llJl£iM..: GIORNALE DI SCIENZE LETTERE ED ARTI TOMO LIV. GENNAJO , FEBBRAJO , E MARZO 1852 ROMA NELLA STAMPERIA DEL GIORNALE ARCADICO * PRESSO ANTONIO BOULZALER Ili DIRETTORE DEL GIORNALE ARCADICO S. E. il sìg. principe D. PIETRO ODESCALCHl , membro del collegio filologico dell' università roma- na , socio ordinario della pontificia accadensia di ar- cheologia , censore di Arcadia. AMATI AB. GIROLAMO , scrittor greco alla biblio- teca vaticana , membro del collegio filologico dell' università di Roma , censore delia pontificia acca- demia di archeologia e dell' Arcadia. BETTI SALVATORE, professore e segretario perpe- tuo dell'insigne e pontificia accademia di S. Luca, socio ordinario della pontificia accademia di archeo- logia , uno de' XII colleghi di Arcadia. BIONDI MARCHESE COMMENDATORE LUIGI , ccusorc del- la pontificia accademia di archeologia e dell' Ar- cadia, soprintendente generale degli studi delle belle arti in Roma per S. M. il Re di Sardegna. BORGHESI BARTOLOMEO , accademico della cru- sca , socio onorario della pontificia accademia di archeologia. CARPI PIETRO , professore di mineralogia e mem- bro del collegio medico dell' università di Roma. DE-CROLLIS DOMENICO , dottore in medicina. FOLCHI GIACOMO , professore d'igiene, di terapeu- tica generale e di materia medica , e membro del collegio medico dell' università di Roma. GERARDI FILIPPO. IV POLETTI LUIGI , consigliere dell' insigne e ponti- ficia accademia di S. Luca nella classe di architet- tura , professore onorario della R. accademia delle belle arti di Modena, professore ordinario di geo- metria e di meccanica dell' ospizio apostolico di S. Michele. TONELLI GIUSEPPE, dottore in medicina. SCIENZE Congetture intorno alle leve organiche della vita. Continuazione delV articolo del giornale arcadico del volume 76 mese di giugno , anno 1829. Humanj corpon's Iyrco , la quale è in ragione composta della quantità del sangue , e della velocita del medesimo. Altrettanto deve avvenire in tutti i vasi, in tutti i condotti del sistema organico; e conseguentemente in tutti gli umori separati ed escreti da quanti esistono organi viventi. 61. E qui giova riflettere, che non tutti gli or- gani SiirauMo disturbati dalle loro funzioni normali egual- mente e sempre .- ma quelli che hanno più di rap- porto colle molle esterne primamente oil'cse. Inoltre, che il numero degli organi , che vengono successi- vamente turbati , sarà corrispondente non solo al nu- mero delle leve primarie , che [)rimc venaeio ad in- feimaisi, ma anche airintcnsità della offesa delle mede- Levh ohganichk della, vita. 31 sime , ed al tempo in cui esse rimangono turbate. Di modo che non di rado la lesione di una molla si trar- rà seco successivamente la lesione di molti organi , ora per via di consenso reciproco di questi , ora per mezzo de' grandi sistemi vascolari , nervosi ec. con- dotti allo statCT innorraale. 62. Ma noi abbiam dimostrato che ogni leva se- condaria possiede la stessa vitalità delle primarie, cioè che irritata dalle proprie potenze concepisce un nuo- vo movimento proporzionale all'eccitamento, che avea concepito per ragione di consenso , ed all' eccitamen- to indotto dai proprj umori. Onde pervertiti questi umori ^ divengono esse centri di nuove irritazioni, le quali possono innalzarsi a tal alto grado da primeg- giare sulle prime non solo, ma di conservarle, quand' anche per la cessazione dell' azione degli stimoli ester- ni avessero già, dovuto cessare. 63. E in tal caso che si opinò nascere una rea- zione , o che s'incolpò il principio attivo vitale sol- levantesi contro la causa nKM-bifìra. Ipotesi erronee, alle quali diede origine un iutsallo studio de'fenorae- ni morbosi. Nel primo caso si applicarono le leggi della meccanica semplice , che considera la sola ve- locita e peso delle forze alle leggi dell' organismo da quello molto diverse. E venne paragonata alla rea zione de' corpi duri ed elastici una serie di nuovi fe- nomeni , che altro non hanno di comune fra loro , se non la catenazione della loro successione , e per la produzione de' quali concorrono forze chimiche , fisiche, organiche ec. 64. Se io non m'inganno, questo prospetto di pa- tologici fenomeni vi ha dato in mano la soluzione ap- prossimativa di molti processi innormali ; e come ve ne ha fatta conoscere l'origiue, cosi vi fa ancor trai vedere qual sari per essere la terminazione. Se gli ini- 32 S e I E N Z F pasti e le secrezioni morbose saranno tali che queste uilime possano essere evacuate, ed i primi tanto poco generali nei fluidi , e così poco tenaci da rientrare nello stato normale , la malattia ben trattata potrà avere un prospero line. Se questi impasti e queste secrezioni saranno avvenuti in luoghi, d'onde non sia permesso riraiToverli , passera l'infermo allo stato cro- nico. Per ultimo se saranno tanto generali, e così te- naci da non potersi riordinare , verranno soffermati tulli i movimenti nel sistema , e ne seguirà la morte. 65. Non è pertanto l'esaurimento della eccitabi- lità, nel senso da molti adottato, la causa della mor- te all' occasione di malattie ipersteaiche. Questa con- seguenza, evidente per le cose dette, viene appoggia- ta dalla considerazione del momento delle potenze mor- bose, che prima operarono, le quali per quanta si vo- gliano supporre gagliarde , non pertanto non avreb- bero mai prodotto un tale effetto , se si fossero spie- gale successivamente. Il che pur non potrebbe essere nella ipotesi di esaurimento : giacche il consumo do- rrebbe aver luogo , tanto se avvenisse in un tempo piij breve, quanto in uno più lungo. 6G. Io dunque per mezzo di queste due ultime allocuzioni vi ho dichiarate ( vedi la Memoria sullo stato irritativo) le quattro leve organiche esterne del sistema vivente. Oltre a ciò ho accennale le ulterio- ri leve interne comunicanti colle prime , e reso vi- sibile il legame de' loro disordini. Ho pertanto ese- guito quello , che mi era impegnato di appalesarvi. 67. Por lo che venne molto aggiustatamente l'uma- na macchina assomigliala ad una lira , le cui cor- de debJjono esser tese con certa proporzione , e toc- cale con certo rapporto , affnichc sussista la sanità: ed ove qucst' ultima siasi perduta , è necessario per riac(]uistarla ricondurre alla propria tensione le parti Leve organiche della vita 33 che la perdettero, e rimuovere, fin dove si può, lutti i disordini , tanto primi , quanto secondar]', che impe- discono la restituzione alla normale tensione, da ctìi nasce la di lei armonia. L'effetto di queste dissonaa- ze frequentissimo e gravissimo , è l'infiammazione , e della medesima parleremo in appresso. 68. Mi si rendevano indispensabili queste premes- se per vederla in tutti i rapporti , per non confon- dere le cause cogli effetti , e per proporre un tratta* mento, che a tanti diversi disordini convenga. Del tremuoto avvenuto nella città e provincia di S. Remo Vanno 1831, relazione delV intendente Al- lerto Nota. - Pinerolo \ 832 in S.** di pag. 47. G loraechè \ più celebrati filosofi de' presenti e de* trascorsi secoli, da Anassagora a Davy , abbiano sem- pre mai volto le loro serie considerazioni sul paure- vole fenomeno del tremuoto, pur uno ^curo velo an- cora ci asconde la causa , o le cause , da cui pro- cedono i crollaraenti di terra, che tanto spavento in- ducono negli animi umani , e tanti danni arrecano a citta fioritissime , a regni , a intere nazioni. Ignoti medesimamente a noi sono gl'indubitabili e certi in- dizj, che debbono assai prima dell' avvenimento pre- nunziare l'imminente catastrofe: e, quel che più mon- ta , le cure umane sono a mal fine riuscite spese in escogitar qualche spcdicnte , onde un tanto flagello scansar si potesse. E però a grande utilità delle na- turali discipline tornano sempre le accurate relazioni di esperti osservatori , i quali divisamente i fatti ci G.A.T.LIV. 3 34 Scienze narrino e i fenomeni , che accompagnano colali in- fortuni : imperocché mercè di una suflìcientc collezione di replicate esperienze, e mercè del confronto loro, spe- rar ci lice die alle fine le geologiche indagini a que- sto punto risguardanti sieno per aggiungere al vero, e che certe ed evidenti teorie alle fantastiche e dub- biose ipotesi sottentrino. Il cav. Alberto Nota , il cui nome vivrà sem- pre mai glorioso ed onorato, fincliè le lepide ed in- struttive grazie della comica musa saranno amate ed ammirate nella bella Italia, da questi motivi fu in- dotto a donarci la egregia sua relazione, in cui tro- viamo un distinto e compiuto ragguaglio di quanto intervenne nel tremuoto che addi 26 maggio dell'an- no 1831 travagliò la citta e la provincia di S. Re- mo nella Liguria. L'illustre autore che al governo di essa provincia sopraintcndeva , mosso dal suo zelo ac- corse tosto ai luoghi, che teatro furono di tante sven- ture , per dar gli opportuni provvedimenti e per lar- gire i soccorsi dalla magnanima generosità del re Car- lo Alberto destinati al sollievo de'più danneggiati nel- la persona e nelle sostanze ; onde vennegli fatto di veder fatti, ed udire narrazioni fedeli del recente caso. In tre parti è divisa la relazione ; nella prima riferisconsi i fatti : nella seconda i fenomeni; nella ultima le cause s'indagano di quella meteora. I segni e gl'indizj , che instantanearaente il crol- lo della terra precedettero, il cupo e sotterraneo fra- gore che accompagno! lo , il polverio che levossi in alto , i gravissimi danni sostenuti dagli sconquas- sati edifizj , e in fine lo sbalordimento che prova- rono gli animi , sono descritti con tanta efficacia ed evidenza , che proprio di ammirar è forza la mae- stria di una penna cotanto esercitata nella dipintura de' movimenti drummuiici. ,, Gli abitanti in gran nu- Del tremuoto di S. Remo 35 „ mero ( così l'autore ci rappresenta quel tristo spet- ,, tacolo) e agiati e poveri, sani ed inferrai, vece hi „ donne e fanciulli , trarre vedevansi da ogni parte ,, mandando disperate grida : siam morti : e correre „ tremanti le strade , e con rotte parole gli uni e „ gli altri interrogarsi a vicenda. Altri intanto con „ cestoni di provviste , altri con materasse e lenzuo- ,, la sulle spalle fuggire alla campagna o alla ma- „ lina ; quali montar sopra navicelle, e quali attcn- „ darsi sotto vecchie vele o trabacche , o ricovrare ,, entro abbandonate capanne: taluni commettere assi „ e farne tavolati a riparo , i più miseri stare a cie- ,, lo scoperto. Regnava nella citta un tetro silenzio, ,, interrotto soltanto qua e la da' replicati colpi de' ,, muratori , o dal remore degli atterramenti che in ,, varie strade a sicurezza de'passanti erano stati pre- „ scritti. „ ( p. 8. ). Con egual vivacità narrati an- cora ci sono alcuni casi assai miserandi d'uomini e di donne sepolte sotte le rovine, e la miracolosa ven- tura intervenuta ad alcuni altri , che posti in pre- sentissimo pericolo insperatamente illesi e salvi la raor* te certa scamparono. Quanto poi a' fenomeni, che nell'atmosfera , nel- le acque , nei boschi , nei campi , e negli ani- mali notaronsì , nulla ci ha che g ran fatto sì dispar- ta da quella somiglianza , che osservasi generalmente nei racconti , che de' tremuoti ci hanno fatto antichi e moderni geologi. Viene in ultimo il eh. autore alla enumerazio- ne delle diverse opinioni sulle cause , che probabil- mente produssero quel crollo pauroso , e quindi tro- vasi egli obbligato a riferire le diverse teorìe escogi- tate dai filosofi rispetto al principio sommovitore die scuote la terra. In ciò facendo egli procede con una certa dubitosa sobrietà , come ben si conviene , ({uan- 3^ 36 Scienze do ci troviamo involli tra varie ed anche opposte ipotesi. Noi, imitando la prudenza del N. A., tener- ci parimente vogliamo dal proferir giudizio su cose tanto scure ed incerte ; solo crediamo dover notare, che la ipotesi pel primo in Inghilterra escogitata dal- lo Stukely (1) , e di poi abbracciata e sostenuta dal nostro Beccaria, giusta il pensamento dei quali l'elet- tricismo sotterraneo supponevasi esser la causa origi- naria de' tremuoti, è venuta oggidì mano mano per- dendo probabilità e seguaci. Ben egli è'I vero , che grande sia la somiglianza de' fenomeni elettrici con quei de' tremuoti : ma chi un poco pliì addentro ri- guardi alla cosa ben si persuaderà che deboli e insuf- ficienti sieno le ragioni che questa ipotesi sostengo- no. Il dott. Tommaso Young ha evidentemente chiarito questa verità , e dopo di aver combattuto gli argo- menti dello Stukely, fassi egli in contrario a soste- nere, che le eruzioni vulcaniche e i tremuoti sieno me- re modificazioni, e nulla piiì , degli effetti prodotti da una medesima causa comune. I due luminari della na- turai filosofia, Breislak e Davy, abbracciarono la me- desima sentenza , e con piiì solidi raziocinj la di- chiararono. Ma lascinsi pure i filosofi liberamente spa- ziare pe' mondi loro ipotetici: che noi vorremo intan- to deplorare i lagrimevoli effetti di questa misteriosa e malefica causa: imperciocché pare ormai che i tremuo- ti debbansi connumcrare tra gli altri ordinar] flagel- li , che in questi travagliosi tempi l'Italia sconturba- no e tormentano dall' un termine all' altro, e ai tre- muoti debbesi attribuire questa portentosa metamox- fosi di veder il Nota da ideal compositore di comiche piacev^olezze tramutato in veridico ed esatto narratore di tragici infortunj. A. Dk-Luca. (i) Veilansi le sue osservazioni, ed i suoi raziocinj registrali pel voi XLVl delie Philoiopliical transacUon. 37 AL NOBIL UOMO SIG. AB. ANTONIO ROSMINI SERBATI PATRIZIO ROVERETANO J DOTTORE IN SACUA. TEOLOGIA B SOCIO DI VARIE ACCADEMIE. IL P. LUIGI PUNGILEONI MIN. CONV. Non reputo indegni affatto alcuni pensieri su d'un fenomeno di metafisica d'essere offerti ad un pro~ fondo metafìsico , non perchè sieno gran cosa , ma. per ai'erne a lungo sperimentata la cortesia ; ama- bile prerogativa degli animi addottrinati e buoni. Nel 1 804 pubblicai uno scritto in Parma pe' torchi del Carmignani intitolato = Riflessioni sulla primaria cagione de'sogni e del sonnambolismo. - Menando a quei di gran rumore in Italia V opera intitotata : Eie- menta medìcinae : di Giovanni Brown , V apparente . semplicità sua che a gucdizio del professore Tomma" sini {lezioni critiche di fisiologia Napoli ISO'i) ri- guarda la macchina in quanto è passiva^ mi lusin- gai di potere con essa alla mano rendere in qualche guisa ragio7ie del come taluno sognando eseguir possa meccaniche azioni in gran parte simiglianti quelle dello stato di veglia. Ora sott* altro aspetto mei rap- presentano Suard (Blog. univ. voi. f^III) che ne ha tinto a neri colori il carattere morale., il celebre Pao- lo Raffini di chiarissima memoria {Giorn. mod. t. 1 fascicolo terzo pag. 365 anno 1822) e i non pochi contradditori j che tra le molte vittime immolate sul 38 Scienze flore degli anni dal suo sistema eccitante annovera- no lo stesso medico scozzese morto in fresca età di appoplesia. Egli è perciò che riprendo in mano la pen- na , riordino , correggo , riformo i pensamenti so- vraccitati, e li metto sotto degli occhi suoi in segno di quella particolare stima e di quelC affezione ve- race con cui mi pregio di essere ec. PREAMBOLETTO. J ' X_J uomo quaggiù abbisogna d'abbandonarsi al son- no, onde riabilitarsi ad impiegar bene il tempo, la più preziosa cioè e insieme la cosa di cui minor conto far sogliono i più degli uomini. Depone l'ac- ciaro il soldato e fattosi origliere dello scudo rido- na alle membra per lunga fatica spossate un breve riposo. L'indagatore dei segreti della natura , l'uo'- mo di lettere , e l'uomo di stato entro i lor gabi* netti nel silenzio della notte fanno della palma let- to e per poco si addormentano. Stanco il nocchie- ro di lottare co' flutti, all'altrui mano affidato il go- verno della nave, serpeggiar lascia lentamente in sul- le pupille ulia quiete apportatrice di un sonno ri- storatore. Tutti gli esseri pensanti preda divengono su questa terra or di più ed ora di mcn lunga du- rata di quel sopimento che opprime e lega i sensi. Dormono , se pure in tutti è vero sonno , le fiere nei loro covaccioli , gli augelli su i rami frondosi e i pesci in mare. Di tutto questo non paghi alcuni na- turalisti vogliono che gli arboscelli anch' essi sul tro- 00 , e i fiori su i loro steli s'incurvino a prendere un riposo che appellano sonno , secondo il paralello ch'eglino pretendono d'aver fatto fra gli animali e le piante. I poeti, lasciando stare le astruse dottrine. Congetture sui sogni ec. 39 dipingono il sonno in atto di uscire dalle grotte, si- tuate a dir loro infra i cimmeri, per alleviare la spos- satezza di chi viene tutto giorno incitato ad operare. Pare che gli infingardi non ne abbisognino, percliè l'inerzia loro può dirsi un sonno continuato. Ma in- torno al favoleggiare de' poeti ci bastino queste po- che parole, VITA. L'unione di due sostanze di opposta natura forma ciò che appellasi persona. Sotto questo vocabolo vien- si a denotare un essere ragionevole, dotato della li- bera facoltà di volere e di agire a norma della sua volontà. Dico due sostanze d'opposta natura, alla pri- ma delle quali immateriale non può negarsi una rea- le esistenza se non da coloro , che smarrita la stra- da del vero , si abbandonano folleggiando all' assur- da brama di un cicco automisrao. Senza l'influejiza dell' anima non si da vita. Ma essenzialmente dilFe- risce dalle semplici afìfezioni de' corpi. Cosi esempi- grazia il magnetismo non è che una proprietà della calamita , in cui non ravvisa chi ha senno se non una negazione di esistenza sostanziale. Sono esse pro- porzionate alle masse, soggette a diminuzione e ad aumento. Derivano dalla materia che, com'è noto, e un aggregato di varie parti : ond' è che la sostan-^ za corporea, composta dall' essenza sua e dall' alto pel quale sussiste , si scorge onninamente diversa dal- la sostanza semplice in sua natura. A lei sola per dono del Creatore compete la perpetualita di eser- cizio delle funzioni intellettuali. Gli organi del cor- po per lo contrario cessano pienissima meni e dalle fun- zioni animali e si scompongono. „ Vita, cosi il mas- simo dottore di Aquino ( s. Thomas lib. 1 e. 98 con- 4(0 Scienze tra gentes etc.) signiflcat scientlam moventis seipsum- vivere actum essendi ejus, cui convenit movere sei- psum „ - Gli scolastici assimigliavaiio la vita ad una lampada, entro cui consunto il bombace imbevutosi d'olio non si ravviva allo infondervisi d'altro olio se non fe rinovellato il lucignolo. Eccone in breve l'ap- plicazione di Demetrio Falereo già professore nell'ar- chiginnasio romano ( tract. de anima, Roraae 1663) col disorganizzarsi della macchina animale. ,, - Sicut in lampade ... ita et in corpore vivente exarescentibus partibus corporis , vel deficiente humido radicali ca- ler nativus , cum araplius sustenlari non possit, extin- guitur, cuius caloris nativi extinctio mors dici solet „ - L'ipotesi brov^^niana sembrommi acconcia ad ispargere qualche luce su la vita della macchina animale : ora non sono più dello stesso avviso, dacché spertissimi cultori dell' arte medica, dopo d'averne fatta una sot- tile disamina in tutta la sua estensione, non dubita- no di affermare che in essa si perde di vista il vero principio della vita eh' è l'anima. Mi lusingo d'avere addimostrato abbastanza essere ella fornita d'intelligen- sa, attiva e pensante. ,, - Corporalia , scriveva il dotto Claudiano Mamerti (de statu animae lib. 3) per corpus sentimus, intellectualia intellectu percipimus. „ - Con- chiudasi che l'essenza della vita umana consiste nella presenza dell' anima al sensorio comune. I vocaboli che i sofisti vorrebbono sostituirle non fanno che oscu- rità ed inganno. SONNO. Mentre il cielo si smalta di stelle, gli abitatori del nostro globo ponendo in non sale gli scambie- voli uffici, si abbandonano al sonno sinché l'aurora ri- torui a richiamarli ad operare. I botanici osservano Congetture sui sogni ec. 41 esservi nelle piante un' alternali va di azione e di riposo. Assonnano, come ho accennato, que' viventi che popolano la terra, l'aria e l'acqua. Limitiamoci però al sonno di quell'essere che forma una classe da se, voglio dire dell' uomo. L'insigne fisiologo Michele Araldi, già. segretario dell' instituto nazionale italiano (del sonno . . . Bolo- gna 1807) mette il sonno nel novero di quelle fun- zioni che si esercitano coli' intervento dell' animo. Il succitato Demetrio («) lo appella „ -Cessatio naturalis sensus communisac sensuum externorura. „- Consultan- do l'intimo senso possiamo bensì diradare alcun poco le tenebre, ond' è avvolto il fenomeno , dileguarle ap- pieno non mai. Il commercio tra le due sostanze che costituiscono l'uomo , parola che abbraccia anima e corpo , è un arcano. A me basta che sia una verità, che sia verità di fatto, per tentare di scorgere ciò che può avvenire ed è avvenuto ne' dormienti di maraviglio- so. Per nome di sonno intendo quello stato dell'uomo iti cui alcune parti del corpo , che gli sono soggette e pronte a servirlo vegliando , ricadono nella spossatez- za bisognose di riposo per rinforzarsi e riprendere le funzioni in tempo di veglia colf intervento dell'ani- ma. Ho detto alcune parti del corpo , cioè del cc- rebro e dei nervi , perchè vi sono delle funzioni che a giudizio dei fisiologi meglio si eseguiscono in tem- (a) Sorpreade non poco che il Caraffa nell'opera lodata dal Zaccaria - de gymaasio romano . , . Romae i^8i - parlando di questo Demetrio Falereo non abbia fatto menzione del libro da lui qui compreso bel 1662 - Tractatus de anima sive philo. sopliia vere naturali - con dedica dell' autore ad Alessandro set- timo. Molto più sorprende ch'egli abbia ascritto al nostro De- metrio il tratto - de elocutioue - confondendolo con Demetrio Falereo arncote di Atene, o con Demetrio vissuto al tempo di M. Antonino, come vuole il Gamba, cui ascrive il detto li- bro volgarizzalo da Pietro Segni. 42 Scienze pò di sonno , scLbene non vadano seco stesso d'ac- cordo nello assegnarne il numero e le proprietà. Al- cuni con istrazio di poveri cani hanno sperimentalo es- servi nella vita animale delle parti sensitive e delle altre insensitive. Tale scoperta serve mirabilmente a met- tere vieppiù in chiaro il rdpporto loro col nostro spirito, e per ribattere il materialismo. E' bene umiliante cosa che nell'età dei lumi vi sieno del li non veggenti nell' uomo che più al meno finamente organizzata e degli altri allo incontro materia ridurre a nulla il ministero de' sensi. Dove mai non è giunto il vaneggiar seaza che freno ! SOGNO. Sotto questo vocabolo si adombra a mio avviso un rinnovellamcnto d'idee prodotto da sensazioni de- boli e passeggiere il più delle volte confusamente per- cepite dall' anima. Non ho la prosunzione di poter dire tanto che basti a darne una spiegazione netta e precisa. Fo come il fanciullo, che cammina con piede incerto, nel proporre alcune riflessioni eh' altri assai meglio po- trà rischiarare. Errò la Stoa, e seco errarono l'Accademia ed il Peripato, nello affermare non esservi discrepanza ve- runa fra le notturne scosse degli infievoliti sensi e le impressioni diurne che impegnano la mente alla considerazione. L'errore è aperto, e sarebbe tempo perdu- to il dirne di più. Non e credibile, come opinarono gli epicurei, che idoletti od atomi volanti schiudansi il var- co negli addormentati per la via dell' udito, ed ivi si vestano di un sembiante ora spiacevole ed or dilet- toso. Non può trovare la soluzion del quesito chi ri- corre alle immagi nette o tracce corporee, poiché la moltiplicita loro non potrebbe non cagionare pcrpc- Congetture sui sogni ec. 43 tuo tlisorcline. Ma se agli sostenitori delle antiquate opinioni non e dato di soddisfare intorno a ciò l'in- dagatore filosofo , neppure vuoisi un tal vanto con- cedere a chi lia nuove ed arbitrarie sentenze ad esse surrogate. Le leggi della vita organica di Erasmo Darwin , le impressioni del ventre digerite dal cer- vello del Cabanis , la sensibilità, attribuita da Tracy ai vegetabili ai minerali, volendola sparsa per tutto, lungi dall' avvicinarne allo scoprimento delia causa de' sogni smarrir fanno gli incanti fra i laberinti del pirronista di Elide. Ne' disotterrati sistemi di cieco au- tomismo non trovasi accento di verità. Al celeberrimo Tommaso Willis passò pel capo il ghiribizzo di pa- ragonare il nostro cervello ad una citta , anzi ad una metropoli , cui si compiacque di assegnare ad abitar- vi gli spiriti animali. Divise questi in due classi, no- bile la prima, ignobile la seconda. La sede de' primi è locata , cora' egli la pensa , nel centro della mi- dolla Spinale ovvero midollo allungato. Sono essi im~ mediatamente soggetti all' impero dell' anima. I se- condi servono ai bisogni della vita animale. Assegna distintamente gli uffici si degli uni si degli altri , e tali uffici sono voluti e ripartiti dall' anima. Così ap- punto l'arbitro di una metropoli dispensa ai sudditi le grazie e gli impieghi, e senza muoversi dalla sua reg- gia fa che tutti dipendano da' cenni suoi. Questo pen- siero secondo me farebbe onore ad un poeta qualora fosse descritto con grazia ed eleganza , ma non ne mette sul buon sentiero per giugnere ad iscoprirc la suddetta causa qual' è senza velo. Ma qui, per non dire se non quanto è d'uopo e per non ripetere ciò ch'ò stato detto o sognato in proposito , fo palese di sentirmi propenso a credere che una causa materiale qualunque, o sia scossa ester- na agente su i ncrci , o fluido sottile che pe' nervi 44 Scienze trascorre, ecciti il movimento degli organi tlel senso che servono all' anima per rimettersi in attività, se- condo il modo con che se le riappresentano gli og- getti sensibili , riesercitando il suo dominio su quel- le parti che può avere in sua balia. Non è gik eh' ella venga meno di possanza , ma egli è perchè le parti occupate dal sonno si trovano , se lice così esprimer- si , in uno stato d'inerzia passeggiera. .Claudiano Ma- merto con pochissime parole su questo punto ha detto molto di vero.,, Non anima, così egli, (de statu ani- mae lib. 1 e. 39) imperandi vim perdidit. . . sed mem- brum convenienter se necessariae motioni non prae- buit . . . Anima sicut per corpus sentii, ita per se intelligit. „ Sia d'altri cura il determ inare sin dove l'enunciata sostanza materiale estenda il suo influsso, e quai movimenti si partano dalla forza vitale , che viene da Dio. E noto essere dotati i nervi d'una mag- giore o minore attitudine a ricevere ed a comunica- re certe impressioni, dalle quali deriva una data mu- tazione nel sensorio comune. Si osservi però, non do- versi confondere coli' impressione fisica suU' organo il sentimento della stessa impressione , causa occasio- nale per cui l'anima quasi avesse realmente gli og- getti avanti di se presta ad essi attenzione , assai piìi languida in vero, generalmente parlando, di quella che presta loro allorché si veglia. In tale stato ella ha un ordine di percezioni diversissime da quelle d'uno stato confuso , qual'è quello de' sognatori. Mette ciò assai bene in chiaro al parer mio il sullodato Clau- dio (op. cit. lib. 3). „ Corporalia per corpus sentimus, intellectualia intellectu percipimus . ,, Può forse op- pormisi da alcuno, che rimettendosi al detto coverrebbe far corrispondere un nervo , una fibra od anco una parte distinta della medesima ad ogni sensazione che può farsi ne' dormienti sentire all' anima per lo ca- Congetture sui sogni ec. 45 naie de' nervi, il cui numero non è soggetto a cal- colo. Alla quale obiezione si potrebbe rispondere » che anche i piccioli corpiciuoli hanno un' infinità di organi e che , per quanto mai se ne voglia allarga- re il numero , i nervi o le fibre , purché in ista- to d'integrità , saranno sempre valevoli a trasmetter- le al scnsario comune. Possono ancora dividersi le idee in generali riguardanti il solo estrinseco di un dato oggetto , ed in ispeciali che dalla forma esteriore pas- sano air indagine delle intime proprietà. Illustrare qui giova questa appena toccata riflessione, innanzi di pro- gredire più oltre. Lo stimolo (stimulus est motio quae- dam producta in ncrvis. Castelli Lexicon med. ) muo- ve Una fibra, o parlando a rigore un nervetto. Que- sta reca al sensorio comune la ricevuta impressio- ne che la comunica all' anima , ed è occasione che in lei si ridestino una o più idee aventi fra loro un qualclie rapporto. Non ella sempre presente al ce- rebro , è interamente passiva, sendo a lei così essen- ziale il pensiero come l'estensione al corpo. Se le af- facci, a cagion d'esempio, un triangolo, in tal caso dobbiamo distinguere la mente rapprentevole che e il suggetto, l'atto della mente rappresentevole che è la percezione , la stessa rappresentanza od immagine del triangolo, che nozione oppure idea si appella, final- mente lo stesso triangolo che ne l'oggetto. L'anima però in tempo di sonno si attempera alle particolari disposizioni del cerebro , o più veramente di quella par- te alla quale suol darsi oggidì il nome d'encefalo : ra- de voite può sembrarle di vedere nel sonno, quasi nel- lo stesso grado di chiarezza, una cosa vista in pie- no giorno. Può avvenire che simultanee sensazioni a cagione della rapidità loro non le diano campo di bene avvertirle, o che i nervi nel riposo sieno mos- si con fievolezza e con disordine.- ed ceco la bizzar- 46 Scienze ria, Toscurezza e Io sconcatenamento de'sognì. Da que- ste svariate idee si viene pur anco a sapere per- chè ne rappresentino delle metamorfosi più strane di quelle del cantore di Sulmona, senza che l'anima mo- stri di avvedersene o ne provi sorpresa. IMMAGINAZIONE. Appartenendo pure i sogni all'immaginazione, ra- gion vuole che qui si dia un breve cenno del divario interposto fra l'immaginazione di chi è desto e quel- la di chi dorme. Nel primo stato l'immaginazione, dal- la reminiscenza accompagnata, ravviva le sensazioni nell'assenza de' rispettivi oggetti , ingrandisce o dimi- nuisce le cose che le sono presenti , investe dirige e si ferma in quella o su quelle che più le aggrada- no. Ma nel secondo, per lo più legata a quella por- zione d'uno o di più organi ridestati a meccanico moto, non può liberamente spiegare tutta la sua at- tivila. Perciò nelle cangevoli scene che si offrono nel sonno non si trova quasi mai quella chiarezza e quelF ordine d'idee eh' esige attenzione. Ho detto quasi mai, poiché alcuni uomini sommi, per quanto narrano ac- creditati scrittori (ab. Cassina, Gonghietture sui sogni), hanno trovata dormendo la soluzione di qualche teorema, ed hanno scoperta qualche fisica verità. Ma questi fat- ti particolari , se pure sono veri e veri in tutta l'e- stension loro, non fanno regola generale, e debbono essere succeduti al terminare del sonno profondo , cioè in uno stato per così dire intermedio tra il pieno son- no e la veglia. Sanno i fisiologi che in suU' albeg- giar del mattino, rinvigoriti i nervi e le fibre, som- ministrano all'immaginativa un nuovo vigore per lan- ciarsi sovra gli oggetti, dai quali in ])icno giorno scj_)- pc raccorrc gli clementi del sublime e del bello. j Congetture sui sogni ec. 47 ASSOCIAZIONE DELLE IDEE. Per dare un maggior lume all' esposto sin ora, non istimo per avventura inutile allatto il porre a con- fronto la riproduzione delie idee, allorché gli occhi riaperti sono alla luce del giorno , alla possibilità di quelle che talora ridestansi negli addormentati per iscorgerne vie più la dissimiglianza. In quelli che ve- gliano' un tale fenomeno avviene per lo mezzo delle idee associate , le quali fanno sì che al tornar loro in mente l'idea di un oggetto se gli affaccino le pro- prietà , il tempo e il luogo in che è stato la prima volta visto e conosciuto. Ma i dormienti non si tro- vano in grado di rinnovellare la serie delle idee di- urne per discernere se abbiano alcun legame con le attuali, a cagione dello spossamento degli strumenti de' quali si serve l'aiiima per conoscere quello che in natura è fuori di se. Conceder deesi a Condillac, che l'asso- ciazione delle idee in tempo di veglia ripetere si deb- ba dall'attenzione: ma questa asserzione, essendo trop- po generica, non ispicga la cosa con quell' ordine lu- cido in che Hume l'ha posta. Egli stabilisse tre prin- cipi di associamento , cioè rassomiglianza, contingui- ta di tempo e di luogo , causalità ossia relazione di causa e di effetto. (M. D. Hum. troisierae essai sur la liaision dcs idèes) . Non è però nuova questa spiega- zione, ma copiata di pianta dall' orazione vigesiraa ot- tava di Massimo Tirio. Si prenda in mano il tomo secondo del Newton dell'etica, voglio dire del ce- lebre P. Stellini, 0 io stesso Massimo Tirio, e si ve- drà da chi venne pel primo messo in luce l'indicato principio (Longius non processit qnam olim Maximns Tirius in orat. 2S. Ethic. lib. 2 pag. 9, Patavii 1778). Mi si pcrmcJa di aggiugucrc la seguente spiegazione "48 Scienze sullo assodamento delle idee. Dalla vista del ritratto di persona cognita si passa naturalmente all' Idea dell' originale; ed ecco la similitudine; al risovveairsi di un maestoso edilìzio eretto sotto degli occhi nostri , ne fa ricordare i fabbricati contigui , del quando sia stalo costruito, e chi ne sia stato Tarohitetto; ed ec- co la vicinanza di luogo e di tempo. Neil' udire che nn infelice è stato morso da un cane rabbioso su- bito ne tornano a mente le luttuosissime conseguen- ze dell' idrofobia ; ed ecco la causalità ossia la re- lazione di causa ad effetto. Siamo certi per esperien- za , se pure qualche fiata abbiamo fatta un po' di osservazione sopra noi stessi, che quando sogniamo l'at- tenzione è assai meno vivace ed attiva di quello lo sia per l'ordinario allorché desti non abbiamo piiì vo- glia di dormire. Egli è in questo secondo stato che può l'anima aderire alla sensazione che riceve dal sen- sorio comune mercè di certe potenze interne od este- riori , o pure rigettarla a suo piacere o resisterle av- vertita. DEI GIUDIZJ. Il giudizio è una opcrazion della mente, in vir- tù della quale noi possiamo scorgere la convenienza di due idee , annodarle , se il soggetto conviene al predicato , disgiungete se il predicato sta in oppo- sizione al soggetto. E' posteriore all' idea^ ne senza di essa può aversi giudizio. Fa duopo pertanto ammette- re un' idea generale ingenita nomata dal gran dottore d'Aquino S. Tommaso non idea, ma luce, con la quale può solo aversi la facoltà di giudicare , sendo cano- ne di verità che l'idea precede il giudizio. Non fo che un rapido cenno di si grave argomento, poiché, oltre il non essere direttamente il mio assunto, è sta- Congetture sui «ogni ec. 41) to arapiaracrile oggidì sviluppato dal dottissimo au- tore dell' opera in quattro volumi divisa , che porta scritto in fronte ,, Nuovo saggio sull' origine delle idee. „ Torniamo ai sognanti. Come ad essi sia dato il for- mare tavolta de' retti giudizi non è a nostra portata d'intenderlo. Chi vuol rendere ragione di un mistero, si trova nel caso di colui che volendo strignere un fantasma si trova colle mani in mano allorché si lu- singa d'averlo afferrato. Possiamo bensì distinguere iti due classi le idee, derivando le une da un fisico prin- cipio , e le altre da un principio morale. Nella pri- ma serie riporre si debbono , al parer mio , le idee che ne fanno comparire le cose quali apparir deb- bono nella situazione in cui. si comtemplano , ma non come in realta sono in se medesime. Nella serie se- conda vi debbono essere poste quelle, per le quali l'ani- ma prova piacere o dolore. E nell' uno e nell' al- tro caso non è mai l'anima meramente passiva. Nel primo caso al presentarsele di un oggetto acquista su- bito un' idea semplice e chiara dello stesso oggetto , rapporto però alla situazione in che si trova il suo corpo , poiché i nostri inganni non nascono già dalla percezione , ma dal giudizio. Rechiamone un esera- pio. Veggo di lontano un bufalo , ho l'idea di un cor- po : tale idea di cosa estesa è chiara , ma se lo giu- dicherò di un cane, sarà falso il giudizio perchè pre- cipitato , ma non per questo sarà men chiara l'idea. Parlando a rigore non è ne chiara , ne oscura ; non oscura , perchè presenta l'oggetto qual debbe compa- rire nella situazione in cui è; non chiara, perchè in tale distanza non può vedersi qual' è in se stesso. Nel «econdo proposto caso dee credersi attiva una gagliar- dissima passione per cui l'anima , sempre libera , è indotta a rillo.tiere ed a giudicare se debba accon- sentirle ovvero dissentire. Tali operazioni di giudi- G.A.T.LIV. 4 50 Scienze zio e di laiiocinio risili ni:;cjc non si possono a fisica sensibilità , come vorrebbono gli edificatori di sofi- smi tendenti a balzare la ragione fuori della sua sede onde porre su d'essa l'errore idolatrato. Osserviamo a colpo d'occhio qual parte amen- due i nominati principj aver possono ne' sogni. Cominciamo da quelli che sono legati agli og- getti sensibili , per farci strada agli altri originati dalle passioni. Evvi chi attribuisce la causa de' sogni al sangue che ascende al capo , effetto sovente di un' incomoda giacitura : altri lo ripete da qualche leg- giera scossa o da insolito mormorio. Infatti fra il notturno silenzio, non ancora cessato il tempo della riparazione delle forze animali, un' archibusata , una caduta di corpo greve e simili valgono il più delle volte a ridestare torbide idee. Inoltre tali fisici prin- cipii nascer possono dall' intemperanza non mai sa- zia di piccanti liquori e di cibi grondanti crassiscie, dalla tarda respirazione o da qualche mal-graziosa vi- sita d'uno o di più d'uno insieme della non anco ben- conosciuta intera famiglia de' morbi. Laonde se allo fun- zioni nutritive di chi dorme , prescindendo sempre da' casi straordinari che alle regole generali non fan- no eccezione, la siccità non consente di esercitare il loro ministero, l'aridezza si reca al cerebro ed eccita neir anima il desiderio di sedarla, come scrive il vec- chio di Coo padre dell' arte medica. Cos'i chi si ada- gia in sul letto tormentato dalla fame o dalla sete so- gna sovente d'assidersi a mensa abbondosa. Similmente esser ponno cause naturali de' sogni gli umori aite- iati e tutte le predisposizioni alle infermità. FANTASIA. I)er farla breve veniamo all' altro principio da ripetersi in gran parte dall' ascendente d'una passione. Congetture sui sogni ec. 51 Lascia l'anima alle fibre indo letizile il rallentarsi ed il ricomporsi in uno stato di queste. Appena que- ste sonosi alquanto rinvigorite, danno campo alla fan- tasia di rimettersi in azione. Si compiace degli og- getti fittizj , traveste ,i reali coi rip rodotti fantasmi che ad essi, secondo l'illusion sua , si assomigliano. Quello poi che fa più meraviglia si è , che anche fuori del tempo di sonno resta per cosi dire da essi rapita e li avvalora , e col fare che cessino le altre vivide sensazioni di farsi sentire all' anima tutta si riconcen- tra nel sognato fantasma. Se ciò avviene talvolta ad uomini d'alta sfera ad occhi aperti , a che stupire se seco trae l'animo de' dormienti e il turba o al- legra ? Sogna il guerriero incatenate provincie ed al- lori intrisi di sangue , e non vede il pastore che lanosi armenti e gli affettuosi uffici! della compagna fedele : sazia l'uom fiero la sua vendetta , ed il li- bertino sognando ancora si avvolge tra la melma entro cui si lorda e diguazza il gregge d'Epicuro; sogna i mal-raunati tesori l'avaro e vi stende sopra la trepida mano , insegue il cacciatore la fiera al bo- sco , il pescatore attende il pesce alla reto , il giu- dice ascolta le dispute nel foro , e il giureconsulto trascorre il codice e il digesto. Famosi sono i bei tratti con che abbellirono consimili avvenimenti di poe- tici vezzi Lucrezio , Claudiano , Petronio Arbitro, e ad imitazion loro quel grande di cui si dividono la gloria Assisi e Eoma , dir voglio il tenero Matesta- sio. Non pochi sono i libri pieni di osservazioni sul rispettivo carattere degli affetti : onde sarebbe un de- viare dall' argomento il por mano ad uua messe di ragione della morale filosofia. Dirò bene che il saggio guardar si debbe dal ritrarre dai sogni argomenti on- de penetrare con essi ne' cupi abissi dell' avvenire. Meritevoli sono perciò d'essere corretti coloro, i quali 3^ 52 Sciènze p;iscciu!o i;i !iic!i!c di vir!r'i!,1AINLI0 = T . PRTUONI = SP . Ili . N . IVN = VEN^O . COS C . MF.MMI == ME.M.niVS = P . K . FKB = PA.LMA . C(\S MARTIALIS = PETiLLI = P . K . 1 VN = CORVO . COS SEXTIS = MA;M V = I' . K . IT,!! = PRI.s(,() . COS 70 Letteratura MARCIVS = CELR = SP . K . APR - M . MK3ir . L . A CESTIVS =: PERELI = P . K . NOV =!ANTONmYS . AVC FA . VI . DIVI = C . FABI . C . F = A . M . D IV = ... O.AV . AD Al catalogo del Cardiaali fu poi fatta un'appendice di altre sei dal mio egregio amico dott. Labus nel- la sua annotazione XXI alla dissertazione del Mor- celli sulle tessere degli spettacoli Romani , mentre quasi contemporaneamente una settima dell'anno 752 veniva divulgata in questo giornale ( ottobre 1826 p. 104) dall'altro mio amico il eh. Amali. Poste- riormente di tre nuove ho ricevuto comunicazione , una dell'anno 694. serbata nel museo Verità di Ve- rona , e trasmessami dal Labus. RUFIO = SERTORI = SP . ID . SEX = L . AFR . Q . MET e due del 684, acquistate in Roma dall' eruditissimo dott. Nott, ch'ebbe la gentilezza di farmele osservare. HERACLEO = MVCI = SP . K . QVIN = CN . POM . M . CR PILODAMVS = CELLI = SP. K . QVl = CN . PO . M . CRA Questa serie di cinquanta tessere riceve ora novello aumento dalle due seguenti venute da poco alle roa- ni del diligcntissimo raccoglitore sig. Capranesi, am- bedue d' indubitata legittimità , siccome mi assicura un giudice competentissimo, qual e il predetto abate Amati ; alla cui amicizia> debbo la fedele partecipa- zione di tutto ciò che si rinviene nell'antica signora del mondo , spettante a'miei studj sui fasti. fortvnatvs pinvs crvstidI domitI sp . k . dec sp . n . sep DRVS . C . M . sIl . COS M . ASIN . C . PET TeSSKRE GLADJATOniE 7i Farò poche parole della prima. La gente Crustidia , della quale fu servo quel Fortuiialo non è ignota; aven- dosene memoria in due marmi Tuno del Muratori (p. 1593. U) , l'altro del FaLretti ( pag. 257 SO) , ri- petuto più correttamente negli Arvali pag. 58. An- che il consolato quantunque non ancora iscritto nei fasti , e dichiarato d'anno incerto dal Cardinali, è già. cognito per un'altra tessera da lui riferita , e pul)- hlicata primieramente nelle Simbole Fiorentine del Co- ri ( T. 8. p. 48 ) , che porla la data SP . ID . AVO DRVS . G . M . SIL . COS , i quali nomi furono poi completati da questo tegolo scoperto a Citta di Ca- stello. PRVSO . CAESARK . IM . SILANO . COS GRANI Fu illustrato dal sig. canonico Giulio Mancini , nel Giornale di Padova del gennajo 1804, alle cui dot- trine prestò pienissimo assenso il Marini (figuline ine- dite n. 296. 6. ) onde sulle loro orme ripeterò che questi consoli appartengono all'anno Varroniano 76S. Consta da una delle tessere del musco Vettori , che in quest' anno C. Norbano continuava ancora nella sua magistratura alle idi di giugno , mentre all' op- posto dalla supcriore del Gori apparisce , die alle idi di agosto gli era già stato sostituito M. Silano. Se ne conchiude adunque , che la surrogazione se- condo il solito di questi tempi avvenne alle calcnde di luglio ; e apprendendosi ora che il suflctto Sila- no durava tuttavia nella carica alle calende di De- cembrc, se ne inferirà quasi con certezza, che ninn' altra mutazione avvenne nei fasti di quelP anno , i quali perciò saranno integramente ristaurali, scrivendo. Nero Claudiiis Ti . Jag . F . Divi Jug . N. Drusus Caesur. 72 Letteratut. A C. Norhanus C. F. Flaccus Suff . Kal . Jid. M . Junius . . . F » Silanus. Inaudito essendone il consolato , maggiore studio domanda la seconda , alla quale sola per conseguen- za consacrerò le mie cure. Spero che due cose facil- mente mi si concederanno dagli eruditi: la prima cioè che questi consoli debbono credersi anteriori , o al più contemporanei a Nerone , perchè fra tante tesse- re , dopo aver rigettata quella dell'SSS , non se ne conosce che una sola di pochi anni posteriore a quel- l'impero. E questa laMuratoriana (p. 205. I, e p. 611. 3) SP. XIII. K. AVG. L. FLAVIO. FIM. C. ATI , la di cui lezione è stata in piiì modi vessata per con- durla ad esprimere anni diversi ; quando in vece è correttissima , e riceve tutto il lume dal marmo Na- politano di Tettia Casta ( Carminio Falcone Storia di S. Gennaro p. 3T2.) nel quale pure si legge EDI YOA- TQN 7\EYKIOY *AAOYIOY *IMBPIA KAI ATEIAIOY BAPBAPOY. Apparisce da esso che i sufFetti L. Fla- vio Fimbria e G. Atilio Barbaro debbono aver con- seguito i fasci poco dopo il primo consolato di Do- miziano dell' anno 824, ch'è precedentemente memo- rato nella stessa lapide. L'altro punto sul quale mi confido di non trovare opposizione sta nel dire die uno dei personaggi della nuova tessera è certamente un Marco Asinio. Non deve esser difficile l'indagare notizie di costui , essendo fortunatamente cognitissima la sua famiglia. L'albero di lei ci è stato dato dal Ruperto nelle tavole genealogiche, dal Rychio e dal Brotier nei commenti a Tacito , ed è stato ajtitato da altri , e specialmente dal sig. Tardinali che mol- te cose scrisse di questa casa nel T. II delle Mera. Tessere gladiatorie "JS rVantichita p. 105. Io passerò quest'albero brevemen- te in rivista, tanto per ricercar contezza del nostco console, quanto per aggiungere alcune mie osservazioni. Tutti convengono nel porre per primo stipite Herio Asinio di patria Marrucino , che fu uno dei pretori creati dai rivoltosi Italiani nella guerra Mar- sica (Veli. Pat, 2. e. 16, Appiano bel. civ. 1. 1. e. 40, Silio Ital. 1. 17); e ciò con gran fondamen- to , atteso clic i nomi di Herio e di Marrucino si trovano rinnovati fra i suoi discendenti. Egli fu uc- ciso in battaglia sul principio di quella guerra nel G64 (Liv. Epit. 1. 73 ) ; onde noti potè nascere da lui roratore Asinio Pollione , che nell'osservazione della mia decade Vili, mostrai non essere venuto alla lu- ce se non che circa il 677 . Herio adunque se n' è creduto l'avo; e veramente la tavola Coloziana , i fa- sti trionfali Capitolini , ed altri marmi ci attestano die fu suo padre un Gueo , di cui non si hanno al- tre notizie , se pure alcuno non volesse confonderlo col Cu. Asinio Dione , vivente ai tempi di Siila , ricordato da Valerio Massimo (1. 9. e. 1 5 §. 6). Da tali antenati provennero i due fratelli Asinio Mariucino, e il ricordato G, Asinio Pollione, dei quali credo quest* ultimo il cadetto, perchè ebbe un prenome diverso da quello del padre, e quindi non godette del privilegio concesso ai primogeniti dalla legge del 514, che da- gli scritti di Dione ha risuscitata il eh. Mai. Mar- rucino noa e conosciuto se non che per l'epigram- ma XII di Catullo , niun conto dovendo farsi della lapide tuttora esistente a Ghieti, che l'AlIcgranza ne- gli opuscoli p. 223 si contentò di chiamare restitui- ta , ma che più giustamente venne giudicata apocrifa dal Muratori (p. 1812. 2), e dal Romanelli (Topogr. T. 3. p. 119), nella quale si prenomina Tito, e van- ta falsamente il titolo di console. Pollione al conlra- 74 Letteratura rio e celebratissimo pei suoi scritti e per la sua do* quenza ; e quantunque annoverato fra gli uomini novi da Velleio ( 1. 2. e. 118) elevò al piìi alto grado di splendore la sua famiglia, ottenne i fasci nel 714, trionfò della Dalmazia, e mori ottuagenario nel 757, secondo la testimonianza della cronaca di Eusebio. Si e mostrato d'ignorare chi fosse sua moglie , quando Appiano (Bell. civ. 1. 4. e. in e. 27) ci attesta, che fu una figlia del L. Quinzio proscritto dai triumviri nel 7H. Egli e stato reputato la medesima persona col L. Quinzio famigliare di Cicerone nel 704 ( ad Attic. 1. VII ep. 9 ) , ed io lo tengo lo stesso col Quinzio Gallo legato ncll' Asia del proconsole Q. Filippo , a cui il medesimo Tullio raccomandò alcu- ni suoi amici (ad div. l. XIII ep. 43 e 44) atteso- ché con tale opinione sarà pronto il motivo , per cui secondo il costume allora crescente , si vegga poi at- tribuito il cognome materno ad uno dei figli di Pol- lione , dei quali se ne conoscono fino a quattro. Metterò in conto primieramente cogli altri ge- nealogisti una femmina maritata a M. Claudio Mar- cello Esernino console nel 732, da cui nacque Mar- cello Esernino l'oratore, che si attcsta nipote di Pol- lione da Seneca (controv. 1. 4. in Proem.), e da Sue- tonio (Aug. e. 43 ). Ciò mi sembra più probabile di quello che farlo col Cardinali un figlio di Asinio Gal- lo ; essendo che Tacito (Ann. XI e. 8) distingue aper- tamente la famiglia di Pollione da quella di Esernino: Facile Asinium et Messallam inter Antoniwn et Aa- gustum bellorum praemiis refertos^ aut dlvitum fami- liarum heredes Aeserninos et Arriintios magniim ani- mum indiasse. Vi è stato chi a questo Marcello ha dato il prenome di Caio , e gli ha concesso un con- solato suffclto nel 759, ponendolo collega di L. Ar- ninzio in sostituzione di M. Emilio Lepido, e fon- Tessere gladiatorie T5 tlaiidosi sulla Gruteriana (pag. 10. n.) L. ARVNTIO ET. C. CLAVD. MARCELLO. GOSS , la quale nou può spettare al 732, in cui furono ordinari il padre di Arrunzio , e quello di Ksernino , atteso che quest'ul- timo ebbe indubitatamente il prenome di Marco. Io non negherò la porpora consolare in un anno incer- to all'oratore Esernino , perche se gli fosse mancata Tacito non aurebbe potuto chiamarlo ad summa prò- vectitm (An. XL e. T). Ma sosterrò bene che non po- tè cunseguirla nel T59 , perchè lungi che L. Arrun- zio perseverasse tutto l'anno nell'amministrazione dei fasci , ciò toccò invece al suo collega M. Lepido ; e ad Arrunzio fu sostituito L. Nonio Asprenate , sic- come c'insegnano le due tessere gladiatorie , una del Grutero (p. 338. 8.), l'altra del Marini (fr. Arv, p. 644). Penso di più che Esernino avesse non il prenome t\i Caio , ma quello di Marco come suo padre , e ch'egli sia uno dei curatori del Tevere sotto la presidenza del consolare G. Vibio Rufo mentovati in una iscri- zione Gruteriana (p. 19T. 3). Lo che essendo , cosa si farà della lapide, che ha prestato fondamento alla com- battuta congettura ? Si pronunziera , che provenendo unicamente da schede, e rimanendo soggetta ad altre censure, è onninamente spuria, come l'aveva già so- spettata il Marini (fr. Arv. p. 62. not. 227), e dichiara- ta il Cardinali (Mera, d'ant. T. L 9. 256), malgrado che sia sfuggita alla vigile critica del eh. Ordii, u. 1670. Tre maschi inoltre nacquero da Pollione, cioè Salonino dato alla tucc nel 715 e morto nove gior- ni dopo (Servio in Virg. egl. 4, e Acrone in IJor. 1. 2. od. 1.) Herio Asinio mancato in età giovani- le ( Seneca controv. 1. IV. in Proem) ; e G. Asinio Gallo, che dal suo prenome e dalla sua età consolare si manifesta pel primogenito. Il Rupcrto , il Rychio, e il Brotier gli hanno assegnalo di già un quarto figlio 76 Letteratura ignotissimo prenominato Marco, onde potesse da lui pro- venire M. Asinio Agrippa, il quale io sopprimo per le ragioni, che addurrò quando tratterò di quest'ultimo. C, Asinio Gallo , oratore anch'egli di grido , ri- cevette il consolato ordinario nel 746, e mori d'ine- dia , non si sa se forzata, o volontaria , nel 786 (Tac. an. VI e. 23). Fu il solo dei figli di Poli ione ehe con- tinuasse la famiglia , sposando Vipsania Agrippina, na- ta dal celebre M. Agrippa e da Pomponia figlia di T. Pomponio Attico (Dione l. 57 2 Tac. an, 1 12), moglie in prima di Tiberio , clie la ripudiò nel 742 (Svet. Tib. e. 7) morta nel 77:», (Tac. an. 3 19), da cui fu arricchito di numerosa prole. Fecero parte di questa Asinio Salonino M. Agrippa et PoUione Asi- nio avis , fratre Driiso insignis , il quale nel mentre cir era destinato sposo di una figlia di Germanico, mori nel 775 ( Fac. an. 3 l9), e un Cn. Asinio POF^- LIONIS . ET . AGRIPPAE . NEPOS, noto unicamen- te per una lapide di Pozzuoli (Fabrctti p. 703 n. 246, Muratori p. 676 6). Quantunque generalmente costoro siano stali reputati due fratelli , io non vedo cosa si opponga a crederli una sola persona , che con intero nome si chiamasse Gn. Asinio Salonino. Provennero inoltre da quel matrimonio G, Asinio PoUione con- sole nel 776, che opportunamente si attesta figlio di Caio neir indice di Dione, e che forse fu il primo- genito; Asinio Gallo, che dovrebbe essere stato con- sole anch' egli , detto Pollionis nepos da Svetonio (Claud. e. 13), il quale avendo cospirato contro Clau- dio fu mandato in osiglio nel 799 (Dione l. 60 e. 27); e Ser. Asinio Celere fatto morire dallo «tesso Claudio (Seneca in ludo de morte ClaiLdii)^c\\Q si annunzia figlio di Gallo nella lapide di un liberto di sua madre stam- pata dal Fabretii (p. 484 n. 155): M. VIPSANIVS AGRIPPINAE . L . THALES . CONLACTAN . CELE- TeSSERK GLIDIATORIK 77 RIS , GALLI . FILI . Il suo prenome , e il suo col- lesa nella clistiita consolare eTa avvisataci da Tlinio {Hist. fiat. l. IX e. 17), e da Macrohio (Saturo, l. 3 e. 26) appariscono da un lacero passo di Frontino (de aquaeduc. § 'J02), che deve restituirsi iS'er. ^j'm/o Ce- lere L. Nonio Quintiliano cos^, i quali dal Panvinio sono stati giudicati sufifetti nel 793, e che Io furono certamente in quel torno , dovendo essere posteriori al 791, per ciò che richiede il citato luogo di Fron- tino, o per l'altro di Plinio non oltrepassare l'impero di Caligola , ucciso ai 24 di gennaio del 794. A tutti questi figli di Gallo già conosciuti, avrà da aggiun- gersi una femmina ignota , che sembra risultare dal frammento di un gran cippo romano , prodotto dal Mafiei ( mus. ver. p. 288 7 ) con qualche sbaglio e saltando una riga , ma di cui posso dare una mi- glior lezione , ricavata suU' originale dal diligeutissi- mo Amati. . . . I . NEPTIS . D . ASIN ... . . , POLLIONIS . . . . . . Q . TI . GAE . . . REM . DRVSI . CAESARIS . FRa^m . . . . INTERMITTERE , . . Resta infine M. Aslnio Agrippa console nel 778, usci- Io di vita neir anno susseguente e chiamato figlio di Marco nell'indice consolare di Dione, motivo per cui i genealogisti di questa famiglia l'hanno creduto na- to da un' ignoto fratello di Asinio Gallo , e quindi figlio anch' esso di Pollione. Ma io tengo per fermo che queir indice corrotto assai di sovente dalla negli- genza dei menanti, lo sia ancora in questo luogo; T8 Letteratura e piacemi assai più di seguire il seutimento del Lipsio e dei Cardinali , che invece l'hanno reputato un altro figlio di C. Gallo , tre ragioni confortandomi in que- sta sentenza. È evidente da prima che col prenome e cognome di costui, ambedue estranei alla gente Asi- nia , si volle rinovellare la memoria del famoso M. Agiippa ; il che apertamente l'accusa generato dalla figlia di lui Vipsania Agrippina. Dipoi Tacito (An, 1. IV e. 61) lo allerma nato ciaris maioribus^ qiiam 'vetiLstis^ il che sarà verissimo s'ebbe in padre Asinio Gallo , e per avi Asinio l'oUioae , e M. Agrippa , mentre nel contrario parere sarebbe inesatto il nu- mero dei più ; non potendo contare fra i suoi chiari maggiori se non che il solo Pollione, ignotissimo es- sendo il supposto suo genitore. Finalmente è neces- sario di accrescere il numero dei consolari , che fu- rono procreati da Asinio Gallo, onde si avveri l'al- tro defto dello stesso Tacito (An. VI e. 23), che io annunzia tot consularium parentcm , dei quali non conoscei-emmo che due , cioè Asinio Pollione , ed Asi- nio Celei'e. Ed è poi questa la ragione , per cui ten- go che abbia ottenuto i fasci anche Asinio Gallo giu- niore : onde il padre per questo titolo celebrato dall' annalista non sia da meno di Q. Metello Macedoni- co , che meritò dagli storici il medesimo encomio , perche da lui nacquero quattro consoli. Ma se per questa parte ho reso giustizia ad un'opinione del sig. Cardinali , non saprei poi seguirlo nell' altra , colla quale annovera tra questi figli anche Vipsanio Gallo, che morì esercitando la pretura nel 770 (Tao. an. 2 51). Kiun argomento si adduce per persuaderci eh' egli ap- partenesse alla gente Asinia , anzi ne trovo uno ali* opposto , il quale mi dimostra che non potè derivare dal matrimonio di Asinio Gallo con Vipsania Agrip- pina. Questa matrona , come si è detto , fu ripudiala Tessere gladiatorie 79 da Tiberio nel 742, mentre era ancor gravida, onde per quanto si vogliano affrettare le sue seconde noz- ze , il primo frutto che da esse provenne non può esser nato innanzi il 743. Al contrario è necessario che Vipsanio Gallo cominciasse la vita almeno tre an-» ni prima , onde avesse l'età legale di trent' anni per esser pretore nel 770. Per me in in questo luogo è sfug"ita inosservata ai recenti commentatori di Tacito OD una falsa correzione del Lipsio, che volle sempre emen- dare p^ipsaniiis ovunque trovò scritto Vipsanus , o Vipslanus ; e credo che costui sia il padre dell'altro Vipstano Gallo memorato in un frammento di lapide del Maffei (mus. Ver. p. 239 5), che l'Hagembuchio (Epist. epigr. p. 226) ha reputato console suffetto en- tro il triennio dall' anno 805 all' 807 non so Lene però con qnanta verità , non essendo questa l'occa- sione di esaminarlo. Venendo alla generazione susseguente , tenevasi che dall' Asinio Gallo , esigliato da Claudio , fosse venuto il console ordinario dell' 815, che nei fasti si notava comunemente L. Asinio Gallo. Ma dopo l'in- venzione fatta in Uoma di una lapide mandata alle stampe dall' Amaduzzi nelle novelle fiorentine del 1772, p. 149, e da me diligentemente riscontrata nel mu- seo Vaticano , nella quale il nome di quel console tro- vasi ripetuto , è fnori di questione eh' egli spettò alla gente Afinia , altronde conosciuta , non all' Asinia , dal cui albero si dovrà per conseguenza staccare. Vi- ceversa le nuove scoperte gli hanno aggiunto un ignota figliuola di Asinio Celere , la quale prese la secon- da denominazione dall' avola , e che proviene da un marmo recato da prima nelle Effemeridi romane del 1821 pag. 381 , e riprodotto quindi dal più volto citato sig. Cardinali nelle sue iscrizioni inedite , posto al ser- vo ilEUAGLAE . ASUNIAE . AGRlPPLXArze . CE- 80 Letteratura LERTS . FILIAE . STRATOR/. I fasti deir anno 807 ci somministrano il console M. Asinio Marcello , che trasse apparentemente il suo cognome dall' illustre cu- gino Marcello Esernino , e che per la somiglianza del prenome si è con probabilità giudicato figlio di M. Asi- nio Agrippa. Tacito ( an. '14 e. 40) ci racconta che neir anno 814 un' Asinio Marcello si rese complice della falsificazione di un testamento , ma che la me- moria dei suoi maggiori , e l'intercessione dell' im- peratore lo salvarono più dalla pena che dalla infamia. Aggiunge poi che Poli ione fu suo bisavo , e eh' egli era di non disprezzabili costumi , se non che credeva che la povertà fosse il precipuo di tutti i mali ; dal che si arguisce abbastanza che la gente Asinia , forse a motivo delle persecuzioni sofì'erte sotto Claudio , era a questi tempi assai decaduta dall' antica opu- lenza. Il Tillemont ( Neron. art. XII ) lo credè un figlio del sopracitato console M. Marcello , senza ba- dare che in tale supposto Pollione sarebbe slato suo trisavolo. All'opposto il Glandorpio , il Rychio, ed altri ne hanno fatta una persona sola col console , il che pure incontra qualche diOìcoltk. Tralascio che più innanzi ci si desteranno gravi sospetti che quest' ultimo morisse nell' 807. durante il suo officio ; ma in ogni caso sembrerebbe più importante che lo sto- rico invece di notare la nobiltà del reo , avesse do- vuto avvertirci eh' egli era un consolare. Resta adun- que che si giudichi più facilmente un suo fratello. Avremo bensì im figlio di quel console nel Q. Asi- nio Marcello nato da Marco, console anch' egli ma d'anno incerto , se è sincera l'iscrizione del Grutero ( p. 192 6) proveniente dal Panvinio. O costui godè di una lunga vecchia ja , o pure sarà stato im suo figlio il Q. Asinio Marcello possessore di poderi , nei quali si fabbricarono molle opere doliari ( Marini fr. TeS^KRE GLAD:\TaRIB 81 avv. p. 193 ) , la prima delle quali porta la data del- l' 876 , e cui durava ancora la vita nell' 887 , se- condo che ci attestano altri due mattoni riportati , ma non esattamente , dal Muratori p, 324 n. 10 e 11; poco dopo il qual tempo dev' esser morto. Il Mari- ni (ugnline inedite n. 763) gli ha dato per fratello l'Asiiiio Pollioae ricordato in un tegolo del Grutero (p 183 M ) , a cui ne spettano insieme due altri messi poscia alla luce dal Guattani (mem. Encicl. T. VI p- 105 ), e anche questi due .veduti al Tuscolo dall' Amati. ASIN . POL A . POLL Dietro un tale giudizio io non porrò difficolta nel cre- dere, che il padrone di quella fornace fosse 1' Asinio Poilione prefetto di un' ala militare nell' 822 , com- memoraLo da Tacito ( Hist. l. 2. e. 59; e nell' opi- nare di pili , che questo giovane cominciando dalla camera militare com'era prescritto giungesse in fine a dare il nome ai fasti nell' 834 , nei quali coli' au- torità delle tavole Arvali trovasi ora scritto fra i con- soli ordinar] Asinio Poilione Verrucoso. Chi ha vo- luto farlo nascere dal Poilione console nel 776 noa ha considerato abbastanza che l'intervallo di cinquan- totto anni fra la dignità del padre e quella del figlio è poco favorevole a questa congettura in un tem- po, in cui i fasci si davano legalmente a trentatrè anni , e che altronde ad ognuno della casa era le- cito di rinfrescare la memoria del primo autore della propria nobiltà. I predj di Asinio Marcello colle for- naci e gli operai che vi lavoravano furono ereditati da una sua figlia , che ora chiamasi Asinia Marcelli fdia ( Fabretti e. VII n. 5 ) , ora Asinia Quadra- tilla , la quale erane certamente in possesso ne"li an- G.A.T.LIV. 0 82 Letteratutià ni 894 o 895 , e che vi coulinuava ancora nel 903 (Marini Fr. Arv. p. 195 e 239.) Il veder passati questi beai in dominio di una donna potrebbe invi- lare al sospetto che in lei si fosse estinta la fami- glia di Asinio Marcello , se l'identità del cognome non porgesse viceversa argomento di avvisarsi , che a questa discendenza si debba fare attaccare Asinic Quadrato scrittore di storie al tempo dell' imperador Filippo , e quindi fors' anche il C. Asinio Pretestato console nel 995. I genealogisti infine hanno conve» nuto che l'Asinio Basso uomo pretorio , e il figlio di lui Asinio Rufo , viventi ai tempi di Plinio giu- uiore , spettano ad un'altra casa, imperocché nella commendatizia che in favore del secondo questi scrive a Fondano ( 1, IV ep, IT), in cui parla dei loro maggiori , e dei loro studi aveva troppo interesse , e troppa occasione di rammentare la loro provenienza da PoUione e da Gallo , se veramente avessero ap- partenuto a quella prosapia. Il fratto intanto di que- sto lungo discorso sarà quello di aver veduto , che nella gente Asinia non si conoscono se non che due , i quali abbiano usato il prenome di Marco , cioè l'Agrippa console nel 778 , e il Marcello console nell' 807 , Ognuno de' quali avrebbe i requisiti richiesti per c^^scr nomiuato nella nostra tessera. Ma pel secondo si hanno ragioni di escluderlo, derivate da altra sorgente. Tacito (An. 12 e. 64) nar- ra che fra i portenti , i quali predissero la morte di Claudio avvenuta ai 13 di ottobre dell' anno consolare di Marcello, nictnerabatur dunimUiLS omaiiini mngistra- tiuini nuinerus ^ qunestore ^ aeclili ^ tribuno ac praeto- re , et conside paitcos intra menses defunctis ; e con lui si accordano in questo racconto Dione ( 1. 60 e. 35 ) e Svetonio (e. 45 ) , il quale poco dopo aggiunge : Claudius cum consules designarci neminein^ ultra men- Tjessere GLÀDIATÒRIB 83 Sem, quo ohiit ^ designavit. Consta adauque di due par- ticolarità nei fasti dell' 807 , la prima cioè , che uno dei consoli morì durante la sua dignità, e prima dei 13 di ottobre ; l'altra che questi consoli non erano desti- nati ad occupare tutto l'anno la carica. O dunque i de- signati fino alla fine di ottobre furono gli ordinari , o pure neir intervallo erano stati loro sostituiti i sufTetti. Nella prima ipotesi il defunto sarà, necessariamente Asi- nio , e con ciò sarebbe chiara la ragione , per cui ia appresso non si abbia altra memoria di lui. Imperoc- ché il suo collega Acilio Aviola sopravisse senza dub- bio, e lo troviamo proconsole dell' Asia nell'SIS, e curatore dell' acque neir827, siccome mostrai nella mia osservazione prima della decade XIV. Ne gioverebbe il dire che Asinio può aver finito i suoi giorni dopo le none di settembre , in cui fu data la tessera , perchè sussisterebbe sempre che Aviola si saria mantenuto nel posto fino alle calende di novembre , e conseguentemen- te mancherebbe il luogo per l'altro collega, che la stessa tessera gli assegna. Ma io credo vei-amente più pro- babile la seconda supposizione , cioè che anche in quest* anno la durata dei consoli ordinar] non oltrepassasse il primo semestre , secondo il costume già incominciato ad introdursi fino da' tempi di Augusto e di Tiberio , e continuato da Nerone al dire di Svetonio (Ner. e. [,15 ). Infatti se ben si consideri il passo di questo biografo, relativo alla designazione dei consoli fatta da Claudio, che ho addotto superiormente, sembra egli indicare qual- che cosa di più che la solita nomina de' soli due epo- nimi , la quale portata a dieci mesi riuscirebbe stra- nissima , perchè si allontanerebbe egualmente dall' an- tica pratica di dodici , e daUa più recente di sei. Oltre di che spero di avere argomento più positivo , che nemmeno in quest' anno mancarono i sufTetti. Se- neca uel suo liulus fa la parodia dell' apoteosi di 6* ^^ Letteratura Claudio , decretala prima flcìhi sepnltuia del suo ca- davere , trasportando la scena dal senato di Roma al consesso degli dei nell' Olimpo. Attribuisce loro tutti i costumi Romani fino a fingere che avessero i con- soli anch' essi , e quindi fa che da Giove , ossia dal nuovo imperatore , primiis ìnterrogatur sententìani Ja- mis pater : Is designatus erat in calendas Iidlas post- meridianus consul^ homo qiuintwnvis vafer^ qui semper vidit ci y.K itfùs-aco Koii oiri'aao). Proximiis Ìnterrogatur sententinm Diespiter Nicepotae fdius^ et ipse designatiis consid ìiummidarioliis , Hic quaestu se sitstinehat , vendere chitatulas solebat. Parrai chiaro clie qui si è voluto celiare sui consoli , che ebbero parte alla con- socrazione del dcfonto , e se ciò è , non può dubi- tarsi , che fossero surrogati , dicendosi chiaramente eh' erano stati designati in Kalendas Iidias. Infatti 1 autore della satira assegna a questi numi dei caratteri , che in molte cose non si accordano colle dottrine della mitologia. Senza entrare in altri particolari , che mi condurrebbero troppo fuori di strada , ognuno sa che Giano presiedeva alle calende di gennajo : onde co- me sta che le sue attribuzioni siano difFerite di sei mesi ? O io m'inganno grandemente , o Seneca ha in- teso rimproverare di doppia faccia uno dei consoli eh' entrò in ufficio al primo di luglio, e quindi per far sentire il suo frizzo , e distinguere il vecchio Giano dal nuovo , ebbe cura di chiamar questi pomeridiano , applicando leggiadramente la divisione del giorno alla partizione consolare dell' anno. Se dunque al secondo semestre si ebbero nuovi reggitori , ne pure in questo caso la nostra epigrafe potrà riferirsi all' 807 perchè se si vollero notare coloro che tenevano il primo seggio in senato ai cinque di settembre , Asinio Marcello so non era morto come penso , n'era gih scaduto al finire di giugno , e se viceveisa contro ausato siile delle Tessere gladiatorie 85 t&ssere si fosse amalo di preferire quelli che diedero il nome all' anno , si sarebbero citati i due ordinar] Asinio ed Aviola , non mai un ordinario e un surrogato. Non resta pertanto se non che di ricorrere a M. Asinio Agrippa , che nel 778 tenne i fasci ordinar) unitamente a G )sso G^ruelio Lentulo , il quale non e per certo il collega che ora gli verrebbe accop- piata. Peraltro risalendo all' impero di Tiberio ve- niamo appunto in tempi , nei quali non fu insolito , che ad uno dei consoli fosse dato il successore, men- tre il compagno restava tutto 1' anno in ufiicio. Nel decorso di questo ragionamento ne abbiamo già ve- duto due esempi ^^ ^^^ ^ ^^ ''^^^ ■> ^ ^^* ^^''" ^^ "^ somministrano negli ultimi anni di Augusto il T60 , il 764, e il 765, nei quali Lucilio Longo , Cassio Longino, e Visellio Varrone furono surrogati a Nerva Siliano , ad Emilio Lepido , ed a Fonteio Capitone;,; e così pure sotto Tiberio il 760 , il 771 , e il 785 , in cui Scribonio Libone , lo stesso imperatore , e Ca- millo Arrunzio furono rimpiazzali da Pomponio Gre- ciuo , da Scjo Tuberone , e da A. Vilellio. Niente adunque osta perchè non possa credersi che anche in quest' anno Asinio Agrippa abbia avuto per socio nel primo semestre Cosso Lentulo , e nel secondo il per- sonaggio , di cui per la prima volta ora acquistiamo contezza. Ma chi sarà costui , che viene indicato sempli- cemente colla prima sillaba G. PET ? Niun dubbio che siano queste le iniziali di un gentilizio , così ri- chiedendo la corrispondenza del collega che dicesi M. ASIN. non M.. AGlllP. Fi-a le genti nobili romane non ne abbiamo però che tre sole , alle quali una tale intestatura possa adattarsi. La Petieja : ma questa rimase estinta nella guerra Africana di Giulio Ce- sare ; per l'uccisione del padre e del figlio (de bel. 86 LettKsraturì. Afr. e. 94 , Orosio I. VI. e. 6. ) • La PellIIa , e avremmo opportunamente sotto il regno di Tiberio un Petilio Rufo , padre del parente di Vespasiano Q. Petilio Rufo Ceriale, console suffetto nell'823 e neir827. Ma egli viene rispinto da Tacito ( An. IV e. 68 ) da cui siamo informati eh' era un uomo pretorio , il quale con ogni mezzo più iniquo tentava di aprirsi la strada al consolato del 781 , onde non può avere alcuna pretesa sul precedente 778. Rimane dunque la Pe- tronia , famiglia a dir vero pii^i nota e più diramata dell'altre, alla quale non esito di ascrivere la persona di cui si favella. Di alcuni consolari di questa casa , che non hanno trovato ancora una sede certa nei fasti, si ha memoria in tempi o coetanei , o poco discosti da quelli di Asinio Agrippa , i dritti dei quali sarà doveroso di esaminare , prima di esporre alcuna opinione. Si pre- senta innanzi gli altri P. Petronio , che il Tilleraont (Cajus art. 13), alla cui sentenza volentieri mi accheto, ha stimato padre del P. Petronio Turpiliano console ordinario nelT 814 e viceversa il Furlanetto (Lexicon Forcellinianum v. Petronio) ha non meno plausibil- mente creduto figlio dell' altro P. Petronio Turpiliano triumviro monetario di Augusto nel 735. Egli 1' ha reputato pure il PETRONIVS. P. F. che fu eletto augure nel 760 , come apparisce dal registro di quei sacerdoti illustrato dal sig. Cardinali (Mem. Rom. d'ant. I. 2. p. 87). Giusta il savio parere del Rychio (ad Tac. Hist. 2 e. 64) è il consolare ricordato da Sve- tonio ( Vitel. e. 6) da cui nacque Petronia moglie in prima di Vitellio che fu imperatore , al quale par- tori Vitellio Petroniano ; passata alle seconde nozze con P. Dolabella ucciso neli 822 (Jac. Hist. 2. 63) che la rese madre di Ser. Cornelio Dolabella Petro- niano console ordinario nell' 839. Può trovarsi un Tessere gladiatorie 87 motivo delle nozze di Sila figlia con Vitelllo nei le- gami che già stringevano le loro famiglie , sapendosi che questo P. Petronio ebbe in consorte la figlia di una Vitellia , per fede di Tacito , eh' è il primo a far parola di Ini nel 774 (An. 3. 49).. Egli viene commendato da Filone (Legat. ad Cajum) per la sua dottrina, per la piacevoleeza de' suoi modi, e per la docilità del suo naturale. Rileviamo pure dallo stesso scrittore , che godè continuate magistrature ; fra le quali ricorda il proconsolato dell' Asia , confermatogli da due nummi , uno di Smirne (Thes. Morel. tab. 2, 4), l'altro di Pergamo (Mionnet Snppl. T. V. p.429 n. 959) dal qual' ultimo siamo inoltre avvisati averlo ritenuto tre anni. Queste medaglie ne determinano presso a poco il tempo. La Smirnea rappresentando il tempio decretato dal comune dell' Asia al senato , a Tiberio ed a Li- via , non può essere anteriore al 779 , in cui dal senato si prescelse, che fosse edificato a Smirne , e deve anzi essere posteriore a quell' anno in cui fu proconsole M. Lepido (Tac. An. 4 e. 56). La Pergamena poi associando le teste di Tiberio e della madre , o do- vrebbe essere coniata mentre la seconda era ancor viva, o non molto dopo la morte di lei seguita nel 782 , perche dopo l'avversione che il figlio spiegò contro la memoria della defonta, dovette passar presto la voglia di onorarla. Certo è che Petronio nel 789 era già. tornato a Roma, leggendosi che in quel tempo dai senatori fu eletto in compagnia dei quattro prò - geueri di Tiberio a stimare il danno cagionato ai privati dalP incendio del circo e dell'Aventino (Tac. An. VI. e. 43). Tre anni appresso', ossia nel 792 fu dato da Caligola in successoae a L. Vi teli io nella legazione della Si- ria , siccome , appoggiandosi a Flavio Giuseppe , ha dimostrato il Noris nei cenotafi Pisani (Diss. 2 e. 16 § 12); nella qual carica persisteva tuttavia dopo l'au- 88 Lktterattra tutiuo del 794 , per autorità di un' altra sua meda- glia , notata coli' anno 90 dell' era Antiochena (l'^ckhel D. N. Vet. o p. n. 80) ; di fatti solo nell'anno susse- guente gli venne sostituito Vibio Marso. Fu messo a l'aorte per ordine di Claudio : onde Seneca nel ludus glie lo dà per avvocato innanzi il tribunale di Eaco , chiamandolo vetits convictor ejiis , homo Claudiana lingua disertus. Il Panvinio , il Golzio, l'Almeloveen ed altri, gli aggiudicarono i fasci sufFetti del 789 ; ma il Tilleraont (nota IX sopra Liberio) provò che non potè allora amministrarlo. E per verità , se fu pro- console non molto dopo il 779 deve averli onnina- mente conseguili prima di andare nell' Asia. Potrebbe adunque concorrere a questi del 678 ; ma oltre la grave difficolta proveniente dalla mancanza dell' intervallo prescritto fra la magistratura e la sortizione della pro- vincia , ne fa insuperabile ostacolo la differenza del pre- nome , che ne costituisce due diverse persone, k noi occorre un Cajo Petronio : e al contrario costui chia- mossi Publio , per concorde testimonianza di Tacito, di Seneca, e di Filone; anzi dello stesso suo editto ai Doriensi , ricopiato da Giuseppe Ebreo (1. 19 e. 6). Un altro personaggio opportuno alle nostre ri- cerche potrebbe trovarsi in uno dei consoli , che die- dero il nome all' oscurissiraa legge Giunia Petronia , citata da Ermogeniano ( Dig. 1. -49. ti. 1. leg. 24 ), ri- sguardante i servi; con cui si dissonantes pares jndicwn existant sententiae ^ prò liberiate pronwiciari jussum. Il motivo che le diede origine ci è rimasto più ciiiaro, dopo essersi saputo dalle nuove istituzioni di Cajo (l. 1 e. VI § 7 ), che pari di fatto era il numero di quei giudici. Cunsilium autem adliibetur in urbe Roma (juidem qidnque senatorum , et quinque eqaitam Ro- manorum puberitni ; in provinciis autem viginti re- cuperatorum ci^num Romanorum. Ella viene reputala Tessere gladiatorie 89 la stessa colla legge Petronia , di cui ci dice Mo- destJnoK Dig. 1. 48 tiJ. 8 , leg. 11 ): Post legem Pe- troniani , et senatus consulta ad eam legem pcrtl- nentia , dominis potestas ablata est ad bestias dcpu- gnandas suo arbitrio servos tradere : oblato tameii judici servo , si iusta sii domini querela , sic poenae tradetur. Malamente per raddietro se n'era opinato au- tore il P. Petronio Turpiliano , console nelT 814 ; ostando il nome del compagno , che non fu un Giu-° nio , raa L. Cesennio Peto , e sapendosi di più eh essendo stata commessa a Petronio la legazione della Brettagna , P. Calvisio Piusone fino dalle calende di marzo era già sostituto per socio a Cesennio. Quella legge dev' essere più antica , perchè dopo l'impero di Tiberio , e forse in occasione che abrogò i comizi , eh' egli stesso aveva restituiti al popolo , i nuovi editti legislativi cessarono di prendere il nome di leggi, con- tenti di quello di senatus consulti. Ma quantunque l'età di questo nuovo Petronio convenga perciò assai bene al nostro intendimento , pure insorge ancor qui la mo- lesta difficolta della non corrispondenza del collega^ Per me inchinerei volentieri ad assegnare quella legge al P. Petronio , di cui si \ ragionato di sopra , e cosi potremmo entrare in qualche speranza di determinare l'anno del suo consolato. Non credo che il compagno Giunio sia un nuovo personaggio, perchè ai tempi di Tiberio non rinvengo alcuno di questa gente , che possa aver seduto nella maggiore curulc , il cui nome uon sia già iscritto nell' albo consolare. Cogniti sono tutti i consolati dei Giunj Silani , e i due dei Giunj Blesi. Giunio Gallione , ossia Anneo JVovato, i cui fasci non sono ancora abbastanza fìssati , non può risalire a tanta antichità , perchè quando Seneca suo fratello scriveva i libri de ira sotto Caligola , non era ancora stalo adottato , e per couscgucnzu non portava ancora l'ap- 90 Letteratura pellazione di Giunio. Resta perciò giusta la mia con- gettura , che r altro autore della legge Giuiiia Pe- tronia debba cercarsi nei fasti , i quali per ventisei anni dal 755 al 780 ( togliendo i primi undici , che già sono pieni , e non ammettono ulteriore appendice) , non offrono che due casi acconci allo scopo. Avve- ravasi il primo nel 7G8 , in cui s'incontra il sufFetto M. Giunio Silano , ma ora Tjallra tessera , che ho qui pubblicata , ha chiuso ogni lacuna in quelT anno. Sussiste quindi soltanto la seconda opportunità nel 772 , in cui troviamo ordinar] un' altro M. Giunio Silano, e L. Norbano Balbo , senza che si abbia alcuna no- tizia dei surrogati. Può dirsi adunque , che alle ca- lende di luglio secondo il consueto , fosse messo nei piedi di Norbano P. Petronio, il quale per tal modo divenisse il secondo collega di quel Giunio. I tempi corrisponderebbero egregiamente ; giacche fra il con- solato e il procon?;olato di Petronio s'interporrebbe circa il decennio, che Tiberio soleva lasciar decorrere prima di dare ai magistrati la provincia senatoria. E del pari ijnella età assai bene si addirebbe ad una tal legge, sapendosi che in qnell' anno il senato si occupò ef- fettivamente della legislazione dei servi , come ci mo- stra l'altra legge Giurila Norbana de servìs minus sol- lemniter mnnumissis. Non si ha che un' obbiezione da fare a questa congettura; e proviene dalla seguente tessera del conte di Caylus , che ho già citata , dalla quale apparirebbe che L. Norbano si fosse mantenuto nella carica fino quasi alla fine dell' anno. MARCELLINVS . Q . MAX TASVCIO . V M . SIL . L . NO . B . COS A . D . X. K . NOV . Tessere gladiatorie 9ì < Ma ella mi sembra soggetta a grandi eccezioni. Il eh. Orelli n. 2561 , per darle pure un senso tollerabile, ha interpretato Vicit nella sigla della seconda linea: ma questa è una forniola all'alto nuova invece del so- lenne SPcctatus , sostenuto dal consenso di tutte le tes- sere che si conoscono. Non minore stranezza si os- serva nelP alterazione dell' ordine delle righe , essen- dosi premessa le data dell' anno a quella del gior- no, contro lo stile generalmente osservato in que- sti avorj. Insolito è pure di denotare il nome o il cognome dei consoli con una semplice iniziale in vece della prima sillaba , come qui si vede praticato nei cognome di Balbo. Anche i nomi non mancano di serie obbiezioni. TASUGIO è evidentemente un di- minutivo di Tasiicus ; ma provenendo da Tocai^ ey^m , tanto egli quanto i suoi derivati dovrebbero avere l'aspirata , come eaniichus , daduchits , lychniichus , ed altri composti del verbo s'xi). Di più per la sua terminazione egli è un caso retto , dunque due , e non uno , sarebbero i gladiatori mentovati in questa tessera , perchè i servi non ebbero mai se non che un nome solo. Per distornare questo poderoso osta- colo ( fermo sempre che qui si scrive Tasiicio noa Tasucianiis , e che perciò questa voce non può de- notare il primitivo padrone ) , non si ha altro scam- po se non che leggere MARCELLINVS. Quinti MAX/- mi. TASVClOrnV. Vicit. Ora come sta che il servo abbia il nome tutto ingenuo di Marcellino , e il pa- drone l'agnome servile di Tasucione .'* E come sup- porre questo in un nobile , che per tale si manifesta Quinto Massimo al denotarsi col solo prenome e co- gnome , soppresso il gentilizio ì In una epigrafe di se- dici parole sei o sette diflìcolta ; alcune delle quali gravissime , debbono destare un veemente sospetto , che 92 Letteratura la buona fede del conte di Gaylus sia stata questa vol- ta sorpresa da un falsario ('!). L'ultimo Petronio , clic potrebbe avere qualche pretesa di venire accoppiato con M. Asinio , sarebbe quello di cui parla Tacito ( An. 1. 16 e. 18 e 19 ) ossia il Petronio Arbitro , autore del Satjricon , di cui molte cose ha scritto dottanieute il Jannelli ( Dls- sert. IH ad Perott. cod. ins ) . E confronterebbero di fatti la qualità di consolare , e l'identità, del pre- nome Cajo , che gli vengono attribuiti dall' annali- (r) Acuti e dotti sono gli argomenti del sig. Borghesi con- tro la legittimità di questa tessera. Direi però, che l'V per vicit , trovasi in altri monumenti gladiatorii , e TV forse in un altro significato, nel catalogo di una famiglia gladiatoria : ma ora nulla decido , non avendo tali cose ben presenti. Direi di più, che non tutù 1 nomi de' servi presso i romani cadevano da greca fonte ; e che molli ve ne aveano di barbari , o alie- geni. Tale era Tasucìo , Tasucionis , celta , o gallo, a mio pa- rere. Ardirei quindi leggere: Marcellinus Quinti Maxiini [sennis), Tasucio vocatus. Questo sarebbe un modo popolare , in vece dell'elegante QUI ET , ad indicare il soprariome. Il nobile Quinto Massimo, che omettea il gentilizio, come Marco Crasso FrugI , Publio Lentulo Marcellino , potea essere egli stesso Quintus Maximus Marcellinus ; ed in tal supposizione , il suo gladiatore Tasucione , distinguendosi molto nell' arte infame , fu acclamato dal popolo Marcellinus , per la pertinenza ; o finalmente costui proveniva dalla famiglia di un Marcello , ed anche di un altro nobile Marcellino, e fu detto Marcellinus, in quest'ultimo caso, ad isfuggire il troppo lungo Marcel- linianus. E' noto a'veri dotti, che I cognomi de' padroni, di- venuti coms genlllizj, poteano entrare nelle nomenclature de' servi, poi eh' entravano certamente in quelle de' liberti. Amiti. TESSERE OLADIi TOniE ' 03 st,i. Ma qoèsta clenominazione è assai controversa , per- chè tanto Plinio ( 1. 37 , e. 2), quanto Plutarco {de discrim ndul. et amici ) lo chiama no all' opposto Ti- to , e l'autorità di qiicst' ultiiuo samlica cL^/er preva- lere , perchè egli scrisse fjuel prenome non per ini- ziale , ma per intero , onde ha da essere stato men facile uno scambio dei copisti. Ne osta se quella ap- pclla/jone fu insolita alla gente Petronia romana , non avendole Arbitro appartenuto , se fu marsigliese. Mag- gior motivo di differenziarlo dal nostro console na- sce dalla sua età. Tacito ( An. 16 e. 1 8 ) ci asse- risce , di' egli fu proconsole di Bitinia , mox Gon- sul , deiii revolutus ad vitia , seit vitiorum iini- tatione inter paucos familiarium Neroni adsump^ tus est , eleganfiae arbiter , dum nihil amoenum et molle adflaeniia putat , nisi quod ei Peironius adprohasset. Uiide invidia Tigellini , quasi adver- sus aemidiim et scientia voluptatwn potiorem. Per lo che accusalo come complice nella congiura di Fla- vio Scovino, fu costretto a tagliarci le vene nell' 819. S'egli fu proconsole di Bitinia avanti di addivenir con- sole , come positivamente si afferma , e come dev' es- sere , perche la Bitinia dall'impero di Higusto fino a quello di Trajano , fu sempre provincia pretoria ; onde Arbitro avrel)be perduto il diritto di cavarla a sorte dopo il consolato , ne verrà di conseguenza , eh' egli non poto ottenere quest' ultimo assai sollecitamente. Dato ancora eh' egli sia stato eletto pretore appena eh' ebbe l'età legittima di trent' anni , se per sortire la provincia dovette aspettare il prescritto decennio, è certo che non potè giungere al seggio consolare , se non nell' età di quaranta due anni per lo meno. Ora se questa sua dignità dovesse determinarsi al 778, ne verrebbe che quando fu ricevuto nella famiglia- rità di Nerone in tempo eh' era già incominciata la 04 Lettkratura potenza di Tigellino , dunque non prima dell' 815, ne avrebbe avuti settantanove , e sarebbe stato più che ottuagenario quando si uccise. Ma chi non vede che un' età cosi provetta è incompatibile coi vizj , dei quali viene tacciato ; e che per conseguenza l'igno- to consolato di Petronio Arbitro non può smoversi dall'impero Neroniano ? Dimostrato per tal modo , che la nostra tessera non può spettare ad alcuno dei Petronii consolari, eh' erano noti fin qui , io nel silenzio degli scrit- tori , non trovo a chi altri possa attribuirsi se non se a G. Petronio timbrino, ricordato nel seguente mar- mo del museo capitolino , conosciuto fino dai giorni del Grutero (p. 200. 6.) T . QVINCTIVS . CRISPINVS VALERIANYS C . CALPETANVS . sTaTIVS . RVFVS C . PONTIVS . PELIGNVS C . PETRONIVS . VMBrInS M . CRASSVS . FRVGI CVRATORES LOCOR : PVBLICOR . IVDICAND EX . S . C . CAVSA . COGNITA EX . PRIVATO . m . PVBLIC . REStItVER Come ha ben veduto il Marini ( Fr. Arv. p. 775 ) , i magistrati di questa lapide non hanno da confondersi coi due notissimi Curatores ctedium sacrarum , o/?e- rum ^ locorumque publicorum ^ istituiti da Augusto, e che dovevano essere stati pretori: diversi essendo que- sti nostri così pel numero di cinque , come per l'uffi- cio , che non fu quello di sovrastare alla fabbrica , e alla manutenzione dei pubblici edifìzi sacri e profani , ma bensi l'altra di rendere al pubblico i luoghi oc* Tessire gladiatorie 95 cupati dal privati ; e di determinarne i giusti confini. Una tal cura fu da prima esercitata per se stesso da Augusto ( Syetonlo in Aug: e. 32, Grut. p. 200 n. 1 e 3 , p. 193 n. 3 ) , ma trovasi poi che nel 757 era di- venuta una delle attribuzioni dei consoli, Donati p. 450 5, p. 471 12). Pare adunque, che questa separata ma- gistratura dovesse la sua istituzione a Tiberio , il quale si piacque di simili deputazioni di cinque senatori , o per dir meglio di quattro senatori , presieduti da un consolare ; onde nel 768 ne creò un' altra consimile, perchè avesse pensiero del corso del Tevere ( Dione 1. 57 e. 14, Grut. p. 197 3). E sembra pure che quella di cui parliamo cessasse dopo il suo impero ; insegnandoci un marmo del Maffci ( M. Ver. p. 30G 7 ) che le incombenze affidatele , dopo il riprislinaraento della censura ai tempi di Claudio, furono restituite ai cen- sori. Certo è poi, che le due iscrizioni , che di lei fanno memoria, spettano al tempo da me statuito, perchè l'altra del Fabretti ( p. 656 n. 482 ) è posteriore al 759 , in cui ebbe i fasci L. Asprenate nominatovi pel pri- mo , e viceversa anteriore al 777 , nel quale si uc- cise di propria mano il terzo di quei curatori M. Ce- cilio Cornuto, uomo pretorio ( Tac. An. 4 e. 28). Né può dubitarsi che anche gli altri loro colleghi fossero tratti dal senato , attestandosi nella stessa la- pide , che P. Viriasio Nasone era attua Imente tribuno della plebe ; e P. Licinio Stolone ess endo dichiara- tamente il triumviro monetale dei tempi di Augusto. In quella poi , che ho poco fa riferi ta , il consolare è T. Quinzio Crispino Valeriano , sulle tto nel 755 in compagnia di P. Lentulo Scipione. C. Calpetano fu capo dei curatori degli archivj (Murat. p. 685 1), e uno dei curatori del Tevere (Grut. p. 197 3), i quali per autorità del passo già citato di Dione (l. 57 e. 14) furo- no tutti senatori . G. Ponzio Peligno legato propre- 95 Letteratura tore (li Tlbevlo, e noto par una la^iido tuttora esistente a Brescia, stampata poco esattamente dal Grutero (p. 457.3) dalla quale consta eli' esercitò pc'r due volte questa cura dei luoghi pubblici, neir intervallo fra la questura e redilita curale ; dal che seaibra potersi dedurre , che quell'ufficio fosse annuo di sua natura, ma che gli fosse prorogato. Infine M. Grasso Frugi è quel me- desimo , che fu poi console ordinario nel 780. Ab- biamo adunque in G. Petronio Umbrino un senatore precisamente del tempo , che ci è necessario , e niente vieta di credere che proseguendo nella strada delle ma- gistrature , per la quale si era incamminato possa es- ser giunto a trattare i fasci nel 778. L'esser egli an- teposto a M. Crasso Frugi indica che aveva sopra di lui qualche preminenza, almeno di anzianità, onde sta- rebbe egregiamente , che l'avesse anche preceduto di un biennio nella promozione al consolato. A mio av- viso egli è un figlio del C. Petronio successore di Cornelio Gallo nella prefettura dell' Egitto , la quale amministrò dal 728 al 730 , secondo i calcoli del La- bus; e in cui si rese famoso per aver portato le armi -Romane nell'Etiopia, vincendo la regina Candace. Sem- bra poi die siavi stata qualche relazione di parentela fra il nostro C. Petronio e Ponzio Nigrino , Console nel 790, atteso che nel celebre giuramento degli Arilie- si, riferito dal Fabretti (573.13), quest' ultimo chiamasi con tutti i soni numi G. Petronio Ponzio Nigrino. Co- tal parentela fra le due famiglie viene pili chiaramente accu-;ata dall' antico scoliaste di Giovenale , che al verso G38 dcdla satira VI , in cui si parla di Pon- 7,ia che avvelenò i propri figli , ricordata altresì in più epigrammi di Marziale , notò secondo la corre- zione del Lipsio : Poìitia P. Patron ii filici^ qiiem Nero corwictum in crimine, conjiirationis damnavit , defun- cto marUo fìllos suos venato necasse convicta , civm Tessere gladiatorie ^^ largis se epulis onerasset et veneno , venis incìsis saltans^ quo maxime studio oblectabatur, extincta est. Si è creduto che qui sia fallato il prenome del pa- dre , perchè P- Petronio seniore fu messo a morte ai tempi di Claudio , siccome abbiamo veduto , e P. Petronio di lui figlio fu ucciso [per ordine di Galba (Tac. Hist. 1. \ e. 6), onde niuno di loro fu con- dannato da Nerone. U Lipsio ( ad Tac. An. 16 e. 18) volle emendare Titi^ perchè amò di confonderlo con Pe- tronio Arbitro : e dello stesso parere fu l'autore della lapide gruteriana ( p. 912 6), dichiarata spuria dal De- Vita (Iscr. Benev. p. LVII n. 223). Ma per quan- to si sa dell' autore del Satjricon^ non pare eh' egli avesse ne moglie, ne prole. Da questo luogo intanto si fa chiaro , che qualche adozione deve essere inter- venuta fra le genti Ponzia e Petronia ; veggendosi che presso lo scoliaste il gentilizio del padre non corri- sponde a quello della figlia. Della quale adozione ve- nendoci poi offerto un indizio dai nomi di G. Petronio Ponzio Nigrino, parmi piià probabile il supporre, che quella barbara madre, conservando l'appellazione pri- mitiva della sua casa , nascesse da costui , del quale non sappiamo la fine ; onde può essere stato benanche uno dei tanti consolari messi a morte da Nerone; e eh' egli all' apposto , discendendo dalla Ponzia , fosse adot- tato dal nostro C. Petronio ; e perciò ne assumesse il nome. In tal caso sarebbe lecito altresì di difendere come sano il prenome di Publio datogli dal commen- tatore ; bastando per ciò di appellarsi all' esempio di molti altri, come di Pomponio Attico, di Bruto l'uc- cisore di Cesare , e dell' iraperador Galba , i quali ora furono chiamati col loro prenome originario , ora coli' adottivo. Se vere sono le cose fin qui ragionario , la loro cou- G.A.TXIV. 7 98 Letteratura seguenza sarà, che in grazia delia nuova tessera , nei fasti dell' anno 778 si dovrà d'ora innanzi riscrivere- M. Asinius C. F. C. N. Jsr ippa . Cn. Cornelius Cn. F. Cn. N^ Lentulus. Cossus. Suff. Kal. lui. C. Petronius C. F. Umbrinus. E per tal modo la serie consolare di questi tempi essendo accresciuta di un nuovo Petronio ; ne verrà pure, che non resti più cosi sicura l'aggiudizione che si era fatta dell' altra legge Petronia sui magisrrati municipali, citata in un marmo di Pompei edito dal sig. march. Arditi, dietro cui se n' era potuto rinve- nire nuove traccie in un' iscrizione del Fabretti (p. 485 n. 159 ), Il eh. Funlanetto ( Lexicon v. Petronia ) l'aveva con somma probabilità attribuita P. Petro- nio , i cui fasci si sono superiormente determinati all' anno 772 ; ma ora potrà movere qualche pretesa sopra di lei anche il nostro G. Petronio del 778 ; su di che staremo attendendo il giudizio dell' egregio cav. Avellino , il quale nelle sue osservazioni sulle la- pidi pompejane ci ha messo poco fa nella speranza di veder consacrate a questa legge le sue dotte inve- stigazioni. BoUGUESl 99 Osservazioni sul bello {Articolo IV^ JL ra quelli , che in Italia pensano e scrivono per far gustare ai novelli la scienza della scienza uma- na (1), un posto d'onore è dovuto certamente al Ga- luppi. All' aprii;si del nostro secolo egli ha mostrato come si possa rispondere alla domanda , che ciascu- no fa a se stesso ,, che cosa posso io sapere ? ,, (2): ed a queir altra ben più importante „ che cosa deb- ho io fare? e che cosa posso sperare? ^^ (3) Parlan- do de' mezzi conducenti alla felicita , osservò : la co- scienza dell' esercizio delle facoltà, intellettuali essere un sentimento piacevole i e questo esercizio produrre non solo il piacere della conoscenza del vero e dell' invenzione ; ma altresì il piacere del bello (4). Il ve- ro ed il bello, secondo lui, non sono identici: han- no bensì fra loro molti punti di contatto e di rap- porto. Non ogni vero è bello , ne ogni bello e ve- ro : ed ecco aperto il campo a ragionare del bello (5). Ogni bello piace ; ma non tutto ciò che piace è bello ; poiché una semplice impressione piacevole non costituisca propriamente il bello (0). Il bello è (i) Elem. di filosofia del prof. Pasquale Galnppi di Tro- pea, seconda edizione. Firenze i832 tom. IV pag. "xl^Q. (2) Ivi pag. 249. (3) Tom. V pag. 319. (4) Ivi pag. 236 e seg. (5) Ivi pag. sòj. (6) Ivi. 7* 100 Letteratura distinto dal piacevole , perche il primo suppone una moltitudine di percezioni ; laddove una semplice sen- sazione può esser piacevole. Ne lascia l'autore di ri- spondere ad una obbiezione : noi attribuiamo bellez- za eziandio ad un colore uniforme. Un colore pre- senta una moltitudine di parti colorate. Cosi il Ga- luppi {i) : il quale conchiude il suo trattato colle parole , che seguono. Facendo l'analisi del bello ho creduto , che bi- sogni ammettere quattro specie elementari di bello. Il bello fisico , il quale nasce da una moltitudine di sensazioni. 11 bello poetico , il quale nasce da una moltitudine di percezioni combinate dall'arte del poeta. Il bello ideale , il quale risulta da alcune date per- cezioni di similitudine o di diversità. Il bello di per- fezione , il quale consiste nel concorso di molte cose verso di lui fine. Il bello fisico e diretto tanto alla parte passiva dello spirito, quanto all'attiva : cioè tanto alla sensi- bilità, quanto alla meditazione. Tutti gli altri belli son prodotti dall'attività sintetica dell'anima. Negli og- getti belli spesso s'incontrano tutte queste specie ele- mentari di bellezza. La natura può presentarci un in- .siome di percezioni piacevoli : essa può somministrar- ci l'occasione di osservare delle similitudini e delle varietà , che ci piacciono. La meditazione può inol- tre nelle parti della natura scoprirne l'uniforme con- corso ad un fine : e quindi possiamo vedere riunite la bellezza fisica , la bellezza ideale , e la bellezza di perfezione. Anzi una certa bellezza ideale è un ele- mento necessario pel bello sensibile. Questa distinzio- ne delle specie elementari della bellezza è importante. (i; Ivi p. ao3. OsSERVAZtONI SUL Br.T.LO lOf Per non averla fatta , alcuni scrittori di esletica han- no avanzate delle proposizioni false. Imitate la bella natura. Questo precetto è falso relativamente al bello poetico : è poi vero pel hello ideale , che si riferi- sce air archetipo reale della natura. L'analisi delle facoltà dello spirito. , . è il noto da cui son partito, per iscoprire l'ignoto della origine del Lello. Il Lello suppone o una sintesi data , o una sintesi fatta. Ri- flettendo su di questo principio , e sulle diverse sin- tesi ( reale, immaginativa civile, immaginativa poetica , ed ideale ) , son pervenuto alla dottrina , che sul Lel- lo vi ho proposto. Osservando le diverse idee specifiche del Lello elementare , possiair.o facilmente pervenire a formarci l'idea generica del Lello. In tutte queste idee trovia- mo varietà ed unita. Vanità nella varietà è dunque Vessenza del bello. Credo che noa possa contrastarsi questa illazione. Se la varietà e l'unita sono gli elementi del Lello, qual è, domandasi, quella varietà e quella unità, che son necessarie a costituirlo ? Non Lisogna tentare di risolvere a priori una tal questione. L'esperienza sola è la guida sicura in tal materia. Essa c'insegna qual varietà e qual unita ci piaccia in tutti i tempi, ed in tutti i luoghi. Essa ci fa distinguere una bellezza naturale ed invariaLile da una Lellezza accidentale e mutaLile. Le verità , che riguardano il Lello , son ve- rità primitive di fatto : alle quali Lisogna arrestarsi senza perdersi in regioni immaginarie (1). Non aLbiamo seguito l'autore nella sua analisi , contenti ad esporre, sciolto da ogni inviluppo , quasi il germe della sua teoria : germe , che egli viene svol- (i) Ivi pag. 285-2S7. 102 Letteratura gendo con ordine a parte a parte. Ma per dare co- me un saggio del modo , che egli tiene nel ragio- nare , sentiamo come risponda a due questioni , che per via gli si presentano (1). La prima si è : vi è egli un bello fisico imi>>>ersale , per tutti gli uomini ? La seconda si e : Se vi è un bello fisico universale^ donde nasce negli uomini la diversità de' loro gusti ? Nel §. LV della logica mista vi ho mostrato , che la differen;^,a delle sensazioni negli uomini non im- pedisce , che tutti in alcune circostanze ricerchino e fuggano gli stessi oggetti. Tutti i bambini si ali- mentano col latte delle loro madri. L'uso del pane e universale negli adulti. Tutti provano del piacere neir unione dei due sessi. Tutti nell' ardor dell' estate provano del piacere allo spirar di un' aura fresca e soave , ed in un bagno di una data temperatura. A tutti riesce piacevole l'aspetto della ridente primavera. Tutti provano del dolore alle forti percosse, alle fe- rite, ad un' ardente febbre. Cosi il Galuppi: e continua: Ma vi ha di più. Nel bello fisico entrano le per- cezioni di alcune similitudini fra le parti dell'ogget- to bello : quando manca il fondamento di queste re- lazioni , tutti gli uomini trovano brutto l'oggetto. Se si presenta un uomo con cinque dita in una mano , e quattro nell' altra : con una mano piccola e con un' altra grande : con un occhio piccolo ed un' altro gran- de: con un ciglio nero ed un altro bianco: con una guancia bruna e grossa ed nn' altra bianca e delicata; chi mai degli uomini non sarà colpito dalla defor- mità di tale individuo ? Una certa similitudine fra alcune parti dell' oggetto bello è una logge invaria- bile della bellezza fisica. Alcune parti dell' oggetto ()) Ivi p. 247. OsSBRVAZIOXI SUI. BlìLLO 1^3 bello debbono avere una certa ragione geometrica fra di esse. Un capo molto grande su di un collo deli- cato e corto, e su di un busto piccolo, rende un uo- mo deforme in tutti i luoghi ed iu tutti i tempi. Ella è una regola invariabile del bello , che le parti di)p- pie sieno uguali fra di esse , e che le parti uniche sieno in ugual distanza da ciascuna delle parti dop- pie. Tutti i rapporti si possono ridurre a quelli d'i- dentitk e di diversità. Una certa identità ed uà certa diversità ò dunque essenziale al bello fisico. Essa pia- ce in tutti i luoghi ed in tutti i tempi. Il contrario è di un disgusto universale. Vi ho parlato della perfezione , e vi ho detto che essa , secondo Woliìo , consiste nella convenienza o consenso di più cose per ottenere un qualche fine. Ora è un fatto primitivo della nostra natura , che la conoscenza della perfezione iu se è piacevole. Vi ha dunque un bello risultante da questa conoscenza. Una tale bellezza di perfezione è un risul lamento parti- colare della meditazione. Io non ammetto la dottrina wolfiana , che fa consistere qualunque piacere nella conoscenza intuitiva o confusa della perfezione : ma appoggiato suir esperienza convengo cogli altri filo- sofi , che la conoscenza meditata della perfezione è una conoscenza piacevole ; ed è una delle più fe- conde sorgenti del bello. Si sa , che il fine delle arti meccaniche ò di prov- vedere ai bisogni ed ai vantaggi della società : da ciò hanno origine tante macchine differenti , che gli uomini hanno inventate. In tutte queste invenzioni gli artisti sono stati costantemente guidati da questo prin- cipio „ qualunque cosa , qualunque macchina , che s intraprende , per ben riuscire fa cCuopo prendere le vie più semplici. In effetto quando pochi mezzi sono sudicienti , luUi '^M altri che s'impiegano non 104 Letteratura sono mezzi , ma cose inutili allo scopo , clic si (la in veduta. Se io intraprendo un viaggio col solo fine di giungere in un certo luogo , perchè potendo co- modamente giungervi per linea retta , che è il cam- mino più corto fra due punti , viaggerei per una li- nea curva e tortuosa ? Questo principio guidò l'arti- sta , che concepì l'idea de' mulini ad acqua per ma- cinare il grano. Prima di questa bella invenzione bi- sognava , per macinare il grano , impiegare le brac- cia degli uomini o il soccorso degli animali. Era co- sa molto lenta e molto incomoda il far così girare una pesante mola. L'ingegno umano comprese, che si poteva ottenere il fine per un mezzo più facile e più celere impiegandovi la forza dell' acqua : e la Leila invenzione de' mulini ad acqua venne in soccorso de- gli umani bisogni. Non si poteva per una via più corta ottenere il vantaggio della società. A questo stesso principio si dee attribuire l'in- venzione della scrittura alfabetica , e quella della stam- peria. Per qual motivo queste due invenzioni sembra- no belle agli occhi della ragione ? Ciò è appunto , perchè per le vie più corte , per mezzi semplici giun- gono a spargere fra gli uomini la massa delle co- noscenze. La scrittura alfabetica colla facile combi- nazione di alcuni pochi segni giunge a comunicare tutti i pensieri degli uomini. La stamperia moltipli- ca indefinitamente e con poca spesa gli esemplari di una stessa opera : essa evita la gran moltitudine della varietà e degli errori dei copisti. Concludiamo , che nel giudicare del bello di per- fezione tutti gli uomini sono stati in tutti i tempi , ed in tutti i luoghi , guidati da questo principio : un oggetto è tanto più perfetto , ed in conseguenza pia bello , in quanto con minor numero di mezzi Osservazioni sul Bello IOj conduce al fine. Vi è dunque un Lello fisico univer- sale. Lo stesso si dee dire dei bello artificiale (1). Se vi ha un belio fisico universale , donde nasce fra gli uomini la diversità de' loro gusti ? Ciò che è bello in un tempo e brutto in un altro. Uà gentil- uomo, che cinquanta anni addietro fosse comparso ve- stito nella moda di oggi, avrebbe eccitato il riso. Bi- sognava fra le altre cose allora portare un lunga co- da ne' capelli ; e questi dovevano essere aspersi della polvere di cipro : nell' estate l'abito doveva esser di seta ; e dovevasi portare una spada in situazione oriz- zontale. Chi Fosse comparso co' capelli tagliati, sen- za la coda , negri ed inculti , e con un abito di ca- stagno neir estate avrebbe eccitato il sentimento del ridicolo. Si sarebbe riguardato come un' indecenza no- tabile il comparire un gentiluomo per le strade fu- mando del tabacco. L'abito de' greci consisteva in un gran manto ec. Per lungo tempo i greci non si calzavano ec. Risa- liamo al principio della varietà di questi gusti. Vi ho detto più volte , che vi ha un' associazione d'idee, la quale in origine è meramente accidentale; ma poi è talmente indissolubile , che si riguarda spesso co- me naturale. In forza di tale associazione può avve- nire , che un oggetto il quale dentava piacere , per un' idea più dispiacevole che si associa , riesca in se- guito disgustoso ; e che essendo dispiacevole o indif- ferente , per un' idea piacevole che gli si associa , divenga in seguito piacevole. Gli esempj di queste associazioni son ovvi a' contemplatori dello spirito uma- no .... Vi ho spiegato come in forza dell' associa- zione delle idee si stabilisce il pregiudizio dell' au- (i) Ivi p. 25l. 106 Letteratura torita. Ad una simile associazione e dovuta la varietà de' nostri gusti. Essa produce , che quello che sera- brava bello un tempo ci sembri bruito in un altro ; e che quello che sembra bello in un luogo sembri brutto in un altro. Supponiamo un modo di vestire talmente comune , che si usi eziandio dalla classe più bassa della società civile : allora coloro che brama- no di distinguersi lasciano di usarlo, e si trova un altro modo di abbigliamento : il quale per se stesso o indifferente o alquanto brutto , perchè viene usato dalla classe più nobile della società, acquista la po- tenza di piacere. È evidente, che tali decorazioni non possono pia- cere in forza delle idee associate , se non intanto che esse sono esclusivamente all'uso delle classi più ele- vate : tosto che il popolo le adotta , non solo que- ste decorazioni cessano di associarsi alle idee di pu- litezza e di gusto; ma cominciano ad unirsi con quelle di affettazione , d'imitazione goffa , di maniere popo- lari. Allora le classi elevate della società , le quali cercano di evitare tutto ciò , che all' esterno le con- fonde col basso popolo , rigettano questi ornamen- ti degradati ; e si occupano a sostituirne degli altri c'ie dapprincipio prendono corso e divengono la mo- da del giorno ; ma ben tosto, spargendosi negli ul- timi ceti, sono poi eziandio abbandonati. Alcune volte un principio di economia o di co- modità fa abbandonare alcune mode , come troppo dispendiose o troppo incomode, e ne fa ad esse so- stituire dell'altre. Queste poi divenuto comuni e po- polari divengono vili e si abbandonano : e così for- masi il circolo della moda. L'associazione accidentale delle idee è dunque il principio della mobilita della moda. Le circostanze, che ci piacciono negli oggetti di gusto, sono di due specie distinte. Le une son Osservazioni sul ErLLo 107 proprie a piacere per lor natura o per associazioni d'idee comuni a tutti gli uomini. Le altre non piac- ciono , se non per associazioni d'idee locali ed ac- cidentali. Perciò vi ha due specie di gusto : 1' una giudica delle bellezze , che hanno il loro fondarli ento nella natura dell' uomo ; l'altra giudica degli oggetti de' quali la moda fa il principal merito. Ne reco un esempio volgare. I giovani naturalmente hanno i ca- pelli negri : i vecchi gli hanno bianchi. L'idea de' capelli negri è dunque naturalmente associata all' idea piacevole di gioventù: quella de' capelli bianchi all' idea dispiacevole di veccliiaja. Supponiamo , che un uomo vago di comparir bello e giovane concepisca l'idea di abbandonare la polvere di cipro pe' suoi capelli , acciò la negrezza di questi si associ negli spettatori all' idea della sua gioventù : un tal uomo , abbandonando la moda della polvere di cipro , ab- bandona vina moda contraria all' associazione naturale delle idee per rendere amabile un giovine ; e vi so- stituisce una moda uniforme a questa associazione. Così il gusto può perfezionarsi e può corrompersi. Tutto ciò, neir atto che ci da la spiegazione della varietà del gusto e della moda, ci obbliga ad am- mettere nella natura il fondamento stabilito del bello. L'associazione delle idee può render piacevole un' idea che era dispiacevole , e viceversa ; ma bisogna sup- porre antecedentemente in noi una capacità naturale al piacere ed al dolore. Senza di ciò come le asso- ciazioni influirebbero sui nostri gusti ? É necessario supporre , che una certa idea sia naturalmente piace- vole , e che naturalmente ancora l'idea associata sia molto più dispiacevole , per ispiegare come un og- getto , che ci sembrava bello , ci divenga coli' as- sociazione disgustoso. Le associazioni delle idee non possono punto spiegare l' origine di una nozione o 108 Lettekatura di una idea nuova; quindi non possono spiegare l'ori' gine di un sentimento semplice piacevole o dispiace- vole. L' associazione spiegherà bene come una co- sa iudifl'erente in se «tessa , può divenire piacevole , unendosi ad un' altra che naturalmente ci piace. Ma in tntti i casi l'associazione suppone , che gli ele- menti che si combinano , sieno di lor natura pia- cevoli o dispiacevoli. Wolfio fa generalmente consistere il piacere nella penetrazione confusa della perfezione, ed il dolore nel- la percezione confusa dell' imperfezione. Egli applica questa definizione al piacere ed al dolore de'sensi per mezzo della dottrina psicologica della percezione con- fusa di tutte le sostanze dell' universo. Egli spiega per mezzo dell' associazione l'origine di tutti i piaceri sen- sibili. E chiama bello ciò che è atto a produrrai del piacere , e brutto ciò che è atto a produrrai del do- lore ; ma questa percezione di tutte le sostanze pri- mitive dell' universo è un fatto supposto , e non ap- poggiato su di alcun solido fondamento^ Una sensa- zione , la quale non può decomporsi , è una modifi- cazione semplice. Vi sono dunque de' piaceri e de'do- lori fisici semplici , sebbene prodotti da oggetti com- posti. Tali piaceri e tali dolori sono meramente na- turali : e non dipendono mica da alcuna associazione. Inoltre neli' ipotesi wolfiana non sarebbe possibile la percezione del brutto nella natura ; poiché tutti gli oggetti naturali , anche quelli che diciamo brutti, co- me un rospo , una serpe ec. sono perfetti , perchè ciascuna delle loro parti tende ad un fine. Anche pe- rò nella dottrina wolfiana il fondamento del bello e del brutto è nella natura , poiché in essa si assume come una legge della nostra natura, che la percezione della perfezione sia piacevole , e che quella dell'im- perfezione sia dispiacevole. I Osservazioni sul Bello. 109 P^i è dunque un bello universale , ed in conse- guenza un gusto uni\>ersale. Questo vocabolo di gw- sto nel suo senso primitivo significa l'organo del no- stro corpo , pel quale si trasmettono allo spirito le sensazioni de' sapori. Nel senso metaforico significa due cose , una potenza passiva ed una potenza attiva , re- lativamente tutte due al bello : la prima consiste nella potenza di ricevere una modificazione piacevole da un oggetto bello , che allo spirito si presenta ; la secon- da consiste nella facoltà di distinguere nel sentimento del bello i diversi sentimenti parziali , che concorro- no a produrre il primo sentimento , ed i rapporti che hanno fra di essi. Alla veduta di un ameno giardino lo spirito riceve una folla d'impressioni piacevoli, dal concorso delle quali risulta in lui il sentimento del bello. Questo sentimento piacevole è una modificazio- ne passiva, e la disposizione ad averla può chiamarsi gusto di sentimento , o gusto passivo. Se colui che è afTetto di un tal sentimento sa distinguere non solo le di /erse sensazioni piacevoli che concorrono a produr- re in lui il piacere passivo del bello ; ma pure tutte quelle relazioni di similitudine , senza le quali un tal piacere non risulterebbe , egli esercita il gusto attivo^ o il gusto meditato. Il gusto attivo produce nello spi- rito de' piaceri relativi al bello, i quali nascono dall' attività intellettuale sui propri sentimenti. Vi e un'al- tra specie di gusto attivo , e consiste nella facilita di formare un oggetto bello. Tale è il gusto di un poeta, che forma un poema epico , una tragedia ec, quello di uno scultore , che forma una bella statua senza ri- ferirsi ad alcun originale ec. Chiamiamo queste tre spe- cie di gusto, il primo gusto di sentimento ^ il secon- do gusto di meditazione , il terzo gusto d'invenzione. Un uomo che ignora la musica è colpito da un bel pezzo di Rossini , costui ha un gusto di sentimento : 110 Letteratura «n altro che conosce la musica può sviluppare le di- verse sensazioni di suono e le loro relazioni , che nel tei pezzo concorrono a produrre il piacere del bello: costui esercita un gusto di meditazione: ma Rossini ha esercitato il gusto d'invenzione. Ogni uomo non è dotato di un ugual grado di gusto , come non ogni uomo sperimenta a certe im- pressioni un ugual grado di piacere o di dolore. Al- cuni spiriti dotati di un gusto squisito son quasi ra- piti fuor di se alla presenza di un oggetto bollo. Pre- sentate ad un uomo tale un poema o un quadro , egli distinguerà in ciascuna parte di quest'opera , se i col- pi del maestro da lui osservati lo rapiscono e lo tra- sportino : nulla uguaglia il dispiacere , che gli cagio- nano i luoghi disprezzati o mal trattati (1). Per la connessione delle materie awcrianoeremo un OD o cenno del sublime Affinchè un oggetto destasse del piacere dee (dice l'autore (2) ) sodisfare uno de' cin- que desideri primitivi. Il bello fisico ed il bello poeti- co sono relativi al desiderio de' piaceri de' sensi . Il bello ideale ed il bello di perfezione sono relativi alla curiosila. Il bello morale, che consiste nella virtù, h relativo al desiderio dell' altrui ben essere. Il su- blime finalmente è relativo al desiderio della propria eccellenza , ed a quello della gloria. Questi due de- sideri si possono comprendere in una espressione più semplice, e chiamansi lutti e due desiderio della gran^ dezza. Questa è o intrinseca o estrinseca. La prima consiste nella grandezza ideale, cioè nell'opinione, che gli altri hanno della nostra grandezza intrinseca. L'uo- mo ha un desiderio primitivo di esser grande tanto in- trinsecamente , quanto nell' opinione degli altri. (•) Ivi. (2) Ivi pag. 288 OssisnvAzioNi SUL Bello. 111 Il piacere elei sublime è un effetto tìell' idea di grandezza^. Lo spirito concepisce un oggetto grande quale che siasi , sente la grandezza del suo conce- pimento ; e così sente grande se stesso , poiché ha una grande idea. Questo sentimento della propria gran- dezza è piacevole : ed in esso consiste il piacere del sublime. Vi renderò sensibile con esempj questa mia filosofia del sublime. La grandezza o è di estensione o di potenza. La potenza è o fisica o intellettuale o morale. Ora l'idea di ciascuna specie di queste grandezze produce il su- blime. Se neir oscurità di una notte serena in una vasta pianura osserverete la volta azzurra del cielo, r idea di questa gran mole produrrà in voi il pia- cere del sublime. L'indefinita estensione dell' Ocea- no , un' estesa pianura ove l'occhio non vede con- fine , un' alta montagna , un precipizio da cui mi- riamo gli oggetti che giacciono al fondo , un gran- dioso edifizio , come per esempio le piramide d'Egitto , son tutti oggetti che ci destano il piacere del su- blime. La loro grandezza è una grandezza di eteu- sioue. L'idea dell' essere esterno , che con un semplice volere produce il grande universo ; quello di una notturna tempesta , che all' interrotto sfolgorar de' baleni sembra che in un istante produca ed annienti la natura ; quella di un Annibale , che pel non bat- tuto ed orrido cammino delle alpi scendendo in Ita- lia reca nel cuor di Roma lo spavento : sono idee che producono il sublime, perchè sono idee di una grandezza di potenza fisica o reale. L'idea di un Newton che pesa l'universo , di un Cartesio che nella filo- sofia distrugge l'impero dell' autorità , destano il su- blime , perche sono idee di una grandezza intellet- tuale. L'idea di un Attilio Regolo, di un Muzio 112 Letteratura Sceyola , de' trecento alle Termopile , quella di un eroe , in somma , die sagrifica se stesso pel bene degli altri , e che resta immobile all' urto dell' in- teresse : sono idee clie innalzano l'anima col senti- mento del sublime , perchè ci presentano una gran- dezza morale (I). Per meglio sostenere la sua dottrina l'autore reca innanzi varj passi sublimi di alcuni scrittori. In quanto a noi , il detto di sopra ci pare abbastanza all' in- tento nostro : ne già vogliamo abusare la sofferenza de' leggitori. D. V. Sul ragguaglio di ladj Morgan rispetto alla cai" tedra di s. Pietro in Roma. Saggio critico del Rev. J). Nicola TViseman rettore del collegio inglese in Roma , professore di lingue orientali nella univer- sità di detta città e membro della R. società let- teraria di Londra. Traduzione dall' inglese per A. De- Luca. I 1 carattere di lady Morgan è ben noto ai nostri lettori ; quindi non ci è parsa cosa necessaria il pre- mettere a questo Saggio critico alcune generali osser- vazioni sulla di lei pretesa veracità ed esattezza. Ove i di lei sbagli riferir si volessero alla ignoranza, ben potremmo allora ammettere le di lei scuse , perocché può ben da essa allegarsi esser questo un privilegio del di lei sesso. Ove l'accusa si riducesse ad un mero (i) Ivi pag. 2go- Cattedra di s. Pietro. 113 aggrandimento , e ad un' esagerazione del vero , po- tremmo anche passarci di questo mancamento; che que- sta è ben una naturale inclinazione di coloro , che per uffizio del proprio mestiere scrivono romanzi , e lady Morgan (come a lutti è ben conto) tra i romati" zieri si connumera. Ma quando audacemente da essa si afferma come fatto positivo quel che mai non in- tervenne , e ciò per espresso proposito di denigrar il carattere della cattolica gerarchia ; quando da essa si assevera una cosa , della cui falsità mercè di una lie* ve indagine avrebbe potuto chiarirsi , e questo pel so- lo espresso divisamento d'invilire la religione profes- sata da tanti milioni di cristiani; allora si che luo- go a difesa non ci ha , e la malignità viene più odio- sa , appunto perchè ritrovasi in una donna , e la ca- lunnia più velenosa , perchè descritta con tutta la vi- vacità di un novellatore. Di sìrail tempera si è il passo seguente toccante la cattedra di s. Pietro in Roma : „ La sagrilega cu- „ riosità dei francesi ruppe ogni ostacolo per vedere „ la cattedra di s. Pietro. In effetto fu da essi tol- „ ta via la superba cassa e discoperta la reli(|uia. ,, Sulla fracidiccia e polverosa superficie di essa eran- ,, vi intagli che avevan l'apparenza di lettere. La cat- „ tedra fu tostamente in luogo più luminoso condot- „ la , e ripulita della polvere e dei ragnatcli, e l'iscri- „ zione ( che un' iscrizione vi era ) fu fedelmente „ copiala. La scrittura è in caratteri arabici, e con- ,, tiene la tanto nota profession di fede maomettana: „ Non vi è die un solo Iddio^ e Maometto è 'l sua „ profeta. Si suppone che questa cattedra sia slata „ Ira il bollino dei crociali , ed off'erta alla chiesa ,, in tempi , quando ]ion era venuto ancora in moda „ il gusto per la scienza antiquaria e per la illustra- „ zione delle iscrizioni. Di questa storicità da indi G.A.T.LIV. 8 114 Letteratura „ in avanti non si e fatto più alcun motto, e la cat- ,, tedia fu rij)osta a luogo suo, e nissuno la ridice ,, fuor solamente di alcun profano ed audace (che fino ,, in Roma propria vi lia di audaci e di profani ) ,, che ancor se ne rammenta. „ (1) L'accusa contenuta in questo passo è di natura assai seria. Si asserisce audacemente che la reliquia ve- nerata nella vaticana basilica qual cattedra di s. Pietro non sia altro che un maomettano monumento : e quel cir è infinitamente peggiore, che il clero informalo di questa cosa abbia non pertanto con perversa ostina- zione continuato ad ingannare il popolo colTesortar- lo a rispettare una cosa , cui essi conoscevano es- ser una spuria reliquia , e che porta scolpita una bestemmia , colla quale la verità si nega del cri- .slianesimo. La più corta via a confutar questa sfron- tata calunnia sarebbe l'arrecare gli attestati di colo- io , che sono stati impiegati al servizio della basilica di s. Pietro sin da un periodo di tempo anteriore alla rivoluzione francese, e che fan aperta fede di non es- sere stati unque mai violati i suggelli , nò mai la re- liquia veduta dai francesi. Ma potrebbesi a questo ri- spondere che coloro , i quali giungono a tale da in- gannare il pubblico con tanta empietà , come lady Morgan si piace di supporre, non fa rebbonsi coscien- za di dar qualunque falsa testimonianza per continuare il loro malizioso inganno. Ma per porre eterno silenzio a questa calunnia, vogliamo or noi dare ai nostri lettori alcun raggua- glio , eh' esser non può spoglio d'importanza , ri- spetto a questa sacra reliquia dell' antichità. Nosti'o 'i) Lady Moijjn's lulv, voi, II p. 285, noie li) rjucult» Cattedra di s. Pietro. 115 dlvlsamento dunque egli è di descrivere brevemente la cattedra di s. Pietro ; che mercè di una si fatta de- scrizione raostrerassi a un tempo stesso eh' essa non conti un'origine maomettana, e che tutti gli argomen- ti archeologici tendano a raffermare la pia tradizione della chiesa. Sporremo di poi le valide ragioni , sulle quali questa tradizione si fonda , e che aperto dichia- rano che questa reliquia fosse esistita assai tempo pri- ma delle crociate, e di Maometto proprio. E perche pur la menoma ombra di dubbio sulla falsità della novelletta di lady Morgan si chiarisca, daremo da ul- timo un breve ragguaglio delle circostanze , che pro- babilissimamente diedero a questa fantastica invenzione nascimento. Un superbo reliquiere di bronzo dorato, sostenuto da quattro figure gigantesche della stessa materia rap- presentanti i quattro primari dottori di chiesa santa, chiude la prospettiva della nave della vaticana basi- lica. Questo reliquiere ha forma di trono , e in se in- chiude una cattedra , che si suppone essere stata oc- cupata dal principe degli apostoli come vescovo di Roma. Vi ha una tradizione su autentici documenti fondata , che S; Pietro sia stato accolto in casa il se- natore Pudenzio , e che abbia cola le fondamenta git- tate della chiesa romana. (1) Giusta l'usanza de' giu- dei e di tutte le primitive chiese egli occupava una cattedra ovvero un trono , tutte volte che il gregge istruiva o ai divini uffizi assisteva. In effetto da que- sta circostanza ci venne, che sedes, cathedra, ihroniis si denominasse la vescovile giurisdizione. (2) La cat- (i) Atti di s. Pudenziana, BoUand. ai 2 di maggio. (2) Vedi Sinceri Thcsaur. cccles. Amst 1728,10111. i p. i4«o. Quindi venne ben anche che rautorilà episcopale fosse sui 8^ 116 Tj K T T E n A T U R A tedra di s. Pietro è per ra()j)tuito tale, quale ben sup- porsi potrebbe essere stata da un ricco senatore do- nata al reggitore della chiesa riverita e protetta da lui. Essa è quasi interamente incrostata di avorio per for- ma , che ben dirittamente dcbl)esi giudicare per una sedia curule. Può in due principali parti dividersi; nel- la parte quadrangolare, ossia cubica, che forma il cor- po , e nella spalliera, diritta ed elevata , che forma la parte deretana. La prima parte è larga quattro pal- mi romani da fronte , e dai lati due e mezzo , e alta tre e mezzo. E formata da quattro stanghe diritte uni- te insieme con ispranghe traversali di sopia e di sotto. I lati sono riempiti da una specie di arcali, che po- sano su due pilastri di legno, sostenenti insiem colle stanghe degli angoli tre piccioli archi. La fronte ric- ca a maraviglia è divisa in diciolto scompartimenti di- sposti in tre Cile. Ciascuno contiene un basso rilievo di avorio di squisitissima finezza attorniato con altri abbellimenti di oro purissimo. (1) Questi bassirilievi rap- presentano non già le im[!rese di Maometto , di Ali , di Osmano , o di alcun altro capitan musulmano, co- me potrebbonsi immaginare i leggitori di lady Mor- gan , (salvo se lor fosse conto che la religione del profeta non tollera punto d'immagine scolpita) ma si le imprese di i rcole domatore dei mostri. (2) L'usan- za di adornar le sedie curuli con avorio scolpito è menzionata dagli antichi : cristiani mouumenti slrriLoleggiala da un trono, o da una cat- tedra. Vcdansene gli esempi in Aringhi, Homa suhterranea , Kom. i6Si, tom. i, pp. 55, 66G, e in Mamachi, Orig. et antiq. christ. tom. 5 Rom. 1755, p. 596. (i) De identilale cathédrae in qua s. Petrus Romae pri- nuin» st(- ,, tenne l'apostolica cattedra di Giacomo , che cola ,, ancora si conserva. ,, (1) Niceforo afferma lo stesso fatto t „ Noi sappiamo, che il trono di Giacomo è „ stato sino ai giorni nostri conservato. I suoi stic- 4, cessori hanno venerato questa reliquia. ,, (2) Vale- sio nelle sue annotazioni sul passo di Eusebio teste arrecato osserva , che negli atti di s. Marco dicesi essere stata la di lui cattedra lungo tempo conservata in Alessandria. Gli atti di s. Pietro vescovo di quella sede riferiscono , che per rispetto di essa , e per uuu visione che gli apparve , egli si ricusò di assidersi sopra quella cattedra , e che al più volle solo occu- pare lo sgabello. (3) Questo addimostra come siffatti oggetti non fossero custoditi meramente come curio- sila, ma tenuti in riverenza in quei primi e avventurosi secoli del cristianesimo. Questi due esempì , a'quali ben altri potrebbonsi aggiuguerc , saranno bastevoli a provare assai proba- bilmente che la chiesa romana non dovea mostrare meno venerazione verso il trono del suo primo vesco- vo , e che tutto all' opposto conservarlo dovesse per l'intronizzazione dei di lui successori. In oorni modo o essi abbondevolmente ogni dubbio chiariscono , che potrebbe contrapporsi alla venerabile tradizione della chiesa romana sotto il coloralo pretesto , che i primi- tivi cristiani avrebbono difficilmente atteso a custo- dire una siffatta reliquia , o eh' egli sia cosa impro- babile eh' essa fosse stata per sì lungo tempo conscr- (1) Id. ibid. G. XXXZII p, 3-26. (2) Niceph. Gal- lib. VI e. i6. (•5) Aui di S. Pietro di Alessandria presso il Baronio ad an. 3io. 120 Letteratura vata. Conciossiacosaché , se le cattedre di Giacomo e di Marco furono in tanta riverenza tenute e mante- nute intere sino ai tempi di Eusebio e di Niceforo , creder dobbiamo con più probabilità che la cattedra di Pietro fosse stata conservala dalla chiesa romana come un tesoro di alta valuta. E quando ponghiamo che in tale stato foss' ella preservata sino ai tempi di Costantino , nissuna difFicolta può rimanere , che fosse stata sino ai giorni nostri studiosamente tenuta custodita. L'autore della dissertazione sopra citata, nella nota quarta , raccolse l'autorità , che l'identifa rin- tracciano di questa cattedra da un secolo all' al- tro. Ne presceglieremo alcune tra le \nu antiche. Il nostro autore fa capo da un passo di Tertullia- no , eh' ■ è ben noto all' assai parte de' nostri letto- ri , ed a cui sono adusali di dare una interpreta- zione meno importante. Ciò non di manco il citere- mo, ai critici lasciando il difFinire circa il vero e certo significato : „ Trascorri , ei dice , le apostoliche chiese „ nelle quali le stesse cattedre degli apostoli presie- „ dono ancora nel loro posto. „ (1) Per lo vero, se cattedra suonasse qui quanto sede , non ci è assai forza neir espressione : imperciocché essendo una chiesa apo- stolica per l'appunto una chiesa senza più , fondata dagli apostoli , governata da un vescovo che ad essi succede , il dire con tanta enfasi che nelle chiese apo- stoliche le sedie proprie degli apostoli si conservas- (i) Percurre ecclesias apostolicas , apud qnns ipsae adlnic cathedrae apostolorani suis locis praesident. Si Italiae adja- ces, abes Romam , unde nohis quoque auctontas praesto est. - De praescrjpt. haeret. C. XXXVI. - Il dolio Valesio nel luogo sopracitato adotta la stessa interpetraziouc, che abhiain noi dala di questo passo. Cattedra di s. Pietro i2\ seix) ancora (ipsae adliuc aposlolorura cafhedrae ) non è certo consentaneo all' usato modo di terso razioncinare cui soleva adoperar Tetulliano. Queste parole (ipsae ad- irne) sembrano significar proprio alcun che di straordi- nario e d' inaspettato. Tertulliano dopo le memorate parole connuraera Roma fra queste chiese. Il testimonio di S. Ottato , cìie fiori nel quarto se- colo, ci sembra esser più valevole ; ed è quest' es- so : ,, Or ci date ragguaglio della origine della vo- „ stra cattedra ; conciossiachè voi pretendiate di essere „ la chiesa santa , e per fin voi dite di aver avuto „ parte nella citta di Roma. - Ma se Macrobio s' iu- „ terroghi del dove egli sieda in quella città , po- „ tra egli mai risponderci nella cattedra di S. Pie- „ tro ? Io dubito cJi egli V abbia mai vista fino ,, cogli occhia mentre mai non si appressa alla chiesa ,, di essa. Ecco ivi stanno le chiese de' due apo- „ stoli ; or dite s' egli abbia mai potuto entrarvi , „ sicché vi avesse offerto de' sagrifizj. „ (1) S. Ot- tato parla in questo luogo della cattedra come di cosa visibile e materiale , la distingue da Roma e dalla sede degli apostoli , fa memoria della chiesa di essa come appartenente all' apostolo, dove era usanza di of- ferir divini sagrifizj. Da ultimo legger non si può que- sto passo senza vedervi un non so che di differente (i) Vestrae catliedrae vos originem reddite , qui vobis vul- tis s. ecclesiam vindicare , sed et habere vos in urbe Roma parlerà aliquam dicitis. - Denique si Jlacrobio dicatur ubi ilUc sedeat , nunquid pctcst dicere iu caUiedra Petrì? guani nescio si uel oculis novit , et ad cujus metnoriani ( i. e. templun» ) non accedit. Ecce praesentes sunt ibi duoruni memoriae apostolo- rum; dicite si ad has iugrcdi poluit , ita ut obtulerit illic- Lib. II adv. Parinenian. 122 Letteratura della vescovile giurisdizione. Abbiamo ancora un al- tro testimonio per ogni conto indubitabile dell' an- no 503. Egli è questo un passo di Ennodio da Pavia nella sua opera apologetica contro gli oppugnatori del quarto sinodo romano. Si dice a loro , mediante le loro macchinazioni „ mundi caput Romam esse pro- „ stratara et nutricem pontificii caiìiedram quasi ul- „ timum videri sedile despectum. „ (1 ) Questo para- gone è di per se sulficienteraente chiaro , ma le pa- role , che sieguono , chiariscono fin la menoma om- bra di dubbio . ,, Ecce nunc ad gestatoriam sel- ,, lam appostalianae confessionis uda raittunt limiua ,, candidatos. ,, (2) Pare che con queste parole allu- der si voglia a certa visita , che i battezzati di fre- sco facevano alla confessione di S. Pietro , come co- stumano oggidì di fare i battezzati adulti ; e la de- scrizione , che abbiam noi data della cattedra , ben' addimostra quanto essa sia stata accuratamente dino- tata dalle espressioni gestatoriam sellam apostolicae confessionis. Queste testimonianze saran fuor di ogni dubbio più che bastevoli ad abbatere il pazzo racconto , con che lady Morgan volle regalare i suoi leggitori pro- testanti. Oltr' a ciò esse serviranno ad appagare i cat- tolici circa la rispettabilissima tradizione, su cui la chiesa si fonda nel venerare questa reliquia. Avrei po- tuto aggiungere , che S. Agostino fa menzione della festa dedicala all' onor di essa ; e potrei il mio as- sunto sempre più convalidar col fatto stesso di es- sersi conservata, dopo un tanto trapassameuto di tem- po, in una chiesa di sifiatta celebriti una cattedra di (i) Labbei concil. loin. IV. Parlsils ifiyi p. iSSfii (2) Ibid. p. i358 B. Cattedra di s. Pietro. 423 sifiatto e gentilcsso lavorio. Nissan ci ha die muova dubbj suir identità della cattedra , in cui soolionsi coronare i re d'Ingliiltcria , con quella di Eduardo il confessore , meramente pel fasto di essere stata sem- pre mai conservata a tale oggetto nell' abhadia di West- minster. Or la stessa tradizione esiste in favore della cattedra di s. Pietro. Inutile cosa quindi ci è sem- brata l'allegar altre testimonianze di tempi posterio- ri , delle quali gran copia abbiamo. Ma contro l'autenticità di questa cattedra i pro- testanti vennero contrapponendo una obbiezione anzi seria che no alla prima apparenza , cavandola dalle fatiche di Ercole , che intagliate in essa si vedono. Potrebbe mai credersi che un apostolo abbia volulo far uso di una sedia cotanto profana ? Avrebbe mai egli insegnato il cristianesimo da una cattedra adorna de- gli emblemi del paganesimo ? Tal' è l'obbiezione pel primo allegata da' più antichi avversari , ed or di fresco ripetuta dal rev. H. J. Owen nel suo sermone intitolato : La rocca è Cristo e non Pietro ; (1) ove tutto tripudiante ed applaudente a se stesso in questi sensi si esprime : „ Si è per guari tempo supposto che ,, la chiesa di Roma possedesse un altro decisivo argo- „ mento del medesimo fatto. Quest'argomento cavavasi ,, dall' identità della cattedra , in cui l'apostolo Pie- „ tro costumava di sedere. Cotanto generale e non ), interrotta era stata la tradizione toccante a questo „ punto , che il di 18 di gcnnaro era {ed è tuttora) ,, regolarmente destinato alla festa della santa cal- „ tedra , ed in tale occorenza alla pubblica adora- ,, zione esponevasi. Nel 16G2, quando fu ripulita „ per esser collocata in certo luogo cospicuo nel va- (t) P. 26 iu noia. 124 LetteratupvA „ ticano , gli astanti e curiosi spettatori con estrema „ lor maraviglia scoprironvi le fatiche d'i Ercole scol- ,, pite su di essa. „ Questo scrittore a un certo modo più dolcemente, che madonna la censoressa , ci trat- ta ; e par che supponga che tutta la venerazione , o come egli si piace di denominarla, adorazione fosse cessata , fatta che fu questa fatale scoperta. Egli ne parla come di cosa già preterita , ignorando che an- che oggidì noi consideriamo questa tradizione tanto valevole quanto altra mai. Or SI che in mal punto si trovano i cattolici , sìa che si voglia questa cattedra creder moderna in vir- ili dell' arabica iscrizione di lady Morgan , o anti- ca in virtù della scultura pagana del sig. Owen : che certo o r una o l'altra debbe ben essere pruova dell' adulterina origine della cattedra vaticana. Ma di grazia qual cosa mai avrebbono amato meglio que- sti antiquari che vi fosse effigiata .'' Forse figure espri- menti cose cristiane ? Ci avrebbono allora detto che Jablonsky ha vittoriosamente mostrato come abbonii ■ nazioni siffatte sieno state pel primo introdotte nella chiesa dai carpocraziani , o da certi altri gnostici , e come le cose effigiate e le immagini degli esseri terreni, fuor solamente ( come dobbiam supporre ) del lione rampante e dell' unicorno , non fossero permesse nei luoghi destinati al divin culto, in fino che il pa- pismo ebbe ogni cosa guastato. Supponete pure che fosse là cattedra di s. Pietro piana a guisa di un pulpito presbiteriano , o come la spalliera di un as- semblea : Oh , ci avrebbono detto allora , eh' essa po- teva essere una furtiva invenzione di qualunque tempo e luogo. In somma quando entra a taluno in animo la risoluzione di non voler credere , costui agevol- mente troverà appicchi e pretesti di dubbio. Solo chi poco avanti si conosca di ecclesiastica archeologia potrà dar qualche picciol peso all' argo-. Cattedra, di s. Pietro- 125 mento del sig, Owen. Egli e già un fatto dimostrato che i primitivi cristiani, persuasi eh' erano di esser un nulla un idolo , non si facevan coscienza di con- vertire in usi pii , e di adoperare nel culto eccle- siastico oggetti adorni dei simboli dell' idolatria. Arin- ghi ha dimostrato a sufficienza che molti emblemi spet- tanti al culto pagano trovansi applicati agli usi cri- stiani. (1) Ei dedicò un particolare capitolo alle nu- merose immagini di Orfeo , che si trovano nell' anti- chissime dipinture delle catacombe ed ei suppone che con esse abbiasi voluto simboleggiare il nostro Salva- tore. (2) Boldetti altresì diciferando il sarcofago di Aurelia Agapetilla , il quale avvegnaché apertamente si vegga appartenere ad un cristiano , pur di genti- lesche sculture sen va adornato , compiutamente ed a fondo tratta della stessa quistione , e con numerosi esempi dichiara , 'che i primitivi cristiani non esita-^ vano punto di convertire in uso proprio i monumenti con figure pagane intagliati. (3) Il dotto Marangoni scrisse espressamente un' opera su questo soggetto inti- tolata : Delle cose gentilesche ad uso delle chiese. Ma la pii^i compiuta e moderna dimostrazione di que- sto punto è la dissertazione del canonico Giuseppe An- tonio Botazzi intitolata : (4) Degli emblemi a simboli dell' antichissimo sarco fago Tortonese. Mabillon e Montfaucon aveano supposto, che questo monumento dei tempi di Adriano fosse pagano , fondandosi sui (i) Roma sublerranea , toni- Il , 5Co. (2) Ibid. p, 35o. . (.3) Osservazioni sopra i cimiteri de'SS. Martiri, Roma 1720, p. 465. (4) Tortona iSa4- -In considerazione di quest'opera S. M. il re di Sardegna gli conferì il titolo di regio antiquario sacro. 123 Letteratura suoi gentileschi emblemi. Ma or tutti in questa sen- tenza convengono , che il ciotto antiquario abbia di- strutto le loro obbiezioni all' origine cristiana ad esso attribuita, e provato a sazietà, che spesso occorre di veder quei simboli su monumenti cristiani. Molti esem- pi ci abbiamo di siffatta usanza di usar gentileschi ornamenti. Molti sarcofaghi sono adoperati come al- tari nelle antichissime basiliche ; molte chiese , che dapprima erano state tempj d'idoli interi ritennero gli ornamenti , che l'abbellivano. Il mausoleo di Gostanza nella via Nomentana conserva ancora le dipinture, di cui era fregialo , quand' era tempio di Bacco. Anasta- sio ci riferisce, che papa Simplicio consacrò la chiesa di s. Andrea nell' Esquilino denominata cataharbara ^ e ciò non pertanto intatta lasciò Diana e la sua cac- cia ivi istoriata in opera musaica. (1) Coloro che han visitato la Sicilia l'ammeraoransi della magnifica urna a Girgenti adoperata come fonte battesimale nella cat- tedrale , che nulladimeno è arricchita de' più su- perbi bassi rilievi greci, che mai veder si possano. Le paghine sculture adunque della nostra reliquia nori potranno meglio che la pretesa iscrizione arabica di lady Morgan dar materia di giusta obbiezione con- tro l'autonticitk di essa ; che anzi al contrario , queste stesse sculture sono indubitabili prove della di lei antichità, e possiamo aggiungere , che esse dimostrano altresì l' autenticità della reliquia \ imperocché dopo una certa epoca della chiesa, ed in quei secoli che vol- garmente secoli tenebrosi denominansi d'ingnoraza e di superstizione , sarebbe stata difilicil cosa , per non dire impossibile , l'introdurre nella venerazione del pubblico qualunque emblema del paganesimo ; imperciocché gli (i) De vit. Roni. poiitif. eJit valic. ijJi, toni- i, p- 6i. Cattedra di s. Pjetro. 42X uomini di quei tempi, e specialmente gli eccjeslstici sono in generale dagli archeologi tassati con termini per lo certo esagerati di essersi lasciati al loro zelo contro l'idolatria tant' olirà trasportare , che abbiano infranto e del tutto distrutto molti pregiabili monu- menti solo per essere gentileschi. Quindi mal si pos- sono tra loro accordare le doppie accuse di essere stati da un canto così severi nel loro zelo da non averla risparmiata a qualunque cosa spettante al pa- ganesimo , e dall' altro canto di aver fatto tesoro di si fatte cose in uso di reliquie , e di averle esposte alla pubblica venerazione. Arroge a questo la grande improbabilità, che una cattedra pagana composta di ma- teriali COSI fragili , come sono il legno e l'avorio , e cotanto appetitosi , come suol' essere il puro oro, avesse potuto le rapine campare della guerra , le vicissitu- dini de' secoli , ed anche la pia cupidità dei zelatori , ove qualche religiosa memoria non si fosse ad essa appiccata , e la pietà atteso non avesse a conservarla. Cosicché , secondo a noi pare, gli abbellimenti pa- gani della nostra reliquia sono una pruova non che della sua antichità , ma ben eziandio della sua auten- ticità ! Sembrerà forse a taluni che la nostra confula- tazione dell' abbaglio malizioso di lady Morgan do- vesse a questo termine ristarsi. Ma a nostro giudizio un altro punto ancora rimane, rispetto al quale d'ap^ pagar ci e d'uopo l'incredulità dei di lei ammiratori. Ben potrà essere, diranno forse costoro , che la storia non sia esalta a puntino , ma impossibil cosa egli si è clie su qualche efiettivo fondamento non si posi. Po- trà or egli credersi che una dama , qual essa si è , ovvero che i di lei informatori abbiano voluto gab- barci con una storiella, che non fosse in niun patto fondala sul vero ? In appagamento di questi tali av- 123 Letteratura versar] , e perchè eternale silenzio alla calunnia si ponga , verrem ora sponendo le circostanze , che giu- sta la nostra ferma credenza diedero nascimento al favoloso racconto , e così lasciata non sarà veruna ob- hiezione senza risoluta. La letteraria controversia , che sarà divisamente narrata, poco o niente è conosciuta fuori d'Italia , di Germania , e di Spagna , onde sotto «n altro rispetto potrebbe riuscire di qualche rilievo. Nella chiesa di s. Pietro a Venezia , che in lino al 1807 fu la chiesa patriarcale , da lungo decorso di tempo conservasi una sedia di pietra volgarmente denominata dal popolo la cattedra di s. Pietro. Essa non è sopra alcun altare riposta , ma sta rincontro al muro tra il secondo e il terzo altare. Nel 1749 Flaminio Gornaro , divulgò colle stampe la sua ope- ra intitolata : Ecclesiae venetae antiqua monumen- ta. Nel secondo volume p. 194 , vi ha una figu- ra di questo monumento insiem con una descrizio- ne di esso. La relazione , eh' egli ne da. , è la stes- sa che trovasi descritta in una tavoletta attacca- ta alla sedia , ove si dice , eh' essa sia stata un rega- lo, con che l'imperatore Michele presentò il doge Pietro Gradenigo nel 1310. Ma il dosso della se- dia era adorno di una ricca iscrizione cufica, e il Gor- naro manifestò il suo desiderio al dotto Gius. As- semani di aversela diciferata da lui per intrametterla poi nella sua opera. Sarebbe opera perduta il giusti- ficare o scusare gli errori , in cui diede l'Assemani neir intcpretarla. Solo una cosa evidentemente appari- sce , che non fu intendimento suo d'incoraggiare eoa ciò alcuna fraude. L'iscrizione , secondo il modo suo di leggerla, conteneva parecchi passi del secondo sal- mo e in una con esse le parole : Vopcra di Ahdulla il servo di Dio^ e Antiochia la città di Dio. Il dotto orientalista Norberg nel tempo stesso confermò quo- Cattedra, di s. Pietro 129 sta tliciferazione. Il Gornaro, condotto dalle congetture fatte dall' Assemani su questa iscrizione , venne con- cludendo circa la data di questo monumento in tal modo : „ quindi questa sedia fu costrutta nel se- „ colo ottavo , ne sicurissimamente fu mai usata dal „ principe degli apostoli , ne da alcuno de' suoi suc- ,, ccssori nella sedia di Antiochia prima del 742. „ (1) A coloro , che non si sono mai attentati di di- ciferare iscrizioni , e soprattuto a coloro , che igno- rano le difficolta della lingua araba e dei caratteri cufici , potrà forse sembrare strano , che una iscri- zione di simil fatta potesse esser cotanto misteriosa. Pur sonovi mai sempre stati pochissimi uomini in Eu- ropa che volessero mettersi a diciferare con grande probabilità di felice successo cufiche iscrizioni , e di questi pochi era ben uno al finir del trascorso secolo , il dotto professore di Rostok Olao Gerardo Tychsen. Dalla in cisione intramessa all' opera del Gornaro fecesi egli a dichiarare l'iscrizione , e pubblicolla alle stampe con una importante dissertazione , che ben tostamente contò due impressioni. La prima apparve nel 1787 , la seconda fu stampata a Rostock due anni appresso ed h a per titolo : „ Interpretatio inscriptlonis cu- „ ficae in marmorea templi patriarclialls s. Petri ca- „ thedra , qua s. apostolas Petrus Àntioohiae seclisse „ traditur. ,, In questa dissertazione evidentemente di- mostra , che l'iscrizione è maomettana, e composta di parecchi versetti del Korano. (2) Ora verrà agevol cosa (i) Apud Tychsea , ubi iaf. p. 8- (2) I versetti sono sura iii , 194 , 118. La prima edizione della dissertazione di Tychsen apparsa nel 1787 contenea un errore nel titolo, imperocché dice vasi la cattedra nella chiesa di s. Marco, invece di quella di s. Pietro. G.A.T.LIV. 'J 130 Letteratura ai nostri leggitori il cornpreiidere , come da questa ope- ra dovette essere originata la novella adottala con assai credulità , e di poi raccontata eoa tanta asseveranza da lady Morgan. Ma vediam noi forse in questa con- giuntura che il clero cattolico siasi studiato di tener celata la scoperta ? Mainò ; che abbiam in contra- rio già visto la schietta condotta del Cornaro e dell' Asseraani. Tutto ciò, che seguentemente ne venne, porta l'impronta della stessa ingenuità e dello stesso amore di verità. Mgr. Gioannelli patriarca di Venezia , co- me prima apparve il saggio di Tychesn , comunicollo al [celebrato Simone Assemani , a quel tesoro di Pa- dova , come usava Sacy di chiamarlo . Questo dotto ed amorevole orientalista , il quale colla sua morte intervenuta nell'aprile del '1821 die termine alla lunga carriera letteraria degli Assemani in Europa , tosta- mente approvollo, da poche parole in fuori, che nella incisione Cornaro erano scorrette, e cui mediante una più accurata ispezione del monumento gli venne fatto di emendare. Ma in due punti però L' Assemai dalla sentenza di Tychsen si discosta d'assai ; e di entrambi uè lo fece egli avvertito per lo mezzo del lor comune amico il prof. De - Rossi di Parma. Questo avviso non £;iunse a tempo per la seconda ediiioae. L' \sseraani giu- dicò clte r omissione delle sue osservazioni fosse ori- ginata da ben altra causa ; ne seguì una attiva corri- spondenza epistolare, che fu pubblicata dal Tychsen (1) ed in uguale onore di entrambi tornò. I punti in dis- (i) Nella sua appendice -Ad inscriptionis cufica Venetiis in marmorea templi patriarchalis s. Petri cathedra cospicuae inlerpretalionem , Rostoek , lygo. - E' cosa singolare e degna di esser notata , che nella prima dissertanione in nessuna delle due edizioni ritrovasi nel titolo ti nome di' f^cnezta. Cattedra di s. Pietro. 131 pula erano qnest' essi : 1 L'Asseraani opinava , che i due versetti del Korano avessero ad applicarsi e rife- rirsi non già alla cattedra, ma si alle persone che mo- rirono combattendo contro i cristiani ; e che però il dosso , su cui erano quei versetti scolpiti , non fosse parte della cattedra , ma un ceppo o una lapide se- pulcrale; 12. Questo giudizio dell' Asseraani veniva con- fermato dal fatto, imperciocché l'iscrizione era in un pezzo di pietra staccata e di qualità, differente da tutto il rimanente. Ond' esìì conducevasi a credere che tutta la cattedra fosse composta di sette pezzi ; e siccome le braccia erano di marmo veronese , concludeva eh' essa non era d'origine siciliana, ne anco moresca, come opinava il Tychsen. Notar mi giova , che sempre che occorresse all' Assemani di mentovarla , dcnomina- vala così detta cattedra (1) , pretesa cattedra. (2) Il Tychsen da canto suo allegava la mancanza di una data nella pietra sepolcrale , la donazione dell' im- perator Michele Balbo, nella quale face vasi menzione della intera cattedra. L'Assemanni ripigliava, e raostrav essere spuria la donazione ; e noi che abbiamo atten- tamente letto le scritture toccanti a questa contro- versia sì stampate e sì inedite , pensiamo che l'Asse- mani avesse ben bene chiarito da ogni dubbio il suo assunto. Quindi ne pare che la verità del fatto sia questa, cioè che la lapida portata come un trofeo da Sicilia , o dall' Oriente, sia stata depositata nella chiesa per esser riverita ed osservata con quel medesimissi- mo rispetto , con che si onorano le bandiere turciie nella chiesa dei cavalieri di S. Stefano a Pisa , ov- (i) App. p. II. (2) Ibid. p. lì. 1.32 Letteratura vero quelle delia grande arinada spaglinola in S. Pao- lo a Londra. Di fatti , le stesse guide stampate de'la citta di Venezia non trattano di questo monumento come di cosa da osservarsi per altro titolo , che pel di sopra allegato. Il Qi airi, nella cui opera ci siamo pel primo e casualmente imbattuti , ne da il seguente ragguaglio: ,, ,, Un' antichissima cattedra di marmo dal volgo crc- „ duta essere stata usata da S. Pietro in Antiochia. „ Varie sono state le opinioni de' dotti per rispetto „ ad essa, da' quali non è stata ancora coinpiuta- ,, mente chiarita la materia da ogni dubbio. Li essa „ trovasi scolpita un' iscrizione in caratteri cufici ara- ,, bi , la quale contiene, secondo il giudizio di al- „ cuni eruditi , due versetti del Korano. Altri la leii- ,, gono per un trono di alcun principe africano. ,, (1) Essa non si onora xon alcuna festa , e persone che per buon numero di anni risedettero a Venezia, ci hanno certificato , eh' esse aveano frequentato la chie- sa , e non pertanto non avevano mai avuto , prima che noi ne avessimo loro fatta menzione, contezza al- cuna di quella cattedra , ne mai aveano udito di esser tenuta in conto di reliquia. Mancheremmo anche al dclnto nostro , se ci re- stassimo dal menzionare a modo di contrapposizione alla storiella di lady Morgan , la condotta tenuta da- gli uomini letterati trai cattolici di Spagna e d'Ita- lia, poscia che il Tychscn ebbe fatta la sco[)crta : non ostante che costui si fosse un protestante, e scrivesse ronlro quel che alcuni avevano tenuto in conto di rcliipiia. Mariano Pizzi da Madrid indirizzogli una let- tera data ai 28 giugno 1788, nella quale compiu- (i) QuaUio jjlorui a Venezia, 18*7, p. S3. I Cattedha Di s. riKxno. '13,'? mente approva l'interprefazione , e manifcsla la sua maraviglia per gli sbagli, iti cui diede il vecchio As- semani , e il suo avviso palesavi rispetto all' ori'>ine del monumento (1). Il dotto A reta da Madrid scrisse ai 13 di settembre del 1787 nel modo stesso, e pro- mise che metterebbe tutta la sua industria nel far che fosse conosciuta in Ispagna quell' opera su questo slesso argomento. Il Tychsen scrisse anche in un'altra congiun- tura al suo dotto e vittorioso avversario Pietro Bayer da Valenza , ed allo spettabile canonico D. Giovan- ni Battista Herman , ed anche a D. Ignazio Asso coulc di Floriblanca , e a F. Antonio professore di lettere arabiche in L,isbona ; e tra costoro pur un solo non vi fu , che non abbia risguardalo questa cosa se non come una mera controversia letteraria. (2) iNel niemo- rial luterano di Madrid 1788 pp. 579, 582, havvi un ragguaglio dell' opera di Tychsen , sulla quale si fa il seguente notamento : „ quae sive stylum , sive ,, sentiendi lihertatem , candorem, humanitatera et eru- ,, ditionera eximii scriptoris spectes , summam omnino ,, meretur attentionem , censur acque hispanicae a ma- „ ledictis tam inique per strictae praestantiam in aprico ,, ponit. „ (3) All' approvazione dell' Assemani ag- giunger noi possiamo quella del dotto principe di Tor- rerauzza da Palermo (4). E stata qui dunque messa in chiaro l'origine della matta e ribalda uovelluccia di lady Morgun. La cat- (i) Appendice del Tychsen p. 3S. (2) Vedi il sunlo di questa corrispondenza nella opera di A. T. Hartmann intitolala: - Oiuf. G. Tychsen oder Wande- rnngeii durch die manni-faltigstea Gehiete der hiblisch - aiia- tischen lileratur , voi. Il , pari. i. Brein. 1820 pp. i64 , 1G8. (3) Neil' appendice della disseriazione di Tychsen p. Sg. (i) llaiUnauu'b WandcniDgcn , p. jG5, 134 Letteratura tedra di pietra volgarmente chiamata di S. Pietro, dhe serbasi nella chiesa patriarcale di questo apostolo in Venezia , è stata confusa col trono di avorio della vaticana basilica da qualche stupida maligna perso- na. La storiella fu ripetuta a sua signoria , ed essa giudicò , che assai in acconcio venisse pel suo pro- posito di disfigurare la verità ; e, però ingollatasela prima senza nissuna indagine, la regalò di poi al pub- blico con tutta quella asseveranza e leggerezza , con che aggiusta prima alla mira e poi lancia i più ve- lenosi dardi della calunnia. L'argomento di questa lunga disquisizione può ben tornar in esempio manifesto della di lei grossolana maldicenza. Se avessimo creduto che questa falsità forsej probabilmente restata mai sem- pre nelle scritture di madonna, certo che non l'avrem- mo riputata come meritevole di una s\ solenne con- futazione : che come in ogni altra nocevole cosa', an- che in questa il veleno non va dall' antidoto disgiunto. Ma questa Tavoletta è una bellissima aggiunta alle tante e poi tante calunnie contro le pratiche catto- liche : e, però non può per lungo decorso di tempo durare il monopolio della nostra dama , die ha un ben giusto titolo al hrevet (Tinvention. Quindi venne che fu a pelo e medesimissimamente ripetuta dal sig. Ho- ne nel suo Diario (1) , opera destinata a circolar per le mani della gente mezzana e bassa ; e probabilmente è trapassata in altre opere di più stesa circolazione, che non è l' Italia di lady Morgan. Questa consi- derazione c'induce nell' animo la speranza , che una compiuta confutazione simile alla presente non potrà giudicarsi per superflua. (l) Voi. I p. 122- 135 Dissertazione recitata nelV accademia viterbese li 29 gennaio 1824 sul hollicame di J^iterho. Illustra- zione di alcuni versi del canto XI y dell' in- ferno di Dante ; e di un racconto , che leggesi in una antica cronaca -viterbese di Gian Giacomo Sacchi. F A r ra i molti fenomeni, c!ie sparsi si rimirano nel glo- bo terrarjueo, up.o de' più singolari son d'avviso es- sere le sorgenti di acque minerali. La natura prodiga de' suoi doni a beneficio dell' umanità in tutte le re- gioni , in tutti i climi, ove in maggiore , ove in mi- nor copia ne ha fatte scaturire. Senza ricorrere alle esistenti in America , in Affrica , in Asia ; celebri e meritevoli di esser rammentate sono al certo in Eu- ropa quelle di Hccla in Islanda; quelle di Rats , Baden, Toeplitz in Germania ; quelle di Aix, di Arles, di Saint Amand nella Francia ; e tralasciando le tante altre clic in ogni contrada europea s'incontrano , non sono meno celebri nella nostra Italia quelle di Poz- zuoli in Napoli , di Abano in Padova , e le illustrate dal Bertini nella sua idrologia minerale dolio stalo sardo ; non che le altre esistenti nelle romane provin- cie, che per esser a ciascuno note, ometto di farne menzione. Ma fra le accennate, e le altre moltissime che de- siderio di brevità mi vieta riferire , non ha certo l'ul- timo luogo il viterbese bollicamc , sotto qualunque aspello riguardare si voglia. Quindi non avvi viag- giatore, filosofo, o naturalista che transitando per Vi- terbo non si porti a visitarlo. 136 Letteratura E pure quanta incertezza cvvi ancora a*nostrI tem- pi sulle qualità degli elementi componenti queste acque salutari ; quanta sulla origine del medesimo ! In una parola è da desiderarsi ancora , die mente filosofica vi fissi i suoi pensieri , e ne dia alla letteraria repub- blica una ragionata ed esatta descrizione. Io povero d'ingegno » ed in conseguenza di co- gnizioni e di lumi , persuaso di mal poter soddisfare ad un tanto impegno , fra i molti punti di vista sotto i quali risguardar passo il bollicame due ne ho scelti a soggetto di questo discorso . Osservo il bollicame come sorgente medicinale, illustrando una terzina della divina commedia ; e come oggetto di superstiziosa cre- denza , dando spiegazione ad una antica cronaca vi- terbese. Ma prima di por mano a questo mio lavoro sti- mo non inutile , e mi lusingo non vi spiacera , orna- tissimi A., il premettere alcune notizie sul bollicame, che giovar possono non poco al migliore intendimen- to degli accennati argomenti. Molli a dir vero trattarono del bollicame e negli antichi e ne'tempi a noi prossimi : ma chi non ne par- lò che superficialmente ; chi mancando di mezzi e di cognizioni; chi senza averlo mai visitato; e final- mente i più senza far uso di quella g'iusta critica , sen- za la quale ogni opera è imperfetta , inutile, e nulla. Non evvi cosa più facile a determinarsi che l'ubi- cazione di un luogo di non difficile accesso ; e ciò nonostante se leggonsi i commentatori di Dante ; se gli scrittori di viaggi, e quei molti che pubLlicaron trat- tati de' bagni che sono nel nostro territorio : chi lo pone al nord , chi al sud di Viterbo ; altri ne sba- glia la lonta:ianza ; ed altri col bagno già detto della grolla, ed al presente del papa, lo confondo; quantunque con una semplice ispezione oculare non BoLLICAME DI VlTEUBC. 437 poteasi non ravvisare, che questo acquoso vulcano, clie anche da lungi si appalesa con una colonna eli fumo che da esso perpetuamente si solleva , rimane situato air ouest di Viterbo in distanza di circa un miglio e mezzo , sulla strada che conduce a Toscanella , po- chi passi lontano dalla via Cassia, sopra una collina spoglia di erbe , e per la pii^i parte biancheggiante per il carbonato calcareo che in forma di tartaro de- positano quelle acque, che per tre emissari si spando- no intorno. Come ancora era facile il ravvisare che quella sorgente gorgoglia e ribolle in un bacino ricinlo da basso muro di figura presso che circolare, di un perimetro di circa 400 palmi aixhitettonici. Ma se in errore in cosa si ovvia a verificarsi si è caduto per mancanza di osservazioni ; non è da ma- ravigliarsi se parlando dell' origine, delle qualità delle acque, e della profondita della sorgente tante favole si siano pubblicate. Ed in vero circa l'origine ; chi nella mitologia, o a meglio dire ne' tempi eroici ha preteso stabilirla; e chi ne' secoli bassi, ricorrendo a prodigio : appog- giati i primi ad un passo di Servio, il quale commen- tando quei versi di Virgilio tìì Soractis habent arces , flaviniaque arva. Et Cimiui cuni monte lacum . . . pretende stabilire, che Ercole essendosi portato a vi- sitare i lucumoni , fosse da questi pregato a lasciare «n qualche memorabil segno della sua raaravigliosa forza : e che preso il palo di ferro con cui solea eser- citarsi , lo conficcasse in terra in modo che non fu piià possibile ad alcuno il poterlo trar fuori. Onde nuovamente da'lucumoni pregato, con ogni facilita l'c- strassc , e dalla apertura che vi rimase nel terre- 138 Letteratura no tanta copia scaturì di acque , che se ne formò il lago Cimino , ossia il lago di Vico : ed a questa opi- nione molli si soscrissero. Il Bacci però nel libro IV" de Tlierrais cap. VII pretese da tal fatto aver avuta origine non il Iago Cimino , ma il bollicarne , addu- cendone ragione cbe le acque del Cimino sono fred- de, e mai acque di sirail fatta non si sono attribuite ad Ercole , ma a Venere e a Diana come più molli e delicate. Ma il ripetere da Ercole l'origine del bollicame è un' opinione tanto speciosa e singolare, che non me- rita certo esser posta a discussione. Ne meno curiosa h l'altra abbraciata dal volgo che da un prodigio l'ori- gine ne ripete : della quale mi riservo tener parola in appresso. Meglio però opinarono quelli , che modestamente confessarono ignorarla ; e n'ebbero ragione. La scien- za della natura con verità può assicurarsi esser rima- sta bambina fino ai tempi a noi prossimi; la geologia appena si conosceva di nome ; la mineralogia da po- chi si coltiva va ; e la chimica , senza principii e sen- za metodi, era l'occupazione degli alchimisti e de' pra- tici aromatari. Ora però che i Werner , gli Hauy , i Breislacki, i Cuvier, i Brocchi, iParolini, i Tondi, i Prie- stley , i Lavoisier, i Fourcroy , i Brugnatelli , i The- nard, ed il celeberrimo Davy hanno sparsa tanta luce; l'una e l'altra hanno piantate solide basi , han fissati principii e metodi , e sono in pieno senso divenute scienze. Quindi l'origine del bollicarne non è più uu mistero all' occhio del filosofo, oscuro mistero e impe- netrabile. Sospetta il Boscovich, e verificarono il sospetto il Breislack, il Procaccini, il Brocchi ed altri mincralogi, che il viterbese territorio fosse pieno di terre vulcaniche. Osservarono essi tante quantità di pomici, puzzolane, tufi, BoLLICAME DI VlTEUBO. f39- peperini , basalti , e materie fuse , e vetrificate, o car- bonizzate, o iucennerite, che ingombrano tratti immen- si di terreno; e più correnti di lave, che per ogni dove s'incontrano : e ravvisatane la direzione, conclu- sero che un vulcano dovea necessariamente essere esi- stito in Montefiascone , ed altro nel monte Cimino; e furono di sentimento aver avuta da questo origine ed il cimineo ed il volsinio lago. Il che facilmente si può dimostrare se voglia farsi uso delle teorie gene- ralmente abbracciate da tutti i geologi ; poiché es- sendosi in seguito di ampie e diuturne conflagrazio- ni ed eruzioni vulcaniche , esaurite le materie piri- tose, cessarono di ardere que* grandi focolai , e re- starono ivi in vece antri e cavita spaziosissime, ove si adunarono naturalmente le acque e le scaturigini. Ma le acque , con lo scorrer degli anni ivi adunate in copia, doveano necessariamente aprirsi de'meati e de' piccoli canali , e scorrere e discendere in maggiore o minor quantità, a seconda de'diversi strali della ter- ra , ai luoghi di livello più bassi , ed ivi sboccar fuo- ri in fonti , in fiumi , in ruscelli. Posti tali principii , che ogni umana ragione ci persuade a ritenere per certi ed indubitali, l'origine del bollicame è manifesta. Questa sorgonle vulcani- ca è situata quasi ad eguale disianza da i due la- ghi. Il suo livello è assai inferiore a quello degli estinti vulcani , anzi rimane nel più basso del viterbese ter- ritorio ; quindi naturalmente le acque dell' uno e dell' altro lago son dovute in quel punto discendere , ed incontrarsi , e per la quantità rompere il terreno , e formare quella raaravigliosa sorgente. A confermare questa opinione concorrono il ri- trovarsi appunto in questo territorio le sorgenti più copiose nella linea stessa ed al medesimo livello del bollicame ; e l'essersi per lo più osservato lo stesso i40 Letteratura avvenimento in ogni parte del globo terraqueo alla totale cessazione di qualunque vulcano. L'epoca però in cui ciò accadesse è impossibile a precisarsi , ignorandosi il tempo in cui cessarono i due vulcani : come di tanti altri ignorasi , per es- sere ciò avvenuto avanti i tempi istorici , nelle in- certissime epoche geologiche. A mancanza egualmente di cognizioni minera- logiche e chimiche atribuir si devono le stravaganti opinioni dai dotti e dagli indotti prodotte sino ai tempi a noi prossimi sulla causa dal calore di quelle acque ; essendo in oggi sino all' evidenza dimostra- to, che incontrandosi le acque in istrati di terre abon- danti di piriti, al contatto di questi si scaldano: e sbucando fuori del terreno , formano sorgenti di acque termali più o meno calde , secondo le maggiori o minori quantità delle piriti con cui sono state a contatto. Perdonabile è l'errore in cui incorsero gli scrittori, prima che la chimica divenisse scienza, circa gli ele- menti componenti quelle acque ; io tralascio di rife- rire ciò che ne scrissero Bucci , Savonarola , Crivella- ti , e molti altri sino a Martelli. Il nosrto socio chia- rissimo sig. Orioli ne intraprese qualche anno indietro l'esame, e da lui abbiamo ragione di aspettarne una esatta analisi che gli elementi tutti con certezza ne appalesi. Non però degne sono di scuse le opinioni di- vulgate dagli scrittori, e senza esitanza generalmente abbracciata sulla intensità del calore di quelle acque , e sulla profondita di quella sorgente. Le uova che al momento ivi si cuocono : i corpi organizzati che al momento ivi si disorganizzano ; l'as- serita impossibilita di rinvenire il fondo di quella soi- gente , provano ad evidenza la stoltezza di chi, tra- scurando l'esame, all' autorità si alllda. BoLLiciME DI Viterbo. 14-1 Bastò che Fazio degli liberti nel libro X del suo Dittamondo scrivesse. Io non credea ( perchè l'avessi udito ) Senza prova , che il bollicarne fosse Acceso di un bollor tanto infinito- Ma gettai un monton dentro , e si cosse In raen che l'uomo andasse un quarto miglio, Ch' altro non si vedea , che proprio l'osse : tutti gli scrittori posteriori si soscriss ero alla di lui opinione , e facilmente si dettero a credere , che se in pochi momenti avean possanza quelle acque di spolpare un montone , molto pii!i cuocer potessero uà uovo. Forse il Bussi fu l'unico che volesse farne espe- rienza , e lasciò scritto che è grande il calore di quelle acque: ma che un uovo tenutovi anche per lungo tempo non giunge a cuocersi. I nostri soci Scmeria e Gami! li con replicate ed accurate esperienze han verificato non eccedere quell' acqua , anche nel centro del cratere , il grado 50 del termometro di Reaumur: per cui è manifesto, che essendo trenta gradi sotto il bollore , le uova non vi si posson cuocere; e che abbisognano molte e molte ore onde i corpi orgazizzati che vi si immergano incon- trino la disorganizzazione ; e forse più lungo tempo an- cora si ricliiedercbl)c, se gli elementi di cui è pregna queir acqua non giovassero mirabilmente a dccompor- li ; per cui viene adoperata qucll' acqua per la ma- cerazione delle canape, che in otto giorni perfettamente si compie; e non in 21 o 28 come molti hanno falsa- mente asserito. Non meno curioso e stravagante h l'errore gene- ralmente abbracciato sulla immensa profondita di quella sorgente. 1 Vi T. K T T E n A T U R A Scrisse rAlniadiani neila sua opera de' bagni di Vi- terbo, parlando del bollicarne : £ molti provant' lian trovare il fondo , Con mille passa di fune calando , Buttando dentro legato un gran pondo. Molti prelati, così misurando , Mai non hanno potuto ritrovare Il fondo di queir acqua assai provando. E un oppinione cotanto stravagante si trova quasi generalmente abbracciata. E qui conviene supporre che l'Almadiani ciò abbia asserito appoggiato ad altrui detti; e che i prelati non ne misurassero la profondila che con la sola riscaldata immaginazione ; mentre in due diverse epoche V accuratissimo P. Semeria , in unio- ne di altri nostri soci, con replicata esperienza l'ha ve- rificata ascendere nella massima profondita a palmi architettonici -43. Combattuti e distrutti, secondo a me sembra , gli errori più comuni nsguardanti il bollicame , a ri- ferir mi faccio la terzina 27 del canto XIV del In- ferno delia divina commedia, primo soggetto dell' ar- gomento che prefisso mi sono di trattare : domandan- dovi indulgenza se forse troppo a lungo mi sono oc- cupato in una discussione di cose da me riputate ne- cessarie , onde stabilire le verità risguardanti il bolli- came per dare sodisfacente spiegazione non meno ai versi di Dante che a ciò che leggesi nella cronaca del Sacchi. Oltre di che a questa mi ha impegnato il desiderio di distruggere i popolari errori , desiderio che deve avere in animo ogni scrittore che arai la verità. Dante , a cui nello scrivere la divina commedia nulla ha sfuggito di quanto ha di bello e di gran- de la natura ; che filosofo , teologo , naturalista , sto- BoLLicAnrE di Viterbo. "t43 rico, tutto ha fatto servire al suo inimitabile poema: Dante narrando l'ingresso al terzo girone , dove tre condizioni di violenti hanno punizione ; cioè contro Dio, contro la natura , e contro l'arte: alla terzina 26 del can. XIV dell' Inferno descrive un fiumicello caldo e spumante di sangue che spicca fuori dalla sel- va ; ed a spiegare la maniera con cui scorre, fa com- parazione col nostro bollicarne nella terzina seguente : Quale dal bullicame esce il ruscello , Che parton poi tra lor Je peccatrici , Tal per la rena giù sen giva quello. Ne pili esprimente , e per la qualità delle acque, e per il puzzo , e per il colore , e per l'arena in cui scorre, non poteva altro oggetto rinvenirsi per farne più giusta similitudine. 1 comentatori di Dante , che spesso sono fra loro in contraddizione , salvo qualcuno di nessun nome , tutti convengono parlarsi nella riferita terzina del bol- licarne di Viterbo. Bernadino Daniello cosi si esprime : - Per compara- razlone descrive, che questa acqua era simile a quella, che caldissima esce dal bullicame di Viterbo; la quale dopo molto spazio di corso , gjugne al luogo pub- blico delle meretrici ; e quivi divenuta tepida, si va spargendo per le loro case , ed esse se ne servono per lavare le medesime , e cose loro. - E Alessandro Vellutello: - -Assomigliandolo a quel ruscello , clic a Viterbo esce dal bullicame , le cui acque perchè passano dal pubblico postribolo , le pec- catrici partono poi tra loro , per lavare se e le co- se sue. - In questi termini all' incirca tutti si esprimono gì' infiniti comonlfitori di Dante ; ed io mi soscivo ^^^ Letteratura alla loro opinione. Ma due questioni nascon natu- ralmente da questa : dove fosse situata l'abitazione delle peccatrici, e perchè facessero uso di quelle acque; all' Uiia ed all' altra mi propongo di soddisfare. Air epoca in cui scrisse Dante molti erano i bagni che esistevano in vicinanza del bollicarne e forse il pili frequentato , come lo è tuttora , era il bagno detto della Grotta, al presente denominato Papa. Il minore uso che facevasi ai quei tempi di biancherie rendeva necessari i bagni per la nettezza. I medi- forse pretendevano ne' bagni una generale panacea , come rilevasi dagli scrittori di quella età. La ce- lebbrita delle acque viterbesi, facevano accorrevi genti da ogni regione ; ed in consequenza in allora mag- giore forse era il concorso a questi bagni , di quello che lo sono ai giorni nostri piiì rinomati di Italia , anzi di tutta Europa. Le cortigiane, questa pesta dell' umana specie, esi- stevano in maggior numero che ai nostri tempi ; ed e facile il persuadersene se si ponga mente, che a misura che cresce la civiltà ne' popoli , certi vi- zi che li degradano decrescer devono necessariamen- te. Il che rimane anche dimostrato dalle tante leggi , che in quel secolo furono contro quelle pubblicate dalle civili e dalle ecclesiastiche autorità, che la prefissami brevità mi obbliga a non riferire. Le cor- tianc in conseguenza , avide di guadagno , è naturale che in copioso numero a questi bagni concorressero. V'erano a quei tempi in tutte le citta luoghi per esse destinati ; ed in Viterbo una via presso la piazza del comune ne porta ancora il nome. Ma i Lagni da quella sono troppo lontani ; ma quella via è iroppo nel centro della citta ; ne bastantemente am- pia per accogliere le molte forestiere che alla sta- gione de' bagni è forza supporc si portassero in Vi- teibo. BoLLicAME DI Viterbo. 1-45 Abbiamo da i versi di Dante che le peccatrici ricevevano le acque dal bollicarne. Si è osservato che molti erano i bagni ; ed i più accreditati quelli in poca distanza dal bollicarne, dove secondo che da molti si pretende erano ancora le famose acque Passeris encomiate da Marziale. Dunque poco appresso a quell' acquoso vulcano dovea esservi per una esse una co- moda abitazione* Nelle vicinaze del boUicame i ruderi si rimirano di un vasto edificio di epoca posteriore ai romani ; vi si ravvisano le vestigie di un bagno ; ma ivi non appare alcuna sorgente. Un condotto però in parte ia- cavato nel masso vi si scorge ancora , che fa in- dubitata fede che dal bollicarne veniva a quel ba- gno somministrata l'acqua. Quella forse era V abitazione alle cortigiane de- stinata. La vastità della medesima , e piìi alcuni rot- tami di muri all' intorno indicanti fabbriche di mi- nor mole, giovano anche ad accrescerne la probabi- lità. Ed in questa ipotesi rimane pienamente spiegata la riferita terzina della divina commedia. Si aggiunga che altri avanzi di fabbriche non si rinvengono ove condur si potessero le acque del Lollicame ; se pur non voglia supporsi che nel pii^i basso della valle di Faulle vi fosse una abitazione, ove per esser ad un livello più basso del bollicarne vi si sariano potute condurre le acque. Ma pochi ru- deri ivi si scorgono ; Faulle è più di un miglio di- stante dal bollicame. L'acqua in conseguenza non av- rebbe potuto conservare alcun calore ; avrebbe per- duta nel lungo corso ogni sua attività per la depo- sizione delle parti meno leggere ; e somma , e forse inutile, sarebbe stata la spesa per impedire che i con- dotti non si ostruissero. Sembra dunque assai probabile, che nella acccn- G.A.T.LIV. 10 446 Letterat ura nata fabbrica di cui tanti si scorgono avanzi , detta anche a*dì nostri il bagno di ser Paolo, dimorassero le cortigiane ; il qual bagno, secondo scrive il Crivel- letti , e come ravvisasi per non essere ivi alcuna sor- gente , riceveva le acque dal bollicarne, e ad altro uso non era dastinato che a lavarsi , al dire del Grivil- letti stesso. Bagno per errore nomato da alcuni Al- niadiano, tratti iu inganno da quei versi che nelT opera su* bagni lasciò scritti Agostino Almadiani parlando deir acqua del bollicarne: Onde di qui sen passa per un fosso L'acqua , e viene al bagno Almadiano Si temperata che si paté adosso. Il quale errore, leggendo i seguenti versi dell'Ai- madiani stesso , viene dileguato : mentre parlaudo del Lagno medesimo scrive ; ; Venti passi da lunga con misura Di qui è il bagno Cajo nominato. Ne* quali rilevasi essere il bagno Almadiano quello al presente detto bagno lungo , che in realtà è si- tuato venti passi lontano dal Cajo ; bagno che an- che esso prende l'acqua dal bollicarne ; e non quel di ser Paolo che è piiì prossimo al bollicame , ma d'asH sai pili lontano dal Cajo. Stabilito con la possibile probabilità il loco itìdicato ne' versi di Dante ; ad osservar mi rimane perchè le donne ivi dimoranti facessero uso, a pre- ferenza d'ogni altra acqua , di quella del bollicame. Oltre modo facile mi sembra il rintracciarne la ragione. Non ignoro opinarsi da molli , aver d'assai pre- BOLLICAME DI VlTERBO- 147 ceduto lo scoprimento del nuovo mondo il morbo cel- tico. Ma oltre non esser questa che un' opinione, quello che con certezza si può assicurare si è che se inna nzi a queir epoca ebbe esistenza , o non fu che il male di pochi individui , o non fu micidiale ; non come si ravisò nel ritorno che fecero gli europei dalla con- quista dell' America , di cui può dirsi senza pericolo d'errare che decimò il mondo. Comuni però erano fin da' tempi remoti, come Io erano ancora negli anni in cui vivca Dante , i morbi esantematici attaccaticci (come di sopra si è osservato, che per mancanza di biancherie si perpetuavano) e questi morbi ingigantivano naturalmente nella casa della disonestà. Il bisogno , molla efficacissima ad impegnare gli uomini a far tentativi per migliorare l'umana condi- zione, avea già da' secoli i piìi remoti, come e natu- rale il supporre, fatto conoscere ai coltivatori dell'arte salutare esser potentissimo, e forse unico rimedio contro i morbi esantematici contagiosi , il fare uso di bagni di acque minerali abbondanti di parti sulfuree. In Viterbo fu facile il ravvisare, doversi antepor- re alle altre acque minerali, che sparse si trovano in numero di ventidue per il vasto territorio , quelle del bollicame , e per la maggior quantità di zolfo clie con- tengono , e per essere più delle altre alla citta vicine. Che queste acque giovino mirabilmente ad allon- tanare, o distruggere i morbi cutanei, oltre l'esperien- za lo insegnano gli scrittori tutti che han trattato di somiglianti malattie. Ed in vero h innegabile ( quantunque una esatta analisi delle acque del bollicame ancora non si e pub- blicata ) è innegabile che dopo i lumi che la nuova chimica ha somministrali, dopo le replicate esperienze a' uostri giorni con ogni accuratezza eseguile , rimanga 10^ 14"8- Letteratura stabilito contenere le acque del bollicarne , quantun- que se ne ignorino le proporzioni, particelle solforo» se , come è evidente dall' odore epatico che traman- dano , e particelle metalliche , e specialmente di fer- ro , non che essere impregnate di gas acido carboni- co e d'idrogeno solforato ; per cui in ogni campo con facile esito si sono dai medici prescritte per le malattie della pelle, scabbie, impetigini, pellagra, croste ed altre aflfezioni di simile natura. E qui è da rimarcarsi che mentre da Ippocrate fino a' nostri giorni tanti si sono susseguiti diversi si- stemi di medicina ; e tante diverse classificazioni si son > fatte e di malattie e di rimedi, di metodi e di cure; pure per le indicate malattie in ogni sistema e in ogni scuola le acque sulfuree si sono prescritte. Ma non entra nel mio argomento il trattare que- stioni mediche , e se più ne volessi parlare meriterei di sentirmi ripetere : Sutor^ ne ultra crepìdas. Per lo che sembrandomi di aver dimostrato essere il viterbese bollicarne quello di cui scrisse Dante: es- sere giusta e vera la somiglianza del ruscello che esce dalla selva con l'emissario che l'acqua conduce al ba- gno di ser Paolo; ed aver detto il vero il divino poe- ta additando che fra le peccatrici quelf acqua divi- de vasi ; che è quanto mi era proposto: passo a parlare del fatto riportato nella cronaca di Gian Giacomo Sac- chi, secondo oggetto di questo mio scritto. In questa cronaca , o piiì tosto libro di memo- rie , che incomincia nel 1297 ed ha termine nel 1331, tutta scritta di proprio pugno dal detto Sacchi, uomo reputato da Bonifazio Vili che lo nominò tesoriere della provincia del patrimonio, alla pagina 2 si legge: ,, Ricordo come a di 28 maggio 1320 apparsero nciraere grandissimi sogni , che derno tcrror a tutto il popolo con tenebre hurribili, e figure de demoni che pasca che BoLtiCA>iE ni ViTr:r.T5n- 149 SoLbissasse il mondo; e apparse miracolo di una figu- ra di nostra Donna ne la cappella del Campana in san- to Augostino sopra Faulc , et per sua gratia fonimo liberati. ,, Questo prodigioso avvenimento , come inverisi- mile, da molti critici s'impugna; e da altri come non appoggiato a solidi fondamenti di credibilità. E per la rozza maniera con cui dal cronista vien riferito si combatte dagli scioli con le armi del ridicolo : armi in ver che ciascuno ha facilmente in pronto , ma che bene spesso non giovano che a richiamare le risa so- pra chi ne usa inopportunamente. 10 m'impegno a sostenere la verità di un tal fat- to , in conseguenza il prodigio : ma in questo son di parere, non aver avuto luogo nb il boUicame, e molto meno gli spiriti espulsi dal paradiso. A provare la verità di un fatto istorico e inne- gabile, che dimostrare si debba essere nella classe de' possibili , e rimanere testificato da persone meritevoli di fede. Chi di più richiedesse, si troverebbe in ne- cessita di dubitare di tutto. La mitologia e la sto- ria meriterebbero da lui egual credenza ; e per co- stui nulla vi sareljbe di certo in tutti gì' infiniti av- veniraenli de' secoli trascorsi. 11 fatto, come vien riferito dal Sacchi scrittore contemporaneo , se si spogli di alcune circostanze, che purtroppo ci ammaestra la storia essere spesso parto di accesa fantasia, non può incontrare alcuna taccia d'im- possibile. Un turbine, una tempesta, accompagnata da furiosa pioggia, da frequenti lampi, da toni rumoreg- gianti, da scroscio di fiammeggianti saette che frequen- ti cadono al suolo, è piiì di lunga durata. Uno sbigot- timento, uno spavento, un terrore non solo negli uo- mini ma anche nelle bestie , e quindi pianti , grida, urli , e ricorso e preci e promesse alla gran Ver- 150 Letteratura. gine : è un fatto straordinario, grande, maravigllosó, ma in tutto simile a tanti altri che nelle più veridi- che storie SI antiche e si moderne s'incontrano. In verità, bisogna ignorare affatto ciò che di sin- golare avvenne nel mondo sino ai tempi a noi pros- simi per tacciare cVinverisiraile questo avvenimento. Senza ricorrere ai secoli avanti l'era volgare: la piog- gia di latte accaduta in Ancona ai giorni di Antoni- no Pio , e regnando Adriano i molti animali mostruo- si veduti volare per aere nella Grecia , e nel 461 un fonte che d'acqua invece gettò sang^ue in Tolosa : le voci orribili udite in Spoleto mentre Lamberto ne teneva il governo : ed i tanti spaventosi spettri ron- zanti per aria osservati nel nord all' meta del passato secolo : sono tutti avvenimenti pii^i assai di quello ri- ferito dal Sacchi grandi e straordinari : e pure spo- gliati di alcune circostanze , che più d'ogni altro ad- debitar si devono a pregiudizio, a fanatismo, ad igno- ranza, sono altre tante storiche verità. Che poi la gran Vergine , come asserisce il cro- nista 5 facesse cessare scena cosi funesta , e che ciò fosse in sua possa , chi ardirà farne oggetto di que- stione ? Provato esser nella classe de'possibili l'avvenimen- to riportato dal Sacchi , rimane ad osservarsi se da persone degne di fede venga attestato. Oltre il Sacchi, scrittore contemporaneo al fatto, due altri cronisti abbiamo noi che lo hanno con ogni precisione riferito , e soa questi Giovanni del Cavcl- lazzo , e Niccola della Tuccia. Io non ripeterò ciò che si legge nella cronaca di Niccola della Tuccia, perchè l'originale di essa è per- duto , ed in conseguenza non ve ne sono die del- le copie, le quali poco posson giovare a stabilire un fatto , e perchè in tutto coincide con quello si legge BoLtlCAlVIK D! VlTEUHO. 1 T) < nella cronaca di Giovanni di Cavcllazzo clic aiilo^ira-' fa conservasi nclT archivio dell' accademia. Il Gavellazzo scrisse dal 1400 al 1480, ma in que- sto suo scritto riportò fedelmente ciò che avea notato nella sua cronaca Lanzellotto, o Anzillotto dal 1080 al 1225, e ciò che da detto anno si leggeva nelle mc- morfe di maestro Girolamo , e di Cola da Covellazzo suo antenato sin all' anno 1400. E alla pag. 23 della sua opera riporta il fatto in questi termini: „ L'anno 1320, a di 24 de maggio, fu el miracolo , che apparve nella cappella della Ter- nita , dove h la figura della nostra donna , la quale cappella avea fatta fare messer Campana, che uscirò corvi dal bulicame , et fassi memoria in Pasqua ro- sata. „ Due cronisti abbiamo dunque contemporanei al fat- to, Gian Giacomo Sacchi , e maestro Girolamo, le cui parole sono con precisione riferite da Giovanni da Ga- vellazzo e da Niccola della Tuccia che nella sua opera Jo afferma ne'medesimi termini : la quale opera però-, co- me abbiamo notato, non esìste in originale: ed a fron- te di due o tre testimoni in vero non so comprendere come si possa dubitare d'un fatto. Agiungasi alla testimonianza di questi ciò che leggesi scritto in una lettera del viterbese card. Egi- dio diretta a Giovanni Botonto egualmente di Viter- bo, nella quale in questi termini si esprime. Essa let- tera, unita a molte altre autografe, conservasi nella bi- blioteca Angelica : „ Moveri nos opportcre, et patriae „ et coniunctoruni charitate : id quoque Virginis no- ,, stre aiitiquae charitati deberc, quippc quae civitateoi ,, a dcucalioncis tencbris ac diuturna olim nocte vin* ,, dicavcrit. „ 452 Letteratura Lo stesso avvenimento viene rammentato da Va- lerio Lingeri scrittore dell' ordine agostiniano (1), Ometto di riferire ciò che leggesi nelle opere de'due Corretini e degli altri moderni scrittori di cose patrie, perchè troppo lontani dall' epoca in cui avvenne il fatto , e perchè altro non han riportato che ciò che lessero negli antichi cronisti, e ciò che ne sentirono da popolare tradizione. Due pitture però non posso dispensarmi di rara*- mentare, se non contemporanee al fatto, almeno di pochi anni posteriori. Una delle quali esisteva nella cappella (i) la Viterbo per il Colaldi l'anno 1567: e in una maniera per la stravaganza veramente originale il genovese Antonio Ca- talupo in una sua operetta pubblicata con le stampe intito- lata - Notizie delle grazie operate dalla Vergine Liberatrice che si venera nella chiesa de pp. agostiniani in Viterbo -, dove do- po aver narrato il prodigio, riferisce una scena fra Maria SS. il popolo viterbese ed i romani: scena che per la stravaganza meri- ta di esser conosciuta. I diavoli -Infernus vos axpectat-expectat vos infernus. I viterbesi si raccomandavano alla Vergine ; e i diavoli proseguono : Ut lubet orate , ipsa tamen vos virgo iuvare Non vult, in vestram venimus ecce necem Maria col Bambino in braccio -Recte vos ad Santissimac Trinìtatis teniplum recipite, ibique, quum in divac Annac de- lubro ad laevam immaginem mihi similem conspicietis^ ante eam me supplices invocate. -E poi prosiegue Maria -ad loca tar- tareae legiones pergite vestra. - Il popolo si porta in folla alla indicata chiesa , sbuca fuori una sorgente minerale detta poi il Bullicame , in quella si tuffano gl'iiumoudi spiriti , e così ha fine l'immagiuata tra- gicommedia. Bollicami; di Viterbo. j53 èli Maria SS. Liberatrice nella chiesa della Trinità, che all' occasione della riiiovaziooe della chiesa medesima fu fatta fedelmente disegnare da questo magistrato di Viterbo, e ne fu estratta copia, situata poi nel pubbli- co palazzo : come rilevasi da documento con rogito notarile esistente nell' archivio comunitativo ; dove ancora conservasi.il disegno pitturato in carta. L'al- tra pittura esisteva sotto l'arco di Gradi, poco lungi dalla porla romana, e varii anni indietro ricoperta di calce. In questi dipinti ravvisavasi il funesto avvenimen- to , ma abbellito ed ornato da pittorica immagina- zione. Quindi oltre il ravvisarvisi delineatp l'orrendo temporale , strani animali , demoni in varie forme vi si vedevano effigiali, non che il bollicamo dove mol- ti di essi capovolti cadevano. Eranvi in vari punti de' motti allusivi: „ nello ferno v'aspettamo ,, preate quan- to volete, che tutti nostri sarete „ annate alla chiesa della Ternita nella cappella de Campana ,, Virgo Ma- ria aiulatece mo ; „ ed altri consimili detti. Finalmente ometter non devo una festa e proces- sione, di cui non si conosce l'epoca della istituzione, ma che forse lo fu appena accaduto il fatto , la qua- le fassi in ogni anno in memoria della protezione ma- nifestata da Maria SS. in tale avvenimento. Se tante testimonianze non bastano a stabilire 1* verità di un fatto; se più si richiede dai critici; io rispondo loro, perciiè una logora pergamena , una la- pida rolla in più parti , una pittura scolorata dal tem- po , una rozza iscrizione , una medaglia guasta per meta , non trovandosi in opposizione con altri mo- numenti, si è riputata in tutti i secoli sullicente a pro- vare l'aulcnticila , la verità di un avvenimento .'' Ne mi si può rispondere esser gli scrittori da me riferiti fra loro in opposizione, imperocché l'orribile 154 Letteratura tempesta da tutti viene attestata , come Tesser cessala^ per prodigio operato dalla gran Vergine. Il Sacchi alla descrizione della tempesta altro non agiunge , che si vedean tenebre orribili , e figure dì demoni , ma non dice che in realtk si vedessero de- moni : ed in vero poteva a lui rappresentarli la im- maginazione riscaldata e perturbata. E il Covellazzo, riportando ciò che scrisse mae- stro Girolamo contemporaneo al fatto, descrive la tem- pesta , ma non parla de' demoni. Solo aggiunge che uscivano tanti corvi dal bollicame : e questa è faci- le ravvisare essere una espressione inesatta , mentre i corvi in copia hanno stanza ne' terreni prossimi al bol- licame , e spaventati avranno pur troppo ronzato ivi d'intorno. Finalmente-H card. Egidio, onore dell' ordine dì s. Agostino , scrittore pieno di sana critica , e cono- scitore delle cose patrie, asserisce , come di sopra si è osservato, la tempesta, il prodigio, e non fa pa- rola ne del bollicame , ne de' diavoli. Ritener dunque devesi per fermo la tempesta ed il prodigio , ed annoverare fra le favole ciò che nar- rasi rapporto ai demoni ed al bollicame: al che die- dero origine gli autori delle due pitture, cui piacque di vestir poeticamente uno storico avvenimento. Di qua la volgare opinione , che in allora per prodigio scaturisse improvvisamente il bollicame. Opinione da me accennata in contraddizione con l'epoca in cui scris- se la divina commedia l'Alighieri. E qui dispensarmi non posso di parlare del Bussi che nella sua storia di Viterbo, mentre accenna gli scrit- tori da me riferiti , non ad essi , ma alla volgare tra- dizione, e più ai due dipinti affidato, ha fatto ve- ramente una poetica descrizione di un tale avvenimen- to , allontanandosi allatto da quella giusta critica , BoLLICAME DI VlTERBO- 458 die ad uno storico è delitto rabbandonare. Un sì ma- dornale errore merita però essergli perdonato, essendo tanti d'altronde i monumenti , e tanta l'erudizione , ed i lumi di cui è ridondante la sua opera , che fra i migliori storici sotto ogni rapporto merita d'essere annoverato. Stolta però riputar si deve la critica, che dagli scioli contro di lui , e piiì contro i cronisti che da esso si riportano, stranamente si avanza perchè in lin- gua cotanto corrotta è descritto il fatto. Si rammen- tino l'epoca di questi scritti ; pongano mente che al- lora la lingua italiana avea nascimento: leggano que- gli scrittori contemporanei: e se ciò non basta a farli tacere , proseguano pure a criticare il Bussi ed i cro- nisti , che con gente di simil fatta è stoltezza il tener questione. AA. ornatis&imi , se mal non mi appongo , sem- brami avere sparso un qualche raggio di luce sulle te- nebre che Tignoranza ed il vulgar pregiudizio ha cu- mulato sopra tutto ciò che ha rapporto al vulcano acquoso denominato il bollicarne, e di aver rinvenuta la verità di un fatto storico travisato da quello spirilo, che purtroppo domina , di trovare il grande , il ma- raviglioso in ogni avvenimento. Ma quanto non rima- ne a scoprirsi di .vero sullo stesso bollicarne , e so- pra tante altre sorgenti di cui abbonda il viter]>ese territorio? Quanti altri punti di storia patria non sono più che il riferito guasti e malintesi, per lo che me- ritano esser presi ad esame , e pier così dire analizza-. ti, e ridotti a termini di verità! Da voi, oAA., la pa- tria lo richiede. A voi appartiene mover guerra al fal- so, distruggerlo ed annientarlo, e vittoriosa e trionfante presentare al mondo la verità. 156 La georgica di P. F'irgilio Marone tradotta in ter-^ za rima dal marchese Luigi Biondi romano. 8." To^ rino , tipografia Chirio e Mina. (Uà voi. di car- te 192.) ntorno al tradurre di latino in volgare le georgi- che di Virgilio , due carissimi amici mici , fior di dot- trina e di eleganza , tengono fra loro contraria opi- nione. Il marchese di Montrone , in una sua lettera a quella contessa Anna Pepoli Sampicri , Di costumi , di grazia e di bel volto Dotata , e d'accortezza e di prudenza , avrebbe desiderato che il traduttor di Callimaco nel suo volgarizzamento del poema virgiliano si fosse gio- vato della terza rima (1) : ed invece Urbano Larapre- di , scrivendomi a' passati mesi , avrebbe lodato il marchese Biondi se contentato si fosse del verso sciol- to. Non io starò qui ad esaminare quali ragioni per l'una e per l'altra maniera dì recare nel volgar no- stro un poeta latino o greco aver possano i due no- bili letterati. Solo dirò che il primo potrà consolarsi nel volgarizzamento del Biondi : il secondo in quello dello Strocchi : perciocché l'uno e l'altro ci hanno dato ad un tempo la georgica italiana. Sono due gran- fi) Questa lettera fu pubblicata dal eh. amico mio mon- signor Muzzarelli a carte 233 del volume di agosto e selteui- bre i83i del giornale arcadico. Georgica. tradotta dal Biordi 457 di campioni della nostra letteratura, venuti a provare la bontà delle loro armi sopra un terreno stesso: ar» mi che da egregi figli d' Italia non usano essi che a mantenere in fama le cose nostre contra il ludibrio di tante scuole di errore , e specialmente contra la più impossibile e vergognosa per noi, la boreale. Oh lungamente ci fiorite , o spiriti generosi ! Lu ngamen- te possiate col vostro esempio tenere in treno tanti inge- gni che malamente vorrebbero scapestrarsi, opponendovi al torrente di un nuovo secento , che già ci è sopra! Lungamente ammaestrare i giovani di non farsi così da stolti prendere al nome di una liberta letteraria, che loro permette il violar le leggi , prima di essere atti a ben conoscerne tutte le ragioni e le convenienze ! Lungamente gridare , che così nelle lettere , come nel civile governo , v'ha un' esperienza che dee guidarci, quando non si stimi essere invano vissuti per noi tutti gli uomini che ci precedettero ! Lungamente infine^ri- petere , che è nelle cose dell' ingegno una suprema legislazione che ha suo fondamento suU' indole delle nazioni : legislazione invariabile coni' è la natura i le- gislazione che niuu tempo può quindi distruggere, nin- na rivoluzione : essendoché non sia dato al tempo il disfare la natura delle cose : ne le rivoluzioni , mo- dificando le idee de' popoli , valer possano a trasfor- mare l'essenza dell' umana ragione. Fra tutti i poeti che l'antichità ci ha lasciato, qua- si rispettando un' aura veramente divina , noi dobbia- mo principalmente consolarci di aver Virgilio : il mag- gior maestro della grand'arte di dare immagine ad ogni pensiero , e di non dire se non con maniera elegan- tissima , e con le sole necessarie parole , ciò che si conviene alla poetica dignità del discorso : Non ut mi-> iiits , come sente Quintiliano , sed ne plus dicatur quam oporteat. Poeta veramente maraviglioso, nella cui mente 158 Letteratura non cadde mai cosa che non fosse tutta verità, tutt'armo- nia , tutta nobiltà. Laonde Virgilio e' il vero gran pa- dre della bella poesia de' popoli del mezzogiorno: i quali quante volte se ne allontaneranno ( e si lascino cianciar gli stolti ) tante dovranno vergognarsene , e tornare in dietro , e gridare : mala via tieni. Egli fu che inspirò l'alto verso dell' Aligliieri : egli che guidò que' nostri gloriosi del cinquecento , e il Metastaslo e il Monti e il Parini : egli che al maggior secolo della Francia , a quello di Luigi XIV, diede il Despreaux, il Fenclon , il Bacine. Quindi una gran lode si de- ve a que' due valentissimi che io sopra nominai, allo Strocchi ed al Biondi , perchè a questi giorni , ne' quali da mani audacissime tentasi abbattere le are ve- nerande do' padri della nostra letteratura, per la viltà di voler essere schiavi agl'inglesi ed agli alemanni (1), (i) Quello che detto si è delle letteie, dicasi pure delle ar- ti belle, e della vergogna a cui alcuni stolti, i quali in tanta dovizi» di frumento amano cibarsi di ghiande, provano di con- durle in Italia, imitando quelle mostruosità de'scttentrionali. Fino ad osservarsi (benché si tentino segretamente, non essen- dosi ancor perduto fra noi ogni pudore) alcune pratiche di fab- briche gotiche in Roma! In questa Roma, il cui popolo non mai interamente fattosi barliaro anche nel servaggio de' bar- Lari , sdegnò sempre ne' secoli della maggiore ignoranza quel disordine di scomposta architettura ! In questa Roma , dove quanl' ha civiltà l'universo corre a maravigliare il Pantheon, il Colosseo, il Vaticano, e i tanti miracoli dell'arte di Bra- mante e di Michelangelo! Fino a udirsi esclamare ih pubblico da un impudente alemanno, che bene è a promettersi di Mi- lano, giacché fra poco potrà dirsi una città del nardi Mise- rabile! E che sarebbe di più una città d'Italia quando divenuta gotica somigliasse alcuno di que' murali scheletri del settentrio- ne? Non sai luche ;tppuuto dui fiore di tanti popoli si cerca e Georgica tradotta dal Biondi. 159 ci abbiano con be' versi richiamati all'opera più per- fetta del mantovano. Altri in queste carte parlerà dello Strocclii : io rai propongo di scrivere qui alcune co- se intorno alla traduzione del Biondi , la quale un grido di sì forte approvazione ha levato in Italia, do- ve già se ne preparano tre altre ristampe. Il marchese Biondi , le cui principali delizie so- no state sempre ne' classici e soprattutto in Virgilio, ha lungamente avvisato il modo di poter volgarizzare la georgica in un metro, che meglio si confaccia all' italiano orecchio, che sì piacesi della rima: sceglien- do fra' tanti , de' quali è ricca la nostra armonia poe- tica , la terzina : in che possono i pensieri piiì sem- plicemente legarsi, ed i versi con più liberta e na- turalezza dividersi. Imperocché; ha egli sempre stima- to il diletto essere il primo ufficio della poesia, mas- sime didascalica : nella quale ne gli studiosi andran- no mai ad apprendere profondamente una scienza , ne gli uomini dotti cercheranno il rigoroso vero in mez- zo a tante perifrasi cosi contrarie a quella scienti- fica esattezza , nuda ed arida che , come ben disse Vincenzo Monti nel suo sermone della mitologia, de vati è tomba. Tolga il cielo che vogliasi perciò dan- nare il verso sciolto , come intese a fare il Baretti : il verso sciolto, gran privilegio della lingua nostra, e pervenuto a quell'altezza nell'italiano Parnaso, a che per ispiriti e per armonia lo condussero il Caro ed commenda il suola italiano , perchè nulla ha che sappia di boreale? Oh! lascinsi quelle goffaggini ai nipoti presuntuosi de'goti , de'vandali, degli eruli, e di quanti altri orridi aspetti profanarono la sacra terra italiana, e disonorarono l'umau ge- nere: nipoti che nello cose del bello, alle quali natura fra (juc' geli uou gli ha disposti , squo poco lucn barbari degli avi loro. IGl) Letteratura il Monti traducendo le due maggiori epopee della Gre- cia e di Roma. Ma pare tuttavia ( ne se ne sdegni il mio Lampredi ) che ne' poemi didascalici debba usar- si con assai risguardo : perciocché se a materie non sempre grate tolgasi il bel compenso della soavità della rima , l'esperienza pur troppo ha mostrato che il poe- ma con difficolta si regge : e più spesso che dilettar- ci , ci viene a noja , ancorché opera sia di alcun mae- stro de* primi . Poeta e nobile e leggiadro era certo Luigi Alamanni : e nondimeno , con tutte le eleganze che a man piena egli sparse qua e la nella Coltiva- zione , pochi leggono i sci libri de' suoi versi sciol- ti : se te ne togli que' nostri che vi cercano consolan- do tante maniere e peregrine e gentili di bel parlare. Scrisse pure in verso sciolto il Ruccellai le sue ^pi divine : ma con tutta quella grazia di modi , quella schiettezza di stile , quella soavità veramente virgilia- na , io credo che alla sua brevità debba principalmen- te l'aureo poemetto se va sì caro fra le mani di quan- ti amano i piìi casti vezzi delle muse italiane. Il che potreblje anche dirsi àeVC Invito a Lesbia del Masche- roni. E qui osserverò cosa , che non parrai esser ca- duta in niente di chi si è fatto ad investigar le ca- gioni, per le quali sono così trascurate le Sette gior- ììate del Tasso , poema nobilissimo , e tutto pieno di poetica gravita e di sapienza. Ma il grand'uomo ado- però il verso sciolto : ne si avvide , che una prova eziandio maggiore delle erculee sue forre era il trat- tar dilettando, in sette lunghi canti senza rima, tan- te dottrine arcane di teologia, tante cose astrusissime di astronomia e di fisica. Aggiungasi a quel poema la magia della rima , e di poco vcdrassi minore della Gerusalemme. Il Biondi adunque ha voluto evitare lo scoglio di non esser grato che a pochi per difclto di rima Ge.ìRGICA tradotta dal B.ONDl 1GJ in un poema, che non vive potentemente di grandi fatti e passioni , siccome l'epico : e dall' altra parte ha dovuto con prudenza guardarsi nel fuggire una Scilla di non incorrere in una Cariddi col darci sen- za niuna discreta posa tre o quattrocento terzine , quante a un di presso se ne richiedono a volgariz- zare un libro delle georgiche. Perciocché anche que- sta dee aversi per una verità , chi vuol ben co- noscere r arte : più centinaja di terzine generare spesso in chi legge una certa sazietà e stanchez- za : di che l'Alighieri e il Petrarca in que' loro canti della divina Commedia e de' Trionfi ci hanno principalmente avvisati e messi in sentiero. Ed infatti il canto più lungo della divina Commedia è il XXXII del Purgatorio, che ha 157 terzine: ed il più lun- go de' Trionfi h quello della Castità , che non oltre- passa le terzine sessantaquattro. Quindi al Biondi era anche mestieri , per ben condurre ad effetto il sag- gio avviso suo della rima , di trovare tal divisione di materie nella georgica, che gli permettesse il par- tire in capitoli i qa:ittro libri del poema , senza niun guasto recare o mal troncamento alle cose ivi trat- tate. E questa divisione fu da lui , da lui solo tro- vata : e si facilmente e si bene , che pare Virgilio stesso avere scompartita la sua georgica nel modo che il letterato romano ha fatto nella sua nobile traduzione . Siane ad esempio il libro primo . Di- vidcsi esso , come gli altri tre , in dicci capitoli i nel primo de' quali è l'argomento e l'invocazione del poema, e si comprendono i versi latini dal 1 al 42. Il secondo dice le diverse maniere onde si coltivano e si rendono fertili i campi; ed incomincia dal verso 43: P^ere novo^ gelidus canis quuiii muntibus Iiwnor , G.A.T.LIV. \\ 162 Letteratura e termina a mezzo il verso 121 ; Strjmoniaeque gnies^ et amaris intuba fibris Off.GÌunt , aiit umbra nocet. Il terzo , eh' è sull' origine dell' agricoltura e sulle molte fatiche che hanno a durare gli agricoltori , in- comincia dalla meta del v. 121, ed ha fine al v. 159. Il quarto insegna quali sieno gli stroraenti degli agri- coltoii : come si debba appianar l'aia : come si pos- sa antivedere o l'abbondanza o la povertà della ri- colta : come si abbiano a preparare i semi delle ci- vaie ; e dal V. 160 Dicenduin et quae sint duris agrestibus arma , si produce fino al '20ii Atque illum in praeceps prono rapii alveus amni. Il quinto tratta degli astri , come danno a «"onosce-» re i diversi tempi in che hannosi a porre i semi; e reca la descrizione della sfera celeste. Sicché com- prende tutti i versi che sono dal 204 Praeterea tam sunt Arcturi sidera nobis , al V. 258 Nec frustra signorum obitus speculamur et ortus , Temporibusque parem diversis quatuor annum. Il sesto canta de' lavori , a' quali può dar opera l'a- gricoltore ne' giorni piovosi e ne' festivi : de' giorni lausli od infausti : de' lavori che fauuosi a notte , o Georgica tradotta dal Biondi 163 a sole ardente , o nel verno. Ed ha i versi che dal V. 259 Frigidus agricolam si quando continet imber , sono fino al v. 310 Quum nix alta iacet, glaciem quum flumina tradunt. Il settimo è sulle tempeste , e dice de' sagrificii a Ce* rere perchè ne guardi le biade. Dal v. 311 Quid tempestates auctumni et sidera dicam ? al V. 350 Dei motus incompositos et carmina dicat. L'ottavo , intorno i pronostici delle tempeste e della serenità , ha i versi virgiliani dal 351 Atque haec ut certis prossimus dicere signis , al V. 423 Et laetae pecudes , et ovantes gutture corvi. Il nono è de' segni che si hanno dalla luna e dal so- le ; dal v. 424 Si vero solem ad rapidum lunasque sequentis , fino a mezzo il verso 463 : Quid cogitet humidus auster Sol libi sigila dabit. 164 Letteratura Nel decimo lìnalmente sono que' celebri versi della morte di Cesare : incominciando da Solem quis dicere fahum Aiideat ? Ille et inni caecos instare tumuli its Saepe moneta fraudemque et operta tumescere bella. Lodata ho questa divisione del lib. 1 siccome egre- gia: e credo che tale debba essere riputata da quan- ti hanno pratica delle cose della gcorgica. Le divi- sioni de' seguenti tre libri sono fatte con eguale bon- tà e magistero. Dire che i versi del marchese Biondi sleno di quell* oro, che si risplcudc ne'poeti del miglior secolo, sa- ( rebbe dir ciò che sa tutta Italia. Chi non conosce infatti le sue cantiche in morte della Bruni e del l^er- ticari, e il suo inno a Cerere, e il suo volgarizzamen- to delle egloghe pescatorie del Sannazaro ? Non par- lerò dunque ne dello stile del Biondi, che già ne più gentile , ne più terso, ne più schiettamente italiano potrebbe desiderarsi : ne della facilita e della grazia del numeroso suo verso : ne delle sottili interpretazioni da lui , gran maestro di latinità , date sempre al te- sto del mantovano. Fra le quali tuttavia non vorrò tacer questa , in che parmi aver egli egregiamente ve- duto ciò che niun altro vide fra tanti dottissimi co- raejitatori. Dice Virgilio nel lib. Ili v. 21 ■ Jam nunc sollemnis ducere pompas Ad deluhra iuvat, caesosque vidcre iuvencos ; f^el scena ut versis discedat front ihus^ ut que Purpurea intexti tollant aulaea britanni. E vuol parlare vaticinando di Cesare Augusto, il qua- le in que' tempi aveva vinto i britanni : laonde al poe- GeoRGICA TRAn;)TTA DAL BlONDl 1 05 tn par già vedere gli scliiavi eli quella barbara genie ridotta alla dura condizione di alzare essi stessi nel teatro le tende, nelle quali istoriate sono le loro scon- fitte. Questa interpretazione è cosi del Biondi, che sem- bra non essersene accorto lo stesso onorando Stroc- clii. Il che si conosce pe' versi seguenti , ne'quali (sia qui detto con ossequio di si celebre uomo) avrei de- siderato una maggior chiarezza e armonia : Mi gode il core Veggendo nel pensier la pompa usaia , Ch' io guido al tempio, e dc'giovenchi il sangue. Già miro fin di qui la mobil scena Cangiar di aspetti , e la purpurea tenda Dagl' intesti britanni esser sofìolta. II Biondi però con bella ed opportuna chiosa traduce così : E già il desir con presto Volo gli anni precorre: e la solenne Pompa guidar mi sembra : e veggo estinti Cader piìi tauri sotto la bipenne ; Volte le scene mutar fronte : e i vinti Britanni alzar la gran purpurea tenda , Tessuta de' lor danni ivi dipinti. Ne dirò pure di que' luoghi , ne'quali avendo egli dovuto combattere con tante poetiche dilficolfa di espri- mersi , le ha superate : come la dove nel lib. 1 v. 415 canta Virgilio de' pronostici che i corvi ed altri uc- celli fanno delle tempeste o della serenità : Haucl equidem credo , quia sìt divinitiis illis Ingenium^ aut rerum fato prudentia maiur ; i6Q Letteratura Verum^ uhi tempestas et coeli mohills humor Mictavere vias , et Juppiter uvidiis austris Denset^erant qiiae rara modo^et qiiae densa^relaxat:, P^ertuntur species animoram^ et pectora motus Nunc alios^ alios^ dum nubUa ventus agebat Concipiunt : hinc ille avium concentas in agris. Et laetae pecudes^ et ovantes gutture corvi. Ed il Biondi con eleganza e con facilità traduce co- si nel cap. Vili: Ne credo che di ciò la ragion mova. Perchè il cielo a que' bruti ingegno doni, O prudenza che vien col fato a prova. Ma perchè quando il cielo e le stagioni Mutano tempre, e l'aria, fatta crassa Dai venti delle australi regioni , Densa ciò eh' era molle , e ciò rilassa Che dapprima era denso ; han mutamento Le qualità, degli animi : e trapassa Tale allora ne' petti un movimento Che desta al chiaro tempo altri appetiti , Che que' del tempo eh' eran piogge e vento. Quindi , al tornar de' be' giorni , i garriti Degli uccelletti che pe' campi vanno ; Quindi gli agnelli alia pastura usciti Saltano , e i corvi pur lieti si fanno. Difficile altresì a vestirsi di bella veste italiana, dif- ficilissimo a porsi in rima , pareva quest' altro luogo del lib. II V. 73, dove parlasi degl' innesti : Nec modus inserere atque oculos imponere simplex. Nani, qua se medio tradunt de cortice gemmae^ Et tenues rumpunt tunicas, augustus ah ipso Georcica tradotta dal Biondi 1G7 Fit nodo sinus:, huc aliena ex arbore germen Includunt , udoque doccnt inolescere libro, jiat rursuiìi enodes tranci resecantur, et alte Finditur in solidum, cicneis via : deinde feraces Plantae inmiitantur : nec longum tempiis^ et ingcns Exiit ad coelum ramis felicibus arbos , Miraturque novas frondis et non sua poma : e nondimeno osservisi con che nobile speditezza se n'è tratto il Biondi nel cap. IIj Il modo d'innestar non è lo stesso : Innesta ad occhio chi a mexzo la scorza , Ov'e sboccia la gemma , apre sovresso Il nodo un picciol seno , e inchiude e all'orza Ivi l'estranio germe , che s'invoglia Di quel novello umore , e viene in forza. Ad insito fa innesto chi dispoglia Di rami un liscio tronco , e nel tenace Legno col conio apre tal via, che accoglie Profondamente la marza ferace :, La qual , poco dappoi che inserta fue , Con lieti rami inverso il ciel si face. Onde l'albero , eh' un fatto è di due , Di que' rami novelli ha maraviglia , E del vederne uscir poma non sue. Tali vinte difficolta non sono per avventura con- siderate se non da chi finamente conosccsi delle due lingue : ma tutti all' incontro raaraviglieranno, anche gì' indotti , il cap, IX del lib. IV, là dove il Biondi ha volgarizzato in rime sdrucciole l'oracolo di Pro- teo. Questa, s'io non m'inganno , è una gemma delle pili belle dell' opera sua : cosa fatta a grand' arte , per dare a quel vaticinio un non so che d'inspirazione 168 Letteratura profetica, di gravità, di singolarità, di mistero. E gik n'avevamo l'esempio in quell' a{>e d'ogni gentil fiore italiano , nel Caro • il quale in versi sdruccioli , ap- punto per le dette ragioni , tradusse tutti i vaticinii che sono nell' Eneide. Come nel lib. II, là dove è queir oracolo spaventoso di Apollo : Col sangue e con la morte di una vergine Placaste i venti per condurvi in Ilio : Col sangue e con la morte ora di un giovane Convien placarli per ridurvi in Grecia : e nel lib. III dove essa deità, interrogata da Enea nel suo tempio di Delo, rispose dalla cortina : Dardanidi robusti, onde l'origine Traeste in prima , ivi ancor lieto e fertile Di vostra antica madre il grembo aspettavi. Di lei dunque cercate : a lei tornatevi : Ch' ivi sovr' ogni gente in tutti i secoli Domineranno i gloriosi eneadi , E la posterità de gli lor posteri : finalmente nel lib. VI in versi sdruccioli è il vatÌGi- nio della Sibilla di Cuna. Dissi di non voler qui parlare dello stile del Bion- di , essendo cosa a tutti omai conosciuta io Italia. E tuttavia non mi terrò dal recare alcuni rersi di più Lei magistero , ne' quali ha egli fatto a prova per ar- monia , per facilità , per pompa col diviao originale , ed uguagliato quanto v'ha di pili gentile e più nobile nella poesia italiana. Nel cap. IV del lib. 1 a me pa- re di sentir proprio in questi versi la fatica di chi va contr' acqua in un fiume : Georgica tradotta dal Biondi 169 Cosi colui che in barca fa cammino , Contr' acqua il fiume salendo a fatica , Se le braccia rallenta , a un tratto al chino E risospinto dall' onda nimica. Qual grandiosità e maestà in questi del cap. VI! Ossa a Pelio , ed Olimpo ad Ossa imporre Tre volte si sforzar ; tre volte Giove Col fulmine disfè quella gran torre. E in questi altri del cap. VII: E spesso giù dal cielo iramensitate D'acque mina : e l'orribil procella Cresce per nubi sopra il mar densate. Par che il elei caggia : e la terra flagella Sì , che de' bovi le fatiche strugge , E in un la messe che ridea sì bella. Ogni fosso trabocca : ergesi e fugge Fremendo il fiume , ne piii sponda il serra : Dan vento i golfi, e il mar ne bolle e muggc. Giove, a scagliar le folgori, disserra La man corrusca fra il buio del cielo ; E air orrendo fragor trema la terra. E in questi del cap. Vili : 11 inar , sì tosto che surgouo i venti , O sol frange e spumeggia ov' ei fa seno : E sordo un suono per le selve senti : O impctiiosamente senza freno ■Rompe all'aperto ne' sonanti lidi; E di ronior crescente il bosco è pieno. 170 Letteratura Il cap. X narra i prodigi che precedettero la morte di Giulio Cesare. Grande è ivi di una grandezza ve- ramente romana il poeta di Angusto: ma grande è pu- re il Biondi ; ne alcuno per avventura, senza sentirsi toccar l'anima fortemente sul grave subietto, leggera questi impareggiabili versi : Udì Germania un suon correr le vote Sedi dell' aria , qual se d'armi fosse : E furon l'alpi da tremor commote. De' boschi il queto orror voce percosse Ferocissima : e d'ombre orriI)ilraente Pallide , a notte scura , uno stuol mosse. Voci le belve dier non altramente Che d'uomo: orribil cosa ! il suol s'aperse: E de' fiumi rislè l'onda corrente. Il contadino , nell' età future , Troverà tra la terra in arar mossa Lance da ruggin rose , e fatte oscure : E i voti elmi de' rastri alla percossa Udrà dar suono : e fia che maravigli Tratte fuor de' sepolcri le grandi ossa. Ecco nel cap. U del lib. IH la descrizione celebre del cavallo. Pur de' cavalli far dovrai l'eletta : E a studio aver , fin dalla età scherzosa , Que' puledri da cui prole s'aspetta. Il puledro di razza generosa Passeggia altero : snoda mollemente Le gambe , e appena sui pie si riposa : Primo corre le vie : primo a torrente Minaccioso s'affida e a ponte ignoto , E di vano fragor tema non sente. Georgica tradotta dal Biondi 471 Ha collo altero : sotlil capo : ha voto Il ventre : ha pieno il dorso : eccede il petto, E agli sporgenti muscoli da moto. Il cavai baio , e quel che glauco è detto , Son bei , ne fanno le speranze vane : Biancastri e sauri han di beltà difetto. Bello il destrier , che a suon d'armi lontane Guizza le orecchie , e inverso il fragor mira. Ne piiji fermo in un loco si rimane ; E trema : ed aure di foco respira : E le comprime : e per le nari , a ruote Di fumo , fuor le sbafFa e le raggira. Doppia spina ha fra i lombi : ampio crin scuote Eicadente alla destra , e il terren scava , Che con forte e sonante unghia percuote. Ed ecco pure, nel cap, V del lib. Ili, descritto il toro, che perditore alla pugna del suo rivale , va Lungi esulando per ignote sponde : Cupamente gemendo il disonore , Le membra oflese dal nemico altero : E più il perduto e invendicato amore. Guardò il chiuso : e lasciò l'avito impero : Ne ad altro nell' esiglio bave la mente , Che a rifiorir nel suo vigor primiero. Veglia le notti , steso duramente Su covile di sassi : irta e silvestra Fronda lo ciba , o carice pungente. Fa di se sperimento , s'ammaestra A sdegnarsi col corno , ed or si scaglia Di salto ai tronchi , ed a ferir s'addestra : Or contro all' aure vane si travaglia , Colpeggiando : or co' pie sparge l'arene , Quasi a comiacianieuto di battaglia. 173 Letteratura Poi fatto vigoroso , e messo in piene Forze, torna alla pugna, e il rivai urge Che memoria di lui punto non tiene. Tal di lontano suU' equoreo gurge Picciol flutto biancheggia ; indi si fa Via via più sinuoso , e cresce , e turge : L'onde accavalla inverso i lidi , e fra Gli scogli urtando , murmurc profondo Mette : e s'alza qual morte , e a cader va. E se medesimo rigirando a tondo , S'adima, e Lolle, e riede: e sbalzar lunga Fa l'atre arene che giaceano al fondo. Ma lascerò io, prima di por fine a questo pic- col saggio de' fiori classici onde il Biondi ha infio- rato la sua traduzione : picco! saggio , io dico , ma tale da generare un vivo desiderio dell' opera, e da mostrare con che magistral fedeltà il volgarizzatore si h sempre tenuto al testo : lascerò io le lodi d'Italia mia? Di questa Italia dolcissima, lume e bellezza dell' universo , dove cielo e terra c'invitano alle opere leg- giadre , al riso , alle cortesie ! Ed oh avesse ella più alte e dirupate le alpi! Oh i due mari, che ora la vagheggiano intorno, fossero si tempestosi e fremeiiti da vietare che a questo pniadiso di Europa non ap prodasse immagine di straniero ! Felice allora, felice terra saturnia! Ma udiamo i versi di Virgilio nel lib. II: udiamo il Biondi che recali dall'antico latino nel nuovo. Ma non si ardiscan colla Italia a prova Venir ne il medo, che si ricco tiensi Pe' boschi suoi, ne l'Ermo ancor che mova Con flutti per molt' or torbidi e densi : Non l'Indo o Battio, o il Gange, o le beale Terre della Panchea, pingui d'incensi. Georgica tradotta dal Biondi 173 Le nostre ville già non furo arate Da indomiti giovenchi, che furenti Spirasser foco per le nari enfiate: Ne , seminali di fìer drago i denti , Via via si eruppe folta orrida messe Di lance e d'elmi di guerresche genti. Ma gravi spiche biondeggiar sovr' esse : Crebber massiche viti : vi si piacque L'ulivo : e pingui greggi erranvi e spesse. Qua s'impenna il cavai , che a guerra nacque : La tu , Clitunno , l'agne e le maggiori Vittime , i tori , lavi alle sagre acque. Spesso quelle agne poi , spesso que' tori Guidano al tempio degl' iddei di Roma La pompa trionfai de' vincitori. Qui primavera eterna : estive poma In mesi estrani : qui per ben due volte Il gregge figlia , e l'albero s'impoma. Ma non v'ha tigri , ne squassa le folte Giube fiero lion , ne l'orbe inganno Celano al meschinel da cui fur colte : Ne in lunga striscia se dietro a se Iranno, Snodando immense ancUa , le nemiche Serpi , ed in ampie spire a giacer stanno. Aggiungi poi dell' arte le fatiche : Grandi citta : castella in rocce alpine : Fiumi che passan sotto mura antiche. Lodar doggio i duo mari, ond' ha confine? E quai laghi ? te , Lario ? o te , Benaco , Che fremi come fan l'onde marine? K quai porti ? Dirò del lucrin laco , Dove con forte murmure s'adira Il mar eh' è fatto per gran moli opaco ? 'U suona l'onda giulia ; si ritira Fremendo la tirrena ; e vorticosa Per entrar nell' Averno si raggira ? 174 Letteratura Questa medesma Italia avventurosa E di bronzo e d'argento e d'or lucenti Rivi fé' scaturir da vena ascosa. Questa i sabelli e i marsi , ardite genti , E gli astiferi volsci , ed il robusto Ligure ingenerava uso agli stenti : Deci , Marii , Camilli , e quel vetusto Seme degli Scipiadi , aspri in battaglia : E te , questa , te pur , massimo A ugusto. Te , la cui man l'imbelle indo sbaraglia Neir Asia estrema , sì che più non fia Mai che le terre de' romani assaglia. Salve , o saturnia terra ! o grande , o dia E di messi e di eroi j)rogenitrice ! Per te imprese a cantar la musa mia I precetti dell' arte , onde felice Fu già la terra : e a te schiudendo i santi Rivi , per ogni tua valle e pendice , Fo risonar del vecchio d'Ascra i canti. Tal' è questa traduzione del Biondi : opera tutta spiriti virgiliani , la quale sommamente onora e il ce- lebre letterato, e la romana eleganza, e la piiì bella lingua di Europa. Ne tuttavia oserò dire che non ab- bia veruna menda. Oh si l'avrà ! Che niente loda, co- me scrive il cardinale Pallavicini , chi tutto loda : ne al Biondi , uomo di senno sì alto , può cadere in ani- mo cotal presunzione di far cosa perfetta. Ma certo è che le bellezze sì grandi e sì spesse rendono qua- si impercettibili que' difetti , che l'occhio sottile della critica potrebbe avvisarvi. Or sia qui line al discorso : senza però tralascia- re di dire, che il libro è dedicato all' illustre memo- ria del re di Sardegna Carlo Felice, per cui il Bion- di a ve vaio preparalo fin da principio colla speranza Georgic^ tradotta dal Biondi 175 di congratularsi della solennità decennale del regno di lui. Ne poiché mori , volle il poeta , gratissimò a' tanti benefizi ricevuti da quella real corona , man- care alla sua promessa : anzi con più amore gli por- se l'offerta: ,, perciocché (dic'egli) i sensi della grati- tudine mia saranno ora tenuti meglio sinceri e leali, che per avventura non sarebbero stati per lo passa- to ; quando altri poteva indursi nell' animo , che l'of- ferta del mio lavoro avesse più la mira ad acquistare che a rendere merito ai benefizi ; che le lodi fossero lusinghe : e che ambiziosa vanità vestisse sembianze di umile venerazione. ,, Salvatore Betti. Saggio sulla storia della letteratura italiana ne' pri- mi venticinque anni del secolo XfX. Opera di A. L. Milano presso Ant. Fort. Stella ec. 1 83 1 ( in S** di fac. 3/i3 ) . ngiusto rimprovero è fatto all' Italia ; che maestra quale si fu d'ogni alta cosa a tutto il mondo, non sia oggimai che superba di ricordanze. A mostrare che nelle lettere nelle scienze e nelle arti non è ca- duta dall' antica grandezza , basterebbero i nomi di que'famosi, che onorano colle opere di mano e d'in- gegno il nostro secolo : basterebbe osservare , che i primi passi al perfezionamento furono dati da lei quan- do pose e mantenne in bella concordia scienze let- tere ed arti , ed avvisò come unite fioriscano feli- cemente. Ne rcsscre corsa e ricorsa dalle armi stra- 176 Letteratura niere , e spogliata de' suoi più belli ornamenti e fat- ta segno a tutte le ingiurie della fortuna , potè sof- focare que' germi , che in lei sono nativi , d'ogni grandezza. Anzi può dirsi : clie al crescere degli ostacoli , in lei crebbe vigore : cosi è privilegiata dal ciclo , che l'ha ben posta tra l'alpi e il mare , e come giardino di tutto il mondo. E quando natu- ra è per lei :, che fa gravezza d'invidie o di sventu- re ? Ben disse ii Venosino : „ Natuiam expellas furca , tamen usque r^curret: „ Et mala perrumpet furtim fastidia victrix. „ (Ep. I. 10) L'autore di questo saggio non pare abbia curato di cercacre addentro le cagioni , che promovono o tar- dono (se non impediscono) potentemente i progres- si delle nostre lettere ed arti: il collegamento di que- ste colle scienze , e ciò che si è fatto da'sommi in- gegni per riparare tutti i danni del tempo e vincer la guerra della fortuna. Egli e rimasto contento a cor- rere qua e la il campo delle noslrc lettere nei pri- mi venticinque anni di questo secolo ; schierandone innanzi le maggiori dovizie. Che se taluna delle ope- re , che pur sono in grido ; e taluno de' nomi più rif^uardevoli nella presente civiltà non ha potuto ac- cennare : non è da fargliene colpa. All'italiana let^ teratora sono quasi centri diversi le divise provincie e citta : tra le quali non è cosi pronto il com- mercio de' pensieri e de'libri, da potere in breve tem- po un uomo solo (sia in Milano, sia in Napoli, in Firenze , in Roma , od altrove ; senza girare , fina- mente osservando , tutta la penisola ) dare la storia del senno e della gentilezza de'nostri giorni. Egli se n'è bene accorto , siccome pare : giacche viene imi- Storia della letteratuha itall\na ITT tando quanti sono leggiadri spiriti nel bel paese a notargli almeno le gravi omissioni ; proponendosi, se gli dura la vita , di supplire in altra opera che va meditando. Però al presente lavoro ha dato nome di saggio , ed ha fatto bene : solo nell'ultimo capo, cui destinò a brevi cenni sulle arti e sulle scienze , si è tenuto ristretto soverchiamente. A liberare Tltalia da quel rimprovero di oziosa e di povera (e per questo principalmente fu mosso a scrivere ) doveva mettere in bella mostra i tesori delle arti e delle scienze ; tanto più che a questo tempo le une e le altre si so- no associate alle lettere si fattamente , che non si può dire di queste nell'istoria , senza parlare di quel- le : e viceversa. Ed in tale colleganza ne pare , che stia più che ia altro la ragione del loro fiorire tra noi, ed il pregio di questo secolo sui precedenti. Comec- ché sia, vogliamo dar lode all' autore : che mosso da patria carità ha ben cominciato , e mostra voler se- guire a porre in più luce le glorie nostre : di che ogni cortese spinto gli saprà grado e grazia ; inco- randolo a fornir nobilmente la degna impresa. D. V. Elogio di Cesare Lucchesini. Letto in arcadia da Monsig. C. E. Muzzarelli. s e nobiltà senza fasto , religione senza ipocrisia , dottrina senza orgoglio , e tutte finalmente le doti della mente e del cuore furono sempre in venera- zione fra gli uomini , e mostrate ad esempio ai con- temporanei ed ai futuri , perchè da quelle apparassero G.A.T.LIV. 12 178 Letteratura le generazioni come ])ene meritale della religione, del- la patria, delle lettere; non saprei oggi, o accade- mici ed ascoltatori umanissimi , come meglio tratte- nervi , che togliendo ad argomento delle mie parole la vita e le opere di quel Cesare Liicchesini , che teste rapito air amore di tutti i buoni fu gran parte della gloria italiana di questo secolo, e principale ornamen- to della sua terra natale. E già di quale e quanto splendore questa si vide priva alla di lui dipartita, il dissero per me le lagrinne de'suoi concittadini, le mode- ste ma dolenti esequie a lui celebrate , i versi e le prose , con che vennero cantati e ricordati i di lui pregi , il compianto insomma di una intera citta , il dolersi di tutta la penisola , il richiamarlo di tutti i generosi. Cesare Lucchesini nacque in Lucca ai 2 di lu- glio del 1756 dal marchese Francesco, e dalla mar- chesa Maria Caterina Montecatini , amendue discen- denti da nobilissima prosapia , nelle cui famiglie le virtù tutte si potevano dire ereditarie. 1 suoi genito- ri seppero al di lui nascere instillargli quelle mas- sime cristiane e cittadine , che in processo di tempo formarono di lui un modello da proporsi alla gioventù: ed i nobilissimi pregi, di che fu egli si a dovizia ador- nato , gli furono fidi compagni dagli anni più teneri ai più maturi, e da questi agli estremi. Persuasi essendo i providi ed amorosi suoi genitori, che le sole doti del cuore bastano a se stesso , ma non cosi alla pa- tria ed al proprio principe , attingeva egli appe- na l'anno nono del viver suo , che con saggio oc- corgimento il volevano alunno al collegio di Mode- na : che in quella citta, feconda in ogni tempo d'uo- mini per dottrina e per pietà celebrali , avevano già, da tre anni fissato il loro soggiorno : ma tra per po- ca salute , Ira per niuna inclinazione in quel tempo EnoGio DI C. Lucr:nr:siNi ITO allo studio , fece scarso e quasi niuno profitto nelle lettere. Vedutosi ciò da' suoi genitori, e desiderosi del pro- fitto di questo amatissimo loro figlio , il mandarono nel collegio di Reggio, dove i maestri colla dolcezza delle maniere , e colla persuasione , che unica deve essere regolatrice delle umane inclinazioni , gì' inspi- rarono a poco a poco l'amore allo studio , ed ivi po- tè apprendere le umane lettere : poi da Gio. Batt. Venturi e da Bonaventura Corti , uomini dottissimi , imparò la filosofia , la geometria , e la fisica. Sul fine del 1 774 passò il Lucchesini in Roma nel collegio Nazzareno , retto dai pp. delle scuole pie: nel quale furono in ogni tempo uomini di bella fa- ma : che suonano ancora chiarissimi i nomi del Po- liti , del Corsini, del Giraldi, del Guglielmini, del Bonada, del Beccaria, dell'Antonioli, del Gaudio, del Cremona, del Ghelucci, dei fratelli Fasce, del Pozzetti, del Canovai, ed a questi ultimi tempi quelli del Monti, del Masucco , del Gisraondi , del Gandolfi : ed oggi ancora quello dell' Inghirami in Firenze , e qui in Roma del Rosani , che nominare vogliamo a testimo- nio di onore , e di quella lunga amicizia che a lui ne lega : poeta e prosatore elegantissimo , non sap- piamo in qual più , se nella lingua italiana o nella latina. In Roma diede il Lucchesini opera allo studio dell' algebra sotto la direzione di quel gran matematico , che fu Pio Fantoni: e questa scienza colle altre parti della medesima continuò a coltivare anche dopo il suo ritorno in patria fino all' età di 30 anni. Ma dive- nuto di mal ferma salute per continue e doloro- sissime emicranie ; onde alleviare questa malattia eh' erasi resa intollerabile , mutò in alcune cose il me- todo di vita , e abbandonò lo studio delle scienze 'J2* 180 Letteratura. esatte per darsi a quello delle lingue ebraica e gre- ca , e da quest' ultima trasse tanto profitto, che tutta Italia non dubitò poi di collocarlo fra i primi e più di>tinti ellenisti del suo tempo , o si abbia riguardo alla conoscenza di essa lingua , o ancora alle ver- sioni che fece da quella nel nostro volgare : di che parleremo più avanti. Fu in quel torno , o non mol- to dopo , che reggendosi Lucca a governo aristocrati- co , e dovendo la sua durata alle sue provide leggi ed ai più probi cittadini , che zelatori di ogni pubblico bene , mentre erano custodi gelosi àcWe pa- trie costumanze , servivano a nuovo ornamento di quel- la non ampia repubblica , si fu allora, eh' egli venne eletto a senatore , ed a membio del magistrato supre- mo : impieghi ne' quali non sappiamo se meglio splen- desse la religione , e l'amore di patria, o la profonda sua dottrina , e il desiderio della più scrupolosa giu- stizia. Sosteneva egli questo ultimo incarico nel gen- naio del 1798, quando dopo la caduta della Lombar- dia , della Venezia, e della Liguria, il lucchese se- nato , che si vedeva cinto di pericoli di ogni manie- ra , lo spedi a Parigi rivestito di pieni poteri , ondo evitare se possibile fosse stato quell' ultima rovina, che seco trasse più potenti e più vasti dominii , o vinti da timori, o ing;tnnati da promesse fallaci, o scissi di opinioni , o perchè inerti finalmente stettero ad aspettare silenziosi il nembo di guerra , che intor- no loro terribile si addensava e cresceva. Egli era libero di prendere quel titolo diplomatico presso il governo francese , che avrebbe riputato il migliore. Non aveva in questo mezzo il nostro Lucchesi ni obliato del tutto i suoi studi prediletti : che già era- no di pubblica ragione l'elogio del senatore Gio. At- tilio Arnolfini impresso in Lucca nel 1792; ci un bre- ve saiJ"io della storia del teatro italiano nel medio Elogio di C. Lucchesini 181 evo, e dopo il risorgimento delle lettere, senza nome d'au- tore. E unito questo saggio alle due edizioni lucchesi del Goldoni fatte dal Bonsignoii e dal Albertini, ed alla scelta delle commedie di quel grande [julj])licatc a Dre- sda. Anche gli avvenimenti d'Ero e Leandro, Icggiadris- simo poemetto di Museo, fornirono modo di tlistingucrsi al nostro autore, poiché egli ne aveva puL])!icala una versione in verso sciolto fino dal 1796. Questo lavoro, nel quale era stato preceduto dal padre del gran Tor- quato , dal Baldi , dal Montanari , dal P. Caracciolo, dal Salvini, ed anche dalla gentile poetessa Fortunata Fantastici , non è fatica tutta affatto priva di merito SI per l'aderenza al testo, si per la felicilk della ver- sificazione : de' quali pregi gli tributarono spontanee e meritate lodi illustri letterati contemporanei si no- strali e SI stranieri. Siccome nella sua missione in Francia non gli fu possibile ottenere di presentarsi al direttorio, e trat- tò delle cose della repubblica solamente col ministro delle relazioni estere, cosi rimasti vuoti d'effetto i suoi desideri, fu invasa Lucca dalle armi francesi, e di- venne governo democratico nel febbraio del 1799. Egli parti allora da Parigi, e si condusse a Parma nel) a spe- ranza di tempi migliori. Ne s'ingannò: che non mol- to dopo la battaglia della Trebbia, abbandonata Lue ca dai francesi, e succedutovi l'ingresso degli austria- ci, si restituì ad essa e venne ammesso in quella reg- genza. Arricchiva intanto il Lucchesini la repubblica let- teraria di nuove e pregevolissime opere: che nel 1801 rendeva di pubblico diritto il [)rimo libro della guer- ra di Troia di Quinto Smirneo Calabro , da lui ve- stilo di abito italiano col verso sciolto. Era a de- siderarsi che questo poema, del quale si dis-sero tante e svariate cos<,> dm-li eruditi di tutti i secoli, e iulor- 482 Letteratura no il cui merito Taurlet cosi si esprime : ,, Ogni letto- re imparziale convenir deve, che nello stile v'ha della nobiltà, del fuoco, dell' entusiasmo, e dell'ingegno; che regna nell' opera un gusto sano , un tocco vigo- roso , ed in una parola que' modi che convengono all'epopea: ,, era desiderabile, ripetiamo, che questo poe- ma fosse per intero da lui stato tradotto. A questo breve lavoro poetico ne succedevano mag- giori prosastici ed importanti , cioè un saggio di os- servazioni sopra un'opera recentemente pubblicata col titolo : Feste della Grecia : la tavola di Cebete vol- garizzata, unita all' Epiteto tradotto dal Papi , e stam- pata nel 1812 in Lucca dal Bertini in doppia edi- zione in foglio e in ottavo: l'elogio del senatore Ste- fano TofancUi pittore , un ragionamento storico e cri- tico , che porla per titolo : Della illustrazione delle lingue antiche e moderne , e principalmente dell' ita- liana , procurata dagl' italiani nel secolo XVIII. Mentre il nome del Lucchesini era divenuto per tante opere d'ingegno un nome italiano; Lucca dopo va- rie vicende era stata data in retaggio a' principi fran- cesi , ed egli fu loro consigliere di stato , ed insi- guito del titolo d'udìziale della legione d'onore. Sic- come però in ogni tempo, e fra i vortici politici mai non aveva smentito se stesso, cosi questi titoli gli ven- nero confermati, il primo da Maria Luisa di Borbo- ne , quando ottenne il ducato di Lucca , e poi dal suo successore Carlo Lodovico ; il secondo dal mo- narca francese Luigi XVIII. Nuovi lavori intanto crescevano ogni di più la fama di lui , cioè una lettera al Viussieux sopra un giudizio dato da un giornalista francese intorno al Pe- trarca ; altra a Giuseppe Micali sopra alcuni luoghi dell'Odissea, che si credono spuri : e la storia lettera- ria del ducato di Lucca , divisa in sette libri. In que- Elogio di C. Lucciiesini 183 sic lavoro sono osservabili la multa diligenza, la buo- na pratica nel trattare questo ramo di erudizione , la critica non ordinaria , e l'accuratezza. Talché essa e un' opera , per cui Lucca sovra ogni altra deve air illustre suo figlio la maggior gratitudine . Un' orazione in morte del sacerdote Giovanni Pancrazio Zappelli , una dissertazione sul diritto di asilo sacro presso gli ebrei , alcune congetture intorno al pri- mitivo alfabeto greco , una lettera al cav. Grimaldi sopra alcuni libri perniciosi, altra al Zannoni sopra un' iscrizione di Giuliano imperatore , perchè male inter- pretata , ed una terza al Papi sopra la mitologia in- diana , un' esame della questione se i latini avessero veri poeti improvisatori , sono tutte opere die fanno conoscere la molta, o direra meglio, l'immensa e Svariatissima dottrina del nostro autore. Non abbia- mo creduto di trattenerci molto intorno queste sue fatiche , delle quali presso che tutti i giornali d'Ita- lia pronunziarono più o meno giudizio favorevole : ripeteremo soltanto alcune brevi parole dell'illustre let- terato Salvatore Betti, tolte dal dialogo, che gli piacque dettare intorno al ragionamento che ha per titolo : Sulla vera tragedia greca per opera d'Eschilo.,, Gli è que- sto un libretto d'oro (dice il Betti) che in si piccola mo- le racchiude di molti avvisi e dotti e sottili ; nò dob- biamo darcene maraviglia ; eh' esso è lavoro di quel nobile ingegno del marchese Cesare Lucchesini. E certo non poteva il chiarissimo cavaliere trovare a scriver materia o più leggiadra o più ampia : disputando egli le cose si d'Eschilo si della greca tragedia , la quale ne' suoi principj umilissima , si recò per opera prin- cipale di quel venerando ateniese all' altezza , che fe- ce poi tanto gloriosa l'età di Sofocle, d'Euripide, e di quegli altri. ,, Anche i versi deli' immenso tebano davano oc- 484 Letteratura casionc al Lucchesini dì mostrare il valor suo nelle cose greche e italiane : che uscivano alla luce da lui tradotte le Olimpiche , la prima e seconda Pi- zia , e la terza Istmia. Anche di questa versione parlò il Betti in una sua lettera diretta allo stes- so traduttore : della quale riportiamo i seguenti bra- ni, acciocché i nostri leggitori vedano con quale af- fettuosa amicizia , e ad un tempo con quale nobile franchezza si parlasse da un dotto ad altro dotto : del che gik egli , il Lucchesini , non gli volle aver ma- le , ma crebbe anzi ogni di pivi in lui la stima e l'amore verso il nobilissimo letterato. ,, Dono più gentile e più caro non poteva giun- ,, germi , chiarissimo sig. marchese , di quello che la ,, vostra cortesia ha ora voluto farmi : dico delle odi ,, olimpiche e di alcune altre di Pindaro : le quali ,, avendo voi tradotte nel volgar nostro , v'è piaciuto „ finalmente permettere che sieno pubblicate. Egre- -tt gio lavoro, e degno veramente di voi dottissimo, e ,, delle lettere nostre: di queste lettere, che oggi più ,, che in altro tempo vogliono essere richiamate da' ,, pietosi italiani all' ossequio di quegli antichi esem- „ plari , da' quali senza grave pericolo non possono „ dilungarsi : perciocché terrò sempre con Aristotile, ., che tutte le arti , giunte che sieno a certo grado „ di perfezione , ivi si posano , ed ivi hanno la loro ,, natura. Halla quale opinione non potranno rimuo- ,, vermi ne le satire ne le dicerie di coloro, che no- „ minandosi arrogantemente maestri e riformatori, in- „ tendono solo ad abbattere ciò , che i nostri padri ,, ci edificarono con la filosofia e con l'esperienza di ,, tanti secoli; ,, E soggiunge più sotto: ,, Io non osc- „ rò dirvi, sig, marchese, che per voi ci sia stato dato ,, in ogni sua parte il Pindaro italiano : che se il di- „ cessi , so bene che voi non mi dareste fede , voi Elogio dt C. Lucchesini 185 ,1, che gran maestro di greco , sapete a quale stretto ,,, partito conviene che trovisi troppo spesso chiun- „ que voglia alcuna dimestichezza con Pindaro. ,, E seguita con urbanità censurando qua e la in questo lavoro l'uso troppo frequente delle parole composte e delle forzate trasposizioni. Ci rimane ancora a parlare di due suoi lavori, che furono gli estremi , cioè ili una sua lettera pel tempietto ad onore degli uomini illustri lucchesi in- nalzato dal marchese Mazzarosa in una sua villa , e di una lezione intorno il verso di Dante ,, Poscia pili che '1 dolor potè il e del prof. Cosimo Calvelli. Prima edizione* Firenze per Coen e Comp. ^ 832. u. uo da' più antichi componimenti è certamente la favola ; ne piìi acconcia veste potresti porre alla ve- rità , la quale non piace nuda se non a pochi ama- tori. Pare che il sapientissimo Socrate ne abbia fatto gran pregio, se vero è che, prescrittogli il poetare da ora- coli, recò in versi una favola già composta da Esopo (1). Ne dal suo secolo al nostro fu mai penuria in nessun luo- go; ma delle nuove e profittevoli non siam ricchi a dir vero : cosa da farsene maraviglia chi ben consideri non restarne quasi altra via a deplorare le universali cala- mita, e quello che le moltiplica, il vizio. Si vuole dun- que esser grati al prof. Cosimo Calvelli, che ha pub- blicate poc' anzi cento e una favola , e accompagnatele con eruditissima prefazione . Dalla XCVII e dalla semplicità di più altre congetturiamo lui dover esser giovine: e quindi togliendo in prestito le parole del suo saccente usignuolo , diremo „ Che nel suo canto il male è assai minore ,, Del bene, e non gran tempo scorrerà ,, Che musico eccellente diverrà : ,, E , se talvolta or falla , compatito „ Esser deve e a far meglio incoraggito. „ (0 V. D. Laerzio nella vita di Socrate , e come il som- mo Dérossi iuterpieli Io 67ro/i>nio sig. card. Giuseppe Maria Velzi dalla sapienza di Gre- gorio XFI P. O. 31. innalzato testé all' onore della sacra por- pora. Il che si l'uoh notare i/ui a cagione di giusta lode. G.A.T.LIV. 1G 2/i2 Varietà' Praelectiones elemenlares logico- metaphyslcae qnas eclectice sids tradebat auditoribus Dominicus Bruschelli ex min. conuen- tualiunifnntilia, sacrae theologiae doctor ac regens, in pon- tificia perusina universitate philosophiae publiciu professor. Maceratne ei ojjina Ben. q. Ant. Cortesi i83i. Il p. Domenico Bruschelli , dopo aver saputo meritare i suf- fragai del pubblico colla versione delle due opere di Lau- rentie -Introduzione alla filosofia - Dello studio e insegnamento delle lettere - , si presenta ora egli slesso , come autore , eoa questo corso di legioni logico -metafisiche. Foi se alcuno avreb- be desiderato , che quest' opera a differenza degli antichi suoi conh-alelli, il ferrarese Lorenzo Altieri , ed il romano Giu- seppe Tamagna , venisse scritta in lingua italiana : ma oltrec- chè il genere di questi lavori è tale da dover correre per le mani dei dotti di tutte le nazioni , egli poi doveva farlo an- cora per dovere di uffiizio nella sua rappresentanza di pub- Mico professore di una delle università principali dello stato della chiesa, cui per sovrano comandamento di Leone XII ve- niva imposto tale obbligo per le opere tutte da leggersi nelle pubbliche scuole, o da pubblicarsi. Ciò premesso diremo , per quanto almeno a noi ne sembra , che l'opera presente è det- tata con mollo criterio, e con quel lucido ordine voluto dal Venosino , il che è pregio princlpalissìmo di tali lavori. Il perchè non dubitiamo affermare , che questa nuova fatica dell'illustre claustrale non sia per tornar utile ad ogni maniera di persone, ed in parlicolar modo alla gioventù, por cui ap- punto venne scritta e pubblicata. Rime postume inedite del cavalier Giuseppe Tambroni. Macerata presso Gius, di Ant. Cortesi iSSa. INoi sappiamo grado al sig. Ernesto Tambroni, il quale nel presentare la repubblica delle letter e di alcune rime del fu chiurJssiiao suo genitore, ci ha veramente rallcjj-rati cou V A n I K T A 2/,3 le medesime, perchè piene di eleganza, e di quell'aura poe- tica , che pare ora divenuta si rara. Queste rime ci sem- brano tanto più belle , quanto che sono tutte fiorite di que' modi , onde fu veramente grande il venosino , poeta che fra i latini è a noi sovra ogni altro carissimo . Avremmo però desiderato , che il sig. Tanibroni non annunziasse per inedite alcune di queste poesie, le quali già videro due, e fino tre edizioni : e tali sono il componimento a Carlo Za- noli , il quale si legge nel tomo V dello Spettatore, divisola parte sti-aniera e in parte italiana. Milano , presso A. F. stella 1816 a pag. iSy. Quest' ode stessa fu poi stampata in Milano dalla società tipografica de'classici italiani nel 1822 nel Florilegio poetico moderno , ossia scelta di poesie di settanta autori viventi, volume 2 pag. 2o5. L' altpi ode a Rosa Tad- dei fu impressa la prima volta iu Roma colla ver.sione latina di Paolo Barola , ed inserita nella raccolta , che porla il se- guente titolo - A Rosa Taddci poetessa estemporanea , ver- si. Roma 18x7 nella stamperia De-Romanis. Quest'ode ven- ne pubblicata la seconda volta nello Spettatore tom. X an- no 1818 a pag. I , ed è pure seguita dalla traduzione del Ba- rola. Vide finalmente la luce per la terza volta nel Florile- gio voi. 2 a car. 207. Se le rimanenti poesie sieno o no tutte inedile , non osiamo affermarlo , non esendo ciò a no- stra notizia. Offriamo intanto a'noslri leggitori, per nuovo sag- gio dal valore poetico dell 'illustre bolognese , la seguente. ODE A Teresa Tambroni. nel i8i8 N on io dei numi il simulacro e l'ara Empio spogliai ; né di calunnie fabbro D'innocenti oppressor per sete avara Menti mio labbro^ Non della vecchia genitrice infame Pairicida insultai al crin canuto. Né lei dannando a disonesta fame Ho me pasciuto. ^44 Varietà' Pur d'avversa fortuna aspro flagello M'incalza e fiede con furore iniquo ; E i falsi amici or guatano il mio ostello Con occhio obliquo. Corre la ruota della umana vita , E tal dal fango innalza ad alle cime, E tal , che splende per ricchezza avita , Subita opprime. Vano è sperar senza virtù conforto Nel mar fremente, che guaggiù civolve. Se regi e plebe in afferrando il porto Non siam che polve. Virtù trapassa con securo volo Illesa il flutto , e segna orma lucente , Qual striscia l'astro per le vie del polo Rapidamente. I beni adunque della diva instabile Esca non sono che di spirto ignobile , Mentre l'altra tesor dona immutabile Di premio nobile. E questa io seguirò , se te mi serbi Non pieghevol con prece il duro fato, Oh ! dolce sposa ; oh ! de' miei mali acerbi Balsamo grato. Teco pago sarò u' a febbre inferna É sacro il suolo nel palustre Lazio: Teco sul bianco per la neve eterna Monte Sabazio, Che se il destino cesserà sua guerra, Beati poseremo in umil tetto Sul picciol Ren , nella paterna terra D'arti ricetto. Di poche glebe un campo appo la sponda Della povera d'acque Avesa antica Aspetta di mia man con Cerer bionda L'ulil fatica. Varietà' 245 Presso al rùstici lari assisa intanto Tue domestiche cure e i nostri affanni , In mezzo ai figli , allevierai col canto De' tuoi verdi anni. E a te cui santo amor «li patria cuoce Di Codro io parlerò la illustre morte , E i Fabj, e i Deci , o di Caton l'atroce Anima forte. Muzz^RELrJ. AI SIGNORI EDITORI DEL GIORNALE ARCADICO Giuseppe Ignazio Montanari. Signori. Xilcuni I errori caduti nella lettera da me diretta a S. E. monsig. Muzzarelli mi obbligano di pregare la gentilezza vostra a vo- lere inserire nel seg'nente voluiiìe queste correzioni. A pagina 322 linea ultima : e non sento quasi di quegli studi stessi : corrcgasi , e non sentiva quasi alcun allei> lamento dì quegli studi stessi. A pagina 332 linea 8: mi piacesse ripetere correggasi mt spiacesse ripetere. A pag. 535 linea aj ; contiene che non vachino correggasi conviene che non si varchino. Nella lettera poi a me diretta dal chiarissimo prof Mon- talti pag. 340 vi è tale errore, che ha mosso lo stesso auto- re a scrìvermene alcune parole di lagnanza. Mi spiacc che si manchi alla correzione , perchè se questa mancanza nou fos- se io non avrei a dolermi giustamente, che alia parola con^ fovebo siasi sostituito quell'orrendo sollecismo del conferebo , il quale oltre al non legar punto col mio concetto , non ha forse esempio in tutta la storia della latina barbarie. Correggasi adunque il cOnferebo che sta nella pag. 34i linea 4> e scrivasi conjbvebo. Se dalla gentilezza vostra, o signori, otterrò che al pub. blico si mostrino queste correzioni , io yc ne sarò infinita- mente tenuto. Infraltnnto con vera stima a voi mi oflero. Di Pesaro 19 ottobre iSaa. INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL TOMO LTV DEL GIORNALE ARCADICO. Nota fife* compilatori del giornale. SCIENZE. Santarelli , Congetture intorno alle leve organi- che della vita. -. pag. 1 Nota , Tremuoto avvenuto nella città e provin- cia di S. Remo ^.33 Pungileoni, Congetture su i sogni e sul sonnam- bolismo /?. 3T Mauri , Due funghi mangerecci de' contorni di Roma >y. G3 LETTERATURA. Borghesi^ Intorno a due tessere gladiatorie con- solari yo. 66 J^accolini , Osservazioni sul bello {art. IV^ p. 99 Wiseman^ Sulla cattedra di S. Pietro in Roma. Risposta a ladj Morgan. ■. p. \\2 Illustrazione di alcuni versi di Dante sul buli- came di Viterbo . /?. 135 Biondi^ Traduzione della Georgica di F'irgilio. p. 156 A. Z. , Saggio sulla storia della letteratura ita- liana /;. 175 Muzzarelli , Elogio di Cesare Lucchesini i p. iT7 Memorie di monsig. Giuseppe Baraldi. . . /?. 186 Albarelli- f^or doni , Nuovi versi /;. 1 89 Mortillaro ^ Studio bibliografico yy. 189 Fea , Iscrizione antica corretta p. 203 Calvelli , Favole nuove p. 205 B ELLE-ARTI. Biondi , Discorso letto alla R. accc^demia delle belle arti di T'orino: . , . . i . i p. 2oT Lettera al eh. Fea sugli attuali lavori per la di- versione del fiume Aniene in Tivoli . . /?- 219 f^arietà. Tavole meteorologiche. KIHIL OBSTAT Ab. D. Pauliis Delsiijnore Gens. Theol. NIHIL OBSTAT Petrus Lupi Med. Colleg. NIIIIL OBSTAT Petrus Odescalclii Gens. Philolo£ I I\I P R I 31 A T U R Fr. Dom. Buttaoni O. P. M. S. P. A. IMPRIMAT U R Jos. Della Porta Patr. Gonst. Vie « Osservazioni Metereolo^icìit. )( Collegio Ixnmano j[ Gennaro i83 1 .1 °'' a mat. Baromet. Terni, eslfino 0 2 0 5 0 Termo JllOX. metro min. 1 Igrom. Vento Pioggia Evapor. : Slato del Cielo coperto lyp.iil -.2 5 r. 0 0 5 N. ni od. „ del>. 5 11.00 ( li 0 5 ^ mat. 8'- ser. 1 5'- 1 4-er. 5, « 8 6 0 3 2 1 2 1 2 4 6 8 I Il II 0 70 1 riseliinialo „ lo » 9 » 8 1 5 3 2 6 6 3 G 7 0 8 5 NE.,i.o N. „ ,1 J. 1» i> " «) n'Ìve. „ N. „ 0 5 ser.nur.sjiaise eliiarissiiuo sercn.HiiT.-iparse nuvoloso ser.nuvol. sparse .. 9 )t li a8 o 7 13 3 1 0 8 , mat. [ «er. ^mat: " 3) 27 11 28 0 1 0 5 0 1 5 6 r. 4 0 7 1 13 7 5 i5 3 ! 1 1 1 2 2 8 6 5 0 9 10 " " 1 2 chiarissitiio coperto fa . 27 11 )) 1U 4 0 8 5 9 5 7 6' 5' 10 8 9 3 12 8 8 12 6 2 3 9 •'' 6 2 10 2 0 6 3 n'ne'.' „ SE. „ I 00 I 5 >. 9 6 6 T 5 8 5 0 4 10 i 2 1 2 Io Io 13 lo „ m. 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Il sig. di Tournon per contrario, che non volle fermarsi a false apparenze e ripetere le al- trui cantilene , come già fatto avea della nostra agri- cultura , cosi adoperò quanto all' industria ed al com- mercio , vale a dire radunò fatti e spesegli con tutta schiettezza. Egli in tre distinti articoli va noverando le manifatture de' prodotti de' tre regni vegetale, ani- male e minerale , e ne accenna la quantità del va- lore , non che alcuni di que' perfezionamenti ciie vi si potrcLbero introdurre. Seguitando ciò che adope- rato abbiamo pe' libri precedenti , verremo compcn- G.A.T.LIV. 1? 254 Scienze clianclo quanto sembraci più notabile In questo slatl- stico lavoro. Il lino e la canapa è principalmente adoperata a formar tele, però piuttosto grossolane : cbc le più line vengono di Gei>mania. Una porzion della ca- napa è ancora usata per la fabbricazion de' cordami , il cui valore in tutto il dijiartiraento potea nel 1813 toccare i 70 mila scudi , quanti precisamente ne ab- bisognavano per l'interna consumazione. Pio VI in- coraggiò quanto più seppe l'industria del cotone, isti- tuendo a spese del tesoro in fabbriche camerali de- gli opillcj di quel vegetale : i francesi non si ado- perarono meno perchè prosperasse: una tal cultura: venne però abbandonata , conoscendosi che non tornava a conto se noii quando il commercio marittimo fosse im- pedito. Undici cartiere contavansi nel momento in che scriveva l'A.. a Roma, Ronciglionc , Viterbo, Braccian Tivoli e Subiaco : ora sono esse accresciute e ge- neralmente nelle provincie pontificie la fabbricazione della carta è giunta molto innanzi. Una cartiera ca- merale principalmente per la carta di bollo fu sta- bilita in S. Sisto nel 1816, ma il governo annual- mente vi scapita parecchie migliaja di scudi e ne rimane tuttora dublaia l'utilità. Tredici stamperie no- veravansi in Roma il 1813 : or sono salite fino a diciassette , non contando le private , e ve ne hanno fra queste di pregevoli. Pio VI diede forti incoraggiamenti alla fabbri- cazione delle lane. L'A. valuta a 2,250,000 libbre la lana prodotta dalle gieggi romane, delle quali una meta era a' suoi tempi filata e tessuta nel paese, la rimanente portata via. L'industria lanaria , dopo gì' im- pulsi dati dal pontefice suUodato, moltiplicò notabil- mente in Roma, e gran parto della popolazion povera vive di cardare, di filare e tessere lane. Quindi per la Statistica di Roma 255 ìntroduzlon delle macchine avvenuta recenteraerite era rimasto senza lavori qualche migliajo di siffatti ope- raj. Il pontefice Gregorio XVI volle che il maggior numero possibile di questi infelici ricevesse onde tra- vagliare e vivere nel grand' ospizio apostolico di S. Mi- chele , che ha l'officina lanaria piìi antica di quante sono in Roma, e certamente una delle più belle , più ampie e più comode che sieno in Italia. L'A. lagnasi che in Roma non v'abbiano buoni tintori : ma fin- che noi non avremo una scuola di chimica appli- cata alle arti , questa come assai altre rimarranno sem- pre bambine. Fabbricano i nostri calze di lane e be- rettini che tingonsi in rosso e mandatisi in levante. L'unica fabbrica di arazzi tanto in figure quanto in ornati, ancor più antica di quella di Gobelins in Fran- cia, ^ a S, Michele ora risorta con ottimi auspicj per le cure dell' egregio monsig. Tosti presidente e re- stauratore di queir immenso istituto, eh' è la prima scuola di arti e mestieri che siasi veduta in Italia , anzi in Europa , creata dal carità e dal genio de' papi. Le fabbriche de* cappelli , de' guanti e delle cere dal tempo in che scrisse il di Tournon sonosi im- mensamente migliorate. Fosse altrettanto avvenuto delle pelli , che non possono affatto sostenere la concor- renza de' bei raarrocchini di Francia! Un prodotto ani- male , che negli altri paesi h senza pregio, diviene a Roma un' importantissima impresa. GÌ' intestini di 70 mila agnelli, che nutriscono i romani sulla Pasqua , sono diligentemente raccolti e dopo lunghe e delicate operazioni trafonnansi in corde armoniche , richieste da tutti i musici dell' Europa. Qualche fabbrica di siffatte corde si è istituita recentemente anche in Na- poli , ma non sembra che le napoletane possano so- stenere il paragone delle romane. Le manifatture di 17* 256 Scienze seta hanno anch' esse di molto mcgliorato. Nove tin- torie in Roma danno loro i colori. L'abbondanza delle legna ha determinato i ro- mani ad occuparsi dei travagli del ferro. La prossi- ma isola dell' Elba ne fornisce a dovizia. Una mi- niera evvi ancora nelle vicinanze della Tolfa , che vuoisi attualmente saggiare. Sono ferriere a Conca , a Ronciglione , a Canino , a Bracciano , a Grottaferra- ta , a Viterbo, a Terni , a Sutri ec- , ed un istituto di manifatture in ferro è stato recentemente aperto nella villa Mecenate dai sigg. Graziosi e Carlandi, che prin- cipalmente fabbrica le viti mordenti o a legno di ogni grado. La pia casa d'industria ha fornito a questo beli' opifìcio , che onora Roma , sessanta de'suoi alun- ni. L' A. fa ammontare a 220 mila scudi i prodotti dell' industria del ferro. Non dubitiamo che questa è ora accresciuta : ma non abbiamo di presente il modo di accertarci a qual somma sia giunta. L'orificeria ò fra le industrie piiì notabili di Roma. I lavori in oro ed argento, che si eseguiscono in forse dugento odiclne, sono d'una finezza e d'un gusto singolare. Non avviene altrettanto de' vasellami di terra , e Roma ne domanda alla Francia e all' Inghilterra; sebbene a Civi- ta-Castellana ve ne abbia della medesima qualitk che a Wedg-vvood. Di cristalli e vetri istituì un' assai bella fabbrica Vincenzo Nelli, trasportata poi a Poggio Mir- teto in Sabina per avervi piìi pronte le legna. L'espe- rienza però ha fatto conoscere che tali fabbriche non possono prosperare in paesi di provincia, ove non si hanno pronti quegli artisti che pur troppo frequen- temente vi occorrono. L'allume è stato lungo tempo uno dfc'prodotti minerali piiì ricchi del paese : le miniere del- la Tolfa, scoperte il 1508 sotto Giulio II, ne hanno da- to all' Europa di una qualità riputata la più pura. Ma dappoiché si cominciò a fabbricare l'allume artillcia- Statistica di Roma 257 le, l'esportazion dell' allume diminuì: e dovea tosto abbassarsene il prezzo , perchè potesse utilmente veni- re in concorrenza coli' artefatto. Una fabbrica di ve- triolo è presso Viterbo : il gesso cavasi a Civitavec- chia e a Corneto : la pozzolana trovasi pressoché in tutti i luoghi del paese; flnalnrente le pietre da co- struzione, come tufo , lava , peperino , travertino, hai • nosi in grande abbondanza ; d'onde avviene che le fab- briche romane sieno più solide che nelle altre capi- tali dell' Europa. Se Roma dunque non può inorgoglire per le sue manifatture, non è poi tanto indietro quant' altri sei crede. Essa veramente non dipende dagli stranieri, che per gli oggetti di lusso. Ha Roma però il vantaggio sugli altri paesi di possedere una branca d'industria, che l'è tutta propria, che ninna forza potrebbe toglier- le , che sempre più prospera. Tal è l'industria che procede dalle arti del disegno sia nel restauro di vec- chie statue , che tutto dì gli scavi mettono in luce mutilate : sia nello imitare gli antichi monumenti in piccole proporzioni, sia nel preparar marmi per opere maggiori. Non meno di dugento artisti vivevano nel 1813 di questi travagli. Offrono inoltre un prodotto con- siderabile la dipintura degli appartamenti , la scajo- la , l'incisione, i camei, ed i musaici , arte tuttaquanla romana, che eterna i capi d'opera de' gran maestri, e vorrebbe attualmente essere un pò meglio inco- raggila , perchè non mancasse. Queste arti alimentavano non meno che un mezzo raigliajo d'individui. Le belle arti ancora debbono considerarsi qual ricchezza non meno che qual glcria di Roma. I pontefici le hanno generosamente protette : fra i quali nomineremo pre- cipuamente Clemente XI istitutore della calcografìa camerale , che acquista i rami dagli artisti e ne spac- cia gli esemplari a proprio conto. Nel 1810 essa pos- 258 Scienze sedeva 7824 rami , cioè un capitale di sopra 62 mila scudi , il magazzino delle stampe era stimato 30 mila, la vendita media di coleste stampe era circa i 3 mila all'anno, le spese dell' amministrazione 500 scudi. Passata in rivista l'industria romana, tocca l'A. in un breve capitolo del commercio. Questa provin- cia ha un soprappiù in grani, cavalli, montoni, la- ne , legna , carbone , formaggi, soda , zolfo , allumi , oggetti d'arti. Essa non produce abbastanza di tele, di drappi fini , di stoffe di seta , di carte , di la- me , di buoi , di majali , d'olio , di frutti secchi ec. Finalmente ha d'uopo dello straniero pe' generi co- loniali , medicinali , e tintoriali , vini fini , pesci sa- lati , porcellane , cristalli ec. Il suo commercio eser- citasi o colle altre province pontificie, e non può af- fatto determinarsi ; o cogli stranieri , ed i registri do- ganali possono somministrarci qualcosa. Il commercio di terra che hassi con Napoli e colla Toscana è poco considerabile. Importantissimo potrebbe essere il ma- rittimo in una provincia che ha un fiume navigabile per cento miglia ed un tratto di mare di cencin- quanta. I navigli di 190 tonnellate entrano a Fiumi- cino : que' di 400 nel porto di Civitavecchia. Non ostan- te questi vantaggi la marina romana riducesi a po- che barche di pescatori, e gli stranieri fan tutti i tra- sporti. Avanti la guerra marittima codesta provincia esportava in grano , lane , allume , zolfo , pozzolana , carbone ec. circa un milion di piastre. Al medesima tempo si traevano di Francia drappi , sete , vini , ge- neri coloniali ec. per 300 mila piastre : gì' inglesi ne introducevano 400 mila di drappi , chincaglierie, vetri , pesci salumi : gli olandesi 240 mila di salumi e generi coloniali : gli americani 60 mila di merluzzo e coloniali ; finalmente i greci , gli spagnuoli e gli altri italiani fornivano frulli secchi , olio ed altre der- Statistica di Roma 259 rate per ''+00 mila piastre ; quindi potea valutarsi a uu milione e quattrocento mila scudi la totale importa- zione. Ma poiché parte di quelle merci recavansi alle Provincie di Spoleto e di Perugia, gli abitanti della romana non doveano ritenerne più di un milione : som- ma eguale all' esportazione. I/ararainistrazion francese stabili irbunali di commercio, oltre quello già da Be- nedetto XIV posto a Civitavecchia : i pontefici li man- tennero , e recentemente ancor vi si aggiunsero ca- mex'e di commercianti. Dopoché l'A. ha in tre distinti libri descritto il paese oggetto de' suoi studj , quanto ai suoi rapporti materiali, viene ad esaminarlo in ciò che concerne lo stato morale , politico e religioso. Se non che egli medesimo confessa che i suoi fatti, appellando a'tem- pi piuttosto antichi, non porgono il quadro esatto di ciò che è; tantopiù che cangiamenti notabili sono stati fatti negli ultimi anni. Inoltre cotesto quarto libro dell' opero, che s'intitola del governo e dell' ammini- strazione, contiene qua e la qualche abbaglio. Del che non daremo carico al sig. di Tournon, dappoiché il governo papale, quand'egli scriveva, non era più e quindi non potè osservare di per se , ma dipendere al tutto dagli altrui racconti. Noi dunque tralasceremo tutto questo tratto dell' opera, e passeremo a breve- mente rapportare alcuni dati statistici riguardo al nu- mero degli ecclesiastiaci ed ai loro beni, che possono essere di non lieve utilità. Venti vescovadi e due abbazie erano ( e son tut- tora ) nell'antico dipartimento di Roma, e l'A. nota quanto tenui ne sieno le rendite. Nel 1813 conta vansi in Roma tredici capitoli che si componevano di 172 canonici, 105 beneiiciati , Gì chierici e 69 cappella- ni : in tutto 407 ecclesiastici. La total rendita di cotesti capitoli era di poc' oltre i 100 mila scudi , 260 Scienze che ripartiti sopra 400 individui danno ima ben te- nue porzione. Noveravansi nelle diocesi 27 capitoli cat- tedrali, 81 collegiali , che nel 184 0 aveano 1,120 ca- nonici, e 290 beneficiati , cioè 1410 ecclesiastici. La rendita complessiva di questi stabilimenti era di cir- ca 110 mila scudi: cosicché la media d'un individuo toccava appena ottanta scudi all' anno. In Roma i cu- rati, avanti la riforma di Leone XII che ridusseli a 54, erano 81. La loro rendita era molto variabile, e vi aveano di alcuni che nella capitale del mondo cat- tolico esercitando un ministero tanto angusto appena bastavano a sostentarsi. Nelle diocesi della provincia v'erano 582 parrocchie assistite da altrettanti parro- chi , non che da 1474 vicarii ed altri preti. La ren- dita maggiore di queste cure era di 220 scudi , e ve ne aveano di soli 60 scudi. Ventitre seminar] , (compresavi l'accademia ecclesiastica per gli aspiranti alla prelatura) contenevano 627 allievi, e godevano una rendita di poco oltre i 25 mila scudi. Il clero re- golare contava a Roma, nel 1810, 119 conventi con- tenenti 1463 religiosi. Gli ordini mendicanti assor- bivano più d' un terzo di questo numero , imperoc- ché nelle loro case vivea la maggior popolazione clau- strale. Le case religiose possidenti godevano di 170 mila scudi di rendita complessiva, ed aveano circa 1000 individui : dimodoché se vi togli le spese del cullo , di amministrazione e di manutenzion delle fabbriche , rimane quanto appena bastasse a sostentarli. Fuori di Roma noveravansi 240 conventi, popolati da 1733 re- ligiosi, de' (piali un terzo appartenente agli ordini mendicanti. Tutti codesti luoghi eran poveri , eccetto la Certosa di Trisulti che avea circa 18 mila scudi, e S. Scolastica a Subiaco 9 mila. La rendita di tulli questi monasteri montava a 100 mila scudi, che ri- partiti su 1000 individui ( escludendo dal novero i mcn- Statistica di Roma 261 Oìcanti ) da una somma appena sufficiente a satisfa- re i principali bisogni della vita. Ciononostante i re- ligiosi nel momento della loro abolizione testimonia- vano il dispiacere della secolarizzazione, e domanda- vano con grand' istanza di vivere provvisoramcnte in comune. I monasteri in Roma nel 184 0 erano 26, po- polati da 1131 religiose. Cotesti luoghi pii, tranne S. Do- menico e Sisto , Tordispecchi , e S. Silvestro in ca- pite , eran piuttosto poveri. Fuori di Roma conta- vansi 73 case, che aveano 1,52G monache. Ricapito- lando il numero delle persone consacrate a Dio, si ha un totale di circa 10,000, ch'era la cinquantesima ter- za parte della intiera popolazione. Nel 1797 il clero possedeva, nella provincia che descrive l'A. , 15 milioni è più di immobili, e la totalità de' beni ecceslastici in tutto lo stato giungeva a 42 milioni di piastre : ai quali uniti i crediti del clero sul tesoro , che davano un' annua rendita di 1 50 mila scudi , cioè tre altri mi- lioni di capitali , si avrà un tutto di 45 milioni. Ma dopo queir epoca i beni del clero per le sopravve- nute Vicende si sono immensamente diminuiti , cosic- ché bassi dalle più recenti statistiche che in nessuna parte del mondo cattolico, come in Italia, il clero gode beni più limitati e meglio distribuiti. Trapassando l'A. a discorrere delle finanze, fa sul bel principio osservare come nello slato pontifìcio i pubblici pesi fossero egualmente sopportati da lutti senza eccezioni e privilegj , il che ha fatto in al- tri paesi d'Europa ammassare gran beni in poche mani. Fornisce quindi innanzi tutto un quadro delle pub- bliche rendite dirette ed indirette nel 1 808, e ciò com- plessivamente pe' due dipartimenti di Roma e del Tra- simeno , che in quel tempo può dirsi formassero tutto lo stato papale. I dazi diretti davano annualmente 1,580 mila scudi, gì' indiretti 1,873 mila. A questi deb- 262 Scienze bonsi aggiungere i beni camerali che rendevano 123 mila scudi: cosicché bassi un insieme di 3,576 mila scudi che si cavavano da 900 mila abitanti. Occu- pate ancor quelle province dall'armata francese, si volle primieramente ben distinguere l'imposta pubblica dalla comunitativa , poiché Roma ancora ebbe il suo co- mune. La rendita che l'impero cavò dal dipartimento di Roma nel 4812 sia diretta, sia indiretta , sia de* beni pubblici, fu di due milioni di piastre. Essa però veniva interamente assorbita dalla spese : di modo che soventi volte avvenne che non bastasse, ed a vantaggio di Roma supplirono i dipartimenti vicini. Il consumo delle ren- dite sul luogo medesimo rendeva facile la percezion dell'imposta, e manteneva una rapida circolazione. Avanti l'invasion francese Roma non avea ne rendite , nò amministrazion comunale, e le spese senza l'intervento d'alcun corpo rappresentativo della citta si toglievurìo dal pubblico tesoro, e regolavansi, dagli stessi mini- stri del sovrano. I francesi istituirono in Roma un con- siglio municipale, ragunandovi tutti i principa li citta- dini. Furono ben determinate le rendite e le spese del comune. Le principali fonti erano le seguenti: Dazio di consumo ...-.% . fr. 2,300,000 Ediflcj comunali 20,000 Dritto su i grani 230,000 Affitto de' mercati . 16,000 Vendita delle acque 28,000 Vendita della neve 24,000 Tassa sni cavalli 72,000 Dritto sulle greggi transitanti • . . . 35,000 Totale 2,725,000. Statistica di Roma 2C3 Codeste rendite erano impiegate nel modo che seguita: Mantenimento delle chiese . . . fr. 300,000 Sovvenzione agli ospedali /i50,000 Soccorsi a domicilio 220,000 Deposito di mendicicita 40,000 Pensioni agi' impiegati 50,000 Istruzione pubblica 256,000 Sovvenzione ad teatro 45,000 Restauri ed abbellimenti 500,000 Mantenimento de' pubblici edificj - . . 50,000 Mantenimento delle fontane 40,000 Illuminazione della citta ..».«» 100,000 Pompieri 17,000 Totale 2,068,000. Il rimanente s'impiegava in ispese di amministrazio- ne , di polizia e sicurezza pubblica , negli alloggia- menti militari , ne' lastrici , e nelle vie vicinali. la questo modo si provvidero tutti i bisogni d'una gran citta : e l'A. dice che sebbene i cittadini non fossero educati a quella sorta di affari , nulladimeno essi an- darono così prosperamente , che in due anni 1' am- ministrazion cumunale romana raggiunse le migliori del- la Francia. La partecipazione, conchiude l'A., di tanti uomini onorevoli ad un' azienda gratuita e faticosa smentisce solennemente il rimprovero che dassi ai ro- mani di non essere adatti ai pubblici affari. Ha Roma due università, la sapienza e il collegio ro- mano. La prima fu fondata da Bonifazio Vili i l 1 303, restaurata da Eugenio IV, ed ampliata da Leon X. Ales- sandro VII compi la fabbrica attuale e l'arrichi d'una biblioteca. I francesi accrebbero qualche poco gli 264 Scienze onorarj de' professori : Leone XII compiè l'opera e dotò l'università di 24600 scudi annui, compartendoli in un suo Lei chirogafo ai professori , ai gabinetti , alla bi- blioteca , ed alla chiesa. Attualmente sono 4G pro- fessori, cioè 7 della classe teologica , 8 della legale, 14 di medicina e chirurgia , H di filosofia, 6 di filo- logia. L'onorario de' professori varia da 200 a 400 scu- di. Il collegio romano fu fondato da Gregorio XIII e dato ai pp. gesuiti, i quali avendolo perduto per la soppressione , tornarono a goderlo sotto il pontificato di Leone XII. Vi s'insegnano le lettere latine ci me- todo dell' Alvaro, le lettere greche e le scienze filo- sofiche e teologiche : evvi anche un osservatorio astro- nomico. Inoltre per l'educazione degli ecclesiastici v'è in Roma il collegio di propaganda , fondato il 1622 da Gregorio XV, il seminario romano e l'altro di S. Pietro. Per l'istruzione della nobiltà fu renduto da Leone XII ai pp. gesuiti il collegio Borromeo, essendo stato abo- lito il dementino diretto dai pp. somaschi. I pp. sco- lopj hanno il collegio Nazareno pe' nobili, cui e unito il Calasanzio per i giovani privati. Il collegio Ghisileri e un piccolo istituto che contiene ventiquattro soli alun- ni , e mandali a scuola dai pp. gesuiti. Neil' università gregoriana medesimamente vengono ad istruirsi gli ai- uni de'collegi germanìco-ungarico, capranicensc, pam- phili, scozzese, ibernese e gli orfanelli. Fuori di Homa non v'hanno che seminar] e qualche collegio di scolo- pj o gesuiti. L'istruzione precipuaaiente reggirasi sul latino , né si omette un poco d'istoria , di geografia , e di lingua italiana. Presentemente tra noi si coltivano con qualche calore le scienze naturali e la matematica: non però quanto dovrebbesi la statistica e l'economia. In Roma l'istruzion primaria gratuita è affidata ai religiosi. Due piccoli^^licei sono tenuti dagli scolopj , due dai pp. dottrinari , tre dai fratelli delle scuole cristiane. Statistica di Roma 265 Nelle scuole di questi ultimi in vece del latino insegnasi wn poco di disegno. V'hanno poi in Roma sessanta scuole regionarie tenute nelle private case de' maestri, dove i fanciulli d'ogni classe sono ammaestrati pagando una piccola pensione mensile. Queste dipendono dal card, vicario, hanno una deputazione che a suo nome le visita, e debl)ono per un' antica e non molto vantag- giosa consuetudine essere distanti fra loro cento canne architettoniche. Le femmine hanno le scuole delle mae- stre pie , non che altre maestre venali. Nella provincia non v'è piccolo paese che non abbia una scuola: im- perocché se v'è difetto nell' istruzione , è piuttosto ne* metodi , di quello che nel numero delle istituzioni. Fi- nalmente ha Roma per le belle arti l'illustre accadiemia di S. Luca fornita d'ottimi professori. Sebbene l'amministrazione della giustizia , sia ci- vile , sia criminale , abbia di molto variato coli' edit- to del 5 ottobre 1831, nulladimeno sarebbe utilissi- mo il rapportare in iscorcio quanto dice l'Ai, sul nostro antico sistema giudiciaiio. Imperocché dal pa- ragonare il vecchio ordine col nuovo risulterebbero viemmeglio i grandi vantaggi di questo, e quindi il de- bito di gratitudine all' ottimo nostro padre e sovra- no. Tre gradi di giurisdizione sono stati stabiliti dal novello regolamento, ed alcune volte un quarto per i giudizi di restituzione in intero. Il primo grado di giurisdizione è esercitato dai governatori ne' capoluo- ghi d'un governo , dagli assessori legali ne' capoluo- ghi d'una delegazione , e dai giudici conciliatori qe' capoluoghi d'una legazione. Tutti questi conoscono le pecuniarie fino ai dugento scudi, le cause di alimen- ti , di mercedi , di danni e di somraariissimo posses- sorio. I tribunali civili anch' essi, in primo grado di giurisdizione, giudicano collegialmente ne' capoluoghi di ciascuna provincia tutte le cause maggiori di du* 2GG Scienze g^nto scudi, quelle di valore indeterminato, quelle ove abbiano interesse i comuni di qualunque somma esse sieno: finalmente tutte le questioni ove trattasi di pur- gazione , di cancellamenti di riduzione o restrizione di vincoli ed ipoteche, di azioni ipotecarie , di gradua- torie , di concorso e rendiconto. Essi inoltre giudica- no in grado d'appello tutte le questioni decise dai governatori, assessori e giudici conciliatori. Cotesti tri- bunali civili sono composti di tre giudici nelle dele- gaz,ioni e di sei nelle legazioni , divisi in due turni. la Roma il tribunal civile chiamasi A. C. (Aposto- lica Camera) , ed ha, come gli altri delle provincie maggiori, due turni distinti, colla sola singolarità che tre giudici son prelati e tre laici. Inoltre in Roma si è voluto conservare il tribunale del campidoglio com- posto di tre giudici, che ha la medesima giurisdizion dell' A. C, da esercitarsi però fra i soli abitanti e cittadini romani. i' Nello stato si hanno due tribunali propriamente chiamati A' appello, l'uno in Bologna per le quattro legazioni di Bologna, Ferrara, Ravenna e Forlì : l'al- tro in Macerata per la legazione d'Urbino e Pesaro e per le delegazioni di Macerata, Ancona, Fermo, Ascoti e Camerino. Questi tribunali sono composti di sette giudici, e conoscono in secondo grado di giurisdizio- ne tutte le questioni decise in prima istanza dai tri- bunali civili , non che in terza ed ultima istanza le cause giudicate con sentenze difformi in primo grado dai governatori , assessori e conciliatori, ed in secon- do grado dai tribunali civili. Il tribunal d'appello per Roma e sua Comarca, non che per le delegazio- ni di Perugia , Spoleto , Rieti , Viterbo , Orvieto , Civitavecchia , Prosinone e Benevento, è la sacra rota romana. Essa componsi di dodici prelati, de'quali due sono tolti dalla Spagna , u io dalla Francia , uno dall* Statistica di Roma 267 Austria , uno dalla Toscana o da Perugia alternativa- mente , uno dal veneziano , uno da Ferrara , uno da Bologna , uno dalla Romagna , tre finalmente da Ro- ma. La sacra rota inoltre giudica in terzo ed ulti- mo grado le cause, che da un turno o sezione del medesimo tribunale sono state giudicate in secondo grado con sentenze difformi da quelle di prima istan- za , e medesimamente le cause giudicate con senten- ze difformi in prima istanza dai tribunali civili, ed in seconda dai tribunali d'appello. Il tribunal della segnatura formasi di sette prelati votanti , e ii'è pre- sidente un cardinale col titolo di prefetto . Esso conosce le dimanda di circoscrizione, le questioni di competenza fra i tribunali, l'unione o avocazion delle eause , le ricuse de' giudici per legittimo sospetto ; finalmente le diraande d'un nuovo appello pienamente devolutivo in grado di restituzione in intero. Cotesto benefizio della restituzione in intero non dassi che quando le cause oltrepassino i cinquanta scudi, e ab- biavi nel giudicato manifesta ingiustizia per essersi basato su documenti riconosciuti in appresso falsi, o per essersene rinvenuti di nuovi ed importanti, o per essersi contravenuta espressamente qualche legge. Ol- tre a ciò in Roma e nelle citta marittime e mer- cantili v'hanno i tribunali di commercio, composti d'un presidente giureconsulto e di due giudici commercianti, i quali conoscono e decidono in prima istanza tutte le cause mercantili di qualunque somma , come tri- bunali d'eccezione. Nello stesso regolamento furono aboliti i tribunali privilegiati dal fisco, ossia rev. ca- mera apostolica: ed in tal modo venne provvidamen- te a separarsi la facoltà giudiziaria dall' amministra- tiva. Tali cause ora decidonsi dai tribunali civili in prima istanza. Per l'appello si è voluto conservare il tribunale della piena camera , il quale però quando 268 Scienze revooiii ]a sentenza di prima istanza, da luogo ad nn ulteriore appello in terzo grado alla sacra rota. Tut- te le sentenze e decreti di qualunque tribunale essi sieno , debbono essere ragionati : tutti gli atti giu- diziari debbono scriversi in volgare, meno che ne'tri- tunali della rota, della segnatura e della camera, ne' quali' è conservato l'uso della lingua latina. Finalmenr te, per render più libero il corso della giustizia, è sta- la abolita la giurisdizion contenziosa dell' uditore del papa, sono slati tolti i giudici privativi e le speciali commissioni , die permettevano molte volte declinare dagli ordinari tribunali: sono slate soppresse le spor- tulij, ed assegnati ai giudici convenienti onorari. Neil' amministrazione della giustizia criminale si è fatto an- cor più : dappoiché si è pubblicato recentemente un editto su i delitti e sulle pene, che ha tolto via gl'in- nnmerevoli bandi generali e particolari, ed infrenato l'arbiitrio nel giudicare della vita , della liberta e dell' onore degli uomini. Anche un bel regolamento di pro- cedura penale è stato messo in luce , con che si è abolito II cieco inquisitorio, e data facoltà al reo di venire .in contestazione cogli accusatori e co' testimo- ni. I medesimi ti-ibunali civili , colla giunta d'un quar- to giudice amministrano la giustizia criminale nelle Provincie : solo in Roma v'hanno tribunali specialmen- te destinati alla repression de' delitti : tutti però col- legiali. Ora pensasi d'istituire un tribunal correzionale pe' minori delitti, onde non isviar l'attenzione degli altri dai delitti più gravi. E finalmente molto lode- vole il divisamento d'aver pubblicato tutte cotesto giudiziarie novità per via di semplici editti della se- greteria di stato, affine di conoscere su d'essi il co- mun sentimento dei savi, e procedere poi alla forma- zione d'un soddisfacente sistema. Le carceri, a cui facilmente corre il pensiero nel Statistica di Roma 2G0 •parlar ili penale giuslizia ci ricondurranno al nostro A. dal quale ci siamo brevemente dilungati. Egli di- ce aver trovato in Roma tali stabilimenti nello stato medesimo, in che erano a quell'epoca quasi da per tut- ta l'Europa. Anzi i papi in ciò (e noi niega) aveano preceduto tutti gli altri principi : talmentcclie l'Hov- vard, die peregrinò l'Europa e l'America visitando pri- gioni, asserisce il nostro carcere innocenziauo a via Giulia fondato nella meta del secolo XVII doversi no- verare fra i pili solidi e salubri. Noi anzi non cre- diamo dipartirci dal vero affermando, che ad un papa delibasi la prima idea delle famose prigioni peni- tenziali, di che tanto romore menasi oggidì nell'Ame- rica e nell'Europa. Clemente XI nel 1703 fé costruire il correzionale di s. Michele pe' giovani di età minori, in modo che ottiensi con un sol direttore quella fa- cile sorveglianza eh' è il più bel pregio delle peni- tenziali. In questo possono contenersi sessantaquattro individui, tutti in separate stanze : nel carcere nuovo a via Giulia, fino a settecento. Ma per introdurre in questo le necessarie divisioni fra i detenuti , osser- va l'A. che non deesi oltrepassare i cinquecento. Le prigioni segrete nel piano supremo dell'istituto , so- no alte , luminose , e ben arieggiate : quelle appella- te larghe, che occupano i piani inferiori, sono più o meno vaste : tutte però saluberrime. L'A. avrebbe de- siderato più spaziosi i cortili, e noi v'aggiungeremmo una qualche occupazione ai detenuti che tuttodì vi stanno oziosi. Nel carcere innocenziauo v'hanno i pre- venuti d'ambo i sessi in luoghi separati , ma conti- gui. Leon XII pensò trasferire dal correzionale di s. Mi- chele ad una nuova casa da lui fabbricata presso quel- la prigione tutti i giovani condannati , di età mino- ri. Questa contiene solo quaranta stanze: e se lascia qualcosa a desiderare quanto al suo materiale , la G.A.T.LIV. 18 270 Scienze nettezza, l'ordine, la disciplina, il travaglio e l'istru- zione necessaria che vi si ha, onorano immensamente e il pontefice che l'islitiù, e l'ottimo don Pietro de' principi Odoscalchi che con tanto zelo e carila la dirige. Il luogo che a s. Michele lasciarono vuoto i giovani trasportati costi , fu assegnato alle donne di vita disonorata condannate dalle curie vicarili. Im- perocché saggiamente si vollero separare le donne con- dannate per delitti comuni da cjuelle ree di violato costume. Queste, che sommano circa le ottanta , sì posero neir antico correzionale de' giovani: quelle ri" masero nella prigione all'uopo fabbricata il 1735 da Clemente XII. Le ultime sono più o meno dugento. L'A, biasima il carcere capitolino scuro , umido e malsano; e dice come i francesi ne facessero portar via i prigioni per debiti all' altro carcere del s, uf-* fìzio. Pochissimi individui, la più parte ecclesiastici, ottimamente alloggiati e trattati, si rinvennero dai fran-' cesi al s, uffizio ; ciocche l'A. nota appositamente per ismentire, con un fatto di che egli stesso fu testimo- nio, quanto si va tuttora spacciando dai nostri mali" gni delrattori del tribunale della inquisizione. Per gli ecclesiastici evvi un altro carcere a Corneto , detto Ergastolo^ dove son rinchiusi circa quaranta prigioni. Le galere ossia luoghi di condannati a pubblici la^^ vori sono ( favellando delle provincie componenti l'an- tico dipartimento di Roma) a Civitavecchia, a Cornea to, a Porto d'Anzo ed in Roma. I forzati fra Civi- tavecchia e Corneto superano di poco i mille ; due- gento ne hanno a Porto d'Anzo : trecento in Roma. Ai francesi costava un detenuto 5i/,„, di franco, cioè 9^ baiocchi. Ora la fornitura da lOà per prigioniere, e non può negarsi che sono piuttosto umanamente trat- tati. Il totale dcgl' incarcerati nello stato suole essere di circa T mila , meta de' quali nelle galere : mela Statistica di JIoma 271 nelle prigioni prevenuti e detenuti : ciocche da la prò» porzione d'un incarcerato sopra 400 individui. Gl'in- felici prigioni sono fra noi l'obbietto della carità di molte pie istituzioni, fra le quali nomineremo sola la con- fraternita di s. Gio. Decollato che prendesi speciali cure de' condannati all' ultimo supplizio, e la congre- gazion di s. Girolamo della carità la quale si eser- cita con molto zelo sul buon andamento del carcere innocenziano, e mantiene una società di sacerdoti per Tistruzion morale e religiosa de' detenuti. È l'anima vivamente commossa cosi a queste co- me ad infinite altre istituzioni di beneficenza, che Ro- ma dee meglio vantare che il suo gran nome e le magnifiche vetuste mine. Poiché coteste opere furono ispirate dal cristianesimo , Roma che n'è centro do- vea la prinia darne grandi e solenni esempi. Infatti, quando ne verrà dato, noi vendicheremo alla cara pa- tria nostra il primato su tutte le opere di carità, e come ella desse gli esempi all' Europa ed al mondo d'ogni maniera di utili e pubbliche istituzioni. Il sig. di Tournon nell' ultimo capitolo del quarto libro ne ragiona assai bene, e questo tratto del suo lavoro sta- tistico non sappiano se onori più il suo cuore o la sua mente. Noi, che nel leggerlo ci siamo commossi fino all'anima, ne faremo brevemente l'estratto: dispia- cendoci che i limiti d'un giornale non ci permettano di tradurre tutto quanto quel luogo. Il più vasto isti- tuto di carità in Roma, e certamente uno de' più con- siderabili dell' Europa, è l'archiospedi^l di s. Spirito in Sassia che abbraccia tre grandi famiglie , gl'infer- mi , i dementi ed i proietti. I 42- RlStRREZIONE DEI CORPI 285 permettetemi che trasconeudo un poco , mi allontani dal sepolcro di Gesù, cercando fra gli ebrei, fra gli egizj, fra i greci, fra i romani quali fossero i fune- bri riti , e come si studiassero di conservare i corpi de' trapassati : e che delle loro costumanze instrutto di nuovo mi riconduca a quel sasso, non sen^a aver dato a voi nuovi conforti , perchè vieppiù conosciate il frutto che l'uraan genere ha colto nella passione e nella morte di Cristo. Tutte le nazioni del mondo non furono al certo dapprima che una sola nazione, anzi una sola famiglia, la quale molto distendendosi , in varie famiglie e in diverse nazioni poi si divise. Quale fosse quella for* lunata che vide da lei derivare la gran famiglia dell' \miverso, è così dimostrato , e fuori di questione, che il dubitarne sarebbe arroganza e temerità. Qual po- polo in fatto si leverà a contendere il vanto dell'an- tichità alla gente del Signore? Tutte le istorie più an- tiche , le tradizioni più rimote, i monumenti più au- tentici confermano questa verità. Il sacro popolo adun- que, come fu il primo ad abitare la terra, lo fu pu- re ad usar riti , a spargere costumanze. Laonde non e maraviglia poi, se in appresso essendosi ripartito sul- la terra , diversi popoli quantunque di costumi di leg- gi e di religion discordanti , pure in alcune credenze consentissero: poiché, come avvertono profondissimi scrittori , la sola vera tradizione di generazione in ge- nerazione , di età in età , di popolo in popolo pas- sando, è stata sformata e contrafatta, e guasta di gui- sa , che per ricondurla nella sua veracità è duopo bea addentro guardare. E che sia vero che in alcune credenze convengono popoli di religione svariati e di costumi, è facile ad osservarsi, se si pon mente che tutti i popoli a società ridotti hanno riconosciuta una divinità celeste, è l'immortalità dell' anima , io guisa G.A.T.LIV. \ ^—^9 286 Scienze che si può ben dire con Tullio, che è più facile ri- trovare citta senza mura, che senza tempi, senza altari, senza sacrificj. Riti e ceremonie ai morti, esequie, espia- zioni , e funebri sacrificj presso tutte le genti civili furono in uso : sicché si pare apertamente, che non solo la immortalità dell' anima impegnasse la sapien- za degli antichi , ma ben anche la conservazione , e dirò quasi la religione dei cadaveri. Prendiamo le mos- se dagli ebrei. Nel libro del genesi (1) trovo, che Giuseppe co- rnanda che il cadavere di Giacobbe padre suo sia con- dito con aromi: » Praecepit servis suis raedicis, ut aro- raatibus condirent palrem : ,, dal che mi pare con ve- rità potersi arguire, che presso gli antichi ebrei fos- se in uso imbalsamare i corpi. Vero è che Giacobbe morì in Egitto ove reggeva Giuseppe, e che alcu- no potrebbe dire aver preso quel patriarca la costu- manza degli egizj: ma non mi pare che Giuseppe avreb- be permésso d'innovare cosa alcuna nella legge sua, e quindi non avrebbe dato un tale comando , se an- che presso - gli ebrei non vi fosse stata questa costu- manza (2). Ne mi è di lieve argomento il vedere quanto stesse a cuore alla santa gente la cura de' sepolcri , quando la spelonca di Ebron fu fatta il luogo del ri- poso de' patriarchi , e della venerazione de' posteri. E questo costume discese sino alla fine del regno di Giu- da , e in tutti i tempi veggiamo essere stato praticato. Giuseppe come il padre fu imbalsamato ; soavi pro- fumi furono sparsi attorno al cadavere di Asa (3) e degli altri re di Giuda , i quali avevano tomba sotto (i) Gap. 5. V. 20. (2) Genesi, cap. 23, v. ig, e. 49> v. 29. (3) Paialip. e lO, I. 2. Risurrezione dei con pi 287 il monte del tempio, come abbiamo da Ezechiello(1).E per passare da più remoti a pivi vicini tempi, Lazzaro risuscitato da Cristo era imbalsamato, come attesta san Giovanni (2) : „ Et prodiit ligatus manus et pedes iii- stitis, et facies illius sudario erat ligata : „ dalle quali parole abbiamo non solo che era stato imbalsamato , ma ancora il modo con cui si praticava imbalsamare. Si ponevano in fatto aromati intorno a tutta la per- sona , e con fasce di lino alle varie parti si restrin- gevano : sulla faccia si poneva un sudario , e sotto vi si spargevano que' balsami che meglio e piiì a lun- go servar la potessero integra. E questo stesso mo- do veggiamo essere stato tenuto ancora con Cristo be- nedetto (3), poiché Giuseppe d'Arimatea eNicodemo com- perarono cento libre d'aloè e di mirra, ne fecero una mistura , e se ne valsero a procurare il sacro cada- vere ; poiché l'avvolsero nella bianca sindone dopo avere con intatti lini fasciate le sacrosante membra , e la divina faccia d'un sudario coperta. E anche in appresso fu conservata negli ebrei la religione de' se- polcri e dei morti : se non che alquanto di straniero vi aggiunsero la bugiarda e stolta vanita de' rabini, e la matta superstizione del popolo. Ma degli ebrei ab- biamo omai detto abbastanza : è tempo, mi pare, di re- carsi agli egizi. E senza fermarsi in sulle prime alle superbe pi- ramidi di Memfi, chiamate a buon diritto da Plinio stolta ed oziosa mostra di ricchezze , veniamo ai se- polcri comuni. Non vi è uomo si digiuno di lette- re , che non abbia sentite come prodigi ricordare le (i) Gap. 43, V. •). (a) Gap. II, V. 44. (5) Gio. e. 20, V. 6) 7. '19^ 288 Scienze famose rauramie d'Egitto , e la cura che essi avevano dei sepolcri. Ogni casa (1) aveva un luogo ove si ri- ponevano i corpi dei morti. Il luogo era sacro e in- violabile. Si disponevano in ordine que' diseccati ca- daveri , che rendevano a' tardi nepoti Firaraagine de- gli avi già trapassati , e ispiravano nel medesimo tem- po riverenza e racapriccio : Aegyptia tellus Claudit odorato post funus stantia saxo Corpora : come dice Silio Italico. E abbiamo da Cicerone an- cora: „ Condiunt aegyptii mortuos et eos dorai servant. ,, Il modo però che tenevano gli egizj neirirabalsamare i corpi invano molti hanno ricercato , e pare che a noi sia tolto serbare le carogne sì a lungo. Aprivano il capo con un ferro adunco, secondo che narrasi da- gli storici (1) , e trattone il cerebro l'empivano di balsamiche essenze, e così pure facevano del ventre : ìndi settanta giorni lo tenevano sepolto nel natro , poscia l'avvolgevano in una sindone , e sopr'essa spar- gevano una odorosa gomma : poi di legno formavano una statua che alla persona e alle fattezze rasso- migliasse il morto, e dentro ( perchè ella era vota) vi chiudevano il cadavere. Usavano anche imbalsama- re col sale (3), per proprietà che esso ha di rendere (i) Celio Rodlg. 1. 2, e. 20. (a) Le notizie migliori intorno al modo che gli egiziani tenevano nell'imbalsamare i cadaveri ce le danno Erodoto J. i, 86. Diodoro 1. i, io». Plutarco, ePorfìrione de abstinent. 1. ^, 38o. A questi io rimando i curiosi di più estese cognizioni su que- sto argomento. (3) Gel. Rodig. 1, 6, e. i. Rislurezione dei corpi 289 incorruttibili i corpi, come asseriscono S. Ilario e Plinio. Anche il mele vi fu adoperato ed in pregio , ed ab- Liarao che Alessandro Magno fu imbalsamato con mele, come afferma fra gli altri Stazio nel libro terzo delle sue selve (1). E questo modo pare che fosse stato in- segnato da Democrito , se crediamo a Plinio ed a Var- rone. Anche Columella nel libro duodecimo afferma, che il mele è ottimo mezzo per difendere i corpi dalla putredine. La cera ancora fu posta in uso in vece del mele, e abbiamo da Cornelio Nipote (2) che gli spartani, per riportare a Sparta intatto il cadavere di Agesilao re loro , lo copersero di cera , perchè ivi ove erano si penuriava di mele. E questo costume tro- viamo essere st-ato comunissimo presso i popoli della Persia. Ciro però, secondo che narrano Senofonte e Cicerone, fu inumato (3). (i) Duo et ad emalhios raanes ubi belliger urbis - Conditor iblaeo perfusus nectare durat. (2) Nella vita di Agesilao, (3) Pare che la Sicilia ancora di simil guisa si conduces- se , e tenesse in ordinanza conservati i cadaveri. Ne abbiamo una bella testimonianza negli eleganti versi del cav. Pinde- moute in risposta al sepolcri del Foscolo. Ma cosa forse più ammiranda e forto Colà m'apparve: spaziose, oscure Stanze sotterra, ove in lor nicchia come Simulacri diritti intorno vanno Corpi d'anima voti , e con que' panni Tuttora in cui l'aura spirar fur visti Sovra muscoli morti , e sulla pelle : Cosi l'arte sudò, cosi caccionne Fuori ogni umor, che le sembianze antiche Non che le carni lor serbano i volti. 290 Scienze Presso i greci non trovo che fosse in costume l'imbalsamare, quantunque pare dall'ode cinquautaset- tesima sesta d'Anacreonlc(l), che i corpi in qualche gui- sa si conservavano o colle rose , o com' è più veri- simile con qualche essenza di rose ; e però egli chia- ma la rosa conservatrice de' morti. Anche Omero nel ventesimo terzo libro dell' Iliade (2) dice, che Ve- nere con un' essenza di rose salvò da' morsi de'ma- stiui il cadavere d'Ettore. Se però ho da porre qui l'opinion mia, io per l'autorità d'Omero e di Anacreon- te non so condurmi a credere che i greci imbalsa- massero i corpi : penso anzi che le rose , e l'essen- za di rose si usassero per mantenerli incorrotti per quel tempo che sovra terra si tenevano, o almeno per difenderne il cattivo odore della putrefazione : poi- ché non subito si abbruciavano, ma per alquanti giorni si esequiavaao. Non essendo però quest' indagine trop- po congiunta allo scopo mio, mi terrò d'aver detto abbastanza : e passandomi quant'altro dir si potesse , lascerò che pongano in chiaro la cosa gli eruditi e studiosi dell'antichità. Dirò solo che presso i greci era- no sacri i sepolcri, e in riverenza di religione i mor- ii) La rosa è vita agli egri, I morti corpi integri Serba la rosa ; e in sua vecchiezza verde L'odor di gioveiitude unqua non perde. Trad. del Costa. (a) Ma gì' incitati Mastin la salma non toccar d'Ettorre ; Che notte e di sollecita la figlia Di Giove Citerea gli allontanava , E il cadavere ungea di una celeste Rosala essenza , che impedia del corpo Strascinato roffcsa. Risurrezione dei corpi 291 ti: siche giudicavasi degno dell'estremo supplicio quel capitano die non avesse dato tomba a coloro, che per la patria pugnando avevano sul campo gloriosamente lasciata la vita. Sparta vestiva di punicea vesta i ca- daveri , attorno vi spargeva foglie d'olivo : e se fu prode colui che moveva l'universale compianto, un car- me ne indicava la prodezza ed il nome. Ecco come Luciano, ridendo le costumanze de'suoi, ce le descri- ve in un suo dialogo. „ Quasi che Acheronte non aves- se acqua bastante a lavare il trapassato, lo lavano, lo circondano de'più squisiti profumi, le più ricche vesti gì' indossano , onde se nudo sen rimanesse non aves- se a tremare di freddo , e a mostrare vergognando a Cerbero la nudità sua. Vaghi fiori gli fanno al ca- po ghirlanda , cerchio e corona donne e fanciulli che urlano, piangono, si stracciano i crini e le vesti, si danno delle mani nel viso e nel petto , in guisa che è più miserabile il vedere costoro dolenti che il mor- to stesso. „ Appresso lustrazioni e funesti giuochi : non si risparmiavano alle volte vittime, e quel che è più il sangue umano tinse le vestimenta de' trapassati. Po- co appresso l'ardevano, e le raccolte ceneri e le os- sa confortate di nuovo pianto, e di generosi liquori, si racchiudevano in urne d'oro, d'argento, o di creta, secondo le fortuna e la condizione del defunto, I romani dapprima solevano seppellire in terra i morti, perchè, come osserva Cicerone (1), in questo modo egli si pare che il corpo sia reso alla terra d'on- de ebbe principio , e collocato e deposto nel seno di lei che come pia madre il raccolga , e della sua ve- ste il ricopra. Gli dei penati, che erano in tanta ve- nerazione in tutte le case , non erano da principio (>) Cic. do Icy. I. 2, e. 32. 292 Scienze che i sepolcri domestici de' trapassati, poiché fu del- le prime consuetudini il sepellire in casa i defunti (1). Leggiamo che Numa ebbe sepolcro presso una fonta- na d'acque correnti, in quello stesso luogo ove la so- gnata Egeria piiì volte gli aveva parlato. E nella cit- ta stessa si inumavano i cadaveri, finche le leggi (2) delle dodici tavole ne fece solenne divieto. Ma ne' tem- pi meno remoti s'introdusse l'uso di bruciare i ca- daveri o per semplice imitazione de' greci , i quali è fama tenessero questo costume da Ercole (3) che a se stesso alzò il rogo , e vivo lo salse, o per diverse opinioni di filosofi. Perocché Eraclito , il quale giu- dicava il fuoco esser principio di tutte le cose , inse- gnava che i corpi avevansi ad abbruciare (4). Talcte che opinava dall'acqua tutto generarsi, voleva che alla terra si dessero. Quando poi in Roma l'imiiazione de* costumi stranieri prevalse, o a dir meglio quando la guerra tanti cittadini disfaceva , che il dare sepolcro a tutti era malagevole cosa , si cominciò ad ardere i cadaveri a modo dei greci. E forse questa costuman- za profondò le radici e si mantenne, perchè tornava anche alla salubrità dell' aere (5), e si allontanava il pericolo della pestilenza che altre volte aveva trava- gliata la citta di Roma. Alcuna famiglia però ritenne l'uso d'interrare i cadaveri , e fra le altre la famiglia Cornelia. Sono in tutte le storie tanto celebrati i se- polcri degli Scipioni, che quivi sarebbe spesa in vano (i) Servio al 5 dell' Eneid. v. 64. {•2) eie. de leg. al luogo cit. e seg- Serv- al XI dell'Eneid. 206. (3) Plin. istor. nat. 1. 1, e, 54- (4) Set. al 1. XI dell'Eneid. v. 186, Gel. Rodig. 1. 17, e. 21. (5j Plin. Hist. nat. 1. 7. e. 54, Risurrezione dei corpi 293 € soverchia ogni parola. Primo di questa gente ad ar- dere i cadaveri fu Siila il dittatore. Perocché aven- tlo egli fatto barLarameii te dissotterrare, e spargei-e al vento le ossa e le ceneri di Mario, temè simile dan- no, e però volle che il suo corpo fosse abbruciato (1). Quale e quanta fosse poi la religione de' sepolcri presso i romani, lo dice chiaramente lo stesso Cicero- ne nel più volte citato libro secondo delle leggi : ne qui mette bene che io venga a ridirne le parole. A mostrare poi quale e quanto ne fosse il lusso , ba- sta gettare l'occhio sugli avanzi delle tombe antiche, e sapere che fu necessario il freno delle leggi a con- tenere tanto gitto di denaro e di averi. I poeti latini infine, le storie, e le indagini de- gli eruditi ci mostrano chiaramente come si sepellis- sero i romani, e come si abbruciassero i cadaveri sette giorni dopo che erano stati esposti in pubblico in can- didi vestimenti colle insegne della gloria e vita lo- ro. Si innalzava un rogo, e sopra vi si locava l'estin- te ritto in pie, e qualche volta supino fra i balsa- mi e gli aromi : i piìi congiunti, tenendo in dietro volta la faccia, vi appiccavano il fuoco (2). Poscia rac- colte le ceneri, le racchiudevano in un urna non sen- za averle bagnate di latte, di vino, di generosi liquori, e del bugiardo pianto delle venali prefiche (3). Indi (T) Cic. de leg. 1. 'i. (7j Eneide 1. 5 1. 6 1. ir. Tibullo Eleg: 2 1. 3 ec (3) Orazio nella poetica : Et qui conducti plorant in funere dicunt Et faciunt prope pluia dolentibus . . . Troviamo che tali piangistei usarono anche presso i greci e gli ebrei, 294 Scienze si sotterravano quell' urne , e il luogo ove si ripo- nevano era sacro ; quivi soventi venivano a sparger fiori e lacrime i parenti e gli amici , e a pregar pa- re alle ossa e alle ceneri del trapassato. Gli etruschi ancora ebbero somiglianti riti. Ec- co come ne scrive l'eruditissimo Micali (1 ). „ I nostri padri , dice egli , riguardavano come un sacro dovere ciò che per noi è una sterile cereraonia. La maniera più antica era di sepellire i corpi morti fuoridell' abitato circondandoli di lastre di pietra , o di gran- di tegoli , o altrimenti ponendoli in casse sepolcrali. Indi fu abbracciato l'uso di bruciare i corpi , e cu- stodire le ceneri in vasi o urnette quadrangolari, rin- chiuse cautamente in grotte incavate nella rupe a mo- do di camera con soffitte adorne di ben ordinati com- partimenti, fregi, rosoni, artificiosamente scolpiti o dipinti.,. L'uso adunque di avere i corpi de' trapassati in venerazione, e di cercare di mantenerli nella durata de* secoli , e di studiarsi che le ceneri e le ossa fra bal- sami riposassero , fu presso quasi tutte le più civili e sagge nazioni dell' antichità (2). Ma onde mai tanto studio , e a che prò tante fatiche de' corpi de'trapas- sati ? Il volete voi sapere ? Perchè que' corpi hanno ad essere nuovo albergo alle anime loro, le quali un giorno dopo la consumuzione de* tempi rivestiranno lor carne. Forse vi reca maraviglia questa mia opi- nione , e credete che questo domma che i fedeli cre- dono non fosse cognito prima della religion del van- gelo? V'ingannate. Gli ebrei l'ebbero per {erma cre- denza, come ne assicura s. Agostino (3) : Giobbe cal- (i) Micali-Italia avanti il dominio de' romani-parte i e 33. (2) Cic. de leg. 1. 2. (3) Senn. i5o. RiSURKKZlONE DEI COUPl 295 eleo (1) di nazione conforta se stesso nella certezza ili ri- sorgere un giorno a vedere co'propri occhi , e rivestito della propria carne il suo Salvatore : Daniele (2) asse- riva che que' che dormono nella polvere si risveglie- rebbero un giorno o a vita o a morte eterna , se- condo che sortirono i meriti loro : i sette Macabci (3) di questo solo nella penosa morte loro si rincora- vano. Presso agli egizi (4) Zoroastro crctiette ed insegnò la risurrezione dei corpi ; la credettero i persiani , e universalmente tutti i popoli d'Oriente. Teopompo , come riferisce Diogene Laerzio (5), diceva che gli uo- mini sarebbero a nuova vita risorti, e stati indi immor- tali. Talete era da Aristotele (6) rimproverato d'aver creduto die i corpi dopo morte tornerebbero a vita immortale. Democrito insegnava la stessa dottrina, per- che poi Plinio (7) l'ebbe a rimbrottare , con un rim- provero che più lui, che il rimproverato disonorar,. Ch'egli ebbe vanita di conservare i corpi, e di tornare a vita . ,, Anzi in questa sentenza si mostra apertamente come l'una idea di conservare i corpi colf altra della risurrezione andasse d'accordo:,, De asservandis horainura corporibus ac reviviscendi promissa Democrito vanitas , qui non revixit et ipse. ,, Cleopatra richiese (8) Meir se i corpi sarebbero ignudi o vestiti risorti , cui egli rispose che vestiti , come grano che nudo è dato alla (i) Job. e. 19 V. a5. (2) Gap. 12 V. 2. (3) C. 7 V. 9-14. (4) Mem. dell' acad. delle iscriz. . . . t. 69. (5) Vite de' filosofi antichi. (6) Arist. di 3 de anima e. 6. (7) Plin. lib. 7 e 55 hist. nat. (8) Calmct diss. intorno la bibbia. 296 Scienze terra , e dalla terra vestito di foglie se n'esce. E clic altro pensiamo noi che fosse la metempsicosi di Pi- tagora, se non elle questa stessa dottrina sfigurata e contrafatta ! Che la fenice, la quale risorge dalle sue ceneri, se non se una allegoria per mostrare la ris- surrezione de' corpi ? (1) Ne crediate che queste cose io ragioni sprovveduto d'autorità: perchè ho meco moltis- simi padri della chiesa che i miei giudizj avvalora- no e afforzano. E se anche fossero vane le autori- th , se niuna lettera , niuna sentenza degli antichi su di ciò rimanesse, io nulladimeno vorrei tenere che la ris- surrezione de' corpi, dogma dapprima creduto e man- tenuto dal popolo di Dio, passasse scorrendo nelle di- verse regioni del mondo , e in ogni parte di quello benché nascoste le sue vestigio lasciasse. Che se la voce de' fatti ha più forza di persuadere dei detti e della sentenza, io non temerò dire che essendo pres- so tutti i popoli creduta l'immortalità delle anime , se non avessero anche la risurrezione de' corpi cre- duta, sarebbe stato vano lo studio di serbarli , di ve- nerarli. Ne vale presso me l'opinione di coloro, i quali dicono che i corpi si conservavano perchè sì rite- neva che l'immortaliti delle anime fosse legata colla durata dei corpi : sicché ridotto a nulla il corpo , anche l'anima fosse annullata ; perchè in allora non avrebbero creduta 1' immortalità dell' anima, la quale per se stessa , senza aver duopo della durata del cor- po ov' ella fu rinchiusa , è immortale: sicché ammet- tendo queir opinione , l'immortalità dell' anima sareb- be apertamente negata e distrutta. Io per me tengo certamente che si conservassero i corpi , perchè se ne vestirebbero le anime, quando che fosse, per vivere neir eternità : e allora mi è chiaro perchè fossero sacri (I) Vedi nelle opere di S. Cirillo, di S. Epifanio, di S. Am- brosio. Risurrezione dei cor?i 297 ì sepolcri , perche si avessero riti e cereraonie alle ceneri de' trapassati. E se il mio ragionare non basta a persuadere , ecco S. Paolo che scrive a' corinti (1) annunziando loro la risurrezione de' copi in questo modo : „ Del resto che faranno, dice egli, coloro che si battezzano per i morti^ se assolutamente i morti non risorgano ? Per- chè si battezzano per quelli? Alioquin quid facient qui baptizantur prò mortuis ? ,, Che è quanto dire , se non vo errato : che fanno coloro , i quali prendono a con- dire i cadaveri, e ne hanno cura, non ostante che si ab- biano poi dopo a lavare per purificarsi ? E perchè si purificano e ciò fanno, se non risorgano i morti ? E cosi parla l'apostolo, perchè secondo le leggi di Mosè sì dichiaravano impuri coloro i quali si arrecassero a procurare i cadaveri. „ Qui tetigerit cadaver homi- nis , et propter hoc septem diebus fuerit immundus , aspergetur ex aqua die tertio et septimo , et mun- dabitur. „ (2) Anche presso gli egizi (3) era vietato a'sacerdoti d'imbalsamar i corpi , e il solo toccarli li contaminava. Abbiamo ancora da Tacito che Tiberio die biasimo e mala voce a Germanico (4) perchè es- (i) Epist. I ai corinti Gap. i5 V. 29. Qui alcuno avrebbe per avventura desideralo che io mi fa- cessi a confutare tutte le interpretazioni date a questo luogo dell' apostolo , perchè la mia fosse più sicura sul trionfo dell* altre. Ma io, che non sono teologo di professione, non mi pongo a tale impresa, e lascio che altri per me vi si ad. peri. Solo as- serisco che la mia interpretazione parml a buon diritto la ve- ra. Se io però errassi, mi rimetto volontieri al giudicio de'dottori. (2) Num. e. 19. (3) Vedifiagli altri il Ferrarlo nella bellissima opera- Riti e costumi delle genti - Ci) Yila di Germanico. 298 Scienze sendo augure stese la mano al tumulo , che l'esercito romano aveva fatto di verdi zolle alle ceneri di Va- ro e de' commilitoni nella strage di Germania desi- derati. E giustamente gli ebrei e gli egiziani, come avverte il dottissimo Bergier (1), avevano questa pre- scrizione, essendo che i contagi sono facilissimi ne' paesi caldi : e questa legge non era che per una precau- zione, giacche, come troviamo nelle scritture, opera san- tissima fu sempre riputato il dare tomba agli estin- ti r e veggiarao che Tobia (2) poneva la principale sua cura , anche a rischio della sua vita, nel sotterrare i miseri che dalla barbara tirannia dei re d'Assiria erano barbaramente come pecore macellati. Se dunque, dice l'apostolo, voi prendete a rendervi immondi per con- servare i cadaveri , a che fine il fate voi , se questi pii*i a vita non sorgeranno ? La vostra cura non e lo- devole f se essi non hanno piiì a risorgere. Voi dun- que volete confessare col fatto , che tutti risorgeremo, per negarlo colle parole .'* „ Certo è se noi non avessi- mo a risorgere , ne anche Cristo sarebbe risorto, e noi ancora gemeremmo sotto il peso della colpa antica. Cristo è morto per noi , il suo sangue è prezzo della nostra vita, e se egli è risorto, noi tutti con lui ri- sorgeremo.,. Quia si Cristus resurrexit, et nos resur- gemus. ,, (3) Non e possibile che essendo egli risorto non abbiamo a risorgere noi, che siamo a lui fratelli , da lui ricomperati, per lui salvati. La risurrezione no- stra fia il frutto del divino suo sangue . Oh ! quanto più avventurati siara noi degli antichi popoli, che la rissurrezione credettero ! Che gioverà all' egizio, al cal- (i) Dizicnario teologico. (2) Tobia, e. I. (3,1 S. l'aolo ai coiiiili. Risurrezione dei corpi 299 deo, al persiano, al greco, al romano, airetrusco avere creduto in qualche modo questo mirabile dogma , che gioverà loro risorgere, se appena a morte risorgeranno ? Oh giovi a noi tutti, miei signori , la passione di Cristo: sicché noi tutti , insieme col Salvator nostro a nuova vita risorgendo , eterna letizia nel beato regno con lui godere possiamo. 300 LETTERATURA Marci untomi Flaminii , Joannis Antonii et Gabriel lis Flaminiorum forocorneliensium carmina. Prati tjpis Rarnerii Guasti 1831. G fome fra le stelle minori una di prima grandezza , COSI risplende tra i Flaminii quel Marc' Antonio , il cui elogio ci ricorda aver letto ultimamente dettato dal suo concittadino Tiberio Papotti (1). E notammo fra l'altre cose , che il Flaminio piìi che dalla mente piena di filosofia derivò dal cuore tanta dolcezza, da disgradarne Catullo e gli altri di quella schiera. E gik il Gravina giudiziosissimo nel libro I* della Ra- gion poetica lodò a cielo tra i cinquecentisti il Fla- minio , siccome ingegno atto egualmente alla tene- rezza profana ^ che alla maestà sacra. In verità, chiun- que si fa a leggere le cose di lui , se abbia l'animo composto a gentilezza , sentirà commoversi ai varj af- fetti che erano nel poeta : il quale imitando fecesi originale. E prendendo maraviglia di tanto, dubiterà se sia vera quella sentenza di nobilissimo autore , che io scrivere nelle lingue morte si riduce ad un opera (i) Imola 1829, in 8, pel Benacci. Flaminiorum carmina 301 di musaico (1). Certaoiente (se è lecito porre qui la nostra opinione ) pel volgo degli scrittori che sono della matta greggia, e seguono la pesta, e lo perchè non sanno • ciò è troppo vero. Ma quando chi scri- ve ha cuore ed ingegno da farsi singolare dagli al- tri , e non manca di studio, non è cosi ; e molto più se educato alla maniera , che consigliava il Flaminio medesimo a Galeazzo Florimonte : aversi cioè a to- gliere di buon' ora i fanciulli alla quanto più pro- lungata, tanto più nociva disciplina grammaticale, e porli a studiare a tutt' uomo nelle opere di Tullio , e farne analisi , e nel tradurre dal latino al volgare principalmente adoperarli. Con questi esercizj, se sia- no fatti a dovere col lume innanzi della buona filo- sofia , avverrà , che chi è di forte intelletto e di de- licato sentire, non si fermi alla scorza ; ma entri al midollo , ed in succo ed in sangue converta le altrui squisitezze ; finche venga a farne conserva per deri- varne a suo tempo dalla propria vena chiare dolci e fresche acque , che serbino bensì l'odore della sorgen- te ; ma tengano più del vaso , ove già furono con istu- dio raccolte e custodite. Ragionerebbe assai male chi dicesse : tutti i cinquecentisti furono pedanti : Fla- minio fu di quel secolo ; dunque fu pedante. E peg- gio ancora dicendo : Flaminio fu cima di latinista , dunque fu cima di pedante. A tali stranezze non è bisogno di chiosa. Meglio sarà l'osservare , che le pa- role non sono poi che la veste ai pensieri : e chi di quelle si cura senza cercar altro , guarda l'apparen- za , non la sostanza : e fa ricordare quel motto della volpe alla maschera : O quanta species ! . . cerehrnm non hahet ! Perche la più parte de' latinisti si rimase (0 Giorn. are. totn. LT, pag. 377. G.A.T.LIV. 20 302 Letteratura contenta ad un bello esteriore , ne si curò dell' inter- no , cadde in discredito lo studio della lingua uni- versale , che fu regina delle nazioni. Ancora seguì , che tutti o quasi tutti vollero scrivere non solo sen- za pensare , ma senza quella ispirazione , che viene in origine da natura : sciaurati , fecero opera da manua- li, non da architetti ! Ma se nel 500 fu troppo l'amo- re del latino , nel nostro secolo è troppo poco : così da un estremo siamo venuti all' altro , e questo è an- cora più dannoso. Che i tedeschi , gì' inglesi , e gli stessi francesi studino la loro lingua senza guardare alla latina, si può passare ; ma noi, cui il cielo pri- vilegiò quasi di un doppio dono , dell' antico e nuo- vo latino : noi mancheremmo a noi stessi , se non ci facessimo a gustare alcun che di quella suprema dol- cezza de' classici , che ornarono il secolo di Augu- sto ; per venire indi a quelli , che bearono il secolo di Leone. E gioverà l'educazione in mezzo alle lette- re , non inceppata da regole ; che tale già non la vol- le il Flaminio : ma libera in conversare con quegli antichi , che tennero il campo ; udendoli quasi par- lare , e rispondendo nel volgar nostro : tenendoli per amici , che mai non ci abbandonino ne' lieti giorni o negli avversi. Impareremo da loro , non solo il bene e dirittamente parlare e scrivere ; ma, quello che è piìl, il bene e dirittamente pensare : impareremo a portare con forte animo le sventure , clie sono di tutti i se- coli. Dove pili filosofia, che in Orazio, in Virgilio, in M. Tullio, e negli altri solenni scrittori.** La quale è pili o meno nascosta sotto que' veli delle belle pa- role : ma vi è degna non pure di un uomo grande, ma di un popolo dominatore dell' universo. Se non che noi in questo ragionare siamo venuti tropp' oltre , e già qualcuno ci fa il viso dell' arme : comecché sia, a noi basta il voto di Platone. E finiremo , lodando Flaminiouum carmina 303 queir edizione di Prato delle opere de' Flaminj , dove veggiamo seguita la coraiuiaaa del 1743, per cura di Francesco M. Mancurti , già corredata dalle vite de' poeti e degli altri , che fiorirono in quella famiglia ad onore della eulta Romagna ; anzi di tutta Italia sem- pre ferace di chiari spiriti. D. Vaccolini. Sui letti degli antichi , dissertazione del dottor Lodovico M. Jonii maceratese. iP. arra cosa disdicevole ed audace discorrere sulla storia dei letti , dopoché rettamente ne hanno parlato moltissimi scrittori. Imperciocché se cerchi di essi il ritrovamento , l'agio , e la magnificenza \ troverai tutto notato nelle scritture le più antiche di celebrati au- tori. E può veramente sembrare a prima giunta un tale mio proposito troppo umile argomento , per es- sere assai trito , e già parlato. Ma parendo bello , e piacevole favellare di alcuna, anche menoma co- sa , risguardante i modi della antichità , ci ha sem- brato opera non del lutto inutile indagare sulla ori- gine , sui progressi, e sulle vicende di un arredo in ogni tempo utile , per ogni dove cognito , ed a cia- scuno gradito. E se molti scrittori già furono , che dissero variatamente de' letti ; e se in peculiar modo ora si leggono utilmente le dotte e profonde os- servazioni del cav. don Michele Rosa sui Ietti in quella sua dissertazione epistolare delle porpore e materie vestiarie presso gli antichi : facciamo però al- 20^ 304 Letteratura trui notare , che la scritturale storia , Giuseppe Fla- vio , Erodoto ^ Tucidide , T. Livio , V. Massimo , ed infra la poetica famiglia Omero , Virgilio , Ora- zio , Ovidio , Marziale, ed altri molti , i quali ci die- dero veramente il fondamento e la materia al no- stro scrivere , nominarono piiì e piii volte il let- to ; ma non tesserono già di questo lunga e pe- culiare istoria. Il che affermiamo , non avendo in cuore di scemare il merito esimio di quegli antichi savi delle scienze , ne di torre la fama e la meritala lode al eh. Rosa ; che anzi care tenghiamo le cose , che scrissero , e tutte quelle accettiamo , che sono all' uopo nostro ; e per la loro luce del vero ne sap- piamo loro grado infinito. Dietro la loro scorta ed imi- tazione adunque , più tosto che a loro concorrenza tentiamo questa meschinissima dissertazione. Ma tale nostra materia fu dagli antichi scrittovi trattata solo , quando cadeva in acconcio pel loro scrivere ; tan- to , e nulla più. Il Rosa poi , avvegnaché abbia dettò ampiamente circa tutto quello che risguarda i graba- ti , gli anacliteri , ed i talami , tuttavolta trovasi in esso poco osservato l'ordine cronologico ; e gli ad- dobbi e le forniture dei letti stessi inframmesse ora colla storia del bisso , ora colla origine delle por- pore , ed ora con quella dei lini ; per lo che a cose risguardanti il medesimo oggetto , e qua e la disparse era pure mestieri dare un metodo, e condurle ad una via aperta , seguita , e non dubbia. La qual cosa so- lo , come ce la concedono le nostre forze , proviamo di condurre a fine. II. Il letto , secondo la sentenza di alcuni , ri- pete Tetiraologica significazione dal supino del verbo al- lettare (allicere , allectum) , tolte le due lettere pri- me da ellisse : perchè trae, e dolcemente invita l'uo- mo defatigato e stanco al riposo. Secondo Varrone pc- Letti degli antichi 305 rò (1) viene da eleggere (Icgerc , Icctum), perchè nn- ticameale solevasi compone il letto da paglia , slra- inento , frondi , ed erbe ; onde ciascuno eleggeva , e pili scerneva materie elette , proprie , odorose , e belle. V'è anche chi ha opinato doversi una tale voce al greco idioma : perocché quello che i Ialini e noi appelliamo letto , i greci già dissero leitro o lecho (2). III. Natura e necessita diedero origine , come a tutte altre cose , al nascimento dei letti. Si tro- vano essi antichi, quanto l'esistere degli uomini: l'una racchiude i germi , ed il prototipo pei trovati agli agi e comodi della vita umana ; e così rattempransi i rigori dell' altra ; e nella seconda si viene a sup- plire a'difctti della prima, coli' acuirsi l'ingegno della umana mente. Onde è facile immaginare , e figurarsi il principio e la progressione dei letti. Que' rozzi uomini antichi , cui il bisogno fece primi inventori delle arti ; nello stesso modo , che per agio loro si costruirono una capanna, ed ignudi si coprirono, cosi ebbero pure trovata una foggia di rendere meno au- stero il giacere del loro corpo , cai stanco e dal sonno oppresso ricoglieva incolto ed arido suolo. IVv A stabilire l'antichità dei letti, e come cia- scun autore od istoria abbia di questi parlato , ba- sta solo percorrere alcuna loro opera, e si vedra fatta dei medesimi espressa e replicata menzione. Cosi si (re- vano essi primamente ricordati nel libro antichissimo de' più venerandi monumenti delle divine ed umane cose , nella scritturale istoria. Moltissime sono le fiate , e (i) Varr. de lingua Ialina lib. 4- (2) AèK^fOV,ìf,TÒ— cubile — vcl Ke^oSi'"?! To' Icclus — Da Aé7iJ, 0 Kèy^i:iK&XpyiiX.l> ciibo , seu cubare facio. 30G Letteratura presso che innumerevoli, in cui si dice del letto. Onde assai spesso lo leggiamo nominato nel Pentateuco , e non che anco fuori di questo , numerando dal li- bro dei re , ed ora più ed ora meno , insiuo ai mi- stici eloquii del veggente di Patmos (1 ). E quel che trovasi detto sugli usi , e costumanze della israeli- tica nazione, vogliamo pure credere degli altri col- ti ed antichissimi popoli egizii , caldei , assirii , ba- bilonesi, tiri, cartaginesi, medi, persiani, macedo- ni, e greci , come alcuna volta affermalo l'ab. Fleury neir Opera prestantissima degli israelitici costumi ; {)e- rocchè sebbene vivessero essi sotto diverso reggimento di leggi , e diverso si fosse il religioso culto ; con- tuttociò per la comunanza del clima quasi medesi- simo , costumavano uguali foggie in quanto ai vesti- menti ed al dormire. Ed altronde sappiamo che i cartaginesi parlavano il linguaggio dei tiri , e questi quello de' cananei e degl' israeliti, cioè l'ebca lin- gua , o almeno tale , che da quella discendeva ; e poiché la comunanza ed il commercio di codeste popolazioni era frequente, e congiunto assai , usavano pertanto, oltre della favella, anche del genio, e delle arti , e di uguali comodi. V. Giuseppe Flavio nomina le cortine appese alle lettuali colonne (2). E lo stesso GiosefTo ebreo dice del letto nella leggenda del perfido Amano ; ecco le parole : ,, Intanto Amano si volse ad Ester pregan- (i) Genes. cap. 47 v. 3i — 4^2 — 49- 5' — Exod. 8.5 — Deutor. 3 ii — reg. 23 4 iaditb. i3 8 — i3 46 — esther. 5. 6 — Job. 7 i3 — Ezech. 23 45 — Amos 6 4 — ' Prov. 7 i6 — • Can- tic. 1. 46 — Psalm. 67 — MaU. 92 — Act. 5 i5 — Apocal- Jyp. 2 22. (2) Josep. anliquit. lib. XI. cap VI. Letti degli antichi 307 „ dola , e supplicandola a perdonargli il suo fallo ; che ,, ben conosceva la sua reità. : e mentre per queslo „ s'era prosteso sul letto (*) della regina , e stava „ scongiurandola , entrato il re , ed incollerito vie „ piiì a tal vista ec. (1) „. E facciamo avvisato al- trui, che in ambo i luoghi intendere debbasi dei me- di e persiani letti. Ugualmente Senofonte fa men- zione dei letti persiani (2). Parla Ateneo non solo dei cervicali punici , ma anco dei siculi letti (3). E slmilmente in Isidoro si trovano nominati gli strati pu- nici ( 4-. T. Livio parlando del lettisternio, nomina il letto (5). V. Massimo disse dei letti apparecchiati per l'epulo pubblico al popolo romano (6). Lo stesso disse anche Tullio (7). Fassi menzione da Plinio dei tori (") L'apposto alla voce tófo , iraporta la signiflcanza dello stesso espressa dal traduttore, in nota, dicendo , che il toro era discubitorio , o triclinario. (i) Giuseppe Flavio delle antlc. giudaiche tradotte dal greco , ed illustrate con note dall' ab. Francesco Angiolini pia- centino , toin. 5 Hb. II cap. VI § 12 — (2) Xenoph. de paed. Cyri lib. 8 sub fin. lUis.enim prl- mum cubilia non modo non satis est substernere , veruni etiam lectorum pedcs in tapetibus locant , ne pavinientum renita- tur, sed ec. (31 Athen. lib. 2. (4) Puuicani ledi parvi et humlles prirauni a Carlhagioe advecti Isidor. lib. 20. (5) Jovis siinulacruni statuebalur in /ec/o recubans — T. Li- vius decad. 5 lib. g (6) AQ. Fabio Maximo epulum populo ijomine P. Scipionis dante, rogatus ut triclinium sterneret: /ec^w/os punicanos pel- libus haedinis stravit. V. Maxim. lib. 7 cap. 5. (7) Cic. in oratione prò Lucio Murena. 308 Letteratura composti di strame (1). Varrone poi rammenta la ele- vatezza dei letti (2). In Omero pure , ove favel- lasi di Paride e di Elena, e di Circe che sollecita Ulisse , e di Venere amante di Anchise , vengono nominati gli strati , ed i talami. (3) Virgilio fa ri- petere ad Enea innanzi la fenicia donna i dolenti ed i lamentevoli casi di Troia arsa, e spenta , dalla elevatezza del triclinario toro (4). Inoltre Giuvenale nelle satire (5) , e nei suoi epigrammi Marziale , ed in fine Lucano nelle narrazioni della Farsaglia (6), tutti codesti poeti quale nell' uno e quale in diverso modo nominano i cubili , ì tori , ed i letti. VL È condizione però ordinaria di tutte le uma- ne cose , elle gli oggetti di arte i più ammirandi e superbi , abbiano sortito l'essere loro da meschi- na e semplicissima natura. Onde assaissimo è utile in ogni vicissitudine di nascita , di progresso e di perfezione dei ritrovamenti necessarii alla vita dell' uomo , rinvenire le traccie , e lo scorgere le vestigia che ci perducono alla sorgente , e ci fanno rimon- tare fino alla piiì rimota e primitiva semplicità delle cose: per lo che ci è dato i principii degli agi umani comparare coli' epoca della loro pili alta perfezione e stupenda magnificenza ; e la dove in quelli pre- (i) Antiquis iorus e stramento erat , qualiter eliara nunc in castris. Plin. lib. 8. cap. 48. (3) Lectos ne essent in terra , sublirnes in bis lecticis po- nebant. Varr. de ling. lat. b'b. 4- (5) Hom. Ilìad. 7* 447 — Odyss. X — Hyran. in vener. (4) Virgil. Aenid. lib. 1 v. 2. (5) Ausa palatino tegelem praeferre cubili. Juvenal. Satyr 6 .V. 117. (6) Fulget gemma toris , et iaspide fulva supellex. Lucan. Pharsalia lib. 10 v. 122. Letti degli antichi 309 scrivcvansl le comodità della vita , nei modenili e semplici confini inventati e chiesti dal bisogno e dalla natura : in questi altresì i bisogui medesimi tolti per mano delle arti , vengono tratti negl' infi- niti e sfrenati termini dell' appetito umano : il clic avvenne anche ai letti. Laonde alla origine di essi tenne dietro in prima la semplicità ; poi la perfe- zione, poi il lusso , poi il numero, e la varietà gran- de , e poi finalmente la decadenza loro. Ma la sto- ria della israelitica nazione ricorda ben sovente la varietà e la magnificenza dei letti , ma tace la ori- gine , e la semplicezza loro. E però nulla notizia posso io riferire circa codesto oggetto d' innocenza e candore del popolo ebreo. Imperciocché pare che ci sconforti e rifreni di spingere oltre lo sguardo a investigazione e ricerca dei varii modi del loro esistere , e la veneranda oscurezza della favella , ed i riti arcani , ed i mistici sensi simboleggianti por- tento e grandezza in ogni detto ed operazione di questo popolo antico, e le costumanze oscure risguar- danti gli usi ed agi loro. Ma sebbene niun siste- ma immaginario , e ninna plausibile analogia di fatti si possa riferire alla primordia purità e rozzezza dei comodi di quella gente ; contuttociò la storia sacra che ci rappresenta gli antichi ebrei pastori o schiavi, tumultuanti o raminghi , sediziosi od oppressi , su- pertiziosi o profani, e cultori di terreno angusto ed ingrato , ci persuade a credere che essi innanzi di ap- petire i fomiti del lusso, e gl'incentivi di profusa dis- solutezza, usassero della schiettezza degli agi , e i co- modi della vita. Ed all' in qua di cotale nazione, non anderò nemmeno colla mente ad investigare i fanta- stici, e favolosi tempi descritti in genere di tutti i po- poli remotissimi da Ovidio, da Tibullo, da Propcr- 310 Letteratura zio, da Giuvenale, e da Plinio (1). Imperciocché que- sti lodarono a cielo la umiltà , e la primaria parsi- monia dei tori di quegli antichi popoli creduti inno- centi , perchè di epoca distante , e speciosa ; affine di proverbiare appunto il fasto dissoluto degli uomini con essi viventi. VII, Nel darsi cominciameuto a trattare dei letti di epoche , avvegnaché antichissime , ciò nullaostante ed a noi più vicine e più ricordate , leggiamo presso Omero , che le pelli erano lo strato eletto e piace- vole degli eroi e personaggi dell' alto e divinissimo suo carme. Soventi volte Ulisse distendenva al suolo le pelli di pecora , o del bue. Dispiegava talora Me- nelao i vestimenti de' leopardi , o pantere ; e tal al- tra il fiero Achille dormiva sovra velli di tigri , o leoni. E pelli di capre , ed agnelle venivano instrate nell'albergo di Alcinoo. E nella Eneide conduce Evan- dro l'eroe troiano alla propria umile abitazione , e lo invita a posare su' diffuse foglie instrate del vel- lo di libica orsa (2). E vogliamo altrui avvisato, che le pelli non solo erano adoperate ad uso del son- no , ma altresì se ne servivano pure pe' seggi nelle mense. Virgilio dopo di aver fatto compiere ad Evan- dro tutti gli onesti officii della ospitalità inverso il duce Enea , ed imbandito l'epulo sacro ad Ercole , loca in verdi panche la gioventù , e per onoranza fa sedere Enea su di un seggio di acero coperto di leo- nina pelle (3). Troviamo in Plinio , che già fino a'gior- (i) Ovid- faslor. lib. i — Id. fastor. lib. 3— Tibull. lib. I eleg. — Propert. lib. 3 eleg. 55 — luvenal sat. 6. vers. 5- — Pl»- nius lib. 8 cap. 48 — id. lib. i8 cap. 3. — (a) Virg. Aenid lib. 8 v. 366 — 67 — 68. (3) Yirg. Aeneid. lib. 8 v. «77 — 78. Letti dkglt antichi oli ni del padre di lui i militi usavano nel campo dcHa Gausape ; ed a suo tempo eransi introdotte le arafi- iTialle(l). E V. Massimo (2) somministra l'esempio di Catone il prisco , che non dilungandosi mai dall' an- tica e santa semplicità dei costumi , ebbe eterna- mente cara e gradita ne' suoi sonni V usanza delle pelli. E dì queste si servivano , anche ai tempi della seconda guerra punica , alquante famiglie moderate e semplici ; come è documento il fatto di Q. Elio Tuberone (3). Varrone però e Festo ci fanno notare , che i pii*i antichi quiriti avevano a costume, innanzi il ritro- vamento della culcita , distendere spesso, in luogo delle pelli , la loro toga : ed in tal guisa composto , avere il letto. E questa era l'usanza dei severi , e ma- gnanimi cittadini : e così adoperarono e gli Acidiui , ed i Fabricii , ed i Coruncani. VJIl, E fuori del mio proposito dire doncìe e perchè derivasse il lusso dei letti ; ma solo mi fer- merò sul lusso stesso dei medesimi ; e noterò quale e quanto grande ed infinito egli si fosse. Nel Deu- teronomio ci viene fatta la descrizione dell' orribile letto di Og re riprovatissimo , che avea nove cu- biti di estendimento pel lungo , e quattro in orizzon- tale linea , ed era tutto ferreo (4). E ciò noi recam- (i) Gausape palris mei memoria caepere, amphimallae no- stra, sicut villosa etiara ventralia. Plin. lib. 8 cap. ^S. (2) Age, si quis hoc saeculo vlr illustris pellibus haedinis, prò stragulis utatur. V. Maxim. I. 4 e. 3. 11. (3) Q. Aellus Tubero , a Q. Fabio Max. cpulura populo ro- mano nomine P. Africani patris sui dante rogatus , ut tricliuinm sterneret ; leclulos punlcanos pellibus haedinis stravit- V. Maxi- mus lib. 7 cap. 5. (4) Deulor. cap. 5 v. u. 312 Letteratura mo in mezzo , non a comprova di lusso massimo (e che magnificenza si è il ferro mai ?), bensì a mostra- re 1 che anche il popolo ebreo aveva dei letti me- tallici da' più vili ai più rari e pregiatissimi. Nel li- bro sapiente dei proverbi è menzionato argenteo il letto (1). E fattaci in Ester la pittura del convito reale di Assuero , si veggono nel vestibolo del giardino dei letti aurei e di argento in bella ordinanza disposti su smeraldini strati (2). E da ultimo nelle scritturali leggende trovo l'illuminato di Dio Amos , che lasciati i tugurii , e recatosi nelle metropoli, quivi inveisce sullo smodato lusso di Sionne, e fassi a proverbiare l'agiatezza indegna di dormire ne' letti sostentati da eburnee co- lonne. Tali si erano pure le delizie ed il lusso nel pigliar sonno dell' antico Israelle , e tanto , che ven- ne in onta a Dio , e per voce del profeta da es- so rimproveraronsi. E poiché i fenici , i babilonesi , i persiani , ed i medi erano sempre causa del coi- rompimcnto e della mollezza del giudaico popolo ; h agevole immaginarsi , che più delicate e magni- fiche , od almeno simili essere dovessero di code- ste effeminate nazioni le giaciture. Favella Varrone il dottissimo ad ordinaria costumanza de' popoli anti- chi delle materie lettuali essere state e la tartaruga e l'avorio (3). Ed a' tempi troiani ed omerici ven- gono notati letti di fuso bronzo presso il sovrano Agamennone. Soventi volte lo stesso Omero poi nomi- na ora letti composti nel tornio , ed ora perfora- ti con miriilc' arte (4) , ed ora adorni d'inlarsiamento (i) Proverb, e. 25 v. ii. (a) Esther cap. I v.6. (3) Varr. de ling. Ialina lib. 4- (4) Hoiu. Illad- r* V- 448. Letti degli antichi 313 forbito , e rarissimo. Ed Ulisse mentova il triclinario letto nella abitazione magica di Circe , su cui fu co- stretto a trangugiare l'incantato farmaco, che fosse bor- chiato e di lucentissimo argento (1). Simbolo nella Grecia antica delia morbidezza degli strati e anche il provetto Nestore , il quale vanta il possedimento di letti ottimi , e distoglie Telemaco dal proposito suo di dormire frai consorti nel' e navi: ed in fatti gustò egli il sonno al convesso di sonante porticato su mirabilissimi e tessellati letti (2). In Ateneo m'av- vengo in una comparazione fatta del lusso , e della splendidezza de' letti , e cervicali punici e siculi , col- la eleganza o effeminatezza di quei di Mileto. IX, Ma per dire ancora sullo splendore , e sulla magnificenza dei letti di quei del Lazio , farò comin- ciamento dai tempi sillani , in cui fa notare Plinio trovarsi alquanti letti di oro e di argento ; poi an- che più magnifici. Perocché le oniche , ed ogni al- tra più ricca pietra , e le gemme , e le perle , ed i lavorìi di prezzo infinito ed altissimo si adoperavano a compimento , ed a folle iattanza dei talami (3). E pure ciò non è tutto- Conciossiachè , olirà gli ele- ganti e pregievolissimi pavonini letti, di cui gli ana- cliterii , e le sponde erano composte di cedro asperso di assai macule effigianti al vero le piume di quel vaghissimo augello : oltre i gemmanti letti da Mar- ziale rammemorati (4) ; ed oltre gli aulei o peristromi della vivace dibafa di Tiro e del cocco uniti a molta (i) Hom. Odyss. K (2) Hom. Odyss. F (3) Pllnius lib. 3 e. II. {\) Geiniiiautcs prima riilc;cnt lesUidine ledi. Maitial. 111). ii epig. 67. 3t4 Letteratura elaborata intessitura di oro filato (1), sappiamo anche fÌQ dove fosse pervenuto il fasto e la delicatezza dell* inettissimo Eliogabalo, il quale disdegnava di pigliare il sonno, se le calcite non fossero siale empiute delj vello della lepre , e dtlla trattabilissima piuma delle ale in- feriori della pernice (2). Ma e il fiore del cotone , ed il tomento lingonico , e le milesie lane , e le mor- bidissime piume del cigno non superano di gran lun- ga i raffinamenti e le mollezze orientali ? E quando pensarono Menfi, Babilonia, Susa , ed Alessandria alle materasse enfiate di aria , alle lettiere galleggianti sulle cinghie od inslite , ed ai salutevoli pensili letti ? On- de è che non piti sorprende Sibari , madre degli agi e delle voluttà, i cui abitatori usavano delle gia- citure composte , e piene di fiori soavi ed elettissimi : da che praticarono lo stesso Verre , Nerone , Elio Vero, ed Eliogabalo , gli strati dei quali erano fondati di fresche rose, gli origlieri di croco e di erbe odo- ranti , e le coperture empiute delle foglie di candidi gigli : per cui i giardini deliziosissimi , e copiosi di. tutte le fragranze gradite e rare , e gli squisiti rosai di Pesto si videro in quei tempi di sovente spogli , e privati di fiori ad uso di quella assai stravagante vo- luttà. Delicatezza veramente singolare, che oltre il pre- gio della materia , non puossi concepire in che modo il fisico di quegli antichi non ritraesse nocumento da odori SI gravi e penetranti ! - Passiamo ora alla co- pia e varietà dei letti. (t) Ftilget gemma toris, et jaspide fulva supellex — Strata micant : Tyrio quorum pars maxima succo: — Gocta din, vi- rus non uno duxit aheno — Pars auro piumata nitet; pars ignea cocco. Lucan. Pharsal. lib. io. vers. i32. (2) Lamprid: in eju'j vita. Letti DEGLI antichi 315 X. li lettisternio, secondo Ateneo, e propriamente queir epulo solenne imbandito dagli antichi a vene- razione di Giove ; e così si cliiamava pel distendersi ne* tempii dei lellì accubitorii, in cui consistevano gl'ido- li, e li ponevano a giacere; e la pompa de' lettister- ni per primo in Koma a placamento degli iddii con ogni magnificenza e lustro per dì otto continui fu ce- lebrata circa gli anni 356 delle sue fondazioni. Eran- vi in codesti lettisterni tre letti riccamente adobbati, su cui si ponevano pure tre simulacri Giove, Giuno- ne e Minerva (1), innanzi cui stavano delle mense lau- tamente apparate , i cibi delle quali , avvegnaché squi- siti e rari , disdegnavano con tutto ciò gustare divi- nità sì perfette e somme ; onde a degli epuloni ivi chiamati non patendo il cuore scorgere il corrorapi- mento di tali cibi , s'inebriavano e satollavansi solo in amore e ad ossequio degl' iddii (2). E vuoisi sa- pere , in tale solennità , col percorrere il tempo spes- so ripetuta, che gli dei erano collocati ne' ietti gia- centi , ed air opposto le dee a sedcMC. La quale co- stumanza veniva posta in uso anche tra le romane famiglie , e non veane manco , e non annuliossi ciie poco innanzi la epoca di Cicerone (3). Tanta si era (0 Lectisternia tribus diis Jovi, Junonl Minervae Romae In capitolio hoc modo fiebant: Jovis simulacrura statuebalur in lecto recubans ; Junonis , et Minervae immagines in sellis consistebant. T. Liv. decad. 31ib. 9 — Lectisternia tunc priinuui in urbe romana facta per ceto dies. T. L. dee. 1 l!b. 5. (a) Ut pontifices veleres, propter sacrificiorum maltiludi- nem, tres viros espulonos esse voluerunt. Cic. de Orat. lib. 3 §. 19 — Pomponius Laetus duos postea ait fuisse adiunctos, postmodum ad septem pervenisse certum est. (3) Cic. ad Allicum epist. ao. 3Ì^ Letteratura la verecondia ed il pudore di quegli antichi e severi romani , la modestia de' quali vinceva quella delle loro divinità interaperanli ! Ed a me sembra che non assai dissimili da' lettisterni fossero i pulvini , ed i pulvi- nari , cioè i letti accubitorii posti ne' templi , e ri- coperti di strati aurei , e di porpora. Perciocché su pulvinari esponevans i i simulacri a cullo ed a ve- nerazione pubblica, e sui molli pulvini o dorsuali ric- chi di ricami e di gemme si posavano tali diviniti medesime (1). -r;; ■ XI. Tra gì' israeliti e tutte le prische orientali nazioni , le giaciglie loro non erano , che piccole let- tiere ; avvegnaché i ricchi, oltre l'avere uu fondo as- sai molle , le spruzzavano anche di odorose acque (2). In Grecia erano anticamente i letti assai umili e bassi e si chiamavano charae. Semplici e bassi erano pure i tori rurali , e della minuta plebe in Roma , chiamali tegeti o natte: e queste stesse erano molto varianti; perchè in vendita si trovavano di sparto, di giunco , di palma e di scirpo. Diversi da tutt' altri erano i letti dei militi , i cui strati semplicissimi e rozzi dicevansi amfimalle e gausape. Né tulli si trovano essere stali umili e giacenti al suolo , ma elevati e sublimi. Gon- ciossìachè Varrone secondo i fulcri o piedi più o meno eccelsi misura le altezze dei talami : denomi- nando semplice e prima scansione lo scahello , se il letto è di naturale ascendimento ; e se era alquanto più elevato , ricorrevasi allo scanno ; e se anche più alto, usavasi del grado formato da duplice cansione(3). (i) Marlial. lib. 3 epìgram. 8i. (i) Proverb. lib. 7. vcrs. 46- (5) Qui simplici scansione scandebant in Icctuni non altum, scabellum ; in alliorem, scamnunt. Duplicnta scansie graclus di- citur, qiiod geritur ab inferiore in supciioreiu, Vyn-. de^ liug. lai. hb, 4. Letti degli akticiti 317 Ed Omero commisura l'altezza dei tori dalla condi- zione e dovizia de' suoi personaggi , usando sempre del vocabolo di ascendere (1). E Virgilio inducea fa- vellare Enea a Didone dall' alto toro. Si facevano poi posare gli strati sulle lettiche o lettiere (2) : in pro- cesso per altro di maggiore delicatezza si faceva- no barcollare sulle fasce o cinghie (3). E vi erano letti a due fulcri , a due schienali o capi, e però si dicevano amficefali , e alquanti altri anche a quattro anacliteri o dorsuali. XII. I letti discubitori o triclinari ebbero nasci- mento neir Asia , e più singolarmente dalla Persia fecero innondazione nelle europee contrade. L'Asia delle delizie e dei piaceri generatrice usava a mensa pren- der cibo giacendo su morbidissimi letti. Ed avvegna- ché tale costumanza non fosse anco in uso a' tempi omerici e di Filippo signore della Macedonia , tut- tavolta in seguito i greci , e poi i romani tolsero ad addottare questa delicata foggia. Negli antichi conviti adunque detti triclinii , biclinii , fldizii , simposi , si- licerni etc, si costumò generalmente prender cibo se- duti , 0 distesi in lettiere : e tale positura chiamossi accubito o discitbito. E nella mensa triclinare , for- mata da tre letti , non sempre giacevano tre commen- sali, ma quattro, e piiì; come ce lo indica Orazio (4). Imperciocché , oltra i commensali , assistevano di so- vente al convito gli epuloni , gli anagnoti, o lettori, (i) Hom. Iliad. llb. 3 vers. 44? — Idem Hymn. in Vener. Idem Iliad. a' 6ii. (2) Varr. de ling. lat. lib. 4- (3 ) Seneca epist. Si. Mari. lib. u epigr. 57. - Oppressae aimium vicina est fascia plumae. (4). Senn. I Sutyr. IV. G.A.T.LIV. 2r 318 Letteratura eJ'arcliitriclirio, detto anche simposiarca ; ed era quel- lo , che a' nostri dì sarebbe il siniscalco ed insie- me l'assaggiatore de' vini (I). E però questi ancora stavano a mensa distesi nei Ietti. Oltra l'abito cena- torio o convivale dei banchettanti, e la special fog- gia del vestire dei dapiferi , e dei pocillatori colle diote , erano singolari e variati anche simili discu- Litorii letti. I più comuni erano amovibili , come le mense stesse , e quando queste si apparavano sì di- stendevano anche i letti (2). Alquanti erano situati iti parte recondita della casa ; alcuni di convito pub- blico all'aperto , ed erano di legno (3). Altri po- sti vicino a luogo delizioso , e bello , come quello di Ester (4). Molti semplicissimi coperti di caprina pelle : di cotal foggia furono i letti distesi da Q. Tu- berone pel convito dato al popolo romano (5). Ed altri erano istoriati, e dipinti, come appresso i tirii (6). Ed altri di argento ed oro , e di lucentissimi tap- peti : di tali materie ci rappresenta Virgilio il let-x to discubitorio di Didone (7). Una miniatura del co- dice vaticano di Virgilio (8), riprodotta in bulino nel Virgilio figurato (9) , esprime Didone assisa sul pul- (i) Evang. s. Joan. Gap- II. vers. 8. 9. (q) P. Terent. in Adelph. act. 5. Scen. V. in fin. (3; P. Teient. in Adelph. act. IV. Scen, II. (4) Esther cap. VII. vers. 7. 8. (5) Cic. prò L. Muraena, pag. 285. ( Editiou. niea pata- vina 1-J11.) (6) Virg. Aeneid. 1. I. vers. 711. 712. (7) Id. ibi vers. 700. 701. (8) Segnato num. 0867. (g) Picturae antiquissimae virgiliani codìcis blbliothecae vaticanae a Pelro Sancte Bartoli aere incisae, quibus celebriora Virgili! loca illuslrantur, compendiaria cxplanalione apposita ad singulas tubulus. Roaiae 17^2. Tab. 3. p. i4- Letti degli antichi 319 vinare a mensa fra due personaggi troiani . E con- viene immaginarsi un triclinio, altrimenti la bella Di- clone sarebbe stata troppo immodesta a porsi giacere in uno stesso letto in mezzo a due. Molti scrittori ca- sti e severi hanno detto , che un tal modo di gia- cere sui letti a mensa andò in disuso fino dall' età di Angusto , e solo ne rimase il custume nei pub- blici epuli capitolini. Alquanti altri scrissero che dai tempi di Pompeo Magno fino a quei di Galeno , e di Costantino il grande fu in uso tal foggia di giacere, e non solo tra i ricchi , ma anche tra la meschina gente , tutti , non eccettuate nemmeno le femmine ; e recano in mezzo il ben cognito passo di Ovidio nel libro dell' arte di amare (I). Ma di leggieri e fa- cile lo scoprire , che Ovidio padre della laidezza in tali sue dottrine disonestissime parlasse di conviti, e di commensali inverecondi. Conciossiachè nella terza verrina Cicerone dice, che in Grecia giammai le donne per pudicizia ed onesta giacessero a mensa. E le roma- ne non solo in diverso luogo , ma anche con diversa positura siedevano ai conviti. Che che però siasi delle femmine, e della costoro modestia ; certo è per altro che anticamente in genere quasi tutti stessero giacen- ti nel letto, quando prendevano il cibo. E il nostro Salvatore Cristo , la stessa castità e verecondia, aveva usato stare a mensa in simil modo. Ninna antica di- pintura invero , e niun' anaglifico monumento è per- venuto a noi, che ci rappresentasse tale azione : ma le parole ed il senso di un capo dell' Evangelio di s. Luca (2) chiaramente facci fede, che il celeste Mes- (i) Ergo, ubi contigerint positi tibl munera Bacchi , Atque erit in socii faemina parte thori. O vld. Artis amatoriae lib. I. (a) Rogabat autcm illuni quidam de pharisacis , ut. mau- ducaret cuin ilio. Et ingressus domum pharisaei discubuit — Et 21* . 320 Letteratura sia nel convito del fariseo stesse disteso nelT accubito. Quei che in contrario opinano , oppongono che tale {giacitura fosse aliena dai costumi e vita di Cristo , oltre al sembrare piìi disdatta ed incomoda , che il nostro stare a mensa. E fuori del mio proposi fo re- carne le ragioni prò e eontra : solo dico, che le men- tovate pf^.rolc dell' Evangelio di s. Luca sono chia- rissime , e che sono gravi ed autorevoli le sentenze del profondo archeologo Mercuriale (1) , e dopo lui di Pier Ciacconio , e di Fulvio Orsino , che dissero Cristo aver giaciuto nelf accubito nel convinto del fariseo» E cotal sentimento viene anco confortato dalla opinione dello storico chiosatore Cornelio a Lapide. Leggendo nei dottissimi di lui commenti al citato ca- po dell'Evangelio di s. Luca , trovo non solo fatta menzione di Cristo , che stesse nel convivale letlo ; ma anche di piiì come vi stesse coricato e come al- to si fosse il letto ; e così di altrettali cose (2). Ne rechi maraviglia , come a quel generoso e sublime ingegno di Lionardo da Vinci non sia venuto in capo di rappresentare così Cristo tra gli apostoli, in quella ecce inuller, qiiae erat in civitate peccatrix , ut cognovit , qui accubuissct in domo pharisaei , attulit alabastrum ungueali. Evang. secund. Lucani C. 7. V. 56. 3^. (1) Girolamo Mercuriale de arte gymnastica lib. I. cap. XI. Appendice al trattato de accubitu et triclinio. {•ì) A Lapide comin. iu Lucam cap. 7, vers. 38 — Et statis retro seca* pedes eius eie. Veteres enim (in toris, idest in le- ctulis niensblihus, iacendo, et cnbito caput fulciendo , mensae accumbebant, ita ut caput versus mensam, pedes vero versus exteriorem partein porrigereiit, ut aliis in eodem lectulo di- scumbentibus commodus foret locus. Poluit ergo pedes Christi exlerius tangere, lavare, et tergere Magdalena. Fono non vi- tlelur lorus hic fuisse tuia alias eie. Letti degli antichi 321 sua celehratisslma cena : poiché è ben cognito , che la scuola lornharda , non come la toscana , si fosse precisa e veridica nel colorire i vestimenti e le co- stumanze de'tempi in <[ue' loro , per altro nobili, di- pinti. Similmente mi avvengo in un racconto di Luit- prando segretario di Berengario march. d'Ivrea, ch'e- gli nella sua ambasciata alla corte di Costantinopo- li ( nell' anno 9-48 ) fra le altre cose bizzarre e ma- gnifiche ivi vedute , trovò in vigore ancora luso di coricarsi sui letti a mensa. Egli fu invitato ad un gran convito nel giorno di Natale ; e la sala , in cui imbandivano tal pranzo , dicevasi sala dei dician- nove letti , ed era la sola destinata pel banchetto del di natalizio. Ed è da notare che gì' imperatori di Coslaa- linopoli morti ch'erano, i loro cadaveri si esponeva- no col volto scoperto in detta sala. XIII. I romani altresì più a trasporto di novità ed a desiderio di assai numero di letti, che a magni- ficenza, usavano dei punici, ch'erano meschini ed umili per primo trasportati tra essi da Cartagine (1). La loro materia era il semplice legno : ma per essere i car- taginesi legnaiuoli eccellentissimi , perciò si tenevano in molto pregio. Nella moltiplicita dei letti si voglio- no annoverare quelli che si chiamavano mobili : cosi detti non perchè o negli abituri campestri o nei mi- litari accampamenti o nelle navi traducevansi dall' uno ad altro luogo , per lo che a necessita erano così mobili ; ma tali si dicevano , perche a norma del grado e numero degli ospiti albergavano gli an- tichi ora in questa , ed in quell'altra stanza gli ami- ci ed i conoscenti loro ; onde quando avveniva del (i) Punicani lecti parvi et hu.niiles priimun a Carlliagine advecti. Isidoius lib. 20. 322 Letteratura cambiamento di una camera , traslatavano ben anche i giacilo! ; e perciò chiamerei io colali letti non che mo- bili, ma anco ospitali. Letti poi stabili erano quelli de* grandi fra i greci posti nel piano superiore della casa, e gli avevano sacri , e formavano parte dei reconditi loro penetrali (1) : e si tenevano questi presso i romani neir atrio , come a piti nobile luogo dell'abitazione. Un esempio della stabilezza di essi e il talamo con- dotto a fine colle proprie mani da Ulisse , di cui fe- ce dono alla sua Penelope prima della partenza (2). Ed è da notare , che la descrizione che di que- sto (3) ci fa Omero , è quasi simile alla composi- zione del letto nuziale di Salomone (4); ed in qual- che mode , a quello del grande Alessandro descritto da Ateneo (5). XIV. Vi erano eziandio dei ietti balneari : e pe- rò non ad uso del dormire ; ma su di essi coricavan- si gli antichi in quelle loro celebri terme a tribbia- re, tergere, e molleggiare il corpo. E vi erano dei letti pensili ; artificio ed inventiva a conforto e sol- lievo degli ammalati del più perito medico fra' ro- mani, di Asclepiade. E vi erano dei letti geniali, detti peculiarmente talami^ o tori, i quali restavano ad eter- na rimembranza dell'insolubile congiungimento , e dei riti e delle prerogative del sacro imeneo : e cotale toro avevasi a costume di locarlo e stabilirlo per dritto innanzi le imposte della coniugale camera, onde si chia-. mò letto adverso. I grandi solevano porre delle guar- (i) Homerus Odyss. lib. 23. (a) Hora. Odyss. f' v. 285. (3) Hom. Odyss. f' v. 190. ad 20T. (4) Canlic. Cantic. Gap. 5. v. 9. io, (5) Alhcnaeus lib. X2. p. 555. Letti degli antichi 3'. o die, cbiamate catafratti, a custodire nella notte i loro talami , e vietarne a chicchesia l'ingresso (1). Anche Dionigi cfAlicarnasso ci fa sapere, come al reo Sesto riuscì introdursi nella camera del nuziale talamo di Lucrezia , ingannando la vigilanza dei notturni cu- stodi (2). XV. E vi erano infine i letti mortuarii. L'af- fettuosa religione e la pietà universale , di cui gli antichi si sentivano riscaldare il petto , gl'incitavano a testimoniare l'attaccamento ai trapassati: per cui nul- la nazione mai si inculta o barbara fu , la quale non rispettasse la tomba. E pii!i presto ti saresti avvenu- to in un popolo addormentato sulle proprie svenlu- re , e vegetante in una lunga e penosa servltiì , cìie omettere alcuno dei venerandi doveri mortuari : ed assai infelice reputavasi colui , che in isconosciuti li- di si fosse morto , dove nò madre ne sorella chiuden- do gli occhi moribondi di lui , non avessero accolti i palpiti suoi estremi , ne roano amica ed ospitale col pianto avesse lustrato il suo corpo , e dato un lun- go addio alle sue ceneri (3). E però presso gli ebrei erano i defonti ricoperti ed ammantati in candidis- sime sindoni e valature. Nel funebre apparato del ro di Giuda Asa (4) , si vide il costui cadavere posto sovra un letto funebre di componimento artificioso, ed (i) Én lectulum Saloraonis sexaginta forles ambiunt ex for- lissimis Israel, oinnes tenentes gladios; et ad bella doctissinii: uniuscuisque ensis super feniur suiim pioptcr limorcs nucturnos. Cant. Cant. cap. 3. v. 7. 8. (2) Dionys. Halicarnass. Roin. Antiquit. Lib. III. (3) Tibull. lib. I. Eleg. IL- Ovld. Elegia in niort. Tibr.lli- Homer. Iliad. XI. v. Si. 53. 54. -Alfieri Oreste At. 5. I. 4. (4) Fleury, Goslmni degl'Israel, cap. XIV. §. 5. 324 Letteratura asperso di profumi, e per la combustione tutto anniclii- larsi, e risolversi in cenere. E come augusta e solenne si fosse in fra gli egizii la venerazione pei trapassati, si raccoglie col sapersi , ch'essi hanno tentato di ren- dere eterni ed immortali que'loro cadaveri imbalsamati, e quelle mummie rimase in onore e cclcbramento an- che ai di presenti. Pel rispetto adunque da' nostri mag- giori tenutosi a' morti è avvenuto , che i lotti furo- no causa di funebre pompa. Ed in Roma si distin- guevano i cadaverici letti in feretri popolari, in patrizii, ed in senatorii. Quelli erano umili, vili , e disadorni , e si chiamavano sandapile. Erano questi di sontuoso treno , e magnifici , e si dicevano lettiche, o letti fu- nebri. E quantunque Pomponio Attico (1), ed Emilio Lepido personaggio primo del senato non volessero solennità nelle esequie loro , tultavolta è a scienza nostra l'ordine orgoglioso di Siila, che prescrisse nella sua funebre pompa sei mila mortuari letti , i quali dovettero seguire , e circondare il suo , elevato e fa- stoso pili che ogni altro. E quando morì Marcello figliuo- lo carissimo di Giulia, Augusto ne ordinò secento ad onoranza di sue nobili esequie. E si ponevano in co- tali letti le porpore , i vestimenti , le armi, ed ogni oggetto prezioso, e che fosse più caro al defonto. Oltre le prefiche poi ivi chiamate pel corrotto , ed a can- tare le nenie , accompagnavano questi letti in fune- bre marcia i giovani e le donne con corone in capo e ricoperti di candidi e purissimi lini , , e ciò era simbolo del lutto e dell' alto loro duolo .- a differen- za dei figli, dei consorti e congiunti dell' estinto per- sonaggio , i quali procedevano a capo ignudo ed in (i) Elatus est in lecticula, ut ipse praescripserat, siue lilla pompa funeris. Cornei. Nep. in vit T. P. attici. Letti degli antichi 325. oscuri velaraenti, e brune amniaotature accorapagi;avaiiO i funerali letti. AfFeltuosa e semplice e quella funebre pompa dello sventurato Fallante descrittaci dall' elegan- tissimo Virgilio. Composti Graticci da flessibili virgulti formano l'esteriore del molle feretro , e mirasi diste- so uno straraento ruvido, su cui è posto l'arcade prin- cipe , e diverse frondi adombrano il deplorabile to- ro (1). In acconcio è quivi il ricordare , che Ci- cerone (2) parlando della sanzione della legge de tri- bus riciniis , rammenta eh' ella apponeva un fine alla grandezza ed al dispendio delle mortuarie pompe , ed essa il colore prescriveva delle tele , eh' erano in uso a tale uopo , le quali essere dovevano candide e pure , ed importanti l'opera non eccedente di un corso lunare. XVI. A trattare sulla costruzione e parti dei let- ti do cominciamento da quei dell' israelitico popo- lo , e perchè nel riferirle a ninno mai fia dato di meglio dire , di quello che abbia detto l'ab. Fleury , perciò riporterò le sue parole.- „ Non erano i letti lo- ,, ro , che piccole lettiere senza cortinaggi e senza ,, blandinelle, quando queste non fossero state di quei ,, padiglioni leggieri dai greci appellati conopei , per- „ che servivano per guardarsi dalle zenzare. I più „ raguardevoli avevano dei letti di avorio : dei più ,, delicati ne facevano il fondo molto morbido , li guer- ,, Divano di drapperie preziose , e gli spruzzavano di „ acque di odore. Collocavansi i letti di ricontro al „ muro, perchè dicesi , che il re Ezechia, avendo udita ,, la minaccia della vicina morte, si volse verso il muro „ per piangere (3). „ Ma per sapere del complesso , (i) Virg. lib. XI vers. 64 65 m. (-ì) Cic. De legib. lib. a. (3) Fleury Cpstuiii. Israel, cap. VII. 326 L E T T K r, A T U R A e della forma dei Ietti delle nazioni antiche all' in qua della giudaica , ce ne istruisce Varrone. I tori , o toruli erano composti di aride frondi , e di alghe palustri ; ma non tardò la meiite umana a conoscere l'agio meschino ed umile ritratto da si incomodo gia- cere ; onde diede opera ad imporre una invoglia a que- sti tori , la quale empiuta delle summeutovate ma- terie si ehiamò lettica , e l'introdottovi corico tarale ; ed il composto di esso corpo fu detto segestrla. Ed alfinchb simili letti non rimanessero giacenti al suolo , si elevarono alquanto , ed innalzati si facevano po- sare in queste lettiche (1). I letti poi avevano an- che i loro piedi. Essi erano quegli strumenti , che so- stentavano il fondo delle lettiche , e con diverso vo- cabolo nominavansi anco fulcri-^ e furono varii di grati- dezza e di forma , a seconda del meno o magoiorc innalzamento dei letti ; e perchè avevano tolto il nu- me dalla figura , che presentavano , ed i piedi sono moltiplici ; cosi erano codesti piedi or di satiro , ora di leone , ed ora di aquila . XVII. Le estremità dei letti , Cui noi diremmo il da capo , ed il da piedi, avevano tra gli antichi peculiare denominazione ; conciossiachè anacliterio dai greci , e dai latini fulcro , e anche pluteo si di- ceva alla porzione superiore : e questa era più sol- levata di tutta la pianura del letto da un' orizontale asse a collocamento del cervicale, ed a maggiore agia- (i) Lectica quod legcbant , unde eam facerent, stramenta atque herbas , ut eliam nunc fit in castris, hoc quod injici- tiir toral dicJtur; lecticain quod involvebant, quod fere instra- menta erant e segete, segestriam appellabant. Lectos ne essent in terra, sublimos in bis lecticis ponebant. Varr. de ling. lat. lib. /,. Letti degli antichi U27 lezza del capo ; e poiché gli antichi erano cosluiiiati di far distare i letti dalle pareti, perciò singolarmente fu chiamato fulcro qucU' appoggio , che reggeva il capo ed il rialzo del pluteo. Anche i due lati si chia- mavano con voci diverse , oltre la varietà delle loro forme , ed oltre la destinazione singola del maschile o femmineo occupamento. Imperocché i due lati erano differenziati dai vocaboli , d'interiore rnuo di essi , e l'altro di esteriore ; e però quello dicevasi propria- mente sponda , e pluteo questo ; da non porsi a con- fusione con queir altro da noi teste nominato ; per- chè il presente, quantunque un poco più alto del re- stante livello di tutto il toro e della semplice spon- da , era tutlavolta più umile del cervicale pluteo. E finalmente la donna avea in uso di coricarsi nell' in- teriore , e l'uomo neir esterno campo. Rimane altresì a noi ignoto quale delle due si fosse la destra , o la manca sponda. Siccome poi non usavasi sempre di far posare la culcita , ovvero ciò che noi diremmo il pagliariccio , sulla lettiera o fulcimento , detto an- che fondo del letto i ma spesso a morbidezza mag- giore la collocavano sulle cinghie o fasce; così le troviamo assaissimo mentovate , e Cicerone ci assi- cura , che la culcita di lana era di uso più agia- to , che di piume , perchè tosto si fiaccano queste insino alle fasce. Avevano elle anche il nome tf in- stile , ed erano della materia del candidissimo cadur- 00 ; lino ed intcssitura assai pregievole de' galli lin- goni. Il conopeo , altra parte ed addobbamento dei letti, trasse origine nelle orientali contrade. Esso era una cortina o velame disteso all' intorno dei letti , onde difenderli dalle zenzare , le quali in quelle re- gioni sono frequentissime. Anche negli accampamen- ti , oltra le trabacche , i militi usavano di questo ; 328 Letteratura Io che il venosino (1) nota ad eccesso di lusso, e di corruttela. Erano poi gli alessandrini conopei lutti magnifici , e sontuosi più che altrove mai. Ed av- vegnaché Erodoto voglia la invenzione di esso in Egitto; pure pel trovarsi notato per ben tre volte nelle leggende del libro della Giuditta , impariamo eh' esso fosse di una data anteriore , e di quella piti remota assai (2). XVIII. Non ignobile arredo dei letti erano le culcite , coltrici o culcitre ; quelle cioè che noi di- ciamo materasse. Esse erano un lavoro d' imbottitu- ra, o di trapunta , empiuta per lo più di gallico to- mento ; lana assai morbida e candida (3). E le no- bili culciti furono ricoperte di finissimo cadurco. Quelle poi , che era in costume adoperare la plebe e la mesciiina gente, erano composte della circense paglia; e le persone più leziose ed intemperanti, oltre le iti- vogliere di morbido cadurco, le empievano anche della piuma de' cigni ; le quali cose tutte impariamo da Marziale (4). Immediatamente alla culcita teneva die- tro lo stragulo : che altro non era se non quello strato disteso al di sotto del corpo. Onde il seguente passo di Seneca : ,, Di due mantelli , col primo fu instrato (i) Interque signa, turpe, militarla —Sol aspicit co«o/>(?Mn?. Hor. epodon ode IX. (2) Judith cap. IO V. 19 — et cap. i3 vers. io et 19. |3] Posteaquam transierunt ad culcitras , qiiod in easagum, aut tomcntum, aliudve quid calcabant^ ab inculcando culcitrn dieta. Varrò de ling. lat. lib. 4- (4) Toinentuin concisa palus circense vocalur. Veliera lingonicis accipe rasa sagis Martial. lib. i4epigr. if>o. Lassus amyclcea poteris requiescere piuma, Interior cygni quam tibi lana dabit. Id. ibi epi^r. iCi. Letti degli antichi 329 «ho stragulo , e dell' altro si fece una copertura (1) :„ sia a disinganno di coloro , i quali opinano , che lo stragulo si fosse solo un qualunque ricoprimento. II cervicale , così detto dall' iraporvi la cervice chiamato anche pulvlno (2) , non era che il nostro capezzale. Ed i vocaboli di cubitale e di origliere presentano la figura dei cuscini e dei guanciali , usati al gior- no di oggi ; ed empiuti delle materie stesse , che dicemmo delle materasse. Qui pure sono da riferirsi le coperture usate dagli antichi sui Ietti. E la col- tre non era che la lodice ; copriraento pregevole , ed avutosi superbo rispetto alla materia , di cui era esso fabbricato , del lino cioè o egiziano o cadurco. Le menfitiche polimite erano un copertoio di tessitura in opera di finissimo lino , e tanto eccellenti e bel- le , che Marziale si fé a dire , che queste egizia- che polimite vantaggiarono già. il valore e la esti- mazione delle opere espresse dal babilonese ago (3). La cubicularia peristrome , altra copertura , che che si fosse prima che principiasse lusso a Roma , è certo , che nel secolo settimo principiò ad essere della no- bile materia porpurca ; e di poi gli asiatici trionfi fu anche veduta su letti dei grandi e primi perso- naggi della dibafa tiria cospersa di aurei ed argen- tei filamenti , come accenna Cicerone , facendo la- mento, che le degne peristrorai di Pompeo il gran- de , occupatesi dall' avido Antonio , fossero manoraes- (i) Ex duabus penulis altera slragulum , altera opertorium facta est. Seneca epist. 87. (2) Sallust. ia bello Jugurthino p. 125. (Parisiis apud Fre- dric. Léonard. 16^4) (3) Heac libi memphilis tellus dat niunera , vieta est. Pectine niliaco iaiii Babiluiiis acus. IVIart. lib. i4 cpig) i^'^- o30 Letteratura se, e strascinate pe' letti dei vili suoi schiavi (1). Ma nóu solo le ricche e senatorie famiglie : raa anche la minuta plebe , ed i militi , ed i rustici avevano pe- culiarmente delle sargie , o coltri. Perocché , come già dicemmo , i militari boldroni erano le gansape , Tina sorta di lana densa ad un solo rovescio: e le am- fimalle vellutate o villose da ambo i dritti ; le quali non solamente servivano di strato , ma e di coltre an- cora negli accarapctmenti. Le coperture poi della po- polana e villica gente erano i torali , propriamente co- pritoi di Imo. Ma di tali cose basti l'aver ragionato sia qui. Ora pertanto vediamo come , quale , e quanta si fosse la lettuale biancheria presso gli antichi, X'X. Ci e ignoto se i medesimi includessero nel censo della candida fornitura da letto gli oggetti tutti filabili , come il serico, la lana, la porpora etc. Co- me anche è stato assai controverso se a mondizie , ri- pulimento, e salubrità della epidermide siano piìi profi- cue le linteali o le lanifiche materie. Ciò che si può con a'^scrveranza pronunciare si è , che trovasi presso tutte le colte e remotissime nazioni lo spirito unifor- me e costante della nettezza ed eleganza pei letti ; quindi a renderli tali era bisogno eleggere materie proprie , ed adatte ; per cui volevasi non solo la ve- nusta del colore , ma anche la bontà e finezza de corpi filati. Onde non dee recare meraviglia il nume- io ed il pregio de' candidi lettuali panni mentovati nelle storie. Perchè gli antichi oltre l'adoperare della canapa , e dello xilino o gossipio ; usavano ancora del carbaso , del cadurco, dell' orcomenio , del bisso, del lucentissirao lino di Sebato , e dell' incombustibile asbestino. Ed avvegnaché presso gli antichi giudei (i) Cic. Philipp. liJD, II p. 565. ( Edit. nica paluv. 1722.) Letti degli antichi 331 e gli egizii non si trovino rammemorate le lenzuola delle suddette, o di altrettali materie ; tuttavolta dal sapersi certo l'eccessivo lusso del lino e del bisso do- minante infra di essi ; è agevole il congetturare che avessero dei medesimi anche le lenzuola, e se non que- ste (delle quali l'uso forse non coufacevasi alla calida re- gione) i cortinaggi almeno de'loro conopei. Ne'terapi po- steriori infatti, e più precisamente negli omerici, vediamo mo i lini montati ad interiore fornimento de'tori cubilari. Dopo la partenza della Feacia ascese Ulisse la nave , ed ivi la sua gente distese e la culcitra , e le lenzuola , onde egli posasse agiatamente (1). E quando i feaci posero piede nelle itacesi spiaggie , tolsero Ulisse an- cora dormiente dalla nave, e lo collocarouo colla ma- terassa e colle lenzuola sulle panche de'remiganti, e lo trasportarono , senza destare , sulla giacente arena (2). E pellucide e finissime saranno bene state le lenzuola di quel letto , cui die comandamento Achille alle servienti suedi sternere a conforto di Fenicio; perchè erano intes- sute del miglior flore del lino (3). E que'romani ampia- mente reali nell'epoca la più alta del loro smodato lusso, furono spesso , e da assai scrittori annotati e redarguiti per l'incredibile guarnitura e per l'addobbamento ra- rissimo delle lettuali biancherie. E codesto lusso de' linteami è forza credere , che perdurasse in Roma an- co ne' giorni della incipiente sua prostrazione, cioè nel secolo quanto ili Cristo in cui s. Girolamo, onde ri- ciare a'romaui il genio e la morbidezza loro pei lin- teali strati , pone ogni commendazione nel conte- mento e nella moderazione della celebre Paola, che (i) Hom. Odyss. n' (n) Hom. Odjss. N* (3) Ilota. Iliad, 1* V. 656 — 57. 332 Letteratura sebb^me aOlllta dagli ardori di febre , posava il cor- po su umile strato, privo e spoglio di lenzuola : e che in luogo del serico e del lino ponea essa a con- tatto della pelle un tormentoso ed aspro cilicio (1). Alcune lettere inedite di Giacomo Garatoni, con alquanti versi inediti di Giacomo Turchi. A SUA ECCELLENZA REVERENDISSIMA MONSIGNOR CARLO EMMANUELE DE' CONTI MUZZARELLl Uditore della sacra rota romana ec. ec. ECCELLENZA E ccoini ad attenerle una promessa data in Vero àsi gran tempo , ma che piià presto d'ora non mi è sta- to fatto attenerle , quantunque l'avessi desiderato e vo- luto. Vedrà , monsignor mio , in queste lettere tutta l'eleganza e dirò meglio l'anima di Cicerone, di cui il Garatoni , a giudizio de' celebri Strocchi e Mai , e il più profondo ed accurato commentatore ; come ne* versi latini del Turchi lo spirito e la venustà di Catullo, del quale egli fu l'interprete più filologo. Co- fi) Molila , eliam in gravissima febre , lectull strata non habuit . . . inolia linteamina , et serica preliosissinia , asperitate cilicii censuit coramutaiida. S. Ilieionymus ad Eusloch. epist. 37 de Paula cap. 27. Versi dei. Turchi 333 sì piacesse al eh. sig. marchese Antaldi che ne ebbe i manoscritti, e non potevano cadere in mani miglio- ri , darne una edizione di Catullo : che certo e per le fatiche del Turchi , e per le sue sarebbe ottima e bellissima sopra le altre. Se avrò alcun po' d'agio , vedrò di mandare all' E. V. R. anche alquante lettere italiane dirette allo stesso Turchi: il che verrà a pro- vare quello che dissi volgarizzando il coraentario del Garatoni scritto in latino dallo Strocchi, che il Turchi fu o il primo degli amici del Garatoni- o il come fra- telloi Accetti l' E. V. questo tenue argomento della mia riconoscenza pe'raolti anzi infiniti favori, che tutto di le piace compartirmi, e permetta che io le baci le mani , e me le offera Da Savignano 5 maggio 1832 Umo Oblino Dmo Servitore Giuseppe Ignazio Montanari- GASPAR GARATQNIUS lAGOBO TURCHIO SUO S. P. D. Mirabar quid esset , cur libros tuos magno stu- dio collectos, quos urbana quidem valde, sed multo maxime provincialis vita desiderai , venales hoc tem- pore haberes. lam intelligo uno videlicet parvo, si diis placet , libello totam librariam supellectilem mutan- dara existiraas. Quid istuc lucri sit, ipse videris : ma- gnum certe putas ; idque ita esse magis opto quam spero. Sed omnino quod tibi conducibile visum est beatumque id ita fortunari volo, ut nunquam tibi ali- ter videatur : fore quidem spero , ut te hujus facti nunquam magnopere poeniteat ; qua te prudentia esse cognovi. Quod vero me ad imitanduni exemplo exci- tas tuo , praeivisse me oportuerat , cum aetas vires- que florebant : uunc infirma valetudine , et aetate alie- G.A.T.LIV. 22 334 Letteratuha niore non sequar. Quandoquidem ab ineunte atlolc- scentia , me non uxori sed literis adterendum dedi ,' in bis esse mihi video consenescendum. Tu validam iuventam. - Sed modum teneas quaeso, quo peifruare diutius. l^ale. Romae sext. idus febr. 1792. GARATONIUS TURCHIO SUO S. P. D. Scriptitavi nescio quid ad uxorem tuam , quia pro- mlseram : ne se piane despectani putet ; quamquam ei subirascar quod te socio me privet. Nusquam enim belle sine te : verum tamen abest arcangelianorum mi- rifica illa importunitas , qua storaachus ipse concute- batur. Niliil me hic oblectat : nihil taraeu olTendit aut angìt. Marinium quidem quum video , vix lacry- mas teneo sed, nescio quomodo, prae amore libenter video. Exagitatur assidue vomitu ac doloribus : com- movetur bili facillime : praeterea nunquam solus. Ita- que cogitata eloqui non audeo. Interea tempus offi- ciis teritur , quae multa sunt , atque ut vivitur , ne- cessaria : conscribendis etiam epistolis , quarum tanta fuit multitudo ut vacuura diem nullum reliquerint : denique re mea familiari non constituenda, sed cogno- scenda. Omnia si agere per me possem , multura iam proccssissem. His autem hominibus nihil unquam est raaturum. Persequor, urgeo, insto, vacuus fio. Quid me censes nisi boves aeneos agitare.? Inter haec valetudo tuenda: qua si tara bona uterer quanta Marinii nostri spes est, horum ego tarditatera, quam accuso, non iraitarer in- vitus. Postquam a tuo complexu discessi , alia rerum omnium facies , valetudinis eadem semper fuit. Gibus ille idem meus , potus ab Etruria, cursusque biga fre- quens ad tertiura lapidem me sustentant. Nonnunquara tanica aliquid phaimaci addendum ; fortasse quia me otium se ipso oliosiorem non videt. Atteror enim com- Versi del Turchi 335 mentationc quaque levisslma , et ipsa scriptlone non- nihil. Haec itaque nonnisi leniter ex intervallo. At ille de quo corani tecum egi vitarurn auctionator , Charontis filius , qui me vult tantisper vivere dum se- cum depeciscar , tara cupide me insequitur , sperare ut videatur me istius confcctione negotii confectura iri. Sed ego precavi te rogaiis , ut liane mihi telam praetexeres. Quamdiu voles , ille peadebit : et me- morjae diligentiaqne tuae confido : et inliberales lia- miais rusticani clamores , qui bus praesens enecabar , absens facile contemno. De Piklero inter suos quae- sivi : nemo est familiaris. Igitur ad Marinium scripsi, quera non despero aliquid posse. Rem ipsam non pro- tuli : nullo enim est tanta fldes cui sit committcn- da. Quamquidem , quo raagis recogito , eo vehemcn- tius confectam cupio. Nam si bona uti conditione li- cebit , erit compendii satis : vix autem abesse pote- rit , ut bcn^ sit : tum vero iter illud nostrum cogi- tatione ipsa me recreat , quod ne aliqua vi eripia- tur , ita raetuo , ut fit in amoribus. Quod si Orcus ille thesaurura dabit, habebo etiam quod conferam, si libi rectius videbitur. Jara optimi fratris tui desiderio sic teneor , ut illum nisi videro , luce me indignura putera. Atque utiuam operibus illis suis tam praeclaris elaboratisque circumfusura videam ; tamquam filiolis pa- trem ! Quid nunc malivoli ? Quid adhuc inuocentiani ipsitra vexant? O D. O. M., qaalem ostendis exitum no- bis .'* An non satis immanilate atque insolentia galli efferuntur , ut nos etiara undique ipsos ad excidium, paenasqiie teterrimas , malitia et sceleribus caeci vo- ceraus ? Quo enim nunc se conferet maximo emporio recepto furialis victor cxercitus ? Quid iam erit con- silii ac fortitudinis in iraprovida illa et inerti ho- minum facce ? Quid erit in taurinis genuatibusque praesidii ? Quorum alteris ad progrediendum pes defuit, 22^ 336 Lbtteratura alteris ad prodsndum perfidia superai. Ncque vero liaec me ipsa magnopere perturbarent , nisi nostros homi- nes, ad iniquitatem oraneai paratissimos, ad aras fo- cosque defendendura viderem imparatissimos. Parumne ratio et historia quid sit expectandum clamant ? Sed nolo te arguraentis praeraere ut terream. Deutn roge- raus, ut liane honorum paucitateni multitudine iniquo- rum potiorera ducat. Bono animo simus : nam saepe futuri mali timor facit, ut ipsa umbra sol nolens exu- rat. Tu hilariter milii lepideque rescribito, quo ab hac civitatis gravitate relaxer : vereor enim, ne milii omnem in perpetuum urbanitatem excutiat. Vale, et me tui amantissimum dilige. fìavennae pridie nonas jan. 1 794. JACOBUS TURCHIUS GASPARI GARATONIO SUO S.P.D. Nomen celocis qui indidit currus slbi , Sive ille agaso , sive mavis mulio, Cras urbis iter init : ergo , si sapis , Huic age graves age age crede sarcinas , Levior ut bine columbulo dionio Confugere gestientis in sinura queas Patriae, laresques invisere oblitos tibi : Nec te puella lacrymantibus oculis Revocet euntem , quaravis ambas porrigens Manus morari te magis magis roget. Vale VII idus april- JACOBI TURCHII SABINIANENSIS CARMINA NONNULLA Elegia ad Fratrem. Dum te blanda tenent patriae solatia sedis , Frater mi vita dulcior atque anima , Versi del Turchi 337 Ecqua libi absentls , die quaeso , cura rccursat ? Anne in me toto pectore cessit amor ? Cessit amor certe , cessit , deferbuit omnis Reliigio pietas intemerata fldes. Jam sexto reparat cursu nova cornua Phoebe Ex quo nec fratri mittis epistolium. Hoccine amor fratrura? memor haec libi mens animusque? Alterna haec sanctae pignora amicitiae ? Non sic et Pylades , non sic et fidus Orestes Antiqui meruit temporis esse decus , Quos inter tantum potuit vis mutua amoris Ut seu nox alto surgeret oceano , Seu tenebras Titan radianti luce fugaret , Haererel concors usque comes corniti. Atque ultro impavidi discrimina mille subirent , Mille alacri inter se dura animo oppeterent , Inque vicera luceraque animamque optaret uterque Linquere et infernos priraus adire lacus. Anne ego te fratrem : frater nunc talia possura Ah ! non has poscunt tempora nostra vices : Sed quae tu facilis valeas donare roganti. Si modo vis fratris nunc memor esse tui. 1 Pro Antimione leglt dum Santimunio Paullus Marmorea in tabula , proque Papale Papam , Monstra facit : quis enim neget, at non quale profecto Ipse est truculenti oris et ingenii. Es nihili, tamen esse aliquid vis, Panile, vidcri Sis quod vis , modo ne tara fcrus et stolidus. 338 Letteratura Docta ne dieta inter nos. aa raaledicta gerent rem ? Hoc si posteritis, Paulle, raanus dabiraus. Quippetuum hoc regnuni;aam cui perfricta magis frons; Aut cui dura magis sunt latera et scapulae ? Sic autem , jam nunc nostra est viatoria : aselli Nam quid equis certent , quidve cycnis ululae ? 4 Paule tuo exemplo si cudere nomina fas est , Et esse fas consentient omnes mihi ; Tecum certe , atque in te : quippe tenere tuorura Qui vira potestatemque terborum queas ; Fas igitur quoniam est, ut Sanctimimio nuper A te vocatus pontifex est urbicus , Idque, doces, proprie verbum de Antistite dici Custode sanctitatis , atque vindice ; Sic mihi jure acquo an raeliore ? vocaberis ipse Meri dacimimio , ^tque Gerrimunia. 331) ^l eh. letterato francese sig. Haoul Rochette^ au- tore di un articolo sui vasi etruschi di Canino^ in- serito nel Giornale des savans , febbrajo e marz a deW anno 1830. Osservazioni di Girolamo Amati. Articolo IV. , parte II. D< (VeggasI la parte I. nel volumetto di ottobre i83o. , dalla pagina 4^) opo tante assolute negative che fulminaste con- tro qualsiasi pertinenza italiana in monumenti , ora prodotti a migliaja dal nostro suolo, x voi concedete veramente, alla pagina iO. , avervi nel N. 559, del Museo di un principe italiano , un fatto di Ercole (non sapete se mai stalo in Italia) , contro altri guer- rieri , ed in favore di kaayke personificata , „ eh* „ era probabilmente quella istessa fontana , celebrata „ nelle tradizioni mitologiche della GRANDE GRE- ,, CIA ; di cui Pausania ( VI. 6. 4. ) vide iu Te- ,, messa , o Terapsa (della nostra Italia) , un' antica ,, dipintura , copia d' altra antichissima. „ Potevate aggiungere , con la erudizione a voi familiare , che quella Calice avea dato argomento di un poema all' epico nostro Stesicoro d'Imera , che per aver com- posto egli pure una iliade , dovea essere di età non molto distante da Omero : se non che avrete scan- sato ciò , perchè sarebbe convenuto riconoscere un inventore italiano della lirica , o melica poesia ; in- ventore , di cui lo stesso nome va sotto la regola mi- tico - eroica de' nomi epiteti , esprimenti una qualità 3A0 Letteratura dell' individuo , vale a dire veri soprannomi: Colui che forma , o costituisce i cori^ qiie' cantici, quelle danze - eh* eran comuni alle tragedie , ed alle commedie pri- mitive. - Ma ahimè ! che tutto il vostro condiscendi- mento è passaggiero ed illusorio ! Alla pagina 20. , in una noterella , pronunciate definitiva sentenza . „ Non si può mai NEMMENO SUPPORRE , pur- „ che abbiasi qualche cognizione di siffatti monu- „ menti , che i vasi , de'quali è quistione , abbiano „ mai potuto essere fabbricati in Etruria , a somi- ,, glianza de' vasi greci ; posciacchè la materia , la ,, fovraa , la fabbrica , la vernice , in somma tutto , ,, a dire in breve , cospira a presentare i vasi di Ca- „ nino SIMILI FATTI a'vasi dipinti di fabbrica gre- ,, co - siciliana. ,, Oh ! titubanza e contraddizione , oh ! stranezza turpissima di chi non segue la retta via ! Voi dun- que piantate , per tutte le due costiere , infera e su- pera , fino alle foci del Tevere , indi su pe' monti diminii , e quelli di Santa Fiora , poi d'ingiù verso il promontorio Cosano , ed Argentare , per tutta la spiaggia tirrena , fino alla Macra da una parte ; fi- no all' Aterno ed all' Adria Picena , fino al di la del Timavo , e dell' Adria Veneta , dall' al- tra ; una muraglia impenetrabile , più lunga e più forte di quelle de' romani nelle provincie confinanti co' barbari , di quelle della Tartaria e della Cina ? Dalla Sicilia sola balzarono adunque le arti plastiche , quelle della dipintura vasaria , o piuttosto la scira- miottaggine della imitazione di esse, entro il solo re- cinto etrusco non vastissimo , steso dal Tevere ali Ariminia , ora fiume Fiora ? Povera Campania , po- vera Magna Grecia , senza vasi grecizzanti , senza le vantate crete, senza le sognate famose fabbriche! Nulla sono le scuole di Reggio , de' Locresi , di Ta- Vasi etruschi 34! ranto , d'Eraclea , di Turio , di Metaponto , di Cro- toue ! - Rimostrerò, contro tante incredibilità, pochi, ma essenziali fatti di vera , positiva e pratica osser- vazione. T vasi dipinti delle campagne tra Canino, Mon- lalto, Tarquinia , e Cere, sono delle istesse maniere, segnati per lo più dagli stessi artefici, che quelli della Magna Grecia, della Campania, e della Sicilia; per- chè questi popoli nostri della Etruria centrale , uniti agli umbri , conquistarono e tennero in dominio ed alleanze lungo tempo la Campania , e le vicine pro- vincie. Invoco , signore , in testimonio la erudizione, la schiettezza vostra. Queste non mi sapranno negare esser ciò vero , e , come apparisce dalle memorie an- tiche , avvenuto in secoli sì rimoti , che confinano colla età favolosa. Quindi le irregolarità di un lin- guaggio greco , sommamente arcaico , misto con lin- gue ignote , difficile , ed incostante : i colori , le vernici , le rappresentanze , i varii modi del disegno, le forme tutte , gli occhioni spaventevoli , simbolo certo delfinio, tursonico, o tirreno, trovansi da chiun- que cieco non sia comuni alle stoviglie di ambedue le omai notissime provenienze. La Etruria centrale no- stra , dalla sponda destra del Tevere stendevasi pro- priamente , nella parte ora di stato romano , fino al fiume Fiora , TAriminia degli antichi. Molto di nuovo potrei qui produrre su gli A^i^oi nostri , già signori àeWe ìsole Pithecusae ^ Inarime ^ Prochjte ^ che nio- stransi pur greche dagl' istessi nomi loro. Per ora mi rimetto a chi sia dotto con Virgilio , e con gli eru- ditissimi grammatici archeologi . Da varie famiglie Arimnie , Ariminie , o Arrainie , che vedo in codesti paesi , e dall' accennata unione degli umbri con gli etruschi , tengo che il re Arimno , di cui ben cono- sconsi le medaglie, fondatore , o sovrano di Arimino , 3'i2 Letteratura citla umbra capitale della dolce patria mia , fosse art- cir egli di tale stirpe italogreca. Pausatila (V. 12. 2) ne attesta certamente, che. questi avea dedicato a Giove nel tempio di Olimpia il ricco donarlo di un suo tro- no ; e dice che avea regnato fra' tirreni. Mi sembra, signor mio , che se voi per sola deferenza verso un autore cotanto autorevole , ammetteste , o quasi am- metteste in linea di greco la italiana Calice , dobbiate ora non ricusare per grecizzante il re numismatico dell* Umbria. — Sotto Musignano influisce nella Fiora xia .litro vago ed abbondante fiumicello , detto Timone. Vedete (sarà corruttela , o caso) il bel nome greco ! In questa Etruria , qual citta più greca , più forte , più celebrata i, della confinante Agilla , o Cere , col suo porto , e col tempio famoso d'Ili tia , o d'Ino de* greci transraarini , di Leucotea (nome pur greco) de* nostri etruschi (la Madre Matuta de' romani) ; tempio , che divenuto ricchissimo di tesori accumulati , per le offerte de' naviganti greci, e d'Italia, e di oltre i ma- ri , per più secoli di nazional potenza e prosperità , fu posto a sacco dall' avido re di Sicilia Dionigi ? A prendere frattanto un esempio di gravissimi errori sulle cose nostre, non già da oltramontaui mo- derni , ma da un vecchio molto stimato ; il Cluverlo , dopo aver trattato abbastanza bene di questa grechis- sima citta di Cere , conchiude poi malamente ( Ital. ant. , tomo I. pag. 490). „ A Pelasgis primo con- „ ditum oppidum (ampia e potente metropoli), nomine „ ei imposito Agyllae , band equidem dubitavernn „ (grazie del non isperato favore !); quando in id tot „ consenliunt auctores gravissimi . At unde postmo- „ do , Etruscis tenentibus , novum nomen Caere ac- „ ceperit, incertum esse puto ; quippe de verbo X*'f® „ gramniatlcura vereor esse figmentum. „ Poverino! Egli non sapca nulla delle citta di due nomi , sì Vasi etruschi 343 numerose in Italia ; e descrive l'Italia ! Egli non si sgomenta nemmeno al nome anche più ellenico Pjrgi^ eh* era quello del grande navale , o porto di Agilla Cere , cosi detto dal suo turrito recinto. Conosce quasi tutte le autorità , che fanno a proposito pel greci- smo nostro , persino quella del tesoro , o sia edifizio ripieno di preziosi donarii , che gli Agillei Ceriti te- neano in Delfo , come le altre citta principali di origin greca ; e tuttavia mentisce contro la più sfol- gorante verità, (pag. 49 j.). „ Quod tamen contra He- „ rodoti (I. 167.) supra memoratam auctoritatem pu- „ gnat; quamquam et ipse illic Delphici meminit ora- „ culi : quod Graecis raagis Pelasgis , quam Etru- „ scis barbaris conveniebat. ,, Quale idea erasi egli mai formata degli etruschi ? Quella che altri tener ne vogliono ancora ; di un popolo barbarissimo , il- letterato , uscito dalla madre patria di essi appunto , la Scandinavia. Noi perdoneremo al Cluverio , ma non già agi' imitatori suoi , che vivono in tanta maggior luce di monumenti , e di critica nazionale d'Italia, L'ampiezza poi di una dominante, che Virgilio ri- conosce sotto il nome Caeritis a'tempi di Enea , di- mostrasi e dalla distanza fra loro de' due paesi, che ne restano ancora, Ceri e Cerveteri, e dalle città figlie, che le facean corona sul mare , Alsium , Ad Tur- res , Pyrgi , Panapione , Castrum Inai , Castrum novum , dell' Itinerario d'Antonino , Graviscae ezian- dio , secondo la somma dottrina di Virgilio in sif- fatte cose (Aeneid, X, v. 184.) , ed altre che ora ommetto. Panapione^ a nostro avviso, è per nANOilEiON, tempio di Panope , una delle Nereidi Nettunine tutte greco-itale , che , se non era la Leucotea di questi barbari , detta poi Madre Matuta, o Lucina da'roma- ni, era certamente la Panopaea virgo dell'epico au^ gusteo. Tante meraviglie più che attiche dell' Italia 344 Letteratura non furon mai vedute ( ed era pur facile il vederle) da veruno di coloro che scrissero sull'antica geogra- fia nostra , poiché tutti furono nemici giurati del gre- cismo tirreno- etrusco, quanto appunto il Gluverio. Que- sti , per seguire gl'indicetti non assestati di Tolomeo, piuttosto che il buon frate Leandro Alberti domeni- cano bolognese ( cui spoglia a man salva, e non si degna nominar mai ), sbagliò orrendamente intorno la situazione di VITVLONIA. (nome primitivo dell'Ita- lia ), e sbagliano seco lui orrendamente i signori To- loraeisti tutti. Questa primogenita Etruria centrale dovea giun- gere , almeno in tempi altissimi , fino al fiume Oni- brone , che col suo nome indica l'altro popolo con- quistatore dell' Italia meridionale ; popolo che in se- coli reconditi fra tenebre e qualche luce , ora fu emu- lo, ed ora alleato e misto col nostro. Il paese al di la di quel fiume sembra doversi considerare come una Etruria disgiunta, rimasta autonoma e rozza piiì lungo tempo ; e forse anche ( ciò che altri già osservarono) di occupazione , o conquista tirrenica posteriore. In tal guisa soltanto può rendersi ragione dell' essere cola molto rare le stoviglie italogreche , ora innumerevoli nel territorio nostro. Tuttavia, se mai voleste, o signore, alcuni do- cumenti di lingua ed arte greca , stabilita comunque in tal parte maggiore della Etruria ; io vi accennerò le statue, i bassorilievi mitici di tante citta della To- scana propria ; le urne specialmente di Volterra. In una di queste sarete costretto a leggere VPSTE per Oreste. Ditemi, in fede vostra, non è cotesto un bello e grande arcaismo piiì che Sigeo ; come appunto quel- lo di sEPAriTE per Sarpedone, e tanti altri delle no- stre tazze, de' vasi , e delle gemme ? Che importa mai se il t , detto etrusco , e talvolta fatto con piccolo Vasi etruschi 345 taglio obbllquo suU' alto , tale altra con una linea , che sorgendo alquanto dal basso a sinistra, forma un angolo acuto coli' asta retta della lettera ; due leg- giere deviazioni dal T pittoresco de' greci e de' lati- ni? Per ciò , nel vaso di Enea N." 1005., di cui già parlammo , sapendo noi che gli etruschi mancavano della lettera D, e la esprimevano con la T, pronun- cieremo sepaeiae : quindi riflettendo ad una metatesi Serap , in vece di Sarep , o Sarpe , e ad un tronca- mento in fine (due figure usuali persino ne' dialetti d'oggidì ) , ci persuaderemo con intimo convincimen- to , che Serapde vale onninamente Sarpedone. — Non potrete mai opporre , che le urne di Volterra , delle quali alcune sì massicce , sieno state traghettate dalla Sicilia, o dalla Grecia di la de'mari (come alcuni pre- tendono in vano de' vasetti di terra cotta) ; e nelle picciole fra esse, la pietra stessa del paese vi condan- nerebbe. — Quanto alle maniere , allo stile di lavoro, alle durezze del disegno nelle statue , ne' bassorilie- vi , nelle urne ; dopo tanti ammaestramenti , che il tempo ci ha dati, d'i un fare secco , di un medio , e di un molle in opere d'ambedue le Grecie, ora giunti a copia ed evidenza insuperabile , conviene omai re- cedere da' pregiudizj della scuola vecchia , provenuti a noi per la istituzione che avemmo da' libri scritti su tal materia , i quali non considerarono giammai , le arti belle esser nate, cresciute in Italia variamente come poteano , avanti quel sommo Zeusi eracleote no- stro , che le recò a perfetto grado ; ed in conseguen- za secoli prima che le stesse venissero in grande fio- re nella Grecia d'oltramare. Questo si è l'acclamato e certo dottrinale dell' esimio sig. Principe di Cani- no , che ninno potrà mai trattenere un istante dal pie- no suo trionfo. Non ha molti anni , che dalle parti d'Etruria ba- 346 L E T T E R A T U R A stantemente distanti da Roma , trasportata venne allo stadio del benemerito nostro sig. Ignazio Vescovali una bella e grande statua marmorea di un Giove se- dente. Gli amatori, e grintelligenti concorsi a vederla, mirandola di fronte , dicean tutti , esser ella sicura- mente opera dell' arte greca ( transmarina ) , se non isquisitissiraa e perfetta^ molto lodevole al certo e di- gnitosa. Ma quanta era mai la sorpresa e meraviglia loro , allorché osservavano , sul regolo del seggio a sinistra , il nome dell' artefice tirreno, scolpito in alte e proprie lettere etrusche ! Io andava soggiungendo, che sarebbe stata grande ventura , se in vita sua l'a- vesse conosciuta il dottissimo Lanzi. E certo ^ con tutte le apparenti ragioni , che il valentuomo produs- se , nella sua troppa circospezione , o timidezza , on- de abbassare l'età delle arti nella Etruria , noi non ci persuaderemo giammai, che un lavoro siffatto , e i somiglianti, debbano essere posteriori al terzo e quar- to secolo di RoLua ; ne' quali la nazione, per lunghe guerre abbattuta , e finalmente soggiogata, cessar do- vette dall' essere la feconda maestra di arti , com'ella era stata fino a quel tempo. Non altro ad essa , ed alle nazioni vicine della Italia , imposero allora i vin- citori romani , se non che seguir seco loro , con tutto il nerbo del popolo , la vita delle armi e delle con» quiste. Soltanto prima del detto terzo secolo esister poterono, almeno in copia ed esecuzione lodata, 1« maestrie pacifiche degli etruschi , e degl' italogreci. Dalla indicata comunanza di lingua e di arti fra le due nazioni , la meridionale d'Italia , e la cen- trale, discendono le seguenti positività di fatto. — In primo luogo ( ciò di cui vi mostrate affatto ignaro , anche dopo veduto il Museo Caniniano), che i graf- fiti de' figuli sotto il fondo de' vasi sono la maggior parte in complicazioni , o nessi di grandi lettere prcl- Vasi eteusciii 347 te eimsche , ma queste per lo più franitiilste eoa lol- fcere grecoitaliche Campane. Quindi non vi faccia spe- cie , se dissi d'avervi letto sicuramente KOSAON. In secondo , che le iscrizioni sulla superficie esterna de' vasi , allorché furon fatte da artefici di scuola Re- gina, Locrese, Campana, o Sicula, sono generalmente in lettere finissime , alle quali non giungerebbero gli artisti d'oggidì ; quelle al contrario di artefici tirreni, o etruschi , sono alquanto più alte e più grosse di pennello, e comunemente in color nero. In terzo luo- go , che fra le dotte dovizie di Musignano ho ve- duto co' miei occhi tazze tornite e dipinte come le Nolane , o simili del regno di Napoli , inscritte neU' interno dell'opera co' nomi SPVRINAS, x\FII, AR- N -ìE, GVTNAS , ed altri della nazione , in caratteri assolutamente proprj delle epigrafi etrusche su'marmi, e su'metalli. Che similmente, fin dal primo esame del- le stoviglie scritte, che mi si ofiVirono, incominciai a notare in iscrizioncelle di penrìellini Campani alcu- ne lettere credute privative della Etruria ; come già conosceva lettere proprie Campane , od Osche , nelle urne di Volterra, ed in altri monumenti della Tosca- na. In quarto finalmente , che solo da siffatta comu- nanza , o intima affinità di linguaggi , spiegasi come mai il nostro Lanzi abbia potuto dimostrare tanto di vero greco nelle etrusche iscrizioni , e nelle famose tavole Umbre di Gubbio. Contro il quale grecistpo cer- tissimo, e sempre più confermato da migliaja e migliaja di memorie sincrone innegabili, che il nostro suolo op- portunamente tramanda , e dal pieno assenso degli uo- mini tutti di vera dottrina e saggezza , riescono ben futili gli attentati di alcuni rattoppatori di ciance det- te filosofiche; i quali per altro voi , co'signori stranie- ri vostri aderenti , ed in Roma , ed in Parigi, lodale Inai sempre a cielo. 348 Letteratura Ora, se la combinazione mi ha portato a toccare di iieologisti non archeologi , permettetemi, o signore, che io tragga un rinforzo di armi novelle dal campo istesso di avversar] , che non mi aspettava, e che non sapea, ne so di aver meritato. Ciò facendo , potrei di- re, che ninno de' celebrati condottieri di guerre abbia operato mai uno stratagemma più decisivo. - I signori Gerhard e compagni, per mezzo delle pubblicazioni a voi notissime, hanno combattuto finora contro il grecis- mo primigf!nio e proprio dell'Italia, con arditezza , con ostinazione, con villanie veramente stravaganti. Facil mi sarebbe il rendere alle villanie pane per focaccia ma mei vieta il mio carattere. Credereste voi, che ora que'signori vacillano, s'imbrogliano bruttamente? Sottosegno le pre- cise parole de'foglietti loro. - Le stoviglie nostre pra^ 'Vendono tutte da artisti greci: si scorgono come (qua- .s'i ) fabbricate nel suolo cVEtruria. Le popolazioni vol- cienti ( di VITVLONIA ) erano di domicilio etrusco^ ma di civilizzazione più, greca che etrusca. La storia del popolo etrusco , e pariicolarmente di quello che dominò fra il Tes>ere e t Amine (l'ARIMliXIA), pren- de principio da pelasgi. La provenienza PROBA- JÌILMENTE greca degV italici. Cade in errore chi chiama greche cioè elleniche le popolazioni de* tir- renici o altri pelasgi. Pertantodee Sf^P PORSI, che la stirpe tirreno-pelasgica non fosse totalmente di- versa dalla ellenica. Conviene distinguere le popa- lazioni tuscìie e non greche., ma piuttosto alpine deW Etruria , da tirreni. Nome relativo all' origine d'al- tronde verisimile degli etruschi dal settentrione. X pelasgi d Etruria rimasi nel loro paese formarono un solo popolo co^ sopraggiunti tuschi. Pelasgi di 7'essaglia e d'Arcadia: antica supposizione., della loro tessalica provenienza. Col presupposto, che die cagione a tal finzione , vale a dire coli' immaginata provenienza Vasi ETRUscrif 349 tessalica de pelassi. - Da Strabene conoscono il re Ma- leote, che per catastrofe politica trovò suo refugio in Atene. Ma, se costui regnava su'toschi, egli era bar- baro, barbarissimo, più del nostro Arimno, umbro emi- gralo suir adriatico. Qnal nuova serie di metamorfosi è mai questa ! I jbarbari sono greci: le stirpi greche sono barbare : le nazioni divengono parole. Zeusi è cangiato ( honos sii auribus) in escremento; l'escremento in armatura delle Araazoni : gli occhi della provvidenza ( gli occhioni tursonici , o tirreni ) , su' quali scherzava in vederneli comparire a sei , ad otto alla volta, sulle grandi taz- ze , cangiati sono in occhi di pantera. Escremento sa- ranno, se cosi vogliono, le negative assolute, le con- traddizioni , come le vostre , o signore, gli assiomi, o sentenze loro in latino , che già volitunt per ora vi~ rum ; i Lolias e Polias lo stesso , genitivi masco- lini , pienamente falsi , pienamente smentiti; gVffy- phsis^ i TE AIE Chelis, i fetentissimi XESis da x^^^'i'» che pajono incredibili. Tutto ciò senza sapere ne leg- gere , ne pronunciare, ne scrivere i nomi greci, su* quali schiamazzano ; senza sapere adoperare il comu- nissimo lingTiaggio tecnico de' grammatici : ma in un gergo , che saia di lingua vandalica, o scandinava , ch'eglino stessi riconoscono per propria loro. Che va- lutar poi la comica legislativa del sig. Panofka sui nomi , e sulle forme de' nostri vasi .'' Ho detto comi- ca , poscia ch'ella è dedotta da' comici antichi; de' quali ciascuno avvisa l'alterare, il formar vocaboli, che faceano , il tirameli ed equivoci, ond' eccitare le ri- sate degli spettatori. Sarebbe lo stesso , che se uno zelante di scrivere in buono italiano prendesse le ap- pellazioni de'domestici utensili dalle commedie del Gol- doni , e dalle parti specialmente veneziane. - Ma lascia- mo simili cianciafruscole. G.A.T.LIV. 20 350 Letteratura Più seriamente io aveva resi avvertiti gli anzi- detti signori , gik miei amici , che , per aver vedu- to ne' graditi sotto il fondo de' vasi , nomi certissimi delle città fabbricanti , come FAL , i nostri Falera^ Halesii , o Falisci , e simili , era costretto a negar loro le calpes^ p le hydriae^ dovendo riconoscere piut- tosto nelle iniziali date le citlk d'Italia Cales^ Calatìa^ Hyria ^ Hjdrantum. In questi stessi giorni , presso l'egregio numismatico nostro sig. Caprau^, ho potu- to ammirare un documento nuovo di tale pratica os- servazione. E' un bello ed alto vaso , di eccellente dipinto a figure dette nere » ma realmente variegate. Il primo quadro, dottamente spiegato dal possessore, presenta Ettore , che ponesi le ocree ( come appunto Paride nel vaso Jones , da me descritto). Andromaca, modesta e succinta , gli porge le armi ; accanto a lui il vecchio Priamo, ed in disparte altri della famiglia, fra' quali il picciolo Astianatte. Giudico un tal vaso molto pregevole , anche pel suo piede, o fondo^ tor- nito e verniciato finamente ; in cui, come suol dir- si , fe graffito, meglio direbbesi è inciso con forte pun- ta di ferro MEL , in caratteri etruschi, o greco-ita- lici nitidissimi. Penso col possessore, che qui abbia- mo chiara la citta di Meles , della quale note sono le medaglie a'nostri celebri, e della quale ne ha pub- blicate altre il sig. Millìngen da'musei d'Inghilterra.- Vorrei sapere da voi , o signore , per qual cagione troviamo nel vasellame di Vitulonia un sì grande nu- mero di rappresentazioni trojane, di Enea specialmen- te , e , com'è questa, di circostanze particolari e do- mestiche, non derivate certamente da Omero. Io non ricorro ad altri , che menan romore contro Tanti" chita somma d'iscrizioQÌ che non intendonsi ancora , e contro le spiegazioni che ho potuto darne di alcu- ne. Se dio mi concede vita , ed agio qualunque, por- Vasi etruschi 35| rò in sicuro la lingua superiore alla greca ; sosterrò, ed accrescerò le mie povere fatiche. Frattanto essi ac- corgerannosi sempre più del sinistro che incontrano, per non aver voluto seguire le mie tracce, alle quali antecedentemente raostravansi cotanto propensi. Essi , dando luogo ai maneggi , ed alle male opere di un italiano , hanno creduto di fare un affronto a me, ed hanno fatto un affronto gravissimo alla giustizia , ed alla verità. Sono in dovere , mio caro e gentil signore, di continuare a scorrere il restante del vostro articolo. In esso avete alzato troppo la voce, vi siete fatto ardito ed ingiurioso verso di noi. Ciò forse confidandovi nella supposta bravura di que'compagni, de'quali vi ho mo- strato la incostanza , e la debolezza. Molti sono gli argomenti e i mezzi che mi si presentano a ribatte- re gli assalti vostri. Sto per altro attendendo un op- portuno sussidio di monumenti e sposizioni dall' alto personaggio , che solo può darmi lumi e vigor no- vello. Converrà quindi ch'io differisca il compimen- to delle nostre quistioni ad una terza parte. In qua- lunque modo , siate sicuro, che io osserverò dispu- tando la maggiore civiltà, co' riguardi tutti di mia convenienza. 23'' 352 f^laggio per diverse parti i{ Italia^ Svizzera^ Fran- cia , Inghilterra e Germania. - Napoli dalla stam- peria francese in 8. volumi in quarto. X ulti sanno che il sig. Tenore illustre botanico na- poletano è l'autore di questo viaggio, uscito in luce già da quattro anni e meritamente encomiato in molti giornali. Noi che amiamo e stimiamo il sig. Teno- re, e siamo gelosi dell' onore di un viaggiatore ita- liano, poiché ora trattasi una ristampa dell'opera, vo- gliamo rettificare alcuni abbagli presi da lui nel de- scrivere la nostra Roma. Alla p. 37 noverandosi le porte di Roma , eh' or sono aperte , lasciasi la principale cioè la Flam- minia o porta del popolo. Dicesi appresso che le por- te chiuse attualmente sono sei , quandoché dovea dirsi quattro, la pinciana, la latina., la castello e la fab- brica. La division della citth non è in dodici (ib) ma in quattordici quartieri detti rioni (regiones). L'ac- cademia delle belle arti di S. Luca ( pag. 42 ) non è stata mai al collegio romano , ma bensì in un'altra casa ex-gesuitica a S. Apollinare , d'onde fu trasferi- ta da Leon XII alla Sapienza. Non è vero (pag. 48) che dalla piazza delle quattro fontane veggansi suU* estremità delle quattro vie altrettanti obelischi , poi- ché dalla parte di porta pia non v'è affatto obelisco; e quello di S. Giovanni in Laterano , che l'A. cita per quarto , rimane invisibile da quel luogo ed assai lontano. Le tre vie che dlramansi (ib) dalla piazza del popolo sono il corso, il babuino e ripetta, non la stra- Viaggio ec. 353 da del Panteon che n'c ben lungi. Le due chiese di simile architettura non sono lateralmente , ma di contro la porta del popolo. Vicino alla porta è la chiesa di S. Maria del popolo, e rimpetto la dogana e il quartier de' carabinieri , non de' cavalleggieri , truppa che in Roma or non è più. Alla pag. 53 par- landosi del sepolcro degli Scipioni rammentasi come essi porgessero materia ad uno de'piiì eloquenti scrit- tori de' nostri giorni, e citasi Ugo Foscolo autor del carme immortale su sepolcri , in cambio di Alessan- dro Verri che scrisse le Notti Homane al sepolcro de- gli Scipioni. In mezzo al colosseo (p. 58) non e altrimenr ti eretto u?i altare, ma una croce, ed intorno intorno le immagini della passione. Il ponte S. Angelo (p. 75) ed il ponte Sisto sono due cose distinte, non la me- desima, come dice l'A. La basilica di S. Paolo (p. 82) non il 1822, ma l'anno seguente 1823 andò disgrazia- tamente in fiamme. Non è un collegio di canonici la fabbrica annessa alla basilica ostiense , ma un moni- stero di benedettini. All'arco di pantano ( p. 94) os- sia foro di Nerva non evvi porta alcuna della moder- na citta, ma soltanto passavi una delle vie. Nel palaz- zo di Venezia ( p. 100) non v'è altrimenti un' acca- demia di belle arti. Poco sotto alla pagina medesi- ma ripetesi per errore che l'accademia di S. Luca , o delle belle arti, stesse un tempo al collegio romano, in cambio di dire a S. Apollinare. Per recarsi alla villa Albani ( p. 111) non convien battere la stra- da di porta piana (dovea dirsi pia ) e costeggiare le mura della città fino alla porta Salara. Ma si esce dirittamente per questa porta. Sulle terme diocleziane è fabbricata ( p. 114) oltre la chiesa di S. Bernar- do , anche la bella e vasta chiesa degli Angeli, par- te della villa Negroni e gli edillcj che già serviva- no di pubblici giaaaj, quando la pubblica economia 354 Letteratura delirava colle annone. Dovea dirsi che il porto di ripa grande è edificato non lungi^ piuttostochè rimpetto ali* isola tiberina. La destinazione della gran fabbrica di S. Michele è tUtt'altra che una una casa per gli espo- siti^ un luogo di correzione ed un ospizio per le don-f ne incinte. Cotesto grand' istituto raccoglie quattro fa- miglie, cioè vecchi, vecchie, fanciulli e zitelle. In al- tra fabbrica annessa è la prigione delle donne. La ca- sa degli esposti è a S. Spirito , il correzionale de* ragazzi alle carceri nuove in via Giulia, e l'ospitai del-. le partorienti a S. Rocco presso ripetta. Gli statuti (p. 126) dell'accademia di S. Luca non mancano al- trimenti: che anzi furono piiì volte pubblicati con au- torità sovrana ne'secoli XVII e XVIII, e poi nel 1812 e nel 1818. L' A. torna a parlar di Roma anche nel volu- me quarto , in che nulla abbiamo a notare. I roma" ni deono esser grati all' ottimo prof. Tenore che di- ce in quest'opera di loro cose assai lusinghiere. C. L. M. 355 ARTI BELLE-ARTI. Discorso detto agli alunni dell' insigne e pontificia accademia romana di S. Luca , nella distribuzio- ne de" premi scolastici , dal prof. Sah'atore Betti segretario perpetuo. Singolare , o giovani valorosi , b il piacere che la presenza vostra reca quest' oggi non solo a' professori chiarissimi , a' quali fate corona : ma anche all' am- plissimo porporato (1) che deli' alta sua dignità riem- pie questo santuario pacifico delle arti. Imperocché niu- na cosa possiamo aver tutti più caramente diletta, che di veder voi ben corrispondere alle tante e si liberali sol- lecitudini del governo e dell'accademia per l'ottimo vo- stro ammaestramento. Si, o giovani : il cuor ci si apre ad allegre speranze del dover voi continuare alle arti ita- liane queir altezza di gloria , che fin qui le ha re- se oggetto della riverenza non meno , che dell' inr vidia delle altre nazioni : e del dover dire tuttavia per voi con generosa alterezza, che all' Italia non è venuta ancor meno la dignità dell' impero : impero delle arti del bello , per le quali principalmente di- mostrasi la civiltà vera di un popolo. Le quali spe- I 356 Belle-Arti ranze ci si fanno anche maggiori da un' altra lode, che cerio non può fallire ad un lietissimo fine : in- tendo della bontà vostra , o giovani , che qui con meritato elogio mi è dolce di ricordare. Perciocché intesi alle arti , quieti , religiosi, e tutti ossequio ver- so la maestà del principe santissimo che ci regge , non è a dire qual'egregia testimonianza ci abbiate re- so della gioventù romana: la quale non disslmile all' antica, tiensi con isch ietta modestia all' ufficio dell'età sua, che solo di apprendere e di lasciarsi condurre da' pili provetti. Beli' esempio , e degno di chi come voi ha in mente la patria , che la providenza vi ha dato in sorte : la qual patria ad ogni italiano è Ro- ma, dove in que'terapi che noi chiamiamo i più splen- didi della nostra gloria , ninno osava e di leggi e di stato discorrere se non con riverenza e pudore in- nanzi a' capi canuti de' padri loro : volendo ciascu- no essere bene acconcio ad intendere le cose politi- che prima che a giudicarne. Certo la dove è docile la gioventù , dove non si alza sopra di se , dove ha in ossequio il provvedere e l'esperienza della vecchiez- za , ivi è la pace , ivi la gloria , ivi la stabilita , l'ordine e la beatitudine d'ogni viver civile. Tal fu l'insegnamento e l'uso de' nostri avi, eh' escir fecero il grido della romana prudenza lino ai termini della terra: ed allorché venne meno quell'antica modestia, e l'audacia e la presunzione de' giovani confidò te- merariamente far ciò che lasciar si doveva al consi- glio de'vecchi , noi vedemmo in che gran male cad- dero tutte le cose nostre , e come indi a poco pre- cipitassero. Or seguitate cosi , o giovani , a meritare l'amor nostro , non meno che le benedizioni de' vostri pa- dri : e procedete in pari tempo con alacrità in que- sta gentilezza di sludi. Deh ! non tralignate neppure Belle- A UT I 357 in ciò da que'nostri antichi, i quali, come dice Pli- nio , di parecchie età avendo preceduto nelle arti la Grecia (2), porsero i primi lumi del bello a quella famosa nazione : che poi , fatti noi più fieri nell'ar- me , ci rimeritò in -modo degno di Apelle e di Fi- dia dell' immortai heiieficio. E per ciò fare, sappiate per prima cosa essere! iitaliaui : ne vi lasciate illude^ re a niuna novità straniera. Imperocché fra le arti italiane e le straniere , massimamente de' popoli bo- reali, v'ha un gran tratto di divisione , che a niu- no è dato di trapassare : quello che necessariamente disgiunge una terra tutta hella di luce, e di chiare acque , e di verdi prati e di fiori , da un'altra che fra nebbie e perpetui geli sepolta , non suole che obliquamente essere rallegrata dall'occhio del maggior coloritore dell'universo, della prima vita d'ogni arte, del sole. Nelle scienze che da ragione provengono, la quale in tutte le nazioni ad un modo rivelasi , ben possiamo tener co' sapienti di Berlino, di Stocol- ma, di Vienna : e tutti infatti ci studiamo di render plau- so , appena ce ne giunge annunzio, a quelle opere loro gravissime il botanica, di fisica, di matematica: e solennemente le approviamo, e ne facciamo tesoro, e le volgarizziamo. Ma le arti son cosa dell' immagi- nazione ; e primo a muovere e ad accendere questa potenza vivacissima dello spirito è ciò che per ogni lato ci attornia, che apprendiamo co'sensi, che sen- tiamo nel fondo dell'anima: questi colli cioè , questi fiumi , questi allegri aspetti, questa uberta d'ogni be- ne , questo riso , quest' armonia, in fine questi effet- ti di luce SI varii e si maravigliosi. E fino a quan- do disprezzeremo ingrati i beneficii della providenza ! Fino a quando , nati noi a levare con dignità il capo fra gli uomini , incurveremo per viltà le ginoc- chia e la mente ! Fino a quando durerà questo di- 358 B E L L E - A R T I scoQOSCere le cose iiostie! Lasciate dunque altrui quel- le arti t che sono da loro (3) : buone , se cosi vuoi- si, raa che mai non potrebbero esser vostre, se non falsificando voi stessi, togliendovi dall' imitare la bella natura , primo intendimento delle arti , e rifiutando la patria : e con sicurtà seguitate gì? insegnamenti di que- sti professori , che tutti a ciò intendono , a farvi ar- tisti italiani. E quando vi avverrà di udire (e a tale siamo , che spesso l'udrete ! ) chi per grande o ce- cità o arroganza presumerebbe gittar quasi a ter- ra queste opere nostre , in che d'ogni parte riluce l'ingegno divino di Vitruvio e di Bramante, per sol- levare non so che mostri di fabbriche gotiche : voi schernite costoro, e traeteli innanzi al Panteon ed al Vaticano ; e vedrete che que' maestosi edifici delle italiane arti colle sole ombre loro atterriranno e fa- ranno ammutolire que' miserabili. Essi hanno l'anima morta : essi fra le porpore di Alessandro e di Au- gusto godono avvilupparsi nel!' ispido saio del van- dalo ! Ne ricordano che a far barbara Roma non ba- starono neppure il guasto e la ruba di Alarico , o la tirannide e la brutalità .li Odoacre : talché la se- de venerabile delle arti non ebbe mai duopo di un Brunellesco (4), che levandosi con isdegno contra le goffaggini forestiere, la richiamasse agli antichi ordini della sua splendida architettura. Ma per essere italiani veri, e degni di que' fa- mosi che da Zeusi , imraortal gloria nostra (5) , e da Pittagora di Reggio fecero fiorente la scuola italica fino al secolo di Antonio Canova, conviene per pri- ma cosa che voi seguitiate quelle pratiche, quegli stu- di. Parlare qui a lungo degl' insegnamenti delle ar- ti , già non fa duopo : nh di ciò che sempre le ha tratte in ruiua , la fretta dell'operare : cosa , o gio- vani , che da liberali che sono le rende meccaniche. Belle-Arti 359 perciocché mostra più l'uso della mano, che la con- siderazione della mente. E neppure del disegno ose- rò favellare innanzi a questi celebrati maestri. Chiedo bensì che mi sia permesso ( se le poche facoltà dell' ingegno mi serviranno) di discorrervi alquante cose suU'accompagnare le arti eoa "gli studi delle lettere e delle scienze : il che molti stimano poter trascu- rare. Noi crediate , e giovani •* i giandi della Gre- cia e dell' Italia a quell' altezza pervennero sia nella pittura e nella scultura , ^ia nel!' architettura , prin-« cipalmente perchè ebbero cognizione di molle dottri- ne , e perchè sulle carte degli storici , de' poeti , degli eruditi vegliavano quelle notti, che dall'opera della mano avevan riposo. Laonde si legge che Poli- gnoto e Fidia dottissimi miglior diletto non ebbero che in meditar sull'Iliade : la quale a quest'ultimo inspirò quella maraviglia del Giove olimpico , tutto omerica maestà. E Zeusi nostro così da presso segui quel con- cetto sublime di poesia, che in tutte le opere sue co- stantemente ritrasse alla grandezza e magnificenza di Omero : talché non per altro esempio, che per quello del greco divino, fece egli risentite e gagliarde le mem- bra eziandio delle donzelle, piegandosi facilmente quel suo grande a ogni bello : ed ebbe si pieno il petto di filosofia, che Arpocrazione chiamollo l'Aristotele dell' arte sua. E Senofonte non ci pone Parrasio dispu- tante alla scuola di Socrate ? Celebri erano inoltre all'età, di Plinio e di Snida le opere che scrissero Apel- le. Protogene , Eufranore e Policleto : e pochi igno- rano che Panfilo, il maestro di Apelle , non pure fu nelle lettere illustre , ma dottissimo nella matematica: scienza che egli il primo persuase a'greci essere ne- cessarissima al perfezionamento dell'arte. E ognun ve- de con qual giudizio : perciocché solo col soccorso della geometria e della prospettiva perveniamo a co- 360 Belle-A bti noscere l'apparenza certissima degli oggetti , e il lo- ro rilievo , e la lor direzione. Laonde a Panfilo è dagli antichi data la gloria di avere veramente il pri- mo fatta salir la pittura in quel pregio , che la rese SI nobile fra le arti liberali , e degna che come ope- ra delle grazie v'intendessero alcuna volta l'ingegno Pit- tagora, Platone ed Euripide. E Timante e Tiraomaco furon pittori , o piuttosto eraoli della maggior sapien- za de' tragici greci ? Degli artisti poi che dopo la rinnovata civiltà, grand' opera degl' italiani , vennero in fama , che mai potrò dir io ? Chi non sa che Giotto bevve al maggior fon- te della sapienza, usando famigliarmente coli' Alighie- ri ? Chi non sa che il Ghiberti vegliava le notti su Pli- nio ? E vuoi letteratura più bella e più solenne filo- sofia di quelle che fiorirono in Leonardo ed in Rafl'ael- lo ? E in queir immenso Michelangelo, uomo di quat- tro grandi anime , i cui versi e le prose così e' in- nalzano lo spirito per maschi pensieri , come c'inna- morano per eleganza ? E che dirò del Gellini.'' E che di Andrea del Sarto , di Sebastiano dal piombo, d'A- gostino Garacci , di Giulio romano , del Vasari , del Bronzino , dello Zuccari , di Salvator Rosa e di tan- ti altri , i quali non so se più pratici fossero delle belle dottrine , che delle arti ? Già degli architetti non parlo : che quanti furono di chiaro nome , tanti sono per letteratura lodati e famosi : come fra' lati- ni antichi Vitruvio, e fra' moderni l'Alberti, fra Gio- condo , Bramante , il Vignola , il Palladio , lo Sca- mozzi , il Serlio , il Poruzzi. Posero essi lo studio loro principalmente ne'clas- sici : e tutti , massime pittori e scultori , ebbero in mente nelle loro opere alcun concetto di quegli scrit- tori più celebrati; concetto che dovrà pure aver pre- sente chi guarda e giudica , se finamente vorrà pe- Bet. le-Arti 36J netrare nelle più sottili ragioni , che guidaron la ma- no degli artefici nobilissimi di tante tele , di tanti marmi. Cosi un giorno dicevami il massimo , che ha: dato il nome a questo secolo che ci fiorisce , il Ca- nova : il quale de' classici fu studiosissimo , e sin-' golarmente faceva le sue delizie di Omero e di Pau- sania. Ed infatti quando voi colà nel tesoro del Vati- cano alzate gli occhi a que' portenti della greca scultura, 10 so bene, o giovani, che voi dovete riceverne all' anima un gran diletto. Vedere quello stupendo Gio- ve quel terribile Laocoonte, quell'altissima fantasia, dell Apollo ! Voi però guardate, ammirate , e passate oltre. Ma quando in Pausania abbiate letta la descri- zione del Giove olimpico di Fidia, ed alla mente vi SI riducano que' versi dell'Iliade, da' quali Fidia tol- se) la sublime inspirazione , sembrerà l'anima vostra mirabilmente elevarsi : e vi parrà quasi vedere quel capo chinare i sopraccigli, crollare sulla fronte le chio- me, e tremarne la terra. E, del Laocoonte che vi par- rà dopo aver letto Virgilio e Quinto Calabro.? E se- guardando l'Apollo , vi sovverrà de' versi di Omero che cantano : Si disse orando. L'udì Febo, e scese Delle cime d'Olimpo in gran disdegno. Coir arco sulle spalle , e la faretra Tutta chiusa. Mettean le frecce orrendo Sugli omeri all' irato un tintinnio Al mutar de' gran passi : ed ei simile A fosca notte giìi venia. Piantossi Delle navi al cospetto: indi uno strale Liberò dalla corda , ed un ronzìo Terribile mandò l'arco d'argento (6) : se, dico, vi sovverrà di questi versi , qual simula- cro v'inculerà ncU' anima un sacro terrore. Voi vi 362 Belle-Arti airp^terete, divenuti più che voi : maraviglierete quel- lo sdegno còsi divino: crederete veder trascorrere un nume: e udrete quasi il snoao dell'arme (7). Laonde, o carissinai giovani, fate studio de* clas- sici, gran fonte delte arti belle : e singolarmente de' greci, de' latini, degl' italiani: perciocché avendo pron- ta la mano al disegno, e coltivata la mente di buo- na dottrina, le vostre opere non potranno fallire di aggiungere alla fama degli eccellenti : schifando quella mediocrità , che pessima nelle arti , non vuoisi ne devesi toLlerure. NOTE -f ; (1) L'eminentissimo sig. card. Pier-Francesco Gal- ielR camerlengo di Santa Chiesa e sottodecano del sacro collogio. (21 Hist. Nat. lib. XXXV cap. 36. Vedi pure il Winkelmann , Storia delle arti del disegno lib. 3 cap. 1 ; ed il padre Guglielmo della Valle nella vita di Marcio Ludio. (3) !! celebre Goethe cosi scriveva nel suo F'iag- gìo dal Tiralo fino a P^enezia ; ,, Egli è evidente , che l'occhio impara a considerare le cose sugli og- getti che osserva nella sua giovinezza : quindi devo- no presentarsi esse al pittore veneziano più pure e più chiare. Noi tedeschi , che viviamo sopra un suolo che ora è fangoso ora polveroso , che è privo di colore, che offusca i riverberi , ed i cui abitacoli sono angu- sti, non possiamo da noi sviluppare uno sguardo sì lie- to. „ Il Winkelmann 1. e lib. 1. cap. 3 §. 8 aggiun- ge dL più : „ Sogliono trovarsi nelle belle contrade d'I- talia ben poche di quelle figure a tratti deboli , e co- me mezzo sbozzate ed insignificanti, che ad ogni pas- so s'incontrano oltremonti : ma vi si veggono general- B E L L E A R T I 363 mente flsoaomie ora nobili ora spiritose, la forma del volto v'è comunemente compiuta , e le parti tutte ne sono in beli' armonia composte. E tanto è sensibile questa elegante conformità di volto , che la testa an- che del più vile plebeo può servir di modello in qua- lunque più sublime quadro istorico, principalmente ove rappresentarsi vogliano uomini di età provetta : ne è rara cosa il trovare, eziandio fra la plebe, donne atte a servir di modello per una Giunone. La parte più me- ridionale dell' Italia , ove più dolce è il clima, pro- duce uomini più robusti e meglio formati che altro- ve : la loro alta statura , la giusta dispostezza e for- za delle membra loro salta agli occhi dello spettato- re , principalmente ov'egli facciasi a rimirare i ma- rinai , i pescatori , e l'altra gente occupata sul ma- re , che generalmente poco raen che ignuda si vede. „ E più oltre , cioè al §. 21 , questo illustre tedesco sì pratico delle cose greche e italiane , le quali non vedeva con la nebbia settentrionale sugli occhi , par- lando degl'ingegni d'Italia dice : ,^ Que' talenti che avevano i greci per le arti si ravvisano ancora qua- si generalmente negli abitanti delle provincie meridio- nali d'Italia , ne' quali la viva immaginazione sublima lo spirito : Ta dove in altri popoli , e principalmen- te presso l'inglese pensatore , troppo domina la fred- da ragione. E' stalo detto , ne senza fondamento, che ì poeti oltramontani parlano bensì un linguaggio im- maginoso , ma poche immaginazioni ci presentano. E difatti convenir si deve , che le terribili descrizioni , nelle quali consiste la grandezza di Milton , non sono punto oggetti per un sublime e nobil pennello ; anzi in nessun modo potrebbero dipingersi. Le pitture di molti altri poeti oltramontani sono gran cosa all' orec- chio, e ben poca rosa allo spirito: ma in Omero tutto e dipinto , tulio è acconcio por la pittura. Osservia- 364 Belle-Arti jnò; altresì nell' Italia , quanto più calde sono le regio- ni , tanto più fervida esservi l'immaginazione, e pili rari talenti : i poeti siciliani son pieni di peregrine immagini, che nuove ed inaspettate giungono al leg- gitore. Questa immaginazione però, comuncpie fervida, non e ne impetuosa ne sregolata ; ma simile al tem- peramento degli abitanti , e al clima di que' paesi , ella è più eguale che ne' paesi freddi , e più che in questi la natura fu ivi liberale di quella flemma feli- ce che la rattemperai e modera, ,, - Or andate dopo ciò , stolti italiani che non avete rossore di chiamar- vi romantici , andate a bearvi nelle arti e nello let- tere del settentrione ! (4) Finalmente i fiorentini, per mezzo delC Orga- gna, incominciarono ad abbandonare QUEL DEFOR- ME STILE ( gotico o sia tedesco ) , e Brunellesco fit il primo che ricondusse le menti. Così dice non iin italiano , ma un valente e giudizioso artista nato in Aussig, benché educato fra noi, RalFaello Mengs. (5) Che il gran pittore Zeusi forse italiano , e nato nella Eraclea della Magna; Grecia, fu cosa tra- veduta gii dall' Arduino , e provata dal Tiraboschi. Ed ultimamente ne pose in campo altre gravi prove nelle Osser>vazioni intorno ad alcuni -vasi etruschi o ilalo' greci il celebre amico nostro ab. Girolamo Amati. V. Giornale arcadico, volume del mese di aprile 1829. (6) Iliad. l. 1, traduzione del cav. Monti. (7) Io credo (checche ne dicano alcuni) che ve- ramente il greco artista abbia voluto nella statua va- ticana significare Apollo in atto di scagliare le sue saet- te sul campo de'greci. E per tale me lo da a conosce- re il serpe ivi scolpito sul tronco, che forse ad altro non si riferisce che al poter medico del nume (simbolo im- portantissimo , volendosi dinotare una pestilenza ) : e più quel non so che di omerica sublimità , che sì pa- lesemente anima tutto il simulacro. 3G.-Ì Intorno al ritratto della N. D. sig. marchesa Maria Maddalena Crosa di f^ergagni , dipinto dal eav. Ferdinando Cavalieri. L esimio dipintore signor cavaliere Ferdinando Ca- valieri ha teste operato in portentoso modo il ritratto della nobile dama signora marchesa M. Maddalena Cro- sa di Vergagni, madre di S. E. il signor marchese e commendatore don Nicolao Crosa di Vergagni , invia- to straordinario e ministro plenipotenziario della mae- stà del re di Sardegna presso la s, sede. Egli nel pre- sentarne la cara madre ha voluto accompagnare il bel dono , non che di alcune strofette che , cantate da soavissima voce , destassero eziandio ne' cuori altrui la commozione ch'egli provava in que' momenti di figlia- le tenerezza ; ma altresì di un leggiadrissirao sonetto, con che rendesse il dovuto omaggio di lode al valen- te artista , felice imitatore della natura. Noi riferiamo ben volentieri questi due componimenti : sì perchè ci è caro l'illustre operatore della bella effigie ; sì per- chè note ci sono le molte virtù della dama effigiata; sì finalmente perchè ci gode l'animo in vedere , co- me il signor marchese di Vergagni, in mezzo alle gra- vi cure, non ponga in dimenticanza gli ameni studi, e punto non faccia deviamento dal buon cammino. E di vero i versi, che noi rechiamo, non tengono nulla ne delle dure inversioni, nelle quali si deliziava, sul suo finire , il passato secolo , ne delle strane fantasti- cherie , in che deliziasi il nostro : ma vergini vi sono le immagini, e le veste una purezza e una semplicità G.A.T.LIV. 2^ 366 Belle-Arti di stile che t'innamora. Oltre a che spirano una soa- vità d'affetto Che intenderla non puh chi non la prova. E certamente chiunque leggera questi versi potrà giu- rare che il marchese Crosa è un amorosissimo figlio. L. Biondi. A MIA MADRE pel ritratto suo dipinto dal eh. cav. Cavalieri. \J delle madri esempio , Saggia ed amante al par , Oggi tua viva immagine Io vengo a salutar. Non è mendace il labbro Quando lo muove il cor , Quando risuona il cantico Del più vivace amor. Non quel che di Ciprigna Leggiadro figlio un dì Coir arme inesorabili La madre ancor ferì , Non quel che i vanni spiega A insidioso voi Delle piagate vittime Sovra lo imbelle stuol ; Ma quello sol che vive De' grati figli in cor , Di non fugaci palpiti Possente animator. i ^ Belle-Arti 367. E mentre inni suavf Pietoso ei scioglierà, A la sua voce armonica Eco la mia sarà. ALL'EGREGIO CAV. CAVALLERI che dipinse il ritratto di mia madre. SONETTO jyiera viglia gentil di Paradiso Soavemente e gli occhi e il cor mi assale ; Le materne sembianze io ben ravviso , Ne saprei se è divina opra o mortale. Di parole atteggiata e di sorriso Sento che all' alma mi ragiona , e tale Mi appar, eh' io resto in dolce error diviso, E or dico=>è dessa; or = quanto ad essa è uguale! Ma tu che d'arte e di natura il bello Scerni sagace , e d'ogni scuola il fiore Cogliendo vai col creator pennello ; Se tua mercè mi splende oggi sul ciglio Sì pura gioja , a te ne sia l'onore ; E avrai pegno di gloria il cor d'un figlio. N. G. 24 /.» 36S VARIETÀ' Meditazioni poetiche. Vol.i. Lago coi tipi Melandri i83i i832. V^uesto volgarizzamento poetico delle meditazioni del celebre poeta francese la Martine, fatto dal signor prof. Pier Bernabò Silorata autore di altre gentili traduzioni, merita che noi ne facciamo alcuna parola di lode. E tanto più che egli in tra- ducendo ha saputo destramente uscire di que' rischi, che si corrono portando poesie originali dall'una all'altra lingua. E se alcuno vorrà dire che in questi versi le forme del poeta francese talvolta si vengono perdendo , noi risponderemo non doversi questo imputare a colpa del eh. traduttore , ma a buon giudizio : perchè male sarebbcgli convenuto frapporre a bei pensieri italiani alcuni di que' concettuzzi graeiosi a Pa- rigi, e vuoti e leggieri forse troppo appo noi nemici d'ogni leziosità poetica. Mi sia permesso recar qui alcune ottave a sugello del vero. MALINCONIA. Deh ! mi traete alle felici sponde Ove specchia Partenope nel mare I suoi palagi , i clivi , e le gioconde Stelle non mai cinte di nubi avare. Godrommi al riveder come dall'onde L'infiammato vesevo assorger pare, O mirerò dalla sua scabra cima II sol eh' esce nel cielo e si sublima. Varietà' 369 r Togllo al fìanco della mia diletta Ir meditando per que' poggi ameni. Oh ! meco assisa in celere barchetta ' A scorrer tutto il «aro golfo vieni:! Tornerem su que' lidi ove ristretta S'addorme l'onda in solitarii seni O tra' ruderi antichi ove sorgea Leggiadro un tempio all' amorosa dea. Andrem di Cinzia a' be'pomieri, all'urna Del mantovan dolcissimo cantore, E colà sotto l'ombra taciturna De' salci , e il molle degli aranci odore Vagando , assai della stagion diurna Solinghi rimarrem co! nostro amore. Saran quivi per noi l'aure serene D'una gentil soavità ripiene. Ahi ! si consuma de' miei dì la face AI soffio della torbida sciagura , E soltanto la rende ancor vivace Tua rimembranza che nel sen mi dura. Già il dì si appressa eh' all' eterna pace Salir potrò da questa valle oscura , E forse giunto d'improvviso a sera Io non vedrò tornar la primavera. Ma se nel fior mi debbe coglier morte, E se lasciar convien quella dorata Coppa felice , cui parca la sorte Aver per me di rose incoronata. Solo chiedo agli dei che mi conforte La terra che tu festi un dì beata , Ond' io saluti ancor la sua fiorita Sponda, e mi moja ove gustai la vita. G. I. M. STO Varietà* Dissertazione sopra lo stato presente della lingua italiana; e e le grazie , dialogo di Antonio Cesari che compie la dis- sertazione,. Venezia per Girolamo Tasso i832. Xjcco una nuova edizione di due elegantissime operette del padre Cesari, il quale coli' eleganza de' suoi scritti ha levato tant' alto grido in Italia. Peccato che quest' uomo troppo ab- bia abbracciato , e sempre alle più peregrine bellezze della lingua non abbia accopiato le profonde dottrine de' filosofi ! Certo che se questo illustre scrittore meno si foSse abbando- nato a dar dentro alle più ignobili reliquie dell' antica favella, e più avesse poste mano all'arte critica, le sue opere sareb- bero in ogni parte eccellenti. L'Italia nuUadimeno gli sarà sem- pre debitrice dell'avere richiamata a' suoi priacipii la lingua, che ornai suonava bastarda e straniera sulle bocche italiane , e d'avere dati esempi efficacissimi di bello scrivere. Noi desi- deriamo vedere che alcuno, facendosi ad imparziale esame delle opere sue , ne dia una giudiziosa scelta che giovi gli studi della gioventù , e faccia onore a' lumi del secolo presente , e all' italiana letteratura. E ci piacerebbe ancora che a luogo si ponessero le osservazioni, che alle opere di questo nobilissimo maestro hanno fatto il Monti, il Perticari e molti altri. Pare a noi che delle sue orazioni alcuna sia veramente eloquen- tissima , e meriti luogo anche più distinto che queste stesse operette, che noi raccomandiamo agli studiosi delle grazie dell' italiana favella. G. I. M. Operette di Francesco Ilarii. Macerata presso Benedetto di Antonio Cortesi i832. Xn questo librettino noi abbiamo alquante garbate poesie, ora di tema pastorale, or di grave, or di sacro< Felicità di veua> Varietà' 371 delicatezza di sentimento, e fluidità di espressione, pare che siano i pregi principali di questi versi , de' quali noi godia- mo vedare donato il titolo ad uomini principalissìmi dell'età nostra, al Costa, al Giordani, al Cassi. Imperocché la brutta adulazione ha oggi piegali i poeti a pie de'grandi , sicché tutto quello che esce di lor capo ya strisciato innanzi alle scranne dorate, e ai baldacchini, e non si vede che dirado in fronte ai parli de' più felici ingegni il nome dell' amico , dell' illustre cittadino cui perseguita o l'ingiustizia della fortuna , o la ma- lignità dell'invidia, o il sospetto de* potenti. Il signor Ilari intitolando a tai uomini i suoi versi, ha due cose ottenuto , di mostrare al mondo la gentilezza dell' animo suo, e di man- dare a' posteri il suo nome confortato dalla gloria di que'va- lorosissimi a' versi tengono dietro alquante prose nettissime, e fiorite di bei modi. Un trattatello degli studi letterari, in cui dopo breve introduzione si fa a rintracciare l'origine della let- teratura, vederne i progressi, il decadimento, il risorgimento; poi scende a parlare della eloquenza, della storia, del romanzo, della poesia metrica e delle scuole di letteratura. Indi viene a conchiudere che gli studi di letteratura non sono, come alcun crede, semi di poca utilità , ma di gran prò alla umana so- cietà. ,, Per altro, cosi egli, ad accrescere questa utilità con- viene che esse (le lettere) tengano una perfetta alleanza colla filosofia : si conviene ai filosofi di ricercare e sviluppare le ve- rità, ai letterati di scegliere tra esse le più importanti, di ren- derle amabili vestendole con le forme attraenti del bello, e di farne vedere l'uso nella vita civile. Così la letteratura po- trà essere l'islrumento di quelli , perchè si renda comune la scienza del ben vivere. Questa comechè fecondissima nelle aplicazioni è fortunatamente semplice e breve ne' suoi pria- cipii da potersi anche apprendere da coloro che hanno alle mani esercizi diversi dallo studio; e ad un tempo è chiara ed evidente di modo, che può intenderla qualunque abbia ragio- ne e buon senso: dicendo insomma, questa scienza che fra l'altre è sovrana , ha tutte le necessarie qualità per divenir popolare. „ Ultimo vieuc l'eluvio di Carlo Ercolani uomo di lettere, 372 Varietà' e traduttore della Cristiade del Vida celebratissimo. Anclie que- sto è così pieno di buone sentenze , cosi dettato con sempli- cità di stile, da esserne contenta ogni guisa di lettori. G. I. Montanari. Idilli di Domenico Vaccolinie di Francesco Capozzi. Lugo i83a. Versi garbati, delicati, gentili. Le donne che si piacciano di letturine graziose , ne sapranno grado ai due egregi scrittori. Quelli del professor Vaccolini tengono un colorito greco, e sanno di Teocrito: quelli poi del giovane signor Capozzi sono di buon augurio, poiché se si attera allo studio de' classici , che mostra imitare, riescirà certo a glorioso porto. A questi versi poi cresce pregio l'esserne donato il titolo al signor prin- cipe don Pietro Odescalchi esimio cultore delle lettere, e pro- motore indefesso d'ogni guisa di buoni studi. G. l M. // sogno e due diologhi di Luciano volgarizzati dal greco. 8° Napoli dalla stamperia e cartiera del Fibreno i83o. (So- no pag. 28.) Sopra un bassorilievo di Tito Angelini. 8.0 Napoli dalla stam- peria e cartiera del Fibreno i83i. (Sono carte i4) •lappiamo grado all'egregio amico nostro si^. Luigi Vescovali dell' averci fatto conoscere queste due operette di un giovane letterato assai pratico delle cose delle due lingue greca e Ita- liana. Egli è il sig. Cesare Delbono, il quale innamorato del- le arti belle ci ha dato una gentil descrizione di un basso- rilievo operato dallo scultore Angelini: e pieno tutto degli spi- riti di Luciano, ci ha tradotto il Sogno e due dialoghi ma- Varietà' 373 rini del samosatense, che il celebre ellenista Girolamo Amati ha Iodati^ per la fedeltà al testo greco. Note filologiche sovra sette vocaboli dinotanti uficio o disnità. di persona nell' Asia, che leggonsi nell' Orlando Furioso. Scritte da Giovenale Fegezzi. 12.° Torino dalla tipogra. fia Bomba i832. (Sono pag. 24.) Iflostra il sig. Vegezzi una bella erudizione in quest' operetta da lui intitolata al nostro celebre marchese Riondi. Molti titoli di asiatiche dignità erano o mal definiti od oscuri neir Orlando Furioso e negli altri poeti romanzieri del seco- lo XVI: e da lui con assai dottrina sono stati dichiarati e il- lustrati. Questi titoli sono i seguenti: i Amostante: 2 Arga- liffa, Ar tariffa, Cali/e: 3 Cadì: 4 Cane: 5 Diodarro: 6 Pa- vasso: 7 Talacimanno. Le sette virtù, poemetto per la solenne consecrazione in vesco- vo della città e diocesi di Carpi dell' illmo e revmo mons. D. Clemente M. Bassetti ec. Carpi dalla tipografia comu- nale. (In 8.° di pag. 24.) v-4osi la tessitura di questo poemetto scritto in terza rima, come lo stile, sono una felice imitazione dell'Alighieri. Noi ce ne rallegriamo di cuore col sig. avv. Giulio Franciosi, e godia- mo che non v'abbia città d'Italia ancor piccola dove i buoni Studi non fioriscano, e dove non v'abbiano uomini commende- voli per animo e per ingegno. C. L. M. 374 Varietà' Reclamo del sig. G Fannini di Firenze. U n reclamo fattomi dal sig. Giuseppe Vannini, attuai mae- stro d'architettura in questa I. e R. accademia delle belle arti, per essere stato annunziato il sig. cav. Giuseppe del Rosso come autore del Trattato di architettwa che servir dovea di testo alle lezioni che davansi in quella accademia (V. Ant. num. 16, II." dicennio pag. 202) , mi pose nella neces- sità di conoscere con quali fondamenti avesse ciò asserito l'au. tore di quell'articolo necrologico; di fare delle indagini, per le quali risultasse che il sig. Vannini , e non il Del Rosso fosse l'autore di detto trattato 1. In un repertorio, stampalo dopo il 1821 , delle ope- rette scritte per suo passatempo dall' architetto Giuseppe del Rosso , e già pubblicate, si trovano al num. 16. notati gli elementi d'architettura per uso dell'imperiale e R. accademia delle belle arti di Firenze, e di questi specialmente la parte isto- rica ed erudita. Va sotto il nome dell'aiuto dell' autore si- gnor Giuseppe Vannini disegnatore ed espositore delle ta- vole. Firenze, presso Gioacchino Pagani , i8i8. 2. Nel Catalogo de li scritti del cav. Giuseppe del Rosso, pubblicato nel giornale de'Iclterati di Pisa per Tanno 1828 , sono riportati come suoi gli Elementi di architettura per uso dell' I. e R. accademia delle belle arti di Firenze. Firenze 18 18. 3. Come opera del Del Rosso erano questi elementi no- tati negli appunti da me dati al compilatore dell' articolo ne- crologico : ed io pure ho raccolto da persone degne di fe- de, che nell'atto della pubblicazione di essi nascesse contro- versia e difficoltà che fossero attribuiti al sig. Vannini come opera di lui. 4- Nella lettera , colla quale il Del iJosso indirizza al sig. Giovanni Ristori le sue Esercitazioni sulla voluta del ca- pitello Jonìco , diverse espressioni accennano che egli si at- tribuisce una gran parte della compilazione di quel trattato, eccettuala la prefazione d'altra mano; reudendo poi giustizia al sig. Vannuii per la sua abilità in euritmia, in simmetria. Varietà' 375 ÌQ sciografia, nelle quali cose dice che esaurì la sua pazien- za, intelligenza e perspicacia, costante attività e geometrica freddezza. Per altra parte trovo in delta lettera, che a favore del sig. Vannini rinunzia di buon grado a tutto quel poco che il Del Rosso ha contribuito sta con l'opera che col consiglio. Più precise informazioni mi hanno persuaso che se il Del Rosso fece delle rimostranze, e produsse titoli per essere egli con- siderato come autore degli elementi d'architettura , pure in fine recedè da queste sue pretese , e assenti formalmente che l'opera fosse pubblicata sotto nome del sig. Vannini. Quindi è che conosciuto in qual modo fosse indotto in errore il compilatore dell'articolo necrologico stampato nell' Antologia, cioè da due cataloghi posteriormente pubblicati, ne'quali davasi il Del Rosso per autore di quegli elementi, e dalla notizia delle prime pretese del medesimo; e da alcune espressioni di lui nella lettera posta in fronte alle citate eser- citazioni sulla voluta del capitello jonico : e informatomi poi da buone fonti della vera storia di questa controversia, inten- do far ragione al reclamo del sig. Vannini, e riconoscerlo co- me autore degli elementi di architettura per uso della I. e R. accademia delle belle arti di Firenze , e pubblicati sotto suo nome: dei quali son certo che il manoscritto originale del sig. Vannini è depositato nella biblioteca di quella accademia. ■ // Dir, dell' Antologia. 376 Varietà' Antonii Bertolonii M. D. in archigymnasio bononìcnsi botanìces prqfessoris, praesidis coUegii medicar, et chiriirgor. bonon. e XL viris societ. ital. acad. instit. scient. bonon. acad. scient. genuen. et georg. bonon. soc. ordin. societ. linnean. paris, et lugd. societ. hort, cult, et medico-bot. londin. acad. scient. taurin. mutin. bruxel. gioen. instit. neap. ad hist. nat. aug. etc. soc. extr. Flora italica sistens plantas in Italia et in in- sulis circumslantibus sponte nascentes. (f^ol. i.) XJa flora italiana del sig. prof. Antonio Bertoloni già da mol- to tempo promessa, ed ansiosamente aspettata da' botanici, si mette ora alle stampe per i miei torchi. Questa comprenderà tutte le piante , che spontaneamente nascono nel continente italiano , e nelle isole maggiori, che le stanno attorno , e che sono di sua pertinenza, almeno per ragione di lingua. I bo- tanici non] dovranno meravigliare, se un tal lavoro ha tardato tanto ad escire alla luce, perchè essendo esso interamente af- fidato all' autore e per la riunione delle piante , e per la spe- sa, egli non poteva che venirne lentamente a capo. Certo è però, che l'immensa suppellettile di vegetabili da lui messa assieme gli somministra il materiale della flora italiana la più estesa,che concepir mai si possa; ed affinché da questo lavoro tutto nuovo ne venga la maggiore utilità, egli si è prefisso di trattare di ogni specie, di guisa che si abbiano precisi caratteri distintivi di ca- dauna,sobria ed esatta sinonimia, nome italiano ricevuto dallaCru- sca, dalle farmacie, o dall'uso più comune, dove il primo mauca, indicazione dell'abito della pianta, del luogo, dove nasce, e del tempo della sua fiorita, descrizione chiara e concisa, indica- zione degli usi più certi tanto farmaceutici, che economici. E siccome pressoché tutti i più recenti botanici italiani lo hanno cortesemente favorito del loro ajuto col trasmettergli assai di quelle piante, che nascono nel suolo che percorsero, cosi di ognuno di essi verrà fatta a suo luogo la dovuta ricordanza. Resta ora, che il pubblico corrisponda a tanto lavoro e di- spendio dell* autore coli' onorarne la stampa di numerose asso- ciazioni. Questa verrà eseguita ne' caratteri dell'Amoretti fatti Varietà^ 377 gittare a bella posta, avrà il sesto della carta presente, la qua- le sarà anche di migliore qualità; e perchè l'aspettativa noa vada troppo a lungo , l'opera si pubblicherà a fascicoli non minori di otto fogli l'uao. Il prezzo di ogni foglio di stampa sarà di centesimi 26 di franco , ossia d i baiocchi 5 per lo stato romano. Errori occorsi nel discorso del sig. marchese Biondi pubblicato neW ultimo volume del giornale arcadico pag. 207. ERRORI CORREZIONI p. 200 quale ella è: ove sia quale ella è: e ove sia iui condure condurre p. 210 O patrio fiume! quanti O patrio fiume! quante cose hai rinnovellamenti ! tu viste ! quanti rinnovella- inenti ! p. 211 Tornò a cadere, risurse Tornò a cadere , e risurse p. 2 14 Vorrà muovere a com- Vorrà inspirare amore, vorrà passione ? muovere a compassione ? Errori dell articolo del sig. Monchini. p. 227 Ramo della mente p. iZi Sostiene che ne p. 278 Infatti non p. 279 Una nona parie Ramo della morale Sostiene che si e no Infatti noi Un'ottava parte ■ni «MMIIH 1 Witfrfch ' BiUMimima nona ^«aitimi [ Osservazioni Bletereolo^ich e. )( Collegio Romano ){ Marzo i832. 1 li Ore 3 .-, . Baromet. Teriu. esterno Term max omelro min. 6 Igrom. Vento Pioggia E vapor- li. 2 2 I I Stalo del Cielo 1 , j mat. si- 'ser. mal. g'- \ ter. n )» Z/.i 0 9 0 7 12 8 8 5 u 7 7 3 12 5 13 8° 5o 3 N. q. 0 OSO. 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