'-mm '^Mm i^!Ì0*:Ù 'P'iì^ì k' GIORNALE DI SCIENZE LETTERE ED ARTI TOMO LX. LUGLIO , AGOSTO , E SETTEMBRE 1855 ROMA NELLA STAMPERIA DEL GIORNALE ARCADICO PRESSO A^TONIO BOULZALER 1853 SCIENZE Sopra il vajuolo vaccino rinvenuto in alcune vacche svizzere esistenti nel nostro territorio , e sopra fuso della crosta presa dalle medesime , ed innestata con profitto alla specie umana. Memoria del dottor Ora- zio Maceroni, letta nella pubblica adunanza dell* accademia de Lincei il giorno cinque agosto 1 833. PRIMA PARTE. i ia storia dei progressi dell' umano intendimento ci assicura, che le utili cognizioni si sono sempre svi- luppate in ragion diretta delle osservazioni. YA in vero quante di queste semplicissime non sono servite di base ai piìi grandi sistemi ? quante al- tre non diedero miglior ragione di rovesciare i già ricevuti , e consecrati ancora dall' opinione di molti secoli ? La rivoluzione medesima delle opinioni ( sep- pure ne eccettui le pure speculative , sempre contra- state ) fu il risultato dell' osservazione ; ed è per que- sto , che qualunque osservatore sarà sempre lodevole se comunica al mondo intelligente le proprie os- servazioni , spezialmente se queste po&sono arrecare un qualche vantaggio alla civile società. Convinto pertanto di questa inconcussa verità , ed ottenuti da me coli' innesto della crosta presa dalla 1* 4 Scienze vacca tutti quei vantaggi , che sì ottennero da altri col pus e colle croste prese dai bambini ; io di buon animo presento all' accademia in questo giorno il risultato delle mie osservazioni con quelT ordine stes- so e semplicità, colle quali mi si presentarono. Ai quattro di maggio 1832 ebbi grazioso in- vito dal sig. barone Francesco Ancaiani di portarmi presso di lui, onde consultarmi intorno a ciò che si do- vesse fare per il vajuolo comparso in alcune vacche svizzere esistenti al Pigneto di Sacchetti (1). Può ognuno credere se fui sollecito di condurmi subito presso il lodato personaggio, al quale feci co- noscere la necessita di portarci al \)\i\ presto possi- bile sulla faccia del luogo : ove di fatti ci portammo il giorno cinque , e trovammo che le vacche tutte erano già sortite dalla stalla , a riserva di una so- la , la quale era appunto attaccata dal vajuolo. Ave- va portato con me l'opera di Sacco , ove distintamente in una tavola incisa si osserva il vajuolo nei capez- zoli di questi animali. Fattone il confronto , e tro- vatolo somigliantissimo sotto tutti i rapporti a quanto (i) Locali svizzeri ove furono comprate le vacche neW anno i83o. Entlibuch , Romos, Akisberg, Gropey , Flulè, Schupfen , Kali , Kerns , Samoa , Sacholen , Scwand Vignau. Strada fatta dalle suddette per traspoitarsi in Roma. Dal lago di Lucerna, a Vigna», a Fluhien, ad Aitarf, a Sleg , a Wastea , ad Ursena, allo Spedaletto , ad Arido, a Festa, a Mouasterato, a Bellinsona , a Beronico , a Fresa , a Chena , a Faris , a Mogano , a Musogo, a Milano, a Moriano , a Lo- di, a Casali, a Piacenza, a s. Lorenzo, a Tera , ai confini del modancse , a s. Ilario, a Castelfranco, a Bologna, a Vaiuolo Vaccino 5 sì osserva nella mentovata ta/ola, e a quanto viene scritto su questo particolare ; un brivido mi prese in tutte le membra , e non potei trattenere un {^rido di i^ioja , pensando che presso le mura di Roma si sarebbe potuto avere un deposito perenne di pus vac- cino , tratto originalmente dalla vacca. Fedele alia mia promessa di esporre ingenuamente i fatti con quell* ordine stesso e semplicità co' quali mi si presentarono, devo dire , che essendo queste vacche condotte e cu- stodite da garzoni svizzeri , i quali non conoscendo affatto la lingua italiana , ne noi la svizzera, ci fu impossibile in quel giorno coi soli gesti di persua- derli che il nostro desiderio si limitava soltanto a raccogliere un poco di pus pungendo qualche pustula, giacche al solo vedere tirar fuori un ago da vacci- nazione , e dei ritagli di penne, incominciarono su- bito a gridare come aquile : No padroni , no pa- droni ! persuasi, che questo nostro desiderio di pun- gere qualche pustula fosse un rimedio che si voles- se apprestare alla vacca per la malattia che soffri- Pianora , a Scarica l'asino , a Traversa , a Tagliaferro , a Fi- renze , a Casciana , a Castellina , a Siena , a Lucignaiio , a S. Qulrico, a Radicofani , ad Acquapendente, a Bolsena , a Monlefiascone, a Viterbo, a Ronciglione , a Baccano , al Pi. gneto di Sacchetti. Queste vacche non conoscono i propri figli , come i figli noa conoscono le proprie madri: giacché appena partori- scono , i vitelli , in luogo di succhiare il latte dalle poppe delle proprie madri , sono in vece consegnaci a garzoni, che in un modo particolare li allevano a mano. Metodo di allat- tazlone , che nella Svizzera si pratica anche nella specie umana; Esse sono mansisslme , e danno gran fruttato , ma sono però meno belle delle nostre. 6 Scienze va , e non già per raccogliere la materia contenuta nelle pustule. Quanto più crescevano le nostre insi- stenze , onde farci raccogliere un poco di pus ; al- trettanto valide furono le resistenze eh' essi oppose- ro , affinchè non si toccasse la vacca malata. Men- tre adunque da una parte coi gesti si pregava, dall' altra colla voce e coi fatti si resisteva ; noi ve- demmo in un batter d'occhio che uno dei garzoni, dopo dì essersi ben bene spalmata la mano di butiro , in- cominciò ad ungere e spalmare i caporelli della vac- ca , ove appunto esistevano le pustule. Appena fatta questa prima operazione, lo stesso garzone prende per le corna la vacca, le piega il collo con tutta la for- za possibile , ed un secondo le tira fuori dalla bocca la lingua , tenendola ferma colla mano sinistra , e colla destra le alza un piede davanti , mentre un terzo finalmente prende delle liste di cotica di lar- do spalmate di butiro, e le introduce una dopo l'al- tra nei fori dei caporelli della vacca. Spettatore di quanto si è riferito , restai dolente di non aver po- tuto profittare in questa visita della materia, che si poteva raccogliere dalla vacca ; ma vedremo fra poco quanto queste contrarietà e questa specie di gio- stra vaccinica fossero di mia istruzione e profitto. Il giorno sei dello stesso mese fummo di nuovo, appena giorno , al Pigneto di Sacchetti , e narrato al sig. Giuseppe Waldis, socio e direttore della vac- cheria , tutto l'accaduto nel giorno innanzi , questi ci fece sapere che nella Svizzera quasi tutti i pro- prietarii di vacche , allorché si sviluppa ad esse il vajuolo , sogliono trattarle nella medesima maniera con la quale trattarono quella da me ossarvata il giorno innanzi. Mi soggiunse dippiii , che quando le pustule tendono ad esulcerarsi , uniscono spessissimo al butiro la polvere sottilissima di un pesce carbonizzato , e Vaiuolo vaccino 7 con questa specie di manteca ungono più volte al gior- no i caporelli delle vacclie malate (1). Questo sem- plice racconto se mi scoraggi non poco , riflettendo alla difTicolta di poter osservare in altre vacche pu- stule non alterale all' epoca da poterne raccogliere la materia ; mi fece determinare per altro a sperimen- tare l'uso della crosta. Cosicché, deposto ogni pensiero di raccogliere la materia dalle pustule già alterate nella vacca visitata il giorno innanzi , mi occupai in ve- ce a raccogliere le croste in altra vacca , alla quale il vajuolo era già nello stato di disseccamento- Nel far questo , ogni mio studio posi nello stac- care dai capezzoli quelle croste che più conservasse- ro la loro forma regolare, e tutti quei caratteri che dimostrassero , che la pustula non fosse stata meno- mamente alterata. Delle varie croste da me staccate io una vacca recentemente guarita dal vajuolo , due ne presi , le quali, per la località che occupavano , non erano sicuramente state maltrattate dalle mani dei mugnitori : poiché erano queste situate nel mezzo della mammella , e non già nel corpo dei caporelli, ove le pustule non giungono mal a maturità , senza prima essere disorganizzate dalle mani e dai medicamenti dei mugnitori svizzeri. Giunto appena in Roma prima delle quattro an- timeridiane , mi portai dall' amico sig. Francesco Mar- cuccl, benemerito e disinteressato partigiano della vac- cinazione , al quale feci caldissime premure di pro- curarmi un bambino , onde sperimentare le due cro- ste raccolte poche ore prima dalla vacca. (i) Il pesce che gli svizzeri fanno carbonizzare si cliiama Forella. Non solo la polvere di detto pesce , ma uniscono an- cora spessissimo al butiro la polvere delle foglie di tigli. S Scienze 11 bambino è pronto , mi rispose : e però , po- chi momenti dopo che il prelodato sig. Marcucci ebbe nelle mani le mentovate croste , le adoperò su- bito sopra di un bambino di otto mesi , di buonis- sima costituzione, per nome Antonio Rinaldi figlio del sig. prof. Rinaldo Rinaldi scultore abitante in via de' pregi n. 32. Il metodo , che gli suggerii da tenersi , fu reli- giosamente osservato: ed è semplicissimo. Raschiate da me leggermente nel mezzo della loro faccia interna, dissi al sig. Marcucci di versare qual- che goccia d'acqua sulle medesime, e colla punta di un ago da vaccinazione procurasse a sciogliere i pri- mi strati delle suddette croste : e che appena ottenuta una materia somigliante all' olio condensato, ne stri- sciasse prima col medesimo ago una porzione so- pra l'incisione leggermente cruenta , e quindi sopra ristessa incisione collocasse la crosta , raccomandan- dola ad una fasciatura contentiva. Tanto fu praticato il giorno sei maggio 1832; e nel giorno nove i segni dell' impressione della mate- ria innestata erano già manifesti in tutte e due le in- cisioni. Più e pili volte fui a vedere il bambino in- nestato prima che le puslule giungessero alla loro ma- turità; e giunte che furono a questo punto , e già con- tornate da areole , osservai le due pustule di figura rotonda : laddove quando si propaga l'innesto o da braccio a braccio , o con il pus già disseccato , e che questo , dopo sciolto, strisciasi sopra le incisioni lunghe di qualche linea , le pustule vengono ordi- nariamente ovali , e non rotonde , come è accaduto nel nostro caso. Uno sperimento coronato da sì felici risultati , non riuscito ne a Sacco in Milano (1), ne a Miglietta (i) In provai di quanto ho detto, io invito chiunque a V\IUOLO VAOCFNO '^ in Napoli , nb tentalo da altri , per quanto lo sap- pia, eccitò una folla di dotti amici a persuadermi di far tutto di pubblica ragione per mezzo della slam- pa. Ma il desiderio di nuovi fatti ed alcune mie cir- costanze non mi permissero in quel tempo di abbiac- ciare il loro consiglio d'altronde valutabile. Finora io non vi ho esposto , valorosi accade- mici , che tutto quello che accadde nei giorni cin- que e sei maggio 1832. Devo però confessare, che dopo queste due giornate , altre volte mi portai al Pigneto di Sacchetti. Vi fui cioè ai ventuno di maggio in compagnia del sig. barone Francesco Ancaiani ; vi fui ai ventinove dello stesso mese in compagnia del prelodato personaggio e del sig. professore Bucci. Vi fui finalmente ai 18 di settembre in compagnia del chia- rissimo sig. professor Metaxà, e del farmacista sig. Fran- cesco Marcucci; ma le croste che furono da me raccolte nelle mentovate giornate non produssero risultati fa- vorevoli come io desiderava, perchè risultavano da pu- slule già disorganizzate nel loro corso. Pochi giorni dopo di quest' ultimo accesso al Pigneto di Sacchet- ti , le vacche furono trasferite ad altra tenuta fuori di porta maggiore , detta Bocca di Leone, senza per leggere la grand' opera del celebre e benemerito Sacco alla pag. io4ovesi trova quanto siegue: ,, Appena udii parlare de' „ felici sperimenti fatti colla crosta, che m'invogliai dlriteutarli. ,, Destinai perciò dodici individui, ma siccome io non era per- „ suaso di un effetto compiuto , sowenendonii di ai^er già inu- „ tilmente inferito il vaccino con delle croste di Covvpox- ,. Anche il chiarissimo mio amico defonto , Antonio 3Ii- glietta,neir anno 1812 avendo scoperto in Napoli il vajuolo vaccino in alcune vacche di proprietà del sig. marchese di Gallo , tentò inutilmente l'innesto delle croste prese dalle medesime, esprimendosi nei seguenti termini: 10 Scienze altro che in alcuna delle medesime comparisse U vajuolo prima del mese di aprile dell' anno che corre. Sol- tanto nel principio di questo mese ebbi contezza che il vajuolo era di nuovo apparso a qualche vacca. Siccome era mio proponimento di fare sull' in- nesto della crosta presa dalla vacca ulteriori e piiì decisive esperienze , e non già prevalermi della ma- teria , che poteva raccogliersi dalle pustule giunte alla loro maturità , così non mi detti molta premura di „ Le vaccinazioni , eh' eransi praticate nella commissione „ centrale con le crojfe, restarono mancanti di successo; co- „ me infruttuose furono quelle che io feci con lo stesso me- „ lodo nella vaccheria nel di ventisei su i figli del fattore. ,, Né si limita soltanto a dire quanto abbiamo già trascritto dal primo volume della sua Biblioteca Vaccinica pag. 220 § 17 , ma a pag. 233 § 27 soggiunge quanto appresso : ,, Certamente le croste vacciniche da uomo ad uomo non „ sono disdette a comunicare il contagio ; ma non v' è chi „ non conosca che questo metodo non è il più facile per la ,, comunicazione. Altronde non avendosi sin ora alcuna os- - „ servazione che le croste delle vacche abbiano la stessa effl- ,, cacia per contagiare la razza umana , ben può sospettarsi , „ che tale efficacia ad esse manca: d'onde la veruna riuscita ,, del nostro travaglio. ,, Dopo tutto l'esposto a me ben noto , altri si sarebberi- maso dal più tentare l'uso della crosta presa dalla vacca ; ma la providenza divina , quasi volesse in me compensare con incredibile allegrezza il cordoglio di una ingiustizia procu- ratami da pochi inimici , mi guidò quasi per mano a fare una scoperta quanto nuova , altrettanto utile. Con questa scoperta io non pretendo 'nò rinomanza , né celebrità; mi basta soltanto, che da essa risulti vantag- gio alla mia patria e alla società , per le quali nou ho mai cessato , né cesserò dì faticare con tutto lo zelo possibile. Vaiuolo vaccino 41 portarmi subito presso la vaccheria . Al primi di maggio però mi misi di concerto col sig. diretto- re , il quale mi accertò che nelle ore pomeridiane del giorno sette dello stesso mese si sarebbe imman- cabilmente trovato alla tenuta. Prima di esporre i dettagli di questo secondo spe- rimento , mi sia permesso di manifestare nuovamente la mia piiì viva riconoscenza all' amico sig. Fran- cesco Marcucci , il quale se mi procurò nell' anno scorso il bambino Rinaldi, onde sottoporlo all' in- nesto della crosta; in questo secondo sperimento , non solo mi ha procurato una bellissima bambina di mesi sei , figlia del sig. Giuseppe e Rosa Finetti ; ma è giunto per fino a persuadere i di lei genitori di condurla con noi alla tenuta. Di modo che, previo il già concertato col sig. direttore , nelle ore pomeri- diane del giorno sette si partì da Roma con la bara- bina e suoi genitori. Giunti a Bocca di Leone, trovammo le vacche tutte a pascolare in una piccola riserva, la quale non es- sendo molto estesa , si potè in conseguenza , senza mol- ta fatica ed in poco tempo, visitar quante vacche ivi esistevano. In talune di queste il vajuolo era già passato nel secondo grado di disseccamento, mentre in talune altre le croste mostravano una data assai più re- cente. Lo studio principale nel raccogliere le croste fu quello di badare , che le medesime fossero di figura regolare , e che non risultassero da pustule già disor- gannizzate nel loro corso dalle mani e dai medica- menti dei mugnitori. Osservate queste necessarie cautele nel raccogliere le croste , ed avendone ognuno di noi trovate una buo- na quantità , ci portammo subito al casale della te- 12 Scienze nuta , ove ci attendevano i genitori della hanibina. Fi- netti , che fu di presente innestata, alla quale furono fatte sei incisioni , cioè tre per ogni braccio . Due giorni dopo l'innesto fui a visitare la bambina , la quale presentava in cinque incisioni la più bella ap- parenza d'impressione già fatta. Ma questa lusinghiera apparenza nel quarto giorno , mentre si manteneva in due incisioni , ove si vedevano già sorgere due belle pustule, erasi affatto dileguata in tutte le altre. Sol- tanto le due pustule osservate nel quarto giorno pro- gredirono con eccellente regolarità , e somministrarono nell'ottavo giorno la materia ad altri tre (1) bam- bini, dai quali s'innestarono in seguito molti altri : e cost per una serie d'inoculazioni praticate da brac- cio a braccio , si adoprò sempre la materia rica- vata in origine dalla bambina Finetti già innestata con le croste prese dalla vacca. Da quanto si è esposto finora si possono riguar- dare, come verità rigorosamente dimostrate, le seguenti proposizioni. (i) Quelli che propagarono l'innesto , prendendo la ma- teria dalla bambina Finetti, furono i signori chirurgi Luigi Sca- tena e Vincenzo De-Rossi, non che il farmacista sig. Francesco Marcucci. Quello però che debbo più d'ogni altro lodare si è il si^. De-llossi , perchè conservò da braccio a braccio più a lungo il virus vaccino senza farselo degenerare, e perchè al quarto passaggio condusse in mia casa una bambina di buo- na costituzione , end* vaccinarne il mio quinto figlio , che «llora conlava appena i quaranta giorni: e cosi dal mio figlio passò l'innesto non solo ad altri bambini dimoranti in Roma: ma ben anche ad altra bambina appartenente all' illustre fa- jniglia Tofanelli , la quale stando in allievo a Marino , som- ministrò , tornala ia quel paese, il virus da braccio a brac- cio a moUi altri baiiabliii> Vaiuolo vaccino 13 1, La crosta della vacca che risulti da pustula di vaccino vero , e che non sia stata disturbata nel suo corso, conserva il principio contagiante. 2, La crosta della vacca Lene adoprata riproduce sicuramente il buon vaccino. 3, La crosta della vacca che risulti da vera pu- stula , ma che nel suo corso sia stata disturbata , non produce alcun effetto. E qui finisce , dottissimi accademici, la storia dell* accennata scoperta, la quale presso di noi più che altrove potrebbe essere di molto profitto, perchè man- chiamo atfatto di un deposito di pus vaccino etc. etc. Storia delT antica legislazione del Piemonte^ del con- le Federigo Sclopis. Torino ^^i'i'ò presso Giuseppe Bocca. Arbltrarer hanc rerum civillum minime neglegendara scientiam sapienti , propterea quod omnia essent ei praeparanda , quibus nesciret an aliquando uti ne- , cesse sit. M. T. Cicer. de republica , ed. Maio. I l eh. sig. conte Federigo Sclopis ha reso un nobilissimo servigio al Piemonte e alla italiana istoria , ordinan- do le memorie della piemontese legislazione . Opera di lunghe ricerche , e di pazienti investigazioni , che pone in bella luce i civili ordinamenti sotto, ai quali vivevano que' popoli subalpini dal secolo XIII a tutto il regno del duca Emmanuele Filiberto. Gli studiosi della scienza delle leggi , gli ama- tori delle isteriche particolarità , e coloro che si piac- ciono a filosofare sui costumi degli uomini , e sulle 14 SciKNIE vicissidurai della civiltk , troveranno ampio ed utile pascolo in questo libro. E in ciò può l'autore fe- licitarsi di aver aggiunto il nobile scopo al quale in- tese , ponendo mano al suo arduo lavoro. Egregiamente divisato e il metodo seguito nella esposizione de' varii titoli : „ Poiché (sono parole del „ sig. conte Sclopis ) la storia della legislazione non ,, procede per una concatenazione continua di fatti , ,, ma abbraccia punti separati , e nelle cause e ne- ,, gli effetti degli avvenimenti anziché nel corso de- „ gli avvenimenti s'interna ; ho pensato di dovere sotto „ particolari capi raccogliere le diverse qualità delle ,, leggi , attenendomi alla distinzione che ne appre- „ sentano i varii diritti , ne' quali esse riflettono. Tale ,, divisione, secondo eh' io credo , è la più opportu- ,, na a coloro che ricercano di essere speditamente istrui- „ ti in una parte determinata dell' applicazione delle .. le^ffi. Trovandosi così tutte le materie racchiuse in ,, un capo tinte dello stesso colore, meno si confon- dono le idee dello studioso , pìiì strettì si colle- gano nella memoria di lui i fatti narrati , piiì age- vole diventa la deduzione dei principii. „ Con questa luce di ordinamento ha l'autóre di-» viso la sua opera in otto capitoli , e sono ; 1. Prospetto degli ordini di governo pubblico nell Italia occidentale al secolo XIII. 2. Delle leggi politiche. 3. Degli statuti dei comuni. 4. Dei modi co' quali rendevasi ai sudditi la giu- stizia , e delle forme di procedere nei giudizi civili. 5. Delle leggi civili. 6. Delle leggi criminali. 7. Delle leggi feudali, 8. Dtlle leggi ecclesiastiche. Legislazionk del Piemonte 15 Ciascuno di questi capitoli racchiude necessarie nozioni della generale istoria , e particolari curiosi: dove apparisce , ora la bontà dello scrittore filoso- fo y ora la paziente ricerca dell' istorico scrupoloso. Ma estrai mente pennelleggiata è nel primo capito- Io la condizione d'Italia occidentale al secolo XIII , che variamente signoreggiavano 1' imperadore , i ba- roni , e i comuni. Dove , a ben conoscere i fatti di tale età , si reca opportunamente in mezzo una giu- sta idea della imperiale autorità , quale in occidente si era serbata ad esempio dell' antica romana. „ L'idea „ di una sovranità stretta (scrive il eh. A.) , che in „ se racchiudesse ogni parte di pubblico reggimento, „ non era peranco invalsa allora in Europa. Nelle ,, regioni dipendenti ab antiquo dall' imperio roma- ,1 no non si erano ancora affatto smarrite le tradizio- „ ni di quegli ordini di municipiì , che ricouoscen- „ do l'alto dominio del principe , lasciavano in po- ,, ter dei comuni l'interna loro amministrazione. Nelle ,, parti di settentrione la primiera liberta degli uo- „ mini si teneva sempre qual condizione essenziale di '» ^^g"^ governo: e siccome la corona dell' imperio era 7, stato premio del conquisto, quei popoli guerrieri, „ non dimentichi delle fatiche sostenute per otlener- „ la, tenevano il loro sovrano piuttosto a modo di con- „ dottiero , che di signore.,. Da queste opinioni nacque l'idea , che lutti i diritti degli uomini fossero posti non sotto la signo- ria , ma sotto la protezione dell' imperadore, nel qua- le credevano essere riposta la primiera fonte del drit- to civile sulla terra , e l'istromento per cui lo sta- to di violenza si convertiva nello stato di comu- nanza ordinata (a e. 3. ) E segue dicendo come a tale sentenza consuo- nino le parole delle leggi romane unite nel codice 40 Scienze di Giustiniano, dove si vede che l'autorità imperiale piegavasi piuttosto al proteggere , che al comandare. ,, A noi piace il dare ascolto , non il comandare „ alla volontà degli uomini ,, pronunciavano gì' im- peradori Teodosio ed Onorio. Vi consentivano Valenli- niano e Teodosio, scrivendo : ,, Essere degna vece della ,, maestà di chi regna il dichiararsi soggetto alle leg- ,, gi : che tanta h la dipendenza dell' autorità so- ,, vrana da quella della ragione. E veramente do- „ versi stimare dappiìi del comando il sottoporre ,, alle leggi il principato (a e. 5.). ,, Definito di questo modo il primo de' poteri che dominavano la occidentale parte d'Italia , dice dei due altri. I baroni esercitavano un' autoritk che deriva- va loro dall' imperatore direttamente o indirettamente sul feudo , che dall' A. si definisce. „ un beneficio di „ cosa immobile conceduto ad alcuno in ragione di ,, fedeltà (a e. 9 ). ,, Dopo i principi di Savoia, che prendevano nome di conti e signori di Piemonte , i maggiori baron inel Piemonte erano allora il marchese di Monferrato , i marchesi di Saluzzo , del Carretto , del Vasto e di Busca , i conti di Biandrale , i conti di Valperga, ed i conti Sammartini : erano inoltre molti vassalli meno potenti , che tenevano i loro feudi da quei primi (a e. 8. ) . I comuni erano una preziosa reliquia dell' antico diritto italico , tanto sapientemente posto in vigore dai romani , e de' loro municipali or- dinamenti. E noi siamo di un parere col eh. A. co- la dove scrive ,, che le antiche tradizioni del governo ,, romano sieno state le vere, le efficaci cagioni, per „ cui l'Italia pili tostamente si scosse dal lezzo della „ barbarie ( a e. 22.) . 1 conti di Savoia, in quella confusa mescolanza di leggi recate dai barbari vincitori, si palesarono se- Legislazione del Piemonte 1 7 guacl della legge romana , e la legge romana «cgui- rono costantemente i vescovi , quantunque nati talvolta de' barbari. Questa circostanza , e l'autorità che pre- sto fece la legge canonica regnare compagna con la civile , furono cause , onde meno rimanesse offeso il Piemonte dagli strani costumi dei nordici : e più presto si levasse ai miti ordinamenti della civiltà. Tratta il secondo capitolo delle leggi politiche , che sono grande testimonianza dello stato sociale di un popolo. ,, Imperciocché , come opportunamente con- „ sidera l'A. N. , tutti gli altri provvedimenti , che ,, all' ordine interno appartengono , prendono forma e „ vigore da quella sustanziale sua condizione , anzi ,, da essa procedono come rivi da fonte ; e sotto la ,, tutela del diritto pubblico riposa l'autorità del di- ,, ritto privato- ,, ( a e. 62 ) Reca innanzi l'A. l'an- tichissima e salda autorità , sulla quale si riposa la sovrana e certa possanza de' reali di Savoia. E nar- ra di quel conte Piero ,, il quale rappresentatosi a „ Riccardo re dei romani per dargli omaggio dei du- ,, cati d'Aosta e dello Sciablese , vestì un abito spar- „ tito d'oro e d'acciaio per indicare come egli fidas- „ se nella sua forza : ed al cancelliere che lo in- „ terrogava, se avesse titolo da addurre, rispose sguai- „ nando la spada e dicendo non averne altro che „ quella. ,, (a e. 68. ) Detto delle ragioni della sovrana autorità dei du- chi di Savoia , si passa a favellare dell' ordine della successione. E come nella prima sposizione , cosi in questa seconda, apparisce la profonda cognizione dell* A. nella patria istoria. Poi dal politico ordine della monarchia , che fa aperti i diritti del principato , si scende a dire delie relazioni tra il principe e i sud- diti- Duro lunga stagione in Piemonte confusa ed iii- G.A.T.LX. a l8 Scienze certa idea del ci vii regi^iaiento. Non era corpo di le^^gi ordir)ale e comuni , Si atlingevano le sentenze e le applicazioni dalla legge romana , dagli statuti feu- dali , dalle locali consuetudini. Molto era il luogo all' arbitrio , molto all' oppressione. Amedeo Vili , cominciando il secolo XV, dotò la sua patria di savi e generali statuti . Si pubbli- cava nel castello di Sciamberi il giorno 17 giugno dell* anno 1430, alla presenza dei grandi e dei popolo. Meritano di essere qui riferite le nobili ed al- te parole che il duca rivolge nell' ingresso de' memo- rabili decreti ai suoi successori.,, Volendo adempire „ il paterno dovere d'affetto e di disciplina , a cui ,, siamo tenuti verso i nostri figliuoli eredi e succes- ,, sori , noi lasciamo loro questi ricordi e questi atn- ,, maestramenti. Facciansi imitatori degli avi nostri, ,, avi d'Illustre memoria , serbando incorrotta la fede ,, cattolica , e promovendo il culto divino. Vivano una ,, vita umile e divota : tengansi immaculati da 'vi- ,, zi : moslrinsi vigilanti agli esercizi delle teologi- „ che e delle morali virtù. Nella giustizia sieno ret- ,, ti , costanti e di moderata severità : si astengano ,, da' moti dell' invidia ; sieno per misericordia cle- ,, menti : temperati nelle eruzioni : amanti de' baroni „ loro sudditi : correttori de' malvagi. Procurino la ,, pace , ed abbiano in odio le guerre ingiuste, Scel- ,, gano consiglieri e ministri savi e dabbene , e di- „ spregino gli uomini fallaci ed ingordi. Mantengano ., infine perpetua sicurezza nel loro stato , onde la ,, Savoia appieno conservi tra i sudditi e gli stra- ,, nieri l'elimologia del suo nome, che suona salva via. ,, E mercè della osservanza di questi precetti placa- ,, to il re dei cieli , che se non è abbandonato mai ,, non abbandona , conservi ed accresca fino ne' più „ tardi secoli lo stato pacifico e prospero dei figliuoli, „ dei successori e de' sudditi nostri ( a e. 25.).,, LkgislAzione del Piemonte 19 Di COSI santi pensieri avca piena la mente il le- gislatore , e si può far per esse giudizio della ret- titudine onde fu guidato in tanto utile impresa. Merita di esser notato , frai modi dell' eseguimento delle leggi prescritti dai principi di Savoia , il diritto conferito ai magistrati supremi „ di esaminare le leggi ed i „ rescritti che loro sono trasmessi dal sovrano , ed „ occorrendo che in essi si trovi cosa meno oppor- „ portuna o dannevole , di denunciarla al principe ,, istesso , affinchchè possa novellamente dichiarare „ la sua intenzione ( a e. 127. ) ,, Del quale ordi- namento non so se debba piiì ammirarsi la saviez- za, o la utilità. Lasceremo che altri legga per entro il dotto li- bro del sig. conte Sclopis quanto ha egli saputo or- dinare sotto il capo III , dove scrisse degli statuti de' comuni ; imperciocché essendo esso capo quasi un sunto dell' amplissima materia ivi trattata , trop- po riuscierebbe difficile il poterne più compendiosa- mente parlare. I modi co' quali rendevasi la giustizia ai suddi- ti, e le forme di procedere nei giudizi civili (capo IIII) , offrono opportunità all' autore di ricordare molte di quelle costumanze , che pongono tanto interesse nella istoria de' tempi di mezzo. Vediamo ,, Piero figliuolo d'Oddone essersi recato , insieme con la contessa Ade- laide sua madre, nel prato di san Vincenzo , presso alla villa di Cambiano, non lungi da Chieri, e sulla riva del torrente Tepice: cola accompagnato da vari giudici del sacro palazzo, e da Cuniberto vescovo di Torino , sotlo ad un padiglione attendeva a rendere la giustizia ed a deliberare sopra le faccende pubbliche (a e. 228),,. Di tal modo si tenevano il più delle volte quelle adunanze , che si chiamavano placiti^ o mulli. Celebre divenne la valle d' Aosta per la generali udienze « 20 S e I B N Z K che in essa si tenevano a decidervi le liti di mag- gior momento , e si promule;a\'ano gli ordinamenti per resecnz,ione delle leggi . Dilettevoli non meno che utili particolari si leggono riuniti in questo capito- lo , al quale rimandiamo i lettori ; e passeremo a far cenno di quello seguente , dove delle civili leggi si favella. Incomincia il eh. A. „ facendo capo dalle ,, leggi sopra le persone che debbonsi tenere in raag- ,, gior conto, siccome quelle che danno norma della „ vita civile. ,, ( a e 293. ) Assai per tempo furono liberati in Piemonte i sud- diti di ogni maniera da quella soggezione , che in que' tempi di ferro ebbe nome di servìrtù della gle- ba, o di taglia. Due insigni documenti del secolo XIII parlano di tali liberazioni. Uno è fra Amedeo conte di Savoia e la comunità di Vigone ( nel 1285 a 30 di decenibre ) . L' altro è di Manfredo IV marchese di Saluzzo (del 1299 a 18 di febbraju ) . Ma nessun altro motivo ajutò tanto e protesse l'abolizione di cosi nefandi avanzi di barbarie , quanto quello che dalla santa nostra religione si derivava. Pensiero consolan- tissimo per UQ cristiano ! Quindi troviamo che alle nobilissime considerazioni tratte dalla celeste dottri- na dell' evangelo, fu mosso Emraanuele Filiberto a promulgare ai 20 di ottobre del 1561 una legge, che preparava l'abolizione di ogni traccia di servitià. „ Poscia che piacque a Dio , egli dice , di resti- „ tuire l'umana natura nella primiera sua liberta , e ,, sebbene i principi cristiani abbiano da assai tcra- „ pò abolito nei loro domini! il nome odioso di ,, serviti! introdotto dai pagani , onde anche per que- ,, sto noi tanto ci discosliamo da loro ; noi tutta- „ via dopo il felice nostro ritorno in queste con- ,, trade abbiamo trovato ancora sussistente certa spe- ,, eie di servitù chiamala taglia , e mauo-muila , per LkCISLAZIuNE DKL PlKMaxTK 21 „ Ciìi gli uomini sono detti tagliabili^ e stanno ag- „ gravati da insopportevoli caiiclii, ricusandosi loro „ la facoltà di testare , e di contrarre liberamente. „ Gli uni , ove muoiano senza prole mascliile, lasciano „ le loro figliuole prive di ogni eredita ; gli altri , „ se non hanno discendenza di sorta , non trasmet- „ tono i beni se non al loro signore ; una terza specie ,, di persone, che diconsi ligie, tuttoché di con- „ dizione pienamente libera, non hanno intera pò- ,, desta di testare. Sentendo perciò nell'animo i la- ,, menti di questi infelici , che pur desiderano di usci- „ rj di tanta miseria , e di spogliarsi da tal radice „ di servitiì , siamo entrati in deliberazione di ap- „ prestar loro il rimedio : e preponendo il sollievo ,, ed il ristoro di que' nostri sudditi ad ogni spe- ,, ranza di nostro lucro particolare, vogliamo ado- „ perare , come si conviene a buon principe, con ,, ogni ckraenza , benignità , e magnificenza a prò „ del suo popolo ; e però intendiamo di trarre i no- „ stri sudditi insieme co' loro beni da ogni condi- „ zione servile, e dichiararli liberi e franchi por sem- ,, pre. ( a e. ^<^90 e seg. ) „ Ho volentieri riferito queste umanissime consi- derazioni deir ottimo principe , perche non solo ono- rano il religioso suo animo , ma fanno conoscere qua- le fosse lo stato de' sudditi piemontesi , e quali gli inconvenienti che ne derivassero. Comprende il capo VI le leggi criminali. Ve- diamo anche qui consolante e benefica l'autorità della chiesa. Per lei la forma delle prove di parole, con- fermate col giuramento , sostituita venne alle tortu- re , ai giudizi di Dio , alle pratiche assurde dei tem- pi barbarici. Le decretali dei papi presentarono la purgazione canonica, cioè il giuramento swgW evan- geli , o sopra altra cosa santa come, tutta prova dell' 22 Scienze asserto dell' accusato ; ed il mondo respirò da tante crudeli afflizioni , che spesso perdevano gì' innocen- ti, e i feroci istituti de' settentrionali disparvero. Ma durarono nuUadimeno continui molti abusi ; furono da deplorare molte atrocità nei giudizi e nelle criminali procedure. Anzi egli h pur troppo una tri*- ste verità , quella che l'A^ ricorda! scrivendo come ,, an- ,, che in questa odierna luce di civiltà che ci ri- ,, schiara , rimane molto che fare onde mondare la „ legislazione criminale dai gravi difetti , e dai non „ pochi errori che in varie parti ancor la deturpa- „ no (a e. 344) „ . Premessa una idea della indole della criminale le- gislazione ne' tempi eh' egli fece oggetto delle sue ricer- che , entra l'autore ne' particolari delle leggi piemon- tesi. Trae gli esempi degli ordinamenti criminali nel secolo XIII e nel XIV dagli statuti do' comuni , e dagli atti di famosi processi ; in sin che viene ai decreti di Amedeo VIII , il legislatore del Piemon- te , e ai nuovi ordini promulgati da Emmanuele Fi- liberto. Le leggi feudali ( capo VII ) , come l'A. accon- ciamente considera , non costituirono giammai in Ita- lia un modo assoluto d' esistenza cui le società ci- vili si fossero accomodate , ma piuttosto una forma variabile , uno stato di transizione , onde dall' uni- versale sconvolgimento quelle si riducevano all' or- dine consentaneo alla umana natura. La forza per se sola non basta a mantenere il governo degli uomi- ni : se non si accoppia con l'ordine, ella sì divide, si corrompe e si snerva : comunicata con molti, de- genera in anarchia : ristretta in pochi , si cangia in oppressione. E cosi accadde ai barbari divenuti si- gnori delle terre italiane. Tentennava in mano d'un solo la mazza ferrata che reggeva i sudditi ; fu ne- Legiìlizionk del Piemo?(TE 23 cessano partito che i principali uffiziali del governo s'attribuissero grande autorità, per non lasciare tra- scorrere in ribelle baldanza gli animi degli uomini della loro nazione partecipi del conquis(o ; in dispe- rato avvilimento gì' indigeni abitatori ( a e. 388. ). Quindi surse l'istituzione feudale: istituzione che ar- rogandosi incredibili prerogative , gravitò lungamente sui popoli infelici , invadendo per fino i diritti piiì sacri delle famiglie . Girolamo Muzio giustinopoll- tano , opportunamente allegato dall' A. N. , cos'i fa- vella degl' incredibili abusi , ai quali per noi tanto* sto si è fatta allusione: „ Alla memoria de^li avo- ,, H nostri e de' nostri padri in Piemonte, e trai ,, gioghi dell' Apennino e de l'alpi di Francia , si usa- „ va che le nuove spose si giacevano la prima notte „ col signor del paese. Ed e questa cosa tanto vera, ,, che ancora in alcuno di que' luoghi si pagano delle „ gravezze ordinarie , per le quali da' loro signori si li- ,, berarono da cosi disonesta soggezione,, ( a e. 410)(1). Sotto il regno di Emmanuele Filiberto il numero de' feudi s'innalzava in Piemonte intorno a mille ottocento. Benefiche e piene di umanità appariscono in que- sta dura epoca della umana istoria le leggi eccle- siastiche , delle quali , cora' ei suole, dottamente ra- giona l'A. nel capo Vili , eh' è pur l'ultimo del suo libro. In quel battagliare giornaliero, in quell' offen- dersi contituo , fra quelle stragi e quel sangue , che provocavano acerbità di sdegni e atrocità di ven- dette , la divina parola di pace usci spesso dal san- tuario. Le famose tregue di Dio off'rono uno spetta- colo commovente della sospensione dì ogni sdegno pri- (i) Operette morali Venezia i55o; per Gabriel Giolito de' Ferrari a. e. 63. 24 Scienze vato. Amici e niraici si trovavano nel luogo slesso senza ofFensione • cosa impossibile a credere in tanta fierezza di animi , senza lo imperio di quel potere , che adoperava a beneficio della terra l'autorità che teneva dal cielo. La citta di Torino, sedia del regno , fu in gran parte rifatta per cura dei vescovi. Questi santi pastori de' popoli aiutavano in altri luoghi del regno a edifi- care città , innalzare edifici , vincere l'asprezza de' boschi , solidare il civile legame de' popoli. Volentieri lasciamo che nell' opera del conte Sclo- pis se ne leggano i tanto belli quanto numerosi esem- pi , che non sono disgiunti da quelli della religione e della somma virtii dei reali di Savoia. De' quali può dirsi che non sia piiì gloriosa e piiì nobile stir- pe di regnatori , più costantemente fiorente di prin- cìpi interissirai , e volti al bene de' loro popoli. E già per chiudere questo sunto , dove abbiamo ragionato breve ( anzi piuttosto accennato , che ra- gionato ) del nobile lavoro del conte Sclopis , alla simiglianza di un circolo , che Fa si viene a serrare donde s'incominciò , con esso lui di nuovo allegran- ci ci auguriamo che la storia dell' antica legisla- zione di altre parti d'Italia cosi venga descritta com* egli fece quella del Piemonte. Cav P. e. Visconti. 25 Discorso politico sulla proprietà* a" fine di cono- scere quella delle isole che nascono nel mare ; per Tito Ondes Reggio. Palermo , dal gabinetto tipografico air insegna di Meli y 1833. ( Un volu- metto in 8." di facce 89, ) Olrano veramente , ma non affatto nuovo esempio si è quello di vedere all' improvviso sorgere nel bel mezzo del mare una qualche isola. Cosi , secondo narrasi , nacquero quelle di Rodi , di Delo , e moltissime al- tre . la egual maniera agli 11 di luglio 1831 , dopo alcuni scuotimenti della terra , fattisi sentire anche di lontano, dopo bollimenti di acque ed eru- zioni di fuochi, si vide apparir fuori dal mare di mezzo giorno della Sicilia , a quasi 30 miglia da lei , l'isola che venne poscia detta Ferdinandea. Un tale mara- viglioso avvenimento porse bella occasione al dotto sig. Ondes Reggio di dettare il libretto , del quale ci siamo proposti parlare con brevità , ed in cui egli prende a discorrere non già delle naturali cagioni di un tanto fenomeno, come alcuno potrebbe pensare, ma si della proprietà di cosi fatte isole. Il sig. Ondes però, a.anli di tenere ragionamento intorno la particolare proprietà di queste isole, trat- ta a di lungo in un primo capitolo , della necessi- tà e principio fondamentale della proprietà de' beni in generale. Nel capo secondo parla del mare , co- me cosa capace di venire in altrui proprietà ; e nel terzo finalmente si adopera di mostrare , il mare pro- prio a ciascuna nazione , e quindi induce la pro- prietà delle isole che nascono in esso mare. Noi per tanto cercheremo alla meglio con brevi parole di accennare solamente quelle idee principali, 26 S e I E re z E che l'autore ha sviluppato nella sua opera intorno a tale suhietto. Eg-li adunque iacotnlncia dal sostenere la neces- sita della proprietà , mostrando come per mezzo di essa ,, ciascuno aumenta e cerca migliorare il suo , ,, aguzza lo spirito a trovamenti di nuove cose ; dk „ il principio alle scienze ed alle arti , incivilisce „ gli usi ed i costumi ; imperocché stando le cose ,, in comune , e non essendovi al mondo proprietà „ di sorta, ciò non avverrebbe certamente , ma esse „ cose andrebbero pel contrario in mal' ora. ,, Tutto ciò da ognuno gli verrà di buon grado concesso ; ma solamente non ne pare sia sufficiente la ragione che il nostro autore arreca in mezzo per confutare il Mabl)\, il quale porta sentenza , che la proprietà sia stata la causa d'ogni umano infortunio. Dice il sig. Ondes , che se l'uomo non avesse questa proprietà sarebbe poco lontano dai bruti : e che come al mon- do tutto è ineguale , i climi , gì' ingegni ec. , co- si debbono esserlo le fortune eziandio ; quasi che egli differenziasse l'uomo dai bruti principalmente per la proprietà , anziché per altri principj di quella ancor pili nobili , come sarebbe la ragione , ed altre si- mili facoltà. Dimostrata quindi con altri argomenti la neces- sita della proprietà , passa l'autore a discorrerne il principio fondamentale , che egli pone nella umana natura , e non nella convenzione , come altri la pen- sano . Poiché egli dice , che essendo il fine a cui mira l'uomo la sola felicita, che deriva dal soddi- sfacimento de' bisogni fisici e morali, e codesto sod- disfacimento non potendosi ottenere che dalla pro- prietà de' beni, così quest' ultima deve per conseguen- za nascere dalla natura umana , e non dalla con- venzione. Distinguendo poi la società naturale dalla Discorso politico ec. 27 civile , pone la prima come indispensabilmente neces- saria , e perciò questa eziandio fa derivare dalla na- tura ; e siccome pone ancora come indispensabilmente necessaria la proprietà , cosi vuole che anch' essa da natura , e non da convenzione abbia origine. Grozio però circa la proprietà ed i primordii degli uomini pensa , che l'uomo ne' primi tempi usas^ se le cose secondo il suo bisogno ed il suo pia- cimento , recandone per esempio i primitivi popoli d' America , gli esseni , ed altri ; che moltiplicata quindi l'umana razza , l'uomo attendesse alla cultura de' campi ed alla pastorizia , si dividesse dal co- mune, abbandonasse la virtù, lasciandosi andare ad ogni vizio , a talché perultimo fosse giuoco forza ve- nire alla divisione delle cose. Codesta bella ipote- si ( e tale la chiamo , perchè tale parmi tultociò che di bello possa dirsi intorno que' tempi, de' quali insino a noi non è giunto alcun certo documento) pia- ce, ne parrà forse inverosimile; ma VOndes si to- glie a confutarla gagliardamente , non saprei però se con ragioni forti a sufficienza. Imperocché egli dice : „ La dove Grozio parla dell* appropiarsi le cose secon- ,, do vuole il bisogno (primo de' quali è il cibarsi), ,, non è questo diritto di proprietà su quelle? e quale ,, altro per la stima del vero lo sarà mai , se non lo „ è questo , che alcuno goda le cose , e dalla par- ,, tecipazione di qualunque altro le escluda , in rao- ,, do che tutte per se le consumi ? „ Noi di leggeri accorderemo che queste cose siano proprietà , ma ne sembra che tali non divengano per ciascun indivi- duo , se non quando egli ne abbia fatta l'attuale ap- prensione , e le consumi , poiché per lo avanti erano come res nullius, cioè primi occupantis ^ e per que- sto di nessuna propriet'a. Che se il nostro autore aveva in animo di confutare Grozio , parrai che avrebbe pò- 28 Scienze luto mettere in campo argomenti più forti che que' Suoi non sono. Ove poi il nominato Grozio giudica che eli tulle le cose nascesse la proprietà per convenzione , non è della medesima sentenza per quello risguarda il ma- re , e dice chiaramente : „ Pel mare convenzione „ non devesi fingere : imperciocché quando in prin- „ cipio si divisero le terre , era esso nella massima ., parte ignoto , e non può fingersi modo onde quelle ,, genti tanto lontane lo dividessero. „ Aggiunge inol- tre , che il mare debbe essere in comune , perchè „ è lecito a ciascuna gente andare da qualunque al- ,, tra e con essa negoziare : ,, perchè ,, Toccupa- „ zione non procede se non in cosa che ha termi- ,, ne », I liquidi per se non si terminano, „ e non si possono occupare. ,, Ma qui ancora , nel secondo capo cioè, l'autore nostro da Grozio dissen- te; poiché non concede, come si disse, che da con- venzione sia nata la propi'ieta , ma si dalla natura pel solo soddisfacimento ai bisogni : cosi come prima le frutta e la terra , poscia anche il mare fosse ap- propriato dagli uomini : e dove Grozio dice , che es- sendo il mare fra quelle cose delle quali , quantun- que se ne faccia uso da ognuno , pure ve ne ha per tutti , e perciò debbono essere della condizione della quale erano state quando furono dalla natura pro- dotte , VOndes risponde : essere il mare cosa tanto inesauribile , che 1' usarne di tutti i popoli ne la- scia porzione grandissima in ozio ; e per ciò a buon diritto se ne può appropriare una parte da ciascu' no di essi senza destare invidia^ Dopo avere arrecati varii argomenti a compro- vare la proprietà de' mari , passa l'autore a dimostrar- la con esempi storici ; quantunque il fatto non sia sempre buona prova di diritto. Viene perciò ramraen- Discorso politico ec. 29 tantlo come Tiro facesse di suo dominio non solo il mare a so vicino , ma ogtii altro pel quale veleg- giarono le sue flotte : come Sparta dominasse il mare e la terra : come Alessandro facesse guerra per di- venir padrone della terra e del mare ec. Da finalmente termine al secondo capo con queste parole : „ Cotn- „ prendendo gli argomenti raccogliamo : che la na- „ tura per lo soddisfacimento de' bisogni umani sic- „ come vuole la proprietà d'ogni cosa , vuole an- ,, che quella del mare ; l'amplitudine del mare noa „ ne contraria , ma ne favorisce la proprietà ; dal di- „ ritto di commercio , a tutti gli uomini comune , ,, segue , non che il mare sia comune , ma che su „ di esso sia diritto di passaggio ; la sua liquidità ,, non osta ad aver termine , ed il tutto si conferma ,, dall' averlo moltissime nazioni tenuto in proprietà. „ Nel terzo ed ultimo capo passa l'A. a dire di quale e quanta parte di mare ciascuna nazione può essere padrona : e dopo avere esaminate le varie opi- nioni che si hanno su ciò , espone la propria così : ,, Ciascuna nazione è proprietaria di quel mare che ,, giace dalla sua terra fino a quel punto, che a nes- „ suna terra d'altra nazione è più vicino che alla „ sua ; eccezione facendo per alcune parti degli ara- „ pissimi oceani , de' quali la proprietà sino al detto „ punto per l'ampiezza istessa riuscendo inutile, è des- „ sa limitata fin dove le nazioni utilità ne ricavano : „ e per levare la troppa indeterminazione diciamo: per „ quanto spazio alcuna nazione ha massimo negli al- „ tri mari- „ Dopo adunque aver discorso a lungo la proprietà di tulle le cose, e così quella del mare, termina final- mente paragonando i mari ai fiumi , e dicendo col Sal- deno, che i fiumi sono muri minori. E che siccome i fiumi, che adacquano le terre delle nazioni, sono pio- 30 Scienze prii di esse , e di esse ancora sono le isole che in quelli nascono, così i mari eziandio saranno di quella nazione che ne è circondata, e le isole che vi nasceranno saranno del pari a questa spettanti. E viene a terminare l'opera con queste parole d'Heineccio : „ L'isola na- „ ta in mare o in fiume è accessione dell'uno o dell' „ altro , e quindi se quelli non sono in dominio di ,, alcuno, l'isola ancora non lo è, e s'apparterrà al „ primo che la occupi ; se però , che pili spesso ac- ,» cade, sono quelli in dominio di nazione , della stessa „ si è l'isola. „ Certo il slg. Ondes avrebbe alle volte potuto consolidare con piiì saldi argomenti le sue ragioni , allorquando toglie a confutare il parere d'alcuni sora- mi ingegni. Non si può per altro negargli molta as- sennatezza , e molta e varia erudizione si rinviene ia questo suo lavoro , in ispecie nelle dotte annotazioni. Ma per dire anche due parole dello stile in cui è scrit- ta l'opera, confesseremo che ne par bello, ed attin- to a pure fonti. Ed oh quanto di cuore ci augurerem- mo che ogni scienziato prendesse a seguire si utile esempio! Che allora pur finalmente si vedrebbe ancora nella nostra Italia , come altrove avviene , accoppiato alle scienze lo studio della patria lingua, ne tante dotte opere si vedrebbono dettate in un linguaggio mezzo roz- zo, e mezzo tolto ad imprestanza dagli estrani. Filippo Gerardi. 31 Del metodo intellettuale della scienza della vita , e del procedimento logico delVarte medica. Prole- gomeni alle istitiLiioni di medicina teorico- pratica di Benedetto Monti. Pesaro presso Annesio Nobi' li 1831. JLj andamento spontaneo che vanno prendendo le scienze mediche in Italia verso la dottrina dei rap- porti tra le leggi e i fenomeni della esterna natura e quelle che governano l' umano organismo , comunque da noi presagito , e avvalorato ancora di un metodo per ricercare e stabilire cotesti rapporti conformemen- te allo stato attuale della filosofia e delle scienze fi- sico-chimiche (1), fa sentire ogni giorno piiì , e vie- niaggiormente agi' ingegni pii!i felici , e non avvinti a veruna scolastica disciplina, il bisogno di una nuova medica educazione. Le scuole che teste dominarono nella nostra penisola hanno suggellato il periodo del- la loro vita colle ultime disputazioni tra i dinamici e i particolaristi , e la presente età le vede già die- tro a se incamminate ai deserti paesi della storia. Un nuovo orizzonte si apre oggi dinanzi alla scienza. Fosse l'obblio di se stessa o una soverchia pretensio- ne , questa credeva per lo addietro di conoscersi me- (i) V. Patologia induttiva di F. Puccinolti. Macerata 1828- Del metodo in patologia eie. Discorso di D. Pantaleoni, Gior- nale di Strambio 1829 -Della diagnosi fondata sui rapporti eliologici- Prolusione di F. Puccinolti. Annali d'Omodei i83o' 32 Scienze glio , sepelletidosi tutta entro 1' umano organismo. Si cominciò dal confidarsi interamente al moto vitale , e si fini collo sprofondarsi nel misto organico. E qui per pili lustri un continuo ed amaro disputarsi il primato di queste due situazioni , senza pensare, che una vita di continuo dipendente dalle azioni di una fisica esterna sopra essa , non sarebbe mai stata co- nosciuta uè nel suo corso regolare , ne nelle sue per- turbazioni , se Qoa si partiva da quel punto di unior ne o di attenenza che è tra i poteri fisiologici di es- sa e 1' obbiettivo esteriore. La medicina, elevata a que- sto punto , ha come respirata la liberta dopo un car- cere strettissimo e tenebroso. Guardandosi attorno a se, ha riconosciuto la sua dignità nella estensione mag- giore delle sue relazioni ; e guardando alle scienze so- relle , si è veduta ad eguale destino con queste ; e da povera e romita e inceppata eh' eli' era , ha rico- nosciuto le immense dovizie che le altre scienze le preparano , e sulle quali ella ha egual diritto e do- vere di profittare , e rivolgerle al suo perfezionamen- to. E' sorta finalmente un' epoca, nella quale la vera scienza della medicina non può \>\\x essere sostenuta da meschine teoriche. La teoria che oggi conviene al- la medicina deve essere in proporzione colla maggior massa delle cognizioni tutte che la fiancheggiano , e deve contenere in se gli elementi dei rapporti prin- cipali che esistono tra essa e 1' intera scienza della na- tura : e perchè di cotesti elementi ve ne sia la mag- gior copia possibile e sieno essi rivolti al maggior be- ne della scienza medica , questa teorica deve posse- dere un cotal metodo, cui non si può giungere fa- cilmente da chi non ha percorsa e meditata 1' intera storia della filosofia. Intanto ci gode l'animo di vedere rivolti a questo scopo , insieme con quelli di altri profondi pensatori , anche ^li eruditi gravissimi sludi Metodo intki.lettualb ec. 33 del eh. professore Monti , la cui opera , clie noi prendiamo a compendiare in qnesto giornale, sempre più ci rafforza nella speranza , che la novella scuola di filosofia medica in Italia sia presto per farsi adul- ta , e per off'erire alla gioventù un corpo di dottrina più certo , più coordinato , più completo delle altre che la precedettero , e per conseguenza più ia ar- monia coir attuale stato delle menti umane relativa- mente agli studi della natura. Si propone pertanto il prof. Monti in questi suoi Prolegomeni di additare un metodo eh' egli chiama intellettuale , per il quale le cognizioni tratte dalle osservazioni e dagli esperimenti di tutti i luoghi si trasformino in tante formole o teoriche , il complesso delle quali costituisca la scienza ; donde pure discen- da quei procedimento logico , per il quale si conse- gue la pratica , nel che consiste ciò che arte medica si appella. §• I- Nella cognizione de'fenomeni e in quella del pro- cesso costante ed invariabile della generazione o suc- cessione loro , che è quanto dire nella cognizione del- le forme e delle leggi della natura, è segnato quel limite , oltre il quale alla mente umana nello studio delle cose naturali non è lecito andare senza smarri- re pericolosamente se stessa. §• II. Questo alternarsi delle forme , e degli effelti del- le forze nella naiura esterna, è compreso nella mente umana alla facoltà che dicesi percezione. Ma questa, limpclto alla variela grandissima che è ne' feno- G.A.T.LX. 3 34 S e I K N Z K meni naturali, h troppo debole per poter tutto coor- dinare ciò che è raccolto entro a se stessa. Altro po- tere dell' anima si richiede a tanto , cioè la facoltà ri/lessila. La potenza percettiva , secondo il Monti , non solo apprende l'esistenza de' fenomeni esteriori , ma anche le relazioni particolari che esistono nel loro stato complessivo : trasportata a piiì generi di fe- nomeni , e concepiti più generi di relazioni, ne cava delle leggi , e queste hanno il nome di forinole intel' lettuali. A tali formole , che sono opera della poten- za riflessiva , la mente non giunge che per tre ma- niere di operazioni; 1.° aggregando tutti i materiali raccolti dalla percezione sotto il rapporto di spazio e di tempo ; 2.° risolvendo in famiglie coordinate dal rapporto di identità i varii fenomeni della natura ; 3." riducendo il maggior numero de' fenomeni già ag- gregati e risoluti al minor numero di cause. Per que- ste tre operazioni il potere riflessivo della mente ac- cresce la dovizia delle sue formole , acquistando per la prima le formole di composizione : per la seconda le formole di identità -. per la terza le formole di causalità. Queste operazioni della potenza riflessiva debbono però accrescersi di continuo , e debbono es- sere garantite dalle ragioni di rapporto nell'obbietti- vo esterno. Quindi T un potere chiama l'altro in soc- corso , il quale somministrandogli sempre nuove os- servazioni ed esperimenti , si vanno ambedue mutua- mente rettificando , estendendo , e perfezionando. Con- clude pertanto il Monti , che l' organo logico della scienza della natura è costituito da queste cinque par- li : osservazione : esperimento : aggregazione : risolu- zione : riduzione. Di qui quelle generalissirae leggi che diventano poi i principii fondamentali , sui quali il procedimento della parie operativa della scienza interamente si fonda. MkTOOO IHTKLLETTIALE KG. 35 §. ni. Se 1.1 potenza riflessiva , troppo vaga delle sue no- bili operazioni , emancipare si voglia da quella ser- vitù, che la stringe in vincoli necessarj alla potenza percettiva , avviene allora che spinta da propria ten- denza , aggrega , risolve , riduce , indipendentemente dall' obbiettivo esterno. E i composti di queste sue licenziose operazioni sono ciò che comunemente ap- pellasi fantasia. La quale alle forraole intellettuali ob- biettive, die sono le vere, sostituisce le formole idea- listiche o subiettive , che sono le immaginarie. Perchè adunque la mente non si carichi di siffatti fantasmi , è necessario educare e condurre quella di lei facol- tà , secondo certe regole prefisse e determinate : e la scienza che tratta di siffatte regole chiamasi metodo intellettuale. Incombe a questo metodo, \.° determina- le i limiti della scienza possibile , 2." stabilire i mezzi con che possiamo acquistare cognizioni vere , 3.° in- dicare i particolari procedimenti die dobbiamo segui- tare nel tradurre in forraole intellettuali le partico- lari cognizioni acquistate , 4*° determinare le regole certe secondo le quali applicare si conviene le me- desime formole nella parte operativa della scienza per conseguire l'oggetto che ci proponiamo , 5." fissare i caratteri pe' quali la verità dall' errore dislinguesi. §. IV. Ogni scienza ha il suo fine particolare. La me- dicina ha quello di conservare e reintegrare la sanità. Quindi un metodo generale nell' essere applicato su- bisce delle modificazioni, a norma del diverso oggetto che si propone la scienza cui si applica. Per inlende- 3* 86 SclENXE re e giustamente valutare quelle che appartengono alla scienza medica , procedendo secondo i caratteri gene- rali del metodo fissati qui sopra , ha divisato eoa ottimo accorgimento il Monti di prendere le mosse della storia della scienza medesima. E di fatto come la filosofia della storia dell' umanità è V unica che possa dirci che cosa è stato e che cosa possa essere l'uomo sulla superficie della terra, cosi quella delle storie delle varie scienze ci addita come , fin dove , e con quale ventura sin da' tempi i più remoti siasi applicata la niente al concepimento de' fenomeni, che limitano la sfera degli oggetti eh' elle si propongono. Ma la sto- ria della medicina non è stata ne poteva essere fin qui trattata con filosofia. Noi dovevamo andare tra molti secoli di verità e dì errori vagabondi in traccia d' un metodo applicabile alla storia de'fatti prima di rinvenirlo. Forse esso oggi e trovato : e oggi solo possiamo intendere il vero spirilo della storia della scienza nostra. Freind, Le Clerch , e lo stesso Spreti' gel non sono che grandi e laboriosi compilatori , che per ordine o di materie o di tempi hanno percorso colla sola memoria questo vasto campo d'umani pen- sieri e fatiche. Essi hanno asciugato il pantano ; toc- ca a noi di ridurlo a coltura. Uno dei mezzi i pivi acconci a penetrare nel vero spirito della storia delle scienze mediche è quello di chiarire 1' indole intrin- seca de' varii sistemi di medicina , e dedurre da que- sta la diversa natura de' metodi dai quali ebbero ori- gine : COSI prefiggere si ponno le epoche delle gran- di rivoluzioni della scienza, secondo la diversità essen- ziale de' metodi stessi da cui procedettero. Nel che ludevolissirao testimonio ci porge il eh. autore della sua perspicacia. E sebbene, secondo noi, la ricerca del vero spirilo della storia della medicina dipender deb- ba dalla ricerca e risoluzione anteriore di un proble- Metodo intei^lettualk ec. 37 ma nltitno intellettuale , intorno al quale st sono ap- plicati con diversa fortuna i diversi metodi e sistemi inventati da que'sapienti che ci precedettero ; pur tut- tavia sarà un lungo e felicissimo passo verso il tro- varaento di quello , l'andare percorrendo e scandaglian- do la storia de' sistemi: con quella de'metodi, e questa con quella de' sistemi perocché anche per siffatto mo- do possono essere raggiunti e filosoficamente dettagliat ti i movimenti progressivi dello spirito umano. il §. V. Il vasto prospetto dei lavori dell* ingegno uma- no nelle cose mediche si presenta al Monti ne' passati tempi continuamente avvicendato dal predominio del Dogmatismo e òeW Empirismo , intramezzati sempre da un periodo di Scetticismo^ In mezzo all' invariabile succedersi de' fenomeni della natura viva col mondo esteriore , perchè tanta miserabile differenza e contra- rietà d' opinioni e di principj ? Se v' ha un metodo per dirigere le operazioni della mente alla investi- gazione delle leggi dell'obiettivo , perchè per si lunga serie di anni fu obliato, o male costruito, o infedel- mente applicato ? Promette il Monti la soluzione di questi due gravi problemi. §-VI. L' età delle generazioni è come quella degli in» dividui. Gioventiì , virilità, vecchiezza. Nella prima la mente è quasi sempre spinta a combinare le sue per- cezioni col potere riflessivo , secondo i loro rapporti subiettivi, e schiva (calda e impaziente com'è) di verificarli col confronto dei rapporti obiettivi. ,, Que- ,, sta maniera di procedimento ( dice il Monti ) costi- 38 Scienze „ tiiisce la qualità essenziale dalla prima epoca ne' „ progressi dello spirito umano. „ Quindi la mente si fa accorta de' suoi errori , ed osserva e sperimenta di nuovo , ma non quanto basta, e però volando al- tra volta per via precipitosa agii assiomi , i quali di troppo generalizzati e tradotti nella pratica riuscir deb- bono tanto spesso fallaci quanto più s'allontanano dal- Je leggi dell' obiettivo. Ma i fatti succedonsi costan- temente. Il metodo anela di seguirli , e viene scuo- prendosi di nuovo in molti di essi erroneo , in altret- tanti insufficiente : ma per non retrocedere , o ricorre al sofisma , e supplisce ai difetti coU'abuso delle pa- role , ovvero cancella ogni metodo derogando alla po- tenza riflessiva ogni certezza. Quindi i primi Dogma- tici , i secondi Empirici , e da queste due qualità è costituita la seconda e terza epoca ne' progressi deli* umano intendimento. Questo dissidio però non vieta che le osservazioni ed i fatti non vadano largamente distendendosi. Questa nuova ricchezza dimostrando la falsa lega di ambedue i metodi divisati , ne discuo- pre la necessita di spogliare della parte idealistica il primo, e di vestire dell'organo logico il secondo. Tal- ché l'empirismo riacquistando formole intellettuali in che non si contengano che le forme precise de'rap- porti obiettivi, viene a costituire quel vero metodo che caratterizza insieme la quarta epoca ne' progressi dell' umano intendimento „ la quale può degnamente „ esser chiamata V epoca della maturità della mente „ umana. ,, §. VII. In questo articolo l'autore si fa a dimostrare la necessita dell' indicato procedimento dell'intelletto per tutti cotesti metodi viziosi , sino a quello che rispon- Metodo intellettuai-k ec. 39 de alla malurila dell' età di esso. E questo fa saga- cemente accennando la grande sproporzione tra i finì intellettuali e morali , e i mezzi umani per conseguir- li. La caduta dell' uomo , dice il Monti , promosse cotesta sproporzione col cangiare la sua primitiva e innocente natura in un essere fragile e corrotto ; im- perocché i fini rimasero gli stessi , nel mentre che i mezzi di conseguire la perduta perfezione notabilmen- te sminuirono. Oggi il suo intelletto non può più for- marsi che pel ministerio de' sensi. Cosicché il pro- cedimento delle concezioni eh' egli da questi deduce debbe essere lentissimo , e di necessita errare a fan- tasia prima di sapere. A chi considerasse questi pensieri del Monti po- trebbe sembrare facilmente , eh' egli volesse qui dare una specie di predestinazione al sensualismo. Ma d'al- tra parte riflettendo che cotesta umanità , sublime e caduta dalla sua condizione originaria, conserva pure tutti i suoi più sublimi fini intellettuali , potrebbe piuttosto sembrare di trovarvi un platonismo ; per- chè quei fini sono pur costituiti da altrettante formo- le o idee , le quali deono aver preesistito alle ope- razioni de' sensi. La mente le conserva : i sensi non farebbero che risvegliarle da un sonno , in modo che potrebbero le idee riguardarsi come altrettante remi" niscenze della nostra origine perfetta e celeste. E que- sto sarebbe un conformarsi ai platonici antichi. Co- munque però sia di questa idealistica digressione, noa si può negare che il Monti non l'abbia sparsa di no- bili pensamenti , e non vi si rilevi la proprietà de* robusti ingegni di farsi facilmente trasportare airuni* ta di quel tutto che loro si para alla mente, allorché questa si è immersa in una qualunque sia tesi. 40 Scienze §. Vili. I quattro metodi superiormente accennati sono distinti dal Monti co' nomi di metodo idealistico : em- pirico-idealistico : empirico : empirico -intellettuale. Ora egli pone per fondatore del primo, quanto alla filosofia, Platone : quanto alla medicina, Talete : per antesignano della seconda epoca in filosofia Aristo- tele , in medicina Ippocrale : della terza epoca, che allude al metodo empirico, da per maestro in filosofia Epicuro^ in medicina Serapione. Tra' filosofi insegna- tori del quarto metodo pone Galileo e Bacone : tra' medici Mailer e Baglivi. Esposta quindi la dottrina delle idee innate di Platone, e dimostratane l'influenza su tutto lo scibile di quel tempo , che il Monti chia- ma adolescenza della mente umana , dimostra insieme come in essa invece di ricercare d'interpretare la na- tura colla natura , il metodo idealistico tentò teme- rariamente d' indovinarla colla fantasia. Avvenne lo stesso da Talete fino ad Ippocrate rapporto alla prima epoca delle scienze mediche. Difficile è convenire qui coU'autore che tutto il periodo di filosofia greca sino ad Aristotele possa giu- stamente caratterizzarsi col suggello del metodo idea- listico , come neppure sapremmo concedere che ad an- tesignano di questa filosofia debba porsi Platone. Il lungo periodo che corse da Talete fino a Platone (dal 600 al 430 av. G. C.) , il cui sistema usci dalle scuole socratiche (Socrate 470. av. G. C), è contras- segnato da tanti altri cicli , che formano altrettanti periodi della filosofia greca distinti tra loro per di- versi melodi di dottrine. E messa da parte la sapien- za mitica e gnomonica , anteriore a Talete , donde sor- sero le prime faville dell' incivilimento di quella na- Metodo iMTELLETTuALE ec. ^.l zìone maestra dell' universo , si osserva che i primi passi di quella filosofia partirono dall' obiettivo , dal reale, dalla esterna natura, e il movimento libero del- la ragione lungamente si aggirò fra gli elementi ma- teriali del mondo prima di ritorcersi sopra se stesso, e rinchiudersi per entro alle facoltà dello spirito. Il qual punto di retroversione segna piuttosto un' epoca di maturità nella filosofia greca , anziché di età pri- ma e infantile . E di fatto l' idealismo assoluto di Platone non avrebbe potuto sorgere, se non fosse sta- to preceduto da un debole empirismo , sopraffatto da un susseguente scetticismo. Talete , Anassimandro , Anassimene , Pittagora partirono tutti nelle loro teo- riche dalla esperienza , e prendevano per base la te- stimonianza de' sensi , la moltiplicita , il contingente, il variabile , di cui sforzavansi di spiegare 1' origine ed il rapporto coU'invariabile e l'assoluto. Ma gli Elea- tif non trovando i principii di coteste scuole sempre d'accordo colla sperienza, bandirono un idealismo scet- tico , dicendo che l'esperimento non era che una pura apparenza ( Senofane , Parmenide , Melisso , e Ze- none). Da questo stato la mente si vide costretta a ridiscendere suH' obiettivo : ed Eraclito tornò a cer- care le forze primitive nella materia , e a sostenere che r anima per mezzo dei sensi riconosce 1' invariabile , 1* individuale . Nuovo predominio ed anche asso- luto prese poi il materialismo nelle scuole atomi- tiche e naturali di Leiicippo , di Democrito , e di Empedocle ; e l' incivilimento e la popolazione e il commercio nella Grecia vieppiù prosperando e cre- scendo , si senti la necessita d' una filosofia pra- tica applicabile soprattutto alla morale , e alla uti- lità e perfezionamento civile. E quindi ebbe origi- ne la scuola di Socrate , che può dirsi diretta da uu metodo empirico-intellettuale. La piacevolezza sociale h*l S e I E pr z E congiunta a una certa ironia , e un inJifferentlsrao per ogni speculazione che non conduceva direttamente al- la felicita , mezzi principali della influenza pratica delle dottrine di Socrate , passando ne' suoi discepo- li , salirono a riprovevoli eccessi. Perocché Antistene e Diogene portarono 1' ironia sino al cinismo : e i Cirenaici , a capo de* quali fu Àristippo^ portarono quella piacevolezza sino al sensualismo. Si vede però che la parte empirica sussistette sempre , ma per que- gli eccessi de' Cinici e di quei di Cirene si ruppe- ro e si perderono i suoi rapporti colla vera morale civile. Dovevano dunque succedere a que' movimen- ti della ragione cosi viziati , nuovi motivi di dub- bio ; e di fatto lo scetticismo ricomparve in Pirrone di Elide , che produceva per ragione , che l'opposi- zione dei principii ci dimostra la incomprensibilità delle cose. Egli fu di mezzo a quegli ondeggiamenti della socratica sapienza che sorse il sistema di Pla- tone. Il quale apparve tutto fastoso e grande, sicco- me conveniva alla Grecia del suo tempo : è come lo specchio dove si riflette l'immagine di quella magni- fica nazione , e tale era pure nell' anima sua e nel suo vivere privato Platone medesimo. La filosofia di Platone non tanto ebbe di speculativo, quanto di pra- tico. E se per filosofa non vogliamo intendere la so- la dottrina delle idee , a tutto rigore non si potreb- be dire che il metodo applicato da Platone alla filo- sofia sia assolutamente idealistico. O per lo meno dif- ficile sarà sempre il sostenere che la filosofia di Pla- tone, presa nel suo tutto, equivaler possa ad un pe- riodo d'infanzia dell' umano sapere. Relativamente al- la Grecia sarebbe un paradosso : relativamente a noi non potrebbe esser mai riguardato come immaturo quel metodo , pel quale Platone riuscì a fondere tutti gli umani motivi di attività speculativa o pratica in una sola ed istessa importanza morale. Metodo intellettuale kc. - 4"^ §. IX. X. XI. Procede il Monti e dichiarare le ragioni stori- elle del metodo corrispondente alla 2 epoca dell* umano sapere, cioè del empirico -idealìstico. E prima di parlare di filosofi e medici che lo seguitarono, fermasi discorren- do per alcune sentenze , che ci piace qui di riferi- re. ,, Non si possono fondare i veri principi di qua- „ lunque scienza, se questi non sono le formole pre- ,, cise de'rapporti del mondo oggettivo. - Ond' è che „ la mente in questo negozio abbisogna della guida „ di certi principj generali , senza de' quali ne la ve- „ ra osservazione nò lo sperimento possono aver luo- „ go, - L'indagatore della natura, intendendo a discuo- „ prire i rapporti delle cose , instituisce prima di ,, tutto osservazioni e sperimenti ; ma questi torne- „ rebbero impossibili , ove egli anticipatamente non ,, avesse in formole intellettuali l'idea probabile di ciò „ che ricerca , e non possedesse in mente alcuni in- ,, tlizii a cui ravvisarlo. „ Eccellentemente. Ma qua- li sono cotesti indizii che accennano il rapporto ve- ro, le vere attinenze di fenomeni nell' obbiettivo ester- no ? Nel multiplo raccolto della potenza percettiva, per quale principio la potenza riflessiva accosta, eli- mina , riduce i fenomemi , e determina cotesti rap- porti .^ Un tale' principio è innato nella mente dell* uomo, o risulta dall' ordine eh' ella ammira nell' uni- verso ? Prima delle ragioni di spazio e di tempo , nelle quali s'avvolge il vortice perpetuo de' fenome- ni naturali , ve ne sarebbe forse qualche altra di un ordine piiì sublime atta a discuoprire e determina- re i rapporti tra essi ? Fin qui la ignoravano e i me- tafisici e i fisiologi.- E il peggio è , che senza la scoperta e la determinazione di siffatto principio o 44 S e I s N 2 fi legge subiettiva , i metodi che si danno per la in- terpretazione de' fenomeni della natura saranno sem- pre variabili e vacillanti , e non sarà mai il metodo, ma sempre il caso quello che fisserà alcune for- mole precise dei rapporti del mondo oggettivo ; e le scienze andranno cosi soggette in perpetuo a quel- le vicende di opinioni , che in altro modo si chiama- no le loro teoriche. Ma oggi la filosofia corre certo stadio che fa assolutamente sperare la discoperta di cotesta luce. Fra la fisica ed essa non vi h più quel- la immensa distanza , che le ha rendute per si lun- go tempo l'una all' altra per così dire sconosciute. Esse si sono data la mano per salire quest' erta di- rupata e scabrosissima: presto le vedremo ambedue pog- giare alla cima ; dove scuopriranno quella sottilissima polla d'acqua che dì lassù discendendo per tortuosi rigagnoli , e vieppiù nel suo viaggio da ogni parte ingrossata » giù nel pieno ci presenta iraspelto d'uà larghissimo fiume, apportatore di fertilità e di vita a tutti gli esseri che prosperano sulla terra da lui inaffiata e percorsa^ uéristotele per la filosofia , Ippocrate per la me- dicina sono gli antesignani di questa seconda epoca che l'autore chiama empirico - idealistica. Tutti san- no che l'assioma dello stagirita [nulla essen>i nello spirito che non sia passato pe sensi) detronizzò il sistema platonico, e richiamò i filosofi allo studio del- la natura. Il Licèo ebbe per metodo l'induzione. Ma l'induzione aristotelica da quella che poi insegnò Ba- cone in questo è diversa , che la prima non ha scala da ascendere e discendere più volte dal fatto all' assioma innanzi di stabilire questo in modo as- soluto , siccome l'induzione baconiana che di tal mo- do resta sempre garantita dal fatto stesso. L'indu- sione aristotelica va d'un salto alla proposizione gè- Metodo intellettuale ec. 4^ nerale , nh mescolandosi più colla parte obiettiva v beala del suo impero , riduce dispoticamente tutto il multiplo fenomenale sotto di esso. Ha egli veramente seguito lo stesso metodo an- che Ippocrate ? Sembra che le riflessioni stesse del Monti conducano a giudicare diversamente. „ Che il „ dire , siccome Ippocrate diceva : Bisognare separa- ,, re la medicina della filosofia : egli era proclamare „ che biso£^nava , innanzi tratto , porre a cimento ,, quelle idealistiche speculazioni de' filosofi separan- „ doie dall' universale filosofia , ed applicandole al- „ le operazioni dell' arte ; e per tal modo con ap- ,, pensato disegno , osservare i fonomeni della natu- ,, ra e le loro leggi sperimeftCare : e di poi sopra ,, i fatti per la osservazione e per Jo sperimento co- „ nosciuti , o consolidare le dottrine degli antichi , „ ovveramente sopra di essi novelli assiomi dirizza» „ re: il che era recare la filosofia nella medicina. ,, Se a tutto ciò si aggiunga quanto ne dice V Hart- mann „ che Ippocrate ha fermato per primo che la ,^ natura del morbo non si può intendere altrimenti „ se non dall' indole delle cause esterne che il me- ,, desirao produssero : ed insiste che si abbia som- „ mo riguardo alle qualità del clima , della stagio- ,, ne, della epidemica costituzione in corso, delle „ regioni , del vitto ,, si conoscerà essere stato Ip- pocrate il vero e primo maestro e fondatore di quel- la filosofia che sola conviene alla nostra scienza, non che del vero metodo per farla progredire. Ne si può chiamare veramente idealistica la parte teoretica che Ippocrate toglieva dalla filosofia del suo tempo per applicarla , o a meglio dire misurarla colla sua par- te empirica ; avvegnaché non proclamarono l' idea- lismo ne Piltagora ne Empedocle ne Eraclito, dei quali egli desunse varii modi di spiegare i fatti. Anzi 46 Scienze direi piuttosto che coli' avere ricorso ed alcani prin- cipj esperimentali , per quanto le sperienze poteano essere allora estese e concludenti, Ippocrate ci ha volu- to insegnare due cose; 1 che v'ha una assoluta necessita onde elevare e mantenere al grado di scienza la medicina di tirare in essa i principii e gli assiomi de'raaestri delle scienze fisiche ausiliari per la interpretazione de' fatti; 2 che tra que' maestri e quelle scuole debbono predi- ligersi sempre quelle che ne'loro procedimenti intellet- tuali partirono dalla esperienza ; e tali furono i filo- sofemi da lui seguitati , e massimamente quelli di Empedocle. Ne la induzione ippocratica è simile a quel- la di Aristotele ; perocché Ippocrate inculca sempre di ritornare in sul fatto, anziché licenziosamente spa- ziare con una legge che risponda a pochi fenomeni. Ecco perchè egli costituì la sua base empirica sul costante e visibile impero delle cause esterne , e del- le endemie. L' induzione galenica piuttosto fu quel- la , che sostenendosi colla dialettica , potrebbe giu- stamente assomigliarsi a quella di Aristotele. §. XII. Senza seguire passo passo l'eruditissimo autore nella storia esposizione delle dottrine di Aristotele e di que* molti che le adottarono fra i medici , lo raggiunge- remo al XII ed ultimo articolo della sua operetta , dove parla dei fondamenti dati da Asclepiade alla dot- trina del solido vivo. Di qui ebbe origine il sistema dei metodici proposto da l'essalo e Temisone^ ed espo- sto da Celio Aureliano con singolare chiarezza.,, Due ,, cose sono degne di considerazione circa queste no- ,, velie dottrine , delle quali sta a capo Asclepiade ; „ l'una è che quantunque in Roma elleno s'insegnino, ,, pure non sono opera dei latini , ma bens'i de- Metodo itjtellettuilb kg. 47 „ gli estranei che in ìioma accorrono da ogni parte „ per far mostra del loro ingegno. Celso non fa che ,, recare in aureo latino le cose pensate da altri scrit- „ tori. L'altra cosa notevole è , che nelle riferite dot" ,, trine si rileva un uso migliore e pili aggiustato del „ metodo empirico -idealistico : imperocché gli anle- „ riori sistematici nelle loro formole di causalità ri- „ dussero sempre gli effetti a cause poste oltre la sfera ,, dell' esperienza possibile : come il principio innato „ di Jpoerate, il pneume di Erasistrato , e cose so- ,, miiilianti. Per converso nelle ultime dottine riferi- „ te, cosicché i rapporti de' fenomeni siano posti a „ fantasia , e si salti di lancio da pochi fatti co- ,, gniti alle piiì universali formole intellettuali ; pure „ in queste formole non si racchiudono concezioni di ,, entità che non si possano colla sperienza o con- ,, fermare o rifiutare. ,, Ma il metodo torna a cor- rompersi nella seguente dottrina pneumatica fondata da Ateneo , e quantunque il fecondo e speculativo in- geg'no di Galeno lo ingrandisse degli adornamenti filo- sofici di Platone e di Aristotele , esso rimaneva sem- pre difettivo ne' fondamenti e ne* suoi pratici resul- tati ! Viene poscia esaminando il Monti le sorti del metodo fra le seguenti filosofie degli Essenj\ de Neo- platonici e di altri del medio evo , e mostra com* esso tralignando insieme coli' umano incivilimento, non sì discostò mai da quell' idealismo che ne accompa- gnò la prima infanzia. Noi non sapremo per quale ra* gione questi interessantissimi Prolegomeni , del Monti non vanno pili innanzi di quest' epoca di decaden- za , e ci lasciano nel desiderio di vedere esposto con altrettanta critica e filosofia gli altri due metodi in addietro accennati , cioè ['empirico , e Vempirico-in- tellettuale , che è appunto quell' ultimo che propone l'autore da seguirsi. Nulladimeno intorno a ciò ba- 48 Scienze stanti corollarj qua e la sparsi può dedurre cliiunque si faccia a meditare su questo ottimo libretto , e po- trà ancora farne una utilissima applicazione a certe dottrine de' nostri tempi, e specialmente alle due dette de' dinamici e degli atomisti o particolaristi. Per por- gerne intanto un esempio ci varremo delle stesse ri- flessioni dell'autore. ,, Coleste dottrine pare a me , che ,, radano egualmente errando da quella via diritta che „ ne addita la ragione. Dalla quale ci si fa mani- ,f festo , dovere noi essere contenti nello studio delle ,, naturali cose a conoscere i fenomeni di esse co- ,, se , e l'ordine costante della loro successione ; e „ a dedurre le leggi formali di essa successione ; tra- ,, lasciando in ciò ogni sforzo , siccome inutile , di ,, congettura per sapere se ciò che opera le regolari „ mutazioni della natura sia alcun che sconosciuto da „ noi , e ciò nondimeno per se stesso esistente , o ), se ciò che opera le medesime mutazioni sia ai corpi ,, che si mutano inerente , e dalla loro speciale na- „ tura risultante. Agli umani fini e bastevole la co- „ gnizione de' fenomeni e delle loro leggi , associata „ colla ragione di una causa assoluta, intelligente ed ,, immutabile, senza della quale non avremmo alcun ,, fondamento per le pratiche induzioni delle arti ; „ le quali poggiano la sicurezza de' loro precetti e „ del conseguimento de' loro fini in questo prin- ,, cipio , che l'ordine de' fenomeni e della loro suc- ,, cessione avvenire sia per essere perfettamente simile „ all' ordine con che i fenomeni si sono presentati , ,, e si sono successi in passato. Il quale fondamenta- ,, lissimo principio , senza del quale la nostra vita , „ e tutte le nostre azioni , e i loro fini conseguiti è ,, caso , non ha ove sorreggersi , laddove le formolo „ intellettuali di causalità non ci rechino a stabili- ,, re l'esistenza di un principio, siccome è detto, efli- Metodo iifTELLETTuATE £c. A9 „ dente, immutabile , ed avente in se stesso la ra- „ gione della propria esistenza ed elHcieuza. Dico adun- ,, que, venendo al proposito de' nostri di , che ella è „ fallacissima quella autorità degli atomisti , che con „ tanta sicurezza h invocata a fondamento di tutti i ,, loro ragionamenti da que' medici , che si sono stu- „ diati di restaurare la dottrina delle forze partico- „ lari e specifiche della organizzazione. „ Noi intanto chiuderemo questo breve ragguaglio che abbiamo dato della ingegnosa ed utile produzione del Monti col raccomandarne caldamente la lettura a chiunque voglia intendere e Io scopo vero ed uni- co della medica scienza , e il più sicuro metodo per conseguirlo. E speriamo che da tale lettura ne verrà anche il vantaggio di persuadersi; 1 che Io slato at- tuale della medicina è rappresentato da quella liber- tà del pensiero , che non solo consiglia ma richie- de di entrare per vie novelle ; 2 , che è indispensa- bile oggi il faraigliarizzarsi con gli sludi di filoso- fia, e per intendere le produzioni che da essa de- sumono il loro spirito di ricerca e di restaurazione della scienza , e per non affibbiare con tanta frequenza ed ingiustizia la taccia di oscurità a quegli scrittori , che a coloro che non hanno bene educata la mente prima di leggerli , non riescono di facile intelligen- za; 3 che siamo finalmente pervenuti a tale epoca, che chi vuol farsi leggere bisogna che dia da pensare. F. PuCCINOTTI. G.A.T.LX. Del calorimetro a ghiaccio e suoi usi. u. na delle più importanti scoperte relative alla dot- trina del calorico devesi al fisico svedese nomato Wil- ke , il quale nelP anno 1772 provò che i corpi di na- tura diversa, benché tutti dimostrino pel terraoraetro lo stesso grado di temperatura , tuttavia contengono es- si diverse quantità di calorico , e dipendenti dalla natura dei corpi medesimi. Il calorico necessario affin- chè l'unita di peso di un corpo qualunque cangi di un grado la sua temperatura, dicesi calorico specifico del corpo. Il calorico necessario per cangiare di uu grado la temperatura delf unita ponderale d'acqua, si prende per unita di misura , e con questa si deter- minano i calorici specifici degli altri corpi. Parecchi metodi sono stati proposti per siffatte determinazioni; qui esporremmo quello relativo al cosi detto calori- metro di Xjavoisier e Laplace, strumento da nomarsi pro- priamente calorimetro a ghiaccio , la teorica e gli usi del quale ora svolgeremo , con animo di giovare alla generalità e precisione di questa fisica dottrina. Il calorimetro , inventato dai celebri nominati fisi- ci , è composto di due vasi metallici contenuti l'uno nell'altro, e separati da regoletti di vetro o di legno. L'intervallo fra questi si riempie di ghiaccio pesto, e stivato in guisa da formare un continuo inviluppo, che dovrà sempre rinnovarsi onde la temperatura del va- so interno , che si suppone di o% non si aumenti pel calorico dell' atmosfera , la cui temperatura e supposta Calorimetro a. ghiaccio 51 maggiore della prima. Un rubinetto collocato lateralmen- te al vaso esterno serve a far escire l'acqua formata dalla fusione del ghiaccio. Dentro al vaso interno se ne so- spende un altro minore, destinato a contenere i corpi riscaldati, che si vogliono sperimentare. La forma di questo vaso e la sua costruzione dipenderà dalla na- tura del corpo da collocarsi nel medesimo ; quindi ora potrà essere un mero sostegno , ora un semplice diafragma , ed ora un recipiente. L'intervallo fra que- sto , e il vaso intermedio deve similmente riempirsi di ghiaccio pesto, è l'acqua prodotta dalla sua fusione pel calorico ricevuto dal corpo, escira per un altro rubinet- to inferiore, apposto al vase di mezzo. Quest' acqua sarà diligentemente raccolta , e quindi pesata colla maggior esattezza possibile. L'oggetto di questo apparato è di ottenere , me- diante l'inviluppo esterno di ghiaccio , compreso fra i due primi vasi , che mantengasi a o° la temperatu- ra dell' interno di essi , e che il secondo inviluppo di ghiaccio non si fonda per altra causa, fuorché pel calorico perduto dal corpo in esso collocato. Volendo determinare con questo istromento il ca- lorico specifico di un corpo , si pone ncU' apparato descritto un determinato peso del medesimo , ad una cognita temperatura , e si lascia ivi raffreddare fino a tanto che sia giunto alla temperatura di o". L' acqua prodotta per questo raffreddamento si pesa esattamen- te , e con questo mezzo si giunge alla numerica de- terminazione del calorico specifico richiesto, come ora vedremo . Innanzi tratto però dobbiamo riflettere che onde questa sperienza riesca bene deve, 1.° impiegar- si del ghiaccio, la temperatura del quale sia giusta- mente a 0**, Ciò si otterrà servendosi del ghiaccio fondente , cioè presso a fondersi , ed operando in un' atmosfera elevala di uno o due gradi sopra lo zero. 4* 52 S e I G N 2 K 2." non polendosi mai evitare assolutamente rinlrodu- zione dell' aria esterna nel calorimetro , una parte dell* Tjcqua prodotta dalla fusione del ghiaccio sarà dovuta al calorico dell' aria medesima, ed il risultamento della sperienza sarà perciò alterato. A correggere questo ine- vitabile aumento di peso nelT acqua ottenuta dallo scio- glimento del ghiaccio , basterà montare il calorimetro nel modo già descritto , senza però introdurre in es- so la sostanza da sperimentarsi. Poscia tenuto l'appa- recchio a questo modo nell' atmosfera in cui deve operarsi , la quantità d'acqua prodotta dalla fusione deir interno inviluppo, sarà dovuta al calorico dell* atmosfera esterna introdotta nel colorimetro. Il peso di quest' acqua dicasi a , il tempo impiegato ad ottener- la dicasi t : se rappresentisi con Z' il tempo impie- gato dalla sostanza posta nel calorimetro, per giunge- a re alla temperatura di o°, sarà T — la quantità da sot- trarsi dal peso totale dell' acqua, raccolta dal calori- metro dopo compiuta la sperienza , e perciò il risul- tamento di essa rimarrà privo dal suo soperchio. Ora particolarmente veniamo alla determinazione del calorico specifico di un corpo solido qualunque, me- diante il calorimetro a ghiaccio. Dicasi p il peso dell' acqua prodotta dalla liquefazione del ghiaccio interno , già diminuito del peso T — .Il calorico acquistato dall' acqua medesima sarà tanto, quanto ne abbisognava per la fusione del ghiaccio, che e appunto quanto ne abbisogne- rebbe per innalzare lo stesso peso di acqua da o° a 6o° di Reaumur , ovvero a 75° del centigrado; come risulta dalle sperienze del celebre Black generalmente confer- mate. Avendo noi espresso per 1 il calorico necessario Calorimetro a ghiaccio 53 a variare di un grado la temperatura dell' unita di peso d'acqua, h manifesto che il calorico attualmente acquistato dall'espresso peso p della medesima sarà t p, essendo t = 60, ovvero = 75, secondo che il termo- itietro della sperienza sarà reaumuriano o centigrado. Imperciocché il fatto ne dimostra essere, fra i limiti della congelazione e della ebullizione, le quantità di calorico acquistate dai corpi, direttamente proporziona- li alle temperature dei medesimi , salvo che un corpo fra questi limiti nonlcangi stato. Dicasi ora p" il pe- so della sostanza introdotta nel coloiiniento , e il ca- lorico specifico della medesima , e t' la sua tempe- ratura. La quantità di calorico perduta dai corpo nel passare da t° a o", sarà evidentemente rappresentata con p' t e. Pertanto dovendo il calorico acquistalo dall' acqua nel suo passaggio allo stato liquido, egua- gliare quello perduto dal corpo nel suo rafFreddanieu- to , avremo p t c — T p, donde e = ■ — ;; ... (1) Dunque per determinare il calorico specifico di qual- siasi corpo solido mediante il calorimetro, si dovrà molti- plicare per T il peso dell' acqua ottenuta dalla fusione del ghiaccio , e dividere questo prodotto pel peso del corpo, moltiplicato per la temperatura che il medesi- mo aveva sul principio della sperienza. Si avverta inol- tre che il valore di e ottenuto con questa formula, è indipendente tanto dalla unita di peso, quanto dalla unita di temperatura ; poiché le unità medesime si tro- vano in ambo i termini della frazione, che rappresen- tano il valore di e. Suppongasi ora un altro corpo, il calorico speci- fico del quale sia e' , però di peso e temperatura cgua- 54 Scienze le al primo , e sìa p il peso dell' acqua raccolta in questo secondo caso dalla fusione del ghiaccio, avremo d =i= t p' onde sarà (2) . . . e : e' = ^ : ^'. Cioè i calorici specifici dei corpi , a pesi e tempe- rature eguali, sono in ragion diretta delle quantità di ghiaccio fuse dai medesimi. Perciò essendo noti i pe- si di ghiaccio liquefatti dall' acqua, e da un' altra qualunque sostanza, si conoscerà il calorico specifico di questa ; e viceversa conoscendosi le capacità pel ca- lorico dell' acqua , e di un altro corpo qualunque, non che il peso del ghiaccio liquefatto da quella, si determinerà il peso del ghiaccio fuso dal corpo. ESPERIENZA I. Per conoscere il calorico specifico della latta o fer- ro bianco , s'introdussero nel calorimetro 7^» , 7o7o3l9 di questo metallo, alla temperatura di 78° R- Il peso di ghiaccio fuso fu 1'''', 1o9795, perciò il calorico specifico richiesto sarà per la (1) 6ox1,1o9795 e = '^r. ^ ^ .^ r>.o' =* O,1l05Ì25 78x7,7o7o319 Se neir attuale ricerca si cangi unita di peso, ed unità di temperatura, si giungerà allo stesso risulta- mento. Infatti sia S^*^'' , 77264 il peso della latta in- trodotta nel calorimetro ; sia 97% 5 C. la sua tem- peratura ; e sia o*^'' , 542oo4 il peso dell' acqua rac- colta sarà Calorimetro a ghiaccio 55 75xo,542ooA "^ 97,5x3,77264 ^°'^^°^'''^ ESPERIENZA II. PoRgasl nel calorimetro 1 libbra d'acqua a 60°, essa fonderà 5oo gramme di ghiaccio , e messavi la stessa quantità di limitatura di ferro , a egual tempe- ratura , si raccoglierà dalla fusione del ghiaccio, grani- rne 62,5 di acqua ; perciò essendo 1 il calorico spe- cifico dell' acqua, e e quello del ferro, sarà per la (2) 5oo: 62,5 = 1 : e = 0,125 Per conoscere il calorico specifico dei liquidi , questi dovranno chiudersi in un vase, del quale si co- nosca la capacità pel calorico, e dovranno introdur- si cosi nel calorimetro, affinchè insieme al vase si ab- hassino alla temperatura di 0°. Si vede chiaro però che in questa sperienza la quantità di ghiaccio fuso sarà in parte dovuta al calorico perduto dal vase, che supponiamo della stessa temperatura del liquido in es- soj^contenulo. Perciò dal peso dell' acqua raccolta do- po compiuta la sperienza, dovremo sottrarre il peso del ghiaccio fuso pel calorico del vase, per ottenere mediante la (I) il valore del calorico specifico del li- quido. Dicasi pertanto a: il peso del ghiaccio lique- fatto dal vase ; ritenute le denominazioni già stabili- te per la (1), sarà, in vigore della medesima, il calo- rico specifico del vaso espresso da TX tcp d =^ r , donde x = ; tp T perciò il calorico specifico del liquido sarà 56 Scienze -r( ^Lì£\ (3) . . . cJ'jL—jlJ. = -^p-^^^'p' ^ tp" t p" A questo modo conosceremo la capacita del liquido pel calorico , indipendentemente dalla quantità di ghiac- cio liquefatto pel raffreddamento del vase. ESPERIENZA III. Per determinare la capacita pel calorico deiraci- do nitroso, di gravità specifica = 1,29895, furono po- ste libbre p" = 4 di quest* acido in un matraccio di vetro privo di piombo, e pesante /?' = o,'53l25. Con un bagno d'acqua bollente si portò questo siste- ma alla temperatura di t° = 8o° 7?, e quindi si col- locò nel calorimetro , dove abbassandosi alla tempe- ratura di o", rese liquida una quantità di ghiaccio del peso p = 3,'GG4oG. Daltronde conoscendosi che e' --^ 0,1929 rappresenta la capacita pel calorico del vetro senza piombo, perciò sostituiti questi valori nel- la (3), si trovò il calorico specifico dell' acido nitro- so essere 6ox3,664o6 — 80X0, 1929X0,531 25 ffi ^ La determinazione delle capacita calorifiche dei gas può farsi egualmente per mezzo del calorimetro; pur- ché il volume del gas da sperimentarsi riesca baste- vole, per isvolgere una quantità di calorico sufiicìen- te a fondere un peso sensibile di ghiaccio. Si do- vrà perciò rimpiazzare il vase interno del calorime- Calorimetro a ghiaccio 5T tre con uu serpentino, che circoli per più e più vo- lute immerso nel ghiaccio fondente. Quindi procu- randosi mediante un gasometro una corrente costante di quel gas , ridotto alla maggior purità , di cui vuole sperimentarsi la capacita pel calorico , si fac- cia primieramente passare a traverso di un tubo con- tenente dell' idroclorato di calce fuso , affinchè il gas medesimo sia perfettamente disseccato. Poi la cor- rente stessa facciasi passare per un primo serpentino, immerso in un bagno elevato alla massima tempera- tura, onde il gas, in questa prima circolazione, acqui' sti un sufiTicienle calore. Finalmente s'introduca questo gas nel serpentino del calorimetro, procurando però che la sua pressione e la sua velocita nel circolare sia costante. Due termometri, uno nell' ingresso l'altro neir egresso del serpentino medesimo, serviranno a mo- strare l'abbassamento di temperatura del gas circolan- te, prodotta dalla fusione del ghiaccio. Quando il rap- porto delle indicazioni de* citati termometri yara co- stante, allora i risultamenti della sperienza diverranno apprezzabili, ed allora mediante i pesi /?, p' del ghiac- cio liquefatto, e del gas che ha prodotto questa lique- fazione; non che mediante le temperature t^ i indica- te dai termometri nell' ingresso e nell'egresso, facil- mente si determinerà il calorico specifico e del gas medesimo. Infatti è manifesto che il calorico acqui- stato dall' espresso peso p di acqua liquefatta sarà t p^ e che quello perduto dal gas nella sua circolazione sarà e p {t — t')\ ma queste quantità di calorico deb- bono essere eguali ; dunque sarà (4)...o '" P' {t-t') In queste sperienze, non che in quelle che saremo per 58 Scienze esporre, dovrà sempre farsi la correzione del calorico assorbito dalle pareti de' recipienti, quante volte ciò abbia luogo. Molti sono i metodi proposti dai fisici per la determinazione delle capacita calorifiche dei gas. Uno avvene inventato dai signori Laroche e Berard, me- diante il calorimetro di Rumford; ed un altro devesi ai signori La Rive e Marcel, basato sul riscaldamento delle sostanze aeree in un dato tempo. Inoltre il signor Du- long ba studialo il calorico specifico dei gas in due diversi modi egualmente ingegnosi, e del tutto variati da quelli ora discorsi. E' fondato il primo di questi sul- la teorica delle velocita del suono, e sulle sperienze dallo stesso Dulong istituite sopra la velocita medesima nei di- versi gas. Il secondo, tutto proprio dei vapori , e di- pendente dall' assorbimento di calorico che ha luogo nel passaggio dei liquidi allo stato elastico , mediante una diminuzione di pressione , ottenuta colla macchi- na pneumatica , e coli' acido solforico concentrato. Il raffreddamento del liquido per la sua evaporazione, ed il peso del vapore assorbito dall' acido , sono i dati pei quali si determina immediatamente il calorico spe- cifico del vapore stesso. Qualunque sia il metodo se- guito per determinare il calorico specifico dei gas, egli è certo che siffatte determinazioni conducono ad un importantissimo risultamento , cioè che i gas hanno ad egual volume la stessa capacita pel calorico. Deve os- servarsi però che , rapporto ai gas composti , questa conseguenza viene contraddetta, o almeno posta in dub- bio da più fisici, che si occuparono di queste ricerche* La seguente tavola presenta il calorico specifico di parecchie sostanze, determinato mediante il calori- metro in proposito. Calorimetro a ghiaccio 59 ISomi delle sostanze Calor. speci f. relat. Acqua comune 1,ooooo Latta o ferro battuto o,Ho51 Vetro senza piombo o Crown-glass . . . o,1929o Mercurio o,o29oo Ossido rosso di mercurio o,o5o11 Piombo o,o2819 Ossido rosso di piombo ....... o,o6227 Stagno o,o4T54 Zolfo o,2o85o Olio di olive ». o,3o96l Calce viva di commercio. ...... o,21689 Mescuglio di acqua e calce viva nel rap- porto di 9 : i6. . i ..... . 0,439 1 2 Acido solforico del peso specifico = i,87o58 o,3346o Acido solforico e acqua nel rapporto di 4: 3 o,6o32o nel rapporto di 4 : 5. . . . . . . o,663io Acido nitroso non fumante di peso speci- fico = 1,6895 0,661 39 Ferro o,i25oo Considerando i rapporti numerici di questa tavo- la per concretarne il significato , rileveremo : i° che uno qualunque dì essi, p. e. o,125 corrispondente al ferro , significa che una massa di questo metallo per aumentare di un grado la sua temperatura, deve appro- priarsi tanto calorico, quanto se ne richiede per ele- vare di o,*'125 la temperatura di un egual massa dì acqua. Ovvero troveremo che per aumentare di un gra- do la temperatura di una massa dì ferro, vi abbiso- i25 gn^no ^j— • di quel calorico necessario per aumenta- 60 SCISKZE re di un grado una egual massa d'acqua. Ciò s'inten- derà facilmente riflettendo alla premessa definizione del calorico specifico, ed alla unita convenuta per misu- rarlo ; ricordando però dover essere la temperatura ia queste ricerche sempre fra i limiti della congelazione e della abollizione. 2° Potremo rilevare ancora che due qualunque dei rapporti medesimi, p. e. o,o29 e 0,1 25, indicano le quantità di calorico richieste dal mercurio e dal ferro , per giungere dalla temperatura di 0° a quella di i.°, sono tra loro come 29 : 125. 3." Sieno e, e', e" , i calorici specifici dell' acqua , del mercu- rio , e della calce viva , sarà e : e' => I : o,o29 e : e" = I : o,2i689 donde e perciò e : e" -= 29oo : 2i689 <9oo ''' = 27689 ^" = °''^^4 0". Ma poiché e' e e' esprimono le quantità di calorico necessarie per elevare di un grado l'unita di peso tan- to di mercurio quanto di calce viva , siegue da que- sta equazione, che il calorico sviluppato da una mas- sa di mercurio nel raffreddarsi di un grado , eleve- rebbe di o'',i34 una egual massa di calce viva. Il calorimetro a ghiaccio, che abbiamo veduto essere molto acconcio alla determinazione delle capacità calo- rifiche dei corpi, può egualmente servire per altre ri- cerche. Ed in primo luogo mediante questo istromen- Calorimetro a ohiaccio CI to possiamo misurare la quantità di calorico sviluppa- ta, o assorbita nelle chimiche combinazioni. Se le so- stanze nel combinarsi svilupperanno calorico , queste prima si riducano alla minor temperatura = t"^ nella quale può seguire la combinazione delle medesime. Quindi si mescolino nel calorimetro, e si noti con UQ termometro convenientemente collocato la tempera- tura = t'° alla quale giungerà il mescuglio, che dovrà rimanere nel calorimetro, finche non siasi abbassata la sua temperatura allo zero . Siene p, p\ /?", i pesi delle due sostanze combinate, e del ghiaccio fuso du- rante il raffreddamento del composto; e sia x il calo- rico perduto dalla unita ponderale del medesimo, per abbassare la sua temperatura di un grado. Sara t p" la quantità di calorico acquistata dall' acqua per li- quefarsi ; e chiamando e, e' ì calorici specifici delle sostanze combinate, sarà e p t + e' p' t tutto il calo- rico del mescuglio, non compreso quello sviluppa- to per la combinazione , il quale sarà espresso da X (p-{-p') (^' — Oi o"^6 avremo evidentemente x(p+p') (t'-t) + (cp + c' p')t^7 p". In questa equazione il primo membro esprime il ca- lorico totale perduto dal composto fra i limiti di t° e 0°, mentre il secondo membro rappresenta il calo- rico acquistato dal ghiaccio per la sua liquefazionej quindi avremo (5) ... X = -rp" -(cp-i-c'P')^ (t>^t)(p + p') Volendo poi conoscere per via di calcolo il nume- ro j dei gradi, corrispondenti alla quantità di calo- rico sviluppato neir istante della combinazione , baste- $2 Scienze rk osservare che la fusione del peso p" di ghiaccio e prodotta dalla temperatura t + y, alla quale giun- ge il mescuglio subito seguita la coraLinazione. Per- ciò esprimendo con e" il calorico specifico della com- binazione stessa , il quale direttamente potrà determi- narsi con apposita sperieuza , troveremo essere {p + p) e" {t +/)--= T p" l'eguaglianza fra il calorico perduto dal composto chi- mico pel suo raffreddamento , e quello acquistato dal ghiaccio per la sua liquefazione. Quindi sarà (P + P) c" il numero de' gradi richiesto. Se poi le sostanze nel combinarsi assorbiranno calorico, invece di svilupparlo; allora prima di com- binarle si elevino ed una comune temperatura = t*, affinchè dopo seguita la combinazione abbiasi la tem- peratura del composto di i'% più elevata cioè di quel- la del ghiaccio. Dopo ciò si mescolino le sostanze nel calorimetro, ed ivi rimangano, finche il prodotto loro siasi abbassato alla temperatura di o." Ritenute le precedenti denominazioni, sia x la quantità di ca- lorico assorbita dalla unita ponderale del prodot- to, per diminuire di un grado la sua temperatura; sarà x (t—t') {p •{•p) il totale di questo assorbiraen' to. Chiamando e, e' i calorici specifici de' compo- nenti, esprimerà {p e + p' e) t tutto il calorico della mescolanza, compreso fra i limiti di o" e t°. Avremo perciò {p e i p e ) t — X {t — t' ) {p ■]- j) ) = T p" Calorimetro a ghiaccio 63 equazione in cui rappresenta il primo membro la quan- tila di colorico assorbita dalla combinazione pas- sando dalla temperatura = if ° a quella ^= o^; ed il secondo membro tutto il calorico impiegato alla fu- sione del peso p di ghiaccio ; quindi sarà {t-{){p + p) Volendo poi conoscere , indipendentemente dall' os- servare il termometro , il numero de' gradi corrispon- denti air assorbimento di calorico, istantaneamente pro- dotto dalla combinazione delle due sostanze poste nel calorimetro , ci varremo del seguente ragionamento. Egli è chiaro che la fusione del peso p di ghiac- cio sarà prodotta dalla temperatura t — r, che ritie- ne il mescuglio subito dopo la combinazione . Per- ciò chiamando e' il suo calorico specifico , che po- trà direttamente determinarsi con apposita sperienza , troveremo essere {p-^p) e" {t~r)=Tpi' la eguaglianza fra il calorico produto dal composto, e quello acquistato dal ghiaccio liquefatto : quindi avremo (8) . . , ^ ^{P^inà't—rf {p-^p')c" Paragonando fra loro la (5) con la (7) ; e la (6) con la (8), avremo le seguenti due formule 64 Scienze (9) . . . =^ r p =fC t [p + p ) r = (p + p)c" nelle quali varrà il segno superiore se il calorico sa- rà dalla combinazione sviluppato , e i' inferiore se dalla medesima sark assorbito. Le combustioni non altro essendo fuorché com- hinazioni chimiche , ognun vede che mediante le (9) potremo determinare tanto la quantità di calorico svi- luppata dall' unita di massa nella sua combustione , quanto la elevazione di temperatura seguita nella me- desima. Trattandosi però di combustione, cioè di quel fenomeno comunemente indicato con questa voce , il quale consiste nella combinazione dell* ossigeno, corpo eminentemente comburente, con qualche combustibile semplice o composto, seguita da sviluppo di fuoco , è da osservarsi, che bisognerà rinnovare l'aria nella ca- mera del ghiaccio , perchè in parte alterata dalla combustione medesima . Dovrà, perciò farsi questa sperienza in un' atmosfera , che abbia la tempera- tura stessa del ghiaccio fondente , o poco al di sopra, come già dicemmo doversi praticare sempre in questo genere di ricerche. In tal modo l'introduzione della nuov' aria non arrecherà verun aumento sensibile dì calorico, e quindi non aumenterà punto i risultamen- ti delle sperienze. La nuov' aria potrà introdursi nel calorimetro mediante un piccolo mantice , il becco del quale comunichi coli' interno della camera di ghiac- cio, restando fuori la valvula del medesimo. A questo fine però sarebbe meglio che l'aria fosse introdotta me- diante un tubo, terminante da una parte coll'interno del Calorimetro a ghiaccio 65 calorimetro, ed avente una valvola che si aprisse da fuori in dentro. Poiché in tal guisa sé mai l'aria dell' ambiente non fosse alla temperatura della congelazio- ne , o in quel torno , basterà ridurre a tale l'aria che dovrà introdursi nell' interno del calorimetro , invilup- pando di ghiaccio quel tubo, pel quale deve traversa- re prima di giungere ad alimentare la combustione. Propone inoltre qualche autore gravissimo dì applica- re un altro tubo all' interno del calorimetro, per dar esito ai prodotti aerei della combustione , i quali non escendo impedirebbero i progressi della medesima. Noi però crediamo che l'escita di questi prodotti sia non lieve cagione d'inesattezza , nei risultamenti di queste sperienze ; giacche per siffatto modo si disperderà non poco di quel calorico , che dovrebbe pur servire alla liquefazione del ghiaccio. Pare perciò che l'applicazio- ne di quest' altro tubo, anzi che giovare, nuoca piutto- sto alla verità de' risultamenti , e che invece si debba praticare solo quello da noi immaginato ; attendendo lo spegnersi della combustione, per l'azione contraria de' suoi prodotti , e l'abbassamento di questi alla tem- peratura di 0°, prima di raccogliere la quantità di ghiac- cio fuso in tale operazione. Inoltre poiché l'esatta de- terminazione del calorico sviluppato in questo feno- meno dipende principalmente dalla cognizione delle quantità ponderali delle sostanze, che hanno bruciato nel calorimetro , le quali non potranno generalmente conoscersi fuorché per mezzo de' prodotti della cora- tustlone medesima ; ognun vede chiaro quanto neces- siti raccogliere scrupolosamente siffatti prodotti , e perciò quanto si opponga alla giustezza de' risulta- menti l'uso di quel tubo, pel quale dovrebbero es^ si prontamente disperdersi. Di più, affinchè riescano comparabili fra loro i risultamenti di questa sperien- G.A.L.LX. 5 C6 S e I B N Z E za sotto un altro punto di vista molto utile potrà stabilirsi per unita, il calorico sviluppato nella com- bustione della unita ponderale di una qualunque so- stanza , e per mezzo di quella unita potranno rap- presentarsi le conseguenze delle ricerche in proposito. Questo importante argomento non è stato per anco trat- tato dai fisici con quella precisione e generalità di cui è capace : sarà perciò sommamente utile , se l'at- tenzione dei medesimi ad esso rivolgasi. Quello che abbiamo detto per determinare il ca- lorico sviluppato nella combustione , facilmente s'in- tende convenire del tutto alla determinazione del ca- lorico sviluppato nella respirazione ; quante volte gli animali si obblighino a respirare nell' interno del ca- lorimetro convenientemente ridotto all'uopo. Se non che deve osservarsi a questo proposito, che la respirazione non deve protrarsi tanto a lungo da incomodare l'ani- male che respira , poiché in questo caso la velocita del respiro aumentando , non sarebbero piti paragonabili fra loro, le quantità di ossigene assorbite in un medesi- mo tempo, e variate sarebbero le circostanze, nelle quali avrebbe luogo la determinazione del calorico sviluppato in tal caso. Inoltre aflinchè i risultamenti di queste spe- rienze riescano comparabili fra loro, e capaci di utili conseguenze, dovrà primieramente stabilirsi la respira- zione del più perfetto animale, cioè dell' uomo, per ti- po di tutte le altre ; ed a quella dovranno queste ri- ferirsi. Secondariamente nou potendo i numeri che rap- presenteranno i risultamenti di siffatte sperienze, rife- rirsi tutti air unità di massa, come negli altri casi ab- biamo praticato, dovranno i medesimi dedursi dipen- dentemente dalla unità di tempo : ed a questo modo le sperienze saranno eseguite a parità di circostanze, ed avrà luogo il reciproca ed utile confronto delle medesime. CALORIMKTnO A GHIACCIO 67 Il calorimetro può anche impiegarsi a determi- nare la quantità di calorico che i corpi abbandona» no, passando dallo stato fluido allo stato solido , quan- te volte però i corpi medesimi si solidìUchiuo al di sopra di o". Si esprima pertanto con x questa • cer- cata quantità di colorico , vale a dire si rappresenti con X il calorico sviluppato dalla unita di peso di un corpo, nel passare dalla liquidità alla solidità. Sia i" la temperatura nella quale il corpo di peso = /?' si gela , è sieno e', e ' i calorici specifici del corpo stesso in questi due stati. Si elevi la temperatura del corpo a z'** + i"", si ponga nel calorimetro , e si la- sci raffreddare sino a o". Egli è chiaro che il cor- po nei i" primi gradi si raffredderà come liquido , e nei ^ ultimi gradi si safFredderà come solido: per- ciò ritenendo che il calorico specifico in questi due stati rimanga costante , e non avendo riguardo allo sviluppo di calorico prodotto nel momento della so- lidificazione, sarà p e t + p' e" t' l'espressione del- la quantità di calorico perduta dal corpo pel suo to- tal raffreddamento. Ma essendo p" il peso del ghiac- cio fuso in questa sperienza, sarà i p" tutto il calo- rico efletti vamente perduto dal corpo, ed impiegato ia questa fusione : quindi T p' — (p e' t' + p'*c" t'' ) rappresenterà la quantità di calorico sviluppata nel mo- mento della solidificazione, quantità che possiamo an- che rappresentare eoa p x^ onde avremo (10) . , .p' x=^ -rp" ^{p' e' t' i-p'c"t"). Ora non altro fa d'uopo pel nostro assunto fuorché determinare le quantità c\ e". In quanto alla prima si elevi la temperatura del corpo a f* — t^ onde il inedesirao rimanga solido , e quindi si lasci raffredda- si 68 Scienze re nel caloiiraetro sino a o'. Sia p la quantità di ghiaccio fuso in questa sperienza, saia evidentemente p e (t' — t) —rp; onde e ~-^ " ... (11) ; P (^' - 0 In quanto poi alla quantità e', si elevi la tempera- tura del corpo a t'" + t"" + t"'% per cui esso rimar- ra liquido , quindi si lasci nel calorimetro finché giun- ga a o". Sia p"' la quantità di ghiaccio liquefatto : in tal caso, sarà p" — p' la quantità di ghiaccio che il corpo stesso avrà fuso nello stato liquido, raffred- dandosi di t" gradi, onde sarà p' e" t"' = T {p" - p") onde e' = "^ ÌP"'~P") (10) p' t" Pertanto chiaramente apparisce, che mediante le (10), (1 1), (12) conosceremo la quantità di calorico sviluppar ta dal corpo, nel passare dallo stato liquido al solido. Finalmente il calorimetro può servire ancora per determinare se il valore di e, relativo ad una qua- lunque sostanza, sia costante fra i limiti della scala termometrica. Si prendano due pesi p^ p della mede- sima sostanza, ed uno s'innalzi alla temperatura = i", l'altro a quella = i"-^ quindi si pongano successiva- mente nel calorimetro, nel quale dovranno rimanere fin- che giungano alla temperatura = o". Supposto costan- te il calorico specifico dalla sostanza in ambedue le temperature , e supposti a, a i pesi del ghiaccio li- quefatto nei rispettivi raffreddamenti , avremo nel pri- mo e secondo caso Calouivirtuo a ghiaccio 6!) -IT a c = , e e = T a ^P ' 'tp' onde a z a — t p :'t 'p ; e supposto p ^=^ p' sarà rt : rt' = i : ?'. Cioè nel caso die il calorico specifico di un corpo sia costante nei limiti della scala termometrica, i pe- si del ghiaccio fuso nel modo espresso dovranno esse- re direttamente proporzionali, ai rispettivi prodotti del- ie temperature nei pesi della sostanza posta nel ca- lorimetro. Che se questi pesi saranno eguali , allora le quantità di ghiaccio fuso dovranno essere diretta- mente proporzionali alle temperature dei medesimi. Ora eseguendo questa sperienza sul mercurio, troviamo ve- rificarsi esattamente le proporzioni sopra dedotte ; per- ciò dobbiamo concludere che la supposta costanza di e pel mercurio e vera, per lo meno in tutta l'eslen- zione della scala termometrica. Da questa proprietà meritevole di essere osservata, deriva che le quantità di calorico introdotte nel mercurio , fra i limiti sud- detti, sono proporzionali ai numeri de' gradi della sua temperatura. Ora questi gradi sono misurati dalle di- latazioni uniformi del mercurio, e sono ad esse propor- zionali ; dunque le dilatazioni del mercurio nella esten- sione della scala termometrica sono proporzionali agli accrescimenti di calorico dal medesimo ricevuti. In fine poiché la costanza di e si osserva eziandio ne* corpi che non cangiano stato fra i citati limiti, do- vremo concludere , che , fra i medesimi , i numeri dei 70 Scienze gfacll del termometro a raerciirio, sono proporzionali agli accrescimenti di calorico acquistati dai corpi stessi. Il calorimetro, come apparisce da quanto abbia- mo di esso brereraente detto, è un Istromento dal qua- le si ottengono risultaraenti assai eslesi ed importan- ti ; e come il termometro indica il grado di calore, ovvero la temperatura de* corpi , il calorimetro deter- mina la quantità di calorico in essi contenuto per una data temperatura ; onde avvi tal rapporto fra questi due stroraenti, che il primo dimostra gli effetti di una causa determinata dal secondo. Però nella determi- nazione de' calorici specifici delle sostanze, il metodo delle mescolanze, e quello de* raffreddamenti godono il vantaggio sopra il calorimetro di richiedere minor quan- tità di ghiaccio, e minor tempo a compiere l espe- rienza. Ma deve osservarsi che le conseguenze di que- ste ricerche, con qualunque siasi metodo istituite, non sono rigorose come sì vorrebbero ; poiché sono al tem- po stesso l'effetto e del calorico sprigionato dalla con- densazione del corpo sperimentato , e di quello ab- bandonato pel raffreddamento del medesimo. Quindi è che i corpi, di qualunque natura essi sieno, entrano nel calorimetro con una densità minore di quella che hanno, quando escono dal medesimo. Questa compli- cazione di effetti è, come ognun vede, indispensabile per qualunque corpo ; e se l'errore da ciò prodotto nei solidi e nei liquidi volesse mai stimarsi poco sen- sibile, per la tenue variazione di volume che i me- desimi fanno nel raffreddarsi , sensibilissimo dovrà re- putarsi nei fluidi elastici. Per evitare questo errore bi- sognerebbe poter osservare quelli effetti separatamente. Bisognerebbe, parlando de' fluidi elastici, prima deter- minare la quantità di calorico, sviluppata da ciascun gas nel raffreddarsi in uno spazio dato , e per con- seguenza in un volume costante : secondariamente bi- CAt.Or.lMETRO A GHIACCIO TI sognerebbe determinare la quantità di calorico svilup- pata dallo stesso gas nel cangiar di volume, rimanen- do costante la sua temperatura. Fino a dora non so- no state fatte sperienze dirette a questo fine , ed i metodi proposti per la determinazione de* calorici spe- cifici sono più o meno tutti affetti da queste spe- cie di errore . Solo il metodo praticato da Dulong , per determinare il calorico specifico de* vapori , da noi rapidamente accennato, offre i suoi risultamenti in- dipendenti dalla riferita sorgente d'inesattezza. Ter- mineremo questo articolo riflettendo essere di sommo interesse per la scienza fisico-chimica, e specialmente per la teorica degli atomi, determinare separatamente i due citati effetti, potendo i medesimi, distintamente con- siderati, avere qualche interessante rapporto coli' in- tima costituzione de' corpi. P. VoLPICEL!.!. Alcuni punti patologici e terapeutici risguardanti la nuova dottrina medica sul cholera morbus dal celebre Tommasini stabilita . Lettera del dottor Gregorio Riccardi al prelodato professore indi- ritta. De medicina^ igìlur incrementis nunquam bene speremdum, nisi una omnibus inbaereeU et omnes in unum consentìanf. SIGNORE, 1. Ej opinione ananirae dei più culti medici d'og- gidì , che Topera intitolata - Nozioni storiche e tera- 72 Scienze peutiche, ed istlturioni sanitarie sul Cholera Morbus - da voi non ha guari colle stampe pubblicata , sia uno dei più grandi lavori usciti dalla vostra pen- na. Per verità converrebbe aver l'animo assai in con- trario preoccupato , o il senso ollreraodo ottuso , per non riguardare siccome sublimissiraa e somma una tale opera , sulla quale , spero , mi concederete , cbe per mia istruzione io mi faccia sommessamente a ragio- nare. E primieramente confesserò, che la lettura della medesima l'animo tutto riempimmi di maraviglia e stu- pore, e con tal forza colpi e penetrò la mente mia, che non so ricordare aver mai altra lettura prodotto in me eguale tdetto. Chi in fatto potrà non rimane- re sorpreso dalla profondita di dottrina , dal retto criterio medico, dalla critica la più severa, che co- testa preziosa opera costantemente accompagnano e sostengono ? Il che dee farla riguardare come model- lo nel suo genere di umana perfezione. Fu con tale persuasione che nel decorso anno io mi determinai, per quanto le mie forze il comportavano, di compilar- ne un estratto , e d'inserirlo nel nostro giornale Ar- cadico ; onde soddisfare il mio desiderio di renderla fra noi comune. Ma il vostro gradimento dell'aver io fatto plauso alla superiorità di tant' opera , ma- nifestatomi colle stampe ne' modi i piiì lusinghevoli e urbani (a), fu per me troppo strabocchevole usura, cui non aspiravano ne mai avrebbero osato aspirare i miei voti , non che le mie speranze. Io però da questo tratto di graziosa indulgenza ho creduto poter iscorgere , che a voi sia piaciuto usare di quel ce- lebre insegnamento, che il padre della medicina, il sommo Ippocrate , da ai suoi seguaci , di non tra- (a) Vedi la 4 ediaione dell'opera anzidetta pag. 245 Parma. Cmolera morbus '3 scurare nelle cose di nostra arie roiiinione di alcu- no. Ma se un tale insegnamento v' indusse a gra- dire la mia annuenza alla vostra nuova dottrina, v'in- durrà pure , io spero , a concedermi la liberta di chiedervi qualche schiarimento su di alcuni punti della dottrina medesima , che si ofFrono difficili all' intel- ligenza mia , e che da niun altro meglio che da voi potrebbero essere rischiarati, sì perchè loro autore, sì perchè io opino che il medico vostro valore sia tale , che in altri tempi vi sareste guadagnato il di- ritto di esser posto nel numero di quegli esseri pri- vilegiati , che alcuni credettero ispirati da' numi, on- de soccorrere del proprio consiglio i meno veggenti , cui non fu conceduto straordinario discernimento. 2. I punti principali, de' quali intendo parlare, riduconsi soltanto a due. Il primo ha riguardo alla condizione di avvilimento e reazione del cholera morbus, ed alla cura stimolante e deprimente al medesimo as- segnata. Il secondo è relativo alla giudicata conta- gione del morbo. A questi un altro se ne può ag- giungere, che potrebbe meglio rischiarare in che pro- priamente consista l'essenzial condizione morbosa di questa malattia. Trovando io che il celebralissimo bibliotecario modenese, facendo eco all' ippocratica sentenza , dice al cap. XI della Pubblica Felicita, che ,, in medicina non conviene ridersi neppure de' rimedj delle vecchie- relle , o di chi fa il medico senza laurea „ mi si aggiunge coraggio per iscusarmi non solo del dimandar- vi schiarimenti, ma dell' osar fare osservazioni e pre- sentare dubbj su di una dottrina stabilita da colui, che io mi pregio di rispettare come maestro. Ma che bisogno v'era che per iscusarmi con voi , io mi facessi sostegno degl' Ippocrati e de' Muratori, quan- do voi stesso avete sempre negli scritti vostri rac- 74 S e I E if a: K comandato tlì francamente e eoa ogni llberla diman- dar consiglio, e di esporre i proprj dubbi in tutto ciò, che si presentasse di difficile intelligenza ? Ond' io per amor d'istruzione, e senza tema d'acquistarmi tac- cia d'ardito , ubbidisco e vengo al proposito : e per progredire con ordine incomincerò dal ripetere -ciò che voi con tanta sensatezza , e con superior me- dico criterio avete stabilito. 3. Ammettendo Voi un peculiar principio e di natura contagioso per la produzione del morbo in di- scorso , vi piacque , secondo le vostre originali con- cezioni , di assegnare a questo principio medesimo un' azione irritante nel senso inteso da Guani , Ru- bini a Fansago , e nel!' accettazione del vocabolo di tutti i migliori odierni medici italiani , d'inquietante e disturbante le fibre, colle quali esso viene all' im- mediato contatto. Un tal principio nella sua prima irritativa azione , produce avvilimento , che può es- sere di corta o lunga durata ; e ciò forma la pri- ma condizione del morbo. All' avvilimento può suc- cedere reazione flogistica, manifesta per sintomi cor- rispondenti ; e questa reazione costituisce la seconda morbosa condizione. Se similmente succede subdola , occulta, o clandestina; questa forma il soggetto del- la terza condizione , la quale però , con qualche va- riazione di modo, è della natura medesima della se- conda. In fine , se all' avvilimento succede rapida la morte ; questa è la quarta condizione del morbo , che è della natura medesima della prima. Cosicché, meno alcuna particolarità alle quattro assegnate con- dizioni morbose, queste possonsi ridurre a sole due: cioè di avvilimento e di reazione. 4. Secondo tali principj dai fatti e dalle osser- vazioni desunti , spontanee ne sieguono le qui appres- so conseguenze t Che alla prima condizione morbo- CnoLERi monBus 75 sa convenga assolutamente il metodo eccitnnte : Alia seconda , il metodo decisivamente controstimolante : Alla terza, il metodo debilitante, relativo e conveniente allo stato di avvilimento generale: Ed alla quarta final- mente, seppur v'ha luogo a cura perchè la malattia è quasi istantaneamente mortale, il metodo eccitante. Onde che i metodi curativi possansi ridurre a soli due, al- lo stimolo cioè , ed al controslimolo. Ecco in poche parole tutta intera la vostra dottrina , che al mor- bo cholera avete con sommo discernimento adattata. Permettetemi ora, che io incominci a svolgere ed ana- lizzare le mie idee. 5. Il principio sui generis ^ che giudicaste di na- tura contagioso , introdotto che sia nel nostro corpo, colla sua azione disturbante , inquietante , tormen- tante , andando a produrre irritazione nelle parti col- le quali viene a contatto , induce , per primo ri- sultato di sua azione , avvilimento nella fibra viven- te , per cui accade tutto il disordine , da che è co- stituita la malattia; ed è in coerenza di tali principj, che voi giustamente avete stabilito , come il solo ed unico metodo curativo a tale stato conveniente , il metodo stimolante, onde riparare a quell'estremo male, che sembra in pochi istanti minacciar la vita di qne* miseri, che ebber la disgrazia di essere attaccati dalla micidiale potenza. Ma un tale avvilimento è un pro- dotto di azione irritativa. Il vomito infrenabile , le alvine dejezioni innumerevoli , il freddo marmoreo di tutto il corpo , i gelidi sudori , i granchi insoppor- tabili delle estremità inferiori , la sete inestinguibile, il calore urente delle viscere , le angoscie le più tre- mende, e tutta la sindrome de' sintomi del cholera mor- bus , che ne siegue , sono tutti effetti naturali della tormentosa azione del principio irritante. Ciò posto la corta mia vista non giunge a penetrare come possa 76 Scienze avveuire, che la cui-a eccitante riesca giovevole, quan- do si sa , che l'azione irritativa delle potenze morbo- se non è costituita ne dallo stimolo ne dal contro - stimolo. Il principio irritante attaccando le parti nel- la loro modalità, struttura cioè, armonia, configura- zione ec, ed in quanto esse sono organizzate, non sembra a me aver nulla che fare coli' eccitamento in generale , e per conseguenza non mi parrebbe po- tersi distruggere ciò che da esso immediatamente e mediatamente proviene e dipende ne dagli oppiati, uè dagli alessifarraachi o spiritosi ; i quali rimedii, mercè delle vostre dottrine , tutti conosciamo che com- pensativamente manifestano la loro dinamica azione nel generale eccitamento. 6. E' un vostro principio e dalle migliori odierne scuole adottato , che un calcolo che distenda gli ureteri , o tormenti la vescica ; un verme che in- quieti il tubo intestinale , o qualche altra parte di sua dimora ; una spina infitta in parte sensitiva, che la punga , la laceri, o l'afFetti in qualunque modo; tutto ciò che da ospiti sì inaffini alla fibra vivente viene prodotto, non puossi per via compensativa o per dinamica azione distruggere e dileguare. Onde allontanare gli effetti di tali tormentosi agenti non valgono né i rimedj slimolanti , uè i deprimenti. A ricomporre la calma è necessario procurare l'eli- minazione, o la distruzione dal corpo degli elementi medesimi. In qual modo dunque può egli accade- re , che , senza l'eliminazione o distruzione del prin- cipio cholerico , noi possiamo pervenire a frenare o distruggere il vomito , ed impedire le inuraerevoli scariche alvine; a distruggere quel freddo mortale, e tutti gli altri morbosi fenomeni , da cui gì' infer- mi del morbo cholera sono attaccati ed oppressi , ed i quali dal principio medesimo assolutamente di- pendono.'' CllOLKRA MORBUS "^T 7. E ad alimentare e rafforzare un tal mio dubbio sì presentano i fenomeni morbosi delle febbri inter- mittenti. Queste febbri sappiamo che egualmente di- pendono , e sono prodotte dall' introduzione nel no- stro corpo di un principio miasmatico , che irrita e sconcerta la nostra vitale economia. Sviluppata che sia l'irritazione del principio medesimo , che sogna l'incomincia meato del parosismo febbrile, possiamo noi con mezzi risultanti vincere quel freddo , che tanto i febbricitanti inquieta e sconcerta ? Quel calore che al freddo succede ? Quel forte dolor di capo , di stomaco ; quella smania di tutto il capo ; que' feno- meni mortali in fine , che sono proprj delle perni- ciose tutte , possiamo noi con mezzi deprimenti o stimolanti vincere e dileguare .'* Bisogna che il paro- sismo febbrile spontaneamente ceda e disciolgasl , on- de procurare guarigione ; ma non è al certo in po- tere e facoltà della nostra arte , in tempo partico- larmente dell'irritazione, ne di spegnerlo , ne di al-» leviarlo. 8. Ma qui potrebbesi farmi non irragionevole obiezione , cioè che il morbo cholera non viene as- solutamente costituito da semplice affezione irritati- va , o come altri vogliono modale , mentre al me- desimo si assegnano due condizioni morbose, di av- vilimento cioè , e di flogistica reazione, che sembrano onninamente interessare l'universale eccitamento. E quantunque alla prima morbosa condizione non si as- segni esplicitamente , come si assegna alla seconda , che si asse isce di natura flogistica, che è quanto di- re diatesica , una diatesi di controstimolo ; pure da* mezzi terapeutici commendati e stabiliti si può argui- re » che anche questa debba considerarsi come un* affezione morbosa , che abbia in qualche modo in- teressato l'eccitamento universale. Mi e d'uopo quia- 78 - SeisifxE di interlenermi alcun poco nell* esame di cotesto ar- gomento, onde procurarmi uno schiarimento maggio- re della nuova dottrina, che pel cholera morbus ave- te stabilita. 9. Analizzando i fenomeni morbosi , che accom- pagnano il morbo cholera dal principio al fine spon- taneo di esso , e ponendo a calcolo la cagione , da cui si vedono questi dipendere , sembrami potersi essi ridurre ad una duplice derivazione ; di fenomeni im- mediati cioè , e mediati dell* irritazione. Chiamo fe- nomeni immediati quelli , che dipendono dall' imme- diato contatto del principio irritante colla parte , che scelse per sua stabile e permanente dimora ; mediati poi o consensuali , da altri anche per simpatici ri- conosciuti , chiamo quelli , che per simpatia o rela- zione di parti difFondonsi e propagansi in luoghi lontani dal centro dell' irritazione medesimat La parte diret- tamente attaccata dal principio produttore del chole- ra , stando al sentimento quasi generale di tutti que* medici , che del medesimo ragionarono , e da vicino osservarono i suoi ordinar] andamenti , «embra potersi assicurare , che sia , a preferenza delle altre , il si- stema gastro-enterico. Il vomito dunque , le alvine dejezioni di materie proteiformi , il senso di bru- ciore al chadias, e l'insopportabile e veramente atro- ce dolore dell' epigastrio e della regione intestinale parrebbero fenomeni tutti morbosi assolutamente dipen- denti dall' immediata irritazione nello stomaco , e ne- gli intestini avvenuta. I fenomeni morbosi , che po- trebbero indurre sospetto relativamente alla diffusione dell' eccitamento, potrebbero essere il freddo marmo- reo di tutto il corpo , i gelidi sudori , i deliquj mortali , i granchi insopportabili nelle estremità, infe- riori , la piccolezza ed imbecillita dei polsi ec- Ma se colali fenomeni morbosi non sono de' reali prodot- CnOLEnA MORBUS *'9 li consensuali e simpatici , come mai il saranno le turbe morbose , che dall' irritazione credonsi dipen- dere ed originate ? Io sono di sentimento , che si- mili morbosi fenomeni siano assolutamente di quel- li , che da' medici vengono riconosciuti come tur- be consensuali e simpatiche : ed in questa opinione mi conferma particolarmente l'osservazione suU' ineffi- cacia de' rimedj di dinamica azione fino ad ora pra- ticati , coir idea di vincerli e debellarli , da' quali rimedj non si è osservato essersi ottenuto il menomo grado di minorazione nella loro intensità. Che se real- mente avessero essi avuto che fare coli' eccitamento universale , e che le alterazioni del medesimo dall' irritazione prodotte potessero , come in oggi general- mente si pensa , essere da* rimedj generali frenate , si sarebbe dovuto osservare dall' uso de' rimedj me- desimi , se non l'intero dissipamento di essi , per lo meno un certo freno "alla loro ferocia : il che fino ad ora non fu riconosciuto , mentre rimedio alcuno non si rinvenne , che corrispondesse a tale medica indicazione. iO- Quando dunque la medica ragione stesse real- mente più per li fenomeni modali , che per quelli interessanti l'universale eccitamento , ne verrebbe per conseguenza , che le quattro condizioni morbose al cholera assegnate non fossero bastantemente soddisfa- centi , e che per ciò un tal morbo si dovesse ri- guardare assolutamente come un semplice prodotto d'irri- tazione , nulla avente che fare con una affezione di genio diffusibile , ossia generale . In prova di tale opinione si offrono due ragioni. La prima consiste nell' identicità de' fenomeni morbosi delle quattro condizioni al cholera assegnate. La seconda la somministra la non costante presenza de' processi flogistici in que' fatti cadaveri nel tempo della flogistica reazione . Consi- so Scienze deiando la prima ragione : qual differeaza mai pre- sentano i morbosi fenomeni della prima e seconda condizione ? E non sono sempre que' medesimi , che dal principio al fine accompagnano la malattìa ? Se le due apposte condizioni esistessero di fatto , oltre r opposizione della loro natura e fondo dovrebbero presentare se non in tutto , almeno in parte, oppo- sti e contrarj fenomeni , e di più l'una condizione dovrebbe essere all' altra di cura e rimedio , perchè allo stimolo è apposto il controstimolo , e viceversa. E circa la seconda ragione vengono in sostegno della mia opinione le relazioni di que' medici , che eb- bero a sezionar cadaveri del morbo cholera ; i quali medici in moltissimi casi non seppero rinvenire trac- cia di flogosi accaduta in nessuna parte del corpo , quantunque, come si disse, i sezionati fossero dal mor- bo restati estinti nel momento appunto , in cui si do- veva credere accaduto la flogistica reazione. Ma di ciò meglio e più diffusamente ancora mi occuperò , quando mi farò a parlare in che propriamente parrai consistere la morbosa essenziale condizione del cholera. E giacche l'ordine del mio ragionare mi ha ultronea- mente condotto a dovere riguardare ipoteticamente il morbo cholera , siccome malattia pure dell' universale eccitamento , prima di abbandonare del lutto siffatta ipotesi, siami conceduto di sottomettervi ulteriori os- servazioni ad essa relative. 11. Comunemente da' migliori medici odierni sì^ pensa , che una diatesi di stimolo o controstimalo ali irritazione succeduta, dall'irritazione medesima risve- gliata , e con essa coesistente ed associata , debba riguardarsi , in quanto al metodo curativo particolar- mente, come indij)endente dall' irritazione che la pro- dusse, e quindi indipendentemente dall' irritazione deb- ba essere curata. Quantunque sino ad ora non siasi Cholera morbus 81 .fatta opposizione alcuna a tale dottrina , e siasi anzi la medesima riguardala , come un punto incontrasti- hile della nostra nuova medica riforma, ciò nulla ostan- te io mi vedo nelle necessita di dovere su di ciò con- fessare la debole intelligenza mia , di non poter pe- netrare il vero senso della medesima. Se una potenza irritante andasse per esempio a produrre un'infiammazio- ne e dopo la sua irritante azione cessasse di agire , in tal caso non mi parrebbe difficile il concepire , co- me la fìogosi debba con mezzi generali frenarsi , e quindi distruggersi; ma continuando l'irritazione, il frenarsi della medesima flogosi , che senza dubbio dall' irritazione dipende , e per me tanto inconcepibile , che non so darne a me slesso ragionevole spiegazione. A me parrebbe giusto il pensare , che una diatesi in- sorta all'irritazione, la diatesi dovesse dall'irritazione medesima in tutto e per tutto dipendere , quando spe- cilmente , come di sopra avvertissi , diatesi ed irri- tazione insiememente percorrono e coesistnno. Essendo in tal caso la diatesi un efFelto dell' irritazione , con- sentaneo parrebbe alla ragione, che la diatesi me- desima , o qualunque altra diatesica malattia , che dall' irritazione dipende , non potesse distruggersi , senza la distruzione dell' irritazione che la produsse. E che ( così la cosa sia sembrerebbe provarlo le flogosi , che in molte affezioni irritative sviluppansl. Ed in vero cosa mai noi possiamo nelle infiammazioni , che si asso- ciano come alle più miti, così alle più veementi ma- lettie irritative ? Possiamo noi impedire , che una pu- stola , per es. , vajuolosa si infiammi e quindi soppuri ? Che un' eruzione miliare sia ne' suoi punti precipua- mente a parziali flogosi associata? Che i punti mor- billosi s'infiammino ? Si coatrostiraoli pur quanto si vo- glia. Si apprestino i più validi rimedj , che noi fra deprimenti e controsli molanti conosciamo ; i fenomeni G.A.T.LX. 6 S2 Scienza flogistici che accompagnano rinitazione , incorregibili percorreranno al loro fine , ne cosa saravvi , che sia atta non solo a distruggerli (a), ma ne anche a me- nomarli del più lieve grado nella loro intensità. Essi cesseranno però spontaneamente col cessare dall' irrita- zione , ossia della primaria essenziale malattia. 12. Ma già parmi sentir rispondere, che se non si possono in tali morbi distruggere ed impedire al- cuni peculiari fenomeni flogistici , che sono quasi im- medesimati co' centri dell' irritativa affezione , e che per ciò possono riguardarsi ed intendersi quasi chi- mici o meccanici flogistici processi, ovvero irritativo- flogistici , si distruggeranno senza dubbio , o per lo meno si diminuiranno nella loro intensità e gra- do quegli altri morbosi fenomeni , e certamente piii gravi ed importanti dei sopra menzionati , che hanno una diretta relazione , o per meglio esprimermi , che sono inerenti ed attaccati all' eccitamento universale. Si distruggerà o si diminuirà quella febbre vigorosa , che suole per lo più accompagnare un vajuolo con- fluente, o una grave rosalia ; quel calor soverchio, (a) E questa secondo me è la ragione , per la quale in molte primarie flemmasie , cioè infiammazioni, che non hanno avuto origine da morbi irritativi , perché elle medesime asso- ciasi una grave condizione irritativa non valgono né le san- guigne deplessioni, né l'uso dei più validi riraedj deprimenti. £ sono anzi di costante opinione, che ogni qualvolta si veda una qualunque infiammazione infrenabile, ciò sempre dipen- da dalla condizione irritativa , che le si è associata. L'in- fiammazione per se stessa considerata é un morbo , che sen- za l'irritazione anderebbe sempre a felicemente terminare , quando si facesse uso di un'adatta sottrazione di stimolo, dal quale costauteuieate dipende. Cholera Morbus 83 quella sete tormentosa , quella dispiacente aridità della cute, quella siccità della bocca , quel forte dolor dì capo , quel pulsar tormentoso delle arterie , que' fenomeni insomma , che da' medici si conoscono per prodotti di esaltato morboso eccitamento , che quasi sempre accompagnano tutte le irritative flogistiche af- fezioni y quando particolarmente sono ad un certo gra- do di intensità. Io però , senza altre parole, confes- serò schiettamente essere questo appunto ciò , che nella mia pratica non ho mai con molta chiarezza potuto verificare ; poiché sempre e poi sempre in tali morbi sono stato condannato a non potere totalmente ve- dere ciò che da altri con tanta certezza viene asse- rito e sostenuto (a). Conosco che cotesto mio franco (a) Itt opposizione però a tale osservazione mi vedo astret- to per amore del vero a dichiarare, che se in tali casi il metodo controstimolante rendesi inefficace a frenare i fenomeni flogistici, che accompagnono le malattie irritative , parti- colarmente febbrili ; il metodo stimolante al contrario gli ac- cresce nella loro intensità , e ne rende la loro natura assai peggiore e più pericolosa. Da qual cagione un tal fenomeno dipenda io non saprei qui additarla. Certo è , che in tali morbi io a qualunque costo non somministrerei rimedj di sti- molante azione. Sarebbe egli possibile , che le potenze irritanti trovassero maggior favore nella nostra vitale economia quan- do si fossero in compagnia di altre di stimolante natnra , nel mentre che le controstimolanli non apportassero alle me- desime alcun favore e niente influissero all' irritazione ? Volen- do portar giudizio su tale argomento e giudicarne secondo l'espe- rienza ed osservazione noi dobbiamo confessare che l'irrita- zione si vede spessissimo associata ad infiammazione , e ra- ramente esistere in compagnia di morbi di controstimolante natura. 84 Sciente dire è affatto contrario a ciò ciie da tanti altri me- dici fu osservato , e di più si oppone alle generali dottrine , die dalla nostra Italia si stenj^ono , ed alle massime principalmente , che Voi avete nella vostra grand' opera sulla febbre gialla di Livorno stabilite, la quale opera serve di legge a tutte le migliori scuole europee. Ma io con ingenuità confesso la disgrazia mia , di non aver potuto giammai nella mia pratica osservare , che nelle affezioni flogistiche o diatesiche sostenute e risvegliate da irritazione , il metodo com- pensativo o dinamico sia stato valevole a vincerle o a frenarle. E la disgraziata combinazione a me sem- pre datasi ha valuto a confermarmi nelT opinione , che un effetto non possa venir distrutto senza distruggersi la cagione che lo produsse ; ed ha dovuto farmi con- chiudere che l'irritazione essendo infrenabile da mezzi generali , gli effetti che da essa dipendono e deriva- no , siano modali , sieno diatesici , che è quanto dir diffusibili , debbano partecipare della medesima sua infrenabilita. Se un vajuolo , a cagion d' esempio, è veramente confluente , ed abbia perciò risvegliato l'ec- citamento vitale in modo da fare al colmo campeg- giare i fenomeni flogistici locali , e quelli di diffu- sione, noi non possiamo ne frenarli, ne lusingarci di ottener grarigione , quando anche usassimo di tutti i coutrostimoli possibili. I fenomeni flogistici loca- li , e di genio diffusibili continueranno sino a che sia terminata le irritazione , che gli alimenti (a). Ed (a) Ed infatti se il vajuolo è veramente confluente , e ehe per ciò i punti d'irritazione siano eccessivamente moltiplicati, i fenomeni flogistici tanta locali , che generali , ossiano di dif- fusione , quando anche si usi del metodo il più decisivamente coatfostimoUate , corrono incorregibili verso il loro termine fa- Choleka Borbus 85 h per tal motivo , nel supposto che ferme rimanganQ al cliolera le condizioni morbose stabilite , è per tal motivo che come io suppongo alla prima di esse , cioè di avvilimento, essere insuRlciente il metodo ec- citante a rialzare la supposta oppressa vitalità « cosi egualmente porto opinione , che al secondo stadio , ossia alla reazione flogistica, non possa opporsi il me- todo controstimolante , che all' avvilimento si giu- dicò convenire ; ed i risultati terapeutici di que' me- dici , che ebbero a curare la malattia gli uni ap- poggiati assolutamente allo stimolo, gli altri al con- troslimolo , alcuni al sistema misto o ibrido , usan- do cioè ed eccitanti e deprime::ti promiscuami nte o separatamente , mi sembran provare , che il prin- cipio cholerico ed i suoi effetti irritativi , od an- che diatesici , come si vuole , sulT umana economia manifestatisi , non trovarono in detti avversar) né va- lida opposizione , né mezzo sufficiente per essere per lo meno frenati nella loro intensità. Che se vi fu- rono morti o guariti , ciò non parmi doversi attri- buire ad alcuno di cotesti menzionati metodi , ma all' esito natnrale e spontaneo del morbo. 13. Qual sarà dunque la cura che potrà a tal malattia convenire? Quella, cred' io, che conviene a tutte le affezioni irritative ; voglio dire eliminazione o distruzione , o neutralizzazione del principio , che fatale. Parlo del conflnente soltanto, perchè del discreto non v'ha giammai luogo a temere , poiché sempre e poi sempre va a terminare felicemente. Cosi dicasi del morbo cholera. Sì guarirà da un cotal morbo se l'attacco di esso sarà mite , al- trimenti finirà colla morte , né cosa saravvi che si potrà op' porre a frenare i suoi terribili eftetti insorti nell* uraaoa eco* nomia. 86 Scienze produsse il morbo ; ovvero converrà attendere il ter- mine naturale e spontaneo dell' irritazione medesima, che ( ove volga a salutevole fine ) vediamo per al- cuni modi accadere , senza che noi su di essa pos- siamo in modo alcuno influire. E siccome le irrita- zioni sono prodotte da moltiplici e differenti cagio- ni , cosi moltiplici e differenti devono essere i me- todi curativi da praticarsi , onde annientarle. Se trat- tasi per esempio di quelle irritazioni , che sono pro- dotte da contagi , i quali introdottisi nel nostro cor- po , devono riprodur se stessi , come il principio mor- billoso , vajuoloso ec. per la conservazione della pro- pria specie ; in tal caso non v' ha cura che possa opporsi al male , seppur non si apprendesse a distrug. gere il contagio , che ne e l'immediata cagione : e l'irritazione cederà spontanea quando il germe è stato nel nostro corpo riprodotto , ed avrà in esso consu- mata la condizione irritativa , ossia l'attitudine della fibra vivente a risentire l'impressione tormentosa del contagioso principio. Se le irritazioni sono prodotte da miasmatici elementi, come sarebbero, per es. , i palustri , cagioni costanti delle febbri intermitten- ti ; i quali elementi non devono nel nostro corpo ri- prodursi , per la conservazione della propria specie , perchè non vitali , ma inorganici ; questi devono es- sere dal nostro corpo o eliminati o neutralizzati , on- de pili atti non siano a suscitare o ad alimentare l'ir- ritazione (a). Se poi finalmente le irritazioni sono pro- dotte 0 da alterazione meccanica o chimica, tagli, rot- ture , ustioni ec. , ovvero da corpi inafTmi ed estra- fa) Vedi la mia memoria sulla „ morbosa essenziale condi- zione delle febbri intermitteati opuscoli medici tom. I pag. 92 Roma x833. Cholera morbus 87 nei alla nostra economia vivente , vermini , calcoli , concrezioni tufacee ec , tali irritazioni cedono o coli* espulsione dal corpo del principio inefllne al nostro organismo , ovvero coli' allontanare le cagioni , che meccanicamente o chimicamente agirono. Vi. Per determinar dunque la cura , che a me sembrerebbe doversi nel morbo cholera usare, fa mestieri innanzi tutto il determinare di qual natura sia l'irritazione ; qualora però all' irritazione si vo- glia attribuire la cagione prossima del cholera , o la sua morbosa essenziale condizione. In quanto al cho- lera morbus le opinioni principali riduconsi a tre : cioè , o alla natura contagiosa del principio produt- tore , o alla miasmatica, o finalmente alia costitu- zionale (a). Il determinamento di uno dei tre prin- cipi ammessi mi somministrerà i modi, con cui por- to opinione potersi il morbo curare. Ed essendo un tal punto il soggetto della seconda parte di questo mio scritto , cosi senza indugio del medesimo mi fa- rò a ragionare. i5. Del cholera morbus si ebbe nozione fino dal- la pili remota antichità, ed ora come sporadico o accidentale ; ora come periodico, e come sintoma di febbre perniciosa ; ora come epidemico o costitu- zionale, fu da sommi medici descritto. Principiando da Ippocrate fino a Syndenham , che lo vide epide- mico crassare per la capitale del britannico suolo , a nessuno di que' grandi medici venne in pensiero , che esso fosse di contagiosa natura. Ma dappoiché per umano infortunio dalle Indie sconfinò , e percor- se le immense ragioni della maggior parte dell Asia, (a) Qui appresso renderò ragione della divisione da me stabilita di contagioso e miasmatico. \ 88 Scienze dell'Europa, delTAfFrica e dell'America ; e dappoiché ne furono osservate alcune particolarità, relative al suo cor- so ed al modo di sua propagazione , incominciossi a sospettare della contagione di esso. Quindi da uno dei primi , che filosoficamente prese del morbo a ra- gionare , e che ad ogni costo voleva sostenerne la contagiosità , imbarazzato forse a combinare il passa- to col presente , cioè a conciliare la non conta- gione dell' antico cholera colla contagione dell' ul- timo sviluppatosi , si pensò che il principio dell' an- tico cholera , combinatosi con altro di nuova data, ma d'indeterminabile natura , col formare un' ibrida sostanza , avesse acquistate le proprietà del contagio. Di un tal sentimento fu il dottissimo Fodere. Altri poi , senza abbracciare una tale ipotesi e totalmente appoggiati alla dottrina della spontaneità de' contagi, in vista precipuamente dello slocamento di patria del morbo , e dell' immenso suo percorrere per la più gran parte della superficie del globo , non afferma- rono già che l'antico principio del cholera combina- to si fosse ad altro morboso elemento , per cui aves- se acquistate le qualità della contagione , ma che questo fosse di nuova specie e data e colle quali- tà del contagio. E tale fu il vostro giudizioso sen- timento. Cosicché il cholera indico endemico , e l'al- tro britannico epidemico, nulla avrebbero di comu- ne , e niente che fare con l'altro giudicato pesti- lenziale, sviluppatosi nelle Indie dopo l'epoca del 18 J7. Qui dunque , volendo accordare al cholera morbus la contagione , mi converrebbe innanzi tutto per ba- se e fondamento del mio ragionare ricorrere alla dottrina della spontaneità de' contagi : mi converreb- be per conseguenza adottar ciecamente tutto ciò, che si pensa da' seguaci di una tale dottrina, ed ammet- tere un' ipotesi , che ancora non ha riportata la gc- CnOLERA Mv'iRBUS 89 nerale medica sanzione. E siccome cotesta dottrina non è ancora nel numero di quelle mediche verità dimostrate , da non potersi più revocare in dubbio , COSI non si vorrà ascrivermi ad ardire , anzi mi si concederà di azzardare su di essa alcune mie parti- colari osservazioni. La convinzione di una massima dottrinale qualunque non può nascere che dall' intima persuasione della medesima , e dal prestarsi essa nel senso lato a tutte quelle difficolta , che le si potreb- bero opporre. Io per mia mala sorte non ho ancora potuto essere nel numero di que' fortunati credenti , a' quali fu venturosamente concesso di penetrar nel mistero della medesima , e quindi ammeterla come certa ed indubitata . E senza perderrai nel raccon- to di tutti i particolari ad essa relativi, proposti e sostenuti da uomini di sommo ingegno e penetrazio- ne, mi limiterò soltanto a brevemente esporre ciò che su tale dottrina mi sembra più ragionevole e naturale; 16. E' quasi di general consentimento , che i contagi siano di natura vitali , e di più anche ani- mali ; e tante sono le ragioni , che per provarlo si adducono, che il farvi ora opposizione sarebbe lo stesso che dichiararsi o insensato , o il più caparbio uomo del mondo. Onde , per non incorrere in tac- cia siffatta , accomodandomi a questa particolar ma- niera di pensare in medicina , riterrò cotesta dottri- na come certa ed indubitata. E volendo su di essa as- solutamente appoggiare i miei ragionamenti , premet- terò come punto essenziale dell' attuale argomento, che ogni principio vitale, e quindi organico, deve avere avuto origine ed esistenza dal momento che la paano onnipos- sente diede opera alla generale creazione delle cose vitali ed animali. Ninna cosa creata può col tempo acquistare il carattere di vita, se non lo l'ha per l'in- nansi posseduto. Uq essere vitale può col tempo di- 90 Scienze struggersi, ma non crearsi. E* proprietà soltanto de* corpi bruti il cangiar dì modo , forma e natura , combinandosi con differenti elementi. I miasmi, a quali non accordasi vita ( seppur non vogliasi chiamar vi- ta anche quella de' minerali, come dagli odierni co- smici viene non con troppo buon senso asserito ) pos- sono in qualunque tempo, e sotto alcune determinate condizioni terrestri ed atmosferiche prodursi, altro es- si non essendo che nuovi inorganici sviluppi, e nuo- ve inorganiche combinazioni, regolate soltanto da leg- gi fisicochimiche generali o speciali; ma i contagi che si vogliono assolutamente riguardare come principi del tutto organici , e per conseguanza vitali , e capaci per ciò della riproduzione di se stessi, e della conser- vazione della propria specie , devono infallibilmente avere esistito insieme alle cose tutte vitali ed organiz- zate (a). Or da tali promesse spontaneo ne siegue il (a) Quegli che credono alla dottrina della spontaneità dei contagi , ( e fra questi distinguonsi i medici del Norte ) si ap- poggiano interamente all'ipotesi dell' incon prensibile genera- zione ambigua degli antichi Aristotelici , i quali opinano che gli elementi contagiosi possono svilupparsi anche nella mate- ria inorganica , senza ammettervi verna germe presistanle. A me però piace di seguire l'opinione di coloro , che vogliono che i contagi come esseri organizzati , abbiano preesjslito in- sieme alle cose tutte organizzate. Senza preesistenza' di germi (O di congeneri corpi organici, colla sola presenza di materia a determinata mistione , o col concorso delle universali ef- ficienze , come in questi ultimi tempi dal chiarissimo sig. prof. Cangiano di Napoli si sostenne, io non so rendermi ragione del sorgere dell' interminabile stuolo degli animali cosi det- ti infusorj , e dell' immensa folle delle infime piantoline. Il chiarissimo sig, prof. Emiliaai nella sua dottissima opera del CnOLERA MORBUS 91 seguente dilemma : o il contagio colerico ha sempre esistito; ed in tal caso il cholera indigeno delle Indie, anteriore al 1817, e quello epidemico descritto dal Sydenliam in Inghilterra nel 1600, debbono essere quello stesso che nelle Indie medesime sviluppossi po- steriormente a detta epoca ; il che però induce con- traddizione nei fatti , i quali provano che il cholera indico anteriore all' epoca medesima non fu contagio- so (a) : o egli non ha esistito mai; ed allora rappor- to air ultimo sviluppatosi non vi deve esser ragio- ne per crederlo diverso da quello anteriore al primo, e che per Tinnanzi conoscevasi. Ma per meglio risol- vere una tale questione , e per porla nell' aspetto di miglior chiarezza possibile , la esaminerò sotto due differenti rapporti: 1.° sulla probabilità che cagio- ni miasmatiche o costituzionali possono aver dato luo- go al cholera d'oggidì , o al così detto cholera pesti- lenziale , in niun modo opponendosi esse ai fatti ri- portati in sostegno del contagio : 2." sulla necessita di cholera al proposito dice,. Egli non v'ha dubbio cerlamen- te, allorquando ricordare si voglia, che i contagi non pos- sono essere che corpi organizzati , da non poter da altro pro- venire, che da alcuni particolari semi, e da non potere esse- re giammai originati per fortuite cagioni „ E per la medesi- ma ragione il chiarissimo Puccinotti già da varj anni scrisse,, Che l'ipotesi della spontaneità de' contagi sia già ridotta tra quelle che in testimonio d'errore , appartengono solo alla sto- ria delle opinioni. „ (a) Dellon j'Bonzio , Chishom, lohnson , Marshall, Ana- sley, che videro e trattarono il cholera morbus in Oriente pri- ma del 1817 non parlono che fosse contagioso. Si incomin- ciò a dubitare che avesse acquistata una tal proprietà dopo- ché si vide per la prima volta comparire a Siila Dschissor. 52 Scienze ammissione delle cagioni medesime, siccome inclispen- saLili ed assolute per la produzione del morbo di che discorro. Io mi lusingo , che da tale esame sia per sorgere alcun lampo, che diradando le dubbiezze, al- to si renda in qualche modo a disvelare in che pos- sa consistere la cagione vera ed essenziale del morbo cholera. Intanto mi giova di dichiarare, che alla natura miasmatica , o costituzionale del morbo cholera io as- segno pressoché la medesima idea; e solo , qualor fra queste due specie di cagioni potesse esservi diversità, che senza dubbio vi è, intendo farla valere nello sta- bilimento della cura alla medesima relativa, nella qua- le una tale distinzione può essere di una certa utilità. Per l'attuale argomento una tal distinzione ad altro non serve che a determinare se al cholera odierno deb- bano o no assolutamente ad esclusivamente convenire le idee alla contaglone relative , oppure se sia neces- sario di riguardarlo soltanto sotto l'aspetto di una af- fezione miasmatica o costituzionale, E per rettificare sempre più le mie idee, ed allontanare gli errori, che potrebbero nascere da equivoche interpretazioni di vo- caboli , stabilirò in primo luogo che il cholera con- tagioso sarà d'ora in avanti da me appellato pestilen- ziale , come a voi piacque : e quello non contagio- so, miasmatico o costituzionale, (a) Il primo denote- (a) Quantunque presso i pratici e patologici scrittori i vo- caboli di miasma e di contagio si rinvengono ambedue co- llie sinonimi semplicissimi , pure a me pare conveniente di di- stinguerli e fare che uno dica cosa dall'altro totalmente con- traria ed opposta. Appoggialo il valore , che i moderni han- no accordato al vocabolo miasma palustre , come produttore delle febbri intermittenti , ho voluto chiamare cholera misma- tìco quello che non si crede prodotto da contagio e pestilen- xiale quello che veramente da contagio dipende. CHOLEHA MORBUS 93 ra quello posteriore al 1817, il secondo l'anterio- re a tale epoca. In questo mio scritto non intendo far parola , come gik dissi, ne del periodico, ne del- lo sporadico, ma solo di quello che epidemico cras- so per le indiche contrade , e per le britanniche re- gioni anteriormente e posteriormente alla giudicala ac- caduta contagione (a). 1 7. Due sono le principali ragioni , per le qua- li furono i medici indotti a credere e riconoscere il cholera d'oggidì come pestilenziale e contagioso. La prima risguarda l'immenso suo percorrere dopo l'epo- ca poco fa menzionata. La seconda il modo di sua propagazione. Ed in vero non dubitandosi di ciò , che da' medici venne asserito , e stando ai fatti ed alle osservazioni riferiteci da un piccol numero di es- si , si hanno da tali fatti ed osservazioni delle pruo- ve , che molto valer possono a sostegno dì una ta- le opinione. Ma per quanto valevoli essi siano , ta- li però non sono da essere come esclusivi ed assolu- ti riguardati , per cui non si possono far loro ragio- nevoli obbiezioni , e rivocarli anche in dubbio. Ed in primo luogo è bene di osservare , che araetteudo noi un miasma particolare , produttore del cholera , dif- fuso neir atmosfera, ed in tanta copia sviluppatosi da ammorbare l'intero globo terrestre ; ovvero immagi- nando delle condizioni epidemiche terrestri ed atmo- sferiche , proceduti o da eletricita , magnetismo, umi- dita , calore , siccità , freddo ec. o da altre non al certo reperibili e determinabili cagioni , produttrici delle epidemiche infermità , che per non poche vol- te hanno molestato dei regni e nazioni , non tro- (a) Anteriormente per Londra ; anteriormente e posterior- ineule per le Indie. 94 Scienze vererao noi forse persuadente ragione dell' immen- so diffondersi del morbo cliolera , e di più del mo- do di sua progressiva propagazione (a) ? Se nei tem- pi del Sydenhara nella capitale dell' Inghilterra, o nelT epoca anteriore al 1817 nelle Indie, potè sviluppar- si un miasma o un epidemica costituzione da attac- care quella grande citta o quelle vaste contrade, per- chè in oggi non potrebbe essere accaduto , che quel- le medesime condizioni terrestri ed atmosferiche neces- sarie per lo sviluppo di un miasma , o per la pro- duzione di un morbo costituzionale delle Indie e dell* Inghilterra, si fossero generalizzate in piiì luoghi del- la superficie del globo , per cui il cholera si fosse quasi ovunque propagato e diffuso ? O pure perchè lo sviluppo del miasma cholerìco nelle Indie accaduto e generato non potrebbe essere di tanta maggior co- pia e quantità de' tempi trascorsi, da ammorbare pres- soché l'intera atmosfera che ci circonda e ricuopre ? Noi conoscevamo che il cholera, anteriormente all' epo- ca in cui si giudicò contagioso , si diffuse in vaste tegioni ; ciò nulla ostante non si giudicò pestilenzia- le. Ed ora per averlo soltanto veduto oltrepassare i confini , in cui per lo innanzi fu circoscritto e limi- tato , vorrem noi giudicarlo contagioso ? Il più ed il meno , potendo, come di fatto è , dipendere da mag- giori o minori cagioni che nello sviluppo di un mia- sma si danno, o al determinamento più generale o spe- ciale di una epidemica costituzione , non da diritto assoluto ed esclusivo a stabilire che la malattia deb- ba essere indubitatamente pestilenziale (b). (a) Di sotto sarà rischiarata una tale preposizione. (b) Il chiarissimo sig. dolt. Cangiano di Napoli onde ne- gare al morbo cholera una natura miasmatica e sostenere la con- Cholera morbus 95 18. Ne gran fatto , secondo me , valer possono le obbiezioni , che far si potrebbero alla natura mia- smatica o costituzionale del cholera ; cioè , che per le malattie miasmatiche e costituzionali si oppongono i diversi climi , ed i diversi suoli , quando la sto- ria ci ha amraeastrati , che il cholera miasmatico o costituzionale si e sviluppato in luoghi , p?r condi- zioni di cielo e di suolo diametralmente contrarii ed opposti , come sono per l'appunto e l'Inghilterra e rindostan. 19. E molto meno può valere faltra obbiezio- ne tratta dalla natura di alcuni cogniti particolari miasmi , come sono precisamente i palustri , i quali si è provato , che non agiscono che a limitate e ri- strettissime distanze. Noi ignoriamo finora in che pro- priamente consista il miasma cholerico , quali siano le condizioni necessarie pel suo sviluppo , quali le proprietà del suo diffondersi, se opposte o no a quel- le del principio produttore delle febbri intermittenti. E volendo riguardare il principio produttore del cho- lera morbus come costituzionale, le ragioni , che pos- sonsi ricavare dalla opposizione e dei suoli e dei cli- mi , meno delle altre di già analizzate sostengono il loro assunto. Di grazia, e non abbiamo in questi ul- tagiosa rileva nella sua dottissima memoria del cholera , the se la cagione di un tal morbo consistesse in un miasma nell' aria diffuso, il morbo doveva seguire nel suo sviluppo il cor- so e la celerità dei venti. A ciò primieramente rispondo di non sapere se realmente siasi fatta una tale osservazione: in secon- do luogo , nel supposto che il miasma cholerico fosse stato da* venti trasportato , sarebbe forse stata bastevole la sola sua pre- senza in qualunque parte della superficie del globo , per de- starsi ivi imuicdiatameDte la malattia ? 96 Scienze tirai tempi particolarmente veduto un morbo costitu- zionale ( kripp ) che epidemico percorse e la Russia , e la Polonia, e la Germania, e la Francia, e l'Italia, che senza dubbio sono paesi tutti opposti e contraria gli uni agli altri per condizioni di cielo e di suolo ? In quanto poi al modo di propagazione del mor- bo , qui i fautori del contagio credono di aver la pruova somma delle loro ragioni , e qui per l'appun- to quasi tutti interamente si appoggiano pel sostegno della loro opinione. L'aver veduto, per es., che il cho- lera ha spesso seguito il cammino di coloro, che ave- vano sospetto di seco condurlo , indusse persuasione grandissima nelle loro menti , che il morbo fosse ve- ramente di contagiosa natura. E a dire il vero una ta- le osservazione molto deve dare a pensare a quelli che vogliono al cholera il contagio negare. Ma pure, se bene a ciò si rifletta, e si procuri di riguardare una tale osservazione con pacatezza e riflessione , io non dubito punto di discuoprire che l'osservazione mede- sima non vada soggetta a censura , e che quindi non sia assolutamente atta a dimostrare il contagio. E non potrebbe essere accaduto, che per fortuita ma al cer- to non ordinaria combinazione, le condizioni neces- sarie per lo sviluppo del miasma cholerico , o pel de- terminamento dell' epidemica costituzione di un tal morbo, fossero accadute nel tempo e luogo , in cui i creduti affetti dal contagio vi furono di passaggio? O che la corrente dell' aria di miasma infatta fosse su di quei luoghi medesimi pervenuta nel momento appunto , in cui tali soggetti per caso ivi si ritro- vavano ? Certo ciò sembrerebbe alquanto stravagan- te ; ma la stravaganza non prova l'impossibilita, e non vi essendo in cotesta ipotesi impossibilita , non vi può essere nemmeno certezza a determinare l'opposta ca- gione , e quindi stabilirla come pruova assoluta. Nel CnoLr.iiA MORBUS 97 dctermlnamento di una qualunque verità , lutto , senza eccezione , deve concorrere a dimostrarla nou possi- bilmente, ma determinativamente. 20. Relativamente poi all' intangibilità di coloro che si allontanarono da ogni immediato o mediato contatto , per cui restarono illesi dal morbo, si pos- sono addurre ed opporre altrettanti fatti di persone che con tutto il mediato ed immediato contatto de' cholerosi non restarono afTctti da quella malattia (a). Quelli che cercarono di allontanarsi dal contatto pos- sono essere stati non predisposti all' impressione del- la potenza miasmatica, o dell' influenza costituziona- le epidemica. Come nei contagi , cosi nei miasmi ed epidemiche costituzioni dipendenti da terrestri ed atmosferiche condizioni vi è bisogno di ammettere nel nostro corpo uno stato di predisposizione , o come i moderni vogliono, di attitudine delle nostre macchi- ne a risentire l'impressione delle potenze morbose , onde ne restino esse affette : senza di che non si po- trebbe rendere ragione e spiegare come in qualunque epidemia , sia contagiosa sia miasmatica o costituzio- nale, alcuni vadano immuni, mentre altri debbono al- la medesima pagare un amaro tributo. Io però, a par- lare con ingenuità secondo il solito mio, dubito mol- la) I fautori del contagio cholerico per dare una spie- gazione all'intangibilità di coloro, che praticarono assai familiar- mente co' cholerosi, e che aveanoper conseguenza con essi media- to ed immediato contatto, pensarono che il coraggio, col qua- le si presentavano ad assistere que' disgraziati, fosse la cagio- ne della loro intagibililà. E non potrebbe anche pel miasma militare una tale ragione ? Il curiosissimo lllinenzio per tale osservazione scriveva che ;, timor atque contagio unum et idem. ,, GA.T.LX. 7 OS Scienza tissitno della verità dei falli ripoitali a sostegno di particolari opiiiioni. Sappiamo quanto sia dannosa pcJ la verità della storia la prevenzione dello scrittore. 21. Le ragioni poi che sostengono essere il prin- cipio produttore del morbo cholera piuttosto un par- ticolar miasma nell' aria diffuso , o un genio costi- tuzionale epidemico del suolo o dell' atmosfera , che un contagio, sono di numero assai maggiore, e forse ancora di un peso preponderabile a quelle pel con- tagio. Ed in primo luogo si presenta quella della cognizione del morbo , come epidemico , innanzi all' epoca del presupposto sviluppo del contagioso prin- cipio. Noi , come di già osservai , senza voler con- lare quella specie che eccettuai , abbiam veduto una tal malattia per correre epidemica nei tempi del Sy- denham la capitale del regno britannico. Medici di sommo nome dì quel tempo e luogo , e grandi os- servatori insieme elibero a trattarla. La propagazione di essa per tutte le diverse regioni di quella gran- de città , ed il numero delle vittime mietute, lo fecero dichiarare per epidemico . Ma ninno fra que' grandi medici vi fu , che sospettasse della natura contagiosa del morbo. Ed una tale renitenza a non dichiararlo tale deve essere stata loro , senza dubbio , additata dall' osservazione di non pochi fatti , che dev^ono an- teriormente alle epoche menzionale avere esclusa l'idea della contagione. Nell'immenso suolo delle Indie e delle isole ad esse adjacentì , un tal morbo perchè per piià secoli continuato , fu giudicalo come epidemico ed in- digeno del paese. I medici delle più culle nazioni europee , che acquistarono dominio di quelle contra- de ebbero, ogni anno a curarlo ed a farvi delle par- ticolari osservazioni , e quantunque vedessero di luo- go in luogo , di paese in paese percorrere la ma- lattia e fare orribile strage, pure non seppero pcrsua- ClIOLGRA niORBUS 00 dersi della natura contagiosa di essa. Ma qui rai sì risponderà, che ciò non deve più essere al presente oggetto di controversia, giacche anche i pavlitanti del contagio cholerico non fanno difficolta alcuna a non riconoscere il cbolera indico ed il britannico per con- tagioso. Anzi essi esplicitamente dichiarano che fosse non contagioso soltanto innanzi al 181T, ma che po- steriormente o per aver cangiato di natura , od an- che per essersi spontaneamente sviluppato, come a voi piacque di pensare, abbia per ciò solo acquistato le qualità del contagio. Ma se cotale questione non forma più al presente oggetto di controversia, lo formerà senza dubbio rinduziotie , che presentemente trarronne. Il cholera miasmatico, o come si vuole costituzionale, ha anch' esso al modo del pestilenziale percorso inte- re regioni , e sotto dlft'ercnti e contrarie condizioni di cielo , temperatura e suolo , come sono per l'ap- punto le Indie e l'Inghilterra. Ed avendo le proprie- tà del dilFondersi e percorrere intere regioni , per- chè si ha dunque da credere che quest' ultimo svi- luppatosi sia di una natura diversa del primo per più secoli conosciuto ? Perchè si ha da ricorrere alla crea- zione di un nuovo principio produttore , quando con l'antico si ha soddisfacente spiegazione dd fenomeno della diffusione del morbo e del modo di sua pro- pagazione ; fenomeno , su cui principalmente si ap- poggia la determinazione del contagio? E' contro ogni principio di sana filosofia il rigettare un certo per darsi ad un incerto , seguendo un incognito per non riconoscere un cognito. Del cholera miasmatico o co- stituzionale si ebbe cognizione fino dalla più remota antichità ; pel pestilenziale non v'ha che un' ipotesi de' nostri giorni , la quale ancora bastantemente non regge alla forza degli odierni medici ragionamenti. 22. Ma per me la ragione somma , e che anle- 7* 10O Scienze pongo a tutte le altre comprovanti la non contagio- sità del morbo , io la trovo nelT indeterminabilità del suo corso , ossia del suo periodo morboso. Stando alle odierne mediche dottrine, alle quali interamente m'at- tengo, noi sappiamo che tutte le malattie cantagio- se , particolarmente acute, sono attaccate ad un pe- culiar loro processo morboso , per cui hanno tutte indistintamente , sempre, a seconda della lor partico- lare natura , un periodo determinato, e clie perciò ven- nero dagli odierni medici scrittori riconosciute ed ap- pellate ,, malattie a periodo necessario „ . Sia che ia tali morbi debbasi riprodurre il germe di loro esisten- za (a), sia che le malattie irritative particolarmente acute o per la diatesi che risvegliano , o per un cer- to particola!' processo morboso che producono, sia ai Cora per la loro particolare patologica condizione, che ad esse è propria , fatto è che tutte le malat- tie contagiose hanno una determinata durata , e di pili tutte devono necessariamente percorrere alcuni detcrminati stadii morbosi , che seguono uno spa- zio di tempo infallibilmente e numericamente stabi- lito. D'altronde nel morbo cholera , non istando ai lerraìiii fatali della morte , la quale tronca il corso ordinario di qualunque specie di morbo , si è osser- (a) E parlando il chiarls. Emiliani su tal particolare con molta sensatezza disse- E se non si saprà negare che si ^le ueva , che i semi tutti hanno pur lìisogno di un certo tem- po per isvolgersi , crescere, e moltiplicarsi, e non possono a meno di andar dimostrando in queste diverse fasi i loro va- rj e specifici caratteri, bisognerà pure accordare altresì l'ina- bro viabilità de' periodi , di che si compongono le malattie con- tagioso , e la costanza de' sintomi ne' varj loro periodi siano dati più che al caso a dimostrare la loro reale esistenza „ CnOLERA. MORBUS 101 vafo ohe 11 morbo medesimo ora si h veduto finire colla rotale guarigione dell' infermo prima delle ore venti- quattro , ora dopo i due giorni , ora dopo i tre , i quattro , i cinque , i dieci , i venti , i trenta , e COSI discorrendo. Nel vajuolo , nella rosalia , nella scarlattina , siano tali morbi benigni o maligni , cioè miti o forti , siano da questi attaccati i fanciulli , i puberi , gli adulti , i vecchi di sesso e tempera- mento diversi ed opposti , siano pure gì' infermi po- sti a contrarie condizioni di cielo , suolo e tempera- tura , noi sempre e poi sempre vediamo , che tutte coleste malattie hanno sempre e poi sempre una me- desima durata , e sempre e poi sempre regolarmente percorrono i loro particolari stadi morbosi , pei quali precipamente distinguonsi dai morbi , che si ricono- scono non avere un necessario periodo. E perchè solo nel cholera non si deve veder verificata una cotale legge ? Se desso è di contagiosa natura , deve essere soggetto , oltre alla legge della determinabilità di du- rata, al modo dì più di sua particolare esistenza mor- bosa, siccome osservasi in tutte le altre contagiose ma- lattie. E tale ragione , che io appellerei patologica , a creder mio, fino all' ultima evidenza mi sembre- rebbe alla a provare , che il morbo cholera non sia dì quella natnra , che si vorrebbe stabilire. Coli' am- missione però di un miasma , ovvero di un' epide- mica costituzione terrestre od atmosferica, come causa essenziale del morbo , non essendovi ragione a pre- tendere un tempo determinato pel corso del male , si spiegherebbe il terminar dì esso ad epoche sva- riale ed incostanti , siccome si è fino ad ora da' pra- tici osservalo. 23. Per non credere contagioso il morbo cho- lera ci si presenta l'osservazione fatta da non pochi medici , che vidcrlo svilupparsi iu luoghi garaalili id2 Scienze e difesi (la leggi e cordoni sanitarii , in luoghi cioè , ove clirettaraente ed indirettamente si credè mancare il mediato o immediato contatto di persone o co- se , che potessero dar sospetto di trasporto di conta- gione. Ma ad una tale osservazione si risponderà , che le misure sanitarie non saranno state bastevoli a pre- venire que' disordini , che in simili casi possono ac- cadere ; che per quanto i governi siano premurosi per la conservazione della pubblica salute , e per quanto siano attenti per l'esatta osservanza degli ordini i più rigorsi che in simili casi sanno emanare; che ciò nuli' ostaate la malizia degli uomini avidi più del gua- dagno , e de' loro particolari interessi, che del pub- blico bene , sa trovare il modo onde deludere ogni salutare precauzione. Ad ogni modo però il fatto sta, che le misure sanitarie furono solennemente pratica- te, e la trasgressione di queste e mera e gratuita pre- sunzione ; e se il morbo si è veduto comparire ne* luoghi dalle leggi sanitarie garantiti , ad onta delle precauzioni prese per impedire ai sani la comunica- zione dal principio contagioso , ciò è una prova che conduce a sospettarlo , o per meglio esprimermi di- chiararlo piuttosto miasmatico o costituzionale , che di contagiosa natura. 24. E' un fatto de' nostri giorni, come de'nostri gior- ni e il sospetto, che il cholera sia contagioso, l'osservazio- ne di non pochi medici sul passaggio di persone provenien- ti da luoghi infelli in luoghi sani, senza che siasi veduta sviluppare la malattia. Ne' tempi in cui la Francia era in preda a si micidiale influenza , i corrieri che da quella partirono alla volta della nostra Italia , e che in poche ore quasi interamente tragittaronla , non ap- partarono appo di noi la conlagione ; ne si vide da un tale inconveniente in mezzo alla generale calamità la nostra cara patria oppressa da si formidabile scia- Cholera morbus 103 gnra . Qui probabilmente , al coutrario di quanto si è supposto potersi rispondere dai fautori della con- tagiosità della malattia ,* onde indebolir 1' idea dell* effetto che dovettero produrre le misure sanitarie da diversi governi ordinate , probabilmente rlsponderassi , che si sono praticate quelle cautele sanitarie , che al disinfettamenlo convenivansi. Primieramente a ciò re- plico , che vi sono stati casi , ne' quali tali misu- re non ebbero la menoma osservanza. In secondo luo- go poi dirò : E quali sono mai le misure sanitarie , che l'esperienza ha potuto dimostrare efficaci pel di- sinfattamento del morbo cholera ? E non è de* no- stri giorni la pretesa contagione del morbo ? Che tem- po è mai decorso per aver potuto conoscere ciò che può esser valido al disinfettamento di una nuova ma- lattia ? Sappiamo noi se i mezzi in altri morbi con- tagiosi impiegati quelli realmente siano, che al disin- fettamento del cholera convengonsi ? 11 cholera conta- gioso o pestilenziale, essendo di recente data, non ci ha potuto concedere di esser messi a portata di co- noscere ciò , che conviensi , ed atto sia al vero e rea- le disinfettamento del suo principio produttore, e per conseguenza non possiamo sapere se i mezzi finora pra- ticati quelli veramente siano , che posseggono la vo- lata disinfettante qualità. Quindi è che anche con tutta l'osservanza piena delle leggi sanitarie noi non pos- siamo essere indubitamente sicuri , se i paesi , in cui tali leggi ebbero il loro vigore , siano stati dal mor- bo preservati mercè tali provide precauzioni. Intanto però in comprova della non contagione del morbo sfa il fatto , che persone partite da luoghi infetti sono venuti in luoghi non infetti , portando seco loro pli- chi ed altro , parte con totale trasgressione de' sa- nitarii regolamenti , parte colla pratica di mezzi , che non si sa se veramente atti siano al disinfettamento vero 104^ S e I E N 7. E del contagio cholerico , senza che la malattia siasi in dctli Juoglii raaiiifestata, 25. Tutto ciò poi clic dir si potrebbe a sostegno della contazione del morbo, sia relativamente allo svi- luppo del morbo medesimo in luoghi umidi, seccbij mon- tuosi, piani, caldi, freddi, boreali, meridionali ec, sia re- lativamente al modo piiì dettagliato di sua propagazione, a me parrebbe o che poco in favore provasse o pure che provasse tutto il contrario. Per solito i contagi han- no quasi sempre piiì infierito ne* tempi estivi che nelT inverno. In quanto al cholera o fu ad esso eguale ogni tempo , o l'inverno gli fu anche piiì favore- vole della state . Pe* contagi si è sempre osser- vato, che le variazioni atmosferiche , meno quelle ope- rate dalle stagioni , non hanno uullamente in prò o svantaggio di essi influito sullo sviluppo o termine di di loro aggressione (a): al contrario se nella più gran ferocia del morbo cholera è accaduta dirotta pioggia, ha esso quasi istantaneamente cessato : come se è sotto in tempo di pioggia, ha cessato al sopravve- nire del buon tempo. Dopo un attacco di un mor- bo contagioso , qualunque sia , pel sopravvenire di piiì favorevoli circostanze, come per esempio del fred- do al caldo , del secco all' umido , sia per altre a noi incognite ragioni , che dall'elettricismo o magnetismo terrestre o atmosferico dipendono , il morbo cessa , ne per qualche anno vedesi ricomparire fino a che non sonosi ridestate le favorevoli e necessarie con- dizioni per lo sviluppo dell' assopito contagio; il morbo (a) In Vienua il cholera morbus manifestossi iti seguito di dirottissima pioggia. CnoLEUA mcREus ^05 eliderà , dopochb lia esso pei- uà intera provincia o regno Classato , e dopo che in que' luoghi si vide in- teramente distrutto , si è dì nuovo ben tosto osser- vato ricomparire , e quindi inferocire in modo anche peggiore della prima sua aggressione. Quando dun- que assolutamente si volesse riconoscere nel cholera la contagiosità , farebbe d'uopo convenire che il me- desimo si allontani interamente da tutte le leggi fino ad ora conosciute proprie di tutte le malattie con- tagiose. 26. Ma io credo che i medici come in tante altre malattie , cosi anche nel cholera siano stati un pò troppo proclivi ad ammetter contagi. Essi hanno moltiplicato il numero di questi quasi all' infinito. Prova di ciò ne siano le così dette febbri nosoco- miali , carcerarie , navali , le nervose , le gastriche , Tetesia, lo scorbuto ec. , nella produzione de'quall mor- bi lor piacque di vedere dei particolari contagi. Una volta che da essi si vide p. e. attaccata di etisia una persona che ebbe qualche familiarità con un etico ; onde spiegare il fenomeno si gridò tosto al contagio. Io non nego il fatto, che non si possa cioè cosi acqui- stare una tale malattia : nego però il modo col quale si crede che essa viene a contrarsi. Gli elUuvj o mia- smi , che da un corpo infetto si esalano , continua- mente respirati , od anche dal sistema cutaneo di un corpo sano assorbiti , possono talmente l'umana eco- nomia sconcertare , da produrre perfino un morbo si- mile a quello , da cui si sono sviluppati. Ma ciò e tutt' altra cosa che contagio. Cosi dicasi p. e. di un' efFezione scorbutica sopravvenuta ad un uomo sa- no , che abbia fatto uso di utensile ed altro che ser- vi ad uno di scorbuto affetto. Senza dubbio in tal maniera può comunicarsi l'infermità , ma ciò non ha nulla che fare con una affezione contagiosa ; per ^06 S e I E If « E la quale h bastevole il solo contatto medialo di co- se , che noQ ebbero colla persona affetta che brevis- sima , o per meglio esprimermi istantanea comunica- zione. Pel contagio , mi sia permesso di così espri- mermi , non v' è ne misura , ne quantità di materia mentre un atomo impercettibile , e solo dall' intelletto concepibile , può produrre una malattia , e tale da diffondersi per tutto il mondo. Pel miasma tanto per quello , che si può sviluppare da alcune particolari malattie , quanto per gli altri , che produconsi dalla decomposizione, o alterazione si sostanze animali o ve- getabili poste a valute e necessarie terrestri ed at- mosferiche condizioni , v' è bisogno di misura e quan- tità anche per la produzione di una sola solissima ma- lattia , che dovesse soltanto attaccare un solo solis- simo individuo. Che se la quantità e misura sarà in tanta copia da infettare l'atmosfera di un' intera con- trada o provincia , in tal caso succederà ciò che si dice influenza, e la contrada e provincia medesima ver- rà interamente attaccata , siccome osserviamo accadere nelle febbri internìittenti ; ma nel contagio un solo individuo attaccato può essere sufficiente ad ammor- bar l'universo , ove non si accorra sollecitamente alla più scrupolosa e severa separazione del medesimo. 27. Ma senza più ulteriormente dilungarmi in una simile questione , per la quale si è di già troppo par- lato , siccome i fatti, i soli fatti, devono essere in tali materie particolarmente apprezzati, io ne riporterò due, che devono porre il suggello al mio argomento . E tali fatti mi vennero comunicati da persona , che ol- tre il saper sommo nell' arte di guarire, e di più di una onesta superiore ad ogni eccezione , per la quale particolarmente seppe meritarsi la stima di tino dei più grandi monarchi d'Europa. Intendo parlare del chiarissimo sig. cavalier D. Rauch medico ordi- ClIOLERA MORBUS lOt nario di S. M, I e R. l'Imperatore di tutte le Rus- sie , col qual medico nel!' ultimo suo soggiorno ia Roma ebbi onorevole relazione e frequenti confabu- lazioni, dalle quali rilevai con somma mia meravi- glia e molto mio piacere quato bene egli conosceva le nostre mediche teoriche italiane , e quanto le ap- prezzava. Il primo di questi fatti accadde a Riga. Il secondo nella propria sua patria. Quello di Riga consiste nelT essersi osservato che un bastimento rus- so, proveniente dal nord di quell'impero, senza avere avuta alcuna comunicazione ne con vascelli , ne con persone o case di sospetta provenienza , all' appros- simarsi che fece a quella rada , ed avanti che ar- rivasse al ponte di Riga , ove sono i bastimenti ob- bligati a restare in quarantena , due individui che facevano parte dell' equipaggio furono improvvisamente sorpresi dal morbo cholera , e all' istante morirono. In quel tempo, che fu nel l83l, il morbo ferocemente imperversava in detta citta. L'altro della sua patria è il seguente. Quando il cholera morbus si vide dalle Indie sconfinato , e quando in Pietroburgo ed in Mosca incomincìossi a conoscere , che di già aveva attaccato la parte orientale di quel vasto impero ; men- tre i medici da quelle capitali partiti pe* luoghi af- fetti discutevano sulla contagione o non contagione del morbo , molti de' ricchi signori di quelle gran- di citta , onde allontanarsi dal pericolo che loro so- vrastava , risolverono di abbandonare insiememente alle loro famiglie le capitali medesime , ritirandosi nei loro poteri , e scrupolosamente difendendosi da ogni so- spetta comunicazione. Ad onta però di tali savie pre- cauzioni , al comparir che fece il cholera morbus a Mosca ed a Pietroburgo , per un certo fatai desti- no i primi ad essere da quella terribile malattia at- taccati , furono per l'appunto que' medesimi , che si ^08 Scienze erano separati. A questi duo fatti importantissimi se ne può anche aggiungere un terzo , il quale servi- rà a maggiormente convalidare i due riferiti , cioè a provare la non contagiosità del morbo. Nel tempo dell* epidemia di Pietroburgo, cioè nel 1831, più di sessanta famiglie della colonia alemanna , poste a tre leghe distante da Pietroburgo , e composte di molti in- dividui , in tempo d'estate passarono varj mesi in mez- zo ad una gran quantità di russi , che seco loro con- versavano , e che avevano tutte le comunicazioni pos- sibili colla capitale , ferocemente in allora dal cho- lera dominata. Nessuno dì quelli individui fu attac- cato dal morbo cholera. Questi fatti , secondo il mio vedere, proverebbero molto più di quello riportato dal console francese in Aleppo , il quale colla separa- zione sua e di quelli alla legazione addetti si cre- dè liberato dall' attacco del contagio (a). Il fatto del (a) 'Olire il fatto addotto della calonia alemanna in Pie- troburgo ve ne sono altri molti di simile natura clie sem- pre più convalidano l'opinione della non contagione del mor- ve (*), I più speciosi fra tutti sono quelli però dei dd. Brie- re de Bismont , Legellois , e Foy , i quali in mille modi pro- curarono d'innestarsi il morbo. (*) Il fatto della celonia alemanna e quello del console francese in Aleppo , quantunque fra di loro oppostissimi , pu- re ambedue sarrono a dar spiegazione e rendere ragione tanto positivamente che negativamente della natura miasmatica del morbo. Per ragionare a seconda de' fatti che è il ragionare il più sicuro , e per ispiegare il primo e secondo caso con- viene assolutamente convenire che tanto in Aleppo , quanto nella colonia alemanna o non vi fosse il miasma , o vi fos- sero delle locali terrestri o atmosferiche condizioni capaci a distruggerlo o a neutrelizzarlo. Ed io pur sono di opinione , che solo per simili ragioni sia stata sino al presente l'Italia fiostra (I4 un lai Qagello preservata. CiioLEUA Monuus i09*" console potrebbe con argoraetito negativo non dispre- gevole dar plausibile motivo di sostenere la conta- gione del morbo a coloro , che non volessero ammet- tere la ragionevolissima supposizione o che in quel luogo di separazione non vi fosse presenza di mia- sma , o che i separati non avessero attitudine a ri- sentirne la morbosa azione ; ma pe' fatti riferiti di Riga , Mosca e Pietroburgo , senza V ammissione di un miasma nell' atmosfera diffuso o di una epidemica costituzione , che escludono affatto la natura conta- giosa del morbo , non si saprebbe come di essi ren- dere ragione ed intendere in qual modo siasi in que' luoghi potuto sviluppare. Questo è quanto mi e sem- brato di più ragionevole intorno al secondo punto di questo mio scritto. Ora altro non resta per dar ter- mine al mio lavoro , che brevemente osservare in che propriamente può consistere la morbosa essenzial con- dizione del morbo di cui discorro. 28. E' cosa sommamente increscevole , che il maggior numero di quelli, a'quali fu concesso di po- tere da vicino osservare il mobo cholera, non siano stati condotti da quella medica filosofia che in oggi conduce e dirige le operazioni de' medici italiani, e che condusse e diresse quelli spediti a tale uopo dal governo di Roma- Io porto opinione che al presente, in quanto alla parte dottrinale di un tal morbo, si potrebbe anche essere a migliori condizioni che non siamo , se i soli uomini , conoscitori e seguaci delle nostre odierne (a) teoriche , cioè della nostra medi- (a) Somma lode debbcsi senza dubbio alle belle ed inge- gnose mediche relazioni de' professori Lupi figlio, Cappello e Meli non ha guari colle stampe pubblicate. Godo di potere in questa circoslauzu far loro conoscere , che io sliiiio ed ap- Ito Scienze ca riforma italiana, avessero potuto aver soli* occhio an tal morbo , e su di esso portare le loro terapeu- tiche e patologiche osservazioni. Ma nella posizione , in cui al presente siamo , dobbiamo contentarci di quanto ci venne comunque riferito. E senza entrare nelle analisi delle diverse mediche speculazioni fino ad ora inventate e sostenute ; mi si permetta che io esamini l'attuai questione sotto un quadruplo punto di vista. Sulla cagione producente il morbo ; sui fe- nomeni morbosi che l'accompaguono : sugli effetti tera- peutici da' rimedj ottenuti , e finalmente sulle pato- logiche condizioni rinvenute nelle cadaveriche auto- psie. Io mi lusingo che da tali fonti potrà emerge- re alcuna ragione , che ci faccia persuasi della vera e reale condizion morbosa del morbo cholera. 29. Fino al presente col negare al contagio la pro- duzione del morbo mi sono veduto astretto ad assegna- re al cholera due cagioni , che piiì ragionevoli di un contagioso principio sembraronrai , per determinare l'origine e la natura del morbo medesimo. E que- ste furono il miasma e la epidemica costituzione ter- restre od atmosferica. Ora poi rinunciando ad una delle due cagioni capaci ambedue a produrre il mor- bo , dichiaro, pel modo specialmente di regolare pro- gressione di esso ne' luoghi ove si è manifestato, che al miasma soltanto debbesi la preferenza nel nostro prezzo raoUissimo il loro medico sapere , e soprattutto il me- dico criterio , col quale condussero e sostennero le loro pro- duzioni. Che se in qualche punto si scostono esse dalla mia maniera di pensare , ciò non può inipidire che io non apprez- zi , come si conviene , i loro lavori, Si tratta di una scienza speculativa. Chi vede in un modo , chi in uu altro , ed è per tale ragione , che io venero e rispello le opinioni di oguuno. Cholera morbus hi caso della produzione del cholera epidemico. Egli sem- brerebbe alquanto strano , che una costituzione epi- demica dipendente dall' atmosfera o dal suolo si fos- se così regolarmente propagala e diffusa da segnare uà ordine progressivo di paese in paese, di provincia in provincia , di regno in regno , come si è nell' ul- tima cholerica epidemia osservato. Ed è per cotale ra- gione che io al presente , abbandonando la causa co- stituzionale , assolutamente mi attengo alla miasma- tica , sulla quale appoggerò le mie osservazioni , on- de veder di discoprire la vera morbosa condizione del cholera. 30- Nella prima parte di questo mio scritto non ebbi difficolta a dichiarare, che secondo il mio sen- tire , il morbo cholera riguardar non si doveva sic- come morbo diatesico , ma puramente irritativo , ed asserii che tanto la cagione perduttrice di esso, quan- to i fenomeni che in tutto il suo corso morboso l'ac- compagnano , non che i mezzi terapeutici impiegati per vincerlo, tutto concordemente concorreva a far- lo credere e dichiarare come semplice prodotto d'irri- tazione. E discorrendo poi in particolar modo sulla cagione , da cui si giudicò dipendere un colai mor- bo , nella 2. parte di questo scritto medesimo opi- nai , che a nuli' altro che ad un miasma particola- re nelle Indie sviluppatosi e da queste in gran co- pia diffusosi e propagatosi sulla maggior parte della superficie del nostro globo , la cagione vera ed uni- ca del morbo dovea attribuirsi. Qual sia il modo di agire de' miasmi nel nostro corpo introdotti di già la patologia lo ha felicemente insegnato. Riguardandosi i miasmi come elementi inaffini alla nostra economia vivente , la loro azione deve infallibilmente esse- re , come si disse , inquietante , disturbante , tor- mentante le fibre , colle quali vengono essi all' im- mediato contano. Quindi i fenomeni morbosi , che da 112 Scienze un lai principio derivano e dipendono , devono es- sere effelti tutti d'irritazione, ed ì mezzi terepcutici impiegati per vincerli e debellarli ne danno della lor provenienza e natura convincentissiraa pruova. Ma all' irritazione del principio miasmatico nel corpo intro- dotto succede egli una qualche morbosa condizio- ne delle parli , colle quali il miasma viene all' im- mediato contatto , ovvero il morbo consiste nella sem- plice irritazione , e dall' irritazione sola del principio produttore il morbo dipende ? 31. Per determinare se il morbo cholera consi- ste solamente in una semplice irritazione del miasma colle parti con cui venne a contatto , ovvero se all' irritazione è succeduta un' altra morbosa condizione delle parti medesime irritate, altra strada non v'è che quella dell' analisi delle cadaveriche autopsie fino ad ora da' medici istituite. Dovendo io portar giudi- zio appresso i risultati delle medesime, farebbe mestie- ri che di esse facessi esatta descrizione. Ma sicco- me un'analisi discritti va di tutte le sezioni cadave- riche istituite sarebbe cosa di troppo lungo lavoro, e forse anche incompatibile coli' attuai mio scritto , il quale di già ha oltrepassato i confini che mi era fin dal bel principio proposti , cos'i mi si per- metterà che io in ristretto soltanto e collettivamente di tali patologici risultati faccia brevissima menzione. 32. Le più costanti alterazioni rinvenute ne' ca- daveri de' cholerosi sono , senza dubbio, state di va- scolari turgori , d'inzuppamenti di membrane , e di linfatiche collezioni nelle diverse cavita del corpo , e soprattutto addominali . Il turgor de' vasi venosi della mucosa del tubo gastro-enterico ( il qual tur- gore si è sempre rinvenuto in tutti i morbi del cho- lera , ed in qualunque epoca della malattia fosse la molte accaduta ) fu un fenomeno costante , che nou Choleua morbus 1 13 isfuggì air occhio di nessun medico osservatore, an- che di quelli, che solevano riguardar la malallia co- me diatesica, sia di slimolo sia di controsllmolo, sia anche di diatesi linfatica , siccome ad alcuni par- ticolarmente piacque di opinare. Una tal costanza di fenomeni morbosi pili di quelli consistenti in trac- eie di flogosi , adesioni cioè , suppurazioni , indu- ramenti , cancrene ec ec. , dei quali fenomeni mor- bosi terrò qui appresso discorso, mi parrebbe che in- duca a pensare, che all' irritazione della cagione di- sturbante sia succeduta una particolar morbosa con- dizione , e che questa fosse un wiSiwdesi. E molto consentanea alla ragione parrebberai una tale idea, se si rifletta particolarmente sulla provenienza dei prin- cipali fenomeni della malattia. Dal principio al fine di essa quasi costantemente osserviamo un vomito in- frenabile ed infrenabili dejezioni alvine di liquide pro- teiformi materie. E qual altra morbosa condizione del nostro corpo più dell' angioidesi, prodotta ed alimen- tala dall' irritazione di un principio estraneo ed inaf- fine al nostro organismo vivente , può cagionare tan- ta separazione di fluido, da far credere che il no- stro corpo in brevissimo tempo quasi interamente deb- ba ridursi in colliquazione ? Ammessa una cagione irritante , come non vi ha dubbio iu contrario , alla produzione del morbo, la condizione essenziale mor- bosa di esso , esclusa , come dissi , una natura dia- tesica , oltreché sarebbe più consentanea alla ragio- ne per la provenienza e derivazione de' principali fe- nomeni morbosi , si renderebbe altresì atta a spie- gare, perchè un metodo curativo generale, impiegato neir idea di eccitare o deprimere l'universale eccita- mento, no.i abbia finora nullamente giovalo. Ma qui non senza apparenza di ragionevolezza mi si potrà G.A.T.LX. 8 114 Scienze obbiettare : In qual modo si darà spiegazione delle tracce di flogosi rinvenute in più parti del corpo , se il morbo cholera considerar non si debbe sicco- me morbo diatesico, e nulla avente che fare con quel- le affezioni, che da noi riconosconsi di diffusibile inge- gno ? Per crerlere che nella flogosi consista la mor- bosa essenziale condizione del morbo cholera io ri- sponderò in primo luogo, che sarebbe necessario, che le traccie di essa sempre e poi sempre sempre si fos- sero rinvenute nelle cadaveriche sezioni di que' mor- ti nel tempo particolarmeute della presupposta flogi- stica reazione : 2. che sempre e poi semjire il mor- bo avesse presentati i suoi particolari caratteri flogi- stici, siano di manifesta corrispondenza, siano di oc- culla o clandestina , come si vuole , quando si cre- dè subentrata all' oppressione la ridetta flogistica rea- zione : 3. che i mezzi di universale azione impiegati per frenare una tale flogistica reazione avessero cor- risposto air indicazione di controstimolare , ossia di calmare o distruggere i fenomeni morbosi del morbo, come suole accadere nelle altre flogistiche affezio- ni accompagnate ad irritazioni ; quando però si fos- se persuasi , che una flogosi prodotta ed alimentata da irritazione potesse indipendentemente dall' irri- tazione medesima essere frenata. D'altronde sappiamo che non sempre si sono rinvenute traccie di flogo- si in que' cadaveri , in cui si doveva assolutamen- te credere accaduta la flogistica reazione ; che i mor- bosi fenomeni del cholera dal principio al flne hanno presentata una costante identicità , e finalmente che nulla di vantaggioso si è fino ad ora riscosso dall* uso ed applicazione de' rimedj di dinamica azione, sti- molanti e controstimulanti , che i medici o ne' di- versi stadj della malattia praticarono, o usarono in lutto il curso dcJIa medesima tanto coli' idea di som- CnOlERA MORBUS 1i5 pie slimolarc , quanto coli' iJea eli sempre dcpritne- re. Per tali ragioni adunque sarebbe di necessità il convenire , che le flogosi nel corso del morbo acca- dute, non avessero fallo parte della morbosa essen- ziale condizione del cliolora , ma che piuttosto do- vessero riguardarsi siccome fenomeni accidentali o di complicazione , prodotte forse dall' orgasmo in cui la macchina fu posta per la tormentosa azione del prin- cipio irritante , e che nulla avessero di comune col fondo del morbo medesimo. 33. Se dunque la morbosa essenziale condizione del cholera non consiste ne nello stimolo , ne nel coutrostimolo , e che tanto i rimedj stimolanti quan- to ì deprimenti a nulla valgono per vincere e debella- re il morbo cholera, che cosa dunque si farà per la cu- ra di si terribile malattia ? L'irritazione e gli effetti che da essa derivano ( angioidesi ) essendo da' mez- zi compensativi infrenabili, qual cura si stabilirà egli ? Ecco per me uno scoglio insormontabile, che sin dal principio di questa lettera ha occupato il mio spiri- to; ne saprei qual cosa ora adurre di persuadente e plau- sibile, che potesse essere atta a rischiarare cotesta patologica questione. Per essere però coerente con me medesimo io mi vedo nella necessita di riportarmi a quanto asserii , quando parlai delle diverse cagioni che producono irritazione. Riguardando il morbo cho- lera come prodotto d' irritazione di un particolar miasma nel nostro corpo introdotto , a me parreb- be, che per distruggere ed annientare gli effetti mor- bosi, che da esso derivano , altra strada non vi fosse che quella , o dell' espulsione dal corpo del principio me- desimo , ovvero della sua neutralizzazione. Ma co- me ciò otterrassi .'* Forse rispetto al primo mezzo di distruzione co' colefacienti, sudoriferi, o alcssifamar- 8* ^ìQ Scienze chi (a) ? Certo è die il moibo cliolera quando ha presentato luslngìie di guarigione , e quando fe- licemente giunse al termine del suo corso , un co- pioso sudore , e non più di gelida e glaciale natura, fu il foriere del suo finir salutare. Ma se i mezzi di dinamica azione non agiscono per l'irritazione che esiste , come potrà riscaldarsi il corpo ed indur- lo a traspirare ? E per rispetto al secondo mezzo , cioè per la neutralizzazione del principio miasmatico, che cosa dirassi ? Fin qui nulla si è sperimentato sotto un tale rapporto , e nulla per conseguenza potrebbe asserirsi ed assicurarsi se con un metodo siffatto po- tesse pervenirsi a sanare la malattia. Vero è, che vo- lendosi praticare di tali esperimenti farebbe mestieri ricorrere all' empirico sistema. Ma (juando non vi fos- se modo a trattare altrimenti una malattia , perchè si vorrebbe rinunciare di far pruova di un sistema, che pur si sa aver qualche volta prodotto salutevoli tfFelli ? Se noi in oggi curiamo con felicita di risul- tato le febbri intermittenti, e con somma nostra com- piacenza nel termine di poche ore vediamo vincersi colla china la piìi spaventevole perniciosa , che altre volte tutte irreparabilmente terminavano con la morte, noi dobbiamo forse ad un esperimento casuale e for- tuito di un farmaco , che in seguito è per noi di- venuto l'unico e sicuro campione per vincere e de- bellare cosi terribili malattie ? Que' rimed] , che so- nosi fino al presente giudicati valevoli al disinfetla- mento dal cholera, non ])otrebbero forse nei modi con- venienti e permessi sperimentarsi internamente o sotto (a) Anche il douIssiiHo Oltaviani opinava di leutare il me todo classifarmaco. CriOLERA MOBSUS ] I T forma di gas nel tubo intestinale iniettati , o deglu- titi , ovvero in qualche modo respirati ? (a) Non po- trebbero tali medicamentosi agenti decomporre o di- struggere il principio miasmatico produttore del mor- bo cholera ? A noi però gioverà sperare che ta- li esperimenti non abbiano ad aver luogo fra noi , e moltissimo confidare nella divina previdenza ,, che ci tenga lontani dall' aggressione di si formidabile ne- mico , da cui per sua somma bontà siamo stati fino al presente preservati. 3|. Eccomi finalmente al termine del mio lavo" ro , forse un pò* più prolisso di quello che a lettera si convenisse : ma mi è andato crescendo fra mano. Ciò però che in esso io opino tanto relativamente al- le quattro condizioni morbose al cholera da voi as- segnate ed alle corrispondenti curative indicazioni , quanto alla giudicata natura contagi osa del morbo, io non intendo di averlo detto , che dubitativamente, se mai per avventura in modo atlerraativo mi fossi espres- so. Anzi solennemente dichiaro , che qualora io mi trovassi nella dolorosa circostanza di dover curare cosi terribile malattia , da cui ne tenga il cielo lontani, non mi dilungherei mai dalle dottrine sublimi » che voi sul cholera avete tanto magistralmente e savia- mente statuite. Voi non ignorate che io sono vostro ammiratore , e che la persuasione ha fatto che a me servan di norma i vostri insegnamenti. Qualunque me- (a) L'illustre cavalìer D. Magliari dì Napoli j onde ria-- oimare la sanguigna circolazione nel morbo cholera ed allon- tanare quel freddo veramente glaciale che opprime i chole- rosi sarebhe stalo di parere, che si facesse agli Infermi respi-" rare il gas assigeno puro. 118 Scienze dica persecuzione non potrebbe mai riuscire ad alt»;- rare la favorevole opinione, che si h in me radicata dalle vostre per me iucoutrastabili dottrine. La quale opi- nione hanno poi in me confermata i risultati tera- peutici , che in ogni circostanza ho sempre ottenuti , e che sono quelli appunto , che voi avete promessi a coloro elle seguiranno le vostre tracce. Il che non è piccola consolazione per chi cerca l'altrui bene. Vi- vete felice quanto voi meritate ed io desidero. Roma li 10. Luglio 1834. 119 LETTERATURA // natale di Roma celebrato dalla pontifìcia accade^ mia romana di archeologia Vanno delV era volga- re MDCCCXXXir^ dalla fondazione della città MMDLXXXIII. u, na costumanza tutta bella di amore di patria e d'italiana gentilezza fu quella dell' accademia romana fondata da Pomponio Leto , la quale celebrava con .so- lenne banchetto il natale di Roma. Il marchese L." Biondi presidente della pontificia accademia di archeo- logia , la quale da quella del Leto vanta la origine , si è piaciuto a tornare in onore un uso cosi lodevole; drittamente stimando, che pur quest' una parte del re- taggio nobilissimo di que* primi accademici fosse da ricogliere e mantenere, E non ebbe prima aperto all' accademico consesso l'animo suo intorno a questo pro- posito , che fu d'un consenso e d'un plauso stabilito quello che l'ottimo e benemerito presidente propone- va. Pertanto deliberato il convito pel giorno XXI di questo mese dì aprile dell' anno 1834 dell' era cri- stiana , della citta fondata 2583 , si riunirono i so- ci sul monte Aventino , amenissimo e principale de' colli di Roma , e propriamente nelle aule del palaz- zo annesso al monastero di S. Alessio. Le quali aa- 120 Letteratura le , decorate eoa regia magnificenza da Garlo IV mo- narca delle Spagne , furono aperte all' accademia per cortesia del reverendissimo padre D. Ippolito Mon- za, abate e superior generale de' monaci girolamioi la S. Alessio. Fu il primo dimorare nella biblioteca stata di uso deir illustre padre abate D. Felice Nerini. Ivi perchè nella tenerezza della memoria auspicatissima che si celebrava non mancasse Taspelto dell'ottimo prin- cipe Gregorio XVI, decoro insigne dell* albo dell* accademia , si vedeva , per cura del presidente , lo- cato il busto della santità sua di colossale grandez- za ; opera condotta di franco e grandioso stile dal va- lentissimo professore sig. Adamo Tadolini , e donata air accademia dal socio d'onore monsignore Antonio Tosti pro-tesoriere generale della R. G. A. Si parve veramente in questa adunanza tutto il decoro della romana accademia. Le più eccelse dignità , i nomi piiì illustri , i piià fra coloro che sostengono la gloria del- le romane lettere e delle romane arti , si vedevano quivi riuniti ; formando quasi eletta corona al sovra- no gerarca. Vi sedevano , de' principi eminentissimi della S. R. C, i signori Cardinale D, Placido Zurla , vicario di N. S. e prefetto della sacra congregazione degli studi. Cardinale Giuseppe Antonio Sala , prefetto della sacra congregazione dell* indice. Cardinale Gastruccio Castracane degli Antelminelli. Cardinale Mario Mattei. Cardinale Niccola Grimaldi. Allora il signor marchese presidente diede lettu- ra d'un suo affettuoso e bene ornato discorso , scritto a dettatura di quel sommo amore eh' ei nudre per Ro- ma sua patria , e per l'accademia che si onora del «uo reggimento. Non potrebbe esprimersi a parole la Natale di Roma ^21 coraraoilone e rentiisiasmo destalo dal suo dire : al quale com' ebbe infra i plausi posto fine , decreta- rono i sodi , proponendolo reraioentlssirao sig. car- dinale Zurla , che il discorso avesse a farsi pubbli- co con le stampe. Si passò quindi alla camera ove era decorosa- mente imbandita la mensa , che fu onesta ed allegra ricreazione ai corpi non meno che agli animi. Essendo da poi convenuti nuovamente i soci nella biblioteca , no;i mancò chi in latino e in volgare espri- messe sentimenti analoghi alla ricordanza e alla le- tizia del giorno (1). Da ultimo scesero gli accademici a dilettarsi nella amenità dei giardini , che di due lati il palazzo cir- condano* Dove fu grandissima soddisfazione e con- tento il considerare la insigne ampiezza , nobiltà e decoro di quella citta , della quale appunto allora si ricordava l'umile nascimento. Imperciocché da quell* elevato colle , e le antiche maestose rovine , e il mi- racolo del vaticano , e le moli della rinnovata citta, sì veggono come in immenso anfiteatro presenti allo sguardo. Cosi , trascorsa già gran parte del lieto gior- no , si dipartirono i soci, non senza mostrare desi- derio , che in tal luogo , e con tale onesta pompa, il natale di Roma fosse sempre nell* avvenire dagli archeologi festeggiato. (i) Furono il marchese G. Melchiorri, il eavalier P. E. Vi- sconti , il padre Gio. Battista Rosani , il conte G. Àiborghet- ti , il eavalier T. Monaldi , monsig. A. BonclericL 422 RAGIONAMENTO DEL MARCHESE COMMENDATORE LUIGI BIONDI PRESIDENTE DELL' ACCADEMIA Incljta Roma Imperium terris , animos aequahit Ol/mpo , Septemqne una sihi muro circumdabit arceSy Felix prole virum. Virgil. Aeneid. VI , v. 781 et seq. Il celebrare con solenne convito i giorni nata- lizi fu ( eminentissimi principi , prestantissimi colle- glli ) fu costumanza in uso agli ebrei , come rive- lano le sagre carte (1) : era in uso ai persiani , come abbiamo da Ateneo e da Platone (2) : e più elle a niuni altri popoli era in uso ai greci e ai ro- mani ; de' quali i primi davano a quelle sollennita e a que' banchetti nome di Tsvsù\ix ; i secondi nome di natalitia . Ne solo i figli ai genitori , e questi a quelli , e gli uni agli altri amici si gratulavano nei ritornare del giorno della ior nascita ; ma ciascuno eziandio solca far festa a se stesso, convitando le persone più caramente dilette. Perciò Virgilio fa dire a Daraone : O loia , mandami la mia Fille : perocché oggi è il giorno mio natalizio (3). E Cicerone interrogando se (i) Matlb. e. XIV. V. 6, Marc e. VI. V. 2X. (2) Allicn. lib. XV. Plat. in Alcibiade i. (3) Ecl. III. V. V. 75. Natale di Roma 423 stesso ; Perchè oggi non discende Antonio ? risponde: Dà il banchetto natalizio ne suoi giardini (1). Di che si viene a conoscere che questi banchetti si- da- vano in luogo aperto ed ameno. La formula , con che i convitati salutavano colui del quale ricorreva il natale , era questa conservatici da Plauto : O tu nato oggi^ 0 tu nato oggi ^ io dico a te : o nato og' gi , gli dei ti sahino (2) ! Furono eziandio i festevoli conviti posti io uso a celebrare i giorni natalizi degli uomini illustri: s\ mentre ancor essi vivevano , come i cavalieri roma- ni erano usati di dar feste , e di far convito nel di natale di Augusto (3), e come Tibullo celebrava quel- lo del trionfatore Messala (A); s\ pure dopo la loro morte , come Seneca narra di se medesimo , che so- leva celebrare i giorni natalizi di coloro i quali in gran- de fama fossero pervenuti (5) ; come Plinio narra di Silio Italico , che festeggiava la nascita di Virgi- lio (6), e come da a conoscere il Genethliacon che Stazio scrisse in onore del poeta Lucano (7). Ma di queste cose non farò piiì parole , peroc- ché assai no scrissero tra gli antichi Gensorino del dì natale , e tra ' moderni Giosefo La urenti nell' ope- ra su i giorni e conviti natalizi. Venendo adunque piiì dappresso al mio propo- sito dirò , che ab antico solevano pur essere feste g- (1) II. Philip, e. 6. (2) Pseud. Act. I. se 3- v. 236. (3) Svet. in Aug. e, Bj. i. (4) Lib. I. El, 7. (5) Senpc. Epist. 64- (6) Plin. Epi.st. Lib. III. (7) S3-lv Lib. I. VK. 124 LKTTKRATOtlA giatl i giorni , iti che qualche celebre cilta fosse «ta- ta edificata. Tacendomi di tanle altre , io raramente- rè solo le feste che si facevano pel di natale di Ro- ma , appunto in questo giorno 21 di aprile, in che il sole entra nel celeste segno del toro. Ed erano queste feste una stessa cosa colle palilie. Su che e a vedersi Ovidio nel IV de' Fasti , laddove ne svela l'origine ; e grida tutto pieno di calor poetico: Giuft" se il giorno della origine di Roma. O Quirino^ deh tu stesso alle tue faste intervieni ! (1) Fu poi que- sto giorno appellato col nome DIES ROMANA (2); e l'imperatore Adriano statuì che a meglio festeggiar- lo fossero pur dati giuochi pel circo, come si ha da una sua medaglia. Ristabilì l'uso di solennizzar questo giorno la no- stra antica accademia romana , a cui il Tiraboschi da vanto di essere stata la prima che fiorisse in Eu- ropa , e che illustrasse e raccogliesse marmi o scritti o figurati , dando cosi cominciamento al primo mu- seo (3). Questa accademia , alla quale noi succedem- mo , era già in fiore sulla meta del secolo XV. Era- ne fondatore Pomponio Leto , ed aveva a compagni Bartolommeo Platina , Filippo Bonaccorsi conosciuto Col nome di Callimaco Esperiente, Marco Antonio Sa- bellico , Andrea Fulvio , Corrado Peutingero , Iaco- po Volaterrano , Paolo Marsio ed altri di bella fama. Erano in corrispondenza di lettere coli' accademia il Fontano , il Poliziano , Pietro Martire d'Anghiera , e altri molti che si dimoravano fuori di Roma. Adun- (i) Ovid. al luogo cit. V. 8oi, e segg. (a) Dipnosop, L. Vili. e. i6. (3) Tiraboschi lòin. VI. lib. i. e 5. $. 17. pag. 162. edi«. raodeD«ge del 1776. Natale di Roma '125 que gli accademici clie erano in Roma si riunivano a festeggiarne il natale. Uno del loro numero legge- va un ragionamento appropriato alla fondazione di que- sta eterna citta; e quindi tutti banchettavano, o sulT Esquilio , o nel palazzo capitolino, Quest* uso era già in vigore Tanno 1483. Di che fa fede Iacopo Volaterrano , che ci ha lasciato ri- cordo ne' suoi Diarii s\ della festa , e si del convi- to , con che in quell* anno il natale di Roma fu ce- lebrato. I sodali si riunirono sul monte esquilino pres- so la casa di Pomponio : Paolo Marsio declamò l'ora- zione : fuvvi poi elegante banchetto , al quale in- tervennero non meno che sei vescovi, oltre a gran nu- mero di uomini chiari o per dottrina o per nobiltà. A mezzo il convito fu letto l'imperiale diploma di Federico III, dato l'anno precedente 1482, in cui molti privilegi erano conceduti a quel romano con- sesso (1). Poi nel 1508 fu dall' accademia con grande pom- pa celebrato il natale di Roma sul Campidoglio : e con pompa anche maggiore nel 1520, nel quale an- no si ebbe cura che la statua di Leone X, innalza- ta per decreto del senato sul Campidoglio , venisse solennemente dedicata lo stesso giorno in che cele- bravansi le feste natalizie di Roma. Abbiamo a stam- pa il ragionamento che fu letto in quel dì solenne da Pietro Mellino nobile romano , giovane di altissi- mi spìriti. A me , onorato della presidenza di questa pon- tificia accademia romana , e sembrato essere cosa lo- devole che siffatta costumanza venisse rinnovellata. (r) Iacopo Volalerrano in un MS. estense pubblicato dal Mu- ratori, Rer. itul, script, voi. XXX. p. i85. L. C. 126 Letteratura Imperocché se coloro i quali si eLbero in sorte di avere avuta a madre una saggia , forte , e gloriosa matrona , hanno buon diritto di festeggiare il giorno, in che ella venne alla luce ; che non dovremo far noi nel giorno natalizio di questa nostra comune ma- dre , che appena nata fu grande; che .trinse a se gli altri popoli noti tanto colla forza delle armi , quanto colla santità della religione , e colla saggez- za delle leggi ; che allargò l'imperio su tutta quan- ta la terra , cosicché la storia di Roma comprese in se la storia di tutto il mondo? Che non dovremo far noi nel giorno natalizio di questa comune madre, noi che facciamo segno ai nostri studi le antiche cere- monie , gli antichi scritti, i vetusti edifici, e le ope- re dei grandi artefici ? E dico comune madre , pe- rocché Roma non è solo madre a noi che in questo suolo nascemmo , ma e madre altresì ad ogni arti- sta valente, ad ogni dotto archeologo : conciossiachè non possa ne in eccellenza d'arte salire , ne acqui- star piena fama di uomo profondamente dotto in an- tichità , chi da questa Roma il vitale latte non sug- ga , chi non s'infiammi alla lettura de' nostri classi- ci , alla narrazione delle gcste de' nostri progenitori, all' aspetto de' nostri edifici , delle nostre pinacoteche, de' nostri immensi musei. Nostri furono , benché nati fuori di Roma , Raffaello , Michelangelo, il Palladio, il Vignola. Nostro fu a' recenti tempi il Canova : ne solo fu nostro il celebre Ennio Quirino Visconti qui nato ; ma nostri furono eziandio e il Bottari e il Ve- nuti , soci di questa accademia nel pontificato di Be- nedetto XIV, e il Vinckelmann, e Gaetano Marini , e quello spirito qualche volta sdcg^noso , ma sempre in- nocente dell' eruditissimo Amati. Ne il Thorvaldsen è meno nostro che il Camuccini. Oltre a che Roma è [mr comune madre a tutti Natale di Roma 127 i credenti. Quanto mai sono mirabili le vie , per le quali la mano suprema conduce gli umani eventi ? Nacque Roma pagana ; ed ebbe , come considera Lu- cio Floro (1) , quegli spazi di età che aver soglio- no i corpi umani. Questi spazi si divisero presso a poco in quattro età uguali , di anni 250 per ciasche- duna. La prima fu sotto i re , quando il popolo ro- mano , rimanendosi intorno alla sua madre , lottò lun- gamente coi popoli confinanti. Questa potè dirsi la fanciullezza. Nei seguenti 250 anni Roma , forte d'uo- mini e d'armi , assoggettò tutte le terre d'Italia. E fu questa la gioventù. Giunse a maturità ne' poste- riori anni 250 , che corsero fino ad Augusto , quan- do ella si rese padrona pacifica di tutto il mondo. Ed ecco nascere il divin Redentore. Imperocché , sic- come notano santo Agostino (2) e il magno Leone (3), aveva l'arcana provvidenza preordinato , che Roma di tutti i popoli dell* universo , già divisi di costumi e di lingua , dovesse formare un impero solo , perchè al nascere del rigeneratore di tutti , per la uniformi- tà quasi universale degli usi e della favella , fosse più agevole la propagazione del vangelo ; e a quell* impero guerresco succedesse l'impero della religione di pace. E di vero , per gli ultimi 250 anni , che possono essere chiamati la vecchiezza di Roma pa- gana , andò il cristianesimo dilatandosi via via , fia- (i) In prologo. (2) S. Agost. de civ. Dei L. IXX. e. 7, ed altrove. (5) Leo papa. Serra, i. de SS. Apost. Petro et Paulo. Dìsposito divinitus operi maxime congruebat , ut multa re- gna uno confoederarenlur imperio , et cito pcrvios haberet pepili iS praedicalio gcneralis , quo5 uuius tenerci regimen ci- vìtaliù. 428 Lettsràtora che nacque Costantino , cognominato il grande , il qua- le doveva cedere alla religione cattolica quella sede , che da dieci secoli indietro era stata preordinata per essa. Chiunque abbia letto Dante consideratamente , avrà potuto conoscere come questo ordine di prov- videnza è , per cos'i dire , l'anima del suo poema. In tal guisa Roma pagana fu simile alla immor- tale palma che , cedendo agli anni , si riproduce. Sur- se un nuovo ordine di secoli : gli antichi monumenti santificati fanno ora resistenza alla vorace furia degli anni : i sorami pontefici qui chiamarono le lettere , le scienze , le arti : Roma signoreggiò in altra gui- sa tutto il mondo; e tutto il mondo fu nuovamente ROMANO. E romano sarà fino alla consumazione de* tempi ; e i re e i popoli curveranno la fronte a Roma ; e le arti , e le scienze, e le lettere sotto il vessillo di pace qui si riposeranno tranquille. Recatevi adunque a gloria, o coHeghi, Tessere na- ti in Roma : e voi , che in Roma non nasceste , re- catevi a gloria l'essere divenuti romani. Rechiamoci tutti a gloria il festeggiare la ricorrenza di questo giorno. Ci allegri l'ampia veduta di Roma , che ai nostri sguardi è sottoposta. Ci allegri la vista di que- sto monte , alle cui falde approdò l'Lnea nostro pro- genitore ; ne prima alcun altro de' sette colli vide che questo : questo , cui diede nome Aventino , uno di que' re d'Alba , da cui discesero i re di Roma : que- sto , dove furono i tempii di Diana aventincnse, di Ercole , della dea Buona , e di Giunone regina , che era pur chiamata natale , perocché soprastava a tutte le solennità natalizie : questo in fine, dove i ro- mani si esercitavano a quelle armi che dovevano cou- quistar l'universo. Ed oh come mi è dolce il veder qui raccolta una gran parte del più bel fiore di Roma ! N^ cer- Natale di Roma 129 lo potrebljesi altrove formare ragunauza più bella che non sia questa , dove la grandezza e la scienza amo- rosamente si affratellano insieme. Qui , se non la sa- gra persona , abbiamo almeno innanzi agli occhi la venerala immagine del sommo pontefice Gregorio XVI, che è pur nostro collega : che ama e protegge le arti e le cose antiche : che fa discoprire gli avanzi del vicino foro romano : che vigorosamente accelera la riedificazione della basilica ostiense , e il doppio traforo del monte Catillo per dar passaggio all' Anie- ne : che aspetta tempi migliori per agguagliare la munificenza di Giulio e di Leone , come agguaglia sì le affabili maniere e la costante fermezza, e s\ la rettitudine de' due ultimi Pii. Qui eminentissimi prin- cipi, cultori e proteggitori delle romane antichità, fra' quali il celebrato illustratore de' viaggi di M. Polo. Qui eccellentissimi personaggi , dalle cui illustri fa- miglie uscirono sommi pontefici, promotori degli stu- di archeologici , abbellitori di Roma, grandi , muni- fici : fra' quali quel Paolo che diede l'ultimo compi- mento al vero miracolo dell' arte , eh' è il Vaticano: e quel Clemente che diede principio al grande museo capitolino , e ornò dì fronte la madre chiesa latera- nense. Ne degeneri sono questi loro egregi nipoti : che l'uno è contento che una sua grande e delizio- sa villa , non inferiore , cred' io , a quelle de' Sal- lusti e de' Luculli , sia delizia del pubblico , ed ivi ha raccolto e statue , e marmi scritti, ed altre ma- niere di antichità ; generosamente consentendo , che tanto queste quanto le celebrate pitture del suo pa- lagio libere si rimangano al guardo degli studiosi. Oltre a che egli lenta questo sagro suolo , perchè antiche cose n'emergano. L'altro ha grandiosa colle- zione e di rarissime incisioni in rame , e di cospi- cue pitture , di presso che infinito numero di libri a G.A.T.LX. 9 130 Letteratura slampa e di codici ; e liberamente al comun bene n'è largo II terzo è direttore benemerito di un ri- nomato giornale , volgarizzatore esimio della Repub- blica di Cicerone ( discoperta dal nostro celebre col- lega monsig. Mai ), ed autore di altre leggiadre ope- rette. Qui sono pure dotti prelati. Veggo tra que- sti quel cortesissimo , che porta al trono del som- mo pontefice le preghiere de' sudditi che addimanda- no grazie , e ne riporta e ne interpreta i benigni decreti; e regge oltre a ciò la romana università, ove decorosa sede all' accademia nostra fu conceduta. Veg- go queir operoso che incessabilmente si travaglia per- chè rifiorisca l'erario pubblico , come ha fatto già rifiorire il più grande non dirò de' nostri , ma degl* italici ospizi : veggo i due , che , per mio avviso , sono da paragonare a quel Fabio , cui da lode Tul- lio di essere stato ben perito non che della giurispru- denza, ma sì pure delle lettere e dell'antichità (1). Qui in fine celebri artisti ; qui preclari illustratori di libri classici ; qui uomini versati in ogni guisa di scienze. Il perchè in me stesso mi esalto, o signori , di aver dato opera che tanti egregi spiriti qua conve- nissero , a rinomanza e a decoro della nostra accade- mia , e della cittk delle maraviglie, che è Roma; alla quale SIA FAUSTO , FORTUNATO , E FE- LICE L'ANNO SUO MMDLXXXIII, che ha in que- sto giorno comincianiento. (i) Cic. de dar. orat. e. 2i. Fabiiis Pictor et iun's et lit- terai'um et autiquitatis bene peritus. 131 // Castrum Felicitatis. Memoria dal canonico Giulio Mancini diretta alla accademia della Pialle To- sco-Tiberina. N. ella ricerca del Pitino di Tolomeo dovenimo tenta- re degli slanci a traverso di folta nebbia in un in- cognito sentiero per volar al di sopra di tutte le ri- cevute opinioni , e con un corredo di cose nuove dar vita ad una patria negletta tradizione sena' al- tra speranza, che meritar potesse una preferenza tra quelle ch'erano corse (Giorn. Arcad. Tomo A4). Al contrario nella ricerca del Castrum Felicitatis del mezzo tempo , che la prima volta comparisce sul- la geografia l'anno 715 in pergamena aretina presso Muratori ( Dis. 74 ) con una sentenza di Liutpran- do, dove leggesi Tkeodoro episcopo Castri nostri Fe- licitatis (a), possiara camminare con passi accertati per via luminosa , non già per moltiplicar proseliti ad una opinione , che oggi giorno quasi tutti gli erudi- ti preferiscono ad ogni altra, ma per elevarla al gra- do di verità dimostrata. Già s'intende , che io par- lo di quella opinione , per cui si tiene , che il det- to Castrum Felicitatis altro non fosse , che Città di Castello. Di tutt' altro parere furono alcuni autori. Nel libro de' censi della chiesa romana formato dal cardi- nal Cencio camerlingo, pubblicatodal Muratori (Dis. 69), leggesi: la episcopatu civitatis Castellanae ipsa Civi- tas^quae antiquitus vocabatar Castrum Felicitatis, XX f^ solidos lucenses. Ecclesia Sancii Salvatoris XII lu- ccns. Ecclesia S, Angeli Vesprini in Castro Ste- 0* 132 Letteratura farti Azarii llbrain unain cerne. Valerianum Ca^ strum XX solidos. Queste indicazioni spettano a Ci- vita del Patrimonio , non a Citta di C;istel!o. Il car- dinal Cencio però nella sua età , nella quale in Ro- ma conosceasi bene il Castram Felicitatis ec, non ap- pose certamente quelT illustrazione , qiiae antìquitiis ec, e così questa debbe attribuirsi ad un camerlin- go di oltre il 1400 venuto in tale opinione, quan- do già era tal denominazione antica divenuta e pri- vativa degli storici. A Civita del Patrimonio simil- mente fu tale indicazione anche dall' eruditissimo Giorgi attribuita {Senes episc. eccl. setinae num. 34). Il padre Ciatti nella storia perugina giudicò , che con tal nome venisse chiamato Castro gik ducato dei Far- nesi, ora distrutto. Che pur fosse cosi ebbe dubbio anche Cosimo dell' Arena (March, di Tose, parte 1) . Altri poi dichiararonsi inclinati a credere Citta di Ca- stello il Castel della Felicita , in linea però di sola opinione. Nelle sue istorie scrisse già s. Antonino del Caslello della Felicità : guod non nulli civitatem Ca- stelli esse affirmant. Il chiarissimo Muratori ( Dis. 74) Sdisse : Castrum ( della Felicita ) qidppe non aliiid ^ qiiain Tifernum fuisse barbaricis saeculis eruditi neo ininierito consentiunt. Il chiarissimo dott. Lami (DeliCi Erudii. Cion. Leon. pag. 208 ) sì uniformò al lin- guaggio di S. Antonino dicendo: Hoc (Castello della Felicita ) non nulli civitateni Castelli^ sive Tifernuìn esf;e affirmant. L'eruditissimo P. maestro Mammachi ( de episc. hort. cap. 6, pag. Ti. ) notò Castrum Felicitatis non civitalem Castellanam^ sed Tìfernwn fuisse arbitrar : e di questo medesimo tenore parla- no con essi tanti altri senza che veggasi l'opinione pas- sata nel rango d'una indubitabile istorica verità. Due sono le fonti , che su di questo particolare fomen- tarono la cauta dubbiczaa degli scrittori. La prima è, Gastrum Felicitatis 133 che dì quelli , che ne hanno parlato , chi ad uno ohi ad un altro documento si è appoggiato , da cui non potea risultare che una probabilità^ La secon- da è, che sebbene dal complesso delle cai te pub- blicate avesse potuto concludersi una dimostrazione; tuttasrolta per riuscirvi occorrea formar questo com- plesso , di che nessuno mai si è occupato. Il chia- rissimi) cardinal Garampi ( indice alla vita della bea- ta Ghiara , voce Castriim Felic. ) promise colle car- te da lui vedute in Arezzo di mostrar , che Tiferno era il castello della Felicita ; ma questa dimostrazio- ne non venne mai alla luce. Ultimamente il sig. cav. Giuseppe Andreocci, con una nota in fine del suo libro sulle cose pregevoli di belle arti dì Citta di Castello, volle convincere i suoi lettori di esser que- sta il Castello della Felicita; e ne dette per prova si- cura la lettera 60 tra le cosi dette caroline, la bol- la di Stefano II del 752 pubblicata dal Muratori (dis.7/i), e r autorità dell' anonimo Ravennate. Ma con sua buona pace quella lettera e quella bolla provano soltanto l'esistenza d'un Castrwn Felicitatisi appunto come i diplomi di Lodovico I ed Ottone I impera- tori, senza dare argomento per crederlo Citta di Ca- stello : e l'Anonimo , per quel che diremo in appres- so, non è di una autorità dimostrativa. I nostri scrit- tori a penna avv. Niccolò Buratti ed avv. Giusep- pe Segabelli , che memorie lasciarono su dì questo punto istorico , oltre che nulla pubblicarono , niente più poi conclusero di certo , se non che alcuni luo- ghi della nostra diocesi posti al nord-ovest diconsi nelle antiche carte in Castro Felicitatisi Ma se ciò serve ad escludere l'opinione del Giorgi e del Ciat- ti , ed a generare opinione in favore di Citta di Ca- stello , è ben lungi dall' essere una dimostrazione. E che ? Non poteano avere spettato al Gastelln della Fé- 134 Letteratura licita come a Citta Nuova ? Questa forse per esempio tra Arezzo e Tiferno potea stendersi col suo distret- to anche sulla sinistra del Tevere nella parte situata al nord-ovest , includendoci quei luoghi , che ora son territorio di Citta di Castello. Certo è , che non po- tea idearsi dagli autori una nuova sede episcopale , senza ammettere , che dovea anche una diocesi pos- sedere : e questa bisognava necessariamente, che fos- se composta di membri potati ad una o ad ambe le limitrofe diocesi aretina e tifernate . Col tro- varsi dunque alcuni luoghi del Castel della Felicita sul territorio tifernate , non era stato fatto altro che illustrare l'estensione della diocesi del Nuovo castel- lo suddetto, senza escluderne la sua separata esisten- za nei secoli anteriori. Quindi un principio di dubbio dovea sempre restare. Noi dunque per portar questo punto storico , che ha parecchi rapporti e coli' ec- clesiastica e colla profana storia, al grado di cosa di- mostrata , indicheremo colle respettive locazioni sull* orizzonte tifernate tutti quei luoghi , che si cono- scono avere spettato alla diocesi e territorio Castri Felicitatis , e dalla situazione di essi verrà chiara- mente a conoscersi , che Castrum Felicitatis non fu mai diverso da Tiferno. ARTICOLO L Si dimostra che Tiferno è il Castrum Felicitatis. Ora dunque, per dar principio all' indicazione del- le località, ci si presenta un testamento pubblicato negli annali camandolesi rogato nell'anno 1073 (tom. 2 appen. nura. 142) . Ivi un ricco signore per no- me Rando (forse Aldebrando ) di Bulgaro lascia al monastero di san Salvatore , ora dei camandolesi di Castrum Felici tatis 135 Monte Corona , molti beni che tutti diconsi esiste- re in Castro Fellcitatis , cioè nel suo territorio. Noi esponiamo le cose testate secondo l'ordine dei pun- ti , che relativamente alla città come a centro oc- cupano suir orizzonte. S' incomincia dalla pieve di santa Maria sita ca Morra , cioè casa di Morra , ora detta semplicemente di Morra , situata alquanto in- dietro al sud-sud-est , dal sud procedendo ali* ovest. In questa pieve dispone della sua porzione della chiesa di s. Leone , la quale è d'appresso al pun- to del sud-est , e della chiesa s. Martini a Peri- to , oggi di Pereto , che s' avanza non lungi ol- tre il sud-sud-ovest. Testa del castello di Pietina ^ oggi Petena , che accosta il sud-ovest. Similmen- te dispone della sua meta de castello de Plan- terano , colla terza parte della chiesa di san Lo- renzo ivi situata . Questo castello ora è diruto , conservandosi la chiesa , e dicesi Piantrano sifuato al sud-ovest . Dice che questo luogo è nella pie- ve sancte Marie sita Mante « oggi del Monte Santa Maria , che era nel 1250 già signoria dei marchesi del Moiite (giorn. arcad. ottobre 182G), pieve posta alquanto oltre il sud-ovest. Discorre della pieve Sancii Petri sita tc^erina , cui da secoli si da il nome di santa Maria di Teverina per titolo aggiunto all' an- tico di sau Pietro , essendo anche stati riuniti i suoi diritti archlpresblterali alla vicina pieve d'Upplano. Essa è collocata non tanto avanti al punto dell' ovest. Dispone slmilmente della sua porzione del ca- stello di Corzano , e della chiesa di s. Angiolo ivi esistente, che oggi sola è avanzata alla rovina. Que- sta trovasi circa all' ovest-sud-ovest. Parimente del- la sua parte del castello de Vetiirita^ oggi Biturita, passato sotto la pieve di Colle , e posta all' ovest- nord-ovest. Testa finalmente d'alcuni suoi beni esi* 136 Letteratuiia stenti nella pieve di Uppiano , che al sud-ovest cor- risponde. In questo grand' arco cominciato d'avanti al sud, e terminato all' ovest-aord-ovest, si estendo- no i nominati luoghi a diverse distanze da Citta di Castello nel suo territorio e diocesi , delle quali la maggiore è di circa quindici miglia in san Leone, la minore è d'un miglio nella chiesa di sant'Angelo di Corzano , e di poco pili nelle pieve di Uppiano e dì Teverina , che colla giurisdizione giungono per si- no alla destra del Tevere , cioè sin d'appresso alla citta. Pur sin qui chi avesse sospetto, che questa par- te di territorio e diocesi spettato avesse sotto de' longobardi al Castello della Felicita supposto esistente in Toscana tra Tiferno, Cortona, ed Arezzo , potreb- be ancora ritenere un qualche dubbio. Certo è, che non vi son carte che mostrino letteralmente essere sla- ti quei luoghi sin da quell' epoca territorio tiferna- te. Ma intanto si noti , che questo solo documento serve esuberantemente a dimostrare , che ne Civita Castellana , ne Castro possono essere il Castrum Fé- licitatis. Ora andiamo innanzi. Leggesi nella diss. 62 del Muratori un diploma di Lotario dell'anno 843, col quale quest 'imperatore alla canonica aretina concede qiiandam villani jurls nostri memoratae ecclesiae, quae est constructa in honorem B. Donati confessoris Christi ad necessitates fratrum inibi consulendas , quoe vocatur Caminina, et consistit in Castro Felici- tatisi cum ecclesia , quae constructa est in honorem beati Andreae apostoli. Altro diploma d'Ottone I, pu- blicato dallo stesso autore, del 963 ( dis. 2G ) confer- ma alla canonica aretina le stesse cose coi medesi- mi vocaboli indicate in Castro Felicitatis. Esiste nelT archivio della canonica aretina un registro delle me- morie e privilegi, tra i quali è quello di un diplo- ma di Corrado II dato l'anno primo dell' impero in Casti\u.h Felicitatis 137 marzo ind. 10, che a delta canonica conferma in Ca^ Siro Felicitatis curtem de Camenina , curtein S. lu' stini , et s. Andrea de F'ertula. Una bollaceli Be- nedetto Vili dell'anno 1013 trovasi pubblicata ne- gli annali camaldolesi ( tom. I, pag. 213 )J estrat- ta dall' autografa conservata nel monastero di Fonte Buono , la quale è diretta : Abbati monasterii S. Se- pulcri , ac sanctoriim quatuor evangelistarum^ quod situm est in Castro Felicitatis in locoy qui ISociati ec. Noi abbiam citati tutti ad un tempo questi documen- ti , perchè con poca differenza sono tutti luoghi si- tuati oltre , e vicino al nord-ovest. Dura tutt' ora il vocabolo di Caminina nella nostra villa di Selci di- stante circa cinque miglia dalla citta. Non tanto lun- gi di là esiste la chiesa di s. Andrea presso il tor- rente Vertola ; e che questa poi sia quella stessa , cui i diplorai imperiali appellano , ne abbiamo riscon- tro anche in una quietanza da noi veduta ne' rogiti di ser Niccolò di Dato all' anno 1394 ( pag. 139), colla quale il sindaco della canonica aretina quieta il rettore di s. Andrea della Vertola del canone d'una libbra di pepe annualmente pagata in ricognizione del dominio di essa di questa chiesa. La corte di s. Giu- stino da tutt' ora il nome alla villa posta circa sette miglia distante dalla citta. Il monastero di s. Sepol- cro dei quattro evangelisti nell' epoca di Benedetto Vili situato in luogo soliugo dello Val di Noce , e po- steriormente col concorso della nobiltà uscita dai pro- prj castelli signoriali ( Cronica anonima in codice lau- rentiano) formato in terra illustre, che finalmente fu eretta in citta episcopale da Leone X , egli è quel monastero stesso , i cui abati v'ebbero un tempo si- gnoria feudale , e che coli' erezione del vescovato divenne residenza episcopale , e cattedrale la mona- stica sua chiesa. Procedendo ora dal nord-ovest, al- 1^*^'" Letteratura quanto più innanzi trovasi il piccolo castello di Pl- tigliano circa le cinque miglia dalla ciltk. Di que- sto luogo hassl ricordo in un atto di conferma d'una do- nazione fatta al monastero di s. Salvatore, ora dei camal- dolesi , celebrato da Raniero marchese e da Trotta sua moglie ascendente dei nostri marchesi del Monte s. Ma- ria (giorn. arcad. settembre 1826), il quale dicesi rogato nel 11 04 : In Castro Felicitatis in loco Piti- liano. Esso vedesi pubblicato nella storia dei mar- chesi di Toscana del eh. dell'Arena ( tom. 2 fascic. 3 pag. 75 ) . All' est-nord-est è situato s. Martino di Ripole, chiesa parrochiale distante anch' essa circa le cinque miglia dalla citta. Relativamente a questa chie- sa vedesi pubblicato dal Muratori ( diss. 17) un di- ploma dato il 1058 da Gottifredo marchese di To- scana , col quale conferma alla canonica aretina tra molti altri beni : curtem etiam et castellum s. Ju- stini de Melisciano , curtem s. andrene , et curtem de Cammina , terram et ecclesiam s. Martini de Ripole , et omnia ec. tam in comitatit Castellano et Aretino , quam etiam in aliis omnibus locis. Il castello in s. Giustino, che trovasi della famiglia Dotti di san Sepolcro nei secoli posteriori , poi della no- stra citta , che lo cede alla famiglia del nostri marchesi Bufalini, dovea da non molto tempo indietro essere stato costrutto. Almeno l'anno 1027 nel diploma citato di Corrado II si nomina la chiesa , ma non il castello. Si noti bene , che qui il contado del castello della Felicita, nel quale esistevano Gaminina , s. Andrea , e s. Giustino, viene ora detto contado Castellano. Per seguitare il giro dal nord all' est serve una perga- mena inedita , che però si pubblica in fine di que- sta memoria (b). Essa conservasi nelT archivio capi- tolare ( decade 2 pergam. n. 5 ), e ci fa conoscere una donazione fatta alla canonica di s. Florido Castella- Castuum Felicitatis 139 nae CAvV^/zV dell' anno 1113, da un Rodolfi) di Lan- dolfo de monte Ticino , oggi diruto castello posto suir Apennino alla distanza di circa 15 miglia dalla citta in direzione poco discosta dal punto nord -est. Il comune nel secolo XIII questo castello con Ap- peccliio , Carda , Pietra gialla , ed altre di quei con- torni dette alla famiglia Ubaldini in capilananza feu- dale , secondo gli usi di quei tempi. Ora detto Ro- dolfo dichiara di donare quanto possiede infra co- mitatiim Castri Felicitatis , cioè in rivo Candiliano , clic scorre al pie di Monte Vicino della sua parte di levante : in plano de molino posto accanto il fiu- me Biscubio circa 14 miglia dalla citta , e poco lun- gi dall' est -nord est : in Arcelle distante 13 miglia dalla citta e situato d'appresso all' est. Lasciamo , che altri verifichino i rimanenti vocaboli , che ora accertar non Lisogna. Qui la canonica di s. Flori- do , che non fu mai altra che quella di Citta di Castello, si dice esistente nella città castellana. Gli altri vocaboli succennati esistono tutt' ora nel comune linguaggio. Compiamo il giro. II p. don Roberto Cen- suario dell' abadia di Monte Corona , con una dis- sertazione stampata in Perugia sulla originale proprietà dei beni livellari della sua chiesa , pubblicò due di- plomi , che per altro a parer nostro patono qualche diflìcolta : uno di Ottone TV ( pag. 129) all'aba- zia concesso anno ine. dom. millesimo ducentesimo decimo elapso , quando le note che seguono hanno regni ejiis duodecimo^ imperii primo., e indicano quelT anno come corrente. Ad Ottone soscriveute vi si at- tribuisce il titolo inusitato a prendersi dagl' impe- ratori medesimi , cioè imperatoris sanctissimi. La ri- cognizione dell' arcicancelliere non segue dopo l'im- periale manogramma , ma dopo il facta siint haec , cioè dopo Yactum^ contro il diplomatico stile. Ter- 140 Letteratura mina colla data di Fuligno , sexto idiis ianuarii , iclest die octava : perchè questa insolita pedanteria ? L'al- tro diploma è di Federigo secondo ( pag. '137) nelT anno 1220, nel quale senza la solita invocazione della Divinità , e senza prologo proprio, quasiché la corte di Federigo non fosse stala piena di cultura, si co- pia a parola quello di Ottone, La formula signum manus, apposto al manogramma imperiale, è inusitata. In fine vi si leggono, fra gli altri testimonj, Ubirtigius pataviensis , Sifridus astensis , Bertuldas brixiensis eplscopus. Ma questi prelati non si sa da dove siano usciti. Almeno l'Ughelli ci da Giordano a Padova , Giacomo ad Asti , ed Alberto a Brescia. Termina colla data, fornita anch' essa dell' inusitata pedanteria, Octa- vo kalendas decembris^ idest 2\ novembris. Con buona pace della rotai decisione ( coram Calcagnino , de^ cembris 1730) che li tenne a calcolo pei diritti di questa abadia , non possiamo riconoscerli per legit- timi diplomi : bensì crediamo, che in origine abbiano realmente esistito , ma che poi guasti e corrotti ve- nissero spuriamente rifatti, supplendo le parli man- cate come l'ignoranza seppe dettare. Noi come di an- tiche croniche di essi ci serviamo, giacche le cose ivi concesse da altri riscontri si veggono garantite. Que- sti diplomi addunque confermano all' abad'ia , cellam sancii Benedicti de Castro Felicitatis. Qual fosse que- sta cella si rileva dalle elezioni del rettore di quella chiesa fatte dal 1293 al 1501 , che come registrate nei protocolli del monastero numera il lodato padre Ccnsuario nella sua dissertazione (cap. 3 p. 24 e seg.) , cioè s. Benedetto di Casseto, unica chiesa di questo titolo che trovasi dagli abati conferita : mentre l'al- tra dei diplomi , che il padre Censuario credette di- versa, non debbe l'esistenza che all' aver egli preso a rigor di parola il de Castro Felicitatis , non avver- Gastruui Felicitatis 14' tendo air uso cruppellarsi un territorio col nome della sua citta , di che nei documenti da noi citati in ad- dietro veggonsi pili eserapj. Certamente nelle perga- mene tifernati di vescovado non comparisce mai chiesa monastica del titolo suddetto. Ora la situazione di que- sta chiesa e presso all' est-sud-est, circa diciassette mi- glia lungi dalla citta. Ecco dunque , che partiti da questo quarto d'orrizzonle nel punto appresso il sud- sud-est, situazione di s. Leone, ci siamo rientrati sino al punto est-sud-est , locazione di s. Benedetto di Casseto. In tutto quest'ampio cerchio abbiam trovato sempre territorio dei Castel della Felicita. Facciamo ora un' altra ispezione sulle diverse maniere , colle quali si vede, eh' è stato modificato il nome di Ca- stel della Felicita. Abbiamo di sopra notato , che il contado Castri Felicitatis fu appellato Contado Ca- stellano. All' anno 769 nel concilio romano tenuto da Stefano Terzo leggesi , considente Leone episco-' pò Castelli ( Mansi ) , che non può avere spettato a Castel di Venezia , i cui vescovi in quell' epoca appellavansi costantemente Olivolenses ( Flaminio Cor- na ro, Eccl. venet. tora. 13 p. 20 ) . Questo vescovo, non segnato nelT Ughelli , non può attribuirsi che Ca- stro Felicitatis ^ il quale ivi dicesi semplicemente Ca- stello. Il vescovo Stabile ancora all' anno 826 si so- scrisse al concilio romano sotto Eugenio, Stabile epi- scopo Castelli Felicitatis ( Mansi ) , dove // Castri si vede cangiato in Castelli. Il vescovo Rodorico nel concilio romano convocato da Leone IV nel 853 si soscrisse lìodoricus episcopus Castellanae, e nell' al- tro romano di Niccolo I. all' anno 861. lìodoricus episcopus Castelli Felicitatis (Mansi). Ecco di nuovo Castelli in vece di Castri. Ma nella prima di luì sosciizione disse Castellanae. Città o chiesa , che sot- tintender ci si voglia, il Caslrum Felicitatis divie- 342 Lettervtura ne Città Castellana , o chiesa Cdslellana. Questa cllla dunque, supposta cosa diversa dall' odierna Citta di Ca- stello, si chiamò anche Castello della Felicità , sem- plicemente Castello e Città Castellana. Prese tutte queste cognizioni suU' estensione e località geografica della diocesi del Castello della Felicità, siccome dei diversi modi di annunziarlo, discorriamo ora di Ti- ferno. Non può dubitarsi, che non solo avanti , raa anche contemporaneamente all' esistenza del Castel della Fe- licità trovisi vigente quella di Tiferno, ossia di Cit- tà di Castello. Di fatto nella prefazione del conci- lio romano del 641) tenuto da Martino 1, dove si no- verano i vescovi ad esso intervenuti, si legge : Re- sidente Luminoso Tifernis tiberinorum episcopo. In un sinodo tenuto a Roma da Paolo I l'anno 761 venne rilasciato un privilegio pel monastero dei SS. Stefano e Silvestro , nel quale leggesi la soscrizio- ne : Bonifaciiis humilis episcnpus ecclesiae Tiferni : ( Mansi agli anni respettivi ). Finalmente Pietro no- stro vescovo fa una donazione nel 1048 alla cano- nica di S. Florido , che comincia : In nomine do- mini Dei eterni , et Sahatoris nostri lesa Christi, anno 1048. Mense iulius ^ indictio 1 {sic) feli- citar. Profitens profiteor ego quidem in Dei no- mine Petrus episcopus de episcopio S. Floridi si- to Tiferni ec. L'autografo in pergamena esiste nell* archivio capitolare. Quando dal secolo settimo sino air epoca del vescovo Pietro suddetto , cioè nei tem- pi ne' quali manchiamo di storia profana , è accer- talo coir ecclesiastica che Tiferno esistea , ed esi- stea colla sua propria sede episcopale nell' epoca me- desima, in cui vedasi figurar nella storia il Castel della Felicità, è quel che basta all' uopo : poiché nell' un- decime secolo e seguente non solo abbiamo la con- Castkum Felicitati^ 343 tlnuazlonc dei vescovi , ma carte politiche negli ar- cliivj , che esckulono ogtii dubbiezza. Ciò posto fac- ciamo l'ispezione su di altri nomi , coi quali sen- za dubbio intendesi la medesima citta di Tiferno. Non abbiamo negli archivi pergamene all' undecime secolo anteriori : non ostante però manca ogni indi- zio , che i nomi usati in dette carte nell' undecirao e duodecimo secolo, nomi non più tralasciati in appres- so , non siano molto piiì antichi ancora : e comun- que sia di tal maggiore antichità^ certo è che si usa- rono contemporaneamente a quelli del Castel della Felicita , del quale si parla sino a tutto il duode- cimo secolo , e principio del seguente. Tanto serve a conoscere bene addentro questa cosa. Sappiasi dun- que , che il nostro vescovo Tebaldo, di cui leggonsi parecchi atti nel primo e secondo protocollo per- gamene di vescovato , fece una donazione alla cano- nica nel 1077, che autografasi conserva nell'archi- vio di cattedrale, nella quale egli s'intitola: Sanctae Castellanae ecclesiae episcopus. Il notaro , che egli prega di scrivere la donazione, dichiara eh' è giudi- ce e notaro Sacri palatii , qui est hujus Castella- nensis comitatits : ed il notaro stesso firma l'atto ap- pellandosi Index et notarius sacri palatii Castel- lanensis : espressione, che denota essere stalo creato tale dal vescovo per la sua curia , come sacri pa- latii intitolavansi quelli della curia imperiale (^Ma- rat, dis. 12 de notariis ). Finalmente V aduni h in Civitate Castellana. All'anno 11 00 [Protocol. 1, di cattedrale p. 4) in un istrumento trovasi, che Balduinus causidicus de Civitate Castelli da certo terreno alla canonica di S. Floride in Pinchitorzi , vocabolo di una contrada della nostra citta. Giovan- ni successore del sunnominato vescovo Tebaldo con atti del MIO confermò la medesima denazioue di 144 L E T T E U A T B R A quel vescovo: che autografa si costudisce in detto archivio. Egli siccome il notaro ci si caratterizzano colle medesime espressioni dell' atto confermato , e Yactilm è in Civitate Tiferna. Una sentenza data nel 1125 da un cardinal delegato Bonifazio tra il proposto della nostra canonica , e l'abate di Monte Corona, dice, ch'essa vertea inter praepositiim ca- nonicae de Castello , et abbatetn s. Sal^atoris (pro- toc. 1 di cattedrale p. 10). In altro istrumento del 1 152, indizione 1, che leggasi nel secondo protocollo perg. di vescovado (pag. 1 00) , e che nomina T'edelmanno vescovo vivente, omraesso dai nostri cronisti non me- no che dall' Ughelli , si dice : Actum in Civitate Ca- stelli. Finalmente le bolle di s. Gregorio VII, d'In- nocenzo II, d'Anastasio IV , d'Adriano IV, d'Alessan- dro III, conservate autografe in detto archivio capi- tolare, nominate dal eh. cardinal Garampi (vita della B. Chiara diss. 9), date a favore della canonica di s. Florido, usano sempre l'espressione ecclesiae castel- ìanae , civitate Castellana , episcopi castellani. Ecco dunque Tiferno , che d'appresso al mille , dove giun- gon le carte, nominavasi Città di Castello., o sempli- cemente Castello , ovvero Città Castellana : espres- sione , che a tanti autori ha dato occasione di con- fondere le notizie nostre con quelle di Civita Castel- lana del Patrimonio, Per raccogliere ora il frutto di tutta la messe , che abbiamo seminato, ravviciniamo i risultati di quanto è stato esposto su di questi due paesi Tiferno e Castello della Felicita. Ambedue so- no citta nominate nelle antiche pergamene come de- corate di sede episcopale , ambedue indicate coi me- desimi diversi nomi Castello , Città Castellana , e Castellanense , ambedue si enunciano coi respeltivi territori, o diocesi poste a contatto, ma in maniera però che il territorio del Castello della Felicita cir- Castrum Felicilatis 145 comlava e cliiudeva quello di Tiferno , dimodoché la citta e territorio lifernatc trov^avasi interamente dentro il territorio Castri Felicitatis. Questo stato di cose quanto di confusione non sarebbe stato fe- condo, e dei più gravi disordini nel civile , nel cri- minale , e nel religioso ? Tale stato realizzato tra i due paesi limitrofi non avrebbe presentato un vero assurdo di statistica civile, che in nessun tempo può avere avuta una realta ? E' impossibile che un so- vrano qualunque, per fondare nuova cittk tra le an- tiche di Arezzo e Tiferno , abbia mai voluto rifilare in tondo il territorio tifernate. Egli è impossibile , che la romana chiesa avesse canonizzata cosi stra- na diocesi , quando avesse acconsentito a farne due di una. Bisogna confessare , che l'esistenza del Ca- stel della Felicita esclude quella di Tiferno , come l'esistenza di questo esclude quella dell' altro. Ri- dotto dunque lo stato delle cose a questo inevita- bile bivio, quale delle due citta avrà il legittimo di- ritto di escluder l'altra ? L'esistenza del Castello del- la Felicità si debbe originalmente ed unicamente al suo nome comparso in iscena ben tardi , senza che sia stata mai da alcun contemporaneo indicata la sua specifica e precisa situazione : senza che nes- suno storico abbia saputo cosa alcuna della funesta Catastrofe , che la fece sparir dalla terra nei secoli a noi vicini ; senza che alcuno abbia potuto discuo- prire i ruderi di essa , che la storia ecclesiastica ci abbia conservato alcun atto che riguardi la costru- zione della sua cattedra , ne la riunione ad altre citta limitrofe di questa sede e diocesi quando ven- ne soppressa. Cosi sta. Si affida niente più , che ad un solo nome comparso sulle carte, e poi sparita come una meteora, che dopo breve raggiamento sen- za il minimo strepilo si dilegua. Ed un nome cosi G.A.T.LX. 10 146 Letteratura isolato da ogni araminicolo , che faccia supporre co- sa nuova anziché cangiamento di vocabolo applicato ad altra già preesistente , come valevole sarà a far esistere un Castrum Felicitatis a preferenza di Ti- ferno ? Questo nome sin dall' alta antichità presso gli storici e geografi ha sempre con realtà indicato un popolo , una citta particolare ben conosciuta , no- me eh' essa non ha se non dopo il duodecimo se- colo abbandonato. Perciò le soscrizioni di Lumino- so , di Bonifacio , e di Marino , in cui si appellano vescovi di Tiferno, si riferiscono alla citta che avea sempre avuto un tal nome , e che csistea colla sua diocesi e cattedra vescovile . Tiferno dunque è la citta , che esclude definitivamente l'esistenza dell' al- tra col nome di Castel della Felicità : e questo no- me Don può essere stato mai altro , che vocabolo nuovo introdotto sotto dei longobardi per indicar Tiferno, Ci sembra , che quanto fin' ora è stato detto abbia veramente forza di dimostrazione pel nostro assunto: ma siccome fra gli uomini se ne trovan sem- pre di quelli, che hanno il cervello fatto sulla stam- pa degli atomi di Gassendo per non acquietarsi co- si tosto a ragione benché buona , ci piace di con- fermare la conclusione anche in altra maniera. Noi dunque osserviamo, che qualunque fosse lo stato del- le cose nei tempi anteriori , egli è certissimo , che nei secoli undecimo e duodecimo la diocesi e cit- tà di Tiferno , ossia di Città di Castello , siccome la diocesi e castello della Felicità furono la mede- sima cosa. E di fatto il vescovo Tebaldo colla cita- ta donazione del 1077 concesse la pieve d'Apccchio a profitto della canonica castellana : Corpus plchis eccleslae S. Martini sitae Apiculo . Non è dun- que dubbio alcuno , che questo pieviere nella dio- Castrum Felicitatis ^/^^ cesi lifernate si ritrovasse. Ma con tutto questo ab- biam veduto, che tra le cose clonate alla canonica tU S. Florido da quel Rodolfo di Landò nel 1113 , cioè 4^ sfif^ì dopo, si trova : infra comitaturn Ca- stri Felicitatis : quel che possedeva nel Rio di Can- digliano in Pian di Mulino ed Arcelle , che son pur tutti membri posti attorno , e nella pieve di S. Mar- tino d'Apecchio. Ecco qui , che la diocesi tifernate e quella , che ora dicesi del Castello della Felicita. Una bolla di Onorio II , che originale conservasi la capitolo , e che è diretta a confermare al nostro ve- scovo Raniero , del quale vi sono atti in questa ve- scovile cancelleria , tutti e singoli membri compo- nenti la sua diocesi , novera tra essi plebem S. Gre- gorii : essa spetta all' anno 1126. Questa pieve ella è di Montone patria del celebre Fortebraccio. Ora membro di questa pieve è stata sempre la chiesa par- rochiale di S. Benedetto di Gasseto, la quale in con- seguenza trovavasi nella diocesi tifernate. Ma non ve- demmo noi , che questa medesima chiesa quasi anche un secolo dopo nei diplomi di Ottone IV e Fede- rico II dicesi in Castro Felicitatis ? E non solo le parti diocesane, ma anche la citta medesima di Ti- ferno nel 114^ con tutta sicurezza Castello della Fe- licita venne chiamata. Il P. D. Roberto di fatto nel- la lodata sua dissertazione col pubblicare (pag. 121) la bolla di Eugenio II di quell' anno, data pel mo- nastero di S. Salvatore di Monte Corona, ce ne som- ministra una prova evidente; Ivi fra le cose confer- mate al detto monastero leggesi : in comitatu Castri Felicitatis quid quid habet dono Guicciardi (si noti bene ) infra vel extra Civitatem. Ora qual era que- sta citta, se non quella del Castello della Felicità ? Ebbene dunque vediamo adesso , che ivi veramente si parla di Tiferno. Nel primo protocollo pergameao di 10* l48 Letteratura cattedrale ( pag. 10)leggcsi registrata una sentenza motivata anche in addietro , e che qui per la sua brevità riferiamo : H25 ind. 2, Bonifacius romane ecclesiae cardinalis cum judicihus apud ecclesiam S. Gregoriì residens de discordia , qaae vertebat inter prepositum canonicae de Castello^ et abbatem S. Salvatoris perusini comitatits de honis Guicciar- di fila j4lbertini cognoscentes hitjiismodi dedit sen- tentiam : supra dictus prepostus ex omnibus im- mobilibus bonis ex ista parte Tiberis ( cioè alla si- nistrò dei Tevere ) tertiam in integrum habeat por- tionem propter casam Civitatis Castelli. Et actum est in presentia Rainerii episcopi , et Rainerii pe- rusini , et presbiteri Ugi de Fleano , et Rainolphi de Lanfranco et Suppi fìlli Ugi , et Guidonis causidi- ci da Arsena, et Rainerii causidici de Falle Pon- tis , et aliorum multorum. Il luogo della sentenza è la pieve di S. Gregorio di Montone diocesi tifer- nate ( bolla d'Onorio II citata): v'è presente il ve- scovo lifernate ( detta bolla ) : si tratta di casa po- sta in Città di Castello ; può dubitarsi , che si par- li della nostra citta ? No certamente. Di fatto si di- scutea tra il proposto e l'abate di S. Saldatore , e si conclude una competenza sui beni di Guicciar- do d'Albertino , che avea beni infra vel extra ci- vitatem : chi può ragionevolmente dubitare , che qui si tratti di quei medesimi beni di Guicciardo della eugeniana bolla ? Ecco dunque , che la citta del ter- ritorio Castri Felicitatis non era che Tiferno. Fi- nalmente in istruraento enfiteulico fatto per la sua mensa dal nostro succitato vescovo Tebaldo nel 10T6 ( protoc. pergara. di vescov. pag. 39 ) eccettua quei beni , che un Giovanni arciprete adquisivit per li- hellum ab Hermanno episcopo Castellano . Ques(o arciprete era vivente : dunque non polca esser tanto, Castiium Felicitati^ 149 quando Ermanno vivea. Dispone dei beni,{tlella men- sa medesima : dunque senza dubbio si parla di un po- co lontano predecessore di Tebaldo. Per appunto tro- viamo nel 1050 (Mansi), che alla bolla di Leone IX data nel concilio romano si sottoscrisse un Herman- nus castellaniLs episcopiis : e pel più tardi al 1059 nel concillio romano tenuto da Nicolò li (Mansi) leggesi sottoscritto Hermannits Castellanus. Queste in- dicazioni atte , come si è veduto, ad indicar anche Citta di Castello unitamente alla memoria che ne fa Tebaldo non permettono di dubitare , che l'Er- manno sottoscritto ai delti documenti sia vescovo li - fernate. Ma pur questo vescovo in una decisione di Vittore II emanata nel 1057 d'appresso Arezzo si so- scrisse con altri pochi vescovi alla medesima, segnan- dosi Hermannits Castri Felicitatis. Leggesi essa pub- blicata dal De l'Arena ( tom. 4 fase. 1 ) . Ora dun- que veniamo a noi. Se nei secoli XI e XII egli è indubitato per sicuri documenti, che la Citta di Ti- ferno : che alcun dei vescovi suoi ; che membri del- la sua diocesi o territorio furono la cosa stessa col- la citta , vescovi e diocesi Castro Felicitatis ; chia- rissima cosa ella è , che chi pretende essere state nei precedenti secoli longobardi due cose realmente di- stinte e separate, debba anch' egli produrre docu- menti di prova cosi certa ed evidente , quanto son quelle addotte, che ne dimostrano vittoriosamente l'uni- ta negli accennati secoli posteriori. Dove son elle que- ste prove ? non altrove , che ne' grandi archivj del* la luna visitati dal buon Astolfo, quando con paten- te dell'Ariosto ebbe facoltà di viaggiare per quel pianeta. E' dunque necessità il concludere , che lo slesso Tiferno egli è propriamente il Castello della Felicità. Per verità ce lo aveva assicurato in qualche modo un autore, che scrisse fra l'ottavo e i! nono se» f50 Lettratura colo , cioè l'anonimo ravennate riportato dal eh. P. Barretta ( De Italia medi aei>i , appresso Murato- ri^ Script, rerum italic. tom.\0) . Scrisse egli, 77- fernum j quae et Felicissimum dicitur z non ostan- te però lo stesso Muratori , che siccome gli altri bea conoscea quel libro , non mostrò parlando del Ca- stello della Felicita d'aver per infallibile che questo fosse Citta di Castello- E di fatto se vi è luogo a te- mere , che il codice pubblicato invece di essere l'ori- ginale , come il Muratori sospetta aggiungendo , che è : Piane informis vitiataque geograp hicaruin rerum farrago ( Medii aevi dis. 21 ) : potrebbe anche so- spettarsi , che l'epitoraatore sia molto piiì recente , e come di ignorante sia mal sicura l'autorità in quello che può averci incalzato di suo relativamente alle co- se di già antiquate. Per esempio si può non essere persuasi , che le aggiunte parole quae Felicissimum siano dr contemporaneo , perchè falso egli è , che gli altri usassero l'espressione Tifernum felicissimum^ come asserisce , ma altro non si trova costantemen- te se non che Castrum Felicitatis t cosa assai differen- te. Per questi riflessi in questa nostra dimostrazione neppure noi ne abbiam fatto conto. Fermo dunque resta che Citta di Castello fu il Castrum Felicitatis. Ciò posto per sicuro , come lo è , ne siegue , che alla successione dei vescovi tifernati spettano Teo- doro del 715, Taciperio del 732, Roderico dell' 861, lìinaldo nominato in lettera di Giovanni Vili a Lo- dovico imp. ( Mansi ), tutt' ora mancanti nell'Ughelli. A questa successione spetta anche quel Pietro che del 1029 intervenne al giudicato sulla questione de've- scovi aretino e sanese (e) , come che tutti si dissero de Castro Felicitatis. Così in Citta di Castello fu ca- staido quella torbida testa di Reginaldo , che dopo passato duca di Chiusi era tornalo armata mano nel- Castkum Felicitatis 151 la nostra citta a portarne via dei cittadini : di che papa Adriano con sua lettera del febbraro 766 si que- rela con Carlo Magno (d). Finalmente dopo tutto ciò chiara apparisce l'origine del nome di Castello ri- masto alla nostra città. Essa è la semplice traduzione di Castrum , abbandonatosi il Felicitatis per una in- telligenza più spedila , e sostituitovi frequentemente il distintivo di Città. Di qua ancora originarono le diverse modificazioni di Città Castellana , Castella- nense ec. Non meritano dopo ciò alcuna considera- zione le sognate etimologie di coloro , che non aven- do conosciuto essere stato Tiferno il Castello della Felicità dei longobardi , ricorsero alla distruzione , che supposero fatta della nostra città da Totila , qua- siché invece che egli cercasse di ristabilire il suo re- gno , non pensasse che a ridurlo un monte di sassi. Questi al tutto, come rilevasi da Procopio gravissimo istorico ( de bello gotico ) , trattandosi di città solca atterrarne soltanto le mura castellane, inabilitando la città ad essere asilo de* nemici , quando non volea distrarre le sue forze per presidiarle : e questa sorte dovette incontrar Tiferno appunto perche dappresso alle spalle del suo esercito non vi si fortificassero ne- mici , impegnato com' era Totila nelT assedio di Perugia. Meritano sullo spirito distruttore , attribuito esageratamente a questo re, d'essere letti Muratori (annali) e la quarta dissertazione del eh. Guazzesi sul luogo dell' ultima battaglia di Totila, e sua morte ad Capras (toni. 1 p. 193), senza deferir nulla alle novelle dei cronisti del XIV secolo , e segnatamente alla Cronica Gualdense. Da essa contro l'esposto dell antichissima leggenda di Florido santo , come si dira in appresso, fu tratto il materiale dell' inverosimile favoletta d'un piccolo castello rifabbricato da pochi e poveri cittadini sulle rovine della città : e per que^t* 152 Letteratura onore ricevuto di risorgere alla società per entro un miserabile castelletto, si vorrebbe che i cittadini quasi innamorati di esso , come il topo d'angusto forame, lasciassero l'antico nome , che ricordava la gloria di romano municipio, per quello di Castello ^ che ram- mentava l'epoca del disagio e dell' umiliazione . E fa veramente maraviglia , che anche il eh. p. Bar- retta (Italia raedii aevi ) da tal castello rifabbricato dopo la distruzione fatta da Totila ripeta il nuovo nome , aggiungendo , che il cognome urbico della Felicità ad esso venisse aggiunto per la fecondità de suoi terreni : della quale all' uopo esageratissime lodi mette in bocca dell' epistolografo Plinio , quasiché ri- svegliati i cittadini da un letargo di piià secoli s'ac- corgessero allora d'essere in fertile territorio , quan- do ci avean da piangere le angustie , che in abi- turi di piccolo castello non doveano mancare a po- polosa società. Questo, a fronte di cosi felici campa- gne , altro cognome allora non potea tirarsi addos- so , che di Castello della Tribolazione. A buon con- to s. Florido , sotto di cui certamente avrebbe do- vuto esser cominciato l' uso del nuovo nome , viea chiamato da s. Gregorio nei dialoghi (lib. 3 cap. 35 ), vescovo della chiesa Tifernate. Abbiani notato , che nel G40 il nostro vescovo Luminoso si soscrive ve- scovo tifernate, e non è che del 715, che il no- stro vescovo Teodoro venga da Luitprando chiamato del Castello della Felicità. ARTICOLO IL Si cerca come Tiferno si disse Castrum FelicitatiSj e collocato in Toscana. IVli se l'attuai nome di Castello , e Citta, di Ca- stello riconosce la sua origine da Castrum , e noa ^^STRUM FelicitatIs 153 già dal faiitaslico castello rifabbricato nell'epoca Flo- ridana , percire poi piacque ai re longobardi non pili Tiferno , ma Castello della Felicita denominarlo? Lo scrittore a penna avvocato Giuseppe Scgapeli senza riflesso air epoca certa di Luitprando immaginò, che Plinio Gecilio nostro illustre concittadino (e) dedi- casse alla Felicita quel tempio , che fu da lui innal- zato in Tiferno ( Epis. ad Fabatum lib. 4 ) , e che quindi i tifernati per far festa a Plino loro patro- no , ed alla di lui Divinità, sin d'allora proclamassero il nuovo nome Castrwn Felicitatis. Fatto è però che in nessun luogo autorevole si legge , che la Felicità fosse la dea cui Plinio innalzò quel tempio. Sembra poi , che il giorno onomastico della citta sarebbe stalo in caso tale solennizzato con particolare festiva dedi- cazione , e Plinio diligente in far noti colle sue let- tere tutti gli onori ricevuti ( giorn. arcad. tom. 54 , nota a Pitirio Tiberino ) non avrebbe sicuramente pas- sato sotto silenzio il riguardo avutogli per onorarlo in- sino a cangiare il patrio nome antico , e nemmeno vedremmo in appresso ad epoche cosi da lui lontane usata l'antica denominazione di Tiferno. All' autor della nota posta in fine al libro delle cose prege- voli di belle arti osservabili nella nostra città pia- cque di credere , che il nuovo nome uscisse dalla se- greteria dei longobardi. Ma detto sia con buona pace dell' autore ; se con ciò ha inteso di dire , che il re- gio segretario col trasmettere un sovrano editto pre- cettivo del nuovo nome l'abbia proclamato , cava mae- strevolmente la curiosità perchè così la causa del nuo- vo nome sarebbe , che piacque al re longobardo d'im- porre un tal nuovo nome , perchè cosi gli piacque. Se poi ha inteso di dire , che l'origine fosse uno sba- glio , ovvero un sghiribizzo dei regi segretarj , chi saprà ridire dove si ricapitassero i plichi di governo 154 Letteratura diretti al conte Castri Felicitatisi quando nessun sa- pea che paese fosse questo, fuori del segretario ? E se per sorte giunsero in Tiferno , come poi vescovo , conte , popolo , regii ministri , e lo stesso re sareb- bero concorsi a secondare un errore , o un capriccio della segreteria ? Llutprando era un principe di gran consiglio : Pliilosophis aequandus^ legiim augmentator ( Paolo Diac. de gest, longob. lib. 6 ) , e nella sua segreteria non v'erano mica babuassi. Non occorre di più riguardo a questa opinione. Se avessimo anche noi a far da Edipo in cosa a noi nascosta , ecco cosa pen- seremmo. Il codice della laurenziana ( n. 136 pag. 294 ) ivi pervenuto dalla fiorentina metropolitana , il quale ha per titolo Lectionarium et Passionarium , giudi- cato dell' undecimo secolo dal eh. canonico Bandini , ci conserva l'antica leggenda di s. Florido , cui tro- vasi aggiunta anche la leggenda della consagrazione della cattedrale tifernate in detto secolo celebrata. Que- sta leggenda del santo dovea sin d'allora vantare un autorevole antichità , quando già era propagata , ed inserita nei sagri libri di chiesa presso a dei colle- gi di canonici regolari , e precisamente di quei di Firenze. Questo h l'unico pezzo di storia patria , che abbiamo dell' epoca floridiana , ossia del cadente se- colo VI, bastantemente antico , e corrispondente alle piccole tracce della storia d'Italia , che di quell' oscu- rissima età sino a noi pervennero per conciliarsi la fede dei suoi lettori. A questi chiediam perdono se invece di condurci rapidamente a rammentare la ca- tastrofe sofferta da Tiferno sotto i longobardi per dedurn'e la cagione del nuovo nome , ci straderemo a questa meta camminando passo passo con la leg- genda , perchè alquanti punti storici , o storpiati da corrotte tradizioni , o sparsi d'oscura nebbia , ven- gano a radrizzarsi ed a ricever qualche luce. Pri- Castrum Felicitatis 153 mleraraente dunque , chi il crederebbe ? in tale leg- genda nessuna menzione si fa della cilla nostra da Totila distrutta , ne si parla affatto del castelluc- cio rifabbricalo dal santo. Anzi dopo vedervisi chia- mato s. Florido nato parentibus Tìfertinae Tiberinae Civitatis , ed i cittadini Tifertini-^ raccontandosi poi la promozione di lui fatta al sacerdozio da s. Erco- lano , dicesi , che trattante ^Cives Tìfertini, qui jatn pridem cognoniinabantur Castellani , pensavano ad eleggerlo loro vescovo. Chiaro è dunque, che nel se- colo undecimo nulla sapeasi della citta distrutta da Totila, nulla del castello fatto rifabbricare da s. Flo- rido , e che anzi il nome di Castellani credevasi pili antico dell' epoca Fioridiana. Ma veramente la parti- cola , qui jain pridem cognominabantur Castellani^ è un equivoco dell' amanuense : giacche tra le ventisette lezioni Floridiane , con edizione di Roma pubblicate da monslg. Giulio Vitelli nel secolo XVI, trovansi un- dici , nelle quali per appunto vedesi distribuita tutta l'antica suddetta leggenda laurenziana tratta da co- dici tifernati piiì corretti , ed ora perduti ; ed ivi dicesi Cii'es Castellani qui jam pridem cognomina^ hantur Tifertini. Non è poi molto da dubitare , che un tale ritardato schiarimento, qui jam pridem ec. , sia una pennellata dell' autore , che nel secolo XI coli* antica leggenda del santo quella riunì della consa- grazione della chiesa per rendere più popolare l'in- telligenza di quel Tifertini^ nome che già non era piiì comunemente in uso , essendo di fatto ben raro negl' istrumenti di quel secolo , che molti ne abbia- mo , il trovarvi Tifernum. Dal confronto del codice fiorentino dunque si viene in chiaro, che la lezio- ne , dove si parla della rovina gotica e del pic- colo castello , è di piiì fresca data assai , e debbe ri- petere la sua orìgine dai cronisti del secolo XIV , che 156 Letteratura o per cattiva intelligenza , ovvero sregolata clivoziò-* ne scrissero talvolta pietose favoletle , anzi che sto- rie ben accertate. Segue poi a rilevarsi dalla lau- renziana leggenda , che s. Florido poco avanti la sua beata morte avea annunziato , che sovrastavano alla patria grandi pericoli , i quali restavano affatto nuovi ai dolenti ascoltanti , che il pregavano per- ciò a domandare a Dio , che il la (sciasse in vita per Sostegno dei cittadini. Questi previsti gravi perico- li si verificarono poi col movimento delle nemiche armi longobarde . Dal che può raccogliersi intan- to , che Tiferno era tutt' ora tra le parecchie citta , che sebbene quasi circondate dal dominio dei lon- gobardi, sotto il greco dominio conservavansi (f), poi- ché di fatto a queste sole dalla parte dei barbari restava l'aspettarsi pericoli e guai. Crediamo poi , che tali pericoli presagiti dal moribondo santo , e re- stati nuovi agli astanti , fossero quelli che nel 502 cominciarono a germogliare per l'improvvisa rottura della tregua , o pace tra 'greci e longobardi seguita per un occulto maneggio dell'esarca Romano, il quale trovandosi in Roma riuscì a sedurre Maurizione du- ca longobardo , tanto che questi accettò presidio greco in Perugia. Questo trattato dovea essere stato ordito in Tiferno citta vicina ed opportuna , avendo le al- tre d'intorno presidio longobardo : per il che è af- fatto inverosimile che detto duca azzardasse un lun- go carteggio coli' esarca eh' era in Roma , carteggio che facilmente potea venire a cognizione del vicino duca di Spoleto , ed egli esser discoperto traditore. Per la slessa ragione il presidio greco ammesso in Perugia non potè esser che preparato in Tiferno , perchè pionto fosse all' occupazione. L'esarca dunque, avvisato del buon esito , si mosse tosto da Roma , e con forte nerbo di soldati si recò a Perugia riloglien- Castroi Fklicitatis 157 do , stracla facendo, più cilla sino a Todi già occu- pate dai longobardi. Fissiamo perciò , che Tanno della morte del santo accaduta nel mese di novembre, deb- be al 590 , e non già all' anno 600 riferirsi , come fanno i nostri storici Lazzari e Gerlini , e molto meno al 607 come piacque all' Uglielli e al lacobilli. Poiché di fatto abbiamo dalla medesima leggenda , che accorse ad assistere il santo nel suo passaggio Aben- zio vescovo di Perugia. Ma questi se dall' Ughelli si dice tale sin nell' anno 576 con buoni fondamenti , non ha dubbio che egli piiì non era in vita nel 591 , poiché s. Gregorio nel luglio di quest* anno scrisse lettera ai perugini ( lib. 1 epist. 58) riprendendoli perchè stessero tanto tempo ad eleggere il nuovo pa- store. In questo caso dunque l'epoca della morte del santo non potè essere che il novembre del 590 (g). Prosiegue la detta leggenda a narrare , come il santo corpo di Florido venne tumulalo con grand' onore nella cattedrale da lui ricostrutta , ma non ancor ter- minata , e che quivi pure venne tumulato il santo dia- cono Amanzio non longo post ercessitin B. Floridi tempore-, espressione, che ci permette di riportar quest' epoca a circa il 597 , combinando con ciò il tempo di sette anni , che tutti i nostri storici accordano alla vita di s. Amanzio dopo la morte del santo pastore. Da qui può prendersi lume in qual anno s. Grego- rio dei suoi dialoghi alla regina Teodelinda mandas- se una copia. Il Zannelti (del regno dei longobar- di ) da per fatto , che ciò accadesse nel 594 appog- giato a Paolo Diacono. Il fatto è però , che detto Paolo racconta , che tal dono venne fatto , ma non da poi sicura idea del tempo , così che il Muraloji ( annali ) riportandosi al medesimo Paolo dice non sa- persi il quando. Sembra però certo che ciò dovesse accadere dopo il transito dei ss. Florido ed Aman- 158 Letteratura zìo. Di falli Gregorio il Magno scrive del primo nei dialoghi suddetli ( lib. 3 cap. 35): Cuj'us sancii" tatis et veritatis ec. , parole che non esprimono os- sequioso titolo pel grado suo , ma caratterizzano la sublimità dell' eroica sua virtù. Del secondo poi scrive come di un taumaturgo , di cui egli stesso avea fatta sperienza. Ma appena si può credere che questo santo pontefice , gran maestro di spirito e di prudenza ce- leste , vìvendo Florido ed Amanzio avrebbe pubbli» cati i dialoghi , parlandosi di essi come di due gran santi. E dunque da credere, che solo circa l'anno 597 detti dialoghi fossero mandati a Teodelinda , e pub- blicati. Coir anno della morie di Amanzio ha termine la parte più antica della leggenda , e segue l' altra aggiunta parte sulla consacrazione , raccontando che la chiesa , dove trovansi i corpi di detti due santi collocati, venne poi prestamente a perfetto compimento condotta : con che siamo già all' epoca , in cui trat- tavasi con impegno la pace fra' greci e longobardi , che risolvettesi finalmente in una tregua da durare sino al marzo del 601 ( annali Murai. ) . Nel tempo corso dalla morte di s. Florido a questo anno non appa- risce nella leggenda suddetta il più piccolo indizio , che i longobardi molestia alcuna recassero a Tifer- no : segno certo , che l'antemurale Perugia conser- vavasi dai greci ; non potendosi dubitare , che i lon- gobardi riacquistata quella citta si sarebber subito ri- volti a Tiferno , dove era stato fatto il traghetto a loro danno , e da dove era ito il presidio per oc- cupar la citta ribelle. Di qua possiamo comprendere , che Paolo Diacono riferendo all' anno dopo la ribel- lione il riacquisto di Perugia , cioè all' anno 592, rac- contò tutto in un fiato il principio e fine di quell' avvenimento , come talvolta praticano i cronisti , ì quali traggon poi in errore quei lettori , che non vi Castrum Felicitatis 159 fanno seria avvertenza ; ovvero anche non era bene informato, come ne rilevò argomento il Muratori all' anno 600 (annali). Ivi rimarca assai una lettera di san Gregorio ( lib. 8 epist. 7. ) diretta a Teodoro cu- rator di Ravenna , nella quale a lui raccomanda , che faccia scortar dalla truppa sino a Perugia la moglie di Giovanni prefetto di Roma , il quale tornar la fa- cea da Ravenna , e ciò ad effetto che con tutta si- curezza facesse quel viaggio : per lo che l'annalista dubitò fortemente che Perugia non fosse per anche tor- nata in mano dei longobardi. La nostra leggenda rea- lizza per giustissima la sua riflessione , e con s. Gre- gorio s'accorda pienamente. Ne fa difficolta alcuna , che il re Agilulfo mossosi coli' armata del 592 per vendicarsi degl' imperiali , non allora riacquistasse Pe- rugia. Dovea egli conoscere, che questa citta come rin- forzata di grosso presidio , che da Roma tolto avea l'esarca , era di espugnazione difficilissima ; e dovette credere di far colpo sicuro , e fecondo di piiì utile con- seguenza, il correr velocemente all'assedio di Roma, che sapea essere sguarnita di soldati. La però s. Grego- rio trovò modo di mandarlo deluso , ed anche di pla- carlo: onde Agilulfo verosimilmente scoraggito di po- ter superare Perugia munitissima di forze, quando non era riuscito a sottometter Roma sguarnita , dovette ri- serbar l'impresa di questa citta ad un colpo di mano in altro tempo opportuno , in cui non fosse così ben presidiata. Venne poi pur troppo il tempo , in cui i gravi pericoli predetti da S. Florido , e verificati colla ribellione di Perugia , giunsero ad un fatale sviluppo. Adunque la leggenda narra, che dopo compila la cat- tedrale , sebben la ferocia de' longobardi devastasse la citta , non recò peraltro il più piccolo danno alla nuova cliicsa , che stette poi in piedi sino a Benedet- to Vili e ad Enrico imperatore. Ecco una perfetta 160 Letteratura corrispondenza colla storia. Risappiamo da una lettera di s, Gregorio ( lib. 9 epist. 45 ) che nel 601 erasi riaccesa la guerra dai longobardi , che si fece in di- versi punti dell'Italia sino alla tregua conclusa a bien- nio a tutto il 603 , di cui fa menzione s. Gregorio in lettera alla regina Teodelinda da lui diretta (lib. 12 epist. 7): tregua che fu poi più volte riconfermata, e solo avanti la conferma del 606 i longobardi di sor- ti presa occuparono soltanto Orvieto e Bagnorea, che non s'aspettavano una tal visita ostile , senza che al- tra notizia siavi ne ora , ne poi per moltissimi an- ni che vi fosse più guerra. Ecco dunque come nella rottura dal 601 al 602 dovette il duca di Spoleto cogliere alla sprovvista Perugia, riconquistarla, e quin- di dovette volar tosto a Tiferno per togliere un nido ai greci insidiatori , che sempre avrebbero come in addietro uccellata Perugia: e presalo, avran trattato seve- ramente la citta con far le gravi devastazioni a casti- go della fomentata ribellione di Perugia. Sara facile ad ognuno di vedere, che per dar luogo alle epoche che dovetter correre tra la morte di s. Florido, quella di Amanzio , e quella della ripresa di Perugia colla ro- vina di Tiferno , e quindi veder come la leggen- da e la storia davansi vicendevol lume ed appoggio, debba la caduta di Tiferno e di Perugia riferirsi ali* epoca di questa guerra. In forza di essa dunque Ti- ferno cessò di più appartenere all'impero greco, e divenne conquista dei longobardi : sotto di essi risor- se la citta colla sua sede vescovile , ed essendosi for- se perduta la memoria di altri vescovi precedenti , era già Luminoso circa 4^ anni dopo la rovina della citta, cioè nel 649, il pastore tifernate. In mano dei longobardi era Tiferno piazza di frontiera , che in- teressava renderla forte , perchè i greci non più vi si annidassero. Ed eccoci di ritorno a! punto principa- Castrum Felicitatis 161 le tlcl nostro oggetto. Ci da uo esempio questa na- zione , pel quale conosciamo , che quando presa una citta la guarnivano d'imponenti fortificazioni e di cit- tadella , solcano dinorainar la città dal nome del ca- stello e fortezza, che vi avevan costruita. Cosi acf(ui- stato che fu da essi Foro Cornelio nella Flaminia il forticarono con robuste mura , e vi costrussero un fortissimo castello, cui essi nel lor linguaggio chia- marono Imola , nome che dal castello si accomunò anche alla citta ( Murat. annal. al 571 ) : perchè ai longobardi essendo più pronto un nome loro , che uno straniero , doveva accadere che con quello del luogo principale , qual era presso uomini d'arme la cittadella , comprendessero l'intelligenza di tutta la citta. Per questo anche Pavia sotto dei medesimi lon- gobardi intendeasi semplicemente per Castrum a ri- guardo della fortezza che v'era (Murat. ann. al 715). Ora dunque sembra naturalis imo che Tiferno giada molti anni conquista dei longobardi , e frontiera del ducato della Toscana longobarda , come si è detto, venisse da essi fortificato maestrevolmente , e munito di buona fortezza , cui poi per buon augurio impo- nessero il nome di Castrum Felicitatis col linguagf gìo italico , a cui in epoca avanzata eran di già accostumati. Anzi , giacche giova il congetturare do- ve non può aversi di meglio , ci sembra credibile che sotto il governo di Luitprando istesso la cit- tadella ossia castello fosse stato costruito , o almen terminato , poiché nella sentenza di questo re ema- nata in causa di confini tra Arezzo e Siena nell' anno 715 già da noi citata, parlando egli di Siena, e precisamente di Agripert castaido , dice ejusdem civitatis : ma nominando il Castello della Felicita si esprime Tlieodoro episcopo Castri nostri Felicitatis. Ora dunque il chiamar suo il Castello della Feli- G.A.T.LX. Il 462 Letteratura cita 9 differenza di Siena , che era pure egualmente sua , imprime nell' animo un' idea di qualche rappor- to speciale che avesse con questo castello , che per le cose premesse potè esser quello d'aver o egli o suo padre costruito quel castello , che per essere opera fatta o compita originalmente colle sue cure chia- mò specialmente sua ; e come per costoro la fortez- za era la parte piià nobile e principale , come di- cemmo , cominciò dal loro uso a denominarsi Cia- strum Felicitatis anche nel popolar linguaggio tut- ta la citta, come appunto avvenne al Foro Cornelio, Resta finalmente che si renda ragione , perche Tiferno posto alla sinistra del Tevere potesse dirsi ira Toscana, dove essendo esso il Castrum Felicitatisi tro- varsi dovea. Son prova di questa toscanica situazio- ne i diplomi di Lodovico I dell' 817, e di Ottone I del 962 , nei quali si confermano al romano ponte- fice alcune provincie in principato , e con esse in partibus Tuscae longobardorum Castelluni Felicitatis. Non occorre qui discutere se sian essi legittimi , o non interpolati. Basti sapere che uomini grandissimi, e specialmente francesi come Sirmond , Labbè , Coin- te ed altri, ne han tessute dottissime difese. Pel nostro oggetto basta , che non neghisi ad essi d'essere an- tichi pezzi storici, alraen nella parte geografica di pie- na autorità. Dicendosi dunque, che era situato in la- scia longobardorum , dovea trovarsi nella parte de- stra del Tevere. Il P. Berretta avea recala una buo- nissima ragione per mostrare , che anche trovandosi nella sinistra , tutta volta potea venir nominato co- me paese toscano ; poiché con altri esempi di quelle epoche fa vedere, che quei paesi , i quali veniano oc- cupati dai longobardi nel contorno di Toscana , s'in- corporavano benché di qua dal Tevere alla Toscana medesima. Ad onta di essa però, colla fantasia presti* Castrum Felicitati* 163 giata dal racconto della gotica devastazione , cercò di mettere in accordo letteralmente l'espressione dei diplomi in Tuscia longohardorum , coli' effettiva si- tuazione di questo castello in Toscana , immaginando che i tifernati fabbricassero allora quel castello, nella destra del Tevere : senza poi far riflessione, che do- veano con tanto più opportuna prestezza, e con tan- to minor disagio costruirlo sulle vecchie rovine, dove trovavano fondamenti in essere , gran parti di mura ri - sarcibili , e materiali pronti alla mano , anzi che ci- mentarsi al lungo e faticoso trasporto del materiali di la dal Tevere , e mettersi in necessita di doverne sepelire gran parte sotterra prima di ergere un abi- turo: e similmente senza considerare , che volendo un tal rigoroso accordo, converrebbe credere , che anche neir epoca del 962 in cui Ottone I il dice in Ita- sela longobardorum , che vale a dire quasi quattro secoli dopo la pretesa rovina , i tifernati non avesse- ro abbandonato quel castello trastlbcrino , ne fatto ri- sorger la citta dalle sue rovine. Ma, può far del mon- do ! dopo quattro secoli non sarebbe divenuta una buona citta quel castello , e l'antica ruina rimasta fondo per gli agricoltori ? Qualcuno ha sognato an- che che il Tevere circolasse al di sopra della citta, lasciandola a destra in Toscana. A buon conto perà sappiamo da Plinio il vecchio , che nel suo tempo era alla sinistra : le pergamene dei nostri archivi ti- fernati ci fanno conoscere sin dall' XI secolo la rar- desima situazione , conservata poi sino ad ora per ot- to secoli. L'ispezione stessa del livello generale del Tevere dalla citta sino all' Apennino esclude ogni idea, che possa esservi corso il Tevere in alcun tempo. Il fatto vero sta , che Tiferno per'dirsi propriamente in Toscana , non ha avuto mai bisogno d'alcun ripie- go. La limitazione della Toscana col Tevere fu di- 1G4 Letteratura sogno letlerario della geografia di Augusto, la quale ia abbracciata da Plinio, Tolomeo , Stiabone ec. Co- sì questa divenne sin d'allora la geografia scientifica, ma non già statistica e governativa, cosicché le pre- fetture ed i governi dllalia in fatto restaron cora* erano per lo innanzi qual piià , qual meno a lun- ghissimi anni appresso , come fa osservare il mar- chese MalFei ( Ver. ilhist, lib. 6 ) : e Tiferno appun- to è uno dei molti argomenti di tale slorica verità, poiché provincia toscana era prima d'Augusto, e ta- le restò dopo di lui. Quindi il nostro concittadino Plinio Gecilio , forse più di sessanl'anni dopo Augu- sto , seguendo l'antico vigente pratico «so comu^ ne, disse esser Tiferno in Toscana nella sua lelterck a Fabato (lib. 4): perchè l'avvisa, ch'egli por- tavasi in Toscana non per vedere come andasser le cose sue , il che riraettea ad altra occasione , ma per dedicare un tempio, che avea eretto in Tiferno : De- flectemus in tuscos , non ut agros^ remque familia-- rem ocidìs subj'iciamus : id enini postponi potest : sed ut fungamur necessario officio. Oppidum est praC' diis nostris vicinimi^ nomen Tifernuni Tiberinum . . . in hoc » . . templuin pecunia mea extruxi , cujus dedicationem , cam sit paratam, differre longius ir^ reltgiosuni est. Erimus ibi ergo dedicationis die. E* chiaro, che non trattasi qui ne della sua villa, ne del- le sue possessioni , ma unicamente di Tiferno Tibe- rino , ed a solo riguardo di esso è che dice di por- tarsi in Toscana. Il sior. cav. Andreocci nella cita- ta nota ha creduto dednrsi la cosa medesima dalla let- tera di Plinio ad Apollinare ( lib. 5 ) per aver det- to , che le sue possidenze avvicinavano Tiferno, e la villa aver 1 Aj)eaiiino alle spalle. Queste due condizio- ni, sulle quali egli calcola, resterebber salve anche po- nendo la vil!a di Plinio in fondo alla nostra valle Gastuum Felicitati^s 165 sulla destra del Tevere in Toscana nei deliziosi col- li d'Anghiari , ed in quel di Micciano la collocò ve- ramente il cav. Guazzesi ( dis^ 4i P^S- ^^^ ^" ^^' ta ) , seguito dal Borghi nella sua memoria sulla To- scana antica inserita negli alti dell' accademia di Cor- tona ( toni. 9 ). Di la giunger potea la possidenza sin d'appresso la citta , nò è improbabile, che il fon- do ceciliano dietro Monte Citerone rammenti una delle possidenze della tiferuate famiglia Cecilia, da cui na- cque Plinio Cecllio (h). E* ben vero però , che an- che dalla detta lettera si ha un chiarissimo argomen- to d'essere stata la villa alla sinistra del Tevere noa meno , che Citta di Castello ; ed è da maravigliare, che ne il cav. Guazzesi , che percorse la valle con Plinio alla mano, ne il Borghi pratichissimo di essa, ne altri mai lo abbiano avvertito. Ivi si legge : Ma" gna sui parte meridiein spectat , aestiviimque solem ( si noti bene ) ah hora se ita , hjrbernum aliquanto maturius : ora il grande anfiteatro della Vaile Tibe- rina imnginnre amphitheatriim aliquod immensum ec. (ivi), formato quasi da due grandi aiclii eliltici di colli e monti col maggior diametro diretto dal sud- est al nord -ovest , non ha nel suo arco toscano alia destra del Tevere situazione , che domini la grand' area e non vegga il sole che nasce , o certamente poco tempo dopo anche nell' inverno , come quello , che è volto tutto più che bastantemente a levante. Il colle di Micciano per appunto è in questa catego- ria. Il ritardo d'aver a prospetto il sole non può aver- si, che neir altro arco della sinistra del Tevere , do- ve ì luoghi dominanti la valle situati nel concavo di esso , e volti dal sud all' ovest, possono dal corno si- nistro de* monti, che si ripiega al sud, venir per mol- te ore impediti ad avere il sole d'innanzi, quanto che «i verifichi l'espressione spectat ab hora scxta. Quest' 466 Letteratura argomento è decisivo per la situazione a sinistra del- la villa, e per farci intendere, che quando Plinio dice tuscos meos ec. parla dei tifernati popolo tosca- no. Quindi anche le antiche lezioni di s. Crescen- ziano martire, nostro crom protettore , il dicono mar- tirizzato coir ordine di Fiacco prefetto della Tosca- na. I longobardi perciò in nulla alterarono l'antica geografia tifernate , ne per loro istituzione Tiferuo sì disse Toscana dei longobardi. Per sin nei secoli po- steriori Citta di Castello seguitò sempre a considerar- si come parte della Toscana : quindi veggiarao che Federico II avendo assegnato al duca Filippo la To- scana , da questo Città di Castello dipendea , e non già dal duca di Spoleto , come pensò il Muratori : e ne sono argomento sicuro alcuni rogiti del 1196 del protocollo pergameno di cattedrale (p. 2 J 2,2 13,21 4) eh' ebber luogo a causa dei dazi che pagavaasi non al duca di Spoleto , ma a detto Filippo duca di To- scana. Anche dopo quest'epoca si riscontra nei pub- blici annali tifernati, che i legati , cui raccomanda- vansi gli affari politici di Toscana, furon sempre quel- li che s'ingerirono nel politico di Città dì Castello, la quale perciò tagliata sempre fuori dell' Umbria dai geografi dei nostri secoli si appella capo della sua special contea , e del suo proprio e separato gover- no. Sta ben dunque, che Citta di Castello, dai lon- gobardi chiamato Castello della Felicità , trovisi col- locata in Tuscia longobardorum , poiché fu in ogni tempo dei secoli trascorsi, e sotto lutti i governi aa- che dell' alta antichità , considerata come regione to- scana. Quelli , che leggeranno il nostro Pitino Tibe- rino, potraa certamente anche in appresso ammettere o non ammettere, che sìa Tiferno Tiberino. Ma quel- li che leggeranno il nostro Castrum Felicitatis , ab- Ca9ti\ui\i Felicitatis 167 biamo vìva fiducia , che scrivendo non useranno più per l'avvenire le frasi di riserva , che alcuni affer- mano ; che gli eruditi stimano ; che io penso ec, ma con asseveranza e fermo siile diranno, che il Castrum Felicitatis altro non fu , che Tiferoo , oggi Città di Castello. NOTE (a) Il dotto canonico d'Arezzo sig. don. Giuseppe Vagnoni ha riconosciuto esser nelT originale il cognome urbico Felicitatis , il quale non riportasi dal Mu- ratori per oscitanza del suo copista , essendosi trovato poi per tale omissione in imbarazzo per indovinar la sede del vescovo Teodoro. ( Sua lettera a noi diretta. ) „ (b) In nomine Domini Dei eterni anni ab in- ,, carnatione ejus 1113 tertio die ingrediente mense ,, aprili indici. V feliciter. Manifeslus sum ego Rodul- ,, pho filio quondam Landulpho de Monte falcino of- „ fertor et donator offero atque trado omnes res „ proprietatis raee ad ecclesiam sancii Floridi . . . Ca- „ stellane Civitatis ad usura alque sumptum fratrum „ canonicorum hoc est oranes res juris mei que ego ,, habeo infra Comitatum Castri Felicitatis , et de- „ signala loca , que sunt in rivo Condiliano seu et „ in stablo Cujano et in colle Petrogne , et in Ar" „ celle nec non in Pian de Ronco . . . mansi, et vi- „ nea domnicata et in plano de Molino et in scro- „ fajo sicut est positura infra comitatum Castri Fe-> „ licitatis , et in valle Bissiaria et in coraitatu Calli „ seu et in coraitatu Orbino et in valle sancii Avun- „ dii et sancii Secundi seu et in tota plebe ... et ,, in Slurloni seu omnia , et in omnibus quae supe- „ rius in integrura , et ad finitura donavi et tradidi „ et per hanc carlulara ofTertiouis . . . suprascriptani |68 Letteratura ^ ecclesiam suisquae rectoribus in perpetuuin , exce- ,, pio , et antepono Castrum de Monte falcino cuoi ,, securitate coinuai ... et raanso de Ranco et in colle ,, Manilio , que sunt posila loco pignoris. Amplius „ non antepono nec in me reservo ... et per liane car- ., tam ofFertionls investivi ad proprium supradictara siiis- ,, que rectoribus in propriura quod ... et pertinen- „ tiis casis liortis vincis sylvis campis aquis aque- „ niulis terris cultis et incultis planlis arboribus . . . ,, que superius et dedi et tradidi ad supradiclam ec- „ clessiam ad usum et suraptura fratrum canonico- ,, rum predio . . . vel parentum meorum dicente do- „ mino centuplum accipietis et insuper quod raelius „ est vitam eternatn possidebitis . . . offertore cum eis „ filiis , et heredibus ad partera supra scrìpte eccle- ,, sie suisque rectoribus in perpetuuna defendere . . . „ offerlionem meara . . . conlra omnes personas ... et ,, si in aliquo molestare presura pseriraus qualive tem- „ poribus per nos vel per subraissara . . . alia qua- ,, licumquc persona causa nostra facta vel submissa „ anteriore vel posteriore et si omnia non adimple- „ verim et non cotiservaverira quod . * . oflferlorera et „ obligo meosque heredes ad jara dictam ecclesiam suis- „ que rectoribus dare , et coraponere istas res . . . ,^ in duplum . . . infra supra scripta casalia et loca „ per cartulara offerlionis eisdem legibus slare pos- „ sit et insuper . . . acta intra claustra sancii Floridi „ canonlce felititer signa manum de islo Rodulpho , ,, qui hanc . . . scribere rogavit. Signa manum Tedal- „ do quondam Bono , et Gavantone filio quondam Ro- ,, dulphini . . rogati sunt testes , et manibus eorura „ scribere rogaverunt. Ego Gerardus iudex scripsi et „ compievi.,, (e) Trovasi un Pietro vescovo negli anni 1015 e 1037 ( Mansi) sottoscritto Petrus Castellanus^ e Pe- Casttum Felicitatis 1G9 trus Castellensis. Sfietlatitlo a Civita egli sarehbe man- cato già nel 1038 , perchè la quest' anno troviamo un Benedetto , die si soscrisse sanctae Falnrìtanae et Castellanae episcopus ( Ughclli l. 10 col. C9'2 ) : e bisognerebbe inoltre credere , die prima di Benedetto avesse Civita sede separata dalla Falaritana , pcrcliè in quei due anni con detto Pietro concorre anche la soscrizione di Crescenzio vescovo falerense. L'erudi- tissimo Giorgi ( series ep. eccl. Setinae n. 34 ) rile- va , che nella cattedrale di Civita evvi un titolo se- polcrale posto ad un Leone dell' 811 « il quale di- cesi vescovo civitense. Basterà ciò per credere una sede separata , come egli ha pensato ? Abbiamo in dio- cesi la chiesa pievàna di Cagnano con altare con-' sagrato da un nostro vescovo Pietro del secolo XIII , dove egli s'intitola episcopus Caniani. Con ciò si vol- le dir soltanto , che quella chiesa era nella diocesi del suo episcopato. Cos'i quel titolo potrebbe dir so- lo , che Civita era nell' episcopato di Leone , ma po- lca però la sede di tale episcopato in Falera ritro- varsi , e vi sarebbe di fatto un luogo per annicchiar- lo. Certo h , che il non trovarsi in tutti i secoli ne prima , uè dopo sino a Benedetto un vescovo ci- vitense , fa credere che la cosa stia cosi. Mancando perciò a Pietro la sede in Civita, convien restituir- lo a Tiferno , e credere che il Pietro del 1015 sia lo stesso che quello del 1048. (d) Il Borghi neir antica geografia dell' Etra--* ria (tora. 9 acad : etrusc. diss : 15 art. 8 n. 8 ) di- ce di Chiusi Nuovo - che dopo uu diligentissirao esa- me è stato fissalo dov' è Castiglion Chiusino , al di d'oggi detto Castiglion del L^go. Sia pur esso il Chiu- si Nuovo dell' alta antichità : egli è certo però , che ve ne fu un altro nel medio evo tra Bibbiena di casenliuo , e la Pieve di s. Stefano , di cui si veg- 170 Lettera TORÀ gono tuttora i ruderi chiamati di Chiusi JN^uovo , ecrne far ben tosto la restituzione. ,, Il che fa per appunto al nostro proposito. (g) Nella nostra leggenda dicesi intervenuto alla morte di S. Florido anche Lorenzo vescovo d'Arezzo. E* da saper su di ciò , che Gerardo primicerio della canonica aretina dell' undecime secolo scrisse un ca- talogo coi nomi de' vescovi senza apporvi data , che per questa semplicità , come ben riflette il lodato sig. Canonico Vagnoni, che ce lo rimise, può credersi for- mato coi dittici : ne' quali però e da badare , che se v'è sicurezza pel numero e nome dei prelati , per altro non avendo d' ordinario che le date del mese e giorni , come i necrologj e martirologi , non trovasi poi certezza per l'ordine di saccessione. Ora in esso leggonsi Gaudenzio , Decenzio^ Lorenzo. L'Ugelli se- guendo Scipione Ammirato giuniore , che illustrò il catalogo gerardiano applicandovi una cronologia tutta sua (Guazzesi dis. 4 ), collocò detto Lorenzo tra il 4-2 ed il 44'i di Cristo. L'Ammirato il portò cosi indie- tro , perchè ebbe piena fede agli atti facilmente apo- crifi di 5. Gaudenzio, ne' quali si dice martirizzato dai Castrum Felicilatis 173 gentili sotto il per altro cristianissimo Valentiuiano au- gusto. Se però questo santo in vece fosse stato mar- tirizzato da' longobardi , che nei primi sette anni ( i3a- ronio al 573 ) abbondando d'idolatri spogliarono chie- se , e ben molti uccisero del clero , allora a quel Lorenzo successor secondo di s. Gaudenzio converreb- be benissimo l'epoca floridiana deli 590 . A rimuo- verlo da questa, contro l'autorità non sospetta dell' aa- tichissima nostra leggenda, non son certo valevoli que- gli atti , che gli stessi bollandisti sotto il 19 giugno pubblicaron per sospetti , ne l'opinione del Guazzesi , che pensò esser vescovo d'Arezzo quel Lorenzo nomi- nato da Pelagio I in sua lettera del 556 ( Baronio ) diretta ad alcuni vescovi della Toscana annonaria; men- tre anch' egli riconosce , che potrebbe appartenere a Firenze o a Volterra , che se lo appropriano ambe- due. In ogni caso poi converrebbe piuttosto supporre un equivoco nell* ordine di Gerardo, ingannato anch* egli dalle corrotte tradizioni sui veri autori del mar- tìrio Gaudenziano, (h) Il cav. Guazzesi , per non ricever critica situando la villa Pliniana in Micicano, privo d' ogni minimo indizio d'antichità , assicura francamente i suoi lettori , che ne è priva tutta l'estensione della valle tiberina . Noi al contrario facciara fede ai lettori^ , che nella cura di Passerina lungi circa cinque mi- glia dalla citta , e precisamente sotto Collecchio luo- go volto al sud-sud-ovest, abbiamo osservato un lun-^ go spallone di muro composto a secco a sostegno del superior terreno con grandi materiali di riguardo in pietra, tutti di diversa misura come fossero avanzi di fabbrica di genio etrusco. Con tale indizio esaminan- dolo bene riconoscemmo che il muro alzavasi sopra fon- damento a calce , e quindi con un foratojo scuoprira- ino nel superior terreno , che sotto eranvi delle mura liorraali allo spallone , che accusavano sparlimenti di 174 Letteratura una abitazione distrulla. Il terreno era sparso eli an- tichi embrici in pezzi. Uno avea la marca Granii cioè del primo figulino conosciuto, che marcasse di consolato i suoi lavori ( Giorn. di Pad. gen. I8O4, gen. 1806), avendone noi pubblicali degli anni 7 e l5 dì Cristo , che possediamo. Nella parte posteriore di detto campo osservammo sull' alta groppa di esso le tracce di una mezza lunata a calcistruzzo , cl)e poi si trovò esser la sezione d'una gran conca tagliata da un cupo sentiero . Ne' suoi due punti di riqua- dro di qua e di la vi si trovarono i fondamenti delle colonne, che dovean sostener ciò, che faceva ombrello alla conca. In simetria nell' altro lato delle sustru- zioni si rinvenne altra gran conca di calcistruzzo. Le quattro colonne , e le due conche son ricordate nella citata lettera pliniana. Riconoscemmo in oltre esistere indietro un acquedotto a calcistruzzo , che dalla di- rezione della prima conca stendeasi verso l'erto del colle , dove tuli' ora slilla poc' acqua , segno dell* antica vena ora dispersa. Salendo nell' alto del colle medesimo , questo ascendendo di continuo , vedesi di- retto tra due foci , come normale nell' alto dell* Apennino , e percorrendolo , s'incontra per via un ca- sale detto anch' oggi ca-del Cresta , ed in quel con- torno tra alquante anticaglie si trovò il tiloletto d'una liberta pliniana cioè Plinia direste ex voto : com- binazione da calcolarsi in concorrenza di quel che si è dello. In questo ripiano di Gollecchio si giunge per leggiero falso piano. Chi vi si trova per lunga foce alle spalle vede in lontano biancheggiar la som- mila dell' Apennino. In avanti gode l'aspetto di tutto l'anfiteatro campestre , e vi desidera l'aspetlo del sole adattamente alle ore indicate da Plinio. La villa, senza grandiosa magnificenza , sembra che dovesse soltanto avere comodila ed eleganza. Tali erano d'ordinario le fabbriche romane di uso privato. 175 Su quel verso della Divina Commedia nelV episodio del conte Ugolino'. Poscia più che il dolor potè il digiuno. Dialogo negli elisi. Genti v'cran con occhi tardi e gravi , Di grande autorità ne' lor sembianti. Dante, Inferno, canto 4- INTERLOCUTORI Dante. Montani. . c Montani, ^^alve, sommo poeta e padre del gentile par- lire sonante e puro, o della italiana favella ; degnis- simo di compiere il triumvirato poetico con Ome- ro e Virgilio , e di seder quindi terzo fra tanto sen- no. Concedetemi , qual sincero vostro ammiratore nel mondo , di tributarvi in questo beato Eliso , ove per mia buona ventura mi trovo, gli attestati solenni della mia stima e venerazione. Dante. Salve, italiano qual che voi siate, non mai fiorentino, se pur non m'inganna l'accento con che pronunziate la bella lingua ove l'Arno discorre. Montani. Non male avvisate , divino cantore , che fiorentino non sono : ma, viva Iddio, italiano dav- vero. Allettato dalle lodi universali della bella Firen- ze , e dalla soavità della locuzione della lingua cor- tese , mi vi recai ; e più anni lietamente passava in quella ridente metropoli della italiana favella , ove compieva la mia carriera mortale prima di esserrai i'ì6 Lkttkratura interatneute afFrancato di quell'accento lombardo suc- chiato col latte nel luogo della mia cuna. Dante. Tuttavolta , se qualche cosa nella pro- nunzia straniero alla Toscana vi mostra, sento non- dimeno che tanfo vi siete avvicinato ai fiorentini in quella soave locuzione , per cui mi persuado , che voi abbiate passato molto tempo nella mia Firenze, e più per avventura che io cittadino ivi nato non vi passava. Sento altronde clie voi siete stato più for- tunato di me , perchè aveste la ventura di finirvi la vita , laddove io non ebbi che quella di sortirvi la cuna. Quindi non saprei dire qual di noi due deb- ba chiamarsi piiì cittadino di Firenze ; se voi per di- ritto acquistato col domicilio e per avervi lascia- te le vostre spoglie , o io per quello di nascila e di famiglia. Comunque, voi mi vantaggiate sempre nella fortuna : perchè morto io esule in terra straniera , non ebbi il compianto dei miei concittadini ; laddo- ve ospite voi in quella città lo avrete ottenuto dai fiorentini. Montani. Io non posso lodarmi che delle amorevoli accoglienze fattemi all' arrivo e in tempo della mia dimo- ra in Firenze dai vostri concittadini ; e debbo per sen- timento di vera gratitudine mostrarmi loro riconoscente in questo luogo beato pel dolore che essi esterna- rono per la mia morte ; come per gli onori funebri che vollero farmi quei letterati , scortando il mio corpo fino alla tomba ; siccome lo seppi per uno che raggiuusemi in cammino per questo lieto sog- giorno. Dante. Ed io raorivami sulle sponde dell'Adria- tico ai fiotto delle sue onde , senza che una lacri- ma de' miei concittadini scortasse il mio corpo al- la tomba , benché molle me ne prodigassero l'illu- stre mio ospite ed i ravennati. Ne sono slate poscia Divina Commedia 177 più fortunate del corpo le mie ceneri , giacché co- là sempre si giacciono , senza che alcuno dei miei concittadini siasi dato il pensiero di promuoverne il trasporto alla patria , forse per temenza che esse si rimpatriassero , e che come fenice io risorgessi a nuova vita. Montani. Consolatevi , egregio poeta , perchè i vostri concittadini moderni hanno espiato i torti di quegli antichi , erigendovi un superbo mausoleo nel loro Panteon sacro , ed infra quegli dei maggiori poe- ti fiorentini , dei più gravi vostri filosofi , degl* isto- rici più insigni , degli artisti più riputati e famosi , e dei più eccellenti letterati di ogni maniera. Io mi vi ritrovai a questa commovente solennità. Tutta Fi- renze esultante concorse alla scuopritura di cotal rao- nuraento. Fece eco Italia tutta alle lodi che vi fu- rono tributate , come avea concorso spontanea alla riparazione di cotanta ingiustizia. Ma quello che più monta sappiate si è , che in tutto il tempo di mia dimora in Firenze non si parlava che di voi ; dei grandi , sublimi , impareggiabili meriti di Dante : del genio vostro altissimo, originale, unico che vi distin- se nel vostro secolo ; dei parti sublimi del vostro gran- de ingegno , e più di ogni altro della Divina Com- media di cui facevansi in Toscana , per tutta Italia, ed anco all' estero continue edizioni , illustrate eoa chiose, coraenti e spiegazioni , e più assai che non se ne facessero nei secoli più prossimi al vostro : cosi che il vostro secolo pareva più il deciinonono che non il decimoterzo. Dante. Sono molto grato all' amorevolezza dei miei concittadini presenti, come di tutti gì' italiani : e dimentico, per gratitudine degli onori compartitimi da essi , tutti i torti fattimi da quelli del mio tem- po. Tuttavolta non posso dissimularvi la mia mara- G.A.T.LX. 12 178 Letteratura viglia , che vi siano voluti pilli di quattro secoli pri-' luu che mi sia stata fatta lagiotic, e che il parto più caro al mio cuore infra le mie produzioni , la di- vina commedia , siasi apprezzata abbastanza nella mia patria e per tutta l'Italia , liberandola per avventura cou una sana itelligenza e per via di chiose e cornea- li da quei supposti nei , che ne' secoli trascorsi lo spirito di parte avea segnalati e combattuti. Montani. Certamente, che mai quanto adesso non si e applaudita tanto ne mai tanto studiata per imitarla , e che non mai si è apprezzata quanto adesso questa vostra produzione poetica. Ma non saprei altronde nascon- dervi , sommo poeta, che taluno di que' nei trave- duti e quistionati dagli antichi , si sostiene esservi ancora. Si segnalano tuttavia dei passi oscuri ; dei concetti velati ; delle espressioni equivoche figurate , forse inesatte , per cui non si cessa di disputare , chiosare , illustrare la divina commedia come per lo passato. Dante. Stupisco davvero, e sento quanto utile sa- rebbe , che gli autori , ed in special modo i poeti, vivessero quanto le loro opere, onde starsi celati co- me Apelle dietro di esse per raccogliere e risponde- re a tutte le critiche , chiose contrarie , e cementi. Ne disconverrò che nella mia cantica io non ab- bia dipinto qualche vizio , come qualche virtiì, sot- to il denso velo dell' allegoria : che non abbia ado- perate parole talora oscure , qualche volta di senso equivoco figurato , o non esplicito, e per varie me- tafore. Pure non ho ricordanza di essermi tanto di- scostato con questi modi e figure dal vero, di esser- mi tanto occultato nei concetti , o tanto avviluppato nelle parole, da strasfigurare le cose o gli originali onde prestar materia a perpetue dispute , a sempre nuove chiose e coraenti. Divina Commedia 179 Montani. Ed h appunto la troppo brevità della vita degli autori , ed inspecie dei poeti vostri pari, clic ha renduto in ogni tempo animosi gì' interpreti ed i chiosatori. Essi combattono Io spirito dalle vo- stre produzioni, il quale non può fare le vostre giu- stificazioni. Quindi se qualche addentellato in dette opere loro presentisi, questo diviene materia ubertosa di dispute e controversie. Ne io oso , divino poeta, per la prima occasione che ho di conoscervi e par- larvi , d'indicarvi e recitarvi quei luoghi della di- vina commedia , che han presentata ai critici mate- ria di disputa nei tempi decorsi come in questo at- tuale , per sentirne la discolpa o il vero senso dal vostro oracolo. Ma quando non vi sembri troppo in- discreto un mìo desiderio , che in grazia vi preghe- rei secondare , mi farei animo a dimandarvi schia- rimento sopra il vero e genuino senso di un solo verso della vostra cantica, che ha provocate tante questio- ni nella vostra patria, in Toscana, in Italia, ed al- trove , fino a far nascere due fazioni letterarie^ co- me ai vostri tempi due ne nascevano in Firenze po- litiche ; tenendo l'una delle letterarie per il senso esplicito , o come suonano le parole ; e l'altra per quello figurato , mistico , occulto , o sia in esse ce- lato , e ritenuto. Dante. E quale mai è stato quel verso avven- turoso , il quale ha richiamata l'attenzione dei dotti di pili etk , ed in ispecie della presente, ed ha pro- vocate dispute e controversie ? Montani. Quello che compie la catastrofe del Lello non che terribile episodio della morte del con- te Ugolino : quel verso per altri chiaro nel concet- to , come patetico e terribile nell' effetto ; per altri mistico tanto nelT uno , quanto tremendo e sublime peir altro , il quale laconicamente conclude 12* ISO Lkttratuha „ Poscia più che il dolor poti; il digiiiao. Dante. Come ! Questo verso ^ che chiude la sce- na lugubre , il quale non è che una conseguenza ne- cessaria dei superiori, un corollario delle premesse, ha potuto dar luogo a spiegazioni, chiose e diatribe? Montani. Senza meno ; e non già perchè le pa- role non spieghino chiaro il concetto che il verso lacchiude : cioè che il conte Ugolino, rinchiuso coi figli nella torre cui erasi tolto ogni alimento , mo- ri vasi cora' essi di digiuno; ma perchè non delermi- i.aiio elle se il poter del digiuno produceva nel con-^ te dopo la morte dei figli l'estinzione anche in esso della vita come di una lampada per difetto di ali- mento, o se dava luogo innanzi ad un' altra pii!i ne- fanda e ributtante catastrofe. Dante, A quale altra mai catastrofe poteva con- durre un digiuno di sei giorni fatto dal conte in- nanzi che i figli fossero estinti per esso, ed altri tre piangergli e chiamargli , e perciò di nove giorni di così orribile privazione di alimenti ? a quale altra catastrofe, fuori che alla rescissione dello stame di una vita attenuato non solo dalla privazione per tanti gior- ni del necessario alimento, ma quello che è più, dai più atroci dolori morali , dallo spettacolo miserando della morte successiva dei quattro suoi figli ? a qua- le altra catastrofe conduceva mai la privazione vo- lontaria degli alimenti sostenuta per cinque giorni da Tito Pomponio Attico , fuorché ad una placida mor- te? (1) Montani. Ad un* altra più inumana , più ribut- (i) la viU T. Pómponi Aitici, Coro. Nep. DlTJNA CoMnJEDIA Ifii tante , più atroce , la quale nel sentirla disputare dai Suoi fautori facevami correr il gelo per le meml)ra» e tremo anche adesso nel nominarvela , perchè temo che dobbiate offendervi perfino del narratore. Infine dirò che la catastrofe , la quale vuoisi celata in quel verso , e avviluppata quasi direi nelle parole « si è che pel digiuno non fosse condotto il conte alla morte prima di essere stalo spinto da esso ad ad- dentare e cibarsi delle carni dei propri figli. Dante. Inorridisco al racconto ! E quali dati ho prestato io mai nei miei versi , che dipingano quel- la gran catastrofe a coloro che han potuto suppor- re celato in essi cosi barbaro pasto ? Montani. L'esporrò a mano a mano, se voi, som- mo poeta , non vorrete sdegnare di ascoltarmi paca^ tamenle, per poscia illuminarmi contro quei sospetti concepiti in quel verso dai sostenitori del senso ar- cano. Essi intanto non avendo potuto trovare un appoggio nella storia del fatto , che è Inconlrastabl* le , la quale attesta , che quando il carcere fu aper- to , trovaronsi estinti il padre ed i figli , senza più supposero , che la storia per risparmiar questo or- rore ai lettori , e tramandarlo a lutti i secoli , l'aves- se taciuto ; e che voi stesso , contemporaneo e qua- si testimone di questa catastrofe , perchè eravate a osteggiare vicino a Pisa allora che avvenne, senza volere imitar la stoiia tacendola, l'avviluppaste nel- le parole di quel verso , e con arte così fina ve Io poneste , che dovesse più presto interpretarsi , che a nudo conoscersi. Dante. Stupisco vieppiù di questo nuovo suppo- sto ! perchè la supposizione è non meno fantasticai che inverisimile. Fantastica io dico, perchè non avvi in quel verso, come in tutto l'episodio, alcun dato pei* ^PP^gS'^i'l^ •• inverisimile, perchè invece dì condurre a 182 L B T T E R A T e a A quello scopo , cui la morte del conte e tlel figli per una maniera così inusitata e così barbara debbe menare , al terrore io dir voleva ed alla misericor- dia , moverebbe ogni lettore alla detestazione del conte , o della piìi miseranda vittima di questo gran- de ed unico avvenimento, Montani. Non ei-ano di questo avviso , e non dicevano così i fautori di cotal sentenza nel mondo. Anzi essi sostenevano, che in tutto l'episodio, se non nel verso recitato, sonosi da voi imprestati loro dei dati per sostenerla , e che questi davan tanto più va- lore a quel concetto , e piiì nobile e sublime lo ren- devano , perchè rierapieva di piiì alto terrore. Dante. Forse che la memoria delle cose del mon- do si sarà in me cancellata in questo lieto soggior- no : ma se ciò non sia per avventura accaduto , io spero di non aver dato presa a cotal concetto nei miei versi. Quindi vi prego di dirmi almeno Io spi- rito di essi , cui si è voluto appoggiare cotal sen- tenza. Io vi sarò grato « se vorrete esser chiaro in- sieme e concisoi Montani. Incominciano essi dall' onorare , sic- come lo merita, il vostro sublime genio poetico. Gran poeta essi vi dichiarano , e quindi imitatore feli- ce dei più sorprendenti fenomeni della natura. Voi, essi dicono , avete operato in questo episodio com' essa , che fa mai sempre precedere il lampo al tuo- no ed al fulmine. Avete dato , essi asseriscono , nei vostri versi di questo stesso episodio segni precur- sori , che il conte di Donnonoratico sarebbesi ci- bato prima di morire delle carni dei propri figli. Dante. Io raccapriccio ! speditevi di grazia a rac- contarmi questi segni , dei quali non è restato al- cuno nella mia memoria , seppure io gli abbia mai dati ne' miei versi. Divina Commedia 1S3 Montani. Debbe sovvenirvi per c\h , che il con- te allora che vide per digiuno stramazzati i figli per terra , e c!ie essi nel chiedergli indarno del pane , ajuto e soccorso dimandavangli , ei mordevasi amho le mani per dolore. Debbe ricordarvi , eh' essi a questo atto inaspettato si alzarono tutti ; e credendo eh' ei per fame Io commettesse , ofifrirongli unanimi invece le loro carni in alimento ; e con tal cuore , che quei versi invitano al pianto tutti i cuori sensibili ed umani. Ora gì* interpreti del senso arcano di quel verso re- citalo ne inferiscono , che non avendo il conte data risposta alcuna ai figli per non rattristarli , questo silenzio dinoti una tacita accettazione dell' offerta per quando la morte gli avrebbe estinti. Dante. Ci vuole invero , per trarne cotale in- duzione , una logica singolare , o lo sforzo di una più che fervida fantasia ; perchè fra il mordersi le mani ed il mangiarle vi è gran distanza , ed infi- nitamente pili grande vi è fra l'offerta generosa dei figli delle loro carni al padre , ed il silenzio di lui, quale accettazione tacita di cotanta offerta. Frattanto dicono i miei versi , se ben lo ricordo , eh' essi cre- derono che il conte si mordesse le mani per fa- me , e per ciò offrivangli in iscarablo le loro carni : e poiché fame non era, ma ira contro i suoi tiran- ni , quindi è vana la supposizione della tacita accet- tazione dell' offerta. E anche irragionevole ; mentre il conte non sapeva se egli ai figli , o essi a lui avreb- bero sopravissuto ; quantunque la natura in casi si- mili conservi la vita più a lungo , giusta la maggiore eli. Altronde fra noi il mordersi le mani è atto co- mune per vendicarsi di alcuno allora che ne sia re- stalo affeso, quando non si possa tosto soddisfare quest* azione furiosa. Montani. Non è questo però il dato più foste 184 Letteratura che voi avete loro prestato , o che tale Io credo- no , per sostenere che tal pasto ebbe luogo. Ne de- sumono uno grandissimo e validissimo dalla esibizione che vi fa il conte Ugolino di noliziarvi intorno a cotal catastrofe , di tutto quello che non potevate aver- ne udito nel mondo , e singolarmente di quanto la morte sua fa cruda. Ora , essi dicono , se la mor- te del conte f^se stata eguale a quella dei figliuo- li, perchè la stessa fu la causa, o la privazione di alimenti , non ve l'avrebbe annunziata in singolare ma in plurale, e non avrebbe voluto specificarvene le particolarità , giacché era facile lo immaginare quale poteva essere stata per una cagione così nota. De- ducono perciò gl'interpreti del senso figurato del verso da questa dichiarazione , che la morte del conte fa molto diversa per crudeltà da quella dei figli , non immaginata e non saputa da alcuno , perchè acca- duta entro di una torre serrata a chiave , e che me- ritava si sapesse , per accrescer odio contro quelli che l'avevano motivata , cioè la necessita di mangiare i figli prima che fosse accaduta. Dante. Sebbene il conte Ugolino ed i figli si trovassero nel carcere , o nella torre alla medesima tristissima condizione , cioè senza alimenti , e quin- di costretti a morire per la slessa comune cagione finale , pure se si volevan seriamente considerare le circostanze fisiche e morali del padre e dei figli , si sarebber dovute riconoscere molto diverse, e quindi ar- guirne , che la morte del conte esser doveva mollo pia cruda che non quella dei figli , senza supporre la necessita di averli mangiati. Io dico che le cir- costanze erano molto diverse , per l'età, per la forza del temperamento e per lo stato dell* animo del pa- dre e dei figli. Più giovani i figli , dovevan essere più tormentati dall' appetito, e più presto di lui { e Divina Commedia 185 quindi giucllcar l'atto del mordersi eh' ei fece le ma- ni , qual segno di fame ; laddove non era che se- gno d'ira disperata , e di vendetta che non poteva sod- disfare : e perciò questa sua situazione era assai più penosa che non quella dei figli. Peggiorava vieppiiì ogni giorno , e ad ogni istante ; e grandissimo acquoro dovè ricevere allora che l'un figlio chiedagli soccorso indarno, e se lo vede ai piedi morire; e gli altri suc- cessivamente : e di non poterli seguitare , ma di do- ver loro sopravvivere per chiamarli , piangerli , cer- carli , palparli , onde assicurarsi se qualche scintilla di vita restava per entro i loro freddi corpi. Quin- di tra per lo amore immenso che la natura ha infuso nel cuore dei genitori pei figli » il quale ne pur per morte si estingue ; tra per lo immenso dolore di noti averli potuti soccorrere , e di averli sotto gli stessi suoi occhi veduti morire : Ira per la cecità soprav- venutagli per questa doppia catastrofe della privazione totale di alimenti , e della miseranda scena di queste morti , per la quale mancavagli il conforto pur sem- pre caro ai genitori di contemplar le spoglie dei figli estinti , e dare sfogo continuo col pianto al dolore : tra infine per la necessita del più misero dei con- forti , quello di andare tastone a cercar il cuore dei figli estinti , se palpitava ancora : chi mai uoa chiamerà questa situazione del conte penosissima so- pra ogni immaginare, e la sua morte non che cruda^ crudelissima ! Montani. Queste sagaci riflessioni , che nascer do- vevano nel)' animo dei vostri interpreti del senso figu- rato nel verso combattuto , anche quando padri non fossero stati, e che forse saranno anche nate , non im- pedirono ad essi nondimeno di far venire alle prese il digiuno col dolore-^ e di far questo soccombere a quel- lo , di maniera che , superato il dolore dal digiu- 186 LsTTERATntlA no f questo risvegliò ristinto animale^ ed "esso la ^5»- hiosa fame ; cosi che liberato dai tenaci legami di padre , quale afFamato lione si gettò sulle carni dei morti figli e ne fece orribile pasto ; per cui cruda appella la morte che ne venne dappoi. Dante. Facile era il comprendere, che se in quel verso avessi voluto quest' orribil pasto velatamente adombrare , non avrei in questo fatta chiamare al conte cruda la sua morte^ ma bensì la sua vita: per- chè costretto a menarla , e a prolungarla inutilmente colla carne dei propri figli ; la quale alla fine non poteva esser ne più ne men cruda di quella dei suoi figli, cioè per digiuno; perchè se anche dei figli si fosse il conte cibato, questo alimento sarebbegli fini- to ; o si sarebbe putrefatto , e renduto incapace o insoffribile al nutrimento ; o estenuato esso delle for- ze fisiche, non avrebbe potuto addentarlo , masticar- lo , e digerirlo. La crudezza adunque della morte del conte , da esso stesso annunziatami , è tutta riferi- bile ai patimenti dell' animo per lo spettacolo atroce cui aveva dovuto assistere per dura necessita , e non ad un pasto , che forse men cruda , se avesse potu- to aver luogo , l'avrebbe fenduta. Montani. Poeta altissimo ed originale come voi siete, e quale vi proclamano meritamente tutti, avre- ste introdotto un insipido e basso episodio nella vo- stra cantica , dicono questi interpreti del senso misti- co al verso contrastato, se aveste in esso dipinto il fatto istorico della morte del conte Ugolino. Il qua- dro avrebbe mancato di anima, di venusta, di co- lorito. Sarebbe stata una pittura ordinaria , e senza effetto. Dante , dicon essi , non debbe interpretarsi colle regole della istorica verità : voi venite con falsi terrori ad agitare la mente ed il cuore; I vostri versi creano, nou suonano. Divina Commedia 187 Dante, Grazie pur sieno ad essi dell* alla opi- nione che hanno di me , la quale però viene con- trariata da essi medesimi non poco col farmi a lor posta crear ombre e fantasmi , ed anleporli a veri e reali soggetti , dandomi il merito di edificar nell' onde: e sebbene la mia cantica men diletti per avven- tura che non istruisca , pure io credeva che qualche pregio essa aver potesse colla risonanza dei versi , e col diletto della rima, che essi vorrebbero declinare. Altronde era il caso del conte Ugolino tanto terribile entro i limiti stessi dell' istorica verità , da non aver bisogno che la fantasia gì' imprestasse dei falsi ter- rori. Non è egli vero che ti scuote piià presto il tuono , e ti spaventa il fulmine quando rumoreggia o si scaglia e precipita dalle nubi , che non allora che vuoisi con degli artificiali rumori l'uno e l'altro imitare ? Non li spaventa maggiormente il muggito di un lìone , o di altra bestia feroce , che non le voci che vogliono contraffarlo ? Se si dipingesse in tela da valente pittore la catastrofe del conte nel modo presso a poco che in versi io l'ho ritratta , credete voi che questo quadro, a vivi e veri colori espresso , non riempirebbe l'animo dei riguardanti di terrore insieme e dì misericordia ! Montani. Senza meno : ed il mio spirito , poi- ché un egregio pittor toscano lo ha veracemente ri- tratto , è restato altamente commosso , in vedendolo , da questi due opposti sentimenti. Dietro la scorta dei vostri sonantissimi versi, egli ha dipinto il conte di Don- nonovatico assiso sopra un riposo rustico in mezzo alla trista torre , circondato dai suoi figliuoli , colle mani poggiate sul riposo, colla testa ed occhi ri- volti in alto verso il cielo, pieni di forza e di espressione per chieder al cielo vendetta dei suoi tiranni. Dei suoi miseri figli , vedesi l'uno pallido e smunto che strin- 188 Letteratura gè pietosamente un ginocchio del padre In atto di chiedergli soccorso ed ajuto ; un altro se ne scorge morto e disteso per terra ; il terzo in istato di abban- dono di forze fisiche e morali , ed il quarto , di lutti il maggiore, colla fisonomia decomposta, e che a gran passi avvicinasi al suo fine. Nel veder l'insieme di que- sto quadro ti senti spontanee sgorgar le lacrime sulle guance ; ti senti mosso ad ira contro gli autori di questo misfatto. Per gli occhi quindi riceve l'anima nel quadro gli stessi fortissimi sentimenti , che per gli orecchi risvegliano gli aurei vostri versi. Dante. Mi compiaccio dell'ottimo successo di que- sto quadro su i miei versi ideato e condotto. Al- tronde se ad altro pittore venisse in pensiero di di- pingerne un altro , in cui si vedesse il conte cieco e barcollante , cercare il corpo dei f^gli estinti , az- zannare le membra di alcuno e manometterle , e qual lupo affamato pascersi delle carni loro ; ov- vero a'x vedesse sazio di quest' orrido pasto , e si scor- gessero le membra addentate e lacerate e guaste dalla bocca paterna, qual sentimento credete voi che ri- sveglierebbe nelT animo dei riguardanti questo tristo quadro ! Io credo che non potrebbe suscitare che or- rore , e detestazione pel conte inumano , scordan- do affatto la dura sua necessità. Ora interpretando i fautori del senso arcano del verso colai pasto orren- do , a me pare che dipongano questo tristo quadro alla mente ed al cuore. Montani. Tuttavolta non si arrendono i parteg- giatori di questa sentenza. Anzi fannosi forti a so- stenerla con ragioni che traggono dallo spirito del- ia vostra cantica , che romantico lo reputano , per- chè in essa , essi dicono , voi dipingete la natu- ra selvaggia e disordinata , la quale non rifugge dai soggetti deformi e sclufosi , Che anzi essa li Divina Commedia 189 tratta con arditezza d'immagini e di colori : cosicché questo secondo quadro per voi indicato non sareb- be tanto strano ai loro occhi , ne tanto ributtante al loro spirito. Dante. Se lo spirito della mia cantica fosse pura- mente romantico , siccome si son compiaciuti questi espositori, che mi avete tante volte indicati , di de- nunziarla , e quindi romantico eziandio quello dell' episodio del conte Ugolino , non avrei avuto biso- gno di occultare in quel verso con una espressione di oracolo così tristo pasto : anzi lo avrei arditamente svelato, perchè in armonia collo spirito supposto della cantica istessa. Ma poiché in essa cantica io nou ave- va adottato di romantico che il teatro , dirò , ove so- no andato colla mia guida a trovar quelli che ho cre- duto nel mondo rei o buoni , onde assegnar loro quelle pene o quei premi che ho creduto siansi meritati , cosi credo che gli attori della divina commedia es- sendo veri , e non romantici , non si debba di essa riguardar per romantico che le bolge , i cerchi , ed i gironi. Montani' E di vero , che valutate le idee fanta- stiche della vostra cantica , hanno essi preteso , che si risenta dell' epoca in cui scriveste ; dei costumi del vostro tempo ; delle fazioni dominanti , come del vo- stro carattere particolare. Dante. Risponderò brevemente a ciascuna di co- lali osservazioni. E dirò in prima, che il mio secolo non era punto incliiaato all' antropofagia, da menar loro buono perciò che il conte Ugolino partecipar potesse , anche stretto dalla necessita , di questo gu- sto. Dirò poscia , che i costumi del mio tempo , se erano un pi fieri , nessuno potrà chiamarli inumani. Dirò finalmente , che se dominarono in quei tempi le fazioni , QS$Q uou tendevano che a migliorar l'or- 190 Letteratura dine sociale , benché sovente producessero il disordi- ne. E quanto al mio carattere particolare, dalla stessa mia cantica si deduce ; cioè che io amava caldamente la patria e la virtù ; che detestava i vizi , ed era il flagello dei viziosi e traditori , per cui venni cac- ciato in esilio , nel quale finii la vita . Ma sen- za che io mi perda ulteriormente a giustificar quel verso dalla imputazione cui questi interpreti l'hanno sottoposto , avendone io fatte anche più che il bi- sogno non voleva , e che forse voi non domandava- te ; volete voi piuttosto aver la compiacenza di espor- mi in più brevi parole , che vi sarà possibile , tutta l'interpretazione fatta dell' episodio , e quindi del ver- so per essi arcano , da questi fautori ; poi narrarmi quella dei seguaci del senso esplicito , e come han- > no potuto illustrare quel verso , e renderlo affatto in- telligibile e chiaro ; per poi sentirla tutta intera da me , e tale quale io seppi questa catastrofe , ed in- tesi in versi ritrarla ? Montani. Lo farò con vero piacere , e con tutta la brevità sufficiente per adombrar l'episodio tutto inte- ro , ed esporre quella intelligenza che essi hanno dato al verso combattuto. Io mi faccio dal sogno al- legorico da cui l'episodio stesso incomincia , e da dove incominciano pur tutti i timori e patimenti del conte. Apparvero adunque all' avvicinarsi del giorno in so- gno un lupo e dei lupattelli , che stanchi ed affati- cati salivano il monte che nasconde Lucca ai pisa- ni, i quali erano inseguiti da cagne magre , che loro affaticavano i fianchi , molestandoli colle loro zan- ne. I primi erano discacciati dal più grande dei suoi nemici, dall' arcivescovo Piuggieri ; gli altri erano av- ventati loro dai suoi col leghi. Dante. Ebbene , quale allusione han fatta i com- mentatori del verso, per loro creduto arcano, di que- Divina Commedia 191 sto sogno alla catastrofe del conte e Jei figli ? Io Of^ni modo , non poteva il conte sospettare che sa- rehbegli toccata la stessa sorte , perchè tale di fatto non l'ebbe ; ne quegli interpreti fiancheggiare la loro opinione potevano, perchè il lupo non mangiò i lu- pattelli ; ed il conte coi figli non furono dopo l'ul- tima catastrofe divorati dai cani come quei lupi. Montani. Poteva nondimeno sospettare il conte quello che gli accadde, cioè che lo avrebbero i suoi nemici affamato nella torre , come i lupi lo sono , inseguiti dai cani , ed obbligati a rintanarsi nelle sel- ve per ivi morirsi di fame. Di fatto allo svegliarsi del conte spaventato dal sogno , che ebbe tosto per mal' augurio , sentì svegliarsi i figliuoli , che già in- fra il sonno fantasticavan del pane. L'ora quasi ap- pressava in cui erano soliti averlo ; e risvegliatisi af- fatto senza vederselo recare, ciascun ne temeva ,-come se in sogno l'avesse preveduto ; ed il p adre incomin- ciava ad esserne tristissimo . Sente appunto in quel mentre serrare a chiave la porta della torre , ed in- comincia a veder verificalo il sogno . Osserva quale impressione abbia fatta nelf animo dei figli questo ben compreso serrare. Essi tutti piangevano , ed ei solo al pianto impietrava. Guardavali con occhi pieni di tristezza e di pietà , ed Anselmuccio chiesegli il per- chè cosìfattamente guardasseli. Egli non rispose e non pianse per un giorno e una notte : ma quando il sole penetrò pel solito foro con un suo raggio , e mostro- gli il volto dei suoi figli pallido , smunto e languen- te , dal quale arguiva qual essere doveva il proprio , penetrato da vivissimo dolore , e dalla fame slimo- lato , si morse ambe le mani. A quest* ultimo atto furono commossi i figli , che di sola fame crede- rono ; e risoluti alzaronsi tutti in piedi , ed offrirono essi stessi al padre le loro carni per saziar la fame 192 Letteratura di lui. Il padre si tacque ali' offerta , tacitamente ac- cettandola per non rattristarli : e per due giorni do- po si stettero taciti tutti e silenziosi, e la lor situa- zione era tale , e dirò in ispecie tal era quella del padre in faccia ai figli languenti per digiuno, eh' ei poteva ben dire in raccontandovclo , ed esclamare: „ Ahi ! dura terra, perchè non ti apristi! ,, Onde ingiot- tirli tutti , e nasconder nel suo seno quest' orrida scena. Dante. E la situazione di tutti, e pili del pa- dre , era ben tale da coramovcre il cielo e la terra. Montani. Giunti i miseri al quarto giorno, Gaddo si gettò ai piedi del padre chiedendogli ragione perchè non lo soccora, ma indarno; ed ai piedi di lui si muo- re. Gadder gli altri tre morti successivamente fra ii quarto ed il sesto giorno. Il dolore e il digiuno ope- ravano intanto nell'animo e nel corpo del conte, che di- venivasi cieco. Allora non più padre , perchè privo di figli, si diede a brancolare, e tasteggiare ov' essi si fossero , e se nei loro corpi restasse ancora qualche scintilla di vita ; e non iscopertane alcuna , soffoca- to il dolore dal digiuno, divenne quello sopra que- sto trionfante ; perchè risvegliato per esso l'istinto animale , e quindi la rabida fame , lo spinse a far pasto dei propri figli siccome di sopra esponevavi. Dante, Ed io a mia possa vi ho fatto di sopra notare , che questa rabida fame uon poteva essersi su- scitata nel conte dopo nove giorni di digiuno , e allora che il conte si era fatto cieco e privo affat- to di forze per sostenersi in piedi: siccome vi ho fatto ancora rilevare , che il mordersi delle mani era at- to d'ira e di furore contro i suoi nemici , anziché di fame. E come mai avrebbe potuto questo orribi- le sentimento tormentarlo allora che i suoi figli sof- frivano i più gran patimenti, forse per vera fame, sen- za querelarsene ! Non accade mai che ai genitori nel » Divina Commedia 193 veder languire i propri figli , si accenda un forte appetito per gli alimenli. Ora se quell'atto non fu di fame , se in quei primi giorni di privazione di ali- menti , per le ragioni naturali indicate , non si po- tè suscitare cotal sentimento , come poteva nascer questo dopo tanti giorni di digiuno e tanti patimen- ti dell'animo da esso padre sofferti! L'interpretazio- ne adunque del verso in questo senso , cioè che il potere del digiuno conducesse il conte a mangiare delle carni dei figli , è contraria al buon senso ed alla retta ragione. Se io in quel verso invece di do- lore avessi adoperato il vocabolo amore ^ allora che questo fosse stato vinto dal digiuno , perchè era re- feribile ai figli , forse sarebbesi potuto inferirne, che vinto l'amor paterno dal digiuno , e questo conver- tito in fame vesana , essa avesse spinto il conte a quest' orrido pasto. Ma io era padre come il conte , e non poteva far trionfare il digiuno sull' amore pa- terno pei figli , il quale non mai si estingue vivi o morti che sicno. Montani. Come ! voi adunque credete sempre que- sto amor trionfante dei genitori pei figli , e sopra tutte le passioni , da non poterne essere da alcun' altra su- perato ! Bruto non condannò i figli a morte , e fu spettatore della esecuzione! Medea non fece uccidere i figli in sua presenza , e la madre ebrea non uc- cise il proprio suo figlio e mangionne le carni 1 Dante. Benché i casi che mi citate sieno molto diversi dal caso del conte, pure gli storici ed i poe- ti ci dipingono lo stato dell' animo dei nominali, nei quali se la passione predominante potè superare per uà momento l'amore paterno e materno , questo ri- prese tosto il suo impero , e trionfò di quelle più basse passioni. Benché l'amor di patria superasse iu G.A.T.LX. 13 194 Lkttratura Bruto per un momento quello di padre (a), benché in Medea quello di vendetta contro Giasone vin- cesse per un istante quello di madre ; benché nella donna ebrea lo spirito di fortezza di animo per l'esisten- za della nazione oscurasse un momento l'amore ma- terno , tuttavolta il dolor massimo ne mostra il cuor di padre (b) di Bruto, di Medea (e), e della donna ebrea: prova , che se la natura puossi momentaneamente ol- traggiare, superare e vincer non puossi giammai. Montani. Intanto voi convenite , sommo poeta , che l'amore dei genitori può esser qualche volta vin- to e superato da altre passioni : e questo appunto, giusta gli espositori del senso mistico di quel ver- so, è il caso del conte : cioè che Vamore di padre vinto fosse dalla fame , e che lo spingesse a cibar- si dei figli ; e sebbene voi in quel verso vi siate servito di dolore piuttosto che di amore , perchè que- sta parola faceva ostacolo alla credenza che Vamore fosse superato dal digiuno, così questi interpreti han- no tosto compresa questa sostituzione di vocabolo , o metonimia della quale vi siete servito , ed hanno letto mentalmente il vostro verso recitato di sopra „ Poscia più che Vamor potè il digiuno. (a) Exeraplum nobile . . . eminente animo patrio. Tit. LIv. Hist. ab urb. cond. lib. I. (b) L'orrido stato Mirate or voi del padre . . . . . . Ab ! ciò si doni al padre, L'uom più infelice che sia nato mai. Alfieri, Bruto I. • (e) ... Poenitet : facli pudet. Quid misera feci ? misera , poenlteat licet Feci . . . L. An. Scu. trag. Medea. Divina Com>iedia 195 Dante. Essi avrebber potuto fare questo sup- posto, cioè che io avessi usato t|uesto tropo , benchJì soverchiamente ardito, se la sostituzione del vocabo- lo amore a dolore avesse rondata più naturale , più vera la finale di colai catsalrofe : altrimenti non h lecito ad alcun poeta di usar questo tropo. Ma poi- ché in questo caso rendesi men verisimile che l'amo- re sia superato dal digiuno che non il dolore^ quin- di non per figura retorica io usai questo anziché quel vocabolo , ma perchè era più consentaneo alla natura , che di questo potesse il digiuno trionfare, e di quello non mai. Montani. Tuttavolta voi concedete molto ad es- si , accordando che il digiuno abbia vinto il do~ lore , che essi credono però , che per quella figu- ra debba leggersi fame per digiuno , e amore per dolore. La spiegazione della catastrofe, o della mor- te del conte in un modo o nell'altro divien per loro facile e piana. Eccola. Sopito, vinto, o distrutto il dolore (o l'amore ) dal digiuno (o dalla fame ), da questa vien suscitato ed attivalo Vlstinto del conte, ormai non più padre : ed esso in rabida fame con- vertilo , lo spinge quale affamato animale ad adden- tar le carni dei figli, siccome di sopra avevavi in- dicalo. Dante. Certamente, che se io avessi creduta possi- bile nel conte questa finale catastrofe, avrei in quel verso fatto agire qual potente motore di essa la /a- me anziché il digiuno, o Vistinto imperioso di pren- dere alimento. Io al contrario non mi giovava ne dell* uno ne dell'altro vocabolo, e quello preferiva di digiuno per far soverchiare il dolore , come più na- turale per attutirlo , annichilarlo e distruggerlo. Av- vegnaché, procedendo il dolore morale dallo slato dell* animo penoso ed oppresso , esso deve seguitare lo 196 Letteratuiia slato fisico del corpo ; ciob mancando ad esso l'ali- mento , anche la forza morale doveva in proporziona indebolirsi , mitigarsi quindi , ed estinguersi il dolo- re. Il digiuno quindi diveniva la causa naturale del- le cessazion della vita. Male pt*rciò avvisarono gli espositori del senso nascosto del verso combattuto, fa- cendo agire dopo nove giorni il digiuno suU' istinto per gli alimenti , laddove non poteva , perchè affatto passivo , essere che la causa naturale della morte del conte. Montani. Ben mi accorgo , che quest' interpreti cofi SI fitta sostituzione vogliono tagliare anziché scio- gliere il nodo della controversa sentenza. Tuttavolta mi sembra che questa sostituzione di amore a dolore^ di fame a digiuno^ si presti meglio a spiegar la cau- sa e l'effetto di questo pasto orrendo. Avvegnaché se Vamore e più forte e tenace del dolore per resistere al digiuno ; la fame altronde e assai più potente del digiuno , per cui vesana si appella, per vincer l'amo- re , e dar luogo a questo pascolo spaventoso. Dante. Se io veramente mi fossi servito di que- sto tropo sostituendo le due parole dichiarate da que- st' interpreti , non avrei per certo aspettato tre gior- ni dopo la morte dei figli a far suscitar dall' istin- to la vesana fame nel conte , tenendolo occupato a chiamarli ed a tasteggiarli , per raccogliere l'ulti- ma aura di vita , se vi restava ancora ; ma lo avrei fatto avventare sulle carni loro , o dopo il pri- mo, o altuen dopo l'ultimo estinto, e disbramar que- sta fame : giacche essa non soffre indugio , non ascol- ta consigli , ne ha freno che possa trattenerla. Che se saziare in alcun modo si possa , essa si smorza per gradi e come fiamma cui manchi alimento, e si estingue. Se io avessi avuto questo pensiero, cioè di nascondere in quel verso tal pasto , non avrei fat- Divi:<;a Comiyiedta. 197 to piangere al conte tre giorni i figliuoli dopo estin- ti, nei quali certamente la fame sarebbesi sopita, e l'effetto sarebbe sialo contrario al concetto. Montani. E di vero , sommo poeta , che i vo- stri interpreti citati , loro malgrado e dopo specie- si ragionamenti, han confessato francamente, die,, Ugo- „ lino aveva sentilo il bisogno di cibarsi delle car- „ ni dei figli, e che aveva preso il movìaiento per far- ,, lo ; quando gli sopraggiunse in quest' alto la mor- ,, te come conseguenza dello sfìuimenlo dei sensi, fa- „ cendolo morire colla coscienza o credulità di es- „ sersi abbandonato a quell' orribile cibo. ,, Han con- fessato eh' ei non mangiò le carni dei figli , perchè non potè mangiarle per lo sfinimento in cui era ca- duto: ne ricuseranno di convenire, che all' epoca del- la morte dei figli , se mai suscitavasi la fame nel conte , questa era cessata colle forze e collo sfini- mento , e che non poteva sentire il bisogno di cibar- si di quelle carni , né aveva forze da prendere il movimento pochi istanti innanzi la morte per adden- tar le carni di vittime cosi care, ne di altre se vi fossero state. Dante. Ella è cosa ordinaria in coloro , i quali imprendono a sostener paradossi , di convenire alla fine delle cose negate. In fine se questi interpreti sonosi arrenduti per ispontanea capitolazione sostituendo un desiderio del conte ad un fatto! ditemi se altri do- po di questi fautori di tal sentenza abbiano adot- tate delle varianti , e come si siano diportati nello scio- glimento della combattuta questione. Montani. Nei tempi ai vostri più vicini vi fu taluno che opinava, che il conte si fosse cibato del- le carni dei propri figliuoli stretto dalla dura ne- cesita. Ninno di essi però ne aveva immaginatele par- ticolarità ; e tutte avevano appena toccata questa seu- 498 Letteratura lenza ; cos'i che tr.'ipassava iiiosservala o temuta per più secoli , scasa che alcuno vi fissasse una scria atten- zione. Ai tempi moderni , se un vostro egregio con- cittadino e potca non avesse come per incidenza , in un suo eloquente discorso , rimessa in campo laco- nicamente questa opinione , forse per altri secoli sa- reLbe restata negletta. Ma appunto in quel torno un cittadino del conte Ugolino volle in tema proporla e sostenerla , e nel modo eh' io l'ho esposta fin qui e voi combattuta : ne debbo tacervi per amor del ve- ro, che un altro vostro concittadino per nascita, e del Gherardesca per adozione , delle lettere amatore col- tissimo , impugnavala validamente , siccome voi eoa ragioni e con fatti lo avete fatto meco; e moltissi- mi ei trasse nel suo partito , e me stesso , che pel senso esplicito delle parole ho combattuto e combatto. Dante. Prima di espormi le illustrazioni fatte all' episodio ed al verso combattuto dai fautori del sen- so esplicito , torno a pregarvi di volermi narrare le varianti dei fautori del senso arcano. Montani. A tre io riduco i pareri messi innan- zi per favoreggiar l'opinione che quel poter del di- giuno referiscasi al pasto dei figli fatto dal conte. Di questi è il primo e piiì antico quello derivato degl' imperiosi stimoli del digiuno convertito in fa- me dopo la morte dei figli. Il secondo parere è tutto moderno , il quale suppone che il conte si ci- basse volontariamente delle carni dei figli morti, nel- la speranza di sopravviver tanto dopo di essi da po- terli vendicare. Il terzo parere , già lo riferiva di sopra , della necessita nel conte di sbramar la fame colla carne dei figli , e della impotenza fisica onde poterlo effettuare. A questo ultimo parere parmi che vada unito quello , che vuole essere stata finzione in voi di far credere questo fatto avvenuto per esaltar cotanto episodio e renderlo più sublime e ])oetico. Divina Commedia 199 Dante, Che il conte, dopo sei giorni di priva- zione di alimenti, o dopo la morte dei figli, potesse es- sere tormentato dalla fame ^ non è inverosimile, e nes- suno potrebbe contraddirlo. Anzi è una sujiposizione ragionevole. Ma che poi questa fame abbia fatto de- lirare il conte , e scordare i sentimenti di natura da addentare i figli : questo è quello che nei miei versi non sarà stato letto , ne leggerassi da alcuno. Anzi da questi stessi versi doveva arguirsi, che questa fa- me vesana non assaliva il conte , perchè ei per tre giorni chiamava e piangeva la morte dei figli, e ta- Steggiavali per non poterli pili vedere per la soprav- venuta cecità ; il che esclude ad un tempo e fa- me , e pazzia per essa. Men verosimile dovevasi cre- dere il secondo parere ; quello cioè che un padre, in così stretta e penosa situazione collocato , sia capa- ce di calcolare quegli avvenimenti , che succeder po- tevano a suo vantaggio : e che se avesse ancora po- tuto fare dei falsi supposti , sorgesse in lui il bar- baro coraggio di cibarsi dei figli per dominar que- sti avvenimenti , onde vendicare di essi la morte . Questo supposto è tanto piìi inverosimile del primo, perchè sapeva bene il conte non essere i suoi nemi- ci l'arcivescovo, i Gualandi ed i Lan franchi, ma tutta quanta la citta, per non dir la repubblica pisana : e che se avesse potuto supporre che la compassione pei figli innocenti avesse dato luogo ad una sommossa per liberarli , questa sarebbesi fatta in tempo , cioè sol- lecitamente, per prevenire che il digiuno prolungato togliesse loro la vita. E non è egli vero che negli ul- timi versi dell' episodio io mostro che tutta la citta odiava il conte, e voleva l'estinzione di quella po- tente famiglia, scagliandole l'imprecazione, che le due isole la Capraja e Gorgona si muovano , otturino la foce di Arno, e tutti i pisani restino estinti ? Altron- 200 Letteratura de vi è alcun dato nella storia , alcun verso nella cantica , che annunzi essere stato il popolo pisano conscio di questa condanna , per isperare che si muo- vesse per la loro liberazione ? Montani. Queste ragioni , sommo poeta , debbo- no persuadere ognuno contro le due allegate sen- tenze. Illuminatemi di grazia su quella terza. Dante. Una volta che il conte Donnonoratico avea per sei giorni sopravvi vuto ai figli senza esser mo- lestato dalla fame vesana : una volta che le sue for- ze erano rimaste estenuate ed esaurite , fino a ren- derlo cieco e barcollante , che più di vigore non re- stavagli,che per assicurarsi a stento se quella dei figli erasi affatto estinta; e impossibile l'ammettere che un sentimento di fame lo spingesse inutilmente a questo pasto, siccome l'ho di sopra combattuto. E quando an- cora si volesse per un momento concedere questa ir- ragionevole ammissione, qual mai effetto poetico pro- dur potrebbe nell' animo dei lettori un atto ideato e non eseguito ? E* egli lo stesso concepire , che l'ese- guire un progetto ? L'effetto poetico in questo caso sa- rebbe riuscito decisamente nullo. Montani. Ed è appunto per questo effetto poetico che si vuole dai fautori di questa terza sentenza , che se tal pasto non effettuavasi dal conte , almeno si fin- ge si effettuasse per arte del poeta. Non credereste voi che questa finzione , se l'aveste fatta , non aves- se renduto l'episodio più sublime , e il concetto pili ardito e poetico ? Dante. Io avrei anzi creduto di renderlo più schi- foso e ributtante. Voi potete dedurlo da que' versi , se ben mi ricordo, del canto XXXII, o di quello che in- troduce all'episodio del conte. Voi ben ricordate quand' io e la mia guida ci trovavamo nel cerchio infernale degli agghiacciati , e che c'imbattevamo ad una bu- DiTiNA Commedia. 201 ca, ove vedemmo due leste, Tuna facendo cappello all' altra, cioè la piima quella del conte posta ; di sopra, e dell' arcivescovo la seconda o di sotto , la quale dal conte rabbiosamente rodevasi per di dietro , che io esclamai, O tu che mostri per sì bestiai segno Odio sopra colui che tu ti mangi. Ora come volete voi eh* io potessi reputar sublime il concetto di far supporre , che il conte mant^iasse de' figli , mentre io stesso lo chiamava nel conte , che rodeva la testa dell' arcivescovo, segno , atto be- stiale , in un suo nemico che tanto l'aveva offeso , tradito , e fatto morire in una torre di digiuno coi figli ! Come poteva immaginare , accarezzare , blan- dire questo concetto di far supporre , che un padre amorosissimo , il quale tanto avea sofferto per la mor- te crudele dei figli , che gli avea dopo morti per tre giorni chiamati e pianti , poscia scordato di tutto gli addentasse , come addentato aveva il capo dell' ar- civescovo , che io nel principio del canto XXXIII fiero pasto chiamava ! Ora se per odio e ira contro l'arcivescovo commetteva il con le quell' atto bestiale di rodergli il capo, ed eseguiva quel fiero pasto^ per qual mai ragione addentar doveva le carni dei figli , e farne pasto cosi ributtante l Ne lascio a voi la deci- sione. Montani. Io non vedo ragione alcuna : e l'argo- mento per voi istituito è tanto convincente , tanto persuadente ; cioè che il conte non mangiò i figli , che non poteva mangiarli , e che voi non avevate mo- tivo per ragion poetica di far supporre questo tri- sto pasto ; che qualunque altro argomento si volesse adoprare , sarebbe vano e superfluo. 202 Letteratura Danti',. Cosi parve , e cosi pare anche a me ; cosi che queir episodio, il quale ispirar doveva misericor' dia e terrore , credei che potesse conseguire l'uno e l'altro sentimento. Mi direste adesso in qual modo han dilucidato e illustrato, o esposto, questo episodio i fau- tori del senso esplicito , e segnatamente il verso questio- nato , siccome mi avete promesso ? Montani. Io non ritornerò all' esposizione dell' epi- sodio nel concetto dei fautori del senso esplicito , perchè non differisce da quella che vi faceva di so« pra dei fautori del senso figurato. Tranne quella in- terpretazione del mordersi le mani del conte ; e del motivo di volervi mettere a parte di quello che non potevate aver inteso della sua morte nel mondo , di cui avete date di sopra validissime , e soddisfacenti ragioni : nel resto l'esposizione , o lo spirito dell* episodio è lo stesso. Il nodo arriva al pettine all' ul- timo verso , o a quello questionato e combattuto. Ma le parole stesse lo sciolgono senza reciderlo ; e tutti i fautori di questa fazione convengono , che il poter del digiuno vincei^a il dolore , e troncava al conte la vita. Tutta volta non sono stati essi dello stesso av- viso su gli effetti di questa morte. Altri cioè hanno opinato per muover misericordia e compassione per questa maniera di morire o per le vittime di essa : laddove altri han creduto per muover ira e vendetta contro gli autori barbari di essa. Vorreste voi, sommo poeta, dichiararne il vero spirito I Dante. Volentieri , e con ischiettezza e sincerità. Poiché io aveva riposto il conte Ugolino coli' arci- vescovo Ruggieri nel girone degli agghiacciati ove sono puniti i traditori, in ispecie della patria , amante passionatissimo come io era della mia , non poteva accarezzar colla penna un sentimento di compassione per esso , ma bensì e con tutta l'effusione di cuore Di VI MA COMWBDIA 203 pel suoi figliuoli innocenti. Altronde come mai distin- guere e separare due diversi sentimenti, quello pei figli , e l'altro pel padre ? Ne venni a capo facil- mente, nella maledizione che scagliava contro di Pi- sa , facendo risaltare le vittime innocenti qviall erano i figli, e pei quali muoveva a compassione, e lascian- do alla posterità il giudicare della rettitudine della condanna contro del padre- Ma poiché le pene an- che capitali possono essere inflitte ai veri e grandi delinquenti in modi più umani , che quella che toc- cava al conte ed ai figli , quindi dipinsi tutte le circostanze dell' inumanissima pena loro inflitta , on- de ispirasse tutto l'orrore possibile contro gli autori di essa. Terrore quindi e misericordia^ e non altro , vo- leva suscitare con quell' episodio :. e credeva, prima di dipartirmi dal mondo , di averlo ottenuto. Montani. Ed in me , ed in tutti i fautori del senso esplicito dei vostri versi , questi due sentimenti avete gagliardamente eccitati. Ma poiché la miseri- cordia risveglia il più blando e dolce dei sentimen- ti , laddove il terrore il più forte e profondo , quin- di voi avete avuto bisogno di molti versi per istara- par neir animo la prima , laddove con un sol verso avete eccitato il secondo. Dante. Io bramo adesso sapere , in qual manie- ra i fautori del senso esplicito han potuto giustifi- care la mia reticenza in quel verso combattuto, la- sciandola in preda delle opinioni. Come hanno po- tuto in una parola sostenere la potenza o prevalen- za del digiuno sopra il dolore. Montani. Questa magnifica e veramente poetica lotta fra due sentimenti , l'uno negativo qual' è il di-> giano , l'attro positivo qual' è il dolore , ha prestata molta materia a disamine e discussioni. Ne trattasi più adesso del poter del digiuno per eccitar ristinto , 204 Letteratura e questo la fame , combattuto di sopra , ma bensì del digiuno capace di distruggere ed annientare il do- lore. Hanno quindi sosteiuto alcuni in questo pro- posito , che la mancanza di alimenti , che costituisce il digiuno, conduce passivamente alla morte ; e che di necessità per cotal difetto, non il solo dolore, ma qualunque altra facoltà o funzione vien meno. Ed in questo senso se vi è pri\razione pel digiuno , non vi è ■potetna o potere alcuno- Altri han fatto diverso ra- gionamento : han detto essi , che la mancanza di ali- mento mentre è una privazione pel corpo delle cose esteriori nutritive, è un motivo di reazione negli or- gani tutti a ritogliersi quello che la nutrizione in ser- bo avevagli dato , e così prolungarne l'esistenza. In fatti vedesi nelle malattie, in cui non può prendersi ali- mento , ritogliersi il grasso dalla cute , le carni dalle membra , e ridurre il corpo consunto. Gli animali che dormono nel verno , e che non si alimentano , soffrono le stesse perdite. Ed ecco il caso che attri- buisce potere al digiuno ; e poiché i malati, che pro- lungano in questo stato , si muojono consunti ed in- sensibili come i tisici, così la potenza del digiuno giun- ge a tanto da consumar le parti , e toglier loro la vitalità : e , se ve ne sono dolenti , fino a distrug- gere il dolore. Non è quindi fuor del concetto na- turale il dire , che il digiuno la può sul dolore e lo vince. Dante. Piacerai davvero la prova del poter del digiuno , in ispecie sopra il dolore. Tuttavolta facen- dolo così attivo , siccome voi lo avete mostrato , io credo che i partigiani dell' istinto e della fame po- tranno rafforzare il loro argomento, far suscitare, sic- come pensano, dal digiuno l'istinto, e per esso la fame , e dare al conte tutta la possibilità di cibarsi dei figli. Divina CoMnn:DiA 205 Montani. Volendo applicare gli esempì citati al caso del conte , giova progredir oltre negli efletti at- tivi del digiuno ; giacche esso non solo consuma il grasso e le carni , ma ì visceri stessi , togliendo o sminuendo loro sostanza ed energia. Lo stomaco quin- di , sede dell' appetito e della fame , perde anch' esso delle sue facoltà. I suoi sughi più non godono di qnella facoltà attiva digerente; le sue pareti non han piiì for- za ne vigore per appetire e digerir l'alimento. Il di- giuno adunque prolungato del conte per nove gior- ni , e attivo su tutto 1* organismo , doveva esserlo per conseguenza sullo stomaco , e renderlo incapace non che di digerire , nemmen di desiderare l'alimen- to ; e l'effetto finale anziché essere un eccitamento dell* istinto e della fame , doveva esser necessariamente , come fu, la morte; e questa morte doveva esser pla- cida e tranquilla, come quella di Pomponio Attico che mi avete di sopra ricordata, e quindi senza spasimi e senza dolori. In fine dopo pochi giorni di digiu- no , nei quali per l'istinto e per le forze vigenti della macchina e dello stomaco si può eccitar l'appetito , ed anche la fame , rimane questa smorzata ed estin- ta, siccome accadde in un caso avvenuto poco fa , mol- to simile a quello di Attico : che se voi desiderale di udirlo , mi farò un piacere di raccontarvi, Dante. L'ascolterò con vero piacere per far som- ma , e confermarmi nella sentenza compresa in quel verso sincopato del poter del digiuno sopra il dolore. Montani. Non ha guari , e poco avanti che mi partissi dal mondo (1), un giovine di circa 35 anni, sof- (i) Questo caso accadde nel giugno del i833 ed è registralo nel Tenips del 24 S'"Ì5"° *^' detto anno. Quindi per anacro< nismo si riferisce a quell' epoca. 206 Lette 11 A TURA ferente per male di stomaco , o come dicono i me- dici per cardialgia, perchè per l'uso degli alimenti ac- cresceva i suoi patimenti , fece , come Attico , fermo proponimento di non pili cibarsi di cosa alcuna ; e fuorcliè acqua, niente altro introdurre nel suo stomaco. Onde non esser dissuaso dagli amici di questo fermo suo volere , ritirossi solissimo in una casa isolata in un angolo di Parigi , senz'ai tra provvista che di pura acqua. Sentiva fino a tutto il terzo giorno gli sti- moli della fame , che colla bevanda acquosa attuti- va : ne mai cede ad essi , anzi fece loro eroica re- sistenza. Dopo il terzo giorno la fame del tutto ces- sava , e giunse al trentesimo giorno languendo senza ombra alcuna di dolore. Non si stettero i suoi ami- ci di ricercare cosa fosse accaduto ad esso ; e dopo molte indagini poterono scuoprire il luogo ove si era celato , e dove languendo correva placido alla sua line. Non trascurarono suppliche e preghiere per farlo rinunziare al tristo progetto : alle quali non seppe resistere quanto Attico a quelle dei suoi pa- renti , e si determinò di contentarli. Ma non appena ebbe trangugiato l'alimento apprestatogli , che insor- sero fiere ambasce allo stomaco , accendevasi la feb- bre , e fra i dolori più orribili finiva la vita. Dante, Grande esempio e parlante , che per di- giuno non sempre si cade in fame , ne subito per digiuno si muore : e gvande appoggio al mio episo- dio , che il conte ed i figli superati i primi giorni, e forse il terzo , non sentirono più gli stiraoli dell' appetito , e che di digiuno languendo, e non di fame arrabbiando, raorivansi. Prova infine parlante, che giun- to il conte digiuno al nono giorno, mancar doveva ad esso la forza come la volontà di cibarsi dei figli. iMofitani. E riprova anche maggiore , che il di- giuno attutisce il dolore j come accadde a T. Fora- Divina Commedia 207 ponio Attico , ed al francese ricordato ; e quitidi che voi aveste ragione di concludere in quel verso , che il digiuno potè più che il dolore. Tuttavolta non tutti i fautori del senso esplicito han parteggiato per questa opinione. Taluno ha creduto error de' copisti , se dice nel modo recitato , laddove secondo esso do- vrebb' essere stato costruito da voi e scritto così : „ Poscia potè il dolor piiì che il digiuno. „ Dante. Se cosi io lo avessi scritto , ed il conte re- citato, esso non avrebbe potuto vi/er digiuno nove giorni. Il dolore dell' animo , che è la più forte delle passioni che provar possa l'uomo , può uccidere nel suo eccesso anche nell' istante : ed esempi molti sono stati raccolti di questo terribile suo potere. Voi ricor- derete quello narrato da Livio delia madre di un sol- dato punito alla battaglia del Trasimeno : la quale accorsa , dietro la precorsa nuova di quella sconfitta , alla porta da dove entravano i miseri avanzi di quella lotta per aver nuove di suo figlio , al tristo annun- zio che ne ricevè da un soldato , che esso era mor- to in battaglia , essa tosto morta cadeva. Montani. E ricordo anche quell' altro caso dallo stesso Livio narrato , di altra madre, la quale stava sulla stessa porta ansiosa di saper nuove di suo figlio. Nel timore di averlo anch' essa perduto , tosto che se lo vide comparire , dall' estremo contento pur essa cad- de estinta. Dai quali due casi ed altri molti se ne può inferire , che gli estremi si toccano : e che pel caso questionato , se il dolore fosse stato più poten- te del digiuno, poiché al suo massimo, o al suo apo- gèo , doveva essere nel conte divenuto allora che ve- deva di non poter soccorrere i figli , e i'un dopo l'altro morti ai piedi suoi cadérsi , cosi morto do- veva cadere anch' esso fra il quarto giorno ed il se- sto. Voi frattanto, che avete dato più potere al di- 208 LsTTEnATURA giano die non al dolore , vorreste avere la compia- cenza di darmi ragione , perchè esso non prevaleva al digiuno fra il terzo giorno ed il quarto, allora che vedeva cadérsi morti l'un dopo l'altro i figliuoli ? Dante. La ragione è facile a comprendersi. Il conte Ugolino nel sentirsi chiusa a chiave la porta della torre , e toltogli l'alimento , per gran dolore che neir animo suo potesse nascere , era confortato e mitigato da quella dea consolatrice che non abban- dona l'uomo fino a che è in vita , dalla speranza , che qualche persona umana e compassionevole , al- me n per i figli , avrebbe fatta revocar cosi cruda condanna. Questo lontano conforto impediva al do- lore di divenir estremo, e sosteneva quello stame di vita che pel digiuno andava di giorno in giorno at- tenuandosi. L'animoso coraggio col quale i figli sop- portavano il digiuno , fino ad offrirsi in cibo al pa- dre istesso , temperava questo dolore, cosi che potè il digiuno per gradi attutirlo, e impedir quello estre- mo : e sebbene avesse il dolore stesso delle vincen- de allora che l'un figlio chiedeva ajuto al padre , ed ei non poteva darglielo , e vedevaselo ai piedi mo- rire : e sebbene più ancora si esacerbasse alla morte de- gli altri ; pure il digiuno aveva operato il suo ef- fetto sulla sensibilità , l'aveva attutiva , e più non potè il dolore soverchiare il digiuno, ed esso di- venne trionfante e l'uccise. Montani. Sono veramente soddisfatto di questa spie- gazione , e mi avete convinto anche più, che non il dolore , ma il digiuno uccideva il conte Donnonora- tico , come aveva estinto i figli. Cortese come voi siete stato in tutto quello che vi ho ricercato per essere chiarito sulle controverse sentenze , voi mette- reste il colmo alla vostra gentilezza , se voleste adesso di tutto queir episodio la vera istoria narrarmi, sic- Divina Commedia 209 come me lo avete promesso, o il concetto lutto intiero di queir episodio , e tale quale voi lo avete immagi- nato , ed in sonantissimi versi dipinto. In questa guisa sola quello questionato e combattuto , può nella sua piena luce comparire. Dante. Niente mi \ più soddisfacente che di ap- pagare le vostre brame , benché tutto lo abbiamo fin qui discorso , e che tornandovi sopra si cada in una ripetizione dell* esposto. Nel farvene l'epilogo io mi starò rigorosamente entro il cerchio del fatto isteri- co , esornandolo con tutti quei colori che m'impre- stava una fervida fantasia poetica per renderlo piiì vivo e commovente , senza passare i confini del vero. Par- mi frattanto che voi conosciate appieno la mia can- tica e lo spirito di essa. Sapete come la mia fanta- sia creavasi un inferno per ritrovarvi quelli , che cre- deravi dovessero essere in pena delle loro azioni tur- pi commesse nel mondo. Sapete infine , che discesovi colla mia guida , e penetrato nel cerchio degli ag- ghiacciati , ove ho riposto i traditori di ogni ma- niera , ed in specie i traditori della patria , o quei che nel mondo erano per tali reputati , ivi trovar do- veva il conte Ugolino, e l'arcivescovo Ruggeri , l'uno reputato traditor della patria dopo la sconfitta na- vale alla Meloria , 1' altro traditor del conte per averlo ingannato e fatto imprigionar co' i figli , e po- scia morire di digiuno in una torre. Il conte, che era morto nella torre , non aveva potuto vendicarsi nel mondo contro l'arcivescovo. Doveva vendicarsi di lui neir inferno, e rodergli il capo , e nel carchio dei traditori. Quivi io lo trovo in atto feroce , che quel taschio del suo nemico si rode. Gli domando , con li- cenza della mia guida , chi sia quel feroce roditor di teschi , e quale quello che coi denti aveva az- zannato. Ei mi dice il suo nome, sollevando la te- G.A.T.LX. 14 210 Letteratura sta da queir atto ; e quello rai pronunzia di co- lui , contro il quale esercita cotanta rabbiosa ven- detta. Vuole giustificarla , perdi' io la ridicessi nei mondo. Già nel mondo sapevasi clic il conte ed i figli erano stati condannati per opera dell' arcivescovo Rog- geri a morir di fame , e che cos'i veramente erano essi morti. Il fatto adunque uon igtioravasi da alcuno : ma le circostanze di questo fatto istesso nessun le sape- va , perchè tutto era succeduto in una torre chiu- sa, ed in nove giorni. La fantasia di un poeta , sen- za allontanarsi dal fatto , poteva spaziare , e creare a sua posta molti accessorii importanti. Il conte quin- di , o il protogonista di questa scena unica , dive- nuto il mio relatore nell' inferno , incomincia la sua narrazione dal dirmi , che quel teschio è di un suo traditore , eh' ei lo rodeva per averlo tradito nella fede datagli di fidarsi di lui , facendolo racchiuder coi figli nella torre di Pisa , e lasciandolo in essa mo- rir coi figli di fame. Questa terribil condanna non fu comunicata al conte , che da pili mesi coi figli era imprigionato. Ei non la seppe , ne poteva 'saperla che di fatto , o quando non ebbe pili il consueto ali- mento. Un poeta poteva e doveva supplirvi con una apposita finzione , che l'annunziasse almeno alla fan- tasia del conte. Il mio Virgilio mi aveva preceduto nel sogno di Enea facendo comparirgli Ettore tutto insanguinato per esortarlo a fuggire e portar seco gli dei penati : io doveva far in sogno apparire al conte l'immagine almeno del suo tristo avvenire , e de' suoi figliuoli. Quindi nel lupo e ne' lupattelli scacciati al monte pisano , e stanchi ed affaticati nel corso , raf- figurare se stesso ed i figli; nelle cagne magre che gì' inseguivano ed affannavano , i suoi nemici ; e forse in tutto l'atto travedere , ca' essi sarcbbonsi mjrti , come i lupi inseguiti dai cani, cui resta tulio l'ali- Divina Comuedia 21 I mento , obbligali si trovano a morir di fame. Spa- ventato risvegliasi il conte da questo sogno terribile, che sembragli presago della sua fine e dei figliuoli; sente che essi infra il sonno e la vigilia fantasti- cavan del pane , perchè l'ora in cui soleva arrecar- glisi si approssimava . E svegliatisi tutti affatto , riè il pane all' ora consueta comparendo , quasi presa- ghi della ior trista sorte , divenner dubitativi , se più lo avrebbero loro arrecato. Ed il dubbio divenne cer- tezzza allora che il conte Ugolino senti chiavare o serrare a chiave la porta della torre , e che vide av- verarsi lo spaventoso sogno , di cui allora compren- deva tutto il senso. Questo momento mi parve som- mamente poetico , perchè esplora il conte quale im- pressione abbia fatta nell' animo dei figli il chia- var della torre , mentre essi a Ior posta cercano quale l'abbia fatto nelT animo del padre. Essi pieni di appetito, ei di dolore di non aver mezzi di po- terlo far loro sbramare. Essi piang on tutti , ed ei al pianto impietrisce. Chi mai , ha ragione il conte di esclamare, riterrebbe le lacrime a questa scena toc- cante , fuori che un padre sventurato , per non ren- dere più affliggente la situazione penosa dei figli ! Ma la situazione del conte dìvien più penosa allora che il medesimo porta gli occhi in giro su i figli in atto pietoso e dolente, e che ve li fissa ; e quando An- selmuccio il dimanda perchè in tal guisa rimirali ; talché ne risposta escir può dalla sua bocca , ne lacrime dai suoi occhi per tutto quel giorno e nella successiva notte. Peggiora questo suo stato allora che la luce del giorno terzo appariva per illuminare le smorte e smunte facce dei figli , argomento dello stato delle proprie , e misura del proprio patimento da quello dei figli. Come resistere a tanta piena di dolore e d'ira ! Entrambe porta le mani alla bocca , e le 14* 212 Letteratura si morde per dolore e per ira. Quest' atto inaspet- tato coramove allanieute l'auirno abbatuto dei figli , e da occasione alla più tenera scena dell' episodio : perchè i figli si credono che il morder delle mani del padre sia effetto di fame anziché d'ira e dolore; e spontanei tutti e generosi pregano il padre di la- sciare intatte le proprie mani , e mangiarsi di loro , qual restituzione dovutagli di averli ingenerali. A que- sta generosa , tenera , affettuosa scena , il conte so- praffatto non risponde per non rattristarli , come sa- rebbe senza fallo accaduto , sia eh' ei gli avesse voluti disingannare , che per fame non mordevasi le mani , ma per ira e dolore , perchè anch' essi ne potevano inutilmente partecipare : sia che avesse voluto loro mostrare come avrebbe compiuta la vendetta , se lo avesse potuto, perchè non alleggeriva in quel men- tre il loro stato. Era adunque il silenzio che tenea il conte , il miglior partito che la sua situazione gli suggerisse ; era la risposta di Didone ad Enea negli elisi, queir illa nihil che lacerò il cuor dell' eroe troja- no. Questo altissimo silenzio per due giorni è pro- ti atto. Chi non avrebbe esclamato col conte in que- sto mentre penosissimo, perchè non si apriva la terra per inghiottir queste vittime , e chiuder così orrida scena ? Ma no : che i patimenti di questo padre, pec- catore contro la patria , non dovevano finire ancora. Se la terra si fosse impietosita ed aperta , avrebbe i.ighiotlite tutte queste vittime, non degne della stessa sorte. Il padre era reo , ed i figli innocenti. Doveva quindi il cuore del padre trovarsi ad altre strette pe- nose ; doveva esser lacerato dai rimorsi all' aspetto della finale catastrofe dei figli , di cui egli solo era la cagione. In fatti doveva vedere cadérsi ai piedi Gaddo il 4 giorno, chiedergli ajiilo, e non poterlo soccoi^- itjvo , ed ivi mirarlo spirare. Doveva veder morire gli BivixA Commedia 213 aìti'i tre nel giorni successivi , senza poterli ne soc- correre ne consolare. Doveva dopo la morte di tut- ti perdere il gran conforto dei genitori , di poter dopo la morte contemplare i figli e piangerli , la risia , farsi cieco e non più vederli , ne più saxiarsi del loro aspetto. Doveva perder le forze del corpo , e cercare l'ultimo sollievo a tante pene , trarsi dietro le membra a grande stento, e cercar colle mani quei cor- pi esanimi, e coperti del gelo della morte, e ta- steggiando esplorare i loro petti per raccogliere , se pur fosse esistita , l'ultima aura di vita , chiamarli an- cora per tre giorni , e poi fatto inseusihilc , esser vinto dal digiuno ed esalar lo spirito. E' pur questo il vero quadro, che ora in molte parole vi e?poneva , e che dipingeva in pochi versi in queir episodio. Voi troverete, lo spero , che il fine corrisponde al principio : che il conte cioè e l'ar- civescovo meritavano di occupar quel posto , ov' io li trovava , od ove gli ho collocati , nel cerchio del traditori nell* inferno ; il primo per aver tradita la patria , il secondo per aver tradito il conte Donno- noralico, e condannato con esso gì' innocenti figli alla stessa pena , o alla stessa morte. Osserverete che il mio fine era di muover la compassione pei figli in- nocenti , e non pel conte peccatore : che io voleva muover orrore contro l'arcivescovo Ruggeri , ed i suoi complici , e non mai pel conte. Che infine io voleva ispirar terrore pei traditori della patria, mostrando un genere di morte penosissima in quest' orribil catastro- fe. Se questo scopo io non avessi conseguito , non sa* rebbe colpa della volontà mia. Montani. Si , sommo maestro , altissimo poeta « che tutto iutiero lo avete conseguito coi vostri versi » come coir esposizione che vi siete compiaciuto di far- mene. Ma poiché i colorì di questo fatto isterico % 214 Letteratura acoaclnto enlio l'oiror di una torre , in cui non aveva accesso die l'aria e poca luce, voi stesso dite aver- vegli imprestali la fantasia poetica , cosi io non mi maraviglio , e voi non dovete offendervi , se essa ne abbia dati , e spesso diversi , ai vostri interpreti , commentatori , e chiosatori di esso : se questi sieno an- dati perciò in varia sentenza suU' episodio , e spe- cialmente sul verso contrastato e combattuto, ,, Poscia pili che '1 dolor potè il digiuno, ,, G. B. f^ite degli illustri ravegnani , scritte da Filippo Mor dalli. ( continuazione. ) 17. AGNELLO. P A oco innanzi alla mela del secolo nono viveva in Ravenna Agnello , altrimenti detto Andrea pel nome dell' avolo , il più antico degl' istorici ravegnani. Ba- silio fu il nome di suo padre , uomo denaroso , del sangue delle più illustri famiglie della nostra citta ; che traeva l'origine da Agnese figliuola di quel ce- lebre Giova nnicio, di cui si è fatto parola. Il pa- dre, disegnando di farlo sacerdote, l'avviò alla chie- sa ancora fanciullo, e lo fece nel tempio orsiano edu- care. Venne tosto nella grazia di Martino arcivesco- vo , che a lui giovanetto conferì il monastero di s. VlTK Dii* RAVEGNANi lU.UStRi 2 I f) Maria alle Blacherue , luogo che era fuori delle mu- ra della citta. Nel tempo che Pelronace reggeva la cbiesa ravegiiana , il nostro Agnello era il decimo nei novero de' preti (oggi li chiamano canonici) del lem pio orsiaiio. E per cessione fattagli da Sergio dia- cono, fratello di suo padre , fu anche rettore del rao-' nastero di s. Bartolommeo ; sebbene quel cervello in- quieto deir arcivescovo Giorgio , nimicatosi con lui^ gli togliesse poi senza ragione quel ministerio ; on- ta eh' eì senti dentro Tanima , e se ne dolse. Aveva il nostro Agnello un ingegno acconcio a tutte le cose , e amava sommamente lo studio delle istorie ; perchè si tolse a descrivere in un volume le vite de- gli arcivescovi ravegnani , e pare eh' ei desse comin^ ciamento ali* opera sua circa all' 836. Fece per cer- to un' opera non molto bella, perocché è scritta in latino sermone che sente del barbaro , si è inele- gante e guasto lo stile ; ma lodevole per questo, di aver conservati molti fatti degni di memoria , che potessero poi essere da ingegno migliore più polita- mente descritti. E se vorrem ricordarci eh* egli vis- se in dolorosi anni , quando l'Italia non vedeva c!ie armi straniere, non udiva che barbare favelle, sen- do gli uomini, non alle lettere, ma alle crudeli guer* re intenti , saremo censori meno rìgidi , giudici più benigni dell' opera di lui ; la quale fu stampata la prima volta in Modena del iTOH con belle disserta- zioni ed osservazioni dell' abate Benedetto Bacchini ^ dottissimo uomo , che la trasse da un codice della biblioteca degli Estensi. E appresso fu ristampata nel- la grande raccolta degli scrittori delle cose italiche da quel sommo ingegno di Lodovico Antonio Murato- ri ; ed è pur ricordata dal Vossio, dall' Ondino, da Benvenuto imolese , dal Pigna , dal Mazzocchi <, dal Vandelli , dal Paciaudi , dal Mazzucchelli , dal Tira» 216 L E T T n .1 A T 0 R A boschi , e da .Scipione MalFei. Di altre operelle vuoi- si autore il nostro istori co. Se crediamo al Menke- nio e all' Eccard fu desso che scrisse la breve cro- naca che porta il nome di Andrea prete italiano : ma il Muratori e l'ab. Ginanni sono di contraria senten- za. Girolamo Rossi gli attribuisce anche una istoria breve della guerra di Totila , in oggi perduta. Det- to delle opere di lui , resta a dire alcuna cosa delle forme della persona , e della immagine dell' animo suo. Ritraggo dai versi barbari dello Scolastico (cioè di colui che soprantendeva alle scuole ravegnane), che il nostro istorico fu di statura piccolo , ma di volto avvenente, pronto di lingua e di capace intelletto. Fu ripreso dal Bacchini come troppo cupido di gloria , e lodator di se stesso piiì che si convegna : ne io questo negherò , ma ricorderò solamente che non fu mai anima gentile che non fosse tocca da grande desiderio di lode. Acceso nella carità della patria, fu molto dolente quando Lotario I imperadore^ qua ve- nuto , portò seco in Francia il prezioso sepolcro di porfido , in che erano chiuse le ossa di quell' arditis- simo Mauro arcivescovo , che col favore dell' impera- dor Costante si tolse dall' obbedienza della chiesa ro- mana , e venne in tanta alterigia da volgere l'anate- ma contro il potefice. E perchè il nostro istorico mo- strò di lodare l'altero animo di costui , e disse al- cune irate parole contro di papa Paolo che tenne in Roma prigione l'arcivescovo Sergio , dal Murato- ri fu detto di mente avversa ai pontefici romani , e il Bacchini lo tenne anche scismatico. Ma è difeso dall' abate Ginseppe Luigi Amadesi con una bella disser- tazione che va innanzi alla cronotassi degli arcive- scovi ravegnani , a cui rimettiamo chi ancor bramas- se saper di lui. Vite de' RAVEGN'Axi illlstri 217' 18. DESIDERIO SPRETI. Uomo per sangue e per tiottrina , ma molto più per eccellenza d'indole, nobilissimo, fu Desiderio Sprc- tri islorico ravegnano, nato nel 1 ,14, La buona edu- cazione avuta dal padre ( che anch' esso ebbe nome Desiderio ) coltivò nel suo petto un fecondo amore di opere onorate e magnanime. Furono suoi studi giovanili le lettere greche e latine, non meno che la giurisprudenza , della quale fu peritissimo. Leggendo molto nelle istorie, imparò a conoscere ben addentro il cuore degli uomini, e a giudicare con saviezza de' casi umani: dilcttavasi sopra tutto della lettura di C. Crispo , nobile spirito , che gli mise in cuore un caldo affetto di patria carità. Era egli giovanetto che non passava ventisei anni, quando Ostasio V da Po- lenta , signore di Ravenna , faceva aramazzare alcu- ni de' principali cittadini , che tremando della sua potenza , avevano in odio il governo di lui , e con- giuravano di dare la citta a' veneziani. Avreste vedu- to Obizo Monaldini , chiarito ribelle, fuggirsi della patria sconosciuto ; poi preso e tormentato in Forlì, indi in Venezia a tradimento ucciso: e Matteo Bal- bo con Iacopo Tombesi posti in carcere tetro , po- scia martoriati , e ad uno di loro mozza la testa dal carnefice. Morto Iacopo de' Raisi , cavaliere delle leg- gi perito ; altri esiliati, avvelenati , impiccati. Il no- stro Desiderio, che fu presente a que' fatti orridissi- mi , soleva poi dire che la memoria di quel tempo era acerba , dolorosa ; cosa terribile a udire, a ve- derla crudele. Ma egli avvenne non molto dipoi, che veggendo Ostasio in tutta la città una tacita mesti- 218 Letteratura zia e scontentezza , e conoscendo se essere divenuto l'obbietto dell' odio comune , a Venezia si condusse, dandosi egli stesso nelle mani di coloro, che niente altro desideravano se non torgli la signoria della pa- tria. Allora il popolo ravegnano, concitato tumultuo- samente alle armi , si ribellò da lui, e trasse in fol- la alla piazza gridando : Viva la repubblica, viva s. Marco. E questo fu del 1441 a' 24 di febbraio. Il senato veneziano (da cui nascostamente era mosso que- sto tumulto ) accettò di buon grado la citta, che pa- reva venire spontanea alla sua devozione , e mostran- do di favorire alcuni de' più potenti ravegnani, con- finò Ostasio con la moglie Ginevra nata di Astor- re Manfredi , e il figliuolo unico Girolamo , nell' iso* la la Candia con provvisione annuaria di scudi ot- tocento d'oro ; dove non andò poi guari che tutti e tre morirono , non senza sospetto di morte loro pro- curata dai troppo crudeli nemici. Seguiterò raccon- tando come per questo abbassamento di Ostasio tutto si rallegrasse l'animo dello Spreti, siccome quegli che odiava mortalmente il governo de' Polentani , e ave- va amore alla veneziana repubblica. Negli anni con- seguenti, essendo la citta in pace, propostosi di scri- vere quanto piìi brevemente potesse la ravegnana isto- ria , parti l'opera sua in piccioli libri. Descrisse nel primo il sito della citta ; parlò della sua origine , e venne narrando come fosse negli antichi tempi va- sta , possente , famosa. Pianse nel secondo le discor- die e le gare degli ambiziosi cittadini , che per po- co non ridussero la patria in rovina e solitudine : disse de' Traversar! e de' Polentani che la signoreg- giarono , tutta la sua grande ira contro di questi ultimi versando. E narrata nel terzo la caduta di Osta- sio V, ultimo de' Polentani , con magnifiche lodi il governo de* veneziani esaltando , mostrò le speranze ViTE De'rAVEGNANI ILLUSTRI 219 della futura prosperità. E' questa istoria scritta nell* idioma latino , puro , facile , chiaro , preciso quan- to si potesse scrivere in que' d\ , e di belle e gravi sentenze adornata. Fu stampata la prima volta nel 1489 ( già morto l'autore ) , e Jacopo Franchi ravegnano, letterato e poeta , a Nicolao Foscaro la intitolò : fu fatta italiana prima nel secolo XVI, poi nel XVIII dal marchese Camillo Spreti , uomo della patria aman- tissimo. Ne solo questa istoria compose Desiderio , ma il Rossi e il Burmanno ricordano un' altra operetta di lui , in oggi perduta. Visse caro molto a' suoi citta- dini , da cui fu mandato oratore a papa Nicolò V , e poscia al senato de' veneziani. Costante e schietto amatore delle azioni virtuose , era suo detto : dover- si con le opere eguagliare , e se ne bastano le for- ze , superare i fatti gloriosi degli antenati. De' quali magnifici pensamenti ei nutriva la giovinezza de' suoi figliuoli , e molto godeva il paterno cuore in veg- gando que' teneri petti crescere nelle virtiì. La don- na sua ebbe nome Andrea di Masio Cristiani ; e mor- tagli , dicono sposasse una de' Proli , che a lui so- pravvisse. Fiori molto nella grazia di Vitale Landò e di Jacopo Antonio Marcello , cavalieri veneziani per sonno e gravita di costumi molto lodati , a' quali de- dicò la sua istoria , e l'amicizia loro con ardente stu- dio ricercò. A' 23 di novembre del 1474 fece suo testamento , e forse in quell' anno stesso lasciò que- sta vita mortale. Il popolo lo pianse , e segui il fe- retro quando il corpo si portava a seppellire nel tempio di s. Francesco , detto a que' dì s. Pier Mag- giore. 220 LETXERATtinA 19. NICOLO' RONDINELLI Vengo ora a Nicolò Rontlìnelli nato nel secolo XV, il quale nella pittura si fattamente si adoperò , che è degno si faccia di lui onorevole memoria. Sappia- mo da Giorgio Vasari , eh' egli studiò alla scuola di Giovanni Bellino , valentissimo dipintor veneziano , e che imitò cosi bene la buona maniera di dipignere del maestro , che Giovanni si valse di lui in assai ope- re sue , e si teneva contento di averlo avuto a di- scepolo. Cresciutogli poi l'animo , e datosi a far da se, condusse molti dipinti degni di lode, i quali tutti io non ricorderò , ma solo di alcuni ragionerò bre- vemente. E perchè nelle opere delle arti niuno può meglio giudicare che que' dell' arte stessa , io , che non attesi mai alla pittura , mi terrò in tutto al giu- dizio che ne ha dato il Vasari , il quale potè ve- derle quando fu in Ravenna nel 1548. Era al tem- po del Vasari nel duomo della nostra citta , all' al- tare di s. Maria Maddalena , una tavola del Rondi- nelli , dentrovi la figura sola di quella santa , e sot- to , in una predella, v'avea dipinto di figure pic- cole , ma graziose , tre istorie della vita di Cristo , quando apparisce alla Maddalena sotto le forme di ortolano : quando s. Pietro , uscito di nave , cammi- na sopra le acque verso del Salvatore : e nel mezzo a queste fece il battesimo di Cristo. E anche a' d\ nostri , nella chiesa che ha il titolo della s. Croce , si vede una tavola di lui , dove è dipinta la Ver- gine sedente , col bambino fra le braccia , e in al- to sopra la testa della Vergine due angelctti tengono il diadema, riportato in argento, secondo la consuc- Vniù de' RAVEGNANI ILLUSTRI 2*21 lucìiiie de' passati tempi , nata Ja divota intenzione , ma non punto lodevole ; e più a basso , alla destra è s. Girolamo , alla sinistra s. Caterina. Dipinse ezian- dio due belle tavole , che erano già in s. Giovanni evangelista, ma poi , nel principio del presente seco- lo , furono portate a Milano ; nell' una delle quali era s. Giovanni consacrante la chiesa , nell' altra i martiri Canaio , Canziano , Gauzianilla. In s. Dome- nico è di sua mano la tavola dell* aitar maggiore in testa al coro , la composizione della quale ( secondo il dire del Lanzi) esce del monotono dì quella età. In essa è figurata la Vergine col piccolo figliuolo, s. Domenico , s. Pietro martire , s. Raimondo , ed al- tri santi in attitudini diverse : esatto ne è il disegno , lodevole la diligenza ne' vestiti ; ma in oggi è mal- concia dalla polvere , e si vorrebbe porre in luogo dove potesse meglio esser veduta. Ma sopra tutte le opere del Rondinelli il Vasari notò quella tavola , che ne' passati anni era posta in s. Giovanni Batti- sta , ora è nelle case del cav. Lavatelli ; nella quale vedi dipinta la regina de' cieli col figliuolo, messa in mezzo da due angeli , e sotto , alla sinistra è s. Se- bastano , alla destra s. Alberto frate carmelitano , la cui testa era bellissima , e tutta la figura mollo pre- gevole ; perchè h a dolere che a questi dì sìa stata guasta nel volerla ripulire. Per queste opere , ed al- tre molte eh' io non ho nominate , fu il Rondinelli commendato, e tenuto in gran conto non solo in Ra- venna , ma in tutta la Romagna ; e il Vasari lo disse pittore eccellente , diligentissimo , e che molto nell' arte si affaticò. Del padre e della madre di lui non sappiamo : ne se avesse moglie e figliuoli. Giovanetto ebbe amistà grande con Baldassare Carrari buon di- pintore , suo compatriotto, di cui vedovasi in s. Do- menico una bella tavola, in una figura della quale era 222 LlSTTERATUnA ritratto il volto di esso Roodiuelli. Fu suo discepolo nella pittura Fraacesco da Gotigoola, il quale colori assai vagamente , raa non ebbe tanto disegno , quanto il maestro. Condusse il Rondinelli la sua vita sino agli anni sessanta: e morto in patria, nella chiesa di s. Fraa- cesco furono le sue ossa sotterrate. 20. TOMMASO GIANNOTTI RANGONI. Tommaso Giannotti , per la sua molta scienza soprannomato il filologo , fu uomo da paragonarsi con ciascuno di quelli che nella memoria delle cose ra- vegnane antiche o nuove è rimasto pii^i famoso. Lo dicono nato intorno al 14^3 a'iO di agosto, nella contrada di Ravenna che anche a questi dì è ap- pellata Girotto. Secondo alcuni fece gli studi in Fer- rara , secondo altri in Venezia e in Padova ; chec- che sia di ciò 5 è certo eh' egli fece grande pro- fitto nella matematica e nell' astronomia , le quali scienze lesse poi in cattedra con famoso nome. At- tese principalmente alla medicina , e ciò che a ogni parte di quella s'appartiene, con molta accuratezza andò investigando ; intantochè di quell' arte diventò eccellentissimo dottore; e fu invitato a insegnarla pub- blicamente negli studi di Padova , di Bologna , di Roma. Strettosi in amicizia col conte Guido Rango- ni , protettore degli scienziati e celebrato guerriero , andò a sfare con lui , anzi lo segui in alcune mi- litari spedizioni : e pel molto amore che gli pose quel valente uomo , s'acquistò il cognome de' Rangoni , e poscia sempre lo si mantenne. La sua ordinaria slan- ViTii de'ravkgnani illustri 223 za fu Venezifi e Padova , dove praticò l'arte sua con tanto nome e riputazione , che in qualunque parte d'Ita- lia era chiamato da ricchi infermi con ismisurato sti- pendio, E di questa sua arte scrisse moltissime ope- re , che a que' di furono in pregio. Abbiamo di lui a stampa un dialogo dell' ottima felicita degli uo- mini, contro a ciò che n'aveano detto il maestro som- mo di sapienza Aristotile e gli altri filosofi ; e un li- bro su quel morbo fiero , che entrò in Europa in sul finire del XV secolo coli' oro e colle gemme ameri- cane , e dalie Gallie si tolse il nome : le quali due opere egli intitolò al conte Guido sopra ricordato. Do- po di che , pe' conforti de' cardinali Verallo e di Car- pi , scrisse un libro del modo di allungare la vita sin oltre i centovent' anni, e lo dedicò nel 1550 a Giu- lio III , levato in quell' anno alla pontificai dignità. In questo libro ei dice di aver descritto quanto aveva raccolto ne* volumi altrui con lunga ed assidua le- zione I ed infra quelli che vissero centovent' anni an- novera il suo dotto concittadino Romualdo anacore- ta , che la chiesa adora per santo. Mi duole il do- ver dire , che avendo egli pronosticato una lunga vita a quel pontefice, s'ingannò , siccome ha osservato an- che il conte Giacomo Leopardi , uno de' buoni in- gegni dell' età nostra. Al pontefice Pio IV nel 1565, poscia nel 1574 a Gregorio XIII intitolò l'altra ope- ra sua delle mediche consultazioni. Per voler esser bre- ve non ricorderò gli altri volumi da questo eccellen- te uomo composti , ma non lascerò gik di dire come sieno presso che tutti scritti nell' idioma latino , in istile non chiaro, ne elegante; imperocché ei non man- cò di studi , ma l'arte di scrivere trascurò. Avendo messe insieme coli' arte sua grosse somme di dena- ro , le spese tutte a bene de' prossimi , a pubblica Utilità. Comperò in Padova il palazzo de' Grilti , e 224 Letteratura con liberale aairao vi ordinò un collegio coli' as- segnaraeato d'annuali rendite , dove ventitré giovani , principalmente ravegnani , fossero alle scienze in quel famoso studio nutriti , e ne mandò lettera al nostro comune il di 7 di luglio del '552; il qual colle- gio bastò più di dugento quarant' anni, ne voglio ora ricordare per quali cagioni recenti e notissime fosse cessato. Ma che dirò io della biblioteca ivi aperta a beneficio universale , e da lui ornata con donativo di scelti volumi, specialmente orientali , p^r novero mol- ti , per qualità singolari ? Ne meno starò a numerare gli strumenti di studi contemplativi e operosi, le pit- ture, le anticaglie, le rarità , che mercè della liberalità di lui ivi furono ragunate e ammirate. A sue spese fece riedificare dalle fondamenta il tempio di s. Giuliano di Venezia con disegno di Iacopo Sansovino e di Ales- sando Vittoria amicissimi di lui. Ristaurò anche ed abbellì la chiesa di s. Geminiano ; cose tutte da far onore non pure ad un privato cittadino , com' era il Giannotti , ma a qualunque gran principe. Altre memo- rie del suo cuore generoso lasciò nel testamento fatto in Venezia il di 2 di agosto del 157G. Visse quanto alla età e alla gloria tempo lunghissimo , perocché lo fanno morto nel 1577 d'ottantaquattro anni ; e vivo e morto ebbe onori , a cui non giunse nessun ravegnano nò prima ne dopo di lui. Imperocché dal doge Gi- rolamo Prioli fu fatto cavaliere , e guardiano grande delia scuola di s. Marco , onore che fu nella veneta repubblica di grandissima estimazione : anche la patria gli fece ricchi presenti in denaro , e benché lontano nel numero de' suoi consigliatori lo ripose. L'imma- gine di lui , sculta in busti di bronzo e di marmo , per ordinamento del senato veneziano fu posta in ono- rali luoghi della cillh. Fu anche effigiato in medaglie di bronzo , di argento , di oro j ed iscrizioni gre- Vite de' ravegnani illustri 225 die, latine, ebraiche, caldee, incise in marmi da du- rare ne' secoli , ricordano ai presenti uomini, e ricor- deranno a' venturi, le sue grandi virtù. La spoglia mor- tale dell' ottimo uomo , lagriraala dai veneziani, da* suoi concittadini desiderata, fu deposta con pubblica pompa d'esequie nella chiesa predetta di s. Giuliano, dove ancora oggi puoi vedere il suo sepolcro. 21. GIULIO MORIGI Seguendo l'ordine de' tempi , farò menzione di Giulio Morigi , il quale , secondo eh' io trovo scrit- to , nacque di Cristoforo nel 1538 a' 5 di gennaio, e gli antenati suoi furono gentiluomini. Fatto adulto , e non bisognoso di guadagnarsi la vita con le fatiche dell' intelletto o delle braccia , attese Giulio a'iieti studi delle lettere, che (come dice egli stesso) nelle prosperità danno diletto, e nelle avversità consolazio- ne ; e avendo la mente piena di fervide fantasie , si volse allo studio degl'italiani poeti, ponendo un gran- de amore alle rime soavi di Francesco Petrarca. Ave- va compiuti appena i vent'anni della sua eia, quando la molto lusinghevole bellezza di Aurelia del Pozzo gli ebbe messa in cuore un'ardente passione , che di gior- no in giorno moltiplicando , giunse a tanto da tornii ogni allegrezza, ogni consolazione della vita. Comechè il povero giovane fosse da cosi fiera passione travaglia- to, non tralasciò già di attendere agli studi, anzi per uno sfogo del cuore rivolse il suono delle dogliose rime a impietosire la desiderata donna , e compose il Da mone innamoralo , raccontando sotto la finzione di G.A.T.L.X. 15 22G Letteratura uu pastore gli aifelti che gli turbavano l'animo, e Io tenevano in pena : ma i carmi del timido amante non valsero punto a mettere pietà nel petto di quella su- perba e ritrosa bellezza. Fece egli l'estremo delle sue forze per vincere la sua passione veementissima , e non potè. Allora si tolse dagli occhi di colei , e per disar- cerbare in parte il suo cordoglio fugg\ dalla patria, peregrinò alle rive del Tevere, visitò i monumenti dell' eterna Roma ; e dopo veduti altri luoghi, solcò le acque dell'Adriatico, vide Aurelia in Venezia , e di là do- lentissimo alla patria fece ritorno. E poiché col mutar de' luoghi non aveva potuto cacciar del petto quella sol- lecitudine afFatinosa , tornò agli studi intralasciati ; e com' è degli atiimi mesti, cui preme un forte disde- gno della iniquità degli uomini e della fortuna , si die a condur vita solitaria e ritirata in una sua villetta del contado ravegnano , dove scrisse secon- do che gli dettava l'animo e la sua passione un vo- lume di poesie : ed elettosi argomento al malinco- nico core conforme , traslatò nella nostra favella , e in versi sciolti dalla rima , i cinque libri delle di- savventure di Ovidio. E similmente volgarizzò la Far- saglia di Lucano , alla quale aggiunse due libri sino alla morte di Cesare. Volle anche tentare il poema eroico , e compose il Carlo vittorioso : venticinque canti in ottava rima , i quali non si sono ancora ve- duti stampati , eh' io sappia. Altre poesie minori la- sciò manoscritte appresso la morte. A me pare che qujSt' uomo verseggiasse con agevolezza non poca , ed abbia mostrato di non ignorare la pulita genti- lezza dello scrivere ; ma se volesse alcun dire , che ì versi di lui tengono sovente del languido e del ne- gletto , ne hanno quel sangue e quel calore che da vita alle scritture , non gli si potrebbe cofraìtare. Dopo molti anni di sospiri e di vani desiderii , pa- Vite de' ravegmani illustri 227 re eh' ei lasciasse per sempre la male amata donna, vólto il suo affetto ad altra non meno bella e leg- giadra , Lavinia Spreti , che poi morendo lo lasciò sconsolato e doloroso. E molto lo rattristò anche la morte violenta del vecchio padre , caduto sotto il ferro di non offeso nemico : onde il pietoso figliuolo quel miserabile caso con le sue rime lamentò. Fu il nostro Giulio buono o leale , modesto , non ambizioso, sen- sitivo e sdegnoso : amò non per libidine, ma per gen- tilezza di cuore : antepose sempre l'oscurità del riti- ro allo splendor delle cariche; e 'l non vedere le spia^ cevolezze e i fastidi de' malvagi uomini gli era di tan- ta consolazione, che aveva la solitudine della sua vil- la per molto soave riposo. Spesse volte la invidiosa ignoranza de' saoi nemici gli die travaglio; ma non pertanto egli non s'invilì ; soleva anzi dire che la virtìi , quanto è più oppressa , tanto pii!i sorge glo- riosa. A molti valentuomini fu in pregio , da molte accademie fu richiesto , e fra' suoi amici annoveria- mo Torquato Tasso , Gabriel Fiamma , Battista Gua- rino , Muzio Manfredi , Angelo Ingegneri , Tarquinia Molza , Onofrio Zarrabbiui , le cui rime in Venezia fé' pubblicare. De' suoi cittadini aveva carissimo Vin- cenzo Carrari , col quale si dolse , che gli fosse toc- cato di provare in questa vita (sono le sue parole) cuore sì fiero ed animo sì nemico di donna, ed uo- mini così ingrati. A' 3 di febbraio del 1610 usci di questo mortale secolo , avendo settantadue anni , e gli furono fatte le esequie e tumulate le ossa nel mag- gior tempio della nostra citta. Questo è tutto quel- lo che si sa di lui : ora veniamo uà altri. 15^ 22.'> L e T T E 'n A T u i\ A. 22. FRANCESCO NEGRI. Quanto possa rinclinazione della natura negli uo- mini si conosce chiaramente in Francesco Negri ra- vegoano , nato di parenti avventurati ed onesti nel secolo XVII ; il quale insino da che era picciol fan- ciullo ebbe grande vaghezza di vedere nuove genti, costumi diversi , regioni lontane. Il qual desiderio mise poi ad cfFetto nella matura età , come più avanti diremo. Da principio si esercitò nelle scienze geogra- fiche ed astronomiche : ammirò le dottrine de' filosofi, e le segui ; anzi aveva raccolte le sentenze loro in un volume , e se ne valeva all' uopo nel parlar fa- migliare e nelle scritture. Tratto poi dalla volontà sua alla vita sacerdotale , studiò molto nelle opere de' santi padri , e in que" libri sacri che possono nu- trir l'intelletto , non di enimmi e di sofismi , ma di utili verità. Avvenne una volta che leggendo egli per diletto nella storia delle genti settentrionali di Olao Magno , gli si riaccese nell' animo l'antico desiderio, e dispose di voler vedere que' luoghi, dove è una buia notte e un giorno lucidissimo di due mesi continui ; la terra coperta da nevi e ghiaccio quasi eterno; monti deserti , foreste ignude , terren morto e squallido , io « ui non s'appiglia seme , non germoglia fil d'erba, e nondimanco havvi una gente che vive , e della vita sente diletto. Il dirsi che insino a que' dì non era sta- to italiano che avesse scritto di que' luoghi siccome testimonio di veduta , gli faceva piiì acute le brame, ne si potè più tenere. Uscito della patria nell' età. di quarant' anni, o in quel torno, perejirinò le terre de- gli Sveci , la Norvegia , la L;ipponia , la Finmar- Vite de' RAvEostANi illustri 229 cliìa sino a! Capo-Noicl; e si condusse colà attraversan- tlo lunglie pianure, balzi di montagne, scogli d'al- pi , folte boscaglie : valicò fiumi e torrenti : vide con- gelarsi il mare. Assai delle volte per sentieri intral- ciati , boscosi , aggìrevoli si smarrì , poiché egli viag- giava senza compagni , sconfidato ( dice ei medesimo) di trovare chi avesse un corpo di ferro e un animo di bronzo come il suo* Pati freddi non tollerabili , fu presso a morir per fame e ad annegare. Contut- tociò non avreste veduto volto piii lieto , animo più allegro del suo : teneva consolato se stesso con que- ste parole: ,, Questo patimento presente finirà con tjuc- ,, sta giornata , e il giululo di aver veduto quello „ che in essa hai osservato, durerà teco lutto il tem- „ pò di tua vita. ,, In questo suo viaggio pose stu- dio ai costumi delle diverse genti che visitò : disse delle loro leggi , della religione , della superstizione : i loro esercizi, il cacciare, il pescare notò : favel- lò de' conviti , delle nozze , de' funerali : descrisse tutto che era , o gli parve, degno di maraviglia, nar- rando unicamente le cose da lui vedute, e le cagio- ni e gli effetti loro con ogni sollecitudine investi- gando. E fu SI tenero della verità e della sua fama, che stette alcuna volta in dubbio se avesse a met- tere in carta quel vero che ha faccia di menzogna, ricordandosi della sentenza dell' Alighieri. Nella cit- ta di Slocolma fu accolto con onorevoli dimostrazio- ni dal signor di Chassan, eh' ivi risiedeva per la mae- stà di Lodovico xml re di Francia , il quale ebbe SI io pregio le vìrtiì di lui, che gli apriva tutti i segreti della sua coscienza. Quivi potè vedere la ce- rimonia solenne e lugubre fatta alla spoglia del con- te di Konigsmarc , stato a'que' di nelle armi famoso. In Oslerod ( luogo presso a due gradi alla zona gla- ciale ) albergò appresso il gran cancelliere di Norve- 230 Letteratura già Ovidio Bielkc , che gli usò ospitai cortesia ; ed essendo in sul partire da luì , quel signore , quasi scherzando : Voi , disse , andate a morire in que- sto viaggio , poiché avete a combattere due potentis- simi nemici , la zona glaciale , e il verno crudelis- simo ; ma consolatevi, eh' io racconterò la vostra ar- dita morte nella giunta che ho in animo di fare al- le cronache di Norvegia. Il Negri rispose ringrazian- dolo di questo onore , ma che egli voleva fare in mo- do , che sua eccellenza non avrebbe pigliata quella fatica per lui. Andando suo cammino , pervenne in Nordlandia , viaggiando nelle slitte , ed ivi vide e descrisse cose a raccontare maravigliose. Dice essere falso quanto narrasi pe' geografi e per gli storici del famoso vortice ( eh* egli chiama voragine ) della Nor- vegia. Mi duole che il signor di Buch , celebre viag- giatore , il quale osservò questa novella Cariddi ne* primi anni del presente secolo , non abbia saputo che un ravegnano cento quarant' anni prima di lui era stato in quelle parti medesime, e ( quel che gli avreb- be recato maraviglia maggiore) in tempo di verno aveva passato quella voragine in una piccola barchet- ta con ardimento da non trovar paragone. Trascor- sa cir ebbe il nostro Negri tutla la Finmarchia sino al Capo-Nord, e non trovandosi , come ei dice, più in la verso il polo terra da uomini abitata , si ten- ne contento , e dispose di lasciare quell' aspro cielo, e queir ingrato terreno. E tornando, ferraossi in Co- penaghen , dove visitò Carlo Vanraander , custode del museo del re , a cui manifestò non so che natura- li osservazioni , che il Vanmander ebbe carissime, e disse che ne voleva fare memoria. Della cui venuta andate novelle in corte , Federico IH lo fece a se venire , e volle sapere da lui del suo viaggio , e ve- dere le curiosità che seco aveva recate ; maravigliali- Vite de havecpiani illustri S?-! do forte quel re , che un ilaliano , nato sotto qn*^- sto cielo felice , avesse avuto cotanto ardimento di cacciarsi fra i ghiacci del settentrione. Dopo tre anni , nel 16G6 , entrò questo buon ravegnano nel- la sua patria , fra le abbracciate de* congiunti e de- gli amici congratulanti con esso lui del ritorno. In- di a poco , piacendo al card. Paluzzo Altieri arci- vescovo , la buona vita del nostro Nogri , gli die in governo la parrocchial chiesa di s. Maria in coelos- eo : nel qual tempo , dando esso opera agli studi , scrisse e pubblicò un discorso della riverenza dovuta a' sacri templi. Notò anche gli errori della storia di Olao Magno , e li pose innanzi al suo viaggio set- tentrionale (stampato, lui morto, nel 1700). An- dò a Roma più volte , e cola molto si adoperò a be- ne della patria , trattando negozi importantissimi ; e procurò eh' ivi fosse fatto un ospizio per quelli che vengono alla fede di Cristo. Fu sacerdote lontano dall avarizia, dall' arroganza, dalla ipocrisia. Ebbe in or- rore la menzogna : molto si piacque di recar a pa- ce le discordie, e porgere salutari consigli. A viso aperto difese assai volte i buoni dalle ingiurie de' tri- sti , e fu solito dire , che gli altri erano nati per fa- re il bene , ed egli per guastare il male. Arguto nel favellare, faceto e piacevole; abborrì sempre coloro che ti fanno in viso il buono e Tarnico , ed hanno il verme della invidia nel cuore. Fu onorato in vita dell' amicizia del conte Lorenzo Magalotti, e di gran- di signori e principi : dopo morte fu lodato da Gio- vanfrancesco Vistoli , dotto ravegnano , eh' ebbe con esso lui intrinsichezza per quarant' anni. Lo stile eh' egli nelle sue opere adoperò e' semplice , chiaro, non offeso da' viziosi traslati , eh' erano si in pregio a' suoi di : perchè anche in questo merita eommenda- lione A' 2T di dicembre del 1698, già vecchio di 232 Letteratura settanlaclqae anni , fini il viaggio di questa vita , la- sciando a tutti quelli , che di lui ebbero conosceri- za , dolore e desiderio. 23. MARCO FANTUZZI. Con l'esempio delle virtù del conte Marco Fan- tuzzi io mi confido di poter mettere negli animi de' giovani , specialmente nobili e ricchi , buon;]^de- siderio d' imitarlo. Comincio dal ricordare eh' egli entrò in questa vita a' 15 di agosto del 1740 , e che gli fu padre un ravennano di grande nobiltà e ricchezza , per nome Costantino : ne ebbe manco il- lustre il sangue materno, essendo la madre di lui del- la casa de* conti Gazoldi da Mantova. Dagli errori giovanili lo tenne lontano la sua natura buona e sin- cera, e l'aver usato famigliarmente insino da' primi anni co* valentuomini della nostra citta, col Pinzi, coir ab. Ginanni , col Zirardini ; anzi quest' ultimo gli fu anche maestro nella giurisprudenza , e tutti e tre poi gli spirarono un grande amore per lo studio del- la patria istoria. Stette dodici anni in Roma appresso il card. Gaetano Fantuzzi , fratello di «uo padre , ove apparò costumi gentili, adornò di utili cognizioni l'in- telletto , e in giovane età diede di se quella speran- za , alla quale non dovevano poi essere nel tempo avvenire inferiori le sue azioni. Era a que' di il co- mune de' ravegnani aggravato da molti debiti, trava- gliato da liti anticate. Il nostro Fantuzzi , giovane di ventiiiove anni , ma per maturità di senno a nin- no de' suoi conciltadini inferiore , avendo la mente Vite de' ravegnani illustri 2'33 piena dell' antica ravegnana grandezza, si pose in cuo- re di soccorrere col denaro, coli' ingegno , con tut- te le forze la patria pericolante : e per amore di lei non gli fu grave di deporre quel Lene , che al sa- vio e' principalmente carissimo, la privata quiete. Elet- to con pieno consentimento di tutti i buoui, accioc- ché desse ordine e modo alle cose pubbliche , rifece due volte il viaggio di Roma , non risparmiando ne denari , ne fatiche, e fé' aperto a papa Clemente XIIII da qual fonte venisse la nostra pubblica calamita. Fu ardito di dire ciò che sapeva dover dispiacere a molti potenti, e a quelli principalmente che il pri- vato loro comodo al pubblico bene anteponevano; i quali gli destarono contro odii crudeli, e con ragio- ni apparenti si sforzarono di torgli la fama d'uomo intero e religioso. Ma troppo bene era saputa la one- stà della vita , la bontà de' costumi , la rettitudine del cuore di lui ; perchè le male arti dogi' iniqui tornarono a niente. Non ebbero già fine con questo le cure e le fatiche dell' egregio uomo a prò de' suoi cittadini, ma anzi da qui presero cominciamento : pe- rocché ne' dodici anni eh' ei tenne il magistrato su- premo della citta non fu mai stanco di procurare^ per quanto potè , la utilità e il decoro di questa antica patria. Dettò i capitoli di un nuovo catasto : propose una strada , onde si potesse comunicare con la Romagna superiore : voleva interrate le valli, di- seccate le paludi , migliorata l'agricoltura , rifatto il codice di leggi agrarie , ampliato il porto , abbel- lito di edifici il canal navigabile. Cose tutte alla nostra città decorose , utili , necessarie; onde mi duo- le che l'avarizia e la viltà di pochi miei concitta- dini gli stesse contro , e in vece di lode e di pre- mio , glie ne desse biasimo e travaglio. Perchè egli, vistosi attraversati i suoi disegni , con isdegno di 234 Letteratura animo generoso depose quel magistrato , e , toltegli le minori cariche , si ritirò con la donna sua xlnna dal Corno nella sua villa di Gualdo , a lui più ca- ra che la luce degli occhi : dicendo con Livio , che niente altro chiedeva prezzo della sua fatica , se non di star lungi dal cospetto degl' ingrati. Slegato ia questo modo dai pubblici negozi , non condusse già la vita in ozio superbo , ma si die allo studio dell* agricoltura , che molto gli era in amore , e di suo ingegno trovò una macchina idraulica , eoa che trae- va l'acqua dai fiumi arginati ad irrigare i campi vi- cini : fece fare dispendiosi lavori ad una cava di car- bon fossile trovata presso Sogliano , e di quella ca- va , e delle solfanarie della Romagna scrisse alcune memorie. Amante del fabbricare , innalzò nuovi edi- fici , gli antichi e cadenti ristaurò, abbellì. Frattanto era venuto il pontificato alle mani di Pio VI , che della virtiì del Fantuzzi aveva conoscenza , e lo fe- ce procuratore di tutta la Emilia con imperio. Egli di mala voglia consentì di ricevere quello incarico, che altri avrebbe desiderato ; tuttavia lo tenne con dignità e decoro dieci anni , ne mai dimandò , ne volle stipendio. Ed ora , e in appresso , e sin che durò quel governo , fu sempre cerco e avuto caro il consiglio di lui , specialmente in ciò che a civile economia si atteneva. Ma è tempo da dire alcuna co- sa degli studi e delle opere di lui , che pur tutte forono volte al bene della città nostra. Infino da quando era giovane aveva cominciato a cavar dalla polvere degli archivi le antiche scritture de' secoli detti di mezzo , siccome quelli che ricordano l'anti- ca nostra gloria ; e potè poi coli' assiduità e diligen- za sua raccoglierne sì grande numero da formarne sei grossi volumi , che negli ultimi anni della sua vita fece stampare in Venezia. Ottocento scssantacinque so- Vite db* ravegnanI illustri 235 no i monumenti in questi sei volumi raccolti , de' quali sessanladue contctii^ono in se i corapeDclii di al- tri quattromila centotrentasette monumenti : onde chi porrà mente che questa è fatica di solo un uomo , tolto sovente agli studi da occupazioni pubbliche, in- felici , penose ( come dice egli stesso ) , avrà non poco a maravigliare. Avrebbe egli voluto illustrare il suo lavoro con nuove dissertazioni , con note , con indice cronologico, che di tutta la materia ragionas- se ; ma per morte non potè porre ad effetto il ben conceputo pensiero. Con questa fatica ( e lo disse più volte, bramoso che si sapesse ) altro ei non ebbe nelT animo, se non di mettere ne' suoi ravegnani un pò di amore per la patria istoria, o provvedere almeno che di tante antiche cose la memoria non perisse, E di vero ei fece opera da sapergliene grado chi vo- lesse porsi a riordinare la storia ravegnana , poten- do trarre da questi monumenti assai belle notizie per confermare i fatti veri , chiarire gli oscuri , toglie- re i falsi , aggiungerne de' nuovi. Non voglio tace- re come sovente l'affliggeva un pensiero , che non si troverebbe poi si facilmente chi volesse mettersi al- la fatica di una nuova istoria , perocché diceva, ed è vero, non essere cosi vivo in noi l'amore del luo- go natale , come essere ne dovrebbe. Prima de' mo- numenti ebbe stampata in Cesena splendidamente una operetta latina , composta per contentare il cuore di Pio VI , il quale amava che si sapesse , la sua ca- sa essere congiunta di sangue con quella degli One- sti , o de' duchi, famiglia ravegnana che fu di an- tichissima nobiltà , e chiara per quel Pietro , detto il peccatore, ricordato nel poema dell' Alighieri. Ave- va anche scritto ducento trentacinqne memorie, ov- vero dissertazioni, tutte utili e importanti egualmente, nelle quali si tolse a trattare subietti di politica, di 236 Letteratura storia , di economia civile , di agricoltura , di mine- ralogia , d'idraulica , di critica , di pubblico e pri- vato diritto , non meno che delle arti , della milizia^ del commercio : alcune di esse veggiarao raccolte in un volume stampato nel 1804; molte ne arse egli stesso , altre ne perdette. Compose anche ora- zioni ; fece un codice diplomatico; scrisse le memorie della vita di Giovanandrea Lazzaritii da Pesaro , col quale ebbe ad usare famigliarmente ; italianizzò dal francese l'opera del sig. Venel intorno al carbon fos- sile. In tutte queste opere è da lodare la bontà dell' ingegno di lui ; non cosi lo stile , troppo umile e disadorno , anzi alcuna volta scorretto : parlo dell' italiano , che nel latino ebbe non mediocre perizia. Vogliamo anche essergli grati dell' aver procurato ono- re alla memoria del conte Francesco Ginanni coli' aver fatto stampare in Roma la storia delle pinete rave- gnane , che questo dotto uomo lasciò manoscritta do- po la morte; ne ci dorremo con lui che volesse man- dare all' amico suo Gaetano Marini le illustrazioni de' papiri ravegnani trovate tra le carte del defunto suo concittadino e maestro Antonio Zirardini, sapen- do che l'autore aveva fatto dono del suo nobile la- voro a quel chiarissimo ingegno. Ho detto de' suoi studi : ma come potrei io dir degnamente della sua fede , della sua costanza , della sua onesta ? Erano già entrati i francesi in Italia, anzi nella Romagna; fuggito il legato ; pieno ogni cosa di tumulti , ogni cuor di spavento. Il Fautuzzi con petto imperlurbato mantenne alcun tempo in fede la provincia al pon- tefice con potestà di questore : ma come vide dispe- rate le cose , avvisando se non essere sicuro per la malevoj^Iienza de' nemici , montato in nave , solo , nel silenzio della notte , fé dare le vele a' venti , e sbarcò in Ancona. E numerato al tesoriere del pon- Vite dk' ravegnani illustri 237 tefìce il deaaro pubblico che seco avea recato, na- vigò a Siponto nella Puglia : di la passò a Napoli, poi a Roma. Visitò papa Pio , vecchio ottuagenario, infermo , addolorato, ornai vicino alia sua ora estre- ma, e videlo uscir di Roma prigioniero il di 20 di feb- braio del 1798. Allora lasciava mesto quella citta , viaggiava alla volta di Firenze , si riparava in Ve- nezia. Ivi per un sollievo dell' animo mandava fuori i sei volumi de' monumenti ravegnani, secondo che ab- biamo detto. Nel 180? era in Firenze, e di la tor- nò a Venezia ; poscia a Pesaro se n'andò a stare, do- ve caduto in mala disposizione , ai 10 di gennaio del 1 806 usci di questo mondo nella etk di 65 an- ni , 4 ™csi e 25 giorni , e nella chiesa di s. Gia- como ebbe sepoltura. Tale fu la vita di Marco Fan- tuzzi sempre giusto ne* pubblici affari , non mai ligio di alcuno, avverso all'adulazione, lontano da ogni viltà , e veramente nato a cose virili e magnanime. Delle sembianze di lui ci serba memoria la effigie scol- pila in marmo , che si può vedere nella nostra ac- cademia delle arti belle ; ma io più volentieri mi fermo a contemplare la immagine dell' animo suo, la quale vorrei posta di continuo innanzi alle menti de' miei concittadini , e di quelli principalmente a cui fortuna fu larga de' suoi doni , e natura die nobile intelletto e cuore gentile. 24. - CAMILLO MORIGIA. Eccellente per ingegno , e per molti ornamenti dell' animo fu il conte Camillo Morigia , dì casa ra- 238 Lette ratuha vegnaaa antica ed illustre , nato di Gio. Battista e di Laura Monaldini nel di 15 di settembre del 1743. Cresciuto araorevolraenle da' suoi parenti , e già in etk convenevole dì poter apprendere le scienze , pas- sò alcuni anni nello studio della matematica sotto la di- sciplina del suo dotto concittadino Dionigi Monaldini. Apprese anche diverse lingue , studiò nelle istorie , e della scienza idraulica fu intendentissimo : ma essendo tirato da natura alle cose del disegno , voltò aflfat- to il ben disposto animo all' architettura, arte la pili necessaria e utile agli uomini , nella quale con mol- ta sua lode si adoperò. Co' disegni di lui si sono fatte molte belle fabbriche nella nostra citta, ed io di quelle sole farò ricordanza che gli hanno dato , fama maggiore. Era l'anno 1780 , quando il buon card. Luigi Valenti , legato della Romagna , postosi in cuore di rifare il monumento di Dante Alighieri, che per vecchiezza di ducento novantasette anni mi- nacciava rovina , non rifiutò l'ingegno del Morigia; il quale rizzò un adorno tempietto, di forma qua- drata , quindici palmi largo per ciascun lato, a cui fa coperchio una cupoletta emisferica. Finita questa opera, l'anno 1782, nella strada di s. Paterniano ap- presso il vicolo Paiuncolo riedificò a spese del comu- ne il ginnasio, ravegnano ; edificio condotto con ra- gionevole disegno, con proporzioni assai buone , e da chi intende dell' arte lodalissirao. Dopo di che volen- do i canonici di s. Maria in Porto fondare la fac- ciata del loro tempio, già murato nel 1553 con di- segno di Bernardino Tavella ravegnano, il Morigia ne fece il modello ; e questo prospetto di tempio, in ve- ro nobile e maestoso a vedere , ed al quale per set- te scaglioni si ascende , fu partito in due ordini di architettura , l'uno inferiore ionico , l'altro superio- re composito , e adornato di marmi riccamente , con Vite de' ravegnani illustri 230 statue , colonne , cornici , intagli , ed altre cose , co- me si vede. E' anche opera di lui l'arco trionfale eret- to nel 1785 in fine del borgo di porta Gisi , in ca- po alla bella strada che va a Forlì , della quale fu pur esso il direttore. E' intorno questo tempo fu anche rifatto col modello di lui in piazza maggiore il prospetto della chiesa de' santi Sebastiano e Marco, che serve oggi alla dogana; è di ordine rustico , e sopra , in una torricella , vedesi il pubblico orolo- gio. Molte altre fabbriche fece il nostro Camillo a persone private , che io non referisco: ma non è già da tacere eh' egli aveva dato i disegni de' magazzini e della dogana di mare da innalzarsi presso le mu- ra urbane, dov' è la darsena del canal navigabile. Ne fu sola a lodarsi di questo egregio uomo la patria , ma per la fama che di lui era, fu richiesto da que' d'Urbino, che fecero rinnovare col disegno di lui il prospetto del duomo della loro città. Ma il più no- tabile lavoro che uscisse delle sue mani vogliono che sia il disegno della facciata del tempio de' lateranen- si di Piacenza , nella quale opera , come se avesse presentimento che esser doveva l'ultima che fareb- be , pose molta diligenza ; e in vero riuscì tale , che mostra quanto egli nell' architettura valesse. Tor- nato da Piacenza , cominciò a sentirsi indisposto del- la persona ; fu preso da un mal di stomaco con vo- miti penosi , e in poco tempo si ridusse a tale estre- mo della vita , che i medici deputali alla cura di lui diffidarono totalmente della sanità sua. Allora esli, comechè si sforzasse di sostenere con la virtià dell' ani- mo la debolezza del corpo, pure peggiorando di più in più, e tenendo già vicina la sua ora, a' 13 di gennaio del 1795 fece testamento, e il giorno 16, tut- to rassegnato alla divina volontà , senza turbamenti e seuza paure , passò di questa mortale all' eterna vita, 2A0 Letteratura uon avendo più che cinquantini' anno , quattro mesi e due giorni. Si credette per alcuni che la sua morte fosse proceduta da veleno datogli in Piacenza dagl' invidiosi del suo avanzamento nel!' arte , ma io non posso dirlo di chiaro : anzi so che altri asserisce es- sere stato aperto il cadavere , e trovatogli un male organico nello stomaco. Alla fama di valente architet- tore ebbe il Morigia aggiunta quella di buono, e la meritò. Egli modesto, egli continente , egli industrio- so , amante la patria , affabile cogli amici , amoroso verso i discepoli, con tutlì^ piacevole ed umano. Non condusse moglie , non ebbe figliuoli , ma i poveri , che in vita e morendo largamente beneficò, lo pian- sero come loro padre. Dispose nella sua ultima vo- lontà che i suoi libri , le stampe , i disegni , le me- daglie , gli strumenti matematici , geometrici , idro- statici , e le cose pertinenti alla civile e militare ar- chitettura , alle arti belle , all' agricoltura , alla isto- ria , ai mestieri , tutto fosse posto nella biblioteca di Classe a utilità de' suoi cittadini. Lasciò che il suo corpo fosse umilmente seppellito nella chiesa di s. Maria Maggiore , e volle scritte sopra la pietra del sepolcro queste parole :,, Camillo Morigia, ultimo di sua famiglia , si raccomanda alle vostre orazioni ,, . La pietà di Barbara e Francesca sorelle di lui , ere- di della sua sostanza, gli eresse il bel monumento, che nella sopraddetta chiesa si vede , dov' è la effi- gie del Morigia sculta in marmo , con elogio latino sincero ed elegante , che ricorda a chi legge le sue desiderabili virli!i. 241 E-ogio di Baldessar Castiglione, scritto in latino da Girolamo Ferri , e tradotto in italiano, AL SUO FILIPPO MORDANI GIUSEPPE IGNAZIO MONTANARI •A te che tanto sei dentro le antiche glorie italia- ne , che più cogli illustri uomini che furono , che coi presenti vivi ed usi ; a te che le lettere con tanto fuoprò, ed onore della tua patria coltivi , viene que- sto elogio di Baldessar Castiglione. Egli è fatica mia solo ia parte , poiché io l'ho recato al volgare no- stro di latino eh' egli era. Comandato da tale , che mi è per molti rapporti carissimo, scrivere quello che io mi avessi conosciuto e raccolto del Castiglione , mentre era suU' obbedire , buona ventura mi pose alle mani un elogio di lui , scritto da Girolamo Fer- ri longianese; libercolo raro assai e pressoché scono- sciuto. Fu da lui presentato alla reale accademia man- tovana di scienze e lettere nell'anno 1778, e ne ri- portò lode e premio. Avendolo io dunque letto e ri- letto , e trovato eh' egli era pieno di trascelta eru- dizione, stetti in forse di mandare quella elegante scrit- tura , e cosi sdebitarmi , e sciogliermi d'ogni promes- sa ; ma veduto che pur si voleva cosa mia , e di- sperando potere far meglio , entrai nella deliberazione di tradurlo. Lo tradussi adunque , ed ora dovendolo fare di pubblica ragione , mi piace che porti in fronte il tuo nome e siati raccomandato. E certo sono che Ira per la fama del Ferri , che fu scrittore de' suoi tempi latinissirao , e per la tua , che a'di nostri - sei G.AT.LX. 1G 243 Lktteratura della hella scuola onore e lume - sarà a tutti piò ac- cettevole e {»rato porre gli ocelli a questa scrittura, cui forse io ho tolto molto di pregio. In frattanto segui a scrivere con quella elegan- za e squisitezza clie tu hai comincialo le vite de' tuoi ravegnani , e sovente ricordati dì me che sono tanto tuo , che piiì non posso. Addìo. Di Pesaro il 20 aprile 183». ELOGIO. Nacque noir anno 1473 Baldessnr di nobilissi- ma stirpe in Mantova , e con bellissime opere fece si che paresse più nobile , principalmente a giudizio di coloro i quali disputano della vera nobiltà , e ne stabiliscono veri confini. Ebbe a padre Cristoforo Ca- stiglione , a madre Luigia Gonzaga : e fin dai primi anni , come quegli che era d' ingegno svegliato ed acuto, assai conobbe non dover egli per alcun modo cessarsi onde adeguare la gloria dell' una e dell* altra famiglia ; conciossiachfe dalla casa paterna fosse- ro in ogni tempo usciti senatori , capitani, giurecon- sulti , in pace e in guerra rinomatissimi ; e vesco- vi t e cardinali , e quello che piiì è un pontefice mas- simo : la casa materna poi avesse tenuto il principato di Mantova. Mosso adunque da questi famigliari esem- pi si recò a Milano, ove la famiglia Castiglioni è in alto stato , e cosi attese alle lettere da non lasciare addietro alcuno di quegli csercizj che rendono più chiari e nobili i giovanetti : ed avendo allora la si- gnoria di quella citta Lodovico Sforza , e per tante doti di natura e beni di educazione essendo common- dato, cominciò a ravvolgere nel!' animo cose grandi. Attese molto alle lettere greche e alle latine , aven- Elogio del C.vstìgliowe 3^i3 do a scorta il Calcondila e il Menila. iNTon si pose, poi air imitazione di alcnno, ma alcuni scrittori so- pra gli altri trascclse ed amò. Fra i latini Cicero- ne , Virgilio , e Tibullo: fra gì' italiani l'Alighieri, il Petrarca , Lorenzo de' Medici , il Poliziano : e cosi a forza di leggerli, commentarli, studiarli , trascriverli, ne fece succo e sangue che parve non voler egli imitarli , ma con essi gareggiare. Si può anclie am- mirare il giudizio del giovinetto in questo, che usan- do egli pili che familiarmente col Beroaldo il vec- chio, ed ascoltandone di sovente le lezioni, si appi- gliò air erudizione immensa di lui , e schivò quel suo modo di scrivere scorretto e trasandato. E quanto sia da far caso di questo , conosceranno coloro , i quali non ignorano come i giovanetti siano facili ad ab- bandonarsi pienamente, per riverenza che ne hanno, all' imitazione dei maestri. Mentre diligentissimamente si dava a tali studi , serviva anche agli onori , fa- ceva visite, andava a corteggi, cavalcava cogli eguali , lotteggiava, armeggiava, giocava di sherma , nuotava, faceva insomma lutto che sogliono quelli che sono edu- cati alla corte ed alle armi. Dopo questo essendogli morto il padre alla battaglia del Taro valorosamente combattendo, ed avendo egli con Francesco suo si- gnore mosso ad incontrare Lodovico di Francia, ac- compagnollo sino a Milano , donde era stato mise- ramente cacciato lo Sforza. Si battè al Garigliano , in , di a non molto recatosi sul Metauro, comandando una squadra di cavalieri, combattè felicemente col nemi- co, con piccola mano di soldati cacciò dall'assedio di Russi i veneziani che si erano impadroniti di Ra- venna , si mostrò valente alla Mirandola , a Mode- na , a Bologna , e fé' che ognun conoscesse com' egli era prode di senno e di mano , quanto si conviene a colui che nato di generoso sangue deve sapere eoa 16^ 244 Letteratura valore adoperarsi in pace e in guerra. Quindi a Guidii- haido dapprima, poi fu caro a Francesco Maria, e cosi visse ad Urbino , che in quella stanza d'ogni valore e dottrina era avuto per primo , e meritamente. E come altre cose, cosi pure le gravissime commissioni a lui date, e da lui condotte a felicissimo fine « ne fanno chiarissima prova. Mandato arahasciadore alla maestà di Enrico VII d'Inghilterra, fu accolto con ogni mo- stra di onore , nò ottenne solo ciò per cui era ve- nuto ( ed era venuto perchè Guidubaldo fosse ascrit- to air ordine della giarrettiera, e ne avesse le insegne) , ma egli stesso fu eletto cavaliere, donato di una col- lana d'oro , e tornossene a casa colmo d'onori con tanta allegrezza del suo signore , quanta ne esprimo- no quelle parole che il Castiglione scrisse in quel suo elogio di Guidubaldo. ,, O buon Dio, quanto ne fu lieto, quanto gli pareva di esser salito alla condizion de' ce- lesti, poiché vide di avere acquistato l'amicizia di quel re che egli teneva come disceso dal cielo a bene del genere umano ! Ogni giorno voleva udire le stesse co- se , e quando stanco dagli affari , dalle cure, dalle fatiche cercava alcun riposo, come a dolcissimo ricrea- mento dell' animo lornavasi a questi ragionamenti. „ E questo faceva egli a ragione : poiché splendido ed onorevole sopra gli altri è quell' ordine, e non usato conferirsi che a principi e ad uomini di grand' essere. Laonde nel pomposo funerale di Guidubaldo , fra le bandiere, le armi, le insegtje, i trofei, sappiamo che egli giaceva su d'un letto militare con sopravi il manto da cavaliere della giarrettiera, quasi che fra il pubblico e il privato compianto ninna cosa allegrasse meglio l'ani- mo del defunto che aver egli, prode italiano, meritato gli onori e i premi di strane nazioni, e dirò qnasi di- vise dal mondo', ed avere con solenne pompa per mez* »o del Castiglione, che avea mandato in sua vece, fer- EioGio r>EL Castiglione 245 tnata alleanza con quella carona. Anche presso Luigi di Francia fu adoperato in cose di gran rilievo : e surrogati i Rovereschi , tenne in dovere quei di Gul>- bio , i quali confidando nelle forze loro ^ parteggia- vano e mostravano non volersi acquetare alla novella signoria. Molto in vero deve il Castiglione alla corte di Urbino , perchè in quella, che io dirò quasi tem- pio dell' onore, egli si compose ad ogni virili, e tale divenne quale non senza ammirazione ve lo descrive il Sadoleto nella sua lettera ad Angelo Colocci: ,, Uo- mo d'armi, dice egli, è il Castiglione, ma fornito di ogni beli' arte, di ogni gentil costume, d'ogni guisa di let- tere.,, Quantunque non so io chi dei due debba più all'altro, se la corte a lui , o egli alla corte, alla quale diede vivere nei suoi scritti tale vita che non verrà meno giammai finche saranno in onore i buoni studi. Certo hanno gareggiato di cortesia , quella ri- cevendolo ad ospizio e colmandolo d'onori, questi acqui- stando a'suoi principi lode immortale. Colla dolcez- za de* costumi, colla piacevolezza de' modi, colla va- rietk del sapere, e con quella sua facile vena di poe- sia il Castiglione principalmente rattcmprò le durez- ze della fortuna , che quasi sempre abbattè Guidubal- do , e per 17 anni lo tenne in un fondo di let- to , finché poi consunto dal male fra le lacrime e i lamenti de' suoi popoli mancò. Certamente egli, che a tutto potere gli avea prestato l'opera sua quando era mal fermo in salute, poiché fu ridotto a fine, spos- sato di forze , e presso a mancare , non soffrì mai discostarsi d'un' ora dal letto di lui. Rapito nel fiore stesso degli anni, lo pianse in molti scritti , e in quel- la lettera che abbiamo più sopra accennata con molta eloquenza mostrò ad Enrico d'Inghilterra quale fu Gui- dubaldo , quanto valente della spada e dell' ingegno , quanto buon reggitore de' suoi stati , aiutatore degli 246 Letteratura altrui. La sapienza ijid ^reci e de' latini non aver egli solo attinta a fior di labbro, ma essersene cibato pie- namente , e uudrito ; e in quella età non essere nato chi possa a ragione fronteggiare con lui. Ne il gra- to e ricordevole animo del Castiglione si tenne in questi confini. Spinse più oltre il suo pensiero e si fece a scrivere que' libri , nei quali mentre istruisce la famiglia de' principi , innalza a cielo con lodi quella nobile schiera d' uomini e di donne che da tutta Italia ivi era accorsa, e con quell'opera immortale raccomanda alla memoria dei posteri quei principi e i lor cortigiani. Prese a scrivere in dialoghi e si pro- pose Cicerone, cui emulò : e come il padre della buo- na eloquenza formando ed ammaestrando il suo ora- tore pare che apertamente abbia voluto rappresentare se stesso , così coloro che avranno conosciuto il Ca- stiglione , e ne avranno fatto confronto col Cortigiano, di leggeri scorgeranno avere il mentovano ivi espressa la propria immagine ; tanto è vero che in lui solo era- no tutte quelle doti , che in quel suo perfetto cor- tigiano desiderava. Per addolcire alcun poco il do- lore , che acerbissimo avea preso per la morte del suo signore , in pochi giorni ne formò l' abbozzo, e in molti anni poi lo ripulì : e questo fece si perchè occupato Cora' era nelle cose publiche poco tempo avan- zavagli di spendere negli studi , si perchè n^ mai era contento di se stesso , e voleva che tutto che do- veva venire innanzi al pubblico non solo avesse a pro- vocare , ma a sostenere il giudizio del tempo , e de- gli amici suoi che erano i primi uomini dell' età sua. Dopo dieci anni lo diede a correggere al Bembo, can- dido e severo giudice di tutte le cose sue : ne pati che andasse alla luce, se non quando apprese che in Ispagna vi era chi l'aveva ricopiato , e pensava di farlo di pubblica ragione. Il che stimò dover precor- Elogio del Castigliowe 247 rcre, onde quella sua fatica, quale eli^^si fosse , uscis- se al pubblico piuttosto per le mani sue die malcon- cia per quelle degli stranieri. Con grande applauso furono ricevuti quei libri, i quali sino a noi hanno disteso il nome dell' autore , e sono lodati si per la gravita delle cose , e si per lo fiore del bel favel- lare trascelto dalle scritture dei più colti italiani. Giu- sto estimatore delle lingue com' era, diceva non po- tersi egli restringere alle frasi sole , e alle leggi de- gli antichi toscani e de' moderni , le quali non gli erano chiare abbastanza o troppo inceppavano un li- bero scrittore, e gli piaceva meglio arriccliire la lin- gua allargandone i confini, come sappiamo aver fatto i greci; che componendosi all'imitazione di pochi, te- nerla alle strette , contentandosi di una sola provin- cia ancorché fioritissima. E in questo mentre lanta sceltezza di modi , tanta semplicità di dettalo , tanto peso di sentenze, tanta abbondanza di cose egli usò, che gli stessi toscani facendo onore alla dottrina, alla venusta t alla facondia di un tanto scrittore , e l'eb- bero sempre in gran conto , e annoverarono il Cor- tigiano fra i testi di lingua. Ne mancarono esteri che con ogni diligenza ed industria traducendolo, con lor prò accomunassero alle nazioni loro le ricchezze rac- colte in Italia (1). Dimorando in Urbino scrisse as- sai cose neir uno e nell' altro latino, per compiacere ad Elisabetta Gonzaga e ad Emilia Pia, due matrone specchiatissirae , belle, modeste, prudenti sopra ogni di- (i) Alcune meo caute espressioni sfuggite dì penne all' au- tore fecero registrar questo libro tra i proibiti, e il conte Ca- millo Castiglione di lui figliuolo ottenne nel iSyG dalia congre- gazione dell' indice che si emendasser que' passi , e di questa cor- rezione si è poi fatto uso nella edizione coniiniana. Tirahoschi, Stoiii della leller. ital. lom. VII. 248 Letteratura re, E prima dì to™* ^^^^ face. agS. G.A.T.LX. 19 290 Letteratura Ma l'orecchio ed il gliulizio nostro potrebbero iti' gaanarsi : che già noa siamo , ne prosumiamo es- sere infallibili : però vogliamo rimetterci in tutto al traduttore medesimo , incuorandolo a darne altri frut- ti del suo buono ingegno , tal che ne venga onore non pure alla Sicilia , onde è natio ; ma all' Italia. E qui sarebbe fine alle nostre parole ; se non che essendoci venuta innanzi per favore di chiarissimo let- terato ( monsignor G. E. Muzzarelli ) sì la versione del Romano e si quella in ottave del marchese Sal- vatore Spiriti (1), poniamo a rincontro un tratto dell* una con quello dell'altra; si perchè! savi che leg- geranno ne portino giudizio ; si perchè da taluno si dubitò , ohe da niuno prima fosse stato tradotto l'Al- cone nel nostro Idioma gentil sonante e puro. (2) Sì tocca del conoscere i cagnolini atti alla caccia « e deW esercitarli convenientemente. Traduzione del Romano. Al numeroso Parto fra i molti cagnolini tosto (i) Edizione di Roma 1 79', essendo la prima di Napoli i^SS, (a) Efiemeridi per la Sicilia n. 20-21 pag. iS\. Era già composto per la stampa questo articolo del sig. prof. Vaccolini , quando ci è giunta notizia dì un altro vol- garizzamento àaW Alcoiie ■ di quello cioè del sìg. prof. P. A. Paravia. Esso fu stampato la prima volta nel 1817 in Vene- zia, e poi ristampato in Mdano nel 1822 nel voi. X de Poe- mclli didascalici: ed e, come ognuno può credere, degnis- simo della fama poetica (IcIT egregio traduttore. [Nola dc'cQiti' jnlaLuri del giarna/e arcadico.) L'A R e o N E 291 Scegli lu quelli , che avanzar vedrai Gli altri nel peso ; o in crepitanti fiamme Di stoppia tutti li racchiudi. Mossa Dal periglio de' nati ailor la madre Correr vedrassì immantinente , e trarre Dalle fiamme i migliori e più gentili Pegni , e gP inerti abbandonar. Cotesti Già scelti , mentre il pien vigor non hanno Dell'età adulta ancora, un picciol colle Salgano a corsa , come a scender lieve Pendìo s'avvezzin. D'ora in ora poscia Prendano ad inseguir tenero lepre , O cavriol che infievolite gambe Tragge ; e discorran le pianure e pronti Del padron , che li chiama , a noti cenni E alla voce ubbidiscano Traduzione dello Spiriti. Quale {prole) tosto che nata esser vedrai In gran numero al di , se tu fra i molti Discernere i miglior forse non sai , Scegli quel eh' ha più peso : ó pur accolti Tutti fra stoppie accese a porre avrai ; Che dalla madre accorsa al rischio tolti Delle fiamme saran sempre i migliori , GÌ' infingardi lasciando ed ì peggiori. Quei dunque allor , che all' età forte e piena Giunti non fian , s'avvezzino pian piano A salir picciol colle , o pur d'amena Costa a lanciarsi giù per lieto piano. Quinci o lepretta , o cavriol che appena Snodi le gambe , ad inseguir lontano Comincino , ed apprendano veloci Ad ubbidir del cacciator le voci. D. Vaccolini 19* 292 ARTI BELLE-ARTI Notizie intorno alla vita e alle opere del cav. Giam- batista T'Fica^ pittore di Lilla ^ dette alt insigne e pontijìcia accademia romana di s. Luca dal pro~ fessore Sahatore Betti segretario perpetuo. 1 ^ el dovere oggi parlare del cav. Giambatista Wl- car , tolto in questi giorni all' accademia e alle ar- ti , io adempirò, signori, due grandi obblighi : quello di segretario , a cui gli statuti commettono di scri- vere le notizie de' professori che ci vanno mancan- do : e quello di amico , che neppure in morte vuol dimenticare la grazia di uu' antica benevolenza. E veramente avrò Io sempre carissima la memoria di Giambatista Wicar : e con diletto ricorderò non pur l'amore , col quale egli dottissimo intese costante- mente ad aprirmi i tesori delle arti : ma anche il do- no di essere slato fin dall'anno 1828 accolto per lui nel bel numero vostro. Dono , fra quanti mai po- tessi desiderarne , prezioso : che mi fu poi non pic- col soccorso a quella vostra benignila di elegger- mi a si nobile ufficio. Per la qual cosa voi ben ve- dete, essermi doppiamente bisogno d'implorare oggi tutta la cortesia dell'accademia nell' ascoltarmi. Giambatista Wicar (1) nacque in Lilla, citta (i) Molti falli , che sono qui per recare intorno alla vita del Wicar, devo alla testimonianza di parecchi autentici scritti B E L L É - A R t ! 293 tlclla Fiantlia francese, ncIT anno 1761. Il padre suo Luigi Cristoforo , che lavorava di ebano , lo pose da principio ad apprender quell* arte : ma la na- tura dotaio aveva il giovinetto di ben altre dispo- sizioni di animo , che di star contento ad un sem- plice lavoro meccanico . Talché avendo il padre considerata per tempo l'inclinazione del figliuolo al disegno, non fu tardo a toglierlo dal raestiero , e ad accomodarlo con un pittore Nelscon , il solo che fos- se allora nella citta. Tanto ivi decaduta era ogni gra- zia dell' aite ! Dimorò il giovinetto in quel piccolo studio fino all'età di diciannove anni: in cui dive- nuto esperto de' principi! del disegnare come po- tevasi meglio in tanta mediocrità di maestro , mostrò di volere scegliere a preferenza la professione d'in- cisore in rame. Il che al genitore dovette essere non piccol pensiero , non trovandosi in Lilla chi potesse a ciò ammaestrarlo neppur nella prima pratica. Ma tali erano già le pubbliche speranze dell' ingegno di Giarabatista , che a spese della citta fu egli mandato con mille e duecento franchi di annua provvisione a studiare a Parigi. Di che non vuol dirsi se lieto fu il giovinetto : che d'animo sempre ardente , come tut- ti conosciuto lo abbiamo fino alla vecchiezza , non comunicatimi con gran cortesia dai chiarissitni mongig. CìmIo Emmanuele Muzzarelli uditore dalla sacra rota , cav. Pietro Ercole Visconti segretario perpetuo della pontificia accademia romana di archeologia , e prof. Francesco Gìangiacoiiio catte- dratico di disegno uell' ospizio apostolico di 3. Michele. Altri ne ho cavati dagli atti dell* accademia: ed altri infine ho sa- puti io stesso dal defunto cavaliere, e da diverse persone non meno degne di fede che pratiche dalle cose delle arti e di Roma. 294 Belle-Arti solo non frappose , ma quasi precipitò gì' indugi al partire. Giunto che fu in Parigi , col favore di mol- te commendatizie, delle quali l'accompagnarono i suoi concittadini, entrò da prima nella scuola famosa del pittore David , dove fu assiduo nell' apprendere a di- pingere ad olio , e franco divenne di ciò che piiì abbisognavagli , voglio dire del disegno , il quale fece poi neir arte la principale sua lode. Indi dal maestro medesimo , che già sapeva il desiderio del Wicar di voler essere incisore , fu con uffici caldis- simi raccomandato prima a Giacomo Filippo Lebas , presso cui si trattenne poco piiì di un anno ; poi al celebre Berwick , il quale con amore lo accolse, e molta cura pose ad aprirgli tutti i segreti dell' arte. Attendeva il Wicar con grande animo all' uno studio ed all' altro : e gii fra i giovani artefici, che fiorivano allora la capitale della Francia , parlava- si di lui come di pratico disegnatore. Ed ecco l'in- cisore Masquilser invitollo a se , perchè volesse aiu- tarlo neir incidere la galleria di Firenze. Condiscese il Wicar air invito con tanto maggior piacere, quan- to che gli porgeva occasione di venire in Italia , dove da gran tempo era il suo principal desiderio : perciocché fin d'allora parevagli, che niuno possa vera- mente dire di ben conoscere tutte le potenze e le genti- lezze dell'arte , se prima non abbia finamente considera- te nell' Italia stessa le opere delle scuole italiane. Par- titosi dunque nel 1783 da Parigi , se ne venne a Fi- renze , dove subito si pose all' opera allogatagli dal Masquilser : ed io ho veduto nota di mano del Wi- car medesimo , nella quale si dice cii' egli , infatica- bile nel lavorare , fece ivi più di quattrocento di- segni di quadri di ogni scuola, e di statue , e di bassorilievi : oltre alle copie di trecento cammei e di ÈfiLLE-yVatt 205 1inv.1nta busti , ed oltre pure a cinquecento ritraiti disegnati dal vero. Ma chi può giungere d'oltremon- te fino a Firenze, e non accendersi di veder Roina, questa gran genitrice delle nazioni ? Roma dove soprat- tutto nelle arti belle le illusioni e le vanita de' pic- coli intelletti svaniscono ; dove non ha sasso , ezian- dio fra queste ruine , che non ti ricordi o la mae- stà della repubblica degli Scipioni , o la magnificen-^ za dell' impero de' Cesari : dove l'animo di Giulio , di Leone , di Sisto e di tanti altri pontefici vedi emu- lare e vincere in ogni maniera di opere i più pos- senti monarchi : dove infine puoi solo maravigliare l'altezza , a che divinamente levaronsi le fantasie del Sanzio e del Buonarroti. Roma , Roma , gridava spes- so il Wicar : qiiancV io vedrò Roma ! A Roma si va- da ! Ed egli qua venne la prima volta , giovane di ventiquattro anni , nel 1785. Ho io stesso in molle occasioni inteso narrare da lui , con qUc' gagliardi suoi spiriti di parole e d'immagini , ciò che gli par- ve sentire in se al primo entrare nell' augusta citta; al procedere innanzi verso il Pantheon , verso il Cam- pidoglio , verso il Foro , verso l'anfiteatro Flavio , verso il Quirinale : al contemplare qua e la le colonne, gli obelischi, gli archi di trionfo, i templi, i palagi, tanta larghezza di preziosi marmi , di bronzi e d'oro » ed in fine al trovarsi in mezzo a' miracoli del Vati- cano. „ Sembravami ( diceva egli ) che gli uomini , come a quello scultore dopo aver letto l'Iliade , aves- sero tre palmi di pii^i di altezza : ciò che veduto ave- va in Francia e nelle altre terre d'Italia , m'era po- vero e basso : e peggio se talora gittava l'occhio su' miei dipinti , i quali mi avevano piuttosto similitudi- ne di un trastullo. ,, Por le quali cose non ave- va poi il valente uomo bastanti beffe da ridersi di certuni , che qua vengono con gran presunzione e 296 Belle- Arti boria di professori : e s\ che ad un tratto deb- bono non solo rimpicciolirsi da giganti che pen- savano essere, ma spesso ricominciar l'arte da capo. Quindi pareva eh' egli piij non potesse, se non a gran- de fatica e rincrescimento , allontanarsi da questo suolo : e in tutto il tempo , eh' indi rimase in Firen- ze , non passò anno in cui egli non volesse visitar Roma : e vivendo ancora con qualche scarsezza , ma robustissimo com' era di complessione, qua spesso ve- niva a piedi , e per quattro o cinque mesi fra noi dimoravasi studiando in questi capolavori della ci- viltà italiana, e confortando a gran volo l'immagina- zione in mezzo a si maestose memorie del nostro im- perio dell' universo. Nel 1793 gli fu forza tornare nuovamente a Pa- rigi : ma poco vi si trattenne. Certo è nondimeno ch'era- vi tuttavia nel mese di luglio del 1794, avendomi egli più volte narrato come inconlrossi a vedere il Robespierre che strascinavasi al supplizio : e tutti san- no che la terra purgata fu di quel mostro sotto la scure del carnefice il di 28 di esso mese. Maturatesi intanto le italiane sciagure , e corsa d'ogni parte questa infelice terra da una rabbia stra- niera , che fra gì' incendi, le rapine ed il sangue ve- niva a ricordarle i nomi degli Scipioni e de' Bruti; il Wicar , giovane , ardente , desideroso di novità , e omai pratichissimo della lingua e delle cose nostre, non frappose indugio a passare un* altra volta di qua dall' alpe , trattenendosi in que' principii delle guer- re francesi a disegnare per le citta lombarde , e a far ritratti. Ed oh veramente malvagia età , nella quale il vizio si porse con tanta audacia, e prese tale aspet- to di ogni qualità di lusinga , che rara ed austera fu la virtiì che non ne fosse contaminata ! Il che si par- ve pure , per quanto odo , in Giambatisla Wicar , a B E L t E - A n T 1 2&7 cui l'Italia cli'je talora in mezzo quelle nequizie a rimproverare (non si taccia il vero) cìi aver potuto di- menticare ciò che dovevasi all' ospitalità nostra , se non alla dignità delle nostre sventure. Ma io tirerò un velo pietoso sopra questa parte della vita di lui, pensando la reitk de' tempi , e piti la trista condizio- ne di un popolo vinto : ed anziché turbare le ceneri sue , compiangerò che tant'uomo potesse lasciarsi vin- cere alle comuni offese , ed anche per un istante tra- viare. Nel 1797, dopo gli accordi di Tolentino, era il Wicar nuovamente in Roma : d'onde nel 1799 si condusse col commissario Faypoult a Napoli occu- pata dalle armi francesi. Ma dovette egli partirne ben presto , essendo ivi il nome di Francia divenuto da prima pericoloso , poi esosissimo , non meno pel de- creto di conquista pubblicato dal direttorio intorno alle antichità di Pompei si trovate e sì da trovarsi , che per la ricuperazione del regno fatta nel mese di giugno dell' anno medesimo dal re Ferdinando. Cosi dopo un lungo peregrinare qua e la per Italia , se- guendo la varia fortuna di quelle guerre, prese final- mente di fermare il suo stabile donùcilio in questa sede delle arti , riparando all' ombra della benigni- tà e della clemenza di quell' animo mansuetissimo che fu Pio VII. Egli quindi non ebbe in Roma più al- tra sollecitudine che delle arti , e con gran diligenza si diede tutto al dipingere , ed al voler nome fra quegli artefici che allora ci fiorivano di maggior fa- ma. Né già il proposito in tutto gli venne meno : che sebbene il suo stile generalmente non possa aversi per ottimo (con tutto che, per quanto fu in lui, cercasse di accostarsi al fare italiano ) , e i fini conoscitori non si contentino sempre del suo colorire , e spesso ri- provino siccome viziosa la sua maniera di ombrare : 298 Belle-Auti tuttavia quella franchezza di disegno , quella dirò cos\ fierezza di fantasia, e soprattutto quel fondamento dell' arte che in ogni suo dipinto si scorge, lo fecero al suo tempo seder fra' primi , ne certo un umile luogo gli meriteranno nell'istoria de' pittori del se- colo XIX. Anzi fra' più chiari sarà computato per la grande varietà e profondita della dottrina sua : pa- rendomi che pochi stati sieno gli artefici , che in ciò possano paragonarsi con Giambatista Wicar. E vera- mente uno studio continuo fu in lui , ed una memo- ria piuttosto prodigiosa che rara : doni singolarissi- mi a parlare, com'egli faceva, facondamente: non sempre a finamente giudicare di un' opera d'ingegno s ninna erudizione insegnando ciò che solo si sente nell anima , la grazia ed il bello. E chi ne volesse esem- pio , o signori , eccovi Ta Giusto Lipsio e Giulio Ce- sare Scaligero che ad Orazio preferiscono Giovenale , ed Ugone Grozio che Marziale pone innanzi a Ca- tullo. Il maggior dipinto che il Wicar operò in que- gli anni fu il quadro, dove ritrasse il concordato per le cose della chiesa di Francia fra il sommo pon- tefice Pio VII e Napoleone Bonaparte primo console delle repubblica francese ; quadro eh' è oggi nella ric- chissima galleria dell' eminentissimo cardinal Fescho E voi poco appresso, o signori, lo chiamaste vostro col- lega. Ciò fu il dì 29 di settembre 1 803 , proponen- dolo professore accademico di merito il Camucciui , il Laudi e Luigi Agricola. In tal modo passarono al Wicar lietamente sette anni , ne' quali ogni altra cosa andavagli più per la mente che di doversi ancora partir da Roma . Ma tuttavia nuove cure, benché di non lunga durata. Io attendevano. Quel potente italiano, eh' ebbe per quasi tre lustri di potere a sua voglia impor leggi all' Eu- ropa , aveva con le armi costretto la famiglia dc'Bor- B E L L E - A n T 1 299 toni a partirsi da Napoli , e coronato re delle due Sicilie il proprio fratello Giuseppe Napoleone. Ciò avveniva nel 180G. Non indugiò il nuovo signore la sua venuta nel regno , e per rendere piii tollerabile a quelle genti del bel paese la sua dominazione , in- cominciò subito a mostrarsi grazioso verso le arti : invitò a se i piiì nobili artefici ^ H protesse , li ac- carezzò , li fece partecipi di tutti gli onori della monarchia : finalmente creò per l'insegnamento pub- blico una reale accademia, e nel 1807 ne chiamò capo il Wicar con titolo di direttor generale. Ne meglio poteva cader la scelta per un inslituto di ar- ti cosi sul nascere , considerando la grande potenza d'animo del Wicar , e l'eflScacIa anzi il fuoco con cui trattar soleva tutte le cose sue. Ed infatti non vi fu cura eh' egli non si prendesse perchè l'acca- demia napoletana e prosperasse , e crescesse degna della patria di Pirro Ligorio e di Salvator Rosa : prov- vedendo alla negligenza di chi fino allora tollerato aveva , che in Napoli non fosse che una sola piccola scuola di disegnare a s. Carlo delle Mortelle. Trasse il Wicar da Roma e pittori e scultori valenti , e da Milano artefici di ornato perchè dovessero essere profes- sori : fece anche venir di qua i gessi de' pili pre- ziosi capolavori della scultura : ed egli , ciò che molto aiutava il bene insegnare, era sempre nelle sale dell' accademia , facendosi vedere da' giovani o a di- segnare o a dipingere , ed animando così all' arte pro- fessori ed allievi. Par la qual cosa Giuseppe si ten- ne di lui sì contento , che in molte maniere gli di- mostrò la sua benignità ed affezione : lo fece cava- liere delle due-Sicilie , appena ebbe egli instituito quell'ordine: lo elesse nella società reale delle belle arti : Io chiamò spesso a parte de' suoi consigli , e volle che ritraesse di naturale se e tutta la reale fa- 300 Belle-Arti miglia. Perciò non h a credere in quanta riputa- zione egli subito salisse non meno presso le genti della corte, che presso ^\ì sfessi grandi del regno : come suole avvenire a chi il principe da il favore anche di un solo sorriso della sua grazia. E narrava da vecchio con certa piuttosto gloria che compiacen- za ( mi sia conceduto , o signori , di ricordar que- sto fatto ) il banchetto che in que' giorni solenne- mente imbandì nelf accademia per onorare l'andata del gran Canova a Napoli : imperocché piacevasi di rian- dare , che v'ebbe quaranta fra' personaggi piii illustri dello stato per dignità e per sapienza : ministri , ge- nerali , letterati, artefici: e che, oltre il Canova, vi sedettero un Vincenzo Monti ed un Giovanni Pai- siello. Stette il Wicar in quell' ufficio due anni e mez- zo : e nel luglio del 1810 iniprovvisaraente ritornò in Roma , dove diverse voci corsero subito di questo fatto. Trovo scritto però dal cavaliere medesimo , che da lungo tempo il pittore David consigliavalo a ri- nunciare , dicendogli non togliesse alle grandi opere della pittura i suoi piià belli anni della maturila : ne credesse le passaggere onorificenze di una corte essere da preferire all' immortalità dell' arte. Sia ciò che vuoisi , il Wicar fu nuovamente fra noi , e per prima opera incominciò il quadro che stimasi il suo capolavoro , dove rappresentò nostro signore che fa il miracolo di richiamare in vita il figliuolo della ve- dova di Naim: opera colossale , conciossiachè di lun- ghezza abbia quarantadue palmi romani , e trenta di altezza. Indi il suo vivere fu tutto un' altra volta diviso fra le cose delle arti e quelle dell' accademia nostra , alla quale ebbe sempre un amore singolaris- simo ; e voi per contraccambio lo rimeritaste eleggen- dolo non solo consigliere della sua classe , ma cen- Belle-Arti 301 sore negli anni 1811 , 1821 e 1826. Anzi dirò di |)iù , che quind' innanzi non vi fu allo accademico , a cui egli non prendesse gran parte , e chiamato non fosse tra' primi. E nobile e solenne esempio se n'eb- be nel 1810. Era per tornare da Parigi il Canova, che dall'imperioso conquistatore tanti beni aveva ot- tenuto e alle arti , e all' accademia, ed a Poma. Voi , per onorare il grand' uomo , non solo prendeste par- tito di acclamarlo principe vostro, ma decretaste che una deputazione di professori dovesse partir subito per Firenze ad incontrare il benemerito , a salutarlo , a congratularsi con lui, a presentargli le lettere della sua dignità. Questo si onorevole carico alEdaste al Wicar, dandogli per compagni Raffaele Stern e Pie- tro Finelli ; i quali a di 7 di settembre nella ca- pitale della Toscana furono in vostro nome innanzi all' illustre viaggiatore , che nella casa del senato- re Giovanni degli Alessandri gli accolse non pur lietissimamente, ma con quella tenerezza di laorirae e gratitudine di cui abbastanza parlano le memorie. Il che poi non bastò all' ossequio che costantissimo ebbe il Wicar verso di quel famoso, eh' egli so- migliar soleva a Raffaello per la rara gentilezza dell* ingegno e del cuore , e chiamare novello padre dell* accademia : imperocché nel 1814 fu il cavaliere de* principali e più caldi a proporvi , che il Canova fos- se eletto principe perpetuo. La qual cosa reputava es- sere eminentemente romana , e quindi a se stesso di eguale onore : dicendo eh' egli non aveva di che più slimarsi francese, egli non tenuto mai dalla Francia in conto veruno, non fatto dell' instituto , non della legion d'onore , anzi quasi non ricordato fra gli al- tri artefici della nazione. Perciò non fu pure de' me- no fervidi in applaudire a questo sommo collega no- vSlro barone Vincenzo Camuccini , quando nella lor- 302 Belle-Aeti nata accademica del di 19 di gluguo 1814 propose il primo con grande carità di patria , che senza più dovesse invocarsi ]a magnanimità e la giustizia de' sovrani alleati per la restituzione a Roma delle opere di belle arti. Un fremito di gioia , a cui fe- 00 grande eco il Wicar, si sparse allora per tutta l'adunanza : gridando alcuni che la spada della vit- toria doveva ritornarci quello che la spada ci ave- va rapito (1): aggiungendo altri, quelle opere essere sì proprie di Roma , che contra il pubblico danno di tanto spogliaraento della citta nostra si levarono perfino in Francia molli di quegli artefici principa- li : com' e a leggersi nell' istanza loro al direttorio , soscritta da oltre cinquanta professori francesi delle belle arti : fra' quali il David , il Girodet , il Fontai- ne , il Percier , il Denon , il Lethiere , il Quatre- (i) Mi è caro di poter qui rendere anche una solenne giuslizia all' affetto ed alla premura che in questa occasione tanti illustri artisti tedeschi, e primo il grande Thorvaldsen, mostrarono verso Roma e l'Italia. Imperocché una loro Istan- za , tutta piena di gravissime considerazioni , andò a'sovrani alleati perchè la Francia dovesse restituire quelle insigni ope- re di pittura e di scultura , le quali il coraua bene della civiltà europea vuole che stieno in Roma , vera capitale delle arti , e pacifico domicilio de' professori di esse. Ho tale no- tizia da diversi di quella nazione , e principalmente dal lodato sig. commendatore Thorvaldsen e dal chiarissimo pitlor ba- varese sig. prof. Gio. Cristiano Reinhart accademico di s. Luca, ai quali disse più volte il Canova che l'Istanza de'tedeschi, pre- - sentata al congresso de'sovrani dal barone di Humboldt ministro prussiano, fu accolta e letta con gran favore , e molto giovò al buon successo della restituzione. Belle- Arti 303 mere de Qulncy (1). Quituli pnò bene argomentare ognuno con quale animo di esultanza il Wicar vide poi tornare fra noi si gran tesoro nel 1815 per un atto del congresso di Parigi , e come si fece incontro a quel romano trionfo , e strinse al seno il Cano- va , che a ciò deputato da Pio VII antepose gene- rosamente agli scherni parigini il santo amor della patria e delle arti italiane. Il Wicar , oltre a ciò , prese parte a non poche n^ lievi commissioni dell' accademia. Imperocché (per toccarne alcune) nel 1813 fu deputato a visitare il profeta dipinto da Raffaello nella chiesa di s. Ago- stino (2): e cosi nel 1814 ^e stanze e le logge va- ticane con le cappelle di Sisto IV e del beato Ange- lico da Fiesole (3). Nel 1818 egli solo ebbe il ca- rico di avvisare con ogni particolarità i danni che minacciavano le pitture del Doraenichino in s. An- drea della Valle. Nel 1824 fu di que' professori (4) (i) Questa istanza è pubblicala in fine delle celebri lettere dell' onorando e virtuoso sig. cav. Quatremere - Sur le préj'u- dice qu occasionneroient aux arts et à la science la deplace- jnent des vwnuments de l'art de l'Italie ec. Edizione romana del i8r5. [i] Co' professori Luigi Agricola , cav. Andrea Pozzi , e cav. Francesco Manno. (3) Insieme col Canova e con tutta la classe pittorica dell' accademia. (4) Gli furono in ciò colleghi nella classe della pittura il barone Vincenzo Carauccini, il cav. Andrea Pozzi, il cav. Fran- cesco Manno , il prof. Michele Keck, il prof. Tommaso Minar- di, il cav. Filippo Agricola : nella classe dell'architettura il cav. Giuseppe Valadier , il prof. Pasquale Belli , il cav. Clcmeuto Folcili ed il cav. Giiulamo Scaccia. 304 Bkllb-Arti che dovettero esaminare Ja qualità de' guasti palesa- tisi nelle stanze vaticane , e soprattutto ne' dipinti della scuola di Atene e della disputa del sagramen- to : e neir anno medesimo fu pure eletto (1) a ma- turamente considerare una legge che l'eminentissimo cardinal Pacca , allora camerlingo di santa chiesa , e sempre gran protettore di ogni beli' opera che pos- sa serbare in flore il nome romano , intendeva di pro- porre al pontefice Leone XII in favor delle arti. Fi- nalmente nel 1829 fu de' revisori della legge dei 7 di aprile 1820 , ordinata a mettere un freno al ver- gognoso traffico che si fa delle opere di pittura e di scultura de' nostri grandi maestri , non solo in Ro- ma , ma in tutto lo stato (2). Un viaggio fece il Wicar nel 1816 in Inghil- terra per mostrare ivi il suo quadro della vedova di Naira : e , chiarissimo siccome avevasi nell' arte , fu in Londra da que' primi artefici accolto e onorato : soprattutto dal venerando Beniamino West pittore del re e presidente della reale accademia britannica delle belle arti , il quale nel mese di gennaio di quelT anno medesimo , proponendolo il Canova , era stato eletto professore accademico di merito di s. Luca. Questa sna lontananza però fu cosa di pochi mesi : talché nel dicembre già erasi tornato in Roma per non pili allontanarsene , salvo per rivedere un' altra volta (i) Insieme col cav. Gaspare Land! e col prof. Tommaso Minardi. (2) Ebbe compagni (oltre il cav. Giulio Camporese pre- sidente ) nella classe della pittura il barone Vincenzo Camuc- cini , nella classe della scultura il commendatore Alberto Thor- valdsea ed il cav. Giuseppe Fabris , nella classe dell' arcbitet- tura i cavalieri Clemente Folchi e Gaspare Salvi. Be lle-Arti 305 la sua bella Firenze , e per andarne in un mese di siale a Perugia , a Cilta di Castello e per le Mar- che. Fu dopo questi temj)i che non contento di es- sere solamente artefice , prese anche a provarsi di di- venire scrittore : e nel giornale arcadico pubblicò pri- ma nel 1827 un suo scritto contra quel proponimen- to di porre nelT accademia una cattedra di dipinger paesi (I); poi nel 1823 un altro sulle vere norme che voglionsi tenere a fare lodevolmente la scuola di ornato (2). Ma non per questo intermise il dipin- gere : che anzi fece per Ravenna due quadri , uno della resurrezione del Salvatore , ed è nella metro- politana : un altro di Temistocle alla reggia di Ad- meto re de' molossi , ed è presso il conte Giulio Rasponi. E cosi anche dipinse per la cattedrale di Perugia un quadro dello sposalizio di nostra donna, perchè dovesse ivi ricordare l'insigne tavola di Pie- tro Perugino che andò preda delle straniere violen- ze : opera che trasse sopra il Wicar tante censure acerbissime. Per la citta di Perugia fece altresì un altro quadro , ed è quello de' santi Pietro e Paolo nella chiesa di s. Spirito. Ne in fine è da tacersi il Vir- gilio che legge ad Augusto il sesto libro dell' Enei- de alla presenza di Livia e di Ottavia, quadro ope- ralo da lui pel conte Sommariva. Intorno al quale, o signori , conceder vi piaccia che il mio amore filiale qui ricordi le considerazioni che stampò Teofilo Bet- ti mio padre , onorando vecchio che io non temerò di chiamare dottissimo in ogni maniera di lettere : tale avendolo molti di quest' accademia e conosciu- to ed amato. Furono elle e franche e gentili, e per- (i) Giornale Arcadico, tomo XXXIIf, pag aao. (-2) Ivi, tomo XXXVII, pag. 358. G.A.T.LX. 20 306 Belle-Arti ciò degne non meno di quelf artefice , ciie di quel Jclterato (I) : ne' quali rimase poi sempre salda e ca- rissima ramiclzia, ancorché mio padre non commen- dasse pienaraenle nel quadro la composizione e il co- stume. E qui , o sij»nori , più altre cose potrei ancora narrarvi di quella vita eziandio sulT estinguersi tut- ta efficacia e fuoco: se non che temo di essere già tra- scorso oltre a quel segno che a tali necrologie suo- le l'accademia prescrivere. Restringerò dunque il mio discorso col dire , come a questi ultimi anni atten- dendo tuttavia il Wicar air arte , e soprattutto al di- pingere il quadro del battesimo di nostro signore pel duomo di Foligno (2) e i ritratti del duca don Gio- vanni Torlonia e della duchessa sua moglie , cadde in assai mala sanità : sicché dovette ad un tempo com- battere un principio d'idropisia ed un fiorissimo mal di pietra. A questo però provvide col taglio, che nel settembre del 1830 sostenne con incredibil coraggio: ma il versamento linfatico non fece tregua , e ne' seguenti tre anni sì fattamente lo afflisse, che in fine non valendo rimedi lo trasse agli estremi, pochi me- si dopo di avere col quadro di Coriolano posto ter- mine alla sua uobilc arte. Vide egli avvicinarsi l'ul- tima ora con quella fortezza d'animo , che niuna cosa al mondo ebbe mai potenza di abbattere : si pre- parò con tutti i conforti della religione al gran pas- so : e confidandosi cristianamente della bontà di Dio , dopo aver fatto il suo testamento , e deputalo erede (i) V. Giornale Arcadico tomo V pag. 426. (anno 1830). (2) Non avendo il Wicar condotto compiutanlenle a ler- mioe questo dipinto, lasciò per testaineulo che dovesse dar- gli l'ukima mano il suo scolare sig. cav. Decio Trabalza. B E L L E - A R T 1 307 fiduciario il pittore Giuseppe Garattoli suo caro di- scepolo , addi 27 di febbraio 1834 passò da que- sti afFanni , corri' è a sperarsi , a secolo più tran- quillo. Furongli celebrate l'esequie , quali alla sua di- gnità si dovevano , nella chiesa di s. Luigi de' fran- cesi : e voi vi foste a pregar pace a quello spirito , e ad onorare quella spoglia che ivi poi ebbe riposo. Saputesi intanto le disposizioni dell' ultima sua vo- lontà , non vi fu cortese che non le ponesse ad esem- pio di beneficenza e di grata memoria ; avendo egli non pur pensato al mantenimento di tre giovani di Lilla, che quind' innanzi verranno in Roma ad ap- prendere l'arte : ma lasciato ricchi legati in segno di filiale ossequio alla santità del regnante pontefi- ce Gregorio XVI, e di amore e di gratitudine all' accademia, alla patria, agli scolari , agli amici; ne* quali certo , siccome in noi tutti , il chiaro nome del cav. Giambatisla Wicar lungamente vivra. Catalogo de* quadri dipinti dal cai^. TFicar , e di sua invenzione^ tratto da una nota di propria ma- no dell' illustre artefice (1). 1. Giuseppe ebreo, che spiega i sogni nel carcere. 2. II giudizio di Salomone. 3. L'esilio di Goriolano. 4. I quattro evangelisti. 5. S. Orsola con angeli nella gloria , ed altre figure. (i) E presso il lodalo mio chiarissimo amico e collega sig- ea ^ Viscoali. 20* 308 B E L L E - A R T I 6. Oreste , Elettra e Pilade , secondo la tragedia di Sofocle. 7. Ija carità roraana. 8. Un gladiatore moribondo. 9. Il concordalo , quadro grande presso l'emi- nentissimo Fesch. 10. 11. Due ritratti di Giuseppe Napoleone, gran- di al vero. 12. 13. 1A. Ritratti della sposa di esso Giusep- pe, e delle principesse sue figlie: grandi al vero. 15. Ritratto del maresciallo Massena , grande al vero. 10. 17. Ritratti del maresciallo Lannes e della sua sposa , grandi al vero. 18. Ritratto di Cristoforo Saliceli ministro di polizia in Napoli sotto Giuseppe e Gioacchino, gran- de al vero. 1 9. Ritratto del commissario Gareau , grande al vero. 20. Ritratto del barone Alquier , mezza figura con le mani. 21- 22. Due ritratti di Pio VII, figure intere, grandi al vero. 23. Una Madonna col bambino , per la chiesa di Cliìaravalle. 24. Ritratto del conte Antonio Re , inlendente dell' appanaggio del principe Bcauharnais, mezza figu- ra grande al vero. 25. Ritratto della contessa Re col figlio , mezza figura grande al vero. 26. Virgilio che legge il VI libro dell' Eneide : e suo bozzetto. 27. La resurrezione del figlio della vedova di Naim , quadro lasciato per testamento alla cittk di Lil- la. Il bozzetto è nella galleria dell' accademia di $. Luca. B E L L E - A n T I 8()9 2f?. Cristo risorto, con s. Giacomo maggiore , s. Antonio ed angeli : ordinatogli da monsig. Codron- chi per la sua metropolitana di Ravenna. 20. Lo sposalizio della Vergine, per Ja cattedrale di Perugia : e due suoi bozzetti. 30. Temistocle che chiede asilo ad Admeto re de' molossi , pel conte Giulio Rasponi di Ravenna: e suo bozzetto. 31. Gli apostoli ss. Pietro e Paolo , per una cappella della chiesa di s. Spirito in Perugia. 32. Ritratto di don Giovanni Torlonia duca di Bracciano , grande al vero. 33. Ritratto della duchessa di Bracciano, sua consorto : non finito. 34. Coriolano alle porte di Roma , per don Ma- rino Torlonia duca di Bracciano. 35. Il battesimo di Gesù Cristo per la cattedra- le di Foligno : e suo bozzetto. 36. Oreste , Filade ed Elettra , pel duca di La- vai (1). ù7. 38. Due ritratti dì se medesimo : uno de' quali è nella galleria dell' accademia di s. Luca. Mol- ti studi di teste e figine ignude dipinte dal vero. 39. Ritratto del cav. Clemente Folchi , nella gal- leria dell' accademia di s. Luca. (t) Cosi scrive il Wlc.ir. Ed io non $0 se sia una copia dell' dltro quadro segnato al nuai. G. 310 La santità di N. S. Papa Gregorio XVI che riceve la deputazione di Belluno. Quadro in tela dipinto dal cav. Pietro Paoletti^ descritto da monsig. C. E. Muzzarelli. J_i avvenimento al trono di un nuovo pontefice fu sempre tale circostanza , che quelli i quali pbbero la sorte di aver comune con esso la patria cercarono di lasciarne ricordo alla più tarda posterità con me- morie non periture. Fu però con savio accorgimento che Belluno, madre fortunata del regnante Gerarca GREGORIO XVI , volle ed ordinò che quattro fra i più illustri suoi cittadini si rendessero a questa Ro- ma , affinchè significassero al pastore della chiesa uni- versale il suo giubilo e la sua devozione. E questo fatto, che segnerà un' epoca non meno gloriosa per gli annali della chiesa che per quelli, più modesti bensì, ma non meno importanti della citta di Belluno , ven- ne aflidato per eternarsi sulla tela all' ingegno ed al magistero del dipintore, Jiellunese pur esso, sig. cav. Pietro Paoletti. Il quadro, di che intendiamo tenere proposito, è della lunghezza di palmi romani 12 , ed 8 di altez- za. L'artista scelse il momento in che vennero in- trodotti nella sala delle udienze nel Quirinale i quat- tro nobili deputati. Il pontefice è seduto sul trono , e stende benignamente la destra verso i rappresentanti della sua terra natale , cui un nuovo affetto , quel- lo della riconoscenza , rende più cara la persona dell' adoralo sovrano : il quale por primo alto di sua B E L L E - A n T I 31 1 beneficenza volle prelati domestici e protonotaiii nposto- lici i (lue illustri ecclesiastici, canonico Giovanni Spor- ti , e canonico Giuseppe Zupparli, il primo de' quali rimane alcun poco indietro: con che si volle forse di- mostrare dal dipintore il suo carattere modesto e ri- servato , sebbene fosse egli che tenne discorso a nome della sua patria al pontefice , il quale aveva anche insi- gniti del distinto e sacro ordine equestre di Cristo i due secolari conte Antonio Agosti podestà , e nobile Giovanni Pagani Cesa. Essi stanno , come è di co- stume , ginocchioni a'suoi piedi : e fisi lo sguardo nel volto di lui , atteggiati a rispetto e venerazione, sem- bra che cerchino leggergli negli occhi un segno della desiderata sovrana approvazione. L' amplissimo cardina- le di s. chiesa, vicario della santità sua, Placido Zur- la , personaggio del quale non sappiamo se sia mag- giore la pietà o la dottrina e che si fece presenta- tore della deputazione, è in piedi vicino al trono, ed ha volto esso pure lo sguardo nel pontefice , mentre le bianche vestiraenta di che si adorna, nel ricordare il sacro instituto camaldolese cui appartiene , servono mirabilmente a fare un bello e necessario contrasto di tinte cogli abiti color nero e violaceo delle altre figure. La composizione sciiielta ma istorica del qua- dro riceve accrescimento di un bello insieme da al- tre due figure, che sono nel fondo della tela in os- servazione di quanto avviene innanzi ai loro occhi. Una di esse rappresenta il sig. Gaetano Moroni assistente di camera di N. S. , nell'altra volle il dipintore ef- figiare se stesso. La sala è ricca di arazzi, due de' quali stanno dappresso al trono, e sono allusivi a fatti del nuovo testamento, dacché l'uno raffigura il Reden- tore che consegna le chiavi al principe degli apo- stoli : l'altro la purificazione , giorno di eterna ricor- danza , perchè in quello venne assunto al pontificato ?i 2 B K L L E - A K T 1 l'augusto protagouista del quadro. Da una finestra , che rimane rinipelto al Irono e dalla quale si parte la lu- ce onde si veste la scena , si vede con mirabile effetto di ottica la maestosa cupola di s. Pietro che alteramente torregjiia su quanto v'ha «in Roma di più grande. La semplicità istorica dell' argomento richie- deva molto artillcio e molto sapere, onde nulla lascian- do di necessario, e nulla di superfluo aggiungendo , non divenisse la rappresentazione o troppo forzata e fuori del vero , o fredla troppo e monotona e pri- va d'ogni interesse. Noi non osiam dire se il chia- rissia)o dipintore abbia tutte empite le sue parti, e ne lasciamo il giudizio a chi più di noi sente dentro nell'arte. Diremo bensì senza esitare, che l'espressione diversa dei volti, accomodata alU circostanza ed al luogo : che una felice e tranquilla difliisione di luce : che un piegare largo e ben eseguito : che i colori giustamente alternali anche negli accessorii , vale a dire nelle sete , negli arazzi , e ne' grandissimi vasi onde è ornata la sala, acquistano al Paoletti un nuovo diritto alle lodi dell' universale , e fanno sicura la città di Belluno della certezza che, il meglio che si poteva, ebbero effetto i suoi voti si nell' atto solenne del ricevimento de' suoi deputali , e sì nella tela de- stinata a ricordare agli avvenire questo lieto ed impor- tante argomento. 313 Orazione detta nella grande premiazione capitolina del concorso Balestra di belle arti , alt insigne e pontifìcia accademia romana di s. Luca il dì 7 di febbraio 1834 da S. E. il signor principe D. Pie- tro Odescalchi socio di onore. e , •• ,. ^ Je 10 , eminentiissinii principi , accademici chia- rissimi , giovani valorosi » ed ascoltatori tutti umanis- simi , se io nel dar principio col mio ragionare a que- sta grande solennità, mi fo a considerare o il nobile e generoso suo obbietto : o la rinomanza del luogo ia cui si compie : o la veneranda dignità de' personag- gi f che di lor presenza la onorano : o finaliuente la maestà e santità del pontefice, che con istraordinario favore ha permesso ciie nelT augusto suo nome s'in- titoli : mi è forza , o signori , di confessare , che da tutte queste cose sì svariate e si alte per tal modo mi sento l'animo sopraflfatto, che non so da quale di esse principalmente debba prender le mosse , ovvero sce- gliere l'argoraeiito a questa umile mia orazione. Im- perciocché io veggo oggi su questa celebrata vetta del Campidoglio nobilissimi e spezialissinii onori tribu- tarsi alle belle arti nelle corone e ne' premi dalla più famosa accademia d'Europa decretati alla strenua gio- ventù , che mi sta qui d'innanzi , cara speranza del- la patria di Zeusi e di Raflaello. Veggo eziandio tali premi e tali corone non da altri essere a' questi gio- vani apparecchiati , se non dalla signorile munificen- za di quel nostro magnanimo concittadino Carlo Pio Balestra , il quale de' beni , ond' eragli stata larga e graziosa la fortuna , volle ìa morte chiamare prò- 3 14 B K L L E - A R T I prietaria crede quesl^ poutillcia accadeniia di san Lu- ca , obbligandola a ciò che. un' ampia parte delle an- nue rendite non si distraesse ; ma si tenesse in ser- bo , perchè ad ogni sesto anno in questo sì utile ob- bietto , in questo incoraajgiamento de' giovani artisti fosse spesa e consagrata. Veggo ad un tempo medesi- mo esser presenti a questo solenne atto i principi dell' augusto senato di santa Chiesa vestiti di tutta la mae- stà, della romana porpora : sia per onorare la splen- dida festa; sia per dimostrare che le arti assai deb- bono del loro splendore alle larghezze de' cittadini , assaissimo in questa Roma pur debbono alla Religio- ne ed ai principi della Chiesa. Veggo per ultimo , che a rendere oggi più insigne questa pompa delle arti ha voluto lo stesso clementissimo principe nostro Gregorio Decimosesto con nuovo esempio , eh' ella avesse gli auspicii del sovrano suo nome nel gior- no appunto a tutta cristianità faustissimo della sua coronazione. I quali tutti , o signori , non sono ob- bietti da sgomentare , e da metter temenza in ora- tori più pratici e più facondi che io non mi sono ? Obbietti forse non sono , che tolti ciascuno per se medesimo porgerebbero abbondevole materia ad una larga copia di ragionare ? Ma perchè io possa in alcuna guisa , e per quel meglio che da me si po- trà nella molta mia insufiicienza, corrispondere a que- sto ufficio di solenne orazione , che dalla vostra cor- tesia , o professori accademici , mi è stato affiliato , mi farò a ragionare senza speziai partizione di di- scorso : che il diversamente operare sarebbe mette- re un freno durissimo alla piena de' concetti , che nella mia immaginazione si creano e suscitano dalle tante e sì alte e sì gravi circostanze, che accompa- gnano questo glorioso giorno alle arti ; e piuttosto m'ingegnerò , se la fortuna mi è seconda , di averle B K L L E - A R T I 315 tutte d'innan/.i agli ocelli dello intelletto ; talché leg- germente sfiorandole , farò in modo che le umili mie parole sian seme , il quale fruttifichi in questa va- lorosa gioventù un qualche Luon eccitamento a man- tenere e ad accrescere nella presente eia l'onore delle arti , e quella gloria italiana, la quale a ciascun no- bile animo dee essere cosa sacra e desideratissima. Egli e certo, o signori , essere stato sempre mai singoiar vanto delle belle arti , di quelle divine be- nefattrici , il soccorrere in ogni tempo all' uman ge- nere : avendo elle saputo co' loro raaravigliosi e stu- pendi incanti condurre gli uomini , e farli crescere a bella civiltà e gentilezza. Se però per tali singo- larissimi beni alla umana razza triliuiti debbonsi es- se avere da ogni nazione e da ogni citta in sommis- simo onore , e con ogni maniera di larghezza proteg- gere : quanto più avranno ad onorarsi ed a soccor- rersi nella nostra Italia , ed in ispezialta in questa Roma ? Conciossiachè se le altre nazioni , se le al- tre citta vanno debitamente superbe e fastose della luce delle arti loro , fa d'uopo però che confessino, una tal luce essere come di riflesso , accattandola e ricevendola da questa Roma , in cui le arti brillano e rilucono come soli che de' loro fervidissimi ra""i DO rischiarano , riscaldano , e vivificano ogni più remo- ta parte di mondo. Si , 0 accademici , le belle arti son cosa per- fettamente italiana : e sarebbe al certo un voler es- sere affatto digiuni di ogni istoria , che ad esse ap- partengasi , anzi un voler essere grossamente d'ogni nostra fama e d'ogni più bella nostra gloria affatto dimentichi , il farsi menomamente a contrastare un tal vero. Si , queste arti nobilissime , alla cui ono- ranza è la presente straordinaria festività intitolata, hanno fiorito su questa classica terra assai prima, che 316 Belle-Auti nella Grecia s'intromettessero : e grandi e nobili di- vennero sotto la possanza dell' imperio etrusco in tem* pò die la Grecia tutta vivevasi ancor sepolta nella barbarie, e nelle altre terre dell' Occidente non era- no che tenebre le più profonde. E perchè , o sijs;no- ri , questa opinione non sia più dubbia , la graziosa provvidenza ha permesso , che di sotterra venisser fuo- ri a' dì nostri que' preziosi monumenti dell' antica Vi- tulonia , i quali cosi dottamcnie sono stati illustrali da due nostri socii d'onore , il principe di Canino , e l'abate Girolamo Amati uomo di antica dottrina , e di più lieta fortuna degnissimo. E' per tali monu- menti che di vero ci vien dimostrato , essere stata l'antica Vitulonia il centro di quel grande impero etrusco , che signore di tutti questi mari batteva in conflitto navale gli argonauti , mercatantava in tutte quante le parti dell' Arcipelago , e per ogni dove ad un tempo stesso ( son parole del lodato principe di Canino ) spargeva i riti religiosi, che son le leggi pri- mitive della comune società , e le belle arti , di cui la celestial provvidenza sembra aver voluto vantag- giare l'Italia non già per un breve corso di età, sic- come nella Grecia , ma sempre , ma in tutti secoli , incominciando da quelli più vicini alla dispersione del genere umano fino a' nostri giorni. Ed in vero ve- dete come elleno costantemente in Italia tenner sal- do il lor seggio, ne si smarrirono eziandio in que' barbari secoli , ne' quali pareva che ogni cosa gen- tile fosse morta in Europa , non che nella patria di Fidia e di Apelle. Vedete come in mezzo a tante in- testine discordie , in mezzo a tante scorrerie dello straniero , che sceso giù dalle alpi lutto l'italico giar- dino mise in mina , pure benché nascoste e timide qua le graziose arti stanziarono , come in loro unico asilo; e se per la dura contrarietà de' tempi , che cor- Belle-Arti 317 revano , non crebbero in bontà , non di meno fu- rono l'unica gentilezza di quella eia , ed una favilla serbarono che della divina lor vita fece al mondo testimonianza. Ma che dico , o signori ? E non sono oggimai tutti concordi nel primato romano delle arti belle ? Non è stato il francese Quatremere, che solennemente ha in questi dì pronunciato , essere Roma all' Euro- pa ciò che già anticamente fu la Grecia a Roma ? E che altro significa questa grande frequenza di ce- lebratissimi artisti, la quale d'ogni parte conviene su i sette culli ? Si certo grande frequenza : peiciocchè se lo sguardo rivolgo a questo onorando consesso ac- cademico , noi veggo forse bello ed insigne de' più celebrati nomi d'ogni nazione ? Ed in quale altra capi- tale del mondo trovar potreste riuniti insieme tanti famosi e di Danimarca e di Francia e di Spagna e di Portogallo e di Polonia e di Germania e d'In- ghilterra e di Olanda e del Belgio , quanti io ne contemplo oggi (e il cuor me ne gode ) in quest' aula massima del Campidoglio ? Quasi che essi qua sie- dano professori rappresentanti della loro nazione nella prima scuola ed accademia dell' universo. Quindi pur vediamo da ogni più remota contrada qua venire una eletta schiera di giovani , che la munificenza de' loro principi e de' loro governi provvidamente dostinu alle arti belle : e in queste maraviglie inspirarsi : e in questa luce contemplare ne' suoi più vaghi colo- ri , anzi nelle sue pompe più plendide , la natura ; e confessare con ciò , che il gusto delle arti non è mercatanzia da potersi carreggiare qua e la , o con- cambiarc con le meici delle quali sovrabbondano le patrie loro : ma è privilegio grandissimo di questo cielo , di questo suolo , di queste fantasie nate al bel- lo , che ne circonda dovunque volgiamo raaraviglian- tlo lo sguardo. 318 Belle-Arti Oh Roma ! oh patria mia ! non è no uu amoi* soperchievole del luogo natio , che mi fa parlare que- ste tue glorie ! Egli è il nobile sume superbiam quae^ sltani meritis di Fiacco : anzi è la certezza d'esser tu stala sempre in cima di ogni umana cosa. Ed in vero tu volesti esser guerriera ed iraperadrice ; e fon- dasti il più vasto , e potente , e memorabile impero della terra : e tutti i re , e tutti i popoli del mon- do conosciuto obbedirono per tanti secoli alle tue leggi , seguirono le trionfali lue aquile , e la tua dei- la adorarono. Tu volesti essere capo e fondamento della vera fede : e la cristiana tua monarchia pa- cifica e santa altri confini non ebbe e non ha che quelli dell' universo. Tu volesti infine fiorire ed es- sere graziosa per le arti ; e vedi che d'ogni parte i più gentili spiriti delle nazioni a te corrono , le onorano , te inchinano come madre. Imperocché suol facilmente accadere , che alcun gran maestro de' no- stri non abbia viaggiato mai ne a Londra , ne a Pa- rigi , ne a Vienna , ne a Berlino , ne a tante al- tre nobilissime capitali d'Europa : ma che un gran- de maestro di quelle straniere terre non siasi mai re- cato a questa Roma , e qui non abbia venerato il genio delle arti nostre , non è forse accaduto mai ; ed a voi , professori chiarissimi , io me ne appello. Intanto una lode singolarissima vuol tribuirsi a que' generosi , che questo bel dono della natura aiu- tano fra noi , e mantengono con opere di signorile munificenza. Imperocché essi fanno il miglior uso , che mal far si possa filosoficamente delle ricchezze e mostrano tener vero , che il prezzo dell' oro e dell' argento , coraechè grande , ha pur suo fine : ma fine non ha l'impiego che se ne fa col creare ad ac- crescere in una nazione le buone discipline, le arti, e le virtù : cose che scm^ire dan frutto di prospe- Belle-Arti 319 rilà , di onore , di pace : e che lianno per ricompen- sa la gloria iminuitale di uri popolo , la gratitudine de' posteri , le universali benedizioni. Ed oh quante grazie mai non dobbiamo a te rendere , o cortese ani- ma del Balestra ! a te che desideroso che esse arti a tutti fossero coraun patrimonio , com' è uso romano , volesti che l'alloro , il quale in questi giorni dee dar- si , fosse gareggiato eziandio dagli alunni di tutte le altre nazioni. Se molte grazie però per cosi segna- lati benefizi li dobbiam noi riferire , o magnanimo concittadino , quanto maggiori non debbono esser quel- le di questi egregi giovani , che si nobile guiderdone si meritarono : e che tanto incoraggiamento hanno avu- to in luogo sì augusto , ed auspice la maestà di un gran pontefice ! Ed in vero se altissime lodi si convengono a' princìpi della Chiesa pe' miti costumi , ai quali sot- to il pacifico lor reggimento la nostra Roma si e ve- nuta mano mano educando : quanta lode e quanta ri- conoscenza non si deve pur loro per ciò che spet- ta alle arti .'* E qui a mio giudizio più assai delle parole sono i fatti a mettere innanzi. Conciossiachè se ci facciamo solo a percorrere le vie di quest' am- pia citta , e guardiamo que* maestosi palagi , que' templi , que' ginnasi , quelle magnifiche gallerie, per ogni dove ci si parranno alla vista le splendide me- morie , che gì' incliti, principi della Chiesa ci han- no lasciato di'ir onore , in cui ebbero sempre le ar- ti : per ogni dove onoreremo i nomi illustri de' Far- nesi , de' Biari , de' Salviati , de' Castaldi , de' Ru- sticucci , de' Ludovisi , de' Borghesi con quelli glo- riosissimi de' Sisti , de' Giuli , de' Leoni , de' Paoli , degli Alessandri , de' Clementi , de' Pii. Ne solamen- te tutte queste grandezze , che cosi per somma ho io qui toccate , e che per se basterebbero ad eleva- 320 Bklle-A rt t re in orgoglio qualunque altra più chiara e più splen- dida citta , dubbiani noi riconoscere da loro : ma sì quelle vieppiù maggiori delle quali va adorno e ric- chissimo il Vaticano , ed al cui paraggio le già ri- cordate si fan quasi umili e povere. Ed in fatti a chi mai , se non all' altezza dell' animo de* pontefici sommi , dobbiamo noi quel tempio , che bene Ugo Foscolo chiamò , nuovo Olimpo in Roma ai cele- sti : quella singoiar maraviglia della romana mae- stà e delle arti , sia che ne contempliamo la va- sta e stupenda mole e struttura , appo cui si umi- liano gli edificii più celebrati di Memfi , di Efe- so , di Delfo , e di Atene : sia che ne vagheggiamo le opere finamente condotte in be' rilievi e musaici, e i magnifici avelli , e le statue, e i bronzi, e i preziosi marmi , e l'oro che d'ogni parte risplende? Ed a chi mai se non a' pontefici sommi dobbiamo noi l'unico miracolo in terra di quelle logge, di quelle stanze, dove le grazie istesse guidarono la ma- no , ed ispirarono ringegno divino di Raffael'o; do- ve ogni parete è una scuola pubblica d'arie , ed in- sieme un orgoglio dell' italiano magistero ? Ed a chi mai dobbiamo noi se non a' pontefici sommi quelT altra non minor maraviglia dell' universal giudizio dipinto da Michelangelo : e quc' due grandi musei , ne' quali è racchiuso quanto d'insigne e di bello ci ha lasciato la greca sculturz^ , e quanto la pittura di tre secoli ha prodotto di più eccellente ? Sii , o signori, ai Sisti (è ben debito il ripetei lo) ai j Giu- li , ai Leoni , ai Paoli , agli Alessandri , ai Cle- menti , ed ai Pii dobbiamo , anzi tutta Europa, che qua ad istruirsi concorre, deve tante grandezze. Essi , que' magnanimi principi , non ebbero pos- sanza e dovizie se non a vantaggio delle arti belle, dopo il servigio della religione santissima , cura loro Belle-Arti 321 principale ed angusta in tutte le partì della terra : e qua essi chiamarono , qua favorirono , qua onora- rono gli Alberti , i Bramanti , i RafTaelli , i Leo- nardi , i Buonarroti , i Vignola , i Peruzzi , i Ber- nini , i Canova e tanti altri artefici eccellentissimi. Era dunque bea convenevole , che questa solennità delle arti ed il sommo gerarca di sua speziai pro- tezione , ed i porporati principi della Chiesa di lo- ro presenza rendessero e più bella, e più degna, e pili autorevole , e più veneranda. Al che io soggiun- go , o signori , che in verun altro luogo di Boraa era pur debito, che tanta solennità si compiesse, quan- to su questa vetta del Campidoglio. Sì su questo col- le , gran sede della romana gloria, su questo colle usato a vedere i nostri trionfi. Ed oh quanto l'animo mio si rallegra ! oh quanto la mente mia si consola tutta e ricrea in vedere questo modesto e quieto trion- fo delle arti , che abbelliscono l'animo , e crescono la universale civiltà e gentilezza I Su di che io mi penso non esser mestieri il far parole , essendone già stato per altri da questo luogo medesimo in somi- gliante occasione con belle immagini e con molta elo quenza abbondevolmente discorso. E qui o signori , potrebbe la orazion mia al suo fine pervenire , ove non istimassi mancare al prin- cipale obbietto di solenne e pubblico dicitore , se le ultime mie parole non indirizzassi a questi giovani, che il primo ornamento sono e lo scopo primissimo di questa universale esultanza. Io però altamente pro- testo , che con ciò non intendo già di farla lor da maestro : che tanto ne so ne posso arrogarmi : ma con animo franco , e con dire schietto , esporrò lo- ro certe sentenze suggeritemi da quel comun senno, non cos'i generalmente seguilo , come dovrebbcsi , iu questa età delirante : e posleiui in bocca da quel G.A.T.LX. 21 332 Belle-Arti desiderio , che io nutro vivissimo , perchè le arti italiane sempre si dimorino in quelT altezza di fama, a cui le fecero salire gli antichi nostri d'ogni leg- giadria e d'ogni ragione insegiiatori e maestri. Ed^ a voi innanzi a tutti mi rivolgo , o giova- ni scultori , a voi che la Dio mercè tenete ancora il retto cammino additalo non ha molto all' Europa, dopo tanto delirare , da quel veneto Lisippo , che altra volta qui vedemmo seder fra noi capo vene- rabile e principe dell' accademia : da quel Canova , sul cui sepolcro piangono ancora per gratitudine, e spargan fiori le arti di tutti i popoli. Siate però be- ne avvertiti , o giovani , e chiudete le orecchie a tan- te novità dissennate , che di Ik da' monti e di la da' mari vi si predicano da certo volgo orgoglioso di artisti , che stanco quasi del buon frumento va cercando le ghiande : sì dico , volgo di artisti : e pensate che se il Cine vostro e quello d'istruire di- lettando le menti , e d'ingentilirle , non dovete rap- presentare che obbietti degni , e destramente imitati dalla bella natura. Tenetevi, per mia fé, lontani da ogni concetto o ignobile o strano , da certi ma- nierati contorcimenti , da certe fredde leziosità , e fa- te che ne' vostri marmi si paia un' anima schietta , Leila , italiana : fate che nelle membra corra la vi- ta non odiosamente convulsa e furente , ma digni- tosamente naturale ed umana. E chi volesse indurvi al contrario, voi conducete costui innanzi a quegli Apolli, a que' Laocoonti, a quelle Veneri, a quel- le Minerve, a que' Giovi , a quel brano famoso det- to il torso di Belvedere; e soprattutto coaducetelo innanzi a quelle sculture , non è gran tempo pas- sato , venuteci d'Egina e d'Atene ; ed in ispezialta mostrate luì quell' llisso , il quale, sia per ogni sua forma bellissima , sia per la sua naturale movenza , Belle- Art i 323 sia Infine per quell' anelilo e per quel palpito che gì' intendenti dell' arte sarmo vedervi ed ammirarvi , può chiamarsi incomparabile scuola gli artisti i quali vo- glia\;) apparare il vero bello della umana natura. Quel bello non ha cessato mai d'esser tale, e pia- cque ai greci , piacque ai romani , piacque sovra- namente a que' grandi della rinnovata eia delle ar- ti , ne i moderni saprebbero pensar cosa mag- giore. K la , o g'ovani artisti , è là , su que* ca- polavori , che dovete studiare e ispirarvi , se vo- lete che le opere vostre vivano in fama nou un se- colo , ma sempre. Voi in co^itrario , o giovani dipintori , voi si che avete a fare gran senno ; perciocché l'arte vo- stra pende pur troppo in sulla via dell' errore ; e per sì fatto modo , che se dal gran numero di co- loro , che a questa divina arte sonosì consagrati, vor- remo sceverare pochi maestri valentissimi , che con generosa perseveranza si tengono tuttavia saldi alla dignità della vera scuola italiana del cinquecento , e che da certi prosuutuosi possono piiì leggermente dileggiarsi , che imitarsi ; gli altri pressoché tutti intesi servilmente al guadagno , e dimentichi per es- so della nostra gloria dell' ar te , sonosi dati al far presto piuttosto che al far bene. Quindi eccoli la con que' loro sfacciati colori , con que' loro bianchi e ne- ri , con que' tocchi da manuali , con quelle miserie in fine ed arroganze romantiche , nelle quali se bi- sogno hanno di ben ritrarre e velluti , e ciondoli e frange ( parte assai secondaria e mediocre e quasi meccanica della pittura ) non hanno certo mestieri di ben conoscere il nudo, e tutte le finezze del di- segnare e del colorire , in che veramente consiste il magistero liberale dell' arte. Deh , o giovani , da tan- ta viltà dipartitevi , se volete aver nome onorevole 21* 324 Belle-Arti ed italiano ! Seguite il nobile , il Lello , il grande ; ctTcatelo però nel vero nobile, nel vero bello, nel vero grande , non in quelle vuote baie de' romanzi , non in qnelie atrocitk de' secoli barbari, non flnalLnen- te in quegli orrori , che dovrebbero piuttosto coprir- si ed obliarsi , che coiisagrarsi con la divina opera delle arti belle. Il cuor mi si serra e geme quan- do io veggo certi dipinti : e parmi poi d'essere in mezzo un gran sogno di adulatori o di stolti , al- lorché n'odo suonar d'ogni parte i boriosi cantici della lode. Giovani alunni , serbatemi fede : queste opere saranno come la nebbia , d'onde hanno trat- ta la origine loro. Sorgerà il sole , ed ella dispari- rà. Sapete però quali durano eterne ; quali al rag- gio del maggior astro più vaghe rifulg(jno ; quali non solo per grande età non invecchiano , ma di sempre nuova e graziosa giovinezza fioriscono.'' Quel- le de' nostri divini antichi , di Raffaello dico , di Leonardo, di Tiziano, di Correggio, di Michelan- gelo , di Domenichino , e di quegli altri , che ve- ri principi e padri siedono , e sederanno costante- mente (a dispetto dalla vana temerità degli scioli ) sul primo e più nobile seggio delle arti europee. Guardate come in quelle immortali opere loro (sie- guo le osservazioni savissime del Milizia ) tutto e con facilità disposto : come l'occhio del risguardan- te vi passeggia , vi si riposa , vi si trattiene con grandissima satisfazione. Guardate come tutto e ivi condotto con severo ed esatto disegno : guardate con che fino magistero è da que' sorami usata l'arte del chiaroscuro : come i lumi e le ombre vi sono giu- diziosamente distribuite , affinchè rilevino quelle par- ti, che hanno a comparir rilevate, tondeggino le altre , e quelle sian liscie , e queste rilucenti. Guar- date da ultimo quel franco si , ma modesto usar de* Belle- Arti ^'^^ colorì , 1 quali al dire eli;! Pussirio sono quasi lusin- ghe a persuadere gli occhi , come la venusta de' versi è nella poesia. Ed a voi , o giovani architetti, che dirò io mai? Ahi gran vergogna dell' infelice eia nostra ! Qual più vaga e solida e maestosa architettura di quella , che nelle più nobili fabbriche della terra ci lasciarono i greci e i romani ! Qual cosa per le forme più grata all'occhio, per le proporzioni più consentanea al giu- dizio, infine per l'intera euritmìa più degna dello splen- dore e della gentilezza dei due più grandi popoli maestri dell' uman genere ? l'^ppure a' presuntuosi dell* età nostra è quasi venuta a schifo : e se que' loro vani discorsi udirete , Vitruvio e Palladio non furo- no presso che altro che schiavi dell' antichità. No- vità si vuole , o giovani , novità. Non più architettu- ra greca de' secoli di Pericle e di Alessandro : non più architettura romana di quelli di Augusto e degli Antonini : non più Bramante , non più Vignola, non più Palladio , non più Peruzzi. Ma dove mai pre- tendono questi novelli savi di mandarvi a ispirare ne- gli esempi del bello .'* Forse in un altro secolo d'oro? Forse sugli edifici che surscro negli imperi formidabili di Sesostri o di Giro ? Forse in quelli de' nostri pos- senti etruschi, che l'arte dell' edificare, dopo gli egi- zi , condussero a si gran perfezione ? No, giovani , essi (chi il crederebbe.'') vogliono che v'ispiriate sull' architettura de' secoli barbari : sull* architettura de' goti , de' vandali , e di non so qual altra orrida gen- te , viltà e vergogna dell' istoria d'Europa. Imitare i greci, gli etruschi, i roaiani, nostri immortali pro- genitori , è una servitù ; imitare i goti , i vandali, gli eruli , e gli altri barbari del settcnlrioae non h più servitù. 326 Ìjelle-Arti O lutum , lupanar , Aut si perditius potest quid esse ! Or dlscostalevi da cosi fatti dissennati , o giovani , se avete caro l'onore di voi slessi ; e tenetevi stret- tamente alle orme di quei lodali maestri , die la Dio mercè ancor vivono in questa Roma , ed in quest' ac- cademia fioriscono, ed hanno gran nome. Da essi avre- te insegnamenti a non esser goti , uè a pazzamen- te diffamare le citta italiane, e le solenni memo- rie degli avi : apprenderete a non vaneggiare in ton- di , angoli , e spezzature , e distorciraenti di linee , ne a scomporre le basi, i capitelli , le colonne con frottole di stucchi, di tritumi, e d'ogni maniera di fre- nesie : ma sì a tenervi a quella Leila armonia , a quella ragionata eleganza , ed a quella grave maestà, che ci lasciarono gli antichi come doli principalis- sime di qiiest' arte divina. A voi tutti finalmente io rivolgo quest' umile mia orazione, o giovani valorosi, che alle belle arti in- tendete, e che in questo giorno solenne n'avete qui ottenuto un nobile premio ; e per quanto so e pos- so con le deboli mie parole vi prego e vi scongiu- ro , che tutti con maggior forza , e con piìi intenso e fermo animo seguitiate la onorevole carriera in cui vi siete messi. Non vi basti però d'essere artefici ( vi dirò con un grave filosofo, ed oratore elegantissimo ), non vi contentate a un po' di guadagno : ne vi re- state al solo titolo di ministri di voluttà a' ricchi su- perbi ed ignoranti : e v'entri bene addentro nella men- te il nobil proposto, che tutti dovete avere , d'essere maestri di una filosofia non fallace, non oziosa, ma san- ta, ma operosa : d'essere ì censori de' costumi t i pre- Belle-Arti 327 mlatori delle virtù , i dispeusatori di fama : d'eser- citare un raagistraf;o liberissimo , che la potenza de' grandi, e l'incostanaa del popolo non paventi ; d'avere una preerainenza non pericolosa tra' vostri, ed un im- mortai nome ne' posteri. Cos'i per voi , generosi , lo splendore del principe nostro , l'onore di Roma , la gloria delle italiane arti stara. 328 VARIETÀ' Eustachio. Storia delTantica cristianità , novèlìamente raccon- tata pei cristiani de' nostri tempi dal sig. canonico Schmid , e tradotta dal tedesco dalV abate Giuseppe Maffei. Milano per Antonio Fontana i833. ^e la religione senza fanatismo è dell'uomo 1' obbietto più caro , e se di essa nella sua purità favellandosi , non può cia- scuno a suo prò non interessarsi : confesso , che in leggen- do 10 avidamente l'operetta del canonico Schmid, volta nella nostra favella dal chiarissimo Giuseppe Maffei , ho sentito nell'animo tutta quanta la dolcezza, che una pietosa e va- riata narrazione potrebbe istillare. Un nobile cavaliere romano per nome Placido , il quale sotto l'impero di Trajano aveva il comando dell'esercito, ed in più battaglie centra i parti era salito alla più alta cele- brità militare , sendo alla religione di Cristo da qualche tempo inclinato, si diede alla fiuc con tutto calore ad abbrac- ciarla , e nel battesimo ricevè il nome di Eustachio. Tolse per moglie una tale Teopista , bella ed amorevolissima, dalla qua- le ebbe due avvenenti figliuoli. Non molto dopo , da persona ricca e potente com' era , divenne povero ed abbietto. Fu necessitato ad abbandonare la patria già in preda a mortifera pestilenza , e poiché per alquante giornate in luoghi alpestri e perigliosi pellegrinò , si vide a tutta forza rapire la consor- te ed i figli. Quella da un moro , che per lei fu ardentemen- te passionato , e questi dalle unghie di ferocissime belve. Do- po alcuni strani avvenimenti, quando Eustachio alla prima for- tuna ridotto più non isperava di rivedere l' amata famiglia , Varietà' 329 questa con mutata fortuna riacquislò , e con essoIeS consumò il rimanente della vita , benedicendo il cielo che l'aveva salva. Ma brevemente potè godere di questa pace. Quando Adria- no fu innalzato all'imperio, fra gli altri cristiani che furono condannati alle belve , Eustachio soccombè ad una morte più crudele, e cosi meritò la corona del martirio. Ecco in poche parole il suggetto della presente operetta. Semplicissimo per se stesso , e forse potrebbe sembrare al- quanto puerile , se l'autore con tutte le grazie di una facile e patetica narrazione, inspirando per ogni dove carità ed umore evangelico , non porgesse una salutifera istruzione del vero e del retto. Lode pertanto al sig. Schmid , che ha saputo condire i precetti della morale con la giocondità dello stile e della narrativa; e non minor lode si deve al nostro valente Maf- fei , che ne ha fatto il dono iu una bella versione italiana; cosicché alla amorevolezza dei sentimenti religiosi congiua- gendosi la urbanità della nostra lingua , abbiamo un forbito libretto , con che pascere il nostro spirito negli erudimenti di una semplice e non viziata morale. Ferdinando Ranalli. Le prose di Dante Allighieri con note e illustrazioni varie. Prima edizione completa. Il el fascicolo XXXIV del Poligrafo di Verona , mese di apri- le i833 , fu inserito un manifesto in data 3i marzo, che an- nunziava il mio divisamento di pubblicare tutte insieme le Prose di Dante Allighieri illustrate con note di varj : il desi- derio delle quali opere si è fatto a questi ultimi tempi più vivo che mai , dacché per le cure de' dotti si cominciarono a maggiormente gustare le principali di esse , che sanate in grandissimo numero di luoghi , lasciarono adito a conoscerne meglio il pregio e le profonde ed ulili dottrine , poco dap- prima 0 male intese nelle scorrette edizioni , o nei codici so- 330 ^ A R I E T A venie erronei che a queste servirono , rendeudone malagevole e sgradita la lettura. Ora essendomi occupato a raccorre e scegliere tutto ciò, che ad emendazione o schiarimento delie anzidette pro"ìe si andò dagli eruditi divulgando sino a noi coU'ajulo delle an- tiche e delle più recenti edizioni , dei MSS che serbansi nelle varie biblioteche private e pubbliche d' Italia , e dei mezzi prestati dall'arte critica ; ed assistito inoltre da benevoli sog- getti , che incoraggiandomi a tale impresa , mi furono cortesi non meno di consigli , che d' inediti scritti relativi ad una o ad altra delle prose medesime ; pongo mano finalmente alla proposta edizione , la quale avrà luogo non diversamente da CIÒ che fu| stabilita nel sovraccitato manifesto , cioè in due volumi nella forma d' 8.° , che saranno divisi in altrettante parti , come segue : VOLUME I. — PARTE I. Prefazione— Vita Nuova —Ap pendice — Indici ec. — PARTE II. Prefazione — Convito — Ap- pendice — Indici ec. VOLUME IL — PARTE L Prefazione — • Monarchia — Ap- pendice — Indici ec. PARTE II. Prefazione— Volgare Eloquen- za — Lettere — Appendice — Indici ec. Omettendo qui d'entrare ne' particolari concernenti alla distribuzione del materiale letterario riunito insieme, onde corredarne le indicate opere , non sarà forse discaro altrui il sapere , che un volgarizzamento della Monarchia rimasto ine- dito finora , e da pochissimi conosciuto , sarà aggiunto a ri- scontro del testo latino di quel Trattato. Esso è lavoro di uno de'luminari della letteratura fiorentina nel secolo decimoquin- to , voglio dire il celebre Marsilio Ficino , che fecelo ad ec- citamento di due suoi amici , Bernardo del Nero ed Antonio di Tuccio Manetti, ai quali lo volle intitolato. Questa versio- ne , oltre al nierito essenziale della esattezza e della buona Varietà' 331 lingua , ha quello altresì d'esser forse l'unico degli scritti del Ficino di dettatura italiana , mentre nelle altre sue opere (tranne un elogio di Dante tuttora inedito, che esisteva al tempo del bibliotecario Lami nella Riccardiana di Firenze — V. MoRENi , Bibliografia degli scrittori toscani) usò costante- mente il latino , come accostumavasi dal più dei dotti dell* età sua; e potrà probabilmente fornire ai vocabolaristi qual- che voci e maniere di dire , da arricchirne il patrimonio del- la comune favella. Anche di due fra le lettere di Dante pubblicate dal chia- rissimo prof. VVitte , delle cui diligenze sopra esse farò mio profitto , m' è riuscito avere le inedite versioni antiche , sco- perte ne' codici romani; dimodoché cinque delle sei latine, senza parlar dei frammenti , si avranno nella mia stampa vol- garizzate , e ridotte così a più facile intelligenza , rimanendo rischiarati più luoghi o difettosi od oscuri del testo. Kichiedesi poi per debito di gratitudine , ch'io renda noti in anticipazione i personaggi distinti che alcuna cosa con- tribuirono a vantaggio ed ornamento della novella edizione : essi sono in Firenze il prof. Melchior Missirini e 1' ab. Giu- seppe Manuzzi ; in Bologna il sig. Luigi Muzzi accademico della Crusca ; in Modena il sig. Fostunato Pederzini-Cavazzo- ni, e il sig. Gio. Galvani; in Parma 1' ab. Michele Colombo accademico della Crusca; in Verona ii dott. Filippo Scolari; in Vicenza il piof. Giuseppe Todeschini: e spero qualche al- tro ancora. Confortato dai quali nomi chiarissimi ho ragione- vole fiducia , che la ristampa presente nulla o poco lascerà desiderare per la parte filologica , come ogni cura sarà usa- ta , onde anche dal lato tipografico si raggiunga la perfezio- ne umanamente possibile. Gioverà qui ripetere , che il prezzo della stampa è fis- sato in ragione di centesimi 20 , ovvero soldi 5 toscani per ogni foglio di 16 pagine in carattere di filosofia pel lesto , e per le note in testino; la carta sarà quella detta dei clas- sici, prima sorte ; e alcune copie se ne tireranno in carta di- stinta di doppio valore ; la spesa della legatura e condotta dei volumi resterà a carico de' signori acquirenti, che vorranno 332 Varietà operare della loro firma la presenle associazione , la quale ri- mane tuttora aperta presso i principali libraj d'Italia. E siccome nell'occasione d'altre mie pubblicazioni venne accolto con favore il pensiero di destinare una parte del Va- lore dei volumi a prò della pubblica beneficenza ; dicbiaro che in questa impresa egualmente sarà da me rilasciato a Yantagglo degl' istituti pii , o delle scuole gratuite di reci- proco insegnamento nelle città a cui appartengono gli asso- ciati, il 20 per 100 sul prezzo di ciaschedun volume. A tal uopo si aggiungerà in fine del secondo un esatto registro del nome e domicilia d' ogni associato , sulla base del quale si pagherà puntualmente nelle mani delle respettive autorità lo- cali riguardo alla Toscana , e della commissione sulla casa di ricovero in Verona mia patria riguardo al regno Lom- bardo-Veneto , r importo dell' indicato abbuono da dispor»i nella guisa surriferita. Pisa , dicembre i833. Alessandro Torri. Volgarizzamento di alcune lettere di C. Plinio Cecilio sopra l'edizione di Parigi del i6o8 presso Marco Orry , ali ec- cellentissimo principe Don Tommaso Corsini ec. Roma tip. Marini i833 in 8.° di fac. 36. Pianto di Tiberio Papotti sulla morte della diletta figlia Giu- lia. Imola per Ignazio Calcati i834 in 8.^ di fac. 7. JLl dolore quando è intenso pare non riceva sulle prime al- tra consolazione , che il dolore medesimo : laonde un tenero padre nella morte di una cara figliuola non sa dapprima , che lamentarne la perdita. Ecco la ragione del pianto del Papot- ti , che Ila preparato eziandio questa epigrafe da incidersi presso il sepolcro gentilizio : Varietà' 333 QVI POSA CON GLI ANTENATI E CON DVE TENERI FRATELLI PER ETERNA REQVIE LA NOSTRA DILETTA FIGLIVOLA GIVLIA CHE APPENA TORNATI ALLA PATRIA DOPO XVI ANNI DI ASSENZA NE FV DA TROPPO ACERBA MORTE RAPITA VENTENNE IL VI GENNAIO MDCCCXXXIV. INGEGNOSA E AL BEN OPERARE PIEGHEVOLE VISSE ANGELO DI BONTÀ' E DI ILLIBATO COSTVME ESEMPIO DI CRISTIANO E CIVILE VIVERE DELLA CELESTE ARTE MVSICA LODATA CVLTRICE DI QVANTI LA CONOBBERO DESIDERIO E DELIZIA. OH ANIME SENSITIVE E PIETOSE PREGATE PEL BENEDETTO SPIRITO DI LEI E PER NOI TIBERIO PAPOTTI ED ANTONIA DEL POZZO GENITORI INCONSOLABILI Una seconda maniera di consolazione si è poi il pensare le altrui disgrazie spesso maggiori delle nostre. Chi vive alle lettere trova nel volutile del passato pagine profittevoli ad al- leviare la tristezza dal cuore. Questa maniera di conforti ha preso la gentilissima Margherita Fabbri d'Altemps, che sen- tendo nell'anima la perdita di una cara figliuola, e di una nobilissima amica (contessa D. Maria Marioni nata Corsini ) ha scelto tredici lettere di Plinio , che sono tutte di doglia , e De ha dato fuori il volgarizzamento in hello stile attìnto alla vena de' trecentisti : il quale non può che essere accetto, se già non ispiacesse a taluna il molto studio , che appare , del- le più fine eleganze. Ma perchè abbiasi un saggio della ver- sione , leverò il principio ed il fine della lettera i6 lib. V a Marcellino col confronto di due altre versioni. „ Tristissimus haec libi scribo : Fiindani nostri filia mi- ,, uur e:>t dufuacla. Qua puclla uihil uuquam festivius , amd- 334 Varietà* „ btHus , nec modo longiore vita , sed prope immortalitate „ dignius vidi Ut crudum adhuc vulnus medentiiitn ,, manus reformidat , deinde palitur, atque ultro requirit : ,, sic recens animi dolor consolationes rejicit ac refugit , mox ,, desiderai , et clementer admotis adquiescit „. LODOVICO DOLCE. ,, Con grandissima passione d' animo mi muovo a scri- ,f verli la presente. La minor figliuola del nostro Fundano è „ morta: della quale non vidi mai fanciulla più piacevole, ,, né più gentile, né solamente degna di più lunga vita j ma „ di viver sempre .... Siccome la fresca piaga abborrisce di „ lasciarsi toccar dalle mani del medico , ed indi a certo spa- „ zio non solo questo effetto sostiene , ma lo ricerca : cosi la ,, intrinseca passion dell' animo da principio discaccia i con- ,, forti e gli sfugge: dappoi essendo alquanto disfogata , quelli „ desidera , e ricercandoli s'acqueta. ,, GIUSEPPE TAVERNA. ,, Ti scrivo pien di rammarico per la morte della figlia ,, minore del nostro Fundano : non vidi più leggiadra fan- ,, ciulla , né più amabile , né più degna non solo di lunga ,, vita, ma direi quasi dell'immortalità . . . Siccome una fe- ,, rìta ancor fresca paventa la mano de'medici , di poi la tol- ,, lera , quindi anco la ricerca : cosi novello dolor d'animo ri- „ cusa alleviamento , e lo abborre , poscia il desidera e si „ acquieta a cbi pietosamente gliene porge ,,. MARGHERITA FABBRI D'ALTEMPS. „ Con più malinconia non ti potrei scrivere. La minor ,, figliuola del nostro Fundano è passata di questa vita. Non „ vidi mai più festevole creatura , né più amorosetta , e de- ,, gna non pur di più lungo vivere, ma di forse non morir ,, mai .... A quella guisa , che novella ferita abborre da Varietà' 335 ,, prima la man medichevole , poi patisce , anzi addimanda „ quella ; similmente il fresco dolore fastidisce e schifa conso- „ lazioni , appresso le affetta , ed a quelle soavemente porte ,, conteutasi e posa. ,, Allo stemperato del dolce non è chi possa oggimai rima- nersi contento : forse più grato torna il Taverna per una certa spontaneità. Chi sopra quelli non ammira la traduttrice d'Al- temps ? Se non che sa male ad alcuno , che troppo forse ella si tenga talvolta allo scrivere degli arcavoli: leggiere difetto, se mai fosse , che torna anzi a commendazione di lei ; perocché mostra il grande amore , che essa ha posto alle carte di tali , che sono maestri a noi tutti di bel parlare gentile. Del resto quanto alle ragioni del tradurre non aggiungerò più parola , avendone discorso assai volte in questo giornale (*). D. Vaccolini. Inscriptiones prò sepulcris et funeribus instauratis curionum qitinque intra meiises undecim Bononiae defunctorum. Bo- noìdae e tjpographeo socc. a yuJpe A. MDCCCXXXIII. J-Zettò queste iscrizioni quell'aurea penna dello Schiassi, il cui nome vale un elogio ; le pubblicò raccolte Michele Fer- rucci professore di quella slima , che tutti sanno , e il titolo ne donò all'eminentissimo signor cardinale Carlo Opizzoni ar- civescovo. Che bisogna di più a raccomandare queste gioie preziose a chiunque si conosce di gentilezza ? Ma noi vogliamo qui porne un saggio , che onori le nostre carte , e mostri ad un tempo come a' maestri della epigrafia non sia difficile espri- mere bellamente nell'antico latino eziandio le nuove cose. (*) Vedi Voi. 86 80 89 91 92 gS 124 126 127 i3i i32 , ed altrove. 336 Varietà' In Coemeterìo. ANTONIO . DOMINICI . F . GOZZIO s SAC. DOCTORI . IVRIS . VTRIVSQVE CVRIONI . PRIMVM . AD . DONATI . EP . MARI. DEINDE . AD . BARTHOLOMAEI . APOST. DELEGATO . IN . CONVENTVM . LVGDVNENS .R.P.C. ADLECTO . IN . CENTVRIAM . DOCTORVM . REGNI . ITALICI COOPTATO.IN .CONS. REI. SVBSIDIARIAE . ADMINISTRANDAE PRAEF . SODALIVM . CAPITE . DAMNATIS . OPITVLANTIVM VIRO . MVLTARVM . DOCTRINARVM PHYSICAE . CHYMICAEQ . PER . OTIVM . STVDIOSISSIMO VIXIT . A . LXXI . M . I . D . XIL PIVS . PRVDENS . MODESTVS . ACCEPTVS . VNIVERSIS MAGNO . GVRIATORVM . OMNIYM . MOERORE EGENTIVM . IN . PRIMIS EX . APOPL . DECESSIT . IIII . N . OCT . A . MDCCCXXXII lOSEPHVS . GOZZIVS CVM . FILIIS . QYINQVE FRATRI . CARISSIMO . BENEFICENTISSIMOQ . SIBI . ET . SVIS P . C. D. Vaccolini. Ottave sdrucciole di Avrilla Gnidia. Orvieto dai tipi di Spe- randio Pompei i833 in 4-° difac. 8. ItXoIù saranno per avventura , i quali al solo nome di ot- tave torceranno il viso , sciamando : „ il primo „ De' tormenti è la corda , e poi la rima ; e tanto più se dessa la rima sia di quel peso , sotto il quale si giacquero perfino gli omeri del Saaazzaro. E voglia il cie- lo , che altri non si disgusti al solo nome di versi ; daccliò la mala filosofia si è pur tanto ingegnata da porre in discre- Varietà.' 337 dito la poesia, non pure l'iircadica, già riboccante di sman- cerie ; ma quella gravissima di Dante , che sarebbe il confor- to della mente e il balsamo del cuore , se 1' una non fosse cieca , e l'altro corrotto. Pure non disperiamo , che qualche cortese spirito abbiavi ancora da volger gli occhi con amore su queste carte : il perchè noi volentieri scriviamo , che nel fausto giorno , in cui l'eminentissimo Luigi Lnmbruschinl , car- dinale amplissimo , di sua presenza rallegrava i colli e le rive della diletta Orvieto , l'autrice nella comune esultanza que- ste rime al proteggitore munifico offeriva. Nelle quali trionfa r affelLo , che fa caro anche il dolore: dicendosi di quel per- sonaggio, che togliesj per poco allo splendore di Roma, ,, E va pietoso onor di pianto a solvere ,, Sui monti erbanii a la fraterna polvere. Chi potria consolare il mngnanimo ? non altri meglio di una leggiadra fanciulla, sua pronipote, Amalia Viti. Quell'ange- lica creatura è nata fatta a ministrare consolazione : e allora il savio viene a gustare più dolcemente le maraviglie del- la città e dei dintorni. Qui sono ottave assai belle , le qua- li riporteremmo , se legge di brevità noi vietasse : basti il di- re, che dove la ragione della materia il comporta mai non vien meno la poesia: la quale poi sempre si fa più gentile sui labbri di una donna , che ha sentimento del bello e dell' onesto , ed ha dippiù l'arte di esprimerlo sì fattamente , cho pe rfino „ Le negligenze sue sono artifici!. D. V. G.V.T.LX. 22 338 Varietà* uilta cara memoria di Virginia Zanucchi. Pesaro per le stampa del Nobili i834 , in 8.0 pag. 01. \_/h le fuggevoli cose di questo mondo! Virginia, una ca» ra fanciulla , d'ingegno e di viilù lodata, conforto alla ma- dre vedova ^A.nna Zanucchi) , amore dei fratelli (Gio: Batti- sta e Francesco ) , gioia di quanti la conobbero , nìancò ai vivi nel diciasettesimo anno di età , agli undici di dicembro i853. Questo libretto Intitolano alla madre mestissima i con- cordi figliuoli. Viene prima il pietoso racconto della morte della fanciulla dettato in elegante volgare da Odoardo Machi- relli : seguono alcuni sonetti di Diego Passari Modi , di Ales- sandro Baldassini , di Niccola Grazia, di Giuseppe Mamiani , di Ugo Anderlini , leggiadri spìriti ; non che una elegia del professore G. 1. Montanari , sul fine della quale sono quesl» bei versi , con che la figlia parla alla madre ; Allorché tace notte , e 1' egre membra Componi tu sul vedovato letto , E l'alma che i suoi rei casi rimembra Trova sol nelle lagrime diletto , Io traggo a te , premo con man tue ciglia , E aqueto il duol che ti combatte il petto. Una quiete tosto al cor si appiglia , Soave sì che non ha pari al mondo : Ma tu non sai che la recò tua figlia. Io speranza di bene in sen l' infondo , E se mi chiami tu ne' tuoi lamenti Velocemente al tuo chiamar risponda. Quando fuor dell' accorger delle genti Movi all'ombre di tua Tresole aprica , E più forte il desio di me li senti ; Se sull'ali leggiere aurctta amica Avvien le gote ti lusinghi , e baci , Destando que' pensier che il cor nutrica , Non ti li ritrar , son di tua figlia i baci. Varietà' 339 Dopo è il volgarizzanneuto in versi sciolti della sesta me- ditazione notturna di Odoardo Young intorno la dimentican- za della morte : lavoro del conte Francesco Cassi , al quale si è messo per compiacere all'amicizia , non mai per aggiungersi al numero di quelli, che alla divina musa dell'Alighieri ante- pongono le fantasie della scuola boreale. Sono da ultimo le iscrizioni funerarie coll'epigrafe di porsi alla tomba del pa- dre (Giuseppe Zanucchi), nelle cui esequie rinnovate dettò già i titoli quell'aurea penna dell'avvocato L. G. Ferrucci , come si leggono in fine di questo libretto , ed uscirono nel 1828 dalle stampe del Nubili. D. V. Memoria sulla origine delle acque del Sebeto di NapoVi anti- ca , di Pozzuoli ec. , scritta dal R. professore cav. Teodo- ro Monticelli. Napoli i83o. JlisistoDo molti luoghi nelle vicinanze di Napoli , il cui suo- lo nella superficie „ è sabbionoso , puraiceo , incoerente e bi- „ buio tanto che , appena cessata la pioggia ,, ad una certa profondità si va poi siffattamente indurando , e si rende cosi solido e compatto , che riesce alle acque impermeabile. Qui- vi con provido divisamento e magistero aprirono gli anti- chi vastissime caverne, per entro alle quali ha luogo un con- tinuo e perenne stillicidio , e conseguentemente un copioso formarsi di rivoli che via s' incamminano per artefatti con- dotti. Il chiarissimo sig. cav. Teodoro Monticelli dimostra nel- la surriferita memoria , essere unicamente da questo stillicidio di acque piovane che traggono origine il fiumicello Sebeto , i pozzi di Napoli antica , la fontana di Resina , di Buccio ec. Fa conoscere che per conservare siffatte acque l'espediente migliore sarebbe quello di togliere di tratto in tratto la sta- latile calcarea che generandosi nelle volte delle caverne , ostruisce i meati dello stillicidio. In seguito , caldo di amor ■patrio, egli propone ai moderni d'imitare gli antichi nello intraprender opere utili alla salubrità dell'aria , alla fecoudi- 22* 340 V ,V R I E T A tà delle campagne, e ai bisogni, comodi ed ornamenti delle ciltà. Con questo scopo calcola approssimativamente la quan- tità di acqua che deve ristagnare sepolta sotto la pianura del Candelaro , ed accenna i vantaggi che potrebbero ritrarsene a pubblico benefizio. Erudizione, scier4za geologica , e soprat- tutto parole piene di carità di patria sono i pregi onde ri- spende quest' opuscolo. Quindi noi mentre ce ne congratulia-- mo vivamente con l'illustre autore , lo esortiamo a non rinia» uersi da opere di fine cosi magnanimo e generoso, Esercitazioni dell'accademia agraria di Pesaro. Anno terzo , semestre secondo. 8.° Pesaro i833 pe' tipi di Jnncsio la- bili. fUn voi. di png. io6 , con una tavola in rame). Ite medesime. Anno quarto , semestre primo. S.° Pesaro per Annesio Nobili i833. [Un voi. di pag. 102.) L^ oi non abbiamo voluto mai prestar fede alla voce sparsa ( forse ad arte da alcuni scortesi ) che 1' accademia agraria di Pesaro potesse cessare dagli utilissimi suoi lavori. Sarebbe ciò stato un mal conoscere la ciltà di Pesaro , dove si nobile e chiaro instituto fiorisce ad onore delle scienze italiane; quella città fra le italiche sì notiiinata di cortesia non solo , ma di dottrina e di senno. Noi non ci siamo ingannati : ed ecco due volumi delle sue Esercitazioni , le quali vengono solennemen^ te a smentire l'ingiuriosa taccia , e soprattutto a fare sempre più palese il costante impegno de'beuemerili ed illustri acca» demici a prò dell'agraria. Nel primo volume si contengono, i." Delle rotazioni agra- rie , riflessioni del canonico Angelo Bellani : 2.0 Rapporto de-, gli accademici conte Buffoni , niarcliese Belmonte Cima , e conto Paoli intorno al Saggio sull'arte di trarrò la seta dabo^- zoli, del dott. Gerct di Canagliano: 3.° Lettera del marchese Pie- tro Belmonte Cima sopra una miniera di carbon fossile in So-» gliano : 4° Memoria di Vito Procaccini Ricci sopra alcuni mi- nerali qcUe adiacenze d' Fossombrunt; 5" Continuazione e fi- Varietà' 3/|I tie dfilln momoria del cav. Pom|ipn Mancini sulla collivazione tie'prati : 6." Nota di Pacifico Harilari intorno un problema del dolt. Ambrogio Fusinieri sul modo di determinare le pres- sioni che esercita un grave sopra di tre appoggi: 7.0 Alcune osservazioni del dolt. Ignazio Lomeni intorno i bachi da seta e la loro coltivazione. Nell'altro volume , i " Discorso di Gio: Battista Spina so- pra il progetto di un regolamento agrario per tutta la pro- vincia accademica. 2." Regolamento agrario, compilato perla provincia accademica da una commissione della sezione di Ri- mino composta de' signori cav. Alessandro Belmonti , Giusep- pe Gornacini , A. Zavagli , e A. Menghi. Opera importantis- sima, divisa in parti, in sezioni, in capitoli, la quale può dare utilissimi materiali per la compilazione di un ottimo co-' dice generale di agraria. Sulla necessità di far i^ioete V esportazione de'vini nella pfooìn- eia accadentica , memoria di Giuseppe Mamiatii socio or- dinario deir accademia agraria di Pesaro , presentata alla medesima, 8.° Pesaro dalla tipografia Nobili i834 (sono pag. 1 1 ). l-icco un'altra egregia operetta , della quale dobbiamo pure saper buon grado all'accademia agraria di Pesaro. Ella è del sig. conte Giuseppe Mamiani delia Rovere, il quale con ogdi maniera di documenti , di esperienze e di ragioni è tutto Util- mente inteso a richiamare in vita Uno de' maggiori Commerci che potrebbero far fiorire l'agricoltura di quella si fertile par- te del nostro slalo; 3A2 Varietà Elogio funebre del del conte commendatore Leopoldo Cicogna- ra , detto dal canonico Agostino Peruzzì il 3 maggio i834. 12.0 Ferrara i834- Elogio del conte Leopoldo Cicognara scritto da Ferdinando Malvica, e recitato nell'accademia di scienze e belle lettere di Palermo la sera dei i3 di aprile i854. 8.° Palermo 1854- Discorso funebre in memoria del conte Leopoldo Cicognara ec. letto il giorno ii marzo da Antonio Diedo. 8.° Venezia 1834. In morte del conte Leopoldo Cicognara , canzone di G. C. di Negro. 8.* Genova i834. J-1 ol vogliamo caramente congratularci con tanti valorosi e cortesi , che vollero con elette prose e candidi versi accom- pagnare al sepolcro quel conte Leopoldo Cicognara , cui po- chi altri a' di nostri pareggiarono nell'amor vero d'Italia , in quello cioè delle lettere e delle arti. Dotto e pieno di religio- ne è l'elogio scritto dal Peruzzi: caldo, maschio , e tutto spi- riti italiani è quello del Malvica : affetto e gratitudine spira quello del Diedo , recitato all' accademia delle belle arti di Venezia : e la canzone del marchese Gio: Carlo di Negro fa fede non meno della ricca vena poetica , che dell'aureo cuore di quel nobilissimo genovese , il quale da molti anni non per- mette che niun famoso italiano si giaccia senza l'onor de'suoi versi. E non avemmo testé da lui anche due altre egregie can- zoni sulla gran perdila di Faustino Gagliuffl e di Girolamo Amati ? Lezioni sulle azioni interdette ed eccezioni delle persone, col mezzo delle quali può starsi in giudizio , e della pena de^te- merarj litiganti : scritte dalV avvocato Pietro Tizioni di Vi- terbo per i giovani del suo studio in Ferrara; tom. 2 in S.» Ferrara i832 coi tipi di Gaetano Bresciani. Oe tutte le scienze concorrono al vantaggio dell' umana so- cietà , la scienza del sistema civile (voglio dire la giurispru- V A n i E T a' 343 (tenia) è certamente quella, che lulte le scienze regola e pro- legge, e che anzi è la radice , da cui deriva il frutto pure delle altre diramazioni. Le scienze per molto tempo hanno fruttifi* calo nel bel terreno di Ausonia colla legislazione romana. Ai fruiti però erano succedati già i soli fiori : ed anche questi principiavano ad appassire , per la deficienza di chi lo studio coltivasse delle oltraggiale leggi. Nello scorso secolo dall' avvi- limento si scosse anche l'italico genio. La provvidenza dei som- mi pontefici non gli fece ostacolo i anzi vi fu qualche pa. pa , che in favorire le leggi vinse gli altri capi di civili na- zioni. Quindi è , che oggi pure nei dominii della chiesa si Veggono sorgere insigni giureconsulti , che in pubblico il frut- to mostrano di loro laboriose occupazioni. Fra questi me- rita di essere annoverato il viterbese Pietro Tizioni avvocato io Ferrara. Egli coU'opera, di cui parliamo in questo articolo > non si è prefisso di esporre le teorie , che nel corpo del dirit- to sotto il titolo si pongono delle azioni e delle eccezioni, e nep- pure di dare le istruzioni e le spiegazioni di alcun' altra parte della giurisprudenza. Egli ha voluto mostrare > come tutti i di- ritti si possano esercitare per via di azione o di eccezione. È vero, che in ogni punto dell'opera la face è pur collocata della erudizione: ma egli le cognizioni suppone della giuris- prudenza , e r opera dirige ai giovani dalle scuole già usciti e per la pratica nel suo studio esercenti. Sembra dunque , che l'opera stessa all'oggetto suo corrisponda : e ci sembra utilissi- ma per ogni difensore, che ivi certamente vede a colpo d'oc- chio , come ogni cittadino sia dalla legge protetto nell' eserci- zio de' suoi diritti e nella violenza delle altrui pretensioni. Le leggi poste dal sig. Tizioni sotto il suo vero punto di vista for- mano in somma un bellissimo e completo manuale degli avvo- cati e dei curiali , per citi egli si è renduto un uomo beneme- rito all'umana società , per aver contribuito col suo lavoro all' amministrazione più pronta e pili esatta della giustizia. Ognu- no deve far voti per aver altri lavori del sig. avvocalo Tizio- ni ; perchè un uomo, come egli è, nella giurisprudenza ver- satissimo non saprebbe iiltro che utili opere dare alla luce. E. C. 344 V A n I E T a' Iscrizioni di D. Antonio Brusafeni. Imola per Ignazio Gaìeati i833. J.TjLoUe e molte iscrizioni dettate in nostra lingua abbiamo let- te a questi tempi , e ci duole dover confessare, che poche sono le veramente belle , mentre alcune tengono troppo dello stem- perato e prosaico, altre sono affatto poetiche , taluna è piena di gonfie e stranissime iperboli , altra d'arcaismi, d'affettazio- ni, di periodi stravolti, di costrutture e parole latine: talché , sebbene noi siamo caldi amatori di questo ramo di patria let- teratura , allorché veggiamo certe epigrafi , non possiamo a me- no di non unirci a coloro che gridano contro l'abuso dell'ita- liche iscrizioni. E come ci piace che il buon uso di esse pre- valga in tutta la penisola, cosi godiamo vieppiù quando nel- la nostra Romagna sorge qualcuno , che valorosamente si dà allo studio della epigrafia volgare. Fra questi noi teniamo che debbasi collocare il prof. Brusaferri , che pone eleganza , sem- plicità, buon sapore di lingua e costrutto italiano ne'suoi com- ponimenti epigrafici , che abbiamo scorsi con piacere grandis- simo. Noi lo confortiamo a durare in questi studi , accertau- dolo, che non mancherà di venirgliene frutto di bella lode. Scegliamo dal suo libretto l'iscrizione seguente. GIVSEPPE SCARABELLI PIANGERÀ' CON PERPETVO AMORE E DESIDERIO LA DOLCISSIMA DELLE MADRI ELENA GOMMI FLAMINI VERACE SPECCHIO DI NOBILI E CRISTIANE VIRTV SINGOLARMENTE MOSTRATE SOLI XXXIX ANNI AHI MADRE MIA QVANTO AMORE QVANTI VTILI DOCVMENTI PERDEVA CON TE IL POVERO TVO FIGLIVOLO ! G. F. Rimbellì. Varietà' «^45 Lettere d'instìtuzione morale e civile. Lettera /. Lago per Melandri i833. J_Jode a que' generosi che adoperano ad ammaestrare la gio- ventù con parole e con scritti , che valgono a metter nel di lei animo i semi d'una morale pura , in che sta ogni bene del viver sociale. Noi siamo in tempi che diconsl illuminati ; eppure questa verità conoscer non vuoisi che da pochi , e n'è gran danno. Ben l'ha conosciuta illustre sig. prof. Mon- tanari , che ci ha dato a questi ultimi giorni in pulito ita- liano ( come avvisa l'egregio amico nostro prof. G. F. Ram- belli (i)) il dialogo del card. Giacomo Sadoleto sulla educa- cazione de' figliuoli , a cui un altro nostro benevolo, il prof. D. Vaccolini , iufaticabile com' è in ogni maniera di studi , aggiugner volle a maggiore utilità bellissime note : ben la co- nosce il eh. sig. Giuseppe Maria Emiliani faentino , il cui cuore e la cui mente' furono sempre intesi al comun be- ne : a'quali noniini per fermo chi sente nell'anima la neces- sità della retta educazione saprà infinitamente buon grado. Con questa lettera prende l'Emiliani a insegnare una giovi- netta (2) , che dal monastero alla paterna casa ritorna. Pri- mamente el le parla della religione , che fu e sarà sempre la base d'ogni pubblica e privata felicità ; che starsi non deb- bo nell' apparenza , si bene nell' esercizio della virtù : e qui SI fa a ragionarle di santissime verità. Avvisando che le cure domestiche spettino singolarmente al femminile sesso , l'esorta poscia al buon governo della famiglia : e siccome parla a fan- ciulla , che dalla natura sortì civili natali e molti agi , le (i) Vedi il giornale arcadico t. LVII , pag. 282 , e seguenti. (2) La signora Adelaide Agnoletti di Ferrara. Questa gio- vane è sperta profondamente della lingua italiana , francese , inglese , di aritmatica , geografia , storia , e musica. Ciò vo- gliamo sia detto a sua lode. 346 Varietà' dice essere a lei concesso il coltivare pur anco quelle arti e quelle scienze , che valgano a ricrear l'animo , sollevar la mente , adornar lo spirito , e loglierln a que" fastidi e rincre- scimenti , che nelle convenienze della spcielà stessa s'incontra-^ no. La consiglia poi a non invanire pef bellezza e gioventù, che cessano in brev' ora , e ad essere studiosa delle doti dell' animo ; che le virtù sole non perdonsi per eia , per disav- venture , in faccia a morte. Sia abborrente da que' vizi che di leggieri incontransi nel suo sesso ; dico la vanagloria , l'invi- dia , la superbia , la simulazione, e la menzógna. Faccia scil- do ad esse della semplicità, della schiettezza , della modestia. E se prescelta venga a'doveri di sposa , interroghi pnnlà la ragione , poi il cuor suo ricerchi in quello di colui al quale deve associarsi ; che l'ugualianza degli spiriti soltanto rende felice un tal nodo ; e la di lei elezione sia quella della pru- denza e del consiglio. Nella casa dello sposo viva umile è vereconda. Arrogantemente non rida nella piospera , non in- vilisca nell'avversa fortuna. Ciò operando sarà ella l'amore e la delizia dell' uomo , al quale giurato abbia la sua fede , il suo cuore. Non fa motto del contegno con che debbe mostrar* si ne' pubblici spettacoli, ne' teatri, ne' circoli , ne' conviti, e alle veglie; ciò dicendo poter essere materia di altre lette- re ; conoscerla bastantemente saggia , ed esserlo del pari i di lei genitori per non renderla favola alla maldicenza , oggetto di compassione a chi potrebbe stimarla. Termina col dire , che essa si parte dal luogo di sua educazione fornita di quegli uti' li ammaestramenti che possono a gran sicurezza guidarla nel cammin della vita, ne' doveri della famiglia e della società ; e renderla accetta a'parenti , ammirata da tutti, e degna del fa- vore del cielo. Oh fiorisca al benemerito sig. Emiliani lungamente la vi- ta ; e voglia ei porgere alla crescente gioventù altri bei fruiti di sua dottrina : che questo è il voto nostro ! Fkìncesgo Capozzi Varietà' 347 Vita di giovani studenti educati nei piccoli seminari di Fran- cia , tradotte dal francese da D. Pellegrino Farini. Voi. 2. Lugo per Melandri i833 in 12. J-iiuna vera consolazione' senza virtù, ninna virtù senza re- ligione. Buono è adunque instillare per tempo ne' figliuoli que' semi eletti , che diano frutto di bene per tutta la vita: e ciò tanto più a questi tempi , la condizione de' quali perchè e co- me sia misera lo veggiamo. Uficio degli educatori principa- lissimo vuol essere , di preparare alla nuova generazione un più bello avvenire : né ciò fia possibile , se non l'innamorano di santi costumi. Con questo divisamento furono scritte in fran- cese , e recate in italiano le vite di giovanetti morti dal 18 14 al 1828 ne' piccoli seminarj. „ In tutte sono esempi di amore „ allo studio , di gentili costumi, ma principalmente di schiet- „ ta e salda religione, e di tutte quelle virtù , che nei gio- „ vanili animi dalla religione si derivano , e nutrimento e sal- „ dezza ricevono. ,, Cosi il chiarissimo professor Farini (i) nella prefazione : dove avvisa altresì , che nell' opera sempre diffi- cile del tradurre non si è tenuto a rendere parola per paro- la ; ma peso per peso : e con quella modestia , che è tutta sua , non si argomenta di avere trionfato in ogni minima cosa. Ma il fatto sta , che leggendo e rileggendo queste care me- morie ti pajono originali : tanto è il candore e la soavità della lingua, degna di lui , che collo Strocchi col Monti e col Pertlcarl conservò alla eulta Romagna , anzi all' Italia, il pregio del bello scrivere. A conforto delle nostre parole rechiamo un piccolo tratto della vita di Mario Olive (2). Il giovinetto era nato nell' ottava dell'Assunta , ed erasl vestito cherico in (i) Vedi i voi. 84 fac. 377, e lò^ : fac. 247 di que- sto giornale , dove si lodano i discorsi , e Vistoria del vecchio e nuovo testamento tra le cose del prof. Farini. (2) Vite voi. I fac. rgo. 348 Varie t a' una festa della vergine : per , questo cosi scriveva a sua ma-" dre : „ Mia cara madre , vi ha delle cose , che sono facili ad ,, esser sentite; ma che a parola non si possono significare: j, e tale è stala la gioia dolce e consolante, che ho provata ,, il dì , che per la prima volta mi sono veduto indosso l'abi- „ to ecclesiastico. Oh le v;iue , oh le spregevoli cose , che al- ,, lora mi parvero le gioie di questo mondo ! Mi sembrava in „ queir ora udire Maria mia buona madre , che mi dicesse e „ ripetesse:- O mio figliuolo! ricordati sempre, che in uno „ pure de' giorni , che sono miei , tu cominci una seconda ,, vita: la quale dee condurti alla vita eternale, se tu ti mo- ,, stri per me tanto buon figliuolo , quanto io ti sono buo- ,, na madre. ,, L' operetta è dedicata a monsignor Giacomo Brignole , ora cardinale amplissimo di santa chiesa, vivo lume di civile prudenza e di costumi. Noi la raccomandiamo cal- damente ; perciocché essendo tutta oro si per la sostanza , e si pel dettato, avrano per essa i giovinetti del bel paese novello stimolo al ben fare e al ben parlare : due cose , che Tanno insieme più che altri non pensa ; perciocché ben disse quel savio : Favella un poco , eh' io ti conosca. Inno ni B Alfonso M. de' Liguori, di Francesco Capozzi lu' ghese- Lugo per le stampe del Melandri i833 ,un voi. m 8 di pag. 8. Uopo gl'inni di Alessandro Manzoni, forse troppo lodati e troppo biasimati , tale innomaniu sorse in Italia che ad ogni momento sonosi veduti uscire in luce nuovi componimenti con questo titolo ; a grave pericolo che gì' inni vengano a tener vece de' tanti meschini sonetti, mere nugaa canorae, che da gran tempo - Tutto contaminar d'Apollo il regno. E piacesse pure agli scrittori di contenere tal sorta di poesia ne'confini della sua istituzione! giacché l'inno era volto dapprima a lodare e placare la divinità , dicendo Platone ( de leg. 1. 3 ) eh' ci , fu una species cantus ad deos praecipuc placandos : e santo Varietà* 349 Agostino aggiunge che si deve condizionare in modo che con- tenga lode, lode a Dio, e canto: Oportet . . . hjmnus habeat haec (ria, et laudem , et Dei laudetn et canticum. Appresso gl'inni celebraiono gli eroi che splendettero per Banlità di vita : e di tali abbiamo non pochi esempi anche di classici scrittori volgari. Oggi peraltro s'indirizzano all' aurora , al sole , alla fantasia , alla solitudine ec. , e in fine a tutti i soggetti che cadono in niente al poeta , e spesso lungi dall' imitare la semplicità e addatta armonia degli an- tichi, sono pieni di Nebbia di Scozia e sillabub inglese. Be- ne però ha fatto il sig. Capozzi che ha consacrati i suoi carmi al B. de' Liguori, e lo ha fatto in modo semplice e piano, co- me chiarirà la seguente strofe. Umile in tanta gloria E timido si stette , Simile a giovln tortore Che se pur l'ale ei mette , A voi non si consiglia Che per l'immenso vano Non avvezzato al turbine Teme di suo valor. Alcuni epigrammi di Domenico Chinassi lughese. Lug, per Melandri 1 85 2 un voi. in 11 di pag. 8. L^on tutti i soggetti di questi epigrammi son nuovi, né l'autore li dà per tali : ve n'ha però degli esposti cou chiarezza e disInoTollara grande , siccome questo A l'accademia Perchè non siedi ? Io dissi a Fronimo Che slava in piedi. 350 Varietà' Ed ei prontissitno Soggiunse a me: E' più difficile Dormire in pie. Epigrammi morali serii e faceti del professore Pietro Antonio 3Ieloni, dedicati al nobiluomo il sig. co: Ferdinando Pa- solini patrizio faentino. Lago per Melandri i852, un voi. in 24 di pag. 48. J^on sarà forse mezzo secolo, che agi' italiani davasi rim- provero d' aver coltivato pochissimo 1' epigramma : onde i francesi vantavansi altamente di superare in ciò questa graa madre di tutte le arti belle , l'Italia. Ora peraltro parrai che eli scrittori d'epigrammi siansi moltiplicati in guisa fra noi, che se non v:dgono a pareggiare i francesi, valgono però a mostrare , che anche noi sappiamo cogliere ramuscelli dell' alloro epigrammatico , e che la nostra antica povertà in questa parte di poesia nasceva forse più da non curanza , che da impotenza. Ad accrescere la schiera di tali scrittori viene ora il sig. prof. Meloni col suo libretto, in cui con 186 epigrammi or morde il vizio , or lo deride; ora scherza or punge acutamente , tenendosi sempre fedele allo scopo ora- ziano di recare ad un tempo utile e diletto. Noi sapremmo grado assai più al sig. professore , se avesse rimati i suoi componimenti , giacché quasti tutti non hanno che i due ultimi versi che consuonino insieme. Avremmo amato anche mag- gior purgatezza di lingua e più armonia. Vegga il lettore lo stile e la poesia dell' autore in questi saggi. Epig. 5. L'ozioso non occorre abbia la cura pi provvedersi ogn' anno del lunario : E' la ragione a tutti manifesta , Che in casa sua tulli li giorni è festa, Varietà' > 351 Epig. 70 Passeggero è il coutento , e sempre in terra Della felicità poviam l'aurora ; Dipingila , pittor , ma in fasce ancora. Epig. 94. Un tiom che prenda moglie l'assomiglio A quello che s'affida a un bastimento: Che tutte dee soffrir quante vicende Quante burrasche porta seco il mare ; E , ferma , non può dir , voglio smontare. yiaggi in Italia per Francesco Gandini, ovvero descrizione geografica postale e commerciale dell' Italia. Cremona presso Luigi De Micheli i85o-al 5'ì..Jasc. XXI VJorre una voce quasi generale, che tante belle, ed utili in- traprese non possono condursi a compimento , perchè non sono incoraggiate quanto sarebbe opportuno. Il che se talvolta è vero, proviene piuttosto dal trovarsi sovente le [persone giuntate e beffale dopo le più larghe e solenni promesse : onde pochi truffatori recano poi grave danno a quegli uo- mini onesti, che potrebbero vantaggiare se stessi , le arti , e le lettere. Se il libro che annunciamo avesse corrisposto soltanto in parte alle grandi promesse del manifesto , noi vorremmo lodarlo molto e molto ; ma perchè lo troviamo un cen- tone in «ompendio di tutte le guide delle città, che or ti dà a leggere la descrizione tratta da un autore or da un altro , or trascrive storie pittoriche , or dizionarii biografi. ci , poi reca le notizie date dal sindaco o dal segretario d'un comune , unendo insieme cento stili e cento maniere a lunghi e nojosi specchi di corsi di poste , diligeaze » ta- 352 Varietà' rifie oc. , noi non possiamo che dolerci di tale intrapresa la quale, anziché essere di guida verace al viaggiatore , ar- gomento di patrio orgoglio e studio di quanto vanta que- sta classica terra , non è che un mezzo di far danaro allo spalle di chi ebhe la dabbenagine di dare il suo nome a quest' associazione. Ogni fascicolo contiene cinque incisioni a taglio e ad acquerello rappresentanti templi , monumenti , palazzi , amene vedute , carte topografiche, le quali tutte , toltene assai po- che d'un Giacinto Maina, sono cose mediocrissime. Ottimo parrebbe a noi che fossero si favorite l'intra- prese veramente utili , ma che anche fosse vietato l'ingan- nare turpemente l'aspettazione comune con grave danno delle città e degli stati : mentre pappiamo per certissimo , che l'in- troduzione di quest* opera nello stato pontificio ogni bime- stre fa escire parecchie migliaja di scudi, e da' soli piccoli paesi della Romagna si estraggono bimestralmente più di no- vecento scudi. X. Z. Funebri elogi alla signora contessa Rosa Folicaldi , nata Fo- schini , del professore Giuseppe Ignazio Montanari e di Paolo de' conti Folicaldi. Lago iB'ò^ per Vincenzo Me- landri in 4 di png. 47- X-ia gentilissima nacque in Faenza nel marzo del i8o5 di Alessandro Foschini e di Maria Zambelli onesti genitori , e negli agi domestici cominciò a largheggiare co' poveri con tanta bontà di cuore , che era una maraviglia. Toccava ap- pena gli undici anui , e fu posta a educare in Firenze nel monastero di Ripoli diretto dalle signore Moutalvo : colà si porse adorna di tutte le virtù , che a nobili fanciulle si addicono , e nella lingua italiana e francese fecesi bene in- nauzi : nelle cose poi di aritmetica, di geografia, di stori.-» e di bella letteratura non fu seconda ad alcuna , fu pri- ma a molte •■ di .più imparò ricamare a colori ritraendo iu Varietà' 353 tela ! piti difììcili dìsegui con tanta verità , cha meglio non si poteva. Dal conservatorio , ove si meritò ed ebbe il no- me di buona , tornò alla cnsa paterna lasciando gran desi- derio di se a quelli , da cui partiva , ed allegrando gli a— tri , ai quali era restituita. Ne andò il grido per la Ruma> gna , e desiderata da molli toccò io sorte al chiarissimo si- gnor cavaliere Filippo conte Folicaldi di Bagnacavallo , quan- do ella toccava i diciassette anni , e per Io ingegno felice precorso aveva di gran lunga l'età. Fu una festa per la fa- miglia e per la città , a cui venne come tesoro : e il canto de' poeti augurante felicità si avverò questa volta ; dacché non fu mai coppia più degna , né più amorosa. Non di- remo della prudenza , delia carità, della piacevolezza, della pietà di una tal donna ; che sarem.mo infiniti : basti , che la congregazione di carità lei elesse spontaneamente a reg- gere l'orfanotrofio delle fanciulle , ed ella con tanto amore e con tanto senno si porse a ciò , che diede opera a for- nire il pio luogo di sperta tessitrice a migliorare i lavori di tele , e pensò del proprio a fare istruire le alunne nel sarteggiare : e quanto alla morale procacciò , che non man- cassero ogni anno spirituali eserclzj a confermare o crescere le giovinette nella pietà. Di che la congregazione slessa nel giugno del i832 stimò di rendere a lei solenni azioni di grazie. Ma la fuma di sue virtù non poteva starsi ristretta ad una città o provincia : propagatasi fuori , fu cagione che quanti signori volevano porre a educare nobili figlie nel mo- nastero di s. Giovanni Balista in Bagnacavallo a lei si vol- gessero pregando le avesse per molto raccomandale: tra i qua- li ricorderemo a cagione di onore il cardinale Rusconi , che fu vescovo d' Imola , il quale non conoscendola che di no- me non dubitò di porre nella grazia di lei medesima le sue nipoti , e della ben locata fiducia ebbe a lodarsi poi grandemente . Comeché ella amasse più che altro la sua casa e 1 teneri figliuoli, ai quali porgevasi madre sollecita ed amo- rosa quant' altra mai , parve al marito condurla a Roma per 'indi venire a Napoli e a Benevento , dove quell' ollimo moa- signor Giovanni Folicaldi u lei co^juato reggeva in qualità di G.A.T.LX. 23 3S4 Varietà' delegato la provincia. Chi può dire la fesla , che fecerle do- vunque nobili famiglie ? E di cortesi accoglienze ben era de- gna la gentilissima ; ma ella non ebbe cosa più caramente diletta , che di tornare alla cura della famiglia. E tornovvi , e vide molta difficoltà di tempi , ne' quali traendo sua for- za diilla religione serbò l'animo tranquillo , e fu di conforto al dolce compagno della sua vita , si tra le onde della cit- tà , sì nella calma del campestre ritiro. Fiorendo nell' amore di tutti , che la tenevano quasi venuta ,, Di cielo in terra a miracol mostrare , mancò tra il compianto universale nel quinto puerperio il di 8 di giugno i833 : e il suo mancare fu tutto nella pace del signore , che solo può dare consolazione all' illustre di lei consorte rimasto in lagrime con tre piccoli figliuoli e due figliuolette , immagine della madre. INelle esequie rinnovate an- cora dopo un anno a quella cara anima ( già innanzi salutata con versi ed epigrafi , e con ogni maniera di pietosi offici ) uscirono due begli elogi : l'uno de' quali dettò il professore Giuseppe Ignazio Montanari di Bagnaeavallo , l'altro dettò il signor conte Paolo Folicaldi cognato alla defunta. Niuna don- na al nostro tempo meritò mai tante lodi , ninna ne riportò mai cosi degne ! E un monumento si prepara da collocare alla memoria di lei nella chiesa parrocchiale della B. V. della Pace iu Bagnaeavallo per opera de' fratelli Ballanti lodati ar- tisti di Faenza. D. Yaccomni. A SUA ECCELLENZA IL SIC. PRINCIPE D. PIETRO ÓDESCALCHI DIRETTOUB DEL GIORNALE ABCADICO EC V^gni cortese persona sa grado e grazia a lei ed al Betti ed al Biondi per le amorevoli cure prestale a quella cara anima dell'Amati. Egli era pregio della Romagna , ove nacque, e Varietà' 356 ODorc di codesta Ruma , ove fioriva. Quanto abbiamo perduto noi studiosi delle buone lettere ! Se alcuna consokzione può venirne in tanto danno , è il ripensare le virtù di lui , che avranno premio condegno , dove mai non si muore. A questo ho mirato col sonetto , che offro a lei ed agli altri benevo- li , che lo ebbero tanto in amore. E ad essi, e singolarmente a V. E. mi raccomando. Di Bognacavallo il 3o maggio i834 Demo obblmo serr. D VACCOMlfl. In morte di Girolamo Amati. SONETTO O alme di viriate innamorate , Il morto amico lamentar che giova? Ei del mondo ove siam vinta ogni prova Salito è al regno di tutta bontate. Qui al senno ed al valor le genti ingrate Mostran l'invidia , che ne' cor si cova : Qui superbia avarizia e ogni arte nova Levan la fronte , e bassa è l'onef iate. Là nel riso d'amor , eh' eterno dura. Ogni sofferta pena in dolce è volta , E di iquel sol la luce non s'oscura. Di noi rimasti in tenebre e in affanni Piangiam , cui parte della vita è tolta , E del secolo rio crescono i danni! 23* 356 V A R I E T a' Storia della letteratura italiana dall' origine della lingua ita- liana fino ai nostri giorni, del cavaliere abate Giuseppe Maffei. Saconda edizione emendata, ed accresciuta colla Storia dei primi trentadue anni del secolo XIX. Milano dalla società dei classici italiani i833. J-^ on è qui nostro divisamento di parlare della storia letteraria del chiarissimo Giuseppe Maffei. Le molteplici ristampe , che 83no stale fatte in più luoghi d'Italia, provano abbastanza il suo valore , e la utilità che ne torna ai cultori delle lettere. Solo ci facciamo un dovere di annunziare al pubblico una no.= velia edizione che il Maffei si è proposto di fare, nella qua- le , oltre alcuni cangiamenti d'istoria, parlerà meglio del seco- lo XIX e deyli scrittori che in esso hanno fiorito. Dei viventi fa^ rà breve menzione , e fiolo per incidenza , riportando il detto di Voltaire : On doit des égurds aux vivants; on ne doìt aux morts , que la uerité. L'opera sarà divisa in quattro volumi. Ne' primi tre si conterrà tutto ciò , che finora si conosce pubblicamen te. Neil ultimo si avrà la nuova storia del secolo XIX, ordinata in se- dici capiloli. Storia importantissima, e decorala dai nomi d' un Vincenzo Monti, di un Ippolito Pindemonte , di un Fosco- lo, di un Lamberti, di un Cesari, di un Vincenzo Cuoco, di un Visconti , di un Volla , di uno Scarpa , di uno Spallan- zani, di un Gagnoli, di un Pcrticari, ed altri sommi, che nel- I? scienze e nelle lettere la gloria crearono del nostro secolo. F*flDINA>D0 RaNAI^.!, 357 NECROLOGIE LUIGI GAGNOLA. Il ruarcliese Luigi Gagnola di Milano, nato nel 1762 di genitori nobilissimi ( Gaetano ed Emilia Serpen- ti ) , trovò nella sua famiglia esempi di virtìi gene- rose : specchiossi singolarmente in quello di Giovan Andrea giureconsulto , a cui parve meglio morire si- curo della coscienza , die vivere con villa ; onde trovò grazia nell'animo del duca Galeazzo Sforza (1). Ma fu buon consiglio del m.arcbese Gaetano di por- re nel 1765 il degno figliuolo nel collegio demen- tino di Roma per farvi i primi sludi delle lettere. La natura più possente dell' educazione conduceva il giovitietto nelle ore di ozio a studiare con amore in arcliilcttura, e a contem|)lare i monumenti del bello nel- la citta regina delle arti. Cosi formavasi quel guslo squisito , che il Tarquini suo maestro conobbe ; on- de al dividersi dal caro allievo dicevagli : ,, Venu- „ to a Milano non vi date ad alcun architetto, che „ nelle sue opere non ricopi abbastanza di queste me- ,, raviglie delle arti da voi vedute e disegnate : se ,, nulla sarà che vi appaghi , abbiatevi Vitruvio e (i) II marcliese Gagnola eresse un magnifico mausoleo a queir illuslre anleiialo nel suo giardino d'Inyerigo. 358 Necrologie „ Pal!a<3io per solenni maestri. ,, E tali se li ebbe il Gagnola ; peroccliè vide allora il gusto del Bor- romini e de' consorti regnare pur troppo a Milano , ed avezzo all' ordine, alla semplicità, al decoro non poteva patire il goffo e il barocco di quel tempo. Venuto a Pavia per lo studio del gius , più che ad altro applicava al disegno ed all' architettura. Torna- to a Milano , poco stette tra gli alunni del gover- no e neir ufficio diplomatico : che la inferma sauté del padre e le bisogne domestiche lo richiamavano tra' suoi. E le fortune volgevano in basso ; ma egli vi pose riparo e fu eletto probo viro o sia difensore de' carcerati : due anni tenne quell' ufìzio , ne però si rimase giammai di vegliare sulle carte di Vitruvio , di Palladio, di Desgodetz , che furono quasi i suoi amici del cuore ; perocché il savio vive tutte le età. Avendo l'arciduca Ferdinando commessa all' architet- to Pierraarini l'ere/jone del dazio o barriera di porta orientale , il Gagnola fece tre disegni , che ebbero lode dal princij>e : e quistionandosi dagli amici , se in un triangolo equilatero potesse ordinarsi acconcia- mente un casino, egli fece subito un disegno, che fu lodato dai provetti nell' arte. Ma l'invidia tentò sopprimere un germe , che prometteva sì grandi frut- ti : ancora i nobili si adontavano , che a lui nobi- le fosse in grado un* arte da capo mastro. Buono, che l'animo di lui non temeva i morsi dell' invidia e dell' ambizione ! più buono , che trovasse in casa con- forti ne' chiari spirili del p. Fumagalli cistcrciense € del p. Caronni barnabita ! Gosi incoravasi sempre più , e toglieva nel suo studio un certo Aurelio, coli* 0|)era del quale levò la pianta delle terme di Massi- raiano Erculeo , di cui 16 grandiose colonne super- stiti ebbe ad assicurare nel 1812 a richiesta del go- Negro toGiB 350 verno (1). Fatto membro della società istituirà per M. Teresa, ebbe a costruire varj forni atti a speri- menti di porcellane, terraglie e simili. Ascritto al con- siglio della città, fu del 1709 uno de' commissari appo gli eserciti austriaci ; poi riparò a Venezia per 8 mesi , che furono a lui [)ure di scuola in quella cit- ta per opere di arti maravigliosa. Ripatriando, ebbe dai fratelli Zurla di Crema di disegnare ed esegui- re una casa di campagna a Vajano ; ma questa nou compita fu scossa dal terremoto del 1802 con altre fabbriche dei dintorni , a cui egli accorrendo pose riparo. Parve il suo ingegno ne' grandi catafalchi per l'arcivescovo Visconti , pel patriarca Gamboni, pel con- te Anguissola : e negli apparati e disegni ed archi di trionfo , che ricordano glorie o sventure del tem- po nostro . Quegli che teneva la somma delle co- se ordinò , si compisse la facciata del duomo : uno de' tre disegni del Gagnola , portante a' fianchi due campanili di gotico stile conforme all' architettura del maestoso edifìcio , fu presentato all' accademia di belle arti ; ma non fu preferito per quella fata- lità , che non è nuova nella storia delle arti stesse. Un grandioso arco di trionfo sul corso di porta orien- tale eretto nel 1806, di commissione del municipio, di tela , plastica e legname sorge in pii!i acconcio luogo ed in marini alle glorie di Francesco I e del regno lombardo-veneto , e poco mancando alla sua perfezione sarà monumento ai futuri della valentia dell' artista. Di sua Invenzione sorge altresì in gra- nito lombardo la grandiosa trabeazione jonica , che nel 1816 fu intitolata alla Pace. Pii^i altri progetti in Milano ed in Vienna fecero conoscere il Gagnola, (i) \iA\ Antichità lomhard. milan. dei p. Fumagalli voi. r. 360 INecrologie che potè compiere fra le altre cose la cappella di s. Marcelllna in s. Ambrogio , la chiesa di Concorrez- zom, il campanile d'Urgnano , la rotonda di Gliisal- hà , la sala della nobile società , il tabernacolo per la chiesa delle signore della Guastalla in bronzo dora- to : in fine il quadrifronte gigantesco suo palazzo d'fnverigo, dove mostrò che in lui poteva l'amore dell' arte più assai che quello dell' oro e dell' ar- gento : inutili se giacciono nelle arche de' ricchi; ma se impieghinsi a bene, possenti ad animare l'industria e formare le maraviglie de' secoli. Il Gagnola amava le sue opere , e come figli teneva gli allievi , die ne pochi ne vili uscirono dalla sua scuola. Non cliiu- se l'oreccliio alle giuste censure , le futili disprezzò. Negli ultimi anni ebbe a cuore l'agricoltura , quella regina delle arti , che è sempre la dolce consolatri- ce della vita. IVIa le lodi di lui , nel cuore della famiglia , peroccliè tutte sue , lo raccomandano ad ogni cortese. Ebbe compagna d'amore Francesca de' marchesi d' Adda , colla quale visse congiuntissimo dal 1816 sino al J4 agosto 1833 , in che le mori tra traccia colto d'appoplesia : fu quella la prima vol- ta , che il buon marito dispiacesse alla degna con- sorte. Ma il dolore di lei accompagnano quanti co- nobbero lui buono , lui soccorrevole , lui vissuto più agli altri ed al cielo , clie a se stesso : l'accompa- gnano quanti ricordano , come al cangiare de' tem- pi ( che tanto e sì spesso cangiarono ) non cangiò 1 animo di lui , sempre fermo nel!' amore al bene ed air ordine , sempre alle leggi devoto. Così fu per più anni direttore degl' imp. regj teatri , ed ultima- mente eletto direttore di ambe le classi dell'I. R. istituto, sendone sino dal 1812 socio di onore: e meritò nel 1815 dalla stessa maestà di Francesco I Ne crologie 3G1 le insegne dell' ordine della corona di ferro , onde più cresce e splende la virtù generosa (1). D. Vaccolini. GIUSEPPE MARCO CALVINO K ato in Trapani di Sicilia nell' ottobre 1785 di onesti genitori , ebbe da essi ogni agio del vivere : e primo di tutti la buona educazione. Corsi rapida- mente gli studi elementari, usci dalle scuole senz' al- tra guida che il desiderio di sapere : e coraecliè la con- dizione sua e della citta lo traesse ai piaceri , non ebbe maggior diletto, che di applicarsi singolarmente alla poesia. Ne' frutti , che diede fuori come primizie del suo ingegno , parve potersi desiderare più matu- rità di quel giudizio , cbe non viene se non dal tempo e dallo studio : di che fatto accorto, si diede a tult* uomo a carcare ne' classici italiani e latini quella vena , che è come il fonte segreto della bellezza. E disprezzando le novità perniciose , diede fuori una cantica in terza rima intitolata Dio nella natura , dove parve aver tolto a Dante i colori per descri- vere l'universo. Nel 1825 diede un poemetto di ge- nere didascalico, Y Industria Trapanese^ dove mostrò più finezza di gusto : ne per acerbe censure sì scon- fortò : anzi l'anno appresso pose fuori due volumi di Poesie liriche , e fu lodato massime per le scher- (i) Vedi Bibl. Ital. N. CCXI pag. 127,6 Saggio sulla Storia italiana ne' primi venticinque annidelsecolo XJXpag.3i8. ^82 Necrologie zevoli : delle quali si ricordano un bel dilirarobo, i capitoli hernesclii , e l'apologo intitolato Jmore in Liceo. Nel 1827 diede tradolla nel patrio dialetto la Batracomiomachia d'Omero , nel 1830 similmente gì* Idilli di Teocrito. Aveva anche in pronto la ver- sione delle Odi di Aiiacreontez traduzioni tutte pre- gevoli a' siciliani ; comecliè non senza mende . Si provò anche nella drammatica , e sino dal 1 superbia e di orgoglio , gentile e motlesto con tutti, proclive al ben fare , tenero nell' amicizia , mostrò Tuomo veramente esser nato a giovare i suoi simili. Cosi egli vive e vivrà nella benedizione di quanti lo ebbero conosciuto nei breve corso di quaranta- selle anni e mesi, che chiuse il 22 aprile 1833, ahi troppo presto alla gloria de' suoi e delle lettere !(1) D. Vaccolini, SERAFINO GATTI. JM acque il d\ 8 ottobre 1771 in Manduria citta an- tica e famosa della provincia d'Otranto, e colla gui- da sicura di abili maestri si accostò alle umane let- tere. La prima eia e nei piiì a tal condizione , che abbisogna di stiraoli forti e contìnui per volgersi tut- ta agli studi : in lui fu così fatta , die un freno fu necessario a ritenersi da troppa applicazione. Così il profitto e l'onore , che egli colse in quella pri- ma palestra , non è a dire quanto mai fosse. Toc- cava i diciotto anni , quando diede suo nome all' istituto delle scuole pie : professò i voti in Campi, e fu chiamato a Napoli per compiervi gli studi , e dedicarsi alla educazione della nobile gioventù nel R. collegio ferdinaridiano. Come nel ricevere, così nello spargere i semi delle dottrine si mostrò degno di ve- nire in esempio : insegnò per molti anni belle let- tere , scienze esatte e naturali , elica e teologia , e negli allievi atti ad ogni gran cosa parve la valcii- (i) Effemeridi per la Siriìia, Num. ìf^ pfig. ni 364 N E G R O L O G r K tia del maestro. Era egli a Foggia quando il re- gno fu aperto alle armi francesi : i nnovi domina- tori coni' ebbero inteso , lui essere negli studi qnasi anima e mente a quella città e provincia, lo eles- sero formatore della statistica di Capitanata e segre- tario perpetuo di questa società economica. Ai ritor- no di Ferdinando I fu chiamato a Napoli a regge- re il R. liceo del Salvatore. Dopo alcuni anni di onorate fatiche ^ desiderò ed ottenne riposo per vivere tutto quanto agli sludi più caramente diletti- Diessi allora a frequentare accademie, a scriver libri di uti- lità generale , e ad esercitarsi più e più nella elo- quenza del pergamo. Lu ebbero del loro numero l'ac- cademia archeologica di Roma, la tiberina e l'arca- dia : fu altresì dell'accademia R. ercolanese , dell' istituto R. d'incoraggiamento di Napoli , dell' accade- mia pontaniana , e di quasi tutte le società econo- miche delle Provincie. Ben meritava di vivere molti e molti anni ; ma che .'' una lunga ed incurabile in- fermità di un cancro , che consumatagli la guancia sinistra impedivagli fino il mangiare, se non potè vin- cere l'animo confortato dalla religione , privò il mondo di sua vita preziosa il 3 gennaio di quest' anno 1834. Il giorfio appresso l'arciconfraternita di s. Ferdinando, alla quale era scritto, ne portò il cadavere alla chie- sa di s. Maria degli Angeli , ove ebbe tomba. La memoria di lui tra i savi e buoni non può manca- re : neir accademia di archeologia dal eh. monsigno- re C. E. Muzzarelli fu di lodi rimeritata. Ma la lo- de migliore sono le sue opere , delle quali ricorde- remo le seguenti : i. Lezioni di eloquenza sacra. 2. Scuola di civiltà , o sia lezioni di onesto e decente vivere proposte alla gioventù. Necrologie 365 3. Tiattato dell' ortografia italiana. 4. Lettere critiche e memorie accademiche. 5. Sermoni. 6. Elogi. Di che parlarono fra gli altri il Gioinale -Arcadico nel tomo ^ù a pag. 370 , e nel tomo 54 a pag, 227; l'Antologia nel voi. 48 a pag. 108, li5, 116; e rOnio logia nel num. 7 pag. 84- A noi fu dato pie- toso , ma triste ullìcio , di piangere la morte dell* uomo degno , che ci ha lasciati alle lagrime ed ai dolore. D. Vaccolini. GIROLAMO MUKARI DALLA CORTE. A. 2IÌ luglio 1747 nacque in Mantova dal conte Ot- tavio e dalla contessa Alba Rambaldi, nobili di Ve- rona. Ebbe in casa i rudimenti del nuovo e vecchio latino; ma nel 1758, rimasto in cura alla madre ve- dova , fu messo nel collegio de' somaschi in s. Ze- no in Monte a Verona , ove in cinque anni ebbe compiuto il corso delle lettere e della filosofia. Ri- palriando portò seco di buono l'amore alla poesia ; ma la vista inferma ; dacché in collegio, tirando di spada e giuocando di bandiera , avca riportato de* colpi vicino agli occhi. Credendosi da' medici , che fosse eflelto di cateratte, l'amorosa genitrice lo man- dò a Bologna per farlo operare da un esperto ocu- lista, il prof. Bacchettoni ; ma ciò fu con esilo sfortu- nato ; dacché l'occhio sinistro perdette il vedere. Si- no a' trenta anni si valse del destro , che acciecò allora per golia serena. Però il lume della mente gli 366 NscRoi. oaiG rimase ; anzi parve più vivo. Infatti Girolamo com- piè le parti di consigliere comunale e provinciale , ebbe la direzione de' teatri , la presidenza degli stu- di , e la prefettura della I. R. accademia di scienze lettere ed arti : a dettando continuo, valevasi dell'ope- ra altrui per iscrivere. Nel 1789 pubblicò due cen- turie di sonetti : la prima sulla storia romana da Ro- molo ad Augusto , la seconda sui sistemi filosofici dagli antidiluviani sino al Genovesi; troppo alta ma- teria a siffatti componimenti : e ne donò il titolo all'accademia fiorentina , che lo scrisse del suo nu- mero. Nel 1793 diede in luce il poema della gra- zia in quattro canti in decima rima , tutta sua : ne donò il titolo air Arcadia di Roma , che lo rimeri- tò ponendone il ritratto nella sala del Serbatojo tra quelli del Bettinelli e della Bandettini , e dandogli nome di Rovildo Alfeonio come vice-custode del Min- cio. Nel 1795 pose fuori due volumi degli atti ac- cademici , dove la storia dell' accademia fino dalla sua fondazione e il codice di essa furono dettati da lui. Nel 1802 dedicò un poema in ottava rima in dodici canti sulle geste di Pietro il grande all' im- peratore Alessandro , e n'ebbe in dono il ritratto di quel monarca , che inciso poi da Angelo Guelmi fu posto in fronte al poema. Nel 1814 ne diede altra edizione con cambiamenti , quasi nuovi passi a toc- care queir altezza dell' epopeja a pochi o a ninno concessa dopo Torquato : colpa più de' tempi , che degl' ingegni. Nel 1818 per l'apertura del nuovo pas- seggio di piazza virgiliana pose fuori quattro canti in terze rime sdrucciole , cui diede il titolo delle quattro stagioni. Sulle acque termali di Weissera- Lurgo , giovandosi di ciò che riferiva di quella sco- perta il foglio di Milano del 1821 , pose fuori una Novella in tre canti in ottava rima. Operoso, qual NjSCROtOGlK 3C7 era , ha lasciato d'iaedito ia prosa la traduzione del trattato della natura e della grazia del Malebranche, più discorsi accademici , e gli elogi del conte G. B. d' Arco e del Bettinelli : in versi poi un capi- tolo in morte di Vittorio Alfieri, e due in morte dell' architetto Calderari di Vicenza, e della propria mo- glie contessa Vittoria Montanari , oltre un duecento cinquanta sonetti di vario argomento. Dippiù otto vi- sioni logiche e metafisiche in terza rima conij)oste in occasione, che nel 1810 il conte Marcantonio Tris- sino, preside dell' accademia olimpica di Vicenza, lo eccitava a scrivere sogli effetti della fantasia. Lavo- randovi attorno quindici anni, le continuò sino a cen- to in materia di storia sacra e profana delle quat- tro monarchie , arrivando colla storia de' cesari sino al 1814» postovi il titolo di visioni psicologiche e s'oriche. Oltre le accademie di Roma e di Firenze fu scritto a quelle di Cortona , Siena , Pistoja , Lucca , Alessandria di Piemonte , Venezia , Vicenza , Vero- na , Brescia. Era ottuagenario, quando nel 1830 re- citò al chiaro monsignor Muzzarelli, venuto a visitar- lo , un sonetto in morte del Pienderaonte (Ippolito) toccando di lui gli elogi. Comechè di gusto frugo- niano , non manca di fantasia , e ci giova darlo co- me per saggio. L'anime elette eh' eternasti in carte , Onde vanno tra noi chiare e famose , Sceser di ciel raggianti e in un gioiose , Pindemonte immortale, ad incontrarte. E per favor , che a pochi Iddio comparte , Ti fnron scorta in via liete e bramose Di grate palesarsi e affettuose Delle tue laudi al magistero e all' arte. 36S Necrologie Quindi ratte in poggiar di sfera in sfera Teco battendo le mertate piume Negli an)pi spazj noa soggelli a sera : E quindi al rilucente empireo lume Giuute del gaudio all' immortal riviera, La teco immerse balenar del Nume. Pieno di anni e di meriti, e confortato mai sempre da- gli studi e dalla religione , che fanno dolce ed ono- rata ogni età, mancò ai vivi in patria il 2 genna- io 1832. L'Antologia di Firenze ne parlò nel voi. XLVI pag. 241. D. Vaccolini. PAOLO NIGGOLA GIAMPAOLO. N. acque di Giacinto il di 11 settembre 4757 in Ripalimosani nel contado di Molise , diocesi di Boia- no. Nei seminari di Larino e di Boiano compiè il corso degli studi con tanta celerità , che cherico an- Cora ebbe la laurea dottorale , e tornato a casa fe- cesi insegriatore alla gioventù . Venuto in fama di savio e buono fu fatto canonico della collegiata , e nel 1779 dal vescovo di Boiano chiamato a dettare filosofia nel seminatio. Passò nel 1787 ad insegnare filosofia e matematica nel seminario di Montecasino, finche il vescovo di Boiano, desideroso di averlo presso di se , lo fece penitenziere della chiesa cattedrale , e nuovamente maestro nel seminario : indi fu vica- rio a monsignor Pignone del Carretto vescovo di Ses- sa, indi ancora a monsignor Torrusio vescovo di Ca- paccio. La patria , sempre cara alle anime genero- se , Io richiamò , e fu arciprete di Ripalimosani e vi- Necrologie 360 cario generale : del 1807 da chi teneva nel retano la somma delle cose fu chiamato nel consiglio di sta- to : del 1811 ebbe l'incarico della divisione de' de- mani nella provincia d'Otranto e dei due principali, e ne fu rimeritalo colla badia prelatizia di Cento- la : indi fu vicario regio della diocesi di Boiano , ed ispettore generale de' vescovati vacanti di Lariiio, Termoli , Guardiallieri , ed Isernia. llcduce Ferdinan- do I ebbesi una pensione , e confermata la badia di Centola, e fu scritto alla R. accademia delle scien- ze. Sentendo bene innanzi nella filusofia e nelle ma- tematiche, egli avea dettate le instituzioni filosofi- che sino dal 1803 ; poi si avvisò di scrivere un corso per istruzione de' suoi nepoti : dove prevalendosi de' lumi sparsi dai moderni , non si lasciò abbagliare dalle apparenze , e con lucido ordine e sano giu- dizio preparava i teneri animi alle scienze. Dilettan- dosi delle cose agrarie inviò nel 1806 una memo- ria al sig. Miot sulla riproduzione degli alberi ; e pose fuori le lezioni e il catechismo di agricoltura per le scuole secondarie del regno ( i;o/. 3 in 1808): e con pili larghezza pubblicò le lezioni di agricoltura in 5 voi. {Napoli 1819). Nella K. accademia bor- bonica lesse nel 1822 una memoria sugf incorna e nienti del sistema agrario , e sui mezzi di rimediarvi : un* altra nel 1826 suir abuso della coltivazione de' cerea- li di Molise ec. , ed un'altra nel 1829 sui difetti di agricoltura della pia parte delle provincia del re- gno. Lessevi l'estratto delle opere di lulien , impiego del tempo , abbozzo di lettura storica suW influen- za delle donne in tutti i tempi presso le nazioni .- e tra le altre memoria sui modi di rimediare alV im- moralità proveniente dalle ultime vicende politiche : e t'elogio di G. Savario Pulì stampato in Napoli nel 1825. Ma piìi grave cosa sono i suoi dialoghi G.A.TXX. 24 370 Necrologìk sulla religione ^ di cui due volumi uscirono nel -JSIS , e altri due nel 1821. Viene mostrando, che la re- ligione è nata colf uomo , che forma il primo con- vincimento dello spirito ed uno de' primi sentimenti del cuore : che la naturale è insufficente a condurlo al suo futuro destino: che senza un divino lume non può che ondeggiare fra timori e speranze, sino a non co- noscere o immaginare i motivi più poderosi del suo ope- rare. Quindi deduce la esistenza della religione rive- lata , la segue nello stabilimento e ne' progressi del cristianesimo : e fassi maestro a'sedicenti filosofi , ai quali dimostra vero savio essere colui , che presta ossequio alla divinità , rispetto al cattolicismo , sora- nìessione alle verità della fede. Come si addice a vero filosofo , ei seppe unire a' gravi studi i piacevoli , e lo mostrò nelle rime che venne pubblicando. Della re- ligione nei detti e nelle opere osservantissimo, gioiva di vedere la virtìi in cima , e mal soffriva vedere il vizio talora prendere il posto di quella : non di- sprezzò gli onori , ma li ebbe come stimolo a più meritare. Fu decorato delle insegne prelatizie , e dell* ordine delle due Sicilie : fu della società de' georgo- fili di Firenze , e dell'italiana di scienze lettere ed ar- ti di Livorno ; per lacere della più parte di quelle del regno , che lo vollero del loro numero. Non fidan- dosi di se nel giudicare i suoi scritti , cercava il voto de' più severi ; ebbe cari gli amici ed i con- giunti , tra i quali ai nepoti fu più che padre : poco pieghevole ad ilarità , facile a querelarsi dei vizj de- gli uomini , ed acceso tanto più nelle dispute , quan- to più amava la virtù ed il vero : de' poveri largo socc'jriilore. Intrallenevasi in casa di un dotto ami- co , come soleva , in lieta ed onesta conversazione, quando fu colto d'appoplesìa la sera del 14 gen- naio 1832; onde all'improvviso mancò. Di che fu- Necrologie 371 reno le lagrime assai , e con funebri officj d'ogni ma- niera fu onoralo : i congiunti altresì ebbero cura, che uu elogio epigrafico fosse dettato da scolpire nelle pareti di un sacro edificio proprio della fami- glia. Anche la società economica di Campobasso , e l'accademia delle scienze di Napoli , e quel chiaro spirito dell' a!)ate Serafino Gatti confortarono di lodi la sua memoria. Questo beli' uso di onorare appo mor- te que' savj , che colle loro fatiche benemeritarono dell' universale , pare più rifiorisca nella presente ci- viltà : e vale non solo a pagare un debito troppo sacro verso gli estinti ; ma a rinfiammare i presenti ed i futuri nelT amore del bene e delle utili disci- pline. Che se giova tenere in pregio gli ollimi , che già passarono , egualmente e più si vuole stimare che giovi riverire quelli , che vivono agli studi e alla virtù ; dacché la lode h come l'alimento de' gene- rosi. D. Vaccolim. DI INICGOLA CIAMPITTI. A MONSIGNOR C. E. MUZZARELLI. Roma. 'ebbo ascrivere alla mia avvcnsa fortuna il non aver ricevuta la lettera , che ella dice avermi scritta altra volta : debbo però assegnare alle gentili e belle parti dell' animo suo , aver voluto credere, che quella fosse andata smarrita piuttosto , che darmi la taccia di scortese ed incivile per non aver veduto alcuna mia risposta. E veda , monsignore , come la fortuna si 24* 3T2 Necuologie pietido giuoco di noi ! Sono gii alcutii mesi , sapendo che persona dovesse tornare a Roma , incaricai un amico di pregarla che avesse a lei presentata una let- tera ed una orazionceila mia , la quale fu da me letta nell'apertura degli studi della nostra univer- sità. E poiché alcuna risposta da lei non mi giun- se: mi persuasi senza esitare un momento, che nulla le fusse pervenuto. Non vò qui nominar colui , che doveva costa tornare, perchè essendosi pii\ di uno adoperato in questa facenda , non so a chi deliba- sene dar la colpa. Ma checche sia di ciò ; ella cer- tamente risparmia una seccaggine. In quanto a quel- lo che desidera , che cioè le scriva notizie di me e delle cose mie por farne motto nella biografìa , ohe va distendendo degl'illustri italiani viventi, che vuole , monsignore , che io le dica ? Educato nei seminario napolitano, e negli anni miei pili verdi scel^ to ad insegnare ivi le umane lettere, indi l'eloquen- za , ed aggiuntavi in seguito la carica di viceretto- le , ed appresso direttore, ed in fine il peso del co- ro, e della lettura pubblica nella università; qnal tempo poteva rimanere a comporre , e dare alla luce opere degne di qualche lode ? Non pertanto , se per- sisterà in questa proponimento, le darò uà cenno di qualche coserella da me scritta più per importunità degli amici , che volontà mia , avendo sem[)re avuto una ritrosia di comparire nel pubblico. Riguardo a rimetterle qualche verso pel celebratissimo Antonio Ce- sari , mi parrebbe un atto villano negarglielo : ma U mia vena , povera sempre , ora è per la mia eia ina- ridita dal tutto : pure mi proverò. Vorrei che in me fosse quella poetica fantasia , colla quale ella ha sem- pre abbellite le cose sue ; ed ultimamente quel gea- til componimento per la morte del eh. Monti, che niu- strommi D, Peppino Ricciardi , alla cui fam.gKa ho Necrologie 3TJ^ presentati i di lei coraplimeati. Ed i» fine col più vivo sentimento dell' alta mia stima sono sempre Devmo ohhlmo servitore Can. N. Ciaiupitti Ài medesimo. Glacchb ella ha voluto cosi » io» coti gran forza superando la ritrosia dell'animo mio, ho scaraboc- chiato un sunto brevissimo della faticata ed oscu-» ra mia vita , il quale qui soggiungerò , e dal quale potrà ella torre quello , che può servire all' uopo t se pure osservando tanta meschinità, non deporrà il pensiero di darmi luogo non meritato fra gì' illustri personaggi della sua biografia : la qual cosa se fa- cesse , non mi recherebbe verun dispiacere. Niccola Giani petti nncqiie gli anni 1749 il gior- no 16 di settembre in Napoli di Domenico e Bar- bara Candido non ricchi , ma virtuosi cittadini. Fin dalla prima età dimostrò una indole inclinata allo stato ecclesiastico : e però fu da' genitori posto nel semi- nario napolitano , il quale a que' di fioriva grande- mente. L'ab- Giacomo Marforelli e l'ab. Ignazio della Calce pubblici professori v'insegnavano il primo le gre- che lettere , l'altro l'ebree: l'ab. Salvatore Aula l'elo- quenza e le antichità romane , uomini chiarissimi e di gran nome. Da costoro apprese le lingue dotte , ftd ogni maniera di letteratura ; e quindi la geome- trica , la filosofia , il diritto canonico e civile , e la teologia. Ordinato sacerdote, fu destinato ad insegnare le umane lettere dal can. Giuseppe Simioli rettore del seminario, teologo dotto e colto, che molta fama eb- be anche in Roma , dove appresso di se chiamollo il cardinal Giuseppe Spinelli arcivescovo di Napoli. 374 Necrologik Scorsi alcuni anni succedelte all' ab. Aula , dì cui scrisse la vita per gratitudine verso il suo maestro , pub- blicala per le stampe , ed intitolata al eh. can. Nic- cola Ignarra , il quale aveva coli' Aula serbata sem- pre una tenera amicizia. Molte orazioni, nel lungo tem- po che fu lettore di eloquenza , egli scrisse per le accademie letterarie , le quali secondo l'uso si tene- vano nel seminario in tutti gli anni. Con diploma del re Ferdinando I fu creato professor sostituto al sig. Gennaro Vico, figlio del celebre Giambatista, nella cattedra di eloquenza nella regia università l'anno 1798: e ivi tenne per l'apertura degli sludi dopo le ferie autunnali la orazione inaugurale giusta l'antico costu- me nello stesso anno , ed altre tre in diversi anni seguenti . Inoltre nella raccolta di componimenti di professori della medesima università per la ricuperata salute del re Ferdinando I distese egli una orazio- ne ed una elegia su tale argomento. Nell'anno 1807 fu promosso al canonicato della cattedrale, indi al rettorato del seminario. Ristorata l'accademia ercola- nese , fra i membri che la componevano fu ascritto : e fece un comento e supplemento ad alcuni frammenti di antica poesia latina in un papiro; il quale fu pubblicato nel primo volume de' papiri ercolane- si : ed in seguito si occupò in molti lavori acca- demici. Sono parecchi componimenti poetici di lui pub- blicati in diverse occasioni , e in diverse raccolte. Tra- passato ai pili il eh. Francesco Daniele, segretario per- petuo dell' accademia ercolanese, per commissione de' socii ne scrisse la vita , e diede alla luce per le stampe anche la vita di Bruno Amantea chiarissimo medico chirurgo, e socio dell' accademia delle scien- ze di Napoli. Ancor giovinetto scrisse e pronunziò una laudazione in pubblica accademia tenuta nel semina- rio dopo la morte del sommo uomo can. Alessio Sim- maco Mazzocchi. NECRoLOGin 375 Ecco quello die ho pollilo ricliiaraare alla me- moria di me : veda che cose meschine son queste. Ella ne faccia quello die vuole. Io intanto sarò sem- pre di lei Napoli 10 maggio 1830. Dimo ohblnio serv. ed amico Gan- Niccola. CaiupIttj. Niccola Ciampilti era cavaliere dell' ordine di Francesco I. Fu ppr due anni retlore dell' università dogli studi , e dal 1827 presidente dell' accademia erco- lanese. 1123 di agosto 1832 si addormentò nel signore. Di questo illustre sono due elogi , l'uno di Giu- seppe Castaldi letto nel!' adunanza generale della R. società borbonica il di 30 gennajo del 1833 e quin- di impresso in Napoli nella tipografia Porcelli , l'al- tro è nel secondo volume degli elogi di Serafino Gatti pubblicati in Napoli nella stamperia e cartiera del Fi- breno 1833. Un breve articolo necrologico si legge nel 1 volume degli annali civili del regno delle due Sicilie, INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL TOMO LX DEL GIORNALE ARCADICO. SCIENZE Piaceroni , P^m'uolo vaccino rinvenuto in alcu- ne vacche Sinzzere chi nostro territorio, pag. 3 Scolpis , Storia deW antica legislazione del Pie- monte /?. 13 Ondes iìeggio , Discorso polìtico sulle pro- prietà jD. 25 Monti ^ Metodo intellettuale della scienza della vita ec p. ZI P. /^., del calorimetro a ghiaccio . . • p- ^^ Riccardi , Sul cholera morbus p. 1\ LETTERATURA // natale di Roma celebrato dalla pontificia ac- cademia di archeologia , con un discorso del presidente marchese Biondi ;?. 119 Mancini^ Memoria sul Castrum felicilalis . p. 131 G. B.^ Dialogo sul verso di Dante Poscia più che il dolor potè il digiuno /?. 175 Mordani , yite degV illustri ravcgnani (conti- nuazione) p. 214 Ferri., Elogio di Baldassar Castiglione tradot- to dal Montanari p. ihì Componimenti vari p. 257 Prose e versi in morte della contessa di Ca- maldoli p. 262 Lampredi , Lettera a F. Ranalli . . . . />. 281 Fracastoro , VJlcone tradotto dal Romano, p. 28S BELLE-ARTI Betti , Notizie sulla vita e sulle opere del pit~ tare Wicar p. 292 Muzzarelli , Quadro del cav. Paole iti rappre- sentante il santo Padre Gregorio XVI che ri- ceve la deputazione di Belluno . . . ;y. 310 O descalchi ^ Orazione pel concorso Balestra dell' accademia pontificia di s. Luca . . . /?. 313 Varietà Necrologie , di Luigi Gagnola , Giuseppe Mar- co Calvino , Serafino Gatti^ Girolamo Mura- ri dalla Corte , Paolo Niccola Giampaolo , Niccola Ciampitti. Tavole meteorologiche. NIHIL OBSTAT Ab. D. Paulus Delsignore Ceus. Theo!. NIHIL OBSTAT Petrus Lupi Med. Coli. NIHIL ORSTAT Petrus Odescalchi Gens. Phil. IMPRIMATUR Fn Dom. Buttaoni O. P. M. S. P. A. IMPRIMATUR A. Piatti Archicp. Trap. Vicesg Osservazioni Metereologiche. J( Collegio Romano )[ Luglio i835. erra. Terjioiuelro max. min. 15° 17 5 6 M 27 6 5 i4 8 23 3 lo «4 3o 6 12 i5 37 4 Vento Pi 0. d. 0 0 SSO. J. S. m. SO. i3 5 «7 SO. f. •'Ogg'a ' apor. 3''- 6 4 6 4 7 Slato del Cielo cliiaris.Tap.oriz. ser.nuvol. sparse ctàarissinio nnvoiofo ciliari ss imo 1 sparse chiarissimo ser. nuT. sparse 5 6 6 6 5 3 lampi 5 9 ali.35 6 75 4 5o 0 6 4 3 4 I nuvoloso cli.oriz.nuvolo,?o ser.nuv.sparse nuToloso chiarissimo nuvoloso ser.nuv.sparse nuvoloso chiarissimo ser. nuv. sparse nuvoloso lam.tuon.cop pi ser.nuv.i parse „ oriz.nuv. chiarissimo 5 4 3 8 nuvoloso perto cibarissimo ser.nuv.sparse nuvoloso chiarissimo nuvoloso chiarissimo nuvoloso ser.nuv.sparse chiarissimo trt^ [il Ole Baromel. Term. ! Termometro Igrom. ' Max.. 1 Min. a capei. Vento Pioggia Eva )or. Slato del Cielo .s' >!/' ■20 21 22 23 24 35 a 6 »7 aS ad 3o 3i 1 ma. ser. 2 7po.i 1 j, lo Il 1 1 9 2 0 J7 18 7 0 21 i3 3° 6 SE. d. E. „ 0 0 li. 2 25 0 35 li. 2 1 coperto )7 cliiarissimo na. „ „ fc- 28 0 4 2 14 20 16 1 21 22 22 5 la 4 5o 24 N. a. 4 1 uuToloso "... chsansjimo j Hi a. 1> 3 3 6 '4 21 16 6 I 2 7 33 24 0" m. 0 0 5 7 " ma. S'- scr. „ „ 5 ,. l 7 '4 21 16 11 .5 4 23 2 0 0 S. m. SO. d. 5 M ina. sei: ? " 9 7 '4 2 1 17 4 2 3 i3 5 28 3 NE. q.o s. a. 4 3 " ma. ser. 27 11 „ I 0 7 0 20 i5 2l 19 8 i4 3 I 2 I I S. q. 0 I. 'II. 3 Co 5 nuvoloso >7 ma. „ 9 ser. 1 „ H 5 0 5 14 18 14 6 l3 5 32 12 iSO. „ „ d. N. m. 3 8 cliiarlssimo ma. g'- ser. 2» I 4 7 6 21 17 '22 5 1 23 ( i5 i3 40 20 „ q. 0 NNO. d. 0 0 4 7 '• ma. gi. ser. ma. S'- ser. 7, ,, 7 „ „ 8 „ „ 6 i4 2 1 i7 5 4 i3 12 47 5 so. m. 5 1 „ ! » » 3 )> » !1 1< -.7 1 '4 23 17 11 n 5 20 3 SSO. q.o SSU. in. S. „ 4 2 ser. nuT. sparse clilarissimo j ma. ser. » » 3 » » 2 >4 22 17 5 5 n 1» 5 27 7 N. q. 0 0. d. s. „ 3 6 ser. nuT. sp. cliia.iissimo ma. g'- ser. ,, „ 8 » » 6 14 22 17 5 3 22 7 l3 3 41 3 0 0 4 9 "' ma. gi- ser. )> ' 0 5 3 i5 22 «7 \ 23 5 i i3 5 35 5 so. d. S. q. 0 ale. gocc. 3 t velato nuvoloso coperto ser. niiv. «par. ser. nuv. spar. j cliiavissimo ( ma. gi- ser. 28 0 „ 1 0 9 4 i5 20 18 4 5 22 5 23 »4 2 25 4 0 0 SSO. m. S. d. " " 5 6 ma. gi- \sir. \ma. 'g'- iser. 71 3 9 I 5 «4 22 '7 3 '4 2 27 4 N. „ 0 0 0 0 picc.piog 2 5 IJ 17 6 I 8 16 23 '7 33 1 i3 3 ^9 ^ 4 N. q.o SO. " 4 ■■HC^IH ■^a ■ ■■.■tJlliuJ'MIJUmiu Osservazioni Mcleorolu^iche. ){ Collegio Rumano )( Agosto l833. = Ore Barom. ^ J ' ma. 28 p.oZ/.3 ■ 37 »1 0 a'^- ,, lu 4 ma. „ Il 6 ? scr. « 7 ma. „ „ 8 s S'- » » 6 ser. 28 u 0 3 ma. Il II 4 A''- J. » 7 ser. » « 2 ma. (• i 3 ^ S'- .. .. 5 ser. ma. 1) )) 2 .. » „ 6 ser. M "^ 8 ma. 27 11 7 7 5'- »> >* scr. » » 6 ma. „ lo 5 h d'- 1) yi a ser. 28 0 0 ma. » « 7 9 ò''- 1, .. 8 ma. y n „ 0 (j #1 11 j ser. q ma. Il 1 4 1 S'- f» tt 6 ser 8 ì> il 2 a'- Il 0 7 ■ser. „ „ 3 ma. „ 0 7 0 ser. " " 4 ina, 27 11 4 4 ,, ,, 1 ) ser. H II )) ma. 28 0 5 ^ S'- « » 8 ger. li ,, 6 Term. Termometro max. min. 23 4 i3 6 2 7 3 i3 22 I I 32 4 j « 21 6 i4 33 5 16 i I 9 -5 o 7 3 7 7 34 17 5» 145 23 4 l6 14 7 2 9 7 ai G, 18 Vento SO. „ S. m. SSO. „ SO. Dì. S. f. Pioggia Evapor. li 6 3 5 4 • 4 7 4 a 4 7 4 1 ale. goc. 6 7 ale. goc. 4 6 4 6 0 4:) 4 3 5 4 3 4 2 G 5 r> G Stalo del Ciri velato nuvoloso chiarissimo scr.nuv.sparse cliiarissimo scr. Tap. ser.nuv.sp. eliiarisisiiiio ser.nuv .sp. coperto nuvoloso ,, lampi tuoni cliiaiissimo „ nuv.sparse nnvoloso ,, nuv.sp. 11 vap. :liiarisslmo ser.vjp. nuvoloso rliiarissimo eiiito opci'lO er.vap. MMmaKJgaBJUgUtglB Osservazioni Meteorologiche. )( Collegio Rumano )( Seltemhr» i833. 2 •i 7 9 ' 1 . 'i i5 '4 1 j are Baromet. Terni. Terra raax, 17° ometro min. ,0 14 Igrom. Vento Pioggia Evapor. Sialo . del Cltic. ma. S^- ser. ma. scr. ma. ^'• ser. 27P0.7 „ « „ 9 28 1 ,, 0 li.6 0 0 j> 4 3 1 4 9 »6° >7 •4 14 3 5 3 0 20 28 i5 SSO. f. 0. q. f. „ d. ili. l5 li 6 9 3 4 nuvoloso ser.nuv.sp. i5 1 10 20 30 9 iùU. 1. N. d. a 75 copprlo cliiaiiàsimo 0 8 17 1 1 17 »4 7 3 17 9 3 '7 4 OSO. „ I\. J. 9 e operi 0 ser.nuv.sparse 2 8 ma. gi. aer. 27 11 28 0 3 0 18 9 2 9 0. d. s. » coperto nuvoloso 2 0 2 0 2 9 ina. gì- ser. ma, ser. 27 lo 6 5 2 1 1 16 ,' 17 16 18 1 1 5 5 N. ni. NE. d. S. d. 16 11 2 i5 3 2 75 coperto 28 0 2 9 16 i5 5 12 2 4 4 4 „ Ul. „ d. " ma. S'- ser. ma. è''- ser. ma. ser. ma. o'- ser. ma. si- ser ma. S'- ser. ma. gi. ser. ma. 8'- ser. „ 1 6 0 0 i3 17 i3 ! 3 12 4 23 12 IN. q. 0 SO. ra. N. q. 0 S. SO. ra. 0 0 (■liiarissinio 2 6 " i5 18 14 18 18 12 1 0 19 1 ?) i5 3 nuv oloso cliiarissirao 3 7 .1 1 8 9 2 14 14 12 2 ì\t. .1. SO. „ nuvoloso iliiariisirao nuv.sp. 3 8 '.i ^^ 5 5 i3 •9 14 5 20 «7 12 5 55 3 4 12 3 SSO. ni. „ ra. 2 75 a 25 nuvoloso „ cojierto I 7 ' 9 3 0 2 7 2 5 !) 11 1) »> )• » >■> 0 11 1» )> 1 38 1 )» » >> ' ,, 0 4 7 5" 9 4_ 8 4 8 9 8 4 y l3 16 i3 5 5 13 ESE. à. 0. m. IN. d. chiaro 12 18 >4 18 >9 18 3 18 G 11 5 '4 2 3 36 LINE. d. SO. ra. W. q. 0 lKj)l)ia sereno chiaro 1 1 18 i3 8 3 1 0 5 9 6 INI:., d. IN. „ N. „ »> Io 18 i3 8 IO 39 G 40 4 !\. d. cJiiarìssinio nuv.sparse ma. sirr. 9 18 1.1 8 8 N. q. 0 SO. „ N. d. nuvoloso chiaro — *■ ■ m^^m 1^^ ^IBHHI BBBi IMIBI a" 6 16 Ore Baiomet. 1 Terni, esterno Cenno max. metro min. Igrom. Vento Pioggia Eva )or. Stato del Cielo' 1 mat. a'- 28p.oZ/'.6 10^ 18 6 0 19 9^6 0 17 „ q. 0 SO. d. 11 2 •8 nnvolojo ser. mat. » „ 3 14 8 4 N. „ chiarissimo 51 )1 )> i5 )> NE. q. 0 nuvoloso 1; §'■ » !ì >ì 19 19 7 ■ 4 11 S. d. 2 8 „ 18 ser. mat. » » i5 i5 ò — 4 5 NO. q. 0 » » M 4 NE. „ chiarissimo ^t- >» » 20 ao 4 14 31 S. d. 3 0 nuvoloso ser. 27 10 8 ib 2 ,. « » mat. » 9 5 i4 3 N. q. 0 uuv. sparse *y gì- 1 16 17 12 6 11 SO. ra. i3 5o 3 6 „ „ ser. mat. 9> 0 9 14 5 „ d. nuvoloso 27 8 0 1 1 „ 0 0 ser. j 20 §^- » 7 8 16 4 17 Io 27 0 0 1 0 1 7 nuvoloso ser. mat. » 9 3 12 3 3 0 0 nuvoloso » io 3 11 1 N. q. 0 « ji S^- ì> )> q l3 7 16 10 3 E. d. 1 7 H ser. « 1» 5 i3 4 0 0 0 75 " mat. ,, 11 4 2 0 0 ser. 32 fi'- » ». J, 18 18 8 9 » 19 N. q. 0 5 5o 1 8 nuv.sparse 23 ser. mat. 28 0 3 i3 13"" 17 n 5 3 S. d. 0 0 SO. d. » » ., 5 i8 5 8 1 q ser. nuv sparse ser. mat. „ 1 „ 2 0 1 li. 2 0 0 chiarissimo 6 N. q. 0 0 0 ser. 24 gi- 3 Ib 18 8 9 7 23 a 0 chiarissimo ser. >» » lì 14 2 » » ." mat. J> 1 q 1 1 0 0 0 rugiada chiarissimo "ìS e;i. 18 20 3 11 19 1 9 " ser. mat. „ j. 7 14 3 — 3 S. d. coperto » li 8 i3 1 0 0 nuvoloso 26 S'- •> ,1 20 20 12 20 SO. d. 2 3 ser. 27 ser. mat. g^- ser. mat. « >» „ i5 2 al 5 8 1 24 2 0 0 >» 5> )> 7 4 2 21 l5 3 _4_ Il 5 S. q. 0 N. d. ale. goc. i^ 4 ser. nuvol. coperto 27 lo 5 0 nuT. i .s ,.-. 0 17 19 i3 lo ENE. „ 9 1 8 " mai. 51 ,, „ Il3 J_ „ S. „ " ! » » 2 0 0 ser. 29 ^;. 4 21 2I 14 25 „ „ ale. goc. 2 0 nur. ser. mai. 1) 11 6 ib 2 » >i " 28 0 T" i3 i3 2 0 0 ser.nuv.spaise ■3o \ser. >» >1 » 1 8 7 20 •4 S 20 20 3 NNE.' m. 2 2 cliiarissìaio nuvoloso /: h^ ■A t^i M— Tfrr~'"'niiì titti ^. jV/ii