GIORNALE ARCADICO DI SCIENZE , LETTERE , ED ARTI VOL. 217. ^-., icf/i-- GIORNALE DI SCIENZE LETTERE ED ARTI TOMO LXXIII OTTOBRE, NOVEMBRE E DICEMBRE 1837. ROMA TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI 1857 SCIENZE Sopra un corso di matematiche intitolato - Eleineii- torum matheseos otc. . . . auctore Andrea Caraffa e societate Jesu in collegio romano matlieseos professore; e sopra la versione italiana eli que- sti elementi fatta con moltissime annotazioni dal prof. Paolo Volpicelli, TT ^^ n corso completo di matematiche pure, che dall' aritmetica procedesse alle più elevate dottrine del calcolo così detto sublime , e che fosse compilato sopra le piìi generali e rigorose teoriche della scien- za, era per la Italia da desiderarsi. Un corso che m se riunisse queste condizioni, era un bisogno e un desiderio generale di tutti coloro, i quali si dan- no allo studio delle scienze esatte; e la mancanza di esso formava un vuoto considerabile nel tesoro delle produzioni scientifiche italiane. Non può ne- garsi che parecchie sono le istituzioni di matema- tiche pure, pubblicate in Italia, che piìi o meno tutte contengono delle parti esposte completamen- te sotto qualunque aspetto; ma giovi ripeterlo, un corso tutto basato sul piìi esatto, sul più generale, sul più analitico, e sul più moderno della scienza. 4 Scienze deslderavasi ancora; quando non ha guari compar- vero alla luce gli elementi di matematica del p. Andrea Caraffa della compagnia di Gesìi, professo- re di matematica sublime nel collegio romano ; e noi vedemmo con piacere grandissimo quest'opera soddisfare in tutte le sue parti a quanto si desi- derava. Strettissimo vi si ravvisa il concatenamento delle idee , somma la precisione ed esattezza dei metodi; ne mai alle formole si da quella estensio- ne che loro non si appartiene. Pur troppo non po- che formole soglionsi estendere comunemente oltre i dovuti limiti , le quali tuttavia non valgono se non sotto certe condizioni, se non in riguardo a certi valori delle quantità che racchiudono! Gli ele- menti suddetti sono scritti in idioma latino; e seb- bene da taluno sia disapprovato il valersi nelle ope- re scientifiche di questo linguaggio, perchè non vi- vente ; pure noi crediamo che nelle matematiche non debba incontrarsi tale disapprovazione; e son ben cognite alcune opere recentemente pubblicate in idioma latino da diversi distintissimi geometri, nelle quali, oltre la profondita delle dottrine ivi espresse, si scorge ancora eleganza e concisione di termini, proprietà tutte dell'idioma de'padri nostri: talché l'uso di esso in questa scienza invece d'in- ceppare, come avverrebbe in altre, le serve di or- namento, e le procura quella maestà e decoro che hanno le dotte lingue in gran parte perchè piìi non vivono; tutto essendo al di là della tomba sa- cro ed orrevole. Gli elementi, di cui parliamo, si dividono in tre parti corrispondenti a tre volumi. Contiene il pri- mo l'aritmetica generalmente dimostrata in tutte le sue parti, e l'algebra, che oltre alle piìi clemen- Matematiche del Caraffa 5 tari sue nozioni abbraccia eziandio le combinazio- ni e permutazioni , la risoluzione delle equazioni determinate ed indeterminate , le principali pro- prietà dei numeri, le quantità medie, i logaritmi, la soluzione dei problemi, la dottrina delle proba- bilità, le serie si reali e si immaginarie, la conver- genza e divergenza delle medesime, lo sviluppo del- le funzioni in serie, le quantità infinitesime, e le frazioni continue. Il secondo volume, senza trascu- rare del tutto i luminosi metodi degli antichi geo- metri, giunge alle due trigonometrie piana e sfe- rica. Quivi si stabiliscono parecchie formole e se- rie trigonometriche, e poi si applica di proposito l'analisi alla geometria di due e tre dimensioni. Nel terzo finalmente si contengono i due calcoli diffe- renziale ed integrale, con le varie loro applicazio- ni alla geometria; vi si espone altresì il nuovo cal- colo dei residui, e quello delle differenze finite, coi principali usi loro. Con questi tre volumi si ha da un geometra italiano tutto un corso di ma- tematiche pure, che può completamente istituire chicchessia nelle medesime. Il primo volume di questo corso matematico è stato pubblicato in italiano dal chiarissimo pro- fessore Paolo dott. Volpicelli, e da esso dichiarato con moltissime annotazioni per maggior comodo di coloro che debbono o vogliono con esso istituirsi. Questa traduzione fu eseguita dal lodato professore Volpicelli con molt'accuratezza, e risplende in essa la eleganza e la precisione stessa che trovasi nel lesto latino. Il medesimo professore, avendo ben pe- netrato l'originale, ha corredate le malerie in esso contenute di dotte annotazioni, le quali facilitano l'intendimento dell'opera 5 e noi siamo di avviso, 6 Scienze che la traduzione con simili annotazioni degli altFi due volumi sark di una utili tk grande per quelli che vogliono penetrare nei segreti arcani delle scienze matematiche, e renderà l'opera del Caraffa supe- riore a qualunque elogio. Per questa traduzione so- no state aperte le associazioni, che si ricevono in Roma nella tipografia Puccinelli in via della Valle N. 53, e nella libreria nuova di Giovanni Gallarini sulla piazza di monte ci torio N. 19, 20, 21, non che dai principali librai d'Italia. L'acquisto di questa traduzione per gli associati non sorpasserà la spesa di scudi tre, e per maggior comodo dei medesimi , essa verrà in luce e sarà distribuita, non gik per fascicoli, come suol farsi comunemente, bensì per volumi, legati alla rustica, e coperti di carta colo- rata, nella quale sarà stampato il prezzo del volu- me stesso. Barnaba Tortolini Praelectiones theologicae , qiias in collegio rom. societatis Jesu habehat Joannes Perrone e soc. Jesu in eod. colleg. theol. prof. P^ol. IF, liomae 1836 in coli, urbano de propaganda fide (in 8° di carte 466 ). P. arlando noi di quest'opera nello scorso anno ab- biamo incominciato con breve articolo a dar cenno del primo e del secondo volume , alquanto piìi ci siamo allargati nel terzo: ora che in questo mede- simo giornale trattiamo del quarto, non possiamo dispensarci dal farne un estratto un poco più Teologia del Perrome 7 lungo degli altri. Imperocché tale è la natura di queste teologiche istituzioni , tale il consentimen- to de' dotti neir approvarle , che crederemmo di mancare alla stima che meritamente professiamo verso il eh. autore, e all' amore che nutriamo verso il vero, se brevemente dessimo conto di un lavoro, che in Italia e fuori è stato accolto con tanto favore. Due sono i trattati che conte ngonsi in questo volume : il primo e De incarnatione , il secondo De cultu sanctorum. Veniamoli a poco a poco svolgendo incomin- ciando dal primo. Di due specie sono coloro, i quali hanno sem- pre attaccato l'augustissimo mistero della incarna- zione : quelli cioè che l'hanno interamente negato, quelli che hanno tutto posto in opera per corrom- perne la vera idea. Gli ebrei, gli increduli, ai qua- li da non molto si aggiunsero anche i razionalisti, sono del primo genere; appartengono al secondo gli eretici di varie sette. Siccome però differenti sono le armi, di cui gli uni e gli altri fan uso per soste- nere i loro errori, così il N. A. saggiamente ha di- viso in due parti questo trattato ed ha impreso a confutare separatamente sì gli uni che gli altri. Incomincia egli, com'è di ragione, la prima par- te del suo trattato dal primo fondamento di que- sto dogma, cioè dalla promessa e dalla espettazione di un Messia : distingue un doppio errore, di que- gli cioè che niegano essere stato giammai promesso da Dio ed aspettato dagli ebrei un messia, e di quel- li altri i quali sotto il nome di Messia non intendo- no una determinata e particolare persona, ma qual- sivoglia temporale liberatore, che secondo i sansi- moniani potrebbe esser anco una femmina. A ribat- 8 Scienza tere cotall empie assurdità dimostra il P. Perrone i clic un Messia fu da Dio nella legge promesso , che questi fu costantemente in ogni tempo aspettato da- gli ebrei, e che dev'essere singolare ed unico, sic- come si desume dall'universale e costante senso del-* la tradizione degli stessi giudei, e dalle particolari caratteristiche del Messia, le quali non si possono attribuire ad un liberatore qualunque* Stretti in tal guisa gli ebrei, e i loro ausiliari ricorrono essi a vani pretesti. Alcuni dicono, non essere determi- nato il tempo di tale venuta: altri venire tale epo- ca dilazionata pe' demeriti e per que' peccati , di cui si vanno giornalmente macchiando: altri final- mente, non essere ancora compiuto il tempo della promessa. A queste obiezioni risponde il N. A. con altrettante proposiziofji, dimostrando, I.° che tal e- poca e determinata dalla sacra scrittura, dalla per- petua e costante tradizione de'giudei, dalla confes- sione de'rabini, e finalmente dalla natura della co-» sa stessa; 11.'^ che questo tempo non si può ritar- dare; IH.*' che i tempi statuiti dalle profezie chia- ramente appalesano esser questo Messia di già ve- nuto. Per ciò fare con maggior precisione il N. A. esamina prima il vaticinio di Giacobbe, quindi cjuel- lo di Daniele, in fine gli altri due di Aggeo e di Malachia ricorrendo ai fonti originali e confutan- do tutte le obiezioni , che si possono desumere o dalla varietà delle lezioni , o da qualunque altro senso che dar loro si volesse. In IV.° luogo final- mente dimostra il P. Perrone, che da tutti gli offi- ci e doveri, che doveansi adempire dal Messia, chia- ramente si argomenta esser lui di già venuto. I qua- li doveri ed offici egli a due restringe , all'abro- gazione cioè dcirantico culto e sacerdòzio colla so- TeoIogia okl Perrone 9 stituzlone del nuovo, e alla chiamata delle genti al- la cognizione e all'amore del vero Dio colla reie- zione e dispersione del popolo etreo. Stabilito nel modo da noi detto, che un Mes- sia promesso sia di già venuto; si fa egli nel se- condo capo a ricercare chi esso sia, e dimostra che questo non può essere altro che Gesìi Cristo: im- perocché pienissimamente in lui si compiono l'e- poche , si verificano le caratteristiche e gli offici del vero Messia. Questa certamente non e che una naturale conseguenza delle dottrine fondamentali esposte nei capo antecedente; ed è dall'autore sot- tilmente sviluppata. Assai Leila e la confutazio- ne che fa il p. Perrone del notissimo ebreo Salvador, il quale con argomenti in gran parte ricavati da Orobio imprese a fare l'apologia della condanna del Giusto per eccellenza. ( Histoire des institution de Mo'ise ec. tom. II. Paris 1 828. ) Sviluppiamo alquanto la tesi, la quale per non trovarsi negli altri corsi teologici, merita di essere conosciuta, e può anche servire come di un saggio delle moderne quistioni che sono dall'autore trat- tate. Restringendo in poche le molte cose scritte dal Salvador nel citato libro egli sostiene che quel giu- dizio fu giustissimo, 4.** perchè i giudici del Naz- zareno appellarono agli articoli del Deuter. IV 1 5 e XVIII 20, co'quali condannavasi a morte chiun- que avesse ardito o di annunciare dii stranieri o parlare in nome di essis 2." perchè la sentenza fu data secondo le forme giudiziarie che allora erano in vigore, sforzandosi in ultimo di purgai'e gli ebrei da ogni macchia di crudeltà e di sevizia, e di ri- volgerla ne' soldati , i quali contro la mente del giudice eccedettero nella esecuzione. A queste pre- 10 Scienze tese ragioni del sedicente filosofo il N.A. con eviden- tissimi argomenti risponde addimostrando j chq i citati articoli del Deuteronomio non potevano ap- plicarsi alla dottrina di Cristo, il quale predicava il monoteismo^ ne altro Dio conobbe costantemente e predicò se non quello d' Abramo, d'Isacco e di Gia- cobbe, da cui diceva essere stato mandato. Che se Cristo predicò se stesso vero figlio di Dio, cioè na- turale e proprio e della stessa sostanza del padre, avea proposto il mistero della TrinitU con parole ora pili oscure ed ora piìi chiare, come portava l'intel- ligenza de' suoi uditori, e che però non predicava un Dio carnale, come presuppone l'ebreo : molto meno la pluralità degli dei o un Dio diverso da quello che gli ebrei adoravano: e che questa stessa dottrina non era nuova ma dedotta dai medesimi libri degli ebrei. Quanto poi alla illegalità del giu- dizio, primieramente il N.A. si serve delle armi del suo avversario, il quale dice : che si esigevano tre tribunali, affinchè in qualsivoglia cosa s'inquiresse contro il reo presunto: che l'accusato era trattenuto fino all'ora della discussione senza essere sottopo- sto ad alcuna frode o interrogazione suggestiva, af- finchè l'innocente nella costernazione della sua men- te non avesse a somministrare armi contro di se, pel qual motivo eziandio dovevasi esaminare la probità dc'testimoni: che davasi all'accusato la facoltà di di- fendersi: che doveva differirsi o dilazionarsi l'esecu- zione della sentenza al giorno appresso ed anche al terzo: che rlcercavasi la pluralità de'voti per la condanna: che al luogo del supplizio doveano tro- varsi due magistrati, se per avventura anche per istrada o in quel luogo si presentasse giusta cagione dì assolvere il reo, siccome avvenne alla casta Su- Teologia del Perrone M ^anna: che finalmente, esaurito quanto potesse favo- rire il reo , i magistrati dicevangli : Quid turba- sti nos ? Turhahit te Doininus in hac die : hac die turhaberis., non in futuro saeculo. Ninna peraltro di queste cose^ come narrano gli stessi evangelisti citati dal medesimo Salvador, eh- be luogo. In fatti, 1.° i farisei e i sacerdoti non fu- rono mossi ad accusare Gesù Cristo per motivo di religione e per bene della società, ma dal solo li- vore ed invidia , come l'istesso preside conobbe : 2.*^ assai prima che s'impadronissero di lui avevano macchinata la sua rovina: 3.° gli tesero molte in- sidie per prenderlo in fallo colle sue stesse parole ed accusarlo : h.^ ne' conciliaboli a ciò stabiliti di comune consiglio la sua morte decretarono: 5.° cor- ruppero col denaro uno de'suoi stessi discepoli per tradirlo: 6.° appena fu carcerato, consultaron fra lo- ro i seniori intorno al modo per mandarlo alla mor- te: 7." i suoi stessi giù dici furono i suoi più acerri- mi nemici: 8." tutto fu tumultuariamente operato nello spazio di poche ore; cioè dalla mezzanotte cir- ca fino alla mattina seguente: la religione non fu se non il pretesto e il manto, con cui si cuoprirono. Im- perocché prima accusarono Cristo innanzi al preside come malfattore, quindi di delitto di religione, fi- nalmente di delitto politico, e sempre senza idonei testimoni; 9° finalmente colle minacce e cogli schia- mazzi fecero forza al preside per estorcere da lui la condanna di morte. Dalle quali cose chiaramente si pare,che non solo fu iniquo,ma illegale, anche nelle forme giudiziarie preposte dal medesimo avversario, il giudizio contro di Cristo. Finalmente dimostra il p. Perrone che non solo i soldati e i carnefici dipor- taronsi a loro talento nel tormentare, nel villaneggi»- 12 S e 1 E n 2 E re e nello schernire il redentore, ma gli stessi sacer- doti e farisei addimostrarono una fierissima rabbia. A convincersene basta solo la lettura di quella cru- delissima passione nel modo come a noi gli evangeli- sti la narrano. Ed infatti perchè non punirono quel- lo schiaffo dato al Nazzareno contr'ogni dirittoj' Per- chè in tutta la notte, contro il divieto della legge, al- l'insolenza de'ministri lo abbandonarono? Perchè i pontefici stessi richiesero da Pilato il supplicio della croce ? Perchè i principi de'sacerdoti co^senìori in- sultavano ed acerbamente beffavano quel giusto, fin anco nel punto in cui rendeva l'anima al padre ? Gittato cosi a terra fin dalle fondamenta V edifizio dell'empio ebreo, passa il N. A. a confutare le ob- biezioni e pone fine alla prima parte del suo trat- tato. Venendo poi alle prese contro gli eretici, pre- senta primieramente la giusta ed esatta definizione della incarnazione: quindi cominciando dalla divi- na natura di Cristo, per ben esaurire e racchiude- re tutta la materia, dimostra che in Cristo deve ri- conoscersi e credersi la vera e propriamente detta divinità ossia natura divina, e ciò perchè Cristo lo predicò di se stesso ai giudei, lo predicò ai suoi di- scepoli; né gli evangelisti, né i giudei lo presero in altro senso , ne in altro modo hanno sempre gli scrittori sacri insegnato. Parlando il N.A. della natu- ra umana di Cristo, divide la materia in due propo- sizioni, da cui deduce alcuni corollari. La prima proposizione è questa, che il Verbo divino assunse una natura umana intera e perfetta a noi consustan- ziale dalla quale assunzione ne deriva, 1.° che la carne di Cristo è vera , solida , non apparente e fantastica, 2." che il corpo di Cristo non è venu- Teologia del Perrone 13 to dal ciclo, ne di celeste sostanza è formato, ma bensì è umano e preso dall'utero di Maria vergi- ne, 3.° che il Verbo divino assunse un' anima ra- gionevole, k^ che il corpo di Cristo a motivo del- la sua natura fu sottoposto agli afifetti , ai dolori alla corruzione e alla morte. Dimostra quindi il Per- rone nell'altra proposizione , che Cristo fu conce- puto di Spirito Santo, che nacque da Maria salva la sua integrità, innanzi al parto, nel parto e dopo il parto ; il quale sovranaturale concepimento di Cristo viene dall'autore con ogni maniera dì argo- menti e con scelta erudizione sostenuto, tanto con- tro gli ebrei e razionalisti quanto contro gli eretici di ogni tempo. L'eresia di Nestorio è quindi confutata allor- ché il N. A. parla della unione ipostatica delle due nature in Cristo. Questo capo è suddiviso in due articoli, nel primo de'quali si prova che unica e divina è la persona di Cristo , dalla quale proposi- zione fa discender l'altra, cioè che la Vergine bea- tissima a ragione è chiamata Deipara^ ossia madre di Dio. UadozianisniOf quell'empia dottrina messa fuo- ri nel secolo Vili, con cui per le due nature di- stinguevansi in Cristo due filiazioni, una cioè na- turale come figlio di Dio , 1' altra adottiva come uomo, e che per conseguenza come il nestorianismo veniva ad ammettere in Cristo due persone, è in seguito attaccato dal p. Perrone. In questa sotti- lissima quistione scevei*a egli tutto ciò ch'è di fe- de da quello che è scolastico : e posto nel vero suo lume lo stalo di essa, dimostra esser di fede che Gesii Cristo è figlio di Dio naturale e non adottivo. L'articolo III è contro di Eutiche, e tratta 44 Scienze della distinzione delle due nature in Cristo dopo l'unione iposlatica: imperocché quell'eretico era ca- duto in un errore del tutto opposto a quello de'ne- storiani. Il IV articolo è contro i monotelltl, ed in esso dimostrasi che devono riconoscersi in Cristo due naturali operazioni e volontà indivise e incon- fuse. Tratta in appresso della comunicazione degl' idiomi, così appellano i teologi l'uso di enunciare scambievolmente le proprietà dell'una e dell'altra natura in rapporto alla medesima persona, e prova ad evidenza non potersi essa ammettere, che in con- creto, e non già in astratto, come assurdamente han preteso gli eterodossi detti perciò ubiquisti. Facendo quindi passaggio all'adorazione dovuta a GesU Cristo sostiene che l'umana natura di Cristo devesi adorare con quel medesimo culto di latria con cui adorasi quella divinità a cui è congiunta. Qui il nostro A. fa alcune savissime osserva- zioni, cioè che altro è Voggetto, altro il jnotivo d'i questo culto: che il fondamento, ossia il motivo di questo supremo culto verso l'umanità santissima dì Gesh Cristo, essendo l'unione ipostatica, ne siegue che siffatta adorazione non termini e non si fissi sol- tanto nella stessa umanità di Cristo, ma nel Verbo, che secondo s. Giovanni Damasceno gli divenne sus- sistenza. In ultimo osserva che tanto è adorare la umanità ossia la carne di Cristo, quanto adorare Cristo stesso, che giammai questa umanità di Cristo può adorarsi in astratto^ ma bensì in concreto sem- pre, cioè tutto intero Cristo, il quale non può essere diviso in parti. E qui in una nota, colto il destro, ri- batte il dottissimo e d'altronde ottimo Feller , e i giansenisti, i quali di teologica inesattezza tacciato aveano la notissima orazione : Sacrosanctae et indi- TEOLocrA DEL Perrone 15 mduae Trinìtatl, crucifixi domini nostri Jesit Chri- sti humanitati etc. Questa proposizione fa strada al N. A. a parla- re della ragionevolezza della divozione al sacro cuor di Gesù, dimostrando che questo culto approvato dalla santa fede, e solito a praticarsi, è pio e lon- tano da ogni superstizione: imperocché , siccome anche osserva il cardinal Gerdil, se la parte singola- re in cui si dirige l'adorazione non si adora se non per l'unione ipostatica colla persona del Verbo, ne segue che nell'adorazione del cuor di Gesù si adori la stessa persona del Verbo, e però tutto Cristo, di cui non è altra la persona se non la persona del Verbo. Riguarda il quinto capo i titoli e gli offici di Cristo. Siccome però ninna controversia cade sopra i titoli ch'esso ha dì capo degli uomini, degli ange- li, di profeta, di re, di giudice, così sono più bre- vemente sviluppati. Contro i sociniani peraltro sta- bilisce la proposizione, che Cristo ebbe un sacerdo- zio veramente e propriamente detto, e che colla sua mortale vita ne compiè interamente gli offici: quin- di fissa e dimostra in una particolare proposizione, che fu mediatore di vero nome e come Dio e come uomo. Quanto poi alla soddisfazione e al merito fa vedere, che Cristo veramente e propriamente soddi- sfece per noi alla divina giustizia, perchè come sa- cerdote offerì se medesimo a Dio in sacrificio e in ostia espiatoria : perchè come sicurtà accollossi i nostri peccati, e ne pagò la pena per essi dovuta: perchè col suo sangue ci redimette : perchè come mediatore, ci riconciliò a Dio e lo placò. Con che pone fine al suo trattato , il quale come ognuno può di leggieri conoscere è si concatenato e connes- 46 Scienze so, che una verità scende naturalmente dall'altra come per legittima conseguenza. Più breve è l'altro che segue intorno al culto dé'santlf ed è diviso in sei capi. Spiegasi nel Ipri- mo la vera idea e divisione del culto, il quale in altro non consiste se non se in quell'onore che a Dio si attribuisce o alle creature ad intuito e ri^ guardo di lui. Questo culto, siccome a tutti è ben noto, dividesi in latria, dulia, e iperdulia, ed è in- terno ed esterno. Nel secondo capo parla TA. del- la onestà e pietà del religioso culto de' santi: està» bilito conj iilosofica precisione lo stato della qui- stione, dimostra che pio è il religioso culto de'san-»- ti, ed immune da ogni idolatria. Perchè fare reca la testimonianza delle sacre scritture che lo com» mondano, l'antichissima tradizione e la consuetudi-» ne della chiesa; passa quindi ad esaminare la natu* ra della cosa stessa, e ricava per la sua tesi una prò» va degli avversari medesimi, recando fra gli altri un potentissimo argomento desunto dall' autorità di Lelbnizio. Dal culto de'santi ne discende per con- seguenza la loro invocazionet ed il p. Perrone so- stiene esser questa utile, valendosi di argomenti de- sunti dalla sacra scrittura, e confermando la sua proposizione col senso tradizionale di tutti i secoli. Passa in seguito a far vedere, che le reliquie e i monumenti de'santi sono piamente ed utilmeu'- te dai cristiani venerati. Per meglio provare la sua tesi , divide i monumenti de' primi tre secoli in quattro classi. La grande premura de' primi cri- stiani in raccogliere i corpi de' martiri , gli pre- senta il primo argomento : deduce il secondo dai monumenti eretti sopra le reliquie de'santi, vale a dire camere, altari ec, il terzo lo desume dalla Teologia del Perbome 4 7 grande sollecitudine dei medesimi in separare le ceneri de'martiri e dividerle da quelle degli altri corpi : il quarto finalmente lo rileva dagli ossequi con cui i cristiani le veneravano. Il capitolo quinto tratta delle sacre immagini: ed in esso il N. A. di- mostra in due separate proposizioni, prima che dalla sacra scrittura si ricava esser lecita questa ve- nerazione, quindi che questo uso e venerazione ri- levasi ancora dall'uso. Siccome poi conveniva all' A. di addimostrarla specialmente dai primi tre secoli, cosi egli si serve di tre validissimi argomenti. Il primo lo desunse dalla consuetudine che avevano i cristiani primitivi di esprimere i misteri della no- stra religione per mezzo de'simLoli, come erano il pesce, la colomha ec, il secondo da questi medesi- mi simboli che si trovano nelle pietre, nelle lu- 'Cerne, nelle gemme, nelle pitture, in cui veggonsi anco espressi alcuni fatti del vecchio e del nuovo testamento: il terzo dagli antichi monumenti di al- tri simboli, co' quali i cristiani effigiarono alcuni fatti della vita di Cristo, la Beatissima Vergine, gli angeli, i santi, non che le figure degli animali, della nave, dell'ancora ec. ec. L'a\itore a conferma della sua dottrina non ha mancato di recare monumenti antichissimi, e quasi contemporanei allo stabilimen- to del cristianesimo, valendosi eziandio dei pili ac- creditati scrittori delle belle arti, come a dire del Winckelmann, Agincourt ec. Stabilitone l'uso, ne dimostra la venerazione con prove positive, e spe- cialmente con l'accusa data dai gentili ai cristiani perchè venerassero la croce e i crocifissi. Saggia- mente poi fa osservare col Petavio, che le immagini non appartengono all' essenza della religione, ma che sono del genere di quelle cose, che non sono G.A.T.LXXUI. 2 18 Scienze assolutamente necessarie, e però è in facoltà dellst chiesa il farne uso o no , secondo cket esigono le diverse circostanze, e la condizione de'fedeli. E ciò che dice delle immagini applica ancora agli alti e- sterni, ossia al rito di questa venerazione, essendo cose che appartengono alla disciplina, e sono sotto- poste al reggimento della chiesa. Per ultimo parla della croce: e lasciata da par- te la quistione sull'autenticità della medesima, im- perocché se quella che adorasi è la vera croce en- tra nel numero delle sacre reliquie, se fatta a so- miglianza della vera appartiene alle immagini, il N. A. dimostra che tanto il culto che i cristiani pre- stano alla vera croce, e alla sua immagine, quanto il segno della medesima che costumano di pratica- re i cristiani, è privo di ogni superstizione. Da questo quadro, che dei due trattati abbia- mo colla maggior ristrettezza abbozzato, può bene argomentarsi la bontà, la chiarezza e la filosofica precisione di quest'opera arricchita di opportune note di ogni genere. Ed infatti non solo di essa hanno con lode parlato giornali accreditatissimi , ma toccando appena la sua meta è stata di già ri- stampata in Augusta, in Lovanio ad uso di quella cattolica università, ed altrove se ne apparecchiano nuove edizioni. Noi non potremmo chiuder meglio questo estratto se non riferendo quanto i dotti editori di Lovanio ne dicono nel loro prospetto di ristampa, traducendo fedelmente dal francese le loro parole. » Il padre Perrone, dicon essi^ profes- sore di teologia dommatica nel collegio romano, per- suaso della necessità di combattere colle loro stesse armi i moderni novatori avea da alcuni anni forma- to il progetto di un corso d'istituzioni teologiche, Teologia del Perrone 19 in cui consei'vandosl tutti i principii generali e le opinioni le piìi sane della teologia antica, si trovas- sero le confutazioni di tutti i moderni errori, ed of- ferire COSI agli studenti de'seminari un corso adat- tato alle circostanze presenti. . . . Per riuscirvi non ha egli risparmiato ne premure ne fatiche: si è po- sto al giorno de'sistemi filosofici e teologici dei no- vatori alemanni, e ovunque le loro dottrine offen- devano il dogma o la verità li ha solidamente confu- tati o colTapplicazione degli antichi principii , o colle loro stesse confessioni. Le numerose note, le quali adornano il testo, piene di solida e svariata erudizione, mostrano fino a qual punto ha spinto l'autore le sue ricerche. Egli più volentieri si occu- pa degli scrittori recenti: nel primo volume cita e confuta frequentemente la teologia dommatica di Wegscheider stampata in Halla nel 1828, opera tut- ta infetta del razionalismo e del socinianismo mo- derno. Il padre Perrone risale pili in alto, e nota l'analogia eh' esiste fra questi errori e quelli di Fichte, Koppen, Niethammer e di molti altri te- deschi, i quali sonosi perduti in uno stravagante idealismo. » Le quistioni dibattute nel nostro paese , e quelle che occupano al di d'oggi le sponde del Reno, non sono sfuggite alla diligenza del p. Per- rone. In una lettera indirizzata ultimamente ad un professore della università cattolica ( di Lovanio ) egli si esprime così «Nel trattato de locis theologicis « a Dio piacendo ho intenzione di scrivere intorno * all'analogia della ragione e della fede, e in que- « sto luogo chiamerò ex professo ad esame i tre « sistemi di La-Mennals, di Bautain, e di Hermes, « e farò conoscere quanto gli uni e gli altri siensi 20 Scienze « scostali (lai vero senso cattolico nei 'loro rispetta « vi sistemi, e fisserò la regola da seguirsi da quel- « li i quali non vogliono traviare dal buon sentiero, « che ci hanno tracciato i nostri maggiori. » Queste consultazioni si necessarie punto non ritardano il cammino dell'autore: le dilìicolta sono presentate con tanta chiarezza, che all'istante si afferrano, e le ri- sposte sono cosi precise, che confermano sempre più la tesi. Le ricerche del P. Perrone lo hanno condotto a trattare parecchie quistioni nuove, che prima di lui non si sono vedute in altri corsi teologici.... „ L'opera che noi annunciamo non è dunque semplicemente uno scritto di circostanza, ma di tut'^ ti i tempi: ne adattato ad un sol paese, ma a tutte le scuole teologiche de'nostri giorni. Non si può rimane- re indifferenti agli errori, e agli aheramenti de'teo- logi protestanti o cattolici senza esporsi al loro di- sprezzo, o non abbandonarli alla loro presunzione: spesso poche parole bastano per addimostrare la futi- lità della loro dottrina. Ma se s'ignorano i loro erro- ri, si crede d'ignorarli per debolezza di spirito, e di non aver forza per seguirli in quelle sublimi regio- ni ove credono di volare. Ora non esiste opera piìi propria a dare una giusta idea di questi errori, che le istituzioni del P. Perrone, che ha veramente ap- profondato le quistioni, e le ha sempre risolute coi soccorsi degli antichi principii. „ Questo non è solo uno scritto di pura con- troversia: contiene un corso completo di teologia dommatica utilissimo alla predicazione .... Ag- giungiamo ancora che lo stile è facile e chiaro, il metodo semplice e lucido, per cui piacevolissima se ne rende la lettura, non vi si osserva alcuno sforzo, alcuna pretensione, ma una costante sempli- Teologia del Perrone 21 cita hen difficile a trovarsi in opere di siffatto genere. „ Dopo il quale giudizio nuU'altro osiamo noi di aggiungere a lode del eh. autore, il quale ha già da- to alla luce il quinto vohiine che contiene i trattati de grafia et de sacramentis in genere, de' quali parleremo in appresso. F. Fabi Montani Continuazione della rivista di alcuni lavori di mC" dico argomento pubblicati dai signori professori Medici^ Ferrarese, Paolini, Borelli, Valentini ec. (V.pag. 272, voi. 175). Osservazioni di tisi polmonare con considerazioni fisiologico-patologiche e terapeutiche intorno la medesima. Del dottore Marco Paolini, letta n el- la seduta della società medico-chirurgica di Bo- logna nel 2Q settembre 1835, e tratta dal voi. 1 delle memorie della predetta società. ( Bolo- gna 1836 ), J-ia pratica esperienza conferma luminosamente l'affetto, con cui il N. A. da principio alla sua in- terressante osservazione; cioè, che « seljhene la ti- fi sichezza polmonare ^colpisca il piìi delle volte gli « oggetti più cari nella primavera della vita, seb- « Lene prediliga le forme piìi delicate e gentili, « pure non la perdona alcuna volta ad individui « robustissimi, facendoli sua vittima nel vigore del- 22 Scienze » la virilità, » Trovavasi infatti all'anno 31 della età sua il milite, che il subietto forma di questa istoria, immune da morbosi attacchi, a ritroso dei disagi e disordini che seco porta la vita del soldato; robustissima era la sua costituzione, ed atletica sor- tito aveva la sua conformazione. Varie forme mor- bose incominciò indi a soffrire, in virtìi delle quali vide l'infermo la necessita di correggere le perni- ciose abitudini contratte, e massimamente quella di fumare il tabacco quasi continuamente, oppure di masticarlo, e di frenare la soverchia passione del vino di cui tracannava moltissima copia, e di bere nel mattino boccali interi di acquavite. Dopo varie alternative di morbose ingruenze e di non perfetta- mente ricuperata salute, si vide prevalere il morbo nel lato sinistro del torace sull'anno ^8 della età sua, rendendosi più pronunciato con chiara diagno- si, e presentando ad intervalli quelle calme e que- gl'inasprimenti che soglionsi comunemente in cosi fatte malattie osservare. Nel marzo del terzo anno , decorrendo il cinquantesimo di sua età, fattisi viep- piìi manifesti i sintomi di tisi polmonare inoltrata, cui aggiungevansi quelli di cronica enterite, fu ri- coverato nell'ospedale di s. Orsola, ove il N. A. ri- copriva la carica di medico assistente al prof. Pa- lazzi medico-chirurgo primario in detto pio stabi- limento (1). « Emaciazione estrema, tosse molesta (i) Onorata ricordanza dobbiamo qui fare dello zelo, eoa cui gareggiano nel prefato spedale il benemerito marchese Pietra- mellara presidente della commissione amministrativa del medesi- mo , e il prelodato sig. prof. Palazzi, tributando ad entrambi le giuste lodi. Il secondo, cioè il sig. Palazzi , a progresso della Rivista Medica. 23 B nelle ore della notte, e seguita nel mattino da « sputo copiosissimo, piuttosto denso di un colore « alle volte giallo-verdastro, striato di sangne, altre « volte di un colore cinereo tendente al nero, di un medicina ed a vantaggio dell'umanità, dopo avere nelle croniche malattie tentati inutilmente i metodi di cura più commendati dalla pratica, viene a mano a mano cimentando quei nuovi , di cui yantansi dai giornali i fortunati successi. 11 presidente d'altron- de, nel favorire quest'ultimo divisamento, vuole che niun mezzo si lasci intentato, ancorché di alto prezzo, purché idoneo riten- gasi ad arrecare un qualche conforto agl'infelici infermi di cro- niche infermità, cui quell'ospitale é destinato. Ed il locale altre- sì ha ricevuto molti ed utilissimi miglioramenti per le cure di quella commissiono amministrativa, che gelosa è stata di secon- dare le paterne intenzioni di quell' eminenlissimo arcivescovo. Con lavori quindi più decorosi ed eleganti, ma insieme più op- portuni per lo ben essere dei malati, si é provveduto all' abban- dono di qualche sala umida, poco ventilata, ed in.=iilubre , col sostituirvi in un quadrato capace di numero i8o infermi ,, quat- „ tro ampie sale spaziose e ben ventilate, due per gli uomini e ,, due per le donne. Gli affetti di morbi venerei e sordidi cu- ,, tanei vengono accolti in sale separate , che sonosi di molto „ migliorate. V'ha un nuovo locale per i bagni ad acqua , il „ quale alla comodità unisce una certa eleganza. L'arena pei ba- j, gni a vapore è stata ridotta a maggiore ampiezza, e le modi- „ ficazioni aggiuntevi le hanno tolto alcuni difetti, per cui è ,, molto preferibile a quella ch'eravi in addietro. Anche il loca- ,, le destinato alla cura dei pazzi abbisognava non solo di esse* ,, re ampliato, ma eziandio che gli si togliessero non poche im- ,, perfezioni, le quali lo rendevano disadatto al trattamento di ,, siffatti ammalati. A ciò ha rivolto provvidamente la sua atten- „ zione la suddetta benemerita commissione , ed al presente si ,, sta innalzando in vicinanza all'antico un nuovo fabbricato: ,, compito il quale , avranno quegl'infelici una più sana e co- ,, moda dimora, potranno instituirsi le necessarie separazioni ri- ,, chieste dalle varie specie di pazzia, si renderà più facile e più, „ sollecita la operazione, e cos'i avrassi uno stabilimento non in- „ feriore ai molti , che l'odierna civiltà ha perfezionati in Ita- „ lia, e di ornamento e di decoro a questa nostra città. ,, 24 Scienze « odore felentisslmo, difficolta di respiro continua « e costante in qualunque posizione del corpo, sia " nel letto, che alzato, accompagnata da un senso « molestissimo di peso e di oppressione a tutto il « torace, sebbene assaissimo remittente nel mattino, « con sudori parziali, viscidi e profusi, ed esacer- « bantesi vicino a sera, sensazioni dolorose e tensio- « ne alla regione ombelllcale, diarea, orine scarse, « di un color carico e quasi sempre sedimentose, « dispepsia, ed abbattimento morale ( cosa straor- « dinaria, perchè con coraggio e somma tranquUli- « tà aveva tino ad ora sofferti tanti mali): tali erano « i morbosi fenomeni che offeriva l'infermo, i quali « pur troppo ci costringevano a lasciare ogni spe- « ranza di ricondurlo in salute. „ Una lunga serie di terapeutici presldli fu posta inutilmente in opera per l'indicato corso di circa tre anni, con somma attività e costanza, con lo scopo di debellare questa terribile malattia. Non si rispar- miò di tratto in tratto il salasso, qualunque volta una forte esacerbazlone lo richiedeva : si applica- rono ripetutamente sanguisughe al torace ed all'ad- dome; si praticarono molte fiate frizioni stibiate al torace, e replicati vescicanti alle braccia, non che in ultimo due fonticoli: si usò lungamente il kermes minerale, la scllla, la gomma ammoniaca, l'estratto di aconito, la mirra, i semi di fellandria, l'acqua di calce, quella di catrame, i decotti di poligala ama- ra e di lichen islandico, il decotto di Settala, il latte in molta copia, l'acetato di saturno, il fumo delle foglie di atropa belladonna state prima infuse in una tintura di oppio, l'acido idrocianlco di Magen- die, l'inspirazione del gas cloro, dell'aria marittima; ne finalmente si trascurarono i purganti oleosi, i RiriSTA Medica 25 clisteri, ed i mucilaginosi, quante volte furono dal- la circostanza richiesti. In onta però di sì insistenti tentativi mancò ai viventi 1' infermo nell' otto- bre 1831. Infra i vari trovamenti nescroscopicì, isvelati dall'autopsia cadaverica, riflessibili sono i seguenti. Si rinvennero quasi intieramente ossificate l'estre- mità sternali delle coste e vere e spurie. La pleura costale aderiva per molte briglie alla polmonare ; era la prima in molti punti realmente ossificata per lunghi tratti, particolarmente nelle regioni superio- re ed anteriore di amendae i lati del torace, che corrispondono alla 3^, 4^ e 5^ costa vera. A mano a mano che la medesima si estendeva tanto anterior- mente verso lo sterno, quanto posteriormente verso . la colonna vertebrale, vestiva natura cartilaginea marcatissima. assai grossa e robusta, la quale però andava assottigliando,ed ofi'eriva piuttosto i caratteri del tessuto fibroso e nelle parti superiori che guar- dano le prime due coste, ed inferiormente ove ade- risce al diafragma. La pleura polmonare alquanto ingrossata, e sparsa qua e la di pseudo-membrane. L'interno tessuto polmonare guasto ed interamente distrutto;ampie caverne fra loro comunicanti, e con- tenenti alcune un materiale marcioso, ne tenevano le veci. Piccolo e ristretto lo stomaco; aumentato di volume il fegato, di colore giallognolo e di una du- X'czza considerevole ; la villosa del digiuno e piìi quella dell'ileo di un color rosso-cupo, qua e la sparsa di esulcerazioni, e al di sotto di esse materia tubercolare. La pelvi del rene destro moltissimo di- stesa, perchè occupata da un calcolo di renella si- migliantissima all'arena, della grandezza di un uo- vo di piccione, le particelle di cui avevano fra loro 26 Scienze pochissima adesione. Si tennero dal N. A. per mol- ti mesi in macerazione le coste unitamente alle por- zioni ossee di pleura che ad esse aderivano ; venne con tal processo distrutta la porzione cartilaginea, e rimasero attaccate alle coste sei lamine o finestre ossee, quattro delie quali della forma e del diame- tro di un parietale di un feto settimestre, e le due altre più piccole; e tali lamine presentavano tutt'i caratteri fisici di una fisiologica ossificazione. Lo studio dei rapporti fra le organiche lesio- ni dalla necroscopia appalesate, ed i sintomi che han segnato il corso del morbo, ha formato il su- bietto delle meditazioni del N. A., il quale alla rife- rita istoria aggiugne preziosissime considerazioni fisiologico-patologiche che rendono assai istruttivo il suo lavoro. Dalla degenerazione osseo-^cartilaginea della pleura costale, assai meglio che dai profondi guasti dei polmoni, viene spiegata la costante e mo- lesta difficoltà sperimentata dall'infermo nell' atto della inspirazione all'innalzamento delle coste. A buon senno infatti riflette il sig. Paolini, che negli ammalati di sola tisi polmonare la difficolta del re- spiro o non compare che nell'ultimo stadio, oppu- re comparendo dapprima segue per lo piìi le vicen- de degli altri morbosi fenomeni , d' inasprimento cioè e di tregua. Ma ingegnosa oltre modo ed assai soddisfacente troviamo l'applicazione analogica del- le odierne cognizioni che possediamo in fisiologia, affin di rendere qualche ragione di un singolare fe- nomeno, che precede le ultime ore del vivere de- gl'infermi di tisi polmonare. La morte ivi di al- cuni di essi è preceduta da una placida agonia, ed il respiro degl'infermi di poco si fa più frequen- te ; mentre all'opposto in altri presenta l'infermo Rivista Medica 27 un orribile e miserando spettacolo di difficolta di respiro salita al grado di ortofnea, di aspetto spa- ventato, di smanie terribili, di conati assidui per soddisfare al pressantissimo bisogno che ha di re- spirare. Or cjuesti due opposti stati sembra che deb' bano essere ingenerati da due opposte cagioni, e che diverse fra loro, dice l'A., debbano offrirsi le alterazioni patologiche degli organi polmonari, o sia per l'estensione e la profondità loro, o sia per la prevalenza del morboso processo in parti piìi o me- no essenziali all'eseguimento di cos'i importante fun- zione. E per render qualche ragione di cotale sin- golarità, profittando il N. A. de'lumi che possedia- mo in grazia degli esperimenti del Rolando, del Legallois, del Wilson Philipp e del Brachct, ap- plicandone al caso in proposito i principii fisiologi- ci (1), conghiettura, che sebbene le alterazioni pa- (i) Sottoponendo il sig. Brachet ad accurate investigazioni il sistema nervoso ganglionarCj ed il nervo pneurno-gastrico , e studiando in pari tempo l'influenza che questi esercitano sulla funzione dei polnioni, giunse colla scorta dei fatti a poter de- durre, che i nervi gangUonari presiedono ai cangiamenti chimici del sangue ed alla secrezione bronchiale, mentre che al pneurno- gastrico compete 1' ufficio di ricevere e trasportare l'impressione al cervello che genera la sensazione del bisogno di respirare, non che qualunque impressione disaggradevole prodotta nei bronchi dalla presenza incomoda del muco e di qualsiasi altro corpo straniero. Cosicché, in virtù di tale ufficio assegnato al nervo pneumo-gastrico, il taglio di esso aegll esperimenti dei bruti non permette più di sentire l'arrivo del sangue ne'polmoni, nò di provare la sensazione che ingenera la privazione dell'aria re- spirabile; sensazione in vero, che ove non siasi tocco il predetto nervo, provasi in alto grado, e con tutte le forze tentasi di sod- disfare, con agitazioni cioè, con apertura della bocca, con dilata- zione delle narici. 28 Scienze tologiche le più rimarchevoli sieno in apparenza si- mìglianti tanto in chi fra i menzionati infermi fini- sce placidamente i suoi giorni, quanto in coloro che muoiono agitati da feroci smanie per respirare, nulladimeno prevalendo nei primi i guasti nelle propagini nervose dell'ottavo palo trovansi nelle istesse condizioni di quegli animali, cui fu questo nervo reciso sotto gli esperimenti indicati dal Bra-» chet. Laddove gli altri infermi, cioè nei secondi , conservandosi intatte di esso nervo alcune dirama- zioni, provano un irresistibile bisogno di respirare, mentre per le degenerazioni degli organi, da cui questa funzione dipende, mancano in molta parte di mezzi onde poterlo appagare. La prodigiosa copia di densa marcia, che per un triennio gittò fuori dai bronchi l'infermo del N. A., viene in conferma della dottrina di quei cli-< nici , i quali ritengono non essere sempre quella in proporzione colla estensione e col grado di dU slruzione del tessuto polmonare, cui da luogo il ram- mollimento dei tubercoli; e non esserne l'esclusivo prodotto, ma effettuarsi pur anco per opera di un filtro morboso, o di una secrezione purulenta, la quale ha luogo dalle pareti spettanti all'incavo ul- ceroso, e dagli stessi bronchi. Per tale continua ed abbondante secrezione di pus egli e che depaupe^ rato viene il liquido riparatore di molta parte di allumina necessaria alla nutrizione, e perdono gl'in- fermi la vita nello stato di deplorabile marasmo, Dal che desume il N. A. la giustissima avvertenza, che tanto più sollecito l'Infausto fine sopravviene, quanto più severa è la dieta a simili pazienti pre- scritta, ed energico il metodo controstimolante pra- ticato ; essendosi egli convinto che sono di molto Rivista Medica 29 tllaggìori i danni da un tal trattamento derivanti alla organica assimilazione, all'ematosìi alla nutri- zione ed all'universale del malato, che i vantaggi cui ritrae per la influenza di lui la parte affetta. La trasformazione osseo^cartilaginea della pleu- ra venne dal N.A. dimostrata mercè della consisten- za, colore, forma, disposizione delle lamine, mercè della tessitura insomma identica a quella che nello stato normale dei due tessuti osseo e cartilagineo riscontransi. La possibilità di cotale trasformazione ossea delle membrane sierose e della pleura viene roborata dalle osservazioni anatomico-patologiche di vari scrittori ; e Tetiologia perfine se ne contem- pla dal sig. Paolini) la cagione cioè di quest'orga- nico pervertimento. E declinando in tale indagine dall'esclusivo parere di coloro, che il risguardaro- no come risultamento, o della irritazione, o della flogosi , o di altrettante conseguenze di specifiche materiali alterazioni dei solidi e dei liquidi essen- zialmente fra loro diverse, fiancheggiato dalle fisio- logiche considerazioni del Tommasini e del Medici, e dalle belle osservazioni microscopiche instituite dal Raspail al fine di scoprire il meccanismo che tiene la natura nella fisiologica primordiale ossifi- cazione e nell'accrescimento progressivo delle ossa, è di opinione che le morbose trasformazioni ossee cartilaginee e fibrose debbano ritenersi come modi o gradi di una stessa condizione morbosa. E men- tre per le osservazioni del Raspail rimane nel ca- so in quistione rischiarato il meccanismo dell'ac- cidentale ossificazione delle membrane sierose, gli eccellenti lavori del Panizza d' altronde pongono fuor di ogni dubbio la tessitura di esse eminente- mente vascolare. Per lo che probabile giudica il N. 30 Scienze A., che prevalendo pef l'ima parte nel sangue, per un* alterazione della sua crasi , il carbonato ed il fosfato di calce, oppure quegli elementi dai quali questi sali risultano, ed avendo luogo per l'altra dietro l'azione di un morboso stimolo un afflusso maggiore di sangue nei vasi che per le sierose in molto numero Serpeggiano, si formi l'incrostamento calcare nelle pareti dei vasi, e ne risulti l'ossifi- cazione : ossificazione che per le cose dichiarate è verisimile che investa il vero tessuto membranoso. Concorre a questo morboso risultamento, ad avviso pur dell'A., l'iperemia o l'infiammazione: dalla qual circostanza viene probabilmente favorito il mecca- nismo dell'incrostamento. Effetto poi dell'esaurimen- to della vitale energia debbe considerarsi l'alterata miscela del sangue, ed analoga perciò a quella per cui si effettuano nella età senile estese ossificazioni di vasi e di membrane. Vien ciò comprovato dalla considerazione delle cause che a cotesti alteramenti danno luogo; tali sono l'abuso del vino e dei liquo- ri spiritosi , le smodate fatiche lungamente soste- nute, e gli eccessi di ogni genere che per l'esau- rimento del principio vitale inducono una precoce decrepitezza. Dopo queste ed altre molte ben apprezzabili premesse discende il N. A. a conchiudere nelle se- guenti forme sul conto delle parziali ossificazioni, e sul proposito di analogia di certi processi mor- bosi ad essa affini. „ Per le quali cose tutte (egli „ dice) parmi verosimile, che qualora in chi per „ le cagioni esposte si generò quella miscela del san- „ gue per la quale vi soprabbondano le sostanze „ calcari, l'opera dei reni normalmente proceda, e „ con tanta energia da essere sufficiente a liberarne Rivista Medica 3f f, il sangue, si aLbia in allora quella forma parti- ^, colare di malattia che si denomina renella; si pro- „ duca in altri la gotta, perchè le loro abitudini, „ gli abusi di venere cioè, il sonno e le oziose piu- „ me affievolendo le forze nerveo-muscolari, e pre- „ valendo la lassezza, intervengono facilmente ipe- ,, remie o infiammazioni nelle articolazioni, per cui „ ivi quelle si separano a preferenza; e finalmente „ in altri procedendo imperfettamente l'opera dei „ reni , e per qualsivoglia cagione sviluppandosi „ una attiva congestione, od un infiammazione nel- „ le membrane, ne conseguita di queste la ossifi- „ cazione „...,, Per tal modo considerando la con- „ gestione vascolare e Tinfiammazione come le ca- ,, gioni prossime di quest'ultima degenerazione, si „ spiega agevolmente come ora divenga ossea la „ pleura, ora raracnoide del cervello ^ ora quella „ del midollo spinale, ora il peritoneo, che inve- „ ste il diafragma ec. Ondechè parmi di poter con- „ chiudere, che la trasformazione ossea e cartila- „ ginea della pleura costale del Toccati (tal era il „ nome del subietto della presente istoria) debba „ probabilmente considerarsi un risultamento im- „ mediato dei replicati attacchi infiammatorii della „ pleura, che unitamente a quelli dei polmoni egli „ ebbe a soggiacere. „ Ne men sagace delle altre, o men ricercata con medica filosofia, si è la spiegazione che ci offre il N. A. della grave degenerazione tubercolosa dei pol- moni ravvisata nel suo infermo per isquittinarne le attenenze con le altre rimarcate lesioni. Se conge- nita non era in quest'ultimo ed originaria la di- sposizione all'affezione tubercolare, debb'egli averla lucrata e col valor delle precedute cagioni e col 32 S e 1 E K « E rigore dello tollerate morbose influenze. E qui spinge piìi oltre le sue ricerche il N. A. per con- chiuderne, ove fia possibile, che la morbosa con- dizione dell'innervazione e della crasi del liquido riparatore, da cui derivano i tubercoli nei polmoni, sia per avventura uguale od analoga a quella che ha prodotta l'ossificazione nella pleura. Vari argo- menti riunisce in sostegno del suo assunto e di co- tal conchiusione, che stabilisce per verisimile, per- chè appoggiato a medesimezza o almeno analogia di cause, ai caratteri fisici dei tubercoli, alle analisi chimiche dei medesimi istituite dal Thenard, alle ricerche di William Henry, alle sperienze di Proust, ed alle osservazioni di Dupuy. Con un sommario finalmente di considerazio- ni terapeutiche chiude il sig. Paolini questa bella e preziosa memoria di cui favelliamo, e che utili possono tornare ai cultori dell'arte salutare. Fra i vari farmachi recentemente preconizzati nella cura della tisichezza, e che vennero, siccome superior- mente si disse, amministrati, si conobbe che il pa- ziente non ritrasse profitto dall' acido idrocianico propinato sotto la formola di Magendie. Parve dap- prima che diminuissero d' intensità le vespertine esacerbazioni; ma niun cangiamento si rimarcò ne- gli sputi e negli altri sintomi , mentre l' infermo aveva d'altronde perduto affatto l'appetito, e lan- guido sentivasi estremamente. La belladonna provo- cava la tosse, e cagionava stordimenti e capogiri. Fu in sulle prime abbastanza tollerato l'uso dell'a- cetato di saturno, e parve moderasse i profusi su- dori parziali; ma in seguito suscitò lancinanti dolori nel tubo intestinale, che furon vinti dagli oleosi e da' clisteri mucilaginosi. Non si promosse grave in-: Rivista Medica 33 sulto di tosse, ne alcuna molesta sensazione dalla in- spirazione del cloro gazoso, e soltanto qualche lieve colpo di tosse alla sua prima impressione; ma ancor questo sussidio terapeutico, sebben continuato per un intiero mese, ebbe la istessa sorte degli altri , siccome inutile riuscì in tre altri infermi della stes- sa malattia, ad onta dei prodigi che diconsi operati dal cloro da Gannal e da Gottereau. Invalse già da lungo tempo il consiglio di far dimorare i ti- sici nelle stalle, siccome pur fece l'infermo del sig. Paolini , o di soggiornare in vicinanza di valli o di paludi ; ma inefficace ed anzi dannoso giusta- mente ritiensi dal N. A. cotal suggerimento. L'os- servazione infatti dimostra, come collocati quest'in- felici sotto un' atmosfera umida e bassa o viziata da eterogenee emanazioni, piìi prestamente si muo- iano; mentre dall'altro canto le autopsìe fatte da Reynaud , da Andrai e da altri , han fatto cono- scere con quale facilita gli animali trasportati dal- le contrade meridionali in un clima umido e fred- do, o rinchiusi senza sole, contraggano l'affezione tu- bercolare. Per lo che saviamente conchiude il N. A. con Forget, che l'influenza di un bel clima è so- la capace di prolungare l'esistenza dei tisici. TONELLI G. A. T. LXXIII. 34 Sulla logica, o sia primo trattato del Corso di fi- losofia del sacerdote veneto Antonio Giusti pro- fessore di essa disciplina nell'I. R. liceo convitto di Venezia. Venezia 183G. Lettera critica di fra- te Domenico BruschelU M. C, professore emerito di logica e metafìsica nella pontificia università di Perugia, alla Eccellenza Reverendissima di monsignor Carlo Emmanuele de'conti Muzzarelli uditore della s, romana rota ec> ec> ec. D, esiderava io da gran tempo e vivamente di con- sacrarvi, monsignor mio stimatissimo, un qualche argomento di ossequio, pel quale io dimostrassi pubblicamente fino a qual segno mi onori della dolcissima e generosa benivolenza che mi concede- te. Ne prima d'ora io venni a ciò, impedito dal ti- more di offerirvi cosa che al vostro pregevole aggra- dimento non si uguagliasse. Tuttavia considerando nel mio pensiero che un letterato e dotto , quale voi siete, non può non riunire alla profonda sapien- za quella nobile e delicata gentilezza che è tanta par- te delle anime eulte, mi sono determinato ad inti- tolarvi la presente epistola, la cjuale ad altro non intende, se non a sottoporre al vostro giudizio al- cune osservazioni che mi è sembrato buono di fare intorno al primo trattato del nuovo corso di filosofia che è dato alla luce in Venezia dal signor Giusti colla promessa del compimento. E mi sollevo a spe- rare che non avrete in ispregio l'offerta , comechè Corso filosofico del Giusti 35 tenue; non gik perchè io la presuma degna dì voi; SI bene perchè grazioso costantemente verso di me, l'avrete a grado, e vorrete tutelarla col patrocinio di un nome che ad ogni saggio e valente suona per fama insigne sì venerato e carissimo. Dopo di che vengo liberamente al proposito. E innanzi tratto, quantunque niente per av- ventura di nuovo ci dia quest'opera sotto T aspetto della invenzione, dacché procede con cjuegli stessi andamenti che dal comune dei logici e dei dialettici da qualche secolo in poi furono praticati ; sembra- mi tuttavia per ciò stesso ben commendevole il no- stro autore per aver dato col proprio fitto a cono- scere, siccome in punto di scienze, ma specialmente di logica ( la quale delle altre tutte bassi a chiama- re il fondamento), potrebbe la novità agevolmente trasmodare in pericolo; e quindi meglio seguirsi in essa le tracce dei nostri antichi di quello che espor- si al rischio di non sicuro do2,matizare. E veramente il signor Giusti ha diviso la sua logica in cinque parti che a un dipresso equivalgono alla omai vieta, se dir si voglia, distribuzione della medesima solita a farsi precipuamente dalla piìi parte delle scuole monastiche. Imperocché nella prima si discori'e delle facoltà e delle operazioni dell anima; nella seconda si comprendono le idee ed i vocaboli che ne sono i nomi; nella terza i giudizi , le proposizioni, i raziocini e le argomentazioni; nel- la cjuarta si pone il modo ad accertarsi della verità; e nella quinta il metodo d'investigare la stessa veri- tà e di proporla agli altri. Nello svolgimento per altro della materia non temerò di proferire, che il sig. Giusti, se non pri- mo e solo, certo è da stimare a ninno secondo fra i 36 Scienze perspicaci e savi ideologisti del tempo nostro ; flou tanto per la notevole perspicuità dello stile , e per quell'ordine lucido, che il venosino apprende a qualsivoglia scrittore , quanto per la sodezza dei pensamenti, per la giustezza delle ponderazioni, per la esattezza dei raziocini, onde la sua beli' opera si fornisce. Talché io bramerei, e penso che ogni buo- no del pari lo bramerebbe, che questa logica larga- mente si divulgasse nella penisola in preferenza di molte altre che intollerabilmente e' ingombrano , acciocché dai giovani si studiasse con desiderio pri- ma di avventurarsi al travalico, se lice usare cotal parola, del mare immenso di cfuella scienza, la qua- le come è atta e possente a sublimare gli spiriti e a ben dirigerli se vi si attenda con sobrietà, cosi gli altera e li disperde, ove con improvida intempe- ranza sia coltivata. Viviamo un secolo, in cui la sana filosofia è ne- cessaria alle nazioni piìi che noi fosse in altro tem- po giammai; e per aggiungere ad una sana filoso- fia, d'uopo è informarsi ad una logica sana. Dac- ché al certo non altramente che per la logica si af- frenano le tendenze più o meno energiche di co- loro, che si consacrano alla sapienza; e da siffatto moderamento tutto dipende il ben riuscire dei gio- vanetti che avranno un giorno somma influenza nel- le civili bisogne della repubblica. Ora penso che toccherobbesi a questo scopo si rilevato per la ope- ra egregia di cui parliamo. E lasciato a parte ch'essa non mostra servilità di partito per cliicchcssia dei filosofi; dacché sic- come è franca da un lato ad impugnare anche dei pìlj rinomati quel che non sembra esattissimo, cos'i dall'altro é sincera nell'applau lire alle opinioni di Corso filosofico del Giusti 37 quelli che segnalaronsi per buona fede nell'ardua ricerca della verità; dirò solo, che i principii da lui gittati sono di tal maniera ben fermi, che men- tre guidano l'intelletto a seguire la serie delle opi- nioni ideologiche , troncano al primo colpo tutti i sofismi dello insidioso materialismo. Difatto poteva egli essere più giudizioso nel segnare il principal fondamento di tutte le umane cognizioni? Lo stabilisce l'autor chiarissimo nel sen- so intimo e universale di tutti gii uomini, cioè a dire m quella interna consapevolezza di ciasche- duno, che è appellata coscienza. Quali utili conse- guenze si derivino da cosiffatto principio, chiun- que ha fiore di senno ben chiaramente lo vede. Con ciò è dimostrata la essenziale attività ed ener- gia dell'anima nostra, e viene al tempo medesimo disvelata la falsità di que'sistemi, su cui pretendo- no di puntellare l'ideologia i passionati fautori del sensualismo. Dai quali si fa gran plauso a certuni, che, non ostante le loro belle parole, hanno la mi- ra di attribuire all'animale organismo ciò che non può derivare se non da un essere puramente spi- rituale. Di che doveva seguitare, che il sig. Giusti si andasse allargando, siccome ha fatto con tutta la precisione, sulle varie operazioni dell'anima, enu- merandone gl'incrementi, e con vera critica espo- nendo di esse i diflferenti fenomeni. Il perchè dob- biamo accertarci, che quanto resta del suo lavoro, allorquando, come ci confidiamo, sarà di pubblica ragione , a così beili preludi perfettamente ri- sponderà. La terza parte di questa logica ci offre un ot- 38 Scienze timo quadro, per cosi esprimermi, di tutto ciò che appartiene alla manifestazione dei pensamenti, spie- gando con sempre uguale chiarezza come si enun- cino i giudizi ed i raziocini, e quali sieno le for- me delle diverse argomentazioni. E la quarta posa i criteri della verità; e finalmente la quinta tratta, come dicemmo, del metodo e di cercarla per se medesimi, e di proporla agli altri. E qui è da no- tare fra molte cose quel giustissimo esame com- parativo che istituisce l'autore intorno ai due me- todi, cioè l'analitico e il sintetico, non che l'appli- cazione di ambedue alla invenzione ed allo inse- gnamento; cose vanamente desiderate in molte ope- re di cotal genere, e perciò al sommo pregevoli. Onde, quasi riepilogando il detto fin ora, con- cluderemo che il sig. Giusti siasi tenuto entro i principii che ha professato, appresso la piìi seve- ra disamina degli errori filosofici che in verità ser- peggiano da ogni parte nei tempi nostri. E che quindi non ci ha lode, la quale ad esso non si con- venga, e la quale a migliore diritto per convenir- gli non sia quando avrà recato innanzi alla italia- na gioventù anche la metafisica. Per tal forma egli sarà uno di que'benefici ristauratori della filosofia, che fansi guida sagace al ritrovamento del vero , cui solo hanno da intendere tutti cjuelli che voglio- no filosofare. Sotto il quale rispetto mi onoro di far menzione d' una eloquente e dottissima prosa dell'inclito porporato Paolo Polidori, avutasi da lui medesimo nel 27 dello scorso aprile nell'aula mas- sima dell'archiginnasio romano, in occasione dell* apertura delle adunanze dell' accademia cattolica. Ove io mi compiacqui di ascoltare nobilmente ma- Corso filosofico del Giusti 39 neggìata questa materia (1); ed ebbi a risentire con- solazione in vedere che i miei pensieri (mi sia le- cito il dirlo) del tutto uniformi alle buone inten- zioni del sig. Giusti , non divergessero punto da quelli che nella sullodata prosa vennero dichiarati. In breve, tornando per un momento al libro di cui si ragiona, la vista dei lumi che ci dìx in esso il veneto professore si è tale, che vivamente ci stimola ad esortarlo anche una volta , perchè non tardi all'Italia la promissione ch'egli ne fa di compirne l'intero corso. Conciossiachè non dubitia- mo che di quest'opera sia per giovarsi non tanto la gioventìi amica delle filosofiche discipline e ab- Lisognosa d'insegnamento, quanto coloro che hanno in esso l'officio nobile di maestri. Questo cenno di critica non potrebbe, monsi- gnor mio stimatissimo, ad altri meglio essere in- titolato che a voi; perchè alle finezze della lette- ratura congiungete, per ciò che riguarda le scienze, il pili retto discernimento. Qualunque egli sia, de- gnatevi di aggradirlo per le ragioni che fino dal bel principio vi addussi; e permettetemi che ab- bia il bene di confermarmi Di Vostra Eccellenza Riiia Roma 19 maggio 1837. Umo Devnio Obblmo Servitore F. Domenico Bruschelli (i) II subbietto della prosa fu concepito in questi termini; ,, Necessità di porre argine alla ognora crescente empietà del secolo nostro con una riforma fondamentale degli studi filosofi- ci, e in modo speciale della metafisica. „ 40 Della cetraria islandica: Lichene d'Islanda. Oono più anni dacché impresi a parlare del li- chene islandlco, e fu quando conobbi che il carbo- ne animale aveva la proprietà di assorbire la sostan- za amara non alcaloidea contenuta nei vegetabili ; ed in allora io proposi di trattare la decozione del lichene islandico col carbone sopraddetto per aver la gelatina spogliata dalla sua amarezza (1). In ap- presso , seppi che alcuni chimici francesi avevano parlato anche di questa preparazione del lichene, ed il sig. Berzelìus nel suo trattato di chimica ne fa egual menzione. Seppi in seguito che il salino amarissimo del sig. Rigatelli, altro non era se non che la sostanza amara contenuta in questo lichene. Avendo dovuto preparare della gelatina dì questa pianta, mi tornò l'idea di fare altre indagini. Io qui non parlerò che di quelle cose cadute- mi sotto i sensi: ed i miei colleghi giudicheranno se questo mio lavoro potrà essere di qualche sus- sidio alla scienza. In primo m'avvidi che una decozione di liche- ne di sapore amaro tingeva in rosso una carta tin- ta col tornasole, e che bollita per lungo tempo per- deva in gran parte la sua amarezza, ed in allora non reagiva sopra la medesima carta. Se sopra una (i) Gazzetta eccletica di Verona, marzo i833, pag. 87. Cetraria Isalandica 41 decozione non prolungata coireboUizione versavasi un poco d'acido solforico allungato, essa s'intorbi- dava, e col riposo deponeva un precipitato gelati- noso, il quale separato con pannolino ed alquanto lavato, era amaro. Questa gelatina, dopo di essere stata asciugata con carta emporetica, fu da me trat- tata coll'alcool LoUente, e conobbi che questo flui- do aveva disciolto la sostanza amara. Allungai la soluzione coU'acqua, e si formò un intorbidamento, quindi un precipitato giallastro, il quale aveva un sapore amaro. La sostanza non disciolta dall'alcool aveva un aspetto grumoso, era molle; fu fatta bol- lire nell'acqua, si rigonfiò ed in parte si disciolse. Fu separato il liquido da alcuni fiocchi, che riu- niti presero un'apparenza gelatinosa, e questi fu- rono messi a bollire nell'acqua contenente un po- co di potassa: essi si disciolsero perfettamente, e col raffreddamento si rappigliarono in forma di ge- latina. Ridisciolta questa gelatina coU'acqua, vi fu versato dell'alcool, del solfato di rame, del cloruro di calcio, e formaronsi precipitati gelatinosi. L'andamento di queste cose mi ha fatto sup- porre, che la parte amara si sarebbe potuta sepa- rare molto facilmente. Misi in fatti una libra di lichene polverizzato in infusione nell'acqua distillata fredda, nella qua- le aggiunsi una dramma di carbonato di potassa cristallizzato, ed agitai di tanto in tanto il miscu- glio. Dopo lo spazio di poche ore trovai il liquido amaro, ma veruna azione mostrò avere sopra la car- ta tinta colla curcuma. Un'altra dramma di carbo- nato di potassa aggiunsi al miscuglio antecedente, e dopo il medesimo tempo rinvenni essere un poco amaro. Una terza dramma dello stesso sale fu sciol- 42 Scienze to nello stesso miscuglio, e dopo di averlo ben agi- tato, il fluido cambiò in rosso la carta tinta di cur- cuma; ma dopo qualche tempo cessò la sua azione sopra la medesima, e l'amaro era del tutto sparito. Tali descritte circostanze mi dimostrarono esser nel lichene un acido, il quale a mano a mano combi- navasi colla potassa e perdeva la sua amarezza. Ten- tai allora di separare il fluido dal lichene, e ver- sarvi sopra dell'acido solforico: ed ottenni un pre- cipitato giallo verdastro, il quale non aveva pro- priamente un sapore amaro, ma astringente. Conob- bi in seguito che questo precipitato racchiudeva della cera, della clorofilla, ed un poco di parte co- lorante astringente. Già dissi in altra circostanza, che 11 carbone animale aveva la proprietà di assorbire la sostanza amara contenuta in una decozione di lichene. Da quanto sarò per dire vedrassi, che questo carbone non solo ha la proprietà di assorbire la parte ama- ra, ma ancora quella che costituisce la gelatina. Una decozione di lichene perfettamente deco- lorata col carbone, oltre al non essere più amara, non e nemmeno acida. Fatta questa evaporare a consistenza di sciroppo, non somministrò gelatina col raffreddamento, ed il fluido tingeva in rosso una carta colorata colla curcuma; cosicché, col solo trat- tare la decozione col carbone animale, acquistò que- sta proprietà. Questo residuo fu fatto bollire coli' alcool, che disciolse pochissima parte colorante, ed insoluti rimasero della gomma, che non formava ge- latina coU'acqua, ed alcuni sali. Il carbone, che ha servito al decoloramento del- la decozione di lichene, fu lavato e diseccato, quin- di trattato coli' alcool bollente , che non disciolse Cetraria Islandica 43 che un poco di parte colorante: fu anche fatto bol- lire colfacqua, e non mostrò avere veruna azione sopra il medesimo : ma aggiunta un poco di po- tassa all'acqua stessa, si ebbe un liquido colorato giallo non amaro, che evaporato si rappigliò in ge- latina, la quale bollita coU'alcool onde toglierli l'ec- cesso di potassa e la parte colorante, il residuo avu- to dopo tale trattamento aveva l'aspetto di una so- stanza molle, oscura, che si discioglieva nell'acqua bollente formando gelatina. Questa stessa gelatina, dìsciolta nell'acqua in maggiore quantità, fu trat- tata col carbone animale; la parte capace di som- ministrare gelatina unita alla potassa venne inte- ramente assorbita dal carbone, e la potassa si rin- venne nel fluido acqueo» Gl'indicati sperimenti sembrano sufficienti per conchiudere, che la parte amara contenuta nel li- chene possa appartenere ad un acido; che questa sia nel lichene in combinazione , od in semplice unione colla potassa, per il che possa disciogliersi nell'acqua: che egualmente sia acida la sostanza at- ta a formare gelatina: che questa sia del pari te- nuta in soluzione dalla potassa: che la prima sia un acido particolare: che la seconda appartenga all' acido poetico. Il carbone, assorbendo questi due aci- di, lascia libera la potassa: ma dico che il primo pos- sa decomporsi, e che il secondo rimanga nel carbone nel suo stato d'acido, il quale siccome insolubile nell' alcool e nell'acqua non possa dal carbone riaversi se non coU'addizione della potassa, la quale unen- dosi all'acido poetico ritenuto dal carbone, forma il pectato di potassa solubile nell'acqua e capace di formare gelatina. Il sig. Berzeliiis nella sua anali- si del lichene parla del bilichenato potassico. Un M Scienze dubbio della presenza dell'acido pectico in questo vegetabile lo ha anche dimostrato, e Io ha creduto nel sedimento estrattivo lo stesso chimico. Che in realtà l'acido pectico ritrovisi nel li- chene combinato colla potassa, si vedrà da quanto sarò per dimostrare della gelatina di lichene otte- nuta con prolungata ebullizione. Fu messa sopra un filtro di carta: dalla medesima si separò un li- quido alquanto viscoso, il quale non cambiava in rosso una carta tinta col tornasole. Fu fatto eva- porare: quindi fu messo in una capsula , e posto al calore di una stufa onde diseccarlo: si ottenne una sostanza lucida, che si distaccò facilmente dal vase in forma di scaglie colorate in giallo scuro. Furono messe dette scaglie nell'acqua distillata bol- lente, nella quale si sciolsero in parte, ed insoluti rimasero alcuni grumi molli, che furono separati col mezzo di un pannolino. Il fluido diviso da que- sti fu fatto evaporare, e non somministrò gelatina col raffreddamento. Sopra una porzione di questo furono versate alcune gocce di tintura di jodo, e si ottenne una tinta blu, indizio che in esso si con- teneva della fecola. Fu fatto evaporare il liquido sino a secchezza, aumentata poscia la temperatura si anneri rigonfiando e tramandando un odore di zuccaro abbruciato: il residuo fu ridotto in cenere. Messa questa nell'acqua distillata, si trovò che cam- biava in rosso una carta tinta colla curcuma: ag- giuntovi un poco di acido azotico, si produsse ef- fervescenza: trattata la soluzione coll'ossalato d'am- moniaca, si formò un precipitato bianco. 11 residuo liquido evaporato sino a siccità fu trattato coU'al- cool, il cpiale disciolse dell'azotato di calce, e ri- mase insoluto un sale, il quale disciolto nell'acqua, Cetraria Islandica. 4-5 e lentamente evaporato, somministrò dei piccioli cristalli di azotato di potassa. Un'altra sporienza che fa direttamente cono- scere essere 1' acido pectico in combinazione colla potassa, e che del pari lo è la sostanza amara, è la ente. Del lichene polverizzato fu messo in infusione neir acqua distillata , e dopo qualche ora si vide che tingeva alcun poco in rosso nna carta tinta col tornasole: essa però non era punto amara. Fu messa al fuoco, e portata all'ebullizione, indi colata con panno di lana. Il fluido, che era alquanto den- so, formò gelatina col raffreddamento. Questa gela- tina era amarissima, e posta sopra un filtro di lana lasciò separare un fluido, il quale non era ne acido ne amaro. La gelatina, deacquificata in gran parte con carta emporetica, fu trattata con alcool bollen- te. Colato il fluido alcoolico, aveva un sapore ama- ro. Diluito coU'acqua, non s'intorbidava: ma versan- dovi cjualche goccia d'acido solforico allungatissimo, diveniva opalino. Evaporato l'alcool si ottenne un residuo amaro; il quale fu fatto diseccare, indi ab- bruciare, e le ceneri furono disciolte nell' acqua ; questa soluzione cambiava fortemente in rosso una carta tinta colla curcuma. La gelatina, trattata già coH'alcool, fu diluita con accjna distillata contenen- te dell'acido acetico: filtrato il fluido, fu messo in capsola di platino ad evaporare sino a siccità, e la- sciò un residuo salino; portata la capsula all'incan- descenza, e raff"reddata poscia, vi si versò un poco d'acqua distillata, la quale soluzione tingeva in ros- so la carta tinta colla curcuma. Se la gelatina di sopra nominata, già trattata coH'alcool, si faccia diseccare, e cjuindi polverizza- 46 S e I E N a e: re, e poscia bollire colPacqua, può servire a for- mare un'altra volta gelatina di lichene. Questa rac- chiude una gomma della natura stessa della gom- ma dragante, un poco di fecula, e del pectato di potassa. Riconosciuti i principii che costituiscono la ge- latina di lichene, riconosciuto ancora essere l'ama- ro contenuto nel medesimo un sale ^ il cui acido che ritrovasi in eccesso è combinato con un po- co di potassa , e che giustamente secondo il sig. Berzelius potrà chiamarsi bilichenato potassico , formando il salino amarlssimo del sig. Rigatelli: os- servato che quando l'eccesso dell'acido viene satu- rato colla potassa, o con qualche altro ossido me- tallico, il sale perdeva la sua amarezza, e che cer- cando di togliere la potassa con un altr'acido, non mai si è potuto avere l'acido isolato: considerando ancora che un' ebuUizione prolungata del lichene nell'acqua, era sufficiente per distruggere Tamarez- za; ho desistito a fare ulteriori indagini onde avere l'amaro isolato, ed invece mi sono convinto che per ottenerlo conveniva seguire il metodo già annun- ciato dallo scopritore, e che descritto ritrovasi nella gazzetta eccletica di Verona, mese di giugno 1835, e che per comodo de'miei colleghi vado a trascrivere. » Sopra una parte di lichene polverizzato si ver- sano quattro parti di spirito del commercio, che segni 33 a 34 gradi dell'areometro di Baumèr Po- sto ciò in matraccio, si faccia infusione a B. M. per un'ora, quasi alla bollitura. Poscia si faccia bollire per Saio minuti; così bollente se ne sprema con forza la tintura, rimettendo nel matraccio medesi- mo il vegetabile, sottoponendo subito ad altra pari Cetraria Islandica 47 infusione e bollitura, ma con una sola parte di al- cool ed una tli acqua dì fonte. » Spremuta anche questa infusione, ed unita alla prima, si rimette nel matraccio già reso poUito, fa- cendola bollire per due minuti, filtrandola poi pron- tamente per carta, o per stamina. Intanto che ope- rasi la filtrazione, si versano 36 parti di acqua fred- da sopra il residuato lichene; e ben bene agitato, lo si abbandona alla quiete. In mezz' ora tutto il vegetabile sarà deposto; e l'acqua, divenuta legger- mente amara ed un po' torbida, si verserà tutta di- ligentemente nella tintura alcoolica già filtrata, evi- tando che si strascini la più piccola quantità di de- posito. » Aggiungendo all'acqueo spiritoso liquore tre dramme di acido solforico (supposto che si abbia operato sopra una libra di lichene: il che starebbe nella proporzione di circa tre centesimi d'acido in confronto della pianta), si per Tuna che per l'al- tra addizione lattiginoso sarà divenuto tutto il li- quore , separantesi tosto il salino amarissimo in istrati fioccosi bianchi verdicci , e dopo d' averlo bene agitato si abbandona alla quiete per alcune ore. Pel riposo 1' amarissimo si sarà raccolto sul fondo del recipiente, dal quale si toglie mediante l'estrazione del liquore soprastante; o col mezzo del sifone , o colla filtrazione portando sur un feltro l'amarissimo deposito a spogliarsi delle ultime por- zioni del liquor acido spiritoso; anzi sarà bene ver- sarvi sopra poca acqua fredda, la quale filtrando lo spoglierà affatto. La sostanza amara rimasta so- pra il filtro si disciolga in 36 parti di acqua bol- lente, e la soluzione in questo stato si filtri, e si aggiunga tre dramme d'acido solforico: si agiti ben 48 S e I E W Z K bpne 11 miscuglio dibattendolo con mazzo di vimi- ni, ed abbandonato quindi a se stesso si vedrà a separarsi il lichenino amarissimo in bellissimi fioc- chi di un bianco perla, i quali si depositeranno al fondo dei vase. Separati i quali per mezzo di un pannolino, si lavano alquanto, indi con un po- co di pressione sì spogliano dell'acqua che stret- tamente tengono unita, poi si diseccano al calore di una stufa. » Lo scopritore dell'amaro del liche- ne assicura, che somministrato nelle febbri perio- diche, come il solfato di chinina, tronca la fe])bre siccome il medesimo. Pietro Peretti Professore di Farmacia il'- e 49 LETTERATURA Degli antichi tuscaniensi^ e dei varii modi di seppellire in l^uscania. Jl ra i popoli dell'antica Etruria annoverati da Plinio (1) sono i tuscanieìises, la cui citta fu Tu' scania, oggi Toscanella, mia patria. Siede questa su la destra riva del fiume Marta, eh' è l'emissario del lago di Bolsena, anticamente lacus vulsiniensis^ nella media distanza in circa fra detto luogo ed il mare tirreno. Era posta su la via Clodia , ora di- strutta, a miglia LVII da Roma, com'è a vedere nell'antico itinerario che i dotti conoscono sotto il nome di tavola peutingeriana. Ivi dopo la stazione di Blera (scorrettamente segnato nella tavola Olerà) altra cospicua citta della stessa nazione, oggi ridot- ta a piccolo paese col nome di Biada, è segnata la distanza di miglia Villi, quindi Marta SS, cioè Marta fluinen ( poiché quel segno SS è il solito, col quale nella tavola vengono i fiumi indicati ) : indi immediatamente Tuscana senza interposizione di (i) H. N. Uh. HI, 9. G. A. T. LXXIII. 50 Letteratura veruna distanza fra il fiume e la citta. Ed è cor 51 infatto, come dall'itinerario si rappresenta, esi- stendo anche oggi il vecchio muro urbano di To- scanella a contatto col fiume Marta, e col ponte ora diruto che Io attraversa. Sebbene da tuscaniensis venga Tuscania e non Tuscana, certo è che anche negli antichi tempi fu detta questa citta pell'un mo- do e nell'altro: e della seconda appellazione abbiamo esempio indubitato in una lapida del musep Medi- ceo pubblicata dal Gori e dal Muratori, e piìi accu- ratamente dal Marini (1), contenente un catalogo di soldati romani con la indicazione delle loro patrie, dove si ha MENOPOTIVS TVSGANA. Da Tusca- nia e Tuscana più tardi si fece Tiiscanella e Toscanella, cpme oggi si dice. La cjuale appel- lazione trovasi la prima volta ( parlo dei documenti legittimi, non tje'falsi, come il celebre decreto di Desiderio re de' longobardi favoleggiato da frate Annio da Viterbo) usata nella lapida del 1300 po- sta in Campidoglio , tuttora esistente, la quale vò qui trascrivere come importante monumento alla storia di detta città nel medio evo, ed è la seguente: (i) Fratr. Arv. toni. I, pag. 333. AnT/CIII TUSCAKIENSI 51 + MILLE . TIIECETEMS . DUI . CVBIIENTIBVS . ANNIS. PAPA . BOMFATIVS . OCTAVVS . IN . ORBE . VIGEBAT. TVKC . ANIBALLENSIS . RICCARDVS . DE • COLISEO. NEC . NO!V . GENTILIS . VRSINA . PROLE . CREATVS. AMBO . SENATORE* . ROMANI . CV • PACE . REGEBANf. PER . QVOS . lA , PRIDE . TV . TVSCANELLA . FVISTI. OB , DIRV . DAPNATA . NEPIIAS . TIBI . DEPTA • POTESTAS. SVMDl . ReGIM . EST . AT . DATA . IVRIByS . VRBIS. (1) FRVMTI . RYBLA . BIS . WILIA . TERRE . COEGIT. ANNVA . TE . ROMA • VEL . LIBRAS • SOLyERE . MILLE* CYM . DEVS . ATTVLEIT . ROlVIANIS . FERTIUTATEM. CAPANAIH . PP' I . PORTAS . DEDVCERE . ROWAM. OCTO . LVDENTES . ROMANQS (sic) MIcTERE . LVDIS. MAIOBI . PENA . Pp'l . PIETATE . REMISSA. STNT . QVOq' . COMMVNIS . SERVATA . PALATIA . ROME. DV . MODO . CERTE . RVANT . TLRES . q' • PALATIA . MVRl. SI . RVBLSVS . FVRERE . TETET . FORT . ASSIS . IN . VRBEM. VEL . lAM . PRDLATA . NOLI NT • DECRETA . TENERE. IN . EOE . REPONATVR . SACRA . P • TPE . GVERRE- TEPORE . VEL . CARO . SERVADA • PECVNIA . PRSVS. (2) Scorgesi da questa lapida quanto ancora fio- risse questa citta nel 1300. Imperciocché , oltre (i) Male il Turriozzi lesse - libi denipla potestas SUMMl REGIM IN IS EXTAT eie. [Memorie storiche della città di Toscanella, Roma i^yS. ) Egli doveva leggere : Tibi dempta po- testas sumendi reginten est, at data iuribus urbis - ch'è qnauto dire; ti è stato tolto il diritto di governarti da te, e dato a Roma. (2) Cf. Galletti, Inscript. Rom. tom. IL p. IV, V. 53 Letteratura che quel suo ardimento eli rivoltarsi contro il se- natore ed il popolo romano, che in quella epoca si erano impadroniti del governo dello stato e do- minavano in Toscanella , come su'l resto (di che sono non poche altre memorie), cader non poteva in capo d'una popolazione fiacca e ristretta , più chiaro argomento n'è la grave pena, cui per la sua ribellione fu condannata da'vincitori romani. Non dico dell'esser privata del diritto di governarsi da se, e d'aversi veduto spogliar delle porte e della campana municipale coadotta a Roma, ne del do- vere ogni anno spedire alle feste del carnevale ot- to giuocatori (cose che ci «ricordano i puerili costu- mi «li quella età, quando le più serie guerre so- vente finivano con far co'nemici fl dispetto di bric- colar nelle loro citta un asino, o col far correre un palio dalle meretrici su '1 loro territorio, o con altri insulti di tal fatta), dico bensì di quella par- te di pena molto più solida e sostanziale, di che la obbligava di spedire a sue spese a Roma parimenti in ogni anno due mila rabbia di grano , ovvero negli anni fertili di corrispondergliene il prezzo equivalente. Trovasi negli archivi di quel comu- ne, che lungo tempo la nostra citta sostenne si du- ra multa, fino a che dai papi ne fu a poco a po- co assoluta intieramente verso la fine del secolo XV, Per quanta però si fosse la di lei opulenza nel medio evo, non v'ha dubbio che nella epoca etru^ sca era lungamente maggiore. Testimoni ne sono i ruderi delle magnifiche costruzioni di quel tem- po, la unmcnsa quantità de' suoi ipogei, e soprat- tutto l'ampiezza del suo territorio, che a dispetto delle varie diminuzioni, cui andò soggetto ne'poste- riori secoli, si estende pur oggi alla vistosa quan- Antichi tusganieksi 53 tita (li rubbia dodici mila romane. E Com'egli e per sua natura assai fertile, irrigato da perpetue e spesse sorgenti, diviso in agili colli e pianure, G per ciò ad ogni genere d'agricoltura opportunis- simo, in fine perchè rimane a poca distanza dal mare, facilmente comprendesi quali dovizie ritrar ne dovessero gli antichi abitatori, presso i quali l'arte de'campi era in un con la milizia il domesti- co esercizio: ne meno lo era il commercio, al qual uopo la citta possedeva il porto delle Marcile su'! Litorale di Montalto, che le fu ne'piìi tardi tempi confermato da un diploma dell'imperadore Federi- co II. Scorrendo questo territorio, e le immense bor- gate di cui veniva popolato, ben vediamo come gli etruschi costumavano di diffondere la popolazione fino agli estremi confini del medesimo, piuttosto che tenerla raunata nella citta, dove per ordinario ri-' siedevano i ricchi ed agiati cittadini^ gli addetti al governo ed ai ministeri della religione , alle arti più nobili ed ai diversi ministeri della vita civile. Così ottenevano essi due grandi Vantaggi ^ quello ., cioè che la gente addetta all'esercizio de'campi abi- tava ne'campi medesimi, e lungi dal lusso della cit* ta, e dai vizi che ne discendono, serbava intatta la frugalità, la semplicità de'costumi e la robustezza campestre; l'altro che, come bene osserva Aristotile ne'libri della politica, nel caso di una nemica in- vasione erano pronti alla prima difesa i cittadini abitanti sullo stesso confine del territorio, di dove ne volava l'avviso di borgata in borgata a tutte le altre parti, ed alla cittk finalmente, che mai per ciò non poteva esser colta alla impensata. Nelle pub- bliche memorie di quella citta si contano meglio ehe quaranta di simili borgate sparse nel suo ter- 54 Letteratura ritorio, ed ancor queste durarono per la più parte sotto la denominazione di castelli fino al secolo XV, quando il cardinal Vitellesclii, generale delle armi pontificie sotto il papa Eugenio IV, li distrusse ge- neralmente in odio dc'piccoli tiranni che vi si era- no annidati, e che domati comunque in breve vi rinascevano. Atto fu quello di malintesa politica militare: e da questo si dee ripetere la desolazione delle nostre campagne , che poco piii poco meno coU'opera de'villani abitanti fino dalla epoca etru- sca in quelle borgate si erano conservate floride e coltivate di stabile piantagione. Perche non pos^sa dubitarsi dell'antica istitu- zione etrusca di qUe'luoghi, durano in essi gl'ipo- gei ed i cuniculi e le altre fogge di sepolcri che dagli etruschi si usavano, e fra i loro ruderi non di rado si scoprono iscrizioni d'etrusco carattere , e bronzi, e vasi, e tazze ed altri cocci indubitata- mente appartenenti a quella nazione, siccome a luo- go a luogo si vedono avanzi di muraglie che ebbe- ro etruschi fiibbricatori. Ne men curioso è il ve- dere come i dintorni di queste dirute borgate con- servino ancora i segni e le rinascenze delle anti- chissime piantagioni, comunque oggi insalvatichite dalla lunga incuria e dal totale abbandono. Veg- gonsi ceppi vetustissimi d'olivi^ pianta vivacissima, e che una volta profondamente abbarbicatasi sul sasso non perisce a dispetto di molti secoli, comun- que imbastardisca il suo frutto per mancanza della usata cultura: veggonsi lambruschi e frutti di più specie al modo stesso degenerati dalla primiera gen- tilezza, le quali piante non sogliono incontrarsi ne' terreni che sempre fur bosco, e non mai tali piante nutricarono. In somma un occhio osservatore ed av- Antichi tuscaniensi 55 vezzo a simili indagini per piìi indizi permanenti può facilmente riconoscere e rappresentarsi Tanti- co statò di queste contrade senza pericolo di erro- re. II che sebbene ini qualche parte si verifichi cir- ca le sedi una volta abitate daìllé altre nazioni, che poi dal mìondo disparvero, di niunai di esse si tro- vano ne si frequenti ne si parlanti quanto della Etruria, perche ninna al paro di questa fu opero- sa per tramandare ai posteri le sue memorie e co' àùoiì scritti in pietre ed in tegoli, e coll'artè di la- vorare in ogni genere di metalli e nella creta, e con quellai di fabbricare solidissime muraglie , di tagliare lunghe e coiriode vie dentro alle rupi, di appianar la fronte delle rupi medesime e di scol- pirvi sopra ad ornato de' loro ipogei , di scavare acquedotti sotterranei di straordinaria magnificenza, e fare altre tali opere, che impresso portano inde- lebilmente il nazionale car^attere. Quanto piìi il territorio si accosta vicino alla citta, tanto più gli antichi vestigi si moltiplicano e più gr'andiosi divengono: è quegl*ipogéi che in- tornò alle borgate mostrano d'aver appartenuto ad una più ristrétta popolazione, presso la citta in- gortibrano la più patrie delle terre adiacenti, quelle principalmente che somministraivano un fondo tu- faceo ed abbastanza solido per la costruzione delie camere sepolcrali, che fu il modo più magnifico di sepoltura usato dalla nazióne nello stato della sua maggiore opulenza. Ora perchè il dire delle sepol- ture degli etruschi è cosa quanto necessaria alla in- telligenza de'loro costumi, tanto complicatai e varia, utile sarà: e dilettevole a*noslri leggitori che loro ne diamo un qualche ragguaglio particolare. Quanto più c'inoltriamo nell'antichità trovia; 56 Letteratura mo radicalo nella umana razza l'universale senti- mento della immortalità dell'anima, e della vene- razione e del rispetto che dovevasi a'cadaveri destra- passati. Gli etruschi, le cui origini si perdono nella caligine de'secoli antichissimi, non solo per questa parte non cedono a verun'altra nazione antica , ma fra tutti si distinguono per la varietà delle ma- niere, con cui si studiarono di esercitare la loro aft'e- zione ed il cullo verso le ceneri de'loro defunti. Io le descriverò, incominciando dalle più antiche e pe- rò più semplici e disadorne, fino a quelle del mag- gior lusso e splendore, e che ci annunziano i piìi bei tempi del loro imperio. Troviamo dapprima i sepolcri fatti a tumulo , cioò una fossa cavata nel suolo di tanta grandezza e non più, quanta bastasse a coprire il morto, cui poi ricoprivano con rozze tegole e con la terra al di so- pra ammonticchiata. Ognun vede che modo più sem- plice di questo non può idearsi, e conviene perciò riferirlo ai tempi più vetusti della nazione. Imper- ciocché anche questa nazione ebbe i suoi principli, e ondunque provenisse, allorché giunse e si fermò in Italia, ebbe da prima a lottare con la povertà e la scarsezza che sono indivisibili dal nuovo stato di qualunque popolo, ancorché non abbia nemici a combattere nel suo primo stabilimento. Qualche coccio, che in questi tumuli si trova, è di quella ter- ra di color nero, che fu la materia del più antico loFO artifizio, e che attestano con la rozzezza del la- voro e Ja semplicità delle forme i primordi della nazione. L'altra antichissima maniera noi crediamo che fosse quella dei cuniculi, scavati alla profondità di molti metri, più o meno secondo la natura del suo- Antichi tlscanieksi 57 Io, (Iella larghezza eli due o poco più palmi ( salvo alcuni pochi di maggior larghezza ) e dciraltczza Laslante perchè vi si potesse andare in piedi e dirit- ti della persona. La lunghezza di questi è talvolta di un quarto di miglio romano : talvolta se ne tro- vano molti insieme alla stessa profondita e livello , alquanto distanti gli uni dagli altri, ne mal, ch'io mi sappia, comunicanti fra loro. Sembra, che come fu poi praticato delle camere sepolcrali, ogni fami- glia avesse il suo cuniculo, dove i suoi defunti nelle successive generazioni venissero collocati. Si comin- ciava ad interrarli dalla estremità opposta airin- gresso, e cosi a mano a mano si riempivano di ca- daveri e di terra, ed ora di rado vi si univano que' vasi che dissi della piìi rozza maniera, e quando il cuniculo era affatto ripieno, con grandi sassi ne chiudevano l'ingresso. Per tale maniera i cadaveri affidati alle profonde viscere della terra divenivano inviolabili, ed agli uomini ed alle bestie inaccessi- bili. Trovansi talvolta altissimi pozzi perpendicola- ri quadrati o rotondi, che nel fondo cangiano la lo- ro direzione in quella orlzontale, e divengono cuni- culi al modo che qui sopra si è detto ; onde pare che il pozzo non servisse ad altro che alla maggior difesa del sagro deposito. Ma ed i tumuli ed i cu- niculi cessero a poco a poco a quell'uso piìi nobile , in cui tutta sfoggiò la ricchezza della nazione, e che non finì se non con la ricchezza medesima, quello cioè delle camere sepolcrali. Fuori sempre della citta ( dove, per quanto i fatti dimostrano, non era concesso di seppellire i ca- daveri ) ma in vicinanza, e per quanto potevasi , a vista della citta medesima, le camere sepolcrali si ordinarono o su la ripa adiacente ad una valle o ad 58 Letteratura un fiilTrticello, quando queste ripe fossero praticabi- li e di iinà materia che cedesse allo scarpello, od in mancfarlza di queste sulla pianura, purché di un fon- do abbastanza sodo da soffrire il piccone senza pe- ricolo di sciòglielrsi e riiiriaìré. L' innato desiderio degli udniihi di siotpravvivere alla morte nella me- moria dei'pósteri^ come: dettava quella vicinanza di sepolcreti all'abitazione de' vivi, dettava ugualmen- te la lóro collocazione pt^esso le strade principa- li, e più frequentate da' viaggiatori: costume che appartenne egualmente agli altri più colti popoli, e segnatamente a'greci ed a'romani, che solevano porre le loro epigrafi mortuarie allo scoperto. I toscani peraltro nascondevano le loro epigra- fi dentro la stessa tomba, ne alcuna mii fiì dato ve- derne al di fuori della medesima : nel che sé i de- funti per'devano dal canto della celebrità de'lòro no- mi, guadagnavano certamente da quello dellai du- rata delle loro epigrafi, lontane come gli stessi ca- daveri da qualunque pericolo di devastazione. Ne voglio dire con questo, che nessun segno ponessero al di fuori per avvertire i forestieri che in urt dato sito esisteva un lor cimiterio. Nei celebri sepólcri di CasteU'Asso presso Viterbo, oltre che vedesi la rupe stessa che li contiene adornata architettonica- mente di divei'se sculture (1)^ evvi Scritto in alto a lettere cubitali incavate nel masso il motto - ?3HIOVZflD3 -eca suthines; (forse in pace salvi (2).) {\)V. Orioli, Dei sepolcrali edijìzii della Etruria media, tav, III. IV. r. (2) Vincenzo Cànipanàri ^ Dell'urna con bassorilievo ed epi- grafe di Aruhte figliai di Lare. Roma iSaS, giornale arcadico aprile iSSj. ArtTICHI TUSCANIENSI 59 e che per essersi trovato inciso in altre urne e mo- numenti mortuari è fuor di dubbio che ai morti appartenga. Nei sepolcri di falcia non raro è stato di rin- venire, comunque caduti dal loro sito e scomposti, alcuni membri architettonici che presentavano la idea d'un fastigio fabbricato sulle tombe e da lun- gi visibile, non ammettendo quel suolo di scolpirli sul masso medesimo. In Nofchia^ sulla rupe di tufo che una tomba nascotìde, si vede un timpano con figure a tutto rilievo di bella scultura, comunque guasta e corrosa dal tempo ; cos\ in Sutri ed altro- ve altri ornati si veggono non ad altr'Uopo lavorati che ad indicar là pi*esen2a de'sepolcri a' passeggìeri. Venendo ora a dire del modo col quale forma- vansi queste càmere sepolcrali, dlstinguerehio quel- le scavate nel masso solido di tufo, e per ciò capa- ci di maggiori ornati e di più comode divisioni, co- me quelle di Toscanella, dalle altre Scavate nel mas- so pili cedevole di rena, come quelle di Vulcla. Sono quelle di Tuscania di grandezze diverse ; il che dipendeva dalla maggiore o minore agiatezza delle famiglie. Le più grandi avevano dopo l'uscio d'ingresso una camera quadrata di 10, 45, ed an- che 20 palmi di grandezza, con due porte dì rim- pettoj le quali mettevano a due camerini da questa divisi^ ed ambedue grandi quanto la camera d'in- gressOé Ne'camerini era un letto funebre per cia- schedunoj lungo 10 palmi romani all'incirca, cioè quanto il camerino medesimo, alti dal suolo 4 pal- mi in 5. A capo del letto era per lo pili rappresen- tato un origliere con un incavo nel mezzo per adat^ larvi la testa del cadavere. Tutto era poi formata dello stesso masso ed a punta di scarpello. La voltai 60 Letteratura delle camere e tle'camerini, alta per lo più mdno» della grandezza, era sovente fregiata di una tra- beazione a rilievo, ed i letti sovente vedevansi coi piedi foggiati a colonne, al modo stesso che usava- sì ne'letti triclinarii, al c[ual modo foggiarono an- che le urne mortuarie. Che in fatti gli etruschi s'im- maginarono, per quanto ne dettano tutti i loro mo- numenti funebri, che morendo si riunissero ad un allegro e perenne convito. Non sempre v'ha la ca- mera anteriore; che ciò apparteneva alle grotte più distinte: i letti bensì non mancano mai, anche lad- dove è una sola camera ed affatto disadorna, e di- sadorni i letti. Sopra di questi collocavasi il cadavere disteso, ed accanto gli ponevano i candelabri di bronzo, i vasi usati nel sacrificio funebre, le armi de'guerrie- ri,ed ì pili cari utensili di cui si erano in vita serviti. Le grotte sfcavate nel masso arenario, non pre- standosi questo con ugnale solidità a quella elegan- za che il tufo, erano per lo piìi disadorne affatto, ne altra cura si aveva nel cavarle che di renderle capaci giusta il bisogno , e ben ferme ne'loi'o punti d'appoggio. Una porta avevano anch'esse, la quale al pari di quelle di tufo , era sempre chiusa di grandi sassi di tufo giallo o turchino, pietra natura- le del paese, e non si apriva che per introdurvi un nuovo cadavere. In queste grotte, dove non pote- vano formarsi per la debolezza della materia quei letti funebri che dicemmo appartenere alle tombe incavate nel tufo, trovansi il pili delle volte delle urne. Dai tegoli scritti rinvenuti in queste grotte si rese manifesto, che ciascuna famiglia, almeno le più distinte, ne avevano una propria; per ciò che vi si Antichi tuscaniensi 61 li'ovarono le epigrafi riunite di piìi generazioni del- la stessa famiglia. Il che esclude quel favoloso rac- conto del greco storico Teopompo, col quale volle dare ad intendere la promiscuità delle mogli fra gli etruschi (1). Oltre le grotte di sopra descritte si vedono in Tuscania due grandi cimiteri circolari, l'uno de'qua- li conserva 1440 loculi, e l'altro poco meno , senza contare gli avanzi di altri in gran parte distrutti. Imperciocché è certo che ne'pili tardi tempi della nazione invalse il costume di bruciare i cadaveri, che per rantichissimo rito da prima si deponevano. Abbruciati pertanto i cadaveri, se ne raccoglievano studiosamente le ceneri e gli avanzi delle ossa, quin- di collocate in un vaso, si riponevano ne'loculi an- zidetti. Quei COSI grandi, che ho accennato, servir dovevano di cimiterio comune. Ma è da notare che presso le più antiche grotte, scavate nel tufo, fuori della porta d'ingresso è per lo più un loculo più grande che quelli del suddetto cimiterio comune, che probabilmente servì ai cadaveri della stessa fa- miglia proprietaria della grotta per riporvi le cene- ri de'suoi , quando il costume dell'abbruciamento era invalso, e non esser costretti di deporlo ne'locu- li del cinerario comune. Chiuderò questo articolo con la descrizione del- la tomba poco distante da Tuscania, denominata la irrotta della regina, che a me sembra insigne mo- numento della più antica architettura di questa nazione. (i) Jp.Athen. XII, 5. 62 Letteratura Questa grotta è scavata sotto un gran deposito di lava che ne forma la volta. Le pareti sono di quel masso arenario, che abbiamo indicato. Vi §i v^ per un cuniculo poco regolare di 40 e più palmi roii^^ni della larghezza dì due uomini di fronte, il cui piarr no è allo stesso livellp del piano della grotta. L'al- tezza è anche maggiore per un terzo della solita. È scavata in una rupe che termina la vallata del fiume Marta alla clestra di questo. Dopo il cuniculo si en- tra in una camera larga per uno de' suoi diametri circa 17 palmi romani, per l'altro circa a 40. Ma il lato di frpnte all'ingresso non fa una parete a ret- ta linea, ma dove più dove meno rientra e sporge HeU'iqternp della camera. Uno di questi risalti della sudetta parete è ta- gliato appunto come un pilastro quadrato, il quale ha nella sua cimasa una scanalatura semplice e rozza e senza altro ornato, e che forma una specie di gola rovescia. A circa 5 palmi da questo pilastro verso la parete destra della grotta si presenta l'apertura d'un cuniculo molto più piccolo che quello d'in- gresso, il quale gira dentro l'interno del masso, e viene a sboccare con apertura siiiaile sopra la sini- stra parete della camera. Lo stesso cuniculq si dira- ma e s'allunga in altro siniile verso Ja parte più in- terna del masso, e non fu mai potuto tracciare piìi oltre che alla distanza di 15 palmi per la riempitu- ra della terra e dell'acqua che vi ha scolato dalla rupe, Nel bel mezzo di detta camera si veggono due colonne di peperino, l'ima di diametro pai. 2, onc. 6, alta, compreso l'abacp, ch'è d'una semplice pietra quadrata della stessa materia , palmi 7 , onc. 85 ; r altra del diametro di pai. 2, onc. 4, al- Antichi tuscaniensi 63 ta, compreso l'abaco, pai. 8, onc. 7. Queste colon- ne, la cui rotondatura non è molto raffinata, poggia- no sopra il suolo senza alcuna base: sono formate di due pezzi disuguali ciascuno: gli abachi sono ugual- mente disuguali, con questo che quello della colon- na pili bassa è alquanto pili grosso dell'altro che fu data ^lla colonna più alta. A non mplta distanza delle dije suddette colonne il fusto di un'altra simile giace per ferra, la quale forse con la sua caduta è stata causa che quella par- te di volta che n'era sostenuta ha ruinato, e forse a scavare quelle ruine si troverebbe anche l't^baco di questa terza colopna. Intanto per impedire un pre- cipizio maggiore è stato costruito un arco eli muro recente che fa sostegno alla volta. j^ella parete sinistra della camere^ vederi il ta- glio d'una porta, qhe genibra dare adito ad altra ca- mera cQqtigiia ^ la^ quale essendo tutt^ inferrata , non si potè scoprire quali diraensipni e qual. for- ma si abbia, in un lato della camere^ qui descrit- ta giace mezzo ricoperta di terra la parete di un'ur- na di peperino, che a quel che sembra vi fu anti- camente depositata per la sepoltura d'un cadavere. Tutta questa rupe presentando la medesima for- mazione dì masso arenario e di lava, siccome an- cora la stessa esposizione ed altezza , sembra che desse luogo ad una quantità di queste camere se- polcrali, una contigua all'altra: e ciò si rende me- glio manifesto dalle buche che rimangono nel suo- lo superiore in pivi d'un sito, e che altro non so- no se non gli sprofondamenti delle volte delle grotte medesime. Certo che la struttura di questa che abbiamo descritta ci presenta la idea della piìi meschina ed i 64 Letteratura irregolare architettura. Ben vedesì che ni un contò vi si è fatto della simmetria. Quel rozzo pilastro, che non ha altro compagno nell'interno della carne-» ra: quella sua cimasa così goffa e senza idea d' al- cuna cornice o riquadratura che chiuda quella me-r schina baccellatura : quelle due colonne in pie-' di formate di due pezzi, ancorché sì tozze e poco sollevate dal suolo: quella grande sproporzione fra il diametro e l'altezza loro: quella mancanza di un basamento , comunque disadorno : quella inugua-^ glianza e rozzezza degli abachi, che ben si vedono posti non ad ornar le colonne, ma a sorreggere la volta in pili punti d'appoggio, che non avrebber fatto le colonne stesse sopra le quali aggettano d* alquanto da ogni parte, sono indubitati contrasse* gni d'un' arte eh' è ancora in fasce , e non osa di dare un passo in avanti. E abbenchè vi si veda qualche scintilla d'ornato e d'abbellimento, non ne ha la giusta idea e non vuole sagrificarlo alla so» lidi la del lavoro. Ne dicasi che questa camera possa appartenere agli ultimi tempi della nazione (1), 1." perchè 1' impresa di scavar tali grotte sotto uno strato di lava mostra piìi robustezza di brac- cia e di genio, che di scavarla nel solo tufo o nel masso arenario, come nei medii e negli ultimi tem» pi della nazione si praticò (2): 2." perchè vari e- sempi abbiamo di grotte scavate e che apparten-* gono indubitatamente agli ultimi tempi, ma ninna che sia puntellata con colonne portatevi dal di fuo- (i) Micali, Ant, tnonian. tav. LXIII,lom. lll,p- io5 a 107. (a) Vedi Micali loo. cit- e le piante di sei diversi sepolcri tuscaniensi distinti co' numeri 3,4, 5, 6, 7, 8. Antichi tuscaniensi 65 ri, come in questa; mentre le colonne di cui par- liamo non hanno nulla di comune ne con la lava che ne forma la volta, ne col masso arenario che ne forma le pareti ed il suolo: anzi tutte quelle degli ultimi tempi sono intieramente costruite e nelle pa- reti e nelle volte e ne'letti della unica e sola ma- teria o tufacea o arenaria, in cui furono scavate, ne vi manca mai quella regolare simmetria che qui non si vede. È poi noto che anche ne'templi dell' antichissima Grecia le colonne erano d'un diame- tro molto maggiore che non chiedeva la loro al- tezza, secondo le belle proporzioni che l'arte inse- gnò molto più tardi: e sa pure ognuno che da prin- cipio furono ugualmente collocate sul nudo suolo, e che se non più tardi acquistarono il plinto e la hase (1), Secondìano Campanari (i) Altre cose dall'antica Tuscania dovrebbero qui aggiun- gersi, da che il suo territorio d'ogni parie ci presenta alcun vestigio degli antichi suoi abitatori; ma tralasciando gli oggetti di minore importanza, dirò alcune cose dell'antica acropoli , oggi conosciuta sotto il nome di colle di s. Pietro. Recentemente si scoperse nell'orlo della sua sommità un portico d'ordine tosca- no {iffatto diruto , le cui colonne di peperino, ed altri membri caduti nella sottoposta vigna Carletti, danno la idea di una fab- brica assai grande e maestosa. Seguendo l'orlo medesimo vi si trovano muraglie di fortificazioni etrusche^ composte di massi di tufo senza calce. L'area interna è seminata di torri fatte a dop- pio muro, e queste, comunque per lo più appartengano al me- dio evo, sono frammischiate ad altre d'epoca romana. In alquan- ti siti durano i vestigi delle antiche terme, che da questo col- le scendevano nel piano inferiore della città in una estensione considerevole. Può dirsi che questo colle è tutto traforato da Cuniculi. Il bel tempio di s. Pietro, che vi fu costruito circa il X o r XI secolo, e che nelle primitive «uè forme si conserva a' di nostri, è un insigne e raro monumento che racchiude in se dal- G. A. T. LXXllI. 5 (rQ Lbttkratura (a parte di ponente le sostruzioni del tempo etrusco, nel suo ii^- terno ha inuri reticolati romani; vi si vedono le colonne di tut- te specie che vi fijrono trasportate dagli antichi tempii pagani, collocate secondo la rozza architettura che regnava al tempo della sua fabbrica senza ordine e proporzione alcuna ; eppure con un^ solidità di opera, ch'è da stupire. Jja chiesa è divisa ip superiore ed inferiore. Vi sono pittu- re antichissime, e tutte le pareti n'erano ricoperte. Bello è il pavimento di musaico, bellissima la facciata,la più parte di mar- mo, dove parimenti fra gli eleganti lavori del tempo romano che vi sono innestati, si trovano congiunte le goffe opere del medio evo: il che fa un contrasto assai curioso all'occhio de'ri-: guardanti. Poco luqgi è l'altro insigne né meno antico tempio di san- ta Maria, che tutto è fabbricato sopra ruderi romani, dov'è la nobile pittura di un giudizio unii'ersqle anteriore al i3oo. Che dalla par{.e de'santi vi è dipinto qualche papa con una sola co- rona nel suo triregno, costume che rimonta all'età di papa Cle— jnente V o di Bonifacio Vili. In questo giudizio veggiamo le opinioni del pittore non molto difformi da quelle della visione di frate Alberico, ed in parte dello stesso Dante Alighieri. Men- tre vi è rappresenlatq un diavolo gigantescQ a bocca spalanca- ta, nella quale certi diavoletti minori infornano con un triden- te le anime de'dannati , ed egli addentandole le inghiotte e lo r^nde per il di sotto, di dove precipitano e si perdono dentro alla bocca d'un dragone che chiude il pieduccio dell'arco, dov' è la pittura, e che rappresenta l'inferno. Oltre di queste e di altre antiche pitture di detto tempio , ve ne ha delle altre ugualmente stimabili nella chiesa dìs. Fran- cesco, condannate a perire misei'amente in un colla chiesa stessa che minaccia da gran tempo ruinaj altre in quella di s. agosti- no, alle quali per inaudita barbarie ed ignoranza fu dato di bianco, e che lasciansi per anco colà sotto nascoste, senza che ma- no benefica vi sia che le ritorni alla primiera luce; altre pure in quella della Rosa, e soprattutto nel vasto tempio de'miqori os- servanti, dove sono tre quadri in tavola di raro merito di Scala- brino da Pistoia, ed altro di P^rin Buonaccorsi, dello altrimenti del Vaga, che come racconta il Vasari nella vita di lui, menato da Fiorenza a Toscanells^ dal Vaga stesso, dove soprabbondava- gli lavoro, molto quivi si Iratteniie con lui, e non solo ambedue terminarono quell'opera che il Vaga ai'Ci'a presa, ma molte an- cora che pigliarono di poi. E qui basti per ora di tali pitture , e degli antichi monumenti tutti della mia patria, de' quali, quando che sia, terrò in altro tempo più lungo e serio discorso. 67 Tragedie dell'avvocato Giuseppe Pellegrini. Firen- ze tip. Magheri 1837, in 12. di pag. 132. Cxi iovanna di Napoli e Decebalo sono le due tragedie, che ha date in luce il giovane sig. Giu- seppe Pellegrini: il quale dona alle lettere i l)re- vi ozi, che gli rimangono da cure piìi gravi. Que- sta è già buona raccomandazione; tanto piii che dal felice ingegno di lui e da queste primizie ponno aspettarsi altresì naaturi frutti per l'avvenire. Gio- va adunque por gli occhi attentamente in queste tragedie, che dii'emmo quasi due fiori del nativo giardino; perocché sono tratte dal campo delle isto- l'ie nostre nobilissime. Quanto alla prima, Roberto re di Napoli, che ebbe lodi dal Petrarca e le meritò, per motivi di regno fece sposa Giovanna sua nipote ad Andrea figlio di Carlo re d'Ungheria. Mancato ai vivi Ro- berto nel 1343, Giovanna gli successe, e fu reina di Napoli e di. Provenza; ma ne ella del marito, ne il marito di lei, ne di tal principe i cortigiani furono contenti. Perche due anni appresso sendo a deliziarsi la corte in Aversa, questi ultimi o con- sentendolo, o non impedendolo la regina, nelle te- nebre miseran^ente lo strangolarono. Di che ella stessa colse mal frutto; invano fu madre, invano regina: Carlo della Pace, nipote a Lodovico re d'Un- gheria, venne alla conquista del regno, e pose in carcere la misera donna. Giunte a soccorso galee di 68 Letteratura Marsiglia, Carlo con prieghi e lusinghe fu intorno a Gipvanna per ottenere, che a lui cedesse il rer gno non pure di Napoli, ma di Provenza: la trovò ferma a favore di Lodovico duca d'Angiò, e quan- do appunto questi era mosso colle sue forze per liberarla, Carlo a dura morte la trasse. Tal fine eb- be questa Giovanna, il cui nome (se la morte del marito singolarmente non l'adombrasse) risplende- rebbe di chiaro lume; tanto essa è lodata di sennp e di fortezza nelle istorie! Le tristi venture di lei hanno dato argomento a Giacinto Battaglia di un libro, che uscì in Mi- lano nel 1835: la sua fino ha dato convenevole ma- teria al Pellegrini di una tragedia. La scena è la reggia di Napoli: i personaggi Giovanna, Carlo, Lio- nello (figlio di lei), Alberico (uomo di corte). La tragedia non è istoria, ma poesia; e l'autore si è valso onestamente del suo diritto, cogliendo però mai sempre dalla storia ogni piìi piccola circo-? stanza, che al teatro non disdicesse. Al primo atto, Giovanna in carcere e in pre- da a' rimorsi ode da Alberico annunziarsi Carlo , che viene a parlarle. A malincuore il riceve, e lo rimprovera, ed è rimproverata ella stessa singolar- mente della morte del marito. Pure ci le offre e regno e liberta e un figlio in lui, che vorrebbe es- sere adottato per tale, e regnar seco. Non persua- sa, ma vinta in vista la generosa infelice, si arren- de alle proposte. Al secondo atto, Carlo si applaude confidando ad Alberico di avere indotta Giovanna a'suoi dise- gni, ne'quali egli venne pel timore delle navi giun- te di Provenza. Lionello non conosciuto, e dicentesi filio del Conte di Caserta, viene quale nunzio di lui Tragedie del Pellegrini G9 a riclamare a nome di quella gente la liberta ed il regno per Giovanna. Niega il tiranno lei non es- sere libera e regina; ma dice, lei prima e lui se- condo sul soglio: così la chiama con seco alla luce del parlamento. Ed ellaj anzi che dissimulare i tor- ti ricevuti dal tiranno^ li manifesta, e invita i sud- diti ad ubbidire in vece a Carlo di Caserta. Il ti- ranno deluso compatisce a lei quasi uscita di sennoj e rassicura e rinvia i provenzali: al partire de'quali in pili duro carcere chiude Giovanna. Al terzo atto, essa nel!' orrore della prigione e della notte trema non della morte vicina; ma si dello spettro del morto suo consorte, cui le figura innanzi la rea coscienza. In questa viene a trovarla Alberico^ e a lèi si fa quasi angelo coiisolalore^ sve- lando che il figliuol suo vive conservatole per cu- ra di lui stesso e di Caserta : che questo figlio è Lionello. Viene Lionello, che contro la mente del tiranno erasi trattenuto: e la madre rivede il figlio, questi la madre. Il giovine bollente anelando alla vendetta vuole tosto trucidare il tiranno; ma la vo- ce della madre lo persuade ad aspettare ora piìi propizia. Giunge egli stesso inaspettato il tiranno, e vuole da Giovanna che segni la cessione a lui del regno^ o s'abbia tormenti e morte: sceglie essa que- sti ultimi. Al che non può frenarsi Lionello , si mostra, e tratto viene qual ribelle a forza con Car- lo. Questi, benché sospettoso, si affida ancora ad Al- berico, che sopra Ormondo rivolge e cresce ogni sospetto di tradita fede. Al quarto atto, di nuovo Giovanna è alla reg- gia: ella diffida di Alberico; ma viene persuasa da lui, e si acquieta per non iscoprire il figlio, atten- dendo che si voglia ancora da lei. Viene il tiraii- 70 Letteratura no, e parla della morte data ad Ormondo, e la mi- naccia a Lionello come ribelle; se non che a'prie- ghi di Giovanna lo iìi chiamare a se dinanzi, e lo rimprovera acerbamente. E strigne quest'ultima a soscrivere il foglio della cessione desiderata: al che prestandosi ella, mal si frena l'ardente spirito di Lionello, che per ciò stesso viene mandato a morte, e in mano al crudele resta a forza Giovanna. Al- berico doveva per comando di lui spegnere Lionel- lo, e tornar tosto con la novella. All'ultimo atto, sul far del giorno Carlo ha fi- nalmente da Alberico la nuova e i segni della mor- te di quel giovine infelice, e comanda si cerchino quanti mai sono o si credono traditori, e s'ergano patiboli, e chiama a se Giovanna. Essa richiede di Lionello, ed egli invece la viene consigliando a ri- tirarsi nella pace di un chiostro; richiede ella più ansiosamente di Lionello, e il tiranno lo dice spen- to, e ne mostra le vesti perforate ed intrise di san- gue. Fuori di se dal dolore, ella nomina il figlio, e parla di Alberico; Carlo, insospettito forte di ciò che era veramente, nella sua ira va per punire, per trucidare, e lascia Giovanna in guardia a un suo fedele. Poco stante ei rientra con spada ignuda sen- za manto, ed inseguendolo in armi Lionello ed Al- berico egli afferra Giovanna. L'ultima scena vuoisi qui riferire. Lion. Empio, la madre. La madre, empio, mi rendi .... Car. A te la i^endo Cosi (1). (i) La trafigge. Tragedie del Pellegrini 71 Lion. Oh Dio! (1) Giov. Figlio ... sci salvo? vinci? ... Oh gioia! . . . Oh dona il bacio estremo a questa Tua sventiirata madre ... io lieta muoio . . . Perchè muoio fra tue braccia . . . Mio figlio . . . Ti benedico . . . Ah! mi perdona ... il fallo . . « E mei perdoni il Sempiterno . . . cui Davanti or or . . . Tu pure, fido, accogli (2) Il benedir d'una madre spirante: A chi mi uccise anch'io perdono . . . Addio. (3) Lion. Ahi madre, ahi madre! io vo seguirti ... il ferro, Ov'è il mio ferro? Car. Fra le tante iiiie Gioie di sangue or questa gioia è prima. Lion. Ofi infame! ... (4) muori ... Alb. Ferma ... l'onorato Tuo brando no, degna è di lui la scure. Cosi brevemente e con pochi personaggi, e senza molli amori indegni sovente al coturno, è condotta e tratta a fine l'azione, la quale a tutti parrà ve- ramente tragica; salvo che da taluno volesse notar- si meno verosimile in tiranno, che vive di sospetti, quella cieca fiducia in Alberico, anche dopo qual- che dùbbio contrassegno: e non abbastanza giusti- ficata in Giovanna quella facilita di soscrivere la cessione del regnò. Ma quanto al primo obbietto, crediamo osservare, che anche il tiranno forza e che (i) Gli cade la spada, e rimane immobile. 1 soldati disar- mano Carlo. (2) u4d Alberico . (3) Muore. (4) Raccoglie la spada ^ e gli si avventa; ma vien trattenuta da Alberico. 72 Letteratura si fidi pure in qualcuno; quanto al secondo, qneU la cessione era in se nulla perchè strappata colla forza e vivente il figlio; ma per allora valeva ad ammansare il tirannOé Perchè, tutto considerato, vuoisi dar lode all'au- tore: il quale più e piìi ne avrà ponendo più cu- ra allo stile ed alla versificazione r in che appare forse qua e la alcuna negligenza, che però con la sua lima ben può fare sparire agevolmente. Egli ha fiore di giudizio, e un cuore che sente , e favilla di poeta: e non rifugge dallo studio, anzi lo ama, e può promettersi bene non pure nella lirica, ma nella tragica palestra a pochi donata. Ammollisca il suo verso alla dolcezza del Maffei, lo animi al fuoco del Monti, lo conforti non all'asprezza ma alla gravita dell'Alfieri: e se ama esempio unico, studi di forza nell'Alighieri, e coglierà piìi degne palme eziandio nella diificile tragedia. Ne già slimiamo a lui esser uopo de' nostri consigli, ne a noi conve- niente di darne; infatti egli è già bene innanzi nel- la retta via , e noi sapremmo più presto ricevere che dare a lui buoni suggerimenti. Ben vogliamo sì abbia alcun segno del molto pregio, in che lo te- niamo, aprendogli non pure l'jmimo nostro, ma il cuore. E ciò sia detto una volta per sempre a li- berarci da ogni nota o d'invidia o di presunzione, da cui siamo in tutto alieni. Venendo al Decebalo, non è chi non sappia il trionfo di Traiano sui daci: « Gli debellò in varie » battaglie, e per la seconda volta chiuse Decebalo » in Sarmigetusa. Tutto costui tentò a salvamento » di se e della patria: forza, umili ambascerie, ed » anco tradimenti ; avendo celatamente spedilo al » campo romano sicari per uccider Traiano , che Tragedie del Pellegrini 73 fe furono scoperti e puniti. Finalmente espugnata *) Sarmigetusa, sorse un orriiiilc spettacolo; mentre » i daci, piuttosto che arrendersi a servitù, o cad- » dero per le romane armij o si uccisero fra loro» » bevendo ad un gran vaso di veleno fra reciproci » brindisi la morte» o pure sterminandosi col pro- » prio ferro, e distruggendo citta e reggia col fuo- » co ... . » L'ultimo assedio e l'eccidio di Sarmi- getusa è il soggetto della tragedia: la scena è quivi nella reggia di Decebalo e nella tenda di Traiano nel campo: 1 personaggi sono, oltre Traiano e De- cebalo, Eniira figlia a quest'ultimo, Adriano confi- dente a Traiano, Bicilio a Decebalo* Al primo alto, questi consegna a Bicilio un pu- gnale, perche vada a trucidare il nemico : quegli rifugge il tradimento; ma innamorato di Emira, è vinta a tal premio la sua virtli, ed acconsente a farsi vile; tanto pili che lo crucia geloso sospetto, che Emira arda segretamente per Traiano. Viene ella, ed intesa dal facile amante la rea commissio- ne del padre, lo trattiene. Giunge intanto Decebalo, e dell'indugiare rimprovera Bicilio, che parte al- fine per eseguire il cenno crudele; rimprovera an- che la figlia, di'* parte colatamente con disegno, che a pena travedesi, di risparmiare al padre la viltà del delitto, all'amato Traiano la vita. Al secondo atto, Traiano accoglie i duci a par- lamento, e sono tra le squadre non conosciuti Emi- ra e Bicilio in abiti romani: si delibera di assaltare Sarmigetusa. Indi solo Traiano con Adriano com- piagne alla sorte dei daci; umano cuore assai me- ritevole degli elogi di Plinio! Intanto entra Bicilio, e vuole ferirlo a tradimento; ma Emira lo trattie- ne: egli è scoperto, e in Emira fa credere un suo 74 Letteratura figlio Ireno. Qui Cesare indaga i cuori di un tal padre e di un tal figlio, e questo ammira e quello dispregia; ma ecco si ode rumore di armi e tumul- to: ecco Adriano venire colk novella^ che Deceba- lo « Feroce ed improvisò — Impeto ha fatto ne' » ripari, e il campo — Precipitoso inonda » ; per cui, aflìdati alle guardie que'due, Traiano accorre al pericolo. Al terzo atto , Cesare rassicuratosi ringrazia Adriano di avere respinto Dccehalo, e gli dona per grato animo 1' anello, che ebbe già egli stesso da Nervaj e lo abbraccia, e lo sollecita ad eséquiare i valorosi morti nel conflitto. Ed accogliendo so- spetti sopra i due daci prigioni, vuole interrogarli; ma Semfpré disposto ai clemenza dice: » Benigno — » Il comun paìdre die lo scettro all'uomo — A so- )' stégno dell'uom, non a flagello. » E il cuore gli parla a favore di Emira; mia l'esercito ad alte gri- da dimanda la morte del traditore Bicilio. Il buon prence la sospende ancora, e corre a mostrarsi all' esercito,- che lo desia; poi si propone di udire un nunzio del re nemico , che col nome di Vezinate e lo stesso Decebalo, come poscia si vede. Al quarto atto, viene adunque' travestito De- cebalo a ricercare dalla figlia: Traiano fa venire Bicilio, indi Emira stessa, che nel calore del dialo- go al fine si scopre essa ed il padre: e dal beni- gno Cesare sono tutti restituiti a libertà, non sen- za tremare per quella misera, alla quale pur dice: » Fra tue sventure — Aver pensa in Traian padre » e fratello. » Questa rara benignità fa tanto piii ri- saltare la crudezza del re nemico. All'ultimo, è notte, e Decabalo rimprovera Bi- cilio di avere svelato il segreto alla figlia; ma ben Tragedie del Pellegrini 75 J)iìi alto segreto egli svela al re stesso, l'amore di Emira pel suo nemico. Il padre parla tosto alla fi- glia, e propone sposarla a Bicilio; dal che ella ri- traendosi, Decebalo rimprovera a lei la fiamma, che nudre in seno pel suo nemico: e con eccesso di barbarie la maledice. In quella Bicilio con spada nuda vien annunziando il nuovo assalto, che mosso hanno i romani, e Sarmigetusa già presa. Cresce la furia nemica, e Decebalo disperato dice de' suoi ; » Solo — M'abbandonar ... Ma non son io qiii me- » co.'" » Al che la figlia ben risponde: » E teco io, » padre. » Ma egli il barbaro due volte si sta per ferire la figlia sua; se non che sopravviene il vin- citore Traiano, e scopre egli stesso l'anlore per lui di Emira; ma non può piìl salvarla, dacché Dece- balo alfine tratto rapidamente un pugnale ferisce la figlia e se stesso, e muoiono entrambi. La pietà di Traiano è al suo colmo, e la catastrofe è così tragica, che fa scusare quell'alto e quelle parole di lui, con che si chiude l'azione: cioè il gettare la corona d'alloro, 6 il dire: » A terra va, malaugurato serto; » Se a cotanto di rei sangue commisto » Tu grondi pur d'un innocente sangue! La versificazione in questa tragedia sembra più spontanea : ben sarà lieve all'autore il toglierne ogni piccola menda, che qui più rara si mostra, e pur talvolta si mostra. Lo stile ha meglio del su- blime, dove bisogna: e questo è forse generato dal soggetto ben più alto, e d'interesse più universale, e veramente romano. Perchè, e per altre ragioni, che ai savi appariranno agevolmente dal solo cenno, 76 Letteratura che abbiamo dato, se si avesse a decidere della mag- giore bontà di queste due tragedie, noi preferirem- mo alla Giovanna I di Napoli {prima la vorremmo chiamata per non confonderla con altre) il Dece- halo\ non ostante que' troppi travestimenti, de'quali l'autore si è fatta egli stesso una necessithé Ma beri lungi dal presumere di noi, o da altro basso affet- to, come dicemmo, noi lasciamo in fine questo ed ogni altro giudizio a menti più profonde e sicure; contenti per nostra parte a rallegrarci di nuovo col giovine autore de' bei passi , che ha dati in una carriera la più malagevole, e del molto amore che porta ai buoni studi: dai quali egli si avrà conso- lata la vita e gloriosa con molto prò della omai de- serta poesia e delle lettere* i). Vaccolini Osservazioni sul Bello. Art. XIII* B el mese l'ottobre! Le triste cure della citta van- no non pure in bando, ma sono quasi morte: e tut- to è vita ne'campi, tutto allegria. Glii da la caccia agli uccelli con pania e reti a'palmonì o paretai; chi si arma pacifico a procacciar qua e la selvag- gine per allegrarne le pingui mense: chi spoglia di grappoli rubicondi le stanche viti; chi pigia le uve e ne corona i larghi tini ; chi ne traggo il succo spumante, e lo accomanda alle botti; chi rompe col Osservazioni sul Bello 77 vomere il seno alla terra, e la prepara novellamen- te a ricevere il seme, che è la dolce speranza dell' avvenire; chi canta, chi Lalla, e ognuno gongola d'allegrezza. Beata villa! beati agricoltori, se il loro bene conoscessero ! E noi che facciamo , mi disse Faustino, quel caro giovinetto tanto buono e stu- dioso, che è il cuor del mio cuore? FilQtimQ. Quel che il giovine Plinio scriveva a Tacito suo! Faustino. |L che scriveva egli mai? Filotimo. » Tu ridi (scriveva (1)), ed hai di che ridere; » queir io, che ben conosci, ho preso tre cignali » proprio belli, bellissimi! Tu stesso? Io stesso in » anima e in corpo; ma senza metterci nulla del » mio ozio beato: stavami seduto alle reti, accanto » erami non lo spiedo o la lancia, ma lo stilo e le » tavolette. Meditavo e notavo; perchè se vuote tor- » navan le mani, piene tornassero almeno le carte. » Vedi bel modo di studiare! quell' agitarsi, quel »> moversi del corpo desta anche l'animo: e da ogni * lato le selve e la solitudine e lo stesso silenzio » della caccia sono un grande incentivo a meditare. >> E tu pure andando a caccia potrai al mio esem- (i) Lib. I, Epist. 6. 78 Letteratura » pio portare con teco non solo la panatlera e l'or^ » ciolefto; ma Len anco le tavolette. Vedrai Miner-; » va errare sui monti, non meglio che Diana. » Così egli il buon Plinio scriveva, se ben mi ricorda; e noi, che abbiamo questo po' di respiro dalla scuola e da'negozi, possiamo benché senza re- ti od altri argomenti ( che lasciamo a piìi fortu- nati cacciatori) fare a un dipresso ciò che il buon Plinio faceva, e leggere qualche buon libro, e nel- la memoria, se non nella carta, scriverne qualche, bel tratto, FaustinOt Ho meco in buon punto il dialogo intitolata ^a Grazie di quell'anima soavissima del Cesari; ma e' mi va per la mente ciò che mi avete ragionato del Bello, il cui segreto ponete nell'ordine; onde è bello per voi tutto che è, o si percepisce nell' ordine: al che consentono mirabilmente, tra gli al- , tri, il Degerando, e prima due nostri famosi il Ger- dil e il Muratori: il quale non dubitò affermare e- spressamente (l) » quello che è certo, la bellezza » ha da consistere nell'ordine. » Per questo mi pia- ce, e mi par bella altresì quella letterina di Plinio, che mi avete recata, dove è Iqce di ordine a mara- viglia. Ma con^e sta, che è a noi piacente la villa a questo tempo della vendemmia , nel quale ti è bello quasi il disordine? come sta, che quel casino di delizie, dove oggi verremo a ricrearci, e fin di qua pur vediamo in lontananza con tanta varietà. {1) FU. Mar. e. i6. OssERvAxioNi SUL Bello -79 ci par hello? Appiè della riva del fiume Amone , che alta ripiegasi ed ha l'aspetto di facile clivo, si gificc: ha Lei viali coperti di avellani con rami in- trecciati a fare dove archi e volte, dove grotte tran- cjuille; altrove ha piccoli stagni, nido a pesci guiz- zanti; e il giardinetto di aranci e di erbe e di fio- ri di ogni maniera vestito; ed il salire e il discen- dere, e il piano e l'erta e la valle, e il vario re- gna in un disordine, che piace, Non dìrehbesi qui phe il bello anzi che in altro sta nel disordine? Filotimo. Questo bel luogo, dove il vario coU'uno trion- fa, mi ha sembianza di un giardino inglese: lo di- cono inglese, e dovrebbesi dire nostro più che stra- niero; perocché l'italiii tutta non e ella dall'alpi al mare per dono di natura il giardino del mondo ; appunto perchè così varia e piacente, come il giar- dino della reina descritto dal Bembo negli Asolimi^ anzi come l'incantato d'Armida (1)? » Acque stagnanti, mobili cristalli, » Fior varii, e varie piante, erbe diverse, » Apriche collinette, ombrose valli, » Selve e spelonche in una vista offerse: » E, quel che il bello e il caro accresce all'opre, V L'arte, che tutto fa, nulla si scopre. Ne'quali versi è una viva dipintura del vero; se noi sai, prima che il Milton avea egli il Tasso [i) Tasso, Gerus. e. i6j st. g. 80 Letteratura descritto così il Parco vecchio^ che era proprio un incanto, e fu già delizia del duca di Savoia. E qui rammenta di grazia ciò che ne gerisse il gentilissi- mo Pindemonte, ed ha ripetuto quel nostro anio->- revole (4) nelle sue Lettere inforno invenzioni e scoperte italiane, dove alla domestica gloria viene rivendicando ciò che degl'ingegni nostri si arroga-r no gli stranieri. Ma pensa, che il disordine di che mi parlavi non è che apparente; pensa come va-? rieta ad unita naturalmente è congiunta nel Lei paese, e per arte si trova ne'giardini teste ricor-r dati, e per dono insieme di natura e di arte ne| Lei casino altresì, che cogli occhi vediamo ed oggi più che mai è il sospiro del nostro cuore. Ne a ca^ so qui sono tante Lellezze; chi le adunò o le spar^ se. Leu seppe la ragione segreta de'niezzi al fine^ seppe i rapporti delle cose , e come gli scuri di un Lei dipinto fanno meglio apparire i chiari, e come ancora certe negligenze ciie piacciono sono artifìcii, e il disordine che piace non è in fondo clie ordine; altrimenti piacer non potreLLe. Noi sia- mo qui tra due fiumi il Senio e l' Anione, che scor- rendo sopra terra sono frenati da alte rive: e in mezzo si avvalla dolcemente il terreno, e ha colti campi, che li paiono forse men Lelli, perchè alLeri e viti e case e tutto ad un modo è ordinato a frutto, prì^ che a diletto; ma non presenta malta varietà, e COSI all'occhio è men Lello; Lcnchè ti empia in fine i granai, e ti colmi la casa di ogni Lenedizionc del cielo. Egli è men Lelia, io dico, in compara- zione de'siti di collina, che hanno piìi varictU e la [i] JiamOelli, Lettere. Bologna iSS;. Osservazioni sul Bello 81 vista in pili largo campo si spazia; tuttavia è bello perocché in ordine: e più Lello ti sarà alla mente, ove ti volga addietro a pensare, che qui dove sta Bagnacavallo colle sue ville era prima palude (par- te della Paditsa^ di cui tocca Virgilio nell'unde- cimo dell'Eneide dicendo: » Da le piscose rive di Padusa » Van per gli stagni schiamazzando a schiere » Turbati i cigni (''))• ed ora è colma pianura cosi ricca e feconda, che ti ammiri di questa prodigiosa trasformazione. L'ar- te ha trionfato della natura, e via cacciati i pesci, e ciiiamata l'abbondanza iip'lieti campi; tanto che par natura: e da questo verso il beato terreno ti piace; perocché è in ordine. Fausti. IO. L'ordine in somma è per voi il segreto della bellezza! Filo timo. Così è; ma vediamo che ne pensasse lo scrittore delle Grazie. Ne hai teco, dicesti, quel suo dialogo, dove pon fuori le squisitezze della lingua nostra e le eleganze del bel parlare gentile: rileggi di gra- zia que'tratti, dove tocca della bellezza! (i) Traduz. del Caro. G. A. T. LXXIIL 82 Letteratura Faustino ' T'anto nCè bel quanto a te piace, risponderò col poeta, ed eccorni al Cesari. Egli adunque dice co- sì: (1) » Tutti sottosopra, e meglio i pratichi e i » dotti conoscono il bello dal brutto; il che fa cre- » dere che essi ne comprendono la forma determi- ?> nata; ma ciò non è: perchè quando vengono a di^ » re che cosa egli sia, aqua haeret, si tengono in V sulle generali senza toccar però il punto ». Gos\ egli in bocca del Vannetti, e continua a questo rao-^ do. » Io paragono la bellezza delle parole a quella » di un volto: in un bel volto ci vuol essere parti, » ciascuna verso di sé b«lla, bel naso, begli occhi, » belle labbra, belle guance, e così via via. Anche » le parole hanno le lor come fattezze ciascuna, e V se tengono quella cotal forma di bello, che cia-= » scun seqte ne §a d'ffinire^ belle si dicono e pictc« s ciono. n Filotimo, l^'uso può fare parer bello talvolta anche ciò che tale non è; ma vedi su ciò l'avviso del Cesari! Faustino^ « Io ho sempre creduto (così egli fa parlare ancora ^ il Vannetti) che la bellezza sia, come alle cose, (i) Cesarìf Prose seelte. MUmo pel Silvestri 1819, pag.i^^ cseg. OiJSERVAZIONI SUL BeLLO 83 » COSI alle parole intrinseca, non accattata dall'uso. » Gonciossiachè voi vedete certe cose essere di prì- » mo tratto sempre parate belle, ed a tutti che le » videro, così ne'corpi, come nelle forme del dire. » Cosi un bel volto, e ciascuna parte di lui, nelle » pitture, e nelle statue greche massimamente, fu » sempre avuto per bello da tutti: il che non sa- » rebbe avvenuto se nell'uso fosse dimorata la ra- » gione del parer tali; perchè queste cose piaccio- » no e piacquero nella prima vista, innanzi che » gli occhi e gli orecchi vi si addimesticasser coli' » uso. Il che pare, che importi, che in quelle tali )) parti o parole sia veramente quella intrinseca for- » ma del bello, che l'anima (da Dio creata con co- » tali ingenite regole e norme e ragguagli della » bellezza) sente issofFatto come le vede; e le sen- » te per un certo rispondere ch'ella trova in se stessa » di quelle sue fornie all'oggetto rappresentatole. » Filotimo. Meglio parmi avrebbe detto, che l'anima fatta da Dio capace dell'ordine sente issoffatto come quelle parti 0 parole siano in ordine. Faustino. Continua il nostro Cesari notando, che non ogni ordine è beilo; ma ecco più innanzi le sue paro- le (1). » Alla perfezione pochissimo giova lo stesso » magistero dell'arte, se non vi si accompagni un (i) Ivi, pag. i5l. 84 Letteratura » certo naturai sentimento, che ci stampi l'iclea del- ■ la compiuta ])ellczza. Noi vegliamo talora tavole » e figure condotte coi piìj vivi colori, e secondo » le regole tutte dell'arte, die tuttavia sono morte » e fredde e senza spirito; cioè appariscon dipinte, » e non pimto vive. Raffaello era una seconda na- » tura, che (quasi avesse nel pennello l'aura vital » di Prometeo) dava la vita, e la pili hella e gen- » li le a tutte le cose: e di lui si vuol dire cfuello » che degli occhi della sua Laura disse il Petrarca, » che que" dolci lumi s'acquistali par natura e non » per arte. » Filotimo. Il senso della bellezza non è in tutti squisito a un modo: e non è da tutti l'esprimerlo per ec- cellenza. Raffaello fu in ciò singolare dagli altri. E facoltà di jlcrcepir 1' ordine è in tutti; ma ne in tutti a un modo: di pochissimi è l'esprimerlo ad ec- cellenza: il che seppe Raffaello aiutato in gran par- te da natura, e in parte ancora dall'arte. Ma se- guita a leggere nel dialogo, e troverai che anch'egli quel padre delle eleganze, che fu il Cesari, dovette rendere omaggio al principio dell'ordine. Faustino^ » Siccome io dissi di sopra (cosi il Vannetti) le pa- » role son come in un volto gli occhi, il naso, la » bocca, e ciascun'altra sua parte. Ora conciossia- » che queste parti, siano pur belle e ben contor- » nate al possibile, elle però non hanno separate * dal tutto un centesimo della bellezza che acqui- OSSERVAIIONI SUL BeLLO 85 » stano dall'csser disposte con quella ragione dell' » una verso dell'altra, che hanno nei volti che di- » pingea Raflfaello ; cosi le parole come che Lolle » sieno ciascuna per se medesima, grandissimo cre- » scimento di bellezza vien loro dall'essere insieme » accozzate e composte a formare un intero con- » cetto. » Filotimo. Vedi, che se non tutto concede all'ordine il Cesari stesso; tanto però ne concede, che delle cento glie- ne accorda novantanove. Ma io ci scommetto, che se tu leggi innanzi in cjuel dialogo lo troverai da ultimo in una sentenza con me. Leggi adunque, se Dio t'aiuti; poiché il tempo (era di poco varcato il mezzogiorno) e il luogo stesso ne invitano piacevol- mente. Faustino. » Mi ricorda (cosi sempre il Vannetti (1) ), essendo » io in Verona, d' aver fatto meco le maraviglie , » considerando quella parte del bellissimo palazzo » detto della Granguardia , disegnato certo o dal » Sammicheli o da altro che avea suo stile. In esso • io vedeva ima tale armonia e consentimento di » parti, che tutte cosi ben (direi quasi) cospirava- » no a renderlo maestoso tutto, nobile e bello, che » io non sapeva più di me stesso. E cercando pti- » re della secreta ragione di tanta Ijellezza, io non » potei altro dirne a me stesso, che cjuesto: Io sen- (i) Ivi; png. i6i e seg. 86 LETTERATURA » to ch'egli e Lello, ne so perche. La sua hellcxz.i » non dee dimorare in quella delle parti , lioUa » ciascuna verso di sèi perocché le stesse parti d'or- » dine rustico, gli stessi occhi, gli stessi pilastri, » i medesimi stipiti e cornici, e sottosopra le me- » desime modanature io vedea, voltando 1' occhio » in un altro nobii palagio che gli era non troppo » lungi: e nondimeno questo non era, o certo non » mi parca bello. Egli dovette esser adunque la » cotale composizione o ordinamento di queste par- » ti, che era nelCimo, e non punto nelV altro .... » Filotimo. Che vuoi di più a convincerti del pregio grande, anzi essenziale dell'ordine nelle cose della bellezza, anche per detto del Cesari? il quale seguitando, ben mi ricorda, che quella felicita del Sammicheli in opere d'architettura vuole da natura meglio che da arte: ed io riferisco a mirabile consentimento di natura coll'arte^ onde taluno sente squisitamente, e squisitamente esprime l'eccellenza dell'ordine: il che è proprio de'pochi, i quali toccano il sommo delle arti belle. Faustino. Così conviene che sia: e voi bene avvertiste altra volta col poeta filosofo , che 1' arte nostra a Dio quasi e nipote, E m'invitaste a pensare la creazio- ne, quando prima era il caos o sia il disordine; poi venne l'ordine, o il mondo sensibile, cosi I)ello co- me vediamo. Le cose in prima confuse aveano lite Osservazioni sul Bello 87 ti*à loro, e per dirlo col Sulmonese (1): » Questa lite clisciolse il buono Iddio » E la miglior natura, che dal cielo » La terra, dalla terra il mar divise^ » E dall'aer più denso il ciel sereno. j> E poi clic tutte cose ebbe dal cieco » Caos tratte a chiara luce, le lontane » Alle vicine strinse in nodo amico* FilotimOè E qui è il velo della favola, cÌie copire piiré tiri gran vero; ma questo vero è chiarissimo per la Ge- nesi nell'immensa opera dei sette giorni^ né'quali Iddio realmente ebbe creato il mondo t con che pure ei c'insegnò il pregio dell'ordine* Che ben po- teva con un solo atto della sua volontà in un fiat crear l'universo: invece nel primo giorno creò la lucCj nel secondo il firmamentOj nel terzo il mare ed alberi e piante, nel quarto il sole la luna e le stellcj nel quinto i pesci e gli uccelli, nel sesto prima gli animali, poi l'uomo miracolo dell'ordi- ne: e visto che così le parti ed il tutto erano una bellezza, nel settimo giorno beatamente si riposò^ Perchè il Tasso, altresì bene avvisando nell'ordine la suprema ragione della bellezza^ così cantò: » Come Dedalo o Scopa od altro antico » D'artificii gentil famoso mastro » Prima raccoglie i peregrini marmi^ » E i lucidi metalli, e i cedri eletti (i) Ovid. Metamóvf. I, i. 88 Letteratura » Poi forma il tutto e la „ superba mole » Comparte, e compie, e le sue volte e gli archi j» Fonda sopra marmoree alte colonne; » O pur di Caria a'simulacri appoggia, » E fa teatri e logge entro e dintorno » Con lavori di Ionia e di Corinto; » Cosi di sua materia il Fabbro eterno » Pria l'universo informa, e poi distingue » Le varie parti, e l'abbellisce ed orna. E con più acuto giudìzio (giova ripeterlo) il sommo Alighieri avca detto prima, che l'arte nostra a Dio quasi è nipote. Veramente ella studia il bel- lo sensibile, che sta nell'ordine, e a quello spec- chio formasi il bello ideale, da cui viene model- lando e conducendo similmente in ordine le opere della bellezza: la cui origine è gentile; per cui le arti nostre vaghissime, se non. vogliono esser dege- neri, devono farsi di continuo maestre di bontà e di rettitudine, e datrici agli uomini non di vano diletto, ma di vera felicita! L'aria impregnata di mille odori tutti soavi ci avvisò, che noi eravamo già presso al casino di Fo- lizi, e gli occhi guardando ne furono certi; perchè posto line al ragionare , salutammo i dolci amici tornati allora dalla caccia, che nascosi dietro le sie- pi ci venivano tirando pietruzze, e volevano pure essere scoperti da noi. Dopo i lieti abbracciamenti venimmo a inchinare la signora del luogo, che sta- va formando colle sue mani un bel mazzo di rose, di malve e di viole peregrine per collocarlo, come poi fece, nel bel mezzo della tavola: la rpiale già proparala al convito con acconcezza di ordine già ci aspettava grazi osameiite. D. Vagcolini 89 Praecipuorwn philosopìiiae systematum disquisitio historica Aloisii Bonelli preshjteri romani. lìo- mae 1 82 9. Tipis Bourliè. Oembrera forse strano che dopo vari anni , da che quest' opera è stata pubblicata dal chiarissimo autore , imprendiamo ora brevemente a parlarne. Il motivo però che a ciò e* induce è non solo il rispetto e la stima che verso di lui nutriamo, ma ancora il sapere che un de' nostri collabora- tori darà quanto prima in questo medesimo gior- nale un estratto di quelle istituzioni di logica e metafisica, delle quali fa egli uso nella sua pri- vata scuola che va di giorno in giorno crescen- do in Roma di reputazione e di nome. Ora sic- come questa storia filosofica serve come di pro- legomeni alle istituzioni sopranominate, così spe- riamo che non riuscirà ingrato questo estratto che ne daremo colla maggior brevità possibile, accen- nando pili tosto di quello che svolgendo quanto contiensi in questo volume in 8. di pagine 183. Tutta la materia è divisa in dieci capitoli. Come ragion voleva, tratta nel primo delle dot- trine eh' erano conosciute dagli antichi avanti che apparissero quelli che furono in appresso nomi- nati filosofi. Bella e naturale poi è la divisione eh' egli fa dì tutta la filosofia in sei grandi epoche. Lo spazio di circa 180 anni, quanti appunto ne corrono da Talcte a Socrate, cominciando pò- 90 LetteìiaturA co dopo r anno 600 avanti 1' era volgare , è Irt materia contenuta nel secondo capitolo , ove reri-*^ desi conto della dottrina di Talete e de' suoi di- scepoli , di Anassagora , della setta pittagorica , di Eraclito , della scuola eleatica j di Leucippo^ di Democrate , di Protagora , aggiungendovi in fi- ne alcune utilissime osservazioni* Il capo terzo è dall' autore impiegato in incór- rere la seconda epoca della filosofia, incominciando da Socrate fino al dominio de' romani nella Gre- cia : il qual tempo è di anni circa 270. Dopo avere assai Lene sviluppati i principi! di quella dottrina socratica, che il venosi no neW^rte poe^ dea non cessava d' inculcare ai giovani perchè la studiassero, passa ai discepoli di quell'insigne mae- stro , a Platone , ad Aristotele , ai cirenaici. Lo scetticismo , gli epicurei , lo stoicismo sono con uguale! rapidità percorsi dal sig. ab. Bonelli. Al- cune savissime riflessioni ^ nelle quali si fa la di- visione dei sistemi dell' antica filosofia , e dove parlasi delle principali nazioni della filosofia de' gre- ci, occupano il capitolo quarto. La terza epoca, che incomincia dalla distru- zione di Corinto 145 anni avanti I' era volgare j e giunge fino al risorgimento della filosofia nel de- clinare del secolo XVI , è discorso nel quinto. La filosofia nel tempo del romano impero, quel- la del medio evo , i preludi della ristaurazione della filosofia speculativa , il progresso delle co-* gnizioni sperimentali, sono tutte cose che vengo-= no dall'illustre professore sviluppate con la solita sua chiarezza. Ma già Galileo , Bacone da Verulamio, Car- tesio, e Malebranche hanno felicemente segnata la I '• ' > !«—«—**■ VARIETÀ^ Notìzie intorno al foro de'inercanti di Bologna , volgarmente detto la mercanzia. 4- Bologna pei tipi del Nobili e compa- _ gno 1857. (Sono cai-te 4o con una tavola in rame.) JLIìcco un nuovo regalo che il signor Gaetano Giordani presen- ta alla sua nobile patria. Con grande accuratezza sono in que- sta operetta illustrate le memorie non solo della fabbrica del Foro, opera dei secoli XIV e XV, ma anche del collegio de' mercanti della città di Bologna. Gli amatori inoltre di tali cu- riosità vi troveranno assai belle notizie anche su quell'architet- tura clic impropriamente diciamo gotica. B. 108 Varietà Dello specchio mistico di bronzo rappresentante Ulisse e Tire'- sia, illustrazione di Luigi Grifi consigliere e segretario della commissione generale consultiva di antichità e belle arti, merìi- bro dell' accademia de' lincei. 4- Roma i836. (Sono carte i4 con lina tavola in rame-) V uolsi lodare l'egrègio signor cav. Grifi di averci data la vera interpretazione (secondo noi) di ciò eh' è rappresentato in que- sto singolarissima specchio mistico, dissotterrato ultimamente fra le ruine di Vulci: opponendosi modestamente con molta eru- dizione di greco e di etrusco a quelle che ne avevano pubblica- to in Roma altri chiari archeologi. B. Lettera di Lucio Anneo Seneca a Lucilio. Delle vulgate LXXXX. Bologna pel Nobili iSB;. Xl signor Prospero Viani, illustre giovane lombardo, ha pubbli- cato una bella versione di quella epistola di Lucio Anneo che fra le vulgate è la novantesima, e con nobilissime parole ne ha dato il titolo al cavaliere Dionigi Strocchi. Ne è traduttore l'ab. Giuseppe Brambilla nome caro all'italiana favella, di cui come oggidì è bella speranza, così per l'avvenire sarà ottimo sostegno. Sovra lo stile di Seneca si provarono molli ingegni; ma alla pro- va meglio di tutti riuscirono il gentilissimo Annibal Caro e Pie- tro Giordani. Non sarem querelati di adulazione se diremo che il Brambilla regge assai bene al loro paragone; né meneremo le alte grida ov'egll facciasi minore di essi; perchè se il vincere i meschini intelletti è vittoria assai magra, e di poco guadagno , Varietà' 109 il cedere ai grandi non fu mai cosa che desse vergogna. Noi bene avremmo desideralo che il Brambilla si tenesse un po' più tem- perato nel darci le viste del suo grande sapere in fatto di lingua. Ma quel volgarissimo melius est abundare quam defìcere, è pure la gran difesa per gli scrittori , e principalmente pei giovani quel' è il sig. Brambilla! Che al fervido ingegno loro di buona e non evitabile medicina suol provvedere il tempo. Beniamiivo Barone Discorso sull'agricoltura dell' agro romano, letto da A. Coppi neir accademia tiberina il dì i"^ luglio iSo^. Roma tipografia Sahiucci 1807. ilei tempo che viviamo molti helluones antiquitatum credono vanto l'annoiare la mente del pubblico con libri gremiti di cita- zioni, di commenti, glosse, e annotazioni d'universale sapienza; ond' è che un libro erudito e insieme filosofico è cosa molto rara ai nostri dì. Questo discorso del signor Coppi intende a cercare in quarepoca, ed in qual modo siano perite quelle cit- tà fioritissime d'ogni bene che un di esistevano nell'agro di Ro- ma; e come in possessione di pochi signori sian cadute quelle terre che bastavano a nutrire tanti etruschi, latini, e sabini. Quin- di l'autore narra ed esamina con maturo giudizio quelle leggi, colle quali provvidero al coltivamento di quella or si miserabi- le campagna i re, i consoli, gli imperadori, i pontefici e quanti altri mai Roma tenosseroj e dotto negli arcani delle scienze eco- nomiche e politiche, allo specchio del passato compone le nor- me dell'avvenire; ed insegna i modi, pei quali in quel pauroso ed infelice deserto potrebbero richiamarsi la salute, la ricchezza e gli altri beni della vita civile. Egli infine discorre di quegli economisti che scrissero nuovi progetti di agricoltura, e di que' j'IO Varietà' matematici che forruaron topografie, o disegnarono vie, cannU e fiunii a comun beneficio. E di tutte queste materie egli ragio- na con sobrie parole e eoa saldo criterio, mostrandosi profondo in ciò che reca dinanzi al nostro giudizio. Il perchè noi credia- mo che questo discorso sia im nobile frutto di quella patria ca- rità, e di quel senno gentilissimo onde il nome del Coppi è già solenne per tutta Italia, B. Barone alcune osservazioni sopra una memoria dal sig. Adriano Balbi, con la quale si stabiliscono incontrovertibilmente i tempi di due prese di Troia avvenute in due guerre mosse contro essa dai greci. XI eh. sig. Adriano Balbi con una ben ragionala memoria, che primamente vide la luce nel giornale di scienze, lettere ed arti ppf la Sicilia, e che riprodotta venne nell'Oniologia di Perugia (fascicolo di maggio |834), ne addimostra la ragione per cui in- torno all'epoca della presa di Troia discordarono e gli antichi dotti, come dà a conoscere Gensorino nel libro sopra il dì na- talizio, cap. XXI, ed i cronologi degli ultimi secoli. Chi volle assegnare a questo avvenimento un'epoca, e chi un'altra, facen- dosi dall' anno 1780 del mondo al 2820 corrispondentemente a quel tempo, in cui ciascuno avvisò essersi incominciata la detta guerra, la quale cessava colla mina di si famosa città. Le varie loro opinioni circa 1' epoca di questa nascono principalmente dalla difficoltà che gli uni incontrano a fermarla nell'anno sta- bilito dagli altri; e ciò per la ragione, che i personaggi, i quali ebbero parte nell' avvenimento medesimo, scontransi vissuti in età diverse tra loro. Essendovi però sino dagli antichi tempi prove certe, che essi tutti combattessero nella troiana guerra , Varietà' 111 non che storici documenti, che indicano avvenute in quella cit- tà due guerre, potevasi con molta facilità assegnare , com'egli ha fatto, l'epoca ad ognuna. ,, Troia non ebbe che sei re (sono parole del Balbi), sottq l'ultimo dei quali ella fu presa ed abbruciata dai greci. Barda- no, da cui essa a principio prese nome di Daidania, la fondò l'anno del mondo 2524, e vi regnò anni trentuno; Erittonio vi regnò anni settantaciuque; Troe^ da cui questa città, smesso il norpe di Dardnnia, si nominò Troia, vi regnò anni sessanta; Ilo, phe gli succedette, e da cui la fortezza di Troia s'appellò Ilio, vi regnò cinquantaquattro anni; Laomedonte, anni trentasei; e Priamo anni quaranta. Quindi avendo gli argonauti , ritornali che furono da Coleo sotto il comando d'Ercole figlio d'Alcme- na, battuto ed espugnato Troia, ucciso Laomedopte, e dato il regno a Priamo figlio di lui, per essere stati esclusi dai lidi tro- iani; ciò che narrano Darete Frigio, Diodoro Siculo, ed Igino: la prima presa di Troia non può che essere avvenuta l'anno del mondo 2780, in cui fini di regnare Laomedonte, e la seconda l'anno 2820, in cui fini di regnar Priamo. Aggiungasi che il ve- ro tempo della seconda presa di Troia viene ad emergere anco- ra dalla vita di Teseo, della quale non vi ha nell'antichissima stona serie di cose più esatta e più sgombra di falsità, cosi per constar essa di fatti, che tra loro perfettamente concordano dì tempi, e vengono anche da vari scrittori concordemente confer- mati, come per essere stata ben dibattuta p dilticidata da Plu- tarco e da Giovanni Meursio. Ora da essa risulta, che Teseo verso l'anno del mondo 2^68, secondo del suo regno, le dodici città dell'Attica componesse, e rassembrasse in Atene, e facesse dai greci celebrare a Nettuno i giuochi istmi; ed anzi sottilmente calcolando, io trovo che tutto questo caderebbe intorno a due anni più in giù, cioè nell'anno del mondo ayyo. Cosicché, sic- come dalle tavole arundelliane risulta esserne scorsi cinquanta da questo avvenimento alla seconda presa di Troia , viene che questa accadesse l'anno 2820 della stessa era; e che nella prima guerra abbiano combattuto Telamone, Ercole, Teseo, Giasone, Orfeo e tutti gli altri eroi del vello d'oroj e nella seconda i lor figli ed i loi-o nipoti Agamennone, Menelao, Achille, Aiace ed altri. „ 112 Varietà' Questa opinione delle due prese di Ti-oia, cronologicamente ordinate dal Balbi, osservammo essere mirabilmente confermata dal verso 5gg del libro IX dell' Eneide dove si legge bis capti phrjges ec. Il La-Cerda, che commentò si dottamente l'altissi- mo poeta, notò a quel luogo, che Troia fu presa tre volte: Tzet- zes tameii in Tlieocr, ter ait captos , ab Hercule, amazonibus , graecis. Cosi pure Ugo Foscolo nel suo carme de'sepolcri, ove osprimesi come segue: ....... e tutta narrerà la tomba Ilio raso due volte, e due risorto Splendidamente su le mute vie Per far più bello l'ultimo trofeo Ai fatati Pelidi.- altenulo essendosi ad Omero, il quale nel III libro dell'Iliade pone sul labbro a Priamo queste parole, nel favellare con Elena,- Sovviemmi il giorno ch'io toccai straniero La vitifera Frigia. Un denso io vidi Popolo di cavalli agitatore Dell'inclito Migdon schiere e d'Otrèo, Che poste del Sangario alla riviera Avean le tende, ed io co'miei m'aggiunsi Lor collegato, e fui del numer uno Il di che a pugna le virili amazoui Discesero. Ma tante allor non furo Le frigie torme no, quante or le achee. L'egregio sig. Adriano Balbi, che con tanta diligenza e fe- licità seppe fissare le epoche delle due prese di Troia, per gli argonauti cioè condotti da Ercole , e pei greci capitanati da Agamennone , saprà senza dubbio o smentire 1' asserzione di Tzelze, d'Omero, e conseguentemente del Foscolo, o per piena trattazione del suo argomento assegnare con egual precisione il tempo di quella terza presa di Troia, fatta dalle amazoni. Francesco Gapozzi Varietà' ÌÌ3 in morte di Fulvia Òllvari Fulcini. Parma per Filippo Carmi- gnani 1837 in 8. Voi. unico di carte 67. Nella stessa occasione; Modena per Giovanni Vincenzi e comp. 1837 '" ^' ^^^' "'^'^ó di carte i io. V^uesta gentilissima dama nacque in Modena ai 27 di settem- bre 18 15 da quel patrizio Francesco Maria Olivari, e dalla mar- chesa Guglielma Boscoli di Parma. Per gli aurei costumi e pel non vulgare ingegno formò la delizia degli ottimi genitori > che in lei, unica figlia superstite, si confortarono della perdila di due altre, l'una maggiore a Fulvia e l'altra minore^ volale al cielo in tenera età. Educata con ogni cura é come a gentildon- na convenivasl, coltivava con amore la lingua italiana è fraricé- sc, e gustava eziandio la tedesca e la latina. Era poi a mai'avl-^ glia istrutta rie'femmlriill lavori. Toccava il 18 anno quando era disponsata al cav. Enrico Mazzarl Fulcini di Parma. Colmava di giubilo la nuova casa, ed esatta nell'adempimento de'propri do- veri, tutto amore era pel suo corisortej cui rallegrava di bella prole: ma colta dopo il secondo parto da lunga e insanabile la- fermità, munita di tutti i soccorsi della nostra religione nel 19 dicembre del i836 placidamente spirava^ lasciando nel più vivo dolore i genitori, il consorte, gli amici, i congiunti, e quanti co- nosciuta l'avevano. Le belle virtù di questa egregia hanno dato luogo alle due raccolte che annunciamo, e per cui gareggiaron fra loro Mode- na, ov'ebbe 1 natali, e Parma ove andò a marito, in invitare al canto valenti poeti. In fatti nella prima, tutta italiana, oltre la elegante prefazione del eh. sig. prof. cav. Michele Leoni leggon- si 1 sonetti del prof. Pietro Bernabò Sdorala, di Agostino Ga- gnoli, del cav. prof P. A. Paravia, dell'avv. Marc' Antonio Pa- renti e di altri illustri poeti, v' è un ode del conte Giovanni Marchetti, ed una cantica di Giorgio Viani. Non potendo noi riferire tutte queste poesie, ci contenteremo soltanto di riportare per saggio un sonetto del sig. conte cav- Ferdinando di Casta- gnola posto a carte 23. G. A. T. LXXllI. 8 114 Varietà' Fra le tombe di lor che un di la vita Mi feano dolce, e invan richiedo al cielo^ Novella tomba, or or scoccato il telo Di morte, al guardo mio pietate addita: Non di chi sua giornata avea compita. Perchè lo vinse dell'etate il gelo^ Ma di donna ivi posa il fragil velo Che in suoi verd'anni fé da noi partita. N'eran laudati il portamento onesto E l'amor casto e il candido costume. Neglette doti e d'altro secol degne. Ah! tempo ben di lagrimare è questo; Che ove rifulga di virtute un lume E baJen che sfavilla e si dispegne. Più estesa pel numero de' componimenti e per la varietà delle lingue è la seconda raccolta, quella cioè di Modena. Dopo un nuovo elogio della Pulcini vi sono poesie italiane, latine e greche: due sonetti, l'uno spagnuolo l'altro inglese voltati in ita- liano: ed iscrizioni italiane e latine. Qui pure veggonsi bei no- mi, e fra gli altri quelli del marchese Tanari, delia contessa Ca- terina Murari Risenfeld, del eav. Dionigi Strocchi, del prof. D. Cesare Montalti, di Pietro Giordani, di monsig. Muzzarelli, dell' ab. Giuseppe Manuzzi, e del prof. Michele Ferrucci. Anche il Colombo, il nestore de'letterali viventi, nella saa «tà nonagena- ria ha sparso un fiore sulla tomba di questa matrona, e volen- tieri riferiamo il suo sonetto indirizzato all' afflitto consorte (carte 5i) V A n I K T a' ÌÌ3 Da quell'albergo avventuroso e santo; Di cui fatta è novella abitatrice, A te sen viene la tua donna accantòj TécO s'asside, ti favella e dice: Vedi, Arrigo, deh! vedi e come e quanto Io viVà in grembo à Dio lieta e felice, E póni freno a un angoscioso pianto Che a te ndd men che a me si mal si addice.' E ti conforta colla dolce speme Che non sdggiornerai sempre quaggiusò Dalia cara metà di te disgiunto. Verrei verrà quel giorno in cui lassusò Un'altra volta a me sarai congiunto, E vivrem poi perennemente insieme. Fra le iscrizioni latine ci sembra che trieriti di essere jiat'- ticolarmente commendata questa del sig. prof Michele Ferrucci HOSPES . SCIRE . SI . LIEET CiÀEfiES . HEIC ; COMPOSITI . ADQTIÉSCVNT FVLVIAE . FRANC . F . OUVARIAE Ì)OMO . MVTINA . PATRICIA . NOBILITATE QVAM i OMNIGENA . VIRTVTE . SPECTATISSIMÀM IN . IPSO . ITVENTVTIS . FLORE . ÉXTINCTAM HENRICVS . MAZXARlVS . QTI . ET . FVLCINIVS EQVES . BENEF . COTNSTÀNtimAN A . CVB 4 KAR . LVDOVICI . PRIÌNC . HÌSP . NOMINIS . DVCIS . LVCENS MARITVS . MAESTISSIMVS * PRIMAM . CONDIDIT IB . nEQVIETORIO . QVOD . ET . SIRI . DOMIQVE . SVAE . VMIVEHSAE PARARI . IVSSIT . ANNO . MDCCCXXXVI. 116 Varietà' E delle italiane non possiamo tacere questa affetttìosissima di nionsig. MuZzarelli: pAc2 . Alle . cbnbri DI FVLVIÀ «OtlVAHI ESRMPIO . DELLE . VIRTV . PIV . RARE COLPITA • DA. MORBO . IRREPARABILE CESSÒ . DI . VIVERE d'aNM . XXI DA . TVTTI . PIANTA . DESIDERATA IL . DÌ . 19 .DICEMBRE . 1836 MADRE . AD . AMALIA . E . MARIANNA . A . LEI . SVPEHSTlTl FRANCESCO • E . GVGLIELMO . BOSCOLI GENITORI . INCONSOLABILI ENRICO . MAZZARI . FVLCIM MARITO . AMANTISSIMO ALLA . CARA . RAPITA QVBSTA . MEMORIA VLTIMO . PEGNO • DEL . LORO . AFFETTO VOLLERO . COLLOCATA II costume delle raccolte ad ogni circostanza che si presen- ti, è in oggi così comune, che molti giustamente le hanno a schifo, essendone per verità pieni a ribocco. Il Bettinelli ed il Roberti fra gli altri furon tra'primi a riprovarne l'uso. Quando però nobile sia il subietto, e giudÌ2iiosa la scelta de'coniponinien- ti, non potranno certamente dispregiarsi coloro, che le promuo- vono; imperocché é una bella mercede che rendesi alla virtù, ed è onorevole la gara, in cui si mettono gl'ingegni, alcuni de'qua- li forse non scriverebbero se non si offerissero loro queste occa- sioni. Per verità se parlisi di raccolte per nozze, per lauree ec. assai più ne piacerebbe la pubblicazione di qualche libro utile fatta in tale circostanza, e dedicata a que' medesimi per cui si Varietà' 117 vori'ebJiero invocare le muse. Trattandosi però di trapassati, non sapremmo in qual altro modo si potesse tributar loro la nostra gratitudine ed amore. Volendo però parlare con quella sincerità, ch'è propria del nostro giornale, diremo che nellq seconda raccolta non avremmo voluto vedere né quelle sestine acrosticlie colla traduzione lati- na in un epigramma acrostico (carte 86, 87), nò quel sonetto estemporaneo (carte 61), il quale è tessuto in guisa, che può an- che leggersi salendo dall'ultimo al primo verso. Questo esperi- mento che sorprende, e può piacere a primo aspetto alla mol- titudine, toglie assai alla gravità della poesia, inceppa la nien- te dell'autore, e si oppone all'esatto e filosofico concatena- mento delle idee Giustamente adunque siffatti coniponinienti sono da coloro sbanditi che nella poesia cercano la solidità del- le idee e la bellezza delle immagini, non già l'apparenza ed il fumo. Che se poi anche con queste volontarie pastoie giunges- sero a dare buoni componimenti, ammireremo maggiormente la prontezza e la vivacità del loro ingegno. F. Fili Momtam La Georgìca e l'Eneide di Virgilio volgarizzale in ottava rima da Lorenzo Mancini accademico residente della crusca, Fi- renze, Ciardetti Voi. I, li in 8. iSSy, Ui questa nuova traduzione di Virgilio terremo parola in uno de'venluri fascicoli ragionandone a lungo. F. F. M. 413 Necrologia - Rosini monsig. Carlo Maria. V-4arlo Maria Rosini nacque a I^apoli il primq giorno d'aprile del 1748 da Vincenzo e da Maria Antonia \vA\ donna di singoiar bontà di costume e di senno rnaraviglioso. Il padre suo era nato a Rufrano, non ignobil terra dell'antica Lucania; ed essendosi dato alla njedicina, di là era passato a Na- poli ove si fé molto addentro in questa scienza e nella letteratura. Egli stesso fu primo istitutore al fanciulletto , avviandolo agli studi degl' idiomi greco, latino, ed italico; e quindi conosciuta la inet- titudine d'un maestro, cui lo avea jSdato piìi per custodia che per insegnamento, di appena sett'an- ni a'gesuiti lo consegnò, presso i quali sifikttamen- te progfed'^ che braniarono farlo de' suoi : al che piostravasi Carlo inchinalo, se la immatura morte del padre e l'in^raenso lutto in cui restò immersa la madre non Ip avessero impedito. Allora trovan-? dosi in istrettezza grande di fortune, che il padre avea poco curate, venne posto gratuitamente fra gli alunni del seminario napoletano, ove si die alacre- mente agli studi della rettorica e della poetica; e quindi nel liceo arcivescovile applicò l'animo alla ftlosofia e teologia, non senza faticarsi nelle leggi SI civili e si canoniche. Ed avendo già il Rosini presi gli ordini sacri, fu scelto ad instit^iire i g^r- zonetti nel seminario medesimo: incarico cui adem- pì con diligenza e severità grandissima. A questi tempi trasportò dal francese al volgar nostro i Ru-^ (limenti di lingua greca ad uso degli alunni del se- minario, lavoro che riesci molto approvatp e frut-? 119 tuoso. Appresso venne fatto prefetto degli studi nel seminario, canonico della metropolitana, e dal re Ferdinando scelto alla cattedra di s. scrittura nell'università in luogo di Nicolò Ignarra, e posto fra' primi soci dell'accademia ercolanese da lui re- staurata, dandolo altresì compagno all'Ignarra nell' interpretazione de'papiri. Ne'quali trovato il Rosini pascolo adatto, si die a tutt'uomo a studiare in essi, e non passarono cinque anni che pubblicò il non breve libro di Filodemo TTspj rvjg Mcvcrjxvj^, aggiun^ lavi r interpretazione, il supplemento, ed un co- mentarios lavoro di gran peso, d'erudizione e dot- trina immensa, accollo con lodi infinite , e che sì piacque al re Ferdinando , che la presidenza de' papiri gli diede in perpetuo, e molti segni di regia liberalità che illustrarono tanto il Rosini, quanto l'intera accademia ercolanese. Lodi e prcmii siffatti anziché invanire il Rosini, stimolaronlo a maggiori cose: e già prometteva quanto prima una piena e sicura istoria del Vesuvio, la quale ragionasse delle varie eruzioni del monto , salendo infino a quella di Tizio ; ed appresso dell' avvenimento delle li'e consepolte cillki poi de' reali scavi di Ercolano, e delle sue vicinanze, parlando insieme de'monumen- ti quindi estratti, della biblioteca de'papiri, e del- le vicende cui era stata soggetta. Questa storia, sì necessaria ad illustrare ed interpretare que'cimeliij Y aveva già intrapresa per reale comando Alessio Simmaco Mazzocchi: ma impedito dalla grave età e da altri lavori, non l'avea potuta compire. Il Ro- sini si applicò solo ad essa, e con tanto maggiore impegno, che prima avea faticato nel volume erco- lanese intorno all' isagogica dissertazione ; e non trascorse un triennio che ne ebbe condotta a fine 120 la prima parte, e collii medesima alacrità avrebbe presto terminate le altre. In que'libri, pienissimi d'ogni erudizione, non solo trattò la cosa con moU ta scienza archeologica; ma della fisica e della mi- neralogia si mostro spertissimo, usando di uno stile sobrio e di una stretta maqiera di scrivere: aman^ do meglio sembrare talvolta nudo e digiuno, che prolisso, e di vane frondi adornato. Grave iattura fu per le buone lettere ch'ei non recasse a compi- mento le altre parti dell' opera, impeditone dalle cure del vescovato di Pozzuoli, a cui pochi mesi dopo venne elevato. Allora ninna cosa avendo me-r glio a cuore che l'istruzione de'cherici e sacerdoti, riordinava il seminario, nuovi metodi proponendo di cui egli stesso curava l'osservanza, interveniva alle scuole, e con certami, premi , e lodi studiava destare faville di utile emulazione, insegnando egli stesso in casa i più valenti alunni nelle greche e latine lettere. E perchè agli onesti solazzi non man- casse l'utilità, scrisse parecchie comedie latine lepi- dissime e castissime , che loro faceva recitare. Al che aggiungendosi l'esatta disciplina de'costumi che manteneva, e i dotti sacerdoti che uscirono di quel seminario , ne crebbe siffattamente il grido che i giovani vi accorrevano da ogni parte; ed egli, per- chè non avessero cagioni di tornare alle lor case, CQstrusse nuovìi villa ove due volte nell'anno a seco diportarsi U conduceva, Somiglianti cure non disto- glievapo Carlo d^l compiere le altre parti dell'uf- ficio suo; che fino a tarda notte dava diligente opera alle cose della diocesi, di cui più volte compiva la visita , dando provvedimenti e leggi sapientissime. Alle sagre funzioni assisteva continuo, predicando al popolo, ed esplanando i rudimenti della fede: e nel 121 difendere poi i diritti di sua chiesa fu si fermo , che in tempi difhcilissimi corse pericolo di vita. Della effusa liberalità ne'poveri lungo sarebbe il di- re: onde non toccherò che l' ospizio che a grandi spese fondò alle pericolanti fanciulle. Sapienza e vir- tù SI grande il misero in tale fama , che i re di Napoli gareggiarono nello stimarlo , e colmarlo di onori , poiché fu consigliere intimo di stato , regio cappellano , presidente più. volte dell'accademia er- colanese , perpetuo della reale società borbonica , de' 24 consultori del regno, direttore per alcun tem- po dell'istituzione letteraria di tutto il regno , e ven- ne adoperato ne' pili gravi negozi della ecclesiasti- ca repubblica. Modesto il Rosini fra tanti onori, fu specchio di amista , di fede e di virtù bellissime. Ebbe alla e diritta corporatura , orecchi lunghi , volto e sopraciglio grave , larga fronte, occhi tan- to vivaci , che al sol vederlo mostravano l'acume e l'alacritU dell'ingegno. Le gambe ebbe gonfie , tal- ché al sopravvenire della vecchiezza non potea più muovere i piedi : ma egli impaziente di riposo fa- cevasi portare in lettiga per casa, ne'tempii , e per le terre della diocesi. Per la sua frugalità ed asti- nenza visse in buona salute fino all'ultima vecchiez- za; mancando per appoplesìa a'18 di febbraio 1836. Le iscrizioni del funerale furono composte da Ni- colò Lucignano che ne disse funebre elogio , e ne dettò un comentario latino elegantissimo. Con lati- na orazione e con versi lo celebrarono gli alunni del seminario , e con elegante narrazione di sua vi- ta il cav. Prospero della Rosa. Oltre le opere accennate di sopra, lasciò il Re- sini stampate: Vita Horatii Jacopi Martorcllii. 122 Epistola de locis theologicis - Romae 1 825. Tro- vasi in fine all'opuscolo De vita Dominici Cop- polae etc. Opere inedite, Sententia de conductione tacita - Exercitatio aca-- demica. Dissertatio de novissimi paschatis dominici die. De Laptismo novi foederis. I)e authentico Nicaeni I canonum numero, Commentarius in tit. decret, de feriis, Graeciae chorographia. Synopsis archaeologiae graecae. De marmore graeco suessano dissertatio. Dissertationìs isagogicae pars altera incepta. Dissertazione intorno al tempio puteolano detto di Serapide Inscrizioni e versi in greco, latino ed italiano ecc, Qt, F» Hambelli NIHIL OBSTAT E Jacopini Censor Theol. Deput. IMPRI3IATUR fr. Dom. Buttaonl O. P. S. P. A Mag. IMPRIMATUR 4- Piatti Patriaixha Antiochenus Vicesg. \ INDICE DELLE MATERIE Contenute nel voi. 217. SCIENZE Caraffa, Corso di materiialiche tradotto con note dal Volpicelli. P^S- ^ Perronc, Praelecliones theologicae, voI.IV- 6 Tonelli, Rivista medica (oonlìnuazionc). 2T Giusti, Corso di filosofia. 34 Peretti, Della cetraria islandica. 4** LETTERATURA Campanari, Degli anlicbì' tuscaniensi e del modo di sepDelIire in Tuscania. 49 Pellegrini, Tragedie. - 67 Vaccolini, Osservazioni sul bello,Art.XIII 76 Bonelli, Praecipuorum philosophiae sy- stematum disquisitio historica. Palma, Storia ecclesiastica e civile della regione più settentrionale del regno di iN;ipoli. Varietà. Necrologia di monsig. Rosrui. Tavole meteorologiche. 89 95 107 118 GIORNALE ARCADICO DI SCIENZE , LETTERE , ED ARTI VOL. 218. 219. ROMA ISELLA STAMPERIA DELLE BELLE ARTI 1837. SCIENZE Osservazioni medico-pratìohe, ed anatomicQ-^patolo- giche intorno il melena. Lettera del dottor h.x\- ^e\o Santini membro di parecchie accademie, so- cia corrispondente della società delle scienze fi- siche, chimiche e te. di Parigi, medico primario in Montalboddo, diretta al chiarissimo signor dot- tore Francesco Valori membro del collegio me- dico-chirurgico della romana università, profes- sore di sanità della s. consulta, medico, fiscale di Roma, ^ià presidente della società medico- chi- rurgica di Bologna,, membro di molte accademie mediche e letterarie d^ Italia ecc. ecc. ecc. Chiarissimo Sig. Professore G, raJevole occupazione fu al certo per me l'es- sere stato intento alle pratiche osservazioni medi- che , ed or m'è gratissimo d'indirizzarle il risultato di alcune di queste sul melena. Costume lodevolissi- mo ed infinitamente vantaggioso fu sempre mai il render note le mediche osservazioni fatte in cittk e negli spedali , da cui moltissimo profitto trasse- ro i medici che furono all' esercizio dedicati. Que- st'uso applauditissimo è slato seguito da molli gran-' G.A.T.LXXIII. 9 130 SCIRN*» di dell'arte nostra , ed ha portato a tutti noi sicu- ramente non poca utilità nell'esercizio pratico : ed io per siffatta ragione intraprendo ad eseguire di buon grado le tracce loro , sulla persuasiva di por- tare notabile vantaggio ali* umanità. M* ingegnerò dunque di dimostrare con succinte storie di varie malattie ordinariamente letali, e primieramente una delle poco frequenti, ma pericolose, che assale il corpo umano , sperando che mi sarà pur concesso di parlare, per quanto pur lo comporteranno le de- boli forze mie , sopra quattro individui attaccati da gravissimi meleni , morbi neri cTlppocrate , i quali segnarono l'estremo pericolo , ed avrebbero indubi- tatamente ed irreparabilmente incontrato T ultimo loro fine, giusta il ricordo lasciatoci dal padre della medicina su tale affezione: Morbus laethalis quidem est , ìion autem consenescitt se curati e vinti non fossero stati col metodo tutto deprimente, conforme all'aureo trattato , ossia ricerche intorno al melena del eh. professor Michele Santarelli^ presidente del collegio medico-chirurgico della pontificia universi- tà di Macerata, pubblicato in Foligno pel Tomassi- ni nel 1830. La medicina più che scienza è un'arte, diceva egli , che non può apprendersi che al fianco di abili artefici. Egli mi fece conoscere i processi morbosi nel modo stesso con cui il celebre Frank si com- piacque ad esso manifestarli , ed ebbi in tarepoca favorevole circostanza di osservare non pochi infeli- ci attaccati da sì terribile malattia: motivo per cut non ignaro della sua maniera di curare e della sua felice pratica , ho potuto sperimentarla e confer- marla inoltre nel mio pratico esercizio , e quin- di portare a salvamento i 4 nominati esseri che sciaguratamente furon colpiti dalla detta infermità. OssERVAsioNi SUL Melena 131 Fratlanto a me sembra non esser del tutto disprezzabile il premettere una brevissima descri- zione del medesimo morbo , onde far conoscere a pi^ima vista ai giovani alunni il vero carattere e la sua ordinaria ferocia , non che il suo crudel fine , stante la moltiplicitk delle opinioni fra lo- ro discordi tanto degli antichi , quanto dei mo- derni scrittori intorno la diagnosi vera di detta affezione : quindi il suo stato di cura : finalmen- te la dimostrazione dell'opinione dell'illustre pro- fessor mio universalmente accolta ed abbracciata non solo , ma dello stabilimento della vera indo- le e sede, e del di lei trattamento ancora riusci- rà io spero molto proficua, giacche medicus siiffi- ciens ad morhitm cognoscendam^ sufflciens est etiani ad sanandwn^ aggiunge lungher: Da vera morborum diagnosi certo therapiae fundamento etc. Quel flusso di ventre adunque di materia ne- ra , o rossiccia rigettata per bocca o per seces- so , o per entrambi , che essendo per lo piìi prece- duta da dolori vaghi del basso ventre , ed altri che dalla lombare regione allo stomaco si estendano , morbo nero d'Ippocrate^ ossia melena^ o per me- glio dire ematemesi dai moderni e segnatamente dal celebre Speranza si appella, e con molta saviezza fu meditata da Portai^ ed approfondita nei suo anda- mento da Alibert'. Morbus luger , fluxus splenicus , dissenteria splenica , nigrae dejectiones di Saiwa" ges. I controstimolisti lo riguardano come un sin- toma di flogosi della membrana mucosa digestiva: morbo con molta facondia designato da Tissot e da Testa sulle malattie del cuore : vomito cruento con secesso mucoso od anche senza di esso si ritenne da Uoffniann , e denominato per infarcimento vascola- 132 Scienze re sanguigno da Kaunph ec. Se tali perdite si rinno- vano però di tanto in tanto strabocchevolmente , colui che ne è aggredito fra le pene e le angosce si avvicina a pagare , o paga ancora l'inesorabile tri- buto alla natura , ovvero vieii trascinato misera- mente alla consunsione ed all'idrope. L'erudita , compendiosa ed esatta descrizione lasciataci dal vecchio di Coo nel lib. II de morhis , indispensabile al certo ne rende la lettui'a alla gio- ventù per essere molto utile ed istruttiva. Molti che le tennero dietro, e segnatamente Galeno^ la ri- guardarono come prodotta dall'atrabile , da sangue oscuro, e dalla sua amurca. Tanto Foresto come Strunk la ripeterono da adunamento di sangue nei vasi del ventricolo , della milza , e del fegato. La milza, dice Stork, col mezzo dei vasi brevi scarica il sangue nello stomaco ; il fegato per la via del con- dotto bilifero se ne sgrava nell'intestino duodeno , ed in quest' ultimo caso la materia nera viene eva-« cuata per l'ano piuttosto che per vomito od almeno in tenuissima quantità. Siffatta opinione venne quin- di abbracciata non solo , ma accreditata eziandio da Boerhaave e da Wan-Svieten , cosicché fu da quest'ultimo colle sue prodigiose osservazioni tal- mente arricchita ed illustrata, che i medici di quei tempi professarono generalmente la stessa dottrina , ed a prima giunta ha portato qualche sorpresa ai moderni eziandio. Simpsoìi intanto col suo acuto ingegno ben si accorse , che la murchia che dai lacerati vasi sorti- va , altro non era che sangue misto ad umori anne- rito e ridotto a guisa di sciolta , e spesse volte anche densa pece. Malgrado di ciò, la vecchia supposizione non venne spenta: e concordemente unironsi le ulti- OssERVAiioNi SUL Melena 133 me alle prime investigazioni, fissando per massima certa ed indubitata, che il melena traeva origine dal- la bile nera e dal sangue atro, o da entrambi. Molti scrittori del passato secolo sono di tale avviso , e sifìiitta idea non venne disprezzata dal famoso Sau- vages. Fu dai medesimi ritenuto che l'atrabile potesse influire sul morale , e quindi ripetevano dalla me- desima le alterazioni delle intellettuali funzioni , e ritennero eziandio che quelli aggrediti dal melena spesso rinvengonsl con tali cambiamenti, come Gil- bert , Tissot ed altri attestano. Aggiungono di più che la maggior parte di coloro affetti dal suddetto morbo si riscontrano pensierosi , taciturni , qualche volta maniaci , e spesso occupati da uu profondo si- lenzio. Altri , contrari alla propria esistenza , ama- no restar soli ed ansiosi di particolare egoismo. So- no pur anco irritabili , fieri , impetuosi , sospettosi, e facilissimi a dimenticare i beneficii usati. Passano d'altronde con molta facilita dall'un estremo all'altro. Posti in obblìo i partigiani della dottrina dei quat- tro umori , vennero in campo altri a rigettare l'a- trabile per incolpare il sangue. È cosa veramente sorprendente che il nosologo di Edimburgo volente- roso accetti la opinione di varii, che la materia nera spesse volte picea, che disegna il melena^ possa sca- turire dal fegato. Essendo pertanto universalmente accolta l'idea del celebre Tissot^ che la materia nera le tante volte ripetuta da Ippocrate altro non sia che sangue ver- sato entro il tubo intestinale , ed essendo stata una tal massima dedotta da moltiplici osservazioni isti- tuite da altri pratici anteriori al ^Fissot ^ e segnata- mente da quelle di Hoffmann , si venne alla deter- 134 S e I E N Z K minazlone d'i riunire sotto una sola denominazione e specie il K>omito cruento ed il melena^ chiamandolo einntemesi la maggior parte degli scrittori anche mo- derni : e si riguardò la prima come una difFussione della seconda affezione, tra'quali fu Cullen che ven- ne interamente seguito da Kempft, ed uni le dette due malattie in una soltanto. Viceversa ammesso da alcuni I*infarcimento va- scolare, non sanno stabilire se il melena attribuir si debba a vizio de'fluidl o de' solidi , e poscia quali dei due siano primieramente alterati. Montfalcon propende in parte per la dottrina dei quattro umo- ri , e Broussais è di sentimento che il sangue e gli umori nutrienti alterar si possono nella loro compo- sizione e produrre sconcerti morbosi. (Bcgin. Prin- cip. gen. di physlol.) Il signor Polidori , dietro un risultato di fatti , ammette nei vizi umorali la sor- gente di varie malattie- Rochoux , Velpeau , e Se- galas sono inclinati per l'alterazione degli umori , per cui non solo egli , ma altri ancora ripetevano Vematemesi splacnica almeno nei suoi principii da vizio nei fluidi. Tanto Speranza, quanto Barzellotti escludono le malattie umorali (Vedi Giorn. de'lettc- ratl num. XXVIL). Drejssing parlando di tale aife- zione sulla diagnosi medica si unisce interamente a Cullen ed a Kempft nella riunione del melena col- r ematemesi, riguardandola come sola, e stabilì la stessa cosa ed abbracciò il medesimo principio. Di siffatto accoppiamento fece menzione Cui' len medesimo ne'suoi elementi con molta precisio- ne: lo che apprezzò immensamente il celebre Frank, e nella sua maniera di curare le malattie umane fece anch'(;gli motto del melena considerandolo co- me una varicl'a AcW e materne si' Quest' accoppiamen- Osservazioni sul Melena 135 It) poi efa stato in antecedenza valutato e sostenu" to con molta fermezza da Lieutaudi e fu d'altron- de tal massima talmente apprezzata^ che da molti si riguardò il melena come un semplice profluvio cruento, mentre il vomito sanguigno si confonde fa* cilmente con Vemoftisi ed il morbo nero. E di fatti la nominata emorragia venne riguardata per un egual profluvio soltanto, benché non dovrebbe es-^ ser collocata in questo genere di malattia^ giacche ha dei caratteri particolari^ e non ha molta somi^ glianza alle altre speciet ciò non ostante ne Pinel ne Sawvages furono di unanime consentimento ad includerla in questo genere» essendo una malattia ospitante nel ventricolo e negf intestini sì tenui e sì crassi» Essa è sì fiera, che in pochissimi giorni da mor- te a quegli sciagurati che attacca, Dodoneo nes- sun' individuo vide giammai guarire, e Sauvagei ri- corda ristabilirsi qualche donna, la cui cagione era catameniale (Nosolog. method^ t. II). Ma parlando alla sfuggita della condizione pa- tologica tanto locale quanto generale del detto mor- bo, non solamente Cullen ammette che per lo piìi sia atonica, ma molti altri anche moderni, e col- loca il melena fra 1* emorragie passive, e qualche volta si estende a porla tra le attive, e principal- mente allorché essa viene prodotta da soppressio- ne di emorroidi, o di mestrui, ovvero di altre eva- cuazioni, e finalmente ritiene il melena attivo al- lorquando esso derivò da cause traumatiche. Frank intanto, dopo avere istituita una rigo- rosa disamina sulle cause del melena, conviene an- ch'esso con Cullen, adoperando quasi le medesime espressioni, che nella maggior parte dei casi deb- 136 SCIEMZK La riguardarsi come astenica: ma però non esclu- de, anzi non si mostra ritroso ad approvare altre- sì esempi di opposta indole. Ciò che immaginarono i due suddetti celebri scrittori era stato molto prima argomento interes- santissimo, e convenientemente trattato dal medico di Losanna, essendo di unanime consentimento con entrambi, ed opinò tanto la lacerazione quanto la perdita sanguigna doversi ripetere dalla debolezza e lassezza de' vasi sanguigni. Non dissentirono pUnto da questa massima Pinel e Clark^ ed intieramente ambedue convennero. Glie dirò poi di Dreyssitìg^ il quale apprezzò tanto un tale sentimento, che lo sparse ovunque per mezzo della sua opera, espri- mendosi così alla pag. 11? «< Il vomito di sangue è attivo o passivo; affetta però più spesso quest'ultimo carattere. » Che dirò dell'illustre commentatore del celebre Frank, il quale non rigettò il suddetto di- visamento, ma gli accordò sommo rispetto ? Darà ima soddisfacente soluzione al presente quesito ciò che disse il eh. professor Santarelli nel citato di- scorso, riportando io qui le sue stesse pai*ole: « Mi sarà pertanto permesso di riguardare l'o- « pinione di coloro che ultimi hanno parlato del « melena del tutto uniforme alla sentenza del si- « gnor GuUen , secondo la quale il melena è il piìi « delle volte un'emorragia passiva ad atonica, osisla « astenica la condizione delle parti ove la mede- « sima succede. « I seguaci della nuova dottrina medica italia- « na vennero in questi ultimi anni in opposta sen- « tenza. Persuasi che le emorragie siano sempre ed « esclusivamente attive malgrado l'opposizione delle « altre scuole , e riflettendo che i rimedi impie- OssERVAWoNi SVI. Melena 137 « gatl con profitto contro il melena godono il pote- « re di deprimere e controstimolare , suU'appog- « gio , io dissi , di queste due salde considerazio- « ni, e senza il soccorso di autopsìe cadaveriche, lo « definirono un morbo ipèrsténico. Méntre questa « paiate di patologia ei'a così diversamente ammes- u sa ^ io avea già molto tempo pi*ima » e per piti tt e pili anni raccolto non poche osservazioni, in « virtù delle quali mi era lusingato di poter de- « terminare la vera condizione morbosa producente « il melena. E non Volehdo con Soverchia fretta , e « con pochi fatti stabilire là mia opinione ^ cerca- « va nuove osservazionij le quali ponessero fuori di « ogni dubbio la sentenza da me adottata.» Necroscopia degli estinti dal melena. Fra gli scrittori principali, che si sono occupati suiranatomia patologica di quelli periti dal morbo nero, a me sembra che debba annoverarsi , ed as- segnarsi segnatamente Bonneto , il quale nel suo a- natoniico sepolcreto riferisce un caso di un giovine ucciso dal suddetto morbo, i cui intestini la mag- gior parte neri e sfacciati osservò, turgidi di sangue nero i vasi del mesenterio, ed il colon ripieno del- lo stesso umore che prima della morte avea in par- te evacuato. Le due interessanti osservazioni addotte da Hoffmanth riportate da molti altri che lor tennero dietro, ammettono nel tubo intestinale una dovizio- sa quantità di nero umore puzzolente , ed i vasi brevi turgidi di sangue ed altri perturbamenti nei visceri addominali. Vcd. tom. IV par. 2 sect. 1 tom. m pag. 76. 138 S G I fi n 2 fi V'ha un caso altresì riportato dal eh. Santarelli di un militare morto nello spedale di Terni neH799, il quale essendo stato aggredito da molti dolori, ed avendo questi continuato per 12 giorni, evacuò frat- tanto molte materie nere fetidissime, e quindi cessò di vivere all' approssimarsi dell' autunno. Essendo stati con ogni diligenza puliti gl'intestini, la maggior parte di essi fu riscontrata di un tessuto più denso, più resistente dello stato normale, ed il medesimo tessuto tinto di color rosso più o men carico. Ven- ne dal suddetto professore creduto infiammato, av- vegnaché non avesse osservato che pochi vasi rossi e turgidi di sangue. Il detto soldato tedesco era assai inclinato al vino. Similmente riferisce le sezioni di altri cinque estinti dal melena , e tutti presentano alle sagaci investigazioni un lungo tratto del tubo gastro-ente- rico infiammato. La flogosi pertanto venne dal me- desimo rinvenuta più decisa ed evidente ove le in- testina aderivano al mesenterio ed al mesocolon , per cui anche le dette membrane furono riscontrate nel loro attacco di quando in quando più dense , più resistenti, e più rosse dello stato ordinario : dal che chiaramente apparisce aver esse partecipato del- lo stesso processo. A conferma di tutto 'ciò vengo a riferire l'au- topsia cadaverica di due uccisi pel melena, morti nel civico ospedale di Macerata, fatta istituire dal professor Santarelli in faccia a molti suoi alunni, fra i quali era anch' io presente. La prima nella persona di Andrea Bergiani venne praticata, il qua- le aveva 50 anni circa, ed affezionalo soverchiamen- te al vino. Da più mesi essendo egli soggetto a per- dite di una materia nera e fetida per secesso, pre- OssKRVAziom SUL Melena 139 cedute e accompagnate da leggeri tormlnl, e poscia da una penosa esistenza, finalmente soccombette. « Aperto l'addome , il fegato e la milza si pre- « sentarono sani , le intestina tanto tenui che cras- « se contenevano una gran copia di materia nera. « Le loro pareti dal principio fino alla termina- ti zione infiammate, ma non con egual forza in tut- « ta la loro estensione. Rosse erano queste, ingros- « sate e resistenti : si rinvenne ancora lungo il « tubo alimentare tratto tratto di color atro por- « zione del medesimo , dove non ebbe dimora la « flogosi. Si riscontrò pure del sangue nero dopo « aperte le membrane intestinali sparso fra l'ester- « na ed interna membrana medesima: dal che ne « dedusse esser vere ecchimosi tali macchie. « La seconda nella persona di Pasquale Mar' * chettl calzolaio. Avendo soggiaciuto a forti dolo- « ri di stomaco varii anni addietro, questi veni- « vano ancor più inaspriti dopo l'assunzione del « cibo ; i medesimi l'aggredivan regolarmente, ed * aveva molta stitichezza. Era assai corpulento e to- « roso , passò poi ad una emaciazione straordinaria « ed inesprimibile. Si aumentarono poscia i sud- « detti dolori dello stomaco , e non risparmiarono « successivamente di attaccare l'addome. Quindi il « vomito di materie acquose, e poco appresso di ma- « terie nere. Di poi si sospende il suddetto vomito^ * e viene da questo a quando a quando disgrazia- « tamente obbligato a scaricare materie oscure e di n spiacevole odore , e questi scarichi fetenti ven- « nero accompagnati da piressia. Non tardò poi a « sopravvenire il vomito di sangue puro e quindi la ■ morte dell'infermo. 140 Scienze SEZIONE « Aperto l'addome, si rinvenne l'omento senza « adipe, ed avente delle irradiazioni inflammatoric. « Lo stomaco aveva naturale il volume, ma presen- « tò le pareti molto ingrossate, specialmente nella « grande curvatura dove sembravano portate all'al- te tezza di due linee. Niun rubore nella di lui ester- « na ed interna superficie , e ninna lacerazione di « vasi sanguigni. Il duodeno leggermente infiarama- « to lungo il suo attacco al mesenterio , ed infiam- « mata anche questa membrana maggiormente nel- « l'adesione del medesimo. Gl'intestini tenui in- « fiammati anch'essi con flogosi sempre crescente fi- ■ no agl'intestini crassi. Il mesenterio ne parteci- « pava egualmente colla stessa progressione. I vasi « venosi tanto di quest'intestini , come del mesente- « rio gonfi , turgidi di sangue , ed accresciuti più « del doppio della loro normale dimensione. L'in- « testino ileon nella superficie interna presentò « quattro punti distinti gli uni dagli altri di quasi « due palmi , ove si rinvennero cinque o sei vasi « per ciaschedun luogo rotti, e lacerati, dai quali « gemeva il sangue venoso , ed i medesimi vasi col- « iapsi. Gl'intestini crassi non dimostravano alcun « vizio. In questi si rinvennero delle fecce, ma nei « primi non si trovò umore alcuno atro costituente « il melena. Gl'intestini tenui prima di giungere al « cieco erano per un gran tratto esternamente ade- « renti tra loro. I vasi brevi, abbenchè lo stoma- « co, quale l'abbiamo descritto, come la milza fos- « sero nello stato normale , pure comparvero di un « volume doppio del naturale. » OSSKRVAZIONI SUL MeLENA. 141 Ometto di riferire alcune sezioni per non anno- iarla, e perche le ho credute inutili, essendo pres- so a poco simili alle altre : ed i risultati delle me- desime han fatto chiaramente conoscere che spes- so la flogosi riscontrasi stabilita nel tubo intesti- nale , e principalmente in quella parte che aderi- sce al mesenterio ed al mesocolon. Sebbene 1' in- fiammazione frequentemente abbracci il canale ga- stroenterico, i medesimi si rinvengono per lo più flogosati per l'altezza di un pollice ed anche più. Frequenti volte alla stessa flogosi tien dietro l'inte- stinale, in guisa che mostra di essere attaccato il me- senterio non solo, ma le intestina eziandio da una medesima contigua lesione. Per la tumidezza e l'ingrossamento di alcune linee delle pai'cti degl'intestini in vista di tale ac- crescimento , e della tenuità dei visceri stessi, a me sembra che la medesima flogosi possa aver so- miglianza all'epatizzazione dei visceri parenchi- matosi. Nelle sezioni dei cadaveri ordinariamente sì rinvengono le intestina nere ed oscure , stante la presenza della flogosi ivi stabilita , che per me- glio osservarle è mestieri evacuare la detta atra- bile cos'i denominata d'agli antichi. Allora lavate le intestina medesime si renderà ben chiara l'infiam- mazione stanziata nelle pareti delle medesime , a fronte delle altre alterazioni che possono negl'inte- stini rinvenirsi. Il celebre Frank nella sua epitome al parag. 611 , precisamente descrivendo V ematemed* aste" nica , disegna fedelmente la necroscopia di una donna morta pel melena^ nella quale rinvenne le pareti del ventricolo rosse, e pih rosse ancora le 142 S e t S N Z K riscontrò nella superficie del tubo intestinale di un uomo perito del medesimo morbo , e di piìi injet- tata universalmente di sangue senza erosione del medesimi. Sonosi per verità in parecchi cadaveri osser- vati dei vasi venosi lacerati , dalle cui fenditure scaturiva quel sangue in parte che ritrovasi coa- gulato negl'intestini e che si trasse fuori durante il corso della fatale malattia, come di fatto si rin- vennero da noi le vene corrose ed aperte nelle due descritte sezioni. Se altrettanto avvenga nei canali arteriosi, non saprei di presente addurne prove sufHcienti per altrui e mio convincimento : ma ripeterò ciò che scrisse su tal proposito T illustre prof. Santarelli nelle suddette ricerche: » Io non mi sono mai incontrato colla lace- » razione dei canali arteriosi, ne posso ricordarmi » che altri ci si siano avvenuti. È però possibile che » ciò succeda, e lo deduco dalla seguente osserva- » zione. Fui chiamato, son già molti anni, in Came- » rino per visitare il conte Valenti. Erano parec- » chie settimane che si trovava infermo, ed avea » perduto per l'ano molto sangue parte oscuro e » nero, e parte rosseggiante. Soggiaceva egli da mol- »» ti anni al flusso emorroidale, e la presente ma- » lattia si era manifestata nel suo principio con » tutti i sintomi propri delle emorroidi esterne ed » interne. Non si era riuscito a far cessare un tal » flusso sanguigno, e l' infermo si trovava ridotto » ad un'estrema debolezza. Essendo ricomparso nuo^ » vo scarico sanguigno, si dilatò l'ano, e si potè scor' » gere che all' altezza di un pollice sgorgava del > sangue rosso e spumoso, il quale veniva espulso Osservazioni sul Melena 143 » a successivi colpi che erano isocroni colla pulsa- » zione delle arterie. Si convenne derivare da un » vaso arterioso lacerato questo flusso sì pertinace. » Ora è ben naturale il persuadersi, che altret- tanto possa avvenire nel melena, malattia tanto so- migliante all'emorroidi, che spesso l'ultima termi- na colla prima. 10 son portato a credere, che allorquando l'in- fermo evacua unitamente materie nere sanguigne, e quando queste evacuazioni si succedono senza in- terruzione , e conducono l'infermo prontamente al suo fine , si possa con molta verosimiglianza so- spettare che sia lacerato qualche vaso arterioso. Que- sta congettura deve però venir cimentata da sezio- ni di cadaveri, affine o di confermarla o di escluder- la. Disgraziatamente però non è a noi sempre per- messo di aprire tutti i cadaveri di tal malattia : ed io ho dovuto sostenere molti rifiuti dai congiunti del defonto. Ad oggetto di spander nuovi lumi sui disor- dini rintracciati nei cadaveri estinti dal melena mer- cè delle anatomiche sezioni; e quindi ad oggetto an- cora d'investigare le cagioni segnatamente che pro- ducono il medesimo morbo , non ometterò di dare un cenno fugace delle principali, CAUSE 11 soverchio cibo animale , 1' abuso del vino e dei liquori , i veleni e gli ossidi metallici spe- cialmente , la crapula , la soppressione de' mes- trui e del flusso emorroidale ; cosi la retrocessio- ne delle impetigini , il disseccamento delle ulceri aperte da lungo tempo , e gli emuntori intempea- ^J^.^ SciENEE tivamente chiusi , i cibi soverchiamente conditi con aromi) e piìi le carni; coloro che hanno una lau-^ ta mensa, nell'età dei 50 ai 60 anni vengono più facilmente aggrediiti. A quelli che abusano dei li- quori non di rado, prima della comparsa dell'atro flusso , precede o lo scirro dello stomaco o l'in- duramento del fegato. I medici partigiani della dot- trina browniana, che trattarono la maggior parte delle malattie col metodo stimolante, s'incontraro- no spesso con individui affetti dal melena. \\ ca- so che racconta il prof. Santarelli di Cecchi ur- bisagliese, che io stesso vidi piìi volte, il quale ve- niva trattato per debolezza e dolori di stomaco pri- ma con soverchia quantità di aceto ed anche per clistere, e successivamente della tintura del ì^ith^ sebbene in età giovanile , passò rapidamente al melena^ Anche l'abuso del caffè, il quale essendo pre- so caldo assai irrita il tubo intestinale , è capace di fare sviluppar la flogosi ove trova predisposi- zione. Tissot riporta il caso di un uomo morto di melena per abuso di caffè , e Santarelli è di av- viso che richiami sempre l'affezione emorroidale: e conferma questo suo divisamente il canonico Pier' mattei, che io stesso vidi con esso in Cingoli , il quale essendosi strabocchevolmente prevalso della suddetta bevanda, gli vennero richiamate le emor- roidi ed accresciuta l'imitazione del tubo intesti- nale per avere antecedentemente soggiaciuto al melena. Quelli che furono sottoposti a coliche infiam- matorie perseveranti, quand'anche giovani , a feb- bri contagiose petecchiali se non vennero ne' pri- mordi salassati, non è cosa rara osservarli mclenici. Osservazioni sul Melena. 145 Egualmente quelli che per mala ventura furono sog- getti a forti patemi ti' animo ed a repentine di- spiacenze. In conferma di tutto ciò descrìve il caso lo stesso prof, Santarelli di quel cavaliere macera- tese che godeva lauta mensa, il quale dopo l'annun- zio della perdita di una causa, fu preso dal melena^ ed appresso a due settimane morì di tal malattia. E' quindi suo divisamento che i forti eccitamenti dello spirito turbano in modo le funzioni intesti- nali, in ispecie se contemporaneamente si faccia uso di abbondanti alimenti , in circostanza che si do- vrebbe tenere un regime opposto, che non è a ma- ravigliarsi che si producano effetti analoghi a quel- li indotti dal vino e dagli aromi. Forse per questa ragione gli uomini 4i lettere vengono disposti a so- migliante malattia, Anche i colpi e le compressioni bruscame fat- te sull'addome possono destare il melena. Qualche volta si è visto prodotto dalla gotta , e dall' artri- tide retropulsa. Queste sono le ordiuc^rie cagioni che producono il melena ; ve ne sono anche del- le altre , ma piìi di rado portano a questa tri- sta affezione : e perciò lascio di trascriverle. Essen- do pertanto le surriferite cagioni d'indole stimo- lante, ed atte a creare la flogosi, non si potrà cer- tamente attendere dalle medesime effetto adinami- co, deprimente, ed in conseguenza la malattia di cui si tratta sarh sempre adinamica iperstenica? Dopo di aver esposto succintamente l'opinio- :ne dei pratici intorno al melena^ e l'anatomia pato- logica degli estinti di detta malattia , a me altro non rimane in fine che descrivere le promesse e principali quattro storie della suddetta affezione ; lasciando l'esposizione di parecchi altri casi da non G.A.T.LXXIII. 10 146 SciKMZE doversene far gran conto, essendo stati di poca en- tità , ed a mio credere di nessun pericolo , ma che pur cedettero favorevolmente ed interamente allo stesso metodo praticato per altri, benché me- no attivo assai e piìi ristretto. Mi limiterò soltanto ad esporre con la maggior brevità , e possibile chiarezza , protestando che non per desiderio di fama , ma per utilità soltanto del- la scienza e dell* umanità mi sono indotto a tes- ser le veridiche istorie dei suddetti quattro casi melenici non molto frequenti , ma molto impor- tanti in pratica, nella fiducia che i giovani non is- degneranno di esserne aggiornati , perchè fatti in- dubitati i quali si sono offerti alla mia pratica in Senigallia , e porto lusinga che serviranno di guida al letto dell'infermo. PRIMA STORIA. Il signor Giovanni Sbrigia di Sinigallia, do- tato di sanguigno temperamento , dell' età di cir- ca 21 anni, avendo per lo innanzi sempre goduto sanità perfettissima , dopo qualche replicato pate- ma d'animo venne sopraffatto da singolare tristez- za , e da inappetenza e melanconia straordinaria. Lagnavasi spesso di dolori al basso ventre e d'in- comoda stitichezza. Le fecce venivano evacuate ogni due o tre giorni. Era per lo pili inquieto, pensie- roso , e facilmente adiravasi. Passava le notti or- dinariamente desto, ed occupata la di lui mente da pensieri funesti e da tristi avvenimenti. Avendomi pertanto il medesimo consultato intorno a tali sin- tomi prodromi, entrai tosto in sospetto che egli po- tesse essere quanto prima assalito dal melena: e di Osservazioni sul Melewa 14T fatti cercai prevenirne il crudele attacco sommini- strando al medesimo dei temperanti e rinfresca- tivi insieme. Sospesi il vino ed il vitto animale, esor- tando all'infermo la dieta, e gli prescrissi quindi un salasso ai vasi emorroidali per mezzo delle sangui- sughe : ed in vista del suo temperamento , e della durezza de' suoi polsi non mancai d' insistere per l'istituzione del salasso generale , a cui segui alle- viamento notabile dei suddetti sintomi. In appres- so andavo osservando l'andamento dei medesimi , e non lasciai di raccommandare all'infermo l'uso del- l'acqua tartarizzata , e dopo qualche giorno di tre- gua prescrissi un purgante di due once di man- na di Calabria sciolta con sulilciente quantità di de- cotto cordiale solutivo: e gli venne epicraticamen- te somministrato sulla vista di evacuare le fecce del tubo intestinale , e poscia eliminare le escrezioni impure ritenute , togliendo cosi dei materiali che potevano alimentare e mantenere l'irritazione, e fa- vorire in fine lo sviluppo della temuta flogosi , e quindi la comparsa del flusso nero. E quand'anche, giusta gl'insegnamenti del prof. Santarelli, vietassi al malato qualsivoglia bevanda calda , ed esigessi dal medesimo che la dieta fosse assai parca e risultante per la maggior parte di lat- ticini e di vegetabili ; e di più l'avessi consiglia- to ad usare costantemente delle semate e limonate fredde; pure, malgrado che i dolori del basso ven- tre e la stitichezza avessero ceduto , non però ces- sarono la tristezza , l'anoressia ed un certo mal'es- sere. Perduto aveva il suo naturai colorito, ed acqui- stato aspetto pallido e cacheticot e finalmente nel- la notte dei 15 ottobre 1832 venne improvvisa- mente assalilo da forti dolori all' addome. Questi ^48 Scienze sempre più si rinforzano : siegiie la nausea ed un^ inesprimibile smania. Vengo immantinente a lui condotto , ed osservo quanto siegue. Volto estrema-? niente pallido , somma prostrazione di forze , de- liqui che da quando a quando rinnovansi, estremità freddissime: i di lui polsi irregolari, intermittenti, e quasi formicolanti ed estinti. I dolori si rinforza- vano ancora e la nausea: finalmente vengono espulse per l'ano delle materie nere miste a sangue. In mez- zo ad un quadro sì luttuoso e spaventevole , senza punto valutare il pallore del volto, il lento battito delle arterie , i polsi formicolanti, i deliqui, ma in- coraggiato dalla stabilita massima dell'illustre pro-r fessor mio, che debba cioè riguardarsi una tale af- fezione iperstenica, e conseguentemente trattarla co- me flogpsi, prescrissi immediatamente una larga mis- sione di sangue e una dieta severissima, anzi esclusi ogni alimento accordando solo bevande fredde. Po- che ore dopo essendo tornato a visitare l'infermo. Io rinvenni con forte piressia e con grande sviluppo di calorico con accensione marcatissima al viso , q la continuazione dei suddetti sintomi, Senza farmi ina- porre eziandio dalla debolezza de'suoi polsi^ feci to- sto rinnovare la en:^issione di sangue ad oggetto di spegnere la flogosi; nia la secrezione melenica conti- nuava, e le perdite di materia nera erano assai ec- cessive. Frattanto apprestar feci al medesimo la de- cozione fredda tamarindata a più riprese. Ma a fronte di tali ajuti la flemmasia era sempre piìi mi nacciosa: per cui rinunciai all'idea di evacuare la materia nera che naturalmente erasi versata nel ca- nale intestinale , e procurai a tutta possa a dimi- nuire e spegner la flogosi : il che in rcallU merce di tali soccorsi , e colla rinnovazione de'ripetuti salas-i Osservazioni sul Met.ena 149 §i ili numerò di quattro, sono riuscito ad ottenere. Persuaso pure che la secrezióne morbosa sarebbesi diminuita j o del tutto mancata , quindi il giorno appresso mi risolsi prescrivere al medésimo malato un purgante di polpa di cassia nella quantità di due òtìcié e data epicraticamente ^ la quale produsse no- tabile vantaggio. Ma i dolori addominali e le materie nere, miste però a féccci non cedevano ancora: mo- tivò per cui cospirando le polpe acido-dolci, secondo il professor Santarelli, a diminuire l'infiammazione ed evacuare senza turbe è senza sforzi la materia néra j io su tal riflesso non esitai punto a continuar- ne l'uso , e poscia esortare l'infermo a servirsi dell' acqua gelata eziandio : e feci la sera del 3.*^ giorno injettare uri clistere di acqua con pòchissimo acéto , e tìòn lasciai peranco di farlo ripetere nei giorni ap- pressò colla viva lusinga di distruggere la flogosi stessa che io credeva esistere , benché ammansita , e successivamente arrestare la suddetta morbosa se- crezione. Stante la continuazione dei dolóri ancora non trascurai di somministrargli à cucchiajaie d'ora in ora una mistura composta di A oncie di tintura acquosa di digitale purpurea , un'ottava di acqua co- òbata di lauro-ceraso , ed un'oncia di sciròppo di radici aperitivo, sempre fredde. Nel quarto giorno le materie nere eran molto diminuite , i dolori piìi sof- fribili ^ lai febbre spenta. Si decorda al malato un Lrodo panato nel pi'anzo, ed altrettanto nella sera ; limonate fredde j ed il solito clistere di acqua ed a- ceto freddo. Nel S."' invece della tintura acquosa di digitale purpùrea si sostituì l'emulsione di gomma arabica , due ottave di acqua coobata di lauro-cera- so, ed un'oncia di siroppo di altea del Fcrnelio data epicraticamente all'infermo. 450 Scienze Contemporaneamente , e senza lasciare le be- vande fredde , sebbene le sue fecce si fossero rav- visate normali , e fossero scomparse le materie nere ed allontanati interamente ì dolori addominali , si continuò l'uso della suddetta emulsione, e si accor- dò al mattino del latte allungato con acqua e poco zuccaro. Pe' risultati vantaggiosi ottenuti dal suddetto metodo praticato contro il melena, e perchè ogni giorno andava l'infermo acquistando, si accordò una dieta meno rigorosa , e venne alimentato con leggero pangrattato, e successivamente con brodi ristorativi: inoltre si permise pure del riso. Essendo poi le cose andate sempre meglio, avvegnaché si continuasse la suddetta emulsione e il lauro-ceraso, non ebbi diffi- colta, atteso Io spegnersi di tutti i sintomi, di conce- dere al malato un uovo a pranzo, e quindi un poco di lesso il giorno appresso. Tutto alla perfine cedette favorevolmente. Feci continuare l'uso del latte e del- le limonate per qualche tempo affine di confermare la guarigione, ed allontanare una recidiva: il che suo- le spesso accadere. Ora è pienamente ristabilito , ed ha goduto e gode fino ad oggi sanità prospera. SECONDA STORIA. La seconda storia risguarda una donna di con- dizione cameriera , la quale soggiacque già altre vol- te al morbo nero , e fu curata in sua patria dall'ec- cmo signor dottore Lazzarini condotto in Fano. Es- sendosi prevalso in parte del metodo del celebre Tissot^ egli la fece salassare. Geltrude Baldini^ dell'età di anni 40 circa, di cachetico e debole temperamento , di aspetto pallido OsSERTAZIOm StL MeLENA. i^i e lurido j hen mestruata , dedita al vino ed ai liquo- ri, veniva di tanto in tanto sopraffatta da dolori al basso ventre, segnatamente al fegato, il quale fu da me rinvenuto alquanto resistente e voluminoso. In pari tempo evacuava le fecce irregolarmente « ed or- dinariamente globose. Facilmente dalla gioja passava all'ira. Scorrea puranco le notti inquieta e senza sonno. Un dolore allo stomaco cruciava bene spesso Tinfelice Geltrude, dopo di aver desinato segnata- mente. Tali sintomi precursori si affacciarono pri- ma della comparsa del flusso nero: il che io ho pos- tulo raccogliere nella prima visita. Passerò quindi a descrivere la storia della detta Baldini^ strappata dalle mani della morte. Era pertanto la povera inferma in Ietto cruc- ciata da dolori e da nausee , non disgitmte da ri' petuti vomiti di materie nere e fredde» le quali ve- nivano evacuate eziandio per l'ano. Tali deiezioni erano precedute da senso di mancanza e da delìqui. I polsi furono da me rinvenuti febbrili , ma bas- si, irregolari, e intermittenti. Gli occhi incavati, ed un freddo sudore bagnava la di lei pallida fronte. L'inferma, oppressa ed estremamente atterrita, e con voce sepolcrale, chiede soccorso. A vero dire in quel momento ed a prima vista fui anch' io preso da spavento t ma animato dal felice esito del metodo tenuto per lo Sbrigia, cercai di non farmi imporre dai suddetti sintomi, e dall' apparente abbattimen- to di forze , e feci all'istante trar copiosamente san- gue, che fu cotennoso. Siffatta emissione calmò mo- mentaneamente i dolori e 1' orgasmo ; negai all'in- ferma qualunque alimento , accordando solo bevan- de fredde acidule. Segnai la solita ricetta di tin- tura acquosa di digitale purpurea , acqua coobata 152 Scienze di lauro-ceraso , e sìroppo delle cinque radici à- pertive^ la quale venne apprestata epicraticamentei ma attesa la particolare idiosincrasia dell'inferma non fu tollerata , ed io volli sostituire alla digita- le l'acqua di fiori di tiglio in riguardo anche de- gli accessi convulsi, che tratto tratto rinnovavansi a danno della malata stéssa. Intanto il morbo pro- grediva a passi gigantéschi, ritornando in campo i vomiti, le deiezioni di matèrie nere, ed i deliqui sempre piìi forti e spaventevoli. Sopravvenne la feb- bre anche piìi ardita , molta ambascia ed estrema debolezza. Senza paventare péro la medesima, feci rinnovare la sera il salasso , e continuare la sud- detta mistura deprimente per restringere ed an- nientare la flogosi , e per far diminuire ed anche cessare la secrezione morbosa melenica. A fronte pe- rò della dieta strettissima, di tre salassi, e del me- todo tutto deprimente , ciò non pertanto Li rrialat- tia non cedeva affatto, ed anzi aumentò di sintomi,- sudori freddij lipotimie, per cui fu creduta estin- ta , e venne interamente abbandonata. Mai essen- do io sopraggiunto a tale spettacolo, la trovai an- cora in deliquio, però d'assai diminuito: venne to- sto soccorsa , e dopo brevi istanti tutto si dissi- pò. Avea la voce fioca , ed il pallor di morte. Non cessai dal farla salassare dal piede , ed al tempo stesso la sottoposi all'uso dell'acqua gelata non solo, ma le feci pur anco di quando in quando inghiotti- re dei frustoli di ghiaccio , ed acqua agghiacciata. Tutto ciò seguito, la paziente continuò e' per boc- ca e per secesso a metter fuori una quantità stra- bocchevole (li materie nere. Fo inoltre iniettare dopo cinque o sei ore un piccolo clistere di a- cqua di camera e di pochissimo aceto con lo sco- Osservazioni sul Melena 153 pò, secondo il celebre Speranza^ ancora di promuo- vere leggermente il moto peristaltico , ed allonta- nare per quanto fosse possibile la nausea, la ten- denza al vomito, ed il vomito medesimo , che con- tinuamente e fin da principio prevalevano nella no- stra paziente : e lo feci rinnovare la sera stessa ^ avendone col primo riportato qualche vantaggio^ Sulla vista ^intanto di diminitire ed allontanare la flogosi, e successivamente, render minima la secre- zione morbosa e l'irritazione ancora^ proposi l'ap- plicazionè delle sanguisughe ai vasi emorroidali^ La notte fu meno tempestosa, e nel mattino assai per tempo prescrissi Un purgante di polpa di cas^ sia dato all'inférma a poco a poco affine di evacu- are stìnza turbe e sènza tenesmo le materie nére separate , e quindi diminuire la flogosi. Da éssd per verità trassi un marcato sollièvo , avendo do- po alcune scariche di matèrie miste diminuito sen- sibilmente i dolori dell' addome , e rimosso il vo- mito con r allontanamento di spaventevoli deli- qui i, e freddi sudori. Non pertanto fui d'avViso che si dovesse continuare il ghiaccio ^ le bcVaildè fredde e l'acqua coobata di lauro-ceraso: partico- larmente si accordò alla medesima un pòco dì lat- te allungato con acqua e zuccaro; Essendosi poi nel giorno quinto i:*IafFacciati i dolori , e sospettando che potessero èssi essere ef- fetto delle materie nere ritenute nel tubo gastro- enterico , feci subito somministrare a più riprese una soluzione di polpa di tamarindo , che riuscì molto proficua. A conferma ed appoggio del mia operato giova qui ridire , che l'immortale vecchio di Coo salassava prima j purgava dopo , e poscia faceva bere del latte asinino (De morbis lib. 2, nuirii 454 S e 1 È n E E 71 ). Dopo aver consumata la suddetta soluzione , l'inferma viene interamente abbandonata dalla feb- bre, il basso ventre trattabile si rende, la lingua molle : la debolezza d' altronde si fa estrema. Da- to perciò un certo apprezzamento ai suddetti sin- tomi, cioè spenta la febbre e tutto il resto in me- glio , non trovai difficoltà alcuna di accordare nel pranzo uri leggero pan grattato , e susseguentemen- te qualche brodo di pollo, nel quale avesse bollito la farina di rìso : dal che ritrasse non lieve van- taggio. Essendo dipoi cessate le evacuazioni nere , i deliqui e l'insoffribile smania, accordai alla pazien- te anche un uovo, e quindi un vitto piti nutritivo con poco lesso , senza lasciare per molti giorni il latte la mattina , escluso però il vino per molto tempo : come pure la continuazione in dose piìi ri- stretta di fiori di tiglio e di lauro-ceraso, sommi- nistrato di tale miscela ogni due o tre ore un cuc- chiaio, ed accordai puranco qualche gelato di limone la sera. Dopo siffatti aiuti e tal metodo dietetico, l'inferma si è pienamente ristabilita, ed ha potuto ab- bandonare il letto , ed occuparsi dei consueti lavori. Senza però aver obliato , ma anzi avendo co- stantemente e sempre presenti i dotti avvertimen- ti datimi dal mio onorato ed esimio professor Saif tarelli , che quelli che soggiacquero al flusso me- lenico sogliono facilmente recidivare, e vengono or- dinariamente assaliti da dolori addominali , ripe- tendo più volte che la riproduzione di tali affezio- ni si debbe alla continuazione della flogosi , la qua- le non COSI facilmente durante il corso del morbo si riesce pienamente ad estinguere in tal guisa se colla continuazione della dieta temperante non si OssERVAZioiti SUL Melena 155 riesce a dissiparla ; a suggerimento del sullodato professore in tali casi proposi l'uso dell'acetato dì ammoniaca ad oggetto di prevenire il ritorno dei dolori; e piìi, dietro il risultato vantaggioso otte- nuto dall'apprestazione della suddetta soluzione al p. Cherubino anconetano stanziato in Macerata, da me assistito come medico curante per pili anni , e dal prof. Santarelli come consulente (il qual caso fu da esso riportato nelle sue ricerche medesime intorno al melena al cap. VII) feci sciogliere in 6 oncia di acqua distillata due dramme di acelato di ammoniaca, con un'oncia di siroppo semplice, e ne feci quindi prendere all' inferma a stomaco vuoto un cucchiaio la mattina, ed un altro la se- ra, due o tre ore prima della sua parca cena. La qual formola venne più volte ripetuta , e ottenne pure ottimi risultati : per cui non solo al flus- so melenico non ha ulteriormente soggiaciuto, ma neppure dai dolori addominali è stata in appres- so aggredita. Conta già il 2 anno dell' ultimo at- tacco e ristabilimento , e fino a tutt'oggi gode di buona salute. TERZA STORIA. Questa aggirasi Intorno ad una donna di condi- zione tessitrice, dell'età di circa 55 anni, di tempe- ramento adusto bilioso , ed amante del vino , che regolarmente pagò i suoi lunari tributi: madre di 4 figli , che per lo innanzi avea soggiaciuto a malattie Sì pochissima entità. Ma essendo rimasta vedova , e circondata dalla miseria e dalla tristezza, andava a quando a quando soggetta a contrazioni spasmodi- che (^Uo stamaco e del basso-ventre con borborig- 456 Scienze mi, ed à particolare stitichezza , per cui era spessa inquietata da moleste sensazioni all'ano. La medesi- ma senza prendere cura alcuna della sua salute , trascurando anzi qualunque medico aiuto , venne fi- nalmente aggredita da vomito di materie sanguino- lenti oscure"; là qùal perdita sempre piìi aumentan- do ^ i di lei congiùnti non tardarono in sì tristo avveriitìientò di condurmi dall'inferma all'istante , onde non venisse ritardata l'àpprestaziond dell'op- poi^tiiiiò soccorso. Essendomi pertanto avvicinato al- la suddetta donna (Maddalena Gamhieri di Sinigal- lia) la rinvenni in letto tutta intrisa di sangue nera- stro j la quale era svenuta i è si contorceva tratto tratto oppressa da dolori addominali, con polsi pi- retici ed ineguali j terreo colore della cute , e spe- cialmente del volto: secca ed arida la superficie del corpo i sete inestinguibile. Là perdita per vomitoi di sàngue aggl-umattì nerastro corrotto e fetido fu di circa due libbre e mezza. La prostrazione di for- ze era eccessiva , ed aumentavasi ancora colla rin- novazione delle frequenti lipotimie e del vomito. Ella era presa da orribile costernazione. Poste le quali cose , lungi da me la sorpresa ed il timo- re : e riconosciuta dal suddetto treno de' sintomi la malattia per un inelena dinamico , non tra- scurai di far tosto levare 10 oncie di sangue dal braccio , e quindi segnai la consueta ricetta di di- gitale ed acqua di lauro-ceraso , affinchè venisse somministrata alla paziente a cucchiai d'ora in ora. La solita rigorosissima dieta e le bevande fredde furono raccomandate , escluso il vino e quàlunìque sorta di alimento. Passate alcune ore dopo il sa- lasso , tornai a visitare 1' inferma , e là rinvenni nel medesimo stato dì prima: eràsi di più aumen- Osservazioni sul Melena 15T fato il vomito nerastro piceo con odore presso ql^e insopportabile^ e similmente tale evacuazione av* venuta era per l'ano, e questa nera, sciolta, asr sai fetida : per cui, secondo i medesimi principii esposti di sopra per debellar la flogosi , e frenar l'eccessiva perdita , non mancai di far ripetere il salasso^ e di raccomandare l'uso dell'acqua diac-r ciata , usandola anche esteriormente. La notte fu dalla paziente passata in meno crucci del giorno ^ ed i vQU^itivi e gli scarichi di ventre furon piìi ristretti , e neììs^ mattina si osservò la mancanza dei deliqui , e i dolori meno atroci. Mi appigliai allora alla soluzione tamarindata di un'oncia della polpa di tal frutto sciolta in una libbra di acqua bollente , ed alla colatura feci unire un poco 4i zuccaro , da consumarsi in giornata ; e feci pure iniettare un clistere di acqua e poco aceto , e mer- cè de' suddetti ajuti j*iportò considerabile vantag- gio, cosicché la flogosi si andava intanto spegnendo, Malgrado di ciò, giusta gl'insegnamenti di Frank^ di Speranza^ e di altri, dovendosi evacuare senza tur- be e senza sforzo le materie nere nel tubo inte- stinale separate ed esistenti, fui d'avviso far pren- dere air inferma due once di manna sciolte con acqua comune , invece della cassia: la quale pro- dusse scarichi abbondanti di materie parimenti ne- re miste a fecce , con particolare vantaggio dell* Inferma in questione. Inoltre si accordò del latte con acqua e zuccaro. Non trovai pure inopportuno, afHne di procurare una placida quiete a tanto tur- bamento, di amministrare una miscela di U once di acqua di lattuga, con quattro grani di estratto di JQsciamo sciolto nella suddetta acqua, e darla all'iu'- ferma a cucchiai di ora in ora: da cui si ottenne 158 Scienze la bramata calma. Ciò non ostante si continua il trattamento suddetto, e le bevande fredde , ed il solito clistere di acetello: sì accorda il pan gratta- to piuttosto freddo, acqua panata fredda per be- vanda ordinaria. Fecesi uso interpolatamente ezian- dio di acqua tartarizzata con poco zuccaros ma nel mentre che si credea l'inferma già libera, inaspet- tatamente ritornano i deliqui, i dolori addominali, e le ripetute scariche di materie nere e fetenti con polsi appena percettibili e smania eccessiva. Dall' esposizione dei suddetti sintomi si rende chiara- mente manifesto qual giudizio si sarebbe dovu- to formare dall' esito della medesima nei pericoli in cui era strascinata. L'orrore che avea ispirato l'aspetto di quell'infelice agli astanti, è superfluo il dirlo, giacché era stata quasi abbandonata a se stessa, ed i di lei parenti immersi nelle lagrime. 10 non pertanto, fatto coraggio ai congiunti, ordi- nai l'applicazione delle sanguisughe al podice, un clistere di acqua acidulata fredda, e finalmente la ridetta miscela di acqua coobata di lauro-ceraso, 11 tentativo sortì ottimo effetto: si sospesero in un baleno le evacuazioni nere e fetenti, i polsi si rial- zarono, cessarono i dolori e la smania, tutto infi- ne si ricondusse alla normalità. A fronte però di tanto miglioramento sì con- tinuò a somministrare il lauro-ceraso , il latte e l'acqua ghiacciata per qualche altro giorno , sen- za omettere nella sera il solito clistere onde as- sodare la migliorata di lei condizione. Quindi non trovai ripugnanza alcuna nell'accordare una dieta piìi mitigata e qualche pomo. Successivamente ven- ne rimessa al vitto primiero, ma si continuò Tuso dell'acqua di fiori di tiglio e di lauro-ceraso: e fi^» Osservazioni sul Melema 159 naimente convinto e reso certo che ella era già al pristino stadio di salute ricondotta, si sospese ogni medicatura attiva, ed affidata a se stessa dopo qual- che tempo sono stato fatto sicuro che godea sani- tà perfetta, come tuttora la conserva. STORIA QUARTA. Anna Torcoletti di Senigallia, contando 69 an- ni di età, irascibile , facile a passare dalla gioia all'ira, di forte temperamento, dedita al vino, anzi spesso ebria, infastidita da stitichezza e da patemi d'animo, di aspetto pallido, e giallastro , il basso- ventre sovente teso, aveva sonno inquieto ed inter- rotto, dolori di stomaco, di ventre e di lombi. Una debolezza grande unitamente ai suddetti segni pre- cedettero la malattia. Nel luglio 1835 si accrebbe- ro i dolori addominali , la prostrazione di forze , molta inappetenza, ed eccessiva agitazione dì ani- mo. Sopravvenne intanto la nausea, e quindi il vo- mito di fluido acquoso seguito da puro sangue, e poscia da materie oscure. I polsi si resero bassi ed irregolari, e poco appresso si rinnovarono le de- iezioni alvine nere e fetentissirae. Non mancarono in pari tempo sudori freddi, molt'ambascia, le estre- mità inferiori segnatamente freddissime , deliqui reiterati, pallore e terrore estremo. Essa avea già preso un purgante di sale d'Inghilterra prima che io la visitassi, il quale produsse varii scarichi di materie miste: ma intanto si rinnovarono i vomi- ti di sangue atro. Dalla riunione de'suddetti sin- tomi avendo riconosciuta tale affezione per melena di diatesi stenicay egualmente che gli altri tre de- scritti, e tenendo per guida lo stesso metodo im- ^(50 Scienze piegato pe'medesimi, senza punto dubitare propo-: si immediatamente una larga emissione di sangue, la solita dieta e le bevande fredde acidule. Es- sendo tornati inutili i suddetti aiuti, e raddoppian- do i dolori d'intensità, e le evacuazioni di materie neve per l'ano rinnovandosi da cpiando a quando, ^ piii essendo comparsa una febbre decisa, non si tardò a prescrivere una nuova copiosa sanguigna, che fu ripetuta la sera. Il sangue estratto col pri- mo salasso non presentò indizio di flogistica con- sistenza, e si coprì poi di fqrte cotenna il secon- do. Dopo ciò la tensione del ventre andò diminuen- 4o: COSI i dolori, la vibrazione de'polsi, il vomito e le evacuazioni per l'ano di materie nere. Nella mattina del dì seguente ha avuto delle considera- bili tregue: ma queste furono di brevissima dura-^ ta, per cui si accrebbero i dolori con molta ferocia, ie evacuazioni nere , e la prostrazione somma di forze con pallore nel viso ed occbi incavati. La piccolezza de'suoi polsi, e la frequenza di circa 130 pulsazioni per ogni minuto primo, manifestavano chiaramente un funesto presentimento del piìi gra- ve infortunio. Non fui pertanto inoperoso, ed in- giunsi tosto la consueta soluzione tamarindata, e le fredde acidule bevande. Il giorno appresso era la paziente nel medesimo grave pericolo, e si aggiunse di pili, oltre ai vivi dolori e agli scarichi di mate- rie nerissime, la gonfiezza del basso ventre. Stimai prudente consiglio di ricorrere alla polpa di cassia, sul riflesso, a sentimento anche del celebre Tom- inasinii che dopo reiterati salassi i purganti por- tano dei maravigliosi effetti nelle flogosi enteriche. Di fatti data all'inferma epicraticamcnte la cassia, produsse copiose scariche di materie miste, il ven- Osservazioni sul Melena 161 tre raen teso, i dolori momentaneamente calmati: ma la febbre non cedette, e lungi dal migliorare andò invece peggiorando la sua condizione, sicché mi fu duopo ricorrere ai clisteri di acqua acidulata fredda, ed alla solita tintura acquosa di digitale, ed all'acqua coobata di lauro-ceraso nel modo avanti notato. Persuaso intanto che la malattia in questio- ne fosse tuttora mantenuta da morboso interno sti- molo, e che miglior tentativo delle sanguisughe non vi fosse in quell'istante, consigliai subito siffatto lo- cale salasso, reputando che tale abbattimento fos- se apparente: ed in conseguenza raccomandai che si estracssero 8 once di sangue almeno per loro mezzo, senza omettere 1' amministrazione di qual- che frustolo di ghiaccio, che portò una significante tregua, ma l'inferma poco appresso lagnavasi di do- lori al basso ventre , il quale era gonfio enorme- mente. Accusava con voce veramente fioca di sen- tirsi morire: e frattanto agitavasi, e non trovava posizione che le aggradisse e le procurasse requie : i polsi erano minuti, frequentissimi e confusi. Un freddo sudore le bagnava la fronte , ed il suo volto era coperto dal pallor di morte , unito da quando a quando da spaventose e durevoli lipoti- mie. Tale era il suo stato deplorabile, allorché le vennero somministrati i sacri spirituali conforti : e quindi temendo una nuova riaccensione di flogo- si ed un nuovo profluvio di melenica secrezione , fu allora che raccomandai la continuazione della mistura deprimente , e proposi un nuovo clistere di acqua acidulata fredda ed il ghiaccio onde im- pedire la temuta riaccensione, od arrestarne i pro- gressi. Ma essendosi già effettuata e l'una e l'altra , nel mentre che si praticavano tali aiuti , si rinno- G. A. T. LXXIII. 11 162 Scienze vò una perdita eccessiva di materia nera per seces- so , e quindi un deliquio protratto , e convulsioni spaventevoli. Rimosso il terribile deliquio e fre- nate le convulsioni , si esibì un brodo di pollo , e quindi venne epicraticamente somministrata la muciiagine di gomma arabica , acqua coobata di lauro^ceraso , e siroppo d'altea del Fernelio. Qual- che ora dopo chiese la suddetta mistura mucila- ìrìnosa, accennando di sentirsi con essa ricreare e diminuire sensibilmente i dolori , la tensione del basso ventre , e la tormentosa smania. Prendea con molto piacere la detta bevanda acidulata , perchè sentia con essa temperarsi l'interno calore , e spe- gnersi l'intensa sete. La febbre frattanto andava mi- rabilmente cedendo, e quindi tutto si spense. I de- liqui cessano interamente , ed intanto si accorda del latte allungato con acqua e zuccaro : ma non venne però tollerato dall'inferma , e si sostituì un brodo panato , e di poi riso ben cotto e lungo as- sai. Successivamente andando sempre più a dileguar- si i sintomi morbosi , un dolce e placido sonno viene a ristorarla : quindi si restrinse 1' uso del ghiaccio, e della mistura controstimolante, e si da in cambio dei brodi ristorativi e delle panatelle. I polsi allora si rialzarono : e quand'anche venis^ se tratto tratto minacciata da vomito, fu esso però dissipato dal ghiaccio amministrato ben di soven* te. Le estremità si riscaldarono bastantemente , e cessò del tutto la suddetta smania. Le deiezioni fe- cali eran miste a pochissima materia nera , il bas- so ventre era molle e cedevole al tatto senza alcun vivo dolore. Mostrando l'inferma desiderio di pren-- der cibo, oltre il solito brodo ristretto al mattino, il pan grattato col brodo al pranzo e alla cena , Osservazioni sul Melena 163 le fo aggiungere nel pranzo medesimo un uovo nel primo dì , e poscia nel giorno appresso un poco di lesso eziandio , un frutto Len maturo , ed ac- qua panata con poco zuccaro per ordinaria bevan- da. Finalmente tutto si normalizza , e l'ammalata si sente Lenissimo, meno della indispensabile debo- lezza, la quale mercè di una dieta piìi diminuita ed un poco di vino, prima inacquato assai e poi manco, e coU'aiuto di qualche amaricante, andò a distrug- gersi e tutto si ricondusse in un perfetto equilibrio. Da questa intanto , e da altre tre storie da me se- gnate, ognuno s'accorge che il metodo antiflogistico è stato continuamente in proporzione del bisogno di ciascun caso. Dai salassi generali e locali ripetuti , dalla digitale purpurea, dal tamarindi, dalla cas- sia , dal giusquiaìiio , dalV acqua coobata di lauro- ceraso, e dal ghiaccio, i suddetti infermi risorsero dal loro pericoloso ed estremo stato. Se l'uso in- tanto per replicati giorni senza interruzione con- tinuato dei suddetti rimedi , e delle bevande ge- late e dei controstimolati non interrotti sino all' estremo, sottrassero le denominate inferme da tan- to rischio, e portarono a tanto buon termine il loro ristabilimento ; un trito criterio ed un sem- plice buon senso ci fa vedere qual'esito fatale si sarebbe ottenuto nel suddetto morbo ove adopera- lo si fosse il metodo stimolante. A mio senso con tal metodo sarebbero tutti periti, od almeno trat- ti in uno stato cronico. Qui pernicioso sarebbe riuscito assolutamente il sistema di Brown , quel- lo di Le Roy di detrimento , e nullo quello di Mai^oir. Il metodo però controstimolante, suggerito ed inculcato dall'illustre professor Santarelli in si- mili casi, è stato profittevolissimo: e sebbene egli ab- 164 Scienze borra i sistemi , ma segua , come dissi nella m\2^ lettera diretta al celebre Speranza , la pratica di Sjdenhani , di Grani , di Stoll, di Frank, spesso peraltro non ha difficolta di estendere , o di raf- frenare , e qualche volta di ratificare ; per cui è più indulgente nel raddolcire , e nel risarcire , e meno avverso nelT evacuare , pur nondimeno nel melena ai suoi alunni ha costantemente raccoman- dato nella maggior parte dei casi il metodo antir!- flogistico. Non sarà inutile in fine l'avvertire , che qual^ che volta può presentarsi il melena anche sintoma- tico , e con febbre di accesso , come ebbe campo di vedere il dottore Aiwitj figlio. La storia di que- sta malattia è degna di considerazione per la gran quantità di sangue che si è perduta tanto per vomi- to, quanto per secesso. L'autore avendo osservato che i parosismi febrili si rinnovano ad un'ora fis- sa, si determinò di prescrivere la china in alta dose per bocca e per clistere. Questo trattamento ven- ne coronato dal miglior successo. •Ecco, chiarissimo sig. professore, i risultati del metodo curativo da me posto in opera su tali gra- vissime malattie. Ella spogliato di ogni prevenzio- ne per qualunque siasi medico sistema , e che sa così ben dentro vedere nell'utilissima e difficilissima arte di sanare , sapra giudicare se altri mezzi vi sa- rebbero stati onde impedire il termine fatale da cui erano evidentemente minacciati i sopra indicati individui, e se quello da me usato sia stato il solo che potea salvarli. Certo si è, che nell'uniformità dei casi , le cure e l'esito tantp uniformi lusinga- no non poco il medico che ne ha avuto il tratta- mento: se non altro, perchè a vista di tanto peri-s Osservazioni sul Mèlena 165 colo, con sintomi sì spaventosi, non si fece impor- re da quelle fiillacì apparenze , che sogliono talvol- ta avvilire i clinici più esperimentati. Al di lei sa- vio discernimento pertanto lascio il decidere, se i pensamenti da me esposti ed appoggiati all'esperien- za, che in ogni medica dottrina esser deve il fon- damento, degni siano della pubblica luce, ed uti- le recar possano alla pratica medicina : mentre ella che trovasi nella capitale con tante riguardevoli oc- cupazioni mediche, e che a tante società scientifi- che meritamente appartiene, darà alle mie quel pe- so che possa animarmi a renderle colla stampa di pubblico diritto nel tanto celebrato giornale Ar- cadico. La prego intanto accettare questo mio lavoro quale attestalo di quell'alta stima e riconoscenza , che da molto tempo bramava tributarle, e col de- siderio de' suoi pregiatissimi comandi ho 1' onore di professarmi Di lei, chiarissimo sig. professore, Montalboddo Ì5 giugno 1837. Dmo Obblmo serv. ed amico Angelo dott. Santini medico primario 1G6 Teorica delle quantità proporzionali, T' -L^ esperienza dell'insegnamento mi ha condotto a trattare alcuni punti delle matematiche co n princi- pii più generali, e con metodi, a mio parere, più semplici e spediti de'già conosciuti. Ne presento un saggio al pubblico, incominciando dalla teorica del- le quantità proporzionali già letta nell' accademia de*Lincei il dì 28 luglio 1834. Questo articolo sarà seguito da altri relativi alla geometria analitica ed al calcolo infinitesimale. Mi sia lecito intanto di pre- mettere alcune considerazioni generali necessarie al rigore e alla chiarezza dell'argomento. Delle quantità considerate rispetto alla loro variazione, ragione^ misura^ dipendenza e limiti. 1. Le quantità che dentro certi limiti cangiano di stato, or crescendo, or diminuendo, quale per es. l'altezza barometrica , si dicon variabili ; e costanti quelle che in mezzo alle variazioni delle altre si mantengono invariabili. Una quantità variabile sì dice continua tra cer- ti limiti, se dentro i medesimi la differenza fra due de' suoi stati successivi possa rendersi minore di ogni assegnata comunque piccolissima: se avviene al- trimenti , la quantità variabile dicesi discontinua. Una quantità continua, suscettibile di svanire, chia- masi evane scibile. Matematica. 167 In una quantità che varia attualmente di gran- dezza, conviene distinguere i passi od i gradi del suo crescere da' passi o gradi del suo diminuire. I pri- mi, aggiungendosi successivamente alla quantità, so- no affetti naturalmente dal segno -i-, e si dicono po- sitivi-, i secondi, sottraendosi successivamente dalla quantità, sono affetti naturalmente dal segno — , e si dicono negativi. Si potrà giudicare della maniera di esistere di una quantità variabile, osservando di quale specie di gradi si componga. Una quantità si dice dupla , tripla , quadru- pla , . . . . multipla di un' altra , se è uguale alla seconda ripetuta due , tre , quattro , . . . molte vol- te: e al contrario la seconda si dice subdupla , sub- tripla , subquadrupla , . . . . summultìpla o aliquo- ta della prima. Da qui le voci di duplicare , tripli- care, quadruplicare , . . . moltiplicare-^ suhdaplica- re , suhtriplicare , subquadruplicare , . . . . suminul- tiplicare, È manifesto che il minimo multiplo e il massimo summultiplo di una quantità è la c|uantità medesima. Due quantità si dicono commensurabili , qualo- ra possa esistere un'unità di misura summultipla di ciascheduna di esse: altrimenti si dicono incommen- surabili. 2. Dividere una quantità, per es. una lunghez- za, per un'altra cjuantità omogenea, è trovare quale summultiplo dell' una debbasi prendere e quante volte ripetere per avere un equivalente esatto dell' altra. Il quoto della divisione così definita chiama- si ragione geometrica, e l'atto con cui si determi- na , rapporto geometrico. Quando dicesi, in modo assoluto , rapporto e ragione , intendasi rapporto geometrico e ragione geometrica. 168 Scienze Pertanto la ragione geometrica di due quan- tità consiste in un segno destinato a indicare quale summultiplo delVuna dehbasi prendere , e quante s>olte ripetere per avere un equis>alente esatto del- Valtra, Quest'ultima si dice termine antecedente del rapporto ; quella termine conseguente: donde, per compendio , l'antecedente e il conseguente del rap- porto. Segue dalla difinizion precedente, che la ra- gione di due quantità è sempre un numero o in- tero^ o frazionario^ o incommensurabile: se l'ante- cedente è un multiplo del conseguente, la ragione è un numei'o intero; se l'antecedente è un aggre- gato di alcune delle parti uguali in cui si conce- pisce diviso il conseguente, la ragione è un nume- ro frazionario; se l'antecedente e il conseguente so- no incommensurabili, la ragione è un numero in- commensurabile: egregiamente NeAvton: nPer nume- rum non tam multitudinem unitatum^ quam abstra- etani quantitatis cujus\>is ad aliani ejusdem generis quantitatenij quae prò unitate habetur^ rationem iu' telligimus. » La ragione di due quantità incommensurabili può considerarsi come limite di un numero razio- nale variabile. Infatti prendiamo per unita di mi- sura un piccolissimo summultiplo del conseguente: il residuo, che lascerà rantecedcnte diviso per tale unità, sarà piìi piccolo di tale unità, e però al pa- ri di tale unità si potrà attenuare al di là di ogni grado assegnato. Così le due quantità cessano di es- sere incommensurabili, scemandone una di tal par- te che si può suppor minore di qualsivoglia co- mimque piccolissima; e per conseguenza la loro ra- gione può considerarsi come limite alla ragiono di quantità commensurabili, ossia ad un numero ra- zionale. Matematica 1G9 In ogni caso la ragion di due grandezze si esprime per la frazion continua^ nascente e svilup- pantesi nelVatto che cerchiamo il massimo comu- ne summultiplo delle due grandezze. Se nel rapporto di due grandezze, tenuta fer- ma l'una di esse, si faccia variar l'altra per con- tinuità, è palese che variera pure per continuità il numero che ne rappresenta la ragione geome- trica: dunque il numero, preso nel senso di New- ton, è una quantità continua. *3. Misurare una quantità, è determinarne la ragione all'unità di misura. Tra le quantità dello stesso genere si suole scegliere per unità di misu- ra, la pili semplice, cioè quella che per esser fis- sata richiede il mìnimo numero di dati. Così eleg- gesi per unità fra le linee una retta , fra le su- perficie un quadrato, e fra i volumi u?i cubo: per- chè la retta , il quadrato ed il cubo sono tra le quantità del loro genere le piìi semplici. È facile a provarsi che la ragione di due quan- tità non varia, variando l'unità che ne misura i ter- mini. Quindi nel calcolare le ragioni delle quan- tità omogenee, il nome ed il simbolo di una gran- dezza può sempre riguardarsi come il nome ed il simbolo del numero ottenuto misurandola con la medesima unità, onde si suppongono misurate tut- 11^. A B M te le altre. Losi se -— - , -— - , -— - rappresentano D Ci J3 ragioni di linee, B sì può riguardare come simbolo di uno stesso numero in tutte le ragioni. Poiché ogni numero può riguardarsi come la ragione fra due quantità omogenee di una specie qualunque, perciò alla ragione fra due grandezze di una specie potrà sempre surrogarsi un' eguale 170 Sciente ragione fra due grandezze di un'altra specie* Cosi alla ragione -j- di due forze Ai, Ai , potrà surro- garsi un'eguale ragione di due linee Bi , Bi. Ora tra le quantità l'estensione è metrica emi- nentemente: è la sola che ammetta divisioni faci- li, distinte, permanenti. Dunque tornerà di sommo vantaggio il rappresentare tutte le grandezze , e principalmente quelle che sfuggono a' sensi , per mezzo dell'estensione, ed in modo speciale, dell'e- stension lineare. Ed è ciò che in ultima analisi si fa sempre ; e forse per questa cagione si chiama semplicemente geometra, chi è versato nelle mate- matiche in tutta la loro estensione. Dunque , se convengasi di non comprendere sotto i nomi ed i segni delle diverse quantità che le loro ragioni alla rispettiva unità di misura, si potrà dire senza contradizione che rma linea e ugua- le ad U7ia superficie, ad un volume, ad una forza^ ad un tempo, ad una velocità: essendoché ciò si ri- duce a dire che numeri, distinti con nomi diver- si, sono eguali tra loro. Questa convenzione si è fatta in tutte le matematiche , e merita di essere attentamente osservata, e tenacemente ritenuta: per essa la eterogeneità delle grandezze sparisce dal calcolo, e ne rimane soltanto 1' apparenza ne' vo- caboli. D' ora in poi, avvegnaché e lecito senz' alcun inconveniente, potremo supporre, per fissar le idee, tutte le quantità rappresentate da linee. 4. Una quantità variabile dicesi funzione di unaltra quantità variabile, chiamata indipendente, se determinata questa, rimane necessariamente de- terminata la prima. Così in un circolo variabile, fis- Matematica. 171 salo il raggio, tutto rimane determinato : dunque sono funzioni del raggio la circonferenza e la su- perficie, non che la superficie ed il perimetro di qualsivoglia poligono regolare inscritto e circo- scritto. Una quantità variabile dicesi funzione di un sistema di altre quantità variabili^ chiamate indi- pendenti , se a determinare la prima è necessario e basta che sieno determinate le seconde. Così in un triangolo variabile tutto è determinato , deter- minati che siano i tre lati : quindi sono funzione de'tre Iati ciascun angolo , la superficie, il raggio del circolo inscritto e circoscritto ecc. Dall'osservare che più variabili sono vincola- te tra loro per mezzo di un' equazione , può in- ferirsi leggittimamente che ciascuna variabile è fun- zione delle altre: ma dall'osservare che una quan- tità variabile è funzione di altre , e o no lecito di ammettere la possibilità di un' equazione che in- sieme le vincoli? Sark in luogo piìi opportuno di- scussa e sciolta una tale quistione. Una quantità si dice funzione simmetrica di altre, se si mantiene sempre la medesima alternan- do come si vuole il posto di queste. Così per es. in u = ]/'{2xj -h 2yz H- 2zx — x^ — y' — z ) , u è funzione simmetrica delle quantità x , j" , z. Una funzione si dice simmetrica rispetto a pia sistemi di quantità , se si mantiene invariabile, al- lorché si alternano le quantità di un sistema, colle analoghe quantità di uno qualunque de' rimanenti sistemi. Così in 1T2 Scienze — 2(A"a7-+-B'y-|-C''z), D è funzione simmetrica rispetto ai tre sistemi eli quantità analoghe ( x, A, A', A"), (j, B, B',B"), ( z, C, C, C" ). Se un sistema variaLile può distribuirsi irl gruppi simmetrici di quantità , cioè in gruppi tali che le quantità di un gruppo si possano alterna- re colle analoghe quantità di uno qualunque de' gruppi rimanenti , senza che varii perciò il razio- cinio che vincola con formule le parti del sistema, allorai è palese che anche nelle formule si potrà operare siffatta alternazione- Così per es. in un tri- angolo variabile designati per a , 6 , e , i tre la- ti , e per A , B , G gli angoli rispettivamente op- posti , noi potremo distribuire i sei elementi a , Z> , e , A , B , G , del triangolo in tre gruppi sim- metrici 1.« ( « , A ) , 2.° ( è , B ) , 3.° ( e , G ) t essendo chiaro che alternandoli come si vuole , il raziocinio che li andrà vincolando con formulenon potrà variare ; e però le formule continueranno a sussistere in mezzo a tale alternazione. Per indicare che una quantità u è funzione delle variabili x , jy , s .... si scrive u = f{x,j, z...). La differenza tra lo stato attuale e Io stato' successivo di una quantità variabile , si dinota fa- cendo precedere la caratteristica ^ alla lettera che rappresenta la detta quantità. Gosì l'espressione Matematica il 73 offre la quantità x con più o meno la variazione 5x. Una tal variazione si chiama or differenza , or grado, or passo , ora elemento: si dice grado o pas- so , perchè sì riguarda quasi come un passo che fa la quantità camminando per uno stato variabi- le; si dice elemento per essere come una delle ana- loghe parti elementari, onde la quantità crebbe suc- cessivamente e formossi. E manifesto che la variazione di una quantità, funzione di altre, dipende dalle variazioni di que- ste. Così, se si ha " = fi^ì 7» 2 . . . ) » sarà u-h^u= f(jc -h- djc , j '-h dj , 3 -4- Ss . . , ) 7 p perciò he = f(x H- ^x , / -t- 0/ , z -+■ §2...) — fi^CìJì z...y. cioè Velemento o passo di una funzione è la diffe- renza tra due stati successivi della medesima, e si ottiene sottraendo dallo stato della funzione, ove le variabili sono cresciute di un passo, lo stato precedente. 5. Limite di una quantità è un'altra quantità, a cui la prima si può avvicinare continua al di là di ogni assegnata comunque piccolissima differenza. Chiamo simultanei i limiti di una quantità, quan- do questa non possa mai trovarsi intermedia fra due qualunque de'medesimi, o superar l'uno qua- lor sia dall'altro ecceduta. Dico poi simultanei i li- biti rispettivi di più quantità, ogniqualvolta niu- 174 Scienze na di queste possa giungere a coincidere col suo limite, senza che ciascuna delle altre coincida col proprio. Teorema. Limiti simultanei P, Q, R . . . . di una medesima quantità X sono tutti eguali tra loro. Dimostrazione. Infatti se fra due di essi limi- ti, per es. P ed R, esistesse una differenza, la quan- tità X potendosi avvicinare a ciascuno di essi al di la di questa differenza, trovar si potrebbe inter- media a'medesimi, o sopravvanzare il minore e sot- tostare al pili grande; il che si oppone alla ipotesi della loro simultaneitk. Dunque 1.° Limiti simultanei di quantità eguali sono eguali tra loro : imperocché limiti simultanei di cjuantita costantemente uguali, possono considerarsi come limiti simultanei di una sola e medesima quantità. 2.° Se sussiste un equazione, finche le quan- tità che la compongono si troimno in un cèrto si^ stema, sussisterà egualmente quando tali quantità passano ad un altro sistema limite del primo. Im- perocché i membri dell'equazione nel secondo si- stema diventan limiti ai rispettivi membri dell'e- quazione nel sistema primitivo, non potendosi ef- fettuare il passaggio delle quantità dall'un sistema all'altro, se non per gradi insensibili, ne'quali tut- tavia l'equazione sussiste. Segue da qui che tutti i teoremi relativi ai nu- meri razionali , sussìstono anche pe' numeri irra- zionali, potendosi questi riguardare come limiti de' primi. Nota. Questo metodo che stabilisce 1' egualian- za de'limiti , col supporre fra essi una differenza che poi si trova esausta , si diceva dagli antichi metodo delV esaustioni. Matematica 175 Della proporzione geometrica. 6. L' egualianza di due ragioni geometriche si dice proporzione geometrica. Allorché in modo as- soluto si dice proporzione , si sottintende geome- trica. Se in una proporzione sì sostituisca ad ogni an- tecedente il prodotto del rispettiamo conseguente per la ragione , la data proporzione si trasforma in A G una identità. Infatti la proporzione — = — , ove chiamisi r la ragione , sicché §i abbia A = Br , C = Dr , si trasforma in Br Dr X ^ "d" ' °^^^^ *" r = r , identità manifesta. Date più. proporzioni , combinando in diver- se guise i loro termini , altre moltissime possono dedursene , le quali perciò si diranno dedotte ri- spetto alle prime che sono le fondamentali. Criterio delle proporzioni dedotte. A dedurre con sicurezza nuove proporzioni dalle fondamentali , e a scoprirne con evidenza la legittimità , basta prendere da ogni rapporto del- le proporzioni fondamentali il prodotto del con- seguente per la ragione , e sostituirlo nelle pro- porzioni dedotte ovunque si trova l'equivalente an- tecedente, dopo ciò le proporzioni dedotte dovran- no convertirsi in identità , cioè dovranno mostrar- si identiche le ragioni che le costituiscono. 476 Scienze Dimostrazione. Infatti , se le proporzioni fon- damentali divengono identità , quando in esse si pone invece di ogni antecedente il prodotto del re- lativo conseguente per la ragione ; identità debbo- no divenire del pari tutte le nuove proporzioni che da quelle si derivano per via di conseguenze necessarie , cioè per via di modificazioni identiche d'identiche ragioni. Per es. voglia dimostrarsi che dalla proporzione a è « -±r mx h -^ iny -H == ^, discende la seguente = , : PC y a ^^^ nx b ^3^ nj chiamata r la ragione di « ad x , e però di h ad j , applicando il criterio si avrà rx ± mx ry •=t Ttir . , , r — cioè 1 identità rx =F nx ry ^^ip. nj r :=f^ ii r =f:i ii Nel modo medesimo si prova che da si deriva ^=3 Z a b a x' -^ j X ax --\~ hj -\- cz V [Ax' -4- B/' -^ Cz- — 2{K'jz -^ lò'zx H- C'xj)] V [A« -H Bò' -+- Ce - 2{Mbc -r- B'ca -^ Cab)Ì Teorema. Un equazione omogenea rispetto a cer- Matematica 177 te quantità , continua a sussistere , se a tali quaw tità si sostituiscano altre quantità rispettivamen- te proporzionali alle prime. Cosi per es. nell'equa- zione omogenea rispetto alle quantità x , j- , 2 , abbiasi X i j- : z '. '. p : q '. r ^ é però (designata per e la ragione -^ = -h =— »), X = ep , y z= eq , 2 :r= er. Sostituendo questi valori di JC , j* , z, nella pre- cedente equazione, e dividendo per e^", si avrà j^pin ^. B^2« _^ c^a/i ^ A'^^r»* -h B'r"/?" -+- C'^"^" : cioè r equazione (1) sussiste tuttavia , dopo che alle quantità x , j- , z , si sono sostituite le quan- tità p , q f r. Si vede in generale che l'equazione risultan- te dalla prescritta sostituzione , non è che l'equa- zion primitiva , divisa per una certa quantità. Nota. Esistono molti trattati sulla proporzio- ne ; ma la proporzione non è che un attributo del- le quantità proporzionali: conviene considerar que- ste in astratto , rilevarne le proprietà , e fissarne i criterj. G. A. T. LXXIII. 12 M8 Scienze Proporzionalità delle quantità variabili semplice, diretta, inversa, composta. 7- Due quantità variabili si dicono proporzio- nali o che variano in proporzione , se la ragione (li due stati comunque diversi dell'una , è costan- temente uguale alla ragione de'due stati corrispon- denti dell'altra. Cosi in un circolo l'angolo centra- le è proporzionale all'opposto arco, perchè la ra- gione di due stati dell' angolo si dimostra esser uguale alla ragione degli stati corrispondenti del- l' arco. Teorema. Se due quantità sono proporzionali , 1.° la ragione de' loro corrispondenti valori è co- stante \ ^° r una di esse è uguale al prodotto delValtra per una costante, e viceversa. Dim. Yi, Ya , Ys ì ' . . rappresentino diversi stati della pri- ma quantità , ed Xi , Xa , Xs , . . • gli stati rispet- tivamente corrispondenti della seconda: la propor- zionalità delle due quantità esige che si abbia Yx _^ Yi^_ Xi Y7 ~ X2 ' Y3 ~~ X3 '"' donde (supponendo giusta la convenzion fondamen- tale delle matematiche che ( Yi , Ya , Ys , . . . ) , ( Xi , Xa , X3 , . . ) , sieno numeri esprimenti le ragioni de'diversi stati delle due quantità alla ri- spettiva unità di misura ) , deducesi alternando i termini medj Yj. Ya Ys X""" XT" Xs Matematica 1 79 cioè se dite quantità sono proporzionali , la ragio- ne fra gli stati corrispondenti delle medesime , è costante. Chiamata r questa ragione , si avrà Y. -- rXi , Ya = rX^ , Y3 = rXs , . . . sicché , se per x , j s'intendano due valori cor- rispondenti e variabili delle due quantità, viene a stabilirsi la seguente formula per cui si potrà dire che una quantità propor- zionale ad un' altra , è uguale al prodotto di que- sta per una costante. Viceversa : due quantità Sono proporzionali , se r una è uguale al prodotto dell' altra per una costante: imperocché da jn = rxi , j^ = rxa , vie- JKi Xx ne — = y-i X'ì Dunque due quantità proporzionali non varia- no che per gradi proporzionali^ e viceversa-, impe- rocché siffatti gradi non sono in sostanza che stati corrispondenti delle due quantità. Teorema. Ilaria sempre una ragione ^ , ad Ggìu variamento non proporzionale de' suoi termini. Dim. Infatti non può sussister la proporzione cioè a meno che i gradi ^j , ^x non siano in pro- porzione con Y ^ X. 180 Scienze Due quantità x ,j sì dicono reciprocameìité o inversamente proporzionali , se l'una x è propor- 1 zlonalc ad — ' , reciproco dell altra^ mentre per op- posizione la proporzionalità si dice diretta , quan- do X è proporzionale ad j. Una quantità U dicesi variare nella ragion composta di molte altre Sìt^v^x^j^z...., quando varia in proporzione col prodotto di queste. Una quantità x dicesi variare in ragion dupli- cata., triplicata , . . . , o siihdupUcata ^ subtriplica- ta .... di un altra quantità / , se varia in pro- porzione colla seconda , terza .... potenza o ra-^ dice di tale quantità. Criterii delle quantità proporzionali. La proporzionalità si può considerare, 1.** tra due quantità ; 2." tra una quantità e un sistema di molte altre ; S.'^ tra due sistemi di quantità. Di qui la ricerca di un criterio per ciascuno di questi tre casi. /. Criterio 8. Due quantità così tra loro dipendenti, clic ciascuna cresca o diminuisca ad ogni minimo cre- scere o diminuire dell'altra , saranno proporziona- li , i^e ( in qualunque stato si contemplino ) al rad- doppiarsi , triplicarsi ., quadruplicarsi dell'u- na ; si raddoppia , triplica , quadruplica ..... ne- cessariamente anche Valtra. Dimostrazione. Siano x , x^ due stati qualun- que della prima quantità \ ed jr , j-i i due stati Matematica ISI corrispondenti della seconda : io dico che la enun- ciata condizione ha sempre per conseguenza neces- saria la proporzione ^ __^ Infatti x ed xi o sono commensurabili od incom- mensurabili. Supponiamo primieramente che sieno ambe- due commensurabili dall'unità u , e che u entri m volte in X , ed n in Xi i cioè si abbia x ■~- mu , Xi = nu ( ove m ed u son numeri interi ): sark X ni iKi n ' Si chiami Ui lo stato della seconda quantità che corrisponde allo stato u della prima. Quando u di- viene mu , nw, Ui diverrà per la condizion dell'e- nunciato mui , nui. Cosi i due stati della seconda quantità che corrispondono ai due stati mu = .ri, nu ^= Xi della prima , sono rappresentati non me- no da J'ìj'i che da mui , nUy. Dunque j- = mui , j"i = nui ; e per conseguente z. ni K n rC = ^. Xi J^ Dunque I Supponiamo in secondo luogo che x , Xi sie- 1 no incommensurabili. Si chiamino §x , ^7 , i resi- 1 dui che lasciano gli antecedenti x ,^ , misurati 182 S e I B N 2 B che siano dalle unita u , Ui , rispettivamente equi- summultiple de' conseguenti Xi ^ji . X — ^x , Xi saranno commensurabili , e si avrà per la conclusion precedente pp — r'^x y — ^j xx J\ Ora u od Ui pub attenuarsi al di là di ogni asse-» gnata comunque piccolissima quantità , e quindi anche ^x o 5r. Dunque ^ , *^ sono limiti delle ra- gioni commensurabili ^- ^, e di piìi li" miti simultanei , non potendo Tuna di queste ra^ gioni trovarsi al di sopra del suo limite, quando l'altra è al di sotto del suo. Punque (§, 5.) i __^ Cosi rimane pienamente dimostrato che per cono- scere se una quantità è proporzionale ad un'altra , basta osservare se al raddoppiarsi , triplicarsi , quadruplicarsi .... dell' una; si raddoppia, tripli' ca, quadruplica . . . anche l'altra. Due quantità saranno inversamente proporzio- jiall , se al duplicarsi , triplicarsi , quadruplicar- si .. . dell' una ; si subduplica , subtriplica , sub- quadruplica . . . l'altra. Imperocché se al duplicar^ si , triplicarsi , quadruplicarsi . . . dell'una x , l'al- tra / si subduplica , subtriplica , subquadrupli- 1 ca . . . ; allora e manifestamente — . che si duplica , Matematica 1 83 triplica , quadruplica . . . . , ossia che è direttamen- te proporzionale con x : e però si avrà. Applicazione. Nella geometria la sovrapposi- zione dimostra immediatamente che in un circo- lo, 1.° ad angoli centrali uguali si oppongono ar- chi uguali; 2.° che l'angolo centrale cresce o dimi- nuisce , e si raddoppia , triplica , quadruplica . . . con l'opposto arco. Dunque l'angolo centrale è pro- porzionale all'opposto arco. //. Criterio 9. Se una quantità U varia al variare di pia quantità s-,t,v,jc,j-^z..., e varia proporzio- nalmente a ciascuna di esse , quando si conserva- no costanti tutte le altre-^ si conchiuda che in ogni caso ella segue la ragion composta di tutte , o che varia in proporzione col prodotto di tutte. Dimostrazione. La quantità U variando unica- mente al variare delle quantità s , t , v ., jc ,j- , z . . , e perciò essendone funzione , io la contrase- gnerò così U =/(^ , i , V , X ,J , 3. . .) ì e per indicare i diversi stati di una quantità , ap- porrò degli apici alla lettera che la rappresenta. Chiamo R la ragione fra due stati qualunque del- la quantità U , dimodoché si abbia in generale ISA Scienze (1) U=U„ R: indicando n il numero delle quantità s , t , y -, x ^ y , 2 . . . variate in U. Ciò posto 1.° Sia w = 2 , ed Uà = fis , t' , i^ , x ,^ ,z, , .) L'equazione (1) equivarrà in tal caso a f{s, t,v, JC,j,z ...) =f{s',t', V,x,jr, 2...) R» che divisa per Vi = f ( s , t , v i x , y , z . , . ) ^ diventa f{s', t, V, x,j, z...) f{s\ t, y,x,jr,z...) Ora in questa equazione il primo membro rappre- senta la ragione de'due stati , ne'quali si trova U, per la variazione della sola quantità j^ ; ed il coeffi- ciente di R rappresenta la ragione de'due stati ne' quali si trova U per la variazione della sola t. Quindi per la ipotesi fondamentale , cotesta equa- zione si riduce a 4 = 7, R • donde R[ = — ] = 1 . 1 cioè se delle quantità ■? , ^ , y , x , _^ , z . . . , le ! sparlanti son due ; U segue la ragion composta di queste due. j %'' Sia « -r 3, ed Us = / (^' , ^' , (^' , X , j- , z . . .): l'equazione (1) equivarrà a f{s, t,v^x,r,z...)^ f(s\ t\ v\ j:, /, z . . .) R, Matematica 1 85 che divisa per JJ^ì -= f ( s ., t\ \f , x ,y , z . . » ) j diventa fjs, t, y, x,j, z ...) _ f^s, t', v\x,y, z . . .) f{s', t', y, x,j,z...) /{s, t',y, x,j, z...) ' Ora in questa equazione il primo membro rappre- ;^enta la ragione de' due stati ne' quali si trova U per la variazione delle due quantità s ^ t \ ed il coefficiente di R rappresenta la ragione de' due stati ne' quali si trova U per la variazione della so- la quantità v. Quindi per la conclusion preceden- te cotesta equazione si riduce a r-", . — « ^= -^ R: donde R[ ^= — ] — ^ . ^ s t V U3 J t' cioè se delle quantità j,i,(^,j?,^,z...,/e va- rianti son tre ; U segue la ragion composta di queste tre. 3.° Nello stesso modo , se w t= 4 , ed U4 — /( / , < , i^' , jc' ,^ , z . . . ) , l'equazione (1) divisa per Us = /( / , i' , i^' , j? , ^ , z . . . ) , si riduce a f{s, t,V, X,J,Z ...) __ f{s, t', v\ X,J, ^ • • Op . f{s', t\y',x,j,z..,) ~ f{s', t\ V, oc,j,z.. .) ' che per la conclusion precedente diviene «^ . r-, ^= '-', R; donde R[ = -— ] ==-..-■ t y' X U4 s t Ormai ben si scorge che l'andamento del raziocinio è sempre lo stesso: dunque si può conchiudere in generale e I E N Z E u s t v X J z u„ - s 7' V oc J z 186 e perciò (§. 7) U = A. ^ if t» x^ s . . . , designando A un coefficiente costante. Pertanto, se le qiLOJitità s, t, v, oc^j, z . . > variano tutte simid- taneameìite; U segue la ragion composta di tutte. Qualora tra le quantità s, t^ v^ x, j, z . . . ve ne fosse alcuna , x per es. , che restando costanti le altre, seguisse la ragion inversa di U, è chiaro che neir ultimo risultato si dovrà scrivere invece di essa, il suo reciproco x"*, il quale è direttamen- te proporzionale con U. Applicazione. Nella geometria la sovrapposizio- ne dimostra immediatamente, 1.° che due paralle- lepipedi sono coincidihili , se un triedro dell'uno è coincidibile insieme agli spigoli con un triedro dell' altro ; 2,^ che un parallelepipedo di angoli costanti cresce o diminuisce coi tre spigoli con- correnti ad uno de' suoi vertici , e che si raddop- pia , triplica , quadruplica . , . con uno qualunque di essi , rimanendo costanti gli altri due. Dunque un parallelepipedo di angoli costanti varia in pro- porzione col prodotto degli spigoli concorrenti ad uno de suoi vertici. Dunque, ove si scelga per unità di volume il cubo avente per lato l'unità lineare , il parallele- pipedo rettangolo sarà uguale al prodotto della ba- se per l'altezza. Matematica 1 87 III. Criterio 10. Se due sistemi di quantità 1.° (ljm,n,p,q..,), 2°{s.,t,v,Xjy...) sieno così tra loro dipen- denti che ogni singola quantità delV uno riesca proporzionale ad ogni singola quantità delV altro , quando restano invariabili in entrambi i sistemi le quantità rimanenti ; si conchiuda che in qualun- que caso il prodotto di tutte le quantità del 1 ° sistema, varia in proporzione col prodotto di tutte le quantità del secondo. Dimostrazione. Nel 2.° sistema {s,t,v.)X,j,z.,.) si tengano ferme tutte le quantità , tranne s. s in vigor della ipotesi e del criterio preceden- te, varierà al variare delle quantità del 1." sistema / , TO , 71 , yo , ^ . . . , seguendone la ragion compo-» sia , e perciò si avrà l = A..lmnpq.'., denotando A una costante. Or da qui si deriva / = sAr^m'^n'^p'^q'^ • • • » e questa equazione dimostra che la quantità / del 4.° sistema (/, m,n,p, q. .) varia in ragion inversa di ciascuna delle quantità compagne m, n^p, q, . . . , quando in entrambi i sistemi si conservano costan» ti tutte le altre quantità. Dunque , in forza di que- sta conseguenza e della ipotesi , / varia proporzio- nalmente al variare di ogni singola quantità del si- stema (w' , 71-* ^p-^ , q-^ , . . . , j- , i , t» , X , j)' . . ,)» sostando tutte le altre. Si avrà dunque pel cri te-» rio precedente ^88 Scienze / w-> Tf'^ p-^ q'^ ...stvxj h "i-^ «;' p;' 9;' "'^,^,^.^.Jr" ' e quindi l m n p q > ' . s t v x y . , , l^ m^ n^ Pi q.'-' s^ t^vxy^... ciò che er^ da dimostrarsi. Osservazioni sulla proporzionalità delle quantità immaginarie : in qual senso le quantità proporzionali possano dirsi quantità eguali. 11. Questi criterj sussistono ancora nel caso che le quantità variabili divengano immaginarie. Im- perocché una quantità immaginaria della forma f{x) ^ f{x) /-1 , si dice che diviene doppia, tripla, quadrupla . . . , qualora doppia , tripla , quadrupla diven- ga simultaneamente ciascuna delle sue parti reali f(x) , (p(jc). Cosi la proporzionalità delle quantità immaginarie variabili , si riduce a quella dellQ quantità reali che vi sono comprese, 12. Nella proporzionalità se scelgansi ad uni- tà di misura delle rispettive grandezze certi loro stati corrispondenti , potrà dirsi in forza della definizione delle quantità proporzionali e del num.3: 1.° Glie una quantità è uguale ad un' altra , se la prima sia proporzionale alla seconda ; 2.** Che una quantità è uguale al prodotto Matematica. Ì 89 di molte altre , se la prima sia proporzionale al prodotto delle seconde ; 3.° Che il prodotto delle quantità di un si- stema , è uguale al prodotto delle quantità di un altro sistema , se il prodotto delle prime sia pro- porzionale al prodotto delle seconde. Così , per esé ^ là proporzione i m n s i V li ' mi ' nt Si ti yt diventa l m n -= s t v ^ ove scelgansi ad unita di misura delle quantità l^m^n^s.,tjS>t i loro stati corrispondenti h , /tìi , nt ^ Si •, ti ^ Vi • Adoperando questo linguaggio, è manifesto che le proporzioni si cangiano in equazioni tra quan- tità che prese nel loro senso letterale sono ete- rogenee , in equazioni perciò che presentano una contradizione apparente. Non è a dir quanto gio- vi il saper all'uopo sostituire alla sincopata es- pressione apparentemente contradittoria , quello che vi è di sottinteso, e che vi riconduce le- sattezza dissipando l'assurdo. Le applicazioni degli esposti criterj si estendo- no naturalmente a quanto involga obbietto di quan- tità: scienze , arti e commercio. Per esempio , nel- l'industria fabbricante e commerciale da una parte si hanno gli elementi de'mezzi che somministra la natura e l'arte , non che i tempi ne' quali essi han- no agito o debbono agire ; dall'altra , gli elementi degli effetti che questi mezzi hanno prodotto o deb- bono produrre. I nostri criterj giovano evidente- mente a determinar subito , quando la ragion cdm- 190 Scienze posta degli elementi de' mezzi segua la ragion com- posta degli elementi degli effetti. La teorìa generale delle quantità proporzionali sembra essere il vero anello che unisce all'algebra tutte le diverse parti delle matematiche. Domenico Ciieliri delle Scuole Pie Professore di MaLematiche nel Collegio Nazareno. Cenni per la Storia medica del Colera contagioso di Roma nell'anno 1837 desunti da osservazioni private. A Pietro Lupi maestro amatissimo, degli studiosi caldissimo incoraggiatore, questi cenni su la scia- gura patria^ a testimonio pubblico di stima , di animo grato, Socrate Gadet. F JL ] ra gl'innumerevoli scritti intorno al colera con- tagioso , ve ne hanno parecchi commendevolissimi, de'quali toccheremo brevemente e liberamente. In alcuni ammiriamo la osservazione profon- da , ma non sempre , ne in tutti di questa clas- se , raggiata sulle forme morbose , specialmente indigene de' vari luoghi in che si è studiata la malattìa , ne sulle altre analoghe a trarne crite- rj terapeutici , ne forniti sempre dì viste meta- fisiche. Tuttavolta si debbono tenere pregevoli , perchè le investigazioni diligenti fondano le ba- Stckiia del colèra 491 sì empiriche ed immutabili della medicina ; per- chè le peculiarità topografiche possono giovare al- la induzione circa le varietà de'sintomi e coope- rare alla storia Universale futura del morbo. In altri scritti veggiamo raccolte e poste a confronto varie osservazioni e pensamenti , don- de i criterj clinici. Fra cjuesti v'hanno opere lo- devolissime , quasi biblioteche fi^Iosofiche; ma sog- gette alcune fiate ad eccezioni, dai fatti osserva- ti ulteriormente , ne tutte in egual modo arric- chite de'paragoni colle malattie locali ed analoghe per le induzioni curative. — Lasceremo quelli , ne' quali sembri che traluca un fanatismo di opinione preconcepita ; se furono immaginati a priori , tendono a piegar la natura alle chimere ipotetiche e formano classe secondaria , considerabile solo per la storia delle sette e delle teoriche in medicina. Abbiamo tacciuto gli scritti non pratici di utilità mediata , più convenevoli all'ozio clinico , il quale vorremmo augurarci. E chiaro, che i primi soltanto si voleano pre- scegliere a formarsi una qualche idea del con- tagio , quando se ne temea l'invasione ; ma niu- no scrittore potea fornire un quadro , in che non fossero specialità relative ai luoghi, ove si era stu- diato , specialità che non poteano riapparire do- vunque. E per verità non avevamo , ne potevamo avere un quadro metafisico del morbo risultante dai quadri speciali di ogni regione , dai soli ele- menti immancabili. D'altra parte, sebbene vi fosse stato, dovea modificarsi fra noi, come dovunque, pel clima, per le condizioni sociali. Il trovare poi scritta la cedenza morbosa in alcuni luoghi per alcuni ar- 492 Scienze gomenti, in altri per opposti; l'analogìa, che ricor- da il cielo equatoriale benigno, infenso il polare alla lue sifilitica; favorire alcune condizioni topo- grafiche alcuni contagi , come il suolo marittimo il tifo itterode; la circoscrizione delle affezioni pe- riodiche speciali ; le varie costituzioni epidemi- che , nelle quali la malattia curata altra volta con un metodo, ne esigeva diverso e forse opposto , comandava , che non solo sì attendesse alle affe- zioni indigene ed alle condizioni straordinarie epi- demiche, ma ancora ad una comparazione con quelle forme speciali patologiche , colle quali fra noi con- suetamente si presentano e combattono i morbi . Per lo che ci è sembrato necessario notare le pre- disposizioni universali e particolari , le cause con- correnti , osservare e fermare diligentemente la sindrome colerica variforme ; e ricordando le af- fezioni miasmatiche indigene , mostranti spesse fia- te sembianze diverse , donde i diversi metodi e peravventura contrarii nelle medesime epidemie , le varietà nelle forme di ogni esantema , poteva credersi che il colera , sebbene contagio nuovo , si mostrasse con vario apparato , leggendo come terapie speciali, talvolta opposte, fosser tornate pro- fittevoli , anzi necessarie a debellarlo. Con ciò si voleva attenzione alle forme primitive di quello , sendo facile riconoscere le seconde da libri e dal- la osservazione. Abbiamo accennato i criterj pro- nostici , le malattie secondarie , e gii esiti , non tacendo le infermità , che aveano accompagnato il contagio , senza fermarci sulle condizioni topo- grafiche e sociali e sulle affezioni morbose indi- gene, perchè notissime e piìi convenienti alla sto- ria completa del morbo romano , che a cenni su Storia del colera 193 quello. E siccome non v'ha specifico che valga a di- struggere l'elemento contagioso , era mestieri gio- varci de' lumi , che porgevano le osservazioni altro- ve istituite in casi analoghi , ricercare quello rie- scisse a'nostri clinici vantaggioso , e valutando le tendenze istintive degli infermi , colle quali spesse volte accennavano il metodo curativo migliore, at- tendere alle ftidicazioni , che forniscono le varie sindromi analoghe , vascolari , neurotiche , gastro- enteriche , miasmatiche , contagiose , e perfino alle tossicologiche , quantunqiie più rare. Da ultimo si voleva avvertire i risultamenti delle sezioni cadave- riche altrove istituite, meditando l'indole del prin* cipio ingenerante , misteriosa, e fierisslma. — 'Dalle quali cose produconsi analogie e discrepanze dura- ture negli animi degli studiosi, tendenti a viemeglio investigare la natura de'morbi paragonati. Ci è sembrato convenevole toccare alcuni ar- gomenti circa le vie e gli effetti del veleno per quanto giovi al pratico ; che fin Yk peravventura ne è concesso splgnere la temperanza delle ipotesi , affinchè le cose premesse trovassero un conforto fi* losofico dai raziocini; intendendo a quell' armonia , contemplata dall'antichità sapiente, cui mira l'inge- gno infrenabile dei neoterici per piantare basi no- solegiche dalle osservazioni, e dai paragoni empiri- ci; poiché le malattie non aborrono da alcune leggi generali, sebbene modificate perfino in qualunque individuo. E noi per essere brevi abbiamo fuggito di far eco alle autorità e di portare in campo pic- ciole confutazioni con aumento dello scritto, e fa- stidio del leggitore sazio già forse della immensa mole bibliografica generata dal nuovo contagio. Che se illanguidito vigore di sanità tolto non G. A. T. LXXUl. 13 194 Scienze ne avesse osservare intieramente le fasi del morbo < forse questi cenni sariano meno incompleti; forse le malattie indigene ed intercoi'renti narrate e com- parate; forse maggiori analogie afferrate, e svolte, adempiendo meglio allo scopo di presentare il co- lera contagioso quale fosse stato da noi studiato iti patria l'anno 1837* Vedendo quanto l'argomento del colera conta- gioso affaticasse gl'ingegni più svegliati , e quanto discordasser fra loro intorno alla indole, all'appara- to sintomatico ed al metodo curativo del morbo, proponevamo rimanerci intieramente dallo scriver- ne, parendo consiglio piìi avveduto il tornar sulle opere e notare quelle specialità, che si avvicinavano ai fatti osservati, avendo unicamente per iscopo la propria istruzione. Ma poiché la Commissione d'in- columità pubblica sapientemente comandava a cia- scun medico di sua pertinenza lo stendere un rap- porto ragionato intorno ai casi colerici, affine di raccogliere i materiali per una storia completa di tanta nostra sventura, ci apparecchiamo a rendere quel breve conto, che permetterà la pochezza del tempo, e le osservazioni, non istituite per sottopor- re a pubblico esame, ne al tutto complete quanto alle fasi del contagio, poiché cel vietava proseguir- le dal dodici al ventitre di agosto il nostro infei'ma- re, seguito da non breve convalescenza (1). §. 1. La stagione invernale precedente fu avver- sa pel freddo umido protratto a buona parte della primavera, donde squilibrio elettrico, e malo atteg- giamento degli organismi animali e vegetanti (2), Occorsero affezioni flogistiche (3), reumatico-catar- rali in un subito, forse con indole contagiosa, tosta- Storia del colera 195 mente cessate prima del freddo e dell' umido (*). Crebbero allora le periodiche, ma pel calore suc- cessivo atmosferico scemarono , tornando verso il cadere di luglio, talvolta con sembianza algido-co- lerlca (4). Queste malattie richiedevano i metodi consueti. Languente fece il commercio la vicinanza del morbo , che sgomentava col vieppiìi appros- simare. Le quali cose tendevano a viziare la riproduzio- ne, la innervazione. §. 2. Erano pili predisposte al morbo le donne, più i vecchi, meno i bambini, molto i poveri, i su- dlcj (5), coloro che lasciavano intieramente le abitu- dini , i convulsionari, i convalescenti, gli affetti da malattie croniche, da periodiche specifiche (6) , e maggiormente il contagio si diffondea nelle giornate umide, nuvolose , e quando forte calore a piogge brevi susseguiva. Favorivano lo sviluppo di quello, e spesso fa- ceanlo grave, i patemi perturbanti (7), rattristanti; gli errori nell'uso del vino e de'cibi (8) in ispecie vegetabili, i quali si vogliono togliere parcamente in Roma durante la state (9), e molto più si doveano attesa la pravità delle stagioni precedenti, che avea- no impedito la vegetazione normale. Lo inducevano talvolta le verminazioni, spesso gl'irritanti salini emetici e catartici; (vedi nel cenno statistico il numero 13). Questi fatti invitavano a supporre che le con- dizioni organiche, in che sembra languido e mal di- sposto il nesso vitale; gli argomenti che perturbano o prostrano le forze; quelli che irritano soverchia- mente il tubo gastro-enterico, d'ordinario favoreg- giassero lo sviluppo del malore. 1S6 Scienze Dalle cose anzidette, dalla sede principale mor- bosa, se ne potrebbono trarre induzioni profitte- voli alla patologia? §. 3. Precedevano il morbo, e forse ne erano i primi sintomi, un languore, una stanchezza, una se- te, una sazietà, in qualche caso appetito normale, brivido e calore alternati, dolori reumatici vaghi, polso frequente, contratto. Succedeva malessere epigastrico, respiro breve, ansioso, formicolamento e talora crampi delle estre- mità, strignimento gutturale, alterazione di voce , tinnito, offuscamento visivo. Il capo si facea grave, vertiginoso (sebbene alcuna fiata la condizione del- lo stomaco fosse regolare) — affuocato come da vam- pe — aveavi tendenza a deliqui — nasceva per le membra un fremito quasi elettrico sgomen latore. S'aggiugnevano borborigmi, diarrea, egestioni fe- cali, biliose, siero-albuminose, spumeggianti, con te- nesmo urente allo sfintere dell'ano. Invadeva d'ordi- nario nella mattina (10) o verso la mattina questa diarrea, che diremmo colerica per distinguerla dal- le altre precedenti la venuta del morbo, duranti immutate fino al declinare di quello (11). Sul deci- moquarto giorno (v. n. e. s. 26) sul settimo (v. n. e. s. 1) sul quinto (v. n. e. s. 18) sul terzo (v. n. e. s. 8 16 23 28) poche ore dopo il suo apparire seguiva- no altri sintomi, o si mostrava con quelli all'impen- sata ; quindi nausea, vomiturizione, vomito alter- nato colle deiezioni alvine, la cute si mantenea tutt' ora calda. Il malessere toraco-epigastrico saliva rapida- mente ; gii occhi cominciavano a spaventarsi, ad infossare ; a venir vecchie, corrugarsi le estremità; i quali due sintomi prodotti dalla irritazione in- Storia del colera 19T lestinale notavamo sempre nelle varie forme del morbo straniero (12). Poco poi la cute s'impallidiva, acquistando colore di cenere; le unghie, le labbra, le orbite, si tigneano di un turchiniccio; il cingolo precordiale diventava fornace ardente (13), cui tal- volta i miseri solo colle mani accennavano — oc- correva in qualche caso singulto, spesso ambascia estrema gli splgneva a nudarsi — raro emetteano grida disperate — seccava il velo muccoso, donde in essi sete inespleblle, irritavansi le vie urinarie, dif- ficoltavasi l'udito — arrossava la sclerotica; vomiti e diarrea frequenti e copiose, le urine cessavano, s'ab- bassavano le tempie — l'invecchiamento crescente, universale, estremo, toglieva sembianza cadaverica, orrenda per cianosi salientlssima, cute marmorea, insensibile, quando bagnata da sudore vischioso , quando macchiata, dendritica (14) od eruttiva, (15) premuta albeggiante — capelli sparsi agglutinati, alito agghiacciato, contrattura scrotale, voce clango- sa, spenta, spasmi tonici, e clonici atrocissimi, veglia continua, facoltà intellettuali integre pili spesso, più spesso apatìa , polso frequentissimo, contrat- to, irregolare, fuggente nella esplorazione, sovente nullo, completavano il quadro spaventevole dello stadio algido-clanotico (16). Questi sintomi vari di numero, di grado, di combinazioni duravano da qualche ora ad uno o due settenari, cessando la vita, o decrescendo più o meno proporzionatamente, e variamente, spie- gandosi nuove forme sovragglugneva malattia se- condaria, svolgendosi piìi spesso, e durando i fe- nomeni pili notevoli della pienezza colerica, mo- dificandosi gli altri. Allorché tutti scemavano, pre- ceduta lieve reazione febbrile succedeva immediata convalescenza, breve ne'casi piìi miti. 198 Scienze §. h. "Variando i sintomi in numero, in grado, in combinazioni, davano luogo a sembianze parti- colari individue, dalle quali desumeremo le coleri- che primitive. Alcune dapprincipio mostravansi, che si sareb- bono dette cadaveriche; forse perchè erano tocchi i più predisposti; occorrevano a preferenza nelle donne; aveano stadio algido cianotico salientissimo, difetto di senso, e di moto ( v, n. s. 12 ) (17) ne* casi non fulminanti poche egestioni, qualche secre- zione urinosa, stupidita, angoscia, lassezza estrema; ad intervalli una forza muscolare, che mal si pote- va argomentare dal restante apparato de' sintomi; ( V. n. s. 7 ) (18) sendo i morbi seguenti nervosi; forme morbose pessime, d'ordinario letali. In que- ste vedemmo le subtifiche primitive, in quelle le primitive tifiche (^). Piìi tardi occorsero, special- mente fra gli uomini, affezioni spasmodiche delle estremità, talora lievi, talora fierissime, in genere senza grave apparato concomitante, le quali curate subito, o svanivano, o duravanp per lungo trat- to, seguite dal colera, od almeno da qualche sìnto- ma gastro-enterico (19). Tenemmo queste forme co- me spasmodiche primitive. Avveniva osservarne altre in sul principio particolarmente fra le donne , precedute alcuna volta dalla diarrea ( v. n. s, 22 ) con lingua sor- dida, emetocatarsi piìi grave, talvolta verminosa, addome dolente, ottusitU di udito , stadio algido prolungato ed intenso, polso appena percettibile. A questi sintomi d'ordinario lunghi, seguivano af- fezioni gastriche, meningee, il tifo, le periodiche. Giudicammo essere queste forme meningo muccose pili ( V. n. s. 2 ) (^20) o meno gravi e circoscritte (v. n. s. 22). Storia del colera 199 Finalmente apparvero altre sembianze con af- fanno notevole, Locca e pelle aride, sete inestingui- bile, talvolta febbre, gli altri fenomeni più. mo- derati ( V. n. s. 1 3 ). V'erano i precursori (v. n. s. 24 ) ( se non le avesse ingenerate l'abuso delle po- tenze incitanti ) ( v. n. s. 6 13 25 28 ) per lo più vincibili, e vantaggiosi, poiché cautelavano infermo e curatore ( v. n. s. 24 ), forme morbose di minor pericolo, quando non prodotte da gravi errori (21) brevi (22) costituenti spesso sul declinar del conta- gio la cosi detta colerina; se v*erano poi concomi- tanze, o sùccesioni, spiegavano indole infiammatoria. Dalle quali cose si tenne, che queste ultime costi- tuissero le fisonomie flogistiche (23). Vedendo gli esantemi divenuti indigeni spesso infiammatorj, non sembra soverchiamente ipotetico supporre che , se restasse fra noi questa malvagia eruzione interna, sarebbe per mostrarsi, almeno ge- neralmente, colle ultime sembianze. Tali forme morbose erano per lo più compli- cate, e frammiste intra loro (24) ( v, n. s. 19), §. 5. Come per lo sviluppo di altre malattie si vogliono peculiari disposizioni , così vedemmo (§. 2) quali condizioni organiche, e quali cause favo- rissero lo sviluppo del contagio. Toccheremo ora alcuni argomenti, che prenunciavano buono, o tri- sto esito. La mitezza delle cagioni concorrenti, se v'era- no state, le condizioni organiche fiorenti, la prestez- za de'soccorsi, le comodità della vita davano a spe- rare un morbo mite , o vincibile. Quando si svol- geano gradatamente e lentamente i sintomi precur- sori dello stadio algido cianotico, era buono, poi- ché avvertivano ad usar cautele, con le quali men 200 Scienze difficilmente si trionfava di quelli. I crampi all'estre- mità, sebbene acerbissimi, senza fierezza di sintomi rispondenti, non presagivano esito infausto ( vedi la nota 19 24) (25). Kra meno grave lo stadio spaven- tevole, quando seguiva la progressione ordinata de' fenomeni (^). Il sangue estratto mostrante cotenna, indicava correzione di crasi , reazione vascolare , vigente processo riproduttivo. Le egestioni (26) ( v, n. s. 13 28 ), le eruzioni critiche tornavan buone. Il diminuire graduato e proporzionato della forma, specialmente della sete, del crampo toraco epigastri- co, della emeto-catarsi ; il cangiare delle sostanze siero-albuminose in verdognole o gialle; il riappa- rire delle urine; lo spiegarsi del polso, finalmente un sonno placido, ristorante , ingenerante madore tiepido, universale , ringiovanendo, decrescendo il calore cianotico.(2T), pronunciavano la convalescenza. La invasione notturna diventava perniciosa ac- cidentalmente (vedi la nota 10), poiché d'ordinario non si imploravano subito 1 soccorsi medici. Il temperamento, la gravezza di un sintoma, la sindrome, eran presagio spesse fiate del morbo se- condario. Quantunque la gravidanza non disponesse al contagio (28), le incinte di più mesi perivano, forse per la mobilità nervosa, per la tendenza infiamma^ toria, per l'angustia toracica. Per questa principal- mente gli asmatici, i rachitici (v. n. s. 17) (^). Per l'attitudine flogistica forse, per la sensibilità esal- tata, per la spossatezza, le perdite e la soppressio- ne de'lochi pericolavano le puerpere (*). Il sangue estratto sempre nericcio, molle, vischioso, con poco siero, e macchie oleose, era cattivo. Quando lo stadio algrdo-cianotico aggrediva su- Storia del colera 201 bitamente, come nelle forme tifiche primitive, spon- taneo od ingenerato da cagioni valutabili, era pes- simo , pessimo il denudarsi continuo dell' infermo, per l'angoscia insopportabile, l'indicare co'gesti il crampo toraco-epigastrico, non sentire le irritazioni esterne. Ne precorreva guarigione il singulto (29). Brevemente : quanto piìi era malconcio dapprima l'organismo, quanto piìi grave il vizio delle funzio- ni, in ispecie della vita vegetativa, o dell'apparato sensorio, tanto più pericoloso era lo stato dello in- fermo. (*) Queste viste pronostiche, tolte dalla osser- vazione clinica del contagio, non sembra formino eccezione ai presagi da Ippocrate a noi. §. 6. Le malattie secondarie, aveano indole più grave con qualche vestìgio colerico (*). Osservam- mo affezioni dell'apparato gastrico, del sistema nu- tritivo, del nervoso (vedi la nota 20) (30). Il nostro maestro, professore Tommaso Sarrecchia,ne osservò del cellulare; si videro eruzioni cutanee esantema- tiche, eri tematiche, e morbi depuratori (31), raffer- mandosi le ossertazioni de'buoni clinici intorno al- la indole de'morbi spiegata sulle malattie seconde, e sulla convalescenza. Questa era lunga, dopo un colera grave, con pirosi (32), anoressia, dispepsia, borborigmi, languo- re universale, difetto di calorificazione (33), des- quammazione cutanea (vedi la nota 15), edemi ec. Mancavano se 1' affezione era stata lieve e semplice. La mestruazione in molte fu consecutivamente ab- norme. C) §• '^' Come nel §. 1 accennammo le malattie precedenti il morbo, cos'i ora diremo in breve delle intercorrenti, e delle successive allo scemare di quel- 202 Sciènze lo. Le perniciose con apparato algido-colerìco com- battute in luglio cogli alcaloidi antipiretici, quasi inducevano in alcuni medici opinione, essere il sor- gerite contagio miasmatico epidemico. Peraltro, aven- do sempre dubitato di quelle sembianze, convennero bentosto in uno, riconoscendo, a tenore de'fasti me- dici, specialmente colerici, nelle forme nuove l'ag- gressione temuta. Crebbe il contagio, e verso la me- tà di agosto sali al sommo, e le affezioni periodi- che inversamente decrebbero. Fu sofferto in gene- rale malessere nel tubo digestivo; occorsero infer-^ mila gastriche, tifiche, rare volte letali ; sempre qualche rudimento, o complicazione , o successio- ne colerica, De'bambini pochi ammalarono. Sceman- do il morbo risorsero le periodiche, ribelli? ano- male, talvolta perniciose; le reumatiche apparvero, (*) Nulla avvenne di speciale ne'metodi cura- tivi, provvedendo quasi tutti alle perturbazioni in- testinali con la dieta, con le cautele, talora cogli emetici, spesso col tamarindo, C) Nel pieno del contagio scemò il numero de- gli uccelli in citta. L'atmosfera non si mostrò di-^ versa dagli altri anni, {*) A diminuire il morbo discendente sembra cooperasse l'abbassamento di temperatura, indotto in ispecial modo dalle piogge ne' dintorni di Roma verso la metà di settembre, §, 8. La disparità delle opinioni negli autori stessi più famigerati, impose fin dal giugnere del contagio, di raccogliere quello tornava giovevole a' professori scevri di opinioni sistematiche, di valu- tare le tendenze istintive degl' infermi, osservare con diligenza i risuUamenti, attendendo alle forme morbose indigene. E considerando, che, tranne Te- Storia del colera 203 lemento ingenerante , non vincibile con modo co- nosciuto, le indicazioni curative si doveano togliere da un apparato sintomatico, col quale avessero ana- logia molte forme morbose indigene; e molte osser- vate da' clinici valenti; considerando poi che l'ele- mento peregrino avrebbe spiegato forme speciali , relative alle condizior." topografiche, alle fisiche per- manenti, od accidentali, alle morali, che tanto in- fluiscono a modificare qualunque malattia, risulta- va , che il pratico si recasse freddamente al letto dell'infermo, notando nel morbo nuovo tutto quello, che potea desumere da altri morbi sempre curati, rammentando quello fosse tornato vantaggioso in forme analoghe, quantunque rare. Così sariano scese spontanee le indicazioni dall'apparato de'sintomi , valutato relativamente alle forme, ed alle condizioni piìi analoghe ; ricordando però sempre , essere il morbo ferocissimo, ed appartenere alla famiglia de' contagi. D' altra parte conosciamo noi gli elementi di qualunque malore? qual diritto a supporre che il nuovo rovesciasse i canoni empirico-patologici , le osservazioni per lunghi secoli istituite giungesse a fiaccare solennemente? Dicemmo il principio speciale del colera conta- gioso non essere vincibile da argomento conosciuto. Sofferirono il morbo alcuni, che aveano tolto come profilattico il proto-cloruro di mercurio, il quale ispirava fiducia pe'suoi componenti. Alcuni usatolo come curativo, mancavano; ne veggiamo tal farmaco sanzionato nelle immense peregrinazioni del morbo indiano. La dimenticanza poi dei vantati specifici facea dubitare intorno alla polvere di carbone ve- getabile , lodata come neutralizzante : ma notando buoni effetti senza prescriverla, stimavamo coiivene- 204 Scienze vole aspettare, che fatti numerosi ed evidenti la innalzassero fra medicinali eroici (34). Ne mai pre- scrivemmo la digitale come specifico , quantunque la usassimo in una forma angioitico-colerica ( v. s. n. 13) senza buon risultamento, dovendo anzi la- sciarla, perchè irritante lo stomaco, siccome accadde osservare una volta al professore Sarrecchìa. Non as- seriamo , che questo vegetale potesse disconvenire in qualche rudimento dei morbo con fisonomia flo- gistica, o peravventura subneurotica, forse quale de- primente, forse quale narcotico; ne' quali casi co- me convengono gli antiflogistici alle sembianze in- fiammatorie, così abbiano giovato alcuni soporiferi nelle neurotiche. Ricordiamo avere proposto noi stessi all'Ingegnoso professore Rietelli, il quale ir\ S. Galla istituiva gli sperimenti colla digitale pur- purea , tentarne prudentemente le prove col tasso baccato per trarne conchiusloni vantaggiose, aven- dolo stimato affine alla digitale sommi ingegni d'I- talia ( quantunque secondo alcuni più irritante, e meno efficace ) desiderandone sperimenti nelle ma- lattie del cuore, e delle arterie il chiarissimo nostro maestro professore Giacomo Folchi (Materiae me- dlcae compendium t. 1. e. VII. Irritantla p. 177). Ma spiegata la forma, conoscendo l'azione prima del- la digitale irritatrlce del tubo digestivo, di già so- verchiamente irritato; valutandone la seconda lenta e dubbia, quando si vogliono pronte e sicure, ten- dente a convergere i moti vitali, quando si brama divergenza e vigoria estrinseca, ci è sembrata pro- prio quella sostanza, che in que'momenti si dovesse proscrivere. Tuttavolta avremmo posto da canto le argomentazioni a priori^ ed atteso al fatto empirico, quando avesse avuto la nota di certezza, quantun- que solo in alcune determinate forme morbose. Storia del coleri 205 §. 9. Consigliano i pratici osservatori il salas- so nella pletora, che precede gli esantemi, quando l'età, il temperamento, il clima, la costituzione epi- demica ed altre condizioni il richieggano , perchè fioriscano semplici e presti. La quale indicazione tornava profittevole, se una forma morbosa pletori- ca annunciava il colera. C) Si commendavano le sostanze narcotiche , talvolta a dosi generose, le fregagioni sui luoghi af- fetti dalle spasmodie , le potenze eccitanti diffu- sive nelle condizioni di avvilimento organico ; le quali cose erano confortate dalle osservazioni cli- niche sul morbo straniero. Usammo con vantaggio lo josciamo ne'pochi perturbamenti nervosi che ve- demmo minaccianti colera , e trovammo utilissime le fregagioni sulle membra afflitte da'crampi. Nel- le poche forme convulsive curate non osservammo languori organici da prescriver narcotici eccitanti, o medicine eccitanti diffusive. Occorrendo saburra gastrica, sendo il capo al- quanto perturbato, qualora speciali cagioni noi vie- tino, si prescrive l'emetico nel sospettar di alcune forme tifiche, perfino aftose (35), e la ipecacuana fu vantaggiosissima, quando si teneva imminente il morbo, forse perchè la sottrazione di alcuni prin- cipii, la commozione dell'organismo, l'antitesi della vita esterna resa pih attiva diminuisse, o neutra- lizzasse od annullasse l'elemento convergente, che si potea riguardare come fattore morboso? Nelle forme analoghe , attendendo i pratici alla diver- genza vitale, prescrivono le infusioni diaforetiche di tiglio, di sambuco, e notammo i vantaggi delle medesime, o favorendo esse il vomito, o promoven- do il traspiro. Se cagioni individuali vietino Teme- 206 Scienze tico , si usano i purganti , anche quando si vuol prevenire la eruzione delle afte, a sottrarre le sa- Lurre irritative, a semplicizzare, dirò così, l'affezio- ne. Difatti si sperimentarono non solo innocui, ma necessarii i lubricanti, come la cassia, la manna, gli oli di olive, di mandorle dolci, e perfino di ri- cino a mondare il ventre piìi prestamente, o facea d' uopo un semplice catartico antelmintico* Negli scaldamenti del tubo intestinale nocciono gli eme- tici, ed i catartici salini : i purganti drastici e le prime sostanze vedemmo (§. 2) essere state cagione concorrente del morbo indiano. Si lodava la polpa di tamarindo, le bevande subacide, mucillaginose, i clisteri mucillaginosi nel- le diarree prenuncianti colera; d'altra parte tutto ciò è indicato nelle diarree comunali, e nelle ir- ritazioni del tubo digestivo, e si ordinava con otti- mo risultamento. Ma queste diarree eran poi sempre veramente coleriche.'* e se tali, non erano mai al- quanto lunghe, od accompagnate almeno da qualche sintoma particolare.'' erano sempre vincibili (36)? Saremmo condotti a credere, che quelle veramente coleriche poco fossero docili a tali medicine, ma tendessero a spiegare alquanto meglio la forma spe- ciale (37), come saremmo d'avviso, che una diarrea sporadica disponesse al colera straniero per l'affe- zione dell'organo sul quale sembra gittarsi eletti- vamente il veleno. Consigliano i pratici le sangui- sughe ai vasi emorroidari, ed anche il salasso, ne* casi di tenesmo, dissenteria, ed irritazione enterica. Consigliano il riposo, le cautele, un vitto rela- tivo, non mai eccitante; le quali cose giovavano se- condo i casi al prenunciarsi della forma colerica. Si avevano per buone le sostanze narcotiche. Storia del colera. 207 eccitanti difFuslve nello stadio algido. Vedendo con- dizioni algide solenni, con spasmodle orribili in s. Galla, tentammo acquietare i sintomi con argo- menti eccitanti diffusivi, ed oppiati: ma l'eJBetto scon- fortò dall' usarne ulteriormente (38). Le infusioni telformi di sambuco e di tiglio, celebrate nello sta- dio algido pieno, sembravano utilissime per la vir- tìl elettiva, ma accrescevano il vomito, soperchio, dopo egestloni soperchle, ne diminuivano la con- dizione morbosa della cute, come nel colera spo- radico e nella perniciosa colerica. Imploravano an- siosi gl'infermi le bevande nevate, subacide, demul- centi , le quali giovano nel colera sporadico e nel sintomatico, nelle affezioni gastro-^enteritlche ^ con bassa temperatura^ polso minimo, talvolta impercet- tibile, forse perchè sottraenti calorico, forse perche atte a diminuire la convergenza vitale; qualora non avessero sofferto grave congestione di polmone, che vieta la neve» e le pozioni subacide, queste si accor- davano con ottimo successo; e nella scarsezza de'li- moni prescriveasi l'aceto diluito a piacere nell'a- cqua^ lievemente addolcito, da togliere a brevi in- tervalli. Spiegata la sindrome colerica , il tama- rindo non si tollerava in genere sotto qualunque forma (39). Come nelle affezioni enteriche irrita- tive, nelle afte , giovano i clisteri mucillaginosi, le unzioni oleose sull'addome, particolarmente col- l'infuso di camomilla, i calefacienti alle estremità (40), nonché il senapismo sullo stomaco celebrato dovunque, così abbiamo veduto nociva l'applicazio- ne della neve (41), parimenti vantaggiosi i vesci- catori quali rubefacientl, trasportati su varj pun- ti dell'organismo , affetti da dolore perfino che la cute venisse arrossata, scaldata e i dolori calmas- 208 Sciente sero. Le frizioni usate nelle irritazioni gravi del- le vie digestive giovavano sulle parti cruciate da* crampi, fatte co'pamii di lana Lagnati neiralco- ole canforato. Vi sostituimmo alcune volte per eco- nomia l'acquarzente, e ne risultava lo stesso. Le quali cose tendevano a ravvivare la vita cutanea, a riequilibrare le forze, e per parlare il linguag- gio de'polaristi , ad invertere le correnti termo- idro-elettriche. Le forme algide indigene impone- vano di avvolgere e di trattenere gli ammorbati entro coperte di lana, le quali restituissero grada* tamente il calorico: ma quelli a stento satisfaceano a tali indicazioni, sendo spinti da smania indicibile a denudarsi: quindi durava, cresceva lo stadio al- gldo-cianotico , dando luogo in seguito a funeste metastasi. Non vedemmo che le forme tifiche primitive ammettessero terapia, ne che la canfora usata con tanta lode in alcuni casi di tifo giovasse le subti- fiche, ne ci salvava gl'infermi il metodo rivellente irritante, consigliato nelle medesime affezioni. Ebbe nota di vantaggio il confricare le membra afflitte da formicolamento o da crampi nella pienezza colerica. Nelle gastro-enteriti, nelle diarree, e nelle dis- senterie valgono i purgativi blandi, lubricanti non escluso il ricino, specialmente quando v'hanno com- plicazioni elmintiche : e li usammo utilmente nel colera gastrico, preceduti e susseguiti da frammen- ti di neve. Le forme infiammatorie richiedevano piìi lar- gamente l'uso delle sanguisughe, qualora la fiam- ma toraco-epigastrica non avesse ceduto ad altro soccorso, rammentando essere necessarie nelle ga- f Storia, del colera 200 stro-enteriti , nelle afte. Le avremmo consigliate eziandio ai vasi emorroidari, se l'infermo avesse potuto giacersi sopra un lato , e se le dejezioni alvine lo avessero conceduto. E ricordando l'appa- rato di congestione toracica, dell'asma, della cia- nopatia , esigenti spesse fiate il salasso, le minac- ce di flogosi gastrica , pneumonica , la complican- za infiammatoria negli esantemi, ed i risultamenti necroscopici del colera straniero, fu quello qualche volta ordinato con ottimo effetto , serbando però sempre una tale moderazione voluta da'clinici, os servata da'chiarissimi nostri maestri Pietro Lupi, De-Mattheis, e Tagliato nelle affezioni eruttive cu- tanee o meningo-muccQse, ingenerate da elemento dissolutore (42). Ne' morbi acuti intestinali è indicato un vit- to tenuissimo ; per la qual cosa ordinavamo un bro- do leggiero e freddo , notando, che il più lieve errore dietetico induceva esacerhazione. Questo contagio ha confermato il canone, do- versi cioè le malattie secondarie curare riguardane do alle precedute, con lodevole temperanza ne' me- todi , specialmente nell' antiflogistico mantenendo aperti gli emuntorj; indicazione essenziale nel cu- rare le successioni di un morbo, che aveva altera- to la miscela organica, inteso a sciogliere il nesso vitale. Nella convalescenza del morbo indiano gio- varono i criterj forniti dalle convalescenze delle affezioni gastro-enteriche, periodiche, tifodi, angioi- tiche ecc. rammentando quanto lentamente torni la normalità in quell'organismo leso nella vita ve- getativa, e nell'animale per le alterazioni della cra- si, dell'innervazione, della digestione. Quindi si prc- G.A. T. LXXm. 14 210 Scienze scrìveva un vitto leggiero, proporzionato alla gra- vezza preceduta, poiché la convalescenza è l'ulti^ mò periodo della malattia, che va gradatamente a confondersi colla salute; periodo, in che le fun- zioni piìi offese con pili di lentezza si equilibrano, §. 10. Nell'istituire un paragone fra il cole- ra indico, ed altre affezioni morbose, come accadde rinvenire analogie tra loro, cosi è stata rilevata una discordanza da talune, per la quale si avvicinerebbe alle condizioni gastro-enteritiche, ed aftose, perchè il metodo eccitante, usato nelle algide perniciose, nelle colere nostrali, e nelle condizioni di languore organico non è stato riconosciuto vantaggioso in Ancona giusta le asserzioni di testlmonj oculari, ne Tebbero tale sperlmentatlsslmi clinici romani. Ma vi hanno fatti numerosi, ed osservazioni impar- ziali, che mostrano curatore il metodo suddetto. Potrebbesi far prova di conciliare queste discre- panze valendoci delle analogie? Sembra ragionevole, almeno non assurdo sup- porre, che l'elemento colerico si riproduca nell'or- ganismo umano, donde avveleni altrui pe'vasi as- sorbenti cutanei e polmonali, e tolto per le vie digestive forse venga decomposto, e neutralizzato come il vipereo , e talvolta alcuni de'vegetabili. Difetto di predisposizione, o forza digestiva rese immune chi trangugiò le sostanze della emetoca- tavsVf Questo elemento, a modo de'contaglosl ( ve- di le belle considerazioni del dottissimo Bufalini ne' Fondamenti di patologia analitica capo 23 §. 05, 3 edizione pesarese ). Sembra che dapprima alteri la crasi sanguigna, come si argomenterebbe dalle fle- bolomie ne' prodromi Istituite {A3) , che irriti le membrane vascolari, produccndo reazioni, ed cru- Storia del colera. 211 zloni in quelle, donde le palpitazioni di cuore, la contrattui'a arteriosa (forma vascolare primitiva di pletora, di efFemera): che si gitti sul sistema nervoso assalendone in particolar modo l'apparato vegeta- tivo, e locomotore, donde le nevralgie, le disereti- sie (44) ( forma nervosa primitiva spasmodica, sub- tifica, tifica, (*) Pare talvolta, per una disposizione intestinale sia antecedentemente invitato a produr- re gastricismo, diarrea, dissenteria ( forma menin- go gastro enterica primitiva , diarroica , dissente- rica ecc. ) ; ultimamente fiorisca quasi sempre con esantema polimorfo elettivo sulla membrana muc- cosa, specialmente verso la valvola iliaca (forma me- ningQ-muccosa primitiva, in ispecie enterica ) (45). Questa progressione sintomatica di varia gra- vezza, notata generalmente, analoga in qualche mo- do agli effetti ( sebbene in generale più solleciti ) delle injezioni emetiche e catartiche, segna in alcu- na guisa la via del veleno all'osservatore. Ma talu- ni argomenti meccanici , o veleni acri, alcuni gas mefitici^ per la sola irritazione della membrana muccQsa producono talvolta una sindrome istanta- nea, analoga ai casi gravi del colera contagioso , da indurre quasi il sospetto vi fosse prima nell'orga- nismo qualche morboso elemento, o predisposizione, sindrome però, che massimamente dipende dai conr sensi, e dalla continuità degli organi, (*) Stimo pregio dell'opera il trascrivere quasi intieri due quadri tossicologici, l'uno relativo alle sostanze meccanico irritanti ingerite, desunto dal^ la medicina legale dell'illustre Puccinotti (lezione 19 §. 3), l'altro dall'articolo asfissia del cclebratissi- mo Adelon (dizionario classico di medicina, articolo 212 Scienze suddetto, sezione (2) intorno all'avvelenamento pel gas deutossido di azoto. (*) I veleni meccanico-irritanti producono , scrive queir illustre italiano » rossezza, secchezza, » ed ardore delle fauci e della lingua ....... » senso di stringimento all'esofago; la ■ regione epigastrica si sente come morsicata e di- » laniata , tutto l' addome è lacerato da profonde » e insopportabili trafitture. I conati al vomito si » affacciano, e si succedono pili o meno rapidamen- » te. Lo stomaco non può ritenere i liquidi anche i » pili grati; la deglutizione è difficilissima e vi ha » talora una completa disfagia , sete ardente , ed » inestinguibile .... il ventre trafitto sempre da » atroci dolori , da meteorismo , o da contrazione » violenta verso la colonna vertebrale, . . . d' or- » dinario è tormentato da dejezìoni frequenti, per j» lo più con tenesmo,.. . i tegumenti della mano » si fanno duri , aggrinzati , coriacei ; succede lo » stesso di quelli de'piedi, che sembrano tappezza- » ti di una lamina cornea, assolutamente insensibi- » le. Succedono a questi i sintomi di irradiazione » dolorosa, come il singhiozzo, la dispnea, e talora » l'ortopnea, i polsi intermittenti, o miuri, la is- » curia, il freddo, il granchio spasmodico delle e- » stremi ta, i tratti della faccia si fanno cadaverici, » e la scena luttuosa termina spesso o nell'abbando- » no totale delle forze, o in una smania furibon- » da, e in mezzo alle convulsioni cloniche le piìi » orribili. Nella maggior parte de'casi l'irradiazione » dolorosa non arriva a sconcertare le facoltà intel' » lettuali; l'avvelenato dai veleni meccanico-irritan" » ti le conserva sino alla morte. » Storia del colera. 213 (*) il professore francese narra così l'esempio di asfissia pel gas nitroso : » comunicato da Des- » granges, in cui però il gas non fu fiutato puro, » cosicché il malato morì soltanto in capo a ven- » tiquattr'ore. I sintomi che dapprima osservaronsi » furono, somma debolezza, certo calore acre e sec- » co nelle fauci, la irritazione dello stomaco e del * petto, il senso di stringimento all'epigastrio, la » diilìcoltk di respirare Dopo dodici ore >• r aspetto del malato divenne azzurro, afFannossi » il suo petto , sopraggiunse . . é . il singhiozzo , » grandi dolori alla regione del diaframma .... » alcuni movimenti convulsivi, e da ultimo creL- » be l'ansietk fino alla morte, che accadde di mez- » zo a terribili angoscie. » I sintomi speciali di que- sto quadro presentano forme irritative: avvene ana- loghi al quadro universale della asfissia del mede- simo fisiologo; angoscia, cianosi, apatia, debolezza, diminuzione circolatoria, nutritiva, calorifica ecc. nel cadavere , lividore del sistema capillare generale , turgore sanguigno nell'apparato venoso, vacuità nel- l'arterioso (Vedi il principio dell'articolo suddetto nel dizionario). (*) Ecco due quadri sintomatici da irritanti esterni pe'consensi e per la continuità degli orga- ni, i quali riuniti forniscono i principali fenome- ni del colerico contagioso (46) e e' invitano a cre- dere , che lo stadio algido-cianotico dipenda massi- mamente dalla irritazione primitiva del contagio sul velamento muccoso, o dalle accessorie connesse alla tendenza ad erompere, o dalla effettiva eruzio- ne dell'esantema. Che se volesse objettarsi: non es- sere semplicemente irritativa l'azione de'suddetti 214 Scienze veleni sulle vie coperte dalla muccosa ; assorbirne i vasi, donde i perturbamenti; saria pur forza am- mettere una irritazione intestinale, o polmonale, ri- cordando, che la crasi sanguigna si viziava dappri- ma, o contemporaneamente allo stadio spaventevo- le del morbo straniero. (*) E siccome non istimiamo fisiologica la con- dizione di un tratto tegumentale mondo da esante- ma, quando altrove fiorisca circoscritto, notando pre- cedute e complicate le simpatie della membrana creduta da alcuni introflessa, cosi quantunque l'ir- ritamento, o la proclività esantematica avvenisse sol- tanto nel tubo digestivo, non crederemmo normale la condizione degli altri punti del velamento inter- no. Il rossore poi della sclerotica, il tinnito, la sec- chezza nasale, la cianosi delle labbra, la sete, la vo- ce colerica, il prurito inane urinario, l'ardore allo sfintere dell'ano ci forniscono argomenti analogici, le autossie cadaveriche, i fatti per credere pertur- bato l'intero tegumento muccoso (47). (*) Come tende a svolgersi il principio cole- rico, o svolto, o morbosamente elaborato, o molti- plicato sulla muccosa, in ispecie intestinale, sembra debba questa perturbare per consensi membrana- cei e nervosi la polmonale, antecedentemente irri- tata peravventura della crasi innormale sanguigna, contemporaneamente dal tendere eruttivo, o dalla eruzione, ultimamente dalla diminuzione sierosa del sangue. (*) E come gli esantemi hanno lor periodo la- tente, esisteva già in molti casi nell'organismo il principio colerico; occorrevano quindi ordinati nel maggior numero i sintomi prodromi; perchè gli al- tri non procedevano in proporzione , ma compii- Storia del colera. 215 dati, moltiplicati, precipitati? Non sembra per ca- gione che agisse subitamente ? Avvi qualcosa di analogo nelle malattie? Notiamo alcun che di simi- le ne'morbi affini? Guardando accuratamente al qua- dro degli esantemij non veggiamo alcune fiate una subitaneità di eruzione , la quale contemplata su tratti piìi vasti e più vitali della membrana muc- cosa, debba produrre effetti notabili e subitanei? (*) Irritato il tubo gastro-enterico, ecco ai sin- tomi vascolari e nervosi di perturbamento ripro- duttivo, di reazioni, di squilibrio elettro-organico aggiugnersi e confondersi la contrattura gastro-en- terica, un moto convergente, la catarsi , la emesi, quindi impoverimento siero-celluioso , vecchiezza , difetto urinario (48). (*) Irritate le vie aeree, ecco la cianosi, la per- fringerazlone , la voce colerica. Notammo due sin- tomi costanti nel quadro del morbo; invecchiamen- to ed infossamento delle estremità e delle orbite , e cianosi delle medesime parti; quelli per affezio- ne dinamico-spasmodica e meccanico -sottrattiva ; questa per vizio di sanguificazione , esprimenti in qualche modo, se mal non ci opponghiamo, l'affe- zione doppia della muccosa, enterica e pneumatica. (*) Irritate le vie urinarie , dissierato il san- gue, ecco la secchezza molesta interna, la soppres- sione urinosa completa. {*) Irritati nuovamente ed inversamente i ner- vi del tubo digestivo, de'bronchi , delle vie urina- rie, ecco il cingolo toraco-epigastrico , le anoma- lie, gli squilibrj mutabili di circolazione, le vam- pe, l'infuocamento; ecco nuova causa di gelo cuta- neo, il singulto, il corrugarsi dello scroto, il cessare della voce, il tetano, i crampi, l'ottusità uditiva, vi- 21G Scienze siva e , forse per un ordinamento di Provvidenza compensatrice, una certa apatia. Adunque gli spas- mi compagni, e consecutivi della eruzione potranno talvolta riguardarsi come secondar]? L'apparire di un fenomeno piuttosto in alcuni tempi, che in altri, invita a supporre una catena- zione colle cause ricorrenti. Lo svolgersi della for- ma colerica al mattino, o verso il mattino ( quan- do fosse universalmente osservato), dipenderebbe dalle vicende della elettricità atmosferica, dai pe- riodi nelle funzioni, dal collapso enterico dopo l'o- perositk digestiva abituale , o soverchia disponente al morbo , quando i seminj diffusi per una scin- tilla inavvertita talvolta divampano? Gessata l'opera digestiva, succederebbe l'erompere elettivo del con- tagio ? Ma l'abbassamento di temperatura verso il giorno, chiudendo la cute, compenserebbe il deca- dimento intestinale? Al fritto i fatti rispondano; su- dare taluni verso il mattino abitualmente , spesso nelle convalescenze, rimettere le febbri continue; ristorarsi, lusingarsi gli etici. Sveglia, operosa col nuovo sole è la mente, a'vivi concetti, a profondo meditare inclinata ; grave , inerte verso la notte , prevalendo la vita nutritiva; donde agli scioperati stessi il poeta: Dalla mattina a terza Di voi pensate (*) A tenore delle predisposizioni e delle cau- se si turbava pili l'uno de'due sistemi vascolare e nervoso, o l'apparecchio gastrico. (*) I maschi, giovani , temperanti , forniti di buone condizioni organiche, di prevalente vita ri- produttiva, sperimentavano d'ordinario la forma flo- gistica. Forse la vitalità vascolare, e la crasi nor- Storia del colera 217 male scemano la virulenza contagiosa; forse vince - vanla ne'bambini poco percossi dal malore ; forse intendevano a fiaccarne la possa dissolutiva quelle benefiche reazioni vasali che partorivano moderate perturbazioni nervose, mite irritazione enterica, lie- ve decadimento, presta convalescenza? (*) Sono poi normali in tutti le condizioni va- scolari? una viziosa posizione anatomica non mai so- spettata, una condizione patologica inavvertita, un occulto aneurisma, o varice, un corpo abnorme na- scostamente cresciuto non potevan complicare gli squilibrj nervoso-vascolari, indurre apoplessie ra- chidiano encefiiliche , viscerali, paralisi, altre for- me tetaniche, preparare infiammazioni? (*) Ma il difetto di resistenza vitale, di coecsio- ne fisiologica nelle donne, ne'vecchi, ne'soperchia- mente mobili, negli intemperanti, ne'convalescenti ecc. impediva all' organismo vincere nel cimento , gittavasi quindi prepotente il veleno sul sistema nervoso; tiranneggiava l'apparato vegetativo, o sen- sorio, distruggendo le ragioni vitali, prorompeva col- la eruzione, o come veggiamo negli esantemi mali- gni, la tentava più funestamente; meno feroce, ma per lungo spazio malmenava l'apparato locomotore. Ecco le fonti delle spasmodie successive, delle pal- pitazioni nervose, de'tifi speciali (49). (*) Ma gli esantemi fioriscono talvolta varj. La tendenza eruttiva, la eruzione toracica, eran propor- zionate sempre alla gastro-enterica? Non e mai l'ap- parato respiratorio abnorme ? Senza supporre in qualche caso una anomalia eruttiva, potrebbe attri- bufrsi qualche forma, in apparenza nervosa, ad una condizione patologica del torace , ad una lesione istromcntalc anteriore? Sarebbe in questi casi piìi 218 Scienze grande il vizio della ematosi? la cianosi, la perfi*!-* gerazione più intensa? non si parrebbe un Sopore, in fine un awelenaniento per difetto, o vizio tra^ scendente di composizione sanguigna? (*) La predisposizione, le cagioni concorrenti < forse poca affezione vascolai*e, o nervea, potevano fa- vorire la forma meningo-muccosa più spesso gastri- ca? indurre efflorescenza più diffusa, più lenta? (*) Sembra da queste nascere le pirosi, le di- spepsie, le gastriche, le diarree, le dissenterie, i vo- miti, qualche colera secondario sporadico ; sembra nascere dalle medesime cause le affezioni meningo- muccose, e meningee, i tifi neurilematici. (*) Rapito il siero e T adipe al sistema cellu- ioso, egli sembra, che per antitesi, o vizio di mi" scela succedano gli edemi, le idropié (*) Le discrasie, i solidi morbosi stemprati, vo- gliono crisi, o fruttano malattie secondarie; quindi i sudori, le ipostasi, le diarree, le eruzioni; i mor- bi depuratori, se la forza vitale trionfi ; lenti ^ se lungamente combatte; letali, se manchi. (*) Compiuta l'opera eruttiva, allorquando le ragioni vitali prevalevano, ecco placarsi il crampo precordiale, le dejezioni decrescere; scaldarsi, nu- trirsi, ringiovenire la cute; dileguar la cianosi; ri- suonar la voce; gli spasmi far tregua; nuovamente le urine separarsi, rimanendo peraltro malconcio il velamento interno, e gli organi piìi affetti nel com- pletar delle forme , come vedemmo accennando la convalescenza. Premesse c|ueste linee teoretiche, comparando la sensibilità fisiologica del velamento cutaneo èol- l'interno, sembra, che se è molesta una condizione esantematica cutanea, debba tornare molestissima una Storia del coiSra 219 tendenza, una elaborazione morbosa gasti*o-enterica atteso il sentire più Sfjnisito dell'organo, come ac- cadde osservare nelle afte infantili. Che se il meto- do calefacente fu proscritto dal Sydenliam negli esantemi, parrebbe molto più sì dovesse in questo, attesa la vita, ed il senso meglio notevole delle parti aflfette. E Gioan Pietro Frank proscrisse lo irritare le prime vie nelle afte de'bambini , consigliando le cose rinfrescative. Chi si avviserebbe curare la eresipele, la scarlattina, il vajuolo, la miliare in ogni caso colle applicazioni stimolanti? Chi Usa oggimai gli stimoli nelle condizioni gastro-enteritiche? Che se in alcuni casi hanno giovato gli eccitanti inter^ namente, sembra possa essere avvenuto nelTordirsì di alcune condizioni subtifiche , più speciali forse di qualche luogo, di qualche costituzione epidemica talvolta ovunque di qualche individuo, con grande perturbamento del sistema nerveo, e notabile ten- denza dissolutiva. E come veggiamo scarsa la efflo- rescenza in alcuni esantemi quando impediscano al- cune particolarità l'innervazione critico-eruttiva in qualche forma cosidetta maligna, curabile dalle po- tenze che eccitano, quasi risveglianti, se l'affezione non sia in grado considerevole, ne dipenda da certi consensi, irradiazioni, o metastasi morbose sui nervi, cosi peravventura può avere giovato per un istante il metodo nella forma subtifica del colera, analoga in qualche modo agli avvelenamenti vipereo e set- tico , quando siavi slata deficienza di vigore erut- tivo. Peraltro questo metodo è spesso incerto, non esistendo sempre gli argomenti ( come osservò quel sommo italiano che è Giacomo Tommasini nelle no- zioni sul cholera morbus e. 4) per conoscere, se un languore apparente sia l'effetto di prostrazione uni- 220 Scienze versale, o di squilibrio vitale: quindi gli è mestieri ( per quanto la gravezza il permetta ) tentare con prudenza il fondo morboso. Difterisce il morbo indiano dalle afte (50) , malattia talvolta contagiosa , esantematica sul tubo digestivo, mostrante varie forme, perchè le afte han- no generalmente periodo piti lungo, minore appa- rato ed, a giudizio di alcuni pratici , sembrano ri- cusare le sostanze subacide , le quali tornano van- taggiose nelle applicazioni locali esterne. Sappiamo, essere varia la durazione degli esantemi, breve la miliariforme, cui d'ordinario assume il colera, lun- ga la pustolosa , cui assumono le afte. Sappiamo quanto l'organismo tolleri alterazioni, e snaturamen- ti nelle malattie di corso men rapido. Sappiamo , che le sostanze subacide coagulano il latte alimen- to de'bambini, i quali a preferenza vengono afflitti da tal malore. E perciò credere si potrebbe , che queste specialità le disgiugnessero? tali considera- zioni varrebbono ad avvicinarle? (*) Proponevamo alcune viste teoretiche, le qua- li vogliamo sieno tenute a modo di semplici ipo- tesi , poiché passò stagione di chimere allettatrici stornanti dalla verità; ne i contagj, misteriosi per indole , permettono , ne permetteranno forse mai conchiusìoni notevoli e positive intorno alle vie che percorrono , agli organi che attaccano successiva- mente, alle modificazioni che inducono e meno d'as- sai questo, ospite fiero e nuovissimo. Tuttavolta era convenevole ridurre i fatti osservati in un punto , porli in una luce, tentarne lo svolgimento, stando in aspettazione , che altri fatti e conchiusioni in- fraliscano l'opera, per attendere noi subitamente a distruggerla. ■^ KyvuUX, -va^(y/uj je^icct-, el ^càlÙdA S^^ Secto. V--" ffUftou ai 15.0(11837. ^J&. ~t/Uo Jij '""Tir" lai»»!- '"ITT ^—S^' - ^, *.«?;«,.((- 0>tv..u Ola d.t 5^„U>i !% ^r^,) [JiMUn») (.-/;„) ("■'.' y^//^ . -^-'../A,, . aUj;A,-ti««^„ ^ *)p»;vOi tuiyj™. J,£,^J .-«vlojiuiMu^xU Setta. ji««a ot «Owt. i J itU»uuA* "'^yf- I— uj.i .^tci^ù ad " tif■•'■" ; J^ IO ì. fiuu*aì ^i tiM«(U, CoMf .«Stw«-.y"- «>*M«J4ù»«i *..n^£i« J .pi",- «.«./- ^«.^ e^./.Ajj^ '"-v|-"^'"7'/'" .w '? ^,»^ JX i/ff*tMtjS }J. /j. M^frtt^ // ;^ww^ J3 "^' :r2:i,^-J Cj^eiino Di olcuru joinic moiboic wiUvcoiic^itlamiloofw itie^it volU i(j*]3c«t--r) S-»..!.. 6™a«,«A»,i. ,«.«i™rt»,i.nj^«. >«(«. , j.«^^. <(V f^^ «f< iSvwiac.-j^ Storia del colera 221 D'altro lato, se non possiamo formarci idea del- le cose nuove in altra guisa, che paragonandole alle conosciute, per rilevare di esse le proprietà e la natura, se dal noto costumiamo investigare l'igno- to, forse non verranno spregiati questi pochi cenni patologici , comunque toccati , scevri almeno dalla farragine delle erudizioni, tendenti a mostrare il colera contagioso in qualche analogia pratica con le malattie indigene e note. Ne stimavamo poterli trasandare, poiché i metodi curativi e le induzio- ni patologiche consentono. 832 IN O T E (*) (i) Questi cenni furono compilati e trasmessi per ordÌDQ della Commissione di pubblica incolumità sul cessare dell'otto- bre, poi riveduti, corretti, accresciuti del ragionamento ad indi-» care il metodo dello scritto (svolgendo in ispecie alcune idee del- l'esordio, e del paragrafo ottavo) e di qualche articolo, notato coll'asterisco ; da ultimo scevratl di molte citazioni personali, e delle locali; che ogni cosa asserita è derivata e giustificata da una, spesso da più osservazioni, le aitali avrebbono per lunghezza ar- recato soverchia noja. Le osservazioni furono istituite nell'ospi- tale colerico in s. Galla dal 7 al li di agosto, e dal 28 dello stes- so mese al i5 ottobre ne' rioni di s. Eustachio e Pigna, ai quali appartenevo come medico della casa di soccorso;, o nella pratica privata. (*} (2) A queste cagioni l'espertissimo clinico Tommaso Sar^ recchla ed io attribuimmo una febbre perniciosa di prima inva- sione che si potea dire flogistico reumatica con tipo anomalo dopo affezione reumatica infiammatoria in De-A. F- di tempe- ramento sanguigno, gravida di mesi sette, guarita colla china. (*) (3) Curai e vinsi in quel tempo una aortite in S. V. di abito angioitieo, (*) (4) Il professore Gaetano Cavallini mio amico, osservatore accuratissimo, vinse in que' giorni una perniciosa algida cogli alcaloidi della China. Qualche tempo prima del contagio, il pro- fessore lodevolissimo P. R., mio amico, osservò un caso letale di cianopatia, indipendente da lesione precordiale come risultò dalla autossia. (3) In s, Galla ho osservato notevole in proporzione il nu- mero delle filatrici di lane. (*) (6) Miasmatiche. M. A. ebbe il colera complicato, pre^ ceduto, e seguito dalle periodiche speciali. Storia del colera. 223 (^) Un patema perturbante, a quanto sentii dire, predispose ftl contagio letale un mio carissimo ed affettuoso amico F. L. V. nel fiore dell'età e delle speranze ! (*) (8) I giorni appresso le feste era comune vedere accre- sciuto il numero de' colerosi per le intemperanze. (*) (9) Niuno ignora essere epidemiche fra noi nella state le affezioni gastriche, biliose, diarroiche, dissenteriche, coleriche, specialmente per l'abuso delle fruita nelle povere persone ; sul cadere di quella apparire le periodiche colle forme suaccennate, forme prodotte spesse volte dalle cagioni medesime. (io) Da »in cenno statistico desunto per ine dagl' infermi ap-. partenenti ai rioni di s. Eustachio e Pigna, riguardante quelli veduti nel primo giorno dello stadio algido-cianolico, rilevo, che il morbo dal 27 di agosto al 28 di settembre attaccava a prefe- renza nelle ore mattutine ; e nelle potturne,particolarniente nel settembre; rarissime volte nelle pomeridiane, od alla sera- Si può stabilire questa proporzione, riguardo però alle sole osservazioni da me istituite, non pretendendo generalizzarle ; 21 assaliti di niattina, de'quali 9 in agosto; ii di notte, de' quali in agosto i; uno nella sera sui primi di settembre; uno pelle ore pomeridiane sugli ultimi. Se queste risultanze fossero universali, almeno fra noi, come sono state in alcuni luoghi, inviterebbono a tentarne la spiegazione. Rilevo dal cenno statistico, che alcuni de'mancat: hanno implorato tardi il soccorso medico, poiché fui invitato dal- le ore i5 alle 20 (ore della mia guardia medica nella casa di soc- corso) a visitare V. R. (v. e. s. io) S G. (i5 ivi)P. T. (17 ivi) B.A. (20 ivi) ammorbate fin dalla notte, e vidi a caso P. C. (23 ivi) pa- rimenti algido cianotica dalla notte, la quale si credeva affetta da convulsioni infantili, (11) M. E, di temperamento linfare, e C. F. fanciullo gra- cile sopportarono la diarrea sporadica prima del contagio, e du- rante il contagio, senza presentare mai la forma di quello. (12) Sebbene questi sintomi non sieno unicamente del morbo indiano, ma si notino in qualunque grave irritazione gastro-en- terica, non pertanto gli ho rinvenuti costantemente con varia in- tensità nelle varie fornie del contagio. Nella mia dimora in s. Galla mi furono fatti notare dal reverendissimo padre Vernò generale de'benfratelli, direttore degli ospedali colerici, cui si conveniva dare ascolto, perocché antecedentemente professore di chirur- gia, spoglio da ogni prevenzione sistematica, era stato in grado di raccogliere le idee pratiche più positive e più giuste intoruo ai conlagj si in Livorno, durante il tifo itterode, che in Ancona, surto il colera indiano. N. R. vomitando, perdette i sensi sur un 224 Scienze sedile del palazzo Dorìa nella via del corso verso le ore 19 e mezzo del a5 settembre. Mancando sintomi speciali, e la certezza che non apparisser poi, attesa la indole subdola e proteiforme del morbo, fu mestieri inviarlo all'ospitale del Gesù e Maria; ed a tal uopo, non potendo giovarmi della barella parrocchiale, feci disinfettare di nuovo quella dello stabilimento, raccomandando, si ponesse l' infermo in luogo di osservazione. Cade in acconcio scrivere, ad onore del vero, come, ben lungi dal trovare la me- noma opposizione per queste novità negli illustrissimi signori de- putati, li rinvenni anzi benissimo disposti, eccitati sempre da quella filantropia e gentilezza, che tanto li onora. Cessata la con- dizione spasmodica al N., questi spiegava al professore Tagliabò, primario dell'ospitale, una forma periodica, volta successivamen- te in continua sinoca: quindi il fé trasferire in s. Spirito nel quarto giorno. 11 sacerdote N. D. morì improvvisamente nel con- vento di s. Andrea della valle; vedutone il cadavere, né rinve- nuti i succennati sintomi, né altro che di sospetto, asserii norz presentare indizio contagioso, né l'autossia il dimostrò. Non attendendo alla fisonomia particolare, alla condizione delle estremità ec. ma solo alla emetocatarsi, si potriano vantare facilmente curagioni numerose e maravigliose. (i5) Espressione vivacissima del reverendo sig. d. Giuseppe Genliluccl vice parroco in s. Niccolò in carcere. (i4) Gli eccellentissimi professori Galli e Luchini, miei ami- ci, notavano nell'ospitale di s. Spirito, che quando lo stadio al- gido si protraeva lungamente, apparivano larghe enchimosi su' cubiti e sulle ginocchia, decrescendo , dendritiche, tanto supe- riormente, che inferiormente. (i5) Sintoma particolarmente osservabile con forma miliare^ in una vittima della filantropia,che fu il professor Antonio Caval- lini, noto e pregiato dalla repubblica medica, ed in M.S. serva ec. (16) Si diceva che le mosche rifuggissero dai colerosi; le ho vedute poggiarsi sugli algido-cianollci , e sulle materie emesse. Sarebbono gli insetti uno dei veicoli del contagio ? (1^7) S. T. e S. G. rachitiche ed anziane mancarono In po- che ore. (j8) Forme notate nell'ospitale di s. Galla, e nella città, (jg) Il mio pregevolissimo amico signor N. L. narrava, come nella morte del padre, vittima del funesto morbo, sofferse formi- colamento e torpore alle braccia, vinti colle frizioni alcooliche; ai quali successe affezione morbosa gastrica. Fra L. da M. di tem- peramento sanguigno bilioso fu assalito dalla diarrèa ; la sera seguente si aggiunsero crampi atroci contrattivi alle sure ed alle Storia del colera 225 piante, alle mani tensivi, pe' quali ordinai frizioni continue collo «pirito canforato. Eseguite egregiamente nella notte, cessarono i crampi sul meriggio pel sudore: dopo due giorni fu assalito da gastralgia, che continuò per di cinque, sendo cessata la diarrea il di antecedente, e fu guarito. (20) B. P. di temperamento linfare infermò colle periodiche; successe colera, poi febbre gastrica, poi tifode, poi eruzione pe- ticulare, anasarca, di nuovo le periodiche e fu convalescente sul quadragesimo della malattia. Caduto nuovamente nelle perio- diche, nuovamente furono debellate. La signora B. M. anziana, pletorica, soggetta a gastro-epatiti, sofferse il colera , in seguito irritaziqne epato-enterica, ematocataisi per lungo tratto; ricu- perando lentamente la salute. (21) Il reverendo signor D. G. G. dette luogo allo svolgersi della forma sinoco-colerica coH'assistere nuovamente i colerosi appena acquietati i crampi e diminuita la diarrea ; questo zelo fu cagione, che il morbo crescesse fino al giorno quattordicesimo con dolore toraco-epigastrico acerbissimo, né volgesse a conva- lescenza prima del ventunesimo, (22) B. B. ec. ebbe la colerina , sembrando, che il sistema vascolare e 1' apparato gastrico soli fossero alquanto più pertur- bati, forse anche a cagione della cura subitanea, vestendo il morbo forma irritativa gastrico-effemera. (*) (23) Riporteremo una autossia cadaverica relativa alla forma infiammatoria, che debbo al professore Sarrecchia. Fu trasp<^rtata dalla casa degli esposti nell'ospitale di s. Gio- vanni una nutrice sul principio del contagio romano, la quale presentava sintomi sospetti. Posta pertanto in luogo appartato, non fu omesso il metodo antiflogistico, atteso l'apparato infiam- matorio ; ma lasciò la vita sulla metà del quarto giorno di ma- latti^. Sezionata, si videro polmoni aderenti alle pareti toraciche, turgidi di sangue nereggiante, poca sieriosità pericardiaca, cuore voluminoso, addome teso da gas nebbioso, irritante, quasi di sa- pore metallico , stomaco arrossato , incrassato intestino digiuno contratto, ileo livido, prossimo a cangrenarsi, verso la valvola eruttivo, con fprma miliare, fegato naturale, cistifellea gonfia di bile atra, vena cava turgida per sangue piceo, vescica contratta, vuota, utero infiammato, cresciuto, muccosa uterina cangrenata; sendo istituita questa sezione per la sola conferma della diii- gnosi, non si ricercaroqo altre specialità. (*) (24) Il signor L. C. di florido temperamento sanguigno linfare, di età matura, nariava avere sofferto patema perturbante G. A. T. LXXllI. 1 5 226 Scienze pel quarto giorno, dacché era stato preso dalla diarrea verso il cadere di agosto, nel quinto la sferza del sole, pioggia, affatica- mento, inquietudine pe'suoi lontani. Acchetò una molestia epi- grastica usando pozioni nevate ed ebbe la notte tranquilla. Nel mattino sopravvenne nausea, vomiturizione, borborimmi; creb» be sul meriggio la noia stomacale , svegliandosi crampi e lan- guore, per le quali cose tolse in breve spazio molte gocce di alcQole canforato , si confortavano le membra, ardeva Io stoma- co. Ebbe subito ricorso all'olio di mandorle dolci, all'infuso di camomilla, quindi vomito, deliquio; riavutosi come da sonno placidissimo-, bentosto se gli affuocava il capo, gli si freddavano l'estremità; implorò ed ottenne salasso largo, interrotto da li- potimie, quindi compiuto. Successe lo stadio-algido-danotico; lo stomaco a quando a quando divampava, con senso di espansione, meno molesta e strignimento ; le frizioni furono frequentissime per quattro giorni all'estramità, alla colonna vertebrale ; la mente serena, operosa, apalistica, talvolta lieta, talvolta velata pe' de- liquj ; segui poscia dimenticanza delle cose occorse ; noU'unde- cimo della diarrea, sesto del vomito, incominciava la convalescen-? ja, con tormini, dispepsia, pirosi notevole, esacerbala dal deci- monouo al vigesiniosettimo per un pò di vino diluito. Bevve fino jl quadragesimo la posca con sollievo. Ora viene molestato da ipocondriasi, talora da amnesia leg.. giera, da crampi esacerbanti ad intervalli nel qiinacciare delle vicende atmosferiche, durevoU perfin mezz'ora, se non li scioglie il riposo e il lepore. (*) (25) Sono lieto, che queste osservazioni sieno state con- fermate dal mio amico professor Giuseppe Pelrucci osservatore diligenlissimo, il quale mi scriveva; „ Rapporto al prognostico ,, del colera contagioso, si può dire per esperienza , che allor-^ ,, quando i crampi erano il primo sintoma nell' invasione, allor- „ quando appena comparso il vomito, o la diarrèa si manifesta-r- ,, vano, senza gravezza soverchia, la malattia era vincibile, e di „ breve durata. Una giovane di gracile temperamento , per ben „ due volte fu assalita da, forti crampi, contemporaneamente alla ,, diarrea, ma nello spazio di qualche ora la malattia si sciolse. ,, Altra giovane di temperamento sanguigno soffri per qualclic ,, ora dapprincipio crampi, quindi angoscia allo scrobicolo del ,, cuore, vomito leggiero e tornjini; ricuperò presto la salute.,, (*) (sjfj) Il alio amico professor Giuseppe Ponzi, curatore in-r defesso degli ammorbati, ebbe diarrèa giudicatrice, C) (37) ,, Arcanum quendani, ac inexplicabilem conseusuni ,, obsetvavimiis ii}ler morbos vcnlj-is, et lugrbos cutis ,,. Caglivi Storia del colera 22T ,, della pratica medica, aforismi sulla colica: Alvi laxitas, cutis ,, densitas; cutis raritas, alvi densitas. „ Ippocrate citato dal Ba- glivi nel medesimo aforismo ,, Quod si . . . et veuter suppressus ,, fuerit, et stotnaclius cibos adiiiittat , neque evomal , pulsus ,, magni et validi sint et couvulsio desinai, sed calar ubique ,, increscat et exlrema infestet, soinnus vero omnia concoquat , „ secundo die, aut tertio solvendus est aeger, et ad consueta „ mittendus ; at contra si omnia vomitu i-eijciat, sudor perennis „ effluat, frigeat laborans etlividus fiat, pulsus etiam prope ex- ,, tincti sint, et vires cadant , quum ita inquam se Iiabuerit , ,, inde honestam fugam capessero bonum est. ,, Areteo delle cause, e segni de'morbi, L. a G. 5 tradotto e pubblicato per cu- ra di Boerliaave. (aS) La compagna del mio amico L.V. non si parli da pres- so lui agonizzant>i; ve la strigneva amore di moglie, E quando il misero sospirava per l'ultima volta, ella, non che si lasciasse cadere, si gittò colla sua sopra la bocca di lui, la baciava, spe- rando forse fermarne la vita fuggente, o d'una morte entrambi 1 morire; però non contrasse il contagio, quantunque gravida. Gio- I vinetta e bella, vive lult'ora profondamente mesta, sempre fisa I nelle Immagini della felicità perduta. I (*) (29) ,, In pesslmis aphtis molestus, et funeslus singul- I tus. ,, Boerhaave, Aforismi del conoscere , e curare le malattie (§. 99^1.) (Si sìngultus accedat (diarrheae, vel dyssenteriae) le- thale. Raglivi, Afoiismi della diarrea, e della dissenteria. (3o) Non raro (cliolera sporadica) iuflaminntionem, gangrae- „ nam, syncopem, aut lienteriam, febrasque leutas Inducit. ,, ÌBorsieri, Delle istituzioni di medicina pratica T. 4- C. 4- Il dottor Antonio Cavallini già ricordalo dopo sofferto il colera pali affezione reumatica; convalescente, cadde in un mor- bo proteiforme con sembianza dapprincipio periodica, poi ga- strico-muccosa con turbamento delle vie urinarie, forse per con- comitanza di antitesi podagrosa ; nuovamente apparve la forma ^ periodica, spegnendosi la vita afflitta verso il giorno quadragcsi- ' mo del terzo malore. Il polso si mostrò quasi sempre angioilico. (*)I1 suUodalo professor Pelrucci mi scriveva; ,, Costa dagli j, scrittori sul colera asiatico , e dalle nostre osservazioni, che ,, sono funestissime le successioni di esso. Un'uomo guarito dal ,, colera fu preso da febbre, e nel settimo giorno niori apoplel- ,, tico. Altro uomo similmente, dopo i sintomi colerici, fu attac- I ,, calo da cistite, e ne peri dopo due mesi. ,, M. L serva, ces- I salo il morbo, è divenuta maniaca. Il mio pregiatissimo amico Alceo Fcliciani, professore di chi- 228 Scienze rurgia, clopo il colera sofferse e soffre tutt'ora ad intervalli ppr qunlche minuto primo crampi molesti alle sure ed alle piante, in ispecie quando vi ha squilibrio elettrico nell'atmosfera. Un medico dai sintomi prodromi colerici ha sperimentato, e speri- menta senso notabile di freddo. (*) (3i) Il sullodato professor Ponzi notò ascessi depuratori". (32) Il sullodato sig. D.G. G. sofferse la pirosi. (33) Sintomi tollerati dal medico, il quale soffre senso di freddo. (34) Se vi fosse uno specifico contro il colera straniero^ ogni cura senza quello sarebbe vana, come ogni cura è vana senza gli alcoloidi della china contro le affezioni periodiche speciali? C) (35) ,, Si in talis morbi initie purgans datur, aphtae . . . praecaventur. ,, Bperhaave nel luogo citato. (36) G. V. (v. e. s. 26) ebbe la diarrea precedente il colera per dì i4» Fra L. da M. crampi, ed una gastragia dopo la appa- rizione della diarrèa. Il professor chirurgo Antonio Volpi, seb- bene usasse il tamarindo contro questa, fu vittima del colera succedenle. (5t) Il vajuolo, il morbillo, la scarlattina ec. per quante cau- tele si usassero sempre fiorirebbono. (38) Fu amministrato l'alcoole canforato al reverendissimo s. D. G. G. senza che io il sapessi ; ma dovette lasciarlo subita- mente, perchè risvegliava la fierezza del cingolo precordiale (v. n. 1/^) (39) Non lo tolleravano fra le altre C. C. e P. G. (v. e. s. n e i4) Forse largamente diluito, addolcito, saria stato meno per- turbante.'' [*} (4o) ,, Dolores ventris a deambulatione nudis pedibus su- „ per frigidum pavimentum facta, appositis lateribus calidis plan- „ lis pedum, statini sanantur, crescente namque calore in pedi- ,, bus imminuitur sensim dolor in ventre. ,, Baglivi afor. cit. „ Porro si frigidi etiam pedes sint, unguine et adarce et euphor- ,, bio inungito, et lanis abvolveto. Areteo nel 1. e. ,, Si extreinae ,, partes corporis frlgent, ungcndae sunt calido eleo, cui cerae ,, pauilum sit adjutum, calidisque fomentis nutriendae. Si ne ,, sub iis quideni quies facta est, extrinsecus contra ventriculum „ ipsum cucurbiliila admovenda est, aut sinapi superimponen- ,, dum. Celso l. 6 e. 11. (4i) Consigliarono l'applicazione della neve sullo scobricolo del cuore al reverendo D. G. G. il quale dovette toglierla all' i- stante, e ricorrere alle fomentazioni da me sempre a lui com- mendale. Storia del coleri 229 (42) Pochi salassi furono prescritti alla signora P.M.» a M. S. (v. n. s. i3 19.) 1 a M. A. Questo ultimo sofferse le periodiche prima, e dopo il colera (v. n. 6.) che spiegò forma complessiva- inenle subangioitico-gastrica; e guarirono perfettamente. O. V., curato egregiamente del morbo dal mio collega sig. d. Muzio, im- provvisamente assalito da colica, con forma iuQammatoria fu da me visitato per comando degli illustrissimi signori deputati della C. di s. , non potendosi rinvenire in quel momento il preloda- to dottore; cousiderando alla affezione preceduta non prescrissi salasso, facendo applicare invece dodici sanguette all'ipogastrio, togliere olio di ricino, e calmante freddo. Non avendo rivedu- to rinfermo, perchè non spettava a me il curarlo, odo dai pa- renti, che là malattia sovraggiunta fu debellata con queste sem- plici indicazioni. Un metodo più attivo saria stato più vantag- gioso ? (43) j, Molti pur sono anch'oggi, che pensano di riporre j, nella lesione immediata del sistema nervoso e ne' suoi tuiba- ,, menti dinamisi l'azione totale de'veleni. Fontana ...fu il pri- „ nio a far crollare cotesta massima. Nysten provò, che gli effetti „ dell'òpio introdotto nello stomaco sono sempre gli stessi, ben- ,, che si taglino i nervi di quell'organo. Le sperienze di Magen- ,, die e Delille sull'avvelenamento degli animali decapitati, quelle ,, di Brodie col woorara, quelle di Wedemeyer, di Emmert e di ,, Viborg coU'acido prùssico applicato immediatamente sui cor- ;, doni nervosi, provano, che la ipotesi dell'azione immediata dai „• veleni sul sistema nervoso patisce assai eccezioni, che non è da „ potersi generalizzare a tutti i veleni e che non contrassegna ,, il loro modo dinamico di agire quel primo atto deleterio, che ,, arreca la niorte. ,, „' La maggior parte invece dei moderni tossicologi sembra „ inclinata ad attribuire 1' azione dei veleni alla loro introdu- ,, zione nel torrente circolatorio. Chrisistou e Coindet hanno „ sospesa l'azion venefica di alcune sostanze introdotte nelle ve- „ ne, per mezzo della legatura dell'aorta. Il Magendie però colia „ trasfusione del sangue di un cane avvelenato coU'upas nelle ,, vene di altro cane sano, non vide effetti venefici. Non sempre, ,, né tutti i veleni adunque spiegano la loro azione mortifera pri- „ mitiva nel sangue; e troppo ignoti sona altronde i rapporti, „ che tra il sangue e il sistema nervoso esistono per assicurarsi, ,, che in molti casi quel primo non sia piuttosto un veicolo di „ una azione, che va a fare intera esplosione sui nervi. (Lezioni di medicina legale del professor Francesco Puccinotti. L. i8 §.9.) {*) II Mugeudie sospese l'azione venefica in un cane, injcitando- ii30 Scienze gli nelle vene quaiilità notevole di acqua. Meditando su questo fatto il dottor Verniere istituì alcuni sperimenti, dai quali fu invitato a concliiudere, che inducendo ,, nel membro avvelenato ,, una pletora locale per mezzo di una legatura mediocremente ,, stretta, basterà aprire una delle principali vene della parte iu- ,, gorgata per produrre lo scolo del sangue carico del principio ,, velenoso.,, Vedi Ann. unlv. di med. deirOmodei t. 49- Ninno ignora, che alcune affezioni contagiose, come la lue sifilitica, la peste, attaccano primitivamente il sistema linfatico, d'onde i bu- boni, i gavoccioli ec (*J (44) Aberrazioni di motilità di Reimann, di Puccinotti (v. Lezioni sulle malattie nervose di questo L. 6). (45) Il colera contagioso, detto asiatico, indiano, risultante da un'esantema poliinoi-fo sul velamento muccoso, a prevalenza miliare, potrebbe chiamarsi esantema miliare interno? (*) (46) L'afonia, che non è registrata in questi quadri, fu notata dal Bagllvi;,, Quod ut plurimun» homines ex improviso et „ sine uUa causa nianifesta et signis alios morbos comitantibus ,, in subitum vitae discrimea incidunt et cadunt velut apople- ,, etici eum exlremilatilius frigidis, pulsu exib'ssimo .... apho- nia. ,, (Aforismi; de'lumbrici di fanciulli'; quindi dal Landre Beau- vais in qualche irritamento delle vie digestive, scrivendo ,, Tal- ,, volta l'afonia dipendette da'vermi, o da altre materie noce- ,, voli contenute nelle prime vie e fu guarita dai vomitivi. ,, Di- zionario class, di med. art. Afonia ; ed il Baglivi: ,, In colice bi- ,, liosa succedit frequenter aphonia et vox rauca et per totum fe- ,, re morbi decursum durat. ,, Pietro Frank (Epitome del conosce- re e curare le malattie t. 3, o. 2, gen. 5j, dice, essere i-auca la voce di bambini aftosi. V ha parinìenti qualche sintomo, come il senso di sazietà, che si può osservare in alcune forme irritati- ve enteriche. (47) Alcune diarree, dissenterie, talvolta il colera sporadico, alcuni reumi catarrali, non risultano da perfrigerazione cutanea ? Gli argomenti che irritano con tratto di membrana muccosa non commovono gli altri? non inducono spesse volle antitesi der- mica ? Su questi consensi non sono fondate alcune indicazioni terapeutiche ? Nello stadio algido delle periodiche ,, ungues et labia li- ,, vent,cutis anserina fit et maculis interdum cocruleis notatur,, Giuseppe Frank, Precetti di pratica medica universale voi. i , p. I, e. 1, §. 11. ,, His vomiilbus et dejectionibus copiosis et crebris non- ,, nuiHjuam adjungitur singullus, vox rauca et quasi clangori Storia del colera 231 ^, sìmiiis, oculoriim dcpressio, angor stomachi, sudatluncula circa jj frontern, pulsus exilis, exti'emoruin perfrigeialio, aut Iwidiis ,, color, ciincta scilicet, quae propria sunt cliolerae morbi. ,, Gode l'animo nel trascrivere queste osservazioni del nostro Bor- stcri sulla terzana colerica, dimostranti quanto egli si fermasse a' sintomi (Delle istituzioni di medicina pratica, tomo primo parte prima.) (*) (48) Nell'aumento secretorio gastro-enterico sembra, clie la muccosa epatica e cistica separino maggior copia di bile, donde il turgore della cisslfellea. Che lo spasmo del caledoco vieti l'e- gresso biliare.'* Che l'avvizziniento successivo allo spasmo per- metta l'egresso della bile, donde le egestizioni giallo-verdognole, corrispondenti a qualche grado di solazioni contrattive? (*) (49) Per lesione della sostanza nervosa , secondo le idee del Pucciaotti (Lezioni sulle malattie nervose.) (*) (5o) „ Solent autem aphtas in ore apparituras praece- ,, dere febris continua putrida, aut intermiltens, continua ia— „ età, incipiens cum diarrhoea, vel dysenteria, magna et perpe- ,, tua nausea, vomitus, prostratus appetltus , anxietas ingens, ,, saepe repetens circa praecordia, debilitas magna, magna eva- ,, cuatio quaecuinque humorum . . . perpetua querela de pon- ,, dere, et dolore circa stomachum. ,, Boerhaave nel luogo cita- lo §.980. 232 Continuazione della rivista, di alcuni lavori di me- dico argomento pubblicati dai sigg. proff. Medi- c/, Ferrarese, Paolini, Borelli, Valentini, ecc* Della necessità di sottoporre in medicina le pro- prie osservazioni ed i proprii giudizi alle osser- vazioni ed ai giudizi dei periti dell'arte. Ragio- namento del prof. Ippolito Borelli professore di clinica e di operazioni chirurgiche nel reale li- ceo, letto alla reale accademia lucchese di scien- ze lettere ed arti nelt adwuinza de" 28 maggia 1836. Lucca 1837. .entre esperienza ed osservazione ovunque ri-- suona, cJ altamente si fa stima da tutti di apprez- zarle, osserva con dolore il sig. Borelli che tentia- mo ad ogn'istante intuonare alle orecchie, che l'ar- te nobilissima di guarire non potè raggiungere gli avanzamenti di che si pregiano le scienze mediche, appunto per aver perduto di mira Y esperienza e Y osservazione. Da sì grande ed aperta contraddizio- ne dì linguaggio è tratto il N. A. a dubitare, che l'indicato ritardo ai progressi dell'arte salutare, pur troppo verificato ai giorni nostrii non derivi già dal- Taver perduto di mira l'osservazione e l'esperienza, ma piuttosto dall'aver preferito la propria osserva- zione ed i propri giudizi alla osservazione, alia es- perienza ed ai giudizi dei periti dell'arte. Or co- Rivista Medica 23^ testo errore gravissimo di dialettica, che si crede- rebbe appena possibile nel secol nostro che si pre- tende il pili illuminato ed il piìi dotto di quanti mai ne trascorsero, viene dal sig- Borelli giustamen- te dimostralo frequentissimo ili medicina. Va egli foborando il suo asserto con chiamare in sulle pri- me a rassegna alcuni fatti interessanti di clinica, ed in essi rileva l'odierno declinar notevole di talu- ni processi operatorii dalla retta osservazione ed esperienza, su cui era basato il consenso universale dei dotti. Cos'i in fatti in opposizione a quest'ul- timo si pretende in oggi curare gli ascessi linfa- tici e gli ascessi per congestione con incisioni cro- ciali tanto profonde e vaste, che pongano allo sco- perto tutta l'area dei medesimi. E quasiché la ca- rie delle ossa paragonare si potesse ad un* acuta infiammazione del tessuto cellulare e della cute ^ si raccomandano come l'imedio sicuro ed efficace' le generose dep lezioni sanguigne , anche in quei casi nei quali tanto grave complicazione esiste iti parti assai lontane da quelle^ in cui comparvero le marce a far tumore. — Così contro l'unanime sta- bilito accordo de'chirurghi si sostengono opinioni incoerenti sullo scirro ed il cancro, si annunzia il perfetto combaciamento dei pezzi di un osso frat- turato senza la quiete assoluta dei medesimi^ si ri- chiama la proscritta pratica delle suture cruente riservata solo a qualche molto raro incontro , si proclama senza riguardo e distinzione come mez- zo sicuro ed efficace l'amputazione delle membra comprese da gangrena , e si abbandona perfìn dal eh. Dupuytren la tanto conosciuta necessaria avver- tenza di risparmiare nelle amputazioni delle mem- bra una certa quantità di parti molli a difesa del 234 S e I E N X tì moncone. Validamente però si oppone ai progJ*es- s'\ dell'arte di guarire siffatto sconsigliato procede- re, assai ovvio in medicina, di anteporre le pro- prie osservazioni e giudizi alle osservazioni ed ai giudizi dei periti dell'arte* Dal consenso universale dei dotti ripeter deb- besi quanto vi ha di certo e dimostralo nella sto- ria nella morale, nella filosofia, nella giurispruden- za, nella politica , nelle Itìggi sociali j nelle arti e nelle scienze ; e quanto vi ha di errore e di dub- biezze derivò in ogni tempo dall'aver seguito le pro- prie osservazioni, i proprii lumi, la ragione indivi-» duale e privata. Ed altrettanto si dimostra dal sìg< Borelli essere costantemente avvenuto in medicina^ Nella osservazione era riposta quest'arte benefica pei' quel periodo di tempo che trascorse dalla sua pri-' ma origine fino alla pubblicazione delle opere dell' immortale Ippocrate dì Goo ; ma i cultori quin- di dell'arte salutare, penetrati della fallacia di una medicina puramente imitativa, e dei pericoli ai qua- li conduceva l'amministrare a caso e senza guisa i rimedi , dovettero necessariamente conoscere il bi- sogno di guardare un pò piìi addentro le cose e non fidarsi unicamente alle apparenzier, non regolando per tal modo i giudizi loro sul consenso universale dei preceduti sapienti. Si gareggiò quindi negli esami, nelle analisi, nei confronti, nei dubbi, nei sospetti, e ne sursero in medicina le congetture, i ragiona- menti, le induzioni, le teoriche delle malattie fino allora osservate stupidamente, per usar la frase di un gran maestro. Ne lice dirsi perciò, che la mag- gior parte dei medici abbandonasse il buon sentie- ro a pregiudizio dell'arte; poiché le induzioni, che i medesimi ne trassero dai fatti e dalle cose osser- Rivista Medica. 233 vate, non sono nella sostanza diverse dai fatti stes- si, dei quali sono anzi una conseguenza legittima , necessaria, immediata; induzioni anzi indispensabili a costituire la buona osservazione, di cui sono la mi- glior parte ed il compimento, come giustamente ri- fletteva il Zimmermann. Nocquero bensì ne'progres- si dell'arte le teorie di Temisene , di Erasistrato , di Erotllo, di Tessalo di Tralles, di Asclepiade, di Galeno, di Paracelso, di Wan-helmonzio, di Silvio de la Boe, del Borelli, del Bellini, del Gaubio, del- rHoflfmann, del Gullen, del Brown, e di altri molti che qui non giova il ricordare. E nocquero appun- to, perchè gli autori delle medesime non seguirono che i propri lumi , la propria ragione , disprez- zando le osservazioni ed i giudizi de' lor colleglli. Siccome per altro alle medesime teoriche non si piegò l'animo di tutti i dotti: così a tutti coloro (e furono la maggior parte) che resistettero alla pre- potente influenza delle teorie generali e dei siste- mi, dobbiamo noi tutto quello che di buono e di certo possediamo in medicina. Or quella istessa norma di umana prudenza, che presiedeva all'origine ed agli avanzamenti dell'arte, dirige ancora la mente dei cultori della medesima nell'applicarne le regole alla pratica. Se dubbia in- fatti ed equivoca ci sembra la natura delle malat- tie alla nostra cura affidate, o quando, ad onta di una diagnosi rettamente istituita, non si veggono coronati di esito favorevole i nostri sforzi, onde ri- muover dall'animo il timor dell' inganno, i dubbi e le incertezze, ricorriam tosto ai consigli ed alla pratica dei nostri colleghi ; e se i giudizi di cjue- sti non giungono talfiata a togliere intieramente le dubbiezze, noi seguitiamo il parere del maggior nu- 236 Scienze mero e dei plìi dotti e più sperimentati nell'arte,- perchè reputiamo in loro maggior autorità e maggior consiglio. Che se negl' incontri di non perfetta con- cordia ciascheduno persistesse tenacemente nella opi- nion sua , sdegnando scendere nell'altrui, le incer- tezze non toglierebbonsi ih chi dirige la cura, ne profitto alcuno all' infermo da tal contegno ridon- derebbe. E fievoli non sono raiica le ragioni per le quali il medico prudente debbe in ogni cosa ri- portarsi al sentimento ed al giudizio dei periti delT arte. La ragione individuale o privata (solendo o- metter per brevità le altre tutte, che molte sareb- bono) lungi dal rischiarare le tenebre del nostro intelletto , non solo ci lascia nei dubbi che ci de- rivarono dai sensi e dall' intimo coriviricimento, ma bene spesso questa facoltà dell'animo, che ne distin- gue dai bruti, a nient'altro ci giova che ad avva- lorare ed accrescere i dubbi medesimi. Che di ve- ro, se per opera della ragione vediam risplendere le verità più importanti ; pe' sofismi e per le allu- cinazioni della medesima vediamo sorgere le più assurde opinioni, tanto più che incerte ed imper- fette sono le nostre cognizioni. ,, E se questo è ve- rtì di tutti gli uomini, non dovrà il medico dif- fidare' dei propri lumi , e delle cognizioni che gli provengono dai sensi, dall'evidenza, dalla ra- gione ? Il medico che non conosce se non imper- fettamente le cagioni dei morbi, la natura e l' in- dole dei medesimi, la tessitura e l' intima costi- tuzione della macchina umana , le funzioni che le competono nello stalo di salute, le alterazioni che queste subiscono nello stato di malattia, e gli effetti dei rimedi che si applicano al corpo u- mano ? Qual peso potranno avere le disposizioni fi Rivista Medica 237 3, di un sol metlico (fosse pur egli un SytlenU^m, „ un Borsieri, un Pietro Franck) in un'arte, nella ,, quale il giudizio è cliflicile, l'esperimento peri- ,, coloso ? Ove le apparenze ti sembrano realtà, le „ realtU ti sembrano apparenze ? Ove malattie di „ natura totalmente diversa li presentano lo stesso ,, apparato di sintomi, ed ove le malattie che in nul- ,, la differiscono nel fondo loro, ti presentano una ,, serie di fenomeni totalmente diversi? Ove l'ecci- „ tamentp ti sembra difettivo, quando è inalzato al „ suo pili alto grado: ed elevato al sommo, quando ,, è ridotto a tanto di debolezza che non ammette ,, più guarigione ? Chi avrà tanta fiducia nelle forze „ della sua mente da ripromettersi di schivar sem- „ pre tutti gli equivoci, tutti gli errori che deri- „ var possono dall'età, dal sesso, dalla fisica costitu- „ zione degli ammalati, dalle loro consuetudini, dal- „ le loro passioni, da' climi, dalle costituzioni at- ,, mosferiche, e da mille altre cause non solo dif- ,, ficili a calcolarsi, ma bene spesso inosservate ed ,, occulte? ,, Non intende però il N. A. con questo linguag- gio frapporre un ostacolo ai progressi dell'arte stessa. Da che troppo è palese la differenza che passa fra conoscere e conoscere con certezza ; fra l'arricchire un'arte ed una scienza di nuove cognizioni, di nuovi fatti, e lo stabilire una regola ed un criterio per discernere la verità dall'errore ; regola e criterio indispensabili per non essere costretti a dubitare di tutto senza eccezione; regola e criterio che non pos- sono trovarsi nella ragione di tutti i dotti. Potremmo noi infatti, aggiugne il N. A., dichiarare esser falso tutto quello che si oppone al consenso universale dei periti dell'arte, incerto e dubbioso ciò che as- '238 Scienze seriscono alcuni, contraddicono altri, e certo uni- camente quello che concorda colle testimonianze di tutti o della maggior parte dei dotti, se mancassero le invenzioni, le scoperte, i fatti che sono il fonda- mento ed il subietto della questione ? Ma non deb- bono d'altronde dimenticarsi giammai i sani prin- cipii della medica filosofia, l'ol^livione dei quali co- stituisce un ostacolo gravissimo ai progressi dell' arte. La nuova dottrina, proposta da Brown ai cul- tori dell'arte salutare, non era forse manifestamente contraria alle massime ed alla pratica di tutti quelli che preceduto l'avevano nella onorata carrieraPQuan- ti vi eran titoli per isperare, che i periti dell'arte stessa non l'avrebbero accolta innanzi di averla raf- frontata coi fatti e colle cliniche osservazioni? Ep- pure la miglior parte dei medici di Lamagna e d'Italia errò lungamente dietro alle teoriche dello scozzese riformatore: e per ricondurli sul buon sen- tiero fu d'uopo dell'opera di molti lustri. Ma di si- miglianti teoriche, che i veraci progressi ritardano dell'arte, la caduta è sempre certa, perchè gì' in- ventori di esse le innalzano sul!' instabile fonda- mento del proprio ingegno, e qualche volta di una fervida fantasia ; a differenza delle teoriche risul- tanti da conseguenze immediate legittime dei fatti, ed a questi soli strettamente legate, delle quali sa- rebbe ardimento il dubitare, e colle quali si sa- rebbe conseguito 1' intento d' innalzare una teoria generale che uguagliar si potesse a tutte quelle che pili si pregiano nelle scienze e nelle arti induttive. Si emancipò talvolta da qualche vile servaggio l'u- mano spirito, come da quel d' Aristotele con gli sforzi sempre lodevoli del Cartesio ; ma questi a torto sostituì a tanto incerto criterio altro criterio Rivista Medica 239 più incerto ancora, con sostituire la ragione indi- viduale e privata ad altra ragione egualmente privata ed individuale. Tanto egli è vero, che gli errori in quei calamitosi tempi derivanti alla .filosofica disciplina non provenivano già dall'aver seguito la testimonianza ed il consenso del genere umano o dei periti della medesima ; ma provenivano Lensì dall'aver seguito l'autorità privata di un sol uomo, che per essere di lumi superiori a tutti gli altri del suo tempo, e però giustamente venerato da tutti, non lasciava di esser uortio, e quindi soggetto all' errore. L'aver quindi anteposto le proprie osservazio- ni ed i propri giudizi alle osservazioni ed ai giu- dizi dei periti dell'arte, è stato l'errore gravissimo di logica medica, che dal N. A. in questo suo dotto lavoro si è dimostrato aver rontri])uito a ritardare i progressi dell'arte. Ed infatti ( chiuderemo colle parole istesse dell'egregio prof. Borelli ) » bandita » quella servile imitazione, che nei tempi dell'igno- » ranza e dell'empirismo comandava tante pernicio- » se applicazioni di rimedi: scosso il giogo di una » filosofia futile e cavillosa, che insegnava soltanto » ad occuparsi di sottigliezze e di sofismi : tolti di » mezzo tanti ridicoli pregiudizi , che impedivano » le ricerche le piti necessarie alla cognizione dei » morbi: dissipati tanti prestigi, tanti segreti, tanta » superstizione che la medicina miseramente ingom- » bravano: aperto un campo libero alle osservazio- » ni ed alle esperienze: stabilite le regole per ben » distinguere le profonde dalle superficiali osserva- » zioni, la vera dalla falsa esperienza: applicato al- » la medicina il vero spirito di analisi e di filo- » sufica induzione! determinala l'indole od essenza 240 Scienze » della più gran parte dei morbi , la vera azione » dei più cogniti rimedi: rischiarati dalla luce be- » nefica, che tutte le naturali scienze fanno a gara » per diffonclere sulla medicina: ricchi dei mate- » riali preziosi accumulati nel corso di tanti secoli: » che altro mancherebbe ad innalzar l'edifizio del- » l'arte medica, solido e bello al par di quelli che » in tante arti e in tante scienze vediamo già innal- » zati, se non l'accordo e l'efficace cooperazione di » tutti quelli che l'opera loro impiegar potrebbero » ?il grande uffiziof » Jnstitutiones medichiae practicae qiuis ad usitm ili- •ventittis digessit Petrus Alojsias f^alentini in romana universitate prof. etc. ^tc. f^ol. f^I. De retentionibus. Romae \ 837. R eU'arduo disimpegno di un'opera d'istituzioni prosieguo con lodevolissimo disegno e con non or- dinaria soddisfazione il dotto sig. prof. Valentini. 11 volume , di cui passiamo ad esibire un rapido cenno, presenta varie cose di sommo interesse, fra le quali noverar ne piace lo scopo della partizione dell'argomento, che tratta. Varie affezioni intende egli di escludere dall'attuale subielto, rilegando sol- tanto in questa classe quei morbi, che o da im- pedita secrezione di umori promanano, o da riten- zione di già separati fluidi e di sostanze da elimi- narsi derivano. In quatlr'ordini dividendo la me- desima, comprciidc nel primo le ritenzioni delle se- crezioni recrcmcnlizie, la pncumatosi cioè, la poli- RirisTA Medica. 241 pionia giustamente sostituita al vocabolo polisarcia, e l'idrope. Nel secondo descrive le ritenzioni delle sostanze escrementizie a qualche uso spettanti , e qucàte ristringe alla ritenzione del latte e della bi- le, distinguendo con novelli vocaboli di galactepi- schesis la prima, e di colepischeseos la seconda, os- sia l'itterizia. Tratta nel terzo delle ritenzioni delle secrezioni escrementizie che al ripurgo della mac- china son destinate, della iscuria cioè, della disu- ria, della stranguria, della coprostasi secondo il lin- guaggio dì Alibert, dell'amenorrea, della ritenzione dei lochi o lochioepischesis. Abbraccia nel quarto le ritenzioni delle sostanze eterogenee, che posso- no entro di noi ingenerarsi, vermi cioè, corpi car- tilaginei ed ossei nelle capsule delle articolazioni , ed i calcoli. In generi e specie ciachedun ordine è suddiviso, per tener dietro non solo all'ordine della natura, ma pur anco per semplificare vieppiù agli allievi la medica istruzione. Molta squisitezza di giudizio vi risplende nella diagnosi e nella prognosi non solo, ma pur anche nella terapia , in cui la scelta primeggia dei presidii i piìi costatati da una sperienza veramente retta e tuta. E se o amor del patrio decoro non c'inganna, o sentimento di stima I e di amicizia per il N. A. non ci tradisce , asserir ' osiamo di trovar quest'opera sempre piii merite- I vole di stare lunghissimo tratto innanzi a varie al- i tre dettate su tale argomento. Non di tutti gli ar- j ticoli c'interterremo a render conto, ma di quelle, j che sembrane! più notevoli cose, volendo far cen- no diremo, che il N. A. sulle tracce dei più celebri scrittori pratici ha compilato il suo lavoro; che con ordine degno di molta lode vi sono disposte le ma- \\ terie, e da lui trattate con la massima diligenza e G.A.T.LXXÌII. 1G 242 Scienze con niuna sistematica prevenzione; che frequente e felice uso egli fa delle ippocratiche verità; che con modestia degna d' imitazione espone talvolta i suoi giudizi, le sue conghietture e le sue stesse osser- vazioni. Nel terzo genere dell'ordine primo , in cui si ragiona delle idropi, spiega singolari e chiare vedu- te, e parla con molta cognizione dei fatti. Espostene le prime divisioni e suddivisioni in primario sinto- matico e secondario, in acuto e cronico, in libero e saccato, ne da le opportune definizioni, ne stabilisce i diagnostici segni , ne annunzia i differenti pre- sagi con la scorta di vari scrittori e degl'ippocra- tici oracoli, e ne statuisce la piìi retta terapia do- po la disamina bene spesso di alcuni metodi o da proscriversi o da seguirsi con molta riserva. Varie distinzioni pur si accordarono all'idrope a lenor del- la sede dal morbo aggredita, come di annasarca , idrorachite, idrotorace, asci te, idrocele, idrometra, idartro ecc., ed in ciasceduna di queste varietà si trattiene il N. A. a svolgere i punti teste contempla- ti di diagnosi, pronostico, e cura non solo, ma sib- bene sulla indagine minuziosa delle cause ( quan- tunque pur accennate nelTidrope in generale ) si proegumene e sì occasionali e prossime la discorre con somma accuratezza. Il pervertimento isolato o congiunto delle funzioni di assorbimento o di esa- lazione, l'aumento cioè di attività di quest'ultima, o la diminuzione di energia della prima, riten- gonsi come cagion prossima dell'idrope. E sicco- me il pervertimento di tali funzioni o da universal languore o da rigor soverchio dell'organismo deriva; così per guida della terapia da seguirsi , e col so- stegno del quadro fenomenologico ristringe a que- RiYiSTA Medica. 2'43ì ste due condizioni della macchina umana la prin- cipal varietà generale dell'idrope. Ne senza ragione compiange il folle amor sistemativo di alcuni, che ad un costante effetto della flogosì riferiscono l'i- drope, ed il curativo trattamento debilitante co- stantemente gli assegnano. Non è dunque il diu- retico che contro il cieco operar degli empirici costituir debhe la cura dell'idrope e delle sue spe- cie e varietà; ma sibbene ora il metodo antiflogi- stico, ora un complesso di presidii tendenti a ria- nimai'e il languore dell'organismo e delle sue fun- zioni. Debbonsi le varie specie di diuretici ad un tal trattamento associare, e la scelta di essi verrà dalle circostanze indicata. Il N. A. perciò savie re- gole ne addita a seguirsi, che abbastanza encomiar non potremmo. Le più. recenti scoperte terapeuti- che non vi sono ommesse; ed onorata menzione si fa della balleta larata cotanto encomiata dal con- sigl. Brera, dell'unguento utilmente celebrato dal eh. Barzellotti (di gommagotta, sugo di scilla con- densato, estratto di digitale porporina e di grami- gna congiunti all' adipe) nell' anasarca, e di altre proficue preparazioni. Vari trovamenti necroscopici rendono vieppiù prezioso questo lavoro del prof. Valentini. Di al- cuni ben singolari faremo ricordanza. Nella se- zione di un soldato di anni 35 perito nell'ospe- dale di s. Spirito, ed in cui conformatio pectoris, cor , et omnia \fasa eraiit naturalia , rinvenne il pericardio sì ripieno e turgido di siero negrican- te » ut magnum occuparet spatium, pulmonesque » utrobidem pleurae adhaerentes coangustaret. E- » tiam subnigrum sexum sinistrum pcctoris cavita- 24A Scienze » tem inundabat, dum vacaLat dextera. In cursu » morbi tam perspicua fuerunt praecipua thoracis » et pericardii symptomata, ut nobls fuerit expe- » ditum statuere judicium. Et in hoc casu observa- » vimus statina post obitum insigne crurum et pe- li dum aedema evanescere. Ejusmodi faenomenon » etiam ab aliis fuit adnotatum, sed nunquam expo- » situm. » Rarissima altresì ne sembra l'osservazio- ne che ci narra risguardante la idropisia dello stomaco in un giovane di anni 20, di gracile co- stituzione, il quale sforzandosi ad ascendere sulla sommità di un altissimo albero di pino, ne cadde da una ben considerevole altezza riportando gagliarde contusioni in sul dorso e nelle braccia. Dopo al- cuni giorni divenuto inetto alla digestione ciba- ria, restituiva gli alimenti in un con le bevande per vomito » ita ut brevi tempore viribus desti- » tutus et consumptus decumberet. Duobus exactis » mensibus incepit febris intermittentis larva, cura y> eum adeundum me parente» accersiverint. Haec » febris paulo post fiebat lenta, cum anxietate, vi- » gilia, sensu ponderis et remissi doloris in regione » epigastrica, magna abdominis distentione , quae » ab ipso epigastrio incipiebat , et assicuro vomita » serosi et subnigri humoris. Post sexaginta dies ab » initio febris occubuit eager; et in ejus cadavere » omnia viscera erant in naturali statu; sed in ven- » triculo enormiter distento et lato circa triginta li- » bras ejusdem umoris, qui rejiciebatur, reperi. » Si è trascurato fin qui dai trattatisti d'istitu- zioni di medicina pratica il completo dettaglio dei vermi umani, e per possedere le piìi accurate no- zioni delle varietk loro e le singole descrizioni dei Rivista Medica 245 medesimi, d'uopo era che gli allievi della scienza, ed anzi i cultori tutti dell'arte salutare si rivol- gesserò appositamente a consultare le opere degli elmintologi , e i diversi trattati clinici di questo ramo. Il N. A. per altro ha saviamente aggiunto nel presente volume la esatta descrizione di essi, e le pili sufUclenti nozioni che li risguardano de- gunte dal celebri scrittori che si sono in questo lavoro distinti , e specialmente Rudolphi , Brera, Delle Ghia] e. Meritano poi qui di essere ricor- date due curiose osservazioni alla sua pratica of- fertesi. Parlando egli dello strongilo gigante di Ru- dolphi soggiugne, che una fanciulla attaccata da feb- bre nervosa rese per le vie urinarie un verme » quem expertissimus mcdlcus Maceroni curiose » servavlt, et examini subjeclt ili. prof. Metaxa, qui » judicavit esse strongylum, curavitque, ut ejus » icon in suis memoriis zoologico — medlcls delinea- » retur. » — » Cum mediclnani facere inclpiebam , » ( e questa è l'altra delle osservazioni indicate ) • virginem viglnti quatuor annorum curabam, con- » sumptlone et lenta febri infausti amoris causa » correptam. Laborabat etiam sinu fistuloso in ab- » domine , duos circiter transversos digitos ab ilii » sinistri crista. Causa hujusce sinus fulsse videtur » praeposteracerotiapplicatlo ab empirico instituta » ad quandam resolvendam duritiem. Sponte cnim » dlsrupto tumore, fìstula consequuta est .... Cum » manu molliter circumferentlam fistulae comprime- » barn, ut stagnans pus abiret, ad orificium extra- 9 neum corpus comparuit, quod strobili mucro vi" » debatur. Hoc apprehenso et detracto volsella , » lumbricum palmi longum et instar calami cras- » sum esse vidi, Ablato verme , e sinu imrainuit / 246 S e I K w z E 1) puris fluxus; sed paulo post eadem puris quanti- M tas profluxit, et aegra consumpta perit » (1). (i) Rarissimi non sono colali esempj di uscita di lombrìci per le pareti addominali fuori del corpo. Borsieri, nel cap. X del suo ottavo volume d'Istituzioni mediche, cita diversi autori, che in- nanzi a lui avevano osservato questo fatto: altri emintologi ne han quindi fatta menzione, e fra le più recenti osservazioni de- gne di rimarco non sì debbe omettere quella del dottor Licci, il quale dalla apertura di un tumore nell'ombilico vide espulsi in più fiate neir intervallo di oltre tre mesi cinquantasei lombrici senza alcun segno di elmintiasi, senza vedersene giammai veruno per le vie sedali, cosicché il relatore dubbioso si rimane (come leggesi nel Filiatre Sebezio di Napoli, fascic. di aprile iSSy) in derivarne la provenienza dalle intestina o da altro particolare ri- cettacolo. Altro più curioso avvenimento leggiamo nel fascic. d'a- gosto i83t dell'or menzionato giornale in una memoria del dottor Guastamacchia di Terlizzi (Bari), avente titolo di,, Osservazione ,, di elmintiasi, nel corso della quale essendosi fatto un piccolo ,, ascesso alla parte superiore della regione ipogastrica, e screpo- ,, lato naturalmente, ne uscirono a diversi intervalli degli ento- ,, zoari vivi. Più, di una nuova specie di ascaridi, ai quali serban- ,, dosi il nome datogli da Brenìser di oxyyris vermicularis,sì ag- ,, giunge per la prima fiala l'altro di aler sanguineus, ossia as- ,, caride nero-sanguigno , dal suo colore. ,, Il soggetto della sto- ria riferita dal sig. Guastamacchia fu una fanciulla di anni cin- que, la quale dopo una caduta con lievi contusioni sul lato de- stro del corpo incontrò un mal essere generale, che per due mesi la mantenne trista ed abbattuta. Sursero quindi, dopo indolen- za dei genitori su questo precorso stalo, forti coliche, enfiagio- ne dell'addome, costipnzione delPalvo, febbre ec. Fece la malat- tia il corso di un elmintiasi , ed intanto comparso un tumorello rossiccio e dolente quattro dita sotto l'ombilico sulla linea bian- ca, screpolò dando uscita a pus, ed in seguito ad un cutozoaro vivo simile a quelli cacciali per la bocca e per l'ano. Continuò ad uscire per 1' apertura del piccolo ascesso ad ogni quindici o venti giorni un lombrico vivo, ed altri tuttavia se n'elimina- rono pur vivi per l'ano. L'una e l'altra circostanza durò per lette mesi, a capo dei quali mori perfettamente tabida. E qui non sarà inutile il riferire altro particolare successo di questa isterica narrazione, cioè che la fanciulla negli ultimi istanti di Rivista Medica 247 Non ci (llflfonderemo ulteriormente in questo sunto, non comportandolo la brevità del nostro isti- tuto; ma raccomandiamo incessantemente la lettura originale dell'opera, la quale nell'interesse con cui sono discusse le materie addimostra un uomo di lun- ga mano istrutto nella scienza, abituato alla osser- vazione ed al raziocinio di tutti gli elementi dell' arte. TONELLI sua lacrimevole esistenza evacuò ascaridi vivi, di un color neiK»- sanguigno, e che si mantennero tali per qualche ora, mentre aU cani andarono pure strisciando sul pavimento. Sezione del cada- vere non fu istituita, cosicché non potè chiarirsi la perforazione degl'intestini: ma nel presente caso non sembra potersene dubi- tare, tostochè altri simili lombrici vennero espulsi per la bocca e per l'ano. Che anzi ad avvalorare l'opinione già emessa da varj scrittori, sostenuta dalle osservazioni e dall'autorità del celeber-r- rimo consiglier Brera, e recentemente seguita dall'egregio signor Delle Chìaje contro la sentenza dell'illustre Rudolphi e del va- lente Bremser, rammentar possiamo ciò che il prenominato si-» gnor L(icci aggiugne alla sua osservazione, che la sezione di uri cadavere manifestò già al benemerito professor Antonucci da sei buchi forato l' intestino di un giovine per opera di tre lombrici, che da tre strade usciti per tre altre avean fatto ritorno. 248 Biografìa del ca^. doti. Domenico Monchini pro- fessore di chimica nella università romana, JL/opo lunga pezza, da che un celebre italiano ces- sò di vivere, noi forse avremmo incorsa la taccia di ripetere circostanze di già cognite nel dare un comentario della vita e delle opere sue? No: queste poche pagine consacrate alla sua memoria offrono una collezione non anco redatta de'giudizi da tutta l'Europa riscossi circa i suoi lavori scientifici; senza omettere qui fatti personali che debbono accom- pagnarli. Non ci è noto scrittore, che in tale rela- zione lo abbia considerato: anzi forte maravigliamo di tale mancamento. Poco fa rinfacciava il Costa che le iscrizioni^ gli elogi, le storie, i versi fiocca' >vano in guisa da ricoprirne il nostro classico pae- se; ma il rigido e savio censore de'nostri tempi nel- la copiosità rigurgitante degli scritti, e nella pro- fusione di ciance venali, non disse che la fama d'ine- diti personaggi non sia, qual devesi, curata. Rendia- mo un tributo al nome di Domenico Morichini di Gi- vitandino, comune dell'Apruzzo Marsicano, che per se noto vivrà perpetuo negli annali delle scienze chi- miche: ma di lui tacere ciò che non giunse a cogni- zione di tutti ci sembra che sia detrarre alla sua glo- ria. Siamo grati al eh. Muzzarelli, che dell'onor pa- trio degnamente geloso il primo e il solo sentì l'ob- bligo di noverarlo tra gV illustri italiani viventi', ma la modestia di lui, che rifuggiva da qualunque lode, Biografia, di Morichini 249 e con lettere pregava di ?io?i tenersi conto di sé , ratlenne il lìiografo in limiti molto angusti (1). Mo- richini fu sommo quando agli erudimenti altri so- no iniziati, e professore quando altri principiano ad istruirsi. Sorto in regione fertile d'ingegni pre- coci, e non giunto a varcare il secondo lustro , lungi dal borgo natio, circuito da monti e disadat- to al pieno incremento intellettuale (2), nel col- legio Tuziano ( appellato cosi dalla famiglia Tu- zi di esso fondatrice ) e nel seminario di Sora com- piva in cinque anni la carriera difficile delle let- tere greche e latine, della filosofia razionale, delle niatematiche e della fisica ; ne si creda di volo e senza studio profondo. Come subito avrebbe rac- colta l'ammirazione della università romana, che dopo tre anni lo decorò della laurea di onore nelle scienze mediche? Non possiamo qui trattenerci dal contempla- re nelle nostre provincie l'istruzione pubblica: e compresi da riconoscenza per la cura di monar- ca provvido, non cessiamo sospirare che a novelli metodi e a completo insegnamento sia congiunto lo zelo d'idonei precettori bramosi di render colti alla patria tanti giovani di un acume straordinario , capaci non solo di municipale, ma di grido eurO' peo. Morichini fu di questa classe: e come altri non isterilì sotto guida insudiciente o poco atti" (i) V. la biografia del prof. Monchini scritta nell'anno 182G, e pubblicata neWjilbum distrib, 4i>anno III- iSdd.-. Diario rom. nuva. g4> ^^j novembre anno medesimo. - Alcuni giornali hanno ripetute notizie tolte da questi fonti. (?) Di Anselmo Moricluni e di Matilde Moratti era nato a a3 Beltembre 1773. 250 S e I E N 2 K va, ne mai dimentico fu della terra che gli ap- prestò doppia culla di vita naturale e scientifica, fino agli ultimi suoi giorni commendava i mae- stri di Sora, e per lab. Silvestri nutriva una gra- titudine verace. Tratto in Roma da viva brama di sapere, fu da un congiunto sacerdote accolto; ne appena il piede vi posava, che distinto dal solo merito ren- devasi caro al Pessuti e al Gandolfi delle scuole pie: sotto le quali scorte volle meglio consolidare le sue cognizioni nella fisica e nei calcoli della quantità continua e discreta, mentre un Benelli, un Volpi, un Sisco, un Bucciolotti, de'quali du- ra onorata e stabile ricordanza, plaudivano ai ra- pidissimi suoi voli nelle mediche discipline. Ben presto giovinetto ancora si trasse a competere con emoli distinti, a guadagnarsi la carica di medico assistente nell' ospedale di S. Spirito, a praticarvi molte accurate osservazioni sulla tisichezza (1) , a correre nel cimento con celebri e vecchi rivali nell'archiginnasio per ascendere la cattedra: ed era seduto poco innanzi nelle scranne de'discepoli. Tut- ti superò di molto; ma non compiva l'anno ven- tesimo; e ostar poteva con volto imberbe alla scel- ta? La scienza giovanile dovè cedere al rispetto del bianco crine! Triplicò lo sperimento; uguale ne fu l'esito. A tanto ingegno non potè negarsi guider- done: dopo altri cinque anni fu nominato a pro- fessore di chimica. Il primo anno del presente se- colo fu primo deìVordùiario suo insegnamento nelV apertura che fecesi della università , sebbene già (ij Memoria sugli sputi de' tisici, iuedita. Biografia di Morichini 251 nel concorso i in cui Giov annetti fu prescelto (in- sieme col valoroso Bomba), aveva conseguita Vap- provazione, e per ordine sovrano senza prove ulte- riori gli era commessa la lettura soprannumera- ria, come scrìsse il dotto Renazzi (1). Dal generale Dallemagne, nel tempo dell' usurpazione francese, con Martelli e Corona fu scelto per la parte chi- mica degli studi, e sotto la presidenza di Pessuti fu segretario dell'istituto nazionale per la classe di fisica e di matematica. L'immortale Lavoisier produceva in quel tem- po una rivoluzione nella chimica. Roma non fu prima tra le citta di Europa che ricevesse la no- vella scuola in danno dell'altra di Stahl ciecamente venerata. Morichini, primo cultore del filosofo della Senna, non poco lume diffuse nel metodo di scom- porre l'aria nella parte respirabile e nella teoria della combustione. Se non come i Laplace, i Prie- stley, e i Berthollet, fu pure tanto assiduo nel chia- rire i fatti, che confusi ammutirono i tenaci ama- tori del flogisto. Chimico faticoso e intrepido po- neva mente di analizzare ogni sostanza, e tosto in alcuni denti elefantini sotterra rinvenuti giunse a scoprire 1' acido fluorico , che anche trovò nello smalto dei denti umani, e nelle ossa di tutti gli animali. Erano sì poche e incomplete le conoscenze sulla natura di questo acido, che Morichini deve ri- putarsi uno de'primi osservatori: ne temeraria sa- rebbe l'assertiva che prima di Ampere la sostanza fluorica vagamente fosse annunziata. Pessuti presen- tò l'analisi nelle memorie di matematica e di fi- li) Storia della università romana Voi. IV, p. 4^i' 252 Scienze sica della società italiana delle scienze (1), per cui noto a' principali professori di Europa ebbe con- tinua corrispondenza sulle indagate leggi elettri- che, al quale scopo si rivolgevano allora gli studi e le ricerche de'fìlosofi. Scrutatore del fluido mara- viglioso, da gran tempo meditava Wan-Swinden sull'analogia che dicevasi avere col magnetismo, e dagli effetti svariati tentava rintracciare la cagione occulta. Mentre De Lue emetteva l'ardita conget- tura „ che r elettrico fosse composto da qualche operazione che sul globo esercita l'influenza de'rag- gi solari nell'incontro dell'atmosfera „ egli erede- vaio diffondersi con l'affine forza magnetizzante dall' azione chimica della luce senza altra concorrenza. Noi non difendiamo questa opinione.» ci basta che fosse motivo a scoperta bellissima, sebbene piìi ci aggrada il sentimento che l'influsso luminoso sia co- me un mezzo di sviluppo simile a quello strofinìo del vetro e del contatto dei metalli. Il prisma di Newton nella scomposizione della luce oh quanti nuovi fenomeni presentava ! Rochon avea potuto studiare le proprietà calorifiche de'raggi. Herschel e Lesile col soccorso del fotometro in appresso ri- levarono quella proprietà meno risultante nel rag- gio violetto, in cui Scheel, Davy, Bockman, Wolla- ston e Berard rinvennero più sensibile l'azione chi- mica. Ma dopo gli apparecchi del celebre liitter il professore dell'università romana sempre dubbio- li) Analisi di alcuni denti fossili di elefante trovati fuori di porta del popolo di Roma, pi-eceduta danna memoria storica del conte Morozzo 1802. Analisi dello smalto di un dente l'ossile di elefante, presso la Società Italiana delle scienze tom. XII, p. u, i8o3. - Corxeaioui e giunte fatte alla aiedesima memoria. Biografia di Morichini 253 so sulla uniformità dell'elettrico e della calamita, e tocco dalla esperienza che il ferro lungamente te* huto nell'atmosfera si magnetizza, rintracciando la causa sospettò che dalle correnti elettriche, o dall* influsso della luce derivasse. Quasi di sue ricerche e di sue forze non sicuro (come ad uomo saggio si addice) in disamina lunga e difficile al soccorso si affidava del eh. dott. Carpi suo diligente allievo, del prof. Barlocci e del prof. Settele illustri suoi colle- ghi. Con tale assistenza nei mesi di giugno e di lu- glio (dell'anno 1812), in giorni non umidi, all'azio- ne dello spettro luminoso disponeva gli aghi di ferro a tal fine costrutti dal meccanico Luswerg, fa- cendo toccarli col lemLo estremo del raggio violet- to, in cui si appalesava la forza dopo avere invano tentato tutti gli altri. Appresso qualche ora gli aghi davano segni magnetici, e tali d'attrarre la limatu- ra di ferro, e da fissare la consueta direzione, come nella bussola de' naviganti. Mentre i raggi non re- fratti dal prisma concentrati anche da una lente sviluppavano piccola e dubbia forza, il raggio vio- letto trasmetteva tanta elettricità da renderla sen- sibile nel condensatore voltaico ; e la punta dell* ago, alle azioni chimiche più sottoposta, mostravasì più propensa per la tendenza magnetica. Qualche forza sperimentò pure risultante dal raggio verde, e dal violetto lunare, debole sì, ma non come la de- Lolezza luminosa fa supporre. Nulla ottenne dal rag- gio rosso, e dalla luce de'corpi terrestri nello sta- to di combustione. AIO settembre dell'anno mede- simo nell'accademia de'lincei lesse la sua Memoria sopra la forza magnetizzante del lembo estremo del raggio inoletto, riportata dalla Biblioteca britannica, dagli Annali di fisica e da' primi giornali curo- 254 Scienze pei (1). A tale annunzio non fu defraudato di elogi, e qualche straniero confessò che sterile non sia la terra feconda de'Galilei, de'Torricelli, de'Volta, de* Galvani e de'Beccaria. Deve ancora tribuirsi lode a* soci degli sperimenti : Barlocci fu accorto di rac- cogliere e di condensare in una lente tutta la di- spersa parte violacea dello spettro prismatico, il cui foco proiettato e fatto scorrere dal mezzo dell' ago verso le punte produceva un eflfetto istantaneo e pili sensibile: a Metaxa fu commessa 1' applica- zione dell'elettricismo della luce sugli animali; vol- le assumere Poggioli quella del magnetismo solare sulla vegetazione, seguendo forse la via dal Caldi- ni molto innanzi tenuta per Vinflusso delVatmosfe- rica elettricità sulle piante ^ e anche col soccorso dell'ordinaria calamita eseguì con Orioli non pochi sperimenti (2). Debbonsi queste osservazioni pri- mitive tutte alla sapienza italiana, e debbensi a Mo- richiai che ne diede l'impulso. Anche dopo una seconda memoria di confer- ma che diresse a Marziale Daru barone dell' impe- ro, in cui precisava l'opportunità del tempo e il metodo necessario, senza de'quali vano riuscirebbe ogni tentativo (3), Berard di Montpellier, Gay-Lus- sac , Thenard e Vauquelin in Parigi movendone dubbiezze ripetevano piuttosto il fenomeno dal ma- fi) Bibl.Brit. t.LII, a Genève i8i3. Ann. de phys. t. XLVl, von Gilbert Sclieiweigg Tourn. 6. 37-20-16-Gilb. annal. 43, 212. (2I Memoria Ietta nell' accademia de' lìncei stampata tra gli Opuscoli scelti di Bologna. (5) Memoria seconda sopra la forza magnetizzante del lembo estremo del raggio violetto, letta neiracc. de* lincei il 22 aprile i8i3. Roma. Biografia m Moriciiini 255 gnetismo terrestre. Da Milano il senator Moscati ne rendeva partecipe OJier, e dalle indagini proprie e da quelle di Gonfigliacclii di Pavia dubitava clie forse una qualche accidentale causa deludesse Mo- richini, uomo di grande merito e di sublimi talen- ti dotato , come conchiudeva (1). Ma in Firenze Babbini confermava l'effetto contrastato, ravvisando una inclinazione dell'ago verso il raggio chimico. Dopo massima diligenza convintone Ridolfi, chiedeva consiglio da Pictet, che avvalevasì dell'autorità di lui in tale argomento di controversia (2); e molte testimonianze si leggono nel giornale di Brugna- talli ^ negli atti de IV accademia pistoiese e nella bi' blioteca universale di Ginevra (3). I fatti de'fisici fiorentini ad evidenza provarono, non ottenersi ri- sultamenti favorevoli dalla umidita dell'aria: l'uno avvertiva di mancare i segni magnetici , allorché l'igrometro segnasse alcuni gradi , e l'altro si ac- corgeva che uno spettro solare desistesse della for- za magnetizzante facendovi scorrere una colonna va- porosa. Ogni personaggio, che venne a visitare la capitale del mondo, dovè convincersi di ciò che for- se impugnava con ostinatezza; ricorderemo Davy il più sincero amico del Morichini, e Playfair persu- aso da Carpi che pubblico attestato ne diede (4). Instruttane parimenti mad. Somerville, donna per sapere molto celebre, ritornata in Londra involgeva di carta la metà di alcuri finissimi aghi , e sulle (1) Bib. britt. t. LUI, i8i3 p. igS. Gilb. 45-338-46, 076. (1) Ivi t. LII. p. 171-Schweigg. 91, 2i5. (3) Gior. di Brugnatelli 5 bimestre 1816. Atti dell'acc. pisto- jese 1816 p. 790. Bibl. univers. T. IV, V. V. Selcweigg. 9, 2i5. (4)Bib. imivers.T. VI, p. 17. Selcweigg. 46, 252-Pagg. 6, 493. 256 S e I E K « fi parti scoverte proiettava il concentrato raggio ma- gnetizzante , o li esponeva sotto un vetro azzurro al semplice influsso solare rivestendoli con nastri del medesimo colore. Ai tentativi corrispose l'even- to (1). Erman erasi sforzato dimostrare, che dalla forza calorifica derivasse tutta quella tendenza degli aghi; ma Ghrlstie ha ben provato di accrescersi sot- to la fredda temperatura, ed ha ridotto a calcolo la differenza degli archi descritti dagli aghi di fer- ro , di rame e di vetro sospesi ad un filo sotto r influsso del sole e di quelli sottratti dalla lu- ce (2). Kastner confermò la verità della cosa, sebbe- ne non sia giunto a darne la ragione; e Braumgar- tener in Vienna, profittando dei mezzi adoperati, ossidava un ago di acciaio; e al sole disposto un punto lucido diveniva magnetico col poh boreale\ se vi erano molti punti lucidi, acquistavano il polo medesimo, e ciascuna parte ossidata il polo austra- le (3). Non devesi passar sotto silenzio l'ingegnoso apparato che Prandi diresse al Morichini. Faceva uso invece del prisma newtoniano di una gran len- te slmile a quella in Parigi costrutta dal Bernie- res, in cui con mezzo facile riusciva perfettamente ad isolare il raggio violetto, e a condensarlo in uno specchio concavo: ma la morte, che alle scienze lo ha presto rapito, impedì l'applicazione, ne sappia- mo se altri l'abbiano tentata (4). Seguirono le or- me della inglese donna Zschock e Strohlin , che (i) Ann. de chim. et phys. XXXI, 393. (2j Bib. univer. t. XXXIV, p. igr, t. XLI, p. 52. Pogg. 6, 239-9, 5o5-Abhanklder Beri. Acad. i8i5-i8i5. (3j Ann. de chim. et phys XXXIII, 333. (4) Giorn. arcadico, maggio 18 13, Voi. LUI, p. x38. Biografia di Morìchini 257 pretende di aver preceduto di anni dicci questi sperimenti: ma noi ci serviamo della sua conferma senza fermarci nell'assertiva che potrebb'essere gra- tuita (1). Nel ferro e nel vetro Matteucci sperimene tò la forza elettrica solare, e Barlocci in una me- moria Ietta nell'accademia de'lincei , disse: che fa- cendo cadere il raggio rosso e il violetto in due dischi di rame, se comunicava nell'uno e nell'altro i nervi crurali di una rana, ne otteneva forti con- trazioni (2). Zantedeschi e Mayez nel seguire que- ste traccie meglio spiegarono la forza elettrica non solo, ma il magnetismo de'raggi piìi refrangibiii (3): vi consentirono in Palermo Scinìi, in JXapoli Cassola, e molti studiosi fisici d'Italia che omettiamo rife- rire. Ma i fenomeni di elettricitk non furono previ- sti dal primo indagatore? Non aveva egli commes- sa l'applicazione sugli animali a Metaxa , fatta di poi da un altro compagno de'suoi sperimenti? Ci serviremo delle parole del p. Pianciani, uno de' molti ornamenti dell' inclita compagnia di Gesù : Morichini aveva venti anni prima osservati alcuni indizi elettrici col condensatore del Volta : e noi possiamo aggiungere che in alcune inedite memo- rie anteriormente scritte , che presto verranno a luce, non solo questi , ma ben altri fatti si rile- vano, che dovendosi meglio verificare non furono pubblicati (4). Qui siamo indotti a direi che se nel (t) Kastnei-jArcliiv. i5, 1^5- Minerva iSjg-S, i3i. (2) Antologia iSag aprile e luglio p. i^5, Gioru. arcad. i83o giugno p. 20^-Rib. uuiv. t. XLII, p. 11. (3) Poligrafo di Verona i85i maggio. (4) Terza memoria sul nidgnelismo della luce 18 15, inedita. Sperienze elettro-magnetiche sulla luce solare, 1817-inedila. V. Pianciaui, Islituz. fisico-chiaiiclie. Roma i854, t- HI, p. 104. G. A. T. LXXIII. 17 258 Scienze medesimo fonte doppia forza di elettricità e di ma- gnetismo fu da lui rinvenuta , il primo se non ha sciolto il problema dell'uniforme natura e della influenza mutua, ne ha dato qualche non equivoca dilucidazione. Se avesse proseguito l' esame , forse sarebbe giunto con altro metodo a que' ritrovati , che innalzarono quindi a sublime rinomanza un Oersted, un Arago, un Ampere, un Davy, un Bar- low, a'quali Romagnosi poco dopo l'invenzione del- la pila e il p. Baccaria avevano in Italia preceda^ to; ma privo di ozio tranquillo, e distratto dalle cure domestiche e dagli obblighi di cattedra e di professione medica , senza il soccorso degli amici non avrebbe potuto arricchire le scienze dei doni compartiti, che sono suflicienti circa le osservazioni elettro-magnetiche a porlo nel medesimo grado di onore col Nobili, col Zamboni, col Configliacchi , col Marianini e col Dei-Negro tra' nostri recenti fisici pili famosi. Tante prove incontrastabili po- tranno in dubbio rivocarsi? Ridolfì, Babbini e Zan- tedeschi hanno assegnate le cause, che sono d'im- pedimento al fenomeno, in modo da potersi dire, che questo sia suggel che ogni uomo sgannì. Ma oppositori non mancano. Un Despretz non ha ri- tegno spacciare, che le spenenze del Monchini non siano ben confermate. Plìi oltre si avanzano Riess e Moser, ascrivendole al magnetismo della terra , come scrissero anche Grottlius e Ruhlandr per que- sta opinione sembra determinarsi della Rive, che ne tesse la storia; e tutti vogliono che isolando il fer- ro da qualunque accidentale causa , non si debba ottenere alcuna tendenza magnetica. Abbiamo a ma- ravigliarci come il Seebek neghi al raggio violetto quella forza che concede a tutta la luce solare; e Biografia di Mortchini 2ó9 Còme si opponga da molti essere il ferro per se Stesso magtietico. Ciò non ignorava Moricliini, ma dimostrò che la luce sviluppasse maggiormente cfUella forza naturale pei* se debole (1). Dopo il pro- fessor di Pavia, che diede il segno della guerra , tutti quelli che lo hanno assalito ripeterono che fosse tratto ad inganno dalla mancanza di accurato esame, o da suo presentimento: ma con le favore- voli disposizioni dell'atmosfera non aveva egli ri- mosso qualunque indizio di errore, come scrisse a Guy-Lussac, e come gli avevano raccomandalo il ce- lebre Volta, che anche dissentiva^ il caVi 2ambi*oni e Pai^adisi presidente dell'istituto italiano? Se vo- gliamo allontanarci dal suo sistema circa V assor- l)imento del magnetismo eh' esercita il globo dai i*aggi solari, come fa dalla luce e dal calorico, an- che nell'altra ipotesi che la terra sia come una gi*artde calamita, non potrebb'esser vero che l'effi- cacia del sole la determini nel ferro? Bastano per chiuder la bocca a tanti contradittori le dotte os- servazioni d'Haeser, che meritarono il premio nella Germania, e che possono servire di baluardo alle dottrine del Morichini: gli opposti argomenti vi so- no tutti confutati (2)* Immersi noi nello studio del- (i) Ann. de chimié et phys. t. XLII, p. 5o4-Bib. univ. Juil- let i8o3, p. 325. -Ruhland : Ueber die polarisclie Wirkung des gefiirbten heterogenen Lichtes. - Pogg. 6 ii^6. Schcweig 9, 217. (2) De radii lueìs violacei vi magnetica, auctore Henrico Hac- ser vimariensi, cominentalio-Jenae i832-Cosi riferisce prima di esporre le sue spcrienzc e le nuove sue opinioni ,, Primuni ne- ,, gligentiae Moricliiniutn accusai Configliachius, non tantam ab ,, eo adhibitam esse curam in instituendis observationibus, quan- „ tam rei subtilitas et difficultas poslulasset. Satis profecto gra- „ VIS accusatio; sed co facilius rcjicicnda, quo est injuòlior. „ 260 Scienze la bibhla, non potendo inoltrarci in un campo, nel quale sempre fummo stranieri, ci appelliamo al va- lore de'magnanimi abruzzesi per difendere un ser- to contrastato al nostro chimico nazionale. Premuroso del pubblico bene, e zelatore della salute de'popoli, dissipò vieti pregiudizi, da' quali Strabone e il grande Tullio non furono immuni , per la vicinanza delle saline artificiali. Nelle ma- remme di Corneto, non lungi dal dominio toscano, era di sommo vantaggio per lo stato pontificio la formazione delle saline: ma il regno limitrofo noi consentiva, e la sciocca credulità del volgo move- va lagnanze per la infezione atmosferica. Invano Riccy erasi opposto all'errore comune. Morichini, prescelto da Lante tesoriere generale al patrocinio di questa causa, con tale forza e dottrina entrò nel- l'arringo a sedare ogni tema contro i dispareri di Petri, di Zuccagni, di Gazzeri, di Tozzetti e di al- tri tìsici fiorentini, clic dopo tre anni di continue discussioni, furono eseguite le saline, ne danno sa- nitario si è mai ravvisato. Molto scrisse in tale sub- bietto (1); ne lasciò di confutare l'avvocalo Lupac- (p. i4),, Confìgliachium postea fere omnes Moricliinii adversarii „ secuti sunt.,. Non ometteremo poche parole di una lettera, che nel 1834 gli scrisse, e che meriterebbe di essere riportata per in- tero. „ Tua est, Morichini amplissime, summa illa laus, primo ,, conjunctionem arclissimam, quae intercedit inter lucis atque ,, virium niagneticarum naturam olarissimeeruisse, atque tandem „ aliquando germanicis quidem physicis persuasum est, ea quae „ tu ante hos viglnli annos in publicum de radii violacei vi ma- ,. gnelica edidisti, esse verissima. ,, ~ (i) Parere sopra la questione se la formazione di una salina artificiale nella spiaggia di Gorneto possa rendere insalubre l'a- ria di quella città e de'contornl. Roma i8o3. -Confutazione di uno Biografia di Moriciiini 261 chloli e il collega Giovannellì plagiario del nostro Camerari: e gli argomenti suggeriti dalla nuova chi- mica da lui difesa fondavano sulla esalazione d'in- nocui vapori dell'acqua marina ( cioè da un com- posto di acido muriatico con la base di soda ) non ristagnante, e non imputridita, come spesso avviene nelle risaie, delle quali dovè giudicare nell'agro di Bologna e della Marca. Si condusse con Folcili nelle valli bagnate dal Tronto, e vide che nelle fer- tili campagne di Ascoli e di Fermo potevasi senza nocumento proseguire la coltivazione del riso, se in luoghi convenevoli fosse ristretta, e ne diresse il fisico rapporto a monsig. Olgiati segretario della sacra consulta (1). L'abruzzese De GroUis, scrivendo di quest'opera prodotta dal precipuo maestro di po- lizia medica in Roma, dopo qualche ristretto enco- mio gentilmente si avanza a rilevare la pecca di una trascuratezza di forma, quantunque ne sia buo- na la sostanza e solo infetta di alcune minuzie, co- me nella pittura, in cui purché le parti essenziali sieno rilevate^ le altre, che per la lontananza non appariscono, possono essere tralasciate e mal di- pinte senza il minimo 'vituperio per Cartista. Ma ci perdoni il nostro concittadino: l'indiscreto mgliot scritto anonimo, nel quale si è preteso di provare che le saline infettino l'aria. Roma x8o3.-Esame del voto chimico de'professori fiorentini. Roma i8o3. -Riflessioni sopra gli scritti contrarii alla formazione delle saline nella spiaggia di Corneto. Roma i8o3. -Bi'evi rilievi sopra l'ultima memoria dell'avvocato LupacchioU distesi dal Monchini sopra le saline di Corneto. -Apologia delle sa- line di Corneto alle obbiezioni del sìg. Giovanni Gazzeri chi- mico toscano, i8o5. (i) Relazione fìsica sulle risaie della Marca. Roma iS^G.Dellc riiaie del Bolognese, 1818. 262 Scienze con cui (lice potersi cribrare i ragionamenti del Alorichini, non gli ha fatto discernere la mondiglia dalla buona sentenza: troviamo in tutte le opere sue logica pura, quadri sinottici, ordine preciso e stile tutto scientifico, e se non terso almeno non trascu- rato (1). Brocchi, 1' infiiticabile geologo, scrisse che l'analisi a lui diretta delle acque e del gas ìn-r fiammabile del Tevere, già da Riccioli previsto, sia per certo la pia bella, la più accurata e la più circo-^ stanziata fino ad ora intrapresa siti gas che sbuca- no di sotterra (2). Fu il Morichini che spiegò d'on-^ de provenisse l'efficacia dell'acqua di Nocera nelT Umbria , tanto famosa poi salutari effetti, e già dal Camillo di Perugia, dal De Fabra prof, di Ferrara, e dal Massimi medico romano analizzata; dopo aver conosciute tutte le sostante solide, che in dose non eccessiva vi erano diffuse, dall'abbondanza AeW ossi- gene si fece a dedurre ogni virtìi medicinale. Que- sto sassio confermò tutti nella stima che si aveva non meno di un operoso e dotto che di un medico perito nell'arte salutare, come si disse in un foglio letterario (3). Copiosi elementi ottenne ancora nel- r analisi delle acque termali solfarate presso Civi- tavecchia, nebag?u taurini, e nel fonte di ficoncella, cosi pure nella sorgente acetosa e nella santa che sono in Roma non lungi dalla via ostiense, onde trae origine il fosso delle acque acidule da Carpi e- saminato (4). In tutte le analisi adottava il metodo (i) Giorn. Arp. maggio iSaS, Voi. LUI, p. i3r. (2) Dello stalo lìsico del suolo di Roma 1820, p, i^S. V. la lettera diretta al eli. sig. Brocchi, Giorn. arcad. t, VI, p. 178. (3) Man. letterario di Roma 1808, dicembre n. i, p. 27. (4) Saggio medico chimico sopra le acque di Nocera per Laz- Biografia di Morichini 263 da Bergaman unito con quello del Murray ; e senza qui riferire gli applausi riscossi da molti scienziati, ci basta di osservare che non reggono punto al pa- raggio le opere sulle medesime acque scritte dal Zambroni e dal Torraca. Nel regno de'vegetabili quante belle indagini non fece!' Assegnò l'uso me- dico dell' olio di Croton Tìlli e della gomma di lUivOì in cui dall'odore credeva contenersi Vacida benzoico- ma dopo una serie di bellissime osserva- zioni non esservi si convinse. Erudita per lo storico ragguaglio del medesimo uso presso gli antichi^ ed utile per la pratica fu commendata la sua memoria dalla Società Italiana delle scienze , e possono in parte convenire le stesse parole alla lettera che al Folchi diresse nel giornale arcadico (1). Non mai stanco di svolgere le carte di vetusti scrittori, si avva- leva dei ritratti lumi per dimostrare che sia troppo vecchio ciò che a' nostri giorni con qualche appara- to si rinnovella: e riprodusse un sistema che tra le fole si ascrive de'nostri buoni antichi, nella diffe- renza delle orine del sangue dopo la digestione e di quelle del chilo dopo il cibo (2). Volle anche coU'esempio provare la trascuratezza moderna nel rintracciar gli elementi delle sostanze animali per utilità dei fisiologi e per dilucidazione patologica ; oltre gli sperimenti varii sul latte di bufala fino al zarini. Roma 1807- -Memoria sopra le acque termali di Civita- veccliia. Roma 1821. -Notizie sopra le due acidule adoperate in Roma 1818-V. il giorn. arcad. t. IX, p. j45, t. XXXI JC,p. 3o5. (i) V- nel t. XXII, p. jQg, la lettera di 19 luglio 1824, e il t. XVII della società Italiana delle scienze-Verona i8i5. (2) Sopra alcune sostanze che passano indecompostc nelle orine, memoria, ivi. 2G4 Scienze suo tempo ignoti (1), ci diede T analisi della bile,' umore che si credeva ben conosciuto, per dimostra- re che molto rimanea da sapersi anche dopo le dili- genze del Thenard, del Lassainge, e del Chevalier. Ne si arrestò sulla bile umana, ma la venne a rico- noscere in molti animali e in vari pesci: descrisse la natura del picromele del Berzelius , e trovò l'a- cido margalico e Folaico dopo avere spiegata la co- lorazione (2). Opinava contro Bonhomme, che r^elle orine dei rachitici sia Yacido malico insieme coUW- salico, e con molte fatiche forse il primo ha ritro- vato la causa dell'ammollimento delle ossa nella ra- chitide (3). Non appena De Courtois ci annunziò la scoperta deìViodio, scese nd'più minuti rintraccìa- menti per la maniera di combinarlo con altre so- stanze, e per la proprietà di volatilizzarsi in vapori violetti (4) : e quale aspettativa non offre l'applica- zione della pila invece delle scosse della macchina elettrica da lui primieramente tentate nella cura de* morbi, come ci assicura il P. Pianciani chiamato a parte de'suoi nobili pensieri? Orioli dipoi si distinse per l'uso della elettricità metallica nella terapeuti- ca, anche senza far uso della pila voltaica : onde Rambelli di giusto sdegno si accende nelle sue let- tere per le usurpazioni fatte dagli stranieri in que- sta parte scientifica ( come fecero nelle altre ), che (i) Sperienze sul latte di bufala — inedite. (2) Sperienze sulla bile, nelle memorie della Società italiana. T. XX. Modena 1829. (5J Memorie due sulla causa dell'ammollimento dello ossa nella rachitide: - inedite. (4) Memorie sull'estrazione dell' jodio e sue combinazioni; — inedita. Biografia di Moaicumi 26S non si vergognano ascriverla a Most di Stadthangen, a Monsford d'Inghilteri'a, a Capman di Pensilvania, e a Miliier di Baltimora. Giova di osservare che an- che prima dell'Orioli profittasse il Morichini della pila, invenzione tutta italiana, o formando coppie metalliche sulle membra da curarsi, o applicando- la separatamente per mezzo di un conduttore ; ma non essendo questi lavori di pubblico diritto, non so- no giunti forse a cognizione del Rambelli molto ri- conoscente pel suo precettore, che non tralascia ri- spondere alle accuse de'chimici francesi per la sco- perta del magnetismo solare (1). Ecco il ragguaglio delle opere sue più cono- sciute ; ne tutte le inedite ci sono note (2) ; ne po- tremo tener conto di tutte quelle da valenti uomini a lui dedicate, bastandoci solo rammentare il Gan- dolfi nel trattato DelVottima costruzione delle mac- chine elettriche , che non disdegnava i consigli di un suo discepolo, e il Peretti nelle sue Ricerche del lattugarioy che di lui riportava le note (3). Per la impostaci brevità non ci è permesso descrivere quali e quanti nobili pensieri volgesse a bene socia- le: valga per tutte la testimonianza del Cappello, al- tro medico illustre di Abruzzo, che lo cita con ri- spetto in ogni pagina de'suoi libri. Nelle celebri memorie sulla idrofobia, le migliori che abbiamo in un male tanto terribile, riferisce di aver egli ot- tenuta la cura di un accesso sintomatico con l'uso (i) Lettere al doti. Domenico Ferri, lettera VI presso la Ri- creazione di Bologna. (q) Merita esser notato un discorso di scelta frase latina; Oratio inauguralis die 25 novembr. i8o2. — inedito. (3) Antologia rom. 1797. Giorn. arcad. t. XLVI. 260 S e 1 K N Z E della china; e scrivendo del morbo asiatico, mentre desolava l'Europa settentrionale, ricordò d'aver egli fondata sul rapporto di sintomi, reso ne'fogli da me- dici tedeschi, un' opinione molto ragionevole, che troppo tardi e senza profitto fu generalmente segui- ta. Sospettava che per l'analogia con gli effetti dell' acido prussico^ e dell'acqua di lauroceraso , come riferiva Kostler, s'insinuassero contro la vitalità ve^ lenosi elementi da rintracciarsi per combatterli nel sangue, nel vomito, nelle orine e nel sudore. Cosi l'egregio chimico pensava, mentre gli altri con em- pirismo volgare applicavano formachi senza scopo q senza ragione ! Cappello ritornato da Parigi, ove fu spedito con Lupi e con Meli a studiare il morbo ^ che definì contagioso, e sostituito al vajolo , disse pieno di riconoscenza, che il profondo pensamento del Monchini^ ottimo amico e collega^ riportato nel primo colerico lavoro fosse applaudito e non affatto trascurato da espertissimi e dotti stranieri (1). Fu primo che insegnasse veramente chimica in Eoma. Cercò dare incremento e lustro a quella cat- tedra, che dal grande Benedetto XIV ripeteva ori- gine. Il cardinale Consalvi, a tutti primo nel mini" stero della pubblica cosa, con mano prodiga in ogni dispendio lo sorreggeva: e il tesoriere Lante , che appellò magistrato amante del decoro della patria^ lo seguiva ne'luminosi consigli. Al Morichini si de- ve l'erezione di un chimico gabinetto, che richiama Jo sguardo dell'osservatore tra gli scelti e innume- (i) Storia medica del cliolera indiano osservato da Agostino Cappello ... nel i852, art. XIV. -"V. il giorn. arcad. T. L. i83i, p. 46, e gli Opuscoli scelti scientifici, iioma i83o. Biografia di Morichini 267 revoli strumenti fisici, e tra le copiose raccolte di storia naturale ampliate alla università romana dal' la munificenza del sommo gerarca Gregorio XVI. Prestò molti servigi allo stato, e non ultimo fu quel- lo della riduzione della moneta erosa a gravi per- dite soggetta con la semplice pratica, senza una nor- ma scientifica e sicura ; per cui fu rivestito della carica à^ ispettore a dirigere nella reverenda came- ra qualunque altra chimica operazione, La polizia medica può dirsi sorta con lui : per- chè le leggi d'incolumità pubblica erano in parte sconosciute, e in parte mal dirette, o non adempite. Fu il primo che col senno e coll'opera riuscisse a formarne molte, e a ricavarne in uso le altre: onde manteneva continua corrispondenza col magistrato di salute. Prescrisse la forma e il luogo de'cimiteri e dei sepolcri; fu membro e poi presidente del con- siglio generale di vaccinazione, Medico primario dell'ospedale di s. Spirito, e tutto consacrato per l'arte salutare, impartiva soc- corso nelle sale magnifiche e negli squallidi abituri, ove spesso soccorreva l'indigenza. Pio VII nel ter- mine delle sue gloriose fatiche affidossi alle cure di lui : Pio Vili ne'momenti estremi della sua vita al suo fianco lo ratteneva : i due pontefici fra le brac- cia di lui spirarono. Il principe reale di Danimarca, sottratto da morbo pericoloso, dopo avere sperimen- tato il genio, reduce ne'dominii lo fregiò dell'ordine di Danebrog: fu questo un distintivo di onorificen- za dal Morichini ottenuto e non ambito! La repub- blica di S. Marino non giudicò meglio di emendare la perdita del conte Giulio Perticari, che creandolo in di lui vece suo patrizio. Fu medico della casa dell'imperatore e re in Roma, e socio di molte il-> 268 Scienze lustri accademie; rammentiamo quella degli Arcadi (tra'quali da Loreto Santucci, allora custode genera- le, gli fu dato il nome di Melampo di Coo) , quella de'Lincei, delle scienze di Torino e di Monaco, la società italiana di Modena, la reale di Londra e l'i- stituto. Dopo anni trent'uno d'insegnamento un bi- glietto del Camerlengo gli accordò la giubilazione; in ricompensa però delle altre sue fatiche era già pensionato : nondimeno per amore della scienza e per pubblico vantaggio^ come scrisse monsig. Muz- zarelli, non intermise le sue lezioni. Non potendo tener conto di tutti i suoi rap- porti scientifici, non ometteremo i principali. Quel Gay-Lussac, cui pareva non molto sicura la forza magnetizzante del raggio violetto, spesso ai Morichi-» ni scriveva per conferire argomenti della piìi grave importanza. Davy, di mente sublime e di cuore sen- sibile, non contento dei pubblici tratti di omaggio , sull'orlo del sepolcro, da cui l'amico lo aveva ritolto in Roma, destinava cinquanta lire sterline al sommo italiano benefattore delle chimiche scienze. Non appena la consorte da Ginevra comunicava in cor- tese foglio r onorevole largizione , Morichini più generoso ergeva tre busti all'immortale chimico in- glese nella sua magione, e nelle università di Roma e di Bologna. Così pure il gran Luigi XIV, persuaso che il mondo sia la patria de'sapienti, cumulava di premi un Allacci bibliotecario del Vaticano , un Graziani segretario del duca di Modena e im Vi- viani matematico del gran duca di Firenze, sebbe- ne suoi sudditi non fossero. Ma questa regia ge- nerosità cede di merito alla privata: la casa di lui, qual santuario delle scienze , fu riverita da ogni dotto viaggiatore. Cuvier molto stimava l'imparzia- ÉlOGRAFlA DI MORICHINI 269 le (Il lui giudizio, Cotugno e Tommasinl ehbero con lui stretti legami di amicizia. Per la sua ce- lebrità, e per la dolcezza de'costumi, si affezionava ogni animo anche ritroso : direttore di una com- pagnia, di scienzati, che a sollievo delle fatiche del giorno adunavasi nella sera con eruditi colloquii , vi era l'oracolo e la delizia : invido non mai, ve- nerava le persone anche quando censurare ne do- vesse i sentimenti. Prova ne sia la relazione sul pro- gresso della chimica, della fìsica , e della storia naturale: con quale ritenutezza non si oppose al sì- stema di Murray e di Reynold circa gli aereoliti (1)? Abbiamo desiderato di spargere sulla sua tomba que' fiori , che egli ha sparsi per la memoria di Gandolfi e di Gismondi; ma le nostre deboli forze non hanno potuto raggiungere i dotti commentari sulla vita deirillustrc fisico e dell'eccelso mineralo- go che a gara sono letti e si riprodocono nell' I- talia ! Possono soltanto a noi convenire le parole, che a quest'ultimo dedicava, con le quali di lui di- remo : Vuoici sommamente che le fatiche deiranno scolastico., e la difficoltà di raccogliere notizie d'un uomo quanto abile altrettanto modesto , ci abbia fatto ritardare così a lungo il pagamento del no- stro debito (2). Egli è morto : le spoglie compiante riposano in s. Marcello nel suo sepolcro gentilizio (3). Bom- (t) Giornale Arcadico toni. 6, pag- i56, 3 19. (2) Necrologia del prof. Bartolomeo Gaudolfi 1824. Necrolo- gia del prof. Gismondi iSaS - ristampate nella biografia degli italiani illustri e de' contemporanei - V. I, Venezia i834 * p. i35, e 201. (3) Spirò nella sera del ig novembre i836, e fu sepolto nel giorno 21. 2T0 Scienze La medico insigne di Lanciano nel tempo stessa ha cessato di vivere ! Rimangono in Roma Cappello, De CroUis e Nibby ad onorare l'Abruzzo; e del de- funto Morichini rimangono sette figli ottenuti da Cecilia Calidi sua virtuosa consorte, che sono tutti eredi della perspicacia paterna e tutti sono educati alle lettere e alle scienze* Già monsig. Carlo Luigi prelato di grande ingegno e di maniere affabili^ vice- presidente dell'ospizio apostolico, in alcune opere date in luce sugli stabilimenti di beneficenza^ e nel cooperare alla istituzione di una recente cassa di ri- sparmio (degna di essere imitata)j mostra qual sia il suo genio per l'economia pubblica e per la statisti- ca. Gli dobbiamo molte delle presenti notizie; e pre- gandolo di accettare in primo attestato di ammira- zione questi nostri biografici comenti, facciamo vo- ti che sieno impresse le opere inedite deirilliistrc genitore con un quadro della vita, in cui sapra con gentili tratteggiamenti ritrarci la pittura fedele di un oggetto che sì da vicino ha contemplato. Ci da- rk contezza delle doti morali, e tra queste di un animo pacato e dolce, quantunque stizzoso ed ira- condo fosse il temperamento, di una umiltà pro- fonda e molto aliena dalla jattanza, di rispetto per la chiesa e pei donimi di nostra santa religione. Non fu della classe di quei filosofi^ che danneggiano gra- vemente da una parte la società, mentre dall'altra qualche lieve bene compartiscono: indivise sue pro- prietà furono illibati costumi e gran sapere. Noi ci siamo proposti rappresentarlo nel solo ramo scien- tifico, e sarà nel morale illustrato da un figlio af- fettuoso e degno. Vittorio Iandelli. 2T1 LETTERATURA Dé'nuovi lavori eseguiti nella diaconia de'ss. P^ito e Modesto^ descrizione del principe don Pie- tro Odescatchi dei duchi del Sirmio, riveduta e corretta dalt autore. Oe molto è da commendare la sollecita e prov- vida cura, che il regnante pontefice massimo Gre- gorio XVI (in mezzo ai gravissimi negozi del prin- cipato, e del reggimento universale biella chiesa) pone in conservare dalle ingiurie del tempo gli an-- tichì avanzi della grandezza e della maestà dell'im- perio che s'ebbe questa nostra Roma; molto è pure da aversi in ammirazione, e da doversi con sommis- sime lodi celebrare lo studio e l'amor grande ch'egli mette in far riparare dalle imminenti rovine , ed in ritornare alla venerazione dei fedeli que'templi che per la loro molta celebrità, e per le belle me- morie che ci conservano, come sono d' onore e di decoro alla religione nostra santissima, cosi recano non leggiero conforto e splendore notevole alla ec- clesiastica istoria. E qui , per ciò che certamente ne parrà ad ognuno, vuoisi con sentimenti di sin- cera riconoscenza ricordare il nome di monsignore Antonio Tosti tesoriere generale, che propone ali* 272 S e I B N « B ottimo principe così fatte opere, e sa poi con inar- rivabile zelo, e con pronto e fermo animo, in brevd correr di tempo, menarle a buono e felice riusci- mento. Ed in fatti appena abbiamo veduto restau- rato il patriarchio lateranense, ed in molte parti racconciata la basilica di san Sebastiano, ecco che per comandamento del pontefice è quasi dalla non lontana ed intera sua distruzione salvata, e più con- venientemente rimessa al pubblico culto, l'antica e celebrata diaconia de'ss. Vito e Modesto suU'Esqul- lino. Poiché dunque ho tolto sopra di me l' inca- rico di descrivere i nuovi lavori che in quel tempio sono stati operati, io mi avviso, a maggior chiarezza di chi sì farà a leggere questa mia umile e rimes- sa scrittura, di dividerla in tre parti. Nella prima narrerò la istoria de'ss. Vito e Modesto, cosi come sta ne' pili riputati scrittori. Nella seconda tesserò la istoria di quel tempio, non intralasciando, come meglio per me si potrh, di dichiarare e d'illustra- re altresì i monumenti che in esso si conservano. Nella terza finalmente, seguitando tutto quello che dall'egregio architetto signor cav. Pietro Campore- sej soprastante a'iavori, mi si è venuto mano mano annotando, esporrò le riparazioni che vi sono state eseguite. E senza piìi entro in materia. PARTE PRIMA. Istoria de ss, Vito e Modesto, Molte sono le leggende, le cronache, e gli scrit- ti che delle geste gloriose di questi santi martiri vanno attorno; ma alcuni sono senza meno da re- putarsi apocrifi, altri decisamente falsi, perchè man- Diaconia, de'ss. Vito e Modesto 273 canti di ogni luce di verità, e di quella sana cri- tica, la quale se vuol esser sempre la guida di tut- te le opere dell'intelletto, a mille doppi deve poi mostrare la sua face quando è discorso d'istoria. Il Ruinart, ne'suoi atti sinceri de'martiri, niun motto fa dei nostri santi, e solo in una nota agli atti di san Cipriano li ricorda. Quel che ne scrissero il f^aragine, il f^/gliega, il Ribadeneira, ed il Calca- gni nella istoria di Recanali, di cui questi martiri 5ono protettori, se nella sustanza in molte parti po- sa sulla verità, in alcune altre da essa si diparte: o almeno questi scrittori scambievolmente si con- traddicono in modo, che dubbia cosa sarebbe il ri- portarsi alla loro autorità. Il perchè ho io stimato bene di qui riferire quel tanto, che de'nostri santi dice Adone nel suo martirologio. Nel quale divisa- mento tanto più mi sono fermato , quanto che le cose da lui narrate sono in gran parte confermate dal Papebrochio, critico, come ognun sa, solennis- simo. Ecco adunque come quell'antico istorico de' martiri, sotto il dì quindici del mese di giugno , narra la istoria del martirio de'nostri santi: la qua- le io niente altro fo che, a maggior comoditk de' leggitori, voltare in nostro linguaggio. » I santi martiri Vito, Modesto e Grcscen/Ja videro la prima luce del giorno in Sicilia. Fino dal- la prima età il giovinetto Vito pareva già fatto ma- turo in ogni generazione di virtìi. Ila suo padre , fermissimo idolatra , tentò dapprima ogni via di persuasione a ri trarlo dal culto che aveva abbrac- ciato : e mentre nella sua cattiva mente molinava dì ridurlo con gastighi a sua volontà , Vito , così da un angelo ammonito , di notte tempo calatosi in un naviglio, e tolti in sua compagnia Grescen- G. A. T. LXXITT. i8 274 Letteratura zia ch'era stata sua nutrice , e Modesto marito di lei, dopo breve e felice viaggio approdò alle arene della Lucania. Da lì a non molto tempo passato venne egli ricerco e menato innanzi a Diocleziano imperadore, affine di liberar la figliuola dal demo- nio, da cui era posseduta ; ciò ch'egli ottenne col mezzo dell'orazione. Quel principe iniquissimo, mol- ti e larghi donativi impromettendogli, voleva pie- garlo ad onorare i falsi iddii, ed all'in tutto l'a- nimo del giovinetto dal santo e fermo suo propo- nimento svolgere e tramutare ; ma in niente riu- scendo nel perverso suo intendimento , comandò che legato e stretto da dure catene venisse chiuso in oscurissimo carcere, e con lui altresì Modesto e Crescenzia. Appresso , quasi a ludibrio , li espose nell'anfiteatro al cospetto di tutto il popolo. Dopo questo li fé gittare in un bagno bollente di pece e piombo liquefatto, entro cui i valorosi campioni di Cristo, a somiglianza dei tre fanciulli della for- nace, cantarono lietissimi cantici all'onore di Dio. Usciti illesi di quella caldaia, fu loro lasciato con- tra un lione ferocissimo, il quale ai santi martiri pervenuto, in un attimo, messa giìi ogni naturale ferocia, mansuetissimo s'accosciò loro ai piedi, ed in segno di festa e di riverenza si diede a lambir-: li. Da ultimo, vinto il sacrilego principe da tanti fatti, e vedendo che la moltitudine presa alla gran- dezza del miracolo traevasi tutta a seguitarli, e a Cristo vero Iddio a convertirsi, impose che appa- recchiata una catasta, ivi sopra le innocenti vitti- me si distendessero. Mentre per così fatto e dispie- tato modo erano i martiri di Dio tormentati, e le ossa loro si dislaccavano e si scommettevano, d'un subito videsi in ogni intorno farsi un tempo neris- Diaconia de'ss. Vito e Modesto 275 slmo con un lampeggiare ed un tonare ne più ve- duto, ne udito mai , e la terra scuotersi con tale strepito e così violentemente, che i templi degli id- dii crollarono a terra, molti sotto le loro rovine frangendo ed ischiacciando. Fiorenza, donna nobi- lissima e pietosissima, si fece con ogni stadio a rac- cogliere i corpi dei santi martiri, ed in un luogo, a otto miglia da Roma, chiamato Mariano.) oggidì Marino (ove Tultlmo martirio con costante e gene- roso animo sostennero), di aromi preziosi e di ogni sorta di spezierie acconciatili , riverentemente li seppellì. » E così ha fine la istoria di Adone. PARTE SECONDA. Istoria del tempio ed illustrazione dei monumenti. Narrata la istoria dei martiri, è ora a dover tes- ser quella del tempio (1) : e per prima cosa ove esso si sta. Giace la diaconia dei ss. Vito e Mode- sto sul monte Esquilino , in macello martjrum , presso l'arco di Gallieno innalzato da Marco Aure- lio Vittore. Vogliono alcuni che il nome di macel- lo sia a questo tempio venuto dall'essere stato un tempo poco lungi di la il macello liviano- ciò che è un medesimo che dire il pubblico mercato: che macella dagli antichi venivano nominati i mercati (i) Debbo gran parte di queste notizie alla somma cortesia 4cl sig. abate don Salvatore Leoni, il quale delle cose romane i de'tempi di mezzo, e specialmente delle ecclesiastiche , è assai erudito. 276 Letteratura de'commestlbili, come ce ne danno non dubbia te- stimonianza que' versi di Plauto nell'AuIularia: Venio ad macellum^ rogito pisce s'. indicant Caros: agninam caram^ caram bubulam, y^itulinam^ cetum^ porcinam^ cara omnia (1). Altri poi più favolosamente che secondo verità, a quel che io ne penso , si credono, e tra questi è Pietro Martire Felini da Cremona, che ivi fosse la casa di un solennissimo ladrone detto Macello , e che da esso si derivasse il nome di macello limano, detto poi ancora macello de'martiri (2). Io stimo però che sebbene una tale denominazione possa ve- nire da quella che in antico si ebbe il luogo non molto lungi dalla nostra diaconia; pur non da'mer- cati , macella , ma dalla voce medesima recata ad altra significazione si derivi: voce già in uso nella bassa ed infima latinità, e restata nel nostro comu- ne volgare, in cui macello serve anche a significare carni/lcina e strage. Ed in fatti Roma da'sacri scrit- tori fu detta m,acello generale de^martiri: Ita una Roma m,actandis Christi ovibiis generale quasi ma- cellum erat (3). Il Boldetti , che scrisse dei cimi- teri de'martiri, sembra che stia fermo in questa me- desima sentenza là dove dice: » Oltre gli anfiteatri, » i fori, e le pubbliche vie, dove dai gentili si fa- » cea strage di popolo per la confessione di Cristo, (i) Atto 2 scena 8. (2) Nel suo trattato delle cose maravigliose dell'alma città di Roma, a fac. 177. (3) Thomas Stiiplet, De magnitudine romaaae ecclesiae , cap. VI. Diaconia de'ss. Vito e Modesto 277 » v'erano ancora luoghi a parte per la carnificina de' » medesimi, a'quali restò poi sino a'nostri tempi il » titolo di macello de martiri (1). » E si farà sem- pre più certa una tale opinione, sicché a mio giu- dizio non possa più mettersi in dubbio , se alcun poco si consideri che la denominazione di macello si diede altresì a'iuoghi che tali non furono, poiché ninna sorta di commestibili vi si spacciava; e cosi ma- cellum martyriim fu detto quello j4d aquas salvias^ e l'altro chiamato Gatta iugiter manans^ ciò è a dire il Gianicolo ed il Vaticano. E per mettere un fine alle autorità, reciterò le parole stesse di Ottavio Pan- ciroli , il quale nel 1625 cosi scriveva: » Da qui » ( dal macello de'martiri ) credo sia venuta la di- » vozìone di quelli, che essendo morsicati da cani » arrabbiati vengono a questa chiesa ( a quella dei » ss. Vito e Modesto ), e fanno benedire del pane , » e mangiatolo passano sotto quella pietra ( la pie- » tra scellerata) (2), sopra della quale dalli cani » arrabbiati dello inferno furono sbranate le mem- » bra di tanti innocenti martiri, e secondo la fede » e divozione così da Dio s'impetra la grazia della » implorata santità (3). » Ed ancora a'dì nostri con egual fede e divozione corre il popolo , ed in is- pezialta la gente grossa della campagna , a cui spes- so incontra d'esser morsa da cani arrabbiati, ed in quel tempio usa le stesse divote pratiche: il per- chè fattesi da un sacerdote recitare sopra la parte tocca dal crudele morso certe peculiari orazioni , si (i) Osservazioni su i cimiteri de' martiri, lib. I cap. XVIJ. (2) Vedi Appendice, lettera A. (3) Tesori nascosti dell'alma città di Roma, a fac. 8o5. 278 Letteratura mette tutta carpone a passare e a ripassare sotto quella pietra che fu tinta e Lagnata del sangue di tanti martiri. E certo che il predicato di scellera- ta alla pietra, ove furono mozzate quelle sante ed innocenti vittime, per la barbarie e le scelleranze che ricorda, sta pure assai bene: e con pili verità, a mio pensare , che non 1' ebbero presso gli an- tichi nostri e la porta carmentale, d'onde uscirono i Fabii rimasi tutti uccisi alle acque del Cremerà; e la strada dove la figliuola di Servio Tullio passò col carpento sul cadavere del padre ucciso da Tar- quinio superbo; ed il campo presso la porta col- lina, ove le vestali colpevoli venivano sepolte vive; ed in fine l'accampamento ove si morì Druso pa- dre di Claudio imperatore» Ora a voler dire tutto ( seguitando ) sulla po- sizione del nostro tempio , non voglio tacere che Anastasio bibliotecario nella vita di Leone III la chiama de sardas, denominazione da non confon- dersi col vico sardonum o sardoruni^ a trenta mi- glia da Roma, citato dallo stesso biijliolecario nel- la vita di Leone IV. Quel che Anastasio con la pa- rola de sardas abbia inteso di significare, non mi è venuto fatto, nel breve tempo accordatomi a det- tare questa mia descrizione, di trovarlo, per quan- to non abbia tralasciato di svolgere e di consultare molti autori, ponendo a capo di essi lo stesso Ana- stasio nelle due citate vite de' pontefici. Il perche mi risto dal farvi parola sopra, lasciando che al- tri di me più pratici in questa sorta di studi dichia- rino e dilucidino la cosa a dovere. Dirò solo che v'ha chi pensa, che una tale denominazione possa derivare da qualche particolar genere di commesti- bile che in abbondanza si spacciasse nel prossimo Diaconia de'ss. Vito e Modesto 279 macello lìviano, e che avesse quel nome: su di che però io non mi ardisco di pronunziare sentenza alcuna. Detto del luogo ove è posto il tempio, mi fa- rò ora a narrarne la istoria per 'cjuel pochissimo che se ne sa. Il citato Anastasio bibliotecario nella vita di Stellino IV lo chiama chiesa antichissima: Ecclesia certe s. f^lti ( sono sue parole ) in macel- lo 'vetustissima in urbe est^ atqiie ibi monasterinm. Questo monastero, di cui parla Anastasio, da mol- ti si vuol che sia quel medesimo, di cui nell'otta- vo secolo era abate il celebre monaco Filippo chia- mato pontifex unius diei^ il quale portatosi al pa- triarchio lateranense per farsi incardinare nella usurpata dignità pontificia , ne venne a grida di popolo discacciato : sì che uscito papa di s. Vito, ritornò monaco al monìstero. E Fioravante Marti- nelli è in questa medesima sentenza, dicendo: Ex huiiis loci monasterio (recito le sue parole) asswn- ptus fiat in pseudo-ponti ficem , tempore Stephanl If^ 1 Philippus presbyter. Il cardinal Baronie, il CiaCconio, il Bosio, il Panciroli, il Marliani, il Pan- vinio, il Donati, il Nardini ed il Grevio, che par- lano di questa chiesa, tutti sono uniformi in dire che al cessare delle persecuzioni contra i cristiani fu presso la basilica siciniana eretto il nostro tem- pio ad onore dei ss. martiri Vito e Modesto. In processo poi di tempo, essendo esso profanato per un sagrilegio commessovi nei dì dello scisma d'Ur- sìcino contra s. Damaso papa, rimase per lunghis- simi anni abbandonato. Qui a dir vero montereb- be assai il conoscere chi il sacrilegio commettesse, e quale sì fosse; ma tanto i sovracitati autori, quan- to altri ancora da me in proposito consultati, nien- 280 Letteratura te dicentlone, è di necessità che dobbiamo in que- sto desiderio rimanere. Andando innanzi dirò, che, se devesi stare al- Tautorita del Panvinio, la nostra chiesa sarebbe sta- ta eretta in diaconia da san Gregorio il grande ( e sarebbe la diciottesima tra le diaconie): dal che seguiterebbe, che fino dal sesto secolo avrebbe do- vuto essere in qualche celebrità ; ma come si ve- drà nell'appendice, in cui ho stimato pregio del- l'opera il dare cronologicamente la serie dei car- dinali diaconi (1), essa non ha cominciamento che dal secolo undecimo. Sisto IV, pontefice di assai onorevole ricordan- za, fu quegli che diede opera con grandi lavori a riparare questo tempio : e per così fatto modo lo ritornò in decoro, che poteva quasi dirsi di averlo dalle fondamenta eretto; che anzi moltissimi, ma- lamente interpretando il fundavit che leggesi nella iscrizione che sta sopra la grande porta del tem- pio, la quale dice SIXTVS . mi . PONT . MAX . FVNDAVIT . UTT caddero nell'errore di credere , che questo pon- tefice fosse stato il primo che la chiesa ai ss. Vito e Modesto innalzasse: non ponendo mente , che il fundare^ oltre al ponere fundamenta, significa rem aliqaam firmare, confirmare, stahilem reddere. Ed in fatti in tal significato il verbo fundare fu ado- perato da Virgilio quando disse: (i) Vedi Appendice, lettera B. Diaconia de'ss. Vito e Modesto 281 . . . dente tenaci Anchora fundabat naves (1): e poi per traslato : Fundare urbem legìbus (2) : e COSI Plinio nel panegirico: Fundare salutem., se- ciiritatem (3). Per tutti però valga ciò che il Du- Cange, in fatto di questi studi reputatissimo, nota al verbo fundare: Haud abs re fuerit hic obser- vare^ non eos solum ecclesiae vel monasterii dici fundatores qui primwn ecclesiam aut monasterium extruunt, sed etiani illos qni instaurant et augent maxime. Huius rei plura suppetunt in veteribus tabulis argumenta (4). Fermata per questo modo la significazione del verbo fundare nel nostro senso, e dichiarato che il pontefice Sisto IV non eresse, ma riacconciò questo tempio, seguiterò dicendo come apertolo al pub- blico culto vi stabili la cura delle anime, la qua- le nell'anno 1566 passò nella prossima chiesa di santa Prassede per nuova rovina che esso pati. Sotto il pontificato di Sisto V, intorno l'anno 1586, s'ebbero questa chiesa le monache dell' ordine di san Bernardo: le quali per l'angustia del moni- stero non potendo piii contenervisi, vennero man- date a stare in quello di santa Susanna a Ter- mini, ed in lor vece fu data a custodire a' mo- naci cisterciensi della provincia romana, che ne formarono la stanza del procurator generale dell' ordine. Fu nell'anno 1779 che i cistcrciensi la- (i)Lib. VI 3. (2) LJb. VI. 8 II. (3) Gap. 8. (4) V. Mabillon in Stat. ss. ordinum S. Benedicti. Seec III, Pars. I cap. 4o4- - Saec. IV, Pars I cap. 209. 282 Letteratura sciarono e la chiesa ed il convento dei ss. Vild e Modesto per passare a quello di santa Maria in Carinis: ed alcuni cherici regolari mariani della santissima concezione del regno di Polonia, sotto il reggimento delle scuole somasche, entrarono in vece de'monaci alla custodia del tempio. E cosi si rimasero le cose fino al primo deliramente re- pubblicano del governo di Francia. Nell'anno 1801 un modesto fraticello da Pistoia, per nome frate Antonino dell'ordine de'predicatori, vi fondò un piccolo conservatorio di povere zitelle: le quali, durante l'autorità dell'impero francese, furono fatte passare nel conservatorio Borromeo, e la chiesa venne data ili rettoria ad un sacerdote secolare. Nel 1813 una pia unione di sacerdoti ottenne la casa, un tempo monistero, presso la nostra dia- conia, e vi stabilì un ritiro a farvi gli esercizi spirituali, in cui altri non sì ricevono se non i giovani e gli uomini che vivono d'accattare il pane limosinando. Finalmente tanto la chiesa, quanto la casa che si sta presso, dalla san. mem. di Leone XII nel nuovo ordine delle parrocchie di Roma furono date a succursali della cura di santa Maria Maggiore. Ecco, per quello che io ho potuto sa- perne, la istoria del tempio. Facendomi ora a di- chiarare e ad illustrare le memorie che vi si con- servano, stimo bene di dar cominciamento dalle di- pinture, le quali, per quanto non siano bellis- sime opere d'arte, pure non voglionsi tralasciare per non rendere mozza questa mia descrizione. Tre sono gli altari che si vedono nella chiesa del ss. Vito e Modesto; e tre sono le dipinture che soprastanno ai medesimi. Quella del maggiore altare rappresenta san Bernardo ginocchioni che adora la Diaconia de ss. Vito e Modesto 283 Vergine , la quale si sta nel più alto del quadro col bambino Gesù alle braccia: opera che il Ti- ti (1) lia detto da alcuni credersi di Cesare Rosset- ti, e da altri di Pasqualino Marini. Ma Francesco Posteria ( come si appara dal Ranghiasci ), il quale fece le aggiunte e le annotazioni all'opera del Titi, dice essere di Andrea Pasquali di Recanati (2). Chiunque peraltro sia stato l'autore di quell'opera^ ha essa assai perduto sì pel tempo che l'ha in gran parte distrutta, e si perchè in quella età, non cer- tamente favorevole alle artij vi fu collocato un cor- nicione che passando in mezzo alla dipintura là ta- gliò in gUisa^ che il santo adora di sotto al corni- cione la Vergine che sta sopra; e perdutasi in tal guisa ogni proporzione, vedesi il santo dottore datf quasi del capo a quella informe opera muraria. L'altare a destra , dedicato a san Vito , è a somi- glianza dell'altro che gli sta di contro , foggiato a modo di edicola; ma sembra però di un'architettu- ra più antica di quella del secolo XV, in cui Si- sto IV rinnovò il tempio. Della dipintura dell'al- tare a sinistra di chi entra nella chiesa non met- te conto il parlare: tanto pare che ella sia sotto la mediocrith! Non così può dirsi dell'altro in onore del nostro santo, in cui stanno affreschi di buona mano, i quali senza meno sono da riportarsi all'e- tà di Sisto. Sono essi spartiti in due piani ^ infe- riore e superiore: nel basso la dipintura è con tre pilastrini scompartita, tutti decorati con certi or- (r) Descrizione delle pitture, sculture ed aixhitetture espo- ste al pubblico in Roma. Pagliarini 1763. (2) Annotazioni e aggiunte al Titi. Fac. 476. 284 Letteratura nati che sentono lo stile di quel tempo, e forma- no tre scompartimenti a maniera di nicchie. Nel centro è la figura di santa Margherita vergine e martire col dragone a'piedi; alla destra è san Seba- stiano, ed alla sinistra san Vito rappresentato in un gentile e bel giovinetto, che usa il vestire del decimo- quinto secolo, ha bionda zazzera, e stagli a'piedi un cane, certo a significare la speziai protezione in che esso tiene coloro che cadono, per morsi di cani , nel male della idrofobia. Nell'alto poi della divota anco- j ne divisa a modo di cimasa, della parte inferiore della j dipintura sta rappresentata Nostra Donna seduta in i trono, con al seno il suo divin figliuoletto; alla destra è santa Grescenzia nutrice di san Vito , ed alla sini- stra san Modesto suo marito , amendue compagni al beato giovinetto nel martirio e nella morte. Lo stile di queste pitture tiene assai della secchezza di quel- la etk, per ciò che spetta al disegno ed al trattar del- le pieghe e del panneggio; ma sono assai da avere in , pregio per la veritk che si scorge nella espressio- j| ne de' volti , e per la semplicità della composizione. Ora quest'opera d'arte sarebbe molto da riputarsi, se posto mente all'anno 1483 che vi sta segnato , e resi pili certi dal confronto che un qualche valente arti- sta facesse tra essa e l'affresco della pinacoteca vati- cana in cui vedesi Sisto IV che prepone il Platina alla custodia della biblioteca , e gli altri dell'anti- ca tribuna della basilica dei ss. XII apostoli , i quali ora sono nella sala capitolare di san Pietro in Vaticano: sarebbe molto, dissi, da reputarsi se po- tesse riferirsi a Marco degli Ambrogi detto Melozzo da Forlì, che appunto allora trovavasi in Roma in ufficio di pittore del pontefice , ovvero a qualcun Diaconia dr'ss. Vito e Modesto 285 altro di que'valorosi artisti, che nell'età del Peru- gino fiorirono ad onore di Roma e delle arti (1). Questo è tutto ciò che in fatto di dipinture sta nella chiesa de'ss. Vito e Modesto, e questo è pur tut- to che per me poteva dirsene. Ora verrò ad una ad una qui riportando tutte le lapidi che stavano nel tempio: e di coloro, alla memoria de'quaii sono con- sacrate, narrerò quei tanto in brevissime parole che per le istorie se ne sa. La prima lapide, che si pre- senta m mezzo alla chiesa, è quella di uno degli ulti- mi cardinali diaconi di questo titolo, cioè di Giusep- pe Livizzani modenese. Ecco come sta scritta; JOSEPH SANCTORVM . MARTYRVM . VITI . ET . MODESTI S . R . E . DIACONVS . CAR . LIVIZZANI . MVTINENSIS ^ VIXIT . ANNOS . LXVI OBIIT . DIE . XXI . MARTII . MDCCLIV ORATE . PRO . EO Questo cardinale fu segretario de'memoriall sotto il grande pontefice Benedetto XIV, da cui venne crea- to cardinale il dì 26 di novembre 1753: dignità che gode per soli tre mesi. (I) Faaos, confronto dal celebre pittore signor barone Camuc- ..' fZT^ "^ '''"'' '°° S'' ^^'" ^he si ammirano in varie citta dell Umbna e specialmente nella piccola chiesa di s. Gia- como f le eutà d. Spoleto e di Foligno, egli è nella ferma opi- Spagóa '^P'^'^^S" '""'^^'"'^ ^ Giovanni Spagnuolo detto lo 286 Letteratura Sopra questa lapide, più verso il maggiore alta-? re, è sepolto il cardinal Fabio degli Abati Olivieri di Pesaro, diacono ancor esso di cjuesto medesimo tem- pio. Ecco la lapide che sta innestata nel pavimento: B . O . M FABIO . DE . ABBATIBVS . OLIVERIO . PISAVRENSI DIACONO . SS . VITI . ET . MODESTI S . R . E . CARD. R . CLEMENTE . XI . P . M . CONSORBINO . SVO SVCCESSORI . A . PONTIFICIIS . DIPLOMATIBVS SIRI . SVBSTITVTO INTER . VTR . SIGNAT . REFERENDARIOS LATERANENSIS . BASILICAE . CANONICOS ET . PROTONOTARIOS . ADLECTO DEMVM . POST . EIDEM . COLLATAM APOSTOLICI . PALATII . PROPRAEFECTVRAM IN . PVRPVRATORVM . PATRVM . COLLEGIVM PRID . NON . MAI . AN . MDCCXV . COOPTATO yiRO . ANIMI . MODERATIONE . IVSTITIA . PIETATE OMNIBVS . ORDINIBVS . SPECTATISSIMO PHILIPPVS . DE . ABBATIBVS . OLIVERIVS FRATRIS . FILIVS BENEDICTI . XIV . AB . HONORE . SACRI . CVBICVM PATRVO . OPTIMO . POSVIT VIXIT . ANN . LXXIX . M . IX . D . Vili PBIIT . V . ID . FEBR . A . MDCCXXXVIII ORATE . PRO . EO Fabio degli Abati Olivieri di Pesaro fu cugino aj Diaconia de'ss. Vito e Modesto 28T pontefice Clemente XI, per esser nato di Giulia Alba- ni sorella al padre di esso pontefice. Sendo stato no- minato pro-maggiordomo, fu innalzato al cardinala- to da Clemente il dì 6 di marzo, correndo l'anno 1715. Poscia venne eletto segretario de' brevi, nel cui officio servì eziandio i pontefici Innocenzo XIII e Clemente XII. Era nato il dì 29 di aprile 1656, e morì il dì 9 di febbraio 1738. In terra, a sinistra delle due trascritte lapidi, si legge questa iscrizione: MCCCCC D . o . M DEPOSITV . ADAMATIS QVONDA . VXORIS ANTONII . DE . NOVAPJA ANO . IVBILEI DIE . 24 . lyNH i5oo pili si fosse questo Antonio da Novara noi so, niun' altra memoria essendovi di lui che la lapide stessa. Io avviso però, che essendo stata questa chiesa per qualche anno cura di anime, può essere assai fa- cilmente intervenuto che nel trovarsi il buon An- tonio da Novara di stanza nella parrocchia, essen- dogli mancata la consorte, volesse con questa sem- plice iscrizione lasciarne una memoria agli avvenire. Ancora innestata nel pavimento stava la ser guente iscrizione: 288 Letteratura D . O . M HIC . HIERONYMI NIGRI . VERONEN EPI . CLVGIEN OSSA . REQVIESCVNT CAROLVS . lANVTIVS F . F ANNO . D . MDLXXXVI. Girolamo Negri veronese, protonolario apo- stolico, successe nel vescovato di Chioggia a Fran- cesco Pisani veneziano il dì 18 di ottobre 1573. Dopo aver egli retta lodevolmente per cinque anni quella chiesa, avendola rinunciata, se ne venne a Roma, dove non molto appresso morì. Alla destra del tempio sul pavimento si leg- geva quest'altra iscrizione mancante in qualche parte: D . o . M D . BALDVINO . MORELLO . S . TI EX . BELGIO . ORIVNDO . MON , ROSERIIS . IN . GOMITA BVRGVNDIAE . ABBAT . RE ROMAE . APVD . 8 . PONT ORDINIS . CISTERC VICARIO . AC . PRO GENERA OBIIT . AN . SAL AET . SV DIE . XX Diaconia de'ss. Vito e Modesto 289 In mezzo era lo stemma con sopra l'impresa, e sotto vi si leggeva: GRATI . ANIMI MONVMENTVM . POSVIT Ninna notizia posso io dare di questo abate cir- sterciense, e ninna hanno saputo darmene i ci- stcrciensi stessi, avendo essi ne'passati rivolgimenti politici perduto l'archivio in cui erano conservate le memorie piìi solenni del loro ordine. Sopra a questa iscrizione un'altra n* era che cosi diceva: G.A. T.LXXIII. 19 290 Letteratura D . o . M HIC . lACET . RDVS . ADM . D FELIX . RECHETMBERGER HVIVS . YEN . ABATIAE . B . M DE . PLASSIO INCLYTI . ORDINIS . CISTERCIENSIS IN . BOEMIA RELIGIOSVS . PROFESSVS ET . IN . COLLEGIO . STI i BERNARDI PRAGENSIS SAC . THEOL . PROFESSOR ROMAM . VENIT . DIE . IV . NOVEMBRIS MDCCXXXVIII ET . DIE . IX . MENSIS . EIVSDEM . PIISSIME OBDORMIVIT . IN . DOMINO REQVIESCAT . IN . PACE AMEN SEPVLCHRALEM , HVNC . LAPIDEM APPONI . CVRAVIT . RMVS . DD PHILIBERTVS . QVARRE ABBAS . DE . VTERINA . VALLE ET . ORDINIS . CISTERCIENSIS APVD . STAM . SEDEM GENERALIS . PROCVRATOR Questo religioso , alla cui memoria è intitolata lai* lapide, fu professo nell'abazia di Nostra Donna di m Plus, in latino Plassumj nella diocesi di Praga nel DiAcoitiA dk'ss. Vito e Modesto 291 régno di Boemia: e più di quello die nella lapide è ricordato, non mi è venuto fatto di sapere di lui. L' abate Filiberto Quarre fu abate di Casserthal nel ducato un di, ora regno di Wittemberga, dio- cesi di Spira. Sendo aì)ate , nel capitolo generale dell'anno 1738, celebrato nel mese di maggio, fu eletto a procuratore generale. Morì a'24 di aprile 1739. Queste notizie del Quarre ho io potuto estrar- re dalla lapide che in memoria di lui sta nella chie- sa di santa Croce in Gerusalemme, chiamata basilica sessoriana, di contro all'altare di sant'Elena: ed è ivi predicato nomo per santità di vita, per dot- trina, per erudizione e per prudenza chiarissimo. A sinistra dell'aitar maggiore sta il piccolo de- posito del cardinal Carlo Visconti, col ritratto del medesimo in marmo, sotto di cui cosi sta scritto: B . O . M . IlAROLO . VICECOMITI . MEDIOLANENS . S . R . E . CARDINALI QVI » A . PIO . un . P . M . E . SENATV . REGIO . AD . EPISCOPATVM i IWDE . AD . CARDINALATVM . PROVECTVS . MVLTIS . AD . REGES *' IMPERATOHESQ . LEGATIONIB . SVMMA . CVM • LAVDE . PERFVNCTVS : VETVSTISSIMAE . GE>'ERIS . SVI . NOBILITATI . PRAECLARE . OMNI 11 EX . PARTE . RESPONDIT • VIXIT . ANN . XLII . OBUT • HOMAE . ID I HOVEMB . AN . SAL . M .DLXV . KAROLVS . VICECOMES . ALB12AT1 COMES . MAGNO . PATRVO . B . M . P . Io mi penso che più di ciò che si legge nella la- pide non possa dirsi di questo cardinale, rapito sì giovane alla chiesa, all'imperio ed alla patria. Solo aggiugnerò, che egli fu diacono de'ss. Vito e Mo- desto, ed uscito di nobilissima famiglia milanese j come fu quella de'Visconti: e che essendo stato già Ij ambasciadore della sua patria alla maestà di Filip- po II, e protonotario apostolico e vescovo di Venti- 292 Letteratura miglia, ascese al cardinalato, in cui dopo poco tem- po mori. Or passando dietro l'abside del grande altare, vi si trova la seguente iscrizione ; FEDERIGVS . COLVMJyfA ' • PALIANI . PRINCEPS A . RABIDO . CANE , ADMORSVS B . VITO . LIBERATORI . SVO AEDEM . RESTAVRAVIT A . D , M . DG . XX Federico Colonna, principe di Paliano e di fiute- rà e duca di Tagliacozzo, fu figliuolo primogenito del gran contestabile Filippo e di donna Lucrezia TomacelH, e tenne ancli'egli la dignità di gran con- testabile del regno di Napoli. Uomo valorosissimo della sua età, avendo militato in Ispagna, entrò tan- to nella grazia del re Filippo, che lo v'olio con- giunto in matrimonio con una sua parente, cioè con donna Margherita d'Austria ereditaria de'principati di Butera e di Pietrapercia, nata da Giovanna d' Austria figliuola a quel famoso che vinse i turchi alle Echinadi. Quindi fu viceré d'Aragona, e mori gloriosamente difendendo Tarragona assalita da* francesi e da'catalani. Questi morso da un cane, e rimaso libero dalla rabbia di esso per intercessio- ne di san Vito, sciolse il suo voto, racconciando I^ nostra chiesa a questo santo intitolata, Sotto questa iscrizione sta la grande lapide, in cui si parla della solenne consagrazione fatta del tempio dei ss. Vito e Modesto dal cardinale Enrico Caetani, e della concessione formale che nel mese di febbraio dell'anno 1586 il pontefice Sisto V HQ Diaconia de'ss. Vito e Modesto 293 diede alle monache di san Bernardo. E perchè nul- la manchi in questa mia descrizione, ecco che qui la riporto a parola: D . O . M . MDLXXXVI . IDIB . FEBRVARII . S . D . M . SIXTVS . PP . V CONCESSIT . HAC . TIT . ECCLIAM . CONFHIB . S . BERNARDI . PROCVRAN F . MICHAELE . ALEXANDRINO . ET . DECIO . AZZOLINO . CARDD PATHONIS . PRO . MONRIO • MOSflALIV . A . D . CONFRATE. COIVSTRVEN REMANEN . TN . DENOMINATIONE . TT . CARD . QVAM . DIE . XX MARTII . EIVSDEM * AN . ENRICVS . S . R . E . TI . S . PVDENTIANAE PRAESB . CARD . CAIETANVS . ET . PATRIARCHA . ALEXANDRIN . ASSISTE.V SIBI.RAPHAELtO.BONÉLLO.ARCHIEPO.RAGVSlNO.CAMltLO.DADDEO. EP ERVGNATEN . CVRTIO . ClNQVlNO « DIAC . ET . XPHARO . EVBALO . SVB DIAC . CANCIS . BASIL . S . M.M * CONSECRAVIT . AD . HONOREM . SS . VITI MODESTI . ET . CRESCENTIAE . MARTYR . AC . BERNARDI . ABB . ET. IN ALTARI.MAIORE.INCLVSIT.RELIQVIAS.SPIOR^SS.MARTYR.ET.SS.IACOEI MAlORIS . APLI . MARCELLI NI . PP.ET . MART . GREG . PP . PMI . BIBIANAE VIRG.ET . MART.ET . ALIOR . PLVRIMOR . SS.INSTANTE . PETRO . FVLVIO V . I . D . PRIORE . HORATIO . FVSCHO . ET . ANDREA . ARBERINO CVSTODIBS . AC . CAMILLO . CONTRERA . CAMERARIO . PRAEFATAE CONFRATERNITATIS A toccare alcun che dei porporati ricordati in questa iscrizione, dirò essere il cardinale Michele alessandrino il cardinale Michele Bonelli nipote di san Pio V, da cui fu onorato della porpora in età di venticinque anni nel 1556. Nell'anno 1568 fu fatto carmelingo di santa chiesa, e appresso gran priore in Roma dell'ordine gerosolimitano , e ve- scovo di Albano. Fu uomo gravissimo, e di gran- dissima autorità nelle cose della chiesa anche sotto i seguenti pontefici. Morì nel 1598 d'anni 57. Il cardinal Decio Azzolino di Fermo da segretario di Sisto V, e da vescovo di Cervia, fu da esso pon- tefice innalzato alla sacra porpora nell'anno 1 585, 294 Letteratura e fatto arciprete della liberiana basilica di santa Maria Maggiore; morì giovanissimo nel 1587, non avendo oltrepassato gli anni 38 della età sua. Da ultimo il cardinal Enrico Caetani romano, dei du- chi di Sermoneta, da Sisto V ebbe il patriarcato alessandrino, e nell'anno 1585 la porpora. Sosten- ne pili legazioni, e quindi fu carmelingo. Ebbe fa- ma di principe sovra ogni dire caritatevole, e per si fatto modo, che per far limosine vendè tutti i suoi vasi sacri e tutte le suppellettili. Pienissimo di me- riti si morì nell'anno 1599, sendo nato nel 1550. Avendo, come meglio ho potuto, dichiarati i monumenti, ed illustrate le memorie che si cout- servano nella celebrata diaconia dei ss. Vito e Mo- desto (le quali nella più gran parte, a cagione de' nuovi lavori ivi eseguiti, sono state raccolte in un androne dietro il maggiore altare), è a doversi par- lare da me al presente del plìi classico monumento che ivi medesimo si stia; intendo dire della pietra denominata scellerata^ che alla pubblica venerazio- ne, chiusa in un ferriata, si giace dal lato destro dell'altare ai nostri santi martiri intitolato. Ecco ciò che vi si legge sopra: Diaconia de*ss. Vito e Modesto 295 AETERNAE . ANIMAE L . AELII . TERTI . CAVSIDIGI QVAE FVIT . CON BIGIO ANNIS XXX CVIV PERV ARME.... DVL GISSIMO . Fino . L . AELIVS TERTIVS . PATER . HVNG . PLAGEN TIA . HABET . PATRIA . QVEM . ROMA GREAVIT . MARMOREO . POSI TVM . SOLIO . ARAMQVE . SAGRA VIT . IN . HORTIS . ALLI . FILETIANI CARISSIMI . AMICI . CVRANTE L . AELIO . COMA . PATRVO . FILIO INNOGENTISSIMO E nella base sta ANGPOniNA E perchè a me piiace sempre dì riferir le cose a cui si spettano, voglio che per ognuno si sappia, come per mia mala ventura essendo io poco o nulla sperto in questa sorta di studi lapidari, ho voluto consultarne tre miei dotti ed onorandi amici, il ca- valiere Pietro Ercole Visconti, il reverendo padre Giampietro Secchi della compagnia di Gesti, ed il marchese Giuseppe Melchiorri, ciascuno de' quali , cortesissimo com' è per bontà di animo , mi ha a- perto il suo parere ; ed ecco ciò che intorno ad un tal monumento può dirsi. 396 Letteratura La iscrizione, che qui sopra ho riportata a pa- rola, trovasi stampata nel Fabretti a facce 387, e nel Muratori a facce 667, 5. Il Fabretti ha stam- pato Allius, ed il Muratori Aeliiis : dicendo il se- condo : ex Ligorio. E questa volta davvero Pirro non è stato impostore, perchè il Muratori ha detto appuntino come visibilmente si legge nel marmo. Or ecco che il Fabretti, stampando Allius^ in luogo di Aelius^ toglieva questa memoria alla famiglia Elui per darla aiìì'Allia, che vi apparisce solamente in Allio Filetiano amico e non parente, negli orti del quale stette il sepolcro. Nelle linee 3, 4, 6, 7 sono nel Muratori alcune lettere che mancano nella copia del Fabretti. Singolare è altresì, a quel che ne dice il Visconti, fondatosi sulla autorità del Grutero (1) e del Fabretti (2), il leggersi in questa lapide al luogo della solita intitolazione agli dei mani quella affatto non usata aeternae animae, che è la più ma- nifesta prova che in marmi scritti si abbia della speranza di una vita avvenire non ignota ai gentili medesimi. La qualifica di causidico^ con la quale è chiamalo L. Elio Terzo, ci fa conoscere la condi- zion sua. Le linee perdute, che il Fabretti annota dicendo r Ubi lacuna vertitur, lapis in medio ex- ca\>atus est, et circiim circa attritus contactu et o- sculis Christi fìdelium : ne dicevano la età. Il pa- dre, omonimo al figliuolo, è quello che pone il mo- numento: e, secondo l'uso che gli antichi avevano di dettare essi medesimi le funebri loro memorie poste ai più cari, forse egli fu l'autore de' due se- (i) Fac. CCCCXXIV n, 5, e MCVH. n. 2. (2) Fac. 378 a 379. Diaconia, de'ss. Vito e Modesto 297 guenti versi esametri scritti assai alla buona, se pure non uscirono dal dettatore dell'epigrafe contra sua voglia : e sono : Himc Placentia habet, patria quem Roma creavit. Marmoreo positum solioj aramqite sacravit. Vi sono due sbagli di quantità, uno de' quali po- trebbe difendersi : sono però amendue chiarissimi. Da questo tratto della iscrizione ad alcuni si fa ma- nifesto (alla sentenza de' quali io fortemente m'acco- sto), che il causidico L. Elio Terzo era nato in Roma, e morto in Piacenza : ad altri pare che invece fosse egli nato in Roma, ed avesse avuto stanza, forse per diritto di cittadinanza o per alcuna particolare magi- stratura, in Piacenza. Questi si confortano delle pa- role marmoreo positum solio, e dell'essere in Roma il cippo : quelli oppongono , che il cippo può ben chiamarsi un cenotaffio posto negli orti di Allio Fi- leziano, e che il dirsi Placentia habet, e non habuit, chiaramente indica ch'Elio Terzo stava allora in Pia- cenza; ne in altro modo poteva starvi, che morto. Ed aggiungono, che questo Placentia habet fu probabil- mente imitato dal tenet Parthenopes della famosa la- pide del sepolcro di Virgilio. Seguitando poi il pa- rere del chiarissimo padre Secchi non è piìi a porsi in dubbio, che Aelius Tertiiis ed Aelius Coma sieno que' due personaggi medesimi che compariscono in un marmo matteiano pubblicato dal Grutero (1), che l'ebbe dal Gudio, poscia dalfAmaduzzi (2) e dal Cor- (i) Grutero p. 1090: i4> iS, i6. (2) Mouum. Matthaelan. Clas, X, inscript. n. 2, voi. IH fac. io3. 298 Letteratura siili (1). L'ara matteiana è scritta da tre Iati, e vi si legge così ; Dì faccia HIG . CONSERVATA . EST SEX . AELI . TERTI . GONIVX SERGIA . SYNTIGHE . SERGI PAVLI . QVONDAM .' PR AEF VRB . ALVMNI . GHRYSIPPI ALVMNA . FEGERVNT . AELII TERTIVS . ET . GOMA . INGOM PARABILI . FEMINAE ^l lato destro D.M SEX . AELI . VIGTO RIS . SGRIBAE . QVAE STORI . FEGERVNT AELII TERTIVS . ET . GOMA PATRVO u^l lato sinistro D.M L . AELI . PERPETVI LEGATIONE . FVNGTI PATRIAE . SVAE . COLONI AE . VLPIAE . THAMVCA DIS.EX .NVMIDIA FEGERVNT AELII . TERTIVS . ET . GOMA FILII . LEVGADIO (i) Series praef. iirb. fac. 8x, 82. Diaconia de'ss. Vito e Modesto 299 Per le quali epigrafi è a doversi conchiudere, che questa famiglia (giusta le deduzioni savissime del lo- dato padre Secchi) era aflfricana, e venne in Roma fino dal tempo dell'imperatore Adriano: imperocché il Marini (1), abbandonate le ragioni non vere del Cor- sini che assegnò all'anno di Cristo ITO la prefettura di quel Sergio Paolo, la fissò all'anno 173 circa, ed a Sergio aggiunse il prenome di Lucio sulla fede di una base pel Marini medesimo pubblicata : e per questo modo abbiamo noi un' epoca certa da asse- gnare a questo marmo di s. Vito, detto pietra scelle- rata. La nostra iscrizione facilmente, se non è come la lapide scellerata, è certo gentilesca, ad onta di t^ìXQÌV animae aeternae del buon avvocato Elio Terzo, il quale era probabilmente platonico. Questa frase fa un bel contrasto coli' ANePQniNA come vuole il chiarissimo padre Secchi che si scriva, e non già come scorrettamente sta nell'originale: pa- rola che latinamente suona il medesimo che umanitus^ ovvero humanam est, ed in volgare è cosa umana, ovvero è umano, o meglio umano è. Da ultimo è d'av- vertire, che tantp il Fabretti, quanto il Muratori omi- sero di notare, forse perchè non l'osservarono a ca- gione del guasto grandissimo della pietra, che dal lato sinistro vi sta una patera, come dal lato destro (na- scosto al presente dal muramento) doveva essere il prefericolo: il perchè il nostro monumento, piut- tostochè pietra sepolcrale, deve chiamarsi cippo. (i) Lettera di Clemente Cardinali intorno alla serie dei pre- fetti di Roma del Corsini, pag. 26, osservazione XXXVII. 300 Letteratura E qui avrebbero fine le memorie, che nella no- stra diaconia si conservano : se non che date queste ad esaminare ed a raffrontare al mio chiarissimo ami- co signor cavalier Visconti con un suo prezioso codi- ce, in cui si vedono diligentissimamente scritte tutte le lapidi che si leggono nelle chiese di Roma, ho avu- to da lui la notizia, che il celebre Mazzocchi aveva pubblicato una iscrizione, la quale al suo tempo tro- vavasi nella chiesa dei ss. Vito e Modesto nel basa- mento dell'aitar maggiore (1). Stando così la cosa, ho io stimato bene di qui riferirla, e di darne la illu- strazione. Così si legge : FL . EVRIGLES . EPITYNCANVS . V . G PRAEF . VRB . CONDITOR . HVIVS . FORI CVRAVIT Nel Iato medesimo sta scritto : COLL . X . KAL . FEBR ARRIANO . ET . PAPO . COS Ancor questa iscrizione e stata da due pubblicata, dal Grutero cioè (2) e dal Corsini nella sua opera della serie de' prefetti di Roma (3) all' anno 243 dell* era volgare; ma questo secondo, per quanto sia stato dot- tissimo in antichità, è caduto in un'assai grave inesat- tezza, avendo tralasciata la voce curavit, e malamente congiunta la iscrizione d'un lato con quella dell'altro (1) Mazzocchi, Epigr. anticjuae urbis cap. XXXV. (2) Fac. i68. 7. (3) Fac. 129. Diaconia de'ss. Vito e Modesto 301 senza darne contezza. Egli ci fa conoscere che VEpì~ tincano prefetto della ciltk, di cui è qui discorso, sostenne la sua dignità l'anno di Roma 996, di Cri- sto 243 (1). Spiega inoltre il compendio Coli, per col- locavit ; ma il chiarissimo padre Sacchi stima che sia un participio da riferirsi alla statua posta su que- sta base ; ed intanto egli così opina, in quantochè la iscrizione ricorda un forum, che probabilmente era dinanzi la basilica di Siciaiino, situata, come ognun sa (2), fra le chiese di san Vito e di sant' Antonio abate; e d'altronde quasi nessun foro di basilica ne mancava (3). Il Visconti per contrario crede, che questa opera pubblica dì un foro possa riferirsi alla rinnovazione fatta del macello liviano sotto nome di foro : come il forum olitorium, piscarium,: e ciò, se- condo lui, sarebbe prova che quel nome non durò fino alla seguente età. I consoli finalmente nominati nella iscrizione erano L. Annius Arrianus e C. Cer- Sfonius Papus nell'anno V di Giordano III e di Ro- ma 996 (4). Ce li dà intieri un diploma militare pubblicato già dal grande Marini (5), ed ultimamen- te dal chiarissimo Clemente Cardinali (6). E qui abbia fine la seconda parte di questa mia descrizione. (i) Corsini a fac. iQg. (2) Nardini, Tom. II fac. 4i. Nibby nota 2. (3) Grutero fac. 7, e Nardini. (4) Eckhel D. N. V. VII fac. 3i3r (5) F. A. pag. 466 n. XIII. (6i Dip. mil. fac. XXV. 302 Letteratura PARTE TERZA. Nuovi lavori operati nel tempio. Non potranno mai da' cortesi leggitori giusta- mente pregiarsi i nuovi lavori operati nella dia- conia de'ss. Vito e Modesto sull'Esquilino, se prima con parole brevissime da. me non si dà un cenno di ciò ch'era questo tempio fino a tutto il mille ottocento trentasei. Certamente non in Roma, ma quasi nel piìi riposto e deserto contado, non era chiesa che più di quella mettesse ribrezzo a chi vi entrava, sia che si fosse fermato a ragguardarne il tutto , sia che diligentemente si fosse fatto ad esaminarne a parte a parte il fabbricato. Piuttosto che reputarla un tempio consagrato ad onorare Id- dio, sarebbesi avuta per una spelonca e forse peg- gio. Era fa in sul liminare un bussolone, a somi- glianza di rastello, di cui più villana cosa non po- trebbe immaginarsi; una scala di legno, a pubblica veduta di chi entrava in chiesa, menava sopra ad una cantoria si rozza e si goffa, che ninna maniera di disegno se ne sarebbe potuta trarre, e tutta nel parapetto formata a travicelli entro il muro inte- stati. Le pareti erano oltre ad ogni dire brutte e deformi: un bianco opaco tutte da cima in fondo le velava: qua e la n' erano venuti a terra gli in- tonachi, e mostravano il mal fermo stare di esse, ed in ispezialta quelle alla sinistra parte vedevansi imbevute dalla umidita, e pel salnitro intromes- sovisi comprese da muffa e tramandanti fetore; e ciò a cagione del campo santo, che da quel lato nel- l'esterno aveva il suo terrapieno addossato alle pa-» Diaconia db'ss. Vito b Modesto 303 reti della chiesa, in un'altezza di piìi palmi mag- giore al piano di essa. E questo piano oh che mi- serabile cosa era a vedersi! Perchè tutto formato a mattoni, nella piìi gran parte spezzati o corrosi dal tempo e dalle acque piovane che giù dai tetti vi cadevano sopra. Di soffitto non parlavasi punto, e tutte vedevansi a giorno le armature del tetto, le quali in qualche punto, perchè putride e logore, fortemente minacciavano di rovinare e precipitare a terra la parte superiore del tempio. L'abside, che ab antico era stato fatto nel maggiore altare, con barbarie non più veduta né udita mai, venne nel passato secolo chiuso in guisa, da formare un qua- drilatero. In jSne per compire sì miseranda descri- zione è a dirsi, che piuttosto che lasciar quella chie- sa in uno stato di così grande sconcezza, indegna di un santuario, valeva assai meglio distruggerla e pareggiarla al suolo: perchè se Iddio in c^uel tem- pio non sarebbe mai più stato adorato , almeno non sarebbe andato incontro a riceverne, con que- gli sconci che mostrava , disonore e vergogna. Ma r ottimo nostro principe , il santo padre Grego- rio XVI di ogni più bell'opera amantissimo, non poteva permettere che una chiesa sì celebrata per antichità, e da un suo antecessore eletta a succur- sale della basilica liberiana, o cadesse a terra per vecchiezza, o si rimanesse in quello stato di vitu- perevole decadimento. Il perchè, approvati i consi- gli di S. E. Rma monsignor Antonio Tosti tesoriere generale, ordinò i nuovi lavori che a quel tempio si convenivano, commettendone la direzione a quel- la speziai commissione deputata alle fabbriche ca» merali, di cui trovasi degnamente a capo il signor don Prospero Sciarra Colonna principe di Roviano. 304 Letteratura il quale se in ogni cosa che dal sovrano gli si com- mette pone amore e zelo grandissimo , in questi lavori ha saputo mettere si fina diligenza, e sì fran- co e regolato procedimento, che si è ottenuto il fi- ne che dal sovrano medesimo si bramava con po- chissimo dispendio del pubblico erario. Il che sia qui detto a lode di quell'illustre cavaliere , ed a confessione del vero. Or ecco ciò che in quel tempio si è operato. Le armature dei tetti nella più gran parte sono state rinnovate , e tutti generalmente racconciati , non intralasciando di porre ogni possibile studio in ben fermare la solidità di que'muramenti, che for- mano l'insieme del fabbricato, e che più partico- larmente sostengono la grande copertura dei tetti medesimi. Le armature de'tetti vedonsi ricoperte di un soiHtto a lacunari di forme quadrilatere a va- rie grandezze, spartito da fasce, o costoloni, a sim- metrica disposizione: fra'quali sta, come è dovere, in veduta quello di mezzo di forma ettagona, en- tro cui è dipinta la impresa del pontefice regnan- te, chiusa a festoni di forma elittitìa a foglie d'al- loro. Negli altri lacunari si vedono a chiaroscuro variamente dipinti diversi involucri e rosoni di or- nato, come dicesi, a frappatura. Le pareti sono di- pinte a somiglianza di un binato di pilastri d'or- dine ionico , ai quali soprasta la trabeazione che investe il già detto soffitto. Tre binati per ciascun lato maggiore si veggono disposti in maniera, che ì due altari laterali stanno nel mezzo del prima binato verso il grande altare, e gl'interpilastri , non che i pilastri medesimi, sono a svariati colori di- pinti ad immitazione de'marmi. Ciò fu operato dal- l'ingegnere romano signor Giuseppe Frattini. Diaconia de'ss. Vito e Modesto 305 L'essere stato con provvido consìglio abbattuto il muro che chiudeva l'abside, ha reso il maggior altare tutto isolato, e si vede bello e maestoso qua- si signoreggiare il tempio. Quindi, coU'opera del- l'architetto signor cav. Gamporese, all'abside è sta- ta ricostrutta la volta a foglio di mattone , ed in essa stanno spartiti de'cassettoni a croce greca, con un fondo azzurro, a guisa di smalto; in fine le pa- reti, che girano sotto le imposte della volta, sono state divise e dipinte a grosse pietre di marmi. L'aitar maggiore e l'anterior presbitero sono chiusi da una nuova balaustra a due portate , di marmo carrarese e di altri mischi, sopra un gra- dino a tutta larghezza della chiesa, formata da una base ed otto pilastri con isfondi di marmo detto porta santa, che sostengono la cimasa simile di car- rarese. Essi pilastri suddividono sei spazi, quattro de'quali raccliiudonsi a griglie di marmo, e due a balaustri di marmo frigio detto paonazzetto. Una terrazza alla veneziana nel piano piii elevato del presbitero e dell'abside ne forma il pavimento, a scomparto di variate tinte a fasce, che lo racchiu- dono ad imitazione de'marmi. La dipintura a fresco del san Bernardo in atto di adorar la Vergine, che stava nel maggior altare di questo tempio , perchè dagli intendenti venne giudicata meritevole di conservarla alla istoria del- Tarte, è stata dal muro distaccata dal valente ar- tefice signor Pellegrino Succi , e riportata in tela con quell'apparecchio e maestria che soltanto qm in Roma conoscesi; ed altro quadro è stato a quel- la dipintura sostituito (1). (i) La dipiuFura è stata incassata nel muro dietro 1' aitar maggiore. G. A. T. LXXin. 20 306 Letteratura Di contro al maggior altare si è fatto un nuo- vo coro, il quale è sorretto da due colonne d'or- dine dorico , e da due pie diritti che intestano ne' muri laterali: uno de'quali chiude in se una scala a chiocciola per ascendervi sopra, essendosi nell'altro formata una piccola stanza a fine di rìporvi qualche arredo del tempio. Tutto questo coro, o cantorìa che voglia chiamarsi, è collegato con la trabeazione pari' mente di ordine dorico; sopra cui una continuata sponda di balaustri di doppio ventre , come dicono gli architetti, interrotti da pilastri, racchiude e cin- ge il luogo deputato a quel sacro rito di salmodia. Nell'altezza poi dell'arcbitrave e del fregio , sullo spazio dell'intercolunnio di mezzo , si legge questa iscrizione; OMNIPOTEWTI . DEO . SACRVM IN.HQNOREM.SANCTORVM.VITI.MODESTI.ET.CKESCENTIAE.MARTYRH. AEDEM . A . 3AECVL0 . CHE • lUI . CELEBREIW QVAM . SIXTVS . lUI . P . M . AB . INCHOATO . REFECIT GREGORIVS . XVI . P . M . VETVSTATE . DILABENTEM WOVO • CVLTV . RESTITVIT . AN . M . DCCC . XXXVII CVEAM . AGENTE . ANI . TOSTIO . PRAEF . AEHAhI Gli antichi altari laterali , de'quali nella seconda parte di questa descrizione ho dato qualche cenno, sono stati ridipinti a foggia di marmo bianco per metterli in armonia col restante di tutta la chiesa. Il pavimento poi è stato tutto intero restau- rato, vedendosi ammattonato nella piìi gran parte, e chiuso da fasce di marmo. E perchè poi la umi- dita , che s'intrometteva nell'interno della chiesa dalla parte ov'è il campo santo , piìi non recasse quei danni che tanto avevano contribuito a rovi" Diaconia de'ss. Vito e Modesto 307 nar il tempio, con molta avvedutezza è stato for- mato , a guisa di un fosso , un'intercapedine fra il muro esterno della chiesa ed il terreno del campo , in modo che ora il fondo di quell'intercapedine, co- perto a selciata, sta più Lasso del pavimento della chiesa : e nell'interno di esso tempio si è levata via una parte di muro in grossezza , e si è co- strutta una fodera di tegoloni distaccata dal mu- ro medesimo: il quale era imbevuto di quella umi- dita: e ciò perchè non ritorni fuori a nocumento delie riformate pitture. E qui non posso trala- sciare di far sincerissimi voti, perchè somiglianti I provvedimenti siano posti in pratica in molti al- tri templi di questa Roma, affinchè in tutto non periscano tanti monumenti insigni della religione e dell'arte: e specialmente, per addurne un esem^ pio, nell'antichissima chiesa de'santi Nereo ed Achil- leo, ove, per la grande umidità che si è messa dentro, vanno in gran parte perdendosi que'cele-r iratissimi musaici che vi si ammirano. Così a novella vita è stato ora restituito l'an- tico e celebrato tempio de'ss. Vito e Modesto per comandamento del regnante sommo pontefice Gre- gorio XVI. Deh! conceda il cielo all'ottimo e cle- mentissimo principe giorni lunghi e felici, a prò della religione, ad utilità de'popoli, ad incoraggia- mento delle arti] 308 Letteratura APPENDICE Baronia i ad ann. Christi 192, sotto il pontifi- cato di s. Eleuterio papa. - Imp. Commodo. num. k. Cita alcuni martiri: che diteti ad petram sce- leratam {sic hahent hanc acta antiquitus scripta , quae in nostra hihliotheca asservantur ) plumbatis necati sunt. Questi atti narrano, che i detti santi martiri patirono il martirio ante amphitheatrum : dal che deduce il Baronio, che presso 1' anfiteatro fosse ouel luogo. Avverte, che in altri atti dei mar- tiri s'incontra la menzione di questa pietra, non no- minata dagli scrittori gentili, i quali ricordano ben- sì il vicum sceleratum^ portam sceleratam^ castra scelerata, campum, sceleratitm. Pare che egli opi- nasse il primo, che la pietra che è a s. Vito {lapis ille sepulchralis inscriptione hominis gentilis nota- tus)t fosse la pietra scellerata. O pure crede che fos- se quella che è a s. Pietro poco lungi dalla porta santa, e dice: Porro alteram earum eiusmodi nomen consecutam esse, nulla est penes me dubitatio. ELENCO Dei cardinali che hanno avuto per titolare la diaconia dei ss. Vito e Modesto. Leone cardinale diacono di s. Vito, monaco e aLate del monastero di s. Clemente. È incerto da Diaconia de'ss. Vito e Modesto 309 qual pontefice sia stato creato cardinale. Mori sotto il pontificato di Pasquale II. Amico ^ monaco e abate di s. Lorenzo fuori del- le mura , creato cardinale da Pasquale II , e morto nel pontificato di Calisto II. Gregorio cardinale di s. Vito^ 11 quale si trova tra'cardinali che sottoscrissero nel 1123 la bolla da Calisto II diretta al vescovo di Genova. Lucio Boezio,, romano, monaco di Vallombro- sa, creato cardinale nel 1134 da Innocenzo II, e morto nel 1147. Rinaldo Brancaccio napolitano, creato da Urba- no VI nel 1381, e morto nel 1427. Jacopo Antonio ì^enerio, o sia Veniero^ da Re- canati, creato cardinale da^ Sisto IV nel 1473, e mor- to nel 1479. Giambattista Savelli, di una delle più famose famiglie di Roma , creato da Sisto IV nel 1480 , e morto nel 1494. A Scanio Maria Sforza, dei duchi di Milano , creato da Sisto IV nel 1484, e morto nel 1503. Carlo Domenico del Carretto, genovese, dei marchesi del Finale, creato da Giulio II nel 1505, e morto nel 1514. Nicolò Ridolfi, fiorentino, nipote di Leone X per parte di sorella, dal medesimo fatto cardinale nel 1517, e morto nel 1550. Guido Ascanio Sforza, dei duchi di Milano, de- nominato il cardinale di Santafiora, creato cardina- le da Paolo III nel 1534, e morto nel 1564. Carlo Caraffa, napolitano, creato da Paolo IV nel 1555, e morto nel 1561. S. Carlo Borromeo, milanese, creato da Pio IV nel 1560, e morto nel 1584. 310 Letteratura Carlo Visconti^ milanese, creato nel 1505 da Pio IV, e morto dopo otto mesi. Giudo Ferreria vercellese, creato da Pio IV nel 1565, e morto nel 1585. ^Scanio Colonna^ romano, figlio del celebre Marcantonio Colonna, creato da Sisto V nel 1586, e morto nel 1608. Buonviso Buonwisi^ lucchese, creato nel 1598 da Clemente Vili, e morto nel 1603. Lelio Biscia, romano, creato da Urbano Vili nel 1626, e morto nei 1638. Benedetto Monaldi Baldeschi, perugino, crea- to da Urbano Vili nel 1633, e morto nel 1644. Federico Sforza, romano, dei duchi di Segni, creato nel 1645 da Innocenzo X, e morto nel 1676. Francesco Maria Mancini, romano, creato da Alessandro VII nel 1660, e morto nel 1672. Giovanni Delfino, veneto, creato da Alessandro VII nel 1664, e morto nel 1699. Fabio degli Abati Oli\>ieri, pesarese, creato da Clemente XI nel 1715, e morto nel 1738. Domenico Orsini, romano, dei duchi di Gravi- na, creato da Benedetto XIV nel 1743, e morto nel 1789. Giuseppe Livizzani, modenese, creato da Bene- detto XIV nel 1753, e morto nel 1754. Luigi Maria Torrigiani, fiorentino, creato da Benedetto XIV nel 1753, e morto nel 1777. Andrea Negrone, romano, creato da Clemente XIII nel 1763, e morto nel 1789. 311 Imitazione del primo capitolo del libro di Tobia. Di 'i Galilea su i colli altera siede Una citta che a sua tribù die nome; Neftali è detta: a Naasson sovrasta Oltre alla via che ad occidente guarda, E si lascia a sinistra la turrita Sefet. Qui s'ebbe culla il buon Tobia, Che dal retto cammino unqiia non torse Il pie, quando di ceppi e di catene Salmanassar, di x\ssiria empio tiranno, Gravava il popol d'Israello. I mali Dell'iniquo servaggio a' suoi scemava. D'ogni suo aver facendo copia ad essi; E benché giovinezza a lui velasse Della prima lanugine le gote. In tutt'opre mostrò senno canuto. Quando Geroboam, tra folle e altero Non so qual più, fatto a se d'oro iddio In faccia di vitel, trasse le genti A piegar le ginocchia, e dargl'incensi; Egli diviso dalla turba insana, Solo, col cor compunto, al sacro tempio Di Solima veniva, e d'Israello Inchinandosi al Dio, facea devota Offerta di primizie, e degli accolti Frutti; e al terz'anno ripartiali poi Interamente fra' novelli alunni. 312 Letteratura E ne fea dolce ai peregrin conforto. Si condusse ad onor la giovinezza, E del suo cuore e degli affetti suoi Alla legge di Dio cesse il governo. Fatto d'anni maturo, a se restrinse In nodo maritale Anna, fra quante Fioriano in sua tribìi caste donzelle, La pili casta e piìi bella, e da lei s'ebbe L'alta dolcezza del sentirsi padre. Ella gli spose un figlio, che dal nome Del genitor nomossi, e fu Tobia. Nel sen del giovinetto istillò prima Piegar la fronte ossequiosa a Dio, A se del santo suo voler far legge, E d'ogni fellonia viver digiuno. Quando colla sua prole, e la diletta Moglie fu tratto negli amari passi Di rio servaggio, e alle superbe mura Di Ninive ristette, ei di se offerse A sua tribìi d'ogni boutade speglio. E mentre tutti a divietato pasto Metteano i denti, egli non ruppe fede Al suo signor, ed alle immonde carni Mai non pose le labbra. In cor mantenne Di Dio memoria integra, onde gli accadde Ritrovar grazia innanzi al re, che a lui Diede recarsi a suo talento ovunque, E a suo talento oprar. Tobia frattanto, Commiserando di sua gente al duolo. Sempre era tutto in ristorarla, e santi Di salute ricordi a lei porgeva. Visitò terre molte, e alla cittade Giunto di Rahes, per regal larghezza Cinque e cinque talenti ebbe d'argento. Imitazione del libro di Tobia 313 Della sua stirpe la miseria e i danni Allor gli furo innanzi; e tu, Gabelo, Principalmente che gemevi al fondo Corresti agli occhi di Tobia, che pronto Ricco peso d'argento a te prestava Di tua scritta a fidanza. In questa usciva Salmanassar di vita; e a lui nel regno Senacheribbo succedea, che nuovo Odio recando d'Israel ne'figli, Lor fea l'esiglio a sostener più duro. Ma poi Tobia a consolar gli afflitti Congiunti, e i fidi amici, ed i compagni Moveva intorno, e dividea con essi Le povere fortune, e il parco desco. Non si tornò digiun dalle sue soglie Chi trasse a lui per fame, e non ignudo Chi venne ignudo a domandar mercede. E se tra via de'suoi veduto avesse Corpi uccisi insepolti, ed egli apriva Colle sue mani agl'infelici avanzi De^suoi fratelli lacrimata fossa, E di lieve terren li ricopria. Poi quando in fuga da Giudea fu volto L'empio Senacherib, sovra cui l'ira Piovve del ciel, di sue ladre opre stanco, E fatti segno alle feroci brame I miserelli a schiavitìi ridutti, Tinse nel sangue lor l'onda del Tigri; Egli notturno delle morte salme Andava in cerca; delle pi'oprie braccia Lor fea feretro, e dell'antica madre Le componea pietosamente in grembo. Poiché di questo si die voce al fero Sir dell'Assiria, il volle spento. Quindi 314 Letteratura Contro lui fe'di morte editto; e d'ogni Aver lo dispogliò. Ma veglia Iddio Sempre alla guardia de'suoi servi! Ignudo Fuggiva il buon Tobia colla soave Sposa, e la prole fanciuUetta, e fido Ricetto avea dovunque^ che le buone Opre facile scampo apron da furia Di re tiranno. Ei nell'amor di tutti Viveva, e scampo avea per tutto. Appena Era surto dal mar cinque e quaranta Fiate il Sol, che l'empio re vedea Farsi delle sue vene in terra laco Per man de'figli suoi; tal che Tobia Potè tornar sicuro alle sue case, E rifiorir nella fortuna antica* G. I. Montanari Una scrittura inedita di Rodolfino f^enuti. Al eh. sig. professore Salvatore Betti, ■ Clemente Cardinali. E ccovi, pregiatissimo amico, una scrittura inedita di Rodolfino Venuti. L'anno 1828 ne estrassi copia dall'originale esistente nella sceltissima biblioteca di Filippo Aurelio Visconti, nome sempre caro a quanti si travagliano nello studio delle romane an- tichità. Quando non vi dispiaccia , potrebbe pub- blicarsi nel nostro giornale arcadico. Trattandosi in Scrittura di R. Venuti 315 essa di una quistione agitata fra gli archeologi circa un secolo fa, permettetemi accennarne qui il moti- vo : e ciò servirà, lo spero, a maggior intelligenza dello scritto del Venuti. Nel mese di dicembre dell'anno 1744 fu esca- vata nel cimiterio di Pretestato lungo la via appia la seguente iscrizione cristiana: HIG REQVIESCET IN PACE FEDE CVSTITVT VS ILARVS QVI VIXIT ANNVS PL. MS. XXV Colomba con Monogramma Colomba corona nel sacro con corona rostro nel rostro Recata la lapide a mons. Silvestro Merani sagrlsta pontificio , egli ne die notizia a Benedetto XIV di santa memoria: il quale ordinò che la iscrizio- ne venisse degnamente illustrata. Monsignor Gior- gi ne die l'incarico al celeberrimo canonico Alessio Simmaco Mazocchi: e nel gennaio dell' anno 1745 comparve in Roma pe' torchi del Pagliarini una dotta lettera del napolitano archeologo; lettera che ottenne le lodi del romano giornale de'lctterati. Al- la interpretazione datane dal Mazocchi sursero av- versari il P. Lodovico Sabbatini de Anfora da pri- ma, l'arciprete Girolamo BarufFaldi di poi; questi piìi convenientemente; quegli meno, e per avven- tura troppo operosamente. Rispose ad ambidue il Mazocchi ; il cui nipote Filippo raccolse in ap- presso in un sol libro, stampato in Napoli sul fi- nire dello stesso anno, quante scritture eran ve- 316 LSTTERATURA nule a luce in quella controversia; e corredando il tutto di sue annotazioni, intinse contro il Sabba- tini la pezza nel fiele , piìi che non convenisse. La quistione cadeva precipuamente sulla frase FE- DE GVSTITVTVS {fide o infide constitutus), che il Mazocchi riteneva indicare il battesimo dollaro; il Sabbatini la conferma nella fede , o sia la cre- sima ; il Baruffaldi , essere Ilaro un catecumeno. Dalla lettera seguente si conosce, che il sommo pon- tefice volle anche averne in iscritto il parere del- l' ab. Rodoifino Venuti allora presidente alle ro- mane antichità. Si vede chiaro che il Venuti la ebbe scritta, prima che alcuna delle accennate pro- duzioni fosse stata pubblicata con la stampa; e che allontanandosi egli dalla opinione del Mazocchi e del Baruffaldi, si accostava a quella del Sabbatini. Conservatevi in buona salute, ed amatemi quan- to io vi amo. Scrittura inedita di Rodoifino Fenuti. Non ci è dubbio che la inscrizione ritrovata nel corrente anno 1744 nel cimitene, o sìa colomba- rio di Pretestato, non meriti per la sua singolarità di essere considerata , non tanto per la ortografia , e pronunzia delle parole, quanto ancora per la so- stanza della cosa, e per i simboli che si vedono in essa scolpiti. Ci faremo a parlare della prima os- servazione, indi passeremo alla seconda. Prima di spiegare i caratteri del nostro epi- taffio, per poter dare una determinata epoca al me- desimo, osservo che la figura di questi, non meno che la disposizione, è disuguale, tralignando dalla bellezza ed eleganza dell'antico alfabeto ropiano. Scrittura di R. Vimuti 317 L' occhio osservatore ne è legittimo giudice. Que- sti caratteri pertanto non possono dirsi puramente romani da chi abbia la minima cognizione della ve- ra struttura di questi e di quelli ; essendo 1 pri- mi imbastarditi dall'ignoranza che a gran passi cre- sceva nel popolo romano, tanto nelle lettere minu- te che nelle maiuscole. Anzi vi è chi vuole, che ta- le introduzione incominciasse fin da che i goti si confederarono con i romani : che accadde prima dei tempi di Massimino, come osservò fra gli al- tri Ugone Grozio sul fondamento di Procopio e di Giornande: onde è da stabilirsi il tempo del nostro marmo verso il terzo secolo di Cristo. Passando adesso al minuto dettaglio dei carat- teri dell'epitaffio, osservo, che quantunque i mede- simi a prima vista paiano belli, si ravvisano non ostante per la maggior parte mal formati ed al- terati , quali erano già cominciati a formarsi nel secolo terzo. Osservisi primieramente la lettera G che si scorge sempre formata ad una medesima gui- sa, senza che abbia uguale corrispondenza nel gi- ro, e nella positura delle due corna. Al contrario non è sempre uguale la figura delle E, come delle altre lettere replicate entro lo spazio di poche righe. La forma 'biella lettera F con quattro tagli, benché particolare, non si può dire sbaglio d'inavverten- za; poiché altrove s'incontra non di rado in iscri- zioni assai più brevi di questa , e basta di addi- tarne due nel fine del supplemento diplomatico del Mabillon. Finalmente è osservabile ancora la lette- ra P, l'occhio di sopra della quale è minore della sua proporzione. Venendo alla locuzione; spesse volte negli an- tichi monumenti si vedono le lettere V ed E in luo- 318 Lettejia.tur,a, go della I ed 0; come nella nostra inscrizione, dove leggesi REQVIESGET, FEDE, in luogo di REQVIE- SCIT, FIDE, e ANNVS per ANNIS. Quest' ultimo nome io credo per altro che alle volte lo declinas-« sero come sensus^ almeno nel parlare comune: tanto pili che, per osservazione di Gassiodoro fatta nella sua ortografia, facilmente accadeva che alcune pa-- rolc neir atto di essere pronunziate perdevano la loro vera espressione , onde col tempo giunsero a perderla anche nella scrittura stèssa; non potendosi ascrivere a sbaglio particolare, poiché non sarebbe facile ascerrere senza accorgimento. Prova probabi- le del mio assunto sia la persona istessa nominala nelTepitaffio, ove si vede mancare la H, che in altri simili nomi si osserva; eppure unicamente per esso s'intagliò la memoria. Parrà forse che troppo minutamente io abbia voluto riandare ogni apice del nostro sasso; ma mi è parso ben fatto di stendermi alquanto sopra la material forma della scrittura, per fare osservare lo stato in cui trovavasi l'alfabeto romano nel terzo secolo, in cui penso che il marmo, scolpito fosse. Del restante sono pieni i monumenti cristiani di termi- ni e frasi indicanti pili la loro semplicità che la lo* ro eleganza, come dice Arnobio nei lii^.'o 1 j4d\^^ Gent.f difendendoli dalle calunnie ed irrisioni dei gentili. Quu7u, egli dice, de rebus agitar ah osteii' tatione suhmotisy quid dicatur spectandum est^ non quali cum auctoritate dicatur-^ ne quid aures coni' mulceat^ sed quas adfcrat audientibus utilitates. Passando adesso a considerare in secondo luogo il monumento in se stesso, osservasi essere questa memoria sepolcrale eretta ad un fedele chiamato Jlaro-, nome che ritrovasi frequentemente e nei mo- Scrittura di R. Venuti 319 numenti dei gentili, ed in quelli de'cristiani; onde Lasterà addurre pochi esempi per prova. Il sig. Marangoni negli atti di s. Vittorino alla p. 31 ri- porta la seguente iscrizione de'gentili : CAEDIA . L . L . THALEA L . CAEDIVS . L . L . HILARVS FILIVS Il eh. monsignor Giorgi, nel suo trattato de'mono- grammi cristiani, alla p. 19 ne riporta una cristia- na che dice HILARI . VIVAS . IN . DEO Si vede anche appresso il Boldetti dato alle femi- ne il nome d'HILARA; e se ne trovano nel Bosio esempi con la lettera aspirata H e senza. È qui da osservarsi l'equivoco che può nascere in due versi cristiani riferiti l'uno dal Boldetti, l'altro dal Buo- narroti ; dove in uno leggesi HILARE . SEMPER GAVDEAS ; e nell' altro SEMPER . VIVAS . GVM TVIS . PIE . ZESES ; che pare possa alludere ad acclamazioni convivali; quando veramente è il. no- me proprio del possessore del vetro. Si dice nel nostro monumento che Ilaro HIG REQVIESGET . IN . PAGE. Ancora il monumento di s. Colomba spiegato da monsignor Fontanini co- mincia HIG. IN . PAGE . REQVIESGIT; e frequenti sono nei sepolcri cristiani simili espressioni, che significano riposo^ dormizione, sonno di pace. Il ter- mine in pace significa Ilai'o esser morto nella co- munione della chiesa cattolica, e il Buonarroti così spiega tal formola; quindi il Fabretti ha in marmo 320 Letteratura non solamente IN . PAGE, ma ancora FIDE! . CA- THOLICAE; ed altrove leggesi IN PAGE GVM SAN- CTIS; IN PAGE DOMINI; IN PAGE DEI; IN PAGE GHRISTI. Fortunato Scacchè fu di parere che la formola IN PAGE distinguesse i martiri dai non martiri; ma ciò s' intende quando ella sia sola e scompagnata da altri contrasegni e caratteri deno- tanti a parte il martirio. Restano adesso da osservarsi le parole FEDE CVSTITVTVS; che credo doversi leggere in fide constitutus. Per quante diligenze abbia fatte, non mi è riescito ne'marmi cristiani di ritrovare simi- le formola. Una iscrizione greca riporta il sig. Ma- rangoni, ritrovata nel cimitero di Priscilla Tanno 1725, che ha molta somiglianza con la nostra, di- cendo : AYEPAAAIANOC AnA$AArCA)NEG EKOIMHENEN . EPPI NHMNHeHAYTOYO 0EOGTOYG . APNAG Aurelianus Paphlagonus Dei serviis credidit R- dem , dormit in pace ; recordetur ipsius Deus in saecula. Cade adesso la questione se la espressione so- pra riferita indichi martirio, e se il nostro Ilaro si debba riconoscere per martire. Ma per procede- re in questo difficoltoso punto , mi servirò degli insegnamenti del nostro pontefice Benedetto XIV. Egli pertanto nella sua dotta opera De canon, sanct. al lib. 4 ed al tom. 1 lib. \ §. 8 e 9 di- vide i martiri in tre classi: alcuni egli chiama de- Scrittura di R. Veduti 321 signatij cioè quelli che condannati alla morte e pro- fessata la fede pubblicamente avanti il tiranno, non fu ciò non ostante eseguita la sentenza, detti per- ciò confessores ; ed in questo numero si devono ascrivere que'padri del concilio niceno, ai quali si riferisce che Costantino imperatore lasciasse le ci- catrici. Altri furono detti consumati o coronati, e furono quelli che morirono ne' tormenti o poco do- po. Altri finalmente li chiama ^indicati, per il cul- to restituitogli dalla chiesa. Del primo genere po- trebbe essere stato il nostro Ilaro^ tanto piti se leg- gesi PRO FIDE GONSTITVTVS. Ma se mi fosse lecito di dire il mio sentimento sopra ciò , osservo , che erano soliti i primi cri- stiani di occultare i misteri della loro religione, ut fideles, come dice s. Cirillo nella quinta catechesi, intelligant, et qui non tenent ne laedantur: come esempio ce ne può essere una iscrizione riportata dal Noris ne'fasti consolari p. 43 e dal Fabretti nelle Insc. p. 577, in cui dicesi che un certo Severo Pa- scasio PERCEPIT . XI . KAL . MAIAS, senz'altro intendendosi qui il battesimo, come viene provato dalle parole che sieguono ET ALBAS SVAS DE- POSVIT AD SEPVLGRVM; per cui s'intende che Pascasio fu battezzato ai 21 di aprile il giorno di pasqua, e mori ai 28 dello stesso mese non aven- do per anche deposta la veste candida, eeremonia principale nell'acquistare il carattere di cristiano, che credevano di essenza di occultare, o solamente accennarlo oscuramente. Questa è la ragione per cui spiegarono questo mistero sovente con le oscure pa- role GRATIA SANGTA CONSECVTVS; CVM SPI- RITA SANGTA AGGEPTVM. Per mezzo del bat- tesimo adunque ricevevano l'innocenza, come ben G.A. T.LXXIII. 21 322 Letteratura dichiara s. Gio. Grìsostomo nell'omelia XXI; dicen- dosi i nuovi battezzati suscepti^ accepti^ et illumi- nati. Quelli poi che erano confermati nella fede di- cevasi CONFIRMATI e CONSTITVTI IN FIDE; come credo deve intendersi del nostro Ilaro. Ed in vero fu molto a proposito a ciò il decreto pub- blicato sotto il nome di Melchiade papa alla Diss, V can. \ de conf.-, dove dicesi: Spiritus SanctuSi, qui super aquas baptismi salutifero descendit lapsu^ in fonte plenitudinem tribuit ad innocentiam^ in con- firmatione consti tutionem praestat ad fldem. Resta a dire qualche cosa sopra il monogram- ma di Cristo circondato da palma con le due let- tere allusive a Cristo A ed U; e le colombe con le corone nei rostri. Ognun sa che nessuno di tali segni è indicativo di martirio; e quantunque la pal- ma, per decreto della s. congregazione de'riti, an- che per se sola sia indicativa di martirio, essendo la corona di palma con il gioiello ed i lemnisci at- torno al monogramma di Cristo, deve alludere alla sua sola passione e vittoria. Le colombe sono sola- mente indizio di purità, di semplicità, di fede e di altre morali virtìi, e per questo si veggono at- tribuiti ancora ai martiri; come in un vetro ripor- tato dal Boldetti pongono in mezzo la purissima santa Agnese. Quindi s. Cipriano nel suo trattato De zelo et livore dice: Non enim chrlstiani homi- nis corona una est^ quae tempore persecutionis ac- cipitur; habet et pax coronas suas^ quibus de va- ria et multiplici conversione victores prostrato et subacto adversario coronamur. 323 BELLE ARTI J^itriLvii de archile ctiira libri decem, apparatu prae- munitii emendationibus et illustrationibus refecti^ thesauro variarum lectionwn ex codicibits tendi- que quaesitis et editionibiis ituiversis locupletati^ tabulis centiim qaadraginta declarati ab Aloisio Mariiiio marchione Vacunae et eqidte pluriiim ordinwn. Accedunt compendiiim architecturae e- mendatitm et indices tres. Opus in quatuor volu- mina in folio distributum. Romae 1 837. B Articolo I. ella ed utile impresa è stata quella del commen- datore marchese Luigi Marini di dare una nuova edi- zione deirarchitettura di Vitruvio, correggendone il testo, illustrandola con dottissimi comenti, ed ornan- dola di numerose tavole. Opera già da molti anni an- siosamente desiderata dai dotti, e di cui altissime speranze avean fatto concepire le dissertazioni lette e pubblicate dall'autore sopra alcuni de'più difficili problemi vitruviani : le quali speranze furono di gran lunga superate dalla pubblicazione del presen- te lavoro, il quale non solo ha intieramente offu- scato il pregio di tutte le altre edizioni, ma le ha rese talmente inutili , che ognuno il quale abbia fior dì senno vorrà, siam certi, studiare d' ora in- nanzi il testo vitruviano secondo la nuova lezione. Con sommo diletto insieme ed istruzione ci sia- mo dati alla lettura di quest'opera, la quale come- 324 Belle Arti che in gran parte fosse già da noi conosciuta, pure non lo era in modo da poterne tutti a parte a parte enumerare i pr^igi; e ci siamo assicurati che nulla evvi a desiderare si per la parte archeologica ed artistica, sì ancora per l'esecuzione tipografica, per l'esattezza de'disegni e per la nitidezza delle inci- sioni, le quali non poco ne accrescono il merito, e rendono molto pììi facile l'intelligenza del testo, essendovene molte fedelmente eseguite secondo la descrizione di Vitruvio, e molte che offrono accon- ci esempi di monumenti, per illustrare, e talvolta anche rettificare i precetti vitruviani. Gratissima cosa al certo per tutti gli amatori de'buoni studi dev'essere il vedere che in questo nostro tempo, troppo alla facile letteratura procli- ve, vi sia pur taluno il quale non isdegni di attin- gere alle più recondite e doviziose sorgenti della veneranda antichità, onde trarne qualche lume per le lettere e per le arti. Ne ultimo fra i pregi dell' illustre autore è da noverarsi quello di aver dato finalmente a Roma un illustratore di Vitruvio, non potendosi riguardare come tale Sulpicio , il quale altro non ha fatto che pubblicare in Roma il te- sto vitruviano copiato da un codice manoscritto. E a dir vero vergognoso era il pensare che un'opera scritta in questa città, dedicata ad un imperatore romano, e che di tanti nostri monumenti fa men- zione, non fosse stata ancora da alcun romano il- lustrata; e che mentre quasi tutte le altre nazioni, e molte delle citta d' Italia potevano vantarsi di avere qualcuno, che adoperato si fosse a dichiara- re e comentare l'opera di Vitruvio, ninno ve ne avesse in Roma, ove pur tanti mezzi esistevano per rendere l'impresa meno diflicile, sia per la prodi- giosa quantità di codici che nelle nostre biblioteche Edi*, di ViTRurio 325 si conservano , sia per li monumenti ancora esi- stenti, i quali all'intelligente osservatore molte cose disvelano, onde meglio intendere questo scrittore. Bella adunque non solo ed utile è stata l'im- presa del Marini con tanti dispendi e si lunghe fa- tiche condotta a termine; ma piena ancora di amor patrio, e tale da destare una nobile invidia in chi- unque abbia animo capace di altamente sentire. Af- finchè però taluno non creda questo nostro giudi- zio muovere piuttosto da una parziale prevenzione, che da solidi argomenti ; ci proponiamo di porre sotto gli occhi de'nostri lettori una breve analisi dell'opera stessa, dalla quale meglio che da qualun- que nostro dire ne apparirà l'eccellenza ed impor- tanza. Saremo brevi per quanto la vastità della ma- teria ce lo permetterà, non arrestandoci che ove ne parrà aver il Marini fatto fare un nuovo passo alla scienza; ovvero ove alcuna nuova ed ingegnosa lezione venga da lui proposta, che non sia data da alcun altro testo a stampa ; o quando finalmente colle sue interpretazioni faccia comprendere qual- che passo di Vitruvio non ancora ben inteso da' suoi comentatori. I conienti fatti dal Marini sull'opera di Vitru- vio sono in due parti divisi, cioè in emendazioni ed in illustrazioni'-, nelle prime rende ragione di tutti i cambiamenti introdotti nel lesto, seguendo per lo più l'autorità de'codici; nelle seconde pòi dk tut- te le osservazioni filologiche ed artìstiche, che alla più facile intelligenza dell'antico scrittore possono condurre, non lasciando di riferire, ne'passi piìi dif- ficili, anche le altrui opinioni, aggiungendovi però sempre la propria. Metodo molto utile, e che tutti i comentatori dovrebbero togliere ad esempio, acca- 32(5 Belile Arti dendo pur sovente che anche i più dotti facciano Tin grandissimo sfoggio di erudizione, afTastellando autorità di classici ed opinioni di altri comentatori senza dar quindi alcun giudizio. Ne questo è il solo pregio che distingua il Marini dagli altri comen- tatori , ma ve ne ha ancora un altro da noi nel corso di tutta l'opera costantemente osservato ; il quale è, che giammai il dotto comentatore ti abban^ dona nelle grandi difficolta, saltandole, come da ta- luno far si suole, a pie pari. Quanto ciò debba ap- prezzarsi, chiunque colla lettura degli antichi scrit- tofi sia alcun poco familiare, facilmente ne con ver" ra. Ogni qual volta osservi il comentatore restar mutolo nelle maggiori difficolta, e noti fare alcuno sforzo per superarle, ti sembra vedere uà amico , che neir uopo maggiore ti abbandona e codarda- mente si asconde. Non cosi il Marini, il quale quan- to più oscuro è il passo che imprende a dichiara- re, tanto maggior luce cerca spandervi: e quanto piti gravi difficolta gli si presentano, tanto maggior- mente si sforza di superarle. Meglio però tuttociò apparirà dall'analisi dell'opera. Primo a presentartisi è Y apparato vitrui^iano. In esso tiene il primo luogo la vita di Vitruvio , nella quale del nome, della patria, della condizio- ne, degli studi, e dell'età di lui con molta eru- dizione e sana critica si ragiona. Quindi dell'opera stèssa dì Vitruvio si tratta, ed in poche pagi-r ne ne hai una cosi viva pittura, che anche colui il quale giammai non l'avesse letta, potrebbe for- marsene una chiarissima idea. Ove però e della va- stità dell' opera, e dell' improba fatica del Marini puoi farti un'idea, si è nelle tre disquisizioni che sicguono, nelle quali parlasi de'codici, delle edizio- Ediz. di ViTRuvio 327 ni e delle traduzioni. Il solo pensare che un'opera, la quale ha pure una certa estensione, e stata in ogni suo periodo, in ogni sua frase, anzi in ogni sua parola confrontata con più di cinquanta testi a penna, tredici a stampa, e con tutte le traduzioni in diverse lingue, è cosa da scoraggiare anche i più intrepidi. Non possiamo adunque che render gra- zie all'indefesso comentatore, il quale non rispar- miando ne spese ne fatiche , ci ha dato una così bella edizione di Vitruvio, la quale andremo libro per libro esaminando. Il libro primo comincia con la dedica che Vi- truvio fa della sua opera ad Augusto. In questa già trovansi due emendazioni, che con lievissimo cam- biamento del testo, ne rendono il senso piano ed indubitato, di oscuro ch'egli era, e male da tutti i traduttori spiegato. Viene poscia il primo capi- tolo, in cui di tutto ciò che l'architetto deve sa- pere si ragiona. Qui il Marini ha mostrato molta dottrina nell'esporci gran parte del sapere degli an- tichi, e specialmente là dove dell'analogia favella che i pittagorici immaginavano fra l'astronomia e la musica. Parlando della musica giustamente osser- va, che non tre ma sei erano le consonanze presso gli antichi; onde non vuol leggere con tutti gli edi- tori ed i codici diatessaron et diapente et disdia- pason , ma piuttosto diatessaron et diapente , et exordine ad disdiapason. Su di che non vogliamo tuttavia celare una nostra osservazione , la quale è che senza fare tanta violenza al testo potrebbe cangiarsi soltanto et in ad^ e si avrebbe con ciò lo stesso senso, cioè diatessaron et diapente^ ad dis- diapason. La correzione del Marini però è appog- giata al testo vitruviano, trovandosi la stessa frase usata da Vitruvio nel libro quinto. 328 Belle Arti Nel secondo capitolo parla de*prlnclpli delTar- chitettura: e qui una bella correzione è stata fatta dal Marini, leggendo coU'autoritk de'codici aiit etiam enibatere, correzione che non so come sia sfuggita a tutti gli altri editori, essendo chiarissimo il senso, e dicendo Vitruvio che le proporzioni ne'tempii si hanno aut e columnarum crassitudinibus, aut tri- glj'pho, aut etiam emhatere. La parola ip^^oczr.p, se- condo Vitruvio, corrisponde alla latina motì?«/M^: an- zi, se mal non mi appongo, credo aver trovato la vera etimologia ed il genuino senso di questa paro- la, non ancora dato da altri che io mi sappia. Vi- truvio in tre modi fissa il modulo pe'tempii, dal dia- metro cioè della colonna, dal triglifo, e dalla lar- ghezza della facciata del tempio. Quest'ultima ma- niera di fissare il modulo credo che sia precisamen- te quella che lo fa chiamare s/x^arvjp, cioè «.no rou k[x[io(.ivivj^ perchè è appunto la larghezza del lato , dal quale si entra, che determina questo modulo. Dopo due capitoli, i quali non offrono alcuna importante osservazione, viene il quinto nel quale parla delle torri e delle mura. Questo , senza che noi ci dilunghiamo inutilmente, nessuno dubiterà che dal dotto comentatore del De' Marchi sia stato convenientemente illustrato. In fatti in esso vengo- no, quantunque con molta sobrietà, maestrevolmente esposti i principii di fortificazione conosciuti dagli antichi. Finisce poi Vitruvio il suo primo libro parlando della direzione che debbono avere le stra- de nell'interno delle città, e della scelta che si de- ve fare de'luoghi per gli edifizi pubblici. La direzio- ne delle strade, secondo lui, dev'essere detcrminata da quella de'venti; e qui una bella disquisizione sì presenta sul numero de'venti, sul nome ch'era loro Ediz. di Vitruvio 329 dato dagli antichi, e sulla corrispondenza ch'essi hanno co' moderni ; argomento trattato con mol- ta erudizione dal Marini ed accompagnato da due tavole, nell'una delle quali da le diverse divisioni de'venti secondo i vari sistemi degli antichi, nell' altra la così detta Torre deventi^ ossia il monu- mento ottagono di Andronico Girreste esistente in Atene, inciso con molto gusto e precisione. Sette sono le tavole, alle quali ha dato luogo questo lihro; quattro delle quali ideate dal Marini per dichiarare il testo vitruviano, e tre di monu- menti ancora esistenti : la prima cioè di cariatidi e telamoni, la seconda delle fortificazioni di Pom- pei, e la terza della torre di Andronico Girreste. Il secondo libro, al dire di Vitruvio stesso, do- vrebbe trattare de'tempii; ma lasciando un tal sog- getto pe'libri seguenti, si occupa in questo dell'o- rigine degli edifizi, e de'materiali che servono per la loro costruzione. Dopo aver dato adunque nel libro primo i principi! scientifici dell'arte , viene a darne, per cosi dire, i principii materiali. Que- sto libro, di non minore importanza, contiene sul- la maniera di costruire degli antichi, e sulla cura che essi ponevano nella scelta de'materiali, utili no- tizie , dalle quali sarebbe grandemente a deside- rarsi che i moderni traessero qualche partito onde render piìi solide le loro costruzioni. La prima cosa, di cui parlasi in questo libro, è la maniera colla quale i pili antichi popoli fab- bricarono le loro prime abitazioni. Di due popoli pili particolarmente ragionasi, cioè de' colchi e de' Irigii. Affinchè meglio si comprenda il testo vitru- viano, il quale, a dir vero, nelle altre edizioni era alquanto oscuro, è stata aggiunta una tavola, nel- 330 Beele Arti la quale a colpo d'occhio vedi il metodo tenuto da cotesti popoli per costruire i loro abituri. Non dalla sola tavola però risulta la piìi facile intelli- eenza del testo, ma da tante emendazioni con lie- vissimo cambiamento delle parole date dai codici, le quali Io rendono facile e chiaro d' intralciato ch'egli era ed oscuro. Cosi, a cagion di esempio, cambiando il tecta recidentes in teda erigenies vedi subito que' tetti acuminati soliti a fabbricarsi dai colchi; e poche linee dopo, mutando il detineiv tes de'codici in deprimentes, hai una lezione piìi chiara, e che meno si allontana dai manoscritti, di quello che leggendo con tutte le altre edizioni exi" nanientes. Ma troppo lungo sarebbe se volessi en- trare in siffatti particolari, non essendovi, per così dire, pagina in cui emendazioni di tal sorta non si ritrovino. Queste principalmente hanno contribuito a rendere il testo vitruviano piii fluido e piìi cor- retto: ma poiché private del contesto non sareb- bero per avventura di facile intelligenza ai miei let- tori, perciò ne sceglierò soltanto pochissime. Lascio adunque le altre emendazioni contenute in questo libro, perchè quasi tutte dello stesso genere, e mi limito ad osservare che molte località soprattutto vi sono state rettificate. Cosi per esempio Maoàliia Q Calentuin, citta della Spagna ulteriore, vi sono sta- te felicemente sostituite a Marsiglia nelle Gallie della maggior parte delle edizioni; e parlando nel capitolo settimo delle diverse cave di pietre, le ga- bienses hahno molto giustamente preso il luogo del- le pallienses ed alUenses date da tutti gli altri editori, essendo celebre presso gli antichi la pietra gabina, e non trovandosi alcuna menzione delle al- tre cave. Per la stessa ragione sono state escluse le Ediz. di Vitrutio 331 amiterninae , ed in loro vece sostituite le ante- mninae. Dopo aver parlato delle diverse cave , passa Vitruvio ad esporre nell'ottavo capitolo le varie co- struzioni usate tanto dai romani, quanto dai greci: e l'intelligenza di questo capitolo è resa molto piìi facile da una tavola, in cui tutti questi diversi ge- neri di costruzioni sono esattamente delineati. Fi- nalmente pone termine a questo libro parlando de' legnami che possono con maggior vantaggio impie- garsi nella costruzione degli edifizi, e della stagione favorevole per tagliarli. Oggetto con molta dottrina trattato dal Marini, e già da lui grandemente ap- profondato nell'edizione del De'Marchi. Tre sole ta- vole accompagnano questo secondo libro, il quale non è stato che un riposo, onde con maggior lena poter affrontare le difficolta del libro seguente. Nel terzo libro comincia Vitruvio ad entrare più particolarmente ne'precetti dell'arte, ed in esso trovansi tre delle principali difficolta vitruviane , cioè Ventasi^ gli scamiUi impari^ e la voluta ionica-, difficoltà che tante quistioni hanno suscitato fra i dotti e gli artisti, e che a tanti dispareri hanno da- to motivo. Se però senza spirito di parte prende- rai tutte queste opinioni a disamina, ed a quella del nostro comentatore le affronterai, vedrai chiaramen- te non potersene piìi alcuna ragionevolmente so- stenere: tanta è l'autorith de' monumenti e la forza delle ragioni onde sono avvalorate le asserzioni di lui. Cominciamo però con ordine ad analizzare que- sto terzo libro. In esso Vitruvio tratta de' tempii, e primieramente delle loro diverse forme; in antis, prostjlos, amphiprostylos^ peripteros, pseudodipte- rosj dipleros ed hjpaethros. Di ciascuna di queste Jiq OlVUlllY 08E9J8 e 233 Belle Arti forme e data nelle tavole la fii^ura, a seconda della descrizione vitruviana, ed inoltre uno o più esempi di antichi monumenti, i quali meglio co'precetti di Vitruvio si accordino. Tale è il tempio di Temide a Ramnunte per la forma in antis^ il quale è ac- compagnato dall' altro di Diana Propilea in Eleusi singolare per la sua forma, che utrinque in antis^ ov- vero «jayj V) TxuQocardoi potrebbe dirsi, seguendo la nomenclatura vitruviana. Per l'amfiprostilo è dato il tempio ionico suU'Ilisso, unico esempio fino al- lora conosciuto di tal forma, al quale ora può ag- giungersi quello della Vittoria aptera scoperto suU* acropoli di Atene. La pianta di questo tempio vie- ne sempre piii a confermare la giustezza deiropi- nione del Marini, il quale non crede doversi ripe» tere le ante nella parte posteriore, ma soltanto le colonne. Dopo le forme passa Vitruvio a parlare delle specie de'tempii, le quali dalla diversità degl'inter- colunni ricevono le denominazioni di picnostile , sìsfile, diastile^ areostile ed eicstile. L'intercolunnio Gustilo è da Vitruvio preferito agli altri, e ne fa autore Ermogene, dal quale pare che molti dc'suoi precetti abbia tratto, dicendo di lui: Reliqidsse fon- te s Wide posteri possent haurire disciplinarwn ra- tiones. Ne solo Ermogene, ma anche altri archi- tetti dell'Asia minore debbono essere stati gli au- tori, da'quali tolse Vitruvio molte delle sue rego- le, che debbono perciò principalmente all' ordine ionico applicarsi, essendo con quest'ordine fabbri- cati quasi tutti gli editìzi ora conosciuti in quel paese. Giustamente adunque il Marini ha dato pro- porzioni ioniche alla maggior parte de'tempii de- scritti da Vitruvio, come quelle che sembrano esse- re itale dallo stesso Vitruvio prescelte. Ediz. di VrxRUVio 333 Il più importante soggetto però di questo ca- pitolo è Ventasi: problema che ha dato origino ad opinioni molto assurde; ma che è stato posto così in chiaro dal Marini coU'autorita degli antichi scrit- tori, coll'aiuto de'monumenti e col contesto vi tra- viano, che ora non mi sembra piìi poter dar luo- go al menomo dubbio. Primieramente stabilisce il dotto comentatorc, non doversi eseguire Tentasi che dopo la rastremazione; ed infatti così esige il con- testo vitruviano. Passa quindi a dimostrare V esi- stenza dell'entasi negli antichi monumenti coU'au- torita di molte colonne e pilastri ancora esistenti, ed aggiunge altro non essere che una pratica tenu- ta dagli antichi architetti affinchè la colonna non sembrasse piìi sottile nel mezzo: opinione appog- giata all'autorità di Eliodoro Larisseo, il quale dice Xf'cvoc .... y.CKtà [j.iav. nphg vprj a-svcyjxcvsv. Qnal dimensione dovesse aver Tentasi, non di- cesi da Vitruvio : ma pure da un altro passo nel quinto capitolo di questo stesso libro si ricava, do- ver essere eguale alla profondita delle scanalature: Crassltiidlnes striarum faclendae sunt quantum adie- ctio in media columna invenietur. Conosciuta adun- que la profondita delle scanalature, si conoscerà an- cora la dimensione dell'entasi. Qui il Marini stabi- lisce un esattissimo calcolo per provare, che in qua- lunque colonna combinando T aumento delT entasi. colla diminuzione della rastremazione, il mezzo del- la colonna non supererebbe mai in diametro Timo scapo, come molti avevano assurdamente supposto. Termina finalmente col dare un metodo pra- tico per facilmente descrivere cotesta entasi. Tale appunto doveva essere stato lo scopo di Vitruvio nel porre alla fine di questo libro una figura per 334 Belle Arti eseguire 1' entasi. La figura è perita con le altre che accompagnavano il suo lesto : ma se non era quale è stata dal Marini delineata, certo poco po- teva differirne. Jm.'llc Altro problema, ed anche più celel>re, è quel- lo degli scamilli impari trattato nel capitolo se- guente. A quante discussioni abbia questo dato luor go, ninno, che pur di Vitruvio abbia inteso parla- re, evvi che ignori. Quali assurdità da uomini per ingegno sommi, e per erudizione ammirabili siansi sostenute, non parrebbe credibile, se i loro scritti non esistessero per farne testimonio. In poche pa- gine hai la storia di tutti questi deviamenti dal retto sentiero: ma onde non abbisognare di molte parole per tutti confutarli, ti mette sott'occhio il Marini i tre passi di Vitruvio, ne'quali degli sca- milli impari si ragiona; dal confronto de'quali chia- ramente risulta, non potersi gli scamilli altrove col- locare che sotto la base e sopra il capitello: il che da se solo basta per confutare la maggior parte delle altrui opinioni. Passa quindi ad esporre quel- la del Baldi, la quale piìi all'interpretazione da lui proposta si avvicina; ma quello che dal Baldi pro- ponesi come una ipotesi, dal Marini è dimostrato come un teorema. La verità ti apparisce sì chiara ed evidente, che non sai intendere come mai tanti uomini sommi andassero cosi lungi dal segno. Una sola cosa resta ancora a potersi discutere, ed è quale fosse la loro forma. Se avessero cioè un piano perfettamente eguale, ovvero inclinato dall' un de'lati. Ambedue le forme sono ammesse dal Ma- rini: la prima, perchè ancora esistente in molti mo- numenti: la seconda, perchè risultante da ciò; che dice Vitruvio nel capitolo seguente, nel quale vuole Ediz. di Vitruvio 335 che le colonne laterali, malgrado della rastremazio- ne, abbiano il loro lato interno esattamente a per- pendicolo : il che non può farsi che ponendo un corpo a piano inclinato sotto la colonna, il quale pili da una parte che dall'altra la rialzi. A questa pratica mi sembra principalmente aver avuto ri- guardo Vitruvio , ed è perciò che li ha chiamati impares, aggiunto che con maggior proprietà con- viene a questi ultimi che ai primi. Colla quale spie- gazione bene si scorge, che cosa abbia voluto inten- dere Vitruvio allorquando nel capitolo quinto di questo libro, parlando de'capitelli ionici, dice do- versi collocare non ad libellam sed ad aequalem modidum^ ut quae adiectio in stjlohatis facta fue- rit^ in superiovihus memhris respondeat. Oltre l'aver riferite in iscritto le diverse opi- nioni emesse su tale argomento, ha il Marini anche ideato due tavole , nelle quali le principali sono delineate: di modo che consultando quest'opera hai una completa biblioteca vitruviana, e di nulla più abbisogni per approfondare quanto vuoi la materia. Dopo aver parlato degli scamilli impari, passa Vitruvio nel capitolo seguente a dare tutte le pro- porzioni dell'ordine ionico: capitolo egualmente ric- co di ai'gomenti assai e frequentemente discussi, fra i quali debbono in ispecial modo annoverarsi la Lase e la voluta ionica. Ambedue questi soggetti fu- rono già separatamente trattati dal Marini in due dissertazioni, nelle quali a fondo tali problemi fu- rono sciolti. Nell'opera, che andiamo esaminando, non ha dato che un estratto di questi suoi lavori, ma sufficiente per intendere il testo vitruviano. Spe- cialmente la voluta ionica è stata a lungo trattata in una nota alla fine del presente capitolo, nella qua- I Belle Arti le seguendo il testo vitruvlano se ne da una descri- zione geometrica, che a molti monumenti tuttora esi- stenti ritrovasi pur conforme. Ricchissimo di tavole è questo libro. Esso solo ne ha somministrate trentadue al nostro autore, fra le quali, oltre quelle che sono state ideate dal me- desimo a seconda del testo vitruviano, alcune danno le diverse opinioni degli altri comentatori su Ten- tasi, gli scamilli impari, la base e la voluta ionica^ e le altre ti somministrano un ricco corredo di mo- numenti per meglio intendere le dottrine vitruvia- ne. Questi monumenti sono, i tempii di Temide a Ramnunte, e di Diana Propiiea in Eleusi pel gene- re in antis-^ di Augusto e Roma in Pola, di Ercole a Cori, e di Antonino e Faustina in Roma pel pro- stilo; il tempio ionico presso l'ilisso per l'amfipro- stilo; di Teseo in Atene, di Minerva Poliade in Prie- ne, di Giove nel portico di Ottavia, di Giove To- nante alle radici del campidoglio, e dì Marte Ul- tore nel foro di Augusto pel periptero; di Diana in Magnesia, di Giove Agoreo in Selinunte, e del Sole in Palmira pel pseudodiptero; di Apollo Dldimeo in Mileto, e di Cibele in Sardi pel diptero; in fine il Partenone, il tempio di Giove Olimpico in Atene, e quello di Nettuno in Pesto per l'ipetro. Inoltre, do- po aver dato l'ordine ionico esattamente delineato secondo i precetti vitruviani, vari esempi ne ag- giunge tratti da'migliori monumenti ancora esisten- ti, e questi sono i tempii di Eretteo in Atene, di Mi- nerva Poliade in Priene, di Bacco in Teo, di Apollo Didimeo in Mileto, e della Fortuna Virile in Roma. Nel quarto libro Vitruvio termina l'argomento già incominciato a trattare nel terzo, cioè i tempii. Avendo già dato nel libro precedente le propor- Ediz. di Vitruvio 337 zionl dell'ordine ionico, da. in questo quelle del co- rintio e del dorico. In questo libro però più che mai apparisce quello che già avevamo osservato nel precedente : cioè che quasi tutti i precetti vitruviani sono esclu- sivamente applicabili all'ordine ionico. Infatti l'or- dine corintio di Vitruvio tutte le sue proporzioni o dal dorico o dall'ionico desume, e nulla gli resta di proprio all'infuori del capitello. Quanto al do- rico poi comincia dal dire, che: » Nonnulll antiqui architecti negaverunt., dorico genere aedes sacras oportere fieri , quod mendosae et disconvenientes in his sjmmetriae confìciebantur » : va quindi enu- merando tutti gl'inconvenienti che risultano dal fa- re uso di proporzioni doriche ne'tempii. A molte emendazioni ed illustrazioni cosi filo- logiche come artistiche hanno dato luogo questi pri- mi capitoli: ma chi senza troppo entrar in questi particolari vorrà pur convincersi de' miglioramenti fatti al testo vitruviano, basterà che getti uno sguar- do sulle tavole eseguite esattamente secondo le pro- porzioni date da Vitruvio, e vedrà come gradite riescano all'occhio, e come siano scevre da tutti que'difetti ch'erano stati attribuiti a Vitruvio da coloro che, o male il suo testo avevano letto, ovvero non bene interpretandolo avevano dovuto imper- fettamente rappresentarlo. Nell'osservare queste ta- vole una soprattutto ci sembra degna di partico- lare menzione, ed è quella dell'ordine corintio ese- guita con somma maestria dal defonto prof. Pietro Fontana, il quale senza alcun aiuto di macchine, ha pure inciso un rame da poter sostenere il confron- to colle pili belle incisioni di tal genere che si fan- no all'estero. G.A.T. LXXIIL 22 338 Belle Arti Dopo aver parlato delle proporzioni interne, e della direzione de' tempii, passa Vitruvio nel capitolo sesto a trattare delle porte. Capitolo di difficilissima intelligenza si per la minuzia, colla quale da Vitru- vio ciascuna delle più piccole parti viene descritta , SI ancora perchè molto ne'codici era viziato a cagio- ne della frequenza di parole tecniche, le quali non potevano essere bene intese dagli amanuensi, e nel- le edizioni sono state spesse volte confuse. Il Ma- rini però, stabilito un parallelo diligentissimo fra le varie lezioni de'codici, ha dagli errori stessi fat- to sorgere la vera lezione corroborandola sempre coU'autorita de'monumenti. Ma il soggetto il piìi discusso di questo li- bro è il tempio toscano. Le altrui opinioni sono riferite dal Marini ad ogni passo che offra una qualche difficoltU, e talvolta la migliore fra que- ste è prescelta, talvolta una nuova viene propo- sta accompagnata sempre da solidi argomenti ed autorità. A quest'ultima classe appartiene l'inter- pretazione del passo » stillicidium tecti absoluti ter- tiario respondeat: » ove la parola tertiario male era stata da tutti gl'interpreti e comentatori spiegata, veJendovici un senso intricato ed astruso, mentre che nel pili ovvio e naturale doveva intendersi, cioè che la gronda del tetto compiuto debba cor- rispondere alla terza parte della colonna. Dopo il tempio toscano si danno da Vitru- vio le proporzioni de'tempii monopteri e peripte- ri, e quindi ne nomina alcuni di forma irrego- lare che a niuna delle classi da lui descritte pos- sono appartenere. Pone fine a questo libi'o parlan- do delle are e determinandone la posizione e la direzione. Ediz. di Vitrutio 339 Tutti questi capitoli sono stati illustrati con una ricca suppellettile eli monumenti, ed anche questo libro perciò è da molte tavole accompagnalo. Oltre quelle che direttamente all'illustrazione del testo vitruviano han servito, trovi cosi per l'ordine corintio come pel dorico i piìi begli esempi an- cora esistenti; cioè pel primo, l'ordine corintio del Panteon, di Giove Tonante, e di Marte Ulto- re in Roma, oltre quello di Augusto e Roma in Pola; pel secondo il Partenone, l'ordine dorico di Priene, del tempio di Nettuno in Pesto, di Erco- le in Cori, e del teatro di Marcello in Roma. Pe' tempii rotondi sono stati prescelti quel di Serapide in Pozzuoli, e quelli di Vesta in Roma ed in Ti- voli. Nominandosi inoltre da Vitruvio tempii di forme irregolari, i quali dai precetti da lui dati alquanto si allontanavano, varii esempi sono stati dal Marini riuniti, che vengono in conferma del- l'osservazione vitruviana, e sono i tempii della For- tuna Virile in Roma, di Giove Olimpico in Agri- genti, di Gaio e Lucio in Nimcs, quelli di Erctteo, di Minerva Poliade e di Pandroso nella cittadella di Atene, e finalmente il tempio di Cerere e Proser- pina in Eleusi. Anche il capitolo sulle are ha da- to motivo al Marini d'immaginare una bella tavola, ove se ne veggono rappresentate molte delle più antiche e delle meglio conservate, fra le quali una esistente nella villa Pamphily del tutto inedita. Avendo terminato Vitruvio di parlare nel quar- to libro delle proporzioni de'tempii, passa nel quin- to a trattare degli edifizii pubblici , e primieramen- te del foro. Distingue egli il foro greco dal latino, ed ambidue sono dal Marini con molta dottrina il- lustrati, spiegandone chiaramente tutte le parti; ma soprattutto la distribuzione de' maeniana , e la so- 340 Bellb Arti prapposizione degli ordini sono state l'oggetto di pili erudite disquisizioni. Congiunte al foro erano le basiliche: e di queste parla Vitruvio nel capitolo seguente, nel quale non solo delle basiliche in ge-i- nerale, ma piìi particolarmente della basilica da lui edificata nella colonia di Fano si ragiona. Di gran-» di difficolta è stata questa sorgente a motivo del tempio di Augusto, il quale doveva essere nel mez-» zo dell'un de'lati della basilica, senza che dalla hsi-^ silica stessa impedita venisse la vista del pronao. Tutte queste difficoltà però sono state vittoriosa-^ mente superate dal Marini, come di leggieri potrà convincersi chiunque osserverà la tavola da lui im^ maginata, ed al testo vitruviano l'affronterà. Il soggetto tuttavia piìi importante, e su cui più a lungo si è trattenuto Vitruvio in questo li-« bro, e quel dei teatri. I principii della musica pres- so gli antichi vi sono esposti: ed il Marini in bre- ve sì, ma con molta dottrina e criterio , ti mette al giorno di quanto su tale scienza è stato dagli antichi scritto. Il diagramma d'Aristosseno è chia-i ramente spiegato, ed in poche pagine trovi le piìi importanti notizie che gli antichi scrittori di mu-» sica ci hanno in molti volumi lasciate. Esposti i principii generali dì musica, passa Vitruvio a farne l'applicazione alla distribuzione generale degli echei^ soggetto anch' esso molto discusso dagl' interpreti, le principali opinioni de'quali sono riferite, ed in gran parte refutale dal nostro autore, che non la- scia anche su ciò di dare la sua propria, perfetta-» mente d'accordo colle parole del testo. Termina Vi-» truvio il soggijtto de'leatri col dare la descrizione tanto del teatro latino quanto del greco, e coU'as-» segnare le diflferenze che fra l'uno e l'altro esiste-^ Ediz. di Vitruvio 341 vano. La disposizione de'trigoni e de' quadrati, che male da alcuni comentatorì era stata interpretata, è lucidamente esposta, così con le parole come con le figure : e molte delle parti degli antichi teatri , non ancora ben conosciute, vengono con l'autoritk de'monumenti esattamente determinate. Ai teatri succedono le terme e le palestre, sog- getti trattati da Vitruvio in due capitoli separati , ma che però presentano due edifizii destinati presso a poco agli stessi usi, e che i romani imitarono sen- za alcun dubbio da'greci. A questa analogia non sem- brano aver posto mente gl'interpreti di Vitruvio , e tutti coloro che delle palestre si occuparono, per mo- do che diedero di tali edifizii piante che non pos* sono in modo alcuno essere approvate. Nelle pa- lestre come nelle terme il corpo della fabbrica era nel mezzo ovvero in uno de'lati, ed i portici all'intorno. Invece gl'interpreti di Vitruvio han- no immaginato di fabbricare la palestra intorno ai portici, i quali secondo Vitruvio stesso avevano due stadi di lunghezza, onde ne risulterebbe un edi- fizio di proporzioni gigantesche: il che per certo i greci non solevan fare. Il Marini però, seguendo la scorta sicura de'monumenti, ha interpretato le pa- role vitruviane cogli avanzi delle antiche palestre ancora esistenti, quali erano stati dati dal sig. ca- valier Canina nella sua grand'opera sull'architettura degli antichi. Nelle terme ancora molte illustrazioni e corre- zioni di grande importanza sono state fatte dal no- stro cementatore, ma soprattutto il laconico è stato con molta chiarezza spiegato , e tutto il meccanismo di quel clipeo, il quale col suo innalzarsi ed abbas- sarsi doveva variarne la temperatura. Pone fine a 342 Belle Arti questo libro Vitruvio parlando della costruzione de* porti , ove le varie pratiche usate dagli antichi per costruire sotto l'acqua sono chiaramente dal comen- tatore dimostrate: e così terminando di parlare degli edifizii pubblici, si fa strada a trattare nel libro se- guente degli edifizii privati. Anche questo libro è da un ricco corredo di ta- vole accompagnato, le quali molti monumenti con- tengono, onde viemeglio intendere i precetti vitru- viani. Ad illustrazione del foro hai non solo il foro latino e greco, secondo Vitruvio , ma inoltre il foro di Traiano in Roma e quel dì Pompei. Per le basiliche hai quella di Otricoli, ed i frammenti capitolini delle basiliche Ulpia e Giulia. I teatri sono non solo in tutte le loro parti a se- conda del testo vitruviano delineati, ma inoltre co- me esempi del teatro latino si danno quelli di Pom- peo e Marcello in Roma, ed il teatro di Gubbio. Pel teatro greco si danno il teatro di Telmisso, e quello di Erode in Atene, di Esculapio in Epidau- ro , e quello di Pompei coli' odeo, ai quali si ag- eiunaono i teatri di Tormina e di Ercolano. Inoltre OD per le palestre hai quelle di Efeso, di Gerapoli, di Alessandria in Troade, e quella di Badenweiler: e per le terme quelle di Tito. Finalmente pe' porti antichi hai quello di Claudio alla foce del Tevere coll'aggiunta di Traiano. Vedi qual ricchezza di mo- numenti, e qual giudizio nella scelta, non essendo- vene alcuno, che non sia di grandissimo giovamen- to o per intendere il testo di Vitruvio, o per cor- roborare le asserzioni del suo comentatore ! {Sarà continuato) Vincenzo Ballanti 343 VARIETÀ' Notizie istoriche intorno alla vita ect agli scritti di monsignor' Francesco Pacca arcivescovo di Benevento, pubblicato dal cardinale Bartolomeo Pacca suo pronipote^ 8. Velletri, ti- pografia di Luigi Cappellacci iSSy. (Un voi. di carte 97). vji gode veramente l'anima nell'annunciai-e una novella opera di quel porporata amplissimo, oh' è oggi splendore non meno che principe del sacro senato. Egli fra le alte cure della cliiesa e del principato non sa dimenticare le lettere.- e schivo d' ogni ozio, piacesi essere altrui d'esempio nell'onorare con impo'-tan- tissimi scritti la religione e l'Italia. Uomo in tutto degnissimo di quella fama, ond'è sì celebrato in Europa> e di quella riverenza con che il riguardano quanti hanno in pregio la virtù vera e la vera sapienza. Questa vita di monsignor Francesco Pacca arcivescovo di Benevento è cosa da porgere diletto e istruzione ad ogni maniera di leggitori; tanto l'eminentissimo autore ha saputo arricchirla di belle e curiose notizie, soprattutto del pontificato di Benedet- to XIII, quando una mano d' uomini vilissimi e rapacissimi sì turpemente abusò della bontà del sovrano. Degno del suo amor patrio è il difenderei eh' egli fa in tale occasione i beneventani da quelle malvagità, ed il provare che niun suo concittadino vi ebbe parte. Non diremo poi con qual giudizio ci dia conto del- le diverse dissertazioni che il dotto prelato recitò nell'accademia 344 Varietà' romana de' concili innanzi al gran Benedetto XIY, il quale a crescere in flore le scienze sacre e profane in questa capitale so- leva spesso della sua presenza onorare le quattro accademie , ch'egli apri nel proprio pontificio palazzo del Quirinale: quelle cioè de' concili, dell'istoria ecclesiastica , della liturgia e dell' archeologia. Né infine diremo come a tenerezza ci commova il cuore la narrazione delle virtù veramente evangeliche, le quali ornarono quel piissimo e mansuetissimo in tutto il tempo che sedette sulla cattedra di Benevento , fino a rinunciare di esser promosso alla porpora da Clemente XIII, per non mettersi in una spesa che minorato avrebbegll il modo di esercitare la sua carità verso i poveri. Oh sia in eterna benedizione la memoria di si degno pastore, che volle farsi specchio de' Borromei e de' Sales ! Monsignor Francesco Pacca nacque di genitori nobilissimi in Benevento il dì 3o di gennaio ioga, fu fatto arcivescovo del- la sua patria da Benedetto XIV il dì 20 di marzo 175*2, e san- tamente passò al riposo de'giusti il dì 12 di luglio ijSS. S. Betti yolgarìzzamento di maestro Donato da Casentino dell' opera di messer Boccaccio De claris mulieribus, rinvenuto in un co- dice del XIV secolo dell'archivio cassinense. Ora la prima volta pubblicato per cura e studio di D. Luigi Tosti mona- co della badia di Montecassino. 8. Napoli dalla tipografia dello stabilimento dell'ateneo i836. (Un voi. di carte XXXII e 322, col fac-simile del carattere del codice.) JL/ ell'opera del Boccaccio De claris mulieribus si conoscono da' bibliografi quattro traduzioni italiane: due stampate, e due ma- noscritte. Stampate sono quelle del Bagli e del Betussi; mano- Varietà' 3A5 scrìtte le altre del fiorentino Sassetti e di maestro Donato da Casentino. Di quest'ultima si hanno tre codici: due nella bibliote- ca reale di Torino: ed uno del secolo XIV nel famoso archivio di Montecassino. Da esso il dotto e benemerito monaco P. D. Luigi Tosti ha tratto la copia, di che ha fatto dono agli amatori della lingua italiana del secol d'oro. Cosa da sapergliene assai grado: tanto più che non poteva usarsi da lui una maggiore sagacità e diligenza, confrontando egli spesso la traduzione coli' originale latino, e con note giudiziosissime rendendo ragione qua e là delle diverse lezioni saviamente emendate o restituite. Nondime- no l'amore, che portiamo a questi studi del bel dire, non ci farà si ciechi, che osiamo raccomandare il libro del maestro da Ca- sentino come un testo de'bellissimi del trecento: perciocché s'egli è certo che a quando a quando vi trovi ciò che generalmente era proprio degli scrittori di quell'aureo secolo, come a dire un can- dore, una ingenuità, una proprietà, e talor anche un'efficacia che t'empie di diletto e di maraviglia; certo è pure, che troppo spesso la costruzione del periodo vi è stranamente intralciata, e, quel eh' è più, invano vi cerchi sovente un lume di ragione grammaticale. Il che reca veramente stupore in un uomo, che non solo inse- gnò grammatica pubblicamente in Venezia, ma fu chiamato ad erudirne in Ferrara il giovinetto Nicolò III d' Este: e tanto poi fiori nell'amicizia e nella stima del Petrarca, del Boccaccio e del Salutati. Al volgarizzamento di Donato ha fatto il eh. editore ed illu- stratore seguire per la prima volta la pubblicazione, i. Del Pro- testo fatto per comandamento de'' signori di Firenze a'rettori ed altri uffici che ministrano ragione, Jatto per Francesco di Pa- galo Vettori a di i5 settembre i455. - 2. Della Copia della let- tera del gran turco a papa Nicolò quinto, tradotta d'arabico in greco, e di greco in latino, e di latino in volgare. - 3. Della Co- pia delle lettere che papa Nicolò quinto rispose a quella del gran turco, fatta in lingua arabica per messer Gregorio Castel- lano, e poi in greco, e di greco in latino, e di latino in volgare per lui detto. S. Betti 346 Varietà' Analisi storico-topografico-antiqiiaria della carta dei dintorni di Roma , di A. Nibhy pubblico professore di archeologia nelVuìm>ersità romana, membro del collegio filologico della stessa iinii'ersità e della commissione generale consultiva di antichità e belle arti, scrittore interprete di lingua greca nella biblioteca vaticana, socio dell' accademia romana di archeologia, deW accademia delle belle arti di s. Luca, dell' accademia reale ercolanese di Napoli, dell' accademia rea- le delle scienze di Monaco , dell' istituto reale di Francia , delVaccademia delle belle arti di Firenze ec. ec. Tomo I. 8. Roma, tipografìa delle belle arti i85n. (Sono carte 564). ìLcco un'opera eruditissima e lungamente desiderata da quan- ti sono amatori delle antichità romane. L'autore non ha bisogno di lodi, essendo già per tanti altri insigni lavori chiarissimo in Italia e fuori. Vogliamo bensì dire, che questo libro ai pare ben degno della sua fama. Sarà esso seguito fra breve dal secondo volume, cli'è già sotto il torchio; poi dal terzo , ed indi dalla gran carta topografica di Roma e de'suoi contorni. Nelle spomalizie della nobil donzella signora Chiara Neroni di Ripatransone col nobil uomo signor conte Perfetto Ditta- iuti di Osimo. Il marchese Filippo Bruti Liberati d. d. d. 8. Ripatransone, tipografia laffei 1837. (Sono carte 12.) lYLanco male che abbiamo nozze senza noiosissimi versi! Il signor conte Bruti Liberati ha preso a celebrar quelle della sua parente Neroni con le notizie, che ci dà, di Ascanio Condivi di Ripatransone, alunno, amico ed islorico del gran Michelangelo Buonarroti. Varietà' 347 Stato antico ed attuale del porto, città e provincia di Civitavec- chia, descritto da Pietro Manzi cavaliere della legione di onore. - 8. Prato tipografia di Fr. Giacchetti iSSy. (Sono carte 68.) Xl traduttore chiarissimo di Tucidide, di Erodiano, di Q. Cur- zio, ristorico della conquista del Messico e della rivoluzione di Francia, si è destato alfine dal sonno in cui sembrava da parec- chi anni dormire alla letteratura. E noi di cuor sincero ce ne rallegriamo, facendo plauso a questa giudiziosa ed elegante ope- retta, con la quale ha voluto degnamente onorare la patria sua. Le istorie di Genova scritte dal marchese Girolamo Serra e da Carlo Varese f compendiate ; in ottava rima da Gian Carlo di Negro patrizio genovese. 8. Genova, tipografia de' fra- telli Pagano iSSy. (Sono carte io5.) Oempre tenero della sua nobilissima Genova non lascia occa- sione il signor marchese Di Negro di celebrarne le glorie. Ecco- ne un nuovo testimonio in questo libretto: in cui se assai mo- strasi l'amor della patria, specialmente centra ciò che ne scrisse il Varese, assai pur mostrasi l'eleganza poetica. La storia ge- novese del Serra è qui compendiata in quattro canti; de' quali l'autore ha donato il titolo al celebre amico suo signor marche- se commendatore Luigi Biondi. Noi ne daremo questo piccolo saggio; Era età di possanza e di valore, Spirto guerrier signoreggiava l'alme, E di religion fervido ardore 348 Varietà* Spingea l'Europa a memoraiide palme; La terra, culla un di del Redentore Quando vesti nostre terrene salme, Sotto un giogo fremea profano e tristo> Tal che l'idea destò del gran conquista. Angli e normanni e il successor di Piero Caldo ai liguri allor porgeano invito. Sconfitti i mori e tolto lor l'impero Di Cirene, e disgombro il sardo lito, Con tremendo sul mar urto guerriero Corser veloci al gran disegno ardito> Tardi non mai nell'opre e nel consiglio> Invitti sempre nel maggior periglio. Caroli Boucheroni oratio habita in regio taurinensi attienaeti prid. non. novembr. ann. MDCCCXXXyiII. - 8. Taurini eclentibus Chirio et Mina in vico padano. (Sono carte ^o). Xl-icordare un'opera del cav- Bouclieron è il medesimo che lo- darla. Questo sommo italiano, presente onore della università di Torino, a tanto splendore ha recato l'eloquenza latina , che leg- gendo le cose sue ti sembra proprio legger quelle di alcuno scrit- tore del secol d'Augusto. Oh perchè dobbiamo noi così raramen- te dare altrui questa lode! Veramente gran danno, per non dire vergogna, che da'nipoti sia cosi trascui'ata la lingua imperadrice degli avi ! Quanto meglio sarebbe che men tedesco ed inglese si studiasse in Italia, ed anche men arabo e men copto e siriaco > e più intanto si attendesse al latino ed al greco ! Non che noi di- sprezziamo le altre lingue : ma grideremo sempre, che primo e gran fondamento di sapienza, a noi genti italiane, è il sapere mas- simamente leggere nelle opere di coloro, che furono i padri del- Varietà' 349 la filosofia e civiltà nostra, anzi della filosofia e civiltà di tutta Europa. Or ecco un'orazione degna compagna delle altre che abbia- mo dal cav. Boucheron.- nella quale con tutti i lumi dell'elocu- zione il celeberrimo autore consolaci delle virtù e delle opere del suo re Carlo Alberto, nome augusto cosi per magnanimità e per giustizia, come per patrocinio verso ogni maniera di lettere p di arti belle. S. B. Jtfaria Stuarda in Hamilton , dipìnto dal professore Raffaello Giovannelti, descritto dall'avv. Luigi Fornaciari. 8. Lucca dalla tipografia Giusti iSSj. ( Sono carte 3 1 ), V-ion assai eleganza, saviezza ed intelligenza di arte ha scritto il eh. Fornaciari intorno un dipinto, che sembra essere stato se- gno a diverse cpnsure. Noi non abbiamo veduto il guadro del professor Giovannettij ma l'avviso di un letterato sì giudizioso e si dotto ci dà cagione di poterci meritamente congratulare di un' opera, la (juale con tanta lode ci viene annunziata , descritta e difesa. 350 Varietà' A solennità e memoria del giorno terzo di ottobre 1807, "* '^''^ il nobil giovane Teofilo Conversini patrizio pistoiese e l'in- clita nobile donzella Irene Vivarelli Colonna facenansi co- muni le sorti della vita. 8. Pistoia dalla tipografia Cina, ( Sono carte 22 ). Jlicco la descrizione di un altro dipinto : lodato parimente con bella eleganza da un illustre italiano, dall'ab. Pietro Contrucci. Rappresenta esso l'incontro di Buondelmonte con la madre e la figlia Donati, gran seme di sciagure alla città di Firenze. La pit- tura è slata condotta a fresco dal valente signor Pietro Clivi nel palazzo de'fratelli Vivarelli Colonna in Pistoia. Le opere di Albio Tibullo tradotte in terza rima dal marchese Luigi Biondi romano. 8. Torino, tipografia Chirio e Mina 1857. (Un voi. di carte 129 ). Dante in Ravenna, dramma del marchese Luigi Biondi romano. 8 . Torino , tipografia Chirio e Mina 1837. (Un voi. dicarteii2). JLIi queste due insigni opere del marchese Biondi si parlerà ne' venturi volumi. I Varietà' 351. Della vita e delle opere dell'architetto Vincenzo Scamozzi, com^ mentario. Giuntevi le notizie di Andrea Palladio. 8. Treviso dalla tipografia Andreola 1837. ( Sono carte 178 ). Vi opera del oli. sig. Filippo Scolari, il quale l'ha intitolata al- l'insigne e pontificia accademia romana di s. Luca. Noi voglia- mo sommamente lodarne e la diligenza e la critica : talché non sapremmo qual cosa di più possa aggiungersi, soprattutto alle no- tizie del grande Scamozzi. Antichi vasi dipinti della Collezione Feoli , descritti da Secon- diano Campanari socio di varie accademie. 8. Roma 1807. ( Un voi. di carte 265 con due tavole ). X vasi qui descritti sono 169, e pressoché tutti della maggiore importanza per l'istoria delle antiche credenze e delle arti dei nostri maggiori, L'egregio sig. Campanari vi ha mostrato quella singoiar dottrina delle cose greche ed etrusche, di che diede già saggio nella dissertazione premiata solennemente nel 1806 dalla pontificia accademia romana di archeologia Intorno i vasi fitldi dipinti e rinvenuti ne'sepolcri dell' Etruria compresa nella dizio- ne pontificia. 352 Varietà' Prose scelte del padre Daniello Bartoli tratte dalle opere mino- ri del medesimo ad uso della gioventà studiosa. Volumi se- condo e terzo. 12. Pesaro dalla tipografia Nobili iSS?. ( Il secondo volume è di carte 27^, il terzo di carie 28j ). Sull'utilità di questa scella, e sul raro giudizio che vi usa il sì- gnor professor Montanari , fu parlato da noi nel tomo LXXI a carte aS^. Quanto a questi due volumetti, noi non possiamo che sinceramente ripetere ciò che ivi dicemmo del primo. Quesiti sopra i pubblici ufficiali., del barone Giuseppe Manna. 8. Torino iSao presso Gaetano Balbino. (Sono carte 99 ). V i si discorre della scelta, delle virtù, e dei doveri di quegli uomini che dal sovrano sono chiamati a parte dell' amministra- zione dello stato. Il libro é pieno di be'precetti, di religione , di filosofia. Il barone Manno è fra i chiarissimi letterati d'Italia, ed ì suoi scritti piacciono per eleganza, piacciono per sapienza. Varietà' 353 Sulla cappellina degli Scrovigni neW Arena di Padova , e sui freschi di Giotto in essa dipinti, osservazioni di Pietro E- stense Selvatico. 8. Padova co'tipi della Minerva i836. (So- no carte i44 con 20 tavole ia rame ), S^uesta cappella, di cui si sa che l'Hancarville aveva in animo di pubblicare l'illustrazione, è uno de' più preziosi monumenti che seguano l'aurora delle arti nostre. L'egregio signor conte E- stense Selvatico per molle nobili ragioni ha preso a scriverne; e principalmente, dic'egli, perchè pavento che anche su questo mo- numento piombi da qui a non molti anni la invano lagrimata sorte di altri molti, che sotto i nostri occhi vedemmo quasi con esultanza abbattuti, e si rimanga al paro di quelli senza uno sto- rico che lo ricordi, senza una pagina che né conforti a mirarlo. Pensiero degnissimo, e da quel dotto e gentile cavaliere ch'egli è ! li Apocalisse di s. Giovanni Evangelista, ridotta in versi italiani da Felice Bisazzà di Messina. - 8. Messina dalla tipografia Nobolo i83';. (Un volume di carte XV e 69 ). X^a pubblicato in quest'anno stesso una traduzione dell'Apoca- lisse il chiarissimo monsignor Agostino Peruzzi .• e n'ha ottenuto plauso da quanti si conoscono di nobile poesia. Or eccone un'al- tra, e di scrittore parimente chiaro, cioè del sig- Felice Bisazza. Noi non prenderemo qui a confrontale fra loro, tra perchè sem- pre odiosi sono 1 paragoni, e perchè hanno ambidue seguita una via diversa ; essendosi usata dal Peruzzi la terza rima , e del Bi- sazza il verso sciolto. Diremo bensì che molta maestria di lingua abbiamo ravvisata nel traduttore messinese, ed una dignità di verso assai rara in questo tempo di romantica corruzione, e con- venevole soprattutto, come ognun vede, a tanta gravità e santi- G. A. T. LXXIIL 23 354 Varietà' tà di originale. Di che abbiasi lode il valoroso , ed ognor più si conforti in un'arte supremamente nostra, come è la poesia: della quale gl'italiani non sarebbero ora si schivi , se prostituita non la vedessero all'ignoranza non meno, che alla viltà del servaggio straniero. A Maria Vergine liberatrice, i maestrali della città di Spoleti , la quale nei mesi estivi dell' anno iSS^ J'u prodigiosamente inviolata dal pestifero morbo per gliauspicii di tanta padro- na, solenni grazie con questo carme tributano. - 8. Bologna pei tipi del Nobili e compagno iSSy. ( Sono carte i4 h J3asti a lode dell'egregio autore, sig. professor Pietro Bernabò Silorata, darne qui questo saggio; Ohimè già troppo di si amare sorti Sofferse il danno Italia, e parve estinto Il perpetuo sorriso onde fiammeggia Questo cielo purissimo. Dai monti E dal gemino mare invan difesa La terra degli eroi, nel grembo accolse. Repugnante, la sozza idra che venne Dalle sabbie deirindico deserto Contaminando Eui-opa, e ricovria Cittadi e ville d'infinito pianto- Oh sicule marine, oh popolose Liguri balze, e voi sponde cui bagna Il bel Tirreno, quanto suon di lutti, E quante ciglia dolorose, e quanti Feretri, e lungo palpitar di madri Inhanzi aveste ! L'aere felice Che vi rabbella, tutto si veslia Varietà* 355 DI condensi vapori, e su pei colli E per l'immensità delle campagne Sedea, come di tombe, una quiete. Frattanto a mille per virtude arcana Eran percosse dallo strale che mai Non fere indarno, le vite fiorenti Di leggiadrezza e di valor .• cadeva Il popol, come all'autunnale orezzo De'querceti le foglie, e tutta in duolo Parve natura. Antonio Peretti regiensi. F. A. Pungileoni M. C. JLostulastl a me, studiose vir, lion ìndubias de vita et scriplls lacobi Belli notitias, ut tibl datum sit illas in unum colligcre , posterisque tradere. Noctuas Atlienas, sicuti commune fert pro- verbium, tulissem scribens in hac vetustissima patria tua, laco- bum non infimae plebis natum vitae limen attigisse. Bonos pa- l'entes, qui e Galli a erant oriundi, primos habuit educatores. Latinae grammalices et rethoricae scholas non modo frequenta- vi t, sed luculentissima ingenii arguraenta dedit. In francisca- lium institutum ingressus, solemni emissa professione, bonarum artium curriculum explevit. Quanta deinde in eo esset mentis acies, quam firmum de rebus tlieologicis iudicium, publicis ex- perimentis aperuit. Sacerdos factus, non sibi dumtaxat, sed to- tius ordinis bono natum arbitratus, eani vivendi innuit rationem, quae eo Consilio eaque vigilantia , quae maxima esse debet , scientìarum discipulis viam sternit. Provincialis ministri titulo et potestate merito decoratus, erga subditos urbanitatcm exerce- re in prelio habuit, ita tamen ut nimiae indulgentiae notam ef- fugeret. Per annos circlter triginta insigniora Italiae suggesta orator nulli secundus ascendit. Advcrsus maledicentissimos dl- vinae revelationis oppugaatores non satis illl fuit sacras compo- 356 Varietà' nere orationes, easque doctiorum rautinensìum plaussu memo- riter recitare; veruni etiam Parmae dum esset elegantibus typis ducalis typographiae publici juris fecit, ia quibus scripturae sanctae solida veritas invictissime viadicatur. Quartuni eius- dem materiei volumen, olim apud doctissimum urbiventanis praesulem Franciscum Orioli, qui confrater eius et intimus fuit, nuper inter patres cardinales a Gregorio XIV Pontifico O. M. adlectum , diligentissime custodltum , nunc in tabulano ordi- nis delitescit et lucem expetat. Bononiae binos in sacris cele- britatibus divi Petronii et beatae Cathariaae bononiensis pane- gyricos habuit, quos ibi, typis, ni fallor, Lelii a Vulpe, evulga- vit. la Thusciae civitate celeberrima, quatn lucenses incolunt , serraonem, cui titulus, si me non fallii memoria ,, Discorso po- litico „ typico praelo mandavit. In Urbis divi Marcelli tempio reverendissimi Caesarolii, prloris gen. incliti ordiais servorum Virginis Mariae, nomea et virtutes oratione funebri decoravit. Plaudentibus omnibus nostratibus laudatus lacobus in procura- torem generalem electus, proprium institutum quousque potuit vindicavit, iuvit, auxit. Consultoris congregationis sancti offici! atque episcopis probandis muneribus usque ad ullimam sene- ctam optime functus, apoplexi afflatus religiosissime inter con- fratrum preces et lacrymas e vita excessit. Datae ex aedibus ss. XII Apost de Urbe XXIII kal. dee. an. MDCGGXXXVII. I. Il santo libro della genesi difeso da* nuovi assalti de' moderni liberi pensatori. Parma dalla stamperia reale.MDCCLXXXVIII e MDCCLXXXVIIII. II. Nelle solenni esequie del Rev. P- M. Filippo Cesaroli prior generale de'servi di Maria, orazione funebre del Rev. P. M. Belli procuratore generale de' min. conv. , consultore del s. officio ed esaminatore de'vescovi« Roma MDCCCI. Ante aram basilicae ss. XII Apost. maximam hoc extat elogiuni in marmore iacisum. Varietà* 357 ' QVIETI . ET • MEMORIAE lACOBI . BELLI . MIN . CONV- DOMO . KEGIO . LEPIDI ORATOBIS . POETAE • THEOLOGI . AETATIS . STAK PRAESTANTISSIMI QVEM . PORTIFICES . MAXIMI PEBDVELLIBVS . ECCLESIAE . COERCENDIS EPISCOPIS . PROBANDIS SIBI . A . CONSILIIS . ADSCIVERE VIXIT , ANN . P . M . LXXXX IN . MAXIMA . OMNIVM . GRATIA M0DESTIS3IMVS 'M . SVI . ORDINIS . MAGISTERIVM . HAVD . SEMEL . RECVSAVIT DECESSIT . XIII . AVO . AN . MDCCCXXIIII FVNVS . PVBLICVM . LAVDATIONEM . ET . TITVLVM . BECKEVIT AVE . SENEX . PIENTISSIME . ET . VALE . IN . PACE 359 INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE ]\EL TOMO LXXIII, VOLUMI 217,218, 219 DEL GIORNALE ARCADICO SCIENZE Caraffa , Corso di matematiche tradotto con note dal Volpicelli pag. 3 Pcrrone, Praelectiones t?ieologicae, voi. IV. ,, 6 Toiudli^ Rivista medica ( continuazione ). ,, 21 Giusti^ Corso di filosofia ,,34 P eretti^ Della cetraria islandica ....,, -^(0 Santini.) Osservazioni intorno il melena . ,,129 Chelini, Teorica delle quantità proporzionali. „ 166 Cadete Cenni sulla storia medica del cholera in Roma ( con tavola ) ,,190 Tonelli^ Continuazione della rivista di alcuni scritti medici deproff. Medici ^ Ferrarese^ \ Paolini, Borelli., Valentini ec . . . „ 232 Jandelliy Biografia del cav. Domenico Morichi- ni ( con ritratto ) „ 248 LETTERATURA Campanari., Degli antichi tuscaniensi , e del modo di seppellire in Tuscania. . . . „ 49 Pellegrini., Tragedie • „ 67 Vaccolini, Osservazioni sul bello, Art. XI II..,, 76 360 Bonelll,, Praecipuorum phìlosophiae sy sterna" tutìi discfuìsitio historica « 89 Palma, Storia ecclesiastica e civile della regio- ne pia settentrionale del regno di Napoli. „ 95 Nf^crolngia di inonsig. Ilosini , , . . . ,,118 Odescn/j/iì, Descrizione de' nuovi lavori fatti alla diaconia de" ss. Vito e Modesto . . „ 231 Montanari^ Imitazione del primo capitolo del libro di Tobia ,,317 Ve miti, Spiegazione diana iscrizione cristiana.^j3\^ BELLE ARTI Vitruvio emendato ed illustrato, dal marchese Luigi Marini ( art, /. )• • • • • • • ,,323 Varietà. Tavole meteorologiche. ERRORI CORREZIOMI pag- lin. 'V* 179 3 salendo ^ 181 10 med u w ed 7z 181 1 6 mu = jc^ nui = X 184 7 salendo —,= '-, R s t 4=ÌR ^ t 187 15 l==k,lm s == A./w* NIHIL OBSTAT E, Jacopini Censor Theol. Deput. IMPRIMATUR Fr. Dora Buttaoni 0. P. S. P. A Mag. IMPRIMATUR A. Piatti Patriaicha Antiocheuus Vicesg. Osservazioni Metereologiche. j( Collegio Romano )( Novembre 1837. Oie Baromet. mat. si- ser. mal. gì- ser. pò. 11 o mal. ei- ser. mat. SÌ- ser. mat. SÌ- ser. mat. gì- scr. mat. SÌ- ser. mài. SÌ- ser. mat. SÌ- ser. mat. SÌ- ser. mit. gì- ser. mat. SÌ- ser. „ » 4 w »I 7 8 f> <» 7 3 27 1 1 6 » " 0 4 28 0 0 « ,, 7 )> t» 8 1» l 0 9> 0 7 27 I I 2 »> 10 8 ,^ ,j 2 „ „ 3 H 11 0 n >» 7 28 0 0 J» 1 4 « 2 0 »» )> 4 J» » 7 » »l 9 5» 3 3 »» i> 2 )> 2 9 „ >» 7 » »j 5 1» 0 7 27 II 0 1» 9 0 1 Pioggia Evapor. li 5 0 0 2li6 1 7 3 1 00 2 4 i 6 t2 1 4 •li 1 25 0 6 0 4 2 00 1 1 Stato del Cielo nuvolosissimo velato cliiarissìilio sei niiv. S[). z. eli. oriz. nu nuvoloso nuv. sole trai, chiaro nuv. oriz nuvoloso 2. eh. mi. oriz. ici. nuv. sp chiarissimo ser. vaporoso 2. chino, ori.nu 0 84 3 1 00 5o m. nu. sp. vap. nuv. sp. vap. Du. oriz. nuvoloso nuvolcsissiruo nuv. sp. nuvoloso ser. nuv. sp. rissimo ehia ser. nuv. sp. chmo. oriz. nu chino, oriz. nu nuvoloso nuvoloso coperto nuvoloso ccperto 2 ò 2 2 2 ser. nuv. sp. chiaro chiarissimo nuvoloso J9 Ore 1 Baromet. DO. li. 2 J y O „ 8 5 ser. mal. .ver. mal. si- ser, mal. gi- ser. mal. §'• ser. mal. si- se r. mal. Si- ser. imal. °i. ter. I lai. ii- tnat. S'- ser. mal, si- ser. 1 mal. -^s ->'• ser. . • mal. 2 9 .si' sor. ■ mal. •JO • ser. i6 4 „ 5 7 5 8 b 9 6 5 5 5 5 9 4 5 IO 6 9 5 6 8 ! 8 9 7 8 6 5 7 4 4 „ 0 0 » 9 G ! ., 11 6 9 9 5 Termometro 6 5 5 5 1 1 2 11 7 11 7 10 5 3 8 5 5 Igrom. Vento o IO S. f. i5 SO ra 5 s „ 17 SSO „ 25 SO f. i3 ,, ra. 3 0 0 8 S. V. m. 0 0 0 0 N d. 25 „ ra. i5 » » 5 0 0 32 „ „ 7 4 « „ )' » 7 „ „ 0 SE d. 0 N d. 42 „ ra. i5 0 0 7 N d. 3i 6 0 0 Pi loggia o 75 4 5o 14 N d. S. d. S. NO. N.furso. N. fmo. „ fte. 1 i5 i5 25 25 70 Evapor. Stato del Cieloi^ 3 5 0 4 5 3 0 4 5 nuvolosissime nuv. spar. nuvoloso chiarissimo voloso coperto piove cliiarissirao 3 8 ser. vaporoso nuvoloso cop. pio. pò. nuvoloso pie coperto ser. nuv. sp. cop. tut o z.ch. oriz. nuv. nuvoloso ,, z. chiaro nuvoloso chiarissimo "1 ririT ^-iimirii « ^.jaM»irg»jrt«fcin^»riCrtiir'»ÌTT.-f"T^ ■afc.mpf- i»r^T irrmiwtv iw^/jtKvmmuw.' >7 i8 »9 a3 a4 .27 39 3o 3i Ore Baroraet. niat. gì- •4 6 2 sei: „ 1 mal. y » M V a 0 ser. 4 . mal. ;) V S'-- >j 5 ser. * mal. » )> 4 6 5'- " 2 ■ »> Jt mal. g^- " )1 " ser. " » V 1 5 6 gì- 27 10 8 >i 4 9 mai. ^8 q §'■ 2 6 ser. ** mal. ti y gi- )) ò 4 ser. n »> " 0 mal. 4 J. g'- 7 xer. 9 mal. 5 •» g^- „ )> 0 mal. •^ - (?'• »» 1 0 8 ser. 1 mal. - — — g'- n >» 1 fi ser. mal. »» 2 0 » „ 1 g'- ser. mal. gi- mai. fi'- ; ser. mal. Term. esterno Ji j.JMIUll.MI ll»JIUJi^BlM»W»»a Termometro 12 I 26 8 8 0 29 8 1^ 0 10 2 Igrom . Ventò N m. J) )> » d. 0 0 )) » J> » >» 9* N-. (1. Pi oggi !. vapor. 0 5 )> „ 7 » 3 0 6 GIORNALE ARCADICO . DI SCIENZE , LETTERE , ED ARTI VOL. 220. 221. 222. R O MA SELLA STAMPERIA DELLE BELLE ARTI 1838. GIORNALE DI SCIENZE LETTERE ED ARTI TOMO LXXIV GENNAIO, FEBBRAIO E MARZO 1838. ROMA TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI 1838 Ili DIRETTOIIE DEL GIORNALE ARCADICO S. E. il slg. principe D. PIETRO ODESCALCHI , membro del collegio filologico dell'universitk ro- mana, socio ordinario della pontificia accademia di archeologia. COMPILATORI BETTI SALVATORE, professore di storia e mito- logia e segretario perpetuo dell'insigne e pontifi- cia accademia di S. Luca, socio ordinario e censo- re della pontificia accademia di archeologia. BIONDI marchese commendatore LUIGI, presiden- te della pontificia accademia romana di archeo- logia, soprintendente generale degli studi di bel- le arti in Roma per S. M. il re di Sardegna , membro del collegio filologico dell'università ro- mana, accademico della crusca. BORGHESI BARTOLOMMEO , accademico della crusca. CAPPELLO prof. AGOSTINO, già medico consu- lente di Leone XII, membro della congregazione suprema di sanità. CARDINALI CLEMENTE, consigliere governativo della legazione di Velletri, segretario dell'accade- mia volsca veliterna. CARPI PIETRO, professore di mineralogia e mem- bro del collegio medico dell'università romana. DE-CROLLIS DOMENICO, dottore in medicina. FOLCHI GIACOMO, professore d'igiene, di tera- peutica generale e di materia medica , membro del collegio medico dell'università romana, e del- la congregazione suprema di sanità. IV GERARDI FILIPPO, dottore in legge. POLETTI LUIGI, professore residente e cattedra- tico coadiutore di architettura pratica nell'insi- gne e pontificia accademia di S. Luca, professore ordinario nell' ospizio apostolico di s. Michele , professore onorario della R. accademia delle bel- le arti di Modena, direttore della riedificazione della basilica di s. Paolo, socio ordinario della pontificia accademia di archeologia. TONELLI GIUSEPPE, dottore in medicina. VISCONTI cav. PIETRO ERCOLE , commissario delle antichità romane, presidente del museo ca- pitolino , segretario perpetuo e socio ordinario della pontificia accademia romana di archeologia. COLLABORATORI DEL GIORNALE ARCADICO Al ^NTALDI marchese Antaldo, a Pesaro. ANTINORI marchese Giuseppe, professore, a Pe- rugia. ARMARGLI conte Leopoldo, giureconsulto, a Ma- cerata. ASTOLFI avv. Angelo, a Bologna. BARLOGGI Saverio, professore e membro del col- legio filosofico dell'università, segretario del con- siglio amministrativo degli acquedotti, in Roma. BELLENGHI monsig. D. Albertino, benedettino-Ca- maldolese, arciv* di Nicosia, consultore delle sa- cre congregazioni de'vescovi e regolari, dell'indi- ce e degli affari ecclesiastici straordinari , socio ordinario della pontificia accademia di archeolo- gia, in Roma. BIANCHINI Antonio, segretario della società degli amici delle belle arti, in Roma. BRIGHENTI Maurizio, ingegnere, a Rimino. BRIGNOLI di Brunoff Giovanni, professore, a Mo- dena. BONAPARTE S. E. Don Carlo, principe di Musi- gnano, in Roma. CAMILLI Stefano, a Viterbo. CAMPANARI Secondiano, socio ordinario della pon- tificia accademia di archeologia, in Roma. CAMPANARI Vincenzo, in Roma. VI CANALI Luigi, professore e bibliotecario, a Pe- rugia. CANONICI FACHINI marchesa Ginevra, a Ferrara. CANTALAMESSA CARBONI Giacinto, in Ascoli. CASSI conte Francesco, a Pesaro. CECILIA Gio. Francesco, in Roma. CHELINI padre Domenico, delle scuole pie, pro- fessore, in Roma. CIAMPI cav. Sebastiano, a Firenze. CONTI ab. Andrea, presidente del collegio filoso- fico dell'università, in Roma. CONTI dott. FILIPPO, medico, a s. Anatoglia di Camerino. COPPI ab. Antonio, socio ordinario della pontifi- cia accademia di archeologia, in Roma. CORDERÒ DI S. QUINTINO cav. Giulio, membro della reale accademia delle scienze, a Torino. DE-LUCA ab. Antonino, in Roma. DIONIGI ORFEI contessa Enrica, in Roma. DUMOUCHEL padre Stefano , della compagnia d Gesìi, astronomo del collegio romano, in Roma. FARI MONTANI cav. Francesco, dottore in filoso- fia ed in sacra teologia, sotto custode di arcadia. FERRUCCI avv. Luigi Crisostomo, a Lugo. FERRUCCI Michele, professore, a Ginevra. FIORINI Mazzanti Elisabetta, a Terni. FOLCHI cav. Clemente, consigliere dell' insigne e pontificia accademia di s. Luca, ingegnere ispet- tore membro del consiglio d'arte, ingegnere del- la s. congregazione delle acque , membro della commissione consultiva delle belle arti , archi- tetto del sacro tribunale della consulta, socio or- dinario della pontificia accademia di archeologia, in Roma. vii FONTANA cav. Pietro, a Spoleto. FRANCESCHI FERRUCCI Caterina, a Ginevra. GUZZONI DEGLI ANCARANI Carlo, a Macerata. JONII avv. Lodovico, giudice, a Norcia. LABUS dott. Giovanni, a Milano. MALVICA barone Ferdinando, socio ordinario del reale instituto d'incoraggiamento, a Palermo. MAMIANI DELLA ROVERE conte Giuseppe , a Pesaro. MARCOTULLI dott. Luigi, medico, a Sezze. MORDANI Filippo, a Ravenna. MONTANARI Giuseppe Ignazio, professore, a Pe- saro. MORICHINI monsig. Carlo Luigi, referendario del- l'una e dell' altra segnatura , ponente del buon governo, prelato aggiunto alla s. e. del concilio, abbrevlatore sopranumero del parco maggiore , pro-presidente dell'ospizio apostolico di s. Mi- chele, in Roma. MUZZARELLI monsig. Carlo Emmanuele, prelato domestico, uditore della sacra rota, in Roma. ODDI Giuseppe, professore e membro del collegio filosofico dell'università, in Roma. PAOLI conte Domenico, a Pesaro. PERETTI Pietro, professore, in Roma. PERUZZI monsig. Agostino, rettore dell'università, a Ferrara. PIANCIANI padre Gio. Battista , della compagnia di Gesù, professore nel collegio romano, mem- bro del collegio filosofico dell'università, in Roma. PUCCINOTTI dott. Francesco, medico, in Firenze. PUNGILEONI padre maestro Luigi, minore con- ventuale, consultore delle sacre congregazioni de' vescovi e regolai"! e de'riti, in Roma. vili BAMBELLI Gio. Francesco, professore, a s. Giovan- ni in Persiceto, RANALLI Ferdinando, a Firenze. RICCARDI dott. Gregorio, medico, in Roma. RICCI marchese cav. Amico, a Macerata. ROVERELLA conte Gio. Antonio, a Cesena. SALVI cav. Gaspare , consigliere e professore di architettura teorica nell'insigne e pontificia ac- cademia di s. Luca, ingegnere ispettore membro del consiglio d'arte, membro del collegio filosofi- co dell'università, architetto de'ss. palazzi aposto- lici e del sacro tribunale della consulta, in Roma. SANTARELLI Michele, professore, a Macerata. SANTUCCI ab. Loreto , custode generale emerito di arcadia , membro del collegio filologico del- l'università, incaricato di affari della santa sede presso la real corte di Toscana. SGLOPIS di Salerano conte Federico, membro del- la reale accademia delle scienze, a Torino. SORGONI dott. Angelo , medico comprimario , a Narni. TORTOLINI ab. Barnaba, professore, in Roma. VACGOLINI Domenico, professore, a Bagnacavallo. VALDRIGHI conte Mario, a Modena. VENTUROLI prof. Giuseppe, presidente del con- siglio d'arte pei lavori di acque e strade, membro del collegio filosofico dell'università, in Roma. VERMIGLIGLI cav. Gio. Battista, professore neir università , direttore del museo di antichità , a Perugia. VESCOVALI Luigi , socio ordinario della pontifi- cia accademia di archeologia, in Roma. VIOLA Sante, a Tivoli. VOLPICELLI dott. Paolo, professore, in Roma. SCIENZE Sopra alcuni nuovi riflettori lavorati in Roma per uso di grandi telescopii. Memoria del professore Feliciano cav. Scarpellini-, letta nelV accademia romana de^ lincei nella pubblica adunanza del giorno 3 di agosto 1835 (1). E fssere la scienza sublime degli astri per la di- gnità del suo soggetto, per la perfezione delle sue teorie, come dice La Place, il più bel monumento dello spirito umano, il titolo più nobile di sua in- telligenza, è una verità che ci attesta la storia di tutti i tempi, di tutte le nazioni, di tutte le scien- ze. Innalzarsi questo monumento sopra l'aiuola, che ci fa tanto feroci, e penetrar esso nella immensità dello spazio, fede ne fanno i voli sicuri , che già l'umana intelligenza vi fece ; poggiarvi essa collo sguardo oltre anche la possa della facoltà visiva , che le venne accordata, prova ne porgono i gigan- (i) Essendosi esaurita la prima edizione di questa memoria, che con magnifica stampa fu pul)blicala dalla tipografia Sai- viucci nell'anno i835 per ordine di sua eccellenza il sig. duca D. Alessandro Torlonia, noi crediamo far cosa grata agli amatori nazionali ed esteri, che la ricercano, di riprodurla in questo giornale, coH'agyiunta di un appendice assai importante. riETKO UIOLCIIIM 2 S e I E N » E teschi passi, che fece nell'ottica, coi quali le natu- rali forze vinse e se stessa. Se non è questo l'api- ce del gran monumento, fu però, non v'ha dubbio, la scala, con cui essa giunse a misurarne l'altezza. Ecco perchè men feroce , ma pili eccelso divenne lo spirito umano , alloraquando da questa bassa terra partì a conquistare col telescopio alla mano l'immensità dello spazio. Sia chi si voglia l'inven- tore di tale istromento, certo e che Galileo, gran luminare de'nostri antecessori lincei , giustamente feroce della sorprendente facoltà della visione, per non degradarla a fermarsi sopra terrestri oggetti di questa misera aiuola, come in origine si fe'per trastullo, fu il primo a rivolgere questo suo istru- mento nella vastità dello spazio , dacché vide su questa , al dire di Bailly , dominii occupati e già fatti partaggio dei grandi e dei ricchi; perciò quel tubo dirizzando verso del cielo, l'immenso mondo della scienza scoprì , e vi rinvenne il gran domi- nio , che non appartiene che al genio. Fu questo grande slancio dell'occhio linceo, che sublimò l'a- stronomia, e coronò tante altre corone, come rimar- cò Frisi, dell'immortal Galileo. Narrar le conquiste, che senza stragi ed oltraggi, ma a gloria dello spi- rito umano, a nome della scienza, a prò della so- cietà questo genio vi fece, sarebbe oltraggiare alla memoria indelebile, che quasi tutti nel mondo con- servano, del più famoso scientifico avvenimento. Per la qual cosa incoraggialo l'uomo per tan- ta conquista, convinto potersi la sua facoltà visiva a dismisura ingrandire , e ampliarsi oltre ancora il già assai ampio acquistato dominio, tutti gli sfor- zi della scienza e dell' arte impiegò ad ingrandire e perfezionare quella scala, a salir sulla quale , a Nuovi Riflettori 3 tanta altezza nello spazio , dato già ne aveva Ga- lileo il celebrato esempio. Fu perciò da quella me- morabile notte , in cui egli Ta sulla torre di Ve- nezia, la prima volta mostrò ai grandi della terra il più nobile e il più vasto dominio, che a nome della scienza conquistato egli aveva nella immen- sità dello spazio; e fu da quel momento fino a que- sti nostri ultimi giorni a tal progredimento il te- lescopio portato, che del doppio almeno in tanta immensità si accrebbe dell' astronomica scienza il dominio. Son note le epoche più rimarcabili di que- sto progredimento, che tanto onora lo spirito uma- no , e tanto nobilita la scienza. Viste e ben com- prese le vie , che prende la luce ne' suoi incontri diversi colle superficie di convergenza, visti i rap- porti che colle varie curve di esse i luminosi rag- gi vi ottengono, era indi£ferente l'assumer le leggi a quegl'incontri dei raggi prescritte, a questi rap- porti colle curve legati, sia che i raggi, le diafane od opache superficie di convergenza invadendo, vi fossero rifratti, sia che vi venissero riflessi; impe- rocché dalle diafane superficie convesse , e dalle concave delie opache, sempre risultando o dei ri- fratti, o dei riflessi raggi paralleli, la convergenza in un punto, che foco fu detto, l'immagine sem- pre in qualunque siasi rapporto di loro curve ne risultava dell'oggetto raggiante , e l'apparente suo ingrandimento, e l'estimato suo avvicinamento era- ne sempre il risultato. Aumentandosi questo sempre in ragione della distanza del foco dalla superficie di convergenza , era in potere dell'ottica di ottenere ancora ulte- riori ingrandimenti , guardando le già aumentate 4 Scienze immagini portate vicine all'occhio con lenti dì più o meno piccola distanza di foco e di forza , per- ciò pili o meno aumentatrice. Ecco i pochi e sem- plicissimi principii cato-diottrici, su cui tutta è ba- sata del telescopio la teoria. Fu della prima specie, o diottrico, il cannoc- chiale , che r Italia vanta aver prima rivolto a scoprire le maraviglie del cielo : come in questa prima epoca del telescopio, vantò Roma aver da- to i primi vetri di convergenza o lenti oLbiettive delle maggiori distanze di foco. Sono ricercate an- che a'giorni nostri quelle di Eustachio De-Divinis e del Campani. Fu della seconda specie, o catottrico, il can- nocchiale ideato in origine in Francia , e poi in Inghilterra eseguito: e può dii-si, che i riflettori di convergenza segnarono la seconda epoca del tele- scopio, come i vetri di convergenza , o i cannoc- chiali diottrici avean segnato la prima. Vide il gran Newton, come già vista aveala l'immortale Keplero, l'importanza delle ottiche co- gnizioni per la sublime scienza degli astri ; e come questi ne trasse le verità capitali, cosi quegli giun- se a formarne un corpo di scienza , che il titolo gli meritò di fondatore. Che cosa non fece nelle mani di questo genio rarissimo il prisma cedutogli da Gassendi? Fra tante maraviglie, che giunse a sco- prirvi, si avvide ancora, ch'essendo i vetri di con- vergenza un assieme di prismi, d'uopo era che da quelli gli effetti risultassero del prisma , la di- spersione cioè dei raggi luminosi , e la colora- zione perciò delle immagini nel punto della con- vergenza di quelli , ove queste vengono rappre- sentate. Questa verità teoretica confermata dal fat- Nuovi riflettoki 5 to, oltre l'aberrazione dei raggi luminosi dal pun- to di lor convergenza, che doveane risultare, cosi per la varia refrangibilita dei raggi colorati , co- me per la sferica configurazione dei vetri refrat- tori , donde questa doppia aberrazione deriva a guastar le vere immagini, gli fece concludere la imperfezione dei vetri di convergenza, e troppo presto gli fece anche dire disperato il pensiero di tentarne la correzione. Non è raro l'esempio, che certe verità dimostrate , quando non abbiano an- cora di tutti i fatti la guida , conducono talora a troppo azzardate conclusioni. Certo derivarono que- ste da alcune avvertenze sfuggite sopra teoretici tentativi , per cui piìi tardi avvenne la disperata correzione, che colla lente acromatica, come ognun sa, in appresso si ottenne. Compensò di assai però Newton il ritardo di questa celebratissima inven- zione , che perfezionò la prima specie di cannoc- chiale, e lo compensò col darci la seconda specie o telescopio catottrico formato, come ognun sa, di un riflettore di convergenza, presso il cui foco il cono luminoso , pria che vi giunga , vien lateral- mente piegato da un altro piccolo riflettore piano posto ad angolo semiretto coll'asse, e nel punto dì convergenza dei raggi la già ingrandita immagine dell'oggetto, e avvicinata all'occhio a piacimento si aumenta mercè delle lenti di varie forze, colle qua- li vien riguardata. Di questa specie appunto è il gran telescopio , che qui vi presento, e che perciò catordiottrico, o newtoniano fu detto. Se fu New- ton il primo ad eseguirlo non più lungo di sei pollici, e quindi Halley di cinque piedi ; non fu però il primo a proporre a tal uso i riflettori , poiché Cartesio, Mersenne, Gregori, e Cassegreu ne 6 Scienze avevan pria di lui concepita l'idea. Le questioni però fra loro insorte, le opinioni sul sistema mi- gliore da scegliersi, e sopra tutto le loro specula- zioni sulle figure paraboliche o elettriche da dar- si a tali riflettori, non favorite dalle esperienze per la somma difficolta di ottenerle, ne ritardarono, e quasi distrussero le belle idee. Newton pili felice a seguire le vie dei raggi riflessi , che quelle dei rifratti nel telescopio , riducendo tutto a nozioni semplici, e a circoscriverle dentro i termini della possibilità, fu il primo ad eseguirlo, e meritò es- serne detto l'inventore, come il sarebbe stato anche dell'acromatico, se quelle sviste non l'avessero trat- to fuori dalle vie dei raggi rifratti. Ecco le specie di telescopi, coi quali l'umano ingegno giunse a sorpassare i confini assegnati alla sua facoltà visiva. Essendo la scienza dei cieli la scienza propria dell'uomo, mentre la causa supre- ma, l'ordine universale, il tutto d'ogni suo sapere senza maestro vi legge, pare che fosse a lui dato di potervi penetrar collo sguardo anche al di là di quei termini, che erano bastanti alla naturale sua continuazione, ai suoi rapporti, ai suoi bisogni , perche appunto in quelle immense regioni la glo- ria di un Dio onnipotente sentisse che gli narrano i cieli , e le opere ammirabili delle di lui mani scorgesse , che il firmamento gli annuncia. Esser circoscritti anche quei termini, ai quali pervenne, prove ne porgono la sua limitata natura, le finite sue facoltà , la differenza immensa che passa tra r infinito e il finito. Esser però pervenuto agli estremi possibili, non lo dice il fatto, noi consen- te il progredimento, di cui si scorge, e si spe- Nuovi Riflettori 7 rimenta capace. Ed eccomi al punto, su cui inten- do tutto volersi aggirare questo mio ragionamento. Avea già Newton traveduto fra la verità e l'er- rore la impossibilita di correggere il primitivo can- nocchiale diottrico; le due aberrazioni, cui soggia- cea per essenza, certo facevano disperarne il rime- dio. Ma Eulero non le rinveniva neirocchio umano, prototipo di perfezione delle diottriche superficie di convergenza. Dunque o netta non era la verità per la parte di Newton , o era a discifrarsi con lo studio dell'occhio. Stava Kllngestlern per Eulero, e pel suo Newton Dollond, e per la verità stavano l'esperienza e l'analisi, le quali dopo il conflitto delle opinioni, e della prevenzione per un gran no- me, mercè della prima lente acromatica da Dollond, eseguita ad imitazione dell'occhio, decisero la pos- sibile correzione dei cannocchiali diottrici , come Newton istesso dopo le speculazioni sulle curve da darsi ai riflettori deciso avea sulla possibilità del telescopio cato-diottrico. Quando slan mossi i pas- si sempre sulla via del vero, è sicuro e sollecito il progredimento, ch'altri vi tenta: se si devia però, o vi s' immaginano ostacoli, il rientrarvi o il supe- rarli esige lungo tempo e decisa costanza. Che dif- ferenza fra il primo cannocchiale di Galileo pochi pollici lungo, e che piìi di tre volte non ingrandi- va le immagini, e quello che il primo diresse al cielo per discoprire e mostrare le maraviglie dell' universo? Qual diff"erenza poi, e che lunghezza di tempo fra questi e gli acromatici di Dollond, e il COSI detto gigante ottico di Fraunofer , che esiste a Dorpat."* Che differenza fra il primo telescopio di Newton sei pollici lungo, e quello di llcrschel di quaranta piedi, visitato a Slough come una delle 8 Scienze maraviglie del genio e dell'arte? Fattasi la stupenda invenzione di ampliare la facoltà visiva, si sarebbe mai pensato dall'ingrandimento di tre volte poter- la condurre oltre quello di tremila, quando un tal progredimento in entrambi i casi erasi anche ripu- tato impossibile? Ma allo spirito umano dar si vol- lero facoltà di ragione: e tali non sarebbero, come accade nei bruti , se la qualità non avessero del progredimento. Non avrebbero neppur sognato Ga- lileo e Newton gli accaduti al tempo nostro: e quel- li che questo tempo chiameranno antico prenderan- no forse di noi compassione. E bene, a che segno, direte voi, potrà lo spirito umano arrivare a pene- trare collo sguardo nella immensità dello spazio? Avvi forse possibilità di attinger quei limiti, che dicemmo alla sua finita natura assegnati? Io non so per quali altre scale diverse dalle rinvenute fino- ra potesse oltrepassare i fin qui toccati confini, per altri tentarne più remoti, ma sempre finiti: come non sapeasi un giorno poco distante dai nostri , con quali altri motori diversi dai già conosciuti spinger si potessero con velocità straordinaria e per terra e per mare le vetture e i battelli , che furon poi detti a vapore. So però, che della finora usata scala servendosi, ad ampliare nello spazio il dominio della scienza, la scienza istessa e gli stes- si suoi principii ne suggeriscono i mezzi egualmen- te possibili. L'ardito assunto sta tutto, o ad allun- gare le distanze focali, e in proporzione ampliare le aperture così delle diottriche, come delle catottri- che superficie di convergenza, ovvero ad immagina- re un metodo, che assicuri a tali superficie tanta esattezza delle loro curve, che il risultato della ma- novra sia quasi quello della matematica espressio- Nuovi Riflettori 9 ne; risultato, che fu creduto quasi impossibile nel- le curve di lunghissima distanza focale. Dimostra in fatti la teoria, esser questa la qualità essenziale di dette curve: anzi potersi con essa compensare l'eccessiva lunghezza dei fochi ad ottenerne i piìi forti ingrandimenti. Starebbe dunque in questo me- todo il gran segreto dello sperato progredimento. Non è qui luogo di prendere in considera- zione i giganteschi macchinamenti, e le difficolta che si accrescono nel trattar telescopi di si enormi e proporzionate dimensioni accresciuti. Sta alla mec- canica il superarle , come le superò nella prima epoca del cannocchiale, quando si videro rivolgersi al cielo quelli di Ugenio e di altri di ben 123 piedi di focale lunghezza. Dove non giunse il desio di sapere, e la pazienza, il travaglio, l'impegno di ve- der pili degli altri.** L'ardito assunto , che dicemmo suggerirci la la scienza che ora scendo ad esporre , si deve al peritissimo ottico sig. Alberto Gatti , da Magliano provincia di Alba in Piemonte, ingegnere geometra, membro della reale società di agricoltura, e cor- rispondente della reale accademia delle scienze di Torino. Incoraggiato questo perito ingegnere dal- le speranze di rinomatissimi astronomi sulla pos- sibilità di migliorare i telescopi e i lavori di ot- tica, e molto pili dai felici tentativi che per tren- t'anni egli fece per riempir tali speranze , e per oltrepassare quei limiti , cui fin qui si pervenne in detti lavori; e provocato da un articolo da lui riscontrato nel Monitore di Francia del giorno 30 settembre 1819, in cui dicevasi, appartenere a ben piccolo numero di dotti il dichiarare, se possa spe- rarsi ancora qualche perfezionamento nella fabbri- G. A. T. LXXIV. 2 f 0 S e I E N S E caziene clegl'istrumenti di ottica , si mirabilmente finora eseguiti; si decise a pubblicare nel supple- mento alla gazzetta piemontese num. 36 del gior» pò 26 marzo 1824 le sue prime idee sopra un me» lodo da lui immaginato , di cui già con semplice annunzio prevenuto aveva il pubblico nel 1820 con questo titolo: » Nuova maniera di migliorare gl'i- strumenti ottici con sempre crescente progressio- ne. » Persuaso egli dal propri suoi tentativi, che il cercato miglioramento non potrebbe ottenersi che per una via affatto diversa dalle finora battute , an- nunciò nel num. 77 della stessa gazzetta sotto il giorno 27 giugno 1822, che le nuove esperienze da lui istituite lo avevano intieramente convinto, che la via da lui presa non solo conduceva, ma era l'unica a migliorare gl'istrumenti ottici , e specialmente le due specie di telescopi. Recatosi egli in appresso in Roma, ove sembrano ingigan- tirsi le belle idee , continuò a perfezionare i saggi dei suoi lavori, dei quali sovente ebbe occasione di mostrare ai dotti e agli amatori nazionali e stranieri 1 belli risultamenti. Non poterono essi sfuggire alla perspicace considerazione di uno dei pili illuminati ministri del governo, l'eminentis- slmo e reverendissimo principe signor card. Giu- lio Maria della Somaglia decano del sacro colle" gio, e in allora segretario di stato di Leone XII, Egli pertanto, prima di sottoporre al sovrano una memoria umiliata dal Gatti sopra la sua inven- zione, volle con suo dispaccio del giorno 13 no- vembre 1826 consultare il giudizio della roma- na accademia dei lincei: la quale nominò fra i suoi membri una speciale commissione, incarlcan- (loia del richiesto esame^ deU'interpcllato scntimen-' Nuovi Riflettori 11 to , e della redazione di un rapporto al corpo accademico, che avendo quello approvalo, n'ordinò per copia conforme alla segreteria di stato la tras- missione. Accordò essa, che di questo rapporto fosse per- messa la pubblicazione colla stampa, a gloria ed incoraggiamento dell'inventore, cui anche fu ag- giunto qualche attestato della beneficenza sovrana. La commissione medesima continuò nello stesso incarico per altri rapporti, che in diverse epo- che l'accademia diresse ai successivi segretari di stato, gli eminentissimi e reverendissimi principi signori cardinali Bernetti e Albani , sopra altri quesiti sullo stesso argomento, dei quali venne o- norata. Ecco i cenni istorici, che fissano l'epoca della invenzione del nostro Gatti, dell'interesse che ne prese il governo, dell'accoglimento che ne ottenne in Roma. Da queste cose apparisce quanto ne sia be- nemerita la romana accademia dei lincei, che fu la prima a proferirne giudizio, a registrare, a ga- rantire ne'propri atti tutto ciò, che sotto gli occhi suoi avvenne nel progredimento di tale invenzione, come ancora negli onorevoli risultati, che poscia, come si dira, ne derivarono. E siccome agli antichi lincei tanto appartenne per le cure e per l'interes- se che ne presero, il memorando assunto del gran Galileo loro collega, di spinger per il primo lo sguardo nella immensità dello spazio , come ai ristabiliti lincei tanto appartiene quello del Gatti di oltrepassare quegli immensi confini, parrebbe essere riserbato alla Lince Romana di dirigere e regolar i più acuti sguardi fin dove sarà permesso ad occhio mortale. 12 Scienze Ma tempo è che io scenda a qualche det- taglio deUa invenzione che io presi ad esporre, e spcciahnente del metodo, che le dh il pregio di una interessantissima novità. Diretto essendo per vie non ancora tentate l'assunto del Gatti pel mi" glioramento delle diottriche e delle catottriche superficie di convergenza, preferì di cimentarlo in queste ultime, o nei riflettori, convinto di uguali successi nelle prime, o nei refrattori. Quindi si fece in primo luogo a cercare quali fossero i corpi più acconci a costruirsi, affinchè la migliore ri- flessione si avessse dei raggi luminosi; e poscia qual fosse il metodo il pili sicuro per ridurli a precisa superficie di convergenza, a fine di con» seguirvi la più decisa terminazione delle imma- gini degli oggetti riflessi. Sulla scelta pertanto dei materiali, e sul metodo di trattarli consiste l'as- sunto, e la qualità di questa invenzione. Dopo il perfezionamento recato coli' acromaticismo nelle semplici refringenti superficie di convergenza, ap- partiene alla chimica, all' ottica, all'analisi di re- golare la scelta dei vetri: ma dai risultamenti di più tentativi la scelta dipende dei materiali più acconci per le riflettenti; e sotto questo aspetto, o per trovarli in natura o per comporli , è più scabroso l'assunto; il metodo per ridurli poi in esatte superficie, in entrambi è lo stesso. Si sa quale ardua difficoltà, e di quanta spesa sia la fusione delle leghe metalliche solite ad as- sumersi per costruire i riflettori pei telescopi ; si sa il penoso e lungo travaglio per condurli al- la perfezione , e l' alterazione che a lungo tempo vanno essi a subire. Ma tanti essendo in natura } materiali capaci non meno che i metalli del Nuovi Riflettori 13 più bel pulimento e della più viva riflessione dei faggi , pareva piìi giusto al nostro Gatti di ri- correre a questi, che in tanta copia la natura ci offriva, e che con pili regolari forze e processi, e con sintesi piìi ordinata e tranquilla^ a dovizia troviam preparati. Furono pertanto i primi suoi tentativi so- pra le così dette pietre dure, le agate, le sar- doniche, i diaspri, in genere le silicee come le piìi capaci di tersissimo pulimento ; ma queste, oltre il valore, non porgevano speranza ad avere riflettori di gran diametro, benché gli effetti ne guarentissero la scelta. Con non minori successi tentò egli i porfidi e i graniti a procurarsi piìi grandi aperture. Cimentò gli smalti , le obsidia- ne, e perfino i marmi conchigliari, o altre specie di pietre assai compatte e di ardito pulimento capaci. Questi saggi che per suo studio teneva, e so- vente mostrò ai commissari dell' accademia, e le indagini che coi confronti vi raddoppiava, lo con- dussero finalmente al sommo della sua invenzio- ne, che il decise per la scelta del marmo così detto nero-antico , da qualcuno creduto il tena- rio, così dagli antichi chiamato, perchè cavavasi a Tenaro promontorio della Laconia, e tal ripu- tato , mentre Plinio e Strabone lo dicono pre- zioso, e adattissimo al pulimento da specchio: ed è certamente che per questo carattere meritava fra i naturali prodotti nella proposta ricerca, e nella scelta, la preferenza. Restava quindi sempre un ostacolo a supe- rarsi ( onde ridurre ad esecuzione il suo pi'o- getto), quello cioè dei mezzi pecuniari. AUor- 14 S e I E N « E che il Gatti fece conoscersi in Roma , non aveva potuto esercitare il suo genio inventore che so- pra piccolissimi specchi, i quali potevano soltanto dare un' idea della cosa: ma perchè la scienza vi guadagnasse, e perchè le fatiche dell'inventore fos- sero coronate da un felice successo, e ne traman- dassero la memoria alla posterità, conveniva farne l'esperimento sopra una scala piìi vasta: ed a fare ciò abbisognava un qualche generoso protettore. Esso il rinvenne nell'egregio sig. duca don Alessan- dro Torlonia, senza l'aiuto del quale 1' invenzione del Gatti giacerebbe forse tuttora negletta , la di lui sussistenza sarebbe tuttavia incerta, e l'umani- tà defraudata dai progressi e dalle scoperte ulte- riori delle scienze astronomiche, cui il perfeziona- mento dei telescopi apre la strada. Egli amantis- simo delle cose belle, e di tutto ciò che può aggiun- gere lustro e splendore alla nostra dominante , si mostra in tutto 1' emolo del colto e virtuoso suo germano don Carlo, possessore del piìi bello e gran- de acromatico inglese che esista fra noi. E difatti , inteso appena l'elogio della scoperta e dei vantag- gi che ne potevano risultare per la scienza, e de- sideroso eziandio di conservare a Roma e provve- dere alla sussistenza del povero inventore (in età avanzata già pervenuto) non esitò un istante a fis- sare un congruo giornaliero sussidio a favore del medesimo, onde potesse lavorare e ridurre a perfe- zione i suoi riflettori. E siccome ad ottenere ciò si richiedeva inoltre una spesa non piccola, onde procurarsi i materiali necessari alla lavorazione, e tutt'altro alla medesi- ma inerente; volle provvedere anche a questo, assu- mendo il tutto a suo carico, e prescrivendo al Gat- Nuovi Riflettori 15 ti eli iluìla trascurare o tenergli occultò di quanto potevagli occorrere^ onde raggiungere (ne'suoi la- vori) la maggior perfezione. Fu appunto per tali non comuni facilitazioni che si ottenne 1' intento bramato. Non fu però che nell* anno 1833 che per la prima volta venne in luce un riflettore di 8 piedi di foco, il quale volle che a foggia dei pili belli lavorati in Londra fosse nobilmente montato e di tutti i movimenti capacej a norma del modello che sulle mie idee erasi gik esibito; onde il telescopio romano, dalla terra al cielo rivolto, i movimenti se- guire potesse degli astri. Tralascio di descrivere il meccanismo egregiamente in Roma eseguito dal pe- rito nostro meccanico sig. Angelo Lusvergh, limi- tandomi a rappresentarne nell' annessa figura la semplice idea della disposizione delle parti, le qua- li equilibrate essendo nella migliore maniera fra loro, si prestano con facile e dolce andamento ai grandi e piccoli movimenti operati dalla sola mano dell'osservatore, colle note viti di rappello. Dopo di ciò avendo osservato il signor D. Ales- sandro Torlortia, che lo specchio suddetto essendo di una grandezza comune non avria procurato alla invenzione quella pubblicità, ed al suo autore quel- la fama che in casi consimili deve desiderarsi, ordi- nò che due altri se ne costruissero di straordinaria grandezza. Esso in ciò fare da niun altro desiderio venne animato, se non da quello di aprire un cam- po air ingegno del Gatti onde giungere potesse al sublime ed alla perfezione del suo lavoro, e nuU'af- fatto gli calse se per raggiungere questo scopo si richiedesse maggior tempo o dispendio. A tale ef- fetto volle che il Gatti potesse giovarsi (sempre a i& Scienze sue spese) dell'opera del suo allievo Belli, della stes^ sa patria del Gatti e della stessa inclinazione, per isperarne un degno successore. Volle inoltre che i medesimi venissero costruiti sotto la mia direzione e presso di me in Campidoglio, avendo a tal fine generosamente apprestato due grandi deschi di su- perbo nero antico, il primo di 20 piedi di foco e poli. 26 di diametro, il secondo di poli. 28, ed in entrambi le facce ridotte in superficie di conver- genza Tuna del foco di 20 piedi, V altra di 40, misura francese. Nel dare tali disposizioni genero- se non fu per esso di piccolo eccitamento il de- sio, che Roma non dovesse più invidiare un tele- scopio di Herschel. Terminato il primo di questi riflettori, si volle osservarne un qualche effetto. Troppo vicini erano per esso gli oggetti terrestri, e non era a profa- narsi su questi. La curiosità ne spinse però a di- rigere la grave massa alle solite tusculane colline non più remote di circa 12 miglia. Nulla io dirò de- gli osservati effetti, poiché ne decise il pubblico at- tiratovi dalla curiosità, e dalla voce che ne precorse; dirò solo che il celebre capitano Basilio Hall ed al- tri dotti inglesi si felicitarono di avanzare le loro congratulazioni con chi era stato di si bell'opera il benefico promotore: ed io mancherei a me stesso , ed al dovere di storico, se non riferissi tali partico- larità, e non mi associassi in rendere all'egregio sig. D. Alessandro Torlonia quel tributo di lode, che la giustizia e la verità m'impongono, per un tratto si bello di commendevole generosità. Restami ora a far conoscere il fondamento del nuovo metodo immaginato dal sig. Gatti per ridurre in superficie di convergenza o le refrangenti o le Nuovi Riflettori 17 riflettenti materie. Questo metodo, che abbraccia tut- ti gl'istrumenti della diottrica e della catottrica , in genere è quello conosciuto ed usato dagli ottici di tutti i tempi. Fu però a tal finezza condotto dal Gat- ti, e su tale ragionamento basato, che, come dicem- mo , il pregio acquista di una novità la piìi inte- ressante; e ravvicinando il massimo sforzo della pra- tica alla matematica espressione, ardisco chiamarlo il non plus ultra della mano operatrice dell'ottica. Sa benissimo questa mano, diretta dalle ottiche co- gnizioni, e dalla esperienza addestrata, stare il tut- to di sua professione nel saper dare alle materie che ha scelto le precise superficie curve di convergen- za, che loro sono assegnate. Questo primo passo non altro richiede, che poche cognizioni, ma molta pe- rizia e diligenza, sia nel descriver le curve, sia nel ricavarne le superficie, che piatti o forme son det- te, colle quali ridur si dovranno le assunte super- ficie, acciò ne siano le concentriche corrispondenti; sia finalmente nel ridurre Je forme stesse , o nel concentrarle. Ottenute così le richieste curve, e fedelmente tradotte sulle superficie non atte ancora a riflettere o a rifrangere i raggi di luce, trattasi compartir lo- ro quel lustro , che la bella riflessione acquistino degli specchi, o delle lenti la brillante trasparenza. Ecco il piìi pericoloso momento per loro. Accade sempre, piìi o meno, che il progresso al lustro sia in ragione reciproca di quello alla precisione delle curve, che è l'essenziale. Conobbero i piìi accorti periti lo scoglio di questo momento , che porta a passi retrogradi , e si studiaron di abbatterlo ; ma non fu ancora annullato. Si conoscono i mezzi as- sunti per conseguire siffatto pulimento. Per quanto 48 Sciente siano essi i più fini, certo è che ilon sono consìé^ guiti colle stesse identiche superficie, che formaroii le curve: e tanto basta perchè queste siano alterate* Non può adunque sperarsi, che per le vici finorat battute si possa in esse conservare quella qualità, ch'è l'essenziale. Ora ecco come, ragionando e tentando, feli-» cernente vi giunse il nostro inventore per altra via< Fissata e compartita coi noti processi la curva ri-> chiesta ai suoi riflettori, fabbrica egli sopra la incur- vata lor superficie quel piatto o forma, che do- vrà migliorarla, raffinarla, allustrarla, affinchè colla forma sempre la stessa sia il lavoro incominciato e finito. Ecco l'inalterabilità della curva, anzi il con-- tinuato suo perfezionamento* Tutto questo lavoro s'incomincia e si compie col solo smeriglio dal grosso fino all'impalpabile. Con una regolare e graduata decantazione delle sue poN veri si prepara una serie pi'ogressivamente piìi fina^ che a piacimento può protrarsi ad una eccessiva sottigliezza; e con esse gradatamente travagliando la superficie del riflettore , si arriva al lustro del piìi forbito acciaio, e delle gemme stesse ; e ciò che pili importa , a conservai^e la curva , anzi a ravvicinarla con progressivo perfezionamento alla matematica espressione. Marciano dunque cosi in ragion diretta fra loro alla perfezione queste due delicate condizioni delle superficie di convergenza. Ecco perchè questo elegantissimo metodo fu chia- mato dall'inventore » Nuova maniera di migliorare gl'istrumenti di ottica con sempre crescente pro- gressione; i> il che s'è vero per matematica idea , per la fisica però forza è confessarvi un confine. Da tutto l'esposto apparisce, che questa nuova maniera Nuovi Riflettori 19 sta interamente nella natura, nelle qualità, nella costruzione della forma, che incomincia il lavoro, e lo conduce con quella progressione crescente, se non al massimo , certamente al maggior grado del suo perfezionamento. Lungo sarebbe il dettaglio della preparazione di tali forme; e d'altronde» consistendo specialmente su queste lo studio, il travaglio , i tentativi di tanti anni, e il servigio che l'inventore ne rese all'indu- stria e alla scienza, non mi sarebbe permesso col descriverlo di appropriarmi e di spacciare l'altrui. Dirò soltanto, poiché tali forme furono talora mo- strate , essere esse una superficie o concava o con- vessa, secondo che lo richiede il lavoro da farsi, la quale risulta da un assieme di pietre dure collegate fra loro con tale ingegnoso artificio, che un tutto ri- sulta esattamente concentrico alla superficie , che si lavora. Giunta essa all'ultimo grado , il brillante delle pietre dure supera quello dell'arte. La felice occasione offertasi al Gatti di costrui- re i due gi*andi riflettori sopra indicati, ha por- tato anco in questi ultimi mesi ad un passo di tanta entità, che arrecando eziandio nel lavoro una facilità e un risparmio di tempo, va del doppio ad accrescere il pregio dell'invenzione. Tali sono sem- pre i frutti del favore e della munificenza che ac- cresce i mezzi, e dà il diritto alla gloria a chi sa con senno accrescerli a tempo. Ma qui sento da qualcuno obbiettarsi : Come dunque son divenuti famosi i riflettori di Herschel a Londra, quelli di Schroeter lavorati da Scander in Germania; come le obbiettive acromatiche di Dol- lond, quelle di Fraunofer, e quelle perfino appre- stateci dal nostro dotto Prunelli in Ancona, le quali 20 Scienze riscossero già 1' approvazione e l'applauso di lutti i dotti in Europa, quando non prima di oggi si sa l'in- venzione fatta dal Gatti» e di piìi si asserisce esser l'unica a conseguir il miglioramento degli ottici istrumenti? Il miglioramento egli cercò col suo nuovo me- todo: il miglioramento cercaron col loro i sopra ci- tati celebratissimi ottici addotti in esempio. Ninno prelese aver conseguito la perfezione. Che se stesse il miglioramento nella invenzione , che non prima di oggi si seppe, si farà forse onta a chi, senza que- sta, così egregiamente finora operò, e meglio in ap- presso potrebbe col conoscerne ora il nuovo sistema? Chi sa con questo qual nuovo spettacolo offri- rebbero i riflettori di Herschel, le acromatiche di Fraunofer condotte col nuovo metodo di Gatti fino al contatto della matematica precisione, e qual for- za aumentatrice perciò varrebbero a sostenere? Non potrebbe star quivi il contatto del microscopio col telescopio? Sperando di vedere avverata questa mia as- serzione, terminerò col riportare un fatto, che da pochi giorni non senza sorpresa osservai, e che par- mi ad evidenza mostrare di che divenga capace , e che possa perciò farci sperare quella qualità essen- ziale nella superficie di convergenza^ che ci vien ga- rantita dal nuovo metodo , ch'esposi , e dai risulta- menti del fatto. Si è detto , che i riflettori non per- verranno mai a renderci nette e decise le immagini a quella distanza focale, cui si è detto portati i ri- frattori. Non entro qui in tale questione, che deve sotto pili aspetti esser presa ad esame: parlo soltan- to dei riflettori , ai quali vuoisi prefinito un confine per trarne fuori, ed ingrandite e decise averne le Nuovi Riflettori 21 immagini , quando specialmente quello di un pro- porzionato diametro vsia prefinito quasi impossibile al maneggio. Se alla meta di un raggio di 80 piedi sta il foco dei raggi paralleli riflessi da una superficie di convergenza in un punto da essa 40 piedi di- stante, qual'è quella prossimamente del piìi gran- de telescopio di Herschel , come in quello spec- chio di 4 piedi di diametro, come conservar l'in- tegrità di un arco , che ha per raggio 80 pie- di senza farlo diventare uno specchio quasi pia- no, o stranamente alterarlo, qualora il lustro gli sia dato per le vie ordinarie, o piuttosto non sia- ne assicurata l'integrità della curva solo possibile col sistema del Gatti? Glie a lui sia stato possibile , me ne ha convinto il fatto che qui riporto , e che da pochi giorni fece egli osservarmi in uno specchio di marmo nero, non già di 4 piedi di diametro, ma di soli 5 pollici, e di ben 45 piedi di foco, vale a dire di una superficie di convergenza che ha per raggio 90 piedi, Dopo l'avvenuto in consimili tentativi, e nello stesso specchio di 40 piedi di Herschel, benché isti- tuiti sopra specchi metallici e di maggiori diame- tri, parrà incredibile il dire, aver io ed altri in questo bel saggio ultimamente dal nostro inventore eseguito , dirò quasi a dispetto delle migliori condi- zioni , nette e decise osservato le immagini degli oggetti alla consueta distanza del Tuscolo fortemente ingranditi con una sola oculare di 6 pollici di foco, Gon che parmi deciso il gran pregio della fin qui discorsa invenzione del Gatti. Ecco il tributo, che per me si dovea a que- st'uomo impagabile; al governo che col favorirlo 22 S e I E N l K accrebbe a Roma la gloria di averlo: a quest'ac- cademia che il pregio dichiarò della invenzione di lui , e fa oggi conoscerla alle colte nazioni : e a quel benefattore, che a lui e a se stesso un bel posto di gloria va ad assegnar nella storia. APPENDICE Chiunque abbia percorsala fin qui riprodotta memoria negar non potrà, aver Roma anche nelle scienze e nelle arti meccaniche quel vanto, che tut- ti le accordano nelle arti belle, nel genio e buon gusto eh' essa ispira, e nel favore e protezione , che sempre distinse la patria dei Mecenati. Noi ne abbiamo a' giorni nostri un luminoso esempio nel fatto che vien riferito nel diario di Roma num. 8,27 gennaio 1838, in cui alle notizie, che al- tre volte vi furono riportale sui nuovi riflettori in- ventati, e per la prima volta costruiti in Roma, troviamo aggiunto qualche ulteriore dettaglio di non lieve interesse , e piìi che bastante a contestare la nostra asserzione. Noi non istaremo a ripetere come il Mecenate dei nostri giorni fece ancor per le scienze cose che far non poteva l'antico. I po- steriori progressi fatti nelle arti meccaniche, nel- l'ottica, nell'astronomia e nel buon gusto danno ai nostro una tal preferenza. Tutto questo è abba- stanza esposto nella memoria del prof. cav. Scar- pellinì, che abbiamo ripubblicato in questo giornale. L'atto filantropico dell'esimio romano signor duca don Alessandro Torlonia , diretto non solo a trar dalla inopia il bravo ottico signor Alberto Gatti piemontese, il quale giacevasi in Roma per mancanza di mezsi quasi inoperoso nei difficili lavori Nuovi Riflettori 23 della sua professione, ma a trar partito ancora dai ta- lenti in Roma nascosti, e farne su lei tutta riverbe- rare la gloria, è certamente tale che qualifica l'uomo di genio e di cuore, il cittadino che ha vero amor per la patria, il seguace della benintesa filantropia. Il pensiero di congiungere con quest'atto vir- tuoso non solo 1' ardita intrapresa di fare avere a Roma il vanto stesso eh' ebbe Londra , quan- do il celebre Herschel fu il primo a mostrarvi i grandiosi suoi riflettori metallici, ma anche la glo- ria di superarli, e di cedere ad essa Roma, il nuo- vo insigne istrumento, è tale che qualifica l'uomo promotore delle belle invenzioni, e che le più ra- re cose sacrifica alla gloria e all'onor della patria. La decisa determinazione poi di provocare non solo la perizia dei nostri meccanici nel costruire il montante per uno di tali riflettori , e di ave- re un gran telescopio dalle mani loro, a prefe- renza di esteri macchinisti, che venivan proposti, ma di porli ancor nell'impegno di esibirlo di tal' eleganza e ricchezza che degno fosse di Roma , e della scienza, cui specialmente servir dovea nel confronto, che veniva proposto fra i consueti ri- flettori metallici e i nuovi di nero-antico in Roma inventati, è una determinazione dell'uomo che co- nosce quali risorse ebbe sempre la patria sua coli' eccitare 1' emulazione e la gara, e che sa apprez- zare e promuovere i nuovi cimenti , che a tanto alto grado innalzarono a' dì nostri le scienze, e le arti che ne dipendono. Questi tratti di genio e di spirito, che si di- ramano su tutto, sono di ben altro Mecenate, e ben altro presidio e decoro difibndono , quando è lo spirito pubblico che ne vien riscaldato, Roma ne 24 Scienze porse l'esempio; ma in tempi più illuminati e colti olii oggi nasce in Roma sa ed insegna a nobilitarli. Aflìnchè però l'ulteriore dettaglio , con cui ci prevenne nel citato numero il Diario dì Roma, ab- bia qui appresso la memoria, che abbiamo ripro- dotta, il proprio suo posto, e pervenga oltremonti, e se ne perpetui fra noi più durevole ed onorata la ricordanza, noi volemmo quasi per continuare nell' argomento di quanto accadde in appresso dargli luogo più acconcio nel presente appendice, JVon e qui a parlarsi del gigantesco macchina* mento, che Roma similmente vedrà costruirsi dai nostri meccanici per dar gli opportuni movimenti ad uno dei più grandi telescopi cato-diottrici che siasi finora rivolto al cielo. A questo scopo ven- nero preparati i due grandi riflettori forni:» ti già coi due sopranominati deschi di marmo nero-an- tico. Il loro diametro è di circa 28 pollici , e il loro foco di 20 piedi, misura di Francia. Uno di essi è lavorato ancora nella faccia opposta, con un foco però di circa 40 piedi, giacche la natura del materiale è suscettiva in entrambe le superficie di una egualmente tersissima riduzione. Si è così ottenuto un superbo riflettore a due facce per gì' indicati fochi diverse: e postosi esso in billico so- pra solido montante per alternarne a piacere le riflessioni sulle due superficie, ofi^re uno spettacolo di maraviglia, e un mobile di un nuovo genere di lusso non mai più veduto. Questi nuovi riflettori, lavorati in Roma sul Campidoglio nella officina dell' accademia dei lincei , stanno attualmente colassù esposti alla vista clegli amatori nazionali ed esteri , che vi si portono ad ammirarli, e ad osservarne i grandiosi effetti. Nuovi Riflettori 25 Alla speciale ammirazione però, che tutti tri- butano al generoso promotore eli cose sì belle, ci richiama il dettaglio ulteriore cui destinammo il presente appendice. Pago il suo spirito di aver sol- levato un virtuoso artefice, di aver favorita e pro- mossa la nuova e bella invenzione di lui, e di aver cooperato alla gloria dell'amata sua patria, e al de- coro in essa dei buoni studi, nulla mai ostentò, e tal ne prese compenso in se slesso, che neppure ambi portarsi a vedere i prodotti delle sue beneficenze. Indottovi finalmente però dal desiderio di quel- li, che ne avevano partecipato, condiscese: e recossi ad osservare il telescopio, eh' egli aveva ordinato costruirsi interamente in Roma, e servire special- mente ai progressi fra noi delle scienze e delle ar- ti. Stavasi esso da qualche anno depositato nella bi- blioteca dei lincei , ove rivolgere non potendosi al cielo, forza era soddisfare la curiosità degli amato- ri verso le colline del Tuscolo, e profanarlo a guar- dare uomini, case e piante, invece degli astri pei qua- li l'egregio amatore l'avea destinato. Fu quivi certo ove l'amor suo per la patria sentì compiacenza, ve- dendo in essa costruito nella fabbrica del perito no- stro macchinista sig. Angelo Lusverg un istrumento non solo elegante e ricco, qual lo aveva ordinato, ma di tal perfezione da emular quella di simiglianti istrumenti, che si hanno dalle piìi rinomate fabbri- che di Europa. Fu quivi che il genio suo per la scien- za fece proporgli di trasportarlo sopra l'osservatorio del campidoglio, onde poterlo rivolgere, e meglio impiegare allo sguardo del ciclo. Intese però le dif- ficoltà del trasporto di tanto inacchinamento, volle egli stesso salirvi. Varie cose colassìi proposte, ri- chiese il parere dello Scarpellini, che diretto ave- G. A. T. LXKIV. 2 26 Scienze va la fabbrica di detto osservatorio, e fornito Io ave- va di tutti gristrumenti, altri acquistati, altri co- struiti da lui stesso per l'istruzione della gioventù nella pratica astronomia. « Conosco, rispose il prof., le rare qualità del cuore di vostra eccellenza : ma ignorando il destino, a cui riserba il telescopio, pro- ferir non saprei all'uopo alcun mio sentimento. « Fu quivi, ove l'aura del campidoglio idee generose per la patria ispii'ava agli antichi, che le sue svelò il generoso amatore della gloria di Roma. « Sapete voi, disse, l'impulso che mi decise ad ordinarlo; or che quassù trovo tutto allestito allo studio del cielo, non posso meglio che sul campidoglio destinarlo a prò dei lincei, che da un sommo pontefice vi ebbero una reggia; a prò della studiosa gioventù romana, che vi riceve istruzione in questo studio divino. «Or- dinò quindi, che premessi i debiti uffici, fosse a sue spese costruita vicina all'osservatorio una opportu- na camera per custodirlo, da cui potesse agevolmen- te trasportarsi nell' adiacente terrazzo, e per ogni dove rivolgersi nelle astronomiche osservazioni. Co- ronò finalmente questa beneficenza con suo pregia- tissimo dispaccio diretto all' accademia dei lincei, col quale dichiara, voler colla sua offerta rassegnare a questo dotto corpo, che tanto onora la sua patria, un omaggio di quella stima che gli tributano l'Ita- lia e le colte nazioni, e accrescere alla studiosa gio- ventù romana, cui specialmente destina il suo do- no, quell'incoraggiamento, che sul campidoglio si porge allo studio del cielo. Il corpo dei lincei intanto si è fatto un pregio d'intrecciare questo serto di virtuose azioni, che i ispira l'amor della patria, con altri fregi che por- l gè l'amor della scienza. Premessasi al sopra lodato Nuovi Riflettori 27 dispaccio ossequiosa risposta, ripiena di sentimenti dì riconoscenza non solo pel prej^iatissimo dono fatto airaccademia, e per 1' onore di cui vien ri- colmata, ma di ammirazione ancora pel nobilissimo scopo che si ebbe di ottenere in Roma non meno che altrove le piìi difficili e pregevoli cose dedi- cate ai progressi delle scienze, e al servigio di chi le coltiva, fu nominata una deputazione scelta dal corpo accademico, che a nome suo e della studiosa gioventù romana rassegnasse in persona i sentimen- ti medesimi al benemerito amator della patria. Fu questa deputazione composta de'seguenti lincei: Illmo e Riho monsignor Girolamo Galanti; S. E. il sig. principe don Pietro Odescalchi; S. E. il sig. don Ma- rio Massimo duca di Rignano , e due dei signori professori della università di Roma, Ecmo sig. dot- tor Pietro Carpi, e sig. cav. don Feliciano Scarpel- lini, il quale come segretario perpetuo dell'accade- mia offrì l'omaggio da essa reso al benemerito dona- tore col diploma, che lo dichiara linceo fra i mem- bri di onore. Ad eternare inoltre la memoria di tanta muni- ficenza leggesi ora sul campidoglio, nella lapide ap- posta dentro la nuova camera del telescopio, la se- guente iscrizione: 28 Scienze ALEXANDRO . TORLONIAE PATRIAE . AMANTISSIMO ARTIVM . SCIENTARVMQVE . PROPAGATORI QVOD . HOC . TELESGOPIVM APVD . CAPITO LIVM NOVO . ARTIS . MOLI MINE IMPENSA . SVA . INSTRVI . FECERIT ET . AD . LYNCEORVM STVDIOSAEQVE . IVVENTVTIS . VSVM AEDE . APPOSITE . PARATA . ESSE . VOLVERIT COLLEGIVM . LYNCEO . MVNIFICO PONI . CENSVIT ANNO . MDGCGXXXVII Finalmente il corpo accademico si è fatto un dovere di partecipare ai supremi magistrati, clie presiedono alla pubblica istruzione, questa gene- rosità dell' illustre sig. duca don Alessandro Tor- lonia , dirigendo anche ai medesimi copia con- forme del suo soprallodato dispaccio. Tale aggra- dimento sentirono essi in questa nobile gara del- la patria e della scienza , nella quale per l'una e per l'altra ci porgono luminosi esempi, e ci pre- cedono per l'eminenti loro attribuzioni, che l'Emo e Riho principe sig. cardinale Lambruschini come segretario dì stato, e come prefetto della s. con- gregazione degli studi, e l'Eino e Riiio principe sig. cardinale Giustiniani come camerlengo della S. R. C. e come arcicancelliere della università di Roma, ed entrambi come membri di onore nell'albo dei lincei, si degnarono di contestare con pregiatissimi loro dispacci a sua eccellenza diretti non solo la loro compiacenza pel servizio, ch'ella ha reso alle Nuovi Riflettori 29 scienze, ma la loro soddisfazione, e quella del go- verno per lo zelo ch'ella prende a promuovere in Roma le utili invenzioni, e la gloria della sua patria; e onorandola in fine dei loro elogi, por- gono incoraggiamento ai veri filantropi, e nella mi- glior maniera ricompensano le loro virtù. Noi non potremo in miglior maniera contesta- re il fin qui esposto, che terminando quest' ap- pendice coi tre sopralledati dispacci, dei quali con assai desiderio di conoscerli corse voce di tanto ap- plauso. Previo pertanto il dovuto permesso noi li riferiamo, perchè conoscasi il pregio delle virtù, la gara di esaltarle, il merito in Roma dello spirito puijblico, e rendasi a tutti, e specialmente uni- Quique^ suiirrp. Jjettera di S. E. il sig. duca don Alessandro Torlonia diretta al cav. segretario perpetuo delV accademia de lincei. Ella ben conosce, pregiatissimo sig. cavaliere, che nell'essermi prestalo, dietro le sue raccoman- dazioni, in sollevare l'ottico Alberto Gatti, e pro- curargli i mezzi di sussistenza, nuU'altro ebbi in vista se non che esercitare un atto di filantropia verso un uomo quanto bravo altrettanto sventu- rato, e quello altresì di favorire la scienza, ai pro- gressi della quale mi si diceva che la di lui scoper- ta avrebbe assai contribuito. Si rammenterà ancora, come compito appena un primo saggio del suo lavoro, volli che si ap- prestasse dal nostro bravo meccanico Angelo Lus- Wergh il tubo in metallo non solo, ma tutto il corredo necessario, onde potesse aversi un tele- 30 S e I E N « E scoplo cato-diottrico intieramente perfetto e degno di Roma. Avuto poi l'avviso che a rendere proficuo l'uso del telescopio stesso richiedevasi un locale atto a contenerlo e garantirlo ad un tempo dall'azione dell'aria, non indugiai un solo istante a dare le opportune disposizioni, onde venisse costruita di ma- teriale una camera contigua a codesta sua specola eretta sul Campidoglio, la quale corrispondesse allo scopo anzidetto. Ora poi che tutte queste cose sono compite, nulla di meglio mi si presenta al pensiero che of- frire il telescopio stesso a questa inclita accademia de' lincei , della quale ella ricopre con tanta lode il carico di segretario perpetuo, e la quale può in Roma considerarsi il sacro deposito delle scienze. Nell'offrire pertanto a questa inclita accade- mia il suddetto telescopio, come un omaggio dei sentimenti di sincero rispetto che nutro verso della medesima, è mio divisamento ch'esso non solo possa servire al di lei uso, ma a quello eziandio della gioventìi romana che nella sublime scienza si oc- cupa dell'astronomia: e mi chiamerei ben fortu- nato se questo mio tenue omaggio potesse con- tribuire all'incremento della scienza, e ad accre- scer lustro e decoro all'amata mia patria. E certamente non avrei potuto destinar quest' Qo-getto in luogo migliore, che là dove le scienze per oracolo del sovrano, che vi traslatò i lincei, ebbero una reggia; e la dove ella completò il cor- redo dcgl'istrumenti destinati allo studio del cielo e alla pubblica istruzione. Gradisca in tale incontro, pregiatissimo sig. cavaliere, le nuove assicurazioni di sincera stima Nuovi Riflettori 31 e considerazione, colle quali ho l'onore di rasse- gnarmi Roma li 23 novembre 1837. Devmo servitore A.LESSANDR0 ToRLONIA. Lettera dell" eminentissimo e reverendissimo sig. Cardinale segretario di stato diretta al predetto sig. duca don Alessandro Torlonia. Dal benemerito restauratore e segretario per- petuo dell' accademia de' lincei mi è stato parte- cipato, che V. E. per l'amore delle scienze esatte, e per l'incoraggiamento che con avviso commen- devolissimo cerca di dare agl'ingegni patrii , ha fatto dono all'insigne accademia suddetta di un bel- lissimo telescopio cato-diottrico, costruendo ben an- co a sue spese una camera acconcia all' uopo ove collocarlo presso la specola del Campidoglio. Questo atto di munificenza , degno dell E. V. , non solo ha risvegliato nei soci lincei sen- timenti di dovuta gratitudine verso di V. E., ma ha meritato altresì il gradimento del governo e della sacra congregazione degli studi: ed io in nome sì dell'uno e sì dell' altra ne porgo a lei i più sin- ceri ringraziamenti insieme co'raiei particolari, com- piacendomi ancora io di appartenere a quello scien- tifico stabilimento. Voglia la E. V. continuare a proteggere e fa- vorire i buoni studi e le arti belle a decoro sem- pre maggiore dell'inclita Roma a lei riconoscente. Io mi pregio intanto di confermarle i sensi della mia costante e perfettissima stima. Roma 6 gennaio 1838. Servitore vero L. Cardinal Lambrusguini 32 Scienze Lettera delV eminentissimo sig. Cardinal camerlengo diretta allo stesso sig. duca don Alessandro Torlonia. Dall'egregio sig. cav. professore don Feliciano Scarpellini, segretario perpetuo deiraccademìa de* lincei , ha appreso il sottoscritto cardinal Giusti- niani come TE. V. ha voluto aggiungere un magni- fico ornamento alla detta accademia, un nuovo sti- molo alla gioventù nell'onorata carriera delle scien- ze , e particolarmente dell' astronomia, un monu-r Tnento glorioso sacro alle scienze e alle arti cqI magnifico grandioso dono di un telescopio catodiot- trico, che ella, secondando gl'impulsi del generoso suo animo, ha offerto all'accademia per uso della medesima e per quello eziandio della studiosa gio- ventìi romana. Avea gik avuto occasione il cardina- le scrivente di ammirar da vicino la grandiosità e l'esattezza di sì bel lavoro, e di considerare il van- taggio che ne deriverà alla pubblica istruzione; era a lui noto per parte del nominato sig. cav. profes- sore il lodevole scopo, che l'È. V. si era proposto nella esecuzione del medesimo, di apprestare cioè ad un tempo pietoso sollievo al rinomato, ma po- vero ottico Alberto Gatti, di facilitare i progres- si dell'astronomia, e di sostenere con tal lavoro , interamente perfetto, il lustro e lo splendore di Roma diletta sua patria; e neppure ignorava che per compimento dell'opera volle ella a sue spese inte- ramente costruita di materiale una camera conti- gua alla specola, eretta sulla vetta del campidoglio dal lodato sig. professore, atta a contenerlo e cu- stodirlo. Tutti questi savi e generosi tratti sono ab- Nuovi Riflettori 33 bastanza eloquenti per renderne il meritato elogio all'È. V. , e per destarne, in chi sa apprezzarli , gratitudine verso di lei. Contuttociò per la prote- zione e per l'incoraggimento, che nella sua rappre- sentanza di camerlingo di S. R. Chiesa dee il car- dinal sottoscritto dare alle Lelle arti e alle srìen- ze, soddisfa volentieri al suo cuore , esternandole Ja sua compiacenza, e rallegrandosi colle arti e scienze medesime , che riconoscono fin da ora un mecenate nell'E. V. È anche propria al sottoscritto questa circo- •stanza per rassegnarsi con distinta considerazione. Roma 16 del 1838. Servi tor vero G' Cardinal Giustiniani 34 Esperimenti da praticarsi negli animali domestici con diversi materiali tolti dagli ammorbati di cholèra indiano. \^e i più assennati cultori d'Italia nell'arte sa- lutare proclamarono contagioso il cholera delle In- die comparso appena fuori del suolo natale , il nostro eh. compilatore prof. Agostino Cappello sino dal 1831 mostrava eziandio in queste carte, che sarebbesi quel morbo universalmente diffuso e fatto indigeno non meno per la ignoranza che per la umana malizia. Questo gravissimo giudicio nel suo libro sul cholera di Parigi del 1832 fu chiarito con tali prove e sì profonde dottrine , che sonosi sventuratamente appuntino avverate. A buon di- ritto perciò fu quel lavoro dagli stessi dotti d'ol- tremonte proclamato superiore a quanti eransi fino allora pubblicati. Quindi la storia severa farà pa- lese il penetrantissimo avvedimento del sommo re- gnante pontefice Gregorio XVI per averlo beni- gnamente destinato consigliere nel supremo dica- stero di sanità. Pel quale incarico il collega no- stro non ha mai smentito l'acquistata celebrità, ma duratura anzi e perenne sarà l'onorevole sua fama. Che se a noi tutte, al pubblico solamente in parte sono note le savie sue operazioni , memo- rande saranno sempre per Roma le sagacissime e replicate sue previsioni intorno 1' esotico flagel- lo. Laonde con ansietà attende il pubblico il no- vello suo lavoro annunziato in diversi medici gior- Esperimenti pel Cholera 35 nali col tilolo Argomenti dimostrativi per la estir- pazione del cholera indiano dappresso V isterico suo andamento negli stati romani. Che se noi come direttore di questo giornale abbiamo avuto in animo di tessere un nuovo elogio all'ottimo collega nostro, ce ne correva anche de- bito : dacché per sovrana benignità concedutoci la direzione di qualche pubblico stabilimento, e il far parte della commissione straordinaria della pubblica incolumità di Roma , ci siamo nell' in- fortunio giovati non poco de'suoi consigli nelle no- stre speciali incumbenze. Savissima era stata quin- di la risoluzione della commissione straordinaria d'incolumità, creata dall'adorato pontefice , quan- do Ancona era flagellata dal morbo, di aggregare il Cappello al suo medico consiglio tostochè egli fu reduce dalla sua gloriosa missione da quella cit- tà (1). Ma nel rinunciarvi per superiore coman- do , per trovarsi egli membro del suddetto dica- stero supremo di sanità, protestavasi in una pie- na adunanza della commissione appo l'eminentissi- mo presidente e gli eccelsi personaggi che la com- ponevano, che nel giorno del pericolo, che Dio te- nesse lontano, sarebbesi a tutt'uomo prestato. Il per- chè la commissione straordinaria richiamavalo nel (i) Quando gli ufficiali documenti del cholera di Ancona sa- ranno messi alla luce, vedrassi luminosamente il compiuto trion- fo dell'italiana sapienza. Immortale ne rimarrà la gloria al no- stro governo con molto onore del sig. Cappello colà generosa- mente accorso, e per sovitano comando destinatovi a sorvegliare il medico servigio e a dirigere le sanitarie misure, che furono da esso alacremente e con fermezza sostenute (siccome ha praticato sempre) anche in quei di, nei quali o guardava il letto o stava coavalescente pel grave cholera da cui era stato ivi colpito. Il Diuttorg 36 Scienze (lì 31 di agosto per sorvegliare specialmente i medici e le fiirmacie destinate alle case di soccorso di vari noni- ed egli mentre che notte e dì era chiamato ed accorreva indefessamente alla cura degli ammor- bati di cholera, corrispondeva all'invito con somma diligenza e con non cornane accorgimento (1). Ne fu ciò bastevole pel Cappello; ma pel suo vero deside- rio pei progressi della scienza medica, poiché ve- duti avea delusi per altrui nequizia e presunzio- ne gli sforzi generosi del governo, e l'instancabile suo zelo, offriva egli alla commissione sotto l'ano- nimo cinquanta zecchini d'oro affine di conseguire gli sperimenti accennati nel seguente progetto, che noi qui, stante il ritardo deli' opera dai suddetti giornali annunciata, estimiamo pregevole di pub-r blicare con ischiarimenti aggiunti in nota dali'au^ tore. Dobbiamo inoltre rendergli lode, come testi- moni di fatto, del dolore provato per vedersi man- dati a vuoto i saggi suoi divìsamenti. La qual cosa avvenne, perchè nel discutersi i fondi e il luogo per eseguirsi il progetto, il morbo fortunatamente andava in totale decadimento, che i moltiplici ten- tativi dall'illustre autore proposti non sarebbonsi potuti conseguire. Pietro principe Odescalchi direttore (i) Contemporaneamente umiliava all'Emo Gamberini, se- gretario per gli affari di stalo interni, un suo rapporto che l'Emo passava al supremo dicastero di sanità con tantp sapere ed istraordinario zelo da questo eccelso porporato presieduto, nel quale dichiarava aver egli stimalo di accettare l'incarico della commissione straordinaria di pubblica incolumità non tanto per lo scopo di sorvegliare i medici e le farmacie delle case di soc- corso, che ogni accorto medico avrebbe dovuto e potuto rnggiu- guere , quanto per gli sperimenti in discorso e per aver voce nella generale disinfettazioue di Roma. Ili DlBETTORE Esperimenti pel Gholera 3t Emi e Rnii Principi Agostino Cappello consigliere di sanità umilia all' EE. W. Rme gli annessi fogli, supplicandole divotamcnte di averli in considerazione; onde prov- vedere colla maggiore possibile sollecitudine a quanto viene in essi esposta, avendo gik l'anonimo depositato in mano del supplicante la somma di 50 zecchini destinata all'operatore. Che della gra- zia ce. Agli Emi e Rmi Principi componenti la com- missione straordinaria dell'incolumitU di lloma. Roma 5 settembre 1837 La commissione straordinaria di pubblica in- columità di Roma, per secondare lo zelo di iin ano- nimo, invita un medico o un chirurgo, che ripu- terà essa idoneo, a praticare colle debite cautele sanitarie i cjui sotto notati esperimenti con le se- guenti condizioni: 1° La commissione provvederli non meno ai locali ed inservienti, che ai diversi animali dome- stici richiesti all'uopo. 2.^ Le sperienzc saranno colla massima dili- genza praticate sotto la direzione e la presenza di Agostino Cappello consigliere di sanità, che ne com- pilerà la opportuna relazione. 3.° Il medico o chirurgo operatore, oltre la pubblica lode , qualunque ne sia il risultamento , conseguirà un pi'cmio di 50 zecchini d'oro offerto dallo stesso anonimo, allorché avrà adempito a ciò che segue. 4." Almeno per tre volte dovranno ripetersi i 38 Scienze singoli esperimenti, il primo de'qualì sarà col san- gue de'cholèrici innestato nei conigli, non solo co- me fu praticato all'ospedale della Carità di Parigi dal chiar. Rayer, ma eziandio dal chiar. Namias in Venezia (1). 5.° Qualora veggansi i risultati a seconda de* pensamenti del medico italiano, il sangue de'coni- gli ammorbati di cholera sarà inoculato a galline, polli d'India, piccioni, cavalli, vacca nostrale, gio- venca svizzera, capre, pecore, cani e gatti etc. (2). 6.° Sarà cura dell'operatore di porre alla Loc- ca di un cholerico gravissimamente algido e mori- fi) Noi conosciamo i lavori del Namias solamente per gli estratti di alcuni medici giornali: né dubitiamo che questo va- lente medico non abbia calcolati gli esperimenti eseguiti talora sotto i nostri occhi dall' illustre Bayer (Stor. medica del chole- ra indiano osservato a Parigi, Roma i833 pag. 269 e »eg. ). Se nonché dicesi che il Namias non vide la morte ne' conigli , se non col sangue de'cholèrici (Bibl. italiana num. 242 pag. 168); mentre in Parigi anche il sangue di uomo vivente, e non chole- rico innestato ne'conigli produsse la morte presso a poco cogli stessi fenomeni ed identici risultamenti necroscopici ; senza che indizio di cholera siasi mai colà manifestato nei conigli inoculati col sangue colerico. Perlochè in un suo opuscolo il eh. Marco- Uni, mettendo in avanti l'autorità nostra, poneva in dubbio i ri- sultati a seconda dell' opinione del veneto professore. Questi d'altronde aveva sapientemente conchiusa la necessità di atten- dere a questo genere d'investigazioni, d'onde trar si possono o tosto o tardi utili corollari. ( Bollettino delle scienze mediche di Bologna, agosto e settembre i836 pag. ioo-4). Più a lungo noi torneremo sopra quest'argomento nel nostro lavoro annunziato dal suddetto bollettino (ottobre iSSy, e dal Filiatre di Napoli, ottobre id ). (2) Estimiamo superQuo di ripetere, che se di rado, tutta via in più luoghi, inclusive qualche volta in Italia, sieno stati attaccati, malgrado della diversa organizzazione, dal cholera in- diano gli animali domestici. Esperimenti pel Cholera 39 bondo un vetro per raccorvi l'espirato vapore, on- de immediatamente inocularlo presso il letto dell' infermo in alcuni de'suddetti animali, non escluse le capre, pecore, cani e gatti (1). 7." Si raccoglierà una quantità del così detto fluido cholerico da individuo appena morto, e tra- passato dopo 10 ore almeno di stadio algido, spre- mendo appositamente detto fluido dalle pustole che trovansi nel canale enterico per inocularlo ne'sud- detti animali (2). 8.*^ Praticherassi altrettanto col fluido bianchic- cio , che trovasi talvolta nella vescica orinaria ne' morti pel cholèra algido. 9.° Il medesimo sarà subitamente praticato co' fluidi cholèrici emessi in detto stadio per vomito e per alvo, vivente l'ammorbato. IO.** Passato il cholera nello stadio di reazio- ne, si prenderanno sul corpo vivo le diverse ma- fi) Questo uostro divisamento non fu mai da alcuno proposto: e ci pare non doversi omettere resperimento, stantechè il cho- lera il più rapido e mortale spiegasi sovente con gravissima in- normalità dell'organo respiratore. Nel suddetto lavoro sul cho- lera di Parigi (pag. 271) fu per noi anche detto il tentativo d'in- trodurre sotto la pelle degli animali le gazose sostanze intesti- nali. A Mosca senza alcun risultato fu innestata nei cani una so- stanza mucilaginosa e putrescibilissima, ottenuta dal condensa- mento de'vapori nelle sale de'cholerosi [Jaenichen, Moscou i83i). Ma prescindendo che di raro videsi la disposizione degli animali domestici a risentire l'azione del contagio in discorso, poteva pure la detta sostanza, henchè raccolta in una cholcrica sala , essere snaturata dall'aria atmosferica, o da altre sostanze disin- fettanti che probabilmente usaronsi nelle sale de'cholerici. (2) Questo tentativo fu del pari ricordato nella stessa istoria medica sul cholera di Parigi. Ad Sciente terie eruttive raccolte in più tempi per innestarle immediatamente come sopra (1). 11.° Le inoculazioni saranno non solo fatte sot^ to l'epidermicle, ma taluna eziandio nelle labbra e nelle mammelle. 12.° Se in alcuno de'suddetti animali pei pra- ticati tentativi si svolgesse l'indiano cholèra, do- vrassi subito cogli stessi materiali nel medesimo rac- colti ripetersi l'inoculazione nelle altre specie (2). 13.° Non meno di un mese sarà il tempo per compiersi le accennate esperienze, onde fare le più possibili accurate osservazioni (3). 14.° Perchè le cause esteriori concorrino a fa- cilitare la riproduzione, e se fosse possibile la mo- difìcazione del morbo (4), sarà cura di un veteri- nario istruito di sorvegliare al nutrimento piutto- sto nocevole, capace cioè di svolgere molt'aria, e di riscaldare il canale digestivo degli animali in di- scorso ; racchiudendoli inoltre in luoghi umidi e poco ventilati. (i) Ciò che dicesi in questi tre articoli (8, 9, e io) non ci sembra essere stato da alcuno divisato: bensì le materie eruttive furono per noi stessi proposte nella citata opera (Stor. medica del chol. indiano pag. ini). (2) Nei soli cani fu qualche volta innestato il sangue de' morti conigli dal lodato Namias. (3) Siccome ognun vede, neppure un mese, un anno ec. sa- rebbero bastevoli al proposito nostro. Se non che nel cholerico dominio, e dappresso ciò che dicesi nell art. \^, con qualche probabilità potrcbliesi ottenere alcun soddisfacente risultato. (4) Questo si sarchile il più desiderabile voto. Il che fu per noi, dietro l'istotico andamento del vajuolo vaccino, ragionato nel i835 in un esame critico diretto al chiar. Moreau de Jonués (pag. 52-3 nota, e Gior. arcadico toni. LXIV). Esperimenti pel Cholera 41 15.^ DI giorno in giorno, in cui saranno ad ore stabilite praticate le operazioni accennate, il vete- rinario visiterà più volte nella giornata (non esclu- sa qualche notturna visita) i detti animali per ve- dere e notare qualunque piccola innormalita. Cbe se per caso se ne mostrasse taluna di sospetto cho- lèra, dovrà tosto avvertirsi il direttore. 16.° Finalmente se durante gli esperimenti si dessero tali circostanze , che richiedessero a talen- to del direttore alcun novello tentativo, tanto per la parte igienica quanto per la curativa, non con- templato in questi articoli , le persone incaricate all'oggetto dovranno prestarsi per ciò che concerne l'opera loro (1). A. Cappello cons. di sanità' (i) Malgrado di ciò che verrà per noi all'evidenza dimostra- to Dell'annunciato lavoro per l'estirpazione del cholera indiano, difficilmente per la umana malvagità raggiugnerassi a' nostri di l'importaulissimo scopo. Vede quindi ognuno l'interesse, anzi il necessario bisogno di mettere a prova replicate volte in più tempi, e in regioni diverse, gli esposti tentativi diretti da'medici espertissimi e filantropi, sotto i quali molte circostanze possono insorgere per litrarne al fiue alcuij salutevole risultamento. G. A. T. LXXIV. 4 A2 Descrizione ed uso della macchina ad asse rotante^ mobile^ del sig. Vincenzo Raffaelli musaioista romano. y\ mezzo precipuo di che valgonsl gli artisti, so- prattutto gl'incisori, per incavare o rilevare sulle sostanze dure qual tu voglia forma, è il moto ro- tatorio, Essi adattano in tante guise e siffattamente la superficie da incidere contro un bottone, o così detto fongo, che questo , intriso precedentemente nelle polveri di smeriglio, carindone, o diamante stemperate in olio, con la rapida sua rotazione scol- pisce nella superficie stessa quelle forme volute dall' artista , e che 1' abile mano vi sa ritrovare. Ma questa comune applicazione del moto rotatorio alle arti belle, suppone che le superficie da lavo- rare sieno di facile maneggio; esclude perciò tutte quelle che non possono per la grandezza delle di- mensioni, e pel soverchio peso loro trasportarsi co- modamente con la mano; quindi sono di lor natu- i*a impossibili mediante questo processo le incisio- ni di grandi cammei, e di lavori tutti d'intaglio so- pra sostanze durissime di considerevoli dimensioni. Per applicare, il moto rotatorio a siffatti lavori Macchina ad asse rotante ec. A3 faceva d'uopo trovare un metodo, che fosse dirit- tamente l'inverso del precedente; si volea cioè por- tare non già la sostanza da incidere contro il di- sco rotante, ma bensì questo contro la sostanza, ed in tutte le direzioni, senza die avesse perciò a ri- stare il molo stesso. Bisognava pertanto costruire un sistema che potesse fornire un asse capace ad un tempo di due moti, Tuno progressivo, rotatorio l'al- tro, sotto qualunque direzione dell'asse medesimo. Niuno è, penso, che non riconosca la utilità som- ma di questo meccanismo , tanto per le incisioni de'cammei e per le opere di scultura , quanto pei lavori di musaico in pietre dure, come sono quelli che si eseguiscono in Firenze; e niuno più del sìg. Vincenzo Raffaelli, musaicista romano valentissimo non solamente per lavorare pietre dure , ma per ogni maniera di opere foggiate a guisa di monu- menti antichi, sentì questa utilità. Egli difatto sep- pe inventare tal meccanismo per valersene in ese- guire i grandi lavori di sua professione, ove delle sostanze durissime debbono fra loro connettersi per linee curve, e con precisione dirò quasi geometri- ca. Con questo mezzo meccanico ha lavorato egli, non è molto, un grande musaico in tondo con pie- tre tutte durissime della Siberia, foggiate a squam- me; ordinazione del sig. conte Gourieff, ora mini- stro di Russia presso la corte di Napoli. Questo meccanismo è della piìi grande sem- plicità. Si compone di un cilindro verticale, che si fa ravvolgere attorno se stesso mediante un ro- toue, o qual altro agente si voglia, tale da comu- nicare il movimento di rotazione. All'estremità in- feriore di questo cilindro viene applicato un asse mediante un bilico a squadro, come quello del pie- 44 Scienze de dei barometri portatili. Egli è facile vedere che imprimendo il moto rotatorio al cilindro verticale, dovrà l'asse mobile parteciparne mediante il bili- co, nel quale sono 1 chie assi congiunti; ne cesserà il movimento facendo passare l'asse mobile da una in altra direzione. Avvertendo che i diametri del bilico si taglino a meta , ed ivi abbia principio anche l'asse mobile: questo non potrà oscillare di sorta, e nel modo traslatorio che gli verrà impres- so descriverà costantemente superficie coniche. Per agevolare l'uso dell'asse mobile si è fatto in guisa che possa questo accorciarsi ed allungarsi ad arbi- trio, venendo composto di due pezzi, uno dei quali scorre dentro l'altro secondo il bisogno. L'artista per usare di questa macchina tiene un manubrio, pel quale a bell'agio viene dirigendo l'asse mobile, applicando così al luogo del lavoro la sua estremi- tà inferiore acconciamente guernita di un bottone. Alcuni movimenti di traslazione semplicissimi nei pezzi sostenitori, ed al bisogno la situazione diver- sa del cilindro verticale, possono servire pel piìi spedito uso della macchina qui accennata. L'applicazione pili importante di questo siste- ma è appunto quella che riguarda il lavorio delle pietre dure, Il RafFaelli, nel servirsene a tale ogget- to, ha guernito l'estremità inferiore dell'asse mo- bile di un bottone, che agisce nel modo già indi- cato mediante il frapposto smeriglio: e così ricava nelle medesime le casse di quella forma che più gli piace, per commettervi poi gli altri pezzi a per- fetto contatto. Serve indispensabilmente questa macchina in tutti quei casi, nei c|uali la pietra dura, o il siste- ma composto di esse, ha tali dimensioni da non pò- Macchina ad asse rotante ec. 45 tersi presentare alla ruota ordinaria ne'suoi diversi punti; giacche con questo meccanismo la ruota o il bottone si potrà condurre sopra le diverse parti della pietra» la quale per una sua faccia già essen- do aderente ad un piano, ed ivi connessa pel suo contorno con altre, potrà con tanta facilita, spedi- tezza, e precisione lavorarsi, quanta mai non se n'eb- be coi metodi fin ora conosciuti per questi lavori; e tale potrà essere la sottigliezza dei filetti ottenuti con tal nuovo mezzo dalle pietre stesse, da maravi- gliarne qualunque. Nei diversi usi di questa macchina se invece del bottone si adoperasse la cosi detta ruota da tagliare, allora questa segherà verticalmente, oriz- zontalmente, obliquamente, ed in qualunque modo piacerà. Adattandovi poscia il trapano terebra di Plinio, vi si faranno fori come si vogliono, a qua- lunque distanza, ed in qualsiasi direzione: senzachè mediante un secondo bilico potrà ottenersi un se- condo asse, che diretto con la mano in quella stes- sa guisa che si dirige la punta di un bulino , a maraviglia eseguirà quei lavori che maggior deli- catezza e precisione degli altri esigono. Perciò a gran ragione il Raffaelli asserisce, potersi di leg- gieri col mezzo della sua macchina lavorar pietre dure ed intagliar cammei di straordinaria grandezza, e che per un simigliante meccanismo probabilmen- te saranno stati eseguiti gì' intagli e incavi degli obelischi egiziani, dei sarcofaghi, e di altri monu- menti dell'antichità piìi remota, nei quali scorgia- mo tale precisione di contorni, e tale acutezza di spigoli e di angoli , che non saprebbe conciliarsi coi mezzi ordinari della scultura, tanto per la gran mole dei monumenti stessi, quanto per la eteroge- 46 Sciente neita delle sue parti, per lo più essendo quei mo- numenti formati di granito. L' uso del bilico a squadra, per fare che un asse continui sempre la sua rotazione comunque venga diretto , non è nuovo in meccanica. Infatti con questo mezzo si eseguiscono i trasporti dei mo- ti rotatori da uno in altro luogo, ed i chirurgi val- gonsi di esso a molto vantaggio, per segare le ossa in quelle regioni del corpo umano, che non per- mettono l'uso della sega comune. Ma ciò non dimi- nuisce punto all'ottimo artista RafFaelli la lode che merita per la invenzione della macchina qui per cenni descritta. Infatti lasciando dalTun dei lati, che ignorava esso del tutto l'uso del bilico medesimo pel trasporto dei moti rotatori, sempre vero è che r aver egli pel primo introdotto nelle arti belle questo mezzo meccanico, fecondissimo di applica- zioni, e sopra ogni altro esatto e preciso, rende il Rafifaelli superiore ad ogni elogio, e sommamente benemerito dell'arte che tanto lodevolmente pro- fessa. P. VOLPICELLI 4.7 Teorica des>alori delle proiezioni. iJa applieazloh dell'algebra alla geometria consiste nel tradurre in lingua algebrica le quistioni rela- tive alle quantità estese , onde piìi facilmente ri- solverle e dimostrarle: per essa le moltiplici pro- prietà geometriche si compendiano in brevi for- mule, nelle quali poi si vedono e si seguono le im- magini e i movimenti dell'estensione. Le basi di questa scienza possono ridursi a tre: alla trigono- metria ; alla teorica delle proiezioni e delle coor- dinate; ed al calcolo infinitesimale. Nella presente memoria mi propongo di esporre, un poco più ge- neralmente e precisamente che d'ordinario, i prin- cipii de'valori delle proiezioni , ed i mezzi di ri- durre la proiezione delle aree a quella delle ret- te: dichiaro come, date più rette, si determina la retta che proiettata sopra un asse mutabile a pia- cimento, è sempre uguale alla somma delle pro- iezioni omologhe delle prime, retta che con nome desunto dalla meccanica, dico risultante^ chiaman- do le altre componenti'^ e dimostro che una retta moltiplicata per la proiezione che riceve da un'al- tra retta, è uguale alla somma delle componenti dell'una, moltiplicate rispettivamente per la pro- iezione che ricevon dall'altx'a. Da questo teorema, il quale nella teorica delle forze divenendo il prin- cipio delle velocità virtuali tutta in se racchiude A8 Scienze la meccanica, si deriva un nuovo metodo somma* inente semplice , elegante e spedito di trattare la geometria a due e a tre coordinate, finita ed infi- nitesimale , del quale darò un saggio ne' fascicoli susseguenti di questo giornale. Definizioni - proiezione di un punto, di una linea e di Una superficie-, asse e piano dirigente: conseguenze : distanze relative e simboli delle proiezioni. (*) 1 3. Un punto proiettato parallelamente a un piano dato sopra una linea, è l'intersezione che quivi produce il piano condotto dal punto paral- lelamente al dato. Un punto proiettato parallelamente ad un as- se sopra una superficie, è quivi il piede della ret- ta condotta dal punto parallelamente alTasse dato. Un punto proiettato , si dice proiezione del punto. La proiezione di ini punto e ortogonale od obliqua, secondochè la retta che lo proietta, è per- pendicolare od obliqua all'estensione sopra cui lo proietta. a ) La proiezione di una linea o di una su^ perfide, è il luogo geometrico delle proiezioni de' suoi puntii è ) La retta che Unisce il punto colla sua pro- iezione, si dice retta proiettante. Similmente, il pia- no che proietta un punto sopra una linea, si chia- ma piano proiettante. È palese che i punti com- (*) I numeri de'§§. fanno seguito a quelli dell'articolo sulle quantità proporzionali. Valori delle proiezioni A9 presi In una stessa retta o in uno stesso piano pro- iettante , hanno tutti la medesima proiezione. Il luogo geometrico delle rette, che proiettano una li- nea sopra una superficie, si chiama superficie ci- lindrica proiettante: cjuindi tutte le linee che alj- Lracciano la medesima superficie proiettante, han- no evidentemente la stessa proiezione. e ) Il piano o l'asse parallelamente a cui si proietta, dirigendo tutte le rette proiettanti, si di- rà piano o asse dirigente-^ l'inclinazione del piano o asse dirigente alla linea o superficie che riceve le proiezioni, obliquità di proiezione ; e le proie- zioni si diranno di eguale obliquità^ se le linee o superficie che le ricevono, inclinino egualmente ai rispettivi piani o assi dirigenti; ed omologhe^ se sia- no fatte sopra un medesimo asse o piano, parallela- mente allo stesso piano o asse dirigente. Allorché si nominano le proiezioni, prescindendo da ogni asse e piano dirigente, s'intendono le ortogonali. Dato il piano dirigente^ la proiezione di una linea sopra un asse, è in questo il segmento com- preso fra i piani proiettanti gli csti'emi della li- nea ; essendoché in tale segmento cadono tutte le proiezioni de'punti intermcdii della medesima. Quin- di 1.° la pi^oiezione sopra un asse di più linee in- tercette fra due piani proiettanti j è la medesima per tutte; 2.° le proiezioni di una medesima linea sovr' assi paralleli , sono eguali in tutti , siccome rette parallele comprese tra piani paralleli; 3." per proiettare un punto od una linea sopra un asse, si può proiettare dapprima sopra una superficie od una linea, ed in seguito proiettarne la proiezione sull'asse. d) La distanza di due punti proiettata sopra 50 S e I E N 35 È una retta, dicesi anche distanza de' due punti siU mata nel senso della retta. La distanza di un pun- to da una superficie, stimata nel senso di un asse^ e la retta condotta dal punto alla superficie parai* lelainente all'asse» La distanza di un punto da una linea, stimata nel senso di un piano ^ è la retta con- dotta dal punto alla linea parallelamente al piano, e) Affine di meglio parlare alla immaginazio- ne e di conseguire simmetria ne'risultati, nella pre- sente teoria io designerò i piani dirigenti e i piani che ricevono le proiezioni, con lettere grandi-^ e con lettere piccole, gli assi dirigenti e gli assi che ri- cevono le proiezioni. Per indicare che una linea p e proiettata suU' asse *r , essendo d il piano diri- gente, si scriverà Similmente, per indicare che un'estensione a e prò* iettata sul piano x , essendo d l'asse dirigente, si scriverà d In una parola, nell*estensione da proiettarsi collo* cheremo in alto e alla sinistra il piano o asse di- rigente, e in basso e alla destra l'asse o piano che riceve la proiezione. Nel caso delle proiezioni or- togonali si ometterà di segnare il piano o asse di- rigente: così il simbolo ax , indicherà la proiezio- ne della linea a sull'asse x. È evidente che une' stensione è uguale alla sua proiezione sopra se me- desmaz cosi aa ~ a. L'angolo formato da due estensioni /? ed *r , s'indicherà oosi 'px t Valori delle proiezioni bi cioè si porrà un punto in alto e alla sinistra di- nanzi alle lettere rappresentanti le due estensioni. Nota 1. Immaginiamo una linea che varii di grandezza: se co^ gradi positivi essa progredisce in un senso, co'gradi negativi retrocederà in senso con- trario. Dunque una linea, se generata da un pun- to moventesi in un senso , si riguarda come po- sitiva-^ generata da un punto moventesi in senso contrario, dovrà riguardarsi come negativa-^ e il se- gno ( "^ ) indicherà il senso del moto generatore. Le lettere impiegate a designare una linea varia- bile si ordinano in modo che il punto generator della linea non passi per il luogo indicato da una lettera qualunque , se non dopo di esser passato per il luogo della lettera che precede. Cosi l'or- dine delle lettere serve a rappresentare il senso del moto generatore. Nota 2. Una retta a partire da uno qualun- que de' suoi punti , presenta due direzioni oppo- ste ( vale a dire, a partire da quel punto si può camminare sulla retta in due sensi contrarii ) , delle quali se l'una si prende per positiva, l'altra e negativa. Quindi per conoscere completamente una retta, bisogna conoscerne tre cose, la grandez- za, la direzione, e la posizione. Proiezione da' punti sopra un asse. 14. Per trovare la proiezione P ( fig. 1. ) di un punto M sopra un asse Ox in un modo facile ed uniforme, si fissa Yorigine dell'asse in un punto qualunque O: ivi l'asse si concepisce diviso in due, \ uno positivo, e l'altro negativo: se l'asse è orizzon- tale,suole tenersi positivo quello che corre dalla si- 52 Scienze nistra alla destra dell'origine; e quello che corre dal basso in alto » se l'asse è verticale , od obliquo all'orizzonte. La parte dell'asse compresa tra l'origine e la proiezione del punto, quale OP, si dice ascissa del punto; ed è positiva o negativa, secondochè si con- ta sull'asse positivo o sul negativo, È palese, che le ascisse de punti non solo fanno conoscere colle lo- ro estremità le proiezioni de' medesimi, ma eziandio le mutue distanze di tali proiezioni. Se l'ascissa di un punto ( sia positiva, sia nega- tiva ) s'indica per es. colla lettera x, Tasse su cui si conta, si suole indicare colla stessa lettera posta all' uopo tra parentesi, come per es. asse {x). PROIEZIONI DELLE RETTE. Espressione algebrica delle medesime sia per mez' za delle linee trigonometriche, sia per mezzo del- le ascisse: proiezione del contorno di un poligono. 15. Una retta proiettata sopra un piano paral- lelamente ad un asse, è un'altra retta: imperocché le linee proiettanti i diversi punti della retta, essen- do parallele e attraversate dalla retta, sono tutte nel piano determinato dalla retta e da una di esse ; e d'altronde l'intersezione di due piani è una retta. rt ) Le proiezioni sopra un piano di due rette parallele (essendo qualunque l'asse dirigente), sono parallele: giacche riescono paralleli i piani proiet- tanti due rette parallele. Dunque la proiezione in un piano di un parallelogrammo è un altro parai- Valori delle proiezioni 53 lelogrammo; e però sono eguali e parallele le prò- lezioni di due rette uguali e parallele. 16. Teorema. La proiezione ortogonale di una retta a sopra un asse x^ o sopra un piano x , è uguale al prodotto della medesima pel coseno del- la inclinazione reciproca: cioè ax =-a cos'ax , a^^= a cos'ax. Dimostrazione. Immaginando o costruendo l'a- naloga figura, si vedrà che la proiezione ortogo- nale di una retta a sopra un asse o sopra un pia- no, può riguardarsi come un cateto di un trian- golo avente per ipotenusa la retta data , e per angolo adiacente al cateto, l'inclinazione della ret- ta a alla sua proiezione ; e d'altronde un cateto è uguale al prodotto dell'ipotenusa pel coseno del- l'angolo adiacente, a ) Poiché aba = ab cos'ab = bab ; perciò una retta moltiplicata per la proiezione che riceve da unaltra^ è uguale alla seconda molti- plicata per la proiezione che riceve dalla prima. 17. Teor. La proiezione obliqua di una retta a sopra un asse x , è uguale al prodotto della retta per la ragione de" seni degli angoli che il piano dirigente d fa colla retta e colV asse; cioè D sen'Da ax = a sen'DX Dim. Si conduca per l'origine O (fig. 1.) la linea OM parallela alla retta data a e diretta nel mede- simo senso: MP rappresentanti in profilo il piano 54 Scienze che, parallelamente al piano dirigente OD, proiet- ta in P sull'asse Ox — (x) il punto M; OP rap- presenterà il valore della proiezione di a, e sarà ^ °«r. Da O si conduca Op perpendicolare al piano MP, e però anche al dirigente OD. I triangoli PO/?, MOp rettangoli in p, danno Op -^ 0?cosFOp = OMcosMOpz ma OP - - Drtx , cosVOp = senBOP — sen'ox , OM = a , cosMOp — senDOM = sen-oa : dunque sostituendo p . n se fi' Da ctx sen'DX ^^ a sen'oa , e pero cix — a . sen'ùx -. , . sen'ùa L espressione a rappresenta esattamen- sen'ux te il valore della proiezione dì a , offrendone la grandezza e la direzione. Infatti essendo la ret- ta a positiva e sewnx costante, la nominata espres- sione sarà positiva o negativa insieme cori sen'ua. Ora questo seno (se l'angolo 'Da si conti a partire dal piano dirigente OD e piegando verso l'asse Ox positivo ) sarà positivo o negativo, secondochè l'an- golo 'Da resta dalla parte del piano dirigente che guarda l'asse positivo o negativo, e però secondo- chè è positiva o negativa la proiezione di a, come rilevasi dalla figura. a) Teor. La proiezione obliqua di una retta a sopra un piano x, è uguale al prodotto della retta per la ragione de' seni degli angoli che Vasse diri' gente d fa colla retta e col piano-, cioè (I sen'da - sen'd\ Valori delle proiezioni 55 La dimostrazione è la stessa che quella del pre- cedente teorema: solo convien supporre nella fig. 1. che OD rappresenti in profilo l'asse dirigente, Ox il piano che riceve le proiezioni; e Op un piano per- pendicolare all'asse dirigente, e però alla linea pro- iettante MP. b) Da questi due teoremi si ricava che le rette parallele sono proporzionali alle loro proiezioni omologhe. 1 8. Teor. La proiezione di una retta a sopra un asse (x), essendo qualunque il piano dirigente D , è rappresentata nella grandezza, direzione e po- sizione da X — ' X \ intendendo per x V ascissa del punto donde la ret- ta incomincia, e per x Vascissa del punto ove la retta finisce. Dira. La proiezione della retta a sull'asse (x), è in quest'asse il segmento compreso fra i piani che proiettano gli estremi di a parallelamente al pia- no dirigente (§. 43). Or questo segmento quando gia- ce tutto intero sull'asse {x) positivo, ovvero sull'as- se (x) negativo, è manifestamente uguale alla dif- ferenza tra le ascisse x\ x , relative agli estremi di a : così in questo caso sussiste il teorema. Che se la retta a cade proiettata, parte sull'asse (x) po- sitivo e parte sul negativo, allora una delle ascis- se, per es. quella del punto donde incomincia a , e certo negativa, e nel supposto esempio potrà far- si j? -^ — X , e si avrà x' — x -= x' 4- x, cioè la proiezione di a eguale alla somma de' valori posi- tivi delle ascisse: lo che si accorda perfettamente colla figura. Inoltre l'espressione x' — 'X si accor- da pure colla figura nel mostrarci che la proiezio- 56 Scienze ne di a è negativa ( cioè diretta nel senso dell'asse {x) negativo) ogni volta die l'ascissa del punto, don- de la retta incomincia, è maggiore dell'ascissa del punto ove la retta finisce. Dunque in ogni caso la proiezione di una retta sopra un asse^ è uguale al- la differenza delle ascisse de' punti ove la retta fi- nisce ed incomincia. 19. Teor. La somma delle proiezioni de'' lati di un poligono sopra un asse {x) , essendo qua- lunque il piano dirigente d, è nulla. Dim. Il poligono sia di n lati a, a\ a", ...rt('?^V, i quali a cominciare da «, sì succedano per ordi- ne giusta il corso del perimetro, j?, x\ x' -, ••. ,r(""*) siano le ascisse de'vertici consecutivi a cominciare da dove comincia il lato a: si noli che dopo il ver- tice nesimo , ritorna il primo vertice , e però Ciò posto , le proiezioni de' lati sull'asse (x) saranno ^a^ -= X — X, ^a'x = x"— x', ... ^a('^-^)f = x— x^""'). Ora sommando membro a membro , e 1' una do- po l'altra tutte queste uguaglianze, la somma de' secondi membri si riduce a zero, e però si ha D(a -h a' -f- a' . . . H- flf'f-»))r = o. Nota. Per valutare con precisione, quanto al* la grandezza e direzione, le proiezioni di pili ret- te date sopra un asse Ox (fig. 1), basta condurre per l'origine il piano dirigente OD, poi ima linea parallela ed eguale ad ognuna delle rette date, e di- retta nel medesimo senso: le proiezioni delle rette Valori pelle proiezioni 57 COSI condotte, avranno la stessa grandezza e dire- zione che le proiezioni delle prime rette, ossia Io stesso valore; e per sapere se sono positive o nega- tive, basterà osservare se cadono suU' asse positivo o negativo, ovvero se le rette date, riportate alVori- gine, restano dalla parte del piano dirigente che guarda l'asse positivo o negativo, Metta risultante e sue proprietà, 20, La risultante di piìi rette date divergenti da un centro, è la retta la cui proiezione sopra un asse mutabile ( essendo qualunque il piano dirigen- te ) è sempre uguale alla somma delle proiezioni omologhe di tutte le rette date, le quali si diran- no componenti della prima. Quindi è palese che , trattandosi di proiezioni, si potrà sostituire la ri- sultante alle componenti , e viceversa. Si sa dalla meccanica, che se le rette componenti rappresentas- sero forze, la retta risultante rappresenterebbe la forza unica cui equivalgon le prime. E di qui che si sono desunte le denominazioni di risultante e di componenti, a ) Teor. La risultante di due rette VA , VB ( fig. 2. ), è la diagonale VR del parallelogrammo costruito sulle medesime prese per lati. Dimostrazione, x -, x\ x designino sopra un asse {oc) le ascisse de' vertici V , A , R » essendo qualunque il piano dirigente. Le proiezioni delU rette VA , AR , VR , saranno ed x" — jc proiezione di AR , rappresenterà pure G. A. T. LXXIV. 5 58 SciEWIK la proiezione di VB , essendo AR e VB rette pa- rallele , uguali e dirette nel medesimo senso. Ciò posto, è manifesto che la proiezione x" — x della diagonale VR, è uguale alla somma delle pro- iezioni oc — X, x' — 'X di VA, VB : dunque la diagonale VR è , per la definizione , la risultante delle due rette date VA , VB. h ) Teor. La risultante di tre rette date VA, VB , ve ( fig. 2. ) non situate nel medesimo pia^ no, è la diagonale VR del parallelepipedo costrui- to sulle medesime prese per ispigoli. Dim. Infatti VR, diagonale del parallelogram- mo costruito sopra VA , VB , è la risultante di VA , VB ; e VR', diagonale del parallelogrammo costruito sopra VR, VG, è la risultante di VR, VC, e però di VA , VB , VG. Ora VR' è pure eviden- temente la diagonale del parallelepipedo costruito sopra VA , VB , VG. Dunque ec. e ) Problema. Date pia rette divergenti da un punto ^ trovare la loro risultante. Soluz. Sulle prime due rette, prese per lati, si formi un parallelogrammo: la diagonale sarà la loro risultante. Su questa diagonale e sulla terza retla, prese per lati, si formi un nuovo parallelo- grammo: la nuova diagonale sarà la risultante del- le prime tre rette date. Proseguendo così , l'ultima diagonale sark la risultante di tutte le rette date. In cotesti parallelogrammi successivi, i lati pa- ralleli alle rette date formano evidentemente un po- ligono, il quale è chiuso dall'ultima diagonale. Quin- di yoer trovare più speditamente la risultante di più. rette date, si formi un poligono, i lati del quale ( a cominciare dal punto donde divergono le reta- te date ) siano successivamente paralleli ed egua^ Valori delle proiezioni 59 li a ciascheduna delle rette date^ e dirette nel me- desimo senso : la retta che chiude il poligono , e la risultante richiesta. Dunque, viceversa, il lato di un poligono^ stimato in senso contrario al corso del perimetroy è la risultante di tutti gli altri lati. d ) Teor. La risultante di più rette date è uni" ca, e però si può tenere qual ordine si vuole nel determinarla. Dim. Supponiamone possibili due R , R' , e di- verse da zero: nel piano delle medesime conducia- mo per la loro comune origine un asse (x) perpen- dicolare ad R, e però obliquo ad R'. La proiezione ortogonale di R sopra (x) sarà nulla , e non quella di R'. Ora si la prima come la seconda proiezione , dovendo essere uguale alla somma delle proiezioni omologhe delle medesime componenti, dovrebbe ave- re uno stesso valore. Dunque è assurda la fatta ipo- tesi di due risultanti. e) Teor. Una retta r moltiplicata per la proie- zione che riceve da un altra tj, è uguale alla som- ma delle componenti a , b , e , d . . . de ir una r, moltiplicate rispettivamente per la proiezione eh» ricevon dall'altra q'. cioè qrq = rqr = aqa -f- bqb -4- cqe -+- dqd -+- «e Dim. Si proiettino ortogonalmente sopra q le rette r, a, è, e, , e inciderà ne'due piani l'angolo AVB, misura della loro declinazione. Ora gli angoli AVB, aYb sono eguali, avendo ambedue lo stesso complemento aVB : dunque la declina- zione de'due piani è uguale a quella de' loro assi omologhi. Si noti che sono complementarii, l.** gli angoli che una retta fa con un piano e coll'asse del piano ; 2.° gli angoli che un piano fa con un altro piano e coll'asse di questo. e ) Lo stato positivo o negativo di una linea si desume dal senso in cui si muove il punto che genera la linea: lo stato positivo o negativo di un' area può del pari desumersi dal senso del moto che genera l'area. Moto generatore di superficie piana, è il moto rotatorio di una retta intorno ad un asse perpendicolare alla retta. Supponiamo che ciascun* area giacente in un piano sia animata da un moto rotatorio intorno all' asse del piano: è manifesto che quando essa rota (Jalla destra alla sinistra dell' asse positivo, roterà dalla sinistra alla destra dell'asse negativo, e vice- versa. Ciò posto: 1.° 710Ì immagineremo che ogni area positii'a tenda a rotare dalla destra alla sinistra dell'asse positivo; e però dalla destra alla sinistra dell'asse negati\>o^ ogni area negativa. 2.° E converremo di rappresentare ogni area positiva con un proporzionale segmento delV asse positivo'^ e però con un proporzionale segmento delV as^e negativo^ ogni area negativa (§. 3). Valori dcllg ?ro1e«ios! 63 Queste due convenzioni sono valevoli a ridur- re la proiezione delle aree a quella delle rette. Si avverta, che quando senz'altro aggiunto si dirk, 1. asse^ si sottintenda positivo-^ 2.° dalla destra alla sinistra^ o dalla sinistra alla destra^ si sottintenda detrasse del piano. d ) Noi qui designeremo il piano e Tarea con lettera grande; e con la stessa lettera, ma piccola, l'asse del piano e dell'area. E converremo, che se A^ Rappresenta sul piano X la proiezione dell' area A, Ax rappresenti sopra x (asse del piano X) la proiezione di un segmento A dell'asse a. Valore della proiezione ortogonale ed obliqua di un area. 23. Teor. La proiezione ortogonale di un area A sopra un piano X , è uguale al prodotto dell area pel coseno della sua declinazione dal piane cioè Ax = AcorAX. Divideremo la dimostrazione in due parti. Pri- mieramente dimostreremo, che AcorAX rappresen- ta con esattezza sul piano X la proiezione ortogo- nale di A, quanto al valore numerico-^ poscia, quan- to allo stato positivo o negativo giusta la conven- zion fondamentale. Prima parte. 1.^ Sia A l'area di un triangolo ABC (fig. 4.) il cui piano interseca lungo MN il pia- no MNX = (X): dagli estrerai di uno fra i suoi tre lati, non perpendicolare ad MN, per es. di AB, ti- riamo perpendicolari ad MN le Aa, BZ>; e per C la AB' parallela ad AB, e terminante tra aA, ^B, pro- lungate se occorre: ne nascerà il parallelogrammo AB' doppio dei triangolo ABC, avendo con questo 64 Sciente comune la base AB e l'altezza, e sarà =AA'.a/> — 2A# Ora siffatto parallelogrammo proiettato sul piano (X), diventa un altro parallelogrammo, il quale, presa per base la proiezione del lato AA' ( cioè AA.'cos'AX.) , avrà un' altezza ==: ab^ e quindi una superficie = AA.'.abGos'AK. -= 2Acos'AX. Dunque la proiezione del triangolo ABC , essendo meta della proiezione del parallelogramo AB', sarà = Acos'AX* 2." Sia A un' area poligona: essa potrà decom- porsi in triangoli t, /, t" . . . , le cui proiezioni sul piano (X), sommate daranno la proiezione di A. Si avrà dunque Ax ^(t ~ht' 4- t" .,. )cos-AX -= Acoi-AX. 3.° Finalmente sìa A un'area chiusa da una li- nea curva: essa, come limite de'poligoni inscritti e circoscritti , proiettata sul piano (X) diverrà = Acoj-'AX. Dunque, in ogni caso, AcorAX rappresenta con esattezza sul piano (X), quanto al valore numerico, la proiezione di A. Seconda parte. Da un punto della intersezione de'piani (A), (X), elevati gli assi omologhi a, jt, im- maginiamo che r area A roti continua dalla destra alla sinistra dell'asse a: e facile a vedere che sul pia- no (X) la proiezione A^ di A, roterà intorno all'as- se X positivo 1.° Dalla destra alla sinistra, finche la declina- zione 'XA varia nel primo quadrante o nel quarto; 2.° Dalla sinistra alla destra, finche la declina- zione 'XA varia nel secondo quadrante o nel terzo; Valori delle proiezioni G5 Allorché poi la declinazione 'XA passa dal pri- mo al secondo quadrante, e dal terzo al quarto, la proiezione A^ svanisce evidentemente. Pertanto la proiezione ortogonale di A sul pia- no (X), è positiva o negativa giusta la convenzion fondamentale, e si annulla insieme con l'espressione Aco^'AXé Cosi rimane pienamente dimostrato il teorema. a ) Poiché Ax '= Acoj"AX = kcos'ax -= A«; perciò , rappresentando Varea A con un segmento A deWasse rt, alla proiezione ortogonale da piano a piano potrà surrogarsi la proiezione ortogonale da asse ad asse. h ) Teor. La proleùone obliqua di uri area A sopra un piano X , e uguale al prodotto delVarea per la ragione de'seni degli angoli che Vasse di'^ rigente d fa coir area e col piano: cioè fl? . sen'dK Ax — A — , sen'dX. Dim. OM ( fig. 1.) rappresenti in profilo Ta- rea A; MP la superficie cilindrica, che proietta sul piano Ox -=: X , l'area A parallelamente all'asse dirigente ODi OP rappresenterà in profilo sul pia« no X la proiezione di A, e si avrà OP = A^* Da O si conduca il piano Od perpendicolare all'as- se dirigente OD , e però alla superficie cilindrica proiettante MP prolungata se occorre: infine 0/> de- signi in profilo la proiezione ortogonale che il pia- no Od riceve sia dall'area OM ^= A , sìa dall'area OP = A^. Si avrà pel teorema precedente 66 Scienza Op = OVcosVOp == OM cosìAOp ma cosVOp -= senVOTì = sen-d'^ , cosUOp — fe/zMOD = je«-^A : dunque sostituendo A-^sen'dX = Asen'dA, e però Ay=!A . seri'dX Quest'ultima eguaglianza dimostra che le aree parallele sono proporzionali alle loro proiezioni omologhe. e ) Essendo d\ A sen'dA . cos'da . sen'Da D Ax=A j^ = A ;^ = A ^=5 sen'dX cos'dx sew^x d D ossia Ax = Ax ; perciò per ridurre la proiezione delle aree a quel- la delle rette, basta rappresentare le aree con pro- porzionali segmenti de'proprii assi, e poscia surro' gare ai piani i loro assi e viceversa. Jrea risultante e sue proprietà. 24. Area risultante di più aree date divergen- ti da un centro, è l'area la cui proiezione sopra un piano mutabile a piacimento ( essendo qualunque l'asse dirigente), è sempre uguale alla somma delle omologhe proiezioni delle aree date, le quali si di- ranno aree componenti della prima. È palese che, trattandosi di proiezioni, si può surrogare l'area ri- sultante alle componenti, e viceversa. a ) Grobl. Date più aree A , B , G , . . . , tro- varne l'area risultante. Valori delle proiezioni 67 Solnz. Dal centro donde divergono le aree da- te, elevati sulle medesime i relativi assi omologlii a ^ b ^ G . , . . ^ prendiamovi sopra segmenti rispet- tivamente uguali ad A , B , C . . . . ( §. 3 ): la risul- tante R di questi segmenti rappresenterà la gran- dezza e l'asse dell'area risultante. Infatti proiettia- mo sopra un asse qualunque x i segmenti R , A , B, C , . . , essendo D il piano dirigente: si avrà D D R^ =3 ( A -t- B -f- G H- ec. ), ; donde , surrogando agli assi ì piani e viceversa , si trae ''rx = ''( A -f- B -t- C -+- ec. )x • Or questa formula esprime che sul piano X la pro- iezione dell'area R , essendo d l'asse dirigente , è uguale alla somma delle omologhe proiezioni delle aree date A , B , G , ec. b ) L'area risultante gode quindi le stesse pro- prietà, che la retta da noi chiamata risultante. Dunque 1.° Un area moltiplicata per la proiezione che riceve da unaltra^ è uguale alla somma delle aree componenti dell una , moltiplicate rispettivamente per la proiezione che ricevon dall'altra. 2° Il quadrato dell'area risultante è uguale alla somnui de^ quadrati delle aree componenti , pia due volte la somma delle medesime moltiplicate a due a due e pel coseno dell'angolo che comprendono. e ) Le aree date siano due A , B , ed R la loro risultante: è facile a vedere che i piani di A , B , R, s'intersecheranno tutti e tre secondo una medesima 68 Scienze linea. Inoltre ciascuna delle aree componenti A , B, sarà uguale alla proiezione che sopra il suo piano riceve da R^ essendo asse dirigènte una retta qua- lunque situata nel piano delV altra componente. In- fatti proiettiamo sul piano di A le aree A , B , R , prendendo per asse dirigente una retta d situata nel piano di B : si avrà per la definizione '^Ra -= ^{k -+- B)A : Ora è palese, che la proiezione di A sopra se mede- sima, è uguale ad A , e che la proiezione di B, fatta parallelamente all'asse d situato nel piano di B, sva- nisce in una linea; cioè ^ Aa = A, Ba = o: dunque '^Ra = A. d) he aree date siano tre A, B, G, ed R la loro risultante. Ciascuna delle aree componenti A , B, G sarà uguale alla proiezione che sopra il suo piano riceve da R , essendo asse dirigente la intersezione de'piani delle altre due componenti. Infatti proiet- tiamo sul piano di A le aree R, A, B, G, prenden- do per asse dirigente la intersezione d de'piani di B, e di G; si avrà '^Ra='^(A + B -h C)a; ma "^Aa = a/Ba - o/^Ga-- o: dunque Ra = A. Quindi data uri area, se ne avranno le aree componenti rispettivamente parallele a tre piani., proiettando l'area data su ciascuno destre piani, es- sendo asse dirigente la intersezione degli altri due piani. Valori delle proiezioni 6Ò Nola. Il piano chiamato invariabile dall'autore tlella meccanica celeste, non è altro che il piano del- l'area risultante, e ) Teor. Se parallelamente agli assi delle fac- ce interne di un poliedro tiriamo da un punto altret- tante rette nella stessa direzione, ed eguali rispetti- vamente alle facce del poliedro\ la risultante di tali rette sarà zero, e però una (fualunque di esse , sti- mata in senso contrario, sarà la risultante delle altre. Dim. Se consideriamo le proiezioni come posi^^ tive o negative, secondochè le rette proiettanti par- lano dalle facce interne od esterne del poliedro ; si rileverà facilmente, che sopra un piano qualunque la somma delle proiezioni della prima specie , è uguale alla somma delle altre proiezioni, e però eguale a zero la somma di tutte. Inoltre si vede, che le facce interne del poliedro che danno la prima specie di proiezioni, debbono fare col piano angoli acuti; ed angoli ottusi, le facce interne rimanenti. Ciò posto, se alle facce interne sostituiamo eguali segmenti de'loro assi, si dovrà verificare di questi proiettati sopra una retta, ciò che abbiamo verifi- cato di quelle proiettate sopra un piano (§. 23 e). Cosi i poliedri hanno, rispetto alle proiezioni , le slesse proprietà che i poligoni. Si noti che gli an- goli che fanno tra loro le facce interne, sono sup- plementarii agli angoli de'loro assi; come gli angoli interni di un poligono sono supplementarii agli an- goli che fanno i suoi lati, riportati ad un punto (§.19. nota ). TO Scienze Aree chiamate momenti: proprietà del momento della risultante, 25. Momento di una retta è il prodotto della retta per la sua disianza da nn punto supposto y^^j-o: la distanza tra siffatto punto e la retta, si dice brac ciò della retta\ ed il punto fisso, centro de'hracci o de"" momenti. Il braccio di una retta può essere ortO' gonale alla retta, od obliquo: quando altro non si aggiunga, si supporrà ortogonale. L'angolo obliquo onde una retta declina dal suo braccio, si dira obli- quità del braccio. a) Il momento di una retta con braccio or- togonale è, per la definizione , un'area doppia del triangolo avente per base la retta, e per vertice il centro de bracci. b ) Se una retta VA = a ( fig. 5.) declina dal suo braccio Ma^ = rt, coll'angolo M«yA = (y, condotta Mn perpendicolare a VA , si trarrà dal triango- lo Ma^n , Mn = a seni) : cioè, moltiplicando il braccio obliquo pel seno di obliquità, si ottiene il braccio ortogonale. Inoltre il triangolo VMA sarà ^= ^ aa, senco ; cioè il triango- lo avente per base una retta di braccio obliquo , e per vertice il centro de bracci , è uguale al semipro- dotto del momento (aa) pel seno di obliquità. Quin- di, chiamati omologhi i momenti ne' quali i bracci declinano dalle proprie rette con eguale angolo, po- tremo stabilire, che i momenti omologhi di più rette sono aree proporzionali ai triangoli aventi per base le rette, e per vertice il centro de'bracci. È manifesto potersi sempre supporre un mo- Valori dille proiezioni 7{ mento eguale ad un'area data: quindi la teorica del- le proiezioni delle aree può ridursi alla teorica del- le proiezioni de'momenti. e ) Affine di fissare con chiarezza il segno (=i=) de'momenti, noi supporremo: i.*^ Che ciascuna retta tenda a muoversi nel senso della propria direzione, e per conseguente a far rotare il proprio braccio ed il proprio momen- to intorno al centro de'bracci; 2.° Cbe nel centro de'bracci s'innalzi positivo e negativo l'asse di ciascun momento, cioè 1' asse di ogni piano determinato da una retta e dal suo braccio; 3.° Che un momento sia positivo o negativo, secondochè tende a rotare dalla destra alla sinistra dell'asse positivo o negativo. d ) Teor. In un piano il momento della risul- tante di pia rette è uguale alla somma de^ momenti omologhi delle medesime. Dim. Nel piano supposto (fig. 6) siano Va = a, Yb = b. Ve = e, ec. più rette divergenti dal punto V ; Vr = r sia la loro risultante, ed M il centro de'bracci. Per V e per M conduciamo VM -= D: presa la retta D per asse dirigente, proiettiamo r, a, b, e, ec. sopra un asse {x) perpendicolare a D. Poiché in questa ipo- tesi (*) sen'jcjy = 1, si avrà [") Nota. Angolo è la superfìcie piana generata da un raggio indefinito rotante intorno ad un punto. Quindi un angolo se ge- xieralo da un raggio laoventesi in un senso, si riguarda come pQ- 72 Scienze (1) rsen-rD "A asen'oD -+- bsen'bB +csen'cD -+~ ec» Ciò posto, i bracci che dal centro M vanno orto- gonali alle rette r, «, b, e, ec, siano Mr, rr= r, , Ma^ = a^ , M^^ = è^ , Me = c^ , ec; i triangoli rettangoli MVr„ MVfl!,, MV^,, MVc,, ce, daranno ^e/irD = r- , j'e/i'flD = -^ , seivbìJ ~ -i , ec. Sostituendo i valori di questi seni nell'equazion pre- cedente, e moltiplicando per D, risulta (2) rr, ~ aa^ -*- hb ^ h- ce -t- ec» Supposte positive le rette D, r, «, &, e, ec, Io stato positivo o negativo de'momenti rr^, aa.^ bb^, ce,., ec. dipende dallo stato positivo o negativo de'brac- ci, e però de'seni seivrD., sewaD, ec. Or questi seni, ove gli angoli si contino positivi girando dalla de- stra alla sinistra, riescono solamente positivi per le rette situate alla destra di VM, cioè per le rei' sitivo; generato da un raggio moventesi ia senso contrario , do- vrà riguardarsi come negativo. Noi converremo di riguardare gli angoli come positivi o negativi, secondochè il molo rotatorio che li ha generati, si suppone fatto dalla destra alla sinistra, o dal- la sinistra alla destra. Inoltre nell'indicarli col simbolo -pq, con- verremo che il raggio generatore si muova passando dalla posi- zione indicata dalla prima lettera, alla posizione indicata dalla seconda. In virtù di questa convenzione si avrà setvYìa sen-aD senBa = — sen-aì) , e r— = 7-. sen Dx sen.xu Valori delle proiezioni 73 te che tendono a far rotare i proprii momenti dalla destra alla sinistra. Cosi nell'ultima formula (2), l'espressione algebrica de' momenti è in pieno ac- cordo col loro stato positivo o negativo giusta la convenzion fondamentale; ed il proposto teorema è completamente dimostrato. Tale teorema si può anche enunciare ( come in meccanica) cosi: in un piano il momento della risul- tante è uguale alVeccesso dè'momenti che tendono a rotare nel medesimo senso, sopra i momenti che tendono a rotare in senso contrario, e ) Risulta poi da questo teorema, che in un piano, immaginati i triangoli aventi per vertice il centro dé'bracci, e per base la risultante e ciascuna delle componenti ; il triangolo della risultante è uguale alla somma de* triangoli delle componenti (§. 6) ( avuto per altro il debito riguardo ai segni giusta la convenzion fondamentale ). / ) Teor. // momento della risultante di pia ret" te divergenti da un punto, coincide col momento ri' sultante dé'moinenti omologhi delle medesime rette. Dim. Immaginati i triangoli aventi per vertice il centro qualsivuole de'bracci, e per base la risul- tante e ciascuna componente, tutto riducesi a prova- re che il triangolo della risultante proiettato sopra un piano qualunque, diventa eguale alla somma de* triangoli delle componenti omologamente proiet- tati ( §. 24 ). Ora tutti questi triangoli proiettati nel piano, hanno per vertice comune la proiezio- ne del centro de'bracci, e per base la proiezione della risultante e di ciascuna componente. Quin- di il primo di tali triangoli ( in forza del §.21, e del teor. prec. ) è uguale alla somma degli altri. D. Cheliwi delle Scuole Pie G.A.T.LXXIV. G Fioso. E certo ben poco valgono, massime scompagnati dai necroscopici, e più quando non si rafforzino con al- tri idonei argomenti: siccome sarebbero, a modo d'e- sempio, quelli dedotti dalle cagioni o potenze che prediligono un dato tessuto o viscere, quelli che ri- sultano dalla esclusione od eliminazione di altri Intorno allo Scorbuto 97 modi patologici, gli altri a itivantibits et laedenti- hus, e aggiungnerei anche il mio ab electivis. Poc'oltre premette differenza di sintomi tra i morbi delle arterie e delle vene pel ceppo flogistico delle une e delle altre, e quelli riferisce a sconcerto di funzioni de'vasi sanguigni: quindi per l'arterite determina vibrate, dure, innormali le pulsazioni; per la flebite la sola loro frequenza. A questi sinto- mi sfigmici altri ne aggiunge, e li trae dalle cutanee apparenze, dall'aspetto della lingua, e della emo- scop'ia. Per le arterie pretende il corpo bianco-pal- lido, solo alle gote rubicondo , pallido-rossa la lin- gua, il sangue estratto pur rosso, a duro crassamen- to, e molte volle cotennoso; per le vene, abito terreo verdognolo talvolta, lal'altra plumbeo, lingua fosco- pallida, oscuro il sangue, di lento e diflicile coagulo. Dice poi la flaciditk sintoma di lor cachessia, e fini- sce enumerandone altri che dichiara comuni e alla flogosi arteriosa e a quella delle vene. Mi prefìggo esser breve. Sospendo adunque le meno importanti osservazioni, che potrei di se- guito comunicarvi. Ma fuor di dubbio, e per l'es- senziale dello stato di critica rifletto, essere que'sin- tomi insufficienti a comprendere e distinguere le suddette flogosi vascolari; non dover dire dell' arte- riosa, sibbene della flebite, come quella che dal dot- tor Sorgoni, e innanzi a lui anche da altri, fu giu- dicata essenziale assoluta cagione dello scorbuto. K prima d'ogni altra cosa suppongo, che voglia egli alludere alla lenta flebite universale^ così detta da molti trattatisti , dovendomivi io indurre per la notata alterazione dell'organismo nel primo stadio e per l'ordinario cronico corso dello scorbuto. Per la quale ragionevole mia supposizione non regge 98 Scienze il carattere della frequenza de'polsl. E di vero non è più presto dell' acuta universale flebite che del- la cronica? E appunto il grande maestro di tra- gica eloquenza medica , e osservatore accuratissi- mo delle cause manifeste e de' segni de' mali, vo' dire il sempre ammirabile Areteo, nel libro se- condo De venne concavae acuto morbo (1), ci in- segnò: Pidsatus arteriarum exigni sunt , creber" rimi ac veluti oppressi atque repulsi- Dissero si- milmente tutti coloro che poscia si diedero allo stu- dio ed alle descrizioni dell'acuta flebite universa- le: e i più moderni giunser perfino a precisarne le battiture per ogni minuto primo oltre le cen- toventi, talvolta anche fino alle cencinquanta. Qua- le fiducia adunque potrem noi accordare a quel se- gno del nostro socio? In quante altre malattie di» sparatissime non sentiam pure frequenti le pulsa- zioni, e talora innumerabili? Che se lo scorbuto di- pendesse dalla indicata flebite, dovrebbe alterare le intellettuali facoltà perchè essa le altera. Potei io slesso notarlo in alcun caso, e più apertamente il notarono in molti Hodgson , Delbant , Breschet e Scarpa. Anzi questo lume chiarissimo d'Italia no- stra fu il primo a dichiarare la febbre della fle- bite analoga alla tifoidea. Per contrario è nello scor- buto integra la mente , e durante il corso del di lui completo sviluppo alcuni alienati riacquistaron perfino il grandissimo beneficio della ragione. Leg- gete il fatto riportato dall'illustre professor Carlo Luigi Dumas, nella sua classica Dottrina generale (ij Gap. VII pag, 39. Patavii MDCG. Typis Petri Maria© FramboUi. Intorno allo Scorbuto 99 delle malattie croniche tom. I p. 229 (1), relativo ad una religiosa di anni 40 da gran tempo mania- ca , che per perfetto scorbuto ne risanò, A con- ferma di quanto or ora ho asserito leggete Taltro di Pechlin, piaciuto ad un Gian Giorgio Zimmer- man nella non mai abbastanza letta , ne mai ab- bastanza lodata Esperienza nella medicina toin. Ili p. 326 e ?,Q^. (2), dal quale appunto questo som- mo deduce anche nell'estremo periodo dello scor- buto una capacità d' idee le più sublimi e le più belle. Ne dimenticate, come anche la parte visibile della cerebrale organizzazione sia stata generalmen- te dagli osservatori rinvenuta in fisiologiche con- dizioni. E dopo tutto ciò potreste voi cosi di leg- gieri convenire nella flebite, quale esclusiva condi- zion patologica dello scorbuto? Per me non so con- sentirla: ne mai la consentirò, fino a che per solide prove di notomia patologica non mi si dimostri. Forse dirà il sig. dottor Sorgoni: I sintomi di co- lor terreo, talvolta verdognolo, talora plumbeo de' tegumenti , la lingua fosco-pallida , e le qualità indicate del sangue estratto, validamente concorre- re a sostenere la stessa flebite. Risponderei : Non mancar essi in altri mali ancorché d'indole assai diversa, per esempio nelle fisconie, massime sple- niche sopravvenute a molti accessi di febbri pe- riodiche; in varie maniere di clorosi, nella mala- cia, e più nella pica, in cui la depravazione del gusto fece inghiottir ceneri, terra, carbone, gesso ed altre somiglianti inassimilabili e nocevoli mate- y\) F'irenze, Guglielmo Pialli i8r3. (2; .Milano, fliaspero e Buocher i8i5. r'JOO Scienze rie. E facile verificare questa opposizione mossa da fatti osservati e non infrequenti. Io ne ho rac- colti parecchi esempi, e recentemente uno straor- dinario di una giovane. Presentava tutti que'sinto- mi, per quanto potei stabilire, unicamente prodot- ti dall'aver mangiata molta cera. E ne aveva ella tanta fame e così insuperabile, che suo malgrado talora non potea nemmen nelle chiese rattenerse- ne, ed involavano alcun pezzo dalle candele. Ho cre- duto bene particolarmente toccare di quest'esempio, stimandolo all'uopo a preferenza di quelli che sono a mia notizia, e non avendone di simili ancora tro- vato istoria in niun autore. Anche le modificazioni del sangue degli scor- butici non sembranmi di gran conto per la diagno- si essenziale, e principalmente laddove si parli di quello estratto dopo il primo stadio. Prescindo da quanto scrissi sulla incoagulabilità del sangue degli scorbutici nelle mie Ricerche. Potrei in questa epi- stola a buon diritto, come dice Terenzio, giovarmi del mio per cose mie: pure mi sono studiato, e mi studio di non ripetere ciò che notai nelle mede- sime. Avverto bene in proposito , che gli esperi- menti di Boissier de Sauvages e di Manetli (1) pro- varono, conseguire all'uso degli acidi, ed in ispecie all'uso dell'acetico e del citrico, un incremento del- la naturale fluidità del sangue. Laonde, e per non essere state dal dottor Sorgoni nel 1." e %^ stadio (i) Sono riferili nella prima dissertazione di quello intitola- ta: Dei medicamenti che attaccano alcune determinale parti del corpo umano ec. tradotta ed accreeciuta con note dallo stesòo Manclti. Firenze i754> Intorno allo Scorbuto 101 prescritte le sanguigne, ed avendo egli continuato a curarli cogli acidi, potreldjesi la lentezza e dif- ficolta del rappigliarsi del sangue de'suoi scorbu- tici assegnare all'azione degli acidi stessi ammini- strati. Io v'inchinerei, anche per un fatto ojffertonìi da una anginosa febbricitante, a cui, intorno a sei anni fa, ordinai che si aprisse la vena. Rivisitatala il giorno dopo, e osservatone il sangue estratto, non ne vidi un vero crassamento, sibbeue un circolo ro- seo men ampio del consueto che ne tenea le veci, ed era circoscritto da sostanza pur rosea di consi- stenza poco maggiore dell'olio, cinta da siero bian- castro alquanto abbondante. Me ne sorpresi: e inter- rogatala se fosse amica degli acidi, rispose che sì: e mi aggiunse essere da alcuni anni ingorda dell'aceto, e che lo bevea in copia colla quotidiana insalata. Potrei dagli autori attingere consimili indica- zioni , cioè di sangue difettivo , o del tutto man- chevole di coagulabilità indipendentemente da scor- buto, e dall'uso degli acidi e de'sali , sia durante la vita, sia dopo cadaverica ispezione. Ma voi sie- te tanto erudito, e di sì felice intelletto, da ritornar- li ben di leggieri alla colta memoria: onde mi pare, che se me ne prendessi la briga, non altro faces- si che recar vasi a Samo , o nottole ad Atene , od acqua ad Arno. Quindi più presto dirò dì due non mandati alla luce, e occorsi in questa pro- vincia : il primo agli egregi e onoratissimi ami- ci miei e cari concittadini sig. dottori Valbonesi e Pascucci: il secondo a me stesso. Fu quello os- servato in Forlimpopoli , in seguito ad ima fra le varie flebotomie fatte a certo signor canonico Saleghi, d'abito appopletico , soggetto a frequenti turgori sanguigni cerebrali. S'instituì sotto profondo 402 Scienze sopore, e mostro poi invece del crassamento lin li- quido cupo compreso in urta specie di sottilissimo membranoso involucro. Io qui, dopo alcun teimpo^ curai il suddetto sig. canonico, e ne'salassi prescrit- tigli anche irt ugual circostanza non mi avvenne! mai conferma di simile singolarità. Vidi l'altro in questa mia patria nel sangue venoso del canonicoì Federico Gaddi. Era ipocondriaco, e per reuma^ convulsioni e vecchiezza quasi affatto impotente alla locomozione. Gli si rinnovavano a quando a quando le convulsioni con forma epilettica, e senza vero periodo. Tornarongli in una notte deiragoslo 1830 per la prima volta susseguite da febbre;, rossor di volto, iniezione d'occhi, aumento altissimo d'indivi-» duale temperatura ; e per ricorrenti intellettuali alterazioni e furore , rese più gravi e considere- voli. Prescrissi tosto un largo salasso, che in breve lo migliorò, e gli segnai una soluzione di tartaro stibialo per bevanda. Rivedutolo al mattino, era api- retico, e di mente sana. Il sangue estratto avea flui- da e cosparsa di fiocchetti nerastri la porzione ros- sa; naturalissimo il siero* Torno di volo alla flebite del dottor Sorgo- ni, ed oppongo da ultimo per l'applicazione della medesima allo scorbuto, che si ebbero e riconob- bero flebiti universali primarie e consecutive , e tuttavia non diedero a divedere la sintomatologia dello scorbuto. 1 confini per consuetudine assegnati agli scrit- ti epistolari non mi permettono ulteriori minute discussioni: onde pili concisamente che possa farò pochi altri riflessi. Volgesi di bel nuovo l'autore al fondo organico di generale alterazione, e con- fortandosi delle autorità di Trotter, di Sasheim, Intorno allo Scorbuto 103 e (li Sprengel, lo riferisce a difetto di ossigeno. Ave- va io già mosse contro le prime alcune non con- futate opposizioni. Contro l'uguale di Bedoel, e la seguente di Sprengel recata dallo stesso Sorgoni: Humida^ nebulosa aeris indoles ita nocete ut minus sanguis oxydari possit. Recentium nutrimentorum defectus et infirmare vires et sanguinis depra\>a- tioni falere propter oxjgenis defectwn dehet : fa- rò poche umilissime parole, dirigendole alla più la- ta e favorevole interpretazione di questa sentenza per l'opinion del Sorgoni, comecché proprio fos- sero dallo Sprengel dettate intorno lo scorbuto. Di- co adunque vero, che l'aere umido e nebbioso nuo- ce anche nel proprio difetto di ossigeno; ma è pur vero, che indipendentemente dalla minore introdu- zione di quel gas sviluppasi lo scorbuto per igro- metriche impressioni; ne è men vero, che la man- canza di freschi alimenti possa concorrere a inde- bolire le forze, e contribuisca a produrre imperfetta ematosi. Però quella non sempre arreca un assolu- to difetto di ossigeno, e questa può essere viziata di altre molte maniere, e per varie cagioni. Vi sa- ranno forse degli scorbuti per la ctiologia da lui pretesa ; ma non so ne posso accettarla per tutti. Non nel marittimo, poiché l'aria di mare abbonda di ossigeno ; non negli acuti , mancando il tempo a quella chimica lenta sproporzione : ne meno in quelli d'individui ben nutriti, abitanti sane posi- zioni: non finalmente negli altri che a Marryat, a Manrò, a Wilson, a Weicard, a Lamothe fecero in- colparne l'abuso delle fruita e di altri cibi vege- tabili. Abbiamo poi esempi di guarigioni di scor- buto senza l'amministrazione di acide sostanze: e la natura della risohuionc del 1.° stadio di quel di Nar- 404 Scienze ni non ne è prova, solamente asserendosi otténtìtà con critiche orine e critico sudore. Occorreva ana- lizzare questi liquidi escrementizi j od almeno as- soggettarli ad alcune esperienze per poterne dedur-' re una sana conchiusione. E forse allora sarebbe stata uguale a quella di Parmentier e Deyeux, che dopo i loro chimici processi sul sangue degli scor-" butici lo dichiararono poco differente dall'ordinà-» rio (1). Adunque il difetto di ossigeno non è né asso- luto, ne necessario, ne dimostrato. Non si può quindi sostenerne dipendente la venosa flacidita ammessa dal Sorgoni nel suo secondo stadio dello scorbuto, e molto pili se si consideri che nel primo ammini- strava gli acidi. Altronde quante volte non avrà an- ch'egli veduti flacidi i ventricoli per acute e croni- che malattie dei precordi, e fors' anche con chiara iperossidazione del sangue? E badate che egli stesso nella sua „ Narrazione (2) di un caso di lenta an- gioite „ non di flebite, avverti il cuore e i vasi del torace al pari degli osservati nell'addome squalli- di., flacidi ed assai sviluppati. Non ho che ridire sul metodo curativo te- nuto dal medesimo. Fu semplice, da migliori pra- tici ispirato, condotto con saviezza e prudenza. N'eb- be quindi molta prosperità di successo: del che se- co lui mi rallegro di cuore. Serbando la distribuzione del nostro autore, debbo per ultimo ricordarvi che giudicò non cou- (i) Veggasi nel dizionario di chimica di Klaproth l'articolo Sangue. (a) Opuscoli della società medico-chirurgica di Bologna, fa- scicolo i6 p. 24. Intorno allo Scorbuto 105 tagioso lo scorbuto , e nel trattato di questa qui- stlonc si attenne interissimamente alle mie Ricer- che. Del che quantunque mi senta onorato , non so rimanermi dall'osservare che come scrittor po- steriore era forse a desiderarsi che ne spingesse piìi innanzi le investigazioni. Poteva recare altre autori- tà, oltre alle già addotte da me, tanto per questa quanto per l'opposta sentenza. Per la negativa pote- va aggiunger quella dell'illustre mugellano Antonio Cocchi, o almeno la vostra che stimo non ignoras- se, e che nasceva pure dalla osservazione. Io certo non vorrò trascurarla: anzi, perchè include l'impor- tanza del vero, reputo utile qui riferirne il para- grafo relativo, copiandolo appunto dalla citata vo- stra lettera. » ]>fel letto accanto havvi un soldato » affetto da leggiero scorbuto, che fa l'infermiere » al Quiblicr. Trattato cogli acidi, colla coclearia » e colla bevanda delle acque termali solforose, ne y> guarisce. Nella stessa sala vi sono 31 infermi, e » qualcheduno predisposto allo scorbuto, alcuni con » piaghe. Amici fra loro , tutti si prestano a prò » del grave infermo. Niuno rimane però infetto. » Eccovi impertanto un caso di scorbuto gravissi- » mo , che non si mostra contagioso in favorevole » occasione. Per ciò avete un nuovo fatto per non » crederlo tale, » Penserei non superfluo a tutte le cose discorse soggiungerne poche altre per poi rie- pilogarne il complesso; ma da una parte considero nel più importante discusse le opinioni del nostro socio, spero, con bastevol chiarezza; dall'altra vedo questa mia prolungata d'assai: onde fo fine, pregane i dovi ad occoglierla benignamente per l'animo con che ve l'oftero. Siatene giudice imparziale, e favo- rite di scrivermi come sia il dottor Sorgoni riusci- G. A. T. LXXIV. 8 166 Scienze to a render manifesta la sua fleLite, e se abbia, se- condo il suo proposito, diradate le tenebre che co- privano ancora la natura dello scorbuto. Addio, mille volte addio: amatemi siccome v'a- nso, conservatevi all' onore e all' incremento delle scienze mediche , alla felicita di vostra famiglia , alla consolazione degli amici, ed aggradite un ab- braccio. 1)1 Porli a' 14 del 1837 Camillo Versari Cenni inforno la cattedra di fisica sacra neir archiginnasio romano. 3l. ra le molte cattedre di scienze sacre , da cui leggono ed istruiscono neiruniversita romana della sapienza valentissimi maestri in divinità, havvi quel- la cosi detta di fisica sacra fondata nel 1816 dal- l' immortale pontefice Pio VII. di santa memoria. Questa cattedra ha per iscopo l'applicazione delle scienze naturali alla considerazione delle opere del- l'autore supremo della natura, col doppio fine di magnificare il nome di questo divino autore, e di confutare gli errori che derivarono dall'abuso del- le scienze istesse; e comechè un'altra del medesi- mo genere n'esistesse gik da lunga pezza neiruni- versita di Cambridge fondata dal celebre Boylc , pure per assai titoli ne va superiore quella, di che parliamo. Cattedra di fisica sacra 107 In un ramo di pubblica istruzione, che ha per oggetto l'applicazione delle scienze naturali alla considerazione di Dio, non può immaginarsi siste- ma ne pili ordinato, ne piìi sublime di quello, che la stessa divina sapienza ne tratteggiò; laonde con saggio divisamente dal primo libro del Genesi de- sunse la nostra cattedra l'ordine e la distribuzione delle materie, nonché l'appellazione di fisica mo- saica, fisica sacra, cosmogonia teologica. Pertanto in sei grandi trattati se ne divide Tampio argomen- to, essendoché in sei giorni divise Mosè l'opera di- vina della creazione , ed a ciascun trattato serve di tema ciò che creò Iddio nella corrispondente giornata. Quindi è che si occupa il I della crea- zione del mondo, o piuttosto della creazione del- le sostanze elementari ; il II del firmamento , o sia dell'aria, e della divisione delle acque; il III della distribuzione delle acque sopra la terra di- visa in continenti e mari, e della produzione de've- getabili; il IV dei corpi celesti, de'loro movimen- ti, e de'loro uffici; il V della produzione de'pesci e dei volatili , il VI finalmente della produzione degli altri animali, e della formazione dell'uomo. Non è mia intenzione di dare in questo arti- colo un ragionato estratto dell'intero corso delle lezioni che da questa cattedra sì dettano: e perciò non entro ne' particolari di ciascun trattato , ne seguo via via per serie ordinata i punti , o sia le contemplazioni, in cui è suddiviso ciascuno. Di- rò solo, che se])bene il genere d'istruzione che que- sta facolth si propone richiegga che siano cognite agli uditori le generali teorie delle scienze, nondi- meno basando sopra di queste il piìi bello ed il più sublime dell'applicazione, che dee farsene, con 108 Scienze bene intesa maestria vi si sviluppano a minuto, e persino con apposite dimostrazioni sperimentali , le principali non meno che le pili recenti dot- trine della fisico-chimica , dell'ottica , della geo- logia , dell' astronomia , della storia naturale. Ne questo è già un uscire di via, come talvolta la mal- dicenza andò divulgando e cornando per diminuire alla nostra cattedra il credito, a cui in breve per- venne: che anzi è un corrispondere appuntino al- le lodevoli vedute del sapientissimo pontefice che la istituì. Sapea ben egli quel supremo padre e pastore della cattolica chiesa, che d'ordinario gli al- lievi delle scuole, ove cotali scienze si apparano , sono sapienti del secolo, e giganti che assalir vor- rebbono il cielo; per cui con assai provvido consì- glio dispose che i giovani ecclesiastici dalla nuova cattedra le apparassero, e così eglino pure sapienti addivenissero, ma di quella sapienza, che da Dio sca- turendo, a Dio riconduce. Quello però che forma il carattere distintivo di questa scuola, e la rende non men delle altre com- mendevoHssima, è la direzione ch'ella da a cosiffat- te scienze , in genere alle filosofiche. E primiera- mente siccome a' dì nostri ogni scienza^ per servir- mi della frase dell'illustre Wiseman ( conferenza I ), è stata individualmente messa a sacco^ e non traggonsi piìi dal fondo di tenebrosa metafisica in- viluppata da oscuro gergo scolastico errori e so- fismi che degradano la ragione , ma da' progressi • delle utili scienze la depravazione e l'ignoranza si sforzano di derivarli: cosi è che adattando l'istru- zione a'tempi, le vie insegna ed i sicuri modi, on- de colle scienze stesse combatterli e vincerli; talché confuso ne resti e l'empio che delle scienze si abu- Cattedra di fisica sacra 109 sa , e r ignorante che le scienze teme e calunnia. Di poi lasciando al nudo spositore, che s'impingua in volumi , le vane e lunghe discussioni sopra il sacro testo scelto per guida, prende ad interpre- tarne in modi quanto veri, altrettanto ingegnosi i più difficili luoghi, a spiegarne nel senso il piìi ac- concio, ed insieme il piìi letterale i passi più os- curi, a far conoscere a via di fatti, come non fu e non sarà mai possibile di coglierlo in fallo, od in opposizione colla scienza, sì che faccia d'uopo al- l'incredulo confessare essere Un solo l'autore della natura e quel della grazia , che pria in patribus et prophetiSi novissime vero locutus est nohis in filio ( Hebr. e. 1 ). In fine non contenta di aver forma- ta la mente, rivolgesi al core: e giovandosi sempre de' lumi e de'progressi delle scienze, si fern^a trat- to tratto sulla considerazione delle maraviglie delle cose create, onde alla reazione di tante idee sì su- blimi l'ingegno, si eletrizzi la fantasia, e vivo si desti il sentimento. La divota sagacita dell'asceti- co sapra additarti nella sensitiva, che fugge la ma- no che se le appressa , nel polipo che si molti- plica, nell'insetto che si trasmuta, svariati e nuo- vi motivi per sollevar tua mente al creatore. Ma questo è ben altro che ricevere, come dalla nostra cattedra si ricevono, impressioni di un genere af- fatto straordinario e trascendente , di cui solo è capace colui che dopo avere assottigliato lo intel- letto ne' veri delle matematiche, in quelli delle scien- ze naturali ha nudrito lo spirito. Per la qual cosa si rende manifesto come que- sto ramo di pubblica istruzione riuscir debba uti- lissimo ad ogni ceto di colte persone, e precipua- mente a coloro, le cui labbra custodiscono la scien- no Scienze za, e che maestri esser denno in Israello. Che pe- rò si debbe assai buon grado al pontefice massi- mo, che Io istituì ; a quel suo zelantissimo mini- stro Ercole cardinal Gonsalvi, che lo promosse; al- l'attuale professore sig. cavaliere D. Feliciano Scar- pellini, che ne concepì il vasto e ben ordinato di- segno, e lo esegui ne'preziosi suoi scritti. Faccia- mo voti che, per la generosità di qualche illustre mecenate della religione e delle scienze, questi scrit- ti, in cui la filosofia e la natura parlano di Dio al- la mente, al core, ed agli occhi, moltiplichino l'im- magine loro ne'torchi, ed ottengano in Roma la pub- blicità delle stampe, come già non ha guari per la generosa testamentaria disposizione del conte di Bridgewater, l'hanno ottenuta in Inghilterra opere consimili, che la fama oscureranno di quelle dei Boyle, dei Paley, dei Derham, dei Sturm, dei Nie- wentitt, dei Schevchezer. S. Proja Dell'induzione e polarizzazione del termo-elettricismo, J\.\ fenomeni d'induzione magneto-elettrica ( Bi- blioteca italiana, 1829, pag. 398; Bib. univ. di Gi- nevra, gennaio 1830, pag. 28 ) aggiungo ora quel- li d'induzione termo-elettrica, intorno a' quali mi occupai fino dall'anno trascorso ( Gazzetta privile- giata di Milano 1837, 2 marzo, num. 61 ), e che non mi venne fatto di leggere in alcun fisico. A Termo -ÉLETTRieiSMO 111 questo scopo in determinate clirezioni avvolgeva a dei pezzi di metalli cristallizzati delle spirali formate di sei ad otto spire con filo di rame cir- condato di seta, i capi delle quali rannodava con quelli del filo del galvanometro, come ho ricor- dato nelle ultime mie esperienze termo-elettriche, che pubblicai nella gazzetta privilegiata di Mila- no (24 febbraio 1838, num. 55), ed immergeva ora una ora altra superficie di ciascun pezzo di metallo in un bagno di acqua calda, che era al- la temperatura dai 30.^ 50.*^ R. Ora esperimentan- do a questo modo, n'ebbi nel galvanometro delle distintissime deviazioni ora in una direzione ora in un'altra, seconda le diveirse superficie che immer- geva nel bagno caldo, e la diversa disposizione dei cristalli metallici. Cos'i in un pezzo di bismuto del peso di due libbre comuni , che avea sei facce , ebbi in quattro delle superficie opposte, prese a due a due, due correnti dirette in sensi contrari: e nelle altre due superficie parimente opposte, due correnti che facevano, sviare l'ago dalla medesima parte. Presentando uno spigolo al bagno di acqua calda, coll'inclinare il minerale piuttosto da un la- to che da un altro, ottenni nella spirale delle cor- renti, che facevano deviare 1' ago ora a destra ed ora a sinistra. In un pezzo di antimonio del peso di una libbra, che presentava parimente sei facce , in quattro di esse ottenni declinazioni dal medesi- mo lato, ed in due declinazioni dal lato opposto; mentre in altro pezzo ebbi soltanto quattro decli- nazioni distinte. Devesi però notare, che gl'indicati minerali non presentavano facce regolari. I paral- lelepipedi rettangolari di antimonio e bismuto , in tutte le facce opposte si manifestarono correnti che m Scienze sviavano l'ago dai lati opposti. Analoghi fenomeni riscontrai, sebbene in grandezza di molto minori, nei solfuri di piombo j di ferro, e nell'ossido di stagno. Disponendo in questi cristalli metallici altra spirale ad angolo retto alla prima, all'immergere nel bagno caldo le anzidette superficie ebbi de- clinazioni ora opposte ora cospiranti alle prece- dentij secondo che diversamente introduceva nella spirale il pezzo metallico. Levate le spirali dal con- tatto dei cl'istalli metallici, e riscaldate parzialmen- te e totalmente, non ebbero mai virtìi di fare svia- re l'ago dalla sua posizione. Tutti gli anzidetti es- perimenti furono rinnovati col bagno di mei^cu- rio , col calorico della fiamma e delle brage ; e adoperando il ghiaccio^ ebbi effetti opposti a quelli prodotti dal calorico. È necessario notare^ che l'ago non ritorna alla posizione primitiva se non sucessi- vamente, e che per tutto quel tempo che il metallo ha temperatura diversa nelle varie sue parti ^ l'ago del moltiplicatore è in continuo movimento. Non ho trovato che l'ampiezza delle oscillazioni decresca se- guendo la ragione delle diminuzioni di tempera- tura. Vi sono de'punti stazionari, vi sono dei sal- ti, che pare s' attengano al moto irregolare del- le molecole costituenti i d'istalli metallici. Que- sto movimento continuo dell' ago è per me una prova non dubbia di una continuitk di correnti, che circolano nel metallo per l'inegualianza di tem- peratura nelle differenti sue parti. Fatto impor- tantissimo per la dottrina del termo-magnetismo terrestre. Con corpi non conduttori, com'è il cri- stallo di monte, non ebbi effetto di sorta: ed ef- fetti nulli od equivoci con conduttori non cristal- lizzati. Dagli accennati risultamenti, che appresso Termo-elettricisjho 1 i 3 illustrerò con analoghe figure, parmi dimostrata rinflncnza della cristallizzazione nel determinare il senso della corrente termo-elettrica, che io chia- mo polarizzazione, per quella analogia che ha que- sto fenomeno con quelli della polarizzazione della luce e del calorico. I fisici sin qui, ad eccezione di pochi, hanno considerata la materia dei corpi conduttori sottoposti all'influenza elettrica come pu- ramente passiva, senza avere riguardo a quell'a- zione difessa esercita sopra di questo agente delia natura; e per questo non poche delle teoriche lo- ro riuscirono oscure e poco meno che contrad- dittorie. È da questa azione che bisogna farci aiu- tare per intendere, in qualche modo, la infissa- zione dell'elettrico negli aggregati della materia, e precipuamente in quelli de' metalli magnetizza- ti. La stessa spirale avvolta a Un polo di una ca- lamita, che si sottoponga ad una temperatura di- versa da quella dell' aria circonfusa , dà indizio al galvanometro di una corrente diretta in un sen- so: avvolta al polo opposto dà argomento di altra corrente, che fa dal lato contrario sviare l'ago del moltiplicatore. Io mi limito per ora a questi nuo- vi fatti cardinali, perchè è fermo mio intendimen- to di venire ai particolari di questa materia. Da essi parrà manifestissimo, come abbia intieramente se- parata l'influenza che il filo metallico potrebbe ave- re nel producimento di questi efl'etti, per la sem- plice inegualianza di temperatura, e come abbia ne- cessariamente dovuto conchiuderc all'esistenza di correnti elettriche nella massa dc'cristalli metallici risvegliate dal calorico. Il 1 marzo dei 1838, Milano. Prof. Francesco Zantedesciu 114 LETTERATURA Seconda rivista di alcune recenti opere italiane di archeologia. 1. Fasti duumvirali di Pompei: di Raimondo Guarini. Napoli presso Raffaele Miranda \ 837, 8.® di pag. 247. Gì ià altre volte tributammo in questi fogli al eh. sig. Guarini i dovuti elogi sì per l'amore che porta agli studi epigrafici, e sì per le molte opere che va pubblicando in tal genere: e gli rendiamo ora sincere grazie di quest'ultima qui annunzia- ta. Qual fatica abbia egli dovuta durare nel com- porta, si farà chiaro anche a chi non abbia il lavoro di lui sotto gli oechi, se vorrà considera- re che in esso leggonsi oltre a 300 iscrizioni tut- te pompeiane , e nella massima parte difficili a leggere: diciamo di quelli titoletti scritti sulle pa- reti esterne delle case; affollati alcune volte in mo- do, che confondonsi l'un l'altro con istrano scon- volgimento; e, ciò che è peggio, in gran parte per l'azione dell'aria svaniti. Pure a tutta questa in- composta congerie potè il Guarini dare un qual- che ordine; sia separando i magistrati dagli altri; sia raccogliendo in un sol punto le diverse me- Rivista Archeologica. 1 1 5 morie delle genti diverse.' e ciò in ispccie gli die ( motivo a produrre molti, e spesso ingegnosi sttp- plimenti. Ma lo scopo primario, cui l'A. mirò, fu per lui raggiunto? abbiamo in quest'opera una se- ; rie cronologica dei duumviri di Pompei dai mo- ' numenti scritti? una tal serie è poggiata sopra va- lidi fondamenti? A me par già sentire che alcu- ni lo nieghino ; e si dolgano dell' abbandonarsi ' che fa troppo sovente l'A. a leggiere congetture. Ma risponderemo: Leggeste questi fasti duuimnrali? E se li leggeste, perchè far carico all'A. di cosa per lui quasi ad ogni pagina confessata? Egli non pretese dare il certo per ciò che non lo è, e mol- to meno per ciò che appena appena è probabi- ' le; e nel §. XXV, nel quale radunò alcuni schia- rimenti necessari per la intelligenza della tavola ' cronologica de'duumviri pompeiani, dichiarò am- i piamente, che que'nomi di duumviri, che in essa tavola sono senza alcun distintivo, debbonsi rite- i nere per dubbi; che quelli, i quali per distinti- vo hanno una lettera C, sono certi di fatto, ma ! s'ignora l'epoca del loro duumvirato; ed infine che con due GG son distinti quelli, de'quali v'è cer- tezza anche per l'epoca. Ghe se si volesse aggiun- gere, che sarebbe stata utile per le nuove future scoperte aver almeno un elenco alfabetico di que' duumviri, che certi di fatto, non lo sono per Te- poca, noi conveniamo che veramente questa utilità poteva risultarne. Prendendo di mira la indicata tavola crono- logica, che sta al finire dell'opera, vediamo che essa dal 681 giunge all'A. 831 di Roma; cpiindi si spazia per 150 anni. Ma le magistrature, che vi sono notate, non oltrepassano le 76; dunque anco- 116 Letteratura ' ra che tutte queste magistrature avessero i neces- sari caratteri di certezza, sempre ne mancherebbe- 1 to quasi altrettante per riempire le diverse lacune, i Ma di queste 76, se ne hanno 9 senza alcun distin- tivo; e quindi, per confessione dell' A.* dubbie nei nomi, dubbie per l'epoca: altre 52 sono con una sola C, quindi non v'è altra certezza che quella dei nomi: restan dunque Sole 15 contradistinte con due ce. Noi non faremo parola dlcUna ne delle prime, ne delle seconde: rimarcheremo però che le terze i riferisconsii secondo il N. A., agli anni di Roma 681 740 752 754 755 756 757 158 776 785 787 798 814 821 830. Ma queste magistrature furon tutte fissate ad anni certi e sicuri per mezzo di argomen- ti incontrastabili? Non dubitiamo punto di quelle del 740 752 754 756 767 776 785 787 814; per- chè basate sopra marmi scritti, notati coi consoli di quegli anni: ci sia permesso dubitare delle al- tre; e tali dubbi appoggiare a qualche argomento. Ed incominciando dalla piìi antica, cioè da quel- la del 681, conveniamo col sig. Guarini j che in esso anno si avessero i primi duumviri in Pompei. Imperocché se la colonia di Siila debbesi ritenere dedotta in quella citta in vigore della facoltà accor- data dal senato a quel fortunato dittatore, non po- tè essere posteriormente al 676, anno in cui Siila morì: non anteriore al 674, anno in cui ottenne quel privilegio. Ora prendendo fra queste due date la via di mezzo, per probabile congettura può fis- sarsi la deduzione della colonia sillana nel 675: ma la legge xicilia prescriveva un quinquennio prima di stabilire definitivamente gì' interessi fra i mu- nicipii ed i nuovi coloni; quinquennio nel quale pe' nuovi coloni non eranvi magistrati, all'infuori Rivista Archeologica 117 dei tre (era questo per lo più il numero) che avean preseduto alla deduzione: dunque dal 675 andiamo appunto al G80; e per conseguenza solo nell'anno seguente poterono essere i duumviri in Pompei. Ma che questi primi duumviri pompeiani si nomas- sero C. Quinzio F'algo e M. Porcio, come il Gua- rini crede, noi noi vediana chiaro. Ne già neghia-? mo che que'due godessero insieme del duumvirato; perchè ne fan fede le iscrizioni dal N. A. prodot- te; solo diciamo essere incerto che lo godessero nel 681. Ne vale, secondo noi, l'argomento che ne ad- duce il Guarini, desumendolo da una lapida, in cui si narra che sotto il patronato di C. Quinzio f^al- go furono restaurate le porte, le mura, ed i bastio- ni di Eclano; perchè, anche ammettendo per certo (che non lo è), esser seguito quel restauro nell'anno 678; anche accordando, che il C. Quinzio del marmo di Eclano fosse non diverso dal C. Quinzio del mar- mo di Pompei; non perciò ne scenderà la certezza, che esso C. Quinzio dovesse esercitare in Pompei il duumvirato precisamente nell'anno 681, e non posteriormente. Rapporto ai duumviri del 755, sono essi dal N. A. poggiati a due lapidi. L'una porta segnati i consoli ordinari del 754, l'altra cjuelli pure ordi- nari del 755; e perciò crede che nel 755 continnas- se regolarmente lo stesso duumvirato del 754. Noi gli opporremo le sue stesse dottrine a pag» 212; cioè » Vanno di Roma segnato nella tavola cronologica^ sempre s intende che sia il secondo semestre dell' anno consolare, per esempio 680 di Roma vuol di- re il 1 luglio delVanno 680, terminando il 30 giu- gno dell'anno 681. » Ora se M. Pomponio Marcel- lo e L. f^alerio Fiacco incominciarono ad esercitare 118 Letteratura il ddumvlrato il 1 lui^lio del 754, come consta da una lapida segnata coi consoli G. Cesare e L. Pani- lo, dovettero terniinare il 30 giugno del 755; e quin- di I>cne sta che siano ricordati in altro marmo se- gnato coi consoli P. Alfeno e P. Vinucio. Dunque fu uno solo il duumvirato per essi esercitato; e que- sto nel 754, e la continuazione nel 755 devesi espel- lere del tutto dalla tavola cronologica. Similmente se non si avrà a radiare dalla tavola, almeno con- verrà riporre fra quelli di anno incerto il primo duumvirato di M. Staio Rufo e Gneo Melisseo Apro. Il Guarini per una lapide segnata coi consoli S. Elio e C. Senzio, nella quale que' due diconsi D. V. I. D. ITER, ritiene che ambidue fossero du- umviri, e senza interruzione negli anni 757 e 758. Notiamo in primo luogo, che que' consoli essendo gli ordinari del 757, e sotto di essi cadendo per fede del marmo l'iterata magistratura di Rufo e di Melisseo, non avrebbero mai potuto esercitare la prima nel 758! in secondo luogo crediamo che ninna ragione ne stringa a ritenere, che le due magistra'- ture dovessero essere continuate e senza interruzio- ne. Non poteron forse esercitare la prima anterior- mente al 754, dove son molte lacune, ed anche eser- citarla in due anni diversi l'uno dall'altro? I duumviri del 798 son fissati dal N. A, sul- l'appoggio di un marmo, in cui leggonsi i consoli M. eluvio e P. Glodio. Egli li crede indubbiamente sult'eti nel secondo nundino semestrale di quell'an- no- Ma perche altri potrebbe riferire quella sur- rogazione un decennio prima, staremo in attenzio- ne che ne dica il preciso quel letterato chiarissimo, che si sobl^arcò all' enorme peso della retti Reazio- ne de'fasti ipatici. Passando ad altro, vogliamo am- Rivista Archeologica 119 mettere che in vlrtìi della legge Petronia si riapris- se l'anfiteatro pompeiano l'anno 821; ma non per- ciò cji conseguenza ne viene, che il quarto duum- virato di C. Caspio Pausa debba cadere in quel- l'anno; e non oppugnando che il marmo, in cui quel- la lege Petronia è ricordata, possa appartenere al- l'anno 821, dicianno che 1^ diversità che s'incontra fra le magistrature di esso Pausa indicate in quel marmo, e quelle indicate in altri marmi, ne'quali pur (Jicesi quadrumviro per la quarta volta , dan motivo a credere che queste siano a quella anterio- ri. In fine riponiamo fra i non sufficientemente cer- ti l'unico duunjviro dell'anno 830, perchè lo stesso sig. Guarini non sa decidere se M- Epidio Sabino coprisse la n^agistratura in quell'^nnp, o nel pre- cedente, 0 nel seguente. Non dispiaceranno, vogliamo sperarlo, al sig, Guarini cjueste libere osservazioni; le quali tendo- no al profitto della scienza, non a menomare, ben- ché in piccola parte, la giusta riputazione che egli gode: perchè sappiamo quanto egli sia amante del vero, assai pili che della propria opinione; e lode- volmente ne die replicate prove in istampa. Il per- chè, 0 crederà egli che queste note possano con- durre alla scoperta del vero, e ne sarà a noi gra- to; o avrà argomenti per infievolirle o renderle inu- tili del tutto, e noi lo ringrazieremo; ripetendo con Tertulliano per lui addetto: Veritas soror naturae^ ed al caso nostro aggiungendo: Et ftlia temporis. Per queste medesime ragioni vogliamo farlo avvertito, che la lapide num. 35, che egli dà a pag. 190, non e pompeiana; ma passò nel regio museo borboni-» co dal museo borgìano veli terno ; il Donati ( pag, 316-T), rodcrici (/Mann, didasc. pag. 73), il Rub- 120 Letteratura hi ( Diz. d'ant. v. Derisor ), ed il Zaccaria (Ist. lett. V. 14 pag. 97 ) ne pu])blicf»rono la parte meno com- pleta. Ambedue le f^cce furon edite di poi al num. 67 della nostrci silloge d'iscrizioni antiche» L'argomento principale del libro, cioè la serie dei duumviri pompeiani, abbraccia i primi dician- nove paragrafi di esso sino alla faccia 164. Vengon poi nel §. XX alcuni monumenti edilizi; e nel se- guente alcune iscrizioni sacre, imperiali , anfitea- traili, sclier2?evoli, Le sepolcrali sono al §. XXIL Al- cune relative a terme e a programmi di locazioni sono al §. XXIU. Quindi discorre delle opere pub- bliche fatte in Pompei da Eumachia^ e da Numisnio Frontone di lei figlio; cioè il calcidico, la cripta, ed i portici della Concordia: e nel §. XXV dà i già ricordati avvertimenti per 1' intelligenza del- la tavola cronologica de'duumvirl pompeiani; e fin qui tutti i monumenti riportati nell'opera proven- gono da Pompei. Ma nel §. XXVI sono altri mo- numenti scritti greci e latini, derivanti da altri luo- ghi; fra i quali ricordiamo una tavola in bronzo di patronato, che serve di bella giunta a tutte le com- pagne radunate gìh dal eh. Gaz^era: essa è datata VI . IDVS . APRILES . FLAVIIS . LEONTIO . ET . BONOSO . GONSS; il che ci porta all'anno 344 dell' E. V. Non vediamo però, come da questo bronzo unicamente, al dire del N. A. , siam debitori di tutti tre i nomi di ambidue i consoli-, si col dotto Borghesi (Boll. arch. 1836 pag. 152 e segg. ) ripe- teremo, che gì' interi nomi di essi derivano dai di- versi marmi che li ricordano, insieme accuratamen- te confrontati; e che ne' fasti debbesi notare Fla- vio Domizio Leonzio^ e Flavio Sallustio Bonusa, Rivista Archeologica J2I il. Sulla iscrizione della statua militare in bron- zo collocata nel niloOo museo etrusco istituito dal sommo pontéfice GregOHo XVI\ lettera di Gio. Bat- tista F'ermiglioli. Pefitgid, Baduel 1837, 8.° di pAh. Molte e diverse esposizioni Intorno la iscrizio- ne di questa celebre statua tiidertina furono pub- blicate nel diario romano ed altrove. Il sig. Ver- miglioiì) che tiene il primato in questi italici an- tichissimi studi, espone coli' annunziata lettera la propria opinione. Incomincia dal ricordare, come codeste breivì épigi^afi nelle statue metalliche sia- no i pili insigni monitmenti delle vecchie nazio- ni: quindi intei^pUntando e dividendo quella in que- stione, composta di Una sola linea, legge ( voltia- mo noi per comodo della stampa i caratteri etru- sci in romani ) AEIA * L . TRVTIVIS . PVNV . MI. VERE; e traduce: ego AEIA, ovvero Àveia^ Lar- this TRVTIDI, ovvero Trutedi, filia, FONO: SVM VERVS. Poca o niuna difficoltà s'incontra nelle prime tre voci: cosi nella quarta PVNV, facilmen- te ognuno riconosce il latino pono ; ed in questa prima parte dell'epigrafe contiensi l'azione di Ae- ia o Aveia figliuola di Larte Trutidio^ o Trute- dio- Imperocché termina qui il primo senso. Da esso conviene staccare il seguente MI . VERE. Col primo favellava colei che pose ed innalzò la statua; convien cercare nell'altro brano il soggetto che la statua rappresenta: e questo similmente da per se stesso favella, all'uso delle antichissime iscrizioni greche , come la sigea e la deliaca presso Chis- sul. Forse potrebbe sembrare a taluno, che il mo- nosillabo MI arbitrariamente sia stato prolungato in £«/x£; ma il sig. Vermiglioli ne adduce in ap- G. A. T. LXXIV. 9 422 Letteratura poggio altri esempi in altri monumenti. Che se l'ul- tima voce VERE, secondo una variante lezione, dee piuttosto essere AERE; in tal caso contraendo re- golarmente la E , si avrà ARE ; e questa voce , nella statua di un militare, altro non può signifi- care che l'Apvja de'greci, il Marte de'latini. Quin- di si dovrebbe interpretare: Suin Mars. Questa breve letterina fa prova della somma maestria di chi la scrisse. III. Lettera archeologico-medica delV avif. Gaetano De Minicis al sig. dott. Felice A\>etranu Perugia', presso Badicel 1837, 8.° di pag, 24. Die motivo a questa lettera il ritrovamento fatto dall'A., nell'antico Falerio, di una iscrizione per un medico di quella colonia romana. Mancan- te nel principio, non conserva che le sole due se- guenti righe - Q. TVLLIENI Q. L. - PHANIAE. MEDIGVS. Ne riporta poi in N. A. una greca pur di Falerio, spettante ad un certo tal Asclepiade perga- meno, medico pur esso : e ben fa il sig. De Minicis a contraddire il Colucci; il quale parve inchinato a credere che spettasse al celebre Asclepiade, che l'arte medica innalzò alla degna gloria in Roma ver- so la metà del settimo secolo. Imperocché , quando anche mancassero altri argomenti, basterebbe quest' uno, che Asclepiade era nato a Prusa nella Bitinia , mentre l'omonimo medico della lapida di Falerio dice esser nativo di Pergamo. Dopo avere scritto dì questi due marmi , ne ricorda il N. A. assai più di medici e chirurghi diversi: e senza meno in assai maggior numero poteva ricordarne, se consultate a- vesse altre raccolte epigrafiche; ed in ispecie lo Spon Rivista Archeologica 123 che molle ne recò nelle sue miscellanee, e quanto ad esso aggiunse il Marini nelle iscrizioni Albane; e quanto piìi si ha nelTopera tuttora inedita del pe- rugino Mariotti. Alle tante iscrizioni di rimedi me- dicinali già cognite, si aggiunga la seguente di re- cente scoperta a Daspich in Francia. È sopra un pezzo di argilla con lettere incavate ed a rovescio, per essere riprodotte in rilievo, e diritte median- te l'impressione j tradussero (non sappiamo con quanta felicita); Liquore balsamico di Q. Valerio Sesto^ contro la vista torbida e le vertigini. Q. VA- LERI . SEXTI . STAG - TVMAD . CALIGINES - OPOBALSAMATVM - In fine il sig. De Minicis raccoglie alcune no- tizie di Tommaso Euffreducci e di Paraninfo For- tunati. Ambidue nacquero a Falerone; ambedue eser- citaron l'arte salutare, il primo sul terminare del secolo XIV, il secondo verso la meta del XVI t e termina per accennare quanto giovamento ri- cever possano dallo studio dell'archeologia, e pre- cipuamente dalla numismatica, così la filologia co- me la storia medica. IV. Le antiche lapidi del museo cTEste illu- strate. Padova coi tipi della Minerva 1837, 8.° di pag, 190, e 6 non numerate. Isidoro Alessi nelle Ricerche istoriohe di Este, pubblicate oltre la meta del secolo scorso, pieno com'era di amore per le cose patrie , non soffrì che la memoria delle antiche iscrizioni andasse per- duta; e dotto com'egli era, assai giudiziosamente le estensi tutte trascrisse, e convenientemente il- lustrò. Se la patria debbe essergli grata, non mi- 124 Letteratura nor gratitudine merita il nobile sìg. Vincenzo Fra- cassani ; il quale occupossi in raccogliere i mo- numenti qua e là dispersi; die loro opportuno e conveniente ricovero in un pubblico museo; chia- mò presso di se il prof. Giuseppe Furlanetto, af- finchè desse opera in illustrarli; e volle che il la- voro di quel dotto si pubblicasse con le stampe. Il nome del Furlanetto suona cosi lodato in Italia e fuori, che non abbisogna di nuovi encomi. Chi non conosce infatti colui, pel quale avemmo il gran lessico del Forcellini, aumentato di oltre a venti mila voci? Divide egli la illustrazione delle lapidi estensi in sette paragrafi. Sono nel primo cinque monu- menti sacri; sei monumenti istorici nel secondo; il terzo, destinato ai sepolcrali, ne conta quaran- tadue. Vengon nel quarto otto figuline; ventiset- te frammenti nel quinto; nel sesto un monumento cristiano; uno euganeo nell'ultimo: in tutto montano a novanta. Ma nelle copiose note se ne hanno piU che altri cinquanta. Non tutti questi monumenti però sono letterati: nel paragrafo quinto ve ne ha un- dici anepigrafi; rappresentano sculture diverse, per lo pili mancanti e spezzate: ed anepigrafo è l'u- nico cristiano , in cui veggonsi i primi genitori che si son cibati del vietato frutto, e dietro lo- ro chi gì' indusse a commettere una tanta colpa. Non tutti i monumenti scritti sono inediti; anzi la massima parte non lo sono. Fra gli estensi ci paion nuovi quelli dati ai N. VII. XXIII. XKIX. XLIX. L. LII. LUI; ed altri undici ne incontram- mo nelle note. Anche tra i frammenti ve ne ha alcuni non prima pubblicati; ma son essi di nin- no o poco vantaggio alla scienza; ed anche fra le Rivista Archeologica. 125 figuline ve ne ha taluna, ora per la prima volta stampata. Nelle note riportò il eh. Furlanetto molte let- tere che gli ebbe dirette il nostro Bartolomeo Bor- ghesi, in risposta ai qu ^siti fattigli dall'amico. Es- se lettere son tante, e cosi importanti, che gran parte del molto merito di guest' opera dee riven- dicarsi al Borghesi. Le illustrazioni delle lapidi son tali, che non desideri erudizione giustamente col- locata, e dove il bisogno la chiede; giusta critica, esattezza, precisione, dottrina. E per iscendere al- la particolarità, noi dobbiamo raccomandare ai be- nigni lettori la bella illustrazione di una lapida, nella quale son ricordati dieci Magistri , e due Magistri wci. Quante dottrine non ci sparge a larga mano il Borghesi! Anche bellissima è la il- lustrazione delle celebri iscrizioni del monte Ven- da; nelle quali si racconta come L. Gecilio il Cal- vo per ordine del senato stabilii nell'anno 612 i confini fra i padovani e gli estensi ; ed un mar- mo a pag. 93 è assai interessante, perchè da es- so s'impara la esistenza di una legione V. Urbana. Non termineremo senza notare , che il mo- numento euganeo è descritto soltanto , senza ri- portarne il testo. Il eh. Furlanetto però si dichia- ra pronto a comunicare questo, e gli apografi esat- tissimi di tutti gli altri cogniti nella stessa lin- gua, a chi volesse occuparsi nella illustrazione di essi. E ciò non solo, ma si offre pure di pubblicar- ne la interpretazione , quando sark egli per dare alla luce le antiche lapidi padovane che trovansi già collocate nelle logge del civico salone. Noi fac- ciamo fervidi voti affinchè questa nuova fatica del Furlanetto venga sollecitamente alla luce; potendo 126 Letteratura da essa raccoglier la scienza nuovi vantaggi, nuovi lumi gli studiosi; come già per queste lapidi estensi fu vantaggiata la prima, ed istruiti furono i secondi. V. Dichiarazione di un dittico consolare del- la chiesa cattedrale di A ostai del prof. Costan^ zó Gazzera. {^Dal voi. XXXVIII delle memorie del- la reale accademia delle scienze di Torino^ 1 835. 4.«/?g.) Ebbero in costume i consoli ed altri magistra- ti, dal finire del terzo secolo dell'E. V. a quasi tut- to il sesto, di far lavorare alcune tavole eburnee, le quali al primo assumere la loro magistratura porgevano in dono al sovrano in attestalo di loro devozione. Alcune di queste giunsero sino a noi; e sono quegli avori che diciamo dittici. Il Buonar- roti, il Donati, il Leichio ci avevan date alcune ope- re su tali monumenti: venne a luce il famoso dit- tico quirinianOf e intorno ad esso scrissero l'Ansal- di, il Barelli, il Bartoli, il Boni, l'Hagenbuch, il Leichio, il Maffei, il Mazocchi, l'Olivieri, il Passe- ri, il Volpi, e forse altri; e fu allora che il Gori, raccogliendo quante scritture erano a lui cognite intorno le diverse tavolette eburnee di tal genere, ne pubblicò nel 1759 in tre volumi in f. il The- saurus veterum djpticorum^ nel quale gran parte ebbe il Passeri. Erano 25 tali dittici. Devesi unire ad essi quello di Cremona pubblicato dall'AlIegran- za nel 1781; l'altro del seminario di Geranda, dio- cesi di Sion, edito dal De Levis nel 1809; uno tri- vulziano di Milano, del quale fu pubblicata la slam-- pa senza dichiarazione alcuna. Per modo che ai 28 uno se ne aggiunge ora dal eh. prof. Gazzera ia questo dell'archivio della chiesa di Aosta, Rivista Archeologica 127 Pregio singolare del quale si è, l'essere impe- riale e consolare nel tempo slesso: imperocché in ciascuna delle facce esterne delle due tavolette por- ta sculta l'intera figura dell'imperatore Onorio, con leggenda intorno al capo D . N . HONORIO . SEM- PER . AVG ; e nella parte inferiore di ognuna il nome del donatore PROBVS . FAMVLVS .V.C. CONS . ORD. Onorio è rappresentato in piedi , e quasi di prospetto, entro una specie di edicola for- mata da due pilastrini dorici , con arco intagliato a fogliami: ha un leggier vestigio di barba sul lab- bro superiore; il sacro nimbo è intorno al capo di lui; gli cinge la fronte un diadema formato da dop- pio ordine di perle: vestito di lorica con la gor- gone sul dinanzi , vien essa traversata dal balteo , che neir una delle due tavole regge il parazonio , nell'altra la spada con testa d' aquila nell'impugna- tura: il paludamento gli scende dall'omero sinistro; ricchi calzari gli ornan le gambe fino alla metà, e pei molti giri lasciano scoperte le dita de'piedi. Reg- ge nell'una tavola con la sinistra lo scettro, con la destra il clipeo posato a terra: nell'altra sostiene con la sinistra un globo, sul quale vedesi una Vitto- rietta con palma in una mano, e laurea nell'altra, quasi in atto di voler incoronare l'augusto; con la destra tiene il labaro portante il sacro monogram- ma, e con leggenda IN NOMINE XPI VINGAS SEM- PER. Ambedue le tavolette sono contornate da una doppia cornice di dentelli ed ovoli da tre lati; me- no cioè l'inferiore, dove è l'iscrizione del donatore. Il monumento è di perfetta conservazione ; e per quanto si riconosca in esso il decadimento del gu- sto dal lato delle arti, pure ciò viene in certo tal modo compensato dalla diligenza dell'artificio. 128 Letteratura Altro pregio di questo monumento si è, Y es- sere il più antico (li quanti si conoscono di cjata certa. li consolato or4inario di Probo ci richiama all'anno 406 dell'E. V; ed è questo quel Sesto Ani-? cip Probo, figliuolo del console del 3T1, phe ebbe gli stessi nomi i e che si per Ig gente Anicia , si per la Faltonia dei Probi, è illustre ne' fasti del- l'impero non naeno, che in quelli della chiesa. L'an- po 406 però ci (Ji>??Qstra, che allora Onorio conta- va l'anno vigesimo secondo di età, non il vigesimo sesto i ed è forse questa la ragioq naturale tlella poca barba che ha sul labbro superiore soltanto ; senza cercare in cip cpl N. A. un ornamento mi- litare. Conveniamo con lui pienamente, quando di- ce esser questo il vero ritratto di Onorio; perchè dalle sole medaglie non si potrebbero certo ritrar- re le sembianze precise e distinte di quell'augusto. Ci permetta però dubitare, che in queste tavolette Onorio abbia grandi orecchini ad uso femminile o persiano, formati da due grosse perle. Nella tavola litografica, che abbiamo sott'occhi, quelle due grosse perle non ci sembra che pendano dalle orecchie : d'altronde le monete di Onorio, che ci mostran la testa di lui in profilo, non han mai tali orecchini: quelle che ce la mostran di faccia, hanno le due estremità del diadema cadenti sul collo, ornate di una gemma: quindi par da credere, che anche nel dittico abbiansi quelle perle a considerare come le estremità del diadema, piuttosto che orecchini. In questo dotto e diligente lavoro del eh. pro- fessor torinese sì hanno le necessarie notizie sulT uso primiero di tal fatta di avori, e su quello cui furono in appresso destinati nelle chiese: si discor- re del loro pregio, quali monumenti d'arte e di JRlVISTA ARCpEOLOGICA 139 storia; si dice dei vantaggi phe la scienza e la let- teratura ne trassero; di ogni parte della rappre-- sentaoza di questo dittico aqgustano si danno buo- ne illustrazioni; di ogni voce delle leggende, sagaci interpretazioni. Forse si potrebbe muovere qualche dubbio intorno quella della parola FAMVLVS; ma ciò ci condurrebbe troppo alle lunghe ; il che non comportasi dalla natura di questi fogli. VI. Philippi Schiassi , de tjpo ligneo theatri saguntini. Bologna presso Tiocchi 1836, 4«° di p. 23 Qon due grandi tavole in rame. La celeberrima Clotilde Tambroni, nome ca-» rissimo all'Italia edagli studiosi delle greche elegan-' ze, in un viaggio fatto in Ispagna Tanno 1798 in- sieme al suo niaestro D. Emanuele a Ponte, fermos- si per qualche tempo a Valenza: di là si recò al vicino Morviedro^ luogo dove rifiensi che antica-^ mentre sorgesse Sagunto. Amante com' essa era di ogni cimelio antico, si die a trascrivere in que'con- torni le lapidi greche , le fenicie, le romane che v'incontrò; fece disegnare i bassorilievi ed i resti delle antiche fabbriche; sopra di ogni altra cosa pe-^ rò rivolse le sue premure ai grandiosi resti del tea- tro; e ne fé' eseguire dall'Arnau un modello in le- gno con moltcì industria e diligenza lodevolissima operato. Tornata in patria lo recò seco, e dopo al- quanti anni ne fé' dono al eh, prof. Filippo Schias- si; nelle cui case in Bologna ricordiamo averlo noi stessi replicate volte ammirato, Ora il dotto autore con la indicata memoria lo partecipa al pubblico esattamente inciso in due grandi tavole in rame, e degnamente descritto ed illustrato. 130 Letteratura Già questo teatro era noto agli eruditi per le opere di Emanuello Martino, di Gioacchino Alcara- zio, di Giuseppe Emanuello Miniana, di Bernardo Montfaucon, di Giovanni Poleni, di Guglielmo Lo- nyngham, di Ennio Palosio Navarro: e più recen- temente ne ebbero scritto Giulio Ferrarlo, Antonio Ponzio, Giosuè Ortisio Sanzio , ed Alessandro La- borde. Ma rapporto all' esattezza e precisione non han che fare le tavole prodotte da qualcuno dei ricordati, con quelle pubblicate ora dal dotto pro- fessor bolognese. Il quale d' altronde, raccogliendo il fiore di quanto altri prima ne scrissero, spesso si oppose loro, e sempre con sodi argomenti. Del che solo un esempio basterà citare ; cioè quanto egli espose intorno l'antica ed intralciata questio- ne dei vasi sonori o echei, che Vitruvio prescrisse nella formazione de'teatri. Chiunque leggerà questa dissertazione dello Schiassi non potrà a meno di non convenire , che la lingua latina anche a'giorni nostri si presta spon- tanea per esprimere con eleganza e chiarezza qua- lunque subietto, sia pur esso del tutto nuovo: e con- fesserà pure che Filippo Schiassi è uno fra i primi latinisti dell'età nostra. VII. Saggio sopra alcune monete fenicie delle isole baleari: del cav. Alberto della Marmerà. (Dal voi. XXXf^III delle memorie della reale accade- mia di Torino 1834, A."" ftg.). In Maone nell'isola di Minorica, così presso il slg. Antonio Ramis come altrove, trovò il sig. cav. della Marmora un considerevol numero di antiche medaglie con caratteri fenici , le quali erano stale Rivista Archeologica 131 da alcuni nummografi attribuite a Serpa nella Lusi- tania, da altri a Cadice o a Siviglia nella Betica, dai pili airisola di Gossura: il Mionnet le ebbe collo- cate tra le fenicie incerte. E prudentemente; per- chè il N. A. basandosi sulla dottrina, che le mone- te di bronzo d'incerta patria debbansi ritenere co- me appartenenti a que'luoghi ne'quali spesso si rin- vengono, non dubita assegnare quelle in questione alle isole baleari; tanto piìi che la lingua ed i tipi avvalorano, non contraddicono quella massima. Le due tavole in rame, che accompagnano questo sag- gio, rappresentano alcune di esse monete affatto nuo- ve, altre imperfettamente prima descritte; non che alcune figure di antichi idoli in bronzo, che ser- vono per illustrarle. Vedesi in esse per tipo costante una figura virile panciuta, di faccia, con tre corna sulla testa: nella destra un martello , nella sinistra un serpe ravvolto al braccio. Talvolta la stessa figura è pur nel rovescio ; tal altra ci ha un bue cornupeta in diverse positure: ma in altre le forme son più re- golari; non tre corna, ma otto raggi sono intorno al capo, e la figura è vestita di tunica: sempre vi sono lettere fenicie. In quelle, nelle quali la rap- presentanza del tipo è più regolare, vi sono anche leggende romane, cioè INS . AVG; e nel rovescio si ha la testa nuda di Tiberio con lettere TI . CAES. AVG . GERM ; o quella pur nuda di Germanico GERMANIGVS . CAES. Quella figura , dice il sig. cavaliere, si da a conoscere per un dio Cabiro le- ste sbucciato dall'uovo mondiale, ma pieno di vita e di possanza. La picciola statura, lo sferico ven- tre, il rannicchiamento del corpo, l'arcuata po- situra delle gambe, indicano l'infanzia, l'immedia- 132 Letteratura ta uscita dall'uovo dove stava il nume cosi rlncKui- so; la barba, la robustezza delle membra, e le cor- na, son tutti indizi della forza virile, l'essenza di un dio Cabiro, cioè potente, sviluppata all'istante della nascita. Trascurando le cabiriche divinità gre- che, asiatiche ed egiziane, il N. A. cerca pe' carat- teri fenici della monete, la spiegazione della raffi- guratavi divinità nella fenicia teogonia. E ne'frammentì di Sanconiatone riferiti da Eu- sebio trova che ai sette cabiri fenici , fiarliuoli di Sjdick^ ne venne aggiunto un ottavo; cioè Esmun assomigliato ad Esculapio, Questo Esmun è la fi-, gura caratteristica delle monete baleariche ; assai facilmente ve la trasportarono i cartaginesi; e col- l'andar del tempo sotto la dominazione dei romani fu convertito in Esculapio , come provano le due monete bilingui. Dall' analisi poi di ciascuno degli elementi delle leggende fenicie, che con molta dot- trina ed ingegno intraprende l'A.. chiarissimo , ne raccoglie le due parole Insula boetica., o boetico- rum; e già vedemmo che nelle due bilingui, a ca- ratteri romani si aggiunge INS«/« AVGa^i/. Noi non siamo in grado di poter tener dietro a questa par- te della memoria ; ma non perciò non ammiriamo l'amore dell' A. N. a cjuesti diffìcili studi. Vili. Quadro di geografia numismatica , da servire alla classificazione geografica delle collezio- ni, con un catalogo generale delle città, delle quali si conoscono le monete non solo autonome , quanto dei re e degli imperatori, arricchito di parecchie nuove sedi e nuove teste, e corredato di alcune no^ tizie geografiche da Carlo Strozzi, Firenze costipi Bencini \ 836, 4.° di pag. 1 04, con una gran tavo^ la colorita, Rivista Archeologica 133 Il p. Bober gesuita aveva immaginata una carta geografica numismatica: la possedette il Sestini; ed ora è nella galleria di Firenze. Il sig. marchese Car- lo Strozzi, che per oltre due anni fu discepolo del Sestini, voleva pubblicare quella carta del Bober; ma non avendone potuta ottenere la comunicazione, sì accinse a farne una consimile; che è quella per noi annunziata. Ritiene il nobile autore di aver fat- to cosa di gradimento al pubblico: e per vero un' opera che raccoglie in un sol libro la intera serie ed ordine delle città numismatiche; che da luogo a poter verificare sopra una carta le posizioni e le vicinanze di molte citta che usarono tipi o simili o analoghi; non solo deve riuscir grata ai nummo- grafi, ma a quelli eziandio che studiano nella storia e nell'antica geografia. Il quadro del sig. marchese segue 1* ordine geografico dell'Eckhel; ed è distinto in cinque co- lonne indicanti, 1.° i regni e provincie; 2." i no- mi antichi delle citta: 3." i nomi moderni di essi: 4.° le medaglie così autonome come imperatorie, con la serie rispettiva degli augusti: 5.° le posizioni geo- grafiche; consistenti di due lettere alfabetiche, l'una maiuscola , 1' altra minuscola segnate a lato della gran carta geografica, per accennare prontamente alla posizione delle rispettive città. Al fine dell'o- pera poi sono tre indici alfabetici; il primo dei re- gni, Provincie, popoli e città in latino: il secondo dei rispettivi nomi moderni; il terzo degli antichi re e principi. Ma e egli vero che l'A. eh. abbia aumentata la numismatica, come dice nel titolo dell'opera , di nuove sedi e di nuove teste? E lo ripete egli nelle notizie generali: dove parlando dell'opera del- 134 Letteratuaa l'incomparabll Sestini classes generales , dice
  • ibus. Corea antiqua me genuit, taurinis proxima ; Anna \>ocor. Laudata olini puella si choros ducerem^ et multis ambita procis , uni tamen Perotto flda^ qui decus in militia gesserai. Huic virgo nupsi , hunc Gomitata sum in ardua bella, certa simul mo- ri ut Abradaten Panthea. Ad V^arum equo merui, ad Nilum cum gallis, formam prò viro probans. Memphin vidi^ et Thebas centum portarum, et Sjenen-, sub solibus Horum et Osiriden mirata monstrosa numina. Ad pjramides conflixi, ubi veloces arabes mactavimus, pugnantes connixo poplite equites peditesque. Postea per so- litudine s erravimus, exhausto potu, enecti siti., ti- tani tolerantes palmis agrestibus. Sjria dein Idu- maea nos excepit irrigua fontibus. Eo venerat exer- citus loppen phoenicum et divitem Tjrum armis oppugnatuni: sed subita calamitas nos vietare s op- pressit. Saucia, captiva, barbaris sortito obtigi, qui me aquas taurinas miserunt mari. Biennio in ser- Rivista Archeologica. 1-43 sfitute inansi vidica vivo coniuge^ exedens cor de- siderio^ moerens dulcem patrium et propinquo s: taìi- dem frustrata vi gilè s per illunem noctem ine hosti- bus eripui. Gennaniam deinde obivi, invisura virum. Is re- dihat ex Iena victor, ob virtutem donatus framea, Occurri cuni mithra et amictu barbaro', ubi me ad- spexit^ amplexu et fovit calidis lavacris. Commili- tones interea coenam parabant cibis castrensibus. JVos cyathos aurire^ liic inerum dare^ hic suaviuni. Tunc vir procacem intuens: Heus tu^ aiebat^ quid libi tactio hanc? mea est,, ne per lovem adtigeris. Cooriebatur risus , et quisque Ljaeuin patrein et amorem invocans, me dictis gaudebat lacessere. Sic coena ad multam noctem producta, large libavimus genio., laetantes reditum et victoriam: quippe impe- rator, devicta regione a Rheno ad sarmatas , nos affecerat adorea. Tunc nostra cohors in Iberiam transiit'. ego vi- rum sequor per pjrenaea iuga. Sunt casus et pu- gnae^ multosque hostes orco demittimus. Sed gens obdurata cladibus in martem redibat ferocior: nos vicimus ade, UH nos fame absumptis frugibus. f^idi arva collucentia fiammis\ vidi grandaevas matres ut thjades mere in pr celia: alias semianime s ca- ptivos laniare ferro. Dum manus ad Saguntum con- serimus, capior excussa equo , ineque in navem detrusam britannus per triennium tenuit. Inde re verter cum Kictorius rex, recepto re- gno, in gallos allobroges legiones mitteret, tutaium flnes. Ibi Perottus meus, pinnas murorum prehen- dens manibus, hostilem in urbem primus irrumpity me co mite. Ovans in patriam redii, Sed omnium rerum vi- 144 Letteratura cissitiulo est. Vir adverso \>ulnere interit: ego sene- cta deflorui'. quae amazones acquavi, nunc lana vi- etilo incerto lare. Erat sacrificulus in agro opimo affi ni s ineas: hiinc adivi, rogans per solitudinem meam et com- munes penates, ut ne aegram squalore annisque obsitam desereret. Is coeluni obtestatus, me ina- nem dimisit correptam convicio. Insperato Taurini adfuit Angelius pictor, domo romanus, argivus arte, me pingens in sene quem fìlia turgidulis fletu oculis uheribus alit in cu- stodia. Tabula notam fecit. Spectatum adniissus Alojsius Biondius eques romanus, fLos delibatus populi, rem narravit Carolae augustae, regis sor ori; quae non passa est suam benignitatem in me da- udier. Exinde in benefìciis ad aerarium delata , retuli praemia fortiumi multi insuper annulos, tor- ques et armillas, militaria dona, mihi miserunt mu- neri. Hinc populares , me per viam monstrantes digito: En, aiunt, haec illa est. Sic rectius ago et volito viva per ora virum. Tu interea, hospes, vale. L'editore eh. discorre nella prefazione della necessita e convenienza della lingua latina nella epi- grafia: non contrasta potersi, e con qualche van- taggio, usar la italiana nelle mortuali: ma in cjue'mo- numenti, che restar devono per fondamento della storia, sostiene doversi usare la prima, che unisce alla convenevolezza dello stile maggior nerbo e pre- cisione. E qui siamo a quella questione, che da lun- ghi anni tiene divisa l' Italia; se debba cioè la epi- grafia latina abbandonarsi , e far luogo alla italiana. Già pur troppo l'amore della lingua del Lazio va di giorno in giorno in decadenza! Perchè volerne ac- Rivista Archeologica 145 celerare la totale ruina, con escluderne Fuso «la quella specie
  • 7 leggerei piuttosto calla erunt lacunosa, substructionihus erit succurrendunii » le quali evi- dentemente non hanno che fare in questo luogo, e si vede chiaramente essere uno sbaglio de'copi-! sti. Il Marini però non solo le ha tolte di qui co-> me fuori di posto, ma ha anche trovato dove col- locarle, cioè nel principio del capitolo seguente, ove riempiono perfettamente una lacuna che si ritrova in tutti i codici ed edizioni, ed egregiamente com- binano col contesto. In questo capitolo parla delle diverse maniere di condurre l'acqua per mezzo di acquidotli, ovvero di tubi di piombo o di terra cotta. Tutti questi metodi sono chiaramente esposti dal Marini, ma in ispecial modo là dove si tratta EdIZ. di VlTRUVIO 163 della maniera di far discendere e risalir 1' acqua ne'luoglii d'ineguale livello, molte belle innovazio- ni sono state fatte nel testo, fondate tutte sull'au- torità de' codici, e fra le altre è stata introdotta la parola colliqidarla invece dell'antica columnaria, spiegandone chiaramente l'uso e l'etimologia. Una tavola ancora è stata ideata dal Marini per indica- re queste varie specie di acquidotti, aggiungendovi anche un castello per la distribuzione dell'acqua; e, come monumenti che vengono in conferma delle sue asserzioni , sono stati dati in un' altra tavola gli acquidotti esistenti alla porta tiburtina, ed il ca- stello dell'acqua Giulia sull'Esquilino. Queste sono le tavole che accompagnano l'ottavo libro. Sempre crescenti sono le difficoltà nell'opera di Vitruvio, e chi per poco sentisse venirsi meno M coraggio, mal potrebbe compiere l'arringo. I due ultimi libri, che ci rimangono ad esaminare, sono quelli su i quali il nostro cementatore deve aver durata somma fatica per darceli quali si leggono nella sua edizione. Maggiori erano gli ostacoli che dovevano superarsi , si perchè il soggetto diviene più astruso, s\ ancora perchè i codici sono più vi- ziati; e minori erano le risorse, per la mancanza dei monumenti, e per l'abbandono de'comentatori , i quali pochissimi sforzi han fatto in questi ultimi due libri, ed hanno del tutto trascurato di dichia- rarne i passi più oscuri. La prefazione stessa di questo libro era stata divisa in più brani dagli altri editori fino a Rode. Eglino avevan fatto tre capitoli separati delle sco- perte di Platone, di Archimede e di Pittagora, rife- rite da Vitruvio solo come esempi atti a provare la grande utilità che ritrae la società dalle scoperte 164 Letteratura scientifiche. Ove comincia dunque il quarto capito- lo delle altre edizioni, deve riguardarsi come termi- nata questa prefazione: e quivi comincia Vitruvio a svolgere la materia trattata in questo libro, parlan- do dei dodici .segni dello zodiaco e de'sette pianeti, Nel principio di questo capitolo ha dato il Marini un elenco di tutti gli scrittori antichi di astronomia, e di tutte le loro opere che sono giunte fino a noi. Da questi ha desimto le principali correzioni, con cui ha grandemente migliorato il testo. Ad ogni passo un poco dilficile forma egli un parallelo fra Vitruvio e gli altri autori , e cos'i non solo si hanno le diverse opinioni degli antichi su questo soggetto, ma dal confronto di queste stesse opinioni, e dalle parole viziate de' manoscritti, risulta la vera le- zione. Confrontando il testo dato dal Marini con quello delle altre edizioni, facilmente scorgerassi quanto sia stato migliorato. Noi secondo il nostro solito non isceglieremo che pochi esempi per darne una idea ai nostri lettori. Nel capitolo primo si leggeva in tutte le edi- zioni, che Giove fa la sua rivoluzione „ post annos undecim et dies tricentos sexaginta tres: ,, mentre che il Marini, calcolando il periodo tolemaico, ha veduto che la rivoluzione di Giove doveva farsi in undici anni, trecento tredici giorni ed alcune ore. Allora appoggiato alla lezione del codice vaticano 11 ha corretto il testo, ed ha ietto post annos undecim et dies trecentos tredeciinx il qual numero si avvi- cina molto più dell'altro al vero tempo impiegato da Giove nella sua orbita periodica. Questa corre- zione ha indotto necessariamente l'altra di trecentis sexaginta diehus invece di trecentis sexaginta quin- cjue diehus , per lo spazio di tempo impiegato da Eniz. DI ViTRuvio 165 Giove nel percorrere ciascun segno dello zodiaco. Quello poi che prova sempre pili la giustezza della correzione del Marini si è, che in tutti i codici sì legge trecentis saxaginta, e non sexaginta qidnque diebiLs. Nel principio del capitolo secondo si leggeva ne'codici De zona duodecim signorum et contrario opere ac ciirsu : lezione resa anche peggiore dalle correzioni degli editori, e che il Marini molto in- gegnosamente ha ristabilita sopprimendo le due let- tere o e e, erroneamente ripetute dagli amanuensi, e dando perciò De zona duodecim signorum et septem astrorum contrario per ea cursu. I capitoli quarto e quinto, ne'quali si descrivo- no le costellazioni boreali ed australi, sono quelli che contengono le maggiori emende. Questi due ca- pitoli sono oltremodo viziati ne'codici: ma il Mari- ni, seguendo la descrizione delle costellazioni data dagli altri astronomi antichi, e soprattutto il globo farnesiano, solo monumento che ci rappresenti le costellazioni quali erano state ideate dagli antichi, ha fatto al testo grandissimi vantaggi , che sarebbe lungo di qui enumerare, ma che consigliamo di ve- rificare a tutti coloro che vorranno convìncersene. Dopo viene la descrizione dell'analemma, per mezzo del quale si determinava il rapporto fra il gnomone e l'ombra onde formare gli orologi solari. Il Marini ha non solo esattamente delineato l'analem- ma quale viene descritto da Vitruvio, ma siccome in questo sono indicate soltanto le ombre equinoziali , ne ha aggiunto un altro per mezzo del quale posso- no aversi le ombre mensili. Molti antichi orologi so- lari sono stati dal Marini riuniti in una tavola, per farne conoscere le forme piU straordinarie nomina- lS^ Letteratura te da Vltruvio. Descritti siflfatti orologi passa Vitru- vio a parlare degli anaforici, o sia di quelli ad acqua. Di grandissima difficolta era la costruzione di tali orologi presso gli antichi a motivo dell'ine- guaglianza delle ore, dividendo essi, come ognun sa, in dodici parti eguali il giorno e la notte: il che rendeva le ore del giorno pili lunghe nell'estate e più brevi nell'inverno, ed il contrario accadeva per quelle della notte. Ad indicare questo cambiamento giornaliero delle ore, macchine ingegnosissime ven- gono descritte da Vitruvio, le quali da ninno de'suoi interpreti erano state ancora ben comprese. In fatti niun comentatore ha dato le figure rappresentanti gli orologi ad acqua, tranne Perrault, dal quale le copiarono gli editori udinesi , quantunque sieno molto discordanti dal testo vitruviano. Il Marini al contrario le ha delineate con tanta esattezza, che non solo corrispondono perfettamente allo scopo de- siderato, ma vi trovi pur anche ragione di ciascuna parola impiegata da Vitruvio. Due altre tavole di grandissima importanza accompagnano questo libro, una delle quali ci da le costellazioni quali vengono descritte da Vitruvio, e l'altra il globo farnesiano esistente in Napoli , fatto disegnare e pubblicato molto più correttamen- te di quello che lo era stato fino ad ora. Colla descrizione degli orologi anaforici termi- na Vitruvio il suo nono libro, e passa a trattare del- le macchine sì civili e sì militari nel decimo. Questo libro se è l'ultimo nell'ordine con cui è distribui- ta l'opera, può certamente dirsi il primo per le dif- ficolta che presenta. La maggior parte de' comen- tatori sono stati così scoraggiati dall'oscurità e cor- ruzione del testo, che o hanno intieramente dispe- "EdiZ. di VlTRUViO 167 rato di poter giungere ad alcun buon risultato, ov- vero han fatto lievissimi sforzi ^ e con poco huon esito. Giustamente quindi il Marini , ammaestrato dall'esempio degli altri, cominciò il suo lavoro su Vitruvio da questo libro, per potere con maggior vigore incontrare tutti gli ostacoli e superarli. Quan- to ciò gli sia ben riuscito, facilmente potrà vedersi. Nel primo capitolo comincia Vitruvio dal defi- nire le macchine e darne i diversi generi: quindi fa una distinzione fra macchina ed organo^ dicen- do che per mettere in moto la prima fa bisogno di pili persone, mentre per l'altro ne basta una so- la. Come esempi di quest'ultimo sono dati gli scor- piojii e gli anisocicli. Niuno ancora aveva potuto spiegare che cosa intendesse Vitruvio col nome di anisocicli: e que' pochi che avevan pure proposta qualche congettura, l'avevan data così priva di fon- damento, ch'essi stessi erano i primi a dubitarne. Il Marini, persuaso che il miglior mezzo per inten- dere questo libro era uno studio profondo deMe- chanici e Mathematici s^eteres, ha cominciato a svol- gerli non solo nelle migliori edizioni , ma ancora iie'più corretti manoscritti, ed ha riunito materiali ìrms ejfei'cituunj imperatpribus clarissimisque » gestis refertaiTi. » Bellissimo infine, e tjegno di iina filosofia, come quella del Mai, tutta fondata nella verità delle sa-» ere carte e jiella prudenza delle profane, è il chiu- dersi dell'ora^ipne; » Iam vero liuic regi, quum sui » ex quadara consuetudine agnomen quaererent , » quo ab aliis distingueretur, non gloriosijm, non » fortem, non triumphatorem? non maximum, non » aliis humanae superbire titulis appellaverunt ; >i sed, quod eius moribus apprime congruebat, be- » NiGNUM nuncupaverunt. Gaude igitur, Antoni rex, » isto tuo perliumano ac perhonprlfico benigni ti^ » tulo: queni si ceteri orl)is dominatores exemplQ » tuo aid^niabiint , benignos vicissim experientur » populos; quodque magis prodest, supremi Numi'? » nis benignitatem sibi conciliabunt. » Sicché un voto noi terminando faremo: un vo- to che vivamente ci sorge dal cuore: ed è che una mente si alta, un ingegno si nobile, non voglia a' negozi gravissimi della chiesa e del principato co- s'i dare tutte le cure sue, che non gli rimanga più tempo di onorare cp'suoi scritti qqesto secolo e l'i- taliana sapienza, p di giovare coU'autoriia di tanto nome le migliori dottrine, che già troppo visibiU mente volgono in basso. Salvatore Betti 177 IS^otizie della vita e delle opere delVah. Luigi Nar- di, scritte da lui medesimo a monsignor Carlo Emmanuele Muzzarelli uditore della sacra ro- mana rota» J-J^ convenienza e la gratitudine, per la bontà la quale V. S. Uhm e Revma addimostra per la me- schina mia persona , mi obbligano a ringraziarla della favorevole opinione che ella nudre a mio ri- guardo ; ma l'intimo sentimento della mia nullità non mi permette di compiacerla coll'inviarle noti- zie risguardanti me, e le esili cose da me stampate. Bisogna dire che qualche mio amico le abbia fatto concepire di me un'opinione, la quale essen- do figlia della benevolenza, non potrebbe sostener- si nell^ di lei opera , ove il solo merito debbe aver luogo. Ebbi il bene nell'anno scorso di conoscerla di persona ( che di fama ben la conosceva ), e pran- zare seco lei in Rimino in casa Martinelli : e fin d'allora conobbi la gentilezza d'animo che l'adorna; per cui tengo per fermo, che ella non sapra dar- mi torto , e nel dispensarmi non vorrà recarsi ad onta il ragionevole mìo rifiuto. Lodo poi sommamente il di lei divisamento , quantunque l'impresa sia delicata. Vedo però che attenendosi a pure cose di fatto, siccome ella di- visa, non avrà a dolersi l'amor proprio dei lette- rati, il quale è veramente genus irritabile. Non si 478 Letteratura perda d'animo, che l'opera farà onore all'Italia e al dotto autore. Un buon mese fa fui pregato dal sig. don Gae- tano Vitali di Rimino ad interpellare il eh. Bor- ghesi sulla questione dello scudo d'oro in oro , e potei avere ( ciò che altri forse non avrebbe facil- mente ottenuto ) una bella lettera a me diretta, che tosto passai al mentovato Vitali. Ho voluto ciò ac- cennarle, perchè essendo ella ferrarese , e giudice in causa, possa procurarsela, nel caso che la cre- desse atta a somministrarle dei lumi. Le rispondo da Pesaro, ove mi ritrovo ( ed ove mi fermerò fino ai iO di novembre) per assistere alla stampa di un mio lavoro, il quale se non può essere di grande utilità per ragione della mia im- perizia, potrà movere però qualche penna piìi fe- lice a trattare certi argomenti di sacra antichità, i quali reputo di sommissima importanza. Nel secon- do volume specialmente vorrei credere clie i car- dinali e la prelatura romana dovessero ritrovare un certo interesse, poiché parmi vi sia per la prima volta spiegato il sistema urbico dei primi secoli del- la chiesa, e in modo da distruggere tutte le impor- tune ciance dei Pistoiesi ed altri nemici della s. se- de. Gli uditori della sacra rota vi fanno molta figu- ra, come quelli che dai primi secoli fino alla fine del medio evo appariscono le persone che venivano im- mediatamente dopo i cardinali. Scusi la lunga diceria: mi continui la benevola di lei padronanza: e mi creda quale ossequiosamente mi protesto Di" V. S. Il Ima e Riiia Pesaro 9 ottobre 1829. Dmo Obiho Servitore Luigi Nardi Notizie di L. Nardi 179 P. S. Avevo questa lettera ancora aperta sul ta- volino, quando è venuto da me il dottissimo e mio amicissimo sig. marchese Antaldo Antaldi, col quale non avessi mai ragionato del contenuto della medesi- ma! Per quanto mi sia schermito, ho dovuto compia- cerlo coU'inviare a V. S. Illma e Rma un elenco del- le mie cose pubblicate, il quale sotto fascia riceverà in questo corso, non so se col corriere o colla dili- genza, non sapendo se le cose stampate siano portate dall'uno o dall'altra. Nel secondo caso bisogna diri- gersi all'uffizio delle diligenze per ritirarlo. Ha volu- to anche ch'io aggiunga le seguenti cose, le quali non meritano la pena di essere riferite (e che V. S. Illma e Riiia potrebbe risparmiare); ma che per non po- termi esimere, e pel riflesso fattomi dal sig. marche- se ch'io costringerei V. S. Illma e Rma a rivolgersi ad altri per averle, brevemente accennerò. Nacqui ai IT agosto 1T7T a Savignano diocesi di Rimini. Ebbi a coetanei e condiscepoli , e quin- di a perpetui amici, il conte Giulio Perticari ed il sig. Bartolomeo Borghesi , ed a compagno l'ab. Girolamo Amati che sta in Roma, ove avrei sem- pre dimorato, e dimorerei, se vi avessi avuta una nicchia comoda in qualche biblioteca, o negli ar- chivi. L'archeologia sacra e profana ha sempre avu- ta una predilezione nelle mie occupazioni. Ho girato l'Italia a palmo a palmo, da Napoli a Torino, e da Venezia a Pisa per istruirmi: e mol- ti viaggi ho replicati. Stetti sei mesi a Parigi , quando il mio vescovo, che mi vi condusse, fu co- stretto a portarvisi. Questi a forza volle darmi una parrocchia in Rimino, la quale ho rinunziato (e ciò fu l'anno scorso) tostochè ho potuto farlo, lascian- do anche le cariche di teologo della diocesi, di con- 480 Letteratura visitatore della medesima ec. , per potermi occu- pare de' miei libri, e dell'indice della Gambalun- ga , specialmente de' codici mss. , pergamene ed edizioni del 400, il quale ho compito. Non sono più dunque arciprete, come ella si degna intitolar- mi; ma canonico, avendo avuto la bantà la colle- giata di Savignano di farmi tale d'onore semplice- mente. Bignardi ed Ossuna mi diressero in Savi- gnano nelle belle lettere: monsignor Gaetano Ma- rini fu il mio mentore in Roma, come lo fu l'abate Andres per due anni in Parma, ove appresi l'ebrai- co dal celebre de'Rossi. Questi conservarono sem- pre amichevole commercio di lettere con me me- schino che gli andavo interpellando. Così approfit- tai dei lumi che mi davano le lettere del celebre Ennio Quirino Visconti, Perticari, Borghesi, Del Bene di Verona, Labus di Milano, ab. Amati, mon- sig. Marchetti ed altri. Onde ella vede ch'io sono la povera cornacchia di Esopo vestita delle altrui pen- ne. Per carità, adunque non mi esponga al ridico- lo; poiché se non curo lodi, non amo però la deri'» sione. Mi conosco sinceramente. Luigi Nardi Questo pio e dotto ecclesiastico cessò di vìvere in Rimini il dì 5 giugno 1837. Egli fu uno de'prin- cipali fondatori della rubiconia simpemenia de'fi- lopatridi, e fu socio corrispondente della romana accademia di archeologia; fu pure uno de'collabo- ratori del giornale arcadico, nel quale vennero a più riprese inseriti vari suoi articoli. Nel num. 917 della yoce della Verità^ 17 giu- gno 1837, si legge un articolo necrologico dell'uo- mo illustre. Notizie di L. Nardi 181 Il eh. prof. Giuseppe Ignazio Montanari ha pubblicato nella gazzetta di Bologna alcuni cenni riguardanti il Nardi, che gli furono comunicati da lui medesimo, appresso sua richiesta. È pure stato reso di pubblico diritto l'opu- scolo che porta il titolo - Delle lodi del canonico Luigi Nardi sa\figna7iese^ orazione di Francesco Rocchi con una lettera del cav. Bartolomeo Bor- ghesi sul luogo del congresso triumvirale. - Forlì dalla tipografìa Casali 1837. NOTA DELLE OPERE DEL NARDI. 1. Alcune poesie, tra le quali un idillio stampato il 1807 senza data, ma pel Biasini. Cesena. 2. Difesa del titolo della chiesa cattedrale di Ri- mino. Pel Marsoner. Rimini 1808. 3. Cronotassi dei vescovi della santa chiesa rimi- nese. Rimino per gli Albertini 1813. 4. Descrizione antiquaria-architettonica dell' arco di Augusto, ponte di Tiberio, e tempio mala- testiano di Rimino, in fol. con 17 rami; con in fine una lettera del oh. sig. Borghesi all'au- tore suir arco di Augusto. Rimini pel Grandi 1813. 5. Porcus Troianus, o sia la porcetta, in 4.° Rimi- no per gli Albertini 1813. 6. » » con aggiunte. Bologna pel Nobili 1821. (1) (i) Intorno questa seconda edizione «i legge un articolo as- sai pungente nelle effemeridi letterarie di Roma tom. V. Roma iSat a carte 289 segnato colle finte iniziali X. Y. Z. , ma che sappiamo appartenere ad un illustre professore dell' università romana della sapienza. 482 Letteratura 7. Sinodo della chiesa di Rlmlnl, per gli Alberti-» ni 1818. 8. Lettera al prof. Salvatore Betti soprai alcune la-* pidi riminesi. Nel voi. XXV del giornale ar- cadico, dicembre 1820. 9. Risposta alla critica pel Porcus J^oianiis. Sen- za data, ma in Bologna, pel Nobili 1821. 10. Alcune iscrizioni latine. Rimino pel Grandi 1814, ed altre, altrove. 11. Introduzione breve e facile allo studio della s. scrittura, voi. 2. Bologna pel Nobili 1822. 12. Lettera in aggiunta a detta introduzione. Ib. Si noti, che quivi trovasi una lettera umanissi- ma del sommo pontefice Pio VII in commen- dazione di detta opera. 13. Terzine inedite di Fazio degli liberti, con po- stille. Milano tom. XIII della biblioteca italia- na, della quale l'autore era socio corrispon- dente. 14. Direzione storica per coloro che si portano alle acque minerali di s. Marino. Rimino per gli Albertini 1823. Si noti che questa operetta fruttò all'autore il patriziato della repubblica predetta. 15. Dissertazione sopra un'antica lapida ed un nuo- vo municipio. Voi. V degli atti dell'archeolo- gia romana. Roma 1821, De Romanis. 16. Sui vici antichi nelle città. Roma pel Boulzaler 1824, e nel giornale arcadico, di cui l'autore era collaboratore. Settembre 1824. 17. Sopra alcune parole italiane antiche, e spiega- zione della terzina di Dante » Se dimostrante del più alto tribo » Notizie di L. Nardi 1S3 Roma pel Boulzaler 1824. Questa opinione deilautore sopra detta terzina fu adottata dal eh. P. Cesari : Dialoghi sulle bellezze di Dan- te Purg. dial. XI p. 574, e dal eh. prof. Co- sta nella nuova edizione di Dante in Bologna 1826, e nel giornale arcadico dicembre 1824. 18. Sopra il luogo del triumvirato tra Lepido, Ot- taviano, e Marcantonio. Roma Boulzaler 1825, e nel giornale arcadico 1825. 19. Lettera miscellanea sopra l'uso dello specchio e pettini da ornamento presso le antiche don- ne cristiane: sui mansionarii: e sopra la storia d'Italia del Botta. Nel giornale ecclesiastico di Roma, del quale l'autore era collaborato- re, 1825, tom. I fase. IV. 20. » » con aggiunte. Pesaro pel Nobili 1825. 21 Epistola nelle nozze Laghi e Lettimi con una lettera inedita del conte Giulio Perticari all' autore. Pesaro pel Nobili 1825. 22. Dei compiti, feste , e giuochi compitali degli antichi, e dell' antico compito savignanese in Romagna, in U° Pesaro pel Nobili 1827. 23. Chiarimenti sull'antico compito savignanese, in 8.° Pesaro pel Nobili 1829. 24. Sullo spirito di vertigine odierna in materia di religione. Memoria inserita nel giornale dei calobibliofìli d'Imola, fascicoli di settembre e di ottobre 1829, e stampata anche a parte. Imola pel Calcati 1829. 25. Dei parrochi. Opera di antichità sacra, e disci- plina ecclesiastica, voi. due in 4." Pesaro pel Nobili 1830 (1). * ■ (i) Nel nuovo giornale de' letterati num. 55, Pisa i83i, a carte ^4 ^ un articolo su quest'opera segnato coU'iniziale X. 184 Letteratura 26. Compendio della vita della serva di Dio suoi* Cecilia Nobili, con appendice di Un fatto sin- golarissimo di s. Pietro martire in Romagna nell'anno 1249, in 8.° Pesaro pel Nobili 1830. 27. Sulla parola cardinalis. Dissertazione in U.° Pe- saro pel Nobili 1 830. 28. Sinodo della santa chiesa di Cervia. Rimino pel Marsoner 4836. 29. Dell'epoca nostra, operetta che è sotto i torchi. 30. Opinione sul maggior numero dei cattolici adul- ti salvandi, opera inedita. Monumenti scelti horghesiani illustrati da Ennio Quirino Visconti , nuovamente pubblicati per cu- ra del dottor Giovanni Lahus I. R. epigrafista di corte, socio di varie accademie scientifiche , letterarie, e di belle arti. Milano ^ dalla società tipografica de'' classici italiani 1 837, in ottavo, di facce XLVIII e 316, con 46 tavole in rame. D. 'opo che Teccellenza del principe don Marcan- tonio Borghese ebbe fatte nobilmente disporre nel- la sua villa del Pincio le antiche sculture ereditate dagli avi, e le molte più da lui stesso raccolte ed acquistate, rivolse il pensiero a renderle pubbliche per mezzo di incisioni in rame; e volle che venis- sero nobilitate dalle illustrazioni di quel Visconti, il quale già por l'opera intorno il museo pio de- mentino aveva levata gran fama di se in tutta Euro- pa. Lo stesso Visconti sceglieva que'monumenti, che pili credea meritevoli di commentario: egli sorve- gliava chi doveva farne la incisione, affinchè que- Monumenti BORGHEsum 185 sta fosse esatta e fedele: ed a seconda che 1 dise- gni da lui riveduti si terminavano, presentava egli al principe generoso le relative illustrazioni, e ne veniva largamente ricompensato. Mentre così nobil lavoro progrediva, volle il mecenate amplissimo , che la intera collezione de'monumenti di antichità, da lui radunati in quella sua villa piii che principe- sca, venisse in piccoli rami incisa a contorno; vol- le che, sotto la direzione dello stesso Visconti, il Lamberti ne scrivesse le dichiarazioni (1); e di que- sta edizione fece dono agli amici, affinchè potesse- ro avere idea adequata de' tesori antiquari da lui posseduti. Intanto all'opera maggiore si occupava col massimo impegno il romano archeologo: già ot- tanta tavole erano incise; ed il principe aderiva già al progetto fattogli per alcuno; di chiamar in Ro- ma cioè il Bodoni, onde nella stessa villa quel ti- pografo egregio co'suoi caratteri eseguisse la stam- pa di un'opera tanto importante. Sopravvenute pe- rò circostanze funeste per Italia e per Roma , fu rimandata a'tempi piìi opportuni la esecuzione del dispendioso disegno; poi la morte di quel mecenate libéralissimo, e la lontananza del Visconti da Roma fecero restar l' opera in abbandono. Tornati tran- quilli i tempi, fuvvi chi desiderò che un lavoro così dotto non restasse piii lungamente in oblio: ma i commentari archeologici, s'ignora per qual destino, erano andati smarriti. A fortuna viveva ancora il Visconti; si ricorse a lui; ed egli, che conservata avea copia delle illustrazioni piìi interessanti , si offeri (i) Indicazione di tutte le sculture del palazzo e della vili» Borghese detta Pinciana. Roma 1796, 8. ' ' ' ' G.A. T.LXXIV. 13 186 LETTERA.TURA di supplire alle rimanenti. Prevenuto però da mor- te immatura, non potè adempire la promessa; e so- lo i figli suoi , radunati gli scritti paterni che a queiropera si riferivano, li trasmisero in Roma. Alla poca parte delle illustrazioni mancanti fu supplito sia con le brevi esposizioni tratte dalla ricordata opera del Lamberti (1); sia con quelle dallo stesso Visconti pubblicate ne Monumenti gabini (2): una ne fu tolta dal Winckelmann (3); sei ne scrisse bre- vemente il cav. Gio. Gherardo de Rossi (4): e cosi nel 1821 pe'tipi del De Romanis (5) venne a luc€ in Roma quest'opera dottissima; della quale il cht Labus dà ora la ristampa per noi annunziata. I lavori del Visconti non han bisogno di elo* gio: ognun conosce quanto fosse vasto il sapere di quell'uomo. Dotato di memoria prodigiosa , imbe- vuto della lettura de'classici greci e latini, niu- no seppe più facilmente di lui trovare il vero ar- gomento di ogni antica rappresentanza, e conva- lidare le interpretazioni delle più sicure ed incon- trastabili prove s ni un letterato forse , e sol po- chi artisti seppero uguagliarlo, ma non superar- lo, nel decidere del merito delle sculture con ve- (i) Sono tali le illustrazioni delle tav. XI, i; XII, 3 di que- sta milanese ristampa. [i) Le illustrazioni delle tav. Ili, 2; VI, i; X, 2; XVIII, a; XIX, 3j XXI, a. (3) La tav. XXXm. (4) Le tavole XXIII, 2; XXXVIII, 2; XLII, i e 2; XLIII, i e 2. (5) Illustrazione de' monumenti scelti borghesiani, già esi- stenti nella villa sul Pinciu, scritte dal celebre Ennio Quirino Visconti ec. ec. date ora per Ja prima volta alla luce dal cav. Gio. Ghejrardo de' Rossi e da Stefano Piale, sotto la cura di Vin- cenzo Feoli. Roma 1821, voi. 2 iu gran foglio figurati. Monumenti borghÈsiani 187 ra e soda artistica cognizione: ninno seppe riunir meglio la novità delle riflessioni alla brevità; per modo che gli scritti di lui mai non son deturpati da quella superfluità estranea al subietto, la quale pro- va più ia povertà dell'ingegno, di quello che il vero sapere. Queste doti, ed altre moltissime che tutta le ripubblica letteraria attribuisce alle ope- re del Visconti, in questa da lui condotta con lar- ghezza di tempo e di premio sono riunite in gra- do sublime; e se talvolta non colse il vero (1), nulladimeno sono così ingegnose, così istruttive le sue dichiarazioni, che anche nell'errore mostrasi uomo grandissimo. Noi volendo dare un sunto ri- stretto di quest'opera egregia, per tenere un qual- che ordine, divideremo i monumenti in sei para- grafi. Diremo nel primo, dei mitologici; nel secon- do, di quelli che diconsi di mitografia eroica; agli altri di storia greca sarà destinato il terzo ; il quar- to a quelli di storia romana; le sculture che ri- ferisconsi a'costumi religiosi e civili verranno in- dicate nel quinto paragrafo ; e nel sesto le quat- tro di scuola moderna. §. 1. Mitologia. Se insegna Erodoto che gli egi- ziani furono i primi ad innalzar templi e are ai nu- mi, giusto è che da essi prenda le mosse questo pa- ragrafo. Due sono i monumenti che si riferiscono alla religione di quel popolo antichissimo: uno di femmina leontocefala sedente (2) ; l'altro maschile stante (3): ambidue dello stile il piii antico, nella (i) Forse nella illustrazione delle tavole III, i; IV, i; X, i; XXXVI, i; XXXVII, 4. i-ì) Tav. XXIII, 3. (5) Tav. XXIII, 4. 188 Letteratura sua semplicità e rigidezza ben diverso dal posterio- re d' imitazione; ambidue intieri e di perfetta con- servazione. La figura femminile ha un gran disco sulla testa con un serpentello nel mezzo; l'abito dal- le reni le scende fin presso ai piedi ; i polsi e le gambe sopra la caviglia sono ornati di periscelidi'. nella mano sinistra tiene il mistico Tau. Fuvvi chi credette la testa esser di gatto, chi di cane, chi di cebo specie di scimia; ma che sia di leone è certo, si pel confronto di altri egiziani monumenti, sì per alcuni segni, che quasi collare ne accennano la giu- ba. Alcuni la dissero Iside; altri una secondaria di- vinità. Sembra che il Visconti propendesse a rico» noscervi Neith^ o l'egiziana Minerva. La figura ma- schile è tutta nuda , se non che un grembiale li- stato le cinge i lombi; ha le braccia pendenti e at- taccate ai fianchi ; la sinistra gamba alquanto piìi avanzata della destra; il capo coperto da un berretto a strisce. Puoi dirlo un idolo, ovvero un sacerdote. Scendendo alla greca mitologia , che fu pur quella de'romani , ricordiamo primieramente una statua di Nemesi (1). Fu trovata a Gabi mancante della testa, ma quella pur antica che le fu adatta- ta, non lascia desiderare la propria. Dal gesto di piegare il cubito destro verso il petto, e dal cornu- copia che regge nella manca, si riconosce quella di- va personificazione della giustizia e della fortuna. La illustrazione di questo monumento, mancando fra le carte del Visconti, venne supplita con ripe- ter quella che ne avea pubblicata n^' Monumenti (1) Tav. Ili, 3. Monumenti borghesiani 189 gahini (1). Dalla citata descrizione del Lamberti (2) è tratta la illustrazione di una statua dì Cerere (3). La testa è coronata di spiche; anche un mazzo di spiche ed una corona sostengon la mano sinistra giù stesa , e la destra alquanto elevata ; il panneggia- mento è condotto con tale eleganza e maestria, che può riguardarsi come uno de'migliori esemplari. Cui non è noto il Saurottono, celebre bronzo di Pras- sitele? Plinio descrivendolo ci fa sapere che era un Apolline fra giovine e fanciullo; Marziale ce ne in- dica l'altitudine: le moltissime copie che se ne co- noscono, fecero si che prima di ogni altro il Win- ckelmann potesse con argomenti di certezza dar loro il nome che conveniva. Il bellissimo Apolline borghesiano (4) in atto di saettare il ramarro è una copia, anzi la piìi intera che finor si conosca, di quel simulacro greco lodatissimo. Apollo fu talvol- ta confuso col Sole; ma una statua borghesiana del Sole (5) è unica appunto, perchè come tale lo rap- presenta e co'suoi propri caratteri che da Apolline lo distinguono: ha egli Io strofìo bucato con sette fori, per inserirvi sette raggi metallici; gli si ve- dono a'piedi due protome di cavalli; e due soli ca- valli die Omero al Sole, Eto e Pireo. 11 tutto insie- me, copiato da buon esemplare greco, conserva mol- to del nobile e dignitoso; le mani, ed i simboli che esse reggono, sono moderno, ma conveniente restau- (i) Tay. XII n. ?ii edlz. milan. (2) Parte II p. gS, (3) Tav. Xl, I. (4) Tav. XXI, 3. (5) Tav. XXI, 1. 190 Letteratura ro. Era tla poco tornata a luce, quando il p. Biagi Bel 1772 stampò un libretto per provare quello di cui ninno dubitava; cioè che questa era l'imma- gine del Sole. Della bellissima fra le dive sono in quest' o- pera molti simulacri. Una statua (1) la rappresen- ta nuda , mentre s'avvolge intorno alle anche un leggier pannolino, quasi in atto di asciugarsi dopo il bagno; anche la sua nudità non insulta la mode- stia, virtù insegnata dalla natura. In altra statua (2) ha lungo e sottil panneggiamento; e riposa il pie manco sopra uno sgabello; indicando così che è la Venere domiseda o pudica. Una terza la rappre- senta nuda totalmente (3) ; a' suoi piedi è un del- fino , sopra il quale un amore. Essa è la Venere 7rovTi« o marina^ ed è questo uno de' più rari mo- numenti in quest'opera dichiarati , per la sua in- tegrità riputatissimo, per la composizione ed ese- cuzione degno de'piìi pregiati maestri. Il Visconti, noverando molte altre statue di quella diva , non dubitò contarla fra le cinque piìi perfette; insie- me-cioè alla medicea, alla chigiana , alla capito- lina, ed alla vaticana lavantesi. Anche nuda, e di perfetta conservazione è una quarta Venere (4), cui si dà l'epiteto di vincitrice , perchè il torace , le ceree, ed altri pezzi dell'armatura sono aggrup- pati presso un amorino che le sta dal sinistro la- to, e leva su con ambe le mani la celata, quasi vo- (i) Tav. XII, 1. (2) Tav. XII, I. (3) Tav. X, 3. (4j Tav. XVI, X. Monumenti borgiiesiani 191 lesse adattarsela in testa. L'azione della diva, di por- si ad armacollo il balteo, da cui pende la spada che ella tiene dalla sinistra, è unica nell'antichità fi- gurata. Winckelmaim credette che somigliasse ad una descritta da Gistodoro; e Visconti osserva, che questa sol una può chiamarsi armata insieme e vin- citrice. Una quinta statuetta (1), in cui son restau- ro il destro braccio e 1' Amorino , si dichiara per Venere, cos'i per la sottil tunica, che discinta la ve- ste in modo che par quasi nuda, come per l'affibbia- tura di essa, che caduta dall'omero manco , ne fa restar nudo parte del seno. Ciò che rende unico questo simulacro è l'alto del pie sinistro, che al- quanto alzato comprime un utero, nell'orifizio del quale vedesi l'uman feto rivolto di schiena. Non fu ignota agli antichi la Venere pandemo o comune , la vulgivaga^ la peribasia o vagante, Vetera o dru- da, la porne o cortigiana; e se Fidia, rappresen- tando la Venere casta, per simbolo delle sue virtìi le pose sotto i pie la testuggine; se la popolare in Atene era assisa sopra un caprone , per emblema della sfrenata libidine; la volgare in questo simu- lacro borghesiano calpesta col piede il frutto de' suoi piaceri, e par che si vanti di rimanere infe- conda. Un gruppo di Venere e Marte (2) non mol- to si discosta da altri consimili, che a noi perven- nero in pitture, in bassorilievi, in istatue, in me- daglie; ma sopra gli altri ha merito per la conser- vazione, per la mole, per lo stile. Certo sotto l'as- petto di que'numi celansi due romani ritratti; ma (0 Tav. XVII, I. (2) Tav. IX. 192 Letteratura andò lunsri assai dal vero chi volle riconoscere nel- la figura muliebre una Faustina; ed anche peggio chi opinò l'uno esser Coriolano, l'altra Volunnia. Non vogliamo da Venere disgiugnere Erma- frodito, frutto de'suoi amori con Mercurio. Due gia- centi ne sono in questa raccolta (1). Il primo pe- rò è il più celebrato ed il pili perfetto di quan- ti altri ne rimangono di simil composizione; dor- me, ma di un sonno men profondo che voluttuo- so; le forme delle membra sono svelte, delicate, e per quanto il subietto lo comporta grandiose; la testa maravigliosamente bella ; la positura non è senza l'attrazione di una certa decenza. Né da Ve-r nere sono da scompagnare le grazie, le quali spes^ so la corteggiano. Un gruppo per leggiadria ed ìsr- quisitezza di lavoro mirabile (2) le rappresenta nu- de, non avendo esse bisogno di ornan^enti: un se-r condo gruppo le figura intorno ad una colonna che servi di ornato ad una fonte (3). Potresti crederle ninfe; ma il nostro autore propende a dirle grar- zie, perchè antichi epigrammi ci notiziano che que-r ste adornarono i fonti di n:jolti vetusti lavacri; e perchè l'azione di appendere le vesti menta depo- ste ha maggior relazione alle grazie, che alle nin- fe abitatrici delle onde. Siano però le une, siano le altre , ciò che ninno contrasterì^ si è, che la composizione di questo gruppo è vaghissinjo, es-s- quisito il merito dello scarpello. Alle grazie sia compagno Amore. Quattro simulacri del più bello (i) Tav. XIV o XV. (•i) Tav. V, a. (3j Tav. XX. Monumenti borghesiawi 193 fra gli dei sono in questo volume: uno alato stan- te (1), che mal fu tla certuni caratterizzalo per un genio. Questa statua per la sua bellezza ec- citò l'entusiasmo di Winckelmann (2) quanto po- chi altri monumenti. Al Visconti sembra ricono- scere in essa una copia dell'Amore tespiese di Pras- jjitele, il quale come placida divinità attende nel tempio i voti dei supplichevoli. Altre due statue Io rappresentan fanciullo; scherza nell'una con un uccolietto che ha fra le mani (3); piange nell'al- tra (4), perchè incatenato ne'fianchi e al pie sini- stro. I^e brevi dichiarazioni di questi due marmi so- no del Dc-Rossi. Un gruppo (5) cel mostra insieme con Psiche, la quale è supplice e genuflessa a lui di lato ; disposizione ed azione che in altri gruppi di simil subietto non s'incontrano. I^a statua di Diana succinta (6) fu trovata a Gabi; e qui si ripete la illustrazione che il Viscon- ti ne avea pubblicata ne' Monumenti gabini (7). Celebratissimo è quel torso, cui per moderno re- stauro furon supplite in bronzo la testa, le ma- ni, i piedi , e che da questo supplemento tras- se il nome di Z>ingarella (8); ma il brodiero, che attraversando il petto scende sul fianco sinistro, ed il foro che sta sull'omero manco per fermar- ci) Tav. XIII. (2) Storia dell'arte ec. lib. V, cap. I, J. a. (3) Tav. XLII, I. (4) Tav. XLII, 2. (5) Tav. XI, 2. (6) Tav. X, 2.- (7) Tay. XII nurn. 32 ediz. Milan. (8) Tav. II, r. ^94 Letteratura vi la faretra, dan motivo all'autore dottissimo per riconoscervi una Diana faretrata. La sopravveste di questa figura, assai rara per la sua forma, è la xistide degli antichi. La vendetta di questa di- va cacciatrice contro il giovinetto Atteone, che la mirò bagnarsi nelle acque gargafie, è rappresen- tala a bassorilievo in un sarcofago, per invenzio- ne e composizione particolare, ed anche pregevo- le , perchè non facile occorre vedere quel mito in antichi monumenti (1). La favola vico divisa in quattro scene; nella prima il figliuol di Ari- steo preparasi alla caccia r Diana sta bagnandosi nella seconda, mentre Atteone si compiace in ri- mirarla; ma già la vendetta del nume incomin- cia, già le come spuntan sulla testa di lui: e la vendetta si compie nella terza scena, in cui ne fan massacro i suoi propri cani : nell'ultima la disgraziata Autonoe insieme ad altra donna rac- coglie i resti del cadavere del figliuolo. Ne me» feroce fu la vendetta contro i niobidi. Un conser- vatissimo bassorilievo rappresenta quella trage- dia (2); oltre quattro cavalli, vi sono sculte di- ciannove figure; i quattordici figli, cioè sette per ciascun sesso ; Niobe ed Anfione genitori dolen- tissimi; due pedagoghi ed una nudrice. Questo mo- numento era stato pubblicato da Wlnckelmann (3); ed il Visconti ne corregge qui le inesattezze. Una statua giacente (4), dal tralcio di vite che ha nella destra, dalla nebride in cui è distesa , (1) Tav. XXA'I e XXVH- (2) Tav. XXXI. (3) Mon. ant. ined. N. 89. (4) Tav. YIII. Monumenti borghesiani 195 dalla corona di edera , e dal credemno clie le cinge la fronte, facilmente si ravvisa per un Bac- co. Nelle baccanti di Euripide si legge: « Soave è » Bacco sui colli, quando avviene che fornito del- » la sua nebride, compiuti i rapidi tiasi, caden- r> do egli si gitti al suolo. » Questo passo del tra- gico greco spiega precisamente la nostra scultu- ra. Bambino fra le braccia del suo educatore Sile- no cel mostra un gruppo (1), la cui conservazione è delle piìi rare; anzi opinano i periti dell'arte, che specialmente le gambe del Sileno siano le più per- fette di quante la scultura ne ha imitate, e che non ha distrutte l'età. Come pel monumento che prece- de Euripide, cosi per questo servono di completa il- lustrazione alcuni versi di Galpurnio Nemesiano (2). Un centauro, somigliantissimo al piìi vecchio dei due capitolini sculti da Aristea e Papia afrodisie- si, ha su quello il vantaggio di aver conservatoli putto che lo cavalca (3); il quale per la corona di edera vien giustamente dichiarato un genio di Bac- co. Egli mentre con l'una mano sta in atto di sfer- zar il centauro, con l'altra lo tiene avvinto ; e la favola infatti ne dice, che fu l'ubriachezza che pro- dusse la distruzione di quella razza prepotente e fe- rina. Una zona cinge i Ranchi del genietto; essa è quell'arnese proprio per l'equitazione, che ventra- lia e lumbaria dissero i latini, perizomata i greci. Un fauno (4) sonante la tibia , si poggia col go- (i) Tav. Ili, 1. (2) Bucol. ed. "5, V. 27 e segg. (3) Tav. II, 2. (4) Tav. XII, 3. 196 Letteratura mito ad un pilastro, e tiene incrocicchiate le gam- be l'una sull'altra. Il famoso fauno dipinto da Pro- togene, e conosciuto sotto il nome di Anapovomeno o sia di riposante, era in tale atteggiamento. Che sia desso l'originale di questo grazioso marmo? Un gran vaso marmoreo, o cratere (1), per l'eccellenza del lavoro il più bello fra quanti dall'antichità a noi pervennero, ed insieme uno de'monumenti classici dell'arte greca, mostra sculto a bassorilievo un tiu' so\ nel quale oltre Bacco appoggiato ad una sua se- guace che suona la lira, e Sileno sostenuto da un fauno, sono altri sei seguaci di quel nume, tre per ciascun sesso. Balla uno la scomposta sicinnidey suo- na l'altra la duplice tibia, trae il terzo una baccan- te che suona la lira, mentre altre due uniscon la danza al suon de'crotali ed allo scuotimento de'tim- pani. Graziosissima è l'immagine di una ninfa (2) che seduta a terra sul lido del m'are sta giuocando agli aliossi. Lasciammo per ultimo di questa clas- se mitologica un gruppo (3), in cui il Visconti rico- nobbe Mercurio e Vulcano dalla scure e dal caduceo sculti sul tronco apposto nel mezzo delle due figu- re, per servire ad esse di sostegno; perchè quella interpretazione fu contraddetta dal eh. Raoul-Ro- chette (4) : il quale fatto un confronto fra questo ed altro gruppo del museo di Napoli (5), che rap- presenta Oreste ed Elettra, per ingegnosi argomenti ritenne, che nel borghesiano, lasciata simile la fi- li) Tav. XXXIV e XXXV. (2) Tav. XVIII, I. (5) Tav. IV, I. (4) Mon, ined. Oresieide p. 176. (3) Finali, R. M. borbonico p. 162, 166. MONUMEMTI BORGITESIANI 197 gura dell'Oreste, si sostituisse ad Elettra Pilade; e per conseguenza questo gruppo rappresentasse que' due famigerati amici. Noi non dobbiamo entrare in tale quistione; ricordando di aver assunta la qua- lità di espositori, non quella di giudici. Le ragioni del romano archeologo , e quella del francese son pubbliche nelle stampe. O è dalla parte del torto il Raoul-Rochette, e questo gruppo chiude la clas- se mitologica de'monumenti scelti borghesiani: o lo e il Visconti, ed esso monumento sarà da conside- rare come primo fra quelli del secondo paragrafo. §. II. Mitografìa eroica. L'immagine di un giovi- ne eroe di robusta bellezza, tutto nudo, salvo che avvinto de'cesti sino alla metà delle braccia , ed in attitudine del feroce esercizio del pugilato, chi altro può essere se non Polluce (1)? Gli antichi poe- ti lo dissero prode ed invitto nelle contese de'pu- gni; descrissero la celebre tenzone di lui con Ami- co; e forse l'artefice in quell'atto lo rappresentò , dimostrando nel suo atteggiamento cosi la cupidità dell'ofFendere, come la cautela dello schermirsi. Un bassorilievo ci mostra la nascita di Telefo (2). Au- ge la genitrice consegna il bambino avvolto nelle fasce ad una sua confidente; una piccola cerva al- lude alla notissima favola di quel figliuolo di Er- cole. E da notare che mancando questa esposizione fra i manoscritti del Visconti, vi fu supplito con quella che in precedenza ne aveva pubblicata Win- ckelmann (3). Un conservatissimo sarcofago rappre- (1) Tav. XVII, I. (2) Tav. XXXIII. (3) Mon. ant. ined. N. 71. 198 Letteratura senta nella principal faccia la storia di Meleagro (1). Vedesi a destra quell'eroe, che ha ucciso già uno de* testiadi, e si appresta a combatter l'altro ; Eride, la dea della discordia, sta tranquilla spettatrice dei- tragica scena; alla sinistra Altea, miglior sorella che madre, condotta da una furia getta il fatai tizzone sul fuoco; mentre Nemesi, o la parca, che con un pie calca le ruota simbolo della vita , ha già se- gnata col calamo su di un volume l'ultima ora di Meleagro. Nel mezzo giace moribondo sul letto lo sfortunato eroe; due germane, la nutrice, il vecchio Eneo lo circondano addolorati; e v'è pure Atalan- ta, la quale si cuopre il viso per non vedere l'a- maro frutto della sua bellezza e del suo valore. Ge- lebratissima è la statua operata da Agasia efesino, e volgarmente detto il gladiator combattente (2). Già Winckelmann avea veduto quanto erronea fosse quella denominazione; e lo reputò un guerriero sot- to le mura di una città assediata. Lo Stosch lo cre- dette piuttosto un discobolo; il Fea lo giudicò Aia- ce d'Oileo alle prese con un inimico, o l'intrepi- do Leonida alle Termopili; Lessing lo disse Gabria; Heyne, un guerriero che si ripara da un colpo sca- gliatogli dall'alto; Mongez, un eroe che si esercita ne'ludi ginnastici; Gibelin, un giuocatore di pallo- ne; Sickler, Agenore figlio di Antenore. Tutti tra- viarono dal vero. Il nostro Visconti vi riconosce un eroe combattente contro le amazoni; e se, nell'ope- ra di che scriviamo, lo disse Aiace Telamonio con- tro Menelippe, in altra memoria della quale dire- (i) Tav. XXVIIL (3) Tav. I, I. Monumenti borghesi ini 199 mo al finire di quest'estratto, evidentemente lo di- chiara per Teseo combattente contro Ippolita. Ben meritava questa insigne statua cosi dotta illustra- zione ; essendo essa uno de' capolavori della gre- ca scuola fra i pochissimi che a noi pervennero , e tale che nel complesso delle sue eccellenti bel- lezze non può dirsi inferiore ad alcun altro in me- rito d'arte. Altro simulacro, sul quale il Visconti fece molto studio, si è quella statua da Im dichia- rati per Achille (1). Ai molti argomenti , ed alle sottili indagini di lui , altre ingegnose congetture oppose il eh. Raoul-Rochette (2) , reputandola un Marte; opinione già prima esternata da Winckel- mann (3). Abbenchè noi saremmo forse inclinati piìi a seguire in ciò i dotti oltramontani, pure non abbiamo voluto mutare il nome che il Visconti det- te a questa nobilissima statua. La storia compas- sionevole del riscatto del cadavere di Ettore è in bassorilievo ricco di molte figure (4); lo avea pub- blicato il Winckelmann (5); ma presa avendo una scena accessoria pel subietto principale, lo spiegò non degnamente , dandone anche un rame poco accurato. §. in. Storia greca. Un erma in marmo pen- telico ci rappresenta la nota immagine di Epicu- ro (6); ed un secondo nello stesso marmo vien dal (1) Tav. Ili, I. (2) Mon. ined. t. i, p. S"] e segg. (3) Mon. ant. ined. p. 33. (4) Tav. XXX. (5) Mon. ant. ined. num. i35. (6) Tav, XXXVII, 3. 200 Letteratura dotto espositore dichiarato per Pittaco (1); dobbia- mo avvertire però, che non ostanti le cose scritte dal Visconti in quest'opera, nella consecutiva del- la greca inconografia non ne fece più motto. Una statua acefala (2) con le anaxaricU e spada al fian- co, fu supplita di bella antica testa barbuta: fuv- vi chi la disse di Massinissa; ma oltre che le hrcic^ cae non convengono ad un re de'massili, abbiamo di lui rifratti sicuri che questo non somigliano. Par certo che rappresenti un re dell'Armenia; dirlo Ti- ridate, sarebbe congettura non dispregevole, ma pri- va d'appoggio; convien quindi contentarsi alla de- nominazione dì re barbaro. Un busto di bello sti- le (3) e di vaga e bizzarra disposizione ne' capel- li calamistrati, fu reputato della famosa Berenice, la prima fra le regine di Egitto di tal nome ; ed il Visconti in quest'opera vi convenne. Ma certo in appresso mutò parere , non avendone fatto cenno nella greca iconografia; e per vero quel busto non somiglia i certi e sicuri ritratti di quella regina (4). Una statua pallata sedente (5), mostra senza meno il ritratto di un filosofo; dirlo con certuni Belisa- rio, è puerilità; dirlo con altri Diogene o Grisip- po, si oppone alla certa cognizione delle immagini di que'filosofi; convien quindi contentarsi a deno- minarlo col Visconti d'incerto filosofo o oratore. §. IV. Storia romana. Il celeberrimo busto di (i) Tav. XXXVII. 4. (2) Tav. XXIII, I. (3) Tav. XXXVI, r. (4) Icon. greca voi. 3 p. ago tav. XI, edir. milan. (5) Tav. V, I. Monumenti borghesi ani 201 M. Agrippa (1) fu dal nostro autore altre due vol- te pubblicato; nella romana iconografia cioè (2) e ne'inonumenti gabini (3); ma l'esposizione che qui ne fa è più di quelle elaborata in alcuna parte. Una statua muliebre acefala (4) , vestita di tuni- ca ) picciol peplo sul petto, ampio manto che ne vela il capo , e da cui pende un serto di vitte di lana, tenente dalla sinistra il corno dell'abbondanza, fu restaurata per Cerere , ponendole nella destra una manna di spiche; e le fu opposta una masche- ra antica d'indubbio ritratto di Livia Augusta. Da Gabi (5) provenne la testa maggiore del naturale di Tiberio, con corona civica (6); lavoro da pochi uguagliato fra i ritratti imperiali che giunsero sino a noi. Anche gabine (7) son le due statue di Ger- manico e di Claudio (8) figli ambidue 4» Nerone Claudio Druso; la prima di esse è forse la piìi ec- cellente fra quelle che ci presentali ritratti romani seminudi all'eroica. Anche la medesima provenien- za ha una statua loricata , cui fu adattata una te- sta di Caligola (9); e qui si ripete quella stessa il- lustrazione che il Visconti ne aveva pubblicata ne* monumenti gabini (10). Di Agrippina minore sono in quest'opera due ritratti; l'uno inserito sopra una (i) Tav. XXXIX, I. (2) Voi. II, ediz. di Milano. (3) Tav. Ili, num. a, ediz. luilan. (4) Tav. XXII, I. (5) Mon. Gab. Tav. XIV, num. 3g ediz. mil. (6) Tav. XXXVI, 2. (7) Mon. Gab. Tav. IV, 5, 7 ediz. mil. (8) Tav. XIX, I, 2. (9) Tav. XXI, 2. (10) Mon. Gab. Tav. XIV, 28 ediz. mil. G.A.T.LXXIV. 14 202 Letteratura statua di Euterpe (1); l'altro effigiato nella sua pri- ma giovinezza (2); la descrizione di questa seconda statua mancando ne' manoscritti del Visconti , fu supplita dal De Rossi. Per finezza e per eleganza di scultura una delle più pregiate statue, fra quel- le di romano abito vestite, quella si è cui si dà il nome di Britannico (3), nome che forse non le di- sconviene; la bulla^ che da un nastro le pende sul petto, è ornamento proprio dell'età di quel giova- ne ed infelice Cesare. Condotto con gran morbi- dezza è un busto di Nerone (4), ed anche di mol- ta rarità; perchè il pubblico abborrimento, che se- guitò la memoria di quel prìncipe scellerato, fé si che pochi ritratti certi di lui fino a noi potessero giungere. Già in altre due opere (5) aveva il Vi- sconti fatto note le proprie congetture intorno il ritratto di Gneo Domizio Corbulone ; ed in que- sta (6) adduce piìi particolarmente i motivi e gli argomenti che lo guidarono a quella scoperta. Ad una statua loricata di mirabile artificio , ma ace- fala, fu sovrapposta una testa di Traiano (7); e qui se ne ripete la illustrazione datane ne' monumenti gabini (8). Similmente da quell'opera (9) vien qui (1) Tav. XXII, 2. (2) Tav. XXIII, 2. (3) Tav. XVI, 2. (4) Tav. XXVII, 2. (5) M. Pio Clem. Voi. VI, p. aSg Tav. 62; Mon. Gabini p- 81, Tav. XVII, ediz. di Milano (6) Tav. XXXVI, 3. (7) Tav. XIX, 3. (8j Tav. III, num. 3 ediz. niil. {9) Tav. VI, num. i5 ediz. miì. Monumenti borohesiani 203 riprodotta la illustrazione di una statua acefala (1) cui fu posta una testa moderna di Plotina. Il piìi evidente e sicuro ritratto di Elio Vero Cesare, che si conosca in tutta l'antichità, è una grandiosa sta- tua imperatoria, secondo l'eroico costume, coperta di un solo paludamento sugli omeri (2). Uno de'piìi nobili monumenti gabini è quella statua femmini- le (3) in sembianza della Concordia, cui fu impo- sta una testa di Sabina; la illustrazione non diver- sifica punto da quella dal Visconti già prima pub- blicata (4). La testa del famigerato Antinoo (5) è di tale eccellenza, che non dubita l'A. N. asserire essere nel suo carattere la più bella che mai scar- pello abbia creata. Essa era già stata pubblicata da W^inckelmann (6); il quale forse le voleva non ra- gionevolmente anteporre il pur celebre bassorilie- vo Albani di quel bitino. Un busto colossale di An- tonino Pio (7), mancando della illustrazione del Vi- sconti, fu brevemente descritto dal De Rossi. Dei due fratelli per adozione e colleghi sul soglio, M. Aurelio e L. Vero, son due teste colossali (8) che riuniscono alla non ordinaria mole il pregio di uno scarpello franco ed istruito, e quello di una per- fetta conservazione. Non minore è la conservazio- ne, e non minore è il pregio artistico di due bu- (1) Tav. XVIII, 2. (2) Tav. XXII, 5. (3)TaT.VI, I. (4) Mon. Gab. Tav. XIII, num. S4 edJz. rail. (5) Tav. XXXVI, 4. (6) Mon. ant. ined. num. 179. (7) Tav. XXXVIII, t. (8) Tav. XXXIX, 2 3. 204 Letteratura sti di L. Settimio Severo e di Settimio Geta CD provenienti da Gabi (2) , ed il secondo precipua- mente per la rarità delle immagini di lui da tener- si in gran pregio. Una statua in sembianza di Ce- rere (3) fu dal Visconti creduta una Soemiade^ itiA poi, cambiando parere, in altra opera (4) cori mi- glior consiglio la disse Giulia Mammea» Terminie-:^ remo questo? paragrafa, ricordando un busto quasi colossale di Roma (5) di sor^prendente nobiltà e bel- lezza; ed una testa pitr colossale^ ed unica nel sua genere, rappresentante la Spagna (fi); come è chiaro dal coniglia, e dalla corona di olivi e di viti che gli circonda la fronte^i^ §. V. Costumi religiosi f cii'ili ec-Vnnra. trian- golare (7) presenta dalTuna faccia il tripode de* quindecemviri con la cortina, sulla quale il corvo sacro; dalla seconda la figura di un quindecemviro sacrificante; dalla terza la corona di spiche de' fra- telli arvali, con sopra Taquila, Una statua femmi- nile (8), dal gesto delle mani aperte e supine, che era il proprio della preghiera^ vien detta Vadoran* te; tutto ciò che non è nudo (e questa è pochissimo) è in porfido, operato con la maggior finezza e dili- genza di maestria e di lavoro* Un bassorilievo con (1) Tav. XXXVIII, 3, 4. (2) Mon. Gabini Tav. IV, 4 XIV, 07 ediz. mif. (3j Tav X, I. (4) Notizia del Museo Napol. fra le opere varie voi- IV, p- 498 nuni. 420 ediz. mil. (5) Tav. XXXVII, i. (6) Tav. XXXVIII, I, (7) Tav. XLI. (8) Tav. VI, 2. Monumenti borghesiani 205 figure maggiori del naturale (1), per le vittime de' tori chiamate massime, e per le insegne della di- gnità suprema che vi si vedono espresse, fu detto trionfalei ed appartenne senza meno a qualche arco od altro pubblico monumento delle vittorie di un qualche augusto. Precisar quale, è impossibile: la testa senile, ma senza barba, di quella figura che 50stifin l'acerra, dimostra che è anteriore ad Adria- no; e facilmente in quella figura devesi riconoscere un de' flamini, o un degli auguri, vestito con la laena villosa. Altro bassorilievo eccellente per l'ar- te e pel soggetto singolare (2) rappresenta tre don- ne turrite e coronate d'alloro: son desse tre città greche personificate, che stanno per offrir sacrifici a qualche imperatore, quasi a nume presente, e co- me loro liberatore. Altri due egregi bassorilievi e- sprimono un coro di vergini sacrificanti e danzan- ti (3). Nel primo un'ara a forma di candelabro sta dinanzi al prospetto di un tempio corintio tetrasti- lo; due vaghissime donzelle stanno ornando l'ara di grandioso encarpo; mentre una terza ha in mano delle frutta per offerirle al nume. Nel secondo al- tre cinque, non meno vaghe di quelle, si avanzano danzando intorno al tempio, e tenendosi l'una l'al- tra per mano, con atteggiamento graziosissimo. Il discobolo (4), benché non d'intera conservazione co- me il vaticano, è però elaborato con maggiore dili- genza e finitezza. Un vaso marmoreo di bella for- (i) TaT. XXIX. C2) Tav. XXXII. (3) Tav. XXIX, e XXV (4) Tav. IV, I. 20(5 Letteratura ma, e di elej?anti proporzioni (1), è ornato di quat- tro maschere; tre sileniche e barbute, una imberbe faunina; vi è pure un pedo, due nebridi, e due cem- bali sospesi; tutto il lavoro è grandioso, di stile e- gregio, e di perfetta integrità. §. VI. Monumenti moderni. Due statue di ca- milli, o ministri di sacrifici (2), benché moderne, meritano l'attenzione di chi ama le arti; si perchè egregiamente copiate dalTantlco, e sì pel ricco ma- teriale in che sono condotte. I panneggiamenti son di alabastro orientale fiorito di color giallo a liste rossastre; nella cintura e nel piccol manto di rosso antico; le teste e le altre membra di bronzo. Il gruppo di Apollo e Dafne (3) fu sculto dal Bernini, mentre ancor seguitava i buoni principi! dell'imita- zione dal vero. Dello stesso scultore è il David (4) in atto di scagliar il sasso con la fionda; ma Toperò quando già erasi dato in braccio alla maniera. Le descrizioni di questi due marmi sono del De Rossi. Fin qui dei lavori del sommo archeologo in- torno i Monumenti scelti borghesiani. Se non che il eh. Labus, nel darne questa ristampa, l'arricchì di altra produzione pur del Visconti. È questa una memoria scritta in lingua francese, da poco tempo pubblicata dal Panofka. Il Labus ne ebbe copia per cortesia del Raoul-Rochette. Si raggira intorno un vaso fittile, ricco di figure e d'iscrizioni, apparte- nuto prima al Durand, ora presso il conte di Pour- {ij Tav. XL. (2) Tav. VII, I, 2. (3) Tav. XLIII, I. (4) Tav. XLIII, 2. Monumenti borchesuki 207 lales-Gorgler. Già il Millin V avea pubblicato ne* suoi Monumenti inediti (1), dai quali l'editore mi- lanese tolse i disegni, che in tre tavole (2) accom- pagnano questa memoria. Il Visconti la ebbe divisa in quattro paragrafi: descrisse nel primo il monu- mento , per la forma e per la integrila pregevo- lissimo: spiegò nel secondo la rappresentanza della faccia anteriore. Si vede in essa un'amazone a ca- vallo combattente contro un guerriero a piedi, ed aiutata da altra amazone pedestre : le iscrizioni greche insegnano esser Ippolita la prima , Teseo il secondo, l'altra Dinomxiche. La mossa del Teseo somigliando perfettamente quella del così detto G/a- diator combattente borghesiano, ne prende il Vi- sconti motivo, come già sopra accennammo, a con- validare e rettificare in parte la propria esternata opinione intorno quel nobilissimo marmo di Aga- sia. La faccia posteriore del vaso viene spiegata nel terzo paragrafo: vi è dipinta una donna ( Dinoma' che ) che presenta la tazza ad un giovine ( Polite ), innanzi al quale è una seconda figura femminile (Filonoe). Fra le diverse cerimonie degli sponsali, eravi pur quella, che obbligava la suocera di pre- sentar la tazza al futuro genero, affinchè questi be- vesse; quindi è chiaro che il vaso fu dipinto nel- l'occasione del matrimonio di Polite con Filonoe figlia di Dinomache ; ed assai facilmente la somi- glianza del nome di costei con quello dell'amazo- ne pedestre della faccia anteriore, consigliò a rap- presentarvi quel combattimento, nel quale Dinoma' (i) Tomo i.p. 355. (a) Tav. agg. lett. A. B. C. 208 Letteratura che aveva avuta parte. Nel quarlp paragrafo ana- lizza 11 Visconti le iscrizioni del vaso. Tutta la me- moria per la molta dottrina cl>e racchiude è l^en degna di quell'archeologQ sublime. Sieno rese sincere grj^zie al eh. Labus per la diligente cura adoperata non solo in questo volu- me, ma nella ristampa di tutte le opere del Viscpn- ti; opere che si spaziano per diciannove volumi» e che contengono un vero tesorp della più recondita dottrina In ogni ramo della scienza deir^ntlcl>lta. E se questi fogli verranno a fortuna nelle mani di lui, vogliamo pregarlo a non ritardare più oltre la pubblicazipne di altri scritti Inediti tjl quell'inge- gno italiano, che sappiamo tener egli in serbp; e di pubblicare insiememente rin41ce geneirale, da li^i con tanta fatica e diligenza redatto; dal quale molr ta utilità tornerebbe agli amatori di questi studi. c. e. Poesie dell'avvocato Giuseppe Pellegrini. Firenze per V> Batelli e figli 18S5, in 12 di pag. 190. Adalberto^ cantica dello stesso. Ivi presso S> l/si-r gli 1836, in 12 di pag. 72. K el fascicplp (Ji pttpbre ^837 gbbianjiQ parla-r tp di due tragedie dell'avvoc^tp Pellegrini , la Gio- \>anna e il Decebalo, Ipdandp l'ingegnp di lui cp- s\ ben disppstp agli studi gentili. Se tantp può nella drammatica ppesia, campp difficile quant'al- tro mai, npn era a dubitare che egli avesse innanzi Pqe$ie pel Pellegrini 209 nella lirica ^ingolairipente niiett^to palme onorate. Di ,che fummo certi al giungerci questo caro libretto , che pra annunciamo; e contiejie le ppesie già pub- blicate fino dal 4835, e J' Adalberto cantica uscita fi- no dal ^83Q anteriornjente alle lodate tragedie. Così sempre più ^bbianio a rallegrarci con lui, che ha mente e cypre per la nobile poesia, ed è putrito nella scuola de'classicì, speci^ln^ente di Dante, au- tore e maestro degnissimo a chi ama di scrivere con forza, con evidenza, con leggiadria. Il Pelle- grini si è provato non solo nelle terzine, jna sn- elle in altri metri, e fiesce più che molto nel- Tottava rima. Ricorderemo singolarmente la can- tica intitolata la Gloria in ter:5Ìne, e V Adalberto in ottave: ma tratti dalla dolcezza dell'argomento toccheren^o di un canto intitolato nCa Jj^neficenza, virtù tanto cara al gentile scrittore. Una scena gli si appresenta di crude ire fra- terne, e dice p . . . . tutta è di guai la terra piena, >> r^iun sorriso di ciel più la serena. ^ continua cosi; » - No, vcfx grida una voce alta e solenne, ■ Non abbai>4p^a ì suoi figliuoli Iddio. B Mi scpssi, e vinto il guardo non sostenne » D'un viso il fiannimeggiar superno e dio; » Librato in aèr s^Ue bisinche penne » Di mirande sembianze angipl vid'io; » - No, suoi figliuoli Iddio non abbandona, V £d è sempre benigno anco se tuona. 210 Letteratura La voce, che così dice, è la voce dell'angelo custo- de, che lo guida in cielo » Entro il torrente deireterna luce. Ai prieghi della gran Madi-e il Verbo manda sul- la terra la heneficenza , colia quale il poeta di- scendendo, ode da un povero tugurio lamentarsi misera madre, che stringe al seno un caro figlio, cui necessità di guerra trar vuole tra Tarmi: el- Ja così dice: » - O mio diletto figlio, anima mia, » Sola speranza a'miei anni cadenti, » Chi all'amor mio t'invola, anima mia, » Me lasciando agli strazi ed ai tormenti? » Questi occhi senza te, anima mia, » Da chi saran mai chiusi dopo spenti? » Chi mai di terra coprirà quest'ossa, » Chi pace pregherà sulla mia fossa? La povertà era tanto più dura alla mìsera madre, che al prezzo dell'oro avrebbe potuto ricomprarsi la vita del figlio: ed ecco la beneficenza le piove in seno dell'oro, e si asconde e sparisce. A questa scena succede un' altra di una famiglia, che geme intorno al vecchio padre, e riceve soccorso dalla donna celeste: » Come appassite mammole la testa » Ergon se brina le rinfreschi alquanto, » Il padre e i ristorati parvoletti » Gioiosi alzaro i serenati aspetti. Altre miserie sono descritte, e sempre nuove mi- sericordie. Riferiamo quest'una almeno: Poesie del Pellegrini 31 1 a Cacciata deirovil timida agnella » La vergine di Dio dolora e piagne, » Che un' empia le rapi forza rubella » Il santuario e le dolci compagne. * » Cupidi intorno a se la meschinella » Vede lascivi ceffi e man grifagne; » Ah che sperar non può quella colomba » Di serbare il candor che nella tomba! » Ma innanzi le si para, e le fa scudo » Del santo petto la divina, e fuore » Dal tempestar del pazzo mondo e crudo » La ritorna agli amplessi del Signore. Mentre il poeta si accende di affetto per quella ce- leste, l'angelo di lui custode » - Non abbandona i suoi figliuoli Iddio - B Sclamò, e la santa vision sparìo. Così varietà con unita trovasi congiunta nel com- ponimento, che abbiamo toccato. Vorremmo, che i termini prescritti ci permettessero recare altri trat- ti di queste poesie; ma ciò non potendo, non lasce- remo di confortare l'autore a piìi degne opere, scio- gliendosi affatto dal vincolo di una soverchia imi- tazione, la quale se è buona a chi comincia (benché niuna cosa, che sia soverchia, può tornar buona), certamente diventa cattiva (se già non lo è) quan- do uno scrittore avendo volato pei fiori del giardi- no delle lettere e succhiatone il dolce , dee omai da se come ape produrre il mele. Il signor avvo- cato Pellegrini è gik bene innanzi, e non ha biso- gno di venire accattando ora da Dante, ora da al- tri de'versi interi, come ha praticato in alcuni pas- 212 Le tteratura si abbenchè rari, notandoli convenientemente. Può già fare da se, e far bene, come ciascuno avrà, po- tuto conoscere dai pochi brani arrecati di sopra. Un suo pregio è (juello di cercare l'armonia imita- tiva, Non pensate, ven prego, alla morente; ■ Che questo è sonno, e al ridestarci tutti p Ci abbraccerem lassuso eternamente. P Sol d'una grazia estrema or farne lieta » Ben puoi, tu amico, questa pellegrina; » Ah! la chieggo alla tua tenera pietà. Poesie del Pellegrini 213^ » Vedi umana grandezza ove dechina: ' » , , , • . •• '"^ »... Tosto che spenta » Or or fia pure questa spoglia grama« » S'erga una prece airanima contenta, » Che propizi A colui che ^Ccoglié ed ama » Deirumild il sospiro» ei pili che il pianta « D'intemerato cor gli affetti brama. » Qilel che vano è per me regale ammanto ^ » Copra la nudità del povei'ellOj , :,.! i. | » Che dai digiuni e patimenti è affranto. ^^,.^ , jtt Vedi che ai me stende le braccia: oh! quell9t.j.:j » Duro mi £ora abbandonar', se indietro , ^j., w Non gli lasciassi in t0 padre e, fratello*^ ^^,,3^ » E oh come fia pei* me sul mio fere tra ;j,9„ q^i » Quel benedetto suqpregar' di pace «jil^ » D'ogni ùmania armonia piìi dolce nietro!, ^^^ » Ma già s^appressa del Signor* la pace < » A consolai* quest^anima . . i spirante » Addio j figlie» consorte . . * . io vado in pace 4 < « « Conchiudendo ci rallegreremo » che Una fiorita spe- ranza alle dolcissime lettere abbiasi nel giovine au- tore. Quando l'Italia è dolente di tante e sì gravi perdite, ai novelli si conviene studiare di forza nei classici» e non lasciare alla nostra età il rimpro- vero di mancare alla gloria, dimenticando ciò che a cima di lode conviensi» come avvisava un gran- de epico nostro; . » Chi non gela, non suda, e non s^estoUe i> Dalle vie del piacer, là non perviene. » D. Vaccolini 2U Due lettere del Barthélemy. AL CONTE ETTORE BORGIA, CLEMENTE CARDINALI Xntitolandovi queste due lettere , credo far cosa conveniente a voi cui le dirigo, a me che ve le of- fero. A me, perchè l'argomento loro essendo intor- no una tessera ospitale, ricordo con vera compia^ cenza che una tessera d'ospitalità, non mai rotta in tre generazioni, esiste fra la vostra e la mia fami- glia: a voi, si perchè il monumento era nel domesti- co vostro museo, e sì perchè non dubito punto, che non sia per esservi gratissima la lode del cardinale vostro prozio. Piacciavi dunque, mio carissimo Ettore , acco- gliere benignamente questa ofiferta, e ritenerla a te- stimonianza di quella amicizia, che non essendo del caso, ne della fortuna, da lunghi anni ci tiene uniti. £ state sano. Di Velletri il primo di dicembre 1837, LETTERA I. DEL SIG. BARTHÉLEMY (1). A Monsieur Adler (2). Paris ce 25 iuin 1782 (3). l'ay vù avec beaucoup de plaisir, monsieur, l'in- scription que vous m'avez fait l'honneur de me co- Lettere di Bartiiélbmy 2f5 muniqiier de la part de monsignor Borgia, dont les lumieres ne me laissent aucun doute sur rautenticité de l'originai, et sur l'exactilude de la copie. le rap- porterois volentiers ce monument au VI ou V siede avant l'ere vulgaire (4). L'inscription est en diale- cte dorique, tei qu'il etoit en usage dans la Grande Grece, ou elle a eté trouveè. Quelques lettres pre- sentent des formes peu connùes, mais leur valeur est determinée par les anciens monuments , ou par le sens de l'inscription : telles sont les suivantes. D - A: Gomme dans les plus anciennes medail- les de Zanclé ou Messine (5). l-r = %-/ote: comme sur la colonne de mons. le senator Nani. '^^ M - M: comme sur plusieurs monuments (Gp*l + -s(7). n. M - 2 : Comme sur les anciennes medailles de Sybaris, Posidonium etc. (8). 4^-X(9). Il faut remarquer encore le digamma avant le mot OIKIAN; e Vomicron fesant quelque fois la fonction de V omega. D'apres ces notions , je vais tracer l'in- scription avec les caracteres plus usités. 0EO2 . TTXA . 2AQTI2 . AIA OTI . 2IKAINIAI . TAN . FOX KIAN - KAI . TAAAA . HANT A . AAMIfìPr02 . HAPArOP Al . nPOHENOI . MINKfìN APMOSIAAMOi; . ArA0AP X02 . 0NATA2 . EniKQP 02. £n voicy maintenant la traduction litterale en latin. 216 Letteratura Dea Fortuna servatrix dat Sicaeniae domum et reliqua omnia, (culli esset) Demiurgus Paragorasj (CUBI essent) Proxeni, Mincon, yirmOxidamus, Agatharcus, Onatasi Epicurus (10). Ce decret est signe d'aboril par Paragoras, qui etoit deraiurge: c'est le tìtre que donnoient a leurs prin- cipaux magistrats plusieurs villes d'origine dorien- ne (Voyèz Tucyd. lib. V, e. 47, Hesichius etc.) (11). Le decret est signé enjcore pap cinq proxenes : ce nornt se donne souvent a des citoyens chargés de protegei' les etrangers, qui avoient obtenU le droit d'hospitalité dans une ville (12). Leur signature prouve qu'iJ s*agit icy de la concession d'un pàreil droit, et quef par le mot OIKIAN, il faut entendre la maison, Thospice public, oìi Fon avoit soin de loger les nouveaux hosles (13): c'est peut étre dans ce sens que paripi les difFerentes acceptions que Suidas donne au mot piX^U , on trouve celui de Le privilege de l'hospìtalité publique en en- tranoit d'autres, exprimés dans le decret par ces mots KAI . TAAAA . HANTA (14). La seule difficulté qui m' arrete , est le mot 2IKAINIAI. l'avois d'abord cru qu'il pouvoit desi- gner la nalion des sicanes, qui avait autrefois pos- sedè la Sicile , et qui du tenjps de Thucidide (lib. 1) (15) reduite a bien peu de cliose, occupait ancore quelques unes des cotes occidentales de cette isle. Mais le nora de ce peuple etoit 2IKAN0I, non Lettere di Bartiiélemy 217 2IKAIN0I; et de plus on auroit dit 2IKA.IN0I; plu- tei qiie 2IKAINLAI, aitx sicaniens plutot que a la Sicanie. Il paroit dono qu'il s'agit icy d'une femme vìommi^e Sicania (16). On pourroit incidenter sur ce nom, ainsi que sur celai de Mincon , qui vient aprés; l'un et l'autre ne se trouvent peut étre point dans les anciens auteurs; mais ce n'est pas une rai- son de le rejetter t et loin de nous arreter sur des objets si minucieux, concluons de ce que nous avons dit, que Tinscription contient un decret pour ac- corder a quelqu'un l'hospitalité publique. Le decret est grave sur une de ces tablettes de culvre, que dans de pareilles occasìons on remettoit entre les mains de la personne favorisce, pour luì servir de titre. Cet usage est prouvé par plusieurs exemples ; par deux entr'autres, que le P. Paciau- di a rapporté dans ses Mommi. Pelopon. T. 2 p. 143. Ciceron ( //: f^err. lib. IV e. 65; en parlant des hon- neurs que le senat de Syracuse lui avoit decernè, - ainsi qu'a son frere, dit: Decernunt statimi primiim ut cimi L. fratre hospitium publice fieret id non modo tum scripseriint^ verum edam in ae- re inciso nobis tradiderunt. Autre exemple : le se- nat et le peuple de Malthe ayant accordé Thospita- litè publique k un certain Demetrius , ordonnerent d'inserire le decret sur deux tablettes de cuivre, et d'en don ne r une a ce Demetrius : no6%i'Jiccj xooj t>jv àlC^ÓXH (17). Si vous croyez, monsieur, que ces notes rassera- blées il la hate, et au milieu d'une foule d'embar- ras, meritent d'etrc mises sous les yeux de mons. Borgia; je vousserai obligè de \es lui envoyer, en y joignant l'hommage de mon rcspect, et de ma recon- G.A.T.LXXIV. 15 218 Letteratura noissance. Acceptez en meme temp pelui de Testi- me, et de 1' attachement inyiplable , avec le quel i'ay l'honneur d'etre, Monsieur, Votre tres-humble et ires-obeissant serviteifp Bartliélemy LETTERA II, Monsieur (13). C'etoìt unicmement pour me cpnformer a vos desirs que j'avois hazardcs quejques remarques sur l'inscription , que vous ra' avlez fait l'honneur de m'envoyer. le ne les aurois pas destinées a l' im- pression ; mais vptre sufFrage me rassure, et je se- ra! tres flatté , si elles peuvent contribuer a faire connpitre ce monument (19). Le observations contenìies dans votre lettre, monsieur, confirment la haute idée que j'avois de vos lumieres. Jl est singulier en efFet , qu'on n'eut pas exprimé sur cette lame de bronze le nom de la ville (20): mais outre que nous ne pouvons aujord- hui juger des usages de ces temps reculés, ainsi que vous l'avez remarqué vous meme, je vous prie de considerer que ce n'est pas icy un monument pour la poslerilé, mais une simple concession faite à une personne particuliere, ou a une nation. Les noms des magistrats ne suffispient ils pas pour donner U cet acte l'autenticité dont il avoit besoin ( 29 ? Il me semble qu'il en coute moins d'adopter cette idée, que de prendre le mot 2A0TI2 pour le nom d'une ville, dont il ne reste aucune trace dans les auteurs anciens (22). Ce nom ne se trouvc pas dans les ecri- Lettere di Barthélemy 219 valns grecs (23); il m'arreta au moment qiie je vis rinscription. le chcrchois a le decomposer, lorsqii' im de mes amìs, qui arriva par liazard, me propo- sa de le prendre pour le ferainin de lAOTHP. L'a- nalogie de la langue justifioit cette conjecture, et je la preferai a toutes celles que j'avois imaginées. Si r on oppose qii'en Sicile les doriens disoient ^QTEIPA, au lieu de 2A0TI2 , nous repondrons que dans la Grande Grece ils ont pù employer cet- te seconde forme. l'ajoute que 2AQTI2 se lie natu- rellement avec les deux mots precedens. Vous se- riez d'avìs, monsieur, de les isoler, comme dans plusieurs inscriptlons qui commencent par AFAOH TTXH: mais ce deux mots, n'y sont ils pas toujours au datif ? Je ne puis verifier le fait, parceque je n'ay à la campagne, cu je me trouve, aucun recueil d'inscriptions. le ne me rappelle pas non plus, si dans les concessions d'Iiospitalité rapportées par le P. Paciaudi, et citées dans ma lettre a mons. Adler, il est fait mention des descendents de la personne à qui Fon avoit accordé ce privilege (24). Reste le mot 2IKAINIAI, qui n'est pas moins embarassant que celai de 2AQTI2. Il peut designer une femme, ou la petite nation des sicaniens. De ces deux acceptions, j' avois preferé la premiere, vous clioisiries volontìers la seconde. Il me semble que dans les privileges, que les peuples s'accor- doicnt mutuellement, on n'exprimoit pas le nom de la ville principale, ni celui de la nation, mais le nom patronymique des habitans ; par exemple on ne disoit pas Bysance accorde k Athenes, mais les bysantiiis accordent aux atheniens etc. (25). Si dans ces sortes de discussions, il etoit per- mis de se laisser alier au scntimcnt et au rcspect, 220 Letteratura ie me serols sans hesiter rendu a vos reflexions i le vous prie, monsieur, de croire qu'il m'a fallu du courage pour resister au penchant qui m'entrainoit, l'ignore si de nouvelles recherches me met« troient à portée de donner plus d'etendiie a l'e^xpli- cation que j'ay eu l'honneur de vous proposer; mais je ne puis m'y livrer dans le sejour que j'habite, et ou je compte de passer encore quelques mois : j'y suis prive de tous les secours necessaires, et n'ay pas meme la copie de l?i lettre que j'ecrivis a mon-' sieur Adler. Ne jugeriès vous pas a propos, monsiour, de comuniquer rinscription a des savans plus en etat que moi de lever tous les doutes ? le prendrois la liberto de vous indiquer entr'autres le pere Paciau^ di k Parme, et monsieur de Villoisons de notre ar cademie des inscriptions a Venise (26). I,e premier est tres familifirisé avec les monuments anciens, le second avec les auteurs grecs : 1' une et Tautre se faroient un devoir de concourir aux vuj^s d'un prer lat destine a relever une branche de literature trop negligée aujourdhui (27). Ils n' auroient pas plus de zele que j'en ay eprouvé, mais vous pourriez en attendre plus de succés. J'ay l'honneur 4'etve «^vec un respect sans bornes, Monsieur, A' Ghanteloup en Touraine ce 24 aoust 178?, Votre tres-humble et tres obelssant serviteur Barthélemy 221 NOTE [ì] Cui ilon è nòto Gioì Iacopo Bartliélémy ? Nato a Cassis il 20 gen. 1716, morì a Parigi il 3o aprile 1795. Celebre nu- ihismaticOj dottissimo poliglotte^ molte opere consegnò alle stam- pe; quella però che più l'onora è il J^iaggio d'Anacarsi. Queste due lettere originali sono presso di me. Furon citate dal Siebenkees [Expos. lab. hosp. p. 5) dal Lanzi [Saggio dilin- gàà etrusca voh \ p. 108), dal Fea ( in ìVinckelmann voi. 1 p. 258 noia a; e nella lèttera al Card. Borgia nel i volume della Sua tìfiisceliahéA]. Non asserirò che siano inedile, perchè non po- tei consultare le opere diverse del Barthélemy pubblicate da SàintiCrOix a Parigi (1798 voi. 2 in 8). Conservai religiosamente la ortografia degli autografi. (2) Giorgio Cristiano Adler danese^ esimio conoscitore delle linguft dotte^ illustrò Ife motiete cufiche bofgiane, come vedremo alla nota (27). (3) Questa data è chiarissima; tome dunque nel rame della tessera che sta unito alla dissertazione del Siebenkees, e alla let- tera del Fea^ dicesi prope repvrta anno MDCCLXXXHl? Que- sti originali del Barthélemy assicurano che il bronzo era tornato in luce fin dal 1782. (4) Uguale opinione tenne il DcLama nella Tavola alimen- tare veleiate p. 88. iS) Si vegga pure il Torremuzza Nummi Siciliae ec. ec. tav. XLV num. 9; Montfaucon Paleogr. Gr. pag. 127. (6) Fra gli altri, ricordo il marmo sigeo presso Chishul , e presso Chandler ; la colonna già del museo Nani in Venezia ; una pesarése oUveriana; ed una medaglia in Eckhel Num, anecd. tab. ni num. 5. (7'' Parmi di ugual forma la S nella medaglia argentea de- scritta da Winckelmann Storia dell'arte. Ediz. rom. voi. i p. 164. (8) Anche nella colonna naniana ed altrove. (9) Di ugual forma in una gemma ed in una patera etrusca che portano scritto il nome di Achille ( Maffei Oss. lett. voi. 5; Winkelmann Man. ined, num. 174). 222 Letteratura (io) Da questa interpretazione si allontanarono Schow{Charta pnpyì'eicea graece scripta e/c.p.iial, Siebenkees e Lanzi (ne'Iuo- ghi citati); ma fu abbracciata dal Fea , cui parve consentire an- che il ciottissimo Ennio Quirino Visconti. Tenne diverso parere il Fabricy, il qual ne scrisse per incidenza alla faccia 208 della Diatribe de bibliogr. antiq. etc, (li) Si vegga anche Martini Etiinologicon, ed Hoffman Le- xicon. I platonici così nomavano il creatore dell'universo (12) Aggiungo, che la voce TTpo^svot era propria e caralteri- stica dell'ospitalità pubblica, come provò il Fea ( Misceli, p. XXVI), contro il parere di Schow e di Siebenkees, il quali cre- derono questa tessera borgiana di privata ospitalità. L'opinione dell'archeologo italiano viene corroborata ; dalla testimonianza di Polluce {Onom. lib.5. e. 4- segni. 69), di Snida (Trpofjvoi;, di Lu- ciano (in Phalar.), di Eustazio ( In Iliad. ad lib. Ili e. 70 ) e dalle lapidi (Grut. p. ecce. 8/ Chandler Iiiscr. antiq. p, I. N. 60 61, P. II. u4ppend,n\\m. io. Guattani Mon. ant. ined. a. 1787. p* 76). Sì vegga inoltre Biagi De decr. athen. e. XXIV. §. II, e Paciatidi Mon. Pel. T. II. p. i35. (i3) ìioct oi;e iure hosp.apud i'ef;del Columbo 224 LsTTERATUnA De sale hospitali; del Moehb De variis tesseris; del Verpoorten De i'erlio Isvoy; de Simon De Vospitnlilé; del Paff De ìio3[rHr(li^ tate; del Tomassini De thess. hospit ; del Morcclli Diss. mille tessere; dello Spalletli Dick. dì una lesserà ospit; del Serra v Fer- ragut nella Tavola boccoritana; del Gazzera Di un decr di pa- tronato ec. ( il quale die una complela raccolta di tali decreti di patronato, e solo deesi aggiungere quello scoperto di poi, e pub- blicato nel Bollettino dell islit. archeologico del 18061. Olire Pa- ciaudi, Biagi, Brcs già ricordati L'elenco di coloro che scrissero intorno questa tessera borgiana si avrà nella nota seguente. (26) Non so se il Borgia, abbracciando il consiglio del Bar- ihélemy, scrivesse al P. Paciaudi: so che scrisse al Villoiaons; e I» risposta originale di lui contenente la illustraz'one di questa la- mina deve essere fra le carte del Borgia alla Propaganda (Vedi Siebenkec» op. cit. p. 5). Credo non sia discaro l'aver qui uniti i nomi di coloro che si travagliarono nell' interpretape questo interessante n>onun7ento , scrivendone alcuni di proposito, altri per incidenza. Sono i seguenti. Siebenkees,£'.r/jo.y?7/o tabulae hospitalis ex aere antiquìssimae etc. Fea, Lettera sul papiro e sulla lamina ospitale ee. Barthélemy, Nelle due lettere qkii pubblicate. Villoisons, Nella lettera ricordata nel principio di questa notaf, Biagi, Dissertazione inedita sulla tessera ospitale borgiana. (Si vegga la prefazione al voi. IX dei Saggi delP accad. etru- sca di Cortona; e la p. 4 dell'opera di esso Biagi Mon. g,r-~ lat. mas. naniani.) Scow, Nella Cknrtha papyracea graece scripta. Lanzi, Nel saggio di lingua eirusca. Ignarra, De Pkalriis primis graecorum politicis societatibus^ Fea, Nell'edizione della storia dell'arte di Winckelmann. Richard Payne Kv'tghl, u4n anatycal essaj orithe Greck alphabvt.- Fabricy, Nello Specimen variarum lectionum sacri textus. De Lama, Nella tavola alimentaria veleiate. (27J Non solo questo elogio è meritato, roa qualunque se nt facesse sarebbe minore del vero. A chi non è noto il museo borgia- no, raccolto precipuamente con infinite curee dispendio da STE- FANO BORGIA cardinale amplissimo di Santa Chiesa? Il quale non contento di aver impiegata una lunga e luminosa vita in ra- dunarlo, volle che i più celebri fra i monumenli in esso raccolti fossero degnamente illustrati dai più celebri archeologi di Ger- mania, d'Inghilterra, di Danimarca, non che di Francia e d'Ita- lia. Per ricordare a' miei concittadini qual tesoro possedemmo fra le patrie mura, darò qui un elenco delle opere intorno esso Lettere di Bìrthélemy 225 TOUseo, asjai più pieno di altri molti che ne fui-ono por lo addie- tro dati alla luce. Per maggior chiarezza dividerò quest' elenco in quattro paragrafi. 5. I OPERE INTORNO MONUMENTI DEL MUSEO BORGIANO. I. Museum cuflcum borgianum yelitris, illustravit GeorgìuS ChìHstianus Adler altomanus. Roma, Fulgoni t^82,4 ^g- ^e i*^ sono estratti nelle Effemeridi romane del io8'2, e nelle Novella fiorentine dello stesso anno. Si vegga il seguente num. XXIV. II. Fragmentum copticum ex actis s. Colutili martjrris eru- tum ex membranis Vetustissimi saeculi F", ac latine redditunt , quod nunc primum in lucem proferì ex museo suo Stephanus Borgia. Roma, Francesi 1783, 8 fig. La prefazione è del Borgia; il resto del P» Giorgi. Vedi il segueùte num. XXX, III. Philippi Invernizzi romàni , de fraenis eorumque gene- ribus et partibus apud veteres StocTpi^ix. Roma, Zempel 1785,8 fig. Ve n'è un estratto nelle Effem. rom. del 1785 : il bronzo che die motivo a quest'opera fu nel museo borgiano. IV. Bassirilievi volsci in terra cotta, dipinti a vari colori , trovati nella città di Velletri. Roma, Salomon! 1785, f- fig. La illustrazione è del P. Becchetti; ne fu inserito con estratto nelle Effem- rom. del 1786. Di questi monumenti singolarissimi scris- sero pure rinvernizzi (opera ricordata qui sopra nam. III>; il de la Borde, Descriptioìi du musaique d'Italica; il Raj>onì, Recueil des pierres antiques gravées; il Fea nella Storia delle arti del ÌVinckelmann;\\ Paolino nel Viaggio alle indie orientali: \\ Riccy nelle M.em. storiche di Alba Longa; il D'Agincourt nella Histoire de la decadence des arts; il Finali nel Museo borbonico-, e forse altri. V. Calceo veliterno in terra cotta illustrato. Fra i Mon ani. ined. di Gius. Ant. Guattani anno 1785, 4» tav. 2 VI. Expositio fragmenti tabulae marmoreae operibus cae- latis et inscriptionibus graecis ornatae musei borgiani Velitris , auctore Arnoldo Heeren bremensi. Roma, Fulgoni 1786, 4 ^ff* Tradotta in tedesco ed inserita nella Bibliothek der alter litte- ratur und Kunst; un estratto si ha nelle Effem. rom. del 1786. VII. Specimen versionum Danielis copticarum, nonum eius caput memphilitie et sahidice exibens, ex museo borgiano Ve- litris edidit et illustravit Fridericus Munter hafniensis. Roma Fulgoni 1786, 8. VIII. Il lustrazione di un vessili/ero in bronzo del muse» 226 Letteratura borgianol Fra i Mon. ani. ined. del Guattani, anno 1787,4 T'av'. 2 P- 17- IX Cista mistica del museo borgiano. Fra i Mon. ant. ined. del Guattani, anno 1787, 4 p- 29. X. Terra cotta del museo borgiano rappresentante un già' diatore illustrata. Fra i Mon. ant. ined. del Guattani anno 1787, 4 Tav. 3 p. 43. XI. Bassorilievo del museo borgiano con Ercole ed Ebe illustrato. Fra i Mon. ant. ined. del Guattani, anno 1787,4 Tav- 1, p. 47 I^ questo marmo scrisse poi il Visconti Museo wors- leiano. XII. Nummi aegyptii impePatorii in museo borgiano Veli' tris prostantes. Roma. Fulgoni 1787,4 fig. Ne è autore Giorgio Zoega. Un estratto fu inserito nelle Effem. rom. del 1787. XIII. Illustrazione di un bassorilievo del museo borgiano rappresentante le carceri del circo.FvA i Mon.ant. ined. delGusit' tani, anno 1788, 4- Tav. I. p. g3. XIV. Epistola de gemma navim cum Dioscuris desuper cor— ruscantibus referente, in museo borgiano Velitris extante; au' ctore Jo. Christophoro Amadutio. E inserita nel terzo volume del Novus thesaurus gemmarum veteruni;Vi.oxaA. MonaMini 1788, 8 fig. Un estratto se ne ha nelle Effem. rom, del 1788^. XV. Charta papyracea graece scripta musei b'oi^giani Ve" litris, qua serles incolarum Ptolemaidis Arsinoiticae in aggeribus etfaslibus operantium exhibetur, edita a Nicolao Schow. Roma Fulgoni 1788, 4 fig- Un estratto è nelle Effem. rom. del 1788-. XVI. Expositio tabulae hospitalis ex aere antiquissimae in: museo bogiano Velitris adservatae , auctore Jo. Philippo Sie- benkees. Roma Fulgoni 1789, 4 fi?- Fu tradotta in tedesco ed inserita nella Bibliothek der alien literatur und Kunst; ed un estratto è nelle Effem. rom. del 1789. Si vegga la precedente nota (a6). XVII. Epistola Nicolai Schow in qua mumus Ulpiae Paula' liae ineditus ex museo borgiano Velitris illustratur. Roma Ful- goni 1789, 4 fig- Un estratto ne fu inserito nelle Effem. rom. del 1789 XVIII. Fragmentum evangelii s. Johannis graeco-copto he- baicum saeculi IV; additamentum ex vetustissimis membranis le' ctionum evangelicarum eie. ex veliterno museo borgiano nunc pO' deunt in latinum versa et notis illustrata opera et studio Fr. Au- gustini Antonii Georgii. Rom.i. Fulgoni 1789, 4 fig- Nelle Effem. rom. dello stesso anno ve n'ò un estratto- XIX. M. Friderici Munter commentatio de indole versionis Lettere di Barthélemy 227' novi testamenti sahùìice: accedunt fmgmenta epistoìarum s.Pnuli ad Timotfieum ex membranis sahidicis musei borgiani felitris. Hafniae, Scliultz 1790, 4- XX. Illustrazione di un antico piombo del museo borgiana di Velletri-, appartenuto alla memoria ed al culto di s. Genesio vescovo di Brescello; del P. Ireno Affò. Parma : Cai'mignani lygo, 4- fig- i"! Esti'atto è nelle Effeni. rom. del 1790. XXI. Globus coelestiscufico-arabicus veliterni musei bargia' ni a Simone Assentano illustratasi Padova 1790^ 4 ^^S- Nelle Effeni. rom. del i8gi ve n'è un estratto. XXII. Lettera dell'avv. D. Carlo Fed sulpapiro e sulla la- mina greca ospitale borgiana. E inserita nel voi. i della Miscel- lanea deirautore. Roma: Pagliarini J790, 8 fig.Un estratto è nelle Effem. rom. del 1791; si vegga la preced* nota (26). XXIII. Sjstema brahmanicurìt liturgicum mythologicum ci- vile ex monumentis indicis musei borgiani f^elitris , dissertatio- nibus historico criticis illustravit Fr.Paullinus a s.Bartholomaeo . Roma; Fujgoni 1791, 4- ^S U'^ estratto è nelle Effem. rom. del 1792; ed uno nel Nuovo Giorn.Encicl. d'Italia, maggio 1782. Si veggano i seg. numeri XXVII, eXXVlII. XXIV. Museum cuficum borgianwn f^elitris. Pars, II (vedi preced. n. I). Illustravit lac. Georgius Adler. Inserti sunt numi cufici edito ris. Hafniae: Thiele 1792, 4- tig- Si Teggano i due nu- meri seguenti. XXV. Articolo della biblioteca di Torino sulla seconda parte del musèo cufico borgiano di Giacomo Giorgio Cristiano Adler. Torino: stamperia reale 1793, 8. XXVI. Articolo tratto dai nunt. XXIX e XXX del foglio letterario impresso in Venezia nel 1793 col titolo Memorie per servire alla storia letteraria e civile , nel quale si dà l' estratto della seconda parte del museo cufico borgiano d' Adler. 4- Ne fu autore Simone Assemani. XXVII. Lettera del conte Gastone della Torre di Rezzonico sui monumenti indici del museo borgiano illustrati dal P. Pao- lino da s. Bartolomeo. Roma 1793. Si vegga il precedente num.- XXIII, ed il seguente XXVIII. XXVIII. Scitismo sviluppato in risposta al sig. conte Ga~^ stone della Torre di Rezzonico sui monumenti indici del museo borgiano del P. Paolino da s. Bartolomeo. JXomA 1793,4- XXIX. Musei borgiani Velitris codices manuscripti avenses, peguani, siamici, malabarici, indostani ; animadversionibus hi- storico criticis castigati et illustrati a P. Paulina a s. Bartholo- /228 Letteratura maeó. Roma: Fulgoni 1892^ 4* ^'?- Un estratto nelle Éff. ratti; del 1793* XXX. De miraculis s. Colutili et reliquiae s. Panésii marty' ris, thebaica fragiìienta duo ex museo velit. borgiano depromptd et illustrata a F'r.Augustina AnUGeorgio. Roma Fulgoni lygS,^. Yi è inserita la ristampa della prefazione del Borgia, di cai nel precedente num. II. XXXI. Fossilia aegyptiaca musei borgiani Kelitris, descri- psit GeorgiuS Wad danus. Velletri 1794 Un estratto è nelle Effem. roin. del 1795- XXXII. Lettera dell' Ab. Domenico Sestini Sopra due Uolsche rnedaglie di Segni esistenti nel museo borgiano. È inserita nel!' Antologia Romana del marzo 1794? 4' XXXIII. Lettre sur les beaux arts et ett pdrtiduliét sut" Id cabinet d'antiquilés et d' histoire naturelle de inonsègneur le card. Borgia a yelletri; par l'abbé Etienne Borson. Roma 1796,' 8. Ve ne ha Un estratto nel Magasin Encjclopedique de Paris per Millin, anno II. T. VI- p. 376 e segg. XXXIV. Lettera di Domenico Seslini sopra due medagli e di Aegira città dell' Acaia dei musei sanclemente e borgiano in Vel" letri. E' Inserita fra le Lettere numismatiche dell'autore, voL V p. XIX e segg. XXXV. Apogrdpkon descriptionìs orbis terraé figurii et narrationibus distinctae, manu germanica, opere nigelliari disco- loris, circa medium saeduli XF" tabulae ahende musei borgiani Velitris consignatae , quod Camillus lo* Paullif. Borgia summd fide maximoque studio expressum i recognitumque eruditis spÉ-i ctandum proponit A. C« 1797* in f. mass. XXXVI. Lettera di È»Q. Visconti sopra due monitménti,tte' quali è menzione di Antonia Augusta. Roma: Fulgoni 1798,4- fig. Uno dei due monumenti è una medaglia in bronzo del museo' borgiano. XXXVII. Dissertazione sopra un antico sigillo d'Adria esi- stente nel museo borgiano in yelletri: di Girolamo Bocchi. Adria XXXVIII. Illustrazione di un antico sigillo di Padova esi- stente nel museo borgiano in Velletri. Parma; Gozzi i8ooy 4- ''S* L'autore è Girolamo Trevisani. XXXIX. Lettera di Raffaello d'Urbino conforme alVorigina. le esistente nel museo borgiano in Velletri. Inserita nelle Memo- rie Enciclopediche del Guattani 1804, 4- XL, Notice sur la vie et sur le musée du cardinal Borgia a Lettere di Barthélemy 229 felletri par A. L. Millin. Inserita nel Magasin «ncjrcìopedique dello stesso Millin 1807, 8. XLI. Catalogua codlcum copticorum MSS.qui in museo bar- giano felitris adservqtur : auctore Georgia Zoega dano. Roma Propaganda 1810, f. fig. Si vegga il N. che siegue. XLII. Observations sur le catalogne des MSS.coptes du mu' t^e Borgia a Velletri, ouvrage posthume de George Zoega ; par ChampoUion le jeune. Inserite Pel Magasin ejiciclopedique del Mii- lio, ottobre 18 ix, 8. XLIII.De lohannis Hyrcani Hasmonaei iudeorumsummi po,i- tificis hebraeo-samaritico mimo borgiani musei Kelitris piane a- necdoto , phoenicum litteratum cuius fontes primum inquiruntur pommentarius- Quest'opera del P. Fabricy. Fu stampata in 8, ma non mai pubblicata. Ne vidi un esemplare nella biblioteca che fu di Filippo Aurelio Visconti. 5. II. OPERE INTORNO MONUMENTI ACQUISTATI PEL MU3E0 BORGIANO DOPO LA PUBBLICAZIONE DI ESSE. XLIV. Osservazioni del proposto Anton Francesco Cori in" forno alcuni monumenti rappresentanti il presepe, inserite nella ^dizione del poema di Sannazaro X)e parta virginis procurata dal inedesimo Cori alla faccia XXXI esegg. La gemma cristiana, che vi si illustra, dal museo Vettori passò nelborgiano. XLV. Animadiiersiones in lamellam ahenean antiquissimam fnusei victorii. Roma. Zenjpel, i74'» 4 ^8" L'autore è il comm. Francesco Vettori. XLVI, Sanctorum 'septeni dormientium hìstoria ex ectjpis fnusei vietarli expressa, dissertatione ac veteribus monumentis il- lustrata. Roma; Pagh'arini 174'» 4- fig* L'autore è il comm. Fran- cesco Vettori. Così la gempia dei sette dormienti^ come la lamina del num, precedente dal museo Vettori, passarono nel borgiano. XLV li. fUustrazione di un antico sigillo della Garfagnana: di Giuseppe Garampi. Roma. Pagliarini 1759,4 fig- H Borgia a- (Cquistò quel famoso sigillo, e poi lo donò a Clemente XIV di s. m. XLVIlI. Lettera delV ab. Gaetano Marini al sig. Gaspare Ga- ratoni sopra un'antica iscrizione cristiana. E' inserita del voi. VI del Giornale Pisano 1771, in 12; e nel voi. XV della Raccolta di dissertazioni ecclesiastiche del Zaccaria, XLIX Illustrazione di una lapida greca scritta dall'ab. Gae- tano Marini. E' inserita nel voi. XVI del Giornale Pisano 1774 12. p. 174- esegg. Questo marmo e quello del n. precedente aequi* «tò il Borgia dallo stesso Marinif 230 Letteratura L. Musaico a bassorilievo illustrato. E' inserito nelle Memo- rie per le belle arti del Guattani; maggio 1788, 4 fig- H Borgia lo acquistò dal Ceccarini. §. III. OPERE INTORNO MONUMENTI DEL MUSEO BOR- GUNO, PUBBLICATE DOPO FATTANE LA VENDITA. LI. Di una lamina volsca veliterna del museo borgiano, lette- re divinatorie di Francesco Orioli. Bologna Nobili 18 16,4- Edizio- ne incompleta, non mai messa in commercio. LII- Lettera di Clemente Cardinali sopra due antichi marmi scritti, \ns^r'\\.& nel Giornale enciclopedico òì NopoH,mag.i8i8, 8. LUI. Dissertazione di Bernardo Quaranta sopra un bronzo antico già del museo borgiano. Nel voi. 3 degli Atti della società pontaniana. Napoli 1819, 4 fig- LIV. Osservazioni sopra il museo per lo innani^i borgiano in yelìetri e di A. H. L. Heeren, inserita nella terza sezione voi. I del giornale pubblicato in Lipsia da C. A. Beettiger, presso Go- schep, intitolato Amalthea, 1S10, 8, LV" In tabulam aheneam veliternorunt commentarium Rai- mundi Guarini. Napoli, società filomatica: i8ao, 8. LVI. Schedium de lamina veliterna. Nel Giornale Arcadico 1820, 8. N'è autore il P. Luigi Parchetti C, R. Somasco. LVII. De inscriptione greca musei borgiani F'elitris epistola Cajetani Migliore pubblicata d^me con note nelle Effem. lettdì Roma, agosto 1822, 8. LVIII. Nummi unciales aerei musei borgiani Velitris a Geor- gia iSoega descripli cum adnotationibus Phil. Aur. Kicecomitis ; edidit C- Cardinali. Nel voi 3 della Nuova collezione d'opuscoli pubblicata in Firenze dall'Inghirami, 182?, 8, LIX. Minerva, Mercurio, Argo e l'Argonave, bassorilievo in broni^o già del veliterno museo borgiano, descritto da C. Cardi- nali. Nel voi. I delle Memorie romane di antichità e belle arti, Roma 1825, 8 fig. Jj^' Descrizione del toro Api egiziano in bronzo esistente nel museo borgiano ; di Giorgio Zoega. Roma nel voi, 2 delle Me^ morie di ant. e belle arti 1825, 8. LXI. Descrizione di alcuni vasi fittili del museo borgiano , stesa da Luigi Lanzi. Roma nel voi. 2 delle Meni, di ant. e belle arti 1825, 8. LXII. Lettera di Clemente Cardinali intorno un'antica lapi- de cristiana, inserita nel voi. 2 degli Atti dell' accad. romana di Archeologia 1825, 4« Lettere di Barthélemy 231 LXIII. Terre cotte volsche (v. il prec. n. IV) illustrate da Gio. Battista Finali, nel voi. X. del Museo borbonico tav. 9, io II, 12. Napoli i834, 4» fi?* LXIV. Due bassorilievi egiziani in marmo illustrati da Ber- nardo Quaranta, nel voi. X del Museo borbonico tav. 48- Napoli 1834, 4, fig- LXV. Bassoriliei-o egiziano illustrato da B. Quaranta, nel voi. XI del Museo borbonico, tav. 19. Napoli |835j 4*fig- LXYI. Queste due lettere del Barthélemy. §. IV. OPERE INEDITE INTORNO MONUMENTI DEL MUSEO BORGIANO. LXVII. Algonti canonici veliterni ex aere musei borgiani felitris sigillum vetustissimum illustravit Aloysius Cardinali. Ma- noscr. autografo presso di me. LXVm. Illustrazione della lamina \>olscadel museo borgia- no, di Lodovico Coltellini. Yeàì l'opuscolo del rned. Coltellini in- titolato: Dissertazione eopra un ara etrusca. LXIX. Inscriptiones borgianae. L'autografo dell'ab. Ignazio M. Raponi è presso la propaganda; io ne ho una copia. LXX. Iscrizioni antiche borgiane con note di C. Cardinali. Manoscr. autogr. presso di me. JjXXL Memoria di Filippo Aurelio Visconti sopra il museo borgiano veliterno. Ne ho una copia descritta dall'autografo. LXXII. Memoria di Daniele Francescani sul bue Api del museo borgiano. Vedi \e Relazioni accademiche del Cesarotti, Op. compi, voi. XVIII p. 124 e segg; ed il Mustoxidi nel secondo vo- lume della Traduzione d'Erodoto, dove è anche il rame del mo- numento. LXXIII. Sigilla impressoria ahenea musei borgiani Velitris a Phil. Aurelio yicecomite ex afysuitoiq descripta anno 1812. Ne ho una copia tratta dall'autografo. LXXIV. Ad iscripfionem Flauiae Antoninae musei borgia- ni commentarius, sivede antiquis iudaeis italicis exercitatio epi- graphica; auctore Caietano Migliore. L'autografo nella pubblica biblioteca di Ferrara, fra i codici uum. 269. LXXV. Illustrazione delle patere etrusche borgiane scritta da Luigi Lanzi, in Firenze. Vedi l'opera d'Inghirami Monumenti etruschi o di etrusco nome. LiX.X.yi. Calendari runici borgiani illustrati dal dottor Chri- stiana Romus. Manoscritto autografo alla propaganda.Yedi Borson p. 38 dell'opera qui sopra i-iportala al num. XXXIII. 232 Letteratura LXXVII. Dissertazione del P. Angelo M. Cortenovis suUt medaglie illiriche del museo borgiano. Vedi l'opuscolo del Corle- novis mìÙIoÌaìo: Iscrizione greca di Basilea ec. nella prefazione. LXXVm. Illustrazione d'un mappamondo tedesco del i4oo esistente nel museo borgiano : dell' ab. Giuseppe Toaldo. Vedi Francesconi; Di un' umetta lavorata all'agemina p. LIV. LXXIX. Illustrazione di un mappamondo tedesco del i4oo esistente nel museo borgiano : del conte Si/none Slratico. Vedi Francesconi di un' umetta lavorata all'agemina p. LIV. IjXXX. Illustrazione della grand' urna di basalte gerogli fica- ia entro p. fuori esistente nel museo borgiano del card. Stefano Borgia. Vedi Cancellieri, Elogio del card. Borgia p. 6. LXXXI. Illustrazione di un antico sigillo di Fiumicino esi' stente nel museo borgiano del card. Stefano Borgia. Vedi Cancel- lieri, Elogio del card. Borgia p. 9. LXXXII. Esposizione del codice messicano di pelle di cervo lungo palmi 42, esistente nel museo borgiano: di Lino Giuseppe Fabreca. Vedi Borson a p. Sg dell' opera indicata qui sopra al num. XXXIII. LXXXIII. Note ed illustrazioni di un calendario necrolo- gico, e di una liturgia di Monte Cassino esistente in un codice del museo borgiano. Mss. presso la propaganda. LXXXIV. Dissertazione di Clemente Biagi sulla te,ssera o- spitale borgiana. Vedi qui avanti la nota (•!&). LXXXV. Dissertazione elei Villoisons sulltt tessera ospitale borgiana. Vedi qui avanti la nota (q6). LXXXVI. Autografo di Raffaello esistente nel museo bar- giano con noie di Daniele Francesconi. Vedi l'opuscolo del Fran- cesconi intitolato, Congetture sopra una lettera di Raffaello ec. p. 100. LXXXVII. Catalogus icodicunt coptothebaicorum musei bor- glani, auclore Federico Engelbreth. \. Borson a p. 21 dell'opera qui innanzi notata al num. XXXIII. LXXXVIII./«,//ce delle statuine in bronzo esistenti nel museo borgiano; di Luigi Lanzi. Ne posseggo una copia tratta dall'auto- grafo per cortesia di Filippo Aurelio Visconti. LXXXI X Dissertazione dei vasi di creta del museo borgia- no (diversa dal n. LXl!; di Luigi Lanzi. Ne posseggo copia trat- ta dall'autografo per favore di Filippo Aur. Visconti. XC. Descrizione dei monumenti egiziani del museo borgiano di Velletri, fatta da Giorgio Zoega. L'autografo è presso di me. XCI. Codices copti borgiani ab Aloysio Mingarelli illustrali. Vp.yoe -ji àeXìeMeniorie del Mingarelli scritte dall'ab. Cavalieri. Lettere di Barthélemy 233 XCII. Le iscrizioni antiche cristiane del museo borgiano in P'elletri con note di Luigi Cardinali.Uautogvato è presso di me. xeni. Medaglie delVinfuno evo esistenti nel museo borgia- no, descritte da C. Cardinali. L'autografo è presso di me. XCIV. Stima e descrizione del museo borgiano veliterno. Ne posseggo una copia tratta dairoriginale dei signori barone Akérblad e Filippo Aur. Visconti. XGV. Inventario e stima delle medaglie, idoli di metallo, iscrizioni lapidarie, vasi antichi , codici, altre antichità lasciale dal card. Borgia in Roma, composto dall' ab. Gaetano Marini e Pilippo Aur. Visconti. Ne ho una copia desunta dairoriginale. Certo in ninno dei molti cataloghi delle opere relative al mu- seo borgiano, che si hanno alle stampe , sono ricordati non dico tutti, ma neppure la metà, ola terza parte di questi novantacin- que articoli. Ognuno può farne il confronto con gli elementi pub- blicati nel Giornale della letteratura italiana ( Mantova 1794 ) ■> nelle Effemeridi enciclopediche (Napoli lygS), nelle opere di Bor- son (qui sopra n. XXXIII), di Millin (qui sopra n. XL), di Asse- mani (qui sopra n. XXI) e nelle altre del P. Paolino da s. Barto- lomeo [Vitae synopsis Stephani card. Borgiae], del Nuzzi [Leti, sitll'orig. ed uso del nome Papa), del Renazzi [De laudibus Leo- nis X oratio) , del Baraldi [Notizia biografica del card. Stefano Borgia). Anche nell'immagine di Carlo Scapin libraio in Padova, morto nell'agosto i8oi, si leggono i soli nomi de'principali scrit- tori del museo borgiano. Altre moltissime poi sono le opere nelle quali leggonsi riportati ed illustrati altri monumenti borgiani. Io terminerò questa lunga nota , accennandone alcune, gli autori delle quali furon certo i primi luminari dell'archeologia de'tempi nostri, e di quelli de'nostri padri. Adler. Vedi qui avanti i n. I e XXIV. Affò. Vedi qui avanti il n. XX. Akérblad, Vedi qui avanti il n. XCIV- Amaduzzi. Vedi qui avanti il n. XIV ; nelle sillogi lapidarie inserite fra gli annedoti romani; neW Jchnographia vet-Romae. Antemori. Nella storia del duomo d'Orvieto. Antolini. Nel tempio d'Ercole in Cori; nella raccolta de' can- delabri. Arevalo. Nell'edizione delle opere di Prudenzio, Assemani. Vedi qui avanti i n. XXI. e XXVI; nell'estratto di una diss. sulle iscrizioni cuneate di Persepoli. Astle. On the radicai letters of the pelasgians and their domi- nations. Avellino. 'ì^cWltaliae veteris numismata. G.A. T. LXXIV. 16 03/|. Letteratura Barthélemy. Vedi qui avanti il n. LXVI. Becchelti. Vedi qui avanti il n. IV. Biaei. Vedi qui avanti il n. LXXXIV; ne Monuin. gr^ et la' tin. musei naniani. Bocchi. Vedi qui avanti il n. XXXVII. Borgia. Camillo. Vedi qui avanti il n. XXXV. Borgia Stefano. Vedi qui avanti il n. LXXX e LXXXI; nei commentari De critce vaticana, de cruce vehternci. Borson. Vedi qui avanti il n. XXXIII. Cancellieri. Nell'opera De secrelariis ec. Cardinali Clemente. Vedi qui avanti i n. LII. LIX, LXII, LXXeXCIII' nella silloge d'iscrizioni; nelle iscrizioni veliterne. Cardinali Luigi. Vedi qui avanti i n. LXVII e XCII. ChampoUion. Vedi qui avanti il n. XLII. Coltellini. Vedi qui avanti il n. LXVIII; nella diss. sopra un ara etrusca Corlenovis. Vedi qui avanti il n. LXXVII. D' Agincourt. Nella storia della decadenza delle arti. Da s. Bartolomeo . Vedi qui avanti i n. XXIII, XXVIII e XXIX; ne" monumenti indici naniani ; nel viaggio alle Indie ; neW India orientalis Christiana ; nella diss. De latini sermonis origine; nella diss. De veteribus indis. De Blasi. Nella serie de'principi longobardi. De la Barde. Nella descrizione del musaico d'Italica. De Lama. Nella tavola alimentare veleiate Della Valle. Nelle lettere senesi. Di Rezzonico. Vedi qui avanti il n. XXVII. Engelbreth. Vedi qui avanti il n. LXXXVII. Fabreca. Vedi qui avanti il n. LXXXII. Fabticy. Vedi qui avanti il n. XLIII; nella Diatribe qua bi- bliographiae antiquae et sacrae ec. . Fea. Vedi qui avanti il n. XXII; nella storia dell'arte di Win- ckelmann. Finati. Vedi qui avanti il n. LXIII. France.iconi. Vedi qui avanti i n. LXXII e LXXXVI. Gabrini. In una lettera inserita nell'Antologia Romana del 1790. Garampi. Vedi qui avanti il n. XLVII. Giorgi. Vedi qui avanti i n. II. XVII e XXX. Gori. Vedi qui avanti il n. XLIV. Guarini Vedi qui avanti il n. LV; in diversi suoi commenta- ri; ne' sugelli antichi. Guatlani. Vedi qui avanti i n. V, VIII, IX, X, XI, XIII, XXXIX. L. Lettere dì Bartiiélemy 235 Heeren. Vedi qui avanti i n. XI e LIV; nel Coni, in opus cae- taluni musei pii eleni. ignàrrà. ^e\V operai Ì)e phratriisec. inghirami. iSe'nioriiitnénti etruschi; nella nuova collezione di opuscoli; invernizzl. Vedi qui avanti il n; ìli; nell'opera De puhlicis et trimirialibus iudiciis. LabuSi Nella prefazione al niuseoi chiaranlonti j nella diss. De la cértitudé (te la sciénce des àntiquités. Lanzi Vedi qui avanti i n. LXl, LXXV> LXXXVIIIéLXXXI X, bel saggio di lingua etruscà. Lazzaririi. Nell'opera De vario tintinnabulorum usti. Marini. Vedi qui avanti i n. XLVIII, XLIX, XCV; nelle iscri- zioni albane; nfe'fratelll arvali; ed in altri scritti minori. MarOrii. Nell'opera De episcopis ostiensibus et veliternen. Melchiorri. Nella diss. In vélerem Demetrii Superistaetitulum. Migliòre. Vedi qui avanti i d. LVII e LXXlV. Milìiii. Vedi qui avanti il ri. XL; nella Calerle mythologique. Mingàrelli. Vedi qui avariti il ri. XCI. Munier. Vedi qui avariti i ri. VII e XlX. Noel. Nel diziotìaiio della favola, ediz. di Milano. Novu^ thesaurus genimaruni etc: Orioli. Vedi qui avanti il n. LI. Parchetti. Vedi qui avanti il n. LVI. Payné Knigt. An anatycal essay on the greck alphabeth. Perrini. Nel gabinetto minéràlogicO del Nazareno. Quaranta. Vedi qui avanti i n. LUI, LXIV e LXV. É.amus. Vedi qui avanti il n. LXXVI. Raponi. Vedi qui avanti il n. LXIX; nel Recueil des pierres grave'es; nella lettera De quodam epigrammate graeco. Riccy. Nelle nlenloritì stòriche d'Alba longa. Schovv. Vedi qui avanti i n. XV e XVII. aerassi. Nella vita di Torquato Tassò. bestini. Vedi qui avariti i ri. XXXII é XXXIV. Siebenkees. Vedi qui avanti il n. XVI. StraticO. Vedi qui avanti il n* LXXlX. Tariirii. Nel supplimento al Baridtiri. Toaldo. Vedi qui avanti il n. LXXVltl. trevisani. Vedi qui avanti il n. LXXXVIII. Vermiglioli. Nella lettera sopra una patera elrusca; nelle iscri- zioni perugine. Vettori. Vedi qui avanti i n. XLV e XLVL Villoisons. Vedi qui avanti il n. LXXXV. 23G Letteratura Visconti Ennio Quirino. Vedi qui avanti il n. XXXVI; nel museo pio dementino; ne'monumenti gabini. Visconti Filippo Aureiio. Vedi qui avanti in.LXXI,LXXIir, XCIV e XGV nel museo cliiaramonti. Wad. Vedi qui avanti il n. XXXI. ìVoide. Nel Novum testamentuni geaècuni. Zoega. Vedi qui avanti i n. XII, XLI.LVIII, LXe XC; nell' opera De usu et origine obeliscorum; ne' bassorilievi Albani. E ritornando col discorso là donde ebbe principio questa lunga nota, dirò che ogni elogio che far si potesse del card. Ste- fano Borgia sarebbe minore del vero, essendo ben difficile lo- darne degnamente la dottrina, l'amore agli antichi monumenti, la larghezza della spesa in raccoglierli, la cura instancabile nel procurarne convenevole illustrazione, la protezione verso i dotti di ogni nazione, la stima ed il rispetto che le sue virtù gli sep- pero conciliare Lamothe-Langon. Di- scorso a S. E. il sig. commendatore Mouttinho amhasciatore e ministro plenipotenziario del Bra- sile in Francia (1). 1. X lon vi ammirerete, o venerando signore, che io imprenda a ragionare di un poema che ebbe vi- ta in terra straniera; perchè voi ben sapete che se io non so ne vorrei dipartirmi dall'antica sapien- za de'padri miei, soglio nondimeno riconoscere la dignità di quelle opere che non si disformano alle leggi eterne dell'inlelletto umano. Oh! certo non è disonesta la mia querela, allorquando io grido a quella superba e rozza povertà, in che per alcuni si vanno ravvolgendo le umane lettere; e allorquan- do io mi compiango di que'tanti scrittori, i quali ad altro non sembrano intesi che ad incuorare le vergogne del secolo, o a sgomentare il volgo lavo- rando ed istoriando terrori. L'esempio di questi ma- li ci venne dalla setta di que'falsi dottori in tutto forestieri all'Italia, i quali bestemmiando il senno degli antichi vollero gittare in fondo le ferme e ri- cevute ragioni dell'arte; perchè disperati erano di quella bontà, onde i greci, i latini , e i maggiori italiani furono esempio a tutto il mondo civile. E (i) Les merveilles de la natme; par le barou Laiuothe-Lau- gon. Paris i858 iti 8. 233 Letteratujijv ben diritto che siano invecchiate per noi e per tutti i popoli le forme cieUe credenze antiche, e quella altre reliquie di non perfetta ciyilt'4 che gi^ fu^» rono fatte polve e dal martello del tempo, e dal jrjigliore talento delle genti nupye, E dirò anch'ÌQ gl^e i poeti debbono tenersi lontani da quelle gio-= ponde ma viete invenzioni, che nj^l s'innesterebbe^ fO nelle menti di poi tanto diversi d^i greci per sì lungo travasare di tempi, di favelle, di servitù, e d'imperio. Ma che per questo? La bellezzj^ e I4 ragipne song lumi iniraortali nel mondo; e se dopo tanto giro di età. abbiamo ancor viye e spiranti di una fioritissittiia y\m. la virtù di Qnjero, di Demo-r Stene e di Fidia, f^reinmo consiglio piucchè bar-? baro nel ripugnare esempi di perfezione che furo-? no e sono i rniracoli dell'umano potere, 2. Autore del poema di cui ragiono è il baro^ pe Lamothe-Langon, uomo di ben nudrito ingegno, e che in poco di tempo ha levato nriolto grido di se. I Racconti^ onde egli fece dono alla Francia, so-» no invenzioni naturali e gentili che non ti Rìettonq avanti ne speittri, ne lucerne nudrite qpl midollo degli uonjini, ne macelli di carne viva, ne bordelli d' infami libidini, Egli si tenne al vero ufficio de-^ gli scrittori, i quali sono mandati in terra al ri- storo della umana dignità, non a salmeggiare i for-? lunati delitti, ne a lusingare le inique voglie dell* uomo. E a buon conto la virtìi paga con troppe lar grime quel santo magisterio, ond'ella si fa conforta^ trice del genere umano, senza che le si levino in vi-? so le beffe e le scellerate industrie de' romanzieri. Farmi poi che lo stile del Langon sia di maniera riposata e sicura: e che le passioni sieno da lui fi- gurate quasi sempre a legge di vero. Tu vi cono- PORMA DI Lamotiie 239 sci un senso tutto modesto, e a dolci spiriti nu- trito; una schietta intelligenza della natura e dell* arte: die è pure la stessa natura, che a nuove for- me si viene foggiando nelle mani dell'uomo. Che se alcuna volta le immagini ti si fan fredde e mute di quell'arcano affetto, che è 1' istrumento principale dell'eloquenza, non sei costretto a lamentare quel gran puntar d'ingegno, e quel giocar di immagina- zione con che taluni si vanno comprando le rive- renze della stolta moltitudine. Ora vengo al poema. 3. Il quale è compartito in sei canti, e tratta delle Maraviglie della natura. Argomento di mole tremenda, perocché nell'universo tutto ha le mira- bili impronte dell'onnipotenza; i cieli, il mare, un vermicciuolo, un fiore, la polvere delle vie. Non volle l'autore (ne il potea) descriverci tutte le ope- re della creazione; bensì quelle trascelse che piìi facilmente si prestano ad esser cantate; nel che beil mostrò di essersi informato a quella grande dottri- na indarno combattuta dai romantici, che i grandi concetti non sono poesia ove non abbiamo in se uno spirito efficace ad animare gì' insensati oggetti del- la natura. Questo principalmente divide poesia da prosa. Quel dolce incanto, con che si acquieta l'an- goscia d'ogni umano desiderio; quel tale delirio di felicita, che ci fa morti alle pene, e alle dure deli- zie del mondo; quella potenza d'umano affetto, che in certo modo riscalda le cose viventi, e crea come dal niente un novello ordine di natura: queste so- no le prime qualità che io domando al poeta, e del- le quali il Langon mi da nobilissima vista (1). Ma (i) Bacone da Veiulamio diedu uu" alta definizione della 240 Letteratura tali qualità non debbono con tormento continuo la- vorare nciranimo del poeta: e ne manco il potreb^ bero. Onde al raffreddarsi di quelle, risorge l'ope* / ra del giudizio a disporre e a disegnare le imma-r gini secondo le vive apparenze del vero; a sceglie-;» re fra le possibili forme quelle che meglio assen- tono alle immagini stesse; e infine a legare e a reg^ gere quasi con filo interiore il complesso di tutti quanti i pensieri. E anche per queste belle indu-^ strie l'illustre francese parmi degno di lode. Ma dovrò io lodare il Langon di quelle opinioni po- litiche, ond'egli ha ingrossato la materia del suo poema? No: la didascalica , del cui genere è que-? sta invenzione, può bene distendersi oltre i termini che le sono prescritti: può dai mistici velamenti della favola, dalle storie, e dai libri della morale procacciare molti casi ed accidenti, che narrati in-^ ducano maraviglia e diletto; per tal guisa è variato quel perpetuo tenore d' insegnamento che di per se renderebbe fastidioso l'ufficio della didascalica poesia. E già cjuel Cesare trucidato, que' miracoli orrendi, e quell'Augusto piovuto dal cielo, di che Virgilio cantava nelle georgiche, sono esempio no- bilissimo alla libertà de'poeti; esempio al quale eb» ber la mente e il gran Fi*acastoro , e il Vida , e l'Alamanni, e l'altra bellissima schiera de'didasca-^ liei italiani. Nondimeno questo Langon fece non opportuno consiglio mescendo alle sue invenzioni af- fetti stranissimi al principale argomento: il quale poesia ; definizione che forse era più acconcia ai tempi suoi di quello che lo sia ai tempi nostri. V. De augmentis sc'entiarum. Lib. -2. cap. I. PoEnlA DI Lamothe 241 per essere tutto sublime, e veramente sacro, do- mandava tutt' altra discrezione; e per nulla dovea infettarsi di que' tristi umori di parte, onde sono ammorbate oggidì molte delle cose umane. Consen- to air illustre francese, che il poeta possa alcuna volta denudare i giudizi segreti, gli affanni, e i de- siderii dell'animo suo; ma poiché l'argomento è scel- to, noi dobbiamo a questo servire: non questo a noi; e molto meno possiamo violentemente slogarlo so- vra materia diversa pel solo fine di magnificare pas- sioni private. Ne mi si rechi innanzi l'esempio di Dante Alighieri, Primieramente all'onnipotenza di queir ingegno poteva esser concesso un ardimento, lal quale non volle disciogliersi lo stesso Omero; e appresso egli correva altra acqua: perchè mirava al ristoramento delle miserie italiche, non ad irri- tare le rabbie de'partiti. 4, Il nostro poeta è valentissimo nel descri- vere. Tu hai come spiranti e pieni di vita i con- cetti che egli ti pone dinanzi ; e la tua anima si rallegra mirabilmente a quello stile numeroso, gra- ve e soave ad un tempo. Farmi però che alcuna volta il Langon stemperi le idee in un soverchio di parole: ciò che forse è da reputare al poco ma- gisterio poetico tollerato dal linguaggio francese; o forse io stesso m'inganno, essendo io per natura non troppo amico della bella fronda, e devoto all'amo- re del nervoso e denso parlare dei vecchi italiani e dei latini. Giudicar poi se la dizione del Langon sia di vena al tutto purissima, in me straniero e in tanta povertà di studi sarebbe ingiusta e noiosa te- merità. Dirò piuttosto che il Langon sa temperare mirabilmente a suo prò gli affetti di chi legge od ascolta. Ed oh! in qual viva tenerezza di lagrime se 242 Letteratura n' andava il cuor mio , allorquando io leggeva in questi canti le sventure di Cristoforo Colombo (1)! 5. Fra i grandi peccati della setta romantica io soglio annoverare il dispregio di quel sacro pre- cetto; Scribendi recte sapere est et principiam et fons. Di che ben addentro senti la ragione il nostro francese; e me ne persuade il vedere che egli po- se per fondo al poema un ordine di dottrine non false, ne mozze, ne pensate secondo la facile sapien- za de'moderni filosofi: e poiché queste sono incarna- te a una bellissima forma di poesia, saranno lodate dai filosofi ; e piacevolmente educheranno gli intel- letti ad utilissime verità. Duolmi però che il poe- ta sen vada in troppo aspri detti contro la gene- razione de'romantici; che il vero con soavi e mo- deste parole vuol predicarsi ; e oltre questo alcu- ne potenti e onestissime ragioni, in che sogliono ar- marsi costoro, debbono con sottile diligenza e debi- to ossequio essere riguardate. Del resto non mi è possìbile dubitare che le sentenze del Langon sia- no lontane a ragione; anche lo stesso Byron ed il Goethe impugnarono le romantiche opinioni (2). E chi non vede che se la poesia può nudrirsi ai li-- bri de'teologi e de'filosofi, non può ne deve tramu- tarsi in teologia ne in filosofia? Si pongan pure i (i) la Italia pur finalmente le sciagure di Cristoforo Colom- bo hanno un degno cantore nel genovese Costa, (2) Intorno alle presenti condizioni della nostra letteratura il sig. Luigi Cicconi ha pubblicato in Parigi due lettere dirette al celebre sig. Michaud membro della R. accademia francese. Io penso che queste due lettere siano assai strane j e disordinate dal vero, e che l'italiana sapienza abbia molto a dolersene. Per- ciò mi son creduto in debito di esaminarle. la breve le mie os» jervazioni vedranno la luce. Poema di IìAmothb 243 poeti, se loro è in grado, sulla decantata vìa del progresso nmano; ma ricordino che il desiderio di npyità è degnissìino di anime libere allorquando non sian soverchiate (juelle regole che son l'opera (della ragione umana e de'secoli, perciò non ci dia^ no mostri né orrori? e finalmente considerino che tutti quegli scrittori, che manomettono l'antica one^ sta e le ragioni della favella, fanno un' onta cru" deli$3Ìm9 ^Ua civile maestà della patria, C. GyZZONI DEGH AwcARAMf, ^55 Opuscoli varii di Pier Alessandro Paravia raccolti ed emendati dalV autore, Torino per Giacinto Ma-' rietti 1837, Orazione pel riaprimento degli studi nella regia uni-f ver sita di Torino Vanno 1837, Torino tipogra^ p.a CJiirio e Mina, Oaggio pensiero è stato quello del eh. sig. Pier Alessandro Paravia dottore di ambe le leggi, cav. del sacro militare ordine de'ss, Maurizio e Lazzaro e prof, di eloquenza italiana nella regia università di Torino, di raccogliere in questo volumetto di car-. te 288 varie produzioni originali già da esso pub- blicate, ed ora, come si pare dal titolo, in qualche luogo emendate. Tre sono le vite che vi si leggono: la prima è di x\lfonso Varano ristampata anche in 244 Letteratura Roma nel 1825 dal Mordacchini, innanzi alle opere teatrali di quel poeta divise in quattro volumi: la seconda è del Tiraboschi, la terza di monsig. Fran- cesco Bianchini. Nella prima vita si è l'autore dif- fuso in mostrare come il Varano fu benemerito dell' italiana tragedia e della poesia dantesca, cui con- tribuì a rimettere in onore: discorre nella seconda del merito e delle fatiche letterarie del biblioteca- rio modanese, cui l'Italia dovrà sempre esser gra- ta, perchè fu il primo a darci una compiuta isto- ria della sua letteratura (1). La vita del Bianchini è un compendio di quella dettata da Alessandro Maz- zoleni: vi sono però aggiunte notizie interessantis- sime tratte da una vita inedita del Bianchini scrit- ta dall'avv. Giuseppe Cito napolitano , e che fu al Paravia comunicata dal eh. monsignor Muzzarel- li. Seguono la bella orazione sulle lodi di Filip^ pò Farsetti, recitata nella grande aula della regia accademia di belle arti di Venezia per la solen- ne distribuzione de'premi il dì 2 agosto dell' an- no 1829, e l'altra parimenti elegante per l'inaugu- razione del monumento posto nell'atrio interno del (i) L'elogio del Tirabosclii scritto dal sig. canonico Eugenio Guasco, che il sig. Paravia dice di non sapere se fu dato in luce, fu pubblicalo in llonia nella stamperia Pagliarini l'anno 1796 col seguente titolo - Adunanza tenuta dagli Arcadi nella sala del serbatoio il di l'i marzo lygS in lode del defunto Cratillo Idèo cav. abate Girolamo Tiraboschi- Dopo la prosa seguono va- rii bei componimenti, fra i quali primeggiano i nomi di Giusep- pe Antinori, di Francesco Antonio Fasce, e di Luigi Lamberti. Quest'ultimo dettava un bellissimo sonetto inserito nel dello li- bro a pag. 5i, che con alcune varianti veniva ristampalo in morte di Carlotta Melania Duchi Alfieri, e si legge alia pagina .10 delle - Poesie e versioni inedite o disperse di Luigi Lamberti reggiano. Reggio 1822 -stamperia Torreggiani e compagui. OptrscoLi DEL Paravia 245 teatro della Fenice in Venezia ad onore di Carlo Goldoni, orazione declamata nell'atrio medesimo la mattina del giorno 26 dicembre 1830. L'autore, per riuscir nuovo in argomento di già da altri trattato, prese a parlare di ciò che nella vita del Goldoni è veramente veneziano , e fece vedere » che grande obbligo ha Venezia col suo cittadino per la gloria che le ha procacciato in qualità di grande scritto- re. » E fra i varii argomenti per dimostrare la sua proposizione ha recato ancor questo, cioè » l'onor grandissimo che deriva a Venezia dall'avere il Gol- doni cosi vivamente rappresentato, e cosi largamen- te diffuso il veneziano costume. » In fatti chiunque pongasi a leggere le commedie di lui non può non gustare, ammirare ed amare quell'ingenuo e lieto costume de'veneziani. La biografia del conte Gio: Francesco Galeani Napione di Cocconato è un tributo di gratitudine, ch'ha voluto egli offerire alla memoria di un uomo insigne per bontà di costume, per incarichi soste- nuti, e per varietà di cognizioni. In fine di essa bio- grafia è riportata la iscrizione latina, che il mede- simo cavalier Paravia gli fece erigere nel chiostro del seminario patriarcale di Venezia, ove in pietra ne fece anco scolpire il ritratto. Leggesi per ulti- mo un affettuosissimo sonetto, che il nostro A. com- pose quando in compagnia della contessa Luigia Lappiè, figlia del Napione, ne visitò il sepolcro nel- la domestica sua chiesetta al Rubatto. Esso è il se- guente. 246 LetteratuiìA Ahi! troppo tardi io venni j e mi deluse Di tua verde vecchiezza il dolce inganno; Venni, ma poi che l'urna a te dischiuse Morte nimicai di color che sanno^ Or io bacio quest'urna^ a cui le muse Pensose deMor mali assidue stanno: Piango, e le gote di pàllor suffusé Meco la figlia tua piange il suo danno. Ma la fedele! che ti visse a Iato Può all*afflitto pensiero e al guardo mesto» Fingersi almeno il tuo sembiante amato; lo, che da miei più cari esule resto^ Spero indarno conforti all'egro sfato Se il ciel nimico mi rapia pur questo^ Il ibrano intorno al p. Éartoli e alle sue sto- fie e tolto da quelle lezioni, che il Paravìat ténei^ suole innanzi ad Una moltitudine dì svegliati gio- vani^ e le quali vorremmo per vantaggio delle let-» fere che fossero gik di pubblico diritto. In que- sto squarcio mentre il prof, si fa a svolgere i pre- gi di quel Bartoli, di cui disse il Monti che riiuno conobhé tnegiio i più riposti segreti detta riosircL lingua^ non manca d'indicarne anco i difetti^ e sag- giamente avvisa la gioventù * che il Bartoli è scrit- tore di storie maraviglioso, ma ch'è più fàcile che sia da tutti ammirato, che imitato da alcuno * La dissertazione sulla patria deMue Plinii è in- dirizzata al cavaliere Ippolito Pindemonte , ed in questa dimostra con salde ragioni che i Plinii eran più tosto nati in Como, di quello che in Verona. Nella lettera al conte Giovanni F'rancesco Na^ pione tratta del volgarizzamento delle lettere di Plinio il giovane fatto dall* abate Giovanni Tede- Opuscoli del Paravia 247 scili, pubblicato la prima volta in Roma nel 1727 e quindi in Livorno nel 1753-59: la qual ristam- pa sarebbe stata l'ultima, se in Milano, non ha mol- to, non se ne fosse procurata una nuova edizione. Il Napione aveagli addimandato che cosa pensasse di tale volgarizzamento; il Paravia dimostra in que- sta lettera che Tabate Tedeschi si giovò della tra- duzione del Sacy, data fuori nel 1701 quando i li- bri francesi non aveano ancor tanta voga al di qua delle alpi. Egli per far questo confronto esamina con attenzione le sole prime cinque lettere del pri- mo libro: anzi omettendo la prima, che è breve e di poco momento, restringe il suo esame a sole quat- tro lettere , le quali non sono neppure delle piìi lunghe: aggiunge, che se entro a così brevi termi- ni gli riuscirà di cogliere il Tedeschi in tali e tan- te colpe verso il suo autore^ che basterebbero a de- turpare la sua traduzione quando anche non vi s'i?i- contrassero che queste, dovrà giudicarsi da questo saggio se la detta traduzione meriti , non dirassi quella stima , ma neppure quella indulgenza con che da taluni sembra essere stata fìno ad or ri- cevuta. Nota inoltre nel Tedeschi una grande infe- deltà, per cui o fa dire a Plinio ciò che non dice, o gli fa tacere ciò che dice, o gli fa dire il con- trario di ciò che dice. Dalle quali osservazioni è chiara la conseguen- za, che questo scrittore abbisognasse di essere inte- ramente tradotto, non essendo se non di poche let- tere le versioni che ne abbiamo fatte dal Dolce, dal Vannetti, dal Zannolini , da donna Margarita Fabri negli Altemps e da altri. E questa gloria devesi al medesimo cav. Paravia, il quale non solo ne stampò un saggio nell'Antologia fin dall' anno 248 Letteratura 1825, e nel primo tomo degli atti dell'ateneo di Venezia, ma in appresso tutti volgarizzò que'dodici libri, aggiungendovi in fine opportune note. Ne man- cò di apporvi allora il testo latino, affinchè meglio si potesse confrontare dai dotti là li^aduzione. Della quale letteraria fatica amplissimo frutto raccolse il Paravia, si pe'favorevoli giudizi che ne vennero dati dai giornali, si ancora per essere stata riprodotta nel 1834 in Torino dal Marietti, non avendo manca- to l'autore di rivedere e di ritoccare il suo lavoro. Ritornando però agli opuscoli, di cui abbiamo incominciato a parlare, dopo la lettera al Napione segue una breve, ma assai elegante notizia della con- tessa Anna di Schio di Serego Allighieri, illustre da- ma colta da immatura morte nel 1829 in Verona sua patria, e sopra la cui tomba sparsero fiori illustri let- terati encomiandone in prosa ed in verso lerare virtìi. Vengono per ultimo dodici articoli necrologici, inseriti in diversi tempi o nel giornale di Treviso, o nella gazzetta di Venezia. Sono essi di Giovanni An- tonio dalla Bella padovano già prof, di fisica speri- mentale nell'università di Coimbra, del conte Fran- cesco Benedetti Forestieri di Sinigaglia, che con tan- ta grazia avea incominciato a tradurre l'elegie di Ti- bullo, del conte D. Agostino Carli Rubbi commenda- tore del s. ordine militare de'santi Maurizio e Lazza- ro, e figlio del celebre Gian Rinaldo Carli, di Gio- vanni Battista Gasparri morto in Venezia nell'ottavo lustro di sua età, di Paolo Giaxich, di Antonio Me- nizzi gih direttore della regia zecca di Venezia, di D. Giuseppe Monico arciprete di Postioma, di Giu- lio Perticar!, il cui nome è superiore ad ogni elogio, e del conte Alessandro Sclopis di Salerano torinese cultore illustre della lingua latina e della poesia. Opuscou del Parwia. 249 Anche uno di questi articoli necrologlcl è con- secrato alla memoria di Clemente Bondi, di cui si fa a rivendicare la fama, correggendo il Sismondi, il quale gli movea rimprovero perchè avesse scritto cose profane. ,, Io per me, dicea il sig. Sismondi, vorrei che un abate facesse poemi religiosi se tale è la sua vocazione, o veramente che dimenticasse del tutto, o ne lasciasse dimenticare che egli è abate „. Il Paravia fa vedere, che il Bondi non fu mai prete, che mai non appose alle sue opere il titolo di abate, e che solamente per suo comodo vestiva di nero. Ab- benchè, a dire il vero, le poesie di questo ex-gesuita sono tutte sì oneste, che possono liberamente lasciarsi nelle mani delle persone le piìi scrupolose ; e solo ne dispiace che c[uanto sono commendabili per la fa- cilità delle espressioni, e per la spontaneità del ver- so, altrettanto siano a notarsi per la poca sceltezza della lingua, per la poca eleganza dello stile. Chiude il volume la notissima orazione pel gior- no onomastico del re Carlo Alberto, orazione di cui già si sono moltiplicate l'edizioni, e che tanto meri- tamente è stata lodata. Di questo libro poi è piaciu- to all'autore di donare il titolo al sig. conte Cesare Benevello della Chiesa, rendendogli ragione del mo- tivo che avevalo indotto a tale ristampa, e delle se- conde cure adoperatevi. Dato un breve estratto di cjuello che contiensi in quest'aureo libretto, che come tale non dubitia- mo chiamarlo, passiamo a parlare dell'orazione pel riaprimento .degli studi recitata dal medesimo Para- via nella grande aula della regia università di Tori- no il giorno 3 di novembre dello scorso anno 183T. E primieramente ci rallegriamo coli' oratore perchè lin dal bel principio, anzi che dir male del G.A. T.LXXIV. 17 250 Letteratura nostro gecolo , egli si compiace appunto di esser» nato in tal tempo, Imperocché quando fa mai cIC egli (r uomo) operasse maggior numero di prodi- gi ? E qui brevemente si fa a descrivere i progress si che a'nostri giorni hanno fatto le scienze , le lettere, e le arti; nella quale narrazione con molto accorgimento sa egli cogliere il destro per tribu- tare le dovute lodi alla maestà di Carlo Alberto vC' l'o mecenate de'dotti. Il soggetto poi ch'egli impren- de a trattare è veramente nobile e degno, Imperoc-^ che posto per principio, che la religione di Cristo dovesse introdurre le pratiche di un nuovo culto e formar le regole di una nuova morale, dovea al- tresì gittare le fondamenta di una nuova lettera- tura, e render tanto più perfette le opere dell'in- gegno, quanto piùi del suo spirito si fossero avviva- te. Questa verità è quella che con molta eloquenza prende egli a dimostrare: la quale se non è nuova, è certamente da lui con molta novità trattata. Breve- mente riporteremo qualche saggio di tale orazione, e sceglieremo appunto quello in cui Tautore parlando della tragedia discorre eziandio del Sofocle astigiano. >» Ne siffatto contrasto (fra la passione e la virtìi) in veruna composizione si manifesta piìi vivamente che nella moderna tragedia, la quale però tanto dovea vantaggiare l'antica, quanto piìi ci commuove un uomo che lotta colle proprie passioni di quello ch'è percosso da una inevitabile fatalità. Ed oh! miei si- gnori, perchè mai quel vostro illustre e incompara- bile scrittore, in grazia del quale l'italiano coturno non piìi teme il paragone collo straniero, perchè mai si è chiusa egli stesso questa fonte d'interesse drammatico , della quale avea fatto nel Saul così magnifico sperimento ? Perchè volle egli sì sovente apparir greco, quando ''ichicdeano i tempi, ch'egU Opuscoli del Paravia 251 fosso sempre italiano ? Perchè mai in luogo di pro- tliir sulle scene i grandi fatti delle nostre istorie, volle egli ricondurvi quell'eterne schiatte dei Pelo- pidi e dei Labdacidi, cos'i spesso colpite dal dispet- to degli uomini o dallo sdegno de'numi ? Perchè in luogo di mostrarci i suoi eroi travagliati da quelle passioni, che tutti sentono, ce li volle mostrar per- cossi da quella fatalità, cui nessun crede ? Sebbene tale e tanta è la forza del cristianesimo, che lo spì- rito di lui s'insinua in quelle opere istesse, che piìi ne. sembran lontane: e però se il Chateaubriand ha dimostrato (1) che la Ifigenia e Y Andromaca di Ra- cine, l'una cosi docile e rassegnata, l'altra cosi tem- perata e modesta, non son già formate suU'esemplar greco, ma sul tipo cristiano; perchè non si dirà for- mato su questo tipo anche il Polinice d'Alfieri, quel Polinice, per cui tutti provano la tenerezza di Anti- gone, quel Polinice che in mezzo all'ira ingenita a quella casa fatale esce in sentimenti cos\ virtuosi e jnagnanimi; e che alle feroci parole di Etocle Io moro. E ancor t'abborro . . , , risponde quelle altre; Io moro , . . e a te perdono. Or donde, richiedo io, donde trasse l'Alfieri questa sublime parola perdono ? Forse dal gentilesimo , presso cui la vendetta era un sentimento nobile e sacro, che si associava perfino alla religion de'se- polcri? Forse dal teatro greco, nel quale non v'ha (i) Genio del cristianesimo, par. II lib. 2 cap. 6, 8. 252 Letteratura passione che ricorra più frequente e piìi animata di questa? Forse dallo sdegnoso Giuvenale, che disse la vendetta piìi gioconda ancor della vita? (1) For- se? . . . Ma che vale lo smarrirsi in indagini, quan» do ogni cosa è patente? Sì, miei signori, quella so- lenne, quella consolante parola perdono, che apre alla morente Clorinda del Tasso le porte della fe- de e del cielo, che al moribondo Gusmano del VoU taire fa perdonare gli eccessi di una vita scelle- rata ed infame, questa parola l'Alfieri non la potea togliere, ne la tolse in effetto, che da quel codice di carità, il quale fece dell'oblio delle offese una re- gola, e dell'amor de'ncmici un comando „. Quanto poi non è sublime e toccante il seguen- te luogo, in cui viene a parlare della cristiana umil- tà! ,, Vi accadde egli mai, o signori, di udir lo- data dagli antichi poeti l'umiltà delle lor donne? O non era anzi il loro incomportabile orgoglio, ch'essi tentavano di espugnare colla lusinga de'doni, colU seduzione delle lagrime, e per fino colla virili degl* incanti? Ma dapoi che sfolgorò agli occhi dell'uni- verso l'esempio di una vergine prediletta in sin- goiar modo dal cielo per effetto della sua straordi- naria umiltà , da poi che a questo segno si rico- nobbero i seguaci di quel divino maestro, che sì gloriò di esser mite ed umil di cuore; la umiltà per- de la indebita taccia di virtìi meschina ed abietta, e venne anzi in tal pregio, che i poeti commendando la umiltà della lor dorma, tutte stimarono in questa di compendiar le sue lodi, di restringere le sue vir- tù. E di ragione: imperocché qual v'ha incanto sulla terra che a quel s'agguagli della modesta e verecon- da bellezza, che raccolta negli occhi, ristretta ne've- (i) Et vindicta bonum vita iucundius ipsa. Opuscoli del Paravia 251^ 11, schiva ne' modi, non ambisce conquiste , non ostenta trofei, che non s'avvede se altri 1' ammira , non invanisce se altri la loda, e che seco recando un raggio quasi di cielo essa è pur sola che o lo ignori, o noi prèzzi ? E per ciò appunto che la umiltà ge- nera sì pudiche grazie e sì care virtù: per ciò che dalla sola umiltk procede la vera grandezza, ne vie- ne, come ha già notato un grande ingegno (1), quell' Incontrarsi così di sovente la parola umiltà nelle amorose rime dell'Ai lighieri; il cui poema sacro ba- sterebbe pur solo a darmi oggi vinta la prova, e quel chiamare Beatrice d'umiltà vestita, e quel dire che in chi parlar la sente non pur nasce ogni dol- cezza, ma eziandio ogni pensiero umile. La qual lo- de ben consuona colla purità di quella cara anima di Beatrice, la quale raccomandando alla pietà di Virgilio lo smarrito suo amico s' „ Gli occhi lucenti lagrimando volse: „ deUcatisslmo atto, il quale ci rende vieppiù preziose quelle lagrime, che spreme la passion da suoi occhi, ma che il pudore le fa nascondere agli occhi altrui,,. Ma per riferire tutti i tratti più belli di que- sta orazione converrebbe riportarla per intero, e ci gode l'animo in vedere, che quasi appena uscita sia stala riprodotta in Bologna fra le poesie e prose ine- dite o rare degl' italiani viventi ad onore della no- stra letteratura, e del chiaro autore, il quale con tan- ta eleganza e proprietà di lingua scrive siccome in prosa, così anche in verso. F. Fabi Montani. (i) y. l'art, di Niccolò Tommaseo „ sull'amore di Dante ,, il quale leggesi nel Subalpino, agosto iS56y". 4'29- 254 BELLE ARTI Siiir e spressione nelle opere di belle arti^ discorso recitato alV insigne e pontificia accademia romana di s. Luca, nella premiazione scolastica del 1 837, dal cav. Antonio Sola, scultore, presidente della medesima accademia, professore della R. di Ma- drid e dell'I, e R. di Firenze, socio onorario del- la pontificia romana di archeologia ec. Traduzio- ne dalla lingua spagnuola. V^osì vasto, o giovani valorosi, è l'argomento che oggi imprendo a discorrervi: dell' espressione cioè in queste arti belle, oggetto carissimo de'vostri stu- di e del vostro amore; ch'io reputo quasi impossi- bile, non che arduo, il darvene una piena contezza nella bi'evitk del tempo, che la presente solennità mi concede. Cercherò dunque in sì ampio mare guardar solo, dirò così, ad una sponda: ristringen- domi ad osservare non altro che il magistero di es- sa espressione in alcuna delle opere antiche, nelle quali vedesi condotta con maggior perfezione. Dì grazia prestatemi udienza. Opere nell'arte piìi notabili e più perfette, o giovani, vogliono aversi quelle che mostrano eser- citare più forza sulle nostre facoltà della mente. DlSCOftSO DEL CAV. SoLA* 255 S'i» elle Sole hanno il pregio di piacer" sèmpre: el- le solej quasi un'occulta divinità le inspiri^ non te- tnono che rnai si sfiori la lor giovinezza. Ma d'onde credete voi che provenga sì grande portento? Com'è che tutte le cose in terra appassiscono e cadono, e in queste sole non possa là comun legge della na- tura? Gom' è che ne il volger de*secoli, ne il ca- priccio degli uomini^ ne l*uso dominatore hanno t*agione alcuna sovr'esse? V'ha dunque alcuna cosa nell'arte, che tanto valga a insegnare? Si, o giovani, v'ha: ed è Tattendere, come principal magistero, alla giusta espressione ed alla beltà delle forme'. Ed ora qual'opera, fra tutte quelle che sfuggite sono al guasto del tempo, qual'opera mal potrebbe in ciò, non dico vincere, ma uguagliare il Laocoonte? Sovr'esso quindi io chiamerò la vostra attenzione, con tanto maggior efietto, siccome spero, in quanto che da voi stessi potrete poi in vaticano inspirar- vi sul famoso gruppo, ch*io singolarmente all'osse- quio della gioventìi raccomando. Ma prima che all' analisi procediamo^ è duopo che di una gran veri- tà slate persuasi; cioè della parte altissima che la moral condizione ha sopra il corpo umano nell'e- steriormente manifestare le varie passioni di gioia o di patimento: o per meglio esprimermi, fa di me- stieri, o giovani, l'aver per certissimo, che il diver- so stato sociale, la divèrsa educazione, e tante al- tre circostanze diverse del vivere inducono ferma- mente fra uomo ed uomo una differenza conside- rabile di sentire e di patire. Siffatta differenza dai greci artefici non pure non fu mai trascurata, ma stimata fu, siccom' è veramente , una legge della natura: e ad essa costantemente tennero fisa l'anima nell'operare in tela od in marmo, non altrimenti 256 Belle Arti che a quella bellezza, la quale informar doveva tut- te le membra, sia nelle passioni miti e gentili, sia nelle fiere e violenti: nelle une e nelle altre chie- dendo sempre que'sommi il Lello e la dignith. Cer- to accresceva ciò la difficolta delie arti: ma que'gre- ci maestri alla grande scienza ed alla grande pra- tica sapevano maravigliosamente congiungere ciò che anima veramente e regge tutto il regno intel- lettuale, dico la più profonda filosofia: dalla quale mai non dipartendosi, guardate la come le loro ope- re nel tempo stesso che per espressione vivacissi- ma ci commovono, per divina beltk ci dilettano. Dissi filosofia : ma dissi altresì grande scienza di operare. La quale, o giovani, consisteva nel cer- care profondamente i principi i onde sono mosse le passioni dell'animo, e nel conoscere tutte le altera- zioni che ne avvengono alia vita organica ed ai vi- sceri che la compongono. Scopo fu anche questo principalissimo delle loro meditazioni: il quale re- cavali a contemplar la natura sia da se stessi, sia colla guida de'piìi eccellenti maestri che già l'ave- vano investigata: sempre fermi però, siccome dissi, alla ragione morale delle varie persone che dove- vano rappresentare. Nobile compostezza di corpo, gridavano essi nella vita civile : e nobile compo- stezza di corpo, gridavano pure nelle arti belle, le quali volevano che di quella fossero immagini e gui- datrici.Gosi davansi a vicenda la mano, per formar- ne un tutto maraviglioso, ed il fisico ed il morale: e ne derivavano due canoni dell'arte, che mai non do- vevano scompagnarsi, la verità e la bellezza: canoni così solenni, che solo essi formarono l'essenza , solo essi il gran segreto della scuola greca: intorno a'qua- li la sapienza di Platone esce in queste sentenze : Discorso del cay. Sola.' 257 „ La sanità, dlc'egli, la forza delle membra, la fran- „ chezza. Il coraggio, la magnanimità, la costanza „ sono qualità che costituiscono la perfezione degli ,, esseri della umana specie, e piacciono per se stes- „ se e piacer devono necessariamente e per sempre. „ Le passioni all'incontro non servono alla nostra fe- „ licita, che quando moderate sono dalla prudenza. „ La vista delle irritate passioni non ha quasi mai „ nessun'attrattiva : anzi spaventati siamo dall' im- „ peto loro. Ciò che a preferenza cerchiamo nello „ spettacolo ch'esse ci rappresentano, non è il ve- „ derle svelate colle loro violenze : non è il vederle „ in tutta la loro sfrenatezza: ma si il mirarle re- „ presse dalla virtù di chi soffre. I disordinati mo- „ vimenti, le contrazioni, le grida, indeboliscono la „ pietà nostra invece di accrescerla. Così pure l'al- „ legrezza smodata ci ha immagine di debolezza. „ Noi vogliamo che fra'tormenti i piìi fieri , che „ nell'agonia, e che fin dopo morte l'uomo conservi „ pieno di calma il suo esteriore. La tranquillità è „ ciò che annunzia un'anima superiore agli affanni „ ed alla istessa morte. Tanto nel morale quanto „ nel fisico, tanto ne'piaceri quanto nelle pene, vo- „ gliamo che l'uomo sia compiutamente uomo , e „ che ci si porga nello stato della maggiore su- „ hlimita, a cui possa innanzi agli occhi nostri ele- „ vansi l'anima di un mortale : che sia pieaa cioè „ di quella quiete inalterabile, che consideriamo „ siccome propria della divinità. „ Così scriveva, o giovani, il gran discepolo di Socrate : così a noi rivelava i principii che reggeva- no i greci costumi. Ne già rimasero essi fra quel popolo come semplici teorie. Male avviserebbe chi ciò credesse : imperocché a tutti è noto , come 258 Belle Arti que'grandi sapevano ne'giorni della sciagura non so-' lo con saldo petto soffrire, ma con imperturbabile volto incontrare queirulfimo fine, il cui aspetto e pensiero suole ogni altro uomo empir di spavento. Con questo saldo petto n'andarono in bando Ari- stide e Temistocle; con questo imperturbabile volto morirono di condanna Socrate e Focione , ed Epa- minonda traevasi il fatai ferro dalla ferita i e quin- di lo scultore Agesandro, fermo a quei costume ma- gnanimo, rappresentò pure il suo Laocoonte , il quale benché di greca stirpe non fosse, era perà fratello ed Anchise , e sacerdote di Nettuno e di Apollo, e per questo mostrar doveva l'aspetto e l'a- nimo di un eroe. Ciò premesso, ci giovi, o carissimi, considerare alquanto i generali principi! che agiscono suH'or- ganismo, pei quali l'uomo e sente e fa ad altri sen- tire le proprie perturbazioni per mezzo dei movi*- menti diversi prodotti dai moti muscolari della sua faccia j cioè a dire, consideriamo com'egli ci fa co- noscere il vario stato, in che l'anima si ritrova, o di piacere, o di dolore, o di gioia, o di tristezza, o d'ira, o di spavento. Nel che non userò più auto- revoli parole di quelle che scritte sono nella fisio- logia del chiarissimo professor Medici , presente onore della bolognese università. „ È il cervello , dic'egli, un istrumento materiale delle facoltà dell' anima per mezzo de'nervi, e della midolla allunga- ta e della spinale, ed in comunicazione cogli esterni organi de'sensi, e coi muscoli motori del tronco e delle articolazioni, di guisa che agiscono essi e si mutano proporzionatamente alla qualità e al grado della forza, che primitivamente li fanno movere. Il quale ordinamento di cose essendo prescritto da ,1 Discorso del cav. Sola' 259 «ha legge immutabile dell' organizzazione , il lin- guaggio rii azione seguir dee norme certe e costanti. Il linguaggio articolato può essere difettivo, ambi- guo, incerto : ma nulla ambiguità, nulla incertez- za è nella espressione immediata della natura „. Cosi il prof. Medici. Ora con queste idee morali de'greci , e con queste leggi della natura, osserviamo di grazia il fa- moso gruppo del Laocoonte, il quale ce le mostra cos'i chiare e sublimi, che invano cercherei additar- vi altra opera , che gli si potesse paragfonare così di antico come di moderno artefice. il soggetto ivi rappresentato è forse il piìi tra- gico che l'arte statuaria abbia giammai condotto , ed è notissimo anche ai mezzanamente istruiti nelle cose troiane, non che a voi, o giovani, che aver do- vete a memoria i divini versi dell'Eneide. E perchè non ci è rimasa la tragedia di Sofocle ! Abbiamo nel Laocoonte il più sublime esempio del modo , col quale i greci desideravano che i loro eroi con dignità tollerassero le più terribili ambasce. Il do- lore che soffrir deve il suo corpo , e la grandezza dell'anima sua sono si bene espresse in tutte le par- ti del gruppo , che lo spettatore guardar noi può senz'essere profondamente commosso dalla sua di- savventura. L'artefice, che seppe con tanta espres- sione operare , bisogna bene che dentro a se con inestimabile forza sentisse la maraviglia di un invit- to coraggio. Ritrarre infatti il solo dolore che cosa sarebbe stata ? Per riunir tutto ciò , che forma un vero magnanimo, dar doveva Agesandro, e lo diede, alle figure del gruppo tali attitudini, che colle bel- le lince conservassero tutti i prestigi della bellezza. 260 Belle Arti Ove si consideri quest'opera rispetto ai canoni dell'arte, che costituiti sono dalla invenzione, dalla composizione , dalla espressione ^ dalla simetria , dalla bellezza, e dalla intelligenza anatomica, ve- drassi che le due prime qualità, cioè 1' invenzione e la composizione, così congiunte sono colla terza, vale a dire coll'espressione, che malgrado dell'esse- re state dall'artefice separatamente meditate , mo- stransi tuttavia cos'i naturali e conformi alla rap- presentazione del gruppo, che sembran tratte dal vero. In qualunque lato risguardasi, è una maravi- glia. L'elezione delle linee è tale, che appena po- trebbe idearsene una migliore; ciascuna attitudine delle tre figure è per se bellissima, e riunite in gruppo formano un vero incanto di armonia, senza che niuna copra le parti piìi essenziali all'altra , e che elle sieno fra loro o troppo separate o troppo unite. Se l'artista avesse condotta l'opera sua stret-» to alla narrazione che di quel fatto mitologico ci ha lasciato la poesia, cioè se rappresentato avesse Lao- coonte ed i figli soffocati da'serpi che loro si avvi- ticchiarono intorno; certo la composizione sarebbe stata naturalissima, ma non so quanto artistica e quanto gradevole : che v'ha, o giovani, gran diflfe- renza fra il modo di narrare un fatto e quello di fi- gurarlo per mezzo delle arti belle : altro volendo il sensorio dell'udito, ed altro quel della vista. Se tutte però le parti, che costituiscono l'arte , trovansi con tanto gusto e sapere in quest'opera riu- nite, l'espressione tuttavia vuol dirsi sopra tutte le altre trionfatrice. Con qual evidenza di verità non ci mostra l'artefice la sua idea in cosa tanto difficile! Ecco là in grandissimo affanno un padre e due figli! Si volgono con pietk i giovinetti verso l'autore de'lo- Discorso del cav. Sola.* 261 ro giorni, e in quella che gli domandan soccorso , sono pur tutti intesi a disciorsi, per quanto valgono le loro forze, da'serpi che fieri ed ardenti divinco- landosi stringon loro e pungon le membra. Sente l'infelice padre nel profondo dell'anima i lamenti di que'suoi cari , e gli ha piìi crudeli del dolore stesso ch'ei soflfre pel terribile rettile che già gli fe- risce il fianco: sicché allontanando gli occhi da essi, li rivolge al cielo in atto di chieder soccorso agli dei in tanta sua pena. Non s'i però, che non si ado- peri anch'esso con forti braccia a disnodarsi dalle spire di que'feroci assalitori, secondo l'istinto che a tutti da la natura di conservare per ogni modo la vita. In mezzo a tanti sforzi ed a tanti affanni vede- te però come in tutte e tre le figure mostrasi aper- tissima quella dignità, che i greci costumi volevano nel soffrir degli eroi ! Imperocché ninna di esse ha movimento che sia ignobile, ninna che sia violento : tutte ci danao vista di lottar colla morte umana- mente si, ma senza viltà. In tale stato, a cui niun altro è a paragonarsi per la sciagura, niente ha perduto Laocoonte della beltà delle sue forme, benché sieno elle ritratte in quella condizione orribile di tormento. E ninna al- terazione appare altresì nelle forme de' figli , sia perchè l'angoscia dell'animo non è cosi forte in essi, come nel padre: sia perchè l'epidermide, onde i lo- ro muscoli sono coperti, essendo piìi densa a cagio- ne della lor giovinezza, non mostra tanto gli attac- chi e de'muscoli medesimi e delle ossa. E chi dira nondimeno che il movimento delle tre figure non sia conforme a quello che produce il più intenso do- lore ? 11 forte grado di eccitamento , in cui si tro- 262 Belle Arti vano i muscoli, fa si che il corpo umano tenda a ri- concentrarsi per quanto può, piegando tutte le sue articolazioni. Or si osservi come, per cjuesto princi- pio della natura, niuna delle articolazioni di Lao- coonte e de'figli si trovi in una tensione completa: (intendo nelle parti antiche, non gik nelle restaura- te e moderne, le quali non entrano nelle mie consi- derazioni, reputandole fuori dell'intenzione del gre- co artefice). Il corpo del padre è inchinato alquanto verso la parte anteriore: la sua testa verso la poste- riore e da un lato. Il petto è in direzione opposta del basso ventre; le cosce formano un angolo con le gambe. Sicché vedete, o giovani, che tutta la figura dimostra una tendenza chiarissima a contrarsi : ciò che le imprime quel carattere di patimento e di af- fanno, che SI mirabilmente ci stringe a compassione. Il figlio, che gli è al lato destro, mostra pili tenera età , ed è quello dei tre che soffre più acer- bo strazio. Uno dei rettili si è interamente impa- dronito di lui, tenendolo stretto alle braccia e alle gambe , e con rabbia lo morde alla regione delle coste del destro fianco. A tanto dolore il giovinet- to pili non resiste, e tutto miseramente abbando- nasi al serpe, onde solo è sorretto. Espressione na- turalissima e semplicissima, e propria di quell'età; come impropria sarebbe stata del padre, in cui vo- Icvasi far vedere un maggior coraggio e decoro nel- le sue pene, È molto visibile la contrazione delle membra nell'altro giovinetto al lato sinistro. Inchina egli il suo corpo in avanti, ed innalza verso il petto la coscia sinistra, piegandone indietro la gamba. L'al- tra gamba si sostiene alquanto sul suolo, ma in tal maniera che manifestamente si vede in quale stato Discorso del cav. Sola' 263 di eccitabilità si ritrovi, sia pel piegarsi che fa il ginocchio, sia per non appoggiare al suolo che la sola punta del piede, Rivolge egli verso il padre la faccia con tale un'espressione d'angoscia, che il vedi vivo non solo , ma n' odi quasi i gemiti e le parole: e con un braccio tenta se può svilupparsi dalla coda dell'angue, che gli si è attortigliata al piede sinistro. Tutta la sua figura quasi reggesi in aria, per la gran forza con che il serpe afferrato gli ha il braccio dritto, Si, dico, o giovani, tal è que- sta figura per la prontezza delle sue mosse , pel contrasto delle sue parti, per l'energia della sua espressione, che viva la vedete e gemente, e quasi siete mossi ad accorrere a prestarle soccorso. La testa nell'uomo e la sede principale de'sen- si : è in essa che le passioni si manifestano a pre- ferenza di tutte le altre parti del corpo. Devesi ciò ai diversi movimenti de' muscoli. Quindi noi da' moti particolari che nel volto producono le turba- zioni dell'animo, conosciamo il genere di letizia o di affanno, onde l'uomo commosso: il qual segno è certissimo, perchè ce lo porge natura, ed è uguale in ciascuna emozione. Nelle passioni moderate e mi- ste, da una sola parte de'muscoli sono mosse le for- me del viso. Nelle eccessive però e veementi, e so- prattutto nelle dolorose, come nel Laocoonte, tutti sono i muscoli eccitati e contratti. Si osservino, e si troverà che i muscoli frontali ed orbiculari, contrat- ti verso il loro centro, formano una massa verso le ciglia, e precisamente verso la radice del naso. Da tal movimento risulta , che gli occhi alquanto si chiudono, e che cresce il volume della parte supe- riore delle guance in virtù della contrazione della parte inferiore d'essi muscoli orbiculari. La pelle 264 Belle Arti seguita questo moto muscolare, sì corruga orizzon- talmente in mezzo alla fronte, e perpendicolarmen- te fra le due ciglia, e qua e fa intorno agli occhi, e precisamente al loro angolo esterno. Contraendosi i comuni elevatori del naso, n'al- zano essi i lati inferiori, e n'aprono le narici. Per la cagione medesima avviene, che contraendosi tutti i muscoli motori delia bocca , ella sconciamente e storcesi ed apresì, se da una ragione di decoro non è moderata, come appunto nel Laocoonte. Il disordine dei capelli e della barba di questo infelice dimostra , che la cute della parte capillata della testa è in istato d'irritazione , irli divenendo essi, come appunto ci fa osservar la natura in chi è soprappreso da grande spavento. Tutta l'azione esterna de'muscoli in queste tre figure si manifesta chiarissima a chi non è ignaro di anatomia: e ben ci appare l'oppressione che ha luo- go ne'loro visceri , ed in quelli principalmente del padre. È Laocoonte in atto d'inspirar l'aria, onde ha pieni i polmoni: ed ha gonfia perciò la regione del petto e degl'intercostali, secondo che appunto dh la natura. Imperocché l'inspirazione ed espira- zione dell'aria avviene molto piìi frequente nell'uo- mo che soffre un grande martire , gravitando su i polmoni l'agitazione di tutto il corpo, e comprimen- doli, e diminuendone il movimento : per la quale azione sente egli mancarsi la vita, e quindi si sfor- za d'introdurre nel petto molta piìi aria che non sembra al bisogno suo necessaria, teuiendo che non gli manchi la respirazione centro dell'uman vivere: e ciò per quell'istinto che anche negli estremi ci anima a conservar l'esistenza. Discorso del cav. Sola' 2^5 E che poi dirò della circolazione del sangue ? Nelle tre figure del Laocoonte quest'altra fisica azio- ne dei corpi trovasi non meno sublime. L'eccitabi- lità medesima, che altera il movimento e la sensibi- lità di tutto il corpo, altera principalmente, 'come sapete, o giovani, il moto del cuore. Da quest'alte- razione risulta , che il cuore o affrettando il suo moto tramanda alle arterie piìi sangue del consueto: o ritardandolo, dalle vene non lo riceve. In Lao- coonte sembra che la contrazione ch'egli soffre , lo acceleri : perciocché osservasi, che la vena iugulare esterna del collo, la cefalica del braccio che passa dal petto per di sopra il deltoide, ed il bicipite, e la sefena interna delle cosce, e tante altre compari- scono assai pili gonfie; siccome pure le sujjal terne che coprono le braccia, le mani ed i piedi. Quasi rette sono le vene principali, ed ondulate le subal- terne, come appunto ce le presenta natura. vAv E altresì proprietà delle violenti emozioni il produrre un determinato movimento così generale come particolare di tutte le membra. Osservato ab-* biamo il primo di questi movimenti: visibile è il secondo sopra i grandi muscoli , facendo muove- re separatamente ed alternativamente tutte le fi- bre che li compongono. Ora nel Laocoonte consi- derate questo movimento convulso delle fibre e nei deltoidi , e negli obliqui interni, e nei retti ante- riori, e ne'basti delle cosce, e fino nelle dita de' piedi. Sì, o giovani, piacciavi bene considerarlo; sul marmo originale però, non su i gessi, i quali, per lo pili, a cagione della stanchezza» delle forme, apparir non ci fanno queste ultime finezze dell'ar- te e del profondo sapere del grande artefice. Qual magistero infine non apparisce in tutte G.A.T.LXX1V. : ...?:;■;: Hi- >,.j.ìu. ;> -r,. i8u. : ■ 2(W) Belle Arti le articolazioni delle ossa, e in tutti gli attacchi dei loro tendini muscolari ! Oh vero prodigio di arte, che malgrado di tante divisioni e suddivisioni di parti, di tante minuzie di vene, di fibre muscolari e di^attacchi di ossa, che bisognate sono ad Agesan- dro per rappresentarci l'altezza di tanto dolore, pur tuttavia ci mostra e nell'insieme e in ciascuna del- le sue parti una grandiosità, una dignità, una bel- lezza, e con esse una verità che rapisce. Io noi guardo mai, che una forza altissima di ammirazio- ne non mi levi quasi sopra me stesso : io noi guar- do mai, che pili nobile non mi sembri quasi quest' essere umano : che non mi congratuli colla munifi- cenza de'sommi pontefici che salvato e difeso ci ha sì gran capolavoro : che infine alla mente non mi soccorra chi la statua di JNiobe fece così parlare : Gli del mi cangiarono in pietra: ma Prasitele que- sta pietra animando , mi fece \>i^ere. Sì, il portento che Prasitele operò nella Niobe, quello stesso operò Agesandro nel Laoeoonte ! Sicché io lo credo uno degli esempi più insigni della sublimita dell'arte, a cui giunsero i greci : e certo il maggiore nel gene- re suo che fino a noi sia pervenuto. Ne siavi chi ciò che fu pregio della scuola gre- ca voglia ritorcere a suo difetto, voglio dire la nu- dità delle' figure. Imperocché ciò provenne, o gio- vani, non già da una grossolana incoerenza , che in que'sapientissimi sarebbe temerità il supporre , ma sì da quel vìvo entusiasmo con che tutta la nazione risguardava la bellezza del corpo umano. Fortunato entusiasmò per noi sì tardi posteri, a' quali è dato così il vedere co'propriì occhi e toccar colle mani fili dove nella teorica e nella pratica giungessero i miracoli dei loro scarpello nella parte piìi diffici- le dell'arte, che e quella del nudo I Discoiiso Dfit cAv. Sola* 267 Per le quali considerazioni, o giovani carissi- ttiij voi ben vedete» che il vero modo di apprende- re a dare una perfetta espressione alle nostre opere di arte è quello di osservar la natura colla guida de' grandi maestri ì studiandola con alta filosofia nelle sue vàrie emozioni sì morali e sì fisiche, e so- prattutto attendendo alle parti muscolari che agi- scono nel corpo umano, ed avvertendo alle varie forme che prendono, ed alle diverse modificazioni che ricevono dalla cute , secondo il sesso e l'età. Persuadetevi però che invano in un solo modello si cercherehhe il vero tipo di una espressione perfet- ta; e che il copiarla da un opera, per bella che sia, sarebbe un lavorare per reminiscenza, non mai per proprio convincimento. 268 Uape italiana delle belle arti '- giornale dedicato ai loro cultori ed amatori. Roma 1835- 1837 , a spese degli editori proprietari. Dalla tipografia Salviucci, voi. 3 in fol. fig. {Voi. I p. 64, tav, 38; • voi. II p. 58, tav. 36 ; voi. Ili p. 68 tav. 36 : in tutto pag. 190, tav. 110.) Di 'ice abbastanza il titolo di quest'opera, che deb- bonsi avere in essa i fiori piìi eletti delle belle ar- ti; e l'esecuzione di questi tre primi volumi giu- stifica a creder nostro quel titolo. Anche ci sembra che assai convenientemente così gli editori proprie- tari, come il eh. sig. marchese Giuseppe Melchior- ri direttore, abbiano intitolato i tre volumi a tre celebri accademie; il primo cioè alla pontificia ro- mana di s. Luca; il secondo alia pontificia di Bo- logna; alla I. e R. di Firenze il terzo: perchè niu- no a pili giustizia debbe proteggere un' impresa , destinata al vantaggio di quelle arti belle , delle quali gli italiani viventi maestri fan parte di quel- le accademie. Volendo noi far parola di una tal* opera, confessiamo star nell'incertezza del dove in- cominciare: tanta è la ricchezza che in questi vo- lumi si rinchiude! Sonovi ben sessantotto dipinti ; quindici de'quali in tavola, trentacinque in tela, di- ciotto in a-fresco: sonovi otto bassorilievi in mar- mo, dieci gruppi, venti statue: sonovi cinque mo- numenti di architettura; ed oltre a ciò una gem- Ape italiana. 269 ma incisa, e tre medaglie. Per tenere un qualche ordine, seguiremo la norma adottata nell'indice che sta alla fine di ogni tomo; piuttosto che tener die- tro al numeri progressivi di ogni volume. Quindi diremo prima della pittura, separando l'antica dal- la moderna; poi della scultura, con ugual divisio- ne; infine dell'architettura. E perchè la materia è assai vasta ; e d'altronde la natura di questi fogli non comporta articoli di molta estensione; dovre- mo il più delle volte star contenti ad un brevis- simo cenno dei diversi lavori. Pittura di scuola antica. Di quell'urbinate, che sopra tutti com' aquila vola, sono due tavolette assai facilmente servite a formare un grado d'altare (voi. I tav. 23 24). E divisa ognuna in tre nicchie ; in questa vedi nel mezzo s. Caterina della ruota, s. Bernardino da Sie- na a destra, a sinistra s. Giovanni da Caplstrano; in quella la penitente di Magdalo è fra i santi Lui- gi IX di Francia e Bonaventura. Questi dipinti , da uomini valentissimi ( sono tali il Minardi e il Pungileoni, e tali furono il Laudi e il Wicar) ven- nero aggiudicati a quel sommo; e li dissero della sua prima maniera. Nel che conviene il Melchior- ri; non senza rimarcare però, che si avvicinan es- si più che altri qualunque all'epoca della seconda maniera ; non essendovi indizio alcuno di quella grettezza, che nello stile di Pietro dà talvolta nel secco; anzi distinguendosi per la spontaneità, e per una certa grandiosità nel modo di piegare: prero- gative, che unite alla purità del disegno, alla sem- plicità del concepimento, alla vaghezza del colorito, 270 BKX.tK Arti formano di queste tavole due preziosi gioielli, de* quali può ben a ragione reputarsi beato possesso-^ re il nobile conte Guido di Bìsenzo. Pure di quel genio urbinate è il disegno di una tavola in rame dipinta da incerto autore, e posseduta in Roma dal Vescovali ( voi. Ili tav. 22 ). Dicemmo incerto il dipintore; ma per buone ragioni il Ranalli s'in- duce a credere che fosse Francesco Huviales spa*- gnuolo, detto il Polidorino. Attestano in fatti i bio- grafi dell' essersi il Ruviales travagliato con pre- dilezione a dipingere soggetti tolti dai disegni di Raffaello. L'abbreviatura FRA , che leggesi a bas- so del quadro, può ben convenire alle iniziali del nome di lui, ed alla patria , supponendolo arago- nese; ed in ciò ben si accorda la indicazione del- l'anno MDXXVI. Che poi il disegno sia invenzio- ne del Sanzio, non è da dubitare : lo indicano le lettere V. I. Urbinas mi^emV, che pur si hanno in molte stampe di Marcantonio. Di piìi , l' originale di esso disegno è nel regio museo di Napoli, do- ve pure n' è una copia ad olio , operata da An- drea di Salerno; infine se ne conoscono due stam- pe antiche, del Raimondi l'una, l'altra di Ugo da Carpi. Rappresenta il dipinto una deposizione dal- la croce : il corpo del Redentore vien sorretto in parte dal prediletto Giovanni , in parte da Nico- demo; mentre quel d'Arimatea sta sconficcando la destra mano dalla croce; appiè di questa la madre addolorata e le afìlitte Marie accrescono la pietà della scena. Forse lo stesso Sanzio non troverebbe indegna del suo pennello la freschezza e l'armonia delle tinte vive e gagliarde di questo quadro. Un fresco, che vedesi appiè di un corridoio su- pcriore nel convento di s. Onofrio in Roma, fu dal Ape italiana 271 Bottarì, dal Lanzi, dal Della Valle giudicato di ma- no del Vinci. Rappresenta in mezzo ovato la nostra donna sedente, con in braccio il divin figlio, il qua- le benedice un divoto (mezza figura) che ginocchio- ni le sta dinanzi. Il prof. Betti (voi. II tav. 22) non niega, che il viso della Vergine e la testa del divo- to siano di stile leonardesco: ma così magre sono le forme del bambino, e così trascurato in alcima parte è il disegno, che fa restar in dubbio se debba attribuirsi al Vinci un tal fresco; il quale d'altron- de manca di quella grandiosità, che fu cosa tutta propria di Leonardo. Questo dubbio si aumente- rebbe, quando potesse provarsi vero ciò che il Bet- ti per giudiziosi raffronti e per argomenti d'indu- zione va immaginando; cioè che il divoto rappre- senti il protonotario apostolico Cabanyas : perchè questi morì nel 1506; mentre Leonardo non si re- cò in Roma che verso il 1513. Due tavole esistenti al Quirinale, nell'apparta- mento detto dei principi^ rappresentano i santi apo- stoli Pietro e Paolo (voi. I tav. 4). Sono opera di quel Baccio della Porta, il quale vestito l'abito di s. Domenico, si disse fra Bartolomeo da s. Marco. Che egli le operasse, lo attesta il Vasari; ed assi- cura inoltre come partendo da Roma , senza aver compita la tavola del s. Pietro, lasciò a RatTaello Sanzio suo amicissimo che la finisse; del che si han chiari indizi osservando con attenzione l'originale, che per ciò appunto aumenta molto di pregio. Di quel Lodovico Caracci, che giustamente fu detto fons ingeniorum, si hanno nell'Ape due tele: nell'una (voi. I tav. 20) dipinse in mezze figure mag- giori del naturale la disputa di nostro Signore co' dottori: grandioso e lo stile, puro il disegno, viva- 2T2 Bellk Arti ce il colorito: dalla galleria Mosca di Pesaro, passò in quella del conte Antonio Cabrai. Nell'altra (voi. Ili tav, 7) rappresentò la fuga della santa famiglia in Egitto; e perchè, abbandonando le idee comuni ad altri pittori che quel subietto trattarono, imma- ginò i santi viaggiatori al tragitto di un fiume; co- s'i questo quadro comunemente è conosciuto sotto nome della barchetta. Esso è nella galleria Malvez- zi-Bonfiglioli in Bologna; ed il sig. Gaetano Gior- dani nel descriverlo prese motivo a narrare con quanta sollecitudine si adoperasse Lodovico per di- venire eccellente , e come riuscisse straordinario maestro, e forse il primo dell'età sua; con bell'or- dine poi, e convenienti parole tiene discorso di mol- te altre opere di quel capo-scuola, esistenti in Bo- logna, Del cugino del quale, diciamo di Annibale, due freschi eccellenti vediamo qui primamente prodot- ti a contorno. Rappresentano due miracoli di s. Die- go. In uno (voi. I tav, 17) con l'olio di una lampada, che arde innanzi un'immagine di Maria Vergine, ri- dona la vista ad un fanciullo cieco; nell'altro (voi. II tav. 31), rimproverato dal superiore di troppa pro- digalità, per aver nascosto nel grembiale una quan- tità di pani che distribuir voleva ai poveri, nell' aprire quel panno, si trovano non già pani, ma fre- schissime rose. Mirabili son questi dipinti, o riguar- di l'armonia della composizione, o l'espressione del- le teste, o la correzione del disegno. Erano nelle maggiori pareti della cappella d Herrera in s. Gia- como degli spagnuoli; e perchè quella chiesa minac- ciava rovina, prima che sì bei freschi deperissero, il cav. Sola direttore dell'accademia spagnuolà in Ro- ma li pose in salvo, facendoli trasportare jn: tela* con Ape iTALiAicA 2T3 opera del dlllgentissimo Succi, esperto quanto altri mai in quella difficil'arte. Ma que'due dipinti son opera di Annibale Garacci, o di Francesco Albani? A questo secondo volle rivendicarli ultimamente il marchese Bolognini Amorini; e noi contenti di aver ciò notato, ne lasciamo il giudizio ai maestri dell' arte. Di Daniello Ricciardelii, dalla patria detto da yoUerra^ evvi un fresco esistente nella chiesa del- la Trinità de'monti ( voi. I tav. 10 ); il colorito pe- ro è del suo allievo Paolo Rossetti. Rappresenta l'Assunta; ed il eh. Pungileoni nel descriverlo non trascurò di notare qualche anacronismo nel costu- me, e negli angeletti la mancanza di quella delica- tezza di forme e di modesti atteggiamenti, che aver debbono quelle sostanze eteree. Del Sassoferrato ev- vi una Vergine con diversi santi , esistente nella chiesa di s. Maria sull'Aventino (voi. I tav. 14): è desso uno de'quadri di maggior mole che quegli operasse; e benché già fosse stato inciso, pure non sufficientemente era noto. Del Ghirlandaio è una sa- cra famiglia ( voi. I tav. 27 ) , dipinta a tempera sulla tavola, esistente nella ricca galleria Bisenzo; la verità e la semplicità dell'espressione sono in es- sa unite alla purità ed eleganza del disegno. Lo sposalizio di s. Caterina (voi. Ili tav. 16), esistente nel collegio de' barnabiti in s. Carlo a Catinari, fu dipinto da quell'Innocenzo da Imola, il quale seppe nelle opere sue imitare per modo il sommo urbinate, da essere state per molti giudicate ope- re di Raffaello. Questa tavola ne è una prova di più in numero, perchè si distingue per purità di disegno, e per armonioso accordo di tinte. Di Francesco Raibolini, detto il Francia., de- 274 Belle Arti scrisse il Giordani una delle opere pili pregiate, esistente nel palazzo pubblico di Cesena ( voi. IH tav. 25 ). Rappresenta la purificazione di Maria , e la presentazione di N. S. al tempio: l'autore vi scrisse FRANGIA . AVRIFEX . BON . F. È noto come il Raibolini forse eccellente orefice, e co- me solo nell'età di quaranta anni incominciasse a dar opera alla pittura , nella quale sali poi in tanta fama. Del fresco di Meloxzo da Forlì tra- sportato in tela, ed esistente nella pinacoteca vatica- na (voi. I tav. 1 ), già altre volte ebbe scritto il Melchiorri nelle notizie intorno quel pittore e le opere di lui. Rappresenta il pontefice Sisto IV nell'atto che prepone il Platina alla biblioteca va- ticana, presenti i cardinali Pietro Riario e Giu- liano della Rovere, ed i loro fratelli Girolamo Ria- rio e Giovanni della Rovere. La tavola, nella quale Benvenuto Tisi detto il Garofalo dipinse la risurre- zione di Lazzaro (voi. I tav. 3G), è in Ferrara nella cappella del sagramento nella chiesa di s. France- sco. Il sig. Michele Ruggero giustamente crede che l'operasse Benvenuto dopo tornato da Roma; perchè in alcune attitudini, e specialmente nel Cristo e ne- gli apostoli, si travede alcun che di raffaellesco. Un* opera nobilissima del Vannucci è il fresco della cappella Sistina al vaticano, rappresentante il Si- gnor nostro che dk le chiavi a s. Pietro , presenti gli altri apostoli, e con molte pili figure ( voi. I tav. 30 ). Anche di sommo pregio è il fresco del Zani- pieri ( voi. Il tav. 4 ) esistente in un volto del -pa- lazzo Mattei in Roma, ed ingiustamente preterito dal Malvasia. Vi dipinse quel mirabile ingegno l'in- contro di Giacobbe con Rachele presso un pozzo vicino ad Aran. Ln spaziosa campagna vestita d'ai- Ape italiana 275 beri, il cielo limpidissimo e ridente, il gregge la- nuto, l'opportuna collocazione ed atteggiamento del- le figure, tutto insieme è degno di colui, che emu- lando i sommi giunse ad uno dei primi seggi nel- ritalica pittura. La pietà di Andrea Mantegna (voi. Il tav. 7) ; la sacra famiglia di Bernardino India veronese (voi. II tav. 13); l'ultima cena del Signor nostro di Giot- to (voi. II tav. 49); la Vergine con alcuni santi di Andrea d'Assisi detto V Ingegno (voi. II tav. 28); la Vergine col bambino Ge«ìi, ed i santi Francesco e Lucia di Agostino Marti (voi, II tav. 34); la tavola in cui Giovanni spagnuolo, detto lo Spagna^ dipinse lo sposalizio di s. Caterina (voi. Ili tav. 31); il fre- sco di Baldassar Peruzzi rappresentante Maria Ver- gine con alcuni beati (voi. Ili tav. 19), son ope- re di molto pregio, ed assai convenientemente de- scritte. Anche maraviglioso è l'a-fresco del Pintu- ricchio nella cappella Bufalini a s. Maria in Jra- Coelif con diversi miracoli di s. Bernardino (voi. Ili tav. 13); ma questo era stato già pubblicato prima dal d' Agincourt, poi dal Giangiacomo; come ap- prendemmo dalle memorie di quel pittore, diligen- tissimo recente lavoro del dotto Vermiglioli. Di quell'Aniello Falcone, che per aver dipinti molti combattimenti, fu nomato l'oracolo delle battaglie^ riportò Vjipe un bel quadro con la morte di s. Ma- ria Egiziaca (voi. Ili tav. 28). Per buone ragioni ri- vendicò il Melchiorri a Benozzo Gozzoli l'annunzia- zione in tavola, che è in s. Maria sopra Minerva (voi. Ili tav. 4); molti Tavean reputata opera di fra- te Giovanni da Fiesole sopranomato l'angelico. Una delle più classiche pitture a fresco del secolo XV che Roma possegga, è quella senza meno esistente 276 Belle Arti nella medesima chiesa de'pp. domenicani nella cap- pella Garafa, nella quale Filippo Lippi dipinse la disputa di s. Tommaso d'Aquino (voi. Ili tav. 10). Se le pitture finora ricordate della scuola an- tica furon opera d'italiani; non mancano neW^pe le descrizioni di alcune altre di oltramontani; cioè due di Nicolò Pussino (voi. Il tav. 1); una di Clau- dio da Lorena (voi. II tav. 16); una di Pietro Paolo Rubens (voi. IH tav. 34). Il primo dei due quadri del Pussino è presso il nobile conte di Bisenzo; il secondo nella galleria Colonna. Rappresenta quello la predicazione di s. Gio. Battista; 1' altro fu detto da taluni il sonno de pastori-^ ma errarono; perchè non v'ha dubbio che quel dipinto rappresenti il principio di quella novella del Decamerone ( giorn. V nov. 1 ), dove si narra come Galeso, per vir- tù di amore, da sciocco e rozzo che era, divenne savio e gentile. Tanto il principe Odescalchi, quan- to il marchese Biondi, descrivendo esse due tele del Raffaello della Francia, assai convenientemen- te ne rilevarono le molte bellezze. Il quadro di Claudio rappresenta la restituzione di Griseide , nell'atto che Ulisse al padre la consegna: lo pos- siede monsignor Zacchia. Ed il barone di Montriblo- nd possiede il Rubens. In questa tela quel Tiziano delle Fiandre pitturò la notissima favola di Ercole che torce il fuso vicino a Iole; questa con ischerze- vol modo gli stringe l'orecchia, quasi in atto di pu- nirlo pel donnesco lavoro mal fatto. Pittura di scuola moderna. Venendo ora alla scuola moderna, diremo pria d'altra di tre opere del barone Vincenzo Gamuc- Ape italiana 277 cini. Nell'una viene effigiato l'ingresso di Francesco Sforza in Milano, quando il 25 marzo del 1450 pre- se possesso di quel ducato ( voi. I tav. 2 ); questo lo ebbe ordinato il duca D. Salvatore Sforza-Gesa- rini. Nell'altra è dipinto Finnalzamento di Gioas al trono, mentre vien rispinta dal tempio la furibon- da figlia del perfido Acabbo ( voi. II tav. 1 1 ); es- so è tuttora nello studio dell'autore, e fu descritto assai eruditamente dal cav. Angelo Maria Ricci. Il terzo ( voi. Ili tav. 23 ) raffigura quel miracolo di s. Francesco di Paola, già dal Bianchini descritto in questo giornale (giugno 1830 p. 360); glie lo commise la maestà del re delle due Sicilie, ed or- na l'abside del famoso tempio, che con regia mu- nificenza fu innalzato in Napoli a quel santo. Ab- benchè alcuno abbia rimarcata qualche menda nel primo di questi tre quadri; pure conoscendo noi che il disegno di esso, secondo promise il direttore del- XJpe^ debbe essere stato diretto ed approvato dal- lo stesso autore del dipinto , non vogliamo farne motto: ne della nostra lode ha bisogno l'autore. Chi non conosce in fatti il Camucclnì? chi ignora qual seggio tenga egli nell'italica pittura? Nò minor fa- ma gode, e meritamente, il magico pennello del cav. Laudi; la cui morte, avvenuta nel 1830, fu pubbli- ca sciagura. Descrive il Melchiorri ( voi. Ili tav. 17) una tela di lui, rappresentante l'Addolorata; essa è in proprietà del Lucchetti negoziante di quadri: ma noi non possiamo col Melchiorri dirla unica to- talmente compita che del Landi esista in Roma; perchè ( a cagion di esempio ) deve egli ricorda- re di aver più volte veduta in Roma, nella casa del fratello di chi scrive quest'articolo , una sacra fa- miglia di quel famoso maestro; opera compiutisisi- 2T8 Belle Arti ma, e da non temere il confronto della qui pub- blicata. Nel volto di una delle sale del magnifico pa- lazzo quirinale è la tela ( voi. II tav. 2 ) , nella quale il cav. Palagi dipinse Cesare il dittatore, in atto di dettare a quattro amanuensi, secondo nar-« rano Irzio e Plutarco. Il cantore di Gofifredo che vien raccolto in s. Onofrio ( voi. I tav. 5 ), ed una sacra famiglia ( voi. Ili tav. 11) sono tele operate dal prof. Agricola: quella pel duca di Bracciano ^ questa per la duchessa di Sagan. Osserva il Pungi- leoni quanto esattamente abbia nella prima il pit" tore eseguiti i due precetti oraziani dell' unità e della semplicità ; nota il Betti come la seconda provenga da un bassorilievo del Buonarroti , che possedeva il Wicar. Anche due sono le opere del- l'altro nostro professore Podesti pubblicate nell'^- yoe; in una ( voi. I tav. 25 ) veggiamo il Tasso in atto di leggere il suo poema alla presenza del du" ca Alfonso d'Este e della sua corte ; questa tela esiste nello studio dell'autore. L'altra è un dipinto a fresco ( voi. Il tav. 32 ) esistente nella villa Tor- Ionia fuori di porta nomenlana; vi è rappresenta- to Bacco che rende cieco Licurgo re della Tracia* Così il cav. Visconti pel primo, come il Raggi de- scrivendo il secondo, assai acconciamente rilevano i molti pregi di questi dipinti ; ma sembra a noi che le molte bellezze del primo non siano passate nella incisione. Nella ricordata villa Torlonia e pu- re Ta-fresco del prof. Francesco Coghetti ( voi. Ili tav. 14), in cui dipinse l'ingresso di Alessandro ia Babilonia, secondo la narrazione di Q. Curzio. Esiste nella galleria dell'accademia di s. Luca quella tela, nella quale ii cav. Silvagni dipinse la Al*E ITALIANA 279 sfida
  • i all'impcradore. Il perchè assegnò egli al 290 B E L L E A R T i santo la destra parte e con maestria cercò un effetl» di luce assai ristretto; riuscì ad avere molta degra- dazione; e potè portare le ombre fin sopra le figure meno principali. Ma il bianco, comechè ristretto, ri- manendo tuttor da una parte, avrebbe sconcertalo rec|uilibrio nell'effetto. Per tanto a conseguir l'ar- monia, necessario rendevasi che il bianco dominasse tutto il quadro, o ( a meglio esprimerci con frase pittorica ) che tutto il quadro fosse intonato pel bianco; cosa difficile assai pel pericolo d'incorrere nella tanto ingrata monotonia. Quindi l'accorto Sil- vagni adoperò un color acqua di mare nella tunica deirimperadore; frammischiò il Lianco al violato nella spalliera della sedia, e tenne biancastro tutta il fondo del quadroj e quindi pure v'introdusse del- le masse oscure, e ottenne per esae un incantevol contrasto, immaginando la sala separata da griglie di ferro dorato in quella parte ove si rappresenta Fazione; dandovi luogo a cortine di color rosso; va- riando a piU colori il tappeto che cuopre il pavi- mento; e adattando agli omeri di Ottone un ricco paludamento colorito di porpora, e guernito di oro. Ma non è solo la scelta e la distribuzion de* materiali che costituisce una bella composizione j essa mancherebbe di tutto, ove le figure mancas-^ sero della espressione , mediante la quale il pit- tore parla ai sensi e all'animo degli spettatori. Il Sil- vagni, che nelle sue produzioni fa dominare mai- sempre que'gran pensieri che derivano dalla reli- gione e dalla filosofia, sa ancora esprimere con na- turalezza e verità i caratteri proprii, e i sentimen- ti dai quali vuole animate le sue figure. E ciò egli consegue non col fermarsi solo sui lineamenti del volto ( al che restrinsero taluni tutta l'arte e tutto lo studio loro); ne con isgarbate esagerazioni a ma- Dipinto dej. Silvagni 291 niera del depravato gusto romantico; ma col dare alle figure il gesto lor naturale , e col proporzio- narle in tutti i movimenti del corpo. Di fatto se osservi il venerando vecchio fermo sur ambo i pie- di, e poggiato colla destra mano al bastone, tu scor- gi subito la posizione naturalissima di un che sente sopra se il grave peso di anni novantuno: se gli fisi sul volto lo sguardo, e miri altresì che senza scom- porsi leva in alto la manca mano , tu dici subito cJregli indirizza al monarca un rimprovero; ma che i modi e le parole dell' uom di Dio nulla hanno di rigido e d'imperioso che irrita, e tutta conten- gono la dolcezza che alletta. L'umile ma insieme dignitoso atteggiamento di Ottone in mezzo allo splendore e alle magnificenze della reggia ; quel braccio destro con garbo proteso verso del santo ; il suo volto composto a dolore, se ti appalesano i sentimenti di un cuor contrito, ti dicon pure che non è desso un uomo che implora, ma uno che si arrende alle ammonizioni che ascolta. Ne lascian dubbio degli interni loro sentimenti quant' altri sono figurati nel quadro; imperocché agli atti de- voti de' compagni del santo è facile il conoscere ch'essi porgono a Dio ringraziamenti per l'effica- cia donata alle esortazioni del servo suo : e come nel volto e nel gesto de'cortigiani appare l'ammi- razione pel fatto di Ottone, così in quello di Ste- fania si legge apertamente il dispetto. Conservare il costume corrispondente ai tem- pi, ai popoli, ai diversi luoghi, alle persone, fu sempre una delle principali ricerche de'bravi pit- tori, i quali non ignorano quanto ciò contribui- sca a conseguire lo scopo dell'arte loro. Il Silva- gni, che ne fu sempre osservatore scrupoloso, non 292 ' BblleArti lo fu meno nel quadro di che si parla. Puoi quin- di ravvisare nell'architettura lo stile longobardico, che ti dimostra la decadenza estrema in che erano a que'tempi le arti : vedere Ottone che sopra la bionda chioma e liscia , perchè profumata giusta l'uso di quel secolo , cinge la corona detta ferrea di Monza, ed ha l'imperiale ammanto quale a'suoi dì costumavasi: e ad uno sguardo che volgi a'cor- tigiani riconoscer subito il vestiario civile e mili- tare alemanno. Che lascia a desiderare il Silvagni in quest'o- pera sua ? Egli che ha genio fecondo d' immagi- nare , e conosce a fondo l'armonia degli estremi dell'arte, ha saputo raggiungere quel che chiamasi pero, e ci ha fatto dono di quel che dicesi hello. E bello per verità reputeranno il suo quadro e quelli che riconosciutavi la natura nella sua sem- plicità, si appagheranno di contemplarla senza piti progredire; e quelli altresì che piii severi cercan di tutto la ragione, perchè in esso tutto troveran ragionato. E quando il Silvagni ha riportata l'ap- provazione di essi, a che debbe aspirar da vantag- gio.** Egli ha assicurata la celebrità del suo nome così in questa come nelle altre sue tele. F. Andreozzi 293 Memoria della vita e delle opere del giovane maestro di musica Gustavo Terziani. Agli amici di Gustavo Terziani, Ottavio Gigli. jL erchè lamentando, come troppo dolorosamente immatura, la morte di sì caro amico quel conforto prendiate che solo vi rimane a sperare nell'ammi- razione e nell'amore, in cui potessero venire presso agli uomini le virtìi della mente e dell'animo suo, ove fossero sapute: ciò feci per l'amicizia che a lui mi congiunse mio debito, certo che giammai occa- sione alcuna mi si darebbe nella quale potessi pili caramente aggradirvi. Proseguite a godere, se pur v'è dato, le dolcezze d'una vera amicizia e vivete felici. Ahi morte ria, come a schiantar se'presta Un frutto di molti anni in sì poche ore ! Petr. Le care speranze che allietavano un'onesta fa- miglia continuamente consolandola della certezza d'un pili beato avvenire, insieme a quelle di che già la patria assai volte ebbe a onorarsi per i pub- blici esperimenti dati dall'ingegno del giovane mae- stro di musica Gustavo Terziani, con lui, il giorno 31 di agosto del 183T, dall'universale de'suoi con- cittadini si condolsero come troppo acerbamente in sul fiore inancate: e fu allora che il crudelissimo 294 Belle Arti morbo asiatico, venuto a disertare questa nostra Italia, nella tribolata citta nostra menava stragi grandissime, tanto che nel dimostrare i suoi lagri- raevoli, e sempre piìi terribili effetti, portava nella famiglia Terziani infino a que'dì vivuta tranquil- lamente, contenta allo stato a cui era stata sortita, l'estrema desolazione e miseria. E che tanto imper- versare di fortuna fosse venuto a perturbarla e di- sperare, è da tenersi potersene trovar certa cagio- ne nell'amor ferventissimo, portato dall'infelice Gu- stavo alla madre. Imperciocché questo in lui era così acceso, che infermata della pestifera malattia, nell'apprestarle i rimedi per tornarla a salute, non gli lasciava por mente a cansare il contatto, o al- meno usando delle debite cautele in alcun modo guardarsene : che anzi traportandolo quanto più peggiorando si sentisse di pericolo, dall'accostarle- si, sollevarla, recarsela al petto niente lo poteva ritenere , in tanto che sempre più ad ogni ora perigliandosi ad appestare, ne rimase finalmente preso, e in poco andare, come diremo, morto: in- contrandogli in ciò sventura da fare verso di se in ogni tempo, pietoso ne senza lagrime chiun- que avrà a sapere , che la madre stessa che so- pra la sua vita l'amava, e che tutta mille volte a qualunque rischio l'avrebbe messa a sua salvez- za fosse divenuta in brevissimo spazio, in si fiero modo di lui micidiale. La qual cosa nel giorno ap- presso ben chiaro si vide far quando passata di questa vita quella rara donna, ugualmente ammalò prima il figliuolo più piccolo, e non guari dopo il nostro Gustavo. Quella sventurata in ciò me- no da compiangersi, che dovendole morire l'amor suo il figlio che di sue fatiche l'intera famiglia Memorie del TERaiANi 295 onoratamente sostentava, ed essa restare in vita sostenendo il dolore continuo che per sua ca- gione si fosse in lui avventato il mortifero male e seguitane la morte, fosse senza tanta inestima- bile ambascia comportare innanzi a lui trapassa- ta, mentre per ninna altra cosa al mondo pote- vale essere caro il conservarla se non per que' ^ suoi miseri figliuoletti, che senza di lei, e del maggiore fratello, avrebbero dovuto stentare la vi- ta, e forse consumarla per ogni estremità. Ma per- chè alquanto di sollievo prendiamo nel discorre- re come il cielo in tale estremo mandasse a quel- la famiglia un insperato soccorso, in un amico con- giunto a Gustavo con piìi che fraternale dimesti- chezza ; mi farò a raccontare con speranza , che un SI raro esempio accenda altri ad imitarlo, co- me morta la madre questi veggeadolo costernato nell'animo, e già così mal disposto del corpo da potere appena la vita, considerando come rima- sti sarebbero que'due fratelli, uno de'quali già era infermato, se senza aiuto, senza chi piìi li cam- passe lui fosse venuto a morte, avvisò consigliarsi al meglio con ogni maggior forza di ragioni, di prieghi, di lagrime persuadendolo, acciocché la- sciato chi curasse con la piìi affettuosa sollecitu- dine il fratello infermo, egli in tale stato, essen- do già in lui accasciata ogni vigoria d'animo e di corpo, si lasciasse menare in casa sua, ove non era senza speranza che per i svariati sollievi rimosso l'a- nimo da quanto potesse accrescergli tristezza, di- straendolo in altri pensieri, lo potesse riavere. In sul primo tentarlo a lasciar la casa paterna, quasi il cuor gli desse piìi non avere a tornarvi , dal suo proponimento di volere quivi insieme ai suoi 296 Belle Arti fluire , non si poteva a verun modo mutare , ma quindi da capo 1' amico pietosamente riducendo- gli a mente come senza di lui rimarrebbero i suoi fratelli , in si tenera età , digiuni di ogni arte , minacciati della vita, esposti airarbitrio della for- tuna, che allora avversavali si crudelmente, vinto si lasciò piegare e in tanto, e si grave dolore ab- bandonato si diede a seguire l'amico. Troppo in parte m'allargherei se partitamente volessi far co- noscere ai miei leggitori con quanti industriosi tro- vati una vera amicizia cercasse trovar modo di ces- sare tanto dolore, confortandolo a ridursi pur an- co seco in quelle case , ove di care rimembran- ze potesse promettersi a lui alcun sollievo recare: come che sempre meglio nell'andare s'accorgesse per tali amorose sollecitudini poco o niun refrige- rio venirne a lui, che già stancato, e noiato d'ogni cosa pili attrattiva a godere, caramente lo doman- dava d'essere menato in sua casa a ristorarne l'ani- mo abbattuto, e le membra faticate per si fiere an- gustie e vigilie. Veramente inutili, e come tali ul- time furono le cure dell' amico a rimuovere del- l'animo quello che tanto duramente lo passionava: ma sebben tali che a niente riuscirono, non essen- do stato per lui che in ogni maniera non fosse aiu- tato a campare la vita, non mi sembrarono da pas- sarsi senza particolare ricordo, per essere interve- nute a questi tempi che molti fanno gran sembianti d'esserti amico, mentre non sono che pochi quelli i quali senza aver l'anima contaminata d'alcuna bassa passione, alla vista d'alcun pericolo accomunassero la lor sorte alla tua. Cosi al mancare del giorno 31 agosto andava la vita a Gustavo, quando in su l'annottarsi già gli occhi affossati, ed all'intorno in- Memoria del Terziabq 297 llviJiti, non disgiunti da altri segni piti manifesti della temuta malattia, dallo spasimare dello stoma- co in continuo travaglio , qualunque rimedio anzi che migliorarlo peggiorandolo , nel male sempre peggio aggravava: percliè innanzi che i medici al tutto lo disperassero, nell'animo di piìi vivere dif- fidatosi , siccome colui che presso al suo fine si sentiva, pianamente quanto le forze giel soft'ersero sollevatosi in sul letto si rivolse all'amico che al- lato gli sedeva. E veggendolo con gli occhi aggra- vati di pianto , di poi averlo piìi con cenni , che con parole confortalo a non rammaricare si dolo- rosamente, e che per lui, che sperava a pace dura- tura passare, non raddoppiasse ad ogni ora Tango- scia e le lagrime , caldamente Io richiedeva che degli estremi conforti della religione lo volesse far consolato: e senza pili con voce affiocata che a Dio l'accomandasse, lo tenesse in memoria agli amici, vivo nel cuor suo, in queste parole in bocca ammez- zate in ^ul guancial ricadendo. Per tal modo in set- te ore fra le braccie d'un amico, e i conforti del- la religione, nella sua gioventù di venti quattro an- ni Gustavo non alterato all' aspetto della morte , con serena tranquillità, tutta fiducia in Dio , non era più che nella memoria degli amici e de'congiun- ti, senza pure essere stato in quella estrema ora rac- consolato dal compianto de'suoi cari, che solo due di avanti gli avrebbero attorniato il letto condo- gliando. A chi si faccia, come noi, a considerare la breve , ma virtuosa ed utile sua vita mostrando quanto spesso riescano vane le fatiche e le sperane ze degli uomini per acquistar fama e procacciarsi una gloria, che o dall'invidia, o dalla malignità del- la fortuna e de'tempi ci può essere inlino all'estrc- G. A. T. LXXIV. 20 298 Belle Arti mo di nostra vecchiezza fra gli stenti ritardata, q non rade volte nel buono degli studi, nel fiore degli anni e delle speranze la vediamo spenta. Non consu-r mò adunque quel pochissinjo di vita, che gli fu data, in un ozio neghittoso, conie i piìi fanno, il nostro Gu- stavo, che nato in Vienna di Pietro Terziani ed Anna Steinkard il 17 febbraio del 1813, aggiungeva appe- na l'anno tredicesimo del viver suo quando dal pa- dre, che volevalo per tempo, siccome l'avevano dili-r gentemente allevato, costumare, e farne un ornato giovane, era raccomandalo alle cure ed al sapere di reputati maestri che nello studio delle lingue il piìi diilettevolmente che potessero, da non fargli disa-r morare gli studi, l'addentrassero, Onde poi seppe, ed assai in processo di tenipo se n'ebbe ^ giovare, l'italiana, la latina, la tedesca, e la francese: ìr\ cip seguendo, come dissi, non pure la volontà del pa- dre, ma la sua propria inclinazione che lo tirava eziandio a studiare la musica, dal padre che asr sai gloriosamente la professava messagli con ogni pili lusinghevole modo in amore. Ma ciò hen egli ad antiveduto fine operava, sicconie colui che già n'aveva presa esperienza, e sapeva quanto onorato e sovente utile riuscisse prevalere agli altri d'inge- gno in alcuna arte, della quale l'alterezza de'grandi piacendosi valesse a portare negli aninrji loro dilet- to: ove se in essi- trovisi gentilezza alcuna di senti- re, radamente addiviene che non vi pervenga com- passione verso chi lo procurò, solita pure accen- dersji all'aspetto della virtù infelice nel desiderio, quanto commendevole, glorioso, che un ingegno da natura sortito a cose alte, sovvenuto d'ogni suo bi- sogno per loro non vada piùi tapinando la vita, col-: pa e vergogna del secolo in cui visse. Di questo bcr Memoria del Terziari 299 fieficio, che dobbiamo riconoscere dall'ingegno util- mente adoperato, s'ebbero a ristorare dalle in^^iu- rie della fortuna molti uomini infelicissimi, i cfuali nel possedere la parte graziosa dell'arte, che per istudio non si acquista, ma sì ci vien da natura, ven- nero in tanto amore, e furono sì sommamente tenu- ti cari da alcuni magnifici signori, che nella lor gra- zia divenuti grandi, in compenso al provato godi- mento riportarono felicitata la vita, di tutti que'be- ni adagiati da goderla nella tranquillità beatissima degli sludi, Quest' arte divina della musica, che davasì jj professare Gustavo, s'ebbe sempre, rispetto alle al- tre, maggiori gli onori e le ricompense, e ciò, a^ mio parere, perchè solo attese a un breve e vano dileticare , ?l rendere meno noiosa la vita ad aW cuni sazievoli signori senza accenderli a magnani» me imprese; che forse se a questo fine di spoltri-!- re fla un ozio neghittoso, e sollevare gli animi tor- nandoli ad innamorare d'alcune eterne verità, fos-» se stata adoprata , la storia con molti lagrimevoli esempi ci persuaderebbe che non punto diversa fosse stata la sua dalla fortuna delle altre arti so- relle quando non si dipartirono dal loro santo uffi- cio, pi tale arte adunque al cielo sì caramente di- letta riconobbe eziandio Pietro Terziani la quie^ te dell'animo, le agiatezze della vita, quando tras^ mutatosi in Vienna, perchè del suo ingegno erasi voluta deliziando profittare una principesca fami- glia di quella citta, in cjue'beati ozi che gli era-^ no dati a godere , andava con lusinghiere spe» ranze ogni di meglio allietandosi, veggendo ere-, scere nella persona e nell'ingegno il suo Gustavo, che come sperava preso della sua arte n' avreb* 300 Belle Arti Le cavato sostentamento quanto utile dignitoso, d^ non avvilire giammai alla potenza. Ne trovò l'ani-? mo del giovane non rispondere ai suoi desiderii, che anzi assecondando con essi la sua ben dispo-r sta natura, davasi tutto alla musica, nella quale al ritorno loro in Roma nel 18^8 volle essergli il padre stesso maestro, ^on avendo il giovane Gu-r stavo altro pensiero che lo studio della musica, al-r tro diletto che in quella per cui tuttodì travaglia- vasi, alqijaìJtQ dopo fece venire il suo padre nel desiderio di farlo discepolo nel con trapunto del- l'onore vivente della musica italiana, del maestro don Giuseppe Baini: a ciò ancora risolvendosi, nor^ potendo egli insegnarlo, conje avrebbe desiderato, per le molte occupazioni in cui la più parte del giorno dimorava a guadagnarsi la vita. A que-? sto adunc|ue affidatolo, in poco spazio si videro i progressi rapidissimi del suo ingegno nelle pri-r me composizioni tanto ecclesiastiche, quanto teatra- li. Nella chiesa del Gesù un salmo a otto voci e due cori dava qual suo primo saggio degli studi, ri-r portandone lode da incuorarlo a scrivere; quando la sqmma delle cose di Franciì» si tramutavano nella maestà del re Luigi Filippo , in s. Luigi de'francesi una messa a quattro vqci, nella qua- le ben si conobbe, le speranze della prima gio^ ventù non essere state lusinghe d'amore paterno, ma SI fqndate sopra un ingegno che non avrebr Le fallito a fine glorioso. Il Daniele, spartito sa- cro per l'oratorio della Chies? Nuova, molte arie ed altri pezzi concertati per teatrp, gli conferma- rono il nome di dotto maestro, e squisito cono- scitore di quel bello, che nelle sue opere si stu- diava riporre. Penso non sark chi maravigli che Memoria del Terziani 301 si addéntro sentisse nell'estetica dell'arte sua^ do- ve si voglia considerare che formandosi in noi sor- tita da natura la disposizione, dai primi insegna- menti il gusto a hene profittare degli studi , ta- li nella sua prima gioventù l'ebbe, da non patire quella sventura quasi a tutti comune nello studio delle altre arti, d'avere a scordare l'imparato, per informare nuovamente la mente al vero bello. In ciò dovendo lodarsi alla fortuna del padre, o piut- tosto dell'arte sua stessa, che la provvidenza divi- na ha voluto mostrare essere cosa veramente ve- nuta dal cielo a sollievo degli uomini, dalle altre anche in questo volendola privilegiata: perciocché mentre tutte per le calamita pubbliche, per l'in- stabilità della fortuna e degli uomini, ora scadono, ora tornano in fiore, la musica durò senza corromper- si cosa veramente celeste infino al suo secolo d'oro, che fu dopo la meta del sècolo XVlII. Che l'ingegno del nostro amico fosse ricco di queste doti, me ne fa- ranno fede quante famiglie fra noi trovano onesto e sospirato ricreamento nella musica, dalle quali soventi volte era a grandi istanze richiesto, perchè mettesse ordine e vita ne' concerti, del suo sonare eziandio il piano-forte l'animo d'ognuno molcendo, che in tali soavità da tristi pensieri si solleva e al- lontana.E voi siatemene pur testImonie,o giovani, che da lui apparaste quel canto passionato, quel sonare il piano-forte affettuosamente, lasciando ad altre la gloria d'essere ammirate per appianare tedesche dif- ficoltà, mentre voi eravate contente a quella del com- muovere maravigliosamente a cari affetti, non senza riportarne lode, dove la necessità il richiedesse, d'a- gilità di mano destrissima da non ispaventarsi a qua- lunque malagevolezza d'arte. Se solo per voi, cui in- titolai queste parole, avessi scritto, inutile non che 3C2 Belle Arti gravoso terrei 1' avervi tornalo sopra tali dolorose ricordanze dell' ingegno suo: ma ad altri dovendo far ritratto di lui, che non sapevano quanto degna- mente meritasse della vostra amicizia, le credetti necessarie a far sapute le sue virtù, e a disfogare in parte l'acerbezza del dolore per s\ grave perdita sentilo. Or dunque non mi rimane clie appagare la vaghezza di coloro^che conosciutone l'animo e l'inge- gno, desiderassero avere contezza della sua persona che era graziosa e dilicata, aggiungendosi all'avve- nenza naturale del volto^che si derivava in gran par- te degli occhi temperati a soavissima malinconia, l'a- mabilità delle maniere a maraviglia cortesi, nell'inti- mità dell'amicizia, solita tornare in piacevolezza fa- ceta. Complessionato a non lunghe fatiche, a non abu- sar degli studi, egli senza darsi pensiero alcuno, non temperandosene, rendette la sua salute cagionevole tanto che assai ebbe a patire nella sua breve vita. Fu travaglialo pur molto dall'invidia d'alcuni amici di mentita fede, donde poi in lui venne quell'andar contegnoso che a molti sembrò sentire di superbia, in vero non essendo che trista esperienza del vi- le e falso procedere d'alcuni, fra i quali a soste- gno della vita aveva dovuto costumare. Ma se ave- sti amareggiata la vita per salute divenuta infer- miccia, per invidia insolente, in vita trovasti com- penso nel tuo ingegno, di cui potesti far lieta la tua famiglia, nelle virtìi rarissime che l'anima t'a- dornavano; or quanto non l'hai tu pur grande, e desiderabilissimo nella durevolezza della tua memo- ria ne'concittadini! Che laddove dei piìx il nome e il cadavere insieme si seppelliscono, il tuo, o Gu- stavo Terziani, solennemente esequiato rimane ca- rissimo alla tua patria, e vi tornerà sempre grato fin che la musica porti ne'cuori nostri dolcezza. 303 Opere di pittura e di scultura condotte da alcu~ ni accademici di s. Luca e descrìtte dal prof. Sal- \^atore Betti segretario perpetuo dell' accademia. I. li giudizio delle armi di achille, bassorilievo del commendatore Alberto Thorwaldsen danese (1). E. (uano già compiute le funebri cerimonie in- torno al sepolcro di Achille, e compiuti pure i giuochi che onorar solevano la memoria de'valorosi: quand'ecco la nereide madre di quel magnanimo farsi in mezzo all'adunanza de'greci recando seco le armi che Vulcano aveva fabbricate al figliuo- lo, e porle premio al piii invitto. Un profondo silenzio si mise per tutto il campo al parlare di Teti : vagheggiando ognuno con cupidità generosa r altissimo dono , ed i piìi egregi riandando col pensiero i propri fatti e gli altrui : ma ne Me- nelao, ne Diomede, ne Aiace d'OIleo, ne lo stesso Agamennone re dei re , dice Ovidio, osarono le- varsi al grandissimo acquisto. Soli trassero innan- zi animosi Aiace di Telamone ed Ulisse , e lungo tempo ne furono a contesa fra loro. E chi avrebbe ardito frapporsi arbitro di quegli sdegnL? Chic- li) V. la tavola XXXIII dell' anno III dell' Ape Italiana , giornale romano di belle arti. 304 Belle AnTi deva Aiace per giudice Agamennone, Nestore, Ido- meneo, il fiore della prudenza del campo acheo: ne Ulisse li rifiutava : ma i tre ^avi a quella pro- posizione fissi a terra gli sguardi, e in se grave- mente raccolti, si stavano pur dubbiosi ed incerti, stimando gran pericolo la decisione. Allora alzossi Nestore e disse : Dtiopo è che questa rea lite non sia Da noi decisa, ma da teucri schiavi Memori ancor della successa pugna. Essi tra Ulisse e Aiace imparziali Proferiran chi a dritto aver pia debba Larmi di Achille (1). Approvarono lietamente l'avviso del veccliio non pure Aiace ed Ulisse, ma tutti i greci: sicché fatti condurre in mezzo gli schiavi troiani , in essi il maggiore Atride rimise il sentenziare cjual dei due forti avesse recato a Troia più guasto. Disse il Te- lamonio la sua ragione, la disse il Laerziade: quegli con soldatesco ardire, questi con alta e copiosa elo- quenza di oratore: la quale tanto potè, che a lui per coraun giudizio fu data vinta la gara. Di che Aiace surse poi in colai furore, che accusando feroce- mente e cielo e terra d'essersi al Tonta sua congiura- t!, poco stette che preso da disperazione colla pro- pria spada si passò il petto. Chi non conosce la tra- gedia sublime che di questo fatto ci lasciò Sofocle? Fatto nell'istoria della guerra troiana celebratissi- mo, sul quale avremmo, oltre a' versi epici che ci (i) Q. Calabro, lib. V. Traduzione della Bandettlni. Opere di accad. di s. Luca 305 rimangono di Ovidio e di Q. Calabro, anche i tragici di Esdiilo, di Astidamante, di Pacuvio, di Ennio, se non ci fossero stati rapiti dal tempo divoratore. Non sombra però che tutta l'antichità si unisse concorde a favorire la ragione dell'itacense: anzi fu- rono moltissimi che stimarono essere stato fatto ad Aiace un oltraggio^ oltraggio che da Nettuno gli fu poi con tanta solennità riparato. Imperocché andato naufrago Ulisse sulle coste di Mila in Sicilia, e in quella fortuna andate pure disperse pel mare tutte le cose sue, lo scudo di Achille fu dalla corrente delle acque portato a pie del sepolcro del Telamonio, che sorgeva sul promontorio reteo, là dove nel giorno appresso da una folgore fu incenerito. Cosi questa maraviglia ci è narrata da Tolomeo Efestione: con cui si concordano in parte Pausania e gli autori di due epigrammi della greca antologia. Dico in parte: perchè secondo quegli epigrammi la sola asta dell' eroe fu gittata dalla marea sulla tomba di Aiace : e secondo Pausania era opinione degli eolii, che ciò fosse avvenuto di tutte le armi di Achille. Con Pausania stette Ugo Foscolo, che nel carme deVe- polcri così cantava al suo Ippolito Pindemonte : Felice te che il regno ampio dé'venti^ Ippolito^ a tuoi verdi anni correvi ! E se il piloto ti drizzò V antenna Oltra risole egee, d'antichi fatti Certo udisti sonar delV Ellesponto I liti, e la marea mugghiar portando Alle prode retee farmi d'Achille Sovra rossa d' Aiace. A' generosi Giusta di gloria dispensiera è morte. 306 Belle Arti Il commendatore Alberto Thorwaldsen ha toltrf in un suo bassorilievo a rappresentarci questo giu- dizio, ponendosi dalla parte di coloro che nell'es- sere stato anteposto Ulisse ad Aiace vollero sapien- temente simbolèggiatOj come le armi degli eroi si convengano meglio ad un valore pieno di genero- sità e di prudenzai i che ad una forzai baldanzosa di braccio e di petto. Finissimo avviso, e certo piìi de- gno di quello di Ovidio,^ che disse invece nel XIII delle Trasformazioni : Fortisqiie viri tiilit ctrmd disertus» Imperocché non solo parlatore facondo reputava- si dagli antichi il Laerziade, ma e'sémpio nobilis- simo di saviezza, di mansuetudine, di generosità, di religione: diverso in ciò appieno dal Telamonio, a cui altra lode per avventura non concé'devasi da* greci, che quella del suo indomabil coraggio, del terribil vigore, e dell'esser sovrano, siccome^ il de- scrive Omero, Degli omeri e del capo agli altri tutti. Orgogliosissimo infatti e talora empio verso gli dei così ce lo dipingono questi versi di Sofocle (1): Sì tosto come Aiace si partì di casa^ diede Di mente guasta indizio al padre suo., (i) Aiace, atto III, se. Ili, traduzione del marchese Massi- miliano Angelelli. Opere di accad. di s. Luca 307 // qiLal con savie parole gli disse: » Figlio^ ti studia esser 'valente in armi^ » Ma ognor rammenta che viene da numi » Lonor della vittoria. » Egli superbo E stolto a lui rispose: » Padre^ vince » Anco il vii con Vaila degl'i dei, » Io mi confido senza il loro aiuto » Acquistar fama. » Questi detti altieri Egli movea. Poij quando un altra volta JJ" incitava Minerva a fare scempio De'nemici^ con tale tracotanza A lei rispose: » O dea, del tuo soccorso » Gli altri greci sovvieni', dovè io sono., » Non fa danno la guerra. » Empie parole, Cagione all'ira grave di Minerval Non a'troiani schiavi^ come fecero Omero, Q. Calabro e Luciano, ne a' greci, come fece Ovidio, diede il Thorwaldsen l'onore di questo giudizio, ma SI a Minerva dea della sapienza e fieramente irata, secondo Sofocle, contra la superbia del Telamonio. Ne dì ciò il famoso artefice vorrà esser ripreso, sì perchè Omero nell' XI delFOdissea ci dice assolu- tamente, che le armi di Achille Teti, la madre veneranda, in mezzo Le pose, e giudicaro i teucri e Palla: SI perchè il simulacro della dea era veramente nel luogo, dove si fece il giudizio, come pone Ovidio che Aiace dicesse nel fine del suo ragionamento : Este mei memore s: aut si mihi non datis arma, Huic date. Et ostendit signum fatale Minervae; 308 Belie Arti e sì finalmente perchè Minerva è pur giudice di tan- ta lite in un antico disco di argento, eh è a Pietro- burgo presso il conte di Stroganow, e che dopo il Koehier fu pubblicato dal Millin (1). Opera che for- se unica si conosceva delle arti greche o latine in- o torno a questo giudizio, prima che l'instituto ar- cheologico di Roma ci desse quel suo antico bas- sorilievo (2): altro non sapendosi dei celebri dipin- ti di Parrasio e di Timante, che quanto ne scrive Ateneo, e più particolarmente Plinio (3): Ergo ma- gnis sitffragiis (Parrhasius) superatus a Timanthé Sami in Aiace armorumqiie iudicio, herois nomiìie se moleste ferra dicehat^ quod iterum ab indigno victiis esset. Vedesi adunque nel mezzo ddl bassòi*iIievo la gran Tritonia, che in tutta la sua pompa di figliuo- la di Giove, cioè coH'asla nella mano sinistra, l'el- metto in capo, l'egida al petto, ed un ampio peplo sopra la lunga tunica, impone colla mano destra a due schiavi troiani di recare incontanente ad Ulis- se le armi di Achille. Obbediscono essi al cenno della dea: e l'uno porge aU'itacense l'elmo e la spa- da, l'altro è già per deporgli a'piedi lo scudo. Gra- ziosissime figure di giovinetti son questi schiavi, e leggiadramente succinti: ed uno ha in testa il ber- retto frigio per segno di sua nazione. Accoglie Ulisse il glorioso presente: ne, sapientissimo ch'egli è, dà segno alcuno di montarne in orgoglio. Ma con mo- desta dignità risguardandolo, appoggiato all'asta la (i) Galene raytholog. tav. CLXXIII n. 629. (a) Anno i835, tav. XXI. (3) Hisl. nat. lib. XXXV, e 36 Opere di accad. di s. Luca 309 mano sinistra, ed al fianco la destra , sembra più dal favore della dea protettrice che dalla sua virtù riconoscerlot ben sapendo essere Aiace, dopo il Pe-^ lide, il maggior maestro di guerra che fiorisse nel campo greco, secondo che ha cantato Pindaro nella settima delle nemee, ed egli stesso conferma nella tragedia di Sofocle ; Mio nemico Di\>enne fin da quando mi far date Varmi di Achille. Ma negar non posso Che de* greci venuti sotto Troia^ Achille tranne^ fu il maggiore Aiace. lì che aveva pur detto nell'XI dell'Odissea, Ta do- ve il poeta pone che il Laerziade vedesse ed inter- rogasse nel paese de' cimmerii l'ombra del grand' emulo suo. Tal' è poi la foggia del suo vestire, che il nudo vi signoreggia all'uso della scuola greca: ed in capo ha il plico, come dopo Nicoraaco sogliono dargli tutti gli artisti. Ma dall'altra parte il guerriero di Salamlna , che niun freno conobbe mai agl'impeti dell'animo, dell'avverso giudizio non pur querelasi, ma tutt'ar- de di rabbia: sicché se ne batte colla destra la fron- te, mentre con la mano sinistra tiene fieramente im- pugnata l'elsa della spada che gli pende dal fian- co. Anch'egli ha la tunica e la clamide in dosso : così poste però ad ornamento della persona , che in parte ci mostrano ignude le più belle forme del- le atletiche membra. Ivi presso è il sepolcro di A' chille, significato alla greca da una colonna col no- \ne AXIAAEY2, e sopravi un'urna. Vedi a pie seder- $i un^ (jonna di $Qvr limane sembiauije, che in u« 310 Bel^eArti vestire schietto, e cinta del diadema le chiome, fa di un ginocchio sostegno al gomito del braccio si- nistro, e letto della mano al bellissimo viso. In at- to di sublime dolore e di abbandono, non sembra dar tregua alquanto a'sospiri, che per ascoltare il giudizio della gran figlia di Giove, a cui con me- sta attenzione si volge, Ella è Teti, la dea dal piq d'argento, la più leggiadra delle nereidif Veramente ini gode l'anima di aver qui potu-^ to scrivere queste parole intorno all' opera di un famoso, ch'è oggi cosj gran parte della gloria delle arti europee: di un famoso, a chi non so s'io debba pili essere stretto da ossequio per le tirili sue, cUq da benevolenza per le sue cortesie. IL Eteocle e Polinice, quadro del cav. Giovanili Sihagni romano (1). I tristi casi di Edipo furono variamente nar-« rati dagl'istorici e da'poeti: avendo creduto alcuni, ch'egli per un avverso destino non pur si togliesse nel talamo la propria madre Giocasta o Epicasta^ ma ne avesse anche figliuoli: altri al contrario ne- gando che le incestuose nozze fossero feconde di prole. Tenne Omero questa seconda opinione nell' Odissea, la dove è a vedersi il comento che ne fa Pausania. Cosi coloro che seguono il gran principe de' poeti e 1' antico autore della Edipodea, poema ricordatoci da esso Pausania, pongono che Giocasta (i) V- la tavola YHI dell' Jpe Ilalima, Opere di a ce ad. di s. Luca 311 morisse prima che l'incesto avesse l'abbominato suo corso : e dicono ch'Edipo generasse da una Euriga- nea, nata d'Iperfa, i quattro figliuoli Eteocle, Po- linice, Ismene ed Antigone. Que'due fratelli , gio- ventù ferocissima, furono la sciagura con cui gl'iddii vendicaronsi del delitto paterno e di tutte le col- pe della casa di Labdaco; perciocché non solo dan- narono essi il vecchio e cieco Edipo a vivere mi- serabilmente cattivo nella sua reggia, ma odiandosi con crudele odio l'un l'altro per lo spartimento del |:egno^ vennero a tale ch'entrambi di ferro 3Ì uc- piserp. Cip narravano gli antichi della Grecia, prima che il Serissimo fatto si recasse spettacolo su'teatri di jfVtene. Ma i poeti tragici, che soprattutto in Gre- cia giovaronsi delle ragipni di un'arte che inventa pd imita, non fedelmente narra come l'istoria, volen- do al terrore del fratricidio aggiungere anche l'orro- j'e dell'infame nascimentp di chi Ip cpmmise, ebbero senza più que'due scellerati fratelli per frutto di scellerate nozze. Cosi Eschilo, cosi Sofocle, così Eu- ripide adoperarono, cosi da ultimo il supposto Se- neca , nelle tragedie che tuttora ci rimangono di quelle abbominazioni: e così forse avevano adope- fatp quegli altri greci e latini, de'quali il tempo ci ha invplatp le opere : e fra essi Senocle, Nicoma-? co, Licofrone, Accio e Giulio Cesare, Vittorio Alfici*'? nelle cui tragedie ninna ma- niera di terrore è mai scarsa, da que'principi dell* arte non si allontanò, ne il doveva, nel suo Polinice: l'atto quarto del quale ha inspirato al cavaliere Gio- vanni Silvagni, consigliere e professore dell'accade- mia di s. Luca, la pittura di un insigne suo quadro, Jl che vorrà per prima cosa avvertirsi da chi l'ost 312 Belle Arti serva: imperocché se Euripide nelPatto quarto del- le Fenisse^ ed indi il Racine nè'Due fratelli inimici^ posero ch'Eteocle e Polinice convenissero insieme in- nanzi a Giocasta per accordarsi di pace ( cosa che invano cercheremmo ne' Sette a Tebe di Eschilo, e nella Tebaide di Stazio): fu però autore l'Alfieri del- l'apparecchiata pompa del sacrificio, del sospetto di un veleno, della rovesciata tazza del patto, di quel- la furia, di quell'atrocità. Il quadro adunque del cavaliere Silvagni non può avere altro interprete che la tragedia dell'astigiano. Ed ivi il pittore ha scelto appunto il momento, in che , venuto meno ogni accordo, Eteocle ardente d'ira ed impaziente d'indugio si volge a Creonte, e minaccioso gli dice j Tu^ Creonte, a morir pensa nel campoi Fra il ferro argiva e la tebana scure Scelta ti lascio. Vieni* Egli è dall'un de'lati del quadro, in atto di correre precipitoso al campo, dove dalle furie paterne è spinto al grande misfatto. Dall'altro lato è Polinice, non men furibondo, che accettata la disfida del san- gue fraterno, è sul profferire le alfieriane parole: Al campo io vengo. Trema ! Invano Giocasta infe- licissima con preghiere e con lagrime spera di trat- tenerlo, e gli afferra il braccio, con cui dalla guaina ha egli già tratto impetuosamente la spada : invano pure gli è a'piedi prostrata la misera Antigone , e : Z)i te, di noi pietade abbi, gli grida, al suo partire disperatamente opponendosi. Polinice , tentando trarsi sdegnoso a quel femminile ritegno, non altro sembra ascoltare che la voce di un'erinni che tiralo alla vendetta: e già gode di compierla, giU in tutti i desidei'ii si pasce della strage dell'abborrito fratello. Op5re di accad, di s. Luca 313 Ivi, quasi nel mezzo, veclj Creonte tutto chiu- rlo ne'suoi insidiosi pensieri, scuro del volto e rab- Jjuffato della persona, divorare in segreto, come perla sua preda, il trono di Tebe; e movere tutta- via con pietà ipocrita parole di pace. E pace pur grida il sacerdote venerando , che con le brac- pia mae§tosaniente levate scorgi presso all'ara che arde innanzi a'siniulacri di Giove e di Minerva. In- tanto il popolo, in incredibile commovimento qua e la per sì gran sagrilegio, per s\ grande orrore, par- te accompagna con gemiti ed urla l'atroce provoca- zione, parte sgombra dinanzi a quella furia di Eteo- cle per dargli libero il passo. Tutto è confusione, tumulto, pianto, spavento. Il cielo stesso ne freme; e fra le colonne del reale atrio ti atterrisce l'aspet- to di un aere procelloso e nero, d'onde scoppia» due folgori nunzie dell'ira de'numi per l'imminen- te fi'atripidiq. Tal è il dipinto che il cavaliere Silvagni ope- ro nell'anno 1820, terzo della pensione onde lo sti- mò degno l'immortale Canova ; dipinto che l'acca- deniia di s. Luca acquistò poi per la sua galleria. Ili Cerere e lYittolemo^ bassorilievo del prof. Rinaldo Rinaldi padovano (1). Fu già un tempo , siccome è noto, in ciii la Grecia di pUremarc mettendo a profitto l'igno^ (;) Vedi la tavola XII deU'aimo IV dell'^/^e Jte^Uan^. G. À. T. LX^iiy. 31 314 B E L L E A R T I ranza de'popoli di Europa sul linguaggio, sulla fi- losofia e sulle istorie degli orientali , con sicurtà pari alla sua vanita si disse di tutte le scienze e le arti unica ritrovatrice. Non dobbiamo perciò maravigliarci se volesse anche arrogarsi la maggio-r re beneficenza , che Iddio proyvidentissimo ab- ];>ia conceduto a'mortali. Dico il seminare, il micr tere ed il macinare il frumento non pur ne'paesi ellenici, ma in tutta la terra : pretendendo in tal maniera mostrarci il suo primato della civiltà, anzi della natura, coli' aver indotta l'umana famiglia dalla vita errante del pascolare le greggi ( di cui tanto compiacesi ogni barbaro) a farsi amore e de-? lizia di una compagna dove dimorisi faticando. La- onde essendo i greci, non so se per leggerezza o per leggiadria grandissimi favolatori in tutte le cose, finsero subito uqa cotal novelletta che diceva, come recatasi Cerere in apparenza umana, andò nell'At- tica, ed ivi fu accolta ad amorevolissimo ospizio dal re Celeo di Eleusi. Di che volendo la dea rendere alcun degno merito a cjueiruomo cortese e a quel popolo, prese come altissimo dono ad ammaestrare Trittolemo, figliuolo del re, nell'opera del semina- re il grano. Ne ciò solo : ma dando al giovane lo stesso suo carro guidato da due alati serpenti, com- misegli che così percorresse il mondo, e a tutte le genti si facesse autore di quel beneficio. Questo f\ivoleggiarono i greci : e a dare alla favola un'apparenza di vero, ne instituirono feste e misteri : sicché il volgo , che ninna cosa crede piti fermamente che le incredibili, non dubitò che tal fosse veramente il fatto quale si raccontava: la- sciando a'filosofi ed agli eruditi il trovarvi solo un' Opere di accad. di s. Luca 315 allegoria. Ma chi ora considera le istorie e le tra- dizioni antichissime dell'oriente ( ed in ciò niun se- colo può vantarsi sul nostro pe'tanti studi dottis- simi che si fanno di quelle lingue e di quelle an- tichità ) , non vorrà pili ricevere la greca favola ne pur sotto forme allcgoriciie: ed anziché crede- re cbe gli attici insegnassero i primi alle altre na- zioni di usare quell'alto favore della provvidenza, terrU invece che gli attici medesimi ciò apprendes- sero da'fenici-egizi: i quali non è più dubbio, che dallo stato selvaggio del cibare le ghiande, dell'erra- re di tana in tana, e dell'avere per suprema legge la forza, riducessero la Grecia ad alcun termine di buon vivere sotto nome di pelasgi e di cileni. E che infatti di quella nazione dominatrice fosse Trit- tolemo, non oscuramente è indicato da un'antica fa- ma, che secotido Diodoro dicevalo compagno di Osi- ride. Aggiungasi l'autorità di Apoilodoro, che gli diede per padre l'Oceano: sapendosi che i greci di que'tempi rozzissimi solevano col nome di figliuoli del mare, o del gran fiiune, chiamare chiunque da terre straniere approdava ai loro lidi: sicché poi Omero e Platone poterono scrivere con istorica al- legoria , ì' Oceano essere stato generatore di tutti gli dei. Cerere non fu che l'Iside egizia, come ci te- stimonia Erodoto: ne credo che per altro i crete- si dicessero esser nata fra loro, se non perchè l'iso- la di Creta, cosi ben situata fra l'Europa, l'Affri- ca e i'xlsia, fu la prima conquista de'navigatori fe- nici, quando cresciuti straordinariamente in poten- za vollero farsi ad un tempo e mercadanti e con- quistatori, ed inviare colonie a tentar nuovi traffi- ci nc'paesi di occidente. Per questa ragione mede- 316 Belle Arti sima anche Giove fu detto da Creta. Da quell'isola il culto di Cerere passò in Sicilia: e dì \ì^ con tutr te le arti pelasghe, e principalmente colla siciliana agricoltura, fu indi recato in Grecia, ove la viva- cità di quegringegni non tardò a farlo subietto del- le più leggiadre invenzioni. Ora il professor Rinaldo Rinaldi padovano , accademico di s. Luca, ha voluto questa favola gre- ca rappresentare in un bassorilievo , che orna il frontone alla loggia del bel calino fatto edificare in Albanq da Domenico 5enucci co'disegni dell'ar- chitetto Francesco Gasperoni. Opera veramente gen- tile di quel riputato scultore, e quanto possa mai dirsi accomodata ad un luogo, dove per ricchezza di messi vedi Cerere mostrarsi in tutto, come caur ta Onaero nell'inno^ De* numi e de* mortai primo sostegnq E gioia prima. La composizione del bassorilievo è in tal forr pia. Vedi nel mezzo la dea, che tutta avvolta nel peplo, salvo una parte del petto ch'è ignuda, sostie- ne colla mano destra il corno di Amaltea, e por- ge colla sinistra un manipolo di spighe ad un gio- vane, che facilmente ti si fa conoscere per Tritto- lemo. Imperocché nobile di aspetto come figliuolo di re, e leggiadro di forme come chi gih in fasce fu educato e nutrito da Cerere stessa, certo non puoi credere ch'egli sia un qualche incolto e sal- yatico montanaro, benché ti si mostri cos'i succinto della sua veste, e col pungolo in mano, e tutto in- teso a fare che due giovenchi reggano il nuo- yo peso dell'aratro , a cui sono aggiogati. Yolgesi Opere di accad. di s. Luca 317 egli ad ascoltare grinsegnamenti che gli da la dea intorno quell'opera, che dovrà fra poco di biade bionde e granite far ondeggiare il campo : e con tal sentimento gli ascolta , che non sai dire qual cosa nell'avventuroso alunno ti sembri maggiore , se l'attenzione o la maraviglia, la venerazione o Taf-, fetto. E doveva b^n esser cos'i, chi consideri quan- to grande sia la divinità che di sua presenza de- gnava un mortale, e quanto augusto il mistero dì beneficenza ch'ella annunziava. Poco quinci lontano, disteso sul dosso di una rupe, è Pane dio de'pa- stori e delle foreste, anzi piuttosto antichissimo sim- bolo della natura e della fecondità che vivifica tut- te le cose: il quale del braccio sinistro essendosi fatto puntello al volto, pare con diletto insieme e curiosità rimirare quel primo vomere che fende le zolle dell'Attica: e forse già pensa rendersi grato a Giove ed agli altri dei, rivelando loro il luogo dove celasi Cerere per ira della rapita figliuola. Che certo l'ha egli riconosciuta, benché non sia sotto le sem- bianze di quella divinità, che come dice Callimaco, tocca co'piedi il suolo e col capo l'olimpo. All'oppo- sta parte è ritratto con immagine d'uomo il fiume Cefiso. Vedilo che sedendo alla riva, tiensi col brac- cio destro sul!' urna, d' onde scaturiscono le sue acque ad irrigare i campi di Eleusi. Figura assai opportuna non meno alla bella composizione del bassorilievo, che ad indicare come princìpal soccor- so all'agricoltura sono le correnti che i fiumi reca- no a fecondar le campagne. E bene altresì l'artefice le ha posto a lato due piccole barche: volendo con ciò significare il commercio che introdurre dove- vasi nell'Attica per la nuova e preziosa coltivazione. Cosi di una singolare semplicità, come ognun 318 B E L L E A R T T vede, è il componimento di questo bassorilievo: al modo appunto che sono tutte le cose belle. Dell'ar- te con cui è condotto non parlerò: perchè il no- me del professor Rinaldi è assai chiaro fra gli scultori che oggi fioriscono la scuola classica di Ro- ma e d' Italia. Vorrò solo considerare , che ninno avrebbe potuto piìi strettamente attenersi alla dot- ta antichità sia nelle vesti, sia negli attributi cosi della dea, come delle altre figure rappresentate. Im- perocché se Cerere ha qui velato il capo e cinto insieme di un serto di spighe, ben sapeva Fartefi- ce che così hanno gli antichi pili specialmente ri- tratta quella veneranda legislatrice, o per meglio dire quella regina delie dee, come la chiama Calli- maco : e ne addurrà in esempio molte insigni mo- nete della Sicilia, specialmente di Palermo, di Sira- cusa, di Leontini, di E;iaa, anzi la rarissima di Ate- ne, dov'è appunto Cerere dall'una parte, e dall'altra Trittolemo che recasi sui carro a propagare la nuo- va, .provvidenza per l'universo. Se dalla tunica talare e dal peplo, onde con matronale decoro è amman- tata, ha fatto apparirle ignuda uìia parte del petto, vi dira essergli noto ciò che il Winckclmann (1) aveva osservato sull'uso misterioso che in molte ope- re antiche ha questa dea di mostrar le mammelle. Se in una mano le ha posto il corno di Amaltea , vi dirà pure essere anche c]uesto fra gli attributi di Cerere, singolarmente nelle monete di Catania , di Etna, di Siracusa e di Demetrio Sotero: attributo, come ognun sa, dato la prima volta da Bupalo nel- l'olimpiade LX alla Fortuna, colla quale spesso gli i) Storia dell'arte del disegno, lib. V, cap. VI, §. 7. Opere di accad. di s. Luca 3 19 antichi hanno confuso la dea protettrice deH' agri- coltura. E se jfigurata l'ha con un viso di si mara- vigliosa dignità e bellezza, vi dirà in fine di avere avuta in mente l'idea non solo di una cosa celeste , ma SI appunto della divinità di Cerere, che con tanta perfezione e sublimità di lineamenti ci è rappresen- tata soprattutto nelle monete italiche di Metaponto: nelle quali studiando il Rinaldi, non mancò insieme di avvertire, come alla dea di Eleusi, benché bellis- sima ed autorevolissima, doveva pur darsi alcun grado minore di quella beltà maestosa che si con- viene a Giunone. Pane è quale tutta l'antichità delle arti ce Io ha dipinto: mezzo capro cioè delle cosce e de'pie- di, simo del naso, con piccole corna, con barba ir- suta, col pedo e con la fistola pastorale. Di sotto poi alla rupe, dov'egli giace, vedesi sbucare un serpe a strisciarsi pel campo. Chi ne ignorasse la signifi- cazione, sappia che indizio de' misteri eleusini , i quali a tutta la gentilità furono santi e famosi. Ne il Cefiso, coronato com'è di alga, è rappresentato men dottamente: e centra chi pretendesse, che gli antichi nel dare ad un fiume le forme umane usas- sero essenzialmente porgli le corna ad indicare la forza delle sue acque, l'artefice che qui ha credu- to passarsi di questo attributo taurino ben potrà opporre l'esempio di molte altre opere prestantis- sime d'arte, e soprattutto ciò che ultimamente ne ha scritto il celebre segretario dell'accademia er- colanese e mio venerato amico, cav. Francesco Ma- ria Avellino (1) , la cui autorità in queste cose vuoisi avere gravissima. (i) Opuscoli, voi. I, cart. 107. 320 Belle Arti tv. Psiche trasportata dai zeffrij gruppo in marina del prof. Giovanni Gibson di Liverpoot (1). La favola di Amore e Psiche fu per lungo tem- J)0 creduta una leggiadra fantasia di Apuleio : im- perocché stimavasi esser vissiito dopo lui quell'ate- niese Aristofonte, che secondo Fulgenzio iief sci-isse ne'suoi perduti libri intitolati Djscrdstia. Niun'ope- ra d' arte conoscevasi inoltre con certezza di tem- po 0 di artefice, la quale potesse dirsi condotta in- nanzi al secondo secolo dell'era volgare, in cui fiorì il filosofo di Madaùra. Ma lasciando stare che dub- Lià molto è l'età di Aristofonte, ne può ancora: ben. giudicairsi di qual secolo fosse precisamente, i mo-' derni critici hanno di questa favola ravvisato indi- zi chiarissimi in tin celebre epigramma di Melea- gro, poeta che il dottissimo lacobs vuole con belle ragioni essere stato contemporaneo dell'ultimo de' Seleùci. Ciò tuttavia che per sempre ha posto ter- mine alla qtiistione si è il famoso cammeo di Ti- fone, artefice vissuto sicuramente sotto i re di Ma- cedonia successori di Alessandro; per non parlare dei dipinti della grotta di Corneto pfubblicati dai Byres , certissimo lavoro etrusco : e delle pittu- re ercolanesi del volume terzo , operate , con si- curezza non minore, un secolo almeno prima di Apuleio. Sicché ora, senza disputare piìi oltre. Vor- remo dire col Grcuzer, esser còsa probabilissima (r) Vedi la tavola XV dell'anno II dellV/JC italiana. Opere di accad. di s. Luca 321 che in questa graziosa immaginazione eli Psiche si celasse alcuno degli antichi misteri di Amore, che sapevansi dagl'iniziati (uno de'qùàli potè èssere il poeta Meleagro ), ma che descritti è qùctsi Rivelati furono primaniente né'libri di Apuleio e di Arislto- fonte. Dalla narrazióne del libro quarto di Apuleio è tratto il soggetto di questo gruppo, condotto iti Riar- mo dal professore Giovanni Gibson di t/ivèrpool, accademico di merito di s. Luca. Imperocché Psiche e rappresentata in qUel primo momento j in che i zeffit*i la levano à volo dalla sommità dello sco- glio, dove l'oracolo aveva comandato a' geni tori dì condurla ei di abbandonatala i é dove Apuleio ce la descrive piangente e atterrita sia del trovarsi in quella orribile solitudine^ sia del Sapere per le pa- lmole di es^o oracolo j eh' ella già non sarebbe an- data al talamo di un mortale , ma sì di un iddio più velenoso e malefico di qualunque serpente. El- la quindi tutta in sé ristretta guarda con naturale atto di timidità la terra, d'onde vien sollevata* Sem- plicisslntio è il suo vestire, siccome quello che solo le copre la inferior nudità; e le chiome ha stret- te dietro il capo in un nodo, fatto da un piccolo strofìo che altresì le circonda leggiadramente la te- sta. I due zefllri, ignudi tutti della persona e co- fonati di fiori, recati si sono la donzelletta a seder sulle spalle, e pare che l'assicurino di allegrezza: sapendo ben essi j siccome servi di Amore che li chiama Apuleio, qual ventura le sia preparata dal loro signore^ ed a cjual luogo deliziosissimo la con- ducano. E l'uno le abbraccia dilicatamente i fian- chi e le gambe: l'altro la regge al ginocchio , ed alza la mano destra per ricever quella di lei , 322 BelleArti che nel subito sbigottimento sembra cercare questo soccorso. Psiche non ha qui le ali di farfalla, come ri- chiederebbe l'origine del suo nome, che altro già non vuol dire che anima e farfalla. Ma di ciò ab- biamo pure altri esempi. Ali di farfalla hanno ben- sì i due zeffiri; forse non per altra autorità, io cre- do, che del Dizionario istorico-mitologico compila- to in Milano da Giovanni Pozzoli e compagni, e di un moderno quadro dipinto dal francese Prudhon. A me non pare però ch'elle sieno ali da ornarse- ne un zeffiro: ne so che niun poeta od artefice an- tico ce ne abbia lasciato esempio. Certo è che Lu- crezio gli dà le penne (1); It Ver et Venus, et Veneris praenuntius ante Pennatus graditiir Zephyrus vestigia propter-^ le penne gli da Glaudiano (2): Ille ( zephyrus ) novo madidantes nectare pennas Condititi et glebas foecundo rore maritata e le penne gli dà pure all'omero il greco sculto- re che operò il bassorilievo della celebre torre otta- gona in Atene, secondo che ci è descritta e rappre- sentata dallo Stuart (3): e con piccole ali di pen- ne alle tempie può anche vedersi presso il seniore Filostrato (4). Nulla dirò di Apuleio: che egli non (i) Lib. V, verso 737. (2) De raptu Pi-oserpinae, lib. II, v. 88. (3) Antiquités d'Athènes^ I, i4; edizione del ii (4) Immagini, lib. I cap. a4- Opere di accad. di s. Luca 323 ci nai'ra che avesse le ali di farfalla ne pur la Psi- che: ee]iens^ Ed in altro luogo fa eh' esso rechi a volo le sorelle di Psiche, clementissiniis flatibus: ed al- trove, gremì o spirantis aurae. Ma perchè si darebbe a Zeffiro questo simbolo di un volare con mollezza non meno che con silen- zio? Che tal è ne'mitologi il significalo delle ali di farfalla. Forse eh' egli è sempre quel soavissimo, che nella primavera corona di foglie le piante, e in- fiora i prati, e scherza coU'onda? Non già: anzi tal- volta è sì gagliardo e sonoro, che leva il mare a procella, e contrastasi a guerra perfino cogli euri e cogli aquiloni. Di che piìi esempi potrebbero addur- si, se bisognassero, così de'poeti greci, e special- mente di Omero che nel XII dell'Odissea lo chiama rabbioso nelle tempeste^ come altresì de'latini: ma giovino questi di Virgilio. Ecco ciò che ha nella Georgica (1): j4t Boreae de parte trucis cum fulminata et cum Eurique Zephyrique tonai domus., omnia plenis Rara natant fossis., atque omnis nauita ponto Humida vela legit: e nell'Eneide (2): (i) Lib. I. V. 371. (2) Lib. I, V. i35. 324 Belle Arti Eiirum ad se Zephjrumque vocat-, dein talia fatar: Tantane vos generis tenuit fiducia vestri? lam coelum terramque^ meo sine numine^ venti^ Miscere^ et tantas audetis tollere malesi Laonde poi disse Ovidio (1): Inter utrumqiie fremunt immani turbine venti: Nescit^ cui domino pareat, unda maris. Nam modo purpureo vires capit Eurus ab ortu, Nunc Zephjrus sero vespere missus adest. Essendo perciò Zaffiro ne'suoi spiriti cosi vario , non séitìbra che possa con particolare attributo di- stinguersi dagli altri venti per le ali niollissime di farfalla: cori le quali, come ognun vede, oserebbe invano venire A contesa co' suoi possenti compa- gni. Lasceremo quindi ai non dotti delle cose anti- che l'insegnare ciò che lor piace: ma noi ameremo assai meglio di star coi classici, soli competenti maestri in queste cose della mitologia: e perciò non daremo le ali di farfalla che a Psiche: e dopo essa al Sonno, che in altro modo già non ci viene che con volo tacito e lieve (2); ed in fine alle Ore, se pure ci è recato diligentemente dal Millin (3) un bassorilievo che fu gik del Townley, ed è al pre- sente nel reale museo britannico: e se pure è certo (i) Trist. lib. I, eleg. 2. (2) Vedi ciò che ne dicono il Visconti nel Museo pio clemen- tina, tom. I, tav. 28; il Zoega ne Bassorilievi, toni. II , tav. gJ : il Zannoni nella Galleria di Firenze, toni. II, serie IV delle sta- tue e de'busti. (3) Galene njythologique, toni. I, tav. XLV, num. 199. Opere di accad. di s. Luca 325 che voglia significarsi la State in quella figura mu- liebre col tirso nella mano destra ed un vaso nel- la sinistra, e non piuttosto, come io credo, un*an- cella compagna dell'altra ( con le ali pur di far- falla ), che ivi seduta sta rallegrando col suono le nozze di Amore e di Psiche. Questo gruppo è in Inghilterra, scolpito dal celebre artefice pel fu cavaliere Giorgio Beaumont, Michele Cervantes. Statua del cav. Antonio Sola di Barcellona. Argomento della civiltà vera di una pazione ip predo essere soprattutto 1' onore che rendesi alla memoria di que' famosi * i quali con belle opere d'ingegno ( cose di gentilezza e di pace ) intesero a darle una vita , che ne forza d' anni ne prepo- tenza di barbarie valgono a spegnere: la vita cioè della gloria. Perchè non saravyi cortese, il quale sinceramente non si congratuli col popolo spa- gnuolo, che oggi di questa civiltà porge al mon- do sì splendidi esempi. Ecco infatti un magnifi- co monumento eh' esso innalza a Michele Cervan- tes : volendo il re Ferdinando , che degno di se e della Spagna sorga in bronzo a Madrid presso l'umile casa, dove il grande morì. Opera insigne per concetto non meno che per artificio : della quale a buon diritto vuol Roma dividere il me- rito con essa Spagna: essendoché in Roma ne sia stato fatto il modello da quel chiarissimo cava- liere Antoaip Sola, che yeunc fra' noi giovinetto d^ 326 Belle Arti BarceUona ad apprender l'arte e poi a seder presi- dente deiraccadcmia di s. Luca, ed in Roma pure sia stata fusa dai due valenti prussiani Luigi Jolla- ge e Guglielmo Hopfgarten. Veramente niuno piìi del Cervantes meritava che la patria gli fosse graziosa di tanto onore : egli che fu quasi il fondatore delia spagnuola lette- ratura, porgendole nella Galatea, nelle Noi>elle e soprattutto nel Don Chisciotte la più bella e si- cura norma di uno scrivere tutto fior di favella , e vivacità e leggiadria: egli che con esempio rarissi- mo (ne certo sperabile da quanti sono romanzieri moderni, ne'quali gli orrori delle narrazioni sem- brano fare a prova colla barbarie vergognosissima della lingua) sa tuttavia, dopo due secoli e mezzo , delie sue immaginazioni e delle castigliane grazie innamorare l'Europa. E noi italiani dobbiamo sin- ■golarmente congratularcene: sia per l'ossequio e l'amore che portò sempre il Cervantes a questa madre onoranda delle nazioni; sia per esser egli studiando le cose nostre ( e soprattutto il Pulci , il Boiardo, e l'Ariosto ) dimorato lungo tempo in Roma , in Napoli , in Firenze , in Venezia , ed aver conversato in Ferrara col grande infelice che cantò la Gerusalemme. Al che potrebbe anche ag- giungersi, l'essere slato familiare alla corte dell'ita- liano cardinale Acquaviva, e trovatosi nel 1571 a Lepanto fra que' magnanimi , che per la cristia- na libertà combatterono nell'armata di Marcanto- nio Colonna. Imperoccliè Michele Cervantes, co- me l'Alighieri ed il Camoens, segu\ anch'egli l'an- tica usanza d'ogni uomo nobile, e fu guerriero. E così nel vigore del braccio e nell'altezza dell'ani- mo §i fosse solo rassomigliato a quc'due gran pa- Opere di accad. di s. Luca 327 tiri delle lettere delle loro nazioni ! Ma eali li rassomigliò eziandio nella povertà e nelle sven^ ture, sapendosi che tolto schiavo da'corsari alge^ rini, fu gittato carico di catene a gemere lunga- mente in un carcere. D'onde non prima riscatta^ to, che a ciò si movesse la compassione de' suoi, non ebbe poi al suo ritorno la Spagna piìi be- nigna o liberale dell'AfFrica: ne trovossi in tanta larghezza d' impero e di gloria , in quanta sten- dcvasi la monarchia del re Filippo , chi facesse almen opera di cancellare i segni de'ferri su quel- le nobili mani! Laonde tratto più volte prigione, strascinò indi la vita parte nell'oscurità, parte nelT ultimo fondo della miseria: finche vecchio omai di sessantanove anni la consolatrice provvidenza degnò ^fistorarlo di tanti affanni, e più delle ingratitudi- ni di questa terra, a se richiamandolo a'23 di aprile 1616 nel giorno stesso (cosa memorabile) in cui l'Inghilterra perdeva pure il fondatore delle sue let- tere Guglielmo Shakespeare. Fine certamente inde- gnissimo di sì grand' uomo: e tale che alcun di- rebbe, aver la fortuna con la desolazione e la men- dicità voluto punire in lui gli alti doni della na- tura. Ma ne toccò forse uno men duro all' animoso ed immortale italiano, che autore del più stupen- do avvenimento de'tempi moderni, poi ch'ebbe per forza di sua gran mente e fra pericoli e fra dileg- gi scoperto un nuovo mondo vastissimo, ne fece una provincia alla donna deirEbro.? Lode sia al cavaliere Sola, il cjuale con quella verità, di cui il bello è la perfezione, ci fa con- templare l'immagine di questo famoso. Certo noi lo vediamo: egli è desso Michele Cervantes: abbastan- za il palesano quell' autorevole sua figura, cjuella 328 Belle Arti fronte spaziosa, quegli occhi scintillanti del fuoco deiranima, quell'andar franco che ben dimostra la generosità de'suoi spirili e l'uomo d'armi e di av- venture, e quel vestire che in tutto ci ritrae I'usq spagnuolo del secolo XVI. Egli, pienq di una inj- maginazione sublime, è in atto di mutare il passo; attQ che pììi artificiosaniente non sarebbe^! potuta esprimere dallo scultore, sia pel movimenta natu- ralissimo delle gambe, a cui accompagnasi quello di ti|tta la persona, sia pel contrasto d^lle pieghe dell' abito, e specialmente del mantello con leggerezze^ mosso dall'aria. Nella mano destra ha un rotolo di scritture, indizio d'uomo di lettere: e la mano sini- stra posa sull'elsa della spada, a significare la pro-r fessipne sua di soldato e la gentilezza della sua ca- sa. E notisi accprgimento del cavaliere Sola. lEgli hs^ coperta questa mano con un lembo del mantello, a fine di non mostrarla storpia come il Cervantes l'ave-? va per un cplpp di artiglieria che il ferì alla bat- tagli^ di Lepanto: e così da una parte serbare quel- le ragioni del bello, delle quali le arti non hanno la maggior cosa: e non incorrere dall' ci^llra nelle cen-? sure di chi va in traccia del vero. Tutto è vita, tutto è verità, tutto e nel tem- PQ medesiimo graziosa dignità in questa statua: la emazie per sentenza di chiarissimi professori ed in- |;endenti di belle arti dirò essere una delle piìi sin- golari, che per eccellenza di magistero sieno state operate a questa età nostra: com'è certo una delle più importanti, considerato l'uomo celebratissimq che raffigura. Aggiungere) ai^zi, che da molti an-; ni non §e o'era pili fusa fra noi un'altra simile in bronzo; perciocché è semicplossale, avendo dieci p£^ls mi e mezzo di altezza. 329 VARIETÀ' Museum gregorianum, Carmen. Romae ex typographeo minervali i838. (Sono carte XI). JLia magnificenza, con che N. S. Gregorio XYI ha dato inco- minciamenlo nel Vaticano ad un nuovo museo di cose preziose in oro, in bronzo^ in argilla, ed in ogni maniera di marmi, come grandi testimonianze istoriche delle arti non meno che della re- ligiosa e civile sapienza de' nostri antichissimi progenitori di Etruria, ha inspirato questo carme al chiarissimo P. Giambatti- sta Rosani, generale delle scuole pie, membro del collegio filo- logico dell'università romana e della pontificia accademia di ar- cheologia. Non gioverà dire, ch'esso è degno e della maestria e del nome di si elegante scrittore, e (oseremmo anche aggiungere) del grande argomento ; essendo gli scritti latini del P. Rosani omai in tutta Italia notissimi e lodatissimi. Gradiscano perciò ino- stri associati di averne qui un bel saggio ne'versi seguenti. G. A. T. LXXIV. 22 330 V A B I K T A* ,, Omnia sint delecta licet, non omnibus unum „ Est pretiura aut faciesj pictura hic praevalet: illiQ „ Sed mage forma placet. Summo de|apsus OlympQ „ Mercurius nymphas inter mihi ridet, alendum ,, Dtjm studet infaqtem nulricis more Lyaeunj ,, Credere Sileno; rapiet te forsan Apollo „ E solio responsa caiiens; maris unda silescit ^, Dicentein venerata deum, tota insula plaudit, E poi : ,, Prae cunctis simulacrum illud supereminet iugens, ,, Quod primi effossum terra stupuere tudertesj „ Quera tamen exibeat Martem, geniumque, virumqwe „ Archaicis inhians studiis gens dimicat, atque „ Lis incerta manet, longumque manebit in aevunj. „ Maguanimum interea triplices concorditer artes „ Pontificem super astra ferunt, ditaverit allo „ Quod signo musea recens: circum ordine recto „ Stant clypei, galeae, tripodes, stant tela, trophea, „ Candelabra, foci, rerum stat cista sacrarum „ Conscia, virtutem commendat biga latinam. „ Mobilis in medio relitiet custodia, facti „ Quidquid in apricum Tyrrhenia contulit auri. ■ „ Malcriam praecedit opus; sic arte refulgent -•'"„ Annuii et armillae, sic torques, fibulae, inaures „ Rite laboratae apparent, ut Gallia certe, „ Anglia yel nequeat parili contendere laude ,^» Varietà' 331 Opuscoli diversi di F. M. Ai>ellino segretario perpetuo della reale accademia ercolanese e dell' accademia poiitaniana , professore nella reale università, corrispondente della so- cietà reale di Berlino e di altre accademie. Volume terzo con una tavola in rame. 8, Napoli i836 da' torchi del Tra- mater. ( Sono carte 334 )• XNon ci è stato inviato se non ora da Napoli questo terzo vo- lume degli opuscoli del cav. Avellino, letterato celebratissimo ed uno di quelli che più onorano all'età nostra i gravi studi di antichità. Il volume è come gli altri due precedenti un tesoro di critica e di archeologia. Ecco di che vi si tratta; i. Osservazio- ni sui secundarum e sumrnarura maglstri ricordati in talune iscrizioni , con tre annotazioni; la prima, di alcune iscrizioni di Larino e dei liberti con due cognomi : la seconda, del nome di lACQN: la terza, di alcune iscrizioni colla voce summarura ; 2, Secondo saggio di osservazioni numismatiche, a cui segue un annotazione sul monumento nucerino di Virtio e sulle monete nu- cerine col cavallo; 3. Osservazioni sopra un edito diploma mili- tare dell'imperatore .Alessandro Severo, con un'annotazione so- pra alcune iscrizioni col nome raso di .Alessandro Severo; 4- Os- servazioni sopra un'iscrizione trovata ne' sotterranei del campa- no anfiteatro, con un'annotazione sopra un'antica iscrizione re- lativa al culto del dio Silvano ; 5. Giunte e correzioni alle cose trattate negli altri due volumi. uilla beata Michelina proteggitrice di Pesaro, inno del conte Francesco Cassi. 8. Pesaro dalla tipografa Nobili i838. ( Sono carte ug ). ideila fausta occasione, in chela sapienza diN. S Gregorio XVI La innalzato all'onor delia porpora reiiiinenlissimo signor car- dinale Luigi Ciacchi di Pesaro , il conte Francesco Cassi con 332 Varietà* quest' inno si è rivolto aUa beata protettrice della sua pa^ tria. Chi non coposce in Italia il pome dì Francesco Cassi? dell' intimo aipico e del cugiijo di Giulio Perticari ? del traduttore (chiarÌ5sÌ0)O della Farsaglia ? S'cchè ognuno al 50I0 annunzio prederà subito, che questi suoi versi sieno aduntempo cosa gra- ve ed elegante, e tutti pieni di spiriti classici. E tali sono ve- ramente; e vogliamo di cuore congratularcene con quei cortese, in una età in cui molti stoltissimi, bestemmiando ciò che non sanno, troppo dimostrano di aver l'idionja ricchissimo e poten- tissimo dell'Alighieri, del Petrarca, dell'Ariosto , del Tasso, per inetto a nonso quali bisogni di certa scuola distruggitrjce in tut- to di ogni bellezza, di Ogni dignità, di ogni immagine di nazio- nale letteratura. Or ecco una poesia che si direbbe ronjantica (se potesse questo nome senza infamia propunpiarsi da labbro italiano) quanto sU' argon^ento: p pure osservisi pome il conte Cassi, nemicissimo di contaminarsi in quella turpitudine, ha sa- puto egregiamente e da italiano vero tenersi agli pterni esemplari del bello stile! Valga il seguente saggio, dove cantasi del pelle- grinaggio che la pia pesarese fece a'iijoghi santi della Palesliaa| p descrivesi un dipinto famoso di Federico Barocci ; Di pietate e di sdegno un guardo died§ Ai tristi avanzi del cenapol, dove li'ultim^ mensa s'imbandì d'amore . Del pretorio, del tempio, e della reggia Passò per mezjo alle ruiae, e tutte Del Nazaren cercando le vestiglc S'abbandonò pel doloroso calle. ' E rattamente, come s'ella avesse Armatp d'improvvisa ala le piante, Jj'altpzza guadagnò del sacro monte Ove spirò l'uom Dìo. Né vi fi4 sopra, Che in subita e celeste estasi assorta, Si trasmutò dal suo concetto antico. Ed alla mente e al guardo altrui difese Jja conoscenza sua. Perchè d'un tratto piti capo il feltro, da le spalle il sacco, Varietà' 333 Ed il borclon di maa le uscirò; e un lieid Lume e un soave odor di paradiso Dal divin volto e dalle aurate chiome Abbandonate al vento ella diffuse. Si fé' degli cicchi porte al cielo: e il cielo j Tra nube e nube aperto, disserrava Un torrente di l'aggi e di fulgori Onde fu circonfulsa. In quel medesmo, La vii succinti veste colofossi D'un aurea luce, e in larrghi e lunghi seni Con tanta maestà le si diffuse Oltre dai pie, che di celeste manto Rendè figura, e Michelina apparve Della terra non più, ma dell'empirò Beata cittadina: e da se Sola Tutto il Calvario tenne. Tal tu fosti, O santa pellegrina, un di veduta All'alta fantasia di chi nell'arte Del bel pennelleggiar fu odor secondo D'Urbino, e tal ti ritraeva in quella Spirante tela^ ch'era un di la pompa Del tiio delubro, e ch'indi a noi rapita Dallo straniero, e allo stranier ritolta. Oggi, non senza cittadina invidia, Tra tanti altri miracoli dell'arti S'ammira in Vatican (i). Ma effigiata Perchè ei non t'ebbe ancor quando scendesti Nella gran tomba, e d'alto sdegno accesa Tu prorompevi contra i male usati Brandi de'prenci, cui lasciar non calse (i) Il quadro rappresentante la beata Michelina in estasi sul calvario, opera del Barocci, fu tolto dagli stranieri, e portato a Parigi. Ora è nella galleria vaticana. 334 Varietà' Il santo loco in man de'cani ? O quando Peregrinasti alla città che accolse 11 dlvin parto, e al re del re la culla Nel fien distese perchè avesse eterni Pregi umiltade ? O quando in queste mura Tra il benedir de'ricchl e de' mendichi Festi ritorno, e ti rendevi a quella Romita stanza che d'ognun t'ascose Alla veduta, e ch'oggi, a testimone Di palra riverenza, è fatta parte Del gentil tempio sacro alla gran madre Cui Gabriel disse Ave ? Oprato avrebbe Nuovi portenti il creator pennello Del suo pio Federico, e tutte vive Ne renderla le glorie tue ne'suoi Dolci colori. E più ne alletterebbe A entrar cogli occhi dentro l'umll cella Che i tuoi respiri ultimi accolse. In vista Ne offrirebbe la povera parete, E le devote Immagini e la croce Ond'essa è Intramezzata; e quivi sotto Sul nudo suolo il pagliericcio, donde Di soave pallor dipinta 11 viso, Dalla vita mortai tu ti diparli, E t'alzi lieta a que'beatl scanni, A cui rado o non mal da letti d'oro E da seriche coltri anima vola. Elogio storico d' Isabella Pellegrini romana, scritto dal cava-^ liere Francesco Fabi Montani. 8. Bologna costipi di Giovanni Bortolotti i838. (Sono carte i8.) Jjene ha fatto il sig. cav. Fabl Montani a raccogliere coll'usala sua diligenza queste memorie di una gentil giovinetta che fu ve- Varietà' 335 rametite fiore d'ingegno e di leggiadri costumi. Tanto seppe ella di belle lettere, e tanto valse principalmente nell'arte d'improv- visare, che fu delizia mentre che visse del Perlicari e del Biondi e da essi e da altri nobili spiriti con lodi pubbliche celebrata o sotto il proprio nome, o sotto quello arcadico di Belisa. E cosi non ci avesse della sua vita abbandonati sì presto ! Che sarebbe oggi non piccolo splendore del bel sesso italiano , e sederebbe chiarissima fra le Ferrucci, e le Verdoni, e le Orfei, e le Malvez- zi, e le Sampieri, e le Roero, e le Guacci ! Ma nata in Roma H dì 3o di luglio 1787 , dovette cedere al comun fato il di 16 di aprile 1807, piena della speranza di volare all'amplesso del sUo Dio che tanto desiderò sulla terra. Non senza diletto si leggerà questo scritto, che le ha conse- crato il sig. Fabi Montani; scritto che non solo tante cose elegan- temente ci narra delle virtù della dotta ed amabile Isabella, ma ci reca molti be'saggi di quella gentil vena di poesia. Valga per tin esempio questo sonetto: Tempo verrà, né fia che mi conforté, Che il mio crln fatto bianco, e curvo il dórsOj Soli Compagni avrò pena e rimorso, O che il sol cada o il nuovo giorno apporte. Tempo verrà, che al guardo mio più corte Parranno Tore del tempo trascorso, E troncherà della mia vita il corsoi Colpo fatale della man di morte. Tempo verrà, che al trono eterno iuiiarite, U senza velo il sommo Iddio si onora. Io sarò tratta pallida e tremante. Vedrò tremando il giudice severo Che a me sdegnato .... Il veggo, e tardo ancora A porre il piede nel camoiin del vero ? 336 Varietà' V amor e agli estinti. Carme di F. M. Torricelli. 8. Firenze co' tipi della Galileiana iSSy. ( Sono carte 20.) JLé il conforto dell'amicizia nelle sventure del conte Francesco Cassi, che tuttavia piange la cara e virtuosa Elena , la perduta sua figlia. Il sig. conte Torricelli di Fossombrone ha saputo di si bella poesia vestire tante pietose immagini, che non poco que- sto carme crescerà il suo nome già chiaro di gentile scrittore del- la nostra favella. Eccone un saggio. Che se ogni piaggia della terra è un'ara. D'onde è bello il pregar chi tutte ha in cura L'anime a'corpi affisse e le disciolte. Perchè queste di luce alma consoli, „ Quanti dolci pensier, quanto desio All'urna cara dell'estinto bene Lui menerà, che ad onorarla move DI lodi e fiori, di preghiera e pianto? Tu proverai, siccome piana e breve Sempre è la via, che ne conduce al loco Ove giace chi amammo. Ed o ti piaccia Lasciar d'Elena i venerandi avanzi Sotto i grandi archi delle logge altere Cui crebbe fama, colorando i duri Casi di Giobbe, quei pittor famoso Che sopra Cimabue si tolse il grido; Ovver ti aggradi dai pisani chiostri Ridurli al natio suolo, andrai sovente, Passaggiero in Etruria, o sull'Isauro Viator cittadino, alti segreti D'amor paterno a mormorar su quelli. E lì resta a tuo senno; ma potrai Tutti all'urna gittar gli accenti e i voti, Non già gli sguardi: e , al dipartir del piede. Gli occhi non sazi torneranno indietro. Varietà' 337 Della vita e delle opere di Filisto siracusano, Xl sìg. Celidonio Errante ha pubblicato lo scorso anno nel Gior. naie di scienze lettere ed arti perla Sicilia un'Importante lavoro sulla vita e sulle opere di Filisto, di quel piccolo Tucidide, co- me lo chiama Cicerone. Egli inoltre ci ha dati con traduzione e con note tutti i frammenti che si conoscono degli scritti dell'il- lustre siracusano : aggiungendone quattro o cinque di più a quel- li raccolti e pubblicati dal GoUei'. Il signor Errante aveva già fatto il medesimo, e con egregia lode di critica, della vita e del- le opere di Oicearco da Messina. Su lafdosofia della medicina. Cenno del dottor Lorenzo Ma>sana. 8. Messina, tipografia Pappalardo i836. (Sono carte 22.) Jrlene di savie considerazioni è quest'opuscolo, e ne trarranno utile i professori della scienza medica. II dottor Maisano mostra- si soprattutto inimicissirao de'sistemi; e sembraci con ragione: di- cendo non senza verità a carte 8; „ Dando un colpo d' occhio a tutti i sistemi medici, è agevole il comprendere: i. che ciascuno dì essi è costituito da principii parte dedotti da fatti, e parte da ipotesi; 2. che nessuno di essi sistemi spiega adequatamente i fe- nomeni dell'economia vivente tanto nello stato fisiologico, quan- to nel patologico, e tutti gli effetti che producono in noi gli es- seri fisici e le affezioni morali; 3. che nessuno de'medesimi scio- glie le difficoltà, che gli si oppongono: 4- che le osserv,azioni, le 338 Varietà' esperienze, i raziojclnli che si adducono in loro favofc, non sono quasi giammai esatti: 5. che con somma difficoltà comprendono in una o poche leggi tutte le operazioni della natura : 6. che quasi tutti commettono degli errori nel tessere le lunghe argo- mentazioni, e nell'avvalersi di astratte e generali proposizioni per la formazione de'loro principii fondamentali; 7. che nessuno di essi va esente dal difetto di abusare della ragione. Per cono- scere la verità di queste asserzioni basta leggere qualunque ope- ra che versa sull'istoria della medicina ,,. Egli quindi crede che coloro debbano veramente onorarsi come lumi e padri dell'arte, che si valsero dell'esperienza ragio- nata e del raziocinio sperimentato , e detti soao empirici-razio- nali, o meglio eccletici : fra' quali singolarmente loda Ippocrate, Sydhenam, Baglivi, Borsieri, Tissot, Franck, Pinel* Scarpa, Ci- rillo e Cotugno. „ Il gran pregio (egli aggiunge) di questi uomi- ni generalmente venerati per tutta Europa non consiste nell'ave- re ricercato refìmera gloria di essere inventori d'un qualche si- stema, ma sibbene nell'avere contribuito chi in un modo , e chi in un altro, a fondare o rassodare i canoni pratici dell' arte d. guarire. „ Elogio di Antonino Puritano, scritto dall' ab i Èmmanuele Vacca- ro segretario generale del reale instituto d' incoraggiamento di agricoltura, arti e manifatture per la Sicilia. 8. Palermo tipografia di Filippo Salii iSo;. (Sono carte 16. ) ixntonlno Furilano fiorì in questi anni nella Sicilia con lode chiarissima dì professore di chimica. Celebri soprattutto in Eu- Varietà 339 ropasono i suoi Pensieri f.sico-chimici sulla i>ita. Secondo il s.g. ab. Vaccaro quando il Berzelius difendeva contro il Davy quella teorica, per cui spiegasi l'attrazione chinlica dei corpi per la sola inOuenza dell'elettricità, senza la distinzione di flui- do elettrico vitreo e resinoso, il Furitano già l'Insegnava In Sicilia. Biografie e ritratti d'illustri siciliani morti nel cholera, precedu- ti dalla storia del cholera. Palermo, tipografia Lao. c V^. SI annunzia favorevolmente quest'opera, tutta patria, che a moment, vedrà la luce In Sicilia. Le biografie, fra le quali W. geremo principalmente quelle dello Scinà, del Bivona, delI'Alel s., del Palm,erl, verranno, per ciò che sembra, scritte da varil. I d.segn. de ritratti saranno però del Patania, e le incisioni del Waincher. Scrittore della terribile istoria ci si annuncia essere II cmanssimo ab. Borghi. Corso completo di anatomia descrittila colle differenze nelle età, sessi, razze ed anomalie. Di Giovanni Gorgone profe,- sore di anatomia nella R. università di Palermo. Palermo, dalla reale stamperia. Tomo secondo, nell'anno i836. Importantissima per la scienza è quest'opera, perchè non pur contiene tutti i progressi che fin qui ha fatto 1' anatomia, ma dall Illustre autore è altresì stata arricchita di molte nuove os- servazioni e scoperte. 340 Varietà' In morte di Laura Di Negro-Spinoìa. Cantica. 8. Genova, tipo-' grafia déf rateili Pagano i838. (Sono carie 7. ) Vi il lamento di un tenerissimo padre, del marchése Gian Car- lo di JNegro, sul sepolcro della sua figlia. Se l'insigne cavaliere ha mostrato in tanta sventura tutta la sua cristiana rassegnazio- ne: in questi versi ha voluto poi vaneggiar dolcemente nelle più care immaginazioni. Vede egli, scosso dal suo letargo, un'ange- lica creatura stendergli amorosa la mano , e dirgli che di lei si rassicurasse: Ben la conobbi; e del paterno afiettoi Sentia la dolce voluttà nel seno ! Ed ella a me' ; M'ascolta, o mio diletto. Mira qual sotì .< ti rinconforta almeno ; Cessa di lagrimar ; pe'figli miei L'amor di padre in te non venga meno. Tu gli amasti, ed amare or più li dei Come parte migliore di te stesso .... Fu un punto sol più noQ bearmi in lei. Deh I perchè sparve, e mi negò l'amplesso ? Che forse l'alma con la sua congiunta Termine al duol vedeva in lei concesso. Anzi più forte del dolor la punta Provai ridesto: perchè prima in vista Di forze vidi l'altra figlia emunta, Che abbandonata, lagrimosa e trista, Ver me fisa tenendo la pupilla Parca dirmi: E* comun quel che ci attrista! Varietà' 341 statistica dì coloro che furono presi dal cholera asiatico in Ro- ma neWanno 185^ , umiliata alla Santità di N. S. Papa Gregorio Xyi dalla commissione straordinaria di pubblica incolumità. 4- Roma tipografia camerale j838. (Un volume di carte i45. ) iTjLonumeoto pur troppo doloroso delle nostre sventure! Da questa ufficiale statistica risulta, che il morbo asiatico colpi in Roma 4444 uomini, e 49^8 donne. Di quelli guarirono i8g5, mo- rirono 255i; di queste guarirono 2060, morirono 2868. E stata collocata in Roma nella chiesa di s. Andrea delle Fratte la seguente iscrizione in marmo per onorare la memoria di un dottissimo nostro compilatore, ch'è ivi sepolto , cioè dell' abate Girolamo Amati. A ^ iì Hieronymus • Paschalis . f . Amatius Sabiniauo io , bibliotheca . vaticana , a . graecis . scribundi$ doctor . philologus . lycaei . magni vir . censorius in . collegio . antiquitatibus , explicandis moribus , simplex peculio , pauper doctrina . atque , animo . divitissimus qui . natus . eid . iun . a . MDGCLXVIII obiit . XII . kal . maias . a . MDCCCXXXIV Petrus . Odescalchius . Aloysius . Biondius Jjauretus . Santuccius . Salvator . Bettius Aloys . Poletlius . Aloys . Vescovalius amico . sodali . et . praeceptori miiemosynoa 342 Varietà' Notice sur le musée Dodwell et catalogne raissoné des objets cjuHl contieni. 8. Rome iSBy. (Uà voi. di carte no.) limono qui dlligeriteiTiente descrìtte le antichità d' ogni maniera egiziane, elrusche, greche e latine, che lasciate furono dal eh. ar- cheologo e viaggiatore Odoardo Dodwell morto in Roma nel i832, e che dagli eredi son poste in vendita. La prefazione fran- cese è del cav. Bunsen segretario generale della direzione dell' institnto di corrispondenza archeologica; la descrizione italiana è del signor dott. Braun segretario compilatore dell'iuslituto me- desimo. Vi sono però importanti osservazioni de'celebri Borghe- si, Rosellini 0 Lepsius. Che rarità di bronzi, di vasi, di pietre , di sMialti, di vetri o figurati o scritti ! Curiosa fra tante altre ghiande missili di piombo diremo quella proveniente da Peru- gia, coir iscrizione da una pirte Ij--XI— DIVOM-r-IVLIV"— , e dall'altra con la saetta di Giove. „ Non pare dubbioso ( avverte intorno ad essa il Borghesi I che fosse usata nell'assedio di quella città al tempo di L Antonio, in cui veramente sappiamo che i cesariani nielius missilibus rem agebant. Comparando poi V ab- breviatura L-XI colla frattura dell'altra e. XII ( n. gg ) , parmi che in ambedue debba spiegarsi L'}gio,Q che indichino la legio- ne, a cui que'frombolieri, d,ii quali furono lanciati, erano attac- cati. Egual senso avià probabilmente il XVI (n.gg) dell'altra col nome OCTAVI, che potrà anch'essa riferirsi ad Ottaviano. ,, Oltre alle antichità v'è anche una collezione litologica: co- sa veramente di somma importanza agli amatori de'più be' mar* mi d'ogni parte del globo. Varietà' 343 Per le nozze Borghini e Manzoni versi di P. P, e ragionamento istoripo di Carlo Frediani socio corrispondente ec. su le di- verse gite fatte a Carrara da Michelangelo Buonarroti. 8, Massa pei fratelli Frediani tipografi ducali iSSy. (Soao car- te 97. ) JLjascBremo stare i versi del signor P. P., perchè di queste poe- sìe nuziali è giustamente stanca l'Italia. Diremo beasi che im- portantissimo ci è sembrato per la vita e per l'arte del Buonar- roti il ragionamento del sig. Frediani, anche pe'quindici docu-? menti inediti, ch'egli ci fa conoscere la prima volta. Iscrizione trovata in Roma negli ultimi scavi, che per ordi- ne del governo si sono fatti presso il tempio della Concordia. M . ARTORIVS . GEMINVS LEG . CAES . AVG . PRAEF . AERAR . MIL CONCORDIAE Sulle esposizioni di belle arti in Bologna nel 1807. Lettere ad Epijanio Fagnani di Mortara. 8 Firenze costipi della Ga- Uleiana i838 (Sono carte 43.) IN è autore il signor Michelangelo Gualandi, il quale con tan- to rara quanto bella franchezza, dicendo il bene ed il male che ha trovato nelle opere della esposizione bolognese, ciba dato un esempio del modo con cui utilmente può parlarsi d'arte. Pecca- 344 Varietà' to che più culto e corretto non sia il suo scrivere ! Peccato an- che quel suo far tanto le maraviglie di quella tela da teatro, più che vero quadro da cavalletto, in cui dipinse il Bruloff l' ultimo giorno di Pompei ! Con singoiar piacere annunziamo , che a momenti avremo dal celebre professor Roslal di Pisa la sua Storia della pittura italiana esposta con monumenti. Sarà essa per la pittura in Italia ciò che per la scultura è l'opera del Cicognara, L'autore la divi- de in quattro grandi epoche: la prima (con 24 tavole in rame) dal nascere della nostra pittura fino al Masaccio: la seconda (con 52 tavole) da Filippo Lippi a Raffaello: la terza (con 4° tavole) da Giulio Romano al Baroccio: la quarta (con 44 tavole) dai Carac- ci all'Appiani ( esclusi i viventi ). I sig. Grenville Tempie e Carlo Mangny hanno trovato a Costantina una iscrizione rotta in tre pezzi, che cosi ci è recata dal Constitutionnel dei 29 di marzo i838. Essa è importante so- prattutto per una colonia siguitana, di cui fin qui non si ave- va notizia. Varietà' 345 M . AVRELIO . ANTO NINO . CAES . IMP . DES TINATO . FILIO IMP . CAES . DIVI . M . ANTONI NI . PII . GERMANICI . SARMATI CI . FIL . DIVI . COMMODI . FRATRIS DIVI . ANTONINI . PII . NEP . DIVI IIADRIANI . PRONEP . DIVI . TRA lANI . PARTIIIGI . ABNEP . DIVI NERVAE . ADNEPOTIS L . SEPTIMI . SEVERI . PERTINA CIS . AVG . PARTIIIGI . ARABICI PARTHICI . ADIABENICI . PRO PAGATORIS . IMPERI . PONTIF. MAK . TRIB . POT . V . IMP . Vili COS . PROCOS . FORTISSIMI ET . SANCTISSIMI . PRINCIPIS COL . SIGVITANORVM In ojjitii Caroli Bouclieroni V. C ad Ludo\>icuiii Saulinin coni, equit. 1.1 micia cullili iiiibcri inihi veiiit epistola casus! Ul legi, ut voccm surpuit ipse dolor! Ergo lain subilo vi iati opprcssus iniqua Ilaiiae atcjuc orbi CAROLVS abripilur ? G. A. T.LXXIV. 23 346 Varietà* CAROLVS occubuit, quo non sapientor alter, Non alter fuerat plenior eloquio, Seu graìae mallet mopstrare repondita linguae^ Seu veterls promens divitias Latii, Oictarvt, doctis quae passim tradita chartis Nulla aetas nunquam posterà suspiciet. Illuni non equiden), Sauli carissime, fani^m Qui sjbi quaesivit perpetuam ipgenio ; ^on illum, pqlcra partam qui laude coronam Innectens capiti tempia tenet superum; Sed nos, nos potius puto flendos, tanta quibus smilt Et tot in hoc uno funere adempta bona. Quando alium pQsthac b'ceat nanciscier, in quq Tarn claro yirtus enitpat iubare ? Oh ! ubi prisca fidps, nullius conscia fraudis, Servata et casto pectore amicitia ? Num poterit quisquam ingenuos aequare }epores 7 Sermonis dulces quis referet veneres ? Optabam, 3auli, carmen Ubi ferrp, sodalis Exiguum trjstes munus ad eipsequias ; Nec queo ; raens animi damno perculsa recenti Frangitur, adsuetum denegat officium. Quarp age, qups npllo potui modo ftipdere cultw Conspersos lacrimis accipe versiculos. Fors erit, ut saevo recrealus vulnere, amici Et mores valeam dicere et ingeuium. j&enpvap XV kal. aprii ^nn. MDqCGXXXVIII. jyi. FgRFiVCCIVS. Pontificia acca4emia romana di archeologia. xn adempimento de'paragrafi i e 2 del titolo 8 dello statuto , si propone un premio a chi meglio dichiarerà il seguente argo- meqto •• Varietà' 317 ,, Fare un paralello critico delle leggi etrusche e delle gre- ,, che italiche, siano religiose, siano civili, colle greche elleniche, „ lidie, egizie, e fenicie: e dichiarare quale de' quattro popoli „ stranieri possa avere avuto una maggior parte nella civiltà del- „ l'Italia primitiva. ,, Potranno concorrere al premio i letterati di qualunque na- zione, eccettuati isoli socii ordiuarii ed onorarli dell'accademia. Il premio è di una medaglia in oro di zecchini quaranta. Le dissertazioni, in lingua latina , italiana , o francese, do- vranno essere presentate , senza nome di autore, entro il mese di novembre del futuro anno i83g. Dovranno essere scritte in carattere chiaro e leggibile. Porteranno esse una epigrafe, ed avranno una scheda sigil- lata con entro il nome e l'indrizzo dell'autore , e di fuori l'epi- grafe stessa posta alla dissertazione. Il giudizio sarà pronunziato nel mese di dicembre del me- desimo anno. La dissertazione premiata verrà impressa negli atti. Le schede appartenenti a quegli scritti, a' quali non sarà stalo aggiudicato il premio, non si apriranno ma saranno bruciate. Le dissertazioni dovranno essere dirette per la posta, od al- trimenti, ma chiuse, sigillate e franche di porto , al cav. Pietro Ercole Visconti segretario perpetuo della pontifìcia accademia romana di archeologia. Quando non vengano per la posta, dovranno essere conse- gnate nelle mani del detto segretario perpetuo deli* accademia , il quale ne darà ricevuta al portatore. Dall'aula del romano archiginnasio il di 5 aprile i838. Il Presidente MARCHESE LUIGI BIONDI // socio ordinario segretario perpetuo Cav. Pietro Ercole Visconti 3/i8 Varietà' yulcain. Recherches sur ce dieu, sur soii eulte, et sur les prin- cipaux inoiiuments qui le representent, faisanl suite au Ju- piter du jnéine auteur ; par T. B. Emérìc David membre de Vinslilut rojal du Frnnce [academie des inscriptions et beìles-lettres) cheualier de la légion d'honneur. - 8 Paris , imprirfié par autorisation du roi aVimprimerie royale i838. (Vn voi. di pag. io4, con una tavola in rame). J/ Iene di belle e dotte .considerazioni (se pur qualche volta non debbano dirsi troppo sottili ) è questo trattato, il quale è uscito a far seguito all'altro importantissimo, che il sig.cav.Einéric-David pubblicò nel i833 intorpo a Giove. L'autore chiarissimo è qui tutto in provare, che Vulcano, divinità simbolica^ non è altro che il Fuoco atmosferico e terrestre detto dai greci con proprio vo- {Cabolo Efesto, dai latini yulcqiius (dice Servio) quasi yolicauus, quod per aerem volat. Ninna nuuiiera di erudizione manca u quest'opera, piccola di mole e grave di cose; la quale con utili- jtà e con piacere verrà Ietta dai letterali non meno che dagli artisti. Della educazione usata d^gl^ antichi in allevare i loro figlifioli, discorso di Pandolfo Collenucci da Pesaro. 8 Pesaro, stam- peria del Nubili i838 ^Sono parte 22.) Xl nome celebre del Collenuccio nel secolo XVj la somma rari- tà iu cui venuta era questa operetta innanzi che il prof. Monta- nari ne facesse in non molte copie la presente ristampa per ono- rare l'andata deireminenlissimo Ciacchi a Pesaro ; e più le cose utilissime che sono in essa, ed il mostrarvisi apertamente (sono parole Al esso eh. sig. Montanari ), molte dottrine intorno l'edu- Varietà' 349 cnzione letteraria dei figliuoli, le quali ora si hanno per nuo- ve, e si giudicano venule conseguenti ni progredimento della ci- viltà, esser vecchie e molto innanzi che a noi passale per lo capo dagli arcavoli dé'bìsavoli nòstri : ci consigliano a pubblicar!» con nuove cure, e farne cosi un bel dono si que'nostri associa- li, elle hiinno tullavia ili riverenza la nieiiioria e il senno degli avi. Memorie delle tipografie calabresi compilale da Filo Capialbi con un appendice sopra alcune biblioteche di Calabria, ed un discorso sulla tipografia montalionese. 8 Napoli i835 e i836 dalla tipografia Porcelli. l_ja tipografia nelle Calabrie è antichissima: imperocché nel 1475 a Reggio si stampavano già libri ebraici, e nel j/fS libri latini a Cosenza Jl sig. Capialbi parla in quesl' opera diligente- mente di molte rarità tipografiche ignote a'più reputati biblio- grafi, soprattutto nell'appendice dove ci descrive alcune biblio- teche di quella parte d'Italia. Saggio storico sulla vita di Epicarmo, coi frammenti delle di lui opere raccolti ed illustrati da Luigi Tirrito. 8 Paler- mo, tipografia Pedone i856. (Un voi. di carte 144). li sig. Tirrito .confuta l'opinione di alcuni che vollero Epicar- mo nativo delia Grecia di oltremare, piuttosto che siciliano » 350 Varietà' come il dissero invece Aristotile, Cicerone, Irzio, Orazio ed Ate- neo. Anzi egli crede che la sua patria fosse Crnsto ; hcncliò Si- racusa e Megara il pretendano lor cittadino. Dichiara poi che ad un solo Epicarmo appartengano tutti i frammenti che ahbiamo sotto questo norae,i quali dal sig. Tirrito sono tradotti in italiano. De siculo nummo urbis Galariae. JLà quc3to il titolo di una lettei-a pubblicata dal canonico Giu- seppe Alessi nel volume 5o delle Effemeridi della Sicilia (giugno 18^7 ); e fu l'ultima che il dottissimo archeologo dettò, essendo egli poco dopo caduto vittima del morbo asiatico. Di Galaria non si conoscevano monete di alcuna sorte .- e qui I' Alessi ne pubblica una, la quale descrive così.- Ipsuni en/m CAAAPINON inscriptum esse conspicitur. Nec tantum nomea, veruni etiam a- lia nolatu digna in hoc parvulo nummo conspiciuntur. In eius antica parte stat Bacchus barba tunicatfue prolixa, qualis aegy- ptius Bacchus effmgilur, cyathum dextera, sinistra tliyrsum ge- rens, cui uitis palmes pone dextrum pedem assurgit; et in posti- ca parte uvae racemus binis ornatus foliis, quem subtus stat ur- bis inscript io, a sinistra dexteram versus ducta , indegne supra rediens, subtus CAAAPI, et super ISOl^ cernitur: unde difficilem omnibus praeter perilis ( et praecipue Carolo Gagliani, cui sors eum obtulit , quique eius imaginem nostro dilcctissimo Carolo Gemmellaro delineare permisit ) se se offerì. Quae animadver- tenda censuimus, ut fnciUime recognosci possit , si quando tuis recurrat oculis. Et qunmvis naxiorum, catnnensium. , r.liarumque urbìum numismata Baccìii caput barbatum referant , et praeci- pue naxiorum, eliam cyathum in Bacchi manu, et iitis surculum habeant, nullibi in siculis numismatibus stans, tunica tectus, co- que stata conspicitur. Varietà' 351 Le argonauliche, poema greco di Apollonio rodio, portate in. poema italiano dal professor cavaliere Baccio dal Borgo, con note ed illustrazioni. 8 Pisa ^ tipografia Nistri iSSy e iSZSyVolumi tre. J_icco il terzo volgarizzamento che ci si dà di un poema greco, se non grande , certo importantissimo e tale che non disgradì Virgilio di leggerlo e in molte parti d'imitarlo. Quelli del cardi- nal Flangini e del conte Coriolano di Bagnolo sono però in ver- so sciolto; in quel verso cioè, di cui l'italiana poesia andar deve superba, vuoi per nobiltà e dignità, vuoi per vivacità ed armonia, dopo il Caro ed il Monti. L'egregio sig. prof. Dal Borgo ha vo- luto scegliere pel suo lavoro piuttosto l'ottava rima, provandosi d'imitare lo stile ariostesco. Di che non vorremo già biasimarlo : purché non intenda darci per fedelissima l'opera sua, né metter per canone.che il verso sciolto non è cosa degna di un traduttore italiano, come disse anni sono non so quale presuntuoso. Se poi veramente ariostesco sia il verseggiare del professore pisano , noi non vorremo qui deciderlo , anzi non vorremo affermarlo. Certo è tuttavia che qua e là ne'dodici canti, ne' quali ha egli con lodevol giudizio divisi i quattro lunghissimi libri di Apollo- nio, certo è, dissi, che si leggono delle ottave assai belle per fa- cilità e per eleganza. Loderemo in fine, e sommamente, la dot- trina e il criterio ch'egli ha mostrato ne'prolegomeni. Esercizio di goniometria e di trigonometria sferica dettato ai Suoi assistenti ed allievi dal cav. Niccolò Cacciatore di- rettore del osservatorio. 8 Palermo iSS^ presso France- sco Lao. (Un volume di pag. 224 con due tavole.) Al celebre autore, alunno e successore del Piazzi, ha pubblica- to quest'opera per uso di coloro, che dallo studio delle materna- 352 Varietà' ticlie vogliono procedere a quello deirastronomia. Elln vuol ri- putarsi come l'anello intermedio delle loro applicazioni. ì^dkù- sionc e cliiarezza sono le doti, che annunziano subito la mente e la mano del cav. Cacciatore. Le antichità della Sicilia esposte ed illustrate per Domenico lo Fasó Pietrasanta duca di Serradìjalco Tomi tre in fo- glio. Palermo i834 ^ 1807. \ Xli nostro desiderio di dare, quando chena,un ragionato estrat- to di quest'opera insigne, che tanto onora il chiarissimo e nobi- lissimo autore, e la Sicilia e l'Italia. E intendiamo con ciò di far cosa utilissima, noti che grata agli amatori delie antichità ed «'professori delle belle arti. Pe le auspicate nozze de'nobili signori marchese Giovanni Costa- bili, e contessa Mahina Riosti Estense, ambi di Ferrara , prose e poesie ec. Xl iun avvenimento più dolce alle città può incontrare del fau- sto connubio di degno con degna, onde speranza di prole pur degna. Questo ha provato nel febbraio del i838 la città di Fer- rara; dove sono comparse prose e j^oesic , molte delle quali me- ritino che se ne tenga memoria in queste carte. Varietà' 353 T. Scritti inediti (li Daniello Bartoli, Fulvio Testi , Al!)erto Lollio, ora per la prima volta pubblicati, Ferrara tip. Negri alla Pace in 8. ili pag. 45. Gli ha levali dagli autografi della biblio- teca del sig. marchese Gio. Battista Costabili il preposto alla cu- stodia della biblioteca stessa , Girolamo Negrinl. Sono cinque lettere del Bartoli, una del Testi, ed un frammento di A. Lollio circa il dettar commedie in prosa. 2. Descrizione della quadreria Costabili , parte I, l'antica scuola ferrarese, Ferrara idem di pag. 5o. E lavoro del C. Ca- millo Ivaderchi, e tale da essere raccoinandato agli amatori delle arti e della domestica gloria. 3. Vita di Scipione Maffei, ossia cenni intorno la vita , ivi idem di pag. io. Notizie intorno la vita di Onofrio Minzoni, ivi tip. Poma- tclH in 8 di pag. i6. Queste e la precedente sono dettate da G. M. Bozoli. Vita di Girolamo Carpi pittor ferrarese, Ravenna tip. Ro- veri in 8 di pag. t3. 4- Sopra la biblioteca pubblica di Ferrara. Osservazioni del cav. Valéry tradotte da D. Giuseppe Antonelli vice-bibliolec:!- rio con annotazioni, Ferrara tip. Bresciani in 8 di pag. -2^. 5. Sono traduzioni: l'Inno di Omero a Venere pel e. Gio. Roverella in versi sciolti, Forlì tip. Casali in 8 di pag. XX. Alcu- ni epigrammi dal greco e dal latino pel prof. Cesare Montalti, ivi idem pag. io. Alcune odi di Anacreonte per Giovanni Chit- to, Ferrara tip Negri alla Pace in 8. Canzone dal francese, in 8, Bologna tip. Nobili. 6. Le gemme simboliche, sono derivate da un costume po- lacco in numero di ii con note prese dalla storia, dalla geolo- gia, dal simbolo diverso. E' una prosa dedicata dal sig Gio. Ber- toni. Ferrara tip. Bresciani in 8 di pag. 32. 7. Amore e pace, carme in ottava rima del prof. Domenico Vaccolini, in 8 Bologna tip. Nobili. Egloga di Luigi Caroli, Ferrara in 8, tip. Negri alla Pace. La montagna di Odilla, leggenda in ottava rima di Iacopo Cabianca, Padova tip. Carlallier e Sicca in 8 di pag. a3. Lettera di L- B. Bologna, in 8 pel Nobili di pag. io. 354 Varietà' Lungo sarebbe il dire di tutto; per cui è forza trapassare in silenzio assai cose ; non intendendo per nostra parte di dare o levare il merito ad alcuna. Bensì vogliamo lodare il costume di publicare in occasione di cbiare nozze, invece di un ammasso di poetiche ricantate adulazioni, qualche veramente utile prosa o poesia, che abbia a dare anzi che ricevere pregio nelle illustri sponsallzie. Cenno del cav. Giuseppe Neroni sull'origine di Ripatransone pub- blicato nel faustissimo imeneo del conte Filippo Neroni ca- detto nelle guardie nobili di Sua Santità colla nobile signo- ra marchesa Teresa Malasp ina di Ascoli. Ripatransone JSSy, tip. laffei. i^ieno riferite grazie al coltissimo sig. marchese Filippo Bruti Liberali per aver esortato il suo concittadino sig. cav. Neroni a pubblicare questo interessantissimo opuscolo, con cui si rivendi- ca l'origine di Ripatransone. Il Garzoni, il Quatrini, il Borgia, ilTanursi,i quali scrissero delle cose di quella città, la fecero de- rivare dalle antiche rovine di Cupra Montana. L'opinione soste- nuta dal nostro autore, se non come certa almeno come molto probabile, è che Ripatransone abbia il vanto di sorgere dalle antiche rovine di Cupra Marittima, si perchè Strabone, Fronti- no, l'Itinerario dell'imperatore Antonino, le tavole del Peutin- gerio ci parlano in modo particolare di questa città , che do- veva essere equidistante dal castello Truentino e Fermano, si an- cora perchè non è presumibile, che due grandissime città o si toc- cassero quasi insieme o fossero al più distanti due miglia. L' e- gregio cavaliere non manca di convalidare anche con altri ar- gomenti il suo assunto, e molto bene determina tanto il luogo di Cupra Montana, quanto di Cupra Marittima ed il Cuprae Mons o sia Ripatransone. Sarebbe stato però desiderevole che avess3 Varietà* 355 recato le due iscrizioni gii noie, nelle quali si fa memoria dei Cuprenscs Montani, trovate l'una a Massaccio , e l'altra in poca dislan/a ed anche le iscrizioni, nelle quali si nomina Cupra Ma- rittima, e singolarmente il frammento pubblicato dall' Anìaduzzi rinvenuto a Vico Marano, con quella in cui si ricorda la ristau- razione del tempio della dea Cupra. E qui opportuno mi sembra il riferire un' opinione ester- natami dal eh. P. Gio: Pietro Secchi della compagnia di Gesù , prof di greca filologia e custode del museo kircheriano nel col- legio romano, al quale comunicai 1' opuscolo di cui qui si par- la. Egli tiene per fermo che l'origine di Cupra sia dai picenti , e i picenti dai sabini , che sono detti TYPPHNOI da Strabone con un nome dato dai greci a tutti gli antichi popoli d' IlaUa , malamente tradotto per etrusci fuori diEtruria. Gli etruschi, cosi chiamati solamente dai romani, sono anch'essi tirreni , ma non tutti i tirreni sono etruschi. Crede egli adunque che il nome KYIIPA di Strabone corrispondente al latino Cupra sia nome sabino, perchè secondo Varrone Cyprum in lingua sabma era ristesso che bonuin, forse da cupio , e da questa voce deduce il medesimo Varrone il nome di cyprius vicus in Roma , come da Cypra o grecamente KTIIPA dovrebbe dedursi il Mars Cy- prius, cioè figliuolo di Giunone venerato vicino a Gubbio,dicui si scoperse il tempio nella fine del secolo passato. Quindi opi- na, che possano conciliarsi le due sentenze de'valenti archeologi citati dal sig. cav. Neroni intorno alla dea Cupra: altri de'quali appoggiati all'autorità di Strabone giudicarono che fosse la gre- ca HPA o Giunone, ed altri che fosse la dea Bona degli antichi italiani. Imperocché la dea Bona, per testimonianza di Macro- bio (Saturn. lib. I,cap. XII ediz. Gronov.}, era creduta ;70feKavanti al cimiterio della terra natale. Saluto a' quattro poeti italiani. L'Ave 3Iaria della mattina. L'Ave Maria della sera. La campana del Deprofundis. Rimembranze d'infanzia. 11 salice. L.* Varietà' 357 ti'ovitlella. Per un nuovo ponte sull' Arno. Il giovine. La sposa del ricco. IJ poeta cieco. Lamento. A. G. D. JNiccolini. La poesia. Se noi ci apponiamo al vero , lo giudichino i leggitori di questo giornale dal saggio che segue, tolto dal compouimeuto. La cauipana del Deprofundis. Ma più non ci attristi l'orror della fossa. Vedete quegli astri ? qui polvere ed ossa . . , I nostri diletti saliron lassù. E già de'futuri già sanno il destino, Proteggon le genti che sono in cammino, Compreser gli arcani del tempo che fu. Il gemito, o padre, che t'esce dal seno Fra gl'inni che allegran l'eterno sereno Del IJglio beato s'accoglie nel cor, E mentre lo credi qui dentro sepolto, Ei dice all'Eterno con supplice volto : ,, Consola il martire del mio genitor. „ Non muore disperso sull'aura notturna Che lene sussurra tra i salci dell'urna^ O donna , il sospiro del petto fedel; E al par dei sospiri, che al tempo giocondo Sfogavan la piena del cor verecondo. E caro al tuo fido che t'ama dal ciel- E suona oltre il regno dei mondi lucenti , O madre, la voce degl'inni gementi Ond'io disacerbo l'immenso niarlir; ; Mi vedi se assorto ni'inspiro al creato, Mi vedi se ai mesti favello inspirato, 31i vedi se lervo di santo desir. . . . 358 Varietà» E quando varcate le nubi e le stelle, Non cupo rimbombo d'umane favelle, Ma l'eco dei cieli per noi suonerà: Udremo la voce dei nostri diletti: O spirti, diranno, tra gli angeli eletti Venite alla gioia che fine non ha. Siccome il torrente precipita al piano, E il fiume va in traccia del vasto oceano, E un porto sospira la nave nel mar, Sospinte nostr'alme da vago disio Sospiran la pace ch'è in grembo di Dio. Ah quando i diletti potremo abbracciar ! ' Fbancesco Cafozzi. Sei Poggio, villa del principe Felice Buciocchi. Bologna i838, tipi della Volpe al Sasii, in 4 grande. 1.1 on avvi in Italia persona educata a' buon! studi, che non co- nosca ed ammiri ì bei versi dell'esimio sig. prof. Vincenzo Valo- rani, che a Bologna è di presente lume splendidissimo nell'arte medica. La bella collezione di Prose e poesie inedite o rare d* italiani t'io ( articolo secondo ed ultimo ). „ 1 50 Mai, Oratio in funere Antonii regis Saxo- niae ,♦ 1 T3 Nardi, Notizie della sua vita scritte da lui medesimo „ 1 77 Visconti, Monumenti borghesiani pubblica- ti dal Lahus . . „ 184 Pellegrini, Poesie „ 208 Barthelemy, Due lettere inedite con le note di C, Cardinali „ 214 Guzzoni, Intorno a un poema del sig. La- mothe Langon „ 237 Paravia, Opuscoli ed orazione . . . . „ 243 BELLE ARTI Solò, Discorso sulV espressione nelle opere greche di arte „ 254 VApe italiana „ 269 Andreozzi , Intorno un dipinto del cava- liere Silvagni >« 288 Gigli, Memorie della vita del maestro di musica Gustavo Terziani ti 293 Betti, Descrizione di alcune opere di pit- tura e di scultura condotte da professori accademici di s. Luca ?» 303 Varietà Tavole meteorologiche. NIHIL OBSTAt É Jacopini Cénsor Theol. Depift. IMPRIMATUR tr. Dom. Buttaoni O. P. S. P. A Mag. IMPRIMATUR A. Piatti Patriarcha Antiocbenus Vicesg. Osservazioni Meteorologiche. )( Collegio Romano )( Gennaro i838. mot. si- mal. tnat. si- ser. mal. Si- ser. mnt. si- mnt. si- Baromet. cPO. , li._ 30 4 7 5 8 JJ n 7 w j» 3 1> i> 5 27 mal. « 3 3 S'- » 3 a ser. j) 1 b mat. 27 11 7 St- » 10 6 ser. i> « » mat. jj 11 5 Si- )> a 0 ser. n » » mat. » , 0 Si- ser. 28 0 8 5 mat. „ 1 0 gi- >» „ 2 ser. j> 0 7 mal. it „ 0 si- )> „ » ser. ji i> 3 mat. „ „ 9 8^- ser. >j 2 0 6 mat. „ „ 5 si- ser. f I ti J 7' mat. Si- » 0 à ser. » " 5 Term esterno 5" 8 4 Termometro max. 9 5 8 5 jo 5 min. Igrom. Vento NNE d. »> » o o NNE d. >» » 0 0 N m, NNE d. 0 0 11 S » d. 0 0 s d. » f. » m. SO N N A. NNE N d. i> n S " SE 01, >» SSO S m. N „ Q s 0 d. N S f. 0 0 s " d. 0 0 Pioggi: pip. pio piO. net. 2'' 30 2 OQ 1 5o i. ùo apor. Stato del Cielo I 5 o 5 1 5 i 5 SI-: f. m. SS( 3 {. 0 0 s jn. pie. pio. » o 1 5 » 4 i 3 0 7 2 u } 0 m. nu. sp. chiaiissimo vap. nu. orlz. chiaro nuv. sj>. chiarissimo „ nuv. ori». cop. pio. nuvoloso ,, sole trai. chiarissimo nuv. sp. nuvoloso chiarissimi!] nuvoloso nuv. sp. nuvoloso coperto pia. sol. Irai, nuvoloso '• sp. nuvoloso 1 5 BBWBiMrgartfwyiiMMiMawMi lairiliiWMiff »9 Ore I Baiomet. Term. maL gi- ser. mal. ser. 27' pò a/, 85 36 27 a8 29 5i mai. gì- ser. mal. si- ser. rnat. gì- ser. inut. er. ser. ntat. S'- ser. mat. si- ser. mat, ii- nifit. gi- ser. a8 27 mut. gì- mat. S'- ser. fn,(it. gì- ser. mat • si- ser li. iq 9 Il 3 ?» IO 7 ># >» 6 »» »> 7 _9_ 8 10 % a 6" 5 9 8 5 TT IO 6 5 10 5 5 o 3 1» 5 IQ 3 6 7 5 Termometro IQ 5 6 5 4 8 5 5 9 4 .» o 8 3, l 4 5 5 4 6 8 5 M 5 9 6 3 6 3 _7_J 9 o 10 3 U 0 mat. gi- 38 »' 0 4 » 0 » » 27 »> U 9 ». 0 10 8 9 no 8 7 5 9 5 8 7 11 8 6 5 11 5 7 i> 8 5 ' 12 11 I 8' 5 M jo 7 9 5 6 5 8 U i3 »5 7 5 If d. N m. E „ NE „ NNE „ SE d. B, „ 30 f. fmo. »9 OSO f. so m. sso •> s d. n » 0 0 NE d. SO f. SSE n». ENE m. N d. Pioggia Evapor. 0^75 0IÌ7 1 a I 0 t 25 p. not. i 2 9 «0 tem.la.tu, 2 a 3 pie. pio- I i5 pio. not, 6 00 3 00 pio. not. 00 0 85 0 75 p. not. 4 00 » 4 1 6 4 o o 6 Slato d»l Cielo nuvoloso coperto piove »» nuvoloso ì> coperto cliiarissimo nuvoloso coperto chiarissimo nuvoloso ouv. sp. chiarissimo chiariss. vaporoso chiariss. nuvoloso coperto nuvoloso cop. piove chiariss. coperto chiaro cop. piove „ sole trai, chiariss. chiar. nuv.ori:^ nuv. sole Irai, chiariss. coperto pio. nuT. sp. nuv. tutto coperto piQve nuvoloso auvo)osa vaporoso coperto tutto T? Osserva lioni Meteorologiche. )( Collegio Romano ]( Febbraro i838. ; O ; Ì5 1 1 2 3 4 5 6 9 10 11 12 i3 '4 i5 Ore Baromet. Terra, esterno rerrnometro max. min. Igrora. Vento ( Pioggia Evapor. Stalo del Cielo nuvoloso ser. nu. sp. mat. gì- ser. >> „ 3 0 9 10 8 0 11 8° 0 1 8 2 NNE d. N „ 0 0 N ':.. i> »> N d. NNE „ N m. 0 25 2 2.) U 1 mat. g'- ser. 1) w » a „ 5 7 9 6 IO 6 0 5 5 0 5 coperto pio. mat. gi' ser. mat. gi- ser. mat. gi- ser. mat. gì- ser. 1) 3 i* 9 4 6 9 5 5 1 10 5 6 »7 IO 1 5 nuvoloso » * 28 8 7 » 8 .. 9 IO 7 1 4 0 0 4 9 6 1 Il 5 3 5 8 21 9 e" d.' N m. « à. 0 0 N m. „ d. „ ra. „ d. 1 2 cliiai'issiino nuvoloso coptr. ))io. 4 8 5 5 5 95 II 4 7 »7 11 23 18 0 8 nuvoloso 11 11 1» 1 0 ., 3 2 0 3 9 4 3 9 tì 6" 8 7 5 5 2 5 1 5 cliiarissimo nuvoloso j 5 I 0 „ mat. g>- ser.. n 1» f> 1 7 . 6 II a 6 11 i5 7 0 0 i> mat. gi- ser. •> 27 „ 0 0 5 XI 7 •> 5 8 12 5 N d. 0 0 0 75 >i mat. ser. »» 1* 0 9 4 8 0 7 10 8 11 6 0 10 1 4 19 2 S d. i> in. Il f- 0 7/» '" mat. gì' ser. M 7 7 8 5 6 6 8 12 9 12 67 Il <1. SO m. SE fur. S d, 0 m. SO d. "s d". "" 0 f " 0 0 d. ,. f. 0 0 i 5o 5 2 3 cliiari.s.iimo nuv. sp. nuvoloso mat. gì- ser. « » 4 5 8 6 « 9 »o 8 12 7 0 «7 5 0 5o 3 5o grandine 2 3o 1 5o 3 25 3 25 " mat. gi- ser. »» 5 0 4 6 6 6 l 6 IO 7 0 25 i3 copcr, piov. j nuvoloso mat. gì- ser. »» .. 4 3 7 ' 4 5 5 7 5 7 4 — 8 5 2 i3 3 0 1 i 6 1" 1 coperto ,, piove mal. ser. 5» 1> 3 5 5 1 7 7 9 6 10 0 11 0 8 4 4 23 9 NO d. 0 „,. 0 0 .\ d. N F. „ N nuv. ,, solv II al, ( liÌMi i.'siinu nu .•. '.,p.>to mal. t. 2 6 5 7 X 5 5 10 5 46990 — I a u o o 16 »7 »9 Baroraet. Term. mal. et- « 7 10 8 > 10 4 »> 9 a 6 3 5 4 5 7 6 5 7 _j^^ 5 3 5 >' 7 5_o 7 5 I — I 7 I 7 li 5 14 i3 10 5 melrp min. Igiom 5° 0 D 9 2 0 7 t3 2 0 6 12 '4 1 1 3 25 3 20 4 7 24 27 6 3' 3 — 1 ò '» 5 17 2 I 8 5 6 5 Vento 0 0 S. rn. „ fm Q. Pioggia J^ 25 0 0 » « » »> SO IP N. fmo. 0 0 SO ni. 0 0 NNIi d. E „ „ m. NÉ f. E „ SE „ si' 00 4 OQ 0 m. NO. d. s. „ 6 5q S f.' 0 m. 0 0 SSO f. „ .fino. 3 pò 1 25 „ ra. S f. „ fmo. t 5o ,, ni. SSO f. S d. 0 75 ,, m. S d. 2 5o 0 25 0 0 S. f. NO d. 2 5o 6 00 1 5o — Evapor. Stato del Cielp "6 1 o 1 6 i 6 2 } 6 nuvoloso „ sole trai, chiaro pliiavissimo ser. nuT. sp. coperto nuv. spar. nuvoloso chiaro vaporoso chìarissinio nuvoloso 11 coperto „ piove cluanssimq nuvoloso coperto ■f, pio. assai nuvoloso vaporoso, coperto , piove nuvoloso^ nuv. sp. ^ iperlo uuv. sp. nuvoloso chiaro ra. nuT. sp. coperto piove m. nu . sp. vap. Sole trai, nuv. pio. assa^ wi^iT'ii'TtrnlTt^Tirir'irTflTrBiwfrrTTrfvrinT'TTiT'-^^jì'wff TTrfTMTWpii» -*""twtt* ' e 17 *9 mat. si- mat. si- ser. mal. si- mat. Si- ser. Baromet. i^P°- mat. gi- ser. mat. ser. mat. 23 gi- ser. mat. b4 11 4 2S 0 2 » 1 0 t, „ j „ 0 6 27 11 j » 10 0 » 9 7 " 7 7 ,j 8 6 » 9 5 » 10 2 n >j 7 „ 11 4 28 1 0 „ a 0 " 1» 5 7 w II S » a 6 » 3 0 » i> „ j» 3 7 !» M 5 '7 ' ♦_ 7 Il »» o Il »o 4 »> Il 7 Terni, esterno Termometro iS"» 7 5 5 6 10 »4 14 4 i5 3 16 14 i5 5 14 5 3% Igrom. i3 26 Vento SO SSE so' »l m. 0 0 so' "d. 0 0 N d. s m. 1» i« 0 0 so m. s f. 0 0 s fmo. »1 »» >» f. »> foie. s ni. ^^ r. so <1. S q. 'J 0 f. 0 0 6 7 4 5 3 3 N q. o iso a. o o "n. a. 18 o d. „ fniQ. nnh: ,1. i O m. Pioggia E vapor. i«8 2 7 2 3 2 7 6 i''oo 1 25 6 4 5o 1 i5 5 a 6 i 5 » 7 » 3 6 75 Q 7 3 4 3 5 SSiiiiìì Stato del Cielo chiaro nuvoloso coperto nuvoloso cliiarissifflo vapo^os. nuvoloso cbiarissiuio vaporoso chiarissimo ser. vap. eh. nuv. orl2. nuv. tutto «I >t pop. piove nuv. sol. trai, chiarissimo nuv. sol. trai, chiarissimo ser. nu. sp< cbÌRrissinto ser. nuv. ap; chiarissimo coperto nuvoloso chiarissimo nuvoloso cop. piove ser, nuv, sp. chiarissimo snj. miv. sp. chiarissimo jL'i'. nuv. sp. nuvoloso J"^--'