìa ) « una dimane per tempo levò '1 campo e andò sopra la Gastelluzza , poco di lunga da Marino: subito la prese e in quello istante furo dati per terra i muri intorno- Già vo- leva combattere la rocca e la torre rotonda, dove si era ridotta la fanteria : e per espugnare quella torre fece fare due castella di legname, le quali si voltavano sopra rote, avea scale ed artificii di le- gname (mai non vedesti sì belli ingegni), apparec- chiava picconi ed altri instrumenli. Molte 'mbasciate recepèo il quel loco. Correa di là un'acquicella, in quell'acquicella bagnò due cani, e disse che erano Rinaldo e Giordano , cani cavalieri. Poi guastò la mola, poi mosse sua oste e tornò a Roma [2])). Castel hens advenerit. — E lo Scoliaste Ui Persio al v. 55 della sat. VI — Bovillae sunt vicus ad undecimum lapidem appiae viae: quia ali- quando in Albano monte ab ara fugiens taurus , iam consecratus, ibi comprehensus est. Inde Bovillae diclae. (1) Tacito Annal. lib. II. e. 41. e lib. XV: e. 23. Pei monu- menti e l'istoria della Via Appia dalla Porta Capena a Boville consultisi l'opera del eh. commendator Luigi Canina. T. 2. in fol. Roma,Tìp. di G. A. Ber tinelli 1853. (2) fila di Cola di Rienzo scritta da incerto autore nel se- colo decìmoquarlOy ridotta a migliore lezione ed illustrata con note ed osservazioni storico critiche da Zefrino Re. Forlì presso Bor- dandini i828. 41 Savellotva gli arbusti e l'ellera sopra un colle a sinistra mostrava il suo lecinto di peperino, e le sue case deserte per la mancanza d'acqua fin dal 1640. Si succedettero la Cecchina colla sua torre al 17 m:, al 18, passalo un laghetto, il casale Monta- guano donato da Clemente VII al suo fautore Gior- dano Orsini, e l'osteria Fontana di Papa così chia- mata dalla fontana costruitavi da Innocenzo XII. Qui si fece una fermata: ma dopo pochi minuti si cor- reva dentro la Macchiarella di Civita. E questa tanto diradata, che dentro essa seguita a vedersi Albano, il ponte delV Ariccia simile a vasto palazzo che due colli unisce, e Civita Lavina ossìa Civitas Lamivinat ove un drago si venerava spavento delle vergini (1). Se fosse vero, come è incerto, che a Monte Giove stava la metropoli de'volsci Corioli, bene per espu- gnarla, saccheggiarla ed arderla fu necessario il va- lore di Caio Marcio , essendo in luogo sublime e forte. La denominazione però di Monte Giove induce a credere che non sito di città fosse, bensì di tem- pio secondario o d'ara sacra a Giove in quella punta sporgente del monte laziale. Verso il XXV m. si allunga Valle lata , nome proprio a significarne l'estensione. Sul morbido tap- peto della sua tenuta Carroccelo a giacere invita il casale, cui la magnificenza del principe M. Antonia Borghese ai 21 aprile 1698 versò in due apparta- menti , con al primo piano fuga di camere parate a damaschi cremisi trinati d'oro, ad arazzi di Fian- (1) Eliano, [storia deffU animali Hb X e. i6: e Properzio lib. ly eleg. 8. 42 (Ira istoriati, e con tre sale al piano superiore pa- rate di bianco con baldacchino e trono ricamati di oro. Mirabile fu la ricchezza e sontuosità del ser- vizio o delle tavole consistente in più credenze d' argenti, ed alcuni piatii grandi indorati^ gran bacili rilevati a cisello, molta piattaria di cristallo di rocca, altra di porcellana con diversi piatti contornati di'fi- lagranate, o d'oro, o d'argento, ed alcuni con inca- stri di torchino ed altri di corallo, ed in molti trionfi di statue d'argento massiccio, che in mano tenevano vari fiori e frutti, o di piegatura, o di zuccaro, o di seta di fattura singolare, che nel ritorno del papa furono mutati con diversa apparenza , non inferiore alla meravigliosa maestria delle prime. Intorno all' improvvisato palazzo un anfiteatro girava con quat- tro alloggiamenti de' cavalleggeri , de' svizzeri , de' servitori , de'cortigiani , e de' vetturini ed al- tra gente avventizia , pei quali tutti fu corte ban- dita. In fondo all'anfiteatro innanzi a cinque monti di fieno si apriano le mangiatoie per 600 cavalli, che per l'abbondanza del nutrimento e la numerosa com- pagnia lietamente scalpicciavano, annitriavano. Ora a guardar la nudità di queste campagne li si fa pa- lese come il papa rimanesse abbagliato in credere permanente ciò che era provvisorio: poiché in una dispensa matrimoniale per donna Caterina della Cerda, sorella del duca di Medina viceré di Napoli, vi appose la data - In villa burghesiana Curroceti (1). (1) V. La relazione di un anonimo del viaggio di N. S. PP. Innocenzo XII fatto a Nettuno per ristaurare il porto d'Anzio il di 21 aprile 1698, esistente in un codice della brblioteca chigiana e riportata dal cav. Giov. Battista Rasi al num. V del sommario at 43 Lungo la via ho osservato frequenti strisce di grossi e lunghi rettili chiamati dai contadini regine. Il gran numero di essi, che vanno ivi brulicando, ha indotti gli antiquari a credere, esser questo campo il Solonium nel territorio lanuvino, ove racconta Ci- cerone (de divinatione lib- II. e. 31), ad focum an- gues nundinari (1) solent. Penetrati nella macchia, si crederebbe di trovarvi refrigerio al caldo meridiano: ma troncandosi ogni otto o nove anni e sterpandosi continuamente, niun rezzo può spandere sulla via , la quale rimane in preda della sabbia fìtta e polverosa. Ottima cosa sa- rebbe di non permettere il taglio delle due ultime file: si gioverebbero così dell'ombra i viandanti, e la rarezza e taglio delie piante rimanenti li segui- rebbe a rendere sicuri dagli assassini. Per quanto ò lunga la selva - Sol la cicala con noioso metro - Fra i densi rami del fronzuto stelo - Le valli, e i monti assorda, e '1 mare , e '1 cielo. - Ho detto anche il marcy poiché dove rareggian gli alberi si affacciava a noi di tanto in tanto la liquida superficie simi- gliante ad azzurra linea di montagne. Amenissimo ed incantevole fu l'apparire del Tirreno (2) in tutta la sua pienezza appiè di Porto d' Anzo , ove bat- teva con violenza i flutti , mentre il sole di luglio suo discorso istotieo sul porto e Urritorio di Anzio — Pesaro 1832-33 dalla tipografia Nobili. (1) Quanto è laconico quel nundinari ( Esprime il concorso de'serpentì ai casolari, come di gente al mercato, quanto a dire in folla. (2) Esser questo il Tirreno sì prova colia testimonianza di Vir- gilio, Aen. lib. l,ch€ descrivendo la navigazione ^i Enea dalla Si- 44 verso le 11 pomeridiane mettea nella massima di- scordia i candidi casamenti del paese col cilestro colore marino. CAPITOLO II. PORTO d'anzio e contorni. Bramoso di rimirare il porto che tanta fama procacciò a questa spiaggia, m' indirizzai tosto alla lingua del paese che dentro mare avanza la darse- na, il fortino e la lanterna. Pervenuto all'estremità, mi posi ad osservare il porto costrutto dal ponte- fice Innocenzo XII, Senza discorrere il fine, Alessan- dro Zinaghi lo serrò coi moli e gli rivolse la bocca a levante in un largo seno, dove la corrente a suo bell'agio potendo aggirarsi dall'est all'ovest , solito moto del Mediterraneo (1), non vi fermava molto le arene che riversano da tutto il littorale i fiumi, i torrenti e le ripe. Appena formato questo porto che cosa avvenne? Il mare abbattendosi al cantone che fa cilia al capo Circeo sino al Tevere fa dire a Giunone: Gens inimica mihi tyrrhenutn navigai aequor. Livio lib. V porge la ragione di t«l nome: Tuscorum ante romanum imperium late terra marique opes paluere . . ■ Mari supero inferoque, quibus Italia insulae modo cingilur, quantum potuerinl, nomina sunl argumento: quod alterum tuscum communi vocabulo gentis , alterum adriaticum mare ab Adria tuscorum colonia vocavere Italiae gentes : — e Tolomeo : Italia termina a mezzogiorno colla spiaggia del mar Ligustico e Tirreno — V. pure Plinio lib. III. cap. 3. Strabone, e Polibio lib. II. (1) Mar escha], Relazione sul porto d'Anzio: riportata nel detto sommario del Rasi: Luigo le nostre coste del Mediterraneo vi è «Ita corrente regolata dall'est alCovest. 45 ìi molo orientale vi depositava un monte di arene, allungando così sempre la riva : indi nel trapasso che faceva all' imboccatura, traeva seco altri muc- chi, i quali, essendo il porto chiuso, doveano colà per necessaria conseguenza stagnare. Nulla valse il votarlo con macchine, l'allungare la punta orien- tale (1), il piantarvi un altro molettotchè anzi fu giuoco forza distruggerlo. Perciò dagl'intendenti si ritenne e tuttora si ritiene per la sua posizione, chiusura, e riflusso delle ondate, non già porto, ma vero ser- bafoio di arenCf per le quali è giunto a pescar soli dieci piedi d'acqua. E che cosa è questo miserabile re- cinto a paragone del porto cui s' appoggia , e che Nerone faceva verso il 60 dell'era volgare ? Scendesi dietro la lanterna in una vallata anch' essa già parte del porto, ricolma con un monte di arene pescate nel porto nuovo. Tranne questa parte, il porto ha sino un fondo di trentaquattro piedi: una bocca larga centonovanta braccia: uno spazio doppio del porto nuovo tuttora sgombro, dove l'ancora o pili ancore porrebbero tosto al sicuro anche nello stato presente qualche legno (non escluse le navi da guerra) che si trovasse ivi soqquadrato ed in peri- coloj giacché i frangenti del mare sui moli diruti ne scoprono con sicurezza la bocca franca (2). (1) Mareschal, ivi — • Il nuovo molo fu protratto da trenta canne colf idea di guadagnale un fondo maggiore. Ma il rimedio non avendo avuto altro effetto che di portare il molo un poco più lon^ tano, si formarono li medesimi depositi di arena tanto n«l porto, quanto nella sua imboccatura. (2) Rasi loc. cit. 46 Ora veniamone alla descrizione parziale. L'in- cognito architetto servendosi dell'acro/en'o, ossia pro- montorio, v' innestò il braccio del molo destro col- Tavvertenza di pria curvarlo, e poi prolungarlo quasi in linea retta contro i venti di traversia ostro e li- beccio. Allato, e non in mezzo alla bocca, le covine sott' acqua mostrarono a Nibby ed a Rasi I' imba- samento dell' isola. Alzava questa la sua torre a guisa de'palchi eretti nel campo Marzio pel funere de'principi imperiali, cioè molto adorni, ad ingressi aperti, ma restringentisi quanto più si avvicinavano al minimo, dove il faro nottetempo la sua face ad- ditava ai naviganti, e rischiarava l'interno del porto. Il braccio poi del molo sinistro, benché lo attac- casse alla terra fin presso la Caserma, Io protrasse però meno, gli fece descrivere una curva a greco, a levante , e ad ostro libeccio. Al Mareschal rac- contò un vecchio marinaio, che si vedea questo brac- cio munito di quattro bocchette turate nella costru- zion del porto nuovo, le quali eran trafori arcuati a fior d'acqua schiusi ad impedire il ristagno delle arene. All'angolo occidentale si scopre un avanzo rivestito di opera reticolata, ma laterizia nelle fa- sce, tutto coperto d'astraco: avanzo che ci dà l'idea della cortina mancante. Una commissione di anti- quari, preseduta dall' avv. Carlo Fea, in bella gior- nattty essendo il mare quieto e 'Z fondo chiaro, os- servò che una scogliera unita e slabile fermava il fondo del porto e la base de'moli, anzi sorprese una scafacela che, sotto protesto di caricar gli scogli ro- tolati dal mare, vandalicamente spezzava la scoglie- ra. Neil' interno un muro retto compouea sul brac- 47 ciò sinistro una divisione, che Cailo Fontana qua- lificò per darsena unitamente ad altro muro circo- lante verso il molo dritto. Per queste ed altre ragioni progettò il eh. Rasi al §. 130, di renderlo comunemente praticabile a belVagio senza clamorosi artifizi - se si riportasse ad una giusta elevazione t e si guarnisse con anelli di ferroy onde legarvi le gomene, il tratto di molo dal castello fino alla bocca, e un buon tratto delV altro molo dalla bocca al promontorio, affine di rendere co- spicua ai naviganti ed accessibile la bocca;- progettò - senza scossa del governo di usare del non lieve nw- mero de^galeotti che ivi ritrovansi . . La pozzolana, la pietra calcarea , e i sassi si hanno in poca di- stanza. - L'unica opposizione ragionata fatta al ri- pristinamento del porto consiste in un documento da me letto in originale a Roma all'officio del pro- to-notaio Damiani, via della Pedacchia n. 24.. Di- chiarano con esso 22 padroni di paranzelle da pe- sca, 19 padroni di legni mercantili, e 21 capitani di bastimenti mercantili - che quante volte si ricostruisse il porto neroniano, i bastimenti di qualunque porta- ta .. , nei tempi di mare agitato . . . preferireb- bero sempre il porto innocenziano, se fosse profondo. E ciò perchè in continuazione del capo d' Anzio - si avanza in mare sotC acqua una platea di fortiere sino alla distanza di oltre un miglio: nelle mareg- giate, quantunque non fortissime, le onde provenienti dalValto mare con i venti di fuori incontrando que- sta specie di scalinone^ s' innalzano istantaneamente in guisa da perdere il loro equilibrio e cadere fran- gendosi . . . le dette onde così sconvolte proseguendo 48 il loro viaggio verno il Udo, sono miovamenle frante^ sparlile e riversale dalla risacca prodotta dalle onde antecedenti, le quali avendo urtalo il capo che sporge in fuori e nei ruderi del porlo neroniano, tornano in- dietro. - Questo documeuto per qualche tempo ini è parso decisivo contro la rinnovazione del porto ; ma avendovi ben riflettuto sopra, mi sembra che in vece di nuocere giovi. Imperocché quel fortiere fa fede della sapienza degli antichi in fondare il porto nell'unico silo stabile della riviera, e spiega per qual cagione non siasi dopo tanti secoli interrato : che l'arene andandosi a posare nelle ripe quiete, sdruc- ciolano su quella platea, e gli urti del mare le bal- zano a ponente de'moli e del capo. E perchè, io dico, gli antichi alla bocca del porto alzavan V isola ? Perchè questa colle smisurate moli e pile che ne formavan l'aggere: — impaclos fluclus in immensum elidit et lollil. Vastus illic fragor, canumque circa ma- re ■- come prescrive Plinio lib. VI. ep. 31. Ora non era necessario il venirci una turba di piloti ad am- monire del pericolo de' legni - fra quegli dannosis- simi urti. - Poteano invece studiare il sito , dove entravano nelle fauci le navi romane, e dove se il porto si ricostruirà dovrebbero entrar le nostre. Lo insegna loro l' ispettor direttore Linotte al rium. 33 del Somm. del discorso di Rasi: - Quando non esisteva Vattuale braccio del molo innocenziano, pote- vano i bastimenti a remi o a vela in un tempo an- che burrascoso venire con la bordala nel seno di mare che ora forma il porlo moderno, ove trovavano la calma, e così con ogni sicurezza introdursi per la bocca del porto antico. - Sarebbe indispensabile di- 49 struggere i moli dell' innocenziano, giudicati sem- pre all'altro dannosi. Inoltre il Rasi ci ha lasciata me- moria di un fatto, cioè che - nei giorni 3 e à- di novembre (1825) vi si rifugiarono effettivamente, piiU- tostochè nel porto nuovo, cinque feluche napolilane a cagione di un fortunale di libeccio. Descritto il porto, è conveniente esaminarne gli accessorii oltre ogni dire magnifici. Vedesi il porto appoggiato all' acroterio. Essendo questo un masso di macco, sorta di pietra arenaria fragilissima , ne trasse l'architetto partito, vi aprì inferiormente tutte critte, le quali munì co'sussi estratti uniti ai mat- toni. Inoltre vi fabbricò portici con colonne, emicicli per riposarsi, scalee per scendere, celle con bagna- role, fabbriche tutte che, oltre una profonda cloaca, si ravvisano a colpo d'occhio da qualunque pratico. Sono specialmente osservabili alla punta occidentale tre androni detti Arco Muto per la luce ivi tacente: il medio, ora interrotto, girava intorno al vasto seno dietro il promontorio. Finalmente a maggior sicu- rezza su tutto il fabbricato venne murata una cre- pidine. Alcune colonne e capitelli giacciono presso la batteria. In questa spianata esistono varie tracce di fabbriche: un canale, le nicchie, i resti dell' a- straco che le copriva, le qualificano per bagni. In una forra di colle verso occidente scendesi ad un copioso fontanile ; non lungi alla Torre di Caldano vide Ligorio (1) un acquedotto diretto all' acque caldane, così dal loro calore denominate: e tornando indietro presso la batteria segue un muiaglione di (1) Lig. V. Caldane- G.A.T.CXLIII. 50 acquedotto. Indizi sicuri son questi della gran quan- tità d'acqua raccolta ad uso del porto e della villa (1). Sceso verso la strada romana, ho osservato alcuni massi di sostmzione, detti ciclopei. Presso la caserma alcune ruine da monsig. Bianchini (2), che le vide in più buon essere, e da Nibby furono stimate com- ponenti un teatro: altri le credono avanzi di un cir- co. Alla villa fatta costruire nel 174-3 dal card. Ne- reo Corsini nipote di Clemente XII , e nel 1820 venduta al cav. Mencacci, ravvisai tra i ruderi un beiremiciclo ove gli antichi si assideano a discor- rere, meditare, leggere , o a numerar i flutti. Su- perato un clivo erboso mi sono avanzato alla dire- zione delle vicjnacce; e ben presto mi si sono af- facciati gli archi di un acquedotto dividersi in due rami, all'est, ossia alla direzione delle ville Albani, Aldobrandini e Borghese , ed al sud ossia verso il porto. Più a basso quattro celle aperte nel masso, (1) La moltìplicità di questi scoli, il rivo Cacamele e due altri per la via di Nettuno ad Astura provenienti tutti dalla catena delle pendici Albane, mi rendono perplesso a quale debbasi attri- buire il nome di Loracina menzionato da Livio lib. XLllI, sapen- dosi che i latini come i greci chiamavan fiume ogni ruscello che pérenne fluisse, senza riguardo al maggiore o minor volume. Il passo di Livio è '1 seguente, degno di non venire ignorato anche per la notizia di un insigne acquedotto che non si riconosce, e dei fano di Esculapio: Lucrctium tribuni plebis ab^entem concionibus adsiduis lacerabant, quvm reipublicae causa abesse excusarelur. Sed eum adeo vicina etìam inexplorata erant, ut is eo tempore in agro suo antiati esset: aquamque ex manubiis Jntium ex flumine Loracinae ducerei. Id opus CXXX mìllibus aereis locasse dicitur. Tabulis quoque pictis ex praeda fanum Jesculapii exornavit. (2) Camera ed iscrizioni sepolcrali de'Uberti ecc. della casa di Augusto. Roma, Salvioni 1727. 51 intonacnte fi con tinte di colori, hanno 1' idea d'un sepolcro. Un contadino mi ha condotto per viottoli tracciati evidentemente sopra vie antiche alla con- trada s. Biagio, che serba vestigie di grandi mura: indi più di un miglio lungi da Nettuno al nord ad un' imponente reliquia d'insigne sepolcro nominato per la sua figura il Torrazzo. Di ritorno siamo usciti alla via romana allato ad una voragine cavata nella rupe e tutta di frondi rivestita. Siccome vi si è ri- conosciuto un canale che guidava al mare le acquee; perciò si crede un vivaio, in cui la ghiottornia dei romani manteneva i più delicati pesci. Salito alla villa Borghese Aldobrandini, ne ho ammirato il bello aspetto e la magnificenza. Oh come in quelle ore brucianti mi arrecavano refrigerio e freschezza le ombre secolari del bosco! Questa villa è degno al- bergo de'principi che dal 1831 sono possessori di Anzio e Nettuno per compra fattane dalla R. C. A. Si compone oggidì delle due ville Coslaguti e Doria Pamfili. Gli scavi han date prove evidenti che da questo lato ricchi e nobili edifizi accoglievano una lussureggiante e numerosa popolazione. Sotto strada emerge la rupe tagliata a picco qual muro turrito di città: numerose cloache là sboccavano. Verificate le ruine per la circonferenza di circa dieci miglia, includendovi il porto, la lunga gita, i latrati dello stomaco e più gli ardori del sole mi hanno persuaso a tornare ad Anzo. Le c;ise di questo paese si vanno in vaga mostra allineando lungo la spiaggia del porto nuovo. Una magnifica fontana attesta che Innocenzo XIl fu - De naviganlium in- colnmitate sellicitus - arce condita porta extructo: - 52 aquis per ardua deducth - fonte excitato. Il palazzo Albani è di buona architettura, ed ha annessa la villa. Un palazzo appartiene alla R. camera apostolica. La nuova chiesa de'ss- Antonio e Pio V sì deve alla munificenza del regnante pontefice. Allorché in que- st'anno Sua Santità vennevi a celebrar messa la prima volta, assistevano alla funzione il sovrano delle due Sicilie Ferdinando II co* tre reali suoi figli, l'Emo Antonelli segretario di stato, l'Emo Roberti presi- dente di Roma e Comarca, e monsig. Milesi mini- stro del commercio e de'lavori pubblici Ad acco- gliere la folla de' forestieri, che vengono a giovarsi dell' acque marine , compariscono locande novelle ; caffè e bigliardi vi spesseggiano; in somma questo comune cammina per le vie della grandezza a gran passi. Cosa fosse primachè i papi gli volgessero l'at- tenzione si apprende gettando gli occhi alle fosche capanne che dietro le case s'aggruppano. Che riot- tenga in avvenire il nome di città, ce lo assicura il porto da ripristinarsi, il fascino irresistibile ch'e- sercita su chiunque Io visiti, la vicinanza alla ca- pitale, e l'aria ottima che vi si respira fuor del mese di ottobre, quando la inumidiscono l'acque autun- nali e l'esalazioni de'prati circostanti. Mi diedi a riflettere sulle vedute cose, facendo a me stesso le seguenti interrogazioni: 1. Dov'era Anzio oppido , città opulentissima, tra i volsci primaria, indi colonia romana ? Dalle autorità accumulate in nota si fa evidente, che la città propriamente detta era in sito elevato, 53 rim[>osta sulle rupi (1), cinta di muia (2), ed un poco distante dal porto, benché lungo il mare (3). Esaminando i luoghi nella periferia di circa 10 miglia, li ho rinvenuti in piano interrotto da spesse altuie, delle quali i punti culminanti sono il promontorio, il casino Mencacci, e la villa Borghese. La molti- plicità delle cloache dirette al mare , il sito emi- nente dove a poca profondità di suolo fende colle radici degli alberi la rupe, il non stare sul porto, mi hanno indotto a congetturare nella villa Bor- ghese il sito dell'oppido primitivo. Siccome però la colonia romana era grandissima, abbracciando la reg- gia ove sarà nato Caligola e Nerone (4) , il foro , la biblioteca (5), i portici pubblici che un liberto di Nerone dando il dono {munus) de'gladiatori rive- stì di pitture rappresentanti le vere immagini de'"-la- diatori e di tutti i ministri (6), e i molti edifici men- (1) Strabone , Geogr lib. V. Segue Anzio città anch' essa importuosa, rimpasta sulle rupi, distante da Ostia stadii circa .... del resto dedicata all'ozio de'principi e vacanza dalle civili occu- pazioni: perciò di magnifici e splendidi edifici e piena a riceverli, quando vi si ritirano. (2) Tit. Liv. lib. VI. Animus ducis rei maiori , Anito im- minebat; id caput volscorum-. sed nisi magno adparatu, tormentis machinisqne tam valida urbs capi non poterai. E Svet. in Ner. lieversus (Nero) e Graecia Neapolim , quod in ea primum artem protulcrat, alhis equis introni, disiect parte muri, ut mos hieroni- carum est. Similiter adiit Antium, inde Albanum, inde Romam. (3) Filostrato-, Vita di Apollonio. È Anzio una città d'Ita- lia, lungo il mare posta Liv. Lib. V. Jntium propinquam , op- portunam et mantimam urbem. ('*) V. Svet. in Caligol. e in Ner., e Tacit. Annal. \h. XV. (5) Cic. lib. 2. epist. ad Atlic- - Itaque ani libris me de- lecto, quorum habco Antii feslivam copiam. (6) Pliii. Hist. Nat. lib. XXXV e. 33. 54 zionati da Strabene , finche non sì facciano scavi regolari nemmeno le sorti anziatine ne scoprireb- bero il circuito. 2. A proposito delle sorti anziatine, ov'era, do- mandavo a me stesso, il Tempio della Fortuna ? Gli scrittori noi pongono Anlii, ma apnd Anliuin (i). Lo eresse adunque fuor delle porte il devoto popolo che si arricchiva colla pirateria e col commercio, di cui fei dice: Fortuna e dormi: e che se scampava dalle procelle, anche Io attribuiva a quella comoda dea in antiche lapidi appellata Reduce^ in altre qui sca- vate Felice f Forte (2), a seconda de'casi occorsi ai votanti. Tacito, Annal. lib. IH ci dà la notizia che la chiamavano equestre. La convenienza, per esser il sito visibile in allo mare: una moneta con due fi- gure scoperta sul Porlo Neroniaiio coH'iscrizione (3): Q. RVS TIVS FORTVNAE ANTLVT: e nel rovescio: CAESARl AVGVSTO EX SC : ma più di tutto le crepidini, e le colonne e capitelli ivi giacenti, han- no persuaso, che il tempio elevarsi dovea presso al- la Batteria^ proprio in vetta del promontorio. Che vi potesse essere e che forse convenisse il luogo, noi nego; che poi vi fosse, noi so, ne senza rivelazione altri può giurarlo. Egli è però certo che fu scava- to ne'dintorni un marmo con iscrizione: FORTVNIS ANTiATlRVS - M. ANTONIVS RVFVS AXIVS - DAMASCO - SENATVS DECRETO DICAYiT (4): (1) Tacil. Annal. lib. III. Macrob. Saturn. lib. I. cap. 13 (2) Ligor. V. Phagone, e Fabretti Inscript. p: 632. (3) Griiler. Inscript. p. 72. (4) Horat. lib. I. Od. XXXV. O diva, graluvi quae regis ^ntium. 55 che era il tempio primario d'Anzio (1): che gli ap- parteneva un tesoro preso ad imprestito e profana- to da' Augusto erogandolo in guerre civili (2). Con- sultata la gemina Fortuna, rispondea o per oracula uscenti dalla bocca de'simulacri (3), o per sortes quae Fortimae monilu pueri mcuiu miscentur atque ducuti' tur. Sulla cima del promontorio, su cui poi sorse una villa rorfiana, esser dovea Cenone, giacché es- sendo stato un Oppidulo MariUimo posto alla dif»;- sa dell' arsenale e aulico porto della flotta Anzia- te (4) , non pò tèa stare altrove se non sul Capo cui appoggiò il suo porto Nerone , Capo che solo fino al Circeo nalurahnenle si prestava al ricovero delle grosse navi ossia ad un vero porto. 3. Che diremo fuialinente del celebre tempietto sacro ad esculapio ? L'autore De viris Illuslribus nar- ra , che i romani in tempo di peste ad Esculapio in Epidauro mandaron legati. 1 quali essendo là ve- nuti, e mirando al grande simulacro, un serpente, saltato dalla sua sede, venerabile non orribile per mezzo alla città con ammirazione di tutti strisciò alla nave de' Romani. I legati trasportando il dio pervennero ad Anzio ove per la mollezza del mare (1) Appian. Civil. Bell. lib. V. Cicsar e templis penunias mu- tuo accipiehat: ut liomae ex cnpit.tUo, tum Anlii, Lanuvii, Ne- more, Tibure; in quibus oppidis hodie quoque sunt copioni thesauvi sacrarum pecuniarum. (2) Macrob. Satiiriialior. lib. 1. e. 23 Ut videmus apud Antium promoveri simulacra fortunarum ad dpinda responso. ("ì) Cic. lib. 2 de divinai (4) Leggasi in Dionisio Alic. il racconto delia presa di Ce- none al lib. Vili. I 5G corse il! prossimo [ano di Esculaino: e dopo pochi giorni ritorno aila nave. Valerio Massimo , lib. 1 cap. 8, vi aggiunge la circostanza, che guizzato nel vestibolo del tempietto di Esculapio diffuso di mirto e rami frequenti, s'avviticchiò alla palma sopremi- nente e d'eccelsa altezza, e per tre giorni non ci- bossi a gran tirtiore de' legati che non volesse re- stituirsi alla trireme , come poi fece per navigare, sino all'isola tiberina. Queste notizie* e '1 verso di Ovidio, Metani, lib. XV, Tempia parenlis {\) init (la- vnm tangentia lilus, additano l'edicola di Esculapio sul maie jirossimo al porto. La confusione, in cui si trovano gli antiquari per la topografìa degli edifici anziati, fa sperare che il nostro governo terminati gli scavi d'Ostia rivol- gfiialli a queste contrade. Lo scoprimento della piii beila sfama deW antichità, L'APOLLO DI BELVEDE- RE ; del GLADIATORE BORGHESLXNO ora esi- stente a Pai'igi; e quelle, che arricchirono il museo del card. Alessandro Albani, rappresentanti Giove , Pallade; le altre di Cibele, di Berenice, di un pa- store, raccolte nella sua villa fuor di porta s. Pan- crazie dai pamfìii , due busti superbi di Adriano e Settimio Severo, la celebre lapide amiate (2), il nu- (1) Qui non so come Ovidio la cliiaini ili A])oHo contro la verità storica. (2) Ada la serie de'maestri de' ludi. V. Bianchini Ice. cit. Non è da confondersi «luesla lapirle coli' altra di cui parla il me- desimo Bianchini TH'ìVEpistola de lapide antiati ( Romae de Ru- beis 16'.>S). Fu quest'ultima scoperta da scavatori nel decembre del 1697 (iiiaiido distruggevano antiqua rudera , quae ex ruinis aedificiorum congeruniur, ut in materiam cedant pilarum, ac na- 57 mero di Q. Ruscio (1), e cenlo {tltie scoperte, e più Ja certezza di essere stata questa spiaggia il paradiso degV imperatori da x4ugusto e Costantino, ci assicu- rano che le viscere del suolo dal porto alle ville Mencacci, Albani, Aldohrandini e Borghese, la con- trada s. Biagio e i prati che menano alle vignaeco, sono gravide di monumenti e capolavori d'arte. valis illius, guod principis providenda restitvtt { Bianchini, ivi ) , Consisteva in un IVammento di giallo antico impiegato nel pavi- mento di splendida opera , erto circa tre once e colia suj^erficie diligentemente levigata. ÌNel rovescio era rozza, ma segnata con due lacune impiombate. In una si trovò scolpita la testa di Adria- no in età giovanile, come si rilevò dall' iscrizione in giro dispo- sta: HADRIANVS ARGVSTVS. Nell'altra si leggea L."cOC. Se Bianchini seguendo il costume degli altri Scrittori di Anzio non CI avesse defraudala la conoscenza del sito ove si rinvenne, tate marmo, e non si fosse spiegalo colle parole troppo generiche li, Porlu Anliati , avressimo potuto il sito precisare della Reggia e villa tanto prediletta ne'primi anni del sno regno da quell' impe- ratore, il quale al dire di Sparziano n. 19 , Cum opera nbiqiic infinita fecisset , nimquam Ipse, nisi in Traiani patris tempio , «ornen &UMm scripsit «. Perciò il lodato monsignor Bianchini opi- nava che un Lucio Cocceio architetto per eternare il nome pio prio (use di soppiatto 1' immagine di Adriano e quelle porlie let- tere nascondendole sotto il pavimento. (1) Questo nummo argenteo è pregevolissimo. Ha in fronte il gemino ritratto della fortuna coli' iscrizione in giro O RV STIVS FORTVNAE ANTIAT, e nel rovescio CAESARI AVGNSTO EX se. Nel mezzo ha scritto FORRE ossia FORTVNAE RFDVCr. Le quali parole ci danno a conoscere essere stato battuto o (|uando Augusto determinò di partire contro i Britanni, per la qua! cir- costanza usci il beli' inno di Orazio lib. I. Od. 35 O Diva eie, o più probabilmente quando il senato e '1 popolo facea v<.(i e iibamenti pel ritorno dell'imperatore dalle Galiie, come eaulò lo stesso poeta all'Ode V. lib, IV. Dicis or te bonis. 58 CAPITOLO III. Passeggiata in Mare, e Memorie. Nel silenzio della notte meditavo assiso sul molo, allorché vogare vidi una barchetta alla mia volta, chiamato il barcaruolo, presso mia richiesta entrar mi fece nel battello, o coi retni nelle incallite mani volse la faccia abbronzata verso di me, aspettando un cenno per dove io aggirar mi volea. Ordinato- gli di seguitare a rilento le punte e 'I seno deirantico porto, si diede subito a scagliar i remi a regolari battute. D'una pienissima luna ogni stella gelosa di scomparire al paragone, abbandonati le avea i de- serti del cielo; ed ella riverberava in liste l'argento del suo carro sul Tirreno che inci-espato dal soffio di Favonio mettea frizzi e brilli di luce. Ma i miei pensieri non eran quella sera diretti alla pompa del firmamento, né all' imponente spettacolo della ma- rina, sì bene alle memorie che la vista de' ruderi, e della spiaggia mi ridestava. Anlium era città dei volsci, fondata, secondo Ze- nagora, da Av^su od Avzziot figlio di Circe ed Ulis- se (1), ossia, come io spiego, da una colonia greca, e dagli abitanti del promontorio Circeo. E ben quel promonlorio oggi detto di s. Felice al chiaro di luna mi era additato dal barcaruolo cadere grosso e ri- ciso nel mare. Allora sembrommi vedervi assisa sul più alto ciglione la figlia del sole aprir le labbra a (1) Dioiiis. lih. I, cap. 72, 59 voluttuoso canto, mentre di ninfe una turba accen- dea per la scogliera l'odoroso cedro, felice inganno ai naviganti, « Hinc exaudiri gemitus iraeque leonuin, Vincla recusantum, et sera sub nocte rudentum, - Setigerique sues, atque in praesepibus ursi - Sae- vire, ac formae magnorurn ululare luporuìn, - Quos hoininum ex facie dea saeva potentibus herbis - In- duerat Circe in vultus ac terga ferarum (1) ». Stagioni di lungo e ricco commercio, ovvero di fortunata pirateria sulle coste siculo e greche (2), passar dovettero per Anzio prima che Roma sotto 1' ultimo Tarquinio rompesse ai volsci una guerra duratura per due secoli. In questo periodo coriolano suir imbrunir della sera in volgare arnese, taciturno e intrepido, andò a sedersi al focolare di Tulio Au- fidio, personaggio ohe per ricchezza, per valore e per cospicui natali era come re fra tulli i volsci lenu- to (3). Al quale aperto l'esule il disegno d' ire ad assediare Roma , non solo da quel suo più crudo nemico ottenne amistà, ma divennegli collega nel capitanar l'esercito. Tutto cadde in potere de'volsci da sì egregio duce diretti : e se. le preghiere della madre noi vinceano, il pellegrino mirando le ruine di Roma detto avrebbe: - Città distrutta da un of- feso cittadino ! - Invece ricondotto da Coriolano ad Anzio l'esercito, chi sa quanti rammarichi egli sof- frì ai rimproveri fatti dai volsci di non essere stato buon cittadino né della prima nò della nuova pa- (1) Virg. Aeneid. lib. V. (2) V. Dionis. e Strab. (3) Plutarco in Coriol. traci, del Pompei. ()0 tria; avendole danneggiate ambedue. E chi sa quante volte il prode avrà errato sul lito desiando la morte, che si dice da Plutarco fosse violenta ! Ma de'grandi uomini le debolezze dopo morte scusa e deplora il popolo : onde non fa meraviglia se i volsci lo piansero ben tosto concorrendo dalle città al di lui cadavere, seppellendolo orrevolmente, e adornandone la sepoltura di armi e di spoglie, siccome quella di un combattente e capitano di sommo valore (1). Nel 287 di R. il console Tito Numicio Prisco, rotti i volsci, s' impadronì di Cenone, porto arse- nale e piccolo oppido degli anziati, distrusse le mura e i ricettacoli delle navi (2). L'anno seguente An- zio stesso fu preso dal console Tito Quinzio. Pii- bellalosi nel 371, il 380 lo costrinse alla resa. Nel 412 fu centro della famosa lega latina. Ioga di la- tini, volsci e sanniti, popoli bellicosi e schivi, sde- gnanti il nome di servi romani. Ma non tutte le nobili intraprese sortono lieto fine. Infatti dopo la disfatta tutte le navi furon portate nelTarsenale di Roma, alcune incendiale dopo averne tolti i rostri posti, ad eterna ignominia, all'arringo del foro ; fu dedotta ad Anzio una colonia, della quale fecero per somma grazia parte i volsci ; la comune [)roprietà dal mare s' interdisse agli anziati (3). Dopoché le bande sannitiche (i) di Mario sac- cheggiarono Anzio, una nuova erasi schiuse per que- (1) Plularco ivi. (2) Dioiiis. hb. Vili. (:5) Liv. lib. IV. CO Sn-:iL. lib. V .\|ìj>i.iii. lib. -1. 61 sta spiaggia, era di feste , lusso, lascivie e puzzie. Si convertì il territorio in ville splendidissime, ove Augusto dimorava quando l'adulazionelo intitolò padre della patria (1): ove nato Caligola tanto ne amava il soggiorno, che dichiararlo volea sede delì'impero (2), ed in riconoscenza le sorti anziatine indarno lo am- monirono che si guardasse da Cassio (Cherea) (3). Natovi Nerone vi costruì un porto operis sumplito- sissimi{i), \ì rusticava quando le fiamme arsero la capitale: gettata a terra parte delle mura, entrò in Anzio colla pompa ieronica su cocchio tirato da candidi cavalli; vi dedusse una nuova colonia di ve- terani (5). Qui certo fu '1 teatro delle turpitudini di Agrippina sua madre che a ritenere il fuggente fa- vore non vergognavasi, adorna e parata all'incesto, offrirsi a lui, riscaldato dal vino e dalle vivande dal meriggio a mezza notte ! Qui d'indicibile gaudio Io ricolmava la nascita della figlia di Poppea", onde il senato decretò che si dessero apud Anlium i liidi circensi: ma dentro il quarto mese la morte cessò i noiosi vagiti della bambina idolatrata (6). Non ces- sarono però mai le -splendidezze e i divertimenti, i lupanari d' illustri femmine ripieni, i conviti su navi (1) Svet. in Octav. Aug. (2) Svet. in Calig. Praesertìm cum Caius Antium, omnibus semper locis atque secessibus praelatum , non aliter quam natale solum dilexerih tradaturque etìam sedem ac domicilium impeni tac- dio urbis transferre eo destinasse (3) II medesimo, ivi. (4) Il medesiino in Ner. (o) Tacito. Annal, lib. XIV, e. 2". (6) Tacit lib. XV. e. 23. 62 d' oro e avorio distinte; quando le tenebre cadeano, la reggia, i boschi, e i giardini brillavan sempre di lumi; all' innocente gorgheggio degli uccelli da terre diverse raccolti rispondean sempre osceni canti (I). Scontate' Nerone col suo sangue cotesto igno- minie, si legge che Domiziano si divertiva ad im- boccare i simulacri della Fortuna (2), e che l'otti- mo Adriano prediligeva Anzio più d'ogni altra cit- tà d'Italia. In quel tempo i filosofi seguaci di A- pollonio Tianeo eran venuti a stabilirsi in Anzio, che resero celebre per avervi sospeso un libercolo au- tografo dello stesso maestro (3). Antonino Pio for- nì Anzio di un acquedotto (4). Settimio Severo lo fre- quentava coi figli (5). Dal secolo HI al VI dell'E. V. sappiamo , es- sersi qui propagata la rehgion cristiana , alla cu- ra de'fedeli vegliava un vescovo che trasferì poi la sede in Albano. Quando nel 537 Viiige s'impadroniva di Porto, le navide'romani gettavan l'ancora presso Anzio (6). Se in quell'epoca l'ingordigia de'goti, il che non mi par verosimile, non distrusse la città e saccheggiò le fìorentissime ville, non scampò certa- mente da' saraceni che infestarono la spiaggia ro- mana dal secolo IX al X. È verosimile che oltre (1) Tacit. lib. XV. e. 37. (2) Marziale lib. V. epigp 1, . Si'u tua faliclicac discunl re- sponsa sorores Plana snburbani qua cubàt untla freti •. (3) Filostr- in Apoilon. e. J2 e 20. (4) Capìlolino in Anton, e. 8. (5) Erodiano lib. III. e. d 3. (6) Prooopio, Guerra gotica lib. I. e 26. 63 all'abbandono e all' ira degli elementi siasi aggiunta l'opera degl'indigeni prima di ripararsi ai monti in demolire il porto, onde non invitasse i barbari ad annidarvisi. Il popolo di Nettuno, di cui non si co- nosce se l'origine sia volsca , greca, o saracena , dovette sempre nutrire una grande rassegnazione , dissimulando e bravando il timore de'pirati e tur- chi: timore durato sino a giorni nostri. Sanguinosa scena di guerra civile nel 1378 qui aprirono i veneziani e i genovesi, che de'mari la ti- rannia per tanto volger di secoli si disputarono; e benché il Tirreno stesso inorridisse , e col fracasso e sconvolgimento de' flutti tentasse disgiungere i na- vigli, nondin)eno impedire non potò che guerrieri d'una medesima lingua e d' una medesima terra si trucidassero con siffatto ardore, che sprezzanti il fu- riar dell'onjde, si vennero in alto ad azzuffare, sic- ché le galere perdenti trovatesi lungi dal porto e pressate dalle nemiche e dalla tempesta andarono a rompere sulla spiaggia. Così nella semplice fa- vella delle cronache racconta le circostanze Daniele Chinazzo (l):«Genovesi, avendo armate in quel tempo dieci galere, gli diedero per capitano Luigi del Fie- sco, e portavano gente e danari per fornir le loro galere che erano a Costantinopoli, che avevano pa- tito gran danno. Et inteso i danni che faceva il Pisani in quella riviera, vedendosi haver gente assai, si risolse di combatter con lui; e trovatisi in spiag- gia romana a capo d'Anzo, seguì tra loro un hor- (i) Guerra di Chioza edita dal Muratori. Rer. Italie- Script- Tom. XF. pag. 714. 64 l'ibile battaglia; e perchè era gran pioggia e for- tuna di mare, si ritrovaiono aver solamente nove galere per parte. E dopo vario successo restò su- periore il Pisani , avendo preso cinque galere ge- novesi con tutte le ciurme insieme col capitano , et un altra galera diede a terra : ma salvatisi gli huomini, restò in mano deVeneziani, la quale con l'altre prese furono brugiate, eccetto quella del ca- pitano, la qual fu mandata a Venezia con lui e con li gentilhuomini genovesi, e quattro galere per scorta. E questo conflitto seguì nel mese di luglio 1378. Morirono de' genovesi 500 persone, et anco molti veneziani, tra quali Zaccharia Ghisi patron di galera , e furono trovati nelle galere de' genovesi molti argenti, e danari assai ». Nel 1481 questa spiaggia vide la fuga del fiero duca di Calabria sconfitto dal Malatesta nella vicina tenuta ch'ebbe allora il nome di Campo morto. )) El papa (così narra Antonio de Herrera (1) a pag. 157 anno 1481) avia recebido por general de su esercito contra el duque de Calabria Roberto Ma- latesta senor de Rimini. Y aviendo ydo a buscar al duque, que era muy inferior en fuer^as, se toparon junto a Netuno en Campana de Roma. Y avia pe- dido el duque a su padre, que le embiasse gente para reforoar el esercito que era muy inferior. Y viendo que le avian da tornar los pasos , con so- li) Comenlarios de los hechos de los espanoles, franceses , y veuecianos en Italia, y de otras republicas, polentados, principe* y capltanos famosos ilalianos desde el ano de 1281 basta el de 1539. Madrid por Juan Del^jado ano 1624. f 65 brado animo dio la batalla, y la perdio, aviendo he- cho prueva de gran capitan, y quedàra preso sino le salvàran los turcos que tenia en su campo. Y presto murio Malatesta del trabajo de la batalla ». Lo stesso autore nel 1556 riferisce: « Los fran- ceses con algunas galeras fueron à ganar à Netuno, lugar en la marina de Marcantonio CoIona, porque importava mucho: pero no le pudieron tomar «. Finalmente gì' inglesi nel 1811 si divertirono ad abbattere la torre d'Anzo difesa da pochi sì ma ardili cannonieri. Innocenzo X 1' avea posta dov' è ora la batteria, in guardia delle coste contro i pi- rati e per tutela contro la peste: niente valeva per fortificazioni militari. Ruminato per la mente quest' ultimo fatto , il barcaruolo era rientrato nel porto nuovo, e mi rac- contava la festa fatta a dì 30 giugno e 1 luglio prossimo passato al regnante sommo pontefice Pio IX, quando vi ha avuto un convegno col sovrano delle due Sicilie Ferdinando II. Il popolo de'dintorni per- suaso della brillante fortuna che gli apparecchie- rebbe un porto sicuro, della necessità di questo pei naviganti (1), e delle produzioni del suolo in cereali, (1) Linotte loc. cit. §. 2: I bastimenti che trovansi fra lo shocco del'Tevere ed il capo Circeo e nelle alture di capo d^ Anzio, difficilmente possono reggersi al sopravv id est aditus in portum (Pesto v. Angiportus ). Strabene poi dice Pirà- tica la stazione di Astura, non già perchè vi slessero i legni dei pirati, raa bensì i legni dei romani contro i pirati che aveano ogni agio di annidarsi nelle macchie di Nettuno e Sermoncta, macchie, nelle quali sempre sonosi rifuggiti i ladri. In tal modo io vado a spiegare un altro passo di Strabene affermante che i romani sfor- zavano gli anziati ad abbandonar lo studio della pirateria. 69 il quale airicciavasi e frangeasi sulle mine. Noi in- tanto ci gettammo a bagnarci ne'bacini, e con no- stra sorpresa li trovammo adatti secondo la mag- giore o minor profondità a bagni meno o più tie- pidi; sicché potrebbero essere a stabilimento ridotti con leggiero dispendio. Terminato il bagno, si seguitò lungo la riva ad ammirare i ruderi di nobile villa dell'età imperiale sino al fiumicello Cavata , del quale alla foce sta apposto un muraglione per condotto che d' acqua dolce forniva la villa, le terme e la stazione. Ci fu detto che il Cavata piiì sopra chiamasi Astura , e proviene dalla prossima tenuta di Campo morto. Tornati ad Astura, si entrò alla torre sopra un ponte moderno di materiale. La torre ha nella fronte lo stemnia de'Colonna , segno che quella famiglia la fabbricò. Una scorta di cannonieri la guarda , e si piace dell'ottima aria e dell'aperto orizzonte. Un buon cannocchiale dell'officiale ci avvicinò la mirabile veduta. All' est, lungo le coste per Torre verde, sal- gono i monti di Sermoneta e Norma ; dietro essi spicca la cima di quei di Gaeta ; verso sud-est, a guisa d' isola il monte Circeo orrido appare -Col capo in cielo, e con le piante in mare (1); al sud la di- stesa dell'elemento infido sembra possedere un' at- trazione potentissima per l'uomo; all'ovest la spiaggia d'x\nzio torce alle foci tiberine. Esplorati i luoghi , leggemmo l'articolo Astnra del non mai lodato abbastanza Antonio Nibby, onde rammentarci le memorie della contrada. La prima (.1) Tassoni, Secchia rapita, canto X, stanza 24. 70 cosa che mi ferì fu il passo di Plinio lib. HI e. 5: Aslura flnmen et insula. - Che Cavata fosse il fiume Aslura è manifesto, essendo l'unico rivo perenne di questi luoghi; ma tutti credono Astura non già isola, ma piuttosto penisola, essendoché ne' lati della lin- gua, formata dall' intelaratura delle terme a fiore, e non sott'acqua, in due seni spandesi il mare. Ac- cresceva difficoltà il leggere in un istromento del 987, edito dal Nicolai, donati al monastero di s- Alessio dal conte Dcnedctto i terreni in loco qui dicitur Astura cum parictinis suis, in quo olim fuit ecclesia s. Mariae ... c/e insula suprascripti mond- sterii vestri . . insta porlum Aslurae - e in due do- cumenti riportati dal Nerini, uno del 1163, ove si nomina in possesso de'conti tusculani - insulam de Asluria- e in una bolla del 1220, in cui al mo- nastero di s. Alessio si conferma Totum quod ve- stro monasterio perlinet in Astiiria, et in insula Astu- rie cum piscationibus, venationibus, naiifragiis. Per deciferare la questione seguitossi a leggere come nel 417 di R. Caio Menio, scontrato l'eserci- to volsco ad Astura, lo sconfìsse ponendo fine alla guerra latina (1). Cicerone si dilettava moltissimo dimorarvi, e ne' libri XII. XIII. XIV e XV epist. ad Alticum, usa un modo da nominare Astura da far credere, che era non solo come scrisse all'epist. 20 del lib: XII: Est heic locus amoenus et in mari ipso, qui et Antio et Circaeis aspici possiti ma an- (1) Liv. lib. Vili. e. 10 — Caesi ad Pedum Jsturamque exercitus hosiium. 71 che un oppido, ponendone sempre il nome in geni- tivo ne' verbi di riposo, e in accusativo senza pre- posizione ne'verbi di moto. Lo stesso modo usa Pli- nio lib XXXII e. l,e Svetonio in Augusto e. 97. Lo conferma Servio, che nel comentario al lib. VII Aeneid. chiama Astura oppido e fiume, come pure Stefano tra le città nominò Astura, che si trova nei greci travolta in Astijra per corruzione o allunga- mento del V. Plutarco nella vita di Cicerone racconta, come questi fuggendo la proscrizion triumvirale determinò - di passare ad Astira, che un luogo era mariuimo pur di Cicerone - e che - trovala avendovi in pronto una nave, tosto imharcossi, e navirjò con vento favo- revole sino al Circeo. - Quindi dopo lungo tentennare si fé condurre alla sua villa di Gaeta, ove raggiun- tolo Erennio centurione, mentre i servi lo trafuga- vano verso il mare, prima lo scannò e poi gli re- cise il collo che steso avca fuor della lettiga. Svetonio in Aug. e. 98 riferisce che Cesare Au- gusto, notte tempo ad Astura navigando, contrasse uno scioglimento di ventre che '1 condusse alla tom- ba. II medesimo asserisce di Tiberio, che venuto dalla Campania in Astura cadde nell'ultima malattia di languore. Plinio lib. XXXII e. 1 menziona 1' au- spicio tratto del vicino assassinio di Caligola da una remora che fermò la nave, sulla quale il tiranno da Astura ad Anzio remigava. Dopo scorse queste ed altre meno rilevanti me- morie, che si possono trovare in Nibby, si tentò sciogliere la questione del come Astura fosse anti- camente isola. Si osservava che se attualmente la 72 torre coli' intelarature sopr'acqua non forma isola , vieppiù non la formavano le terme che alte alzavan di certo le mura: che non era probabile, in sì an- gusto spazio esistesse oppido e ville de' romani , ! poderi del conte Benedetto nel 987 , e oltre le piscationes anche le venaliones spettanti al mona- stero di s. Alessio nel 1220: e che pure attualmente Cavata ha il nome di Astura piiì sopra della foce. Si ricorse perciò alla carta topografica , in cui si vede il mare battere Astui-a al sud, all'est la divi- de il fiume Cavata, al nord i mille rivi che taglian la tenuta di Campo morto, e finalmente all'ovest un altro rivo perenno isolano un tratto di continente proporzionato ad un oppido, alle ville di Cicerone e de' Cesari. Questa conclusione però soggiacque ad una difficoltà», qual è quella che nella donazione del conte Benedetto de'terreni in loco qui dicilur Astu- ruy si nomina come confine e già propria del mo- nastero r isola - de insula suprascripù monasterii ve- stri: - il che denota differenza della tenuta Astura dall' isola di Astura, come più chiaramente emerge dalla bolla del 1220 - Totum qnad v estro monasle- rio pertinet IN ASWRIA, et IN INSULA ASTU- RIE cnm piscaiionibusjnavigalionibiis, tiaufragiis-Tale osservazione conchiudeva : 1° che Astura pur nel medio evo era isola: 2" che la Cavata^ nome dato al fiume per indicarne gì' inalveamenti, si dovea di- ramare nel suo rivo, di cui tuttora si può tracciare il letto, in un cavo di terra vicin dell'acquedotto , alle altre fabbriche a ponente , che vedremo per lungo tratto girare in siti aridi. Comunque però la cosa fosse, il eerto si è che adesso il luogo detto 73 Astura è penisola," come ai tempi di Pirro Ligo- rio (1). Mentre sede-vasi a mensa , cadde naturalmente il discorso sopra il celebre fatto, origine de'vespri siciliani. Corradino, pretendente al reame di Napoli e Sicilia, dopo la sfortunata battaglia di Tagliacozzo nel 1267 , persuaso dai ghibellini , e udito che i guelfi avean preso e condotto a Carlo d' Angiò il figlio del conte Gerardo da Pisa, suo compagno, fuggì di Koma, insieme al figlio del duca d' Austria, di conte Galvano e al figlio di lui, e inviò un messo ad Astura a procurarsi una saettia a qualunque prezzo per tornarsi a Pavia, oppure secondo Riccobaldo , Hist. Imperai., al regno che insorgeva nella massima pai te contro il suo rivale. Era feudatario del ca- stello, che sorgea piiì dentro terra verso la chie- suola deir Annunziata, Giovanni Frangipane, il quale avvisato da Carlo (2) e vago d'alzar fortuna con una buona presa, armò di soldati un'altra saettia, diessi ad inseguire e l'aggiunse. i fuggitivi. Questi, fuor del conte Galvano, eran tutti giovanetti affaticati dal viaggio e pochi: inoltre nel carattere di Corradino si mescolava all'audacia una fanciullesca debolezza o paura; laonde al castellano si ai-resero di leggeri, e gli svelarono chi erano. Non giovò al disgraziato principe prometter mari e monti se '1 rilasciasse , (1) Ligor. V. Astiira. (2) Bart. de Neocaslro Hisloria sicula al tomo XII. Rer. ital. script, di Muratori eap. CUI » lacobus (così ei lo chiama) Fra- gapanis romanus Astorae dominus litus custodii, requisitus a Ca- rolo, quod Conradinus, qui hello sepullus reperiri non polerat, non effugerel manus suas. 74 ne umilini'si fino a proferirglisi per genero (3). Tem- pellava il Frangipane tra '1 restituirlo a libertà colla promessa di largo compenso e tra '1 condurlo a Carlo colla certezza di grandi ricchezze ed onori. Intanto una tempesta, o piuttosto la nuova della fa- mosa cattura, spingca alla spiaggia Roberto di La- vena colle galere de' provenzali. Chiese il capitano la consegna del prigioniero; ma veduto ancor dub- bioso il Frangipane , sbarcate le ciurme , assediò strettamente il castello. Allora Giovanni, allettato dal timore e dalle promesse, restituì la preda non pro- pia ai cacciatori cacciantì la sua preda (2). E noto che poco dopo Carlo mandò al taglio della testa Cor- radino e i compagni. (1) Bartol. De Neocastro — Qui (Corradi nus) cum caperelur ab eis cum sociis, rogat, ut si ipsum abire permitteret, fiiiam suam ducerei in uxorein. (2) Sallae sive Sabac Malaspinae rerum sicularum libri FI, ab an. chr. 1230 ad an. 1276, fra i Rer. ilalic. script, del Mura- tori tom. Fin. pag. 830. Questo autore coevo e mollo circostan- zialo sembra essersi trovato ai fatti che racconta. E qui non vo- glio tralasciar di notare, che non so capire come Andrea Dei nella cronica sanese ed altri accusino di tradimento quel diavolo di Frangipane. Stando a qualunque relazione, questi non era seguace o suddito di Corradino: era romano e perciò dovea essergli con- trario coll'universale de'suoi concittadini, che dopo la giornata di Tagliacozzo aveansi eletto Carlo a senatore (V. Chronicon Cavense tom. VII. rer. italic. script, p 929): noi prese con lusinghe, ma armata mano; noi consegnò volontariamente, ma a viva forza. Che ci entra adunque il tradimento ? Lo dica pur 1' istoria avaro e cupido di onori ; deplori la risoluzione non cavalleresca fallagli prendere dalla cupidigia, ma non infligga la taccia di traditore ad un principe romano. U piacere di qualunque scrittore {■ togliere dalle persone, di cui parla , le macchie addossategli senza rifles- sione: e troppo grande essendo sempre stato il numero de' tradi- tori, non accresca il vitupero dell'umanità. 75 Pochi anni dopo un cronista (I) riscaldato «dal sole di Sicilia sclamava con enfasi in latino: - Bada, Astura, che l'aquila occidentale volando contro le ecco s'avventa, la quale distruggendo il tuo nido , i polli tuoi divorerà, strappandoti le penne, perchè macchiasti le arene di Napoli Lacedemone col san- gue del pollo dell'aquila orientale. - Infatti nel 1286 ai 4 settembre Bernardo di Sairiano da 12 galere mise in barche ì suoi soldati panormitani, e di buon mattino in giorno di domenica assaltò, prese, de- predò Astura, e in gran parte la diede alle fiamme. Vi rimase con altri morto di lanciata il figlio di Giovanni Frangipane. Tanto i siciliani erano infa- tuati della memoria di Corradino! Dopo pranzo, annoiali dall'uniformità del mare, andammo a Nettuno, non già per la strada carroz- zabile che traversa la macchia (2), ma sulla riva, la quale essendo troppo sabbiosa, stanca: perciò si cer- cava sempre calpestar l'orlo del lito bagnato dai regolari v ah eìii deW onde. 11 sole; ripercosso dall'ac- que e dalla bianca sabbia, stampavaci in fronte un marchio di fuoco. Diversivo nelle faticose nove mi- glia fino a Nettuno, fu poco lungi una fabbrica che a guisa di piscina e di punla sta in mare, ove co- fi) De Neocastro cap. CU. (2) Questa macchia essendo grandissima e folta è '1 richiamo de'cacciatori, i quali hannovì abbondanza di cinghiali, capri e le- pri. La maggior copia di essi però \i coucorre nel maggio, quando ripassando le quaglie in compagnia delle rondini d' oltre mare in Italia, per circa cinque miglia si copre il lito di reti, e le sem- plicette schiere affaticate dal lungo tragitto vi cascano. Dice il Biondi che al suo tempo entro un sol mese vi furono giorni, in ciascuno dc'quali st presero centomila uccelli ! 76 mlnciava a riparare dai venti di ponente la stazione d'Astura- Seguirono altre due ruine di sostruzioni e appoggi di villa, delle quali 1' ultima gli elementi riuscirono a staccare dalla tenera rupe del littorale, precipitandola abbasso. Passai il rivo perenne, che probabilmente di videa all'ovest dal continente 1' isola Astura, sopra un ponticello antico. Giunti a Nettuno, siccome era giorno di festa , mirammo le donne in gonna ì^ossa e col turbante in testa (1), ossia nel costume che ne' giorni dì car- (d) A spiegazione di questo verso del Tassoni Secchia rapita canto X- s<. 24, ed affinciiè tanti curiosi e pittori che traggono di festa a veder le nettuncsi, abbiano prima un'idea del loro costume arcipiltoresco, crediamo indispensabile di riprodurne 1' esatta de scrizione dal P. D. Agostino Maria Sonsis somasco diretta al Ba- rolti. Egli così scrivea: — Del vestir delle donne di Nettuno io posso darne contezza, perchè fratrc Tiberii, genitus, Augustae nepos: scd anxius occultis in se patrui aviaeque odiis, quorum caus- sae acriores quia iniquae. Quippe Drusi magna apud populum romanum memoria, credebaturque, si re- rum potitus foret, libertatem redditurus ; unde in Gcrmanicum favor et spes eadem. Nam iuveni ci- vile ingenium , mira comitas , et diversa a Tiberii sermone, vultu, adrogantibus et obscuris. Accedebant muliebres offensiones, novcrcalibus Liviae in Agrip- pinam stimulis, atquc ipsa Agrippina paullo com- 95 ab antico ai soldati, e primo segno alle vendette), e gii stramazzano e maleonciano, ogni sessanta uno, per uguagliarne 11 numero. Poi sformati, dilacerati, e parte esanimi, gli arrandellano fuor lo steccato o in Reno. Settimio riparò al tribunale, avvinghiossi ai pie di Cecina: pur bisognò lasciarlo spacciare ; per modo lo chiesero. Cassio Cherea , feroce gai-- zone (il futuro immortale uccisore di C. Cesare) si sgombrò la via, tra le opposte armi, col ferro- Tri- buno né maestro di campo più non ascoltarono: le scolte, le poste, e se altro ufficio nacque in quella stretta, fra sé scompartivano. Grande argomento a chi vedea addentro negli umori soldateschi, di larga e infrenabile rivoltura , fu che non ismembrati né poco volenterosi , ma di conserto sobbollivano , di conserto rabbonivano. XXXIII. Trattanto Germanico, in sul catastare, come dissi, le Gallio, seppe d'Augusto morto, la cui nipote Agrippina avea per moglie, e di lei più fi- gliuoli. Nato di Druso (fratel di Tiberio), nipote di Augusta, Iravagliavalo il segreto e ingiusto (e però più furioso) odio del zio e dell'avola; portatogli per la calda memoria e opinione di Druso mantenuta da'romani, ch'egli, se di Roma insignorisse, risto- rerebbe la libertà; donde ugual favore e fidanza in Germanico; giovane di cittadinesco ingegno, di fare cortesissimo, diversissimo da Tiberio, tracotante di piglio, ambiguo di parlare. S'arrogevano i femmi- neschi rancori: Livia da madrigna astiava Agrippi- 96 motior; nisi quod castitate et meriti amore quam- vis indomitum, ariimum in bonum vertebat. XXXIV. Sed Germanicus, quanto summae spai pi'oprioi", tanto impensius prò Tiberio niti. Sequanos proximos et belgarum civitates in verba eius adigit. Dehinc, andito legionum tumultu, raptim profectus, obvias extra castra habuit, deiectis in terram ocu- b's, velut penitentià. Postquam valium iniit, dissoni questus audiri coepere: et quidam, prensà manu eius, per speciem osculandi, inseruerunt digitos, ut vacua dentibus ora contingeret: alia curvata senio mem- bra ostendebant. Assistentem concionem, quia per- mixta videbatur, « Discedere in manipulos » iubet; » sic melius audituros responsum: vexilla praeferri, » ut id saltem discerneret cohortes: » tarde oblem- peravere. Tunc a veneratione Augusti orsus , flexit ab victorias triumphosque Tiberii, praecipuis laudi- bus celebrans quae apud Germanias , illis cum le- gionibus, pulcherrima fecisset. Itaiiae inde consen- sum Galliarum fidem extollit; nil usquam turbidura aut discors. Silentio haec vel murmurc modico au- dita sunt. XXXV. Ut seditionem attigit, ubi modestia mi- litaris, ubi veteris discipiinae decus, quonam tribu- nos, quo centuriones exegissent, rogitans ; nudant universi corpora , cicatrices ex vulneribus , ver- berum notas exprobrant ; mox , indiscretis vocibus pretia vacationum, angustias stipendii, duritiam ope- rum, ac propriis nominibus incusant valium , fos- sas, pabuli, materiae, lignorum adgestus, et si qua alia ex necessitate aut adversus otium castrorum quaeruntur. Atrocissimus veteranorum clamor orie- I 97 na: costei era un pò viva, se non che pudore e carità di moglie bene indirizzavano quella caldezza. XXXIV. Ma Germanico, come più il principato se gli offeriva, e più forte brigava per Tiberio. Re- cogli in divozione i vicini sequani e le città belge: e volò, udito che subbollivano, alle legioni, venu- tegli incontro fuor del campo, con gli occhi a terra, come pentite. Entrato nel campo, sursero discor- danti querele; e quale strettogli la mano, come da baciare, se ne inframmette per le gengie sdentate i diti che le tastassero; e chi porgeva il dorso da vec- chiezza incurvato. Parutagli disordinata quella turba, fé tornarla, per meglio udirlo, nelle compagnie : e perchè le coorti si scernessero, co' vessilli innanzi. A malincuore obbedirono. Qui, lodato in prima A\i- gusto, calò alle vittorie e ai trionfi di Tiberio, levò a cielo le costui prove stupendissime, con quelle legioni, in Germania: indi il consentire d' Italia, la fede di Gallia; la quiete e concordia finallora uni- versale. XXXV. Poco o nulla, fin qui, mormorarono. Toc- cata la sedizione, e chiesto: « Dove l'ubbidienza mi- litare ? dove l'orrevole antica disciplina ? dove cac- ciaste i tribuni, i centurioni ? » tutti s' ignudano: bestemmiano le cicatrici delle ferite, il lividore delle battiture; poi, con discorde vociferare, il prezzo dei riposi, la strettezza degli stipendi , l'acerbità de'ia- vori, e nomatamente lo steccato, i fossi, il trasporto de'fieni e legnami, e checche altro bisogna o cessa ozio in campo. I veterani, noverando trenta o piiì G.A.T.CXLIIl. 7 98 batur; qui, tricena aut supra stipendia numerantes, » mederetui" fessis, neu mortem in iisdetn labori- » bus, sed finem tam exercitae militiae, neque ino- » pem requiem » orabant: fuere etiam qui legatam a divo Augusto pecuniam reposeerent , faustis in Gennanicum ominibus, et, si vellet imperium, prom- ptos ostentavere. Tum vero, quasi scelere contami- naretui', praeceps tribunali desiluit: opposuerunt ab- eunti arma, minitantes, ni regrederetur. At ille, mori- turum potius, quam fidem exueret clamitans,ferrum a latere diripuit, elatumque deferebat in pectus, ni pro- ximi prensam dextram vi attinuissent : extrema et conglobata inter se pars concionis , ac , vix credi- bile dictu, quidam singuli, propius incedentes, fe- riret, hortabantur: et miles nomine Calusidius: stric- tum obtulit gladium, addito, acutiorem esse. Sae- vum id malique moris, etiam furentibus, visum: ac spatium fuit, quo Caesar ab amicis in tabernaculum ra pere tur. XXXVI. Consultatum ibi de remedio. Etenim nunciabatur: « Parari legatos, qui superiorem exer- » citam ad caussam eandem traherent: destinatum » excidio ubiorum oppidum : imbutasqne praedà » manus, in direptionem Galliarum erupturas )). Au- gebat metum gnarus romanae seditionis, et, si o- mitteretur ripa , invasurus hostis ; at si auxilia et socii adversum abscedentes legiones armarentur, ci- vile bellum suscipi : periculosa severitas: flagitiosa largitio; seu nihil militi, sive omnia concederentur in ancipiti respublica. Igitur, volutatis inter se ra- tionibus, piaci tum , ut epistolae, nomine principis, scriberentur: « Missionem dari vicena stipendia me- » ritis; exauctorari, qui senadena tecissent, ac re- 99 anni di soldo, urlando fieiissimi, imploravano « in- » nanzi che morte ve gì' incolga, Une agli stenti e )) a sì travagliosa milizia, riposo e da vivere »: ta- luni anco chiesero a Germanico il legato del divo Augusto, bene augurandogli; e proffei-irongli, volen- dolo , r impero. Rabbrividito a tanta nefandità , si lanciò giù dal tribunale, e partiva; ma, colle armi nel viso, minacciaronlo se non tornasse. Quegli gri- dando: - Prima morto che disleale ; - dinudato e levato il ferro, si passava il cuore, se i vicini la de- stra non gì' imprigionavano. Ma la più rimota udienza si raggruppa, e alcuni pochi (quasi incredibile !) gli si ravvicinano, e lo confortano : a Ferisciti: « e un Calusidio, soldato, brandì un pugnale e per più ta- gliente glie r offerse. Crudo alto parve e peggiore esempio eziandio a quelle fiere : e diede agio agli amici di trasportar Cesare nel padiglione. XXXVI. Dove si consultò: uditosi che « appa- » recchiano di farsi partigiano, per messi, l'esercito » superiore, disertar il borgo degli ubii, e abbottinati, » gittarsi a rubar le Calile ». Crescea spavento il nimico, che, accorto della ribellione, occuperebbe la ripa, se la sgombravamo: ma se approntiamo gente e alleati contro i ribelli, arderà guerra civile. Ri- schio il negare, l'accordare onta; o tutto concedasi 0 nulla, la repubblica in ponte. Ventilato i partiti, piacque scriver lettere in nome del principe: « Chi servì vent'anni, sia congedato; chi sedici, disobhli- JOO )) tineri sub vcxirio , ceterorum iminuncs, nisi prò- )) pulsandi liostis : legata, quae petiverant, exsolvi » duplicai'ique ». XXXVII. Sensit miles, In tempus confìcta, sta- timque flagitavit. Missio per tribunos maturatur: lar- gitio diffeiebatur in hiberna cuiusque. Non abscessere quintani iinaetvicesimanique, donec iisdenm in aesti- vis, contrada ex viatico amicorum ipsiusque Cae- sai'is, pecunia persolveretur. Primam ac vicesìmam legiones Caecina legatus in civitatem ubiomm re- duxit, turpi agmine, cum fìsci de imperatore rapti Inter signa interque aquilas veherentur. Germanicus superiorem ad exercltum profectus, secundam et tei- tiamdecimam et sextamdeclnfiam legiones, nihil cun- ctatas, sacramento adlgit. Quartadecuinani paullum dubitaverant: pecunia et missio, quamvis non flagl- tantibus, oblata est. XXXVIII. At in chaucis captavere seditionem praesidium agitantes vexillarii discordium leglonum, et praesenti duorum militum supplicio paullum re- pressi sunt. lusserat id Mennius , castrorum prae- fectus, bono magis exemplo, quam concesso Iure : delnde, intumesconte niotu, profugus, repertusque, postquam intutae latebrae , praesidium ab audacia mutuatur: « Non praefectum ab iis, sed Germanicum » ducem, sed Tiberium imperatorem violari » ; si- inul exleiritis, qui obstiterant, raptum vexillum ad ripam voitit, et si quis agmine decessisset prò de- seriore fore, clamitans, reduxit in hiberna turbidos et nihil ausos. XXXIX. Inlerea legati, ab senatu, regressum iam apud araiu ubioi'um Germanicum adeunt. Duae Ibi 101 gato, ma ritenuto all' insegne, per sola difensione; il chiesto lascito, doppiato e pagato ». XXXVII. Avvisò il soldato il balocco , e pres- sava. Pubblicossi pe' tribuni il congedo; indugiandosi il pagamento al tornar ne' quartieri d' inverno. La quinta né la ventunesima legione non dipartirono , prima non ebbero quivi stesso il danaro, racimolato dal viatico di Cesare e degli amici. Cecina legato raccolse nella città degli ubii la prima e la ven- tesima legione, carreggianti in vituperosa frotta, fra le insegne e l'aquila, il contante tolto all'imperadore. Germanico, ito all'esercito superiore, recò, non re- pugnanti, al giuramento la seconda e la decimaterza e la decimasesta legione; e, un pò restia, la deci- maquinta ; proffertosi , non pur chiesti , danaro e congedo. XXXVIII. Ma nei cauci ribellava la guarnigione, stigata dai veterani delle discordi legioni; e un poco la tenne Mennio, mastro del campo, col supplizio ( meglio esemplare che legittimo) di due soldati. Ma ribollendo il tumulto, si trafugò: scovato da mal- sicuro nascondiglio, cercò dall' ardire salute: « Voi » non isforzate Mennio, ma il capuano Germanico, » ma Tiberio imperatore w ; e sbigottiti i contra- stanti, ghermì e trasse alla ripa l'insegna, e bandendo disertore qualunque si dischierasse, gli rendè bruschi e scorati ai quartieri d'inverno. ì XXXIX. Tornano intanto i messi, e s'accontano air ara degli ubii con Germanico , già tornatovi. 102 leglones, prima v^tque vicesima, veteranique nuper missi sub vexillo hiemabant. Pavidos et conscientia vecordes intrat metus , venisse patrum iussu , qui irrita facerent , quae per seditionem expresserant : utque mos vulgo , quamvis falsi , reum subdere , Munatiuin Plancum, consulatu functum, principem legationis, auctorem senatusconsulti incusant: et no- cte coneubià vexillum in domo Germanici situm , flagitare occipiunt : concursuque ad ianuam facto , moliuntur fores; extractum cubili Cae sarem, tradere vexillum, intento mortis metu, subigunt. Mox, vagi per vias, obvios babucre legatos, audita consterna- tione, ad Germanicum tcndentes. Ingerunt contu- melias: caedem parant: Fianco maxime, quem di- gnitas fuga impediverat; ncque aliud periclitanti sub- sìdium , quam castra primae legionis. lllic , signa et aquilam amplexus, religione sese tutabatur : ac ni aquilifer Calpurnius vim extremam arcuisset, ra- rum etiam inter bostes, legatus populi romani, ro- manis in castris, sanguine suo altaria deum comma- culavisset. Luce demum, postquam dux et miles et facta noscebantur, ingressus castra Germanicus, per- duci ad se Plancum imperat , recipitque in tribu- nal. Tum fatalem increpans rabiem , ncque mi- litum, sed deùm irà resurgere, cur venerint legati, aperit: ius legationis atque ipsius Planci gravem et immeritum casum, simul quantum dedecoris adie- rit legio, facunde miseratur; attonitàque magis quam quieta concione; legatos, praesidio auxiliarium equi- tum, dimittit. 103 Quivi la prima e la ventesima legione e i veterani, di poco sotto alle insegne, invernavano. Incodarditi da rimordimento, temettero non i padri mandassero a ricovrare quanto la ribellione carpì ; e come il volgo, fantasticata una coJpa, v'appicca un colpe- vole , accagionano del decreto il capo dell' amba- sciata Munazio Fianco (stato console ); e di prima notte , chieggono con ressa lo stendardo , custo- dito da Germanico; la cui casa assiepano, sforzano le imposte, e lui, svelto di letto, stringono co' ferri levati di rassegnarlo. Dipoi dispergendosi, scon- trando i legati , tratti dalla fama del trambusto a Germanico, gli proverbiano; presti a spacciarli, mas- sime Fianco, cui vergogna vietò la fuga; né, tranne i quartieri della prima legione, gli restò scampo. Colà, avvinghiato ai vessilli e all'aquile, lo francheggiò la religione ; e se Galpurnio aquilifero non tenea la puntaglia, un legato romano, nel campo romano, insanguinava (raro anco fra' nimici) l'are degli dei. Raggiornato, e conosciutosi il capitano, i soldati e i fatti, venne Germanico in campo, e fattosi condurre e allogare nel suo tribunale Fianco; esecrando quel furore fatale, e per ira, non de' soldati, ma de numi risorgente; palesato perchè venuti i messi, il pro- fanato diritto dell'ambasciata, il fiero e indegno ri- schio di Fianco , il fresco vituperio della legione , eloquentemente deplora. Gli sbalordì , non li rac- quetò: e licenziò, accompagnandoli di estrani cava- lieri, i messi. 104 XL. Eo in metu arguere Germaiiicum omnes, )) quod non ad superiorem exercitum pergeret, ubi » obsequia, et contra lebelles auxilium: satis su- » perque missione et pecunia et mollibus consultis » peccatum: vel, si vilis jpsi salus, cui* filium par- )) vulum, cui* gravidani coniugem, inter furentes , et )) omnis hunfiani iuris violatores, haberet ? illos sal- )) tem avo et reipublicae redderet ». Diu cunctatus, adspernantem uxorem, cum se divo Augusto ortam, ncque degenerem ad pericula testaretur, postremo, uterum eius et communem fìbum multo cum fletu complexus, ut abiret perpulit. Incedebat muliebre et miserabile agmen , profuga ducis uxor , parvulum sinu filium gerens: lamentantes circum amicorum coniuges , quae simul trahebantur ; nec minus tri- stes qui manebant. 105 XL. Tutti in quella stretta accusano Germanico: » Perchè al fedele esercito soprano non chiede » schermo dai ribelli ? Troppo s' è largheggiato di » congedi, paghe e blandimenti. Di sé non gli cale ? » Almanco il piccoletto figliuolo e la mogliera in- » cinta, a quelle fiere, d'ogni mnano diritto concul- » catrici, ritolti, renda all'avo e alla patria ». So- prastato un pezzo, smosse alfine, con molto pian- gere e abbracciare le ginocchia e '1 seno di lei , Agrippina; che vantandosi originare dal divo Angusto, e ne' rischi non tralignare , disdegnava partii-e. Si trafugavano, miseranda frotta di femmine, la donna del generale , col bambino al petto , e dattorno , conforti di fuga, le mogli degli amici: e le fuggi- tive e i rimanenti di paro lagrimavano. 106 Idee cosmologiche e cosmogoniche. Nola del prof. Fran- cesco Orioli, mandala e Iella alVIsiitulo di Bo- logna, il 1 maggio 1859. K Colleghi chiarissimi lon prenderei la penna per qui mettere in carta alquante parole da leggere innanzi a voi sulla di- sputa sorta, già è qualche tempo , in Inghilterra , tra il celebre fisico Faraday e il non men celebre matematico Airy, se neirargomonto di quella non mi trovassi mescolato di diritto , comechò il mio nome non vi appaia. Le novelle dottrine del Faraday sulla natura della materia nella sostanziale lor parte , per quanto è accessibile a conghiettura, son mie, sia da quando professava io fìsica, non pur dirò in Corfù, ma in codesta Bologna madre degli studi; ed esse, in quel- r altra lor parte in che non son mie , danno alle opposizioni del matematico Airy , una opportunità che le mie non danno. Potrebbe ciò che in primo luogo affermo, parer men vero a que' che non sono stati miei discepoli, e che non hanno udito da me spiegare in iscuola gl'insegnamenti miei sopra sì fatto proposito, o sì veramente che li han dimenticati. Ne dà però te- stimonianza esplicita ed opportuna, l'opera, Spighe e Paglie, dove nel quaderno d'aprile 1844, alla pagi- na 145 e seguenti, brevemente io spiegava il mio si- stema in termini di poco varianti da quo' del Faraday. I 107 Il Faraday manifestava su ciò in Londra le pro- prie idee in aprile 1846, e le pubblicava nel phi- losophical Mayazine del susseguente iMaggio (V. Ar- chives des sciences physiques et naturelles. Decem- bre 1846, n- XI, pag. 244 et suiv.), dicendo ch'ei non ammette atomi di dimensioni sensibili , man- tenuti in equilibrio da forze di diversa natura , e separati da spazi vuoti. Ma sostituisce in luogo loro, semplici centri di forze la cui riunione, in vario e determinato numero, e con variabile densità, costi- tuisce i corpi, e considera ogni atomo come pre- sente da per tutto dove 1' azione che esso esercita si fa sentire, e, perchè si fa sentire su tutto l'uni- verso, egli ammette coesteso l'atomo all'universo. Or tali appunto sono le idee ch'io, più distesamente, pubblicava dal mio lato, nel citato libro, due anni prima di lui, come ciascuno può conoscere leggendo. Senza dubbio, il Faraday ed io, in alcune parti del sistema nostro , siamo stati prevenuti dai così detti dinamisti, alla cui testa, un secolo e mezzo fa, si collocarono i Leibniziani e il padre Boscovich; ma non credo che alcuno abbia offerto il comune nostro concetto nella forma particolare, sotto la quale noi due lo presentammo. Airy non mi par che si sia fatta una idea chiara del valor della propria obbiezione, allorquando fassi ad opporre, nello stesso philosophical Magazine (2.° supplemento del 1846) che la materia deve esser conceputa, non come una forza, od una riunione di forze, ma come qualche cosa, in cui queste forze ri- siedono , in una parola , come una sostanza distinta dalle sue proprietà. Che cangia ciò nell' intrinseco 108 del sistema nostro ? Ci sia pur questo agente arcano, dal quale le forze procedono, ed in cui sono infìsse in qualche modo (ed io per mia parte non lo ira- pugno, nò veggo elle possa sul serio impugnarsi da chicchesia , indipendentemente dalla idea che cia- scuno può formarsi intorno al valore della parola sostanzialità) ; ma siccome non si rivela all' uomo siffatto agente in altro modo che appunto per le sole sue forze, così, quanto al fisico, esso agente non entra nel computo ; e , nel luogo di esso , il fisico ha tutto il diritto di non considerare che le forze dalle quali l'agente è rappresentato, e che ad esse equivalgono, sopra la qual cosa dee leggersi quanto nella detta mia opera stampava al citato luogo , pag. 147, e seg., e voi. 3." pag. 244 e seg. Airy aggiunge una opposizione tratta dalla iner- zia , cioè dalla relativa quantità , per esempio , di forza estrinseca, la quale ogni corpo richiede per esser messo in un dato movimento, ciocché fa sup- porre nel corpo una resistenza da vincere , la cui misura poi denotiamo col nome di massa, e par pro- cedere da una forza conservatrice del proprio stato, forza inerente alla materia^ e propria dell' essenza del suo subslratum come usan molti chiamarlo. Qui ancora però il detto matematico non sembra essersi fatta una chiara idea del veio valore della sua dif- ficoltà. Ciò vorrà dire che a quello eh' io nomino, non atomo (perchè riservo questa denominazione a que' primi composti che dai fisici son detti mole- lecole primiiive ed atomi chimici), ma con Leibnitz e Boscovich, monade, bisognerà oltre alle altre forze, al pili aggiungere la forza speciale d'inerzia; ciocché 109 non cangiei'à nulla nel nostro dinamico modo di con- cepirne l'essenza, quale almeno è lecito considerarla dal suo lato pratico ed unicamente accessibile al- l'uòmo. Se non che Vinerzia è per me una condizione dell'azion delle forze, o una delle leggi del loro modo d'esercitarsi , piuttosto che una forza a parte , od una forza propriamente detta , poiché per se me- desima, essa non produce cangiamenti, ma governa le lec:2;i de' cangiamenti. Ora l'idea che ci sogliamo formare della forza, nell'ordine fisico, è l'idea d'una attività motrice, o modificatrice delle posizioni, della quale può ben far parte non separata la suboi'di- nazione a certe condizioni governatrici dell' effetto che la forza dee produrre. Ed io vo immaginando così proceder le cose. — La massa è rappresentata dalla quantità di forza originariamente costitutiva della monade, proporzio- natamente alla qual quantità, ed analogamente alla cui natura, ogni monade tende nell' ordine fisico, o a rispinger dal proprio centro d'azione , o a tirar verso quello, il centro delle altre m.onadi. Oltre alla quantità delle forze d'ogni dato genere impartita alle monadi, o vogliasi dire alla incensila, e la stessa per tutte iu uno stesso genere di forze ; chiaro è che tutt€ le monadi avranno a concepirsi come posse- denti massa uguale rispetto ad ognuna delle dette forze: e poiché queste, secondo il nostro modo di vedere, coegualmente ed uniformemente si spandano a mò di sfera in ogni direzione e a qualunque pro- fondità , e manifestano tante volte la loro azione tutto intorno, quanti sono i centri monadici che in- contrano (salvo il pili 0 il meno d'energia, secondo 110 la nota legge, modificata dal più o meri di distanza);e poiché, inoltre, i corpi son, per noi condensazioni, a vario grado, di centri di più monadi , e somme di questi centri legati in un tutto , o in una col- lettiva unità, così è chiaro, che supposte uguali le masse delle monadi , non saranno poro uguali le masse de'corpi, e non saranno uguali, supposte an- che l'uguaglianze nel resto, le azioni corrispettive, da ognuna di esse masse composte e collettive , esercitate e patite , e quindi gli effetti risentiti o prodotti; e non saranno quantitativamente uguali le loro inerzie , cioè le impressioni di moto , le im- pressionabilità al moto, 0 quelle che noi chiamiamo le resistenze alla recezione di questo. Se non che un' altra fonte potrà esservi di di- suguaglianza nelle masse, e quindi nelle inerzie, ed essa , non più ne' corpi in quanto composti dalla somma di più o men centri insieme legati in un sistema unico, ma nelle monadi stesse elementari, ove s'ammettano, come io penso, disiiguagHanze ori- ginarie nelle quantità di forza originariamente im- partite alle diverse monadi. Perchè , se vogliano concepirsi, per cagion d' esempio, monadi, suppo- niamo, di due categorie ( quelle stesse che comu- nemente, quantunque molto impropriamente, si son dette fino al giorno d'o'^^ì ponderabili ed imponde- rabili, come dire con forza attrattiva , e con forza ripulsiva, una maggiore, e l'altra minore, secondo una data misura costante, e che io chiamerei più volentieri materiali ed eteree, ma siffattamente or- dinate tra loro, come le ordina la ipotesi del Mas- sotti, una delle molte, le quali posson farsi, o qua- Ili lunque altra ipotesi che potrebbe all'uopo immagi- narsi), allora è chiaro che ne'vari aggregati de'due ordini di monadi, variabili per quantità reciproca di monadi, e per densità, degli aggregati, non risulte- rebbero eguali le masse e le inerzie. Ed intanto , ammessi questi modi di vedere, non tiovo che l' idea d' inerzia ci costringa ad immaginare una forza terza la quale nelle due forze fìsiche, attrattiva e repul- siva, non sia inclusa. Resterebbe a parlare della terza difficoltà che Airy muove al Faraday, e la deduce dalla impos- sibilità di spiegare la diffrazione della luce nell' ipo- tesi dell'assenza d'un mezzo etereo. Ma sarà questa una difficoltà per Faraday , che non sembra, per quanto io mi sappia, nell' ipotesi qual egli comuni- cavala al pubblico, ammetter centri di forze tra loro repulsive diffusi nello spazio in guisa da rappresen- tarvi l'etere universale colle sue svariate rarefazioni e condensazioni. Per me, che, col Mossettì e coi piiì, tutte queste cose ammetto, la difficoltà d'Airy non può aver luogo. 112 Saggi filosofici di G. B. Pianciani D. C. D. G. Professore ec. Roma 1855. 1 1 celebre Padre G. B. Prof. Pianciani , della cui stimabile amicizia da circa 40 anni m'onoro, a tutti è noto come uno de'nostri fisici più illustri. Forse non è ugualmente conosciuto come un profondo me- tafisico. Non pertanto in questo genere si hanno la- vori di lui, stampati e manoscritti, che lo raccoman- dano, a quanti si piacciano di siffatti studi , quale uno de'piiì acuti filosofanti; e n'è ultimo documen- to, tra gli altri, l'opera qui sopra mentovata, cori- tenente, a forma di molte antiche scritture, 4 sag- gi (alcuno a maniera di dialogo): il 1. intorno alle verità prime, il 2. della combinazione dell'anima col corpo; il 3 sull'analogia tra le leggi fìsiche e le leg- gi morali ; il 4 intorno ai sentimenti del corpo e dello spirito. - Dove questi ardui argomenti assume a subbietto di nuove e pellegrine licerche, e li tratta con piano e dilettevole stilo, per quanto è ciò sop- portato dalla naturale astrusità de'temi- Né io mi propongo, di opera sì grave ed importante, dare un esame completo : fatica la quale spaventerebbe mag- gior filosofo che io non sono. Pur alcuna cosa verrò delibandone, tornandovi sopra forse più volte, at- tratto, e quasi invescato, da dottrine per le quali ebbi sempre amor sommo. In che accadrà per av- ventura, ch'io mi trovi, a volta a volta, contrad- dicente a quanto egli scrive, ma non mai con tale audacia, o per tal modo, che mi tenga più sicuro 113 deiropinai' mio che del suo. Gli uomini, come il P. Pianciani, son di quelli a'quali è duopo appressarsi €on riverenza, diffidando di sé medesimo più che di loro, massime allorché si spinge l'ingegno a que- stioni tanto sublimi, e tanto incerte per natura. Ai quale io mi permetterò, per esempio, di sottomet- tere oggi alcune considerazioni, o piuttosto dubita- zioni, sul secondo saggio, uno de'più importanti, col fine ch'egli, anziché si creda da me giudicato , me giudichi, e meglio illumini il mio intelletto, se tut- tavia ne vale la pena. Comincia il dotto autore dallo spiegare quel che intenda per combinazione dell'anima col corpo', dov* egli avverte voler significare la unione di due cose, una semplice {Vanima), l'altra composta (il corpo), dotate ognuna di proprietà tanto diverse , quanto appunto lo sono, anima, e corpo : la quale unione dimanda, se mostri qualche analogia, colle unioni che chiamiamo chimiche di più eterogenei in un composto unico, in cui si ecclissano, e divengono latenti o dissimulate le proprietà particolari di cia- scuno degli eterogenei , e il composto unificato si trasforma al nostro senso in un intero , con pro- prietà nuove e differenti dalle prime, e quanto all' insieme risultante, e quanto a'singoli punti, di esso insieme (questione eh' io non dimenticava di svol- gere agli uditori miei nell'università corcirese, come promossa specialmente dai materialisti contro agli spiritualisti, pretendendo essi, che, se ne' composti chimici il composto può operare come semplice, a dispetto della composizione, potrebbe anche l'anima esser composta, e perciò corporea, e ciò non ostan- G.A.T.GXLUL 8 lU te unificare in se tutte le parti componenti , qual se fosseio annullate, e confuse, e raccolte in un solo tutto). L'A. crede che l'analogia può in qualche modo difendersi. Perchè , nel composto chimico, per lui non può assegnarsi il più menomo spazietto^ ove sia un elemento (componente), e non Valtro {e il raggio stesso del sole., a cosi dire., non li distingue passando per essi come ne' corpi semplici), e così non può de- terminarsi parte del corpo animato e sensitivo, che non mostri la combinazione dello spirilo col corpo ecc. (199). Ma io confesso che mi formo altra idea del modo della composizione chimica. Per me, non solo è vero, che non è menomo spazietto ove non siano presenzialmente i due o più componenti d'un com- posto chimico; ma, non è menomo spazzietto ove non siano presenzialmente tutte le particelle pon- derabili 0 imponderabili dell'universo. Perchè la pre- senza in luogo, e l'occupazione di luogo, è dichia-^ rata fenomenalmente dalla sola presenza dell'azione. Dove è Vazione è l'attività che la produce. Dove è l'attività è l'agente. Ma l'agente colla sua attività è sempre per lutto. Dunque ogni agente (materiale o immateriale) è per tutto e sempre. Questo opinar mio già da me professato da che dovei parlare pub- blicamente su tale argomento, fu senza saperlo, pub- bhcato e professato pure dal celebre Faraday. Ma, se tutta la materia, che ne'composti chimici entra, e che non c'entra, è sempre da per tutto, non v'è sempre collo stesso grado d' attività e collo stesso modo d'azione. Perchè ogni particella semplice di materia non può essere in ogni luogo , senza che 115 abbia poi, (separato ed inconfuso) un suo luogo spe- ciale ed esclusivo, che è il suo proprio centro d'at- tività. Così, quando si dice che nel composto i com- ponenti s'unificano, ciò non vuol dire che non con- servano inconfusa la propria individualità, e l'indi- viduale grado d'azione, il quale, o nelle somme, o nelle sottrazioni a cui concorre, può bene uniftcar- si, rispetto aH'etfetto - uno, estrinsecamente prodot- to, che si chiama la risultante delle azioni, ma non così, che le forze e i loro gradi, dai distinti cen- tri donde emanano , spariscano. Sebbene è giusto notare, che, limitando 11 discorso ai composti chi- mici, in essi le particelle di diverso ordine, secondo che mutano più o meno le loro distanze insensibi- li, e le loro posizioni relative, possono bene in que- sto giuoco reciproco esser mutate in guisa, che nel composto, non le loro attività primitive, ma certe proprietà secondali e, s'annullino, e si facciano iden- tiche, e rimangano tali finche durano le circostanze medesime, di guisa che l'eterogeneità temporaria- mente s'abolisca, almeno sotto (juesto aspetto, e 1' unificazione non sia, in siffatto limitato senso, non veramente una perfetta unificazione, ma una specie d'identificazione di ciascuna di esse particelle, non perchè confuse, ma perchè, serbata sempre l'indi- vidualità e la distinzione , ognuno operi lo stesso genere d'effetto intorno a se, nell'ordine e dentro la distanza, delle pure azioni chimiche. Perciò in ogni ipotesi sarebbe vero, che non si tratterebbe d'uni- ficazione di composti chimici da potersi paragonare colla unificazione psichica, la quale bisognerebbe in subjecla materia. 116 E qui debbo avvertire una cora. L'autore , ed io non consideriamo questo punto da uno stessa la- to. Io lo considero, ripeto, come una difficoltà op- posta allo spiritualismo. L'A. piuttosto come un'al- tra difficoltà opposta alia possibilità del fatto in- trinseco della combinazione di due cose, sì tra loro disparate, quanto il corpo composto e materiale del- l'uomo, e l'anima o lo spirito semplice. Egli sup- pone ammessa l'esistenza dello spirito e della ma- teria, come intrinsecamente eterogenei , io disputo con quei che la negano o la mettono in dubbio. Partendo dunque ambidue dal fatto dell' esistenza non controversa delle azioni chimiche, io dico che han torto i materialisti quando pretendono che, se in esse si fa di molte particelle un tutto operante come uno e semplice, dunque d'un corpo può ri- sultare l'anima che paia semplice nei fenomeni psi- chici, benché sia moltiplico ne'fenomeni fisici. L'A. invece, non pensando almeno a questa difficoltà, e ponendo come lemma la diversità radicale e incon- ciliabile d'anima e di materia, s' occupa solo del modo di concepire la combinazione , come egli la chiama, di due cose tanto apparentemente contrad- ditorie nelle loro proprietà. Ma io che la questione omessa dal P. Pianciani non voglio omettere, principiando da questa, e fon- dandomi su quanto ho discorso di sopra, nego es- ser di qualche valore la difficoltà. Inflitti , da che la riduzione a uno nel composto chimico è relativa e non assoluta ed intrinseca, rispondo, che l'unità generata e fenomenale sarà per rispetto agli effetti operati sopra gli altri corpi posti al di fuori, e nelle 117 distanze delle azioni chimiche; ma, entro se stesso, e nelle altre azioni, il composto resta sempre di- stinto in parti separate e moltiplici come prima, ed ogni parte, ogni azione, ogni attività, resta distinta numericamente in tante quante pur sono, di ma- niera che, se -il composto chimico avesse mia co- scienza, cioè un sentimento delle azioni esercitate e sofferte, ogni sua parte avrebbe una coscienza sua di quel che essa individualmente agisce e patisce, e del proprio centro d'attività, e della direzione della propria forza, non delle altre; e perciò vi sarebber coscienze, e quindi sentimenti psichici, o anime se- parate, quante son parti. Sebbene anche il famoso esemplo del triangolo e dei suoi tre lati ed angoli, da percepire da un'ani- ma supposta non originariamente semplice, che nelle scuole s'usa a provare la semplicità, è dugli spiri- tualisti scelto male a proposito, e tutta l'argomen- tazione che intorno ad esso s'aggira prò e contra, non fa né prò, né contra. Perchè non è giusto, sup- porre presente all'intelletto, semplice o composto eh' ei siasi, ciascuno de'lati o degli angoli, e insieme il loro aggregato mentre pensa, ma la mente pro- cede in ciò per atti successivi e continuati. Quando penso al triangolo, fuori dello spirito, e nella specie cerebrale, è la figura composta del triangolo intero e perfetto in una immagine tutta fìsica, ciò che non vuol dire nella idea spirituale. Acciocché la figura diventi tale idea, l'anima bisogna che, per atti sin- golari uno dopo l'altro, rapidamente e senza discon- tinuità, si determini alla percezione di ciascheduna di queste parti, e finalmente della loro somma, ed 118 a ciascuna di queste cose alla sua volta, attenda con atto percettivo unico ed indivisibile, finita la qual rivista psichica, l'idea risulta completa, per una pro- prietà dello spirito di raccogliere in un fatto com- posto considerato come semplice, quel che conce- pisce un momento prima, con quel che un momento dopo, in virtù di attenzione persistente nel passag- gio dall'uno all'altro. E così è una realtà che a cia- scun istante diverso l'atto animale è semplice, men- tre la sintesi risultante che va creando, o l'analisi che va tramettendo, è sopra un composto oggettivamente materiale e composto, soggettivamente spirituale ed uno. Per esempio, nel nostro caso, la psiche conce- pisce, un dopo l'altro, per atti sempHci e continuati, prima il lato a, poi il b, poi il e, poi l'angolo «, poi il /3, poi il 7, poi il suo passaggio alternativo dall' uno all' altro , e ogni mutazione di concetto , somma in una concezione unica ed indivisa,, finche {a-\-b-ir-c-\-a-^^-+-y) = ^ cioè l'idea del trian- golo intero 0 separata o riunita, torna sempre sem- plice, e oscuramente è conceputa come composta, in quanto la specie cerebrale sempre presente dura nel cervello per ricordare la composizione , e nel- l'anima che resta identica a se, in tutta la succes- siva perlustrazione de' mentovati atti psichici, con- nettesi in un atto unificato. Ma, tornando alla maniera di vedere del dotto autore, in essa egli è condotto ad occuparsi inci- dentemente sulla questione del modo di nesso , e della sede della combinazione qui discorsa , se sia congiunzione dell'anima con tutto il corpo umano, con tutto il sistema nervoso sensitivo, col solo en- 119 cefalo, od altrove. — Io intorno a ciò ho manife- stato più volte il mio sentimento. — Dalla qual di- sputa passa all'altra, se lo spirito sia esteso e mo- bile, e in che consista l'estensione e il movimento. E parla di quel che appartiene all'anima in quanto solo incorporata, e in quanto le si conviene quando e finché si trovi senza corpo. Senza tener dietro al P. Pianciani in siffatte sot-^ tili disquisizioni, esporrò candidamente il mio pa- rere. Non v' è ragione alcuna perchè l'anima spiri-^ tuale debba esser creduta da meno che la materia. Se ogni particella di materia, secondo me, abbraccia colla sua attività ed efficienza lo spazio intero, cioè l'estensione universale, l'anima , come le legge di analogia, e della maggior sua dignità, consiglia, non dovrebbe in ciò avere una sfera minore a lei de- stinata. Una particella materiale però non opera e patisce, colla stessa intensità, in ogni luogo. Ha un centro d'azione diverso da tutte le altre, doride ir- *raggià intorno le sue attività, ed al quale chiama^ o dal quale ripelle , con direzioni sempre diverse (secondo che si mula il luogo del suo centro) le altre particelle. Quindi è che in realtà, mentre, in quanto è materia empie l'estensione intera del mondo con azione digradata , si localizza però nei centri della sua massima azione. Dello spirito al contra- jio non possiamo dire rigorosamente altrettanto. Certo, per non supporlo men vantaggiosamente do- tato della materia per questo riguardo , deve esso potenzialmente, colle sue attività del grado che gli son concesse ab origine^ ( modificate però da altre leggi ignote dalla creazione) coestendersi alla esten- 120 sione universale, ma non esser soggetto alla stessa legge dì localizzazione, e per conseguenza di mo- bilità, e del bisogno d'un suo centro speciale di re- sidenza. Esso è sempre e per tutto, colla sua en- tità, presente, ma attivo o dissimulato, secondo con- dizioni ignote ed irrivelate , che governano sia il suo attuarsi e mostrarsi in un luogo sì e in un al- tro no, 0 per contrapposto il suo dissimularsi; ne ha bisogno, per far l'una o Taltra cosa, andarvi o partirne, perchè già v'è, e, senza necessità di par- tirne, s' occulta colla cessazion dall' azione. Invero questo non ci fa gran fatto capire tal mirabile pro- prietà. Ma intendiamo forse piiì chiarameute il fatto della presenza universale delle attività reciproche d'ogni particella materiale, che nessuno nega ? Per fermo, anche a discernere spirito da spirito, agente o paziente, è forza dire che una particolar legge di localizzazione esista per gli esseri spirituali, cosic- ché, ogni volta, rispetto a spazio, possa ben distin- guersi la direzion dell'azioni, e la sedo della pas-* sione , quanto a ogni spirilo. Bisogna dunque che esista una specie d' impenctralnlUà , per così spie- garmi, negli spiriti per la quale, quel che opera l'uno, non si confonda con quel che opera l'altro, e, al- meno siiggellivamenle, quel che un soffre non si con- fonda con quel che 1' altro soffre. A rigor di ter- mine si può concepire nelle anime la penelrabililàj ossia la coesistenza simultanea di due o piij anime nello stesso luogo, coesistenti colla non confusione delle loro rispettive individualità, cosicché le azioni delle diverse anime una colTaltra restino snggeltiva- w..cntc distinte una dall'altia, quando anche in realtà 121 vengano o partano dagli stessi punti , agli stessi punti dello spazio, o con diversa, o colla stessa in- tensità. Tuttavia è forse in questi casi, una ripu- gnanza morale, analoga alle impenetrabilità fisiche, a non darsi reciprocamente un luogo medesimo , quanto, massime, alle azioni fisiche. Questo è un punto eh' io tocco appena , e che vorrebbe essere approfondito, ahneno colla congettura e colla ipotesi. Sarebbe un altro punto, a che imi)orterebbe ac- costarsi, ed è, se più spiriti, che dicemmo presenti ovunque e sempre (sebbene, colle limitazioni sco- nosciute, cui regola il loro malnoto modo d'essere) possano contemporaneamente esercitare la loro at- tività , 0 patire le altrui , sentendole dislintamente ognuna. Per fermo quanto alle oggettive può acca- dere il medesimo che per le forze fisiche, le quali, per quanto semplici ed operate da un semplice , possono simultaneamente suddividersi e spaitirsi sulle altre cose, come e quanto si vuole. Così, una monade attraente, può dirigere la sua attrazione a tutte le monadi, quant'elle sono, diffuse nello spazio. Ma rispetto alla possibilità suggettiva di sentirle, cioè d'averne coscienza distinta e simultanea, par chiaro che noti possa darsi. Potrà bene per atti di atten- zione alternata o successiva, accorgersi l'anima di queste azioni esercitate o sofferte. Ma ad ogni istante non potrà che averne sentimenti più o men collet- tivi, raccogliendo in una spezie di risultante unica le azioni che esercita e che si esercitano su lei. E fin qui abbiamo deviato dalle dimando del chiarissimo A. Abbiamo però prepaiata la strada a rispondervi. E manifesto che nell'anima umanata ,, 122 l'assoggettamento al vincolo del corpo, modifica in modo le proprietà spirituali, ch'essa, nelle vie al- meno ordinarie , ha ristretto , temporaneamente , l'esercizio delle sue attività e passibilità al solo pe- rimetro del suo corpo, ed è quivi forzatamente lo- calizzato colle leggi che ho cercato d'esporre nel- l'opuscolo Fisiologia della sensaziane ecc.; anzi nem- meno al perimetro del solo corpo, ma apparente- mente al solo centro encefalico. E questa localiz- zazione non ripugna che s' intenda come una vera compenetrazione unilaterale , cioè dello spirito nel composto encefalico considerato tutto d' un pezzo quale una estensione non discontinua . . . Dopo di ciò , se l'anima dorma o no , quando il corpo dorme, è una questione a cui non può esser difficile dare risposta. L' operare dell' anima umanata è moltiplice. Uno riguarda le azioni e pas- sioni del genere- delle intellettive , un altro quelle del genere delle motrici e volontarie, un terzo quello delle forze che possono chiamarsi non sentite ed istintive. Rispetto al primo , si direbbe , a primo aspetto, che, dormendo, il corpo l'anima pur debba dormire , cioè stare inattiva , perchè necessaria- mente ogni Operare di questa categoria è accom- pagnato per natura da accorgimento o consapevo- lezza, che è atto psichico, il quale non può esser fatto né patito nell' inerzia di stato rappresentato dal sonno. Ma per potere affermar così , bisogne- rebbe non aver mai, durante il dormire del corpo, fatto 0 patito atti intellettuali , di cui poscia sve- gliati abbiam perduta la memoria. Ora molti fatti del sonnambulismo che offrono i casi detti magne- 12a tici (da troppi ohe l'ammettono), sembra che s'ac- compagnino abituahnente con atti di questo ordine, e colla perfetta loto obblivione al cessare del sonno magnetico. Si potrebbe però domandare, se in casi di eccezione ne' quali ciò succeda, è perfetto sonno del corpo, e non piuttosto un modo speciale di ve- glia; e altrettanto può dirsi d' ogni altra induzione cavata dai fatti analoghi di dormienti, che non la- sciano memoria. Da un 'altra parte , le operazioni intellettive supposte, osi mostrano allora nella parte corporea per qualche indizio che le accompagna e le seguita, o no. Se si dice il primo, dunque suc- cedono elle allo stato di semi veglia , non di vero sonno: se il secondo, qual prova può darsi che real- mente succedano ? A priori si può conchiudere, che, a rigor di termine, per la legge di legame, quando l'animo comunque opera, dee nesessariamente trarre a consenso il corpo, e se il corpo non può essere tratto a ciò, ella stessa si paralizzi. Dunque il con- trario non può accadere, se pur non suppongasi, che, addormentato completamente il corpo in quella parte che serve all'anima, riacquisti non pertanto questa la più o men piena libertà, e possa quindi agire o patire, cioè vegliare, a modo di spirito sciolto. Rispetto alla seconda guisa di operare — gli atti volontarii altri riguardano il muovere il corpo, altri il modificare lo spirito puro che comanda a se stesso. Ora è chiaro che que'che servono a muovere il corpo, soppongono in esso la facoltà di esser fi- sicamente mosso dalla forza spirituale, dunque sono necessariamente accompagnati dallo svegliamento , e impossibili senza esso. A que'poi che riguardano Ii4 lo spinto puro, è applicabile il ragionamento nel quale ci trattenemmo nel precedente paragrafo. Rispetto alla terza categoria, la scienza fisiolo- gica ogni giorno piiì s' accosta a una piena dimo- strazione , che la vita corporea gangliare è pura- mente organica per se medesima,e indipendente dallo spirito , per fino in tutti quegli atti che si chia- mano della vita di relazione o riflessi istintivamente rispondenti a certe irritazioni fìsiche^ che non è ma- nifesto essere accompagnati da alcuna operazione psichica almen patente, L'ultima quistione di cui dirò ancora poche pa- role, riguarderà, per quanto è lecito congetturarne il modo, 1* influsso durante la vita terrena che re- gola il commercio dell'anima col corpo. In vari miei precedenti lavori, qua e là, intorno a ciò dichiarava il qual che siasi mio parere. L' anima par le- gata ( e ho svolto ciò recentemente , con un pò più d' ampiezza nella citata disertazione sul- la fisiologia ec. ) colla somma del etere inte- ratomico , cioè ritenuto entro ciascun atomo ner- veo, di que' che servono mirabilmente al meccani- smo del senso e del moto volontario. Dove la po- tenza spirituale sembra, che limiti il suo officio ad una propria energia, in virtù della quale, esso etere è organicamente disposto dalla parte del senso , a compiere l'operazioni varie che ho cercato spiegare altrove. Rispetto poi al moto volontario sembra che da essa anima parta una non so qnale attività che •certi nervi trasforma in una specie di pile elettri- che, le cui scariche sotto il dominio di lei ; pro- ducono il moto muscolare. Certo più di così non è 125 lecito di vedere, ncmmen por congettura , 1' indole intima di questa energia. Lo spirito da questa parte, in quanto ciò riguarda, ha potestà d'agire sulla ma- teria con una forza simile alla fisica, benché psi- chica. Ciò però, per molto che sia inconcepibile, è un fatto che non può esser negato se non da chi creda all' assurdo della perfetta impossibilità che siavi alcun influsso diretto tra il mondo materiale e lo spirituale; come se qualche ragione intrinseca proibito avesse a Dio di comunicare agli esseri di natura immateriale una facoltà ibrida che ci met- tesse in rapporto cogli esseri materiali, e rendesse gli uni attivi sugli altri con qualche artifìcio, il qual per essere ignoto a noi, non è dimostrato esser di sua natura impossibile. 120 Intorno ad alcune voci che si stimano erronee nella lingua italiana, e tali non sono. i\lcuni nostri filologi, nobilmente teneri della pa- tria e della dignità della sua favella , hanno pub- blicato importantissime opere intorno alle parole ed ai modi errati che sono fra noi comunemente in uso. Di che non possono esser maggiori gli obbli- ghi che loro ne debbono le lettere e le scienze ita- liane : anzi ne dee l'italiana civiltà. Siccome però alcuni di essi, per quanto ci sembra, sonosi lasciati vincere da troppo rigore, non avendo più quasi avuto considerazione né al privilegio delle lingue vive, nò all'autorità che assolutamente non può negarsi all'uso del popolo; così abbiamo osato di compilare anche noi un piccol catalogo di voci, che si stimano er- rate, e tali non sono, non solo per il detto uso del popolo, principalmente toscano, ina per trovarsene una gran parte nelle opere di scrittori (molti de' quali insigni) ammessi dall'accademia della crusca meri- tamente a far testo. Certo di alcune parole o moderne, o tali repu- tate, non può farsi a meno chi vuol precisione e chiarezza di favellare: altro essendo lo scrivere fa- miliare , ed altro il nobile de' poeti, degli storici, degli oratori: i quali talora possono senza afTetta- zione 0 noia de' lettori adoperare alcune circonlo- cuzióni e antiche parole, che già non possono i par- lanti e scriventi familiarmente. Se a tutti si con- viene certa proprietà nazionale, non a tutti sta bene 127 una squisita eleganza. E già Cicerone stesso, così pieno di zelo pel gentile parlar latino, diceva d'usare nelle sue lettere incomparabili le voci, non de'libri di Catone, di Antonio e di Crasso, ma sì del po- polo , 0 meglio della plebe. Vernntamen , scriveva egli a Peto (lib. IX, epist. 21), quid libi ego in epi- stolis videor ? Nonne plebeio sermone agere tecitm ? E poi: Epislolas vero quotidianis verhis lexere sole- miis. Il quale avviso vediamo aver pure avuto i no- stri buoni italiani de' migliori secoli, come sa chi legge le lettere anche de' più puri e forbiti. Nel presente breve lavoro non abbiamo consul- tato altro vocabolario, da quello in fuori della crusca (solo codice della lingua che riputiamo autorevole, specialmente per le parole d'uso) con le Giunte Ve- ronesi del Cesari e le Giunte Torinesi del Somis. Sicché forse le voci, che rechiamo, saranno state già registrate in altvi più moderni: de' quali non abbiamo uso o notizia. Certo è che da noi furono tratte principalmente dagli scrittori stessi, delle cui opere in tutta la vita ci siamo fatti delizia, spesso per le cose, sempre per le parole: le quali non man- cammo notare per privato ammaestramento ne'mar- gini qua e là del nostro vocabolario. ABBORDARE e ABBORDO. Dopo gli esempi classici, che gli accademici della crusca ne hanno recato nell'ultima ristampa del loro vocabolario (che tutti desideriamo veder compiuto) , non vuoisi piiì porre in dubbio il valore di nessuno de' significati di abbordare e di abbordo. 128 ABBRACCIO. Abbracciamento. Essendo errato V esempio del Boccaccio , il più antico sarà forse quello (non avvertito) di Giampietro Maffei, scrittor famoso del secolo XVI , nella vita di S. Martino cap. 12: « Con molti abbracci e cortesie ricevè co- lui, che dianzi non soffriva di vedere ». ABBRUTIRE, ABBRUTITO, ABBRUTIMENTO. La crusca nel nuovo vocabolario le registra come voci, quali sono veramente, dell'uso comune. ABERRARE e ABERRAZIONE. Registrate giu- stamente come voci d'uso, e non ignobile, nel nuovo vocabolario della crusca. ABILITARE e ABILITARSI. Voci anch' esse , fuor dell'uso legale, registrate dalla crusca nel nuovo vocabolario cogli esempi dei Caro, del Bartoli, del Segneri e d'altri. ABILITAZIONE. Si dirà, secondo il nuovo vo- cabolario della crusca, come termine di legisti. ABITUDINE. Abito. Oltre agli esempi dei Botta, che reca il nuovo vocabolario della crusca , ec- conc anche altri, Bentivoglio, Stor, par. 1. lib. 1: « Ogni corpo umano aver la sua particolare abitu- dine , e così ogni nazione il proprio suo naturale temperamento». — Perticari, Scrittori del trecento lib. 1 , cap. 7: « Perchè già tutti quegli europei , benché sciolti dal nostro giogo, avranno avuto sem- pre l'occhio air Italia, per la memoria, per l'abitu- dine , ed anco per la paura della passata lunghis- sima schiavitù. )) — Laonde poi 1' egregio Parenti non dubitò usare la medesima voce nelle sue an- notazioni al vocabolario di Bologna, art. Libertino: « Voce dell' uso (egli dice) derivata probabilmente 129 dalle abitudini licenziose di quelli affrancati, che pro- priamente chiamavansi libertini ». ABIURA e ABIURAZIONE. Sono voci ammesse con esempi nel nuovo vocabolario della crusca. Ol- treché debbono reputarsi voci dell'uso generale. ABNEGARE e ABNEGAZIONE. Potrà scriversi anche, secondo che alcuni vogliono, annegare e an- negazione. Ma abnegare e abnegazione si trovano in ottimi scrittori del trecento e del cinquecento, come c'insegna il nuovo vocabolario della crusca. ABORTIVO.' In senso figm-ato e metaforico. Re- gistrato con esempi nel nuovo vocabolario della crusca. ACCADEMICAMENTE. Si dirà per uso familiare ( secondo il nuovo vocabolario della crusca ) « coi verbi dire, parlare e simili, e varrà parlare di chi- chessia senza determinato proposito , ed anco per solo trattenimento. » ACCAMPIONARE. Lo diremo per l'autorità della crusca, che registra questo verbo nel nuovo voca- bolario. ACCAPARRARE e ACCAPARRAMENTO. Voce d'uso , registrata ora dalla crusca nel nuovo voca- bolario. ACCENTRARE. Concentrare, ritirare nel centro. Lo registra la crusca nel nuovo vocabolario , dove reca di Accentrato un esempio del Bembo. ACCIACCARE. Indebolire, infiacchire. È voce re- gistrata pure dalla crusca nel nuovo vocabolario, che d'Acciaccato in tal significato ha un esempio di fra lacopone. ACCIACCO. Danno sofferto nella sanità. Ammesso G.A.T.CXLIII. 9 130 nel nuovo vocabolario della crusca con esempi del Redi, del Magalotti e del Salvini. ACCIDENTATO. Trovandosi detto Accidente per Appoplesia dal Guicciardini , dal Cellini , dal Segni e da altri, ha perciò la crusca nel nuovo vocabo- lario registrato come voce d'uso anche Accidentato. ACCOMODAMENTO. Conciliazione. Ammesso al- tresì dalla crusca nel nuovo vocabolario con esempi del Bentivoglio, del Buondelmonti e del Botta. ACCOMODAMENTO. Acconciamento , Vaccomo- darCy il ridurre in buono stato. 11 nuovo vocabolario della crusca ne reca esempi del Galilei , del Segni e d'altri. ACCORDABILE. Veggasi il nuovo codice della favella. ACCOSTANTE. Persuasivo , efficace- In esso nuovo codice ha l'esempio di Albertano. ACCREDITARE. Addebitare , far debitore d'al- cuna somma. Voce dell' uso mercantesco registrata dalla crusca nel nuovo vocabolario. " ACCUCCIARE. Neutr. Pass. Detto del coricarsi de' cani. Voce d'uso registrata dalla crusca nel nuovo vocabolario. ACQUISIRE. Voce d'uso ammessa dalla crusca nel nuovo vocabolario. ACQUISITORE. La crusca nel nuovo vocabo- lario registra questa voce coH'esempio degli statuti de' cavalieri di santo Stefano. ACUMINARE e ACUMINATO. Voci ammesse nel nuovo vocabolario della crusca. ADDAZIARE e ADDAZIATO. Ammesse corno sopra. 131 ADDEBITARE. Far debUore. Perchè , secondo alcuni, non può dirsi in buona tavella ? Veggasi il nuovo vocabolario della crusca. ADDIZIONALE. Add. Registrato come voce d'uso dalla crusca nel nuovo vocabolario, dove sono eseiB^i classicissimi di Addizione. ADDIRIZZARE. Ha tanti buoni esempi d' ogni secolo, che forse non ne ha altrettanti indirizzare^ che da qualche filologo vorrebbe ad esso sostituirsi. ADERENZA. Unione ad una parte , ad una fa- zione. Beoti voglio, Stoi'. par. I, lib. 5: « In Alema- gna non cessare 1' Oranges di usare anch' egli ogni studio coi principi suoi amici e cogli altri di sua aderenza. » E così altre volte. ADESIONE. Potremo usarlo anche per acconsetir- timenlOi aìinuenza, avendolo registrato la crusca nel nuovo vocabolario. ADESSO. Il Facciolati la dice voce da non usarsi in grave componimento. Noi staremo invece colla crusca , che nel nuovo vocabolario ne reca esempi gravissimi di prosa e di verso d'ogni secolo. ADIRE UN' EREDITA. È bello e antico modo legale, ammesso nel nuovo vocabolario della crusca anche con un esempio di Giovanni dalle Celle. Come pure Adire il tribunale, il giudice, è ivi registrato come voce del buon uso toscano. AD ONTA. Non ostante. È registrato nel nuovo vocabolario della crusca. ADOTTARE. Approvare , ammettere. Oltre agli esempi del Salvini e di altri, che si hanno per in- fetti di francesismo , eccone uno pur del Giordani nella lettera al Boucheron (Nuove prose. Milano, Sii- 132 vestri 1839) pag. 33 : « Si adottarono i tipi pro- posti : ma le parole italiane furono intollerabili ai nostri latinissimi. « AFFARE. Combattimento. Registrato nel nuovo vocabolario della crusca coll'esempio dell'Alamanni nel Girone XV. 53. Ma noi non l'useremmo giammai. AFFERRARE. Non istà metaforicamente colla sola voce punto, perciocché il Galilei disse afferrare la brevità, Marcello Adriani afferrare il fatto, il Caro afferrare l'occasione^ come si ha nel nuovo vocabo-^ lario della crusca. AFFETTATEZZA. Affettazione. Il nuovo voca- bolario della crusca ne reca l'esempio del Fioretti. AFFETTO DI MALATTIA. Lo dicano i medici: ma non si vieti di dirlo anche a noi per l'esempio del Caro recato nel nuovo vocabolario della crusca. E cosi useranno bene i giureconsulti, per gli esempi che ne reca esso vocabolario , la voce affetto : la quale, dice l'accademia, parlandosi di patrimonio, di possessioni, di capitali e simili, vale obbligato, soggetto, {gravato, ec. AFFETTUOSITÀ'. È voce del trecento, ringio- vanita dal Salvini, e registrata nel nuovo vocabo- lario della crusca. AFFEZIONE. Termine de'medici, ammesso dalla crusca nel nuovo vocabolario con esempi nobilissimi fin del trecento. AFFIATARSI CON UNO. È voce d'uso toscano, registrata pur dalla crusca nel nuovo vocabolario. AFFILIARE. Voce altresì dell' uso registrata come sopra. AFFISSARE, Affiggere. Coll'esempio del Ricciarr. 133 detto è stato ammesso dalla crusca come sopra. E v' è pure Affisso qual voce d'uso. AFFITTARE. È in tutti i vocabolari, in tutti i significati , e cogli esempi di Vincenzo Martelli , del Caro e del Varchi. Potremo aggiungerne noi an- che un altro del trecento , cioè di Donato da Ca- sentino nel volgarizzamento del Trattato delle donne illustri del Boccaccio pag. 227: « Ma Cleopatra non avendo sua intenzione, quasi come s' ella fosse in- dugiata per quelle, affittò la vendita di Gericonte dove nasceva il balsamo ». AFFITTO. Chi ne desiderasse un esempio del trecento, eccplo nel testamento di Lemmo di Bal- duccio n.° 53: « E i beni d'essa eredità, dovunque e in qualunque luogo si sieno, intra e per lo detto tempo de'detti tre anni allogare a mezzo affitto e mezzo lavorio ec. « AFFITTUARIO. Nelle antiche leggi toscane T. 23 trovasi questa voce d'uso : « Affittandosi detto lago, sarà ancora lecito all'affittuario di potere ec.» AGGIUSTAR FEDE. Non piace ad alcuni filo- logi: e per verità non piace neppure a noi. Certo può farsene a meno. Ma non è vero che l'abbia usato solo il Giambullari: perchè il Segni, suo contempo- raneo, l'usò parimente, Stor. lib. 7: «Solimano, ab- battuto da questo caso infelice, abbandonò l' impresa: ed aggiustata piiì fede agli ammonimenti della ma-* dre, con segreto sdegno conceputo contro ad Abitai m se ne tornò a Costantinopoli ». AGGREDIRE. Boccaccio, Amor. vis. e. 34. a Or mira a pie della città depressa, — E vedi que' che già ne fu signore. — Quando da' greci fu con forza 134 aggtessa ». — Ed il Segneri, come hanno i voca- bolari, usò Aggressione. AGGREGANZA. Giacomini , Orazioni pag. 21: « L'obbedienza alla ragione e alle vere leggi, veri parti della retta ragione, è un' aggreganza di tutte le virtù ». AGIBILE. Maffei, vita di S. Antonio da Padova cap. 4: « Appresso tutto il capitolo rimase in opi- nione di uomo semplice e idiota, e poco atto né alla sottigliezza delle discipline speculative , nò al maneggio delle cose agibili ». AGITAZIONE Sollevazione, lumullo. Ben ti voglio Stor. par. 1. lib. 3: « Così cessato il terrore nei popoli, cesserà l'agitazione nel paese ». ALIENAZIONE. Ce ne dà la spiegazione il Caro nel Volgarizzamento della rettorica di Aristotile lib. 1 cap. 5: (i E chiamo alienazione la donazione e la vendizione. » — Ed infatti per vendizione V usa il Giacomini, Orazioni p. 88: » In quelle legazioni in nome de la provincia al clero , qual crediamo che fosse il dolore dell'animo suo, mentre udiva trat- tarsi e per minore male determinarsi 1' alienazione de'beni ecclesiastici per pascer quelle armi ec. ? » ALL'UNISONO. Galilei, Saggiatore §. 15: « Io domando al Sarsi, onde avvenga che le canne del- l'organo non suonan tutte all'unisono, ma altre ren- dono il tuono più grave, ed altre meno?» A MISURA. Non direi di bassa ilalianilà, come alcun dice , una voce usata dal Bentivoglio e dal Segneri. Perciocché il primo, Stor. par. 2. lib. 1 , scrive: « A misura che i regii procuravano d'allog- giarsi dentro ; facevano questi ogni più viva oppo- 135 sizione per iscacciainieli fuori. » — Ed il secondo, Cristian. Istruii. 1.6. 7: « Quell'aiuto di grazia, che avevano già ottenuto, verrà a languire a misura del languore che fanno le loro suppliche. » AMNISTIA. È termine derivato dal greco , che non può tradursi neir italiano perdono: valendo pro- priamente il messo in dimenticanza ogni colpa del- l'Adriani, Stor. lib. 15. cap. l in principio. AMPOLLOSITÀ'. È ammessa come voce d'uso non solo nel vocabolario dell' illustre e benemerito Manuzzi, ma nella crusca. ANALIZZARE. E voce d'uso, come ò il greci- smo Analisi. Avvei'tasi inoltre che Analitica, sustan- tivo , abbiamo nel Caro , Volgarizz. della rettóricu d'Aristotile lib. 2. cap. 25: » Perchè abbiamo già veduto nell'Analitica, clie nessun segno fa sillogis- mo. » — E Analitico, addiettivo, ivi lib. 1. cap. 4: tt Perché vero è quello che ci trovamo aver detto, che la rettorica è fatta de la scienza analitica , e de là civile che tratta de'costumi ». APPARTAMENTO. È voce di buon uso non solò per gli esempi del Salviati (non Salvini) e del Bor- ghini, ma per quello del Caro in nobilissima poe- sia, cioè nella traduzione dell'Rheide lib. 2: « Cin- quanta maritali appartamenti — Eran nel suo ser- raglio. » — Laonde Paolo Costa, elegante scrittore ed ammesso novellamente dalla crusc;i a far testo in lingua , credette di poter ben dire nel Laocoonte : « Ecco fra tanti italici ornamenti — Laocoonte, che Tito si tenne — A pompa de'regali appartamenti». APPOGGLVRE. Affidare , commettere. Bentivo- glio, Stor. par. 1. lib. 9 : « Appoggiavasi a Mon- dragone la cura principale dell'assedio ». 136 APPOSTO. Accusa. Celliiii, Vita (ediz. di Colo- nia) p. 119: « Io ero innocente di quel falso ap- posto per questa causa ». APPRENDERE. Insegnare. Questo antico verbo fu ringiovanito dall'Alamanni, Egloga Vili: « E ben ti donerei piiì d'un capretto, — Se mi apprendessi pur due mesi almeno. » ARMATA. Esercito. Non solo se ne hanno esempi in verso del Morgante e del Ricciardetto, come no- tano alcuni filologi, ma sì (cosa che non ci pare av- vertita) in prosa dell'aureo Dino Compagni, Stor. lib. 2: « Il marchese disfece l'armata (presso la nostra Bologna) e i neri partirono. » — Rechiamo però que- st'esempio, non perchè crediamo bello il dire armata VesercitOy ma per iscusare chi pur lo dice. ARRE^^TO. Decreto, Sentenza. L'usò molto pri- ma del Magalotti lo Speroni, Orazioni (ediz. di Ve- nezia 1596) pag. 91: « Però avvenne che nella corte des pers de France negli anni 1203 contro Giovanni re d' Inghilterra, sendo citato e non comparendo , nacque un arresto definitivo che confiscava il suo stato. » — E pag. 98: « Essendo stato in un par- lamento fermato arresto contro Roberto d'Artoisec.» — Ha però gran ragione, ci pare, chi se ne mostra schivo. ARROLAMENTO. Non ci sembra tanto fuori della buona lingua questa voce d'uso, essendovi Ar- rotare nel Salvini, Volgarizz. d'Anacreonte in rima, ode 50: « Arrolar ne'suoi misteri - Volle 1' uomo novizio - E dal ciel scese leggieri - A precipizio - Bacco il gran divo. )> - E arrolar soldati in Marcello Adriani, Voi?, della vita di Focione scritta da Più- 137 laico (ediz. romana del 1852) pag.21: « Ma nel tempo dell'arrolare i soldati veniva fuori appoggiato al ba- stone con una gamba fasciata » - E arrolarsi soldato nel Fortiguerri, Trad. dell' Heautontim. di Teren- zio atto 1. se. 1: « Fuggissi in Asia, e s'arrolò sol- dato- )) - Oltre r arrolaio del Davanzali registrato dalla crusca. ARTICOLO. Soggetto, materia. Caro, Lett. ined, pubblicate dal Mazzucchelli t. 1. pag. 212: « Ma io mi confido ne la prudenza di V. S., e a lei e a mon- sig. vice-legato mi rimetto del tutto , il quale mi scrive sopra questo aiticelo in un certo modo che mostra non diffidar di conseguirlo. » ASCENDENTE. Superiorità, potenza morale che uno esercita sopra alcuno. Bentivoglio, Stor. par. 1. lib. 1: «Riconoscere quelle province per suo principal patrimonio, e da loro quell'ascendente che poi aveva portato il suo sangue alla successione di tanti re- gni )). ASSEVERANTEMENTE. Lo diremo bene per gli esempi del Galilei e del Segneri recati dalla cru- sca: e per quello che aggiungiamo del Pallavicino, Stor. del concilio hb. L cap. 3: « E pur egli in una scrittura ec, pose asseverantemente, non tro- varsi la presupposta donazione in alcun di que' li- bri, » ATTACCARSL Affezionarsi, prendere affezione. Segneri, Manna, nov. 22- 23: « Vedi tu come facea la regina Ester per non attaccarsi a quel diadema, che le circondava la fronte ? Lo abbominava. » ATTESA. Non si ha solo nelle rime antiche, ma sì anche in prosa nello Speroni, Apologia delle Ca- 138 nace (etiiz. di Venezia 1597) pag. 150: a Questa dunque fu la cagione ond'io feci sì lunga attesa di scrivere. « ATTILLATO e ATTILLATURA. Vuoisi che queste sole sieno le voci ammesse dal vocabola- rio. Aggiungasi Attillalamenle, ch'è senza l'esempio, e lo avrà nel Castiglione, Corlig. lib. 2. cap. 21 : « li <|ual fu tanto ben divisato di panni ed accon- cio così atlillatanjente, che avvegnaché fosse usato solamente a guardar buoi ec. )> - Osservisi altresì, che allillato è graziosamente avverbio nel Caro , Relt. d'Arist. lib. 2. ".ap. 24: » E perché veste at- tillato, e va di notte, è adultero. » AUGURARSI. V'ha chi afferma che non possa dirsi mi aiujuro, in vece di desidero, spero ec. Ma gli stanno contro e il Caro , Lett. ined. pubb. dal Mazzucch. t. 1. pag. 166: « Di questa Vostra gita m'auguro qualche cosa di buono: » - E lì Sialvini, Prose toscane L 393: » Io per me nella mia età ornai in ver Poccaso inclinata gioisco dentro dal cuore augurandomi che voi i vostri passati gloriosi ram- mentandovi ec. « AVULSO. Caro, Eneid. lib. XII: u Ed ambi i capi da i lor tronchi avulsi, - Sì come eran di pol- vere e di sangue - Stillanti e lordi, per le chiome appesi - Anzi al carro si pose. » AZZARDARE. Lo registra il Cesari nelle sue giunte con esempi poetici del Menzini: non poten- dosi far conto della storia della guerra di Semifonte reputata apocrifa. In prosa usò questa voce il Cru- deli, Rime e prose (ediz. di Parigi 1805) p. 155: « Non azzardare il tuo credito ad una sola prova.» 139 B. BATTERE L'INIMICO. Agli esempi attivi del Bembo e del Guicciardini, recali nel vocabolario , aggiungerei questo passivo dei Machiavelli, Discorsi 2. 16 : « La seconda schiera de'principi, perchè non era la prima a combattere , ma bene le conveniva accorrere alla prima quando fosse battuta, o urtata, non la facevano stretta. » BELLO SPIRITO. Segni, Stor. lib. 7: « Il car- dinale, che per la destrezza dell'ingegno conveniva assai col bello spirito di Filippo, sorridendo, e lo- dandolo del suo ragionamento, lo prese con gran fe- sta per mano. r> BEN ESSERE. Non solo ha esempi illustri nei cinquecento ; ma ne ha uno altresì nel trecento: ed è di fra Girolamo da Siena, Adiutorio p- 130: « Lo primo bene essere si riceve in questa vita, in quel modo lo quale è detto , e questo con speranza di meglio. » BENE YISO. L'Ariosto disse Ben veduto : e la crusca lo registrerà certo nel suo vocabolario. Ori. Fur. XXXI. 26 : « Ma servito, onorato, e ben ve- duto — Quanto in loco ove mai forse venuto. » — E così anche l'Adriani, Stor. lib. 16. cap. 5: « Vo- leva (il re) che in Roma e per tutto fossero dai suoi ministri difesi, e dagli altri ben veduti ed avuti in rispetto. )) BERSAGLIATO. Crudeli, Rime e prose (ediz. di Parigi 1805) pag. 129: « Smarrivansi i sembianti - De'bersagliati amanti. » BIMESTRE. Non è vero che manchi al vocabo- lario della crusca. BOLZETTA. Il Caro disse bolgetta nelle Lettere Farnesiane, il cui esempio ci è recato dal dottissimo conte Somis di Chiavrie nelle sue Giunte Torinesi al vocabolario della crusca: libro troppo immeritamente obliato, come pare, dai nostri filologi. L'esempio è il seguente : « Ordinate che sia portata da un fida- to, e che si taccia dare la bolgetta, che si dimanda, perchè vi sono scritture d'importanza a riscontrare le cose dette. » C. CADERE IN DISCORSO SOPRA UNA COSA. Ha un valente che dice non esser modo molto felice. Poco diverso però è quello del Lasca, Cena 2, nov. 4 : « E poiché essi ebbero mangiato le frutte, fat- tone andare le donne in camera, caddero sopra il ragionamento di Gian Simone e del suo amore. » - E del Casa nel discorso al cardinale Caraffa: « Pro- ponesse a questi ministri imperiali, che sarebbe ben fatto di fermare N. S. e V. S. Illma con il conce- der loro qualche stato , e finalmente cader sopra quello di Siena, offrendo anco loro fino a 2000 tal- leri. )> CALCOLO 0 CALCOLO. Giudizio. È registrato dal Somis nelle Giunte Torinesi con un esempio del Caro. CALDARROSTA e CALDALLESSA. Mauro , Capii, della bugia: « Tal che fu già pizzicaruolo o oste , — Or è gentile , e tal che già poch' anni — Gridava : Calde allesse e calde arroste. » — Ed il U1 Tassoni, Secchia IV. 35: « L'un nemicizia avea col sol d'agosto : - E l'altro lincaiia le calde arrosto. » CALESSE e CALESSO. Carro a due ruote e ad un cavallo. x\dimari, Satira contra le donne: « Stan pili lettighe in punto al suo partire , — Calessi e mute, ove il terren sia piano. » — E poi alquanto madornale l' errore di chi ha scritto aversi di que- sta voce esempio nell'Ariosto. 11 buon filologo non ha neppur dubitato, che Co/esse nell'Ori. Fur. Vili. 27 stia per la città di Calais in Francia. CALMARE- Se vuol dire Abbonacciare, secondo la crusca, non parmi dover essere errore lo scrivere: « La voce di Nettuno calmò il mare. » Anzi cre- diamo aver ben detto il Crudeli, Rime e prose (ediz. di Parigi 1805) pag, 4: « M calmato Oceano in- dora il seno. )) CANNONEGGIARE. Se vi è cannone , deve es- servi cannonata. Ed infatti si ha nel Benlivoglio , Stor. par. 1. lib. 6: « A questo fine infestava quasi di continuo il campo regio con fiere tempeste di cannonate. « E se v'è cannonata, dev'esservi anche cannoneggiare e cannoniero, voci d'uso omai gene- rale in Italia. CANONIZZARE, Oltre al «acro senso cattolico di ascrivere alcuno nel numero de'santi, eccone un altro datogli dal Caro nel Volg. dell'oraz. prima di s. Gre- gorio nazianzeno : « E per cattivi e per buoni ca- nonizziamo gli uomini, non secondo i costumi loro, ma secondo l'amistà o la nimicizia che abbiamo con essi. » CAPEZZA, Cavezza. Caro, Rett. d'Aristot. lib. 3. cap. 10 ; « Disse che si studiava che li fusse rive- 142 duto allora, perchè avea la capezza ne la gola al po- polo. )) - Capezza inoltre disse il Machiavelli, Lett. Famil. n. 80. « Lo darai (il mulettino) a Vangelo, e dirai che lo meni in Montepugliano , e di poi gli cavi la briglia e il capezzo. » CAPITALE. V'ha chi dice egregiaiioente in sua vece, come altresì il Bentivoglio, cklà principale il Ma- chiavelli disse cà/9o, Discorsi 1. 1: <( E per non avere queste cittadi la loro origine libera, rade volte occorre che le faccino progressi grandi, e possinsi tra i capi de'regni numerare. » CASUALITÀ'. Già mba lista Strozzi, Orazioni e al- tre prose pag. 5 : « Pare a noi, che non veggianio altro che'l presente, che sia casualità o errore quel che molte volte è indizio, benché oscuro , di quel voler che non erra, e che'l tutto cagiona. » CEMENTO. Caro, Lett. ined. pubbl. dal Maz- zucch. t. 1. pag. 146: «Voglio più tosto aver pa- zienza, che condur la cosa a certi cementi che po- trebbero dar cattivo saggio di questo negozio. » CENNARE. Alcun valente lo ha in dispetto, non ostante l'esempio dell'Ariosto , che veramente solo ne reca la crusca. Ma gli si farà grazia, speriamo, per questi altri di scrittori non meno eleganti che au- torevoli, i quali non l'ebbero certo per un ridicolo mozzicone. Alamanni, Girone VII. 158: « Galealto Giron mirando liso, - Che rispondesse a lui, cenno col viso. » - Lasca, Egloga 4: « Tirsi, quasi ridendo, a Galatea - Volto, cenno che tosto incominciasse.» - Caro, Long. Sof. ragion. 4: « A questo parlare era presente la Cleariste, la quale, desiderosa di vederne la pruova, comandò che Dafni sonasse, e cennasse loro come soleva. » 143 CIRCOLARE. Andare inlorno. Lo registrerà la crusca nel nuovo suo vocabolario con questo esem- pio del Crudeli, Rime e prose (ediz. di Parigi 1805) pag. 53 : « Circolava una scrittura - Da sua lione- sca maestà firmata. » CIRCOSTANZA" Bisogna, alcun termine di vivere ec. Cocchi, Disc, del vitto pittagorico : « E benché il suo fato lo portasse a perdere la vita in una se- dizione popolare, come molti affermano, o come è opinione d'altri, le sue circostanze l'inducessero a fi- nire con volontaria inedia la sua languida e decre- pita vecchiezza, certo è ec. )> - Giordani, Lett. all' accad. della crusca : « Le mie circostanze , conti- nuamente piene di tristezze, non mi lasciano la quie- te e il vigore che (specialmente ad una complessio- ne fragilissima) son tanto necessarie per iscrivere. Ma anche in circostanze lietissime non oserei intra- prendere la vita del Monti. » COERENZA. Non è sempre termine delle scuo- le. Cocchi, Disc, del vitto pìttagor: « Se noi potes- simo sapere le circostanze, nelle quali ei si trova- va, s'intenderebbe molto meglio la coo-en/.a di que- sto suo contegno colla sua saviezza. » - Né solo in questo significato usò Coerenza^ ma anche Coerenle. Ivi : (( 0 bisogna intenderla con senso coerente a questi concetti si forti e sì fecondi, o supporlo at- tribuite ed aliene. » COGNIZIONE. Scienza, perizia, pratica. Machia- velli, Disc. lib. 1. cap. 47: « E veduto come i tem- pi e gli uomini causavano il disordine , diventava subito d'un altro animo e d'un'altra fatta : perchè la cognizione delle cose particolari gli toglieva via 144 quell'inganno. » - Dati, Oraz. per Cassiano dal Poz- zo : « Peregrinò a Bologna per arricchirsi di quelle amene cognizioni, che appresso di noi sortirono il nome di belle arti.» COLLUVIE. Bentivogllo, Stor. par. 1. lib. 2: « Colluvie di molti settari. » E nella lettera 16: « Colluvie d'ogni setta. » COLPA. Coll'articolo le. Perticar!, Scrittori del trecento lib. 2 cap. 6 : « Colpa le innumerabili co- pie che se ne fecero. » COLTIVARE L'AMICIZIA. Caro, Lett. ined. pub- blicate dal Mazzuch. t. 1- pag. 172: « Ma mi siete anco migliore amico, poiché senza scrivere coltivate l'amicizia con l'amorevolezza e con gli buoni officii ec. » — E il Tasso ha coltivar gli animi, nell'Ora- zione all'accademia ferrarese: «Se a' mezzi s'avrà riguardo, parimenti giovevoli e morali si troveranno: qui non si aspira e non si attende ad altro che a coltivar gli animi. « COMENT ARIO. Comento, chiosa. Sarà, crediamo, detto bene in italiano anche in questo significato , come si disse bene in latino, e specialmente da Gel- ilo addotto dal Porcellini. COMPARITO. Chi afferma che non possa dirsi per comparso, ne legga nella crusca due esempi di prosa, l'uno della Vita di s. Antonio, l'altro del Se- gni- Noi aggiungeremo i due seguenti autorevoli di poesia. Pulci, Morg. VII. 52 : « Dall'altra parte Or- lando è comparito. » - Ariosto, Ori. Fur. XXXIII. 33: « Così dicendo, mostragli il marchese - Alfonsa di Pescara, e dice dopò, - Che costui comparito in mille imprese - Sarà più risplendente che piropo. » U5 - E XLV. 97: « Se tu'l sapessi, io so che compa- rito - Nessun altro saria di te più tosto. » COMPARTIRE. Vuole il Cesari, che debba sem- pre congiungersi con la particella tra, e non con a. Nondimeno abbiamo nel Machiavelli, Mandrag. 1. I: «^Avendo compartito il tempo parte alli studia parte a' piaceri, e parte alle faccende. « — E nel Tasso, Graz. all'Accademia ferrarese, poco dopo il princi- pio: « Sono con tutto ciò molte volte cagione, che l'anima , richiamando a se quella virtù , che suole ministrare e compartire ai sensi , si divide affatto dalle perturbazioni e dagli affetti terreni. )> ~~ E coii la particella con l'accompagna pure il Tasso, Gerus. IV. 23: « Questa a se chiama, e seco i suoi con- sigli — Comparte, e vuol che cura ella ne pigli. « COMPENDIO. Intero, unione. Salvini, Prose to- scane I. 20: « Aveva in somma un così erudito raf- finato gusto d' ogni galanteria , ed una scelta così giudiciosa d'ogni più eccellente artifìcio, ch'ella hen sembrava lo splendore del senno , il compendio di tutte le grazie. )> COMPENSO, nipartimento. Caro, Eneid. I: « E con egual compenso — L'opre distribuisce e le fati- che. » E nel medesimo significato è, ci sembra, com- pensare nell'Alemanni, Giron. XX. 20: « E saggia- mente compensando l'ore, — Non si promette mai gran cose invano. « COMPLESSO. Tocci, Della voce Occorrenza pag. 22: « Ma per quello che riguarda entimema, come SI può egli concepir mai per errore di stampa un complesso di tante voci , e tutte disparatissime da quelle che v'andrebbero ? » — Oltre a questo signi- G.A.T.GXLIIL 10 146 fìcato la crusca registrerà anche complesso, almeno pel verso, in quello di abbracciamento, citando l'Ario» sto Ori. Fur. XXIII. 24- CONDOTTA. Conlegno, governo, maniera di go- vernarsi. Se l'esempio di Dante sembra, come alcun dice, tirato colle funi, ci pare che chiaro debba esser questo dell'Adriani, Stor. lib. IV, cap. 4: u Peroc- ché il disordine avvenuto si stimava essere per la mala condotta d'esso, essendosi coll'esercito messo in luogo , dove era stato forzato combattere con r esercito suo minore e peggiore del nemico e stracco. » CONDURRE. Prendere in affato, t. registrato dalla crusca con un esempio del Buti. Ma vorrei che si facesse anche buon viso a conducitore, o conduttore, per fittaiuolo in grazia di questo esempio dell'Adriani, Stor. lib. 3. cap. 4 : « Essendo costume de' condu- citori di quella rendita di convenire per i tempi pas- sati con Ferrante. » CONOSCENZA. Non vuoisi ammettere da qual- che filologo per amicizia. Eppure si ha conoscente per amico , se non nella crusca , certo nell' antico Volgarizzamento del libro di Catone pag. 28 (ediz. milanese dello Stella 1829): « Contra lo tuo conO' scente non contendere di parole. » CONSEGUENZA. Importanza. Bentivoglio, Stor. part. I. lib. 9: « Nella terra di Lira, luogo di gran conseguenza dentro al cuor del Brabante. » E par. I, lib. 10 : « Ma tutti erano successi però di debole conseguenza , rispetto al disegno principale che si erano proposto. » CONSIDERAZIONE. Rispetto, buona opinione. Il m Somis nelle Giunte Torinesi ha recalo un esempio del Caro , in cui considerazione sta per buona opi- nione. Eccone un ajtro del Borghini, in cui sta per rispetto. Discorsi t. 4 (ediz. milanese de' classici ita- liani) pag. 29: « Quello può arrecare maraviglia, che mancato il regno de' franceschi, e che quel rispetto, 0 considerazione, piìi non c'era, si mantennero puro in queste nostre parti gran tempo. » CONSULTARE. Non è sempre neutro passivo. Caro, Lett. ined. volgarizz. dal Mazzucch. t. 1- p.64: « In fino a qui la cosa è passata con onor nostro: volendo proceder più avanti, bisogna consultarla me- glio. » — Segni, Stor. lib. XI: « Egli la prima cosa avendo atteso a' divini offizi, spediva poi in segreto tutte le fiiccende militari, udendo i capitani, e con- sultando le cose importanti della guerra. » — Adriani, Stor. lib. IX. cap. 3: u Perocché con buone ragioni si era sempre opposto al duca d'Alva e ad altri si- gnori, che avessero consultala l'impresa di Mets.» — Oltre al Salvini, che nelle Prose toscane I. 183 lia consultare le edizioni. CONTESTARE. Caro, Lett. ined. pubbl. dal Maz- zucch. t. 3. pag. 36: « Per modo ch'io n'ho sen- tito non una sola, ma parecchie più di quelle che si dicono le sette allegrezze, le quali tutte mi sono stato contestate dalla profession ch'ella fa d'esser , secondo la sottoscrizione d'una sua lettera, il car- dinale del cardinale Farnese- » CONTINENTE. Terra ferma. Bentivoglio, Stor. par. 1. lib. 8 : « Da questo ramo vengono derivali neir istessa terra tanti canali per varie parti , che quasi maggiore vi si trova dentro lo spazio inter- 148 rotto dell'isole, die l'unito del continente. « E par. l. lib. 9: « Fra diverse isole , che si staccano ivi dal continente, una ve n'ha molto angusta di giro ec. » CONTO [sul). Intorno. L'Adriani, con poca va- rietà, ha per conto. Stor. lib. I. e. 1 : a E però ve- dendosi non senza qualche sospetto dell'animo del- l'imperadore e de' suoi ministri, non vedendo i suoi legati, i quali per conto della pace aveva mandati, esser molto pregiati, mandò a Piacenza Giambatista Savcllo. » E ivi cap. 2 : « Ingegnandosi intanto il papa in apparenza di voler fare quanto all'impera- dore piacesse e per conto del concilio di Trento e d'altro, come dicevamo. » CONTRIBUZIONE. Carico , balzello. Non parci vero che questa voce manchi nel vocabolario della crusca, essendovene un esempio del Guicciardini. CONVENUTO. Convenzione , accordo. Adriani , Stor. lib. 5. cap. 2: « Il re di Francia, desideroso che gli fosse osservato il convenuto, e per onor suo e per grandezza di sua casa ec. )) E lib. 12. cap. 4: « Offerendo pure per osservanza del convenuto e si- curtà de' vicini quelle terre e fortezze, che non ave- vano in lor potere, in mano dei tre potentati detti.» COSPIRARE. Intendere. Non fu primo il Salvini a dillo: ma un secolo innanzi l'abbiamo nel Benti- voglio, Stor. par. 2. lib. 2: « Tutti a gran gara co- spiriamo alla vostra grandezza. » D. DA SE A S>v D'Ambra, Bernard. 2. 7: « E la- Rciare' lo incorrer nella trappola — Da se a se. » 149 DECADERE. Bentivoglio, Stoi-. par. 3. lib. 4 : « A tutte le quali condizioni mancandosi, tornassero a decader nuovamente quei paesi alla corona di Spa- gna. » DECEZIONE. Inganno. Ne reca la crusca gli esem- pi del Cavalca e del Volgarizzamento della Città di Dio di s. Agostino. Aggiungasi deceltorio per ingan- narCy addiettivo, coll'esempio del detto Volgarizza- mento lib. Vili. cap. 23: « Queste cose vane, de- cettorie, pericolose. » E anche lib. X. cap. 27. DECORSO. Sust. Spazio, termine. E nel vocabo- lario della crusca, edizione del Cesari, con un bel- Tesempio del Segneri. DECORSO. Add. Caro , Lett. ined. pubbl. dal Mazzucch. t. 1. pag. 194: «Onde non avendo piiì quel modo che m' aveano dato per ricompensarvi , io vi prometto che senza aspettare altro, io vi ri- metterei nei vostri termini, e vi restituirei il prio- rato, reintegrandovi delle pensioni decorse. » — Ben- tivoglio, Stor. par. 1. lib. 7: « Onde col mezzo suo raddolciti gli animi, si contentarono gli ammutinati di ricevere un donativo di quattro paghe, e di piìi qualche danaro a conto delle decorse. » — Né solo in questo significato v' è addiettivo, ma anche su- stantivo. Bentivoglio, Stor. par. 3. lib. 6 : « Fece muover pratica di sborsar loro tutto il decorso delle loro paghe. » DELIBERATIVO {Volo). Adriani , Stor. lib. 8. cap. 2; «Potesse ciascuno andarvi, starvi, e tor- narsene securamente, ed avere il voto deliberativo.» DEPOPULARE. Guido da Pisa , Fatti di Enea lib. 1. cap. 13: « Noi non siamo qua venuti a de- populare con ferro queste contrade. » 150 DEPOItRE. Altcfilare, far tcslimonianza. Eccone \\n secondo esempio. Bentivoglio, Stor. par. 2. lib. 2: « Con ogni più atroce tormento si procurò, ch'egli deponesse la verità sincera del fatto. » DEPUTAZIONE. Al solo esempio che ne reca il Manuzzi, aggiungansi questi altri due. Caro, Lettere scritte a nome del card. Farnese n." 170 (Ed. pado- vana del Cornino voi. secondo) : « Questa deputa- zione , ancora che non si possa riprendere per la qualità delle persone ec, ha causato da ogni parte qualche alterazione- )) Bentivoglio, Stor. par. 1. lib. 2: « Che nondimeno per non accumulare tutta la mole de' negozi nel solo consiglio di stato, si sarebbe po- tuto fare una deputazione d'alcuni inferiori ministri.» DESOLATO. Angustialo. Farmi che abbia que- sto significato l'esempio di fra Jacopone recato dalla crusca: « Cristo beato, — Di me desolato — Aggi pietanza. » DESTINARE. Determinare^ far proposito. Attivo e passivo. Derni , Ori. Inn. 2. 23. 17. « Onde di- spensi ciascuno e destina — Di non parer di suo cugin minore- » — Ariosto , Ori. Fur. XXXIX. 33 : « Presto al sepolcro una torre alta vuole, — Ch'abi- tarvi alcun tempo si destina. » DETENERE. Ditenere. Machiavelli, Stor. lib. 8: « Ma non ò già 1' uffizio dei principi secolari dete- nere i cardinali, impiccare i vescovi ec. » DETENIMENTO. Arrestamcnto. Testam. di Lem- mo di Balduccio n.° 92: « Con questo e con questa condizione, cioè, si ed in quanto esso Giovanni pa- gando la detta quantità di fiorini centocinquanta , da esse prigioni e da ogni detenimento fritto di lui possa essere libei-nto. » 151 DETENUTO. Trallenulo. Caro , Long. Sof. ra- gion. 4: « E, lui detenuto, sagrificarono a Giove sal- vatore. » DEVIAMENTO e DEVIAZIONE. Galilei , Sagg. §. 28 : « Poiché dove quello dice , che o bisogna rimuovere il moto retto attribuito alla cometa , o vero ritenendolo aggiungere qualche altra cagione del- l'apparente deviazione, al Sarsi ec.» Ed anche §. 29. — Pallavicino, Trattato dello stile cap. 38. %. 7: « Ab- biamo di ciò l'esempio nella Georgica di Virgilio , nella quale per altro sarebbono incomportabili tanti e sì lunghi deviamenti. « DEVOLUZIONE. Bentivoglio, Stor. par. 3. lib. 4: « Molti anni prima che seguisse la devoluzione del Portogallo era uscito di quel regno il Moura. » E poi : (( Succeduta poi la devoluzione, il re non aveva adoperato alcun altro più che il Moura ec. » DIFFERTO. Differito. Alamanni, Giron. V. 48: « Lassa Laco la donna, e se ne accora, — Che'I me- narne il suo ben gli sia differto. » DISDORO. Non sarebbe forse dispiaciuta questa voce al Chiabrera, che usò il verbo disdorare, Can- zonetta XIV, strofe 1: « Bella guancia, che disdori — Gli almi onori — Che sul viso ha l'alma Aurora. » DISINVOLTAMENTE. Bentivoglio, Stor. par. 1. lib. 10: « Fece chiamare a se il castellano, e di- sinvoltamente con libertà del paese gli diede la mano.» DISORGANIZZARE. Si usa ancora figuratamente. Soldani, Sat. IV: « Già non per questo si disorga- nizza — Lassù nessuno ingegno. )> DISUMAZIONE. Usa il Boccaccio la voce itma- lione (benché non recata ne' vocabolari, ch'io sappia} \r>'2 nel Coniento a Diinte t. 1. png. 135 doU' edizione fiorentina del Fraticelli: « E Postumo fu chiamato, ixncioccliè dopo la umazione del padre era nato. » Nen vonemmo perciò condannato di lesa proprietà di favella chi dicesse anche disumazione. DIVERSIONE. Distrazione di animo. L'usa il Gior- dani in uno scritto elaboratissimo , cioè nel Pane- girico del Canova pag. 175 dell' edizione milanese del Silvestri : « Perciocché l'amore felice né desi- dera nò gusta più nessuna cosa : e manca all'aite- fice il bisogno di farsi coi lavori diversione da in- teriore tormento. » DOVEROSO. Salvini, Prose toscane 1. 16 : « l cuori d' una giusta ammirazione e d' una doverosa stima prontissimi tributari, w E. ECONOMIA. L'esempio si ha nel Soldani, Sat. IV: 0 Egli è quel maiordomo che rigira — L'economia del mondo. » — E nel Pallavicino, Stor del conci- lio lib' 1. cap; 3: « Ma come spesso accade che i principi di mala economia, com'egli era, convertono in qualche uso meno importante i danari deputati alla guerra ec. » — Figuratamente 1' usa il Tocci , Della voce Occorrenza p. 12: « Voi, dice l'opponi- tore, per salvare che il vocabolario abbia detto Oc- correnza, bisogna, mostrate che in definir 1' Occor- renza abbia egli voluto star sull'economia de' ter- mini. )) E pag. 13: « Adunque o non è vero che si governi il vocabolario nelle definizioni de' nomi 153 con quella econoiìiin, o non è vero che Occorrenza sia il sinonimo di bisogna. » ECONOMICO. Sustant. Tasso, Dial. il padre di famiglia: « Vero dee essere in conseguenza, che il buon economico non meno sappia governare la fa- miglia di un principe, che la privata. » EFFUSIONE DI CUORE, DI AMORE. È modo, a noi sembra, di uso nobilissimo, siccome derivante dalla onoranda nostra madre, cioè dalla lingua la- tina, cha hn cffusio animi in ìaetitia, effnsus in amo- rem, effuse amare, amplexus effusissimns. EMISSIONE. Si dice anche bene de^voti, per uno che fa la professione religiosa. Maffei, vita di S. An- selmo cap. 4-. « Secondariamente (l'aveva accusato} di quelli che dopo 1' ingresso del monasterio avea fatto innanzi la emissione de' voti. « ENTRANTE. V'ha chi noi vorrebbe aggiunto né ad anno, né a mese. Nondimeno dice l'Adriani, St. lib. 17 cap. 3: « Il principe di Firenze in questo tempo, entrante giugno del 1562, si mise con quat- tro galee a trapassare in Ispagna. » ESECUZIONE. Supplizio. Oltre agli esempi che reca la crusca di esecuzione per effetto di punizio- ne, eccone assolutamente in significato di supplizio, punizione di morte. Bentivoglio- Stor. par. l.lib. 4: « Prima di questa esecuzione furono giustiziati in pubblico nella medesima città , similmente ribelli, diciotto eh' erano di condizione men rilevata. » E poco dopo: « Furono fatte al medesimo tempo altre esecuzioni in diversi luoghi, e con tanto terrore e spa- vento de'popoli, che non s' udivano né sì vedevano se non sospiri, gemiti e pianti per ogni parte- » 154 ESEMPf.ARE. Copia. Reca la crusca anche un esempio del Segneri. Non fu solo dunque a dirlo il Redi. ESPRESSO. Speciale, a posta. Addictt. Bentivo- glio, Stor. par. 1. lib. 9. « Fu inviato da lui final- mente un ambasciatore espresso a fermare in Fian- dra la trattazione: » Ed ivi: a Al primo invito cia- scuna provincia (trattane quella di Lucemburgo, se- condo che accennammo di sopra) o con deputati e- spressi , o con manifesto consentimento, si mostrò inclinata a ridursi in questa generale ragunanza. » ESPROPRIARE. Non è solo vocabolo legale, co- mò alcun vuole. Bclcari, Volgarizz. del primo trat- tato di lacopone da Todi (ediz. romana del 1843) pag. 55 : « Qualunque vuole alla cognizione della verità con brieve e con diritta via pervenire, e la pace profondamente dell' anima possedere , conviene che totalmente se espropri i dell'amore d' ogni creatura.» E pag. 65: « Adunque molto utilissimo e saluber- rimo ò che tutti i mezzi noi gittiamo ed espropria- mo da noi, e moriamo a tutte le cose create.» ESTERNO. Straniero. Machiavelli, Stor. lib. 1: « Questo Clefi fa in modo crudele non solo cen- tra gli esterni, ma ancora centra i suoi longobardi, che quelli sbigottiti della potestà regia non vollono rifare più re. » — Il medesimo, Discorsi lib. 1. cap. 14: « La qual cosa fu non solamente usata dai ro- mani, ma dagli esterni. » — Castiglione, Tirsi St. 17: )) Misero me, che fia ? Se ben discerno — Que- sto all'abito par pastore esterno. » — Ariosto, Ori. Fur. XIV. 15: « Malzarise e Morgan te , ch'una sorte — Avea fatto abitar paese esterno. «E XVn.97, 155 ESTRINSECO {in). In apparenza. Bartoli, Asia, lib. IV cap. 69: « E veramente in così gran ntiol- titudine , e per le strane maniere che si adopera- vano a sovvertirli, non ne mancaron de'fiacchi che fecero in estrinseco mostra di rendersi. » F. FIDUCIALMENTE. Ci pare buona voce italiana per gli aurei esempi che ne reca la crusca. FIRMA. Sottoscrizione. Nel Caro abbiamo firma- zione, Lett. ined pubbl. dal Mazzucch. t. 1. p.227: « Imperò, volendo pur temporeggiarla, è bene che si avvertisca, o che la fìrmazion dc'capitoli si dif- ferisca, 0 che la data sia di pò che si sarà chie- sta la licenza al papa. » — Abbiamo anche firmato in Donato Giannotti nella vita di Girolamo Savor- gnano: « 1 quali titoli s'acquistò così per molte sue egregie operazioni , come per essere stato in gran parte autore della pace firmata in Torino 1' anno 1531 . » — Abbiamo in fine firmare nell' esempio del Crudeli da noi recato alla voce Circolare. — 11 Varchi ha però fermatOy Stor. lib. V: « E quanto che voi dite che io ho la vostra fede , voi dite il vero: intendendo però quella che voi mi deste nella capitolazione di Madrille, siccome appare per scrit- ture fermate di vostra mano. » — E fermate ha pure il Caro in altro luogo delle lettere suddette , cioè t. 1. pag. 253: «Dicono che sua maestà stava as- sai meglio, e che don Diego ha ricevuto uno spac- cio tutto fermato di sua mano. » 156 FITTABII.E. Filiamolo. Caro, Leti. inod. publ.l. dal Mazzucch. t. 2. pag- 308: « La riducono a ter- mine (la commenda) che il nuovo fittabile. secondo il conto che mi si fa, non la può mettere in essere senza molte centinaia di scudi. « E pag. 309: « Ora vedendo come le cose sono passate, e dicendomisi che '1 cavalier Tiburzio è parente del fittabile, che v' è dentro, mi sono avveduto che l'ha voluto ser- vire. » — Non v'ha dubbio però che non sia un lombardismo. FLOTTA. Osservisi questo beiresempio dell'A- driani, dove abbiamo Holla di naju'.Stor.lib- 4. cap. 2: « Avvenne inoltre in questo medesimo tempo che l'armata spagnuola, che l'impeiadore teneva in Bi- scaia, avendo udito che una flotta di navi francesi, le quali venivano in Bretagna cariche di munizio- ni ec. » FOFiAGGIERO. Tasso , Lettere poetiche p. 82 (ediz. veneta del 1587): « Perchè, come per l'altra mia scrissi di voler fare, fìngo che Polifemo ecc. , avessero disposti prima gli agguati per far rap- j)resaglia dei foraggieri ec. » — Bentivoglio, Stor. par. 3. lib. 2: « Onde anch'egli volendo con 1' in- ganno deluder l' inganno, rinforzate prima le scolte de' foraggieri , fece collocare in un bosco diverse compagnie di cavalli. » FORTUNA. Avere, Sostanze. Il Somis nelle Giunte Torinesi ne reca un esempio del Bembo. Eccone un altro del Machiavelli nella Novella: « Nelle quali cose dispensò la maggior parte delle sue fortune.» — Ed un altro pure del Bentivoglio, Stor. par. 1. lib. 3: « Involgere sempre più fra le turbolenze il 157 ^>aese, e ftu i mali pubblici far maggiori le fortune loro private.)) — E un terzo di Paolo Costa nel Trat- tato dell'elocuzione (oggi meritamente testo di lin- gua) sul principio: <( Per questa (arte di gentilmente parlare) ci è aperta la via alle dignità, alle fortune e alla fama. )) FORZOSO. Forzato. Salvini , Prose toscane I. 302 : « Ora a chi con volontaria morte così erasi alla necessaria e forzosa preparato, questa soprav- vegnendo, non gli fu nuova. » FRUTTI, per frutley frulla. V'ha chi ne ha re- cato un esempio del Boccaccio. Eccone un altro pur autorevole dell'Ariosto, Ori. Fur. XXXXI. 5D:((Den- tro la cella il vecchio accese il foco — E la mensa ingombrò di vari frutti. )) FUNZIONE. Qirico, peso, obbligo. Se ne reca un solo esempio del Salvini. Ma lo aveva detto assai prima il Pallavicino, Tratt. dello stile cap. 1. g. 5: « Non è lungi , per mio avviso , dalla vostra me- moria, che gli anni addietro con atto di modesta e confidente amistà mi cercaste d'udire alcuni vostri componimenti scritti sopra varie funzioni del ve- scovo. » G. GABINETTO. Si è detto che primo fra' nobili scrittori a dar corso a questa voce, resa oggi sì ne- cessaria, sia stato il Segneri. Nulla v'ha di più falso: come dimostrano i seguenti esempi di autori che pubblicarono le loro opere prima di quelle * INCOLUMITÀ'. Porcari, Graz. II: « Sempre deb- b'essere negli animi nostri impresso il dolce e ve- nerando suo nome, sempre dobbiamo nella salute e neir incolumità pubblica fìssi tenere i pensieri no- stri. » INCONSEGUENZA. Incongruenza, non corrispon- denza. Trovasi certo a carte 68 della traduzione dì Demetrio Falereo fatta da Piero Segni,! ediz. fior, del 1602 citata dagli accademici. Ma non avendo ora alle mani il libro, non possiamo trascrivere qui l'esempio. INCONTRARE. Piacere, essere gradito. Crudeli, Rime e prose (ediz. parig. 1805) p. 163: « 11 vero modo d' incontrare con lei egli è di mostrarsi forte, robusto, invincibile. » E pag. 166: « Per incontrare con le donne ritenute, e che voglion passare per moderate e aliene dal conversare, tornerà bene farsi il credito di uomo d' inviolabil segreto. » INDECENZA. Pallavicino, Tratt. dello stile cap. 38. § 4-:(( E così elle , ove per altro sian dilette- voli, non recheranno mista la noia all' indedenza.» — Né solo è buona voce indecenza, ma anche in- decentemente , benché non registrata dalla crusca (che pur ci dà 1' indecentissimamente del Salvini ) , trovandosi nel Boccaccio, Cemento a Dante cap. 15 (ediz. fiorentina del Fraticelli t. 3. pag. 207): » E chiama qui Fiorenza nido di malizia tanta: e questa C.A.T.CXLIU. 11 162 non indecentemente, avendo riguardo a'vizi, de'quali ne mostra esser maculata. » — Non credasi inol- tre che indecente sìa voce solo del Segneri : ma ò del Galilei, più antico di lui, che l'ha nella postilla 1 al Saggiatore. INDOSSARE. Notisi di grazia questo esempio del Davanzati, Tacit. Stor. lib. V. cap. 25 : « La rabbia di Civile aver loro indossate le armi: » e poi si condanni, se si può, Tuso così oggi comune del verbo indossare, che trovasi anche nell' Iliade tra- dotta sì nobilmente dal Monti. INDUBBIO. L'Alamanni usò il verbo indubbiarsi, Eleg. 3 del lib. 2: « Oh come oggi a schivar do- glia e fatica — Esser vorrei tra l'onde eterno sco- glio, — Ove pili '1 navicar s' indubbia e'ntrica !» INSORGERE. Sollevarsi, far sedizione. Bentivo^ glio, Stor. par. 1 lib. 4: « Il fine loro più princi- pale era di muovere l'armi e portarle in Fiandra , con ferma speranza che al primo comparir dell'e- sterne fossero per insorger subito quelle ancor del paese. » — E par. 1 lib. 10: « Aveva egli vedute insorger nel regno ed aggrandirsi sempre più le fa- zioni. « — Menzini, Accad. Tuscul. prosa seconda: « E tu dunque contro di Amore insorgi col biasi- mo ?» — Cosa poi da considerarsi si è, che lo stesso chiarissimo Ugolini nel suo Vocabolario di parole e di modi errati, ove condanna appunto la voce insor- gere , se ne serve ( tanto è la forza dell' uso co- mune) all'articolo Brigante così: « Il Giordani chia- mò briganti que'caiqpagnoli bolognesi che insorsero contro il governo del regno italico. » INTERESSANTE. Oltre al Salvini l'usò anche 163 il Cocchi nel Discorso del vitto pittagorico: « Ma ella ha avuto almeno il pregio d' introdurre la prima nelle scuole de' filosofi i semi della tanto interres- sante dottrina dell' immortalità. » INTERMEZZO. Sust. Ariosto, Ori. Pur. XXXI. 22: « Né riposato, o fatto altro intermezzo — Aveano alle percosse furibonde — Questi guerrier* » INVADERE. Bentivoglio , Stor. par. 2. lib. 4 : « E vi si unirà ancora tutto il settentrione da ogni altra parte, quando vedrà questo nuovo disegno che seuoprono gli spagnuoli di voler invadere V Inghil- terra. )) IRRESISTIBILE. All'esempio del Salvini, recato dal Manuzzi , aggiungeremo questo del Perticari , Trat. degli scritt. del trecento lib. 2. cap. 9: « Onde non potendosi udire giammai cosa alcuna spontanea, calda, irresistibile, quando tutto è squisitamente lon- tano dal dir comune, veggiamo ec. w IRROGARE. Fr. Girolamo da Siena , Adiutori© pag. 65: « Chi disse che Cristo cacciava li demoni ne la virtù di Belzebub , irrogava verbo aspero di bestemmia. » LATITANTE. Abbiamo Latitare nel Cello del CiambuUari: a Chiamò (Saturno) Lazio quel paese, ove egli sicuramente latitando visse- » LIBERTINO. Amatore di libertà. È voce usata non solo dal Segni, ma sì dal Varchi, Stor. lib. XI: « Lodovico prese per suo compagno Dante di Guido da Castiglione, il quale solo si mise a cotal rischio 164 veramente per amor della patria, come quegli che era libertino e di gran coraggio » — E dal Pitti, St. lib. 2: (( E rimessi di nuovo a partito, restò supe- riore il Capponi : con tanto dispiacere de' libertini (così chiamati volgarmente i più sviscerati di quella forma), quanto ne esultarono gli ottimati. » LUSINGA. Tanto è vero che non è speranza , che nel Tasso abbiamo lusingato dalle speranze. Ge- rus. VI 78: (( Da' tai speranze lusingata ( ahi stolr ta !) — Somma felicitate a se figura: » M. MALGRADO. Che si riferisca sempre a cosa ani- mata, come pretendono alcuni filologi, non ci sem- bra esser regola molto fondata di lingua. Certo è che questa regola non fu nota all'Ariosto, che volle dir bene Ori. Fur. XXXII. 73: « Che mal grado de'nu- goli lo spande — E fa veder , benché la pioggia è grande. » — Non fu nota al Bartoli, che disse nel- l'Asia lib. IV. cap. 66: « Poi disser loro che male s'apponevano al vero , immaginando che i giappo- nesi fosser di così poca veduta , che non sapesser discernere le ambascerie che venivan d'Europa, da quelle che sol quattro passi lontano, com' è Luzon ( che sono le Filippine ) ordite da quel governo a suggestione de' religiosi che vorrebbono libero il na- vigar di colà al Giappone a portarvi la legge no- stra, che il Xongun, malgrado delle Filippine e del- l'Europa e di tutto il mondo, non ve la vuole.» — Né la sapeva il toscano Cocchi, il quale nel Discorso del vitto pittagorico ha: « In tutte le pestilenze, e 165 specialmente nell'ultima nostra, fu riconosciuta gran- dissima l'efficacia dell'aceto, malgrado dell'incomoda mescolanza che allora usava di un gran numero d'al- tri medicamenti di contraria natura. » MATURATO. Terminato, Compiuto. Caro , Lett. ined. pubbl. dal Mazzucch t. 3. pag. 101: « 11 dover vuole che mi paghiate il semestre già maturato. )> MOBILIA e MOBIGLIA. Non solo è parola viva in Toscana, come alcuno osserva, ma è usata da uno scrittore ammesso dalla crusca a far testo di lingua, cioè dal toscano Crudeli, Rime e prose (ediz. pari- gina 1805) p. 162: «Piacerà alla donna di sentire che egli convita gli amici , si distingue con nobile mobiglia, ed il suo vestire è vario e decente. » MONTARE. Valere, costare. L'Adriani lo con- giunge colla particella in. Stor. lib. XII. cap. 2: « Il grano era montato in gran prezzo. » N. NOMINARE. Creare, eleggere. Non solo dì nomi- nare , ma di nominazione e di nominatore abbiamo esempi classici , benché non registrati fin qui dalla crusca. •^— Di nominare, per creare, eleggere, eccolo del Machiavelli, Disc. lib. III. cap. 47: « Ed essendo necessario che il dittatore fosse nominato da Fabio, il quale era con gli eserciti in Toscana, e dubitando per essergli nimico che non volesse nominarlo, gli mandarono i senatori due ambasciatori a pregarlo che posti da parte gli privati odi dovesse per be- nefizio pubblico nominarlo. » — E del Davanzati, An- nal. II. 36: « Volendo che gli uffici si dessero per 106 cinque anni: o che ogni legato di legione s' inten- desse allora fatto pretore: e che il principe ne nomi- lì.isse dodici duraturi cinque anni. » — Di nomina- zione, per elezione, creazione, eccolo pure del Machia- velli. Ivi: « Il che Fabio fece nìosso dalla carità della patria, ancorché col tacere e con altri modi facesse segno che la nominazione non gli piacesse. » — E del Varchi, Stor. lib. Ili: « Elessero primieramente per via di nominazione, come innanzi al dodici, gli scambi degli otto della guardia e balìa. » — ■ E del Maffei, vita di sant'Otone cap. I : « Con occhiate e con cenni e con bassa voce cominciarono ad attiz- zar i bnmbergesl a mostrarsi mal soddisfatti di tale nominazione , e risoluti di non accettarla in modo veruno. « — Di nominatore, per elettore, clezionariot (eccolo altresì del Varchi, Stor. lib. Ili: « Le borse, onde s'avevano a trarre gli elezionari, o vero nomi- natori, non erano in ordine, w — E del Pallavicino, Stor. del Concilio lib. XIV cap. 10: « l nominatori (al papato) del Queva rimasero col diciassette. » NOMINATAMENTE. Perchè da un valente filo- logo non credesi buona voce, essendo registrata nel vocabolario della crusca con esempi del trecento ? NOTAMENTO. Nota. Caro , Lett. ined. pubbl. dal Mazzucch. t. I. pag. 149: n II notamento, che avete mandato de gli stati de l'illustrissimo signor marchese di Pescara si spedirà questa mattina per Roma. )) NULLAMENTE. Invalidamente. È certo nel Pal- lavicino , Stor. del Concilio. Ma nelle nostre note abbiamo errata la citazione della pagina, né ora pos- siamo trovarla. 167 0. OCCUPATO. Add. Col secondo caso. Volgai-izz. delle collaz. dei ss. padii I. 17: « Che la mente non sia occupata di pensieri è impossibile cosa. » — Non- dimeno sarà meglio, ci pare, seguir il buon uso de- gli altri classici accompagnandolo colle particelle a od in. OGGI (IN). Machiavelli, Stor. lib. I: « Occupa- rono quel paese , il quale in oggi da loro è detto Normandia. » — Adimari, Satira contra le donne : « Lo stesso in oggi di continuo accade. » — Tocci, Della voce Occorrenza p. 67: « In oggi appresso il popolo Onorare dice un atto di cortesia del mag- giore verso il minore. » OGNI VOLTA. V'ha chi afferma che non possa dirsi: Ogni volta che penso al pericolo che ho passalo: e debba invece dirsi quando. Nondimeno la crusca ne dà , se non erriamo , un esempio del Varchi. Eccone altri dell'Adriani, Stor. lib. 3- cap. 1 : « E commisse (T imperadore) a don Giovanni di Luna castellano, che in suo nome, ogni volta che dal duca ne fosse richiesto, tenesse al sacro fonte il figliuolo quando solennemmente si battezzasse. » E lib. 3. cap. 2: « Volendo averli presti il marchese del Gua- sto in Lombardia ogni volta bisogno ne avesse. » È lib. 3. cap. 3: (( Avevasi in oltre provveduti molti capitani di fanteria forestieri di credito a suo soldo per potere, ognivoltachè il bisogno venisse, condurre buon numero di fanti di fuori dello stato. » — Certo che qui ogni volta e ognivoltachè hanno valore di quando. * 168 ORDINE (IN). Rispetto a una cpsa. Bontivoglio, Stor. par. 3. lib. 8: « Ma grandi erano le difficol- tà che s'incontrarono dalla parte di Francia in ordine alle cose di Fiandra. » — Pallavicino, Tratt. dello stile cap. 8. §. I: « Tutto quel che avviene in loro è fuor di proposilo in ordine al provare gli effetti delle lagrime verso lo sdegno. » — Bartoli , Asia lib. lY cap. 58 : « Or quando al suo viver privato in ordine a se stesso , egli era di maniere diritta- mente opposte a quelle che usava con altrui. )> — Segneri, Manna, nov. XXVI. 4 : « Perchè Sansone stesso, che solo in ordine alla debellazione de' filistei consegui da Dio forze sì prodigiose, si dice tuttavia che da fanciulletto die nel suo popolo non lievi saggi di futuro valore. » E die. IX. I: « Ora in ordine a chi fonda le sue speranze su la lor fedeltà, dice qui il profeta ec. » OSCITANZA. Indifferenza. Lo registra il Somis nelle (Giunte Torinesi con un esempio del Caro. OTTEMPERARE. Usò il solo Machiavelli , di- cono alcuni, questo latinismo: e noi veramente non sapremmo additarne altro esempio classico. Avver- tiamo però che sì fatti vocaboli giovano alcuna volta a dare una gravità maggiore al periodo. Sono cose non accattate dagli stranieri, ma trovate in casa, e dateci dalla nostra madre. Perciò anche il Tasso usò la voce Obtrettatore nella sua lezione sopra un so- netto del Casa. — Intanto non andrà solo nel vo- cabolario della crusca il verbo Ottemperare, ma gli farà compagnia l'avverbio Ottemperantemente , eh' è nel Volgarizzamento della Città di Dio lib. 16 cap. 25: « 0 uomo virilmente usante le femmine, la mo- 169 glie temperatamente,rancilla ottemperantemente,cioè obbedientemente, e nulla intemperantemente: « nel qual esempio quel cioè obbedientemente è forse un a;lossema. PANIFICIO. Cocchi, Del vitto pittagorico: « E si tralasceranno tutti i frutti secchi , e i semi ar- borei, e degli erbacei tutti i pili duri , ammetten- dosi i cereali solamente che servono al panificio. » PARADOSSALE. Si dee scrivere, dicesi, para- dossico. Il Caro nell'Apologia usò anche paradossa- stico, pag. 161 dell'edizione napoletana del Puoti : « Con certe vostre alchimie cabalistiche, con certe opinioni paradossastiche, con certe allegazioni fan- tastiche di Tretz ec. » PARTICOLARE. Persona^ uomo privato. Salviati, Spina 2. 2: « Goz. Oltre che vi pubblichereste per ladro. Ghib. Che dì tu ? Che pazzie parli tu ? Goz. E per usurpatore e frodatore de' particolari e del fìsco. )) — Adriani, Stor. lib: 1 cap. 4; « Il papa sì scusava affermando, che alla dignità sua e alla li- bertà ecclesiastica non si conveniva negare la stanza delle terre sue a ninno particolare. » E lib 7 cap. 1: « Senzachè il frate confessore metteva a carico di coscienza gravissimo a cesare il torre ad un par- ticolare per dare ad un altro particolare. » PARTITO. Parte , Fazione. Se vuoisene altri esempi, eccoli dell'Ariosto ne'cinque canti aggiunti al Furioso, III. 61: « Che ben deve pensar ch'ella il partito — Piglierà del fratello e del marito. » 170 — - E del Bartoli, Asia lib. 3. cap. 1: « Parte come (si- gnore) supremo ne consentì a'capitani, stati seco in battaglia fedeli al suo partito, e ne fece re tribu- tari. » PASSIONE. Preoccupazione. Oltre all' esempio del Machiavelli abbiasi pur questo del Salviati nel prologo primo del Granchio: « Ma la farà da quel giudizio, - Che nefaran coloro che con occhio - Be- nigno, e con discreta orecchia guardano — Ed a- scoltan le cose, e senza punto — Di passion ne giu- dicano, w PAVIGIJONE. Per bandiera^ vessillOf è certo il marcio francesisino. L'Alamanni l'usò i^ev padiglione ^ Giron. XXI, 22: « Distende il guardo, e lì poco di- viso — Vede un gran paviglion lungo la via , — D'ond'esce un suono- » PENETRAZIONE. Perspicacia. Cocchi, Disc, del vitto pittagorico : « Ma 1' istessa intrinseca bontà de* pareri medici di Pittagora darà sempre ai fini conoscitori una grande idea della sua penetrazione sulla natura del corpo umano. » PENSATIVO. Machiavelli, Andria li. 4-: « E' ne vieno pensa tivo di qualche luogo solitario, w PERDONO. Scusa. All'unico esempio, che se ne dà del Tasso, vuole aggiungersi questo del Giordani nella famosa lettera a monsignor Giustiniani: « E per fine , chiedendole perdono di questo mio scri- vere troppo lungo , e forse troppo alla semplice , m' inchino e bacio umilmente la mano. » POSTERIORE. Seguente^ susseguente. Città di Dio lib. XV cap. 9: Ma, come io ho detto, l'ossa tro- vate spesse volte, però che sono durate già molto 171 tPinpo, mostrano alli secoli posteriori la grandezza de' corpi antichi. » — Si ha pure in significato di postero. Speroni, Dial. delle lingue: « Noi altri po- steriori abbiamo fatto dell' altrui forza nostra vir- tù. » — Ed anche di ghiniore. Varchi, Ragion, del- l' invidia: « Chi visse . . . più virtuoso d' Affricano posteriore ? » POSTO. Ufficio, carica, dignità. Segneri, Manna, febbr. 10, 2: « Contese che s'intraprendono per ar- ricchire , per avvantaggiarsi , per giungere ad alto posto. » E febbr. 12, 1 : « Quello che presso gli uomini si chiama altezza di posto, grandezza di glo- ria, dinanzi a Dio che cosa è ? È abbominazione.» POTENZA. Potentato, gran sovrano. Adriani, In- troduz. alla sua storia: « L'una delle quali teneva con Carlo V imperadore, e l'altra con la corona di Francia, che queste due potenze con tutte le forze e membra loro e di loro parte, a guisa di due for- tissimi campioni, infra se contendendo ec. m E lib. 14 cap. 1: « Onde conveniva , trovandosi lo stato della chiesa cinto intorno da potenze grandi e da armi buone .... che vivessero con rispetto.» PRECISAMENTE. Per Vappunlo. Caro, Apologia p. 100 dell'edizione napoletana del Puoti: « Per aver detto qui Virgilio così, non segue di necessità che 'I Caro dovesse dire nel medesimo modo precisa- mente. » — Bartoli, Asia lib. VI cap. 71: « Altri due più illustri quivi medesimo in Morioca (non ne sappiamo precisamente il quando, ma solo che pur di quest'anno e di state ), glorificarono Iddio nella lor passione. » PRECISARE. Dichiarare, insegnare per Vappunlo. 172 Cavalca, Spoc. de'peccati cap. XI: « E all'uomo ab- biamo mostrate le condizioni che si richieggono a bene confessare, e precisi gì' impedimenti della pe- nitenza, e mostrati li suoi segni ed effetti. » PREGIUDIZIO. Falso giudizio , erroneo parere. Se non basta 1' esempio del Magalotti, ecco quello del Cocchi nel Discorso del vitto pitlagorico: « E in alcune private persone ricche e non ignoranti, ma capaci di pregiudizi e degli eruditi errori, s' incon- tra spesso ec. « — E più del purissimo Cesari, Lett. t. 2 pag. 26: « I pregiudizi sovvertono il giudizio eziandio de'migliori. )> PREPARATIVO. Sust. Caro, Lett. ined. pubbl. dal Mazzucch. t. 1. pag. 175: « Spero che le cose andranno bene , perchè avemo di già fatti di gran preparativi centra l'ostinazione del gran cancelliero.» Ed ivi pag. 182: « Il mezzo era d'ottener prima una riserva del reverendissimo Sant' Angelo , come un preparativo di quella di N. S. » PRESIDIARE. Segni, Stor. lib. X: « Ma di poi avendo egli presidiato tutto lo stato , ed assoldate nuove genti, riprese bene dodici terre possedute da' francesi. » — Benti voglio, Stor. par. 2. lib. 3: « Ri- tenevansi dagli avversari diversi luoghi intorno alle mura, e gli avevano presidiati. » PRESSOCHÉ- Quasi. Non sappiamo come alcuno il condanni, non ostante il vocabolario della crusca al § 1 di Pressoy e gli esempi che ivi reca del Boc- caccio e del Firenzuola. PROCESSO. Esame, ricercamenlo. E nelle giunte del Cesari al vocabolario della crusca con un esem- pio di fra Giordano che dice: « Processo sopra il credo in Deo. » 173 PROCLAMA. L'usò il Botta, e assai prima del Botta il Bentivoglio, Stor. par. 1. lib. 4: « Alche si aggiunse un orribile proclama contro quelli che erano fuggiti. » PRODOTTO. Recato , addotto. Galilei, Saggiat. §. 37: « Soggiungete poi, come per prova prodotta dall' avversario in un discorso fabbricato a vostro modo e di facile discioglimento. » ec. - E notisi an- che Prodotto, sustantivo, in un significato che oggi non si vorrebbe in tutto approvare da alcuni tilo- logi. Machiavelli, Asin. 8: « La nostra specie altro cibar non cura — Che il prodotto dal ciel senz' arte. » PROSTITUTA. Se ne avrà un esempio classico nell'Adimari, Satira contra le donne : « Non teme prostituta da' lenoni — Stringer l'amato, e 1' erba aver per letto. » PR0TEST4RSL Oltre all' esempio del Davan- zati, che ci reca il Bartoli al n. XCVT del Torto e diritto del non si può, eccone altri del Bentivoglio, Stor. par. 2. lib. 6: « E in altre (istanze) si pro- testò apertamente che se per tutto il 20 d' aprile ciò non seguiva, egli sarebbe costretto a rendere la città. » E par. 3. lib. 7. » E di ciò si era prote- stato liberamente il governatore. » PROVVISIONALE. Temporaneo. Bentivoglio, St. par. 1. lib. 9: <( Fu approvata dal re la determi- nazione provvisionale che aveva presa il consiglio.» PUBBLICO. Comune. Sitst. All'esempio del Bor- ghini aggiungasi questo dell'Adriani , Stor. lib. 12. cap. 3: « Confortò i cittadini, che avevano grano , a guardarsene per loro uso per tutto febbraio, e T 174 altro , ricevendone il prezzo, consegniirlo ni pub- blico per allungarne 1' assedio- » — E quest' altro del Tocci , Della voce Occorrenza p. 30 ; « E così annoveravalo esso nella lezione tra gli uomini stati liberali al pubblico. » Q. QUESTUOSO. Avvi chi chiede d' onde venga questo vocabolo. Da Giovanni delle Celle, rispon- diamo noi , in un esempio recato dal Somis nelle Giunte Torinesi, che è questo: « Non intendono gli uomini com' è grande l'entrata della temperata vi- ta- Vengo alli sontuosi , e lascio stare questo que- stuoso, » R. RAPPORTO. Aueìienza, dipendenza. All'eseuipio autorevolissimo del Salviati può aggiungersi questo d'un altro toscano, cioè del Crudeli, Ritne e prose (ediz. parig. 1805) p. 159 : « Non possono deter- minarsi i rapporti che hanno insieme i diversi ge- ncH di questa generale tendenza. » RAPPRESENTANZA. Ricorso. V usa la crusca alla voce Ricorso. Sicché è d'uso toscano e buona. RAVVISARE- Reputare, credere. Sacchetti, Nov. 90 : « Quando il calzolaio udì questo , ravvisò che con le dette forme il dovesse fare uccidere. » RAVVISARE. Scorgere. E avvalorato dal Somis nelle Giunte Torinesi con due esempi del Segneri. RECEDERE. È un latinismo divenuto italianis- 175 simo non solo per l'esempio del Segneri, recato dalla crusca; e per aver detto il Pulci, Morg. XXV. 71: « L'anima ornai, Signor, recede : » e il Cocchi, noi Disc, del vitto pittagorico: « Dall'esattezza di questo vitto poteva recedersi talora alquanto , secondo le occasioni: » ma per essere d'uso quasi comune. REDARGUENTE. Ha chi dice che dobbiamo solo contentarci di redarguire. Domandiamo però grazia almeno per redarguente, ch'è del trecento. Fiore d'Ita<» lìa , rubr. 54 : « E nota che questa interrogazione non fu domanda d'ignorante (che Dio sapeva bene donde venia), ma fu voce d'increpante e redarguente la malizia del dimonio. » REGOLARIZZAZIONE. È voce veramente orrida, com'è regolarizzare. Lo Speroni usò regolazione nelle Lezioni in difesa della Canace (ediz. veneta 1597) pag. 24-9): « Dico appresso che la varietà de' versi e delle rime or vicine ed or lontane è numero piiì tragico, che non è la semplicità del verso, e la re- golazione ed uniformità della rima. » RELATIVO. Non è solo termine grammaticale. Davanzati, Notizia de' cambi: « A duo pagamenti se^ guono di necessità quattro persone, perchè uno non può pagare, se un altro non riceve: per esser que- sti atti verso se relativi. » RENDITORE. Portatore di una lettera. Lo ha il Sonjis nelle Giunte Torinesi con un esempio del Bembo. RETROGRADARE. Il Perticari, le cui opere sono state meritamente ammesse dalla crusca a far testo di lingua, allargò il dominio di questo verbo, e daU Y usarsi solo in cose astronomiche il trasse anche 176 fìà altro in una delle scritture sue più forbite, cioè nel Trattato degli scrittori del trecento lib. 2. cap. 13: « Stendendo le sue ragioni eterne sovra gì' in- crementi delle scienze, dell'arti, delle scoverte, de' co- stumi e de' tempi senza retrogradare gl'intelletti ed offendere il corso della natura. » Altrettanto per la voce Retrogrado avevano già fatto il Galilei, il Buo- narroti e il Segneri addotti dalla crusca : a' quali aggiungeremo il Bartoli nell'Uomo di lettere lib. 1. cap. 1: « Retrogradi trovano tutti i favori, fuori di casa tutti i benefìcii, » RETROSCRITTO. Add. Se n'ha l'esempio nelle Lettere del Davanzati pubblicate dall'onorando amico nostro ab. Manuzzi n. 20; « Non mi potendo dar pace di quella sentenza della parte, vorrei tentar la re- visione, come per la retroscritta boza di supplica.» RICEVUTO. Approvalo^ ammesso Si recano nel vocabolario due esempi di ricevutissimo in questo si- gnificato : l'uno del Segneri, l'altro del Bellini. Ed intanto non se ne reca alcuno di ricevuto. Eccolo del Galilei , Sagg. §. 37 : « Simula di non vedere quello che piiJ volte e molto apertamente v'è scritto, cioè che noi non ammettiamo quella sin qui ricevuta multiplicità d'orbi solidi. » RICONVENIRE. Accusare. Non è del solo Ma- galotti, conie alcun dice, ma è anche del Segneri, Crist. istruit. 1. 24. 9: «E non vedete che fin la vostra esperienza vi riconviene ?» — E del Tocci, Voce Occorenza p. 15 : « Quindi mi conforto che non sieno essi qui per riconvenirmi dì mancamento di riverenza- » RIMONTATO. Rabbellito , ornato di nuovo. Se 177 ne ha un solo esempio, crediamo, nell'Alamanni, Gi- rone XX. 80: « Poi rimontato il ciel d'oro e ver- miglio, — Giron d'andarne alfm licenza chiede- » Ma sarà forse bene di lasciarlo stare dov'è. RINCARIRE. Rincarare. Tassoni, Secchia IV. 35: « L'un nemicizia avea col sol d'agosto: — E l'altro rincarìa le calde arrosto. » RIVOLTA. Sedizione, ribellione. Agli esempi del Segneri e del Magalotti si aggiungano questi altri più antichi. Segni, Stor. lib. 2 : « Erano in mani- festa discordia condotti i cittadini grandi, e da te- merne qualche rivolta perniziosa alla patria.» — Ben- ti voglio, Stor. par. 1. Hb. 3: « Concitò gran rivolta in Anversa questo successo , e si stette per venire alle armi dentro della città. » E ivi: « In luogo dì una città avete in rivolta tutto il paese. » E così altre volte. RIVOLTARSI. Ribellarsi. Alamanni, Giron. XXIV. 156: « Or già che morto il fero re si vede, — Tutti quei che famìglia e che case hanno — Nel terren di Narbone, e gli eran cari, — Si sono in un sol punto rivoltati. )) ROLLO. Maffei, vita di san Martino e. 1: « Si aggiunse poi al disturbo de' suoi santi disegni anco la nuova scelta, che allora si faceva, di gente mi- litare, con ordine espresso che tutti i figliuoli de' ve- terani fossero posti in rollo , e condotti alla guer- ra. » — Né ciò solo: ma abbiamo anche rolato, per posto in roloi o rollo, nel Bentivoglio, Stor. par. 3. lib. 4 : « E benché fosse grande il numero de' cit- tadini rolati all' insegne , non corrispondeva in essi però di gran lunga né la disciplina ec. » G.A.T.CXLIII 12 178 RONFARE. Russare. Tasso, Sette giorn. V. §. 18: K Ma ronfar già dormendo ancora uditi, — E dormir son veduti umidi pesci. » — MafFei, Vita di san Ber- nardo e. 2: « Onde, s'egli vedeva un religioso dor- mire mal composto, o ronfando, non lo poteva quasi patire. » S. SAGACIA. Vincenzo Martelli, Rime (ediz. bolo- gnese del 1829) pag. 55: « E sovra ogni sagacia ap- provo e lodo — (Se bisogna) il giurar, perch'altri il creda. » — Coccbi, Del vitto pittagorico : « Ella s'in- trodusse per tutta Europa verso la metà del secolo passato per la sagacia ed esperienza di un medico gottoso di Parigi. » SALCICCIA. Vuoisi che debba dirsi salsiccia. Ma il Caro non pronunciava così, scrivendo salcicciolto nelle Lett. ined. pubbl. dal Mazzucchelli t. 1. pag. 198: « Io penserò che in vece vostra sieno venuti quei salcicciotti che m'avete mandati. » — Salciccia inol- tre disse il Tassoni (secondo tutte le edizioni che ho vedute) nella Secchia I. 31 : « Si riscontrò con Sabatin Brunello, — Primo inventor della salciccia fina, — Che gli tagliò quella testaccia riccia - — Con una pestarola da salciccia. » SANTOLO Patrino. Lo ha registrato il Somis nelle Giunte Torinesi con un esempio del Pecorone. SECCATORE. Se la crusca ammette seccaggine, per fastidio i importunità: e seccatrice, per fastidiosa ed importuna: dovevasi dunque aspettare che il Sal- vini dicesse seccatore per registrare questa voce nel vocabolario della lingua ? 179 SIMILARE. Non è voce solo del Magalotti, ma del Guarirli , che visse assai prima del Magalotti. Della libertà politica ( ediz. veneta del Gondoliere ) p. 140: « Questa termina gli elementi, questa tem- pera il calor naturale, questa trasforrna il cibo nelle sostanze delle parti corporee similari e dissimilari.» SOCIALE. V'ha chi non vuol dargli altro signi- ficato che di sociabile, compagnevole, che ama com- pagnia. Dunque non potrà dirsi guerra sociale ? Lo ha detto però, senza tema d'errore, il Volgarizza- tore della Città di Dio XIX. 7 : « Nondimeno essa larghezza dell'imperio ha generate guerre di piggior maniera, cioè sociali e civili. » SOGGETTO 0 SOGGETTO. V'ha pur chi vuole che l'aggettivo soggetto non possa accompagnarsi che colla voce materia. Nondimeno il Tasso non dubitò di cantare, Gerus. IX. 93: u E quindi d'alto -r— Mi- rava il pian soggetto. » SORTE CHE (DI). Veggasi il vocabolario della crusca alla voce Di sorte che, e se ne troveranno gli esempi del Firenzuola e del Varchi. SOSTITUIRE. Può esset" talvolta anche passivo. Cocchi, Disc, del vitto pittagorico: « Così escluden- dosi tutti gli aromi, si sostituiscono in loro vece le verdi cime d'erbe odorifere e grate, » SPONGA. Alle autorità del Castiglione e del To- lomei addotte da un filologo contra un altro filolo- go per sostenere ben detto sponga per spugna, ag- giungeremo quella del Caro, se però è veramente del Caro il volgarizzamento di alcune lettere di Seneca 3: 24: « Quel legno con una sponga attaccata , e posto per nettar le parti oscene, tutto si cacciò nella 180 gola. » Inoltre il Tasso disse spongioso (pronunciando forse spongia), e non spugnoso^ nelle Sette Giornale, V. §. 12: « Perchè '1 pulmon ne la sinistra parte - Fra le viscere nostre ha il proprio sito - Spongioso e raro. » SPUDORATO. Faremo miglior viso a questa voce, che proviene dal bellissimo expudoratus di Petronio Arbitro. STABILIRSI. Porre la sede, la dimora. Vincenzo Martelli, Rime ( ediz. bolognese del 1829) p. 44: « Ben vide il glorioso augel di Giove, - Che senza voi si stabiliva indarno - Fra gl'italici campi, ov'or s'annida. « STIPARE. Ammucchiare. Oltre a'due esempi an- tichi di Dante, che ne reca la crusca, e che dovrebbe- ro pur essere autorevolissimi, eccone un altro di gen- tilissimo scrittore del bel cinquecento, cioè del Ru- cellai nelle Api v. 516: « Stipano il puro mal den^ tro alle celle. » STORA. Stuoia. Lo dice il Caro, Rett. d'Aristot. lib. II. cap. 7 : « Come fu quello di colui, che in Liceo servì l'amico di una stora. » Così nell'edizione veneta (che è la prima) al segno della Salamandra 1570. STRANIERO. Add. Estraneo, alieno. Volg. della Città di Dio 2. 21: « Straniera (cosa) da ogni scru- polo di dubitazione. » E 9. 23 : « Non è adunque molto da disputare del nome, quando essa cosa è tanto chiava, che è straniera da ogni scrupolo di du- bitazione. )) SUBORDINARE. Rassegnare, assoggettare. Benti- voglio, Slor. par. 1. lib. 10 : u Non usciva ordine 181 alcuno da lui, che non bisognasse, subordinarlo al consiglio di stato. » SUSURRO. Ha diversi altri significati da regi- strarsi pure nel vocabolario. Per esempio : Susuiro del vento. Tasso, Gerus. XVI. 13 : « Tacquero gli altri ad ascoltarlo intenti, - E fermaro i susurri in aria i venti. » - Susurro delle onde. Chiabrera, Ser- mon. 24- : « Che dirò di Castello ? I cui cipressi - Ogni più fresca Naiade trascorre - Altercando co.' fischi delle fronde - I suoi non men dolcissimi su- surri ?» - E seminar susurri^ è audace e bel modo del Caro, Eneid. 2 : « E quinci de'suoi falli e del mio duolo - Consapevole Ulisse, a spaventarmi, - A travagliarmi, a seminar susurri - Si diènei volgo.)) T. TALENTO. Ingegno. Alcuni lo hanno creduto mal detto. Agli esempi addotti per difenderlo ag- giungeremo i seguenti. Maffei, Vita di s. Tommaso e. 2 : « Quindi, spesso trovandosi alle dispute e a' ragionamenti di lui e di altri della stessa famiglia, venne pian piano ad affezionarsi all'instituto loro , parendogli non poter meglio impiegare il talento da- togli dal Signore. » E vita di s. Antonio di Padova «. 5 : « Assai tosto apparve com' egli era in gran maniera sufficiente per le confessioni, e insieme atto anche alle dispute contra gli eretici, e per la catte- dra delle scuole, e per iscrivere libri utili a tutta la posterità : e (cosa che malagevolmente con simili ta- lenti si accoppia) mostrò eziandio non piccola peri- zia e destrezza nel governare- » - Chiabrera, Elogio 182 di Giambatista Strozzi: « Giovinetti di buon talento egli raccolsesi in casa, e procacciò che si formassero di dottrina, ed alcuni chiarissimi ne son divenuti. « - Bartoli , Uomo di lettere par. 2. pag. 158. (ediz. Veneta 1678): « Ma quando pur vi fosse toccata una musa meretrice, con quello che voi chiamate ge- nio, 0 talento di poetar lascivo, io vi dirò ec. » — Menzini , Accad. Tuscul. prosa VII : « Io , rispos' egli, non sono, come ben sapete , dovizioso di ta- lento poetico. » - Salvini, Prose Tose I. 12 : « I quali studi ben volentieri con quello delle toscane cose congiungo, ed altri di maggior talento e dot- trina dotati, che io non sono, quanto piiì posso con- forto a congiungere. » TEATRO. Figuratamente. Bartoli, Uomo di let- tere par. 1. pag. (ediz. veneta del 1678): u E que- sti sono i meriti, queste le mercedi de' figli dell'igno- ranza quando cercano teatro e mendicano applausi.» TENER DISCORSO. Non piace ad alcuno. Il Chia- brera però, che disse Tener sermone, certo avrebbe anche detto Tener discorso. Sermone IX : « E tro- verassi chi terrà sermone - De'sublimi pensier del Galilei. » TOCCANTE- Commovente, attraente , allettativo. Chi volesse usarlo (noi certo non 1' useremo mai), all'unico esempio che si ha del Salvini nel vocabo» la rio, aggiungerà questo del Crudeli, Rime e prose (ediz. parigin. 1805) pag. 147 : « I piaceri del cuore son toccanti e ci dilettano, w TOCCATO. Non solo abbiamo nel vocabolario toccare per sonare, contra chi dice che non si possa scrìvere stromento ben toccato} ma sì toccatore i^ev 183 sonatore nel Caro, Long. Sof. ragion. 2: u E si van- tavano chi d'essece .... un grande ammazzator di lupi, chi il primo cantore e*l primo toccator di sam- pogna che fosse da Pane in fuori. » TRANSITARE. Bentivoglio, Stor. par. 2. lib. 5: « E coi passaporti si permetteva di qua e di là che per quella riviei-a transitasse qualche barca di mer- canzia. )) TRATTAMENTO. Convito, banchetto. Adimari, Satira contra le donne: « S'inventan nuovi applausi e nuovi onori, - Si preparan gl'incontri e i tratta- menti - Con dispendio profuso e dentro, e fuori. » TRIENNIO. Oltre ad essere voce d'uso, è avva- lorata anche dall' esempio classico del Caro , Lett. ined. pubbl. dal Mazzuch. tom. 2. pag. 310 ; « E però la prego che si voglia contentare, che nel con- tratto che le faremo, le si permetta la continuazione del primo triennio. » - E così da esso Caro si avrà pure il sustantivo triennale, Eneid. IV: « Quale ai not- turni - Gridi di Citeron tiade, allora - Che il trien- nal di Bacco si rinnova. » - Oltre al trienne del Salvini, Trad. d'Oppiano pag. 3 : « Non voglio che tu or canti il trienne - Montano Bacco. » TROPPO. Fanno mal viso alcuni valenti filologi a troppo invece di molto. E pure ve n'ha esempi e e di prosatori e di poeti assai autorevoli nel voca- bolario della crusca al §. I della voce Troppo av- verbio. Perciò non sappiamo che error sia (e ce ne scusi l'onoranda memoria di Paolo Costa ) il dire : E ricercandola il marito, se stesse bene : Non troppo^ ella rispose- - Cioè non molto. 184 TRUPPA. V'ha chi ha scritto in un vocabolario, che (li questa voce, né bella ne necessaria, in signi- ficato militare trovasi esempio nel Davanzati. Non si è ricordato il buon filologo che il supplemento del lib. IX degli Annali di Tacito è del Brotier, e per- ciò non tradotto dal Davanzati, ma sì da colui che ha voluto fare malamente la scimia allo stile del sommo fiorentino. U. UFFICIOSAMENTE. Maffei, vita di s. Antonio ab. cap. 5: « Fra tali discorsi passata la sera, men- tre intorno al corpo se ne stanno con molti lumi, ufficiosamente aspettando l'esequie, pian piano, come avviene, si addormentarono. » UMANITÀ'. Genere umano. Bambagiuoli, Virtiì morali, capo della Fortezza : « Però giudica mal l'u- manitade, - Credendo danno ov'è l'utilitade. » - Coc- chi, Del vitto pittagorico: «Pittagora, primo inven- tore del vitto fresco vegetabile, era grandissimo fisico e medico, e non punto alieno dall'umanità più eulta e pili discreta. » UMAZIONE, v. DISUMAZIONE, V. VAGHEGGINO- Erra chi dice che non è nella crusca. Veggasi nel suo vocabolario con un esempio del Firenzuola. VERSARE. Notisi questo significato, che alcuni filologi non vogliono ammettere perchè non trovato 185 nel vocabolario della crusca. Speroni, Lezioni di di- fesa alla Canace (ediz. veneta 1597) pag. 166; « Vuol dunque Aristotele per queste parole, ^he versando la tragedia d'intorno alle cose mirabili e terribili , non si faccia ec. » B 186 Baijni minreali presso Tivoli. ifleravigliando taluni che non si fossero per me date avvertenze nella pratica di cotesti bagni: di- versamente, dicevano, niun infortunio sarebbe colà avvenato, sono io rimasto stupito di siffatto oblio. Imperocché sembra che erano a costoro noti i miei lavori intorno le acque albule, ciò nulla ostante ab- bian dimenticati gli avvertimenti ed i regolamenti pubblicati nell'uso delle medesime. Fin dall'agosto 1824 leggendo in due separate sessioni all'accademia de' Lincei il Saggio sopra la topografia fisica del suolo di Tivoli, pubblicato ripe- tutamente nello stesso anno pei tipi del Bouhaler, davo pur cenno delle acque albule colle seguenti pa- role: Che nel riservaimi in altro argomento di par- lare della loro temperatura, delle virtù medicinali, delle elastiche esalazioni venefiche ec-, di presente ca- deva solo in acconcio dimostrare le utili loro de- posizioni (travertino) (1). (1) Saggio sulla topografìa fisica del suolo di Tivoli pag. 38y e Giorn. Arcadico tomo XXIII pag. 137 e 257. — Non fia di- scaro il rammentare che questo Saggio risvegliò 1' attenzione di molti dotti : talchi un celebratissimo compilatore della Biblioteca Italiana dopo averne dato lungo analitico ragionamento (tomo 38 pag. 86 e seg.), nel rendiconto annuale di quel dotto giornale (t. 41 pag. 185 — 6) dice: « Da tutto ciò che detto abbiamo sulle scienze economiche e statistiche risulta, che il progresso è massimo nel re- gno Lombardo-veneto: medio nel regno delle due Sicilie : minore nella Toscana: zero negli altri stati italiani, salva l'eccezione a fa- vore dello Stato romano: e gli dobbiamo lode pel Saggio sulla to- pografia fisica del suolo di Tivoli di Agostino Cappello (Roma 1824), 187 Inoltre nella terza edizione di questo Saggio pei tipi del Perego Salvioni (1830) rilevai, che gittando pietre nel lago , suscitasi poco dopo una piccofe tempesta dovuta a una gran copia di gas che svol- gesi dal fondo. Si scorge che nella linea di pas- saggio del gas r acqua acquista una limpidità , la quale si dee alla dissoluzione del calcano in virtù del gas acido carbonico che si sviluppa (1). 11 qual fenomeno fu ripetuto eziandio nei ra- gionamenti per la restaurazione de' bagni minerali presso Tivoli. Inoltre nel 2." ragionamento leggesi, che cotest'acqua contiene in soluzione una quantità di gas acido carbonico superióre al suo proprio vo- lume (2): e colle pagine appresso (nell'istituirsi in- sieme col chiarissimo professor Peretti l'analisi chi- mica) dopo aver accennato la temperatura, il co- lore ed il sapore dell'acqua, si osserva che dibat- tuta svolgesi immediatamente gas acido carbonico con poca quantità di gas solfo-idrico. Finalmente in fine del terzo ragionamento si danno i regolamenti nell'uso di questi bagni : no- tando che il gas acido carbonico è la sostanza più del quale in più opportuno luogo notammo i pregi ed i pochis- simi nei. e l'abbiamo riconosciuto commendevole pei fatti ed osser- vazioni che attestano l'ingegno e la studiosa diligenza dell'autore ». In che vuoisi notare, che non cadde in pensiero all'insubre compilatore, che in detto Saggio mostravasi con argomenti geogno- sticij idraulici, fisico-chimici e storici la non lontana rotta dell'Aniene due anni dopo avvenuta (16 novembre 4826); e più volte indarno avvertita, inclusive ad illustri professori d'idraulica architettura. (/ compilatori dell'Arcadico) (1) Opuscoli scelti scientifici pag. 770. (2) Pag. 17, e Giorn. Arcadico pag. 276, tomo LXXX. 188 abbondevole nelle acque albule : onde deve atten- dersi di non mettere il viso nelT acqua per non andare incontro ad asfissia. Conchindevo da ultimo, che non avviene la medesima pel gas solfo-idrico: siccome avevo supposto in una nota dell'ultima pa- gina del primo ragionamento pubblicato nel 1837: ma bensì pel detto gas acido , come chiaramente risultava dall'anzidetta analisi chimica djel 1839 (1). Dopo ciò, ognun vede se eransi per me date le de- bite avvertenze. Che se per un solo attimo, e senza replicare, possa tuffarsi la testa nell'acqua senza pe- ricolo, questo non suol mancare col dibatterla, spe- cialmente col nuoto. Imperciocché non si tratta di acque marine, di fiume, o di lago, non sprigionanti gas deleteri , come è il gas acido carbonico : il quale se nella sua soluzione nell'acqua albula, e chi- mica combinazione colle altre minerali sostanze fisse, e gazosa (siccome è il gas solfo-idrico), è uno degli ottimi presidii pel bagno e per la bevanda, diviene micidiale nel respirarlo ; giacché col nuoto princi- palmente si svolge con tanta intensità, per cui si soggiace all'asfissia, conseguentemente alla morte : mentre l'individuo cola a fondo senza potergli som- ministrare soccorso. Laonde dopo due funesti casi pel nuoto appunto accaduti in persone non volgari, è indispensabile di prevenirne la gente idiota che si porta a que'bagni : e mettere affissi a stampa sul luogo non solo per evitare quel sinistro, ma aggiu- (1) Terzo ragionamento per la restaurazione de' bagni presso Tivoli pag. 27, e Giornale Arcadico tomo LXXXV pag. 59. (1840). 189 gnervi ancora le altre regole nell' uso delle acque albule (1). Né vuoisi omettere che per la pubblicazione de- gli accennati ragionamenti, e per avvisi al pubblico nella stagione de'bagni per me più volte compilati, si accrebbero non poco gl'individui risanati da gravi morbi, o migliorati nella loro salute. Il che ricor- davo nell'occasione che il dottissimo Giuseppe Frank, desideroso di visitar meco questo ricchissimo fonte minerale, siccome avvenne, meravigliava come non si pensasse a farvi uno stabilimento se non coli' antica magnificenza, agiatamente almeno per bagnarsi (2). Cotesto fortunato avvenimento sarà certo per accadere : dacché il sommo regnante Pontefice PIO IX volse benignamente lo sguardo ai voti di piiì sa- pienti per una sì salutevole restaurazione (3). Difat- (1) I tre ragionamenti furono letti prima della stampa all'ac- cademia de' Lincei : il 1.° nel dì 7 agosto 1837, il 2° nel di 30 settembre 1839, ed il 3.° nel dì 28 settembre 1840. (2) Id. pag. 4, e Giorn. Arcadico id. pag. 36. (3) La Santità di Nostro Signore intenta a promuovere lutto- ciò che torna a pubblica utilità , si è benignamente degnata di annuire ai desidcrii a lei umiliati sulla ripristinazione dei bagni minerali delle acque albule, che scaturiscono fra il territorio ti- burtino e l'agro romano. A tal fine ha stabilita una commissione, la quale presieduta da sua Eminenza Reverendissima il signor Car- dinal Presidente di Roma e Comarca, faccia un piano relativo da presentarsi poscia alla stessa Santità sua. Formano parte della suddetta commissione i signori cav. D. Vincenzo Colonna ff. da senatore di Roma come vice-presidente: dottor Agostino cav. Cappello , dottor Pietro cav. Carpi , medici: dottor Giuseppe Costantini, dottor Lorenzo Bartoli chirurghi; com- meiidator Clemente Folchi ingegnere , gonfaloniere prò tempore di Tivoli, dottor Renedetto cav. VialePrelà medico, e comraendator Luigi Canina architetto. Questi ultimi esercitano le funzioni di segretari. Giornale di Roma 6 maggio 1836. 190 to annunziato appena il sovrano intendimento, di gran lunga maggiore che nei passati anni è stata Taffluenza de'bagnanti : e prodigiosi sono stati ì ri- sultamenti da non pochi dei medesimi conseguiti. I progressi ognor crescenti nella chimica scienza diedero in questi ultimi anni agio ai chiarissimi pro- fessori Benedetto cav. Viale-Prelà, e Vincenzo La- tini d'istituire accurata analisi chimica delle acque albulc) che furono arricchite di altre minerali so- stanze per essi rinvenute. Il lodato professor Viale in un'accademica sessione lincèa del corrente anno lesse dotta dissertazione sulle medesime, che quanto prima sarà fatta di pubblica ragione con utili ed im- portanti osservazioni. Né minor lode si debbe all'illustre architetto commendator Canina, il quale per aver riportato gio- vamento non lieve da queste acque alla sua salute, ha molto contribuito, e contribuirà non poco alla bramata restaurazione, in ispecie co'suoi profondi ar- chitettonici lavori. Con ragione quindi la Santità di N. S- degnavasi nomirare il Viale ed il Canina se- gretari della commissione per la ripristinazione de'ba- gni minerali delle acque albule. Roma 28 agosto 1856. AfiosTiNo Cappello.. 191 Raccolta degli scritti editi ed inediti del cav. Domenico Morichini. (Continuazione e fine.) La XXXVII Memoria è sidla rappresentanza del comune di Marsciano neW Umbria. u, na supplica avanzata dagli abitanti di Marsciano, nella quale si domanda, che sia vietala V uccisione delle rondini come causa deteriorante Varia di quella terra. Due sono le ragioni, colle quali sostengono il loro assunto i zelanti di Marsciano. La prima è, che le rondini ci cibano dei piccoli insetti volanti, incomodi all'uomo ed agli animali nell'estate. La seconda poi, che col loro volo rapido eccitano nell'aria una pia- cevole ventilazione che la depura. L' una e 1' altra delle due ragioni addotte dai zelanti ha un doppio . valore, l'uno di comodo, e l'altro di sanità. Le rondini si pascono di insetti volanti, che mol- tiplicano dapertutto, in ispecie nei luoghi umidi e - bassi, comprovato ciò dai naturalisti, che sonosi oc- cupati di conoscere le abitudini di questi augelletti. Non v'ha dunque dubbio che le rondini contribui- scano a scemare il numero degli insetti alati, i quali colle pinzecchiature accrescono agli u<^mini ed agli animali le molestie dei calori estivi. Il dubbio è se evvi proporzione sensibile fra le immense schiere . degli insetti volanti, ed il numero dello rondini. Se si considera r incalcolabile fecondità degli inselli 192 estivi, è forza dire, che sebbene le rondini vivano d'insetti volanti, il numero di questi supera di molto la forza sterminatrice di quelle. Spallanzani asseri- sce, che nei primi mesi di autunno, quando le ron- dini hanno già emigrato dalle nostre contrade , o fatto ritorno in Affrica, gl'insetti volanti si rendono più molesti e piti numerosi anche nelle abitazioni. Né è assurdo il credere che la mancanza delle ron- dini contribuisca all'aumento effettivo del numero degli insetti. 11 prof, conclude, che 1' uccisione delle rondini debba essere affatto vietata. Parla dei loro figli che pesano più dei genitori, per il grasso che è fra la cute ed i muscoli. Parla ancora che è uno squisito cibo e dt lusso. Ed oltre ai rondinini da nido, an- che le adulte rondini sono un grato cibo a molti- La seconda richiesta è la persuasione, che il loro volo frequente ecciti neWaria una ventilazione che la depura. Che le rondini possano col loro volo dare un certo sviluppo agli strati dell'aria, e che rompano quella stagnazione opprimente, che in estate ha luo- go in un' aria, o bassa pianura , ciò non ammette dubbio. Diftìtti non eccita una ventilazione, ma una semplice dislocazione di una piccola massa d'aria , senza che alcun movimento si propaghi alle grandi colonne dell'atmosfera. Riassume dunque l'A.: Gli abitanti di Marsciano hanno ragione di vietare l' uccisione delle ron- dini , perchè quelli che distruggono i nidi sotto i ietti delle altrui case, e quelli che uccidono rondini, lo fanno per bizzarria, e non per uso dì vitto. 193 La XXXVI II Memoria è una proposta dhin regola- mento di polizia sanitaria per la città di Roma. Tutti i governi , in ispecie quello de' pontefici romani , ebbero speciale cura di porr« in salvo la pubblica salute. È lungo tempo che si desidera un codice di sa- nità mediterranea, che regoli i sistemi della polizia d^lle case, strade, sepolcri, cimiteri, acque pubbli- che, arti fetide, sostanze alimentari ed annonarie. Uno degli oggetti che si riferisce alla salute del popolo è l'esercizio di tutte le arti salutari. In Ro- ma non si è trascurato mai di vegliare a ciò che questo esercizio fosse il piiì acconcio per la salute pubblica. Il prof, incomincia il primo Regolamento. Le grandi riunioni nelle città popolose, se favoriscono lo sviluppo delle facoltà morali , degradano quelle fìsiche, come si prova nelle tavole necrologiche delle città, le quali danno una mortalità media di 5 in- dividui sopra 100 , mentre questo stesso rapporto nelle campagne e nei piccoli popoli non giunge mai al due e mezzo per cento. Così la Provvidenza volle bilanciare la sorte dei colti abitanti di una gran città, e dei rozzi coltivatori delle campagne, retribuendo a questi la prosperità fìsica, ciò che non potevano conseguire in godimenti di spirito, e vi- ceversa. Le migliori leggi perdono la forza morale col tempo, e se incorrotti magistrati destinati a vegliare alla loro esecuzione non ne ravvivano l'osservanza G.A.T.CXLllI. 13 19i con rigoiosi esempi, finiscono colTandare in oblìo. Koma città ampia, e per la vastità del suo perime- tro, non dapertutto fornita di case e di selciati, ha una debole popolazione in confronto della sua esten- sione : e questa raccolta sopra una sola dell' area compresa nel suo recinto , rimanendo ii resto col- tivato ad orti, vigne, giardini, traversata da uno de' maggiori fiumi d'Italia, è posta in una pianura nota per la sua nativa insalubrità. - Polizia sanitaria delle case. Ogni casa avrà un luogo comodo, chiuso e se- gregato dalle camere abitabili. Così pure le cucine saranno fornite di uno sciacquatoio. I luoghi como- di ed i sciacquatoi dovranno con condotti coperti mettere foce nella cloaca pubblica la più vicina. Non si getteranno dalle finestre nelle pubbliche strade sostanze escrementizie o avanzi di cucina. Le stalle dei cavalli, muli o asini dovranno essere tenute nella maggior nettezza. Niente si deve accumulare alle porte delle stalle. Lo stabbio deve essere rimosso tre volte la settimana dal maggio a tutto ottobre. Le case ristorate di nuovo , o fabbricate, non po- tranno affittarsi che decorso un anno dal compimen- to della fabbrica. L'articolo li forma la Polizia sanitaria delle stra- de e piazze. Sarà cura del governo di far rimuovere le immondezze della città: e si obbligheranno i pro- prietari delle case e botteghe di spazzare ogni mat- tina innanzi le loro case. Queste immondezze si tra- sporteranno alle nitriere artificiali: il dippiù si tra- sporterà alle vigne, prati, orti e giardini della città. Le piazze verranno spazzate come le strade. La net- tezza della piazza Navona, della Rotonda, e s. Eu- 195 stachio, e delle due pescherie saranno a carico di quelli che vi trafficano. È vietato a tutti di gettare nelle pubbliche strade animali morti. I cadaveri di questi, prima della putrescenza, debbono interrarsi sei 0 setti palmi. L'articolo III è La polizia sanitaria delle chiese, teatri, ed altri luoghi pubblici . Quando il prof, scriveva questi regolamenti non era stato fabbricato il vasto cimiterio al campo ve- lano- Lo spurgo delle chiese rurali devesi far di notte , e la combustione delle casse mortuarie in luoghi lontani dalle abitazioni. Le chiese devono es- ser ventilate in tali ore opportune. 1 teatri avranno dei ventilatori , nei quali è mefitismo per la folla degli spettatori, e per i lumi che vi ardono. I fuochi, le illuminazioni, e gl'incendi che fanno parte delle decorazioni della scena, ponendosi in uso l'arsenico, l'antimonio, il zolfo, che sono sostanze che emanano vapori venefici, e soffocativi , devonsi eseguire in vasi di vetro, dirigendo anche le correnti di aria in modo che dalla scena non vengano portate nella sala degli spettatori. Gli anfiteatri ed altri luoghi di pubblici spettacoli, ove gli spettatori siedono in sedili scoperti , o dovrebbonsi vietare in tempo di pioggie, o coprirsi con tappeti, o stuoie. L'articolo IV è La polizia delle acque potabili. 1 magistrati devono vegliare sopra la conservazione delle acque. Per le acque delle fontane basta la vi- gilanza dei loro condotti: acciò non sia alterata la purezza e bontà, converrà sempre ripulirli dai rot- tami, terre, immondezze, o aoiinali che sianvi ca- duti dentro. I pozzi devono essere aperti a comodo 196 di più inquilini che vi attingono l'acqua: hi diligen- za dev'essere maggiore nel mantenerli netti. Sovente si ripuliranno i pozzi per le sostanze in corruzione, che possono esservi, e per la continua deposizione del pulviscolo che si accumula nel fondo. Devono ripulirsi due volte l'anno, cioè in primavera ed au- tunno. I bacini delle pubbliche fontane sono lava- cri di erbe, e ricettacoli d'immondezze d'ogni ge- nere; perciò si può ordinare ai pubblici scopatori di ripulire periodicamente questi bacini, acciò non di-^ vengano centri di putrefazione e di mefitismo. L'articolo V è La polizia sanitaria delle cloache. Le pubbliche cloache destinate a ricevere non solo le acque piovane, ma quelle degl'interni lavatoi delle case, le materie escrementizie dei luoghi comodi, sono uno dei mezzi più provvidi ritrovati per ga- ranzia della salute pubblica nelle grandi città. Ma le cloache, a cui sono destinate debbono, essere co- struite in modo che facile ne sia l'accesso , quante volte abbisogni di risarcirle. Che lo scolo delle ma- terie solide e fluide, che trascinano, sia facile, e per il declivio, e per l'abbondanza d'acqua che deve di- luirle. Che le loro aperture siano poco superiori al livello delle acque medie del Tevere, nel quale sboc- cono. Si vieterà di gettare spoglie di insetti , carni e pesci putridi, ed ogni sorta di materie animali putresQ'Jìili nelle aperture delle cloache pubbliche e piazze della città. Di tutto il sistema poi di cloache pubbliche e private converrebbe far ledigere una carta topografica dagl'ingegneri pontifìcii per ripa- rarne i danni , e per allontanarne i condotti dalle acque potabili e dalle fontane pubbliche- 197 L'articolo VI è La polizia sanitaria delle ripe del Tevere. Le ripe del Tevere devono esser tenute a piceo, e fiancheggiate da muri, perchè così le sue acque hene incassate non lascerebbero sulle ripe dei seni, ove il moto è quasi nullo, ed ove svolgendosi dei gas nocivi, come quei delle paludi, si conoscono sotto il nome di gas infiammabile del Tevere. Si dovrebbero vietare i così detti scarichi sul Tevere, tanto delle immondezze, quanto dei calci- nacci e materie solide. Si devono mantenere in vigore i regolamenti sul modo di bagnarsi nel Tevere, e finalmente la proi- bizione di uccidere il pesce colle paste, o altre so- stanze avvelenate , il che getta sulle rive un gran numero di cadaveri, e tende a sottrarre una sor- gente di alimenti salubri per il popolo. L'articolo VII è La polizia per le arti infette L' odierna civiltà ha dato origine a molte arti, fra le quali alcune generano vapori venefici, altre putridi e fetidi. La polizia sanitaria deve contemplare gli effetti, che queste diverse possono produrre sulla sa- lute pubblica. Le arti che producono i vapori venefici sono quelle che lavorano i metalli. Quindi gli affinatori dell'argento, i doratori, i fonditori di piombo, rame, stagno e zinco , e tutte quelle arti che producono vapori di piombo, mercurio, rame, arsenico, antimo- nio, debbono essere sorvegliate dalla polizia, la quale deve ordinare che fossero raccolte in istrade sepa- rate, e di più che ciascuna officina fosse munita di fornello con ampia cappa, terminante in un cammina aperto sopra il tetto. Questa disposizione per il peso 198 dei vapori metallici, che ricadono sul tornello, o si agglutinano alle pareti della cappa e del cammino, era già un ottima garanzia della salute dei vicini. Quelle arti che producono vapori putiidi, come fonditori di sevo, di amidaio, fabbricatori di corde armoniche , i magazzinieri di unghie e corna per concime delle terre, quelli di formaggi, carni e pe- sci salati, meritano di essere rilegati in parti re- mote della città. Le arti che danno effluvii fetidi , come sono le concerie delle pelli colla vallonea , sommacco, scotano, mortella, le macellerie, le far- macie, le distillerie, le saponerie, le profumerie, le botteghe dei pettinai e dei maniscalchi, i verniciai, i luoghi di suola, vacchetta, le cererie, esigono la sorveglianza in un ben regolato sistema di polizia sanitaria. I macelli, le conce ed i locali per dar le ver- nici devono affatto rivolgersi in luoghi lontani dal centro della città. Le conce sono quasi tutte nel rione della Regola. Riguardo ai macelli, ora si è sta- bilito il grandioso locale della mattazione, mercè la munificenza di Leone XII, allontanandosi dalla città il puzzo, e tutti i depositi di sangue, e sevo che sono inerenti al pubblico macello. La vigilanza sopra la salubrità o insalubrità delle sostanze alimentari, come carni, pesci, erbaggi, frut- te, latte, formaggi, funghi, salumi, olii e vini, per- chè posta sotto la direzione di un tribunale specia- le, dovrebbe far parte della polizia sanitaria. 199 La XXXIX Memoria è la formazione dei cimiteri fuori di Roma. Il pontefice Gregorio XVI nel 1833 fece ordi- nare un cimitero vasto nel Campo Verano. Vi pose la prima croce, e fu aperto dall' inclito porporato, vicario di S. Santità, cardinale Odescalchi con ap- provazione di tutta Roma. Il cosi detto Campo, Verano fuori porta s. Lo- renzo, era già nel piano formato dal nostro illustre professore. La XL Memoria è sopra i candelottai, saponai e sopra la liquefazione del sevo in commercio. Il celebre Frank consiglia di rilegare lontano dalls città le arti fetide , come uno dei provvedi- menti utili per la salate dei cittadini. Gl'imperatori romani aveano disposto su quest'oggetto la posizio- ne e la nomenclatura di varie contrade di Roma , e mostravasi conveniente d'isolare tutte le arti fe- tide: e gli statuti di queste arti, sanzionati dai se- natori di Roma e dai pontefici, contengono utili pre- cetti, provvedendo ancora al decoro della città, alia pubblica salute, ed a quella degli artefici che le eser- citavano. Queste arti hanno abbandonato le contra- de, e sonosi sparse nei luoghi più splendidi della città. Fra le arti le più fetide e le più malsane sono la liquefazione del sevo in carniccio, la fabbricazione delle candele di sevo e quella dei saponi. Si rifletta che il sevo in carniccio è una sostanza animale 200 grassa, ed ha umori putrescibili. Questo inviluppo di sostanze dà luogo alla decomposizione putrida delle membrane, e degli umori mescolati col gras- so. I prodotti volatili della putrefazione animale si formano in copia, spargendo un gas ammoniacale, ed infettando di odor cadaverico il vicinato. I pro- dotti di questa operazione sono quelli di un cada- vere in putrefazione, pericolosi nell'estate, e perni- ciosi all'umana salute. L'impiego del sevo, anche depurato dal carnic- cio putrido, ha il medesimo fetore, quale si impiega nella preparazione delle candele di sevo e dei sa- poni. Le leggi prescrivono che la prima delle due arti in questione si eserciti in giorni fissi di notte, acciò siano chiuse tutte le porte e finestre : e per la seconda esige il regolamento, che le caldaie siano munite di una cappa con cammino aperto nel tetto, e che i resti dell'operazione siano trasportati fuori dell'abitato. La XLI Memoria è sopra le vaccinazioni eseguite negli stati pontificii dal giugno 1823 al giugno 1824. L'eruditissima relazione, che dà il nostro profes- sore alPeminentissimo cardinale segretario di stato Della Somaglia sopra la vaccinazione , merita una seria considerazione. A provar questa tesi l'A. adduce dei fatti? che l'antiche storie ci hanno trasmessi sopra la lebbra e l'elefantiasi, malattie terribili e sordidissime, che leggi savie sopra la scelta dogli alimenti , e sopra 201 l'impiego di salutari abluzioni, hanno folto scompa- rire dalla terra. La scoperta del nuovo modo spande sull'antico un male terribile, che avvelenando la sorgente della propagazione della specie, ne fa temere la distru- zione: e poco dopo questa stessa scoperta versa in Europa una droga, che la fa sicura da un micidial flagello delle febbri periodiche. Le invasioni degli arabi avevano spopolate le più belle contrade dell' Europa meridionale meno colla barbarie , che col propagarvi la peste variolica. Un medico inglese verso la fine del secolo pas- sato scopre l'antidoto per estinguere questo conta- gio. Jenner coli* innesto di una innocente malattia presa da uno degli animali piiì utili agli uomini , rese il servigio il piiì segnalato, che vantino gli an- nali del mondo- Nobile destino riserbato dalla Prov- videnza ad un uomo, cui è dato di fare al genere umano un tanto dono. Né recherà maraviglia che la felice scoperta penetrasse colla rapidità della luce non solo fra tutte 'le nazioni incivilite, ma per sino fra i popoli i piij barbari dell'Asia, dell'Affrica, presso i selvaggi dell'Oceanica e quelli dell'America. L'A. essendo presidente del comitato di vaccinazione ren- de conto de'suoi lavori , e fa conoscere con quale impegno avesse soddisfatto ai doveri imposti alle commissioni provinciali. Il numero di 88,788 vac- cinati nel primo semestre, ebbe luogo col concorso favorevole di tutti i medici e chirurgi degli stati pontificii. Il vistoso numero di sessanta medaglie di argento e cinque d'oro, si trovò scarso a ricompen- sare tutt'i meritevoli di premio. 202 Il prof, fa risultare dai calcoli più moderati dei medici europei, che il terzo almeno di quelli che sof- frono il vaiuolo arabo, ne periscono, e- ne contraggo- no deformità o malattie incurabili. Più di 60 mila fanciulli nello spazio di due anni furono nei domini! pontificii, o conservati in vita, o preservati dalle de- formità prodotte dal vaiuolo arabo. La XLII Memoria è sul gaz infiammabile del Tevere. L'A. dirige una lettera al dottissimo Brocchi, in cui gli dice, che esso preparasi a dare una carta geologica , e ricca di belle ricerche precisamente nel luogo chiamato Riva della penna) dando conto di molte polle di gaz di natura infiammabile. L' A. assistito dai professori Barlocci e Conti volle ricercare il fenomeno. Riva destra. La prima polla di gaz si trova vi- cino al ponte Molle, scendendo verso Roma, ed è assai voluminosa. Altre più piccole, seguendo la stes- sa riva, se ne trovano al dì là* del praticello. Pro- gredendo più oltre, un' altra polla di gaz si trova dentro la città sotto il bastione di Castel s. Angelo vicino alla legnava. Una quarta fra Vangolo del muro del giardino della Farnesina e porta settimiana; e fi- nalmente due miglia aldi fuori della porta portuen- se. Si notò che queste sorgenti di gaz , meno la prima a ponte Molle, non sono perenni, ma ad in- tervalli più o meno lunghi, non maggiori d'un quar- to d'ora. Riva sinistra. Vicino al fonte dell'acqua acetosa sorgono polle di gaz, parte sotto l'acqua del fiume, 203 e parte sulla sponda contigua. Né deve sorprendere, essendo il punto pel quale confluisce al Tevere il gaz che estingue i lumi, imbianca l'acqua di calce, avendo i caratteri del gaz acido carbonico. Furono vedute altre polle alla spiaggia della pemitty all'arco di Parma, a s. Giovanni de' fiorentini: più deboli e pili languide sotto il cimiterio della morte , rione Regola, ghetto, a porta Leone, ed infine alla salava. 11 gaz raccolto fu quello nella riva della Penna. Quando fu raccolto aveva un odore sensibile di pe- trolio; avvicinando una fiammella alla bocca del va- so si accendeva , ed ardeva con fiamma debole e turchiniccia. Due misure di gaz ed una di ossigeno non detonavano nell'endiometro di Volta colla scin- tilla elettrica formando gran quantità di gas acido- carbonico. Una misura di gaz ed una di dorino, me- scolato in un vaso ampio di vetro sull' acqua , ed esposto alla luce solare, si combinavano con un leg- giero fremito, e si deponeva sulle pareti del vaso una polvere nera finissima, ch'era puro carbonio. Si formava nel tempo stesso una piccola quantità di sostanza grassa soprannotante all'acqua: e tanto la boccia che conteneva i gaz, quanto il vaso ripieno d'acqua , nel quale era tuffato il collo di quella , spargevano un odore di nafta. Il peso specifico del gaz ridotto a 0° di temperatura, ed alla pressione di 70 centimetri, si trovò con una esperienza = 0, 920, 63. Il calcolo, secondo le proporzioni di diversi fluidi elastici che Io compongono, darebbe un peso specifico = 0, 923; differenza compresa nei limiti degli errori inevitabili in una esperienza diretta. Il peso assoluto di 100 pollici cubici dello stesso gaz, 204: ridotto alla tempcraitui-a e pressione, fa ttovato egua- le a grani 36, 75 della libbra romana. Queste espe- rienze indicavano già, che il gaz del Tevere era un gaz infiammabile composto, analogo, ma non però affatto simile a quello che si conosce sotto il nome di gaz infiammabile delle paludi. Molti chimici aven- do avanzato, che nel gaz infiammabile delle paludi si trova qualche volta del gas ossigeno; si rinchiu- sero certe misure di gaz del Tevere in un endio- metro a fosforo, e non essendosi dopo 24 ore os- servato alcun assorbimento in una temperatura egua- le a quelle del principio deiresperienza, se ne de- dusse essere il gaz del Tevere scevro da qualsivo- glia proporzione di gas ossigeno. I risultati di queste esperienze si vedono rac- colti in un quadro a scanzo di prolissità. Nella pri- ma esperienza scomparvero 153 parti d'ossigeno, e 75 del gaz infiammabile, e lassorbimento totale fu di 228 parti sopra 400 del miscuglio fatto nell'en- diometro. Se le 75 parti di gaz infiammabile fos- sero state interamente del gaz idrogeno carbonato semplice, l'ossigeno assorbito dovendo essere in dop- pia quantità, non avrebbe dovuto ammontare che a 150 parti, e l'assorbimento totale avrebbe dovuto essere 225- Vi furono adunque 7ioo ^^ ossigeno as- sorbito in eccesso: il che indica nel gaz sottoposto alla esperienza una quantità di gaz oleifico eguale a questo eccesso. Nella seconda esperienza l'ossigeno assorbito fu di 150 parti, e pertanto il gas infiammabile scom- parso fu di 76 partì, le quali se fossero state com- poste di gaz idrogeno carburato , avrebbero dovuto' assorbire 152 d'ossigeno e non 150- 205 Finalmente nella terza es^x^rienza l'ossigeno con- sumato fu di parti 159, che sottratte dairassorbi- mento totale 236, lasciano 77 di gaz infiammabile. Ma se le 77 fossero state formate di gaz idrogeno carburato, non avrebbe assorbito che 154 d' ossì- geno; dunque vi si trovavano 5 parti di gaz oleifi- eo. Dal che si vede che il gaz del Tevere non è perfettamente identico, e di una costante propor- zione ne'suoi principii infiammabili. I risultati del prof, sono d' accordo con quelli di Berthollet, Thenard e Dolton. II celebre Fran/^lin scrisse la prima notizia al dott. Priestley il 10 aprile 1774- sull'invenzione dei gaz infiammabili naturali. Franklin visitò il paese, e sperimentò il fenomeno nel 1764. L'illustre Volta dodici anni dopo, ossia nel 1776, scoprì l'aria infiammabile delle paludi. Dal che si vede che non è piccolo il merito dovuti ai fisici italiani per le loro ricerche sopra i gaz hfiammabili pesanti^ e di rinvenire l'origine del gaz Jel Tevere, La XLIII Memoria è sullo stato delU tintone di Roma. Tingere i drappi che servono all'abbigliatura de- gli uomini, 0 a decorare con tappezzerie vario-co- lorate i loro domicili, o a rendere spbndidi gli or- nati delle loro mobilie, fu sempre rigjardato come prova di magnificenza nei privati, e d'ndustria e ci-, viltà nelle nazioni. Dopo il rinascimento delle arti, i popoli di Eu- ropa fecero a gara per riconquistaie il perfeziona- 206 mento della tintura. Le lane e le sete non furono le sole materie, sulle quali cercarono di fissare i colori: vi si aggiunsero il cotone, il lino e le cana- pe. L'emulazione produsse risultamenti sliaordinari nell'arte di tingere, ma tutto era involto nel segreto. Hellot, Macquer, Bergman, Paerner, Gubliche, e finalmente Berthollet, portarono la loro attenzione sopra la tintura delle stoffe: ed i segreti di queste arte sono venuti sotto il deminio della scienza, con- tribuendo a questi risultati i lavori recenti di Roard, Raymond, Vitalis e Branckorft. L' accademia dei lincei incaricò il nostro pro- fessore di esporre lo stato, in cui trovansi presso di noi i lanificii, cominciando dalla qualità delle lane indigene, fino alla tintura dei drappi formati colle medesime L'illustre chimico cominciò le ricerche dal nu- mero delle tintorie in lana esistenti nella città , e che s'impiegano alla tintura in grande delle stoffe: e rinvenne, che esse non ammontano che a 15 o 16, delle qiali dieci annesse a fabbriche di panni in lana, e h rimanenti staccate dai lanifici, e che si occupano promiscuamente di tingere non solo in lana, ma bei anche in seta ed in cotone. Qui enu- mera le 15 ìiibbriche delle tintorie romane: ma sic- come per le tinte fine e solide in verde, in blu, in nero ed in bruno si richiede il tino in rame o in legno, come oer la tinta vera di scarlatto si richie- de la caldaia ii stagno , o di rame ben stagnato , portò l'attenzione sopra di ciò, e trovò che quanto al tino, esso t posseduto dai primi otto de'nomi- nati tintoli, e quanto alla caldaia di stagno per lo 207 scarlatto non si trova che nelle officine dei primi quattro. Le fabbriche di panno prive di tino e di caldaia di stagno, quante volte vogliono tingere in- fino ai colori sopra indicati, inviano i loro drappi alle officine fornite di questi mezzi, e con una retri- buzione fissa che pongano ad esse, forniscono i loro spacci di panni a tinte solide- L'A. incomincia dalla tinta rossa, quindi passa al blij, al giallo, ai colori falsi, bruni e neri, ed infine termina coi colori mi- sti, ed in ispecie colla tinta verde. La tinta in rosso, che dicesi allo scarlatto, esige due operazioni, l'una col bollore, l'altra colV arrossa- mento. Si versano in una caldaia di stagno , o di rame stagnato, otto o novecento libbre di acqua, e sei e mezzo di cremor di tartaro. Si dà il fuoco alla caldaia, e quando è al 40." di Reamur si agita con pale di legno per accelerare la soluzione del cremor di tartaro: si aggiungono due libbre e mezza di cocciniglia in polvere: e poco dopo sei libbre e mezzo di soluzione limpida di stagno. Subito si tuffa il drappo nel bagno: e si fa circolale presto in esso due 0 tre volte, si rallenta questo movimento, si porta il bagno ad un calore vicino alla ebollizione, e vi si tiene il drappo immerso per due ore , poi si estrae , si sventa all'aria, si lava all'acqua cor- rente e si procede alla seconda parte del processo. Si versa nella caldaia la stessa quantità cU acqua che fu adoperata nell'operazione precedente, si fa bollire e vi s'infondono due libbre e tre quarti di cocciniglia in polvere fina, agitando il bagno ed ag- giungendovi dopo mezz'ora tre libbre di soluzione di stagno. Si fa allora cadere la temperatura del 108 bagno a qualche grado sotto l'ebollizione, e vi si tuffa il drappo facendolo circolare come prima per una mezz' ora o finché il drappo abbia preso quel tono di colore che si desidera e che si giu- dica al paragone di altro panno scarlatto bagnato messo accanto a quello che attualmente si tinge. Dopo questo si sventa e si asciuga. L'A. asserisce che i descritti processi coincidono con quello dei tintori stranieri e degli scrittori francesi. L'indaco solo somministra sulla lana i blu so- lidi : ma il guado ed il campeggio , benché diano isolatamente tinte poco stabili, sono però utili come ausiliari deirindaco. Il blu di Prussia, chiamato oggi idro-cianato di potassa, è stato introdotto nella tin- tura, ma solo si è perfezionato sulla seta. L'indaco dunque, ch'è la base delle tinte blu solide, si ado- pera in due maniere: o sciolto in acido solforico, ed allora le stoffe di lana debbono essere alluminate, o aver ricevuto il mordente; ovvero in semplice so- luzione acquosa, ed allora la stoffa non esige alcuna preparazione , e questa è propriamente la tinta al tino. Varie sono \& maniere di adoperare il tino: 1.' col pastello, o sia guado e calce: 2." coll'indaco ed un alcali in vece della calce: 3.° senza pastello con calce è il più comune. L'A. descrive la preparazione dei tini,' ed in fine il tino d' India, o volante, non praticato dai nostri tintori, e quello a freddo, o al vetriuolo per fare il bagno di vetriuolo verde, calce e potassa, o calce e soda. Le piccole tinte sono ben eseguite nelle nostre tintorie. Il color giallo più solido per le lane è 1' erba 209 ruzza : tutta la pianta meno lu radice, si adopera alla tintura. Il vclriuolo imbrunisce, e la dissolu- zione di stagno gli communica il bel colore detto giallo di canario. I pili usitati sono il bagno di rob- bia per dare al drappo il giallo dorato, il bagno di scorza di noce per avere un giallo bruno, e questa chiamasi brunitura. Dopo Terba ruzza, il giallo più solido si ottiene dal legno giallo di Tobago nelle Antille, per farlo tendere al giallo-arancio. Tutti gli altri gialli danno colori scuri e di poca solidità. Il sommaco somministra i colori falsi senza mor- dente. La tintura in falso è la piiì facile, e si ottiene dalla scorza di noce, radice di nocciuolo, scorza di nino, ed il so.mmacco- Il santalo rosso è il solo che viene dalle Indie , e serve per i colori caffè e cioc- colatte. La fuligine è impiegata più alla tintura della seta che delia lana. Il nero è privo di ogni colore: si ottiene colorando prima la stoffa in blu al tino, ^e poi tenendola per due ore in un bagno bollente di noce , galla e legno di campeggio. La stoffa si rileva, e vi si aggiunge al bagno un dodicesimo del I suo peso di solfato di ferro rosso o di piroglignato di ferro. L'operazione è come le altre. Mescolando il rosso e blu si ottengono i colori di tutte le gradazioni, da quello cioè di viola mam- I mola, al color di porpora, lilas, fior di malva, fino a quello di pesco. Risulta dunque che le pratiche adoperate dai no- i| stri tintori per ottenere i colori solidi sono iden- ;| ticamente le stesse di quelle delle più famose offi- II cine d'Europa. G.A.T.CXLIII. 14 210 La XLIV memoria è sopra alcune riflessioni di rianimare il commercio delle lane e la fabbricazione dei panni. 11 prof, ha raccolto un numero di fatti nella se- zione Agricoliura della Biblioteca universale in ri- guardo al governo della razza merina del gregge la- nuto e sopra i modi di conservare , mantenere e migliorare la lana fina. 11 governo gli propose il pro- blema di esaminare e proporre i mezzi per far ri- sorgere fra noi 1' industria della fabbricazione dei panni, introducendosi delle macchine inglesi e fran- cesi, e migliorare Parte di tingere i drappi di lana in tinte fine e solide. A rendere ragione delle vicende che la sperienza insegnò, che la razza merina non prospera che nei climi nò caldi né tutti settentrionali, è un problema rimasto ancora da sciogliersi, 11 suolo arido e leg- gero produce pascoli magri, delicati e poco nutri- tivi e che favoriscono la finezza delle lane; mentre i pascoli pìngui e concimati delle pianure d'Inghil- terra, di Fiandra e di Olanda si trovano poco pro- pri a mantenere questa finezza, ed esigeranno le più grandi cure di rinnovamento annuale di giovani mon- t;oni di razza primitiva per ovviare all'ingrossamento successivo delle lane. I panni inglesi ed olandesi, rimarchevoli per la solidità dei loro tessuti, erano riputati inferiori ai panni francesi , morbidi e fini egualmente stimati per la bontà delle loro tinte. Oggi (1826) che gl'in- glesi traggono iaimense provvisioni di lane fine dalle rnandre merino di Russia e della Nuova Olanda e 211 queste a vili prezzi, le loro fabbriche hanno acqui- stato sopra le fabbriche francesi un maggior pre- gio. È da riflettere che V introduzione della razza spagnuola incorse presto, e per la ragione dei pa- scoli pingui e sugosi, suiringrossamento delle lane, dappoiché era per questa razza poco opportuna la collocazione nelle maremme, e per manteneie la bontà delle lane convenne ricorrere alla rinnovazione de'montoni di razza primitiva, il che arrecava dispen dio e non incoraggi alcuno ad imitare l'esempio dei primi introduttori della razza mcrina. I montoni merini comunicarono un grado di finezza nelle lane ignoto a quel punto: prosperarono le fabbriche dei borgognoni: s'introdussero delle mac- chine per l'impiego e perfezione dei colori fini si- mili ai drappi inglesi e francesi. La fabbrica è ca- duta, meno quella delle lane bigie. Le lano restano invendute e lo scoiaggiamento è al colmo. L' A. vede difficile di rianimare il commercio delle nostre lane e la prosperità delle fabbriche di tessuti di lane. Concludesi , che manca tia noi lo spirito di associazione, che attenua per ogni socio proprietaria di una frazione piccola della mandra le spese di governo , di tosatura , di trasporti , di pascoli ec. I pascoli spaziosi in pianura sono nella nostra regione umidi , acquastrini , feraci di erbe palustri , poco adattati al regime del gregge me- rino, ed alla produzione di lana fina. Per una greg- gia di dieci mila individui, alcuni montoni di razza primitiva comprati annualmente non rincariscono di molto le spese comuni ad una greggia sì numerosa: laddove questa spesa diverrebbe ben gravosa per un piccolo proprietario isolato. 212 La XL V Memoria è sopra Viiso medico delVolio di Croton-Tilii. Questa si può chiamare una lettera direta al prof. Folchi, annunziandogli le esperienze eseguite in Inghilterra, in Francia, in Italia, che sono ben numerose, per assicurare a quest'olio la riputazione del drastico il più energico che si conosca. II doti. Monchini indirizza al lodato Folchi due osservazioni sull'uso dell'olio di Croton, e lo assog- getta alle sue luminose indagini. Generalmente però non si conviene sopra il tipo d'azione che esercita questo farmaco nella economia animale per pro- durre i violenti effetti drastici che gli sono propri. Per questa ragione non è inutile di raccogliere an- cora nuove osservazioni, dalle quali possa trarsi lume in pratica e determinare con sicurezza le condizioni patologiche le più favorevoli al suo uso e le più acconce a renderlo vantaggioso nelle malattie. Il prof, descrive con sagace pratica le malattie curate in vari individui coll'indìcato olio di Croton-Tilii e tutte riuscite felicemente- La XLVI Memoria è la necrologia del p, Gandolfì delle scuole pie. Il sunto di questa necrologia ritrovasi nell'Album di Roma 1835. Questo dottissimo fisico era di Ter- ria, terra del principato d'Oneglia; nacque nel 1753. Fece il noviziato , e gli studi filosofici in Ancona; poi chiamato in Roma come lettore di filosofia e matematica nel collegio Nazareno- La sua riputa-^ 213 /Jone Io fece presciegliere nell' anno 1792 a suc- cessore del p. Fonda lettore di fisica sperimentale, comunicando il primo alla romana gioventù le più brillanti dottrine e scoperte di fisica sperimentale. A questo celebre fisico dobbiamo le ingegnose viste del conte di Kumford sul calorico e le costruzioni di ogni sorta di fornaci, fornelli e focolari. Il me- nto del p. Gandolfi era sommo, insegnando la scienza fisico-chimica con indicibile ardore. La memoria di questo uomo è da onorarsi. La sua vita civile e morale fu irreprensibile : amico della gioventù , franco e leale nei suoi modi, riscosse la stima uni- versale dei sapienti e di tutte le accademie scien- tifiche: ai 10 giugno passò a miglior vita. Le opere pubblicate sono : Memorie sopra la ca- gione del iremuoto. - Lettere al principe Boria sulla falsa ardesia. - Sopra gli olivi. - Sulla maniera di costruire cammini. - Appendice a questa memoria. - Acque termali del bagno di Canino. - Dissertazione sopra le condizioni necessarie perchè una machina elettrica sia capace del massimo effetto. - Lettera al dott. Morichini sull'ottima costruzione delle macchine elettriche. La XLVII Memoria è la necrologia del p. Carlo Giuseppe Gismondi delle scuole pie. Una nuova e più deplorabile perdita strinse il prof. Morichini a compiere un egual dovere con dare un tributo di lodi al suo maestro ed auiieo , qual fu il p. Gismondi, lettore di mineralogia dell'archi- ginnasio romano. Nato in Mentono nel principato éi 2)4 Monofio nel 1762; vestì l'abito religioso delle scuole pie in RoiTia nel novembre del 1779. In questo tempo intraprese un museo mineralogico , strinse amicizia co'celebri mineralogi inglesi Hamilton e Thompson, col francese Dolomien: e pe'larghi doni dell'imperatore Giuseppe II e di Pio VI, questo museo in breve giunse a tale da potersi riguardare come uno de'più ricchi e completi d'Italia. Amava il Gismondi d'insegnare le scienze naturali per passione, più che per dovere. Acquistò un museo mineralogico per l'università, per la generosa bontà di cuore di mon- signor Lante, tesoriere di Pio VII, aperto nel 1805 per la studiosa gioventiì. Scopiì la laziaìile e Vabra- zile, che furono le prime scoiterle che illustrarono il suo nome, e lo resero noto ai mineralogi d'oltre- nionti ed italiani, eccitò l'attenzione del Gismondi la singolare collina di Monte Mario per l'immenso deposito di conchiglie fossili che vi si ritrovano, e per gli alternati strati di prodotti vulcanici marini e fluviatili che si osservano verso Tor di Quinto. Il re di Napoli 1' invitò a coprire la cattedra di mineralogia nell'università , ma non lo permise la sua salute : accettò 1' incarico , ma per per breve tempo, lasciando la cattedra di Roma all'incompa- rabile suo allievo professore Pietro Carpi , la cui fama presente è conosciuta di qua e di là dalle alpi. Il p. Gismondi lesse una erudita memoria all' accademia de'lincei nel 1816 col titolo: Osservazioni sopra alcuni minerali de^conlorni di Roma . Tre furono i minerali che prese ad esame il no- stro mineralogo. Il primo rinvenuto nelle roce di 215 Albano, il secondo nella lava di Capo di Bove, che chiamò abrazite, e che il professore a Heildelbuifg volle chiamare Gismondina. II terzo è la pietra alluminosa della Tolfa. A questo insigne scienziato è dovnta la scoperta d'una nuova sostanza rinvenuta da esso sul monte Lazialey chiamata Lazialite, annunziando questa sco- perta nel 1803 ali accademia dei Lincei, rendendone conto ancora al danese Braun-Neergand, all'istituto di Francia , e a tutte le accademie di Europa Vullima memoria, che è la XLVIH, è V orazione degli studi recitala ai 25 di novembre 1802. Un'aurea latinità, associata a robustezza di ar- gomenti per l'incremento e nobiltà di tutte le scienze che si professano nell'archiginnasio della Sapienza di Roma, forma l'orazione inaugurale del professor Monchini. Egli dopo aver fatto conoscere quanto incivi- limento rechino le scienze alle nazioni , scende a trattare con un eloquio sublime tutte le piiì splen- dide scoperte che in queste scienze rifulsero- Progredendo colla sua penna eloquente ad enu- merare i vantaggi, che alla società ed a tutti i po- poli le scienze naturali somministrono , invoca il braccio potente dell' inclito e generoso pontefice Pio VU, acciò protegga, e renda solido il suo pa- trocinio per l'incoraggiamento alla studiosa gioven- tù, e per renderne decoro e magnificenza alla città di Roma ed alla università degli studi, B. Chimenz. 216 1. R. ISTITIÌTO VF.iNKTO DI SClENZIv, LETTERE ED ARTI. RAPPORTO intorno alla Memoria del signor commendator Cialdi che ha per titolo « Cenni sul molo ondoso del mare e sulle correnti di esso. )> • Commissari Ing. Casoni , professor Minich e professor Tu razza [relatore). Il chiarissimo commendator Cialdi, esperto marino, e noto scrittore di idrografia, presentò nell'anno or ora decorso a questo 1. R. Istituto una sua Memo- ria manoscritta, intorno al moto ondoso del mare ed alla sua influenza , specialmente allo scopo di stabilire le regole che devonsi seguire per la più sicura costruzione dei porti. Commesso ai sotto- scritti il carico di riferire intorno a questa memo- ria , essi non possono a meno di non riconoscere la grande importanza del soggetto propostosi dall'au- tore, e di lodare l'erudito e diligente metodo se- guito dal medesimo nel tentare una soluzione di questo arduo problema, intorno a cui si adopera- rono con maggiore o minore successo i più chiari nomi non solo che maggiormente illustrano le idrau- liche cose, ma quelli eziandio che o per pratica di mare, o per lungo esercizio di costruzioni marittime, ebbero più che altri occasione di mettere ogni loro studio neir esame di questo complesso ed impor- tante problema. L'autore comincia con una esposizione delle varie 2Ì7 opinioni portate dalla maggior parte di quegli scrit- tori che 0 direttamente o indirettamente ebbero a considerare un tale fenomeno; nella quale esposi- zione è veramente mirabile la sua vasta erudizione, e solo forse si potrebbe desiderare, che lasciate al- cune di quelle opinioni come meno concludenti, si fosse maggiormente sotfermato ad analizzare le ipo- tesi, 0 teorie che dire si vogliano, di quegli autori che trattarono ex professo di una tale questione : parendo ai sottoscritti esser egli passato talora troppo leggermente sopra alle stesse, in modo di non schi- vare alcuna fiata una qualche incertezza circa ad alcuni fenomeni essenzialmente separati: locchè però è qui detto più in riguardo de' leggitori che del- l'autore, al quale si scorge ben essere tutte quelle questioni e quelle teorie assai famigliari. Né una tale analisi è qui posta dall'autore per puro lusso di erudizione, ma serve a mostrare quanto varie e discordanti ancora sieno le opinioni soste- nute in proposito anche dai piiì celebri maestri di idraulica, e quindi quanto sia necessario di prendere di nuovo in accurato esame il problema medesimo, per cercare, mediante la discussione dei fatti i più avverati, di porre le basi ad una soluzione, la quale riesca applicabile alle varie questioni che possono sorgere in proposito. P]d è appunto ciò che con ar- dire veramente commendevole si propone di fare l'autore, nei due articoli ne' quali è partita questa sua Memoria, e che hanno per iscopo di analizzare nel primo le circostanze, i fenomeni, le leggi del- l'onda , e de' suoi effetti così in alto mare , come ia prossimità del lido : di paragonare nel secondo 218 gli effetti ehe possono produrre le correnti a quelli generati dai flutti , per dedurre a quale delle due cause devesi principalmente riferire la distruzione delle opere marittime e l'interrimento de' porti. Nel primo articolo, dopo una diffusa enumera- zione di svariatissimi fatti così riferiti dai varii au- tori, come ancora presentatisi allo stesso scrittore nelle sue molte e lunghe navigazioni, reputa di po- ter porre fuor d'ogni dubbio il fatto seguente, che crediamo qui opportuno di riportare colle medesime parole dell'autore; cioè: « Nelle grandi tempeste, mentre regna vento fu- » rioso, i marosi avere moto di vibrazione in tutta » la massa fluttuante e di trasporto nella parte su- » periore; e questo secondo moto essere molto più » sensibile presso il lido che in alto mare, e con- )) ferirsi a tutta la massa quando lo sviluppo in- » feriore del maroso trova inciampo, conservandosi » però anche quello di vibrazione sino a che si frange )) sul lido. )) Avere i flutti nei casi di vento ordinario moto » apparente, quasi per intero, in alto mare; ad evi- )) denza reale presso il lido, più o meno in ragione » della profondità dell'acqua, della natura e forma )) del fondo, e della forza e durata del vento ». Noi non entreremo qui in una minuta discus- sione dei varii fatti che condussero 1' autore nella sentenza ora esposta; ma trattandosi di un teorema idraulico della massima importanza, non possiamo passare sotto silenzio alcuni dubbi che sorsero in noi intorno alle interpretazioni ed alle deduzioni che l'autore trova di dover inferire dai medesimi. Con- 219 veniamo di buon grado coli' autore nell' accordare un piccolo moto reale di trasporto alla parte su- periore dell'acqua allorché soffi il vento assai ga- gliardo e duri per molto tempo nella medesima di- rezione; imperocché questo fatto é nettamante di- mostrato dalle correnti che durante l'azione del vento, e al cessar della stessa, sì riscontrano alla superfi- cie dell'acqua; dal ffitlo osservato nei nostri laghi del cosidetto dislivello dopo forte e prolungato vento; non che da molti altri fatti recati in campo dall'au- tore; ma però, a voler dare a questo fatto il suo giusto valore, ci parrebbe necessario primieramente di escludere quelli, nei quali il corpo galleggiante essendo in presa col vento non si può con sicurezza dedurre dal moto di questo, quello della massa li- quida; bisognerebbe escludere il caso del mar Rosso, avendo le attuali livellazioni mostrato essere il li- vello medio del mar Rosso e del Mediterraneo pres- soché eguale, ed anche perchè se questo non fosse si dovrebbe ciò ripetere da una causa essenzialmente differente. Così pure nasce assai spesso il dubbio che , avendo in altro luogo mostrato 1' autore che l'influenza del fondo si può hv sentire anche, come egli assicura, per profondità di oltre 200"', se quel moto dì trasporto fu veramente avvertito , non si dovesse ascrivere piuttosto fra i fatti che si ripor- tano alla influenza del fondo ed alla vicinanza al lido. E tale moto di trasporto che, nel caso di vento gagliardo, crede 1' autore esistere sempre anche al largo e a grandi profondità del fondo , vuole poi che sia indubitato in vicinanza del lido, dove cioè il fondo può reagire sopra la massa oscillante. Molti 220 fatti reca egli pei* dimostrare un tale moto di tras- porto in prossimità del lido: per es: l'impossibilità di allontanarsi da terra, anche bordeggiando, in alcuni l)araggi , come asserisce avere esperimenlato egli stesso: l'osservazione dei marini che in alcune coste, per es: del Mediterraneo e della Sicilia nel caso di forte maroso, si è quasi tirati verso il lido; alcuni celebri naufràgi, ad es: nel golfo di Catania, quello di un convoglio inglese sopra la spiaggia di Porto- gallo presso Mondégo ecc: finalmente, a tacer d'al- tri, l'essere portati alla spiaggia gli arredi di pesca gettati molto lungi dal lido; se nonché, lasciando pure da parte che alcuni autori darebbero di questi fatti una spiegazione indipendentemente dal moto di trasporto della massa liquida, resterebbe ancora a chiedersi come avendo tutta 1' acqua moto con- tinuo di trasporto verso il lido , non innondi e il lido e i terreni; e poi, qui pure bisognerebbe tro-' vare l'enorme .forza che sarebbe mestieri a mante- nete una differenza di livello alcun poco notabile. I sottoscritti pongono questi dubbi unicamente perchè dal chiarissimo autore possa venir maggior- mente dilucidata la questione; nò vogliono con ciò contraddire alle sue conclusioni, ma accennare sol- tanto ad un desiderio, che 1' importantissimo pro- blema venga discusso con ogni rigore, e prendendo in accurato esame gli elementi tutti che possono avervi una qualche influenza: ben persuasi che l'au- tore, il quale ha mostrato di volere e di saper fare, potià anche ben facilmente togliere i detti dubbi, che però non possono a meno di non presentarsi spontanei nella lettura di questo suo dotto lavoro. 221 Dopo ciò si propone di rintracciare fino a quale profondità si comunichi l'azione dell'onde, ed espo- ste le varie opinioni in proposito, si fa ad esami- nare alcuni fatti i quali comproverebbero estendersi la detta azione moltissimo piiì in là di quanto co- munemente si opina. I principali di questi fatti, li- mitandoci noi alle profondità massime, sarebbero l'as- serzione di La Coudraye essere sensibile ai basti- menti la reazione dell'onda sul banco di Terra-nuova profondo da 100 a 160 metri; le osservazioni di Siau all'isola di Borbone, ove l'azione dell'onde nella baia s. Paolo a 188 metri di profondità è tale da for- mare delle zone ondulate sopra un fondo di sabbia e ghiaie di basalto; l'asserzione in fine di P. Mon- nier, che al capo di Buona-speranza i bastimenti sono esposti a dei colpi di mare passando a 200 metri sopra il banco delle Agullas. Dai quali fatti è condotto l'autore a conchiudere, che l'azione delle onde stesse debba estendersi fino ad oltre 200 me- tri di profondità. Finalmente termina questo primo articolo mo- strando quanto sia grande la potenza dei flutti sia per sommuovere i fondi^ sia per trasportare e di- struggere grandi massi sotto marini , riportando i fatti pili rimarchevoli che le osservazioni hanno ac- certati fin qui. Nel secondo articolo, dopo osservato che nulla avrebbe egli da aggiungere ai grandi lavori idro- grafici del Maury , dello Smyth e di altri intorno alle correnti marine per quella parte che spetta alla navigazione, si fa a considerare unicamente l'effetto delle dette correnti, in quanto possono le stesse con- 222 tribuii'o a produrre gì' interrimenti dei porti e gli aumenti o le diminuzioni dei lidi. La maggior parte degli idraulici nostri ed an- che stranieri tiene 1' opinione del Montanari , che cioè i flutti smuovano i fondi e portino e tengano le materie smosse mescolate coll'acqua in istato di ondulazione, e che dalle correnti vengano assieme coll'acqua trascinate oltre nel loro corso, e depo- sitate là dove speciali cause diminuiscano l'inten- sità della fluttuazione e della corrente, e con essa le possibilità di tenere in sospeso le dette materie; cosicché nella detta teoria la causa degl'interrimenti e degli aumenti o diminuizioni dei liti si ripete dalla corrente non solo , ma ancora dai flutti , essendo questi la cagione del sommovimento dei fondi, quelle la causa dei trasporti. L'autore ripete principalmente il fenomeno dai flutti, e poco o nessun peso sembra dare alle cor- renti , fondandosi sulla poca o nessuna forza delle correnti a smuovere i fondi, ed a tenere in sospeso le materie pesanti; osservando in specialità che le dette correnti diminuiscono di velocità verso il lito, e dalla superficie verso il fondo , laddove l'azione dei flutti segue legge diametralmente opposta. A questa ragione aggiunge l'altra; che il fondo delle spiagge sottili di lieve pendio è sempre ondulato in direzione perpendicolare al vento dominante; che i materiali, le arene, le sabbie ecc. lungo il litorale nostro, così dell'Adriatico come del Mediterraneo, sono sempre addossati ai guardiani dei porti ed agli ostacoli materiali che s'incontrano dalla parte ove si sviluppano i venti dominanti; e finalmente dal- 223 r osservare che nell' Adriatico il porto di Ancona aperto alla corrente litorale , mn difeso dai venti che più dominano in quel mare , si è mantenuto anche attraverso i secoli di barbarie ; laddove nel Mediterraneo quello d'Anzio, aperto ai venti che più dominano in quei paraggi, ebbe breve durata e fu ben presto ricolmo d' arena. Noi siamo ben lungi dal non voler accordare, insieme coll'autore, anche una influenza all'azione dei flutti nel trasportare i materiali del fondo verso del lido; ma ci pare che in fine anche i fautori della spiegazione data dal Montanari non escludano l'azione de' flutti , e che non pretendano di attribuire alla sola corrente tutto il fenomeno; che anzi danno ai flutti la facoltà di smuovere , riservando alla corrente quella di tra- sportare; allora una tale ipotesi sfugge certo a molti dei dubbi levati contro alla stessa dal chiarissimo autore. Aggiungeremo a questo, che il celebre Ven- turoli nella sua memeria sul porto d' Anzio rende di quell'interrimento una plausibile spiegazione, fon- dandosi appunto sulla corrente litorale, combinata coH'azione dei flutti; e in base a ciò propone i ri- medi ch'egli riterrebbe essere quelli* di maggior ef- ficacia. Ad ogni modo le prove e i fatti raccolti qui dall'autore ci sembrano meritare attenzione, e non escludere interamente 1' idea di un reale moto di trasporto dei materiali del fondo , dovuto soltanto ai flutti; il quale fenomeno sembra pur constatato dalle osservazioni fatte da altri esperimentatori in varii porti de' nostri mari. Esposto cosi sommariamente lo scopo e le con- seguenze della memoria, della quale fu a noi com- 224 messo l'esame, se ancora non ci sia sembrato che il problema propostosi nella stessa sia definitiva- mente risolto; pure non resta per ciò che non deb- basi dare molta lode all'autore pei svariati fatti ivi raccolti, per la grande sua erudizione in proposito, e specialmente per aver recati in mezzo i risulta- menti di lunga, accurata, e studiosa pratica di una vita di mare , così operosamente impiegata anche a profitto della scienza. Egli è perciò che crediamo di proporre che l'I. R. Istituto voglia votare all'au- tore i suoi ringraziamenti per la fatta comunica- zione, e gli elogi dovuti ad un lavoro che potrà ve- nire consultato con vantaggio da ognuno, il quale voglia porre l'opera e Io studio in questo complesso fenomeno d'idraulica pratica. Venezia 27 gennaio 1856. fe'^ Adunanza del 28 gennaio 1856. L'I. R. Istituto ha approvato la proposta della Commissione. Il M- E. e Segretario dell'I. R. Istituto D. Giacinto Namias » 225 SCHIARIMENTI DEL CIALDI all' illustre 1. R. ISTITUTO VENETO. Letto colla debita ponderazione il rapporto pre- sentato air I. R. Istituto Veneto dalla Coinaiissione eletta a prendere ad esame i Cenni sul molo ondoso del mare e sulle correnti di esso, lo, corrispondendo anche al desiderio dalla suUodata Commissione for- malmente esternato, ho l'onore di sottoporre alcuni schiarimenti in analogìa ai dubbi insorti nell'animo di essa e partitamente esposti nel sui'riferito suo rapporto del 27 gennaio 1856. Prima però di entrare nell'argomento in discorso reputo pure mio preciso dovere di professarmi pro- fondamente grato alla dottissima Commissione, non solo pel fastidio cagionatole dall'esame di quei Cenni, ma puranche pei benevoli sentimenti espressi verso di me che sento purtroppo le mie deboli fatiche immeritevoli degli elogi graziosamente impartitimi. 1.° Il quadro delle diverse teorie o ipotesi sul moto ondoso e sugli effetti da esso prodotti, è stata per me la parte più difficile e la più faticosa della mia scrittura. Pur troppo vi è incertezza circa ad alcuni fenomeni essenzialmente separali ! Ma gli han separati e resi chiari gli autori da me compendiati ? Se essi non l'han fatto io non doveva farlo, ne farlo notare, perchè ho promesso in detto quadro di non emettere in esso la mia opinione (pag. 2 (*) ), ma di esporre bensì semplicemente le opinioni altrui. Con- (*) Vedi il Tom. CXXXVIII di questo giornale, a cui richia- mano le oilazionì. C.A.TCXLIII. 15 22G vengo che sopra alcuni autori, quelli cioè clic lian trattato exprofesso una tale questione , poteva io maggiormente soffermarmi ; ma siccome nel corso del mio lavoro sono tornato a parlar lungamente di loro con adottare o confutare le loro dottrine, mi è sembrato che una più estesa analisi delle opere loro nel quadro avrebbe dato luogo a ripetizioni. 2.° La chiarissima Commissione concede di buon grado un piccoh molo reale di trasporlo alla parie su- periore deir acqua allorché soffia il vento assai ga- gliardo. Ma stando ai fatti, io debbo avvertire che ciò non basta. Noi dobbiamo dare spiegazione a trasporti stravaganti che sorprendono , inquietano , e tal volta comprometlono la navigazione ( pag. 46): a trasporti cioè non di rado superiori a due miglia V ora (idem), come, purtroppo ! spesso si verificano. Quindi pare a me, che siffatti trasporti non pos-- sano essere qualificati per piccoli moti. La Commissione conviene in alcuni de'fenomeni prodotti dal vento, e dai^ quali può desumersi quel trasporto: altri però ne esclude. Essa esclude; Primieramente quelli nei quali il corpo galleg- giante essendo in presa col vento non si può con si- curezza dedurre dal moto di questo quello della massa liquida. Il bastimento è sempre esposto all' impul- sione del vento ed agli urti delle onde; ma 1' ef- fetto di quella impulsione e di quell'urto sul corpo de' bastimenti è cosa cbe entra nei calcoli consueti dei marini; se ciò npn fosse, la navigazione sarebbe molto più imperfetta di quello che è. Dalla scia che lascia dietro di se un bastimento si deduce con molta facilità e sufficiente esattezza quest' effetto (pag. 51 in noia, e 57 noi testo e nota). Dunque, ammesso che il capitano sappia l'arte sua , non può essere confuso questo moto con quello della massa liquida. Del primo ha gli elementi per valutarlo ; non così però del secondo. E se in alcune complicatissime vicissitudini della navigazione una conveniente di- stinzione de' due moti potrà sfuggire alla vigilanza ed alla perspicacia del capitano, questa eccezione però non deve distruggere la mia proposizione , la quale per essere ammessa basta che abbracci i casi di tempeste ordinarie che sono mollo più numerosi. Esclude secondariamente il caso del mar Rosso avendo ec. Io ho ridotto la misura di Huot a quella di Bourdaloue (pag. 38). Ora, la misura ot- tenuta da questi nel 1847 fu di 2'" , 61; e l'ul- tima trovata nel 1853 da Linant-Bey e da Mougel- Bey è di 2"*, 43. Dunque, tenendo anche questa minore per la più esatta , mi pare di non essermi male apposto nel dire che la differenza di livello prodotta dal vento resterà sempre sensibile. Ma la menzionata Commissione avverte inoltre, che se e- sistesse una qualunque differen/.a di livello si dovreb- be ciò ripetere da una causa essenzialmente diffe- rente. lo confesso d' ignorare quale possa essere questa causa essenzialmente differente, avendo il mar Rosso il suo asse principale diretto pressoché al nord ed al sud; e siccome non fo la questione del confronto de' due livelli, ma sibbene indago la causa del fatto isolato, cioè del fenomeno che verificasi nel mar Rosso per causa del vento, così mi permetterò sottoporre alla Commissione un' autorità più speciale di quelle da me già citate, la quale conferma con fitti ineccezio- 228 nabili la causa del fenomeno indicata da Huol e da me abbracciata. « C'est un fait bien constate, qiie l'effet des grands vents de S. pendant les mois de décembre , janvier, fevrier et mars , est d' éléver le niveau de la mer Rouge dans sa panie septentrionale, et quau contraire, ce niveau s'abaisse de plusieurs pieds en juillet, aoùt et septembre sous Vinfluence des grands vents de N.N. 0. qui enfìlent le délroit. Une preuve de ce phéno- mène, e est que le banc Durable , quoique situé au milieu de la mer, est, à une certaine epoque, assez à sec polir que l ''on piasse y planter une tente, tandis qii il est, à une autre epoque, recouvert par les eanx. On peut encore observer cette différence de niveau sur les récifs de corail, près le Jddah. ( Stafford-Bet. tesworth Haines: Description des còtes méridionales d' Arabie. Traduzione dall' inglese di J. de la Vais- sière. Ann. hydrographiques tom. 1. pag. 357) ». Io potrei inoltre citare altre autorità, ma a che prò? La Commissione sa che ripetesi giornalmente lo stesso fenomeno in tutte le nostre coste ed in quelle del- l'Oceano. Sa che il mar Rosso per la sua topogra- fica costituzione si presta più d' ogni altro a ri- sentir gli effetti di un vento forte e continuato nella direzione del suo massimo asse; quindi mi è lecito credere che la sola esagerata misura dell'Huot abbia suggerito alla eccelsa Commissione la totale esclu- sione del caso del mar Rosso. In terzo luogo: all'ossequiata Commissione assai spesso nasce il dubbio che l'effetto del trasporto, di cui mi occupo, possa essere quello stesso che si ve- 229 iifica nelle profondità minori di 200 metri, il (jiiale è influenzato dalla reazione del fondo. Io posso assicurare la Commissione, che in que- sta parte del mio discorso ho inteso parlar sempre di quel trasporto che risentiamo in alto mare, os- sia ove nessuna influenza non può avervi il fondo. E siccome lo Stevenson nel raccontare i fatti di trasporto a lui accaduti, non ha fatto la distinzione rilevata dalla Commissione, così io ne ho avvertito il let- tore alle pag. 54 e 55, ed ho situato quei fatti al loro posto (pag. 67 e 68). A maggior conferma della mia proposizione sot- topongo al savio giudizio della Commissione due tra i tanti esempi che abbiamo sul trasporto in al- tissimo mare dovuto soltanto al moto di massa nei marosi. Il vascello di S. M. britannica il Winchester, leggo nell'opera di Eugenio Rodriguez , dopo forti venti da ponente . . . burrascosi di SO. che soffia-^ rono per piìi giorni. . . ,e nel 10 luglio con venti varianti dal N. alI'O. , osservò che la corrente nel periodo di 24 ore lo aveva trasportato per 130 mi- glia a levante. Il Winchester trovàvasi a 7° di la- titudine N. , ed a 26° di longitudine 0. di Green- wich. « In questo paraggio , soggiungerò con lo stesso Rodriguez, il generale risultamento delle os- servazioni, comunque non raggiunga una grande pre- cisione, pure &i accorda nel medio a dar gli eff'etti di 7 a 9 miglia al giorno di trasporto alla corrente procedendo alV ouest ». Ninno potrà dubitare , dirò ora io, che a bordo di quel gran bastimento da guerra tutti gli elementi di stima non fossero te- nuti a calcolo colla maggior precisione possibile^e 230 j'he porciò le 130 miglia fli anomalìa non si deb- l)on() accagionare a difetto di buona stima dello sca- loccio, nò a quello di accuratezza sul cammino de- dotto dal solcometro , nò a negligentata imperfe- zione della bussola, e nò a disattenzione del timo- niere. In una parola tutto mi fa credere che quel trasporto fu principalmente dovuto ad un movimento speciale di massa alla superfìcie dell'acqua. Ora come si può spiegare per corrente propriamente detta tutto quel tiasporto in sì breve tempo ? Se C. Philippe de Kcrhallet notava, parlando della corrente di Mo- sambicco la cui velocità è fra 18 e 28 miglia in ventiquattro ore, «na da alcuni capitani Irouvée de 139 milles, dans des circonslances parliculièrcs, notava dico, che il ny a pas d'exemple d'ime pareilìe vi- t<;ss€ de couranl^ si ce nesl patir le maximum de vi- lesse ohservé dans le Gulf-slream, quanto più nota- bile, 0 per dir meglio stravagante, sarebbe il fatto del Winchefitev accagionandolo a corrente ove la corrente regnante ha direzione opposta a quella del trasporto da lui sperimentato ? Prima di trarre conseguenza da questo fatto passiamo all'altro, che una sola conclusione li abbraccia entrambi. Dal de Tessan si deduce che la fregata la Ve- nere il giorno 10 aprile 1837 essendo nella latitu- dine 4-9" 46' S. e nella longitudine di 80°46' 0. di Parigi, si trovò trasportata di miglia 30,7 nella di- rezione di S. 80° E. in 24 ore. Niun dubbio al certo si può avere che , come a bordo del vascello in- glese, così a bordo della fregata francese, non siasi tenuto scrupoloso calcolo de'soliti elementi di sti- ma. Anzi è da ritenersi che il trasporto totale della 231 fregata sia slato di miglia 47, 5; dal quale dedotti sette decimi di miglio l'ora per il trasporto dovuto al maroso , dal de Tcssan ammessi in simili casi di vento forte, è restato quello di 30,7 classificato da lui per corrente. Da speciali e convenienti esperimenti fatti dalla fregata stessa si deduce che in quel parag- gio la corrente costante va verso il nord. Difatti il 4 aprile nella latitudine 57''16' S. e longitudine 84°35' 0. il de Tessan riferisce, che in un tempo perfetta- mente calmo, mentre il bastimento non aveva au- cun mouvement par rapport à Veau de la surface, fu gittato il piombino sino a 3720 metri di profon- dità, e la ligne est restée parfaitemenl à pie, ma il bastimento élait alors ernporté vers le N. 2° E. avec une vitesse de un demi-mille à Vheure; quindi egli ne dedusse una corrente di 12 miglia in 24 ore in quella direzione, e si persuase che ce courant est un courant de masse , per lo meno fino a quella pro- fondità partendo dalla superficie del mare. Il 16 ed il 24 dello stesso mese nelle latitudini di 43 e di 34 gradi sud furono ripetuti gli scandagli a profondità di 1780 e 290 metri; e sempre la ligne est restée parfailement verticale, qtioìque le bàtiment fùt, sans aucun dante, porte vers le nord, comme dans les jo- iirs précédents . . . avec une vitesse d'un mille à V heure environ: ce qui prouve encore que ce courant est un courant de masse et non pas uniquement im courant superficiel. Questi esperimenti di corrente, fatti con un metodo preferibile ad ogni altro , in circostanze le piiì favorevoli e poco prima e poco dopo il 10 aprile, mi provano adunque che il ba- stimento, nel giorno in cui cade la mia ricerca, si 232 trovava in una corrente di grande altezza dalla su- perficie a basso, dimodoché non può étre considéré, come osserva Arago, comme une simple rivière su- perficielle d' eau froide , nna si deve ritenere come prodotta par une section considérable des mers po~ ìaires,marchant majeslueiisement du sud au nord. Dopo ciò, come poter spiegare per corrente, e porla fra le altre che realmente sono tali, quel trasporto in 24 ore di 31 miglio al S. 80° E. , cioè in dire- zione normale alla dominante corrente, la quale in- oltre per essere di acqua fredda e di gran massa non facilmente cede all' azione del vento ? Ma se passo a consultare lo stato del maie e la direzione del vento nel giorno preso ad esame ed in quelli antecedenti ad esso prossimi, io trovo per me una evidente causa a quel fenomeno. 11 mare fu houìeuse e grosse ed il vento nella media dilezione di ouest, in generale honne hrise , [rais e grond-frais. Cosi essendo, i fluiti, in questa accidentale combinazione di grosso mare e forte vento, animati di trasporto di massa alla superficie, trasportarono il bastimento nella loro direzione nella totalità di miglia 47,5, e non di 16,8 come il de Tessan ammetterebbe. Egli è però che io concludo per questo e per l'altro fatto del Winchester qui registrato, e per la lunga serie degli altri eguali o simili, che conve- niente spiegazione al fenomeno in discorso può solo trovarsi nelTammettere rilevante moto di massa alla superfìcie de'marosi, ed in questi casi, anche dove la profondità del mare permette ad essi libero svi- luppo per ogni verso. 233 3." Passa poi la Commissione a quel fenomeno che io chiamo fluito-corrente, cioè a quel trasporto che ha luogo presso il lido, ossia quando non è più libero lo sviluppo inferiore dell'onda. — Fenomeno da tutti ammesso per Vonda-marea , la quale non può negarsi che abbia una grande analogìa coU'onda del vento (pag. 63 a 67) — , Ai fatti che io adduco in proposito la Commissione osserva, che alcuni autori danno di essi una spiegazione indipendente dal moto di trasporto della massa liquida; il che è vero , epper-ò io nella pagina 71 ho avvertito le diverse cause che possono aver parte in questo trasporto, ma in fine ho dovuto convincermi che esse non basterebbero nella maggior parte de' casi a cagionare la perdita di bastimenti bene provveduti e ben comandati, e quindi ho concluso che nelle spiagge sottili anche a piii miglia lontano dalla riva, l'onda non ha piìi molo apparente e di percussione soltanto, ma benanche di trasporto progressivo in massa. Ma la Commissione non sembra punto persuasa di questa mia conclu- sione e però si fa a chiedere come, aveìido tutta Vacqua moto continuo di trasporto verso il lido, non inondi e il lido e i terreni, e poi qui pure bisogne- rebbe trovare Venorme forza che sarebbe mestieri a mantenere una differenza di livello alcun poco no- tabile. È un fatto ben noto alla Commissione che ap- pena il tempo sente di fuori le acque nel littorale si empiono , e quando il vento scende ed il mare s'ingrossa, queste acque sono più elevate del livello ordinario in qualunque stato della marea di circa m 0,"'50 nel Tineno,
  • RISCILLAE- CONIVGI INCOMPARABILI SEX HEREMIVS ...LAVS ANNISXXXV Via latina. 31 XLIl. M I\ NIVS SILANIL NEDYMVS Titoletto. C insegnano i marmi come talvolta i liberti de' più cospicui personaggi costumassero di citare il cognome in cambio del prenome de' loro patroni, onde pienamente indicare coloro, cui si glo- riavano di appartenere. Intorno la famiglia dei Giu- nii Silani è da vedere la dottissima dissertazione del eh. cav. Borghesi (Bull. di corrisp. archeol. 1849). XLIII. D. M. LAELIA FELICIS SIMA LAELIAE MAR CELLAE VERNAE- B M FECl'rylXIT- ANNISVÌÌI MvTidY- Lapide trovala sulla via latina presso il VII uiiulio. 32 XXIV. DBCISSIT Epitafio cristiano rinvenuto nella vigna Moli- nari sull'Appia, insieme con altri marini cristiamì e cimiteriali. Mi assicura il eh. cav. De Rossi essere quivi stato nn cimitero sotterraneo, cioè le ultime diramazioni di quello amplissimo e celeberrimo, eh' era a sinistra dell'Appia, e che oggi non può met- tersi in dubbio essere stato veramente quello che avea nome di Pretestato. Descissit è scritto erroneamente in luogo di discessil , formola equivalente al decessit o recessil, che sovente si trovano nei più antichi titoli , ed esprimono la partenza dell'anima cristiana verso gli eterni riposi : VX invece di XV , inversione quasi frequente negli epita fi , specialmente cristiani, come ha notalo il Maiini , e causata dal pronunziarsi as- sai volle, rpùnlodecimo , sexludecimo ec. , in luogo 33 di decimoqitinlo e decimosexto. Decimoquinto knlendas iulias, die Veneris, dorè si omette il NE; Annorum XXIIS , cioè Semis, teneva io si dovesse leggere in quelle note numerali, vedendo un fallo dell' incisore nella S posta nel mezzo anziché nel fine delle note medesime- Ma tolsemi da questa opinione il prelo- dato eh. cav. De Rossi, il quale da me consultatone per lettera , così mi rispose intorno questo punto, pregiandomi di riportare le sue stesse parole: « In quanto alla S inserita alla nota numerale XXSII, mi parrebbe assai strano che potesse significare il Semis, essendo quella maniera classica di segnare i mezzi omai quasi al tutto ignota all' epigrafia cri- stiana. Pili semplice e piana è l' interpretazione di chi volesse leggervi XXVIII, cioè XXcj-II, essendo la forma della S assai simile all' kn'in-^ixov r*, e piii di una volta adoperato negli epitaffi in luogo di questo segno del numero senario ». XLY. M.VALERIO.ASIA... M.LIVlVS.M.F-FAL.MAr., nvri.eovjllien.... avgvstalita't.... sva e.et.faeni.... in.hknc . ann.... ....IT»0.... Brano di sottile lamina di bronzo rinvenuta a Boville, la qual contenne, come sembra, un decreto G.A.T.CXLIV 3 34 di quei decurioni accordante un qualche privilegio a questo M. Livio Massimo. Quanto alla nota con- solare, ond' è corredata in principio, si potrebbe a prima vista esitare alquanto, se debba riferiisi a quel Valerio Asiatico, che fu console per la seconda volta nell'anno varroniano della città798,insieme con Marco lunio Silano; ovvero a Marco Lollio Paulino Valerio Asiatico Saturnino, il quale resse i fasci nell'anno 846, insiemeconCaioAntioIulioQuadrato, ambedue suffetti. Del quale M. Lollio erroneamente si fecero due consoli dallo Stampa, e del suo collega due dall'Almeloveno; opponendovisi, come avverte il Sanclemente, quanto al primo la gruteriana 574. 5 ( nel Donati 160), quanto al secondo la sponiana a pag. 313 delle Miscellanee. Però, se si trattasse di quest'ultimo, parrebbe, che volendosi per brevità tacere alcuno de'suoi nomi , lo si sarebbe dovuto chiamare M. Lollio Paulino, anziché M. Valerio Asiatico; e così Io chiama il Marini negli atti degli Arvali (pag. 736) : dovendosi credere, che Lollio fosse il suo primo e vero gentilizio, il qual d'ordinario si trova precedere gli altri, che per adozione od altra causa venivano assunti dipoi. Egli è perciò eh' io inclino a restituire quella nota consolare a questo modo : M. Valerio Asiatico, M. lunio Silano Coss. Nel qual caso la nostra lamina avrebbe il merito di produrre il prenome di quel personaggio che Tacito e Dione chiamano semplicemente Valerio Asiatico, com'è pure notato nei fasti. 35 XLVI. LOLLIA VRBANAAEDITVA MINISTRA VIX • ANN XXX FELICIO • F • FECIT Rarissimo è nelle donne l'ufficio di Aedìttia: par- mi non ve ne sia più d'uno, o due esempì. XLVII. ....IVO.... ....lA.... ....Q LVCaSECVNDI 11 VIR ..MIVNIANNIANI n ET... ....QIVLIANTONINI Frammento di grande iscrizione trovato in Ardea. 8(ì XLVIIl. D MMARCIAEGAE LMARCIVSSTATIVS ET PEDVCLANIAEPICTESIS VERNE SVAE KARISSIM ET PEDYCLANIA PRIMTIVA {Sic) COLLIBERTA FECERVN QVAEVAlDXVnU Lapide con protome muliebre. Monte Mario. XLIX. L. MA RIO- MAXIMO PERPETVOAVRELIANO C V PRAEFVRBIPRO COS PROVINCIAEASIAE IT PRO COS-PROV AFRICAECOS II- FETIALl PATRONO ETCVRA TORICOLONIAE ARDEATIVM DIGN I S S I MO 1 1 1 1 1 IB 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 Base di statua rinvenuta in Ardea. Ella è in tal modo corrosa dal tempo e malconcia dal ferro, 37 che m' è tornato assai malagevole a leggervi l' is- crizione importantissima ch'ella presenta, intorno la quale è da vedere nel volume precedente di que- sto giornale la magistrale illustrazione dettata- ne dal eh. sig. cav. B. Borghesi. Si ha quindi una piena notizia della istoria del personaggio onorato e la soluzione delle difficoltà che of- fre questo marmo, come pure la confutazione delle sentenze del Corsini e del Casaubono, che vollero di questo Mario Massimo fare due persone diverse. Le due ultime linee della base non sono affatto leg- gibili, per non restarne che scarsi e tenuissimi vestigi. Essendo data inesattamente dal Muratori la bella iscrizione onoraria di Mario Massimo, 397.4, da lui anche omessa nell'indice dei nomi; nò mancando di qualche menda la copia molto migliore del Bian- chini, di cui si vale il eh. Borghesi nello scritto in- dicato, parmi opportuno di pubblicarla nuovamente, secondo l'apografo da me fattone, in compagnia del eh. sig. dott. Henzen, sul marmo originale, che rin- venimmo nella vigna Fonseca sul Celio , in via di santo Stefano Rotondo n. 3., ora di proprietà dei sigg. fratelli Cantoni , dai quali con ogni cortesia ne fu permesso di osservare e trascrivere quel mo- numento importantissimo. 38 L • MARIO L • F . QVIR • MAXIMO • PERPETVO AVRELIANO • COS • sacerdoti.fetiall.leg.avgg pr.pr. provinc.sYriaecoelaeleg.avgg.pr.pr provinc.germaniaeinferioris.iTem. provincbelgicaedvci.exerciti.mYsia ci.apvt.byteantivm.etapvt.lvgvdvnvm. leg.leg.i.italic.cvr.viae.latinae. item.reipfaventinorvm.allectoin. ter.praetorios.trlb.plebcandidato. qvaestori.vrbano.trib.laticl.lég. XXII . PRIMIG . ITEM . Ili . ITALICAE . mi . VIARVM . CVRANDARVM . MIVLIVSARTEMIDORYS T LEG • Iff- CYNERAICAE • Eserciti si legge veramente nel marmo, come pure Byzeantiiim con 1' E connessa alla Z. Non vi potemmo però rinvenire 1' altra base di quel personaggio (719.2) che pone ugualmente il Mu- ratori nella vigna Fonseca. Né il sullodato signor Cantoni ce ne seppe dare indizio veruno , dicen- done anzi di non aver mai conosciuto che vi ab- bia esistito. Però è certo che vi fosse una volta ; e Tessersi colà trovati due monumenti onorari di Ma- 39 rio Massimo, fa sospettare con assai fondamento, che quivi stesse anticamente la di lui casa, come avverte li eh. Borghesi nello scritto indicato. E realmente molti avanzi di fabbriche di buon tempo vi si os- servano ancora, insieme con molti frammenti mar- morei di membrature architettoniche: e de^-na era dell'uomo nobilissimo quella egregia situazione. ^ Ne manca pure dì qualche inesattezza, rispetto al monumento originale, Taltra base di Mario Massimo data pure dal Muratori (2023-5) che trovasi ora nel museo capitolino, nel veMiholo,a dritta. Eccola quale s» legge nel marmo: L- M A R 1 0 • M A X I M 0 PERPETVOAVRELIANO CVPRAEF- VRRIS PROCOrVSVLIPROVIIVC- ASIAE- ITERVM- PROCONSVLIPROVIIVC- AFRICAE- M- IVUVS • CEREALI S• MATER]VVS•EX•CIVITAT• FOROIVLIENSIVM- PATRONOOPTIMO L. • D • M • TFMERC.PATER EF- EVHODIAF- {Sic} SPETIPIENTIS SIMAE • BMF- Lapide rinvenuta nella villa dei Quintili. Vi si legga: Titus Flavius Mercurius Pater, et Flavia E- vhodia Filia eie. Pessimi caratteri. LI. MMODIVS- MLIBMAXSiM VSFECIT SlBl • AEDICVLAM Titoletto. Via latina. LIL D M MYSTICO Stera. Villa dei Quintili 41 LUI. D M CNVMISIO CLVSINONV MISIAHELPIS MATERFILIO PJENTISSIMO Marmo servito a chiudere un loculo nel cimi- terio di s. Alessandro. LIV. • D • M • OCTAVIVS HERMES- CHRYSIONI VERNAE SVOBENEMERENTI- FECIT Lapide in forma di edicola. 42 LV. r DIS • MANIB • ORIGANI ONI VIXIT ANN- LI Lapide con fastigio. Vìa appia, vigna Molinari. LVI. POMPEI VE HELPIUI VEKNAESVAE FECIT POMPEIATYCHE Via latina. i3 LYII. DISSACRVM SEXPOMPEIO SATVRNINO ^EypOMPElvs Frammento di cippo. In questa iscrizione si o- mette il Manibns , mentre nell' altra n. XXXIV si omise il Dìs. Però tanto V una che 1' altra parola bastano di per se sole per indicare quelle funeste divinità. Non mi sovviene di aver veduto altra la- pide in cui elle siano invocate mediante la sola pa- rola DIS. LVIII. oilX ri!.ivb AMPLIaTVS FILIOPIOET SEXPOMPEI\... SABINVS .RATRl SAN TISSIMO 44 LIX. • POMPONI L.L.PHILARGVRVS Stera di travertino. Nella prima linea non è ba- stato il niarnio per terminarvi Pomponius. LX. dIs.manibvs c.popilli.nychi c.popillivs.heracla patri . svo ..... rissimo et ....merenti.des . SVIT LXI. RIMIGENIA VIX.ANN.XXII SCANTHVS.NOìMENcLaT ariae.eT.conivgi E.MERENTI.FECIT Vìa Appia. 45 LXII. ì'aih: Nl.BENEFlCIO SIBI.eT ....ME.LIBERTAE.SVAE.EIDEMCONIVG .ROXIMILLAE. F ET .ROXIMO.F.ET.MARTIALI.FILIO Via latina. LXH. D M PVPIEMAE RVFINAE FILIAE PVPIEN.MAXIM Parte anteriore di grande sarcofago ornato di bassorilievi , d'un' arte molto inchinata alla deca- denza. Fu rinvenuto non lungi dai ruderi più volte indicati, conosciuti sotto il nome di Roma vecchia. 11 gentilizio di questa defunta emerse la prima volta da un frammento di fasti sacerdotali, trovato nella basilica Giulia l' anno 1849, ed illustrato dal eh. sig. dott. Henzen nel Bullettino di corrispondenza archeologica (1849. pag. 132). Era questi Pupienio Affricano, console nell'anno di Roma 989. 46 LXIV. D • M • S P PVPIENOJVIA XIMOPATRI PYPENRYFINAE Altro frammento di sarcofago simile al prece- dente. Appartenne a quello stesso Publio Pupie- nio Massimo, che nel precedente (sebbene taciuto il prenome) si dice aver posto quel monumento alla figlia. Ha però qui errato due volte 1' incisore, scri- vendo Pupieno in luogo di Pupienio , e Pupen in luogo di Piipien. Dovette esser questa una famiglia molto ragguardevole e facoltosa; giacche i detti sar- cofagi, similissimi fi-a loro, sebbene accennino alla decadenza dell'arte, sono tuttavia molto grandiosi, e condotti senza risparmio di lavoro. In uno dei bassorilievi (che son tutti mutilati ed infranti) m'è parso di riconoscere il ratto d'Elena. Per certo que- sto defunto amò molto la figlia, o molto si tenne da lei onorato, se nel suo titolo sepolcrale si fece annunziare come padre di Pupienia Rufìna. 47 LXV. 0 K EN0AAEPO KEIMAIYn.... TYMBIOCa ECOPATE^.... EACGEIC-^ .... NOMQCQ POAONIAPI NON ZHC^ TECCEPETHF CMACIMOIPIAI Frammento di lapide sepolcrale trovato sulla Via latina. Lasciando ad altri la cura di effettuarne la restituzione, ci limiteremo ad osservare essere slata questa lapide posta ad una donna, per nomePOAONIA, Rhodoììia , come si vede in parte nella prima riga ed interamente nella settima. Credo però sarebbesi dovuto scrivere piuttosto POAQNIA. LXVI. SAVFEIVS CONlVGi B . M . F È noto che la gente Saufeia fu prenestina. Un sepolcro spettante ad una famiglia dei medesimi fu rinvenuto, non ha molti anni , presso il terzo mi- glio delia Via Labicana, nella vigna Belardi , dove 1 avea di già trovato il Fabbretti. 48 LXVII. ..BIANVS-P-F SEIVSFLAM.. ....GVSTAL- iT VIRQVARTFECIT.. . Frammento di grande lapide trovata in Ardea. Caratteri assai belli. LXVIII. . D M . Setoniae.omfale pientissimae f benemerenti encolpv s PATER . F . VIXIT ANNIS XVI MEN xi DIEBVS V Lapide con fastigio. Questo gentilizio, per quanto io mi sappia, emerge Ora per la prima volta dal nostio marmo. 19 LXIX. D • M PSTRABONIVS PRIMIGENIVS FVIPSANIAE GLYPTE ET PSTRABONIO EVTYCHOPET PETMVNIAE TROPHIMES SYIS PQEORVM LPV LATPIII Lapide con fastigio trovata sulla via latina presso il VII miglio. Non è facile dare acconcia spiega- zione al P. della settima linea. ì LXX. DM Ltitio aghi lleogoivgbm manteniaielpis memoriaecavsa Lapide rinvenuta nel cimiterio s. Alessandro. G.A.T.CXLIV 4 50 LXLI. [Fori per libazioni) MVALERl ANICETI AVCTl LIBE Villa dei Quintili. LXXIi. 0EOICKATAX0ONI OIC • r • OYAAEPIO' AAPIOC OYAAE PIfìAlOrENIA NQ • TQ • rATKY TATQMNHMHC XAPIN . ETQN B • MHN • lA • ET^rXI TEKNON • Cioè: Dts Manibns. C. Valerius Darius , Valerio Diogeniano filio dulcissimo, memoriae caussa. Ann. Ily Mens. XI. Siiavis fili. Via latina. LXXIII. D M QVEHILl i TROPHIMI i Titolelto rinvenuto nel cimitero di s. Alessan- dro, ov'era servito all'uso più volte indicato di ot- turare un loculo. Bei caratteri. i 51 LXXIV. D. M . VEIENO CICERONI Titoletto rinvenuto nel medesimo luogo. LXXV. VIBIA FELICLAETMCOC CEIVSZMARAGDVSF COCCEIAE.ZMARAGDINI.FILIAE ET.D.NOVIVS.TELESPHOR.ET.VIBIA DONATA.NEPTI.VIX.A.I.M.VI.D.XX SIBl. P. Q. EORVM Via latina. LXXVI. DM VLPIO NOTHO FECIT SALVIA ATTICE Cippetto dell'altezza di un palmo, largo appena un quarto dell'altezza. Sembra fatto per esser col- locato entro un loculo di colombaio. Fu rinvenuto sulla via latina. 52 LXXVII. DM MVLPIVSEVTROPVS ET FLAVIAVICTORINA FEC M VLPIOEVTROPOFIL- DYLC ET SIBl ET LIB.LIBERTABVSQ POST EORVM Marmo servito a chiudere un loculo nel citni- lero di s. Alessandro. LXXVIII. VOLVSIAE.STRATONICE L.VOLVSI.L.F.SATVRNINl PONI.F.NVTR[CI.L.VOLVSIVS ZOSIMVS.F.MATRI.SVAE.PIISSI MAE.FECIT.ET.L.VOLVSIO.ZOSI MO.L.VOLVSI.PATRYI.COL LACT [O.TAMPIA.PRISCILLA CONIVGI.SVO.PIISSIMO.ET.SAN TISSIMO.FECIT.ET.SIBI Ossuario semicircolare trovato sull' Appia nella vigna Molinari, dalla quale avemmo parecchi novelli monumenti dei Volusii II PONI • F • della terza linea imbroglia talmente il senso da non potersene per avventura comprendere il significato. Mentro- chè limpidissimo correrebbe ti alasciando quelle due parole. 53 LXXIX. L VOLVSIOCRISPINO Q- VOL VSI VSTHEODOT VS B.MFECIT Via Appia, insieme colla precedente. LXXX. D M XENOFON TIFONTINVS (Sto) SFRATERF Lapidetla. Villa dei Quintili. LXXXI. IDIOTA f I LEVATE DALVSO ; s RILOCV Fi-ammento di tavola lusoria consimile alle al- tre già conosciute. {Orel. 4315). Ne tratta alquanto il P. Lupi neW Epilafìo di s. Severa. (Cap. Vili. p. 59). Fu rinvenuto sull'Appia presso Tor Carbone. 54 Lxxxir. ....ARIBYS • A.. vici BO. Frammento di lapide convertita più tardi in base di colonna. Fu rinvenuto a Boville. Prima di Vicir non esisteva altra parola. E quindi chiaro che que- sta iscrizione devesi restituire così. LARIBVS.AVGVSTIS vIcI.BOVILLENSES Trattandosi probabilmente di alcuna edicola, o tem- pietto dedicato in comune da tutti i vici di quella città. LXXXIII. MAI. ZHCA KTKAOYCni CTPa ABANTQN KAIMHNHC ir-rnCESEni TOICIKYKAOYC . AAAETINHniAXOlVMETYXH KATE0HKATOMHTHP TQIAENIAAìNEQiTYMBQIME rAlJENGOCEXOYCA . Frammento d'iscrizione sepolcrale metrica, rinvenuto sulla Via latina. il primo verso probabilmente avrà ter- minato con le parole h^x^i xsltxat, offrendo in prin- 55 cìpio ì nomi del defunto. La doppia lacuna del se- condo verso, causata dalla frattura del marmo, può restituirsi nel primo luogo probabilmente nel se- condo sicuramente a questo modo: ZHCAg zv^vnTcm KTKAOYCni CYPcov Xux ABANTQN Ey ^vijToTaj m' è sembrato una delle acconce resti- tuzioni, perchè credo vi si debba far breve la prima sillaba della parola kYKAOYC, abbreviandola questo poeta pure nel terzo verso. Nella parola infranta dopo MHNHC, è facilissimo leggere lEPHC» in luogo di ^£pà?, forma ionica molto conveniente a questi versi. 11 senso quindi dell'epitafìo, siccome ognuno vede, sarebbe questo: hic iaceo Qui. vixi inter mortaìes quatuor annoium orbesy Et sacrae limae sex insuper orbes. At qiiamvis infantem Tijche ma ter me deposuit In lapideo sepidcro, magnum habens luctum. Visse cioè quattro anni e sei mesi, venendo i mesi indicati mediante le lunazioni da cui son generati. E strano di vedere in questi versi un pentametro, cioè il terzo, fra quattro esametri. 56 LXXXIV. ....PONUAl i^AlQMAAlOICIXL )rNOMAKEKAOM ...MAIMOCIAEKEAN-I........ ....nAWOAEITOCOMOY.... .... DCnANeiIAECkOCTNAIMOC ...COMOYCTONAXAIC È TOOICE ..AAKPYONXEONOrrAPEAQ .... DNOYKEPATOTCeAAA C Frammento d'iscrizione sepolcrale metrica, tro- vato sellila Via latina. LXXXV. ....MANIE ...HPHKIO ....MA$IAQ ....nTOAEii YSENAMHTHIQ... EYNHEENEKEN Occorre più d'una volta di trovare in titoli greci l'invocazione agli Dei Mani latinamente espressa me- 57 diante le sigle D • M • Di che rende ragione il Zaccaria nella istituzione lapidaria (cap. VII. p. 206). Scritta però così alla distesa, come nel presente frammento, non mi sovviene di averla altrove ve- duta: e tuttavia deriva ciò probabilmeule dalla stessa cagione allegata dal Zaccaria, dall'essersi cioè fatto incidere l'elogio sopra una lapide presa già bella e preparata dallo scarpellino, con quella invocazione solenne. Ma potrebbe anche darsi che un qualche greco non si fosse curato di tradurre nella propria lingua una formola di rito meramente romano. Ella infatti non si è mai veduta negli epitafì rinvenuti nelle città della Grecia, sebbene quelli che vivevano in Roma 1' avessero adottata per conformarsi alla religione dei loro signori. Queste sono le antiche iscrizioni chefregìano il de- scritto magazzino del cav. Giambattista Guidi. Egli ne possiede ancora parecchie altre,sparse in altri suoi de- positi di antichità, non che un'assai ragguardevole colle- zione di bolli di mattoni e di lucerne ed altri simili mo- numenti scritti, lo non dubito punto che nel modo istesso ch'egli ha consentito alla pubblicazione di que- sti marmi, non voglia ugualmente concedere a me, 0 ad altri, di dare in luce ancora le rimanenti sue ricchezze antiquarie, proseguendo sempre, com'egli fa, a rendersi benemerito dell'archeologia. 58 La commedia ilaliana nel secolo XVII per Ignazio Ciampi. CAPITOLO PRIMO. \T1' italiani nel cinquecento non recarono la com- media, anzi l'arte drammatica, a quell'altezza, che raggiunsero in molte altre discipline letterarie ed ar- tistiche. Della qual cosa si allegano molte e varie cagioni dagli scrittori, che hanno guardato al na- scere e al procedere della nostra letteratura. Ma forse men volgare e più vera si è la sentenza di coloro, che ne chiamano in colpa la imitazione troppo servile degli antichi modelli: come quella che matu- rando l'arte precocemente, le tolse di attingere la perfezione , la quale non si lascia cogliere che da chi la giunga passo passo con la propria esperienza. Il teatro dunque non si trasse, o per dir meglio , non ti sviluppò a mano a mano dai misteri o feste o esempi o moralità, che in sé contenevano i ger- mi della tragedia , commedia e farsa ; ne si valse della novella, che pure in m.ezzo a ridicole beffe dava più vivo il secolo e argomento di sublime e di patetico, e di comico. E vaglia il vero, chi non meraviglierà pensando che quel fiore della Giulietta e Romeo, novella narrataci da Luigi Da Porto, fosse lasciato cogliere ai forastieri (1) ? Ma i tesori let- terari ed artistici dell'antichità, disotterrati in quel- l'erudito secolo, trassero a loi'o di soverchio gli oc- 59 chi e la mente de'nostri padri : i quali , abbagliati dalla bellezza di quelle forme, quasi perderono di memoria il presente, e piuttosto di studiare ad e- sjirimere i propri pensieri con quella proporzione , grandezza e semplicità con cui disponevano e figu- ravano gli antichi, si sforzarono di tradurli intieri nelle opere loro, e starei per dire, di contraffarsi a greci e a romani nel bel tempo del Savonarola e del Valentino. Per la qual cosa perderono da due parti: perchè non colorirono le proprie invenzioni , e come avviene a chi ripete le altrui, riuscirono di ghiaccio. E nella commedia se prima delle altre nazioni presso a noi si raggiunse la regolarità della forma e dell'azione, d'altra parte si credette di toc- car la cima col mutar lievemente o ripetere o cu- cire i brani delle commedie di Plauto e di Teren- zio. In tal modo i cinquecentisti né parlarono ai contemporanei, né ci diedero dipinto il lor secolo (come fece de'veneziani e del settecento il Goldoni), e ci lasciarono invece una pallida copia de'costumi antichi, sotto de'quali il lor tempo trasparisce come d' un velo e a malgrado degli stessi scrittori. Da che, per quanto si voglia, non si può uscire all' in- tutto del tempo in che ognuno si vive: e que' bar- gelli e quegli spagnuoli bravi e ciarlieri , e quegli ebrei venuti di Spagna, che spacciano alchimie e fan truffe, sono pur troppo ritratti di gente viva ; ma essi sono ridotti ad un solo aspetto , siccome i re e i fanti delle carte da giuoco , che son sempre i medesimi, sebbene combinati diversamente. Aggiungi a questo il farnetico della lingua lati- na, che prese quel secolo insieme con le idee pò- (ìO litiche attinte da Lucano e da Tacito (2). Che se oggi è da piangere, che a questa lingua si attenda meno che non converrebbe a noi viventi nella terra ove visse qnel popolo meraviglioso, e che almeno non la si adoperi nella scrittura delle opere dotte; dall'al- tra parte dobbiam lodarci d'esser giunti a tale, che si stimerebbe pazzo chi pur s'attentasse a dire, che ella sarebbe buona per cose, che appunto son buone, quando tutti o la maggior parte degli uomini le in- tendono. Eppure dopo che Dante avea, non che tolta di balia ma fatta matura la nostra lingua, v'ebbero di quelli, che scrissero commedie e tragedie in la- tino. Sovvengaci Albertino Mussato , che pure era tale da farci ammirare il suo Ezzellino s'egli l'aves- se scritto in italiano, e Leon Battista Alberti e Gre- gorio Corrari, i quali diedero a bere agli eruditi che le lor tragedie fossero antiche (o). Ma fa sdegno e compassione di noi medesimi l'udire il Bibbiena , che nel prologo della Calandra poco meno che si scusa dell'averla dettala in lingua volgare (4): per non dire della sfacciatezza di Romolo Amaseo, che innanzi al papa e all'imperatore a Bologna sostenne che la lingua italiana era da lasciarsi ai trecconi ed al volgo (5). Ma sia che queste fossero od altre piìi potenti cagioni; egli è certo che fuoi-i della Mandragola del Machiavelli ed alcune delle commedie dell' Aretino (lascive, sfrenate quanto si voglia, ma pur cercale fra gli uomini e gli usi viventi), le altre di quel se- colo, benché non manchino di pregi in ispecie nel grazioso dialogo, nello spirito dei motti, nella fa- vella sempre schietta, propria, elegante ; non sono Gì che copie delle antiche, e con l'artitìcio e le fila , che si raggruppano, non finiscono che a burle e a figli ritrovati e a riconoscimenti : per guisa che , lettene di molte, non ti rimane idea distinta di al- cuna e di tutte ti dimentichi facilmente. La Man- dragola di Machiavelli, dico, fu quella che si levò al disopra delle altre e diede una immagine di quelle commedie, che diconsi di carattere. Ma essa fu la- sciata là e quasi dimenticata, non dico dal popolo e dai commedianti (che fu bene per la dissoluta fa- cezia che la informa), ma anche dagli scrittori, che doveano, sceverando il bene dal male, imitare e svol- gere e fecondare quell'unico esempio. All' incontro si andò per la battuta: anzi si peggiorò non poco. Impe- rocché in sullo scorcio del secolo sopravvennei'o gr imitatori degl' imitatori: cioè coloro , che senza r ingegno urbano dell'Ariosto, la festività e la ele- ganza del Caro e del Cecchi e il satirico di Pietro Aretino, empirono le scene di commedie, non che fredde, intirizzite: tanto che il popolo , lasciandole alle sale degli accademici , si piacque piuttosto di composizioni, che a scapito della regolarità , aves- ser qualche cosa di vivo, di curioso, di fantastico, che potesse recargli diletto. Allora gavazzarono la commedia dell' arte e le maschere e il teatro spa- gnuolo : il quale, unitosi a'due elementi suddetti , partorì di stranissime -cose. ' A quel tempo gli spagnuoli faceano da padroni. E come avviene per lo più , che qual signoreggia con la spada, dà a credere ai popoli ch'egli è va- lente (perchè si crede alla forza); perciò essi erano tenuti in gran conto, e imitati dalle nazioni d'Eu- 62 ropa, guastavano le arti e le lettere di tutti. Molti s' accendono a disputare a quale de' due popoli si debba dar colpa della corruzione dell'altro, lo dirò soltanto che tra noi non fiorirono come setta let- teraria e Gongora e quegli scrittori che si chia- marono colti {in ispagnuolo cuhos) (6) : noi aveva- mo già due secoli di alta letteratura, quand'essi gu- starono per la prima volta quel bello che riluce nelle carte del Poliziano e dell'Ariosto: noi non si eravamo giammai dimostri sì passionati del magni- fico stile : né gli arabi ci avean dominato, ne la- sciato retaggio del lor gusto bizzarro e fantastico. Ma ciò tralasciando, che ci porterebbe troppo lungi del nostro proposito; io non niego che il teatro spa- gnuolo non fosse tale da insuperbirsene qualsivo- glia nazione. Almeno era nato e cresciuto in Ispa- gna, e gli davan continuimente vita, vigore e sog- getto le tradizioni arabe, le pruove della cavalleria, i fatti degli ebrei e del cristianesimo, la generosa guerra coi mori, le corti castigliane, gli avventurie- ri del nuovo mondo, gli avvenimenti contempora- nei. Vario per costumi, per intrecci e per caratteri: vivace, appassionato, cavalleresco: esso nasceva quan- do era potente e rigogliosa la nazione: che versava la sua vita nel dramma, come nel po^ma la versa- rono i greci e gT italiani. Ma venuto in Italia, tentò di farsi italiano e tralignò , come avviet)e di qua- lunque pianta portata in clima strani ero. E per farlo peggiore vi si aggiunsero la commedia a soggetto e le maschere , che in luogo dei regolati componi- menti aveano invaso la scena. Forse se la nostra vita letteraria fosse stata men vecchia, e se non a- 63 vessimo avuti già tanti uomini sommi da Dante in- sino a Torquato; avremmo potuto resistere alla piena, che ci annegava, e far come in Francia adoperavano il Molière e gli altri grandi del secolo di Luigi deci- moquarto. Ma noi già avevamo dato all'ammirazione del mondo ingegni terribili e insuperali nelle arti e nelle lettere, ed allora eravamo <^ome uomini stan- chi, e quel ch'è peggio, in altrui signorìa. Que' portenti, che succederono alle regolari com- medie, si chiamavano opere tragiche, opere regie, opere tragicocomiche, opere tragicosatiricocomiche e così via discorrendo. Si tornò di netto alla confusione dei misteri , onde già prima dovea prender mossa il nostro teatro. La vita è un sogno. Sansone, il Con- vitato di pietra ed altre furono le nuove delizie, alle quali applaudivano le corti degl' idalghi spagnuolì, che ci pioveano in copia nel ducato di Milano e ne'reami di Napoli e di Sicilia. Ancora il cangiarsi dei costumi ebbe parte al de- cadimento della buona commedia. La quale vuol es- sere urbana, festevole, schietta: quindi non può al- lignare che tra i popoli dove 1' ingegno e T usan- za tiene appunto di tali qualità. E perciò il Bal- zac diceva, che le commedie dell'Ariosto non avreb- ber piaciuto gran fatto alla corte di Francia del suo tempo: da che per piacersi di quelle, era uopo sve- stirsi dell'abito cortigiano e prender quello del cit- tadino: ossia essere avvezzi piuttosto alla vita do- mestica e civile delle città italiane, che alla squi- sitezza e magnificenza della corte a Paiigi (7). Ma a qnel tempo i nostri costumi, se non affatto nella felice Firenze, al certo nelle altre parti d' Italia , ()4 e specialmente nella Lombardia, erano diventati me- sti , cupi e ipocritamente feroci. Insomma la na- zione era imbastardita per quelle cause , che son note a chiunque si conosce pur un poco della sto- ria nostra. Le solazzevoli compagnie, le brigate, le consorterìe delle arti, che erano sì polenti a spargere il gusto del bello anche nelle infime classi del popolo, s'eran come rannicchiate o ridotte a cerimonie e sorvegliate con sospetto. Alle ricchezze, alla libe- ralità , alla magnificenza d' animo e di vita erano succedute la grettezza, e, secondo la viva espressione d'un moderno, le allumacature, che inargentavano la squallida ossatura d' ogni cosa. Dimenticato lo schietto e libero conversare, si tolse un Cotal sus- siego spagnolesco, che dispiacque al Caro in sullo scorcio del secolo decimosesto e crebbe a dismisura nel secolo appresso. Le donne del piiì civile e no- bil grado si stavan nascoste nelle lor case: donde non uscivano che difese dal guardinfante e da un nu- golo di cerimonie. Si gridò al miracolo quando un viceré a Milano diede modo che nella sua villa sì tenesse piiì aperto e libero conversare (8). Il gon- fio avea preso il loco del grande. Basti ricordare i barocchi per dedurne, che siccome a quelle menti invasate doveano parer misere cose e Giotto e il Beato Angelico e Donatello e le porte del Ghi- berti in comparazione a que'loro giganti e monti di pietra ; così agli autori ed al popolo dovea sapere di meschino e d' insulso quanto si teneva alla pit- tura della vita verace, ossia ch'ella passeggiasse all'a- perto 0 si rinchiudesse fra le domestiche pareti. E però le turbe stupìano e si deliziavano dei Sansoni, dei Don Giovanni e d'altre fantasime. 65 Né vuoisi tacere che altre cagioni esterne con- corsero a quest' effetto. Siccome il teatro nel suo nascere sfoggiava in grandi pompe nelle feste dei prin- cipi; cosi sul finire del secolo sedicesimo gì' inter- medi (di cui si lamenta il Grazzini nel prologo della Strega) offuscavano con le rappresentanze di ninfe e di amori le semplici e casalinghe bellezze della commedia (9). La quale venne in peggior condi- zione a petto del dramma pastorale, che convertito nel dramma musicale per opera del Peri e del Ri- nuccini, nacque e grandeggiò appunto allorché il tea- tro era divenuto amore e bisogno di tutti gli or- dini dei cittadini. Adunque per queste ed altre cagioni avvenne l'intristirsi della buona commedia. Le imitazioni e le traduzioni spagnuole si mescolarono alle maschere, che s'accompagnavano di lor natura alla commedia a braccio e così detta dell'arte. E di questa e delle maschere , quantunque le une non potesseio star senza dell'altra, sarà bene discorrere partitamente , perchè sia chiara e la loro diversa origine e le ca- gioni del gran successo, ch'elle ottennero sì dentro come fuori d'Italia. G.A,T.CXL1\. 66 CAPITOLO SECONDO Molti eruditi affermano che la commedia dell'arte avesse origine dalle antiche favole dette atellane da Atella città osca della Campania (1). Imperocché sembra certo che que' liberi giovani romani e non istrioni mercenari, che le recitavano, improvvisas- sero come i commedianti moderni: la qual cosa non parrà impossibile chi pensi la innata facilità, che hanno gl'italiani a quest'effetto (2). Allorché soprav- venne il dramma greco, queste atellane si cangia- rono in una specie di favola, che si chiamava to- gata, perchè rappresentava usanze e soggetti romani. Dappoi si cominciarono a scriveie come le pal- liate, ed ebbero dà T. Pomponio bolognese, che assai ne scrisse, una forma più elegante senza punto per- dere della loro impronta originale e veramente ita- lica. E questo fu verso la metà del secolo settimo, ossia intorno all'anno secentosessanta di Roma. Dap- prima però si assomigliarono a farsa contadinesca a modo delle commedie rusticali fiorentine: quindi si diedero anche a rappresentare la vita urbana sem- pre alla foggia buffonesca con maschere ossia carat- teri determinati, confornie si può conoscere da alcuni titoli delle composizioni di Pomponio, e per esempio il Bucco adottato, i Macchi gemelli: i quali per- sonaggi si dicono gli avi del Pulcinella e degli Zanni moderni, come si dirà in appresso (3). Ne guari di- verse furono le saturae, che poi ebbero il nome di exodia , ch'erano forse improvvisate di vario sog- 67 getto, senza vera unità diarnin;itica, non meno rozze e imperfette delle atellane (4). Ma sin dai tempi di Cicerone le atellane furono avversate dai mimi , che giunsero ad oscurarle, anzi ad abbatterle (5). Eppure si rifecer vive, seb- bene timidamente, sotto l'impero d'Augusto: ma du- raron poco e ben presto si mescolarono ai mimi ed ai pantomimi, i quali nacquero nel cadere della li- bertà romana. Essi facevan dapprima favole sfac- ciate nella lingua del volgo e ornate di espressiva e vivace gesticolazione. In processo di tempo furono meglio regolate e aggradirono al popolo per la sferza che menavano contro i vizi de'grandi. Ma in quella che cresceva la lor licenza , la tirannide pure in- grandiva. Perciò si chiusero in bocca la parola di- venuta pericolosa a chi l'adoperava alla libera, e di- vennero una rappresentazione di cose per via di gesti e movimenti della persona , misurati e rallegrati dalla musica e dalla danza. Allora furono chiamate pantomime e padroneggiarono il teatro. In sostanza esse erano buffonesche e vi primeggiavano perso- naggi vestiti d'un determinato carattere, come le ma- schere della commedia italiana. Aggiungono gli eruditi che questa farsa o pan- tomima , a poco a poco ricupei-ando la voce , si mantenne viva e nel decadimento dell' impero ro- mano e durante le invasioni dei' barbari, e che con gli stessi caratteri, aggiuntevi la novità datele dal mutare de'tempi, trapassò i secoli di mezzo insino ai moderni. Ai quali ritornando, io dico che la com- media dell'arte, quantunque oscura e plebea, vivea nel secolo decimososto a malgrado di quanto s'ado- 68 pelasse da'poeti anche di vaglia per rinnovare il di- letto di più regolate rappresentazioni. Ma siccome a quel tempo il teatro non era costume, ma mero sollazzo e infrequente; avveniva che queste regolate commedie si recitassero nelle case private e per feste pubbliche ed elezioni e incoronazioni di prin- cipi nei palagi reali o nelle accademie innanzi a re, a letterati, a cortigiani. Laonde il popolo escluso da tali adunanze non avea modo a ingentilirsi, e quantunque più tardi vi fosse accolto , sic- come quello che non aveva punto d'erudizione onde potesse sollazzarsi di quelle commedie antiche ve- stite all'usanza moderna, tornava senza più a quelle favole, che pascevano il suo gusto men delicato. E perciò durante il sedicesimoe sul principio del seguen- te secolo, erano in piedi, per dir così, due teatri: l'uno pel volgo, l'altro per gli accademici: l'uno per le incolte, l'altro per le erudite persone: quivi gli zanni e le loro facezie; colà le reminiscenze di Monandro, di Plauto e di Terenzio. Da un lato si recitavano dagli attori mercenari le commedie all'improvviso: dall'altro gli accademici atteggiavano le loro com- medie, che ben di raro passavano al teatro del po- polo. Del che ci fa fede il Grazzini, che pur com- poneva commedie e che in un canto carnescialesco « fa dire agli zanni queste parole (6): Facendo il bergamasco e il veneziano N' andiamo in ogni parte: E il recitar commedie è la nostr'arte. Noi ch'oggi per Firenze intorno andiamo, Come vedete, messer benedetti, 69 E zanni tutti, siamo Recitatori eccellenti e perfetti. Gli altri strioni eletti Amanti, donne, romiti e soldati, Alla stanza per guardia son restati. Questi vostri dappochi commediai Certe lor filastroccole vi fanno Lunghe e piene di guai. Che rider poco e manco piacer danno. Tanto che per l'affanno Non solamente agli uomini e alle donne, Ma verrebbero a noia alle colonne. Adunque quésti dappochi commediai non poteano metter freno alla commedia dell'arte, che nel secolo decimosettimo visse una splendida vita, anzi fu al colmo di quella perfezione, di cui eli' era capace. Questa si componeva dapprima di antichi sce- nari , che diceansi venuti per tradizione insino a quel tempo che la barbarie non dava che vi fosse com- media scritta. Il Goldoni ci assicura di aver posse- duto un manoscritto del secolo decimoquinto molto ben conservato e legato in pergamena, il quale con- teneva centoventi soggetti o abbozzi di commedie, in cui lo scherzo s'aggira intorno ai personaggi del Pantalone , del Dottore e delle due maschere da Bergamo. Parimenti il Riccoboni ne ha visti degli an- tichissimi, l'un de'qualÌ€on ilrescritto di san Carlo Borromeo, che ne permetteva la recita. Ancora può vedersi il modo, col quale si ordinavano queste com- medie a soggetto nel libro di Flaminio Scala com- mediante e capo d'una compagnia. In questo libro, 70 che fu stampato nel 1611 col titolo// teatro delle favole rappresentative , sono di molte commedie in semplici scenari , in cui è notato ciò che 1' attore viene a fare, ciò che deve dire e nuH'altro (7). Quanto alla costruzione delle favole, queste dello Scala sa- ranno state forse meglio pensate di quelle che usa- vano: non cessano però di esser fiacche e talvolta pessime : quasi sempre disoneste. E ciò sia detto con pace di Claudio Achillini, che imbranca il suo sonetto con gli altri, che lodano questa hell' opera in capo di essa. Stile del tempo: appicavansi i versi in lode dell'eccellente e divino autore anche ai grossi volumi de' legulei. Del rimanente la commedia dell'arte prendea ma- teria ed alimento da tutto ciò, che trovava a sé con- veniente nel teatro comico universale. L'antico , lo spagnuolo, quello del cinquecento e del secento, il già scritto o l'inventato di nuovo, davan soggetto a quelle orditure chiamate scenari , che appesi dietro alle quinte avvisavano gli attori di ciò che avessero a fare e a dire nell'entrar della scena. Da tre o quat- trocento informi soggetti, ne' quali erano le più forti circostanze teatrali e la scelta delle beffe e dei giuochi meglio provati in lunghissimo tempo, si com- ponevano, si scomponevano, s'aggiungevano insieme secondo il capriccio o la valentia degli attori, e da- vano alimento, almeno in apparenza, al naturale ap- petito di novità. Egli è agevole l'immaginarsi i difetti insuperabili in cotal genere di commedia. Innanzi a tutto ella non polca farsi a dipingere i caratteri, e specialmente quelli ove fosse alcuna riposta e squisita bellezza 71 0 lidicolosità: imperocché questi per esser ben ri- tratti hanno bisogno della meditazione e di quel senso delicato, che si acquista con lunga e minuta osservazione, oltre all'ingegno, che sa coglierli pro- prio in quel punto, che produce effetto o mirabile o ridicolo in sulla scena. Queste cose non poleano aversi negli attori: che per quanto fossero ingegnosi non avean modo, parlando improvviso, d'entrare in minuti accorgimenti e aver la mente e la parola così sicure da non dire o far cosa, che s'opponesse più o meno a quel carattere, che stavano rappresentando. Egli è perciò che alla commedia dell'arte erano ne- cessarie le maschere, sotto alle quali potea dirsi tutto, purcl è fosse piccante, grazioso, piacevole. Gli zanni tenean dell'acuto e del balordo: il Pantalone dell'ac- corto e del semplice: il Dottore sapea di scienziato e d' ignorante ad un tempo, e cosi via discorrendo: tanto che il correr della lingua a un motto ridevole dopo una grave sentenza, a un piacevole frizzo in mezzo a una scena compassionevole, non era scon- veniente a quelle caricature d'uomini e non recava danno all'azione principale. Ma per quanto fosse li- bero il campo, era pur necessario, che gh attori s'in- trinsecassero in que'costumì,e guardassero piiì o meno al fine, a cui intendeva la favola intera. Né bastava che ciascuno di per sé facesse quanto gli suggeriva il soggetto; ma era uopo che avesse l'occhio pure agli altri personaggi e desse loro campo a dipingere la propria parte. Imperocché tutti intendessero alla interpretazione di un' opera sola , allo svolgimento d'una tela medesima. Ma ciò poteva piuttosto desi- derarsi che aversi in effetto. Che se nella commedia 72 scritta noi vediamo ben di raro quella fusione o ba- gnatura (siccome dicono gli artisti), che si richiede all'uopo, ancorché tutti gli attori sappiano bene a mente la propria parte; quanto piti rara doveva es- sere questa bellezza là dove ognun d' essi potea lentar la briglia ali ingegno e al talento di pri- meggiare ! Inoltre chi pensi che i valenti attori erano senza dubbio in minor numero degl' inetti , potrà intendere di leggieri che non sempre era rag- giunta la varietà, di cui menava vanto tal sorta di commedie. Da che , siccome porta la natura degli uomini, i mediocri e i pessimi attori contraffaceano i buoni, e ripetevano i gesti, le facezie e le senten- ze, che questi aveano fatto o pronunciato. Così nel decadere della commedia dell'arte erano venute in uggia alcune consuetudini, che passate di padre in figlio, davano aspetto uniforme a tutti i componi- menti. II pubblico sapeva che 1' argomento era di- chiarato nella prima scena dal Pantalone col Dot- tore, dal padrone col servo, dalla donna colla came- riera, I dialoghi finivano in un canzoncino spiccato così d' improvviso dall'attore , che di presente di- ventava poeta. E così a mano a mano, ch'era una noia mortale (8). A malgrado di questi difetti, che si palesarono specialmente nel suo decadere, essa però non do- vea mancare di molte bellezze, perchè avesse quel grande successo per oltre due secoli. Ho già detto ch'ella era composta di tutte le più ingegnose com- binazioni e degli equivoci e de'giuochi , in somma di tutti quelli che oggi chiamano colpi di scena, pro- vati di siculo effetto per lunga esperienza. Oltrac- 73 ciò gli antichi soggetti ringiovanivano per la di- versa disposizione delle scene, che in tal modo rin- novavano le bellezze al dialogo. Un nuovo attore cresceva la curiosità e il pregio all'antica comnrìe- dia. 1 costumi grossi, evidenti e gagliardi e che du- ran di più, erano più facilmente intesi dall'attore e dal popolo. Le voci, i modi di dire, i proverbi, in quell'entusiasmo dell' improvvisare, eran portati così caldi sulla scena senza gelarsi sullo scrittoio del let- terato. Non deve dunque recar maraviglia, che vec- chi scenari, quali erano a mò d' esempio la donna custode d' un segreto, V inganno fortunato, il dissolu- to, il carceriere carcerato, ancora si leggessero nel settecento, e che l'Andria di Terenzio data dal mar- chese Pedemonti di Verona piacesse al popolo per- chè ammodernata e fatta viva dal linguaggio , dai lazzi e dalle facezie de' comici. Ma due pregi sin- golari rendevano cara agi' italiani la commedia del- l'arte. La piima cosa, ch'ella era propriamente ita- liana e però antica quanto la stessa nazione : e di ciò abbiamo già fatto cenno. In secondo luogo, molti buoni ingegni l'aveano coltivata per diletto e attori di gran vaglia le aveano dato grandissima fama non solo in Italia, ma in tutta l'Europa. 74 CAPITOLO TERZO. E qui c'incontra subito di mentovare quel biz- zarro e acuto spirito di Salvator Rosa. Al quale un giorno saltò in capo di chiamare a sé 1' atten- zione de'romani con qualche bel tratto. Perciò ap- parve in pubblico sotto la maschera di Pascariello, e facendosi chiamare Formica, si diede a recitare coi lazzi e il ridevole dialetto della plebe napoletana. E poi ch'ebbe radunato un buon numero di giovani di bel tempo, recitava insieme con essi all'improv- viso sopra un palco eretto nello spazzo, ch'era al primo ingresso della villa Mignanelli fuori dì porta al Popolo. Un certo Nicolò Musso era direttore di queste farse: le quali, più somiglianti alle mordaci commedie ateniesi che alle urbane di Terenzio, s'ag- giravano intorno ad avvenimenti e costumi del giorno, e davan la baia, anzi sferzavano a sangue, uomini conosciuti e autorevoli. A tal modo si provocavano e gare e risse e satire. E intanto che il Rosa l'ac- coccava al Remino e ad Ottaviano Castelli ; cos- toro, che pur faceano recitare in Rorgo alcune loro commedie mordaci, fìngeano nel prologo di una di esse un chiromante o fìsonomista, che vòlto a ri- guardare un personaggio, ch'era il Formica spiccato, gl'indovinava la vita ch'avea condotto, e apertamente diceva infamie del Rosa (1). Anche nelle case principali delle più colte città s'usava la commedia dell'arte, e più che altro nelle villeggiature- Presso Ugo e Giulio Maffei di Volterra lo stesso Salvator Rosa atteggiava la parte di P.a- 75 tacca servo astuto (2). A Bologna molti e di vaglia la coltivavano. E sei seppe il Goldoni, allorché cos- toro si levarono a furia contro a lui come reo di vo- lere abbattere la lor diletta commedia (3). Ma per la gran copia di attori eccellenti , che allora fiorirono, il secento fu proprio il secolo d'oro di queste farse. Va nominalo innanzi a tutti Ti- berio Fiorini detto Scaramuccia , che fu a Parigi » la gemma del teatro italiano. Costui fu di Napoli e nacque d'un capitano di cavalleria. A diciotto anni cacciato di casa, si diede al venturiero, e adoprò assai sottili scaltrezze e ribalderie per vivere la sua vita raminga. Le divisa punto per punto Angelo Costan- tini, che scrisse la vita di Scaramuccia così a mi- nuto come egli avesse per le mani le geste d' un qualche eroe (4). Per verità Tiberio, che mostrava d' esser tristo d' avanzo, se ne andava disteso alla forca, dove il caso non gli avesse dato modo a co- noscere la qualità del proprio ingegno. Dopo aver lungamente peregrinato vivendo a scrocco, s'avvenne in Fano a una compagnia di commedianti. Gli parve d' esser chiamato a quel mestiere ; e detto fatto si presentò a quelli, e si proferi ad atteggiare lo Sca- ramuccia , eh' era una caricatura del soldato spa- gnuolo, ossia un misto di- poltronaggine e di mil- lanteria E volle subito recitare // convitato di pietra: commedia (dice l'esatto scrittore), per la quale egli si sentiva una cotal tenerezza, perchè ci si man- giava più d' una volta. In breve questo furfantello salì a tale celebrità, che fu richiesto da Alessandro Farnese, dalla corte dell' imperatore e dal Mazza- rino. Scaramuccia elesse la Francia. Ed ivi egli visse per trent'anni famoso e traricchito. Le dame e i si- gnori volevano avere il suo ritrailo inciso e scol- pito nei loro gabinetti : la corte e il popolo ripe- leva le sue argute sentenze : le quali si raccoglie- vano in libri intitolati Le scaramucciane: insomma fu per lui una festa e un macinare a due palmenti (5). Tutto ciò pariebbe un nonnulla ai cantori del no- stro tempo: ma è pur da notare, che sin d' allora venne il costume di queste grandi adulazioni a gente ^ che pur merita qualcosa, ma non tanto, che si versi sopr'essa a piene mani ciò che ad altri più meri- tevoli si concede e di rado e avaramente. Intanto Scaramuccia, morto nel 1694, lasciò de'suoi avanzi agli eredi una sostanza di centomila scudi. 0 Tas- so ! 0 Galileo ! Egli avea voce bassa : sordo d' una orecchia : smunta una spalla. Era di gran ventre : ma sul teatro agile e pronto più di qualsivoglia istrione. Né àvea gran copia e facilità di favella: ma coi gè- | sti e le smorfie e gli atteggiamenti dipingeva più che non dicesse, tanto che il Molière ne facea grande slima e diceva di aver da lui quant'egli sapea del- l'azione. 11 Costantini lo chiama il principe dei pan- tomimi: e con ciò vuol dire che più facea di quello i che non dicesse: e aggiunge che in lui parlavano le ! mani, i piedi , la testa, e che ogni gesto, per dir ! così, ragionava (6). Prima dello Scaramuccia fu pur celebre Pier ' Maria Cecchini , che fu ingegnoso e letterato. Egli j facea le parli d'Arlecchino e fu ascritto fra i nobili ' dal re Mattia e fu protetto e beneficalo da Luigi XIII (7). E della protezione e beneficenza di que- 77 sto re mena pur vanto Nicolò Barbieri detto Bel- trame nel suo libro intitolato la Supplica, che è un trattato sulle commedie (8). Né vuoisi tacere d'una famiglia , che diede alle lettere buoni cultori e al teatro attori eccellenti. E fu quella degli Andreini. Francesco Andreini pistoiese appartenne alla com- pagnia de' Gelosi , così chiamata alla usanza delle accademie (9); la quale per privilegio di Arrigo III ebbe facoltà nel 1577 di aprire il teatro italiano a Parigi (10). Questi fece la parte di negromante e di capitano Spavento: sotto il qual nome spavente- vole dettò un libro di dialoghi (11). Era dì gran memoria e parlava più lingue. Allorché la compa- gnia de'Gelosi scadde di ftima per la morte di sua moglie , egli si ricovrò a Mantova e si diede tutto allo scrivere. Vogliono ch'ei morisse nel 1624. Ma la sua moglie Isabella e il suo figlio Gio- vanni Battista lo avanzarono di celebrità. Isabella, padovana, fu singolare per bellezza e per costume; attrice valente, nel cantare e nel sonare abilissi- ma, applicò l'ingegno persino alla filosofia. Da gio- vinetta scrisse la Mirtilla, favola boschereccia : nel qual genere di poesia si levò al di sopra della ti- midità delle pastorali: e n' ebbe di molti applausi, quantunque il suo lavoro non fosse approvato pie- namente dai giusti estimatori di quella età. Ella morì a Lione di anni quarantadue nel 1604. Il comune della città onorò il corteggio funebre di mazzieri e d'insegne, e tutto il corpo dei mercanti l'accom- pagnò con doppieri (12i^; Fu chiamata decoro delle muse e oinarnento de' teatri: fu onorata , mentre visse, da Arrigo IV e fu lodata da Enrico Putcuno. 78 E il celebre cavalier Marino nel sonetto che inco- mincia: Piangete orbi teatri: nel quale deplora la morte di lei, la fa recitare ne Vempirea scena, che d' an- gelici lumi è tutta piena. Dal che s' impara che le pazzie letterarie del secento erano più allegre delle nostre. Giovanni Battista Andréìni detto Lelio, cioè l'a- moroso, fu quegli che compose 1' Adamo , da cui vuoisi che il Milton prendesse 1' idea del suo poe- ma. Ed è certo che da quella tragedia piena d'ar- dimento, in cui prendono parte e cielo e terra e in- ferno, dovea ispirarsi la fantasia dell' inglese, s'egli è vero che Dio e un poeta si vogliono a suscitare un gran poeta. Chiamato in Francia con la sua com- pagnia, che stava al servizio del duca di Mantova, visse colà amato molto da Luigi XIll sino al 1625, e pare che nel 1652 si morisse. Egli avea scritto, oltre l'Adamo, di molte commedie e poemi e com- posizioni, nelle quali non è al certo copia di buon gusto e perciò meritamente dimenticate. Al tempo dello Scaramuccia recitò insieme con lui Domenico Biancolelli conosciuto col nome di Do- menico bolognese, che facea le parti d'Arlecchino. Costui fu veduto a Parigi dal Gemelli (viaggiatore celebre e sfortunato) nel 1686. Allora egli era in tal grazia della corte, che potea tenere gran vita , non avendo meno di seimila scudi l'anno di stipendio. Anche i suoi detti si raccoglievano e andavano in giro col titolodi Arlequiniana. (13). E fu pure ce- lebrato Angelo Costantini d« Verona soprannomato Mezzetino, perchè facea le parti di Brighella o di Scapino. Egli recitò insino a che il vecchio teatro 79 italiano fu chiuso a Parigi sulla fine del secolo decimosettimo. Scrisse , come abbiamo detto , la vita di Scaramuccia e la stampò nel 1695 dedican- dola a Madama Altezza Reale. Chiuso il teatro italiano, si mise al servigio del re di Polonia. Ma e' volle guardar troppo all'insìi, e posto l'occhio a una ganza del re, le discoprì il suo amore. Ne fu a rischio di perder la vita e stette vent'anni dove il sole si vede a scacchi. Uscito di prigione, ricomparve nel 1729 a Parigi quando lo si ccedea beli' e spacciato. Fu gran folla ad udirlo. Ma egli era accasciato e il pub- blico era dissuefatto da quel vecchio modo di recitare. Laonde egli si ritrasse dalla scena e morì in Italia di settantacinque anni. E anche è da nominarsi Giu- seppe Barioletti messinese, che atteggiava il Pasca- riello e che fu pure in Inghilterra, ove ebbe graziosi donativi da Carlo secondo. E basti, se pur non è troppo, di questi attori del seicento: de'quali non accade nominare quella chiassata di buffoni, che passeggiava l'Eluropa e che fu eternata dal bulino del Callo t (14). Infelice con- dizione dell'Italia, che avea pur dato a tutte le na- zioni gran copia di guerrieri e di politici e di let- terati e d'artisti ! Nel secolo diciassettesimo (passandoci del Ric- coboni, che fu nemico della commedia dell' arte e fece a suo potere per mettere in onore l'antica e la nuova commedia scritta) sono da noniinarsi Rauzini napoletano, Benozzi veneziano. Caudini che fece quasi rivivere il Fiorilli , Antonio Mattiuzzi da Vicenza detto Collalto, Carlo Bertinazzi detto Carlino: i quali furono, e ^ultimo in ispecie, gli astri della com- 80 media italiana a Parigi finché fu del tutto abolita. In Italia poi furono famosi al tempo del Goldoni il Vitalba, il Darbes Pantalone, e innanzi a tutti An- tonio Sacchi. Questi, che si nominava Truffaldino, alle grazie naturali del suo recitare giocoso e ridi- colo, a"giun2;eva un ordinato studio sull'arte comica e sopra i diversi teatri dell'Europa. Immaginoso, ar- guto, tutto inteso alla generale orditura della com- media, avea per le mani facezie e sentenze, non ti- rate dai comici e dal volgo, ma dai poeti, dagli ora- tori e dai filosofi, delle quali avea fatto fardello. Nelle sue arguzie si ravvisavano i pensieri di Seneca , di Cicerone, di Montaigne: e si bene le cementava alla semplicità del balordo, che dove in quelli s'ammi- rano, faccano in sua bocca ridere piacevolmente. Di tal fatta erano gli attori, che recitavano la cotn media dell'arte. Non fa dunque meraviglia, che (juesta venisse amata sì forte. Molti italiani la le- vavano a cielo siccome cosa nazionale, e il Goldoni stesso non volea che recisamente si bandisse. Egli volea signora della scena la commedia scritta: e- sortava però i suoi concittadini a tenersi nel pos- sesso di ciò , che nessun'altra nazione avea ardito. Chiamava temerità negi' ignoranti comici il dire improvviso; virtù ne' valenti , che a grande onore dell' Italia. e dell'arte improvvisavano con non mi- nore eleganza di quella che un poeta scrivesse. Gli stranieri pur ammii'avano ed amavano la commedia a soggetto, e v'ha di quelli, che ci hanno fatto rim- provero d'averla abbandonata. Ma questo non mica 81 per amor nostro, ma soltanto per dirci, che noi non eravamo buoni alla commedia ch'essi dicono di Mo- lière , come noi non avessimo avuto , e prima e dopo di Molière , un Nicolò Machiavelli e un Carlo Goldoni. G.A.T.CXLIV. 82 CAPITOLO QUARTO Qual finge il vecchio, che con man la negra Sopra le grandi porporine brache ireste raccoglie, e rubicondo il naso Di grave stizza, alto minaccia e grida L'aguzza barba dimenando. Quale Finge colui che con la gobba enorme E il naso enorme e la forchetta enorme Le cadenti lasagne avido ingoia. Quale il multicolor Zanni leggiadro, Che col pugno posato al fesso legno, Sopra la punta delVun pie s'inoltra, E la succinta natica rotando. Altrui volge (aceto il nero cefìo. Pari ni - La notte Le nostre maschere teatrali non sono le antiche larve. Le larve ( larvae ), chiamate anche persona, erano una copertura, che nascondea la testa dell'at- tore, chi vuole per ingrandire la voce, chi per dare agli eroi apparenze più che umane, chi per l'effetto ne- cessario a ottenersi nelle rappresentazioni diurne (1), Le nostre sono invece personaggi vestiti sempre d'uno stesso abito e d'uno stesso carattere. Larve oggi potrebbero dirsi le maschere del carnevale : maschere teatrali sono Arlecchino ed anche Stente- rello, quantunque questi non usi di coprirsi il viso. È il vero che pure nelle commedie antiche erano alcuni personaggi, che dovevano aver caratteri fissi. Il pedagogo, il cuoco ed altri personaggi della com- media greca doveano assomigliarsi in qualche parte per esempio al Dottore e al Brighella. Ma più stretta parentela debbono avere le nostre maschere con que- 83 gli antichi buffoni, che s'aggiravano por le coiti e per le piazze tra il popolo. Ebber fama svergojjnala Giulio Peligno e V^atinio: il primo de'quali fu fatto da Clau- dio governatore di Cappodocia, perchè gli aveva fatto più volte passar mattana con visi da far ridere : l'altro, allievo d'un sarto e gobbo, fu a tempo di Nerone un ridicolo, che fece piangere calunniando i buoni ed avanzando i tristi (2). E da credere che altri buffoni man cortigiani e più graziosi all'univer- sale passassero tra i mimi e col loro esempio des- sero vita e durata a una certa foggia di maschere: come vediamo anche ne' tempi nostri, dove chi trovi un qualche espediente a far ridere, vestendosi d'un certo abito e d'un certo carattere, viene dai^'poste- riori imitato, che si prendono quella foggia e con- traffanno quel carattere non sempre felicemente come avviene a coloro che imitano. Quindi possiamo di- scretamente asserire, che alcune delle nostre ma- schere sien nobili di vecchio sangue, ossia che di- scendano dagli antichi: il che non è meraviglia chi pensi quanto ci rimanga de' vecchi costumi a mal- grado di questa civiltà , che mesce e pareggia le w, usanze di tutti i popoli. Per certo chi si credesse aver v trovato l'Arlecchino in questo e quell'altro buffone, ■ che usò del vestito screziato, egli s'ingannerebbe a partito. Imperocché 1' usar di questi abiti sia stato sempre vezzo di chi guarda a far ridere. 11 moltiplice, il confuso è proprio del ridicolo: unire gli elementi d' idee disparate è come il mesceie colori diversi : e r una cosa e l'altra sogliono esser fonti di riso. Così i giocolieri greci portavano il pallio vaiato o panierino (3) : e dagli ambasciatori bisantini fu vi- 84 sto presso ad Attila un negro , buffone , vestilo a colori diversi che si sai-ebbe pututo dire un Arlec- chino (4). Piuttosto non parrebbe discostarsi troppo dal vero il Riccoboni quando dice nato l'Arlecchino da que'mimi, che si chiamavano planipedes^ perchè uscivano sulla scena a pie nudo. Questi mimi aveano !a teste rasa: la veste a pili colori chiamata cen- tunciihis: tingeansi il viso di fuliggine. Però potea- no assomigliarsi al nostro Arlecchino, che si veste di pezze di vario colore ed ha la testa rasa e ap- pena coperta da un piccolo cappello, e la maschera forata di due piccoli fori per isfogo della veduta, e piccole scarpe senza tacchi , che fan tanto rumore quanto se i piedi fossero ignudi (5). Io lascio vo- lentieri al Riccoboni ch'ei si lodi e si difenda di tale esatta riconoscenza: però non mi sembra do- verlo riprendere, in quanto che tra que' buffoni, che divertivano i grandi e il popoletto, se ne descrivono altri, che per la loro nascita in questo o in quell'al- tro paese, e per i nomi che ce ne sono rimasti, mi hanno l'aria d'essere i nonni delle maschere mo- derne. Tra i buffoni urbani, cioè del volgo e non mica dei grandi, eranvi i sidicini, che venivano ap- punto da Sidicino oggidì Teano della Puglia, paese ove nacque il Pulcinella d'Acerra (6). Eranvi pure i sannioni {samniones)^ i quali ci han dato la voce di Zanni, che designa Brighella ed Arlecchino chia- mati appunto così, checché se ne voglia dire il Me- nagio, il quale volea originata la voce di Zanni dal lombardo Giovanni. Ma chi pensi che il Varchi e il Davanzali ed altri, che in fatto di lingua avean gli occhi di lince , adoperarono la voce di Zanni 85 senza mutarla in Giovanni, sarà persuaso, che an- che quegli scrittori fossero di parere, che tale pa- rola avesse origine più antica e più legittima per dovere essere ammessa, così com'ella era, nel pa- trimonio della lingua italiana (7). Che più ? Nei vasi antichi della Puglia e della Basilicata e negli orna- menti d'oro di quel paese si trova il Macco colla gobba e col naso adunco, che non perde un pelo del Pulcinella (8). Queste maschere dunque erano una cosa nazio- nale, e malgrado le tempeste, che misero sossopra il nostro paese, furono conservate dai mimi, dai panto- mini, dai saltimbanchi nelle pubbliche piazze. I mimi ed i pantomini, ancor vivi nei secoli mediani, reci- tavano le azioni sacre, le feste degl'innocenti, i mi- steri: nelle quali recarono l'antico lor vezzo di far ridere e si mescolarono ai buffoni ed ai giullari. Laonde si vede la ragione, onde l'arcivescovo sant'An- tonino vietasse di rappresentare quelle azioni, che sì recavan sin dentro alle chiese. Da questa mescolanza de' mimi coi buffoni e coi giullari veniva di per sé che le antiche maschere, col cangiarsi de' costumi, prendessero nuove forme. Il buffone era arnese necessario sì nel palazzo del com- mune, come ne' manieri, nelle assemblee, nelle nozze e nelle corti. Si vestivano a diversi colori: portavano campanelli alle vesti e al cappello, bastoni a testa d'asino ed altre bizzarrie. V'erano buffoni gentiluo- mini ed arguti : ve n'eran di plebei, maligni, adu- latori e codardi. Il Varillas ricorda un Farganaccia , popolano, buffone, che stava alla domestica coi più grandi di Firenze e che fu stromento di libertà a Co- 80 simo il vecchio quando fti caicerato, e il Cellini ci dipinge Bernardo Baldini, detto Bernardone,che dava sollazzo a Cosimo primo col gonfiare le gote e far- sele sgonfiare a suono di schiaffi (9). In somma, pas- sandomi della storia dei buff'oni , cominciando da Tersile giù giù sino al Gonnella e al Fagiuoli ; io dico che costoro o mescolandosi agi' istrioni o in- spirando loro nuovi modi a far ridere, doveano cer- tamente crear nuove fogge e nuove maschere più accomodate agli usi ed ai tempi che correvano. Ancora il medesimo effetto dovean partorire i car- nevali, dove spiegavasi apertamente l'arguzia popo- lare: que'baccanali , che a Venezia furon sì lieti e sì liberi, e che a Firenze furono portati alla magnifi- cenza de'trionfi, per i quali non {sdegnarono operare famosi artisti , come Leonardo, Baldassar Peruz/i, Bastiano Aristotile, e scrivere vivaci canzoni un Lo- renzo de' Medici, un Poliziano, un Pulci , un Ma- chiavelli. Che se vogliasi ricercare quali maschere nasces- sero nel medio evo e il come e il quando; questo ancora è campo dove corrono molte e varie opinio' ni. E lasciando alcune fanciullesche origini (10) , io mi fermerò sopra due specialmente : una delle quali è foggiata dal nostro Goldoni, che se era sommo nell'arte comica, dicono che in erudizione non fosse una cima. Egli asseriva che la commedia fosse ben morta in Italia sotto le ruine dell'impero: ma che al primo rinascere della civiltà, quelli che sapevano di lettere, trovando quasi sempre nelle commedie di Plauto e di Terenzio padri ingannati, figli disso- luti, servi bricconi, percorressero le varie parti d'Italia 87 e a Venezia e a Bologna (non so perchè) si piglias- sero i padri ossia il Pantalone e il Dottore, a Ber- gamo i servi, negli stali di Roma e della Toscana le servette e gl'innamorati. La seconda opinione è quella di coloro, che voglion nate le maschere per le ire municipali delle città italiane: le quali al modo stesso che l'una chiamava i cittadini dell'altra con nomi beffardi e ingiuriosi, così, essi dicono , crea- rono queste maschere come ritratto ridicolo del co- stume e delle sembianze dei popoli vicini. A me non quadra nessuna delle due opinioni. Il Goldoni crede frutto d'un ragionamento e ricerca di più 0 meno dotti ciò eh 'è nato spontaneo tra il volgo e dal volgo. Egli suppone le maschere copia 0 parodìa dei personnaggi della commedia antica , mentre che i Pantaloni e gli Arlecchini sono cosi distanti da quelli , come la sbrigliata commedia a soggetto dalle eleganti e gastigaté opere di Terenzio. Quanto alla seconda opinione, ch'è più divulgata , io non niego che le maschere sieno il ritratto ri- dicolo del costume e della sembianza d'un popolo: anzi più me ne confermo nel vedere , che uscite dal paese natale, tralignano, siccome avvenne dell'Ar- lecchino, che portato in Francia, di vispo e gras- soccio si fece gobbo innanzi e indietro , fece il mento largo e strinse e allungò fuor di modo la faccia. E chi vorrebbe affermare che Stenterello , maschera più recente , non sia la caricatura della parsimonia dei fiorentini ? Quella specie di lista nera, che gli circonda gli occhi e s'appunta tra le ciglia in sul nascere del naso, forma appunto quel- l'emme, che leggeva Dante sul viso degli smunti: 88 Parean le occhiaie anella senza gemme: Chi nel viso degli uomini legge omo. Ben avrìa quivi conosciuto Vemme. {Purgatorio e. XX III). Ma io niego ricisamente che le maschere sieno nate dairira e dallo scherno delle città nemiche. Im- perocché sì nei secoli andati, come nel presente, si vede una maschera colà più gradita, dove rappre- senta il costume, il carattere, la fìsonomia del paese: il che non sarebbe dove fossero state inventate a scherno da un qualche nemico. Che anzi , eccetto quelle che sono chiamate le quattro maschere della commedia italiana, le quali han corso la penisola e si sono recate in paesi forastieri; alcune altre o men felici o men gradevoli o perchè rappresentate da attori meno valenti, non hanno trapassato il con- fine del paese ove nacquero, e colà morirono o ri- mangono ancora. 11 Pulcinella non si può dire uscito dell' Italia meridionale: anzi il Goldoni si meravi- gliò di trovarlo in Roma a Tordinona (11). E il Rugantino, che sferza l'arroganza della plebe romana, non semba essersi discostato di molte migliai dal cerchio della sua città. Adunque mi par chiaro che ogni maschera sia nata appunto nel paese, ch'ella rappresenta, e perciò cara al popolo, che vede in essa la propria immagine e ride piacevolmente dei suoi propri difetti. Nel che è da osservare la natura degli uomini e in ispecie de'potenti. 1 quali, mentre non soffrono di sentire contraddizione o verità alcuna da chi glie ne porge in tuono magistrale; d'altra parte 89 se la bevono volentieri se vien pòrta piacevolmente da persona gradita. I baroni e i re talvolta udivano ridendo dai buffoni quelle verità, che non avrebbero sopportato nella bocca d'un consiglerò : il popolo ateniese, ch'era pure potente, rideva e prendeva in buona parte i dileggi, le baie, le sferzate del poeta, che gli rinfacciava nel teatro i suoi vizi. Pantalone non può non esser nato nelle lagune. Ce ne fanno fede la sua professione di mercante e le sue vesti alla foggia de'vecchi veneziani. II far- setto, i calzoni, le calze e le pantoffole rosse erano il vestimento de'vecchi abitatori delle isole: la ve- ste nera e la berretta di lana usavano ancora a Ve- nezia sulla fine del seicento. In quanto alla barba, ella ci pare nutrita e pettinata a modo dei bisan- tini, da cui i veneziani tolsero assai fogge: ornamento degli uomini gravi del buon tempo antico, avuta in or- rore nel passato secolo, ell'ha nel nostro acquistata una importanza, di cui non si credeva capace. Il Dottore ricorda il fiorire della università di Bologna, e si veste d'un abito conforme all'antico costume del foro bolo- gnese. Alcuni vogliono che quel viso macchiato di nero sulla fronte e sul naso fosse copia del ceffo di un giu- reconsulto a'tempi d' Irnerio. E v' ha dei maligni, i quali dicono, che presa o non presa dal vero, quella maschera era proprio conveniente a'dottori in iitroqiie dopo che due di quella razza, cioè Bulgaro e Mar- tino, avean disputato innanzi all'imperatore se il mon- do gli appartenesse a titolo di proprietà o d' usu- frutto. E aggiungono che ci volea una maschera con la fronte nera, il naso nero e le guance rosse, che osasse dar fiato a simili enormità. Ma tralasciando' 90 tali baie, io dico clie queste due maschere rappre- sentavano la scienza e il commercio: e che intanto che figuravano burlescamente il giureconsulto e il mercante , faceano onore alle due città , che in mezzo alla barbarie dell' Europa poneano i fonda- menti della società moderna. Le fisonomie e le vesti degli Zanni sono più fan- tastiche, e sarebbe diftìcile il congetturare con qual- che apparenza di ragione a qual popolo d' Italia si appartengano. Quantunque il Goldoni ci dica che la maschera dell'Arlecchino rappresenti il color bruno degli abitatori delle montagne bergamasche , e che le sue vesti sieno i cenci raggranellati d'un mendico; egli è certo che tali dati son troppo generali per poter conchiudere a questo modo. Il color bruno non è proprio de' soli alpigiani di Bergamo : ogni mendico fa dei cenci una veste. Del resto Arlec- chino non ha de'bergamaschi che la favella (che pur dal Goldoni fu mutata nella veneziana) e la coda di volpe, di cui ancora nel secolo passato ornavano il cappello i contadini di quel paese. Par dunque più ragionevole ch'esso ci venga dagli antichi, e che nell'andar dei secoli cangiasse di nome. Oltre a queste, dette per eccellenza le quattro ma- schere, ve ne furono altre moltissime, ch'ebbero poca vita e morirono dove nacquero. Un proverbio an- tico diceva: Sicilia dà i Covelli, Francolino i Ora- ziani, Bergamo gli Zanni, Venezia i Pantaloni, e Man- tova i buffoni. E si dà a Mantova questa gloria forse pel Gonnella , che fu il più bel buffone di quanti furono e sono al presente. Napoli diede anche lo Scaramuccia e il dottor Fastidio, che dicesi inven- 91 tato dal Cerlone setaiuolo, Calabria il Giangurgolo , Bologna il Narcisino Dessevedo de Mal Albergo, la Romagna Gabaii da Berzighella, Milano un Beltrame, Firenze il Beco trovato da Franeesco Mochi. A'tempi nostri Gianduia in Piemonte, Stenterello a Firenze, Pasquino a Palermo, Cassandro a Roma. iNon accade il cercare quale autore od attore abbia fatto parlare le maschere nell'uno o nell'altro dialetto. Imperocché quando si creda che una ma- schera sia nata in una certa città, bisogneià pur dire che la favella di lei fosse quale si parlava nel luogo nativo. Pantalone , nato nelle lagune , non dovea certamente parlare altra lingua che la veneziana, men discosta dalla comune italiana e sì dolce e pie- ghevole da meravigliar gli stranieri, che ella stesse in bocca di quella gente gagliarda, che sì lunga- mente resisteva alla formidabile alleanza di Cambrai. E di vero egli era ben giusto, che quando l'aver dia- letto proprio era bel vanto d'ogni municipio, sonasse ne'teatri italiani quello, che usava parlarsi nel foro e nel senato della repubblica, e che senza il pas- saggio del Capo e la lega di Cambrai si aspettava conquisti maggiori. Quindi mi pare che si dia più onore che non si merita ad Angelo Beolco pado- vano, chiamato il Ruzzante (il quale fiorì nella pri- ma metà del secolo decimesesto), affermando ch'egli fosse il primo , che stabilisse la favella delle ma- schere principali. Che s'egli fosse stato lodato di aver fatto parlare i due Zanni piiì a un modo che a un altro, la cosa avrebbe avuto piìi apparenza di vero. Imperocché gli Zanni, maschere pili fantasti- che e men certe di patria, potevan farsi parlare a 92 quel modo che fosse meglio piaciuto ad un autore 0 ad un commediante. Quindi verrebbe , che per lunga consuetudine sì fosse per errore creduta pa- tria di questi la terra, da cui s'erano fatti impre- stare il dialetto. La qual cosa darebbe maggior forza alla opinione già espressa: cioè che i due Zanni non nascessero nei tempi moderni, ma ci venissero da- gli antichi direttamente. 93 CAPITOLO QUINTO. Frattanto non si cessava di scrivere: anzi non v'è slato secolo più fecondo di opere teatrali. Attenen- doci alla fede del Riccoboni, noi sappiamo che dal 1500 al 1560 ne fu stampata gran copia (1). La raccolta della biblioteca vaticana conteneva (o con- tiene) ducentotrentacinque tragedie profane, cinque- cento commedie, ducentotrentasette pastorali, cen- toventi tragicommedie e quattrocentocinque trage- die sacre o morali, senza contar quelle dateci nel catalogo di Leone Allacci siccome manoscritte, e le altre sconosciute : le quali tutte aspettano la pa- zienza d' un erudito, che ce ne dia il titolo, se non qualche piiì curiosa notizia. Del rimanente, sicco- me esse non furono recitate o almeno diffuse, e per- ciò non goderono della vita necessaria a tali opere letterarie, noi ce ne passeremo volentieri, e ci fer- meremo piuttosto sopra quelle, ch'ebbero successo allora e nominanza dapoi. Chi voglia aver sapore del gusto, che correva a quel tempo, vegga le Rivolle di Parnaso di Scipione Errico messinese, con cui egli mette in ridicolo quel misto di buffonesco e di tragico , di storico e di romanzesco portatoci dagli spagnuoli; ovveramente gì' Intrichi d'amore di Torquato Tasso , commedia rappresentata dopo la morte di lui nel 1597 a Ca- prarola e stampata a Viterbo nel 1604. Alcuno rav- visa in essa la più graziosa parodìa del genere ro- mantico: ( ma nota che allora non si sognava nep- pure alla guerra guerreggiata nel secolo decimo- 94 nono). 11 Goldoni la dice una commedia se non ec- cellente, almen tale, che fa ravvisare quello stupendo ingegno che la componeva. Ma comunque sia, ella è un atto che racchiude un viluppo di piiì azioni, il quale dà immagine di quanto si adoperava in quasi tutte le opere teatrali di quel tempo. Però Giambattista Porta napolitano, che visse a cavaliere de'due secoli, mantenne ancor viva, ma per poco, la maniera de'cinquecentisti. Anzi laddove que- sti non isceneggiavano quasi che farse, egli fa scelta (per esempio nella Furiosa, nella Chilia, neVlue Fra- telli rivali, nella Sorella e nel Moro) di argomenti pili nobili e generosi: dà all'azione piiì forza e ra- pidità: nel dialogo è men fiacco e men prolisso de suoi antecessori. Ma la varietà dei caratteri non è pari a quella degli avvenimenti: e i suoi personaggi son sempre gli stessi rigidi vecchi, gli astuti servi, i soldati millantatori, che si veggono negli antichi, con la giunta dei vezzi correnti, cioè l'affettata favella ei concetti piiì che squisiti. Oltre a questo se l'azione è varia, non cessa di essere intricata siffattamente da fornire de'buoni scenari alle commedie dell'arte: le quali appunto avean bisogno di questa mecca- nica qualità per tenersi su i piedi. Aggiungi a que- sto un maggior peccato: che lo scherzo non è tem- perato dalla modestia. Laonde non sono da biasi- marsi coloro, che affermano, il Porta aver fatto più male che bene al teatro , aggiungendo alla corru- zione, che andava al peggio, l'esempio della sua au- torità. Imperocché questo buono ingegno era tenuto in gran conto per la sua scienza nelle cose naturali, e fu il primo che fondasse in Napoli un'accademia 95 a spei'imeiJto delle cose naturali. E si licordi a suo onore, che dopo aver dato opeca alla scienza nella sua gioventù, il far commedie fu per lui un riposo alla onorata vecchiezza. L' accademia degl' Intronali di Siena, emula di quella de'Rozzi, conservò una languida ricordanza dell'antica commedia. E molte ne pubblicò: alcuna delle quali forse si meriterebbe una qualche men- zione, se avesse lasciato una traccia nel secolo in cui fu composta. Si vanno ancora ricordando quelle dello Stellati, dell'Altani, del duca Caetani , e pili specialmente alcune di Carlo Maggi milanese , che fu in patria segretario del senato e professore di lingua greca. Ma le composizioni di costoro non uscirono delle accademie o delle città in cui nac- quero, o furon si fiacche e di sì poco grido da non poter sopraffare anche un momento le maschere e la commedia dell'arte. Furono però famosi ed applauditi i due Cico- gnini. Iacopo, il vecchio, nella prima giovinezza s'era tenuto sulle orme della vecchia commedia. Se non che la fama di Lope de Vega , le cui lettere l'e- sortavano a rompere il freno dell'arte, lo invasò di modo, che messi da parte gli antichi, si pose in- nanzi agli occhi le composizioni di quel!' autore e tutto si diede ad imitarlo. E gli avvenne come a lutti gl'imitatori di que'grandi, i quali portati dall'in- gegno potente , conducono l'arte a quel pendìo , donde per un altro passo è certo il minare. Per- tanto il Cicognini non colse alcuna delle bellezze di Lope, e se ne prese tutti i difetti. Si guardi al suo Z)fw/f/,dove l'argomento eroico è travestito alla plebea, 96 e si paragoni ai Dolori di Giacobbe del poeta spa- gnuolo, e si vedrà quanto quegli sia da meno di questo nella pittura delle scene bibliche. Gli è vero che gli ebrei di Lope si paiono piuttosto gli ebrei spagnuoli del secolo decimosetlimo, che quelli del- l'anno del mondo duemilatrecento, i quali al certo avrebbero strabiliato di vedersi sulla scena con le cappe e le corazze e gli sproni. Ma vi ha pure una grandezza, una semplicità , un non so che di antico, che fanno perdonare quella innocenza di forme esterne, quale incontra ne'principii d'ogni arte. Così i primi pittori italiani vestivano i personaggi del vecchio e del nuovo testamento e i greci e i ro- mani coi lucchi e con le armature e con le zazzere del quattrocento. Ella è una semplicità che si con- viene ai giovani: pei vecchi è ridevole affettazione: sono i panni d'Isabella in dosso alia rugosa Gabrina. E questo convien dire anche a certi letterati e pittori dell'età nostra, che ci fanno i bambini e i semplici con questo carico d'anni, che abbiam sulla schiena. Adunque ciò che par bello in Lope è brutto e sconcio nel Cicognini. Del quale basti il leggere la scena di Trisansone millantatore col suo servo Ventura (dataci dall'Emiliani Giudici nella sua storia della letteratura italiana) per accorgersi dello strazio che fa costui di quelle narrrazioni sublimi (2). Giacinto vinse il padre in ogni sfrenatezza. E fu più gonfio, più confuso, pili avviluppato. Ciò non- dimeno diede movimento all'azione e fuoco di passione al dialogo. E di costui al certo disse il Goldoni (da che ce ne tace il nome di battesimo), che nelle commedie quantunque gruppose e miste di patetico 97 e di comico, di lacrimevole e di plebeo, sa[iea jsui' Tai'te di maneggiare la sospensione e piacere con lo sviluppo. Codesti Luca fa priesto óe]\i\ commedia si sci'oc- carono grandissima fama. Carlo Gozzi ne parla come di gente ch'ebbe assai favore dal popolo: ma ciò per inferirne che non era da far meraviglia il plauso concesso al Goldoni, da che nomini sì poco degni ne avean goduto a macca. Questo era un pensiero maligno dell'autore delle tìab.\ Era da rispondergli che se il popolo applaudiva il Goldoni, se ne dovea conchiudere, che non sempre i contemporanei sono avari verso gli spiriti sommi, se non di pane, al- meno di lode (2). Dopo di questi non accade nominare altri e spe- cialmente attori, che si diedero a fabbricar di com- medie. Che se vien detto talvolta di Giambattista Andreini, questo si fa pel suo iVdamo (di cui ab- biamo parlato) e non per le altre sue opere comiche. Piuttosto non sono da tacere le commedie cosi dette rusticali : le quali , sebbene da alcuni si mettano fra i drammi pastorali , veramente vogliono esser poste tra le com-medie. Non sono i peisonaggi che vengono sulla scena, i quali stabiliscano la specie della composizione: sì bene la passione, lo scopo e lo spirito che la informa. Il dramma pastorale, che par venuto in fantasia a qualcuno che fosse stanco della vita vera che si menava nel mondo , è fuori della natura e vaga per campagne bellissime lutto pieno d'amore e d' innocenza celeste. Esso si può dir venuto dall'egloga non piij risti'etta a semplici dialoghi, ma distesa negli avvenimenti del dramma, G.A.T.CXLIV. ^ 7 Al contralio la commedia ruslicalc si studia d'imi- tare i costumi dei contadini, quali essi s'ono, e ti porta nelle campagne e nei castelli della Toscana o di Napoli come qnalimque altra commedia nelle stanze, ne'convegni e nelle piazze della città Quindi essa non può fare un genere a parie: ovvero do- vrebbe dirsi dramma pastorale anche il Feudatario del Goldoni, perchè quivi dipinge principalmente i co- stumi villerecci. 1 Rozzi e gr//?/ro)?a/? composero dapprima molte commedie rusticali nel dialetto sanese: molte poscia i fioienlini e i napoletani. Celebrate assai furono la Bom (W Giulio Cesare Cortese da Napoli, e la Tancia di Michelangelo Buonarroti il giovane. Esse han pregio di bontà, principalmente per esser prese dal vero più che le altre commedie. E perciò non sono [tiene d'accidenti impensati, nò sono scritte con quella cer- cata orditui'a e nello stile allor detto magnifico. AI contralio si va per la piana e forse troppo: tanto che tu vedi i soliti amoi-i e le solite gelosie e le solite smanie de'drammi pastorali, ma più veri e più confoimi a quella gente, che se ne fìnge invasata. Specialmente la Tancia (con grinlermedi cantati e ballati) è ben condotta , naturale e tutta piena di quel vezzo e sapore , che ha il dialetto fiorentino anche in bocca dei campagnuoli. Io non so poi a quale specie voglia assegnarsi la commedia pur del Buonarroti intitolata la Fiera. E in verità ch'ella non potrebbe dirsi commedia , ma piuttosto una lunga e vaiiata rappresentazione di cose, fatta forse a due fini. Il primo per dar co[)ia al vocabolario della ci-usca (che allora si compo- 99 neva) di voci e modi di dire presi dalla lingua to- scana: il secondo forse pei' eccitare i fiorentini a qiie'commeici, dai quali un giorno cavarono tanta gloria e ricchezza. E questa intenzione, poco avver- tita, mi par che si tolga dal discorso dell'Introdu- zione, che fa il Commercio. Il quale dopo aver re- citate le proprie lodi, soggiunge: Benché né più pregiato né gradito, Com'io fu' già gran tempo, o fiorentini. Quando d'ogni quantunque ultimo lito Portavi a casa di molti quattrini. Mi v'appresento, e qui presso v'invito, Perché vo'abbiate i negozi vicini, Se lontana é Messina e Francoforte, A una fiera dentro a queste porte. E bene egli avea ragione di credersi né pregiato né gradito, quando vedea que'signori cosi gonfiati dalla vanità spagnuola da stimarsi avviliti ove do- vesser maneggiare quel passetto, con cui già aveano misurato il mondo. Ma tornando alla Fiera, io dico ch'ella è divisa in venticinque atti e cinque parti da potersi recitare a cinque atti per volta. Fu rap- presentata in cinque giorni nel carnevale del 1618 nel teatro della gran sala degli Uffizi, luogo capa- cissimo per macchine e comparse. Vi si veggono ogni sorta di persone: soldati, mercanti, bottegai, sensali, marinai, potestà, gentiluomini: si compra, 100 si vende, si baratta. La Mercatura si dà gran fac- cenda: le Fatiche guadagnano: il Sonno dà la berta agli sciocchi: la Bugìa va saltellando a prova. E queste non sono parole: ma personaggi in carne e in ossa, che dicono al popolo a chiare note la loro ragione. Questa fu la commedia del seicento. Quando poi sul finire di questo e il cominciare dell' altro secolo, la letteratura italiana diede segno di vo- ler rilevarsi; vi ebbero alcuni scrittori , i quali dieder opera al teatro, e a renderlo migliore o ri- suscitarono le commedie del cincjuecento, o sci-is- sero con intenzione del buono, o imitarono o vol- sero nella nostra favella le miglioi'i cose francesi. Nicolò Amenta napoletano scrisse commedie a modo dei Gì-azzini e dei Cecchi senza la grazia e la ele- ganza di essi. Pur non fu poco che alcuno si ricor- dasse delle masserizie di casa nostra. Girolamo Gigli sanese imitò il Molière nel Don Pilone. GlMpocriti (che ve ne avea di molti) fecero storie e romori grandis- simi, e non appi'odarono che a crescer fama all'au- tore. Il quale per verità non aveva aggiunto che po- chissimo alla bella opera del francese voltata nelle grazie della lingua toscana. Egli tradusse anche i Litigami del Racine ed altre commedie, non lasciando di suo che la Sorellina di Don Pilone, con cui volle mordere, né il fece troppo felicemente, la moglie avara e la serva che si struggea di marito. Anche Pier Iacopo Martelli per trent'anni attese a com- porre un teatro compito dalla tragedia alla farsa dei burattini: a cui pose il nome di Bambocciata. E tale è lo Slermilo cVt^rcole, in cui finge i pigmei che 101 pailimo in versi corti come i lor corpi. Ma egli che non riuscì molto a far piangere, molto meno fé ri- dere: e se ne doleva al Muratori scrivendogli: Oh quanto, prevosto mio, è più difficile il provocare al riso die al pianto ! Nò voglionsi tacere i nomi di due attori , che fecero a lor potere per rilevare il teatro. L'uno fu Pietro Cotta romano, che rimise in iscena l'Aminta e il Pastor lido e tragedie nostre e francesi, masi male risposto dagli attori e dal pubblico, che dispe- rato dell'impresa lasciò il teatro. L'altro fu Luigi Riccoboni da Modena: il quale, rappresentando tra- gedie antiche italiane, traducendone dal francese, e alle commedie del Molière innestando le maschere, sperò per il buon successo avutone di potere ardire di più, e a Venezia avventurò la Scolastica dell'Ariosto. In verità ch'egli era un voler troppo dal popolo d'allora male avvezzo a tristi spettacoli. Al quarto atto bisognò chiuder la tela: ed egli se ne crucciò di sorla, che invitato dal duca d'Orleans a passare in Francia, non tentennò un momento, e andò colà a sostenere l'onore del teatro italiano (a. 1716). Ma di questi principii del risorgere sarebbe da dire diffusamente, ove si volesse discorrere della com- media del settecento, nel quale essa fu restaurata da Carlo Goldoni. Qui non s'è fatto che darne un cenno: quanto basta per intendere che negli uomini colti del nostro paese era venuta una spasimata voglia di levarsi la vergogna di non avere un teatro nostro e conforme al secolo. Bisognava che a mano a mano questo desiderio entrasse nella nazione insieme con 102 la civiltà, e che un sommo ingegno sapesse soddi- sfarlo senza portare al forasliero o all'anlico. Intanto era buono di aprire il camtnino. Che se i rimedi messi in opera da coloro che abbìam detto, furono fiacchi e non convenienti a togliere il male; essi però eran tali, quali doveano aspettarsi in una nazione traviata miseramente dal buono e dal bello. Imperocché al- lora noi eravamo come uon)ini, che lasciati da quel- l'ardore febbrile, che li fa delirare, cominciano ad avere più lucido il discorso della ragione senza quella possa che valga ad opera perfetta. 103 NOTE.. CAPITOLO PRIMO. (4) Lo Sliakspeare non solo tolse dalk novelle italiane qtiesM^ ma anche altre commedie. La commedia E tutto bene ciò che a ben riesce, è tratta dalla novella XXIX del Boccaccio e dalla Vir^jinia di Bern;irdo Accolti. Il molto fnicanso per un nonnulla è traila dalla novella prima, parte prima , delle novelle del Bandello. E i pili giudiziosi critici inglesi vogliono ch'egli attingesse largamente anche dalle produzioni del teatro italiano. (V. Colker, Farther par- ticulars regarding Shakspeare and his workt). (2) Veggasi nn leggiadro 0|»Jscolo di Alessandro Pagliese in- titolato: Delle disgrazie della lingua italiana {Napoli 1834) : ove si annovera tra gì' infortuni anche la rabbia della lingua latina sotlo il pretesto dell' impero romano: quella idea d' imperio che travolse gì' ingegni di tanti sommi italiani , finché non fu permesso nem- meno di favellarne. (3) La tragedia del Teren, pubblicata dall'Heerkens come opera di Varo, era stata composta da Gregorio Corrari e venne a luce nel secolo XV'I. Fu ristampata negl' Icones pubblicati a Parigi nel 1788 e a Utrecht nel 1789. Nel 1338 era stata stampata a Venezia col titolo di Progne tragedia nu\ic primum edita in academia ve- neta. Il Morelli scoperse la frode e ne diede avviso con due let- tere al Villoison. (lac. Morelli epistolae septem variae eruditionis. Patavii 1819. 8°). Leon Battista Alberti fece il Philodoxeos, commedia per due lustri stimata di antico poeta. (4) 11 Bibbiena nel sno prologo dice: » Non è Ialina (la commedia) perchè dovendosi recitare ad infiniti, 1) che dotti non sono, lo autore che di piacervi sommamente cerca, • ha voluto farla volgare, a fiue che, da ognuno intesa, a ciascuno » parimenti diletti ». lOi (5) Romolo Amasco si sfiatò tre giorni per provare questo bell'assunto. Il Muzio gli scrisse contro. (6) Luigi de Gongora, nato dove nacque Seneca , cominciò a scrivere in quello stile, che senz'allre parole noi cliiainiaino il sei- cento. I suoi seguaci si chiamarono cultos, cioè colti , raffinati. A nessun' italiano era saltato in mente di fare dì questo stile una in- segna letteraria. (7) Les oeuvres de mvnsicur de Balzac, a Paris M. De. LXV. hesponse a deux questions ou de charactere et de V instruction de la cotnedie. Dis. I. (8) V. il Custodi nella storia di Milano. Firenze 1851. (9) Erano gì' intermedi sì magnifici, che meritavano d'essere in- cisi. Così abbiamo del Callot gì' intermedi della Veglia rappresen- tati a Firenze nel 1616 (Baldinucci, Fila di Iacopo Callot). CAPITOLO SECONDO. (1) Diomed. IIL '■<■ Tertia spccies est fabularuin, quae a civi- tate oscorum Alella, in qua primum coeptae, Atellanae dictae sunt, argumentis dictisque ioculnribus similes satyricis graecis «. Munii, De fabulis aellanis ec. Lipsiae 1840. — Vincenzo De Muro, Ricerche sieriche sulla origine , vicende e ruine di Atella. Napoli 1840. (2) Liv. VII. 2. — Valer. Max. I. e. IV. §.4 — Sarebbe un di più recare i passi di questi autori, che stanno o dovrebbero stare per le mani di tutti. (3) Molte delle commedie di Pomponio sono citate da Nonio Marcello De proprietate sermonis. E vedi pur molti titoli di esse nell'elenco degli autori citati da esso Marcello nella edizione di Parigi M. LO. XXCIIL — Il Macco e il Bucco erano personaggi cari alle ateilane. Pomponio intitola alcune (avole bucconem ado- ptatum, maccos geminos. — Mnnk, De T. Pomponio bononiensi atell- poeta. Glogaviae 1826. 8." (4) Le saturae vcnivan dagli etruschi. Liv. VII. 2. — Exodia. V. Sveton. Tibcr. 45. Domit. 10. — Giovenale VL 21. 105 (5) De'inimi vedi Sveionio Tiber. 43, 73, Calig. 27, Neron. 39. Galba 13. — Che le atellaac durassero ai tempi di Cicerone ne abbiamo argomento dal seguente passo: Non enim te puto graecos aut oscos ludos desiderasse , praesertim cum oscos ludos vel in se- natu nostro spedare possis (Ad fumil. lib. FU. an. 698). E che i mimi fossero comparsi: Nunc venia ad iocationes tuas, quum tu , secundum Aenomaum Aedi, non, ut olim solebat, Atellanum, sed ut nunc p,l, Mimum introduxisti (Papirio Paeto. Ad famil. IX. 16 a. 707). Rimprovera Peto d'aver fatto uso non del parlare mode- rato dell' istrione atellano, ma della maldicenza yite di pittori napoletani 1742. voi. I. e. 217. (2) Baldinucci, Fila di Salvator Rosa con aggiunte- Venezia '1830. §. XV. (3) Goldoni, Memorie. (4) z La vie de Scaramouche par le siciir Angelo Costantini comèdien ordinaire du fìoy dans la troupe italien7ie sur le nom de Mezelin. A Paris 1693. 8. (5) » Il eut le plaisir de se volt bien-lot grave et mis en mar bre. On paroit les cheminées et les gabinets de son buste et de sa figure: en un mot la cour et la ville ne pouvoit se lajscr de le voir. (Costantini. Ch. XXIV). (6) Constant. C. XXVIII. (7) Pier Maria Cecchini compose nel 1616 un discorso sulla commedia e lo dedicò al cardinal Borghese. (8) Supplica ricorretta ed ampliala intorno alle commedie mer- cenarie. Bologna 1626. 8." (9) La compagnia de' gelosi avea per insegna un Giano con due facce e il motto: Virtù, fama e onoT ne fé gelosi. (10) Bettinelli, Risorg. d'Italia. P. 2. C. 3. (11) Le bravure del capitano Spavento divise in molti ragio- namenti in forma di dialogo — Venezia 1669 — Sono baggianate zeppe di mitologia. (12) Questa è 1' iscrizione incisa in bronzo sul sepolcro d' Isabella. D. 0. M. ISABELLA ANDREINA PATAVINA, UOLIER MAGNA VIATUTE PRAEUITA, BO- NESTATIS ORNAIUENXCIU, MARIXALISQUE PUDICITIAE UECUS, ORB FACONDA, MENTE FOECCNDA, RELIGIOSA, PIA, MUSIS AMICA, ET AHTIS SCENICAE CA- VKT, HIC RESCBRECTIONEM EXPECTAT. OH ABORTCM OBIIT. IV IDU S lUNII MDCIV ANNUM AG3NS XLII. Delle poesie fatte nella morte di lei il figlio fece una raccolta in- titolata all'uso del tempo: Pianto d' Apollo. (lo) Giro del tnonrfo del dot. Francesco Gemelli, Venezia 1719. Tomo VII- Viaggio per l'Europa. Lettera di Parigi 1 mag. 1686. (14) ,, Veggonsi poi ventiquattro pezzi intitolati Balli di Sfes- „ sania di lacomo Callot, in ciascheduno de' quali in figure pic- ,, cole, in atti, moti e gesti ridicolosi, soii rappresentati tutti gì' 107 ,, istrioni, che in que' suoi tempi camminavano per l'Europa , e- „ sercitando per lo più l'arte buffonesca, e tali furono il capitano ,, Cerimonia, Ricciulina, Franceschina, la signora Lavinia , la si- ,, gnora Lucia, Mezzettino^ Gianfarina, Trastullo, Cuccubà, il ca- ,, pilano Malagamba ,, Né mi dà il cuore di trascrivere questi cento nomi. Vedili nella vita di Iacopo Callot del Baldi- nucci (T. VI. Cominciamento e progresso ddCarte dell' intugliare in rame). CAPITOLO QUARTO. (1) Circa alle antiche maschere vedi e il Winkelmann e il Vi- sconti e il Ficoroni {Le maschere sceniche e le figure comiche. Bo- ma 1736), e l'edizione di Terenzio del Fortiguerri e cento altri. Circa allo scopo dell' ingrandire la voce ella è opinione, che non ha più peso: imperocché nel teatro di Sagunlo furono recitate delle commedie spagnuole innanzi a 4000 persone, e tutti udivano be- nissimo gli attori. ( lournal de Paris. 20 Novemb. 1785). E vedi Ampère, La poesia greca in Grecia J. (4. Firenze 1855). (2) Tacito, Annal XIL 49— XV. 34. (3) Vedi un monumento dato da Edmondo Chisciullo e inse- rito poi nel museo britannico. (De nummo Kvwn-i inscripto). (4) Vedi l'ambascerìa di Teodosio il giovane ad Attila nell'anno 449 tratta dal volume I, Byzantinae historiae scriptores , col ti- tolo Ex Tvjs lOTopia? TTptaxou pmopoi; xai (rouiartìi. (Cantù. Storia uni- vessale. Lib. VII- Schiar. D). ' ' (3) Histoiredu theatre italien ec. par Louis Riccoboni. Chap.IV. Quid enim si choragium thimelicum possiderem ? Num ex eo argu- mentarere eliam uti me consuesse tragoèhi sirmate , hislrionis ero cola, mimi centunculo ? (Apuleius in Apologia). — Mimi . . , • . (uligine faciem obducti — Sanniones mimum agebant rasis capiti- bus. (Vos. In.stif. poet.L.'l. §. 1 . e. 32), — Planipes graece di- citur mimus, ideo autem latine planipes, quod actores planis pedi- bus proscenium introirent (Diomed. lib. III). (6) Tra i buffoni de'magnati eranvi i copm (Svet. Tib. e. VI), « cinedi, ì crepi, i parasiti, i stercorarii ec. e i balatrones (Hor^t Sat. 1. 22). — De'Sidicini parla Giulio Capitolino in Aelio P'ero. 108 (7) Davanzali nella postilla del §. XIV. lib. IV. degli Annali. (Firenze 1853) — Varchi, Ercolano. — Che poi lo Zanni (almeno il nome) fosse antico l'abbiamo dal Cornuto o pseudoconiuto sco- liaste di Persio alla sat. I. v. 72: ,, Sanna dicitur os distorlum cum vultu, quoO. facimus cum alios deridemus, ideo Sanniones dicti, quia non rectum vuUum habeant «. (8) Il Micali vuole che non solo il Macco sia il Pulcinella, ma anche il Bucco sia lo Zanni moderno {Storia d' Italia avanti il dominio dei romani. P. I. e. 28). (9) Varilla», Les anecdotes de Florence ou thistoire scerete de la maison de Medicis. A la Ilaye 1C87. — Ccllini, Vita lib. I. §. 4. (10) Arlecchino da un valletto del presidente Achille d'Har- lai a tempo di Enrico ì\\ {Dictionnaire des anedoctes, Poris 1768), Pulcinella da Paolo Cinelii, Pantalone da Pianta leone ec. (11) Memorie li. 3fi. CAPITOLO QULNTO. (1) Fìeflcxions sur lesdiffercns lheati-es ds l'Europe. Paris 1738. (2) Emiliani Giudici, storia delle t>e Ile lettere in Italia. Firenze 1847. Sez. XVI n. (3) Ragionamento ingenuo e storia sincera dell'origine delle mie fiabe teatrali. Opere di Carlo Gozzi (Venezia 1801) T. I. 109 Sul porlo di Pesaro. Al sig. Paolo Giorgi f. f. di gonfaloniere. Lettera di Alessandro Cialdi; com- mendatore di più ordini, socio di piìi accademie. Illmo Signore. Vfuando nei primi giorni dello scorso aprile il eh. sig.ing. Fedele Salvatori, direttore generale dell'ufficio de' telegrafi in Roma , mi domandava se accettato avessi r invito che i signori marchese Carlo Bal- dassini e Giovanni Marsetti a nome della magistra- tura di Pesaro mi avrebbero fatto , quello cioè di accedere sul luogo per quivi esaminare i progetti a questo poi'to relativi e proporre ciò che meglio cre- dessi in proposito, io ringraziava dell'onore che la sullodata magistratura voleva compartirmi, allegando essere mia convinzione che il professor Brighenti , già dal Governo a tal uopo destinato, avrebbe sug- gerito quanto di meglio poteva farsi: e questo mio convincimento io esternava di persona allo stesso marchese Baldassini in casa ed alla presenza del- l'esimio professore Salvatore cav. Betti. Tuttavia non ho poscia pili creduto rinunciare a tanta distinzione allorquando con officio del 3 corrente il più volle nominato marchese, ripetendomi l'invito, aggiungeva che interpellato in oggetto il Brighenti, si era mo- strato sinceramente lieto di avermi a compagno e come portatore della parola degli interessati. Ma non pertanto mi credetti in dovere di scrivere nella no mia lettera di accettamento la seguente dichiara- zione. « lo mi reputo molto onorato dell' incarico che l'ossequiata magistratura per mezzo della sig. vra. illma, mi affida, e mi duole che scarse siano le mie cognizioni per corrispondere adequatamente al grave oggetto di dare alla cilfà di Pesaro un porlo in qualsiasi forma che veramente corrisponda ai bi- sogni commerciali, ed alle diverse navigazioni che av- vengono in queste acque deW Adriatico. Nulla di meno il magistrato di detta illustre città raggiugnerà com- pletamente lo scopo che ha in mente, perchè dal- Toculatissimo nostro ministro de' lavori pubblici è stato preventivamente affidato un tale incarico al chiarissimo ispettor cav. Maurizio Brighenti, a niuno secondo nella scienza e nel governo delle torbide acque e delle chiare ». « A me poi di pai-ticolare istruzione sarà l'ac- compagnare.nell'esame de'diversi titoli, che condur dovranno alla soluzione del problema, il sullodato professor Brighenti: e però anche per questo io debbo essere grato al municipio di Pesai'o «. Ciò premesso, passo colla massima brevità pos- sibile, ad esporle quali sieno le fonti da cui ho at- tinto le idee, e quali sieno i fatti da cui ho de- dotto le ragioni che mi hanno dettato il progetto, siccome appaiisce nell'annessa pianta idrografica. Io non mi fermerò a narrare la lagrimevole storia de'gravissimi danni sotferti nelle due inondazioni del passato autunno da questa città e da ([uesto porto, né estenderò il mio dire sulla iniporlante situazione Ili ireogratica che occupa questo punto commerciale , né sulla necessità di ridonare la vita od un [>oi'to da cui dipende il ben essere di questo territorio e la sal- vezza di quei navigli che navigano da Venezia ad x\n- cona e viciversa, corrispondendo esso prossimamente alla metà del cammino. Io per ora restringerò il mio discoi'so alla pai-te artistica soltanto. Dalle dotte Memorie del porlo di Pesaro di An- nibale degli Abati Olivieri-Giordani risulta che la foce dell'Isauro, detto volgarmente Foglia, abbia sog- giaciuto a tre differenti direzioni. Dalla prima alle susseguenti si è sem[)re condotta più a sinistra guardando il mare, e quella che attualmente pos- siede, aperta il 9 ottobre 1614, si dirige al nord- nord-est. Ella sa che la posizione, la direzione e la forma de'moli guardiani, od armature delle foci, dipendono dai venti regnanti, dalle correnti, ma più d'ogni altro dalla direzione de' flutti, i quali a parer mio ijover- nano gl'insabbiamenti. Ninno ignora che i venti do- minanti e regnanti in questo litlorale dell'Adriatico sono quelli compresi dal nord-noi-d-est al sud-est: e ninno può dubitare che i fiumi, armati o no, hanno la fossa mutabile secondo la direzione della traversìa 0 del moto ondoso delle burrasche, come dopo ri- petute ed accurate ricerche dettava il Brighenti: il che vuol dire che i porti-canali del detto littorale perché sieno meglio difesi, e perchè più facilmente permettino lo scarico delle acque dei fiumi che li costituiscono, debbono indirizzarsi a sinistra dell'ul- timo rombo dei suddetti venti. Questa verità quanto più è stata sentita, tanto più ha indotto i nostri an- 112 teccssoi'i a condurre da destra a iDanca la foce del- l' Isauro ; ma fino ad ora non quanto basta , e la rotta dell'ultima piena ne potrebbe essere anche una prova. E però la fossa, o canale navigabile fuori de' moli, si trova sempre più a sinistra della direzione di essi, e ne difficulta l'entiala ai bastimenti. Così pure, per causa della difettosa direzione del presente canale, quando i bastimenti sono in porto non cessa il loro tiavaglio, il loro softrire. Una parte del moto ondoso, che direttamente s'introduce lun- ghesso il canale, danneggia molto ed anche spezza gli ormeggi; produce avaree nelle abbozzature dei medesimi, nei loro incrociamenti, nei punti di ap- poggio sopra i navigli. Questi poi soffrono danni ben maggiori; ti-atti con violenza por un verso e tosto pel verso contrario, tessono ed urtano fortemente contro i moli e fra loro stessi, e da ciò quel fe- rale cigolìo che sloga la chioda zione, apre i com- menti delle carene, allarga le commisure delle bitte, delle latte, degli scalmi, e rende questa stalìa più cattiva di quella che posseggono i porli di Seni- gallia, di Fano, di Rimino ed altri, perchè questi hanno la bocca voltata più a sinistra. Inoltre è di grande interesse il ben detenriinare la direzione da darsi alla foce di un fiume, onde fa- cilitare l'ingresso ed il regresso de' bastimenti che vi debbono passare, e, pi-incipalmente, per conservare il fondo necessaiio all'entrala. Ed invero la man- canza di profondità è un gravissimo male perma- nente, il quale pregiudicando in ogni tempo tutti i na- viganti, termina per annullare la pj-ospeiità del com- mercio in un [)orlo e nelle coste limilrofe.il decaduto 113 stato commerciale di Pesaro pur troppo ci conferma la verità della suesposta massima! Né ciò è tutto. La direzione di uno sbocco in mare può essere causa di maggiore o di minore ritardo nello scarico delle acque del fiume, specialmente nel- l'ultimo tronco di esso. Egli è vero che i torrenti istantanei, come il nostro, non rispettano le leggi della scienza; ma io credo che il miglior regime di essi , come di ogni altro fiume, dipenda precipua- mente dalla facilità del loro sbocco. A tale effetto per quelle foci, ove l'arte ha posto le mani, è sta- bilita la massima di seguire la disposizione naturale dello sbocco, correggendone il piij possibile una vi- ziosa inclinazione col difenderlo dagli infesti venti di traversia e dalle cause che possono concorrere ad interrirlo. Non può dubitarsi che il mare quando sente di fuori s'inalza in modo notabile lungo il lido, e sino ad un certo limite si tiene ad eguale livello a destra, di fronte ed a sinistra della foce; e perciò qualunque sia la direzione di questa, uguale sarà lo scarico delle acque del fiume; ma quando poi i venti in- vadono il httorale ed il mare scende e vi si frange queir accumulazione di acqua marina ha d'uopo di defluire dal lato ove trova minor resistenza, che su questo lido è da sinistra. Così è per me ugual- mente certo che il moto ondulatorio del mare divenga moto di reale trasporto di massa liquida quando il vento è assai forte, molto più quando l'onda non trova libero sviluppo per l'assottigliarsi del fondo, e molto pili ancora quando essa si frange. Nei qua- li casi r onda si trasforma in parte in fluUo-cor~ G.A.T.CXIV. 8 114 rente. Questa corrente e quella del tiunie può sem- brare che s'immedesimino, ma in realtà si riflettono ed indietro balzano, perchè impossibile è che due corpi passino Viino per Valtro come notò Leonardo da vinci; come Lartigue dai suoi studi sopra i fenomeni delle correnti marine ha dedotto, e come de T.aligny con recenti esperienze ha confermato. Inoltre lo stesso Leonardo ci ha detto: Le onde rompono contro il corso del fiume, e non mai per il verso del suo coì^so; e subito dopo ha soggiunto: Uonda del mare rompe contro Vacqua che rifugge dal lido ove è percossa, e non contro al vento che la spinge. Emy , Reìbell e Rodriguez hanno pur eglino notati simili fenomeni. Cosicché r incontro delle succennate due correnti , quella de' flutti e quella del fiume, quanto meno sarà di fronte, cioè quanto l'angolo formato nel punto di riunione sarà più acuto, tanto meno sarà ritardato lo scarico dell'Isauro ed interrita la sua foce. Lo Zendrini ed il Manfredi richieggono per una delle principali condizioni di un porto della natura del nostro « che sia munita la bocca con oppor- tune palificate, 0 moli, stabilito che sia che valgano con la loro lunghezza a coprirla dai venti nocevoli e lasciare ai favorevoli di potere coadiuare allo spurgo delle materie che potessero essersi deposte «. Ma se è vero che la direzione dello sbocco ha molta influenza sulla navigazione,non che vsullo scarico delle acque, sono però altrettanto vere le difficoltà che s'incontrano nello stabilire quale sia la più conve- niente da preferirsi. Questo scopo non può esser rag- giunto che col far precedere uno studio speciale de' venti regnanti e di quelli dominanti , della co- 115 stituzione fisica del fondo del mare, di quella delle spiagge adiacenti , della indole del fiume, de' bi- sogni e de' comodi assoluti ed utili ai bastimenti. Nella direzione della bocca il parere degli uomini di mare deve avere gran peso ; anzi nella scuola francese è riconosciuto che celle quesUon est du res- sort des marina. Dopo una particolareggiata visita sul luogo , nella quale ho avuto la fortuna di accompagnare il sullodato professor Brighenti in tutti i giorni che si è qui trattenuto; dopo l'esame degli uomini più pratici di esso, e dopo mature riflessioni sul va- lore che può meritare la conservazione dell'esistente canale, è mio subordinato parere che la direzione ricercata possa esser quella che si vede tracciata nella citata pianta, lettera A: molto più che essa colli- ma con quella data agli altri porti-canali lungo questo littorale, come ho già ricordato; che essa incontra maggiori fondali (circostanza la più favorevole alla bontà di uno sbocco), e molto più ancora che,appro- fittando io della bontà constantemente mostratami dall'ispettor Brighenti, sottoposi al giudizio di lui una tal direzione, e fu trovato essere questa conforme al suo desiderio e corrispondente alla massima già da lui esternata ai superiori (I). L'andamento curvilineo ivi preferito al rettili- neo mi è stato suggerito dal riflesso di piegare quanto è necessario verso sinistra lo sbocco sen- (1) Vari congressi ed abboccamenti io tenni in proposito con j i capitani Righetti, Giuseppe Cavalieri. Melchiorre Mazzuccati, Se- bastiano Sponza e coll'assislenle del porlo Luigi Giuliani; ed eglino me^ convennero. 116 za molto allontanare il nuovo canale dai fabbri- cati esistenti presso il vecchio , e approfittare del vasto e lungo cavo fornnato dalla rotta. Un tale andamento, quantunque più lungo del rettilineo che congiunge i suoi estremi, ma non di quello del pre- sente canale, si crede preferibile ancora, dopo aver ridotto l'ampiezza del canale come dirò fra poco , perchè « in canale curvilineo, come osserva il Bo- scovich, la forza stessa d'inerzia, che richiede sem- pre la continuazione del moto rettilineo, costringe il filone ad accostarsi alla parte cava e rasentar- la continuamente, mentre nel rettilineo ogni pic- cola disuguaglianza di resistenza fa torcere il cor- po ora verso una parte, ora verso l'altra , e così, malgrado della maggiore brevità del canale retti- lineo, può in esso divenir la via delle acque più lunga che nel curvilineo , benché più lungo. Nel medesimo caso l'acqua, per la forza centrifuga con cui spinge la sponda curvilinea, vi si alza e cor- rode anche il fondo, e lo incava ; onde può cresce- re alquanto la sua velocità attuale col peso, e sce- mare la resistenza nel fondo con farsi una specie di letto di quella che chiamasi acqua morta )>. Il medesimo partito vedesi consigliato dal Cavalieri , il quale risolve ancora la questione, se le palafitte debbano protrarsi ad eguale lunghezza, o se l'una, e quale di esse, debba superar l'altra; ricerca che pure era bene di fare nel caso nostro. « Le di- ghe , egli dice, debbono essere avanzate in mare finché si trovi in questo il fondo necessario per te- nere a galla i bastimenti, ai quali il porto è de- stinato. Giova poi di prolungare alcun poco più del- 117 Tallra quella che è dalla parte del vento più po- tente di ogni altro a spingere l'arena verso lo sboc- co del canale. È utile di stabilire le dighe in li- nea curva, rivolgendone la convessità verso quella parte, da cui sarebbero spinte le sabbie ad inva- dere la foce. Cotesta disposizione tende a ripara- re l'interno del porto dai venti di mare, e ad im- pedire che si formi un'alluvione o un dosso di sab- bia plesso la estremità interna della diga più spor- gente, pel rallentamento che ivi avverrebbe nel cor- so dell'acqua, se le dighe fossero stabilite in linea retta ». Laonde lo stesso andamento, riparando l'in- terno del porto, conserverà tranquilla la stallìa con i mari di fuori, in oggi così molesta ai bastimen- ti, come ho già notato, ed impedirà che si for- mino alluvioni nell'interno del canale, in oggi co- sì dannose alle barche ed al facile smaltimento delle acque del fiume, come fra poco noterò. Anche sulla larghezza del canale io credo ne- cessario proporre una modificazione. Per la navi- gazione e per lo scarico delle acque del fiume, que- sta questione è tanto grave quanto quella della di- rezione da darsi allo sbocco. La larghezza dell'at- tuale canale fra i due guardiani presso la foce è di 4-0 metri; a 250 dalla foce stessa è di 38; più internamente, cioè a 550 metri, è di 35; e final- mente presso il ponte è di metri 28. Queste lar- ghezze a foggia di ventaglio, dalla superficie fino al fondo, mi pare che debbano molto diminuire alla cor- rente del fiume la forza di mantenere aperta la fossa in mare e conservare spurgato il canale interno. La teorica ed i fatti appoggiano questo parere. 118 L'Isauro, per quanto ho potuto sapere e ve- dere, presenta caratteri meno sfrenati degli al- tri fiumi torrenticci che, come esso, discendendo dall'Apennino scorrono tortuosamente e con rile- vante pendenza frammezzo all'altipiano inclinato ver- so il mare, a cui vanno a tributare le loro acque. Copioso quasi sempre di torbide, ne è poi copiosissi- mo in ogni escrescenza, e convoglia anche ghiaie nelle maggiori ; ma atteso il tortuosissimo corso che esso ha, pochi di questi ultimi materiali sca- rica sino al mare, eccettuati i casi di escrescenze straordinarie. Nel canale che costituisce il porto, vi giunge adunque sempre carico di sabbia e ter^ ra, e di rado con materiali più grossi. Nelle escre- scenze mezzane, che sono certo le più frequenti , le sue acque rimangono incassate, e solo è toccato il ciglio delle ripe in quelle maggiori. Ma se il ma- re sente di fuori, o è soltanto un poco agitato , anche nelle piene mezzane il fiume si alza molto di pelo, e, rallentata quindi notabilmente la sua velocità, deposita il carico producendo sensibilissi- mo interrimento lunghesso il canale : interrimento che, diminuendo la pendenza e la sezione, contri- buisce anch'esso a forzare il fiume ad elevarsi, ad estendersi, a traboccare. Questi effetti spiegano co- me nel maggior numero delle piene mezzanamen- te gonfie l'incisione dello scanno in mare è appe- na indicata, e la stallìa è soverchiamente colma- ta ; e come le sole piene ben vigorose possano spurgare il canale e convenientemente rendere de- pressa la soglia di scarico delle acque dell'Isauro: dannoso effetto che non verificasi con eguale fre- 119 quenza ed intensità in altri porti-canali di questo littorale, perchè essi, per essere piìi stretti e piiì piegati alla sinistra, ottengono benefìcio anche dal- le mezze piene de' loro fiumi. La portata dell'Isauro, propriamente parlando, fino ad ora non è stata calcolata. In un manoscrit- to > dell' ing. cav. Pompeo Mancini si legge che la sezione naturale che in più incontri si è verifi- cala nel detto fiume, specialmente ne^ suoi pochi e brevi tronchi rettilineij si è trovata della larghezza al fondo di metri 40 ai 50. L'altezza delle massime piene sale dai metri 3,50 ai metri 4,00 sopra il pelo magro (1). Dall'esperienza di un ottennio sul- le diverse portate del canale di derivazione che ali- (1) Credo pregio dell'opera riportare ciò che dice il pro- fessor Briglienti del bacino idraulico di cui parlo. Queste notizie, quantunque generali, potranno somministrare conveniente idea del- la indole del nostro Isauro, detto Foglia, e della sua portata. " Piovono sulla nostra provincia, dice il Brighenti, metri cu- bi 2100 millioni d'acqua ogni anno, de' quali un terzo secondo le ipotesi dei fisici viene assorbito dal suolo, un terzo evapora, l'al- tro terzo 700 millioni si disperde in mare. Se quest'ultima por- zione si riduce in forza motrice, come ha fatto il sig. Dupin per la Francia, troviamo che equivale alla forza di 4 millioni di brac- cianti, ciofe a venti volte la nostra popolazione in continuo lavo- ro tutto l'anno. Ma questa enorme forza motrice profitta ben po- co alla nostra prosperità, perchè attese le forti pendenze del suo- lo quel tesoro d'acque si dissipa quasi in un subito al mare per l'alveo di otto rapidissimi torrenti : sono la Marecchia , la Conca, il Tavullo, la Foglia, l'Arzilla, il Metauro, il Cesano ed il Misa. I quali corrono strabocchevoli in un baleno, poi magrissi- mi, o restano asciutti la maggior parte dell'anno. La Marecchia nel- le grosse piene corre sei miglia all'ora, e porta metri cubi 390 d'ac- qua in un minuto secondo ; in dieci piene annuali di dodici ore ognuna dissipa metri cubi 168 millioni e mezzo d'acqua. Altrettua" la io penso del Melauro, che mi par similissimo per lunghezza di 120 menta i molini di Pesaro, fatte dal slg. dott. Lui- gi Guidi, risulta che nei mesi di luglio ed agosto corso, larghezza d'alveo, e peso dalle materie trasportate allo sboc- co ; e la somma dì questi due gli altri sei presi insieme. Onde in cinque giorni vanno al mare 670 millioni metri cubi d'acqua, e ne restano 30, che è la venliqiialtresima parte dique' 700 pel rimanente dell'anno da distribuirsi in otto torrenti, e alle piene dei piccoli corsi d'acqua che abbiam trascurato. Per le quali con- siderazioni si fa maiiiii'Sto come Intla In nosira navigazione si ri- duca di necessità alia sotti! costa Adriatica, che bagna il fianco della provincia volto a tramontana. i" La nostra industria ha nondimeno profittato della (orza delle acque per mantenere escavate le foci in mare d'alcuni di questi torrenti principali, e costringendo fra ripe artificiali mura- te il corpo d'acqua che vi passa in piena, ha costituito dei ca- nali navigabili lunghi circa un miglio a Rimìni, a Pesaro e a Se- nigallia. Non è qui luogo a discorrere, e ognuno sa per propria osservazione le variazioni del fondo di questi canali, e come sia- no esattamente proporzionali al numero, e alia qualità delle pie- ne annuali ; i limili minimo e massimo sono fra metri 1, e metri 3 d'altezza d'acqua, onde talora stcntanvi le barche di CO tonnel- late, talora potrebbero portarne anche di 120. Sono tuttavia pre- ziosi al commercio de'nostri generi coll'estero, e alla pesca di ma- niera, che la cura del governo per conservarli non sarà mai so- verchia. Se non che la durata loro non è di natura perpetua per l'annuale allontanamento delle foci cagionato dalle ghiaie, e dalle terre che ivi trascinano le piene dei lorrenli, da cui sono ali- mentati. Vario è questo incremento delle spiagge dipendente dal- la situazione loro rispetto alla direzione del moto ondoso delle burrasche, e più dagli sbocchi de'torrenti vicini a sopravvento. A Rimini, tenendosi alle antiche memorie, può valutarsi di circa un metro ogni anno ; a Pesaro molto meno per que' monti a de- stra e a sinistra, che mandan le acque a ritroso, ed hanno la ba- se non corrodibile, per le meno torbide e veementi piene della tortuosissima Foglia, e pel lontano sbocco del Mctauro le cui ma- terie sono in gran parte trattenute intorno a Fano. Onde presso a questa città torna a dilatarsi l'avanzamento del lido, e dura pel Cesano e pel Misa fino a Senigallia, ove di nuovo si raccorcia, finché comincia a sentire i depositi dei torrenti su]>eriori. 121 il fiume può dirsi in completa siccità, giacché il canale stesso, che raccoglie anche le minime ac- que del fiume, non ne fornisce se non la quantità necessaria a mettere in moto le tre macine del molino superiore per giorni quattro e mezzo di ore 24 in ciascuno de' suddetti mesi ; quantità che di- visa per un intero mese darebbe per il fiume la defluenza di metri cubi 0,361 al secondo di tem- po ; e nei mesi di giugno, settembre e dicembre t Nel giorno 29 dicembre 182 { sperimentai con un galleg- giante la velocità superficiale della Marecchia sopra una lunghez- za di metri 444. Era l'aria quieta, e il torrente assai gonfio, aven- do il pelo d'acqua soli metri 0.50 sotto la chiave dell'arcata mez- zana del ponte d'Augusto. Trovai il molo del filone sensibilmen- te uniforme, e la velocità di metri 2.60 per 1." Nella sezione di contro alia Capitania del porto, la cui quadratura era di metri quadrati ISO, passavan dunque metri cubi 390 d acque in 1.", te- nendo per media la velocità superfiùiale ; nel che alt>'sa la rapida cadente del fiume, e lo stato basso del mare di quel giorno, non sarà forse un grande eccesso. La piena del 23 dicembre prece- dente fu metri i.lO più alta di quella del 29, e non può restar dubbio che in quella si verificasse una portata anche maggiore di metri cubi 390 per ì." «■ La pendenza del pelo magro della Marecchia sopra una lun- ghezza di metri 3763 dalla foce in su è di metri 4.394, l'area del- la predelta sezione alla Capitania diviene in questo «tato d'acque metri quadrati 11.00, il raggio medio risulta di metro 0.20, il co- seno dell'inclinazione di metri 0,001676; onde la velocità media secondo la formola del sig. Eylelvein di metri 0.925. per 1.", e la portata di metri cubi 10.175. Sicché il rapporto fra le piene grosse e il corso magro riesce nel nostro torrente prossimamente di 1.39; ciò avvalora iu qualche modo i risultamenti sopra discor- si comunque derivati da elementi puramente probabili •,-,. (Eser- Ciiazicm agj arie dell'Accad. di Pesaro 1829 anno I, sem. I pag. 20 al 23.) Essendo l'Isauro di molto minor portata della Marecchia, e meno torbide e veementi essendo le sue piene, esso la cede adun- que di gran lunga a quella in isfrenatezza. 122 lo stato del fiiitne può considerarsi come nella ma- gra massima. Se, come ho accennato, nelle mezzane piene l'attuale larghezza e direzione del canale non per- mettono alla corrente d'incidere abbastanza lo scan- no e dare una conveniente fossa alla navigazione ; se nelle stesse circostanze il canale o porto si os- truisce invece di espurgarsi, che cosa può attendersi nelle magre ? Questo commercio marittimo per non soffrire pregiudicievoli ritardi ha bisogno di poter disporre di due metri di fondo: ma nelle siccità e nelle massime magre, cioè nel lungo pe- riodo dedotto dalla media di sopra indicata di cin- que mesi ogni anno^ non si hanno dai ripetuti scandagli fatti nel canale del porto, che settanta centimetri nel tratto di massimo fondo, cioè dal- la lanterna all'ufficio di Sanità ; e ciò neppure è costante. Quasi ogni anno, e più volte nell'anno stesso, si verifica un banco di sabbia presso la fo- ce, il quale partendo da poco in dentro alla punta del molo di levante traversa il canale fino alla punta dell'altro molo, obbligando le barche di piccolo cabotaggio a scaricare l'intero carico e par- te de'loro attrezzi sopra la testata del detto molo di levante, e cosi ridotte entrare poi nel porto trascinate sul fondo dalla forza degli uomini e de' bovi. Egli è in vero brutto spettacolo il vedere una ed anche più barche contemporaneamente scaricar- si 0 caricarsi attorno la punta di un molo col di- sordine e con l'ansietà inevitabili in bastimentie spo- sti senza verun ricovero ad istantanei ed impetuosi 123 venti, e ad un mare facile ad agitarsi e frangere ! Nel marzo 1833, per togliere un cosiffatto inconve- niente si dispose dall'emo. Albani, legato della provincia, che da Ancona qui venisse una macchi- netta a cucchiaia, ed il 14 del sudetto mese si pose mano allo spurgo. Ma siccome in ogni piccola ma- retta si riempiva in poche ore lo scavo fatto dal- la macchina, il 28 maggio dello stesso anno si ab- bandonò il lavoro. Nel maggio 1845 un banco di 43 metri lungo, di 25 largo e scoperto nella bas- sa mai'ea, si piantò di contro la bocca a 80 me- tri in mare dai moli. E per finirla rammenterò soltanto ancora un fatto. Nel febbraio 1854 si for- mò fra i moli tale un banco che sbarrò l'intero canale per la lunghezza di 67 metri, e superò di oltre sessanta centimetri l'altezza del mare basso; tanto che si dovette aprire a pala un canaletto presso il molo di ponente, siccome quello ove il ban- co era meno elevato, onde far passare i gnocchet- tii piccole barche da pesca. Questi fatti, l'autenticità dei quali disgraziata- mente non può in verun modo porsi in dubbio, accadevano quando il canale era nel suo perfetto stato di sistemazione, cioè quando le sponde era- no non di terra in corrosione o di palafitte, ma di regolare e non interrotto muro per il lungo trat- to complessivo di metri 1494. Gli stessi fatti sono, a parer mio, una grave risposta a quelle idee o a quei progetti che tendono ad avere un porto a ba- cino, 0 qualche cosa di simile, in questo punto di lido; sia che in esso porto s'introduca l'intera massa dell'acqua convogliata dall'Isauro, sia che 124 la massa in due rami si divida , o sia in fine che la massa stessa dal poito si allontani. Senza l'Isauro non può quivi aveisi porto ; e senza che l'arte stabilito abbia un canale il più conveniente- mente rivolto e largo, l'Isauro non può dare con- gruo porto. Prese adunque in serio esame quelle nozioni che abbiamo sulla portata di questo fiume ; consi- derati i bisogni ed i comodi necessari ed utili al- la navigazione ; fatto confronto con la larghezza che hanno gli altri porti-canali della natura del nostro, io mi sono convinto che la larghezza uni- forme dal ponte al mare di metri trenta sia quel- la che meglio convenga. Tuttavia per utilità della cosa e per istruzione mia, anche su questa im- portante parte del mio progetto ho tenuto proposi- to col ripetuto professor Brighenti; ed egli, dopo avermi fatto osservare che, atteso le ai-te e furio- se fiumane cui va soggetto l'Isauro, e le basse e lente magre di esso, non era pos!MÌ)ile appigliarsi convenientemente ad uno stato del fiume senza al- lontanarsi di molto dallo stato opposto , ha infine convenuto in siffatta larghezza come media com- portabile ; e perciò la larghezza di '30 metri è quella che vedesi tracciata nel nuovo canale (1). Questa misura è, raggungliatamente, di 5 me- tri minore di quella che ha il presente canale; quindi può credersi di poca, o ninna influenza (i) La larghezza del porto canale di Fiumicino è di 23 metri, quella di Sinigaglia dì 21, quella di Fano 20 e quella di Rimini 30 alla metà circa del porto. 125 sulla migliore sistemazione che si dimostra abbi- sognare il fondo del porto-canale costituito dall'Isau- ro. Ma se Ella si compiacerà di por mente alla di- versa direzione data allo sbocco , e più alla cur- vatura stabilita nel nuovo canale , vedrà chiara- mente che come questi cinque metri in meno nulla lasciano relativamente a temere nelle piene der fiume, così molto lasciano a sperare nelle ma- gre di esso. In questo andamento J'azione della corrente essendo piiì energica nella riva concava che sull'altra convessa, come ho avuto occasione di ricordare, determinar deve lungo^ prima «un uti- le fondo, nel mentre che sulla SBoInda crea un banco disposto a spalto. Da questi due opposti ef- fetti risulta la formazione di una sezione ài figura a trapezio, la quale sarà .molto benefica alla navi- gazione, anche nelle massime magre dell'Isauro. Risultamanti che, a mia credenza, non potrebbero mai ottenersi conservando il presente canale, qua- lunque lavoro si faccia per esso fuori alla foce. Credo poi proporre un espediente che da qual- che tempo io andava maturando per accennarlo alla prima occasione, il quale, sottoposto al savio giudizio del più volte nominato ispettor Brighenti, ha incontrato la sua approvazione. Nelle viste di dare un ricovero in casi di mare grosso a quei ba- stimenti che esercitano il commercio in questo canale , e per quelli che lo esercitano lunghes- so questo sottile littorale, senza incorrere nel bi- sogno di una lunga protrazione di ambo i moli , la quale oltre alla maggiore spesa produce ancora più sollecita protrazione del lido ed innalzamento 126 del letto del fiume, mi tb a proporre una pro- trazione isolata di duecento metri nello stesso an- damento del molo destro, lettera B. La distanza più conveniente dalla punta del molo di levante alla punta piiì prossima di quella protrazione, cre- do che possa essere non meno di centocinquanta metri per le seguenti considerazioni; 1." Per avere un utile fondo di acqua colla mi- nor possibile spesa ; 2." Perchè i materiali convogliati dal fiume non giungano a depositarsi a ridosso di quel molo isolato ; 3." Perchè il mare possa liberamente spazzar quelli che si depositeranno dinanzi o prossimi alla foce ; 4-.° Perchè la corrente prodotta dai flutti di de- stra non abbia soverchia velocità, e perchè l'urto de' medesimi flutti fra loro non abbia soverchia- mente ad incomodare e forse anche impedire l'en- trata de' bastimenti nel canale ; 5.° Per avere una comoda bocca per l'approdo e la partenza de' legni col maggior numero possi- bile de' rombi di vento; 6.° E perchè se dall'esperienza venisse prova- to più conveniente una minor larghezza a detta bocca, facil cosa sarebbe il restringerla, e senza verun inconveniente, perchè la proposta protrazio- ne isolata è nella stessa direzione de'moli. Il presente molo di levante sarà utilissimo guardiano alla nuova foce senza bisogno di protrar- re quelli che esistono alla destra della foce di oggi. 127 L'intervallo compreso fra le due foci ritengo che sia cosa utilissima di difenderlo con isco- gliera, lettera C. Gli scandagli in mare a sinistra del porto, l'esame personale del lido e le notizie raccolte da altri dimostrano che da questa parte la spiaggia non progredisce che molto lentamente; anzi ad una distanza di metri 1500 è in corrosio- ne, ed è certo che essa s'ingrossa quanto più si allontana a sinistra della foce : i fondali alla stes- sa distanza dal lido vanno crescendo da destra a sinistra in guisa che sulla punta degli schiavi a so- li metri 100 da terra si scandagliano 4 metri di acqua. Questa fortunata costituzione del luogo mi avrebbe suggerito la idea di usare le forze che la natura sviluppa in queste vicinanze in guisa da con- vogliare e spandere i materiali ostruttivi quanto più si può sulla sinistra. A tale effetto la propo- sta scogliera di difesa aderente al lido, formando flutti riflessi, dovrà non poco contribuire nel tra- sporto a sinistra e prender parte all'azione dei flutti diretti che si imboccheranno nell'apertura fra la punta del destro molo e la protrazione iso- lata. Nei fortunali, il braccio formato dalla ri- petuta scogliera e l'altro costituito da quella pro- trazione isolata devono obbligare le linee de' flut- ti comprese fra i punti a b a passare per;;ila det- ta apertura e sviluppare una corrente capace a non permettere la formazione o la conservazione del solito banco che corona la foce e, dando celere moto verso sinistra all'acqua del mare che si para innanzi ad essa foce , capace per l'uno e per l'altro fatto ad aumentare notabilmen- 128 te l'effetto della chiamata allo sbocco; il che tor- na ad importante comodo della navigazione, ed a più facile sfogo delle piene. Pare adunque che con questo progetto verrà, nel miglior modo che da me potevasi, ed all'in- circa nei limiti della preconcetta spesa, provvedu- to alle due principali esigenze tanto raccomandate dai rappresentanti della città e del commercio di Pesaro , anche con suppliche umiliate al Sovrano e dal medesimo benignamente accolte ; cioè di ridonare un porto veramente utile al commercio , e di diminuire, se non quanto è desiderabile quanto ahneno è possibile , la gravità delle inonda- zioni rese così facili ad incomodare e danneggia- re in questi ultimi tempi. Qui avrebbe termine il mio dire, perchè qui si troverebbe esaurito il mandato da Lei favoritomi colla sua del 3 corrente. Ma il giorno 12 dello stesso mese sua eccel. reveren. monsig. Pasquale Badia pro-legato apostolico di questa provincia avendo disposto che, alla presenza di lui e di quella del sig. Giovanni Marsetti deputato per l'affare del porto da questa magistratura, il pro- fessor Brighenti ed io presentato avessimo i ri- sultamenti de' studi nostri, il mio mandato è sta- to esteso. Dopo molte osservazioni su i diversi progetti già presentati sull'argomento in discorso, si è creduto dai sopra nominati che quello da me tracciato sia più di ogni altro idoneo al caso; soggiungendo in proposito il professor Brighenti che egli lo trovava conforme alle sue viste , e se egli non proponeva 129 eguale concetto eia solo perchè avrebbe ecceduto il mandato; riservandosi però di trasmetterlo a Ro- ma , unitamente al suo , con ispeciale menzio- ne (1). Quindi eglino espressero unanime avviso che io corredassi il progetto in discorso delio scan- daglio per la spesa corrispondente; e però in virtù di questo ossequiato divisamento Ella tioverà unito in Allegato il richiestomi lavoro. Ciò nondimeno non mi è sembrato di poter qui omettere un confronto fra la spesa necessaria ad ef- fettuare il piano di cui tengo proposito, e quella che abbisognerebbe a ritornare il vizioso canale nella pri- mitiva sua sistemazione. Dalla Relazione sul progetto del nuovo porto di Pesaro compilata dall'ing. in capo Luigi Buffalìni il 9 febbraio 1856, e sottoposta a sua eccellenza mons. ministro de' lavori pubblici, risulta che a rimettere il porto canale nello stato in cui trovavasi prima delle alluvioni richiederehbesi la spesa di se. 99000. Inoltre è da avvertire che, visitati i tratti di sponda non ca- duti perle passate inondazioni, e però non compresi nella perizia del menzionato ingegnere, si fa oggi ma- nifesto il bisogno in essi di piìi profondi e solidi fonda- menti se si vogliano conservare. 11 perchè si crede es- sere necessaria una ulteriore spesa di circa se. 20000 da aggiungersi a quella già calcolata; cosicché l'intera somma per il ristauro del presente canale ascende- rebbe a scudi 119 mila. (I) Promessa che dal Brighenti è stata scrupolosamente man- tenuta, e nel modo il più onorevole per me. Ecco il vantaggio del trattare con uomini superiori, nei quali la dottrina va sempre unita ad imparziale liberalità. G.A.T.CXIV. 9 130 Dallo scandaglio della spesa occoiTente per la esecuzione de' lavori da me progettati, secondo l'an- nessa pianta e relativi Allegati, si ha, è vero, che oc- correrebbe la somma di scudi 1 32068. 14|, e perciò maggiore dell'altra di scudi 13068. 14|; ma questo aumento di spesa compensato a parer mio ad esu- beranza dal vantaggio che si trarrà dal nuovo por- to, sembra poter inspirare fondata speranza sulla superiore approvazione; quante volte il progetto fosse ammesso dall'eccelso consiglio d'arte (1). (1) Ecco il rescrilto di sua eccellenza monsignor ministro dei lavori pubblici in relazione al giudizio clell'ossci^u.iato consiglio d' arte. » 9 Luglio 1856. n". 8806. M Fisto che il Consiglio d'arte, uniformandosi col suo voto al rapporto delV ispettor emerilo sig. prof. Brighenli, dichiara prefe- ribile il progetto del canale curvilineo ideato dal sig. comm. Cialdi, purché la relativa spesa non ecceda di troppo la somma indicata 7iello, scandaglio; » Si diano le occorrenti iatruzioni alla delegazione apostolica di Urbino e Pesaro affinchè il progetto islesso venga, senza più , ridotto a piano di esecuzione a cura degV ingegneri della provin- cia pesarese: e di questa disposizione si dia la dovuta partecipa- sione al consiglio. Il Ministro MlLESI Compito l'ordinato piano di esecuzione, la somma risiillata da questa più particolareggiata analisi ascende a scudi 138726. 60 , cioè soltanto maggiore a quella da me preavvisala di se. 6638.43 , e però dentro il limite ammesso. Anzi, in virtù di alcune modifi- cazioni fatte al detto piano dal consiglio d'arte, la somma ricono- sciuta necessaria all'eseguimento del mio progetto riducasi a se. 129750.04 : cioè minore di scudi 2318.10.^, di quella da me po- sta in preventivo. . 13Ì Prima di dai* fine torna opportuno ed anche con- venevole che io le ponga sott'occhio l'efticace coo- perazione avuta dal signor Alessandro Scalcucci, in- gegnere di questa provincia , che il menzionato egregio sig. Marzetti destinò ad assistermi. La pianta è opera sua , e sua ò la compilazione dell'ammon- tare delle analoghe spese , essendo egli ben più esperto di me nei prezzi e nelle pratiche locali. Credo soltanto di far notare che, se il progetto ve- nisse in massima approvato dall'ossequiato consiglio d* arte , ho in mente di stendere e di sottoporre un paralello fra talune maniere di costruzione special- mente per la protrazione isolata; perchè opino do- versi preferire un sistema più conveniente e più utile di quello dell'uso delle palafitte posto in perizia. Evaso in tal modo, per quanto lo hanno per- messo le mie deboli forze, l'onorevole incarico che cotesta esimia magistiatura ebbe la degnazione di affidarmi, approfitto di questa favorevole occasione per confermarmi col più distinto ossequio Pesaro 24 maggio 1856. Della sig. vra. illma. Devino, ed Oblino, servitore Alessa,m)ko (,'-ialdi. P. S. 132 . P. S. La necessità di avere il maggior possibile fondo alla bocca di un porto-canale e nello scanno che la corona, consiglia la pratica di armar le foci del fiumi con robuste palafitte o moli; e questa pratica è a tutt'oggi in pieno vigore in Italia ed altrove. Sif- fatto sistema però ha in se dei difetti, e due gra- vissimi , quello di stringer troppo la sezione dello sbocco, e l'altro di produrre più rapido avanza- mento della spiaggia , e quindi notabile prolunga- mento della linea mediante le ripetute protrazioni de'moli: stringin)ento contrario al sollecito deflusso delle acque in piena, e prolungamento contrario al buon regolamento interno del fiume, e molto nocivo alla navigazione. // prolungamento delVullimo tronco dei ìioslri canali, ci diceva nell' anno 1829 il Bri- ghenti, sarà cagione di tale rallenlamenlo del moto delle piene, che le renda inabili a sostenere le ma- terie pili grosse, e queste depositale sul fondo n'al- zeranno il letto assottigliando r acqua occorrente alla navigazione. Questo effetto quando che sia non può mancare, e però dee impedirsi, o rilardarsi quanto è possibile (1). Con lo stabilire de' guardiani normali alla spiaggia sopravvento alla foce, più o meno da essa distanti, può essere ritardato il bisogno delle protrazioni de'moli, purché questo ritardo non ecceda un certo limite; ma siffatto provvedimento può dirsi che in nulla giova al primo difetto. (1; 0[)era citata pag. 22. 133 Il desiderio di eliminare nel sistemale accennate principali parti difettose, mi suggerì l'espediente di staccare la solita protrazione maggiore del molo dal lato de' venti regnanti e dominanti per ben 150 me- ti'i, e di guarnire di scogliera la sponda della spiag- gia compresa fra la proposta foce e quella esistente (lettera C) ; ma non mi lusingo che questo espe- diente provveda interamente a tutto. Un sistema molto più semplice ed economico dei sopra indicati si ha in quello delle palificate som- merse a traforo facenti officio di sponde , dovuto al benemerito commendator Afan de Rivera, e da lui praticato con felice successo nel regno di Napoli. Questo sistema noto per la particolareggiata de- scrizione che ne ha lasciato il suo inventore (1); per quella non meno ordinata e lucida che ha dettato il chiarissimo architetto Vincenzo Antonio Rossi, ese- cutore del sistema stesso, nel magistrale suo libro sul Definitivo bonificamento della campagna vicana (2), e nell'altra sua pili recente scrittura , ove soltanto di detto sistema ragiona (3); per la lode che ne fa il Lombardini nel suo aureo trattato Della natura dei laghi (4) e nell'altro non meno dotto Sulla stati- stica dei fiumi (5); è finalmente pel favorevole rap- porto fattone a s. e. il ministro de'lavori pubblici in (1) Del bonificamento del lago Salpi ec. Napoli 1845. (2) Napoli 1843 pag. 137- e seguenti. (3J Di una efficacissima pratica per stabilire la sussistenza dello sbocco dei fiumi in mare. (4) Milano 1846 pag. 104. (5) Milano edizione del 1854 pag. 11 e 12. 134 Francia dall' ing. in capo sig. Baumgarten (1); que- sto sistema, dico, ha richiamato la mia attenzione nell'occasione di proporre l'armatura per la nuova foce dell Isauro. Avendo in mente che si voleva dal municipio e dalla camera di commercio di Pesaro un porto che , mentre si prestasse ad una attiva navigazione, la- sciasse pure facile scarico alle fiumane, mi sono oc- cupato di rinvenire il modo per restringere le sponde senza fare ostacolo al sollecito smaltimento delle ac- que nel mare; il che inferiva doversi fìancheijgiare la foce con opere sommergibili, adottando così la prima parte della idea del de Rivera, e fare traforate cotesle opere, ciò che compie la idea stessa; ma la effettua- zione di essa non soddisfaceva ai bisogni della navi- gazione: il che mi accingo a dimostrare. Nei colloqui tenuti col Brighenli non ho man- cato di far parola di questa nuova pratica; ma per Tesperiraento che egli, come commissario pontifìcio della libera navigazione del Po, aveva avuto non ha guari occasione di fare di essa nel Porto-di-levan- te, non l'ho trovato disposto ad approvarne I' uso senza ulteriori prove della sua buona riuscita. Il giorno 21 maggio nel suo tranquillo casino , Cà- Ristoro, situato sull'amena collina la Carlelta , ove si domina la sottoposta città di Rimini e 1' occhio ijiunge a vedere Tuna e l'altra sponda dell' Adriati- (1) Annales des ponls et chans(^es. Paris 1833; ed Annali delle opere pubbliche e dell'architettura, opera periodica compilata a cura di Giov. Rossi, N. De Rosa, e L. Corrieri ingegneri del corpo di aeque e strade. Napoli 1833, pag. 192. 135 co , mi dettava in proposito al trovato del Rivera quanto appresso. « Nel canale bianco, antico ramo del Po, ove ri- capitano tutte le acque chiare del Polesine di Rovigo e superiori, chiamato Porto-di-Levante, ed ove la velocità media di riflusso misurata è di 0"™, 40 per* secondo, erano state battute le palafitte a giorno per la lunghezza complessiva di entrambi i bracci di metri 1700. Il destro braccio sporge in mare sul sinistro metri 30, attesa la forma del lido: cani- minano essi dall'acqua sottile metri 500 entro mare nella direzione di levante; vanno a trovare un fondo di metri 3 sotto il comune marino , e formano un canale di metri 40 di larghezza. La testa dei pali è alta l"", 60 sul detto comune; il diametro di 0"", 33 circa (ossia del perimetro di un metro) di- stanti 0'", 80 da centro a centro , e però lasciano un lume fra loro di circa 0'", 50. Poco sotto alla testa dei pali (0"', 40 circa) lungo la linea del ca- nale, corre una pedana di tavoloni appoggiati da ca- tena a catena, la quale pedana serve di praticabile ai piloti in tempo di burrasca, e sempre a tutti. In somma i guardiani del Porto-di-levante sono in tutto simili ai comuni, salvo che, invece di avere i pe- rimetri dei pali a contatto, gli hanno distanti 0™, 50 l'uno dall'altro. La esperienza fece immediatamente conoscere il bisogno di riempire quelle luci fino poco sopra al pelo ordinario, perchè in tempo di bur- rasca, specialmente dalla parte di greco, succedeva ima forte irruzione di sabbia nell'interno, che avrebbe in breve tempo ostruito il canale. Empiti i bracci, si ottenne immediato eccellente successo ». 1.% Da ([inasto fallo adunque si dovrebbe desumerò un risul lamento contrario a quello ottenuto dagl'in- gegneri napoletani. È desso dovuto alla differente si- tuazione, ovvero al non eguale ordinamento dell'ar- matura della foce ? Lo scopo di quel lavoro nella "Venezia era la creazione di un porto per uso della navigazione a vapore del Lloyd austriaco; quindi quei moli ebbero in costruzione un carattere simile ni comuni, anzi eguali a questi nella parte superiore. Stando però al dettato de'suddetti ingegneii, le file dei pali debbono essere battute sino al pelo basso del mare perchè giacciano sommersi, e niuna pedana o praticabile si vede da loro usata. Secondo il Bri- ghenti questa pedana o tavolato nulla influisce sulle acque, ne sulla stabilità dell'armatura; io invece opino che essa, non che 1' altezza de' pali fuor d' acqua, la troppa larghezza del canale in relazione alla sua portala e la rilevante lunghezza dei bracci per giun- gere a 3 metri di profondità, possano essere siale di ostacolo principale alla efficacia del trovato Ri- vera adottato al Porto-di-levanle. Ecco come il menzionato Rossi, testimonio ocu- lare, ci descrive l'effetto dei flutti nel suddetto tro- vato. « Le burrasche coli' infuriare dei venti e dei ca- valloni zappano il fondo del mare , ne rompono i bassi fondi, e spingono al lido le sabbie; onde poi si formano le alte spiagge e le dune; ed ove que- ste sono interrotte per lo sbocco di acque in mare, vi formano gli scanni e tutte quelle radunate di sab- bia 0 rene che ne impediscono lo scarico. Quan- do allo sbocco siavi una palificata sommersa a tia- foro, il procelloso moto delle onde verso ÌI lido , sarà rotto dai pali isolali che la compongono; e quel moto procelloso si comporrà in un moto eminen- temente vorticoso; ed i grandi coni verticali rove- sci del^ sistema di tutti questi vortici , scaveranno potentemente il fondo nello spazio interposto ad essi pali e nel circostante: e così l' impedimento che h burrasca getta contro lo sbocco ne è istantemente rimosso da quel simultaneo movimento di vortici • ed air istante medesimo che la corrente è per es- sere impedita si h strada con notevole velocità per gh trafori delle palificate, e quindi, allargandosi per tutta la sezione tra le palificate medesime, librando le sabbie spintevi contro dai cavalloni e quindi ri- portandole al largo. E se 1' impeto della burrasca , e 1 imperversar dei venti infilerà lo sbocco, l'esca- vazioni con eguale potenza vorticosa si faranno dai due lati; e se obbliquamente, le escavazioni si fa- ranno maggiori dal lato più battuto dai cavalloni , e di qui SI determinerà il filone della corrente, guindi e, come io poneva, che per questa parte, le forze che tenderebbero ad impedire lo sbocco il iacihtano: anzi il provocano; perciocché se alcuna radunata d. rena già si trovasse d'alcun Iato dello sbocco, al pnmo sopravvenire di burrasca da quel iato, sarà rotta, rimossa, e portata via (1) ». Ora, soggiungerò io, se i pali sono più alti del pelo ordinario del mare, e, peggio ancora, se sopra di essi SI costruisce un tavolato o praticabile, i flutti non^posso più bberamente agire per ogni parte. (1) Di ma egicacimma pratica, opera già citala pag. 8 e 9. 138 Quel tavolato ricevendo sopra di se i colpi dei marosi ne disperde in mille direzioni la forza; e così non generale, non completa sarà l'azione vorticosa intorno ai pali e di trasporto a traverso il canale, specialmente ove la corrente di questo non sia molto vegeta : azione che sarà intera soltanto , quando i flutti si accavallino sulle teste dei pali isolati, e gli urtino per ogni verso coi minori ostacoli possibili. Per me credo essere necessario di uniformarsi interamente al dettato degl' ingegneri napoletani se si vogliono ricavare i benefici dalla pratica di esso guarentiti; ed in questa necessità appunto ho ravvi- sato un difetto che rni ha completamente distolto dal preferire quel dettato ai moli comuni, nelle viste di dare un conveniente porto-canale a Pesaro- Quel bisogno di lunghe file di pali isolati, bat- tuti tanto che si trovino tutti sommersi, alla distanza di circa un metro Vuno daWallro, e Vampiezza dello sbocco alquanto minore della larghezza del letto del fiume nel tronco immediatamente superiore, avrebbe dato a Pesaro una lunga e stretta bocca di porto seminata di pericoli. Difatti nei soli casi di mare cal- mo, di vento favorevole e di poca velocità nel fiu- me, i bastimenti avrebbero potuto entrare ed uscire dal porto con la voluta sicurezza. Negli altri casi , molto più comuni e molto pliì urgenti per approfittare del porto , non potendosi spesse volte evitare gli sviamenti nella direzione de' bastimenti, questi sa- rebbero sospinti ad investire sulle teste sommerse de'pali, e ricevere sempre grandi avarie , e spesso funeste. Ne, a parer mio, bastar potrebbe , per e- vitare quei pericoli, porre in essi delle mce, ossia 139 indicatori, perchè spesso vediamo i bastimenti ob- bligati , loro malgrado, ad urtare nelle alte palate presentemente in uso; urto al certo non mai utile al sistema del bastimento , ma neppure nocivo in modo da impedire di riprendere la retta via e giun- gere a salvamento. Quei disviamenti devono poi es- sere molto più frequenti e molto più difficili a pre- venirsi in un canale, ove niun riparo pone freno al contrasto delle frante onde con se stesse e con la corrente del fiume. Finalmente i praticabili sugli at- tuali moli sono spesso un prezioso comodo per som- ministrare aiuto ai bastimenti, e sarebbe sempre un grave difetto se non vi fossero. Questi riflessi mi hanno consigliato a preferire l'antico sistema, colle modifica- zioni però proposte nel corpo della lettera, avendo così molto migliorato in esso quanto vi è di più difettoso. Il trovato di Afan de Rivera è per me da pre- scegliersi sopra ogni altro quando trattasi di fissare una voluta direzione alla foce e facilitare Io sca- rico delle acque in piena, ma non quando si vuole avere un porto propriamente detto: il beneficio del porto in quel trovato non può essere che seconda- rio, cioè da usarsi soltanto nelle occasioni di buon vento, di mare calmo e di giorno. Guidato da que- sto convincimento , nella onorevole circostanza che sua eccel. don Scipione Borghese duca Salviati mi commise di studiare l'ultimo tronco del Ser- ehio ed esporre il mio avviso per sistemare la foce di quel fiume, non ho esitato un momento ad an- teporre il trovato Rivera all'altro in uso, perchè lo scopo principale, anzi unico, da raggiungersi in que- sto caso , è quello di stabilire la foce, e di ren- uo della atta a permettere il più libero e pronto de- flusso delle piene. In Pesaro questo utile scopo deve cedere in parte il posto a quello più vitale del porto, principale bisogno di quella città e di quella provincia. I cattivi effetti delle straordinarie piene sono invero tristissimi, ma sono secolari, né l'arte potria annullarli con la sola sistemazione del- l'ultimo tronco del fiume: quelli dell'attuale porto sono meno tristi, ma sono giornalieri, e l'arte può evitarli con correggere soltanto la direzione del ca- nale e con usare a benefìcio di esso la potenza de' flutti: correzione ed espediente che debbono inoltre influire molto utilmente anche nelle ordinarie piene ed in parte in quelle straordinarie. Concludo: La preferenza data dal nostro Consiglio d'arte al concetto mio, e le suaccennate considerazio- ni, mi mettono nell'animo la persuasione che esso sia da prescegliersi ad ogni altro per un porto-canale. Con la intenzione di facilitare sempreppiù lo scorrimento delle fiumane presso la foce, voleva pro- porre nel nuovo porto di Pesaro un altro espediente, se la spesa per esso non fosse stata notabile, ov- vero se il beneficio da ritrarsene poteva ora essere da me dimostrato meritevole dell'occorrente dispen- dio. Io pensava di proporre, che la sponda sinistra del canale potesse essere sommergibile, cioè avere la sua altezza limitata a quella delle maggiori maree, e la rimanente altezza della detta sponda sino al piano stradale, staccarsi dall'altra di destra quel tanto e nella direzione che vedesi nella unita pianta, figura I linea tratteggiata. Questa più ampia sezione nella su- perficie del canale non avrebbe in verun modo pre- Ul giudicuto la navigazione, perchè Talte/za della ripa sommergibile non essendo inferiore al pelo delle pili ardite maree, avrebbe sempre conservato, nello sta- bilito concavo canale di trenta metri di lunghezza, un corpo di acqua bastante a mantenere scavato il fondo e depressa la soglia di scarico in mare, an- che nei casi che il flutto-corrente non vi avesse preso parte : anzi detta sezione avrebbe permesso alle acque di estendere gran parte delle torbide, di cui sono cariche coleste grosse piene anche alla su- perficie, in un vasto tratto di mare, e fuori e sot- tovento del canale navigabile. Non è necessario av- vertire che questa orizzontale golena dovrebbe es- sere tutta solida e giungere sino alla battiggia del mare, ove dovrebbe con muro far fronte "al flutti tramontanesi. L'ultimo tratto di metri 150 della sponda sinistra, che s'inoltra in mare, per sicurezza e per comodo della navigazione dovrebbe lasciarsi di altezza eguale alla sponda destra, cioè non do- vrebbe esser sommergibile. Quella specie di golena avrebbe inoltre bisogno-di essere ogni volta spurgata dalle materie che le acque vi lascerebbero nel ritirarsi; materie che, se ad altro uso non servissero, potreb- bero esser gittate dinanzi al muro di battiggia, ove dalla piima mareggiata sarebbero spazzate ben lungi da quest'ostacolo pressoché verticale e resistente. Esso darebbe la mano al destro braccio di sco£(Iiera per non permettere che a destra, a sinistrammo di fronte alla foce si trattenessero materiali ostruttivi. Qualche cosa di simile al Porto-di-levante si è an- che praticato nel porto-canale Corsini presso Ra- venna. A metri 70 dalla punta del molo di destra, 1i2 cioè del più inoltrato in mare e che dal lido si a- vanza per metri 67, si è costruita una palata iso- lata a traforo di metri 50 nel modo istesso di quella del Porto-di-levante ; e parallelamente ad essa un* altra palata di egual lunghezza a metii 40 da si- nistra, formandosi così da entrambe le palate un tratto di canale lungo 50 e lavgo 40 metri. (Si veda l'unita pianta fìg. II). Questo isolato lavoro , come ognun vede , non è la ripetizione di quello del Porto-di-levante in ogni sua parte, e tanto meno del trovato Rivera ; ed esso sostanzialmente diversifica pure dal mio espediente. La palata di sinistra praticata in Ra- venna toglie a quella di destra , a cagione della prossimità della prima, l'utile ufficio di formare una libera rada coperta dai venti regnanti e dai dominanti di quel paraggio, come si presta la protrazione iso- lata da me proposta nel paraggio di Pesaro (1). La (1) Questa protrazione isolata e laterale, die non può dirsi ante- murale, perchè non ripara Jaogni parte la bocca costituita dai due iiioli,e perchè se tale fosse risulterebbe presto e {gravemente nocivo al porlo ove le spiagge camminano, questa protrazione , dico, darà prezioso ricovero nei fortunali, come già ho accennato. Il mare facilmente frange ben oltre fuori delle palate o moli nel littorale pontificio dell'Adriatico; e quando i frangenti si moltiplicano, molto pericoloso, e spesso funesto, si rende l'approdo in quei porti-ca- nali; quindi i bastimenti sono obbligati a battere il mare, o cor- rere altrove, e peggio ancora. Dai marini del porto Corsini si vorrebbe chiusa 1' apertura formata dal tratto del sopra descritto canale isolato e da quello unito alla riva, perchè gli reca molestia nell'entrata del porto. Io credo che abbian ragione, dappoiché quelle corte palate isolate e trafo- rate non somministrano loro ricovero né come canale,nè come rada. Essi, se vogliono star sicuri, sono obbligati a traversar quell'aper- tura ed entrare nel porlo; inconveniente che non accadrà colla prò- US telale mancanza del braccio di scogliera, da me in- nestato al molo destro in Pesaro, priva il porto Cor- sini di quei benefìci etTetti che le onde urtando in questo ostacolo debbono dare, e quella palata es- sendo a traforo non può prendere veruna parte a quegli effetti. Quel braccio è parte integrale del mio espediente: senza di esso non si otterrebbe o non si conserverebbe il regolare utile spurgo da me pronosticato , e tanto necessario alla bocca di un porto; dappoiché il giuoco de' flutti, ossìa l'ef- fetto delle risacche sopra e sotto-marine, prodotto dalle sole testate delle due dighe che costituiscono la proposta apertura, si limiterebbe a scavare delle profonde fosse alla base di dette testate; e nel mezzo dell' apertura , ed ivi presso, lascerebbe de' banchi nocivi alla libera navigazione, come è accaduto nei passi formati dalle opere avanzate ed isolate del porto di Cette, ed in quelli di altri porti situati in spiagge sottili quando i passi sono della larghezza conveniente ai bisogni delle manovre de'bastimenti in ogni circostanza. Ora sento che si studia per to- gliere al porto Corsini quei difetti che dall' eseguito lavoro si sono manifestati. Io sottopongo queste importanti questioni al sa- vio giudizio degli uomini più esperti di me, fra' trazione isolata in Pesaro, perchè in questa, quaiulo il mare sarà tale (la rendere molto incomoda la traversata dell'apertura da me proposta, i bastimenti troveranno facile accesso e sicura dimora: godendo poi nei tempi maneggevoli del generoso fondo di acqua prodotto da quell'apertura. Così avranno un comodo ed utile porto nel maggior numero de' casi , ed un sufficiente ricovero nei casi di grosso mare. Ui quali mi giova annoveiare il citato esimio professor Vincenzo Antonio Rossi. Egli sviluppando delle giu- ste idee generali su i tristi effetti delle rapide pro- trazioni di spiaggia cagionate dai materiali scari- cati in mare dai fiumi e lasciati vicino alle loro foci, così conclude : « Onde è che commendevolis- simo trovato sarebbe quello, per cui si riuscisse alla migliore distribuzione di alluvioni lungo le coste , ed al più grande possibile allontanamento di esse dal luogo dello sbocco de^ fiumi in mare (1) «. Or bene, lo studio e la esperienza che egli possiede de- gli effetti prodotti dai diversi sistemi di armature delle foci, la sana critica che egli è capace di hve sul mal'esito del trovato Rivera nel Porto-di-levante ed in quello Corsini, non che sulle mie riflessioni rela- tive a coteste opere e sul sistema da me proposto, che appunto ha por iscopo principale quello di allon- tanare dalle foci i materiali che le ostruiscono o ca- gionano la rapida loro protrazione , possono som- ministrare lumi utilissimi. Roma 20 ottobre 1856 (1) Hdyionimcnlo sulla sistemazione finale delle acque di Val- dichiana ec. Annali delle opere pubbliche citati, 1853 pag. 33. -v^ cy^'/^ Oa^i'Z^Zi^^ {:r/:j/M/y^ (^ tìaetìt/.<^^ 'Ji^ e-9Z'^jCu0'/iif r^/^/ /ó/kÌ. La Scala è nel rapporto di ia 4OOO . U A" ^ //'.//■, Firf.Il. tiinif^ 145 Monografia della febbre miliare. Morbum nihii esse alluci, quam naiurae cona- men materiae morbiHcae exterminationem , in aegri sahitem omni ope molienlis. Sydenham. CAPITOLO I. Cenno storico e carattere della miliare. N. el novero delle malattie esantematiche mostrasi la miliare d'indole versatile, spesso associata a dif- ^ferenti morbi, che ne rendono irregolare l'anda- mento, ed alterata in guisa la forma patologica da muovere gravissimi dubbi sulla essenza e carattere. E di non lieve interesse pel clinico esercizio lo studio accurato di questo particolare morbo eruttivo, che assume d'ordinario il genio epidemico, per cui aper- tamente infierisce, o sotto l'aspetto di fraudolente mansuetudine insidia la vita. Per siffatti rimarchi richiamava appositamente le cure di solerti e di- ligenti osservatori, che ne fecero obbietto di scien- tifiche ricerche, a fine di procurarne gli opportuni schiarimenti. Si mostrarono pertanto sì discordigli opinamenti degli scrittori su tale argomento, da schiu- dere largo campo a mediche disquisizioni. Infatti si è dubitato: 1° della antica origine, riputandola taluni malattia del tutto nuova comparsa solo in Europa da circa due secoli: 2" si è lungamente discusso se G.A.T.CXLIV. ^ iO 146 debba ritenersi morbo essenziale, secondario, o sintomatico: 3" in fine se si diffonde con principio contagioso, o sì genera sotto qualunque epidermide con sterile seminìo. Nell'esporre la storia di questa particolare affezione, uopo è tornare sulle medesime discussioni di massimo rilievo per la pratica medica, che malgrado l'eseguite indagini, sembrano tuttora suscettive di essere chiarite da imparziali ed ulteriori cliniche osservazioni. Unica base della medicina non contaminata da prestigi di sistematiche dottrine. Le opere di esperti clinici, che partono da ragionamenti ed induzioni, dedotte da una sana patalogia, mi sa- ranno di scorta in questa monografia. Non tralascerò in pari tempo d'inserirvi le proprie riflessioni, qua- lunque esse siano, risultato di lungo esercizio, e di casi particolari di miliari occorsimi nella pratica. Al- cuni di essi di esito infausto vi saranno fedelmente descritti a preferenza, come piij idonei a svelare il carattere di questo pericoloso esantema. 11 morbo miliare prende la sua denominazione dalla eruzione alla cute di papule, per la forma e grandezza non dissimili dal seme di miglio: ben di rado ne sorpassano il volume, or rossastre, or bianche o cristalline, talora miste piene in principio di un umore diafano, indi puriforme, per lo più discrete, talvolta confluenti: il collo, l'interno delle braccia, il petto, i lombi, sono le regioni le pili esposte alla efflorescenza, che non effettuasi quasi mai con una sola esplosione: cessata di apparire l'eruzione in un punto , altra svolgesene in parte diversa , passato breve intervallo. Queste piccole pustule vescicolari all'apice, ed acuminate, dopo il quinto o sesto giorno 147 della loro manifestazione si rompono, si disseccano e cadono in squame a modo di forfora. Distinti scrittori opinarono che la miliare fosse del tutto ignota e sconosciuta agli antichi medici; la giudicarono essi comparsa la prima volta nel 1652 nella Sassonia, diffusa in seguito nel resto dell'Eu- ropa. Fu chiamato nuovo morbo da Welsch, nuova febbre da Sydenham: Tissot professò la stessa mas- sima, percui scrisse: « A meno che non si voglia ri- vocare in dubbio la parte storica della medicina , la più autenticamente attestata, si è obbligato dì convenire che la febbre miliare, cominciò a com- parire verso la metà dell'ultimo secolo: (conchiude Tillustre clinico) questa malattia dunque , come il vaiuolo, ha un'epoca di origine fìssa, e nota ». Non mancarono diligenti ed accurati autori, che sosten- nero l'opposta sentenza, trovandone tracce in Tu- cidide nella descrizione della peste ateniese. Fan- toni (1) dottamente dimostrò ch'essa fu conosciuta e descritta da Ippocrate (2), Aezio, (3) e da altri me- dici anteriori all'epoca stabilita da Welsch: le addotte ragioni basano sull'autenticità dei fatti, da escludere (1) De antiq. et progressii febr. miliar, pajj. 73. (2) Circa septimum, octavum, et nonum diem (febris cuiusclam epidetnicae) aspredines quaedam miliareae, culicutn morsibub fere similes, quae tamen non admodum priiriebant, in sumnaa cute sub- nascebantur, et ad iudicationem usque perdural)ant . Ac ne eae qui dem inasculorum ulli eruperunt. Mulier vero, cui talia fierent, nulla mortua est: hebetiore tamen erant auditu, et soporosae, quamvis antea non admodum soporosae esseut, qnibus ista evenire debebant. Hipp. de epid. lib. 2. sect. 3. (3) Telrabibl. 2 sect. 2 cap. 129, U8 ogni dubbio sull'antica origine, e cognizione di questo esantema. Se l'antica medicina delineò brevemente e con semplicità il morbo miliare, devesi però ai secoli posteriori, precisamente al decimo settimo, il me- rito di aver portato un nuovo esame sopra questa particolare affezione. L'epidemia miliare di Lipsia descritta da Welsch (1) diede impulso a' dotti cul- tori della scienza di studiare meglio l'indole di questo malore, che incominciò nell'epoca accennata ad infie- rire contro le puerpeie; né sesso, nò età furono rispet- ta ti in seguito. Videsi ogni giorno estendere il suo do- minio sopra vaste provincie germaniche: l'Inghilterra laFrancia,la Svizzera rimasero successivamente attac- cate. Non tardò guari ad esserne afflitta l'Italia setten- trionale, quindi scrissero sulla malattia con molta dot- trina Anioni, de Agostini, Fantoni, ed il sommo clinico Borsieri. Il trattato della miliare di questo classico scrittore, esposto con profonda erudizione, acume, e spirito di osservazione, dovrà ritenersicome un codice della scienza per esser sempre consultato con profitto, in una malattia cotanto grave e funesta. Col diffon- dersi la miliare in vari luoghi della nostra penisola, molti scienziati nell'ultima epoca, ne fecero sog- getto di profondi studi ed accurate indagini: ed ap- parvero nel breve periodo di pochi anni le dotte memorie di Strambio, Berti,Pollini, Secondi, Peno^ lazzi, Beroaldi e non pochi altri, (I) Historia medica novum puerperarum morbum contìnens. Disput. 1653. 149 Richiamata còri maggior calore l'attenzione dei pratici sopra un punto sì importante di patologia speciale, mercè delle opere di distinti medici italia- ni, contemporaneamente esimi scrittori di altre in- civilite nazioni si affaticarono colF istituire nuove ricerche, pel genio epidemico che spesso assumeva la malattia nelle diverse contrade di Europa. Sor- sero le memorie di Gastellier , Hamilton, Gmlin , Salzman ec. Dotta e di molto interesse è la storia dell'epidemia osservata a Wittemberg, descritta da Kreyssing, in fine Rayer, Alibert, Simon nosologi di mali cutanei, descrissero dietro le loro osserva- zioni questo difficile ed irregolare esantema. Quantunque dalla maggior parte degli scrittori non si ardisse negare alla miliare un'epoca remota, trovandone luminose tracce presso quelli stessi au- tori, che vissero molti secoli prima deirepidemia di Lipsia, si asserì non esser mai morbo essenziale, sempre secondario , or sintomatico , or critico. Per la medesima ragione, aggiungesi, non trovasi accu- ratamente delineata dagli antichi, poiché quelle affe- zioni particolari, al dir di Cullen (1), le quali si ri- guardavano ordinariamente come accidentalità sin- tomatiche , venivano comunemente neglette , e si confondevano l'una coll'altra, sotto una stessa ge- nerica nomenclatura. È di grande utilità per l'argomento, che ci oc- cupa, esaminare e discutere con accuratezza questa parte di medica controversia, che ha diviso le opi- nione dei più dotti medici, non senza danno della (1) Element. di medici n. prat. voi. 2 cap. VII. trad. Venez. 1788. 150 scienza. Varie obbiezioni insorsero investigandola na- tura ed il carattere della nniliare, irregolare talvolta nel suo corso, fino al grado da illudere gli osservato- ri i pili attenti nella pratica. Fu riputata da taluni sempre morbo secondario, sintomatico, come essen- ziale , idiopatico all'opposto da altri considerato e descritto. Prima di ogni altro esame è necessario premettere il quadro nosologico dell'esantema, scevro da qualunque complicazione, e da anomalie: circostan- ze rimarchevoli per non cadere nella confusione, che trovasi sovente in molti autori, che trattarono que- sta stessa materia , senza distinzione veruna. Sebbene l'eruzione non è preceduta e seguita , secondo alcuni pratici, da segni prodromi, e con- comitanti , costanti e caratteristici , percorre ciò non ostante i periodi comuni agli altri morbi esantematici. Ciascun individuo minacciato da im- minente sviluppo della malattia lagnasi di un sen- so di mal essere e lassezza , che lo aliena dalle ordinarie occupazioni: la traspirazione cutanea di- viene più sensibile , spesso la pelle copresi di su- dore, il polso appena si allontana dal suo stato naturale. In questo primo periodo il morale ha già subito dei cambiamenti: melanconia, inquietudini, sonno turbato ed interrotto, timore ec. agitano lo spirito. A siffatti forieri morbosi, altri fenomeni succedono, cioè brividi seguiti da calore, prostra- zione di forze, lingua coperta di uno strato bianco- giallastro, anoressia , dolore pungente ora in un punto , ora nell'altro del corpo , sudore, copioso , viscido di un odore particolare , disaggradevole , non critico, poiché non porta alleviamento, oppres- 151 sione di petto con stringimento ai precoi-di, respi- razione difficile, irregolare, ansietà, sospiri, abbat- timento di spirito. Febbre mite in principio, ma a misura che il male inoltrasi diviene più intensa • si manifesta facilmente il delirio, congiunto a sus- sulto di tendini: polso duro, ed intermittente, senso di stupore pungitivo nelle dita, o invece crampi , tosse secca e molesta, eritema alle fauci, degluti- zione incomoda, massima agitazione di spirito dei malati , i quali temono di un esito infausto della malattia. Con tal treno sintomatico, tra l'orgasmo in CUI vedesi l'infermo, e la titubanza del medico,' per non potere sempre assegnare una sicura dia- gnosi al morbo , in specie se attacca in modo sporadico, dopo un tempo più o meno protratto, mcomincia ad apparire una leggiera efflorescenza in alcuni punti della cute, talora in forma di pic- cole macchie, che indi si elevano, protuberano , e prendono l'aspetto dei semi di miglio: oppure, ciò che più di frequente accade. la pelle diviene aspra al tatto, anserina, ed osservata con diligenza distin- guesi l'eruzione miliare, ch'esclude ogni dubbio sul carattere del male. Manifestato alla cute il virus esantematico con una completa eruzione, la fierezza dei sintomi am- mansisce, il sistema nervoso turbato da spasmodie, crampi, moti convulsivi ec. ritorna nella calma, la febbre diviene mite, la dispnea e l'ansietà cessano, le orine da limpide acquistano un sedimento, dimi- nuisce lì sudore, cede l'orgasmo, il malato diviene più tranquillo. 152 L'eruzione si mostra in qualunque punto della pe-» riferia del corpo, non rispetta in alcuni casi la stessa membrana gaslro-pulmonica. Le regioni le più sog- gette sono le parti laterali del collo, il petto, l'in- terno delle braccia , l'addome : sono le papule ta- lora si poco prominenti e minute, che sfuggono alla vista: per distinguerle conviene guardare la cute obbliquamente, o ricorrere al tatto. Non mancano esempi, in cui si sono vedute acquistare la gran- dezza del vainolo: però il loro volume ordinario eguaglia i grani di miglio , ripiene di un umore bianco, diafano, che dopo pochi giorni passa in giallognolo, finiscono coll'appassire , scomparendo coll'ordine successivo della loro comparsa, con di- stacco di cuticola. In fine di male il ventre si apre, le deiezioni sono fetide e biliose, le orine torbide, accompagnate da sedimento, nello spazio di circa due settenari, l'esantema miliare semphce e nor- male trovasi ordinariamente giudicato. Pertanto ben diverso è il corso, e sovente fa- tale l'esito della miliare complicata, ed anomala , come in seguito sì avrà campo di osservare. As- sociasi con facilità a malattie anche di natura e d'indole opposta, risultandone delle complicazioni morbose con sintomi sì svariati, da spargere non pochi dubbi, se debba ritenersi moi'bo primario, indipendente , ovvero secondario. Clinici dotti e sperimentati, non che distinti scrittori, adottarono principii diversi. Borsieri, Stork, Allioni, Tissot, Vo- gel, Aliberl, Rayer, Valentini ec. sostennero essere affezione essenziale sui generis; Gullen, de Haen, P. 153 Frank, Chomel ec. la giudicarono sempre secondaria, sintomatica. Colóro che la credono secondaria con asseveranza affermano, che la così detta febbre miliare non essendo rappresentata da un complesso di segni caratteristici, come la febbre scarlattina, la febbre vaiolosa ec, dover- si considerare l'eruzione un semplice epifenomeno di altro morbo febbrile. La sintomatologia stessa espo- sta da molti scrittori con sì gran confusione, ed os- servata in varie epidemie, d'attribuirsi piuttosto alla febbre, che alla efflorescenza miliare. Si è veduta in talune costituzioni epidemiche apparire in tutti gl'infermi, attaccati da morbi acuti : de Haen l'os- servò unita a malattie adinamiche ed atassiche ; Bouteille vide delle papule miliari manifestarsi nelle esacerbazioni febbrili, sostenute da impegno organico ; Gastellier spesso nelle puerpere con i sintomi ordinari della febbre lattea ; Cullen nelle febbri puti-ide ; P. Frank nelle febbri nervose, ga- striche, infiammatorie ; accompagna la scarlattina , il vainolo, il morbillo, il tifo, e non poche altre primarie patologiche alterazioni. Altri marcati ca- ratteri, soggiungono, fanno differire questa eruzione da tutti gii altri esantemi essenziali: non si sviluppa in alcun tempo determinato della malattia: il periodo della sua durata non è costante: successive eruzioni veggonsi apparire, durante il corso della medesima febbre: lo stesso individuo può esserne affetto più volte durante la vita. Dai quali fatti risulta, sono parole di Chemel (1) : 1." che non esiste un male (1) Diz. delle .scienze mediche art. Miliar. 154 peculiare, cui debbasi nominare febbre miliare : 2." che il medico deve limitarsi a studiare la eruzione di questo nome, sotto l'aspetto delle condizioni , nelle quali essa sopraggiunge, delle cause che la provocano , delle forme ch'essa presenta , del suo corso , della sua durata , dei suoi esiti, dei segni prognostici, e delle indicazioni terapeutiche, che può somministrare. Non così ragionarono altri celebri scrittori , i quali mentre asseriscono di aver osservato spesso nel piatico esercizio la miliare complicata a morbi differenti, sostengono, avendo un numero troppo grande di fatti in appoggio, essere esantema essen- ziale , perchè costituita , quando non è associata ad altro male, da una sintomatologia propria, ha un corso conforme ad altre malattie primarie esan- tematiche, in fine trovasi ordinariamente giudicata dietro alcune critiche evacuazioni. I segni prodromi furono sovente di scorta a medici distinti per pre- sagire l'eruzione « in aegros incidi (scrisse Borsieri (1) in quibus ex consuetis signis miliarem morbum pme- dixi, et reapse paido post miliaris eruptio contigit ». I sintomi caratteristici, che comunemente precedono e costituiscono la miliare, si riducono ad una grande ansietà , oppressione ai precordi , fìtte dolorose e pungenti alla cute , seguite da copioso sudore , ch'emana un odore ingrato, abbattimento morale, ed al dir d'Allioni, un senso di stupore pungitivo nelle dita. (1) Insili med. pract. voi. IV. cap. XI de morb. miliar. §. 383. Yen. 1788. 155 Percorre l'efflorescenza miliare gli stadi comuni ad ogni esantema. Apparisce sotto l'aspetto di macchie, o noduli, che formano il periodo di eruzione; si elevano in vescichette ripiene di un umore diafano, che dopo qualche giorno s'intorbida, e passa in giallognolo, o puriforme, stadio di maturazione, succede il dissec- camento e la desquamazione. Accaduta l'eruzione vi è cedenza di sintomi, diminuzione di febbre , indizi che un virus particolare, ha abbandonato gl'interni organici tessuti , si è determinato alla cute. La retrocessione istantanea, se non sempre è le- tale, cagiona spesso malattie croniche ed incurabili. Assisto attualmente una malata, scriveva Tissot (1), afflitta da due anni da tosse, che contrasse in Ale- magna dopo una miliare, che sparì troppo presto: poco dopo, soggiunge, fui consultato per una dama assalita da idrope di petto, il di cui male cominciò con una tosse violenta, dopo una miliare retropulsa. Il facile passaggio del fomite esantematico dalla ester- na periferia ai visceri, palesa i rapporti, che ha col vaiuolo, morbillo ec. poiché l'abbassamento repentino delle pustule in questi ultijni morbi induce malattie analoghe alle suindicate. Se tardi comparve la milia- re, osservarono de Haen. (2) ed Andrai apparire il va- iuolo dopo alcune settimane: la miliare se associasi fa- cilmente ad altri mali, vide lo stesso de Haen (3) mani- fi) Leltr. à M. Hirzel. (2) Ibid. pag. 106. (3) Ratio medendi lom. 2. pag. H8. 150 festarsi il vajuolo nel decimottavo giorno in un in- fermo assalito da peripneanionia, dalla porpora, dalla disenteria. L'aver veduto in alcune epidemie mosti ar- si l'eruzione miliare in tutt'i malati presi da morbi acuti, nulla toglie al suo carattere essenziale, os- servandosi altrettanto accadere in qualsivoglia co^ stituzione epidemica. Rimarca in proposito Massa che tutte le malattie intercorrenti assumono il ca- rattere della peste, allorché essa epidemicamente infierisce: lo stesso abbiamo noi costantemente ve- rificato nelle diverse ricorrenze dell'indiana lue. E occorso di vedere riprodotto dopo brevissimo intervallo l'esantema con tutto l'apparato sintoma- tico, che lo distingue: la qual cosa sicuramente si avvera, tostochè trovasi sospeso, non distrutto, il processo di operazione chimico-vitale del contagio. Il male sembra in apparenza cessato , quando in effetto non è che interrotto il suo corso ordinario; quindi è che deve di nuovo insorgere, tolti gli o- stacoli, che si opponevano al regolare suo anda- mento. Perciò fuor di proposito credesi assalito una seconda volta lo stesso soggetto, mentre nel mede- simo altro non avvenne che la recrudescenza della malattia. Né queste anomalie sono proprie del solo morbo miliare: osservansi bensì in tutt'i mali acuti d'indole contagiosa. Il Ch. Valli (1) parlando, an- ch'egli, della peste, di cui fu vittima per soverchio zelo della scienza, fa riflettere che prendere si possono su tal rapporto abbagli significanti: che se il nuovo as- salto succede, appena superato il primo, dovrà essere (I) Brera. Sui contagi. §. 175 h 157 considerato siccome continuazione di uno stesso cor- so di malattia. Se poi invade la seconda volta dopo lungo spazio di tempo, devesi alla riprodotta indi- viduale predisposizione, che rende suscettiva la mac- china a risentire di nuovo indistintamente l'azione di qualunque potenza contagiosa: la qual cosa ha luogo in specie, se la prima infezione non fu violenta. Videro, non v'ha dubbio, i pratici delle papule migliarose in differenti ed opposte malattie, donde trassero motivo per credere sempre l'eruzione sinto- matica. Gravissimo errore ch'ebbe origine, e si so- stenne, per non avere distinta la miliare essenziale, rappresentata da caratteri fisico-anatomici propri ed esclusivi, dalla efflorescenza miliariforme, la quale apparisce talvolta in morbi sì acuti, che cronici. Era riservato questo studio analitico ai moderni pato- logi, i quali con ogni maniera di sperimenti si re- sero benemeriti della scienza, col portare degli schia^ rimenti in una questione si diffìcile ed interessante per la pratica, mercè un attento esame sui caratteri differenziali fisico-anatomici, che separano le due distinte affezioni, come meglio si dismostrerà in seguito , dietro la scorta e le investigazioni di e- sperti clinici. La miliare ricorre ordinariamente epidemica: lo stesso genio hanno il vaiuolo, la rosolia, il morbillo ec. Le anomalie più frequenti in essa, che negli al- tri esantemi , coi quali si è paragonata , indicano che ciascun morbo deve necessariamente presen- tare delle particolarità, per cui da ogni altro tro- vasi separato e distinto. Queste due affezioni, scri- veva Tissot ( miliare, e vaiuolo ) , hanno dei ca- 158 ratteri comuni, egualmente frequenti in amendue , e ne hanno degli altri parimenti comuni , ma più frequenti nell'una , che nell'altra : ognuna ne ha dei particolarissimi, e si è ben in diritto di con- chìudere, che l'una è malattia del tutto così pri- mitiva ed essenziale, come l'altra. Andrai (1) nel descrivere accuratamente un caso di febbre eruttiva, che mostrava i segni caratteristici della miliare es- senziale, conchiude : « Così rilevante questo genere di eruzione , non può guari esser riguardato qual semplice risultato meccanico di una traspirazione cutanea copiosissima, sembra che debbasi ritenere come affezione particolare della cute. Infatti molte volte noi abbiamo osservati sudori non meno co- piosi, né meno prolungati in individui, la cui pelle non erasi mai coperta di papule miliari. » Complessivamente riguardata la miliare, prece- duta cioè e seguila in tutto il suo andamento da par- ticolari fenomeni, che la distinguono, a misura che scaturisce l'eruzione, scorgesi diminuzione di feb- bre ed alleviamento di sintomi, vedesi in fine per- correre i periodi comuni ad altri essenziali esantemi: uopo è convenire della sua natura idiopatica, e sta- bilire contro la massima di Chomel : 1.° ch'esiste un'affezione primaria, chiamata febbre miliare: 2.° che il medico è tenuto a studiarne l'etiologìa, l'in- dole, il corso, l'esito, e le indicazioni terapeutiche, non col giudicare l'eruzione un semplice epifenomeno di altra malattia, o effetto di accidentalità sintoma- ca, ma come morbo a se, ed indipendente. (1) Clinica med. osservazione 63 voi. 3 p. 266 traci. Milano 1832. 159 CAPITOLO II. Divisioni che si fecero della miliare , e caratteri particolari, che servono a distinguere la miliare essenziale dalla eruzione miliariforme. Diversi nomi si assegnarono a questa particolare affezione. Pietro de Castro la chiamò febris culica- m, Hoffmann febris alba miliaris, si disse febris es- serosa da Zacuto Lusitano, purpiira alba da Salzman, miliare lattea da Puzos. Ludwig , Gastellier , Ha- milton, Sydenham, Juncker ec. la descrissero sotto differenti denominazioni: la qual cosa è di poco, o niun rilievo per la scienza. I pratici, per meglio conoscerne la natura e l'indole, divisero la miliare in febbrile , apiretica , cronica , in discreta e con- fluente , in bianca , rossa , cristallina , in critica e sintomatica, in benigna e maligna ec. Distinzioni ba- sate sugli estrinseci caratteri, più che nell'essenza della malattia, non corrisposero allo scopo. 11 eh. Allioni (1) nella sua insigne monografia della miliare la divise in semplicissima, semplice, e complicata. Chiamò febbre miliare semplicissima, quando l'esan- tema non è congiunto a verun altro morbo : feb- bre miliare semplice, allorché il suo primo periodo è larvato : febbre miliare complicata, se si presenta, come un fenomeno spontaneo in una malattia dif- (1) Tractatio de miliarum origine, progressi!, natura, et cu- ratione. Aiigustae Taiiriiionim 1758. 160 ferente. Alibert (1) la distingue in miliare normale (miliaria genuina, vel simplex) che ha periodo fisso con andamento ne celere, né lento, va esente da ogni complicazione, ed è spesso sporadica. In mir liare anormale (miliaria anorrnis) presenta fenomeni insoliti, e di frequente adduce gcavi accidenti, dopo di aver principiato con sembianze lusinghiere ; alle volte i suoi preludi sono spaventevoli: in certi casi si complica con sintomi inflammatorii di molta im- portanza. Hamilton ne fece due categorie, cioè sem- plice e complicata : considerò si l'una, che l'altra d'indole maligna, non ritenne per esantema miliare che l'eruzione bianca. Piacque a Gerik di dividerla in idiopatica, sintomatica, e complicata. Scrittori che osservarono delle costituzioni epidemiche, che infierirono con sintomi perniciosissimi, e per lo più letali, convennero che non dovevasi considerare per morbo miliare , che la sola specie maligna ; quei casi, in cui l'eruzione non era unita a febbre, ov- vero mite con andamento regolare, li giudicarono appartenere ad altra sezione di morbi eruttivi. Opinarono altri che fosse affezione propria ed e- sclusiva delle paurpere, come non si è mancato di esporre che la miliare puerperale dovesse credersi differente dal morbo miliare epidemico. In fine si asserì che fosse l'effetto di regime e cura cale- faciente, mossa da cause estrinseche, perciò morbo fattizio, che poteva evitarsi, ed anche negligersi l'eruzione senza temerne verun danno. (1) Trattato delle malaUie della pelle pag. 121 trad. Ven. 1835. l 161 Lafebbrenon si associacostanlemente alla miliare: segue questo morbo il genio degli altri acuti esan- temi: allorché è d' indole benigna può essere api- retica. Fantoni (1) sostenne che la miliare senza febbre è comune quasi a tutte le nazioni, corri- sponde a quell'affezione che Ippocrate e gli altri scrit- tori greci chiamarono idroa, i latini sudamina. Fo- resto, Fernelio, Allioni, Damilani, Borsieri, profes- sarono la medesima opinione; ritennero che l'efflo- rescenza cutanea detta idroa dai greci , sudamina dai latini, non dovesse valutarsi in alcun modo di- versa dalla miliare esantematica. Lo stesso Bor- sieri, che osservò in varie malattie acute , e nelle stesse febbri intermittenti una eruzione pustulare di aspetto analogo alla miliare , la disse secondaria , sintomatica. » L'avere distinta la pustulazione mìliariforme, os- sia l'idroa, dalla vera eruzione miliare, procurando di assegnarne i caratteri speciali , che separano 1' un morbo dall' altro , è opera dei moderni patologi. Quali elogi essi meritano, se saldi rimangono gl'in- trapresi sperimenti, ogni medico pratico ben lo vede, per gli schiarimenti che riceverebbe una questione sì interessante e difficile , per cui divise furono le opinioni dei più distinti clinici. C-onoscendo d' al- tronde di quanta utilità sia per la medicina speri- mentale, e per l'argomento che si discute, pi'ofìt- tare dei nuovi lumi somministrati da molti dotti e diligenti osservatori, li seguiremo fedelmente nelle (I) Oper. citat. G^\.T.CXL1V. 11 162 loro investigazioni anatomico-patologiche , che ri- guardano le accennate eruzioni. Sebbene non sia difficile distinguere alcune for- me morbose cutanee, che hanno una qualche appa- rente somiglianza colla miliare esantematica, come sono l'erpete pustoloso miliare di Rayer, che sce- slie le regioni temporali, non vi è desquamazione, ed è molto mite: l'erpete flittenoide di Willan, for- ma delle bolle disposte a corona, ed è fugace : la formica miliaria di Avicenna, sono pustule ambula- tive: l'eczema miliario rosseggiante è di brevissima durata: il penfigo , il varo miliare, l'erpete milia- rico di Sennerto , non possono affatto confondersi colla miliare essenziale, per i loro distintivi carat- teri. Non così avviene dell' idroa , o sudamina , e dell'olophlvctie hydroica di Alibert. Queste affezioni della pelle (che in concreto non sono, che 1' idroa dei greci) hanno tanta analogia colla miliare esan- tematica, che molti autori invece di occupars. dei criteri diagnostici, per ben distinguerle e separar- le, conosciuta la somma difficoltà, amarono meglio confonderle e riunirle in una sola categoria, sotto il generico concetto di eruzione miliare. Recentissimi scrittoli, che trattarono l'argomento , distinsero la miliare essenziale, idiopatica, dall'eruzione miliari- forme, 0 idroa, sovente epifenomeno di altro mor- bo. Se con esame analitico, ed esatto confronto dei sintomi patognomonici di queste particolari affezio- ni, di accordo coi caratteri differenziali anatomico- patologici , che presenta ciascuna eruzione , si po- tesse sempre giungere a distinguere l' una forma morbosa dall'altra , un gran servigio si sarebbe 163 reso alla scienza, e tolti i pratici dal penoso bivio, che li rende spesso incerti e sospesi nella diagnosi di sì grave ed irregolare malattia. Ammesso il principio che un virus particolare, come ben si dimostrerà in seguito, è la causa pa- togenica della miliare esantematica, tutt' i fenomeni che appariscono nel suo decorso , per quanto sia blanda la malattia, sono sempre in stretto rapporto coir elemento eterogeneo, o fomite contagioso , da cui vennero suscitati. Questo morbo eruttivo, a so- miglianza degli altri esantemi, ha sintomi propri e caratteristici, massime quando è semplice , e sce- vro da accidentali complicazioni. Ove però vi si as- socia una profonda condizione patologica a carico di qualche viscere, cioè forma congestiva, processo flogistico, oppure elmintiasi, apparato gastrico , in- normalità nel sistema nervoso, si smarriscono e si perdono il tipo, gli stadi, l'andamento, confusa ed irregolare mostrasi la stessa sintomalogia. In mezzo al novero dei sintomi accidentali, a varietà di for- me, ed a periodi misti, non può conservare il male una certa essenzialità di corso , che possa servire di norma ad un attento osservatore per assegnare le demarcazioni, e fissare i distintivi caratteri, che se- parano questo esantema dall'eruzione fortuita mi- liariforme, che talvolta manifestasi in alcune ma- lattie febbrili, prodotte da comuni cause nocive. Distinti pratici, come Andrai, Luis, Barbier, Pe- nolazzi, si occuparono particolarmente dei caratteri fisici delle vescicule miliariformi. Riconobbero che esse compariscono in modo subitaneo, senza infiam- mazione visibile, senza prurito, o bruciore: si man- 164 tengono in tutta la loro durata globose , limpide , cristalline: laceransi facilmente, senza lasciare trac- cia sul derma: non vi è regolarità di stadi, né de^ squamazione. I preaccennati caratteri possono senza dubbio somministrare non pochi lumi al medico cli- nico, allorquando la fioritura cutanea miliariforme è semplice, e procede disgiunta da accidentali eve- nienze : ma se invece mostrasi una eruzione ve- scicolare in una malattia complicata, a periodo i- noltrato con sintomi di grave processo patologico in un organo interessante alla vita, o centro del si- stema nervoso , accompagnata da generale e pro- fuso sudore, allora è cosa ben difficile distinguere la miliariforme dalla vera eruzione miliare, in par- ticolare, se cristallina, essendo molto affini gli este- riori caratteri delle papule nelle indicate affezioni. Videro perciò i pratici che non erano sufficienti la forma estrinseca, ed i caratteri fisici dell' eruzione per la soluzione del quesito. Seguendo le orme del- l'illustre Cotugno (1) che con dotte ed accurate ricerche anatomico-patologiche stabili la sede del vaiuolo, rivolsero anch'essi in questi ultimi anni i loro studi agli elementi anatomici delle pustule , onde acquistare un più sicuro criterio per meglio discer- nere e classificare in alcuni casi particolari siffatte incerte ed equivoche cutanee manifestazioni. Scienziati e dotti alemanni, come Simon, Henle, Krause , Kòlliker , Seitz attesero con laboriose ed utili indagini microscopiche ad estendere sempre pili i confini della scienza anatomica con nuove scor. (t) De sedibus variolarum. Neap' 1773. 165 perle. Giunsero pertanto con pazientissimi sperimen- ti ad osservare e descrivere gli stami della più fina organica tessitura. Né si limitarono questi diligenti osservatori alla sola parte anatomica: applicarono alla patologia gli stessi studi, e non poco vantaggio ne ritrassero le malattie cutanee, come lo prova l'opera esimia di Simon Delle malattie della cute, ricondotte ai loro elementi anatomici. Seguendo dunque i det- tami di scrittori sì benemeriti , a cui debbonsi le ultime scoperte anatomico-patologiche dell' organo cutaneo, desunte dalle osservazioni microscopiche, profitteiremo delle loro interessanti ed utili cogni- zioni, ad oggetto di stabilire delle differenze carat- teristiche tra la miliare esantematica e l'eruzione miliariforme. Per raggiungere l'importantissimo sco- po, è indispensabile premettere, a norma dei nuovi principii microscopici, la descrizione anatomico-fisio- logica del sistema dermico, qual sede della malattia. La cute non e costituita semplicemente di tre diversi strati, siccome crede vasi dai passati anato- mici, cioè epidermide, reticolo malpichiano, derma, 0 corion: inorganici i primi due, vascolare e ner-- voso il terzo, disseminata soltanto di vasi inalanti di glandolo sebacee, e balbi di peli. Nuove scoperte dovute agli strumenti ottici hanno dimostrato che essa racchiude un' ordine particolare di glandole , dette sudorifere dalla funzione che compiono. L'e- pidermide non è di un solo strato formata , quale apparisce ad occhio nudo, ma è il risultato di pie-* cole e sottilissime lamine le une alle altre sotto- poste e congiunte. Avvi un lasso tessuto cellulare, chiamato unitivo nelle cui cellule trovasi rac- 166 colto dell'adipe: esso ha per officio di connettere la cute colle parti vicine. Negli strati profondi del co- rion osservansi delle fibrillo , che appartengono al tessuto musculare descritte da Henle, sotto il nome di fibre nucleari. Veggonsi delle piccole prominenze coniche sparse in tutta la superficie del derma: sono queste le papille cutanee, o nervee. Le esili rami- ficazioni del sistema irrigatore, che recano il san- gue all'organo periferico, dopo di avere attraversato il tessuto unitivo sottocutaneo s' intrecciano a fog- gia di rete, circondano i bulbi de'peli, le cripte a- dipose, le glandolo sudorifere. Giunti questi vasi san- guigni alla superficie del corion, si dividono in più minuti canali , formando mirabilissima rete capil- lare a maglie ristrette, da cui partono delle anse, che penetrano nelle papille cutanee. 1 nervi for- mano nella cute anch'essi un plesso retiforme , le loro estremità libere unite coi vasi minimi sangui- gni costituiscono le papille del sènso tattile. L' e- pidermide composta di laminette, o squame dispo- ste in modo da risultarne delle cellule in diversi strati ordinate, varie di volume, e di forma in parte poligone , in parte rotonde , e schiacciate in vari sensi. Le cellule superficiali , che si perdono nell' esercizio della vita , vengono tosto sostituite da- gli strati inferiori. Le glandole sudorifere poste nella superficie del derma, vicino alle glandole sebacee , Sono piccoli gomitoli rotondi od ovali di tessuto tu- bulare: a ciascuna glandola appartiene un condotto escretore , che nel tragitto forma diversi giri spi- rali, e termina all'epidermide con un'apertura im- butiforme. j 107 Ci asterremo di esporre ulteriormente i dotti la- vori e le scoperte di Kòlliker e Kraiise nelle più minute ricerche della fina anatomia del sistema, per non entrare nei particolari dettagli delle fibrille fu- siformi e cilindriche, dell' intima tessitura dei fol- licoli e cripte sebacee, del diametro e numero delle glandole sudorifere, e di non poche altre utili in- vestigazioni che l'occhio armato di lente ha saputo rinvenire, che volentieri ora tralasceremo, siccome nozioni non assolutamente necessarie allo scopo. Per cui ci siamo limitati a considerare semplicemente quei punti della cute , che hanno una stretta atti- nenza coll'esantema. La cute umana involucro ge- nerale di tutto il corpo è l'organo del tatto, che ri- siede esclusivamente nel derma, ed è esteso a tutta r intiera superficie. Per la delicata struttura, pei* l'eminente suscettibilità nervosa e simpatia che ha con molti visceri, è sede di un numero rilevante di malattie, sì acute , che croniche. Pel loro svolgi- mento, oltre di un germe proprio ed esclusivo a ciascuna cutanea affezione , vi ha molta influenza l'età, il sesso, il temperamento, il clima, il genere di vita, la forza di assimilazione organica, le pro- porzioni vitali della fibra: circostanze, che modifi- cano le condizioni particolari di uno stesso morbo, così sono pure da considerarsi per altrettanti mez- zi, capaci di modificare la potenza dei diversi prin- cipii morbiferi, da cui emanano le dermatosi. A queste leggi di economia animale nello stato patologico veggonsi sottoposti in specie gli acuti esantemi. Quantunque ignota ci rimane tuttora V essenza dei principii virulenti dei sìngoli contagi , 168 non si è trasandato pertanto dai nosologi lo studia delle cause secondai-ie ed occasionali , che favori- scono lo sviluppo delle niaiatlie esantematiche, ed approfondita nello stesso tempo la natura del pro- cesso morboso locale, cagionato da un principio e- terogeneo, ed inafllnc all'organismo, cioè dal virus, che una volta assorbito da macchina predisposta, si riproduce identico, con atto chimico-vitale, che as- salisce epidemicamente sotto generali, locali, ed in- dividuali favorevoli condizioni, e che in fine la na- tura con sforzi, benefìci cerca di eliminare per mezzo- dell'organo cutaneo, con eruttive manifestazioni. Se sfugge all'analisi chimica la natura di ogni principio contagioso esantematico, chiara però ap- parisce all'occhio del medico clinico l'azione irrita- tiva che il medesimo esercita sul sistema dermoideo, da elevare questo incipiente processo morboso nel se- guito della malattia al grado di flogosi. In tutti gli esantemi febbrili indistintamente , incominciando dalla più minuta e quasi impercettibile pustula- zione con macchie rosse ed estese, come nella scar- lattina ; passando alle papule, o noduli , dove la cute è fatta scabra per morbosi rigonfiamenti delle papille cutanee , come vedesi nella rosolia e nel morbillo, o si presenta l'eruìiione sotto forma di vescichette ripiene di un umore siero-albuminoso, come nella miliare, o finalmente a forma di pu- stule, come nel vainolo, benché diversa sia la na- tura dei principii , da cui hanno origine , la der- malile è il processo morboso costante e comune a siffatti esantemi. Per esserne convinto, basta se-^ guire l'andamento delle vaiie malattie csantcmati- 169 che, osservando con accuratezza i particolari ca- ratteri, ed i cambiamenti che la stessa cute pre- senta. II piimo fenomeno consiste nello stato ipe- remico della pelle, proveniente dalla sua tessitura eminentemente vascolare: il sangue fluisce in maggior copia verso le parti malate, per l'accresciuta sensi- bilità nei nervi cutanei. Il calibro dei vasi capillari, siccome provò Hunter, aumenta pel fenomeno della infiammazione, e lasciansi essi da ogni parte pene- trare. Né vi è bisogno di microscopio per sorpren- dere questo atto della natura. Il calore cutaneo negli esantemi diviene sensibilissimo al tatto, vi è turgore, tensione, e leggiero arrossimento in parte, o in tutto il sistema, secondo che l'eruzione è meno 0 più diffusa. Offre la miliaie essenziale gli accennati caratteri della dermatite. Osservasi fin dai primi giorni della malattia la forma congestiva sanguigna nei vasi cu- tanei, cresce il calore, una leggiera tinta rossastra, accompagnata da turgore, copre la cute: quindi ap- parisce l'eruzione sotto l'aspetto di minutissime papule rosse, e se talvolta cristalline, non lasciano di avere nella base areole infiammatorie. Dal centro di ciascuna papula elevasi gradatamente una vesci- chetta, ripiena di un umore diafano, che dopo qual- che giorno s'intorbida e passa al giallognolo, accade il disseccamento, la cuticola si separa, e cade in squame. Dai marcati cambiamenti della cute e caratteri dell' eruzione non può non riconoscersi nella miliare, in comune cogli altri esantemi es- senziali, un processo flogìstico cutaneo, da potenza irritativa generato per espellere il fomite inassimi- 170 labile, causa primitiva della malattia, e di tutt'i fe- nomeni patologici, che svolgonsi nel suo corso. La forma eruttiva miliariforme, che apparisce in talune malattie in tempo più o meno avanzato, non induce le stesse morbose alterazioni sul tessuto cutaneo, come nella miliare essenziale. In questa le papule occupano una sede diversa negli strati della cute, subiscono varie fasi nel loro sviluppo ed andamento, il liquido ch'esse contengono diffe- risce dall'umore delle vescicule sudaminali, per i principii componenti. Sorge dal centro di ciascuna papula miliare primitiva una vescichetta diafana , minutissima, che aumenta insensibilmente, e giunge alla grandezza di un grano di miglio, o ad un vo- lume maggiore. Essa offre una resistenza notabile al tatto, ne un leggiero attrito è sufficiente per la- cerarla e distruggerla. La sede su cui è basata l'eruzione miliare essenziale è, senza dubbio, la su-, perficie del derma : quivi ha origine, e compiesi, siccome sopra si è dimostrato , il processo della dermatite esantematica. In forza della stessa pato- logica condizione accade l'effusione dell'umore sie- roso, che raccolto in tanti piccoli punti sottoepi- dermici, prendono in fine la forma pustulare. Le vescicule sul principio racchiudono un liquido lim- pidissimo : dopo il secondo o terzo giorno s'intor- bida, e prende l'aspetto sieroso: passati pochi altri giorni, precisamente fra il quinto ed il sesto , ac- quista un colore perlaceo, o giallognolo, e non di rado puriforme. Non può ritenersi Tumore delle papule delle miliare essenziale qual semplice risultato di avan- 171 zata e raccolta traspirazione cutanea , giacché le glandola sudorifere destinate a quest'officio non possono segregare un liquido siero-albuminoso , che subisce tali cambiamenti nel decorso dell'eruzione, fin da attingere le proprietà di sostanza puriforme. Seitz sottopose all'analisi chimica il ' liquido della miliare esantematica, ed asserisce di non avere giam- mai osservato in esso reazioni acide ; all'opposto vide nell'umore delle bolle miliariformi reazione acida marcatissima. Lo stesso conferma Beroaldi , dietro la scorta delle proprie osservazioni. Non obliava Seitz l'esame microscopico del li- quido delle pustule miliari, ed avvidesi ben presto che quello estratto dalle vescicule, appena formate, era limpido, e tale conservavasì per qualche tempo. Portata eguale indagine sul medesimo in punto un poco più avanzato dell'esantema, lasciava scorgere sospesi dei piccoli nuclei, o delle cellule , simili a quelle degli ordinari globuli purulenti : se l'etìlo- rescenza toccava il periodo di maturazione , il li- quido era meno scorrevole, ed il numero delle cel- lule maggiore. Accaduta la disquamazione , appa- riva la superfìcie sottoposta lucente , leggiermente rossa ed ineguale, con sensazione di prurigiue iu quel tratto della cute, che fu sede dell'eruzione. Esposti i caratteri fisico-anatomici delle papule della mifiare essenziale , conviene ora analizzare quelli che alle bolle sudaminali appartengono. Pre- messo che la cute in questa efflorescenza non offre alcun indizio di congestione, o turgore (cambia- mento che si è rimarcato nell'esantema essenziale); conservando essa sempre il suo colore ordinario, e J72 la sua temperatura. Si veggono apparire le vescicole niiliariformi in modo subitaneo, senza presentare quel graduato incremento, ch'ò proprio delle papule miliari. I punti, donde emergono, non vengono preceduti da macchie rosse, né da noduli, nò le bollicine sono circoscritte da arcole infiammatorie: sono minute , diafane, globose, quasi mai confluenti, separate cioè da marcate distanze. Appena aperte perdesi di esse ogni traccia, non vi è disquamazione, ed osservata la cute con lente microscopica, non mostra l'epi- dermide la minima lesione. II liquido contenuto si mantiene limpido in tutto il tempo della eruzione, né l'occhio armato vi scorge cellule, o nuclei pu- rulenti, né sostanze organiche. Assoggettato ai chi- mici reagenti secondo Seitz e Baerensprung . da- rebbe sempre reazione acida. Barbier all'opposto crede che quest'umore non sia della stessa natu- ra del sudore, e asserisce che non arrossa la tin- tura di laccamuffa. Simon confessa di non aveF trovato sempre i medesimi risultati nei suoi spe- rimenti , mentre in alcuni malati di miliare tifoi- de avrebbe dato reazione acida , in altri individui affetti da mali febbrili , accompagnali da idroa , sarebbesi mostrato neutro. Assicura Beroaldi che tanto il sudore, che il fluido della miliariforme chi- micamente esplorati , gli diedero costantemente una reazione acida: non così il liquido, delle pustule miliari. Alibert opina che l'umore racchiuso sia il risultato dell' accumolo della materia traspirabile sotto la epidermide, di natura affatto acquosa , nel quale non si rinviene alcun sapore. 173 Fra le diverse opinioni sul modo di formazione delle bolle sudaminali , quella emessa da Baeren- sprung, convalidata da Simon, sembra la più ac- concia , perchè basala sugli elementi anatomico- fisiologici del sistema dermoideo. Le osservazioni microscopiche dunque hanno fatto conoscere al sullodato autore, che il sudore nella miliariforme si raccoghe fra due lamine della epidermide : ed ecco come ingegnosamente egli n'espone la teoria. » Che il liquido infatti si trovi racchiuso fra due delle molte laminette, onde l'epidermide è stratifi- cata, si può con certezza dedurre dal fatto, che le pareti della vescichetta non sono formate dalla epi- dermide sollevata in massa dalla cute. Sono desse esilissime, e più sottili assai di quelle delle pustule miliari: lacerandole trovasi al di sotto la epidermide ancora integra, piana, e levigata. Non prestandosi allo sbocco di un profuso sudore i condotti escre- tori delle glandcle sudorifere, esso trapela , e per esosmosi si infiltra fra le cellule epidermiche, ed ivi accumulandosi eleva la laminetta sovrastante in forma di piccola bollicina dalla stessa cellula cir- coscritta. )) Gl'indicati fiisico-anatomici caratteri, propri a ciascuna delle descritte malattie cutanee, compara- tivamente considerati, possono nei casi dubbi som- ministrare un giusto criterio per la diagnosi ditfe- renziale, tanto più apprezzabile, perchè basato sui sensi. Né ad invalidarlo basta l'avere rimarcata una qualche differenza di pareri nella parte chimica. Ulteriori sperimenti, tentati con spirito imparziale, metteranno ben presto fuori di dubbio anche que- 174 sto punto di controversia, per assicurare al medico clinico un altro carattere fisico , niolto valevole per lo schiarimento della questione. Questi pazien- tissimi ed utili travagli sostenuti pel progresso della scienza, e desiderio di giovare all'uomo nello stato di malattia, meritano la sanzione e la rico- noscenza dei veraci osservatori, stante che non mi- rano a stabilire idee speculative ed astratte , ma bensì principii sodi e positivi da cui solo la medicina può attendere solido e stabile avanza- mento. Biera (1) aveva conosciuto, ed apprezzato già il valore di questi sperimenti, allorché scrisse: )) Fin a tanto che la chimica animale, e massime quella parte, che ha relazione colla patologia, non avrà sparsa di qualche luce la tuttora oscura es- senza delle condizioni patologiche, che avvengono nell'organismo ammalato, non potremo che partire dalla sola induzione, nel determinare la vera natura dei singoli processi di operazione irritativa e fisico- chimica, nelle diverse malattie contagiose. » (i) Sui Contagi §§. 169. 175 CAPITOLO III. Descrizione, ed andamento della miliare. La miliare al pari degli altri esantejni, quando è mitissima, mostrasi talvolta apiretica: ciò osservasi pili di frequente, allorché principia a decrescere l'epi- demia ed infievolire la forza del contagio. I fenomeni, che la costituiscono, sono lassezza, leggieri brividi, frequenza di polso , sudore copioso , che diffonde un odore che Rayer paragona alla paglia muffata , tristezza, oppressione ai precordi, sonno interrotto, lingua coperta di uno strato biancastro, poca sete, appetito , ventre chiuso , orine naturali. A questi preludi succede una discreta efflorescenza miliare, che percorre regolarmente i suoi stadi , lasciando l'infermo in un grande abbattimento di forze, che ben tosto ricupera. Vogel, Hoffmann, Ludwig, Junker videro la miliare apiretica, come anche l'osservò Damilani (1). Ebbe a curare più volte Borsieri la miliare senza febbre. L'efflorescenza era preceduta da molestie, diminuzione di forze, ed ansietà ; se durante l'eruzione accadeva l'istantanea retrocessione, apparivano immediatamente ambasce , convulsioni , delirio ec. Player che osservò e descrisse l'epide- (1) Vidi pustulas miliares exortas in cute, frequentes, etninen- tes, discretas, et crystallinas, sudore faetidissimo cotnitatas, in fae- mina quadam popnlari mea, quin ullum unquam , vel minimum indicium febris habuerit. Sudabat quidem universo corpore, et pul- 8um habebat apprime mollem et aoipluni] sed tardissimum. Bor- sieri op. citat. §§. 383. 176 !Y)ia miliare del dipartimento di Oise, ad esempio della benignità del male in alcune persone, che ne furono blandemente attaccate, novera dei casi di miliare apiretica. Se l'esantema si è veduto in qualche individuo correre apiretico, ordinariamente è unito alla febbre: perciò da molti scrittori fu chiamata febbre miliare, o morbo miliare febbrile. La piressia che precede, ed accompagna l'eruzione, non ha tipo, nò carattere stabile : ora si presenta sotto l'aspetto di anfìme- rina, ora mentisce una intermittente , si manifesta con i sintomi della febbre reumatica, o infiamma- toria, non di rado con l'apparato di febbre tifoidea: essa se(*ue fedelmente l'indole e la natura dell'esan- tema, di cui è suddita. Questa notabile differenza di carattere nella febbre, che sovente rimarcasi , non solo nelle varie costituzioni epidemiche , ma ben anche nella ricorrenza di una stessa epidemia miliare, costituisce la massima difficoltà nell'esercizio clinico , e la opposizione delle mediche opinioni , rapporto alla natura, e trattamento curativo della malattia. La miliare apiretica ha un corso regolare, per- corre i suoi stadi senza compromettere la vita dell'infermo, se è prudentemente curata. Non così avviene della febbrile, la quale presenta fenomeni sì svariati ed insoliti, congiunti a gravissimo pe- ricolo, che impone al clinico il più esercitato , ed elude bene spesso gli sforzi del più esatto e . ra- gionato metodo curativo. Comunemente non si ap- palesa, né svolgesi senza essere preceduta da segni anamnestici, che fanno presagire prossimo il suo 177 sviluppo. Precedono malessere , dolori articolari , calore alla cute notabilmente accresciuto , che si alterna con dei leggieri brividi, dolor di capo gra- vativo , sonno turbato ed interrotto , oppressione fugace ai precordi, tristezza, inquietudini, timore , anoressia, orine limpide, acquose, polso in taluno frequente , contratto , duro; in altri molle , quasi naturale, tosse secca, irritativa, sensibile traspira- zione cutanea , con grande proclività al sudore. Questi prodromi si sostengono per qualche giorno, quindi sopraggiunge la febbre preceduta da freddo all'estremità, o ai lombi ; il grado, e la durata di esso è proporzionato alla intensità della piressia , e questa è in rapporto colla copia del fomite, tem- peramento , età , stagione , sesso , complicazioni morbose ec. Il vigore della febbre varia , come differente è il suo tipo, mite in principio con polso depresso , orine naturali , poca sete , dopo 24 ore circa offre larga remissione , seguita da copioso sudore, che fa dubitare di effimera reumatica. Pas- sato brevissimo intervallo di tempo, nelle ore po- meridiane, accade nuova esacerbazione , preceduta anche da freddo , polso più sviluppato , maggior calore, sete, sudore quasi continuo, profuso, viscido, che diffonde odore caratteristico ; segue la perfetta declinazione, accompagnata da orine crocee , late- rizie, cessazione di tutti gli altri segni concomitanti, da far credere la febbre di tipo intermittente. Che sia larva di periodo, lo prova il fatto, poiché non solo non cede, ma esacerba sotto l'uso del febbri- fugo. Non tarda molto ad apparire nuovo parosismo febbrile con maggiore imponenza di sintomi , cioè G.A.T.CXLIV. 12 178 polso duro, vibrato, orine acquose, dispnea, sospiri, moli convulsivi , senso di stupore pungitivo nelle dita, fitte dolorose alla cute, sudore continuo, pro- fuso ed incomodo, il suo odore particolare diviene sempre piiì marcato , leggiero sussulto di tendini , alterazione delle facoltà mentali. Nei primi giorni dell'invasione della febbre il freddo si alterna col calore , e questo è seguito da sudore : in alcune ore determinate , l'apparente periodo cessa : a mi- sura che il male si avanza, il sudore si fa piiì co- pioso, il freddo rinnovasi più volte al giorno, e senza ordine, la pelle diviene sensibilissima ad ogni mi- nima impressione, ed il più piccolo movimento della macchina cagiona nuovi brividi, per cui gli stessi ma- lati, quando non vi è delirio, cercano di stare ben chiusi e coperti. La febbre miliare talvolta prende l'impronta di febbre reumatico-catarrale, ed anche di pleuropneumonia, annunciata da dolore puntorio intercostale, tosse, affanno, sputo striato di sangue, per lo più letale, come fu rimarcato da Walthier (1) parlando della miliare germanica. La piressia nei primi giorni è apparentemente moderata , con poco calore , pochissima reazione vascolare, da illudere anche il medico clinico il più avveduto e sperimentato , se giudicasse dell'indole ed esito della malattia dai suoi primordi. Abban- dona talora essa di repente l'aspetto lusinghiero ed ingannevole , per indi prendere le minacce di grave affezione. Ciò ch'è degno di rimarco in questo stadio si è, che il solo malato, quando tutto era (1) Saiivages, Nosolog. tom. 1. pag. 233. Venez. 1772. 179 calma, presagiva coi suoi timori prossima la ma- nifestazione di gravissimi sintomi ; per la ragione forse che ne assegna il sommo Borsieri (1 ): Ipse so- liis anxius (aegrotus) et sollicitiis sibi timet, et omnia tristia ominatur , sensorio fortasse communi , nervo- rumque origine a fomite miliari iam affectis, et clan- culum perlnrbatis. Il polso accuratamente esplora- to somministra il primo indizio del totale cam- biamento, che si prepara nel seguito della malattia: infatti da molle, eguale, espanso, e regolare, passa ad essere angioitico, ineguale, contratto, irregolare; offre delle alternative dopo breve istante , da fre- quente diviene raro, da tardo, celere, da grande e sviluppato, piccolo e depresso, non lascia in molti casi di apparire regolarmente intermittente, dopo la nona, l'undecima, la decimasesta pulsazione, secondo i rimarchi di Gastellier. Siffatte repentine mutazioni nel polso indicano lo stato di spasmodia, in cui trovasi il sistema ner- voso, irritato da un principio inaffme, che ne altera sensibilmente le funzioni. 11 calore febbrile varia in modo notabile, ora è appena sensibile al tatto, ora urente: alcuni infermi sono presi da lipiria. Lo stato dinamico differisce anch'esso; vi ha dei malati, che cadono in una grande prostrazione di forze, e veggonsi minacciati spesso da lipotimie, mentre altri conservano un vigore che poco si allontana dallo stato ordinario ; quasi tutti indistintamente si lagnano di oppressione al petto, con senso di stringimento nella regione dello sterno, (1) Op, cit. §§ 391. 180 specialmente nel lato sinistro, che porta molestia , dispnea, sospiri: il sonno è turbato da scosse con- vulsive, da sogni tetri, dalla tosse talora mite , or sì veemente ch'emula la tosse ferina. Alcuni infermi cadono nel sopore, o coma vigile con continuo va- niloquio, altri rimangono insonni, assaliti da delirio, crampi in particolare alle mani, alle dita, sussulto di tendini. L'apparato digestivo presenta anch'esso delle anomalie : sete ardente con lingua umida , o invece manca la sete, e la lingua è arida: vi sono dei malati che, sebbene molestati da grande arsura, si astengono di bere, per non aggravare maggiormente lo stomaco oppresso da colluvie gastrica, o biliosa, che si annuncia con lingua sordida, bocca amara , nausea, vomito, come non di rado accade di vedere il vomito, o vomiturizione senza impurità gastrica, per semplice irritazione nervosa, suscitata dall'acre miliare. In taluni casi rarissimi, secondo Allioni, non solo manca la sete, ma sviluppasi la stessa idrofobia con il suo treno imponente , convulsioni alla sola vista dei liquidi, furore, tendenza irresistibile di ag- gredire e di mordere , con il seguito dei sintomi orribili, che svolgonsi nell'atto della rabbia canina. Non vogliamo impugnare che in qualche caso ec- cezionale di miliare anomala possa presentarsi il raro fenomeno della idrofobia spontanea nell'uomo, come avviene talvolta nelle febbri atassiche; ma questa av- versione ai liquidi dipende da ben differente prin- cipio, cioè da spasmodia, o eritema delle fauci, per cui la deglutizione non solo dei liquidi, ma ancora dei solidi, diviene molesta e dolorosa, i malati muo- iono però tranquilli e comatosi. Ippocrate stesso aveva 181 già rimarcata una specie di febbre emitritea, avente r idrofobia per sintonia concomitante: leggesi in Pietro Salio Diverso l'osservazione di una idrofobia spontanea, sviluppatasi in una donna di 36 anni , in seguito di febbre pestilenziale, nella quale il fe- nomeno di avversione ai liquidi era spinto a segno, che imperiosamente esigeva che non si bevesse in sua presenza. Mancano certamente in questi casi morbosi il furore, la smania di mordere, di aggre- dire, e ciò che piiì monta la forza contagiosa, sic- come è stato provato ad evidenza, contro l'opinio- ne di Dumas , con reiterati e decisivi sperimenti. Riuscì del tutto impossibile di vedere riprodotta la malattia in numerosi cani , ai quali fu inoculata la saliva, presa da uomini tormentati dalla idrofobia spontanea. Il contagio è caratteristica della idrofo- bia comunicata , nella quale veggonsi i malati ces- sare di vivere nel delirio e nella convulsione. Prima che si stabilisca alla cute l'eruzione , vi è notabile esacerbaziene di sintomi : la febbre di- viene più intensa, cresce la dispnea, l'ansietà, l'op- pressione ai precordi, vi è maggiore abbattimento di spirito. Le persone proclivi alla congestione ce- rebrale cadono nel sopore: all'opposto gì' individui di temperamento mobile , nervoso , veggonsi sog- getti a scosse convulsive , quasi tetaniche , lingua tremula , sussulto di tendini , la fìsonomia appari- sce più animata , gli occhi scintillanti , s' infiam- mano le fauci , la mucosa della bocca copresi di papule simili a quelle, che si determinano alla cu- te, 0 invece di afte, mordicazione maggiore alla pelle, finalmente efflorescenza miliare. 182 CAPITOLO IV. Del contagio miliare (1), e stadi della malattia. Olire, le cause ordinarie, capaci di suscitare ma- lattie semplici e complicate, o locali infiammazioni, altre potenze disaffini al sentire fisiologico della fibra animale, morbifìche, conosciute sotto il nome di con- tagi , cagionar possono nell'economia organica una serie di fenomeni patologici , particolari , e distinti, donde emergono le malattie contagiose, fornite del- l'attitudine di trasmettersi e riprodursi in altri indi- vidui, sotto identiche e determinate forme. La miliare essenziale pi'esenta tutti quelli attri- buiti , che distinguono questa categoria di morbi : perciò malattia anch'essa contagiosa. y\utori rispet- tabili , come Cullcn, P. Frank , Chomel, che a;iu- (1) Se osservasi oggidì negare da taluni il contagio dei morbi pestilenziali, con danno incalcolabile della pubblica incolumilàj non dovrà recare meraviglia se dubbi si affacciano sul contagio mi- liare. Sono queste le vigenti dottrine straniere messe in campo per distruggere, quanto l'antica medicina italiana aveva sapiente- mente escogilato per far argine ad una delle più grandi sciagure, che possa accadere ai popoli, le pestilenze. Ci duole però ( nii possiamo dissimularlo) che sitt'alte dottrine, sotto i nomi speciosi di miasmi e miasmizzazione volevano farsi strada in Italia. Dobbia- mo a valenti e benemeriti nostri scrittori la confutazione di sì strane teorie: fra questi dotti si distinsero gì' illustri professori Cappel- lo e Betti, ambedue medici rappresentanti i rispettivi loro governi nel sanitario congresso internazionale tenuto a Parigi, dove da illu- minali clinici difesero virilmente la causa dell'umanità , col so- stenere i giusti e savi prìncipi! della scienza , rapporto ai con- tagi. 183 dicarono l'eruzione un epifenomeno, o nulla più che una accidentale sintomatica appariscenza, associata a malattie d'indole diversa, esclusero nella miliare ogni idea di contagio. Asserirono che apparve essa trasmissibile, quante volte regnò epidemicamente , o qualora mostrossi insieme con qualche male con- tagioso. Nel. primo caso si potè di leggieri supporre la trasmissione , laddove eravi soltanto esposizione comune a cause generali: se poi si è veduta unita col tifo, scarlattina, morbillo ec, il contagio appar- tiene evidentemente a questi morbi, e non alla mi- liare. Avvertono inoltre che l'analogia indusse a cre- dere l'eruzione contagiosa, come in genere lo sono le febbri eruttive, colle quali parve essa avere qualche rassomiglianza; ma esiste tra loro tanta differenza, che siffatto confronto non può riuscire di veruna im- portanza. Questi ed altri argomenti non dissimili si fecero valere, per escludere la miliare dal novero delle malattie contagiose. In epoca a noi vicinissima alcuni dotti sperimentatori si lusingarono di aver tolta ogni incertezza, dopo eseguita la inoculazione deir umore miliare, senza vedere riprodotta la malattia. Siccome si è stabilito con fatti inconcussi ap- partenere agli esantemi essenziali, così non potrà du- bitarsi che un fomite particolare e riproduttivo ne sia la causa efiBciente, essendo caratteristica di cia- scun morbo esantematico svolgersi e riprodursi uni- camente dietro l'assorbimento di un principio con- tagioso. Benché oscura ci rimane tuttora la genesi e la natura speciale dei contagi, non ci si nasconde pertanto la deleteria loro azione sulla fibra, che si appalesa con un complesso di sintomi particolaris- 184 simi , i quali nella loro appaiizìone e nel decorso marcano alcune determinate fasi. L'avere semplicemente asserito che la miliare può assumere il genio epidemico, per la sola espo- sizione comune a cause generali, prova quanto poco si è valutata la massima fissata dai nosologi, cioè essere proprietà dei soli contagi mostrare una pa- tologica condizione sul tessuto cutaneo e nella con- tinuata interna membrana mucosa con una qualche eruzione , come avviene appunto nella miliare e negli altri morbi esantematici. Questo carattere manca del tutto negli epidemici morbi, o se talora accade è meramente fortuito. Nelle ricorrenze epi- demiche si è attribuito il contagio, non alla miliare ma bensì ad altri mali, coi quali videsi associata^ cioè scarlattina, morbillo, petecchia ec. Non essendo constantemente il morbo miliare riunito a queste particolari affezioni, peicorrendo il piiì delle volte il suo corso senza verima complicazione, anche senza abbandonare la sua forma morbosa ed il genio epi- demico, è d'uopo convenire che la forza diffusiva risieda in un germe proprio dell'esantema. La maggiore obbiezione contro il contagio sembra la inoculazione, praticata, secondo alcuni, senza ve- dere riprodotta una identica malattia; saldi nel prin- cipio ch'esso non esiste, quando non vi è materia virulenta capace di riprodursi. Si fa riflettere: 1° che i pratici non sono pienamente di accordo, che il fomite contagioso miliare si determini sempre ed esclusi- vamente nell'umore delle papule, più che in qua- lunque altro punto del misto organico. Non si può al certo negare la forza contagiosa del vaiuolo, della 185 sifilide, deiridi'ofobia, della morva, della scabbia oc. Nessuno ignora pertanto che siffatte malattie hanno tutte un modo diverso di riprodurre il virus nei dif- ferenti tessuti organici, su di cui va a deporsi: il vainolo lo elabora nell'umore delle pustule alla cute: la sifilide in quello di un ulcere, o nella secrezione della muccosa uretrale, o vaginale: l' idrofobia nelle glandolo salivali: la morva nel muco-pus della mem- brana pituitaria: la scabbia in forza di un acaro nel sistema dermico. Dietro i quali fatti possiamo quindi azzai'dare di conchiudere , senza timore di andare lungi dal vero ,,che i modi di riproduzione e di diffusione dei singoli contagi, differiscono a norma delle diverse malattie contagiose, siano esse febbrili, o apiretiche. 2° Che non furono dati precisi schiari- menti delle cautele usate nella inoculazione, ed in quale periodo dell'efflorescenza fosse praticata, menti-e si conosce che il vainolo, che ha una virulenza posi- tivamente maggiore della miliare , la materia va- iuolosa acquista il caratteie contagioso, come ha di- mostrato Camper, unicamente allorquando diviene fe- tida la traspirazione dell'infermo. Siamo sampi-e più autorizzati a dubitare dell'esatezza degli addotti spe- rimenti, in quanto che la inoculazione non rimase sempre pi-iva di effetto, come vide Tilkistre Bally (1). Questo distinto medico nella epidemia miliare dei dipartimenti di Oise e diSeine-Oise, onde assicurarsi della forza trasmissibile della malattia ricorse alla ino- li) Documents et mt'Ian-jes publìés a l'occasioii do l;i maladie asiatiqiip par Bally §. 92 pag. 192. Paris 1835. Ì86 culazione, scegliendo una località, dove la miliare erasi mostrata benigna. Lo sperimento cadde sopra un gio- vane robusto, offertosi spontaneamente per questo saggio, coir affrontarne coraggiosamente i pericoli. Furono praticate tre incisioni per ciascun braccio, inoculandovi la materia delle vescicule miliari: dopo il terzo giorno d' incubazione apparve un leggiero movimento febbrile , accompagnato da sudore ed eruzione miliare del tutto simile a quella degli altri infermi: l' inoculato non videsi nella necessità di stare in letto, durante il corso dell'esantema, tanto esso fu mite. 3." In fine che la inoculazione del morbillo e della rosolia restò parimenti in alcuni casi priva di successo , senza che si volesse negare a queste malattie una forza contagiosa. Si commise dunque un grande errore nel dare ai primi sperimenti una validità generale ed assoluta , mentre non la po- tevano avere , che condizionata, e sotto particolari circostanze. I caratteri distintivi , l'andamento, i diversi pe- riodi del tutto conformi ad altre malattie esantema- tiche, dimostrano l'indole sua contagiosa : lo con- valida l'esperienza di molte epidemie miliari , non che l'osservazione di espertissimi pratici , AUioni , Borsieri, Stork, Tissot , Vogel , Molinari , Quarin , i quali l'osservarono sempre diffondersi per contatto. Anioni prova con buone ragioni, che la propaga- gazione in Europa della febbre miliare è stata opera del commercio, mezzo ordinario di diffusione di tutti gli esotici contagi. Mead, che molto aveva appro- fondita la dottrina dei morbi esantematici, dichiara che propri e privativi sono i contagi della scarlat- 187 lina, del vaiuolo, del morbillo, della petecchia, e della miliare, i quali ultimi due contagi sembrano esser pur quelli, die costituiscono le così dette febbri ti- fico-contagiose, tanto diversamente esposte, rimar- cate e descritte, anco dal massimo numero dei mo- derni medici scrittori. Alla qual sentenza sembra esat- tamente corrispondere l'opinione del celebre Hilde- brand (1). 11 tifo contagioso , egli scrisse , è una febbre essenziale , il cui corso offre una costante uniformità. A motivo di un'esantema, ch'è ad essa particolare, appartiene alla fomiglia delle febbri esan- tematiche, fra le quali si collocano ordinariamente le febbri contagiose. Apparve la miliare epidemico-contagiosa verso la fine del penultimo secolo in Piccardia, Linguadoca, Normandia, Berrì, Alsazia: venne in quell'epoca de- scritta sotto il nome di sudore di Piccardia, o febbre sudorifera per la grande analogia col sudore an- glicano, di cui sembra una modificazione. Nella ef- fimera malignissima rimarcaronsi i sintomi costitu- tivi delle febbre miliare, ina con maggior violenza, per cui rapidissimo n'era il corso, ed ordinariamente letale l'esito. Se poi il malato non soccombeva alla prima invasione del male, incominciava ad accorgersi del suo miglioramento in capo alle 24 ore, conti- nuando il sudore per vari giorni successivi, nel qual tempo sviluppavasi talvolta la miliare , che com- piva la guarigione. Rayer ne riconobbe la forza diffusiva, ed asserì che l'esantema consiste in una (1) Brera, Giornale di medicina pratica, primo semestre 1814^ pag. 18" 188 infiammazione acuta e contagiosa, che prende ad un tempo la membrana mucosa gastro enterica e la cute. Costantemente tale si è mantenuta nell'Italia setten- trionale, dove la malattia è resa endemica, ed oggidì spiega lo stesso carattere nelle province centrali : tutto dunque porta a dover credere la miliare morbo contagioso, principio basato sull' osservazione e sul raziocinio, precipui cardini della medicina. L'assor- bimento del germe accade, come negli altri contagi acuti, per opera dei comuni tegumenti, delle vie della respirazione, o dell'apparato gastro-enterico, seguendo il cammino dei linfiitici, la linfa slessa n'è il veicolo. La sintomatologia fa evidentemente conoscere, cheil contagio una volta assorbito da macchina pre- disposta, per leggi organiche, vi si riproduce iden- tico. L'atto della riproduzione è annunciato da un movimento febbrile del tutto essenziale, diverso da quello che si manifesta per semplice effetto irrita- tivo. Durante lo svolgimento febbrile cresce la po- tenza contagiosa, ed esacerba contemporaneamente la febbre: il virus riprodotto esterna la sua forma morbosa sotto l'aspetto di macchie o pustule, che debbono percorrere particolari stadi. L'eruzione è l'ef- fetto di reazione organica colla mira di allontanare il fomite inaffine, e nemico alla vita. Non sempre però accade che la crisi si compie per mezzo della cute: avviene talvolta un riassorbimento della materia depositata, e ricondotta in circolo per esser decom- posta ed eliminata per orine, per l'alvo, o per altri emuntori. A misura ciie si effettuano queste critiche evacuazioni, diminuisco la febbre, finalmente cessa: la qual cosa non manca di accadere in un tempo 189 determinato. Siffatte operazioni della natura , con- dotte a termine con regolarità e costanza , malgrado l'uso dei rimedi i piìi energici, provano ad evidenza che le malattie esantematiche, come tutti'morbi feb- brili contagiosi, una volta incominciate, anche trat- tate con energia debbano percorrere i loro periodi naturali e necessari , ed inabbreviabile diviene il loro corso. Questo principio di medicina pratica, rapporto alle malattie di contagio, generalmente adottato, ha tro- vato, secondo Hut'eland ed Etmuller , una eccezione in alcuni esantemi, e nella stessa petecchiale, secondo Currle e Giannini. Lo scrittore italiano è di avviso che le febbri contagiose, quelle cioè che non possono esser condotte a guarigione senza 1' espulsione del- la materia morbifìca , non solo possono avere un periodo affatto indeterminato per evacuarla , ma essere distornale dal riprodurla , e non avere pe- riodo di sorta. Una più estesa e consumata pra- tica avrebbe forse dimosti'ato al dotto autore, i-a- pito all'onore dell' Italia ed al progresso della scienza da immatura morte, che per quanto sia giusta e vera la seconda parte del suo ragionamento , cioè potersi eliminare il fomite, ed impedirne la lipro- duzione prima dello sviluppo del male, altrettanto è difficile a concepirsi che malattie a fondo speci- fico , come sono i morbi contagiosi, in particolare gli esantematici, possono essere arrestati nella car- l'iera e nei loro stadi, quando già un processo mor- boso si è pronunziato e stabilito: se ciò accade per improvvida cura, o per interna predisposizione fìsica, ordinariamente letale è l'esito della malattia. AH'op- 190 posto i morbi che hanno origine da cause nocive ordinarie, a qualunque diatesi appartengano , se- gnano due soli periodi: il primo d' incremento che procede fino al acrnen del male: 1' altro che suc- cede di decremento, termina colla malattia stessa : abbreviato può esserne il corso, dietro conveniente, attivo , e proporzionato metodo curativo. Le ma- lattie organiche non hanno alcun periodo fìiso. Offre la miliare, al pari degli altri acuti esan- temi , diversi distinti periodi , che le sole com- plicazioni rendono oscuri ; esaminandone però con tutta accuratezza l'andamento si giunge a di- stinguerli, giacché veggonsi rappresentati da parti- colari sintomi. Si dissero stadi d' invasione , eru- zione, maturazione, e disseccamento, ossia di eli- minazione del principio inassimilabile, atto ad in- durre e mantenere profonde alterazioni patologiche nei diversi apparati organici, con lederne le rispet- tive funzioni. Lo stadio d'invasione è costituito dal periodo che passa tra l'assorbimento della materia contagiosa, ed il deposito di essa in quelli oigani, o tessuti, forniti dell'opportunità a risentirne l'azione deleteria, ed en- trare col seminio contagioso in un processo di ope- razione chimico-vitale. Forse non vi ha esantema , in cui lo svolgimento di questo stadio è così incerto, come nella miliare. Secondo Allioni dura talvolta a lungo nel corpo sano la ricevuta infezione senza ma- nifestarsi , e senza nemmeno alterare le condizioni meglio marcate della salute. Non sembra però am- missibile, né possiamo essere persuasi, che il principio miliare si occulti lungamente nella macchina, e si 191 manifesti soltanto in alcune particolari circostanae. Si è preteso paragonarlo per la delitescenza al con- tagio idrofobico, col quale non mostra al certo avere alcun rapporto. Ciò che vi ha di positivo si è, che la incubazione di questo germe varia in ragione della sensibilità del sistema linfatico , e della maggiore o minore virulenza della materia contagiosa di già assorbita, ma non oltrepassa sicuramente il termine di alcune settimane. Lo stadio d'invasione non ha sintomi particolari: tutt'i cambiamenti che si avvertono sono risultato di semplice condizione irritativa. Infatti se non havvi predisposione individuale, o mancano le cause no- cive occasionali, tutto si riduce ad una alterazione delle proprietà vitali, a semplice malessere, inquie- tudine, polso frequente, nervoso. Questo stato in- normale di salute termina dopo qualche giorno, re- stando eliminato e distrutto l'assorbito contagio dalle sole forze della natura. All'opposto se la macchina trovasi nelle condizioni favorevoli allo sviluppo del germe, nuovi sintomi si pronunziano, che sono in rapporto immediato colle vie che il contagio ha per- corse , ed in attinenza col sistema organico di già invaso. Ragione potissima, per cui la medesima ma- lattia contagiosa presenta talora una sintomatologia sì varia ed opposta nei diversi individui, da imporre a chi non ha bene approfondite queste leggi dei con- tagi, col far credere differenti quelle malattie, che hanno un'origine comune , e curabili generalmente con eguali sussidi terapeutici. Allorché il fomite miliare assalisce l'apparato di- gestivo, la nausea ed il vomito sono i primi sintomi 192 ad insorgere, effetto del convellimcnto delle fibre niii- sculari dello stomaco, che muove in consenso il dia- framma ed i musciili addominali, contrazioni pro- dotte dal principio disaffine a carico di una mem- brana dotata di grande sensibilità, qual'è la mucosa gastro-enterica. Seguono un senso di oppressione alla regione epigastrica, ch'estendesi allo scrobicolo del cuore, tormini ventrali, movimento febbrile con polso piccolo, contratto, aridezza di lingua e delle fauci, sete, cardialgìa, cui può tener dietro in se- guito l'infiammazione dello stomaco, che irradiasi in taluni casi ai visceri contigui, in particolare al fe- gato, couje lo provano i segni caratteristici di queste particolari affezioni, e non di rado la stessa necro- scopìa lo conferma, con delle macchie nere e gan- grenose sopia parti infiammate. Tralasceremo per- tanto di enumerare tutti gli altii fenomeni, che ac- compagnano questo stadio, perchè già altrove espo- sti. Solo si potrà soggiungere che la via dello sto- maco è la più frequentemente tenuta dal contagio per la sua introduzione nell'organismo. Sebbene con minor frequenza , pure rimarcasi scegliere l'acre miliare le vie della respirazione per insinuarsi nella econamia animale. La fenomenologia che apparisce mostra chiaro il sentiero che il con- tagio ha percorso, ed i visceri che trovansi minac- ciati. Ordinariamente ne danno indizio la tosse vio- lenta, irritativa, l'eritema delle fauci, quindi oppres- sione ai precordi , dispnea, sospiri, ambasce, lipo- timie. Se la materia contagiosa per l'indole e la copia è tale da cagionare una profonda impressione sui punti, dove si è stabilita, un processo irritativo- 193 flogistico non tarda a manifestarsi: ed è perciò che la pleuritide, la peripneumonia, la pericardite ap- pariscono con il loro treno sintomatico: infiamma- zioni resipelacee pericolosissime per le tendenze alla degenerazione gangrenosa, né curabili con quclPat- livissimo metodo depletorio, tanto utile e necessario nelle squisite infiammazioni parenchimatose. Non reg- ge la fibra alla insistenza di energico trattamento antiflogistico, nelle flogosi prodotte e sostenute da principio contagioso. Molto più imbarazzante è la condizione, allorché il contagio miliare percorre le due strade enunciate simultaneamente , imprimendo su di loro la sua azione perniciosa. Una maggiore com- plicazione di sintomi necessariamente si appalesa che somministra sicuri indizi, quali visceri sono at- taccati, ed in quali pericoli la malattia si avvolge. Si deduce introdotto il virus per mezzo del siste- ma cutaneo , dalla mancanza dei segni che ab- biamo rimarcati dichiararsi , allorquando l'assorbi- mento effettuasi per le vie aeree , o per l'esofago. La cute medesima offre tracce d'irritazione, o senso di prurito, i brividi e le orripilazioni, che ad ogni tratto si fanno sentire, annunziano lo slato conge- stivo della pelle: fenomeni che all'apparire di ogni male contagioso debbonsi attribuire a questa sor- gente, più che ad un semplice sconcerto della fun- zione del traspiro. Accaduta la riproduzione del principio miliare negli opportuni tessuti organici, la forza espansiva acquistata dagli elaborati elementi contagiosi tende a manifestarli, sotto una particolar forma sulla cute: ed è questo il momento , in cui la malattia dallo G.A.T.CXLIV. 13 194 stadio d'invasione passa a quello di eruzione, che marca il carattere specifico dell'esantema. Questo atto di separazione, operato da una forza interna, automatica, è preceduto da sintomi paiticolari. Feb- bre intensa, sudore copioso, senso di mordicazione alla pelle , ansietà , anomalie nervose , condizione sommamente irritativa dei polsi, delirio, finalmente esplosione eruttiva di piccole macchie, o noduli alle parti laterali del collo, o al petto, che ben tosto si generalizza, ed acquista un'estensione corrispondente e proporzionata all'indole e forza del contagio, ri- spettando l'efflorescenza miliare quasi sempre la fac- cia. Incomincia dalle parti superiori del corpo, dove talvolta si arresta, ma per lo piiì si diffonde suc- cessivamente alle inferiori, corso ordinario delle eru- zioni esantematiche. Non mancano dei casi di mi- liare, in cui si è veduta la manifestazione delle pa- pale seguire un ordine inverso. Un fenomeno degno di rimarco nella miliare, che la distingue dagli altri acuti morbi eruttivi, si è il modo di presentarsi delle papule, che accade in ta- lune circostanze a riprese, o ad intervallo, per cui prolungato vedesi il corso della malattia, ed irre- golarmente compiersi. Osservasi anche in alcuni casi rarissimi terminare completamente l'esantema, dopo di aver percorso con regolarità i suoi periodi , ri- cuperando l'infermo il suo stato ordinario di saluto; ma passato qualche mese avviene una seconda in- vasione, torna la miliare a fare una nuova com- parsa. Quest'anomalia forse indusse Allioni ad am- mettere, che non restasse sempre del tutto eliminato il germe esantematico in un primo attacco, rima- 195 nendo parte di esso celato ed occulto, finché par- ticolari impulsi non dessero campo allo sviluppo del fomite latente superstite; donde poi stabilì la mas- sima che il contagio miliare può rimanere lunga- mente nello stato di delitescenza senza dare indizio di se, e senza alterare il grado meglio marcato della salute. Non sarebbe forse più consentaneo ai prin- cipii della scienza, ed alla analogia con gli altri esan- temi , (sebbene in questi piiì raramente , ed a pili lunghi intervalli) ritenere il nuovo assalto qual ri- sultato di un novello assorbimento del virus , e di rigenerata individuale predisposizione? L'intiero organismo esterna nello stadio di eru- zione una serie di sintomi, proporzionati all'azione del contagio, ed alla concorrenza di altre cause ca- paci di destare e mantenere un vero processo dia- tesico , poiché rendonsi generali i perniciosi effetti della materia contagiosa riprodotta; si passa, secondo il linguaggio dei patologi, dalla semplice condizione patologica alla diatesi. Rimarcasi l'effetto mor- boso locale precedere l'effetto morboso universale. Lo stadio di eruzione non può essere considerato di azione puramente irritativa , siccome opinava Rubini, poiché oltre la lesione particolare prodot- ta dalla natura inaffme ed eterogenea del con- tagio , interessa i sistemi irrigatore sanguigno e linfatico , imprimendo bene spesso tracce profonde sui plessi nervosi. Abbiamo rimarcati gli stessi ap- parati gastro-enterico e pulmonale disposti a subire delle alterazioni immediate e dirette, o per effetto di antagonismo: ed è provato che ogni malattia lo- 196 cale febbrile col crescere ed estendersi acquista il carattere e l'aspetto di malattia universale. Accaduta la completa manifestazione dell'esan- tema, la febbre diminuisce, o esacesba, se meno o più sensibili si affacciano le complicazioni, cioè se- condo lo stato delle prime vie, degl'organi della re- spirezione, e del sensorio. La febbre che accompagna l'eruzione, anche quando la malattia è semplice, non ha tipo stabile, ora prende le minacce di continua continente, ora di remittente, né lascia di apparire con larva di febbre accessionale. I segni che comparvero sul principio dell'eruzione a guisa di piccole mac- chie, o punti protuberanti, osservansi gradatamente aumentare , e giungere alla grandezza dei grani di miglio. Dal centro di ciascuna papula elevasi una vescichetta sferica, resistente ad un leggiero attrito senza rompersi, ripiena di un'umore pellucido, che si mantiene tale per lo spazio di due, o tre giorni, segnando l'eruzione il punto di massimo incremento» Allorché tutto il fomite scaturisse alla cute con una sola separazione, vi è perfetta, e completa eruzione; all'opposto se parte del principio morbifero si porta alla periferia, l'eruzione è parziale, ed incompleta, percorre ciò non ostante i suoi stadi, però nel pe- riodo del disseccamento mostrasi una nuova efflore- scenza in punti diversi, preceduta da esacerbaziene febbrile, e dagl'altri sintomi concomitanti. Possono ripetersi anche più volte queste recrudescenze, fin a tanto che il virus trovasi del tutto depositato alla cute. Quando ciò accade irregolarissimo è il corso dell'esantema. 197 Segue lo stadio di maturazione, ch'è il periodo marcato dal cambiamento che subisce l'umore delle papule, che da diafano fassi torbido, indi passa al colore parlaceo , in fine acquista i caratteri della materia puriforme, che si dissecca, e cade coll'epi-^ demide in minutissimi frammenti. Nei casi, in cui gli stadi si compiono con regolarità, incominciato appena il periodo di maturazione, la febbre diviene mite, il polso molle ed espanso, calmansi tutti gl'altri sintomi, il sudore apparisce più moderato, le orine cariche di sedimento, apresi il ventre con deiezioni di materie fetide , e biliose , cessa in fine intiera- mente la malattia, lasciando per qualche tempo un senso pruriginoso nella cute. Non sempre avviene che tutto il virus è portato alla periferia, talora porzione di esso per inoppor- tuno metodo di cura, per colpa del malato, o anche per interna predisposizione della machina assalisce i visceri, o plessi nervosi, esacerba immediatamente la febbre, si sopprime il sudore, la pelle diviene arida, la respirazione lesa, l'ansietà , il sussulto dì tendini, il delirio, la convulsione non tardano a com- parire, con esito ordinariamente letale. I medesimi sintomi, e gli stessi pericoli sorgono, se l'umore esan- tematico condotto già intieramente alla cute, retro- cede all'istante pur soverchio calore esterno, per fred- do, patemi di animo, o qualunque altra causa. In questi casi le sole critiche evacuazioni possono al- lontanare i gravissimi sconcerti, che minacciano la vita. Il fomite miliare retropulso cagiona una sinto- matologia diversa, secondo il viscere, su cui impri- 198 me la sua azione. Se prende il capo induce delirio, afFezione comatosa, od apoplessia; se attacca gl'or- gani della respirazione, oppressione, dispnea, sofFoca- ziane; se l'apparato chilopoietico, cardialgia, vomito, singhiozzo, diarrea colliquativa; alle puerpere si ar- restano i lochii, cessa la secrezione lattea, il ventre s'inarca, si fa dolente sotto la pressione, assume la malattia il carattere della vera febbre puerperale. Né mancano osservazioni di miliare confluente , in cui si rimarcano tutt'i descritti cambiamenti, senza poterne incolpare una interna metastasi, restando le papule prominenti, e ripiene del proprio umore, l'ec- cessiva copia della materia morbifica è la causa delle patologiche alterazioni. Non essendo la sola cute atta a ricevere tutto il fomite, è mestieri che rifluisca a carico degli organi interni, ed allora la feb- bre si mostra piii intensa, con polso valido, fisono- mia animata, occhi scintillanti, la mente si altera, il malato esterna i suoi timori, sopraggiunge il de- lirio e la convulsione, in cui ordinariamente cessa di vivere. In fine l'enunciate lesioni possono acca- dere per la prava indole del principio miliare, che altera sensibilmente la fibra motrice, col prediligere in specie il sistema nervoso cerebro-spinale, di cui sconcerta e distrugge rapidamente le funzioni e la vita. 199 CAPITOLO V. Divisione, segni diagnostici, e cause predisponenti della miliare. Varie obbiezioni si sono dovute rimuovere per assegnare alla miliare il posto nosologico fra i morbi esantematici essenziali , d'indole perciò contagiosa. Osservammo parimenti non essere sì facile scegliere ed adottare fra le molte divisioni, che si fecero di questo esantema , quella che si trovasse giusta e corrispondente in tutt'i casi , e nelle varie compli- cazioni , che sovente occorre di vedere nel pratico esercizio. La divisione in benigna, maligna, e com- plicata, seguita da Borsieri, si avvicina più di ogni altra alla natura dell'esantema; ma non comprende quei casi gravi, in cui fin da principio la malattia apertamente mostra la sua indole, e fa conoscerne i pericoli. Né può dirsi allora maligna, poiché me- rita unicamente questo nome, quando percorre in- sidiosamente i primi suoi periodi, con cambiamenti appena sensibili nel polso, nel calore, nelle funzioni, tutto però ad un tratto apparisce sommamente grave e pericolosa. La divisione, che meglio sembra cor- rispondere in pratica, è di miliare mite, grave, lar- vata , e complicata. Quanto sia essa utile, lo rile- veremo seguendo l'esantema in tutte le sue vicis- situdini. Dalla storia che fin qui si è esposta di questa particolare eruzione emerge, che se attentamente si esaminano i segni anamnestici e concomitanti, tanto 200 comuni, che propri della malattia, non sarà (lifflcilc (li stabilire una giusta diagnosi. I sintomi i piiì co- stanti sono i brividi e le ornpilazioni, che si alter- nano col calore nei primordi del male : segue un sudore copioso, viscido, ch'emana un odore partico- laie, non critico, ed è ritenuto sintonia patognomo- nico: quindi senso di oppressione al petto, con strin- gimento ai precordi, da cui partono le ambasce, la dispnea, l'ansietà, le veglie, la prostrazione morale, l'orgasmo dell'infermo. Mite, variabile, proteiforme è la febbre nel suo esordire, accompagnata ordina- riamente da delirio , tremore, sussulto di tendini , abbattimento di forze, con polso debole, frequente, nervoso, ordinatamente intermittente, stupore pun- gitivo nelle dita, crampi alle mani, o alle estremità inferiori , fìtte dolorose alla cute , tosse irritativa , ora mite, ora violenta, eritema alle fauci, degluti- zione incomoda, difficile, scosse convulsive improvvise e subitanee in tutto il sistema, con tremito e spa- vento, allorché l'infermo si dispone al sonno. Se a questi segni vi si unisce la costituzione epidemica, ó il sospetto di aver contratto il germe miliare, vi ha maggior probabilità per presagire l'esantema, pre- ceduto e seguito in parte, o in tutto, dagli esposti sintomi. Secondo la stabilita divisione, può chiamarsi mite la malattia, quando in tutto il suo corso è disgiunta da gravi sintomi, percorre i suoi stadi regolarmente senza inostrare alcuna abberrazione : abbraccia la miliare apiretica, e la febbrile semplice. L'apiretica è annunziata dai caratteri, che sono propri di questa affezione, proporzionati alla natura benigna del male. 201 cioè leggerissimi brividi, lassezza, sudore profuso, polso frequente, contratto, poca sete, appetito, eru- zione discreta di papule , che offrono un graduato aumento, maluiano, e si disseccano in tempo op- portuno, senza molto turbare le funzioni dell'econo- mia animale. Borsieri, Damilani, Bayer videro del- gl'individui attaccali dalla miliare apiretica in un modo sì blando, senza esser costretti di abbandonare le loro ordinarie occupazioni; il solo sintoma costante ed incomodo era il copioso sudore. La miliare feb- brile semplice è preceduta dai medesimi segni del- l'apiretica. Trascorsi alcuni giorni si sviluppala febbre, seguita da sete, anoressia, il malato diviene rattri- stato, timoroso, senza presentare sintomi gravi; lieve è l'oppressione ai precordi, e fugace, crampi lungo le dita, sonno interrotto, sudore profuso, eruzione miliare completa, che solleva e calma la febbre, con corso regolare, mentre apparisce nell'epoca conve- niente , la durata non eccede il tempo ordinario-: l'incremento delle papule, la maturazione, ed il dis- seccamento non mostrasi troppo sollecito, né ritar- dato, né protratto: nulla in fine presenta la malattia di straordinario ed insolito. Diccsi grave l'esantema, quante. volte si allontana dal corso regolare, distinto da imponente apparato sintomatico , che fa chiaramente conoscere fin dal primo suo apparire l'indole pericolosa. La febbre è veemente, grande l'ansietà, sete ardente, oppressione di petto quasi soffocante, sudoi'e copioso, generale, crampi, scosse convulsive, sussulto di tendini, deli- rio, o affezione comatosa, eruzione miliare confluente, eomplota , talvolta imperfetta , e ad intervallo. Né 202 il carattere di questo morbo dipende sempre dalla eccessiva quantità delle papule, poiché osservasi ta- lora il medesimo apparato con una discreta etBo- rescenza. L'eruzione in questi casi scaturisce in tem- po indeterminato, protratto anche ad alcune setti- mane , senza arrecare il più piccolo alleviamento. Altri sintomi sopraggiungono, che aggravano mag- giormente il fondo della malattia. La febbre esacerba più volte al giorno, h lingua diviene rossa, secca, tremula, moti convulsivi, celere abbassamento delle pustule, polso ineguale, contratto, nervoso, tremori nelle mani, tinnito alle orecchie, sbalordimento, gra- vedine di capo, ottusità dei sensi, carfologia. Dalla esposta sindrome rilevasi che il fomite ha invaso il sistema nervoso, dando luogo allo sviluppo del tifo miliare ; casi ovvi nelle ricorrenze epidemiche di questo esantema, per cui con tutta ragione Mead so- stenne, che i tifi contagiosi ripetono la loro origine dalla miliare e dalla petecchia, malattie sommamente affini. Non sono infrequenti i casi , in cui la miliare si presenta in principio sotto l'apparenza di qualun- que altro morbo, ossia larvata. Essendo essa spo- radica difficile ed oscura offresi allora la diagnosi, né havvi medico clinico, per quanto sia avveduto ed esperto, che non possa restarne illuso: solo ac- cade di riconoscere, ed avvedersi dell'inganno, subito che incomincia ad apparire l'eruzione. Le malattie, che di ordinario occultano questo esantema , sono le febbri catarrali, le reumatiche , le gastriche , le intermittenti, oppure la pleuritide, la peripneumonia, l'artritide, l'eresipela, l'affezione comatosa ec. In tali 203 avvenimenti il principio esantematico prima di ma- nifestarsi alla cute, occupa questo o quell'interno tessuto, predisposto a riceverne l'impressione, e ri- sentirne l'azione, per cui spiegasi una sintomatologia, ch'è propria di una qualche particolare malattia, e che indica nello stesso tempo un dato sistema or- ganico già affetto. Merita pertanto il nome di lar- vata, allorché incomincia sotto l'aspetto di un mor- bo, che riconosce la sua origine dal virus miliare, a differenza della complicata, che sebbene associata anch'essa ad altro male, questa complicazione è su- scitata e mantenuta da causa diversa. Se diffìcile, come abbiamo rimarcato, è la dia- gnosi della miliare larvata, non è però affatto im- possibile di sospettare della sua prossima manifesta- zione, esaminando accuratamente le anomalie , che precedono e seguono l'intiero suo corso prima del- l'eruzione. La malattia, sotto la cui larva è nascosto l'esantema, palesa sempre qualche sintoma, che non è proprio della sua vera natura , o mostrasi priva di alcuni caratteri consueti ad annunciarla: gU stessi rimedi, utili quando è legittima, divengono in que- ste circostanze inerti , e non di rado dannosi. Il morbo miliare, benché larvato, non si spoglia del tutto dei segni caratteristici , che lo distinguono. Non mancano perciò il sudore copioso , continuo , fetido, l'oppressione ai precordi, la dispnea, i crampi, il polso duro, ineguale, contratto, il sonno interrotto, le ambasce , il delirio. Accaduta la completa eru- zione cessano i segni della malattia, che occultava l'esantema, proseguendo questo l'ordinario suo an- damento. Se poi imperfetta apparisce l'efflorescenza. 204 i) trop[Jo ritardata , una profonda alterazione pato- logica si stabilisce a carico del viscere primitiva^ mente offeso, che associata alla miliare, non lascia di turbarne il corso, ed accrescerne i pericoli. Un esempio di miliare sotto un aspetto apparen- temente mite , e di esito infausto , che occorse di osservare nel pratico esercizio, merita di essere qui inserito. N. C. abitante in via Agonale, dell'età di trentadue anni, di condizione civile, di temperamento nervoso, maritata, madre di quattro figli, non fu mai soggetta a gravi malattie: qualche leggiero gastri- cismo era l'incommodo, al quale vedevasi facilmente sottoposta, malgrado la sobrietà nel vitto. Nel set- tembre del 1848, trovandosi nel quarto mese di gra- vidanza, incominciò a risentire un senso di malessere, dolore fugace, ma che si rinnovava ad intervallo nella regione lombare , delle macchie di sangue fluirono dalla vagina, indi aborto, ad onta dei presidii del- l'arte adoperati per allontanarne le minacce , non escluso il salasso. La perdita consecutiva sanguigna dall'utero fu sensibile: non tardò però molto a ce- dere, trovandosi presto sostituita da moderato flusso lochiale. Nel ((uinto giorno apparve leggerissima feb- bre, preceduta da brividi, che declinò il giorno se- guente con sudore parziale , orine quasi naturali , diminuzione di lochii. Dopo poche ore di remissione avvenne nuova esacerba/ione febbrile, annunciata da freddo, sete, anoi-essia, il flusso vaginale diminuito, ma non affatto cessato , ventre molle , né dolente sotto la pressione , res|)i razione naturale. Si pre- scrisse un blando purgativo , che procurò diverse scariche alvine, deci inazione della febbre all'indomani, 205 seguita da sudore generale, copioso, orine rossastre, senza sedimento. Nelle ore pomeridiane, previo un freddo intenso, ebbe luogo l'aumento della febbre, cbe fu discreto né proporzionato al grado di freddo, l'utero poco più gemeva, ventre teso, cefalalgia fron- tale: si fecero applicare dieci sanguisughe alle pu- dende, che resero di nuovo il ventre trattabile, di- minuì il dolor di capo, il sudore comparve copio- sissimo di odore nauseoso. Essendo apparsa la febbre sempre moderata con leggiere esacerbazioni, seguite da profuso sudore, non impegno apparente di visceri, ne sintonia grave che imponesse, si giudicò la ma- lattia per una febbre irritativa, che faceva sperare un esito favorevole. In mezzo ad una calma lusinghiera la sola malata cominciò nel decimo giorno del male" a disperare della sua guarigione. Sorsero l'abbatti- mento morale, l'ambascia, il polso si mostrò duro e contratto, la pupilla dilatata. Consultato nel duo- decimo giorno l'esimio professore dando egli molto peso alla località, stagione, e sintomatologia, non esitò a caratterizzarla per febbre accessionale, proponendo l'amministrazione sollecita dell'antifeb- brile. Esibito il rimedio in dose conveniente , non tardò la febbre a farsi pili ardita, venne il delirio, la dispnea, l'ansietà : nel giorno seguente, ossia de- cimoquarto, videsi con sorpresa, in mezzo a piofuso sudore, apparire l'eruzione miliare al collo, alle biac- cia, al petto, minutissima, bianca, senza portare al- cun alleviamento: si diffuse quindi ai lombi, all'ad- dome, ma irregolare fu il suo corso, la lingua divenne rossa ed arida, il delirio continuo, sussulto di ten- dini, polso frequente ed ineguale, peggiorando ogni 206 giorno sempre più la malata, e fatta comatosa, nel vigesimo cessò di vivere. Assume il nome di miliare complicata, quando l'e- santema è congiunto ad altro morbo, proveniente que- sto da causa diversa, a differenza della larvata, nella quale la complicazione ha origine, come si è esposto, dallo stesso principio esantematico, per cui indebita- mente alcuni scrittori vorrebbero riunire, non senza danno della medicina pratica, le due specie in sola cate- goria. I caratteri che distinguono la complicata dalla larvata sono, che nella prima la perfetta e completa eruzione non tronca il corso della malattia, con cui trovasi associata: il che sovente avviene nella lar- vata, dove cede facilmente ogni complicazione all'ap- parire dell' esantema. Distinguesi anche la miliare complicata, perchè mostra essa fin da principio tutta la imponenza ed il pericolo ; la larvata all'opposto può presentarsi a foggia delle malattie maligne, mite nel nascere, indi spiegare la sua ferocia, l morbi , che si osservano con più frequenza unirsi alla miliare, sono la petecchia, il morbillo, il vainolo, la scar- lattina, la pleuritide, la peripreumonia, la metritide, la gastro-biliosa ec. Secondo la massima dei patologi che l'azione già stabilita di un contagio è di ostacolo allo sviluppo simultaneo di altro seminio contagioso, la presenza e l'andamento della miliare sembrerebbe escludere in complicazione la petecchia, il vainolo, il morbillo ec. se i fatti e le osservazioni in opposizione al prin- cipio non dimostrassero apertamente non esser raro il connubio di questi morbi contagiosi. Rimarcansi pertanto nella serie dei contagi delle anomalie, che 207 meritano tutta la riflessione del clinico, per non ca- dere in gravi abbagli, convinti che a lato di ogni regola generale in medicina esistono numerose ec- cezioni, che ora in proposito fa d'uopo richiamare brevemente ad esame. Sospeso vedesi talune volte ad un tratto il corso di un male contagioso , per l'assorbimento di altro germe riproduttivo. Brewer scrisse che ad una bambina di dieciotto mesi, alla qua- le fu inoculato il vainolo, dopo due giorni la piccola ferita cicatrizzò perfettamente, restarono sospesi tem- poraneamente gl'effetti della inoculazione, per la so- pravvenienza della pertosse, ch'ebbe la durata di se- dici giorni, indi vide di nuovo infiammarsi la parte inoculata, ed apparire il vainolo, che mostrossi d'in- dole benigna. Non sempre l'assorbimento di un se- condo contagio ha forza di sospendere il processo patologico di altro morbo contagioso, ma può in- vece diminuirne la virulenza: esempio ne sia la vac- cinazione praticata nell'atto, in cui il vaiuolo sta per manifestarsi : se non prevale l'azione del vaccino , moditicata resta la potenza vaiuolosa, e blando dovrà essere il vaiuolo che svolgesi. Vi sono dei mali con- tagiosi, che non si escludono vicendevolmente nel periodo di una stessa malattia , ma confusi e tur- bati mostransì i loro stadi, ed alterata la loro forma morbosa, come avviene infatti alla miliare, allorché trovasi complicata al morbillo, petecchia, vaiuolo ec. La petecchia e la miliare , scrisse Biera, sono fe- nomeni non ordinari , che ho potuto insieme osser- vare nelle epidemie petecchiali degli an.tSlO el817. I tifi contagiosi, di cui parla Borsiori, offrono parimenti l'esempio della simultanea comparsa di queste due 208 erazioni. Dalle accennate osservazioni sembra po- terne ragionevolmente dedurre, che vi sono dei con- tagi, che mostrano un'azione esclusiva e continuata ; altri hanno forza d' interrompere ed arrestare dei mali contagiosi già incominciati, oppure di mino- rarne l'impeto: come non mancano dei contagi, che non si escludono scambievolmente, essendo in alcuni casi contemporenea la loro azione ed il loro svolgimento , complicata però apparisce allora la fenomenologia, non che confuso e turbato il co- mune andamento. La presenza dunque e manife- stazione di due contagi in un corso di malattia è sanzionatala dai fatti e dalla costante esperienza : ciò che potrà esser solo negato da tutt'i buoni os- servatori si è l'integrità di forma, e la regolarità di stadi, come vedremo accadere alla miliare, al- lorquando è associata alla petecchia, vainolo, mor- billo ec. Non è difficile di osservare 1' esantema miliare unito alla petecchia, quando assume il genio epide- mico: ben di rado ciò rimarcasi, se si presenta spo- radico. Le diverse epidemie miliari complicate a petecchie, descritte da Pietro de Castro, P. Sulio Di- verso, Asti, Borsieri, Brera, lo dimostrano ad evi- denza. L'eruzione miliare ora precede, ora è pre- ceduta dalla petecchia, non essendo cosa facile di vederle comparire simultaneamente con un solo atto di separazione. Determinate però alla cute, continuano il loro andamento, quantunque irregolare. Non man- cano numerose osservazioni, in cui le macchie pe- tecchiali si pronunziarono nel massimo incremento dell'efflorescenza miliare, ovvero quando questa era ì 209 nella declinazione. Alle stesse ftisi è soggetta la mi- liare, se comparve prima l'eruzione petecchiale. Nel 1758 Vienna fu assalita nello stesso tempo dai due contagi: in taluni malati videsi la petecchia, in altri la miliare, in molti associati i due esantemi. I sin- tomi, che caratterizzano ciascuna delle enunciate af- fezioni cutanee, sono più o meno manifesti secondo la prevalenza del principio contagioso. Appalesan- dosi la miliare allorché la petecchia è già in fine, il prossimo sviluppo è preceduto da notabile cam- biamento. Le orine da torbide e sedimentose diven- gono limpide, si avverte lo stupore pungitivo nelle dita, la sordità si cambia in tinnito, il sopore in ve- glia, 0 coma vigile, cessa la prostrazione delle forze, il polso si eleva, diviene più frequente, sorge il de- lirio , finalmente se intempestiva si affaccia l'eru- zione, sopraggiunge la convulsione, che può esser letale. Non di rado accade di osservare, dopo l'eruzione petecchiale, ammansire i sintomi, sperimentando il malato per alcuni giorni una calma lusinghiera; scor- gesi però in un tratto esacerbare di nuovo la febbre, torna l'oppressione ai precordi, la mente si turba, si altera il sonno, nell'undecimo, decimoquarto, deci- mosesto giorno, o più tardi apparisce la miliare, che seda gl'insorti fenomeni, e spesso giudica la malattia. Stork osservò in un corso di febbre petecchiale, ch'era accompagnata da pertinace singhiozzo, cessare questo sintonia pericoloso nel decimoquarto giorno , dopo copiosissima efflorescenza miliare. Nella costituzione epidemica di Vienna , di cui si è fatta menzione , allorché l'esantema miliare sopraggiungeva alla pe- G.A.T.CXLIV. ^ U 210 tecchia, precedevano leggiere orripilazioni, senso di oppressione al petto, ansietà, profuso sudore, quindi copiosa manifestazione di papule miliari, con alle- viamento di sintomi. Se ai segni anamnestici e pa- tognomonici non succedeva l'eruzione, le orine acqui- stavano un gran sedimento , o invece appariva un moderato flusso di ventre, che costituiva la crisi della malattia. La miliare, quando è complicata colla pe- técchia, presenta maggiori pericoli, o ne protrae la durata: d'ordinario l'esito dipende dalla natura be- nigna, 0 maligna dell'ultimo esantema, che si deter- mina alla cute, né la celere o ritardata comparsa dell'eruzione può essere di norma al medico per una esatta prognosi. Non è cosa facile presagire la miliare prima del- l'eruzione , quando si unisce al vaiuolo , morbillo , scarlattina ec. L'indole maligna di questi morbi, o la regnante costituzione epidemica possano sommi- nestrare dei lumi per dubitare del suo prossimo svolgersi.. Allioni in alcuni casi di vaiuolo compli- cato alla miliare osservò prima un dolore acerbis- simo ai lombi, che precedeva il vaiuolo, indi appa- riva la miliare. L'eruzione vaiuolosa non portava di- minuzione di febbre, ed il polso invece di farsi molle e sviluppato, si manteneva duro e contratto, seguiva Tefflorescenza di papule miliari, ch'era di ostacolo all'incremento delle pustole vaiuolose , sussulto di tendini, acuta cefalalgia, nel sesto o settimo giorno in mezzo al delirio i malati perivano. Haller (1) os- servò il vuiuolo maligno, complicato colla miliare. [1) 0|JU!)C. pathol. pag, 120. i 211 Non sempre letale è l'esito di questi esantemi al- lorché ti'ovansi congiunti. Camerario narra dei casi di vaiuolo , a cui nella piena suppurazione soprag- giunse la miliare con favorevole successo. Tosto che la miliare si unisce al morbillo, l'eruzione è prece- duta da bruciore agli occhi, infiammazione alle fauci, tosse irritativa, calore urente alla cute. Parimenti la complicazione colla scarlattina è annunziata da alcuni caratteri, che sono propri della porpora. Si è rimarcato in questa sezione il morbo mi- liare complicato ad altre malattie esantematiche. Non si è tralasciato in pari tempo di fare osservare quanto sia allora difficile la diagnosi, e come alterata mo- strasi la forma morbosa. Conviene aggiungere che non minori sono le difficoltà ed i pericoli che la miliare presenta, allorché è associata a genuine e profonde infiammazioni organiche, come la pleuritide, la peripneumonia, la metritide, la peritonitide, ec. malattie che riconoscono la loro origine dalle stesse cagioni, che le suscitano, quando sono scevre da ogni complicazione: a differenza della miliare larvata che può mentire siffatte affezioni, prodotte però e soste- nute dal fomite esantematico. Le cause ordinarie delle accennate flemmasie sono la stagione favorevole al loro sviluppo: nelle partorienti il parto laborioso, il soccorso intempestivo della mano ostetrica: nelle puer- pere la metastasi lattea, la soppressione de'lochi, ov- vero le ricorrenze epidemiche simultanee di malattie flogistiche, in specie toraciche, e di miliare. Questi stessi morbi, che rendono talora complicato l'esan- tema, si mostrano con tutto l'apparato sintomatico che li distingue , come nel caso che segue. C. B. 212 abitante in via dei Giubbonaii, di anni 25, di fibra delicata, di temperamento nervoso, maritata, madre di tre figli, fin da qualche anno andava soggetta ad in- tervallo a dispnea , spesso i suoi sputi apparivano striati di sangue: due sorelle erano già perite di tisi pulmonare costituzionale, non essendovi germe gen- tilizio, mentre vivono tuttora i genitori in uno stato conveniente di salute. La madre, di robusta costi- tuzione, fin dalla giovinezza videsi alquanto detur- pata nella faccia dalla eruzione cutanea, che viene sotto il nome di varo gotta-rosea, principio acre, che trasmesso alla prole, benché non comparso alla cute, forse fu la cagione della disorganizzazione pulmo- nica, alla quale soggiacquero le prime due figlie, e che minacciava anche la terza, se acuta malattia, di cui ci occupiamo, non avesse abbreviato il corso della sua vita. Nel luglio 1848, trovandosi la giovane a termine della quarta gestazione, partorì felicemente, ebbesi moderata perdita di sangue dall'utero, i lochi incominciarono a fluire regolarmente. Nel secondo giorno del parto un leggiero movimento febbrile an- nunziava la funzione delle glandole mammarie: ma apparve sì scarsa la secrezione lattea, che fu me- stieri affidare in parte la bambina ad una nutrice. Passò la puerpera alcuni giorni in uno stato di per- fetta calma, nel nono incominciò ad essere molestata dalla tosse, la respirazione non era più naturale. Nelle ore pomeridiane delle stesso giorno, previo un senso di freddo, si manifestò la febbre con polso sviluppato, tosse violenta, affanno, dolore al petto, sputo san- guigno, decubito laterale diffìcile. Questo treno sin- tematico indusse a giudicare attaccato l'organo pul- 213 monare da profonda infiammazione: malattia, alla quale vedovasi la nostra inferma sommamente pre- disposta. Si prescrisse un generoso salasso nella sera stessa: il sangue si mostrò tenace, e coperto di leg- giera cotenna. Nel secondo giorno la tenuissima se- crezione di latte , che si ebbe cura di mantenere , per allontanare una pericolosa metastasi, interamente sparì, diminuirono i lochi, continuarono i sintomi ad infierire, esacerbò la febbre: si ricorse nuovamente al salasso, il sangue presentò la sua cotenna, non eb- desi alleviamento di sorta. Nel terzo giorno fu ria- perta la vena, il sangue apparve meno infiammato, la parte sierosa più rilevante, il dolore meno sensi- bile, sputo glutinoso, polso non pili vibrato, ma fre- quente ed irregolare, affanno. Nel quarto giorno, sop- presso del tutto il flusso lochìale, si passò all'appli- cazione di dodici sunghisughe alle pudende, ed em- pìastro di linseme all'ipogastrio, un clistiere emol- liente procurò degli scarichi. Nel quinto sorge un nuo- vo apparato sintomatico, il polso diviene duro e con- tratto, la mente non più serena, un sudore profuso e disaggradevole cuopre la pelle, crampi all'estremità, ambascia, veglia protratta. Dubitando di vicina eru- zione miliare, malattia che fu fatale a molte puer- pere in questa stessa stagione , ed avendo richie- sto un consulto, intervenne il professor Folchi , il quale pienamente sanzionò ciò che si era pratica- to , per far argine a violenta malattia infiamma- toria ; soggiunse che vedeva giusti i timori di prossimo svolgimento di morbo eruttivo, ammaestrato, diceva , da casi consimili occorsegli in quell'epoca liJl'esercizio clinico. Infatti nel settimo, esacerbando 214 sempre più il male, apparve l'efflorescenza miliare al collo in forma di piccolissimi noduli, che nei giorni successivi si estese alle parti superiori del petto, ed alle braccia , senza arrecare sollievo : videsi invece ogni giorno aumentare la febbre, crebbero l'affanno e la tosse , scarsa si mantenne 1' espettorazione ad onta dei preparati antimoniali, e l'applicazione dei ru- befacienti, la malata divenuta ortopnoica nel deci- moquarto giorno spirò. Ventisei ore dopo la morte si venne all'autopsia cadaverica, che fu limitata ai soli visceri della cavità del torace, per l'avanzata pu- trefazione, verificandosi ciò che aveva rimarcato Fan- toni, cioè che i cadaveri delle pueipere, morte in forza della miliare, si putrefanno ed intumidiscono prontamente. Nessuna aderenza vi era fra il polmone e la pleura, il pericardio conteneva circa tre once di fluido di colore cedrino , il cuore ed i grandi vasi non presentarono la minima alterazione organica , turgidi di sangue piceo apparvero i grossi tronchi venosi e 1' orecchietta destra , quasi vuoti i grandi vasi arteriosi, ed il cuore sinistro: la membrana mu- cosa dei bronchi seguita nelle diramazioni era molto rossa ed iniettata, ma piiì visibile nel polmone destro, di cui videsi perfettamente epatizzato il lobo inferiore. Tutta la sostanza pulmonare era disseminata di corpi grigi e duri, della grandezza dei grani di senapa; pro- duzioni morbose , che sembrano corrispondere alle granulazioni polmonari, sì ben descritte da Bayle (1) sotto il rapporto della loro forma esterna, che (1) Recberclies sur la phtìhsie pulnionaire. Paris 1801. 215 Leannec (1) in questi ultimi tempi ritenne come il pri- mo grado dei tubercoli.Opinione alla quale incliniamo, quantunque ne dissentono due grandi scrittori mo- derni di anatomia patologica Andrai e Cruveilhier. Le puerpere veggonsi sommamente predisposte al morbo miliare, e la così detta febbre puerperale non essendo una malattia sui generis, od una reale peritonitide, devesi ritenere identica colla febbre mi- liare. Nella febbre puerperale si affaciano nel primo periodo i fenomeni d' irritazione e di flogosi; nel secondo quelli di sconcerto nervoso, vale a dire so- pore, delirio, meteorismo, decubito supino, sussulto di tendini, lingua tremula ec.;apparisce in fine il segno caratteristico alla cute, cioè l'efflorescenza miliare, che rare volte manca, senza escludere la malattia, la qual cosa avviene anche al vaiuolo, al morbillo, alla pe- tecchia ec. presentando talvolta codesti morbi erut- tivi tutto l'apparato sintomatico, che gli è proprio, meno l'eruzione. Possono le puerpere andare soggette ad ogni sorta di malattia, ma non ogni male costitui- sce la vera febbre puerperale, ossia miliare. La sola che merita di essere distinta con questo nome è quella che ha particolari e gravi sintomi, già in parte accen- nati, e sì ben descritta da Strother, Leake, Borsieri, Ottaviani ec. Alcuni pratici cercarono di rintracciare le cause, che predispongono le puerpere a risentire con tanta facilità il pernicioso influsso del virus mi- liare. Taluno ha dato molto peso ai travagli del parto: il sullodato Borsieri riconobbe esser questa una causa remota, non sempre necessaria per contrarre co tal (1) Trallato dell'ascoltazione mediata dalle malattie dei polmoni e del cuore. Voi. 2 cap. I pag. 152, Trad. Livorno 1834. 216 febbre. Cullen ne addebita le smodate perdite di sangue, per cui crede che le puerpere siano per tal motivo più soggette di ogni altro individuo alla eru- zione miliare. La soppressione de'lochi, la retroces- sione del latte furono giustamente annoverate fra le eause occasionali delia malattia. Quando la miliare si associa alla febbre gastrica, è caratterizzata questa dai fenomeni, che la distin- guono. Non ci occuperemo delia miliare chiamata cronica da alcuni scrittori (I), efflorescenza cutanea fa- cile ad osservarsi negl'individui, presi da diatesi scor- butica, o affetti da altre inveterate discrasie, non es- sendo che una semplice eruzione miliariforme , di cui si è lungamente discusso, ed anche dimostrato di non avere essa altro in comune coll'esantema mi- liare, che alcuni caratteri apparentemente somiglianti nella pustulazione (2). (1) Intorno alla miliare osservata in Cotignola negli anni 1853 — 54 — 55. Bull, delle scienze mediche dì Bologna. OUobre 1856. Lettera intorno al morbo miliare cronico, Finali, Giornale Ve- neto di scieiize mediche. Scr. II. Tom. 3. (2) Le citate memorie, su questo stesso argomento, parlano di miliare cronica, come di fatto inconcusso, e sanzionato da cliniche osservazioni. Esaminando però bene la materia veggo nella prima memoria una sola storia di malattia lunga, ed irregolare in tutto il suo corso, accaduta in soggetto preso da labe scorbutica , che si volle chiamare miliare cronica, perchè presentava al- cuni caratteri precursori del morbo miliare: ma 1' esantema non comparve giammai alla cute. Questo fatto isolato, e sì dubbio, non sembra che possa avere tanta forza in medicina per stabilire un principio. Confesso di non avere avuto sott' occhio 1' altro opu- scolo , per esternarne un giudizio: rilevo però in una nota inserita nel citato primo lavoro , che 1' autore non ha distinta la miliare dalla porpora: malattie cutanee per indole, carattere, ed andamento fra loro difierentissime, per cui pott facilmente esser tratto in er- rore. La miliare l'abbiamo veduta procedere irregolare , bizzarra. 217 Le cause remote, che predispongono Torgauismo a risentire 1' azione del contagio miliare , sono un vitto pravo, la bevanda acquosa scarsa ed impura, l'aria umida e malsana , la traspirazione cutanea negletta, le smodate perdite sanguigne, la soppres- sione di alcune critiche esacuazioni,i patemi di animo, le veglie protratte, la vita oziosa ed inerte, la mi- seria, l'eccessiva fatica, la costituzione delicata e debole, l'età giovanile, il temperamento sanguigno. Le donne veggonsi piiì soggette degli uomini a questo esantema, in specie durante l'epoca del puerperio, dopo la violenta estrazione della placenta, le metror- ragie, la soppressione de'lochi, la retrocessione del latte. Sogliono precedere l'epidemia miliare i venti australi, continuati ed irregolari, le inondazioni, la costituzione atmosferica. Le stagioni più favorevoli alla sua manifestazione sono 1' estate e l' autunno ; anche il clima può molto influire, senza però scen- dere all'opinione di Rayer, il quale crede che la ma- lattia non si mostri, che fra il grado quarantesimo terzo, ed il cinquantesimo nono di latitudine boreale. Né si debbono trasandare le condizioni locali, cioè il terreno uliginoso, il suolo basso e paludoso che racchiude molte sostanze organiche in avanzata de- composizione. tanlo febbrile, che apiretica, mostrarsi a riprese, avere spesso delle recrudescenze , e talvolta assalire lo stesso soggetto , dopo breve intervallo. Per questo suo modo particolare di manifestarsi ha potuto imporre ai sullodati clinici, col dar campo a stabi- lire una miliare cronica, ciò ch'è proprio della miliariforme, come sopra si è esposto. Aggiungo inoltre che non avendo io osservata finora la malattia sopra una estesissima scala^ sarò sempre pronto a ricredermi, quante volte mi accadesse di vedere nel pratico eser- cizio il contrario di quanto esposi, oppure mi si presentassero dai colleghi tali fatti , registrati senza prevenzione, per non più du- bitarne: il vero è il fatto. 218 CAPITOLO VI. Esame particolare di alcuni segni pronostici della miliare. Non vi ha forse malattia, anche per sentimento di espertissimi pratici, più difficile a presagirne l'esito, qiianto questa che attualmente ci occupa. La sua indole versatile fece dire al sommo Borsieri : Ego equidem non novi for tasse morbiim isto fallaciorem » ac magis infidum: in seguito aggiunge, che non vi- desi mai tanto agitato ed incerto, che quando do- veva combatterla. Ciascun medico nel proprio eser- cizio ha dovuto sperimentare con quanta verità il clinico italiano esponeva i timori e la incertezza , rapporto all'esito di un morbo sì ingannevole , da dubitare fortemente del suo carattere, anche quando apparisce sotto un aspetto blandissimo. Della miliare mite, allorché percorre regolarmente i propri stadi, ed è prudentemente curata, il termine è d'ordinario favorevole. L'esantema sia grave, lar- vato, complicato, offre sempre i più grandi pericoli. I criteri, che possono servire di norma per la pro- gnosi, sono la forma morbosa, la costituzione fisica del malato, il genio della regnante epidemia. L'in- tiera forma morbosa è costituita dal complesso dei sintomi, tanto caratteristici della malattia, che ac- cidentali: quanto più essi sono violenti, e più per- tinaci , quanto più di un viscere è profondamente affetto, e più nobile, tanto maggiori sono i pericoli che includono : quindi se il principio contagioso as- 219 sale il sistema cerebrale , o plessi nervosi , da cui partono la cefalalgia, il delirio, la convulsione, la veglia, il sussulto di tendini, più temibile è il male, che se ingombrasse le prime vie , annuciato dalla nausea, dal vomito ; quasi sempre mortale se offende i visceri del petto , eccettuato il caso , in cui ef- fettuasi una sollecita e copiosa eruzione , che non solo allevia, ma libera ben anche dal fomite le parti interne, che n'erano assalite. Non somministra alcuno indizio per una giusta prognosi la precoce, o ritardata apparescenza del- l'eruzione. Si può generalmente asserire che la celere comparsa è di peggiore annunzio della serotina, o protrae molto a lungo il corso della malattia, senza però seguire gli opinamenti di coloro, che ritengono sicura la guaiigione , allorché tardi si dichiara , in specie se questo ultimo periodo si estende alla se- conda, 0 terza settimana. L'abbiamo osservata mo- strarsi non di rado ben tardi nella miliare gravissima e letale, come all'opposto apparire sollecita nella miliare mite, e di esito fortunato. Il rapido corso degli stadi, fino a quello d'incremento specifico, e questo poscia protratto più del consueto, con febbre continua, versipelle, pletora parziale, sfinimento di forze, convulsione, delirio, lipotimie, annunziano gra- vissimo pericolo. Più che la copia, la prava indole del principio riproduttivo, accresce i pericoli dell'esantema. I fatti hanno mostrato che una piena e completa efflore- scenza , purché la quantità del virus non sorpassi la capacità della periferia cutanea, e vi si mantenga costante in tutto il tempo della malattia , include 220 minori pericoli dell'eruzione parziale ed interrotta, che a stento la natura connpie, dietro ripetuti conati. Però la copiosa e piena eruzione se non jilievia i sintomi, cioè se i polsi non divengono molli ed am- pli, se non cede lo stato convulsivo, non diminuisce la febbre, le pustule non appariscono della grandezza ordinaria, esiziale è per lo piiì l'esantema. Non si è trascurato dai medici il colore delle papule, per meglio basare il pronostico della miliare. Taluni reputano l'eruzione rossa di miglior annunzio della bianca, o cristallina: altri credono quest'ultima di minore pericolo. Senza dubbio le papule, o mac- chie rosseggianti, annunziano maggiori speranze, t:mto più se florida si mantiene la frapposta circonferenza della pelle da esse non occupata. Per lo contrario allorché divengono pallide, livescenti le areole, ede- matoso e subcinereo l'aspetto della frapposta cute, le pustule appassite, coUapse, pi'ive alla base di areola infiammatoria, la perdita del malato sembra irrepa- rabile. Il colore delle macchie, o papule, è da aversi in somma considerazione, giacché una lunga espe- rienza, avvalorata dal consenso universale, ha dimo- strato che un aspetto animato dell'eruzione, anche nei casi gravissimi, indica minore pericolo j all'op- posto il colore delle areole pallido , nerastro , con gU altri sintomi miti, se il fine della malattia non si mostra assolutamente infausto, non mancano per lo meno morbi di successione. L'istantanea retrocessione, e l'abbassamento re- pentino delle pustule nel colmo della eruzione, sono fenomeni di pessimo indizio; né vi ha esantema tanto facile alla retropulsione, quanto il miliare. Si affac- 221 ciano immediatamente gravissimi sintomi , relativi alle parti interne offese , che minacciano da vicino la vita, se con forza di reazione organico-vitale non venga dalla macchina eliminata la niateria morbifìca retropulsa per mezzo di un qualche emuntorio, cioè orine copiose e torbide, deiezioni ventrali , sudore critico. Il morale abbattimento, in cui cade facilmente l'infermo, o il solo timore che gl'incute il morbo, è talora sufficiente a muovere il delirio e la con- vulsione , che uccidono in breve tempo. Non mai dimenticherò l'effetto terribile dello spavento , che fu fatale ad una giovane puerpera in line di febbre miliare. Trovandosi costei nel decimosettimo giorno della malattia, che aveva percorso con regolarità i suoi stadi, toccando già l'eruzione il disseccamento e la desquamazione, il polso di poco si allontanava dal suo stato naturale, così le altre funzioni, poteva considerarsi in ultima analisi la malata in fine di male; quando ad un tratto, in mezzo ad un impe- tuoso uragano, cadde un fulmine in luogo vicinissimo all'abitazione dell'inferma, ch'essa immaginò scoppiato nella propria camera. Fu tale in lei il terrore, per cui si accese di nuovo la febbre, sorsero il delirio, la convulsione, il sussulto di tendini, seguirono fre- quenti lipotimie, il polso divenne piccolo, ineguale, intermittente: la malata nel vigesimo secondo giorno, ossia quinto dopo il disgrazialo avvenimento, cessò di vivere. 11 sudore, sintoma capitale e diagnostico dell'esan- tema, quanto più è profuso a malattia incipiente, con polso sommamente contratto, tanto più è da temersi; 222 se poi cessa uU'appariie dell'eruzione, lasciando la cute arida, secca, urente, maggiore è il pericolo. Un moderato sudore prima dell'eruzione, che prosegue anche dopo, continuato, eguale, caldo, generale, con polso molle ed espanso fa presagire favorevolmente della malattia. Né disprezzabili, come taluni credono, sono i segni pronostici, che traggonsi dalle orine, senza però adottare la massima di alcuni antichi medici, che ne portarono l'esame fino alla dialettica sottigliezza. 11 cambiamento istantaneo dal colore cedrino , ad un'orina pallida ed acquosa , è di cattivo pre- ludio ; l'aspetto costantemente limpido e chiaro di questo umore escrementizio , anche dopo accaduta l'eruzione , fa temere una metastasi pericolosa. Le orine copiose, ipostatiche, continuate per alcuni giorni possono ritenersi come critica evacuazione. Non minore studio si pose nell'osservare le qua- lità dei polsi nella miliare. Si è rimarcato che un polso molto contratto, quanto più è debole ed in- eguale, oppure intermittente, tanto piiì annunzia gravi pericoli. Secondo Allioni, se il polso dopo l'eruzione si mostra contratto, celere, teso, non tarda molto ad apparire la convulsione, che porta gravi rischi. In generale il polso debole, piccolo, contratto, ce- lere, è di pessimo indizio ; all'opposto s'è vigoroso, pieno, espanso, molle, sviluppato, fa sperare bene dell'esito. Così un moderato flusso di ventre di ma- terie concotte giova nella miliare, specialmente s'è complicata a colluvie gastrica, o biliosa: a reprimere imprudentemente questo benefico moto della natura, aggravasi la malattia. Le deiezioni alvine miste a 223 sangue sciolto, fanno disperare affatto della guari- gione, secondo Gastellier. Non meno dannosa è la diarrea colliquativa , che si oppone all'eruzione , o abbassa le pustule prima che compiano l'ordinaria carriera. Le puerpere ne risentono a preferenza i tristi effetti con la totale soppressione dei lochi. L'epistassi è stata osservata salutare da Vogel, de Agostini, Baraldi,col vincere la congestione cerebrale, diminuire la febbre, in fine coH'ammansire i gravis- simi sintomi, che corteggiano la miliare. Se poi l'emor- ragia parte dall'atonia di tutto il sistema, da sangue sciolto e povero di fibrina, polsi depressi, poco ca- lore, pochissima reazione vascolare, è allora di cat- tivo presagio. Non basta di avere esaminato particolarmente il valore di alcuni sintomi prevalenti della malattia, per formarne una retta e giusta prognosi. Onde es- sere meno illuso da questo morbo proteiforme, è ne- cessario indagarne la natura, l'indole, le tendenze , studiarne complessivamente i fenomeni, che lo ca- ratterizzano, e le morbose complicazioni, ossia at- tendere alla intiera forma patologica. I segni collet- tivi, che fanno sperare bene, sono la febbre mode- rata dal principio sino al termine dell'esantema, la respirazione facile, le forze non abbattute, le secre- zioni ed escrezioni libere, non eccessive, ma blando, che non debihtano , ma alleviano , il polso molle, spazioso, eguale, l'eruzione accompagnata da sudore moderato, continuato, generale, le orine proporzionate alla bevanda con sedimento: il dolore di capo, l'an- sietà, l'oppressione ai precordi, la sete, sintomi con- comitanti, non molto intensi, nò pertinaci, i nervi 224 nello stato di calma, la mente seiena, il sonno che ristora. La sindrome morbosa che annuncia il massimo pericolo, si appalesa con febbre vigorosa, ardente, respirazione lesa , o invece somma prostrazione di forze, grande oppressione allo scrobicolo del cuore, lipotimie, erazione parziale, interrotta di papale pic- cole, minute, cristalline, orina tenue, pallida, veglia l^rotratta, o sonno letargico, sussulto di tendini, de- lirio, convulsione, lingua rossa, arida, tremula, su- dore profuso, freddo, prematuro, dolore puntorio in- tercostale, tosse secca, frequente, molesta, polso pic- colo, ineguale, contratto , intermittente , vomito di materie crude, eruginose; cute arida con calore mor- dace, ventre inarcato, teso, indolente, timpanitico, abbattimento di spirito, singhiozzo. Non è necessario pertanto il complesso di tutti gl'enunciati sintomi, per rendere pericoloso, o letale la miliare, bastano alcuni di essi per giudicarne ordinariamente infausto il fine. . La costituzione fisica del malato è l'altro crite- rio, su cui basa il pronostico della maiattia. Un in- divìduo sano, e robusto naturalmente può resistere all'impeto del morbo , pili che un'altro delicato e malsano, che con facilità vi soccombe. Però è da rimarcarsi che la così detta forza di resistenza vi- tale, non si argomenta sempre a rigore dallo svi- luppo del sistema musculare , essa è assai meglio rappresentata dall'attività del sistema nervoso; atti- vità ch'è bene spesso in ragione inversa dell'appa- rente energia del sistema locomotore. < 225 11 genio della regnante epidemia somministra al medico clinico non poca luce per una giusta pro- gnosi. Vi sono delle costituzioni epidemiche , nelle quali le malattie popolari spiegano tanta ferocia , che uccidono irreparabilmente in breve tempo, qua- lunque sia il trattamento curativo: mentre altre fiate, sotto condizioni atmosferiche diverse, lo stesso morbo mostrasi meno micidiale. Le malattie epidemico- contagiose non sono sempre attaccale alla stessa dia- tesi; se regna la costituzione infiammatoria, iperste- nico è il processo diatesico delle medesime : se la costituzione è nervosa, dissolutiva apparisce la dia- tesi, per cui sovrastano allora maggiori pericoli. CAPITOLO VIL Cura della miliare. Il trattamento curativo seguì le vicissitudini delle teoriche pei seguaci di esclusive dottrine. Lo studio delle diatesi fu ad essi di guida indistintamente per la cura nelle costituzioni epidemiche di morbo mi- liare, senza dare alcun peso al processo locale pa- tologico, ai temperamenti, ed idiosincrasie diverse, età, complicazioni morbose, stadio della malattia, e non poche altre particolari evenienze , che spesso obbligano il medico, non lìgio a sistemi, di modi- ficare non solo il metodo curativo, ma seguire ben anche un opposto sentiero. Perla facilità che hanno gli uomini di correre agl'estremi, si passò dai ri- medi stimolanti, incendiari, ad un sistema di cura affatto contrario. Videsi trattata la miliare in questi G.A.T.CXLIV. 15 226 ultimi tempi dai seguaci della dottrina del contro- stimolo, con attivo, pronto, ed energico metodo an- tiflogistico. Pratica che unicamente può convenire a profonde e genuine infiammazioni viscerali, ma- lintesa pertanto per un morbo esantematico, qual'è il miliare, che spesso prende l'aspetto tifoideo, do- vendo rispettare in esso un grado di reazione, pur troppo necessario, affinchè Tesantema compia rego- larmente i suoi stadi, e non si aggravi il fondo della malattia. 1 primi giudicarono ipostenica sempre la diatesi del tifo miliare: questi ultimi la vollero co- stantemente d'indole inflammatoria, perciò domabile soltanto con rimedi antiflogistici , deprimenti. In mezzo a vortici sistematici, in cui si è cercato da alcune menti preoccupate involgere la medicina , adescando i meno cauti con una facile terapia, non mancarono poderosi ingegni, che ne riprovarono so- lennemente i principia Guidati da'più sodi argomenti, avvalorati dalla sana esperienza, dimostrarono la fal- lacia delle scolastiche e speculative dottrine in me- dicina, insegnando fin dove è lecito ragionare al letto degl' infermi senza nuocere , fin dove è possibile sottomettere ad una savia induzione i fenomeni e le cagioni delle malattie, le indicazioni curative, e l'uso dei rimedi. Si convenne che lo è solamente , dietro la scorta di una sobria patologia. Queste ul- time parole, che racchiudono precetti di medica filo- sofia, appartengono al dottissimo Tornassini (1), seb- bene dal medesimo non sempre accuratamente os- (1 Raccolta completa delle opere mediche del Pro(. Tornassini a. discorso preliminare Bologna, 1833. 227 servati: provano però ad evidenza che alcune grandi verità pratiche si fauno sentire anche da colow , che veggonsi affiiscinati da sistemi, e che cercano una celebrità investigando astratte e nuove dottrine. Le malattie acute, che partono da fomite con- tagioso, come appunto è la miliare, offrono al me- dico clinico, sotto l'aspetto terapeutico, due distinti periodi. Il primo chiamato d'invasione, rappreseti tato da fenoFneni semplicemente irritativi, solo osserva- bile, quando la miliare regna epidemicamente, che sfugge con facilità ad ogni indagine, se si presenta sporadica. È questa l'epoca, in cui può essere tron- cato il corso alla malattia, con eliminare il germe contagioso, prima della sua riproduzione, con adat- tata terapia. L'illustre G. P. Fràhk, come viene ri- ferito da Brera (1) , praticando la medicina nella città di Bruchsal in tempo di epidemia petecchiale, dopo di avere per il seguito di alcuni giorni visitato numerosi infermi, venne una sera assalito da straor- dinaria debolezza, da malinconia, da veglia, da fre- quenti conati al vomito, da tremore agli arti, e da sommo dolor di testa, per cui ragionevolmente giu- dicò di avere contratto il predominante contagio. Postosi quindi ben coperto in letto, bevve in poche riprese una intiera bottiglia di scelto vino di Bor- gogna, bentosto si addormentò, e non si risvegliò che sul fare del giorno sussequente, tutto inondato di copioso sudore, e talmente ristabilito nelle forze, che potè uscire di casa, e livedere i suoi infermi. (1) Sui eonlagi ^§. 252. 228 Quando vi è l'indicazione di eccitare il traspiro per allontanare la materia morbifica, prinna che spieghi la intera sua azione sulla fibra, la scelta dei rimedi diaforetici dovrà essere sempre corrispondente alle condizioni dinamiche. Se lo stomaco è il primo viscere assalito dal contagio , annunziato da nau- sea, o vomito, la sollecita e pronta am ministrazio-' ne dell'emetico potrà essere efficacissima ad es- pellere direttamente il principio contagioso. Nella peste di Alais, descritta da Gibert, gli emetici tron* cavano l'infezione. Hildebrand (1), dietro molte os- servazioni, assicura che un emetico ben indicato, ed amministrato in principio, imprime al tifo per tutto il rimanente del suo corso un carattere benigno , previene le anomalie , e dispone il corpo alle crisi le più favorevoli. Pratica convalidata dalle osserva- zioni di Pringle e Stoll. Poche risorse ha la medi- cina in questo periodo: allorché il contagio ha per- corse le vie della respirazione, sogliono consigliare i pratici l'inspirazione dei vapori acquosi, ma sembra un deboh'ssimo presidio. Se inosservato trascorre que- sto primo istante, oppure infruttuoso rimanga ogni tentativo praticato per estinguere la malattia nei suoi primordi, prosegue allora la miliare a percor- rere i suoi stadi, necessario ed inabbreviabile di- viene il suo corso. La cura di questo esantema presenta non poche difficoltà all'occhio stesso del clinico il piiì dotto ed esercitato. Essa differisce secondo i periodi del (1) Del tifo contagioso ec. nnova versione italiana il veder qui annunziate tante scritture risguardanti la medicina dei sinnili, e fatte di pubblico diritto fra noi in breve intervallo di tempo, ognun si accorge come porgasi essa operosa, e in atto di battagliare con chiunque osasse recarle offesa, o attaccarvi bri- ghe : dal che noi vorremmo tenerci quanto più si possa lontani. Il mondo è ornai sazio di contese me- diche, e aspetta il giudizio definitivo del tempo, sag- giatore spertissimo in diseernere il vero dal falso. Perciò indossando la sua divisa, non sapremmo in- tanto lodare il contegno del Pradieri (1), che in una sua memoria ha ripicchiato or ora questo punto , del quale non è da sperare alcun sodo profitto alla medicina, né alcuna sincera conciliazione tra' medici. Ed infatti o vi dirigete ai curanti, ed è stoltezza il presumere che dopo aver disertato apertamente il (1) Stranezze ed assurdità della omeopatia. Bologna tipografìa dell'Ancora 1856. 254 campo della medicina universale vogliano ora can- tare la palinodia, e darsi convinti ; o volgete il di- scorso ai clienti, e questi o non vi ascoltano, o non v' intendono. L'umana gente quale difettosa di edu- cazione letteraria, quale aggravata dalle fatiche, e quale distemperata nei piaceri, è scarsa di savi par- titi, e non ha critica che basti a premunirsi dalle lusinghe dei larghi promettitori di guarigioni pronte, sicure e senza incomodi. E come poi maneggiar la polemica coi proseliti del riformatore alemanno ? Non par lecito usare lo scherno in dispute che rì- ferisconsi alla vita degli uomini ; e poi le sue pun- ture aspreggiando gli animi,li recano a incaponirsi piiì forte nel loro proponimento. Se invocate la solenne testimonianza dei secoli, vi rispondono che per l'arte salutare furono tutti favolosi , e mettono al niente tutto in un' ora le fatiche passate. Vi munite del- l'autorità de' grandi scrittori: e gli adepti all'omeo- patia, eredi della tracotanza del loro maestro, li con- dannano tutti allo stesso dispregio. Quei maravigliosi intelletti di Sydenam, di Boerhaave, di Van-Swieten, di De Haen, di Hoffman, di Stoll e mille altri di egual polso non sono eccettuati dalla taccia di aver edifi- cato un met'o nulla in tutte le sue parti, una com- passionevole illusione a bella posta intesa ad arrischiai^ la vita umana in mezzo a cieche incongrue cure (Hahn.). Vi provate a usare il ragionamento Intorno i prin- cipii generali della patologia: ed essi vi rompono le parole in bocca esclamando, che neWarte di guarire la ragione specidatrice non ha voto alcuno {id.) Rinunziando però al progetto di rinnovare le dis- pute intorno la dottrina di Hahnemann, non vorremo 255 privare affatto i nostri lettori di qualche notizia delle opere messe in fronte di questo articolo, come è ap- punto il debito dei giornali. E cominciando dalla prima, non sappiamo dissimular la sorpresa leggendone il ti- tolo: Dimostrazioni, cioè, dei principii fondamenlali della patologia e della terapia. Ed invero può egli darsi patologia in una scuola, il cui antesignano sostiene che ogni caso di malattia sol una volta avvenga, e che ogni infermo patisca singoiar malore (id. org. §.87), e che il medico non altro rileva in ogni malattia tranne le esterne mutazioni che riconosconsi pei sensi ? Tali principii tendono nullameno che a scardinare l'edifizio della medicina, e sono incompatibili affatto colla esistenza di una vera patologia. Questo voca- bolo suona scienza di comunanze e di differenze mor- bose, scienza della genesi, della natura, degli esiti delle malattie, scienza dei rapporti e delle succes- sioni delle medesime. Il patologo assume qual lemma, che la malattia sia costituita da una serie di cam- biamenti operanlisi nell'intimo dell'organismo; a que- sti ei rivolge la sua attenzione ; di questi ei procaccia di studiare le somiglianze e dissomiglianze, le cause e gli effetti, le origini e le terminazioni. La scienza non consiste nell'appuntare ogni varietà, ogni acci- dente dei fenomeni, ma nel considerarne i caratteri essenziali, senza i quali essi non potrebbero mani- festarsi. Chi non pesca mai nel fondo, chi delle ma- lattie non considera che la scorza, fermandosi alle esterne apparenze, chi nelle forme morbose che offre un individuo non legge e non si cura di leggere al- cun rapporto con quelle degli altri individui passati e presenti, non può aspirare al possesso di una pa- 256 tologia, se pria non confondansi i significati dei vo- caboli e l'arte scambisi colia scienza. Lo stesso di- cesi della terapia : se non vi sono comunanze di ma- lattie, se non si ammettono condizioni morbose da considerarsi in cumulo, come potrà egli parlarsi di indicazioni e contro indicazioni, di metodi curativi, di mezzi generali atti a favorire le tendenze della natura, ad espellere le materie morbose, e rimuovere gli ostacoli che vi si oppongono? Non vi è adunque patologia, non vi è terapia generale possibile nella medicina dei «simili, anzi non vi è possibilità nem- meno di nominare le malattie, come il maestro stesso dichiara, insegnando come ogni infermo patisce sin- goiar malore non suscettivo di ricever nome^ mai più comparso quale mostrasi in quel caso ecc: (id. §. 87). Noi non disputiamo qui del valore dell' omeopatia quale arte di curare, ma sosteniamo che questo si- stema, tal quale lo ha promulgato Hahnemann, ri- pugna con qualunque fondamento scientifico. E come dunque il signor Bering ha potuto darci una Medi- cina omeopatica, in cui parlasi di congestioni, di in- fiammazioni, di spasmodie, vocaboli tutti che accen- nano ad interni cambiamenti dell'organismo, noq a pure immagini hahnemaniane ? E come pure l'autore delle Dimostrazioni poteva offerirci un rendiconto di malattie indicate collo stesso nome di pleuritidi e pneumoniti, e curate spesso cogli stessi rimedi, quan- tunque in individui differenti per età, per sesso, per genere di vita, per stato anamnestico, per condizione? Od eran malattie simili, e vacilla il principio della singolarità : od eran diverse , e come vincersi con gli stessi rimedi ? 257 Ma più che il titolo in cui si parla di patologia e di terapia che non vi sono, e non si nomina la dottrina omeopatica che vi è, ne ha dato occasione di meraviglia la dedica dell'opera. Essa e diretta ai Sapientissimi preceltori quale attestato di quella pro- fonda stima e riconoscenza che per esso loro ha sem- pre nutrito. Un libro che da capo a fondo ripete , interpreta, parafrasa, adorna il pensiero del rifor- matore tedesco: cioè che la medicina è stata finora una favola^ si intitola a quelli medesimi che l'hanno insegnata all' autore e che continuavano a dettarle nel momento in cui le Dimostrazioni vedean la luce. Senza le vostre dottrine , egli dice , ninno giammai potrà certamente esser medico: e non pensa che nella seconda parte avrebbe accusati anche essi precettori del classico errore, che tutti gli autori di sistemi me- dici sonosi successivamente trasmesso come una mor- bosa eredità: e non riflette che avrebbe coronato il libro con una parenesi ai giovani medici di seguire la bandiera di Hahnemann, ossia disertare la scuola dei sapientissimi maestri che insegnano una patologiai una terapia, una materia medica, che trovasi fino ad Hahnemann così bambina come Ippocrate la lasciò. (P. 64.) Lungi da noi il sospetto che l'A. volesse usare una derisione verso gli antichi maestri, e siamo anzi di credere, che egli abbia inteso con dolci e cortesi parole indorar loro le pillole che Hahnemann volea far inghiottire a tutti i medici nella sua piena ama- rezza. Non sapremmo però mandarlo assolto dall'aver tradita la verità storica inabissando gli scrittori tutti di patologia, di terapia, di materia medica da Ip- G.A.T.GXLIV. 17 258 pocrate fino all'autore dell' Omeopatia. Le testimo- nianze in contrario sono troppo sfavillanti per non credere che quella proposizione uscì involontaria- mente di penna all' A. in un momento di bolloi* si- stematico. Svolgete,© cortesi lettori, le opere genuine ed anche le spurie d'Ippocrate, e diteci se all'infuori di alcune considerazioni sugli epidemici, e sui rap- porti delle malattie al sesso, all'età, alle stagioni, ai climi ; e tranne pure la dottrina della materia mor- bosa, della cozione, della crisi, e dei giorni critici, vi si trovi altro di patologia generale. Aprite ora di contro un corso anche elementare di questa scienza, quale insegnasi nelle università di tutti i paesi in- civiliti , e giudicate se essa sia rimasta così bam- bina da doverne reggere i passi con mani caritative, 0 se piuttosto sianle già spuntati i denti della sa- pienza. Vi troverete le differenze essenziali delle ma- lattie, e i sommi generi delle medesime, il discorso dei morbi stromentali , e le leggi che governano i dinamici, i vizi diversi degli umori e la loro origine, la dottrina dei contagi, dei miasmi, dei veleni e pa- recchi altri argomenti non toccati dal vecchio di Coo. Se non che l'A confessa che le prime due di queste scienze non mancavano di generali principii ma questi non erano slati né dimostrati ne applicati al clinico esercizio. Pazienza. Ne si concedesse almeno che la materia medica dai greci in poi si è arricchita di molti medicamenti. Noi potremmo annoverare ben cento droghe ignote ad Ippocrate, alle quali non pre- concette teorìe ma genuine e ripetute osservazioni banno attribuite e confermate virtù medicinali. Usasi con profitto ogni giorno lo stramonio nell'eretismo 259 cerebrale, l'arnica e la noce vomica nelle paralisi, la valeriana e il sedum acre nelle convulsioni isteriche e nelle epilettiche, la pulsatilla e la bella donna nelle affezioni dolorose degli occhi, la digitale e il tasso baccato nelle palpitazioni, il lichene ed il fellandrio nel catarro polmonale, il colombio e il magistero di bismuto nella atonia o nella soverchia irritabilità dello stomaco, il rabarbaro e il calomelano nelle viziose secrezioni della bile , i marziali nell'ingrandimento della milza, l'aloe e la gomma gotta a stimolare la mucosa intestinale , l'uva orsina nel catarro della vescica, la canfora per sedare l'orgasmo dell'appa- rato genito-urinario, il coppaive ed il cubebe contro i flussi uretrali, la sabina e le secala a determinare le contrazioni dell'utero, i tamarindi a temperare le irritazioni delle mucose, e poi il colchico nella gotta, la coclearia nello scorbuto, la dulcamara nella scabbia, la bardana nel reumatismo, i preparati di ferro nella clorosi, il santonico e la corallina contro i lombrici, la corteccia della radice di granato e lo stagno contro la tenia. Or di questi (e ci siaai limitati ai più noti) rimedi non ebbe cognizione Ippocrate, come non potea averla di tutti gli altri derivatici dal nuovo mondo: cioè il guaiaco, la salsapariglia, la scialappa, la ca- scavilla, l'ipecacuana, la contraierva, la poligala, e la prodigiosa china: farmachi che adoperiamo continua- mente, e i cui benefìci effetti nelle speciali circostanze non sono più dubbiosi. Or venga l'A. che avendo in- segnato materia medica ha dovuto promulgar dalla cattedra questi fatti, e lacto pectore dichiari solen- nemente di essersi ingannato, e addenti la riputa- zione di tutti i medici che pubblicarono le guarigioni 260 ottenute con questi farmachi, nel modo della comun medicina, e derida la credulità di tutti gii altri, che accolsero quelle tradizioni, e concluda che da Ippo- crate fino ad Hahnemann non fu più sanata una ma- lattia con mezzi ignoti a quel sommo. Una favilla di critica basta a mostrare la temerità di tal sen- tenza e a chiarirne che se tali farmachi resisterono alle vicende dei sistemi, alle rivalità dei medici, alle vertigini della moda, dovevano avere operato guari- gioni numerose ed irrepugnabili. La verità storica è stata dunque bruttamente tradita dicendo che Hah- nemann trovava la materia medica così bambina come Jppocrale In lasciò. La prima parte dell'opera è in- lesa tutta a dimostrare, come ogni malattia che al medico si presenta deve essere da esso riguardata non solo come di specifica natura , ma ancora come in- dividuale e distinta perciò da ogni altra infermità. E qui o noi andiamo errati, o il discepolo non ha rap- presentato con rigorosa esattezza l'idea del maestro. Il vocabolo specifico viene da specie, e ognun sa che la specie comprende sotto di se molti individui. Dire adunque che ogni infermità è specifica ed individuale equivale a dire che sia al tempo istesso una e mul- tipla. Allorché noi diciamo cause specifiche, rimedio specifico, non intendiamo causa o rimedio atti a pro- durre o guarire la malattia di un individuo, ma una specie di malattia. Il miasma palustre è causa spe- cifica di quelle infermità che comprendiamo sotto la specie di febbri periodiche; lo zolfo non è rimedio alla scabbia di Tizio o all'erpete di Caio, ma è me- dicamento atto a combattere le specie morbose er- pete e scabbia. Che poi ogni umana infermità sia %1 individuale e chi il niega? La pleuritide di Sempronio ella è deirindividiio Sempronio, e non di alcun altro individuo : la questione versa nel sapere se le pleu- ritidi dei diversi individui abbiano tanta somiglianza fra loro nei caratteri essenziali da costituire una specie: in modo che pronunziando il vocabolo pleuritide, non intendesi più la malattia di un individuo, ma una spe- cie di malattie simili. Il genuino concetto di Hahnemann si è che. ogni malattia risulti di un gruppo singoiar di fenomeni, non mai comparso nel regno delle esistenze, e che non comparirà più mai. E l'A. delle Dimostrazioni imprende a confortar questa tesi coi triti argomenti della pluralità delle cause morbifere e delle loro sva- riate combinazioni, come pure col noto fatto inse- gnato nelle scuole, che gli agenti esteriori o igienici o patogenici o terapeutici, oltre l'azion dinamica sul- l'universale, spiegano quasi tutti una predilezione per qualche tessuto, per qualche organo, per qualche ap- parato organico. Peraltro e la pluralità delle cause, e la facoltà elettiva degli agenti esterni non bastano a dimostrare la singolarità di ogni morbo. Moltiplici cagioni posson turbare gli umani affetti, e pure il catalogo delle passioni non si accresce ogni giorno, e non varia ; perocché i modi di perturbarsi dell'ani- mo sono determinati dalla natura morale dell'uomo, e non dal numero delle cause perturbatrici. Potran- no esservi complicanze, cioè più passioni riunite e talora insieme discordanti, ma si tratterà sempre di amore, di ambizione, di avarizia, di vendetta, e così di seguito. Per numerose cagioni si altera pure la sanità della mente: nò per questo gli alienisti haa 262 mai pensato a moltiplicare le vesanie in ragion delle origini : ma sono stati concordi nello stabilire un limitato numero di aberrazioni: e questi limiti gli sono imposti dalla natura intellettuale dell'uomo, la quale determina essa stessa i modi diversi del trasviare, e non ammette che si accrescano all'infinito. E così pure nell'ordine fisico quantunque siano le cause di turbamento, limitato è però il numero delle condizioni morbose , perchè limitati sono i modi di alterarsi del principio vitale, del chimismo organico e della grossa fabbrica del corpo. E come non vedere che abbracciato il principio delle singolarità morbose, non vi è più alcuna pos- sibilità di tradizione , non vi è più regola, non vi è più filo che ne guidi nella cognizione e nella cura delle malattie ? II medico allevato in questo sistema dee aspettarsi in ogni sua visita un male mai più comparso quale mostrasi in quel caso, in quella per-- sona , in mezzo a quelle circostanze , né tale da ri- comparire mai lo stesso (Hahn. §. 87). Ora in questa novità e oscurità o dirige il suo giudizio su casi con- simili, ed eccolo, suo mal grado, recato a formare le specie ; o è un esempio dissimile affatto da tutti gli altri, e sarà egli cèrto che frugando nella ma- teria medica pura troverà una copia conforme per applicarvi il rimedio ? E bene accadrà spesso che non la trovi, se come il fondatore lo assicura ogni me- dicamento pronuncia singolari effetti sid corporea alcuni sintomi sogliono i rimedi pili spesso provocare, ossia in più corpi, altri più di rado, ossia in piii pochi uomini; alcuni altri in pochissimi (id. §. 121). Indefinito sarà adunque il numero dei morbi artificiali , ossia dei 263 gruppi sintomatici suscitati dai medicamenti: e quan- do nel pelago di queste immagini avrete pescato quella che meglio si accomoda al caso attuale, rimanete anche incerti se il rimedio produrrà in quel corpo la stessa sindrome di fenomeni. Un altra incongruità, in cui ci sembra cadere l'A. nella seconda parte del libro, si è quella di voler di- mostrare il principio dei simili col precetto insegnato anche dagli antichi medici di applicare i rimedi gra- dualmente. E chi non vede quanto sia inopportuno l'argomento, e quanto i due principi! distin fra loro? Così nell'ordine fisico come nel morale ogni feno- meno ha i suoi periodi, e dee necessariamente per- correre alcuni stadi: volerlo troncare ricisamente, è contrario a natura. Se ad un uomo acceso di sde- gno occorri con beffe e con sghignazzate , tu non forai che rinfocolarvelo; se ad una madre che si strug- ge di dolore per la perdita di un figlio ti presenti danzando o col tripudio sul viso, ne addoppierai il cordoglio; al modo stesso che non potresti tuffare nell'acqua gelida uom cui si die una febbre gagliarda, ne trattar colla calda un assiderato. Nel primo caso dovrai permettere alla bile di svaporare un momento, e poi molcere l'animo con dolci modi e cortesi pa- role, e alla donna lasciare il benefico sfogo del pianto, entrare a parte del suo dolore, e poi lenirlo col bal- samo delle consolazioni morali, E così l'effervescenza del sangue, e l'intirizzimento delie membra correg^ gerai con acconcia applicazione di mezzi, che non subitamente ma a poco a poco riconducano il ca- lore animale alla sua giusta temperie. Or nulla vi è in tutto questo che favoreggi il concetto dei simili. 264 Non trattasi infatti di indirizzare all' irato acerbe pa^ role che lo facciano scoppiar di dispetto, né di ag^ giungere dolore a dolore nella contristata: nemmeno di elevare la temperatura del febbricitante, o di pre- parare una miscela frigorifica in cui immergere l'as- siderato, come pur converrebbe fare seguitando la dottrina di Habnemann: la cura è sibben di contrari, ma applicata con tal misura, che né il morale né il fisico abbiano a soffrirne. Così amministriamo be- vande rinfrescanti al febbricitante, ma di giusto ca- lore, e da prendersi un poco alla volta: e immer- giamo l'asfìttico per freddo in acqua ad un grado di temperatura un pò superiore allo zero in cui tro- vasi l'assiderato: ricorriamo dopo alla tepida, e quindi alla calda. In somma convien riarmonizzare la cetera distemperata stendendo le corde troppo tese, e ca- ricandole troppo lente, non all'impazzata, ma con discrezione e misura. Molto poi sarebbe a dirsi sulla viziosa interpre- tazione che l'A. ha data ai passi di Ippocrate e sul gravissimo errore da cui è stato offeso nell'averlo offerto come il precursore di Habnemann. Chiunque si conosca un poco della dottrina ippocratica sa bene come in essa a principio terapeutico non si assuma né il contrario, né il simile, né il diverso, ma si inculchi sempre al medico di studiare le tendenze della natura e favorirle prudentemente: perciò or di^ latare or coarctare ; or succi expellendi , or exsic- candi o inserendi; altre volte corpus, cutem, carnes extenuareyincrasso.re aporlel,o\veì'0 lenire, exasperare, indurare, emollire; dove il convenga, excitare o tor- porem inducere ; in altri casi derivatione uli oportet 265 ubi revulsioni confestim aliquid concesseris ecc.(Epid. 1. IV. S. 2. tiad. Foes.). E questo pure insegna Ip- pociate nel passo citato dall'A., ove rispondendo agli innovatori de'tempi suoi, che volevano ridurre la me- dicina a più semplici principii, concorre nella opi- nione che siqiiidem est calidum, aiit frigidiim , atU siccum, aut hiimidum qtiod hominem laedit, et eum, qui recte mederi volct, oportet calido per frigidum , frigido per calidiim, sicco per humidum, et hiimido per siccum opilidari (De prisc. med.): ma riflette poi che di questi soli elementi non si compone la me- dicina: poiché se, a c.igion di esempio, un individuo sia gravato da cibo inaffme, e di difficile concozione, né il male potrebbe riferirsi a predominio di quelli, né potrebbe correggersi coi contrari, ma farebbe d'uopo mutare alimento. Che se però abbisognassero pro- ve della adesione di Ippocrate alla terapia degli op- posti, se ne potrebbero addurre fino alla sazietà, e il solo sesto libro degli Epidemici ce ne fornirebbe parecchi. Così non solo ivi si biasima Erodico per- ché laborem labore curabal, ma vi si dice espressa- samente che contraria paulatim inducere oportet et interquiescere; e poco dopo: Medicatio est obluctantem esse ncque consentientem affectui. Sic frigidum et au- xilio est, et qiiae a calido simt tollit: e nel fine della stessa sezione aggiunge: Impensae calido corpori cibo interna refrigeratio, comparatur sole, igne vestitu ae- stivo tempore, exlerna noxa. Contrario vero sic con- traria conveniunt. Così pure chiunque abbia compresa la mente del padre della medicina si accorgerà di quanto l'A. l'ab" bia falsata attribuendogli l'opinione che le forze vi- 266 tali non sìeno sufficienti a curare le malattie. La fer- ma credenza nell'autocrazia della natura durante il processo patologico è il principio dominatore della medicina d'ippocrate: in ogni pagina delle sue opere se ne consacra il culto, e al medico non si affida altro carico che di interpretarla e obbedirla. Mo/'èis nattirae medentur. Natura ipsa sili per se non ex Con- silio moiiones ad actionis obeundas invenit A nullo qiiidem edocla natura cilraque disciplinam ea quae conveniunt efficit (Epid. d. VI. S. 5.). Né punto di- sdice questa sentenza il passo allegato dall'autore in sostegno della sua asserzione. Ed infatti nel li- bro De arte (non in quello De diaeta) procacciando Ippocrate di sostenere il valore e l'importanza della medicina contro i suoi detrattori ammette che possa conseguirsi talora la guarigione anche senza i con- sigli e l'opera del medico, ma sempre facendo o pre- termettendo alcune cose come detta l'istinto. Am- mette insomma che l'uso opportuno dei mezzi igie- nici suggerito dalla natura possa trionfare del male, senza amministrazione di farmachi, e perciò col solo aiuto delle forze vitali. Ecco il testo. Obiiciet nobis adversarius, multos iam aegros etiam citra medici opem sanilati restitutos: quod equidem non di/Jileor. Ac fieri milii pone videtury ut qui medicum non adliibent iis ex arte maedica feliciter succedali ncque tamen in- telligant rectumne quid in ea, parumque insit, sed quod per se curatisi eadem quae si medicis adhibitis curati fuissent contigemint. Quod ipsum sane magnum est artis existenlis argumentumy et quod inter prae- claras habenda sit, quando qui ne eam quideni esse exislimant eiusope servati conspiciuntur. Quienim etiam 267 non adhihitis medicisex morbis convaluerunt, ut intellì- gant omnino necesse est, se quod aliqilid vel fecerint, vel non fecerint , idcirco sanitalem esse consecnios. Aul enim inediam, aiit copiosiorem cibiim et potnm, atit sitim, aut balnea, aut eoriim abslinenliam.., aut ìabores, aiit quieterà, aut somnum, aul vigiliam , . aut eorum omnium promiscuum usum adhibentes, sanita- tem consecuti sunt (De art.). E cliiaio come queste guarigioni ottengansi per la sola virtù medicatrice della natura, suggeritrice ella stessa di quegli atti che l'arte provocherebbe, ove ne fosse invocato l'aiu- to. La qual dottrina ippicratica (1) quanto poco ar- rida ai seguaci del riformatore alemanno, e quanto sia repugnante coi loro piincipii, ognuno sei vede. Il libro del D. Bering insegna il modo di cu- rarsi da se stesso, sia con mezzi domestici innocui , sia con rimedi omeopatici che non pregiudicano mai (e se fossero amministrati fuori di luogo? I rimedi in senso di Hahnemann non sono eglino potenze mor- bificanti ? e se il morbo artificiale che producono non coprisse il naturale, sarebbero poi innocui ? ) e sono sempre utili quando vengono convenientemente amministrati (notate il sempre). E poco dopo av- verte: Chi è stato testimonio una sola volta degli ef- fetti di questi rimedi eviterà le sanguigne, le coppe, i vescicanti, gli empiastri di ogni specie, cose tutte che fanno POCO BENE: (e qui o il traduttore è stato infedele o l'A. si mostra troppo più indulgente che non convenga ad un seguace di Hahnemann. Ed in- (i) Del potersi sciogliere le malattie anche senza il presidio del medico. 268 fatti il poco e limitazione di quantità non assoluta negazion della cosa; le sanguigne adunque fan poco bene, ma pur ne fanno: sia benedetto iddio!). Segue il modo di servirsi dei rimedi. Nulla di pili facile: interrogate gli organi, notate i sintomi, cercate questi nell'indice, il quale vi rimanderà alla pagina ove sono registrati i medicamenti opportuni. Né dovete darvi molta briga se mai non cogliete nel segno: poiché dando un l'imedio che non corri- sponde alla malattia, gli è certo che non ne seguirà alcun miglioramento, ma è certo egualmente che nulla di fastidioso ne verrà alV infermo. Il metodo omeo- patico è cosi fatto, che giova se bene applicato, e non nuoce essenzialmente se applicato male (Introd. p. 4-). Oh medicum suavem, esclamerebbe qui Marco Tullio, meque docilem ad hanc disciplinami Con pochi glo- buli di aconito voi sostenete di combattere una pleu- ritide : domandate alla scuola come ciò avvenga, e vi risponderà che dipende da legge terapeutica della natura, per cui nelVuomo vivente ima piìi debole affe- zione dinamica rimane durevolmente annichilata mercè altra che d'assai Vassomigli, ma più forte e sol nella sua essenza dissaccor dante ( Hahn. org. §. 20). E poco dopo: Le medicine rendono sofferente Vuomo con mag- giore intensità e certezza che le naturali cagioni ec- citatrici del morbo (id org. §. 24-27). Dunque i vo- stri globuli hanno dovuto suscitare un turbamento più forte nel dinamismo, che non quello istesso della pleuritide naturale: e se vi fu errore nell'ammihi- strazione, cioè se furono dati senza che esistesse una vera pleuritide, che ne avverrà? nulla affatto. Dob- 269 biamo confessare che questa medicina è assai co- moda. Procede l'autore ad esporre il modo di adope- rare i medicamenti per fiuto, in globetti, in soluzione^ in frizioni e in bagnoli, e quindi accenna il regime da usarsi durante la cura omeopatica: regime assai men severo di quello che credasi comunemente, con- cedendovisi perfino il fumare tabacco purché si usi il bocchino. Intanto si avverte che i rimedi debbono prendersi in un luogo luminoso, fresco ed asciulto, li- bero da ogni odore. In un'alcova o in una piccola ca- mera; dove V aria non è pura, non è rinnovata, i rimedi pendono la loro efficacia ( pagina 12) : a tal patto nove decimi del genere umano dovrebbero rinunziare ai benefìzi dell'omeopatia. Eppure il D. Hering sembra occuparsi specialmente del popolo, e fra i cibi vietati registra il burro rancido, il lardo, il maiale grasso , gli agli , le cipolle , Volio rancido ecc: cibi e condimenti da cui suol essere schifa la classe civile. L'introduzione ha termine con la scelta del me- dico. Come tutte le cose, egli scrive, così gli omeo- patici si dividono in differenti specie. Essi si divi- dono in omeopatici puri ed interi^ ed in semi-omeo- patici. Fra i puri avvene di buoni e di cattivi (vi son dunque medici puri cattivi!) fra i buoni se ne con- tano ancora tre specie Nuovo in- ciampo per abbracciare l'omeopatia, poiché fra tante schiere diverse come dirigere la scelta? A buon conto anche fra i puri e buoni ve ne hanno alcuni che al dir dell'autore imitano il primo stile di Hahn., cioè I fino al 1820: dopo il qual tempo sembra ai loro occhi 270 che abbia avuto nn eccesso di innocente pazzia: altri poi prendono per norma ciò che ei faceva negli u/- timi dieci anni di vita. In mezzo a tanta varietà come sceverano il buono dal mediocre e il mediocre dall'i- netto? L'autore ha sentita tutta la difficoltà di questa scelta paragonandola a quella di una moglie : ed ac- corgendosi poi di avere avviluppato il nodo piiì che strigarlo, lo taglia ricisamente esclamando : Scelga adunque ognuno il suo medico come Vintenda: ciocché per verità sparge moltissima luce in qualunque caso di dubbio- Del resto non è da biasimare 1' autore se ha corso così leggermente il tema della scelta del me- dico quando offriva ai lettori un libro coH'aiuto del quale raramente se ne ha bisogno, come rare sono le grandi malattie in cui il prefato A. consiglia di ricorrervi. Dal che si apprende quanto debba esser co- moda un' opera di tal fatta: tanto pili che vi si in- segna non solo a curare le infermità già sviluppate, ma anche le possibili a nascere: così in caso di spa* vento ordinario prodotto da un rumore improvviso date subito op. .Se allo spavento va unito un sen- timento di paura op. (1) Nelle pene d^a- more date prima ign. e qualche giorno dopo acid. fosf. La collera, che, scoppia in individuiy di temperamento violento richiede nux. vom Sorge un dubbio. La, collera l'amore, la contrarietà, la paura, lo spavento sono tutte cause atte a tur- bare la macchina, ma non malattie già esistenti: or se la medesima causa può indurre effetti differen- (1) Se lo spavento è seguito da contrarietà, conviene acon. 271 lissimi sopra i diversi individui, come potrassi ap- plicare il rimedio innanzi che siasi offerta l'imma- gine morbosa? Vediam sovente come la stessa emo- zione faccia a tale montare i rossori sul viso, e a tale altro tinga il volto di pallore mortale, un terzo non ne sarà punto commosso, e ad altro si paleseranno mo- vimenti convulsi ed anche smarrimenti di idee. Voi, che dovreste coprire i sintomi, come farete ad anti- vederli ? L'altro dubbio che si affaccia riguarda la plu- ralità dei rimedi nello stesso male senza un consi- glio di sorte riguardo alla scelta. Siele disposto ai raffreddori? eccovi i rimedi coff., beli., mix vom., chin.y dulc. e sopraltuUo silic, carb. veg- cale. carb. a lun- ghi intervalli. Nei raffreddori durante la primavera si dà veret. alb., rhust. toxic. e carb. veg.; in estate beli., bry.f carb. veg.; in autunno verat. alb., mere, viv. 0 rust, oxic; durante l'inverno se è secco, acon., 0 hel., bri. nux. vom., camom. o sidf., qualche volta epec, se è umido dulc, verat. alb., carb. reg. . . . Ma di grazia, signor dottore, questi rimedi hanno o no la stessa virtù di combattere il raffreddore ? Se è la medesima, ha sbagliato Hahnemann; se è diversa, e a che mi servirà la vostra guida se non mi ad- dita chiaramente la via da seguire? E questo mezzo di recare in mezzo molti rimedi per lo stesso male, p almeno per un male indicato con lo stesso nome senza alcun criterio per la scelta, domina tutta la Medicina domestica. L'autore scarica alla rinfusa la sua soma e par che dica: Prendete quel che più vi aggrada. E men male per i lievi incomodi: ma in una grave infermità vi è di che tribolarsene. Siete in campagna, e vi accade di sputar sangue : ricor- 272 rete presto al manuale, trovate la pagina in cui è registrata questa malattia, e vi leggete beli, mere. viv., carb. reg. puh., brij., chin., ami., dille, slaph., silic. e lach. Pensate, o lettori, in qual ansia si ri- troverà il pover'uomo fra l'afflizione del sapersi emot- toico e l'angustia del non saper dare la prelazione ad uno degli undici medicamenti nominati nel libro. La perplessità dell'infermo non farà che accrescersi leggendovi poco dopo: Si starà in guardia e si saprà resistere alla mania delle sanguigne. Questo metodo è generalmente cattivo, perchè accresce sempre e senza eccezione il pericolo che si vuol prevenire. Si può in- tanto nel caso estremo praticare una sanguigna, quando non si ha pronto un medico (p. 219). Che ne pare? 11 salasso nel emottisi è una manìa, accesce senza eccezione il pericolo, ma è permesso di praticarlo nel caso estremo : cioè vi è e non vi è eccezione; e a quali segni riconosceremo il caso estremo? Se con tale espressione s' intende l'esaurimento dell'in- fermo per emorragie ripetute , sarebbe il caso di risparmiare il salasso. Vedete che un Vade mecum di questa fatta vi lascia dormir tranquilli , soddi- sfacendo pienamente alla promessa fatta nel pream- bolo di consigliare i rimedi in modo così preciso, con tanto rigore e semplicità di analisi, che non può mai alcun dubbio portare su ciò imbarazzo (pref. VIH). Ad ogni modo noi abbiam qui un buon punto alle mani, ed è la concessione della sanguigna : e se questa può essere lecita, talora nella pneumor- ragìa, perchè non lo sarà nella pneumonite in cui vi è pure trasudamento sanguigno , e di più pro- fonda infiammazione del parenchima polmonale ? 273 Ma non è la sola sottrazione di sangue che si con- ceda dall'autore : altri rimedi ripugnanti affatto agli insegnamenti diHahnemann si ammettono nello sputo di sangue, e sono le legature delle membra, le cop- pette secche alla base del petto, il sai di cucina in polvere , e perfino la flagellazione al dorso ed alle natiche nelTavvelenamento peroppio,rinunziando così al requisito del iucunde tanto vagheggiato dai se- guaci del riformatore alemanno. Nenimen si mostra omeopatico puro l'A. ovdinando la polpetta di mollica di pane e tabacco da naso da imporsi nella lingua del malato per provocare il vomito negli avvelenati, e l'insufflamento di fumo di tabacco nel retto per iscuotere i medesimi. Percorrendo la Medicina domestica si viene nella persuasione che il D. Bering attribuisca e alle pa- role e alle cose un valore affatto diverso da quello accordato loro universalmente. Cosi la voce asfissia nel linguaggio comune equivale a morte apparente, e parrebbe che lo stesso A. la prendesse in tal senso avendo scritto che si richiamano prontamente in vita gli asfittici di questo genere (per arie mefitiche) espo- nendoli sidV istante alVaria libera, aspergendoli di ac- qua fresca e facendo inghiottire ad essi caffè puro [\). E come dunque avviene che poco dopo soggiunga. Se Vasfiltico trovasi in uno stato di eccitamento , di loquacità con molta vivezza, se lagnasi di dolori vaghi ed ha vertigini giacendo ecc. (pag. 100)? Un morto in apparenza, che parlasse con vivezza^ non sarebbe egli un curioso fenomeno ? E stato sempre creduto (!) (pag. 98). G.A.T.CXLIV. 18 274 che l'attitudine a vivere non si conservi che per breve spazio di tempo negli asfitticiper annegamento; ma l'A. assicura che la vita non si spegne general- mente che al terzo giorno (pag. 405) ! Ni uno ha mai temuto la vicinanza dei funghi, ancorché vele- nosi, parificandone l'influenza a quella dei gas de- leteri che svolgonsi dalla combuslion del carbone: eppure l'A, la teme in guisa che in suo pensiero il nascervi intorno il gallinaccio (1) sarebbe ragione 0 di lasciar questa casa o di rifabbricarla ! ! (pag. 100). E chi credeva mai che dalle lucertole e dalle rane schizzasse veleno ? pure anche questo assicura l'A. e consiglia in aiuto una cucchiaiata da caffè di car- bone pesto mescolato con latte ed olio, rimedio che non ha certo sapore omeopatico. Era stato sempre insegnato, che il veleno dei serpenti ingerito nello stomaco è affatto innocuo, e non ispiega i suoi ef- fetti tossici che per via di inoculazione; sembrava che le numerose esperienze di Redi, e le numero- sissime di Fontana, avessero messo fuor di dubbiezza questo fatto che del resto era già noto agli antichi: Noxia serpentum est admixto sanguine pestis ; Morsu virus habent et fatum dente minantur ; Pocula morte carent. (Lucan.) (1) Cantarellus cibarins Fries (agaricus canlharellus) L. Galletto, gallinaccio frequens apud nos, et passim veiialis in urbis foro. « Se- nex vomitum, tormina et colicas gignit » Poli. Fior. Veron. Gli è adunque un fungo sospetto, ma tinche giovane non solo non ispan- de maligni eflluvi, ma è anche esculento- 275 Ma Taatore non presta fede a questa verità, rac- contando che due uomini dopo aver bevuto in una osteria caddero morti quasi immediatamente. L'oste' per discolparsi credette non poter fare di meglio che bevere dello stesso vino, e morì egualmente. Dopo tutte le ricerche fatte si trovò nel barile una vipera che vi era penetrata innanzi di riempirlo. Hai tu, o lettore, un sacco in cui mettere questi granchi ? Tutte queste erano cose piccole e per avventura da tacere se non ci avesse vinti il desiderio di mo- strare al mondo di che squisita dottrina siano for- niti cotesti riformatori dell'arte medica, ai quali ornai tarda il nostro indugio nel seguirne le insegne, e che ci accusano aspramente di accostarci tuttora devoti agli squallidi altari della vecchia medicina (pref. VII).- Con questa nettezza d' idee, e con tal consonanza di principi! essi vorrebbero indurci a rifiutare le tradizioni dei secoli, rinnegare il buon senso, e man- dar falliti gli insegnamenti dei padri nostri. Ma noi non andrem presi così tosto alle grida, e finche avrem lena esclameremo: Fugite hinc, latet anguis in herba. Diremo che sono funesti i consigli della Medicina do- mestica, di evitare il salasso dopo le gravi cadute e le percosse al petto, nella pleurìtide, nella angina, nella asfissia per affogamento e per appiccamento; funesto l'ammaestramento di riputare inutile l'eme- tico nel veneficio per oppio , e tale pur quello di amministrare acqua fredda invece di tiepida per pro- vocare il vomito nell'avvelenamento per funghi e per narcotici .... Ma di questa erba è troppo pieno il volume, perchè noi possiamo metterla tutta alla falce. 276 Veniamo ora alle operette del sig. Migneco. Il suo opuscolo che nel titolo di Patalogia pratica non è che un programnna o manualetto, come lo chiama l'A., in- teso a far pregustare un'opera, che sarà divisa in tre parti: cioè 1" Farmacopea, 2° Disordini del dinamismo generale: ^^ Affezioni diverse; e il capitolo delle affe- zioni tratterà non solo le cagioni, i sintomi, e la dia- gnosi, ma anche la natura della malattia; dal che ap- prendiamo che il sig. Migneco non è omeopatico puro, tralignando dagli insegnamenti del maestro. Per le pure esperienze, scriveva questi, chiarisconsi gli obbietti della medicina, né osi trascendere ella di un sol passo i limiti del puro sperimentare dove sfuggir voglia di ad- divenire un nulla (Hahn. org. introd.). Ora investigare la natura delle malattie è a nostro credere un vero trascendere i limili delle pure esperienze. Un' opera di tanta mole (scrive così l'A. nell'av- vertimento) ed importanza disegnata sopra un'idea così estesa domanda il concorso del maggior wm- mero dei professori delle scienze: perciò invita i col- leghi tutti ad aiutarlo nella impresa. Sul bel principio della introduzione non persuaso il Migneco che Cicerone uscisse grande non tanto dalle officine dei retori quanto dagli spazi dell' ac- cademia, si lamenta che la rettorica non abbia fino- ra esteso il suo dominio sui trattali di patologia clinica. Negli allopatici, ei dice, non incontri che lusso di eru- dizione, prolissità e lunqhetie che stancano, minuziose descrizioni patologiche: dolcissime riprensioni, e quasi diremmo paterni avvisi, se si confrontano coi severi rimbrotti che subito appresso scarica ai condiscepoli di Hahnemann. Negli omeopatici, air inverso, manca: 277 1.° U esposizione delle conoscenze fisiologiche e pa- tologiche, e non ritrovi la guida degli esempi clinici. 2." Non incontri che confusione; la quale risulta da ciò che gli scrittori han creduto necessario segui" re troppo da vicino gli esperimenti patogeneticiy ed han supposto troppa importanza a tutte le minute differenze de"" sintomi periferici, senza indicare la corrispondenza col centro morboso. E non é a dire quanto male ri- sponda ai bisogni del pratico V ordine alfabetico pre^ ferito allo scientifico. 3.° Non ritrovi che un numero di farmachi trop" pò ristretti, se hai riguardo ai bisogni dell'egra urna-- nità 4.° Non ritrovi indicala V affinità e la successio- ne dei rimedi , secondo il caso speciale. 5." Non ritrovi V indicazione del valore compara- tivo de'' farmachi, perchè si possa scegliere imo piut- tosto che un altro riìnedio nella cura di ogni caso in- dividuale. 6.° L' uNiTAs REMEDii troppo male intesa e da nessuno praticata- 1.° Non ritrovi indicata V attenuazione necessaria per curare ciascuna forma patologica speciale; circostan- ze interamente trascurate da tutti i trattatisti, poiché han supposto esser sufficiente in tutti i casi Vattenua- zione usata in generale, e non hanno avvertito che la riuscita della cura sta poggiata più., starei per dire, alla scelta delV attenuazione che alla scelta del rimedio. 8.° Non ritrovi indicato il modo preferibile di am- ministrare il farmaco, se a secco o diluto neWacquat di sera o di mattino, se una, due, tre, qua ttro, a più, volle in un giorno. 278 9.° Non ritrovi indicata la durata di azione del farmaco relativa al caso patologico individuale. E dopo aver annoverato le migliori opere di omeo- patia torna ai rimproveri affermando che nelle sud- dette opere, con tutti i loro meriti, il pratico non ri- trova molti farmachi necessari per la cura di un gran numero di morbi: osserva da per tutto non lieve con- fusione, cagionata dalla servile enumerazione de"" sin- tomi periferici, e dallo aver trascurato affatto le in- dicazioni detrazione elettiva del farmaco verso il cen- tro morboso. La qual confusione risulta specialmente in dlcuni a,rticoli, dove per lo minor male, sono iuu- tili specificazioni', le varie condizioni de' sintomi e le loro circostanze accessorie; come a dire, se il tal sin- tomo si avanza o minora nella taV ora, in camera o fuori, al cantare, al mangiare, al caminare ecc. ecc. i sintomi incomitanti di ogni gruppo di fenomeni; la specie di alcuni sintomi, come dolori incisivi, taglienti, saltellanti, pulsanti ecc. ecc. Le quali cose producono un bel caos, in cui il critico è costretto a perdersi. Che ne dici, lettore cortese? Tu esci del secolo in veder tanto strazio della medicina dei simili per opera di un omeopatico , e se appartieni a questa schiera dovranno montarti i rossori sul viso in leg- gendo note cosi dolenti. È ben altro cotesto che ar- ricchir la materia di qualche erudizioncella, o allar- garla un poco troppo, e tritarne le circostanze; sa- ranno questi difetti, se cosi volete, ma non tali da macchiare il sostrato clinico. Negli omeopatici invece sono mancamenti essenziali; non cognizioni, non or- dine , non quantità di farmachi che basti all'uopo, non opportunità, non unità del rimedio, non cono- 279 scenza dell' attenuazione opportuna, del modo di am- ministrare il rimedio e della durata di sua azione : insomma confusione, servilità, e un bel caos. Rassi- curati però che l'A. dopo tante lamentazioni racco- glierà il molto che di utile e veramente positivo tro- vasi nelle opere succennate per farne tesoro nella sua clinica. Le pochissime pagine dell'opuscolo, che non so- no indici di medicamenti, intendono a ricuocere l'idea dell' immortale maestro, che 1' umana gente è tutta pili 0 meno rognosa. Tutte le malattie croniche, così l'A., sono cagionate costantemente da un miasma che invade e disordina il dinamismo generale. E poco dopo: Un tal miasma cagione prima delle affezioni croniche è la rogna, da cui il paziente è stato affetto per lo innanzi, sia durante la sua vita, sia che V abbia ere- ditato da' genitori, Taccia adunque il Morgagni e con lui gli scrittori tutti di anatomia patologica, i quali colle osservazioni alle mani han creduto mostrare che molte croniche infermità ebbero la radice in mor- bi acuti 0 trascurati , o ribelli alla cura. Tacciano i medici che altri cronici malori attribuiscono al ge- nio reumatico , a viziosa proporzione dei materiali del sangue, ad esagerata mobilità del sistema nervoso, e ad altre cause siffatte. Tutto èrogna in mente dell'A. il quale però, come fosse pentito della troppo gene- rale proposizione, se ne corregge in altra pagina scri- vendo che tutte le forme morbose, eccettuate soltan- to quelle prodotte da miasmi speciali , o da veleni , sono dovuti alla psora , latente o sviluppata , o varia- mente modificata. E poi siegue a dire: Questo miasma cronico (che le malattie si dividessero in acute e ero- 280 niche, sapevamcelo: ma che anche i miasmi potes- sero così dividersi e che la rogna fosse un miasma, confessiamo di averlo finora ignorato ) , allorché è originato dalla scabbia, si distingue specialmente col nome di psora- Ossia quando la psora è originata dalla scabbia si chiama psora. Non pare che TA. ab- bia qui fatto uso di quella precisione e chiarezza che nelle prime linee della introduzione invoca ad ele- menti necessari per conseguire il bello ideale di ogni trattato di clinica. Seguono le regole generali nel trattamento delle malattie croniche , ove comincia dallo stabilire che quahnqiie sia la forma o la varietà dei sintomi, la malattia è sempre una : proposizione affatto contra- ria ai principi! di Hahnemann, secondo i quali innanzi al medico la malattia vale semplicemente insieme di sintomi (org. § 7); variando adunque la forma varia anche la malattia. In esse pure si insegna che per Vuso de' cauteri il medico non merita alcuna scusa ; esso non fa che spossare le forze. Eppure non vi è medico che ab- bia incanutito nell'esercizio dell'arte, e che non sia stato ringraziato le cento volte per salute ricupe- rata, o alleggerita infermità, in seguito dell' emunto- rio. Il capitolo viene poi conchiuso nel seguente modo: Risulta da questi principii che tutte le malattie, sieno endemiche o sporadiche, come il morbillo, il vainolo, la scarlattina (e di qual regione sono endemiche tali ma- lattie ?); sieno epidemiche o prodotte dalla varia con- dizione dei climi, come le febbri intermittenti, il co- lera, la febbre petecchiale (e quale è il clima che si offre allo svolgimento del colera ?); sieno contagiose, 281 come il tifo, la febbre gialla, la febbre nera, la pe- ste bubonica (e perchè separare dalle contagiose il morbillo, il vaiuolo, la scarlattina come se non fos- sero tali ?) ; sieiio miasmatiche, come la psora, la si- fitide, la sicosi ( la sifìtide un miasma : si è mai udito uno strafalcione simile ?); ossiano prodotte da causa occasionale, come lo spavento, i disagi del viaggio, Vin- flnenza delle esalazioni marine, la lontananza dalla pa» tria ( l'ordine del discorso porterebbe che lo spavento, i disagi ecc. siano altrettante infermità e non cause di esse: ma forse l'A. nello scrivere questo periodo non è stato assistito dalla sua prediletta rettorica ); tutte possono prevenitesi [che scQ-pevln ! anche un fan- ciullo ti saprebbe dire, che si possono prevenire i di- sagi del viaggio rimanendo in casa , il moto della vettura andando a piedi, l'influenza delle esalazioni marine abitando la terra, la lontananza dalla patria non abbandonandola mai) nello stesso modo che pos- sono curarsi allorché sono sviluppate. ( Ma come si curano? Non avendo parlato finora che della scab- bia, e avendo sostenuto che tutte le malattie sca- turiscono da questa, converrebbe credere che la cura antipsorica fosse il rimedio universale. Ma la incre- dibile fecondità di medicamenti spiegata nel rima- nente dell'opuscolo convince del contrario- Saltata quindi a pie pari la Farmacopea, promessa nel metodo, intraprende a svolgere la prima sezione, cioè i disordini del dinamismo generale, fra ì quali figurano in prima schiera i temperamenti nel modo che segue. 282 Temperamenti o idiosincrasie. 1 . Temperamento bilioso. Il miglior rimedio che conviene agV individui di temperamento qualunque, è lo Zincum sulphuricum 100." '^ ogni dose gocce ij. Si possono pure consultare Benzoin 1 00." '^ Bryonia 100/ "" Garbo veg. lOO."* '""' Cyperus 36." '^ Ferr. Sulph. 100." ""' Gurgitelli 6" "" Jacaranda caroba 100" "* Kali chloricum IS."*** Lepidium latifolium 36" "* ecc. ecc. Fra questi sono da preferirsi quelli indicati con le più. alte attenuazioni. Tutti gli altri rimedi hanno azione particolare sopra i temperamenti. Si possono indiffe- rentemente adoperare. Chi ne intende sillabii ? Tempe- ramenti e idiosincrasie si dan per sinonimi, e sono disordini del dinamismo ; si comincia col bilioso, e quando vi aspettate i rimedi per questo tempera- mento, ve ne scarica una filza per gli individui di temperamento qualunque, ossia per tutta la specie umana: dal che può dedursi che volendo stare in sa- lute dobbiamo far uso mattina e sera di quei rimedi: vero è che basta di consultarli ! Non sareste tentati a credere che il signor Migneco abbia voluto pren- dersi la berta de' suoi lettori, o che abbia scritto so- gnando ? Ma basta ornai della patologia pratica. 283 Intanto che si raccolgono materiali per edificare Vopera di tanta mole, il signor Migneco non volendo privar d'ogni pascolo i suoi ammiratori interpone un altro lavoro col titolo di Discorsi sulla medicina pra- tica. Di questi non abbiamo finora che otto fogli di stampa, nei quali invece di argomenti medico-pratici troviamo piuttosto una lunga diceria sulle obbiezioni promosse al sistema omeopatico. Alla medicina pra- tica si riferisce però il preambolo che è il seguente: Esercitai la clinica medica. E siccome V unico og- getto del medico è di curare le malattie con mezzi terapeutici (gli altri medici usano anche gli igienici e chirurgici, ma all'A. bastano i primi), rivolsi ogni mio studio a ricercare per li vari morbi rimedi atti a superarli. Usai di farmaci ; ottenni felici risultamenti in cq^i disperati ( non si potea far mostra di mag- gior modestia), ma non seppi mai ritrovare alcuna ra- gione soddisfacente di essi (e che importa ? non ha egli l'Hahnemann condannata qualunque indagine sul- la ragione de'morbi?). Notai alcune osservazioni . . . . ed eccole. Nell'aprile IS^i una giovanetla di anni do- diciy dopo scorsi alquanti giorni da che era stata af- fetta dalla cerebritide, nel corso di essa presentò i se- guenti sintomi : delirio giocondo ; ella cantava, chiac- chierava mollo, metteva in caricatura le persone con uti apparente apatia. Il polso era lentissimo, batteva a tempo diseguale, or largo or stretto, or si fermava per due o tre secondi senza pulsazione. 2. Nel maggio un contadino di anni sedici languiva da \% mesi affetto da tetano cronico, dieiro la cere- britide sofferta. Dopo aver messo a prova, e inutilmente^ 284 V acido idrocianico, la bella-donna^ilgiiisquiamoja mor- (ina, la canfora, il muschio ecc. riusci così efficace una dose di tartaro emelico, che quantunque indotta ad 1 /24 di grano { È questa una dose omeopatica ? ) produsse vomiti ed evacuazioni violente, orine cariche di fecce mucose bianchicce ; e in meno di due mesi la guari- gione. Il medicare omeopatico è presto, disse Hahne- mann ( org. § 156 ), e la riferita storia ne dà una prova. 3. Nel novembre dello stesso anno, una donna di anni cinquanta, affetta di catalessia, dopo trentotto giorni di vari tentativi , fu guarita a vista d' occhio mercè V uso di sciroppo di zafferano , ed indi dalla pomata di stramonio- (Sciroppi e pomate da un omeo- patico ?)• Scorgesi ora il perchè 1' A. biasimasse tanto le lungherie degli allopatici, aV' ndo egli stesso trovato il modo piano e facile di ridurne ai minimi termini una storia di malattia : non cause, non costituzione epi- demica, non temperamento, non prodromi, non in- vasione e corso del morbo, non distinzione di sin- tomi, non specificazione dei presidii terapeutici, quan- to all'ordine di loro amministrazione, non cenno al- cuno sui modi dell'esito e sulla durata della conva- lescenza. Si nomina la malattia senza giustificare la diagnosi , si nomina il rimedio senza dir perchè e quando e quante volte fu usato, non si parla di fe- nomeni morbosi, o se ne accenna soltanto qualcuno dei men concludenti : ecco un modello di osserva- zioni mediche. Noi non seguiremo 1' A. operoso e sudante in- torno il carico di contrascrivere risposte già date ad obbiezioni già note, né moveremo lamento su la ine- 285 Battezza dei fatti allegati, e sulla poca decenza delle espressioni, onde egli dal disputare passa al conten- dere, e dalle contese alle contumelie. Non vogliamo però privare i nostri lettori di così stupenda ipoti- posi, onde il Migneco non mosso certamente da ar- tificio rettorico, ma rapito da certo spìrito Hahnema- niano, imprende a dipingere l'operato delle due scuole al letto dell'ammalato. Data una pleiirilide, egli dice, anche violenta , Vomeopalico scioylie quattro ad otto globuli di aconito dentro un poco di acqua fresca, e V amministra alV infermo , gli permette le bevande a temperatura d" atmosfera, un poco di brodo, coverte leg- giere ; nel termine di 24 o 48 ore tutto e finito. ( Pleuritidi violente finite in 24 ore con quattio glo- buli d'acconito e l'acqua fresca ! ! ! 0 Raglivi, eri ben stolto ad esclamare: Oh quam difficile est curare mor- bos pulmonum ! ma tu vivevi in secolo tenebroso ; oggi è altro fare). Vallopalico al contrario, comincia dal tastare i polsi, dal percuotere il petto, e pronun- zia gravemente, che trattasi di una polmonia ; e te- me fondatamente dell'esito. Mano però ai guastatori ; si distrugga V imboscata del nemico. Salassi, mignatte, coppette ; stanze chiuse ; fuori le persone estranee alla famiglia ; lungi anche il fumo del brodo, e il calore della cucina ; sudoriferi, espettoranti, vescicanti, sena- pismi, embroccazioni revulsive e antiflogistiche, tartaro stibiato, olio di ricini e tutte le potenze lenitive del- Varie, accorrete in sussidio, e in distruzione del morbo e delV infermo. Oimè ; è in pericolo la vita del pa- ziente ! Notaro, confessori, assistenti, acccorete a fa- cilitare lo stento dell* agonia ad un anima cristiana. Ma venga anche il medico, per operare un prodigio 286 delVarle; si scongiuri, perchè metta tutta la sua po- tenza a fermare la vita fuggitiva di un suo sim,ile. Eccolo. Egli pensa, si agita, sembra animato da una luce celeste. Il Dio ecco il Dio, direbbe Virgilio. Gli è venuta una ispirazione. Fategli quattro clisteri ; indi otto senapismi ; be- vanda di soluzione di gomma arabica ; date epicra- ticamente. Epicraticamente ! che ha egli detto ? Oh parola da vero dottore ! Dategliene un sorso ogni mezz' ora : ma badate , ogni mezz'ora ! Ebbene ; dopo quindici, venti, trenta ed anche più giorni, il malato è guarito ; la difficile e penosa con- valescenza è il trofeo del medico , che seppe curare una tanta infermità. E se il paziente fosse perito sotto la violenza del trattamento ? Oh anche allora il medico sarebbe trion- fante ; già s' intende ! egli sin da principio seppe dia- gnosticare la malattia, e ne predisse V esito funesto; per altro fece tutto quello che doveva e poteva ; non rimase al povero malato né una goccia di sangue nelle vene, né una linea di pelle intatta ; non ci era altro da fare : egli era morto pili di im mese in- nanzi di manifestarsi la tremenda malattia {\). Mi rifugge Vanimo da tanto triste spettacolo ! . . . e a noi da simili gaglioffaggini. (1) pag. 82. 287 Istorico riassunto sopra il cholèra indiano. Di Agostino Cappello. k^e meritate lodi furor» per me date ai dotti me- dici di Genova per la decisiva loro opposizione col- legialmente risoluta nell'agosto 1852 sull'operato del congresso sanitario internazionale tenuto a Parigi dal luglio 1851 al gennaio 1852, debbonsi loro mag- giori per la conferma ampiamente estesa relativa al cholera morbus del 1854-5 colle diverse memorie comprovanti sempre più i fondamenti dell' italiana dottrina sopra i contagiosi morbi (1). Né pochi sono stati gli opuscoli, e libri di altre cospicue italiane Città , e di alcune ancora di oltremonti. Molti poi quei dei pontificii dominii, che hanno questa dot- trina lummosamente raffermata. Distinte grazie per me si rendono ai chiarissimi autori, che mi furono cor- tesi dei doni delle utili loro produzioni: ed infinite le professo verso il comitato ligure pel bel regalo della magnifica sua opera. La quale ha meritamente riscossi elogi non mai più perituri dall'uno all'altro canto della nostra penisola, ed appo lo straniero e- ziandio: a enumerarli partilamente richiederebbonsi molte pagine. Vuoisi per me solo ripetere in iscor- cio quanto un dotto mio collega (Giuseppe Ferra- i-io presidente onorario perpetuo dell'accademia fìsio- (1) Giornale Arcadico lomo 126 pag 329-32. 288 medico-statistica di Milano) riferiva in piena ragu- nanza di quest'illustre accademia. Un eccellente libro (egli dicev a) viene a con- fermare ognor pili le osservazioni, gl'insegnamenti della scuola medica lombarda (e di quante esse sono in Italia ) intorno alla riconosciuta conlagiosUà del cholèra epidemico. Desso lavoro interessantissimo è frutto di apposita commissione, la quale fondò le proprie ricerche sopra 1Q5 documenli che riguardano complessivamente 138 località, e merita i più sinceri encomi. La relazione è illustrata da uno Specchio sinottico desunto dai referti medici sul cholèra in- diano che regnò nella Liguria ed in alcune altre Provincie degli stati sardi nell'anno 1854,edhavvi aggiunta anco una Carta topogra/lca per servire di guida agli studi del cholèra nei detti paesi. Invitiamo i medici anticontagionisti, particolar- mente di oltremonti e d'oltremare, ad istruirsi dei nudi fatti e delle savie deduzioni riferite in quest'utile lavoro degno dell'italiana sapienza. Fra le gravissime considerazioni, di cui è piena quella relazione , è notevole « che da essa vuoisi respingere la turpe idea che uomini della scienza abbiano potuto degradarsi per farsi /je»isammen/e stru- mento alla rovina delia scienza stessa e sgabello agli errori di un'insana e snaturata pratica, mettendo in dubbio le verità meglio constatate, eccitando per tal modo contro dei filosofi i sofisti, ì quali anziché an- tesignani piaggiatori del secolo assumono l'incarico di formulare i miovi errori ». La commissione conchiude che il cholèra indico è malattia contagiosa, avendo dimostrato « che non 289 deesi riconoscere la causa efficiente del cholèra in- dico nell'igiene disordinata, la quale, se vuoisi am- mettere ragione favorente, non può esserne ragione assoluta e creatrice. Che non è ammisibile il preteso fatto di una co- stituzione morbosa preepidemica, ossia precorritrice del cholèra indico, la quale starebbe con esso come causa ad effetto. Che il cholèra indico non dipende da alcun modo né da alcun genere d'infezione, tranne che per essa non s'intenda quel genere d'infezione costituito dal- l'atmosfera contagioso ambiente l'infermo, e quel mo- do di contatto che fassi per essa atmosfera fra l'in- fermo ed il sano. Che il cholèra indico nel suo modo di diffusione così da un paese all'altro , come dall'uno all'altro individuo, diversifica da quello delle più comuni ed osservate malattie costituzionali. Che il cholèra indico si importa. Che il cholèra indico si trasmette. Che se penetrata da questa verità di fatto la com- missione ligure conchii^de, essere il cholèra indico prodotto da un contagio specifico, non intende signi- ficare con questa parola un ente morboso che non abbia una forma e modi propri e speciali e leggi proprie e dissimili dagli altri contagi, ma solo che venga come questo governato da una legge comune, quella cioè della trasmissibilità, riproducibilità, im- portabilità e coercibilità )). L'onorevole relatore, Carmine Elena, così fini- sce il suo dottissimo rapporto al congresso di 300 medici. G.A.T.CXLIV. 19 290 » La vostra voce sia fatta potente dalla con- cordia , sia fatta concorde dalla severa parola de' fatti positivi, completi, incontrastabili. E que- sta voce concorde e potente sarà intesa ; peroc- ché lo meritino l'opera, le sollecitudini , i sacrifici de' medici, e quella gratitudine che deesi sentire pei grandi servigi renduti da uomini ad uoìnini: lo do- mandino le tante vittime mietute dall'indica peste: lo voglia la salute de' popoli che è legge suprema: lo reclamino quelle stesse esigenze commerciali, che un calcolo mal inteso e snaturato vedrebbe com- promesso da provvide leggi sanitarie, ma che un giu- dizio più retto, solo ponendo mente all'eccidio di tanti cittadini operosi, alla desolazione di tante fa- miglio smembrate, a traffichi sospesi, alle comuni- cazioni interrotte, alle moltitudini emigranti, alle enormi spese di governi e municipii, obbligali ad esaurire in breve tempo le riserve di molti anni ed a supplire a rovinosi dispendi con nuove imposte e straordinari balzelli vedrà certo più profonda- mente manomesse dall'immane flagello, dono tristis* simo dell'odierno progresso (1). » Molto valutabile a me pare che in questi giorni il governo del regno lombardo-veneto abbia pel cho- lera morbus trasferito il potere alle commissioni sanitarie: siccome rilevasi dalla relazione del Da Pon-' tCf valente medico di Brescia, pel cholèra domi'nato in questa città nell'anno 1855. Cotesta relazione è indritta alla suddetta milanese accademia, e vonno (1) Atti della accademia fisio-medico-statistica di Milano l8S6 fog. 113—15. 291 qui riportarsi per V indicato obbietto i due ultimi paragrafi. » IiTipertanlo è debito, e sta bene anche in po- tere delle autorità municipali e deputazioni comu- nali mercè l'appoggio delle magistrature provinciali, d'isolare e distruggere V indiano cìiolera per impedirne la diffusione epidemica, causa d'infinite sciagure. » L'isolamento è tanto più indispensabile, per- chè ad epidemia dominante non vale presidio di sorta, e le facoltà ora concesse alle commissioni sanitarie hanno trasferito dal potere governativo al municipale la responsabilità delle sue conseguenze (1). » Di grave momento si è pure la risoluzione del governo toscano, che avendo aderito rispetto al cho- lòra morbus alle mezzane o nulle misure del con- gresso parigino , oggi ha stabilito una contumacia di dieci dì per cotesto morbo: siccome se ne diede cenno nella congregazione sanitaria del dì 1 del pros- simo passato settembre. Mi credo poi in dovere di ripoitare un'officiale relazione in seguito di supplichevole istanza del dì 1 del prossimo-passato aprile della camera di commer- cio, arti e manifatture di Bologna umiliata a S. E. Riìia monsignor ministro del commercio e lavori pub- blici. Piimessa quindi alla congregazione speciale sa- nitaria, mi si diede in data de' 14 maggio prossimo passato l'onorevole incarico per 1' esame e medico parere sulla medesima. Il che sembrami opportu- no : giacché l'essenziale di cotest'istanza è inserito dalla società medico-chirurgica di Bologna nel bol- (1) Atti citati. Mijano i836 pag. 231—2. 292 lettino di maggio 1836 e pubblicato sotto il dì 1 del seguente giugno (1). Congre«iazione speciale sanitaria. Roma 21 maggio 1856. « La camera di commercio, arti e manifatture di Bologna in un supplichevole indirizzo umiliato a S. E. Rma monsignor ministro del commercio e de la- vori pubblici descrive la catastrofe, in cui il cho- lèra morbus ha ridotte famiglie desolate e derelitte, al cui soccorso non è bastevole la carità cittadina. Ricorda l'antica sapienza tendente più a prevenire che a ristorare i danni infiniti delle pestilenze. Di che accenna manifeste prove più volte avvenute con- tro il cholèra morbus, quando energiche ed avve- dute cautele furono messe in pratica. Narransi le stragi di questi ultimi tempi, che hanno vieppiù sem- pre confermata la contagiosità dell'asiatico morbo, Opina che il trattato sanitario internazionale di Pa- rigi è stato un vero tradimento all'incolumità pub- blica per materiali interessi. Si accennano quindi i gretti consigli, e le viltà di animo prevalenti all'utile pubblico. Suppone la camera di commercio che appo noi sia stata distrutta la patente sospetta, e sup- plica calorosamente perchè sia ripristinata: mentre per essa fatti oggidì avvertiti per mezzo della te- legrafia, si ha sollecito campo a garantirsi dalle vero 0 sospette contagiose importazioni. Avvisa che pel predominio di quei materiali interessi è calpestata (i) Bollettino delle scienze mediche pag. 262 — 6 293 la morale, essendo di gran lunga maggiore gl'inte- ressi che riclamano la pubblica salute: giacché son care al principe le vite de' cittadini e la tranquil- lità delle famiglie. D'altronde espone che all'aspetto miserando delle stragi langue e muore il decantato commercio. Ricorda la generosità e sapienza italiana, perchè appunto quando prosperavano quasi per l'e- sclusivo commercio floridissimo Venezia e Genova, furon per esse istituite sanitarie norme che fruttarono per secoli ai popoli inciviliti reali vantaggi in prò dell'incolumità pubblica. Supplica la camera bolo- gnese, che quando ancora per gravissime circostanze non potessero attuarsi le pili rigide sanitarie cautele, venga praticato il meglio possibile: onde non sfidare la potenza mortifera del morbo. Fa supplichevole voto perchè il governo si svincoli dal citato con- gresso parigino; riassumendo la sanitaria costumanza in ispecie per le vie di mare: d'onde narra essere slato due volte importato il cholera: mentre per le vie di terra pel lungo viaggio sciorinansi alquanto le merci, e scema in qualche modo il pericolo del- l'importazione. Aggiugne che non potendosi raffidare sulle patenti rilasciate dalle straniere autorità sanita- rie,debba inculcarsi ai consoli e vice-consoli pontifici che le medesime sieno munite delle loro firme. Chiu- de la camera la sua supplica col voto riclamato dalla pubblica prosperità e dall'umanità travagliata. « Al voto della camera è annesso quello da essa richiesto alla società medico-chirurgica di Bologna. Il voto puossi dire diviso in 12 articoli , in cui non solo si conferma la manifesta contagiosità del cholera morbus, ma la necessità eziandio di opporre 294 le pM rigide sanitarie precauzioni, inclusive i sani- tari cordoni per terra, ove si potesse sperare per- fetta l'attuazione. La società medico-chirurgica chiu- de il suo voto con questo paragrafo. Oh ! / mag- giori governi tornassero ad ammettere il cotitagio del cholèra, e prescrivessero i mezzi comprovati dalV espe- rienza i più utili contro il medesimo: che Vumanità potrebbe essere una volta tutelata da sì fiero e mor- talissimo malore. )) Il sottoscritto non può che far plauso al voto del- la camera di commercio di Bologna, e a quello della dottissima società medico-chirurgica. Peraltro dal lato del nostro governo crede che non sia stato mai riconosciuto il trattato parigino. Imperocché il sot- toscritto non dimenticherà mai, che allorquando per lettera di potentissimo ministro straniero si richiede- va nel 1835 dal Sommo Pontefice l'abolizione de'sa- tari cordoni, egli si protestò virilmente di ritirarsi all'istante da questo supremo consesso, il quale for- mò subito una commissione presa dal suo seno com- pilando supplichevole memoria sulla necessità de'cor- doni sanitari al Santo Padre , che secondò il voto di questa speciale congregazione (1). La quale non deviò mai dal canto suo dalle norme prescritte dal sanitario codice pontificio. Solo semplici modifica- zioni, dietro le più minute indagini, furono praticate nel 1846: allorquando l'accademia di medicina di Pa- rigi rovesciava apertamente le massime le più ri- (1) Memorie istoriche di Agostino Cappello ( 1848 ) pagine 125-2. 295 conosciute avverso i contagiosi morbi (1). Sopra dun- que quelle basi questa congregazione formulò l'istru- zioni pel medico che doveva rappresentare il governo della santa sede nel congresso sanitario internazionale» La commissione essendo stata affidata al sottoscritto egli sostenne di proposito quanto aveva sempre pro- fessato in conformità delle stabilite norme e della sagace dottrina medica italiana confermata colla pro- pria esperienza di più lustri. « Se non che (siccome fin dal principio del cor-- rente anno piiì volte il sottoscritto espresse a questo supremo magistrato) il cholèra morbus farebbe tre- gua stante Tuniversale epidemico dominio degli anni 1854 — 5. Il quale avviso, basato sull'andamento di tutti i contagiosi morbi febbrili, pel cholèra fu avvera* to dopo il 1837. Inoltre l'attuale fu di nuovo importato dal paese natale nell848(2). Peraltro per mancamento di indispensabili purificazioni, si rimase sporadico, e riassunse l'epidemico genio per notissime cagioni (3). Non ostante la tregua^ il cholèra all'opportunità fa- vorevole pili presto, o pili tardi, tornerà a flagellare: quindi come appunto avvisa la camera di commer- cio, se per gravissime circostanze non possano at- tuarsi le più rigide sanitarie prescrizioni, si farà il meglio possibile , senza punto valutare le sentenze straniere più volte pronunziate ad alta voce dai de- (1) Cappello, Considerazioni in prò delia pubblica incolumità 1846 e 47, e Giornale arcadico tomo CVIII pag. lS5.Icl. Conside- razioni ulteriori relative alla peste bubonica, e alla febbre gialla 1847 (1 — 78), e Giornale arcadico tom. CIX pag. 169. (2) Memorie is avesse 2,500 azioni. » V. Di più durante il tempo che si eseguono le » opere ed i lavori di nettamento dell' emissario e )) di derivazione e scolo delle acque del lago , la » compagnia per Io spazio di quattro anni avesse )) nella di lui persona un agente generale coll'emo - « lamento fìsso di anni 2,500 ducati. Rodolfo Tor- » torà fu nominato direttore della compagnia. 313 15. Messe le azioni in commercio, sedici indivi- dui ne acquistarono cinquanta per ciascuno; 2,200 ne prese la casa bancaria napolitana Degas e 3,000 allora, ne comprò il principe Alessandro Torlonia. 16. Adì 21 luglio 1853, la compagnia stipulò col governo un istromento, nel quale fra gli altri patti si convenne: « La compagnia assume l'impresa di compiere « in tatte le sue parti l'opera del prosciugamento » del lago Fucino nella intiera sua estensione, e del- » la restaurazione dell'emissario di Claudio con l'ob- » bligo delle corrispondenti bonificazioni dei ter- » reni prosciugati, focendo all'uopo tutti i lavori e )) costruzioni necessarie per 1' innondamento delle » acque e pel regolare e proporzionato loro sbocco » al di là dell'emissario di Claudio e l'ulteriore cor- so delle medesime ( art. 1°. ). )) La compagnia si obbliga di presentare all'ap- )) provazione preventiva del R. Governo il progetto « generale dei lavori da eseguirsi, con le analoghe » spiegazioni di arte, con la designazione di quel- )) la parte del lago, la cui conservazione potrà per » avventura essere giudicata necessaria, come mez- » zo 0 condizione indispensabile di arte, per rag- » giungere il fine del prolungamento del medesimo )) e della manutenzione delle opere relativo. Tutti » i lavori necessari al definitivo ed intiero consegui- )) mento dello scopo delia intrapresa dovranno es- )) sere intieramente compiuti nel termine improro- » gabile di anni otto (art. 3.) (1). (J) Istromento pes gli atti di Ferdinando Cacace notaio napoli- tano dei 21 luglio 1853. 3U 17. Nel 1854- s'incominciarono i lavori (secondo un piano in varie parti diverso da quello di Afan de Rivera): ed il primo fu la costruzione di una diga attorno l'incile per contenere le onde del lago nei tempi burrascosi, e scavare comodamente alla^sciut- to il canale di derivazione. i8. Secondo le ultime notizie si lavora attual- mente neir emissario a istaurarlo e rettificarlo nel tratto dove trovavansi i guasti mai?siori, cioè fra i pozzi 18 e 21. 19. La direzione dei lavori fu da principio af- fidata agli ingegneri inglesi Parkes e Gregoy, e po- scia al francese Montricher. 20. I lavoranti di ogni specie sono circa 1000. 21. Tali sono i fatti che potei raccogliere. Non faccio prognostici, ma bensì voti ardentissimi che riesca felicemente una intrapresa cosi grandiosa. 315 Lezione XVllI sulla divina Commedia riguardante feeder igo di Sicilia- Del prof- Filippo Mercuri. Iacopo e Federico hanno i reami: Del retaggio miglior nessun pos.siede. Piirg- C. VII. R. Le Pietro d'Aragona marito di Costanza, tìglia di Manfredi, udita la morte di Carlo I d' Angiò re di Puglia e conte di Provenza, che fu nel J284 in Foggia due anni dopo il famoso vespro, possessore pacifico della Sicilia, mandò il famoso Ruggero di Loria suo ammiraglio con l'armata in Calabria, il quale con la solita virtù e fortuna mise in terra le genti, pigliò Terra-nuova e l'altre sue castella pa- terne, delle quali re Carlo l l'avea spogliato, e poi passò avanti e pigliò in nome di re Pietro Cotrona e Catanzaro e alcuni altri luoghi di quella provin- cia: ma dall'altra parte Martino IV, che naturalmente e poi per un certo obbligo amava la casa di re Carlo I vedendola rimasta sola per la captività di Carlo II il Ciotto, che era rimasto schiavo in Ca- talogna, ed era quello che dovea succedere al re- gno, mandò subito Geraldo Cardinal di Parma le- gato apostolico, che avesse cura insieme con la prin- cipessa di Salerno Maria moglie di Carlo II, e con Carlo Martello primogenito del principe ch'era al- lora all' età di tredici anni, d'intervenire al gover- no del regnoi e Filippo re di Francia, dolorosissimo 816 della morte del re suo zio, mandò Roberto conte d' Artois ad assistere al governo della casa e dello slato del prìncipe suo cugino, ed egli con grandis- simo esercito andò all'acquisto del regno d'i\ragona per acquistarlo a Carlo suo figlio secondogenito che ne aveva avuto il titolo e l'investitura dalla chiesa romana, e prese Perpignano, Girona e molte altre terre di quel paese. E senza dubbio la fortuna fa- vori molto re Pietro con far succedere in quel punto la morte di re Carlo: ch'egli era in pericolo gran- dissimo di perdere non solo Sicilia, ma ancora i suoi regni paterni; perchè era impossibile, per molto che fosse virtuoso e valente, che avesse potuto resistere a tante forze d' eserciti terrestri e armate marit- time. Perciò vedendosi per la morte di re Carlo si- curo del regno di Sicilia, subito con parte delle forze dei siciliani andò ad opporsi al vittorioso re di Francia: e benché si ritrovasse con forze assai dispari, per lo grandissimo ardir suo naturale ac- cresciuto dal favore della fortuna fino a quel dì, vol- le uscire per fare fatto d'armi, e fu rotto e feri- to e a gran pena si salvò ritirandosi a Villafranca dove di là a pochi giorni morì. Di lui rimasero quattro figliuoli maschi. Alfonso, Iacopo, Federigo, e Pietro, e due femmine Isabella e Violante: e fu certo re degnissimo di lode e di me- moria eterna, poiché con pochissime forze e con r arte e con 1' industria sola difese da due re po- tentissimi, quali erano Carlo I d'Angiò re di Na- poli , e Filippo re di Francia di lui nepote , che andò con grandissimo esercito all'acquisto del re- gno d' Aragona per acquistarlo a Carlo suo figlio 317 secondogenito, che ne avea avuto il titolo e l'in- vestitura dalla chiesa romana, e da un papa infen- so nemico; difese, dissi, due regni tanto distanti l'uno dall'altro, trovandosi sempre con la persona ove il bisogno richiedeva che fosse. E vero è ciò certo che scrivono molti autori, che il regno d'Ara- gona per la morte di re Pietro sarebbe venuto in mano de' francesi, se non l'avesse salvato da una parte una gravissima pestilenza, che venne all' eser- cito del re di Francia, e dall'altra la gran virtù di Ruggero di Loria, il quale fin dentro il porto di Ro- ses andò a bruciare 1' armata francese: dopo l'in- cendio della quale fu costretto re Filippo di ritro- varsi a Perpignano per aver perduta la comodità delle vettovaglie, che gli somministrava l'armata e infermato in Perpignano passò da questa vita il me- desimo anno a' dì sei ottobre dell'anno 1285, e po- co dopo morì papa Martino IV, e fu creato Ono- rio IV. Ma se grande fu la virtù di Pietro , non mi- nore fu quella di Alfonso, di Iacopo, e di Federigo. Grande certamente fu quella del primogenito Alfon- so, più grande ancora fu quella di Iacopo suo se- condogenito, come quello che difese con poche for- ze e con moltissimo valore due regni, la Spagna cioè e aiutato dalla virtù di Ruggieri di Loria la Sicilia che Roberto conte d'Artois, ch'era già arrivato a napoli, come intese la morte di re Pietro, e che per testamen- to avea lasciato divisi i regni, era venuto in gran- dissima speranza di ricoverare. Né prima aderì alla pace, che fu conclusa nel- r anno 1295, che conoscesse non essere più abile 318 a sostenere tante guerre quante fino allora ne avea sostenuto. Le condizioni della qual pace furono, che ve Gia- como consegnasse l'isola di Sicilia a re Carlo così intera come l'avea posseduta re Carlo primo avanti la rivoluzione: che restituisse tutte le terre, fortez- ze e castella che i suoi capitani teneano in Calabria, Basilicata e Principato: e dall'altra parte re Carlo collocasse in matrimonio con Giacomo Bianca sua figlia secondogenita con dote di centomila marche d'argento, e che si facesse amplissima, restituzione e indulto de'beni e delle persone di quei che ave- vano servito r una parte o 1' altra: e il papa do- nasse la benedizione e ricevesse in grazia re Gia- como e tutti i suoi sudditi e aderenti, togliendo l'interdetto ecclesiastico e assolvendoli da ogni cen- sura; e gli ambasciatori di Francia entrarono nella pa- ce per il re loro e si obbligarono ancora di farvi entrare il re di Castiglia . Questa pace diede gran meraviglia per tutto il mondo, perchè pareva cosa impossibile che re Gia- como, che avea mantenuto molti anni quel regno con le forze sole di Sicilia, accresciuto: poi da due altri regni e di tant' altre signorie che aveva in Spagna fosse avvilito e facesse una pace vile. Ma vo- gliono i pili eh' egli avesse fatto saviamente: per- chè con quelli regni gli era venuta ancora l'impos- sibilità di poterli difender tutti, e gli sarebbe stata una eredità di molto piii peso, che frutto, avendo a guerreggiare nei regni di Spagna col re di Casti- glia e col re di Francia, e in Sicilia col re Carlo: onde gli avrebbe bisognato mantenere tre eserciti 319 ed essere in un tempo in tre luoghi, il che era pa- rimente impossibile; oltre l'inimicizia del papa, la quale gli faceva non meno guerra dell'altre: e di- cono ancora che s' inchinò alla pace per una pro- messa che gli fece il papa d' investirlo del regno di Sardegna e di farlo aiutare da re Carlo suo suo- cero all' acquisto di quell' isola e ancora dell' isola di Corsica. Ma più grande ancora della virtù di Alfonso e di Giacomo fu quella di Federigo. E per trattenerci più particolarmente di lui che forma il soggetto del presente discorso, dirò che alla fama di questa pace che giunse subito in Sicilia, Federico che si trovava luogotenente del fratelK», come era giovine di gran cuore e inclinato alla guerra, cominciò ad aspirare al dominio di quel re- gno. Intanto re Carlo li, arrivato ad Anagni ove era il papa Bonifazio, e inteso quel che avea trattato con re Federigo, supplicò Sua Santità che avesse mandato un legato apostolico insieme col vescovo d'Urgel e Giovanni Perez di Navales ambasciatore di re Giacomo ad ordinare ai siciliani che s'aves- sero a dare alla chiesa; e il appa vi mandò Boni- facio Calamandra uomo appresso lui di molta au- torità. I quali giunti a Messina fecero intendere a quella città, come venivano mandati da re Giaco- mo con nuove di grande allegrezza e di quiete, e che teneano potestà di concederle tutte immunità e privilegi. Ma vane furono le promesse: che fu ri- sposto agli ambasciatori che quella città e tutta l'isola era di Federico re d'Aragona. Gli ambascia- 320 tori insieme col legato sbigottiti se ne tornarono prima a Napoli a trovare il re e poi ad Anagni al papa, e all'uno e all'altro fecero relazione di quel che era passato. Parve al re Carlo , eh' era lea- lissimo di natura, cosa molto inaspettata; ma non parve così al papa, che da che avea visto Fede- rigo, considerando gli andamenti suoi sempre, l'avea avuto sospetto. Però il re mandò ambasciadori e il papa un legato apostolico esortando re Giacomo, che per onor suo e per mantenersi nell'obbedienza della chiesa e nell' amore del suocero , volesse pigliare impresa che con effetto V isola si rendesse, e che non restassero delusi da lui, almeno nell' opinione delle genti, la sede apostolica, né Carlo e il re di Francia e il re di Castigha , che a questo effetto aveano fatto la pace, che l'isola si rendesse: seguen- do poi , che s' esso in soddisfazione di tutti quei principi non avesse operato che fosse con effetto resa, il papa avrebbe legittimamente concitato tutti a fargli asprissima guerra, oltre il proceder suo con le armi ecclesiastiche. E qui incominciarono le guerre di Federigo: poi- ché mentre il legato e gli ambasciatori andarono in Ispagna, re Carlo con consiglio del papa e de'suoi più savi baroni , per non aspettare in tutto che re Federigo pigliasse più forza e per non stayi in tut- to appoggiato nella speranza di re Giacomo, deli- berò muovergli guerra; e mandò subito Giovanni di Monforte con alquanti cavali e fanti sopra la rocca Im- periale che si tenea sotto le bandiere di re Fede- rigo, perchè quella terra e le molte altre terre di Cala- bria, che si tencano con le bandiere di re Giacomo da 321 alcuni personaggi catalani , credevan certo che re Federico avesse occupata 1' isola con intelli- genza di re Giacomo suo fratello , e però avea- no alzate tutte le bandiere di re Federico. Ma arrivato che fu Giovanni alla rocca imperiale, ebbe subito la terra. Intanto come in Sicilia re Federico seppe la perdita della rocca imperiale e intese anco che re Carlo convocava da tutte le parti del regno soldati per porre in ordine un buon esercito, e rico- verate tutte le terre di Calabria, passare in Sicilia, deliberò non aspettare la guerra in casa, pei-chè du- bitava che mandando il re Giacomo ordine ai cata- lani, che teneano le terre, che le rendessero, l'avreb- bero certo rese: e col maggiore sforzo che fu pos- possibile passò a Reggio e di là inviò Ruggero di Loria con V armata ad infestare le marine. La prima impresa di Ruggiero fu sopra Squillace; segui r impresa di Catanzaro: e Ruggero di Loria , resa che fu Squillace, andò per soccorrere il castello della rocca imperiale che stava in bisogno di gente e di vettovaglie. Uscì re Federico di Reggio, e andato con tutto r esercito a Santa Severino, benché fosse città di sito inespugnabile , la ricevè senza niuna fatica , e andò per espugnare Cotrone. Espugnò Cotrone e lo saccheggiò. Prese quindi per opera di Ruggiero e saccheggiò Lecce, ebbe e fortificò Otranto e poi discese a Brindisi, ove pose il campo vicino alla città. Il papa avendo avviso di questi felici successi di re Federico, e che re Carlo colle forze che ave- va allora appena basterebbe a difendere il regno di Napoli, e che la ricoverazione di Sicilia andereb- G.A.T.CXLIV. 21 322 be a lungo , se non se gli fossero aggiunte forze , parte per 1' autorità della sede apostolica, la quale egli come uomo di grandissimo animo era delibera- to inalzare , quanto potea , parte per 1' amore, che portava a re Carlo, lasciò la cura di tutte l'altre cose e si voltò solo a questa impresa, e per obbligare re Giacomo, che avesse da pigliar punto di fare re^ stituire in ogni modo la Sicilia, com'era stato pro- messo nella pace, gli mandò l'investitura del regno di Sardegna, e lo creò gonfaloniero della santa chie- sa e capitan generale di tutti i cristiani, che guer^ reggiavano contro infedeli: e mandò a pregarlo che con ogni studio avesse atteso a compire quanto avea promesso, poiché solo richiamando gli aragonesi, che militavano sotto re Federico, quel re povero, e ab-r bandonato dai più valorosi e fedeli soldati, si sarchi be rimesso e tornato all' obbedienza sua e della chiesa. Re Giacomo vedendosi oltre l'obbligo della ca-^ pitolazione obbligato al papa, ordinò nei regni suoi che si facesse grande apparato d'armata, e venne a Roma ad iscolparsi e giurare innanzi al papa, che non era ne consapevole, nò partecipe in modo al- cuno della contumacia e della colpa del fratello, e usò con Federico ogni mezzo per ritrarlo dall' im-^ presa; ma non potè neppure da lui ottenere che seco venisse a parlamento. Fu intanto per ordine di re Giacomo condotta la sua madre Costanza a Roma, e l'infante donna Violante dove re Giacomo l'aspet- tava; e avendo Giacomo detto alla madre, come per mezzo del papa avea promessa la sorella a Roberto duca di Calabria, il quale s'aspettava il giorno se- 323 guente , dinanzi al papa , dopo V arrivo di Roberto e del padre re Carlo in Roma, ne fu celebrato lo sposalizio. Seguì la disfatta di Ruggiero di Loria, che pas- sò ai servizi di re Carlo, e di Giacomo, che con apparato di grandissima armata partito di Barcello- na venne a Civitavecchia e poi a Roma: ed andan- do ad unirla con quella del re Carlo, in pochi dì giunse a Napoli, ove trovò il duca di Calabria suo cognato con trentasei galee e maggior numero di navi da combattere e da carico, talché l'armata ca- talana giunta con quella di re Carlo faceano il nu- mero di ottanta galee grosse bene in punto e più di novanta navi, oltre ai navigli minori che usavano a quel tempo, parte chiamati uscieri e parte trite. E quantunque Ruggero andasse a dare a terra nella marina di Patti, che sta dalla riviera di tra- montana quaranta miglia discosto da Messina, la qua- le senza aspettare assalto si rendè subito, e vennero poi a rendersi Melasso, Nucara, Monteforte e'I ca- stello di S. Pietro e molti altri luoghi di quella val- le; pure dall'altra parte re Federico non mancò né d'animo né d' ogni diligenza e fece capitan gene- rale dell'armata di mare Corrado Doria genovese; e risoluto che far non potea resistenza per terra nella campagna , mise ogni studio nel fortificare tutti i luoghi più importanti, e più atti a vietare It vetto- vaglie al campo nemico, perchè vedeva che sì gros- so esercito sarebbesi dissoluto da se stesso, col man- camento delle paghe e delle cose necessarie al vi- vere. E già non s'ingannò di giudizio: perchè re Giacomo vedendo che il tempo non era molto avan- 324 ti, essendo egli partito da Napoli ai 24 d'agosto, e che avea consumali cinquanta dì dell'autunno dap- poiché era giunto in Sicilia , per non avventurare così grande armata in quella marina mal sicura al- lo spirare di tramontana, fu costretto a mutar di- segno lasciando la certezza di quella vittoria , che gli potea dare 1' autorità sua e la moltitudine e il valor de'soldati, così bene in punto e hiamosi di com- battere. Laonde munita ogni terra di quelle che gli si erano vendute, andò all'assedio di Siracusa; ma mantenendosi gagliardamente Siracusa, l'esercito di re Giacomo perdeva di giorno in giorno di ripu- tazione; e indotti da questo i cittadini di Putti alza- rono le bandiere di re Federico, e posero l'assedio al castello, dove s'erano ritirati quelli che re Gia- como avea lasciati per lo presidio della città. 1 mes- sinesi e i catanesi mandarono genti delle loro or- dinanze a Patti in aiuto di Federico, e fecero pri- gione Giovanni di Loria nipote di Ruggiero, e pi- gliarono insieme con la galea capitana alcune altre. E come questa vittoria diede a re Federico e a tut- ti i suoi partigiani grandissima allegrezza, così per contrario fu di grandissimo dispiacere e abbattimen- to a re Giacomo e a* partegiani suoi; e quindi fu che re Giacomo vedendo 1' esercito in gran parte infermo per incomodità sofferte nell'assedio, e du- bitando che l'audacia crescesse tanto ai nemici che venissero ad accamparsi all' incontro di lui , levò r assedio di Siracusa e navigò in verso Napoli con molto pili sdegno che onore, e con animo di ritor- nare quanto prima a far guerra maggiore: ma una crudelissima tempesta, che Io sopraggiunse sopra 325 l'isola di Lipari e disperse la maggior parte di sue galee e navi, fece sì che a gran fatica col resto si ridusse salvo a Napoli. Così re Federico, liberato da questo primo in- sulto, pieno d'animo e di valore attese a ricoverare quelle terre e castella, eh' erano rimaste sotto la bandiera del re d'Aragona; e portato l'assedio sopra Pietra Perzia ed altre terre del Barese, alfine a lui si renderono per mancamento di vettovaglie, e po- co da poi tutte 1' altre terre, che teneano la parte di re Giacomo con esempio loro si diedero a re Federico. Re Giacomo giunto in Napoli fu subito assalito da una gravissima infermità di corpo e d'ani- mo contratta non meno per le incomodità sofferte nella guerra e nel naufragio, che per lo dispiacere dell'impresa così mal felice con tanto perdimento di spesa: e dopo essere stato gran tempo in pericolo della vita, alfine confortato dall' allegrezza perchè la regina Bianca sua moglie gli aveva in Napoli par- torito un figliuolo, navigò con lei verso Spagna al fine di quell'estate e consumò tutto quel verno nel preparare le cose necessarie a rinnovare al principio dell' altro anno con maggior forza la guerra, e per potere essere piìi presto ad assaltare l'isola veden- do quanto l'anno passato gli fu dannosa la tardan- za. Dall' altra parte re Carlo in Napoli , sollecitato dai figli suoi giovani e bellicosi, con simile atten- zione pose in ordine la parte dell'armata che toc- cava a lui: talché giunto re Giacomo a Napoli con lo sforzo dell'armata sua all'ultimo d'aprile, ai ven- tiquattro del seguente maggio furono in punto le galee e le navi apparecchiate in Napoli e cariche 326 di cavalieri e di pedoni, quel dì medesimo fecero vela per la Sicilia. Roberto duca di Calabria e Fi- lippo principe di Taranto, figli di re Carlo, di comun voto con re Giacomo fecero generale dell'una e del- l' altra armata Ruggiero di Loria. La battaglia di Capo Orlando decise della na- vale potenza, ma non dell' onore della Sicilia. Per questa così memorabile rotta seguita con tanta glo- ria di Ruggiero rimasero tanto afflitte le cose de' siciliani, cbe non fu persona a que' tempi che non giudicasse che Sicilia tra pochi dì avesse a venire in mano di re Giacomo e di re Carlo IL Ma seguì effetto al tutto contravio, che dimostrò quanto sia- no incerti g!i effetti delle cose umane contro il giu- dizio e r opinione universale; perchè re Giacomo credendo d'aver tanto abbassato e consumato le for- ze di Federico , che le genti di re Carlo sotto il governo di Ruggieri di Loria non avessero a fare altro, che fra pochi giorni pigliare la possessione dell' isola, non volle procedere più oltre, parendo- gli d' aver soddisfatto al mondo, al papa e a re Car- lo, avendo in due guerre tanto speso e posto in pe- ricolo la persona sua nella prima con 1' infermità, ed in questa battaglia con una ferita, che nulla ri- manesse più a fare in vantaggio di re Carlo. Ed in fatti essendo venuti Roberto duca di Calabria e Fi- lippo principe di Taranto e Ruggiero a visitarlo , dappoiché fu medicata la ferita , egli parlò loro in questo modo: « Poiché ha piaciuto alla clemenza » e alla giustizia di Dio darmi comodità con sì no- )) tabile vittoria d' adempire quanto io alla sede » apostolica e alla maestà di re Carlo per virtù 327 )) dei patti della pace dovea , né resta altro che » pigliar la possessione di Sicilia: poiché voi signori » avete visto che Federico mio fratello in questa » battaglia navale ha perduto le forze di mare e di » terra, e l'isola si ritrova tanto esausta, e consu- )) mata eh' è impossibile a poter mai piiì levar la » testa : mi par tempo di ritornare in Ispagna ai » regni miei , per disponere le cose in modo che » quei popoli, impoveriti per le gravezze sostenute )) in questa guerra, vengano a rifarsi col fine de'dan- » ni presenti e con la sicurtà di quelli, che da loro » si temono per l'avvenire. Però, sig. duca di Ca- » labria , io vi lascio 1' ammirante Ruggiero , con » la virtù del quale non solo in questi tempi, che » i nemici sono in tanta ruina , ma quando fosse » alcuna difficoltà nel fine della guerra si potrebbe » aspettare certa vittoria; e quando per alcuno ac- » cidente il fine dell'impresa tardasse, io non mau- j> cherò d' essere il medesimo che sono stato sino » a questo dì con la persona e con le forze de' re- » gni miei. » 11 duca di Calabria, ch'era giovane di ventitré anni ed avidissimo di gloria, accettando per vero tutto quello che il re dicea, e rendendogli in- sieme lodi e grazie a nome di re Carlo suo padre di quanto avea fatto, pregò Iddio che gli desse pro- spero felice viaggio: e cosi pai-tendo il re con mol- ta amorevolezza mostrata a lui e al fratello, rimase allegro di questa partita, credendosi che resterebbe a lui r onore di quello eh' era fatto con le forze altrui: e molto più rimase allegro Ruggiero, giudi-- caudo che siccome era stata sua la gloria della vit- 328 toria, tale ancor sarebbe l'onore di quello che ave- va a succedere. Tra questo mezzo riavutosi Federico e giunto con dodici galee in Messina , trovò che in quella città si era intesala rotta con la morte sua; e quei cittadini vedendolo vivo fecero tanta allegrezza e festa quanta avrebbero fatto se fosse ritornato con la vittoria. In quel medesimo tempo intese che il duca di Calabria e Ruggiero aveano messo l'esercito a terra e posto campo a Randazzo; e es- sendo vennto avviso a Messina che re Giacomo era partito, convocò parlamento generale, e dissimulan- do la malinconia con generoso parlare essortò tutti che stessero di buon animo , perchè sebbene egli avea perduta la giornata, i nemici aveano perduto più di lui essendo scompagnati dalle forze di re Giacomo che s' era partito, e che le altre forze ri- maste non era possibile che non fossero diminuite molto per quei valenti uomini eh' erano morti nel- la battaglia: onde era agevol cosa di contrastar loro e di proibirli per quell' anno d' ogni effetto impor- tante. Intanto raccolse nuovo esercito e andò a por- si con tutto il suo sforzo a Castrogiovanni, luogo di natura fortissimo e opportuno a soccorrere ovun- que il bisogno lo chiamasse. Il duca di Calabria non avendo potuto ottenere Randazzo, andò sopra Ador- no, Castiglione, la Roeella , mosse contro Paterno, Bucchiero, e alcune altre castella che tutte a lui si resero. Prese e saccheggiò Chiaramonte, dove tro- vò molta resislenza. Seguì la resa di Catania, la battaglia alla Fal- conara, e la battaglia navale di Ruggiero di Loria 329 e di Corrado Doria, dove le galee siciliane combat- terono con tanto valore, quanto si potea; ma non poterono durare contro a quelle di Ruggiero , che erano di maggior numero ; la galea di Corrado , che facea maraviglie, e che non potendo altri- menti superarsi , Ruggiero avea comandato che vi fosse appiccato il fuoco , avendo incomincialo ad ardere , basso lo stendardo reale e si rendè. Seguì r assedio di Messina, dove Federico per- de il valoroso Blasco d'Alagona, che morì per gran fatica d' anima e di corpo in conservare quella cit- tà: nel qual tempo ridottasi tutta l'isola in estrema penuria , Federico andò a Siracusa e col mezzo di Violante duchessa di Calabria, eh' era sua sorella , incominciò a trattare di tregua , che fu conchiusa per sei mesi. Fra questi sei mesi papa Bonifazio pensò in fa- vore di re Carlo favori ed aiuti nuovi con bella occasione: perchè essendo morta a Carlo di Valois fratello del re di Francia la prima moglie eh' era figlia di re Carlo, il Valois pigliò una figlia di Fi- lippo figlio dell' ultimo Balduino imperator di Co- stantinopoli, erede di molti luoghi in Grecia e del titolo e della ragione dell'impero, ch'era slato oc- cupato dal Paleologo; e con aiuto del re di Fran- cia e del papa voleva andare all'in^presa di Costan- tinopoli. Ed essendo nel viaggio , il papa 1' istigò che si fermasse a Fiorenza per comporre con 1' au- torità sua alcune discordie, eh' erano in quella cit- tà; ed essendovisi fermato con intenzione d'opera- re qualche buon' effetto e d' avere dal comune di 330 Fiorenza qualche aiuto per l'impresa sua, non pe- rò seguì la pace ; perchè essendo egli persona militare ed istruito piti di guerra che di pace e di cose politiche, piìi tosto cagionò discordie , che alcuna sorte di pace. Ma non finirono qui i fa- vori di Bonifazio Vili, che saldo nella massima di avversare i discendenti dalla stirpe Sveva persuase al Valois, giunto in Roma, che l'impresa di Costanti- nopoli sarebbe stata più agevole aiutando egli re Carlo a fornir l' impresa di Sicilia, perchè avrebbe egli avuto da re Carlo più pronti e più comodi soccorsi , che non avrebbe avuti dal re Carlo suo fratello. Accettò il consiglio il Valois, e venne a Na- poli con poderosissimo esercito in quel tempo che Federico avea preso per forza Aidone: e non è dubbio che vedendosi tanto numero di nemici nel- r isola ognuno giudicava le cose di Federico dispe- rate, perchè non si vedeva né s' aspettava in esso facoltà di riparare a tanto sforzo di mare e di ter- ra. Pur vedendosi che dopo aver preso Termine il Valois perde molti giorni senza fare altro, il re Fé-- dorico con quel vigor d'animo ch'era suo naturale, e con quella prudenza in che superò ciascun re del suo tempo , andò compartendo le genti sue poche a' luoghi maggiori d'importanza, e raccomandandogli ad uomini fedeli e valenti operò per modo che così aspettando il tempo diminuisse la forza dei nemici ed aumentasse la sua. Né prima cominciò a pensare alla pace , che vedesse impossibile resistere a sì grande esercito. Intanto il re Federigo, persistendo nel suo pro- posito, non comparve mai in campagna, sol miran- 331 do a guardar le terre: perchè vedea che un sì gran- de esercito , come era il nemico , non potea non dissolversi presto o per mancamento o di paghe di vettovaglie. Pur non mancava con la solita destrez- za, e con r aiuto d-e' cavalieri siciliani, che gli ser- virono mirabilmente, di trovarsi dov'era il bisogno, ed assaliva le scorte che conducevano vettovaglio: finché dopo brevi dì nel campo cominciarono a sen- tir penuria, ed infermando gran quantità di soldati, incominciò il Valois a dare orecchio a parole di pace; e furono fermati i capitoli della pace. Questi furono che re Federico in vita fosse re di Sicilia e poi ritornasse liberamente a re Carlo ed a' suoi eredi: eh' ei s'intitolasse non re di Sicilia ma re di Trinacria: e che a lui si tornasse in ter- mine di quindici dì ogni terra che in Sicilia si te- nea per lo re Carlo, e al medesimo termine egli resti- tuisse ogni terra ed ogni fortezza che in (Calabria teneano bandiera sua: che dall'una e dall'altra parte si liberassero i prigioni senza pagar taglia: che re Fede- rico pigliasse Eleonora figlia terza-genita di re Carlo per moglie; che re Carlo procurasse che il papa avesse a ratificar la pace e così ad investirlo o di Sardegna o di Cipri: dove poi rimanessero i figliuoli, che nasce- vano da questo matrimonio, ed acquistando re Fe^ derico di quei regni o l' imo o 1' altro, che andas- se a regnarvi restituendo subito a re Carlo il re- gno di Sicilia; pagandogli a conto di sua dote cen- tomila onze d' oro. E qui terminò la guerra di Si- cilia; e questa pace per tutta l'Europa si giudicò mol- to vantaggiosa ed onorata per lo re Federico, e fino al cielo esaltarono la virtù sua, che con deboli for- 332 ze d' un poco regno , ei solo erasi mantenuto e difeso da molti avversari poderosi; e quantunque la condizione eh' egli fosse re in vita parea ono- rata per 1' altro, niente di meno chi era giudizioso mirava, che dopo sua morte s' avrebbe ad entrare all' esecuzione della pace piuttosto con 1' arme che con la carta de'capitoli; laddove si tenne poco ono- rata per Carlo di Valois: e da Giovan Villani è scrit- to che '1 motteggiarono per Italia , eh' era andato in Fiorenza a ponervi pace, e vi lasciò nuova guer- ra: e eh' era andato in Sicilia a far guerra, e par- tivane con disonorata pace. Così declinarono in un istante le cose delia Si- cilia , e Bonifazio approvò que' patti che ne ca- gionarono la rovina. Né per quanto onorati fossero quei patti coi qua- li fu resa la Sicilia , erano però da lodare in Fe- derico la condiscendenza, colla quale aveva accon* sentito al matrimonio d' Eleonora: e una tal con- discendenza verso gli Angioini aveva fatto oltraggio allo svevo ed aragonese nome ed alla dignità me- desima della Sicilia. Già la bella Trinacria, quell' isola che i poeti fìn- sero essere stata data in dote allo stesso Giove, era irreparabilmente caduta sotto il giogo degli Angioini. Ahi! quanto erasi mutata la corte di Sicilia do- po le malaugurate nozze Angioine! Non più a giostre, a torneamenti, e gualdane, a caroselli, come per lo addietro vi si attendeva, ma sì bene a cacce, a conviti, a serenate ed a balli. Le grazie, le ricompense non piìi erano l'appannag- 333 gio degli ottimi, ma degli adulatori e dei giullari; ed un Minuccio d' Arezzo più festeggiato vedevasi nella reggia, che i prodi di Capo Orlando, di Fal- conarla, di Gagliano, e di Ponza. Quel trono, ove con tanta gloria teste sedeva il fìgliuol di Pietro d'Aragona, il nipote di Manfredi, or deturpato pa- reva da un volgare principe , immerso in asiati- che morbidezze , e da pravissimi uomini cinto ed ingannato. Federico in somma tanto grande nel campo, altrettanto dappoco nel soglio, era il ludi- brìo dei suoi nemici: ed obbliando che non mai un parentado estinse le gare di regno, ogni giorno più inviluppavasi ne'loro lacci, senza neppur sospettare da chi gli fossero tesi. Imperocché sua moglie Eleo- nora, sebbene fosse di costumi severi e tenerissima del consorte, pur nata come ell'era al tempo che più infuriava la guerra tra gli Angioini e la Sicilia, cioè soli sette anni dopo il vespro, ed allevata in una corte che sol pascevasi d'odio e vendetta con- tro i siciliani, questi s«^ntimenti da lei succhiati col latte ella pur conservava tenacemente: e se il con- iugale affetto comandavale un'eccezione per Federico, gl'isolani però e soprattutto coloro, che avevan pri- meggiato nella sommossa, o contro l'armi Angioine, più 0 men palesemente ella detestava. Così Fede- rico inaridir faceva gli allori sul suo capo, obbliava le sue prodezze passate e tradiva l'onor della Sici- lia. E l'esule fiorentino, l'Alighieri, che dedicar vo- leva a Federico la sua cantica del Paradiso, come ad un dei tre soli magnanimi di quelfetà, quasi ob- 334 bliando le sue virtù, ora Io detestava come dege- nere figlio di Pietro d'Aragona: E se re dopo lui fosse rimaso Lo giovinetto che retro a lui siede, Ben andava il valor di vaso in vaso. Ora tacciavalo di dappocaggine, di viltà e d'avarizia, Vedrassi l'avarizia e la viltate Di quel che guarda Pisola del fuoco Ove Anchise finì la lunga etate. Eh dare ad intender quanto è poco. La sua scrittura fien lettere mozze Che noteranno molto in parvo loco. Ora facevalo pianger vivo dalla Sicilia: E quel che vedi nell'arco declivo Guglielmo fu, cui quella terra plora Che piange Carlo e Federico vivo. Niun comentatore della Divina Commedia, per quanto è a mia notizia, ha fatto il menomo cenno intorno all'origine dell'odio e dello spregio di Dante pel re Federico di Sicilia , cui nella seconda e terza cantica ricopre di siffatte contumelie. E tanto più questi dispregi del poeta avrebbero bisogno di spiegazione, in quanto che singolarmente si oppon- gono all'anunirazione che Federico avea destata non 335 solo in tutti i suoi contemporanei, ma nel mede- simo Alighieri: perciocché se dobbiamo credere al- l'apocrifo Boccaccio ed alla lettera scritta da frate Ilario del Corvo ad Uguccione della Faggiuola, che conservasi nella Laurenziana, la quale ancora io sti- mo apocrifa e che il Troya trascrive nel suo Veltio Allegorico, Dante dedicar voleva, come dicemmo, a Federico la sua cantica del Paradiso. Potentissimo adunque dovette essere il motivo, che rivolger dovette il suo affetto in isdegno , la sua ammirazione in disprezzo, per cui quegli stesso che poco prima avea chiamato i due fratelli Fede- rico e Iacopo onor di Sicilia e d'Aragona, poscia con parole di così amaro disprezzo si rivolgesse verso quel monarca Federico. Ne posso io col Balbi e col Troya ritrovare le ragioni di questo cambiamento nel rifiuto fatto dal- l'aragonese della signoria di Pisa e così dell'ufficio di capo ghibellino in Toscana. E molto meno posso ritrovarle nella natura della pace fatta da Federico, nel mediator di questa pace, il cardinal Niccola da Prato che fu poi il persecutor dei bianchi di Fiorenza, e nella condotta di quel re verso ^i Roma , a cui restituì tutte le chiese , di cui era in possesso prima che si rivoltassero contro re Carlo, come appare dalla formola del giuramento che Corrado Doria in nome del re Federico diede" a Benedetto XI, che trovasi nel Rainaldi alla rubrica del 1303, parag. 50, Ed ancorché ciò volesse farsi, bisognerebbe as-^ 336 segnare a questo cambiamenlo una data anteriore al 1308. Ma il Troya slesso dimostra con validi argomenti che la lettera del fiate Ilario fu scritta nel 1308, e che la seconda e la terza cantica furon dopo quel- l'anno composte dal poeta. E siccome in queste due cantiche leggonsi soltanto i motti di lui contro Fe- derico, così non prima del 1308 dovette l'aninio di Dante cambiarsi contro di lui. / pisani, dice il Troya, offrirono al re di Sici^ Ha la signoria della .oro ciltcr, ma il suo rifiuto ina^ cerbi la loro sciagura e contro esso accrebbe i dis~ degni dell'Alighieri. Ove però ad accurata disamina soggiaccia questa opinione, si troverà del tutto priva di fondamento; 1." perchè il Mussato, il Ferretti, lo Speciale, tutti autori sincroni, affermano che Federico venne in Pisa, dopo aver saputo la morte dell'imperator Arrigo di Lucemburgo, e che vi venne con fermo proposito di surrogarlo nel capitanato dei ghibellini italici; 2." perchè il suo rifiuto della signoria pisana e la sua partenza da Pisa accaddero dopo che i duci tede- schi venuti con Arrigo furonsi ritirati in Germania abbandonando gl'itali ghibellini, e dopoché i pisani ebbero cominciato pratiche di pace coi lucchesi e con re Roberto; 3.° perchè non era Dante irragio- gionevole in modo da pretendere che Federico, la- sciando il suo regno esposto agli assalti Angioini, dovesse consacrarsi alla difesa di Pisa e dei fuo- rusciti di Firenza; ne era tanto ingiusto da incolpare quel re dell'abbandono de'suoi amici, mentre costoro in vece Federico stesso abbandonavano. 337 M;i sussista anche l'opinione del Troya: egli però non dice che il rifiuto della signoria pisana cagionò ì disdegni di Dante, ma che gli accrebbe. E in vero se tai disdegni fossero surtì soltanto dopo la morte di Arrigo VII.; cioè in novembre del 1313; non li avrebbe Dante potuti significare, che nella terza can- tica , cominciata senza dubbio, come ben prova il il Troya stesso, dopo quell'anno. Ma noi Ji vediamo in vece la prima volta espressi nel canto VII della seconda composta fra il 1308 ed il 1313, segno infallibile che in questo mezzo tempo dovetter sor- gere. Or se nel 1308 Dante diceva nell' apocrifa let- tera al frate Ilario di reputare re Federico uno de' tre soli magnanimi di quell'età: se nel 1313, secondo il Troya, il rifiuto della signoria pisana fatto da quel re accrebbe i disdegni dell'Alighieri contro di lui , ben'altra adunque dovette esser la prima cagione di tai disdegni. Potentissimo adunque io dissi, e forse particolare dovette essere il motivo che rivolger dovette l'affetto dell'Alighieri in isdegno, e la sua ammirazione in al- tissimo disprezzo. E dove è mai più naturale il cercarlo e pili facile il ritrovarlo che nella tristissima condizione dell'esule illustre? Dimandò questi forse a Federico un asilo, e forse da Federico gli venne rifiutato. L'apocrifo Boccaccio, dopoaverdettodella dimoradi Dante inParigicontinua a narrareche« sentendo Arrigo della Magna partirsi per soggiogare Italia alla sua mae- stà in parte ribella, e già con potentissimo braccio tenere Brescia assediata, avvisando lui per molte ra- G.A.T.CXLIV. 22 338 gioni dover essere vincitore, prese speranza colla sua forza e colla sua giustizia di potere tornare in Fi- renze, comecché a lui la sentisse contraria. Perchè ripassate le Alpi con molti nemici de' fiorentini, e di lor parte congiuntosi, e con ambascerìe e con lettere s'insegnarono di trarre lo imperatore dall'assedio di Brescia, acciocché a Fiorenza il ponesse, siccome a principal membro de' suoi nemici; mostrandogli che superata quella, ninna fatioa gli restava, o piccola, ad aver libera ed espedita la possessione e il dominio di tutta Italia ». Così l'apocrifo scrittore della vita di Dante che pone il ritorno di Dante al tempo dell'assedio di Bre- scia: il che non p^iò essere, a parere del Balbo, poi- ché questi già scriveva dai fonti d'Arno addì 16 aprile 1311, quando appena Arrigo si partiva di Pavia. Ma si può quindi probabilmente inferire, ch'ei fosse poco prima tornato; che in una delle città del Piemonte o di Lombardia, fin d'allora visitate da Arrigo, egli il vedesse e si congiungesse co'suoi compagni d'esilio, come apparisce dalla famosa lettera scritta nell'ori- ginale latino, della quale tanto nell'originale che in un antico volgarizzamento la direzione é così: « Al gloriosissimo e felicissimo trionfatore e singolare si- gnore messer Arrigo, per la divina provvidenza re de romani e sempre accresci tore, i suoi devotissimi Dante Alighieri fiorentino e non meritamente sbandito, e tutti i toscani universalmente che pace desiderano, mandano baci alla terra dinanzi a' vostri piedi ». A Dante, movitor qui di principe straniero contro la propria città, io non saprei scusa che valga: do- gliamoci 0 passiamo. 339 Fatto è che Ari'igo, passata la pasqua in Pavia addì 17 aprile 1311, la dimane della lettera di Dante partì e compose tutte le minori sollevazioni. Ma contro Brescia gli fu forzii venire a campo ed aprir guerra. Incominciò a maggio, durò quattro mesi e vi s'inferocì. Così doveva succedere, fondan- dosi i tedeschi sul diritto d'imperio , gì' italiani su quello di libertà egualmente incontestabili a senno di ciascuno: e così accusandosi questi da quelli d'in- fedeltà, quelli da questi d'oppressione. Di Brescia per Cremona, Piacenza e Pavia e Tor- tona venne Arriso a Gevova in sul novembre avviato a Toscana. E qui Roberto re di Napoli mandava gente, sollevava città. Bologna, Firenze s'apparecchiavano apertamente , e Siena , per dir la parola dantesca , barcheggiava. Gli ambasciatori d'Arrigo, che non avean potuto entrare in Firenze né in Bologna, si raccolsero prima nei castelli dei conti Guidi, e quindi per mezzo di altri signori ghibellini meno scoperti ivan citando i signori in persona e le città per sindaci o com- missari, a comparire dinanzi al re de' romani. I meno ardili dimandavano dilazione fino a che ei fosse in Pisa. I più andarono a Genova, e fra questi Uguccion della Faggiuola. Di Dante si vuol dire che parte di quest' anno 1311 ei passasse a Forlì, se abbiamo a credere a Pellegrino Calvi, che dice aver copiato un'epistola di lui di là scritta in nome degli esuli fiorentini a Cane della Scala, dove era narrato l'infelice successo degli ambasciatori d'Arrigo ai fiorentini. Di là poi 340 pare che venisse con gli altri fuorusciti e con Uguc- cione a Genova. Poco durò in Italia e invitaTinvano buone e prode imperatore dopo le sue vergogne di Roma e di Fi- renze, e dopo aver mandato di Pisa, o poco prima, suo vicario a Genova quell'Uguccione della Faggiuola che l'avea seguito, come pare, da un anno, e certo all'assedio di Firenze, attese agli apparecchi contro Roberto re di Puglia, dichiarato da lui nemico del-, l'imperio, e fatto da Firenze e Lucca signore loro per cinque anni. Federico Aragonese aiutava l'imperatore con un' armata di mare, e i ghibellini aiutavano pure, ma poco, pressato ch'era ciascuno dai guelfi vicini. Ma Arrigo avviatosi per la Maremma toscana addi 5 ago- sto 1313, e inoltratosi fino a Buonconvento presso a Siena, la solita infermità degli eserciti settentrio- nali , che avea mietuto già parecchie di sue genti e teneva lui malconcio da alcun tempo , inasprita probabilmente da quelle arie cattive, lo spense addì 24 dello stesso mese. Il corpo trasportato per le deserte maremme dal desolato e disperso esercito ghibellino fu recato a Pisa. Accorsevi approdando re Federico di Sicilia. 1 pisani gli offersero la signoria di lor città: ma egli se ne trasse indietro, ed essi diederla ad Uguccione, che se ne fé centro per poco tempo a maggior for- tuna. Dante, di cui non è traccia da Genova in qua, era probabilmente venuto a Pisa a un tempo che l'imperatore, ed ivi o presso ai Malaspina nella Lu- nigiana era dimorato nell'anno che Arrigo correva 341 a Koma , intorno a Firenze , a Pisa , a Buoncon- vento. In Pisa potè Dante conoscere Federico Arago- nese, a cui intendeva dedicare la terza cantica. E in Pisa fra l'agosto 1313, e novembre 1314, ritroviamo Dante, dove probabilmente compiè o fece gran parte della Monarchia e del Purgatorio sotto la protezione di Uguccione della Faggiuola, signore di quella città dopo il misero rifiuto del re di Sicilia. Quindi Lucca fu signoreggiata da Pisa, e Lucca e Pisa da Uguccione. E sotto lo schermo deiramico potè quindi senza pericolo entrar Dante in Lucca, quantunque da lui ingiuriata nell'Inferno. E termi- nando poco appresso , anzi appunto nel restante di quell'anno 1314, la cantica del Purgatorio v'intro- duce va quel Bonaggiunta da Lucca. Che come il canto XXIV, ove è menzione del soggiorno di Lucca, non potè esser fatto prima del giugno, così il XXXI 11 ed ultimo non potè esser fatto dopo il novembre 1314; poiché dal trovar Filippo il Bello re di Francia, un al- tro dei più grandi avversari di Dante, menzionato ancora e minacciato come vivente nell'ultimo canto del Purgatorio, si trae la data più certa che sia della composizione di qualunque parte della commedia. E già caduto Uguccione nel 1315, ignorasi se poi Dante restasse in Lucca col nuovo signore Ca- struccio (che è possibile essendo questi ghibellino) 0 se seguitasse i Faggiuolani presso ai Malaspina co- muni amici e poi in Romagna. Certo verso questi tempi trovasi anch'esso a nuovo rifugio in Verona appresso a Can Grande della Scala; che a tal si - gnore di gran potenza e fortuna venne come capi- U2 tano di luì Ugiu'cione nel J316, e intorno al me- desimo tempo come esule il nostro Dante. Ma a qual tempo vorrò io riporre il rifiuto da Federico fatto all'esule fiorentino, che lo addiman- dava di ricovero, se non circa a questo tempo; cioè circa il 1313 e il 1316, prima cioè del suo arrivo in corte di Can Grande ? E amplissima testimonianza a me ne porge una lettera di lui, seguente probabilmente di poco il suo arrivo plesso a Can Grande; la lettera con che ri- volgeva a questo, tolta a Federico di Sicilia, la de- dica del Paradiso non finito , anzi nemmeno inol- trato. Certo è che il Boccaccio parlando di quella de- dica delle tre cantiche ai tre Uguccione, Moroello Malaspina, e Federico di Sicilia, ed aggiungendo « al- cuni vogliono dire lui averlo tutto titolato a messer Cane » reca in mezzo due voci pubbliche sorte al- lora dal non sapersi la sostituzione fatta di Cane in luogo di Federico. Ad ogni modo, dì tali superbie altrui e disin- ganni di lui se grandissimo argomento non ne aves- simo in questa lettera, ne abbiamo non poche me- morie in altre occorrenze della sua vita. E per ri- trovarne un'altra nello stesso Cane, la storia, le tra- dizioni, le date, i casi posteriori di Dante, il non avere esso mandati a Cane gli ultimi tredici canti del Paradiso» tutto prova una rottura, se non ini- micizia, una mala intelligenza tra il superbo pro- tetto e il magnifico proteggitore. E perchè furono da lui vituperati i genovesi in su quel fine delflnferni), dove ci raddoppiava le in- 343 vcttive contro le città d'Italia, e fra i genovesi Branca Doria, allora potentissimo e quasi signore della città, v' era stato vituperato con quell' invenzione (la più atroce forse fra quante ne partorì l' ira di Dante ) per cui vivo quello e potente, era pure stato messo dal poeta nel piìi profondo baratro dell'Inferno, la Tolommea, tra i traditori del proprio sangue, per avere, dicevasi, ucciso il proprio suocero Michel Zan- che ? Perchè, io dico, furono da lui vituperati i geno- vesi ed il Boria, se non pei' gravi oltraggi dal mor- dace poeta ricevuti in un soggiorno di lui nella loro città: che: se fu, dovette essere allora, quando è pro- babile v'andasse con gli altin fuorusciti fiorentini e coll'antico anciico Uguceione ? Personale adunque e non politico dovette essere il motivo che indusse l'esule fiorentino a maledire la memoria di Federico. E in niuna altra cosa è più naturale il ricercarlo, che nella condizione dell'esule infelicissimo. Né dovrà piìi recarne maraviglia, se dopo non aver avuto da lui ricovero nella sua corte (e certo una prova negativa sempre ne abbiamo ancora in questo, che non esiste memoria, eh' egli sia stato mai presso di lui ) Dante ne detestò Vavarizia , la dappocaggine e la viltate ; e dovremo credere o che fosse Dante da Federico disprezzato o apertamente rifiutato. Questa adunque e non altra dovette essere la pri- ma cagione dei suoi disdegni. E tanto più ciò dovrà sembrar verisimile, se pon- gasi mente, che Dante, fermato il piano dell'immor- 844 tale poema, tutto ciò che vi diceva delle persone, che incontrava nel viaggio dei tre regni, era l'opera dei tempi e delle occasioni, e quindi dovea essere da lui fatto e pubblicato a seconda di quelli e di queste; cioè per piacere ai suoi protettori od ai suoi amici, 0 per maledire ni suoi nemici e ai suoi per- secutori. Né taceremo perciò quel grande italiano di vo- lubilità e di basso e personale risentimento. Nella pubblica vita può talvolta l'uomo fare e dir cose che attribuirsi possono all'impero de' tempi e delle cir- costanze; ma nella privata tutto ciò ch'ei fa e dice la sua indole di rado cela. Quindi potea Dante concedere alla pericolosa po- sizione di F'ederico il salvare a qualunque prezzo la sua corona e. il suo popolo; ma perdonargli non po- teva un fallo senza scusa, il qual manifestava pie- namente la durezza, l'avarizia, e la dappocaggine del suo animo. Così quell'esule fiorentino, che avea prima de- plorato la condizione della Sicilia per bocca di Carlo Martello nell' Vili del Paradiso in quei versi: E la bella Trinacria che caliga Tra Pachino e Peloro sopra '1 golfo Che liceve da Euro maggior briga, Non per Tifeo, ma per nascente zolfo, Attesi avrebbe li suoi regi ancora Nati per me di Carlo e di Ridolfo; ne deplorò quindi la condizione per la mollezza , avarizia, villate, e dappocarjgine di Federico. 345 Così quell'esule fiorentino, che fu cortesemente ricevuto la prima volta presso Bartolomeo figlio d'Al- berto della Scala, ove ebbe il suo primo refugio il primo ostello, in Verona, presso Moroello Malaspina in Lunigiana, presso Uguccione in Pisa ed in Lucca, presso Can della Scala, fratello di Bartolomeo e di Alboino e figli; di Alberto in Verona, presso Pagano della Torre in Udine, presso i Polentani in Bavenna, per non avere avuto ricovero o essere stato non cu- rato o disprezzalo o non aiutato di alcun sussidio da Federico d'Aragona, ne biasimò forse nelle sue eterne pagine l'avarizia e la viltà, e dovette venire ai dispregi di lui e vendicarsi a suo modo, toglien- dogli l'onor della dedica e forse aggiungendo i vi- tuperi che si trovano nel Convito. Prof. Filippo Mercuri. 346 Discorso intorno alla vita ed alle opere di Miehele Colombo , scritto dal professore Gaetano Cibelli. D. 'ei molti e grandi letterati, di che lallegrossi l'Ita- lia dalla metà del secolo decimottavo a mezzo il secolo appresso, Michele Colombo fu per comune sentenza appellato il Nestore, sì per la gravità del senno, sì per la lunghezza del tempo, eh' egli vis- se. Di questo preclarissimo uomo, con tutta sem- plicità e chiarezza, secondo che porta la poca mia sufficienza , entro a contare le cose più principali, sì in ordine alla vita, * si in ordine alle opere let- terarie. Di Iacopo Colombo e di Francesca Carbonere nacque Michele in Campo di Piera (villaggio a ven- ticinque miglia da Venezia e a quindici da Trevi- gi) neir aprile dell' anno 1747. 11 padre di lui, te- nerissimo com'era del bene de'suoi figliuoli, si die- de assai per tempo pensiero di procacciare al fan- ciullo la migliore istruzione , che per lui si potes- se; e a questo fine, non altro consentendogli la sua non troppo agiata condizione, il venne raccoman- dando ad un pio sacerdote del villaggio. Questi, se- condo il modo della sua possibilità, lo ammaestrò nelle prime lettere , e appresso nella grammatica. * Chi desidara più particolari notizie della vita del Colombo legga — Alquanti cenni intorno alla vita di Michele Colombo — messi in luce dal eh. cavaliere Angelo Pezzana bibliotecario della insigne libreria di Parma, 347 Michele, ehe sebbene garzoncello non provava altro diletto che imparare, non si stette contento a quel termine, a cui il buon sacerdote lo ebbe condotto, ma s' ingegnò tutto da se di procedere più là. 11 profitto pelò era assai da meno del sno ingegno : imperciocché , lasciando stare altre cagioni, i libri di letteratura , che i primi gli vennero alle mani , furono il romanzo di don Chisciotte della Mancia tradotto dal Franciosini, le rime di fra Ciro di Pers, e la Lira del cav. Marino. Per sua buona ventura però un giovinetto , che in quel villaggio si con- dusse, avvenutosi in lui, come prima si avvide de' libri che avea fra mano , il venne confortando di volerli gittare luogi da se, e gli mise in amoi-e le ventotto novelle del Boccaccio, il Galateo del Casa, il Petrarca ed il Tasso. Michele non penò punto a mettere in opera il consiglio ; e datosi a studiare in quei libri, gli sì rischiarò di presente quella ar- chetipa idea del bello, della quale era maraviglio- samente impressa 1' anima sua. Comecché 1' accu- rata proprietà de' vocaboli e de' modi del favellare, de' quali è mirabile il Certaldese, oltremodo gli an- dasse all'animo, pure non poteva acconciare la sua mente a quei numerosi periodi e a quei trasponi- menti di parole, in virtù de' quali quello acccUen- tissimo ingegno intese di levare la lingua italiana alla maestà ed altezza della latina. Quel diritto giu- dicio, che Michele avea sortito dalla natura, gli da- va che alla lingua nostra si affacesse maniera più schietta, più semplice e sincera. In processo di tem- po, attesamente studiando alle opere del Cavalca , del Passavanti, de' Villani, e degli altri gloriosi che 348 fiorirono nelP aureo secolo della lingua nostra , si confermò nella sua opinione : ed avvegnaché aves- se il Boccaccio pel più eloquente degli scrittori ita- liani, tenea che nel fatto dello stile non fossr pun- to da dovere imitare. Infino all' anno diciassettesimo dell' €tà sua di- morò Michele nella paterna casa ; nel 1761 s' eb- be vestiti gli abili chericali, e si condusse nel se- minario di Ceneda ad appararvi umanità e retori- ca. Si chiamò per contento assai del maestro Gian- nandra Galiari vicentino , il quale dipartendosi dal modo degli altri , anziché opprimere col peso di stucchevoli precetti la mente de' giovani, accurata- mente mirava a governare il giudicio , ad avvalo- rarne r ingegno , ad ingentilirne gli affetti. Intese per prova il Colombo che la natura non gli era sta- ta cortese di quella fervida immaginativa , che a vero poeta si conviene; ondechè drizzò tutto 1' ani- mo alla prosa , e in particolare a quella maniera di stile, che più si accordava alla naturale qualità del suo ingegno. Infra gli scrittori , ne' quali ave- va posto grande amore, carissimi gli erano il Se- gneri ed il Redi. Quindi a due anni prese a studiare filosofia ; alla quale, a voler dire il veso , non si diede con quell'applicatezza, che alla dignità di cosiffatta scien- za si conviene: colpa forse della disamabile e gret- ta maniera che teneva l' insegnatore. Il giovanetto Michele non potea farsi capace della utilità del si- sillogismo ; gli era avviso che il volere ragionare sillogizzando fosse proprio un mettersi le pastoie ; né restava di venir graziosamente scherzando intor- 349 no r ergoizzare de' disputanti. Qui mette bene no- tare che il Colombo avea da natura una felice at- titudine ai festeveli motti ed arguti; alcune sue ope- rette fanno assai chiara fede di siffatta naturale di- sposizione, la quale, per mio avviso, tanto meno e invidiabile quanto più è perigliosa. Ma lasciando ciò da parte, io mi penso che molto sia a dolere eh' egli liberalmente non usasse nelle filosofiche ma- terie r acutezza e perspicacia del suo intelletto ; che di molta dottrina si sarebbe di leggieri ravva- lorata la mente, ed avrebbe un più largo e prezio- so benefìzio arrecato alla civil comunanza. E mol- to parimente è a dolere che soli due anni studias- se in divinità ; imperciocché gli sarebbe agevolmen- te venuto fatto di entrare innanzi a moltissimi nel- la scienza della polemica ; tanto era egli singolare dagli altri per acume di mente e verità di giudi- ciò! Nel tempo eh" egli così era inteso alle filoso- fiche e teologiche scienze , avea pressoché per le mani i più illustri scrittori italiani, e ne venia sot- tilmente investigando le peculiari bellezze quanto a lingua ed a stile ; era pure solleci/o ricercatore delle più antiche ed autorevoli impressioni de' no- stri classici , e con tale accuratezza che mai la maggiore ne avvisava tutte ad una ad una le pro- prietà fino alle più sfuggevoli. Immacolato, com' era di costumi , e adorno di bellissime virtù, fu levato alla sacerdotale dignità: e tutto impresso di quella celestiale letizia , che si conveniva al novello suo stato , si ricondusse alla paterna casa , e consolò di sua cara presenza gli amati genitori. 350 Ivi però a pochi mesi si dipartì della terra na- tia, perchè il conte Folco Lioni di Ceneda, il qua- le ben sapea quanto avanti sentisse il Colombo nel- la difficile arte di entrar nell' animo de' giovanetti e di recarli soavemente air amore della religione e delle lettere , lo invitò ad istruire i suoi cinque figliuoli. Di buon grado Michele, usando il benefizio dell' occasione, entrò all' officio propostogli; e ve- duto che a doverlo convenevolmente adempiere gli era mestieri la cognizione delle matematiche, esso, facendo forza a se medesimo, si diede intentamen- te a siffatto studio; e ciò con tale felicità di suc- cesso, eh' egli non si sarebbe mai creduto da tan- to. Per ben undici anni , non senza comune sod- disfazione, intese a questo suo officio ; fornito che r ebbe , di psescnte mosse a Conegliano , ove il conte Pietro Caronelli avealo scelto ad educatore d' un suo figlioletto. Il fanciullo tenea del sempli- ce, anzi del pazzo; se ne addiede di tratto di Co- lombo, e per non contristare il conte, a cui il pa- terno amore facea di se velo alla mente, sotto co- lore che r aria di Conegliano non facesse per lui , uscì di colà lasciandovi non bassi esmpi dì sua pazienza. Pochi mesi appresso fu per dolce e caro modo invitato a Venezia ad ammaestrare due figliuoli del patrizio Giovanni Battista da Riva. Michele, eh' era giusto estimatore delle persone, si recò ad onore siffatto invito, e di buona voglia il tenne. Del ca- rico impostosi fu oltremodo contento, siccome co- lui che vedea a' suoi lodevoli desideri conseguita- re r un dì più ehe 1' altro intero 1' effetto. Avea 351 il Da Riva una assai bella libreria, fornita massima- mente di autori inglesi; ciò fu cagione al Colombo d' inestimabili beni, essendoché potendo a sua po- sta giovarsi d' ogni maniera di libri , seppe trarne prezioso tesoro di cognizioni. In Venezia si strinse di amicizia al conte Carlo Gozzi e ad Angelo Dai- ni istro ; conobbe il celebre abate Spallanzani , col quale ebbe alquanti ragionamenti sopra i polipi a mazzetto chiamati dallo Spallanzani alheretti animali. E qui, così per transito, non fia disutile di notare che il Colombo fu studiosissimo di alcune parti del- le scienze naturali , e che in particolare fu vago quanto altri mai di osservare le proprietà maravi- gliose de' polipi d'ogni maniera. In Venezia ebbe pure la bramata contentezza di più volte tenero sermone col Canova, maraviglia dell'arte scultoria. Essendo stato il Da Riva eletto dalla sua re- pubblica a podestà e capitano di Padova , colà si condusse, e con lui Michele e i figliuoli. Quivi gli uomini che erano di gran voce si raccoglievano insieme in letteraria ragunanza appellata inglesemen- te club ; ad essa appartenevano infra gli altri Si- mone Stratico, Melchior Cesarotti , Clemente Sibi- lato professori eh' erano di quella illustre univer- sità. Michele vi fu intromesso; davanti a tutti tro- vò grazia , e tutti lo ebbero per carissimo e per da molto. Tre anni o in quel torno il Colombo dimorò in Padova ; di là tornato a Venezia, stette in casa il patrizio Da Riva infinattantoché il mag- giore de' suoi alunni menò moglie , e il minore si fu ito col balio Vendramini a Costantinopoli. 352 Tornò Michele alla paterna casa , donde poco stante si condusse a Parma a dover crescere nelle lettere e ne' buoni costumi un giovanetto d' indole bellissima ed egregia, il cavaliere Giovanni Bona- ventura Porta. Era 1' agosto del 1796 , quando il Colombo tutto lieto di speranze , che non torna- rono fallaci, mise mano al suo officio. Appresso a forse due anni , nel quale spazio alla sollecitudine dell' eccellente maestro non fu punto disuguale la diligenza dell' ottimo discepolo , il Porta col suo dilettissimo, non so se io mi dica, amico o precet- toee , intraprese i suoi viaggi sì a beneficio di sa- lute , sì ad opportunità di svariale condizioni. Da prima il Porta si ristrinse a visitare la Toscana ; ivi egli e il Colombo a loro beli' agio vennero ac- curatamente avvisando tutto, che in quel felice pae- se , vera sede dell' urbanità e gentilezza , è degno di considerazione; ed ivi il Colombo ebbe il destro di farsi amici il canonico Bandini, 1' abate Fonta- ni, il canonico Moreni, 1' abate Fiacchi, e il cava- lier Baldellì. Conobbe pure Vittorio Alfieri ; e co- mechò questi di quel tempo si sottraesse quasi ad ogni persona , siccome colui che temeva non forse qualche francese ardisse di presentarsi a lui ( ed egli autore del Misogallo di tutta forza avea in odio i francesi o almeno ne facea vista ) , tuttavia al Colombo venne fatto di renderselo cortese ; e il disdegnoso astigiano , vinto alla gentilezza di lui , ordinò al suo cameriere che all' abate Colombo non fosse mai tenuta 1' entrata. Conobbe ancora il con- te D' Elei, il quale , uomo unico anziché raro nel fatto della greca e latina letterattu'a, possedeva una 353 veramente insigne libreria fornita a meraviglia della pili antica impressione degli autori classici greci e latini. II Colombo, che quanto altri mai traea d'ogni cosa profitto, per minuto ponea mente a quelle ra- re gioie, e più ricco divenne di cognizioni. Ivi a due anni i solerti viaggiatori fecero ritor- no a Parma, ove soggiornarono un anno senza più. Indi s' avviarono alla volta di Brescia e di Berga- mo, osservando, secondo loro usato, ogni cosa che meritasse il pregio della loro attenzione. Godea l'ani- mo al Colombo veggendo che il giovane a lui com- messo venia 1' un dì più che V altro acquistando di belle cognizioni; e, così lieto com' era, s' indirizzò col suo alunno a Milano e poscia a Torino. Dopo non guari spazio si trasferiiono in Francia, poi di Francia in Ispagna , poi d' Ispagna in Inghilterra. Più volte, non senza diletto e meraviglia, rividero la Francia, più volte la Spagna, né mai alcuna co- sa ragguardevole passarono inosservata. Nel tempo, che il Colombo trovavasi a Parigi, avea per costu- me d'intervenire alle pubbliche vendite di cospicue librerie ; di che gli venne fatto di rendere più co- piosa e pregevole la eletta , che si venia formando di buoni libri. Dipartendosi il Colombo di Parigi per alla volta di Parma , entrò in pensiero di visitare la patria del Bousseau , quella dell' Alfieri e quella del Bo- doni ; ed il suo pensiero mandò ad esecuzione. Non molto appresso col Porta, che n' era vago, misesi in cammino per le province orientali e settentrio- nali della già spenta repubblica veneziana , e da G.A.T.CXLIV. 23 354 ultimo tutti e due, chiamandosi contenti assai dei loro viaggi, a Parma fecero ritorno. Poco stante , cioè nell' anno 1817 , il cavalier Porta sposò a moglie 1' egregia Elena Buigarini, ap- partenente ad una delle piiì nobili ed illustri famì- glie di Siena. Ivi a due anni la lietezza di questo connubio tornò in lutto; che il cielo si ritolse 1' ani- ma bellissima di Elena, e ben era cosa da lui. Do- lente il consorte oltre ogni possibile immaginare , partì alla volta di Siena, e di colà verso Roma, ove raggiunse 1' incomparabile suo amico il Colombo. Comecché assiduamente vagheggiasse le meraviglie dell' arte , ond' è prestantissima quella città , she ben si pare la dominatrice del mondo , pure non potè Michele adempiere a mezzo il desiderio , nel quale s' era acceso, di contemplare quelle sovrane bellezze; tanto ogni cosa gli parca superiore ad ogni più intensa ammirazione ! Ivi di amichevole nodo 81 strinse a Guglielmo Manzi bibliotecario della Bar- berina , il quale si tenne avventurato di poter flirgli dono di un rarissimo libriccino contenente la tra- duzione ftitta dall' Anguillara del secondo libro del- l' Eneide. Dopo parecchi mesi Michele si ricondus- se a Parma, ove onorato, riverito, careggiato finché gli bastò la vita, rimase in casa del cavalier Porta che fu di lui amantissimo ed ossequioso al possi- bile. Mettendo ora mano alle opere letterarie del Co- lombo, picciolo di mole, non di valore , tanto più mi ristringerò a brevità quanto più chiara di esse Suona meritevolmente la fama. Aveva il Colombo sortito un intelletto acuto, una inente considerativa 355 e ordinalissima , un sottile discernimento di tutto che giova o che nuoce alhì perfezione , un' imma- ginativa aggiustatamente temperata; e datosi fin da' teneri anni allo studio della hella letteratura, pose r ingegno, quando fu tempo da ciò, a scrivere le- zioni , ragionamenti , discorsi , considerazioni , che dovessero tornare a profittevole documento de' gio- vani amanti delle lettere; e, cosa malagevole assai, riuscì perfettamente all' inteso fine- Le sue Lezioni sopra le doti di una eolla favella sono tali, per mio avviso, che trapassano ogni più alto segno di lode. In esse risplendono verità di principii, evidenza di discorso, aggiustatezza di cri- tica, bellezza di concetti, e sensatissime osservazio- ni, che tengono dei nuovo e del mirahile. Nelle sue lezioni mira egli con senno veramente filosofico per entro il segreto magis tero dell' arte, e consideran- do opportunamente quando la natura delle intellet- tuali facoltà dell' uomo, quando le ingenite propen- sioni del medesimo , non che le varie condizioni dell' anima umana secondochè è composta o per- turbata di affetti, reca per 1' appunto la ragione di quelle leggi , che appartengono all' essenza della elocuzione. Senzadio tutto ivi e maravigliosamente chiaro, perspicuo, ordinato; tutto impresso d' inge- nua urbanità e decoro; tutto atteggiato d' inimita- bile delicatissima grazia. E quale è mai fra i trat- tati di elocuzione, che pur vanno per la maggiore, che possa di pregio vincere o pareggiare le lezio- ni del Colombo so{)ra la chiarezza, la forza, la gra- zia ? Il perchè non è da maravigliarsi se 1' Italia con suo altero vanto accolse cosiffatte lezioni, e se 356 all' egregio autore fu larga di lodi; nò ò da mera- vigliarsi se i dotti accademici delia crusca , teneri dell' integrità della bellissima nostra lingua, le re- putassero ben meritevoli di corona. E qui si vuol considerare che di quel tempo le forme del dire più stravaganti ed improprie, le immagini piii am- pollose ed entusiastiche si accoglievano a furia nel- le scritture; di che si adulterava turpemente la ca- stissima nostra favella. Alle tre lezioni sopraccennate , dopo il volgere di non forse breve tempo, ne aggiunse il Colombo un' altra parimente giudiziosa e perfetta Dello siile che deve usare oggidì un pulito scriltore. Per essa intese egli a ragionevolmente temperare la senten- za del padre Antonio Cesari ( uomo al cui merito ogni lode è poca ), il quale avvisava che la gioven- tù quanto a lingua ed a stile dovesse dai soli scrit- tori del trecento fare ritratto. Quale fosse la nor- ma che ai giovani veniva proponendo il Colombo, si pare alle seguenti parole. ~ Studiate ( così egli ) diIÌ2;entemente ed assiduamente nelle carte di tutti coloro, che meglio scrissero nell' Italia. Studiate in quelle de' trecentisti , ed apprendete da quei padri e maestri del dire elegante e puro una graziosa semplicità , che non così facilmente voi potreste trovare in chi scrisse dappoi. Studiate in quelle de- gli, autori del cinquecento, ed apprendete da quegli egregi ristoratori delia favella un certo decoro, una certa giustezza , una certa maestria nel comporre , la quale non era sì ben conosciuta dagli scrittori che gli avean preceduti. Studiate finalmente in quel- le di questi ultimi tempi; ed apprendete dagli scien- 357 zìati scrittori de' nostri tempi; ed apprendete dagli scienziati scrittori de' nostri dì un miglior metodo neir ordinare le idee, una maggior precisione nel- r esporre i pensamenti, una maggior perizia ed in- telligenza neir assestare il compimento. — Queste sue lezioni, comecché bellissime ed in- gegnose, avea egli, modesto così com' era, per cosa appena mediocre, secondochè e' dice in una lettera indiritta ad Angelo Dalmistro ; e per cosa appena appena mediocre avea l'altra lezione ( bella di uti- lissimi avvertimenti ) che appresso venne scrivendo Intorno al favellare e scrivere con proprietà. Anzi tale era il giudizio , che di questa egli portava , che si era già posto in cuore, anziché di metterla in luce, di darla alle fiamme; e ciò indubitatamen- te avrebbe fatto , se il suo cj\ndido amico, il cav. Angelo Pezzana non ne lo avesse stornato. Ed oh! fosse stato piacere di Dio, che un amico ( il qua- le di certo molto avrebbe meritato dell' italiana let- teratura ) avesse potuto contendergli di ardere le ventiquattro lezioni del Blair , eh' egli avea re- cate neir italiana ftìvella! E qui é da sapere che il Colombo, avuto sentore che il padre Soave era pro- ceduto molto innanzi nella traduzione del Blair , ebbe per inutile la sua, e di presente V arse; tanto di se bassamente sentiva, e tanto onorato concetto avea preso di quel padre Soave! - È da grande filologo la lezione Bel modo di mag- giormente arricchire la lingua senza guastarne la pu- rità. Io per me vorrei che tutti i nostri novelli let- terati con occhio chiaro e con affetto puro , come appunto dice 1' Alighieri, ponessero ben mente alle 358 i»ìiiste norme che ivi con assennatezza e discrezione al tutto maravigliosa reca innanzi il Colombo; vor- rei che ben si facessero capaci degli aforismi ch'egli stabilisce come rimedio preservativo contro al gua- stamento della favella ; e in particolare vorrei che intensissimamente rivolgessero fra se questi due: - Non isperi di potere mai essei'e buono scrittore chi non ha per molti anni e molti voltate a rivoltate e dì e notte le carte degli autori, e massime de' piiì accreditati, e in ispeziellà di quelli de'migli ori tem- pi. - I jnodi impropi'i del favellare corrompono la lingua pili ancora che i vocaboli difettosi. Però so- pra tutto nella formazione dei modi di favellare deb- l)onsi usar precauzioni grandissime. - È da savio ed erudito filosofo la lezione Sopra ciò che compete alV inlelletlo , e ciò che aW imma- ginativa nelle diverse produzioni delV ingegno. E chi lasciando stare altre cose assai belle , che fanno chiara fede d' un intelletto perspicacissimo e forte, chi non applaude agli esempli che reca a far ve- dere come i filosofi Irasviano quanto incautamente allentano il freno alla loro immaginativa ? - Parto d'una vivace immaginativa ( die' egli ) sono quelle monadi, con le quali il Leibnizio pretese di spiega- re la formazione dell' universo, e tutto ciò che in esso si fa; parto d' una vivace immaginativa quegli atomi uncinati, coi quali il Gassendo imprese a spie- gare la discesa dei corpi verso il centro della ter- ra ; parto d' una vivace immaginativa quelle fibre del cerebro, altre vergini ed altre no, con le quali il Bonnet si sforzò di mostrare in che la remini- scenza differisce dalla semplice percezione. Che di- 359 rò poi di questi spirili animali, pel cui ministero , secondo 1' avviso del Melabranche, s' operan tante cose nel nostro cervello ? - E chi è che al tutto non consenta a ciò eh' egli dice a dover mostrare quanto neccia alla vera bellezza della poesia il so- verchio predominio che sulla scelta de' pensieri usur- pasi l' intelletto ? E chi è tanto dissennato o siffat- tamente preso de' deliri oltremontani, che non me- ni buone le sue considerazioni sopra il modo da tenere nel valersi della mitologia ? Bello medesimamente si è il suo Ragionamento intorno alV eloquenza de' prosatori italiani. Bellissimi e oUremodo cari e persuasivi que' suoi brevi discorsi che hanno stretta attenenza colle sopraccennate le- zioni. Non credo che uom potrà mai adeguatamente lodare quella sua Diceria in difesa dello scrìvere con purezza, eh' egli dall' orlo del sepolcro, dove nella grave sua età di presso che ottantaquatlramii sede- va, mandò al can. Moreni. Ho per giustissime e bel- le e gentili le Osservazioni intorno alV episodio di Sofronia ed Olindo, non che le Considerazioni sopra mia delle censure fatte dal Galilei alla Gerusalem- me Liberata. E a chi non piace quel breve discorso Della difficoltà de tradurre e del modo da dovervisi tenere più che si può ? Io qui mi passo, per iscri- ver breve, di parecchie sue operette, tutte mirabil- mente giudiziose e venuste, che tornano a grande profitto degli studiosi; non posso però passarmi del- le note, di che illustrò ben molti e molti passi del Decamerone, delle Cento Novelle, e della Gerusalem- me Liberata. Gosiffiute annotazioni, che sono argo- mento apertissimo della dirittura della sua mente, 300 (Iella perfetta conoscenza , che avea , de' classici scrittori, non che di quel criterio , che a pochi il cielo in sua larghezza destina, hanno tanto valore, che io per poco ne disgrado tutte le grammatiche ragionale e tutti i filologici trattati. E qui da che la materia, a cui ho messo ma- no, m'invita a parlare del Colombo, in quanto e' fu grande bibliografo , ed io entrerò a dirne qual- che cosa. Procacciossi egli fama e autorità di dot- tissimo ed accurato filologo col Catalogo di alciuie opere attinenti alle scienze, alle arti e ad altri biso- gni delV uomo. Quest' opera effetto di lunghi studi, di molta dottrina, di perfetto discernimento , recò alla letteraria repubblica inestimabile bene ; essen- doché dtì essa illustri scrittori trassero cagione di por mano ad opere utilissime , per le quali si fa via più ricco e prezioso il patrimonio della lingua nostra. E lasciando stare siffatto catalogo , chi è che leggendo e il Ragionamento sopra im luogo del- l' Asino d' oro di Nicolò Machiavelli , e 1' Articolo pertinente alle varie edizioni della Testina delle ope- re del Machiavelli medesimo, e le Lettere al Moreni sopra due luoghi del Decamerone del Baccaccio , e la Lettera intorno alla prima edizione delle cose vol- gari del Poliziano, e la Relazione dalla Polinnia Co^ miniana, e la Lettera ad Angelo Sicca ed altre co- se di questo genere , chi è che non abbia il Co- lombo per filologo Cìruditissimo e perfetto ? E in questo luogo mi giova notare eh' egli erasi forma- to un alto concetto della scienza, dell' accuratezza e della fede del bibliografo , e che all' idea della sua mente accordò mai sempre le opere sue. Mi si 361 consenta che io rechi quelle sentenze , colle quali egli apre il suo dotto ragionamento sopra un luo- go deir Asino d'oro: - Qualunque alterazione, che nel testo d' un libro sia fatta, o per trascuraggine o per ignoranza, è una violazione della fede dovuta all'autore ed al lettor tutt' insieme , e giusta ca- gione avrebbero entranibi di rimproveraine agra- mente colui che la fa , il primo con dirgli: Tu falsifichi la mia merce: ed il secondo: Tu mi dai moneta falsificata per buona. E non vale il di- re che queste alterazioni non sono di gran conto per la più parte; o piccole o grandi esse sono bia- simevoli sempre ; prima perchè non lasciano per piccolezza di essere macchie che alla scrittura si fanno, con togliere a questa la sua nativa purezza: ed appresso perchè ciò che leggiero è per un ver- so, può per un altro essere grave. E certo è , per cagione d' esempio , che in un libro d' istoria , il qual fosse autorevol anche nel fatto della lingua , infiniti cangiamenti potrebbero aver luogo poco no- cevoli 0 nulla alla istorica verità, e molto alla pu- rità e vaghezza della favella. - Per siffatte parole si comprende quanto era sublime il segno a che egli mirava ; segno veramente altissimo ed arduo , al quale non è da far maraviglia se talvolta non pon- no levarsi i moderni editori. A dover però pren- dere un adeguato e pieno concetto del valore del nostro filologo , sono anche da ben ponderare le dotte, ingenue e per ogni rispetto carissime lettere, le quali da buon tempo desiderate indarno , oia , la mercè di Dio, son messe a luce. Leggansi quel- le eh' egli indirizza ad illustri bibliografi e lettera- 362 li, e massime quelle eh' egli scrisse a Bartolomeo Gamba, e si comprenderà che nel fatto de' filolo- gici studi Michele fu non secondo a nessuno, a mol- tissimi primo. Quanto egli si conoscesse dell' indole de' giova- netti e delle loro intellettuali attitudini e disposi- zioni , e quanto acutamente mirasse per entro le attenenze che hanno fra se gli studi delle lettere e delle scienze, il mostrò nella giudiziosissima Lettera intorno al regolamento degli studi di un giovanetto di buona nascita. Di questo suo componimento scri- vendo egli al Dalniistro disse: - lo trovo appena mediocri quelle mie lezioni, e giudico alquanto mi- gliore la lettera intorno al metodo degli studi. Le considerazioni, che io fo là dentro, sono ben d' al- tra importanza che le osservazioni contenute nelle lezioni. - Sarebbe da desiderare che coloro i quali presiedono e coloro che intendono alla educazione de' giovanetti bennati, non avessero a schifo di ben addentrarsi nelle considerazioni del Colombo: che elle sono di tale natura , che ben meritano di es- sere altamente apprezzate. Scrisse pui-e un Discorso intorno alV ammaestramento che più conviene ai fan- ciulli, ben conoscendo egli che quanto più stretto è il bisogno che V uomo ha dell' altrui soccorso , tanto maggiore è il benefìzio che gli fa chi si ado- pera in prò di lui. A questo discorso appartengono quattordici novellette con a pie di ciascuna giudi- ziose osservazioni. Siffatte novelle sono , a detta dell' autore, invenuste e mal acconce all'inteso fine: tuttavia e' volle recarle in luce ad intendimento di eccitare più valenti letterati a scriverne altre mi- 363 glioi'i ; sapendo egli ( sono sue parole ) che V ec- cellente e r ottimo e d' oi'dinai'io preceduto dall' in- fimo e dal mediocre. Mal si opporrebbe chi si desse a credere che sola- mente nello stile o carattere insegnativo fosse stato va- lentissimo il Colombo: valentissimo e' fu parimente e nell'encomiastico, e nell'epigrammatico e nel narrati- vo. L'Elogio, ch'egli scrisse, di Elena Porla naia Bui- garini è per ogni rispetto bellissimo, nobile, e vera- mente degno di esser posto in esempio a chiunque abbia vaghezza di venire in fama nel genere lodativo. A far apprezzare il merito ed il valore dì quell'ani- ma eletta, discorre egli di quattro cose: in primo luogo dei doni che furono a lei largiti dalla natu- ra nel nascer suo; appresso, dello svolgimento del- le facoltà e intellettuali e morali che in lei seguì nella prima sua educazione, cioè in quella che al- tri le diede; in terzo luogo del perfezionamento che queste facoltà ricevettero nella seconda sua educa- zione, vale a dire in quella che died' ella a se stes- sa; e per ultimo dell' uso che delle medesime ella fece nella vita civile. Queste quattro parti sono trat- tate con assennatezza , con dignità, con abbonde- volezza, e con mirabile magisterio. Senza tema di errare io dico, che coloro i quali si conoscono del- la vera eloquenza, reputeranno questo elogio degnis- simo di ogni lode, ed avranno in ispezieltà per da più d'ogni lode quello stile acconciamente suasivo, onde si valse l'autore a volere incitare altrui a ben fare. Piacesse a Dio che coloro , ai quali è com- messa r educazione dì agiate e nobili giovanette , ben comprendessero e mettessero in opera i doveri 364 elle porta il loro oflicio! Doveri, de' quali egrogia- mente parla il Colombo. Meno tristo di certo sa- rebbe il mondo, se gli educatori intendessero a ben coltivare la mente de' loro alunni e ad arricchirla di utili cognizioni, massime di quelle che apparten- gono alla religione ; se intendessero a risvegliare nobili e sublimi sentimenti nel cuore de'medcsimi, a governarne le voglie, a tenerle in tutto alla ragio- ne sottomesse. Nò dovrebbero perciò porre in non caie di procurare alla persona de' loro allievi gli opportuni avvantaggi, di crescerli nella debita gra^ zia e nel convenevol decoro. Che tutte le cose, la musica, la danza, la coltura esteriore, le conversa- zioni, usate con modo, secondo che vuole ragione, e a lodevole fine indirizzate, possono tornare assai profittevoli. Leggasi attesamente ciò che intorno a questa materia dice con mirabile discrezione e ve- nustà il Colombo ; e non pure gli educatori e le educatrici avranno di che esser lieti della loro let- tura , ma i giovani e le giovani bennate potranno agevolmente coglierne eccellenti e copiosi frutti di virtù. Del valore dol Colombo nello stile epigramma- tico fanno chiaro dimostramento i Trattatelli eh' egli scherzosamente disse essere stati tradotti dalla lin- gua malabarica nell' italiana favella. Riescono ad essi caro ammaestramento que' suoi detti brevi, per- spicui ed acuti, facili per la loro chiarezza a com- prendersi, per r acutezza ad imprimersi , e per la verità a tenersi a mente. E chi non ammira in es- si quella, dirò così, difficile facilità procedente dal- la sembianza semplice ed ingenua d' un concetto 365 spiritoso ed arguto ? Vammi per la memoria ciò che ne disse un illustre letterato: alcune di quelle sentenze malabariche sono cosi venuste, che le gra- zie non sarebbero da tanto di farle più graziose. Questo giudizio è , per mio avviso, tutta verità. Dello stile narrativo diede pure il Colombo no- bilissimo esempio togliendo a scriverò alcune no- velle, col lodevole intendimento di alleviare altrui gli affanni e le noie di questa faticosa vita mortale. Tre * egli ne recò al pubblico belle e perfette per lo stile in ordine al quale gli venne fatto, se mal non mi oppongo, di aggiugnere alla eccellenza de' più celebri cinquecentisti- Volendo egli tentare il giudizio de' letterati del suo tempo fece correr vo- ce che la prima di cosiffatte novelle , cioè quella intorno a Franceschino da No venta, fosse opera del- l'Amalteo; e per cosa appunto degnissima dell'Amal- teo fu ricevuta e lodata a cielo. Mi giova di re- care qui una lettera indirizzata dal Colombo a per- sona , che lo avea richiesto dal manoscritto del- l' Amalteo. - Voi mi chiedete una cosa, della qua- le non è in poter mio il compiacervi ; e can ciò m' inducete a palesarvi un secreto che io non avea intenzione di manifestare a nessuno. Io lo fo con patto che rimanga la cosa tra voi e me. Il procu- rare d' aver qualche traccia del MS. originale del- la novelletta dell' Amalteo è il cercare una cosa im- possibile! La detta novella non è altrimenti di quei * Rispetto al numero delle novelle, e in generale, rispetto alle opere del Colombo leggasene il catalogo, che trovasi alla fine de' Centìi del cav. Pezzana. Sì noti però che ivi non si fa men* jidne di tutte le opere del Colombo 366 letterato ; essa fu scritta da me , ed^ ecco ciò che me ne diede 1' occasione- Il sig. co. Antonio Maria Borromeo raccoglie avidamente non solo i libri stampati di novellatori italiani, ma ancora novelle inedite. Io, che gli professo non poche obbligazio- ni per le grandi amorevolezze che quel buon ca- valiere mi usa, procurai di ripescargli ancor io qual- che cosa in questo genere: ma non mi venne mai fatto di rinvenirci nulla. Un giorno mi cadde in pensiero di provarmi se io fossi più in istato di scrivere in sul gusto dei cinquecentisti , come io avea fatto parecchie volte così per capriccio in tem- po di gioventù quando io studiava retorica , e di- stesi quella piccola novelluzza. Parendomi che lo stile non si scostasse molto dal fare degli scrittori di quel secolo , mi arrischiai a farla passare per «osa del cinquecento , ed a lui ne feci dono. Per renderne più facile 1' impostura, ebbi V avvertenza di attribuirla ad un autore, del quale non si aves- se nessuno scritto in prosa italiana, con cui poter confrontarla. In oltre, a fine di gabbar più facilmen- te i lettori, vi aggiunsi la piccola lettera che ci fu stampata in fine; ne citai un Ms. ideale ond'io fìnsi di aver tratta la mia copia. Col mezzo di tal arti- ficio ho avuta la compiacenza di vedere i nostri letterati beersi bonariamente questa bugia, ed ave- re la novella per cosa dell' Amalteo; il che mi ha fatto credere che non abbia imitato male lo scri- vere di que' tempi, e mi ha quindi animato di esten- derne un' altra a un dipresso del medesimo gusto. Io ve la trasmetto acciocché, scorsa che 1' avrete , me ne diciate il parer vostro. Neil' intioduzione 367 prendo di mira il giornalita di Pisa , il quale par- lando della novella attribuita all' Amaldeo, ne di- sapprovò r argomento, siccome quello che non con- tiene nessuna istruziene; come se gli altri novella- tori si fossero prefìssi di trattenere i loro lettori in argomenti importanti ed istruttivi. Penso, s' ella non vi dispiace, di dar fuori anche questa. La farò uscir sotto il nome di M. Agnolo Piccione . . . . - Di queste novelle bella per la invenzione e per Io stile è la prima; bellissima per ogni rispetto è la seconda, cioè quella nella quale si canta come Giac- carello condannato dal marchese di Saluzzo alla forca, trova modo di fuggirsi dalla prigione; la terza, quanto al subbietto, fa chiara fede che gli uomini anche più prudenti ed assennati non sempre si pon- gono mente in ogni cosa. Al genere narrativo o descrittivo appartiene pu- re la Breve relazione della repubblica dei Cadmiti , che il Colombo ad innocente sollazzo venne det- tando. Questo ghiribizzo ( che così 1' intitola 1' au- tore ) è nella sua apparente semplicità ingegnosis- simo , maestrevolmente condotto , e ben chiaro dimostra quanto 1' autore fosse valente in quel- r arte che ad arte cela se stessa. Ad alcuni che stanno in sul severo, è avviso che parecchi luoghi qua e colà sappiano troppo del satirico; siffatta opi- nione è rigida anzi che no ; e credo che coloro, i quali hanno titolo di moderati e discreti , concor- rono nel mio giudizio. Censurato 1' anzidetto ghi- ribizzo dalla Biblioteca italiana, il Colombo scrisse una gentilissima lettera all' autore della censura, e cordialmente ringraziatolo de' consigli che gli ave- 368 va dato, volle in segno di riconoscenza intitolargli il (lotto e grave Earjionamento intorno alle discordie letterarie. Oh quanto e più tranquilla e lieta e fe- lice sarebbe la letteraria repubblica , se il modo tenuto dal Colombo verso il suo censore non fos- se, com' è, una vana ricordanza senza più! Appartiene medesimamente al carattere narrati- vo r Istoria compendiosa della introduzione del tam- buro e delle campane in Parnaso. Intorno a questa ingegnosa operetta, e veramente singolare per la poetica inventiva , 1' autore dico queste parole: - Mia intenzione unicamente si fu di lasciar correrò la penna per puro divertimento dove la trasporta- va la fantasia , e non già dì mettere in canzone scrittori illustri, le cui produzioni sono tenute an- che da me in grandissima stima, e davanti a' quali io starei colla berretta in mano. - lo son di cre- dere che de' cento lettori ben novantanove saran- no non troppo disposti a dar fede a cosiffatta pro- testazione. Checché ne sia, passando sotto silenzio i concelti graziosissimi ed arguti ( che non poco san di sale), i quali con semplicità quasi direi co- lombina e' viene sponendo, porrò fine alla enume- razione delle principali opere del Colombo dicendo, che chi leggerà a ppensa lamento tutte le opere di questo preclarissimo filologo non penerà a vedere che in lui ad una perspicacia d'intelletto e ad una verità di giudizio al tutto ine omparabile si rag- giunse una felicissima altitudine a cotale maniera di satireggiare, la quale tanto più acuta riesce quan- to si nasconde più sotto abito semplice e modesto. E tengo per indubitato che coloro, i quali avranno 369 accuratamente ponderate le opere di lui, non si ren- deranno malagevoli di meco convenire in quaste due sentenze. La prima delle quali si è, che se il Colombo non fosse stato rattenuto da troppo basso concetto di sé medesimo ( che quantunque valesse assaissimo , si teneva da poco e quasi da nulla ) avrebbe fatto prezioso dono all' Italia di molte e molto più gravi opere letterarie; essendoché il non poco che fece è quasi niente alla potenza ond' era fornito. La seconda si é, che se non avesse reli- giovamente fatto forza a sé medesimo colla grande sua virtù , sarebbe egli nello scrivere satirico en- trato per avventura innanzi a tutti. E qui toccando ornai della fine, non posso preter- mettere di notare che il Colombo fa sacerdote in- tegerrimo, esemplarmente pio, tenero quanto altri mai del perfetto adempimento d' ogni suo officio ; amante della virtù in cui che si fosse; non curan- te de' beni di quaggiù ; misericordioso co' poveri , de' quali, secondo sua possibilità, fu largo soccor- ritore. Officioso cogli amici, abborrente dalle discor- die, portatore pazientissimo delle malattie, che mol- te e gravi lo assalirono ; in ogni avversità fermo della mente e imperturbabile, siccome colui che al- tamente sentiva della divina provvidenza. Tenjpe- rato nelle prosperità, in tutte cose ordinato, discre- to né mai grave a chicchessia; il suo eloquio non fu copioso gran fatto, ma sempre chiaro , pulito , venusto e ad ora ad ora festevole ; quanto a per- sona, non di molta appariscenza , senza però alcu- na deformità; di guardatura vivacissima e penetran- te; di statura più che mezzana; di vestimento tra C.A.T.CXLIII 24 370 convenevole e negletto; in sua giovinezza prese dì- letto della caccia , nella matura età del giocare agli scacchi , sempre dell' amichevole conversare. Tale si fu 1' abate Michele Colombo appellato il Nestore de' letterati; visse novantun' anno, due mesi e undici o dodici giorni; la sua morte fu tranquil- la, quale appunto si conveniva ad uomo , a cui la cattolica religione sia stata ferma norma e costan- te. Di lui le più illustri accademie non che quella della crusca si onorarono; di lui i più celebri let- terati furono solenni ammiratori, per forma che il Monti ebbe a dire *: - GÌ' italiani non diventano classici che dopo morte, il Colombo è classico vi- vente. - Di lui durerà per sempre la fama, se pu- re r Italia non porrà vergognosamente in non cale il decoro e la gloria della bellissima sua letteratura. * V. Elogio di Michele Colombo deito alla R- Jccad ernia Luc- chese da Ferdinando Maestri. 371 VARIETÀ' Ellogium Ioannis de Andrea eqiiitis torquati ordinis hierosolymarii. 8." Romae 1856. Chi sia stato il marchese Giovanni d' Andrea lo sanno bene i lettori di questo giornale, i quali ne hanno letto parecchi elogi. Or cccone un altro , scritto veramente con aurea penna latina dall' esimio P. Antonio Angelini della compagnia di Gesù. Alcuni scritti di Michele Melga. 8." Napoli dalla stamperia del Vaglio 1856. ( Un voi. di pag. 246.) Michele Melga è fra que' giovani scrittori na- poletani che più mantengono in fiore le buone let- tere, e soprattutto hanno cura di serbare in onore il patrimonio dell' eleganza nella favella. Questa scelta de' suoi scritti assai lo dimostra: nella quale non sapremmo dire se piiì ci piacciano le belle cose 0 le belle parole. Appendice al libretto La prima e la seconda patria, ossiatio due altre righe di prosa , di verso e di epigrafitty per Alessandro Baldassini. 8." Pesaro presso Annesio Nobili 1856. ( Sono pag. 35. ) Segue il sig. marchese Alessandro Baldassini ad illustrare la cara e gentile sua Pesaro: ed ecco qui 372 un' orazione recitata da lui nelle esequie rinnovate della marchesa D. Barbara Anguissola Mosca: ora- zione piena di affetto e di belle sentenze e notizie: due sonetti: ed una elegante e tenera iscrizione ita- liana al sepolcro della piissima sua genitrice mar- chesa Margherita Mosca Baldassini. 373 INDICE Visconti , Antiche lapidi rinvenute dal cavalier Guidi pag. 3 Ciampiy La comm. ital. nel secolo XVII . » 58 Cialdif Del porto di Pesaro ( con litografia ) » 109 Belloniy Monografia della febbre miliare. . h 14-5 Biolchiniy Esposizione dei drappi di lana e seta fatta in Roma nel 1856 « 244 Considerazioni intorno, alcune opere mediche del Ladelciy delV Heringe e del Migneco. . » 253 Cappello, Istorico riassunto sopra il cholèra in- diano » 287 Coppi, Discorso sul ristoramento delV emissario di Claudio. » 305 Mercuri, Lezione XVIII sulla Divina Commedia riguardante Federico di Sicilia. . . . » 314- Gibelli, Discorso intorno alla vita ed alle opere di Michele Colombo » 346 Vaiietà : » 371 Pag. lin. FRRORl COKREZIOiNI 148 13 Provincie province id. 25 ed apparvero apparvero 153 30 Chemel Chomel 157 10 sintematica sintomatica 158 29 sintomaca sintomatica 160 23 paurpera puerpera 163 18 sintomalogia sintomatologia 172 18 e asserisce asserisce 178 8 da sudore: da sudore id. 9 periodo cessa: periodo cessa. 189 4 tutti ' tutt' i 191 1 circostanae circostanze 196 20 scaturisse scaturisce 206 9 in sola in una sola 208 22 Pietro Sulia Pietro Salio 212 32 sintematico sintomatico 214 nota phtìhsie plithisie 218 nota dalle malattie delle malattie id. 9 affaciano affacciano 217 6 esacuazioni evacuazioni 222 30 a reprimere reprimere IMPRIMATUR Fr. Th. M. Larco Ord. Praed. S. P. Ap. Mag. Socius IMPRIMÀTUR Vr. Ani. Ligi Archiep. Vicesgercns » Nel giornale si dà il sunto, o \icnc inse- rito l'annunzio, delle opere prcscnlate in dop- Q^g> pio esemplare alla direzione. Se queste opere ^^g) vengono dall'estero, debbono essere inviate |^^ franche d'ogni spesa di porto e dazio. Le notizie di scienze, di lettere, e di belle arti, quelle di scoperte utili per l'agricoltura, industria ec, come anche i programmi de' con- corsi accademici, dovranno similmente esser mandati franchi di posta alla direzione. Chi si associa per dieci copie, o ne garan- tisce la vendita, avrà l'undecima (jrulis. ^ iX^^ WW W^>^S!^^^^ GIORNALE DI SCIEIVZE, LETTERE ED ARTI ^@> Voi. 433 434 435 ROMA Tlpografla delle Belle Arti 1856 GIORNALE DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI VOLUME CXLV OTTOBRE, NOVEMBRE E DICEMBRE 1856 ROMA TIPOGRAFIA DELLE BELLE AKTI 1856 SCIENZE, LETTERE ED ARTI Numismatica ascolana, ossia dichiarazione delle mo- nete antiche di Ascoli nel Piceno. Deiravvocato Gaetano Deminicis , membro della commissione ausiliare di belle arti e antichità nella provin- cia di Fermo ; socio della pontificia accademia romana di archeologia ; deW istituto romano di corrispondenza archeologica; delle accademie reale ercolanese e pontaniana di Napoli ; della società archeologica di Madrid ; della colombaria di Fi- renze; della etrusca cortonese ecc. jja scienza delle monete è ogglmai considerata come uno de' principali fondamenti della certezza della storia; perciocché le monete sono monumenti figurati e scritti o, come dicono, parlanti, per mezzo de' quali si manifestano e perpetuamente conser- vansi gli storici fasti e gli avvenimenti militari e religiosi, civili e politici più importanti e segna- lati di tutti i tempi e di tutte le nazioni. E nel vero il diritto della impressione della moneta dal- le romane leggi si ascrisse fra i primi e più gran- di diritti di regalia, come quello che sin dal prin- cipio al solo capo dell' imperio era riservato, e dal medesimo anche raramente altrui conceduto. Il qual diritto si giudicò altresì in ogni tempo qual segno di autonomia o di potestà suprema, e quin- di della primitiva grandezza di una città. Conside- randosi perciò dai dotti, che la pubblicazione delle k monete de' vari stali italiani del medio evo avreb- be recato grandissima utilità alla storia (1) per co- noscere qual fosse l'Italia ne' suoi conti, marchesi, tiranni, duchi, re e pontefici, nelle sue repubbliche, città e terre , vuoi ne' tempi tenebrosi e remoti , vuoi ne' men lontani e vicini; molte opere nel pas- sato secolo e nel presente si pubblicarono intorno 9 ciò, fra le quali la dissertazione XXVIl del Mu- ratori, le opere dell'Argelati, del Carli, del Bellini, e la grande raccolta del Zanetti, tralasciando d' in- dicare quelle che si limitarono ad illustrare moltis- sime zecche delle città e provincie italiane (2). Ascoli però ancor mancava della sua storia numis- matica , benché di alcune monete vari scrittori avesser brevemente discorso. Laonde stimammo di ricogliere tutto ciò che ragguardasse le monete storiche ascolane, ed insieme con alcune nostre con- siderazioni presentarlo alla pubblica luce (3). Ascoli del Piceno (4), città nobilissima e forte di natura e di arte , fu capo e sede degl' Italiani che reclamavano giustamente a Roma i diritti della loro cittadinanza, e tra gli altri quello de'suffragi ne' pubblici comizi (5). Quivi nella terribile guerra sociale furono vinti il proconsole Servilio , e gli esploratori e messaggeri romani; da essa città usci- rono tre duci principalissimi della guerra , e nel luogo stesso ebbero termine le ostinate ed acerbe battaglie tra i romani e i popoli italici (6). Era duopo pertanto ricercare primamente , se questa città di tante rimembranze gloriosa , potesse mo- strare a suo maggior vanto d' aver arricchita 1' an- tica numismatica de' popoli doli' Italia media, come 5 altre città e popolazioni sue vicine. Vi fu qualche numografo che dubitò non forse dovesse attiibuiisi ad Ascoli del Piceno una moneta di bronzo con leggenda greca AYCKaA [Aijscla) [Eckhel, Addenda p. li ). Se non che il eh. Cavedoni osserva , che tale moneta non ad Ascoli del Piceno debba aspet-- tare, sì ad Ascoli dell' Apulia , una delle città ri- bellanti al tempo della guerra italica ; il cui agro fu devastato dall' esercito romano guidato da Go- sconio , di cui parla Appiano (7). Il Millingen (8) riporta due monete con la stessa greca leggenda ripetuta, di diverso tipo, cioè AYh 'y/£.KAI , o AY£KAir2N, ed opina che le due città omoni- me del Piceno e dell' Apulia sieno state designate differentemente , ma che la seconda pili sovente siasi appellata A£KAON, o Ascidum: per cui l'at- tribuisce egli ad Ascoli di Apulia. Giova ascoltare le sue parole medesime (9): - H y avait deux vil- les du nom d'Asculum, une dans le Picenura, l'au- tre dans 1' Apulie, beaucoup plus considerale , et à la quelle appartiennent ces monnaies. Cette ville est ordinairement appelée A^KAON, ou Asculum; mais dans Frontinus on lit Ausculum, et dans Pline seculani ( Hist. Nat. lìb. IH cap. XVI ). Anche il eh. T. Mommsen in una lettera indirittaci da Roma il 17 marzo 1846 dichiara essere dello stesso parere del dotto inglese Millingen , attribuendo con cer- tezza tali monete ad Asculum Apuliim, e con lui conviene anche il eh. Giulio Friedlaenter (Die Oskis- chen Munzen , p. 54-56). Ed in vero le monete de' piceni o de' popoli adriatici ( salvo quelle d'An- cona ) non furono improntate di greche leggende, 6 ed in osse non solo i simboli son latini, ma altresì i caratteri della lingua parlata; il perchè non ci è dato porre nel novero delle monete dell'Ascoli pice- na cotesti nummi. Fu del pari attribuita alla nostra Ascoli un'an- tichissima moneta , senz' altro tipo che H da un lato, ed fi^ dall'altro, dal cardinal Zelada (10), dal Delfico (11), dal Cavedoni (12), da Carlo Strozzi (13), dal MilHngen (14) , qual moneta di concordia o confederazione fra Ascoli ed Atri, poiché dicevano essi, esprimersi coli' H la iniziale di Ha tri, e con A^ quelle di Ascoli (15). GÌ' illustratori poi del- l' Aes Grave del museo kircheriano furono i pri- mi, che togliendo ad Ascoli questa moneta , solo ad Atri 1' attribuirono, osservando che 1' H e 1' A in ambedue i lati erano le due prime lettere di HAtri , e che gli atriani da' latini copiassero la S arcaica per indicare la semoncia (16). Ma poiché in cosa di tanta importanza non sembravano bastanti i brevi cenni che se ne addussero nel loro ragio- namento dai dottissimi p. Giuseppe Marchi e Pie- tro Tessieri , così noi nelF imprendere a dettare questa qualunque siasi memoria credemmo con- venevole di consultare novamente uno de' medesi- mi, cioè il p. Marchi, il quale a' 2 novembre 1843 confermava la già manifestata opinione in una let- tera a noi indiritta. » Eccole ( egli ci scriveva ) » il perchè sarebbe contra il fatto riconoscere il » semiobolo di Atri come moneta d' Ascoli, e peg- » gio come moneta di confederazione fra Ascoli » stesso ed Atri - Gli unici popoli, che, per quanto « finora da' monumenti ci vien dimostrato, lungo 7 » il littorale adriatico ebbero moneta primitiva di » getto, sono que' di Rimini, di Fermo, di Atri, » di Lucerà, di Venosa, ed i Vestini. Rimini, Atri, » e Lucerà , perchè n' ebbero in maggior copia , » ne hanno fatto infin d' ora conoscere tutte le » loro varietà. Di Fermo non conosciamo che il trio- » bolo e il diobolo (17); de'vestini il diobolo, l'obolo » e il semiobolo; di Venosa il triobolo col diobolo. » Sono cosi conosciuti quattro semioboli adriatici, » il riminese e il lucerese che mancano del segno » del proprio valore , 1' atriano e il vestino che » fortunatamente portano il valore rilevato sul cam- » pò. I due primi , quantunque mancanti di quel « segno, si riconoscono per semioboli, perchè oltre j) r obolo conosciutissimo di Rimini abbiamo una )) monetina , che è appunto nella misura la metà » dell' obolo, ed ha nel diritto, come tutta la se- » rie di quella zecca, la testa nuda col torque al ì) collo; talché quella monetina costituisce indubi- » tatamente 1' ultimo anello dì quella serie. Cosi )) la monetina , che è la metà dell' obolo lucerese )) porta stampata sopra una delle sue facce la ^ ì) che è la nota comune a tutte le monete di quel- » la serie. Gli atriani ed i vestini che prendevano )) il proprio semiobolo dalla semoncia de' popoli » latini, a' quali geograficamente più che a' rimi- )) nesi e luceresi eran vicini, tolsero per segno del » semiobolo il segno medesimo di quella semon- » eia, che è la ^ o J , o , arcaica di tutti gl'italiani. » La semoncia de' vestini porta questa ^ ; quella )) degli atriani quest' altra 3 . Aggiungasi che i ve- » stini, che scrissero le tre prime lettere del loro 8 » nome su tutte le loro monete , mostiarono di » ben conoscere la nuova forma della S, mercechè » non scrisser già YEZ , ma VES. E gli atriani , » scrivendo quel loro HAT con forma tale di let- » tere, che nell' età d' Augusto non sarebbesi fatto » meglio, anch' essi ci dimostrarono, che segnavano » moneta in un tempo in cui 1' alfabeto avea già )) ottenuti tutti i suoi miglioramenti e perfeziona- » menti. Perciò se fosse vero che il semiobolo » d' Atri fosse moneta sociale d' Ascoli, non Iro- » verebbesi già scritto A 3 > iif^a AS. Oltrediciò , » come ordinerebbesi la serie d' Atri , togliendole » il semiobolo, mentre le altre officine adriatiche » r hanno tutte? Come giustificherebbesi la pro- » venienza di quella moneta da Atri, e mai o qua- » si mai da Ascoli , per quanto conosco io che » in questi fatti studio da anni ed anni ? Dove )) metterebbesi l' onore d' Ascoli , che mentre le « città e i popoli vicini segnavano una serie di )) sette monete , non avrebbe segnato che questo » mostruoso J^? Come vorrebbesi leggere 1' H, che )) è nel diritto di questa moneta e che non è né » vocale ne consonante, e quindi non può aver va- » lore come segno puro di aspirazione , senz' ap- » poggiarla alla vocale A del rovescio, e leggen- )) do almeno HA ? Ella, signor avvocato, continui » il ragionamento, chèla perspicacia non le man- )) ca: e non tema d' offendere 1' onore d' una città )) onoratissima per tant' altri titoli , distruggendo » un pregiudizio che quanto in se è assurdo e fal- )) so, altrettanto è insufficiente all' intento per cui )) da chi non vuol ragionare si vuol pur tenere 9 )> in piedi. » Per conoscere se il p. Marchi era an- cor fermo nel manifestato parere, ci femmo a ri- chiedernelo di nuovo, potendo essere avvenuto che col volgere degli anni , e per altri ritrovamenti e confronti, avesse cangiato d' avviso; ed egli rispose confortando di nuove ragioni la stessa sentenza (18). La quale venendo da giudice competente qual'è il Marchi , sì per esser egli di molta critica for- nito e di grande intelligenza nella numismatica primi- tiva italica , e sì per i confronti, che potò farne nella gran collezione kircheriana, la più ricca che si conosca di siffatte monete, noi non ci ciediamo ca- paci di continuare il ragionamento, ed attendiamo ch'egli ed il suo dotto collega Tessieri, nella nuo- va edizione della rinomata opera, manifestino più ampiamente le ragioni , per le quali debba ripu- tarsi la controversa moneta per semoncia o semio- bolo di Atri. Diciamo solo , che chiunque anche privo di pratica in tali studi , all' osservare la se- rie delle monete atriane dall' asse al semiobolo , ne rimarrà convinto per la conformità dello stile nei simboli e nella foggia delle lettere. Né potrebbe dirsi appartenente ad Asculum del Piceno, né ad Asculum dell' Apulia la moneta con A da una parte e caduceo dall'altra (Zelada, Num. une. tab. 1. 4; Carelli tab. XXVII , 7 „ e 1' Aes grave del museo kircheriano classe IV tav. II num. 8); poiché colla nuova pubblicazione dell' opera » La stipe tribu- tata alle divinità delle acque apollinari scoperta al cominciare del 185^2, di G. M. d. C. d. G (Roma tip. delle belle arti 1852 ) » vien tolta ogni dubbiez- za che non potesse appartenere a popoli adriatici. 10 Imperocché i eh- Marchi e Tessieri (questi ora direttore del medagliere della biblioteca vaticana) allorquando pubblicarono insieme quella loro opera stimarono es- ser quella moneta il quarto dell'oncia delle monete di Atri { ivi p. 32 ), non per indizio che ne aves- sero qualunque del suo esser atriano , ma indotti dall' apparenza di quell' A, e dal non saper trovare un' altra serie, alla quale attribuirlo. Il tempo, che tante cose ci svela , ha obbligato il eh. p. Marchi a riportare quella monéta al di là dell' Apennino. Egli a pag. 11 della Stipe pubblicò essersi rinve- nute nelle acque apollinari ventisette once con A nel diritto e nel riverso il caduceo, e quattordici di quelle once con A e campo liscio nel riverso. Or se tali acque contavano ben 41 di queste mo- nete; se niuna moneta delle città poste oltre 1' A- pennino si è rinvenuta nelle acque apollinari , si è obbligati a tenere anche queste 41 come ap- partenenti a città poste verso il mare superiore. In tal modo è vie più dimostrato , che alle due omonime città di Ascoli non potesse appartenere quella moneta. Lasceremo adunque tale argomento alle disquisizioni de' coltivatori della nobilissima scienza delle antiche monete : e per conoscere se Ascoli abbia avuto le gravi, 1' attenderemo dal tem- po, al cui volgersi, uscendo fuori del terreno clas- sici monumenti, questi o conforteranno le esposte opinioni, se fossero giuste, o le respingeranno, se riposassero sopra ragioni arbitrarie o mal fondate congetture. 11 Che se ad Ascoli del Piceno non possiam noi attribuire con certezza le monete sopra riferite , terremo ora proposito di due rarissimi nummi, i quali, se non furono coniati in quel!' antica ed il- lustre città , hanno però impressi i nomi di due celebri suoi cittadini. Al che è da premettere co- me r esimio archeologo Francesco Capranesi nel- r anno 1839 pubblicò una moneta spettante a Ti- berio Veturio Barro, la quale offre nel diritto la testa di Ercole coperta della spoglia leonina, dietro cui la nota del quadrante, e nel riverso TI. VET. B. - Tiberius Veturius Barnis ( le tre lettere del nome sono in nesso ). Strigile e vasetto da olio collegati con una cordella: dalla parte opposta RO- MA (19). Egli, nell'annunciare questa moneta da lui pos- seduta, ci dice esser la quarta che viene alla luce con questo nome , sendo stata la prima edita dal Ramus nel catalogo del museo di Danimarca, por- tante l'epigrafe TI. VET. colle tre lettere del nome in nesso, e ROMA; la seconda similissìma conser- varsi nella incomparabile raccolta del conte Barto- lomeo Borghesi, principe de' numismatici; la ter- za essergli stata fatta vedere da noi. » II celebre Morelli ( segue il Capranesi ) par- » landò a lungo della gente Veturia, disse che la » moneta d'argento coli' epigrafe TI. VET. spettas- » se a Tiberio Veturio Barro triumviro monetale e » questore urbano nel tempo di Siila: e in prova » di ciò tra le altre cose avverte di un difetto nel » presente passo di Cicerone: Omnium aiitem elo- » quentissimiis extra hanc urbem T. Betucius Barrus 12 » asculanus, cuius siint aliquol orationes Asculi ìiabi-' )) tae. Illa Rotnae cantra Caepionem , nobilis sane: )) cui orationi Caepionis ore respodil Aelius; qui scrì^ » ptitavit orationes multa s orator, ipse nunquam fuit. » ( De claris oratoribus liber , qui dicitur Brutus )) cap. XLVI). Che provenisse da una svanitura )) dello scritto , ovvero da un errore del copista , » giustamente si avvide il Morelli, che quel Betu- » cius dovesse restituirsi in Belurius o Veturius, e » leggersi correttamente Tiberius Veturius Barrus, V Ora dopo circa un secolo , da quanto così ret- » tamente quel!' antiquario pensò , ci soprav- » venne questo compiuto quadrante, il quale prova » mirabilmente quanto egli disse. « Continua po- scia r erudito illustratore a dichiarare il signi- ficato del rovescio , e 1' uso di questi quadranti : e quindi sull' appoggio del tipo di questa moneta, e di Giovenale (F/, 447 ), di Orazio ( Sat. /, 3, 137), di Seneca ( ep. LXXXIV , 29 ), e di Cice- rone [Pro Coel. 26) , i quali ci attestano che pa- gavasi un quadrante al balneator , capo o custode del bagno , conchiude che la tassa imposta sopra i bagni ebbe principio al tempo di Siila, allorché ad essi presedeva Tiberio Veturio Barro triumviro monetale o questore urbano ; della qual legge si volle segnare la memoria sopra alcuni quadranti coir insolita rappresentazione dello strigile e del va- setto da olio (20). Altra moneta, eh' è la quinta tra esse, fu an- nunziata in appresso dal eh. Giulio Minervini di Napoli come esistente nella sua raccolta (21). Sif- fatta pubblicazione del Capranesi di una moneta 13 inedita diede occasione ( siccome avviene allorquan- do si pongono in luce monete od altri monumenti inedili, che servono di fondamento alla storia ) a due valentissimi archeologi Celestino Cavedoni di Modena , ed allo stesso Minervini , di manifestare intorno a questo importantissimo nummo la opi- nione loro. Noi crediamo di riferire brevemente ciò eh' essi dottamente ne scrissero, perchè possa dedursi quanto le loro osservazioni sieno fondate sul vero. Al primo sembrò assai ingegnosa la con- gettura del Capranesi , il quale nello strigile , da cui pende appeso il vaso dell' olio, ravvisa un' al- lusione al quadrante su cui è ritratto quel tipo in riguardo alla tassa de' bagni qiiadranlaria , eh' ei suppone invalsa a' tempi di Siila. « Pure ne du- bito assai ( sono sue parole ) tra perchè non v' ha iorse altro esempio di tipo allusivo al valore del- la moneta su cui è inciso , e perchè le monete di Ti. Veturio , in riguardo all' asse onciale ed al denario , che non mancava nel ripostiglio di Romagna nascosto a' tempi di Siila , voglionsi ri- putare alquanto più antiche di quello che parvero al lodato sig. Capranesi. Io sospettai da prima, che lo strigile col vaso dell'olio, essendo simbolo mani- festo di bagni o terme, potesse alludere al cogno- me Barrus di Ti. Veturio, avendosi da Servio {ad Georg, i, 109) che « scrutatorcs, vel repertores aqua- rum, aquilices dicuntur , barimdas dixerunt ». Ora però vedendo che tra pe'riscontri addotti dall' Aver campio, e per la moneta edita dal Capranesi, sem- bra ornai certo che questo Ti. Veturio si cognomi- nasse BARRL'S, e fosse oriundo da Ascoli del Pi- u ceno, parmi assai meglio riferire Io strigile alle terme ascolane che furono assai celebri e frequen- tate [v- Cluver. Ital. ant. p. 742; Colucci^ Antichità pie. t. Xyj, p. 233 248 ). Il vaso dell' olio, oltre- ché va di sua natura congiunto allo strigile, può eziandio riferirsi alla bontà e copia dell' olio del Piceno { Plin. XF , 4). Ancora que' due simboli de' bagni possono connettersi con la testa di Ercole, al quale erano sacre tutte le terme, come ne attesta Ateneo {XII, p. 512): t« dcpixòc Xcurfià ra ©arvo/^sva £X rvjg yr.g yravrs; "HpaxXsoug (puah upd uvxi [cf. Eckel T. 1, p. 214, T. Vlly p. 213 ) » (22). L'opinione del Cavedoni intorno al simbolo del vaso non andò in grado all'autore dell'articolo in- serito nel Tiberino an. VI pag. 205, specialmente perchè « nuova gli viene la celebrità delle terme ascolane » alle quali si riferisce lo strigile col vaso dell'olio: ed altresì perchè « non è punto naturale » la proposta allusione all'olio piceno, non avendo » potuto mai quella provincia in tal punto garég- » giare con la Sabina e con l'Umbria ». Noi non crediamo entrar giudici in tal questione; faremo os- servare senza più, che celebratissime furono le acque termali esistenti presso Ascoli sin dalla più remota antichità; il che conforta l' opinione del detto ar- cheologo modenese sulla significazione del simbolo posto dall' ascolano Beturio nel quadrante di che parlasi. Ed in vero; nella tavola peutingeriana, delinean- dosi il corso della via salaria che da Roma pro- grediva sino al Piceno, si nomina fra gli altri luoghi ASCLO PICENO AD AQUAS IX. Il vico Ad aqms 15 è l'odierna Acquasanta, distante da Ascoli un dieci miglia. Questo nome si ebbe dalla sorgente di acque minerali e sulfuree assai salutifere. Marsilio da Pa- dova (23) parlando de' bagni d'Italia dice: - Sim/ ef Asculi aquae salubres, quondam eliam celebres, qiias romani freqnentabant. Cn. Plancus consul sanitalem cum recuperasse^ quam non invenerat in Thuscia, va- cavit qentem asculanam incognilam morti, cum vitam in aquis servarci. - Oltre i bagni nel vico ad aquas, presso Castel Trosino ve n'eiano altri di acque mi- nerali dette salmacine: ed il Vannozzi, parlando dì queste, ne fa fede che era tanta la loro celebrità, che ad esse concorrevano frequenti non solo i pi- ceni e i sanniti, ma altresì i popoli più remoti, e massime i romani , e per sino i consoli (24). Acpennammo superiormente, che il eh. Minervini nel far noto che ancor egli possedeva il quadrante della famiglia Veturia, pubblicato dal sig. Capranesi, espone alcune osservazioni intorno al tipo di quella nuova moneta, e dimostra che il trovarsi insieme lo stri- gile e l'ampolla olearia porgesse un simbolo ado- perato dagli antichi a denotare i bagni, e ciò col- r autorità di Giorgio Fabricio nella descrizione di Roma: - In clivo quirinali, ubi nunc monaslerium est, quod corrupta romanorum lingua. Bagna Poli quasi Balnee Pauli dicitiir. Prope has in proieclo lapide , formam strigilis et ampullae vidimus exsculplam -. Poscia sostiene , che il quadrante fosse il prezzo del bagno sull'autorità di Orazio, di Giovenale, di Seneca, di Plutarco, di Quintiliano, e di altri antichi scrittori: e manifesta il suo parere, che a' tempi di Siila, essendo triumviro monetale o questore urbano 16 Ti. Vetui'io Bario, dovè stabilirsi il tenue prezzo del quadrante , perchè veniva quella spesa a ricadere soltanto sul popolo, mentre i piiì ricchi aveano in casa loro i bagni privati. Quindi egli congettura che Veturio Barro volle forse denotare sul quadrante , che avrebbe dovuto pagarsi quella moneta pe' bagni de' popolani (25). Avevamo noi compiuta questa monografia , quando il dottissimo conte Borghesi ci scrisse, che un altro quadrante di Veturio Barro gli era capitato, ma meno conservato. » In quello eh' io aveva leggesi chiaramente TI. VE. B, onde se ne conchiude che n' esistono due varietà; se non che più stimabile sarà quello da lei posseduto con VETV , perchè esclude che possa assegnarsi alla Vettia, alla Vetilia, o ad altra gente, che incominci il nome da quella sillaba , e ne assicura l'attribu- zione alla Veturia. » (Lettera del 30 agosto 1853). Noi ci siam forse trattenuti con troppe parole intorno a questa rarissima moneta, della quale sin qui si conoscono soli sei esemplari ; ma abbiamo creduto di presentare riunite le varie disquisizioni degli archeologi, perchè ciascuno possa intorno alle medesime dar suo giudizio. Pubblichiamo il nostro quadrante colle lettere VETV, in cui non appari- scono chiare le lettere del prenome TI , e manca la iniziale B del cognome Barro [Vedasi nella ta- vola I delle monete n. 1) (26). L'altra moneta, benché non sia uscita da offi- cina ascolana , pure appartiene anch' essa ad altro più celebre concittadino, voglio dire a quel P. Ven- tidio Basso, che da vii condizione pervenne al mas- simo degli onori, cioè al consolato. Questo rarissi- 17 mo mimo niosti'a da una parte la testa nuda di M. Antonio coi lituo dietro la nuca, e con la leggenda M. ANT. IMP. 111. V. R. P. C, e dall'altro canto le lettere intorno P. VENTIDl. PONT. IMP., e fi- gura virile nuda in piedi di fronte con clamide but- tata suir omero sinistro ; si appoggia colla destra all' asta , e nella sinistra tiene un ramo di olivo [Tav. I delle monete n. 2)- Per riferire alcun che intorno alle geste di cotesto ascolano, rammente- remo che ottenne Ventidio la pretura nel 711; che nata intanto la guerra modenese si ritirò nel Pi- ceno, ove raccolse tre legioni ; che Ottaviano gli permise di andare ad unirsi con M. Antonio che fuggiva nella Gallia , ragione per cui fu in Roma dichiarato nemico pubblico; che dopo il famoso tri- umvirato di Lepido , Antonio e Ottaviano fu egli nominato pontefice, e negli anni 712 e 713, attri- buita a M. Antonio la Gallia , governolla in nome di lui; che poscia agli 8 di giugno del 716 riportò r ultima e la piiì celebre delle sue vittorie ne'campi cirrestici, in cui non solo fu sconfitto l'esercito de' parti , ma vi rimase estinto altresì il supremo lor duce Pacoro figlio del re Orode: pel quale segna- lato valore ebbe titolo d' imperatore, e il 28 no- vembre dello stesso anno 716 entrò trionfante a Roma (Dione L 49 e. 21). Questa medaglia adun- que dell' ascolano Ventidio deve essere posteriore al luglio del 716, ed essere stata certamente bat- tuta in quel torno , perchè Antonio sopravvenuto nella Siria ricondusse in Grecia Ventidio alla fine di quella campagna , come dimostrò il dottissimo conte Rartolomeo Borghesi (27). La figura che si G.A.T.CXLV. 2 18 ravvisa nel rovescio è dello stesso Antonio in co- stume eroico, e però nudo con in mano 1' olivo in aria di pacificatore, alludendosi all' accordo di lui con Antioco re di Comagene, allorché fu assediata da Antonio la città di Samosata. Abbiamo reputato dire alcuna cosa su queste due monete per rammentare que' due celebri asco- lani Tiberio Veturio Barro e Publio Ventidio Bas- so, che formano la gloria de' vetusti tempi di quella città (28). Ma poiché ci siam prefisso trattare prin- cipalmente delle monete de' secoli di mezzo , così passiamo ora a discorrer brevemente sulla origine della zecca ascolana, per dichiarar quindi le mo- nete che alla medesima si appartengono. Istituzione e coìiferme della zecca ascolana. Varie sono le opinioni degli storici intorno il tempo in che fosse istituita la zecca ascolana. Il Bellini (29) sull' appoggio dell' Ughelli (30) ne sta- bilisce la istituzione per privilegio conceduto dal- l' imperatore Ottone ad Adamo vescovo di Ascoli nell'anno 996. 11 Peruzzi nelle dissertazioni anco- nitane (31) segue la opinione dell' Ughelli e del Bellini, ed aggiunge che le monete ascolane sono pili antiche delle anconitane. Però lo storico An- dreantonelli (32) , e dopo lui il Carli (33) , asse- gnano Ja istituzione della zecca di Ascoli a' tempi dell' imp. Corrado li , il quale con diploma dato nel 1037 concesse a Bernardo I vescovo di essa città il diritto di batter monete d' ogni sorta , le quali liberamente e sicuramente potessero correre in tutto il suo regno {Documento A). 11 suo sue- 19 cessore Enrico IH ncll' anno 1045 concesse lo stes- so privilegio ( Documento B ), che poscia confermò nel 1056 ne' vescovi, i quali potevano usarne [Do- cumento C ). Fecero altrettanto l' imperatore Lot- tario III nel 1137 ( Documento Z> ), Corrado II re de' romani nel 1150 [Documento E), e finalmente Federigo Barbarossa nel 1185, il quale estese que- sto diritto a tutta la episcopale giurisdizione [Do- cumento F). E l'imperatore Arrigo VI figlio di Fe- derigo cenfermò con quattro diplomi del 1185, 1191 e 1193 tutti i privilegi e diritti da' suoi an- tecessori conceduti alla chiesa ascolana. Non può asserirsi con sicurezza se dappresso le imperiali concessioni, di cui parlammo, si conias- sero monete dai vescovi , ai quali il privilegio fu accordato: ma fra le monete riferite dai numografi e quelle per noi raccolte, se ne veggono battute in argento colla leggenda in lettere gotiche S. EMI- DIUS ed effigie di esso santo vescovo , e nel ri- verso una croce con le parole DE ESCVLO, ESCLO, ed anche A.SCVLO. Noi però non trovammo rife- rite da alcuno, ne ci fu dato vedere giammai, mo- nete con la leggenda del capitolo ascolano, CAP. ASCVLANI, come da taluno si è asserito (34). E qui crediamo conveniente osservare , come non sembra siasi dall' imperatore Ottone accordato il diritto di coniar moneta ad Adamo vescovo di Ascoli neir anno 995 , o in quel torno, conforme si pare voglia inferire 1' Ughelli da un diploma eh' ei riferisce (35) ; poiché , oltre il non leggersi espressamente conceduta in esso tale facoltà, non è a presumersi , che in quel secolo , in cui altre 20 più illustri città italiane non coniavano monete , fosse stato conceduto siffatto diritto ad Ascoli ; né tampoco ci adagieierno così facilmente al Mar- cucci (36), il quale è di avviso, che dopo la con- fermazione che ne fece 1' imperatore Corrado II neir anno 1037 al vescovo Bernardo I, si facesse uso di tal diritto , indicandone anche le prime monete eh' ei chiama vescovili , le quali hanno il tipo con r immagine di s. Emidio , ed intorno le parole S. Emidius PP, e nel rovescio una specie di dalmatica col motto De Esculo. 1 papi, riacquistato avendo in appresso il do- minio di quella città, concessero anch' essi o con- fermarono il privilegio della zecca, che dagl' impe- ratori era stato accordato; imperocché ne' pontifi- cati di Martino V, di Eugenio IV, di Sisto IV e di Alessandro VI si coniarono in Ascoli monete coi tipi recanti i loro nomi e le chiavi incrociate ; e taluna volta gli slemmi gentilizi di essi papi , e r arme della città , come in appresso a' suoi luo- ghi indicheremo. Monete con la immagine di S. Emidio. Sin dal nono secolo le città italiche comincia- rono a venerare alcun santo sotto il titolo di loro protettore {Cf. Ughelli [tal. &acr. tom. 4 e. 533) ; nel duodecimo poi ogni città adottato aveva in pa- trono quel santo, o martire o confessore, del quale pili degli altri parlavano le memorie averla illus- trata colle virtù , colle beneficenze e con i mira- coli. Furono quindi per costante consuetudine sulle 21 monete, coniate dopo questo tempo, impresse le im- magini dei santi protettori delle città (37); con che oltre lo stabilirsene il culto e il far onore al nome di essi , marcando un distinto contrassegno di sé medesime, non pochi articoli s' illustrarono di ec- clesiastica erudizione, com'è a vedere nelle dottis- sime dissertazioni del Bellini [Oper. cit. V. il Bi- emmi Slor. di Brescia p.. 244 e seg ). Or benché non si conosca il tempo preciso , in cui furono eoa niate in Ascoli le monete colla effìgie di s. Emidio, certa cosa é che nel secolo xn era da essa città venerato per suo protettore (38). E poiché i diligenti numografì non lasciano nelle loro raccolte di darci le notizie di que' santi, i cui nomi leggiamo nelle monete, perché del tutto alla curiosità del leggitore si satisfaccia; così farem noi riguardo a vescovo di tanta celebrità, ma in brevi tratti, secondoché a questa fatta scritture si addice, spezialmente per essere state le memorie di lui già pubblicale per molti agiografi ; e senza entrare in polemiche sulle varie opinioni manifestate intorno a tal santo (39) , seguiremo ciò che ne dissero i Bollandisti ( tomo xxxiv al dì 5 agosto ) , le leg- gende rinvenute in un cod. ms.° della biblioteca vallicelliana di Roma, la vita del santo del p. Ap- piani, ed altri più recenti storici sacri. Emidio ebbe suoi natali in Treveri, città prin- cipale della Gallia belgica, 1' anno dell' era cristia- na 279. Essendo egli d' ingegno assai desto, attese alacremente agli studi, e si convertì alla fede cri- stiana aiutato da s. Materno primo vescovo trevi- rese. Per cessarsi dalle persecuzioni ehe contro gli 22 furono mosse, si allontanò dalla patria dirigendosi verso r Italia. Giunto a Milano, viene ordinato sa- cerdote, e si fa banditore del divino eloquio; ma, fortemente trava}»liato , è costretto fuggirne. Ren- desi in Pioma, e quivi nell' isola tiberina operò se- gnalate conversioni e distrusse nel tempio di Escu- lapio il simulacro di questa falsa divinità. Di che nuove e fierissime persecuzioni ebbe a sostenere , dalle quali a salvarlo, da papa s. Marcello fu elet- to vescovo di Ascoli, e tantosto insieme con i suoi discepoli, che avea convertito alla fede, mosse per quella città ; ma temendo, non forse Massenzio lo avesse quivi a turbare, trasse alle vicine terre del Pretuzio, a cui fece similmente raggiar la luce del- l' evangelio. Potè dappoi far ritorno ad Ascoli, ove subitamente infranti gì' idoli e le divinità pagane ridusse colle sue predicazioni la città stessa ed al- tre terre alla religion cristiana: e benché oppresso da infiniti travagli, vi fondò la sua chiesa. Ma viep- piiì crescendo contro di lui le molestie, venne a Fermo a confortar nella fede i credenti e ad ac- crescerne il numero (40), come altresì in vari luo- ghi della regione picena. Ma la sua chiesa ascola- na a sé il richiamava : ed egli tornatovi , reca al battesimo quei che rimanevano ancora nell'idolatria, fra cui Polisia figlia del prefetto Polimio, il quale di ciò sdegnato , deliberò che il s. vescovo si de- collasse. Difatti ragunate le schiere de' pretoriani militi , il fé' a poca distanza della città in loro presenza decapitare, in quella eh' ci non ristavasi, comechè negli ultimi istanti della vita, dall' esor- tare il suo gregge a mantenersi fermo nella ere- 23 denza di Cristo. Seguì il martirio di s. Emidio il giorno quinto di agosto dell' anno 309 dell' e. v., à:" dell' impero di Costantino, e 6." ed ultimo del pontefice s. Marcello. Fu egli il proto-vescovo di Ascoli e r apostolo del Piceno, e per tale è rico- nosciuto dall' Ughelli, dall' Andreantonelli, dall' Ap- piani, ed anche dai Bollandisti nel comento agli atti di lui n." 1 (41). Fu dagli ascolani fin dai pri- mordi della loro chiesa il culto di questo santo costantemente osservato, con averlo eletto in pro- tettore e titolare , e con celebrare il dì quinto di agosto siccome sacro alla memoria del martirio di Ili: conciossiachò le antiche leggi municipali o sta- tutarie di essa città, riconfermate nell' anno 1387 (42), ordinavano, oltre le sacre festività, anche le popolari, fra le quali V armeggiare, far torneamenti e correr giostre ( Appiani Vita di s. Emidio cap. 8, /. 3 ). Ad onorare pertanto questo s. vescovo fu stabilito che s' improntassero le monete con la sua effigie. Quattro sono fra esse, che a parer nostro si coniarono primamente nella città di Ascoli dopo la ottenuta concessione della zecca. Hanno nel campo la figura in piedi di s. Emidio con mitra, aureola e dalmatica, in atto di benedire con la destra, te- nendo il pastorale nella sinistra; leggesi in giro PP. S. EMIDIUS (43) ; il riverso ha nel campo una croce patente con le lettere intorno DE ESCVLO ( Vedi il prospetto cronologico mini' 3 4 5 e 6 , e tav. I numeri 3 4 5 e 6 )• Sono di argento, e po- co fra loro dissimiglianti. Non è agevol cosa il de- terminare se tali monete appartengano al secolo 24 XIII o al XIV ; ma se si ponga mente allo stile , alla forma e disposizione delle lettere, noi crediamo che le due prime spettino al XIII e le altre al XIV, poiché la foggia , onde sono condotte , è al tutto simile a quella che vedesi nelle monete , che di que' tempi si coniavano nelle zecche di Ancona, di Ravenna e di altre città sì per la figura della mi- tra, sì per la movenza del santo vescovo. Poniamo qui una moneta d' ai'gento, che avem- mo in sorte di acquistare, dopo la incisione delle tavole, la quale differisce dalle precedenti, ed è al tutto nuova ed inedita. Nel diritto ha S. EMIDIVS; busto del s. vescovo in piviale con fermaglio o bot- tone ; mitra o infula puntuta , ornata di pietre, e colle due fasce pendenti sugli omeri; al di sopra due rosette. Nel riverso DE ESGVLO all' intorno; neir area A grande con quattro rosette ne' lati; nel margine superiore ima piccola croce fra due ro- sette (44). Dalle monete di tempo incerto, e che noi re- putiamo coniate a' tempi dell' autocrazia ascolana, in cui non avvi alcun segno del secolo nel quale furono battute (45), veniamo a parlare con ordine cronologico di quelle che presentano i nomi de'si- gnori, che tennero il governo della città, e de' pon- tefici dai quali furon o ordinate. 25 Uno stato assai infelice delle nostre città nel corso de' secoli XIV e XV ci presentano le storie municipali della marchiana provincia. Agitazioni universali, lotte cittadine, orgogli di patriziato avi- do di titoli e di dominare i luoghi vicini con usur- parne il possesso, fazioni guelfe e ghibelline, mire ambiziose di signorotti che intendevano di padro- neggiare le città col pretesto di ritornarle a libero stato e a più sicuri privilegi e franchigie: tal è il carattere dello spirito politico italiano di que' se- coli. Non ispetta a noi dare una particolare narra- zione di quanto avvenne nella città ascolana ; ma poiché la storia monetaria non mai si scompagna dalla civile e politica, che anzi le è di grande sus- sidio, così, nel descrivere ciascuna moneta , brevi cenni faremo di que' fatti che si collegano con la medesima. Il reggimento di Ascoli durante il secolo XV fu tenuto da più potenti signori, i quali, non già le- gittimi padroni di essa, ma ne furono violenti in- vasori. Coloro che , per dar maggior vista di do- minio , fecero improntare del loro nome le mo- nete ascolane, sono Andrea Matteo duca d'Atri, il re Ladislao, Conte di Carrara e da ultimo France- sco Sforza. Moneta del duca d'Atri. Sulla metà del secolo XIV l'Italia cominciò ad esser feconda di capitani venturieri , e pressoché niuna città, niun paese di essi era privo. Dall'Um- bria massimamente uscirono uomini ch'ebbero fama 26 di assai valorosi , fra' quali è da noverare Biordo Michelotti perugino. Costui si trasferì a guerreg- giare nella Marca, dove ruppe le genti della chie- sa, fece prigione Andrea Tomacelli fratello di papa Bonifazio IX in Macerata , la quale ad allontanar Biordo dalle sue mura gli diede mille ducati [Murat. Rer. italic. script,. XVI, 1154). Poscia continuando le sue scorrerie, giunse sotto le mura di Ascoli con tremila cavalli e buona quantità di fanti , e vi si pose improvviso ad assedio. La città tra pel valore de'cittadini, e per essere munita e forte, si liberò da questo capitano di ventura col pagamento di tremila ducati (46). Ma ciò non valse a rappaciare le due fazioni che bollivano in quella; che anzi vie più si resero balde ed avide di bottino e di san- gue. I capi del partito ghibellino insorsero con du- genlo uomini nel novembre dell'anno 1395 per ren- dersi padroni non solo dei fortilizi urbani , ma di tutta quanta la città. Si mosse allora il popolo asco- lano, e con la direzione de'capi guelli si preparò a difendere la patria. Si combattè sanguinosamente; furon respinti i ghibellini e cacciali. A tale condi- zione trovandosi i fuorusciti , si ripararono negli stati di Andrea Matteo di Acquaviva , successore ad Antonio suo padre nel ducato d'Atri, nella si- gnoria di Teramo e nella contea di s. Flaviano, of- ferendogli di farlo signore di Ascoli; impresa, essi dicevano , non ardua aiutata dalle loro armi e da quelle di lui. Egli che mire ambiziose volgeva in mente , e appetiva di ampliare la sua potenza , di buon grado accettò la offerta: e senza por tempo in mezzo, si mosse per questa città con seiciento lance 27 ch'egli teneva al suo soldo, e con tutti que'fuoru- sciti ghibellini ascolani. Pertanto la notte del 20 novembre 1395 fu il duca sotto le mura della cit- tà (47) , e come pratici del luogo i fuorusciti si accinsero a scalare le mura: il che eseguito, apri- ronsi ad esso ed alla sua gente le porte di s. Pietro in castello ; ed entrativi e colti all' impensata gli abitatori , accadde un trambusto e una lotta cosi sanguinosa , che vi rimasepo spenti due capi de' guelfi. Il duca che credeva poter impadronirsi di Ascoli senza colpo ferire, veggendo l'arduezza della impresa per la resistenza che incontrava, e svanite le promesse de' ghibellini, si fortificò sul coll(^ pe- lasgico , facendo assapere agli ascolani eh' egli ri- cercando sicurezza in quel luogo , rivolte avrebbe le sue armi contro i fuorusciti; il che essendo av- venuto, si ripararono essi in Arquata , ove battuti dalle armi unite degli ascolani e atriani , tornò il duca ad Ascoli vittorioso , e se ne fece padrone , rimanendovi come tale per alquanti mesi, fino cioè alla metà di febbraio del 1396. Ma stanchi ornai gli ascolani di lui, si posero nuovamente in armi, e lo discacciarono con le truppe a se addette: e la città ritornò sotto il dominio di Bonifazio IX, che la fece subito con forte nerbo di militi presidiare da Mostarda da Forlì. Il duca, benché lontano, non cessava di manifestare i suoi diritti sulla città; dap- poiché in un diploma di privilegio dato in Teramo il 24 aprile 1396, e spedito a favore Viri nobilis Odoardi Cicchi de Esculo amici nostri carissimi^ ei chiamava Ascoli nostra civitas et curia (48)' 28 Ora nel tempo che corse dal novembre del 1395 al febbraio , o poco più oltre, del 1396 , il duca reso padrone di Ascoli > volendo vie pili mostrare d'aver acquistato de' diritti sulla città, fece coniare una moneta, che col suo nome e coti quello di S. Emidio suggellasse la sua dominazione. Quest'unica monetina importantissima (perchè conferma il fatto sopra narrato) è al tutto inedita e non conosciuta da alcun numografo. Noi la diamo qui incisa la pri- ma volta nella Tav- I. n. 7. Essa è di mistura; ha impresso in un lato le parole intorno S. EMIDIUS EPI, in mezzo PVS {Episcopiis) ; nella sommità del margine avvi una crocetta. Dall'altro lato la croce nel campo con rami di fioretti ai due angoli della medesima, e )>^ DUX ATRIAN. Per quanto non vi si legga De Esculo^ pure egli è certo che appartenga a questa città, poiché non si sa che altra ve n'ab- bia, la quale riconosca in protettore questo s. ve- scovo. Siffatta moneta fu rinvenuta per le non in- terrotte ricerche da noi fatte ; ed altra poscia ne venne fra mani : amendue fra loro si suppliscono per una piti certa leggenda (F. in fine il Prospetto cronologico num. 8) (49). Moneta del re Ladislao. Rimase AscoH per alcuni anni sotto il dominio di Bonifacio IX, e quindi del suo successore Inno- cenzo VII, il quale con bolla de' 13 gennaio del 14-06 concesse per tre anni la infeudazione di questa città a Ladislao re di Napoli , che 1' accettò , conten- tandosi d'intitolarsene protector et gubernator (50): 29 e ciò a patto che riscattar dovesse le castella oc- cupate da alcuni signorotti di que' tempi , render conto dell'amministrazione, e il tutto restituir poi alla S. Sede. Saputosi ciò da Andrea Matteo duca di Atri, potè ottenere dal re, che a lui si desse l'in- carico di prenderne il possesso , ricordevole della cacciata da essa città un dieci anni innanzi e siti- bondo di vendetta. Difatti si condusse quivi con buon nerbo di armati , e nel nome del re s' impossessò della città. Non è a dire qual fosse la costernazione de' cittadini ; e di vero il duca commise molte ro- vine, stragi e altre miserie ; il perchè Innocenzo con altra bolla dei 20 giugno dello stesso anno 1406 revocò la concessa infeudazione [Arch. secr. anzian. ascol. ) . Fu in questo anno creato marchese della Marca e capitano generale delle armi potiflcie Lo- dovico Migliorati, nipote di quel pontefice; mancato però di vita, e succedutogli Gregorio XII, il privò del governo marchiano. Ricorse il Migliorati a La- dislao, il quale sdegnato della revoca, fece occupare «olle suo armi Ascoli e Fermo» E mostrando voler fare la restituzione di Ascoli, la cede il dì 5 agosto 1407 al re Ladislao {Saggio cit. p. 309.). A lui mos- se il pontefice gravi lagnanze di sì fatto indegno procedere, rimproverandolo del tiadimento e della mancata fede; ma da esso si posero innanzi de'pre- testi per ritenere la città {Vedi Anlonii Nicolai, An- noi. Firm.). Ed afììinchè potesse egli rimaner tran- quillo in questo possedimento, cercò ogni mezzo per rendersi affezionati gli animi degli ascolani. Sappiam difatti {Arch. secr. anzianale) , che ai 15 di set- tembre del 1407 Ladislao concesse in perpetuo la 30 ^ fiera di agosto con assai franchigie , raffermate poi da lui stesso nel 1 408 ; che scemò le gabelle, riunì alla città alcuni luoghi o borghi, dichiarò che la terra di Ancarano dovesse continuare ad appar- tenere al distretto di Ascoli, concesse il permesso di estrarre bestiame dal regno napolitano, e per ani- mare e far rifiorire il commercio, accordò la estra- zione di talune merci, e specialmente del ferro, dal suo porto di S. Flaviano senz'ajcun dazio. Né ciò fu bastante : perciocché in sul declinare dell' anno 1409 Ladislao stesso si trasferì di persona alla città di Ascoh, continuando anche dopo la sua partenza nell'esser largo de'suoi favori verso di quella ; poi- ché nel 1410 accordò un perpetuo privilegio di en- trare liberamente senza gravame di tassa, e cosi pu- re di estrarre liberamente animali e robe sino al valore di 50 ducati. Nel 1412 Ladislao venne a con- cordia con papa Giovanni XXllI , obbligandosi di rendere alla sedia apostolica i dominii ad essa per- tinenti ; ed avendo tenuto Ascoli sino all'anno 1413, ne investì Conte di Carrara e i suoi figli Obizo e Ardizone. Durante il suo reggimento fra le altre cure ch'ebbe re Ladislao, vi fu quella di coniare moneta. Quatti'o simili ne possediamo non pubblicate da al- cuno: hanno nel diritto REX. LADIS nel giro, le ultime quattro lettere LAVS nel campo disposte ia croce, e nel margine crocetta. Dall' altro lato leg- gesi DE. ESCVLO all'intorrio, e croce patente nel mezzo, con due rosette a' due angoli della croce (51). [Tav. I. niim. 8. Prospetto cronologico num. 9). Egli è vero che sin qui non sonosi rinvenute memorie, le quali ci dicano, che fra le altre con- 31 cessioni, che si fecero da quel principe, vi fosse an- cora il gius di batter moneta ; tuttavolta non dee ciò recar meraviglia, perciocché appare dalle leggen- de poste nelle monete che conserviamo, ch'egli non al comune di Ascoli accordar volle codesto privile- gio, ma il riservasse per sé, profittando del diritto d'infeudazione, che avea ottenuto dal pontefice. E difatti non sono indicati in essa moneta che la città e il nome di quel monarca che ne ordinava la co- niazione ; di che sembra certo, ch'egli stesso volesse improntare tal moneta col proprio nome per aggiun- gere all'esercizio delle altre sue prerogative quello sopra tutte eminente della zecca ; ovvero potrebbe congetturarsi, che la coniassero gli ascolani in be- nemerenza e memoria delle concessioni e de' privi- legi da lui ricevuti. Non può recarsi in dubbio che questa moneta appartenga al nostro Ascoli, e non a quello di Puglia: poiché questo, a quanto noi sap- piamo, non si chiamò Escidum, come leggesi nella nostra moneta (52). Monete dei Carraresi. E procedendo coU'ordine cronologico riferiremo ora le monete, che si appartengono ai Carraresi , narrando in qual modo i medesimi prendessero la signoria di Ascoli. Conte di Carrara figliuolo di Fran- cesco il vecchio, e fratello a Francesco, ultimo che abbia avuto il dominio di Padova (53) , seguendo le vestigìe de' suoi maggiori a tutt'uomo si die al- l'arte della guerra per ambizione di gloria, e col ti- tolo di capitano si pose a' servigi di papa Bonifa- 32 ciò IX l'anno 1393. Bell'onore si procacciò quando mandato a Perugia , eh' erasi tolta alla soggezione del pontefice , con eque condizioni tornolla all'os- sequio verso la sedia romana. Mancato però di vita Bonifacio, il Carrarese, cupido forse di gloria mag- giore, passò sotto le insegne di Ladislao re di Na- poli che annbiva il dominio di Roma. Ma sorte in questo tempo forti contese fra Innocenzo VII , succeduto a Bonifacio , e il popolo romano , e condottisi undici de' principali ghibellini al papa come ambasciadori per comporre le differenze , questi , comechè ricevuti benignamente , dopo es- sersi congedati , dal nipote del pontefice , Lodo- vico Migliorati , furono fatti prendere ed uccide- re crudelmente , senzachè il zio nulla sapesse di questo fatto. Da ciò derivò un moto nel popolo romano: per che volendo papa Innocenzo provve-r dere alla propria salvezza, partì di Roma e rico- vrossi prima a Sutri, poscia a Viterbo. Di sì fatto avvenimento renduto consapevole Ladislao dai Co- lonnesi e dai Savelli , si affrettò egli a muovere tosto sopra Roma con poderoso esercito comandato dal Carrara e dal conte di Troia [Murai, anno 1406), e il 2 settembre 1405 entrò in quella capitale. Se- nonchè i romani mal comportando quest' arditissi- ma impresa, si venne a fiero combattimento, e per più ore con pari impeto si pugnò, sebbene la vit- toria per ninna delle parti si decidesse. E volendo il re trarre in sicuro la sua persona e V armata , accampossi nel sobborgo a S. Pietro, fortificandosi il meglio che poteva. Quivi rimastosi un venti dì, e saputo dirigersi Paolo Orsino col pontificio eser- cito a Roma , levò il campo e andossene. 33 Passati due anni , ed insorta grave contesa fra Lodovico Migliorati già signore di Fermo, e il pon- tefice Gregorio XII, il (carrarese fu in aiuto di quel- lo per ordine di re Ladislao con seicento cavalli: ed essendo rimasto ucciso il Migliorali, mosse colle sue armi contro i Vai'ani dominatori di Camerino ed alleati del pontefice, mettendo a ferro, fuoco e rapina l' intera dizion loro. Alla perfine, stanchi di tante guerre i belligeranti, fu da prima stabilito un armistizio per tre mesi, e poscia sul principio del- l'anno 1407 fu firmata la pace e si die termine ad ogni discordia. Senonchè Ladislao non cessando dal desiderio di rendersi padrone di Roma , in que- st' anno medesimo con un esercito di ben 23 mila armati si volse a quella città, e con oro e larghe impromesse fatto venire alla sua parte Paolo Orsini, cui era stata commessa la difesa di Roma , nel- l'aprile del 1408 trionfalmicnte da' romani fu rice- vuto. E poiché pel valore del Carrara riportò quel principe tal trionfo, volle dargli un segno del suo grato animo , e il nominò primamente vice re di Puglia , quindi nel 1413 assegnogli il dominio di Ascoli. Durò due lustri nel governo di essa città : € mancato di vita nell' anno 1421 (54) , lasciò la signoria di Ascoli ad Obizo , terzo suo figliuolo , il quale prese la somma delle cose sì politiche co- me civili (55). Ma papa Martino V, volendo riac- quistare Ascoli col suo contado, introdusse pratiche col mezzo della regina Giovanna II, perchè ella in- ducesse Obizo a rendere la città; però ricusando- ne egli la restituzione, diede ordine al rettore del- la Marca Pietro Colonna suo nipote , e al geue- G.A.T.CXLV. 3 3i rale Giacobuzzo Caldorio , forte di 1500 cavalli e 3 mila fanti, a fine movessero per Ascoli: i quali dopo aver occupato alcuni luoghi vicini, posero il campo in Parignano. Assediata la città, i suoi abi- tanti si diedero al pontefice il dì 8 d' agosto del 1426, e dopo pochi dì ebbero la rocca da cui ap- pena potè uscire Obizo , il quale si volse per a Milano, ov' era Ardizone suo fratello a' servigi del Visconti (56). Nel reggimento pertanto dei Carraresi ben cin- que monete si coniarono da essi, di cui tre in ar- gento , e due in bronzo o bassa lega , nelle quali si legge il nome di Conte di Carrara COmes de CARARIA; nel margine comparisce lo stemma della famiglia, cioè un carro con quattro ruote; nel ro- vescio S. EMID. D. ESCVLO; al di sopra V arme o stemma della città di Ascoli. Poco esse fra di sé differiscono, benché sieno tutte di conio diverso; e soltanto è da osservarsi , che in una di bronzo è una sola ruota di carro, e in altra é questo con le quattro ruote, e COMES intero (57). {V. la tav. I dal n. 9 al 12» e il Prosp. dai n. 10 aM4 ). Or veggendosi la prima volta in questa moneta figurato lo stemma , di cui anche al presente usa la città di Ascoli, egli è a ricordare, che gli stem- mi non s' introdussero anteriormente all' XI secolo e massime in occasione delle crociate; dopo le qua- li dai comuni ed altri corpi morali s' impetrò la facoltà di assumerli con diversa rappresentanza nel- r impronta , con inquartature e varietà di stabiliti colori, quali segni di dominio o di nobiltà; e lun- ghi litigi si fecero ancora per conservarne 1' uso. 35 Imperocché ciascun comune richiedeva un simbolo o impresa che potesse dedursi da qualche somi- glianza col nome della propria città o da locali cir- costanze. Ascoli dunque essendo città munitissima, non solo per una rocca ( detta il Cassero ed ora Fortezza Pia ), ma per alte e solide mura fomite di spesse torri ( eh' eran più di 200, tantoché da- gli storici si appella civitas turrita ), e posta in fra due fiumi ( il Tronto e il Castellano ) , a valicare i quali è d'uopo di ponti, che dì arditissima co- struzione , opere di età diverse ,. veggonsi tuttora quasi in ciascuna porta della città , può ragione- volmente congetturarsi che prendesse per suo stem- ma ed emblema un ponte su cui sorgono due tori'i, e che questo stesso emblema volesse scolpito nelle sue monete, come si scorge in quelle ai nn. 9 10 11 13 14 e 16 della tavola I , e ai nn. 17 al 29 inclus. e 31 e 32 della tavola II. Variamente sentirono gli scrittori delle storie ascolane nell' interpretar quali simboli si rappresen- tassero nello stemma di Ascoli. 11 Fioravanti pensò che vi si esprimesse il prospetto di una porta del- la città [Antiq. roman. ponti f. denarii p. 156 ) , il Bellini [Dissert. 4 op. cit.) , e il Marcucci {Op. cit. p, 152 e 153 ) vi riconobbero una rocca o for- tino ; il Muratori ne fu incerto, dicendo essere o prospetto di porta o un ponte o qualche turrito edifizio. Sono poi di conforto alla nostra opinione lo Scilla ( Monete poni. p. 330 ) , e il Gradenigo {in Zanetti op. cit. t. 2 p. 74 ) , i quali nel rife- rire il quattrino di Alessandro VI ( Vedi tav. Un. 32 ) niegano che lo stemma impressovi sia una por- 36 la di città , ma sì bene un ponte. E nel vero: si ponga mente da prima non paier verisimile , che Ascoli volesse prendere per insegna della città una rocca, un turrito edifìzio o una porta ; perciocché in que' tempi di continue guerre civili e di fazioni tutti i comuni, anche piiì piccioli , aveano le loro acropoli, rocche o fortilizi. Quindi questa insegna od emblema non era proprio e adatto solo ad Asco- li , ma a tutte quante 1q terre e castella: d' altra parte dai ponti e dalle torri potevasi trarre un sim- bolo tutto peculiare di quella città. Arroge, che l' edifìzio colle torri è sostenuto da due archi; ne può immaginarsi, che una rocca aves- se a piantarsi sopra arcuazioni , lasciando i sotto- posti vacui 0 terrapieni , ove facilmente il nemico avrebbe potuto ricovrarsi o ascondersi, introdiicen- dosi per entro ai medesimi , e così incendiare il fortino e impedire la sortila alle milizie. Le due torri poste a' capi o teste del ponte sono di archi- tettura e forma diversa: cioè quella a diritta, pii!i alta, ha la cima munita di merli; e con cupolino a punta V altra a sinistra; sono merlati anco i pa- rapetti o spallette del ponte (58). Le tre pile ne formano i due archi, e sopra di quelle sono alcuni occhi circolari, donde potesser più liberamente flui- re le acque nelle piene del fiume. Il Marcucci fa parola di un teschio di cavallo con due serpi ed una fascia svolazzante col motto Utrumqne Nobis, che trovasi anche al presente nel- lo stemma della città ; ma questi emblemi non si veggono in alcuna delle monete ascolane, né pote- vano osservi , poiché di colali inipiesc con molti 37 simbolici s' incominciò a far uso sulla fine del de- cimosesto secolo, mentiechè la moneta di Alessan- dro VI , che è r ultima nella serie delle antiche {Tav. IL n. 32), non può essere stata coniata do- po r anno 1503 , che fu V ultimo di quel ponte- fice. Monete di papa Martino V. Tornato Ascoli al pontificale dominio , merco della espulsione di Obizo di Carrara ordinata da papa Martino V Colonna, dieci monete furono co- niate, che si riferiscono al medesimo, avendo im- presso 0 il nome di lui o lo stemma della cele- bratissima sua famiglia. Descriviamo qui brevemen- te le tre recate nella tav. I ai nn. 13 14 15. La prima d' argento ha nel diritto MARTIN. PAP, in mezzo A; nel giro due chiavette decussate; nel ri- verso S. EMID. D. ESCULO, e nell' area le ulti- me quattro lettere sono disposte in croce ; nella sommità del margine vedesi il ponte con torri, ar- ma della città [Prosp. cron. n. 15). La seconda, pure d'argento, ha la stessa leggen- da nel diritto ; però evvi la colonnetta coronata , stemma dei Colonnesi, nella superior parte ; il ri- verso presenta le stesse lettere e simboli ( Prosp. cron. n. 16). La terza è di rame; ha nel diritto S. EMIND, e colonnetta coronata nel giro ; IVS in mezzo ; nel riverso altra simile colonnetta con croce gigliata in mezzo, e leggenda DE ESCVLO all'intorno {Prosp. cron. ». 17). 38 Le altre monete sono riportate più innanzi nel Prospello cronoìocjico dal n- 18 a/ 2i inclusivamenle. Monete di Francesco Sforza. Mancato di vita papa Martino l'anno 1431, e suc- cessivamente eletto Eugenio IV Condulmero veneto, il conte Francesco Sforza colle sue armi occupò prossochiè tutta la Marca nel 1433. Quel pontefice lo innalzò alla dignità di gonfaloniere di s. chiesa e marchese della Marca, e ai 30 dicembre di quel- l'anno, mediante convenzione col castellano, il fratel suo Alessandro prese possesso del girone fermano; dappresso il conte Francesco si condusse ad asse- diare la città di Ascoli , la quale stimando che il far opposizione alle poderose forze di lui sarebbe stato vano consiglio, mandò innanzi due ambascia- dori per venire a patti cogli assedianti; il che non si ricusò dal conte. Egli pertanto resosi padrone di Ascoli , vi lasciò a governarla Giovanni altro suo fiatello con molti fanti e cavali, partendosi di colà col resto delle sue genti per la conquista di altre città e terre marchiane. Colla investitura della Marca concedutagli da Eugenio IV in lui vennero tutti quei privilegi che a tale splendido grado si addicevano, fra cui era quello di monetare col suo nome {Baij' naldi Ann. eccl. ad ami- 1434, nostri Cenni storici di Fermo p. 82). Noti sono per tutti gli storici ed i cronisti i fatti che intervennero dal 1433 fino al 1445: laonde ad essi rimandiamo quei che fossero vaghi conoscer le geste di quest'uomo tanto cele- bre nelle storie, e di cui al dire del Muratori {Ani 39 (Vllal. anno 1466), da molti secoli forse non ora sorto in Italia chi più fosse vaioloso e assennato {Cenni suddetti dalla pag. 65 alla 86, e Giornale Ar- cadico tom. 81). La dominazione sforzesca ebbe fine l'anno 1445, quando collegatisi papa Eugenio, Al- fonso re di Napoli e Filippo duca di Milano, comin- ciarono muover guerra al conte Francesco Sforza; il quale vedendo non poter resistere a tanto impe- to, vie pili perchè gli ascolani non solo eransi tolti dalla sua divozione e datisi al re Alfonso, ma al- tresì avevano ucciso Rinaldo fratello uterino di lui che tenea in custodia quella città (59), ne fece par- tir le sue genti, e venute a Fermo, munirono di forte presidio la rocca, da cui poscia furono costrette fug- gire. Le monete battute, dominante lo Sforza, sono di argento, di rame e di mistura. Nella prima di argento [Tav- 1. n- 16) leggesi F. SFORTI nel campo A , nella sommità del margine il leone rampante, stemma dello Sforza; nel rovescio S. EMID. DESCV- LO colle ultime quattro lettere nel campo in forma di croce; al di sopra il ponte con torri , arme di Ascoli. La seconda di argento ha la stessa leggenda, però è di conio diverso [Tav. II. n. 17). La terza parimente non differisce che dal leone sforzesco che non mostrasi rampante (7ar. //. n. 18). Nella quarta si ravvisa alla sommità del circolo il leone saliente che tiene il pomo cidonio, o cotogno {Tav. II. w, 19). Nella quinta di rame è nel campo il leone saliente col ramo del cotogno, e con le lettere F. SFORTIA in giro; e nel riverso la croce in mezzo, enei giro DE ESGVLO coll'arme della città {Tav. Un. 20). Vedi il Prospetto dal n. 25 sino al n. 29 inclusiv§h. 40 Allorcht; pubblicammo un breve discorso intorno alla scultura di un leone disotterrato in Fermo nel settembre del 1835, osservammo che nelle monete dagli Sforza coniale in Fermo non trovasi mai rap- presentato il leone, ma la biscia viscontea, mentre- che in quelle di Ascoli il leone è sempre posto per insegna dello Sforza, e non mai vi è figurata la serpe tortuosa con il fanciullo ignudo , se già vera non fosse la opinione del Bellini che or ora riferiremo. Notammo altresì, non vedersi aggiunto mai il co- gnome Vicecomes allo Sforila nelle monete di Asco- li: laddove nelle sette fermane pubblicate dal Cata- lani, e in due da noi (60), trovasi sempre il Vice- comes , salvo in una [Catalani n. 17), ove leggesi F Sfortia senza più. Da quali ragioni però derivi questa diversità di simboli e di conii in due zecche marchiane pertinenti al medesimo signore, non sa- premmo dirlo convalidofondamento. Congetturammo dapprima, che tutte le monete ascolane col cognome di SFORTIA fossero state coniate innanzi che se- guissero le nozze del conte Francesco con Bianca figliuola di Filippomaria duca di Milano, e còsi an- che quella sola di Fermo che sopra è nominata. Ma come poteva esser vero ciò, tostochè Fermo ed A- scoli quasi ad un tempo furono sottoposti alla si- gnoria dello Sforza? Come supporre che non cele- brate peranco le nozze del conte , in Fermo una sola moneta col suo proprio nome, e varie in Ascoli se ne coniassero? Come si potrà credere, che dal i 1438 al 1441, in cui si strinse il maritaggio, non , battesse lo Sforza in Fermo che una sola moneta? ! Trovossi in tale imbarazzo anche il Catalani nelle j 41 memorie della zecca feimana {pcig. 47) , ed egli tribuì questa diversità dello stampo ascolano dal fer- mano ad un arbitrio o piuttosto all' ignoranza del monetiere, non sapendo egli forse l'adozione dello Sforza fatta dal Visconti e i diritti che questo seco recava. Noi non tenemmo per buona questa opi- nione del dottissimo archeologo fermano nel citato nostro scritto del 1836 (61): ed esponemmo invece, che avendo Francesco Sforza stabilito la sede prin- cipale del governo marchiano in Fermo, perchè qui era una fortissima rocca da potervisi riparare e difendere dalle nemiche incursioni e così conser- varsi in quella dominazione ; dopo aver assegnato la prefettura di Ascoli a Rinaldo suo fratello, avrà creduto dover usare il simbolo della biscia de' Vi- sconti nelle monete di Fermo , ove condusse sua sposa Bianca di quella famiglia, e valersi del solo primitivo stemma , cioè del leone , nelle monete ascolane. Imperocché ci narra il Decembri nella vita di Francesco Sforza (62), che sin dal 1431 fu Bianca Maria Visconti fidanzata a lui, il quale co- minciò fin d'allora ad usare le insegne del suocero, che avealo destinato suo successore nel milanese ducato. Adoperando tuttavia lo stemma Visconteo, non avea per questo rinunziato nò al cognome, né alle insegne della onorevolissima sua casa, cioè al cotogno degli Attendoli, ed al leone palatino con- cedutogli dall' imperatore Roberto (63) ; il perchè or r uno , or V altro di essi incideva nelle jnonete o nei sigilli dei diplomi, specialmente sino all'an- no 1430, vivente ancora Filippomaria Visconti duca di Milano (64). 42 Poniamo qui tre altre monete che il Bellini nella descrizione delie monete itaiiclie del medio evo at- tribuisce a Francesco Sforza, credendole coniate sotto il governo di lui (65); alla quale opinione si con- forma anche il Zanetti (67). La prima ci reca la so- lita leggenda PP S EMDIIUS con croce patente , e quattro fioretti negli angoli ; nel rovescio DE ASCHOLO; con il solito stemma della città, e so- pravi un serpe o biscione che vibra la lingua verso una piccola croce [Tav. Il n.2\). Le due rimanenti monete, che si osservano nella d. tav. nn. 22 e 23, poco differiscono dalla precedente; sono però di co- nio diverso, poiché vi si scorgono alcune rosette, e il serpe è in altra giacitura; essendo in una con la bocca aperta d' appresso a una torre , e nelT altra pur con la bocca aperta, ma più aggomitolato. Si osserva altresì che la parola ASCHOLO ha la giunta della lettera h in carattere minuscolo , mentre in tutte le precedenti questa lettera non si scorge {Prosp. cron- nn. 30 31 e 32). Ecco le parole del Bellini: » Angiiis porro aedificio supcreminens \ice- » comiliim genlililiimi sculum est. » Egli allega per fondamento della sua opinione , come a Francesco Sforza famoso conte di Cotignola, e già celebre per imprese di guerra e per riportati trionfi , essendo stata promessa in isposa da Filippomaria duca di Milano la sua figliuola Bianca in età di sette anni, fosse egli ricevuto e adottato nella viscontea fami- glia , e ne assumesse perciò la insegna gentilizia. Per quanto sieno rispettabili i pareri di così illu- stri scrittori, pur tuttavolta non potremmo noi tanto facilmente ai medesimi accostarci ; ed ecco le ra- 43 gioni che ne inducono a dubitare. Primamente non leggesi il nome di F- Sforila in queste monete , come nelle cinque sopra riferite; non si appose l'al- tro cognome Vicecomes in veruna delle ascolane, sì bene nelle fermane; il serpe non è foggiato nel modo in cui vedesi nello stemma della famiglia Visconti, ove è rappresentata una biscia di azzurro nello scudo di argento serpeggiante o attortigliata in pa- lo, coronata d'oro, con un fanciullo di color rosso uscente dalle sue fauci, com'è descritto dal Ginanni (67), e trovasi nel monumento di Giovanni Oleg- gio Visconti nell'atrio della metropolitana di Fer- mo, e nello stemma dipinto, che non ha guari si è discoperto sopra porta a S. Giuliano della stessa città: memoria certa che tuttora qui rimane della signoria sforzesca; e facciam voti che con ogni cura sia conservata. D' altra parte sì pel confronto di queste monete con altre del XV secolo, e special- mente per lo stile de'conii, e sì per la forma delle lettere, abbiam creduto di porle dopo le cinque che certamente appartengono allo Sforza. Monete di Eugenio IV. Dappresso la partenza degli sforzeschi, Eugenio IV riacquistato avendo il legittimo dominio sulla città di Ascoli, fece quivi con diversi conii batter monete. Noi dubitammo se queste dovessero collo- carsi prima o dopo la dominazione del conte Fran- cesco, poiché Eugenio fu creato pontefice 1' anno 1431: lo Sforza venne al possesso della Marca nel 1433 j e papa Eugenio sopravvisse un anno circa 44 alla partenza di quello avvenuta nel 1446. Or dun- que 0 dal 1431 al 1433, o dal 1446 al 1447 deb- bono essere state coniate le monete che ora descri- veremo (68). Sono dodici le monete di Eugenio IV che ad Ascoli si riferiscono. Tre di esse veggonsi nella ta- vola li, e sono due di argento, ed una di mistura. La prima ci dà il nome di EVGENIV. PAPA, re- stando l'A pili grande delle altre lettere nel campo fra quattro punti aperti; nel margine compariscono le due chiavi incrocicchiate: nel rovescio S. EMID. DESCVLO, e nell'area le ultime quattro lettere; al di sopra il ponte con due torri, stemma ascolano (69). [Tav. II. n. 24.) La seconda varia dalla prima per la mancanza della lettera E, leggendovisi VGENIV., che dal Bel- lini {op. eli. diss. IV) è attribuito ad imperizia o a sbaglio deirincisore, che altro ne fece occorrere nel rovescio, facendo INID. in luogo di EMID. {Tav^ II n. 25.) La terza è di mistura , e varia nella giacitura delle parole dalle precedenti ; poiché vi si trova PAPA VGEiSIV, croce in mezzo, e nella sommità del margine le chiavi incrocicchiate; nel riverso S. MID. DESCULO; e al di sopra 1' arme della città. Reputiamo inedita questa moneta , che da noi sì conserva, poiché non ci venne fatto di osservarla in alcuno scrittore [Tav. //, n. 26, Prospetto ai nn. 33 34 e 35). Le altre nove , colle loro variazioni di conii, sono descritte nel Prospetto cronologico dal n. 36 al n. 44 inclusivamente. ^o Moìiete (V incerti pontefici. Seguitano altre tredici monete che debhonsi no- verare fra quelle del secolo XV, e vennero coniate dopoché fu ristaurato il reggimento pontificale; per- ciocché tutte hanno un segno od emblema che per tali le fa riconoscere. Due soltanto ne diamo ai nn. 27 e 28 della tav. II ( Prosp. cron- n. 4-5 e 46). La prima ha sul diritto l'immagine di S. Emidio, patrono di Ascoli, in mitra e pastorale, con alta la mano in atto di benedire, e le parole S. EMIDIVS: sul rovescio AS. CVLO in giro, nel campo il so- lito slemma ascolano, e sopravi il triregno con le chiavi incrociate. E di rame pari a un quattrino, ed inedita trovasi presso di noi. L'altra é un picciolo; porta nel diritto S. EMIDIVS in giro, croce gigliata in mezzo: nel rovescio DE ASCVLO, e chiavette decus- sate in giro; e nel mezzo l'arme della città. Le altre undici vengono descritte nel Prospetto cronol. dal n. 4-7 al 57 inclus. Né bassi a far maraviglia di tanta va- rietà di conii, conciossiachè questi venivano cambiati frequentemente in quel secolo nelle monete di città italiche. Monete di tempo incerto. Ne rechiamo ora tre che non hanno alcun segno papale, e quindi debbono tenersi di tempo incerto: ma per riscontri fatti colle altre del secolo XV, sem- bra che possano a questo riportarsi. Due di esse veg- gonsi nella tav- U ai nn. 20 e 30. Nel diritto della 46 prima una croce patente, da'cul angoli escono quat- tro rami di fioretti, occupa il campo; in giro la leg- genda PP. S. ENIIDIVS, e nel margine crocetta fra due stelle: al riverso DE ASCHOLO in giro, e nel campo lo stemma della città. Si legge nel diritto del- l'altra S. EMID EPCO nel giro, PUS nel mezzo, con crocetta fra due punti: al rovescio DE ASCHOLO in giro con crocetta; nel campo croce patente con due fioretti in due angoli opposti. La terza ha nel diritto S. ENNIDIVS, le tre ultime lettere in mezzo; nel ri- verso DE. ESCVLO in giro, e croce nel campo {V. Prospetto cronol. ai nn. 58 59 60). Non ci fu dato vedere nessuna moneta, che dai successori di Eugenio IV si coniasse con la impronta de' loro nomi. Or passat di vita quel papa, ed es- sendo venuta grande scarsezza di danari , special- mente per le minute conti-attazioni, gli ascolani si volsero al pontefice Pio II, affinchè volesse conce- der loro facoltà di poter coniare nuovamente i pic- cioli ed i quattrini. Egli con breve del dì 30 apri- le 1461 concedè il permesso per un anno di far battere dette monete sino alla quantità di ottocento fiorini d'oro di camera [Documento G). Ma non sap- piamo se si facesse uso di questo pei'messo, con- ciossiachè ninna moneta col nome di quel pontefice apparve fin qui. La qual cosa sembra tanto più piobabile, quantochè per la moltiplicità delle zecche, per la troppa quantità de' piccioli, da cui i mone- tieri traevano maggior lucro, e per l'adulterazione de' bolognini nella mistura de' metalli (70), essendosi accresciuti i disordini nel sistema monetario delle città della Marca e fors' anco dell' Umbria, il pon- 47 fice Pio II divisò di recarvi rimedio, ordinando che le città tutte , le quali godevano del diritto della zecca, dovessero entro il mese di gennaio del 1462 spedire a Roma i loro deputati per prendere le opportune disposizioni, come si legge nel breve del 1 gennaio 1462 diretto alla città di Fermo, da cui si fa chiaro essere stata comune tale determinazione . con le altre città della Marca e dell' Umbria , le quali godevano pure del privilegio della zecca (Do- cumenfo H) (71). Ci è al tutto ignoto quali prov- videnze si prendessero dall'adunanza de'deputati mar- chiani; ma quanto a Fermo sappiamo dal Catalani, che fu mandato Giacomo Brancadoro, il quale riferì volere il papa tutte le monete fossero di lega ed uniformi, togliendo alle città il diritto di farne cia- scuna a suo modo. Egli è certo però, che il dì 16 gennaio del seguente anno 1465 esso pontefice, per impedire che alcuni signori continuassero ad usur- parsi il diritto di monetare, proibì sotto gravissime pene si coniasse moneta di qualunque sorta senza peculiare facoltà della s. Sede (72). Dappresso co- testa generale proibizione, che increbbe assaissimo alle città marchiane, alcune di queste divisarono di tener chiusa lor zecca , altre si fecero a chie- dere nuova licenza , e spedirono oratori a Roma , dimandando che il battere le monete provinciali fosse sospeso per tre anni, e frattanto le già co- niate avessero il loro corso come per lo innanzi ; che scorso questo termine, i bolognini nuòvi si co- niassero in provincia del peso e lega prescritti ; e qualora ciò non si ottenesse , si offeriva un com- penso alla camera pontificia per quanto perdeva 48 risc<)t(?:n(lo i tributi in moneta inferiore. Gli ora- tori fermani e recanatesi, accompagnati da lettere credenziali di Macerata, Fabriano, Tolentino, San- severino, Jesi , Osimo ed Ascoli , tornarono il 10 luglio senza che le loro preghiere venissero ac- colte (73). Se poi ad altre città si concedesse que- sto favore da papa Pio, da noi al tutto s' ignora. Crescevano però sempre più i disordini del mo- netare: il perche Paolo II, a lui succeduto, pubblicò mia costituzione il dì 13 gennaio del 1465, in cui considerando che nelle provincie della Marca anco- nitana, nel ducato di Spoleli, nel Patrimonio, ed in molte terre e luoghi dello stato circolavano varie adulterine e malvage monete, chiamate volgarmente bolognini, non solo rinnovò la proibizione di coniar più nell'avvenire qualsivoglia sorta di monete, ma insicm.e comandò, che si servissero soltanto di quelle che si coniavano nella zecca di Roma ; ed inoltre che dovessero le già fatte dissolversi (74). Ma non ostante questa legge , il pontefice a' 4 di febbraio dell' anno 1471 accordò nuovamente alla città di Fermo il permesso di battere monete di argento e di rame soltanto, al saggio della zecca romana, e coll'obbligo di sottoporle in ogni tratta all'esame del governatore della Marca (75) : e deve credersi con tutto fondamento, che con altri brevi si con- cedessero eguali privilegi alle altre città, nelle quali esisteva la zecca, cioè Ancona , Ascoli , Macerata, Camerino, Recanati (76). Fu perciò che quelle città, volendo recare ad effetto tale sovrana concessione, concordemente spedirono in Macerata i loro depu- tali. Vi andarono t!;li oratori di Ancona , Ascoli , 49 Fermo, Recanati e Camerino, e fu convenuto, che nella nuova battitura de' bolognini tutte le zecche uniformar si dovessero al peso e alla libbra della zecca romana; che la tenuta fosse la solita di once 9 ^Ij, ; che in ciascun' oncia si contenessero bolo- gnini 40 '^1^; e che 62 di questi bolognini formas- sero il ducato veneto , come si raccoglie da un istromento del 2 giugno 1472, regnando il ponte- fice Sisto IV (77). Monete di Sisto IV. EvSsendo in tali condizioni il sistema mone- tario rispetto ai bolognini , non si ristava la città di Ascoli dal supplicare lo stesso papa Sisto, per- chè si degnasse concederle il permesso di battere le piccole monete , di che vi era grande penuria. Un messer Lodovico di Piero in questo tempo aveva offerta a tal fine l'opera sua al consiglio , obbli- gandosi di battere moneta di ogni sorta a suo conto; la quale offerta fu accettata: ma essendosi frapposti alcuni ostacoli per parte del tesoriere locale, la città mandò al pontefice per oratore straordinario Gian Giacomo Caucci , il quale potè ottenere un breve segnato il 22 dicembre 1472 { Arch. segr. e libr. de' consigl. ascoi), con cui si permise di coniare i piccioli per un anno , e sino alla somma di mille ducati (^Documento I) (78). Giovaronsi tantosto gli ascolani del conceduto permesso, e batterono i pic- cioli con conii che variano fra loro alcun poco. Quattro ne conosciamo , uno de'quali è quello che diamo al n. ol tav. II. Avendoli noi mostrati G.A.T.CXLV. 4 50 al dottor Angelo Cinagli , li pubblicò nell' opera Le monete de'papi descritte in tavole sinottiche (Fer- moy 1848, Paccasassi) (79). Essi hanno sul diritto la scritta S. EMIDIVS, ed in mezzo una croce, nel margine superiore le chiavi decussate; nel rovescio DE ASCVLO in giro, nel campo lo stemma di Ascoli, e sopra di esso quello dei Della Rovere {V. il Prosp. cronol. ainum.^ì 62 63 64). Crediamo con fonda- mento, che gli ascolani a dimostrare la loro rico- noscenza pel breve ottenuto, facessero apporre in queste monete lo stemma di papa Sisto IV con le chiavi , oltre quello della loro città. Dubitammo in sulle prime, se questa moneta, che da nessun nu- mografo era stata pubblicata innanzi il 1848, po- tesse appartenere a quel pontefice discendente dal- la famiglia Della Rovere: ovvero a Giulio il altro pontefice della stessa famiglia ; posto mente però, che neir arme di Giulio II, oltre la rovere, sonvi corone inquartate (80), eh' è manifesta la sua mag- gior vetustà, e che Sisto concedè il riferito breve, crediamo fuor d' ogni dubbio , che a lui e non a Giulio debbano riferirsi. Monete di Alessandro VI. Dall'anno 1472 sino alla creazione a pontefice di Alessandro VI Lenzuoli Borgia di Valenza, av- venuta nel 1492 , non apparisce che fossero bat-^ tute altre monete (81). Ma nel pontificato di lui furono coniati in Ascoli i quattrini (82), ne' quali sul diritto leggesi all'intorno ALEXA. VI. PO MA, nel campo lo stemma Borgiano con sopra il tri- 51 regno e le l'hiavi decussate; nel rovescio DE AS- CVLO, ed il ponte con le due torri, solito stem- ma della città; nel cui mezzo è una stella con sei raggi, e al disopra una rosa [Tav. Il n. 32). Que^ sta moneta è assai comune, e fu pubblicata dal Fio- ravanti, dallo Scilla , dal Bellini , dal Gradenigo , dall' Argelati, e da coloro che trattarono delle mo- nete delle città italiane. Ve ne sono altre sei con variazioni di conio, e tutte sono descritte nel Pro- spetto cronologico dal n. 65 al 71. E questa è T ultima moneta coniata nella zecca ascolana, la quale con quasi tutte le altre del nostro stato ( tranne poche città che forse ebbero in ap- presso particolari concessioni) restò soppressa per ordine di Leone X (83). Imperocché avendo egli presa in considerazione la eccedente quantità delle monete di rame che in molte città si coniavano ; la discrepanza del peso e della lega, e più la di- versità fra le monete municipali , e quelle della città capitale; e volendo riparare a tali danni così pubblici come privati, soppresse perpetuamente tutte le zecche eh' eransi riaperte a' tempi de'suoi pre- decessori, e nello stesso suo pontificato, revocando ogni licenza, uso, privilegio e consuetudine, come apparisce dal breve del dì 2 febbraio 1518 (84): per il che teniamo per fermo che quella d' Ascoli rimanesse chiusa , vie pili che non ci venne fatto vedere moneta alcuna coniata di poi. Monete di Pio VI. Ben quasi tre secoli eran corsi che Ascoli non • avea più la zecca, ed era stato tolto il corso alle 52 sue monete; cui eransi sostituite quelle della zecca romana; quando sul cadere del decimottavo secolo, per le politiche vicende essendo cresciute le urgenze del pubblico erario, per darvi rimedio Pio Yl ac- cordò il permesso di batter monete di rame a molte città dello stato, fra le quali fu Ascoli (85). A Carlo Lenti, in vigore di un chirografo pontifi- cio del 1797 , fu conceduto il diritto di aprire 1' officina monetaria: ed egli nel maggio del detto anno mandò un Salvatore Fiorentini a Livorno per provvedere il rame grezzo da ridursi a moneta nella nuova zecca. In essa negli anni 1797 e 1798 ven- nero coniate monete di baiocchi cinque, di due e mezzo , di un baiocco (86), di mezzo baiocco , e di un quattrino , che sì descrivono nel prospetto cronologico dal n. 72 all' 82 inclusivamente. Avvenne poscia 1' invasione francese nello stato del pontefice : ed altre dieci monete uscirono da questa zecca, colle insegne della repubblica romana, di due baiocchi , di mezzo baiocco e di un quat- trino, negli anni 1798 e 1799 (87), che sono ri- ferite nel detto Prospetto dal n. 83 al n. 92 in- clusivamente. In seguito tutte le monete delle zecche dello stato romano, istituite sul finire del secolo XVIII, forono soggette a diminuzioni e riduzioni gravis- sime , e finalmente ad una totale abolizione nei primi anni del pontificato di Pio VII, il quale ri- formando r ordinamento delle monete, già da lun- ghi anni grandemente desiderato, provvide alla co- modità e all' utile dell' universale in questa parte così importante di pubblica amministrazione. 53 ANiNOTAZIGNi (1) Chi fosse vago di conoscere la utilità che dagli studi delle antiche monete si ritrae , sì pei progressi fatti con V aiuto delle medesime nelle storie dei re, dei popoli e degli imperatori, e sì per gli stadi sacri , vegga il Zanetti, Monete e zecche (T Italia tom. Ili p. 135 in nota, ove sono indicati vari scrittori che hanno trattato questo argomento; a' quali noi aggiugnercmo lo Spanhemio, De usti et praestantia numismatum antiquorum , Amslelodami , Elzevir 1621: 1' Heinecio, De usuet praestantia nu- mismatum in iurisprudentia, Neapoli 1773, Campii tom. 7: lo Schiassi , Ragionamenti sulla utilità e diletto degli studi archeologici, e singolarmente della numismatica, Bologna, Lucchesini 1810: l'Ackerman, Archaeol. Uhi., Viennae 1836: 1' ah. Glaire, Intro- duction à V ecriture sainte t. II , Paris 1843: il p. Calmet, Dissertazione sopra Vantichità della moneta coniata , riprodotta nella Sacra Bibbia di Vence stampata in Milano : ed il eh. Daniele Schimko , Commentationes de numis biblicis, ptfhT)licate in Vi- enna nel 1835, 1838. Ma più ampiamente e dot- tamente il chiarissimo D. Celestino Cavedoni di Modena ha dimostrato la grande e singolare utilità, che dal riscontro e dallo studio delle monete an- tiche, sì giudaiche, come peregrine, che un tempo ebbero corso nella Palestina, si ritrae per illustrare e difendere i libri santi che le ricordano, nella sua 54 opera - Numismatica biblica, o sia dichiarazione delle monete antiche memorate nelle sante scritture - Mo- dena , Soliani 1850, con tav. Per la quale, e per l'altra - Francisci Carellii Nurnmorum Italiae veteris tabidae CCII ec. - dall' accademia delle iscrizioni e belle lettere di Parigi nella sua seduta del 22 ago- sto 1851 gli fu conferito il premio di numismatica. (2) Rechiamo i titoli di esse opere, poiché oc- correndoci di citarle in appresso , s' intende che sieno queste medesime. - Muratori , Antiquii. hai. med. aevii dissert. XXVII - Argelati , De monetis Iialiae etc. Mediolani 1750 - Carli Rubbi Gianri- naldo, DelVorigine e commercio della moneta, e deh l'istituzione delle zecche d'Italia, Aia [Venezia) 1751, e Milano 1784 - Bellini Vincentii , De monetis Italiae meda aevi, Ferrariae 1755 al 1779 - Zanetti Gui- d' Antonio , Nuova raccolta delle monete e zecche d'' Italia, che può servire di parte nona in continua- zione deW Anjelati, tomi cinque, Bologna, dalla Volpe. Furono pubblicate le storie delle zecche del nostro stato, cioè di Ancona dal Peruzzi, di Benevento dal Borgia, di Bologna dallo Schiassi, di Castro da un anonimo, di Faenza dal Zanetti , di Fabriano dal Ramelli, di Fermo dal Catalani e da noi, di Fer- rara dal Bellini , di Forlì dal Zanetti , di Fuligno dal Mengozzi, di Gubbio dal Reposati, di Macerata dal Compngnoni, di Perugia dal Vermiglioli, di Pe- saro dall'Olivieri, di Ravenna dal Pinzi, di Recanati dal Leopardi, di Rimini dal Zanetti, per tacere di altre. (3) Stimiamo innanzi tutto esser nostro debito rerder sincera testimonianza di gratitudine all'in- 55 signe letterato sig. Giacinto Cantala messa Carboni patrizio e segretario del comune di Ascoli. Egli fu che, oltre d'averci dato incitamento a scrivere in- torno le monete di quella città , da noi già rac- colte, ci fornì le copie di alcuni documenti riguar- danti la zecca della sua patria, confortandoci altresì a pubblicare il nostro lavoro. Il quale non potendosi tenere compiuto, poiché non avemmo agio di visitare gli ascolani archivi pubblici e privati, come sarebbe stato di mestieri, per rinvenire antichi manoscritti, e più ordinatamente tessere la storia di quella zecca, potrà facilmente ciò eseguire lo stesso esimio e chiarissimo sig.Cantalamessa; imperciocché, com'egli con molti scritti storici e letterari ha onorato la illustre sua patria, così, dettandone la intera storia civile e politica, saprà con maggior ampiezza trat- iare questa importantissima parte di essa. (4) Si appone al nostro Asculmn Taddito Picenum 0 Piceni per distinguerlo da Ascidum Apulum o Apuliae Dauniae, essendovi negli antichi tempi molte città omonime. Vari scrittori hanno ricercato 1' eti- mologia di questo nome. Il celebre ellenista Giro- lamo Amati dopo aver osservato « che tra le pro- » vincie dell' Italia superiore non havvene alcuna, » la quale gareggiar possa col Piceno pel numero » di città, che dalla più manifesta etimologia de'loro » nomi attestano ancora la greca fondazione: » e indicate le città di Aiiximum, Pisaurum , Aesium , Ostra, Cupra, soggiunge, che ■v.vÀsculum , ksclon , )) mostra il diminutivo di ascos, otre , o proviene » dal vero tema asceo, asco, exerceo ì> [Arcadico tom. XII p. 354 deìVanno 1821). Il Mazzocchi al- 56 r incontro opina, che Ascoli derivasse il nonre dalla parola ebrea Escoi, denotante il grappolo dell'uva { Saggi di dissertazioni accad. tom. III.) Ad altri, è sembrato , che siasi detto Aescidum dall' eschio o ischio detto dai latini [Virg. 2 G. 291, Horat. 3 Od. 10 17 ) escliis o aesculus, di cui erano rico- perti i monti air intorno. Veggasi sul nome della città di Ascoli il Colucci, Anlichilà picene tom. XIV diss. Ily ove fa congetture sulla cagione dello scambio della prima lettera A in E. Forse i longobardi, per distinguerla da quella di Puglia, la dissero Esculiim. (5) Fior. Hist. Rom. - // Freinsemio, Supplem. livian. Uh. V in locum lib. XV cap. 10 : « Caput gentis Ascidum , silu murisque tuiissimus locus. - Stratone lib. V: » hi mediterranea vero est Asculum picenum. Locus munimine praevalidus , cui et murm et circumslanteis montes superemìnent, nidlis penetra- biles exercitibus. » - Plin. H. N. lib. Ili e. 13: » Asculum Piceni nobilissima intus w. Sulla interpre- tazione di questo luogo di Plinio leggasi il Bran- dimarle, Plinio illustralo, Roma 1815, Mordacchini; il marchese Antaldi, Sulla emendazione proposta dal p. Brandimarte, Pesaro, Nobili 1 823 ; e la lettera del Brandimarte in risposta all'Antaldi, Roma, Mor- dacchini 1824. (6) Appiano, De bel. civ. lib. I: « Parte alia circa Falerinum montem, ludacilius et T. Afranius et P. Ventidius coniunctis copiis exercitum Cn. Pompeii fu- sum fugatumque intra Firmum compellunt ». Erano ascolani que'tre comandanti dell'esercito de'cellegati nel Piceno , a' quali era affidata la celebre guerra sociale o italica, e che sconfissero Pompeo Strabone, 57 Orosio, De bello sociali lib. V cap. 18 e 19. Non sarà inopportuno il rammentare come avendo noi dichia- rato le ghiande missili inscritte , che si riferivano alla guerra sociale, in una dissertazione letta nella pontificia accademia romana di archeologia il 30 novembre 1839 , e quindi stampata in Roma tip. della R. C. A. 1844, nella pag. 27 descrivemmo una ghianda con leggenda ASCLANORON, conget- turando potersi attribuire ad Ascoli Piceno, sì perchè trovata ne' suoi dintorni, e si perchè ci parve di vedervi con ogni probabilità il suo nome. Pubbli- cammo altresì il disegno di un bassorilievo esistente in Ascoli rappresentante cinque frombolieri, i quali si recano nella destra la fionda , e , tenendo alcun poco elevato un lembo della loro veste succinta , fanno di essa il sacculo delle ghiande. Ivi pag. 10 e 11, tav. I. (7) Bell. civ.I^p. 381 E. Vedi ciò che ilCavedoni disse intorno a tale moneta nel Giornale arcadico, tom. 79 p. 227 e secj., e nel BuUettino delV itisi, di corr. ardi, per Vanno 1844 p. 149. (9) Considerations sur la numismatique de Van- cienne Italie, Florence, Molini 1841, p. 154; e Siip- plement aux considerations etc. par James Millingen, Florence 1844. (9) Considerations cit. pag. 155. (10) De numis aliquot aereis uncìalihus epistola, Romae, Salomoni 1778. Autore del libro è il car- dinale de Zelada , e l'opera sua vi prestò Pietro Borghesi di Savignano , padre al conte Bartolomeo Borghesi numismatico celebratissimo. Fu ristampata quest'opera in Roma col titolo - Numi aliquot aerei 58 tmciales ci. card. Zeladae in museum kircherianum coli. rom. illalif tab. I n. 3. (11) DeWantica numismatica delia cillà di Atri nel Piceno, Napoli 1826 Traili, p. 35. (12) Giornale arcadico t. 79 del 1839 p. 232, e ragguaglio dell'opera intitolata - Francisci Carellii Numorum Italiae veteris lahulae CCII p. 15, estratto dal tomo XII della serie terza delle Memorie di re- ligione ec. di Modena., ivi Soliani 1851: e Carellii tab. XXVI, XXVII, Hatria.W eh. Cavedoni vei-atnente non attribuisce con asseveranza ad Asculurn Picenum la moneta, di cui trattasi, ma egli lascia la cosa ìa dubbio, e propende per l'avviso del cav. Avellino. (13) Quadro di geografia numismatica da servire alla classificazione geografica delle collezioni con un catalogo generale delle città, delle quali si conoscono le monete: Firenze, Bencini 1836, p. 7. (M) Considerations etc. op- cit. p-^ 222. - Asculurn in Piceno. On possedè de monnaies de V aes grave , qui indiquent une concorde entre cette ville , et celle d'Adria située dans la méme contrée. Ces monnaies, qui soni sans types, portent dans le champ d'un còte AS, et de Vautre H, initiale d' Hadria. (15) Il cav.Avellino,^ di sempre chiara ricordanza, opinò che queste monete appartengano ad Ascoli nella Daunia (ora Puglia), perchè ricevute dalla Dau- nia, le ha ritenute sempre per danne, come si legge nel Bullettino archeologico napolitano, anno II pag. 36 e 37. (16) V aes grave del musèo kircheriano , ovvero le monete primitive de' popoli dell' Italia media or- dinate e descritte ec- Roma, Puccinelli 1839 p. 112- 59 Vedi la tav. II della classe IV n. 7, ov' è disegnata questa moneta. (17) Queste due antichissime monete furono da noi restituite a Fermo , come da lettera indiritta air avv. Gennarelli, e inserita nel giornale artistico e letterario il Tiberino , anno VI n. 34- del 1841, Roma pe' tipi Puccinelliy la quale dal medesimo fu riprodotta dalla sua dissertazione premiata dall' ac- cademia romana di archeologia col titolo - La mo- neta primitiva e i monumenti deW Italia antica, Ro» ma 1843 tip. della R. Cam. Apost. p. 50 e seg. Cf. Millimjen, Considerations op. cit. etc. p. 221. Ci pro- poniamo tornare su questo argomento in altro la- voro che stiam prepaiando. (18) È questa la sua risposta, v Roma 31 die. 1852. Se ella vuole che io le dia oggi le ragioni, per cui nella serie delle monete di Atri, quella che ha r H nel diritto, 1' A nel rovescio , io la tengo per semoncia d' Atri e nulla piià, eccomi pronto a satisfarla. Atri ha già il suo asse, il quincunce, le quattro , le tre, le due, e 1' una oncia. Ma oltre a queste ne ha un' altra , che pareggia la metà del peso dell' oncia, e che per 1' analogia colle semon- cie latine io chiamo semoncia. Non ha impronta, ma presenta nel diritto un' H, nel rovescio un' A, che riunite formano la prima sillaba della voce HA- TRI. Ha di più nel rovescio la sigla della semon- cia, ossia una S arcaica, al modo medesimo delle semoncìe latine. Questa forma di E non è già che si adoperi da' latini, perchè non ne abbiano un'al- tra migliore , ma perchè adoperata questa miglior forma nel semisse, non rimaneva che la E per con- 60 tradistinguere la semoncia. Per opposto quelli di Atri nel loio semisse aveano adoperato i cinque glo- betti a distinguerlo, e non avevano la S nelle let- tere usate a significare la loro città. Conviene dun- que che diciamo , avere gli atriani fatto uso della S arcaica per ricopiare in tutto la semoncia latina. Coloro che credettero, che 1' A della buona paleo- grafia latina potesse fare buona compagnia alla E, la congiunsero coli' A , e lessero ASCLVM. Ma non si avvidero anche alla posizione , che avea la E sulla moneta, che le due lettere non ei'ano appa- iate, ma che l'A teneva il mezzo del campo, e la E era di proporzioni minori, e gittata quasi fuori, all'orlo cioè del campo medesimo. Leggendo ASCLVM disgiunsero 1' H dall' A , all' H dietro 1' HATRl , air As r AS CLVM, e immaginarono un' alleanza tra Atri ed Ascoli. Questa però rimane esclusa dal- l' analogia delle rimanenti sei monete. Quando vi fosse stata 1' alleanza , non avrebbero aspettato la semoncia per esprimerla, ma 1' avrebbero incomin- ciata a far vedere infin dall' asse , e 1' avrebbero continuata a significare nel quincunce, e così nelle rimanenti , dove il campo prestavasi mirabilmente a ricevere non due, ma anche tre delle lettere ASC.» (19) Vedi gli Annali deW insl- di corrisp. archeol. voi XJ, Roma 1839,/). 382, tav. d' agg. 5 n. 10. (20) Annali cit. p. 183 e 284. 11 Capranesi pub- blicò a parte il suo lavoro col titolo di Medaglie inedite , Roma 1840 co' tipi delV istituto. Veturia p. 33. (21) Bidletlino delV imlituto di corrisp. archeo- logica per Vanno 1841, Roma, p. 27. 61 (22) BulleUino cil. per V anno 1840 p. 167. Il eh. Cavedoni ci fece dappoi osservare, che le me- daglie della Veturia, per ragione dell' asse onciale, sono anteriori al 665 varroniano ; e quindi non ponno più riportarsi a' tempi della dittatura di Siila. (23) Comment. super Oribasio lib. 7 cap. 9. Tut- ti gli scrittori, che riferirono questo brano , erra- rono nel!' indicare il nome dell' autore di essi com- mentari; poiché chi ha scritto il nome di Livio pa- dovano, chi di Silvio padovano. Il vero nome però è Marsilio padovano, ossia Marsilio Santa Sofìa di Padova. Questi insegnò lungamente le scienze , le lettere e la teologia in Parigi , ove fu rettore di quella università, e quindi si applicò alla medicina, a tal che fu dichiarato monarca e principe di tutti i medici del suo tempo. Visse sino al 1405. (Vedom, Scrittori padovani ). Oribasio da Pergamo fu ce- lebre medico e archiatro di Giuliano 1' apostata , che lo fece questore di Costantinopoli. (24) Vannotius F. M- De acqua minerali salma-' dna, Romae 1642. Molti scrissero sulle acque ter- mali dei dintorni di Ascoli, di cui le più rinomate per la loro salubrità sono quelle di Acquasanta ; del che ci rendono certi e la frequenza ad esse fino dai remoti tempi, e gli antichi acquedotti dis- sotterrati neir anno 1826. Di quelle di Castel Tro- sino si veggono tuttora le tracce negli avanzi de- gli acquedotti che recavano le acque in due piscine ornate di varie sculture, le quali andarono perdute per lo scoscendimento del terreno ( Relazione di mons. Grassellim a S- S. papa Pio [X. su la ese- guila revisione delV estimo rustico delle provincie di Fermo e di Ascoli, pacj. 80 ). 62 Intorno a dette terme, oltre a quanto si legge nella rara opera di Gio: Michele Savonarola - De balneis et thermis naturalibus omnibus Ilaliae , Fer- rariae 1545; e nell'altra famosa r- De balneis omnia qiiae extant apud graecosy lalinos et arabos , in cui havvi il trattato dell' Ugolini De balneo asculano eie. Venetiis 1553 apud luntas - accenneremo vari scrit- tori, cioè Andrea Baeci De thermis Ub. 4 cap. 13- Andreantonelli Ascul- histor. lib.ìpag. 614 426- Niccolantonio Cattani , che due volte stampò un opuscolo intorno le virtù medicinali delle suddette acque, Ascoli 1751 Valenti , e ivi 1787 Cardi - Gregorio Mucci, Ascoli 1805 Cardia Antonio Egidi, Ascoli 1826 Cardi. Recentemente ne parlarono Be- nedetto Ambrosi nel Giornale ascolano per V anno 1824, Ascoli, Galanti: - Carlo Arduini neìVOsser- servatore dorico del 22 luglio 1843 n. 29, e quindi neir Album di Roma voi. XIV pag. 90 e seg. con due tavole: il dott. Pietro Gamberini nella Idrolo- gia minerale medica dello slato romano , Bologna 1850, Monti, in cui fa cenno anche di varie scatu- rigini di acque minerali, che sono in diversi altri luoghi della provincia ascolana: e da ultimo il dot- tor Baldassare Corsini , il quale, trovandosi diiet- tore del termale stabilimento , pubblicò nel 1851 intorno alle terme stesse per le stampa del Puc- cinelli di Roma un volume in 8." con tavole e pro- spetti chimici e medici, dove alla descrizione sto- rica e topografica di Acquasanta, e ad un suo la- voro di terapia, in cui indica i risultati ottenuti per pili di, un lustro sopra circa tremila individui, ha riunito alcuni cenni geologici del eh. Antonio 63 Orsini , e 1' analisi chimica di quelle acque fatta dal eh. professore Gaetano Sgarzi; del qual lavoi-o ha dato un sunto il eh. A. Cappello nel Giornale arcadico voi. CXXII pag. 230 e seg. (25) Vedi il Bullettino arch. cit. per V anno 1841. (26) Il eh. Gennaro Riccio nella sua opera - Le monete delle antiche famiglie di Roma, seconda edizione , Napoli 1 843 ijag. 233 , Veturia - ricorda questa quadrante come esistente presso Borghesi , De Minicis, Capranesi e Ramus: tav: LXVI. 11 Ric- cio per tale opera ebbe il premio di numismatica dair istituto d' iscrizioni e belle lettere di Parigi. (27) Decad. numism. XII. Osserv. V. Nel Gior- nale arcadico T. XXV del 1825. Chi avesse vaghez- za di conoscere per singulo le gesto di P. Venti- dio legga in essa Decade del Borghesi, dettata con meravigliosa erudizione e dottrina ; poiché non fu a noi permesso dalla qualità di questa memoria l'intrattenerci più distesamente sul celebre console ascolano. (28) Oltre i suddetti due celebri ascolani, de'quali il Colucci, Antich. picene tom. XIV, parla ampia- mente , si noverano Tito ludacilio o Giudaciho , Tito Afranio e Publio Ventidio , che si segnala- rono nella guerra italica, L. Tarlo Rufo , L. Mal- li© Torquato ; e fra i moderni Nic<,'olò IV papa , Francesco Stabili detto Cecco d' Ascoli , di cui il p. Appiani scrìsse la vita e 1' apologia , Pacifico Massimo, ed altri ipolti che possono vedersi nelle Memorie intorno i letterati e gli artisti della città di Ascoli nel Piceno scritte da Giacinto Cantalamessa 64 Carboni , Ascoli Cardi 1830 , opera lodatissima e giustamente celebrata per 1' ordine cronologico, per la biografica diligenza, per la buona lingua e per la sana critica, come si legge nel tom. XLI del Giornale arcadico p. 241. (29) De monetis Italiae op. cit.y Ferrariae 1767, p. 13. (30) hai. Sacra., tom. l p. U^-òy Venetiisy Coleli 1717. (31) Bologna 1818, Nobili, p. 80. (32) De asculana eccl. p. 268. (33) Dell'istituzione delle zecche d^Italia^ Milano 1784, tom. 2 p. 125. (34) Ristretto delV istoria ascolana di Sebastiano Andreantonelli data in luce dai fratelli Antonio e Carlo Cedonio Andreantonelli - Ascoli 1676 , Salvioni. Il capitolo di Ascoli ebbe già la temporale giurisdi- zione sul castello di Maltignano, e il diritto di bat- ter ivi monete di argento, che non sappiano se abbia esercitato. (35) Italia sacra tom. 1 p. 445 edit. cit. (36) Saggio delle cose ascolane, e de' vescovi di Ascoli nel Piceno, pubblicato da im abate ascolano , Teramo 1766 p. 218 n. 5. L' autore anonimo di questa opera è monsignor Francesco Antonio Mar- cucci già vicegerente di Roma, poscia patriarca di Costantinopoli , e amministratore della chiesa di Montalto. (37) Delle monete, che portano immagini de'san- ti trattarono Gio. Cristoforo Oleario nel Prodromo Hagiologiae numismalicae , Arnostadii 1700: - Gio. Michele Weienrichio in una lettera stampata in Er- 65 fordio lo stesso anno: - T. David Koelero in Deliciis nnmmariis: - il teologo Giovanni Molano, De hisloria ss. imaginum, Lovanio 1594 lib. 2 cap- 63 cart. 98- Cf. il Bellini, De monel. hai. op. cit. (38) Vedi Andreantonelli nella Historia ascid; e Ap- piani, Vita di s. Emidio, Ascoli 1831, e tutti gli altri storici di quella città. (39) \j' Appiani, op. cil., dubita, non forse s. Emi- dio sia stato il primo vescovo di Ascoli, e che sieno incogniti gli antecessori di lui- 11 Colucci sostiene, che non estero, ma italiano di nascita, anzi ascolano egli fosse. Antich. picene tom. XIV pag. 322 e seg. (40) Catalani, De eceles. Firm- commenl.p. h-.Nec longe alia mihi sedei opinio de sanclo Emygdio mar- tyre et asculanonim episcopo, qiiem nempe firmum ac- cessisse, ut, qui reliquus foret, idolorum cultiim fugaret, exploratum habeo. V. pag. 93 94 op. cit. (41) Son queste le loro parole: Debethaec (eccle- sia asculana) primordia sua s. Emygdio {quem alii Migdium , Emidium, Emicidium nuncupanl) ; ut qui eam a romano pontifice missus colligendam forman- damque susceperil; nec doctrina tantum et miraculis vivens, sed et moriens sanguine et reliquiis ac singu- lari praèsidio defunctus ad nostrani usque aetatem il- lustraril. llaqne eadem illum ab ornni retro memoria, ut aposlolum smim ac primum antistitem praesidemque tutelarem eximia ì^eligione constanter est prosecuta. Acta ss. augusti, tom. II p. 16 h, Venetiisìlòì, Coleti et Albrizzi. (42) Statuì, ascul. rubric. 5 6 ef 12 /. 2. (43) Le sigle o lettere singolari PP. sono state G.iV.T.CXLV. 5 66 interpretate in diverso modo da'nunioi!;rafì. Il Bellini, Op. cit. disserl. I, le interpreta PERPETUO PATRO- NUS; e poscia nel diss. 5, PAPA S. EMIDIUS. U Peruzzi poi, La chiesa anconitana p. 66, le spiega PA- TRONUS PRINCIPALIS, o PROTECTOR PRINCI- PALIS: alla quale opinione ci uniformiamo- (44) Questa moneta differisce dalle altre, perchè non vi si vede la intera figura, come nelle quattro innanzi sconosciute, ma solo il busto: il santo non è vestito di dalmatica, ma di piviale. Il march. F. Raffaelli mi annuncia posseder egli altra monetina a questa simigliante- Il Colucci, Antich. pie- t. XIV p. 309, fa menzione delle monete che dopo il mille si coniarono in Ascoli col nome del santo protettore, riferendo le parole dei Bollandisti loc- cit.pag. 18 d: Nam ut cultiim eiiis ac religionem (asculani) tota sua ditione diffunderent , varias ipsi per illam ecclesias erexere, ut assidue in omnium quodammodo oculis et manibus* versarelur, dum sui iuris fuere, propriamque cadere pecuniam, huic sancii Emygdii sui effigiem im- pressam esse voluerunt. (45) Benché, come dicemmo, le prime conces- sioni di batter monete venissero dagli imperatori , pure ben poche italiane città posero in esse i nomi o simboli imperiali: e quindi crediamo che la co- niazione avvenisse in tempo dell'autocrazia delle città ch'ebbero officina monetaria. V. fra gli altri il Porri., Cenni sulla zecca sanese, Siena 1844. (46) Annal. Ant. Nicolai: ,, MCCCXCV die Siunii Biordus de Perusia cum 2500 eqnitibus intravit Mar- chiani . ... et incaepit redimere Ascidum prò 3[m du- 67 calis.,, - Saggio cit.p. 303 - v. la Biografia di Biordo MìcheloUi scrina ed illustrala da Ariodante Fahretti nella sua erudita opera - Biografie dei capitani ven- turieri deir Umbria^ nel voi. /, Montepulciano 1842, Fumi -. Il Compagnoni^ Beggia picena lib. Y p. 262, riporta la capitolazione firmata da Biordo nel 1393 con varie città della Marca , fra cui è compreso Ascoli- Incomincia : In Dei nomine amen- Questi e patti e convenzioni, quali si fanno in fra li magnifici comuni d'Ancona , Fermo , Ascoli con tutte le loro terre eie- ( 47 ) Annales firmani Antonii Nicolai : » MCCCLXXXXV die sabati XX mensis novembris vocatus venit in civitate Esculi fdius Antonii de Ac- quaviva , qui vocabatur dux Adrie , et fuit factus capilaneus, et recurrit dictam civitatem prò se ». (48) Saggio, op. cit. pag. 304 n. 1 50. - Il Bar- tolomei, Sulla famiglia degli Acquaviva , ora duchi d' Atri etc Cenno storico, Ascoli 1 840, Cardi pag. 29, dice, che il diploma a prò di Odoardo di Cecco fu dell' aprile 1397. (49) Sulla origine della nobilissima famiglia degli Acquaviva gli storici tennero diverse opinioni. Al- cuni dedussero il cognome Acquaviva da vari luo- ghi o castella di tal nome, di cui uno esiste nella Puglia , altro nelT Abruzzo presso s. Omero , e il terzo nella Marca, una volta soggetto alla gim'is- dizione di Fermo. Non intendiamo qui di esaminare simile questione. Solo diciamo che dagli storici fer- knnni si asserisce fosse questa illuslre famiglia oriunda da Fermo, e padrona del castello di Acquaviva nel k 68 contado dì questa città, che da esso abbia tratto il suo nome, e che poscia si stabilisse nel regno di Na- poli, Vedi ]& Storia della famiglia Acquaviva di Bal- dassare Storace, Roma 1738 Bernabò. - 11 Bartolomei op. cit. — li conte Pomjìeo Litla, Fami(jlie celebri ita- liane, famiglia Acquaviva di Napoli, Milano, Ferra- rio 1843. - 11 cav. Gaetano Moroni nella sua cele- bratissima opera Dizionario di erudizione storico-ec- clesiastica, voi. 1 3 e 58. - 11 march. Filippo Bruti Liberati in vari suoi opuscoli storici impressi in Ri- patransone. (50) Raynaldi, Ann. eccl. tom. 17; Marcncci, Saggio delle cose ascol. p. 308; Appian. Op. cit. seconda edi- zione p. 131; Pandolf'o CoUenuccio, Compendio delle istorie del regno di Napoli , Venezia 1552 lib- V p. 150. (51) Allorquando e' incontrò di trovare, fra le tante ricerche che facemmo delle monete ascolane del medio evo, le due eguali del duca atriano , e le quattro del re Ladislao , sconosciute fin qua a tutti i numografi, pensammo che dovesse anteporsi questa di Ladislao all'altra del duca d'Atri; e che, avendo egli tenuto la signoria della città per inca- rico di quel re , facesse imprimere la moneta col nome di Ascoli. Posto mente però sapersi dalle sto- rie, che il duca timoneggiasse il governo di per sé alquanti mesi del 1395 e 1396, ci sembrò più con- forme a ragione, che la sua moneta dovesse pre- cedere quella di Ladislao. Giudicheranno gì' inten- denti se siamo andati lungi dal vero o se abbiamo colpito nel segno. 69 (52) Di essa si conoscono da noi sei esemplari: uno è nel museo kircheriano, altro nel vaticano, due trovansi presso particolari numoflli di Roma, e due se ne conservano da noi. (53) Questa famiglia tenne il governo di Padova cento e più anni. Vedi nel Zanetti Op. cit. tom. Ili, in cui si riportano le monete padovane dei Carra- resi. 11 Carli , Ist. delle zecche d'Italia^ e il Grade- nigo dicono che Conte da Carrara signore di Ascoli era figlio naturale di Francesco VI, settimo principe di Padova; e che nacque di Giustina Maconia nobile padovana. (54) Cribelliiis in vita Sfortiae tom. XIX Rer. ita - licar. pag. 101 ■ „ Per eam hyemem Comes carrariensis sub spem ducendi in hybenta milites sui ad oppidum Esculum in Picenis, quod tum duplici valida muni- tum arce, ipsius iuris erat intra paucos dies febri correpius vita deserilur. At initio insequentis an- ni, qui fuit primus supra mille quadringentos et vi- ginti eie. ,, (55) Il Brunacci , De re nummaria patavinorum, Venetis 1744, e in Argelaii, Mediolaiii 1750, ci reca una lettera di Obizo del 7 aprile 1426 indiritta ai governatori e al capitano del popolo della città di Siena, segnata in Ascoli, in cui egli si appella si- gnore di Ascoli. (56) Eodem millesimo MCCCCXXVI et die octava augusti homines civilalis Esculi prò maiori parte mi- serunt ecclesiam romanam in dictam civitatem, postea per aliquos dies habuit cassaros, et vix evasit Obizo dominus diete civilatis. Così Nicolai, Ann. cit. 70 (57) Trattano delle monete dei Cairaresi signori di Ascoli il Bellini L e. diss. lì III e IV, e ne ri- poi'la quattro; il Carli l. e. fa menzione di una mo- neta di Ascoli col carro e col nome di (ìonte di Car- rara, e afferma trovarsene una presso il senatore di Venezia conte Antonio Savorgnano, ed è la prima sopra riferita , aggiungendo essere rarissima e non più stampata. 11 Brunacd., De re nummaria pcitav. p. 134, congettura , che in gi'azia del dominio del suddetto Conte e del diritto della città di Ascoli , avesse egli quivi battuto moneta propria , ed anzi in una sua lettera al Costadoni stampata nel 1751 al torà. 46 della RaceoUa calo. 159 e 325), e dal Cinagli [p. 68 n- oO). 67 ALEXA. VREX MA. Arme come sopra. DE AEQ VITAS SCVLO. Detto stemma, ed una stella. Quattrino. È appresso delI'A. È riferito dal Ci- nagli {p. 68 n. 32). 68 ALEXA. . . . Arme come sopra. DE AQUIT SCVLO. Ponte come sopra. Quattrino: del peso di grani 19. È appresso del- I'A. ed ò inedito. 100 69 A • . . . VI PO. MA. NPVS Anne come sopra. A GREGN SCVLO. Come l'antecedente. Quattrino: del peso di danaro 1 e grani 16. È appresso dell'A. Fu edito dal Cinagli (p. 68 n. 33). 70 ALEXA. VI PO SRE. Arme come sopra. DE ... . ERRA. . . . Ponte con due torri ed una stelletta. Quattrino: del peso di danaro 1 e grani 2. E- siste nella collezione dell'A. Fu edito dal Ci- nagli [p. 68 n- 31). Le cinque monete indicate nei nn. 66, 67, 68, 69 e 70 sono errate nelle leggende ; poiché quella al n. 66 lo Scilla (0. C. Errori nelle monete p. 325) crede siasi battuta sopra un' altra moneta di Fano; la seconda , n. 67, il Cinagli la reputa battuta sopra un quattrino del re di Napoli, come l'altra n. 68, inedita, parimente battuta sopra simile quattrino; il n. 69 sopra un quattrino di Bologna ; il n. 70 sopra altro di Ferrara. 71 ALEXANDER. VI. P. M. Stemma Borgia, con triregno e chiavi. DE ASGVLO. Arme della città di Ascoli e due stelle. Quattrino. È riferito dal Cinagli {p. 68 n. 29) citando l'Argelati (T. / p. 53 tav. XLII h. 2); ma però è da osservarsi che le ultime quat- tro lettere sono accennate con puntini , per cui crediamo che il supplemento sia errato. 101 Il nostro eh. amico signor G. Boschini, or ninn- cato a'vivi, ci comunicò un quattrino esistente nel museo di Ferrara, in cui leggesi ALEXAN colla giunta di una N, che non vedesi in quelli sopraindicati. Le sette monete di papa Alessandro furono bat- tute dagli 11 agosto 1492 al 18 agosto 1503. 72 PIVS PAPA SEXTVS ANNOXXilI 1797 nel nì- ro ; BAIOC CINQVE ASCOLI in mezzo c^on una stelletta. SANCTA DEI GENITRIX. Busto della Beata Ver- gine con nimbo. Rame- E appresso dell'A.Cinagli [p. 388 n- 384). 73 PIVS PAPA SEXTVS ANNO XXIII 1797 all'in- torno; BAIOC CINQVE ASCOLI nell'area con una stella. SANCTA DEI GENITRIX t. m. (ossia Tommaso Mercandetti incisore). Busto della B. Vergine con nimbo, nel campo- Rame- È appresso dell'A- Cinagli {p. 388 n- 385). 74 PIVS PAPA SEXTVS ANNO XXIII 1797 nel giro, BAIOC CINQVE ASCOLI nel campo- SANCTA DEI GENITRIX, come l'antecedente- Lega. È appresso dell'A. Cinagli {p. 388 n. 386). 75 S. P. APOSTOLORVM PRINC. t. m. (cifra del delto incisore). Busto di san Pietro con chiavi in mano. BAIOCCHI DVE E MEZZO ASCOLI 1797. Tre stellette. 102 Rame. È appresso dell'A. Cinngli {p. 392 n. 443). 76 S. P. APOSTOLORVM PRINCEPS. t. m. (cifra suddetta). Rusto di s. Pietro con chiavi in mano. RAIOCCHI DVE E MEZZO ASCOLI 1797. Tre stellette. Rame. È appresso deirA- Cinagli [p. 393 n. 444). 77 PIVS SEXT. P. M. A. XXIIL Arme del ponte- fice. VN RAIOCCHO (sic) ASCOLI 1797- Rame. Questa moneta è piccola come il mezzo baiocco. È appresso dell'A. Cinagli [p. 397 n. 559). 78 PIVS SEXT. P. M. A. XXIII nel giro; nell'area lo stemma del pontefice VN RAIOCCO 1797 nel campo in quattro righe. Rame- Si conserva dall'A. ed è inedito- 79 PIVS SEXT. P. M. A. XXIII. Arme del pontefice. VN RAIOCCO ASCOLI. Una stelletta senza il millesimo. Rame. È appresso dell'A- Cinagli (p-397 n- 560). 80 PIVS SEXT. P. M. A. XXIII. Arme e. s. MEZZO RAIOCCO ASCOLI 1797. Tre stellette. Rame. È appresso dell'A. Cinagli Q?. 399 n. 599). 81 PIVS. SEXT. P. M. A. XXIII. Arme e. s. VN QVATRINO ASCOLI 1797. Tre stellette. Rame. È appresso dell'A. Cinagli {p- 401 n. 640). 103 82 PIVS PAPA SEXTVS ANNO XXIH 1798 airin* torno; BAIOC CINQVE ASCOLI nel campo- SANCTA DEI GENITRIX. Busto della B. Ver- gine coti ninfibo. Lega. È appresso dell'Ai Cinagli [p* 389 n. 387). 83 REPVBBLICA ROMANA airintorno. Fasci con scure e pileo nel campo* DVE BAIOCCHI ASCOLI in una corona d'alloro. Rame. È riferita dal Cinagli {p. 4-04 n- 40). 84 REPVBBLICA ROMANA. Come l'antecedente. DVE BAIOCCHI ASCOLI in una corona dì rose. E descritto dall' ab. Antonio Salvaggi nel suo manoscritto (già posseduto dal cav. Carlo De Kolb i da cui passò a Demetrio Diamilla di Roma) a pag. 149 n. 35 , come riferisce il Cinagli (/). 404 n. 41). 85 REPVBBLICA ROMANA. Come l'antecedente. DVE BAIOCCHI ASCOLI scritto in quattro righe con una stelletta, fra due rami d'alloro. Rame. È appresso dell'A. Cinagli [p. 404 n. 42). 86 REPVBLiCA ROMANA. Come l'antecedente. DVE BAIOCCHI ASCOLI scritto in tre righe con una stelletta sopra, ed una rosetta sotto^ fra due rami d'alloro. Rame. Cinagli {p. 404 n- 43). 87 REPVBLICA ROMANA. Come l'antecedente. DVE BAIOCCHI ASCOLI in ghirlanda d'alloro; due stellette. 104 Rame. È appresso dell'A. Ginagli {p. 404 n. 44). 88 REPVBLICA ROMANA. Come l'antecedente. DVE BAIOCCHI ASCOLI scritto in quatro ri- ghe e stelletta sotto , fra due rami d'alloro. Rame. Fu pubblicato dal Salvaggi [M. S. cit. p. 149 n. 32) e dal Cinagli [p. 404 n. 45). 89 REPVBLICA ROMANA. Come la precedente. DVE BAIOCCHI ASCOLI in tre righe entr ) una corona di rose. Rame. Salvaggi (loc. cit. p. 149 n. 33), Cinagli {f. 404 11. 46). 90 REPVBLICA ROMANA. Come la precedente. DVE BAIOCCHI ASCOLI in tre righe, fra due ' rami d'alloro. Rame. Salvaggi (I. e. p. 149 n. 34), e Cinagli {p. 404 n.^ 47). 91 R. R. {repubblica romana). Fasci con scure e pileo nel campo. MEZZO BAIOCCO ASCOLI. Una stelletta supe- riormente. È appresso dell'A. Cinagli [p. 406 n. 100). 92 R. R. Come 1' antecedente ; il tutto entro una corona d'alloro. ASCOLI in due righe con una stelletta entro una corona e. s. Quattrino. Esìste nella raccolta dell'A. Cinagli (p. 406 n. 111). 105 Le dieci monete soprai'iferite furono coniate "la! febbraio de! 1798 al giugno del 1799. RIASSUNTO DELLE MONETE 1 Monete romane antiche spettanti a ( Jue ce- lebri ascolani . n. 2 2- » colla effigie di s. Emidio e coniate in tempo dell'autonomia. . )) 5 3 )) del duca d'Atri . . . )) 1 4 )) del re Ladislao . . . )) 1 5 » dei Carraresi . . . . )) 5 6 » di pa[)a Martino V » 10 7 » di Francesco Sforza . . » 8 8 » di papa Eugenio IV . . . » 12 9 » di pontefici incerti . . )) 13 10 )) d' incerto tempo . . . » 3 11 » di papa Sisto IV . . . » 4 12 )) di papa Alessandro VI . )) 7 13 » di papa Pio VI . . . )) 11 14 )) coniate nell' interregno dcg li anni • 1798 e 1799 10 Totale n. 92 Di queste monete sono Inedite n. 12 Comunicate dall'autore al dot- tor Cinagli e da lui pub- blicate » 40 Edite da vari numografì . « 40 n. 92 Appresso dell'autore n'esistono 65. 106 DOCUMENTI DOCUMENTO A. An. 103Y. Conservasi l'originale nell'archivio capitolare di Ascoli. In nomine sancte et indiviJuae Trinitaiiis. Chonradus, divina favente clemeniia, romanorum imperator aU- {juslus. Omnium sancte Dei ecclesie iiostrisque fìdelium , presen- lium scilicet et futuroriim noverit industria, qualiter tìdeiis noster asciilanils episcoptis , nomine Bernardiis , conspectui nostro pre- ceptum quoddam proliilit, in quo continebatnr, quomodo anteces- sor noster bo: me: Otto imperator, prò Dei nomine ac prò remedio anime sue, eiusdem sancte asculane ecclesie presuli, nomine Adam, eiusque successoribus donavit et per preceptum sue confìrmationis corroboravit omnem terram sui episcopii , tara ad matricem eccle- siam perlinentem infra et extra civitatem suam , quam ad ceteras capellas sive monasteria ad predictam ecclesiam respicientia , quo- rum vocabula hec sunt Monetam etiam in civitate construere ad componendos nummos cuiuscumque generis asculana, videlicet sui episcopi, ac libere et sccure currentia per fotum no- strum regnum et quicquid ad regiam censuram et potestatem no- stram pertinet , trasfunderemus in eius et successorum illius ius et dominium per preceptum nostre contìrmalionis roborare et do nare et confirmare dignaremur. linde vero et nos pia facta ante- cessoris nostri ad memoriam revocantes per interventum et peti- tionem dilecte contetalis nostre Gille imperatricis et Pili- grini archiepiscopi ac Brunonis archicancellarii eidem episcopo Bernardo suisque successoribus omnia predicta donavimus et per 107 huius nostri precepti approbalionem corroboravimus, eo ordine ut nullus dux, marchio, archiepiscopus, episcopus, comes, vicecomes, scuUarins, castaldus, aiit publice rei exactor magna parvaque no- stri regni persona disvestire, molestare, inquietare predictum Ber- narduni asculane ecclesie episcopum eiusqiie successore» ab omni- bus suprascriplis aut a nostris predecessoribus iraperatoribus sive regibus concessis et a nobis modo per hoc preceptum conHrmalis et datis unquam interponere presumat, videlicet, lam de mobilibus quam de immobilibus rebus, scrvis et ancillis, liberis etiam homi- nibus mercatis, moneta quam donavimus, piscatiouil)us, portubus, aquis aquarumqtie duclibus, molendinis, cultis et incullis , sylvis, foreslis et omnia que dici vel nominar! possunt , civitatem et ca- stella, et si inventus fuerit, qui contra hoc nostrum preceptum facere tentaverit, sciat se compositurum, velie, nolle, mille libras auri optimi medietatem nostre kamere , medietatem quidem sepe nominato Bernardo epìscopo suisque successoribus. Quod ut verius credatur , diligentiusque observetur, manu propria subter confir- mantes sigilli nostri impressione iussimus insignir]. Signum domini Cbonradi romanorum imperatoris augusti. Bruno cancellarius, vice Pelligrini archicancellarii recognovi. Dutum anno dom. incarn. MXXXVII, indìct.V, anno autem D.Chon- radi II regnante XI, imperante IX. Aclum Podelbrannen. feliciter. DOCUMENTO B. An. 1045 - Esiste Voriginale nalC archivio capitolare di Ascoli. In nomine sancte et individue Trinitatis. Henricus, divina l'avente clementia rex. Omnium sancte Dei ecclesie nostrique Hdelium, presentium scilicet et i'uturorum, no- verit industria, qualiter fidelis noster asculanus episcopus Bernar- lus secundus conspectui nostro preceptum quoddam protulit , in juo conlinebatur, quod beale memorie pater meus imperator Cbon- 108 radus, prò Dei nomine ac prò remedio anime sue eiusdem ascula- ne ecclesie presuli, nomine Bernardo eiusque successoribus dona- vit per preceptum sue confìrmationis corroboravit, terram sui epi- scopi! tam ad matricem ecclesiam pertinentem, quam etiam ari cele- ras ecclesias maiores et minores, infra el extra civitatem suam, vi- delicet plebes, capellas, sive ec Monetam etiam in civitate construere ad componendos nummos cuiuscumque generis, libere ae licite currendos per totum regnum et quidquid ad regiam censuram el potestatem pertinere visum est. Unde ergo et nos pia Cacta ge- nitoris nostri ad mcmoriam revocante», prò intuita et petitione d i- lecte contectaiis nostre Agnetis regine et Herimandi archiepiscopi et Humfredi nostri canccllarii, eidem episcopo Bernardo suisque successoribus omnia supradicla donavimus^ et in huius nostri pre- cepti revocatione corroboravimus, eo tenore ut nullus dux, mar- chio, archiepiscopus, episcopus, comes, vicecomes, sculdallus, ga- staldus, vel ulla nostri regni magna parvaque persona disvestire , vel inquietare presumal predictum episcopum Bernardum eiusque successores de omnibus supradictis ab antecessoribus nostris im- peraloribus et regibus concessisi et a nobis modo per hoc prece- ptum corroboralis et datis. Si quis autem hoc nostrum preceptum in aliquo infrigerit , sciat se ... . medietatem nostre kamere et medietatem predicto episcopo Bernardo suisque successoribus. Quod ut verius crcdatur et diligentissime ab omnibus in perpetuum in- concussum conscrvetur, manu propria subtus firmavimus et sigillo nostro insigniri voluimus. Signum >j^ Henrìci regis III romanorum ^ invictissimi Humfredus cancellarius , vice Herimani archicancellarii reco- gnovit. Datnm III idus iulii, indictione XIII, anno dominice incarna- tionis MXLV, anno autem D.Henrici regis XXXXIl, regni vero VII. Actum Colonie in Dei nomine feliciter. Amen. 109 DOCUMENTO C An. 1036 - L'originale conservasi neWarchivio capitolare di Ascoli. In nomine sancle et individue Trinilatis. Henricus, divina fa venie clenientia romanorum augustus. Omnium sancte Dei Ecclesie nostrique fìdelium, presenlium scilicet, et futu- rorum, noverit industria , qualiter Bernardus II , sancte esculane ecclesie episcopus, que extructa est in honorem sancte Dei geni- tricìs Marie, et in qua requievit corpus sancii Emigdii, intervent» domini Victoris p. p. ac petitione dilecle contectalis nostre Agnetis imperatricis et Gebehardi ratisponensis episcopi et Guntheri no- stri cancellarii et a secretis nostris, adiens prefatus episcopus im- perialem excellentiam petiit , quatenus prò Domino, et anime bo: me; Chonradi patres nostri remedio, tam ipsi quam sue Ecclesie, res omnes esculano episcopio quolibet iure pertinentes, a suisque etiam predecessoribus ante acquisitas nostre preceptalisauthoritale prout iuste et legaliter possumus cum omnibus mobilibus et immo bilibus, superioribus vel inferioribus, vel etiam cum omnibus per- tinentiis et adiacentìis suis, secundum precepta antecessorum impe- ratorum , aut regum confirmare, et corroborare dignaremur. Cu- ius dignis petitionibus aurem accomodantes Monetam etiam in civitate construere ad componendos nummos cuiusvis ge- neris , asculan. vidclicet episcopi , libere et secure currendos per totum nostrum regnum et quicquid ad regiam censuram et pote- statem nostram pertinet, in eius transfundere .et successorum eius ius et dcminium per preceptum nostre confirmati onis donamus et corroboramus, co ordine, ut nullus dux, marchio, archiepiscopus, episcopus, Comes, vicecomes, scultalius, gastaldus, aut publice rei exactor, magna parvaque nostri regni persona disvestire, molesta- re, inquietare predictum Bernardum II asculanum episcopum eiusque successore» de omnibus suprascriplis a nostris predecessoribus , no sive regibus concessis aut a nohis modo per hoc preceptum coti- fìrmatis et dalis iinqtiam in tempore presuntat , videlieet tam de noobilibus , quam de imniobilibus rebus, servis et ancillis, liberis etiam hominibiis. Mercalus, monetam, fodrum, et placitum, qiie ei donavimus, piscatioiies cum portibus, aquis, aquarura deciirsibus, molendinis, pratis, pasculis, cultis et incnltis, silvis, cervorum ce- terarumque ferarum Corestis, armentis , gregibus , et omnia qua dici vel nominari possunt, eidem iusle faventibus. Si qiiis igilur, quod minime credimus, huius nostre confirmalionis prccepti leme- rarius violator aliquando extiterit , sciai se compositurum aiiri optimi libras mille, medietatem kamere nostre et medietalem Ber- nardo Il episc. eiusque successoribus, quibus violenlia illata fue- rit; quod ut verius credatur, firmiusqiie ab omnibus observetur, manu propria roborantes nostro sigillo iussimus insjgniri. Signum domini Henriei III S romanorum imperatoris au- gusti. Gunlnerus cancell. vice Hermandi archiepiscopi et archican- cellarii recognovi. Datum HI kal. iunii ann. dominice incarna- tionis MLVI, indict. IX. Anno domini Henriei III ordinat. eius XXVIII, regni vero XIV^ imper. II. Actnm Florcntie in Dei no- mine feliciler. Amen. DOCUMENTO B. An. H37 - Esiste ^originale nelV archivio capitolare di Ascoli. In nomine sancte et individue Trinilatis. Lotharius , divina favente clementia , romanorum imperator "augustus. Justum est et omnio imperialem decet magnificentiam , Inter ceteras ecclesias , eas potissimum amplectì , que de imperio sunt et ad nostram specialiter spectant def'ensionem. Proinde omnium fìdelium nostrorunn tam futurorum quam presentium in- duiilriam nosse volumus ; qualiter nos instinctu consortis nostre Richìnle^ annuente fidali nostro Henrico ralisponensi episcopo IH et archicancellario nostro esciilane eoclosie omnem sue tligni- tatis integritatem conservare necessarinm duximus, Ad quod et exemplo anlecessorum nostrorum regum et imperatorum infor- mamur et non oiinus devotio et servilium eiusdem ecclesie ven. episcopi Presbiteri nomine ad id nos accendit. Quem impe- riali liberalitate per omnia amplectentes confirmamus ipsi suisque successoribus et donamus comìlatum esculanum ex integro omnes- que pertinentias, quas vel modo tenet, vel iure tenere debet. Con- firmamus et donamus ei suisque successoribus esculanam civltatem cum omnj dìstrictu imperiali Mercatura quoque ublcumque in toto suo episcopatu voluerit, infra et extra civitatem episcopii diete civitatis liceat sine contradictione alicuius, monetam quoque ubi voluerint habeant et faciant. Horum omnium supradictorum ius et dominium eidem ecclesie auctoritate privilegii nostri eo ordine confirmamus, ut nullus archiepiscopus , episcopus, dux, marchio, coraes, vicecomes, nulla denique magna parvaque persona in bis omnibus supradictis prefatam ecclesiam molestare , disvestire, aut inquietare presumat. Si quis vero conlra hoc , quod non credi- mus, presumere poterli, centum libras auri camere nostre et to- lidem ipsi componant ecclesie. Quod ut verius credatur et ab omnibus diligentius custodiatur presentem inde cartam sigillo no- stro insigniri iussimus. Signum D. Lotharii IK romanorum imperatoris invictissimì. Ego Ricardus , vice Henrici archicancellari recognovi. Data anno inearnationis dominice MCXXXVII , ìndictione XX , kalend. decembris, anno vero regni regìs Lotharii XII, imperii VI. Actum Salerni in Christi nomine feliciter. Amen. DOCUMENTO E. An. ìì^Q- Esiste Voriginale neW archivio capitolare di Ascoli. In nomine sancte et individue Trinilatis. Chonradiis , divina favente clementia , romanorum rex II ac semper augustus. J)ecet imperialem magnificentiam eas ecclesias 112 poLissimum fovere et amplecti, que de imperio sunt et specialiter ad nostrani defensionem spedare dignoscuntur. Quo circa iìdelium nostrorum omnium tam presentium , qiiam futurorum noverit in- dustria, qualiter nos principum nostrorum precibus, suadente quo- que Wibaldo abbate compagense, ecclesie esculane omnem digni- tatis sue integrilatem conservare dignum duximus. Esemplo quo- que antecessorum nostrorum, regum et imperatorum instruimur et informamur; et nihilominus magna devotio, magnumque servi tium eiusdem ecclesie venerabilis episcopi, nomine Presbiteri, ve- nientis ad nos in Alemaniam, ad id nos accendit et invitat. Qnem honestissime recipimus cumque de regalibus investientes in con- sortium principum nostrorum suscepimus; cui etiam omnia bona sue ecclesie omniaque ecclesie sue iura, que vei tempore suo suo- rumque predecessorum amissa sunt , per corporalem investituram reddidimus et alia, que a nobis petiit; videlicet habere mo- netam quoque, ubi voluerint, faciant et habeant. Auctoritate nostri privilegii confirmamus ius et dominium supranominate ecclesie horum supradictorum omnium, eo ordine: ut nuUus dux, archie- piscopus, episcopus , marchio , comes , viceconies , nulla denique maglia persona sive parva, prefatam ecclesiam in bis omnibus pre- dictis inquietare, disvestire aut molestare audeat. Si quis vero, quod non credimus, contra hoc presumpserit , centum libras auri camere nostre, et eidem ecclesie totidem componat. Quod ut verius credatur, et ab omnibus diligentius custodiatur , presentem inde cartam sigillo nostro iussimus insignir!. Signum D. Cbonradi regis romanorum secundi. Ego Arnaldus cancellarius, vice llenrici magunlini archiepi- scopi ci archicancellarii recognovi. Data pridie idus marlii, indict. X , anno domiuice incarna- tionis MCL. Regnante Chonrado rege sccundo romanorum , anno . regni eius XIII. Aclum Nurimbergh in Chrisli nomine fcliciler. Amen. 113 DOCUMENTO F. An. 1183 - Si conserva l'originale nell'archivio capitolare di Ascoli. In nomine sancte et individue Trinilatis. Fridericus, divina favente clemcntia , imperator romanornm augustus. Inter varia humane comlilionis vota et opera , hoc po- lissimiim fore censemns ad salulem animarum si ecclesiis Dei el ecclesiasticìs personis solertie nostre studium efficaciter impenden tes eas non solum in iure suo conservamus, verum etiam dispersa recolligenda , fracta reconsoiidanda et que in presentiarum possi- dentur feliciter augenda imperiali virtute fovemus ac d.fensamus. Stndentes ergo laudum titulo probatamque honeslatera venerabilis esculane ecclesie , que licei prope fines imperii nostri longe siia sii, tamen liicem bone opinionis sue nobi>; cominus effunditriiben- ter etiam annuen.es preoibus dilecti nostri Raynaldi eiusdera ec- clesie episcopi, ad exemplum predecessorum nostrorum, diversorum regum et impcratorum, Henrici III et Lotliariì IH et regis Cbon. rad. II palris nostri , notum facimus tam successive posteritati , quam presentium industrie , quod nos prescripte ecclesie «t pre- nominatum episcopum et congregalionem eius in perpetuum et successores eoru.n et omnia ipsorum bona, mobilia el immobilia que nunc habent vel in posterum, prestante Deo , iuste poterunt ad.pisci, sub protectione defensionis nostre suscepimus et ex mera liberalitale atque conscientia concedimus eis atque donamus el imperiali auctorilate confirmamus omnia iura ecclesie sue, que vel nunc habent vel tempore suo, vcl predecessorum suorum neglecta. **""*• ^^ ubicumque volueril in loto episcopatu suo, intra civitalem el extra, liceal ei constiluere mercatum et ubi volueril tnfra hos terminos, cudere monetam, salva in omnibus bis supra- numeralis dignilale imperialis excellentie. Staluimus ergo et im- periali àuctoritate sancimus , ut nullus poutifex, n«llus"archiepi- '7? "'"^r.^P"^' """"« J»"^ """"^ marchio, ncque comes. 114 ncque vieecomes. neque capitaneus, nulla civitas, n ti II ti m comune, nullave poteslas. nulla denique persona humilis vel alta, secularis vel ecclesiaslica, hoc maiestatis nostre privilegium audeat violare, seu esculanam ecclesiam et episcopum eius et canonicos in pos- sessione, iure et dominio predictarum rerum, omnìumque bonorum suorum, presentium et futurorum aliqiiìbiis inìuriis calumniarum, sive damnis presumat attentare. Quod qui f'ecerit, in ultionem te- meritatis sue centum libras auri componat , dimidium imperiali camere, et reliquum ìuiuriam passis. Signum mei Federici romanorum imperatoria invictissimi. Ego Gotefridus imperiali» aule cancellarius, vice Pbilippi co- loniensis archiepiscopi et Italie archicancellarii recognovi. Acta sunt hec anno dominice incarnationis MCLXXXV, indict.lV, regnante d. Friderico romanorum imperatore gloriosissimo , anno regni eius XXXIV, imperii vero XXXII. Datum apud Cucurionem in territorio spoltlano in nomine Domini, Xllll kal. octobris. DOCUMENTO G. An. - 1461. V originale si conserva nell'archivio anzianale di Ascoli. Ditectis flliis antianis et communi civitalis nostre Asculi. Pius pp. II. Dilecli filli salutem et apostolicam benedictionem- Exposuerunt nobis vestro nomine dilectì tìlii oratores vestri proxime ad nos missi, vos propter peiiuriam monete que viget in illa nostra civitate de presenti plurimum cupere licenliam vobis concedi picciolos et quatrinos fabricari et elidi faciendi. Quare nos vestris supplicationibus inclinati ac paterna caritate vos pro- sequi volentes vobis infra unum annum a datis presentium com- putandum fabricari et cudi faciendi diclos picciolos et quatrinos 115 in dieta civitate ex m.-iteria alias consueta usque ad quantitatem octiugentoruui florcnorum aiiri de camera tantum facta tamen prius debila solutione camere aposlolice liceutiam et f'acultatem concedimus per presentes. Volumus preterea quod ex quantìtate diete monete ut prefertur fabricande thesaurarius diete nostre ci- vitatis debilum computum et rationem teneat. Datum Rome apud sanctum Petrum sub annulo piscatoris die ultima aprilis MCCCCLXI, pontificatus nostri anno tertio. C. de Piccolomìnis. DOCUMENTO H. An. ii%2 - L'originale si conserva nelCarchivio segreto di Fermo num. 1S17. Dilectis filiis antianis et communi civitatis nostre firmane Pius pp. II, Dilecti fìlii salutem et apostolicam beuedietionem. Quoniam propter monetam que impresentiarum currit in pro- vincia nostra Marchie Anconitane intelligimus non parva incommoda in ipsam nostram provinciam et subditos nostros redundare ac propterea et ex aliis bonis respectibus inlendimus superinde opor- tune providere monetamque ipsam in melius Tacere mutari et re- formari. Eapropter mandamus vobis (juatenus per totum mensem ìanuarii presentem ad nos miltatis oratores vestros cura plenis instructionibus et mandatis ad concludendnm super hac provisione quam facere inlendimus omni excusatione et contradictìone ces- sante. Datum Rome apud sanctum Petrum sub annulo piscatoris primo ianuarii MCGCCLXIl, pontilicatus nostri anno quarto. 116 DOCUMENTO I. An. i472 -Si conserva l'originale nelC archivio anzianale di Ascoli. DilecUs filiis antianis et communi civitatis nostre Asculi Sixtus pp. ini. Dilecti filli salutetn et apostolicam benedictionem. Que ad publicam utilitatem vobis cedere cognoscuntur paterna caritate libenter concediinus ut quo benignius a nobis conspexeriti» vos traclari constanlius in solita fide et devotione perseverelis. Ut igìtur parve monete copiam in civitate ista nostra sicut comu- nis utilitas exigit haberc possitis vestris in hac parte suppiica- tionibus inclinati harum serie indulgemus vobis alque concediinus licentiam et facultatem cudi faciendi prò uno anno usque ad siim- mam mille ducatorum in moneta picciuloriim. Confisi propterea de veslra singulari fide atque devotione presenlium tenore de— cernimus quod possit a vobis eligi odo cives fide et facultate idonei ad custodiam. Turris Murri, et postea quod unus ex electis per ipsum legatura confirmari dcbuat et deputari ad diete Turris custodiam accepla idonea cautioue extra civitatcm asculanam de ea fideliter custodiendo alque restituendo. Volumus insuper manda- mus ac declaramus quod index maleficiorum provincie nostre Mar- chie nec possit nec debeat contra vos et cives vestros procedere aut aliquando vos iacjuietare occasione demolitionis domoruin Rubei magistri Bettoni per vos lacte attento quod sicut asseritis dum dilHdatur inetiam oratores vestros ad nostrum legatuin profici- scentes impetum fecit. Volumus tamen quod domus fratris ipsius Rubei demolita qui extra noxam est per vos prima reparelur et ipse omnino reddalur indemnis. n^ \^ N^ ^ ■ u.i33B<-.;ì,<;ty P ì "^ !^ 117 Postremo desiderantes pacem et iuslitie recliludiucm in ipsaf nostra ci vitale vigere concedimus presentem et indulgemiis quod presidente locumtenente dicti nostri legati possint eligi per vos dummodo ab eodem locumtenente confirmentur quinquaginta cives qui habeant poteslatem dandi auxilium et favorem officialibùs no- stris et sacre romane ecclesie ad iustitiam dirigendam prout rerum et temporum qualitas postulabit quibuscumque in contrarinm fa- cientibus non obstantibus. Datum Rome apud sanctum Petrum sub annulo piscatoris die XXII decembris MCCCCLXXII, pont. no- stri anno secundo. L. Grifus- 118 Discorso archeologico-artislko in encomio del defonlo commendatore Luigi Canina. Letto nelV adunanza dell'accademia di archeologia in Roma li 8 gen- naio 1857, dal commendatore Clemente Folcili, \faa\e fu nell' arte V onorando commendatore Lui- gi Canina, quali cose operò e quali memorie ci la- sciò a ricordarlo meritamente nella nostra accade- mia, è il tema di queste mie parole, ed è l'elogio che si addice al collega , che tutti laméhtiamo a noi rapito dalla morte nel giorno 17 dell' otto- bre 1856. Buon per me che nell' abbondanza delle cose dal medesimq scritte, incise, ed eseguite, non avrò molto a ricercare, o a dimostrare, per dirlo uomo di estesissima conoscenza d' ogni oggetto di arte, specialmente di quelli che all' antichità appartengo- no; artista di genio fecondo; interprete sicuro dei ri- trovati nelle ricerche archeologiche, e pronto in ogni intrapresa ad illustrare monumenti, sia conia stampa, sia co'disegni, sia con gli scritti, a modo che se de- gli uomini illustri 1' elogio maggiore è la manife- stazione delle opere stesse, per questo , che oggi facciamo al nostro collega, saranno sufficienti al cer- to i pochi ricordi che ne farò, sebbene con disador- no stile , e con languidi colori , quali aspettar si possono dalla età e dalla debolezza delle mie forze. 119 Nella copia pertanto delle cose lasciateci dal Ca- nina mi circoscrivo nella parte architettonica dal medesimo estesamente trattata ; ed all' arte atte- nendomi, a voi, chiarissimi e scienziati accademici, spetterà il riconoscere quanto egli ne disse a spie- gazione delle sue idee su i luoghi, sull'uso e sul- le epoche dei momenti, e che egli convalidò col- r autorità degli scrittori antichi e colle senten- ze che questi ci hanno tramandate nei loro classici prodotti di ogni letteratura. Dopo qualche anno dalla sua venuta in Roma (che fu nel 1818) e dopo intrapreso l'esercizio archi- tettonico presso la eccellentissima casa Borghese, e nella magnifica villa dì tanto signore (della quale poscia ne diede una illustrazione) uno de'suoi pri- mari lavori, detti di studio, si fu la grandiosa ope- ra di Architettura antica descritta e dimostrata coi monumenti , distribuita in tre sezioni , egiziana , greca , e romana , in' sei volumi in foglio con n. 700 e più tavole. È veramente mirabile con quan- ta cura e ricercatezza abbia egli raccolte tutte le piiì remote notizie e disegni delle arti dei piiì an- tichi popoli e con quanta lucidezza di dimostrazio- ni grafiche le abbia esposte. Incominciando dall' architettura egiziana come base alla greca e romana, e compendiando quan- to fecero i fenìci, i babilonesi, gli assiri, i persiani ed indiani in generale, sviluppa la distinta cogni- zione dell' arte di edificare dei diversi popoli lo che , dimostra nelle diverse opere le pili note e conservate, o dedotte dalle ruine superstiti o de- scritte dagli antichi atte a far conoscere le maniere 120 proprie di ciascun paese. Tali edificazioni caralte- risliche le considera specialmente nei grandi edifizi dì Karnac, di Louqsor (1), nei gran tempii a Moroc, a Tentcris , nella reggia e nei sepolcri di Belo e di Seiiiiiamide in Babilonia , in quelli tebani e fenici, e nelT interno delle grandi piramidi di Men- tì, di Meroe e di Assur ; nel tempio di Gerusalem- me ( del quale ha trattato separatamente con ri- cerche ■suirar<;hitettura degli antichi giudei), in fi- ne nella casa di Salomone, nelle costruzioni della Frigia, della Persia, e delle Indie, nelle quali regio- ni tutte si riconoscono i principii ed il tipQ , che poi si adottò neir architettura greca specialmente dell' ordine dorico , e delle diverse costruzioni del- le muraglie, sia ad opera incerta, sia a pietre re- golarmente tagliate , e poste a filari orizzontali, o delle diverse aperture delle porte, o ad arco pia- no ad un sol blocco, o arcate in tondo, o a cuspi- de, oppur della decorazione interna oltremodo ric- ca con portici , e sostegni di colonne dipinte o stiriate. Su questi tipi sembra si conformassero le deco- razioni di Grecia, la quale spinta dalla sua fervida fantasia, e guidata dalla sua ingenita filosofia, la qua- le fu introdotta anche nelle arti , compose e mi- gliorò gli ordini architettonici a suo modo, ragio- nando suir officio a cui possono destinarsi ; sulle (1) Le denominazioni di tutti i monumenti citati in questo scrit- to sono state da me riportate coi nomi segnati dall' autore, non avendo qui luogo alcuna opinione , o quistione su di essi: come pure niun riguardo ho avuto alla serie cronologica delle produ- zioni del Canina, che tutte considero nella sua vita. 121 proporzioni che possono loro competere a caratteriz- zare la dedicazione dell'opera; e studiandosi sempre a rendere nobili ed eleganti le parti tutte costitutive i monumenti, giunse a quel grado di soddisfazione che in seguito provarono anche tutte le altre nazioni, le quali ne accettarono le leggi , e si attennero a queste in ogni specie di fabbricato pubblico e privato. Questa sezione dell'opera comprende l'Asia mi- nore, la Sicilia, e l'Italia. Ivi si addita come ebbe principio, e come si sviluppò l'arte in Grecia, dopo la guerra di Troia, quale dalle prime olimpiadi in poi fu impiegata nei grandi edifizi, e come si per- fezionò dopo le invasioni persiane fino alla conquista dei macedoni. Dei monumenti disegnati furono pre- scelti i più stimati per le proporzioni e belle si- metrie, che presentano una qualche particolarità per istabilire una idea generale dell'architettura dei greci la più conforme alle cognizioni tramandate dagli antichi. Oltre a ciò moltiplico e multiforme fu la scel- ta che fece il Canina su i tempii, pei quali i greci si occupavano sempre a renderli nobili e dignitosi. Tal si rappresentano quelli di ordine dorico di Teseo: di Diana in Eleusi; di Giove Olimpico in Elide; i propilei di Atene e di altre città di Grecia; il Par- tenone in Atene, e i tempii di Cerere e Proserpi- na in Eleusi: d' ordine ionico , quelli di Minerva Pohade, di Apollo a Didimi , di Giunone a Samo, di Diana ad Efeso ed a Magnesia : e d'ordine co- rintio il gran tempio di Giove Olimpico ed il tem- pio di Didimi ; inoltre le Cariatidi , i Telamoni , i teatri, palestre , e ginnasi corrispondenti ai pre- cetti dati da Vitruvio , che nella Grecia formò il 122 suo codice per dar norma e regole ai monumenti romani. Ognuno sa come dalla Grecia venissero poi le arti belle in Roma , che fino allora erasi giovata delle indigene arti etrusche , o italiche che fosse- ro; con quanta avidità si ricevessero nella capitale dell' impero; e con quanta profusione e sontuosità si commettessero le riproduzioni delle piiì superbe moli nelle loro più belle forme, e coi più squisiti intagli , onde e pel numero , e per la grandezza Roma dimostrò quanto essa fosse, e quale impero tenesse nel mondo. Qui si aprì tutto il campo pel nostro Canina a studiare, tracciare , e disegnare , non solo quanto vediamo di antico, ma ben anche quanto alla no- stra vista abbiamo di ascoso , furatoci dal tempo e dalle ingiurie dell' uomo. I monumenti tutti si vedono delineati nel loro essere nella parte terza dell'Antichità romana , da cui si apprende lo stile dell' arte, e come fu im- piegata nelle differenti specie di edifici a seconda ( come si è detto ) degli insegnamenti di Vilruvio. Incominciando il Canina dai metodi di costru- zione 0 in laterizio, o in pietre squadrate a bugne, 0 incerte, arcuate in piano, o a cunei, passa pro- gredendo agli ordini, e prima ai tempii dorici del- la Pietà, di Cerere, e di Quirino, e quindi alli io- nici della Fortuna virile, della Speranza, e di Ma- tuta: ed in maggior copia e bellezza ai corintii di Giove Tonante, di Faustina; del portico di Ottavia e del Panteon. Procede poi al gran tempio di Giove capitolino, a quello di Venere e Roma e del Sole 123 sul Quirinale col suo superbo cornicione , quindi ai fori di Cesare, di Augusto, di Nerva, e di Tra- iano disegnati e descritti per intero , come intera- mente disegnati sono i teatri di Pompeo, di Mar- cello, quello doppio di Curione , non che gli anfi- teatri Flavio e di Statilio Tauro, quelli di Capua, di Verona e di Pola; e del circo massimo, e quelli di Romolo , e di Boville , e i bagni di Astura , e le terme di Tito, di Traiano, ed i grandiosi avanzi di Caracalla, di Diocleziano , e gli acquedotti del- l' Aniene vecchio e nuovo , della Claudia , della Giulia, Tepula, e Marcia, e i ninfei, e gli emissari, e i porti, e i ponti, e gli archi di trionfo, i trofei, e le colonne storiche , e i mausolei di Augusto e di Adriano, e i sepolcri di Cecilia e de' Plauzi, e gl'ipogei degli Scipioni, e la casa di Augusto nel Pa- latino, e le grandi ville, e i tanti altri monumenti che non nominai, e tanti dettagli, e tante decora- zioni, che rendono questa parte un magazzino ine- sauribile per r artista , che ivi può ritrovare ogni studio per qualunque intrapresa e progetto. E sono così nitidamente incisi quei contorni, profili e sa- gome , che sebbene non siano muniti dei numeri di misure, come fece Desgodetz, pure col sussidio della scala proporzionale nella loro precisione quei disegni sono sufficienti a chiunque voglia farne i rapporti sul vero. È però da osservarsi che in questa generale ope- ra del Canina si tratta di dimostrai-e 1' architettura monumentale nella sua prima fase nell'Egitto, quin- di nel suo crescere in Grecia, e poscia nel suo pie- no in Italia, quale si rappresenta in Mentì, Alene , 124 e Roma. Invece V opera del celebre Desgodetz; in- tende allo studio preciso dei monumenti romani, e di questi vuol dimostrare le proporzioni e i rap- porti simmetrici costituenti la grandezza, la forma, e l'ordine; per il che vedonsi con tutta precisione segnate le misure d' ogni più minuta parte e mem- bratura. In appresso il Canina stesso allorché si trat- tò di compire l'opera dell'insigne Desgotetz (che gli fu commessa e che si stampò nel 1844) si fece ob- bligo di seguire un tal metodo nella prima parte dei supplementi in que' monumenti nei quali più importava un particolare dettaglio, ove riportò le dimensioni in numeri e linee. Nella seconda parte dei monumenti aggiunti riassunse il metodo dei contorni e vedute geometriche segnate con quella precisione che mediante la scala di proporzione può supplirsi, come dissi, al numero della misura. E questa aggiunta in sei capitoli comprende i tre tempii nel Foro Olitorio {della Pietà, di Matuta, e della Speranza) quello di Venere e Roma, il Foro Traiano , il monumento dell' acqua Claudia ed Aniene nuovo, col sepolcro di VirgilioE urisace, le terme di Tito e quelle di Caracalla. Dopo queste classiche produzioni, che tutta riu- niscono la serie dei monumenti egizi, greci, e ro- mani dalla loro prima epoca all'ultima del loro splen- dore , sembrava adempito il grande scopo di por- tare a colpo d' occhio alla conoscenza degli artisti tutti i processi e tutti i modi adoprati dagli an- tichi per giungere a quel bello, che tutti facciamo opera di conseguire, senza il bisogno o di accorre- re su i luoghi per misurarli, o di ricercare le spar- 125 se opere che ne somministrano le notizie e le imma- gini ; ma ciò non bastava alla mente sempre pen- sante , ed al genio operativo del Canina , il quale concepì e risolse di dare luce alle altre cognizioni da lui acquistate sulle antichità che tutto di gli si presentavano nella dimora di questa classica terra, che egli prescelse a miniera delle sue ricerche e de' suoi studi. Percorse a tale uopo i porti marittimi, che ser- virono alla stazione delle navi , al commercio ed alle relazioni della grande Roma con le altre parti del vasto impero; e quindi ci lesse in più adunan- ze in quest' aula la esposizione delle sue idee sul porto d' Anzio , sul porto Neroniano , su quel pa- lazzo imperiale , e quindi ci descrisse la città dì Ostia col porto e suoi empori sul Tevere allo sboc- co in mare (siccome approdo il più vicino alla cit- tà), a cui Claudio alla destra del fiume aggiunse il suo maraviglioso porto più escavato in terra, che protratto in mare, non che le due fosse per la co- municazione col Tevere e a smaltimento delle ac- que di questo a sollievo delle inondazioni di Ro- ma. Ma Traiano, avvedutosi del danno più che del benefìzio cagionato al porto di Claudio, aggiunse il suo porto chiuso alle fosse : ed invece aprì la più ampia diretta al mare, quale oggi vediamo, e di- ciamo Canale di Fiumicino. Due più estese e separate relazioni munite di molte tàvole produsse egh, l'una sulla antica Cere, e l'altra sulla città di Veio all'occasione delle due in- signi scoperte (che furono inserite nell'opera «L'Etru- ria antica marittima nella dizione pontificia»), la pri- 126 ma della tomba pelasgica di Cere ritrovata dal ge- nerale Calassi ed arciprete Regolini, e di cui tanto eruditamente scrisse e stampò poscia 1' egregio cav. Criti nel 1841, ed in ispecial modo sugli og- getti che adornano il museo etrusco gregoriano ; e la seconda della conservata tomba, e piiì abbon- dante di oggetti curiosi, e forse di più lontana an- tichità, in Veio discoperta dal benemerito sig. mar- chese commendatore Campana nostro attuale meri- tissimo presidente. E queste illustrazioni arricchite di tanta copia di ogni erudizione e dimostrazioni riscossero tal generale plauso , che ne sono man- cate le copie alle ricerche che continuamente ne fanno i professori ed amatori di simili ritrovati. Né dissimile incontro ebbe l' altro tanto esteso , erudito, e pregevole tomo del Tusculo antico sulle discoperte fatte dal Biondi , e sulle altre fatte dal medesimo Canina negli scavi eseguiti dall'uno e dal- l'altro zelantissimi operatori, a sodisfazione del fa- vorevole consenso e dispendio di S. M. la regina vedova di Sardegna Maria Cristina: e tale si fu la co- mune allegrezza per tanti ritrovati, che, presidente il marchese Biondi, entro il teatro sotto l'acropoli e mura dell'antico Tusculo si festeggiò la genero- sità di S. M. con un convito ed adunanza poetica tusculana, usando delle acque della conservata antica fontana lungo la via labicana che passava in vici- nanza della porta tuttora esistente della città e del- le ville tusculane, non che delle altre ville di Tibe- rio e di Lucullo ivi contigue, o vicine , e celebri per sontuosità e grandezza. 127 Intanto si reclamava in Roma l' attenzione e l'opera di sì illustre antiquario non men che arti- sta, dal quale si ottenne che in poco tempo si com- pilasse e pubblicasse la pianta della città antica comprovata coi frammenti marmorei ritrovati pres- so il foro , ed ora esistenti nel Campidoglio, che graficamente fu applicata sulla pianta di Roma mo- derna divisa nelle quattordici antiche regioni, e nei confini, secondo quanto ne determinarono i regio- nari ed ogni altro scrittore di Roma antica. Di que- sta si fecero piìi edizioni con aggiunte e pettificazioni che la rendono pregevole ed opportunamente como- da pel confronto delle località indicate nella storia. A sì eccellente lavoro di topografia il Canina andava all' occasione e di mano in mano aggiun- gendo le dimostrazioni parziali, sia nella planime- tria , sia negli alzati di que' monumenti o che mancavano di una ijluslrazione propria, o che re- stavano oscure ed incerte nel conflitto delle opinioni, alle quali egli di preferenza si applicava. ■ Con tale disposizione, e datasi occasione, intra- prese in appresso a determinare per via di ricerche la grandezza, disposizione , e direzione del teatro di Pompeo, che a preferenza di quelli di Marcello e Balbo veniva celebrato anche sotto la impronta di tempio dedicato a Venere Vincitrice: vi determinò le grandiose fabbriche che lo recingevano, i passeggi non che la curia ove si raunava il senato e ove Cesare ritrovò la fatale sua giornata a piò della statua di Pompeo. Simili ricerche ed esposizioni ci esibì dol circo di Adriano istituito precipuamente a ce- lebrar con giuochi il natale di Roma , servendosi 128 air uopo della erudita relazione del Revill:is fatta a Clemente XIV, e giovandosi delle indicazioni lo- cali dategli dai vicini abitanti. Sebbene pochi ne fossero gli indizi ed i ruderi, su questi il Canina di- segnò tutta la forma ed ampiezza del circo, che collocò a contatto della mole Adriana nella parte settentrionale, e sceverò cosi i dubbi sulla gran- dezza e località del medesimo. Passò in seguito all'emenda di alcune opinioui sul clivo e tempio di Giove Capitolino, su i rostri del foro romano, e sugli antichi edifìzi già esistenti nel luogo occupato dalla chiesa di s. Martina. Questi studi gli somministrarono quelle cogni- zioni maggiori che esigeva la sua illustrazione del foro romano e suoi contorni. Die impulso a que- sto interessante lavoro la questione che da gran tempo si agita fra' topografi e letterati sulla posi- zione del foro romano; se cioè fosse diretto verso il Velabro, o verso l'arco di Tito. Partegiarono fra i rinomati per il Velabro Nar- (lini , Piianesi , Venuti , Fea , e Nibby : opinavano per l'arco di Tito Bufalini, Marliani, Lucio Fauno, Camucci, Donati, Guattani, Viale. Lo studio e l'ana- lisi dei monumenti, de' quali molti avanzi significanti esistono ivi e nei contorni;ed il confronto colle descri- zioni lasciateci dal Mazzocchi, dalPanvinio, dall'Orsino, da Sante Bartoli, dal Bianchini, dal De Rossi, dal Pira- nesi, dal Nolli, dal Bellori ed altri filologi e descrii tori acculati lo determinarono a riconoscere il foro romano rivolto verso l'arco di Tito: sulla quale posizione e nei limiti che ne circoscrivono l'area ritrovò le sin- gole fabbriche che dovevano racchiuderlo, dando luogo 129 a quelle che poteva contenere la parte verso M Ve- labro e suoi contorni. Ciò posto, rivolse tutta la sua occupazione a soddisfare la brama degli artisti colle descrizioni, ragguagli ed elevazioni dei monu- menti del foro. Pubblicava nel 1845 la Descrizione storica del foro romano e sue adiacenze, lieto di confermare nella scoperta della ubicazione della basilica Giu- lia quanto aveva esso su questa presagito e segnato, e quale in appresso col concorso della commissio- ne speciale delle antichità, e col soccorso del go- verno, fu meglio indicata. Le num." 14 grandi tavole, che fanno corredo a questa edizione, ci danno una esatta e comples- siva idea non solo dell'aspetto del foro in generale, ma delle singole parti, e monumenti, che lo riem- piono e lo adornano, dimostranti sempre la con- centrazione che in quel recinto si ritrovava del piiì magnifico e del più bello, che Roma reale, repub- blicana, imperiale, sia di provenienza estranea, sia con l'opera de' primi artisti , o greci o romani di quei tempi, vi aveva riunito. Sarebbe un ripetere quanto ne ha compilato il Canina il voler dare di ciò anche un succinto ri- scontro. Solo permettetemi che v' inviti ad osservare la tav. IX, la quale non so se sia quella, che il Canina asserisce avere il suo amico Cockerell preso a di- mostrare, cioè l'aspetto prospettivo del foro, e del sovrastante colle capitolino. Sono indicate nella ci- tata tavola in un sol quadro le fabbriche inalzate intorno al foro romano, che si vedevano al tempo del governo imperiale. G.A.TCXLV. 9 130 Yeggonsi in chiara e precisa delineazione gli editìzi dell'arce Capitolina, il tempio di Giove To- nante , il tempio di Saturno , l'arco di Tiberio , la basilica Giulia, il Tabulario, il tempio di Vespasia- no , e quello della Concordia ; i rostri propri del foro, l'arco di Settimio Severo, la colonna di Foca, il cavallo di Domiziano , il carcere Mamertino , la basilica Emilia, il gran tempio di Giove Capitolino, ed altri edilìzi, che si aggruppano nel loro insieme con artificio pittorico. Questa veduta presa dal tempio del Divo Giulio, ossia dai rostri giuli, non presenta, è vero, quella scena animata che il Rossini incise ne' suoi archi di trionfo; infonde però quella soddisfazione quieta e persuadente della verità degli oggetti, del carat- tere e regolarità degli oidini , ricchi di materia e di lavoro, che tutta manifestano la maestà del luo- go. Sovrasta con orgoglio e sovrasta con dignità dall' alto del Campidoglio il tempio di Giove Ca- pitolino, che vedesi nella parte settentrionale cinto da portici con prospetto esastilo, e con quel super- bo frontone che sorregge la quadriga dell' Alto-To- nante, veneralo arbitro dei destini del grande Im- pero. Per tante fatiche lasso e consunto sembrava dovesse il nostro collega fermarsi, se non del tutto, almeno nelle intraprese che esigevano azione per- sonale , e disagi di salute ; ma era sempre vivida la brama di produrre nuove cose, ed insinuarsi nel- le grandezze di quella Roma, che egli diceva sua terra: irresistibile era 1' ardore di cercare , inter- pretare, e conformare alla probabile primitiva esis- 131 lenza i pochi resti che abbiamo delle antichità mo- numentali; ed in questi più s' impegnava che nelle cose conservate : perchè delle cose oscure o dubbie, soggiangea, fa duopo occuparsi per giun- gere alla generale conoscenza di nostra antica grandezza. Ed eccolo di nuovo avvolgersi fra gli edilìzi di Roma antica, e riprodursi con n." sei tomi di essi, quattro dei quali l'isguardano gli edi- lìzi della città, e due quelle reliquie della campagna riportate nella loro intera architettura. Dopo pubbli- cata la prima sezione della città restavagli a com- pimento quella della campagna differita appunto per- chè importava attitudine e viaggi per il confronto e ricerche degli avanzi esistenti al di là di Roma. Difatti nel 1855, trovandosi in sufficiente stato le "sue forze fisiche, prese a trattare la sezione ti- burtina in occasione che in Trivoli s' intratteneva a prendere i bagni delle acque Albule, che esperi- mentò benefiche secondo che avevano già proclama- to con dotte stampe due illustri fisici, Racci e Cap- pello. Ivi si occupò nei rilievi per proporre la pos- sibile restaurazione di quella antica fabbrica augu- stale, in parte ingoiata, in parte «nolto deperita, ed in parte residuata in muri significativi le forme e gli usi. La proposta venne benignamente accolta da Sua Santità, Pio IX, a cui fu presentata dall' emo Roberti presidente della Comarca in un colla com- missione nominata dalla stessa Santità Sua per la ripristinazione dei bagni rieonosciuti utili ed effi- caci per la guarigione di molte malattie. Di qui prese le mosse il Canina : ed in tutta quella stagione estiva, ed autunnale in parte, pe- 132 regrinò nei contorni di Tivoli, cercando, e descri- vendo , e disegnando quanto in tutto il territorio evvi di curioso, di considerevole e di grande, quali sono quelle storiche ville , e principalmente la celebre Adriana ( di cui divisava dare un det- taglio separato), quella di Mecenate, di Quintilio , di Orazio , il tenfipio di Ercole , quelli di Vesta e della Sibilla, gli acquedotti dell' Aniene vecchio e nuovo, di Claudio, e della Marcia, non che la fonie di Blandusia, il monumento de' Plauzì e tanti sepol- cri e basiliche e bagni, onde si fa evidente che dopo Roma Tivoli e suoi dintorni siano i più ricchi di mo- numenti, ed ove l'archeologo e l'artista possono ri- trarre nuove cognizioni aggiunte a quanto Roma e la storia gli abbiano presentato. Questa parte degli edifìzi dei contorni di Roma composta delle sezioni , vie Appia, Latina, Prene- stina, Valeria e Sublacense, Salaria e Flaminia, e spiaggia marittima, trovavasi già stampata all'epoca della giustamente compianta sua morte. Oltre che il nostro collega fu nominato a far parte nella commissione delle Albule, esercitava al- tresì r officio di consigliere nella commissione del- le antichità e belle arti, con la quale e per la quale molto operò in iscavi e restauri, a cui dà impul- so ed assegno continuo il nostro governo medi- ante il ministero di antichità e belle arti , sicché veggonsi non solo sgombri e dati alla luce tutti i monumenti e ruderi antichi esistenti in Roma e fuori , ma sibbene in parte riordinati , e restituiti alle antiche forme , con laterizi , marmi , ed ogni materiale competente : onde vedemmo aperta la 133 basilica Giulia ; riformata una parte del Colossèo air antica ambulazione ed accessi interni, fino al- l' alto; sgombrate dalle terre le terme di Caracalla; poste in vista le colonne e soffitto del tempio di Marte Ultore; scoperta nella parte orientale la cella del Panteon ; descritto e segnato il ritrovamento delle mura di Servio ; ed ogni altro monumento » ove abbisognava l' opera della commissione e la mano del governo. Tra tanti riordinati monumenti quello, la cui rivendicazione a' giorni nostri esaltò più gli spiriti^ ed entusiasmò gli animi , fu lo scoprimento e lo sgombro della tanto celebre via Appia regina delle vie romane : di che la commissione ed il minis- tero, inteso r erudito e pregevolissimo rapporto del chiarissimo professore commendatore P, E. Visconti commissario delle antichità, e concertate le massi- me di restaurazione , diedero speciale incarico al nostro Canina, che vi riuscì nel modo che ognuno vide e commendò: e questi non tardò ad illustrarne la parte dalla porta Capena a Boville, divisa nelle sue stazioni e miglia antiche con la disegnazione e de- scrizione e restauro immaginato d'ogni monumento, aggiuntavi la gran pianta topografica rilevata dal- l'accuratissimo sig. Pietro Rosa. Fu poi questa ar- ricchita della designazione delle piante e luoghi delle principali ville adiacenti, che sono quelle di Quin- tilio, di Clodio, di Domiziano, non che delle piante di Albano e della vetusta Aricia, alla cui stazione al 16 miglio dà termine questa aggiunta, la quale servì a corredo della esposizione che il Canina ne fece all'Istituto di corrispondenza archeologica, di cui era 13i assiduo collaboratore. Sono notabili per la parte ar- chitettonica i rapporti e che ivi andava facendo, e che vedonsi stampati negli Annali di quell'archeologico istituto, fra' quali la esposizione del castello di Pirgi degli Agillei e Ceriti, ed altre molte Finalmente una delle più belle opere, che ci la- sciò il Canina in un voluminoso tomo di n. 145 tav. è certamente quella dei tempii cristiani, le cui ri- cerche furono dal medesimo basate sulle primitive istituzioni ecclesiastiche e dimostrate co' pili in- signi vetusti edifizi sacri, escludendo tutti i sistemi dei diversi tempi, e specialmente del medio evo e dell'invalso gusto gotico. Dalla serie delle osserva- zioni dal medesimo fatte ne deduce, che la forma primitivamente assunta fu quella ove ne' tempi an- tichi si amministrava la giustizia, cioè la basilica romana, che fu poi adottata nei piìi cospicui edifizi sacri nei primi secoli dell' era cristiana. Con que- sto tipo procede all' ap[)licazione in num. 4- progetti di basiliche cattoliche, compresa quella per la cat- tedrale di Torino. Sopra tutte ne sviluppò il siste- ma con molti disegni in quello pel santuario di N. Signora di Oropa ordinatigli da S. M. la regina M. Cristina di Sardegna (il cui bellissimo modello vedemmo nella galleria Borghese in Roma). È desso a tre navi a due file di colonne ioniche, coperto a volta con prospetto a portico colonnato dello stesso ordine, e con la parte superiore con ornati e figure in musaico, come nelle antiche nostre basiliche. La sua lunghezza interna dalla porta all'abside è di m. 65 la larghezza di m. 45, e l'altezza dal piano alla volta in.20. In tutto a' poca differenza nelle misure generali 135 come la Chiesa del Gesù io Roma. Il monumento trovasi in costiuzione avanzata, la quale il Ca- nina visitò neir ultimo viaggio che spinse fino air Inghilterra pei' ispezionare l'altra fabbrica di suo disegno del restauro del castello ad Alnwick per il duca di Nortumberland, ed in particolare le deco- razioni interne delle sale ad uso romano con molti rilievi e dorature e grandi camini di marmo con in- taglio e figure d'altezza al naturale. Quanta celebrità si acquistasse il commenda- tore , e quali e quanti onori gli fruttassero sì nu- merosi, sì interessanti, e si cospicui lavori, può ognu- no immaginarlo. Solo accennerò che oltre all'apparte- nere a questa romana accademia d' archeologia e a quella di S. Luca, fu aggregato al collegio filosofi- co, alla commissione di antichità e belle arti, alla congi'egazione del Panteon, agli istituti di Londra e di Francia, e fu socio di molte altre accademie italiane ed estere di archeologia e di arti, che an- darono liete di fregiare del suo nome il loro albo. Fu commendatore degli ordini del Leon di Baden, di S. Salvatore di Grecia, e di S. Giuseppe di To- scana , e cavaliere di non meno 18 diversi ordini europei. Una gran medaglia di oro ottenne per premio dal reale istituto degli architetti di Londra, che il Canina offrì e lasciò nel medagliere della accademia di S. Luca. Altre simili ebbe in premio dalla Francia, dalla Prussia: e da altri sovrani altri doni di valore. Il maggiore di tutti gli onori in vita egli otten- ne nel 1855, allorché il municipio romano lo a- 136 scrisse alla nobiltà romana, e lo nominò prosiJenlP del museo capitolino. Altre onorificenze e consocia- zioni artistiche ed archeologiche incontrò nel su» viaggio ultimo fino a Londra. Nel ritornare verso Roma giunto in Casale sua patria, quel municipio li 8 del passato ottobre decretò che la contrada dei Giardini venisse chiamala contrada Canina. In Firenze, ove di anni GÌ compì il corso della vita , ebbe funerali decorosi con concorso di arti- sti e letterati, ed ora gli eredi preparano un con- veniente monumento da collocarsi coi debiti permessi in S. Croce di Firenze. Il numero delle opere può contarsi negli elenchi stampati, e specialmentein quello estesissimo dell'egre- gio collega sigi abate Coppi, riportato con tutta preci- sione nel Giornale di Roma n. 291, ann. 1856. Quelle che io ho accennate, mi sembrarono di preferenza bastevoli a dimostrare con quanta ragione possiamo affermare, essere stato il commendatore Canina, quan- to dotto di ogni ramo di arte, altrettanto indefesso operatore ad illustrarla, per il che meritamente si acquistò la distinzione di esimio architetto ed archeo- logo, quale noi lo abbiamo commendato. FoLCIll. 137 Lo Stato Pontificio, e l'Istmo di Suez. Parole dì E. F-ScarpeUini Roma 20 dicembre 1856. I. • La strada ferrata da Roma ad Ancona e Bologna. Jua scienza , lo ripeteremo ancora una volta , è l'elemento primo dell'attuale progresso civile: l'alta sua influenza sul ben' essere dei popoli manifestata neir epoca presente è il più gran fatto storico che caratterizzerà Io spirito del secolo XIX: la scien- za dopo essersi involata dai tuguri dei filosoti , dai portici delle scuole, dall' aule delie accademie, invase le masse delle nazioni, s'impossessò dei prin- cipi del loro commercio, delle loro industrie, de'le arti loro; si mutò in altra forma, e dopo aver dato loro un posto sublimissimo per le cose sociali, co- minciò e tuttora prosegue a primeggiare tutti gli elementi dell* attuale umana perfettibilità ed a farsene signora. Quantunque 1' influenza scientifica abbia pro- dotto su i destini delle nazioni disastri e vantaggi, nondimeno essa ha chiamato velocemente tutte !e classi sociali a studiare a fondo il fatto del grande avvenire; e può dirsi perciò a ragione, che 1' ap- plicazione delle scienze alle opere sociali è la leggo e la norma del loro perfezionamento. 138 Avvi una prova evidente dì questa faccenda nel- l'apidicazione dei principi scientifici ali* arte loco- motrice. E di fatto: Le strade di ferro, questa sintesi dei progressi delle scienze fisiche, sono l'attrazione materiale che formerà il concentramento di tutte le popolazioni. Le strade di ferro, concatenando i differenti po- poli fra loro, hanno unificato i loro interessi, allon- tanato lo spirito di rivalità, e reso accessibilissimo lo studio e r estensione del progresso delle diffe- renti nazioni. Le strade di ferro ruppero le barriere fra le Provincie delle nazioni, e formarono delle Provin- cie tanti sobborghi delle città capitali; e di queste tanti siti concentrici, ove gli uomini di tutti gli an- goli della terra si dipartiscono per sviluppare le loro idee, e scambiare i prodotti industriali ed agricoli. La strade di ferro hanno fuso gì' interessi , e r attività dei proprietari, dei finanzieri, degli scien- ziati, e delle masse laboriose. I prodotti delle strade ferrate da ultimo sve- glieranno sempre nei capitalisti lo spirito di altre intrapi'ese, e le differenti classi si associarono per un medesimo scopo. Resta dimostrato per tutto ciò abbastanza, che le strade ferrate danno latitudine allo ingrandimento del commercio, della industria, dell' incivilimento. Conciossiachè è facile per noi valutare oggi- giorno tutta la importanza sulle utili e premurose disposizioni prese suH' argomento, di cui è parola, dai governati e dai governanti: che, a ben compren- 139 dere la forza di queste ragioni, dobbiamo conside- rare, che non appena la robusta mente dell' AUGU- STO PONTEFICE ebbe dato luogo alle discussioni, agli studi, ed alle associazioni relative ad uno dei più importanti rami della pubblica economia , a quello cioè risguardante la rete delle nostre strade ferrate per aprire alla forza viaggiatrice del vapore questa bella parte centrale della Italia , e di age- volare il trapasso dall' uno all' altro dei mari, che circondano la penisola, e moltiplicare col moto le nostre potenze industriali e commerciali, ed acce- lerare quindi la circolazione dei capitali, improvvi- samente giugnemmoa questo grandioso avvenimento perchè nel maggio 1856 (1) ci veniva officialmente annunziato da S. E. Rina mgr. Giuseppe Milesi , Ministro del commercio e dei lavori pubblici la con- cessione della grande linea ferrata da Roma ad Ancona e Bologna (2): il quale con rara intelligenza, e fermezza cooperò su tutto ciò che poteva con- ferire al buon successo onde recare in alto la mag- giore impresa assegnata da Dio all'attività umana nella presente generazione, e che il nome del Pon- tefice si trovasse ancora una volta unito a tutte le reti delle strade ferrate in Italia. Rallegriamoci adun- que, ed al nostro giubilo uniamo un sentimento di orgoglio per il nostro prossimo risorgimento commerciale, considerando, che dove si parla una (1) Giornale di Roma, 21 maggio. - (2) L' esecuzione e !' esercizio è dato alla società Casalvadès e C. rappresentata dai sigg. Felice Valdès de Los.Rios , marchese de Casalvadès, e Luigi Maria Manzi , eh' è la medesima^ la quale si ebbe la concessione della via ferrata da Roma a Civitavecchia. uo medesima lingua , dove le abitudini e le simpatìe sono conformi, è necessità di un commercio esteso senza vincoli, rapido, unico, e solo. II. L' Italia circondata dalle Alpi e dal mare, divisa dall' Apennino con un immenso sviluppo dì coste, con lunghe valli che versano al Mediterraneo ed air Adriatico le acque de' loro fiumi; locata dì rim- petto alla Grecia ed alle provincie slave da una parte; di rimpetto alle rive dell'Affrica e dell'Asia minore dall'altra, gittando il capo nella Germania, neir Elvezia, e nella Gallia, essa è come il ponte che raggiunge 1' Oriente all' Occidente , ed acquista ogni giorno maggiore importanza principalmente per la sua situazione mirabile in mezzo a quel Medi- terraneo ov'è ricondotto il commercio europeo-asia- tico. Ma la forma tutta propria della penisola italiana e la sua grande lunghezza , e i gioghi dell' Apen- nino che s' innalzano come per separare un mare dall' altro, renderebbero quei mari e quei porti as- sai lontani se non si fosse cercato con ogni sforzo di aprire infra di essi altre vie di comunicazioni: e già le strade feirate piemontesi , e lombarde , e toscane progrediscono sempre, e tendono a ranno- darsi fra loro ; le nostre da Roma ad Ancona (1) e Bologna, non che quelle da Roma a Civitavecchia (1) eh' è la chiave dell'Italia centrale, la prima fortezza dello stato pontificio , il primo porto, la prima piazza dì commercio, la più da antico tempo rinomata. 141 (in via di esecuzione), e l'altra da Roma fino alla vicina Frascati ( già in attività ) come parte inte- grale di quella maggior linea conducente al confine di Napoli ; le altre di questo regno , quella cioè delle Puglie , quella degli Abruzzi pei confini del nostro stato, non sono che il compimento di questa rete di comunicazioni , e che perciò i traffici , le negoziazioni , gli scambi, i mercati , i viaggi , gli affari in sómma e la trasposizione delle cose e delle persone di ogni maniera da stato a stato, da città a città , da mercato a mercato, dal monte al piano, dai porti alle città, crescerà in maggior mole il va- lore alle produzioni di tutti gli stati italiani. Lo stato pontificio però, trovandosi geografica- mente locato al centro d'Italia, può aspirare per la sua positura piià di ogni altro stato della penisola a vantaggi generali di nuova e maggiore infiuenza commerciale: perchè questa celere trasposizione di cose e di persone di ogni maniera che andrà a congiungere una capitale come Roma, ricca, popo- losa, insigne per monumenti di arte, con Rologna città considerevolissima e punto di comunicazione coll'alta e bassa Italia e con la Toscana, diverrà il recapito, il convegno, il centro del movimento com- merciale interno coli' esterno dello stato, con reci- proco vantaggio dei produttori , dei consumatori , dei commercianti ; e come patrimonio d' incivili- mento, di scienze, di lettere, di arti, e diremo an- cora di concordia. Onde deriva, che, Roma essendo pur centro al- l' orbe intero pel primato della religione sostenuto dal Sommo Pio IX., l'importanza delle vie ferrato 142 pontificie è non che italiana ed europea, ma uni- versale. III. Planisferio del commendatore Girolamo Pelri. Il Planisferio del distintissimo sig.' commenda- tore avv. Girolamo Petri , testé da esso delineato con molto intendimento(l), serve mirabilmente per i nostri lettori a conoscere, a confermare, come in Italia e precipuamente nella nostra Roma, oltre la centra- lità religiosa, compiremo l'aspettata prosperità cui ha posto mano il PRINCIPE di tutti i Principi , che per nostra ventura Iddio pose in tanta emi- nenza di seggio. Ognuno poi plaudirà l'idea del Petri per avere locata a destra della carta le Americhe, anziché a sinistra: conciossiachè egli prese a centro del globo il mar Mediterraneo, perchè presso a que- sto ( neir Asia minore bagnata dal Mediterraneo ) Iddio mostrò la sua onnipotenza e la sua sapienza creando 1' uomo , il quale dotato per la divina impronta delle più sublimi facoltà , die comincia- mento alla storia dei tempi, alla sua civiltà, ai suoi rapporti , e peichè ivi ebbe culla la nostra Teli- li) Noi avemmo l' allo onore di esser primi a pubblicarlo nel Bulletlino* della corrispondenza scientifica in Roma, e nnovamenle 1' offeriamo agli onorevoli leggitori di questo giornale con gra- zioso e generoso permesso del Petri , che il tien pronto pel suo nuovo Atlante Ecclesiastico , proponendosi di darlo in luce col titolo di ORBE CATTOLICO. US gione ssina , e sì ancora perchè il Mediterraneo non perde mai questa centralità. - In vero, se l'uomo piiì estendeva le sue scopei'te nell' Asia , scopriva in appresso dall'altro l'America; se più si avvicinava all'artico boreale non istava molto ad estendersi al- l'antartico od australe: e così il Mediterraneo, e con esso r Italia che lo fende nel mezzo, conserva tut- tora , come si vede , la sua posizione centrale del mondo incivilito, e commerciale. IV. L' istmo di Suez. Né meno grandi saranno poi i vantaggi inter- nazionali che le nostre strade di t'erro unite alle altre daranno alla Italia. — Lo sviluppo imnienso , che la civiltà riprende in Oriente , 1' estensione della colonizzazione francese in Affrica, la prossima e sor- prendente comunicazione del mar Rosso col Mediter- raneo per l'apertura dell' istmo di Suez daranno mai sempre un movimento stiaordinario fra l'Oriente e l'Occidente; ma pur sarà senza confronto il mezzo più energico a produrre: 1°, l'accrescimento cioè delle nazioni crisiiane, e l'incivilimento d'una parte consi- derevole della umanità divisa e guidata da religioni diverse: 2% certamente, diceva poco fa la onorevole compilazione del Bullellino deW istmo di Suez , il collegio dì Propaganda penserà a questa provvidenza, e il Sommo Pontefice che è principe in Italia, e tiene la mano sulle due acque dalla penisola, vorrà considerare il vantaggio materiale e morale che sta in sua mano di procacciare per sua gran parie e al- l'Italia e all'Affrica e all'Asia (1). 1 navigli per il taglio di Suez, che sarà una delle più splendide glorie della industria moderna (2), non gireranno più intorno all'Affrica per venire in Europa, né per passare dall' Europa all'Asia ed all'Oceania; il mar Rosso ed il Mediterraneo saranno i mari fre- quentatissimi , ed i porti della Grecia, le isole del Mediterraneo, i porti della Sicilia, Napoli, Civitavec- chia, porto d'Anzio, Livorno, Ancona, Genova, Marsi- glia assumerebbero una importanza straordinaria ma- rittima e commerciale. Noi non enumereremo le conseguenze quando l'Inghilterra, la Francia, la Germania per ragione di brevità di tempo dovrà traversare l'Italia e toccare i suoi porti, perchè saranno bene sviluppate da coloro che dediti interamente al commercio si sono già in- terpellati reciprocamente e sono intenti a rispondere al quesito propostosi: « Quali saranno i vantaggi che lo stalo pontificio trarrà dal taglio delV istmo di Suez ? » solamente diamo un rapido cenno di alcune idee ge- nerali suggeriteci in proposito da una mente peri- tissima in simili materie. Roma per mezzo dei nostri porti d'Anzio e Ci- vitavecchia, non che della unione dei due mari per (1) Torino 1836; num. 2, 31 luglio. (2) La Corrispondenza scientifica in ^omo si vanta oggidì averla preconizzata lìii dal setlembrc del 1847. 145 le nostre vie ferrate convergenti poi in grandi centri e confinanti con le migliori linee degli stati limitrofi, come ogni altro paese di primo scalo avrebbe il primo deposito di una parte dei cotoni , dei catfò, i pepi di Sumatra e Java , i sevi, le lane, i cuoi dell'Australia, e la scala prolungatissima dei medici- nali i pili costosi e ricercati; o sarebbe il mezzo di transito ad una grande quantità di altri prodotti , che 0 si consumano nello stato, o che dallo stato si diramerebbero per 1' Italia centrale, come sopra annotammo. Air attuale nostra raffineria seguirebbero pron- ta mente molte raffinerie per zuccari moscavati , che direttamente giugnerebbero dalle Filippine : mentre per quanto nuovi fossero i nostri stabili- menti offrirebbero sempre gran convenienza sopra i prodotti che ora consumiamo dell'Olanda e dellTn- ghilterra, una volta che le materie grezze ci sareb- bero tanto vicine. Quante jnercanzie non potrebbero le nostre navi portare nell'Abissinia, il cui commercio si limita al cambio primitivo in alcune popolazioni dell'interno dell'Affrica? Di quanta utilità sarà per noi se si sta- biliranno delle relazioni col Yemen, e precipuamente colla città di Moka, gran mercato di caffè, di gomma, d' incenso; colla città commerciale di Beit-el-Jakih, dove i persiani ed i turchi vanno a comperare il caffè e che resta un tre miglia discosta dal mare; nell'Ara- bia-petrea, sulle cui coste sono numerosissime rocche di coralli; a Dehidda, che può considerarsi come il porto della Mecca e città mercantile , frequentata dalle navi indiane ed egiziane , e dalle grandi ca- G.A.T.CXLV. 10^ U6 ravane di pellegrini che vengono dalla Turchia, dal- l'Egitto, da tutta Affrica settentrionale, dalla Persia, dall' Indostan e dall'Arabia per visitare la Kaaba, e bere l'acqua sacra del rivoletto Zemsen, mostrala miracolosamente ad Agar per dissetare il morente Ismaele, ma stessamente per comperarvi e per ven- dere ? Sarà poi cosa stupenda per noi il commercio delle sete grezze cinesi, bengalesi e persiane, che potrebbe piantarsi nel nostro stato e farsi presso noi quello che si fa in Inghilterra. 11 commercio delle séte è di carattere tutto italiano. Lo stato pontificio fa passi progressivi in questo ramo d'industria in senso agri- colo, e come manifatturiero la filatura della seta comincia a rivalizzare con altri luoghi di famigerata produzione, mercè anche l'incoraggiamento che ne dà il governo. Oggi r Inghilterra, e il Nord-Ovest del continente europeo assorbono tutto il commercio della Porsia, di tutte le terre australi: ciascuno dai propri e dagli altrui possedimenti o dagli stessi regni e governi asiatici ed oceanici importa a casa propria, da dove poi diramano i prodotti di quelle terre lontane per tutta Europa centrale e meridionale aumentati dei valori primitivi in ragione dei nuovi trasporti, e del passaggio di due e taloi-a tre o quattro gradi di commercianti, i quali, com' è ben naturale, tutti uti- lizzano sulle merci , e ne fanno progressivamente aumentare il valore. Tutti sanno come il sig. Lesseps ha bene di- mostrato quanto debba avvantaggiarsi su questa im' Ji7 presa destinata ad accorciare di quasi a metà la distanza che separa TOccidente dall'Orienle. La seguente tavola però servirà a dare una idea più chiara, coll'aiuto sempre del pregevole Planisferio del Petri, prendendo per punto di arrivo Bombay, e per direzione l'istmo di Suez, paragonato a quello dell' Atlantico: Distanza fra i porli BOMBAY di Europa e di America, e per Suez: per l'Atlantico: Differenza. Marsiglia . . . . 2,374 5,650 3,276 Costantinopoli . 1,800 6,100 4,300 Trieste . . . . . 3,340 5,960 3,610 Sicilia . . . • 2,068 5,806 3,744 Cadice . . . . 2,224 5,200 2,976 Lisbona . . . . . 2,500 5,350 2.850 Londra . . . . 3,100 5,950 2,850 Liverpool . . . . 3,050 5,900 2,850 Amsterdam . . 3,100 5,950 2,850 Pietroburgo . 3,700 6,550 2,850 Nuova York . 3,761 6,200 2,489 Nuova Orleans j . 3,724 6,460 2,726 Leghe di 4 kilomelri Mostreremo ancora il seguente prospetto per far conoscere in che proporzioni i vari stati d' Italia sono a portata di trarre profitto di questo gran mutamento che si prepara. U8 MARINA MERCANTILE ITALIANA Navi Tonnellate Marini Nopoli M03)9„4 166,524)213 ,93 'i'^fr^h^M Sicilia 2,371) 46,674) 12,208) Stati Sardi . . 3,173 177,822 30,250 Venezia .... 1,810 31,741 7,000 Stati PontiEcii 1,846 31,167 9,789 Toscana .... 911 37,507 10,000 Totale 16,914 491,435 109,553 Vorranno dunque e sapranno i navigatori e commercianti italiani, e quelli particolarmente dello stato pontificio, profittare di questa brillante occa- sione che offre loro fortuna. E bisogna fare que- sto ragionamento, che la più parte dei vasti e po- polosi paesi, ai quali noi ci troveremo di tanto spa- zio e tempo ravvicinati, sono per lo più felici per la fertilità della terra; e particolarmente con taluni abitatori semplicissimi di costumi, i quali non han- M) nò notizia di scienze , ne perizia di artificii , non industria,, né alcuna comodità della vita: onde sarebbe cosa agevolissima a noi portarvi i prodotti delle nostre industrie anche più volgari senza te- mere la concorrenza di altre nazioni. Perciocché là dove tutto manca, ogni cosa acquista gran pre- gio: tutto sta neir essere primi a giungere, ed a recarsi in mano quei traffichi. 149 VI. Società ^Jontificia di navigazione a vapore A for quindi conoscere come in Roma siasi bene inteso il novello prodigioso taglio dell'istmo di Suez, e come si dispone a prendere il più prontamente possibile la sua parte legittima per il nostro mag- gior progi'esso, diremo, che oltre al segnare una rete di strade ferrate , il SANTO PADRE considerando sempre i grandi mutamenti che dovrà subire la na- vigazione, e le varie intraprese commerciali, e non vo- lendo lasciare isolato lo spirito di previdenza cittadina, si è pur degnata di permettere la formazione di una società anonima col titolo di società pontificia di na- vigazione a vapore, la quale (1) si propone di met- tere in diretta e regolare comunicazione fra di loro i vari porli e luoghi commeiciali sulle rive dell'A- driatico, e del Mediterraneo, e promuovere in tal modo vieppiìi le scambievoli relazioni, facili, pronte, e men costose, onde crescendo i rispettivi concambi pos- sibili, la prosperità delle uno frutti eziandìo alle al- tre (2). (1) Ideata, e promossa dal sig. Giovanni Contedini, minutante del ministero del commercio. (2) Ad incoraggiare poi la società , Sua Beatitudine si è pure degnata di accordare alia medesima per dieci anni il privilegio esclusivo per lo esercizio di questa navigazione; cosicché durante questo tempo, nessun altro possa attivarne una simile nello stato pontificio : a condizione peraltro, che la società, dentro un'anno dal giorno della partecipazione del relativo decreto , siasi legal- mente costituita ed abbia presentato l'atto di sua costituzione e di- mostrato di avere a disposizione i mezzi necessari alla buona riu- scita della impresa. (Giornale di Roma del 29 luglio 1856 n. 172). 150 VII. Coirispondenza diurna meleorologica-telefjrafica ponlilkia. Nel valutare i vantaggi delle soviaccennate con- cessioni ci è grato il poter anche qi>i citare la no- stra applicazione del telecjrafo elettrico alle meteoro- logia, perchè Roma fu la prima di ogni altro stato di Europa e di America a segnalare questo studio: che nessuno ignora come si attenda il suo maggior sviluppo dalla discussione delle osservazioni a tra- smissione telegrafica, fatte simultaneamente in punti distanti fra loro; e quindi far comprendere la sua utilità per la navigazione sulle due nostre coste ma- rittime separale. Sono parole della compilazione del torinese Bui- lettino dell'istmo di Suez, che noi poniamo sott' oc- chio dei nostri lettori: )) L'Italia intera e le altre nazioni (1) trove- ranno pure in Roma istituita una corrispondenza me- teorologica-telegrafìca diurna, che ora volge nel suo secondo anno, per mezzo della quale dopo un pe- riodo di osservazioni e sperimenti si andrà a cono- scere quale andamento terranno le tempeste nel pro- pagarsi da paese in paese, dall'Adriatico al Medi- terraneo e viceversa. Quanti naufragi cosi non sa- ranno evitati o col richiamare in porto mercè dei (1) Discorrendo su i nostri vantaggi per la canalizzazione del- l'istmo di Suez. -- N. 5, 16 settembre 1836. 151 segnali i bastimenti vicini alle coste pericolose , o col fare differire Tuscita ai legni in caso di vicina burrasca? In fotti da precedenti osservazioni già sap- piamo come tanti uragani formatisi in terra vadano a sfogarsi in mare, e centinaia di bastimenti sor- presi all'imprevista, periscono. — Pochi anni fa sa- rebbe stato una chimera il dirlo; ma ora che il te- legrafo elettrico è là, si possono salvare migliaia di vite e di capitali in pochi secondi, e far arrivare l'av- viso anche molte ore prima che l'aria cominci ad intorbidirsi nel luogo ove fra non molto passerà la tempesta. )) I naviganti ed i commercianti pertanto del vec- chio e nuovo mondo non rimarranno iudifterenti alla importanza della novella istituzione, e comprende- ranno che Roma offre loro un mezzo sicuro di met- tersi in guardia, prima di esporsi a mare aperto ad affrontare perigli «. Accanto a questi pronostici diretti ed immediati sulle romane osservazioni telegrafate, è necessario ricordare anche le relazioni che legano strettamente questa scienza e alla geografìa botanica, e alle bran- che diverse della tìsica del globo, e da ultimo le sue applicazioni alla igiene , e per conseguenza la sua influenza sul ben essere e la sanità delle popolazioni. L' agrigoltura, la medicina, V ingegnere, il geologo e il naturalista verranno a mano a mano ad attin- gere a questa sorgente di già feconda in preziosi risultamenti, e dalla quale l'avvenire ne promette an- cor più brillanti , mercè di quegli incoraggiamenti che non gli mancheranno dall' eccelso Ministero del commercio e dei lavori pubblici. 152 Vili. Provvidenze agricole nello sialo jmntificio. Due opposte scuole economiche nel secolo de- cimo-ottavo si quistionarono il privilegio di presie- dere al reggimento della cosa pubblica e di dettare le norme, secondo le quali deve amministrarsi uno stato perchè prosperi e superi gli altri in possanza e ricchezza. - 11 Colbert (1) e i suoi seguaci affer- mavano essere utile promuovere le manifatture in- digene ed il commercio anche a costo di grandi sa- grifici e con detrimento della produzione territoriale. I discepoli del Quesnay all' incontro proclamavano l'agricoltura unica sorgente di vera ricchezza; utile e legittimo ogni favore che le si accordasse. Gli uni militavano a prò delle classi medie e degli abitanti della città, e traevano argomento dalla prodigiosa opu- lenza di taluni paesi manifattori e commercianti; lad- dove gli altri invocavano le massime della sapienza antica, e sposavano la causa dei proprietari e dei contadini. Non andò guari però, che riformatosi mano mano l'ordine civile, un esame più profondo della econo- mia della società rese manifesti i vizi dell'una e del- l'altra dottrina; e sulle norme dell'autore della Ric- chezza delle nazioni, che fu l'onorevole Smith, si pose le basi di una dottrina più ragionevole e progressiva proclamando esso 1' agricoltura essere sorgente di (1) Associazione agraria degli slati sardi. 153 ricchezza , o meglio , per usare il linguaggio della scuola, di utilità creata. Però inveterati pregiudizi fu- rono d'inciaaipo ai migliori economisti di questo secolo nella loro pratica attuazione professando quella verità dallo Smith proclamata: ma la società tutta essendo convinta che il pubblico ben essere dipende dal mi- glioramento dell'agricoltura, si vide come si vede al presente l'attenzione universale rivolta su questo im- portantissimo argomento. Quindi instituti, scuole agra- rie, poderi modelli, banche di credito agrario. La stampa periodica oggidì non cessa dal solle- citare i governi italiani ad emettere più efficaci prov- vedimenti a vantaggio dell'agricoltura per dare ad essa quello slancio che ha preso in contrade meno produttive, indicando i mezzi da porre in opera, e pre- pararsi utilmente al grande cangiamento nel com- mercio del mondo sull'apertura dell'istmo di Suez. Ebbene; i nostri onorevoli lettori già sanno che lo stato pontificio si distingue sopra tutti gli altri stati italiani per il numero delle scuole ed istitu- zioni agrarie; e che V insegnamento non solo trovasi instituito nelle principali città, incominciando da Ro- ma, ma si va estendendo anche nelle città minori, ottenendone pure ancora tutto il favore della s. Congregazione degli studi, e quindi per i spessi in- coraggiamenti del Ministero del commercio. Per addimostrare ora come il S. Padre ed il suo governo s' interessino al prosperamento della nostra agricoltura, prosperamento che ha base negli studi e nei lavori delle istituzioni agrarie per il suo mag- giore sviluppo, sempre in riflesso delle conseguenze del taglio àelVistmo di Suez, diamo qui conto di una 154 recente circolare, sapientemente sviluppata, di S. E, Rma monsignor Mertel Ministro deirinterno, la quale tende a somministrarci elementi di grandezza, e più reali vantaggi dal felice successo dei nostri sforzi. Per tutti questi titoli Roma merita certamente la speciale attenzione della pubblica opinione, per- chè fin dal 10 giugno 1856 prese prima di ogni al- tro paese italiano l'iniziativa onde dare alla nostra agricoltura quello sviluppo tanto desiderato, e contri- buire per la sua parte al successo di una bella ed utile intrapresa. Rechiamo in sunto la circolare medesima: » Il Ministero deirinterno, dice il Ministro, ri- conoscendo, che 1' agricoltura nello stato pontifìcio è suscettibile in alcune parti di aumento e di miglio- rìe, agli eccitamenti che fu mai sempre premuroso di dare al maggiore sviluppo dell' agricoltura, è ora in speciale dovere d'interessarsi in ciò con tanto più intenso impegno, perchè ritenutosi come uno dei modi efficaci a raggiungere il bramato intento quello de- gli studi dell'accademie agricole, la Santità di No- stro Signore, nell'applaudire e proteggere simili be- nemeriti insti luti, ama ch'eglino siano aumentati tanto generalmente quanto la possibilità de'migiioramenli richieggono. » Volendo dare novello impulso alla parte pra- tica e più alla scienza, la Santità Sua non solo ha degnato disporre che siano incoraggiati gli attuali instituti agrari al pioseguimento de'Ioro lavori, e in- vitati a comunicare quei risultamenti che possono impegnare la considerazione del governo, ma inca- 155 rica il Minist non vale soltanto * per l'Ideale del bello, ma per tutte le altre maniere in che l'idvasi manifesta: giacché l'artista, avendone la immagine intera nella mente, può tutte perfettamente esprimerle nelle opere sue. Escirei dai limiti di questo ragionamento, se io venissi a parlare distintamente di ciascuna di esse, ossia dei Bello, del Brutto, del Su- blime e del Ridicolo. Questo sarà forse l'argomento di un altro mio discorso su questa materia, se la provvidenza vorrà ridonarmi quella vigoria giovanile degli occhi, che ora ho quasi interamente perduta, e che è necessario stromento negli studi estetici e critici- Ma qual è la forma, nella quale si figura l'idea? Ogni artista sceglie quella a cui esso è condotto sia per l'indole particolare della sua fantasia, sia perla sua educazione. A pochissimi è dato di [)Oler esprimere V idea in tutte le forme dell'aite. Questi spiriti pre- diletti del cielo, ai cui concetti serve tutto il mondo sensibile, sono unica gloria della nostra Italia. Mi- chelangelo fu architetto, scultore, pittore e poeta, e Leonardo da Vinci congiunse l'esercizio della mu- sica alle altre arti sorelle: perfezionò egli medesi- mo la sua lira d'argento , e su di essa improvvi- sando de' versi , si prendeva diletto d' interrom- pere così l'assiduo lavoro delle sue dipinture. Parve 168 eho il Gonio dolTarte, che avea posto il suo trono in questa terra beata, in lui s' incarnasse per mostrare in un solo individuo come l' idea, che vive neli' in- telletto dell'artista , si foccia signora della forma , e tutta intera in essa per varie guise risplenda. Se lo scopo supremo , a cui l'arte intende , è quello di riprodurre l' Idea , le singole arti non vi possono giungere se non parzialmente , cioè in quel circolo, determinato dai limiti della forma eh' è propria d'ogni arte in particolare* Se per esempio Je arti del disegno possono esprimere l' Idea co- m'essa si manifesta nell'elemento dello spazio, non possono però esprimerla nell'elemento del tempo, o in altri termini; se possono render sensibili le idee, e rappresentare la natura pel senso della vista, non Io possono pel senso dell'udito ; e così vicevèrsa quello che possono le arti del suono, non lo pos- sono le arti del disegno. Laonde la partizione del- l'arte in queste due famiglie diverse è evidentissima- Y' è poi tra le varie arti un progresso ascendente dall'una all'altra , in cui ciascuna viene a supplire alle mancanze delle compagne: ed è concesso sol- tanto alla riunione di tutte l'attuare quello che ab- biamo veduto essere lo scopo supremo dell'arte. L'architettura ha molte volte solamente un fine di propria utilità ne'suoi lavori, e quindi non si leva sovente al fine estetico dell'arte. Non pertanto or- dinando le parti dell'edificio tutte ad un fine, e nel- l'armonia delle proporzioni, non fa che riprodurre il principio fondamentale dell'universo, l'ordine, e mo- difica la materia informe facendola servire a questa idea. Facendo un passo ancora più oltre l'archi- 169 lettura può manifestare il fine a cui V edifìcio è ordinato , sia ooll'apparenza esteriore della massa dell'edifìcio stesso, sia cogli ornati acconciamente di- stribuiti. Allora la fabbrica è un simbolo nel quale si figura r idea che ne ha diretta la esecuzione. Cosi l'architettura dei templi persiani ed egizi ci mostra con la larghezzza del piano, con la gravità delle co- lonne, colla mole dei recinti che il mistero, il su- blime, r idea dell'Infinito era il concetto dominante di quei culti. Il tempio greco con le svelte sue co- lonne che lo ricingono quasi leggiadra corona, fa- cendo entrare liberamente e l'aria e la luce, co'suoi gentili e svariati ornamenti, coi timpani destinati ad accogliere le statue, ci palesa chiaramente di esser fatto pel culto religioso di quel popolo , il quale cercava in ogni cosa il bello che soddisfa i sensi , e serena lo spirito , per quel culto che tentava di riconciliare nella vita terrena lo spirito colla natura. Certamente la forma della tenda presso gli Orientah', e quella della capanna presso i greci dettero ori- gine a queste diverse figure dell'architettura; ma è vero ancora che l'arte fece sue queste forme sug- gerite dai bisogni naturali, perchè elleno servissero come simboli ad esprimere l' idea dominante del culto popolare. La cattedrale gotica è però l'edifi- cio dove il simbolo domina più che in qualunque altro: essa è come un corpo organico ordinato a far sensibile il pensiero cristiano. I pilastri , le colon- nette e gli archi si slanciano arditamente nell'alto, simboleggiando così lo slancio delle anime innamo- rate verso l'Infinito: il piano della chiesa ha la forma di una croce, simbolo della redenzione: l'altare, come 170 contro del culto, sorge solo sublime sopra molti gradi nel centro dell'abside, sicché tutti gli sguardi come tutti i pensieri si dirigono a lui, ma spesso un muro di separazione (jubé) si frappone tra esso e le navate per modo che il popolo intenda all'oggetto supremo del culto, ma si arresti riverente all'ineffabile mistero che lo circonda. La rosa di vetri coloriti, che, posta sulla porta principale, effonde la luce nella navata maggiore, è simbolo del divino Spirilo, che illumina ed avviva la chiesa: la luce incerta che si diffonde per le navate e per l'abside è simbolo di quello stato doloroso, di quel mistero, ch'è proprio della vita terrena ma le torri ornate di sante immagini e di fiori scolpiti si elevano altissime nell'aria libera elumìnosa a simboleggiare quella vita novella, a cui sospira la chiesa militante. Perfino le più piccole particolarità dell'edificio servono alla manifestazione dell' idea; i capitelli si mutano in vaghissimi fiori, la luce entra a traverso le dipinte immagini dei santi, e l'occhio non può affissarla senza riguardare le celesti effigie dei seguaci di Cristo: i demoni e le bestie deformi della natura servono a sostenere il peso del tetto, espri- mendo cosi l'alta idea provvidenziale che nell'ordine del mondo il male dee servire al trionfo del bene. Ma se il cristianesimo conducendo il pensiero umano al massimo suo svolgimento portò Tarchitettura sim- bolica a tanta potenza nello esprimere l' Idea, essa però si dee rimanere nel manifestarne indistintamente alcuni concetti generali, la natura e la vita degl'in- dividui non possono da essa venir figurate sensi- bilmente.— E qui incomincia l'uffìzio della scultura e della pittura. 171 La scultura rappresenta l' individuo della natura sensibile, e Supratlutto dell'uomo, e rappresentando r uomo esprime in esso un momento determi- nato di un fatto o il simbolo di una idea: nella statua il carattere dell'individuo apparisce non solo nel volto, ma in tutte le movenze delle membra. Lo scultore può andare ancora più oltre, e nelPag- gruppare diverse statue, o diverse figure rilevate, può mostrarci il rapporto fra diversi individui ed un fatto in cui più individui abbiano parte. Così avviene nei bassorilievi, e meglio ancora nei gruppi fatti per adornare una sala , o il frontone di un tempio. Vi rammenterò, a cagion d'esetnpio, il Lao- coonte , i due lottatori di Canova , i frontoni del Partenone e del tempio di Egina , e le moderne opere di Schwanthaler sui due prospetti del Walhal- la. — Ma se la scultura esprime la vita e le idee degl'individui umani nell'elemento dello spazio, non può esprimerli interamente , e convien poi die ri- nunci a rappresentare la vita della natura: le sue opere hanno il rilievo, ma non hanno il colore, pel quale e specialmente per la luce degli occhi si palesa il profondo sentimento dell'anima. La pittura se per . una parte manca del rilievo, può per l'altra supplire a questo difetto colla varietà delle tinte , e si av- vantaggia inoltre per tre capi sulla scultura; giacché primieramente può rappresentare tutta la natura , e mosti-are in alcune immagini la sua vita, in secondo luogo ha facoltà di aggruppare liberamente molte fi- gure, più assai che non possa la scultura, e finalmente può mettere in rapporto le figure con una scena deter- minala, ciò che la scultura non può; e così giunge a 172 figurare dei fatti o delle idee più complesse, come avviene nei quadri storici , nei quali le due specie diverse di pittura, il paese e la figura, si congiun- gono insieme, e danno l'opera più compiuta di que- sta forma dell'arte. Uno de'nostri più valenti poeti vi ridirà tra poco , meglio assai di quello che io il possa, le meraviglie della pittura (2): ella è inesauribile come la natura nelle sue creazioni , ed or ci mo- stra le scene più sublimi, ora ci offre la grande va- rietà della vita vegetale, or quella ancor maggiore della vita animale, e finalmente giugne al sommo della sua potenza facendo rivivere sulla tela le sem- bianze umane, sicché in esse si palesi il moto degli affetti, e la luce dell' intelligenza immortale. Allora essa ci rende sensibili in alcune figure tutti i con- cetti morali, e ci porge in una serie di quadri i mo- menti più segnalati della storia dell'umanità. Ma la scultura e la pittura non escendo dal- l'elemento dello spazio, non possono rappresentare r Idea, se non in quanto essa apparisce alla vista, e quindi soltanto in uno o più determinati momenti. La successione varia e continua delle idee e degli affetti, quello che propriamente constituisce la vita dello spirito, non può mai manifestarsi nell'elemento dello spazio, ma solo per la successione dei suoni nell'elemento del tempo -La musica allora è il primo passo che l'arte fa per riprodurre sotto forma sen- sibile la vita dello spirito umano. Essa espri- me il vario moto degl' intimi affetti coll'alternarsi dei tuoni or alti or bassi, ora più lunghi ed or più brevi; ora il sospiro dell'anima amante, ora il la- mento del dolore, ora la calma ed or la tempesta 173 del cuore, ora l' incertezza del dubbio, ora l'entu- siasmo della gioia. I diversi istromenti esprimono diversi affetti, ed è concesso solo all'arpa, all'organo, al cembalo, ma soprattutto alla voce umana, il ri- velare con egual forza tutti gli affetti. La voce umana non solo si piega meglio di ogni strumento alla varietà dei suoni, ma li esprime con un tuono che pili profondamente commuove l'anima: anzi la mu- sica istrumentale tanto meglio è interprete degli umani affetti, quanto più si avvicina colla imitazione alla voce umana. La unione di pili voci in un coro, 0 di più istrumenti in una sinfonia, manifesta la unione di più affetti in un affetto solo; e quando il coro segue dietro all'intonazione di un individuo ci mostra mirabilmente il convenire di quello nel pen- siero e negli affetti di questo, come avviene sovente nella musica religiosa , e specialmente sul principio del Gloria e del Te Deum. Se la melodia rende sen- sibile la successione degli affetti, l'armonia ci fa sen- tire eziandio l' intrecciarsi di vari affetti nello stesso tempo. Nel quartetto del Viscardello , nell' armo- nia delle quattro voci si congiungono i quattro diversi affetti degli attori , come quattro rivi che mantengono le loro onde distinte, ancorché scor- rano uniti a formare un sol fiume. Gli uditori an- cora senza il sussidio delle parole sentono ad un tempo il carattere spensierato della ostessa, l'amore ironico del duca, l'affannosa gelosia di Gilda, e l'ira mal repressa di Viscardello. Però con tutto questo la musica non può se non esprimere indetermina- tamente e vagamente gli affetti, non può mostrarne le particolari varietà , e svolgergli in tutta la loro m 174 pienezza; non può poi assolutamente levarsi ad espri- mere sotto forma sensibile i concetti dell' intelli- genza , e conviene che rinuoci quasi interamente alla rappresentazione della natura. Dico quasi in- teramente perchè può figurarne una parte imitan- done i suoni: e come esempi più pefetti di questa imitazione citerò le belle armonie imitative della Creazione di Haydn e quella di Blumenthal , nella quale esso tentò di riprodurre il suono sempre vario di una sorgente che gorgoglia , e frangen- dosi in mille modi diversi in mezzo ai sassi si muta in un placido rivo. Abbiam così veduto come imperfettamente la musica adempia in sé lo scopo supremo dell' arte. — Là dove finiscono le sue fa- coltà, s'inizia l'ufficio della poesia. La poesia esprime l'Idea non più con suoni inde- terminati, ma con suoni i quali esprimono determina- tamente tutta la varietà dei pensieri e degli affetti, e che valgono ancora come segni perfigurare avanti alla fantasia tutti gli oggetti e tutti i fenomeni della natura. Le parole armonicamente disposte costituiscono quel- la forma maravigliosa, nella quale Io spirito umano rende sensibile a sé medesimo tutto il mondo in- telligibile, e riproduce in una vivente rappresenta- zione tutta quanta la natura. Così la poesia se nel palesare lo svolgimento della vita dello spirito com- pie quello che la musica tentava e non riusciva a fare, si sforza ancora di esprimere al vivo 1' imma- gine della natura e dell' individuo , rappresentan- dola se non nel rilievo e nel colorito, come le arti de! diségno, almeno, come già ho detto, con quei segni che riconducono avanti alla fantasia le viventi 175 figure delle cose sensibili. Nelle varie specie del- l'arte, che abbiamo fin qui discorse, noi vedemmo come r Idea di grado in grado si andasse sempre più manifestando per mezzo di esse , tentando di pervenire a figurarsi tutta intera nella forma. Ella giugno a questo scopo nella poesia, la quale si può chiamare l'arte per eccellenza: in essa finalmente lo spirito umano rinviene la forma acconcia ad espri- mer tutti i suoi concotti: ella è quello specchio im- macolato, in cui si riflette intera V Idea dell'universo. Qui, peramordi brevità, son costretto a interrom- pere il mio ragionamento: un'altra volta continuandolo vi mostrerò, come la poesia accolga in se, e adempia gli uffici delle altre arti sorelle, e considererò parti- tamente la sua virtù pittorica e la sua virtù musicale. Dirò come l'idea si manifesti diversamente ne' tre divei'si generi ni poesia, e come nel teatro sì congiun- gano insieme tutte le varie forme dell'arte. Discor- rerò poi dell'armonia esteriore della forma, e final- mente ragionando del fine supremo dell'arte, di grado in grado ascendendo noi vedremo come in essa ri- splenda tutta la luce dell'idea, perchè, come scriveva Platone sulla fine del Convito: « La bellezza sensibile è scala alla bellezza dell' anima , e questa ci con- duce alla contemplazione della Bellezza Assoluta, la quale costituisce la vita vera dello spirito umano ». (1) Questo ragionamenlo, come i due altri che lo seguiranno, non sono per verità se non frammenti di un'opera più compiuta sulla filosofia dell'arte. I miei studi su questo soggetto sono ancora troppo immaturi perchè io speri di poter dare tra breve un lavoro meno imperfetto su questo importante argouieato. A questo scopo su- li letleraii, e fin da ora ne lac- ,re.o però -^-'^^""^A/^^l^rieUori , pregandoU a compatire ciò la promessa a> me zetetica. 177 Osservazioni ozonomelricìie islituile in Roma neW ago- sto 1856 da Caterina Scarpellini aW altezza di me- tri 60, i3 sul livello dal m.are. ' F>a ricerca delle cause, più che le allre, fu « suggello di indagini, argumeiilo di ipotesi, » palestra di conlese infinite: indagini che sono » ben lontane dall'essere esaurite con tutto il » rigore scienlifico in oggi voluto; ipolesi che » non sempre discendono legillime dalle no- » zioni comechesia aquisite; conlesc che non » di rado falliscono al vero, perchè troppo » spesso passionate, irte di equivoci nel con- » cello e nel linguaggio, o mosse da principi » maldetìnti o malfermi d. Sull'Ozono atmosferico. — Sper lenze e considera- • zioni del dott. G. Strambio di Milano. 'ifferenli sono gli o|jiiiamenti intorno alla natura dell'ozono. — Però è noto ch'esso sì bene intra- veduto dall'olandese Van-Marum infin dal 1785 , non venne notiziato al magisterio delle scienze che nel 1840 dal sapiente di Basilea prof. Schònbein rinventore del cotone fulminante (1). — Primamen- te presupposto uno degli ingredienti dell'azoto (2); poi un composto binario azotato (3); quindi un bi- ossido, od un tritossido d' idrogeno (4), un acido (1) In Italia furono pronunciate le prime parole su questo corpo particolare dallo Schònbein stesso al congresso scientifico in Mi- lano nella sezione di tìsica, presedula dalla eh. me. del prof. F. Orioli. (2) Ozonido d'idrogeno, Schonbfin. (3) Schònbein. (4) JMarignac, Schònbein. G..\.T.CLXV. 12 178 idi'ogenoso (1), un fosfuro d' idi'Ogeno (2), e final- meute dopo gli studi di Marignac, de La Rive, e dello stesso Schonbein tenuto come una sennplice modi- ficazione dell'ossigeno, come uno stato isomerico od allotropico di questo gas (3) , ed in seguito dato anche il nome di ossigeno ozonato (4), di ossigeno elettrizzato (5) , e di ossigeno nascente (6) , senza che i nuovi nomi facessero obliare l'antico. È noto ugualmente « come l'azione che l'ozono esercita sul ioduro potassico, e '1 iodio sull'amido venisse resa utile per la confezione di cartoline esploratrici, le quali palesarono che la elettricità meteorologica ha virtiì di ozonizzare l'ossigeno nell'atmosfera; è noto da ultimo che le cartoline esploratrici , od ozono- scopiche, sono preparate con soluzioni di ioduro po- tassico e di amido ; che l'ozono decomponendo lo ioduro potassico per produrre un ossido di potassio, e liberare lo iodio, dà luogo ad un ioduro di amido tanto più abbondante quanto la sua azione è più energica; e che la quantità dell'ozono atmosferico misurasi sulla varia intensità della colorazione vio- laceo-turchina del ioduro di amido formatosi sulle cartoline di cui è parola » esposte all'aria libera , difese dalla pioggia, dal sole, e non influenzate da esalazioni mefitiche. Conciossiachè, chiamata dalla lusinghiera con- (1) BaumcTt. (2) Forni. (3) Berzeliiis, Faraday. (4) Schonbein. (o) Bequerel, Fremy. (6) Auzeau. 179 fìdenza di alcuni sperìiiientatori ozonoscopisti ad in- traprendere in Uoma metodiche osservazioni su que- sto nuovo agente meteorologico, assunsi l'onorevole officio con quello slancio volenteroso che seppe in- spirarmi la bella vista della eminente utilità, e la immutabile convinzione di trovare nei distintissimi collaboratori della Romana con'ispondenza scientifica quei cortesi e savi consigli, necessari a farne uscire alla fin fine uo criterio non incerto, ma franco per mirar sempre al supremo scopo di raccogliere ele- menti valevoli ed immutabili.- Sebbene non sia pre- sumibile che da ben ordinate osservazioni di un mese (1) che ora do conoscenza, non possano co- statarsi risultàmenti a chiarire in qualche modo le già fatte ricerche ed ipotesi « che non sempre di- scendono legittime dalle nozioni comecchesia acqui- site: )) pure dalle scrupolose osservazioni psicro- metriche, dalle llultuazioni ozoniche, fra queste, e le variazioni termometriche , a me sembra potere notiziare, che la curva delle variazioni ozoniche in Roma segue un cammino pressoché inverso a quello della temperatura, e queste variazioni sono in ra- gione pt)co meno che dirette della umidità relativa. A questo opinamento, discusso per l'espressione grafica delle cifre contenute nel quadro mensuale, le mie osservazioni darebbero una piena conferma a quelle praticate dai sigg. (1 Bequerel e Fremy, ed a quelle di Berigny e Richard testé fatte all'ospe- (1) Ho pure registrato ititerrottaitiente altre osservazioni nei mesi di marzo luglio del correulc auno che mi servirono anche di guida. Ì80 dille mililaro di Versailles (1): colla differenza però, che le cavtoline di questi erano locate negli an- goli del cortile al sud , e le mie trovansi all' aria libera, pura, e ardirei dire illimitata , e precisa- mente dalla parte nord all' altezza di metri 60,43 sul livello del mare, avente la stessa posizione il psicrometro ed il termometro (2): e perciò sarà argomento di ulteriori investisazioni fra le osser- vazioni di Roma e di Parigi per produrre sempre nuovi dati importanti. Risultamenti positivi mi hanno dato per i tem- porali sull'abbondanza dell'ozono come il prof. Schòn- bein ha annunciato (sempre però nei limili di queste poche osservazioni): e di fatto, nel temporale della sera 5 agosto con tuoni e lampi nelle vicinanze di Roma dalla parte di S. E. e di S. S. E. la mattina del 6 trovai abbondanza di ozono; e devo pur qui avvertire che nel mio registro del 31 luglio p. p. trovo che l'ozóno giungeva sino al decimo grado per un gran temporale avvenuto in Roma alle ore 2 pomeridiane, - Aumento di ozono parimenti si ebbe pel temporale del 19 agosto alle ore 3 ant. 11 quadro mensiiale che p4'esento (*) sei'Virà per richiamare vieppiù l'attenzione su questo agente mi- sterioso, che non sembrami trascurabile, pel quale si faranno commenti negativi o positivi a fonda- mento delle deduzioni di altri rispettabilissimi ozot noscopisti. (1) Nel mese di agosto 1855 alle ore 6 del mattino, a mezzodì, alle 6 della sera, ed a mezzanotte. (2) Il barometro trovasi nello inl^'ruo della camera già prove- duta di lutti quegli istriimenti necessari onde esattamcnlc adem- piere alla onorevole incumhenza. 181 Ora da questo quadro risulta, dio la minima quair* tità. di ozono è 4 , la massima 9 , la media delle ore 24 è 5; che ve n' è quasi più di notte che di giorno, perchè probabilmente il giorno avvi la luce che disozonizza l'aria vitale. - La media mensualc però è massima pel giorno che per la notte, lo stesso è per l'umidità relativa. Con la continuazione delle mie osservazioni avrò dei dati tutti valevoli per confrontare ciocché scri- veva il eh, prof. Orioli nel Florilegio medico , che « l'ozono è massimo in primavera, quando la ve-* getazione attiva là produzione dell'ossigeno nascente e i fenomeni elettrici, e in generale le naturali ope- razioni cosmiche d'ordine chimico, al risvegliarsi del- l'anno, han più giuoco; minore nel verno, e piiì nella estate, seguendo, secondo tutte le apparenze, le fasi della vegetazione e della influenza dell' insolazione; minima nell'autunno al primo spogliarsi degli alberi, e illanguidirsi delle grandi operazioni chimiche ». Però a me sembra, sarebbe di alto interesse, che tali osservazioni ozonometriche ripetendosi od esten- dendosi in tutta la nostra penisola venissero intra- prese con modi uniformi , onde riescire a confron- tare le risultanze finali , tanto perciò che toccale quistioni meteorologiche, quanto per ciò che inte- ressa la fisica generale e l'etiologia. - Io mi valgo della carta ozonometrica dello stesso Schònbein, e m'attengo alla scala da lui tracciata. Credo, così scriveva l'eccellentissimo sig. dot.GaetanoStrambio al direttore della Corrispondenza scientifica di Roma (l)v (1) 10 febbraio 185G. 182 « che l'uniformità nei mezzi di esplorazione ozo- nica e di misurazione sia indispensabile a compren- derci reciprocamente , e riprovo quell'anarchia che ogni osservatore tenta d' introdurre sia nella prepa- razione della carta , come nella graduazione delle scale )). Fra Roma e Milano esistendo adunque una uniformità (1), potranno essere confrontate le mie os- servazioni, come saranno confrontale dagli esteri os- servatori che tengono lo stesso sistema. Concludo finalmente con questa mia brevissima nota, che le conseguenze della importanza di siffatte ricerche, la spiegazione e le più intime relazioni di questo fenomeno, la ricognizione di altre anche più interessanti (2), e certe specialità più caratteristiche, dovranno avere per saldo appoggio numerose osserva- zioni comparate, uniformi: ed io, soltanto col buon volere, coopererò ai migliori e più rapidi progressi di una scienza tanto utile e bella, quanto disagevole e misteriosa, per la quale vanno esercitandosi a gara i fisici ed i medici, i meteoristi ed i loimografi. A dì 15 settembre 1856 Caterina Scarpellini (i) Sperimentando gli eccellentissimi dottori Gaetano Strarobio e Giovanni Polli. (2) Ho pure desiderio di estendere le mie ricerche sulla elet- tricità atmosferica, onde confrontare le mutazioni dello stato elet- trico con quello ozonoscopico estese anche alle anemoscopiche- 183 (*) Quadro mensuale dcìle osservazioni ozonometriche, psicrometriche, termomclriche, harometrichc, e slato del cielo. Ozono Media Um dita St alo Agosto atmosferico ozonica rela tiva del cielo 1856 — ~i— ^_-^~ giorna- -—«.^ . 'v.--— >. 1 7 m. 6°0 7ser. liera. 6 25 7 m. 68 7ser. 7 mat. 7 sera 6''0 70 Nuvolo IN 2 7 0 6 0 6 3 69 68 Velato V 3 S 0 4 5 3 0 61 66 Nuv.sp. s 4 6 5 6 0 6 25 61 67 Sereno s 5 7 S 5 5 7 0 62 72 s V 6 9 0 6 5 7 25 77 68 N N 7 6 0 4 S 5 3 62 63 V s 8 7 0 3 0 3 5 62 63 N s 9 5 5 6 5 6 0 73 64 S N 10 7 0 6 0 6 3 61 SI V s n 6 0 6 5 6 25 60 57 s s 12 6 0 5 0 3 3 57 36 s s 13 5 3 6 0 6 0 50 36 s s U 5 0 4 3 3 0 58 62 s s 15 4 3 6 5 3 3 60 73 s N 16 6 3 6 5 6 0 67 70 Nebbia s 17 7 0 6 0 6 5 60 55 Neb. s 18 6 0 7 0 7 0 48 60 N N 19 7 3 7 0 7 0 50 61 N N 20 5 0 8 0 5 0 73 75 S S 21 6 0 4 5 3 23 48 68 N s 22 4 0 6 3 5 23 68 65 S N 23 7 0 6 3 7 0 74 77 Nebbia Nebbios 0 24 4 5 6 5 5 5 83 68 S N 23 5 5 3 3 5 0 50 38 V N 26 6 0 6 5 7 0 56 38 N S 27 3 5 6 0 6 0 58 66 S s 28 6 3 7 0 7 0 73 66 N. sp. N 29 7 0 7 0 7" 0 72 76 Nebbioso Nebbios 0 30 4 5 6 b 6 0 78 73 V S 31 5 5 7 3 6 5 SO 69 s S Med. 5,8 6,0 63,i 66,0 mens. N. B. L'osservazione notturna figura nella cifra del maltino, e la diurna nella cifra della sera. 184 Terinomft. Baromet. in niil ini centigr. ridotto a 0' Osservazioni Tm. 20° 0 7ser. 21 0 7 mat. 750""" 90 7 sera 752 65 23 0 26 0 753 40 752 89 22 0 24 0 753 49 753 55 22 0 25 0 753 68 752 77 21 0 22 0 751 65 751 55 Temporale alle ore 9 pom. 24 0 22 0 750 61 750 70 25 4 25 0 750 32 750 53 21 0 24 5 755 99 732 33 Pioggia ore 11 40 antim. 24 0 25 0 752 74 752 74 Piccola pioggia 21 0 25 0 752 90 752 97 26 0 24 0 752 74 753 44 27 5 28 0 756 45 746 35 27 0 28 0 753 06 753 17 28 5 28 5 753 74 753 85 25 5 28 5 754 42 753 50 25 0 28 0 754 07 754 18 28 0 28 0 753 62 748 02 30 0 25 0 745 19 745 48 28 0 27 5 745 47 746 21 Temporale ore 3 ant. 27 0 27 0 746 22 748 39 23 5 27 0 751 22 750 95 27 5 27 0 750 28 748 92 27 5 26 5 748 47 749 37 20 0 26 2 751 10 751 08 19 2 24 « 752 80 750 86 18 5 22 0 751 11 75i 66 19 0 23 0 751 22 751 43 29 0 22 0 752 90 752 78 21 0 24 0 7 54 68 753 19 23 0 26 0 753 65 751 54 21 0 26 0 753 09 753 06 23,7 25,3 751, 97 751, 29 185 Sopra wi' odore particolare emanantesi dalle cartoline ozonizzate notato dalla sig. Caterina Scarpellini nel settembre p. p. Lettera del sia:. Paolo Peretti alla medesima. Signora, L'esattezza con la quale eseguiste le osservazioni ozonoscopiche, e la chiarezza con la quale le ripor- taste, meritano, o signora, di essere altamente prese in considerazione, poiché forniscono sempre maggiori prove dell'amore che nutrite perla fisica scienza. E tanto più con voi mi congratulo perchè siete prima ad intraprendere in Roma un lavoro, che basato sulla esatta e periodica osservazione sarà ben presto in grado di dare soluzione ad un problema che ora è soggetto di gravi disquisizioni. Ed in fatti non potea sfuggire alla vostra accor- tezza quell'odore particolare emesso dalle cartoline ozonizzate, allorché sono bagnate con acqua distil- lata. Questo odore che, per le cartoline da voi ri- messemi , ebbi campo di notare più volle , mi si manifestò così palesemente da non dubitare di ri- conoscerlo, e ben'esso mi rammentava una chimica preparazione non ha guari eseguita da mio padre, lo iodoformo , composto che ha Vodore analogo a quello delle cartoline ozonizzate. — Questa ossei'va- zione, che giudicai interessantissima, m' indusse a praticare una serie di sperienze, delle quali eccovi il risultato. Secondo 1' opinione di molti chimici non solo l'ozono esercita la sua virtù sopra la carta amido- iodurata, ma ancora altri principi che possono esi- 186 Steve nell' aria atmosferica , come dei vapori acidi rutilanti, degli olii essenziali volatili emanantisi da certi vegetabili, ed anche semplicemente l' influenza combinata dell' aria umida e dei raggi solari (1). In vero le cartoline ozonoscopiche, che voi mi ri- metteste, subito si colorarono, e segnarono fedel- mente la medesima reazione ozonoscopica esposte alla semplice azione dei vapori dell'acido nitrico , idroclorico, cloronitrico; ed il medesimo effetto si produsse con i vapori di cloio, biomo, iodo, e con il gas ossigeno mescolato a gran copia di aria atuio- sferica resa umida. — Tutto ciò distruggerebbe il va- lore della carta amido-iodurala considerata quale re- attivo ozonoscopico , se l'osservazione da voi fatta circa l'odore emesso dalle cartoline ozonizzate non dovesse richiamare l'attenzione generale dei chimici sopra questo nuovo fatto. — Qualunque agente os- sidante è capace di esercitare 1' influenza ozonosco- pica sopra la carta amido-iodurata; ma questi agenti, per poco 0 molto che manifestino questa reazione, non somministrano in alcun modo quell'odore par- ticolare di iodoformo, riconosciuto da me e da mio padre, emesso dalle cartoline ozonizzate quando sono bagnate con acqua distillata. Una tale differenza può essere sutliciente a fare rilevare l'esistenza del mi- sterioso agente nell'aria atmosferica avente delle pro- prietà ossidanti e decomponenti sui generis. — E qui è bene da considerarsi l'azione del nuovo corpo sopra la carta amido-iodurata con l'emanazione di quell'odore particolare di sopra caratterizzato. (1) Rapporto del sig. Gloez letto all'accacleniia delle scienze del- l' imperiale iaalituto di Francia: seduta del 7 luglio 1836. 187 Alcune sostanze organiohe, come Talcool, lo zuc- caio, la fecola ecc. sottomesse all'azione di agenti . ossidanti danno luogo alla formazione dell'acido for- mico. L'acido formico (C^HO^-i-20) perdendo il suo ossigeno si combina allo iodo e forma lo iodoformo (C^HjlO^), e l'acqua favorisce considerevolmente que- sta combinazione. Ora le caitoline ozonoscopiche ri- tengono dell'amido e del ioduro di potassio; esposte all'influenza dell'aria atmosferica subiscono in uno spazio conveniente di tempo una reazione cbe si ma- nifesta dal coloramento della carta amido-iodurata, in cui per forza catalitica del misterioso agente può avvenire formazione di acido formico, per la decom- posizione in parte dell'amido. In questo caso la pre- senza dell'acqua, di cui si bagnano le cartoline ozo- nizzate, determinerebbe la combinazione dell'acido formico con il iodo, lo iodoformo, a cui si può at- tribuire quell'odore particolare emesso dalle cartoline ozonizzate. Questo nuovo fallo, che io ho inteso spiegare nel modo indicato, imprime si. mio credere un nuovo vi- gore alla opinione relativa alla esistenza dell'ozono, sopra il quale spero rivolta 1' intiera attenzione dei chimici , al cui giudizio intendo sottomettere quel poco che qui brevemente vi accennai, riserbandomi, e per l'ulteriori vostre osservazioni , e per quanto sarà da me in seguito praticato , di ritornare più fondatamente sopra un argomento di sì alto interesse per la scienza chimica. Credetemi ecc. Addì 8 ottobre 1856. Obligatissimo servo Paolo Peretti 188 Storia di fulminazione. M-JO sgomento nel quale incorsero improvvisanniente verso le 5 pomeridiane del 24 maggio p. p. gli abi- tanti della parte più elevata della città di Norcia, e r orrore misto a grave pena patita dagli altri cittadini, furono da non [)Otersi ridire. Il suono alla distesa delle molte e grosse campane delle chiese che scongiuravano gli elementi infuriati; la pioggia dirotta; il balenare, il romoreggiare continuo, avreb- be richiesto che ognuno ad uscio e finestre chiuse avesse atteso in casa la dissoluzione del turbine, se la curiosità di osservare qual parte di territorio verrebbe devastata dalla grandine, che pur minuta cadea, non avesse invitato sulla porta che mette in città dal lato di levante. L' ingresso è maestoso quanto è solida 1' arcata superiore, la qua'e per intiero costruita di grossi e ben connessi macigui forma nell' interno un ricor vero di 30 piedi in quadro. Là erano convenuti circa 30 individui, e là la folgore portò lo spavento e la morte. L' ammasso d' elettrico che si partiva dalla nu- be nel perct)rrei'e V atmosfera produsse un fragore spaventevole. Urtò in prima alquanto a destra del comignolo del tettarello che soprastà almeno 45 piedi dal suolo, rovesciando insieme alla copertura di terra cotta molti cementi del muro; e senza lasciar traccia lungo la discesa, sempre a destra in linea molto obbliqua, a sedici palmi almeno 189 scavò sul mino una fossa senza riescila, lunga un piede e più, larga quattro pollici ed altrettanto profonda, con stritolamento dell'urtato macigno. In linea orizontale retta, a quattro piedi di di- stanza dall'apertura descritta, la folgore si introdusse nel muro un piede e mezzo sopja la volta della porta con uno squarcio all' estremo lungo tre pollici, ne percorse l' interno per circa quattro piedi fra maci- gno e macigno, e sortì sotto V arco esterno poco a destra del suo centro, fra due durissime pietre che scalfì largamente. Il portone, che per un terzo nella parte superiore sta fisso al muro, non chiude interamente in alto: ed appunto per tale spazio, porzione dell' eletti-ico si le strada verso l' interno della città, riducendo a molte schegge una slecca massiccia di legno, lunga quattro piedi, che dall' alto al basso ben chiodata stava a tener commesso un tavolone coli' altro. L' intiero portone ha in ogni palmo quadralo grossi bolloni di ferro, che rimasero illesi. I muri laterali, che coi gangheri tengono la porta, sono di durissimo sasso, e nel luogo ove la porzio- ne di porta fissa s' unisce alla porzione che s' apre, il sasso protubera maggiormente. Sulla porzione di protuberanza che guarda l' interno della porla urtò la folgore; ne schiantò un pezzo, e forse perchè la resistenza fu maggiore dell' impeto, il masso d' elet- trico non andò a piombo, ma si diresse tra la porta socchiusa ed il muro a quattro piedi nell' interno del ricovero formato dall' arco. Quivi stavano dieci individui ragionando, alcuni ritti sul muro, altri sostenuti dalla porta semiaperta altri in piedi nello spazio frammezzo. 190 Uno d' anni 66 erasi ranniochiato in vicinanza dei gangiieri, e dall' urto dell' elettrico non ebbe a soffrire che un senso di bruciore, e forte intormen- timento nel bi'accio sinistro. Altro lagazzo d' anni 13 stavagli d'appresso ritto sul muro, e questo ebbe a sperimentare un urto forte in tutta la persona, seguito da bruciore e prostrazione di forze. Non cadde a terra. Per terzo, appoggiato al muro, v' era un giovi- netto d'anni 15 che rimase ucciso all' istante. Ri- portò i capelli della parte posteriore del capo bruciati, ed una escoriazione, per scottatura, vicina alla mam- mella sinistra. I bottoni di ferro fuso del di dietro dei calzoni scomparvero. Stava prossimo a quest' infelice un ragazzo di anni 12, il quale ebbe bruciati i capelli del di dietro dèlia testa con piccole flittene sul lato destro del collo e tiammezzo alle scapole- Stette 4 o 5 minuti, nelle apparenze di morte, e dopo mezz' ora vomitò il cibo; fu preso da forte agitazione per pochi minuti, e lagnossi fin dal principio d' un senso di bruciore in tutto il corpo. Un giovine di anni 20, che gli stava vicino, restò morto sul momento. Gli fu rinvenuto il cappello di lana aperto con due piccoli fori, i capelli bruciati, una escoriazione sull' ipocondrio sinistro, ed altre tre escoriazioni sul dorso, resistenti al tatto. A pochissima distanza da quest' ucciso si trova- vano tre individui. Uno, che conta 30 anni d' età, cadde a terra, perchè sentì come d' aver fratturata la gamba destra ed il braccio; nel cadere si fratturò 191 tre denti, ma dopo pochi istanti appoggialo potè tornare a casa. Un altro di anni 35 stramazzò a terra persuaso di aver fratturate le cosce e le gambe. Fu poitato nella propria abitazione; ma tranne un senso di scottatura forte (4ie sulle parti offese soffriva, nient'altro indica- va die potessero tornare servibili. Quasi tre ore pas- sarono priachò riacquistassero un moto limitatissimo. Il terzo di anni 75, eh' ebbe bruciato il cappello e fu percosso sulla fronte, cadde a terra colle sem- bianze di morte. Tra dieci minuti potè esser con- dotto appoggiato a casa. Altro vecchio d' oltre 60 anni soffri forte movi- mento, ma barcollando tornossene a casa che distava 20 passi. Un giovane d' anni 28 cadde a terra come morto, ed in tale slato si mantenne per dieci minuti al- meno. Poggiato al di fuori dello stipite della porta stava ritto un giovane di anni 20, al quale parve d' essere stato investito da una fiamma, e nuli' altro soffiì. Nel lato sinistro del ricovero dentro la porla v'e- rano altre venti persone almeno, e nessuno pali l'ef- fetto dell' elettrico; solo una fanciulla di anni 9, che stava colla madre isolate nel centro, si sentì op- pressa e come scottato il braccio destro. Quasi colla rapidità dell' infortunio le grida si diffusero di vicinato in vicinato: ed ecco un accor- rere, altri per chieder del figlio, altre dello sposo. Ma qual non fu l'orrore di tutti allorché giungendo mirarono a teira come morti tanti individui? 192 Alcuni l'obusli ed animosi presero gli sbalorditi sulle braccia e li portarono nelle rispettive case; altri si diedero a togliere dal sito funesto e i morti e i creduti morti introducendoli in una vici- na camera ad uso di stalla: ed in tanto io ve- niva chiamato ad accorre in aiuto di loro. Gia- ceva ancora sul luogo della disgrazia il più piccolo degli uccìsi, quand' io giungea; il feci tosto portare a casa, e lo denudai con cautela, e poscia impresi a lavargli la faccia ed il capo con acqua ed aceto freddo, e ad appressargli aceto puro alle narici. E nel tempo istesso eh' altri operavano strofinamenti suir esrremilà, e sul resto del corpo, io procurava con dolci pressioni suir epigastrio di mett.ere in movimento il diafiamma, il cuore ed i polmoni; ma perchè tali cose non conducevano alcun vantaggio, colla sonda da donna cercai d' introdurre dell' aria pei polmoni, e di badare che l'aria stessa ne sortisse mediante pressione sul ventre ed ai Iati del petto; e ciò accadeva regolarmente. Altrettali aiuti si venivano apprestando all'infe- lice dal dottor collega Adeodato Settimj; e siccome senza vantaggio fu tentato ancora il salasso dal braccio, corsi a munirmi dell' alcali volatile, della cannula da esofago e del tubo laringeo di Chaussier. Ma né 1' appressare I' ammoniaca alle narici, né la respirazione eccitata col tubo e più volte ripetuta, né r introduzione pel retto e sullo slomoco di poche gocce d' alcali diluite nell' acqua, valsero a ridestare quella vita che s' era spenta nel momento dell' in- fortunio. Le fregagioni secche fui'ono praticate finche la 193 rigidezza non s impossessò dei cadaveri. Gli altri, che furono colpiti dalla folgore, non abbisognarono che di poco vino da bere, di lavature sulle parti tocche, e di bagni con posca fredda. Al terzo giorno tutti erano fuori di letto. Un giovane di anni 28, che per dieci minuti rimase nelle sembianze di morte, ha molto debole la memoria; ed il vecchio d' anni 75, colpito sulla fronte, conserva alquanta ottusità di capo. Di Norcia nel giugno 1855. Silvestro Massetti chir. prim. Segue un brano di lettera che lo stesso sig. Mas- setti dirigeva al sig. prof. Maggiorani a schiarimento del citato racconto. Gentilissimo sig. professore, L' istoria di fulminazione eh' ebbe, sig. profes- sore, or sono alcuni mesi, non potea star fornita di tutte le particolarità, perchè messa insieme dopo trascorso non poco tempo dall' avvenimento e senza i necessari minuti appunti. E giacche col graditis- simo foglio de' 20 ottobre scorso, qui giunto dopo 12 giorni, mi porge la favorevole occasione di ripa- rare alle omissioni, di buon grado mi chiamo in debito di farlo, sebbene dubito che non varrà, ciò che dico, allo scopo cui mirasi. Ed intorno alle pic- cole ustioni, ustioni che non eccedono il pollice in lunghezza e tre linee in larghezza, nulla saprei ag- giungere a dilucidazione ; solo posso dichiarare, G. A. GXLV. 13 l9i che la pelle denudata di cuticola sentiasi sotto il tatto prosciugata, e perciò resistente, senza che potesse accagionarsene l' impressione dell' aria: per- chè r aria in così breve tempo non avrebbe potuto indurre simile durezza. E per dirla schietta, io cre- detti che il disseccamento fosse nato per la grande quantità di calorico, il quale collo scalfire 1' epider- mide avesse attratta V umidità della pelle; ed a que- sto modo s'acconciava meglio l'intelletto, se con- sideravo che nel ragazzo prossimo agli uccisi minor somma di calorico non indusse che piccole flettene sparse pel destro lato del collo e frammezzo alle scapole. Ella è cosa indubitata che la sclerotica in am- bedue i fulminati mostravasi piiì visibile, per quasi una linea all' intorno; ma non potrei sostenere se per protuberanza degli occhi o per paralisi delle palpebre. Le congiuntive non aveano vasi sanguigni tur-r gidi. Non offrirono apparenze, da farne soggetto di rimarco, le poche gocce di sangue che s' ebbero dall' apertura nelle vene brachiali. La rigidezza delle membra e della mascella in^ feriore era ben pronunciata cinque ore dopo l' infor- tunio. E per dire ancora della putrefazione, basterà riferire il seguente annedoto. I cadaveri di buon mattino furono trasportati in chiesa: ivi si ritennero fin quasi a sera, e giunta l' ora della tumulazione parve ad alcuni astanti accorsi a lucrare indulgenze che ancora vivessero. Ben presto dall' uno all' altro 195 tutti ne sanno, molti acorrono a mirare il prodigio; ma ingannevole apparenza! la morte sussìsteva in fatto. Dopo altre ore furono seppelliti per coman' damento del parroco. Ciò dimostra, che la putre- fazione si fece attendere piuttosto che no; e che la faccia e parte superiore del tronco, investiti certo dalla colonna elettrica, non cangiarono colore. Inu- tili sarebbero riuscite le premure impiegate per ottenere dai parenti il permesso di fare 1' autopsia. Unità della specie umana. I. il on solo per la venerazione, che gli eruditi han- no al mosaico Pentateuco, ma ancora per chiarire la verità e maggiormente diffonderla, noi discorriamo gli argomenti fisici, che V unità della specie umana dimostrano. Col sacro libro alla mano non havvi difficoltà a risolversi; e renderebbesi inutile la polo-- mica, se noi non mirassimo a stabilire che le fisiche nozioni non sono vere, se alla divina e rivelata sci^ enza non si conformano. 2. Furono già, e sono tutt' ora, tra gli etcrolo- ghi innovatori dei zoologi che senza darsi la briga di leggere il Pentateuco; e molto meno il fastidio pren- dersi di consultare i profondi storici della natura; hanno vaghezza di orservare le varietà della specie umana;e su queste basandosi, stabiliscono delle specie e dalla specie. E dalle varietà che osservano esservi tra l'uno e l'altro uomo, e tra quegli che in diversi luoghi vivono, fanno della specie umana ciò che altri fanno di un regno, di una classe, di un ordine e di un gè- 196 nere. Ed in vece di dire la varietà, che il clima de- termina negli animali, che il cosmo popolano: dicono la razza caucasica umana, la mongola, 1' etiopica, ]' americana e la malese. Ed un senniano moderno baione, poco o nulla intelligente delle sacre e delle cose fisiche, vuole eziandio sostenere essere stata quintupla la primordiale generazione dell' umana specie. E la specie diviene per costui un genere, e poco mancavi che non l' innalzi ad un ordine, ad una classe; o che ne faccia un regno senza vassalli. 3. Carattere essenziale del regno, della classe, dell* ordine, del genere e della specie è quello che non si cambia e che di sua natura è invariabile. Così il minerale naturalmente cresce: il vegetabile cresce e vegeta: e l'animale cresce, vegeta e sente. I mammali allattano, i bimani stanno ritti su due piedi, ed i qua- drupedi con quattro gambe si muovono. E non si è mai veduto, per modo di esempio, l'aquatico ani- male cambiarsi in terrestre, ed il terrestre in aqua- tico, ed il volatile o in aquatico o in terrestre; né il vegetabile in animale, e 1' animale in vegetabile; ne il bimane in quadrupede, ed il quadrupede in bi- mane. Non valgono a contraddire questa universale proposizione ì permutamenti che naturalmente subi- scono i diversi organici prodotti: verbigrazia, che il baco da seta metta le ali, ed altri animali varia- mente si metamorfizzino. Mentre sono le condizio- ni essenziali del loro organico svolgimento. Come i mutamenti che naturalmente compionsi nel corso della vita umana (1). Gli essenziali caratteri non (1) Nat. storia della vita proposta comfi nuovo organo della scienza clinica. G. A. T. CXXl. CXXII. 197 mutansi, senza che si distrugga il regno, la classe, l'ordine, il genere e la specie. Solo si variano all' in- finito gli accidentali: verbigrazìa, il colorilo della pelle, la grandezza, la vivacità, la robustezza. Permu- tamenti, che si possono determinare a piacimento. Porta nella penisola o itaUca o iberica ed in altri luoghi, delle negre famiglie, e tra loro accoppiale; e in capo a poche generazioni dai negri avrai dei bianchi. E porta i bianchi ove sono naturalmente i negri, e vedrai nelle successive generazioni annerarsi la pelle, e dai bianchi nascere i negri. AH' incontro r essenzialità della specie umana rimanesi costante- mente la medesima. Percorri ovunque la superfìcie del cosmo: ed in ogni Uiogo, ove sono gli uomini, troverai che sono mammiferi, bimani, ragionevoli, e che hanno il dono della favella- Non vale a con- traddire questa generale proposizione l'osservazione dei goldoniani viaggiatori, che spesso asseriscono ciò che non hanno veduto; ma quanto hanno o im- maginato 0 sognato. Sia pure, che in alcuni luoghi abbiano costoro veduto degli uomini erranti per li boschi, che a guisa degli animali si movevano e vivevano. Imperocché, oltre, l'essere cosa singolare e non generale, noi domandiamo a costoro, se gli uomini erranti avevano la conformazione dei bimani o dei quadrupedi; e se avevano 1' attitudine alla lo- quela ed al ragionamento. E costoro dovranno ri- sponderci, che erano essenzialmente mammiferi, bi- mani, ragionovoli ed eloquenti. Così i caratteri es- senziali in costoro non mancavano; e le sole acci- dentalità gli facevano vivere alla maniera degli altri animali. Come tu potrai attuare, errando solo nei 198 boschi, un mutuo linguaggio? E come potrai ragio- nare tra gli esseri irragionevoli? All' incontro gli accidentali caratteri, su cui si basano dagli etcro- loghi innovatori le varie specie della specie umana, nel traslocarsi gli uomini variano e si dileguono; e sono accidentalità , che le varie località deter- minano; non sono i permanenti contrassegni, da cui ricavansi gli essenziali caratteri che stabiliscono i regni, le classi, gli ordini, i generi, e le specie, e che sostengono V unitaria aboiigenca creazione della specie umana. V. Catalani Relazione della commissione deputata alV esame delle opere teatrali concorrenti al premio, diretta a sua eccellenza reverendissima monsignor Teodolfo Mertel ministro dell" interno. Eccellenza Reverendissima X ra i mezzi più efficaci a rendere i popoli fiorenti per buona morale e per cittadine virtù, non ultima è la coltura di quella istituzione d' antica sapienza, la quale ammonendo e correggendo, o con la pietà o col terrore, o col diletto o con lo stesso ridicolo, ritragga dal vizio lo spettatore, che vide nella com- media lo specchio di se stesso. Questa verità, rico- nosciuta dai savi e generalmente applaudita, è stata da lungo tempo soffocata tra le prepotenti illusioni 199 onde si amò da molti scrittori adornare il perverso disegno che si eran prefìsso, quello di solleticare le più malvage passioni popolari col mezzo del tea- tro. Ecco pertanto deviata 1' istituzione dal suo scopo: eccola spinta per tutt' altra strada da quella all' infuori che le fu da principio assegnata, d' istruire dilettand ) a farne migliori. Il governo di Sua Santità. vide il riprovevole scon- cio, ed avvisò al rimedio; e V. E. Rma, fattasi inter- prete della sovrana sapienza, in data dei 30 settem- bre inviò la circolare N. 75042 ai presidi delle province su questo importante oggetto. In essa, ricordato lo scopo del teatro e la necessità di richia- marvelo, invitava quei magistrali ad aprire un con- corso fra tutti ì letterati che del teatro stesso aveva- no fatto studio speciale, eccitandoli « a scrivere pro- « duzioni teatrali, per le quali venisse inculcata la « morale e reso evidente il trionfo della virtìi(l).)) E siccome non v' ha sprone più potente alla emu- lazione che il premio o la speranza di conseguirlo, così r E. V. Rma accertava, che quante volte si fossero presentati componimenti drammatici, che dal lato dell' arte e da quello della morale fossero commendevoli, ne sarebbe stato l'autore rimeritato con premio da decretarsi, consultato su ciò il giu- dizio di una commissione. Questa saggia disposizione fu al pubblico con- fermata coir oi'gano ufficiale del Giornale di Roma ai 5 di dicembre dello stesso anno 1853 (2); ed (1) V. Allegato N. 1. (2) V. Allegato N. 2. 200 umiliata alla Santità di Nostro Signore la proposta di una commissione, V E. V. Rnria con dispacci del 12 gennaio 1854 diramò le nomine al presidente ed ai singoli membri, che furono di sì benigna fidu- cia sommamente onorati. Nominati membri della commissione, oltre al sottoscritto presidente vescovo (V Eritrea, furono monsig- Slefano Rossi, i signori D. Giovanni de'' prin- cipi Chigi, cav. prof. Salvatore Betti, avv. Candido Tosi (3), ed il segretario qui appiè firmato Vincenzo Prinzivalli. In adempimento pertanto del nobile incarico affidato loro da V. E. Rma, fino dal 20 di gennaio del 1854 i membri della commissione deputata air esame dell' opere teatrali concorrenti al premio incominciarono le loro sessioni, le quali si rinnova- rono ogni volta che TE-V. Rma ebbe ad essi inviate le nuove produzioni teatrali, che successivamente vennero presentate. Cinquanta componimenti drammatici, compre- sevi tragedie, melodrammi, drammi, commedie e farse, sono state fin qui T oggetto degli studi della commissione, la quale adottò a tal fine un suo in- terno regolamento, a cui piacque all' E. V. Rma apporre autorevole sazione. I principali articoli del regolamento provvedevano alle basi, sulle quali la commissione avrebbe fondato il proprio opina- mento: e però stabiliva che ciascuna delle produ- zioni sarebbe stata esaminata circa la morale, la con- (3) L' avv. Tosi sventuratamente fu dopo poco tempo rapito da morte ai lavori del concorso. 201 dotta della favola, la verisimile imitazione dei ca- ratteri e dei costumi, la sentenza, lo stile e la lingua. Inoltre, previstasi la graduazione possibile nel merito di tutti i componimenti, si divise il concorso nelle tre categorie: 1. di quelli degni di premio; 2. di quelli meritevoli di una medaglia d'incoraggiamento; 3, di quelli plausibili con una considerazione di lode: la qual classe si suddivise in seguito, secondo un merito riconosciuto maggiore. Si lasciarono in una quarta categoria tutte quelle produzioni, che non contenessero elementi atti ad occupare nessuna delle tre categorie summentovate. Riconobbe inoltre per suoi canoni la commis- sione di non ammettere all' esame se non le opere inedite in qualunque tempo scritte; di accettarle dai soli sudditi dello stato pontificio; di discutere collegialmente i voti, già distesi dai singoli membri. A questi principii fu trovato necessario aggiungei'ne pure altri. Imperocché essendo piaciuto all' E. V. Rma d' interpellare la commissione, se fosse conve- niente ammettere al concorso le traduzioni teatrali dalle lingue estere, la commissione stessa si permise fare osservare a V. E. Rma, doversi il guasto princi- pale del nostro teatro ripetere appunto dalle tradu- nioni che lo hanno ammorbato; e la morale, prima qualità d' aversi a cuore ne' componimenti , non esser da attribuire a merito o colpa del traduttore. E però fu opinato di escluder siffatto genere di lavori drammatici dal concorso. Siccome poi avven- ne, durante 1' esame, che la commissione si credè in obbligo di avvertire alcuno degli autori del modo onde avrebbe potuto emendare da lievi difetti quelle 202 produzioni, ricche d'altronde di vari pregi, così fu determinato di riammettere al concorso quelle opere, i cui autori consentissero di sottostare alle accen- nate condizioni. L'È. V. Rma credette opportuno di sanzionare tutto ciò che la commissione avea proposto, facendo solo straordinariamente un' eccezione nell' articolo risguardante la patria degli scrittori, ammettendovi pure due drammaturghi toscani. E su questi fonda- menti coloro, che furono dalla E.V.Rma onorati della confidenza del giudizio, eseguirono colla maggiore diligenza possibile, con 1' impegno il più volente- roso, con la più scrupolosa analisi il proprio man- dato. La commissione poi brevemente le umilia un sunto de' suoi lavori, giunta com' è a poter presen- tare un tutto compiuto nelle singole parti: ciò che fino al presente non le era stato concesso. Per incominciare dalla classe più numerosa, a cui si è ridotto il concorso, due tragedie, un melo- dramma, otto drammi, tredici commedie, due farse non furono dalla commissione riputate degne di essere considerate. E a questo giudizio fu condot- ta la commissione da cause diverse. Imperocché quale mostrossi ignaro affatto delle più ovvie ra- gioni dell' arte comica: quale , bastevolmente in queste iniziato, non fu cauto qua e là nelle cose importantissime della morale: quale al poco inte- resse congiunse il difetto di una lingua sommamente scorretta. Sicché con rammarico la commissione pronunziò su qualcheduna di queste produzioni una severa censura, abbenchè a qualche prestigio di vivace dialogo unissero talvolta regolarità d' intrec- 203 ciò e svolgimento artistico non indegno al tutto di soggetto migliore. Alla terza classe appartengono tutti que' com- ponimenti, pe' quali la commissione rassegnò al- l' E, \. Rma 1' opinamento per mia considerazione di lode. — La tragedia lirica del sig. Francesco Ca- pozzi di Lugo, Teodorico, fu dalla cojnmissione ri- tenuta meritevole di una semplice considerazione, perciocché non avendo lati riprovevoli, ne possedeva uno di molto commendévole, quello dello stile e della lingua. — Un grado presso a poco uguale fu dalla commissione scorto nel melodramma, il Ca- stello delle 24 ore, del sig. Gabriele Fronduti d'Ar- cevia. Semplicità nella condotta e nello stile, morale sentenza specchiata sono i pregi di questo melo- dramma, nel quale nondimeno si desidera alcuna condizione piii artistica nei caratteri e nella sce- nica conoscenza. V è però degno di speciale ri- lievo lo aver tentato di porre in iscena uno splen- dilo sacrifizio della vita a testimonianza della re- ligione. Si apre la 2 serie di questa classe da altro dramma lirico presentato dal sig. Pio Severa, gover- natore di Veroli, intolato Wanda. In genere notò la commissione, non aver questo dramma le qualità richieste nel moderno stile, a musicare un' opera; ma siccome la condotta n' è ragionevole, verisi- mile la pittura dei caratteri, non mancando 1' A. di poetica fantasia, né osando ancora di pronun- ziare come canone contrario alla bontà di un dram- ma il suicidio, la commissione rassegnò a V. E. Rma, per riguardo alla Wanda, V opinamento di 204 una più speciale considerazione di lode. La quale, con onorevole dispaccio ministeriale, fu all' autore manifestata per mezzo d' Una medaglia d' argento di grande dimensione coli' epigrafe Benemerenti. La medesima considerazione , espressa nella stessa guisa, con dispaccio di V. E. Urna ottenne il sig. dott. Dario cav. Calisti romano, il quale aveva recato all' esame un suo dramma in cinque atti, col titolo Emma , ovvero Un esempio alle figlie. L'È. V. Rma fu così benevola, come sempre, verso la commissione, che nel partecipare al cav. Calisti questo attestato di onore, gli comunicò pure 1' opi- namento, concepito ne' termini seguenti: « La com- « missione, nell' esaminare gli scritti del cav. Ca- « listi, ha riputato meritevole di commendazione » Io zelo veramente sincero e continuato di pro- « muovere nel pubblico la buona morale; e perciò, « lasciando assolutamente di encomiare o di ap- « provare le teorie adoperate dal suddetto circa le « principali norme dell' arte comica, opina d' in- « coraggiare il suddetto cav. Calisti con una meda- « glia di argento pel solo primo titolo, non di- « sgiunto dall' altro di avere avuto in vista i sani « principii di una politica di buona e fedele sud- (( ditanza. » ( Così nel rapporto n. IL) L' E. V. Rma si degnò pure accordare una me- daglia di argento alla commedia in tre atti Né troppo ne poco del sig. conte Luigi Flamini di Roma, a cui dalla commissione fu attribuita una particolare considerazione, essendoché il buon fine propostosi dall' autore, la disinvoltura delle parti, i caratteri bastantemente sostenuti la costituiscano un prege- 205 vole lavoro, sebbene in sostanza non ci porga im- magini al tutto nuove. Al presidente della commissione fu partecipato dalla E. V. Rma, che all'articolo VI del regolamento, ove il concorso si limitava a'sudditi dello stato pon- tifìcio , avrebbe fatta un' eccezione in favore del sig. Tito Cesare Merli di Lucca, il quale n' aveva presentata perciò un' istanza, insieme con dodici sue produzioni teatrali. E la commissione, sollecita di prestarsi ai venerati ordini di V. E. Rma, pronun- ziò vari giudizi sulle commedie intitolate: Onore e miseria — Il buon diavolo — // matrimonio fra due uomini — La congiura degli ungheresi — Un barile di Tokai — Gaudeman de Bekingcìch — Ernesto di Brianza — Premio e pena — // perdono — U usciere ed il copista ~ Una notte di sangue — / due avvo- cati.— E sommati i diversi opinamenti, sceverando il buono dal suo opposto, si potè scorgere di quanto ingegno drammatico fosse fornito il sig. Merli, e come, rispettando scrupolosamente la buona mora- le, potesse giovare al teatro italiano. Il perchè av- visò la commissione, poterglisi appalesare dall' E. V. Revma un contrassegno di benevolenza ed in- coraggiamento. E r ottenne, essendoglisi da codesto ministero indirizzato un dispaccio con una medaglia di argento. Ma degli autori fin qui nominati un posto mag- giore ottenne il sig. Rigoberto Montautti di An- cona pel suo dramma in tre atti: Senza maschera. Il nobile fine di smascherare un astutissimo ingan- natore e punirlo al cospetto di quella società, in- nanzi a cui si era imposto il carattere di giusto, è 206 di per se stesso un pregio del lavoro. Aggiuntisi a ciò ricchezza di episodi, vivacità di dialogo, succes- sione di ragionevoli colpi di scena, non può che prodursi eflfetto sicuro all' animo dello spettatore. E questo è certo nell' opera del signoi- Montautti, malgrado di alcunché di troppo caricato nelle tinte e di troppo maraviglioso nello sviluppo: che unito ad una lingua alquanto negletta, ha fatto sì che la commissione siasi astenuta di concedere al giovane scrittore nella scala di merito un grado più alto, a cui avrebbe potuto per molte doti artistiche aspi- rare. L' E. V. Rma, considerato il parere suddetto, si compiacque inviare al sig. Montautti una meda- glia di argento accompagnata da onorifico dispaccio. Giovane di liete speranze per il teatro italiano è il sig. Lodovico Antonio Muratori romano. Due delle sue produzioni comiche, presentate all'È. V. Rma e rimesse al giudizio della commissione, otten- nero favorevole voto. Furon esse: Le memorie di una giovane donna^ commedia in tre atti: e La ve- dova e Io studente, commedia di un atto. La prima fu stimata giustamente goldoniana, secondo la bella scuola d' Italia; i caratteri ed i costumi sono ben dipinti; lo stile è buono, quanto alla morale non havvi cosa da doverglìsi rimproverare. Altrettanto è della seconda commediola, vivace e gaia abba- stanza per potere nel suo genere ottenere un grado considerevole. La commissione opinò unanimem^'J" te, che al sig. Muratori si concedesse una medaglia d'incoraggiamento. L' ingiusto esilio sofferto da Dante Alighieri e le discordie cittadinesche onde Firenze fu lacerata 207 nel secolo medesimo, che in essa appunto si fon- dava la lingua e la letteratura italiana, inspirarono al sig. Francesco Massi, prof, di eloquenza nella università romana, il generoso pensiero di porre sulla scena un periodo di quell' età, e compose la tragedia Coì^so Donati. Essa fu trovata un erudito lavoro; la sentenza e la morale esposte senza mac- chia; lo stile caldo, dignitoso, egregiamente poetico: la lingua trattata da buon maestro. E certamente per questa parte, pur tanto considerabile per la trascuratezza a cui si abbandonano gli scrittori tea- trali, la tragedia del prof. Massi è il miglior com- ponimento che siasi presentato al concorso. Affine adunque di promuovere ancor in ciò le migliorìe necessarie alla buona riforma, la commissione sup- plicò l'È. V. Rma a farsi che al prof. Massi si con- cedesse in premio una medaglia d'oro ad attestargli la più alta commendazione. Detto delle varie classi di opere teatrali su cui la commissione è stata chiamata a pronunciare il suo giudizio, resta a dire di ciò che essa con grande amore e diligenza ha cercato di poter conseguire: cioè proporre a V. E. Rma di concedere un premio assoluto con la medaglia d' oro. E ciò a chiudere questo primo periodo del concorso, sapientemente iniziato dalla Santità di Nostro Signore, e della E.V. Rma con tanto zelo posto in atto. Tre commedie furono porte all' esame della commissione, i titoli delle quali erano: // sistema di Giorgio, V anello della madre , Un viaggio per istruzione, composte dal signor avvocato Tommaso Gherardi Del Testa toscano, ancor egli ammesso 208 al concorso per benevola eccezione di V. E. Rma. La commissione considerò coscenziosamante le tre dette commedie, alcuna delle quali, già rappre- sentata sulle scene, aveva all' autore dato una illu- stre riputazione, come gliene avevano data altret- tanta Le scimie, Cogli uomini non si scherza, ed altre sempre applaudite. Sarebbe pertanto vano riassu- mere le lodi del Sistema di Giorgio, commedia d' in- treccio sì regolare nella condotta, sì sociale nei ca- ratteri, sì viva nel dialogo, sì efficace nella per- suasione, da doversi stimare una delle migliori del moderno teatro italiano. Un severo moralista po- trebbe ivi appuntare il miglioramento delle donne prodotto anzi da disinganno, che da principio vir- tuoso: ma chi considererà la morale siccome ogget- tiva, non potrà non esserne soddisfatto. Neil' altra commedia, L'anello della madre, bavvi chi scorge una riproduzione in moltissimo meglio della comm.edia francese Ce qiie (emme veut, veut: poiché sono fondate egualmente e questa e quella sull'agnizione di un soccorritore a una pericolante onestà. La italiana però è più seria d' assai e con- tiene il castigo morale de' perversi: cosa di cui manca la francese. La terza. Un viaggio per istruzione, ha un' in- gegnosa condotta, felicemente intrecciata nel pro- lungamento di equivoci e di nodi, a tener sospeso r uditore sino allo scioglimento. I caratteri, punto non esagerati, sono de' nostri tempi; la morale ha un trionfo compiuto; lo stile e la lingua, tutti gli accessori dell' arte, sono quali sa trattarli il Ghe- rardi Del Testa. 209 La commissione, considerate le tre commedie suddette come le migliori fra tutte le presentate; considerato inoltre il gran merito dovuto al sig. avv. Gherardi del Testa per essersi adoperato, as- sieme ad altri pochi egregi, con 1' ingegno e con r arte ad elevare il teatro italiano dalla umiliazione a cui i cattivi scrittori e gli amanti delle stram- berie romanzesche lo avevano condotto; conside- rato finalmente 1' unanime plauso, con cui per ogni città d' Italia furono accolte le sue commedie; ha opinato di concedere a questo esimio autore la me- daglia del premio assoluto. E parve miglior partito alla commissione di proporre a V.E.Rma di premiare l'autore, anziché 1' opera, e perchè quegli si con- forti del ricevuto onore, e perchè a queste rimanga sempre libero il campo di avere dalla stessa mano, che le formò, quegli ultimi tocchi, che possano ren- derle e dal lato della morale e da quello dell' arte sempre piiì perfette. Spera la commissione d' aver potuto compiere fin qui, come meglio era da essa, ma certo con alacrità e coscienza, l'onorevole incarico che le è stato commesso da V. E. Rma, riassumendo nel seguente modo i suoi giudizi rassegnati a cotesto ministero. Premio drammatico assoluto Sig. avv. Tommaso Gherardi Del Testa. Premio Sig. prof. Francesco Massi. G.A.T.CXLV. 14 210 Ai quali fu inviata una ima medacjUa d'oro^ espressamente coniata, coli' epigrafe: PRAEMIVM PRAESTANTIORIBVS AD . DRAMATA . CONCINNANDA STVDIO . CIVILIS . MORIS COMMENDATIONE VIRTVTIS Premio o medaglia d' incoragoimenlo Sig. Lodovico Antonio Muratori. Considerazione di lode con medaglie Sigg. Rigoberto Moiitautti, Tito Cesare Merli, conte Luigi Flamini , Dario jcav. Caiisti, Pio Severa. Considerazione di lode Sigg. Gebriele Fronduti, Francesco Gapozzi. Possano questi atti di magnanimità adoperati dalla Santità di Nostro Signore a prò del teatro italiano produrre felici risultamenti, e siano di spro- ne a lavori sempre piiì utili e degni di considera- zione! Si solleva così 1' arte nel vedersi onorata nei suoi cultori, e si dà occasione a nuovi lavori tanto bramati per contrapporli all' affluenza oltramontana. Quando però il concorso avrà assunto piìi splen- I 211 dide forme, e si potrà agli studi della commissione aggiungere 1' effetto pratico di una convenevole sce- na, sarà, come in ogni tempo è avvenuto, derivato da Roma il primo e nobile esempio di verace riforma. Gradisca 1' E. V. Rma la conferma di quel ri- spetto, con che il sottoscritto, a nome ancora della commissione cui ha 1' onore di presiedere, passa a dichiararsi, 20 novembre 1856, Umilissimo e Devotissimo Servitore GIO. BATT. ROSANI VESCOVO D'ERITREA, Pres. Vincenzo Prinzivalli, Segretario relatore. ALLEGATO N. 1. Circolare del ministero deW interno diretta ai presidi delle Provincie il di 30 settembre 1853. N. 75042. Se il vero fine di qualsiasi specie delle rap- presentazioni teatrali si è quello d' istruire e di dilettare, e vieppiù di ottenere il miglioramento morale e civile della società, come si devono usare tutti i modi onde conseguire tale importante scopo, così è obbligo preciso di porre un argine , e di troncare tutte quell' arti inique, che cospirano a ridurre i leciti e giovevoli divertimenti, e spettacoli teatrali, a scuole di ferocia e di libertinaggio, d' im- moralità e di miscredenza. 212 Perchè adunque di fatto il teatro serva ad ammaestramento , e nello stesso tempo ad onesta ricreazione, io debbo richiamarvi tutta 1' attenzione di V. S. lllma e Rma, la quale sarà per adottare a ciò le disposizioni che reputerà piiì opportune, sia per la circostanza dei tempi presenti, sia per 1' indole di cotesti suoi amministrati, andando di pieno ac- cordo colle autorità ecclesistiche per la giurisdi- zione che loro accordano le leggi, e chiamando a concorso eziandio (se lo crederà vantaggioso) le auto- rità municipali, per la parte che hanno nella dire- zione e soprintendenza de' pubblici spettacoli nel rispettivo comune. E siccome gioverebbe anche a raggiungere la meta desiderata 1' incoraggiare quegl' ingegni che sono ben disposti a tale genere di letteratura, e fanno sperare di loro ogni prospero successo, così dovrebbero eglino essere eccitati a scrivere produ- zioni teatrali, per le quali venisse inculcata la morale e reso evidente il trionfo della virtù. E tutte le volte che queste produzioni fossero commendevolì anche dal lato dell'arte drammatica, il governo non lascerebbe di rimeritarne 1' egregio autore con un premio : per cui se gli eccitamenti di V. S. lllma e Rma producessero il bramato ef- fetto , ella dovrebbe compiacersi e d'inviare a me le produzioni teatrali presentatele, o significare all'au- tore stesso che me le rimetta direttamente, giacché sarebbero sopra ciò consultate persone specchiate ed intelligenti. In questa intesa, ecc- Firmato — T. Mertel 213 ALLEGATO N. 2. ilicolo del giornale di Roma del 5 dicembr e 185. iV. 276. I teatri , che 1' utile associando al dilettevole , dovrebbero essere un continuo ammaestramento al bene, nell'atto che sollevano V animo, e colle loro rappresentazioni eccitare all'amore della virtù e al- l'abborrimento del vizio, a'dì nostri sembrano per Io più divenuti una scuola di immoralità, per il mal vezzo introdotto di continuamente presentare sulle scene italiane opere dove assai spesso trionfa il vi- zio e rimane oppressa la virtù, e non sempre viene rispettata, come si conviene, la morale e la pudi- cizia. La qual cosa nella sua sapienza considerando la Santità di Nostro Signore il regnante Pontefice, ordinava al suo ministro dell' interno monsignore Mertel, di spedire «a tutti i delegati delle provincie dello stato pontificio una circolare , con che trac- ciando lo scopo vero delle teatrali rappresentazioni, esortasse ad impedire che siano messe sulle scene azioni drammatiche, contrarie anche in modo il più remoto alla morale, al costume e al decoro. E siccome una cattiva scuola ha sventuratamente educato la più parte degli scrittori a seguire nelle loro opere una via falsa e perniciosa, il sommo pon- tefice, per richiamarela drammatica al suo vero scopo, ha ordinato che i delegati eccitino gli ingegni a col- tivare questo genere sì importante di letteratura, a scrivere opere teatrali sia in prosa, sia in verso, ed 2i4 a proporre premi, tutte volte che le produzioni fos- sero commendevoli e dal Iato drammatico, e dal Iato morale e sociale. Ond' è che monsignor Mertel, interprete dell'ora- colo di Sua Santità, incaricava i delegati ad inviare accompagnate da proprie osservazioni le opere che fossero loro presentate, o ad avvertire ^li autori di spedirle direttamente al ministero dellinterno, ove da persone idonee appositamente destinate verreb- bero esaminate. Nutriamo la maggior fiducia che tale sovrana di- sposizione conseguisca il pieno suo effetto, che sia di nobile eccitamento agli onesti ingegni, e serva a ricondurre al vero suo fine la drammatica, conside- lata come diletto e come ammaestramento. 215 Saggio di alcune poesie italiane del prof. Cesare Monlalti cesenate. iVvendo io in questo giornale al tomo CXLII par- lato con assai lode, e meritamente, a quanto parmi, del valore poetico del prof. Cesare MonlaUi; piacemi oggi convalidare con le prove di fatto il mio detto presentando senz'altro ai lettori un saggio, benché piccolo, di sue produzioni, non comportandone un più ricco ed abbondante la ragione stessa del gior- nale. Dissi senz'altro, perchè la buona poesia, come la buona pittura , non ha mestieri di noiosi addi- mostratori, che ti sciorinino ad ogni tratto, con bo- ria e seccaggine eterna di parole, ciascheduna sua bellezza , che gli intelligenti sentono e gustano di per se stessi. E poiché in latino delle di lui com- posizioni o versioni insieme raccolte veggonsi a stampa alcuni saggi, che l'Italia conosce; così volli qui soltanto recare in mezzo questi pochi versi nel dolcissimo nostro idioma, che per essere slati pub- blicati in fogli volanti possono quasi dirsi inediti , almeno per la maggior parte degli italiani. E mi gode l'animo in pensando che senza dubbio verranno accetti e graditi agli intelligenti , al cui senno e buon valere li desidero in ispecial modo raccoman- dati; onde a'giovani, che a'nostri dì corrono mise- ramente dietro ad una falsa e stia na maniera di fog- giare e vestire i loro concetti, li mettino invoglia ed in amore, predicandone le debite lodi, e facendo ad essi por mente che il suo autore fornito di un ec- 216 celiente ingegno, ma reso più esperto , vigoroso e fermo alla famosa palestra de'classici scrittori greci, latini e nostrali, meriterà quando che sia di essere avuto di loro immortai numero. GIUSEPPE BELLUCCI /• Per messa nuova. SOLETTO Sei tu quel Dio, che ad Israel l'asciutto Senlier per l'onde aperse al gran tragitto ? Che il diviso serrò vindice flutto Sui carri e l'armi e i cavalier d'Egitto ? Sei tu quel Dio, che in femminil conflitto Terse sul ciglio di Betulia il lutto ? Che a Giosuè sostenne il braccio invitto. Onde fu il nerbo d'Amalèc distrutto ? Ma dove il tuo, dov' è, fulmineo brando, Che gli empi atterra, i monti incende e sface Ministro al cenno del sovran comando ? Voce mortai, che a me mcdesmo impera. Qui mi tragge, ei risponde, ostia di pace, E pace avrà chi in me si affida e spera. II. Per laurea in legge. SONETTO 0 volte a ignobil segno itale genti, Poiché l'oprar codardo e il viver molle. 217 Mal'esca al tralignar del secol folle, Disviato dal vero hanno le menti, Vergognando mirate a qual s'attenti Voi sublime costui, che Temi estolle In parte, ove buon frutto alfìn si tolle Di austeri studi e d'onorati stenti. Io lui veggendo piij che gemme ed auro Preziosa fra pochi incliti spirti Ghirlanda al giovin crin cinger di lauro. Grido: E tu il vedi , Italia: e sol di mirti Neghittosa ti piaci ? a qual tesauro Di gloria il ciel ti serbi, io non so dirti ! ///. Per canlalrice cesenate. SONETTO Il Sospiro Aura gentil, che sul mattin ridente Dal grembo uscita della molle aurora Scherzi del rio sul margo, e dolcemente Baci lo stelo ai fior, cui l'onda irrora. Prendi, auretta, un sospir del foco ardente, Che Fille ne destò, caldo tuttora: E a quella il chiudi in sen rosa nascente. Che mezzo aperta si nasconde ancora. Quando a coglier verrà la bella il fiore, Soave sibilando allor tu dille: Pegno il sospir ti sia di patrio amore. Che al modular delle celesti, o Fille, Tue care note hai fatto ad ogni core Quel ch'io far soglio a mille fiori e mille. 218 IV- Sonetto pastorale. Questa che già su la materna spina Sboccia al caldo alitar del zeffiretto, Rosa ancor molle di notturna brina, Cura di ninfe e di pastor diletto, Questa, o gran diva, a te Filen destina . In umil pegno di devoto affetto. Pria che d'ogni altro fior non più reina Di sparse foglie in ostri il pian soggetto, Altri sull'ara tua piiì ricco svene Un'agnelletta prime corna, ed arda Con maschio incenso a te pingui vermene: Unica mia dovizia, un fior ti dono: Tu il dono accogli, e tu propizia guarda Ognor, gran diva, il donatore e il dono. V. Al dott. Turci cesellate. SONETTO Se a te regge maestra arte la mano Che di morbo crudel l'impeto atterra. Perchè sterile sol premio di vano Grido, perchè d'invidia avrai tu guerra ? Del ver già schivo il secolo profano Vedi che invecchia, peggiorando, ed erra, Onde a segno d'onor si aderge invano Chi più sublime in petto alma rinserra. Giorno, Turci, verrà, che il mal ch'io piango Ragione emendi, e volga età serena A virtù che si giace egra nel fango; 219 Mentre Tarche d'argentò e d'oro gravi Emunge il canto di venal sirena Agl'itali nepoti, onta degli avi. VI. Per celebre cantalrice. SONETTO Se il pie ti lego, o caro usignoletto, D' indiscreto fanciullo in man non sei; Invan dì me ti prende ira e dispetto, Non vuò tarparti i vanni agili e bei, Se il pie ti lego, già non l'hai sì stretto Che ti deggia doler de'nodi miei; Prigioniero gentile, io t' imprometto Che sciolto in breve d'ogni freno ir dei. Canore note modular non senti Adele ? Or or le andrai libero accanto. Onde seco alternar molti concenti. A che dunque agitarti, ed a che tanto Dibatter le bell'ali ? Ah tu paventi Il laccio no, ma il paragon del canto ! VII. A Venere. Inno di Omero volgarizzato. Venere, santa diva. Dal crine profumato D'ambra, vogl'io cantar. Che della cipria riva Dai sen del patrio mar Governa il fato. 220 Scotea le calde piume Per l'acque aura feconda, E il mare inturgidì, E sulle molli spume La pargoletta uscì Di mezzo all'onde. Lei raccogliendo intanto L'Ore cortesi e pronte, 11 corpo alabastrin Velar d'azzurro ammanto, E di serto divin L'eterna fronte. Poi di finissim'oro Sull'orecchio gentile Ponean raggio seren; E d'immoital lavoro Al aiveo collo e al sen Cingean monile: Quel bel monile stesso, Che allora ornar le suole. Quando movono il pie Nell'immortal consesso, E innanzi al sommo re Tesson carole. Bella così di vesti L'addussero alle case Dell'alto genitor; E il coro de'celesti D'insolito stupor Muto rimase. Ciascun l'almo sembiante. Che meraviglia elice. 221 Devoto salutò, Ciascun le membra sante Di toccar desiò Sposo felice. Salve dagli occhi neri , Dal dir che scende all'alma, Olimpica beltà ! Fra i vati più sinceri Se dato a me sarà Coglier la palma, Te fra i più cari oggetti Dolcissimo mi fia, Amabil dea, membrar: Te ognor con inni eletti Codia di celebrar La musa mia. 222 Descrizione di pezzi patologici ed anatomici preparati e collocati nel museo del ven. ed apostolico arcispe- dale di Santo Spirito in Sassia dal dottore Eugenio Rinaldi Bucci. JU insigne Bartolomeo Eustachio, stato lettore di medicina nell'archiginnasio romano della sapienza , fu quegli che introdusse negli spedali le pubbliche dimostrazioni di anatomia, le quali servirono nel na- scer loro come di lume ai cultori dell'arte salutare per rinvenire la via, onde giungere al discoprimento della fabbrica maravigliosa del corpo umano (1). L' anatomia invero per essere una cognizione utile vuol ricavarsi dal fatto. Questo studio, essendo la scienza della oiganizzazione e composizione del- l'uomo, su cui cadono le interne ed esterne malattie, è stata sempre la principale occupazione degli stu- diosi di quelle due scienze coeve all' uomo , della medicina , volea dire , e della chirurgia in tutto il tempo di loro dimora negli spedali. L'accostarsi al cadavere, familiarizzarsi con lui, osservare i fenomeni tutti dell' uomo con minuto esame, e confrontarli senza risparmio di fatica con la struttura de'suoi organi, fa sì che sì divenga pe- rito conoscitore deiruomo tisico sano, dei mali che (I) Pelrioli, fiiftcssioni anatomiche eoe. nella lettera dedicatoria all'emineiilissimo Pier Luigi Carafa. 223 lo assalgono (1), de' loro rimedi, e perfettamente addestrato nell'operazione della mano. Nel ven. ed apostolico arcispedale di Santo Spi- rito in Sassia , che ha sempre ahhondato di eccel- lenti anatomisti, hanno tuttora luogo le anatomiche dimostrazioni sul cadavere, le quali fino a pochi anni addietro servivano di grande emulazione ai nume- rosi studenti di medicina e di chirurgia che vi di- moravano in servizio degli infermi , e per la loro pratica istruzione. Essendo io stato ben fortunato di percorrere nello spazio di soli cinque anni la mia carriera pratica di chirurgia in questo pio stabilimento, allorché era in vigore il non mai abbastanza commendevole ordi- namento interno (2), da semplice giovane studente tìno all'esercizio dell'onorevole carica di chirurgo so- stituto, ed avendovi avuto a. pubblico e privato mae- stro il mio zio prof- cav. Francesco Bucci di eh. me. massime nell'anatomia, la quale fin da' suoi più verdi anni formò sempre la principale e prediletta sua occupazione, si aprì vasto il campo di eserci- (1) Dalla sezione p e. frequente dei cadaveri, di cui per orrore poco usavano gli antichi, si conobl^e che molle morti improvvise erano cagionate da interni aneurismi o da varici. « Enim vero , w cosi il Lancisi i?e subitaneis mortibus , postquam frequenliora » reddita sunt humanorum corporum exlispioia , qiiibus antiqui ^ » prae horrore, parcius utebanlur, nobis elare innoluit, muitos, » qui exlempore moriuntur, internis aneurysmatibus, aut varicibus » laborasse. « Lib. 1. cap. XIX. pag. 77. Romae lypi.s Jo: Hranci- sci Buagni MDCCVIl. (2) Regole da osservarsi nel sacro ed apostolico archiospedale di Santo Spirito in Sassia- Roaia RIDCCLI. appresso Niccolò e Marco Pagliarini. 224 tarmi nelle giornaliere sezioni dei cadaveri, e neil'in- dagare le cagioni de' morbi e nel preparare i pezzi della fabbrica dell'uomo per le lezioni di anatomia teorico-pratica, e per le pubbliche dissertazioni ana- tomico fisiologico-chirurgiche, che in ogni anno nel tempo di quaresima leggevansi dai giovani studenti di Santo Spirito nel teatro anatomico. Queste sezioni furono quelle che mi diedero luogo a preparare alcuni pezzi patologici ed anatomici che ho collocati nel maestoso museo del sullodato VQn. ed apostolico arcispedale, quali ora rendo di pub- blico diritto, convinto come sono che lo studio del- l'anatomia patologica è della massima importanza per chi professa l'arte salutare. Ed invero per mezzo dell'anatomia patologica si rettificano le idee acqui- state al letto degli infermi tanto nelle sale cliniche di medicina interna che esterna. Al criterio però e alla mano degli esercenti la esterna medicina sono dovute le migliori osserva- zioni e dell'anatomia patologica, e della fisiologia an- cora. A provar ciò si percorrano i diversi musei che esistono presso nazioni civilizzate , e si vedranno pezzi patologici testimoni delle immense ricerche e fjitiche dei chirurgi. Quindi bene a ragione i buoni e dotti medici non solo riguardano il chirurgo come un loro vero compagno, perchè educati alla mede- sima fonte, ed eguale in tutto a loro, che anzi so- stengono doversi riconoscere nel chirurgo una terza parte dello scibile medico, vale a dire una mano ope- ratrice, come diceva Celso : terliam esse medicinae parlem, qiiae marni curai (1). Il chirurgo in una pa- li) Lib. VII. in princip. * 225 rola impugna 1' anatomico coltello , cercando nelle fredde spoglie de'nostri simili non solamente l'intima oi'ganizzazione , ma le cause altresì che hanno di- strutta questa nostra frale esistenza. Brevi cenni intorno alV aneurisma. Nel presentare ai cultori dell'arte salutare le no- tizie di alcuni pezzi patologici risguardanti diversi aneurismi, mi lusingo non sia per essere disgrade- vole che io mi faccia a premettere pochi cenni in- torno all'aneurisma. L'aneurisma, aneurisma, «vsypuafza: («va , assai , £upu? largo) è un tumore formato dal sangue arte- rioso in seguito alla dilatazione, alla rottura, o alla divisione dell'arteria, o del cuore. Secondo questa definizione l'aneurisma è di due generi, il primo de' quali dicesi vero; spurio o falso il secondo. Alcuni però dei moderni autori , fra' quali il dottore G. Hunter, vollero aggiungere un' altra forma di aneurismi, che denominarono aneu- risma interno misto. Questo dicono accadere quando, essendo offesa la tonica esterna di un' arteria per ingiuria meccanica , o per malattia , la tonica in- terna esce dalla tonica esterna a formare un tu- more rigonfio di sangue. Questa specie però di a- neurisma non fu ammessa universalmente. Riconoscono gli aneurismi la loro origine tanto da interne che da esterne cagioni. Le interne dipen- dono da una depravata qualità di umori predomi- nanti nella massa del sangue , come lo scorbuto , l'umore scrofoloso e venereo. Fra le cagioni esterne G.A.T.CXLV. 15 226 poi si considerano le percosse, che producono con- tusione nelle arterie, le ferite, le lacerazioni in oc- casione di fratture, e qualsivoglia altro violento e continuato moto tanto accidentale, quanto per ob- bligo di professione. Il dottissimo Lancisi, archiatro pontificio, fu il primo a somministrare la vera e chiara idea degli aneurismi interni in particolare, ed il celebre Guat- tani quella degli esterni. 11 primo colf aver fatta di pubblico diritto l'opera — De molu cordis , et aneurysmatibus. Il secondo coll'opera — De exler- nis aneurysmatibus. L'esimio ed erudito professore Giuseppe Flaiaiii fu quegli che consolidò le dottrine esposte dal suo precettore Guattani. Egli è fuori d'ogni dubbio che , avanti la sco- perta della circolazione del sangue, non si potè aver nessuna idea esatta delle malattie che ora vengono sotto il nome di aneurisma. La prima cognizione di questa malattia da alcuni autori viene attribuita ad Ippocrate (1): il che negasi da non pochi scrittori di chirurgia, fra' quali contasi il Dujardin (2). L' isterico Peyriihe (3) prova con Aezio, che prima di ogni altro siffatta malattia fosse conosciuta e de- scritta da Rufo da Efeso. Galeno opinò che tutti i tumori aneurismatici fossero prodotti o da anastomosi, o da rottura. (1) De Vigiliis Bibliotheca chirurgie, tom. 1 — Testa oe ex- tcrnis aneurysmatibus. Epist. VII. (2) Histoire de la chirurgie tom. 1" (3) Histoire de la chirurgie lom. II. 227 Vesalio , il pritno ad applicare alla investiga- zione delle malattie, descrisse un aneurisma origi- nato da rottura dell'aorta dilatata (1). Nuck poi fu quegli, che diede notizie pili par- ticolari della combinazione della dilatazione dell'ar- teria colla sua rottura (2). Fernelio per il primio disse esser sempre l'aneu- risma una dilatazione di arteria (3). Molti adotta- rono questa opinione , fra i quali è da annoverarsi il Forresto e il Diemerbroek. Colle osservazioni però del Lancisi, Friend, Guattani e Morgagni rilevossi , come dimostrò Hodgson (4), che l'aneurisma poteva esser prodotto tanto dalla rottura, quanto dalla di- latazione delle toniche di un'arteria , come ancora dalla combinazione d'ambedue queste circostanze , essendo la rottura preceduta dalla dilatazione. L'ammettere l'aneurisma per dilatazione, e l'a- neurisma per rottura delle toniche di un' arteria in- sieme alla combinazione frequente d'ambedue que- ste circostanze, fu la dottrina comunemente inse- gnata nelle scuole tutte di chirurgia. Lo Scarpa (5) fu il primo a richiamare in quistione 1' esattezza della opinione comune intorno alla dilatazione delle toniche arteriose. Le accurate disamine però isti- tuite sul primo proposito dal Morgagni, e da altri eminenti scrittori, possono riguardarsi come supe- riori ad ogni eccezione. (1) Bonetus sepulchret. anatomie, lib. 4. sect. 2. pag. 288 eri. Genevae M. DCCC (2) Oper. chirurq. Lugtl. 10)92. (3) Univ. Medie, de externa carpar, affect. lih. 7.cap. 3. (4) On ihe Diseases ol" art. etc 8". Loiid. 1815. (5) Tract. de aneury smali bus. 228 I. Aneurisma deWarleria innominala con ipertrofia del cuore, con dilatamento dell'arco dell'aorta , e con carie completa della prima costa vera corrispon- dente, e della clavicola dello stesso lato. Stanza II. Credenza VII. Pasquale Silvani, maccheronaio, di anni 62, il di 20 settembre 1851 ebbe ricovero nell'arcispedale di Santo Spirito per esservi curato di una palpitazione che accusava al cuore. Collocato nel quartiere di- retto dal medico primario oh. sig. dottore Pietro Galli, questi dopo le più accurate indagini fatte sul- l'infermo , rinvenne a destra e parte superiore del petto un voluminoso tumore, il quale, dall'assieme dei sintomi che presentava, giudicò per aneurisma. Ap- prestogli immantinente tutti que' soccorsi che l'arte medica suole suggerire per debellare codesta malat- tia, ma riuscirono del tutto frustranei, ed il paziente cessò di vivere il giorno 22 del suindicato mese. Invitato io dal sullodato sig. dottor Galli a fare la preparazione della parte, in cui avea sede il tu- more aneurismatico, di buon grado vi acconsentii. Difatti dopo averne eseguita la iniezione, allorché mi feci a dissecare le parti per rintracciare l'origine del morbo, trovai essere l'aneurisma a carico dell'arte- ria innominata, appena dessa parte dall'arco dell'aorta accompagnala da ipertrofia del cuore, da dilatamento dell'arco deli'aorla, e da carie completa della prima 229 costa vera corrispondente, non che della clavicola dello stesso lato. II. Aneurisma delVarco dell'aorta con carie completa della parte media dello sterno. Stanza H. Credenza VII. Un sonatore di tromba fu accolto nell'arcispe- dale di Santo Spirito per esser curato di un grande tumore esistente nel mezzo dello sterno. Il medico primario , alla cui cura venne il paziente affidato , nell esaminarlo si avvide che era pulsatile, e conse- guentemente fu di avviso, che quel tumore fosse un aneurisma. Mise perciò in pratica il più acconcio me- todo curativo per vincere la pronosticata malattia. Ma a nulla valsero gli apprestati soccorsi: imperocché, dopo alcuni giorni di cura, il malato passò all'altra vita. Fattane l'anatomica preparazione, rinvennesi che J aneurisma era a carico dell'arco dell'aorta con ca- ne completa della parte media dello sterno. III. Aneurisma deWarco deWaorta con dilatamento con- siderevole delVarteria carotide sinistra, associata a carte nel lato destro della 2'" 3^'^ e 4'% vertebra, e delle teste articolari delle rispettive coste. Stanza II. Cred«nza V. Avendo io eseguita l'iniezione arteriosa su di un individuo morto in uno dei quartieri medici del- 230 r arcispedale di Santo Spirito, a fine di preparare per la scuola di anatomia teorico-pratica le dira- mazioni che partono dall'arco dell'aorta, e le loro propagini, mi venne fatto nell'aprire la cavità del torace, e nel rimuovere i polmoni, di rinvenire a destra, e a ridosso della colonna vertebrale, un tu- more che credutolo un estravaso della iniezione, lo amportai per intero , e così mi avvidi della carie di alcune delle vertebre, non che delle teste arti- colate delle rispettive coste. Fattomi quindi a dis- secare con tutta diligenza i vasi che partono dal cuore, osservai l'arco dell'aorta enormemente dila- tato: il che mi die a conoscere l'esistenza dell'aneu- sisma a carico di detta arteria colle accennate carie. Portata più oltre la sezione, e discoperte le ar- terie fino alla testa, rinvenni puranco dilatata l'ar- teria carotide sinistra. Sebbene mi sia ignota la malattia che condusse alla tomba l'individuo in discorso, può nondimeno ritenersi dalla descritta sezione cadaverica essere stato vittima senza dubbio dell' affezione morbosa rinvenuta coll'anatomico coltello nel di lui cadavere. IV. Rene destro di ordinaria grandezza, da cui partono due ureteri con con due distinte pelvi. Stanza li. Credenza V. Sebbene dai cultori dell' arte salutare parecchi casi si contino , nei quali hanno riconosciuto uno • 231 dei reni più piccolo, pur tuttavia non molti di nu- mero se ne riferiscono di que', nei quali veruna trac- cia abbiano riscontrato di uno di questi organi (1). Un caso di simil fatta venne presentato da un in- dividuo morto nell'arcispedale di Santo Spirito. Man- cava in questo il rene sinistro, di cui non eravi ve- stigio di sorta. Il destro rene peraltro, come vedesi nel pezzo preparato e collocato nel museo del men- zionato arcispedale , presentava la sua ordinaria grandezza. Nel mezzo delia sua faccia posteriore però scorgesi una incavatura trasversale, la quale dà a conoscere , che il menzionato reno destro possa esser foi'mata dalla riunione di due reni. Difatti tanto nella parte superiore che inferiore del rene , non solo veggonsi partire distinte pelvi, ma ammiransi altresì vasi e arteriosi e venosi, come avviene or- dinariamente, guardando i reni nella loro rispettiva situazione. Dalle pelvi poi hanno origine due ure- terijche vanno ad aprirsi ai lati della vescica (2). (1) Klein riferisce di un caso , in cui dice aver osservalo la mancanza completa dei due reni.- Andrai, Compendio di anatomia patologica pag. 484. - Livorno presso la libreria Gamba tipogralia Volpi 1839 — Versione del dottor C.migiani. (2) Il prof. cav. Francesco Bucci di eh. me. dà conto di uu rene, il sinistro, che vedesi nel suddetto museo di Santo Spirito (Stanza IV. Credenza XI. N. 312), ancor essodi naturale grandezza, il quale offre due pelvi renali coi rispettivi ureteri, i quali poscia riunisconsi fra, di loro. — Notizie di pezzi patologici pag. 15 — Roma tipografia Boulzaler 1835. Del tutto nuovo pi-rò sembra il caso che il prelodato prof. Bucci ci presenta nel pezzo patologico (stanza IV. Credenza I.N.302) in cui veggonsi dai reni prolungare doppie pelvi con doppi ure- teri aventi le corrispondenti aperture alla base del trigono ve- scicalc. Op. cit. pag. 15. 232 )ta mi è la caus dividilo. Ignota mi è la causa che menò alla tomba 1' in- Cuore di straordinaria grandezza. Stanza HI. Credenza VI. Il dover io preparare nell' anno 1849 le parti sessuali della donna per essere dimostrate dal prof, cav. Francesco Bucci nella scuola di anatomia teo- rico-pratica nell'arcispedale di Santo Spirito, mi die occasione di rinvenire questo cuore di non comune grandezza. Il cadavere della donna, a cui desso ap- parteneva, veniva trasportato dall'ospedale di s. Gio- vanni presso il Laterano a quello di Santo Spirito, per r indicato oggetto. Non mi fu possibile di risapere, come avrei pur desiderato, la malattia a cui la donna soggiacque. VI. Preparazione anatomica. Stanza IV. Credenza V. In questa preparazione anatomica vedesi la co- lonna vertebrale, porzione delfe coste ohe con essa si articolano, parte dell'osso occipitale, e delle os- sa della pelvi. Vi si osserva altresì il sistema ner- voso tanto della vita organica che animale , ed il sistema arterioso fino alla metà tanto delle estre- mità superiori, che inferiori. 233 VII. Alira preparazione anatomica. Stanza I. Denominata TEATRO ANATOMICO. Questa preparazione anatomica , detta volgar- mente mascherino dalla sua forma, fa vedere il si- stema arterioso e venoso, che con Je sue vaghe di- ramazioni circondano la testa sì nella sua faccia esterna, che interna, non che il collo, la clavicola, parte delle coste, e delle estremità superiori. 234 Elocjio deir eminentissimo e reverendissimo principe signor cardinale Giovanni Soglia Ceroni vescovo di Osimo e Cingoli , letto nel terzo giorno delle so-^ lenni sue esequie 14 agosto 1856, nella chiesa cal- terale di Osimo, da Giuseppe Ignazio Montanari. Perirdnsit benefaeiendo. Ad. Ap. e. 10. V. 38. XJhe debbo dirvi o di che parlarvi ? Tempo è que- sto di pianto non di parole, di affanno non di ra- gionamenti, di preghiera non di consigli. Il nostro buon padre ci ha abbandonati , il benefattore si è da noi dipartito, l'angelo di questa chiesa ha spie- gato il volo al cielo, e ci ha lasciati in desolazione. Siamo figliuoli orfani , greggia diserta di pastore , viatori senza guida, naviganti senza lume di stella. Oimè ! oimè ! lo squallore di questo tempio, le me^ lodie di questi canti, il popolo in atto di lagrimevole, i sacerdoti in gramaglia, mi turbano la mente e mi feriscono il cuore. L'aspetto di questa fredda e ve-^ nerabile salma mi arresta la parola sul labbro , e mi costringe ai sospiri e alle lagrime. Che posso dirvi ? come consolarvi ? quale argomento recare a conforto del mio e del vostro cordoglio ? E voi vi aspettate un elogio da me, da me che ho l'anima sino al fondo trafitta , e la mente combattuta da una tempesta di dolorosi pensieri ? Io non potrò al- tro darvi, che in disadorne ed interrotte parole po- chi cenni della virtuosa ed intemerata sua vita, non 235 potrò che toccare di alcune sue opere , nelle quali veggiate in iscoicio quelle sue sovrane bontà , che tanto bene a noi fruttarono: conciossiachè tutte ad una colorirle e lodarle vada sopra il potere di ogni eloquenza. Ed io in vero tante virtù, tante bontà, quante in un sol punto peidemmo, non saprei né potrei annoverare se avessi tranquillo il cuore, se- rena la niente: mostrare poi la grandezza del danno comune, rimasi privati di tanto bene , non saprei né vorrei, per non accrescere dolore al dolore, tor- mento al tormento. Questo fia il solo conforto, que- sta l'unica consolazione che io mi studierò di por- gervi: ogni altra non è da me: tanto più che ogni copia di dire, ogni color di favella, ogni altezza d' ingegno mancherebbe ove si togliesse a ragionarne per disteso. Faremo adunque come coloro che divisi per lungo tratto di mondo dalle peisone, le quali più amano, non potendo più in esse gli occhi desiosi sbramare, fan inganno a se stessi affissando qualche immagine dipinta che ne richiama l'aria del volto, o la dolcezza degli sguardi; e mentre ogni parte ne ricer- cano , raffigurando le conte fattezze se ne conten- tano, e quasi con esse benché lontane ragionando , le hanno come presenti in ispirito , ed il cuore e se stessi con dolcissima frode racquetano. Ben co- nosco che pure in ciò mi verrà meno la lena, e non basterò ad adeguare il vostro desiderio e il mio concetto: ma o sia che il mio dire raggiunga la meta a cui tendo, o di molto indietro si rimanga, come dee per forza avvenire a chi voglia con debole prora percorrere un pelago immensurato , pure non sarà senza effetto di bene: e se non altro si parrà a voi 236 più chiaro il mio buon volere , e a quella grande anima l'affettuosa mia divozione. Laonde io mi ab- bandonerò all' impeto dell'affetto, e cercherò di re- carvi fedelmente sotto gli occhi alcuna cosa della vita di questo angelico spirito, che ahi ! troppo per breve ora a noi fu concesso, affinchè provassimo gli effetti della sua paterna beneficenza. Che in vero il cardinale Giovanni Soglia Ceroni, il quale soli di- ciassette anni e quattro mesi fu nostro vescovo, visse soltanto per beneficare, e tanti sono i giorni del suo mortale pellegrinaggio, quanti i beneficii che a noi e a tutti ebbe compartito: cotalchè si possano con ragione a lui applicare le parole che si leggono negli Atti degli apostoli — Passò beneficando — Per- transil bene f adendo. Mi aiuti la vostra pietà, o si- gnori, e al basso mio ingegno soccorra : e se av- venga che alcuna cosa qui degnamente non si re- gistri, non me lo rechi a colpa, ma al mio dolore compatisca. E tu, anima benedetta del nostro ca- rissimo e venerando pastore, riguarda dal cielo que- sta tua greggia, cui tanto amasti, e a me perdona se in mezzo a tanta commozione mi perdo , e se del molto che dovrei dire in tua lode appena al- cuna parte saprò leggermente accennare. La vita umana, o signori , non è altro che un pellegrinaggio breve e faticoso dall' esilio alla pa- tria, dalla terra al cielo , nel quale Iddio pone i mortali acciocché fra i travagli e le malagevolezze attraversando questo suolo seminato di spine e di triboli, abbiano di che acquistarsi merito ad entra- re, quando vi siano chiamati, nella celeste Gerusa- lemme, dov' è solo il fine agli affanni, e quella vita 237 verace che non conosce tramonto. E coloro che reputano potersi in godimenti e in gioie, in mol- lezze ed in pompe, trapassare questa valle tenebrosa ed oscura, sono d'assai male avvisati e perduti, per- chè fanno dell'esilio patria, della vanità ricchezza, della viltà gloria , e il celeste redaggio tramutano in false e caduche dilettanze. Ma quelli che aspi- rano al vero bene, e intendono che noi nel mondo non siamo se non peregrini, si lastricano per mezzo al deserto la strada alla terra di promissione con opere virtuose, e facendo bene agli altri, a se stessi durevole fama e corona immortale procacciano. Così fece Giovanni Soglia Ceroni (1), il quale fin dai primi anni della sua giovinezza diede a vedere quale sa- rebbe divenuto in appresso. Nato di antica prosa- pia assai famosa nelle storie (2), avevalo dotato la provvidenza di beli' ingegno, di tenero cuore, di care sembianze, e postogli sulle labbra un sorriso , che a chi lo riguardava pareva dicesse: Io sono naia a ben fare. Giovane piìi avvenevole, più ingegnoso, e più ben composto di persona e di animo forse a' suoi tempi non v'ebbe. Educato in Casola Valsenio sua patria, castello della Romagna nella diocesi d'Imola, sotto la disciplina di savi e religiosi parenti, ammae- strato da buoni precettori, essendo ancora garzone, prendeva gli animi di tutti colle sue rare bontà, ed era posto ad esempio degli altri. Obbediente, do- cile, cordialissimo, rispettava i da più , amava gli uguali , studiavasi di giovare gl'inferiori. Devoto a Dio e in lui timorato , amante dello studio , non era perciò meno gioviale e compagnevole. Compita la prima carriera delle lettere latine con molta sua 238 lode, fu chiamnto in Imola da Giacomo Braga sa- cerdote assai degno e suo zio mateino, il quale stava a'servigi dell'eminentissimo vescovo Gregorio Barna- ba Chiaramonti in otììcio di segretario : e in quel seminario potò con agio e proHlto grande appren- dere la rettorica. Di là fu posto in Bologna ad im- parare filosofia, dove sopra molti si segnalò. In que- sto mezzo, passato di vita il magnanimo pontefice Pio VI, Iddio chiamò a succedergli sulla cattedra di Pietro il cardinale Chiaramonti , il quale doveva mostrare al mondo quanto prevalga la divina alla umana potenza, e come verso quella sieno polvere ed ombra gli eserciti de'conquistatori, i regni e gli imperi della terra. Non si tosto di Venezia, ove si tenne il concla- ve, fu giunto a Roma Pio VII, mosignor Braga ebbe a sé il nipote, e fattolo prima studiare in divinità, perchè il giovane aveva dichiarato volersi rendere uomo di chiesa, poi nell'una legge e nell'altra , lo mise nelle grazie del pontefice, che gli diede di en- trare a corte , e dell' opera sua cominciò a valersi con molta soddisfazione. Ma in quella che il gio- vane studiavasi corrispondere alle cure paterne di luì, e porgersi degno ogni dì piiì della sua stima e del suo affetto, ecco di nuovo in fiamme di guerra r Italia e 1' Europa ; armi straniere occupare i dominii della santa Sede ; e Pio VII , fermo a mantenerne inviolati i diritti, essere violentemente strappato dal Vaticano, e condotto prigioniero sotto strette guardie oltre I' alpi (3). Dio immortale ! A quale dura prova fu posta la religione e il vicario di Cristo ! quale strazio fu fatto della chiesa nel suo 239 supremo gerarca assalito nella sua reggia, imprigio- nai to, strascinato in lontano esilio ! La grande ani- ma di Pio si rassegnò ai voleri del cielo, ne adorò i disegni , ne aspettò il soccorso , e prigioniero si lasciò condurre in Savona, ove alcun tempo rimase. Ma chi gli sarà compagno negli affanni e nelle ama- rezze della prigionia ? Chi avrà a' suoi servigi di sì splendida corte ? Quale a lui sarà concesso o servo od aiutatore ? Dirò vero; molti spasimavano di se- guirlo , reputavansi a gloria dividere con lui peri- eoli e carcere: a pochi fu concesso, e fra questi (4) a D. Giovanni Soglia, caro sopra molti al pontefice, perchè con affetto e fedeltà grande il serviva , e della mano di lui sovente valevasi a scrivere lettere, dispense, istruzioni e cose somiglianti. Le quali scrit- ture venute a mano de' suoi avversari, fecero mon- tare in isdegno V imperatore dei francesi, il quale ordinò si scrutassero diligentemente i fogli de'ser- vitori del papa: e fu fatto. Onde nacque che il So- glia dopo diciotto mesi fu diviso dal pontefice , e condotto prigioniero a Fenestrelle (5). Di che gli dolse all'anima, non pei patimenti che si vedeva innanzi, i quali tutti con forte animo sfidava, ma perchè non poteva più giovare di aiuto, consolare, e della per- sona sovvenire al suo glorioso e sventurato signore. Quante volte nella tacita solitudine del suo carcere ebbe lagrimosi gli occhi, e gli vennero alle labbra dolorosi sospiri pensando in che abbandono lo aveva lasciato, e in che scaduta salute ! Quante volte le- vava al cielo le mani e la voce, implorando sopra di lui e sulla chiesa deserta le divine misericordie ! Nulla di se pensoso, e sicuro sotto l'usbergo della 240 buona coscienza, sì stava tranquillo nel suo carcere, e tutte le ore del giorno e molte della notte spen- deva orando e studiando. In quel tempo dettò in elegante latino la Concordia evangelica colle parole medesime de'quattro santi evangelisti, opera che so- vente anche negli anni appresso si recava a mano, ma non pubblicò, e lasciò ne' manoscritti (6). An- cora scriveva orazioni di vote , pii propositi e sa- pienti massime, allora a sua consolazione e per con- fortare l'animo in mezzo alle tribolazioni, ora rima- ste a testimonio della sua pietà e della sua cristiana sapienza. Dopo un lungo avvicendare di sofferenze, di processi e di vessazioni, finalmente la fatale porta di Fenestrelle gli fu aperta , e comandatogli tor- narsene a casa. Stesse cento leghe lontano da Sa- vona, partisse tosto, e badasse a non guardare indie- tro. Questa sentenza gli seppe più amara che la stessa prigionìa: non però di meno piegò il capo; pieno di sconforto si ritornò al luogo nativo, e get- tatosi tutto in Dio, da lui aspettò quella vittoria che senno umano non avrebbe potuto a que'dì nemmeno immaginare. Visse tranquillo e obbediente alle leggi del novello stato, non s'immischiò in fa- zioni, non cospirò; umiliato sotto la potente mano di Dio , in ogni atto, in ogni parola die segno di quella mansuetudine, che buon cristiano dee ritrarre dagli esempi del divino Maestro. Molto di tempo dava al suo ministero di sacerdote, molto orava, e con molta divozione: occupavasi ne'suoi cari studi, e in essi facevasi scorta ad alcun ecclesiastico che a lui si fosse rivolto per imparare. Nel resto sem- pre sereno, sempre piacevole, sovente in compagnia 241 di specchiati amici conduceva la vita per forma da i'iuscire caro e pregiato agli occhi di quegli stessi, che scrupolosamente ne spiavano i passi e le parole, e in ogni tempo invegliavanlo. Ma Iddio alfine nella sua misericordia aveva udito i gemiti della sposa di Cristo: e veduto che la pro- cella combatteva il mare, e minacciava soverchiare la navicella di Pietro, se ne commosse, e comandò di tratto ai venti ed al mar di posare , cotalchè alle furie della tempesta seguì la bonaccia e la cal- ma. Pio VII, uscito vittorioso alla prova di tanta persecuzione , sulle braccia di tutta l' Europa con inaudito trionfo veniva ricondotto in mezzo ai fe- stanti suoi popoli all' antica sua sede, e colle dol- cezze del presente, e le speranze dell'avvenire, ri- compensava le amarezze e i travagli affannosi del passato. Giunta appena la lieta novella a don Gio- vanni, si prostrò con tutta l'effusione dell'anima a ringraziare Iddio della singoiar grazia fatta alla chiesa e al suo vicario: poi senza mettere tempo in mezzo od indugio frapporre , corse difilato ad incontrarlo oltre i confini del modenese, e gettossegli ai piedi: e quanti fossero gli affettuosi baci che vi stampò , quante le lagrime di consolazione con cui li bagnava, non è da me poter dire. Lo accolse amorevolmente il padre de'credcnti, l'abbracciò stringendolo al seno, e più che al seno al cuore , e allora credo io gli parve pieno e solenne il suo trionfo. Oh ! come a lui dovette esser caro vedersi accanto nel suo ri- torno quegli stessi che avevanlo seguito fedelinente negli amari passi dell'esilio , e nella cattività ! Oh come ad essi dovè riuscire soave poter dire: Ecco G.A.T.CXLY. 16 242 noi abbiamo colto il frutto delle nostre fatiche, dei nostri affanni sì lunghi e penosi ! Certo ò che il gran Pio volle che il Soglia in officio di crocifero il precedesse quando di nuovo mise il piede ne'suoi stali , e sino a Roma quasi guidasse la pompa di quella sua trionfale andata. Poi venuto nella metro- poli del mondo cattolico, dopo le grandi ed iterate accogliente di quel popolo, che solo dalla sedia a- poslolica si ebbe tenere sugli altri una seconda volta il primato, a sé più che mai lo restrinse , lo fece suo intimo famigliare , e suo segretario ed agente particolare, né cosa volle o fece senza di lui. Non era affare di rilievo che egli avesse a trattare, e non vi adoperasse il Soglia: non aveva prelato a cui vo- lesse mostrar favore, e non gli offerisse la compa- gnia del Soglia: non capitava persona ch'egli avesse cara per fama di sapere e per dignità , e non la mettesse nelle mani del Soglia. Fidavasi di molti , di niuno più che di lui: amava molti, ninno più che lui. Mandavalo in suo luogo a visitare augusti per- sonaggi che in Roma venivano a baciare i piedi al vincitore del vincitor dell' Europa , a benedirne la mensa , a recar loro le sue parole. Monsignor So- glia era studiosamente cercato e corteggiato da tutti, e pareva gran mercè , anzi un avere acquistata la grazia del sovrano, a chi pure potesse parlargli, o jTiostrargli riverenza. Inoltre il pontefice, conoscendo la dottrina e il sapere di lui, lo nominò professore di ragion canonica pell'archiginnasio romano , uffi- cio ch'ei tenne con grande onore e altrui profìtto , dappoiché quanti oggi in Roma hanno grido di va- ienti in giure canonico ebbero avviamento alla scien- 243 za da lui, fortunato di poter annoverare fra'suoi di- scepoli prelati e cardinali di gran nome. E quanto in siffatti studi fosse profondo, lo mostrarono poi i libri che vecchio pubblicò. Del favore però e della grazia del principe non si valse egli per se, ma prin- cipalmente in servigio di quelli che sapeva biso- gnosi di conforto e di ristoro ai danni sofferti. Ai religiosi che dispersi dal turbine cercavano di nuovo tornare alle proprie stanze, agli ecclesiastici spo- gliati di ogni loro avere , ai laici di ogni genere , ai ricchi, ai poveri, si porse ugualmente benigno, e die mano ad aiutarli ; nò mai nel beneficare anti- pose l'amico stato al nemico, anzi coi nemici allargò la mano di più, e fece loro mite e benevolo il cuore del pontefice. Che r indole mansueta e la benigna natura del Soglia avvalorata dalla cristiana carità non tenne mai memoria delle offese ricevute, e le conobbe solo per perdonarle, e seppellirle nell'oblìo; di che forse taluni presero poi baldanza, e ai beneficii corrispo- sero indegnamente coli' ingratitudine. Alla sua terra natale ancora , alla quale buon cittadino più volle di Roma, poi di Osimo si condusse, e sino all'estre- mo respiro ebbe affetto, delle grazie che a lui la ma- no del re-sacerdote largheggiava fece parte , e ot- tenne che il territorio casolano fosse ampliato, fatte strade più agevoli per accedervi , dati privilegi e preminenze. Perchè poi sopra ogni cosa gli stava a petto la religione, unica e vera sorgente d'ogni bene alle genti, murò a sue spese un convento ai pove- relli del serafino d'Assisi (7), ricevutone in dono un tratto di terreno da alquanti principali del luogo , 244 i quali per edificarvi un teatro avevanlo acquistato, e vi fé inoltre costruire una devota e maestosa chiesa (8), e d' ogni maniera di ornamenti la fre-- gìò: begli altari, bei dipinti, bei paramenti e sup- pellettili in copia. La qual cosa riuscì molto cara e di grande prò a tutti: conciossiachè ì padri cap- puccini sono de' meglio e più aitanti operai della vigna del Signore. Né a tanto egli tennesi pago ; perchè fin d'allora concepì il pensiero di provvedere alla educazione delle fanciulle, alle quali negli anni appresso aperse del proprio una scuola; e acciò non mancasse , pose e dotò un monistero di religiose donne, le quali si avessero in perpetuo questo pio e caritatevole incarico. Oltre a ciò volle coH'opera delle stampe raccomandare alle lettere alcune me- morie gloriose della sua terra natale, e fece impri- mere in Roma un elegantissimo commentario latino di Domenico Mita suo conterraneo, che fiorì al prin^- cipio del secolo XVII , nel quale lasciò registrati alquanti monumenti antichi della genite Ceroni (9) : lavoro assai encomiato dai dotti, e riputato degno di essere posto fra gli scrittori delle cose italiche, raccolti e pubblicati dall' immortale Lodovico Mu^ ratori. Poi dettò egli stesso assai latinamente la vita di Giambattista da san Bernardo monaco fuliense (10) nato della famiglia Ridolfi in Casola nel 1588 , e morto trentatrè anni appresso in grande odore di san» tità. In fine mise alla luce alcuni versi latini ine- diti di Antonio Linguerri casolano (11), stato suo maestro , sacerdote di molte lettere., e nelle cose della filosofia e della teologia dotto assai, i quali dedicò a quel lume della romana porpora che è 1' 245 eminentissimo signor cardinale Gaetano Baliiffi, ar- civescovo vescovo d' Imola, quando fu pronnosso a quel vescovato : con che mise sotto gli occhi del mondo non solo la sua ossequiosa stima ai meriti e alla dottrina del porporato principe , ma la sua immanchevole gratitudine al Suo savio educatore. Ancora osserverò qui eh* egli non pose in fronte a queste opere il proprio nome , ma innominate le mandò per lo mondo a raccogliere il libero voto dei lettori, dai quali però non ebbe che encomi : bel esempio di letteraria modestia, e poco a' dì no- stri imitato. Ma è tempo che io mi ritorni onde mi sono dipartito, e rappicchi il filo del mio ragiona- mento. La salute del pontefice da qualche tempo era scaduta, V età di oltre ottant'anni aggravavalo , le sventure e i trionfi, la carcere e il regno ne avevano omai consumato ogni vigore. Appressava l'ora su- prema, e il cielo r invitava a raccogliere alfine il meritato guiderdone. Mentre fu infermo ninna per^ sona meglio piacevagli avere intorno a se che il So- glia: e per mostrargli sino all'ultimo quanta fiducia in lui aveva posto , essendogli dato a sottoscrivere il proprio testamento, non volle, finche egli non lo avesse letto, e lui affidato di poter sottoscriverlo. Dopo alquanti giorni passò di questa vitale a mon- signor Giovanni non rimase che il dolore di averlo perduto, e la ricordanza delle sue segnalate virtù, delle quali non solo in tanti anni aveva fatto te- soro nella memoria, ma ben anche fece poscia ri- tratto, quando a maggiore stato pervenne: concios- siachè il modo di condurre i negozi più gravi, di 246 trattare co'soggettì, di tenersi presto ad ogni fortu- na, compose sempre allo specchio di quell'immor- tale e glorioso principe, il nome del quale non pro- nunziava mai senza manifesti segni di commozio- ne, di affetto, e di riverenza. Succedutogli nella cattedra apostolica il cardi- nale Annibale della Genga con nome di Leone XII, papa che fu nobilissimo, il quale aveva in capo va- sti e generosi disegni, cui la difficoltà dei tempi e la morte troppo presta interruppero, l'ebbe caro non meno che il suo antecessore : anzi quasi egli volesse rimeritarlo di quanto aveva fatto per lui , lo sollevò a maggiori offici, e il tenne in gran conto. Lo nominò in prima suo coppiere , poi cameriere segreto. Appresso volendo rimettere in onore e dar legge e norma nello stato pontifìcio agli studi, fat- tane parola con lui , e richiestolo dell' avviso suo, egli proposegli, e con buone ragioni mostrò che sa- rebbe stato assai bene, e di grande onore a Sua Bea- titudine, creare appositamente una congregazione di cardinali, col titolo di sacra congregazione degli stu- di, la quale con certe leggi li governasse per tutti gli stati della chiesa. Piacque la proposta al gene- roso pontefice, e a lui diede incumbenza di presen- targli in iscritto le leggi che crederebbe da ciò ; perlochè il prelato si fece poi a compilare quel vo- lume che ancora è il codice della pubblica istru- zione, e il papa in appresso pubblicò con quella bolla che incomincia Quod divina sapienti a. Inoltre dopo avere messo a capo di quella sacra congregazione il dottissimo cardinale Francesco Bertazzoli , nominò segretario della medesima il Soglia, che con tutto 247 lo zelo fin dalle prime incominciò a proteggere le buone lettere ed i cultori delle scienze, e a ritor- nare in onore la lingua latina, di cui era teneris- simo e profondo conoscitele, la quale allora minac- ciava scadere. Non istette gran tempo, che avendolo sperimentato e conosciuto alla prova destro, leale, abilissimo in ogni bisogno^ cominciò a valersi di lui negli offici pili delicati, e in quelle segrete opere di carità che sono tutte proprie del sacerdozio catto- lico e del pontificato. E corrispondendo sempre più all'aspettazione, anzi superandola, per dargli un nuovo segDQ della sua soddisfazione lo nominò suo elemo- siniere segreto , avvisando che niuno più di lui a- vrebbe giustamente distribuito le sue larghezze ai poveri, niuno meglio di lui avrebbe alla natia gene- rosità sua soddisfatto. Così avvenne appunto ; ed erano ad una voce benedetti dai poveri e il ponte- fice e il suo limosiniere, il quale non lasciava par- tire da se persona senza averla in prima consolata. Ancora Io fece arcivescovo di Effeso nelle parti do- gi' infedeli: e più onore gli avrebbe fatto se la morte non avesse posto fine alla sua vita e al suo regno. Saliva al pontificato massimo Francesco Saverio Castiglioni che prese nome di Pio Vili, il quale per- chè l'invidia usando sue male arti aveva tentato co- lorirgli sinistramente l'arcivescovo d'Efeso , in sulle prime gli fece brusche accoglienze; ma poi veduto alla prova de'fatti qual uomo egli era, di quanta in- tegrità e dottrina, lo ebbe assai presto in grazia, per modo che non riusi a lui meno accetto che al Chia- ramonti e al Genga. Tuttavia non potè innalzarlo a maggioi'i onorificenze, perchè il suo regno fu breve 248 e non lieto. Un improviso turbine scrollava l'antico trono dei Borboni, e dalla Francia, come dal cuore per tutto il corpo , si diffondevano forti agitazioni nell'Europa. L' Italia per suo mal destino usata ad illudersi sempre, e sempre lasciarsi ingannare, ago- gnava novità pericolose, e le provincie dello stato pontificale lasciavansi sconvolgere. Pio Vili fu ben avventurato di non vedere i suoi popoli levare il capo, perchè Iddio lo chiamò a se al primo inco- minciare della tempesta. La quale mentre mostrava ingrossare, fu posto suir apostolica sedia Mauro Cappellari che si tolse nome di Gregorio XYI, e in pochi giorni bastò a di- leguare e comprimere gli umori , e ricondurre la tranquillità negli stati della chiesa. Era egli da gran tempo legato di amicizia al Soglia, delle rare bontà del quale aveva piena contezza; per lo che a lui si tenne ristretto e fidato. Desiderando poi di fargli ve- duto che quella cima di altissima dignità non can- cellava in lui, come suole, la memoria dell'antica di- mestichezza , né punto cessavano l'affetto , lo fece tosto canonico della basilica vaticana , e gli diede titolo di patriarca di Costantinopoli. Indi volendolo innalzare a grado più degno, dalla congregazione de- gli studi lo recò a quella dei vescovi e regolari , onde agevole è il passo al cardinalato. Fatto adunque segretario di questa congregazione, non è a dire con quanto studio adoperasse al ben andare della me- desima, e quanti per mezzo suo fossero beneficati. Pareva sua natura il ben fare altrui, e mentre per se nulla cercava , per gli altri spendevasi a tutto potere, né cosa al mondo gli gustava più che col 249 favore e i benefìci! amicar gente alla sedia aposto- lica. Si può con sicurezza e senza tema di errore affermare , che ei teneva le chiavi del cuore del pontefice, e per la sua paragonata fede avreb- bele potute volgere a suo talento. Tutta Roma sei vedeva e contentavasene assai, ed io stesso soventi volte ho udito dire che il patriarca di Constanti- nopoli aveva nelle mani quante grazie poteva fare il pontefice, il quale richiesto, nulla avrebbe saputo negargli. Tuttavia egli ne usò con quei riguardi che buon ministro deve, e con quella rettitudine di cos- cienza che era da lui: anzi quell'anima angelica non volle valersene se non quando occorresse beneficare ed onorare il merito. Oh ! quanti in tanto splendore di corte, in tanta grazia del principe, con faina meno bella ed integra, con potenza tanto men salda quanto men fondata sulla rettitudine e sul ben fare, avreb- bero cercato mostrarsi al mondo in pieno lume , menarne pompa, fare ricchezze; ma il patriarca di Costantinopoli, l'amico del ponteficcl'idolo di Roma, lenevasi nell'usata modestia, sobrio , frugale, ospi- tale, benigno a tutti, e piiì che agli altri ai più bi- sognosi. Dalla corte prese la grandezza dell'animo non il fasto, la cortesia non la mollezza: sincero , leale, affabile, non volle altra luce che lo splendore delle proprie virtiì, coperte sempre dal velo dell'u- miltà. La quale in lui ebbe tanta balìa, che men- ti'e era sempre inteso a beneficare , volle e cercò sempre i suoi stessi benefizi nascondere o meno- mare colle parole: e di ciò fece ancora più forte ma- ravigliare quanti il conoscevano. Molli di lui par- lavano, molti a lui avevano ricorso , moltissimi in 250 lui solo e nelle sue mani sì mettevano : vedevalo Gregorio XVI, e in suo segreto godevane. Erano ornai trascorsi trentanove anni che monsignor Soglia fa- ticava in servigio della chiesa e del suo capo visi- bile, ed oltre gli uffici che ho detto, altri pure ne aveva sostenuti di non pìcciol rilievo, e con grande suo onore. Era stato consultore della sacra congre- gazione che tratta gli affari straordinari ecclesiastici, di quella chiamata dell'indice, la quale nota i libri nocevoli al costume ed alla religione , e di quella ancora del sant' officio, cui spetta combattere l'e- retica pravità e sventarne le insidiose dottrine. Inol- tre era stato esaminatore non solamente del clero romano, ma di quelli altresì che venivano promossi alla dignità episcopale; carichi tutti onoi-evolissimi e laboriosi. Tempo era di concedergli un premio pari a tanto merito, e però Gregorio lo disegnò cardi- nale nel concistoro del 12 febbriaio 1838 e sei ri- serbò in petto; nò lo pubblicò che in quello del 18 febbraio nell'anno appresso , conferendogli il titolo dei santi quattro coronati nell'ordine dei preti. La sua promozione fu con grande consentimento del sacro collegio dei padri porporati, e accompagnata dalle congratulazioni di tutta Roma; fu festeggiata dalla Romagna, della quale egli era bellissimo lume, e la sua patria in mezzo ai plausi ed al canto dei poeti la scrisse ne suoi fasti come il più bel mo- numento delle sue glorie. Non fu pa^o il generoso pontefice di ornarlo della porpora de' cardinali; ma essendo rimaste senza pastore per la morte dell'e- minentissiino cardinale Giovanni Antonio Benvenuti le chiese unite di Osimo e Cingoli, a lui le offerse 251 nel medesimo concistoro: ed egli le accettò non come fine alle fatiche, ma come nuovo campo in cui a- vrebbe da esercitare le sue virtù , e seminare più grandi e sfolgorate beneficenze. Io credo che non senza lagrime da lui si dividesse il pontefice, tanto gli pativa il cuore nel distaccarsene: so certo che tutta la corte e Roma ne provarono rammarico, per- chè a quella parca perdere uno specchio di probità rara nel mondo, a questa un bellissimo e non co- mune ornamento. Maraviglieranno al certo i posteri ch'egli sotto quattro pontificati fosse mai sempre in istato, sempre in grazia, né la diversa indole dei principi, né le vicissitudini dei tempi, né il costante variare della cieca fortuna, né le arti o le invidie cortigianesche potessero mai abbassarlo, o farlo pur di poco scadere: nel che in vero è la prova più ma- nifesta della sua rettitudine, della sua bontà, del suo ingegno e della sua prudenza; ma sopra tutto del- l'incolpabile sua vita , e del suo disinteresse , che Io portava a cercar sempre non il proprio, ma l'al- trui bene. Dopo avere inviata al clero e al popolo di Osimo e Cingoli una lettera pastorale (12) piena di affetto, di dottrina e pietà, veniva egli di Roma il 25 di marzo 1839 nella domenica delle palme, giorno che per questa città sarà sempre memorando e soave: e voi lieti in festa, come que'che eravate conoscenti appieno delle sue virtù, vi facevate in calca ad in- contrarlo , signori osimani , e come fidata greggia al pastore , o figliuoli amorosi, intorno al padre vostro vi stringevate. Erano addobbate le case, in- fiorate le strade, ingiardinate le piazze: l'allegrezza 252 del cuore traspariva in ogni volto: il popolo come è usato applaudiva, e si contendeva l'onore di ap- pressarsi al cocchio e inchinarlo. Ed egli benedi- cendovi vi confortava con amichevole sorriso, men- tre gli spuntavano sugli occhi soavissime lagrime. 0 dolci memorie, o care allegrezze, quanto non ren- dete voi oggi più misera e più lagrimevole la no- stra luttuosa condizione! Giunto a questo luogo, con- fesso, 0 signori, che volentieri porrei fine al mio dire, perchè ninno meglio di voi può conoscere quanto in servigio vostro egli fece, quanto vi amò, quanto voi e la città vostra seppe beneficare; e le mie parole non potranno forse che adombrare ciò che voi chiaramente avete veduto. Ma perchè vi ho promesso mostrare che tutta la vita di lui non fu che un passare continuato da bene a bene, una ca- tena di beneficii non interrotta , mi conviene pur innanzi seguire, quantunque 1' animo solo della ri- cordanza si risenta e resti trafitto. Incorare e soccorrere, ammonire e dolcemente correggere, ri- cercare le radici del male, e a poco a poco dissec- carle, mettere semi di bontà, di concordia, di pace, di riverenza alla religione , di amore agli studi, fu suo primo e solenne pensiero. Infatti poco stante dalla sua venula aperse la sacra visita pastorale, e con decreto ordinò fosse messa a sindacato l'ammi- nistrazione de'luoghi pii (13) ; richiamati in vigore i savi regolamenti del suo predecessore monsignor Timoteo Ascensi vescovo stato di gran mente e dottrina : inoltre si osservasse se gli obblighi delle messe erano debitamente adempiti , e la volontà de'pii testatori soddisfatta. Poi si volse a procurare 253 che il popolo fosse bene ammaestrato della dot- trina cristiana, in che sta il fondamento e la norma del vivere onesto e civile , e di ciò fece coscienza a quanti hanno cura di anime : indi diede a stam- pare un libretto da ciò (14), premettendovi un editto latino con versione italiana da Iato, nel quale sono prescritte le regole e il modo dell' insegnamento. Questi furono i primi suoi passi nell'episcopato, dai quali abbastanza si pare quanto avesse animo al bene , e quanto desiderasse vantaggiare la condi- zione della doppia sua diocesi. Ma considerando che « non vi ha parte del pa- « storale officio (15), che dimandi vigilanza e di- te ligenza accorta, quanto lo scegliere quei che deb- « bono essere ministri della chiesa, e sacerdoti ; e « ponendo mente quanto importi al culto di Dio e « alla salute delle anime non inalzare a cotanta « dignità persona, la quale non sia stata a lungo « in prima frugata , e non si porga adorna delle « doti necessarie, dappoiché fu detto con tutta ve- « rità da san Gregorio Magno, che la cagione della « ruina del popolo sono i cattivi sacerdoti )>: egli con una lettera pastorale latinissima , e degna dei mi- gliori tempi della chiesa, si volge al clero dell'una e dell'altra diocesi, e mostra quanto si convenga in prima esaminare la vocazione di quelli che chieg- gono entrare al santuario, quanta scienza e dottri- na convenga loro avere, e quale specchiata e santa vita. Affinchè poi potesse agevolmente formarsi un dotto e disciplinato clero, a somiglianza di perito agricoltore, che vuole di utili piante vestire i suoi campi, mise ogni opera a rifiorire il seminario-col- 254 legio Campana , cercò provvederlo di valenti pro- fessori, dirigerne con opportune leggi gli studi (16), e ritornargli quel grido e quello splendore in che prima era salito. Ad agevolare lo studio della la- tinità, della quale era tenerissimo, e avrebbe voluto vederla in oro come nel secolo di Leone X, si fece a comporre e diede alle stampe una grammatica, che poi per molte edizioni largamente si diffuse (17). Quindi per mettere in tutti più forte amore delle buone lettere ridestò a vita novella l'accademia dei Risorgenti, antichissima e molto lodata del luogo, e colle proprie larghezze l'alimentò, colla protezione la fece prosperare, e fu lieto di vederla rifiorita di fama per tutta l'Italia e fuori. Non istette molto che pubblicò un aureo libro d'istituzioni di diritto pub- blico ecclesiastico in uso degli alunni del semina- rio-collegio (18) , con cui mirabilmente facilita la strada agli studiosi, e quasi per mano li guida den- tro le più segrete parti della scienza canonica. Trovi dovunque precisione e chiarezza di concetti, brevi ma accurate analisi, lucido ordine d'idee, diligente ed imparziale esposizione delle svariate sentenze, ag- giustatezza di criterio nello scegliere le più fondate, niuna acerbità nel ributtare le contrarie , grande senno nel rimandare in ogni argomento ai più repu- tati scrittori, infine un dettato terso senza lisci, ele- gante senza affettazione, quale a siffatte trattazioni si addice. Ecco il giudizio che i sapienti portarono di quest'opera (19). Ne qui si arrestò egli, ma in- corato dall'approvazione universale e dalle lodi ri- portate , die mano a scrivere un altro volume in- torno la ragione privata ecclesiastica (20), il quale 255 in breve fu da lui posto in luce colle stampe, e al pari del primo ottenne encomi. Quantunque a lui parve che fosse di alcune cose mancante, e vi ri- mise le mani a fine di ripulirlo ed ampiarlo, tanto più che l'editore parigino , il quale prima 1' aveva riprodotto sulla edizione di Loreto, glie lo chiedeva istantemente per ristamparlo, e gli faceva pressa ; ma non potè compiere sventuratamente il lavoro, da cui tolse la mano il dì stesso in cui gli soprav- venne quella violenta infermità , che in tre giorni nella sua villa di Casenove Io spense. Ad ogni modo anche senza le novelle correzioni ed aggiunte ch'ei preparava, il libro è riputato molto acconcio a spia- nare la malagevolezza degli studi canonici alla gio- ventù, ed a quest'ora è introdotto in molte scuole. Con queste sue onorate fotiche, che io dirò senili, giovò d'assai agli studiosi ed alla chiesa, e fece no- bilissima risposta a coloro che negli ultimi anni lo credevano e spacciavano svigorito della mente. An- cora alle fanciulle rivolse il suo pensiero , e loro volle aperte scuole nella città e nel borgo: più tardi fece opera che le reverende madri Clarisse di santa Rosa da Viterbo pur esse , come era lor debito , ammaestrassero in scelta scuola le figliuole dei pa- trizi; e perchè non potevano per manco di luogo , egli a proprie spese lo acquistò, e loro liberalmente ne fece dono, non senza prima averlo ridotto a tale uso, e fatto ripulire. La chiesa cattedrale, alquanto sparuta e per I' antichezza e per gli svariati modi in che fu riformata in diversi tempi, senza troppo badare alla primiera architettura, cercò di ristorare e pavimentandola a lastre rinettarla; facendovi ino!- 256 tre quel meglio che seppe collo spendervi di parec- chie migliaia; e quello che vivo compiere non potè, ordinò che lui morto fosse compito (21): un altare di marmo al santissimo Sagra mento nella cappella da lui fatta murare a santa Tecla, nella quale è ti- tolata la chiesa osimana. E avrebbe ancora voluto rimettere in istato il magnifico dipinto, in cui l'Al- bano con tutte le grazie del suo leggiadro pennello colorì questa benedetta vergine protomartire con san- t'Agnese, togliendone cred'io le sembianze dal pa- radiso, come prima lo aveva sottratto alla dimen- ticanza e alla polvere. Benefìzi sono questi da svegliare la gratitudine in ogni petto: ma di maggiori ancora debbo dire. La ducale casa di Leuchtenberg vendeva al governo pontificio i suoi ricchi possedimenti in Italia, divisi in distretti o agenzie, ed erano poscia acquistati da una società di principi e cavalieri romani, la quale in appresso ponevali di nuovo in vendita. Fu mo- strato al cardinale vescovo il danno che riceverebbe la città, se le terre che erano nel distretto esimano cadessero nelle mani di possessori forestieri, e come agevolmente si potrebbe provvedere perchè non vi avessero a cascare. La cosa gli entrò, e volle gli si proponesse modo da tenere per riuscire nell'impresa. Allora un onesto sacerdote amministratoi-e dei beni del vescovado osi mano (22) fecegli vedere come si conveniva ch'egli lutto comprasse il distre/to (era di un valore di più che quattrocento mila scudi), poi con particolari vendite lo ripartisse fra i cittadini che vorrebl)ero farne l'acquisto. L'affare era di gran rilievo ; ebbe adunque a se alcuni, coi quali soleva 257 consigliarsi talvolta, e questi gii confermarono il di- segno proposto essere utilissimo alla città. Così ras- sicurato abbracciò il partito messogli innanzi, e poi con equità e disinteresse da non dire quelle pos- ^sessioni furono rimesse nelle mani de' nostrali ; e quale prò ne avessero molti luoghi pii e la città , lascio ad altri considerare. Ma non posso e non debbo trapassare sotto silenzio, com'egli, il quale da gran tempo spasimava collocare in miglior casa gì' in- fermi, che in picciola si stavano molto alle strette, colse questa occasione, e acquistò in servigio loro lo spazioso e ben posto edifìcio in cui era stanziata l'agenzia, e per tale guisa con grande sua allegrezza, e consolazione di tutti, venne a capo del suo lungo e pio desiderio. Non si stette paga a tanto la sua carità, e più innanzi ancora si spinse. La società romana, che ho nominato, contenta del fatto, ge- nerosamente offerse all' eminentissimo principe due mila scudi: ed egli tosto mille ne diede al venera- bile seminario, perchè dovesse in perpetuo mante- nere fra' suoi alunni un povero cherico : mille allo stesso spedale , perchè dovesse in quel luogo dare ricovero ai poveri cronici , ai quali ebbe sempre specialissimo affetto. Mi commuove ancora la me- moria del giorno 25 settembre 1854, in cui egli si condusse a visitare il nuovo spedale , che oggi è monumento della osimana civiltà, messo in punto per collocarvi i malati, e la consolazione che ne provò trovandolo di ogni cosa provveduto, e sì ben dis- posto e ordinato, che meglio non si sarebbe potuto aspettare; e veggendo quelle ariose sale, quei puliti arnesi, quelle forbite pareti, e soprattutto quella sa- G.A.T.CXLV. 17 258 lubre postura. Ben mi penso, nò credo appormi al vero , che chiunque entrerà o per vaghezza o per bisogno a questo luogo di carità, dovrà sempre ri- cordare in benedizione V illustre porporato, per opera del quale fu acquistato e messo ad uso degli infer- mi: e si dovrà mollo lodare de' signori che ne hanno il governo, i quali, a testimoniare ai posteri la gra- titudine loro, in onore di lui vi collocarono quasi air ingresso un' epigrafe (23). Né posso tacere per alcun modo i pensieri che egli distese alle campagne della mensa vescovile , le spese che intorno vi fece, e la larghezza con cui gli agricoltori e l'agricoltura beneficò. Procurò che le entrate vantaggiassero sempre per avere di che pili lai-gamente soccorrere i poveri: alcune rendite, come dicono consolidate , tramutandole in pingui terreni raddoppiò e rese piiì sicure : ristorò case , alquante dalle fondamenta ne murò, arricchì i sopra suoli , migliorò i fondi. Fede mettere vivai di al- beri di ogni specie, e a molte migliaia: far pian- tagioni alla riva de'fossali e de'flumi, anche per con- tenerne la piena e salvare i campi, i quali a chiun- que oggi li vegga danno aspetto di bellissimi, e di- rei quasi di giardini. Né creda alcuno che egli fa- cesse per se tanto spendio. Sapeva anni che gli pe- savano sulle spalle , e chiaramente conosceva che delle sue fatiche altri raccoglierebbe il frutto : ciò non di meno mirando sempre al bene dei poveri , piacevagli, che lui morto, chi verrebbe nel luogo suo avesse ogni giorno piiì di che largheggiare. Quanto a se, delle ricchezze del vescovado poco o nulla usò: nel pili viveva del proprio. Contento a vita mode- 259 sta e frugale non altrimenti che semplice sacerdote fosse, recavasi a coscienza spendere anche piccola cosa; e ove gli si parlasse di provvedere alcun che in suo servigio o comodo : No , rispondeva , non posso, perchè io non sono che il custode delV avere de' poveri. Cosa meravigliosa ! Era vivuto tant'anni a corte, era principe della chiesa, era in queir età che do- manda agiatezza e ristoro, eppure non volle punto nulla dipartirsi mai da quella innaturata semplicità, né principe mostrarsi se non alla prova de'benefì- zi: anzi lo stesso splendore della porpora, che gli accresceva maestà nelle sacre cerimonie , le quali mai non intramise sino all'ultimo , e nelle pompe solenni, quasi dileguavasi nella vita privata airom- bra di una amabile modestia , colla quale affidava di leggieri chiunque gli si facesse innanzi a richie- derlo di alcuna cosa. Con modi cortesi e quasi di affabile domestichezza accoglieva ogni maniera di persone, e di un benevolo sorriso le confortava. Se alcuno si conduceva da lui per bisogno di soccorso, precorreva alla domanda, rassicuravalo, davagli : e non domandava in grazia riconoscenza, ma segre- tezza. E tanto il suo cuore era tenero, tanto dolci e delicati i suoi modi , che non fu mai chi a lui ricorresse, e ne ritornasse sconsolato, o colle mani vote. Rade volte si metteva a severità : cercava piuttosto colla prudenza prevenire, che punir dopo il fatto. Che la prudenza di lui fu molto grande : questa lo rendeva nell'operare assai cauto , e agli occhi de'poco veggenti dubbioso e lento. Ma quello che mostrava lentezza, in lui era effetto della prò- 260 fonda conoscenza che aveva degli uomini e dei tempi: per cui andava sempre i-attenuto e in guar- dia, e voleva meglio lasciar cori'cre le cose , che mettendovi mano non riusciie a ridurle a segno. Novità non gli piacevano; era tagliato all'antica : e forse se fosse stato in suo potere, avrebbe deside- ralo che nulla si rimutasse; ma conoscendo che il progredire del mondo è un fatto, e non si può per forza arrestare, ed è fatale necessità delle cose umane correre sempre e non posare, accettava quelle novità che parevangli più sicure e adatte, le altre avver- sava. Ma pure in quelle che accoglieva pìacevagli avanzare per gradi, non di salto, perchè diceva che per camminare con sicurezza si conviene prima pian- tar bene il piede, e muovere poi passo passo. Nato nelle convinzioni pacilìche del secolo passato, devoto all' impero dei pontefici , cresciuto alla scuola del- l' immortale Pio VII, ammaestrato dai pericoli e dalla sventura, portava in se quegli affetti primi, quei tem- pi, e quelle opinioni, le quali sempre più forti ave- vano gittato in lui le radici. Ma perchè degli studi e del progresso loro era tenerissimo, i veri avan- zamenti della scienza e della civiltà non solo non ricusava, ma di buon grado abbracciava: nel resto ove poteva rifiutavasi. Diceva talvolta le cose antiche essere da preferire alle nuove, perchè quelle portano il suggello dell'esperienza, queste ne mancano: i vec- chi edilìzi doversi più che sia possibile conservare quali sono, non come fanno a' dì nostri gli scioc- chi ammodernandoli guastarli. Delle prerogative ec- clesiastiche era sopra ogni credere geloso , voleva mantenerle nella pienezza loro, ma rigettavane l'a- 261 buso. Perciò fin dai primi anni del suo episcopato a\^eva designato fare un nuovo sinodo , e a questo fine andava intorno a se ragunando il suo clero , studiava, scriveva; ma la morte gì' interruppe que- st' opera , la quale sarebbe riuscita stupenda non meno che utilissima. La dolcezza reputava più pro- fittevole e meglio adattata che la rigidezza: amava anzi con piacevoli modi, che con severi e tempe- stosi, comandare. Acconciarsi poi con rassegnazione ai tempi , ove non ci patisse né la religione né il principato, credeva virtù : e giudicava doversi fare di grandi sacrificii per mantenere la concordia e la pace tra il popolo e il clero. Mezzo da ciò avvisava essere il buon esempio, e lo voleva dai sacerdoti , di sé Io porgeva. Quantunque ciò che gli uomini vedevano di lui, ancorché fosse molto e di grande edificazione, pure era il meno: coneiossiaché quasi direi con bell'arte egli ne ricopriva il meglio, e gli atti della sua cri- stiana pietà velava col manto di una mirabile di- sinvoltura. Conveniva spingere lo sguardo nelle se- grete sue stanze, osservarne ad una ad una le pra - tiche , le mortificazioni , gli atti occulti , e in essi specchiarsi. Era a vederlo di buon mattino innanzi l'alba levarsi dal suo letticciuolo, in cui non posò mai più che sei ore, e prostrarsi a pregare e a me- ditare per non hreve spazio: poi recitate le ore ca- noniche minori con raccoglimento e devozione an- gelica, prepararsi alla celebrazione dei divini misteri: prima di che non pativa né persona ricevere, né di affare , e fosse pur di rilievo , parlare. Conveniva vederlo quando doveva venire a qualche grave ri- 362 soluzione , o soscrivere qualche lettera di coscien- ziosi negozi, 0 mettersi a qualche opera d' impor- tanza, gittaisi ai piedi del crocifisso, o innanzi al- l'altare della sua privata cappella; ancora piij spesso, ove potesse farlo inosservato, ritiiarsi nel suo co- retto davanti il santissimo Sagramento, di cui era soprammodo devoto, e con fervoiose preghiere e colle lagrime implorare aiuto e lume da Dio. Né per tempo che spendesse in orare temeva gli man- cherebbe tempo ad operare: anzi usava sovente ri- petere, che chi ruba tempo alle necessarie devozioni per impiegarlo negli affari e nelle cose del mondo, finisce per riuscire a nulla , e guasta ciò stesso a cui mette le mani- Conveniva udirlo sovente ricor- dare a se stesso i suoi doveri e i suoi proponimenti: talora trascriverli in carta di sua mano , pronun- ziare con affetto e riverenza i nomi santissimi di Gesù e di Maria , e mille care ed infocate giacu- latorie, colle quali sovente alimentava la sua pietà, e direi quasi conversava con Dio. Allora ciascuno di- rebbe con me ch'egli rendeva immagine di san Carlo Borromeo, e del suo prediletto san Francesco di Sa- les, del quale sovente leggeva la vita e le opere , studiandosi di comporre se stesso allo specchio di tanta santità. Non ignoro che taluni, i quali vorrebbero tutte cose perfette, e nel modo che va loro per lo capo, avreb- bero forse altre cose desideiato da lui; di alcune non sì tenevano soddisfatti abbastanza: ma se questi po- nessero mente che non sempre le più rette inten- zioni al buon volere rispondono, e che i principi, i quali ben possono da se concepire, ma non mettere 263 ad effetto i loro pensieri se non coll'opera altrui , son soggetti ad essere appuntati dell'altrui come di proprio difetto ; se vorranno porre mente che non tutto in tutti i tempi, e da tutti gli uomini si può domandare, spero che dovranno quietare, e conce- dermi, che se alcuna cosa non fece, certo del non farla ebbe di buone ragioni; se alcuna ne fece che loro pienamente non contenta, la cagione forse non è in lui, sì in lui è la rettitudine dell'intenzione. Sebbene chi oserebbe apertamente appuntarlo ? Chi saprebbe trovare un pastore più amico del bene , più studioso di pace e di concordia, più compas- sionevole degli altrui tnali, più presto a soccorrerli ? Gli editti pieni di sapienza e di pietà da lui pub- blicati rendono fede di quanto fosse sollecito della sua greggia, e della dolcezza con che la guidava. 0 si tratti d'infrenare il brutale vizio della bestemmia, 0 di promuovere la pietà, o d'illuminare le menti e scoprire émpie e scellerate dottrine, egli, come pa- dre a'fìgliuoli, si porge con una tenerezza che si ap- piglia al cuore , e piega la volontà. Oh quanto si commoveva se non vedeva accalorata la devozione e santificate le feste ! Quanto spiacevagli ogni mac- chia del costume, ogni freddezza in tatto di reli- gione, ogni poca osservanza delle leggi divine ! Se ne accendeva come Mosè, ma il suo cuore non pa- tiva che mettesse mano al gastigo; cercava in quella vece colle sue preghiere placare il Signore, colle sue amorevoli parole vincere gli animi. E quantunque detestasse le male arti, con che i tristi tentano se- durre i buoni e distaccarli dalla fede , pure com- pativa di cuore gl'ingannati e i sedotti. La sua bontà 264 poi non gli lasciava per poco credere che alcuno fosse malvagio; e se altri avesse voluto di ciò per- suaderlo, non si acconciava che ai fatti toccati con mano. Ma che me nfì vo qui in parole a ritrarre quell'anima grande ? Non le parole , ma i fatti, i suoi sfolgorati fatti, la denno ritrarre. Quando nel 1845 occulti attentati tenevano lo stalo in agita- zione, i popoli in timore, e giudizi straordinari met- tevano dovunque spavento ed affanno, la diocesi di Osimo, a cui si avvicinavano, stava in angustie non lievi. Ed ecco il buon vescovo levarsi a rassicurare le sue pecorelle, farsi per esse mallevadore al prin- cipe, dar fede di lor fedeltà, domandare grazia per esse, ed ottenere che nò giudice nò inquisitore vi si potesse appressare. E mentre di qua si udivano lamentare i vicini, qui tutto era pace e tranquilhlà: beneficio a lui solo dovuto. Del che invero la città di Osimo gli fu rico- noscente: e nella memoria degli uomini vivrà sem- pre la ricordanza di quel giorno in cui tutta uscì delle nìura per farsi incontro a lui, che tornava di Roma dopo il conclave , che ne diede a pontefice l'augusto Pio IX. Mi pare ancora di udire i discorsi che nelle piazze e per le strade , nelle case e nei circoli si facevano; mi par di vedere ancora dipinta in ogni volto la gioia del cuore ; mi suonano an- cora negli orecchi gl'inni , e le festevoli armonie, e le grida, e le acclamazioni , e gli applausi, che dai confini della diocesi sino al suo palagio l'accom- pagnarono. Io vidi al venerando vecchio gli occhi ba- gnati di lagrime; intesi e conobbi quanto gli anda- va al cuore la vostra, benché da lui meritata, ri- 265 conoscenza. La quale poi parve più sfolgorata in appresso, quando dal terribile uragano, che tutta fé risentire l'Europa, costretto a fuggire dalla sua sede il pontefice, egli segretario di stato ( carico il quale solo per forza di obbedienza si era lasciato addos- sare) trovandosi in Roma a ripentaglio della vita , con pochi amici, in mezzo ad un popolo in rivolta, risolse voler correre una stessa fortuna col suo gregge, e venne a riparare nel seno de'suoi figliuoli. Dopo un penato ed inquieto viaggio egli giungeva alla sua villa di Casenuove quasi di furto. Voi vel sapeste, buoni osimani: e non appena inteso che ivi il pa- stor vostro, il vostro padre si stava, correste ab- bracciarlo, e ricondurlo alla sua chiesa. Andarono ad invitarlo i magistrati e il reverendo capitolo; accorse ogni ordine di cittadini, nessuno si rimase, tutti intorno a lui si accalcarono. Gli applausi e le grida con che si manifesta la gioia dei cuore l'accompagnarono al suo palazzo, e gli diedero a di- vedere (juanto si era ben fidato fidando nell'amore de'suoi, che in questo gU fece dimenticare i corsi pericoli , e le lunghe agonie del passato. Infuriò maggiormente la tempesta, ed egli tranquillo si stette senz' altra difesa che il petto de'suoi osimani, e la forza de' suoi benefici- Oh bella e nobile gara, de- gna che tutto il mondo la sappia e la celebri ! Voi da hii salvati, lui salvaste, da lui beneficati gli ren- deste il contraccambio colla vostra fedeltà, pronti a lasciarvi piuttosto morire, che permettere che a lui fosse fatto il minimo oltraggio. E qui potrei molle cose aggiungere che la rai'a bontà di quell'anima eccelsa dimostrano: ma perchè 266 le sono conosciute volentieri me ne passerò. Una cosa sola saputa da pochissimi , ed a me special- mente avvenuta, nella quale, se io non erro, cam- peggia meglio che altrove la sua carità evangelica, e la perfezione a cui era salito , non mi soffre il cuore di tacere. Il vostro buon vescovo non solo perdonò le offese, ma seppe beneficare gli offensori. Tornavano vinti , laceri , e pieni dì timori coloro che a Roma avevano combattuto con male augu- rate armi, prima il principe, poi le francesi falangi. Or bene , ad alcuni di cotesti il cardinale mandò soccorsi e larghi, e noi tenne la memoria de'pas- sati pericoli, non lo sdegno della vittoria. Li disse sventurati e non più: in essi non vide dei nemici, ma degli ingannati: n' ebbe compassione, e disten- dendo la destra al soccorso, esercitò con essi la su- blime virtù, del beneficare i nemici. Sebbene di que- sta virtù, tanto rara nel mondo, non questo esem- pio solo potrei recare: altri ben'altri ve ne ha che debbo tacere, e forse volendoli io palesare, egli da quel feretro me ne farebbe divieto. Mi volgerò adun- que ad altro, e narrerò come nella grave carestia del 1853, tanto penosa al solo ricordarla, egli stu- diò modo di scemare i patimenti alla plebe, e alleg- gerire il peso del tremendo flagello. Aperse i ma- gazzini del vescovado, a soccorso de'poveri die tutto; avrebbe dato anche la vita per non vederli patire. Né ciò soltanto, ma si prese cura che tutti que'che potevano dovessero dare; nel che veramente trovò animi così bene disposti, che non v'ebbe mestieri di sprone , ma tutti volenterosi si unirono al loro pastore per sovvenire alla comune miseria. E allor- 287 che il pestilenziale morbo del cholèra, che imper- versava nelle città vicine, fé' qui pure, benché leg- germente, sentire i suoi mortiferi effetti, che cosa non fece egli ? Quanto non si adoperò, quanto non allargò la mano alla beneficenza, il cuore alla pietà ? Ditelo voi che ne foste testimoni, ditelo voi che ne provaste le larghezze , ditelo voi che il vedeste e l'udiste. Per me dirò solo, passò beneficando, per- transiit benefaciendo , e in due parole avi'ò piena- mente offerto l'epilogo della vita di questo santis- simo vescovo, e datane in due tratti l'intera e più perfetta immagine. Ma da qualche tempo la salute del vescovo car- dinale mostrava tracollare, essendo già stemperata non poco per le fatiche e i pericoli e le paure che in Roma, in que'miseri giorni in cui era segretario di stato, lo avevano del continuo combattuto. Ogni giorno pareva venir meno, e quantunque di quando in quando alcun poco sembrasse rinvigorire , pure venivasi dentro consumando, e pareva anche di fuo- ri. Tuttavolta l'usata serenità e limpidezza di mente non iscemava. Fu anche minacciato d' apoplessia : non ostante riavutosi , lasciava ancora sperare che avrebbe vivuto a lunga età. Ma egli perchè gli ve- nissero meno le forze, e gli crescessei'o incomodi, non voleva a se concedere riposo , né distorsi dal modo suo usato di vita: le stesse pratiche divote, le stesse cure, le stesse fatiche, gli stessi pensieri. E quelle cure e quei pensieri erano pei poverelli, cui riguardava come la parte più preziosa dell'ovile affidatogli. E se negli estremi suoi momenti ebbe cosa che lo pungesse, non fu già di dovere abban- 268 clonare il mondo, a cui da gran tempo aveva dato le spalle, non consentendo giammai di sue lusinghe godere: fu il timore che ai bisogni de'poveri man- casse con lui il necessario soccorso. Leggete l'ulti- ma sua volontà (25), la quale lasciò scritta mentre era ancora sano, e vi si farà manifesto che i poveri gli erano nel cuore. Dopo avere offerto in legato alla santità dell'augusto pontefice Pio IX , a segno di profonda ed affettuosa venerazione, un'immagine in avorio di Gesù crocifisso , pregevolissiuìa per grandezza e per arte, più ancora perchè stata del magnanimo Clemente XIV; e lasciati alcuni ricchi ricordi alle sue chiese di Osimo e Cingoli, ed altri pii legali, fra i quali un'altra immagine del Reden- tore pur essa in avorio, stata già dell'invitto Pio VII, al suo successore , quasi per raccomandargli in quell'effigie di Cristo ignudo i suoi diletti pove- relli, che oi^dina egli ? L.CmIA EREDITA' SIA DEI POVERI CR0NICI,AFF1NCHÈ PREGHINO PER ME E MI ACQUISTINO GRAZIA NEL COSPETTO DEL SIGNORE. Ah ! ben l'acquisteranno, anzi l'avranno acijui- stala. In paradiso si parla di tante elemosine: esse stanno innanzi al trono di Dio come un esercito di serafini, portate dai sospiri e dai prieghi, e accom- pagnate dalle angosciose cordialissime lagrime di un popolo b<;neficalo. Infatti non appena andò il grido che il cardinale vescovo era infermato a morte, tutti corsero appiè degli altari a pregare per la vita di lui: e quando alle due ore di notte del giorno un- dici di agosto, sempre acerbo ed infausto (27), la torre della cattedrale in suona di doloro annunziava 269 ch'egli era nell'ultima lotta fra la vita e la morte, fra la terra e il cielo, oh ! quanto fu pietoso ve- dere riempiersi di tratto il maggior tempio, e sino alla fine starsi la gente compunta adorando Gesù in sacramento, e domandandogli in voce di cordo- glio e di affanno la vita del buon padre, dell'amo- roso pastore. Io noi dirò, perchè me ne trema il cuore al pensarlo, e quasi m'impedisce la parola ; soltanto accennerò i gemiti e i lamenti del popolo al risapere ch'egli era passato, e le dolorose escla- mazioni, e le preghiere di requie. Ho dinanzi dagli occhi, nò per lungo andare di anni si cancellerà, la memoria di quella sera, nella quale il venerato ca- davere era portato di Casenuove in città e al pa- lazzo vescovile; mi sta davanti allo sguardo, quasi ancora la vegga, una calca che spontanea si divide in drappelli, e giovani e vecchi , donne co'fanciulli e co'mariti atteggiati a dolore muovere ad incontrarlo per buon tratto di strada» e sommessamente pre- gare. Chi ha ordinato quelle pietose schiere ? Chi detto loro, pregate ? Chi le ha messe a tal'ora tarda a sì lagrimoso cammino ? Il cuore, o signori, il cuore che in quell'istante sentiva tutta la forza de' lice- vuti benefizi , tutto il debito della riconoscenza , tutto l'affanno di una perdita irreparabile; e non po- tendo dargli altro merito, non potendo trovare al- tro refrigerio all'ambascia affannosa, pregava, pian- geva, accompagnavane la fredda spoglia, si prostrava appiè del feretro, e non sa[)ea distaccarsene- Altri avranno avuto pompa di esequie più splendide; più affezionate nim credo io ve ne siano state giammai (2(^). Ed ora egli di tanto affetto già raccoglie il me- 270 rilato guiderdone, già si asside nel coro de'pontefici in mezzo al Galamini e al Calcagnini suoi illustri antecessori (29) e quasi concittadini, di cui in se rinnovellò la pietà e la beneficenza; già si cinge al capo la corona dei beati. Io ti veggo cogli occhi della mente, o benedetto spirito, e nel tuo trionfo il mio dolore ritrova un conforto. Oh ! arrivino a te le mie deboli parole, oh ! possa io farti inten- dere quanto ancora ti ama, quanto in te spera il tuo gl•e^ge diletto. E se per la pochezza loro non bastano^ sormontare tanta altezza; volgi tu dal glo- rioso tuo se£;iìio uno sguardo pietoso, e dal cielo consola ed affida il tuo popolo Tu gli impetra dal donator d'ogni bene un pastore (30) che abbia il petto infiammato di carità come il tuo, che 1 ami quanto tu l'hai amato (31); e distendi la mano a benedire questa città, la quale ti ricorderà sempre in benedizione: e narrando le tue lodi ai nipoti, per- chè le tramandino ai più tardi futuri, ripeterà con voce di riverente affetto: « Ei passò beneficando » Perlransiil benefaciendo. 271 NOTE (1) Nacque in Casola Valsenio, terra di Roma- gna nella diocesi d'Imola, li 11 ottobre dell' anno 1779. (2) Veggasi il commentario di Domenico Mita Gentis Ceroniae in Aemilìa vetusta aliquol monumenta. Romae excudebant Philippus et Nicolaus De-Roma- nis anno 1827. (3) V. Storia d' Italia di Carlo Botta lib. 24. (1809) (4-) V. Botta Storia citata lib. 25. (5) V. Botta St. cit. lib. 25, e le Memorie del card. Bartolomeo Pacca. — Parte 2. cap. 4. (6) Questi manoscritti ed altri molti oggi sono nella biblioteca del v- seminario e nobìl collegio Cam- pana, al quale per testamento l'eminentissimo ve- scovo ha lasciato la sua libreria. (7) Il 19 di aprile del 1820 fu posta la prima pietra del nuovo convento. (8) Il giorno 1 dell'agosto 1823 fn benedetta la chiesa, e con grande pompa e solennità vi cele- brò la prima messa l'arciprete D. Francesco Ron- chi vecchio di 85 anni. (9) V. la nota 2 antecedente. (10) De vita Ioannis Baptistae a s. Bernardo monachi fuliensis commentarius. Romae 1831- Lau- reti 1841 e 1844, con la traduzione italiana di G. 1. M. (11) Antoni Linguerri latina carmina. — Lau- reti 1846. 272 (12) Epistola pastoralis ad cleruni et populum auximanum et cingulanum — Dat. Romae extia pollanti Flaminiam kal. martiis an. MDCCCXXXIX — Romae ex tipographia Petri Aureli. (13) » Decretum — Res et bona divino cultui « et piis usibus addicta peccatomi pretium , et « Christi ac pauperum patrimonium in sacris canoni- (( bus nuncupantur , ideoque quam maxime opor- « tet, ut summa religione, iutegritate, et diligentia « administrentur. Nostri igitur muneris non postre- tt mas partes esse duximus in id sedulo diligen- (t terque incumbere , ut loca pia nullum ex piae- (( posterà administratione detrimentum capiant , ({ et fundatorum voluntas non minus accurate, quam « religiose adimpleatur etc. — Datum Auximi in « actu S. visitationis hac die 1 martii 1840. I. « card, episcopus ». (14) Dottrina cristiana composta dal cardinale Bellarmino e ristampata ad uso delle città e dio- cesi di Osimo e Cingoli — Ancona tipografia dì Giuseppe Aureli 1843. IOANNES Ululi SS. Qua- luor Coronatorum S- R. E. presbiter cardinalis So- glia Ceroniiis eie. — Munus tradendae doctrinae chrislianae etc. — Dalum Auximi in actu S. visi- tationis hac die 13 novembris 1840. (16) Litterae pastorales ad clerum auximanum et cingulanum — Laureti ex typographeo Rossio- rum 1841. — Ioaunes etc. « Nulla est pastoralis (( officii pars, quae tam acrem vigilantiam diligen- « liamque desideret, quam delectus eorum, qui ec- « clesiae ministri et sacerdoles futuri sunt. Enim « vero ad cultum Dei et animarum salutem perma- 273 « gni interest, neminem ad tantam dignitatem pio- « vehere, nisi diu multumque exploratuin, et neces- « sariis dotibus praeditum; cum a S. Gregorio Ma- te gno lib. 17. ep. 110, veiissime dictum fuerit : « Causa ruinae populi snnt sacerdotes mali eie ». Da- tum Auximi die 14 api'ilis 184-1. (16) Studiis alumnoium ven. seminarii et nob. collegi Campana Auximi regundis leges datae . . . Auximi pi'idie nonas sextil. 1844. I. card, episco- pus. — Laureti typis Rossiorum. (17) Grammatica della lingua latina ad uso dei seminari di Osimo e Cingoli. Loreto , pei fratelli Rossi 1840. Ancona 1850, ediz. 3. Macerata ecc. (18) Ioannis cardinalis Soglia episcopi auximani et cingnlani instilutiomim iuris publici ecclesiastici. Tomus primus complectens praenotiones in ius eccle- siasticum, editio quarta ab auctore r ecognita et au~ età. — Institutionum iuris ecclesiastici tomus secun- dus. — Quest'opera fu stampata tre volte, e sempre con ampliazioni, in Loreto. Si cita la quarta edizione, perchè dopo la seconda loretana ne usci una terza modanese presso Zaochelli e Calderini 1850: poi la quarta, fatta dai fratelli Rossi in Loreto 1850. Ne uscì appresso una quinta , sebbene detta quarta , Matritii ex officina D. Eusebii ab Aguado 1854, in Ispagna. Mi si dice che di quest' opera siasi fatta anche un edizione in Germania : ma io non posso darne precisa contezza , perchè mai non mi venne innanzi. Nella prinia edizione non è manifesto il nome dell'autore. (19) E degno di essere Ietto negli Annali delle scienze religiose pubblicali in Roma il ragguaglio G.A.T.CXLV. 18 274 analitico di quest'opera scritto dal P. Giacomo Mazio d. C. d. G. professore di diritto canonico nel col- legio romano, e inserito nel fascicolo 4. 1846 della seconda serie. Io ne ho voluto quasi riferire le pa- role, tanto mi parvero giuste e bene appropriate. (20) loannis cardinalis Soglia episcopi auximanì et cingulani — Institutionum iuris privati ecclesia- stici libri ties ■^— Edilio prima — Anconae ex ty- pis Aureli Josephi et soc. 1854. Instilutioniirn iuris privati ecclesiastici libri III loannis cardinalis So" glia episcopi auximani et cingulani — Edilio secwi" da. — Prima parisiensis ab ipso auclore r^ecognitaet ancia — Paris librairie religieuse de A. Courcier , editeur ec. Rue Hautefilie , ec. In questa edizione l'editore premette un breve sunto dell'opera, ed al- cuni cenni biografici non abbastanza esatti : di che mi piace avvertire i lettori. (21) V. più sotto la nota 24. (22) Il R. sig, D. Giovanni Fuina, al quale la città deve particolarmente se in tale occasione i beni del ex appannaggio, come dicono, sono rimasti in pos- sesso degli osimani, e sono stati con equità distri- buiti. A lui pure si debbono i miglioramenti grandi portati nelle possessioni della mensa vescovile. Non posso dire di tutte le persone, colle quali il signor cardinale si consigliò: nominerò una sola, che egli soleva sovente domandare in tai fatti, e in altri an- cora, il nobil uomo signor Andrea Ronfigli cava- liere di più ordini, e consultore di legazione , nel quale quanta fiducia avesse fu mostrato da questo, ch'egli nell'ultima sua volontà insieme coH'anzidetto sacerdote , e V illustrissimo e reverendissimo mon- 275 signor Francesco Paternesi arcidiacono cano.iìco pe- nitenziere e vicario capitolare, Io nominò suo ese- cutore testamentario. (23) Ecco l'epigrafe- GIOVANNI SOGLIA CERONI CARDINALE VESCOVO FECE ACQUISTARE E RIDURRE AD USO DEGLI INFERMI QUESTO LUOGO TOGLIENDOLI DI SQUALLIDO ED INSALUBRE CON CHE LASCIO' NOBILE ESEMPIO DI PASTORALE CARITÀ' E CREBBE ALLA CITTA' NOSTRA DECORO LO APERSE CON GIOIA UNIVERSALE IL 25 SETTEMBRE DELL'ANNO 1854^ ESSENDO PRESIDENTE IL CAVALIERE GIOVANNI SINIBALDI FOLENGHI ZELATORE DI SI' BELL'OPERA INSIEME COLLA COMMISSIONE AMMINISTRATRICE CHE VOLLE PORRE QUESTA MEMORIA PERCHÈ ANCHE I POSTERI GLIE NE SIANO GRATI. (24) Mi piace registrare qui l'orario ch'egli sem- pre sino all'ultimo osservò , il quale tolgo da una carta scritta di sua mano. — Ore canoniche ■ — Mattutino e laudi - — nella sera ante omnia. Ore 276 minori la mattina ante missam. Vespro e compie- ta — nel giorno ante prandiurriy o la sera. — Me- ditazione- La mattina et ante omnia per horam. Messa — subito dopo la meditazione. 1. Osserverò il suddetto ordine, e prenderò nella seia antecedente le debite misure per averne il tempo opportuno, allorcbè preveda cbe nella seguente mat- tina dovrò attendere a qualche opera straordinaria. 2. V impiegherò il tempo necessario e deter- minato, e non avrò timore che mi manchi per gli altri impieghi. Dio permette che chi ruba il tempo alle opere di pietà per darlo ad altri affari non fac- cia né bene né in tempo e le une e gli altri. Biposo: alle 11, sempre in letto: alle 5 sempre alzato. Pranzo all' una pomeridiana. Passeggio^ due ore e mezzo prima dell' ave maria , ma visitando prima il santissimo sagramento per mezz'ora. 1 . Non parlate mai del vostro prossimo se non in bene. Di voi e delle cose vostre né in bene nò in male. (Ricordo che aveva sempre in bocca e scru- polosamente metteva in pratica). 2. Parlate con ogni carità e mansuetudine an- che coi più indiscreti, fastidiosi, insolenti- 3. Non vi trattenete mai in alcun luogo a con- versare senza una vera necessità, utilità , e conve- nienza. 4. Non fate inviti se la carità o la convenienza noi richiedono. 5. Le virtù che ci convengono sono, CARITÀ', AMOREVOLEZZA, DILIGENZA SOMMA, RASSE- GNAZIONE, SILENZIO. 6. Quanliis qidsqiie est in oratione, tantus est in 277 perfectione. Questi ed altri molti ricordi si travarta scritti di proprio pugno in pili quaderni. (25) Troppo Inngo sarebbe riepilogare il testa- mento del cardinale Soglia: tuttavia ne dirò alcuna cosa. Lasciò al sommo pontefice una bella immagine in avorio di Cristo crocifisso di molta grandezza e pregio d'arte; basti dirla cosa del cavaliere Ber- nino , già posseduta dal pontefice Clemente XIV : un'altra più piccola al suo successore: alla chiesa di Oslmo tutti gli argenti dorati ad uso ecclesia- stico , a quella di Cingoli tutti gli argenti bianchi ed un magnifico canone a lui donato dalla S. M. di Gregorio XVI. La sua croce vescovile d'oro con catena pur d'oro, ed un' altra croce di cristallo dì monte con piccioli rubini, e scudi ducente lasciò perchè si faccia un altare di marmo nella cappella del ss- Sagramento dedicata a santa Tecla protomar- tire, titolare di essa chiesa. La sua libreria e tutti i suoi manoscritti lasciò al venerabile seminario dì Osimo, tranne poche opere lasciate al venerabile se- minario di Cingoli, e ai RR. PP. minori osservanti. I suoi beni liberi posseduti in Casola Valsenio la- sco in usufrutto alla sua sorella Annunziata Soglia vedova Bona, e lei morta lasciò la proprietà ai ni- poti da dividersi in stirpes. (Ed è da notare la de- licatezza di quella benedetta anima, che delle cose dì chiesa non dispose se non in servigio della chiesa e dei poveri.) Inoltre lasciò alle reverende madri cappuccine interne dell' Addolorata mille scudi , e mille allo spedale degl'infermi di Cìngoli: poi du- cento scudi da distribuirsi ai poveri in Osimo: cento venti da distribuirsi ai poveri in Cingoli. Infine tutta 278 l'eredità sua, che andrà oltre ventimila scudi, la- sciò ai poveri cronici della città di Osimo, la quale a segno di gratitudine nominerà quel pio luogo dal nome del benefattore, e lo dirà OSPEDALE SOGLIA. Queste sono le principali sue disposizioni testamen- tarie: dell'altre come di minore importanza mi passo per brevità. (26) La santità di N. S, Papa Pio IX felicemente regnante accogliendo coll'usata sua benignità l'im- magine in avorio di Gesù in croce d'ebano con pie- distallo, della quale si è detto, fattagli presentare dagl'illustrissimi signori esecutori testamentari, come il defunto emineiitissimo Soglia aveva ordinato nel suo testamento, inviò ai medesimi la seguente let- tera in forma di breve apostolico sottoscritta di pro- pria mano, nella quale l'espressioni stesse bastano a manifestare la grandezza del suo cuore sovrano. Dilectis fìliis Archidiacono Francisco Paternesi, Joanni Fuina, et equili Andreae Doufigli Plus PP. IX. . Dilecti fila , salulem et aposlolicam benediclionenì' Libenti gratoque animo Jesu redentoris cruci- fixi simulacrum ex ebore accepimns, quod dalis ad nos litteris obsequentissimis ex praescripto cardina- lis Joannis Baptistae Soglia auximani et cingulani episcopi mox defuncti nobis, dilecti filii , obtulistis. Quo de officio cum vobis meritas persolvimus gra- 279 tias, preces una simul supplicationesque benignis- simo humani generis Redemptori offerre non inter- mìttimus , quo defuncto eidem aeternae beatitatis requiem indulgeat, ac vobis omnibus prospera quae- que tribuat et salutaria. Pignus autem patema ca- ritatis nostrae sit apostolica benedictio, quam vobis, dilecti filii, effuso cordis affectu amanter impertimur. Datura Romae apud S. Mariam Maiorem die 8 octobris 1856. Pontificaliis Nostri anno Xt. Plus P. IX. (27)Infermò nella sua villa di Casenuove,distant0 un sette miglia da Osimo, il 9 di agosto, e morì la notte dell' 11 al 12 ad un' ora e mezzo dopo la mezzanotte in età di anni 76 e 10 mesi. Era stato in Osimo il giorno 30 luglio in occasione di ricevere mille e due scudi e quarantadue baiocchi in tante doppie d' oro , che il generoso pontefice Pio IX aveva a lui mandati per mezzo di monsi- gnor Antonio Cenni suo caudatario , il quale non avendo trovato in città V eminentissirao vesco- vo , il dì innanzi li aveva lasciati nelle mani di monsignor Francesco Innocenzi canonico, e suo vicario generale per la diocesi osimana. Pareva sano e meglio in istato che mai ; certo era assai lieto della sovrana beneficenza, colla quale si offeriva uri sollievo ai poveri disertati dalla gragnuola. Parti- vasi promettendo di ritornare a mezzo agosto: vi ri- 280 tornava, oh incertezza della vita umana ! nja so- pra un feretro. (28) I particolari dell'esequie furono narrati nella gazzetta bolognese al numero 189 del 1856, della quale rechiamo le parole. — u Espostone il cada- vere nella sala della sua casa di campagna il giorno 12, lutto il contado vi accorse, e stavano inginoc- chioni e lagrimando da piò del letto funebre. Por- tato in città, e messo la mattina del 13 nella sala del suo palazzo , la calca del popolo fu maravi- gliosa: e l'elogio più bello si udiva dalla bocca d'o- gni povero e d'ogni cittadino. Diceva la povera gente: « E morto il nostro buon cardinale, che al partire ci aveva promesso soccorrerci nell'inverno, e ci aveva detto <( Tutto il formentone è per voi ! w Ora come restiamo ? Chi ci soccorrerà ? Chi ci scamperà que- st'anno ? Oh ! perchè quell'angelo ci ha abbando- nato ?» E le lagrime piovevano ad ogni parola. II giorno 14, alle ore nove della mattina, fu portalo il sacro cadavere pontificalmente vestito in proces- sione per la città. Tutte le compagnie, tutti gli ordini religiosi, tutto il clero precedevano la pompa funerale: seguiva col magistrato municipale l'illustrissimo go- vernatore, e tutti gli impiegati, e tutti i convittori del nobile collegio Campana , poi calca di popolo in lutto. Ricondotto indi alla chiesa cattedrale, fu posto sovra un grande catafalco. Sulla porta mag- giore del tempio era una iscrizione latina, una ap- piè del letto funerale, nelle quali si ricordavano i meriti e la vita dell'eminentissirno defunto: intorno alla mole si leggevano quattro molti scritturali. Dopo cantata la messa solenne il doti- Giuseppe Ignazio 281 Montanari, professore nel ven. seminario e nob. col- legio Campana, lesse un commovente elogio. Dopo l'elogio e le assoluzioni di rito rimase la spoglia mortale del buon vescovo esposta alla venerazione del popolo sino all'ora di notte, dopo la quale alla presenza dei reverendi canonici, delle autorità del luogo , e del fiore della nobiltà fu tolto dal letto funebre, spogliato degli abiti pontificali e rivestito secondo la pratica : poi messo nella triplice cassa con pubblico rogito,e chiuso nella catacomba dei ve- scovi. Così fu tolto dagli occhi del popolo: ma non sarà mai tolta dal cuore degli osimani e di tutta la diocesi la memoria delle singolari sue virtù, e delle beneficenze che ha largheggiato nei diciassette anni del suo episcopato , e in tutto il corso della santa ed onorata sua vita ». (29) Questi due eminentissimi vescovi della chiesa osimana e cingolana, nati come il cardinale Soglia nella Romagna, si segnalarono specialmente per la pietà e la beneficenza , e lasciarono di se bellissimi e durevoli monumenti; come si può ve- dere nella continuazione alle memorie istorico-cri- tiche della chiesa dei vescovi di Osimo raccolte ed illustrate da monsignor Pompeo Compagnoni vescovo della medesima città, tom. 4 (in Roma 1783 dalla stamperia Zempel). (30) Sono state esaudite le preghiere nostre e dell' eminentissimo trapassato, dappoiché iddio ha ispirato al sommo pontefice Pio IX di nominare vescovo di Osimo e Cingoli 1' eminentissimo e reverendissimo signor cardinale GIOVANNI BRUNELLI , il quale come porla il nome, così pure porta in sé la dot- V 282 trina e la virtù del suo compianto antecessore, del quale è ancora stato discepolo e successore nell'ar- chiginnasio romano alla cattedra di diritto canonico. (31) La brevità di quest'elogio non ha permesso di registrare tutte le beneficenze dell'eminentissimo defunto, e solo vi sono notate le più conosciute. Pure quante ve ne ha scerete che starebbe assai bene mettere alla luce ! Quantunque oggi le manifesta il pianto e lo squallore di molte famiglie, che oc- cultamente da lui sovvenute, oggi ne invocano e benedicono il nome ! 283 INSCRIPTIONES Supra portam templi maximi ^ PARENTALIA ^ lOANNIS . SOGLIAE . CERONI EPISCOPI . EMINENTISSIMI AVXIMANORVM . ET . CINGVLANORVM QVI . VIXIT . AN . LXXVI . MENS . X. DECESSI! . PRID . ID . SEXTIL . AN . MDCCCLVI HVC . AGITE . FREQVENTES . CIVES A . DEO . OPTIMO . MAXIMO SEMPITERNI . AEVI . BEATITATEM PRECIBVS . ET . LACRYMIS . ADPRECATVRI PONTIFICI.VESTRO.MAGISTRO.PIETATIS.OMNIS ALTORI . PAVPERVM . PARENTI . PVBLICO In mole funebri I PERTRANSIIT . BENEFACIENDO Act. Ap. e. 10 V. 38. II INTELLEXIT . SVPER . EGENVM . ET . PAVPEREM Psal. 40. V. 1. 284 III SAPIENTIAM . EIVS. ENARRABVNT . GENTES Eoclesiastic. e. 39. v. 14. IV. IN . OMNIBVS . SE . IPSVM . PRAEBVIT EXEMPLVM Paul, ad Tit. e. 2. v. 7. In tempio maxima. IOANNES. SOGLIA . CERONI EPISCOPVS . EMINENTISSIMVS AVXIMANOR . ET . CINGVLANOR IS . CASVLAE . VALLIS . SENI! CIBARISSIMO . GENERE . ORTVM . DVXIT FORI . CORNELII . LITTERIS . BONONIAE DISCIPLINIS . PHILOSOPHICIS . ROMaE THEOLOGICIS . AC . VTRIVSQVE . IVRIS . SCIEI>ìTIAE . IN . MAGNO . l.YCEO . LEONIANO VBI . POSTEA . ANTECESSOR . PVBL . SACR CANONVM . FVIT . OPERAM . NAVAVIT. PII . Vir. P . M . LABORVM . ET . ITINERVM COMES . IN . CAPTIVITATE . SOCIVS . A • CVIVS LATERE . POST . MENSES . DVODEVIGINTI AVVLSVS . IN . FENESTRELLARVM . ARCEM CONIEGTVS . EST 285 HOSTIBVS . DIVINITVS . PROFLIGATIS PACE . REDDITA . ORBI . CATHOLICO PONTIFEX . IN . PRISTINAM . LIBERTATEM VINDICATVS . ET . AD . SEDEM . HONORIS SVI . E . GALLIIS . REGRESSVS . FAMILIAREM INTIMVM . SIRI . QVE . AB . EPISTOLIS . AC NEGOTIIS . PRIVATIS . ADLEGIT LEO . XTl . P . M . A. CYATHO.A.SECRETIORE CVBICVLO . ET . MAGISTRVM . LARGITIONVM IN . SOLATIVM . EGENTIVM . ARCHIEPISCOPVM EPHESIOR . ADIVTOREM . SACRI . CONSILII STVDIIS . INSTAVRANDIS . AC . MODERANDIS ESSE . IVSSIT GREGORIVS . XVi , P . M . CANONICVM VATICAN . PRTRIARCHAM . CONSTANTINOPOL ET . AB . ACTIS . SACRI . CONSILII . AD NEGOTIA . EPISCOPOR . ET . SODALIVM RELIGIOSOR . DIXIT RERVM . ECCLESIASTICAR . NOBILIS AVCTOR . ET . CONSVLTVS . SCRIPTOR ADLECTVS . IN . SACR . CONSILIVM . AD NEGOTIA . EXTRAORDINARIA . ECCLESIAE REGVNDA . IVDEX . LIBRORVM . NOTANDOR IVDEX . CONTRA . HAERESIM . ITEM KLERICIS . ROMANIS . AC . EPISCOPIS PROBANDIS . OB . INSIGNIA . ElVS . MERITA IN . COLLEGIVM . PATRVM . PVRPVRATORVM COOPTATVS . ET . SACRIS . AVXIMANOR . ET CINGVLANOR . PRAEFECTVS . EST . XTl KAL . MART . A MDCCCXXXIX 286 OMISIBVS . MVNERIS . SVI . PARTIBVS OFFICHS QVE . ADSIDVE . ATQVE . IN EXEMPLVM . PERFVNCTVS . GENTES . SIBI CREDITAS . CHVRITATE . PRVDENTIA INTEGRI! ATE . DEVINXIT . HOSPITALIS BENIGNVS . SOBRIYS . IVSTVS . EFFVSVS IN PAVPERES . COMIS . IN . OMNES . PER AN XVll . MENS . IV . DIFFICILLIMIS TEMPORIBVS.APOSTOLICAE . MANSVETVDÌNIS SPECIMEN . PRAEBVIT OMNEM . SVBSTANTIAM . SVAM GERONTOCOMIO . AVXIMENSI . IN • SVBSIDIVM SENVM . EGENORVM . TESTAMENTO TRANSMISIT . NATVS . AN . MDCCLXXIX V . ID . OCTOBR . DECESSIT . PRID . li) SEXTIL . AN . MCCCCEvi . MAGNO . OMNIVM MOERORE . AC . LVCTV AVE . PASTOR . OPTIME PARENS . DESIDERATISSIME ESTO . MEMOR . TVORVM ET . VALE . IN . PACE 1 287 Raro esempio di rapida parziale putrefazione. Viso reperto dei periti fiscali, e volo medico-legale del collegio medico ^chirurgico di Roma. Viso reperto. R eìV interno di una folta boscaglia , e precisa- mente fra il tronco di una piccola quercia ed al- cuni rami di crognale, si è ritrovato un cadavere col dorso rivolto verso il cielo, avente il capo distac- cato dal busto, e divenuto perfettamente un teschio, e tramandante un odore nauseoso ed intollerabile. Da un lato del cadavere si è veduto esistere per terra un cappello di feltro negro con cupola bassa e falde larghe, e poco appresso una sciarpa di lana rossa e turchina alquanto lacera con molti capelli di color castagno sparsi al suolo , verisimilmente caduti dalla testa col distacco della pelle , e della corrispondente cuffia aponeurotica. Attesa 1' angu- stia del luogo, e 1' impossibilitcà di poter quivi ese- guire ogni necessaria operazione, si ordinò che detto cadavere fosse rimosso, e trasportato nell'adiacente campo: e così con ogni diligenza venne eseguito col mezzo di una scala di legno. Tale cadavere si è riconosciuto di sesso masco- lino, di ordinaria statura e corporatura, vestito con giacchetta di velluto negro tendente al lossigno per cagione di consumo , camicia di mussolo bianco , corpetto di cotone oscuro, calzoni di tela grossa di 288 un rosso tendente al bruno, calzette bianche di co- tone, scarponcini di vacchetta bianca; il qual cada- vere, come si osservò, manca della testa e del collo perchè corrosi e distrutti da putrefazione che si es- tende altresì nella cavila del petto con abbondante quantità di vermi. Fatto quindi denudare dalle descritte vcstimenta, ed osservato per ogni parte il cadavere, non si è rinvenuto nel medesimo alcuna traccia di lesione , ferita o frattura, tranne una irregolare impressione nella base del costato laterale sinistro, del diame- tro di mezzo pollice tegumentalmente escoriata con disseccamento della sua superfice. Si è parimente osservata la palma della mano destra lorda di san- gue disseccato, e così pur la sinistra, del qual san- gue si sono parimente trovate asperse le maniche quasi per tutta la loro lunghezza fin verso il collo della giacchetta. Nel ginocchio destro si è inoltre osservata una superficiale escoriazione di non recente data. Ispezionati i panni, non si sono riscontrate altre tracce óltre le suindicate, e solo nel descritto cappello si è vista una piccola lacerazione di poche linee sull'alto della cupola che sembra avvenuta per causa naturale. Fatta poi interpellazione ai testimoni sulPindi- duo ora fatto cadavere, essi risposero essere ben difficile di riconoscerlo positivamente perchè man- cante della testa: però F. e B. aggiunsero che dal vestiario e dal complesso della statura e corpora- tura del cadavere potrebbero ritenere con ogni pro- babilità che sia quello di P. S. sopracchiamato B. della età di circa 25 anni, contadino abitante la vi- 289 cma parrocchia , accreditando questa loro ricogni- zione col non averlo veduto da più giorni e coll'es- sersi pubblicamente detto che era rimasto ucciso. « Ciò premesso, invitati i signori periti a proce- dere alle operazioni dell'arte sul detto cadavere per quindi emettere l'analogo giudizio sulla vera causa -della morte del suddetto individuo, i medesimi, pre- vio il giuramento, riferirono quanto segue. tt Avendo noidiligentemente osservato quest'uomo divenuto cadavere dichiariamo che dai piedi fin verso la sommità del torace non iscorgesi lesione alcuna, tranne la escoriazione tegumentale del costato sini- stro indicata di sopra. « Si ò pure veduta la faccia palmare della mano destra cospersa di sangue disseccato; il dorso di que- sta e il suo caipo licoperti di vermi e in piccola parte corrosi. Parimenti l'altra mano nella sua vola e nel dorso si ravvisano lordi di sangue rappreso. Nel ginocchio destro rilevasi una escoriazione nella sua parte callosa, cagionata da attrito di corpo con- tundente; e sì questa come la suggella/Jone del co- stato sinistro giudichiamo essere stale di nessun perÌ€olo. « Osserviamo inoltre la parte superiore del tronco, ossia quella porzione compresa tra la regione sotto clavicolare all'innanzi, la sopra scapolare in addie- tro, le teste degli omeri lati, e la sommità del collo, spoglie del tutto di parti molli già in preda a pu- trido e vei'minoso disfacimento , e per conse- guenza rimaste a nudo le semplici ossa, alcune delle quali portate fuori dei loro naturali rapporti. « Osserviamo il cadavere privo della testa, ed in- G.A.T.CXLV. 19 290 vece al lato del medesimo troviamo un capo umano voto del cervello , destituito affatto di parti molli, e ridotto perciò ad un puro teschio, che esaminato con ogni accuratezza non ci ha offerto alcuna le- sione. Vediamo infine la prima vertebra cervicale staccata dal suo posto e come le altre di questa regione completamente spolpate. « Il cadavere è di uomo sul quinto lustro circa dì sua età, divenuto tale da circa otto giorni a que- sta parte. « Dalle premesse osservazioni non dubitiamo di giudicare, che la rimarcata distruzione sia stata opera di putrido verminoso corrodimento , mentre tutte le aUie osservazioni praticate sul ridetto cadavere non ci pongono in grado di poter emettere il no- stro giudizio sulla vera causa della morte ». Voto del collegio medico-cliirurgico. In mezzo alla oscurità che circonda la causa di morte di P. D. ritrovato dal fìsco in tale stato di mutilazione e deformità non solo da non potervi dimostrare alcuna lesione letifera , ma di ricono- scerne appena la identità per mezzo delle vesti, due fatti solenni richiamavano l'attenzione del collegio, e sembravangli abbastanza luminosi da rischiarare la via delle indagini e raggiungere la verità. I due fatti sono: 1. la presenza del sangue nelle mani del cadavere, non che lungo le maniche del vestito, e sullo stesso colletto del medesimo: 2. l'enor- me differenza dei fenomeni cadaverici fra alcune parti del corpo quasi totalmente distrutte, ed altre ^291 quasi perfettanlente consei'vate. E un fatto solenne la presenza del sangue, perchè accenna ad una ferita come effetto invariabile alla sua causa. Se P. D. era lordo di sangue, convien dire ch'egli fosse stato fe- rito. Possono infatti eliminarsi facilmente nel caso attuale tutte le altre possibili origini di questo fatto. Non trattasi qui di un chirurgo o di un ostetiico che avessero potuto macchiarsi di sangue in una ope- razione cruenta. Non può supporsi che questo san- gue procedesse dalla uccisione di un animale; non saprebbe intendersi ,in tal caso come il sangue im- brattasse il colletto dell'abito, piuttosto che le ve- stimenta inferiori del corpo. Non può ammettersi che derivasse da ferita inflitta ad altri da P.D., dalla quale poi ne spicciasse sangue che lo imbrattasse. In tal caso il sangue si sarebbe mostrato a spruzzi in varie parti del corpo, non in tracce continuate dalle mani fino all'alto delle estremità superiori. Ri- pugna finalmente che P. D. fatto cadavi^re per morte fortuita fosse cruentato da lacerazioni di animali ra- paci; poco è il sangue che scaturisce da un cada- vere, non è tale ohe possa rapprendersi sulla cute e sulle vesti, né saprebbe allora spiegarsi la inte- grità delle mani. Non rimane adunque altra spiega- zione alla origine di questo sangue, che una ferita inflitta a P- D., della quale non essendo vestigio al- cuno nelle parti superstiti del cadavere, convien cer- care la sede nelle distrutte e precisamente nel collo, come quello che ricco di vasi è preso pili spesso di mira dagli assassini. Se non che questa distrazione delle parti molli del collo e della testa, restando quasi illeso il ri- 292 manente del corpo, fornisce un altro argomento va- levolissimo a dimostrare che appunto in quelle parti, che una rapida putrefazione facea scomparire, dovè esercitarsi 1' istromento vulnerante. Ella è materia di fatto confermata da ripetute osservazioni e atte- stata da scrittori, che le parti vulnerate entrano più prontamente in putrefazione e ne sperimentano le fasi con una rapidità straordinaria. La ragione ne è chiara sì nella soluzione dei tessuti cutanei che servono grandemente a proteggere le parti interne dal con- tatto dell'aria atmosferica, la cui presenza è condi- zione principalissima a favorire il movimento putre- fattivo; e sì nell'incominciato disordine e disunione degli slami oiganici, che parimenti agevola il sud- detto movimento. Ed infatti non solo la ferita pro- priamente detta, ma la contusione, l'ammaccatura, quantunque non dividano la pelle, acquistano pure alle parli offese maggior proclività alla putrefazione. Il collegio adunque, a spiegare la enorme disparità de'fenomeni cadaverici fra le parti superiori al petto e le inferiori al medesimo, non poteva rimaner sod- disfatto alla semplice condizione dell'esser nude le prime e ricoperte le seconde da vesti. Si veggono ogni giorno cadaveri di individui tuttora vestiti, né perciò le parti nude presentano quel disfacimento che offriva il cadavere di P. D. Le aperture delle narici, degli occhi, della bocca , comuni a tutti i cadaveri, non ispiegano neppure la più sollecita pu- trefazione, la quale non può interpretarsi in altro modo che col riferirla a profonde offese dirette a quelle parti, in cui si effettuava il ridelto disfaci- mento. E perchè la teca ossea non mostrava alcuna 293 offesa, e la perizia non fa motto alcuno di lesioni delle vertebre, così è nelle regioni anteriori o late- rali del eolio che convien stabilire la sede delle vio- lenze. Ma partendo anche dal principio che le parti vulnerate si putrefanno più prontamente, potrebbe a taluno rimaner dubbioso come questa putrefa- zione sia giunta in pochi giorni a sì alto grado da distruggere totalmente le parti molli del capo, del colio, della sommità toracica e da votare persino il cranio : ma di questi sì celeri disfacimenti non mancano esempi negli annali dell'arte, e nel caso attuale abbiamo sufficienti ragioni nel concorso di tutte le condizioni le più favorevoli al movimento putrefattivo. Ed infatti l'esposizione all'aria, la sta- gione autunnale, lo spirare del vento di mezzogiorno, la condizione caldo-umida dell'atmosfera, il tempo pioviginoso,erano tutte circostanze grandemente atte a sollecitare il disfacimento della materia organica. E quando rammentisi che durante il processo chi- mico della putrefazione svolgesi in gran copia am- moniaca, capace di ammollire ì più resistenti tes- suti, e che si genera persino l'acido nitrico poten- tissitno a corroderli, non dovrà recai* maraviglia se in breve tempo sia scomparsa tanta parte del ca- davere di P. D. Aggiungasi la copiosa produzione di vermi verificatasi in tal congiuntura, e che poteva pure contribuire alla suddetta distruzione. Del resto non sembra sufficientemente dimostrato che la te- sta fosse separata dal busto fin dal momento, in cui fu cognita la esistenza del cadavere in quel macchione: ricavandosi da alcuni testimoni che aderisse tuttavia al busto, ed essendo molto probabile che il distacco ac- cadesse nei successivi movimenti impressi al cadavere. 294 Adunque questi due fatti, la esistenza cioè del sangue disseccato sulle nnani del cadavere, sulle ma- niche e sul colletto del vestito che lo copriva, e la rapida putrefazione del collo e sue parti adiacenti, furono giudicate dal collegio come prove bastanti a dimostrar l'omicidio. Non mancano negli atti pro- cessuali altri indizi tendenti a piovare la morte vio- lenta di P. D. Si potrebbero citare le grida udite da più testim^ìni: grida che si andavano successi- vamente affievolendo e che sembravan partire dal teatro dell'avvenimento; si potrebbero rammentare r impressione irregolare del costato destro e la es- coriazione del ginocchio corrispondente, che sem- brano pure accennare ad una colluttazione; potreb- bero citarsi le zolle di terra intrise di sangne in luogo sospetto; potrebbe parlarsi infine della cravattia di- visa in due brani trovata presso il cadavere, e così dichiarata da alcuni testimoni, e che non potrebbe attribuirsi alla putrefazione, ma indica piuttosto I' opera di un islromento vulnerante , o di una vio- lenza: tutti questi indizi di pertinenza fìsica potreb- bero essere invocati a corroborare il giudizio , ma non basterebbero a stabilirlo, perchè non esenti da eccezioni. Pertanto il parere del collegio, che la morte di P.D. sia derivata da ferimenti ex scelere, riposa prin- cipalmente sulle due prove esposte di sopra. Sarebbe poi entrare nel campo delle ipotesi il volere asse- gnare con precisione le modalità tutte del feri- mento, mancando i dati necessari a simil giudizio. Potrebbe però asserirsi con piena sicurezza, che il luogo, ove fu rinvenuto il cadavere non fu quello ìh cui avvenne la morte. \ 295 Sulla pallia del poeta comico Terenzio. Ragionamento recitato alla pontificia accademia romana di ar- cheologia dal cavaliere Salvatore Betti socio ordi- nario e censore. 1. JLie poche ed incerte notizie, che ci hanno tra- mandato gli antichi intorno a molti scrittori di fama illustre, sono state cagione di non lievi controver- sie nelle storie delle varie letterature: gareggiando città e nazioni nel trarre a se, per quante ragioni e congetture mai possano , il vanto de' loro natali. Non può infatti un paese, che pregisi di civiltà , aver vanto maggiore di quello d' essere stato culla di alcun grande che più abbia onorato l'umano in- telletto. Chi non sa le contese di sette città d'Asia e di Grecia per la gloria d'esser salutate patria d' Omero? Chi non sa le altre che vegliano tuttavia fra parecchi eruditi e noi rispetto al luogo ove nac- que Pittagora ? Pittagora , dico , cui ed Aristotile ed Aristosseno e Teopompo e Aristarco fino da'loro secoli reputarono italiano: certo considerando che qua ebbe la famiglia e la stanza, qua la scuola, qua la civile grandezza con tanta dimostrazione d'acceso amor patrio, qua la filosofia che si chiamò italica: oltre ad essere stata nella Lucania anche una città denominata Samo, che perciò (lasciamo stare le gre- che favole ) dee stimarsi la vera terra natale del gran sapiente. Nota è altresì la quistione che a' passati anni promosse Pietro Giordani intorno alla 296 patria di Vilmvio, consentendogli, coni' egli affer- mò , il Mezzofanti. Perciocché lo stile inculto e le voci qua e là prette greche, ch'usa il celebrato ar- chitetto, non parvero a'due valentissimi cosa d'uomo latino fiorito all' età di Augusto : e proposero che fosse slato anzi uno schiavo greco fatto poi libero da Yitruvio Pollione. Se non che a tale sentenza fu chi contrappose, che là dove parla Yitruvio di se, non dice mai d'essere nato greco; che anzi avvi un passo nel libro settimo, nel quale egli chiama an- tichi nostri i romani: e che in fine il suo stile, poco veramente culto, ed i suoi spessi grecismi non deb- bono far maraviglia : essendoché anche nel secolo di Augusto potesse un nostro artefice non solo scri- vere senza proprietà ed eleganza, ma con molti greci vocaboli, molte cose avendo pur dovuto traslatare dal greco. 11 che parmi saviamente opposto. Non veggo però che siasi toccala forse la maggior ra- gione, ch'esclude affatto in Yitruvio, se io non erro, la qualità di liberto greco, ed assicura all' Italia 1' onore della sua nascita: la ragione cioè de'suoi no- mi. Perchè ninno ignora, che tutti gli affrancati appo i romani dovevano avere invariabilmente prenome, nome a cognome. Il prenome ed il nome, com'è noto, toglievano dal padrone stesso ncH'alto che loro concedeva la libertà: ed il proprio nome servile po- nevano per cognome. Ora se il padrone di Yitru- vio architetto chiamavasi Yitruvio Pollione , qual era dunque il nome del servo ? Pollione anch'esso? Ciò non par possibile: anche perchè Pollione è voce singolarmente propria del Lazio , dove fra le altre cose a notarsi era la tribù Pollia. Alcuni storici \ 297 delle arti, e con essi il Milizia, stimarono pur li- berto l'altro architetto C. Postumio Pollione. Ma una iscrizione trovata in Terracina ne rivelò Te noie: che ivi Postumio Pollione mostrasi chiaramente latino ingenuo, dicendo l' iscrizione: C . POSTVMIVS . C . F . POLLIO . ARCIllTECTVS II. Ciò che il Giordani ed il Mezzofanti indusse a dubitare della patria latina di Vitruvio, ciò stesso ha indotto anche me a dubitare della patria affri- cana del poeta comico Terenzio. Come (ho io detto più volte tra me) come in un servo barbaro,e nel fiore degli anni, una sì rilucente candidezza e venustà di scrivere, anzi una potenza di elocuzione urbanissima, che al tutto cambiò, può dirsi, l'antico latino, e die principio al vero secolo d'oro della favella ? Quale differenza infatti da esso a Nevio che usò V orri- dezza de! numero saturnio, e a Pacuvio e a Cecilio scrittori, giudice 1' ai-pìnate, di riprovata latinità ? Qual differenza pure da lui ad Ennio e ad Accio, i versi de'quali menano ancora tanta vecchia sco- ria di lingua ? Anzi da lui al gran Plauto , le cui grazie vanno si spesso accattando voci e frasi scon- cissime dal bordello e dall' infimo trivio? Né mi si opponga l'esempio di Fedro, servo tracio : perchè egli visse all'età di Angusto, di Tiberio, di Caio e fors'anche di Claudio , in cui fra le mani di tutti già erano i nitidi esemplari del dir latino : sicché niun debba maravigliare se dopo molti anni di stu- dio nelle opere di Terenzio, di Laberio, di Catullo, di Calvo, di Lucrezio , di Virgilio , di Orazio e di 298 altri poeti elegantissimi, potè sorgere anche un bar- baro ad alcuna lode di gentilezza romana, trattan- dosi specialmente di brevi componimenti, come sono appunto le favolette del vecchio Fedro. Lungamente ho perciò pensato, o signori, se mai per alcun modo potevasi da me dimostrare che la patria di Teren- zio Afro non sia stata veramente che Roma , li- brando con equa bilancia le cose favorevoli o con- trarie che ce ne lasciarono scritte gli antichi. E ben- ché io non sia tale presuntuoso da credere per me dimostrato pienamente il fatto, non posso con tutto ciò negare d'essermi dopo molte ricerche sempre più fondato nella mia opinione, e d'aver anche in- dotto in alcuni eruditi amici una probabilità che tanto uomo fosse non pure della nostra nazione , ma nato romano. Nel che però non saprei affer- mare se per avventura non mi abbia prevenuto al- cuno, principalmente di là da' monti: ciò solo po- tendo assicurare, di non averne trovato né pur so- spetto in quanti autori m' è occorso leggere intorno a Terenzio, soprattutto alemanni, i quali sagacissi- mi in siffatti studi di critica, in cui i moderni avan- zano di tanto gli antichi, mostrano d'aver serbato, forse più riverentemente dei dotti d'ogni altra na- zione , il loro culto agli scrittori immortali della Grecia e del Lazio., Ora a quale autorità meglio che alla vostra, o signori, sottoporrei la mia opinione ? Chi meglio di voi invocherei miei giudici ? Fate dunque coH'usata benignità di prestarmi udienza, e compiacetevi poi di decidere. in. Di Terenzio va intorno una vita sotto il nome del grammatico Elio Donato, che visse nel quarto 299 secolo d&U'era cristiana. Niun dotto crede però che sia opera in tutto sua, ma sì la vuole piuttosto Un accozzamento di notizie prese a brani qua eia senz'or- dine e critica da Fenestella, da Svctonio (a cui tante vite d'uomini illustri furono falsamente attribuite), da esso Donato e da altri: benché alcune sieno forse vere, come si usa ne'romanzi, dice il Pallavicino : poca istoria e molta favola. E fra le favole, e le più certe, io pongo, l'aver detto che gli edili inviarono il giovane Terenzio nel 587 a legger l'Andria a Ce- cilio, il quale si sa esser morto nel 585. Non ignoro che il Pighio, il Vossio, e con essi Ennio Quirino Visconti, senza l'autorità di niun codice hanno vo- luto emendare Cecilia in Acilio, solo per essere Stato Manio Acilio Clabrione uno dei due edili curuli in quell'anno. Ma io non so persuadermi come Teren- zio dovesse dagli edili esser mandato ad Acilio, eh' era appunto uno di essi. Sembra però che il falso Do- nato traesse questa notizia coH'usata inconsiderazione dalla cronica eusebiana continuata da s. Girolamo, dove narrasi la cosa in modo che non par possibile d'attribuirla ad altri che a Cecilio: perciocché scri- vesi che Terenzio primam Andriam, ante quanti ae- dilihus venderei , Caecilio muUiim se miranti legit. Vuoisi prova , se non erro , più chiara di questa, che in ambedue gli autori dee leggersi Caecilio e non Acilio ? Tanto più che cosi stampò anche il Mai nell'edizione romana della cronica di Eusebio fatta latina dal dottor massimo: e si l'illustre porporato aveva veduti, com'egli nota, ben venti autorevolis- simi codici vaticani. IV. Ora in siffatto libro, o signori, si dà contezza 300 che P. Terenzio Afro en nato schiavo cartaginese, e che condotto fanciullo in -Roma fu fatto educare dal suo signore Terenzio Lucano senatore, e poi nia- nomesso. Questa notizia non travasi registrata nella detta cronica eusebiana restituitaci felicemente in- tera per una versione armena dal Mai e dal Zohrab. Fu dunque tratta da altro fonte , e probabilmente da s. Girolamo , il quale nella traduzione latina e continuazione della cronica afferma di aver fatto non poche giunte ad Eusebio, togliendole da vari autori con opera, egli dice, tumultuaria. Obsecro (così scrive a' suoi amici Vincenzo e Gallieno) ut quidquid hoc tumultuarii operis est, amicorum, non iudicum, animo relegalis. Ma coH'ossequio, che avrò sempre altissimo a sì gran dottore, non sarò reputato ardito asserendo ch'egli , spinto dalla fretta , lasciò forse in alcuna cosa condursi all'opinione volgare de'grammatici, i quali nello scorcio del suo quarto secolo ricanta- vano con intera confidenza tante fole dfi collegio in fatto d'antiche istorie: perchè non è chi non sappia quanti trascorsi d'ogni maniera abbiano i critici do- vuto correggere nella sua cronica. Si è testé veduto ciò che anch'egli scrisse di Cecilio improbabilmente: ed aggiungerò, che in un libro ove trattai di Quin- tiliano ebbi anche a notarlo col Tiraboschi d' aver narrato che quel retore fu condotto di Spagna in Roma da Galba nel 68 dell' era volgare : quando si sa di certo per le opere stesse di Quintiliano, ch'egli nacque d'un padre ch'era in Roma difensore di cause: che qua fanciullo aveva udito levare le lodi grandi di Domizio Afro, di Passieno e di Decimo Le- lio per le aringhe in difesa di Volusieno Caluio: e 301 ch'ei'iisi perciò reso sco/are di esso Doinizio, il quale secondo Tacito morì nel 56, cioè dodici anni prima del ritorno di Galba (1). Sicché ho per probabilissimo che quel sì romano scrittore nascesse in Roma, e che ciò fosse la ragione per cui non potè essere da Marziale annoverato un uomo tanto famoso e con- solare fra gli spagnuoli illustri dell'età sua. V. Doveva però il falso Denato (o colui ch'egli copiò)andarsommamente cauto nell'assegnar l'Affrica per patria a Terenzio : perciocché su quel princi- pio della sua compilazione, così di leggieri potuto ascriversi a Svetonio , egli ci avverte non [liccola cosa: che cioè L. Fenestella (contraddicendo forse ad alcuno, che anche al suo tempo per la voce Afer reputava il poeta un servo affricano) già ebbe ad osservare, essere impossibile che Terenzio fosse stato preso schiavo nell'Affrica: o sia, come allora sonava la voce Affrica, nella provincia di Cartagine: essendoché dopo la seconda guerra punica, in cui nacque indubitatamente il nostro comico , e prima della terza , in cui morì , sia fuor d' ogni credere che nessun cartaginese si facesse schiavo da' ro- mani: a ciò repugnando i solenni patti di pace e di alleanza fra le due nazioni. Questa osservazione fondata così sulle nornje della ragion delle genti , come sulla certa autorità della storia, da tale repu- latissimo critico e storico del secolo di Augusto , qual fu Fenestella, cui Lattanzio chiamò assai dili- gente, basterebbe per se sola a risolvere affatto in contrario la quistione sulla nascita servile di Te- li) Lib. I. epigr. 62. 302 renzio in Cartagine. Ma v' ha pure altra cosa non meno essenziale a doveisi in ciò considerare chi brut- tamente non vuol errare ne' primi rudimenti delle antichità romane: cosa da me toccata or ora par- lando di Vitruvio. Se Afro nel nostro comico vo- leva indicar la patria, qual nome adunque egli avea nella sua servitù ? Terenzio Lucano suo signoie gii avrà dato senza dubbio il proprio prenome e nome, ma lesciatogli per cognome, secondo l'uso immuta- bile, il nome servile. Or Afro avrà dovuto di ne- cessità chiamarsi il servo; e perciò Afro sarà cer- tissimamente un cognome, e non mai un pretto de- rivativo di patria. Del qual cognome tratteremo più oltre. VI. Quanto al prenome Publio accade però, al nostro proposilo una cosa curiosa: ed è che di tutti i Terenzi Lucani, de'quali ci sia rimasa notizia, nes- suno ha esso prenome. Caio si disse quel Teren- zio Lucano , di cui ne' tesori abbiamo alcune mo- nete ; personaggio che il Riccio con probabili ra- gioni vuol esser fiorito poco dopo la battaglia di Canne, che fu combattuta nel 537. Caio si chiamò pure quell'altro, di cui ci parla Plinio il vecchio (I): e Caio dovette chiamarsi altresì l'avo di lui, da chi, secondo esso Plinio, fu adottato: e Caio si sarà chia- mato anche suo padre, se fu primogenito e nacque dopo il 514, quando per una legge dataci da Mas- simo Planude e poi dal Mai ne'frammenti di Dione, e dottissimamente al suo solito interpretata dal mae- stro sommo di queste dottrine Bartolomeo Borghe- (1) Lib. XXXV cap. 7. 303 si (I) , fu ordinato che i padri dovessero sempre imporre a'Ioro primogeniti il proprio prenome. Disse il Pighio negli Annali d'aver trovato in un suo co- dice della vita scritta dal falso Donato, codice non sappiamo di qual'età, chiamarsi Publio chi affrancò Terenzio comico. Certo se fosse vera la libertà da lui conseguita, il padrone che glie la dio non poteva che avere il prenome Publio. Ma ciò non si è ve- rificato finora per nessuna testimonianza nò di scrit- tore antico, né di moneta, né di altro manoscritto dell'anzidetta vita: ed aggiungasi, né pur di quella che da un codice ambrosiano del secolo nono ci diede il Mai. Non dee dunque aversi che per una dotta illazione. Ed anche domanderei ad esso Pighio se egli crede da senno, che il padrone del comico dovesse solo nel 576 , com'egli avverte pure negli Annali , aver ottenuto la questura: ufficio da giovane di circa ventisette anni, secondo ch'era determinato per la legge Villia stanziata due anni avanti : perchè non potendo Terenzio Lucano, prima delle ordinazioni di Siila, essere stato senatore che dop o quella dignità per elezione censoria, tale dunque non era né quando si dice aver comprato il fanciullo schiavo affricano, che vuoisi nato verso il 559: nò quando si affer- ma avergli dato assai per tempo la libertà. Dissi non essersi verificato il prenome Publio nò pure per ve- vun-d moneta: perché è ben vero che Publio Teren- zio credesi leggere in un asse pubblicato dall'Eckhel, e in un piccolo bronzo posseduto dal Borghési, ma non avendo il cognome Lucano , non fa punto al (1) Giornale arcadico, gennaio 1829. 304 caso nostro: tanto più che ninno sa chi egli vera- mente si fosse: ed anzi essendo e nell'asse e nel bronzo il TE in nionogramma, può leggersi in di- versi modi, osserva TEckhel, e a diverse genti as- segnarsi. VII. Il vocabolo Afer, aggiunto al nome di Te- renzio, è stato certamente cagione che alcuni, sen- z'altro considerare, abbiano creduto il comico es- sere affricano. Il che non è a maravigliare nel pre- teso Donato e ne' suoi pari: ma doveva , come di volgarissimo abbaglio, far ridere Fenestella impugna- tore fino dal secolo augusteo, secondo che si è ve- duto, della servitù di Terenzio : quel Fenestella, il quale ben sapeva che Afer era fra' latini un puro cognome, non altrimenti che tanti altri, dì cui ora nessuno saprebbe render certa ragione: quando non volesse stimarsi della condizione di quelli che ven- nero tratti da alcun colore, come Albus, Candidii'i, Flavits, Piuber, Rufus, Fusciis, A7j/er, Pnllus, cogno- mi altresì in tanta usanza fra' nostri. La qual cosa parve anche verisimile al celebre F. Labbè(l):che però sembra non essersi ricordalo di un passo di Sparziano (2), dove assolutamente d' un color afro intese colui, che in nome di Apollo Delfico scherzò intorno a Pescennio Nigro, a Settimio Severo e ad Albino, i quali si disputavano V impero: Opthnus est fuscus, bonus afer, pessimus albus. Infatti doveaFe- (1) Le$ etitnologies de plusieurs mots francais, arlic. Afreux.