iffe# GIORNALE DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI VOI. %$o)l %Qo, »6#. ROMA TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI 1841 ■% a#//<7£. GIORNALE D I TOMO LXXXVII APRILE, MAGGIO E GIUGNO 1841. ROMA TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI 1841 ##«««o#«#dO0#«»o«t»o*«e«#«>»«0aft««:«»00«»ft0O0««##«##«00a DIRETTORE DEL GIORNALE S. E. il sig. principe D. PIETRO ODESCALCHI, presidente della pontificia accademia di archeolo- gia, membro del collegio filologico dell' universià romana. BETTI SALVATORE, professore di storia e mito- logia e segretario perpetuo dell'insigne e pontificia accademia di s. Luca , socio ordinario e censore della pontificia accademia di archeologia. BORGHESI BARTOLOMEO, accademico della cru- sca. CAPPELLO prof. AGOSTINO, già medico consu- leni e della san. mem. di Leone XII, membro della congregazione suprema di sanità. CARPI PIETRO, professore di mineralogia, membro del collegio medico-chirurgico e direttore del gabi- netto mineralogico dell'università romana. DE-CROLLIS DOMENICO, dottore di medicina. FOLCHI GIACOMO, professore d'igiene, di terapeu- tica generale e di materia medica, membro del col- legio medico-chirurgico e direttore del gabinetto di materia medica nell'università romana, membro del- la congregazione suprema di sanità. GERARDI FILIPPO, dottore di leggi. POLETTI LUIGI, consigliere e professore di archi- tettura pratica nell'insigne e pontificia accademia di s. Luca, professore ordinario di architettura nel- l'ospizio apostolico di s. Michele, professore ono- rario della R. accademia delle belle arti di Mo- dena, membro del collegio filosofico dell'università IV romana, architetto direttore della riedificazione del- la basilica di s. Paolo, socio ordinario della pon- tificia accademia di archeologia. TONELLI GIUSEPPE, dottore di medicina. VISCONTI cav. PIETRO ERCOLE , commissario delle antichità romane, presidente onorario del mu- seo capitolino, membro del collegio filologico del- l'università romana, segretario perpetuo e socio or- dinario della pontificia accademia di archeologia. x^lNTALDI marchese Antaldo, a Pesaro. ARMAROLI conte Leopoldo, giureconsulto, a Ma- cerata. ASTOLFI avv. Angelo, giureconsulto , a Bologna. BARLOCCI Saverio , professore di fisica sperimen- tale, membro del collegio filosofico e direttore del gabinetto fisico dell' università romana , segretario del consiglio amministrativo degli acquedotti , in Roma. BARTOLINI monsignor Domenico, camerier d'ono- re di Sua Santità, in Roma. BIANCHINI Antonio , segretario della società degli amici delle belle arti, in Roma. BIOLCHINI Pietro, segretario del giornale arcadico, in Roma. BRIGHENTI Maurizio, ingegnere, a Rimino. BRIGNOLI di Brunoff Giovanni, professore, a Mo- dena. BRUNATI ab. Giuseppe, a Brescia. BUONAPARTE S. E. don Carlo , principe di Ca- nino, in Roma. BUONCOMPAGNI LUDOVISI S. E. don Baldas- sare, dei principi di Piombino, in Roma. CAMILLI Stufano , giudice del tribunale di prima istanza, in Urbino. V CAMPANARI marchese Secondiano, consigliere della delegazione, socio ordinario della pontilicia accade- mia di archeologia, a Viterbo. CANTALAMESSA CARBONI Giacinto, ad Ascoli. CAPOZZI Francesco, a Lugo. CARDINALI cav. Luigi , socio ordinario e censore della pontificia accademia di archeologia, in Roma. CASSI conte Francesco, a Pesaro. CASTRECA BRUNETTI Enrico, dottore di medi- cina, in Roma. CECCONI avv. Luigi, giudice capitolino di appello, in Roma. CHELINI padre Domenico, delle scuole pie, profes- sore al collegio nazareno, in Roma. CIAMPI cav. Sebastiano, a Firenze. CICCONI ab. Tito, bibliotecario dell'Albani, pro- custode generale coadiutore di arcadia, socio ordi- nario della pontificia accademia di archeologia in Roma. CONTI dott. Filippo, medico, a s. Anatoglia di Ca- merino. COPPI ab. Antonio, socio ordinario della pontificia accademia di archeologia, in Roma. CORDERÒ DI S. QUINTINO cav. Giulio , mem- bro della reale accademia, a Torino. DE-LUCA ab. Antonio, vice-presidente dell'accade- mia ecclesiastica, in Roma. DE-MINICIS avv. Gaetano, a Fermo. DIONIGI ORFEI contessa Enrica, in Roma. EMILIANI Vincenzo Ercole, a Poggio Mirteto. F'ABI MONTANI cav. Francesco, cameriere d'onore di Sua Santità, sotto-custode di arcadia, in Roma. FERRUCCI avv. Luigi Crisostomo, a Lugo. FERRUCCI Michele, professore, a Ginevra. FIORINI MAZZANTI Elisabetta, in Roma. FOLCHI cavalier Clemente, presidente dell' insigne e pontificia accademia di s. Luca, membro del col- legio filosofico dell' università romana , ingegnere TI ispettore membro del consiglio d'arte, socio ordi- nario della pontificia accademia di archeologia. FONTANA cav. Pietro, a Spoleto. FRANCESCHI FERRUCCI Caterina, a Ginevra. GENNARELLI Achille, a Fermo. GRIFI cav. Luigi, consigliere e segretario della com- missione generale consultiva di antichità e belle arti presso il cainerlengato della S. R. C. , socio ordinario della pontificia accademia di archeologia, in Roma. GUZZONI DEGLI ANCARANI Carlo, a Trevi. LARUS cav. Giovanni, imperiale e reale epigrafista di corte, membro e vice-segretario dell' instituto , a Milano LOPEZ cav. Michele , prefetto del real museo , a Parma. MAGGIORANI Carlo, professore sostituto di anato- mia, fisiologia, igiene ec. nell'università, in Roma. MALVICA barone Ferdinando , socio ordinario del reale istituto d'incoraggiamento di Palermo, sotto- intendente del distretto di Vasto. MAMIANI DELLA ROVERE conte Giuseppe , a Pesaro. MARCHI padre Giuseppe, della compagnia di Gesù, professore nel collegio romano , prefetto del mu- seo kircheriano, membro del collegio filologico del- l'università, socio ordinario della pontificia accade- mia di archeologia, in Roma. MARCOTULLI dott. Luigi, medico, a Sezze. MASETTI canonico Celestino, a Fano. MORDANl Filippo, a Ravenna. MONTANARI Giuseppe Ignazio , professore, a Pe- sa ro. MOPiICHINI monsignor Carlo Luigi, chierico di ca- mera, in Roma. MUZZARELLI monsignor Carlo Emmanuele , udi- tore della sacra rota, consultore della sacra con- gregazione de' riti, in Roma. VII PAOLI conte Domenico, a Pesaro. PERETTI Pietro, professore di farmacia e direttore del gabinetto farmaceutico dell'università, in Roma. PERUZZI monsignor Agostino, arciprete della metro- politana, rettore dell'università, a Ferrara. PIAN CIANI padre Gio. Battista, della compagnia di Gesù, professore nel collegio romano, membro del collegio filosofico dell'università, in Roma. PUCCINOTTI dott. Francesco, professore nell'uni- versità, a Pisa. PUNGILEONI padre maestro Luigi, min. con., con- sultore delle sacre congregazioni de' vescovi e re- golari e de'riti, in Roma. RAGGI avv. Oreste, in Roma. HAMBELLI Gio. Francesco, professore, a s. Giovan- ni in Persiceto, RANALLI Ferdinando, a Firenze. RICCARDI dott. Gregorio, medico, in Roma. RICCI marchese cav. Amico, a Macerata. ROVERELLA conte Gio. Antonio, a Cesena. SALVI cav. Gaspare, consigliere e professore di ar- chitettura teorica nell'insigne e pontificia accade- mia di s. Luca, ingegnere ispettore membro del consiglio d'arte, architetto de'ss. palazzi apostolici, membro del collegio filosofico dell' università , in Roma. SANTARELLI Michele , professore di medicina , a Macerata, SANTINI dott. Angelo , medico primario , a Mon- talboddo. SANTUCCI ab. Domenico, in Roma. SANTUCCI monsig. Loreto, custode generale emerito di arcadia, membro del collegio filologico dell'uni- versità romana, incaricato di affari della santa se- de presso la corte di Toscana, a Firenze. SCLOPIS di Salerano conte Federico, membro della reale accademia delle scienze, a Torino. SECCHI padre Gio. Pietro, della compagnia di Gè- Vili su, professore e bibliotecario del collegio romano, socio ordinario e censore della pontificia accade- mia di archeologia, in Roma. SORGONI dott. Angelo, primo medico, a Montolmo. TESSIERI padre Pietro, della compagnia di Gesù , sotto-prefetto del museo kircberiano, socio ordina- rio della pontifìcia accademia di archeologia , in Roma. TORTOLINI ab. Barnaba, professore di calcolo su- blime nell'università, in Roma. TROMPEO cav. Benedetto, medico di corte di S. M. la regina vedova di Sardegna, in Roma. VACCOL1TNI Domenico, professore, a Bagnacavallo. VALDRIGHI conte Mario, a Modena. VALORI dott. Francesco, membro del collegio me- dico-chirurgico , professore di sanità nella sacra consulta, in Roma. VENTUROLI prof. Giuseppe, presidente del consi- glio d'arte pe'lavori di acque e strade, accademico di merito di s. Luca nella classe dell'architettura, membro del collegio filosofico dell'università , in Roma. VERMIGLIGLI cav. Gio. Battista, professore nell'uni- versità, direttore del museo antiquario, a Perugia. VESGOVALI Luigi, socio ordinario della pontificia accademia di archeologia, in Roma. VOLPICELLI dott, Garlo, professore sostituto di fi- sica sperimentale nell'università, in Roma, SCIENZE Nuovo Ospizio per la cura fisico-morale de* men- tecatti. Leggi statutarie e regolamenti disciplinari pel nuovo ospizio per la cura fisico-morale dei mentecatti eretto in Ancona doli? ordine e sot- to la invocazione di s. Giovanni di Dio, pre- ceduti da un ragionamento intorno alla dot- trina generale delle malattie mentali riguar- date ne'loro fenomeni, nelle loro cause costi- tutive e nelle occasionali, non che rispetto al- la loro prognosi ed al loro trattamento cu- rativo generale, del eh. sig. prof. doti. Bene- detto Monti. Roma 1840. mT ossedeva la città di Ancona un pubblico speda- le, in cui a norma delle stabilite convenzioni dove- vano pur essere ricoverati i dementi della città e pro- vincia. Rinnovato lo stesso pio luogo nel 1818 per opera dei religiosi dell'ordine di s. Giovanni di Dio, e co' fondi dalla medesima città conceduti a tale misericordioso fine, mancava di uno speciale stabili- G.A.T.LXXXYII. 1 2 Scienze mento, die facesse possibile il praticare verso i folli quei soccorsi e quelle cure, onde oggi la scienza di queste malattie insegna 1' efficacia. Bramoso perciò il reverendissimo supremo generale dell'ordine p. Bene- detto Vernò di sempre operare il bene che per lui si poteva, si risolse a cercar modi d'istituire un appo- sito e decoroso asilo pel trattamento di quelli. Fi- nalmente dopo lunghe e molte sollecitudini di quel fdantropo superiore , e dopo gravissime spese da lui sostenute, si è posto nella sua piena attività il nuovo ospizio, nel quale nulla manca di quanto a cotanta opera si richiede, sì perle condizioni e la distribuzio- ne delle varie parti ond'è composto il magnifico lo- cale ; sì ancora per tutta quella varietà di mezzi e di soccorsi che la scienza di questa altissima parte della medicina ha insegnato proficui; sì finalmente per la riunion felice di tutte le condizioni che richieg- gonsi, perchè il novello stabilimento in ogni varietà di casi di malattie mentali possa riuscire al suo fine. Ed in vero offre il medesimo nelle sue interne di- visioni svariati dipartimenti che rispondono ai generi diversi delle anzidette morbosità. Sale, camere, gal- lerie , passeggi , giardini , lavorìi pe' due sessi sono nell'ospizio in maniera disposti, che giammai posso- no essere sottoposti allo sguardo degli estranei: ne è dato in alcun caso, anche di domestica cura, agli uo- mini di vedere o parlare con le donne, neppur nel sacro luogo della preghiera, dove accedono per vie op- poste ond'eseguire le opere di religione, delle quali sono capaci. L' edifizio intero , che di molto elevasi da ciascun lato al di sopra de' circostanti caseggiati , gode di una esposizione atmosferica tanto salubre, che può senza meno paleggiare le migliori di Ancona. An-. Ospizio dei Mentecatti 3 nesso all'ospizio, ma da questo distinto, havvi altro speciale stabilimento destinato a segregare i conva- lescenti dagl'infermi: e per tal modo essenzialissimo, tostocliè le mentali loro facoltà cominciano a ri- prendere lo stato di ragione, recarli sotto circostan- ze del tutto nuove o diverse da quelle che accom- pagnarono lo stato delirante di essi. Cinque grandi tavole, delle quali il volume dell'opera di cui favel- liamo è arricchito, dimostrano con accuratezza ben soddisfacente il prospetto dell'edificio, e le interne di- visioni tutte di esso. Fra queste ne piace notare la sala dei bagni, e l'altra degli stabilimenti elettrici , la macchina rotatoria, la camera oscura con bagno e doccia, la camera oscura imbottita, i bagni a vapo- re, la sala del bigliardo e musica , gli appartamenti distinti per le persone di rango elevato. Anzi tutto l'apparecchio delle cose e delle circostanze risponde nel servigio e negli speciali trattamenti pei folli di alta condizione alle abitudini della educazione e della vita di essi, onde possa tutto influire nel più possen- te modo sulle disposizioni intellettuali e morali dei mentecatti. D'uopo era per altro, che tutte queste benefiche pietose cure venissero sostenute da leggi e norme da scrupolosamente osservarsi pel buon ordine delle cose, per la sempre fedele ed esatta esecuzione degli offici loro nei singoli individui di alto o di basso servigio, e per 1' accurata ordinanza di tutt' i mezzi all'uopo richiesti. A tal effetto savissimo fu il divi- samento del reverendissimo p. Vernò di redigere e pub- blicare i regolamenti disciplinari, che sanzionati dal- la sovrana autorità sono quivi inseriti; mentre por- tati a conoscenza ed istruzione di chiunque faccia / Scienze parte del governo interiore dell'ospizio, obbligano alla più stretta e rigorosa osservanza ciascuno addetto ad esso stabilimento. Oltre le leggi organiche dell'ospi- zio, e quelle relative 2W ufficio del medico diretto- re, dei religiosi sopraintendenti, prefetti ed altri, me- ritano somma lode le dispozioni disciplinari aven- ti per obietto l'ordine e la uniformità degli esercizi di tutte le ore: il che possentemente contribuisce ad abituare l'uomo al compimento de' propri doveri , a liberarlo da quelle idee che lo rendono non pago del- la sua sorte e di se stesso, ed a riprodurre gradata- mente negli alienati 1' ordine normale delle idee o delle affezioni morali. Quantunque determinar si con- venga il vitto de'singoli alienali, secondo la specie e lo stato della follia, pur certe norme generali dell'a- limentazione convenivano dettarsi: e lodevoli trovia- mo quelle ivi emanate sul proposito , non che su i vari generi di lavoro e di occupazione da dovei'si adattare alla varietà delle specie di alienazione, ed alla diversità degl'individui alienati. Dimostrò infatti l'esperienza, che l'ozio perpetuo, in che erano tenuti un tempo gli alienati nel maggior numero degli sta- bilimenti, fomentava efficacemente il delirio di quelli, e ne moltiplicava le cattive tendenze; mentre l'atti- tudine ad un lavoro, facile ma riflessivo, obbligando l'alienato ad un certo esercizio regolare della sua ra-^ gione, non gli permette di riandare durante il giorno le sue chimère, e gli procaccia per la notte un son- no tranquillo. L'abolizione delle catene , delle per- cosse e di altre corporali offese, con che si trattava- no i maniaci furiosi , venne già richiesta per senti- mento di umanità; tali mezzi esasperavano il furore dei folli, e rendevanli indisposti a sentire l'influenza Ospizio dei Mentecatti 5 di qualsiasi maniera di cura sì fisica e sì morale. Al- tri mezzi di repressione vennero quindi sostituiti per contenere gli alienati: e di essi è ben fornito Fospi- zio. Ma oltre i metodi di restrizione pei furiosi j son pur ivi per apposita legge stabilite le ricompen- se e le pene da doversi applicare ed amministrare per modo, che influendo sulle facoltà degli alienati rie- scano insieme a raggiungere l'ultimo scopo, eli' è il miglioramento e la guarigione di essi. L'indagine del piacere o del genio degli alienati rende facile il da- re ad essi una desiderabile ricompensa, o infligger lo- ro un dei mezzi di correzione, come una delle più o meno disaggradevoli privazioni, o secondo la gravità dei casi, il cambiamento di dimora in camera nuda, il carcere o la camera oscura. Su queste ed altre es- senziali cose , non che sulle verificazioni dell' esatto adempimento dei metodi e rispettive ordinanze, si ag- girano le molto savie leggi disciplinari , che 'fanno sommo onore all'egregio compilatore di esse, cioè al supremo generale reverendissimo p. Vernò. Lode però di gran lunga maggiore ha egli sa- puto procacciarsi con un' altra sublime disposizione. Convinto egli, che tutte le premure e tutt' i mezzi possibili posti in opera per la cura fisico-morale de- gli alienati tornano pressoché infruttuosi, ove diret- ti non sieno da un' assistenza di un medico vera- mente filantropo, e dotto altresì delle psicologiche co- gnizioni, avvisò di stabilirvi la residenza di un medico direttore. Da questo, siccome punto centrale, debbo- no venir disposti e mossi tutt'i presidii al difficile ed alto ufficio di sanazione conducenti; ed a lui pur in- combono alcuni onori con sapiente sagacia prescritti fra le menzionate leggi statutarie. E qui con fino cri- 6 Scienze terio proseguendo a favellare il patire Vernò, discor- re delle cagioni che giustamente reclamano per l'uo- po di una terapia razionale un medico illuminato non solo nelle mediche discipline, ma nelle scienze psi- cologiche ancora istrutto. Niun altro invero, all' in- fuori di un medico ed insieme psicologo, esser po- trebbe idoneo a rettamente dirigere la cura di un ospizio di alienati nell'amministrazione di tutt'i mez- zi sì fisici e sì morali atti a procurare il consegui- mento del ritorno del senno in quest'infelici. Fian- cheggiato quindi da tali e consimili considerazioni sì gravi, esitante non fu il Vernò in eleggere a diret- tore fisico del religioso stabilimento il eh. prof. dott. Benedetto Monti , di cui la perizia e la vastissima scienza in questo difficile ramo specialmente di me- dicina glie ne ispirarono tutta la piena fiducir. E ben sull' ottima scelta possono riposar tranquilli il reve- rendissimo generale, il suo ospizio ed il pubblico: il quale ultimo se già rese i meritati plausi ad altra produzione del Monti, saprà ben apprezzare pur an- co il valore del Ragionamento intorno alla dottri- na delle malattie mentali^ che precede, siccome di- cemmo, il complesso delle leggi e de' regolamenti fin qui memorati. Cotale ragionamento, tutto filosofico e pienamen- te coerente ai più sani dettami psicologici ( nei qua- li non poche menti hanno naufragato ) in virlù della concisione quasi aforistica ( in paragone alla -vastità dell'argomento ), con cui è tessuto nelle sue propo- sizioni, suscettivo non sarebbe di essere compendia- to. Ma per non lasciarne pienamente digiuni i no- stri lettori diremo, che quivi s'imprende primamente a discorrere la natura delle facoltà dello spirito ed il Ospizio dei Mentecatti n vario modo con che le si manifestano alterate; e che quindi si ragiona delle varie cause costitutive delle mentali malattie, della classificazione loro, della pro- gnosi e della cura generale di esse. Si apre la strada al primo titolo con uno sguar- do allo stupendissimo magistero delle facoltà dello spi- rito umano, del quale l'organismo materiale è stru- mento disposto a servirlo. Esamina a tal effetto, co- me lo spirito nello stato del suo organo materiale si manifesti per lo mezzo di tre feerie distinte di feno- meni relativi alle facoltà che li generano, cioè cono- scitiva, appetitiva, volitiva. Esamina, come dalle fa- coltà intuitiva ed intellettiva risulta la conoscitiva ; come lo spirito umano, avendo per la intuitiva per- cepito gli oggetti co'quali è in rapporto, si determini per la intellettiva ad applicare universalmente agli og- getti dati dalla intuizione le tre primitive ed essen- ziali nozioni, di essenza cioè, di causalità e di fine; come V attività della facoltà intellettiva costituisca nello spirito umano quell'atto che si chiama pensie- ro; come il processo della facoltà conoscitiva venga costituito dalla osservazione, memoria e concezione , che sono i tre momenti distinti, in ciascuno dei qua- li stanno come principii fattori e solidari la intui- zione ed il pensiero ; come nell'opera deL terzo mo- mento del processo conoscitivo si consumano quegli atti del pensiero, che sono dagl'ideologi chiamati co' nomi di astrazione , di comparazione e di giudizio ; come le varie attitudini, dette intellettuali, o i vari talenti dello spirito umano , altro non sieno che le vane attitudini che ha lo spirito istesso di associare intra loro e di elaborare le idee dei diversi oggetti , e certe specialità di rapporti dei medesimi ; e come 8 Scienze i vari talenti relativi ad un' arte o ad una scienza non sieno che varie forme di queste attitudini , fra loro distinte ed indipendenti, ma varie di grado e di contemperamento nei diversi individui della specie umana: donde il vario carattere intellettuale degli uo- mini, che non procede dalla differenza delle anime, ma bensì « siccome avvisavano già il beato Alberto « Magno e s. Tommaso, dalle originarie od acquisite « differenze della struttura e composizione delle va- « rie parti ond'è composto l'organo, di cui ha mestie- « ri lo spirito umano nella presente sua vita terre- « na per esercitare e manifestare le sue facoltà. » Nello scrutinio della facoltà appetitiva osserva, come questa « riguardata nella sua essenza origina- « ria , costituisce nello spirito umano una tenden- « za primordiale, per la quale egli è immantinente « mosso a sviluppare se stesso, ed a porsi in rappor- ti to con gli altri esseri che lo circondano, e coll'Es- « sere assoluto , il quale gli si rivela per la osscr- « vazione delle cose, e per l'applicare ch'egli fa alle « medesime delle nozioni di essenza, di causalità, e « di fine che costituiscono la forma del suo pensie- « ro, come l'Essere che contiene in se la ragione di « se stesso e di tutte le cose e tutte le perfezioni; « ed al quale aspira per conseguire il proprio perfe- « zionamento o la pienezza del proprio essere: » af- fetto fondamentale dello spirito umano , sentimento sublime, sentimento religioso. Osserva come la pre- lodata originaria tendenza si modifichi e si vada spe- cificando sotto diverse forme distinte di tendenze, se- condo la natura diversa degli oggetti in cui la si ter- mina, e secondo le varie attitudini originarie ed av- ventizie dell'organismo: come queste tendenze pos- Ospizio dei Mentecatti q sano dividersi in due classi, nell'una delle quali rien- trano tutte quelle tendenze che chiamansi personali, e nell'altra tutte quelle che appellar si possono so- ciali : come queste forme fondamentali dell'atto ap- petitivo dello spirito umano assumano certe modali- tà, le quali per rispetto alle varie forme di tendenza personale risolvonsi nell'amore della proprietà, nelF orgoglio, nella circospezione, nella conservazione di se stesso e nella sensualità; mentre in riguardo alle varie forme di tendenze sociali non sono notevoli che nell'amore dei vari individui di famiglia. Osserva da ultimo, come l'uomo per la facoltà volitiva « è un « essere libero e responsabile, poiché per essa a suo « grado egli agisce ed opera non solo dentro se stes- « so nel proprio subietto, e seconda e si oppone al- ti le proprie tendenze, e le raffrena e dirige, ma e- « ziandio sugli oggetti esteriori , e si oppone come « reazione all'azione de'medesimi su di esso lui , e « può e sa dominarli, secondo intenti da se stesso a v se stesso dati e proposti. » Or tutte queste facoltà dell' umano spirito ma- nifestansi in uno stato normale, allor quando l'ordi- ne delle idee, che l'uomo possiede, è conforme all'or- dine reale delle cose , e quando nel caso contrario egli possa e si accorda a cambiarlo, e quando in fi- ne la forza della sua volontà può e sa dominare il processo delle operazioni conoscitive , non che tutte le varie tendenze della facoltà appetitiva e le sue pro- prie azioni. Da queste condizioni, che costituiscono lo stato della mente sana dell'uomo, ne risulta che il morbo mentale o la pazzia si costituisce da quel- lo stato dell'umano spirito, in cui le manifestazioni o di tutte le sue facoltà, o di alcune soltanto, sono io Scienze deviate dalle condizioni or divisate , per una causa permanente materiale, alterante direttamente o indi- rettamente l'organo delle medesime. Emerge tosto per tal modo la division primaria della pazzia in gene- rale e parziale : ma sì la prima e sì tutte le varie forme della seconda ricevono o possono ricevere iden- ticamente tre distinti o differenziali caratteri, la me- lancolìa cioè, la manìa e la demenza. Grave si è la importanza di apprendere queste ed altre differenze dei morbi mentali: e perciò il sig. Monti s'impegna in presentarne la serie de' fenomeni psicologici i-ela- tivi a ciascuna di esse , senza omettere le nozioni di alcune complicanze o combinazioni fra loro dei di- versi morbosi elementi. Discende in appresso il sig. Monti a discorrere la teorica della genesi dello stato morboso in gene- rale, per quindi applicarla ai morbi mentali. E ripo- nendo il carattere essenziale della vita organica nel- l'interiore e continuo processo di azioni e reazioni, dimostra di quali condizioni richieggasi la contempo- ranea concorrenza per la effettuazione e conservazio- ne dello stato sano dell'organismo vivente. In quat- tro classi vi accenna potersi ordinare la molliplicità e diversità possibile de'morbi: « cioè in malattie di « alterata organizzazione ; in malattie da difetto di « materiali interiori o dello stesso px-incipio di atti- ci vita; ed in malattie prodotte e mantenute da ope- « rosità morbifera di azioni di cose eterogenee, o in- « trodotte nell'interiore organismo, o consistenti nel- « le stesse materie disassimiliate di esso, sovercbianti « più o meno la proporzione della forza conserva- « tiva e reazionaria dell' organismo stesso. » Altre suddivisioni vengono pur anco adottate dal N. A.; e Ospizio dei Mentecatti ii fra le medesime ne piace annotare, che la somma dei morbi compresi nella quarta classe vien primieramen- te suddivisa in universali, in locali, in universali- locali , ed in locali-universali. E siccome in varia proporzione possono intra loro trovarsi la forza rea- zionaria o medicatrice dell'organismo e la forza del principio morbifero; cosi da questo punto di vista si fanno scaturire tre generi, nei quali contemplansi di- stribuite le suddette malattie, cioè steniche, asteniche ed iposleniche. L'insieme di queste distribuzioni, e di molte al- tre per brevità qui omesse , vien poi riferito ai mor- bi mentali, i quali per le condizioni materiali che li costituiscono entrano nelle classi, negli ordini, nelle varietà, e nei generi nella generale classificazione del- le malattie accennati. Vien tutlociò dal N. À. pati- tamente dimostrato con ben accurata applicazione del- le une distribuzioni alle altre: e quindi a contemplar si rivolge le precipue remote cagioni dei morbi men- tali, come 1' ereditarie disposizioni , la mancanza di educazion morale ed intellettuale della prima età, le varie circostanze della vita morale e politica dell'uo- mo, e le accidentali e svariate malattie della vita or- ganica. Dalla serie delle considerazioni giudiziose di quanto si è fin qui discorso ognun ravvisa, che de- sumer si dovevano i fondamentali principii per la predizione dell'esito e per la scelta della terapìa da doversi a ciascuno dei morbi mentali applicare ; e queste norme ha ben seguito il sig. Monti. E qui arrestando le nostre parole , congratular ci dobbiamo col prefato chiaro professore per la ric- ca suppellettile di medici e psicologici lumi , co' quali si è prodotto in questo erudito ragionamento: ta Scienze e render dobbiamo in pari tempo tributi di somma lode al reverendissimo p. Vernò, che zelo e profusio- ne di mezzi non ha risparmiato per condurre il suo stabilimento a sì decoroso ed utile stato, non senza dar saggio di fino discernimento e di sapienza nella disposizione onorevole delle sue leggi e regolamenti disciplinari. .ONELLI. Memoria sulla moltiplicazione e coltura degli al- beri nella provincia di Spruzzo ultra 1° in riscontro al programma pubblicato dalla so- cietà economica di detta provincia nel i837. Teramo^ tipografia Angeletti 1840. lTJLolta e giusta laude, secondochè a me ne pare , meritarono coloro , i quali veggendo che i trattati agronomici di oltramontani scrittori non offrivano che notizie in parte soltanto adattate alla coltivazio- ne delle italiane campagne, tolsero a raccogliere buo- ne regole, ed a formare un complesso di cognizioni e di precetti, che utili si rendessero specialmente agli agricoltori della nostra penisola, e potessero servire ad essi di norma e di guida ne'campestri lavori; in che a questi ultimi tempi egregiamente si distinse il eh. Filippo Re, degli studi georgìci sopra ogni dire benemerito. E siccome i terreni delle diverse italiche Provincie offrono pure tante varietà e differenze, Coltura degli alberi i3 nec .... terrete /erre omnia possunt, e conviene esaminare cultusque habitusque lo corinti^ Et quid quaeque ferat regio , et quid quaeque recuset così parmi doversi eziandio riconoscenza ed encomio a coloro, i quali coi loro scritti som ministrano buoni ammaestramenti intorno la particolare agricoltura di qualcuna delle nostre provincie, e ne procacciano il miglioramento ed i progressi, a ciò stimolati dal no- bile desiderio della pubblica utilità. A questo laudevolissimo intendimento è indiriz- zata la « Memoria sulla moltiplicazione e coltura de- ce gli alberi nella provincia di Apruzzo ultra 1° in ri- « scontro al programma pubblicato dalla società eco- « nomica di detta provincia nel i83y » stampatasi in Teramo nella tipografia Angeletti nell'anno 1840 in 8.° Autore di questa memoria è il signor Pan- crazio Palma , che la scrisse fin dal ricordato anno i83y; e che ora essendo stato meritamente eletto a presidente annuale della menzionata società econo- mica, ba voluto pubblicare questo suo pregevole scrit- to a significazione di grato animo , e con tutta ra- gione avvisando che potesse provenirne vantaggio all' antidetta provincia. E parmi che a questa si conven- gano veramente speciali regole e precetti agrari : im- perocché il suolo di una tale provincia presenta al- l'occhio de'riguardanti un quadro singolare, veggen- dovisi un intrigato ammassamento di apennini e sub- apennini per diverse maniere ramificati, e che innal* tA Scienze zano al cielo maestosamente l'eccelse lor vette , dai quali poi staccansi catene di fruttifere e deliziose col- line, che sorgono dove più, dove meno elevate, e ta- lune delle quali sempre più scemando di altezza, van- no infine a livellarsi coi piani campi, ed altre esten- donsi fino alle amenissime rive dell'adriatico mare. E non è questo il primo scritto del sig. Palma intorno a cose di agricoltura ; imperocché pubblicò già colle stampe le sue Osservazioni sulla prospe- rità della provincia del primo Spruzzo ulteriore ( Teramo, tipografia Angeletti i83 7 in 8.°) ; ed in questa opera, dalla quale traspare ad ogni pagina il desiderio della pubblica prosperità, ed insieme l'amo- re del paese natio, che il dotto ed illustre autore vor- rebbe vedere per industrie ed arti agrarie e traffichi dovizioso e fiorente, oltre i molti altri importantissi- mi oggetti di pubblica economia, de' quali con giu- stezza di pensieri e di vedute , con moderazione di progetti, e senza trascorrere in sottigliezze ed astra- zioni si tratta , per modo che rende chiara testimo- nianza delle non comuni e vaste cognizioni, che in siffatta scienza lo scrittore possiede: si ragiona ezian- dio con non minore maestria dello stato dell'agricol- tura in quella provincia, e del miglioramento a che potrebbe portarsi , e de' mezzi per ottenerlo : e si espongono belle considerazioni intorno i cereali , le canape ed i lini, le sete, i prati naturali ed artificia- li, i boschi, la pastorizia ed altre importanti e prin- cipali materie della rurale economia, precipua fonte della prosperità e della floridezza de'popoli. Ora nella nuova scrittura, che dal signor Pal- ma si è messa alle stampe , ha egli tolto a trattare della moltiplicazione e coltura degli alberi: parte, co- Coltura degli albepi i5 me ognun vede, principalissima dell'agricoltura, e ma- teria perciò degnissima di ogni più diligente investi- gazione e studio. Egli con ottimo consiglio ha inti- tolato il suo libro a S. E. il sig. march. D. Fran- cesco Statella de'prineipi del Cassero, gentiluomo di camera di S. M. siciliana e cavaliere dell' ordine di Cai'lo III, il quale sostenendo in quella provincia con molto plauso l'onorevolissimo officio d' intendente, ra- gion voleva che al primo degnissimo maestrato della medesima provincia si offrisse uno scritto indirizzato al bene di essa, e per tal guisa se gli desse dimo- strazione e segno di grato animo per la vigilanza e per le cure, ch'egli adopera allo stesso scopo del pub- blico bene. Avuto riguardo al suolo della provincia, il qua- le presenta le varietà da me sopra accennate, ragio- na l'autore in questo suo pregevole opuscolo degli al- beri più utili, sì da legno e si da frutto , che sono più adattati agli appennini di quella provincia, alle falde di essi, alle colline, alle basse terre ed alle ma- rine, e medesimamente delle piante acquatiche da col- tivarsi nelle sponde di fiumi e torrenti. Egli divide in tre classi gli alberi , distinguendo i.° quelli che somministrano cibo agli uomini ed agli animali do- mestici; 2.° quelli i quali si adoperano per la costru- zione delle case, de'navigli e delle masserizie; 3.° quel- li che destinami ad ardere per tutte le umane ne- cessità e per uso di pressoché tutte le arti, infra le quali poche ve ne ha, cui non faccia mestiero il fuo- co, singolarmente a'dì nostri, orachè l'uso del vapo- re portentosamente concorre, dice l'illustre autore, ad agevolare le manifatture nella loro creazione e nel ra- pidissimo loro commercio; ond'è che l'abbondanza del j6 ò c i k n z e comhuslibile forma la ricchezza de'popoli, mettendo- li in istato di produrre e vendere immensa copia di oggetti d'industria, che agevolmente condotti e ven- duti ne' mercati stranieri fruttino largo e ricco gua- dagno. Premessa una introduzione all' argomento , che toglie a trattare, il sig. Palma divide il suo libro in sei articoli. Nel primo di questi parla della necessi- tà e de'mezzi di moltiplicare le piante legnose, o con- servando le attuali e proteggendo la loro naturale ri- produzione, ovvero facendo nuove piantagioni. E par- mi assai giusta la osservazione fatta in questo pro- posito dall' autore , che saranno infruttuose tutte le cure e tutti i provvedimenti indirizzali alla conser- vazione de'boschi esistenti ed alla educazione de'nuo- vi, finche buone strade non apransi , le quali diano a que'vegetabili tal valore da renderli utili a'proprie- tari. Mancando comodo di strade a trarre vantaggio dalle piante de'boschi, questi ( cui gli antichi, perchè meglio si rispettassero, popolarono di tante divinità) si bruciano, si tagliano per metterne a coltura il ter- reno; ed il ferro distrugge ed abbatte non solamen- te i grandi e maturi alberi, ma eziandio ( ciò eh' è peggio ) i piccoli e crescenti. A promuovere poi la moltiplicazione delle piante il sig. Palma con belle e veraci parole espone il godimento, che ne produce il pensiero di futuro profitto che procacciasi a noi stessi, a'nostri figli, alla società ; e chi vuol vivere, egli dice, nella riconoscente memoria de'posteri, la- sci monumenti utili ed apprezzabili non meno di quelli, cui le arti foggino co'fusi bronzi e co'marmi scolpiti. E dimostrandosi bene esperto e dotto nelle teorie della fisica, fa osservare come gli alberi e per COLTCRA DEGLI ALBERI *.„ quello che assorbiscono, e per ciò che tramandano , contribuiscono a purificare ed a rendere salutevole l'aere; ond'è che se ne dee procurare l'accrescimen- to nelle vicinanze principalmente delle città, de'vil- laggi e degustici casolari , servendo eziandio talune piante per attirare sopra di sé la terribile folgore preservandone le vicine case. Non insiste egli poi lun- gamente sulla moltiplicazione degli alberi fruttiferi : perciocché compensando questi nello spazio di pochi anni le fatiche e spese fattevi , ne ravvisa ognuno il vantaggio, e quindi nella coltura di essi veggonsi in ogni anno progressi : ma nondimeno raccomanda quella diligenza , che non da tutti i proprietari si scorge egualmente in ciò adoperata. Ben si distende l'autore nel ragionare degli alberi di alto fusto, che servono per gli edifizi, per le costruzioni marittime, per le macchine e pel fuoco ; della coltivazione dei quali i proprietari non si danno gran pensiero e mol- to meno i coloni, talmentechè sono poi costretti di trarre da'più alti monti ed anche dall'estero i travi e le tavole, di che Ihan bisogno per le fabbriche: in tal maniera spendendo il loro argento per quello, che potrebbero pure avere dalle lor terre. Ad invogliare poi il sig. Palma e stimolare i suoi concittadini a questo genere di piantagione, instituisce opportuna- mente un minuto ed esatto calcolo della spesa che vi occorre, e dell'utile che se ne ritrae. Nel secondo articolo il sig. Palma ne insegna quali alberi si deggiano preferire per farne vantag- giose e profittevoli piantagioni, indicando i luoghi e le posizioni che a ciascuna specie si convengono per potem le piante sorgere felicemente, ed acquistando- vi la naturale grandezza, mantenerci prosperose , e G.A.T.LXXXVII, 2 ' 18 Scienze non perirvi d'immatura vecchiezza; posciachè diversi luoghi ai diversi alberi si vogliono, e ne avvisa Vir- gilio : Fluminibus salices, crassisque paludibus alni Nascuntur, steriles saxosis montibus ornit Litora myrtetis laetissima^ denique apertos Bacchus amat colles, aquilonem et frigora taxi» Ed altrove Fraxinus in sylvis pulcherrima, pinus in hortis, Populus in jluviis, abies in montibus altis. Colla guida poi della esperienza, ch'è la migliore e più sicura maestra, si danno in detto articolo precet- ti ed utilissimi ammonimenti sui modi, con cui po- ter eseguire le diverse piantagioni con felice succes- so, indicandosi eziandio il tempo che a farle è più conveniente; ed il diligentissimo scrittore, che mostra- si pur valente negli studi botanici , non solamente tratta degli alberi indigeni , ma degli esotici ancora fa parole ; moltissimi de' quali sonosi introdotti in quella provincia, che dalle gelide vette di montagne elevatissime ai tepidi piani de 'marittimi lidi offre tan- te varietà di clima e di temperatura. Si versa il terzo articolo intorno la potagione degli alberi: operazione così importante, e col mezzo della quale l'arte dell'agricoltore guida la pianta, per- chè questa nel suo crescere prenda e conservi una data forma, secondo la sua natura ed il genere di uti- le che si vuol da essa ritrarre. E qui l'illustre au- tore , il quale scrive per giovare la sua provincia , Coltura degli alberi mj non già per fare vana pompa di agronomica dottri- na, chiede perdono ai dotti, protestandosi che parla a'rustici agricoltori, la più parte de' quali ignora che le piante non solamente traggono dal suolo per mez- zo delle radici il succo, con cui crescere e frutlifi- care, ma che inoltre attirano alimento dall'atmosfera per mezzo delle foglie: e che quindi a più facilmen- te persuadere i villici di questa verità , dalla quale dehbono dipendere le regole del polare, invece di ri- ferire teoriche della vegetazione estratte da'libri, sti- ma doversi prevalere di osservazioni pratiche ; colle quali, ottener possa che il potatore ben ammaestrato impugni il suo ferro , e questo ferisca per arrecare alle piante miglioramento e salute, e non già distru- zione e morte. Non omette poi in questo articolo il nostro autore di parlare eziandio delle selve cedue. Si continua pure a trattare della potatura nel se- guente articolo 4-°? indicandovisi altre maniere di ese- guire questa operazione, nonché il tempo opportuno a praticarla: e singolarmente vi si ragiona de' giardi- ni, ricordandovisi quelli che si denominarono cinesi, perchè di tal modo se ne trovarono in quell' antico impero, ed i giardini che chiamaronsi inglesi perchè imitanti quelli, di che i signori britanni fecero or- namento ai lor signorili castelli; e l'autore, dandovi saggio della sua erudizione, vi ricorda antichi e ma- gnifici giardini, anche con orti botanici, che furono nella Italia in vicinanza di grandi città o splendida- mente stabiliti da' principi. E piacemi il consiglio che vi si dà a'doviziosi gentiluomini di procacciarsi innocente e pura delizia e godimento nella coltura de'giardini, ammirando nella tanta e sì pittoresca va- rietà delle foglie, de' fiori e delle fruita, la bontà e 20 Scienze la sapienza del divino creatore. E pare a me che fa- rebbero pur bene i ricchi signori, se alcuna volta in- vece de'cocchi e de' cavalli vagheggiassero gli aratri e gli utili buoi , che sudano a solcare i lor campi, e cangiassero colla libera e purissima aria delle col- line lo stagnante e contaminato aere de'chiassuoli e viottoli cittadineschi , e preferissero talvolta alle di- pinte scene de'notturni teatri la prospettiva bellissi- ma delle ridenti ed amene campagne. Argomento del 5.° articolo è la maggiore possi- bile moltiplicazione delle piante ; ed avvisando l'au- tore che l'agiatezza di un popolo dipenda dal posses- so del maggior numero di piante, che somministrano cibo e materiali alle abitazioni ed alle arti, vorreb- be che i magistrati, le società economiche, le acca- demie efficacemente cooperassero a dar favore e pro- movimento alle più utili piantagioni : e che i terre- ni addetti all'esperienze di siffatti corpi scientifici si convertissero di vivai di alberi , per dispensarne po- scia i piantoni non già ai privati, ma sì bene ai pub- blici stabilimenti ed ai comuni, i quali dovrebbero ri- cuperare gli spazi ed i fossati intorno i paesi , per lo più usurpati da'vicini, e formarne passeggi ornati di alberi. E vorrebbe pure che a cura de'comuni si guarnissero di piante i margini delle strade; ed espri- me sentimenti di grato animo al direttore generale di ponti e strade per alcune piantagioni di pioppi, sa- lici ed ontani da lui fatte eseguire sulle rive del Vo- mano, del Salino e della Piomba. Catone, dice il no- stro autore, classificava i vantaggi delle varie colture in una scala ; ma questa non è adattata per tutti i paesi : ogni proprietario dee farsela colla scorta della esperienza, lasciando che declamino i precettisti ; e Coltura degli alberi 21 addita come questa scala debb'essere ordinariamente fissata in quella provincia. Avverte i proprietari coi- rne alcuni generi van perdendo pregio ognor più, e come per ciò faccia loro mestiere di procacciarsi una compensazione a questo danno nell'armento e nel bo- sco: facendo loro considerare che un capitale di le- gname costituisce per essi un fondo prezioso di ri- serbo. Osserva poi il signor Palma come si accresca grave danno traendosi dall'estero anche il legname , orachè per lo smodato introdursi di ogni maniera di peregrine manifatture pagasi agli stranieri tant'oro in acquisto di oggetti, che vendono non solamenle alla classe de'nobili e de'ricchi, ma eziandio alla grande massa del popolo inferiore: facendo belle ed utili con- siderazioni intorno a questo passivo e dannoso com- mercio, il quale forma una piaga che rode la nazio- nale prosperità, e da cui dee ripetersi pure l'avvili- mento de'lavori nostrali, e quindi le inoperose brac- cia e la conseguitante miseria. Offrendo a Pale un qualche fiore, ci dà il sig. Palma nell'articolo 6.° del suo lodevole opuscolo un rapido cenno sulla pastorizia, necessaria compagna e sostenitrice dell'agricoltura. Lo chiamano a questo ar- gomento parecchi economisti, i quali veduto l'avvili- mento, in che caddero i prodotti de' nostri terreni, ci vanno gridando: « Rivolgetevi ad accrescere i vostri armenti, le vostre mandrie : per tal modo vi procac- cerete una ricca sorgente di utili : ne avrete in mol- ta copia animali da lavori campestri e da trasporti , carni e pelli, lane e formaggi ! A questo effetto ac- crescete quanto più vi è possibile i prati naturali ed artefatti. » E ci van poi citando ad esempio gl'ingle- si, gli olandesi, gli svizzeri, i sardi, i dalmati. No- 22 Scienze tando il sig. Palma la differenza che passa fra il re- gno di Napoli e gli altri stati che si propongono per essere imitati, osserva giudiziosamente ciò che meglio si conviene alla provincia, per la quale egli scrive : e conchiude che quivi la pastorizia non può essere aumentata in se stessa, ma soltanto progredire insie- me colla popolazione e coll'agricoltura, come compa- gna di questa, e dandole e ricevendone aiuto; ed ag- giunge che male e stoltamente consiglia chi vorreb- be ricondurci indietro a vedere atterrati e recisi uli- vi, gelsi, viti, frutti, siepi, perchè branchi di pascen- ti bruti possano liberamente ed a lor posta vagare , siccome già a1 tempi di barbarici ed esiziali sistemi. Nella conchiusione, che mette fine all'opuscolo, il sig. Palma osserva con sentimento di compiacenza che in quella provincia l'agricoltura va migliorando in tutti i rami, e specialmente nella piantagione di alberi fruttiferi; ma che vi ha urgente bisogno di mol- tiplicare quelli da legname, e che la pastorizia si è aumentata ed ingentilita , perchè fatta compagna ed amica della coltivazione da nemica e rivale, qual già le fu in altri tempi. Facendosi poi strada a dir co- se di pubblica economia , trattovi dal desiderio del bene della patria, che guida costantemente la penna di questo scrittore, inculca die nell' adottare nuove manifatture preferiscansi le dozzinali e di uso più co- mune, avvertendo che quivi le arti non sono già con- trariate dal difetto di capitali, di talenti, di attività e di altri mezzi, i quali se credonsi necessari da ta- luni scrittori, per tali non si riconoscono da' pratici assennati osservatori, ma sì bene vi sono contrariate dalla concorrenza di opere forestiere. Se vogliamo va- lutare il presente nostro stato, egli aggiunge , para- Coltura degli alberi 23 gemiamolo col passato, e non già con quello dì stra- nieri popoli, i quali due secoli prima incamminaron- si sulla via delle industrie e de'traffichi , e che pur essi cominciarono con piccoli mezzi meschini intra- prese , le quali poi col tempo, con leggi proteggitrici e cogli stimoli del guadagno crebbero progressivamen- te. Non dobbiamo pareggiare nel lusso quelle nazio- ni, cui non possiamo pareggiare nelle ricchezze : dob- biamo tenerci contenti de'successivi graduali miglio- ramenti, e con essi livellare le nostre spese , impe- gnandoci concordi ed unanimi per ottenere gli stessi miglioramenti. Allorché il possidente vegga una nuo- va manifattura sorta nella provincia, se ne allegri co- me di un vero e nuovo utile venutogli nelle sue ren- dite: e quindi proteggala quanto più egli può , pre- ferendo l'uso di essa, ne si rechi a vergogna l'indos- sare drappi nostrali, perchè men belli degli stranieri. E riporta il dotto scrittore altre sue utili osservazio- ni, che nell'angustia di questo articolo non mi è da- to di tutte accennare, talune delle quali tratte op- portunamente dalla storia. Noi grandemente ci con- gratuliamo col sig. Palma per questo suo pregevole scritto a lui dettato dal nobilissimo desiderio di gio- vare la patria, la quale dee sapergliene grado. E rav- visiamo ch'egli vi dice cose non solamente meditate negli ozi del suo gabinetto, ma verificate colle cam- pestri esperienze e colle proprie osservazioni nella pratica ; e si fa ad esporre i suoi precetti colla mag- giore chiarezza, perchè ognuno possa trarne profitto, spogliandoli a tal fine di ogni pompa scientifica. Sap- piamo che questo gentile e dotto signore passa una parte dell'anno in una sua campagna , e quivi dili- gentemente dà opera agli studi agrari : que'gentiluo- ^4 Scienze mini che vorranno imitarlo, accoppieranno l'utile al dilettevole. E qui piacemi di osservare come in Te- ramo, capoluogo della provincia , cui si riferisce la scrittura del sig. Palma, non poche opere di agricol- tura a questi ultimi tempi si pubblicarono ; il che rende testimonianza che in quella città coltivatisi le più utili scienze. L'avvocato Giovan Francesco Nar- di vi stampò i Saggi sulV agricoltura, arti e com- mercio della provincia di Teramo: l'abate Berardo Quartapelle vi mise in luce i suoi Principii della vegetazione applicati alla vera arte di coltivare la terra per raccorre dalla medesima il maggior possibile fratto : vi scrisse il commendatore Mel- chiorre Delfico Sulla coltivazione del riso nella pro- vincia di Teramo e su di altri oggetti spettanti alV agricoltura : il marchese Gianfilippo Delfico vi trattò Della conservazione e riproduzione de1 bo- schi : 1' avvocato Giacinto Armellini , presidente in quella città del tribunale civile, vi pubblicò he leg- gi protettrici dell' agricoltura, ossia V agricoltura considerata sotto il rapporto del dritto romano e delle leggi del regno delle due Sicilie: Ferdinan- do Mozzetti vi mise alle stampe un Saggio d1 in- fluenze meteoriche e del clima sulV agronomia , sulla pastorizia e su i rami diversi di economia; ed ora il sig. Palma vi ha dato in luce il pregevole opuscolo, che ha formato l'argomento del presente ar- ticolo. Continui questo egregio e dotto gentiluomo ne'suoi nobili studi, e con essi procaccisi alcun con- forto al dolore venutogli dalla morte accaduta di cor- to del suo chiarissimo fratello don Niccola Palma, ca- nonico della cattedrale aprutina, dottor di leggi, so- io dell' instituto di corrispondenza archeologica di Coltura degli alberi 25 Roma e del regale instituto d'incoraggiamento di Na- poli, ed autore lodato di varie opere e singolarmen- te della eruditissima Storia ecclesiastica e civile della regione più settentrionale del regno di Na- poli: della quale storia io stesso ebbi già il piacere di fare in questo medesimo giornale meritata ed ono- revole menzione. Giacinto Cantalamessa Carboni. Il nuovo carcere ed il pubblico macello eretti in Viterbo. Xm.llorcliè si ergono monumenti di belle arti, e sta- bilimenti di utilità pubblica di qualche entità, è op- portuno di darne cognizione anche ai lontani, acciò nelle contingenze d'imprese analoghe o profittino de' compensi artistici e morali in essi posti in uso , o v'introducano correzioni, riforme e migliorìe; ed ac- ciò che gli autori si abbiano il plauso degli assenti come de' presenti. Adesivamente a tali massime amia- mo annunciare due monumenti innalzati in Viterbo , cioè il nuovo carcere già compiuto, ed il macello pub- blico prossimo ad esserlo: i quali ci sembrano meri- tare qualche osservazione dalle persone intelligenti di tal sorte di opere. Ne dissimuleremo che a tali cau- se di pubblicazione concorre pur anco quella specie di ambizione patria di mostrare che questa città tro- 25 Scienze vasi nello stadio d'emulazione colle principali dello stato pontificio, per promovere ed accrescere gli agi de'suoi abitanti ed il decoro civico. La forma delle prigioni ed il sistema da pra- ticarsi co'detenuti è un argomento che da più anni occupa vivamente i governi ed i filantropi , e lun- ghe discussioni han luogo tuttora sul miglior metodo di amministrazione morale da farsi in esse (*). L'A- merica ha somministrato all'Europa 1' esempio delle case penitenziarie, nelle quali i detenuti sono con- dannati ad un perfetto isolamento in apposite cellu- le: e con tal sistema si pretende non solo di evita- re la corruttela de'costumi de'buoni o men cattivi, la quale ha luogo quando essi si trovano in consorzio abituale coi viziosi e malvagi , ma pur anco di mo- ralizzarne lo spirito. L' Inghilterra volle migliorare l'asprezza di tanta solitudine: ma sostituì ad essa nel consorzio il silenzio. In Francia non son concordi le opinioni su i pretesi vantaggi morali ed umanitari di tali metodi: e vuoisi da alcuni che la salute, e per- fino le facoltà intellettuali de'detenuti, sotto tale re- gime soffrano considerabilmente. Frattanto il sovrano di Piemonte, avendo aperto un concorso pel disegno di un carcere di tal natura, ha ottenuto un numero con- siderabile di disegni, fra*i quali quello prescelto, e spe- cialmente esaminato ed approvato dallo stesso sovra- no, fu prontamente mandato ad esecuzione.il gover- no pontificio , in cui il sistema carcerario da lunga epoca stabilito meritò già l'elogio degli oltremontani, (¥) In proposito è degua di rimarco l'opera di C. I. Petitti: ,, Della condizione attuale delle carceri ec,, Torino.Pomba i84o- Carcere e macello di Viterbo 27 come quello che concilia l'esigenze della giustizia pu- nitiva co'riguardi dell'umanità, non sembra persuaso della superiorità de'vantaggi dell'invenzione oltrema- rina, ed ama conservare i metodi, da tanta serie di anni adottati. E ben vero però che non tutte , anzi poche, sono le prigioni delle città subalterne dello stato, le quali per la loro forma, posizione ed am- piezza possano ben corrispondere alle condizioni preac- cennate, e non diano luogo a querele e ad inconve- nienti di vario genere. Sovente i processanti si la- gnano, perchè alcuni inquisiti non possono essere con- venientemente separati dai loro complici, onde preve- nire fra essi i concerti che giungono ad eludere le fiscali investigazioni : sovente reclamano i custodi per la po- ca sicurezza di alcune prigioni, e l'opportunità che queste presentano alla evasione dei detenuti anche con modici sforzi ed artificii : altri reclamano contro l'insalubrità de'locali, la mancanza di luce e di aria pura, l'accumulamento di gas e vapori perniciosi, la mancanza di salubri infermerie pe' maiali. Queste e più altre querimonie si elevano relativamente alle ma- teriali condizioni delle prigioni, ma tante volte inu- tilmente. Le prigioni della città di Viterbo presentavano forse tutti gl'inconvenienti prodotti per l'angustia e l'irregolarità del locale e per la stessa sua topogra- fica posizione. Anzi sotto tale rapporto riuscivano som- mamente indecenti: poiché erano situate nel centro, nella più nobile e decorosa situazione della città, pres- so il palazzo comunale, sulla bella contrada di s tra- da romana e sulla maestosa piazza del comune, ove han luogo d'ordinario i pubblici spettacoli ed il pub- blico passeggio: e quindi gli spettatori ed i passanti 28 Scienze erano rattristati dalle ferree griglie, dal triste suono delle catene, dall'aspetto e delle lagnanze querule dei detenuti, e dal fetore che sboccava da quelle sordi- de aperture. La poca sicurezza delle rinchiuse, de'mu- ri e dei tetti, i non rari casi di sfasci e di evasioni, ponevano in frequente apprensione gli abitanti della città e gl'interessati nella parte fiscale: e nell'estiva stagione insorgevano pur timori di sviluppo di ma- lattie esiziali, che talvolta si sono realizzati. Da lun- ga epoca queste circostanze eccitavano querele ed in- quietudini: ma senza alcun risultamento. Era riserbato all'eccellenza di monsignor D'An- drea, delegato apostolico della provincia viterbese, ii soddisfare a tanti bisogni e porre un termine a tanti inconvenienti. Si deve alla sua attività, genio e per- severanza, se ottenute le opportune facoltà dall'emi- nentissimo pro-prefetto dell'erario, in breve tempo fu condotta a compimento la fabbrica di uno stabilimen- to che meno per l'ampiezza, che per la filosofica di- stribuzione degli ambienti, secondo lo spirito del tem- po e del luogo, merita di esser dedotto a cognizione anche de'meno prossimi. A far comprendere però il criterio, col quale si è proceduto nel metodico ripar- to degli spazi , giova di epilogare lo scopo e la de- stinazione speciale dell'edificio, prima di presentarne una sommaria descrizione. Le carceri de'capo-luoghi di provincia nello sta- to pontificio sono destinate alla reclusione di quei, j.° che prevenuti di crimini soggiacciono agli atti in- quisitorii, ed attendono il giudizio del tribunale : 2.0 che debbono espiarvi una pena giudizialmente pronunciata, importante la detenzione semplice a te- nore delle leggi penali: 3.° che sottostanno a misure Carcere e macello di Viterbo 2q e coercizioni in linea di polizia: 4-° che non possono soddisfare i debiti civili validamente contratti: 5.° che attendono di essere trasportati altrove per espiare pene più gravi del semplice carcere, alle quali sono stati condannati. Ora in queste carceri conviene por men- te in ispecial modo alle seguenti esigenze : i.° Che gli ambienti de' detenuti siano salubri al più alto grado, e che la salute non vi soffra al- cun detrimento. 2.0 Che sopravvenendo infermità in alcuno dei prevenuti , sia egli assistilo e medicato con tali ri- guardi, che concilino i diritti dell'umanità con quelli della giustizia. 3.o Che siano prestati a tutti i mezzi convenien- ti per ricevere i conforti e le istruzioni, ed adempiere i doveri di religione. 4-° Che non sìa comunicato il mal costume e le prave massime dall' un individuo all' altro , o da una classe di detenuti ad un' altra. 5.° Che niun inquisito possa corrispondere coi suoi complici od interessati , ad eludere le indagini fiscali tendenti allo scoprimento de'fatti criminosi. 6.° Che sia prevenuta ogni possibilità di artifi- cio o violenza per l'evasione dei detenuti dal carcere. Sarebbe lunga opera 1' esporre minutamente le parti amminicolari della fabbrica, praticate per sod- disfare a tali esigenze: quindi ci contenteremo di pre- sentarne una breve descrizione. La fabbrica del car- cere adunque è situata in un estremità della città presso l'antica rocca, ed è di forma quadrilunga, cioè di romani palmi 3 20 ( met. 64 ) sopra 60 ( met. 14 ): della quale uno de'maggiori lati formante il prospetto si estende sulla prateria detta di sallupar a , l'altro 3o Scienze posteriore vien formato dal muro castellano fiancheg- giato da ampio barbacane o muro di precinzione. Il prospetto presenta l'idea della semplicità, dell'au- sterità e della robustezza: ed è diviso da otto gran pilastri, che dal suolo si elevano a sostenere il cor- nicione del tetto. Nel mezzo la porta vien formata da un solido bugnato di peperino ( pietra vulcanica del luogo ) sormontato da un' iscrizione , che ram- menta le circostanze che determinarono la fabbrica, e chi ne promosse e sostenne l'esecuzione. Il rima- nente della superficie prospettica è occupata da fi- nestre regolarmente disposte, e munite di opportune inferriate e gelosie. Penetrando nell'arabo ( pai. io ), nel primo pia- no trovasi un robusto cancello di ferro, per cui si per- viene ad un corridoio (palmi 170 X 12) nel senso della lunghezza dell' edificio , dal quale volgendosi a destra vedesi all'estremità V altare pel culto divino, e sull'uno dei fianchi due carceri segrete, il car- cere correzionale e due altre segrete: e sulP altro fianco due segrete, il carcere pei ragazzi, due al- tre segrete, e la porta, e la scala ascendente alla camera dei secondini corrispoudente sopra l'ingresso. Posteriormente poi all' altare , ma senza comunica- zione interna, esistono la cucina della fornitura ed altri ambienti relativi. Volgendosi dall'arabo sulla porta del corridoio che prosiegue a sinistra, veggonsi ai due fianchi due segrete* ed all'estremità il cancello del carcere lar- go o galeotta ( palmi 18 X 5o ). Questa da due li- nee di quattro solide colonne vien divisa in tre spa- zi longitudinali, de'quali i due laterali hanno murel- li elevati dal suolo palmi 4 Per collocare i paglioni Carcere e macello di Viterbo 3i o stramazzi pe'detenuti, ed in basso hanno i venti- latori per la rinnovazione dell'aria. Di fronte all' andito poi osservasi la scala di ascenso al piano superiore, nel quale a destra pre- sentasi una corsìa avente in fondo una segreta, in un fianco l'abitazione del custode consistente in una sala, cucina e tre stanze: indi il carcere per le donne, indi quello pe* debitori civili insolvibili, V in- fermeria per gli uomini e la stanza per V infer- miere. A sinistra presentasi altra corsìa, sull'un fian- co della quale apresi la stanza del secondino , il quale mediante una finestra interna sorveglia tutta la galeotta. Prosiegue una segreta, Yinfermeria delle donne, Yinfermeria suppletoria per gli uomini, la sala della visita de' carcerati, due camere pei mi- nistri processanti, e due altre per gli atti di reli- gione, conforteria ec. Lungo un lato delle due corsie è praticato il guardaroba o i locali per la fornitura carceraria, e per gli oggetti de'detenuti ec. ec. Finalmente all'estremità della corsia prossima alle stanze per gli atti di religione esiste uno speciale ingresso con cancello di ferro e scala esterna, con altri ambienti ed attinenze, latrine ec. (pai. 26x60). Or per dimostrare in qual guisa si è creduto sod- disfare alle sopraccennate esigenze, osserveremo: i.° che circa alla salubrità del locale, le segrete ( nelle quali l'aria è d'ordinario più stagnante e contaminante ) so- no collocate circa palmi 4 sopra il livello del cor- ridoio, ed hanno una superficie di 260 palmi qua- drati almeno, e l'altezza di oltre palmi ì>5: cosicché cadauna di esse contiene oltre 65oo palmi cubici di 32 Scienze aria, spazio ben sufficiente alla respirazione incolu- me di più individui. Sono esse pavimentate di lastre di peperino coperte di volta, intonacate tutte di bian- ca calce, ed illuminate da finestre nella più alta ed inaccessibile parte delle pareti o volte, ed aventi una superficie lucida di circa 20 palmi quadrati. Non so- no state praticate, come nelle anticbe prigioni, le la- trine particolari, delle quali si sono rilevati i grandi inconvenienti, tanto per l'opportunità die talora pre- sentano all'evasione dei detenuti, quanto per le comu- nicazioni verbali a danno delle inquisizioni, e per le mefitiche esalazioni perniciose all' umana salute. Si sono in vece posti in uso vasi esattamente chiusi, che ogni giorno si sgombrano e tergono. 2.0 Circa i riguardi per gl'infermi osserveremo, che speciali locali sono stati stabiliti per essi nella parte più elevata e salubre dell'edificio. L'infermiere è ad essi prossimo per ogni occorrenza. Si è stabili- ta un' infermeria suppletoria per gli uomini, pel ca- so in cui l'inquisizione non permettesse che compli- ci e cointeressati in causa rimanessero nello stesso lo- cale, o lo sviluppo di malattia contagiosa esigesse una cautelata simile separazione. 3.° Per l'adempimento de'doveri di religione si è stabilito l'altare in guisa, che tutti i detenuti possa- no vedere od udire la s. messa e le sacre funzioni; poiché l'altare trovasi in un punto quasi panoseopi- co. Per le confessioni poi e per le speciali istruzio- ni spirituali di una parte dei detenuti sonovi came- re, come dimostrammo, appositamente destinate. 4-° Quanto all'isolamento de'singoli detenuti, os- sia al sistema cellulare e penitenziario tanto proclama- to per prevenire la diffusione dell' immoralità fra la Carcere e macello di Viterbo 33 massa de'prigionieri, e per influire una pena nello spi- rito atta a far ponderare l'utilità della buona condotta, non si è convinta l'autorità governativa che i van- taggi di esso sistema fossero evidentemente maggiori degli inconvenienti che pur produceva. Quindi, anche adesivamente all' uso fin qui mantenuto nello stato pontificio, nel carcere di cui parliamo si è adottata solo una specie d'isolamento dei detenuti durante la inquisizione, alla quale vanno soggetti; al quale og- getto son posti in apposite segrete, ma d'ordinario non affatto soli. Nel resto le classi di varie specie di de- tenuti sono collocate in diversi locali. Non si è pra- ticata una maggior suddivisione e separazione, anche sul riflesso che la detenzione non è d'ordinario assai lunga, e coloro che sono condannati a lunghe pene sono trasportati ai bagni ed alle grandi case di forze. In ogni modo i locali che qui contengono molti de- tenuti, e principalmente la galeotta, sono accurata- mente sorvegliati: ed i soggetti perniciosi per le loro massime e vizi sono all'occorrenza separati. 5.° Si è avuto in considerazione particolare, che le inquisizioni criminali non venissero impedite o deluse col mezzo di comunicazioni o scritte o ver- bali fra complici od interessati: ed a tale oggetto le segrete sono state collocate in vari e distinti punti dell'edificio, acciò neppur le voci de'complici si oda- no scambievolmente. Così le finestre delle segrete, per la loro forma , posizione e mecanismo, impediscono ogni specie di corrispondenze cogli esteri. 6.° Finalmente la solidità delle mura, delle vol- te, delle porte, delle inferriate, unite alla vigilanza de'custodi, garantiscono a sufficienza l'inevasibilità dei detenuti, gli sfasci, i rapimenti delle chiavi ec. G.A.T.LXXXV1I. 3 34 Scienze Siccome però ogni opera umana è soggetta ad un' ulteriore perfezione , e noi non siamo nudi en- comiatori dello stabilimento carcerario di Viterbo, ci facciamo lecito di osservare: Che il soverchio nume- ro dei detenuti riunito nella galeotta non è affatto senza qualche apprensione: e quindi quel locale po- trebbe agevolmente dividersi con muro intermedio in due o più ambienti: Che sarebbe opportuno qualche ventilatore anche nelle segrete, per rinnovare l'aria almeno in qualche ora del giorno : qualora a ciò fa- re non si opponga la riflessione, che per le canne di essi possa comunicarsi la voce dall'esterno : Che sa- rebbe opportuno racchiudere, come adiacenza del car- cere, il prato di sallupara che si estende innanzi il prospetto, e collocarvi un corpo di guardia anziché una semplice sentinella. Ad onta di queste addizio- ni che noi proponiamo, e qualche altra che da altri potrebbe proporsi, crediamo che il nuovo carcere di Viterbo possa servire di modello e norma nella co- struzione di simili edilìzi, e che lode somma si deb- ba a S. E. monsig. D'Andrea, che ne meditò e ne concepì l'idea, ed al sig. Vincenzo Federici di Viter- bo, ingegnere in capo di acque e strade della dele- gazione, che ne delineò in carta, e ne diresse il mate- riale adempimento. La iscrizione, di cui abbiamo di sopra fatto cen- no, è la seguente : Carcere e macello di Viterbo 35 TlRTVTI . ET . HONORI GREGORI . XVI . P . M . PRINCIPIS . CLEMENTISS. qvod . anno . x . sac . princip. Avctore . Antonio . tosti . patre . card . aer . pko . praef. cvra . instant1aq . hieronymi . db . andrea . ant1stitis praefecti . frov . viterb . praet . pot. carcerem • angvstvm . sqvalentem . e . media . vrbe . dimoveri et . ampliorem . salvbrioremq . heic . extrvi . ivss1t ordo . et . popvlv3 . viterb . voto . svscipto . m . p. Una grande turpitudine esisteva nella città di Viterbo , che più osservabile si rendeva nelT attuale progresso della civiltà e decoro pubblico: cioè 1' ar- bitraria mattazione di buoi, vacche, porci, agnelli ec. in ogni luogo che restava comodo agli spacciatori di carni , pizzicagnoli ed anche particolari. Sovente le vie e le piazze vedevansi perciò contaminate da san- gue ed immondizie, ed ammorbate col fetore. A por- re un termine a tale inconveniente si concepì l'idea di un pubblico ammazzatoio o macello , ove tutti gli animali suespressi ed analoghi fossero uccisi e mondati , indi inviati ai luoghi di smercio od alle case particolari. Il locale per un tale stabilimento era stato dalla civica magistralura destinato nel pia- no di Taule, posto fra la collina del duomo e quel- la della Trinità, e prossimo alle mure castellane ed alla porta della città che apresi alla via di Tosca- nella. Il luogo non ha prossime abitazioni, ma è vi- cino alla parte più popolosa della città: e perciò con- venientissimo all'uopo. Ivi scorre il fiumicello Are- ione, che nell 'intraprendersi la fabbrica qualche an- no indietro fu diviso in due rami, per dar luogo nel mezzo di essi alla fabbrica. Appena però essa fu in- 30 Scienze tra presa, venne interrotta da imprevisto circostanze: lincile la prelodala eccellenza di monsig. D'Andrea non eccitò ed agevolò il proseguimento , che oggi si ap- prossima al compimento, e permette di annunciarne la descrizione. Noi crediamo che anche quest'edificio possa servir di norma per simili stabilimenti, per la giudiziosa distribuzione degli ambienti , per la co- modità delle varie mattazioni , e per l'eleganza ed euritmìa. Consiste adunque l'edificio in un rettangolo e- steriore, o muro di recinto, di palmi 280 sopra 140 ( met. 55, 6 X 3o, 8 ) alto palmi i3 ( met. 2, 9 ). Il prospetto su di uno de'maggiori lati presenta un portone d'ingresso ed altro di egresso, posti nelle due metà di esso, ai quali si perviene mediante ponti siili' Areione, ed una iscrizione intermedia. Al lato di cadami portone è una stanza pel custode o por- tinaio, e pel controllo delle bollette per l'andamen- to regolare dello stabilimento. Entrando il portone d 'ingresso trovasi un cor- l'idoio largo pai. 12, ricorrente tutto all'intorno del principal fabbricalo, che comprende tre distinti mat- tatoi , cioè i.° quello del bestiame pecorino e ca- prino : 2.0 quello del bestiame vaccino : 3.° quello del bestiame porcino. Questi tre mattatoi costituisco- no un edificio rettangolare di 266 sopra u3 palmi, di cui l'altezza nel punto medio culminante è di pal- mi 4°- ^ingresso al i.° mattatoio trovasi di fronte al portone d'ingresso, e presenta una piazza quadran- golare ( palmi 65 x 54 ) con una fontana di fac- ciata. Nei due lati opposti di questa piazza, cioè nel lato dell'ingresso ed in quello della fontana, sono sta- Carcere e macello di Viterbo 37 bilite quattro rinchiuse per le pecore e per capre da uccidersi : e nel lato intermedio sono gli stanzoni per iscannare, scorticare e mondare gli animali pre~ detti, essendovi all'oggetto gli apparati e copia cV acqua occorrenti. Nel quarto lato poi delle piazze apresi il passaggio al 2.0 mattatoio. E questo formato di un ambulacro con due ca- nali di pietra ai lati, ove scorre l'acqua per aspor- tare il sangue e le immondezze degli animali uccisi. Cinque sono in cadaun lato i locali destinati alla macellazione coi respettivi arnesi, divisi da pilastri e cancelli : posteriormente poi , ad ogni locale evvi una rimessa per ritenere le bestie di cadaun proprie- tario. In queste rimesse poi, che hanno l'ingresso dal- la parte del corridoio, si fanno entrare in prima le bestie, sovente assai fiere, con ispeciale artificio. Le porte delle rimesse sono appunto tanto larghe, quan- to il corridoio (palmi 12): cosicché aprendole a metà, cioè ad angolo retto, intercettano il transito pel corridoio alla bestia sospintavi, la quale perciò viene necessariamente indotta ad entrare nella rimessa, ove rimane fino all'opportunità della mattazione. Dal mat- tatoio delle bestie vaccine, cioè dall'ambulacro pre- nominato, si passa al 3." mattatoio destinato pei porci. Ha questo la medesima dimensione, piazza, for- ma, fontana ed ambienti di quello delle pecore. L'in- gresso corrisponde di fronte al portone di egresso. Sono però diverse le disposizioni interne negli stanzo- ni di mattazione e gli arnesi : poiché i maiali non si squoiano, ma si pelano con acqua bollente: al qua- le oggetto vi sono praticati i fornelli e speciali ap- parati. 38 Scienze Mediante poi il portone di egi*esso, le carni so- no asportate alla respettiva destinazione. Noi non ci siamo occupati dei particolari dettagli di questa fab- brica, e dei compensi artificiosi che comprende: ma in genere ne annunciamo la mirabile simmetria e cor- rispondenza delle singole parti, ed il vago spettacolo che presenta osservata dall'alto delle adiacenti colli- ne, essendo coronata di pioppi lungo le sponde del- XAreione. Il disegno è dell'architetto viterbese sig. Pietro Mascini, che ne dirige altresì il lavoro. Questi due stabilimenti pubblici , che possono considerarsi anche come monumenti d'arte, indicano che la città di Viterbo non è inerte nell'abbellirsi e procurarsi gli agi sociali: e se ci fosse lecito far plau- si ai progetti o di un nuovo teatro , o del nuovo giuoco di pallone, o del pubblico passeggio nel pra- to-giardini e simili altri, potremmo porre questa cit- tà forse fra le più belle d'Italia, od almeno dello sta- to pontificio. Ma i progetti nel maggior numero abor- tiscono: e noi ci contentiamo per ora di averne espo- sti due che vennero felicemente alla luce. Viterbo 6 novembre 184.0. G. Camilli. % Dell'ottica considerata come soggetto di poesia. Discorso del P. Giuseppe Giacoletti delle scuo- le pie , professore di eloquenza nel collegio nazareno, letto all'accademia tiberina nell'adu- nanza del 9 di novembre 1840. Di. opoche, per servire all'istituto da me professato, ebbi per molti anni secondo mie deboli forze det- tato filosofia ; come poi a cagione di novella chia- mata de' miei superiori feci passaggio alla scuola di belle lettere, tosto mi corse alla mente il pensiero, e neir animo il desiderio di non lasciar totalmente cader nell'oblio quelle scarse cognizioni che mi era procacciato nelle discipline filosofiche ; mentre ad un tempo doveva adoperarmi di ammaeslrare la gioventù nell'oratoria e nella poetica, se non con lode, alme- no con quella assiduità e lena di spirito che non ve- nisse interrotta ed affievolita da studi troppo alieni da queste facoltà. Quindi presi consiglio di volger l'animo alla poesia didascalica: congiungendo così, co- me meglio per me si potesse, i vecchi insieme ed i nuovi studi. Al che pure fui mosso non solo da quei vantaggi che reca all'universale la poesia didascalica, già da molli scrittori considerati ; ma eziandio dalla condizione particolare de' nostri tempi , ne' quali le menti nutrite in gran parte di cognizioni scientifi- che, solide e profonde, pare che cerchino puranche nella poesia non superficie ma profondità, non solo mera sposizione di effetti , ma ancora dimostrazione 4o Scienze di cause : ed oltre a ciò una poesia, che tolga le sue immagini dai fenomeni e dalle leggi naturali, apre una strada sicura e conciliatrice da battersi in oggi Ira le sfrenate e gigantesche fantasticherie de'roman- tici, e le superstiziose ripetizioni de' mitologisti. Mi diedi pertanto ad investigar meco stesso qual parte di fisica dovessi togliere a subietto di poesia : ed in ta- le ricerca varie cose mi si affacciarono alla mente. Mi sovvenne di quella osservazione fatta da molti , e singolarmente dal celebre gesuita Roberti, che non tutti gli argomenti, ond'è ricca la fisica, possono con- venientemente cantarsi dalle muse: essendovene talu- ni, i quali mancano di poetica bellezza intrinseca, ed altri che non potrebbero esprimersi degnamente per carmi a cagione di loro astruse difficoltà. Mi schie- rai d'innanzi alla memoria diversi poemi didascalici scritti da celebri autori, cominciando da Lucrezio fi- no all' Arici ed al Ricci; e nel fare tal rassegna vidi che vasti campi ed ubertosi rimanevansi tuttora a mie- tere in questa provincia, anzi che quasi per tutto po- trebbe farsi novella raccolta, attesa la ognor crescen- te e variabile cultura, di che tutto dì fioriscono e frut- tificano le scienze naturali, e per cui cangiano spes- so spesso di orizzonte e di prodotti. Presi a consi- derare varie parti di fisica più abbondevole a parer mio, d'immagini poetiche, cioè l'acqua, l'aria, il ca- lorico, il fluido elettrico: e tutte mi apparivano gran- diose e leggiadre. L' ottica però si è quella che io andava più d'ogni altra mirando e vagheggiando: per- ciocché l' intrinseca bellezza poetica della medesima non polea non colpire la mia immaginazione (e qua- le immaginazione non ne resterebbe colpita ? ) in gui- sa che, ove il tema si fosse potuto piegare al metro Ottica nella poesia 4i poetico, non lo avessi dovuto preferire ad ogni altro. Ora Dante venne ad assicurarmi della possibilità di vestire la luce con forme poetiche. Rileggendo la di- vina commedia, forse con alquanto più di studio che non ci avessi posto altre volte, incontrai sì frequen- ti e bellissimi versi alla luce pertinenti, che mi di- mostrarono meno scabroso, di quello che a prima vi- sta mi si era presentato, il porre in poesia le leggi ed i fenomeni di esso fluido. Inoltre mi stavano an- cora presenti al pensiero due dissertazioni da me pro- nunziate , son pochi anni , all' accademia de' lincei, contenenti alcun che di nuovo intorno a' fenomeni ottici , ed un' altra loro compagna che andava dise- gnando e preparando ; le quali mi teneano la mente in tal guisa legata all'ottica, da non potermene così di leggieri distaccare. Fermai dunque per queste ra- gioni di appigliarmi alla poesia della luce. Ed oggi che mi reco ad onore di tener ragionamento in mez- zo a voi, illustri soci, coltissimi uditori, mi sono ap- punto proposto di svolgere le due principali di sif- fatte ragioni: prendendo a dimostrare in primo luo- go l'intrinseca poesia della luce; secondariamente la possibilità ed agevolezza di esprimere con poetiche forme questa poesia medesima. La poesia intrinseca della luce si è tale e tan- ta, che quasi starei in sul punto di affermare, la lu- ce non esser altro che vera poesia, o la vera poesia nuli' altro che luce. Ed in vero, chi mai ignora che tra le molte denominazioni date a questa sublime fa- coltà, quelle che più spesso ne suonano all'orecchio sono di raggio celeste, di scintilla, di fuoco anima- tore che l'animo investe, lo illustra, lo riscalda , lo solleva al di sopra della bassa terra , siccome fiamma ^.2 Scienze che tende smaniosa verso le alte regioni dell' aere ? Certo è che in siffatte espressioni si contiene molto di metaforico. Ma oltreché v'ha pur molto di reale e proprio, che si manifesta all'interno hollore del san- gue, del petto e del cerebro di un poeta inspirato , ed esternamente nel colorirsi del viso , nel lampeg- giare degli occhi, nello atteggiarsi delle membra com- mosse ; oltre a ciò, io diceva , non vi sarà chi non comprenda esser già questo un argomento non lieve dell'intrinseca poesia della luce, il prestarsi cioè eh' ella fa, più di altro qualsivoglia elemento di natura, a porgerne un'idea vivace ed espressiva dell'estro poe- tico. INon basterebbe già questo solo pregio per chia- marla in certo modo il fluido poetico ? Ma osserviamo più addentro la natura della poe- sia e della luce, per meglio conoseere come elleno rassembrino due sorelle, nelle qualità e negli orna- menti somigliantissime. A tutti è noto che il bello è l'unico o almeno il primario obbietto della poesia. Ora come dal divino Platone vien egli definito il bel- lo ? Lo splendor del vero. Oh ! magistrale ed am- miranda definizione ! definizione che nella sua fecon- dissima brevità racchiude più sostanza di quella che si trovi sparsa in ben cento di quelle lezioni sull'estetica, che si sogliono produrre e riprodurre a'nostri giorni. Ma ora non è mio divisamento di mostrare la sapienza, l'estensione e Pubertà di cotal definizione : bensì de- durre dalla medesima la poesia della luce. L' obietto della poesia è il bello : il bello è lo splendor del ve- ro : l'ottica ha per obietto un vero splendidissimo : dunque l'ottica è poesia, poesia intrinseca, essenzia- le. Che l'obietto dell'ottica sia splendidissimo, nel pu- ro senso ottico, non occorrerebbe dimostrarlo se non Ottica nella poesia 43 a'ciechi nati; ai quali però ove non facesse cotal di- mostrazione un novello Cheselden ( e molli Chescl- Jen vanta il secol nostro ), inutili riuscirebbero tulli i ragionamenti. Ma per questo splendore dell'ottùsa io qui voglio intendere ben altra cosa ; la quale or ora andrò dichiarando dopo di aver detto alcun che della sua verità. Appunto perchè la luce è il solo fluido impon- derabile percettibile alla vista ; perciò di esso si so- no scoperte e misurale molte proprietà, forze, leggi ed azioni più assai che degli altri fluidi sottili, e con maggior esattezza. Si è calcolata appuntino la sua sorprendente celerità ; si è valutata la sua intensità, che scema in ragione dei quadrati della distanza dal corpo luminoso ; la sua elasticità si è trovata perfet- ta in guisa, che giammai non errano le leggi spettan- ti alla riflessione. La teoria delle ombre; la coslan- za del rapporto fra i seni degli angoli d'incidenza e di refrazione ; i vari gradi di questa refrazione me- desima nelle varie sostanze ; la decomposizione del raggio bianco solare nei setti primitivi diversamente colorati e refrangibili; le leggi della diffrazione e del- la polarizzazione; ed altre proprietà e fenomeni del fluido luminoso, si sono spiegate con geometrica cer- tezza ed evidenza. Nulla dunque potrebbe desiderarsi di più dal lato della verità in questa disciplina ; se si metta da parte l'incertezza in cui ondeggiano tut- tora i fisici rispetto all'intima natura della luce. Ma qui parmi udir taluno che rammenti, per la poesia non richiedersi mica la nuda e precisa verità, bensì la verosimiglianza delle cose ; che anzi spesse volte il vero semplice e misurato a compasso nuo- ce piuttostochè giovi all'arte de' carmi. Però a siffatta 44 Scienze obiezione è facile una doppia risposta. Perciocché, in prima, la poesia didattica questo debbe avere di pro- prio, che non si contenti della verosimiglianza ; sib- bene che esponga le verità dell' arte o scienza cui prende a subietto ; comechè non rifiuti le verosimi- glianze, ove queste siano inerenti alle discipline me- desime , oppure s' introducano negli episodi e ne- gli altri ornamenti accessori. In secondo luogo certe spezie di poesia, come per esempio l'epica e la liri- ca, versando in gran parte intorno alle umane azio- ni ed avventure, qualora si tenessero ne'limiti della pura verità, ben poco di grande, mirabile e patetico potrebbero mettere in campo; sibbene azioni malva- ge miste con buone , straordinarie con indifferenti , forti e leggiadre con deboli e sconce. Quindi cotali poemi sarebbero privi d'interesse, non levando l'uo- mo al di sopra delle umane bassezze, non illuminando la mente, ne commovendo il cuore. Dunque convie- ne che la fantasia vesta d'immagini straordinarie e su- blimi tratte dal verosimile siffatte opere, acciocché con- seguiscano il loro scopo. Ma nell'ottica la cosa va di gran lunga altrimenti. Avvegnaché l'ottica, senza nep- pur escludere molte verosimiglianze che le son proprie, principalmente in ciò che riguarda la natura della lu- ce, i fenomeni della vista e le illusioni ottiche, e molte altre cui può trasportare la fantasia nelle digressioni ed altri accessori, siccome risulterà da quanto sono per favellare in appresso ; l'ottica, dissi, senza nep- pur escludere le verosimiglianze , offre verità tutte splendide per se stesse; e qualsivoglia immagine ve- risimile, presa d'altronde, non sarebbe in loro con- fronto che un fioco barlume di domestica lucerna di fronte ai vivi raggi del sole. Ed eccomi alla seconda Ottica nella poesia ^.5 qualità del belio assegnata da Platone, qualità che sì ampiamente e meravigliosamente campeggia nell'ottica. Lo splendor della luce è di tanti generi , che tutti ad uno ad uno discorrendo se ne potrebbero for- se classificare molti generi di bellezza da adornarne un trattato di estetica con qualche novità. Ma io, per non estendere di troppo il mio ragionamento, mi sta- rò contento ad alcuni tra essi. E cominciando dallo splendido gaio e grazioso , chi è che non ravvisi gran parte delia natura di questo informata e vesti- ta ? L'oro della luce solare diviso dal prisma ne' set- te raggi variopinti, le brillanti gemme del mare e de' monti, i ridenti fiori del prato , gl'insetti luminosi , le vaghe farfalle, i diversi augelli, il verde dell'erba e l'azzurro del cielo, con cento e cento scene di na- tura composte dalla varia combinazione di tanti ele- menti , spirano per ogni parte gaiezza e leggiadria. Che diremo poi degli specchi o vitrei o metallici , piani , convessi o concavi , e delle loro naturali o scherzevoli dipinture ? Che degli anelli colorati, del- le ombre artificialmente delineate e composte, de'mi- nimi corpicciuoli ingranditi dal microscopio, per cui si svela un incognito regno di cose impercettibili ad occhio nudo ? Ne meno del gaio e del grazioso cam- peggia nell'ottica il grande ed il sublime. Graziose insieme e sublimi sono le meteore dell'aurora sì diur- na e sì boreale e dell' arco baleno. Idee sublimi ri- svegliano l'ecclissi solari e lunari. A grande sublimi- tà ti elevano i telescopi collo avvicinare ed ingran- dire i corpi celesti, e discoprirti stelle divario colo- re non pria vedute, e le nebulose della via lattea, ed un'altra via lattea invisibile ad occhio nudo ; in somma coll'aprirti dinanzi agli occhi l'immenso tea- tro dell'universo nel modo che meglio ti porta a co- ^6 Scienze nosóere la sapienza e l'onnipotenza di Dio. Di quan- ta sublimità non è egli obbietto il sole, quell'amplis- simo globo di luce e di calore, che spande i torren- ti del suo fluido per ogni dove , e tutti illumina i pianeti, e riscalda ed avviva e feconda la terra ? Al sublime è compagno il mirabile e stupendo. I fe- nomeni della vista , quelli particolarmente che par- tecipano della fisica insieme e della metafisica, han- no sempre fatto maravigliare i filosofi ; le apparenze della fata morgana e tante altre ottiche illusioni ti trasportano, per così dire, nel regno degl'incantesimi e de1 prodigi. Gli effetti delle interferenze , per cui luce aggiunta a luce genera talvolta oscurità, la stes- sa decomposizione de' raggi attraverso al prisma , la loro polarizzazione e le loro chimiche qualità, sono cose da ingenerare ad un tempo il più soave diletto e la più profonda ammirazione. Quanto poi non sono stupendi, oltre ai microscopi e telescopi, tanti altri or» digni e macchine ottiche, inventati dall'uomo per tanti usi nelle scienze, nelle arti, ne'comodi e ne'piaceri della vita ? Quanto non è maravigliosa e sorprenden- te la recente scoperta fatta dal sommo Daguerre? Resta dunque dimostrato dal detto fin qui, che il bello dell'ottica riunisce le due qualità da Plato- ne enunciate , cioè verità e splendore. Resta dimo- stralo che questo splendore è di più sorti, principal- mente grazioso, sublime e mirabile. Dunque non ri- mane dubbio sulla poesia intrinseca dell'ottica. Tuttavia credo potersi entrare eziandio più ad- dentro in questa materia , guardando la poesia non nel suo obietto, ma nella sua cagione efficiente. Nes- suno ignora che l'immaginazione è la prima causa produttrice di qualsivoglia poesia. Quindi sarà giusto Ottica nelt.a poesia 47 lo argomentare così : Le cose, che piii delle altre col- piscono la fantasia e vi durano impresse , sono del- le altre più poetiche ; ma i fenomeni della luce col- piscono più di ogni altra cosa la fantasia, e vi du- rano impressi ; dunque essi fenomeni , e perciò an- che le loro leggi, sono più di tutte cose intrinseca- mente poetici. Ed invero le idee che noi riceviamo dai cinque sensi , si differenziano di gran lunga fra loro rispetto all'immaginazione. Quelle che si acqui- stano per mezzo del tatto, costituiscono l'infima clas- se : perocché, cessate le impressioni, ne svaniscono le immagini, ed altro non resta nell'animo che la me- moria di averle sentite, l'idea de' loro vocaboli, e la facoltà di riconoscerle quando si offrono novellamen- te gli obbietti da cui derivano. Abbiamo tutti le no- zioni di durezza e mollezza, di levigatezza e scabro- sità, di caldo e freddo, ed altre di simil fatta : ma non è mica in nostro potere il riprodurre nell'ani- ma le analoghe sensazioni a nostro piacimento, sic- ché ci paia toccare e sentire corpi duri o molli, le- vigati o scabrosi, caldi o freddi, ove questi non agisca- no realmente sugli organi. Porrò in una seconda clas- se, ma molto prossima alla prima, le nozioni acqui- site pe'sentimenti dell'odorato e del gusto : giacche ci costa assai fatica, e il più delle volte n'è impossibi- le, richiamare alla mente le impressioni degli odori e sapori altre fiale sentiti ; e qualora ne riesca ciò fare, sono esse confuse , languide e quasi nulle. La terza classe è delle idee de'suoni. Queste certamente già differiscono assai dalle precedenti. Imperocché di leggeri possiamo ritenere e riprodurre in noi stessi e dai noi stessi, imitandola colla nostra voce od ezian- dio tacitamente, una cadenza, un'aria, una sinfonia. 48 Scienze Tuttavolta non è dubbio che coleste immagini acu- stiche siano vinte lungo tratto dalle immagini otti- che ; delle quali perciò io formo la quarta classe , molto superiore a tutte le altre e per la sua esten- sione e per la varietà e per la vivezza. Infatti cotali immagini s'improntano profondamente nell'animo, si risvegliano con assai prontezza, puranche senza il con- corso della volontà, siccome ne'sogni e nel delirio , e si rappresentano chiare e vivaci, talvolta anche trop- po. Dunque la fantasia trova un vastissimo campo e fecondissimo nelle sensazioni ottiche; dunque la poe- sia del pari. E dove esisterebbe mai vera poesia de- scrittiva senza le idee dei colori, delle figure e del moto per la vista impresse nell'animo ? Scegliete pu- re qualsivoglia produzione poetica, differente, per quan- to vi aggrada, da quelle didattiche sulla luce : non è egli vero che tutte le scene, tutti i quadri di che si compone, ricevono da cotali idee il loro principale effetto ? Pitture di boschi, di campi, di colli, d'ar- menti, di fonti, di laghi, di viaggi, di tempeste , di battaglie , che diverrebbero ove le immagini ottiche non dessero loro vita, forza e leggiadria ? E certo più soave al palato il sapoi'e di un pomo squisito , che non sia gradevole alla vista il suo colore e la sua forma : pure un poeta si troverebbe perduto ad un tratto, ove quella qualità e non queste volesse ritrar- re. Le armi, ond'è vestito un guerriero, si spacciano con pochi epiteti o con qualche similitudine, quan- do si parli di loro tempra, durezza e peso^: ma nel dipingerne la diversa forma e grandezza, lo svariato colore, il riflesso che operano sui raggi del sole, ed altre sensazioni di che imprimono la vista, ne sbuc- cia fuori un' ampia e gradevolissima descrizione. In Ottica nella poesia 4q somma avviene in gran parte della poesia ciò che più estesamente si avvera della pittura, colla quale essa ha tanta relazione : vale a dire, se le impressioni del tatto, del gusto, dell'odorato e dell'udito non si pos- sono dipingere in un quadro, ma le ottiche solamen- te ; così queste in sommo grado si prestano alla poesia, senza però escludere all'intutto le altre, mas- simamente le acustiche. Del che porge anch'esso una prova manifesta il gran codice dagli antichi poeti, vo- glio dire la mitologia, la quale personifica e veste di belle o strane forme corporee tante divinità imma- ginarie per colpire la fantasia in quel modo che è proprio delle ottiche impressioni: quindi una messe copiosissima così alla poesia, come alla pittura ed al- la scultura. Perciò è forza conchiudere che in qual- sivoglia poesia, la quale tratti di cose materiali, le immagini ottiche sono le precipue, e quelle dedotte dagli altri sensi non sono che secondarie ed acces- sorie. Dai che qual cosa conseguiti in favore di un poema che risguardi l'ottica direttamente, ciascuno sei vede. Nondimeno è d'uopo confessare, che le idee mo- rali e religiose offrono anch'esse una poesia sublime e celeste, al tutto diversa dalla materiale, e che non solo ferisce la fantasia, ma regna sul cuore ; poesia quindi più nobile e più degna d'esser coltivata. Ciò non pertanto chi non vede che anche a questa poe- sia l'ottica somministra grandi soccorsi ? Come si rap- presenta in modo sensibile la sapienza ? come gli an- geli ? come lo stesso spirito santifìcatore, e gran par- te della gloria celeste ? Quante similitudini, metafo- re ed episodi non si traggono dalla luce nelle opere filosofiche, morali e religiose, massimamente poetiche ? Anzi da questo io deduco un' altra prova a confer- G.A.T.LXXXVII. 4 5o Scienze mare la poesia intrinseca dell'ottica e la sua utilità. Siccome discorrendo di religione e di murale serve la luce ad apprestar similitudini, digressioni ed altri ornamenti; così, viceversa, in un poema sulla luce si potranno innestare similitudini , digressioni ed altri ornamenti religiosi e morali. In tal modo, oltre al di- lettar l'animo e allo istruir l'intelletto, un'opera di- dascalica sull'ottica può eziandio insinuare a quando a quando la virtù e commuovere gli affetti del cuore. Ma qui parmi udir bisbiglio di taluni, i quali dicono esser indarno che io prosegua più innanzi nel- la dimostrazione di una verità, della quale essi veg- gono abbastanza il fulgore, cioè che l'intrinseca poe- sia dell'ottica è per se stessa evidente a chiunque sa d'ottica e di poesia : esser quindi miglior partito che io prenda a provare la seconda parte del mio assun- to , quella cioè che riguarda V espressione di questa poesia; essendo, a loro giudizio , assai malagevole e pressoché impossibile lo esprimere condegnamente con chiaro linguaggio poetico le geometriche leggi ed i moltiplici fenomeni della luce. Eccomi impertanto a procurare di soddisfarli. Ed in sulle prime mi fo a distinguere leggi da leggi , fenomeni da fenomeni. Perocché si presentano molti fenomeni di ottica, a dichiarar i quali bastano vivaci descrizioni ; e queste nessuno dirà troppo difficili al- la nostra volgar poesia, che ad ogni genere di descri- zioni si acconcia con tanta proprietà e vaghezza. Al- tri fenomeni poi richieggono di essere interpretati e spiegati fino allo scoprimento delle loro cause; e que- sti parimente ( purché uno si limiti a scoprirne le cagioni più prossime e meno astruse, ed i loro mo- di di agire più semplici ) non veggo perchè non ab Ottica nella poesia 5.i biano a potersi esprimere in buon verso, stante la co- pia di nostra lingua, e dappoiché vengono da molti autori con molta chiarezza ed eleganza espressi in prosa. Lo stesso direni delle leggi. V'ha leggi nell'ot- tica riguardanti sì la reflessione, sì la refrazione e sì tante altre qualità e forze della luce, piene di tanta semplicità, armonia e lucentezza, che ben lungi dal rifuggire la favella poetica precisa, chiara, evidente e sublime, anzi la suggeriscono , ed in certa guisa la sforzano ad uscir della penna. Né si creda che sif- fatte leggi al metro inchinevoli sian poche ; sono al contrario in gran numero : tutto consiste nel ben co- noscerle, cioè nel formarsene un chiaro e vivo con- cetto, e con esse famigliarizzare la mente e la lin- gua. Non è egli vero che spesse fiate il non sapersi esprimere su di certe cose, o il non saper intendere certe espressioni, procede, più che d'altronde , dalla oscurità e confusione delle proprie idee ? Però non voglio impugnare che nell' ottica non abbiano luogo fenomeni e leggi inaccessibili al linguaggio poetico. E come no, se il sono al prosaico ? Perchè sieno di- chiarati in tutta . la loro profondità ed ampiezza certi punti, è mestieri di siffatti calcoli algebrici e di cotali figure e dimostrazioni geometriche, che sarebbe a chia- marsi veramente stolto, per non dir pazzo in lutto, chi presumesse di recarli in metro poetico, non pur elegante ma intelligibile. Nondimeno, tolti via questi punti più intralciati ed astrusi, tanto pur resta nell' ottica di possibile e spesso facile a porsi in carmi , che, a tutto l'accogliere, se ne comporrebbe un lun- go e compiuto poema. La quale agevolezza , di vestire tanta parte di scienza della luce con forme poetiche , potrei coni- 5a Scienze provare, se bastasse il tempo, con esempi pressoché innumerabili tratti da molti poeti e particolarmente dall'Alighieri. Imperocché, restringendomi solo a que- st'ultimo, di 600 passi, che ho raccolti dalla divina commedia tutti relativi a cose di fisica, ne trovo da 4oo, la maggior parte nella cantica del paradiso, spet- tanti qual più qnal meno all'ottica: e di questi al- meno la metà belli, vivi e solenni. Io qui, a cagio- ne di brevità , tralascerò tutti quegli esempi che si possono dire puramente descrittivi. Tali sono quelli in cui il divino poeta dipinge in vario modo ora Pom- bre de'corpi, ora fiamme di diversa forma, luce e mo- vimento : quando l'aurora, quando il crepuscolo ve- spertino : spesso il sole o altro lume che non si può sostenere coll'occhio: spesso i fioretti del prato o le stelle del cielo: talvolta gli aloni, i pareli e l'iride: talvolta più iridi parallele, o fiaccole simmetricamen- te disposte che formano svariate figure , e muovono di luogo e danzano e rendono soave armonia : in un canto gli atomi che svolazzano per mezzo a'vivi rag- gi solari introdotti nella camera oscura, in un altro fulmini o fuochi fatui che strisciano per 1' aere e si dileguano rapidamente. Queste adunque e cento altre simili dipinture intralasciando , mi limiterò a pochi esempi, come a quelli che più tengono dello scien- tifico. Pertanto addurrò dapprima alcuni passi che ri guardano la facoltà e l'azione del vedere. Nel canto Vili dell'inferno così Dante esprime 1' impedimento che pone alla vista l'aria nera e la nebbia : Attento si fermò com'uom che ascolta : Che l'occhio noi potea menare a lunga Per l'aer nero e per la nebbia folta. Otttca netxa poesia 5>3 Nel canto XXXI descrive lo stesso difetto di vedu- ta per tenebre e lontananza : Ed egli a me : Però che tu trascorri Per le tenèbre troppo dalla lungi, Avvien che poi nel maginare abborri. Tu vedrai ben, se tu là ti congiuugi, Quanto il senso s'inganna di lontano : Però alquanto più te stesso pungi. All'incontro poco dopo nel medesimo canto dice co- me l'occhio raffigura gli obietti al dissiparsi della neb- bia, oppure al loro avvicinarsi : Come quando la nebbia si dissipa, Lo sguardo a poco a poco raffigura Ciò che cela il vapor che l'aere stipa : Cosi forando l'aura grossa e scura, Più e più appressando in ver la sponda, Fuggimmi errore e crescemmi paura. Ecco ora tre dei molti modi, in cui esprime la visio- ne momentaneamente smarrita per effetto di soverchio splendore. Il primo è nel canto XXV del paradiso : Qual è colui che adocchia e s'argomenta Di vedere ecclissar lo sole un poco, E per veder non vedente diventa ; Tal mi fec'io a quell'ultimo fuoco. Il secondo sta nel canto XXVIII : Un punto vidi che raggiava lume Acuto sì, che 'l viso ch'egli affuoca Chiuder conviensi per lo forte acume. 54 Scienze Il terzo lo porge il canto XXX : Come subito lampo che discetti Gli spiriti visivi, sì che priva Dell'atto l'occhio di più forti obietti ; Così mi circonfulse luce viva, E lasciommi fasciato di tal velo Del suo splendor, che nulla m'appariva. Dal canto poi XXVI di esso paradiso traggo un e- sempio di risvegliamento dal sonno per lume acuto, e di seguente incertezza nel vedere : E come al lume acuto si disonna Per lo spirto visivo che ricorre Allo splendor che va di gonna in gonna ; E lo svegliato quel che vede abborre, Sì nescia è la sua subita vigilia, Fin che la stimativa noi soccorre : Così degli occhi miei ogni quisquilia Fugò Beatrice col raggio de'suoi, Che rifulgeva più di mille milia. Vogliamo inoltre una pennellata, che ritrae quella il- lusione ottica sì frequente, la quale consiste nell' ap- parir mosso un corpo fermo, quando è un altro che ad esso realmente si avvicina o se ne allontana ? Ce l'offre il canto XXXI dell'inferno nella torre inchi- nata di Bologna • Qual pare a riguardar la Carisenda Sotto il chinato, quando un nuvol vada Sovr'essa sì ch'ella in contrario penda; Tal parve Anteo a me che stava a bada ec. Ottica nella poesia 55 Ma è tempo di passare a qualche tratto riguardante la riflessione. Quelli che reco, senza però chiosarli , ond'esser più breve, sono ricavati i.° dal canto XV del purgatorio : Come quando dall'acqua e dallo specchio Salta lo raggio all'opposi ta parte, Salendo su per lo modo parecchio A quel che scende, e tanto si diparte Dal cader della pietra in egual tratta, Sì come mostra esperienza ed arte ; Così mi parve da luce rifratta (i) Ivi dinanzi a me esser percosso, Perchè a fuggir la mia vista fu ratta. a.° Dal canto XXV dello stesso purgatorio : E se pensassi come al vostro guizzo Guizza dentro allo specchio vostra image ec. 3.° Dal canto I del paradiso : E sì come secondo raggio suole Uscir del primo e risalire in suso, Pur come peregrin che tornar vuole ; Così dall'atto suo per gli occhi infuso ec. 4-° Dal canto II : E indi l'altrui raggio si rifonde Così come color torna per vetro , Lo qual diretro a sé piombo nasconde. (1) Qui ri fratta sta per riflessa. 56 Scienze f>.° Da esso canto II : Tre specchi prenderai, e due rimuovi Da te d'un modo, e l'altro più rimosso Tr'ambo li primi gli occhi tuoi ritrovi. Rivolto ad essi fa che dopo il dosso Ti stea un lume che i tre specchi accenda, E torni a te da tutti ripercosso : Benché nel quanto tanto non si stenda La vista più lontana, lì vedrai Come convien ch'egualmente risplenda. Omettendo altri luoghi di questa spezie , riportiamo pure alcun che intorno alla refrazione dal canto XXXIV dell'inferno, dal II, XXIX e XXXI del pa- radiso : i.° esempio : Già era ( e con paura il metto in metro ) Là dove l'ombre tutte eran coperte, E trasparean come festuca in vetro. 2.° esempio : Per entro sé l'eterna margherita Ne ricevette, come acqua recepe Raggio di luce, permanendo unita. 3.° esempio : E come in vetro, in ambra ed in cristallo Raggio ri splende sì che dal venire All'esser tutto non è intervallo ; Così '1 triforme effetto del suo sire ec. 4-° Esempio : Ottica nella poesia 5 7 Né lo interporsi tra '1 di sopra e '1 fiore Di tanta plenitudine volante Impediva la vista e lo splendore ; Che la luce divina è penetrante Per l'universo, secondo eh' è degno, Sì che nulla le puote essere ostante. Terminerò con un passo del canto III del paradiso, che abbraccia insieme la reflessione e la rifrazione della luce in vetro od acqua : Quali per vetri trasparenti e tersi, Ovver per acque nitide e tranquille , Non sì profonde che i fondi sien persi, Tornan de'nostri visi le postille Debili sì, che perla in bianca fronte Non vien men tosto alle nostre pupille ; Tali vid'io più facce a parlar pronte ; Perch'io dentro all'error contrario corsi A quel che accese amor tra l'uomo e '1 fonte. Dagli addotti esempi, i quali, ripeto, son pochi verso i molti che offre la divina commedia, abbastan- za si rileva che il favellare in metro e linguaggio poe- tico della luce, delle sue leggi e de'suoi effetti non è poi fatica insuperabile e disperata. Che se deve a- scri versi meritamente alla superiorità dell'ingegno ma- raviglioso di Dante lo aver saputo dire con tanta mae- stria tante cose nuove ed astruse e ad altri inaccessi- bili ; potrà valere per compenso ad un ingegno quan- tunque inferiore la maggior ricchezza presente di no- stra lingua, la scienza dell'ottica a'nostri giorni così estesa e completa e trattata da molti autori con assai 58 Scienze chiarezza ed eleganza , alcuni parziali trattati poe- tici o quasi poetici che di già esistono intorno ad ar- gomenti ottici, e finalmente l'imitazione dello stesso Alighieri. Contuttociò non è mio avviso che possa uscir della penna eziandio più magistrale un vero poema sull'ottica, da leggersi e comprendersi alla prima let- tura da ogni genere di persone. Questo sarebbe un esiger soverchio; e quelli, cui ciò cadesse in mente, prendano di grazia in mano l'ottica, non dico di un Newton, di un Herscell, di un Canovai, dove quasi tutto è calcolo e geometrìa, ma sì quella del Poli o dell'Haiiy, ove i calcoli s'incontrano pochi e facili , anzi quella stessa delPAlgarotti scritta in elegante e nitida prosa italiana e scritta per le dame; e pur ve- dranno quanti intoppi ed intralci converrà superare non senza fatica. Qual maraviglia dunque se un'ot- tica messa in versi avrà mestieri a quando a quando di qualche studio per essere ben compresa in tutte le sue parti ? Se non che io vorrei qui domandare a qual fi- ne si compongono poemi didascalici. Forse per am- maestrare gl'ignoranti del tutto in quell'arte o scien- za, e dar loro, a mo'di dh*e, un corso di lezioni ex cathedra ? Chi fosse di questo avviso errerebbe lungi dal vero. Perciocché a tal uopo si richieggono trat- tati filosofici, che abbraccino tutte le nozioni anche più elementari e disposte in ordine precisamente lo- gico ; al che sarebbe certo ridicola e pazza impresa voler torcere la poesia. Si scrivono piuttosto i poe- mi didattici colla mira di rinfrescar la memoria a quel- li che già d'altronde studiarono le materie, e farli su queste a quando a quando ritornare coll'allettamen- to della poesia, e far loro impiegare non senza uti- Ottica nella poesia 59 lira que'momenti d'ozio, i quali indarno si tentereb- be di occupare su libri puramente scientifici. Imper- tanto coloro, alla cui lettura precipuamente sono de- stinati siffatti poemi , non incespicberanno ad ogni passo nelle picciole difficoltà che abbiano a trovare in leggendo, come addiviene a chi è del tutto igna- ro delle cose trattate: il quale forse accusa i libri che legge dell' oscurità e confusione propria soltanto del suo cervello. Ma si conceda pure che, trattando certi argomen- ti, siano inevitabili passi intralciati e spinosi a leggi- tori puranche versati in quelle dottrine. Non si può forse sopperire alla necessaria difficoltà del testo con opportune annotazioni ? Si niegherà forse alla poesia didascalica quel soccorso, il quale richiede ben anche ed ottiene la lirica e 1' epopèa ? Che se la Natura delle cose di Lucrezio, la Grorgica di Virgilio, la Filosofia dello Stay, VEcclisi del Boscovick e tante al- tre opere didattiche senza illustrazioni e commenti non sarebbono in molli passi intese che da pochi di già sapienti in quelle materie, e pur con disagio; con più ragione cotale aiuto dovrà concedersi ad un po^- ma sull'ottica, come a quello che più tiene per sua natura dello scientifico e del nuovo. Le cose da me finora discorse, illustri soci, udi- tori ornatissimi, sono le principali che divisava sot- tomettere al vostro savio giudizio intorno all' ottica considerata come soggetto di poesia. i.° Poesia intrin- seca dell' ottica , riposta segnatamente nel suo vero splendido , e nella sua efficacia sull' immaginazione. 2.° Espressione poetica applicabile a cotal poesia in- trinseca, mediante la chiara e precisa cognizione delle precipue leggi e fenomeni ottici , le opere in prosa degli autori che ne trattarono, e soprattutto l'imita- 60 Scienze zione di Dante. Quindi se i canti già da me pub- blicati, e quelli che la Dio mercè spero di poter pub- blicare in progresso di tempo su tale soggetto, si pre- sentano agli ocelli de'leggitori con pecche e mancan- ze non poche né leggiere , la colpa si è tutta dell' autore e non dell' argomento. Frattanto però mi si consenta di avvertire, che ai canti finora stampati nel- V Album ho fatto subire parecchie mutazioni , come suol intervenire ai lavori letterari di prima fattura , in seguito di nuove riflessioni o fatte da se stesso o suggerite da dotti amici ed imparziali ; che tra essi canti ne ho inserito alcun altro del tutto nuovo ed inedito ; e che quando rivedranno la luce raccolti in. sieme in un certo numero, saranno soccorsi di anno- tazioni dirette a rischiarare i passi più astrusi , op- pur quelli spettanti a novelle scoperte che si vadano facendo nella scienza, o eziandio a qualche mia par- ticolar opinione ed esperienza su di alcuni fenomeni. Tutta l'opera poi, ove il cielo mi dia di portarla a compimento, conterrà per lo meno una trentina di canti. Finalmente dichiaro che in luogo del verso sciolto , il quale suol giudicarsi più acconcio a sif- fatto genere di componimenti, e che mi sarebbe per avventura costato minor fatica , ho stimato bene di scegliere la terzina : primieramente perchè alla più bella parte, e direi quasi alla Venere delia fisica, mi parea convenire l'ornamento della rima; in secondo luogo per seguire più d'appresso le orme dell'Alighie- ri, accompagnandomi con esso a cantare, per quanto è da me, in uno stesso metro, come La gloria di colui che tutto muove, Per l'universo penetra e risplende In una parte più e meno altrove. Discorso accademico intorno ai principali pro- gressi della geologia , ed allo stato presente di questa scienza: recitato nella sala dell'ac- cademia pontaniana da Leopoldo Pilla. Na- poli, tipografia jlautina 1840, in 8.° difac. 35. G, Tli antichi poco o nulla sapevano di geologia, es- sendo guidati piuttosto che dalle osservazioni, dalla fantasia. Disputandosi nel i5iy intorno agli avanzi organici sepolti negli strati terrestri , Fracastoro ne dichiarava la loro vera natura, notando che non tutti erano stati depositati nel medesimo tempo. Nel 1669 lo Stenone pel primo seppe distinguere la successio- ne degli strati, e la loro età relativa. Vallisnieri, stu- diando i corpi marini che sono sui monti, dichiara- va la costituzione fisica dell' Italia settentrionale. Il botanico Micheli, scorrendo le maremme ed i monti senesi e quelli della campagna di Roma, indagava la natura de'vulcani. Sulle orme di questi due cammi- nando Arduino, partì i terreni in primari, secondari, terziari o colli, ed in vulcanici: ed espose alcuni pen- sieri sulla teorica della dolomizzazione (1), e su di altre scoperte interessanti , in maniera che a lui si debbono in gran parte gli avanzamenti di tale scien- za. Ma tali scoperte furono dimenticate, come quelle di Fuchsel. (1) Così dice Boue, Guide de geologue voyageur. Paris i836, tomo 1, cap. 7. 6a Scienze Giva allargandosi in Europa tale scienza, ed i viaggi famosi eli Pallas arrecarono grandi lumi. Saus- surre strinse in legame la geologia con la fisica. Laz- zaro Spallanzani, l'abate Fortis, Dolomieu, Faujas ed altri illustrarono la scienza de'vulcani. Werner con sommo accorgimento ordinò le mas- se minerali secondo il posto che occupano nel globo, portando la geologia al grado di scienza, e fondando una scuola celeberrima, i cui allievi si sparsero per ogni dove. Quest' uomo solo forma il terzo periodo. Die egli molto potere all'acqua nella formazione dei minerali, e pose così esca a grandi quistioni, che arre- starono i progressi della scienza. Un italiano fu il primo ad inalberare il Vessil- lo della riforma, Breislak, pubblicando i suoi « Viag- gi fisici e litologici nella Campania. » Quest' opera è piena di osservazioni giudiziose e nuove sopra la for- za del fuoco nel produrre sostanze minerali. Hutton in Scozia contemporaneamente faceva conoscere i ma- ravigliosi fatti di giacitura de'filoni granitici, e soste- neva la loro uscita di basso in alto e l'origine vul- canica. Humboldt e Du Buch si recarono in Italia a studiare i terreni vulcanici, comparandoli con quelli della Germania. Il primo visitò quindi in America i giganteschi vulcani delle Cordelliere, e coi fatti rac- colti dal Marzari-Pancati, dal Breislak e da altri si stabili la origine ignea dei terreni cristallini. Sotto un aspetto tutto novello eran tolti ad esa- me i sedimenti marini, cioè studiando i corpi orga- nici che vi sono sepolti. Si segnalarono in ciò Fra- castoro, Fabio Colonna, Stenone, Scilla, Vallisnieri, Arduino, Allioni, Brocchi, Cortesi con altri in Ita- lia: come fra gli stranieri Schlotteim, Cuvier, Blumem- bach, Smith, Brogniart, Buckland, Conybeare ec. Progressi della geologia 63 Se prima le grandi formazioni geologiche erano dedotte dallo studio dei terreni della Germania, e di pochi altri luoghi di Europa , ora lo sono da quasi tutto il globo. La storia della geologia si può dividere in due grandi periodi : il primo comincia nel secolo XVI, ed ha termine verso la metà del secolo passato: l'altro trae origine da questo punto e giunge a' dì nostri. Il primo fecondo di poche utili verità e di molti va- neggiamenti ed errori: il secondo, molto più breve, ter- rà un seggio luminoso nella storia di questa scienza: 1' uno in gran parte italiano in ciò che vi ebbe di buono, l'altro di tutta Europa. Molti sono i geologi viventi. Nomineremo i prin- cipali fra gl'italiani, cioè Sismonda, La Marmora, Da Rio, Pareto, Catullo, Pasini, Savi , Guidoni, Nesti, Repetti, Maravigna, Gemellaro e più altri. Parla in fine l'A. dei grandi fenomeni geologici, e dell'utilità della geologia. Interessantissima e molto dotta è la memoria del eh. sig. Pilla, di cui abbiamo dato un breve cenno. Trattò egli un simile argomento nel Progresso , ope- ra periodica di Napoli, limitandolo all'Italia : ma il fece molto più estesamente. L' A. ha pubblicato la prima parte de'suoi studi di geologia : Trattato mi- neralogico delle rocce. Napoli 1840, all'insegna di Aldo Manuzio, in 8.° Enrico Castreca Brunetti. 61 Filosofia della morale, delV abate Antonio Rosmi- ni Serbati roveretano. (È il voi. XI I delle ope- re di lui.) Milano tip. e libr. Pogliani 1837 in 8.° i. 1 on è nuova in Italia quest'opera morale; giacché apparve la prima volta in Milano nel i83i nelle nozze Castelbarco-Litla: avendo ben pensato l'autore, che niuna gioia meglio si addica al monile dell'imeneo, quanto i documenti della morale, che è la scienza della vita e dei doveri. In questa seconda edizione trovasi l'opera accresciuta non poco: e tra l'altre cose ti por- ge una prefazione, che è come il germe del sistema, che l'autore ha scelto nelle morali discipline. Dalla prefazione adunque noi toglieremo ciò che basta ai savi lettori per formare una qualche idea dell' opera : e dobbiamo restarci contenti a ciò, quando la brevità pre- scritta al giornale impone a chi scrive per esso ter- mini i più angusti, e a noi conviene più accennare che dimostrare. L'intento dell'autore nella introduzione si è di toc- care, i.° l'indole delle morali discipline, 2.0 la sfera entro cui si racchiudono, 3.° la loro naturale parti- zione. I. Poiché l'uomo è un essere conoscitivo ed at- tivo, la vita umana altra è teoretica, altra pratica. Ma la filosofia non è azione; bensì è tutta contem- plazione. Se non che avendo pure per oggetto l'azio- ne, cioè la pratica, fu detta allora filosofia della pra- Filosofia della morale 65 tica, e dovea dirsi teoria della pratica. Posto ciò, pa- re all'autore di dividere la filosofia in due teorie: l'ima a mostrare come stanno gli esseri e come operano, l'al- tra ad ammaestrarci come noi stessi dobbiamo ope- rare. Ponno considerarsi le cose, oggetto del pensie- ro, o come sono semplicemente, o come debbono es- sere. E quanto alla morale, questo secondo riguardo fa che si limiti a determinare, come esser debbano le azioni umane: dal buon moderamento delle quali vie- ne a noi la nostra perfezione (i). Giova adunque raccogliere in uno speciale trattato quanto riguarda la regola delle azioni, di cui l'uomo è autore e signo- re; acciocché egli possa valersi di questo quasi codi- ce a regolare i suoi passi nel cammino della vita. La scienza morale non è adunque soltanto teo- ria della pratica: dessa è ordinata ben anco alla pra- tica. E siccome di ogni arte può darsi la teoria; que- ste teorie convengono tutte alla morale dottrina, in quanto sono teoria della pratica, ed ordinate alla pratica umana dove trattasi di arti umane ; mentre tutte le arti (definita Varie un abito di operare se- condo certe norme ad un fine) sono esercitate dall' uomo, e per ciò sono in potere dell'uomo. Ma fra la morale e le arti p. es. del pittore, dello scultore, e le figurative in generale, vi ha differenza; imperocché i.° la morale rende buone le azioni umane; le altre ar- ti non fanno che renderle atte ad ottenere qualche effetto esterno, a produrre qualche cosa di diverso dall' uomo, come una statua, una macchina, una manifat- (1) Noi diremmo qui perfezionamento. D. V- G.A.T.LXXXVII. 5 66 Scienze tura; 2.0 la morale abborrisce le azioni in quanto so- no umane (bontà d'intenzione); le altre arti abboni- scono le azioni solo riguardo all'effetto cbe produco- no, e all'industria del produrlo; non già riguardo all' intenzione finale, colla quale si produce; 3.° la bon- tà morale si stende per ciò a tutte le umane azioni, e in tutte è essenzialmente la stessa: all'incontro la bon- tà relativa delle azioni artistiche stendesi unicamen- te a'singolari complessi d'azioni, che formano le arti diverse: e in ciascuna arte la bontà (0 meglio Vat- titudine delle azioni) è diversa secondo l'oggetto dell' arte. II. Ecco apparire l'indole nativa delle scienze mo- rali, e cominciarsi a disegnare ben anco il loro quar si perimetro. Sappia pur l'uomo infinite cose; ma a che? se quella infinità di cognizioni non giova ad ab- bonirlo. Abbia virtù di contemplare; contemplare è pri-i ino passo ad agire (1); ma che? non contemplando soltanto, l'uomo si migliora : il migliorarsi consegue al modo di operare volontario e l'uomo, la persona umana compiesi nella volontà; in guisa che la bontà di questa è la bontà di quella. Doyeasi dunque distin- guere dalle scienze ed arti, che rimotamente e acciden- talmente giovano a perfezionar l'uomo, la scienza unica e nobilissima, che segna le norme dell'operare volon- tario, giusta le quali operando, la volontà si fa buo- na e perfetta, e buono e perfetto pur si fa l'uomo. Ma meglio e più precisamente notiamo il peri- metro della morale. Vuoisi distinguere la dottrina del- (i) Non pare al tutto esatta l'espressione; perocché dell' at- tività dell'animo parlando, il contemplare è agire, non primo passo ad agire. D. V. Filosofia della morale 67 la perfezione umana dalla dottrina della morale. La perfezione umana vien dietro alla morale, che è da se piena di autorità e di potenza: e non riceve in pre- stanza, ma dà ella sola splendore alla perfezione uma- na. Quindi due scienze affini , ma al tutto distinte nella loro natura, V etica e la scienza della perfe- zione umana. Quest'ultima può quasi confondersi col- V eudemonologia (scienza della felicità); giacche per l'autore uomo felice e uomo perfetto sono modi, che analizzati riescono per poco al medesimo. La perfezione umana altra è àe\Y individuo, al- tra della società. E può cercarsi, 1.° il concetto o natura, 2.0 i mezzi di conseguire l'una e l'altra, e i gradi onde l'uomo le si appressa e la tocca. Le qua- li ricerche fanno luogo (oltre 1' etica , che pone la causa della perfezione umana) alle seguenti scien- ze (1): a. Teletica, della perfezione umana, Eudemonologia, della felicità umana: ed espongono il concetto, l'essenza dell' umana per- fezione e felicità, che hanno sede negl'individui. b. ascetica, de'mezzi con cui V individuo può av- vicinarsi ed educarsi alla virtù e perfezione. e. Pedagogica , de'mezzi o arte di avvicinare o educare alla perfezione gli altri uomini individui. d. Jconomia, del governo della famiglia od arte di governare la famiglia in modo da condurre o avvi- cinare gì' individui di lei all'umana perfezione e fe- licità coi soli mezzi dati alla società domestica, e coli' uso del potere proprio del governo familiare. (1) Diremmo più volontieri rami di scienze. D. V- 68 Scienze e. Politica, del governo degli stati, o arte di go- vernare la società civile in guisa di condurre o av- vicinare $ individui di lei all'umana perfezione e fe- licità, coi mezzi dati all'assodamento civile , e coli' uso del potere proprio dal governo civile. Tre adunque sono le arti di promuovere in aZ- tri l'umana perfezione, secondo che ^'individui sono od isolatamente presi, od uniti in società familiare, od in civile consorzio. Egli è il vero, che la società sì domestica e sì politica nulla sarebbero, o sarebbe- ro indarno, se non fossero quasi due metodi di mi- glioramento progressivo a prò de'membri che la com- pongono rispettivamente. Scienze affini all'etica, ma che non sono l'etica propriamente detta. Dessa sola sta da se altissima so- pra tutte, ed assoluta , non guarda 1' uomo ne altra limitata natura; guarda bensì le verità eterne, impas- sibili, che esigono riverenza e ubbidienza incondizio- nata, senza bisogno di altra ragione estranea; ma per una ragione semplice, irrepugnabile, evidente, che lu- ce in esse, e non ammette eccezione, ignoranza, con- traddizione, né lotta di sorte alcuna. E qui nota l'autore, come fin qui l'etica si con- fuse coll'eudemonologia: ed anzi nel regno del sen- sismo si prese questa per quella: e il trono della mo- rale fu rovesciato e assisa sulle ruine dominò una lar- va di felicità. Non è di questo luogo il tener dietro a tutti i passi del saggio autore: ne manca il tempo, quando altro pure non ci mancasse. III. E veniamo a toccare della naturale partizio- ne della morale, secondo l'autore. Egli definiva l'eti- ca: « La scienza che ordinatamente raccoglie le norme, alle quali debbono aggiustarsi le azioni umane, e di- Filosofia della morale 69 scorre la relazione che queste hanno a quelle nor- me. » Ora nota, che le azioni potendosi considerare realizzate, individualizzate, o classificate, deono esser- vi, i.° delle norme generiche, le quali presiedano ai generi delle azioni, 2.0 delle norme specifiche, le qua- li presiedano alle specie delle azioni, 3.» un dettame ultimo e particolare che proibisca o permetta nel fat- to stesso l'azione particolare. L'etica dunque è a gui- sa di un codice , il quale annunzi diversi ordini di legge gradatamente più e meno generali; talché dalla gerarchia delle estesissime discendendo ad ordini di leggi più ristretti (cioè che si stendano a complessi minori di azioni) venga da ultimo a prescrivere la con- dotta da tenersi ne'casi particolari. E tutte codeste nor- me essendo morali, deono avere di comune questo, che tendono a indicare e precisare ciò che nelle azioni è bene morale. Tutta l'etica può in un motto racco- gliersi: Opera il berte morale, e fuggi il male mo- rale. Imperocché essa colle sue forinole, colle sue leg- gi quante mai sono, altro non vuole se non prescri- vere ciò che è bene morale , e vietare il contrario. Quindi la necessità di un principio universale, da cui si deducono quelle forinole, applicazioni e corollari di quel principio. Se io dico p. es. Non nuocere al tuo simile, io dico un corollario, una applicazione della norma universale: Fuggi quello che è mal morale. La quale norma ha in se la ragione altresì de'suoi corol- lari, delle sue applicazioni; imperocché nel caso pro- posto, se mi si chiede perchè io non abbia a nuoce- re al mio simile, io non ho altra risposta che questa: Perchè è mal morale. Ma qui si scorge che la ra- gione dell'ultima e universal legge sta nel dichiarare Vessenza della moralità (natura del bene e del mal jo Scienze morale): conosciuta la quale, sentesi la forza di ob- bligare, clic ba la morale legislazione, appunto perchè la morale intende solo a indicare il bene morale, pei: se evidentemente autorevole. L'etica adunque vuol cominciare di necessità dal chiari* l'essenza della moralità, per poterne dedurre le leggi o norme morali, e fornirle di lume e di for- za, che sono dall'intendere la preesistenza della evi- dente autorità e necessità del bene , die tendono a prescrivere alle umane operazioni. L'essenza poi della moralità contemplata riflessamente dall'uomo, e netta- mente pronunciata, è ciò che dicesi il principio del" la morale. Indi la divisione della morale in pura ed ap-^ plicata. Quella tratta del principio morale , e delle condizioni di applicarlo; questa applica il principio ai vari complessi di azioni umane, e ne trae le norme morali compartite nelle varie loro più o meno am- pie categorie. La pura ha tre parti: ricercando, 1.° il principio della morale, sede dell'obbligazione e generalmente del- le leggi: 2.° la condizione del soggetto, a cui il prin- cipio dee applicarsi: 3.° il modo di applicarlo. Ecco, 1.° la nomologia pura, 2.° Vantropologia morale, 3." la logica morale. La i.a intende a stabilire la legge madre, che vuole essere applicata nìVuomo, cui la morale è indiritta: la 2.a ci mostra 1' uomo qual subbietto dell'obbligazione, del merito del bene e mal morale: la 3.a prende dalle precedenti il principio da applicarsi, ed il soggetto a cui applicarlo; ed of- fre canoni o regole a dirigere la nostra ragione in co- siffatta applicazione. Quanto alla morale applicata , essa deduce ed Filosofia della morale 71 ordina le leggi morali, che ponno considerarsi in so stesse o nel soggetto che le eseguisce o trascura. Riassumendo, la partizione dell'etica a pochi e grandi tratti, secondo l'autore, è la seguente. I. ETICA PURA Parte i.a Nomologia pura, della legge supre- ma o principio della morale. 2.a Antropologia morale, dell'uomo morale nell' ordine della natura. 3.a Logica morale, della maniera di applicare senza pericolo di errore il principio morale al sog- getto morale , e di dedurne le leggi e forinole in- feriori. II. ETICA APPLICATA Parte I. Delle leggi o formolo morali considera- te in se stesse. Sez. i.a Formole riguardanti l'essere inlelligen- te supremo, doveri verso Dio. Sez. 2.a Formole riguardanti l'essere intelligente umano, doveri verso l'uomo. Gap. 1.° Doveri verso la natura umana in ge- nerale. 2 . . . . verso la natura umana per ispeciali rapporti. a . . . . nascenti dal rapporto dell'uomo con se stesso, doveri verso se stesso. 72 Scienze b . . . . nascenti dai rapporti di famiglia. e . . . . nascenti dai rapporti di società politica. d . . . . nascenti dai rapporti di società mora- le, o religiosa. e . . . . nascenti dai contratti o patti specia- li ec. Parte II. Delle leggi o formole morali conside- rate nel soggetto che le eseguisce. Sez. i.a Del principio attivo che eseguisce le formole morali. Cap. i.° Atti morali (natura dell'atto morale, imputazione del merito ec). Cap, 2.0 Abiti morali (virtù e vizi). Sez. 2.a De' mezzi che aiutano il soggetto ad eseguire le leggi. Sez. 3.a Dell'effetto, che l'esecuzione o non ese- cuzione delle leggi morali reca nel soggetto morale (relazione fra virtù e felicità). Chi non può ai lontani mostrare la basilica di s. Pietro, miracolo delle arti, o quella risorgente di s. Paolo fuor delle mura, che fa? Offre la pianta, il disegno, e lo spaccato se vuoi, dell'una e dell'altra. Chi ha non solo occhi, ma ingegno ed imaginazione, può farsi una qualche idea di que'grandiosi edifizi : così noi, a dare qualche idea a'savi nostri lettori dell'ope- ra morale del eh. Rosmini, abbiamo dato non più che uno schizzo. Voglia il cielo, che come s'invogliano i lontani, dopo osservato il disegno, di venire a vede- re co'propri occhi le basiliche de' celebrati apostoli: così svegliati spiriti del bel paese s' invoglino di ri- correre essi stessi tutta l'opera del Rosmini ! Il quale se troppo forse parrà che conceda alla sua teoria dell'ente, mostra sempre intelletto da volar come aqui- Ricerche fisiologiche sul fegato ^3 la, e cuor buono: due cose rare a trovarsi, più rare a trovarsi insieme, rarissime in questo secolo che van- tasi di progresso. D. Vaccolini. Continuazione della rivista di articoli medici ec. del doti. Giuseppe Tortelli. Proseguimento della dissertazione del sig. doti. Paolini: Ricerche fisiologiche sul fegato ec. ( V. pag. 58, tomo LXXXI. ) K ella parte prima si tiene discorso delle Diverse opinioni degli autori intorno le funzioni del fe- gato. Svariati pensamenti si emisero su tal proposi- to da tanti sagaci indagatori della natura, che ne for- marono subietto di ricerche, di meditazioni, di con- troversie. I seguaci della patologia umorale, avendo in venerazione le autorità d'Ippocrate, di Platone, di Ari- stotele e di Galeno, vollero trovare nella bile gialla la sorgente, e perciò la spiegazione di singolarissimi effetti: cosicché nella soperchianza o nella degenera- zione di quel fluido riposero la cagione fondamenta- le e potissima di una famiglia quasi infinita di mor» bi sì acuti ed infiammatori, e sì anche di croniche in- fermità, come podagra, calcoli e depravazione del san- y4 S C I E N Z E gue. L' uffìzio però di secernersi nell' epate 1' umor biliare non appagò la mente di alcuni, attesa la mo- le di quel viscere , e la complicata sua struttura ; Venne perciò il fegato elevato al grado di compiere funzioni di assai maggior importanza alla vita. L'ope- ra gli si attribuì nelle manifestazioni che apparten- gono all'anima , e come sede si contemplò di certe passioni, di determinate tendenze. Platone vi collocò tutti gl'istinti animali: Galeno la sede dell'amore : Areteo ed altri la facoltà appetitiva. I medici greci ed arabi lo riguardarono come l'organo principale per la preparazione del sangue; su tale avviso fermaronsi Vesalio, Silvio, Colombo, Eustachio, Falloppio, Har- veio: ed a fronte di gravi insorte opposizioni, salda si mantenne tale ipotesi lino ai tempi del Malpighi. Ne men discrepanti e moltiplici furono i pareri e le dottrine professate dai moderni fisiologi intorno l'uso della bile. Philipps4 Elliotson, Smith, Kiernan ed altri gli negarono parte alcuna nella chilificazio- ne: e reputandola come un escremento separato dal chilo, allorché per 1' azione del fegato sì supponeva trasmutato in sangue , la vogliono di natura escre- mentizia al pari dell'orina. Altri considerandola sem- pre come un umore escretorio, avvisano che la bile tutt'al più contribuisca in quella funzione come po- tenza eccitante , risvegliando cioè le contrazioni de- gl' intestini. La giudicarono altri recrementizia: per- chè mescolandosi col chimo unitamente all' umor pancreatico, opera chimicamente nella chilificazione; e la sospensione di questa funzione sotto la deficien- za della bile astrinse a professare una tal dottrina, la quale dopo Haller fu abbracciata da vari recenti scrit- tori, come Magendie , Richerand , Brodie , Adelon , Ricerche fisiologiche sul fegato ^5 Scimi tz ed altri. Venne finalmente reputata la bile da Tiedemann e Gmelin , De Renzi , Dujardiri e Ver- ger in parte recrementizia ed in parte escrementizia: giacche, a sentenza loro, alcuni de'materiali che la com- pongono concorrono alla formazione del chilo, ed al- tri vengono insieme colle fecce cacciati fuori del corpo. L'origine della bile fu eziandio il subietto del- le più fervide disputazioni , dopo che pei progressi delle scienze anatomiche si conobbe il concorso al fegato di due sistemi vascolari sanguigni, e perciò di dua specie di sangue, quello cioè dell'arteria epatica e quello della vena porta. Si agitò pertanto questio- ne, se il sangue del primo o del secondo sistema som- ministrasse i materiali della secrezione, o se vi con- tribuissero entrambi. Con una somma di prove ana- tomiche, fisiologiche e chimiche giudicarono recente- mente Simon di Metz e Kiernan , col Malpighi , Haller e Valsalva, esser la bile un prodotto del san- gue della vena porta. A stabilire cotale asserzione si produssero dal Malpighi belle ed accurate investiga- zioni sulla struttura del fegato eseguite: le quali po- nendo in chiaro i rapporti organici fra le reti capil- lari della vena porta e gli acini dei lobuli, tolgono ogni dubbietà per la derivazione della bile dal san- gue venoso. Addimostrava in pari tempo, potersi pa- ragonare le attenenze delle minime propagini della vena porta cogli acini del fegato a quelle che passa- no fra le ultime diramazioni dell' arteria pulmonare e le vescichette bronchiali : quantunque poi, al con- trario di quanto avviene negli organi pneumonici nel- l'officio della respirazione, non siensi ( siccome il N. A. ne fa le maraviglie ) valutate le scoperte malpi- ghiane, e siasi ad ogni costo voluta assegnare, se non h6 Scienze tutta, almeno una qualche ingerenza, al sangue dell? arteria epatica nella secrezione della bile. Siccome negletta venne altresì, o dimenticata, la ben conclu- dentissima osservazione del Valsalva, il quale in una donna, di cui favella il Morgagni, morta di anasarca dopo lunga malattia, rinvenne che il fegato interna- mente ed esternamente componevasi di tanti corpic- ciuoli emulanti la forma e volarne di un piccolo cece, e consistenti in follicoli membranosi racchiusi da fi- bre carnee, disposte a foggia di rete e sparse per tutto il fegato, ed accompagnate da vasi sanguiferi. L'inie- zione di un liquido nero nell'arteria epatica penetrò in tutta la sostanza del fegato, ma non già nella ca- vità dei follicoli ; mentre all'incontro la medesima in- iezione, praticata in un ramo della vena porta, si vi- de estesamente introdotta in tutte quelle parti non solo cui distribuivasi questo ramo, ma pur anco nel- la cavità dei follicoli : donde estimò potersi ragione- volmente dedurre la distribuzione dei sangue arterio- so a tutta la sostanza del fegato, e che « ex eo ta- te men sanguine tantum, qui per venam portae affer- « tur, bilem separari. » La terminazione finalmente dell'estremità della vena porta negli acini del fegato, e di quelle dell'arteria epatica agli altri vasi, venne pur rimarcata da Glissen, Bianchi, Walter , Mapper e Cruveilhier, e costatata da Kiernan. La somma poi delle prove fisiologiche risulta dall'esperienze fatte sui bruti pria dal Malpighi, poscia dal Simon: per le qua- li è certificato continuarsi la secrezione della bile do- po la legatura dell'arteria epatica, ed arrestarsi dopo quella della vena porta ; sebbene molto valore non abbiano nell'animo del N. A. siffatti esperimenti. Con- sistono da ultimo le prove chimiche sull'analogia di Ricérche fisiologiche sul fegato nn composizione fra il sangue della vena porta e l'umor biliare : analogia sospettata ed ammessa dall' Hallero, e confermata dallo Schultz. Contrario divisamento sostennero Bichat e Brous- sais , appoggiati a plausibili raziocini ed ai risulta- menti delle vivi-sezioni. Fiancheggiati all'incontro dal- lo studio delle anatomiche ricerche, e dalle iniezioni de'vasi sanguigni del fegato, Magendie, De Renzi, Du- jardin e Verger opinano che la bile derivi da amen- due i mentovati ordini di vasi anastomizzantisi fra lo- ro mercè delle ultime propagini: essendo probabile che i primi sieno forniti dal sangue dell' arteria epatica, ed i secondi da quello della vena porta. Ond' essere completata la storia fisiologica del fegato, esigeva che si offrisse un conciso conto del- le diverse funzioni che a quest'organo vennero attri- buite dai moderni, oltre la secrezione della bile. Ci rammenta a tal effetto il N. A. essersi all'epate as- segnato 1' officio di deflogisticare il sangue in modo analogo a quello nei pulmoni operantesi : destinato alternatosi il risguardarono Elliotson e Smith : la mi- scela più intima col sangue di alcuni liquidi inomo- genei gli venne tribuita da Magendie : l'opera della intiera confezione del sangue venne in esso riposta da Prevost e Dumas : l'acquistare che fanno nel fe- gato i globe tti del chilo quella specie di vescica co- lorata che nei globetti del sangue si ravvisa , fu la modificazione portata da Milne-Edwards alla ipotesi degli ultimi due scrittori. Ma tutte l'enunciate ipo- tesi, quantunque desunte dai fatti, non persuadono a convinzione lo spirito del N. A., il quale considera que'fatti come troppo esclusivi ed isolati da non pre- stare a quelle ipotesi salde fondamenta. Chi infatti «o* Scienze poggiò la sua opinione sulle particolarità anatomiche del fegato ; chi sulla natura del sangue della vena porta che per entro vi scorre, e su quella della hi-. le ; chi su i rapporti organici che ha cogl' intestini e colla milza; chi sui risultamenti delle vivi-sezioni ; chi sulle osservazioni procacciate dalla embriologia ; chi su quelle dell'anatomia comparata ; chi finalmen- te su gli effetti prodotti dallo stato patologico di es- so viscere. Niente pago di tali pensamenti il N. A. fa stima doversi possibilmente raggiugnere la verità nella investigazione degli uffizi del fegato, ricavando da tutte le predette fonti argomenti di prove, e sul complesso delle medesime stabilire mercè di rigorosa in- duzione le funzioni probabilmente dal prefato visce^ re operate. E dietro gl'intrapresi studi sul fegato par- ve al sig. Paolini trovarsi al grado di ricavare le se- guenti conseguenze: a i . Che gli argomenti, sui qua- (i li è poggiata l'opinione di coloro, che ammettono « la chimica cooperazione della bile nella chilifica- « zione, non sono abbastanza concludenti: e che in « vece si danno osservazioni e ragionamenti tenden- ti ti a far credere cotesto umore puramente escre-* « mentizio. 2. Che, oltre alla secrezione della bile, « sembra che il fegato serva alla sanguificazione in « due modi : I. perchè in esso si elabora vieppiù « quel chilo bruto che, assorbito dalle vene intesti- li nali, è stato introdotto nella vena porta : a. per- ii che depura il sangue della vena porta stessa dalle « sostanze inassimilabili, che insieme al chilo sono 11 state assorbite dalle vene intestinali stesse. » A questi due punti di disamina fisiologica diri- gendo il N. A. il subietto del suo ragionamento, im- prende nella parte seconda a tener discorso dell'ir*- Ricerche fisiologiche sul fegato yg (Iole escrementizia della bile. Per farsi strada allo scopo, incomincia dal prender di mira l'analogia di struttura e di disposizione esistenti fra l'apparecchio biliare e quelli che elaborano e trasportano 1' orina e lo sperma: umori senza alcun dubbio escrementizi, e che debbono conseguentemente venir espulsi dal corpo. Ed avverte erronea non doversi tenere questa maniera di ragionamento: poiché non fu che per Fa- nalogia della organizzazione del pancreas con quella delle glandole salivali, che furono condotti i fisiolo- gi ad opinare che anche la detta ghiandola satisfa- cesse ad uffìzi somiglianti. Or dunque il N. A. tro- va in sulle prime argomenti di analogia nelle simi- glianze anatomiche: osservando, per le affermazioni di Blainville e Cuvier, nel fegato del feto una disposi- zione lobulare eguale a quella che presentano i reni, transitoria sì nella specie umana, ma permanente in alcuna specie di animali mammiferi : rimarcando mo- strarsi il fegato nei giovani individui composto di piccole cripte formate esse stesse di granelli , talché dichiarò il Blainville non potere un anatomico sotto questo punto di vista distinguere un pezzo di rene da uno di fegato : avvisando al comun carattere di metter foce i canali escretori di questi due organi in una borsa formata da un ripiegamento dell' invi- luppo integumentale ; di essere ambedue queste bor- se soggette alla medesima malattia di concrezioni cal- colose ; e di offrire sì la bile e sì 1' orina differenti caratteri, a norma o della provenienza immediata dal suo organo secernente, o dalla vescichetta in cui ab- bia per qualche tempo dimorato. All'argomento delle anatomiche somiglianze ac- crescono maggior peso le osservazioni ed esperienze, 80 S G I E N 55 E per le quali è dimostrato che la secrezione operata nel fegato è in intime attinenze fisiologiche con quel- le, da cui derivano liquidi che vengono dal corpo e- spulsi. Risulta infatti per cotali attinenze un consen- so od antagonismo di azione, in virtù del quale alla deficienza od alla totale mancanza dell'opera di uno di cotesti organi secernenti umori escretori succede una maggior energia od alacrità di quella di un al- tro. Così tolti i reni ad un animale , ovvero inter- rotta comunque la separazione dell'orina, rinviensi il fegato ingorgato di sangue, e la bile sensibilmente mo- dificata ed anzi accresciuta : così in alcune specie di animali trovansi riuniti il fegato ed i reni sotto una stessa forma o in un organo solo. Viene altresì raf- forzata l'opinione dell'indole escrementizia della bile dai suoi caratteri microscopici e chimici, simili a quel- li che propri sono degli umori escrementizi. Taccio- no nella vita ferale le secrezioni della saliva, dei suc- chi gastrici, dell'umor pancreatico, del succo intesti- nale ; ma si effettuano bensì quelle dell'orina e del- la bile. Non pochi son poi e di molto maggior peso gli argomenti che concorrono a porre in dubbio l'opera chimica della bile nella chilificazione: o a dimostra- re almeno che, se pur vi contribuisce, non vi si pre- sta che come potenza eccitante il tubo intestinale, e come involvente le materie non assimilabili degli ali- menti, che nel crasso intestino trasmutansi in feccia. Così la legatura del dutto coledoco non si oppone alla confezione del chilo, come risultò dall'esperien- ze di Magendie, di Levret, di Lassaygne, di Tiede- mann, di Gmelin, di Philipps. E siccome risultamen- li affatto opposti si ebbero dai cimenti di Brodie e Ricerche fisiologiche sul fegato 8i di Hebert-Mayo, ai quali fece eco lo Schultz, il quale dichiarò erronei, inconcludenti e non meritevoli di credenza tutti gli esperimenti dei primi; venne così saggiamente il N. A. nell'avviso di ripetere le mede- sime esperienze. Dichiarava lo Schultz, che tutti cani, cui viene legato il coledoco, essendo presi da vomito incessante , non potevano trattener gli alimenti per il tempo necessario alla digestione : di modo che o non avea luogo veruna produzione di chilo , oppu- re se veniva a rimarcarsene, dovea credersi effettua- to pria che istituita fosse la legatura. Il Paolini per altro , quantunque ritenga non essere i suoi espe- rimenti abbastanza ripetuti né abbastanza concluden- ti , osserva contro lo Schultz , che il vomito appa- rendo soltanto molte ore dopo la legatura del dutto coledoco , devesi probabilmente reputare un effetto della infiammazione gastro-enterica consecutiva alla operazione, e non già del laccio che stringe il det- to canale, siccome opinava lo Schultz; e che il vomi- to non è così continuo e tale da mantenere intera- mente vuoto lo stomaco da qualsiasi alimento. La chi- lificazione d'altronde, indipendentemente dalla man- canza della bile, può essere ritardata o sospesa in con- seguenza dei dolori e del perturbamento nervoso in- dotti dalla vivi-sezione. Ma oltre ciò 1' opportunità colse il IN. A. di verificare pienamente le sue spe- rienze mediante altri cimenti da esso lui praticati col- l'assistenza ed opera di vari suoi illuminati colleghi. Venne a tal uopo in due piccoli gatti dell' età di 4° giorni circa, e digiuni da 16 ore, legato il con- dotto coledoco con robusto filo di seta al più presso all'intestino duodeno che fu possibile. Compiuta l'o- perazione della riunione delle ferite ( in un gattino G.A.T.LXXXVII. 6 82 Scienze si praticò la gastrorafia ) mangiarono ambidue con avi- dità carne lessata, e bevettero qualche sorso di bro- do e di latte; mostraronsi quindi abbattuti, ne vol- lero prender cibo se non se dopo alquante ore. Mo- ri l'un di essi dopo lo spazio di 26 ore, senz'aver in- contrato vomito, né scariche fecali; non presentò co- lor giallo nella congiuntiva , ed emise orina di na- turale apparenza. Turgidi si rinvennero la cistifel- lea ed i precipui canali biliari ; vacui affatto e con- tratti gl'intestini tenui e grande porzione del crasso; materie dure e biancastre tro varonsi in vicinanza del- l'intestino retto: disteso dagli alimenti ingeriti il ven- tricolo , e parte di essi ridotta in un liquido denso grigio e di odore agro ; appena cangiati di colore ed appena rammolliti il fegato di bue da esso mangiato , ed una porzione di carne lessata presa nel giorno ad-* dietro; parvero i reni avere un colore più rosso scu- ro del naturale per ingorgo di sangue. L'altro gattino dopo sei dì dai sofferti patimen- ti tornò vispo e gaio qual era innanzi alla operazio-. ne: e notevole soltanto vi occorse, che le materie fe- cali per essere assai dure venivano espulse con dif- ficoltà dal corpo , ed avevano un colorito alquanto più scuro dell'ordinario loro carattere : F orina poi , cimentata più volte con la carta azzurra di tornaso- le, non presentò che lieve arrossamento. Si tenne in vita per 38 giorni: e quindi ucciso che fu, ne assun- se la dissezione il eh. profess. Alessandrini , la cui analoga relazione dei trovamenti necroscopici viene ivi dal N. A. riferita colle parole istesse del celebre professore. Risulla singolarmente da tale rapporto, che lo stato di nutrizione di tutto il corpo era molto lo- devole ; i vasi sanguiferi del fegato eransi ingranditi Ricerche fisiologiche sul, fegato 83 soltanto a quel grado ch'esigerlo poteva la ingrandi- ta j^iole del fegato ; la musculatura dell'animale ave- va un colore rosso molto dilavato e tendente alquan- to al giallognolo, colore che non appariva nella con- giuntiva; obliterato era il coledoco in tutto quel trat- to che percorre obliquamente le tuniche del duode- no ; in questo era manifesta la pupilla che suol se- gnare lo sbocco del coledoco: ma spremuta con cer- ta forza, tanto la cisti quanto i condotti, non geme- va la bile dalla pupilla, né la faccia interna e del- lo stomaco e del duodeno, o la mucosità di queste parti, che pure era molto copiosa, potè vedersi tinta del color della bile. Necessari anzi furono reiterati sforzi di pressione per far finalmente uscir dalla pu- pilla la bile, che sciolta si rimarcò e di color verde d'erba dichiarato : il che dimostrava ad evidenza, che dopo l'allacciatura del canale non erasi più trasmes- sa bile all'intestino. Volle ciò non ostante il N. A. dissipare ogni dubbio mercè dell'analisi chimica, che venne affidata al dott. Paolo Muratori: il quale si as- sicurò mancare negli escrementi le sostanze proprie della bile , ninna traccia esservi di soda e del suo carbonato, ne di colesterina e di materia colorante, e solamente rinvenirvisi una resina, ma diversa per molti caratteri dalla biliare. Principali deduzioni trae da queste sperienze e risultamenti il N. A. in con- ferma degli altri primitivi esperimenti ed in sostegno del suo scopo : cioè , che indispensabile non è alla confezione del chilo la mescolanza della bile col chi- mo, non avendo nell'ultimo esperimento le funzioni assimilatrici sofferto sconcerto veruno ; die la diffi- coltà nell'espulsione delle feci patita dall'animale, la durezza loro, e la diversità di colore, inducono piut- 84 Scienze tosto ad opinare che la bile sia un umore escremen- tizio, e che serva come stimolo a favorire l'evacua- zione di quelle eccitando le contrazioni muscolari de- gl'intestini; che la niuna colorazione in giallo della congiuntiva e dell'orina dopo la legatura del coledo- co addimostra non essersi la bile assorbita, ma ben- sì accumulata nella cistifellea e nei condotti escreto- ri, resi perciò smisuratamente turgidi: mentre il rista- gno della bile, specialmente nei pori biliari, si oppo- ne all'opera secretoria del fegato : donde conseguita un' alterazione del sangue, a cui forse potrebbe tri- buirsi il color rosso molto dilavato e tendente alquan- to al giallognolo che si osservò tingere la muscula- tura del secondo gattino. Anche varie patologiche osservazioni han fatto, conoscere che nell'emergenze di completa ostruzione del canal coledoco, benché impedito il passaggio della bile nel duodeno per mescolarsi col chimo , non si sospese la digestione, ne soffrì nocumento veruno; ed unicamente rimarcossi men carico il color delle ma- terie fecali, alquanto stentato il tragitto di esse pel tubo intestinale, e più difficile la espulsione loro fuo- ri del retto. Lungamente sopravvissero gl'infermi, dei quali parlano Morgagni e Frank ; cosicché se la bi- le fosse veramente indispensabile alla formazione del chilo , non avrebbe potuto sostenersi la vita per la privazione di quell' umore di primaria ed essenziale necessità. ]Non ritiene il Brodie come meritevoli di fede cotesti casi: in alcuni dei quali opina, che me- diante la parte più florida del chimo siasi per un cer- to tempo potuta sostenere la vita. La quale ultima as- serzione viene dal Paolini impugnata. La maggior parte de' moderni fisiologi conside- Ricerche fisiologiche sul fegato 85 rando d'altronde che il chimo è acido Dell'uscire dal. lo stomaco, salso poi ed alcalino nel dutto toracico, avvisano combinarsi il principio alcalino della bile con gli acidi idroclorico ed acetico del chimo, e neu- tralizzarli. Intorno alla quale opinione, abbracciata re- centemente dallo Schultz e che fu già di Boerhaave, ri- piglia il N. A. che possa probabilmente il chilo ri- cevere i predetti caratteri nelle glandole linfatiche del mesenterio in virtù di successiva maggior elaborazione, o dall umore separato dal pancreas analogo per la chi- mica sua composizione all'umor salivare e quindi al- calino. Un uffizio più complicato assai nell'opera del- la digestione venne affidato alla bile da Tiedemann e bmelin, all'opinione dei quali arrisero De Renzi Dujaidm e Verger. Oltre la neutralizzazione opera- ta dalla bile di una parte dell'acido proveniente dai succhi gastrici, ritennero ancora che una gran parte dei suo! materiali, la resina cioè, il grasso, il princi- pio colorante, il muco ed isali, sieno espulsi dal cor- po insieme cogli avanzi non digeriti delle sostanze ali- mentari: mentre i principi! azotati di essa , come il picromele, l'osmazoma e l'acido colico, unendosi agli alimenti valgano a vieppiù assimilarli, e ravvicinarli alla chimica animale composizione : ed in tal parere confortami , perchè non si trovano negli escrementi quei principii assorbiti insieme alle sostanze alimenta- ri disciolte. Ma qui il N. A. oppone con Blumenbach, non esser nell' economia animale alcun esempio di un umore destinato insieme ad essere espulso e ad essere assorbito e portato nell'interno del corpo istes- so : dubita se i principi! assimilabili ed azotati, am- messi da Tiedemann e Gmelin, trovinsi realmente nel- la bile formati, o debbansi in vece tenere come nuo- 86 S C I E N % E vi composti generati dai reagenti e dai processi chi- mici adoperati ; tanto più che Thenard, Berzelius ed altri esclusero la esistenza delle indicate sostanze , opinando anzi quest'ultimo che la scomposizione del- la bile sia probabilmente più semplice di quanto in- dicato viene dai prelodati professori d' Heidelberga : dubita con Burdach, che possa quell'umore conserva- re integri i suoi costituenti principii oi^ganici dopo le diverse chimiche operazioni, e dopo l'influenza di sva- riati ed attivi reagenti : oppone che dalla mancanza delle sostanze assimilabili od azotate nella bile non sia lecito dedurne la miscela di esse al chimo , po- tendo le medesime aver sofferto mutamenti nell'atto delle diverse composizioni e scomposizioni nel tubo intestinale senz' aver contribuito alla formazione del chilo. Per questi e per vari altri ingegnosi razioci- ni ritiene in vece il N. A. più probabile, che all' as- similazione degli alimenti prenda una grandissima par- te il succo pancreatico per la natura doviziosamente azotata, di cui son forniti i suoi componenti. In favore altresì dell'influenza della bile nell'o- pera della chilificazione si riprodusse da alcuni scrit- tori l'argomento dell'Haller: cioè che ove fosse la bi- le semplicemente un escremento separato dal sangue, la natura gli avrebbe aperta una strada, non nel prin- cipio dell'intestino, ma bensì nel retto, onde impedi- re che mescolandosi col chilo recasse a questo alte- ramente Della qual difficoltà solertemente si disbri- ga il N. A. con improntare l'esempio dell'umore del- la prostrata , che sbocca nello stesso condotto e pel medesimo trapassa insieme allo sperma, senza essersi perciò desunto che il primo modifichi l'intima natu- ra del secondo e contribuisca per tal modo alla sua Ricerche fisiologiche sul fegato 87 composizione. E siccome analogia egli rimarca tra le attenenze che passano fra l'umor della prostrata ed il seme, e quelle ch'esistono fra la bile e le materie alimentari entro l'intestino contenute ; così analoghi a lui sembrano gli usi dell'umore biliare a quelli del prostatico. Dimostrato per tal modo abbastanza egli ri- tiene, che « la bile influisce bensì sul chilo, ma piut- « tosto indirettamente, e serve alla separazione del- « le materie inassimilabili dal succo nutritivo, invol- te gendole, modificandone alcune proprietà, e coadiu- « vandone l'escila fuori del corpo, siccome appunto « interviene fra l'umore della prostrata ed il seme.» Concludenti perciò non trova il sig. Paolini, anzi per molte ragioni combattuti , gli argomenti addotti dai fisiologi circa la necessità della bile nella chilifica- zione; mentre da osservazioni e da fatti positivi tro- va favoreggiata 1' opinione di coloro che tengono la bile per un umore escrementizio. Alla funzione per altro del fegato di secernere la bile sembra al sig. Paolini probabile di altra ag- giugnere , che nella parte terza contempla : quella cioè di contribuire alla sanguificazione con elaborare il chilo bruto od imperfetto ch'è slato assorbito dalle vene meseraiche, e depurare il sangue della vena por- ta dalle materie inassimilabili assorbite dalle vene istesse nel tubo intestinale. In conferma del suo as- sunto incomincia dal discorrere della discrepanza che passa fra il sangue della vena porta e quello delle altre vene. Rammentate le indagini dell' Haller sul proposito, tien parola dell'esperienze chimiche esegui- te dallo Schultz, il quale pose in più chiaro aspetto i caratteri fisici e chimici del sangue della vena por- ta e di quelle delle arterie e delle altre vene , non 88 Scienze che quella rassomiglianza già notata dagli antichi fra il sangue della prima e l'umor biliare. Più nero egli è questo dell'altro sangue venoso, non arrossa pei sa- li neutri, nò pel contatto dell'aria atmosferica, ne per l'azione dell'ossigeno: non si coagula, oppure si rap- piglia in grumi men tenaci di quelli delle altre ve- ne: contiene più cruore e minor quantità di fibrina e di albumina, e meno di parti solide di quello del- l'altro sangue venoso. Qualità poi essenziale e carat- teristica del detto sangue si è di possedere il doppio del principio grassoso di quello delle arterie e delle altre vene : il quale principio è untuoso e di color bruno nerastro. Or di tali fisiche proprietà ravvisate dallo Schultz trovò il N. A. la conferma nelle os- servazioni ed esperienze comparative che instituì sul sangue umano e su quello del cavallo: le quali uni- te ai primi cimenti, ed agli altri non molto dissimili di Taehervy e di Stoek.es, guidano a credere essere il sangue della vena porta dotato di una composizione chimica particolare diversa da quella dell' altro san- gue venoso. Ma questi annotati caratteri fisici e chimici del sangue della vena porta propri sono ancor della bile, e perciò fondamento pur somministrano di verosimi- glianza dell' analogia ammessa fin dagli antichi fra questi due umori. Che se risultameli li discordi fra lo- ro, e principii moltiplicì ed assai differenti si otten- nero da Thenard e Berzelius, da Tiedemann e Gmelin, da "Vogel e da Fourcroy , contrappone il N. A. al genio di tali risultanze i ragionamenti di Raspail, 1* opinione di Cadet dimostrata ampiamente dal Mura- tori, risguardanti molte delle rinvenute sostanze nel- la bile come il prodotto dei vari artifizi chimici , e Ricerche fisiologiche sul fegato 89 ritenendo la bile come composta in grandissima par- te di materie grasse. Che se della pren linciata discrepanza del san-» gue della vena porta dal rimanente sangue venoso vo- lesse squittinarsi la ragione ; non è pago il sig. Pao- lini della spiegazione adottata dagli antichi , che la causa di tanti e sì notabili cangiamenti operati nel primo sangue riposero nell'influenza dell'omento e del mesotolon, o nell' opera della milza. Gli aggrada in vece di affermare, che il sangue della vena porta ri- ceva le specifiche proprietà ed i materiali in esso pre- valenti da diverse sostanze solide e liquide, non che da porzione di chilo bruto od imperfetto ad esso me- scolatosi mercè dell'assorbimento operato dalle vene meseraiche alla superficie interna degl'intestini; vero- simile essendo che il chilo intieramente confezionato entri direttamente nei chiliferi vasi, mentre una por- zione dell'imperfetto si faccia strada per l'indicato as- sorbimento. Che anzi non solamente diversi liquidi con materie in essi disciolte, ed una parte di chilo non per anco totalmente assimilato è verosimile che vadano mercè dell'assorbimento venoso a mescolarsi col sangue della vena porta, modificandone la sua intima composizione ; ma ritiene anche il N. A. come cosa molto probabile, che in esso s'introducano alcuni gaz composti per la maggior parte d'idrogeno puro e di acido carbonico. Ne conseguita perciò la necessità di risguardare nel sangue della vena porta una riunio- ne di principii inassimilabili, i quali debbono venir espulsi dal corpo, perchè mescolandosi alla massa ge- nerale del sangue non potrebbero a meno di altera- re la normale sua crasi. Ne conseguita parimenti non essere del tutto ipotetico l'asserto, che nelle tortuo- 90 Scienze se diramazioni della vena porta epatica patisca il chi- lo assorbito dalle vene meseraiche alcune modifica- zioni e permutamenti, pei quali acquisti un maggior grado di assimilazione paragonabile in un certo mo- do a quello^ che in maniera sconosciuta imprimono le glandole conglobate al chilo ivi fluente pei vasi linfatici. Spogliasi per tal modo il sangue nel fegato da quei principii inassimilabili , dai quali viene ge- nerato un liquido escrementizio (come pare che debba tenersi la bile per virtù dei raziocini nella parte se- conda discussi ), e così ne fluisce il perchè 1' epate concorra in varia guisa all'opera della sanguificazio- ne. Se non che a tali uffizi soddisfa l'epate in mo- do diverso da quello dei reni e del pulmone. Che di vero la funzione di questi organi nell' economia animale ha per iscopo di depurare la massa generale del sangue da molti principii inutili o nocivi, i qua- li risultano o da sostanze straniere assorbite dal cor- po umano, ovvero da materie eliminate dai nostri tes- suti mercè del processo nutritivo, o che avanzano alle molteplici secrezioni ; laddove il fegato libera parzial- mente da principii inomogenei il sangue refluo de- gl'intestini, e così impedisce che si mescano alla mas- sa del sangue e vi portino delle alterazioni. Concorrer fa il signor Paolini in sostegno della sua ipotesi due altri generi di raziocini e di docu- menti. Riposa il primo sulla considerazione delle som- me attenenze anatomiche e fisiologiche che gode l'e- pate coli' universale della macchina nel tempo della vita intra-uterina : consiste il secondo nella conside- razione degli argomenti tolti dallo stato patologico. Legame di argomenti ben giusto: poiché ove resti fer- ma la somma degli argomenti fisiologici , ne fluisce Ricerche fisiologiche sul fegato gì legittima la relazione dei patologici ancora. E per parlar dei primi rammenta il N. A. la precoce com- parsa dell'epate nell'embrione degli animali ovipari e vivipari, che oggetto fu di questione se al cuore pre- cedesse la formazione del fegato. Rammenta singolar- mente la costante direzione all'epate della vena om- bellicale, che nata dalla placenta trasporta la mate- ria nutritiva al feto, quantunque sul modo di comu- nicazione discordi sieno i pareri degli autori. E tanta costanza egli stabilisce della inserzione del tron- co della vena ombellicale nel fegato , e di tale im- portanza egli giudica una tale disposizione alla eco- nomia animale del feto, che in tutte le ricerche da lui instituite e da Geoffroy Saint-HUaire attesta non aver rimarcato alcun caso di mostruosità, in cui la detta vena siasi diretta ad altro punto del corpo da questo diverso. Dal che egli desume come indubita- to, che siccome natura nulla opera indarno, così pro- babilmente con tale disposizione di parti consista il fine nel subire nel fegato l'umore nutritizio una ul- teriore elaborazione , e nel perdere principii inassi- milabili. Discende manifesto da tali contemplazioni, come alterata o sospesa la funzione del fegato, pas- sando immutato il sangue della vena porta nella mas- sa generale sanguigna, quanto dalla miscela di que- sto umore ridondante di non poche sostanze inassi- milabili e di chilo bruto ne debba patire la normale sua crasi o la sua chimica composizione. Tutte in- fatti le morbosità dell'epate , per poco inoltrate che sieno, contrassegnate vengono da un peculiare colo- rito che tinge la cute dell'infermo, e dall' abito cachet- tico che lo distingue: dimostrando così essere accom- pagnata la malattia da un disordine più o men gra- g2 Scienze ve della sanguificazione. Non vuol negare il N. A., che in alcune rare circostanze nella itterizia, sì di so- vente congiunta ai vizi del fegato, il color giallo del- la cute debba reputarsi effetto del disperdimento del- la bile nel torrente della circolazione in esso intro- dotta per opera dell'assorbimento, come quando forti ostacoli si oppongano alla escrezione della bile nella cavità del duodeno. Ma preferibile giudica il divisa- mento di altri scrittori, pei quali nel maggior nume- ro dei casi vuoisi riconoscere una depravazione del sangue o una conseguenza di una scomposizione dei suoi elementi venuta in seguito di una lesione dell' epate. Chiarissimi autori testificarono l'esistenza de- gli elementi della bile nel sangue degl'itterici: e per- ciò impugnarla non vorrebbe, potendo realmente al- cuna rara volta avvenire l'assorbimento di essa. Ma d'altronde non trovasi inclinato ad entrare in questa sentenza, addottrinato dalle diligenti analisi chimiche di recente praticate da Chevreul, Collard de Marti- gny, Lassaigne, Kan di Dublino e Le Canu, dimo- stranti che nel sangue dei predetti infermi giammai si trovano tutt'i principii della bile ; addottrinato al- tresì dall'esperienze del Magendie, il quale iniettan- do bile nelle vene di un cane, vide avvenire la mor- te dell'animale senza indizio veruno di presenza del- la bile nel sangue ne pel colore , ne pel sapore , e senza verun'alterazione di colore della cute ; addot- trinato finalmente dai molti fatti riferiti dal Morga- gni, dal Frank, dal dottissimo De Renzi , e confer- mati in parte da essolui, di non essersi cioè manife- stata ittexùzia in vita nella cute di alcuni individui, nei quali compiutamente chiusa si vide per opera di grossi calcoli l'apertura del dutto coledoco. L'itteri- Ricerche fisiologiche sul fegato g3 irìa all'incontro si trovò congiunta per lo più a le- sione più o men grave dell'epate, o a congerie di cal- coli o radunamento di bile concreta, ne'condotti escre- tori: per lo che opponevansi gravissime difficoltà all' azione secernente dell'organo stesso. E numerosi so- no i fatti comprovanti , che la impedita secrezione della bile, o per un vizio del fegato o per un osta- colo al corso della vena porta, sia la cagione di quel disordine particolare della crasi del sangue in che con- siste l'itterizia. Non manca da ultimo la patologia di prestare argomenti in favore dell'altra funzione, che sembra esercitare il fegato per ciò che riguarda la confezio- ne del chilo. Se ad onta di completa ostruzione e di induramento delle glandole meseraiche, raggiunsero al- cuni individui un' estrema vecchiezza; se si manten- ne per molti mesi la vita sotto il corso di una ta- be glandolare mesenterica per virtù di degenerazione delle glandole linfatiche rese inette a compiere le ri- spettive funzioni ; non ripugna alla ragione il cre- dere, che non solo le vene intestinali eseguendo l'as- sorbimento del chilo facciano in parte le veci de'va- si lattei, ma che anche in mancanza dell'opera delle glandole suddette sia dal fegato maggiormente elabo- rato il chilo, fino a raggiugnere quel dato gi-ado di assimilazione che non ha ancora ricevuto nel tubo digerente, rendendolo idoneo ad essere convertito in sangue. « Del rimanente poi ( con tali espressioni si « appressa il N. A. a dar compimento al presente suo « lavoro ) tengo ferma credenza , che la particolare « morbosa condizione del sangue, eh' è conseguenza o delle alterazioni del fegato, verrà vie maggiormen- « te convalidata e distinta, a misura che s'instituiran- q^ Scienze « no dai medici più esatte investigazioni , e che si « ripeteranno dai chimici le analisi di quell' umore « nelle epatiche infermità. » Sì, ben legittima troviamo quest'ultima espres- sione del eh. sig. Paolini: e tanto legittima , che a tutte le asserte tesi dal N. A. sostenute diremmo do- versi ella estendere ed applicare. Con ingegnosissimi raziocini infatti si è egli studiato dimostrare finquì la cooperazione dell'epate nella funzione dell' ematosi e l'indole escrementizia della bile ; ma ulteriori inve- stigazioni, ulteriori chimiche indagini, concorrere uni- camente potranno a render più salde, ferme ed evi- denti le sue studiate dimostrazioni ; essendo finquì assai gravi i dubbi che all' animo si presentano per soscriversi alle medesime. Così per dichiarare suffi- cientemente dimostrato dalla patologia, essere la se- crezione della bile in così intime attenenze con quel- le dell'orina da supplitisi fra loro più o meno scam- bievolmente, converrebbe testificare con fatti moltis- simi ed inconcussi cotesta vicaria manifestazione di risultati , cotesto supplementario avvicendarsi di se- crezioni. Converrebbe che gli esempi d' inopia della orina venissero assistiti da documenti di eguali e con- simili circostanze indicanti in pari tempo l'aumento di secrezione e dì escrezione dell' umor biliare. Né coli' impugnare 1' asserto della composizione chimica della bile esser simile a quella ch'è propria degli u- mori escrementizi, sembra potersi ragionevolmente in- correre nella taccia di scetticismo spinto tropp' oltre; poiché sul valor dei chimici argomenti , o , per dir meglio, delle chimiche analisi, ci porge lo stesso sig. Paolini consiglio di ritenutezza. Quante sagaci obie- zioni non ha egli accampate ( alla pag. 21 e seg. ) per conchiudere sulla semplicità della bile istessa, non Ricerche fisiologiche sul fegato g5 tanto ricca di principii elementari, come da taluni si è buccinato e ritiensi ! Le deduzioni altresì, che trag- gonsi dai risultamenti ottenuti mediante le vivi-se- zioni, non sembrano pienamente bastevoli a stabilire una dottrina fisiologica di gran peso , qual è quella su cui si sono aggirate le meditazioni del sig. Pao- lini. Si lianno infatti risultanze equivoche ed anche contraddittorie ; giacche alcuno dei bruti cimentati presentò integre le sostanze ingollate, alcun altro le offerse più o men digerite. Si dà peso in quegli e- sperimenti alla circostanza dei dolori sofferti dagli ani- mali durante il travaglio dell'operazione ed allo sta- to di depressione vitale, che necessariamente si suc- cede, per attribuire tal fiata a queste sofferenze ( co- me alla pag. 35, nura. i ) la sospensione delle fun- zioni digerenti e della chilificazione. Tal fiata d' al- tronde la circostanza di tali sofferenze perde ogni va- lore, come nell'esperimento del secondo gattino; per- chè egli ebbe la fortuna di trionfare dei suoi pati- menti, e non presentare sconcerti nelle sue funzioni assimilatrici. Né il dilemma contro 1' asserzione del Brodie (pag. Sj ) sembra assai valido per infràngerla; poiché contro la prima parte del dilemma potrebbe opporsi il fatto del secondo gattino cimentato dal sig. Paolini : potrebbe opporsi perciò non essere impos- sibile, che venga successivamente compartito dalle for- ze organiche un grado di assimilazione incompleta, ma capace di apprestare un materiale abile alla nutrizio- ne. Assai più robuste difficoltà finalmente sono state recentemente con somma avvedutezza emesse dal eh. prof. Metaxà giuniore nei suoi medico-chirurgici an- nali, ed a questi perciò rimettiamo i nostri lettori. TONELLI. 96 Notizie isteriche intorno alV osservatorio del campidoglio. JLie scienze basate sull'esperienza e sull'osservazio- ne sono quelle che addimostrano la forza dell'umana mente: e noi in tanto avanzamento di esse vediamo quante cose grandi si sono scoperte e poste in uso, delle quali neppure si potea sospettare lo svolgimen- to. Chi di fatti avrebbe creduto dalla semplice sperien- za dello stropicciamento dell'ambra, la quale attrae i frammenti di paglie, di carta e di altri piccoli ogget- ti, poterne derivare le grandi scoperte fatte intorno al fluido elettrico, fino a fare scendere innocuo ai piedi dell'osservatore il tremendo fulmine, a decomporre i corpi più refrattari , ed a servire a mille utilissime cose? Chi del vapore acqueo tante sorprendenti appli- cazioni alle arti e ai commercio? E ciò dicasi di al- tri molti scoprimenti. E se queste cose onorano som- mamente lo spirito umano, la scienza astronomica pe- rò è quella che ha mostrato con maggior chiarezza quanta potenza abbia il creatore infusa nell'uomo: il quale, atomo impercettibile in questo globo, con ma- tematica certezza ed esattezza misura e calcola i mo- vimenti, le distanze, le masse e tutto ciò che è su- scettivo di esser sottoposto a disamina : e tanti pro- gressi ha fatti da doversi considerare l'astronomia la sola forse che abbia attinto la perfezione, o che almeno vi sia assai più prossima delle altre scienze tutte, ab- benchè esse siano a portata de'nostri sensi, e più su- Osservatorio del, Campidoglio 97 scettive di esser sottoposte ad esperimenti. E ciò mi pare tratto stupendo della provvidenza, la quale ci po- se innanzi questa immensa mole, e fecela a noi co- noscere, affinchè vedessimo colla propria nostra men- te quanto è grande quel Dio che l'ha creata: Coeli enarrant gloriam Dei. Essendoci pertanto proposti d'inserire a quando a quando in queste carte le notizie degli osservatorii astronomici che in diversi tempi si stahilirono non meno in Roma sede di ogni arte e scienza , che nelle altre città cospicue d' Italia , prenderemo gra- dita occasione Y imprendere a parlare dell' osserva- torio che si vide innalzato a' giorni nostri sul più fa- moso luogo del mondo, sul campidoglio, siccome di quello che tanto splendore arreca alle scienze ed a Ro- ma stessa , e fa conoscere principalmente con qua- le amore siasi sempre fra noi coltivato e promosso lo studio del cielo e delle sue leggi. L'origine di questo stabilimento si dee all' im- mortale Pio VII : il quale, esimio apprezzatore delle scienze, volle che esse fossero di ornamento e di dife- sa alla religione: sicché nel centro della medesima fon- dò quel genere d'istruzione che denominòymca sa- cra, diretto a far conoscere le moderne scoperte del- le scienze, onde ingrandire le idee che ci offrono la magnificenza e l'ordine di tutto il creato, ed affinchè tali cose non s'ignorino da chi deve rispondere ali' abuso che fa di esse la miscredenza. Volle pertanto che tal facoltà si aggiungesse alle altre dell'univer- sità di Roma (1) e che gli allievi destinati al servigio della chiesa ne seguissero il corso. (1) Giornale arcadico tom. y4* Pa8' I0^> e seS" Centri intor- G.A.T.LXXXVI. 7 c)8 Scienze Non potremmo compilare la storia propostaci sen- za parlare del prof. cav. Scarpellini non ha guari de- funto. Condottosi egli nel 1782 dalla sua patria Fo- ligno al collegio d'Umbria in Roma per continuare il corso delle scienze naturali, fu nel 1794 destina- to rettore per la educazione ed istruzione degli alun- ni di tal collegio. Consegui nell'anno stesso la cat- tedra di scienze lisico-matematiclie nel collegio roma- no: indi il duca di Sermoneta D. Francesco Caetani invitò graziosamente il nostro professore ad assumere la direzione dell'osservatorio da esso fondato nel suo pa- lazzo ai ginnasi, che trovasi innanzi al collegio stes- so. Soppresso questo per le passate vicende, lo sta- bilimento di macchine fisico-astronomiche , e l'acca- demia de'lincei ripristinata nel 1794» vennero sì l'uno e sì l'altra accolte da quel duca nel 1801, ed i re- divivi lincei per ben cinque anni tennero le loro adu- nanze nel suo palazzo, coltivando l'astronomia. Que- sti studi erano analoghi a quelli che nel i6o3 pro- pose il gran Federico Cesi col fondare in Roma la famosa accademia de'lincei, riattivata dopo 190 anni dal cav. Scarpellini. La sovrana munificenza di Pio VII vedendo que- sto onorevole stabilimento ricoverato, dirò così, in un palazzo privato, ordinò che si prendessero le stanze del collegio umbro, e che ivi fosse ricondotta l'accademia suddetta colla raccolta delle macchine di fisica , di chimica, e di astronomia del cav. Scarpellini (1): e così no la cattedra di fi sica sacra nell'archiginnasio romano dell'ab. Salvatore Proia. (i) Questa insigne raccolta di slromenti fisico-astronomici, molti dei quali sono lavoro delle mani del dotto ed istaucabile Osservatorio del Campidoglio 99 nel 1807 accadde questa traslazione nel luogo me- desimo ove era sorta l'accademia stessa. 11 giorno 17 di agosto monsig. Lante con dotto ragionamento venne a significare ai lincei esser le sovrane disposizioni pre- cisamente le stesse dell'immortale fondatore dell'ac- cademia principe Federico Cesi, e di aver voluto il santo padre porre a lato della propaganda della reli- gione quella delle scienze. Nel giorno i5 febbraio 1817 il sopra lodato pon- tefice si recò a visitare l'accademia, e ad osservare le macchine del prof. Scarpellini: e questo giorno me- morando nella storia dei lincei fu eternato col seguen- te monumento innalzato nello stesso luogo : PIO VII PONT. MAX. OPTIMO PRINCIPI ANNO MDCCCXVII IN MEMORIAM AVSPICATISSIMI DIEI XV KAL. MART. QVOD LYNCEORVM ACADEMIAM ET THEATRVM PHYSICES ADITV EIVS NOBILITATA SINT FEL1CIANVS SCARPELLINIVS LYNCEORVM RESTITVTOR D. N. M. Q. E. Al fine stesso dirigendo le sue cure il gran Leo- ne XII, die all'errante accademia de'lincei il più no- bile e grandioso seggio che potea mai darsi, il cam- prof. Scarpellini, è stata ora acquistata dal governo, e trovasi a disposiaioue del cardinale camerlengo di s- Chiesa. ioo Scienze pidoglio. « Così (mi servirò delle espressioni stesse del » dispaccio del primo ministro) il santo padre riven- » dica nel miglior modo possibile l'onore di quella » rupe, alla quale le scienze, le lettere, le belle ar^ » ti, che vi hanno una reggia, danno uno splendore me- » no abbagliante dell'antico, ma pacifico e tale che » l'umanità possa gioirne senza ribrezzo. » Così nel 1825 fu traslocata l'accademia col ga-< binetto fisico dal collegio umbro, ove per 18 anni con- tinuarono i lincei le loro sedute, sul campidoglio. Il cav. Scarpellini a celebrare la memoria di sì fausto avvenimento trattò un tema ingegnoso, esponendo il tri^ onfo di Federico Cesi (1), e fece collocare nella sa-? \à capitolina dei lincei la iscrizione seguente: LEONI XII PONT. MAX. QVOD LYNCEORVM ACADEMIAM EIVSQYE RESTITVTORIS THEATRVM PIIYSICES EX VMBRIAE COLLEGIO IN QVO HAEC IPSE COMPARAVERAT IN CAPITOLIVI^ AD SCIENTIARVM ET ARTIVM DECVS. D1GNI0REMQVE SEDEM TRANSTVLERIT ANNO MDCCCXXV LYNCEI BENEMERENTES POSVERVNT, (1) Scritto del duca Federico Cesi fondatore e principe dell' accademia de'lincei, nel dì 27 luglio 1826, giorno del suo trionfo in campidoglio, letto e comentato dall'ab. D.Feliciauo cav. Scar- pellini restauratore dell'accademia. Roma pel De Romanis 1826 in 4- di fac. ai. / Osservatorio del Campidoglio lot Per quanto cospicuo fosse per celebrità quel pa- lazzo, abbisognava però allora di ristauro, attese le de- vastazioni subite in tempi tristissimi, che giova non rammentare. La generosità del principe Altieri, senato- re di Rema, cede gran parte del palagio onde con- tenere le macelline e la biblioteca. Ed eccoci al punto di parlare dell'origine dell' osservatorio astronomico capitolino. Si sa ebe una del- le predilette occupazioni degli antiebi lincei fu lo stu- dio del cielo: il solo Galileo basti per tutti. I più glo- riosi monumenti della scienza degli astri da questo centro ebber vita, e la tanto importante misura de'tem- pi: e moltissime tra le più cospicue dignità della chie- sa favorirono e coltivarono l'astronomia, ed i più ce- lebri maestri di questa scienza si gloriarono di appar- tenere ai redivivi lincei. Fin dal principio del suo pontificato Leone XII , dando nuove forme alla loro or- ganizzazione, rivolse le sue cure alia fondazione di un osservatorio che tempio fosse di Urania, e qual con- vengasi in Roma. Per sì grandioso concetto, che tan- to onora la mente di quel sovrano, altro più ben ac- concio punto però di quello del campidoglio esigevasi, perebè si trovassero riunite in esso alla magnificenza tutte quelle qualità e circostanze, che ai giorni noslri sono per tali edifici riputate essenziali dai grandi mae- stri della scienza astronomica, e dai più accurati os- servatori. Sicché sulla vasta estensione di Roma doveva scegliersi un'altra più opportuna contrada che offrisse la naturale elevazione del luogo sugli altri, ove a pian terreno solidamente basare gl'istromenti astronomici; e remota fosse da tutte le abitazioni, e soprattutto im- mune da qualunque brandimento. Tanto al presente esigono i progressi della scienza, e tanto il perfezio- namento a cui furon portati i delicatissimi istromenti. 102 Scienze All'astronomia dunque rivolgendo le cure i lin- cei, invece di vantare un altro Galileo, aspirarono al- la gloria di sperarne più discendenti. Alla istruzione perciò degli alunni di Urania, piuttosto che alle pro- prie loro astruse contemplazioni, rivolsero i loro pen- sieri i successori del Cesi. V'ebbe pertanto fin dai pri- mordi della restaurazione dei lincei in Roma chi fa- vorito più dal tempo che dalle fortune impiegò lun- ga età , e continuo travaglio di cure e di mani, per formare l'occorrente per tale istruzione. Questo ele- mento del tempo, fuorché a Dio non necessario, ba- stò per quanto fu necessario al conseguimento dell' assunto intrapreso dal benemerito Scarpellini. Fu dei luminosi esempi, dei quali abbonda Roma, fu dello zelo ispii^ato dalla religione, e della forza che fa sen- tirne i doveri, il merito di questa costanza. Inutile però sarebbe stata per lo scopo senza il potere e la volontà sovrana. Sicché stabilissi di co- struire sulle vette del campidoglio una specola per ri- dar vita agli astronomici istromenti allogati fra le mac- chine fisiche o in sale soggette a brandimento. So- pra dunque uno dei tre bastioni, che fiancheggiano il sontuoso palagio centrale del campidoglio, fu proget- tato di costruire il proposto osservatorio: e venne pre- ferito l'orientale, che riguarda l'antico foro romano, come il più ben basato, il più aperto, ed il più ac- cessibile degli altri dalle sottoposte sale destinate al- le adunanze accademiche de'lincei (i). Al cav. Scar- (i) Nicolò V fece fortificare la parte del tabularlo che guar- da il foro romano, e nell'angolo dirimpetto all'arco di Settimio Severo fece costruire il bastione onde servisse di controforte a tutta la fabbrica. Su questo bastione venne basato tutto l'edifi- cio dell'attuale osservatorio. Osservatorio del Campidoglio io3 pellini fu dato l'incarico di sorvegliare alla costruzio- ne dell'osservatorio. E benché conoscesse bcn'egli non esser esso un luogo adattato per osservatorio, pure vol- le trarne un partito nuovo ed utilissimo, quale si è quello d'insegnare il maneggio degl'istromenti. E non sia discaro perciò il raccontare il seguente annedolo avvenuto al medesimo. Stavasi egli tracciando l'im- pianto delle mura dell'edificio sul ripiano di quel ba- stióne, secondo il suo disegno: allorché uno dei più famosi astronomi inglesi gli si presentò recandogli com- missioni del celebre Herschel tornato da'suoi viaggi. Parmi, egli disse l'astronomo, volersi qui piantare un osservatorio. Altro impianto, rispose egli, ben sapete esigersi attualmente per ben fissare gl'istromenti astro- nomici. Lo scopo prefisso è di far conoscere come si adoperino: e piuttostochè servire ad astronomi, debbe istruire coloro che vogliono divenir tali. Sarà dunque Roma la prima, soggiunse, a dar tal esempio: poiché osservatorii son dapertutto, ma non stabilimenti ove s'insegni il maneggio delle macchine. DESCRIZIONE DELL'OSSERVATORIO ERETTO SUL CAMPIDOGLIO. Il vasto ripiano del bastione destinato a servire di base alla camera centrale di quest'osservatorio per- metteva potersi orizzontare in guisa, che le sue pareli fossero esattamente rivolte agli otto punti principali della così detta rosa , o bussola de' venti. A diriger quindi queste particolarità alla simmetria ed elegan- za dell'edificio, e specialmente allo scopo dell'istru- zione, fu prima di tutto fissato con ripetute osserva- zioni 1' esatto piano del meridiano , e condotta per io^ Scienze esso sul pavimento la linea meridiana tracciata sopra fascia metallica incastrata in lastre di marmo. Su que- sta linea, descrittosi l'ottagono, s'innalzarono le otto mura formanti 1' ottagono stesso all' altezza di circa quattro metri sopra il pavimento. Ai due muri pa- ralelli al piano del meridiano sono due gabinetti per collocarvi, in quello a ponente il quadrante murale, e la lunetta meridiana in quello a levante. Sugli al- tri sei muri sono le porte d' ingresso nel gran ter- razzo che circonda l'osservatorio, che è il ripiano del bastione. Giace a ponente il bel telescopio cato-diottrico di otto piedi di fuoco, sul suo ricco montante, tutto costruito in Roma per munificenza del duca D. Ales- sandro Torlonia, e da esso donato e destinato ad uso dei lincei e della studiosa gioventù romana. Vi fece anche erigere un gabinetto per custodirlo: e da que- sto facilmente si trasporta nel terrazzo, onde per ogni parte si possa dirigere al cielo (i). L'esterna parte del muro occidentale dell'otta- gono viene fiancheggiata dalla scala, per cui dalle sot- toposte sale si ascende al ripiano del bastione: e so- pra questa scala ripiegasi l'altra, per cui si va alla som- mità dell'edificio, o sopra la copertura dell'ottagono, e dei due paralelli gabinetti. Tal copertura è forma- ta di lamine di piombo, e circondala da una ringhie- ra di ferro , ove tutto si gode il bel panorama di Roma. Sul muro orientale dell'ottagono, che è il prin- cipale del bastione, essendo largo ben 14 palmi, è ba- (i) Vedi Giornale arcadico tom. ^4- P" 2*> e sec Osservatorio del Campidoglio io5 sato il gabinetto e i pilastri di marmo che sostengo- no la lunetta meridiana: e su tal fondamento, che sporge dal piano del foro romano, riposa il pilastro prolungato sopra la copertura per fissarvi l'istromento a calotta ruotante, che è il punto più elevato di tut- to l'edificio. Sopra le porte poi al nord e al sud si forma- rono aperture, onde per opportune fenditure introdur- re i raggi della luce nelle lunette degl'istromenti mo- bili ad esse dirette; e lo stesso si praticò per quelle degl'istromenti fissi, e tutte munite e difese dai rispet- tivi sportelli di ferro. Queste precauzioni si ebbero specialmente in ri- guardo al doppio oggetto della pubblica istruzione : giacche, oltre all'esercizio nell' uso e maneggio degl' istromenti astronomici, si volle ancora su quest' os- servatorio associare gli usi e gli esercizi di quanto ap- partiene alla parte sperimentale dell' ottica istruzio- ne, rami delle umane cognizioni di stretto rapporto e legame tra loro, secondo le idee di Keplero. P. Biolchini, io6 Discorso intorno a Francesco Stelluti da Fabriano accademico linceo. AL CHIARISSIMO CA.V. FELICIANO SCARPELLINI prof, di fisica sagra nella romana università, segretario perpetuo della cel. accademia de'lincei, e membro di alcune illustri società europee (i). 1 nome vostro, o signore, associato negli annali del- le scienze a quello degli uomini ad esse più bene- meriti, suona da molto tempo chiarissimo anche ol- tremonti ed oltremare per modo , che mimo igno- ra quanto nell'ottica, nell'astronomia e nelle restan- ti fisiche discipline abbiate utilmente e sapientemente operato. Siccome per altro non è ultima delle glorie vostre 1' essere stato il restauratore ed amplia tore ingegnosissimo della celebrata accademia de'lincei; co- sì io divisai intitolare a voi con ogni ragione uno scritto, il quale intorno le opere discorre di France- (i) Il benemerito prof. Scarpellini, che cessò di vivere la sera del di 29 novembre i84o,due giorni innanzi avea firmato il di- ploma di socio corrispondente dell'accademia de'lincei al eh- si- gnor prof. Camillo Ramelli di Fabriano già socio di varie acca- demie. Esso fu l'ultimo ! Memorie di F. Stblluti 107 sco Stelluti da Fabriano , uno tra i quattro fon- datori di quella famosa società. Amor di patria, die a mille in bocca , a dieci in petto risuona, dettava a me le poche incolte pa- role: ed amore di quell'istituto muova voi ad eccet- tarle benigno: che io colla più distinta stima mi rac- comando. Di voi, eh. sig. professore, Di Fabriano 3o agosto 1840. Urho Dmo serv. vero Camillo prof. Ramelli. k_yulle vecchie rovine del peripato cominciava già a grandeggiare nella prima aurora del secolo XVII la filosofia di osservazione: e gì' italiani , all' indole dei quali ha sempre convenuto una dottrina positiva, un metodo certo, sperimentale, erano già venuti a capo di restaurarla con mirabile scoprimento, quando l'In- ghilterra pel suo Bacone, e la Francia pel suo Rena- to miravano appena da lungi con progetti e consigli alla filosofica riforma. Né crediamo sia da tacersi quan- to osservò non ha guari un potentissimo ingegno , che alle condizioni cioè singolari della filosofia sep- pero essi piegare tal metodo naturale abilmente per modo, che qualunque savia determinazione ed appli- cazione di esso possa venir oggi pensata , altro non sarà che là fecondazione di alcune verità supreme , 108 Scienze ed un seguito dei principii trovati da quegli antichi nostri italiani. Ora fra tante contrade della eulta pe- nisola, in cui il bel sì dolcissimo risuona, Roma non mosse certamente ultima alle utili novità, sia perchè scossa dalla cosentina accademia fondata pel Telesio sul vicino Sebeto , sia perchè eccitata da Francesco Patrizi morto fra le sue mura. Imperocché non ap- pena le sventure toccarono acerbissime il famoso Le- to, non appena le fiamme arsero il Bruno sotto gli occhi stessi de'romani, che gli animi più ardenti ven- nero ed ingagliarditi* siccome suole spesso avvenire: e sorta poco appresso si vide, prima della difficile at- lantide inglese, e della fiorentina accademia del ci- mento, la romana società de' lincei, cui debbesi dal mondo civile la ricomposizione degli studi sperimen- tali, pregio singolarissimo e gloria tutta italiana. Alle osservazioni, agli esperimenti, alle nuove scoperte per- tanto si consacravano interamente que' lincei : a se stessi ed allo studio delle naturali discipline i più chiari ingegni tiravano: e sebbene nelle spinose con- troversie delle razionali dottrine si addentrassero, tut- tavia perchè le condizioni degl'ingegni sì prospere non erano ancora da rischiarveli, studiavano e promove- vano a tutto potere le matematiche piuttosto e le na- turali scienze: e per adornarle di chiarezza e venu- stà, non trascuravano le amene lettere; pensiero tan- to vantato oltremonte , e nato prima e rinato ap- presso nelle italiche terre. E ciò fu per vero dire opporlunissima cosa : dacché le trasmodale acutezze introdottesi nella locuzione de' poeti e degli oratori sedotto avevano in parte anche i professori delle scien- ze esatte: ed in Roma specialmente, ove l'ingresso del Marini, principale corruttore del gusto, rassomi- Memorie di F. Stblluti 109 gliò ad un trionfo , era più che altrove necessario chiarire la falsa luce, che cacciata in fondo l'antica e nobile semplicità formato avea quegli spiriti falsi ed affettati, che presero il gonfio pel sublime, l'an- titesi per l'eloquenza, « Nondimeno in quei tempi, 0 comunque si studiasse non bene, si studiava mol- « to e da molti: e, che sommamente importa, da'si- « gnori. » E tali erano coloro, che all' indicata ac- cademia de'lincei le fondamenta gittando sull'eterna città, potenti di mezzi, si acquistarono un diritto all' ammirazione de'posteri. Siccome peraltro un partico- lare individuo seppelliva allora per lo più il proprio merito fra gli errori ch'erano con esso al contatto ; così laudabil cosa a me parve ritorre uno di quei va- lorosi all'edace dente dell'oblìo, che poco più del solo nome sembra aver rispettato. Ed oh ! fossero in me le forze rispondenti al buon volere. Come vedrebbesi chiaramente mostrato, che Francesco Stellati da Fa- briano fu letterato non volgare del secolo XVII , il quale zelò sempre coi lincei alla restaurazione de- gli studi: poiché accademico fondò, crebbe , difese quell'istituto, filosofo mirò agli scoprimenti con istu- di sperimentali, poeta si dilungò dalla falsa barbarica eleganza de' tempi suoi! Da Bernardino Stelluti e Lucrezia Corradini , amendue di nobili ed illustri fabrianesi famiglie (1), nato era Francesco nel 1577 (2)- ^ perchè cresciu- to coi chiari ingegni , che fiorivano allora in patria nell'accademia de'disuniti (3), mostrò sempre fino dai teneri anni pronto e perspicace 1' ingegno , e facile schiuse il cuore a morigerato e generoso sentire, ven- ne da' suoi inviato a Roma sui finire del secolo XVI col divisamento, che desse opera alla giurisprudenza. no Scienze Vi attese egli di fatto con molta lode di profondo sa- pere e di rara onestà anche oltre il settantesimo anno del viver suo. Ma perchè io son d'avviso tacer le par- ticolarità della vita di lui , che non comprovano il mio assunto, dirò piuttosto come egli si acquistasse ben presto l'amicizia di persone celebrate per coltu- ra di mente, per disimpegno di cariche, per chiarez- za di linguaggio, e sopra tutte del giovine Federico Cesi marchese di Monticelli. Non aveva questo com- piuto il diciottesimo anno, quando del bello opera- re e delle scienze tutte amantissimo, religiosi e dot- ti uomini in sua casa di frequente accoglieva per se- co loro negli sludi intrattenersi: e pia che ad altri erasi affezionato al nostro Francesco, giovine stu- diosissimo delle matematiche, e non meno di Fe- derico saggio e virtuoso (4)- Stelluti l'animo già ardente di Federico nell' amore delle naturali disci- pline più ancora accendeva ; Stelluti l'amicizia ed il consorzio di altri svegliati ingegni a lui procurava ; Stelluti il dotto Gio. Eckio, che nelle carceri di Ro- ma sfavasi a torto accusato, presso Federico a salvamen- to traeva. E poiché questo valente medico venne, do- po il ternano Anastasio De-Filiis, per opera di Stel- luti nostro a risplender quarto fra il chiaro senno , che nel xj agosto i6o3 metodo e leggi prescrisse a fondare la celebre accademia de'lincei, chi non vede come la gloria della creazione di lei, attribuita dalla più parte al solo Cessi, debba col nostro Francesco principalmente partirsi ? Aveva egli allora soli 26 an- ni: nò tuttavia moveva 1' animo alla ricerca del ve^ ro con giovanile baldanza e smodata vaghezza di no- vità: che sceltosi anzi col motto Quo serius eo ci- tius ad insegna Saturno, il più tardo nei movimenti Memorie di F. Stelluti ih celesti tra i pianeti conosciuti a quei giorni, fu sem- pre nel divisamente, che sul cammino delle scienze quegli sia più certo di avvicinarsi alla meta , che a passi più lenti e misurati s'inoltra. Ben videro gli al- tri due soci i meriti del fahrianese , e quanto a lui dovessero per l'accademica istituzione: talché un gra- do attribuendogli eguale al Cesi, venuto principe nel a5 del successivo dicembre (5) soltanto, ambedue cori' sislieri nominarono della nascente loro società. Così o avessero dato ascolto ai consigli di Francesco! Si fos- sero così sepaiali fra loro per qualche tempo al rom- bare di quel turbine , che per opera della cabala e dell'invidia il padre, il padi-e is tesso di Federico, chia- mò sopra quell'onorevole istituto! Gridav asi ai nova- tori, ai negromanti: saccheggiavasi la sala accademi- ca, ricorrevasi a'magistrati: e con quel tuono, che si adopera talvolla ancor presso noi, fra cui non son tutti morti gli eredi di quella ignoranza insolen- te e di quella feroce viltà ; s' imprecava ai lincei come a'ncmici della religione e dello stato. Fu così per morire in sul nascere istesso quella celebrata ac- cademia: ma Stelluti, accoppiando fermezza e pruden- za, stette immobile all'urto e alle opposizioni: e vin- se. Non movevano no , non movevano quell' anima forte le ingiuste tacce d' irreligione, e di occulte mi- steriose cifre , su cui tanto disputarono : benché di queste , rese ancor più sospette dal giuramento che Ira lor si prestavano , tutta ne vedesse la giovanile imprudenza; che pio era Francesco , religiosa la so- cietà, innocente quella crittografia a' nostri giorni sve- lata (6). Noi moveva l'Echio cacciato dalle mura dei Cesi: che egli in sua casa, come in sicuro asilo, lo ri- parava. Non il duca, che di notte traeva con adu- 112 S e I E N Z E latori e scherani a cercare del figlio: che Francesco balzato di letto, e della sola vesta coprendosi, riman- dava cheto l'iroso, francamente rispondendo esser il giovine Federico partito per Acquasparta. Stelluti an- zi pregavano, perchè al figlio di tornare a Roma scri- vesse: a Stelluti, in modi però meno acerbi a quel- li usati col De-Filiis , che si guardasse bene di più corrispondere con Federico imponevano. Non ristava però egli a tale audace imperiosità di quei ricchi po- tenti: e quantunque sapesse che le sue lettere inter- cettate venivano , scriveva al principe , scriveva all' Eckio, e di quello che in Roma accadesse, scriveva loro quanto bastasse a renderli cauti e vigilanti per le in- sidie che venivano approntate. Ma che non può cie- co ostinato spirito di parte ! A vincere prudenza e fer- mezza , sì ben rare in animo giovanile, gli sparsero contro le accuse di fattucchiere: e per tutti i cantuc- ci ancora di. Roma ne parlavano a modo, che dovet- te da se stesso ascoltare essersi da lui per arte dia- bolica mandata la dirottissima pioggia, che impedì al duca di raggiungere il figlio nella notte in che era partito. Vide egli allora come utile fosse serbarsi a mi- glior tempo: e senza lasciarsi stornare dal suo propo- sto, con quella prudenza, che i malaccorti chiama- rebbon viltà, abbandonò piuttosto improvvisamente Ro- ma, quasi astretto da impensato accidente, e se ne tornò alla sua Fabriano (7). Voi, voi solinghi monti dei palrii appennini, ridite voi quanta occulte insidie a lui si tendessero! Voi lo vedeste come taciturno di- lungar non poteasi dalle vostre valli per timore di es- sere assalito! Né ciò bastava ad abbattere la sua co- stanza: che le guardie date all'Eddo nel bandirlo da Roma, tennero nel ritorno la strada di Fabriano per Memorie di F. Stelluti ii3 cercare, ma indarno, Stelluti, il quale avvisato della venuta loro, erasi già messo in sul niego. L'impru- denza per altro, che ebbero coloro di millantare l'or- dine avuto di bruttamente oltraggiarlo, strinsero il no- stro linceo a lasciare anche le sue native contrade , nelle quali sperato aveva un asilo, ed a trasferirsi se- gretamente a Parma (8), onde vivervi tranquillo fino a che dato gli fosse di tornarsene a quella Roma, a cui T interesse e la professione di legale lo chiama- vano, ed a cui egli per altro nella sua fermezza tor- nar non sapeva se non linceo. E Roma infatti, giac- che tutto alla perfine non potevano gì' intrighi ed i cortigiani del Cesi, Roma nel fervore della persecu- zione contro i lincei apprezzando i meriti del no- stro Francesco, volle, ed è questa bella lode per lui, aggregarlo nel 7 settembre i6o5 alla romana nobil- tà , e per la chiarezza del suo lignaggio e per la vastità .ella sua dottrina (9). Tanta era l'opinione, che a preferenza de'suoi colleghi si mantenne Fran- cesco ! E fu per essa, che dopo 3 anni dalla disper- sione degli accademici tornar potette in Roma, men*- tre gli altri n'erano in bando, onorato e riverito; fu per essa, cui dovrebbe specchiarsi chi per troppo bol- lente amore rovina sconsigliatamente il progresso, se nel 1609 ^ principe dei lincei, lo sfortunato giovi- ne Cesi , ai consueti esercizi tornò ed agli utili la- vori della amata scientifica sua società. Col solo Stel- luti divise egli allora le studiose sue cure , ed a questo solo, ma fido compagno, tutto il suo amo- re aveva rivolto, e tutti apriva i pensieri del suo belV animo (10). E Stelluti previde perchè non si rinnovassero le sofferte amarezze, Stelluti gratificò i Barberini (11) perchè l'accademia tornasse in fama G.A.T.LXXXVII. o n4 Scienze ed in vita. Chi se non egli infatti procuratore gene- rale fu di quell'istituto (ia) ? Chi si elesse ordina- tore del liceo in Napoli ? Chi sobbarcò agli incari- chi più rilevanti ? Chiamato Francesco nel 3 marzo 1612 a trattar gli affari de' lincei , tutto si volse a procurare per la società ogni sorta di vantaggi: ed ora un terreno comperava con iscaturigine di acqua sul- furea e casale per farvi esperienze , ora curava per ogni modo la stampa e la circolazione delle opere degli accademici (i3). Ed il carico della economia , gravoso ancor più per la povertà de'mezzi, così res- se avveduto, che quando l'accademia impennate le ali era per levare franco il volo oltre le mura di Roma, il dottissimo Porta scriveva da Napoli, che nulla a- vrebbe senza lo Stelluti nostro conchiuso. Vi andò egli pertanto nel 27 aprile i6i3 provveduto d'istru- zioni e danari, così per cercarvi un palagio, in cui stabilire il nuovo liceo, come per informarsi dei sog- getti che meritassero d' esser aggregati. Frequenti e dotti abboccamenti tenne Francesco e col celebre Por- ta istesso, che gli venne amicissimo (14)? e coi più valenti di quella capitale , ove caldo come era sem- pre dell'onore de'lincei collocar fece nella chiesa del- la carità un epigrafico elogio ad Anastasio De-Filiis già defunto. Trovò egli atti all' uopo tre dei molti palagi visitati: ma perchè non è a dirsi quanta dili- genza poneva in tutte cose, di niuno fece acquisto, rendendo piuttosto nel 16 del successivo luglio dei letterati conosciuti e delle cose operate conto il più bello ai colleghi , che lui vollero in pubhlica ragu- nanza solennemente commendato. E che non fece il nostro accademico, che non zelò per quella società a lui sì cara ? Partiva da Roma nel 16 14 il biblio- Memorie di F. Stelluti ii5 tecario Angelo De-Filiis , ed egli si toglieva ancora le cure di quell'ufficio. Ad opera grandiosa, a molli e costosi lavori con iscarsezza di moneta miravano i soci ? Ed egli col romano tipografo Antonio Rosset- ti tal contratto a novennio statuì , che lo scopo ai mezzi acconciava. Si voleva in campidoglio colloca- re al defonto monsig. Virginio Casarini un' iscrizio- ne ? Ed egli scriveva al valente Cassiano del Pozzo, che per mezzo del cardinal Barberini curasse non il titolo d1 accademico linceo tra gli altri del Cesarmi venisse lasciato. Né qui è a tacersi come presso gli Stelluti nostri serbato veniva manoscritto un tomo in 4-° intitolato : Lynceographum, quo norma studio- sae vitae lynceorum philosophorum exponìtur a Francisco Stellato fabrianensi A. L. Poiché ve- niamo da ciò assicurati , che il linceografo appunto giammai pubblicato , a cui furono tanto intorno gli accademici ed il loro principe, e di cui il eh. Ode- scalcbi dà il compendio, dovette essere lavoro del no- stro Stelluti: al quale pertanto con più ragione for- se che ad Angelo De-Filiis attribuir si possono an- che le Praescrìptiones Ljnceae, a nome del Fabri cancelliere dell' accademia nel 1624 stampate (i5). Ma che sto più a dire siffatte particolarità ? Moriva nel 2 agosto i63o in Acquasparta l'infaticabile e dot- tissimo principe Cesi: e Stelluti, che sempre eragli a fianco, che fin dal 23 dicembre 1626 ottenuto ave- va da Federico di aggiungere al proprio il cognome di Cesi, ed inquartarne l'arma perchè di lui paren- te (16), Stelluti, che fino all'ultimo respiro fu sem- pre il suo amico verace , rendette non solo alla ve- dova di quel valente tutti i servigi, ch'erano in po- ter suo, continuando con invariabil costanza ad assi- 1 16 Scienze stere e difender lei e le figliuole, ma prese inoltre, ciò che viene nel nostro scopo, a sostener l'animo e la perseveranza de'lincei, i quali dopo tale epoca pos- siamo francamente asserire non essere che in lui e per lui soltanto vissuti. Passati infatti appena i pri- mi giorni del dolore , scriveva a monsig. Ciampoli , scriveva a Cassiano del Pozzo , perchè le cose dell' accademia vedovata del suo principe non minassero, perchè altro nuovo in qualche potente signore, e de- signava quanto a se il cardinal Barberini , n'eleg- gessero. Ma vani tornavano i voti di lui ed anche la stampa dell' Istoria naturale del Messico, di cui niun altro rimasto era più di lui informato , ed in- torno a cui per benefizio et onore dell 'accademia aveva egli faticato tanti anni e con tanta spesa della sua casa (17), posta veniva in non cale da- gli altri colleghi, che andarono ben presto dispersi ed abbietti. Non fece così per altro Stelluti : poiché la pubblicazione di quell'opera insigne e ben rara, eh' è l'unico fruito sino a noi pervenuto de' lincei , si beve interamente (18) allo zelo instancabile di Francesco, il quale, non mai dimentico del suo signore e delV accademia, non depose mai il pen- siero di assicurare la gloria sì delVuno come del- Valtra. Ben sa difatto chiunque aperto abbia quel li- bro, dovuto primamente all'Hernandez, compilato poi dal Recchi, ed arricchito infine d'importantissime no- vità ed aggiunte dai lincei, quante cure vi spendes- se attorno fin dal 16 12 l'operosissimo nostro acca- demico: il quale non pago di averne riportato privi- legi di privativa per la stampa e dai pontefici, e dal gran-duca di Toscana, e dall'imperatore, e dal re di Francia, tanto adopeiò, tanto fece, allorquando si vi- Memorie di F. Stellati 117 de abbandonato dai nostri italiani, che venuto a Ro- ma per ambasciatore del re cattolico Alfonso Turia- no, e caricatosene della spesa per dedicar quell'ope- ra al suo monarca Filippo IV, potette finalmente ot- tenerne la stampa in Roma nel i65i pei tipi di Vi- tale Mascardi, ed inserirvi le celebri Tabulae phy- tosophicae del suo Federico Cesi, alle quali Fran- cesco premise una sua lettera dedicatoria a D. Ro- drico De-Mendoza altro ambasciatore del re spagnuo- lo al X Innocenzo (19). Quanto poi diremo che fos- se il merito di lui siccome accademico, se oltre al già narrato , ed alla pubblicazione di questa grande opera , in cui la più parte de' lincei ed egli stesso aveva lavorato, mostreremo noi coli' analisi delle sue dotte fatiche, essersi da esso e come filosofo e co- me poeta raggiunta sempre la restaurazione degli stu- di, che lo scopo lodevole fu di quella società cele- brata ? E toccando primamente delle razionali scienze, dirò com'egli, per agevolarsi il cammino ad una ri- forma, volle con temperanza veramente italiana, an- ziché tutto spregiare nell'aristotelica dottrina, occu- parsi piuttosto a ritogliere dal ginepraio e dalla pro- lissità dei commentatori le idee chiare e nitide del profondo stagirita, scrivendo nel 1604 tra le tempe- ste stesse accademiche un Compendio di logica (20), cui non saprei dire se precedesse, ovver susseguisse l'altro Corso filosofico di logica, fisica e metafisi- ca con quindici corollari e compendi delle altrettan- te dispute di tutto il corso suddetto (21) : e mollo meno precisare, se oltre il merito di aver sempliciz- zato le scolastiche quisquilie, null'altro somministras- se al pari del primo in vantaggio della sperimentai 1 1 8 Scienze filosofìa. Non fu però così Della fi sortomi d di tutto il corpo humano del sig. G. Bat. Porta accademi- co linceo, da lui brevemente in tavole sinottiche ri- dotta ed ordinata, ed al card. Francesco Barberino intitolata, che nel i63j pei tipi del Mascardi in Ro- ma pubblicava. Poiché se i sommi Bacone e Leibni- zio stimaron la scienza fisonomica tutt'altro che spre- gevole e ridicola: se Herder nel 1778, e Lavater so- pra tutti nel 1781 ebbero fama per lavori consimili; se nell'attuale fdosofia stessa ne parlarono e l'acutis - simo Kant , ed il dott. Spurzheim caldo seguace di quel Gali, la cui craniologia riscosse pure l'ammira- zione d' Europa , e rivisse non ha guari per Brous- sais e per l' italiano Fossati , come potremo noi frodare di molta lode lo Stelluti , che precedendo per due secoli le idee del giorno se ne occupò col vero metodo dell' osservazione , mentre tutti geme- vano all'aristotelico giogo, ed approvar seppe 1' ope- ra del Porta, prima nel ridurre a principii la fisio- gnomonia ? Né credasi che fosse questo un lavoro semplicemente meccanico : dacché nell1 ordinare eoa brevità e chiarezza in quattro soli libri quello che il Porta con molte contraddizioni ed errori scrisse in sei, dovette egli e per omettere, e per riunire, e per i- scegliere le opinioni più probabili molta fatica e gra- ve senno adoperarvi d'intorno. Vero è che lasciò con- dursi dall'esempio del napolitano, nel quarto libro spe- cialmente, a quelle fantasticherie di correggere colla virtù di erbe, pietre ed animali, i vizi e le passioni umane: aspetto puerile, che non vestono certamente gli studi dello svizzero Lavater e del craniologo te- desco ; ma vero è altresì che non può come a que- sti darsi al nostro SLclìuti la brutta taccia di fatali- Memorie di F. Stelluti 119 smo, dacché egli stesso ai lettori sì bella dichiarazio- ne ne faceva (22) da chiaramente mostrare, come nel- lo stesso empirismo fuggisse con mente italiana gli estremi, e sviare non si facesse dai veri più certi ed importanti. Un curioso trattato, oltre a ciò, della mano dell'Intorno paragonata all'i piedi di alcuni animali quadrupedi e di uccelli , assicurava nella prefazione di venire approntando : e sebbene questo veduta più non abbia la pubblica luce , ci appalesa tuttavia, come di tal novella parte arricchir volesse le osservazioni del Porta , e quanto della psicologia comparata, ch'era fio d'Aristotile in oblio, benemerito venisse egli prima che il famoso Cartesio a novella vita la chiamasse. Né tacerò finalmente intorno a ta- li studi, siccome sponesse con molta chiarezza , se- guendo il Porta, che la visione in noi degli oggetti non doppi deriva dall'indirizzare un occhio solo alla volta (23) : dacché ciò mostra quanto a torto si at- tribuisca al Gassendi il merito tutto di questo pen- samento, apprezzato pure da chi non seguendo i me- tafisici ed imburghesi ricusa di attribuire la spiega- zione del problema o al concorso degli assi ottici con Cartesio, o all'identità dell'impressione con Brigg, o per la storia del cieco operato da Cheselden all'am- maestramento del tatto. Non furono però questi gli studi prediletti di Francesco: che le matematiche pu- re ed applicate bene aveva più a cuore, come quel- lo che degli altri tre lincei colleghi suoi nella fon- dazione stessa dell'accademia incaricato venne ad in- segnar la geometria, secondo Euclide, ad osservare e calcolare il moto degli astri, e proporre le macchine e gli opportuni islromenti, ed a fare su ciò la terza tra le cinque lezioni, che tener dovevasi ne'tre gior- 120 Scienze ni di ciascuna settimana. Nella prima lezione infatti, data poco appresso ai i5 di ottobre i6o3, con molta chiarezza espose egli, a senso dell'Odcscalchi, i prin- cipii ed i supposti della geometria , e mostrò nella meccanica la costruzione di una maravigliosa scala per ascendere, la quale con somma facilità poteva ed abbreviarsi ed estendersi. Nella parte astronomica poi non dirò, che lasciò scritto in latino un opuscolo Ad inveniendum arcuili semidiurnum cuiuscumque gra- dus eclip tlcae (24): non dirò che ogni cura ponen- do a raffrontare le osservazioni di Tolomeo colle tico- niane, le diverse latitudini rilevava delle stelle fisse, e le attuali posizioni notava di Sirio, del minor ca- ne e di Venere , dalle cui fasi ben egli argomentò il tolemaico errore di averla nel terzo cerchio collo» cala (25). Dirò bensì, che venuto amicissimo al som- mo Galilei tutti gli scoprimenti astronomici di lui pre- stamente risapeva, tutti egli medesimo colle proprie osservazioni raffrontava, a calcolar tornando dei sa- telliti di Giove i periodici moti, le grandezze, le di- stanze e l'ecclisi col loro pianeta ; ne alcuna del- le sue maravigliose scoperte era dal fiorentino filoso- fo pubblicata, che l'amico fabrianese non ne accom- pagnasse l'edizioni con poetiche lodi, delle quali ap- presso diremo (26). Né questo è tutto. Ognun sa co- me il celebre Saggiatore, che fruttò poi i terribili se- mi, i quali avvolsero Galileo nella più fatale sciagu- ra, traesse origine dalla Libra astronomica e filoso- fica , che sotto il finto nome di Lotario Sarsi pub- blicato aveva in acerba risposta al Galilei il gesuita Grassi, uno dei più rinomati fisici de'tempi suoi. Or bene : Stelluli , che era sin da principio informato della controversia, e di tutto col fiorentino linceo se Memorie di F. Stelluti 121 la intendeva, Stelluti nel 7 settembre 162 1 scrive- va da Acquasparta , che si desse cenno a Galilei starsi aspettando con desiderio la sua lettera con- tro il Sarsi, affinchè gli servisse ancora per un poco di stimolo , essendo ornai tempo ctì escisse fuori (27). E perchè questi indugiava ancora, ed il nostro Francesco caldissimo era di sostenere l'amico, il socio, il luminare dell'italiana filosofia, gl'indiriz- zo egli stesso in Firenze una risposta che aveva ap- prontata perchè l'esaminasse. Vergognato allora quel dolente della sua troppa lentezza, inviava nel 19 ot- tobre 1622 a D. Virginio Cesarini, e per esso al prin- cipe Cesi, il manoscritto del suo celebrato saggiatore scrivendo : La risposta del sig. Stelluti non è ar- rivata qua se non pochi giorni sono, sicché ap- pena gli ho potuto dare una. scorsa. Che se aves- si avuto tempo di leggerla pia consideratamente, non dubito che ne avrei cavati avvertimenti da poter migliorare la mia: ma la rivedrò e mi ser- virò dell'avviso. Intanto non mi è parso di dover differire più lungamente il mandar la mia (28). E qui più cose vengono a notarsi. L'una è, che men- tre il Cesarini ed il Ciampoli fino al 22 dicembre si tenevano l'originale del saggiatore, pubblicato poi sul finire dell'anno venturo, per notarvi alcune mende, e lo inviavano quindi al Cesi perchè facesse altrettan- to, esciva in Terni nell'istesso anno 1622 in 4-° 1° Scandaglio sopra la libra astronomica e filosofi- ca di Lotario Sarsi nella controversia delle co- mete di Gio. Battista Stelluti. Dal che argomentasi quanto Galilei approvasse la risposta del nostro Fran- cesco, coinè la credesse degna di precedere anche la sua nella pubblica luce, e come vada errato l'Ode- 122 Scienze scalchi nell'asserire (29) che non venisse mai pubbli- cata, forse perchè dopo il saggiatore ogni altra risposta era inutile. L'altra è di cercare, come lo Scandaglio, che sappiamo esser lavoro di Francesco per attestato e dello stesso Galileo e dell' Odescalchi , il quale scrisse, che di lui esisteva nella biblioteca Albani an- che l'originale manoscritto, sia poi comparso alle stam- pe col nome di Gio. Battista Stellati, il quale era fratello carnale di Francesco e matematico non vol- gare, ed a cui quell' opera attribuiscono non solo i bibliografi e gli storici (3o), ma fin anche una let- tera che diretta al Guiducci, ed esistente tuttora nel- la biblioteca Albani medesima (3r), palesa come Gio. Battista e non Francesco fosse per pubblicare il ri- cordato scandaglio. Sul che ci sia lecito esporre una nostra congettura ; ed è , che avendo per una par- te velato fino allora ciascuno il proprio nome nella famosa disputa sulle comete, ed essendo per l'altra Francesco circospetto sempre, siccome abbiamo vedu- to, e guardingo di non accettar brighe, verosimile è essersi voluto anch' esso occultare nella persona del fratello Gio. Battista, il quale, lungi da lioma e non occupato in pubblici affari, aveva poco assai o nulla di che temere i risentimenti degli avversari. Checche sia per altro di ciò, certa cosa è, che sebben Gali- leo e quindi Stelluti avessero torto nel fondo della questione, riguardando le comete come esalazioni del- la terra ammassate negli spazi celesti , ed illustrate dai raggi solari ( errore per altro che al dir di Fri- si (32) era ancora V errore de'teinpi ); lode tuttavia non poca tributar dobbiamo a Francesco, che accop- piando sempre fermezza a prudenza, sì bellamente en- trò in quella famigerata conlesa per difendere l'im- MKMORIK DI F. STELLUTI 123 mortai fondatore della sperimentale filosofia. Nò qui ebber termine gli studi suoi intorno ad essa, che glo- ria può dirsi veracemente italiana, siccome diremo a principio: dacché a tutt' uomo studiavasi egli di co- gliere ogni buon destro per vantaggiar la storia na- turale, che tanto aveva in amore. Notammo già quan- te cure fossero da lui spese intorno alla naturale isto- ria del Messico, estesa a tutti i tre rami di quella disciplina; ma per toccare di ognuno, parlando della mineralogia , ricorderemo come avendo il principe Cesi, pochi anni prima della morte, discoperto nel ter- ritorio tudertino presso il suo feudo di Acquasparta un legno, da lui chiamato metallo/ito, lo Stelluti im- prese a scrivervi un breve trattatello a penna , che nel 1637, presso le molte ricerche avutene, pubbli- cò in Roma per imitale Mascardi intitolandolo : Trattato del legno fossile minerale nuovamente scoperto ; all' illustre cardinal Francesco Barberi- no intitolandolo. Credette egli (33), è vero, in quest' opera un tal legno procedere da una spezie di ter- ra che ha assai dei cretoso , ed a poco a poco tra- smutasi in legno coll'aiuto deTuochi sotterranei esi- stenti in quei luoghi, e delle acque sulfuree e mine- rali: lo che si oppone alla più parte degli odierni na- turalisti, i quali lo ritengono composto dagli avanzi de'vegetabili in lontane epoche, e nei grandiosi cata- clismi seppelliti ; ma chi non sa esser questo uno fra i fenomeni geologici^ la cui spiegazione riesce più difficile ai naturalisti per sentimento del cele- bre Patria (34) ? Chi non sa, che questo valentissimo mineralogo ed il eh. Gensanne, a gravi difficoltà cre- dendo soggetta la opinione comune, dichiararono piut- tosto collo Stelluti il carbon fossile (35) una terra 124 Scienze semplicemente argillosa inzuppata di bitume per azio- ne vulcanica, da cui si lanciano particelle piccolis- sime al pari delle molecole terree , che simultanea- mente erompono a formar dappoi strati argillosi ? Ma lungi noi dal soscriverci a tale opinione col nostro concittadino, crediamo anzi che il minerale da lui de- scritto non sia il vero carbon fossile sparso a dovi- zia dalla provvida natura sotto le mani dell'uomo ma- nifatturiero a vivificare l'industria di Francia e d'In- ghilterra, ma sibbene una delle varie ligniti, che tan- to abbondano nei terreni dell'agricola Italia. Dapoi- chè ricordando che il nostro Francesco si persuase anch'egli da principio, esser questi legni tronchi o fru- sti di alberi sotterrati, e formati poi con quell'onde dai fuochi sotterranei, ed acque minerali che ivi sca- turiscono (36): e richiamando il Planco (3j), e chiun- que altro volesse censurarlo, ad oltre due secoli ad- dietro, quando al nostro linceo era ignoto ancora se nascesse un tal legno in altre parti, e se ne aves- se scritto autore alcuno : crediamo aver bastante- mente difeso uno scritto , che meritò pure di essere tradotto in latino dal bravo Daniele Maior, ed inse- rito appresso negli atti dell'accademia de'curiosi (38), e che alle i3 stampe, delle quali è corredato, uni- sce pur quella di alcune belle ammoniti, le quali in Acquasparta e nel territorio di Fabriano sua patria erano state da Stelluti fra i molti zooliti, di cui avea conoscenza, diligentemente osservate. Venendo poi al- la botanica, a cui pure lasciò scritto il Santini aver egli dato opera, dobbiam confessare, che quantunque della cassia, deìVelleboro, deWamomo, del balano e di altre piante abbia egli trattato (3()), tuttavia il suo nome ricordato non sarebbesi dai filologi , se il Memorie di F. Stelluti ia5 ciottissimo Fabio Colonna, tanto con esso in amici- zia congiunto, non si fosse avvisato, ad onore e ri- cordanza del fabrianese per ogni genere di virtù e varietà di scienze lodatissimo (4o) , di cangiare alla messicana pianta stolquahvit o chilli ripiena di frut- ti foggiati a stella^ l'equivoco e barbaro suo nome in quello di pianta stellata. Che se tal genere non fu poi ricevuto da Linneo, ne da veruno dei bota- nici successori sino a' nostri giorni (4.1) , altrettanto avvenne degli altri generi per le piante cesia e bar- berina, che lo stesso celebrato Colonna, ad equiparar forse Stelluti con quei due splendidi sostegni primi dei lincei, aveva accortamente introdotto. Non fu co- si per altro per le zoologiche scoperte, nelle quali a causa dello studio posto nella psicologia comparata è a collocarsi fra i più benemeriti. Si tacciano le ri- cerche continue e le osservazioni esatte, ch'egli ra- gunava pe'suoi colleghi a compimento dell'opera mes- sicana; si tacciano le cose da lui scritte del corvo , della murice, della seppia, del castoro (42)? S1 tac~ cia quanto di un lione tratto alla dimestichezza dal- la ferocia nativa, ed in Parma per lui osservato , ai suo diletto e chiaro Eabri scriveva (43). Non tacere- mo però noi , che inventato appena dal suo amico Galileo 1' utilissimo istrumento , cui gli stessi lincei dettero il nome di microscopio , stelluti fu il primo che alle più belle scoperte lo volse, in quelle osservazioni impiegandolo, che divennero poi sì fecon- de, per la insettologia fra le mani dei Lenoveck e dei Reaumur. Egli adunque dette a noi innanzi lutti esat- tissime microscopiche osservazioni suìVape, che inci- se elegantemente in grande tavola, e di belle e dotte spiegazioni corredale, unite furono all'apiario del Cesi, 126 Scienze ed offerte nel i6a3 al pontefice Urbano Vili, già Maf- feo Barberini: il quale, avendo appunto l'ape nel gen- tilizio suo stemma, cercava Francesco di rendere con tutta la famiglia benevolo alla sua diletta accademia. E tanto furono lodate queste di lui osservazioni, ri- petute con ogni diligenza intorno ai più piccoli mem- bretti , e verificate poi non solo dal Colonna e dal Fontana, ma ben ancbe dai posteriori naturalisti, die Stelluti stesso se ne compiacque a segno da riprodur- le dopo più minuti confronti e miglioramenti con al- tra incisione e con lunga nota nella sua traduzione di Persio, come nella grand'opera messicana tornò ad inserirle con attestazioni di lode il Colonna (44)- Né qui ristava l'operoso nostro fabrianese; poicbè col mi- croscopio osservò anche il gorgoglione, ed i risulta- ti pregevoli espose in altra nota allo stesso Persio , corredandoli di esatta incisione. Perchè poi nello stem- ma dell' accademia si avvide mancare alla lince un fiocchetto di lunghi peli sull'apice di ambo le orec- chie, lo che è il più evidente carattere; così egli la dette nella medesima opera del satirico di Volterra, con Ogni diligenza effigiata, facendola ritrarre non so- lo dalle due che, prese vive nell' Abruzzo , aveva il card. Barberini spedite al principe Cesi, ma giovan- dosi anche di quelle che osservate aveva nei monti di Fabriano sua patria, ove erano state prese più vol- te (45): e correggendo così Plinio, che nell'India le voleva soltanto e nell'Etiopia. Tanto era adunque il suo amore ai naturali studi nel togliersi anche al- le gravi cure della giurisprudenza, col venire per qual- che mese a diporto in seno della propria famiglia ! Fu qua diffatti, che osservò con tutto agio Yonocro- tato degli antichi, uccello dell' ordine dei palmipedi, Memorie di F. Stellati 127 detto oggi pellicano, di cui non si limitò egli a da- re i brevi ed esatti cenni diretti tantosto al Cesi, con lettera scritta in volgare da Fabriano nel 6 gennaio 1624, ma una seconda ne scriveva latina pur da Fa- briano nel io dicembre 1625 all'altro amico Fabri, e nelle annotazioni fatte da'lincei all'opera del Mes- sico la inseriva (46). La descrizione del quale ani- male, ebe tanto trattenne i naturalisti, pare a noi sì commendevole da cercarne forse invano la migliore dai moderni ornitologi, dacebè notammo osservate con precisione e certezza più cose, ebe Buffon conghiet- tura soltanto e sospetta. E cbi sa quant' altro operato non avrebbe il suo filosofico genio, se la dispersione dell'accademia colla persecuzione di Galileo per un lato, e la pro- tezione ebe Urbano Vili accordava dall'altro alla poe- sia ed ai suoi cultori, fra i quali pur egli si trova- va, non lo avesser consigliato per la sua tranquilli- tà di volgersi a questo studio, sempre per altro collo scopo della restaurazione, che era pur quello de'suoi lincei ! Perchè infatti a purgare dalla corruttela , la quale avea presso che spenta coll'italiana ogni altra letteratura (47)» il migliore avviso era quello di far novellamente spirare le antiche aure ateniesi e ro- mane, richiamando gl'ingegni a quell'antico bello; co- sì lo Stelluti pubblicò in Roma pel Mascardi nel i63o, al suo card. Barberino intitolandolo, il Persio tradotto in verso sciolto e dichiarato. Che se ta- luno chiedesse, perchè questo, tanto inferiore ad altri poeti ed agli stessi satirici latini Orazio e Giovena- le, prendesse egli a tradurre, risponderemo, che il fe- ce forse per cacciare dagli ameni giardini dell'ita- liane muse gli animali immondi, che i pia bei fio- 128 Scienze ri ne aveano cincischiati e pesti , senza accattare l'odio de'oontemporanei: ai quali volgeva così lo sde- gno di Aulo Fiacco, che, non risparmiandola a Ne- rone, riprese nella prima sua satira i poeti romani di stile affettato ed ampolloso. Né poco, oltre al merito dello scopo, sembra a noi che sia quello intrinseco del lavoro, o pongasi mente alla molta fatica che du- rar dovette a rinvenire, come egli stesso dice, le pa- role più proprie ed intelligibili di nostra lingua per dare agl'italiani senza sopraccarico di ornati marine- schi un satirico, che per le straordinarie metafore, le frequenti ellissi, le ricercate allusioni chiamato ven- ne il (4$) Licòfrone latino: o riflettasi, ch'egli pri- mo ed in mezzo all' universale depravamento donò all'Italia una vera traduzione di questo poeta, tenta- ta poi da altri un secolo dopo soltanto, né raggiun- ta tampoco dal classico autore di Basville ai giorni nostri, se credette utile tornarvi sopra il napolitano Mazzarella Farao. Lungi però noi dall'entrare qui in difficili ed odiosi confronti, noteremo che il Salvini reputò un azzardo il tradurre Persio in isciolti, do- poché in tal genere di versi lo aveva elegantemen- te, così egli dice, tradotto il nostro Stelluti; note- remmo che Monti stesso quest'una menda vi segnò, tranne altra di poco conto, di gettare cioè perpetua- mente tre e quattro versi del proprio per empire le lagune di Persio: alle quali doveva supplirsi sì, ma in modo, che non isnervasse la precisione del testo, o ne tradisse lo spirito (49 )• Ma lasciando che altri dicano, se il eh. autore della mascheroniana raggiun- gesse poi egli tale scopo, rispondeva già a questo lo Stel- luti medesimo, che se non avea interamente imitato il testo in quel suo modo di dire così breve e ri- ! Memorie di F. Stelluti 129 stretto^ era stato per non esser pia oscuro di luit e perciò in alcune cose si era un poco dilata- to (5o): e rispondevano inoltre per noi l'Odescalchi, che (5i) questa versione chiamò bellissima e vera- niente elegante, l' Adiratali (52) che la disse chiara, nobile ed ingegnosissima, il Colonna che incuora- talo per onor dell'accademia a pubblicarla, Cassiano Dei-Pozzo con altri amici che la commendarono, e la vita, che campata all'oblìo, ha tuttora bella e fio- rente (53). Nò a questa soltanto il merito di lui per la restaurazione delle lettere si restrinse: mentre se yera è, come verissima , 1' opinione del Torti (54) , che dal genio per l'ode pindarica nacque poi il nuo- vo genere di lirica emulatrice dei voli levati dai ci- gni di Grecia e di Roma, allo Stelluti è dovuta par- te almeno di quella gloria, eh' egli tutta attribuisce all'Adimari per l'italiana traduzione del lirico greco pubblicata soltanto nel i63i: poiché il nostro linceo aveane già molti anni prima inspirato il gusto con pa- recchie sue odi e canzoni, per le quali mostrò, che bevendo alle fonti degli antichi classici si poteva va^- lere almeno quanto i freddi petrarchisti ed i turgidi mariniani. Leggasi infatti di grazia Yode, che nel 16 18 intitolava a donna Olimpia Aldobrandini principes- sa di Rossano e Medula; leggasi l'altra, che nel Sag- giatore dell'immortale suo amico Galilei nel 1623 a laude di lui pubblicava; leggasi il Parnaso, canzone che nel i632 per le nozze degli eccellentissimi Gio. Federico Cesi duca d'Acquasparta, fratello del già de- funto suo amico, e Giulia Veronica Sforza Manzoli dedicava; e poiché la negligenza più che l'edace den- te del tempo ci furò molte altre poesie dello stesso genere, si riscontrino nelle citate le non poche ori- G.A.T.LXXXVIL 9 i3o S C I E W Z E ginali bellezze sparsevi, totalmente opposte a quelle degli spiriti di allora, che nei concettini e nella va- rietà delle figure ogni pregio ponevano. Bello infatti a noi sembra lo scrivere : Ciò che quaggiù si mira Originar fra noi, Tutto convien che l'ira Provi del tempo, e gli alti scherni suoi; Da i bei confini eoi Non prima il giorno è sorto, Che lo miriam dall'onde ibere assorto... ec. Non ha, non ha fermezza Quaggiù nostra possanza. Stato di vasta ampiezza Ha men pronta l'aita, ha men costanza; Strale, che più si avanza Per l'aeree contrade, Con tracollo maggior trabocca e cade. E questo nell'ode all' Aldobrandino nelP altra poi a Galileo cantava : Ai confini di Alcide Sicuro altri le spalle Rivolge, e senza guide Su cavo legno per l'ignoto calle Della lubrica valle Dell'ocean profondo Vassene, e aggiunge un nuovo mondo al mondo ec. Novelli solo a noi Quei discoprirò imperi, Non già nuovi agli eroi, Memorie di F. Stelluti i3i Che là negli ondeggianti lor sentieri Giunti v'eran primieri: Ma scopri tu più scaltro Orbi a ciascun novelli, e pria d'ogni altro. E qui se dato mi fosse di toglier tutte ad esa- me queste liriche poesie, potremmo agevolmente mo- strare quanti veri filosofici, e quanti belli pensamenti chiudano senza cadere nel marinesco. Se non che noi toccar piuttosto vogliamo di altri lavori suoi, coi quali pure studiavasi ritrarre gl'italiani dalle lambic- cature di che tanto allor si piacevano , quantunque mezzi assai meno potenti fossero delle traduzioni che richiamavano ai classici latini, e delle liriche che ai greci esemplari si modellavano. Serbavansi cioè in tempi ancora a noi vicini, in parecchi volumi serba- vansi canzoni, madrigali, stanze, ottave, sonetti di argomento sacro e profano, fino al notabilissimo nu- mero di 271 componimenti; serbavansi in due altri quadernetti non poche rime in lode di belle donne; vi era una canzone eroica in morte della propria madre; v'era un giocoso capitolo indiritto al colto suo concittadino Gio. Vecchi de Vecchi , descriven- dogli la città di Porto (55). Ma o fosse la solita non curanza , che gì' italiani hanno per le belle cose di cui sono forniti a dovizia, o fosse la condizione in- felice de'passati tempi, nei quali tante perdite simili toccammo, di queste ed altre di lui originali poesie pochissime a noi pervennero, né possiamo quindi dar- ne più ora che un nudo catalogo. Fra quelle peral- tro sopravvissute all'oblio, e che pur bastano a chia- rirci dello stile di Francesco, il quale ne mandò al- cune alla luce, come i sonetti sulle macchie osser- i3a Scienze vate nel sole dall'amico Galileo, e sulla carta da li- no introdotta in Italia da'suoi fabrianesi, ed altre ri- me al card. Barberini inserite nel Persio (56), me- rita distinta ricordanza un poemetto ài i32 seste ri- me intitolato il Pegaso, che nel 1617 pei tipi del Mascardi pubblicava in Roma nelle nozze del suo ca- ro amico principe Cesi colla Isabella Salviati. E ben- ché egli richiamate le amiche muse nel mezzo de1 suoi continui studi matematici e filosofici, come si esprime il Rossetti che intitolò quello epitalamio al- la sposa, lo avesse come suol dirsi a penna cor- rente prodotto , ne volesse quindi permetterne la stampa; pure ognuno troverà in quei versi a molta naturalezza e filosofia congiunta quasi sempre chia- rezza e venustà. Rechiamone alcuni in comprova. E vide ancor con geminato corno La dea più bella allor , che più riluce, Di macchie asperso chi ne arreca il giorno, Scabroso il volto la notturna luce, E quel, che il pie lassù men pronto move, Con due scorte girar, con quattro Giove. Tu, Galileo, che di savere avanzi Qualunque ingegno a maggior pregio arriva, Tu queste tutte non più viste innanzi Meraviglie n'additi, onde si ascriva Sol de'tuoi sguardi all'ardimento altero Questo del ciel novello aspetto e vero .... INon usa no di consumar sul dorso Di bel destriero inutilmente il giorno, Poiché lo punga al salto, o sferzi al corso, Grave lo guidi, oppur l'aggiri intorno, Nessun può trarne onor, che in gioco tale Viepiù del cavaliero il destrier vale .... Memorie di F. Stelluti i33 Di sue virtù si chiare intanto al grido Di già son corsi i più lodati ingegni, Sin di là tratti al suo famoso nido Dalle fredd'alpi, ed oltre i salsi regni : Tutti amico riceve e lieto accoglie Del suo liceo ne l'onorate soglie. Che se in questa ed altre di lui poesie trovansi qua e là, io noi niego, parecchi ricercati concetti e tra- lignanti metafore , che opponendosi alle nostre lodi mostrano non essersi raggiunto lo scopo lodevole del- la riforma, chiamandosi a modo di esempio nel ci- tato Pegaso strepitosi sputi di foco le palle di ar- tiglieria, e tromba del bel che dentro al cor na- sconde il nome della Salviati , nel cui viso trovò accollo Quant'han di bello il ciel, la terra e il mare; Poiché v'ha stelle, e perle, ed ostri, e fiori, Che san gli occhi appagar, beare i cori; ricordiamoci, che ubi plura nitent, non ego paucis offendar maculis. E chi non sa oltre a ciò, che sic- come ogni letteratura della propria nazione, così ogni uomo del proprio secolo, necessario è che mostri la impronta, e che il tipo per qualche modo ne renda? Chi non sa, che Claudio Achillini e Girolamo Pre- ti , i primi fra la turba degl1 imitatori mariniani ed amicissimi dello Stelluti , arrivarono in vita loro a tanta gloria, quale pochi uomini possono vantare di aver conseguita ? E come non sentirne l'influenza , come non lasciarsi addescare alcun che da tanta se- duzione e tanto fanatismo, il quale giungeva a pa- i34 Scienze gare in Francia 14 mila franchi i\ versi dell' Aehil- lini (57) ? Aveva allora questa nazione in Gugliel- mo Bartas, aveva la Spagna in Baldassare Graziano due caldi ammiratori e seguaci dello Scrittore dell'A- done, che non Italia sola, come blaterano alcuni, ma tutta Europa di puzzolente bava bruttò. Pm^e Stelluti chiuse tanta gagliardia di mente da resistere a stimo- li così efficaci, quali sono l'amicizia , l'interesse , la gloria : e se piegò talvolta un pocolino all'universa- le depravamento, se non giunse a compiere una ri- forma nelle lettere, fece almeno di rattenerne la foga, mostrò con petto forte un bellissimo esempio di tem- peranza. E questa è alla perfine ogni laude: dacché le restaurazioni importanti sono sempre l'opera lenta del tempo, e merita assai bene di esse chi ne gitta i primi semi , chi vi prepara gli animi scostandosi dalla turba corrotta, siccome fece Stelluti, che non si confuse tra quei freddi ed infelici copisti, che l'Ita- lia produsse dall'imprigionamento del Tasso ( i58o) alla maturità del Metastasio ( iy3o): e che meritò quindi, se il patrio amore non c'illude a considerar- lo soltanto anche come poeta, un cantuccio almeno, forse non molto lontano dal Chiabrera , il quale si abbandonava pur egli ad un' eccessiva turgidezza di stile, e studiavasi nella esagerazione de'tropi (58), ne demeritò tuttavia di esser consideralo fra i più cele- bri scrittori de't empi suoi. Dopo le quali cose fin qui discorse pare a noi dimostrato, che se nell'accademia de'lincei, volta tutta nel secolo XVII alla riforma de'buoni studi, ebbe Ro- ma pel Cesi, ebbe l'Umbria pel De-Filiis, ebbe l'e- stero per l'Eddo i primi fondatori chiarissimi di tanta benemerita società, ebbe anche il Piceno pel fabria- Memorie di F. Stelluti i35 nese Francesco stelluti V 'accademico , il filosofo, il poeta non volgare: il quale, mirando sempre a rag- giungere lo scopo di quella, il quarto ma non ulti- mo fu, cui spetta tanta gloria, e cui troppo ci duo- le, che uè marmo, ne epigrafe, né ritratto, prodiga- ti ora a tutta gente, sorga per laudabile ricordanza o in quella Roma che, sua gloriosa palestra, lo ac- colse sempre fra l'amore e la stima de' principi , fra il plauso e l'amicizia de'primi letterati di quel seco- lo fino alla più onorata vecchiezza oltre il i65i (5c)): o in Fabriano sua patria, che tanto onorò, e che er- gergli pur dovrebbe un monumento, onde accendere all'imitazione di lui i cuori facili de'giovanetti. ;36 NOTE (l) Sulla cospicua nobiltà di queste famiglie vedansi le no- te 9 e 16. Gli Stelluli,un ramo dei quali ebbe poi dagli Scala la contea di Rotorscio, dettero nel i3ii il nobile e potente Stelluto di Tinto, e nel i338 Cecco di Tinto podestà entrambi di Arce- via (Le scienze ed arti nobili ravvivate in Arcevia. Tesi pel Ca» prari J752;: noverarono appresso Giovanni Battista fratello car- nale di Francesco, di cui alle note 3o e 3i: Annibale loro nipo- te, ch'ebbe gran fecondità nella poesia, e mancò nel 1682 (An- tichità pie- tom. 17 a e. 164, Quadrio voi. 5, parte 2, e. 498).- Gi- rolamo, che nel i653 era uditor di rota in Geuova (Fontana, Bi- blioteca legale): monsig. Annibale governatore in Benevento nel 1727: monsig. Ignazio succedutogli in quel governo, poi vesco- vo in Macerata: Maria, detta Teonoe fra le arcadi pastorelle del- la colonia Giania, altra accademia fabrianese- Fra i Corradini si contano un Giuseppe giureconsulto e poeta ( Ant. pie. tom. 17 a e. 170, Pellini Epigr.) vissuto circa il 1578: un Ruggero priore della collegiata nel i584, ricordato anche dal nostro Gilio(Dialog. ec. e. 70. Camerino pel Gioioso); Antonio legale di qualche fama defonto in Roma nel i6g3 (Ant. Pie tom- 7 a e. 172, e Galletti Iscrizioni Pie. a c.g3y, monsignor Francesco Bernardo vescovo di Marsi di Abbruzzo morto nel 17 18; Giovanni Battista, che l'in- tero suo censo legò nel 1748 a pubblica beneficenza pei giovani sopra tutti studenti in Roma giurisprudenza; Margherita detta fra le slesse pastorelle della colonia Giania Egina Tritonia ed altri. (2) Nei libri battesimali non ci è venuto fatto trovar la na- scita di Francesco da Bernardino figlio di Giovanni Battista del fu Vincenzo; ma la notizia desunta dell'Odescalchi a e. 267 cor- risponde a quanto Stelluti segnò di proprio pugno in un mano- scritto della biblioteca Albani. Vedi anche testamento del 20 apri- le 1640, rogito Lodovico Manni. (3) Precedette questa per epoca l'accademia stessa de'lince», e Memorie di F. Stelluti 137 nel i58o come già nota alla repubblica delle lettere si onorava dei valenti Mambrino Roseo scrittore infaticabile di 22 opere, Gio- vanni Andrea Giglio prosatore e poeta distinto , Durante Scac- chi, Giuseppe Favorini medici chiarissimi, dei quali e dell'acca- demia vedasi la biblioteca picena, Malatesta Garuffi nelP Italia accademica. (4) Odescalchi D. Baldassare duca di Ceri.- Memorie istorico- criticbe dell'accademia de'lincei. Roma pel Salvioni 1806 a e. io. Bellissima opera, cui abbiamo attinto più volte senza che abbia- mo per altro sempre a citarla. (5) Fu lo Stellati stesso, che dopo l'Eddo disse al Cesi in quel giorno: ,, A voi diamo lo scettro, e voi noi altri fratelli go- vernerete ,,. Odescalchi op. cit. a e. 28. In ogni accademia poi al più potente e ricco, ma non per questo primo in merito, suole spesso conferirsi tal grado. (6) Si ha dal linceografo a quant' opere dì pietà si consacra- vano gli accademici, e quanta illibatezza di costume si volesse in loro che aveano a proteggitore sGiovanni Evangelista. La ci- fra oscurissima, spiegata ora dal conte Domenico Morosoni, ad altro non mirava (Lett. al Cancellieri. Venezia pel Picotti 1829) che a coprire alcuni segreti riguardanti oggetti scientifici, o ven- ne chiarita per alcune lettere serbate dai nostri Stelluti e conse- gnate alla eh. memoria dell'ab. Cancellieri. (7) Copiosa neve il sopraggiunse per via, ed in Gualdo Ta- dino dovette starsene rifugiato presso un amico de'lincei. (8) Le nostre diligenze non ci hanno fruttato fin qui alcuna notizia intorno a quanto operasse egli colà. (9) Ho letta io stesso copia legale dell'originale diploma, in cui dopo commemorati i pregi di Francesco, la nobiltà ed anti- chità di sua famiglia, conclude: „ In senatorum ordinem merito ,, cooptandum esse... quique ab ipso venient omnes cives patri' ,, tiique romani . . . sint „ • (io) Odescalchi op. cit. a e. 87,88. , (11) Offrendo le osservazioni sulle api ad Urbano Vili, scri- vendo in poesia tanto amata da quel pontefice, e dedicando i suoi lavori più importanti al cardinale Francesco. (12) Fu eletto per 5 anni, e solenne procura ne rogò il fan- i38 Scienze di notaro capitolino; ma nel 16 marzo 1617 venne per altri 5 anni confermato, come da istromento rogato dal notaro capito- lino Forapalti. (i3j Vendette i libri sulla magìa del Porta in Venezia: di là ritirò 600 copie degli elementi dei curvilinei scritti da quel fa- moso napolitano onde cederli per poco al romano libraio Rosset- ti, incuorandolo così a pio de' lincei: e propose di far lavorare carta a conto dell'accademia nella sua Fabriano- (i4) La Chiappiuaria, commedia del Porta, venne in Roma per Bartolomeo Zanetti nel 1609 dedicata all'illustre sig. Francesco Stelluti T. (cioè Tardigrado) linceo (come nel 1614 fu in Napoli per io Scorigio dedicata a Federico Cesi la tragedia dello stesso Porta intitolata Ulisse), ed ivi dicesi a e- 3, che il nostro fab da- nese, chiamato sei salissimo ne? matematici studi et filoso fici esercì* tii, gode d'una vera et virtuosa amicizia con quel valente. Debbo alla gentilezza dell'illustrissimo sig. Niccola Morlupi, amante del- la patria, e questo libriccino ed altre notizie del nostro linceo- (i5) I signori conti Stelluti Cesi, dai quali discende 1' av- vocato coute Francesco, attuale presidente del tribunale di pri- ma istanza in Ancona ov'è anche giudice di appello nel tribunale di commercio, caro già a quel flore di senno che fu l'eminentis- limo Giuseppe Albani, nella cui stima salì ad altre onorevoli ca- riche, membro di più accademie, e gentile scrittore in prosa ed in versi, serbavano gli originali delle opere da Francesco publica- te, i rami delle incisioni tutte in quelle impresse, l'indicato lin- ceografo, e moltissimi altri manoscritti, dei quali faremo ricordan- za a'iuoghi opportuni, anziché riportare l'esteso catalogo, uni- camente ora rimasto presso i medesimi: sendo il restante parte smarrito, parte inviato a Roma nel 28 novembre 1821 al defun- to chiarissimo abate Cancellieri. (i6) Ho letto io stesso copia legale dell'originai diploma, in cui il celebre Federico Cesi scrisse che per autentiche scritture gli è noto discendere Francesco per lato di Stelluti dallo stes- so stipite della potente famiglia Chiavelli, la quale dominò la pa- tria nostra; e per banda della madre Corradini, figlia di Maria Franchi dall'Aquila, da uno dei sig. Piccolomini duchi di Amai, fi nipoti di Pio II, da'quali pur egli derivava: e ciò sia detto per Memorie di F. Stelluti 139 la nobiltà di tali famiglie: aggiungendo poi il principe, che Stel- luti per 25 anni si era adoperato nelle cose di lui con vero amo- re. Ed in fatti ,, Caesio vivo et mortuo, scrive il Planco (Fabii Columnae Phytobasanos, Medionali a e. 3i), gratus fuit Stellu- tus, nam vivum ter ipsum hospitio excepit Fabriani, et Neapo- lim eius graliabis peliit- . ., et mortuo in libris eumubique extol- lit. ,, (V- Odesc. op. cit., e DuPelit Thouars bibl. univ.). (17) Stelluti medesimo in una sua lettera del 17 agosto i63o diretta a dei-Pozzo, e pubblicata dall'Odescalchi a e. ig6-igg. (18) Odescalcbi op. cit. a e. 200. (io) Stelluti aveva dunque precedentemente trovato anche altro mecenate. (20) Posseggo io stesso l'autografo di questo opuscolo, che ha la data del 1604, e su cui vedi anche Odescalchi op. cit. e. 53. (21) Nell'elenco degli Stelluti, di cui alla nota i5. (22) ,, Essendo questa professione conghietturale, non sempre ,, conseguisce il desiderato fine: perciocché i segni del corpo pos- ,, sono solamente accennarci l'inclinazioni, che nel corpo posso- „ no haver origine, ma non già l'azioni della nostra libera volon- „ tài onde operando l'uomo virtuosamente mediante il suo libe- ,, ro arbitrio, . .. viene a spogliarsi di quei vizi, ai quali è egli ,, inclinato per il mal temperamento del suo corpo ec. „ (23) Persio trad. ec. a e. 26 e 27, alla lunga nota 1. (24) In volume segnato num. i36g nella biblioteca Albani di Roma, dalla quale mi ha tratto le poche notizie rimastevi de'lin- cei il mio concittadino ed amatissimo discepolo dottore Enrico Castreca Brunetti. (25) Persio tradotto a e. 80 n. 7, a e. 62 n. 8. (26; Ivi a e. 148 n. 1, ove ricorda, che più volte con Galileo in compagnia di Cesi ed altri letterati ha ripetute in Roma quel- le osservazioni astronomiche: e l'intrinsichezza con quel primo doveva esser tale, che Colonna nel 1628 volendo avvertirlo di scrivere con prudenza e riserva intorno le cose scritturali, ne incaricava per iscritto Stelluti (Odescalcbi op. cit. a e. 191). E* degno poi di esser notato, che il nostro Francesco compilò anche la vita di quel chiarissimo luminare, e che il ms. autografo ser- bato dagli Stelluti venne inviato nel 1776 al sig. senatore Nelli i^o Scienze in Firenze. (Da lettere originali dell'eminentis. Alessandro Spada del io settembre 1776, e di Carlo Annibale Stelluti del io sud- detto). (27) Bulifon Antonio, Lettere memorabili istoriche, politiche, ed erudite. Napoli 1697, tomo 4 e- òi, e seg. (28) Aggiungeva poi; „ La supplico a scusarmi appresso il ,, sig. Francesco Stelluti (era dunque egli, e non il fratello Gio- ,, van Battista, che scriveva lo Scandaglio) se non gli scrivo, non „ avendo io un momento di tempo: „ ed in altra del 9 ottobre 1623, diretta pure al principe da Bellosguardo, dice aver veduto il frontespizio del Saggiatore , mandatogli da Stelluti ec, come nel 20 febbraio 1627 satutavalo di cuore promettendo di rispon- dergli a bocca. (Dal giornale de'lelterati di Roma 1749- Roma pel Pagliariui in 8 a e. 19 e seg.) Andarono poi smarrite presso gli Stelluti le molte autografe lettere scritte da Galileo al nostro Frauccsco, che in tal corrispondenza soltanto avrebbe avuto il suo elogio. (29) Op. cit. a e. i45. (30) Haym, Biblioteca de'libri rari italiani, tom. 4« a c« 92 a- 1. Milano 1808; De-Chales, De progres math. e. 9. ad an. 1622; Santini, Picenorum math. elogia, ed altri. (3i) Al codice n. 1369: ed è all'incirca la medesima che il ti- pografo Tommaso Guerrieri indirizzò nel citato Scandaglio al sig. Mario Guiducci stesso: ed in esso leggesi, che Giovanni Battista importunato dagli amici ,, si compiacque di notar frettolosamente ,, per quiete di molti quello ch'egli avea neila Libra del Sarsi e ,, suo Bilancio considerato: e ciò fece con occasione di trattenersi ,, nei caldi dell'anno passato in una sua villa, piuttosto perchè „ andasse per mano di quegli amici, che a ciò l'haveano astret- „ to, che per le stampe: ma essendo per via di questi capitato ,, nelle mie, non ho voluto in alcun modo restasse nascosto; né ,, credo che sarà discaro ai studiosi , venendo da persona che ,, non solo delle scienze legali, che professa, ma anco filosofiche, „ et delle historie, ed altri componimenti di bella e varia lette- ,, ratura ha non ordinaria cognizione e gusto. „ Tal mss. adun- que non esclude la mia congettura, la quale anzi è avvalorata in qualche modo dall'altra cautela di aver mostrato cura della pub- Memorie di F. Stblluti 14 i blicazioné il solo stampatore, ch'era pur quello di cui servivansi allora i lincei ( Odescalchi op. cit. a e. i5a); mentre poi dalla lettera di Galileo sopra citata (nota 28) viene condotta al gra- do quasi di certezza, talché reputo aver io rivendicalo totalmen- te a Francesco l'onore dello Scandaglio. (3a) Elogio del Galileo. Milano 1778 pel Galeazzi a e. 54- (33) Trattato suddetto a e 6. (34) Storia naturale dei minerali inserita nell'edizione del Buffon fatta in Firenze pel Bartelli i833,tomo XXII a e. 575, in cui a e. 56? trovasi anzi non ricevuta l'opinione opposta a quel- la di Stellati. (35) Opera e luogo citato a e. 575 alla 579. (36) Trattato suddetto del legno fossile a e. 6. (37) Planco Iano, Fabii Columnae lyncei Phytobasanos,Me- dìolani 1744 a e- XXXI. (38) Primo e terzo anno a e. 523 alla 53 1. (3g) Santini los:, Picenorum mat. elogia, Macerata* 1779 ty- pis Capitani; e Persio tradotto ec. a e. 72, 96, 107, 125, 107. (4o) Rerum medicarum novae Hispaniae thesaurus etc. Ro- mae i65i a e. 865: „ Stellutam arborein . . . appellaremus, in mutui amoris signum, quo maxima devincimur ab immensa erga nos benevolenza, non modo genere, sed omni virtutum ac disci- plinarum varietate clarissimi viri d. Francisci Stelluti lyncei col- lcgae nostri, cuius laudes, quamvis anobis hoc loco taceantur, ex variis doctissimi viri scriptis iam omnibus fere satis notae sunt. „ (40 Cosi scriveva il dottissimo professore Antonio Bertolo- ni al suo chiarissimo amico nobile professore Filippo dei baro- ni Narducci di Macerata, che ad onore del nostro Piceno leva di se bella fama nella filologia. (42) Persio tradotto ec. e. 4> 6, *5, 85, 169. (43) Rerum medicarum ec ut supra a e. 543. (44) "V. Litta, Famiglie celebri italiane fascicolo 7. Cesi di Ro- ma, Milano 1822 pel Ferrano con 5 tav. in rame, e l'estratto che ne dette la biblioteca italiana n. 77, maggio 1822; Persio tradot- to dallo Stelluti stesso e. 126, e 127; Rerum medicarum ec. ex Francisci Hernandez e. 757 e 8g5. (45) Persio tradotto ec. a e- 36. La stessa mancanza del fioc- i4^ Scienze chetto è anehe nei disegni dell'Odescalchi, ma non già in quel- lo del frontespizio del Phytobasanos di Fabio Colonna. (46) Rerum medicarum ec. a e. 680, e letta nella biblioteca Albani al codice n. 3ig a e- i3i e seg. , donde avendola io trat- ta per l'intero, ho letto che Stelluti sarebbe andato fra due o tre giorni dal principe desiderosissima di vedere non solo il li' bro del sig. Rycquio, ma anche le scritture del sig. Galileo. (47) Botta, Storia d'Italia in continuazione al Guicciardini toni. 7 a e. i36, edizione di Capolago. (48) Andres, Dell'origine, progressi e stato attuale di ogni let- teratura, tom. 2 a e. 645. Venezia i83o. (4g) Salvini Antonio Maria, Traduzione di Persio, Firenze pel Manni 1726 in 4-, e Satire di A. Persio Fiacco, traduzione di V- Monti. Piacenza 1804 a è. 77. (5o) Persio tradotto ec. a e- 1 della prefazione a quelli che leggono. (5i) Op. cit. e. 19S. (52) Traduzione di Pindaro. Pisa pel Tenagli i63i in 4 a e 12!, e 47*- (53) Odescalchi op. cit. e. 194 e *98; Rerum medicarum etc. C. 719; Fontanini, Eloquenza italiana. Venezia 1727, e. 191; Haym, Bibliografia italiana. Milano i8o3 c.ioi lib. 4; Paitoni, Bibliogra- fia degli autori greci e latini volgarizzali tom. 3 e. 102. Venezia 1774., Planco, Fabii Columnae lyncei Phytobasanos ec. Mediola- ni 1744 e. XXXI, ed altri molti. (54) Prospetto del Parnaso italiano tom. 2 e. 124- (55) Il fabrianese De-Vecchi fu poeta giocoso e satirico, che mori nel 1628, sessagesimo dell'età sua. Vedi Quadrio, Storia e ragione d'ogni poesia tom. 2 e. 562. Il catalogo, di cui alla nota i5, attesta l'esistenza delle indicate poesie: più di un prologo in 4 rima, in cui la poesia arringa la duchessa Olimpia Aldobrandini, alla cui presenza uno stuolo di accademici dovea recitare gli amo- ri di Zeffiro e dori: di una selva per iscrivere un trattato di amicizia, contenente dottrine, esempi, e sentenze di autori latini, e di parecchie poesie infine inviale a Francesco da valenti lette- rati. (56) Per le macchie solari, scoperte da Galileo, Stelluti scris- Memorie di F. Stelluti 14.3 . prima e diresse al principe Cesi con lettera del i5 febbraio l6i3 un madrigale (Bulifon, Lettere memorabili ec. Napoli 1697 tom. 4i e. 52), quindi nell'edizione delle lettere di quel valentis- simo pubblicò uu sonetto. Annotando poi l'altro sonetto sulla car- ta da lino (Persio tradotto ec. e. 8o-85 n. 4) asserì, che nella sua Fabriano cominciò a fabbricarvisi l'anno 990. Si veggauo su tal proposito Tiraboschi (Storia della letteratura italiana moderna 1789, t. 5 e. 98), che in Padova e in Trevigi da Pace di Fabriano circa il i5jo, e Zanti Giovanni (Nomi e cognomi delle strade e borghi di Bologna: mss. comunicatomi dal mio dotto amico cav. marchese Ricci, il cui Dome stia per elogio), che in Bologna da un maestro Polese da Fabr ano prima del 1200 l'accertano intro- dotta. Noi poi aggiungiamo, che se ai fabrianesi è dovuta la pro- pagazione di questa manifattura in Italia, spetta pur loro nel cor- rente secolo la gloria o di aver trattato i primi in Italia stessa la sostituzione di allre materie allo straccio , siccome fece il mio coltissimo amico nobile Carlo Campioni, che trasse carta dalla paglia, dalla malva, dal granturco, e da altri molti vegetabili, e fin auco dalla segatura del legno misto ad un terzo di straccio (V. Giornale arcadico tomo "4 p 5o5j; o di aver felicemente imitato i perfezionamenti stranieri, siccome praticarono i sigg. Miliani, e fra questi il peritissimo giovane sig. Giuseppe, che ha dato non ha guari una carta, la quale per la bella lustratura eguaglia, e per la qualità della pasta sorpassa la tanta che circola sotto il Come di Bath, per inganuare coloro che fra gli esteri soltanto tro- vano il bello. In quanto poi al poemetto il Pegaso, reso ora bea raro, ne ho ricevuta comunicazione dal reverendissimo d. Anto- nio Bracci canonico bibliotecario del duomo, già due volte vici- rio capito! ire , ed attuale pro-vicario generale in patria , alla cui gentilezza, potenza di mente, ed acutezza di raziocinio vado di ben-altro debitore io, che ebbi da lui la seconda vita coll't'du- Cazione ai buoni studi, ed a cui piacemi render qui pubblica te- stimonianza dell'amor mio riconoscente- (57) V. Album di Roma 1840 a e- io5. L'Achillini ed il Pre- ti scambiavansi sonetti con Francesco , alle cui premure deve l'Achillini stesso l'aggregazione ai lincei, molto da lui desiderata.* poiché, presentato antecedentemente da monsignor Ciampoli, non era stato ricevuto (Odescalchi op. cit. e. i/p/ i44 Sciènze (58J Così Corniaut, Secoli della letteratura italiana Iota. 7 e. 42« (59) Non abbiam potuto trovare il giorno certo della morte di lui, che dovette però vivere oltre il i65i in cui si pubblicò l'o- pera dell'Hernandez. Parlarono eoa lode di Stelluli il Tiraboschi, Storia della letteratura italiana tom. 8 e. 284 edizione cit. Qua- drio, Storia e ragione di ogni poesia tom. 2 e. 3o4 . • . Ferrano, Costume antico e moderno, edizione di Firenze iSSavol. 8c.*o,5,- Biblioteca universale antica e moderna. Venezia pel Mis-saglia i832, articolo di Du Petit-Thouars,- tutti gli autori sopra citati ed al- tri molli, fra'quali B. Gamba nella sua bell'opera bibliografica sui testi di lingua. Livia duchessa di Urbino scrisse da s. Lorenzo nel 12 agosto 1640 ad un eminentissimo: „Le virtuose qualità delsig. „ Francesco Stelluti ... io suppongo, che siano molto ben no- ,, te a V. Eminenza per haver egli per lo spazio di 4o e più an- „ ni faticato in cotesla corte, et in diverse occasioni dato saggio ,, del suo valore ,,. Nell'opera dell'Hernandez, e lo ripeteva il cit. Planco, scrivevasi di lui a e. 543: ,, Viro, ut ob animi can- ,, dorem omnibus est carissimus, ita ob matheseos scientiam tam „ Clavio, Valerio, et Magino olim amicissimus, quam a Galilaeo ,, nunc estimatissimus „. Ebbe anche amici Giovanni Démisia- no di Cefalù in Sicilia, filosofo teologo e filologo insigne , che fu da esso fatto aggregare ai lincei: come tentò anche, ma inutil- mente, per Mario Schipani, medico e filosofo napolitano., e per l'altro medico fabrianese Fa voi ini, annunciandolo per un oracolo di filosofìa e di medicina, nelle buone lettere assai colto , e già professore della sua arte in Ferrara (Odescalchi op. cit o. i^?): intorno al cui merito può vedersi la biblioteca picena , e la me- moria inserita nel Colucci, Antichità picene tom. 240 n3-;i 19. ^»-S£g&©^a3-e— i45 KnmsR Sui limiti di alcune espressioni immaginarie. Memoria di Barnaba Tortolìni, professore di calcolo sublime nelV archiginnasio della Sapien- za , e professore di fisica mattematica nel colle- gio urbano di propoganda fide. Sui limiti dell'espressioni r, sena ( !+«) * , ■ \ / a quando alV infinitesimo oc reale si sostituisca V infinitesimo immaginario oc •+■ /3 ^ — i . ,.°E noto che chiamando a, un infinitesimo rea- le, i limiti» verso i quali convergono le due espressioni { i+a) i « sena ce quantunque per valori nulli di «, si presentino sot- to le forma indeterminate dr co o i —, ' o Contuttocciò si verifica G.A.T.LXXXVI. io 146 Scienze i v a* sent- imi ( i -+- a ) = e , Zi»j = i a. ove e denota la base dei logaritmi iperbolici. La ri- cerca di questi due limiti è di somma importanza nel calcolo infinitesimale, e da essi dipende la differen- ziazione di qualsisia funzione. Conviene però accer- tarsi, se questi limiti rimangano invariabili, quando in luogo dell'infinitesimo u reale si sostituisca l'imma- ginario della solita forma « + j3 V — i. La presente breve memoria verserà unicamente sulla ricerca dei limiti verso i quali convergono le due espressioni i (I+a + ^-) ' i±pì/—ì per valori nulli di a e j3 , supponendo cogniti x li- miti delle medesime espressioni a variabile reale. 2.° Un'espressione qualunque immaginaria gode della proprietà di potersi rappresentare sotto la for- ma trigonometrica r ( cos t ■+■ |/ — i. sen t ) essendo ;• una quantità reale, e t un arco parimenti reale, e si avrebbe Limiti di espress, immag. 147 a •+■ 8 V — i = r ( cost ■+■ V — i . seni ) d'onde necessariamente oc = rcost , 8 = rsent dalle quali r, t sono determinati dalle condizioni r* = a2 -+- 82 , te/iff* = —• a ed insieme r = ( «a H- /32 ) t = n ?r 4- are. tewg- i_ a purché s'intenda per la notazione are tang v un ar- co compreso fra — • , e — ~« : la quantità r dicesi il modulo dell'espressione immaginaria, e t V argomen- to. Ciò posto, una quantità immaginaria dicesi infini- tesima , se infinitesime sieno le variabili « e 8 che la compongono, in modo che li m ( a -H 8 [/~ — i) = o racchiude necessariamente lim « = o , lini 8 = o per le quali anche il modulo r convergerà verso il medesimo limite, ossia lim. r = o. i/j.8 Scienze All'opposto l'argomento t rimane di valore finito, men- tre si avrebbe ,. J3 ° lim tangt == Zzm. J-i == -h « ° E chiamando t l'angolo corrispondente a questo li- mite, si dedurrà semplicemente ta72# T =: fotti — • 3.° Si riprenda ora l'espressione ad infinitesimo reale oc lim ( i -+- oc ) = e sarà fuori del limite a oc) — e essendo i una quantità da svanire simultaneamente ad a, quindi chiamando x una quantità qualunque va- riabile, ed indipendente da «, avremo la nuova equa- zione x « X (i+a) = ( e, -4- i ) e passando ai limiti si ottiene Limiti di espress, immag. 1^9 x a. lini ( 1 -t- « ) = e ove senza alterarne il valore si potrà sostituire anche ux invece di «, per cui OC x lini ( 1 «f- a, x ) — e . Quest'ultima formola, che sussiste per x reale, si po- trà estendere per 1' immaginaria x \/~ — 1 , potendo in quest' ultimo caso servirsene per fissare il senso della notazione e , cioè oc x lr — l lini ( 1 •+, « x[/~ — 1 ) = e e fuori del limite si potrà scrivere , ,« X V * T (i+«X|/' — 1) — e 4-1 I rappresenta un infinitesimo con oc. Elevando ades- so il primo, e secondo membro all'esponente immagi- nario e passando ai limiti otterremo i5o Scienze i ,. , a-f-/Sl/'-i/ . _ »a-H3|/ (i-hc-r-pl/-l) rK =(H-«) ' (l-j-S^-l) nella quale i fattori del secondo membro si potran- no rappresentare per LIMITI DI ESPRESS. IMMAG. l5l I fi -. i-f-at ) rK = f (l .+-«) I a ,.w-.)^:=i=((^-.Fl)(,^^'(,") Passando ai limiti col fare a = o, /3 = o, e ponen- do per brevità v A £ = Zi/» — « ed avvertendo che per valori reali di « e 0 lini ( i •+- a )a = e = fói» ( i -+- ^j/" — i ) * si dedurrà Zini (i 4_a ) » ^K = e T , r, r \ « "t- jS|/V- » I -+-£/■— I i5a S e i e n a b quindi il nuovo limite che si cerca, sarà e|Ai TI., a r v«H-iSj/"-I H-Sl^-I \->rl\/~-\ Imi {i-hort-P[f — *) =c 'e la quale si riduce evidentemente a z;w(i4-«-H/V'-i)a"H/V~~I==* come si ha nel caso della variabile reale. 5.° Perla determinazione del limite verso, il qua- le converga il rapporto del seno all' arco nel caso della variabile immaginaria, cercheremo prima il li- mite del binomio (#) ( i .*. «x y — • t. ) per valori piccolissimi di a, essendo x una quantità reale ; chiamando ora m un numero convergente ver- so l'infinito, e fatto 1 a = ~-« m si supponga come al num. 2.0 x i+^i/" — i=r( cost -f- 1/* -~ 1. $en£ ) (*) Gauchy, Résumès analytiques; Limiti di espress, immag. i53 e si avrà x , tangt = *— m r= iH--< V ™2J quindi come già è cognito / x \m m , . f x -f- . — . |/" — il = r ( cosmi -h \f — x.senmt). Ora è facile il vedere che x>\m>Ym "2liml... lim r = Urti. I/iiLh > = e 2m f x*\m*f' tangt x Uni . = i = lini — t m: d'onde Um mt — x. Con questi valori il significato dell'esponenziale xif -. i e v verrà definito dalla forinola oc\/- — i e = cosx -\-v — i. sen x Questa dà immediatamente senx=. a/" — i i54 Scienze la quale sussiste per valori reali della x , e potrà estendersi a valori immaginari , servendo il secondo memiro per rappresentare la notazione senx — sen ( a .+. fip/* — 1 ) Con crueste avvertenze si faccia 2JCL/* — 2 e v — 1 = 0 , ossia ixy/' — 1 = log (i-h9) avremo senx 1 1 * I (14-©) Zog- ( i-t- 9 )<> 0 rappresenti nella generalità un infinitesimo imma- ginario; e si ivrà per conseguenza senx Um a hm. x log (i+6)« E siccome qualunque sia 0, e reale ed immaginario 1 Um log ( 1 4- $ )•* __ loge = 1 cosi stabiliremo in generale per x = 01 •+■ $\f — r a,!£Ìf±.y.~».)M, «-»- /3^ — 1 Limiti di espress, immag. i55 come succede nel caso della variabile reale. Inoltre dall'equazione che porge il rapporto del seno all'ar- co in funzione della 9 si ottiene reciprocamente x i * \0* (l -i-Or senx e pas sando ai limiti 1 ,. oc t* lun< lim (14-©), = e senx cioè il limite di una espressione dipende dal limite dell'altra. 6.° La ricerca degli indicati due limiti si può anche ottenere mediante la riduzione dell'espressio- ni immaginarie alla forma A + Bi^-i e che verremo ad'esporre brevemente. Se con le due quantità immaginarie a -f- j3l/" — 1 » m H- n \f— 1 si formi la potenza e si ritenga « = rcost , 8 =a rsent , tangt = — . i56 Scienze abbiamo dalla riduzione di queste espressioni ( aH-/3i/v- 1 f+àV— l „ eG {cosE -+- i/"— i.jctiE ) quando per brevità si ponga E = nlogr •+- mt t G = mlogr — nt Si sostituisca i ■+■ a invece di a, e si chiami R, e T il modulo e l'argomento dell'espressione immaginaria i -{. a -f- 13|/" — i = i+r( cosi 4- V — f-sent ) o, ciò che torna lo stesso, pongasi x •+• r (cosi h- |/*— . i. seni) = R (cosT .+. j/"— i.wnT) si avrà con gran facilità R = (i+ xrcost 4- ra ) , tarcg- 1 = v i -{- rcosi quindi risulterà ( i^eH-ZSi/-— i )TO*B^—1 =eG (cosE .+-,/■— i.«/iEl ove in questo caso E = nZo#R -f. i»T , G = mlog R — nT Queste ultime formole ci daranno la riduzione del Limiti di espress, immag. 157 cognito binomio alla forma A -+• Bl/ — 1; ed infatti per l'eguaglianza T m -H n\/~ — i a -|- /S|/" — 1 si i ha a /3 m= — , ri = — ovvero a» -j- 0» a' 4- /32 7w = n = — r r e perciò le quantità E e G si trasformano in ^ Tcosé ,sen£Zog-r\ j Tcosi 5e«tZog-R E = , G = 1 r r r r d'onde riuscirà (n.a^/3^— i)*W-1 = eG (cojEh-i^— i.wnE) Nel prendere il limite di quest'ultima espressione si dovrà fare nel secondo membro r = o, e mutare t m t ; non apparisce però immediatamente il limite ver- so il quale converga il secondo membro, mentre per r = 0, si verifica t58 Scienze R=i, T = o, logR=o quando per T si prenda l'arco compreso fra — < , e — «, per cui le due espressioni logR T o si presentano sotto una forma indeterminata di *-" : Facciasi pertanto zrcost -+- r2 = 9 9 convergerà verso lo zero con r, e si ricava r __ 2C0SÌ_f- r quindi ~ é „ log ( i ■+- 9 \ ed insieme logR = I cosi 4- »-i J to» ( i-H 0 J T Per la frazione ■-« ponendo primieramente Limiti di espress, immag. iSg T tangT T tangT si ottiene seni r i^-rcost tangT Passando ora ai limiti, ed osservando che per valori reali di Q e T r T lini log ( i •+• 0 ) =i, Uni tangT si avrà lini = cosx y lini — . = senz r r dalle quali UniF. = o , UmG = cos*x ■+• $en»r = i dunque in fine y.° Per la riduzione del seno di arco immagi- nario sarà della forinola dell'esponenziale immaginario ;en (oc -+- /3|/"-i) = Vsen ( rco^ ) ■+- Qcos ( rco,s£ ) |/"- i 160 SciKHlE quando per brevità pongasi rsent , — rsent rsent — rsent p=e ±1 ; , q_ e -e quindi avremo sen (oc -+- /3|/* — i) Vsen (rcost) -+. Qcos (rcost) |/" — i « -H /Si/" — i r (cosi -4- |/" — i.sent) Si ponga ricaveremo con facilità i valori di M, N, cioè -. P.? x sen (rcost) — rsent i M = VcosH ! ' 4, e senH rcost 1 log ( i-h 8 )* N = sentcost ( C°* ^rcost \ L. P SJ£f2fÌÌ? Di più per r = o si ha P = 1 , e per conseguenza t- Hit »• 5CW {rcost* hmm.=cos2uim •+• sen2zlim rcost 1 log (1 4- £)9 7- Tvr ( i- 1 ,. ■sera (rcost J \ { «^ rcost > ( Zo§- (n- 0)7 ; Ma si è dimostrato che per valori reali delle varia- bili G.A.T.LXXXVII. „ 162 Scienze sen ( rcost ) -- lim. •> = i , lim. log ( i "4- fi ) = i dunque Wi». M = i , Z/w. N = q e si dedurrà in 6ne sen ( « -f. jSj/"— i ) Zi/». /V- come già si è dimostrato in altra maniera. Per mezzo della ricerca di questi due limiti fa- cilmente si stabilisce nel calcolo infinitesimale, che il differenziale di qualsisia funzione si mantiene della stessa forma, quando la variabile divenisse immaginaria. L'esposte riflessioni saranno apprezzate da chiun- que giustamente non voglia desumere il passaggio del reale all'immaginario dalla generalità dell'algebra, ma dedurlo bensì da principii certi ed incontrastabili. i63 Estratto di alcune memorie scientificlie lette nel- le ordinarie adunanze dell'accademia medi- co-chirurgica di Ferrara nel corso degli an- ni i836, 1837, 1838, 1839. Bologna 1840, tipografia della Volpe, in 8. di fac. 123. dedicalo al magistrato illustre di Ferrara dagli accademici attivi. Bella e nobile gara tra la patria che largheggia sussidi, ed i suoi figli che le offrono i frutti dei loro sudori. Quanto mai sono rari tali esempli ! E non ne conseguita forse utilità, onore e rinomanza ad entrambi ? Sorgea quest'inclita accade- mia in seno a domestiche pareti: l'aumento de'mem- bri e la celebrità loro lece sì che procurassero di renderla pubblica. Il eh. professore sig. dott. France- sco Valori, membro dell'accademia medico-chirurgica di Ferrara , operò sì fattamente alla legale istalla- zione della medesima, come altresì al riaprimento do- po le vicende del i83i, che ciò si deve quasi per Jo intero alla sua valevole cooperazione. L'estratto, di che teniamo parola, fa seguito al pri- mo pubblicato in Ferrara nel 1 83 1 pel Bresciani: ivi si dà conto delle memorie scientifiche lette nel- le ordinarie adunanze degli anni 1827, 28, e 29. Per cinque anni l'accademia tacque, stante i travol- gimenti politici di alcune provincie d'Italia. Segno il compilatore 1' ordine alfabetico, ed incomincia dalla memoria del dottor Giuseppe. Baruffi di Crespino. j64 Scienze i. Dell'1 azione del sistema nervoso sul pro- cesso della cicatrizzazione animale. Enumerate alquante funzioni morali e fisiche che si compiono per 1' influsso nervoso arrecando o piacere o dolo- re, dice èsser nociva od almanco increscevole la ri- gogliosa copia de'nervi sensitivi nel processo della ci- catrizzazione. Le piante, ove incise siano nei loro ra- mi o fibre, in breve tempo ri vegetano piene di vita: la facoltà formativa ne'c orpi animali segue la ragio- ne inversa dei progressi della potenza nervosa. E in- dispensabile pel cicati'izzamento un certo grado di flo- gosi e largo afflusso di sangue. Osserva negli indivi- dui sensibili il processo cicatrizzante le ferite ado- perarsi stentato e malagevole; facile e pronto negli atletici. I pratici videro nella state e nell'inverno condursi le ferite più difficilmente a buon termine che nella primavera e nell'autunno. Così nelle zo- ne equatoriali il corso di ogni fei'ila è arduo e pe- ricoloso : la indole dei climi, il genio delle meteo- re, gl'istantanei cambiamenti dell' aria , gli squilibri elettrici, ed altrettali fenomeni della natura, dispie- gano una valida influenza sulle membra offese. Ne trae da ultimo conseguenze utili alla pratica: dover- si cioè attutire con adatti argomenti la facoltà sen- sitiva, ed allontanare tutto che potrebbe attristare i feriti. Le quali cose, se non sono del tutto nuove , ci sembrano trattate con molto studio e dottrina, e poste in aspetto molto belio ed interessante. 2. Elogio del dottore Gaetano Zanetti. Fu scritto dal dott. Giuseppe Benelli. Nacque il Zanetti in Ferrara il 21 di ottobre 1763: laureato in medici- na, occupò le principali condotte della provincia e verie cariche municipali e sanitarie con sodisiazione Memorie scientifiche i65 di tutti. Ritornato in patria, venne ascritto al colle- gio medico ed all'accademia medico-chirurgica. Avea fatto studio particolare di belle lettere. Ci rimango n di lui scritti medici e filosofici che meriterehbono la pubblicazione. 3. Dell'incubo. Il dott. Benetti dice esser mor- bo poco studiato : avervi rivolto l'attenzione, perchè lo soffrì terribile e ripetuto sul finire del 1 835. Vi- cende atmosferiche, salute mal ferma, gravi alterazio- ni morali, temperamento oltremodo nervoso, digestio- ni per lo più imperfette e stentate, furon le cause che prepararono e determinarono a un tempo la malattia, alla quale forse eran forieri spaventevoli sogni, un' apatia per le cose dianzi carissime, alternata da pre- sagi funesti sulla sua esistenza. Dormiva una notte, e pareagli esser desto e circondato dalla famiglia che il soccorreva, minacciato essendo di soffocazione da spettri che gli stringe ano fortemente e petto e ven- tre: volea gridare e muoversi e noi potea: si svegliò ansante e tutto il dì ebbe abbattimento morale e di forze. Per ben cinque notti si rinnovellò tal disastro. Purganti, china- china, divagamento il sanarono; ri- mase però molestato da una dolorosa pulsazione del- le carotidi e delle temporali, che ridestavasi al più lieve turbamento e dopo occupazioni mentali alquan- to protratte. Considerando l'A. le cause che produsse- ro l'incubo, ed i rimedi che lo guarirono, dichiara aver sede nei nervi che presiedono alle funzioni, nel- lo sconcerto delle quali consiste appunto la genera- le forma dell'incubo. 4. Di alcuni pregiudizi volgari sulla vacci- nazione. Combattuto vittoriosamente dal medesimo dott. Benetti il pregiudizio volgare del tramestio degli 1G6 Scienze umori viziati colla vaccina, sorto dagl'insegnamenti della patologia umorale, stabilisce ogni età aver suoi morbi: quindi tutt'al più aversi a temere per quelli proprii dell' infanzia. Discutendo se la vaccinazione determini un processo di genio specifico diffusibile o veramente locale, egli si attiene a quest'ultima sen- tenza. Dappoiché locale è l'operazione, locale la svol- ta affezione, locali le mutazioni che accadono nei diversi suoi stadi e locale la rigenerazione. Se vi sono sintomi di generale reazione, doversi tribuire alla flemmasia cutanea, o ai promossi consensi, piut- tostochè all'assorbimento della materia introdotta, ov- vero alla sua mescolanza co'fluidi animali. E con altre gravi sentenze si adopera a sventare tali pregiudizi: ed è perciò che facciam preghiera al coltissimo autore onde voglia rendere di pubblico diritto questa memoria. 5. Fegato di una vaccina con lobo soprannu- merario collocato nel torace. E osservazione del prof, dì zooiatria Tommaso Bonacciolì. Questo vi- scere, normale per la posizione, aveva un prolunga- mento che per un' apertura dell' aponevrosi del dia- framma si estendeva sopra la faccia anteriore del dia- framma stesso: il lobo era di figura ovale, largo un decimetro, due lungo, grosso tre centimetri: era vera produzione del fegato. La vaccina trova vasi nell'età del maggior vigore, robusta, e perfettamente sana. 6. Appendice ceca nel tenue intestino. Osser- vata dal medesimo in un bue sano. Esisteva circa la metà del digiuno: era pieno delle malerie solite a tro- varsi in quell'intestino: lungo tre decimetri e più: a- vea movimento vermicolare più pronto e deciso del resto del tubo intesi inalc. L'osservò aperto appena il basso ventre della bestia mattata. Memorie scientifiche 167 7. Mummia nell'utero. Giunta una vacca all'ot- tavo mese di pregnezza, ammalò di metrite da cui guari. Recò non poca maraviglia veder scomparsi i segni di gravidanza. Visse per cpuattr'anni in florida salute: uccisa, si trovò l'utero in istato normale, ed il cadavere del feto asciutto ed abbronzato come mummia. 8. Due feti morti e secchi nell addomine ed un terzo fatto scheletro nell'utero. Sezionando il detto zooiatro una pingue scrofa di 4- anni , riscon- trò due feti aridi locati sotto il rene destro in pros- simità della corrispondente ovaia. Nell'interno della matrice altro feto divenuto scheletro con le ossa spol- pate e prive di cartilagini e tegumenti naturalmen- te disposte. Questo fenomeno, come anche dice l'A., non è raro. 9. Febbre grave in una cavalla somigliante alla petecchiale dell uomo. Dopo aver sostenuto per vari giorni un esercizio smodato, questa cavalla gravemente infermò. » Prostrazione estrema di forze , inappetenza, orecchie e gambe fredde, occhi scintillan- ti e stupidi; pupilla dilatata ed insensibile: vasi del- la congiuntiva alquanto iniettati: respirazione: breve: bocca asciutta: pelle meno morbida del naturale e pe- lo qua lucido, colà fosco e sollevato: deiezioni alvi- ne scarse: polso cardiaco irregolare; quello delle ar- terie or piccolo e frequente, or tardo e vibrato, ora esilissimo ». Questi erano i sintomi della prima gior- nata che si mantennero più 0 meno intensi fino al ventunesimo dì. Si adoperarono salassi, catartici, be- vande nilro-stibiate e di lauro ceraso, clisteri emol- lienti e vescicanti. Dopo il ventesimo terzo giorno, tornati in isccna con maggiore allarme que' sintomi, i68 Scienze a questi si accompagnavano accessi frenetici, lingua nerastra, sussulti continui, disfagìa, irregolarità de'pol- si. Oltre a ciò molte piccole macchie nere somiglianti a petecchie umane mostraronsi sulla congiuntiva, sul- la pituitaria , nei bordi e nell'interno delle labbra , delia bocca e della vulva, e sulle superficie vescica- tonale del petto e delle cosce. Allora si praticarono due setoni al petto spalmati con unguento di can- taridi: nel 25.° giorno al furore subentrò il letargo, si estrasse due volte sangue, si fecer clistei, e si ammi- nistrò un purgante composto di aloe, cremor di tar- taro, e piccole dosi di digitale e di taxus bacchetta. D'indi in poi volse al meglio: al 3o.° giorno era sa- nata. Altro caso somigliante, benché meno grave, ri- corda il Bonaccioli. Saviamente quindi ci fa sapere esser tali cavalli appartenuti ad agricoltori che avean perduto buoi per carbonchio , e ci fa avvertiti non raramente trovarsi simili macchie nella superficie del- la cavità, nei visceri racchiusivi e nei vasi maggiori, quando dopo una febbre avente i caratteri della car- bonchiosa all'esterno non era apparso esantema com- burente di sorta. io. Grossa iperostosi negli antri della gana- scia anteriore. Un bue fu colpito da altro colle cor- na nel punto centrale della guancia destra. Non die- de indizio di malattia, tranne un mal' essere che si manifestava di tanto in tanto. Dappoi la pelle esul- cerò nel luogo offeso, tramandando scarsa quantità di pus fetido: la guancia era tumida e calda: stillicidio dalle nari: febbre leggiera: alito fetido, bocca ulcerata con molte ineguaglianze soprattutto nella destra parte della volta palatina: distrutta la gengiva dei 4 ulti- mi molari destri, i quali, tocchi appena, caddero. Uc- Memorie scientifiche 169 ciso il bue, la sezione mise allo scoperto un grand' ammasso irregolare di sostanza ossea che occupava il centro della ganascia maggiore: i tramezzi erano can- cellati, v Quel tumore osseo, che a prima giunta sem- brava porzione di encefalo passata a putrefazione , occupava eziandio molta parte della cavità nasale con distruzione dell' etmoide, del palatino, dei turbinati, estendendosi fin quasi nell'orbita dell' occhio corri- spondente «. Altra iperostosi semisferica era aderen- te alla mucosa che tapezza l'antro: la membrana pal- lida, consistente e di grossa tessitura. Macerati ed asciutti questi tumori, pesò il primo i3 libbre, l'ai— i tro due. Le lamine ossee tegumentali e palatine del- la mascella eran molto assottigliate. li. Fecondazioni straordinarie di vacche. Una die a luce quattro vitelli in due parti con circa rnezz' ora d'intervallo: una seconda 5, l'uno pochi minuti appresso l'altro: una terza presentò il caso singolare di un vitellino mostruoso mummia, tolto dalla vagi- na colla mano, al quale dopo 25 giorni succedette un parto naturale di un feto ben conformato e vi- goroso. 12. Perniciosi effetti prodotti dalla intempe- i stiva amministrazione del tartaro slibiato nei ca- valli. Assoggettati vari cavalli all'uso del tartaro sti- biato, morirono più 0 men presto con gravi dolori. La sezione de'cadaveri mostrò in tutti ernie negl'in- testini tenui, ed in taluni gl'intestini stessi forati. Il 1 cavallo non può vomitare per istruttura sua partico- lare. L'A. dice averne veduto il vomito per cause morbose, ed una volta anche per tartaro stibiato. Nel corso di sua pratica l'adoperò con successi felicissi- mi in alcune morbosità. Due cavalli ne sopportaro- 170 Scienze no impunemente una quantità straordinaria: ed uno in particolare affetto da gravissimo trombo, al quale vennero per errore amministrate in una sola volta sei once , dopo non lieve disturbo tornò alla pri- miera salute, ed il tumore quasi per lo intero sva- nì. Altro infermo per grave parafiinosi ne tollerò tre once, senza evidente sconcerto: anzi le orine, che a stento fluivano, si resero più spedite, e con inaspet- tata prontezza si dissipò la malattia. i3. Intorno alle gravi circostanze che accompa- gnarono la febbre aftosa de'' buoi della provincia di Ferrara. ( E inserita nel fase, io del giornale let- terario scientifico modenese 1840.) 14. Descrizione di un utero unicorne rinve- nuto in una a°nella di sei mesi. Eccone i carat- teri: « Posizione sulla linea media del tronco: figura di cono allungato colla sommità in alto e ricurva all'in- dietro: volume assai maggiore di quello di una me- tà di un utero normale d'individuo della stessa età: cavità unica: nessuna traccia di preesistita duplicità: ambe le ovaia e le tube: ambi iligamenti larghi: ana- logia colPutero della specie umana. » Il prof. Lio- nello Poletti vi fece alcune riflessioni : e qui ter- minano i molti ed interressanti lavori del sig. Bo- naccioli. i5. Dei vantaggi dell'atropa belladonna in di- Verse affezioni morbose. Il prof. Gregorio Bononi ci accerta in questa memoria, che non rade volte ce- de la uretritide, particolarmente se accompagnata da scolo gonorroico acuto, sotto l'uso delle frizioni del- l'estratto di belladonna unito col grasso suino ro- sato: e vide più pronto e decisivo il miglioramento, se innanzi a quelle frizioni praticava sul luogo una fo- Memorie scientifiche 171 mentazione fatta col decotto delle foglie o radici del- la stessa pianta (1). L'osservò opportunissimo nella periostite, nelle necrosi infiammatorie, nell'artitide , nelle affezioni reumatiche e nei cronici turgori emor- roidali. Tale utilità fu appiriscente, per la prontez- za con cui i mali procedevano al loro fine, per l'azio- ne sulla località e sul generale, minorando i sinto- mi di reazione, e per la leggiera dose che occorre- va porre in uso. Detto di un'ernia inguinale incarce- rata che guarì, passa ad esporre varie conchiusioni- 16. Storia di una frattura complicata della gamba con enorme stravaso. Lo spirito di questa memoria del dott. Bononi si fu di raccomaudare l'uso pratico del metodo controstimolante: consigliando non venire con troppa prontezza all'amputazione. 17. Della necessità di un codice in medicina. Bel tema trattato dal prof. Luigi Buzoni. È deside- rabile che questo codice si faccia. 18. Induzioni patologiche ed igieniche trat- te dalla fisiologia della traspirazione. Queste in- duzioni sono preziosissime per la patologia e per 1' igiene. E un degno lavoro del prof. Buzoni. 19. Della necessità di un linguaggio sciupìi* ce uniforme e legale nella denunzia delle ferite. L'argomento è ventilato con dottrina dal medesimo. Pare però non avere aggiunto felicemente lo scopo. 20. Della virtù della corteccia delV acacia virginalis di Pohl. La storia di questa pianta, dei suoi caratteri botanici, fisici e chimici, la esposizione (1) Il eh. signor dott. Francesco Valori ci accerta aver' egli sperimentato con successo tal maniera di medicare. 1^2 b C I E N Z E delle pretese azioni farmaceutiche, ed i modi di pre- scrizione, costituiscono i punti principali della pri- ma parte di questa memoria del dott. Alessandro Col- la. Nella seconda si riportano vari casi di metrorragia curati felicemente colla corteccia di acacia alla dose di una dramma, da somministrarsi in due o più gior- ni secondo la gravezza del morbo. 21. Del gabinetto di materia medica delV uni- versità ferrarese, della colutea arborescens, e del- la bignonia radicans americana. Il suddetto prof. Colla, autore della memoria, ha cooperato all'istitu- zione di quel gabinetto. Tributa egli lode al eh. monsig. Peruzzi, ai prof. Folchi, Crescimbeni, Giaco- mini ed altri, che arricchironlo di sostanze medicina- li. Il prof. Colla die a vedere non aver trasandato di studiare e fare sperimenti sulle specie meno cogni- te. Vide difatti dotate di azione purgativa le foglie della colutea arborescens : e le silique della bi- gnonia radicans utili contro la dispnea e V asma convulsivo 22. Sulla cultura de* medici. Non sembra mai abbastanza aver detto , inculcando questi principii : moltissimi medici antichi e recenti possono servire di ottimi esempi. E una memoria del medesimo profes. Colla. 23. Delle cause che possono accelerare la vecchiaia. Amò il prof. Giovanni Costa rinnovellar- ci alla mente quelle virtù, per le quali non solo si può prolungare la vita , ma renderla eziandio meno disagevole e dura : la moderazione sopra tutte. 24. DelV arte farmaceutica in generale. La farmacia ha progredito evidentemente, dappoiché trae i suoi sostegni dalle scienze chimiche e naturali. Ha Memorie scientifiche 17 3 progredito come arte , perchè i metodi di composi- zione sono d'assai perfezionati, e semplificati sono gì' istromenti d'analisi e di sintesi chimico-farmaceutica. Ha progredito come scienza, poiché ha principii che la sostengono, discipline che regolano le sue operazio- ni , leggi le quali altro non sono che 1' espressione dei risultati ottenuti col metodo sperimentale. Sull' utilità sua, sull'aiuto che presta alla medicina ed a varie arti, non è chi ne dubiti. Memoria del mede- simo. 25. Della febbre aftosa sporadica delVuomo. Lo stesso prof. Costa, parlando intorno ad alcun ej sin- golari malattie osservate in Ferrara nel i835, espo- neva come la febbre aftosa dominante epidemica nei fessipedi domestici erbivori ed omnivori si era pure manifestata, in modo però sporadico, nella specie uma- na; attaccando di frequente i bambini ed assai rara- mente gli adulti. Bei fatti per provare una verità non posta ancora in piena luce, esser cioè derivati a noi molti morbi dai bruti specialmente domestici. 26. Di una straordinaria affezione venerea curata col mercurio. 11 dott. Giuseppe Deworski, in una sua memoria diretta a convalidare 1' azione del mercurio nella sifilide, riporta un caso gravissimo, il quale mediante bagni e frizioni mercuriali alle cosce che si continuarono , benché si presentasse copiosa salivazione, guarì. 27. Delle principali classificazioni mineralo- giche. Il dott. Alessandro Pelisi, parlato delle classi- ficazioni mineralogiche di Hauy e di Berzelius, dice non potersi dare vero ordinamento in mineralogia se non si desume dall' insieme di molti caratteri come fece Blumembach. Si attenne egli ad un ordinamento 174 Scienze eclettico nel distribuire i molti pezzi, de'quali è com- posto il gabinetto mineralogico di Ferrara. 28. Caso di assoluta astinenza di un cavallo. Una lettera del sig. Fauvet riporta questo caso. Da un branco smarriti tre cavalli si credettero involati: dopo 20 giorni si avvertì il proprietario, che in un tugurio senlivasi molto fetore: atterralo l'uscio, si tro- varono i cadaveri di due cavalli, il terzo corse ad un fontanile, ove tanto bebbe quanto capir ne poteva il suo ventre. Cominciò quindi gradatamente a man- giare, finché tornò ad uno stalo di salute floridissi- mo. Col muoversi, forse i cavalli da loro slessi s'im- prigionarono : l'uscio era senza serratura, i cadaveri intatti. 29. Dell'importanza del fegato nelV umana economia. Il dott. Foschini rese questa memoria di pubblico diritto nel 1839. 30. Cenni sulla scoperta, uso ed utilità delV ascoltazione nella medicina pratica e nella chirur- gia. Discorse il dott. Girolamo Gambali l'utilità dello stetoscopio, in special modo di quello metallico perfe- zionato dal dottore Ulisse Breventani, e ne convalida l'uso con vari sperimenti inslituiti nell' ospedale ci- vile di Ferrara. 3i. Sul cholera morbus indiano. Non posso ac- consentire coli' opinione del sig. dott. Gambali , il quale dice esser miasmatico il contagio di questo mor- bo, ed esser trasferibile dall' un luogo all'altro per mez- zo dell'aria. Checché se ne dica, fa d'uopo ritener fermo, l'aria non esser veicolo del contagio cholerico, ma mezzo validissimo di distruzione: pel solo conlat- to comunicarsi da un individuo all'altro il cholera: 1 cordoni sanitari e gV isolamenti esser tornati utilis- simi. Me ne appello alla vera storia. Memorie scientifiche iy5 3a. Intorno la patologia dinamica. Ne mostra il dott. Gambari alcune utilità , ed accenna alcune cose che non le sembrano convenienti, 33. DelVuso delle polveri del Per etti nelle febbri consecutive alle cause tran orna tiche e alle grandi operazioni chirurgiche. Il medesimo trovò molto utile l'amministrazione di queste polveri. 34. Dei pericoli che incorrono coloro ai quali si radono i capelli durante malattie cerebrali. Il dott. Gio. Battista Grandi presenta in prima le sto- rie di due donne malate di tifo con prevalenza al cerebro, le quali essendo oltremodo infastidite da gran numero d'insetti sui capelli, se li raserò : sopraggiun- se però fiero dolor di testa, delirio, sopore e morte. La sezione mostrò il cervello e le meningi iniettate, e spandimento di siero. Ad una terza inferma per si- noco nella convalescenza apparvero flitteni al capo: si rase i capelli, ed egualmente funesto fu il fine. La sostanza midollare del cervello indurila ed iniettata, le meningi fra loro imbrigliate con false membrane, specialmente in vicinanza della gran falce : nelle pleu- re, negl'intestini e più ancora nel peritoneo una con- siderevole iniezione di vasi.. Ad un accattone di i3 anni di età, affetto da tigna umida, il taglio de'ca- pelli per poco non costò la vita. Ad un contadi- no di anni 5o cadde il cappello nell'acqua: per ricu- perarlo dovè tenere il capo esposto alla pioggia, e se lo ripose molle di acqua. Ne ammalò di sinoco-en- cefalite, del quale guarì. Essendo comparsi sul capo vari piccoli tumori flemmonosi, si tagliò i capelli : sopraggiunse eresipela flemmonoso alla faccia e par- te capillata, tremori, sussulti e singhiozzo : il sesto giorno morì come apoplelico. Non ebbe luogo la se- 176 Scienze zione del cadavere. L'A. dà belle spiegazioni del co- me vadano ad accadere talvolta funeste conseguenze dal taglio de'capelli, laddove altre volte non produ- ce alcuno sconcerto. 35. Storia di una perniciosa cholcrica. Il dott. Eliodoro Guitti curò con esito felice questa per- niciosa cholerica complicata con emalemesi. Ricorda ancora due altre perniciose chol eriche portate a gua- rigione coll'antiperiodico. 36. Della tosse convulsa epidemièo-contagio- sa che regnò in Ferrara negli anni 1827, 28 e 29. Menò strage in ispecial modo de' bambini e fan- ciulli. La malattia presentavasi con tosse secca ad intervalli, che crescendosi facea clangosa, ferina, con- tinua: in chi somigliava il canto del gallo, in chi il latrato. Ora preceduta da mal ferma salute, da inso- lita inquietezza, dall'abbandono de'fanciulleschi tra- stulli, da sospiri, da inappetenza: ora assaliva d'un tratto, cosicché al principio sembrava toccar l'apice. Nulla, o poca e tenace, la separazione del muco, feb- bre intermittente o sub-continua, oppure niuna rea- zione, affanno. Inoltre vomito, faccia rosso-livida, oc- chi gonfi o ingorgati di sangue , muscoli del collo contratti come d'uomo strozzato, epistassi, emorragie pulmonari, dolore di capo, ottusione di mente, tur- gore cerebrale, appoplesia, ernie intestinali, minaccia di soffocazione e soffocazione. Malattie secondarie di lento corso furono la leuco-flemmasia, l'idrotorace, la tisi. Gli antichi adoperarono una quantità enorme- mente varia di farmachi, per lo più opposti tra loro: ragione per cui non si potè stabilir la diatesi di tale epidemia. L'autore usò il tartaro emetico unito allo zucchero; così preponderando sintomi nervosi la tin- Memorie scientifiche xjj tura di belladonna; il salasso, se la febbre era ardita, o mostrato si fosse impegno al capo ovvero al petto; le frizioni stibiate quando la malattia trapassava lo stato acuto; il calomelano nella verminazione e gastricismo. Conchiude il eli, dott. Guitti esser la tosse convul- siva epidemico-contagiosa di natura infiammatoria con prevalente elemento nervoso, e l'azione del contagio, che la promoveva, irritante o stimolante come vogliasi. 3j. Intorno Varticolo diatesi del dizionario delle scienze mediche di Parigi. Lettera del prof. Giovanni Andrea Magri. Ecco al solilo i francesi, che tutto fanno e nulla sanno, non esser nemmen buoni ad illustrare i significati di una parola. 38. Sulla teoria della Jlogosi del prof. Gio- vanni Rasori. Non si fece il prof. Magri a rilevarne la giustezza o fragilità de'principii, ma sibbene a stabi- lire esser quest'opera di gran peso, né potersi abbattere che con altrettanti fatti, quanti ne espone l'autore; non già alla spicciolata e con sarcasmi contro il genio di un uomo che si distinse sopra tutti i medici d'Italia. 3a. Sugli empirici e sulV empirismo. Lo studio delle opere di Celso die motivo allo stesso prof. Magri di scrivere sei lettere intorno a quest' argomento per ammaestrare in ispecial modo la medica gioventù. 4o. Storia di un enorme tumore sul parietale destro. Un villico di anni 14, di cattiva costituzione fisica, fu colpito dalle corna di una vacca nel parietale destro. Non patì sul momento alterazione di sorta : dopo alcune settimane accusò un dolor fisso in quella regione che il costrinse a chieder soccorsi. Invano si adoperò cura antiilogistica generale e locale: la febbre si fece ardita, la vista si offuscò, e quindi si perdette: formicolio agli estremi inferiori che ne impedivano il G.A.T.LXXXVII. 12 178 Scienze moto, improvvise e gravi convulsioni epilettiche , che scomparvero quando rimase emiplegiaco in tutta la si- nistra parte del corpo, marasmo. Nel settimo mese com- parvero due tumori, che cresciuti di mole si uniron tra loro : tumore dolente in guisa da farlo sempre lamen- tare. Applicossi sopra il medesimo un empiastro risol- vente: non ostante l'infermo durò in quello stato lacri- mevole per più giorni. Recò maraviglia come incomin- ciasse a rincarnarsi, a rianimarsi il volto , a ricuperar le forze. L'amaurosi persisteva, il tumore ingrandiva , la sinistra metà del corpo era priva di moto: una sen- sazione di freddo intenso ora alla regione dorsale, ora a tutte le estremità, ed un senso come se egli fosse irresistibilmente tratto a cadere all'in giù. Inoltre feb- bre, veglia e contrazioni convulse dell'urto inferiore destro. Dopo vari opinamenti esposti da alcuni profes- sori consultati all'uopo, il prof. Malagò incise il tumo- re, dal quale sgorgò vivo sangue; impeditane l'ulteriore uscita, si medicò la ferita nel terzo giorno, e die mar- ce con odore di carie, senza stilla di sangue: non vi erano fungosità. L'infermo visse ancora io giorni, e fra indicibili angoscie spirò. Il tumore era totalmente celluioso, coperto da una membrana particolare liscia, trasparente ed avente forma di segmento di sfera: la faccia corrispondente al cranio concava. La cellulare disposta a laminette raggianti dalla superficie concava alla convessa: il tumore avea il vero aspetto di fungo, ed era zeppo di materia gelatinosa: aderiva al parietale destro che era forato a mò di cribro: ne era consunta la esterna lamina fin quasi ai margini ; l'interna nel centro e consumata la diploe. La dura madre imbri- gliata strettamente al tumore ed al cervello, contenen- do fra i vani dei punti così adesi non piccola quantità Memorie scientifiche iyg di siero .Nel lombo destro eravi un sacco ripieno di mar- ce : sfacciata e distrutta la parte media e posteriore del medesimo: i nervi ottici atrofizzati : le altre parti del cervello sì fattamente disorganizzate da non potersi de- scrivere. I visceri dell' addome e torace sanissimi. La teca ossea del cranio fu depositata nel gabinetto patolo- gico dell'università di Ferrara. 4-i. Intorno i climi fisici. Non conosconsi le al- tre maniere di climi : fu tema esposto dal prof. Anto- nio Neri. 42. Modificazioni della blouse di Paulin. Si deve al detto prof. Neri. Consiste nella collocazione della lanterna al di sopra del capo, con ebe si toglie la diretta comunicazione tra l'aria, che serve ad alimen- tare il lume, e quella della blouse-. va così meno sogget- ta alla rottura il cristallo e spandesi più luce. 43. Sul cholera morbus. 11 dott. Giuseppe Leo- nida Podrecca si mostra titubante sulla sua vera natu- ra contagiosa. 44- Sopra un carattere anormale offerto dal- la superficie interna dell' ' amili os umano. Descrive il prof. Lionello Poletti un uovo a due feti abortito da una donna fra il terzo e quarto mese di gravidanza. Riferisce come sulla faccia interna di ambedue gli am- nios, e soprattutto nel sinistro, avesse rinvenuto una materia omogenea di colore giallo ocraceo semi-fluida deposta qua e là o in grani, o in masse, oppure in astrati. Non la suppone ingenerata dopo morte: 1. per- chè l'amnios non era punto alterato : 2. perchè tale deposito non s' incontra in ova vicine a. putrefarsi, ed era minore sull'amnios del feto morto prima: 3. per- chè non si sarebbe limitato all'inviluppo, ma avrebbe investito l'individuo che contenea. Oltre a ciò la super- 180 Scienze ficie interna dell'amnios offriva qua e là filamenti bian- castri, sottili, terminati da un capolino alla membrana amniotica fortemente aderenti : erano eziandio elasti- ci. Nella seconda parte si fa a riflettere esser questa innormalità, condizione normale di alcuni bruti, come la pecora e la vacca a gravidanza inoltrata. E qui FA. espone alcune belle sperienze cbe gli meriteranno lo- de negli studi dell'embriogenesi. 45. Della formazione del vomere nella specie umana. Sottoponeva all'accademia e quindi descriveva il suddetto prof. Poletti una serie crescente di vomeri a diversi periodi di vita intra-uterina ed extra-uterina. Con accuratezza, cbe indarno si cercberebbe negli au- tori, ne seguiva lo svolgimento, ne divisava gli stadi, e di questi fissava le analogie con istati permanenti di animali inferiori. Riporta alcune belle osservazioni che la brevità prefissa toglie di accennare. 46. Sulla forza assimilatrice. Il medesimo prof. Poletti , prende le mosse dal considerare come le tentate applicazioni dell'influsso elettrico sulla cristal- lizzazione al solidifieamento ed ordinamento regolare de'materiali, onde vengono risarciti i tessuti organici e il potere discoperto nella pila di condensare i globuli di un liquido animale e disporli in fibre, siano nuovi passi verso il gran fine d'identificare i fenomeni della natura vivente a quelli dell inorganica, mirando a riu- nirvi eziandio l'atto ultimo della nutrizione. Stimava però prudente consiglio il conchiudere, non potersi an- cora propalare, a quella causa medesima, da cui ven- gono determinate le forme cristalline dei corpi mi- nerali, tutta doversi la plastica dei vivi. E così prose- gue ragionando con finissimo discernimento e giudizio. 47. Sopra un caso di fusione dei frontali coi Memorie scientifiche 181 parietali. Anomalia rinvenuta in un feto umano qua- drimestre. La fusione si estende a più che la metà in- feriore dei margini anteriori dei parietali e degli e- s terni coi frontali. Nel resto fra un margine e l'altro vedesi uno spazio lineare verticale. Anche questo è lavoro del eh. Poletti, che arricchì questo giornale di sue dotte produzioni. 48. Sullo studio della natura nei reattivi chi- mici. Il chimico-farmacista Filippo Rivani, considerata la chimica nelle affinità che ha colle altre scienze , dis- se la sintesi e l'analisi esser di molto ed esteso giova- mento nelle disamine chimiche. L'uso dei reattivi in- correre in una difficoltà: ed è, che sebbene essi indi- chino ora le terre alcaline e metalliche, ora gli acidi o altri principii, non vi conducono a determinare a quale degli acidi l'ima o l'altra base si appartenga. A questo inconveniente rimedia la dottrina delle affinità, che fu paragonata alla bussola de'navigatori. Con ciò apparisce il bisogno di conoscere la natura dei corpi e le affinità che ne governano i loro vari stati, ed il modo di essere prima di approfondire le analisi per mezzo dei reattivi. 49. Sulla natura delle febbri intermittenti che regnarono in Ferrara nella primavera dell'anno i836. Le trattò il dott. Francesco Trevisiani col sa- lasso e coi deprimenti : le credè d'indole infiamma- toria. Non saprebbesi acconsentire generalmente a tali massime. 50. Sopra un caso di delirium tremens. Eb- be origine dal vapore dei liquori spiritosi, che l'in- fermo preparava : l'accesso fu dei più terribili. Il sud- detto Trevisani fece istituire replicati salassi dal brac- cio, applicazione di sanguisughe e ghiaccio al verti- idi Scienze ce: amministrò acqua di lauro ceraso, drastici e be- vande nitrate, e così l'infermo ricuperò la salute. 5i. DelV insegnamento della patologia gene- rale. Il dott. Luigi Bosi presenta un ben inteso qua- dro di patologia : inculca che i giovani s'istruiscano dei principii dell'arte e del valore del linguaggio me- dico : che si educhino i loro intelletti a ben osser- vare, a ben esperimentare ed a ben usare della ra- gione critica delle cose. Alla storia appartenersi la cognizione dei sistemi e delle opinioni che formano oggi la parte principale dello studio della patologia, ed intorno alle quali non dibattersi quistioni che per farne spiccare alcuna prediletta. De'quali ragionamenti e di altri assai gravi splende questa memoria. 52. Necessità di una semiologia illustrata dallo stato attuale della medicina. Dimostra il me- desimo quanto siano poche e meschine le cognizioni di semiologia che noi abbiamo , portando acuta di- samina sulle moderne ed antiche opere. Unisce il suo voto a quello del dott. Giulio Covoni, che nel Raccoglitore medico di Fano, tomo i, p. 33, dimo- strò la necessità in che sono i medici di una l'agio- nata semiotica , e come debba esser questa giovata dalla patologia , dalla fisiologia , eziologia , anatomia patologica ed altre scienze affini. 53. Delle naturali cagioni che ritardano e ritardar possono il naturale progredimento della scienza medica. Si mostrano dal dott. Bosi le ca- gioni del ritardo nel progresso della scienza medica: le quali, sebben vere, non sono si facilmente supera- bili. E con questa memoria si dà fìsse all'opuscolo , ■che è stato compilato con molta dottrina e sagacia dal dott. Luigi Bosi segretario dell'accademia. Gli altrui Memorie scientifiche i83 pensamenti intorno ai vari rami dello scibile sono sta- ti trattati con molla verità: lo che ha reso più agevole lo esporre con molta brevità le cose stesse: e il dico a laude del signor Bosi. Questo secondo estratto sarà l'ultimo : mentre i processi delle ulteriori sedule verranno periodica- mente pubblicati dal bulletlino delle scienze medi- che della società di Bologna : la qual cosa mentre arricchisce (se non errassi) la già doviziosa accademia bolognese, mostra rattiepiditi gli animi de'ferraresi. Enrico Castreca Brunetti. i84 LETTERATURA Intorno ad alcune iscrizioni, e ad una poesia inedi- ta del Marcelli. Lettera alla eccellenza di mon- signor Carlo Emmanuele Muzzarelli uditore della sacra romana rota. Monsignore veneratissimo JLJl luce della rivelazione morcelliana, per usar le parole di Pietro Giordani , cominciò a spandersi dalla città di Fermo per Italia tutta non meno, che per le straniere nazioni : perchè avendo essa città avuto per buona ventura nell'anno 1764 Stefano An- tonio Morcelli a pubblico insegnatore di rettorica nel collegio gesuitico (1), zelantissimo com'era della in- (i) 11 eh. Labus (Gior. arcad. voi. digeriti. 1821) afferma essere stato officio del Morcclli insegnar grammatica nel collegio gesui- tico di Fermo. Tuttavolta però dai due saggi intitolati AgonFir- manus degli anni 1^65 e 1766 apparisce chiaramente ch'egli det- tava le lezioni di rettorica.il che si conferma ancora dal fu mon- signor Giuseppe Baraldi nella sua Notizia biografica del Morcel- li, il quale dice di aver ciò ricavato da alcune sue lettere scrit- te al cugino Francesco. Iscrizioni del Morcelli i85 contaminata latinità, dettava egli due anni dopo ai suoi discepoli un comentario di latine iscrizioni, con che veniva già preparando quegli aurei suoi precetti del bene scrivere in epigrafia. E saviamente l'erudito avv. G. Fracassetti, annunziando a V. E. con lette- ra del 27 marzo i835 il trovamento in Fermo del manoscritto di quel comentario, opinò (1) contenersi in esso la primissima idea, e quasi l'archetipo della grand'opera De stilo inscriptionum pubblicata dal Morcelli nel 1781. E sebbene il dottissimo cavalier Giovanni Labus nella necrologia del Morcelli (2) af- fermi, che dopo l'anno 1773, essendogli stata data in cura dal cardinale Alessandro Albani la sua splen- dida biblioteca, immaginasse 1' opera suddetta, pure mediante quel bellissimo comentario , chiaro appari- sce essere stata concepita molti anni innanzi. IN è le sole regole con che rettamente comporre in epigra- fia ei dettava, ma non poche iscrizioni ancora dona- va a'suoi scolari tutte elegantissime, come appare da- gli esperimenti scolastici o saggi, che chiamava jdgon Firmanns: ne'quali si legge che insegnava De stilo lapidario vetere, e faceva anche recitare le iscrizio- ni In urbem et monumenta firmano- ^ che furono da- te in luce prima dello stesso avvocato Fracassetti e poscia da Michele Ferrucci ; come altresì quelle pel cardinalato dell'arcivescovo Paracciani (3); iscrizioni (1) Giorn. Arcad. voi. di aprile e maggio i834 e i835. (2) Ivi voi. di gennaio 1821. (3) Nel voi. di dicembre 1822 dello stesso giornale si riferi- scono nove iscrizioni in lode di Fermo, pubblicate poi dal Fer- rucci nel 1823 in Modena pe' tipi Soliani. Nell'arcadico, marzo i823, leggonsi quelle pel cardinalato del Paracciani. 186 Letteratura che non si leggono nelle opere del Morcelli pubbli- cate in Roma e poscia in Padova. Altre però ve n'erano egualmente inedite e sco- nosciute in Fermo; imperocché frugando io non ha guari fra le vetuste carte di mia famiglia, ove si con- servano alcuni autografi di mio zio stato scolare del Morcelli nel 1766, ed essendomi anche venuto fatto d'avere un manipolo d' iscrizioni di altro scolare di quella cima d'ingegno, ne trovai alcune inedite , ed altre con varianti, benché già stampate (1). Ho per- ciò divisato di offerirle all' E. V. come a caldissimo zelatore di ogni generazione di studi: intendendo in tal modo recare un qualche servigio a tutti, che si conoscono di tal fatta scritture : poiché il gran Mor- celli è universalmente celebrato qual principe de'la- tinisti di questa età, e creatore immortale della scien- za epigrafica. E, come dimostrò il celebre professore Schiassi nel suo lessico morcelliano , ogni iscrizione (1) Non solo iscrizioni temporanee dettò il Morcelli in Fer- mo, ma se ne trovan diverse incise ne'marmi; frale qualison de- gne di ricordo quella sullo stradone che conduce alla chiesa me- tropolitana di questa città; l'altra pel cardinale Stefano Borgia, e la terza che fu composta per ricordare le nozze della contessa Chiara Spinucci col principe Saverio di Sassonia. Lesse al- tresì il Morcelli varie dissertazioni in questa accademia degli er- ranti: tre delle quali furono già pubblicate. La prima versa Sul- lo studio delle antiche monete (Milano 1829, Bonfanti; pubblica- ta per cura del cav. Labus: la seconda : Dell' arte critica diplo- matica (Memorie di religione, di morale e di letteratura., giornale di Modena) pubblicata per cura dell'esimio conte A. Evangelista: e l'ultima: Delle arti e delle lettere degV italiani prima della fon- dazione di Roma pubblicata da Michele Ferrucci in Modena nel 1820, tip. Solia.ii, e poscia riprodotta ucl giornale di detta cit- tà toni. IP, pag. 4o3 e seg. Iscrizioni del Morcelli 187 formata secondo i precetti di quel grande maestro, cum optimis certare debet. Oltre alle iscrizioni , monsignore illustrissimo , tengo anche una poesia del Morcelli tutta scritta di mano sua, e inedita per quanto io mi sappia (1); e questa pure mi è dolce di presentarle. Tali esametri, tutto fiore di lingua e di eleganza, furono da lui det- tati allorquando l'arcivescovo Paracciani nel 1766 venne decorato della romana porpora. Accolga, monsignore veneratissimo, questo segno della sincera mia stima per isdebitarmi almeno in par- te delle cortesie di che ella mi onorò nell'ultima mia dimora in codesta metropoli: e con riverente animo me le inchino. Di Fermo 3o luglio 1840. Umo devmo obb. ser. Avv. Gaetano De-Mimcis. (1) Si crede inedita questa poesia, poiché nella raccolta del- le poesie latine, che col titolo Stepìi. Anton. Morcelli electorum libri II fu stampato nel 1818 in Padova nella tipografia della minerva per cura del retore Andrea Andrei, non si trova. Fircnanis adolescentibus sacra sollemnia obeuntibus apud coli. soc. Ies. anno MD . GC . LXVL Jediculam ingredientibuSi I. Mariae . Sanctae Virgini . Dei . Parenti Sollemnia IL In ipsa aedicula. Mariae Magnae . Dei . Matri Hieronymus . Et . Antonius Fratres . Matteucci IH. Mariae Virgini . Optimae . Maximae Philippus . Et . Michael Fratres . Catalani IV. Mariae Reginae . Regum Filiorum . Regum Paullus . Et . Iosephus Fratres . Guerrieri Iscrizioni del Morcelu 189 V. Mariae Augustae . Luci Orbis . Terrarum Iosephus . Et . Octavius Fratres . Falconi VI. Mariae Paciferae . Adiutrici Franciscus . Martellus Ignatius . Montanus VII. Mariae Matri . Christianorum Ioannes . Francolinus Ignatius . Garullus VIII. Mariae Custodi . Iuventutis Eugenius . Savinus Franciscus . Guerrierus 190 Letteratura IX. Mariae Sospitae . Tutelari Hieronymus . Moricius Vincentius . Paccaronus X. Mariae Munificae . Opiferae Àntonius . Gratianus Philippus . Riccius XI. Mariae Clementi . Exoratae Iosephus . Riccius Philippus . Vitalis Kotum. Mariae Virgini . Dei . Parenti Et Aloisio . Gonzagae Optano . Patrono Hieronymus . Matteuccius Firmanus IsfcRIZIONI DEL MORCELLI igl Triennium . In . Ludo Rhetorico Ex . Sententia . Versatus Votum . Merito Anno MDGCLXVI Donum. Senatus . Firmanus Inopia . Frugum . Sublata Coronam . Auream Ex . Pecunia . Publica Mariae . Adiutrici Donum . Posuit Anno . M.D. C, C . LXVI Agon Firmanus Apud Coli. Soc. Ics. anno M.D .C.C .LXVL Urbano . Paracciano Archiepiscopo . Et . Princ . Firman. Ioan . Baptista . Aragonio Praei'ecto . Urbis limi . Viris . Civilibus III . Viris . Aerariis Agonem Adspectu . Suo . Decorantibus iga Letteratura Adolescentes . Rethorici De . Laboribus . Suis . Laeti Exultant . Gestiunt E' stampata nell' Agon Firmanus del 1766. Nuncupatio libelli philosophici. Urbano . Paracciano Arcbiepiscopo . Et . Principi . Firman. Philosoplricam . Disputationem Illustri . Grada . Excipienti Theodorus , Ercolanus Disceptaturus Apud . Coli . Soc . Jes. L . M . D . Urbano . Paracciano Cardinali . Archiepiscopo Purpureum . Pileura In . Tempio . Maximo Rite . Tollenti Firmanum Canonicorum » Collegiura Principi . Suo Fausta . Omnia Precatur Iscrizioni del Morcelli ig3 Gratulatio. Urbano . Paracciano Archiepiscopo . Ex . Principi . Optimo In . Amplissimum . Cardinalium . Collegium Cooptato Senatus . Populus . Que . Firraanus Voti . Compotes Gratulantur Granarioduni in agro firmano. Cyro . Leto Antistiti . Munificentissimo Quod . Cives . Consiliis . Exemplis Opibus . Iuverit Templum . Sibi . Commissum . P . S . Amplificaverit Aras . Ornaverit . Sacrarium . Locupletaverit Patrimonii . Bene . Collocane!! . Documenta . Dederit Ex . Decreto . Pontificis (*) (¥) Di Ciro Leti nell'opera Inserì pt, corti, sub., ediz. pat. p. ioo, si ha una iscrizione mortuaria dello stesso Morcelli ordinala dal card. Paracciani arciv. di Fermo. G.A.T.LXXXV1I. i3 x94 Letteratur a. Epitaphium. Sacerdotibus Magnae . Animae . Prodigis Quos . Aegrorum . Saluti Ultro . Intentos Vis . Pestis . Absumpsit Polyandrion Epitaphium. Septiraio . Et . Lucillae Filiolis . Mellitis Quos . Malae . Pustulae Peremerunt Aurelius . Et . Claudia . Finii Valete . Animae . Carissima^ Monumentimi fwtum prò antiquo. Genio (*) Socratis . Plnlosophiae Parentis Quem . Apollo Omnium . Mortalium Sapienti ssimum Iudicavit n V. Morcelli, De stil. iuscnpt., ed. pat. Il, pag. 53o e 5cg. Sui geni- Iscrizioni del Morcbllt ig5 Epitaphium. D. M. Socratis . Philosophorum Principis Quem . Atlienienses . Incolumem Oderant Sublatum . Requirunt Plato . Aristonis Civi . Et . Magistro . Suo Quod . M . Pinarius . M . F . Laenas Gravem . Contumeliam . In . Patrem Iecerit . Ob . Eam . Rem . limi . Viri Civiles . M . Pinarium . M . F . Laenatem Urbe . Domo . Congressu . Aequalium Prohibitum . Ad . Calendas . Ianuarias Extorrem . Esse . Iubent Pons. L . Aurelius . Capito Faciundum . Redemit limi . Viri . Civiles Probaverunt J96 Letteratura Fons. C . Furius . Baculus A . Velino . In » Urbem Perfosso . Monte Substructis . Fornicibus Derivavit Monumentimi. M . Valerio . Maximo Diclatori Etruria . Pacata Seditionibus . Arretinorum . Compositis Licinio . Genere . Cnm . Plebe In . Gra tiara . Reducto S . P . Q . R. Le seguenti due iscrizioni sono tratte dallo stes- so autografo , ma non è certo se sieno del Morcelli. Titulus imperatoria, Laudonio . Imp, Bello . M . Theresiae . Aug . Auspiciis Suscepto Friderici . Borussiae . Regis . Impetu Retardato Iscrizioni del Morcelu 197 Scevenitio . Nocturna . Aggressione Capto Germaniae . Urbes Conservatori . Suo Civi Ragù sino. Traiano . Iacobi . F . Laliko Cora . S . R . I Civi . Optimo . Et . De . R . P . Optime . Merito Quod Cives . Suos . In . Summa . Cantate . Annonae Frumento . Suppeditato . Levaverit Ex . S . C. A . M . I) . C . C . LXIV De Urbano Paracciano cardinali amplissimo cum primum in purpura conspiciendum se dedita Iiexametri. Aspice, sidonio dudum qui clarus in ostro Par decori ipse suo graditur; tamen omnibus idem, Qui fuit, officioque animoque: hic scilicet ille est Urbanus, sancto quem nuper romulidarum Concilio inseruit Clemens ; quo principe Firmum, Maxima quo plaudat sibi Roma. An cernis euntem Virtutum quantus sequitur chorus ? ipsa sed agmen Ducit ovans Astraea: ipsa nani purpura parta est lusdtia, haud uuquam argento venalis et auro. 1766. 198 Apocalisse di s. Giovanni Evangelista recata, in versi italiani da Agostino Pcruzzi, canonico arciprete della metropolitana di Ferrara. Edi- zione seconda corretta dell'autore, adorna del testo a fronte e di nuove e pia ampie anno- tazioni. Ferrara tipi Negri alla Pace i6"4oj 8. pag. 216. Mi Lirabile tra i libri divini mi è parso sempre que- sto dell'Apocalisse. Anche Dionigi areopagita, co- mechè lo noti d'oscuro ( io direi misterioso ) , ne fa le maraviglie. S. Girolamo poi ( giudice competen- te ) lo dice libero sopra ogni lode, e tale che ogni parola comprende sensi e maraviglie innumerevoli , chi sappia trovarle. Che dire degli stolti, i quali dannando ogni cosa che non intendono, si argomen- tano in questo libro, certamente divino , non esse- re né senso né ragione ? Quello che disse il poeta: Non ragioniam di lor; ma guarda e passa. Non che tutto per entro sia luce, che luca a bas- se menti : e chi degli umani potrebbe fissare il so- le ? E pure ogni occhio sicuro mira a suo agio le stelle , che smaltano il firmamento ! La troppa lu- ce di quella ci abbaglia; la meno di queste ci rassi- cura. Ma tra le stelle ed il sole qual mai confron- to ! Quegli che disse: « Io son chi sono: » quegli che nominar non dovremmo senza umiliarci col cuore Apocalisse ino e colla persona, l'eterno Iddio, non nelle stelle, ma nel sole pose il suo tabernacolo; benché, come av- visa il poeta ( che meglio tiene dall'estatico di Patmos ), La gloria di Colui, che tutto muove, Per l'universo penetra, e risplende In una parte più e meno altrove ! Tra gli altri libri della scrittura e V Apocalis- se sarebbe mai la proporzione che è tra le stelle ed il sole ? Non è da me risolvere questo dubbio ono- revole per la più alta delle visioni ; bensì parmi da osservare, che la stessa maggiore oscurità dell'Apo- calisse è segno che è più misterioso; quando ai co- rintii scriveva l'apostolo: « Loquimur Dei sapien- tiam in mysterio> quae ab scondita est. » Per questo mi parve più sopra dar titolo di misterioso al libro che va sugli altri come aquila, e fu dettato da ta- le , che fu veramente tra discepoli quasi la pupilla di Gesù Cristo. Dante solo finora avrebbe potuto far nostro que- sto , che dir si potrebbe il miracolo de' libri santi. Ma dopo Dante chi vale ? Il Tasso forse ; se non che le Sette giornate non valgono un canto dell' Alighieri ! Ne già mi si apponga a irriverenza ver- so i poeti nostri il libero sentenziare: io sono fran- co e sincero, e dirò colle parole dei Venosino: « et liane veniam petimusque damusque vicissim. » Del resto il secolo passato potè gloriarsi della parifrasi di questo misterioso libro di san Giovanni aoo Letteratura fatta in versi italiani dal bolognese Flaminio Scar~ selli , degna di venire al cospetto di quei fiore di sapienza, che fu Benedetto XIV', degnissima di es- sere accolta nella sene de'testi di lingua italiana dal eh. Bartolomeo Gamba, e nel parnaso straniero tra le poesie scritturali per cura dell' Antonelli , fortu- natissimo de' tipografi a questa età ! Il secolo nostro all'incontro può essere superbo di quattro versioni: quella anteriore alla altre di mon- signor Peruzzi (di cui toccai a' i5 maggio 1836 nel giornale di Modena intitolato 1' Amico della gioventù tom. XV, num. 89 , pag. 52. e segg. ; poscia a'3o marzo 1837 annunziandone la prima edi- zione nell'Arcadico voi. 172, pag. 347 e seg.) in terza rima: quella di Felice Bisazza ( della quale toccò pure V Amico della gioventù nel precedente suo num. 77 a Pag- i55 e seg. ) in versi sciolti : l'altra del Perez ( uscita a Palermo del i836 ) in quarta rima: e l'altra finalmente del Mancini ( usci- ta a Siena del 1 838 ) in terza rima. Questo me- tro io preferisco, e me ne appello all' Alighieri. Quan- to poi al merito delle quattro versioni, rimetterò la decisione a più sincero giudizio; onde altro non mi rimproveri come già Apelle il calzolaio. Solamente parmi accennare ai benevoli, che leggeranno questo articolo, che se amano vedere almeno il capo VI di ciascun traduttore e ciò che bisogna a potere sen- tenziare, veggano L'Imparziale, foglio periodico di scienze, lettere ed arti che esce quasi nel centro del- la Romagna, e precisamente in Faenza ( Num. 5, 8, 9 ei 11 del 1840). In quanto a me non pos- so non ringraziare monsignor Peruzzi , che aman- domi di molto amore e stimandomi colla misura del Apocalisse 201 cuore , mi fece degno fino dal 1826 di leggere ad uno ad uno i canti dell'Apocalisse da lui tradotti , e di notarne le bellezze molte , e quelli che a lui parevano difetti, ed a me erano nei discernibili ap- pena in tanta luce della versione: la quale fu da lui incominciata fino dal 18 15, e da' censori appro- vata poi per la stampa del 1 836 la prima volta. Deg- gio ringraziarlo altresì che a' miei conforti si lasciò indurre a dar fuori la lunga e degna fatica: e mi è bello rammentare, che io primo ottenni da lui ( che nulla mi sa niegare ) quel saggio offertone neWA- mico della gioventù , cui altro ne seguì nelle Poe- sie scelte- date dal prof. Sdorata in Bologna, even- ne poi la edizione ferrarese del 1837 di tutta quan- ta l'Apocalisse. Dicevo allora nell' Amico della gio- venta'. « Vi ha un genere di poesia che mai non in- vecchia: e si è quella divina de'sacri libri , tra'qua- li è una vera maraviglia il libro dell'Apocalisse. Da simil fonte, e non d'altronde, trasse il sommo poe- ta italiano, Dante Alighieri > ciò che lo fa singola- re da tutti gli altri poeti antichi e nuovi : ciò che lo fa essere il poeta sovrano non pure dell'Italia no- stra, ma di tutto il mondo: non pure di una età , ma di tutti i secoli. A conservare questo vanto, che è bellissimo di tutti , ci giova studiare nelle carte del sommo nostro poeta; ma più giova studiare in quelle, ond'egli tolse virtù da volare sopra gli altri come aquila: dico nelle sacre carte, miniera inesau- sta del sublime e del bello universale. » Ho ripor- tato queste mie parole, non perchè mi piaccia ripe- termi; ma perchè quelle furono esordio a lodare il saggio offerto prima, come ho accennato, della ver- sione in isciolti del Bisazza, giovane di altri spiri- aoa Letteratura ti e di belle speranze. E questa lode di poetico ar- dimento mi piace rinnovargli colle parole di un nu- me al figliuolo d'Enea, generosa progenie: - Macte ani- mo - sic itur ad astra ! - Ma questa lode al giovine siciliano signor Bi-* sazza non dee detrarre a quella maggiore dovuta al senno maturo di un Nestore de'letterati, monsignor Peruzzi : come il valore del giovine Darete non dovea strappare le sudate corone dal capo del vec- chio Entello. Qui trattasi di una versione di libro eminentemente inspirato , dove più che mai la let- tera uccide e lo spirito vivifica; dove ogni verbosità frugoniana è peccato, ogni parsimonia dantesca è vir- tù; dove al concetto dee servire in tutto la parola, non alla parola il concetto; dove lo studio profon- do de'sacri libri dee guidare la penna del tradutto- re. E per questi speciali requisiti del volgarizzamen- to, massime del libro arcano dell'estatico di Patmos, niuno meglio di monsignor Peruzzi poteva promet- tersi la palma incontro al Bisazza: il quale dal Pe- rez mi pare talvolta pur vinto, senza che venga per- ciò meno la stima debita a monsignor Mancini. Ed a chi ama i confronti, pur sempre odiosi , potrei indicare le carte dell' Imparziale , che per tut- to il cap. VI dell'Apocalisse, siccome ho detto, po- se quasi alla prova in campo glorioso i quattro insi- gni volgarizzatori , de'quali la mente si è volta a renderne sulle orme di Dante tra i libri divini il più mirabile: ciò che fa onore eziandio al nostro secolo, non invano innamorato del sublime cantore de'tre regni: il cui volo pur vince ogni altro volo, che sia non più che di terrene incerte penne ! Ma perchè non mi è piaciuto mai farmi ere- Apocalisse 2o3 dere sulla parola ( come sanno quegli amorevoli, che da quattro lustri non isdegnano le povere mie note): e perchè potrei io stesso, siccome uomo, ingannar- mi; nò voglio che il mio inganno pregiudichi comun- que alle lettere ( che io amo quanto il vero ed il hello ): ecco, mi risolvo di raffrontare i quattro vol- garizzatori in quel tratto divino del cap. VI, dove è descritto il terremoto con tanta evidenza, con tan- ta forza, da disgradarne e SU io Italico (lib. 6 ) , e Seneca il tragico ( in Troade act. II, i ) ; e qual altro scrittore del Lazio , ancora più degno , che quel terribile fenomeno tolto avesse a descri- vere. ( PERUZZI ) Cap. Vl^vers. 12 Edizione del 1840, del testo fino alfine. tip. Negri. Ferrara. Tremò il mondo allo scior del sesto (1), e 'n bruna Gramaglia il sole si converse tutto, Tutta di sangue rosseggiò la luna. Nudo di stelle il ciel comparve in lutto, Qual dalla furia d'aquilon trovolto Perde il fico ogni onor di fronda e frutto. Sparve,, come volume in se l'involto Il cielo, e andò con orrido fracasso Ogn'isola, ogni monte capovolto. Schiavi, liberi, re, superbo e basso Vulgo, e duci, e guerrir che 'n terra sono, Volser fuggendo a'monti e agli antri il passo. (t) Suggello. 2o4 Letteratura Su noi cadete, udiansi in flebil suono Dir, ci ascondete dell'aspetto a'iampi Del divo agnello e del seggente in trono. Dell'ira loro è il d'i! Ahi! Chi ne campi? Prego il lettore a porsi dinanzi gli occhi il te- sto, e vegga la versione italiana, e pensi i miei dub- bi, che non sono che dubbi a più sicuro giudizio! Non è qui il magnus del vers. 12, e non è be- ne espresso il cader delle stelle dal cielo sopra la. terra del vers. i3. Al motae del vers. 14 non cor- risponde il capovolto', potendo monti ed isole esser mossi di luogo senza essere capovolti. Meno evidente nella versione torna quel vivo e vero: Absconderunt se in speluncis et in petris montium: del qual ver- bo absconderunt tanto si piace l'apostolo, che ripe- ter fa nel susseguente vers. 16 ai tremebondi: Abscon- dite nos a facie sedentis; apostrofando monti e spe- lonche. A proposito di che par meno la bellezza del Volgare, che dice parafrasando: Ci assondete delVa- spetto a'iampi - Del divo agnello e del seggente in tro?io: - dove il testo dice: « A facie sedentis super thronum, et ab ira Agni. » Sarei stato qui coscen- zioso dell'ordine stesso delle parole divine; tutto che una libertà onesta nelle traduzioni non mi dispiaccia, come altrove ho più volte manifestato in queste car- te. Del resto io sono, mi accorgo, troppo esigente: e voglio essere creduto allora soltanto che fo plauso al- la brevità, alla forza, alla verità, che regnano in ge- nerale nel volgarizzamento di monsignor Peruzzi , degnissimo di ogni onore. Lo stesso vincolo della ri- ma può tarpar qualche ala all'ingegno, o ritenerla, per dir più vero. Ma vediamo come sciolto da quel via- Apocalisse 2o5 colo abbia saputo alzarsi il Bisazzal Egli, libero da pastoie, poteva toccare più là che le stelle ! (BISAZZA) E come si dischiuse il suggel sesto, La terra si crollò fuor dell'usato, E il biondo capo doloroso il sole Scolorò di ferrigno al par di vile Cinereo sacco di Cilicia, e apparve Suffusa di sanguigno in ciel la luna. E del cielo le tremule fiammelle Si riversaron giù per l'arsa terra, Come d'albero levansi le foglie Quando un gran vento le affatica intorno! E il ciel recesse qual rivolto libro, E le vitree isolette e le montagne Dalle tacite lor sedi fur mosse. E quei che stringon la corona al capo Ed i prenci, e i tribuni, e i ricchi e i servi Riparar tutte alle petrose bocche De'cavi spechi. Ed alle aeree rupi Ed ai monti, che siedono alle valli, Gridavano così: Su noi cadete, Dai volto difendeteci di lui Che calca il trono, e delfagnel dalVira. Perchè in terra disceso è il dì tremendo Del divino furor: chi fia che regga? Così il Bisazza nel giovanile suo volo ! Ed io, seguendo il mio modo semplice e piano, noterò qui e qua ciò che mi parrà da notare allo specchio dell' ordine e della ragione, rinnovando pur sempre veri »o6 Letteratura sensi di stima a quel novello ingegno della fiorita Sicilia. Al vers. 12, doloroso è equivoco se pertenga a capo, o vero a sole. Ferrigno e sanguigno fan- no rima in versi non rimati: il che sta bene come l'elmo e la spada ai non guerrieri. Al vers. i3, stellae de cacio ceciderunt: le tre- mule fiammelle del cielo si riversarono. Secondo il mio debole sentire qui dovea dirsi propriamente stel- le, cioè i corpi splendenti delle stelle ; non le tre- mule fiammelle soltanto, cioè le loro apparenze o qua- lità. Del cielo, genitivo, non rende quel de cacio del testo, il quale oh quanto fa evidente il cecide- runt tanto proprio, che è peccato mutarlo! Passando ad altro , ficus emittit grossos suos particolarizza l'estatico, e generalizza il traduttore a discapito dell' evidenza, e della forza altresì. Al vers. 14, vitree e tacite qui sono epiteti tol- ti manifestamente al fondaco del Frugoni, buon ani- ma. Se il Bisazza rendesse Ovidio, gli si potrebbe perdonare la profusione, la ridondanza; ma qui ogni apice aggiunto toglie al sublime, che vuole brevilo- quenza. Nò alia grave matrona si addicono nastri, fet- tucce e fiori come alla svenevole donzella. Al i5, Quei che stringon la corona al capo sono i re dunque, va bene! ma perchè circonlocuzione ovidiana? E poi: a'poeti ancora ed a' guerrieri sta bene la corona. La parola re qui vale una gemma prezio- sa: né mille pietruzze volgono una tal gemma! Pas- siamo oltre: In speluncis et petris absconderunt se, dice il sacro testo: il quale, ancora per esser sacro, meno vuoisi mutare. E il Bisazza: Riparar tutti al- le petrose bocche - De? cavi spechi ... E perchè piut- Apocalisse 507 tosto non dire: S'ascoser tutti in le petrose tane: e ad ogni modo non mai alle bocche, ma nell'interno delle spelonche ? E qui ancora il volgarizzamento ha troppe fronde, e vide l'ombra del Frugoni, e Dan- te freme ! Al i5 e 16, ab scondite ed absconderunt vo- gliono tali e quali essere conservati nella versione , chi intende il sublime; che non invano è da credere li ripetesse l'estatico, che trovata un'idea, la vagheg- gia, se serve ad incarnare il suo concetto. Ma proce- diamo: Che calca il trono e delV agnel dalV ira. Questo verso correggerebbe Quintilio, o m'inganno. Il vers. 1 7 degno è palesemente dell'estatico ; quel- lo del traduttore è così fiacco, che a pena lo diresti uscito dalla fervida vena del Bisazza, al quale non può negarsi il fuoco od estro della terra natale. Se egli potesse udirmi: e le mie parole giungessero a pie- di dell'Etna, gli direi: tornasse sul suo lavoro , to- gliesse il troppo che nuoce, riducesse la sua Apocalis- se a brevità ragionevole, e tutta la componesse (quan- to è possibile) allo specchio del divino originale. E da siffatte parole non vorrei già che prendesse a sconfi- dare di se: voli, sì voli; a questo è nato; ma come Dedalo, non come Icaro l'ardimentoso. Né vorrei pure sospettasse in me altro sentimento da quello del ve- ro e del bello. Io lo stimo assai: e appunto perchè lo 6timo, e in lui traveggo una gloria d'Italia, mi fo coscienza di dirgli alla libera quello che sento: la pa- rola de' vecchi volentieri è udita da' giovani della sua sfera! Ma io m'avveggo che una pagina e un altra è ingombra, ed io passar non deggio il segno imposto in queste carte. Né d'altra parte voglio mancare air 2o8 Letteratura la promessa. Che fare adunque? Mi resta a dare il sag- gio della versione del Perez e di quella del Mancini commentandole; ciò porterebbe in lungo: dunque farò così, darò il tratto dell'una e dell'altra, contentando- mi di scrivere in corsivo ciò che io credo degno di essere appuntato: e porrò fine con poche parole mie a questo articolo. Il senno degl'intelligenti lettori sup- plirà all'involontario difetto, (PEREZ) Ma non sì tosto il suggel sesto aperse, Tutta tremò la terra ad una scossa,', Il sol d'oscuro velo si coperse, Si fé' la luna come sangue rossa. E le stelle piombar dal firmamento, Come si levan d'albero le frutta Se l'affatica impetuoso vento. Del ciel la volta in sé medesma tutta S'avvolse recedendo, quasi fosse Volume, che in se stesso si ravvolge ; Tremaro i monti, e l'isole commosse Givan pel mar che d'intorno le volge. E i tiranni, e i potenti, e il ricco, e il forte, Liberi e servi s'appiattar veloci Sotto le rupi ad invocar la morte, E sì diceano in disperate voci : Piombate, o monti; a noi morir fia dono-, Dell' agnello al terribile sembiante Deh ! ne togliete, e del sedente in trono. È il dì dell'ira, e chi può starle innante ? Volevo qui al tutto tacermi, e non posso non loda- Apocalisse 209 re lo spirito del volgarizzatore, il quale parmi s'ac- costi bene allo spirito del sacro autore. ( MANCINI ) Ed il sesto suggello ornai schiuderà. Gran tremuoto shidio: la solar lampa Quasi cilice sacco si fe'nera: Di vivo sangue la luna si stampa: Ecco dal cielo in terra astri cadenti, Di folgor d'ignei globi ognuno e vampa. Come da ramo scagliano i crescenti o Teneri frutti le ficaie scosse Da tempestosa gagliardìa di venti. E come un libro avvolto raggrupposse Il cielo; abbandonaro le natie Lor sedi i monti, e l'isole fur smosse. Ognuno a quella orrenda traversìa Re, principe, tribun, ricco, possente, Libero, servo, agli antri rif uggia Ed alle rocce. E tal grido si sente : Oh dirupi, o montagne, oh ! sovra noi Piombate ! Ecco disvelasi il sedente, Terribil faccia ! Ecco 1' agnel con lui ! Giunse il magno lor dì, giunse il furore : Deh ! celatene tosto ad ambedui ! Qual braccio ornai resisterà, qual core ? Ho segnato in corsivo alcune cose, come promisi di fare. Ora si mi è d'uopo dire a chi legge: « Se' savio e intendi me'cli'i'non ragiono : » e pur troppo vo- lendo esser breve, divenni oscuro ! Giunto alla fine: Non per elez'ion ma per de- G.A.TXXXXIVI. 14 aio Letteratura stino', io chieggo perdono ai degnissimi, che sulle po- ste di Dante volarono nel regno del rivelato mondo, se ho osato porre la lingua in cielo : mi ha mosso amore de'buoni studi, ai quali non può non tornare a bene l'aspergerli della rugiada celeste. Dante, l'al- tìssimo de'poeti nostri, ne fece nobile esperimento, ed ai futuri diede esempio eternamente imitabile. Felice chi può seguire il suo volo ! Ciò giova a tornare in istato l'italica poesia, ahi insozzata ai fonti di Babi- lonia e ne' fanghi perpetui di chi si noma dal fan- go ! Giova altresì alla morale , ed all'ossequio della nostra santa, vera ed unica religione, che come il so- le abbraccia e avviva 1' universo. Pel quale riguar- do io applaudo al mio onorevole amico , monsignor Peruzzi, che ha fornito di note perpetue la sua ver- sione , per questo ancora stimabilissima. Il pregio delle quali non giudicherò già io , che non mi arro- go di tanto : giudicò saviamente un altro mio de- gno amico don Celestino Cavedoni, laddove nell'ami- co della gioventù [num. 5, agosto i83y, voi. 2, pag. i36 ) annunziava la prima edizione dell'Apoca- lisse di monsignor Peruzzi: il quale ha migliorato an- cora il volgarizzamento e le note in questa nuova e- dizione , che ha dato occasione a questo qualunque mio ragionamento. Di questo studio continuo, a bene singolarmente della gioventù, si abbia pubblica com- mendazione (1). prof. D. Vaccolini. (1) Note sono le traduzioni in verso, e le prose originali dì monsignor Peruzzi, che abbiamo per un gioiello alle lettere no- Apocalisse 211 stre gloriose sotto l'insegna dell'Alighieri ! Non. sarà fuori di luo- go limitarsi a rammentarne alcune poche di tante sue: e quanto alle Dissertazioni anconitane riportarci a ciò che dissero le Effe- meridi romane e la Biblioteca italiana, per tacere di altri pur fa- vorevoli giudizi: quanto ad altri giornali, indicare sulla Storia d'Ancona di esso monsignore ciò che ne disse 1' autore del pre- sente articolo neW Amico della gioventù ( i5 settembre i836 a p. 97 ed altrove ). Quanto a noi, l'indicare i volumi dell' Arcadico, dove fu parola delle cose peruzziane, di alcune almeno. PAG. Voi. 107, novembre 1827, De' siculi italici fondatori d' Ancona 3^o 124, aprile 1829, Versioni di Catullo . . . . Ii3 i3o, ottobre 1829, Versioni di Properzio . . . i45 i34, marzo i83o, Panegirico di .5. Petronio . • 25a 147, marzo i83i, Versione di Catullo .... 352 184, novembre i853 , Panegirico di s. Vincenzo de'Paoli 222 10,3, settembre i835, Panegirico di 3. Filomena. 376 212 Friderici Schillerii carmina nonnulla a Fran- cisco Philippio latinitate donata. Vcnetiis^ ty- pis losephi Antonelli 1840. E, Igli è gran tempo, che due diverse scuole insorte fra la famiglia de'letterati italiani, credendo provve- dere al maggior lustro della nostra letteratura, pre- sero a contendere fra loro, e per opposte vie si con- fidarono di conseguire lo scopo de'lor desiderii. Chi sien eglino costoro, che per volgere d'anni non an- cor fecero posa dalle loro discordie, io eredo vano ri- dire ; perocché è ornai noto lippis atque tonsoribus: e i nomi di classicismo e di romanticismo, sotto le cui insegne militarono e militali tuttavia, son passati in proverbio fra noi , e abusati a tal segno , che il dire a chicchessia: Tu se? classico o romantico: e dir- gli: Tu sei uomo litigioso; torna ad uno stesso. Or colesti uomini, i quali al primo muovere della questione aveano forse d'ambe le parti intenzioni lo- devoli e rette, costoro, senza avvedersene, passo passo inoltrandosi nella questione si trovarono talmente di- sviati dal buon sentiero, che , anzi che riconoscersi dell'errore, amaron meglio di correre alla cicca, e riu- scire per contrarie vie a qua! ch'egli fosse il preci- pizio. Ond' è che a lutto diritto il miglior fiore dei nostri letterati non mai si ristanno dal gridar con Orazio: Vida in contraria currunt: gli uni perchè chiuder vorrebbero gl'ingegni in limiti troppo brevi , gli altri perchè s' argomentano di lasciarli correre a lor senno e non soggettarli ad alcuna legge. F. SCHILLERII CARMINA 2l3 Ne vogliam noi in queste brevi parole ( a tutt' altro intese che a prender parte in siffatte materie ) chiamare ad esame e dar sentenza quàl di questi due vizi debba dirsi il maggiore. Sì bene direni franca- mente, che il torto è d'ambe le parti, se non per al- tro, per questo almeno, che, senza recar giovamento di sorta alla nostra letteratura, si trasser dietro una greggia di malaccorti, e, il direm pure, dissennati let- teratelli, i quali invece di procurar d' instruirsi con 1 ungbi e severi studi, reputaron gloria far eco alle vo- ci di qual delle due scuole cosi alla ventura seguita- rono. E questo è il bel frutto, che a danno gravis- simo delle lettere , e a non minor detrimento della concordia de'letterati, derivò da sì lungo contrastare. Né altrimenti doveva accadere: dappoiché, inviperiti gli animi, invece di considerar freddamente la natu- ra della disputa cui dato avean mano, si lasciarono piuttosto abbindolare dal lor amor proprio: e, confon- dendo l'utile vero della nostra letteratura colla sma- nia d'opprimere la parte contraria, si gettarono alla disperata in una lizza, non saprei se più indetermi- nata o puerile. Quindi è che mentre studiar doveano di conserva qual veramente fosse la via da seguirsi in tanta discordanza di sentimenti, amaron piuttosto durarla negli odi, che recedere un pochissimo da ciò che pensavano. A cessare, se pur sarà possibile, dagli animi ita- liani questa malaugurata discordia, e stabilir finalmen- te in qual conto aver si debbano fra noi gli scritti de'letterati oltramontani, surse opportuno l'egregio cul- tore delle muse del Lazio, del quale annunziamo ai nostri leggitoiù un saggio di poesia alemanna recato da lui in bellissimi versi latini. 214 Letteratura Il sig. Francesco Filippi in questo picciolo vo- lumetto ci presenta di alcuni de'migliori poetici com- ponimenti di Federico Schiller : i quali avendo egli vestiti di forme latine, si è proposto dimostrare più a fatti che a parole, che mal s'appongono coloro che alzar vorrebbero una barriera insuperabile fra la no- stra letteratura e quella degli oltramontani, nulla di bello volendo conoscere nelle poesie di questi, trat- tone una stemperata manìa di rompere ogni regola, e correre a seconda del loro genio tempestoso. Otti- mo divisamento ! Imperocché mentre il eh. tradutto- re intende a vendicare la fama degli oltramontani , ottiene ad un tempo di smascherare que' tristi , che per solo desiderio d'indurre novità, senza considerare fin dove sia lecito avanzarsi, gettansi senza consiglio nel campo degli stranieri, e, schifando le domestiche ricchezze, ne colgono alla rinfusa ogni fiore, e con- fondono coli' ottimo il pessimo , e viziano se stessi ed altrui. Come e quanto il Filippi sia riuscito nell' im- presa è facile giudicarne, chi voglia osservare, che ne' versi recati da lui con tanta eleganza e forbitezza di stile nella lingua di Virgilio e di Tibullo , non ha frase o concetto, che non si rinvenga negli scrittori più idolatrati declassici. E perchè a coloro, che fi- nor non lessero il volumetto di cui è discorso, le no- stre parole non sembrino forse troppo ampollose e lanciate alla ventura, noi non crediamo inopportuno recar qui alcun brano di questa nobile versione. Così sarà facile a ciascuno darne giudizio per se medesi- mo, e noi godremo d'aver molti compagni nel nostro sentimento. A tal uopo veggasi da prima come il Filippi re- F. SCHILLERII CARMINA 2l5 citi in elegantissimi esametri e pentametri i contrari affetti, che lo Schiller nel canto della vittoria desta negli animi de'greci e de' troiani. Poeta. Pergama conciderant bello expugnata decenni; Flebile erat, murus quod l'uit ante, solum. Ebriaque eventu graiorum turba secundo, Ditibus et Troiae praegravis exuviis, Navibus instructis illas radebat arenas Ellespontiaci qua fluit unda freti, Gaudens, quod rapidis turgebant carbasa ventis, Appulsura tuis, Graecia pulchra, plagis. Chorus. Nunc agedum laetis resonet concentibus aer, Ad patrios quoniam nunc datur ire lares. Hos versus nostrae solverunt vincula prorae. Patria nos reduces, patria cara manet. Poeta. Troades et captae astabant longo ordine, et aegrum Pergebant tristi pascere luctu animum; Lividaque attonitis variabant pectora palmis, Pallentes, fusis hirta per ora comis. Inter victorum laetantia verba ferocum Fundebant tetricis cantica maestà modis. Quaeque suos casus, et tristia damna gementes, Quae tulerunt, Priami dum ruit alma domus. 2X6 L ET TERATURA Chorus. Troia, terra vale: colles, valeatis, amati: Nos procul a vobis sors inimica trahit! Externos patimur dominos et barbara iussa. Non melius vitam deposuisse fuit ? e te. Né men sublime è quel tratto in cui il poeta, volen- do descrivere il caso infelice di Ero e Leandro, cosi apresi il campo alla descrizione. Se prospectantes adverso e littore turres Cernitis, annorum moenia senta situ, Aureo flammantis fulgentia lumine solis, Hellespontiaci qua furit ira freti, Iinpete et borrendo undarum se longa Propontis Volvit in euxinum saxa per arcta salum ? Auditis magno resonantem murmure fluctum, Qui fervens altos rumpitur ad scopulos ? Europam ex Asia valuit divellere quondam; Non tamen est tanta vi pavefactus amor. Leandri atque Herus praecordia fixerat illis, Perlita quae multa gestat amaritie, Divus amor telis, etc. Ma in questo nobilissimo componimento, che d' ogni parte risplende di soavi non meno che di ro- busti pensieri, ciò che, senza dubbio, maggiormente rapisce l'animo de'leggitori è là dove il poeta dipin- ge la misera Ero in atto di riconoscere l'esangue spo- glia del suo Leandro oppresso dai flutti, ed essa me- desima che quindi si precipita nel mare. Qual verità F. SCHILLERII CARMINA 21 7 di concetti, qual vivezza di colori ! Qual maestria di espressione non si ammira in questi versi che dan fine al componimento ? Primo illa intuiti! formas agnoscit amatas, Nec potis est ingens illacrymare dolor. Frigida, mentis inops, obtutum figit in ipso ; Dein sibi ubi nullam spem superesse videt, Nunc oculos volvit caeli ad convexa superni, Nunc ad deserti regna profunda Èrebi. Quasque ingens animi pallere coegerat angor, Iam fervent tenerae nobili ab igne genae. Nunc manifesta pates, austera potentia divum ! Exigis heu nulla ius pietate tuum, Semper terribilis, non exorabilis unquam! Ante diem vacua stat mihi parca colu. Mi tamen est actum plenae dulcedinis aevum, Ne sors sorte mea laetior ulla fuit. Usque operata tibi, donec mea fata tulerunt, In tempio vixi fida ministra tuo. Quod non ingatum est, tibi nunc mea vita litabit, O regina Venus, o mihi sola dea. Dixit, et in verbo turri se mittit ab alta. Late diffusos ventilat aura sinus. In mare praecipitat, nec longe a corpore caro Optatam cupido combibit ore necem. Per sua regna deus duo sancta cadavera volvit, Immensoque illis prò tumulo ipse venit, Perfruiturque suae contentus gaudia praedae, Pergit et assuetas sedulus ire vias. Et numquam exbausta torrentes fundit ab urna Idem qui semper tempus in omne fluent. ai 8 Letteratura E tanto basti a far fede, che il fin qui detto intor- no a questa versione, e allo scopo del traduttore, non è che una nuda e schietta verità. Quanto poi si spetta alla fedeltà del traduttore nel trasportare nell'idioma del Lazio versi dettati in una lingua così diversa dall'usata da lui, noi, perchè ignari di questa lingua, nuli' altro diremo, eccetto che avendo raffrontato la versione latina del Filippi col- V italiana di Antonio Bellati , e appunto nel canto della vittoria e nel vaticinio di Cassandra, ci abbia- mo osservata non poca simiglianza. Il che, senza dub- bio , può bastare a farci credere che il Filippi non siasi allontanato dall'originale. Sia dunque lode e gratitudine all'esimio tradut- tore, il quale, come già altra volta, così pur questa ha dimostrato quanto sia il senno onde è guidato nei compiere così nobili lavori, e quanto in lui possa quel lungo studio che ha fatto negli scrittori latini. Nò minor lode e minori grazie gli sien rese per aver egli con savio intendimento intitolato questo suo lavoro al eh. sig. barone Antonio Mazzetti, a cui ben con- veniasi un sì degno tributo d'onore, e perchè caldo favoreggiatore degli ottimi studi e de'letterati, e per- chè buon cultore anch'esso delle muse latine, come chiaramente apparisce dai versi ch'egli ha pubblicati alcuni anni addietro. Chiuderem finalmente queste no- stre parole esortando l'egregio Filippi, a non cessarsi da sì lodevole impresa, qual è questa cui pose mano: conciossiachè seguitando a vestire di poetiche forme latine altri componimenti oltramontani simili a que- gli che meritamente lodiamo, farà cosa gratissima al- l'Italia, e piecipuamente a coloro che sanno apprez- Musaico Prénestino 2ig zare il hello ed il buono, venisse pur anco dalle più interne regioni dell'Affrica, o dall'ultimo confin della Cina. Tommaso Borgogno C. R. S. Nuove osservazioni sul musaico prenestino. y amor paterno si estende nell' autore alle opere che son figlie del suo intelletto. Amando io perciò la mia interpretazione del pavimento in musaico rinve- nuto nel tempio della fortuna prenestina, pubblicata in istampa del 1827 presso Giunchi e Mordacchini, non posso più soffrire che sia stata mal indicata, e meno che sia stata da qualcuno contraddetta indebi- tamente. Perchè presi occasione di occuparmene nel seguente articolo, in cui rettificar credo tutte le idee che potrebbero del mio opuscolo mal concepirsi, ed in ispecie le esternate testé nel giornale letterario scientifico modenese dal eh. prof, don Celestino Ca- vedoni contro V esistenza da me creduta della basili- ca emilia e fulvia in Preneste. Su di che lessi una mia dissertazione il dì i5 luglio 1840 nella pon- tificia accademia di archeologia romana, addimostran- dola unica, e giammai edificata entro il recinto del tempio della fortuna. Sapendo io bene, che quel musaico fu rinvenu- to nell' edificio addossato alla sostruzione primitiva 220 Letteratura del tempio della fortuna, il quale fu costantemente dagli scrittori detto il delubro inferiore (i): sapendo da Plinio , che ì musaici cominciarono in Roma sotto Siila, de' quali a'suoi tempi esisteva uno che questi aveva fatto lavorare, e situare nel delubro della fortuna in Preneste (2); lo credei quello, di cui Plinio parlò; lo credei un voto di Siila a quella dea che tutto di riconosceva origine delle sue fortunate geste, volendo essere perciò detto fortunato (3) ; lo credei un voto, ciò che era costume di ogni credutosi da lei beneficato (4)- E nello specialmente considerarlo non piacquer- mi quelli effetti della fortuna , che ci vide espressi il Kircker, niuno apparendone ai miei occhi: non il viaggio di Alessandro al dio Aminone, che il Polignac vi suppose ordinato da quel Siila di se solo ambiziosis- simo; non altro fatto di lui stesso, che non seppe poi esprimere il Volpi: non il corso, anzi che la inonda- zione del IN ilo del Montfaucon : non la carta geo- grafica di Dubos: non l'incontro di Elena e di Mene- lao fantasticato dal Winckelman: non l'imbarco de' grani di Chapuy: non il viaggio di Adriano in Ele- fantine con le città Eliopoli e Menfi dal solo Bar- telemy vedute: non finalmente 1' Egitto conquistato dall'imperatore Cesare Ottaviano Augusto sopra Mar- cantonio e Cleopatra che ci vide il Fea. Giacche non apparendovi cosa che indichi questo conquisto, è poi (i) Nibby sul restauro del tempio della fortuna di Cost. Thon, pag. 11. fr) Plin. lib. 36 e 25. (3) Plutarc. ed Appian. Alex., De bello civ. lib. I, e. 18. (4) Volpi, Lat. vet, De Praeneste e 26, p. 129. Musaico Prenestino 221 mestieri riflettere che qualunque mediocre conoscito- re delle arti nei diversi tempi, e nel relativo diverso pregio, si avvede essere il musaico prenestino assolu- tamente di quelli, che sub Sfila caeptavere. Indi anche io esternare volendo il parer mio, lo feci, esattamente disegnare sul monumento stesso, lo feci anche incidere onde ne restasse sempre la me- moria: e confesso primieramente che anche a me sem- brò veder ivi l'Egitto. I mori intenti a scagliar frec- ce contro le cicogne , che dall' alto piombano in basso: le rupi con cunicoli de'serpenti : il lago Ar- chelao QA.NTEC, k sfinge GMNTIA, il cercopiteco KPOKTA2} la giraffa in aspetto di bue, o di porco, KHIIIENYABOYC , il mostro col viso umano ONO_ KENTAPA, il rinoceronte PINOKEPOC, la lince AINC, e tanti altri bruti terrestri mi additarono la parte su- periore: come la inferiore inondata dal Nilo m'ap- parve dalle palme e dal fiore di loto, dagli anfibii ippo- potami, coccodrilli e delfini, dall'egizie barche, e dal- le fabbriche sulle colline scoperte. Degli edifici poi i più vili mi sembraron alber- ghi di pastori, o di animali; mi sembrò destinato a sepolcri de'grandi quello che ha V effigie di quattro cadaveri infasciati all'egizia: quello sostenuto da quat- tro colonne con sacerdoti, il tempio di Anubi dal ca- ne ivi sopra un'ara esistente; quello con festoni di lauro, il tempio d'Oro; quello con più colonne, innanzi al quale vedesi un edificio rotondo accessorio con due guglie, ove persone supplichevoli ed un marinaio tri- dentifero sembrano consecrare il volo a sacerdotes- se che lo ricevono, dette le piangenti d'Iside, credei che d'Iside fosse il tempio. Ma il più vasto e ricco con tenda e vasi di libazione, presso cui un naviglio 222 Letteratura con soldati, ed il condottiero vien da persona sacer- dotale con palma nell'una mano, e nell'altra il ne- pente, accolto qual vincitore ed amico, mi parve il tempio di Serapide, ove Siila in quel condottiero si fosse fatto rappresentare tributante omaggio alla di- vinità, della quale dicevasi la fortuna ministra. Credei cosi avere esternata chiara la mia opi- nione, ed averla con solide ragioni fondata: allorché lessi nel nostro Album del 4 giugno i836 , par- landosi del tempio della fortuna di Preneste , e ri- ferendosi d' altri le opinioni tenute sul prenestino musaico, che : Vi vide Cecconi il principio della fortuna immensa di Siila'. « mentre non potevo aver veduto ciò che non v'era affatto. Per vedervi il princi- pio della fortuna immensa di Siila , avrebbe dovuto esservi espressa l'Affrica, ed i primi fortunati eventi di quello ivi accaduti, e non l'alto e basso Egitto col Nilo fuor del suo letto. E siccome non piacemi sem- brar privo di senno a chi abbia veduto il musaico , e non abbia letta la mia interpretazione; così quella relazione del mio parere intendo sia erronea , forse per mera oscitanza escita dalla penna, d'altronde dot- ta, dell'autore. E giacché dal solo Fea, opponendosi anche alla sostanza della mia esternata opinione, si negò che Pli- nio parlasse di questo musaico; si negò che il luogo della sua reperizione fosse un delubro ; si negò che Siila vi si facesse rappresentare, anzi che Cesare Ot- taviano Augusto nella conquista d'Egitto: è mestieri che brevemente gli risponda. Avendo Plinio detto : Lithostrata caeptavere iam sub Sylla, parvulis certe crustis : tengo certa opinione che intese precisamente de'inusaici figurati co- Mosaico Prenestino 223 me quello prenestino. Perchè se lithostraton signifi- car può in genere qualunque pavimento ricoperto di pietre, di qualunque grandezza, figura e colore, si- gnifica poi in ispecie il musaico di che parlai, se- condo 1' uso fatto di tal voce da mille autori , tra' quali Isidoro dicendo: Lithostrata parvulis crustis et tessellis iunctis in varios colores (i): Crapaldo> Furie tti e mille altri. Avendo poi Plinio stesso proseguito: Extatque hodie quod in Fortunae delubro Praeneste fecit: vanamente negasi che il delubro della fortuna non fosse ove si rinvenne; poiché ciò sarebbe contro la opinione di quanti sin qui hanno quel luogo definito; saria con- tro la sua struttura, che combina colla descrizione già da Cicerone lasciataci : Is est hodie locus se- ptus religiose propter Iovis pueri, qui lactens cum limone in gremio Fortunae sedens, mammam appetens, castissime colitur a matribus (2). Con- chiudevo in fine: Che se, riprovando io la opinata esistenza della basilica emilia e fulvia nel tempio della fortuna, non mi è sin qui possibile indica- re la sita vera situazione, possa altri pia di me valente supplirvi: ma non perciò sembrami punto indebolirsi la dimostrazione degli errori di chi pretese duplicarla, e nel tempio esistente assicu- rarla francamente. D1 altronde io ritengo che deb- ba essere stata prossima al foro verso il mezzo dì, perchè ho sempre innanzi gli ocelli il detto di Vitruvio : « Basilicarum loca adiuncta foris, (i) IsJd., De orig. lib. i5, cap. 8. (2) Cic, De divin. lib. 2. 2a4 Letteratura quam calidissimis partibus oportet constitui. » Ed a consolidare sempre più la opinione che questo mu- saico fosse stato veramente ritrovato nel delubro in- feriore del tempio da Plinio indicato, anziché voluto esistente in una delle due basiliche emilia e fulvia da Fea immaginate entro il tempio della fortuna, im- presi ad esporne le ragioni in quella dissertazione, che, come già dissi, circa la esistenza della basilica in Preneste da me supposta fu contraddetta dal eh. prof. Cavedoni, il quale soffrirà ciò che, col dovuto rispetto al suo merito, vengo a ridire. Dicevo in quella : Quanto al dedursi da Gar- rone che due fossero da lui vedute, e non una basilica, seppure ho senno, io trovo che non po- teva meglio esprimere la unità della basilica nel- la quale esisteva Vorologio solare, che dicendolo fatto da Cornelio: « In basilica aemilia et fulvia: » Un fanciullo sa bene che « in basilica » è ablativo singolare. E perciò rivolgendomi agli autori che cre- derono diversamente, dissi: Incominci or qui a per- donarmi Suarez, se sostengo aver egli errato al- lorché disse: « Fuere quoque Praeneste basilicae, ut liquet ex Varrone (i)». E degli altri storici prene- slini dissi : Cecconi delle surriferite varroniane e- spressioni, ed anzi citandole in unico suo appoggio ( disse )^ --fi erano due basiliche, una delle quali chiamavasi emilia e V altra fulvia , e avevano in mezzo V oriolo solare (2). Petrini aggiunge, che furono erette dai consoli L. Emilio Paolo e Ful- (1) Suarez, Praenest. antiq. lib. 1, e. 17. (2) Geccopi, Stor. di Palestrina, lib. 4> e. 5, Jl 7. Musaico Prenestino 225 vio Nobiliore: ed ancìCegli, chiamandone il solo te- stimone Garrone , arriva ad indicarne la prospet- tiva (i). E conchiusi che: Se non saria permesso che a' poeti aggiungere episodi interamente co- niati nella poetica immaginazione , quanto mag- giormente riprovevole fu in istorici travolgere ed anche variare i detti di altri autori ! E siccome ognuno degli antichi scrittori delle prenestine cose aveva creduto due basiliche prenesti- ne indicate da Varrone, perchè quegli la nominò con due cognomi, emilia cioè e fulvia, così a smentire questa duplicità ricordai: Che la edificazione di que- sta unica basilica essendo accaduta sotto Emilio e Fulvio, d'entrambi nella sua unità portasse il nome, e perciò fosse da Varrone detto: « In basi- lica aemilia et fulvia: » ove soggiunsi che: Questo mio modo di pensare, analogo alla naturale per- suasiva , è unisono a Turnebo commentatore di quel preciso passo di Varrone, esprimendo egli : « M. Aemilius Lepidus et M. Fulvius Nobilior cen- suram una gesserunt, e quibus Fulvius post ar- gentar ias nonas faciendam locavit. Eam Varo ae- miliam etfulviam appellat. » È perciò evidentissi- mo che Varrone quando disse: « Eam aemiliam et fulviam appellat: » nominò quella assolutamente unica basilica coi due epiteti emilia e fulvia. Perchè devo primieramente ringraziare il signor professor Cavedoni, il quale è con me d'accordo che la basilica da Varrone nominata emilia e fulvia fos- se una soltanto, ammettendomi che io dimostri : Co- (i) Petrin., Annal. pag. 4o. G.A.T.LXXXVII. ,5 aa6 Letteratura me queste parole di Vairone rettamente intese non indicano che una sola basilica, la quale ap- pellatasi emilia e fulvia, dai. nomi dei due cen- sori delVanno 575 M. Emilio Lepido e M. Ful- vio Nobiliore (1). Ed essendo con me d'accordo che nello escludere la basilica dal recinto del tempio, die- tro la definizione delie basiliche , e gli usi a' quali erano destinate, conchiusi: Era impossibile affatto figurarsi entro il tempio della fortuna esistente la basilica emilia e fulvia : si compiacque farmi eco in dicendo della mia opinione: Come quella unica basilica essere non poteva altrimenti neW interno del tempio della fortuna prenestina , ma sibbene fuori del recinto di quello : e così corregge le false e strane opinioni del Suarez , del Petrilli, del Fea, e dello stesso suo pro-zio Cecconi ve- scovo di Montalto (a). D' altronde non posso tacermi se il lodato eh. autore nel §. 2 di quel suo articolo così parla di me: Vautore lascia peraltro a desiderare una mag- giore accuratezza e precisione riguardo a' riscon- tri degli scrittori da lui citati. Ed entrando ne'par- ticolari prosiegue: Egli adduce un passo di Turne- bo, che sembra fare una cosa sola della basilica emilia fulvia prenestina ricordata da Garrone , e della basilica che Tito Livio pone, XL, Siffat- ta fare dal solo censore M. Fulvio Nobiliore in Roma « post argentarias nonas et forum piscato- (1) Gioru. lett. scent, modenese nuin. x3, ottobre 1840, pag. i3, 5. 1. (2) Ivi nel citato 5- Musaico Prenestino 227 riunì. » Ma se la sentenza del Turnebo pongasi ve~ ra, la basilica prenestina scomparirebbe dal passo di Garrone, Forse Turnebo supponeva che Voro- logio solare , visto da Garrone in Preneste, esi- stesse prima in Preneste stessa, e che di là ve- nisse da Cornelio Siila trasportato in Roma e col- locato al coperto nella basilica emilia fulvia : e questa pare anche a me la più verisimile inter- pretazione di quel passo difficile di Varrone [i). Sì, non posso tacermi nulla di quanto egli dice: non sembrandomi atto a farmi ricredere non solo, ma né anche a dubitare di ciò cbe penso della esistenza in genere della basilica emilia e fulvia in Preneste, tut- toché estranea dal recinto del tempio della fortuna. Se uno scrittore non deve lasciare a desiderare accuratezza e precisione riguardo ai riscontri degli scrittori da lui citati , molto meno è tollerabile la mancanza dell'accuratezza e precisione in chi si ele- va in suo critico. Mi si dice che addussi un passo di Turnebo , che sembra fare una cosa sola del- la basilica emilia fulvia prenestina ricordata da Varrone^ e della basilica che Tito Livio pone , XL, 5 1 , fatta fare dal solo censore Marco Ful- vio Nobiliore in Roma « post argentarias nonas et forum piscatorium. » Ma come ciò, se Vairone da me prima di Turnebo citato è testimone della esi- stenza della basilica diversa dalla romana, ed in Pale- stina assolutamente esistente, avendo detto: Ut Prae- neste incisum in solario vidi, quod Cornelius in basilica aemilia et fulvia inumbravit (2) ? E se (1) Luog. cit. §. 2. { a) Yarron., De ling. lat. lib. 5. 228 Letteratura quindi fu da me citato il commentatore di questo passo Turnebo, per escludere che Varrone ( come er- roneamente da alcuni credevasi ) nel dire d'aver egli veduto, in Preneste esistente, inciso un orologio so- lare in quella basilica , intendesse che due fossero ivi anzi che una basilica? Turnebo, commentando quel preciso passo di Varrone , spiega che avendo quegli detto: In basilica aemilia et fulvia: ciò fu perchè M. Emilio Lepido e M. Fulvio furono uni- tamente censori quando fu fabricata , non mai per- chè due fossero le basiliche, l'una emiiia cioè, e l'al- tra fulvia: perchè, com'era costume , ambi i censori dando all'unica basilica il loro rispettivo nome: E am Varrò aemiliam et fulviam appellai (i). Turnebo adunque escludendo che Varrone intendesse di due basiliche , ed ammettendo che indicasse aver veduta una basilica in Preneste, anziché furia scomparire da Preneste, mi sembra confermarne ivi la esistenza. Con- fesso che non mi è dato quindi intendere come mi si dica in contrario, che: Turnebo faccia una cosa sola della basilica emiiia e fulvia prenestina ri- cordata da Varrone , e la basilica che ricorda Tito Livio in Roma. Né so intendere che: Se la sen- tenza di Turnebo pongasi vera, la basilica pre- nestina scomparirebbe. Di quel Turnebo che asso- lutamente, e ongrua congruis ref erendo ,non può aver parlato dell'altra esistente in Roma, commentando chi parlò della esistente in Preneste! Che se, per sostenere ad ogni conto questo scom- parimento della basilica prenestina, vuoisi che: Tur- (i) Turneb. pag. i3i. Musaico Prenestino 229 nebo supponeva che V orologio solare visto da Gar- rone in Frenesìe esistesse da prima in Preneste stessa , e che di là venisse da Cornelio Siila tra- sportato in Roma, e collocato al coperto nella ba- silica emilia e fulvia : se si aggiunge dal mio con- traddittore : E questa pare anche a me la pia ve- risimile interpretazione di quel passo difficile di Garrone : a me sembra ciò inverisimile affatto. La gnomonica, quell'arte di fabbricare orologi solari, che proviene dalla parola gnomone, il quale negli orolo- gi a sole si appella l'ago, o lo stile, quasi dicasi distin- guitore delle ore: la gnomonica, dissi, assai chiaramen- te si fa conoscere un'arte di fabbricare orologi nelle pareti di muro esposte al sole, e non al coperto, si- tuando prima il suddetto gnomone fisso al muro che vi segna la misura delle ore indicabili dall'ombra del gnomone stesso. Ed è perciò che Varrone così appun- to descrisse l'orologio solare, dicendo: Ut Praeneste incisum in solario vidi, quod Cornelius in basilica aemilia et fulvia inumbravit. Come mai può essere dunque la piti verisimile interpretazione di quel passo, che questo orologio solare, a guisa di un ori- uolo da saccoccia o da tavolino, fosse da Preneste, tra- sportato in Roma per opera di Siila e collocato al coperto nella romana basilica emilia e fulvia ? Se Varrone dice che lo vide fatto da Siila, in Preneste: Praeneste incisum in solario vidi quod Cornelius inumbravit ; come può idearsi che Siila da nemico divenuto protettore, dopo fattolo in Preneste, lo tra- sportasse in Roma ? Come idearsi che Siila, il quale tanto fece in beneficio de'monumenti prenestini, vo- lesse privarla di questo orologio per portarlo in Ro- ma: e ciò facendo tanto difficilmente, quanto sarebbe 23o Letteratura stato da Preneste trasportare in Roma un orologio solare, anzi che qui farne piuttosto un altro ? Tanto difficilmente, quanto che la combinazione del sole nel locale prenestino si combinasse essere la stessa in Ro- ma ? Tanto incomprensibilmente, quanto dovess' essere al coperto ? Dopo tanti sin qui valenti storici delle prene- stine cose, i quali hanno tutti raccolto da Varrone, testimone di vista, che in Preneste esisteva una basi- lica con un orologio solare fabbricatovi, mi permetta il chiarissimo contraddittore che anch'io mi rimanga tranquillo in questa opinione: io che s'ebbi in vista di dimostrare la reperizione fatta del musaico prene- stino nel delubro del tempio, anziché in una basili- ca, dovrei essere più contento d'escluderne la esisten- za nel recinto del tempio, anziché escluderla affatto da Preneste intiera ; ma che non mi sento affatto per- suaso dalle ragioni in contrario addotte : ripetendo , che il commento di Turnebo, pedissequo al passo di Varrone che attesta aver veduto in Preneste un oro- logio fabbricato in una basilica, anziché farla da Pre- neste scomparire, vieppiù ne conferma la esistenza in quella città. avv. Luigi Cecconi. — »-£g^>©egs«"- 23l Biografia di Francesco Maria Franceschinis. A MONS. C. E. MuZZARELLI - RoMA. Monsig. venera tissimo, s, 'olamente l'altro giorno ricevetti in Venezia, dove era trattenuto come membro di una commissione dell* I. R. istituto per aggiudicare i premi alle opere pre- sentate al concorso risguardanti arti e mestieri , la graziosa sua lettera : e mi affretto a ringraziarla della per me onorificentissima disposizione di V. E. a mio riguardo. Io darò all' imparziale persona tutta la storia della mia carriera letteraria, e delle mie qualunque siansi qualificazioni : lasciando eh' essa lor dia quel valore che crede , e che a me non converrebbe di dare. Le manderò anche il nome del redattore delle memorie che mi risguardano, onde sappia se si potrà dar fede alla valutazione ch'esso ne avrà fatto. Io par- to oggi per Milano , dove mi fermerò sin verso il 24 del corrente; poi prenderò la via di Parma, Mo- dena e Ferrara, patria fortunata del conte Alfonso suo zio, e di lei che ne segue sì degnamente le orme ; dovendo in essa passare alcuni giorni presso sua emi- nenza il cardinale Arezzo, che da tanti anni mi onora a32 Letteratura non solo della sua grazia e del suo patrocinio , ma della sua amicizia. Intanto la prevengo, che le manderò 1' articolo subito dopo il mio ritorno in Padova, che sarà ver- so il 6 del venturo. Se mai ne abbisognasse prima, potrà entro l'indicato termine scrivermi a Milano. Al- tro non mi resta che ringraziarla di nuovo del suo gentile divisamento sul mio conto, ed offerirmi pie- namente e desiosamente a' comandi suoi, protestan- domele di essere con la più alta stima e considera- zione quale ho l'onore di segnarmi. Francesco Maria Franceschinis. Al medesimo. - Roma. Ritornato da' miei piccoli viaggi mi affretto a rag- guagliarla de' cenni risguardanti l'esser mio, e lamia qualunque siasi letteraria carriera; obbedendo al per me onorificenlissimo desiderio di lei, monsignore, di vo- lerli inserire nelle sue memorie dei letterati viventi. Eccoli dunque: ben inteso che sia pienamente in ar- bitrio di lei di mettere o non mettere i fatti che io fedelmente le trasmetto per intero; o come crede, e nel punto di vista o nel modo che a lei parrà più conveniente. Francesco Maria Franceschinis, il quale nel bat- tesimo ebbe il nome di Giacomo, che poi mutò in quello di Francesco Maria nella professione religiosa che fece tra i cherici regolari della congregazione di s. Paolo, detti volgarmente bernabiti, nacque in Udi- ne, dal conte Marzio Franceschinis e dalla contes- Biografia del Franceschinis 233 sa Lavinia nata Caratti di lui consorte, l'anno 1757, di antica patrizia famiglia oriunda di Firenze, da do- ve al tempo delle fazioni ivi dominanti venne con altre undici famiglie a stabilirsi in Udine, chiaman- dosi in allora Belhwilla, cognome che ne'pubblici re- gistri e negli atti notarili sempre si aggiungeva a quello di Franceschinis. Educato il nostro Franceschi- nis nella casa paterna sino alla morte della madre, cui perdette nell'età di tredici anni, fu con un fra- tello maggiore posto nel collegio de'nobili in Udine diretto dai padri bernabiti: nel quale subito si distin- se, occupando nelle scuole il primo posto di onore. D'anni 14 sostenne pubblico esperimento di un lungo corso compito di geometria. Compiuto il i5 anno, si dichiarò di voler entrare nella congregazione dei bernabiti: e dopo non molto passò a Monza, dove fe- ce la solenne professione religiosa in quell'istituto; e quindi in Milano continuò gli studi filosofici e ma- tematici; dei quali diede pubblici replicati saggi; col- tivando allo stesso tempo le belle lettere e singoiar» mente la poesia, a cui era grandemente inclinato e disposto. Passato allo studio teologico in Roma, si acqui- stò fin d'allora la singolare benevolenza del non mai abbastanza lodato cardinale Gerdil: si fece molto am- mirare nelle private e nelle pubbliche adunanze degli arcadi; continuò sotto il p. Jacquier i suoi corsi ana- litici; sostenne pubbliche tesi di teologia ; e fu de- stinato ad insegnare filosofia in Bologna. Nel primo anno stampò una dissertazione di filosofia morale in occasione che diede di tale scienza pubblico applau- ditissimo saggio il conte Marco Antonio Fé di Bre- scia , alunno del collegio de'nobili di s. Saverio , e 234 Letteratura scolare di esso professore, verso cui il Fé, specchio ch'ogni domestica e pubhlica virtù, conservò sempre e conserva la più alta stima e la più viva amicizia. Passato quindi ad insegnare le matematiche , ebbe a scolare il fu chiarissimo marchese Filippo Ghisilieri, che di i5 anni sostenne pubblico esperimento di un intero corso di analisi finita ed infinitesimale con am- mirazione universale ; onde fu poi il Franceschinis nominato professore onorario dell'università nella fa- coltà matematica. Stampò quindi una profonda me- moria sulla tensione delle funi diretta al celeberri- mo conte Giordano Riccati, nella quale si propose di mostrare l'erroneità d'una nuova teoria su tal argo- mento proposta dall' illustre Frisi ; ed ebbe la com- piacenza di avere in risposta dal Riccati due bellissi- me lettere, nelle quali conferma con nuove dimostra- zioni i ragionamenti e i calcoli di esso. Altra forse più interessante pubblica prova de'suoi progressi nelle matematiche diede di lui il giovane conte Francesco Amalteo, che seguitando poi a coltivare le scienze e le lettere divenne ed è uno de'più colti e dotti ca- valieri delle venete provincie. Mentre alle scienze il professore attendeva, col- tivava ad un tempo le lettere: e si distinse con va- rie orazioni panegiriche, e con moltissimi sonetti e canzoni che gli meritarono grande estimazione. Inva^ ghitosi poi delle scienze politiche, le insegnò a vari giovani; ed uno di essi, il fìignami, espose pubblica- mente molte tesi di quelle scienze sotto gli auspicii dell' eminentissimo cardinale Buoncompagni allora se- gretario di stato; il quale nella sua legazione di Bo- logna aveva preso il Franceschinis in molta affezio- ne. All' occasione delle summentovate conclusioni Biografia del Frànceschinis a35 stampò in latino un opera intitolata Elementa poli- tica che dal cardinal Gerdil fu mólto lodala. Ritor- nato quindi coll'animo alle matematiche , stampò tre opuscoli dedicati al medesimo cardinale segretario di stato: l'uno sopra la celebre questione dei logaritmi de'numeri negativi: l1 altro sopra la spinta degli ar- chi e delle volle : il terzo sulla teoria delle paralel- le. Desiderando poi i celebratissimi cardinali Buon- compagni segretario di stato, e Gerdil della congre- gazione di s. Paolo, di averlo in Roma, gli ottennero dalla santità di Pio VI un posto nell'inclita congre- gazione de' sacri riti , nella quale entrò , tuttoché giovane di 3i anni, alla fine del 1788: ed in essa non tardò a distinguersi. L'anno susseguente fu allo stesso tempo professore di teologia ai chierici del suo istituto: ma alla fine dell'anno cessò per essere stato nominato professore di metafisica neli' archiginnasio della sapienza; nel quale sospese dopo sei mesi l'in- segnamento per essere stato dal senato veneto doman- dato al santo padre perchè si portasse a Venezia ad esaminare, in compagnia di due altri matematici, un progetto dì regolazione del fiume Brenta. Il che gli venne, con onorificentissimo biglietto della segreteria di stato, accordato. Tornato quindi a Roma , e ripi- gliate le sue funzioni, siccome cominciate erano le novità politiche in Francia, che male auguravano di quel regno, intraprese un' opera di lunga lena inti- tolata la Legislazione dedotta dai principii delV ordine, di cui uscì il primo volume dedicato a Pio VI : del quale tutti i giornali parlarono con gran lode, e singolarmente quello di Pisa più accredita- to di ogni altro e diretto da monsignor Fabroni. Avendo poi dopo il regicidio di Luigi XVI pubblicato 236 Letteratura anonime quattro lunghe canzoni precedute da un di- scorso preliminare, che furono in più luoghi ristam- pate (per le quali, non meno che per l'opera della legislazione, era sinistramente riguardato dal numero sempre crescente dei fautori della rivoluzione fran- cese), al primo avvicinarsi dei francesi verso Roma chiese ed ottenne il permesso di ritirarsi a Venezia. Nel suo soggiorno in Roma visse famigliarmente col cardinale Buoncompagni di straordinari talenti for- nito, e col cardinale Flangini grande amico di som- mi letterati, e sommo letterato egli stesso; del quale era pure teologo, e con cui lo univa maggiormente la non lontana parentela che aveva col degnissimo di lui genero conte Giulio Toppota Pancieri vene- to patrizio. Fu pure molto caro al rispettabilissimo cardinale Archinto, che non isdegnava di veuire qual- che volta a passare qualche ora con lui nel suo col- legio di san Carlo a Catinari. Ma fu egli singolar- mente famigliare dell' eminentissimo Gerdil, che abi- tava nella stessa casa, e con cui passava qualche tem- po quasi ogni sera : protestando poi sempre , diceva egli , che di quel più che sapeva era debitore all' avere per molti anni con esso quasi giornalmente con- versato , e alle opere dal medesimo stampate. Nella sua dimora in Roma recitò pure in arcadia, oltre a mol- ti discorsi e poesie nelle sedute semipubbliche, due ora- zioni nelle due pubbliche adunanze per la festa dei natale e per la passione, accolte con distinti applau- si: e prima di partire avendo riformato il disegno del- la sua opera della legislazione, ne stampò un primo volume delle Lessi costitutive dedicato al cardinale Roverella. Stando in Venezia e continuando i peri- coli della guerra , gli s' inviò da Roma 1' impetrata Biografia del Franceschtnis 237 grazia di starsene presso il vescovo di Treviso: e ca- duta Roma in poter de'fvancesi , chiese al santo pa- dre, tradotto a Firenze, la sua secolarizzazione. E do- po che caduto il governo di Venezia passarono con molte venete provincie, e tra le altre Udine sua pa- tria, sotto la dominazione austriaca, portossi a Vien- na: dove aspettando l'organizzazione dell' università di Padova, nella quale sarebbe stato impiegato come professore di calcolo sublime , si occupò del lavoro di un poema e di una cantica intitolata V Italia libe- rata, di cui non istampò che quattro canti in ter- za rima; giacché le mutate guerresche vicende, che fu- rono sì propizie all'armi austriache nell'Italia, non gli consentirono di continuare. Scrisse poi in francese (dovendosi stampare in Vienna) un' opera intitolata Le goiwcrnement, che non vide la luce, avendo dovu- to lasciare Vienna per la perdita fatta nel cinque dalle armi austriache degli stati d'Italia, dove nel i8o3 era stato il Franceschinis destinato in qualità di segre- tario aulico ad accompagnare in una perlustrazione idraulica per le provincie venete il chiarissimo con- sigliere aulico sig. Wiebeking , nome europeo, che ora trovasi in eminente situazione presso S. M. il re di Baviera. Divenuto suddito del governo italiano, portossi a Milano ed ottenne subito di essere nominato profes- sore di matematica applicata nell'università di Pado- va, e di esser fatto membro e segretario di una gran- de commissione idraulica per sistemare i fiumi ed i torrenti delle venete provincie. In quella università recitò un' orazione sulle matematiche applicate: indi, imitando il Zanotti nell'incontro della sua orazione sopra le belle arti recitata in Roma, altre due ne se- 238 Letteratura risse, nella prima delle quali si finse un avversario che confutasse e diminuisse le lodi date da esso a quella scienza nella sua orazione: nella seconda difen- de le ragioni e le lodi esposte nella orazione preceden- te, contro le obbiezioni ad essa fatte. Furono le suddet- te tre orazioni insieme stampate; e fruttarono all'autore il pubblico concetto non solamente di profondo pen- satore , ma altresì di elegante ed eloquente scritto- re. Fatto membro attivo dell1 I. R. accademia delle arti e delle scienze, recitò in essa varie dissertazio- ni : stampò pure 24 elegantissime canzoni in me- tro anacreontico, dedicate a gentilissima dama, di un genere , può dirsi , nuovo ; giacche non impiegando che sei stro fette di quattro versi l'una, nelle prime quattro espone un oggetto fisico, dal quale nelle due ultime cava una massima morale. Fatto reggente dell'università l'anno 1809, per misure dalla necessità suggerite , le quali per altro in niun modo opponevansi a quella sommissione che devesi ad un governo costituito, fu sospettato dal go- verno d'allora di affezione soverchia per gli austria- ci , in quei pochi giorni che restarono in Padova ; e quindi fu destituito dalla cattedra. Invitato due anni dopo dal conte Alessandro Annoni, col quale aveva vissuto alcuni mesi amichevolmente in Vien- na, a dirigere l'educazione dell'unico suo figlio, vi an- dò: ma non vi restò che poco più di due anni, giac- che gli austriaci venuti al possesso delle provincie venete, non meno che delle lombarde, gli restituirono la sua lettura tuttoché occupata da altro soggetto: alla quale perciò ritornò nella università di Padova. Pres- so i conti Annoni fu con somma nobiltà ed ami- cizia trattato ; e il poco tempo che si occupò dell' Biografia del Franceschinis 23g educazione dell'ancor tenero loro figlio gli bastò per presagire che sarebbe esso riuscito uno de' più savi e più colti e più amabili e benefici signori della sua patria. E tale è certo il conte Francesco ; il quale malgrado del poco che il Franceschinis fece per lui, conservò e conserva per esso vivissimi sentimenti di gratitudine e di amicizia. Appena giunto in Padova fu incaricato di varie commissioni idrauliche, fu fatto reggente dell'univer- sità, e alla fine dell'anno fu fatto presidente di una commissione organizzatrice della pubblica istruzione, e destinato in seguito a visitare tutti gli stabilimenti di pubblica istruzione sì civili e sì ecclesiastici, sì maschi- li e sì femminili. Fu poi confermato con caso nuovo reggente. Ebbe allo stesso tempo ad esaminare vari piani di regolamento relativi al porto di Malamocco, e stampò la vita di Carlo V, che è la prima del- la raccolta degli uomini illustri del Bettoni. Fu no- minato segretario perpetuo per le scienze dell' I. R. accademia di Padova; e fu insignito dell'I. R. ordi- ne austriaco della corona di ferro, come cavaliere di terza classe. Cominciò poi la reggenza dell'università anche per il terzo anno, sino che venne la nuova si- stemazione: nella quale università si adoperò con lui l'aureo conte Goes governatore, perchè fosse ristabi- lita la facoltà teologica : e dietro V istanza del sud- detto religiosissimo conte governatore, propose i sog- getti per le rispettive cattedre, i quali furono tutti da S. M. nominati, e i quali ben corrisposero ai vo- ti del piissimo sovrano ed alla pubblica aspettazione. Ebbe in seguito varie altre non facili commissioni idrauliche, unitamente al celebre ingegnere Romani: ed ebbero la compiacenza che i loro pareri fossero 2^0 Letteratura dalle superiori autorità approvati. Fu successivamente aggregato a varie accademie. Era già stato sino dal 1 796 eletto membro dei quaranta della società italiana residente allora in Modena: ma cessò di appartenere alla medesima, perchè nei cinque anni che si trat- tenne a Vienna fu da autorevoli persone consiglia- to a cessare ogni corrispondenza con la Cisalpina. Fu fatto socio onorario dell'accademia delle belle ar- ti di Venezia, dopo che lesse in essa l'elogio di Gio- vanni di Udine, il quale stampato piacque grande- mente. Lesse e stampò varie dissertazioni nell'I. R. accademia delie scienze, lettere ed arti di Padova, non che nell'ateneo di Venezia. Stampò un poema in versi sciolti di diciotto libri intitolato : La mor- te di Socrate: nel quale spiegò tutti que'precetti di morale, ai quali può condurci la sana ragione sen- za la rivelazione; e seppe dare al medesimo un aspet- to e un interesse drammatico, e vi aggiunse una dis- sertazione sulla immortalità dell' anima , mostrando singolarmente, come ne la morale, ne la politica po- trebbono reggersi, ove quel dogma non fosse ricevu- to e stabilito : la quale non meno del poema fu grandemente commendata. Ripigliò quindi l'opera della legislazione, e ne stampò tre grossi volumi in ottavo col titolo d'in- troduzione: ne'quali si propose di fornire, ad uno che dovesse assumere l'augusto carattere di dar leggi con- venienti ad una nazione, tutti i lumi necessari. L'opera poi verrà divisa in molte parti sepa- rate, le quali se la sua avanzata età, e le moltiplici sue occupazioni e studi disparati, non gli conseati- ranno di terminare , ciò sarà senza discapito delle parti che saranno uscite: giacché ciascuna starla da se. Biografia del Franceschinis 241 Produsse contemporaneamente un poema in ot- tava rima di 24 canti, dedicato al S. E. monsignor Ladislao Pirker dilettissimo in allora patriarca di Ve- nezia, ed ora arcivescovo di Erlaw in Ungheria, me- ritamente stimato uno de'più grandi poeti della Ger- mania. Porta detto poema per titolo 1' Atenaide. Esso è drammatico-didascalico; e come la giovane Atenai- de gran filosofessa si fece di pagana cattolica, e di- venne imperatrice moglie di Teodosio il giovane ; così si propose l'autore in esso di mostrare l'unio- ne della sua filosofia con la vera religione. Quindi può dirsi che comprenda tutti i motivi di credibi- lità della religion nostra messi in azione nelle va- rie vicende, per cui fece passare la sua eroina. Se fu molto ammirato in allora, il sarà assai più nel- la ristampa, che si sta preparando ricca di molti can- giamenti ed emendazioni. Né mancarono altri minori lavori poetici. Vi ha una serie di vaghe anacreontiche in occasione d'il- lustri nozze padovane ; e vi sono cinque odi all' occasione del monumento di Canova dirette al con- te Cicognara, che n'ebbe tutto il merito: ed una pure assai lodata per l'ultima venuta di S. M. Fran- cesco I in Italia. Si distinse poi in modo singolare in una pro- lusione recitata lo scorso anno nell'aprimento degli studi all'università; e in altra recitata lo scorso ot- tobre a Venezia sul commercio, il giorno in cui fa- cevasi la solenne distribuzione dei premi agli oggetti di arti e mestieri. Non credendo poi aver abbastanza della religio- ne favellato nel poema, scrisse un' opera in due vo- G.A.T.LXXXVII. 16 2^.2 Letteratura lumi sopra la religione medesima; nella quale opera si propone di dare della medesima quasi una dimostra- zione, come dicono le scuole, a priori, mostrando eh' ella è quale dovea essere, sì riguardo a colui die l'ha data, e sì riguardo a coloro che l'hanno ricevuta. Se occorresse dire alcuna cosa del carattere mo- rale dello stesso autore, converrebbe dire che da quanti paesi il conobbero fu sempre riputato di gentilezza e di bontà singolare , e portato in particolar modo alla beneficenza. Quindi fu sempre grandemente ama- to; e si acquistò in ogni paese le più distinte rela- zioni di servitù e di amicizia. Tra le quali illustri relazioni non nominerò che quelle che ha con gl'in- signi porporati, il cardinale Albani e il cardinale A- rezzo, i quali l'onorano di singolare benevolenza. Eccole, monsignore, la mia vita : le qualificazioni che io do alle cose mie sono sinceramente quelle che sentii dare dal pubblico. Ella, il ripeto, faccia di que- sto scritto tutto quello che crede. Se avrò occasione di poterle mandare alcune mie opere a Roma, non mancherò sicuramente di farlo, gra- to alla generosità con cui volle riguardare la mia po- vera persona. Intanto augurandole nelle non lontane santissime feste di Natale ogni prosperità, passo a se- gnarmi coi sentimenti della più alta stima e consi- derazione, Di lei, monsignore, Padova 8 ottobre 1829. Dvmo obbrfto serv. G, M. Frawceschinis. Biografia del Franceschinis 243 N. B. Questo illustre italiano cessò di vivere in Padova nel dicembre dello scorso anno 1840. OPERE DEL FRANCESCHINIS. Della tensione delle funi. Dissertazione diretta al conte Giordano Riccati, con due lettere del mede- simo all'autore. Bassano 1764. Se ne legge un arti- colo nelle effemeridi letterarie di Roma, anno 170^, num. i5. Institutionum politicarum elementa. Bononiae 1787, ex tipografia s. Thom. A.quin. Detto giornale anno 1788, primo art. n. 17; secondo n. 18. Delle altezze barometriche. Dissertazione geome- trico-analitica presentata al sig. cav. Lorgna. Vero- na 1790, in 4- Intorno a questa dissertazione si leg- ge un breve articolo nelle effemeridi stesse, num. 4» «791- In morte di Luigi XVI re di Francia. Canzo- ni IV, in 4-° di pag. 70 ; senza nota di luogo ed an^ no. Il luogo però fu Roma e forse nel 1794» leggen- dosene un articolo nel giornale della letteratura ita- liana, tomo 4» a car- 211. Mantova 1794- Nell'anno poetico, ossia raccolta annuale di poe- sie italiane di autori viventi, opera periodica die si pubblicava inVenezia sulla fine dello scorso secolo dal- la tipografia pepoliana in 8 , si ritrovano vari com- ponimenti del nostro autore. La legislazione dedotta dai principii dell'ordine, tomo 1. De'rapporti e delle leggi generali dell'uomo, dello stato di società naturale, e dei fondamenti della società civile, dai principii dell'ordine dedotti. Roma nella stamperia Pagliarini 1792, in 8. 244 Letteratura Intorno quest'opera, che serve come di proemio alla seguente, si trova un articolo nelle effemeridi ci- tate di sopra, num. 5i, anno 1792; ed un altro può leggersi nel giornale della letteratura italiana, tomo 1. Mantova 1793, a carte 280. Intorno l'opera delle matematiche applicate (Pa- dova , Bettoni 1808), si legge un articolo nel mese letterario di Roma, giornale diretto da Felice Ma- riottini, num. 7,0 1 marzo 1809, c* 265. La legislazione dai principii dell'ordine dedotta, parte prima: Delle leggi costitutive. Roma nella stam- peria Pagliarini 1795, tomo 1 , in 12. Nelle citate effemeridi si leggono due articoli, il 1 al num. 1 1 , al 12 il 2, anno 1796. Nel catalogo ragionato dei libri d'arte e d'anti- chità posseduti dal conte Cicognara , tomo secondo (Pisa presso Niccolò Cappurro 1 821}, viene ricordata una lettera sul libro intitolato: Opere di scultura, e di plastica di Antonio Canova descritte da Isabella Albrizzi. Padova 1810, in 8. - Tolta dal giornale let- terario di Padova. La morte di Socrate , poema , 2 volumi in 8. Venezia, Picotti 1820. L'Atenaide, poema, 2 volumi in 8. Padova per la Minerva 1822. Di questi due poemi si parla con lode nel li- bro: Degli scrittori greci e delle italiane versioni del- le loro opere, notizie raccolte dall'ab. Fortunato Fe- derici. Padova pei tipi della Minerva 1828. Discorso recitato per la distribuzione de' premi d'industria il giorno 4 ottobre 1829. Venezia, Anto- nelli i83o. Sopra questo discorso è a leggersi un articolo Biografia del Francbschinis 245 dell'illustre letterato Giuseppe Bianchetti inserito nel Poligrafo, giornale di scienze, lettere ed arti, tomo VI, a car. 5i. Verona 1 83 1. Della religione cattolica, la quale dimostrasi ta- le essere quale esser doveva sì rispetto a colui che la diede, e sì riguardo a quelli a cui fu data. Pa- dova, coi tipi della Minerva in 8. Quest'opera serve d'illustrazione al poema dell' Ate- naide, e ne uscì un primo volume. Sospesa la conti- nuazione por altri letterari lavori, e quindi ripiglia- ta, venne condotta a termine nel modo sopraddetto. Intorno la medesima si leggono 3 articoli nel Poli- grafo sopra citato, il 1 nel tomo i3, i833; il 2 nel 16, anno suddetto; e il terzo finalmente nella nuova serie di esso giornale, tomo i, i834« La Georgica e V Eneide di Virgilio volgarizzate in ottava rima da Lorenzo Mancini accademi- co residente della crusca , tomo I e II. Firen- ze per Leonardo Ciardetti 1837. Articolo I. Xm.vendo parlato più volte di volgarizzamenti, com'è a vedere qua e là nelle carte di questo giornale, e particolarmente nel voi. a52 a pag. 335 e segg.; e dal latino in ispecial modo : un rimprovero si solle- va contro di noi, ed è che abbiamo taciuto delle ver- sioni di Virgilio del eh. Mancini. A togliere pertan- to anche questa querela, eccoci a dire colla usata in- genuità ciò che ci sembra di tali versioni. E prima 246 Letteratura vogliamo rendere tributo di lode all'indefesso e dili- gente traduttore, che a giovare le nostre lettere di- sviate dietro la moda di oltremonte e di oltremare le richiama di continuo allo specchio de' classici , veri maestri di ogni bellezza. Che se ci avverrà di nota- re qui o qua ( a maniera di dubbio onesto ) qualche piccolo neo nella luce delle sue carte, si attribuisca non a manco di stima per lui ( che l'onoriamo anzi grandemente ); ma all'amore del vero, cui non pos- siamo mancare per l' istituto nostro: e potendo, noi vorremmo. Qualunque sia però l'opinione nostra sulle cose della elocuzione, vogliamo sia ricevuta come un invito al traduttore medesimo per dubitare : lascian- do a lui ed ai più savi del bel paese il sentenziare. Se quella mente del Caro, mancato alle lettere del i566, avesse potuto dare le seconde e le terze cure alla sua versione della Eneide nell'ozio campe- stre della deliziosa Frascati, noi che ad una voce la lodiamo, imperfetta com' è, la loderemmo senza fine come cosa al tutto compiuta ; ne d' altra versione vorremmo sapere, massime dopo la splendida edizione tipografica e calcografica dovuta al favore della eccel- lentissima duchessa di Devonshire ( Roma, tip. De- Romanis 1819, voi. 2 infoi.). Né certo ricorderemo la versione del p. Ange- lucci (Napoli 1649, in 12), che altri direbbe più fedele , e 1' Algarotti chiamò più servile : ne quella magnifica del p. Ambrogi ( Roma 1763 , voi. 3 in fol. ), magnifica quanto alla edizione, non quanto a dare lo spirito di Virgilio : molto meno la letterale del Candido ( Napoli 1768, voi. 2 in 8. ), e la in- felice del Dallebasse (Venezia 179^, voi. 2 in 8.): né la stessa del Bondi (Parma 1790, voi. 2 in 8.) Geougica ed Eneide di Virg. volgamzz. 247 piena di frasche più che di eleganza : ne quella del sommo tragico Vittorio Alfieri ( Pisa 1808, in 4- )» che 1' anima virgiliana già non avea : ne quelle del languido Soave, o del Solari ( che altri troppo seve- ramente chiamò crocifissore di Virgilio ), né dello stesso Arici, ne del Leoni, ne di altri che in versi sciolti resero il gran poema del mantovano, che noi salutiamo come l'eletto maestro dell'Alighieri. E persuasi, che le migliori traduzioni di esame- tri latini vogliano e possano essere in versi sciolti per noi italiani ( come il Caro per la Eneide, il Marchet- ti per Lucrezio, il Bentivoglio per Stazio , il Cassi per Lucano in fatti mostrarono, in modo da toglie- re ad altri la speranza di superarli ): ta ceremmo del- le versioni dell'Eneide in ottava rima ( che troppi vin- coli pone a' traduttori ) ; quantunque assai lode co- gliessero ed il Beverini ( Lucca 1680, in 12 j imi- tatore di que'due sommi Ariosto e Tasso, ed il P. Boz- zoli (Cremona 1782, voi. 2 in 8 ); e per tacere di altri ( come lo stesso Alessandro Marchetti e 1' An- guillara, che ne diedero de' frammenti ), il eh. Man- cini : al quale corre già lieto l'animo ed il pensiero. Ma perchè non sarehbe ne degno a noi ne a ta- le illustre filologo, né comportevole a' cortesi nostri lettori, l'andare con occhio di Aristarco per tutti i libri della nuova traduzione in brusca di frivolezze: limitiamoci ad alcun che del lib. II dell'Eneide, in- cominciando dal Conticuere omnes. Sono tante le bellezze in quel libro, che basterebbero a far cono- scere Virgilio , se il resto del poema ne mancasse : e così bastano, se vengano quelle bellezze ben recate nel campo della lingua nostra, a far conoscere un tra- duttore, come il eh. Mancini, ornamento degnissimo 3^8 Letteratura della nobile accademia della crusca , la quale tiene il seggio delle italiche muse, proteggitrici di quel dol- cissimo idioma, che suona mai sempre dall' Alpe al Lilibeo. Ma fine a'preamboli, e veniamo a noi. « Inde toro pater Aeneas sic orsus ab alto. « Dal sublime parlando e ricco letto. Udito del testo è reso dal sublime, che indica luo- go eminente degno a tal dicitore: il ricco è di più. k Troianas ut opes et lamentabile regnum a Eruerint danai « come Varie achea, « Non il valor, le misere ruine « Della mia patria consumasse alfine. Eruere viene da ruere e dalla prepositiva e in- dicante altezza. Eruerint dà idea di rovesciamento, di ruina. E piaciuto il consumasse al eh. volgariz- zatore : e sia ; ma perchè non rendere opes et la- mentabile regnum, se non colle misere ruine ? Se non traltavasi che di misere ruine, non era bisogno dell'arte troiana a consumarle: e pure senza quell'ar- te, dice appresso il narratore Enea : « Troiaque nunc stares, Priamique arx alta maneres. Ben altro adunque rimanea che misere ruine ! Vinfandum dolorem, tanto bello e vivo, è re- cato in due volte quasi : memorie dolorose oltre ogni detto: e perchè ciò era assai poco e come un'om- bra rimpetto al sole, il volgare dice appresso cose in- Georgica ed Eneide di Virg. volgarizz. 249 fonde, di cui parte spetta aWinfandum, e parte al miserrima. Meglio era risovvenirsi come imitò l'Ali- ghieri, facendo dire all'uopo suo al conte Ugolino : Tu vuoi ch'io rinnovelli = Disperato dolor che 'l cuor mi preme. Non sapremmo parola italiana atta ad esprimere Vinfandum, non bastando le voci ine- sprimibile, inenarrabile alla poesia : forse non ab- biamo che immenso dolore all' uopo di Enea ; ma V immenso non è in tutto Vinfandum. Tant'è: le lin- gue hanno parole e modi non traducibili dall'una al- l'altra favella ! e chi de'latini saprebbe rendere il di- sperato dolore di Ugolino ? « . . . .Et iam nox numida caelo « Praecipitat Quanto è bello quel precipitare della notte! Ma non sappiamo come il traduttore ho tolto molta evidenza, e Virgilio a Virgilio, dicendo : « E già s'affretta d'occidente ai lidi, « Raccogliendo la notte il nero manto: precisamente alla frugoniana. E non è stato più fe- lice a rendere il « suadentque cadentia sidera so- mnum n quando cantò : « E il sonno persuadono discese « Al mar le stelle , che la sera accese. Cadentia significa cadenti: dunque discendendo vo- lea dirsi, e non discese : e volea lasciarsi quell'inu- tile erudizione, che la sera accese. Brevità è sem- a5o Letteratu r^a pre raccomandata, e più nel rendere Virgilio : a cui nulla si può aggiungere, nulla togliere senza danno o pericolo, chi vuole palma d'onore traducendone le bellezze. E l'ordine vuoisi altresì secondare, che ha le parole allo specchio delle idee. Diversamente non bene si riesce , come avvenne al eh. volgarizzatore in questo tratto : « Instar montis equum, divina Palladis arte, « Aedificant : sectaque intexunt abiete costas. « Votum prò redi tu simulant La prima idea è quella del cavallo a guisa di un monte : poi 1' arte divina a fabbricarlo : poi la par- ticolarità delle costole inteste di recisi abeli: poi il vo- to simulato al ripatriare. Veggasi ora la versione, e giudichi ognuno che abbia fiore di senno , se chia- rezza, evidenza, brevità ed altro di bello poetico non si perda nel volgare ! « Di travi incise nelVidee foreste « Edificare-, da Minerva istrutti, « Un cavallo che detto un monte avreste; « Come da voti a dipartirsi indutti, « E con quello a placar Vira celeste « Simulacro votivo anzi che a? flutti « / navigli affidar : di questa trama « Tal vola intorno la bugiarda fama. V ea fama basta a Virgilio , ed al traduttore è bisogno di questa trama la bugiarda fama. Il votum prò reditu simulant chi sa intenderlo nel volgare ? Il resto a'eortesi e savi leggitori ! Georgica ed Eneide di Virg. volgarizz. 25 i « Huc se provecti deserto in litore condunt, « Nos abiise rati, et vento petiisse Mycenas ! Ciò basta a Virgilio: ed il traduttore, non potendo rendere le idee coll'ordine del testo, va dicendo a suo grado : h . . . . Il greco stuolo « Solca tacito il mar per questo lido, « E che torni deluso al patrio suolo « Per noi si crede, come suona il grido', « Che quel profondo sen tutta a chi guata « Da Troia cela la pelasga armata. Ben può perdonarsi verbiloquenza all' Anguilla- ra, che rende la prolissità ovidiana, non a chi rende la breviloquenza virgiliana. Quasi pittura è poesia , traduzione è copia; ora chi patirebbe un quadro di Raffaello copiato con aggiunte d'altro pennello e d'al- tro ingegno, che non fu quello dell'unico urbinate ? Dove tutto è semplice ed uno, come in Virgilio pit- tore alla sua volta della natura, non cresca un iota chi non vuole mancare a sé e all'Italia, la quale aspet- ta versioni da stare al paraggio, se non coll'originale inimitabile, almeno con quella del Caro, che potrà vedersi ne'tratti notati di sopra come è sempre trion- fa tr ice ! Sempre diciamo, colle debite restrizioni ! Il panduntur portae del verso 27, che in due parole dice tanto, cade nel volgare : « Le disusate porte aprono intere. a5a Letteratura E più cadono le parole, che diremmo inspirate, di Laocoonte al v. 42 e segg'> rendute così ; « O turba sciocca, o perfido Timete ! « Da lunge grida : che i nemici andranno « Davver lontani y o miseri, credete ? « E che doni d1 achei son senza inganno ! « Così v'è noto Ulisse ? O proverete « Siccome da murai macchina danno « In assalto novel dà questa mole, « 0 piene ha d'armi le profonde gole : Guardisi al latino : « O miseri, quae tanta insania, cives ? « Creditis avectos hostes ? aut ulla putatis « Dona carere dolis danaum ? Sic notus Ulysses? « Aut hoc inclusi ligno occultantur achivi ; « Aut haec in nostros fabricata est machina muros, « Inspectura domos, venturaque desuper urbi, « Aut aliquis latet error Basta il confronto ad ogni occhio sicuro , senza al- tra chiosa ! Né loderemo queste parole di Sinone risponden- ti al vers. ioo e segg. del testo , che è meglio che un sole innanzi al parelio : « parmi, « Che de'miei mali trattenervi è cosa « Importuna per voi, per me odiosa. « Voce si tronchi che pietà non desta. « Ove lingua pelasga in van qui gridio Georgica ed Eneide di Virg. volgarizz. a53 « E chi greco a troìan si manifesta « Si confessi nocente, o re, m'uccidi. « Voto è d'Ulisse questa morte, questa « A prezzo immenso compreran gli atridi, E meno possiamo lodare dove si fa dire a Sinone ri- guardo a'figli di lui fuggitivo : « forse vermigli « D'innocente faran sangue i penati, « E 'l fio paterno pagheranno i nati: analogamente al v. i3g e seg. del testo. Non piace la trasposizione, né il far vermigli di sangue i pe- nati, studiata espressione , che ad animo commosso non si conviene ! La passione, che è forte, non vuo- le arte, ma natura ! Noi non vogliamo, né dobbiamo fermarci ad ogni passo ; ma non possiamo non arrestarci a quel luo- go di tanta splendidezza , dove è descritta la morte di Laocoonte. Quel luogo è sublime, e lo sarà ad ogni secolo , comunque la luce della vera religione , che atterrò gl'idoli , lo abbia spogliato del terror sacro , che diffondeva Al tempo degli dei falsi e bugiardi. E perchè ognuno possa gustare i versi dell'esimio tra- duttore, recheremo le ottave per intero se fia possi- bile seguitamente ; pregando i cortesi leggitori a por- si innanzi il testo dal vers. 2o3 al 233. A qusl di- vino originale è da riferirsi la traduzione , che sarà tanto più pregevole quanto sarà più vicina e degn' copia di quello. Ma ecco le ottave ! 254 Letteratura « Quand'ecco ( in ripensarvi inorridisce « La mente ) di ver Tenedo alla proda « Venir due grandi e mostruose Lisce, a a Dall'irta cresta, dall'immensa coda, « Che sferza l'onde, e spire alterna e strisce ; « Nell'aria il collo e il petto si disnoda; « Per l'Ellesponto il resto si trascina, « E rade la pacifica marina. « Nunziale da lontan de'flutti d'Elle « Il suon, la spuma, e già toccan la sabbia. « Scintillan gli occhi, e triplici a vedelle b « Lambon le lingue le fischianti labbia. « Sbigottiti diam via, fugge l'imbelle « E il prò : ma d'ambe la guidata rabbia « Cerca Laocoonte; e prima ad esso « Stringe i due figli di tenace amplesso. « E dilania e divora a morso a morso « Le tenerelle membra ed innocenti: « Dipoi, con dardi alla difesa accorso, e « Il genitore assalgono i serpenti. « E già del doppio tortuoso dorso « L'avvinghiano iterati avvolgimenti. « Squammoso groppo d'ogni intorno il veste ; « Sopravvanzano i capi e l'irte creste. Giova al viandante alcun riposo : ed a noi gioverà soffermarci per alcuna osservazione. All'evidenza dell'azione descritta dal poeta fanno e V angue s gemini dei vers. 2o3 e 2o4> e 1' UH del vers. 212 , ed il serpens uterque del 2i4« H tra- duttore fa venire due bisce : poi il concreto cam- biando in astratto, togliendo al senso per condiscen- Georgicà ed Eneide di Virg. volgarizz. 255 dere all'ideale, e sminuendo cosi la vivezza dell'ipo- tiposi, Villi ed il serpens uterque rende, con clie ? colla guidata rabbia ! Questa agisce alla fine dell' ottava ( che abbiamo seguata col b ) e sul principio della seguente : poi meglio tornano in campo propria- mente i serpenti. Ampie xus del vers. 214, da amplector, esprime benissimo 1' idea dell' avvinghiare. Noi italiani non abbiamo chela parola amplesso , cioè abbracciamen- to , e vi abbiamo annessa più specialmente idea di benevolenza. Tutt'altro qui che benevolenza nel con- cetto dell'autore, nella viva pittura del fatto : ne l'ag- giunto tenace giova a dare cupa tinta all' amplesso, che doveva dirsi funesto, terribile, o meglio ancora , a significarne l'orridezza, che al cuore paterno e de- gli spettatori annunziava. I serpenti non durano nell'azione espressamente nell'ottava e; poiché vengono ad agire gViterati av- volgimenti, e sino lo squammoso groppo, e i capi e Virte creste', quando nell'originale i serpenti reg- gono sempre essi: e lo vedi dal vers. 217 e segg., dove il corripiunt, il ligant, Vamplexi, il terga da- ti, il superane, mostrano e l'ordine dell' idea domi- nante riguardo alle associate, e la convenienza di os- servare 1' ordine stesso nella versione ; se non anzi la necessità, chi voglia dare netto Virgilio ! Poesia è qui più che altrove viva e parlante pit- tura: e se i punti principali del quadro non richia- mano a sé tutto l'occhio e la mente dello spettato- re, l'effetto del quadro è meno assai, e più la fatica di chi guarda : e dove è fatica non può essere il pia- cere, quel piacere che nasce a chi pone il guardo e l'animo in bella dipintura ! Ma seguitiamo col tra- duttore : 2.56 Letteratura « Da' vivi nodi, dalle strette orrende « Con tutta possa di mani e di braccia « Sciogliersi l'infelice invan contende, d « E quanto più si sforza, più s'allaccia. « Bruite ha di sangue e di velen le bende, « Dal petto gridi spaventosi caccia « Come toro che fugge al sacerdote, « E l'incerto coltel dal capo scuote. « Ma i due chelidri, dal fornito scempio « Rapidi distaccandosi, sen vanno « All'alta rocca, di Minerva al tempio, e « E de' pie della dea schermo si fanno: « E dentro il cavo dello scudo, ov'empio « Fora ogni oltraggio, rannicchiati stanno. « Religioso allor novo terrore « Ogni faccia imbiancò, strinse ogni core. La lode debita al traduttore daranno gli spiriti cortesi, che intendono la difficoltà del tradurre , e massime in ottava rima dietro i nostri epici Ariosto e Tasso. A noi, lo ripetiamo, sembra che il rende- re gli esametri latini in versi sciolti sia il meglio. Allora non il vincolo della rima e del ritmo, allora si può dare cosa per cosa, e talvolta parola per pa- rola, sempre periodo per periodo, e tener più P or- dine lucido dell' autore : ordine che se togli di un iota, manchi a chiarezza, a evidenza , a leggiadria : pregi perpetui declassici latini, e di Virgilio fra gli epici singolarmente. Non per questo dissentiremo al Mancini, aversi per buona cosa il tener vivo il me- tro italiano, nato fatto per l'epopeia : ottima cosa ci basta sia riguardata conservare ne'versi sciolti la di- Georgica ed Eneide di Virg. volgarizz. 25 7 gnità, la bellezza della poesia del Lazio, come fece il Caro o tentò : che se impedito dalla morte non potè limare il suo benaugurato lavoro , profano ter- remo ogni labbro che a tanto scrittore dia biasimo e mala voce col veleno del Castelvetro: veleno, il cui effluvio offender potrebbe forse chi legge di volo la dedica del eh. Mancini allo stesso Annibal Caro : del quale ripeteremo mai sempre a ragione con vo- ce presa dall'Alighieri : « Onorate l'altissimo poeta. Ma troppe pagine , e più che non volevamo , dato abbiamo alVEneìde. Torneremo altra volta a scri- vere della versione della Georgica, onorata fatica al- tresì dell1 egregio traduttore : col quale ci rallegria- mo, che ami tanto le nostre lettere, da porle saggia- mente allo specchio declassici, per onore di questa Italia : « Di ogni altra cosa insegnatrice altrui ! prof. D. Vaccolini. G.A.T.LXXXVII. a58 Elogio del padre Giuseppe Pennazza da sant' Eustachio , sacerdote delle scuole pie ; letto nella sala del comune di Pesaro per la so- lenne distribuzione dei premi delV anno sco- lastico 184.0 da Giuseppe Ignazio Montanari. lY_lentre coll'animo andava cercando subietto de- gno da porre dinanzi all'attenzion vostra in questo giorno di premi e di cittadina allegrezza , o amica fortuna, o singoiar beneficio di amicizia, 0 l' una e l'altro insieme mi offersero persona di che io parlas- si, degna di voi , non meno che della celebrità di questo giorno e di questo luogo. E certamente a gran- de ventura io mi reputo avere oggi a mostrarvi un compagno di quel lume di santità e di cristiana fi- lantropia, ehe fu Giuseppe Calasanzio, in Giuseppe Pennazza da saut'Eustachio: e, quel che più è, un pe- sarese in lui. Vero è che veggendo io che persona del mondo non ne ha fin qui fatta parola fra voi , ne quello stesso dottissimo e diligentissimo Olivieri vostro ne ha pure conosciuto il nome , io mi sono in sulle prime soffermato, e quasi tolto giù dal pri- mo pensiero : ma venutami a mano bastevole copia di fatti, della fede de'quali non è a dubitare, e co- nosciute virtù grandi e sapere di quest'uomo, mi è parso non sia da lasciar sotterrato col comune degli uomini , ne si debba cessare alla vostra città una bellissima lode, quale è quella dell' aver dato mano ad una delle più sante ed utili istituzioni. Ma nello Elogio del Pennazza 25 cioè sul fare del ven- tunesimo anno, vestiva in Roma l'abito delle scuole pie: e dopo avere date non dubbie prove di vocazio- Elogio del Phnnazza 261 ne non falsata, nel 1642 agli otto di settembre si giurava religioso con solenne professione. E qui dop- pia è la prova che io ho del suo sapere e del suo buon zelo: perocché fu subitamente posto a profes- sare rettorica nelle più frequenti case dell'ordine, e fu sempre in corrispondenza di lettere col santo fon- datore , a modo che ne parola , ne atto facesse , se prima dal suo padre non aveva consiglio o comando. Ma in quella che il nostro Pennazza si dava a tutt' uomo ad ammaestrare la gioventù, cosa che in que' tempi era più che mai difficile per lo mal gusto che aveva depravato le scuole e le menti italiane , e si affaticava a fronteggiare i deliri del secolo suo con sani precetti e con esempli sicuri , eccoti piombare sull'ordine tale fortuna che ad un punto lo abbattè, e poco è che io non dica lo annientò. Conciosiac- chè per male arti di pessimi uomini , i quali sotto maschera di pii ascondevano la più nera perfìdia, in- dettato il pontefice Innocenzo X un breve del 17 marzo 1646 abolì l'ordine , e lo ridusse a semplice congregazione senza voti. Quindi altri sedotti pas- sare a vestire la persona di altre lane, non dico can- giar ordine, poiché a colai uomini non è ordine pro- prio, ma tutti sono indifferenti del pari: quindi al- tri più vigliacchi ancora disertare dalle insegne , e nella stessa fuga imbizzarrire : quindi tolta ogni au- torità agli stessi rimasti in congregazione, ed assog- gettati alla podestà de' vescovi , e 1' una casa disso- ciata dall'altra : quindi distrutte le leggi dettate dallo spirito di Dio per bocca del Calasanzio, ed abban- donato l'arbitrio del dettarne di nuove agli slessi av- versari dell'ordine. In tanto sconvolgimento di cose, in tanto forluneggiare, il Pennazza fissò gli occhi al 362 Letteratura santo suo padre: e lui veggeiulo intrepido in mezzo le furie della fortuna , senza cedere o abbandonarsi dell'animo , ricordevole del giuramento solenne che aveva fatto a Dio di vivere tutta la vita nell'ordine, si governava continuamente secondo le norme che gli venivano dal Caiasanzio. Ma perchè il dolce aere na- tivo , e V amore de1 suoi lo stimolassero a prendere stanza per sempre in patria , ove erasi portato per malattia e per assistere i genitori, e a sciogliersi, che il poteva, da ogni pensiero di rientrare all' ordine , pure egli non volle né promettere a' suoi, ne con- cedere cosa alcuna a se stesso, se prima dalla voce del padre suo non avesse conforto di buon consiglio. Abbiamo una lettei-a di lui segnata da Pesaro il 2g marzo del 1646, cioè dodici giorni dopo la pubbli- cazione del breve di abolizione dell' ordine , diretta al santo padre Giuseppe, la quale dice così : « I miei « parenti desiderano che io resti per sempre in casa: « aderirò a ciò, ogni qualvolta vostra paternità mi fa- n rà certo che la religione non sia più per riaversi: « ma quando mi dirà che la religione non sarà di- ce strutta, io non farò altra risoluzione; e starò aspet- « tando in Pesaro grata risposta, p Alle quale pro- posta il santo rispondeva, e profetando senza velo di profezia, ma con chiarezza di scolpite parole: « V, « R. stia di buon animo, e non creda alle cose che « scrivessero alcuni appassionati , e tenga per certo « che resterà in piedi l'istituto. » E quindi in altra: « Né si dia a credere che la religione nostra, sehbe- « ne ora pare distrutta ad istanza di chi Dio sa, non « debba più risorgere; ma bensì più che mai ampliar- « si coll'aiuto del Signore: e penso non dobba pas- « sar molto. » Alle quali parole restò così rassicu- Elogio del Pennazza 263 rato dell'animo il padre Pennazza, che gli rispondeva: « La lettera di vostra paternità mi ha fatto maggior- « mente assodare nella mia vocazione non senza di- « sgusto de'miei, che accecati dogli interessi monda- te ni volevano che lasciassi la religione. Le do par- ti te che questi signori pesaresi desiderano il nostro « istituto, e mi dicono che vogliono che in tutti i « modi ci venghiamo. » E questo è vero: ed io ag- giungerò di più , che pochi anni dappoi che fu re- stituita la religione delle scuole pie , il comune di Pesaro entrò più volte a proporre que'padri per l'e- ducazione e l'istruzione della gioventù: e trovo che una persona pia esibiva un assegnamento perchè si fondasse un collegio , e il consiglio municipale de- cretava che si cedesse a que'padri l'emolumento usa- to darsi per la pubblica istruzione , e così con 42 voti favorevoli il 25 ottobre del 1692 accettava quei religiosi; i quali però non vennero, né so io il per- chè; se non vogliam credere, come io son di pensa- re, che essendosi essi stabiliti con più agio nella vi- cina città d'Urbino, ed apertovi un collegio, fin dal suo nascere rinomatissimo , cessassero il pensiero di stendersi anche a Pesaro. Alla qual cosa mi condu- ce 1' aver trovato proposto negli atti consigliari del 1697, cioè cinque anni dopo l'atto con che si ac- cettavano gli scolopi, che a spese pubbliche si man- tenessero due giovani pesaresi nel collegio di Urbi- no, i quali in fatto vi furono posti. Queste cose, co- me ognun vede, confermano ad evidenza che il Pen- nazza scriveva il vero, quando scriveva che l'istitu- to del Calasanzio era desiderato in questa nobilissi- ma città: né il Bonada s'ingannava nell'asserire che Pesaro faceva istanze per ottenere i padri delle scuo- a64 Letteratura le pie. E se non era che quell'ordine ebbe a soste- nere dieci anni di dura persecuzione, anzi a lottare apertamente per la propria esistenza, il Pennazza a- vrebbe veduto nella propria palria aver sede i figliuo- li del Calasanzio. Ma come non fu fallace nella sua asserzione il religioso pesarese, cosi non fu nelle sue promesse il santo istitutore; conciossiaccbè dopo una lunga ed ostinata battaglia combattuta per l'una par- te con tutte l'armi più ree della calunnia e della ipo- crisia, per l'altra rintuzzata coll'umiltà più sincera, e colla pazienza più esemplare , venne alla fine il giorno del meritato trionfo : e il glorioso pontefice Alessandro VII nel dì 24 gennaio del iò56 reinte- grava e ripristinava l'ordine del Calasanzio. Era sta- ta maraviglia il vedere le prime corone d'Europa in- terpoli presso il pontefice per l'ordine del Calasan- zio, dal quale avevano avuto tanto prò nei loro rea- mi : ma fu maraviglia maggiore il vedere, in meno che non dà volta un secolo, quella religione non so- lo tornare in fiore qual prima, ma sì avanzare d'as- sai ; conciossiacchè si giungessero a noverare nell'Eu- ropa stabilite ed aperte all'istruzione ducento quat- tordici case delle scuole pie. Della qual cosa non è a prendere maraviglia alcuna : perocché non può a meno che non prosperi, e non si distenda largamente nel mondo un istituto che tanto ritrae dalle norme evangeliche e dallo spirito della religione cattolica ; e si mantiene saldo ne' suoi principii colle arti della vera pietà e della sana filosofia, lnfatto di quest'or- dine vedemmo uscir uomini per santità illustri, e del pari per dottrina celebrati : e tutti li vedemmo in ogni tempo accesi in quella carità cristiana che è soc- correvole e pietosa agli infelici. Starà sempre in e- Elogio del Pennazza 265 sempio ed in ammirazione de' posteri quella pagina, nella quale il Calasanzio insegnava che i primi of- fici si denno alla virtù sventurata. Desideroso che tra i suoi fiorissero i buoni studi, egli scrisse al superio- re della casa, che in Firenze fioriva fino dal i63o: « Si dessero de'suoi quanti volesse al Galilei: se per « caso dimandasse che per qualche notte restasse là « il padre Settimii, glielo permetta: e Dio voglia che « ne sappia cavare il profitto che doveria. » Quindi poi ne venne che la sapienza del Galilei parve tra- sfondersi ne'padri delle scuole pie : e l'Italia ebbe a noverare con sua gloria fra i discepoli di quel som- mo italiano i padri Angelo Sesti, Clemente Settimii, Francesco Michelini, successore al Galilei stesso nel- la cattedra di Pisa, uomini chiarissimi e non ignoti a chi pur da lungi abbia venerato il sacrario della filosofia. La quale serie di grandi savi non fu mai interrotta, e potrei qui segnare il nome de' Corsini, de'Beccaria, dei Fontana, dei Canovai, dei Del Ric- co, filosofi, fisici, astronomi , matematici sommi , se non mi piacesse rendermi , che è tempo , al nostro pesarese. Il quale tosto che ebbe, che l'ordine suo era di nuovo approvato dal sommo pontefice, volò di Pe- saro a Roma: e come che vi lasciasse vecchi i geni- tori, pure in lui la forza della vocazione prevalse a quella del sangue. Io credo che al suo primo rien- trare all'ordine corresse col cuore sulle labbra, e co- gli occhi pieni eli lacrime al sepolcro del santo suo padre, ed ivi abbandonatosi della persona ne baciasse la pietra, e a lui e a Dio ringraziasse delle avvera- te predizioni. Ma poco ebbe a rimanersi in Roma: conciossiacche piacque eh' egli andasse a professare lettere nella casa di Napoli, ove certamente dovette far 266 Letteratura prova del suo sapere. Sebbene il campo maggiore della sua gloria doveva essere Roma, e principalmen- te il collegio nazareno. Infatti la sperimentata sua virtù congiunta a sapere e dottrina grande per ogni tempo , per lo tempo in cui egli visse grandissima in fatto di belle lettere ( perocché le erano guaste e corrotte ), gli offerse stanza in quel collegio sul fa- re del 1657; e piacque a' superiori dargli incarico di prefetto degli studi. Ivi egli si pose a tutto potere alla educazione di quegli alunni: e conoscendo che prima radice d'ogni sapere è la schietta pietà, fondò la congregazione laure tana , la quale sveglierebbe e terrebbe viva ne' teneri petti la devozione alla gran Madre di Dio; e quindi fondò un'accademia che dis- se degli incolti, e cui assegnò per impresa un giar- dino per l'una parte fiorente, per l'altra ancora im- boschito, con questo motto in culti prosperàbun- tur. Il quale presagio al certo non andò a voto, per- chè di quella uscirono ( per tacere di molti ) e l'Al- garotti, e il Paradisi, e il celebrato Labindo, ed uno de'più fecondi poeti dell'età nostra Angelo M. Ricci: e quindi in tanta fama venne, che fu aggregata con ti- tolo di colonia nel 1741 all'arcadia romana. E ben si appose il nostro Pennazza: perocché quelle acca- demie, che agli occhi de'mondani non offrono utilità alcuna, se bene e sottilmente si guardi giovano assai all'istruzione de'giovinetti : e sono come la prima are- na in cui essi discendono a provarsi : talché se rie- sca che aura di lode gli inanimi, o gara di studio ed emulazione li punga ai fianchi, o censura ragionevo- le li metta al punto di far meglio, essi alla fine esco- no di quel puerile aringo maturi di forze, o per lo meno si bene atteggiati da porgere di se grandi spe- Elogio del Pennazza 267 ranze, e poi mantenerle. Per la qual cosa io vorrei, o signori, che voi imitando questo illustre concitta- dino, ogni pensiero vi deste perchè non venga meno alla gioventù nostra cotanto utile palestra. Per que- sta forma il Pennazza giovò di buon conforto le let- tere languenti e semivive; e precorse di molti anni l'istituzione , e le prime non ignobili e non inutili fatiche degli arcadi, i quali a ciò stesso miravano di sanare l'infetta letteratura, e di cessare le matte stra- nezze de' poeti fi). E buon aiutatore sì nell' opera dell' accademia e sì in quella dell'istruzione il nostro pesarese trovò nel dotto ed indefesso padre Camillo Scasellati d'Ur- bino, uomo di molte lettere e di trascelta dottrina, e per que'tempi più presto maraviglioso che sommo: il quale in uso delle scuole pie aveva dettato isti- tuzioni grammaticali, epistolari, oratorie e poetiche, attinte alla buona vena degli antichi, ed esposte in latina favella sempre nitida, e dirò pure trascelta nella parte dell'eleganza, quantunque non così egualmente sicure in quella dello stile. Ed olirà ciò scrisse di buone orazioni e poesie latine, le quali avvegnaché nei concetti sentano un pò del l'affinato, nulladimeno non putono di stravaganza, come le più di quel tem- po, ed in fatto di lingua ritraggono dall'antico. Que- ste una colle istituzioni avendo il Pennazza provate acconce a formare la mente e lo stile ne' giovani, volle pubblicate; e fattosene egli stesso editore, man- dò innanzi alle medesime alcune brevi prefazioni as- (i) L'arcadia fu fondata il 5 ottobre 1690, e l'accademia de- gli incolli nel i65S, cioè trentadue anni prima. 268 LETTERATURA sai ingegnose in fatto di elocuzione e di stile, se pe- rò ad alcuno non potesse parere che in quest'ultima parte non sapessero al tutto di quella semplicità che è il più efficace carattere degli scrittori del secolo di Augusto. Da queste però è facile a giudicare ch'egli era retore, e sentiva molto innanzi nelle cose della lingua latina ; perlocchè niuno gli contenderà mai d'essere stato abilissimo uomo di lettere, e non igno- bile scrittore : tutti gli concederanno titolo di risto- ratore del gusto : perchè, quanto era da lui, adoperò a migliorarlo. Considerando le quali cose non è maraviglia ve- dere com'egli salisse ai primi gradi nella sua religio- ne, e come ognuno l'avesse in grande stima ed opi- nione. Che la virtù si fa sempre strada agli onori, e perchè invidia o basse passioni le stiano incontro , ella si leva gloriosa , e quasi a trionfo sulla nebbia delle umane perversità. Il nostro Pennazza nel i65g fu fatto procuratore generale dell'ordine: incarico al- tissimo e nobilissimo, al quale si richiede somma co- noscenza delle cose, avvenga che colui, il quale vie- ne a questo onore, debba porre mano agli affari di tutta quanta la religione, e trattarne presso le sacre congregazioni ed innanzi a' tribunali ; ne altra som- missione abbia, che al preposito generale. Poscia nel i665 fu eletto assistente generale della provincia ro- mana, senza cessare dall'incarico di procuratore : ed è a sapere, che per tutta la religione quattro soli so- no gli assistenti, i quali presieduti dal preposito ge- nerale hanno il reggimento di tutte le cose dell'or- dine ; nelle quali cariche il Pennazza si mostrò qua- le ciascuno sperava, anzi 1' aspettazione stessa seppe d'assai superare. Ma sopra tutti gli uffici dati al no- Elogio del Pennazza 269 stro pesarese, a me piace quello che gli fu posto a mano quando l'ordine, anzi Roma, l'Italia, il mondo, cominciarono a chiedere che il venerabile Giuseppe Calasanzio fosse elevato all'onor degli altari. Conve- niva scegliere persona matura di senno , ragguarde- vole per dignità, degna di un ordine insigne, d'una causa nobilissima. A cotanto onore fu sortito il no- stro Pennazza : era ben a ragione, che egli, il quale era stato sì preso alle virtù di quel grande, e n'ave- va in se molta parte ritratto, fosse eletto postulato- re della causa di lui, e primo desse le mosse, e di- rei quasi appianasse la via alla sua beatificazione. Non so quali cose egli facesse, ne come in ciò si adope- rasse : ne la brevità che mi è imposta patirebbe che io me ne andassi in lunghe indagini : ben so che vi riuscì a sua somma lode, e nel 1669 ^u presente in s. Pantaleo alla giuridica ricognizion del cadavere del venerabile Giuseppe. E qui vorrei avere forza di stile e colori di favella efficaci a descrivere quale era il cuore del pio religioso al vedersi dinanzi dopo tanti anni intatta, e poco è che non dica viva, la spoglia mortale del suo padre, anzi più che padre ed ami- co ! Ma perchè diffido di me, e il dir poco più che il tacere mi dorrebbe, lascio a voi immaginare i di- versi affetti che in quel punto/ si fecero a combatte- re quella l'eligiosa anima. Ben fu avventurato in que- sto il Pennazza; e avventuratissimo sarebbe stato se avesse potuto raccogliere appieno il frutto delle sue fatiche, e venerare sugli altari il suo santo istituto- re. Ma passato di questa vita il glorioso pontefice Alessandro VII il 22 di maggio del 1667, la causa della beatificazione del Calasanzio, come che solleci- tata da tutta la cristianità e da tutte le corone d'Eu- 270 Letteratu ra ropa, per alcun tempo intiepidì ; e per nove interi pontificati, cioè per lo spazio di ottantuno anni , o non se ne parlò, o poco si fece, perchè era riservato all' immortale Benedetto XIV spedire il breve della beatificazione il f di agosto del 1748. Perlocchè il Pennazza non potè egli avere tanta consolazione di vedere quel desiderato decreto ; e né manco quello, con che Benedetto XIII asseverava le virtù del Ca- lasanzio essere chiare e paragonate in grado eroico; conciossiacchè ancoi'a fiorente degli anni, che non an- davano oltre i cinquantacinque, gli venne oltre la vi- ta. E vano che io mi fermi a narrare la pia e reli- giosa sua morte : poiché uomo vivuto integramente e santamente per tutta l'età sua, non poteva non sug- gellare l'ultimo atto della sua vita con tutte le cri- stiane virtù. Né manco mi fermerò a descrivere il pianto del collegio nazareno, ov'egli morì: né il do- lore di tutto quanto l'ordine che si vide privato di un personaggio, il quale sino all' ultimo aveva dato buona mano alla religione negli uffici onorevoli, che solo per morte in lui cessarono : ognuno sei può ve- dere di per se, considerando che i buoni lasciano sem- pre desiderio , e non manchevole memoria. Per me basti il recarvi innanzi l'elogio, ch'egli ebbe meritato al suo nome, elogio giustissimo , e per puro amore di verità a lui fatto dall'istorico delle scuole pie, pa- dre Rodolfo Brasavola; e questo vi tenga fede di quan- to fin qui vi ho esposto. « Il Pennazza ( dice egli ) « fu zelantissimo del nostro istituto, e pose ogni ope- « ra, ogni pensiero per avanzarlo, e tutte le sue fa- « tiche vi spese. » Nella quale brevità se voi ponete mente, troverete il compendio di quante lodi si pos- sono dare ad uom religioso. Delle quali lodi senza Elogio del Pennazza 271 dubbio una parte è dovuta a questa nobilissima città; che dando i natali al Pennazza , diede a se lustro , all'ordine delle scuole pie conforto e sostegno, e in esse aiutò l'italiana civiltà. Conciossiaccbè io non te- ma errare affermando, che di queste scuole gran prò venne ad ogni maniera di studi : e che i costumi , i quali l'avanzar degli studi secondano , ne trassero non lieve incremento. Laonde mentre io congratulo con voi, concittadini del Pennazza, lui pongo ad e- sempio di questa gioventù studiosa ; avventurata se saprà imitarlo nel sapere, felicissima se dalla pietà di lui saprà fare a se specchio e ritratto ! Del ben tradurre Orazio, articolo III ed ultimo. ( Vedi i precedenti articoli nel tomo 84 a pag. 335; e nel tomo 85 a pag. 273 e segg. ) xmppartengono al nostro 6ecolo, come osserva il Gam- ba diligentissimo nella serie de'tesli di lingua, i vol- garizzamenti della poetica di Orazio del Cesari, del Vincenzi , del Massucco , del Solari e di altri. Ma levossi in grido singolarmente la versione del Gargal- lo : della quale tacere sembrar potrebbe per mia par- te una quasi irriverenza. Ne dirò, come so e posso: ed i savi e discreti uomini mi perdoneranno se tro- vandosi in Orazio i pregi di filosofo e di poeta, pre- gi che il nostro secolo ama congiunti secondo natu- ra, io non poeta ma amante delle lettere e della fi- losofia mi attento uscir fuori con osservazioni, le nua- 171 Letteratura li dimanderebbero il senno dell'acuto Vannetti. Io pef mia parte ripeto, che non mi arrogo alcuna autorità; io non pongo altro che qualche dubbio al tribunale de'ma estri dell'arte. E dopo avere innanzi toccato de- gli altri poemi del venoaino, non avrei potuto sen* za taccia d' idiota o d' inerte passare inosservato il codice del buon gusto: che tale ad una voce è det- to e tenuto il poemetto dell'arte poetica, che ha for- ma di epistola ai Pisoni, e in un disordine apparen- te insegna e insegnei'à l'ordine a tutto il mondo, Fin-' che terran V usato corso i cieli. Quell'apparente di- sordine , che non può dispiacere se già non volessi condannare quella beltà, di cui il poeta cantava: Le negligenze sue sono artificii: fu motivo a molti, ed all' avvocato Petrini singolarmente, di scomporre l'epistola ai Pisoni e ricomporla in altro ordine: ciò che lodarono lo stesso Metastasio, che l'avea per egli tradotta, ed i letterati di Pisa ( 1778, toni. ag,art. 4), e lo stesso Voltaire, che dal castello di Ferney così scriveva a'25 settembre 1777 : « Ho sempre cre- « duto che l'arte poetica di Orazio era come Roma « tutta scompigliata dai barbari: e per questa ragione « io teneva il Boileau superiore a Fiacco, perchè più « regolare. - Oggi preferisco l'autore dell'arte in ter- « ze rime : havete latto ciò che hanno eseguito i pon- « tefici, avete riedificato Roma ec. » Anche il p. Soa* ve, il quale non lasciò nil intentatimi nelle lettere , si argomentò di riordinare la poetica; ma per quanto sia da valutarsi autorità di traduttori ed interpreti, io avrò sempre per dappiù quella de'codici ; anzi di Ora- zio stesso, che ci diede l'arte in apparenza senz' arte. Ha fatto bene il Gargallo di lasciarla tale quale, senza por le mani dove non vanno poste. Quanto alla fa- DEL BEN TRADURRE ORAZIO 2y3 mosa versione di lui, seguirò l'edizione di Pesaro ( stamperia Nobili 1839 in 16 per cura del prof. Montanari ). Quanto al testo, seguirò l'edizione di Padova ( tipi del seminario 1739 per cura e studio dell'egregio Francesco Dorighelli ) non senza con- sultare anche le edizioni di Napoli del i8i5 con ver- sione di Eramanuele Viggiano, e del 1822 di Claudio Arezzo; giacche ci trovo appunto sul testo alcune in- gegnose osservazioni di quello squisito giudizio di Do* menico Martuscelli. E perchè suole ingenerar noia in, alcuni la critica, oomechè ragionevole, fingerò un dia- logo tra quel maestro dell'arte, che fu Francesco Maria Zanotti, ed un amico del vero e del bello , che chiamerò Filotimo. Questo modo di botte e rispo- ste con alcuna festività rallegrerà alcun poco il freddo tema. Filotimo. Che è, maestro, questo bel codice del buon gusto, che dite arte poetica di Fiacco ? Z annotti. Una pistola ai Pisoni, padre e figli , nobili romani: i quali, Pompilio sangue, tenevano dall'origine l'amore alle cose di belle lettere, sempre unite in antico alla vera filosofia. Degno sodalizio ! FU, Perchè dite in antico ? Non è egli sempre i da aversi, che fiori e frutti siano di una pianta mede- sima, e che di questa sia una la radice ? E il bello non è egli anche vero, e il bello e il vero non sono I ordine ? e l'ordine nelle parti non ha specchio la na- tura, di cui è propria la concordia di tutte cose se- condo l'ordine eterno, di cui immagine benché smorta si è questo universo che noi ammiriamo? E se è cosi, perchè la concordia, il sodalizio di lettere e di arti belle colla filosofia, fu in antico, e non al presente ? Zan. Chi ha voce e mano s'immagina facilmente G.A.T.LXXXVII. 18 274 Letteratura di loccare all'eccellenza delie lettere e delle arti senza il soccorso della filosofia : e i più superando ad onta del precetto del poeta, che disse: Seguita i pocìii e non la volgar gente : vuoisi essere letterato ed arti- sta senza filosofia, cioè senza senno e senza mente. Da ciò i capricci del Marini e dell'Adulimi nella poesia, e quelli del Bernini e del Borromini nelle arti figura- tive : da ciò quella turba di cantafavole e di svenevo- li da fare compassione. Certamente Virgilio ed Ora* zio e Petrarca furono prima filosofi, eminentemente filosofi, e poi volarono poetando. E filosofo fu Leonar- do da Vinci, filosofo Palladio, filosofo Michelangelo: e perchè tali, colsero i due primi nella pittura, nell' architettura i primi onori; l'ultimo nelle tre arti fi- gurative tenne del divino. E con perpetua vicenda si videro lettere ed arti salire all'apogeo di loro felici- tà, poi precipitare e tornar quindi in cima ; secon- do che ebbero compagna o no la vera filosofia. E ben disse il venosino dell' eloquenza ; « Scribendi recte sapere est et principium et fons, a Rem tibi socraticae poterunt ostendere chartae : « Verbaque provisam rem non invita sequentur. FU. Lasciatemi, di grazia, tradurre così : « Del ben compor fonte e principio è '1 senno. « Te le carte socratiche potranno « D'idee fornir, e la concetta idea « Ubbidienti seguiran le voci, Zan. Non è veramente il senno', ma il sapere, cioè la scienza, qua! fonte e principio del bene scrivere: DEL BEN TRADURRE ORAZIO 2^5 rem, (lice Orazio, e iam ripelc poco dopo , e pare intender debbasi il soggetto. Se vuoi idee, convernati dire poi similmente più appresso le idee, e non Videa. Ma seguitiamo : « Qui didicit, patriae quid debeat, et quid amicis: « Quo sit amore parens, quo frater amandus et hospes; « Quod sit conscripti, quod iudicis officium: quae « Partes in bellum missi ducis : ille profecto « Reddere personae scit convenientia cuique. FU. Ecco la versione ; « Uom che imparò quel che alla patria debba, « Quel che agli amici : con amor diverso « Come '1 padre, il fratel, l'ospite s'ami , « Qual sia del senator, quale il dovere « Del giudicante, quai d'un duce in guerra « Sieno le parti : affé questi a ciascuno « Render saprà ciò ohe a ciascun conviensi, Zan. Proseguite, rendendo il testo che dice egregia- mente ; « Respicere exemplar vitae, morumque iubebo << Doctum imitatorem, et vivas bine ducere voces. FU. Ecco la versione bella e lampante : a II dotto imitator vo che contempli « L'esemplar de'costumi e della vita, u E quindi tragga le animale voci, 276 Letteratura Zan. Ma nota tanto Orazio la virtù dell'ordine, che noi male faremmo se per gustare alcun che della poe- tica non ci facessimo da prinoipio, laddove appuntò col fingere pittura in disordine ne innamora vieppiù dell'ordine : « Humano capiti cervicem pictor equinam « Iungere si velit, et varias inducere plurnas, « Undique collatis membris; ut turpiter atrura. « Desinat in piscem mulier formosa superne ; « Speclatum adinissi risum teneatis, amici ? FU. E si può render così : « Cavallina cervice a testa umana « Pittor se appicar voglia, e quindi a membri « D'ogni spezie accozzali innestar piume « D'ogni color, talché di vaga donna « Stremisi '1 capo d'atro pesce in coda « Deformemente : a simil mostra ammessi « Potreste, amici, contener la risa ? Zan. Parmi avreste potuto rendere 1' equinam del testo colla simile parola usata dall'Ariosto e da qualche antico : equina. Mi suona meglio che ca- vallina : e parmi ancora che quel mulier formosa superne desinat in piscem non sia reso a pennello col di vaga donna stremisi 'Z capo d1 atro pesce in coda. Mulier non è solamente capo, e il desi- nat non è solo coda. Ma le versioni a un bell'in- circa sono come fiori dipinti a petto ai veri. FU. Come gemma in anello, sembra a me ca- da qui la osservazione di Domenico Martuscelli in DEL BEN TRADURRE ORAZIO 277 quanto sl\Y amici ; che dai più si tiene per vocativo e riferentesi ai Pisoni, ai quali è indiritta l'epistola: ed invece il Martuscelli la intende per modo ditti- co come dicesse : etiamsi essetis amici pictoris. Le sue ragioni sono: i.° che nel verso susseguente Ora- zio nomina a dirittura Pisones al vocativo, e sareb- be un duplicar vocativi senza necessità : 2.0 troppa familiarità non può credersi avesse Orazio coi nobili Pisoni, che altrove chiama sangue reale, Pompilius sanguis; onde non è presumibile li chiami così alla libera, ed alla prima col nome di amici senz' altro. E propone di tradurre così : a Ammessi a riguardar sìmil pittura « Il riso tratterreste, ancorché amici « Voi del pittore ? O miei Pisoni ec. Questa opinione ha contro il voto di diciotto secoli, in cui commentatori e traduttori ( e spero ancora quelli che verranno poi ) hanno tenuto e dato V ami- ci vocativo. Nò abbastanza sembrano le ragioni al- legate per persuaderne contro tanta autorità ; molto più poi che la prima ragione è smentita da tutta P epistola, in cui il poeta mostra tanta confidenza coi Pisoni : e la seconda non vale , perchè parlando in confidenza, non è fuori di luogo ripetere Pisones do- po aver detto amici un verso innanzi. Ma io vi di- vento un ciarlone, e tacerò tanto quanto ho parlato. FU. Mai no, mai no : voi siete savio, e le pa- role de'savi non sono mai troppe ! Quanto a me, le vostre sono quasi aura di aprile ai fiori del prato , che destansi e quasi gioiscono, gestiunt, per dirlo con M. Tullio ! 278 Letteratura Zan. Davvero che mi fareste insuperbire, se noli sapessi che amore move le vostre parole, siccome il cuore ! Io deggio sempre avere in mira la mia po- chezza : ne senza perchè credere aver detto a tutti il venosino : « Sumite materiam, vestris, qui scribitis, aeqilam « Viribus, et versate diu quid ferre recusent, « Quid valeant numeri. Cui lecta potenter erit res, « Non facundia deserit hunc, nec lucidus ordo ! E qui lasciate, di grazia, che io entri nelle lodi del- l'ordine con quell'amico dell'ordine, quale si fu a ma- raviglia il nostro Fiacco. a Ordinis haec virtus erit et venus, aut ego fallor, « Ut iam nunc dicat iam nunc debentia dici, « Pleraque differat, et praesens in tempus omittat: « Hoc amet, hoc spernat promissi carminis auctor. l?il. Non vi dispiaccia la versione : « Egual scegliete a'vostri omeri soma « Voi, ch'opra a scriver date; e qual soverchia, « Qual tollerabil sia, con lunga prova « Intendete a librar; non lìa che manchi « Lucid'ordin d'idee, copia di voci a A chi pari al poter scelga argomento. « De l'ordine (p m'inganno) ecco in che poggia « Il bello e '1 buon: autor d'esteso carme « Ciò che dire or si dee, pur or ei dica ; « Più cose storni, ed or per ora ommctta : « Questa cara gli sia, quella odiosa. DEL BEN TRADURRE ORAZIO 279 Zan. Appena appena io sento Orazio ! Egli è quasi come mirare un parelio a fronte del sole ve- ro e vivo, l'osservare codesta versione ! Vequam del latino parmi corrispondere al nostro proporzionata, meglio che aN eguale della versione: così aWequitas corrisponderebbe meglio proporzianalità , propor- zione, che eguaglianza. Bellissimo il concetto ora- ziano : Ordinis haec virtus erit et venus, bellissi- ma l'espressione ! Ma quanto perde il concetto, quan- to l'espressione se dite volgarizzando: De V ordine.... ecco in che poggia il bello e '/ buon ! Dico ciò che mi sento, e parole non ci appulcro. Voi mi scu- serete. Voleste che io dicessi, e dico schietto : Aut ego fallor, suggiungerò bensì, e con più ragione che Orazio al luogo notato ! FU. Se qui fosse il coro, come sulle scene, lo- derebbe a cielo la vostra modestia ; ma io , che vi ascolto, vi loderò facendo le parti e di uditore e di coro altresì. E giacche siamo qui, piacevi ritocchia- mo questo tasto ? Zan. Tanto nCe bel, quanto a te piace , ri- sponderovvi coli' Alighieri : ed ecco i versi : « Actoris partes chorus officili mque virile « Defendat, neu quid medios intercinat actus, « Quod non proposito conducat, et haereat apte. « Ille bonis faveatque, et concilietur amice, « Et regat iratos, et amet peccare timentcs: « Ille dapes laudet mensae brevis, ille salubrem « Iustitiam, legesque, et apertis otia portis : « Ille tegat commissa, deosque precetur et oret, « Ut redeat miseris, abeat fortuna superbis. a8o Letteratura FU. « D'attor le parti ed i virili uffici « Sostenga il coro, ne fra un atto e l'altro « Canto frapponga, che non ben consuoni, « Né combacisi adatto al fin proposto. « Di favor di benevoli consigli « Sia largo a'buoni; i furibondi attempri; « L'orgoglio ami ammansir; frugali mense, « Salubri leggi e la giustizia esalti, « E in aperta magion gli ozi securi. « Arcan commesso ei celi, e preghi e implori « Da' numi che fortuna amica rieda « Agl'infelici, ed a'superbi avversa. Zan. L' apertis otta portis allude alle porte del tempio di Giano, che in tempo di pace tenevansi aperte dai romani, e non è reso bene con quel verso « E in aperta magion gli ozi securi. E il prego tanto bello e giusto in latino : « Ut redeat miseris, abeat fortuna superbis: non è reso a pennello nel volgare : « . che fortuna amica rieda « Agl'infelici, ed ai superbi avversa. Il redeat va bene col rieda', significando che la for- tuna, cangiatasi di lieta in avversa, torni, rieda, ami- ca agl'infelici. Non va bene il dire torni, rieda, av- versa ai superbi; dovendo piuttosto dire venga av- DEL BEN TRADURRE ORAZIO 28 1 versa di lieta die fu ai superbi, o si converta in ne- mica, avversa, ai medesimi. FU. E che dite , se leggasi nel testo et amet pacare tumentes, col Martuscelli meglio che colla comune peccare limentes ? Zan. Intendo meglio la gradazione : il coro fa- vorisca i buoni, faveat bonis: consigli gli amici, con- silietur amicis ( questa lezione preferirei): regga gli irati, regat iratos: calmi gli orgogliosi tumultuanti, amet pacare tumentes. E mi ricorda che Sofocle nel Filottete fa pietoso il coro a quel re di virtù e potenza lodato, che non più tra gli agi della corte, ma viveasi allora misero in una grotta : e fa che ag- giunga voti, affinchè Ulisse e Neottolemo prestingli aiuto a risorgere. E nell'Elettra fa il coro consiglia- re all' afflitta di sommessamente dolersi per non ir- ritare Clitennestra ed Egisto, tanto nemici alla me- moria del tradito Agamennone. Ed Euripide nell'Ip- polito dà al coro di mitigare l'ira di Teseo pregan- te Nettuno a mandare un mostro marino contro il figliuolo Ippolito. E tutto mi porta ad ammettere la nuova lezione tumentes in luogo di timentes , ad onta de'codici bisognosi di essere posti allo specchio del bello e del vero , come avvisò la fatica di quel gran critico che fu Scali gero. Donar vuoisi ali' au- torità de'manoscrilti ; ma più alla ragione : cui non può essere che mancasse giammai il poeta filosofo. Se non che parmi che voce esca, oltre la yostra, a dirmi col Menzini : « Oh chi se'tu « Chi se'tu che di luce in tutto privo « Altrui vuoi far di luminosa guida ? 282 Letteratura FU. Non temete siffatto rimprovero. Quest'au- torità di menare diritto altrui per ogni calle delle lettere, vi dà non pure la vostra età e il vostro sen- no ; ma quello studio che poneste sulla poetica del gran maestro di color che sanno, e l'uso che ave- te di ben comporre. E sentendo così innanzi nelle cose della bellezza, sareste non pure scortese; ma inet- to, se niegaste del lume vostro fare partecipi gli spi- riti del bel paese, che da voi aspettano conforto, sic- come i fiori chinati e chiusi dal notturno gelo. Ma poiché in me ponete amore sopra gli altri ( di che vi so grado e grazia senza fine, e con altrettan- to amore vi corrispondo ), lasciate che io senta da voi ripetermi quegli aurei versi di Orazio , dove audaci chiama coloro che schiccherano versi senza favilla poe- tica, e consiglia a chi vuol provarsi al nobile cimen- to di slare a'consigli di savi amici. Zan. Che posso io niegarvi, cuor del mio cuo- re ! Eccovi i versi che richiedete : « Ludere qui nescit, campestribus abstinet armis; « Indoctusque pilae discive trochive quiescit, « Ne spissae risum tollant impune coronae. « Qui nescit, versus tamen audet fingere. Quid ni? « Liber et ingenuus, praesertim census equestrem « Summam nummorum, vitioque remotus ab omni. FU. « Chi di giostre non sa, del marzio campo « L'arme non tocca; chi mai palla o disco a O paleo non trattò, stassi 'n disparte; « Onde non faccia l'accerchiata folla « Impunemente alto scrosciar le risa. « Versi osa far chi pur non sa. Chi '1 vieta ? DEL BEN TRADURRE ORAZIO 283 « Libero ingenuo e, quel eli' è più, d'equestre « Censo è fornito, e d'ogni taccia scevro. Zan. Egregiamente ! Ma seguitiamo, e sia à vo- stra istruzione e mia , o carissimo ; affinchè non ci poniamo a far cosa mai invita Minerva , e ciò che facciamo sia per noi dato a giudicare a chi sa e può giudicarne; ne ci esca così presto dallo scrigno. Tu nihil invita dices faciesve Minerva : Id tibi iudicium est, ea mens. Si quid tamen olirà Scripseris, in Meti descendat iudicis aures, Et patris et nostras, nonumque prematur in annum. Membranis intus positis. Delere licebit Quod non edideris : nescit vox missa reverti. Fil. Sentite la traduzione; poiché la vostra bon- tà è come il mare, inesauribile ! « Tu di Minerva ad onta oserai nulla « Dir, ne oprare; e cosi giudichi e pensi, « Che a scriver mai se alcuna cosa imprendi « Talor, di Mecio giudice a l'orecchio « La sottoponi, ed al paterno e al nostro; « E per nov'anni a maturar la lascia o Ne'custoditi fogli. Egli è permesso « Ciò cancellar, che agli occhi altrui celavi ; « Lanciato strai più non ritorna in cocca. Zan. Questo tratto in principio non mi pare tanto felice nella versione, quanto lo è nell'ultimo: dove anzi che rendere 284 Letteratura « Parola detta mai non si ritira, vi è piaciuto discostarvi dicendo con vivacità senza dubbio : « Lanciato strai più non ritorna in cocca. E la metafora è bella, e quadra bene, e può subito essere inlesa, e con diletto. Ma quali siano le parli di un vero censore udiamo da Orazio ! « Quintilio si quid recitares : corrige, sodes, « Hoc aiebat et hoc : melius te posse negares, « Bis terque expertum frustra : delere iubebat « Et male tornatos incudi reddere versus. « Si defendere delictum, quam vertere, malles, « Nullum ultra verbum, aut operam insumebat ina- nem ; « Quin sine rivali teque et tua solus amares. Che se io leggessi qui in vece di quin, crede- rei forse non meritare la frusta da'pedanti, sostituen- do innanzi il pronome quasi dicesse : Nullum ver- bum aut operam amplius insumebat prò te, qui AMAres ec. Ma il vero si rimanga in sella , e voi ite innanzi liberamente ! JFil.a A recitar se andavi « Tuoi versi a Varo : Emenda un pò ( dicea ) « Questo e quell'altro. Io non so far di meglio; :cffi « Due volte e tre mi son provato indarno. « Dunque cancella e i mal torniti versi i DEL BEL TRADURRE ORAZIO 285 « Di nuovo ( gl'imponea ) batti coll'incude. « Se poi volevi, di mutar invece, « Scusar l'errore; opra e parole invano « Più non spendea, perchè a tua voglia amassi a Tuoi parti e te, senza rivai, tu solo. Zan. Ma seguitiamo: che un fido censore è co- me un amico, e ben disse Tullio : Amicus certus in re incerta cernitur. Va bene che tu mi accarezzi nel porlo ; ma meglio poi che mi salvi nella burra- sca ! « Vir bonus ac prudens versus reprehendet inertes, « Culpabit duros, incomptis adlinet atrum « Transverso calamo signum, ambitiosa recidet « Ornamenta, parum claris lucem dare coget, « Arguet ambigue dictum, mu landa notabit : « Fiet Aristarcbus : non dicet: Cur ego amicum « Offendam in nugis ? Hae nugae seria ducent « In mala derisum semel exceptumque sinistre, FU. « Uom saggio e onesto i dilombati versi « Condanna; i duri non risparmia; i rozzi « Sgorbia ad un frego trasversai di penna; « Sfronda '1 fogliame; a rischiarar ti sforza « I sensi alquanto oscuri; ambigui detti « Non lascia inavvertiti; altri, cui vuoisi « Novel contorno, d'indicar non lascia : « Né fia che volto in Aristarco ei dica: « Percìiè V amico amareggiar per ciance ? « Ciance son queste, che a ben tristi punti « Riducon chi una volta a farsi giunse « Zimbello al riso, e fu fra scherni accolto. 286 Letteratura Io leggerei parimi claros lucem dare coget; anziché claris al dativo: e la ragione salta agli oc- chi. Seguiterei poi a leggere F'iet Aristarchus non dicet ; perchè al modo che traducendo voi leggete non mi talenta. Parmi leggiate : Fiet Ari 'star •chus; non dicet ; così non solo variate la punteggiatura , ma del nec fate non : piccole mutazioni ; ma tali che cambiano il senso. Intendo Orazio che dice: Il fido censore sì farà un Aristarco, non sarà un a- dulatore che dica fra se: Disgusterò io V amico per siffatte inezie ? E così corre la lezione comu- ne, la vostra non mi garba; se mai altra lezione vi piacesse , che al tutto non voglio nemmen credere. Andremo d' accordo tuttavia, se tradurrete a un di- presso così : « E volto in Aristarco, ei già non dica: « Perchè l'amico amareggiar Ma che voi vi turbate, mi fate il viso dell'anno? FU. A dirvela, la versione non è già mia: ella è una maraviglia piovutaci quasi manna dal ciclo ! Zan. Ed io l'ho approvata in più luoghi, e par- mi felice dai tratti che mi avete recitati. Ma cosa perfetta al mondo non si dà, e la manna non cade più dal cielo, come sapete. Del resto lode si abbia chi di lode è degno, e il traduttore qualsiasi sia con- tento al voto de'savi; non cercando il mio, che non vale se non tanto quanto un molle zeflìro alle alte querele. Del resto io ringrazio voi, che mi abbiate pro- curato il piacere di conoscere qualche cosa di una nuova versione : e più vi ringrazierò, se tutta vorrete darmela a leggere ; imperciocché come si conosce dal DEL BEN TRADURRE ORAZIO 287 flore la pianta, così da'poclu tratti io ho potuto ar- guire che debba essere, se non ottima, buona alme- no tutta la versione. E basta: a rivederci ! Qui il dialogo si finì, e finisco anch'io di più te- diarvi. prof. D. Vaccolini. Sasrsri di traduzioni delle orazioni di M. T. Cicerone nel secolo XIX. "iffìcile troppo si è ben tradurre in volgar nostro Cicerone quando levasi in forense grandiloquenza ; più assai d'allora che si aggira modestamente in filo- sofiche disquisizioni. Tutti gli uomini di senno ra- gionano in modo presso che uguali , non tutti gli oratori parlano a un modo; 1' intelletto capace di ra- gione non si muta, perchè il vero è immutabile ; si muta il cuore, troppo libero campo alle passioni, che la faccia del bene mascherano, velano e mutano per mille guise. Quindi il filosofo, che parla all'intelletto, non seguirà un modo in Atene, un altro in Roma; non uno sotto la repubblica, un altro sotto l'impero. Ma l'oratore che parla anche al cuore, e principalmente al cuore, altro parla in Atene ed altro in Roma, altro sotto la repubblica, ed altro sotto l'impero. Dee mo- vere le volontà di molti: e per muoverle dee a quelle piegarsi egli slesso, per poi piegarle egli stesso con ar- te, che sembri natura. La lingua filosofica e quasi uni- s88 Letteratura versale, la lingua ilei popolo è diversa pe'diversi popo- li; anzi pei popoli stessi in mutate condizioni di reg- gimento, di passioni, di fortune, di studi. Cicerone, che seppe essere stretto e calzante nelt'esporre dogmi di filosofìa, usò per conformarsi al popolo ed alla cu- ria del suo tempo tanta larghezza, che a noi italiani in tanta diffusione di lumi pare per poco soverchia. Il Poerio oggidì parla da filosofo meglio che da orato- re, e convince e persuade, senza quell'apparato di qua- si vaniloquenza, che nella stessa orazione di Milono tradotta dal Bonfadio si manifesta. A che quella lun- ga difesa poggiata sul falso ? Od almeno sopra un equivoco : Fé cerimi id servi Milonis neque imperante, neque sciente, neque pr aesente domino, quod suos quisque servos in tali re facere voluis- set. Falso era quel neque imperante, neque sciente, e falso appariva dal processo: equivoco era quel quod suos quisque servos in tali re facere voluisset. Ognuno vorrebbe esser difeso dai servi con freno d'in- colpata tutela, niuno di sana mente potrebbe volere ciò che la natura non dà, perseguitare il nemico che fugge, incalzarlo nel suo ripostiglio, trucidarlo, e per mano de'servi farsi d'assalito assalitore, di assassinato farsi assassino. Fu dannato Milone, e dovette man- giare i pesci a Marsiglia, non pel timore, da cui so- praffatto fu M. Tullio nel recitare l'orazione; ma per- chè il sangue di Clodio gridava vendetta in faccia agli uomini ed agli dei. Certamente dinanzi all'Areopago in Atene Cicerone non avrebbe abusato la pazienza de'giudici con tante e sì studiate parole : e volendo pure difendere una causa non buona ( che al dire di Ovidio fassi peggiore patrocinandola) non avrebbe tra- dito o mascherato la verità nella esposizione del fatto, Orazioni di M. T. Cicerone 289 non avrebbe tratto tanto in lungo l'apologia per non istancare tutte le orecchie, per non indignare tutti gli amici col manifesto orpello dell1 eloquenza : ed è orpello mai sempre, quando ancora ha bella scorza, e manca assai la sostanza, che è la ragione, la verità. Ma io veggo molti farmi il viso dell'arme, i quali giudicano M. Tullio più dalle lodi di Catullo, che dai biasimi di Tacito o Quintiliano che siasi. Lo giudicano dalla opinione ereditata dai padri: e tolgono al tempo, che danna o assolve gli uomini e più gli scrittori, di decidere imparzialmente. Non si creda però, che non si possa scusarlo attribuendo al suo secolo quella dif- fusione meglio asiatica che romana, e l'essere in cor- rotta città fractum et elumbem. Comecché siasi ( che non mi arrogo di senten- ziare) non manco io stesso di porre gli occhi sulle carte di Cicerone, e lodo che altri le faccia leggibili a tutti nella nobile lingua italiana. E lasciando i passa ti vol- garizzatori , ornai giudicati dalla nazione , porrò ad esame la traduzione data da quel chiaro spirito di Romagna, che fu Gaspare Gar atoni ( M. Tidlii Ci- ceronis, Oratio prò T. Annio Milone cum adno- tationibus et versione italica. Bononiae CIO ' IO • CCC . XVII. ex typ. franceschia ad signum co- lumbae in 8. ) : non che la traduzione dell'Orazio- ne a favore di A. Licinio Archia data dalV avv. Luigi Borsari ( che sento aver traslatate tutte le scelte ) e leggesi nel voi. I del Solerte , giornale letterario dell'Emilia , e bibliografia dello stato pontificio ) nuova serie ( Bologna, coi tipi delle muse 1841 a pag. 32 e segg. ). Comincio dalla MU loniana. Al cap. 9 fxssa l'oratore lo stato della queslio- G.A.T.LXXXYIL 19 290 Letteratura ne. <( Rimane ( egli dice ), che voi non dobbiate, a « giudici, altra cosa cercare se non quest'una, quale « de'due sia stato l'insidiatore. Ed acciocché questo « possiate meglio per argomento comprendere, il fatto « io vi narrerò brevemente: voi ascoltatemi, ve ne « prego, con diligente attenzione. — Publio Clodio « avendo determinato di straziare la repubblica nella « sua pretura con quante scelleragini per lui si po- « tesse , e vedendo che per la dilazione de' comizi « nell'anno avanti pochi mesi di quella gli sarebbon « rimasi ; siccome quegli che non al grado dell'ono- « re riguardava, come gli altri fanno, ma e non vo- « leva aver collega Lucio Paolo, cittadino di virtù sin- « golare, e voleva intero un anno per lacerar la re- « pubblica; d'improvviso si ritrasse dall'anno suo, e « nel prossimo si gittò, non, come si fa, per alcun v religioso rispetto, ma per procacciare, secondo eh' « egli stesso diceva, al suo magistrato, cioè alla di-r « struzione della repubblica, anno pieno e compiuto. «v Occorrevagli all'animo, che mozza sarebbe la sua « pretura ed infralita, se Milon fosse console: e lui « per 1' appunto vedeva per sommo consentimento « del popolo romano salire al consolato .... Anda- ti va egli puhblicamente dicendo, che rapire a Mi- ci Ione il consolato non si poteva, la vita potevasi. « Questo significò sovente in senato, in parlamento « manifestò. Disse ancora più avanti ; poiché a Fa- ci vonio, uom valentissimo, domandategli con quale K speranza vinto Milone infuriasse, rispose, che fra « tre o al più quattro giorni sarebbe morto : e di « presente Favonio a Marco Catone il ridisse. In ci questo , sapendo Clodio ( che agevol cosa era il « saperlo ) dover Milone il di tredicesimo avanti le Orazioni di M. T. Cicerone 291 « calende di febbraio andare a Lanuvio , per ivi « nominare il flamine ; che a lui , siccome dittato- ci re del luogo, andata era solenne, legittima, neces- « saria ; il giorno innanzi partì egli stesso improv- « visamente di Roma, per porre insidie a Milone , « come per lo fatto s'intese, in sulla fronte di un « suo podere. E partì egli, lasciando mancare l'esca « del suo furore ad una mal animata raunanza, che « si tenne quel dì medesimo : la quale non avreb- « be trascurata giammai, se non fosse stato sollecito « di trovarsi al luogo ed al tempo di quella impre- « sa. Milone il dì seguente stette in senato insino « al oongedo, indi a casa tornò: vestito e calzari mu- ti tò: alquanto ancora, finché la sua donna si accon-» « eia, come accade, si soffermò : partì finalmente a « cotal ora , che se Clodio era per venire a Roma « quel giorno, avrebbe già potuto esservi giunto. Gli « si fa incontro Clodio tutto leggiero a cavallo, sen^ « za cocchio, senza impaccio veruno , senza i suoi « soliti compagni, e, ciò che quasi mai usato non era, « senza la moglie: mentre questo insidiatore, che quel « viaggio ad uccisione aveva disposto , veniva colla « moglie in cocchio, involto con mantello, con inu « pacci dimolti, con grande, con delicato, con don- « nesco accompagnamento di paggi e di fantesche. « Scontrossi egli in Clodio dinanzi al detto podere « all'ora undecima o in quel torno. Subitamente dal- « l'alto dimolti armati gli fanno impeto sopra : quei « che gli eran dicontro, uccidono il cocchiere : egli « gitta indietro il mantello e sbalza dal cocchio. E « mentre gagliardamente si difendeva, quelli che ol- « tre con Clodio erano andati, tratte le spade, parte a Pag- 4^2 ) : niuno di essi abbia notato espressamente, che la ora- zione di Cicerone a favore di Milone, con note e con volgarizzamento del Garatoni ( il quale morì agl'idi di febbraio del 18 17 ), era già in pronto e riveduta per la stampa, anzi approvata dai censori, fino dal 7 dicem- bre 18 16, e uscì in Bologna del 1817 senza alcuna nota, che indicasse di essere postuma. Que'che hanno scritto del Garatoni, que'che lo hanno avvicinato, que' 2g4 Letteratura che hanno a cuore le lettere e i letterati della colta nostra Romagna, prego che vogliano por l'animo a scio- gliere il dubbio natomi, che la edizione della milonia- na uscisse, vivo il Garatoni. Io non amo che il vero: e quanto amo il vero deggio amare che la vita de'chia- ri nostri scrittori sia studiata appunto nello specchio del nudo vero. Del resto quale che siasi il giudizio dei savi e buoni su questo punto della edizione della mi- loniana, come nel resto : io, che mi conosco da nulla, mi acquieterò agevolmente nella prudente loro sen- tenza. Mi si perdoni questa lunga dicerìa, che non bisognava: né io l'avrei posta qui se lo stesso studio della verità non mi si apponesse a colpa da taluno, che ama se meglio che l'onore delle lettere e il santo vero. Vengo ora all'orazione di Cicerone a favore di jérchiaì volgarizzata dal eh. avv. Luigi Borsari. Ec- cone l'esordio. Farò andare di conserva le poche mie osservazioni tratto tratto che mi nasceranno; volendo innanzi essere scusato dall'illustre volgarizzatore, che io stimo tanto da farlo giudice delle mie stesse osser- vazioni; le quali accolte da lui, che è cima di lettera- to, mi parrà acquistare quel peso, che da me non ponno in alcun modo aspettarsi. I savi che leggeranno pongansi sott'occhio il testo latino pe' necessari con- fronti : io mi valgo della edizione di Milano della so- cietà de' classici, e precisamente dell'antologia latina per la classe di umanità superiore ( Milano 1818, a pag. 69 e segg. ), che è nelle mani di lutti : questo ri- guardo mi ha indotto a sceglierla di preferenza, cer- to d'altronde della correzione trattandosi di un libro fatto per le scuole e stampato con molta cura. Ma perchè trattasi di ben giudicare, e ben giudicare non Orazioni di M. T. Cicerone 2g5 si può senza richiamare l'argomento dell'orazione: mi si permetta ricordare qui, che A. Licinio Archia poe- ta, antiocheno di origine, venne a Roma l'anno della fondata città 648, e dagli eracleesi fu donato della cit- tadinanza in grazia di Lucullo : ebbe altresì la citta- dinanza di Roma in virtù della legge plauzia papi- ria l'anno 661. Ma passati 28 anni, un certo Gracco mosse lite ad Archia sulla cittadinanza, facendosi for- te, come è da creder e, sulla legge papia : Ne quis pe- regrinus prò cive se gereret, cura civis non esset. Cicerone assunse la difesa del maestro, e provò Ar- chia essere cittadino in virtù delle leggi, e meritare di essere fatto cittadino, se ancora non lo fosse. Ma ecco l'esordio, secondo la versione dell'avv. Borsari. « Se punto è in me d'ingegno , o giudici , che io « ben so quanto sia scarso; o alcun'arte di favella- « re, di cui per verità ho molt'uso; e se alcun che « io vi possa, mercè di quelle lettere e di que'studi, « che io sempre amai : di tutte queste cose , quali « esse siano , devesi giuslamente il primo frutto ad « Archia. » Si qua exercitatio dicendi, in qua me non inficior mediocriter esse versatum: il traduttore dice ( ommesso il se ) alcun! arte di favellare, di cui per verità ho molt'uso. Io, subordinatamente a migliore giudizio, dubiterei se arte rispondesse ad e- xercitatio', l'esercizio fa l'arte, è un mezzo all'arte; ma non è l'arte : e qui la modestia di Cicerone di- ce esercizio, non dice arte. Ancora dubiterei se di favellare rispondesse a coppella al dicendi; l'arie del dire, del bel dire, è definita la rettorica; l'arte à\ fa- vellare è piuttosto la grammatica. Tutti parlano, tutti favellano , non tutti sono eloquenti : e qui di elo- quenza intende M. Tullio. Ma questo passi; ciò che, 2qG Letteratura non panni assolutamente da passare si è il dire di cui per verità ho molfuso: dove è qui la modestia, dove è il non inficior , dove il mediocriter ? E quando volessi sofisticare, chiederei un corrispondente più accomodato al latino vel in primis , ed all' al- tro a me repetere : chiederei il periodo più sostenu- to alla fine nella versione : e se si cercasse eleganza, invece di cominciare col se punto è in me l'ingegno, direi se fiore è in me d'ingegno. Ma non è da guar- dare tanto alla vernice, quando la forma e la mate- ria è lodevole. Ora è da seguitare, lasciando altri nei, se vi fossero, ad occhio più perspicace. « Perciocché quanto può il mio pensiero riguar- « dar nel passato, e rivelare la memoria de'miei più « teneri anni, io veggio costui essermi stato maestro « e autore ; perchè io volgessi e ponessi l'animo in « quegli studi. » Manca nel volgare il corrisponden- te al latino inde usque repetens : ne l' evidenza del principali et ad suscipiendam et ad ingredien- dam rationem horum studiorum trovo nel volgare : volgare è porre l'animo a qualche studio ( meglio che in qualche studio ): non basta, trattasi dell'eloquenza, che vuole non pur l'animo, ma e il cuore e la lingua e tutto l'uomo : e Cicerone a tutt' uomo erasi dato appunto all'eloquenza, come pare accenni modesta- mente sì, ma chiaramente in questo luogo ; anche per ciò che dice dopo. « Che se questa voce informata dall'esortazione « e da'precetti di lui valse al soccorso di alcuni, egli « è solenne mio debito giovare, per quanto è da me, « e recar salute a colui dal qual ebbi di poter giova- ci re e salvar gli altri. » Non approverei in italiano la frase informata dalV esortazione e da' precetti : e Orazioni di M. T. Cicerone 297 confermata dice il latino , non informata : sem- pre il verbo formare ; ma altrimenti modificato dalle prepositive in e con. Debemus , dice il latino, e quantum est sitam in nobis : il plurale in luogo del singolare, non senza perchè, usa Cicerone; lo veggano i savi, e primo di tutti il eh. volgarizzatore. a Ma come troppo in noi è diversa la ragione a dell'arte e l'ingegno, altri del mio dire non maravi- « gli. Ne io pure ho dato a questo unico studio ogni « mia cura; imperocché tutte insieme le umane arti « stringe, direi quasi, e congiunge un comun vinco- « lo di parentela. » Qui per non riuscire infinito, mi limito a deside- rare più fedeltà nella versione ; quella fedeltà, di cui cominciando dal 1825 ho toccato più volte, esami- nando in queste carte volgarizzamenti i più celebrati. Non credo ripetere il già detto, a'eortesi che leggono volentieri il giornale arcadico: e sanno gli avvisi del soavissimo e giudiziosissimo Perticari, e di quell' altro onore di Romagna, che fu Paolo Costa, in quanto a elocuzione. « Ma perchè strano non paia, che in civil pia- ci to e in pubblico giudizio, innanzi a pretore elettis- « simo e severissimi giudici, e nel convento di sì gran « moltitudine, io prenda una favella lontana del tut- ti to dalle consuetudini e dai modi forensi: io vi chieg- « gio una grazia, o giudici, che, mentre si addice alla « qualità del mio cliente, a voi, spero, non sarà gra- « ve il concedere. All'oratore che parla per un poe- ti ta sommo, per un dottissimo, presenti tanti uomini « di lettere, ove tanta è la gentilezza vostra e la ec- « cellenza di questo preside, concedete di spaziare « più libero alquanto per le ragioni delle lettere e 398 LETTERATURA « degli studi. E permettete che difendendo colui, che « nel beato ozio di essi studi non conobbe i pericoli « de'giudizi, io usi favella a questi luoghi, può dirsi^ « insolita ed inaudita. Che se di tanta grazia mi sa-* « rete cortesi, io farò di mostrarvi: che non solamene « te questo Licinio, che è cittadino, non vuole sce* « verarsi dal ruolo de'cittadini; ma ascriversi dovreb- « be, se non lo fosse. » Quel tanto consenta hominum ac frequentici , non piacerà a tutti reso così nel convento di sì gran moltitudine; perchè convento non è oggi parola che significhi concorso , frequenza di persone : convento è convento^ e la religione se ne è appropriata l'uso, come si sa. Non piacerà, che Yuti genere dicendi sia reso col prenda una favella. Questa benedetta favella ( l'ho di sopra in parte accennato ) è meglio parola ( e viene dal fare de'latini), è lingua , me- glio dico, che eloquenza. Così in Dante Inf. 2 : « Con angelica voce in sua favella : ed Inf 5: « Fu imperatrice di molte favelle. E Boccaccio , nov '. 427: <( La giovane udendo la^a- vella latina. » E il Redi leti. 1, 18: « Metterò qui la sua traduzione dàlia favella greca nella latina. » Taccio altri esempi, bastandomi ragione addotta e autorità, ed uso ancora, a concludere, che favella meglio si usa a significare semplice parola o lingua, di quello che eloquenza. Ma io non voglio, né so essere quasi Aristarco; Orazioni di M. T. Cicerone 299 per cui mi taccio* contento a dare quale si è il vol- gare della perorazione. I savi giudicheranno, e il tra- duttore vedrà se gli convenga donare le seconde e le terze cure alla sua versione annunciata delle ora- zioni scelte di M. Tullio; onde sia degna di lui e del secolo in cui viviamo. Se i miei conforti voles- sero appo lui, io vorrei di cuore confortarlo a non lasciare fatica per darne uno squisito volgarizzamen- to, che sino dai tempi di Fausto da Longiano, scrit- tore Unto encomiato, ci aspettiamo con desiderio. « Laonde, vostra mercè, o giudici, sia salvo que- « st'uomo, di quella candida fede che vi attesta la « lunga amicizia di tanti egregi, e di quell'ingegno « che ognuno estima in chi i grandi ingegni in- « memora (questi / troppo fanno cacofonia). Ecco « sorge in favor suo il benefizio delle leggi, l'auto- « rità di un municipio, il testimonio di Lucullo , i « libri di Metello. Se valga adunque a sì gran cau- <( sa la raccomandazione degli uomini e degl'iddii, fa- « te, o giudici, io ve ne prego, che quell'onesto al~ « la fine nella vostra fede riposi, ne lo fiacchi il ri- ti gor vostro, ma la vostra umanità lo conforti. Egli « è colui che voi celebrava e i vostri capitani e le « romane imprese, e prometteva d'illustrare con glo- « riosa istoria i tristi casi, che di recente ci afflissero: « egli è di coloro, che come cosa sacra furono appel- li lati ed onorali presso ogni gente. Ond'io porlo spe- « ranza, che le cose, le quali secondo mio stile con « brevi e semplici parole vi esposi, saranno nel vostro « senno approvate. E troverà grazia appresso voi tut- « ta questa diceria, nella quale sono andato (#), di fo- - {") La stampa noti ha che sono ondulo, e forse dovrebbe 3oo Letteratura « rensi consuetudini e di quell'egregio ingegno e de- « gli studi di lui. Certo io ne sono da chi questo giù- » dizio presiede. » Queste ultime parole limpidissime nel testo po- trebbero dar luogo ad equivoca interpretazione ? E un mio dubbio ; ma e questo e ogni altro, che io taccio, vedranno e sceglieranno ( lo replico ) i savi e i di- screti, ed egli stesso il eh. volgarizzatore. prof. D. Vaccolini. aggiungersi dicendo o parlando; anzi senza forse, per corrispon- dere al locutus sum del latino. 3oi I Epigrammi tradotti dal greco. I. CENA D'UN AVARO. n vasellame Dissi adirato D'argento solido Co'piatti fulgidi : Risplendentissimo, Oh ! in piattel terreo Cinna non posemi Bastevol fossemi Altro che fame. Cibo recato ! II. SUPERBO NELLA LIETA FORTUNA. Copia grande di tesori E di onori Al mio Carmi intorno sta: Ma nel suo novello stato Ha obbl*iato Ogni senso d'amistà. Qual si fosse la sua storia, Di memoria Tuttaquanta gli uscì fuor. Né la sorte, che giuocando Va cambiando, In lui mette alcun timor. 3oa Letteratura Una volta mendicante Venia innante Supplicando colla man: Or che siede a ricca mensa Non dispensa Né gli avanzi del suo pr. La Fortuna, o Carmi, è lie Forse in breve Testimon sarai del ver. Tutto cambia di presente : Te pezzente Torneremo a riveder. III. CONTRO UN PUGILATORE. Per ben vent'anni Il duro Ulisse Tra mille affanni Pei mari errò. Giunto al suo tetto In lui si affisse Il cagnoletto, E '1 ravvisò. O Stratofonte, Dopo quattr'ore, Tai rechi impronte Dal colpeggiar, Epigrammi tradotti dal greco 3o3 Che i tuoi ne fanno Alto stupore, Ne te più sanno Raffigurar. Non dare orecchio A'detti miei: Fa' che lo specchio Sia testimon. Innanzi ad esso Giurar tu dei : Io quello stesso Di pria non son. IV. IADRO CHE RUBA MERCURIO, Aulo fra tenebre, Per vie secrete, Fatta sacrilega Preda d'Ermete, Che dell'arcadiche Piagge è signor ; Di lui che aligero Figlio di Giove, Posto è per vigile Custode, dove I forti addestransi Meglio al valor; 3o4 Letteratura Di lui che a tenere Vacche si piace Pur anco stendere La man rapace; Aulo tra '1 ridere Picea così : Che tra i discepoli Non sia valore Tale che superi L'insegnatore, No, più non dicasi Da questo dì. V. CONTRO UN MEDICO. Cinque infermi Alessi il medico Ad un'ora visitò: Cinque n'unse De1 suoi balsami, Cinque a Dite ne inandò, Un sepolcro, Un sol becchino Ebber tutti; E giù per gl'inferi Di conserto Tutti presero Il medesimo cammino. Epigrambii tradotti dal greco 3o5 VI. l'astrologo e il nocchiero. Un nocchier venne tutto sollecito A ricercare da Olimpo astrologo, Se verso Rodi fuor di cimento Spiegar potesse i bianchi lini al vento. Cui l'indovino : Non troppo carico Muova il tuo legno : sciogli dal margine Quando le messi vedrai già bionde, Né t'affidar di mezzo verno all'onde, Ciò fermo : lieto potrai ben correre Quell'ampio tratto di pian ceruleo, Ed approdare senza periglio, Purché i ladroni non ti dian di" piglio. VII. GRAN NASO. Ermocrate del naso, se fai senno, Non già '1 naso d'Ermocrate dirai: Che le piccole cose non si denno Alle maggiori attribuir giammai. Vili. VECCHIA AZZIMATA. E crine e denti hai compero, Hai compro e fuco e cera: Il prezzo d'una maschera Forse minor non era ? G.A.T.LXXXVII. 20 3o6 Letteratura IX. BENI DELLA MORTE. Perchè mai timidi Morte vi fa ? Sol per lei trovasi Pace sincera: In fuga volgesi De'morbi pallidi Per lei la schiera: Ha per lei termine La povertà. La morte è unica, Viene un sol di: IN è più tormentaci Dopo quel giorno, Sì come sogliono Le febbri squallide E tante zacchere Che fan ritorno E ci dilaniano Pur tuttodì. Epigrammi tradotti dal greco 307 X. MORTE SENZA LEGGE. Ghiri and ette fiorite Dà Nico vecchierella All'urna di Melite Intatta verginella, La qnal meglio dovria, Se men bizzarra fosse La morte, a questa pia "Vecchietta infiorar l'osse. XI. CANIZIE. Al sapiente Il crine candido Aggio gne onor ; Ma la canizie Nuda di merito Fa il vecchio stolido Più stolto ancor, É venerando Ancor che tacito Un vecchierel ; Ma s'egli parli Parole insipide, Non altro restagli Che degli anni la soma e il bianco pel. 3o8 Letteratura XII. BELTÀ1 FUGACE. Questi fioretti, di mia mano or colti Qua e là dove il pratel meglio ridea, Ecco ti mando in un bel serto accolti, O Rodoclea. La viola e il narciso qui pompeggia, Qui la rosa dispiega il suo vermiglio, Col rugiadoso anemone biancheggia L'intatto giglio. Orna di questi il capo e quindi abbassa Di tua fiorita etade l'alterezza , Dicendo: Come il fior, cosi trapassa Mortai bellezza. XIII. GRAN NASO. Comunque ch'ei si provi e ch'ei si faccia Non vien mai dato a Proclo il naso tergere, Se mezzo naso men lunghe ha le braccia. Ne starnutando può le voci adergere : Salva, o Giove; che l'udire è niente: L'alto fracasso si va tutto a spergere Pria che dal naso giunga ove si sente. Epigrammi tradotti dai- greco 309 XIV. TRE SORDI. Gran lite infra due sordi un dì si mosse, E un giudice fu dato alla quistione Che più de'duo avea le orecchie grosse. Trattosi il primo a dimandar ragione , Disse : Signor, costui pagar non vuole De'miei goduti alberghi la pigione. E l'altro : Ben puoi dir di queste fole : Io mi stetti al molino in fin l'aurora. Ed il giudice : A che tante parole ? La vostra madre non è viva ancora ? Mantenetela adunque : il non sapere Sì giusta legge troppo indegno fora. XV. PRIAPO GUARDIA D'INCOLTA VIGNA. Cotesta vigna, o mio bel Rufo, dove Ponesti il dio Priapo alle vedette, Contiene, a molto dir, non più di nove O dieci viticelle languidette: Tal che se viene a far le usate prove Il ladro con sue arti maledette, Mentre che il resto è fuor d'ogni periglio, Forse al custode poria dar di piglio. 3io Letteratura XVI. A CERBERO D* ARCUILO CO. Orribil Cerbero, Ch'alto latrando, L'ombre dell'Erebo Vai spaventando, Poniti in guardia Contro la nera Ombra che approssima Alla riviera. E morto Archiloco Autor de'versi Del più vipereo Veneno aspersi. Schermo qual siasi Nulla ti vale, Se col mortifero Giambo t'assale. Qual poter abbiasi Coll'aspro accento, Licambe facciane Chiaro argomento. A un dì medesimo Di lui fé' carca E delle figlie La stigia barca. EPIGRAMMI TRADOTTI DAL GRECO 3ll XVII. RINGRAZIAMENTO DI CENA. Cinna cortese, che mi credi degno D'avermi teco a nobile convito, Più che assai ti ringrazio, ma non vegno, Se mei consenti; che pel dolce invito Vanno già le mie brame al loro segno, Contento al molto onor, che m'è largito : Dommi pasco così lieto alla mente, Né grevezza di cibo il corpo sente. XVIII. morte d'Orfeo. Della tua cetra al suon le antiche selve Non moveransi più, né i massi grevi, Né la famiglia delle crude belve; Né potrai più arrestar, come solevi, Le grandini sonore, il mare, i venti, Né la caduta di fioccate nevi. Veggo le muse all'urna tua dolenti E Calliope tua madre da' bei lumi Di lagrime versare ampi torrenti. All'uom che gioverà che si consumi Plorando i figli spenti, se alla prole De'celesti non vai pianto di numi ? 3i2 Letteratura XIX. ARCO E FARETRA AD APOLLO. Come s'avvisa Alcon che il dolce nato Miseramente dalle spire orrende Di gran serpe nel corpo era aggirato; Senza punto indugiar l'arco protende, Vibra di salda man punta mortale, Che l'aspe fiero nelle fauci prende; Né dal ferro il fanciul s'ebbe alcun male, Ancor che si paresse in quel momento Le belle membra rasentar lo strale. Sull'elee or pone il gemino strumento, Faretra ed arco, illustre di valore Non men che di fortuna monumento. XX. PRIMIZIE DE* CAMPI A CERERE. Picciol dono di picciol campicello Un fastellin di spiche a te qui pone Il tuo Sosicle, o Cerere; il più bello Dell'estiva stagione. Madre benigna, io vo'che mi conceda Che, dopo aver la mano mia stancata. Di nuovi doni apporlator io rieda Colla falce spuntata. Epigrammi tradotti dal greco 3 1 3 XXI. API NEI ROSTRI. Trionfale di guerra monumento Rostri già fissi alle vaganti navi Neil' aziaco naval combattimento, Or d'api denso stuolo abbiam nei cavi, E ferve l'opra lor sì che già pregni Son de'più dolci e rugiadosi favi. Cesare augusto, tu di pace i segni Coll'arti della guerra in bell'accordo Come giugner si ponno al mondo insegni. XXII. ENEA IN ITALIA. Le parche nei destini avean fissalo Del superbo Ilion l'orrenda clade, Come il sangue regal fosse versato. Ma il tuo navilio, Enea, ver le contrade D'Ausonia intanto veleggiando muove, E colà fia che la futura etade T'onorerà qual tutelar suo Giove. Felice Troia pur quando s'adima ! Se la città, che dee per ogni dove Stender lo scettro, il capo indi sublima. 3i4 Letteratura XXIII. STATUA i>' ALESSANDRO. Quanto dagli occhi sfolgora di luce, O artefice preclaro, il tuo lavor ! Miro nel bronzo il gran peliaco duce E sospeso mi tiene alto stupor ! A' persiani pavidi fuggenti Ben io concedo un facile perdon : Chi stupirà che fuggano gli armenti Se d'improvviso appar fulvo lìon ? XXIV. CAPRETTA DIVORATA DAL LUPO. Tirsi mio, che giova il pianto, A che giova oguor di stille Il sereno tutto quanto Irrorar di tue pupille, Se andò giù nell'Orco cupo La vezzosa caprettina, Se la cruda ugna del lupo Si ghermì la poverina ? Ora latrano i molossi: Ma qual prò, se orribil pasto N'è già fatto; e fin degli ossi Né un minuzzolo è rimasto ? Epigrammi tradotti dal greco 3 1 5 XXV. CONTRA UN GRAMMATICO. Cinegiro infelice e vivo e spento ! O il ferro micidial ti rende monco, O le lingue ti dan sempre tormento. Teste pugnando rimanesti cionco Dell'una man, ed un grammatic'ora Di netto l'un de'piè ti fece tronco. Ab. Domenico Santucci. — *»-^S>0 o53 anime. Alla fine dell'an- no i83i, di 83, 772: un anno dopo era pergiunto ad 84, 49°* Al i836 l'aumento toccava gli 87, 4*8. Oggi la popolazione ammonta a 90, 000; delle quali 55, 000 dimorano in città e nei borghi , e 35, 000 nei casali. « I nati sfanno nella città come 1 : 26, e nei casali come 1 : 28. I bastardi stanno a'iegittimi co- me 1:9 (#). Il numero medio de'nati è di 3, 34^» fra i quali 22 parti doppi. Il numero medio dei mor- ti è di 2, i54> quello dei matrimoni è di 786. » Il commercio d'oggidì è nullo paragonato all'an- tico : consiste in vino, olio, seta, agrumi, sugo di limone, spirito di vino, pesce salato. Le campagne di Sicilia celebri per fertilità non sono ben coltivate , l'industria e le migliorie agricole non vi sono intro- dotte : la pastorizia è quasi interamente scomparsa dall'isola. Il mare è ricco di molto buon pesce: ogni anno se ne consumano 175, 000 libbre circa: ciò pro- (*) Si osservi che tra i proietti, che riceve l'ospedale di Mes- sina, vati compresi quelli di parecchi comuni della provincia, i quali son privi affatto di ruote. 33o Belle Arti va i messinesi essere ictiofagi. La pesca del corallo non è più in uso. Il territorio del municipio si estende per miglia quadrate 120 : esso ha l'annua rendita di ducati 121, 473, 82. La stessa proviene in ducati 1, 826, 92 da beni patrimoniali; in ducati 1,073,9 da provv enti giurisdizionali: in ducati 4?97J dalla privativa della neve, ed in ducati 109, 102 dai dazi di consumo ; oltre a ciò ducati 80, 000 circa sulla consumazione de'frumenti a così detti campisti. Non meno di io spedali civili esistevano in Mes- sina, i quali tutti furono riuniti in un solo. L' ar- chitettura di questo grande ospedale è magnifica, sem- plice e di buon gusto. L'edificio è quadrato ed oc- cupa un'area di canne 2730 : le sale per gl'infermi sono ventilate e spaziosissime, non così quelle delle fanciulle trovate, che son guaste e bisognevoli di molto. Una porzione di quest'ospedale è destinata ai soldati infermi. Lo stabilimento è fornito d'una comoda far- macia e d'un vago orto botanico. Accolse nel i83g 1, 811 uomini ammalati, e 1, o5g femmine: mantiene 58 trovatelli. L' ospedale per gli storpi fondato nel 1827 ne ricovera 116. Messina ha quattro monti di prestanza : l'A. riporta il quadro dei movimenti dei monti di pegnorazione pel corso dell'anno i838. Ebbe origine nel i548 un collegio di studi di- retto dai gesuiti : nel i5g6 diveniva università, dalla quale fiorirono uomini celebratissimi. Dopo la rivolta dei 1674 fu chiusa, e rinacque per volere del regnan- te Ferdinando II il 29 luglio i838. » In una vasta sala avvi la biblioteca pubblica ricca di 20,000 volu- mi. Giacomo Longo donava nel 1728 al municipio la sua scelta e copiosa libreria, che dopo morte si tenea Monumenti di Messina 33 i aperta al pubblico, e quindi si riuniva alla gesuitica, della quale tenghiamo parola. Vi è un museo iniziato fin dal 1806 per cura del prof. Carmelo La Farina , clic proponevalo in un suo discorso nell' accademia de'pericolanti, e nella quale onoranda impresa venne mollo favoreggiato dal p. priore don Gregorio Cian- ciolo cassinese promotore dell'accademia summentova- ta. Oggi il museo racebiude una mediocre collezione numismatica di monete urbiebe ed imperiali ed una ragguardevole galleria di quadri ..;. E incominciata an- cora una collezione di vasi greco-siculi, di conchiglio- logia, ebe col tempo speriamo veder condotta a perfe- zionamento. Sonvi inoltre due sarcofagi in marmo, ed alcune iscrizioni latine, arabe e greebe. » Nel collegio delle scuole pie si educano 3a alun- ni. L'orfanotrofio dei dispersi contiene 26 orfani ebe sì ammaestrano nelle principali discipline e ne'prin- cipii della musica. Il convitto della bassa gente, de- stinato agli orfani artigiani, ne educa 27 alle arti e mestieri. La casa di s. Angelo de' Rossi istruisce e mantiene 12 giovanetti e 12 giovanette. Il semina- rio ne inizia agli studi sacerdotali 63. Ha 5 reclu- sori per civili ed orfane donzelle , ebe in tutto ne accolgono i64- Esistono ancora due scuole lancaste- riane ne'due circondari interni , quella del priorato con 181 fanciulli, e quella dell'arcivescovato con i3o. « Messina ebbe ne'passati secoli l'accademia de- gli abbarbicati fiorente nel i636 ; quella della^- cina fondata nel 1639; quella della clizia e di teo- logia morale nei principii del XVIII secolo. Nel 1725 fu istituita l'accademia degli accorti, e nel 29 quella àé pericolanti ^ la quale tuttora dura sotto il titolo de'peloritani, associata per opera del Murato- 332 Belle Arti ri a quella dei dissonanti di Modena. Essa è fioren- te d'illustri soci stranieri. « La stampa venne introdotta in Messina da Er- rigo Scomberg alemanno. Nel 1^"]% vediamo pubbli- cata una vita di s. Girolamo pei torchi di lui. Varie sono state le vicende fra noi di questo potentissimo elemento della moderna civiltà. Oggi Messina ha sei tipografie, che imprimono le opere dei nostri scritto- ri , ma che in nulla a' impicciano negli utili lavori della ristampa. Un gabinetto di lettura fu aperto il 1 gennaio del corrente anno 1840, ove convengono più che cento soci, ed ove arrivano quasi tutti i gior- nali del regno, i più accreditati d'Italia e non pochi dell'estero. » Oltre la biblioteca dell'università, già ricordata, ne esiste un'altra nell'oratorio unito alla chiesa di s. Gioacchino ov'è buona collezione di stampe anti- che, di scelte edizioni, non che di disegni e minia- ture, fra le quali primeggiano quelle dello Scilla. Il monistero de'cassinesi possiede una vasta biblioteca, ed un archivio ricco di pergamene importanti per la siciliana diplomatica e per la storia dell'ordine. Ric- chissima era altra volta la biblioteca de'basiliani di manoscritti greci e latini, che sventure ed avarizie bar- baramente sfiorivano. La torre delle campane, altre vol- te prezioso deposito di manoscritti, serbava gli antichi privilegi messinesi con altre scritture reputate impor- tanti alla franchigia dei medesimi. » Ivi, dice il Bon- fìglio, era una libreria scritta a penna in favella gre- ca, legata alla città da Costantino Lascari dottissimo e nobilissimo greco costantinopolitano, ed i libri di ra- gion civile scritti in carta pecora e miniati d'oro. » Questi preziosi monumenti furono dal conte di s. Ste- Monumenti di Messina 333 fano involati e trafugati in Ispagna, ove impinguaro- no la biblioteca dell'Esctiriale. Vari sono ancora i gabinetti privati di storia na- turale e di numismatica ohe adornano questa delizio- sa città. Il sig. Pietro Campanella ha formato un ga- binetto di storia naturale, ove va osservata una com- pleta collezione di solfati di strontiana di Sicilia : una collezione completa mineralogico-vulcanica dell'Etna, ed altra delle isole eolie. Una raccolta di rocce pri- mitive, di minerali metallici, agate, diaspri e marmi di Sicilia, oltre due ricche collezioni de'minerali vul- canici del Vesuvio ordinati secondo Monticelli e Co- velli: finalmente una collezione delle conchiglie viven- ti e fossili siciliane, e de'minerali degli stati uniti di America (*). Il sig. Paolo Smeriglio ha raccolto ed ordinato , giusta il sistema di Lamarck, ben più di 2, 000 conchiglie sicule ed esotiche. Oltre a ciò gran numero di conchiglie microscopiche di que' mari e dell' estero. Una lunga serie di terrestri e fluviatili delle Indie, dell'America, dell'Affrica e dell'Europa, ed una raccolta di conchiglie fossili di que' dintorni. Inol- tre evvi una estesa collezione di marmi siciliani, di crete antiche e di buoni quadri. Il sig. Benoit ha una collezione ornitologica sicula, intorno alla quale pub- blicò pei tipi di Giuseppe Fiumara un catalogo ra- gionato. Possiede ancora una raccolta di conchiglie terrestri e fluviatili delle Indie, dell'America e dell'Af- frica, non che una numerosissima d' Europa : final- mente bella è la collezione delle conchiglie marine. (*) Ha pronte per comodo degli amatori delle scienze varie collezioni classificate dei più belli esemplari a vari prezzi- 334 Belle Arti Antichissimo è il diritto di Messina di batter moneta. Il sig. Giuseppe Grosso Cacopardi, uno dei più generosi cultori delle cose patrie, ha riunito una collezione di medaglie greco-sicule, Calabre, consolari ed imperiali ricca di più che 4, ooo tipi in oro, ar- gento e rame , oltre una bella raccolta di 35o vasi greco-siculi, un'allra di medaglioni moderni , ed in fine una di conchiglie di Sicilia e straniere. Così il Longo possiede una collezione di medaglie siciliane in prima forma d'argento che è molto bella e ricca: una non piccola serie di medaglie siriache, egiziane, greche e Calabre : una stupenda raccolta d'imperato- rie di argento , ed infine una di medaglie estere di rame e di argento. Le private raccolte, di che tenemmo discorso, for- mano il più bell'elogio dell'amor patrio de'messinesi. Questi magnanimi han prima reso il trihuto alle co- se patrie, e ne hanno arricchito i loro musei a pre- ferenza delle straniere : quelle spiccano sopra tutto. Incuoriamo que'prodi a portar le loro cure sugli al- tri rami della storia naturale, e segnatamente sull'ic- tiologia e sulla fitologia. Messina vanta quattro epoche glorio? e nella pit- tura. Esse portano i nomi di Antonello degli Anto- ni, di Polidoro Caldara da Caravaggio , di Antonio Barbalonga e di Agostino Scilla. Parlando il Lanzi del Barbalonga dicea : « È tenuto per uno dei mi- gliori pittori di quell'isola ( Sicilia ) che ne è stata abbondante più che non credesi. » Tante opere con- dussero quei valenti ed i loro scolari, che le molte chiese ed alcuni palazzi di Messina ne sono dovizio- samente arricchiti. Tanto è grande il numero dei di- pinti, che sembrano cosa vana il poterne dar qui cen- Monumenti di Messina 335 ni anche brevissimi, tanto più che il sig. La Farina adoperò brevi concetti per indicarne i pregi, cosicché il lettore amante delle arti belle vi troverà delizioso pascolo. Lo stato morale e scientifico di Messina ha fat- to sempre bella mostra di se. Eccone le più veridi- che prove. Die essa i natali a Dicearco lo storico t al retore Aristotile, ad Ibico, al poeta Lieo, al fa- moso medico Policleto, e ad Evemero istorico cele- brato. Quale italiano non onora la fama di Guido delle Colotiue, di Stefano Protonotaro e di Tomma- so di Saxo progenitori della volgare favella ? Famosi sono i nomi di Tommaso da Messina, di Bartolomeo da Neocastro giureconsulto, poeta ed istorico solen- ne , di fra Giovanni Andrea Gatto teologo e mate- matico, di Alfonso Cariddi, di Francesco ed Anto- nino Faraone, di Marco Pagliarino, dello storico Bon- figlio, di Andrea Barbazio, del grande Francesco Mau- rolico , e dei celebri medici Bartolomeo Castelli ed Alfonso Borelli. Nel bel sesso Nina è famosa nei fasti dell'italiana poesia, Cameola Turingo e la Bonfiglio che vien ricordata dal Boccaccio: famosa poetessa fu la moglie di Severino Boezio. Pina del Gallo comentò Euclide : Nicoletta Pasquale era peritissima nella lin- gua italiana, latina, greca ed ebraica: ed Anna Ar- duino, che parlava le lingue greca, latina, francese e spagnuola, era cotanto esperta nelle filosofiche disci- pline da tenere pubbliche conclusioni , nelle quali mostrò erudizione e sottigliezza d'ingegno. Nel ma- neggio delle armi non v'era cavaliero che la ugua- gliasse, tanto che il principe di Piombino, nipote di Gregorio XV, invaghitosi della fama di lei la toglie- va in moglie. Altri molti uomini e donne celebri con- ta Messina: ma basti il già detto. 336 Belle Arti Questa città è caduta e risorta le mille volte : la peste, la guerra , la fame , i tremuoti sovente la desolarono, la manomisero e la ridussero meschinis- sima. Novella fenice però è risorta sempre dalle fu-, manti sue ceneri più bella e più grande, ed ora tro- vasi in tale stato da avvantaggiare immensamente. Il cielo avvalori novella vita, e storni i suoi fulmini da questa sventurata città ! E. C. B. Introduzione alla storia della pittura italiana, esposta con monumenti da Giovanni Rosini. Pisa, presso Nicolò Capurro i838 in 8, di pag. 61 fig. Storia della pittura italiana esposta con monu- menti da Giovanni Rosini. Epoca I da Giun- ta a Masaccio , tomo I. Ivi , idem i83g , di pag. 264; tomo II, idem di pag. 1^2. 1 Cicognara colla sua storia della scultura, di cui il prò ed il contra notarono già i più colli spiriti d' Italia e di oltremonte , empiva un vuoto che ri- maneva nella storia delle arti nostre. Il Lanzi col- la sua storia della pittura adempiva il desiderio d'o- gni cuore gentile. Parve buono con questi esempi al professore Rosini ( che osservò a Parigi i monumen- ti rapiti all' Italia dalla superba delle conquiste , e che cedendo alla forza la ragione furono poscia nel Istoria della pittura 337 riso della pace restituiti a questa sede perpetua del- le arti belle , a questo nativo giardino del mondo ) parve buono dissi al lodato professore di darne la storia della pittura italiana esposta con monumenti: e maturato il suo pensiero, e confortato da studi con- tinui , aprì l' intendimento dell'opera in questi ter- mini. « Essa è preceduta da una introduzione , dove « si espongono le vicende dell' italiana pittura per « cinque e più secoli. Succede il volume, cbe dal- « la sua origine conduce la storia sino alla morte « di Masaccio, e contiene intieramente la Prima « epoca , illuminata da 36 tavole in rame. « Questa ( egli dice ) è la parte più difficile , « non che la più importante del mio lavoro. Sarà « in essa dimostrato qual fosse veramente la culla « delle arti italiane; e quali aiuti la pittura riceves- « se dalla scultura , quando ambedue concorrevano « ad abbellire i monumenti religiosi, che in ogni pai> <( te allora d' Italia si elevavano. « La seconda epoca , che principiando da Fi^ « lippo Lippi giungerà sino a Raffaello, sarà distri- « buita in due tomi, e accompagnata da 44 ° 4& « tavole. « La terza epoca da Giulio romano al Baroccio sarà egualmente in due volumi distribuita e illustra- ta da 3a a 36 tavole. « La quarta ed ultima epoca dai Caracci ad « Appiani, oltre i due volumi, avrà 36 a ^o tavo- « le; le quali cominciando dalla chiamata di s. Mat- te teo all'apostolato di Lodovico, termineranno colla « celebre lunetta che del pittor milanese si amrai-r- « ra nella pinacoteca di Brera. » G.A.T.LXXXVII. aa 338 Belle Arti Quando agli etruschi dona cotanto l'età novel- la che cerca le origini delle arti in Italia , e dalla terra cortese aperta alle ricerche degli eruditi sorgo- no monumenti da far hello il museo gregoriano (or- namento del secolo e delle arti): pareva doversi me- glio guardare all'avviso di Plinio, che l'arte della pit- tura precedesse in Italia la fondazione di Roma : e non era da passare il tempio della salute ornato d'im- magini da Fabio pittore : ne la curia ostilia , dove M. Valerio Massimo Messala pose il quadro tanto famoso quanto quello in Atene della battaglia di Ma^ ratona ; perciocché rappresentava dipinta la disfatta de'cartaginesi e di Ierone in Sicilia operata da Mes- sala, meglio che quella de'persiani operata dal fiore de'capitani Milziade. E seguendo G. Cesare, era da guardare nel tempio di Venere genitrice 1' Aiace di Timomaco : e sotto Augusto la battaglia d' Azio ed il trionfo di quell'imperatore. Ma come fare, se da quelle ruine non iscamparono i maravigliosi dipinti ? Ben è a dolere, che le ingiurie della fortuna e degli stranieri tanto potessero da privare l'Italia di tali mo- numenti, che provassero la sentenza pliniana che d^ ce : Hic multi s iam saeculis summus animus in pi- dura. Senza rinunziare alla gloria domestica ( e sen- za perdere ogni speranza di rischiararla quando che sia ) lodiamo che il professore di Pisa dia tutte le cure all'opera divisata, che vorremmo intitolata Sto- ria della moderna pittura italiana ec. Una ben ponderata introduzione pi-ecede la sto- ria: della quale opera, finche non sia piena, non cre- diamo poter sentenziare. Bei principii annunziano bei progressi e fine felice. Chi ben comincia ha la me- tà delV opra. Auguriamo prosperi eventi al degno Istoria della pittura 33 q cultore delle gentili discipline , che saprà spogliarsi di ogni parzialità, di ogni amore di municipio, dan- do a ciascuno ciò che si dee. Una cosa avremmo de- siderato : che non limitasse il fine della sua storia all'Appiani ; ma imitando il Cicognara, che si riposò nel sommo Canova, portasse l'opera sua ad acquietar- si nel barone Camuccini, onore di questa Roma e della pittura in Italia, come sa tutto il mondo, che lo sa- luta nostro principe delle arti belle. Prof. D. Vaccolini. *e Atti dell'imperiale regia accademia di belle arti in Venezia per la distribuzione de'premi dell' anno 1839. Venezia per la erede Picotti, ti- pografia dell'I. R. accademia, in 8, di p. 60. Y i ha innanzi l'elogio di fra Giovanni Giocondo letto il dì 11 agosto i83g nell'I. R. accademia di belle arti in Venezia dal nobile dottor Emilio de Ti- paldo professore di storia geografia e diritto marittimo nell'I. R. collegio della marina, socio onorario della sud- detta accademia ec. Uom degno d'eterna memoria, dicono a buon diritto i domenicani quel fra Giocon- do, onore del secolo XVI e della religione a cui ap- partenne : uomo di maturo giudizio, e di acutis- simo ingegno, degli architetti corifeo, di tutte le buone arti antica e moderna biblioteca , lo disse G. C. Scaligero suo discepolo: dottissimo e di scien- 340 Beile Arti za faconda, lo disse il Panvini: di scienza univer- sale il Vasari. Fu onorato da due pontefici, da un imperatore, da un re, da due principi , da una re- pubblica, dai dotti e buoni del suo tempo, tanto rie-* co d'ingegni e di mecenati. Monumenti del suo va- lore lasciò nelle officine degli Aldi e de' Giunti , e nella storia degli studi classici. E pure di ootant'uomo incerti sono l'anno della morte, l'età , il luogo del deposito, e le vicende, e la famiglia , e poco meno che il nome. Un secolo, che tanto operò, ha questa colpa di non avere eretto monumento, che duri e no- ti ciò che non s'ignora degl' ingegni minori. Questa colpa non è del nostro secolo, ii quale se meno ope- rar deve per iniquità di fortuna, non lascia però ino- norati i benemeriti, e riboccano le epigrafi, le bio- grafie, gli elogi, i comentai'i; e spesso le arti eterna- toci, come dell'incisione, della pittura, della scultu- ra singolarmente , vengono chiamate a conservare la memoria di cqloro, che per opere degne di mente o di cuore o di mano parer potrebbero immeritevoli di morire, per dirlo col venosino. Pieno di erudizione si è questo discorso, ed è a proposito per lodare un religioso dottissimo in ogni maniera di scibile , e di architettura singolarmente maestro, di cui la varietà delle opere si accorda colla varietà de'suoi studi. Ma udiamo l'elogista su questo particolare : « Due ponti a Parigi ( egli dice ) , un « castello in Normandia, un ponte sull'Adige, un al- te tro alla Brenta ; un acquedotto al Sile; un argi- ne ne alla Piave , un argine al mare ; una sala del « consiglio alla sua patria; a Venezia una intera cou- rt trada con ponte , chiese , mercati ; consolidare le « fondamenta di un tempio; distruggere le torri e le Accademia di bèlle arti in Venezia 34 1 « case di una città; cavar fosse, rizzar baluardi, con- « gegnare trinciere, levare terreni sulle porte novel- « le , aprir feritoie che dien varco angusto all' ani- ci pia strage dei cannone omicida. E poiché siamo « a questo della varietà, noteremo come ad essa non « abbia mancato Giocondo fino nella qualità di an- ce tichi autori da se trascritti, dati in luce, illustra- ci ti. Catone, Cesare , Vitruvio , Plinio il giovane , « Frontino, Aurelio Vittore, Ossequente. Sei secoli « di distanza ; da Cartagine non anco distrutta fin « oltre a Costantinopoli edificata : la lingua schietta « di Roma repubblica, e quella che viene più e più « intralciandosi da Augusto a Traiano , da Traiano « a Teodosio : lo stile storico, il didascalico, Pepi- te stolare, l'agricoltura, l'architettura, l'idraulica, la « fisica, l'antichità, la guerra, i costumi. » Così par- mi potersi dire fra Giocondo l'uomo di molti secoli: e degno era risuscitarne le lodi nell'insigne accade- mia , che delle arti venete conserva la gloria. Ma perchè non passi questo cenno senza qualche utilità, sia documento agli artisti di erudirsi nelle lettere e nelle scienze de'secoli precedenti e di quello in cui vivono ; giacché in essi dev'esser mente a ben con- cepire , cuore a ben volere , mano a ben eseguire. Manca un' altra cosa, la fortuna : e questa ponno aspettarsi oggimai da principi di generoso ed alto ani- mo, che intendono veramente alla prosperità de'po- poli, che ricaderebbono nella barbarie , se lettere e scienze ed arti non fossero sorrette e promosse da lu- me benefico di potenti, che è a guisa di sole a ter- reno fecondo di eletti germi ! Felici noi, che fra tan- ti astri benefici abbiamo sui soglio di Pietro un lu- me maggiore , che dalla cella romita tratto in cima 342 Belle Arti al candelabro illustra tutto un secolo; talché dai set- te colli una voce sopra ogni voce s'innalza, ripeten- do con più ragione quel di Virgilio : « Magnus ab integro saeclorum nascitur ordo ! » prof. D. Vaccolinl Collezione di manuali d'arte, mestieri, manifat- ture, agricoltura e commercio , proposta in Bologna da'1 signori Amoretti fonditori e tipo- grafi, dottor Sedetti e dottor Evangelisti ma- tematici, e dottor Trebbi medico li 7 agosto 184.0. K ella città di Bologna meglio che altrove nel bel paese credo dovere allignare felicemente la teorica applicata alla pratica in arti , mestieri ed industria: preso questo nome nel suo più largo , onesto signi- ficato. Imperciocché lasciamo stare la copia di dotti e colti spiriti , di meccanici e chimici vigilanti , di mezzi e di occasioni a pensare e fare cosa degna al progresso delle arti utili e delle buone discipline, in vincolo fratellevole collegata : recentemente il pro- fessore Aldini, fisico fortunatissimo, ha lasciato alla città di Bologna, sua patria, un gabinetto fornito e ricco di più e più vesti e guanti di amianto ad uso degli spegnitori d'incendi: de' quali ripari la Senna e il Tamigi, per tacere dell'Italia, videro le prove felici; Collezione di manuali ec. 343 aggiungendo una dote ricchissima da mantenere il la- boratorio, ed una scuola di chimica applicata alle arti. E già sino dal 1828 il professore Luigi Vale- riani Molinari, economista di chiaro nome ( che io lodai e loderò come degno concittadino), chiamò ere- de la città di Bologna, cui lasciava un peculio di 23 mila scudi da erogare parte negli archi e portici del- la Certosa ; parte in una scuola di geometria e mec- canica applicata alle arti ed ai mestieri, con premi agli artieri per incuorarli all'utile ed onorata fatica, che fa dalle spine germogliare le rose in questo eter- no giardino del mondo, guardato dalle alpi e dal ma- re ; e non guardato mai abbastanza dalle nebbie di oltremare. I portici sono a monumento di quella be- nefica anima del professore Valeriani : la scuola di lui ed i premi, come la scuola dell' Aldini, avranno sede nel magnifico locale delle già scuole pie, dove è accolta la biblioteca del comune ( che prima era in s. Domenico ), e pe'ristauri che si fanno a quelle sale gloriose pel favore dell' eminentissimo legato sig. cardinale Vincenzo Macchi^ mecenate delle arti, e per le cure dell'inclito senatore marchese Guidotti, e degli altri nobilissimi e cortesissimi, di cui abbon- da la città madre delle gravi ed utili discipline. Af- fretto co' voti l'adempimento dell'una e dell'altra isti- tuzione, di quella dico dell'Aldini più recente, e di quella del Valeriani più lontana di tempo : e tutto mi ia confidare il presto adempimento, che si avrà, assegnando emolumenti condegni a'pi-ofessori ed im- piegati dello stabilimento ; che un solo stabilimento sarebbe a farsi in due sezioni diviso, l'uno di chimi- ca, l'altro di meccanica applicata. Con questo soda- lizio delle istituzioni si verrebbe a secondare il voto 344 Belle Arti «Iella natura , la quale consegnò all' arte le scienze tutte sorelle , come le muse : e tali che prosperare non ponno a maraviglia senza una più intima unio- ne, come il ramo dal ramo disgiunto dare non può suoi frutti, non vegetare; dovendo insieme trar vita e alimento dal tronco e stipite comune. L'impresa di questi manuali dovrebbe farsi per servire principalmente alle due istituzioni, di cui ho toccato. 11 moto degli atomi dà vita alla chimica, ai suoi effetti ed alle sue applicazioni ; il moto de'cor- pi dà vita alla meccanica, e a quante sono macelli- ne ed industrie umane. Dammi un punto fuori della terra, diceva Archimede, e moverò l'universo. Date- ci, io dico, queste scuole, ed alle scuole buoni ma- nuali : ed avrete il progresso delle arti, dell'industria, del commercio, della privata e pubblica felicità. Fa- vore di ricchi e potenti, studio di dotti e savi, fer- vore di giovani accesi dell'amore di gloria, che per noi è negli studi, protezione di governanti: tutto, tutto fa confidare bella accoglienza in Bologna sì alle scuole, di cui ho toccato, sì a questa collezione di manuali ordinata all'uso di quelle scuole. L' istitu- zione delle quali forma una gloria del nostro secolo, che deve operarsi molto nel bene per meritare dai secoli avvenire quel nome , che da se si è dato di secolo dei lumi, di secolo del progresso ! prof. D. Vaccolini. — »*§©Q€gS*=»- 345 varietà' Elogio della principessa Guendalina Borghese nata Talbot, scrit- to dal principe D Pietro Odescalchi dei duchi del Sirmio, colf aggiunta di alcune poesie della medesima principessa recate in versi italiani dal cav. Angelo Maria Ricci- 8.° Ro- ma i84i> tipografia delle belle arti ( Sono pag. 5o col ri- tratto della defunta ). XI principe Odescalchi in tutte le sue opere mostra la sua no- biltà, così nelle sentenze come nelle parole : stimando quel suo giudizio, non poter esser nobile nelle cose chi prenda dall' infi- mo uso del volgo, come fanno molti oggidì , il linguaggio per significarle. Qui però ci è sembrato il signor principe aver mo- strato siffattamente la beltà del suo cuore, che noi vogliamo con- gratularcene non pure con lui, ma con Roma eh' è lieta di es- sergli patria. E che , dicendo queste cose dell' onorando nostro direttore, noi male non ci apponiamo, sia di prova questo passo, dove con classica verità, semplicità ed eleganza, senza quel ger- go boriosissimo de'miserabili nostri seguaci delle ciance straniere, narrasi la beata morte della Borghese. ,, La principessa Borghese fu costretta a porsi in letto la ,, sera del venerdì di esso mese di ottobre con un sì leggiero „ riscaldamento alla gola, che i professori dell'arte non solo non „ dubitarono che riuscir dovesse a mal fine, ma neppure il ten- ,, nero in conto d'infermità. Ne'giorni che seguitarono sembra 346 Varietà' „ certo che tanto quel riscaldamento, quanto la febbre cresces- ,, sero, benché dalle persone che non erano della casa niente ,, se ne sapesse: imperocché i medici e ricorsero a' salassi e ap- „ prestarono farmachi rifrigeranti , da' quali la inferma provò „ un grande alleviamento. Fu più per metter fine a quel picco- ,, lo male, e per troncarlo in un subilo, che mossi da necessità, ,, che i chirurgi si consigliarono, la mattina del lunedì, di scari- ,, fìcarle, come dicono, le tonsille : dopo la quale operazione ,, ella da se stessa si dette per affatto guarita: tanto trovossi me- ,, glio della gola e tutta ben rimessa della persona. Le novelle ,, adunque della sanità della principessa da5 parenti e da'fami- ,, gliari si ebbero allora per felicissime : e tanto più, quanto che ,, seppesi avere nella mattina del martedì 27 ( giorno ahi troppo „ infausto e doloroso ! ) e ricevuto graziosamente in mezzo agli ,, scherzi ed alle celie i chirurgi ed i medici , e presa con gusto ,, una leggera refezione in compagnia del principe, il quale non ,, può significarsi a parole quanto di quel bene stare di Guen- „ dalina si rincorasse. Misero sposo! Infelice padre! Quali acuti ,, dardi stanno per trafiggerli il cuore ! Non appena era passala „ un'ora, che così care speranze si cangiarono in lutto e in af- ,, fanno! Fattosi di nuovo il medico a visitar Guendalina : sen- ,, tito eh' ebbe il polso, e secondo l'arte guardatala in viso, ,, videsi improvvisamente tutto turbare; laonde col pallore sul „ volto e con tronche ed incerte parole richiesele , se provasse ,, per caso alcun nuovo incomodo o al capo o alla gola. Di che ,, niente altro avuto in risposta, se non che ella sentivasi mara- „ vigliosamenle bene : quasi a se medesimo non desse fede , si ,, rimase tutto mutolo e pensieroso. Quindi sopraggiunto altro «, medico, e fatte insieme le ispezioni non che le domande me- ,, desime, e sempre con eguale risposta della malata, i due pro- „ fessori infine uscirono della camera. Appena furono oltre al ,, limitare, ecco che loro corsero ansiosamente incontro e mari- ,, to e domestici e famigliari per intender pure una volta quali ,, fossero le novità dell' inferma. Ai quali i due medici, chinan- ,, do afflittissimi il viso, e gli occhi asciugandosi dalle lagrime , ,, non altro annunziar poterono in affannosi detti , se non che ,, pur troppo la principessa era ornai agli estremi : e che nello Varietà' 347 „ stato in cui trovavasi, niente più giovando o virtù di medici- „ na o arte di medicanti, non rimaneva che 1' affrettarsi a chie- ,, dere per essa gli ultimi aiuti della religione! Ciò che al te- ,, nero sposo ed a tutti furono queste parole, io non basto a ,, dirlo ! L'ambascia estrema fu vinta per un istante dall'estremo ,, stupore : ma abbandonatasi poscia ad un libero sfogo, empi „ tutto di pianto e di desolazione il palazzo. Mentre che queste ,, cose avvenivano, ecco, più a caso die richiesto a tanto ufficio, ,, presentarsi il Confessore di Guendalina, il quale sapendola in- ,, ferma veniva per visitarla. Perchè dettogli dai circostanti a ,, quel fine si trovasse la principessa , senza frapporre indugio ,, lasciò guidarsi entro la camera di lei, che ignara del pericolo, „ nella pace della virtù riposavasi. Fattosi il buon padre d'ap- ,, presso al letto, affabilmente richiesele, se posto ch'era venuto ,, alla sua presenza le sarebbe in grado di confessarsi. Cui Guen- ,, dalina, niente sospettando di ciò che era , tranquillamente ri- ,, spose: Assai volentieri, padre mio : ma vorrei rimanermi sola ,, alcun poco per raccogliermi in vie medesima e più diligente— ,, mente ricercare la mia coscienza.Bene vi consentì il confessore: ,, ed affinchè a quel che chiedeva potesse ella dare libero effet- j, to, si uscì dalla stanza. Ma che ! i professori ch'erano colà ri- ,, masi, udito che la principessa non erasi ancora a lui confessa- ,, ta, per quanto eragli cara quella bell'anima lo scongiurarono ,, di non tardare: essendo che del vivere di Guendalina più non ,, restavano che minuti. Ascoltato questo, tornò egli nuovamen- ,, te alla inferma, e con parole più aperte che non avesse fatto „ la prima volta, le dette a conoscere che la sua malattia dava „ forte a temere a quelli dell'arte medica: che perciò sarebbe ,, stato bene, senza rimandar le cose più in là , di acconciar su- ,, bito gli affari dell'anima. Né dell'apparecchiarsi si desse pen- ,, siero alcuno : perciocché avendo egli da alquanti anni in pra- ,, tica ogni suo fatto che risguardasse lo spirito, avrebbe saputo ,, con poche dimande soddisfare ogni suo desiderio. Umile „ Guendalina e sommessa a chi docilissimamente aveva sempre ,, obbedito, non frappose tempo e lasciò da lui confessarsi. Com- ,, piuta piamente la confessione , a lei rivolto il ministro della », chiesa con gravi e sante parole le fece intendere, che essendo 348 Varietà' ,, pur troppo venute meno tutte le umane speranze intorno àl- ,, la sua guarigione, era giunto il momento di fare della sua vi- „ ta un generoso sagrifìzio a Dio : sicché non potendo confo r- „ tar l'anima, impeditane dal male, col sagramento dell' eucari- ,, stia , sarebbe stato cosa opportuna di confortarla con quello ,, della estrema unzione- Fu a tale annunzio che il placido viso ,, di Guendalina leggerissimamente si conturbò : ma vinto Subì» ,, to quel primo e leggier sentimento, non dirò di timore, ma ,, di umana fragilità, avendo rivolti con grande affetto gli oc- ,, chi al cielo, quasi dicesse : Fa di questa tua serva, o mio Dio, ,, ciò che meglio ti piace ! tutta ricompostasi a calma ed a se- ,, renità , attese devotissimamente che la segnassero del santo ,, olio de'moribondi. Ma il morbo micidiale ad ogni istante cre- „ sceva per modo, che Guendalina, benché in ogni sua facoltà „ della mente fosse a se presentissima, incominciò a provare gli ,, ultimi aneliti di una vita ch'è per ispegnersi. Di che facilmen- ,, te avvedutosi il confessore, nel leggere che faceva sopra di lei „ le ultime preghiere della chiesa, le pose a baciare il crocifisso.- „ il quale essendo riconosciuto da essa per quelle stesso, innan- ,, zi a cui pregar soleva nel piccolo suo oratorio, schiuse lieta- ,, mente le labbra ad un caro sorriso , quasi vedesse I' adorato ,, confidente di tutti i pensieri suoi; e con affetto baciatolo, in ,, quel tenerissimo bacio spirò. ,, Nuovo saggio dell'origine delle idee, volumi tf. Roma tipogra- fia. Salviucci, in 8, i85o ( Articolo ultimo ). vJuando le lettere nostre piegavano in sinistro, a salvarle da perdizione i savi nostri le richiamarono allo specchio di Dante : così quando la scienza delle scienze si perde o nel matto ideali- smo, o nel vile sensualismo, buono è richiamarla allo specchio dell'angelico dottore s. Tommaso. Questo panni si faccia da'pru- Varietà 349 denti nostri, fra'quali il Rosmini Serbati tiene un luogo degno. Non vorrà egli vagheggiar troppo quella sua idea dell'ente : sa- prà arrestarsi dove la ragione abbandona il filosofo e lo lascia in balla dell'immaginazione. Ne'primi volumi , de' quali altrove si è dato un cenno in queste carte, scoperse e additò il nodo della questione in ordi- ne alle idee, ne narrò la storia , ne diede la sua teoria: trovò qualche cosa di concreato col nostro spirito , che lo fa intelli- gente.- e questo elemento ingenito o concrealo avvisò essere più semplice di ciò che altri avesse opinato o sospettato. Si mise quindi a ricercare quale si fosse questo elemento semplicissimo sfuggito a tanti occhi: lo notò in una idea semplicissima costi- tuente V unica forma dell'intelletto e della ragione : e venendo alla pratica applicazione in questo ultimo volume, espone come corollari della sua dottrina i discorsi sul criterio della certezza ( che per lui è la percezione dell'ente) sulla forza del ragiona- mento a priori, e sulla prima divisione delle scienze: tema tan- te volte agitalo, e da tanti, e sempre nuovo ed intatto. La percezione adunque dell'ente è pel Rosmini fonte d'ogni certezza : contro questa percezione non valgono dubbi scettici , che dessa sia una illusione; che è impossibile, che l'uomo per- cepisca una cosa diversa da sé : che lo spirito comunica alle co- se percepite le sue proprie forme : che l'idea dell'essere è mezzo a conoscere tutte le cose, e perciò sorgente d'ogni verità : quin- di l'idea dell'ente per lui è la verità stessa, il principio o crite- rio del certo e del vero: quest'idea dell'ente bene applicata ge- neraci quattro primi principii del ragionamento, o le concezioni comuni: quindi la certa cognizione de'corpi, di noi, di Dio: fi- nalmente la legge morale ; essendo l'idea dell'essere la suprema per giudicare del bene in universale , il principio dell' endemo- nologia. Volendo stare col Rosmini, diligentissimo senza dubbio, la idea dell'enee in universale, come semplice e pura possibilità, co- me idea vaga, indeterminata, inavvertita e unicamente formale, sarebbe pel dotto autore la prima idea , il primo principio in- nato della psicologia e dell'ontologia: il criterio de'giudizi nella logica; il supremo principio del bene e del dovere nella morale; 35o Varietà' il fondamento e l'anello del mondo ideale col reale , ciò che le ga la vita speculativa o teoretica colla pratica. Del resto egli parte non dal dubbio metodico di Cartesio ; ma da uno stato d'ignoranza metodica : la quale però non con- siste già in un' assenza perfetta di ogni cognizione; ma bensì nel- l'assenza puramente della cognizione filosofica, ossia di ulterio- re riflessione. Checché vogliasi pensare delle dottrine del Rosmini sull'o- rigiue delle idee ( che non vogliamo giudicarne ), non potrà mai niegarsi a lui una forza d'ingegno per ideare ed esprimere i suoi pensieri allo specchio dell'angelico dottore e del sommo Alighie- ri, vero poeta filosofo. A noi dee bastare di avere dato un breve cenno anche del- l'ultimo volume ; onde i leggitori nostri si facciano un' idea di quest'opera sottilissima di uno de'filosofi, che va certamente per la maggiore. E qui vogliamo si abbia le nostre lodi , le nostre congratulazioni; perchè indefesso studia alle cose della filosofia e della morale ; e promuove quanto è da lui l'amore dell'ordine e la comune felicità. P. V. Progetti di sistemazione del Po, del signori Giovanni Gagliardi e Borgnls ( Bibl. it. maggio 1840, a pag. i65) X ra l'alpi e l' apennino è una famosa vallata , che si stende per trecento miglia in lunghezza, e cento in larghezza raggua- gliata. Il Po co'suoi trenta influenti accoglie e porta all' adriati- co tutte le acque : giova una si copiosa ramificazione d' acque correnti a conservare qui stesso il bel giardino del mondo. Ma ogni bene quaggiù è accompagnato da mali, e tanto buon ser- vigio de'fiumi non lascia di avere sovente i suoi malanni. Le passate alluvioni lo hanno provato pur troppo ; e se non era la V A K I E T A' 35 I carità che si movesse al soccorso delle infelici popolazioni, noi piangeremmo ancora amaramente la sciagura delle acque. Sen- tendo dappresso i mali si pensa a'rimedi : ed ecco appunto ri- sorgere nuovi pensamenti indiritti a garantire le popolazioni dalle invasioni delle acque , migliorando eziandio i terreni e la navigazione. A tale proposito il signor Gagliardi propone di formare un nuovo alveo rettilineo, largo almeno come il Po grande attuale, che cominciasse a Serravalle ed avesse foce nella sacca o rada dell'Abate presso Goro: la sua lunghezza sarebbe di metri 238oo, poco più della metà dell' attuale. E così sarebbe riunita in un convoglio tutta la copia d'acqua, che ora si scarica in mare per otto canali, compresa la diversione di Goro. Il sig. Borgnis conserverebbe invece il Po grande nello sta- to attuale da Serravalle sino alla Contarina .- lascerebbe il Po d'Ariano o di Gorp : alla Contarina poi il nuovo alveo verreb- be in retta linea allo sbocco in Val Salsa , con una larghezza non meno del Po grande attuale, ed una lunghezza di sole cin- que miglia. Altro taglio proporrebbe da farsi a comodo di lun- ghezza circa due miglia diretto a togliere la grande curvatura di Gorbola. Fa conoscere i vantaggi del suo progetto sopra quello del Gagliardi, e dà molti cenni non nuovi, ma giudiziosi, sui provvedimenti opportuni per la compiuta sistemazione del Po e de'suoi influenti. Se fosse lecito fra tanto senno sorgere a dire la mia qua- lunque opinione, vorrei proporre una opinione quasi di mezzo fra i due progetti Gagliardi e Borgnis , e sarebbe di fare due grandi rami del Po, partendosi l'uno dalla Contarina per iscari- carsi a retta linea in Val Salsa ; l'altro partendosi dallo stesso punto per ridursi parabolicamente nella rada di Goro, o sacca dell'Abate. Si scanserebbe un unico convoglio di tante acque , quando la natura ha indicato sempre il suo voto, che il Po ab- bia più rami: si avrebbe il benefizio delle acque correnti in più località ad utile dell' aria, che dove sono acque correnti è più sana : si seconderebbe più l'attuale sistemazione, a cui non pare da opporsi così diametralmente. Le innovazioni totali in materia di fiumi non sono mai prudenti: né le passate furono poi coro- 35a Varietà' nate da si felice esito, che sia sicuro l'abbandonarsi alla cieca in braccio a novità, delle quali vuol dirsi a ragione pericolosum est credere et non credere. Ma io non ho inteso certamente, che di esporre un mio dub- bio a chi sa e può risolvere in oggetto di tanta difficoltà , che ha provato e prova i più acuti ingegni della beata penisola. Il desiderio del bene move le mie parole: e l'animo volonteroso mi scuserà appo i benevoli che leggeranno. P. V. A santa Mustiola comprotettrice della città di Pesaro , inno dì Francesco Cassi. 8. Pesaro 1841 dalla stamperia di Anne- sto Nobili ( Sono pag. i5 ). v_ihe peccato che questo nobilissimo ingegno non ci dia più spesso delle sue cose in tanta vena di poesia ch'egli ha, in tanta dignità di scrivere ed eleganza! Ma il conte Cassi sembra ripo- sarsi ora sugli allori, che a buon diritto gli fruttarono da tutta Italia la bellissima sua traduzione di Lucano. Intanto lo ringra- zieremo di averci per questo nuovo inno fatto conoscere ch'egli non ha lasciato la dolcezza delle muse : inno veramente degno della santità del soggetto e della chiara fama dell'autor suo. Della povertà in Lucca, ragionamento deW avv. Luigi Forna- ciari. 8. Lucca, tipografia Berlini 1841 (Sono pag. /±ó). Xreziosissimo volumetto, nel quale con alta filosofia non meno che con gentile eleganza ragionasi di una delle più grandi pia- Varietà' 353 ghe della civiltà de'popoli, e si avvisano i modi di curarla, chia- mando insieme a soccorso la ragione de'governi e la santità del- la religione. Noi l'abbiamo letto e siamo tornati a leggerlo con ammirazione non meno, che commozione di animo : e ci giova consigliare di far altrettanto coloro , che in più speciale manie- ra sono deputati alla pubblica beneficenza. Essi avranno in que- st'opera di che pascere ad un tempo la mente ed il cuore. Ve- ramente questo signor Fornaciari è un fior di giudizio e di sa- pienza in tutte le cose, alle quali pone l'ingegno: e non sa- premmo dire chi più di lui in Italia sia benemerito di ciò che oggi dobbiamo avere più a cuore, la morale pubblica e la di- gnità delle lettere. 12 arte di scriver lettere, dedotta dall' analisi de' classici scrittoi ri latini ed italiani per opera di Giuseppe Ignazio Monta- nuri. 8. Firenze dalla tipografia calasanziana 1840 (Un voi." di ).ag. 117. ) Xl dotto , infaticabile e benemerito prof. Montanari ha voluto con questo libro, tutto fior di giudizio e di eleganza, giovare so- prattutto la gioventù italiana, e riparare al guasto che le dottri- ne forestiere hanno menato in ogni parte della nostra letteratu- ra. Ed egli v'ò riuscito , come era bene a supporsi di quel sua fino criterio : sicché noi caramente raccomandiamo quest1 opera non solo a'giovani eh' esser vogliono italiani in Italia, ma sì ad ogni maniera di maestri che non vogliono tradire la fede che in, essi hanno gli alunni. G.A.T.LXXXVII. 23 354 Varietà' Elogio funebre alla memoria del chiarissimo e reverendissimo padre maestro Giovanni Tommaso Turco di/ìnitor generale de'minori conventuali, consultore della santa romana ed uni- versale inquisizione, pronunziato nella insigne basilica de1 ss- XII apostoli il dì 22 dicembre 1840 dal padre maestro Angelo Vincenzo Modena dei predicatori , professore di sa- cra teologia nella romana università. 8. Roma presso Ales- sandro Monaldi i84i.(Sono pag. 29.) V i si ragionano con calda eloquenza e con gravità ecclesiasti- ca, da uno de'più dotti padri che oggi onorano Pordiue insigne di s. Domenico, le virtù e le sacre fatiche di un religioso de'mi- nori conventuali, il quale all'età nostra fu sommo nella scienza della divinità, e non meno esempla rissimo per santità e soavità di costumi: cioè del p. Giovanni Tommaso Turco, che con tanto rincrescimento de'buoni ci mancò il 16 di dicembre 1840. Della utilità che si può ricavare dal latina arcaico e popolare memorato qua e colà dai grammatici per l'istoria degli o- dierni volgari d'Italia. Lezione di Giovanni Galvani. 8. Mo- dena ( Sono pag. 4°- ) JL/avoro assai dotto e pieno di avvisi acutissimi, come son tutti gli scritti che fin qui ci ha donato il eh. signor Galvani; né sa- premmo dire se più dimostri la sua perizia delle cose latine o delle italiane. • Varietà' 355 Memorie isteriche della santa grotta, della chiesa e del mona- stero di s. Benedetto sopra Subiaco , raccolte dall' odierno abate regolare dell'anzidetto monastero. 8- Roma, tipogra- fia delle belle arti i84o ( Sono pag. 84 con un rame). è autore l'illustre padre abate D. Vincenzo Bini : ed è co- N sa di non lieve importanza non solo per le memorie di quel ce- leberrimo santuario, ma si per le arti ancora e per l'istoria ec- clesiastica. Sulla moltitudine degli amici, opuscolo di Plutarco. 8. Ferrara 1841 presso Domenico Taddei co' tipi Pomatelli. ( Sono p. 16). VUosì monsignore Agostino Peruzzi , meglio cbe con quelle non so se noie o rancide fanciullaggini delle raccolte poetiche, congratulava in modo degno di un sapiente alle nozze Trentini e Costabili. Deb non sia vano in Italia l'esempio di questo buon Veterano della nostra letteratura ! Per la solenne dedicazione del busto di Luigi Biondi nella vil- letta di Negro il dì 28 di luglio 1840.8. Genova, tipografia dei fratelli Pagano ( Un voi. di pag. 80). Xjcco una raccolta di poesie, e non diversa forse da tante altre. Che ne direbbe il Biondi all'aureo e carissimo suo Di Negro, noi 336 Varietà' so : so bene che loderebbe assai il proemio di Pietro Giordani, e l'elogio scritto da Lorenzo Costa: e bacerebbe la fronte al nobi- lissimo genovese per la memoria si tenera che serba di tanta ami- cizia. Versi di Giuseppe Gioacchino Belli romano- 8. Roma i83q, ti- pografia Salviucci. (Un voi. di pag. 197 ). Xl sig. Belli ha bevuto ad assai limpidi fonti in fatto di poesia. Egli ha studiato da senno i classici e la lingua del bel paese, co- me hanno sempre fatto i valentissimi nostri : ed ecco da ciò il piacer grande con che si leggano i suoi versi. Né quelli solo che cantano cose domestiche, o religiose o civili: ma sì gli altri, che imitando lo stile del Berni, del Firenzuola e del Gozzi , ci muovono a un ridere così lieto sulle stoltezze del secolo. E sì che noi non siamo usati molto lodare un genere di poesia , in cui è facile cadere nelle scurrilità e ne'sozzi equivoci del Gua- dagnoli ! Ma il sapore veramente attico che sì spesso hanno i versi faceti del Belli vuol che facciasi un'eccezione. Nel giorno delle augurate nozze del duca Alessandro Torlonia con Teresa Colonna , questi disegni originali di valentissi- mi artisti, rappresentanti alcune glorie de 'Colonne si , con dichiarazioni /'storiche Ottavio Gigli devotamente offre. ^. Roma, dalla tipografia Salviucci i84ou Xur beato che non abbiamo qui per nozze cotanto illustri una raccolta di poesie ! Ma il sig. Gigli non è degli stolti che ancor Varietà1 357 sognano in Italia queste vecchie ciance. E quindi il lodiamo di avere anzi preso con eleganza di stile ad illustrare quattro be' disegni, ove sono rappresentati altrettanti fatti della gran casa de'Colonnesi. Il primo è l'andata di papa Martino V al posses- so, disegno di Cesare Masini : il secondo , Stefano e Giacomo Colonna che sono venuti incontro al Petrarca presso Capranica per offrirgli la loro casa, diseguo del cav. Pietro Paoletti: il ter.' zo, Agabito Colonna che con rischio della vita viene a rivedere vestito da pellegrino la sua moglie Mabilia Savelli, disegno del prof. Francesco Coghettij il quarto, Prospero e Pompeo CoIoa- na a Barletta, disegno di Carlo Paris. Memorie dei compositori di musica del regno di Napoli, rac- colte dal marchese di Villarosa. Napoli , dalla stamperia reale i84o. Notizie di alcuni cavalieri del sacro ordine gerosolimitano illu- stri per lettere e per belle arti, dello stesso autore. Napoli, stamperia del Fibreno, i^l\i. V_ion questi due bei lavori il marchese di Villarosa ha recato lustro al suo nome ed alla storia delle lettere italiane- Escono in Napoli per le stampe biografie, elogi, annali, storie di arti e di artisti, di lettere e di letterati, di scienziati e di scienze. An- cora Napoli mancava di una storia patria dei compositori di mu- sica : di quella potentissima arte che di tanta soavità lusinga i sensi e l'animo, e che tanto regno oggi ha preso nelle nazioni incivilite. Napoli è il paradiso dell'armonia .• ed il numero e la eccellenza de'suoi cittadini in quest'arte avanzano ogni altro popolo del inondo. Il prepotente imperio della moda travolge, 358 Varietà' o diversamente impronta i gusti intorno al bello. E la musica specialmente è corsa in questi dì a tale rivolgimento. Perchè non tornare a vita nelle memorie degli uomini i nomi di que' grandi, le musiche de'quali han sofferto l'oltraggio del tempo, ed ai nostri orecchi raffinati sono venute fioche : ma che pur tuttavia furono miracoli d'ingegno ai loro tempi , e han dato principio e vita alla presente civiltà musicale ? Per tanto Napoli sarà gratissima, e lo sarà Italia, al buon marchese di Villarosa. che con ischietta e calda opera di scritto ha soccorso a tanto difetto nella storia delle arti in Napoli, e si è mostrato pio alla patria, risuscitandone i nomi che furono illustri, e che ingiusta- mente erano seppelliti dal tempo. Il secondo lavoro del Villarosa intorno ai cavalieri geroso- limitani illustri per lettere e per belle arti, oltreché adempie un vuoto nella filologia, rettifica od accresce il concetto che hanno le menti dell'antico ordine gerosolimitano- La storia delle sue prodezze in armi ha esaltato ed esalta di maraviglia religiosa i cuori dei presenti: e, quantunque spenti quegli antichi fatti guerreschi, ancora lo splendore della loro gloria arde intero nei fasti della milizia. Ma era noto a pochissimi eruditi , come al- cuni di que1 vecchi cavalieri fossero prodi a maneggiare colla spada la penna: come al vigore delle membra accompagnassero quello dell'intelletto , ed aprendo l'animo alla cultura che sola porgono i buoni studi, dessero anch'eglino movimento ed incre- mento al gran mondo della sapienza. Così dimostrarono che alla forza delle membra si può congiungere finezza di spirito nobile: e che quelle fibre, le quali erano usate alle ferree sansazioni del- la guerra, erano ancora capaci di quelle placide e delicate della letteratura. S.C. Varietà' 389 Sulla vera religione dalla ereazione del mondo in/ino a Cristo Salvatore. Dissertazione storico-dogmatica del dottore An- tonio Dragoni primicerio della santa chiesa cremonese ec. Cremona, tipografia di Giuseppe Feraboli i83g. Sulla chiesa cremonese, e sull'antica ecclesiastica disciplina uni-\ versale. Cenni istorici del suddetto- Dalla medesima città e tipografia 1840. Xillor quando monsignor Bartolomeo Casati prendeva in Cre- mona solenne possesso della sua cattedra, monsignor Antonio Dragoni primicerio di quel capitolo , nella letizia di si memo- rando giorno, gl'intitolava quella sua dissertazione. Il principio su cui fondasi tutto il ragiouamento del dotto autore, socio cor- rispondente della romana accademia di archeologia , si è, che fuori della religione cristiana (col qual nome intendesi la catto- lica, apostolica, romana) per l'uomo non vi è stata, né giammai vi sarà per essere salvezza. La credenza di un riparatore, il quale nella pienezza de' tempi sarebbe venuto nel mondo , incominciò dopo il fallo di Adamo: e però essa religione (a car. 1): " benché promulgata quaranta secoli dopo la creazione, nacque e continuò col mondo : poiché da Adamo fino a Giovanni Battista, conser- vatasi, accresciutasi, fiorita nel cuore e nelle opere de'giusti di tutti i tempi, umili, sinceri e pii adoratori del vero Dio in ispi- rilo e verità, i quali perchè credevano, speravano, desideravano Christi incarnalionem futuram quam nos credimus factam ( Aug. epist. 57 ad Dard.) furono per lui salvi ,,. Sviluppa quindi il eh. Dragoni questa proposizione con molto raziocinio , critica ed erudizione. In fatti parla a lungo del peccato di origine e dei suoi tristi effetti: de'giusti che furono prima della vocazione di Abramo, e da questo patriarca fino a Mosè: di quelli che vissero in tempo della legge scritta: come jlddio suscitasse i profeti per imprimer viemmeglio questa verità ne' popoli: con quanta precisione fosse vaticinato il messia: come nascesse da una vergine , predicasse e morisse raccomandando alle genti quella religione medesima, in cui aveva creduto Adamo , e la- 36o Varietà' sciando alla sua chiesa un perpetuo capo visibile nella persona di sau Pietro e de'suoi successori. Un siffatto raziocinio uon è certamente nuovo, ed assai profondamente, come accenna anco il Dragoni, fu svolto dal celebre Bossuet nel suo discorso sulla storia universale. Nondimeno anche questa dissertazione è assai pregevole perla chiarezza e per l'erudizione e pel metodo; né il pio autore si rista dal premunire di continuo i fedeli , perchè si guardino da quelle strane dottrine, che specialmente dissemina- te con buon garbo in questi ultimi tempi, mirano a sottrarre i fedeli dal soavissimo giogo di Gesù Cristo. Questo breve scritto serve di base ai Discorsi sulla storia ecclesiastica cremonese ne' primi tre secoli del cristianesimo, in appresso pubblicata con molta sua lode (*), in continuazione de' quali sono i Cenni sulla chiesa cremonese, di cui terremo breve- mente parola. Incominciano essi dal 32o,cioè da santo Stefano I , che fu il decimo terzo vescovo di Cremona; e distendonsi fino alla mor- te di san Silvino trigesimo primo vescovo, il quale passò di que- sta vita nel 773, epoca in cui venne Cremona sotto la domina- zione franco-lombarda per la discesa di Carlo Magno in Italia. Pertanto trovasi in questo volume, ugualmente dedicato alla ec- cellenza reverendissima di monsignor Casati, l'istoria di diciotto vescovi tutti santi, tutti per dottrina e per zelo illustri: vedesi continuato il sacro senato , ossia presbiterio di quella chiesa, senza lasciarsi mai alcuna interruzione: parlasi delle diaconesse, delle vergini, delle vedove ivi fiorite io santità : in una parola di tutto ciò che in qualsivoglia guisa interessar possa non solo l'istoria della chiesa cremonese , ma bensì l'universale, essendo tutta l'opera fornita di non comune erudizione attinta a sicure fonti. Ed invero il eh. autore ci racconta come avessero origine le parrocchie di campagna, quale fosse la disciplina del battesi- mo, della penitenza, dell'eucaristia, il modo come fino al secolo (*) Non essendoci riuscito di procurarci tale opera, ci rimet- tiamo ai giornali ecclesiastici e scientifici, che ne hanno con mollo onore parlato. Varietà' 36 i IX si santificassero le feste , qu ile (osse I' obbligo di udire la messa, l'antichità degli oratorii domestici, la fondazione de' rao- nisteri e de'luoghi pii, e mille altre pregevolissime cose di ec- clasiastica archeologia. Siccome poi la profana istoria è strettamente collegata col- l'ecclesiastica, così monsignor Dragoni, qu.indo gli è stato d'uo- po, non ha omesso di riferire eziandio que' fatti , che avevano strettissimo legame colla sua opera. Sono essi le frequenti e nu- merose irruzioni di barbari tutti aspri e feroci , benché diversi di nome, d'indole e di costumi, e i continuati mutamenti di gover- no fatti dai goti, dai longobardi, dai franchi, accompagnati mai sempre da devastazioni , rapine, stragi e divisioni di terre ope- ratesi tra gl'insaziabili vincitori. L'amore della verità , 1' affetto alla santa sede , i voti che continuamente fa l'autore, perchè i cristiani conoscano il be- neficio da Dio ricevuto, e si mantengano fidi alla loro vocazio- ne, ben si manifestano in questi da lui per modestia chiamati cenni, e scritti se non con forbita eleganza, certamente con mol- ta spontaneità e chiarezza. Noi di cuore desideriamo , siccome anche l'autore ce lo fa sperare, ch'egli li prosegua almeno fino al concilio di Trento- Avremo allora così una piena e sicura istoria della chiesa cremonese. Chi ha fatto il più, può fare an- co il meno. Dopo tanta luce sparsa ne'secoli, i quali erano più oscuri e mancanti di monumenti sicuri , perchè arrestarsi ora che gli sarà il lavoro certamente più facile a proseguirsi ? Noi ce ne confidiamo: ed il Signore sia quello che gliene accordi agio e potere. F. Faei Montani. 23* 36a Varietà' Istituzioni sacro-oratorie , opera di F. Gaudenzio 'da Brescia cappuccino. Imola dalla tipog, Benucci 1840, in i6 difac. il^ì. i3e la sacra eloquenza dovesse insegnarsi col soccorso di auto- rità, avremmo quelle de'Paoli, de'GiroIami, degli Agostini , che vanno per la maggiore ; poi quelle de'Segneri , de' Fenelon, dei La-Luzerne, de'Trublet, de'Gisbert, de'Muratoii,de'Liguori, de* Ricci, de'Riccardi e sino de'Blair. Avremmo le osservazioni (per tacere di altri ) del eh. monsignor Peruzzi sulle orazioni quare- simali del prof. Barbieri : e, se nulla valessero, avremmo le no- stre uscite di mano in mano in questo giornale sulla biblioteca di panegirici ( Tom. 35, 3j, 43 e 45). Ma più che l'autorità, noi stimiamo doversi consultare la ragione, la quale riconoscendo nell'eloquenza una espressione della morale, non puà dare altre Tegole per la eloquenza profana, altre per la sacra; se non ri- guardando che quella mira a persuadere coi dettami della legge naturale, questa colla guida della rivelazione ( compimento e quasi corona della legge naturale): quella si dà cura d'innamo- rare della verità e del pregio delle cose per lo più temporali , questa delle eterne : quella varia di abito e di maniere a secon- da delle diverse verità , che vuole persuadere questa non ha , ne può avere che l'abito sempre maestoso e solenne della reli- gione. Giova che i precetti dell'oratoria sì rendano più chiari a tutti quelli, che amano profittarne pel bene universale; felicità non può essere nel mondo se la virtù non sia illuminata e soste- nuta dalla religione santissima! Egli è quindi a lodare il p. Gaudenzio da Brescia , che più brevemente del p. Gaetano da Bergamo (in quel suo libro inti- tolato VUomo apostolico al pulpito) ne ha dato queste Istituzio- ni sacro -oratorie : alle quali se più copia di esempi, tolti dai solenni nostri oratori e da'ss. padri singolarmente, avesse potuto dare, avrebbe fatto opera ancora più proficua e commendevole. Ma la strettezza de' precetti non toglie , che i leggitori nutriti allo studio delle scritture sante e della sana morale non abbiano a scegliere e cercare ne'predicatori ed elogisti cristiani quelli, che seppero dare non parole, ma cose ■: e cose degne del pergamo ! 0. V. Varietà' 363 La filanda a vapore in Fossombrone. Memoria del conte Giu- seppe Mantiani. Pesaro, stabilimento tipografico di A. No- bili 1841, in 8, di facce 16. .Li elio stato pontificio Lugo, Ancona, e quasi contemporanea- mente Modigliana e Fossombrone, hanno eretto filande a vapore per la trattura delle sete- La casa ducale di Leuchtenberg la fondava in quest'ultimo luogo, famoso per tale industria, colla spesa di scudi 14 mila. La seta è oggetto industrioso rimarche- volissimo in Italia, che ne dà ogni anno tredici milioni di libre. Descrive l'A. tutto ciò che v'ha di più notevole nella fab- brica, e presenta il confronto dei due metodi, dell'antico cioè e del recente a vapore. La casa ducale (per suo uso) consumava tredici libre di bozzoli per ogni libra di seta reale.- col nuovo metodo ne consuma libre 11, 6, o al più libre 12 se il genere non è di ottima qualità , trascurando del tutto la mezza seta ed i doppi ; poiché tanto con 1' un metodo quanto con V altro quest'ultimo prodotto è in relazione con la seta reale e col peso dei bozzoli. La seta ottenuta colla filanda a vapore è di miglior qualità, sicché può calcolarsi ragguagliatamente un utile sui prezzi di bai. 20 per libra di seta reale ; oltre a ciò per ottene- re una libra di seta coli' antico metodo occorreva una spesa di bai. 34, mentre ora ne occorrono 24- Chiaro apparisce le mag- giori utilità essere il miglioramento del prodotto, poiché la qua- lità del filo è più bella e più lucente, e le spese molto diminui- te. Tale miglioria impedirà che le nostre sete grezze vadano ai telari stranieri. Questa memoria del sig. conte Giuseppe Mamiani è commendevolissima tanto perchè ci rende istruiti di un mi- glioramento manifatturiero che fra noi va dispiegandosi, quanto per la dottrina e per l'amore delle cose patrie di cui rifulge tutto il suo scritto. fi. C. fi. 364 Varietà' Cenni per una nuova storia delle scienze mediche di Giuseppe Cervello. Verona, tipografia di Giuseppe Antonelli 1841 , in 8, difac. i[\. 1.1 è 1' Italia uè altre colte nazioni hanno una storia medica universale e completa. I grandi uomini che si sono sobbarcati a tale impresa gigantesca, per quanto il loro genio fosse grande , le fatiche e le ricerche immense, furono schiacciati dall' immen- sità dell'opera; i loro scritti non riuscirono che imperfetti. Molli dotti occorrono per recare a termine opere di tanta lena. 1 fran- cesi il tentarono per la letteratura in genere: ma al solito consi- derarono grande ìa sola Francia, le altri nazioni pigmee. Errori d'ogni maniera sono i gioielli che ornano quell'operone , che fa inarcare le ciglia agli stolidi. Il eh. sig- Cervetto, benemerito già della storia medica d'Ita- lia, propone in questo suo scritto (pel quale ottenne una meda- glia d'oro da S. M. il re di Sardegna) una nuova storia filosofica medico-chirurgica „ la quale provvedendo dall'uri lato all'imper- fezione de'posseduti lavori, ed al naturale bisogno del cronolo- gico proseguimento, si mostri dall'altro fornito dei voluti carat- teri ; d' offrire a gratitudine ed esempio gli andati maestri , mo- strando anche le cause, le influenze e i legami degli errori di loro; risparmi agli studiosi prezioso tempo e fatica per la parte bibliografica, la più utile ed essenziale, ma finora la meno cu- rata perchè la più esigente ; additi il cammino delle scienze no- stre confrontate colle ausiliarie e sorelle, e più colla progredien- te civiltà e col genio della filosofia dominante per desumerne quanto a fare rimanga; comprenda, nella sintetica sua tessitura, un ordine che, sembra mancare tuttora rispetto ai meriti delle varie nazioni antiche e moderne e nel complesso e nel partico- lare; e meglio ci chiarisca sulle personali notizie dei più splen- didi artisti che, in relazione ai tempi e luoghi in cui vissero e fiorirono, comunque attivamente cooperarono coll'ingegno e col cuore allo scientifico dilatamento e al benessere sociale. ,, La partizione del lavoro necessaria in tale impresa, seguen- do le divisioni geografico-topograliche, consister dovrebbe in Varietà' 365 commissioni o giunte locali civiche secondarie che raccolgano i precipui materiali della relativa porzione di storia medico-chi- rurgica spettante a quel municipio, e li dispongano in un cert' ordine già convenuto: e le altre in comitati primari e nazionali, i quali radunino tutti gli scritti e ne facciano lo spoglio e la fu- sione in un tutto omogeneo. Riguardo alla forma, preferisce la biografica collegata colle circostanze ed i tempi. Ritiene esser cosa frustranea allo scopo lo incominciare dalle prime età de' popoli, nelle quali non fu scienza medica: vuol che si travalichino le due più tremende catastrofi di cui fu scena la terra, la caduta dell'impero ed il medio evo colla sua lunga e tenebrosa notte durata fino ai be- nemeriti figli di Benedetto, nella quale l'arte salutare fu presso- ché spenta. Alla enunciata non remota epoca addivenne, che suc- cedute alle nordiche le meridionali invasioni, molcirono queste il servaggio della più tribolata parte del vecchio mondo, traducen- dovi quel poco scibile campato dall'universal naufragio- La sto- ria medica anteriore a quest' epoca ha avuto moltiplici e dotti scrittori. Il dott. Francesco Freschi di Piacenza ha intrapreso a Firenze ( tip. della speranza, tomo i, i83g-4o) la seconda edizio- ne della storia prammatica della medicina di Curzio Sprengel , proponendosi di correggerla, illustrarla e continuarla fino a' giorni nostri. Nel i tomo, colle recenti scoperte fatte in ispecial modo in Egitto, pone in maggior chiarezza la medicina antica , abbatte Ippocrate ed i suoi seguaci, e col eh. dolt. Cervetto sta- bilisce l'epoca della vera scienza medica al secolo XVI dell'era volgare ( Vedi, Annali universali di medicina, voi. 97 , p. 5o8, marzo i84«, Milano). Le norme per le commissioni sian poche e chiare , affine di ottenere uniforme il lavoro. Studio della vita e delle opere degl'illustri trapassati senza gare municipali: ricerche di docu- menti, scioglimento di punti storici e scientifici controversi con disquisizioni imparziali e severe: ordine cronologico il più atto a mostrare il regolare cammino così della nostra come d'ogni altra arte e scienza; prospetti sinottici dei vari rami coltivati in tem- pi diversi: raccone in line le care immagini dei grandi maestri. Die un bel saggio in questo genere FA. pubblicando nel 366 Varietà' i834 i Cenni per una storia dei medici veronesi e loro antico collegio: come altresì un ottimo modello di filosofica biografia nel suo scritto intorno a Giambattista Da Monte, intorno al qua- le tenni discorso nel tomo 84 pag. g3 di questo giornale. Leg- go ora nel voi. 4 Pag- 2^9 degli annali medico-chirurgici di Ro- ma, che il prof. Giuli di Siena ha discoperto un documento, col quale prova essersi fondata a Siena la clinica fino dal i5 otto- bre i326 da un tal medico di Montepulciano per nome maestro Onesti. Appoggia in singoiar modo il suo opinamento alle se- guenti parole del codice : " Et praedicta maxima fieri dehent ,, per vos qui debetis curare, quod civitas Senarum bonis et ex- „ pertis medicis repleatur. ,, Tale controversia però ha duo- po di essere ventilata. L'A. ha promesso di pubblicare la vita di Alessandro Bene- detti di Legnano nel veronese (intorno a cui mi propongo tene- re ragionamento ì, lume chiarissimo della medicina italiana del XVI secolo, istitutore di un teatro per la istruzione anatomica, ed il primo che desse vere idee della contagione della peste, che ora con isciocchi argomenti un tal francese Clot bey crede non contagiosa. Per tali inique massime in questi giorni stessi la peste mena strage maggior dell'usato in Egitto: in Alessandria anche il quartiere de'franchi, che per lo innanzi n' era stato li- bero a causa delle savie precauzioni, è ora in preda del tremen- do morbo: alcuni vascelli mercantili sono appestati : e la spedi- zione pontificia, che in Egitto si recò per trasportare le colonne di alabastro che ornar debbono la basilica di s. Paolo, ha perdu- to il suo medico dott. Ruga, e qualche altro di cui s'ignora il nome. Ma lasciati da lato questi funesti casi, che son prezzo delle idee e de'vaneggiamenti talora fatalissimi che andiam nier- cando oltremonte, porrò termine coll'esortare i veri medici ita- liani a collegarsi per cotant'opera , affinchè poste in chiaro le nostre grandi e non frodate ricchezze , possiamo far argine alle sempre crescenti straniere devastazioni. Enrico Castrici Brunetti. Varietà' 367 Cenni sulla chirurgia plastica ,e sopra Branca di Branca da Ca- tania, deXsdott. Antonino Insegna. Catania, presso i fratelli Sciuto 1840, in 8. di fac. aa. VJTaleno, Cornelio Celso e Paolo d'Egina parlarono della rino- plastica . i loro precetti dimenticati, furono posti in opera da Alessandro Benedetti, da Vesalio e da Ambrogio Pareo. La chi- rurgia plastica ebbe origine nell' India. Dieffenbacb crede non essersi eseguita tale operazione in Europa prima del secolo XIV e XV: non ostante è certo che in Sicilia, in Abruzzo ed in Ca- labria fu conosciuta ed usata. Nel principio del XV secolo godeva già rinomanza Branca di Branca in Catania per lo innestare che facea con successo la pelle del braccio sulle deturpanti ferite del naso: per cui Ferdi- nando I, allora re, lo ricolmò di favori, ed accordò a lui ed a'suoi l'ufficio del suggello della dogana di Palermo nel dì n gennaio ind. VI, anno MCCCCXII. Il suo figlio lo imitò perfettamente in quest'arte, e ne rese migliore il metodo, come ce ne assicura Bartolomeo Fazio, De viris illustr- pag. 38. Lodarono e parlaro- no di Branca molli storici e grandi medici, cioè Girolamo Ren- da Ragusa, Gio. Battista De Grossis, Vito Amico Statella, Paolo Zacchia, Giovanni Schenkio, Gilberto Cognato, Pasquale Gallo ed altri. Rimase in disuso questa cerusica operazione, finché al na- scere del XVI secolo la ripose in voga un altro celebre italia- no, Gaspare Tagliacozzi di Bologna, allora professore in patria, il quale stampò De curtorum chirurgia per insitionem : additis cutis traducis instrumentnrum omnium atque deligationibus ico- nibus et labulis libri duo. Venetiis i Sgy, in fol. ; opera ristam- pata col titolo che segue; Chirurgia noi'a de narium, aurium la- biorumque defechi per insitionem cutis ex humero, arte hactenus omnibus ignota, sarciendo. Francofurti , ap. Ioannem Saurium i5g8 , in 8. In tale opera dichiara essere stato il Branca egre- gio professore in quest'arte. Scrisse ancora una Epistola ad Hit' ronymum Mercurialem de naribus multo ante abscissis reficicn* 368 Varietà' dis, ch'esiste nell'opera del Mercuriale intitolata Ite decoratone ivi, 1587. Finalmente si hanno dal medesimo i Consilia medica nella raccolta di Lautenbach intitolata Italiae medìcorum ... Con- silia medicinalia, ivi, i6o5, in 4- Professori di alta rinomanza hanno trattato in vari tempi della maniera di rifare il naso : tali sono Mercuriale, Fallopio, Fyens discepolo del Tagliacozzi ed altri. L' Ughelli nell' Italia sacra, tomo 9, p. 626 dell'edizione romana (1662), dice che in Tropea città della Calabria fioriva Petrus Vioneus chirurgus qui labia et nasos mutilos integritale donavi l. Prima però di Pietro Vioneo ne fu l'inventore, secondo afferma Gabriello Barri, un al- tro "Vioneo per nome Vincenzo di Maida nella Calabria che sem- bra vissuto nel fine del secolo XV. „Ex hoc oppido (Maida) fuit Vincentius Vioneus medicus chirurgus eximius, qui labia et na- sos mutilos instaurandi artem excogitavit. Fuit et Bernardinus eius ex fratre nepos et huius artis baeres: viget modo huius fì- lius, et itidem artis haeres. ( De antiqet situ Calabriae. ) „ Che la rinoplastica si esercitasse ed anche per lungo tempo si mante- nesse in Tropea, lo dice Gio. battista Cortesi, professore celebre di chirurgia in Bologna e quindi in Messina. Descrivendo gl'i- stromenti da lui usati in quest'operazione, giudica grossolani quelli dei chirurgi di Tropea, che però chiama instauratores di quest'arte. Dopo costoro la chirurgia plastica migliorò nei metodi, che possono complessivamente ridursi a tre. I. Tagliare le parti lon- tane, in ispecie del braccio, per innestarle al membro perduto.- metodo detto italiano. II Collocare quanto prima si può la par te staccata; metodo che ha il nome di iuxta positione. III. Ri- torre dalle altre parti vicine o lontane i pezzi necessari all'ope- razione: e tal uso fu detto metodo indiano Gl'indiani recidon ta- lora dagli schiavi i pezzi che vogliono rimettere agl'individui che ne mancano. Tale operazione, che sembra essere stata estesissima in Ita- lia, non fu ammessa nel rimanente di Europa: e se non vi fosse la storia di un naso tagliato e rimesso nel i5o,2 da Griffon in Losanna, non si potrebbe citare alcuu'esempio di tali operazioni fuori d'Italia, esclusi gl'indiani; poiché i chirurgi degli altri Varietà' 369 paesi contentaronsì di discutere intorno alla possibilità del me- todo del Tagliacozzi, che alcuni attribuirono a potere infernale. La fallacia forse dei risultamenti di tale operazione ci dà conto del perchè sia stata fino al declinare del passato secolo ristretta iu Italia, e qui ancora spesso posta in dimenticanza. Questa pregevole memoria rivendica a Branca di Branca di Catania l"uso di un' operazione in quei tempi nuova. Era desi- derabile però che ci avesse dato maggiori notizie intorno a quest' uomo, indicando almeno l'epoca della nascita e della morte di tal valente chirurgo e del suo figlio; se si conservano suoi scrit- ti o sono indicati dai bibliografi, ed altre somiglianti cose. L'A. però ha spiegato bella e scelta erudizione intorno alla chirurgia plastica. Quindi è che non può se non tributarsi lodi al signor dott. Insenga, il quale, giovane ancora, pone mano a lavori di storia medica, scopo a cui son dirette le fatiche di molti gravi medici d'Italia. Ma per esser equo voglio soggiungere, che le no- tizie dai dotti desiderate, saranno state disperse dal tremendo impero del tempo, il quale pur ci conserva intatte moltissime istorie, che sono il disonore degli uomini e delle nazioni, e che per un malaugurato fanatismo ogui dì si pongono a luce. Enrico Castreca Brunetti. Nuove osservazioni sulla basilica emilia efulvia, delVaw. Luigi Cecconi, giudice capitolino d'appello e socio corrisponden- te della pontificia accademia romana d'archeologia. Al eh. sig. profess. don Celestino Cavedoni, nel Giorn. letterar. scient. moden. num. 16, in proposito della mia dissertazione so- pra la basilica emilia e fulvia torna a dire: „ Siccome fui dolen- ,, te nel vedermi costretto a contraddire al eh. sig. Cecconi e ad „ altri, che posero in Preneste la basilica emilia e fulvia di Ro- „ ma, così sou ora lieto in vedendo che il mio parere confronta 3yO V A R I E T A' „ con quello del eh. sig. Gennarelli, esposto nel tiberino a8 di- ,, cembre 1840. ,, Su di che replicherei, che egli sempre urbano non dovea dolersi di coutraddire al mio parere, ogni dì fra lette- rati trattandosi quistioni, purché si conservino, com'è suo costu- me, le leggi della civiltà. Replicherei quindi che non trovo causa di corroborare la sua opinione in ciò che disse di me il sig. Gen- narelli nel tiberino. ,, Io non posso (disse) entrare a parlare in dettaglio di que- ,, sta singolare e curiosa dissertazione ; poiché s' aggira in una ,, base assolutamente falsa, supponendo V autore che la celebre „ basilica emilia e fulvia fosse in Preneste, mentre, sappiamo eh' ,, era in Roma ,,. Ove pregherei il signor Cavedoni a riflettere, che bisogna non aver letto affatto questa mia singolare e curio~ sa dissertazione, per dire che la sua base fosse nella esistenza della basilica in Preneste. Io ebbi solo scopo di provare, che il musaico fu rinvenuto in un delubro, anzi che in quella basilica, addimostrandola perciò unica ed esistente impossibilmente nel recinto del tempio della Fortuna. Prosiegue il Gennarelli: „ Anzi mi giova credere ch'ei non „ abbia letto quel passo di Varrone , sia perchè è diverso da „ quello che leggesi in Varrone, che cita, e che sta esattamente ,, registrato in capo di questo articolo.- sia perchè richiama il li- ,, bro 5, mentre quel tratto leggesi al paragrafo quarto del sesto ,, libro; sia infine perchè parrebbe incredibile che il sig. Cec- ,, coni non avesse inteso un passo di scrittore latino, quale non „ offre certo difficoltà. „ E a tali ulteriori gentili espressioni , facendomi falsano od ignorante, m' è d' uopo rispondere, «he mentre io né so dove, né s'egli abbia letto Varrone , io lo lessi come lo riferii nel rnio libro che ha il frontespizio : M. Terentii farronis pars librorum quatuor et vigiliti de lingua latina. Lug- duni apud haeredes Seb. Griphii »56i. Al che soggiungo che fino ad ora non m'era fatto dubbio d'intendere il latino. Ma giacché come 10I0 fondamento del Gennarelli in contrad- dire alla mia dissertazione, e del Cavedoni in divenir lieto d'a- verla contraddetta, è l'annotazione di Muller al controverso luo- go di Varrone, giova prima di parlarne riferirla: Basilica aemi- lia et fulvia. Non duo sunt, sed eadenv. quod intelligitur maxime Varietà' 371 ex iis que Plutarcus (Caesar 29) narrat: extructa est ea basilica a M. Fulvio Nobiliore censore anno 5^3, qui collegatn habebat M. Aemilium Lepidum eie. E sin qui non mi occorre ridire, tro- vandolo concorde alla mia opinione sulla unità. Indi prosiegue: Varrò, referente Plinio N- H. Vili, 60, primum solarium, quod diligentius ornatum esset, et Romae caelo congrueret, iuxta ro- stra positum dixerat a Q. Marcio Philippo L. Panili in censura collega: et crediderim hoc ipso tempore etiam Paullum basilicam su aia ilio horologio ornavisse, de quo h- l. libro dici tur. Corne- lius tamen qui fuerit in medium relinquo, et de universa quae- stio/te aliorum iudicia expecto. Le quali espressioni ponderate , non mi è dato comprendere come Muller abbia inteso fare scom- parire la basilica prenestina parlando della romana , quasi che non potessero essere in Preneste ed in Roma due basiliche e- gualmente nominate. Opina Muller che nello stesso tempo, in cui Q- M. Filippo costruì in Roma il primo orologio solare, anche Paolo ne co- struisse uno simile in adornamento della sua romana basilica. Dopo ciò, come potrà egli avere inteso parlare della basilica nominata da Varrone, il quale disse aver veduto in Preneste un orologio solare: ut Praeneste vidi incisum in solario? ed in Preneste asso- lutamente costruito nella basilica,- poiché indicandone anche l'A. coli' immediato relativo quod, di necessità congiunto all' orolo- gio veduto in Preneste, lo indica in Cornelio Siila: Quod Come- lius in basilica aemilia et fulvia inumbravit? Io non saprò mai comprendere che Muller parli dell' identifico orologio indicatoci da Varrone; questi avendolo indicato costruito da Cornelio Sii- la, quegli da Paolo. Sicché non potendo egli in fine superare la difficoltà delle varroniane espressioni; Quod Cornelius in basilica aemilia et fulvia inumbravit : sortinne dicendo: Cornelius tamen qui fuerit in medium relinquo, et de universa quaestione aliorum iudicia expecto. Ora vò lusingarmi che al sig. Gennarelli non riescirà tanto arduo, come dice nel suo tiberino, di spiegare co- me anche altri abbiano pure inteso a ritroso il testo varroniano. e sono un Suarez, un vescovo Cecconi e un avv- Fea. NIHIL OBSTAT Fr. Ioannes Baptista Marroco Min. Conv. Censor Theol. IMPRIMATUR Fr. Dom. Buttaoni O. P. S. P. A. Mag. IMPRIMATUR N. Ferrarelli Archiep. Myren. Locumtenens et Pro-Vicesg. 373 CONTKN UTE NEL TOMO LXXXVII , VOLUMI 2S9 , 860 , 261 DEL GIORNALE ARCADICO, Nota de1 compilatori e collaboratori. . pag. m SCIENZE. Monti , Leggi statutarie pel nuovo ospizio dei mentecatti in ancona ec. « i Palma, Moltiplicazione e coltura degli al- beri nella provincia di Abruzzo ultra primo « 12 Camilli, Il nuovo carcere ed il pubblico ma- cello di Viterbo , , « 25 Giacoletti, Dell'ottica considerata come og- getto di poesia. , « 39 | Pilla, De' principali progressi della geologia. « 6i I Rosmini Serbati, Filosofia della morale. « 64 : Paolini , Ricerche fisiologiche sul fegato ( continuazione ) « 7 3 Biolchini, Notizie istoriche intorno alVos- servatorio del campidoglio .... « 96 Rametti, Discorso intorno a F. Stelluti . « 106 Tortolini, Su i limiti di alcune espressioni immaginarie. ...,....« \fó Castreca-Brunetti , Estratto delle memorie dell' ] accademia medico-chirurgica di Fer- rara « i63 G.A.T.LXXXVII. 24 374 LETTERATURA. De-Minicis, alcune iscrizioni ed una poe- sia inedita del Morcelli « 184 Peruzzi, Traduzione delV Apocalisse . « 198 Schiller , Carmina nonnulla a Francisco Phi- lippio lat alitate donata « 212 Cecconi , Nuove osservazioni sul musaico prenestino (con tav. in rame ). . . « 219 Franceschinis , Biografia scrittasi da se stesso « 23 1 Mancini^ La georgica e Veneide di Virgi- lio tradotte « 245 Montanari , Elogio del P. Giuseppe Pen~ nazza « 208 Vaccolini, Del ben tradurre Orazio ( Art. Ili ed ultimo ) « 271 — Sassi di traduzioni delle orazioni di Cicerone nel secolo XIX. . . . « 207 Santucci, Epigrammi tradotti dal greco. « 3oi BELLE ARTI. Mancini , Lettera sopra un antico paliotto del secolo XII « 3 16 La Farina, Messina e i suoi monumenti. « 328 Bosini, Istoria della pittura italiana , tomi primo e secondo « 336 Atti delVI. e R. accademia delle belle arti di Venezia « 33g Collezione di manuali a" arte ec. da pub- blicarsi in Bologna ...,,,« Z^'i Varietà. Tavole meteorologiche. aio 18/ Osservazioni Meteorologiche )[ Collegio Ramavo )( Genr '• Ore Baromet. Term. esterno .ermo max. 11 10 5 uetro' riin. 1 6 0! 2 0 0 8 Igrom. 6 1 Vento ESE d N d NNE d ~isr d Calma N d S d Pioggia Evapor. Stato del Cielo nuvoloso sereno chiarissimo mal. Si- ser. mal. gi- ter. mat. ; Si- ; ser. 1 mal. i g'- ser. ■ mat. ' gi- ser. . inai. } | ser. pò li »7 io o ,, 9 5 ». 9 9 „ io 6 „ 11 o » „ 8 6 5 8 7 4 6 2 4 8 7 5 5 7 3 5 0 1 58 1 3 io 4 8 24 •4 1 0 nuv. sp. sereno vaporoso 28 o 6 >» », 2 27 n 2 » 7 4 » 6 4 » 5 8 10 2 27 8 1 35~ pie. pio. 1 0 chiarissimo sereno nuvoloso 6 8 1 9 5 9 2 11 2 5 3 8 9 7 4 ì_ 5 3 5 "5 4 3 24 6 S f SSO ff S V ff, 4 0 coperto „ 5 5 »> « 2 ,,6 8 7 » 7 3 6 8 11 5 2 0 SSO f OSO m S d E d N d OSO ra 12 38 9 0 ), >» nuvoloso „ 8 0 u » 0 » » 2 <> » 4 ,,6 6 ." ». 5 37 7 7 » 9 0 » „ 7 5 0 7 6 5 5 5 0 4 5 2 5 6 3 3 0 8 5 9 ° 9 8 5 0 45 5 40 1 0 coperto mat. ' gL ser. 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Car avita il 23 di marzo 1841. c olio scorso anno compievasi il terzo, da che la nostra pia società comparte la sua caritativa assisten- za a que' miseri figliuoli d' ambo i sessi, che priva- va degli amati genitori la fiera pestilenza colerica. In questo tempo essa , protetta in ispecial modo dalla Divina Provvidenza che mai non lascia senza confor- to chi in questa terra è ministro de'suoi favori, ado- perava quel più che potea, sia perchè avessero gl'in- felici orfanelli quanto bastasse alla loro sussistenza, sia perchè si educassero al bene, compiendo in tal mo- do il santo uffizio che si era imposto fin dal principio della sua istituzione. In questo luogo sacro alla religio- ne, come alla religione che l'informò è sacra la nostra 4 Scienze pia società, già due altre volte si raccolse quel nu- mero di benemeriti soci, che vuole il regolamento ri- conoscano e approvino quanto fu adoperato dal consi- glio che l'amministra e dirige. A tal fine fu a tutti an- tecedentemente mandato il conto del 184° cne porge al solito tre separate tavole; l'una del numero e col- locamento degli orfani, l'altra delle somme incassa- te e delle spese fatte, finalmente la terza dell' anda- mento economico che si prevede per l'anno vegnen- te. Dovendo, o signori, per debito di mio ufficio te- nervi in questo dì breve ragionamento , ho pensato di schierarvi sott' occhio come in un punto tuttociò che adoperò la nostra istituzione , tanto per ciò che ri- guarda l'amministrazione, quanto per ciò che spetta alla parte morale ne' tre anni trascorsi. Io dunque al- tro non farò che esporvi in semplice e piano stile i fatti, de'quali voi medesimi foste gran parte; per- ciocché essi sono eloquenti per se stessi più di quel- lo potrebbe essere il più facondo discorso; né la ca- rità, che creò e regge la pia società degli orfani, si piacerebbe nella naturale sua modestia di lunghi e pomposi ragionamenti. La carità ispirata dalla religione di Cristo era la pietra, sulla quale innalzavasi, cessata appena la pestilenza, la pia società degli orfani: la carità e nul- l'altro era il mezzo, con ch'essa contava di raggiun- gere felicemente lo scopo proposto. Rammenterete, o signori, con compiacenza que'primi giorni della sua isti- tuzione, quando essa approvata non solo ma conforta- ta dal comun padre e sovrano, mise alla luce l'ordina- mento, secondo che intendeva stabilirsi. Vidersi allo- ra in ogni parte della città andare attorno elette cop- pie di persone ancor del più alto ceto ed eccitare Poveri orfani pel colera 5 la pietà de'buoni romani perchè dessero i loro soc- corsi per la sant'opera. Né quelle fatiche furono in- fruttuose; perchè questa nostra città, già usa ad ogni maniera di opere caritative, corrispose volenterosa, e 792 nomi furono scritti nel ruolo de' novelli soci. V'ebbe altresì chi non potendosi caricare di un'an- nuale pensione, donò un soccorso per una sola vol- ta; v'ebbe chi scarso di danaro diede cose o da let- to o da vestire; poiché a quel bene tutti vollero con- correre, e colle generose offerte del ricco si unì anche l'obolo della vedova. Se scorri le note de'nostri so- ci, vi leggi ogni condizione di persone. Vedi innan- zi tutti il sovrano pontefice porre nella cassa della na- scente società mille scudi del suo privato peculio , larghissima offerta che, data da principio qual dono straordinario, si ripete ogni anno nel dì della sua so- lenne incoronazione; tantoché pare che non gli tor- ni lieto quel giorno, se non si consoli di questa bel- l'opera di carità. Il sacro collegio de'porporati seguì il nobile esempio del padre e pastore de'fedeli, e mil- le scudi diede anch'esso del suo. Io sarei troppo lun- go, e dispiacerei al certo alla virtù di molti grandi personaggi, se qui volessi riferirne i nomi ad uno ad uno. Essi stimarono di compiere un lor sacro do- vere essendo generosi co'nostri poveri, e si terrebbe- ro offesi dalla lode, seguitatori come sono di quel vangelo che vuole in simili cose non sappia la sini- stra ciocché fa la destra. I cittadini di ogni grado concorsero altresì e i fabbricanti e gli artieri ancor più minuti e persone di chiesa e parecchi moniste- ri: cosicché io debbo confessare, o signori, che nel- lo svolgere gli annali delle romane opere di benefi- cenza, nel che mi piaccio da più anni, non ho Irò- 6 Scienze vato clie giammai pio istituto sorgesse sì rapido e sì coadiuvato da tutti, come avvenne della pia società degli orfani del colera, che fu veramente quel gra- no di senapa che presto distendesi in grand'albero. In cotal modo il Signore, ricco nella sua misericor- dia, confortava chiesta città, nella quale spegneasi quel morbo distruggitore che avea furiosamente percossa tanta parte del mondo. E i molti stranieri che visi- tano Roma, trattivi o dalla magnificenza de'monumen- ti, o dalla grandezza del nome e delle memorie, o dal- la bellezza de'capolavori dell'arte, o da devoti sensi di religione, concorrevano altresì a quel bene, ne li rih'aeva diversità di religiose credenze. Nominerò per tutti quello che tutti vinse in larghezza, l'imperiai principe delle Russie, che mille scudi depositò nelle mani del nostro tesoriere. Avuti pertanto in pronto cotesti soccorsi, sen- za frappor dimora si cominciò a compartirli: e il pri- mo anno stesso si giunse a sussidiare tutti que'figliuo- li e donzellette eh' erano restate prive di ambedue i genitori, che sommavano nullameno che a quattro- cento. Ma il consiglio, animato da'si bei principii e desideroso di allargare al più possibile il bene intra- preso, diede opera anche a soccorrere quegli orfani che aveano viventi le madri, ma che nel perduto pa- dre avean perduto pressoché ogni sostegno. Infelici vedove, cariche di prole numerosa, come alimentarla se lo scarso guadagno di una donna giunge appena a mantenere se stessa! Ma coli' aggrandire il sussi- dio conveniva aggrandire le fonti delle limosine. Due accademie musicali date al teatro, che dicono di Apollo, rendettero quasi ottocento scudi: prodotto che fu più lauto di quel che suole avvenire in simili contingen- Poveri orfani pel colera n ze, dappoiché le spese indispensabili assorbiscono gran parte dell' introito. In tanto tutte le dame romane si affaticavano in lavori di lana e di seta: ed era una bella gara di fare o il meglio o il più curioso o il più gradito in quelle opere, da cavarne danaro anche da'più ritrosi a prò de'poveri orfanelli. Giornate al certo dì dolce memoria saranno quelle, in che cavavansi a sor- te nella villa Borghese que'numeri, che dovevano at- tribuire i premi a chi avesse comprato le polizze del- le lotterie che facevansi a beneficio degli orfani del colera. E già que' vaghissimi lavori, e cento altre bel- lissime cose ad allettare la comune curiosità, erano state poste a solenne mostra nella sala Argentina tap- pezzata di variopinti drappi ed ornata di splendidis- sime lumiere. Codeste due lotterie diedero più che ottomila scudi di profitto, mescendo al vantaggio de'po- veri il diletto che suole venire da simili sollazzi, se- gnatamente a que' eh' ebbero in sorte la vittoria. E poiché sono nel dire di onesti ricreamenti volti al bene degli orfanelli, ricorderò le feste date in Campi- doglio nel palazzo accordato per gentilezza de' nobi- li conservatori , le quali furono ricche e splendide oltremodo da onorarne Roma in faccia ai molti stra- nieri che vi convennero. Io però non ho toccato fin qui fra i parecchi mezzi usati all'introito della nostra amministrazione quello che, se non fu il più largo, fu certamente il più virtuoso e il più degno di una cristiana istitu- zione. Una nobilissima dama in compagnia di spec- chiatissimo cavaliere ecco muovere del suo palagio e gire attorno per più di presso i ricchi segnatamente stranieri ( poiché i nostri eran già soci ) e chiede- re ed ottener soccorsi pe'nostri pupilli. Non il fati- 8 Scienze coso scendere e salire di molte scale , non qualche accoglienza men che cortese, non alcune volte an- cora la dispiacente ripulsa intiepidisce o spegne tan- ta carità : e dopo molte visite, si raccoglie un frut- to abbastanza ubertoso. Ma io nel ricordare tanta vir- tù sono forzato, o signori, di ricordare anche un gran dolore: dolore di che questo medesimo sacro luogo conserverà lungamente la memoria: quando a mezzo novembre dello scorso anno luttuosissimo si vestiva- no di nere gramaglie queste pareti, s'immolava l'ostia di propiziazione su quell'altare, e s'intendeva la vo- ce del sacro oratore che lamentava la morte e cele- brava le virtù rare di quell'angiolo che fu la prin- cipessa Guendalina Borghese! E quelle virtù non ri- manevano senza nobile imitazione. Altre principesse, il cui nome la loro virtù stessa m'impone tacere , rinnovellavano la pietosa questua a domicilio e ne raccoglievano messe ancor più larga. Ecco, o signo- ri, come un bene è generato da un altro: come u- na sola opera sia animatrice di moltissime virtù: co- me da buona radice vengano frutti migliori: come in- somma si apra e dilatisi sempre il campo a merita- re per la vita interminabile. Tali sono le fonti, dalle quali si trassero i mez- zi del sussistere della nostra pia società. Come a lei largamente venivano, essa largamente gli apriva: e de- rivandoli fino a giungere a que' miserelli cui erano destinati, essa ne potea per tal modo soccorrere fino a seicento. E nel ridire il modo di distribuire que' soc- corsi io entro per necessità nella seconda parte del mio discorso, che dee come in breve carta porre sot- t'occhio il lato morale e più importante della istitu- zione. Quantunque, a dir vero, il procacciare di mez- Poveri orfani pel colera g zi economici all'opera, che vi ho indicato fin qui , contenga in se principii di grande moralità nelle mol- te virtù esercitate dai generosi soci; nel che sembra- mi appunto che stia il più bello di essa opera , la quale ha così immedesimato l'elemento economico al morale da non potersi disgiungere. Per ciò che spetta alla buona educazione dc'no- stri fanciulli vi è ben noto, come l'ordinamento dà loro un amorevole tutore che tenga in tutto le ve- ci del padre. In questa reciprocanza di uffici degli orfani e de'tutori è tutta l'anima della istituzione , la quale dà il soccorso non perchè sia pasciuto l'uo- mo, come il sarebbe qualunque animale, ma sì per- chè questi riconoscendo la mano benefattrice senta per lei amore e gratitudine; e quindi, profittando sag- giamente di questi affetti, il benevolo tutore guidi a virtù il suo novello figliuolo, ne corregga i difetti , ne temperi le passioni , lo incammini all' industria operosa, lo avvii sul buon sentiero di religiosa pie- tà, fuori del quale non v'ha che traviamento ed erro- re. Il consiglio, che vedea esser questo il fuoco ani- matore dell'opera, fece quanto per esso si potea ad accenderlo e ravvivarlo. Una breve ma succosa istru- zione ai tutori era messa a stampa fin dal 1889, nel- la quale era toccato quanto baslasse a dirigere i rap- porti tanto economici quanto morali ch'essi hanno co'lo- ro pupilli. Intanto la società traeva partito da tutte le altre pie istituzioni, segnatamente dalle scuole, che dal tempo in che si tengono notturne si appellano, le quali ricevono gran parte de'nostri orfani occupa- ti come sono nel dì agli opifici e botteghe. In co- teste scuole, nelle quali mediante l'opera gratuita di buoni ecclesiastici e secolari l'azione educativa pre- io Scienze vale all'istruzione, anzi l'istruzione stessa non è che un mezzo all'educazione, i nostri orfanelli traggono gran bene; laddove le altre scuole, che sono aperte il dì, gli toglierebbero ai lavori, cui è forza che l'uo- mo avvezzi le mani fin dalla prima età della vita. Molte sono in Roma le ragunanze e congregazioni di religione che hanno luogo la domenica ; ciò non ostante si stimò bene stabilire in diversi luoghi del- la città alcune chiese, dove separatamente i maschi dalle femmine potessero convenire per essere parzial- mente interrogati sulle cose del catechismo, indispen- sabili a sapersi per chi di cristiano non voglia ave- re il solo nome. I PP. della compagnia di Gesù , che già fin dal cominciamento della nostra società tanto bene vi fecero, e le dame del sacro cuore, so- no i due ordini religiosi che con vero zelo si ado- perano a ciò; e veramente non poco vantaggio si ca- va per le anime de'nostri orfani da quelle ragunan- ze delle feste, cui vigilano con singoiar carità i si- gnori consiglieri e consigliere secondo il loro tur- no. Questi convegni tanto utili furono sostituiti al- le visite domiciliari, che si facevano da principio pe'so- li maschi con molta fatica e poco profitto. IN è già impediscono gli orfani dall'andare al catechismo del- la parrocchia, la quale è centro, da rispettarsi assai, di quanto concerne le pratiche religiose. La società in soccorso degli orfani del colera , per ragioni che altre volte ebbi 1' onore di svolgere da questo luogo medesimo , volle costituirsi in pia opera a domicilio; quindi non ebbe per se né ospi- zi , ne ricoveri di sorta. Però v'ha giovinetti e don- zellette di tale indole, che sarebbe malagevole edu- carli convenientemente nelle private case : la socie- Poveri orfani pel colera i i tà cinese ed ottenne allogarli ne' pubblici ricelti di poveri. V'ebbe di quelli cbe si posero, a cura della società, senz'alcun suo dispendio in quegli albergbi caritatevoli ; ve n' ebbe di altri cui fu assegnata la pensione solita darsi a quel pio luogo die gli acco- glieva. Così l'ospizio apostolico di S. Michele , quel- lo detto di Tata-Giovanni , alcuni conservatoci edu- cano certi de'nostri orfanelli. Altri con savio divisa- mente furono inviati fuori di Roma, dove sono sta- biliti degli ospizi di fanciulli agricoltori, o conser- vatorii, die locati in città di provincia ritengono for- me di vivere più semplice e frugale. I PP. della com- pagnia fondarono un ricetto per venti de'nostri or- fanelli a s. Stefano rotondo al monte Celio. Alcu- ne delle nostre egregie consigliere statuirono scuole, dove raccolgonsi dui'ante il dì le donzelle, e sotto a- bili maestre apprendono i lavori donneschi, gli ele- menti necessari del leggere , scrivere e calcolare, e soprattutto i rudimenti del catechismo. Coleste scuo- le sono a lodarsi assai, e ritraggono del bene dell'e- ducazione di famiglia e dell'altra che si ha ne'pub- ci conservatomi. E per vero il buon avviamento del- le donne è del più grande interesse per la civil con- vivenza : perchè divenute madri, sono le prime edu- catrici dell'uomo e ne dirigono i primi passi nel cam- mino della vita. Altre delle nostre donzelle appren- dono V arte della seta in una fabbrica al Quirinale, che il consiglio stimò bene incoraggire pel vantaggio che possono esse trarne in quella industria che me- riterebbe fra noi essere aggrandita. Di tal fatta so- no le cure prodigate a ben seicento orfani pel cole- ra, che la società ha potuto soccorrere e prendere a tutela. Né tante sollecitudini sono tornate vane: che ia Scienze anzi se si considera il picciol numero di quelli , co'quali si è dovuto usare di una carità severa per emendarli, dobbiamo piuttosto consolarci. Eccovi, o signori, presentato come in iscorcio quanto adoperò la nostra pia società sotto il rappor- to economico e morale in tre anni da cbe vive. La sua opera però non è ancor compiuta: e per condur- la a buon termine abbisogna di validi soccorsi. E perchè col volger del tempo quanto più ci allonta- niamo dai giorni della sciagura, tanto più se ne affie- volisce la rimembranza, e molti soci mancarono sia per morte, sia per partenza da Roma, sia perchè com- piuto il tempo della loro obbligazione , il consiglio fé mettere a stampa un breve eccitamento a coope- rare a sì bella e caritatevole intrapresa; e fidato nel- la divina provvidenza, e nella carità de'romani che non ha giammai smentito se stessa, prosegue nel corren- te anno a compartire i soccorsi medesimi, nonostan- techè lo stato preventivo delle rendite, che vi fu pur comunicato , presenti una qualche deficenza. Unite dunque, o generosi signori, i vostri sforzi a que'del consiglio onde s'impingui l'albo de'nostri soci e l'e- ducazione de'nostri orfanelli si compia. Rammemori ciascuno di voi come detto a se stesso da Dio: Or- phano tu eris adiutor. Poveri orfani pel colera i3 Rapporto sopra lo stato attivo e passivo della cas- sa della società ih soccorso dei poveri orfani pel colera durante il 1840, anno terzo della pia istituzione ; che il consigliere ragioniere incaricato di questa amministrazione ha pre- sentato e letto al consiglio della stessa pia so- cietà il giorno 9 di febbraio i84-i. Il sottoscritto, nell' adempiere uno degli inca- richi della onorifica destinazione che gli si è volu- ta affidare , quella cioè di far conoscere al termi- ne di ciascun'anno a questo rispettabile consiglio, ed a tutti i componenti la società in soccorso dei po- veri orfani pel colera, lo stato finanziere della cas- sa della stessa società; con piacere deve annunziare, che nel corso dell'anno 1840, e terzo della istituzio- ne della citata pia unione, si è verificato quanto al- la fine del 1889 in prevenzione fu esposto, almeno per ciò che aveva relazione ai mezzi necessari: on- de durante il passato esercizio poter sostenere il man- tenimento degli individui di ambedue i sessi rimasti orfani pel colera nel numero di 4^1. In comprova di questo deve aggiungersi, che i fondi avanzati dall' esercizio 1889, e quelli in varie guise incassati durante il 1840, hanno offerto il mo- do in detta epoca, non solo di soddisfare all' asse- gno fissato pel giornaliero mantenimento di ogni or- fano; non solo ha permesso d'impiegare a favore dei medesimi una somma limitata, onde sovvenire ai par- ticolari bisogni per generi di vestiario e di letto, e di sostenere eziandio qualche spesa straordinaria re- lativa all'oggetto della istituzione; ma dopo ciò si è i4 Scienze anche ottenuto un avanzo da calcolarsi nell' introi- to del corrente 184.1. Il sottoscritto peraltro, dovendo esporre le co- se a questo consiglio ed alla intera società con tut- ta quella candidezza che si conviene, non può dispen- sarsi dal fare osservare, che il decorso anno 1840 , sì generoso nello spargere in tutta la Europa ogni sorta di calamità , pur troppo non ha voluto rispar- miare in certo modo la nostra pia istituzione. E con- trariando in più maniere la medesima, e diminuen- done quegli introiti su' quali si aveva il diritto di contare, ha impedito che si verificasse totalmente quan- to nel preventivo pel 1840, redatto al principio del passato anno, si credette di potere asserire. Quindi è avvenuto, che gli t^ 4000' cne s* te" nevano depositati al sacro monte di pietà, e che nel decorso anno diedero un fruttato di -7=% 16^: 44» sonosi dovuti ritirare nel passato novembre : onde impiegarli a sostegno delle spese dell'infausto 1840; e la prima alba del quarto periodo della nostra pia istituzione, ossia il primo del trascorso gennaio, in ve- ce di trovare in cassa l'avanzo , che nel preventivo pel passato esercizio su dati quasi certi si era cal- colato dover essere di 7^ 5884: 87, non vi ha rin- venuto che 7^ 2729: 62 ; sebbene nella detta epo- ca il numero degli orfani per morte e per essere giun- ti all'età prescritta siasi diminuito di 33 individui ; e non ostante che i componenti questo consiglio, a fine di dimostrare l'interesse che prendono al felice andamento di questa nobile opera di carità, abbiano voluto caricarsi di non poche spese. I prospetti segnati coi numeri 1 e 2, che fan- Poveri orfani i>el colera i5 no seguito al presente rapporto (*) , offriranno a ciascu- no i necessari dettagli sopra quanto qui sopra si è solamente accennatogli, facendo conoscere il visto- so numero degli orfani pel colera che al comincia- re del corrente anno trovavansi sussidiati o colloca- ti per opera della nostra società, ascendente in com- plesso a 602 individui; ed il 2, gì' introiti ed esiti della cassa della stessa società durante il 1840, non meno che il residuo al 3i dicembre delle somme incassate, da servire di base al principiato esercizio. Finalmente il prospetto num. 3 porrà sotto gli oc- chi di ogni socio il preventivo formato pel corren- te anno 1841 , e redatto con la maggiore possibi- le precisione; il quale se in qualche modo si pre- senta non così rassicurante, come si è verificato nei preventivi che lo hanno preceduto, non deve punto allarmare, e molto meno diminuire il zelo di una pia associazione , piena di carità operosa, e che persua- sa che colui che in Dio confida mai non resterà deluso, aumenta di coraggio e di attività in proporzione de- gli ostacoli che gli si parano dinanzi. Dal citato preventivo infatti rilevasi, che il fon- do di cassa esistente al decorso 1 gennaio ed ascen- dente, come si è esposto, a 7=? 2729: 62, aumenta- to colle seguenti partite, cioè 7=7 1277: io, 5, per contributi arretrati, ma che si calcolano di probabi- le esigenza; 7=7 3461: 88 per contributi da riscuo- tersi durante l'anno da coloro che a ciò sonosi ob- bligati ( somma che dovrebbe conteggiarsi per 7=7 5192: (*) Si è creduto inutile di recar qui questi prospetti , tro- vandosene un sunto così preciso nel presente rapporto di S- E. il sig. generale don Pompeo de'principi Gabrielli. i6 Scienze 82, formando essa il totale (lei versamenti da farsi in cassa da tutti i contribuenti, ma che si diminui- sce di circa un terzo, essendosi osservato che negli anni passati a tale quantitativo ammontava appun- to la diminuzione d'introito, che per varie cause si verificava in dette riscossioni ) : 7^7 iooo generoso dono della Santità di N. S. Papa Gregorio XVI; e 7=? 1280, che a tanto per approssimazione si valuta il risultato di varie questue, e di più feste laicali già attivate, si otterrà nel presente esercizio un introi- to di circa t^ 97x^: 60. 5. Calcolando quindi le spese da sostenersi entro lo stesso periodo di tem- po, cioè 7^ 10696: 82 pel mantenimento di nume- ro 410" orfani di ambo i sessi: più circa 7=^ 3oo per istraordinarie somministrazioni a titolo di generi di vestiario e di letto: ed unita a questo la somma di 7=7 5o5 per altre spese certe, che nello stesso pre- ventivo veggonsi dettagliate, si avrà un totale di spe- sa da sostenersi nei 1841 di t^t ii5oi: 32, la qua- le potrà essere minorata di circa -p^ 5j3: 40, per quel numero di orfani che durante la detta epoca saranno forse diminuiti: rimanendo così la cifra del- l'esito di 7=7 11027: 92. Ora se la spesa non oltrepasserà 7^ 11027: 92, e l'introito non sarà minore dei 7=^ 9718: 60: 5; a- vreino la dispiacente conseguenza , che alla fine del corrente esercizio 1841 la cassa della società in soc»- corso dei poveri orfani pel colera si troverà con un deficit di t=£ 1309: 3i: 5 ; vuoto che potrebbe an- che aumentarsi , se le calcolale riscossioni , come per più motivi è accaduto negli anni precedenti, non corrispondessero con precisione alle partite inscritte nell'introito del preventivo suddetto. PoVEKl ORFANI PEL COLERA iy Il sottoscritto dovrebbe sottoporre all' esame di questo rispettabile consiglio qualche proposta , onde in antecedenza suggerire un riparo all' indicato dis- quilibrio, il quale aumentandosi potrebbe recare del- le conseguenze di maggiore rammarico. Crede egli però di esimersi da questo: conoscendo che lo stes- so consiglio , in genere già istruito di quanto si è esposto, si occupa con avvedutezza, con prudenza e con ispirito di carità, dell'esame di vari progetti, non disgiunti dalla confidenza in Dio, atti a riparare l'an- nunziato sbilancio, e prevenirne bene anche l'aumen- to; il prestantissimo consigliere segretario di questo nobile consesso, con un breve ma ben inteso discor- so in istampa , avendo eccitata di già in prevenzio- ne la pietà e sensibilità di ogni classe di persone , onde accrescere il numero dei contribuenti alla no- stra pia opera, ed aumentati così i mezzi, poter giun- gere con maggior facilità al fine che forma lo sco- po di questa caritatevole istituzione. Il consigliere ragioniere Pompeo Gabrielli. G.A.T.LXXXVIII. i8 Continuazione della rivista di lavori di medico argomento, del dott. Giuseppe Tonelli. De galvanismi acus^puncturae magneticae con- iuncti nonnullis in nervorum morbis praestan- tia. Epistola ad D. Enokhine, russorum impe- ratoris a consiliis ec. F. Cervelleri auctore. Neapoli 1839. De Vemploi de V électro-magnetisme dans les ma- ladies des nerfs, et des dijferens procédés d1 application des apparéils électro-magnétiques a excitation a courens graduels et a soustra- ction dans les traitements des paralysìes, de la sciatique, de Vamavrose, de Vépilepsie , et des plusieurs autres névroses, des plaies et des tumeurs anciènnes de differente nature, et en particulier de certaines tumeurs articu- laires et scrofuleuses. Par F. Cervelleri, do- cteur ec. de Vuniversité de Naples ec. Naples 1840. resentò nel primo degli enunciati lavori il eh, sig. Cervelleri varie interessanti osservazioni di ma- lattie dei nervi da essolui felicemente trattate col galvanico magnetismo ; e sviluppò le sue idee sulle nervose morbosità e sull'influenza che 1' elettricismo esercita sulla economia animale nello stato sano e morboso. Torna ora sullo stesso argomento nel suo Rivista medica io secondo lavoro, dimostrando la ragionevolezza di que- sto terapeutico presidio da potersi in varia loggia ap- plicare pel ristabilimento di equilibrio delle corren- ti nerveo-elettriche or con l'uno or con l'altro dei memorati apparecchi. Un breve e enno esporremo di ambedue questi lavori, Narra nel primo il N. A. come in varie nevral- gie e nelle paralisi circoscritte ridonasse ai suoi in- fermi, mercè delFago-puntura, la salute, ed in altri al- meno una sensibilissima moderazione ; come utilissi- mo siagli riuscito questo mezzo in altre croniche ir- ritazioni dei nervi; come debellato ne abbia invete- rati dolori muscolari ed artritici, benché promananti o da meccanica o da reumatica o da sifilitica cagio- ne, e quantunque avessero queste morbosità resistito ad altri farmachi amministrati. Tenue vantaggio egli poi traendo in altr'emergenze dall'uso della elettrici- tà, e vedendo cogl'infelici succ essi non corrispondere alle sue concepite speranze i fausti predicamene del- l'apparato galvanico, avvisò di associare l'azione del galvanismo a quella dell'ago-puntura: istituendo pre- cisamente il primo cimento in un infermo, in cui fru- stranea era di già tornata l'azione della elettricità gal- vanica, u Erat infirmus ( son sue parole ) paraplegia « diu post apoplexiam, praecordialem a I. P, Frank « nuncupatam, ex diaetae intemperantia, vini praeser- « tini ortam, laborans. Tres in partes acus illi hiflxi, « infra scapulas videlicet duas sibi parallelas, et obli- « que ac profunde in musculos ac nervos confixas , « sic ut per tertiam partem acus superna parte exter- « ne remanerent. Erant acus magneticae ex chalybe « carburato constructae, pollices tres longae ; aliae « duae ex ipsis inter lumbos et sacrum infictae fuere, 20 Scienze « sed inversa ratione, ut liberae extremitates inferne « essetit; alias demura acus in femore introduxi sub- « ter trocanteres in directione plexus ischiatici ex in-. « furia parte illas pellens. Tu ne pilam paratam adpro- « pinquari, polumque zincum supernis acubus, cu- ce preum mediis contactu posui. Statini ac conducto- « res acus tetigere (mirabile dictu ! ), quibnsdam meis « adstantibus auditoribus ac obstupescentibus, mu- « sculi c-mnes antea inertes snbsultarunt et sese agi- tarunt ; dolores flammasque per spinam infirmus « sensit, et simul vellicationes tota cute extremitatum « inferiorum adparuerunt, anserina tamquam in fe- ti bribus facta. Paulo post polum zincum super sa- « crum, cupreumque super acus nunc dexteri, nunc « sinistri femoris transtuli: et illice dolores, motus « violenti convulsivi in musculis se agitantibus facti ci sunt, et sic per semihoram. Binos post dies opera-* « tio repetita fuit, infirmo alacriter incitante, ac illius « utilitatem approbante: et bene se habuit, nam sen- « sus motusque membris in mortuis iam reverteban- « tur, spesque erat sanitatem diu nequicquam opta- te tam obtinendi. Per menses duos alterna die reme- « dium applicando, scire sat erit quod aeger conva- « luit, ac demum in civitatem et officium reversus est « suurn. » Sommo incoraggiamento fu pel sig. Cervelleri un sì fausto risultato : cosicché dando alacremente opera ad estendere il suo metodo alla cura di altri malori, potè compiacersi di vederlo eoi'onato di feli- ce successo in alcune ischiadi, una delle quali ben in- veterata avea resistito all'amministrazione di molti far- machi ; in una cronica nevralgia facciale, ed in una invecchiata cardialgia, pel trattamento della quale ap- Rivista medica 21 plico egli due aghi magnetici all'epigaslrio, ed altro sopra le vertebre dorsali, onde stabilirvi le polarità della pila. Dopo la narrazione islorica dei divisati morbi, mercè del galvanismo magnetico risanati, vol- gendosi a dare una qualche interpretazione ai fatti rammenta con sorpresa elianto poco alla medica pras- si tornassero proficue le applicazioni dell' elettrico e del galvanico fluido, che tanto d'altronde illustrarono la fìsica, la chimica, la fisiologia. La incostanza in- fatti dei successi fece porre in oblìo questa specie di terapìa, e fu cagione che da molti recenti scrittori pur anco si proclamasse infruttuosa. Ma sembra che all'elettro-puntura eziandio siasi riservato il medesi- mo destino di oblivione, tostochè pochissimi ne posse- diamo utili documenti pratici: quantunque abbiano alcuni avvisato potersi con tal metodo ridonar la vita agli asfittici, e siasi pur suggerito di far penetrare fino al cuore gli aghi affìn di eccitarvi un artificiale inner- vazione. Or da due fisiche fonti opina il sig. Cervel- leri doversi derivare la inutilità del galvanismo : e ben lo addimostra. Non si è , invero , posta mente dagli sperimentatori alla differenza delle parti che deb- bono porsi in contatto, onde avvenga dei fenomeni galvanici la manifestazione : vennero bensì sopra una medesima parie applicate le polarità galvaniche. « Cur « galvanismi influentiae ( esclama qui il N. A.. ) Car- li poris quamvis exponendo regionem, sensatio nulla « vel medica adverlitur , et con tra super incisimi « operando cadaver, nervosque musculis per condu- ci ctorès filos aplando , partes convulsive moventur, « quamquam ( quod mirum ) vitalitate careanl ? Non- « ne quia culis substantiae differentiam non porri- « gii, in cadavere vero nervorum ac musculorum te- 22 Scienze « xtu differens ad phaenomena excitanda galvanica « maxime est opportunus ? » Altra condizione, che il N. A. accenna richiedersi pel felice successo , si è quella di spingere l'azion diretta del metallo al- la parte offesa ; ed ecco perchè nelle paralisi p. e. poco giovi o nulla la concussione dei muscoli: « Dira « ita infirmitas immunis intus recedit, ac saevior ab- « sconditur. » Dal modo quindi più retto di valersi del galva- nismo viene a fluirne la vera cagione del profitto e la costanza più sensibile di questo : il che non po- teva conseguirsi tostochè non si attendeva alla de- composizione della naturale elettricità per la differen- za delle due sostanze, a Cui negotio acuum maxi- « me magneticarum, ut experientia me docuit, fida- ti tio duas in partes textu diversificantes , convenit « ne dum, veruni et pilae voltianae applicatio aliis « electricis machinis ad hoc longe utilior et ad ner- « vos musculosque concutiendos ac sanos reddendos « aptior. » Addottrinato per tal foggia il N. A. dal- l'esperienza, ritiene, che « electricitas agit non secus « ac innervatio nova per illas partes earum vitalita- « tem sic affieiens , ut. totam per extensionem per- « currat , sensumque exaltatum interdictum vel in- « normalera corrigat ». A sanzione più dimostrativa delle sue idee sul proposito s'intertiene quindi il N. A. nella compa- razione del modo diretto di agire di alcune potenze medicinali su i nervi, sulla spinale midolla, ricono- scendo l'attività di esse diretta alla decomposizione e manifestazione della naturale elettricità per riordina- re il sospeso o interrotto circolo di questa nei luo- ghi infermi. E rammentando l'influenza della elettri- Rivista medica 23 cita atmosferica sulla umana salute, nel pervertimen- to di equilibrio della elettricità nervea ripone la cau- sa dei morbosi sconcerti nell'animale economia, e nel- l'ordinamento dell'equilibrio indicato trova conferme della maniera di agire dell'apparato galvanico e del- l' elettro-galvanico. E mentre futili sono pel N. A. dichiarate le tante ipotesi e teorie immaginate intor- no la patologia e tei'apia dei morbi nervosi, come di congestione, d'irritazione, di flogosi, tutto egli age- volmente spiega colla face della sua dottrina elettri- ca. Mancarono, è vero, sotto le mani di moltissimi pratici i salutari effetti della elettricità ; ma ciò av- venne perchè non si avvertì esser necessario: « non « externam electricitatem, sed intimas naturales gal- li vanicas positivam ac negati vam extricare , ac pa- ci tentes reddere. » E sotto questa condizione egli è, che la pila voltiana rettamente applicata ingenera ma- ravigliosi effetti. Rende elogio per tal modo il signor Cervelleri alla dottrina e sagacia dell'egregio Pucci- notti ; apprezza le portentose sperienze dei eh. pro- fessori Ettingshausen e Knolz negli apparati elettro- magnetici di rotazione e d'induzione; quelle altresì del Matteucci e di altri prestanti italiani, non che la osservazione del dott. Farini. Addottrinato così il N. A. dal lume delle sue osservazioni, e roborato dal peso dei suoi ragionamen- ti, propone la pratica applicazione del galvanismo in tutte le dimaniche affezioni nervose, e specialmente nelle croniche, come nelle paralisi, nelle nevralgie, nelle convulsioni, qualora semplici esse feieno e sce- vre da qualsiasi complicanza. Mercè del fluido galva- nico poi, col soccoi'so degli aghi magnetici trasmes- so, congettura egli potersi trattare molte topiche lo- 24 Scienze cali infermità, per ottenere, a mo'di esempio, che gì' invecchiati tumori, indolenti ed a qualche degenera- zione inchinevoli, i linfatici ascessi, le artropatie, le distensioni dei vasi, le anchilosi , si fondano, si as- sorbano, si correggano, e sieno all'ordine ricondotte. Chiude questa prima memoria il sig. Cervelleri col- l'avvertire alla distinzione dei casi pratici, nei quali abbiasi o nell'un modo o nell'altro ad eseguire l'ap- plicazione del galvanismo nella cura dei morbi. Ma vieppiù intento il N. A. ad accordare mag- gior estensione al discusso argomento, imprende nel- la seconda sua memoria ad illustrarlo con ulteriori raziocini , ed arricchirlo di fatti, di osservazioni, di esperimenti , siccome brevemente fai-cmo conoscere. Premette in sulle prime, che vi ha entro l'organismo una sorgente di elettricità , che massima influenza esercita in tutte le funzioni della vita. Questa elet- tricità sostanziale o galvanica sembra elaborarsi dal- la natura nei centri nervosi con modi che sfuggono alle nostre ricerche ; alle parti lontane vien diretta la medesima, onde porle in movimento; dal centro al- la superficie del sistema nervoso esistono sempre cor- renti nerveo-elettriche dirette o inverse, cosicché può dirsi che la centralizzazione o forma contrattiva cor- risponda al polo positivo, e la effusione o forma espan- siva al polo negativo. L'antagonismo e 1' alternativa di queste differenti affezioni di correnti neiveo-elet- triche mantengono l'equilibrio nello stato di salute; dalla interruzione di tale antagonismo vengono inge- nerati i morbi dinamici dei nervi, e perciò la indi- cazione terapeutica si è in essi di ristabilire nei ner- vi inverse correnti. Non vi ha che la teoria degl'imponderabili che Rivista medica. 25 renda ragione dei disordini nei nervi : ed il N. A. è di avviso non allontanarsi dal vero nello stabilire, che il fluido nerveo-galvanico sia pe' nervi quel- lo che l'aria è pei polmoni, ed il sangue pel siste- ma irrigatore. Ma lo varietà patologiche delle ne- vrosi non si arrestano mica ai nervi; ogni sistema an- zi ed ogni fibra organica ne sono influenzate, ed in singoiar modo il sistema irrigatore unito intimamen- te al nervoso, cosicché sono questi due grandi siste- mi i depositari della vita. Disse già il valente Puc- cinotti, essere officio del sistema irrigatore d'inalììare i nervi di un vapore per mezzo di una continua esa- lazione di siero diretto a conservare la conducibilità delle correnti elettriche e fornire in pari tempo l'ele- mento termico. In grazia di tale corrispondenza le correliti idro-elettriche che portansi dai centri all'e- sterno, e le termometriche che volgonsi dalla perife- ria all'interno, costituiscono un sistema generale di correnti termo-idro-elettriche. Agevolmente così si co- nosce , che se l'imponderabile trovasi in eccesso su qualche nervo, il tessuto di cui non sia in tutta la sua estensione umettato, la forma morbosa in tal ca- so sarà una irritazione locale, una nevralgia, che po- trà ad ogni istante inasprire o dissiparsi a norma della interruzione o del ristabilimento della conducibilità nerveo-galvanica. In conseguenza di questi principii « di altri per brevità omessi risulta, che la prima e la più essen- ziale indicazione nella terapia di un gran numero di nevrosi è quella di riporre in equilibrio le correnti nerveo-elettriche. Dichiara a tal uopo il sig. Carvel- len, che 1' uso dei suoi apparecchi forma il più sem- plice ed insieme utile mezzo opportuno a razionai- 20 Sciente mente soddisfare alle diverse terapeutiche indicazio- ni, siccome ampia fede ne somministrano i felici suc- cessi da lui conseguiti nel tempo che gli ha posti a contribuzione. L? aparecchio a correnti magnetiche, e tre diversi apparecchi galvano-magnetici, ad ec- citamento cioè, a correnti graduate, ed a sottra- zione, vengono dal N. A. descritti e raccomandati. Per la formazione del primo fu d'uopo stabilire due polarità con quattro aghi magnetici situati gli uni in- contro agli altri, e porre tutti gli aghi in diretto rap- porto con barre magnetiche , di cui i poli contrari sieno in perfetta corrispondenza con quelli del lato opposto: vengono in tal modo poste in movimento le due correnti e vanno a confondersi. Nel secondo ap parecchio, cioè galvano-magnetico ad eccitamento situar conviene gli aghi magnetici in molti punti come alle braccia, ai femori , alle gambe, al dorso ligarne tutte l'estremità libere con fil di ferro , po- nendo gli ultimi delle due estremità in rapporto coi poli della pila. L'apparecchio galvano-magnetico a correnti graduate consiste nel non usare, siccome nel precedente, il filo di ferro per unire gli aghi, ma far restare i medesimi a qualche linea di distanza dai conduttori , ovvero di porre il polo positivo in co- municazione con 1' ago che ferisce il nei'vo, mentre l'altro conduttore rimansi a piccola distanza dal se- condo ago. Finalmente V apparecchio galvano-ma- gnetico a sottrazione può in diversi modi formarsi: diversi aghi magnetizzati si applicano l'ira dopo l'al- tro, e riunisconsi alla loro radice mercè d'una catena che si tuffi con la sua libera estremità nell' acqua. Trovandosi gli aghi sotto la pelle presso le parti af- fette, si precipita l'imponderabile sul conduttore e ces- TlVISTA MEDICA 2 7 sa il morboso disordine. Può altresì adoperarsi l'ap- parecchio a correnti graduate in modo da far dirige- re la corrente dall'interno al di fuori; fissandosi so- pra i nervi affetti un ago, cui si approssima il polo positivo, se ne pone un allro che abbia appena fo- rato la cute, in rapporto col polo negativo. La varietà di questi apparecchi viene dal N. A. determinata a forma delle varietà dei morbi che im- prendonsi con essi a combattere. La somma dei sor- prendenti vantaggi conseguiti dall'applicazione dei me- desimi viene pur constatata da un quadro di osserva- zioni che lo stesso sig. Cervelleri vi aggiunge. Ap- parisce ivi quan te guarigioni e salutari effetti abbia l'imponderabile operato anche nelle infermità ribelli alle ordinarie terapeutiche amministrazioni, e dichia- rate insanabili, come paralisi croniche, nevralgie osti- nate, tumori articolari cronici ed incurabili, sia scro- folosi sia sifditici, ascessi freddi, sciatiche ribelli , e pcrfin piaghe di strumosa progenie, si videro con l'at- tività di tal presidio condotte a cicatrice. Ma qual dei menzionati apparecchi usar fia d'uopo in una o in altra delle diverse morbosità, non si omette dal N. A. dichiarare : ed appoggiato sempre ai più sobri, ma concludenti raziocini nella rispettiva emergenza annessi. Delle quali cose e risultanze non pago il N. A. tentar volle di più oltre estendere il dominio e le mire di possanza del suo contemplato imponderabi- le. Spinto cioè dall'ardor di conoscere, se coll'aiuto delle correnti galvano-magnetiche giunger si poteva allo scopo di trasmettere nell'interno dell'organismo sostanze medicinali, volle sopra se medesimo, ed in alcuni individui infermi intraprenderne in varia for- 28 Scienze ma i cimenti: siccome all'uopo riferisce di aver pra- ticato con soluzioni di tartaro stibiato, di tintura di cantaridi, di estratto di bella donna, di stricnina, e con la decozione di robia. Desumere dal complesso delle istituite sperienze si può, che molto rapido di- viene l'assorbimento sulle parti, nelle quali sono sta- ti fissati gli aghi magnetici e dopo le applicazioni del galvano-magnetismo. Ma qualora la soluzione medi- cinale pongasi in un bicchiero di cristallo, traversato nel fondo da due fili di ferro da mettersi ciascuno in comunicazione con un dei poli della pila , non manca di appalesarsi l'effetto della trasmissione. Que- sta però è più rapida e sensibile , quante volte im- bevansi delle compresse nella dissoluzione medicina- le, e situate vengano fra l'estremità dei fili condut- tori e degli aghi che per questo mezzo comunicano colla pila. E poi tanto vero, che in grazia delle ap- plicazioni del galvano-magnetismo spiegano grande at- tività i vasi capillari assorbenti, che per mezzo del suo processo è pervenuto il N. A. a condurre a ci- catrice invecchiate piaghe, benché di genio scrofoloso: siccome apparisce da una delle sue osservazioni che qui presceglier ne piace a trascrivere. « A un malade, qui souffrait depuis quatre mois « à cause des plaies scrofoleuses au cou, j' avais con- « seillé 1' application topique de l'onguent de mer- « cure. Un mois s' était presqu' éconlé d' après ce « nouveau traitement, et les plaies se trouvaient dans « le meme état, sans qu' aucun symptome de sali- ce vation ni d'autre nature eut annoncé l'absorption « du reméde. Dan cet état, j' ai applique sur les pia- te ies douze grains d'onguent napolitain, j' ai fixè des « aiguilles obliquement autour des plaies, et j' y ai Rivista medica 29 « dirìge dessus des couraus graduels. l'ai découvert « les plaies aprés huit heures, et toute trace de mer- ci cure ètait disparue. A la troisiòme application de a l'onguent, la salivation s'est manifestée. On a su- « spendu l'application d'onguent mercuriel, tout en « continuant les courans: et la guérison au bout de « quatre mois a été radicale, n Con plausibile modestia concliiude il eh. prof. Cervelleri di aver unicamente consegnato al pubbli- co in queste sue produzioni il frutto delle sue spe- rienze per sottometterle al giudizio dei dotti. Affine però di meglio secondare le intenzioni del N. A., ed anche (il che è preferibile) affine di cooperare ai ve- raci e sodi progressi della scienza, fa d'uopo ripete- re con zelo ed esattezza l'esperienze medesime di lui. Con ciò assicurarci potremo della energia non solo di sì possente imponderabile , ma sibbene della co- stante energia ed attività di questo nella cura delle umane infermità. Impiegato vedremo così agli usi te- rapeutici quell'agente istesso, che regola e compie le funzioni dell'organismo e presiede quasi alla vita. TONELLI. — «££g5Q^§3?ffB=~- 3o a ■iiimwiimuwJM Risultamenti delle grandi operazioni di chirur- gia eseguite nelV arciospedale di s. Spirito in Sassia di Roma dai eh. prof. Francesco Rucci ed Antonio Speroni chirurgi primari di esso stabilimento, membri del collegio medico-chi- rurgico ec.\ e dai loro chirurgi sostituti dal- l'1 anno i835 al 1840 (*). ngombrati ognora da sistemi, da teorie e da mok tissime inezie, e stanchi a dir vero di tanti deliri, go- de veramente 1' animo di far presente a' leggitori di fatti esposti con tanta candidezza , che credo dover riuscire di vera e grande utilità a' giovani non solo ma eziandio a' provetti. Era veramente cosa vergo- gnosa, che nessuno de' tanti medici e chirurgi dotti che questa capitale illustrano si fosse posto a raccorli e divulgali gli avesse. Fu per le cure di S. E. monsig. Antonio Gioia commendatore di s. Spirito, che si pub- blicarono gli annuali elenchi, e sotto i suoi auspici se ne continua la compilazione. Volentieri quindi mi sono accinto all'opera, desideroso di far palese agli stra- nieri non solo, ma agl'italiani ancora, qui non istar- si già, oziando, ma operarsi cose senza strepito e seri- (*) Questi cenni sono stati desunti dagli elenchi delle opera- zioni in due fogli atlantici, che vider luce nel i856 e 1807 , da un volume in 8. nel i838, e da tre in 4- del i83g, 1840 e 1841 ; stampati tutti nella tipografia Pulcinelli a Roma. Operazioni di chirurgia 3i za farsi strombettare. Il ciarlatanismo letterario non ha mai allignato fra noi: anzi, confessiamolo pure, sia- mo soventi volte caduti nell'eccesso opposto. Delle operazioni eseguite nel corso di sei anni nell'arcispedale di s. Spinto io do conto: e per rin- venire più facilmente il nome di esse, ho seguito l'an- damento alfabetico. Amputazioni. i835. In quest'anno furono ese- guite due amputazioni della gamba sinistra, le quali ebbero infausta terminazione : la prima a causa di gangrena, l'altra pel riassorbimento del pus. Buono però fu l'esito dell'amputazione del destro braccio. i836. In 5o giorni guarì un giovane, al quale si era amputata la gamba destra. i83y. Presso a scoppio di fulmine un tal Ghi- giotti di Terni sentì un avvampante scuotimento nel mognone della spalla destra fino alle dita , le quali restarono istupidite ed incapaci di esercizio. Dopo al- quanti giorni svanì tale incomodo: ma scorsi tre me- si vide sollevarsi nella mano una leggera tamefazione indolente, non inerte alla pressione. Progredì lenta- mente, e dopo 3 anni era simile ad un grosso limo- ne: e sì vivi dolori arrecavagli, che erano causa di feb- bre. Riconosciuto il tumore per un vero fungo san- guigno, fu aperto a solo fine di aderire alle preghiere dell'infermo. Si dovette quindi amputare l'antibrac- cio. Sino al settimo dì tutto progrediva bene : ma cominciando la piaga ad impallidire e dar sanie , il 20 giorno perì. I visceri del basso venire si trovaron più o men flogosati; i polmoni distrutti e natanti nel- le marce; nessun sintonia avea palesato tali alterazio- ni. Un'amputazione dell'omero destro sortì esito felice. 1 838. I due amputati della coscia, per metasta- tico riassorbimento di pus ai polmoni , perirono. 3a Scienze i83g. L'amputazione di una coscia riuscì nel modo più lusinghiero. 1840. Una vasta e profonda ferita nella parte interna della regione carpiana malmenò vari ten- dini flessori delle dita , troncando quello attinente al mignolo e 1' arteria radiale , da cui infrenabile emorragia. Si fece la compressione col torculare , il quale rimosso dall'infermo perchè vedea la ferita pros- sima a cicatrizzare, sgorgò nuovo sangue dalla recisa arteria per modo che se ne infiltrò il tessuto cellu- lare. Si praticò allora un taglio per rinvenire 1' ar- teria, la quale fu allacciata, ma inutilmente , perchè dopo due giorni die altro sangue. Si ebbe finalmen- te ricorso all'amputazione dell'antibraccio, e così si salvò la vita al paziente. - Una puntura di spino nel dito medio sinistro arrecò appoco appoco una vasta suppurazione in tutta la mano: due aperture davano esito a marce fetentissime. Il tendine dell' estensore di quel dito distrutto : la instituita disarticolazione rendette più gravi i sintomi, sicché amputossi il ter- zo inferiore del braccio : ma la febbre e 1' emana- zione, che da lungo tempo il cruciavano, lo trasse- ro alla tomba 18 giorni dopo l'amputazione. Si tro- vò il pus nella sinistra cavità toracica. - Un colpo di scimitarra sul dorso della mano sinistra produs- se una ferita complicata colla recisione dei tendi- ni estensori delle dita indice, medio, anulare e mi- gnolo, con frattura degli ossi del metatarso sostenito- ri delle tre ultime dita e con divisione di vari ra- moscelli arteriosi, dai quali una rilevante emorragia. Per rendere regolare la ferita , si disarticolò il dito indice e si segarono le tre ultime ossa del metatar- so. Un disordine dietetico destò gagliarda febbre e vi- Operazioni di chirurgia 33 vissima flogosi alla mano, da cui gangrena. Per ener- gica cura ai separarono le parli corrotte: ma denu- dati i moncherini in parte si necrosarono, e dopo la desquamazione sursero novelle carni a base di buo- na cicatrice, che nel tempo in cui scrivevansi le isto- rie era completa ( febbraio 184.1 )■ Aneurismi, i835. In seguito di un salasso nel- la vena basilica del braccio destro, si lese 1' arteria brachiale ; sottoposto l'infermo al metodo del Guai- tani, ne ottenne guarigione. 1837. Legatura della carotide primitiva. Quest" operazione mostra il coraggio dei professori. L'infera mo avea riportato dieci ferite, due penetranti nella cavità del basso ventre, sette in varie regioni del cor- po, tutte muscolari, ed una con lesione della caroti- de primitiva , la quale fu allacciata. Se i1 esito non corrispose alle speranze, l'esattezza dell'atto operativo fu dimostrata dalla sezione del cadavere. Bubbonocele, i835. Due furono i casi di bub- bonocele : esauriti i mezzi che 1' arte insegna affine di schivare il taglio, si dovette non ostante proceder- vi: ma l'esito fu felice. i836. Dopo aver posto in opera ogni tentativo, fu impossibile riporre 1' ernia strozzata ad un tal proietto malsano, stupido, in età di 70 anni. Sotto- posto all'operazione, riuscì facile; si sarebbe portato a guarigione l'infermo, se egli stesso togliendosi l'ap- parecchio non avesse dato causa alla sua morte. L'inte- stino strozzato si trovò del colore naturale, l'intero omento cambiato in una massa d'idatidi. La superfi- cie delle intestina era ricoperta in vari punii di strati di linfa coagulata, che costituivano false membrane. 1837. Un caso di bubbonocele riuscì infausto. G.A.T.LXXXVIII. 3 34 Scienze La sezione del cadavere mostrò l'omento e le inte- stina mortificati, e gli altri visceri con indizi di flo- gosi. i838. Ad un tal campagnolo di anni 71, affet- ta da ernia inguinale, rimase questa incarcerata. Ogni sforzo per riporla in cavità tornato inutile, si operò. L'omento era gangrenato, un' ansa d'intestino tenue lividastra. Nel giorno 4* perì. Il grande omento, tutto corrotto, avea aderito alle parti vicine e specialmente intorno all'annulo inguinale. Le intestina alterate per inspessimento di sostanza , e la porzione dell' ileon prossima al ceco presentò un' apertura avvenuta per gangrena. L'altro caso di bubhonocele guarì. i83c). Interessantissime sono le tre storie di er- nie incarcerate, le quali si operarono con risultamen- ti così felici che superarono la comune aspettativa. Furono asportati dei grossi pezzi di omento grangre- nati, e nel terzo caso l'intestino stesso mortificato si aprì spontaneamente, e dall'apertura vennero fecce: una ben'intesa medicatura però salvò la vita al pa- ziente, e gli rese uno stato di salute floridissimo. 1840. Aperto il sacco erniario, apparve un cor- picciuolo albicante che aderiva ai muscoli addomina- li : si riconobbe essere un testicolo. L'infermo guari. Ricorso per estremo aiuto all'operazione, si rinvenne l'ansa intestinale lividastra ed una porzione di omen- to infiammato. Nel rimuovere l'apparecchio, si vide che»- un piccolo foro comunicante coll'addomine favo- riva uno stillicidio di marce in quella cavità. Abben- chè si adoperassero tutte le cautele per impedire tale disastro, l'infermo soccombette. Si trovarono nella ca- vità addominale molte marce fetide, l'omento inaltera- to, gl'intestini di color carico, l'ileon, nella porzione che Operazioni di chirurgia 35 avea formato l'ernia, più colorito. Aperto al terzo in- dividuo il sacco erniario, si trovò un entero-epiploce- le, e l'omento per tal modo inviluppava l'ansa inte- stinale che si durò fatica a disgiungerlo. Sebbene in sul principio le cose pendesser buona piega, non o- stante sopraggiunsero sintomi d'incarceramento, e l'in- l'ermo morì al quarto giorno. Si rinvenne nel cada- vere l'omento semi-adeso all'orlo della ferita, e sot- to questo una porzione dell'ileon molto ristretto nel diametro e prossimo a gangrena. Castrazione, i835. Si asportò un testicolo sar- comatoso del peso di libbre sei romane. La suppura- zione, in principio limitata, si dilatò oltremodo , e quindi la piaga si gangrenò. L'autopsia mostrò il pro- cesso gangrenoso avere attaccato l'intero cordone sper- matico, i836. Sottoposto un faochino all'estirpazione del destro testicolo, era vicino a guarire: ma avendo in- cautamente preso molto cibo, sopraggiunse febbe ga- strica che lo privò di vita. Il peritoneo si rinvenne flogosato , le intestina livide e prossime a gangrena. 1837. Un caso di castrazione con esito felice, i838. Quattro casi come sopra. 1839. Ad un tal falegname di anni trenta si estirpò un testicolo divenuto maggiore cinque volte del naturale e idatidico. Mortificato per ben due vol- te il tralcio spermatico, die causa ad abbondante emor- ragia. Sopraggiunse quindi un' eresipela flemmonoso nell'ipocondrio destro e la prossima porzione inferio- re del torace, che lo condusse a morte il quinto gior- no dopo l'operazione. 1840. Asportato il testicolo sarcomatoso, l'infer- mo andava migliorando, quando per disordine diete- 36 Scienze tico destassi gagliarda febbre e la ferita tendeva a gangrena, ad arrestar la quale ed a salvar la vita al paziente abbisognarono tre mesi di cure. - Difficilissi- ma fu l'esecuzione di asportare ad altro individuo un testicolo sarcomatoso, per essere esulcerato, dolentis- simo, aderente ai setto, e l'infermo malmenato quan- to mai da sifilide. Le diligenze adoperate ebbero bril- lante successo, tornando al quarantesimo dì l'infer- mo al militare servigio. Cataratta^ t835. Operaronsi col metodo della depressione sei oatarattosi ; uno di questi divenuto tale per causa traumatica, cui sopraggiunse commo- zione cerebrale, abbenchè speditamente operato, rima- se cieco per paralisi dei nervi ottici: gli altri più o meno completamente riacquistarono la vista. i836. Sottoposti due catarattosi alla depressio-. ne ricuperarono la facoltà visiva. 1837. Quattro operati come sopra, i838. Cinque operati come sopra. 1839. Più o meno completamente rividero la luce quattro catarattosi operati, come tutti gli altri, col metodo della depressione. 1840. Quattro casi come sopra. Cheilo plastica, 1 838. Un solo operato cori buon successo. Cheilorajia, i838. Come sopra. Cìstotomia, i835. Otto sono i casi di cistoto- mia eseguiti con appositi metodi secondo il bisogno: sei ne guarirono: eran tutti giovanetti, un solo con- tava 35 anni di età. La sezione dei due cadaveri pre- sentò nel primo la vescica contratta, ingrossato il tes- suto, esulcerata la mucosa: nel secondo la vescica in- filtrata con ulceri nella parte interna, il cuore flac- cido, i suoi ventricoli dilatati. Operazioni di chirurgia 3y i836. Delle tre cistotomie eseguite col taglio la- terale, due ebbero felice risultamento, la terza infausto. Fu trovata in questi la vescica contratta, inspessiti i tessuti, la mucosa esulcerata. Il rene sinistro impic- colito e suppurato nella sostanza tubulosa, il corri- spondente uretere sfiancato; il suo lume era tre vol- te più grande dell'ordinario. 1837. ^°^ metoa,° laterale si praticò spedita- mente un' operazione di cistotomia. Sopraggiunta al quinto giorno ardentissima febbre, tensione timpani- tica e delirio feroce, condussero l'infermo al sepolcro. La vescica orinarla nella superficie interna avea per- duto la sua lucentezza per esserne stata consunta la mucosa. Le maglie della sottoposta carnosa eran così rilevate, che rassembravano una rete. Segata la pietra, si trovò la striscia di cuoio cbe l'infermo si era intro- dotta per l'uretra nella vescica, i838. Delle quattro cistotomie eseguite col me- todo laterale, tre riuscirono propizie. Sezionato il ca- davere del quarto infermo, si trovò il collo della ve- scica in istato di suppurazione , le sue tuniche in- spessite e corrugate, il diametro degli ureteri quadru- plicato, i reni atrofizzati. 1839. Quattro casi come sopra. La sezione ca- daverica mostrò in quello perito, gli ureteri eguali in diametro agl'intestini tenui, la pelvi renale ed i ca- lici altrettanto sfiancati: i reni molli. Fin da bambi- no avea molto sofferto nelle vie orinane , e sovente avea emesso orine miste a sangue : non ostante era giunto ai 21 anni di età. 1840. Temendo N. N. il taglio, si assoggettò alla litotripsia: col qual metodo instituiti molti vani ten- tativi, determinò finalmente sottoporsi al taglio, seb- 38 Scienze bene martoriato da acutissimi dolori che si esacerba- vano nell'orinare, fino a destar convulsioni e deliqui. Si trovò il calcolo diviso in due pezzi del peso di un'oncia e sei ottave. L'infermo, dopo aver molto sof- ferto, soccombette al quarto giorno. La vescica orina- ria ridondava di un umore gelatinoso : il taglio ari- do e come tendente alla mortificazione. - Riguardano il secondo e terzo caso due individui di 7 in 8 an- ni di età, che operati col taglio laterale guarirono al ventesimo giorno. Disarticolazione , 1839. Due casi : uno riguar- da la disarticolazione del dito medio, la quale si ese- guì nell'articolazione me tacarpiana ; l'altro della fa- lange unghiale del dito minimo. Estirpazione delle tonsille ', i835. Tanto era- no ingorgate, che rendevano malagevole il deglutire ed il respirare : se ne fece paratamente 1' ablazio- ne, e così le funzioni lese tornarono allo stato nor- male. Del bulbo dell'occhio, i836. Un giovinetto gra- cile, in seguito di fungo midollare, che avea origine dalle pareti della cavità orbitale destra, il bulbo dell' occhio protruse e degenerò. Morì al quinto giorno : il pezzo patologico esiste nel museo (*). (*) II museo anatomie o dell' arciospedale di s. Spirito in Sassia ebbe origine nel 1796. Il celebre profess. Giuseppe Flaiani ne fu il fondatore non solo, ma l'arricchì di molte ed eccellenti preparazioni. Fra queste rimarcabili sono quelle dei sistemi ner- voso, arterioso e venoso del corpo umano., che i più colti viag- giatori medici di Europa ammirano. Moltissimi, e taluni di grande rarità, sono i pezzi patologie» i quali vorrebbero esser separati dai naturali, ordinati e descrit-; Operazioni di chirurgia 3g Di wì* ulcera della faccia, i838. Un tal con- tadino, sveltosi un neo dalla gota, ne derivò piaga fun- gosa che non avendo ceduto ai caustici, i quali pri- ma di presentarsi all' ospedale furono adoperati , si venne alla demolizione dell'intera piaga, che occupa- va tutta la gota destra fino all'angolo della bocca: e cosi al termine di due mesi si ebbe una stabile e non deformante cicatrice. Di sarcomi, i83g. La gangrena, cui preceduto avea copiosa emorragia in seguito di estirpazione del sarcoma della natica sinistra, involò l'infermo. Altro sarcoma nella cavità della bocca si estirpò ad un tale, cui già nel i83y si era in quest'ospedale rise- cata parte della mascella inferiore. L'esito fu fortu- nato. 1840. Una lupia apertasi per suppurazione avea degenerato in tumore sarcomatoso, il quale amputato, al quattordicesimo dì l'infermo rimase libero.- Un neo materno nella parte anteriore superiore della coscia destra, forse irritato, crescendo in volume arrecava mo- lestia e dolore cui sopraggiunse febbre. Screpolata la pelle che il ricuopriva, die origine ad imponente emor- ragia, per cui fu amputato : pesava 5 libre. ti. Il eh. sig. prof. Francesco Bucci die conto di 20 di questi pezzi nel i835 ( Roma pel Boulzaler in 4, con IV tav- litograf. ) Magnifico è tal museo pel lusso degli armari , sopra i quali in bella serie sono i ritratti dei più valenti medici, chirnrgi ed anatomici. Gli allievi di quell'ospedale gratuitamente vi deposi- tano i preparati (Vedi la biografìa di Giuseppe Flaiani scritta da Luigi Frank nel tomo 26, pag. 471 degli annali universali di medicina di Omodei, ove si parla di questo museo). 4o Scienze Fistole 1 835. Ve ne furono di tutte specie, si- nuose, anfrattuose, complete ed incomplete in doppio senso; i casi furono io, tutti operati col taglio e gua- rirono , tranne un militare impaziente che quindi tornò. i836. Furono eseguite quattro operazioni di fi- stola all'ano, che furon portate a solida guarigione. 1837. ^e ^ue operazioni di fistola all'ano sor- tirono felice risultamento. Del caso di seno fistoloso al mento, guarito col renderlo completo, ne ho dato conto al tomo 83, p. 162 di questo giornale, parlan- do Dei cenni sa di una malattia della faccia, me- todo efficace per guarirla, ed osservazioni prati- che di Francesco Gattei. i838. Due fistole all'ano sanate. 1839. Sei fistole all'ano, che più o men presto guarirono. 1840. I due individui affetti da fistole all'ano, benché complicatissime, risanarono. Gastrorafia , i836. Per ferita di basso ventre uscì porzione di omento e d'intestino: si riposero in cavità, ma inutilmente: per cui fu forza eseguire la gastrorafia la quale salvò la vita al paziente. 1837. Abbenchè avvenissero cose sinistre dopo un' operazione di gastrorafia, nulladimeno il malato guarì. Idrocele, 3 835. Dodici individui affetti da qué- sto morbo si ricovrarono all' ospitale: vennero tutti operati giusta il metodo delle iniezioni. Due recidi- varono, e tornati ad operarsi guarirono : in un terzo vi fu suppurazione, ma risanò. i838. Operati come sopra si liberarono da tale malattia: furono sei casi. 1840. Come sopra. Operazioni di chirurgia 41 Labbro leporino, 1840. Si procede alla cruen- tazione dei bordi colle cesoie, concedendolo la poca spessezza del labbro : il contatto dei lembi si man- tenne fermo con due soli puuti di sutura staccali, che si coadiuvarono con fasciatura unitiva. Dopo io gior- ni la cicatrice era solida e completa. Meliceride, i83g. Con trequarti da idrocele vo- tossi un meliceride, e s' iniettò quindi per la stessa cannula del vino allungato. Chiuso l'accesso all'aria, suppurò al quinto giorno, ed al 14 era sanato. Paracentesi della vescica orinarla, i835. Si eseguì la punzione a causa di completa ed invinci- bile iscuria : le orine sgorgarono corrotte e sangui- nolente , nulladimeno il malato torna a' suoi lavori dopo i5 giorni. i836. Due furono i casi di paracentesi della ve- scica orinaria: guarì l'uno, nell'altro la sezione del cadavere mostrò un voluminoso tumore di consisten- za lardacea, il quale riempiva quasi la piccola cavità della pelvi , e comprimendo la vescica dava origine ai sintomi che determinarono la punzione di quel vi- scere. Il pezzo patologico si conserva nel museo. i83y. Una ritenzione di orina ed un infiltra- mento di questo liquido minacciava gangrena allo scro- to ed all'involucro cutaneo del pene di un tal coc- chiere di 69 anni di età. Impossibile l'esecuzione del cateterismo, si dovè necessariamente eseguire la pun- zione ipogastrica. Fluirono di fatti in copia le orine, e l'infermo ne fu grandemente sollevato: non ostan- te le parti infiltrate si gangrenano e l'ammalato muo- re. L'autopsia mostrò flaccido ed attenuato l'altro fon- do della vescica: scendendo però il tessuto ingrossa- va progressivamente. Il foro artificiale era ulceralo in- ^2 S C I E N Z E sieme ai tessuti esterni. Aperta, si trovarono varie ul- ceri nel suo basso fondo : obliterato era il meato ori- nario dal collo della vescica alla porzione corrispon- dendente dell'uretra. La prostata infarcita: sezionata, presentava vari follicoli ripieni di marcia. Polipi, i835. Un polipo esistente nella sinistra narice, avente la sua stretta base nella parte alta del tramezzo, fu estirpato colle pinzette, e senz'allra cu- ra si liberò l'infermo da tale malanno. 1837. Esisteva questo polipo nel lato sinistro del setto nasale, ove altre volte erasi manifestata una so- migliante vegetazione. Fu svelto colla pinzetta : nel sesto giorno uscì dall'ospedale. Pterigio, 1839. Eseguita ad un tale l'escissio- ne del pterigio in ambedue gli occhi, risanò. Risecazione della mascella inferiore, i836. Due casi riuscirono ottimamente: si ebbe in uno de- gl'infermi la riproduzione della parte asportata, cosic- ché ora può eseguire con facilità la masticazione. Tracheotomia , i83g. Col metodo di Fabri- zio d'Acquapendente, usando la cannula di Buchoz, si operò la tracheotomia. La sezione del cadavere mo- strò l'organo vocale tumido ed esulcerato nel suo in- terno, ed il laringe era poco men che otturato. Trichiasi, 1837. In una trichiasi nella palpe- bra superiore dell' occhio destro , si fece l'escissione di porzione ellittica trasversale nella cute della det- ta palpebra, e riunita la ferita con due punti di su- tura , cessarono tutte le molestie che soffriva ; do- po quindici giorni tornò alle sue occupazioni. Uretrotomia, i838. Si eseguirono due opera- zioni di uretrotomia per estrarre dei calcoli. Dopo 5 o 6 giorni uscirono dall'ospedale sanati: uno di co- storo era stato sottoposto alla cistotomia nel i836. Operazioni di chirurgia 4^ Il numero totale delle operazioni è di 162 , i morti furono 27. Eccone l'elenco : OPERATI MORTI Amputazioni Aneurismi ........ Bubbonocele Castrazione Cataratta Cheiloplastica Cheilorafia Cistotomia Disarticolazioni Estirpazioni varie Fistole Gastrorafia Idrocele f Labbro leporino Meliceride Paracentesi della vescica orinarla . Polipi . . . Pterigio Risecazione della mascella inferiore. Tracheotomia. , Trichiasi Uretrotomia 12 6 2 1 12 5 IO 3 25 - ; I - I - 23 7 2 - 7 2 27 - 2 - 24 - 1 - 1 - 4 2 2 - 1 - 1 - 1 1 1 - 2 - Totale 162 | 27 fi Dopo aver'esposte le cose principali intorno alle discorse operazioni, converrebbe che sul pregio loro portassi la mia opinione: ma avendone l'infaticabile dottor Tonelli dato giudizio nel volume 92 degli an- nali universali di medicina compilati da A. Omodei, integro a'iettori lo sottoporrò. « Siccome il titolo stesso « di questi due volumi lo annunzia ( parlava delle 44 SiìiiDzi « operazioni del 1837 e 1 838 ), brevi e concise sono « le istorie, ma chiare abbastanza per portare il let- « tore alla espressiva conoscenza dei fatti. Vengono « con ingenuità riferite le infauste terminazioni di « alcune di esse: e ben si rileva che parto esse fu- « rofio della gravezza del morbo, o della negligenza « dei pazienti nell'invocare con soverchio indugio i « presidii dell'arte. Encomiar però vi si debbono e la « scelta de'raetodi conosciuti, e la sagacia nel richia- « marli alla pratica osservanza, e la dotta precisione « nell'esporli » (*) . E sembrando a me giusto e con- veniente tale opinamento, non posso non disapprova- re taluno ( Annali medico-chirurgici di Roma ), che le cose più serie e più importanti trattando con modi faceti e scherzevoli, disprezza quel savissimo precetto, doversi cioè parlare di cose gravi con nobile e soda dizione, e le gaie condire con ogni maniera di gra- zie e di amenità. (*) Nel volume 97 degli annali suddetti alla pag. a35 (gen- naro 1841 ) il medesimo dottor Touelli dà ragguaglio dell'elenco sommario delle operazioni di alta chirurgia eseguite nel i83g> 45 /. Di un nuovo (strumento idrometrico. Memo- ria del dottor Quirico Filopanti. Bologna ti- pografia Mar sigli in 8, di pag. 80 fig. II, Memoria sui fuochi fatui> del medesimo. Ivi idem pag. 6>, I, M^À idrometria, volendo determinare la quantità di acqua che scorre per un dato alveo in tempo dato, ha dovuto ricorrere al ripiego di sperimentare picco- le vene d'acqua in condotti artificiali; onde cosiffat- ta misura fece dipendere dalla ricerca delle veloci- tà della corrente in un certo numero di punti del- la sezione, e riguardò il prodotto dell'area delia se- zione per la media delle velocità, come eguale pros- simamente alla portata. E gli strumenti idrometrici dovettero limitarsi a darne , meglio che la velocità della corrente, la resistenza ad un ostacolo. Ma dal- la resistenza come far dipendere la velocità ? Dal mon- do della realtà trapassiamo ad un mondo di conget- ture intanto , che ipotesi diverse si hanno ; per cui la resistenza de' fluidi è proporzionale al quadrato della velocità per alcuni, per altri alla semplice ve- locità, per altri poi al cuho di essa. La quale diver- genza di opinioni si fa più credibile se rammentisi, che la teoria idraulica poggia su principii ipotetici del moto lineare de'fluidi, sulla perfetta scioltezza ed incoerenza dalle molecole liquide ec. Il signor dottor Filopanti ha pensato uno stromento misuratore del- la portata e della velocità dell'acqua , che non di- 46 SciKNZE penda dalla mentovata teoria della resistenza de'fludi: ed ha portato in questa materia sì l'esattezza possi- bile, si quella fecondità di conseguenze, sì quella lu- cidezza dell'ordine nell'ideale, nell' esperimentare, nel dedurre, che sono proprie di chi coli' uso delle ma- tematiche si avvezzi al rigore ed alla chiarezza del ragionare : -di che , quanto al nuovo stromento , fu lodato e dal professore torinese ab. Baruffi nell'adu- nanza dei dotti del 1840, e dal bolognese prof. Ber- telli, mio onorevolissimo amico e già collega di stu- di, il quale ha riferito con quel suo lino giudizio , con quella sua ingenuità all'accademia delle scienze dell'istituto. E meritò che la memoria con tali suf- fragi onorata si pubblicasse nei nuovi annali delle scienze naturali, che per cura di vari dotti della u- niversità e del collegio e di altri ancora escono nel- la patria de'Manfredi, de'Guglielmini , e del viven- te eh. professor Venturoli, che tiene il campo nella idraulica, non meno che nella meccanica. Due teoremi premettonsi: 1. se la velocità, con cui ciascuna molecola fluida incontra una superficie, s'imagina decomposta in due, l'una normale l'altra pa- rallela: l'acqua, che per lei passa in tempo dato, e- guaglia quella che vi passerebbe se le singole mole- cole si affacciassero colla sola forza e direzione nor- male: 2. immerso un piano o superficie qualunque in una corrente sino ad essere in quiete relativa rispet- to ad essa: la pressione per parte delle colonne su- periori è sempre la stessa, purché il piano non can- gi posizione e distanza, rispetto alla superficie supe- riore dell'acqua. Ciò prova in brevi parole l'autore, e rimettesi alla dimostrazione analitica data dal eh. prof. Sereni nella sua idrometria. NUOVO ISTROMÉNTO 47 La parte principale del nuovo strumento è la navicella di latta od altra lastra metallica abbastan- za robusta : discendendo o salendo lentamente nel- l'acqua, dove s'immerge, in direzione rettilinea dal- la superficie della corrente ai fondo dell'alveo e vice- versa ; dee mantenersi appropriatamente parallela alla dilezione della corrente; facendo che non venga sen- sibilmente alterato il corso dell'acqua stessa. Perciò la sua lunghezza supera d' assai le altre sue dimen- sioni , e la sezione massima traversale non eccede uno o due decimetri quadri : e la prora è a foggia di acuta cuspide: due fori sono praticati opportuna- mente. Nell'interno ha due recipienti parallelepipe- di eguali ad accogliere l'acqua dai due orifizi: que- sti due recipienti sono così disposti, che ponno le- varsi a volontà e rimettersi all'uopo. Un piccolo tu- bo, che si solleva verticale sopra l'altezza della mag- gior piena, dà comunicazione tra l'aria interna e l'e- strema; ed ascende lungo una spranga dentata , che muove la navicella per farla ascendere o discendere: ed è graduata , assicurata e regolata in tutto con quelle avvertenze, che meglio s'intendono di quello che si possano spiegare senza 1' aiuto di una figura , che qui non diamo ; potendo ciascuno ricorrere alla memoria dell'autore; anche per vedere spiegato l'u- so dell' istrumento , e come egli abbia arricchito di quattro nuove curve la geometria, e di due utili as- sa l'idraulica. La più osservabile sembra al prof. Ber- telli quella, la cui equazione si è R cotans . oc „ , Y = — ° - -+- 8 A sen. x 48 S C I E 17 a E la quale presenta tutta la somiglianza ad una doppia batterìa di bottiglie leggiadrissime , le une in piedi sull'asse delle x , le altre capo volte ed inserite tra i vani delle prime. La figura è così elegante, che nul- la più; ma la curva si raccomanda singolarmente in quanto , che essa sodisfa a varie condizioni utilissi- me: per esempio, che la curva a determinata distan- za abbia due ordinate in un certo rapporto raziona- le determinato; che fosse quadrabile, e lo spazio com- preso tra le due ordinate la curva e l'asse avesse un determinato valore: che vi avesse un punto di fies- so in un determinato luogo: che la convessità o con- cavità rivolte fossero in un modo più che in un al- tro: e che il valore analitico della sua ordinata mol- tiplicato pel valore dell'ordinata della prima curva e per dx fosse integrabile. Indi ne trae 1' autore per punti continui, tracciata la scala delle portate, e quel- la delle velocità; con tanta facilità, brevità ed elegan- za, che è una maraviglia. Quindi è chiaro che il Fi- lopanti può esser lieto di questa sua memoria , che mostra ciò clic nelle scienze dicesi genio , accompa- gnato dall'amore costante allo studio ed alla fatica , ed alla gloria altresì : che sono guide a maggiore e più onorato trionfo nel campo delle matematiche. Ben era degno, che la memoria stessa fosse letta in com- pendio nell'adunanza de'dotti il 26 settembre 1840. II. L'altra memoria sui fuochi fatui fu letta al- l' accademia delle scienze dell' istituto di Bologna il 21 maggio 1840 , ed è estratta dai nuovi anna- li delle scienze naturali, tomo 5. Lo scopo è di provare, che non sono mere apparenze di luce co- tali fuochi, ma sono di natura ignifera manifestante- si sensibilmente: e lo ha sperimentato in una imi- NUOVO ISTROMENTO 49 tazione artificiale, coll'immergere nell'acqua pezzetti di fosforo, ottenendo segni di combustione manife- sta allo sviluppo del gas idrogeno perfosforato. Oltre i mezzi chimici , che potrebbero lasciar dub- bio sull'identità della materia e del fenomeno : ha sperimentato con mezzi fisici correndo dietro a fuo- chi fatui armato di una canna , a capo della quale era disposta della stoppa facilmente accensibile. E gli effetti parvero nel senso suindicato; e bastano alme- no a confortare, altri ancora a rinnovare gli esperi- menti per porre fuori dubbio la natura ignifera di cotali fuochi ; ma per rendere altresì alla fisica più chiaro un fenomeno , di cui meglio che i filosofi dell'antichità parlò il nostro Dante, come è a vede- re da una mia sposizione di alcune cose di Dante toccanti la fisica inserita in questo giornale ( otto- bre 1825, a pag. 120 ) , e con aggiunte e corre- zioni uscita ancora in Imola del i83i neW antolo- gia di prose di autori viventi', com è a vedere in questo stesso giornale [agosto i832, a pag. 233). Non a caso abbiamo indicato quel senno del- l'Alighieri, poeta filosofo: il quale basta solo a pro- vare un vero, che da molto ci va per la mente: che un sodalizio fra le scienze e le lettere vuol porsi oggimai, a volere che rifioriscano; avendo per espe- rienza, che ogni qualvolta furono divise caddero in un languore, che appena furono vive: e d'altra par- te quando aiutarono le une le altre , tornarono in fiore. Certo il pensiero e la parola sono legati da natura : e chi tenta discioglierli e separarli fa quasi , come colui, che dal corpo l'anima, l'anima dal cor- po volesse separare al lutto in un essere misto , i composto di corpo organico e di anima razionale, sic- G.A.T.LXXXVIII. 4 gQ Sciente come è l'uomo. Assai si tentò fino dallo scorso seco- lo di separarne come i rami dell'albero della scien- za tra loro e dalla pianta : uopo è oggimai torna- re a' principii, e dopo avere a parte a parte conside- rati i rami, il tronco, e le radici, ricomporre l'albe- ro a volere che mostri quella che dicono vita ve- getativa; e 1' occhio che guarda la forza passi anche ai midollo, e viceversa! Prof. D. Vaccouiu. ^-a-fig^QSggs-*^ 5i Eziologia delV intermittente perniciosa endemica alle campagne romane. Considerazioni di Mi- chele Santarelli dirette al sig. conte Filippo Spada, patrizio ternano, rettore dello spedale civico di Macerata, ingegnere professore eme- rito del liceo di detta città. INTRODUZIONE CAPITOLO I. N. on appena io ebbi pubblicato, sono già sei lustri e mezzo, le mie Ricerche intorno alla cagione che in alcuni anni occasiona l'intermittente perniciosa in Roma e nelle vicine campagne, riportai alle mie lun- ghe e pericolose fatiche il premio dell' adesione dei più dotti medici di quella capitale, Monchini, Bom- ba, Folchi e finalmente De Crollis , i quali ultimi aggiunsero nuovi fatti confermativi della mia dottri- na. Ma il maggior guiderdone, che da essa si riscos- se, fu quello di vedere adottato il suggerimento che ne proveniva: cioè di difendere nelle ore notturne e nelle mattutine la superficie del coi'po de'sani dal fred- do atmosferico, e nel coi-so della malattia di non per- der mai di vista le prime ingiurie morbose da detta cagione generate. Molti furono garantiti dalFaggres- sione, e molti più sicuramente ristabiliti sul decorre- re della febbre. Era questo 1' unico scopo a cui io avea mirato, ed a cui solo penso che nell' esercizio 5a Scienze della propria arte debba tendere ogni pensiere del medico. Ma qual'è quel fatto che non trova oppositori ? Dopo un lasso di tempo sì lungo è stata combattu- ta ia mia dottrina con osservazioni manchevoli e sup- poste, e da uomini non esercitati a vero dire nell'ar- te salutare. Ma la verità è così pudica, che si lascia adombrare dal più leggiero velo. Per questa ragione ho reputato indispensabile chiamare ad esame gh ar- gomenti che mi sono stati opposti. Non tutti i miei lettori possederanno forse le mie Ricerche , per le quali la mia dottrina è esposta in chiara luce, e di- mostrata con fatti indubbi. Per questo motivo darò cominciamento al presente mio lavoro con un pro- spetto compendioso di tutti i fenomeni in detta me- moria commemorati , i quali riguardano lo stato at- mosferico, e la succedanea intermittente. In appresso mi farò a parlare delle obbiezioni , colle quali si è cercato di contrariarli, ed anche di negarli. E poiché ora le preconcep'ite opinioni, ora le avversioni d'ani- mo disviano la ragione umana dal retto sentiero , per- ciò mi condurrò a rintracciare le fondamenta dell'i- potesi de'miasmi putridi già da Morton proposta , e da Cullen difesa, la quale si è poi riportata in cam- po da'miei avversari. Iq dirigo queste considerazioni a voi, mio rispet- tabile amico , che nato e vissuto in Terni avete le tante volte vista la perniciosa indigena nel vostro pae- se, e che molte e molte fiate foste in mia casa spet, latore dell'esattezza del mio osservare. Intermittenti perniciose 53 CAPITOLO II. Prospetto termometrico delle differenze de"1 calori delle diverse parti dell'anno. 2. Nell'anno 1808 si pubblicarono per le stam- pe del Quercetti in Osimo le mie ricerche intorno alla causa della febbre perniciosa dominante nell'agro romano: per le quali mi sembrò di aver dimostrato* essere la perniciosa generata da grande e Subitanea Sottrazione del calorico dalla superficie del corpo uma- no antecedentemente riscaldato da forte e per molti giorni prolungato calore. Ripeteva io il riscaldamento dai calori della state nei mese di agosto < e nei due mesi laterali, ed ascriveva la diminuzione del caloria Co all'allungamento delle notti , ed all'umidità dell' atmosfera. 3. Si dovea però per mezzo di osservazioni nu- merose istituite in paese asciutto , e posto presso a poco allo stesso grado di latitudine boreale, in cui si trovano le campagne romane, cioè a gradi 4.1 e 42 + determinare 1' elevazione del calore ombratile nelle ore meridiane, e la relazione di lui al calore nottur- no, a fine di ottenerne risultato comparativo. Questo io eseguii specialmente nei tre anni successivi nella provincia del Piceno. Ecco le parole, colle quali io esprimo il risultato approssimativo delle mie ricerche estratto dai miei giornali: « Determinando i diversi « gradi di calore propri a ciascheduno dei detti mesi, « si rinviene che il calore medio meridiano eonve- « niente al mese di luglio è di gradi ai ; al mese « di agosto è di gradi 22 ; di gradi 19 al mese di 54 Scissi i « settembre; di 16 al mese di ottobre; di 12 al me- « se di novembre; di 8 al mese di dicembre; di 6 « al mese di gennaio. » ( Parte III, pag. 5a, lin. 4 e seg. op. cit. ) 4- In quanto ai mesi successivi febbraio, marzo, aprile, maggio e giugno, il calore quotidiano si au- menta senza mai pervenire all' altezza dei mesi che si seguono. 5. Ciò rinvenuto, m'incombeva rintracciare la causa della diversa durata dei calori diurni de'sum- mentovati mesi. 6. Prima di riferirli fo avvertire che i mesi di luglio , agosto , settembre ec. posseggono un calore più intenso e più prolungato di quelli che ad essi in lunghezza corrispondono per l'altra metà dell' anno giugno, maggio, aprile, marzo ec, atteso il calore ac- cumulato , del quale si trova imbevuta la superficie della terra. 7. Ripeto le stesse mie parole: « Essendo il sole « la cagione del più alto e sostenuto calore, che sì « sente sulla superficie del globo, e dovendosi pari- ti menti il raffreddamento di quest'ultimo all' occul- te tazione di quell'astro, siamo tentati di credere, che « i giorni più caldi debbano esser quelli, nei quali « il sole rimane più a lungo sopra la superficie della « terra che noi abitiamo; per l'opposto i più freddi « quelli, ne'quali esso più rapidamente se ne parte. « Così, secondo una tale supposizione, le più calde « giornate sarebbero quelle del solstizio, del cancro, « e le più fredde quelle del capricorno. Abbenchè la a cosa a primo aspetto sembri dovere essere così, pu- « re non la è assolutamente. I giorni più caldi non « sono quelli che e prima e dopo rimangono egual- Intermittenti perniciose 55 « mente distinti dal solstizio di giugno, ma sibbene « quelli che seguono per molti dì appresso un tal « giorno. Parimenti i più freddi giorni del verno non « sono quelli delle tre ultime settimane di dicem- « bre , ma sì veramente quelli del mese che segue. « Un tal fenomeno deve ripetersi dal calore accu- li mulato nei lunghi giorni sulla superficie del gio- ii bo, il quale unendosi al calore diretto delia luce, « accresce la di lui intensità. Quindi è che i giorni « del mese di luglio e di agosto sono più caldi di « quelli di maggio e di aprile , benché egualmente « lunghi: ed è pure per questa ragione che i mesi « di novembre e di dicembre sono meno freddi dei « mesi di gennaio e di febbraio. » ( Pag. 55, lin. 2, op. cit. ) 8. Ora gli effetti di quest'accumulamento gli ho fatti conoscere colle seguenti parole. o. « Quindi in quei sei primi mesi dell' anno « nel maggior numero delle ore diurne domina il « fresco, ed il caldo non si fa sentire che sul mez- « zodì. Dal che ne deriva, che per la maggior parte « del tempo di tali giorni gli uomini rimangono ad « una mediocre temperatura * e solo per poche ore « vengono trasportati ad una più elevata. » Per lo contrario l'andamento dei mesi successivi è ben di- verso ; imperciocché il calore diurno non solo si au- menta di molti gradi , ma si dilata e si estende al maggior numero delle ore. Ma quale e il rapporto d'estensione di questo calore diurno col freddo not- turno che gli tien dietro ? « Ho cercato di determi- « nare la rispettiva durazione del freddo dei divisati « mesi, ed ho trovato non estendersi più di quattro « ore nel luglio, a cinque nell'agosto e a cinque e 56 Scienze « mezzo nel settembre. Essendo così lunga la dura- «* ta del caldo, e per l'opposto così corta quella del « freddo, gli uomini si trovano sempre circondati da « un intenso calore. » ( Pag. 61 e 62, lin. 6 e seg. op. cit. ) io. Ma quale è il grado del freddo nelle ore notturne dei mesi di luglio , agosto e settembre ne' suddetti luoghi, vale a dire quanto è l'abbassamento del termometro giusta la scala di Reaumur ? Rispon- do colle parole usate nella menzionata mia opera : « Rilevai dai medesimi giornali, che nel corso dell' « anno non vi è mai alcuna serie di giorni, la qua- « le presenti nel giro delle ventiquattro ore maggior « differenza, fra i diversi abbassamenti ed elevazioni « del termometro posto in luogo ombroso, di gradi « sette circa. Tali risultati da me ottenuti in tutte « le città, ove io mi era fino a quel tempo intrat- « tenuto, li vidi anche verificati nell'Umbria per le « stagioni mancanti della febbre perniciosa, cioè nei « mesi di luglio, agosto e settembre. » 11. Questo però non era tutto. Le leggi fin qui esposte riguardano il calore ombratile. Ma evvi un altro calore che chiamava a se le mie indagini. Vo- glio dire il calore solare , quello cioè che segna il termometro esposto direttamente ai raggi del sole. Im- piego due paragrafi per far conoscere la differenza che passa nelle diverse stagioni dell'anno fra il calore om- bratile ed il solare. Nella primavera il primo suole essere eguale alla metà del secondo. Nell'inverno que- sto è quattro o cinque volte maggiore del primo. Ma nella state la differenza è ancor minore di quella del- la primavera. Prendendo per termine medio il ter- mometro portato a gradi venti, così mi adopero per Intermittenti perniciose Bj renderlo sensibile: « Se nella state il calore nell'om- » bra è venti, sarà trentasei quello del sole ; nella » primavera se il calore dell'ombra è gradi dieci, a » gradi venti sarà quello del sole: e finalmente se » nell'inverno il termometro posto all'ombra sarà a » gradi quattro, quello esposto al sole ascenderà a se- » dici e più ancora ( pag. 101 lin. 21 ) ». Se mai potesse avvenire che un fisico dimenticasse questa no- stra animadversione , egli non apprezzerebbe quanto è necessaria la forza del calore diurno, e rispettiva- mente quella del freddo notturno. 12. Il presente prospetto risultava dalle osserva- zioni da me istituite nel Piceno, vale a dire, in una provincia costeggiata dall' apennino e dall' adriatico: questo la fiancheggia all'est, quello all'ovest. Regione in conseguenza di clima temperato. In oltre il piano di questa regione è assai inclinato, giacché dalla ci- ma di Colfiorìto, la più elevata della catena adiacen- te dell'apennino , fino alle sponde dell'adriatico non evvi maggior distanza di miglia 56. Quindi per tale inclinazione i torrenti vi corrono rapidi, i venti vi soffiano impetuosi , ed il suolo è arido ed asciutto. Laonde chi volesse ripetere queste osservazioni, do- vrebbe eseguirle in più punti e per molti anni. Per lo che ancora le cifre del calorico per le diverse ore del giorno indicano il rapporto generale dei diversi luoghi delle elevazioni ed abbassamenti del termome- tro, anzi che lo specifico di uno o di un altro luo- go; ed ho prescelto un numero decimale, come più atto a rappresentare l'idea di questo rapporto. Que- sto metodo non può evitarsi allorché trattasi deter- minare il calorico di una provincia. Per la stessa ra- gione volendo far conoscere il rapporto generale fra 58 Scienze il calore meridiano ombratile ed il solare, sono par- tito dal grado venti del termometro di Reaumur, quan- danche ciò avvenga ben di rado dopo il corso di più anni e ne'soli luoghi montagnosi. Colla stessa dispo- sizione e colla stessa intelligenza devesi interpretai'e quanto io asserisco nelle pag. 88, 89 delle mie ri- cerche, ove parlando della temperatura delle campa- gne romane esprimo col num. 8 il maggiore abbas- samento del termometro nella notte, e col num. 24 la maggior elevazione del mercurio nelle ore meridia- ne. Imperciocché la perniciosa assai rara si riscontra in esse allorché il termometro segna nel mese di lu- glio e di agosto nelle ore meridiane gradi a4; ed è numerosa poi, allorché molto più altamente esso sale. Io allora parlava dei rapporti dei due calori e nulla più ; giacché la più bassa discesa del termometro a gradi 9, come unica e singolarissima, era stata da me osservata il 21 agosto 1798, e come tale avvertita. i3. Venendo poi alla regione opposta ai Pice- no, cioè alle campagne romane, io ho rinvenuto che la temperatura di questi ultimi paesi è più calda della temperatura dell'antecedente con rapporto va- rio fra loro a seconda che quelli sono più elevati, o più vicini ai piedi o alle ramificazioni dell'apennino ed agli alvei dei fiumi. Ponendo in relazione Mace- rata centro dei Piceno con Roma, il termometro all' ombra in questa può elevarsi a 27 e 29 gradi nel mese e nelle ore, nelle quali nella prima città ap- pena ascenderà a 23 e 24 gradi. E questa differenza di quattro gradi circa può essere adottata per tutti i mesi dell'anno. Io parlo di mesi, di stagioni, di an- ni, e non già di giorni: imperciocché potrebbe avve- nire che mentre nel Piceno si gode un calore tem- Intermittenti perniciose 5\) perato, nelle campagne romane regnino venti freddi e tempestosi. Il mio discorso è diretto a determinare la temperatura media di queste due porzioni degli stati romani. CAPITOLO IH. Umidità delle campagne romane. 14. Per quello spetta all'umidità, la quale nelle campagne romane è assai grande, ed in forza di cui il freddo notturno dei mesi estivi in dette regioni è molto più intenso di quello che si rinviene nel Pi- ceno, a fine di conoscere la cagione, mi è duopo ri- cordarne la topografica conformazione. Può l'agro ro- mano rassomigliarsi ad una parabola, il cui asse dal- la cima degli apennini sia condotto fino alle spon- de del mediterraneo. Questo mare rappresenta l'or- dinata, ed i due lati della curva partendo dalle vette dei medesimi si prolungano con irregolar forma l'uno a destra sui confini dell'Etruria, l'altro a sinistra sui confini napolitani. La lunghezza di quest'asse può es- sere espressa col num. 160 miglia. Dalla quale con- figurazione ognun vede che il piano dell'agro roma- no è quasi orizzontale, e circondato da un vallo di monti: in opposizione a quanto abbiamo osservato dell' agro piceno, ed è perciò che i fiumi vi camminano lenti, ed i venti vi spirano moderati e placidi. Tra questi, quelli che sorgono dal mediterraneo sono mol- to umidi, perchè bagnati dalle acque che tragittarono e ritenuti dal vallo suddetto. Laonde, senza la me- diazione dell'igrometro, qualsivoglia straniero che vi venga percepisce immediatamente ritrovarsi in umida 60 Scienze regione, e lo confermano in tale divisamente le an-* bondanti verdi erbe. Il sig. Gioia afferma che la quantità delle piog* gè che cadono in Roma eccede di una decima parte quella che bagna la città di Milano; stando il rap- porto della prima colla seconda come centimetri io5 a centimetri g5, 5. Le osservazioni del prof. Mon- techiari, istituite in Macerata pel corso di anni dieci, dimostrano la copia delle acque cadute in detta città anche molto minore. Questo fatto accusa la sorgente della maggiore umidità , che rinveniamo per mezzo dell'igrometro nei paesi romani. Imperciocché mentre in Milano e nel Piceno coli' abbreviarsi le ore diur- ne, e collo scemare del calore si permette alle acque, le quali nella state si erano sollevate nell'atmosfera, ed ivi si rimanevan disciolte, di riabbassarsi negli strati inferiori, e ritornare a versarsi sopra la terra; nelle contrade romane a queste vanno a congiungersi quel- le che vi recano gli umidi venti. Ai fiumi ed ai mol- ti laghi permanenti nelle campagne romane, io ag- giungeva le avventizie acque stagnanti negli incolti terreni. i5. Ma con qual metodo apprezzare la forza dell'umidità sul corpo umano, essendo a ciò inetti gli stronfienti di metereologia ? CAPITOLO IV. Apprezzamento degli effetti dell'umidità sul corpo umano. 16. Io mi sono condotto nella maniera seguen- te: e questa maniera l'ho esposta così: « In un gior^ Intermittenti perniciose 6i » no sereno e secco, mentre il termometro segnava » gradi dieci, ho fatto sì che esso s'innalzasse a gradi » venti, tenendolo per pochi istanti fra le mie mani. » Giunto appena ad un tal grado, ed avendo atteso » scrupolosamente perchè non lo oltrepassasse, l'ho » abbandonato, ed ho osservato esattamente il tempo » impiegato dal mercurio per ritornare alla propria » temperatura, ossia a quella dell'atmosfera di gradi » dieci. In altro giorno segnando il termometro si- » milmente gradi dieci, ma essendo umida Y atmo- » sfera, ho ripetuto lo stesso esperimento: ed abban- » donato il termometro dopo che era giunto a gradi » venti, ho seguito cogli occhi il mercurio per osser- » vare quanto tempo impiegasse a ricondursi a gradi » dieci, vale a dire alla comune temperatura: ed ho » riconosciuto che in quest'ultimo esperimento si era » condotto a livello de'corpi circostanti in un tem- » pò molto minore del primo, cioè in due terze par- » ti. Ripetendo queste osservazioni, ho ritrovato co- » stantemente che ne'giorni umidi il termometro di- » scendeva più prestamente, che ne'giorni secchi, e » mi è sembrato di poter stabilire che i tempi im- » piegati in questa discesa fossero tra loro in ragio- » ne inversa dell'umidità. » (pag. 82 lin. 2, op. cit.) 17. Essendo il calore normale dell'uomo a gra- di 3o, ogniqualvolta non ben difeso da vestimenta si conduca in atmosfera umida collocata a gradi dieci o sedici, immensa è la sottrazione del calore che ad ogni istante gli viene rapita. Imperciocché i primi glo- betti acquosi, che bevvero il calorico dalla di lui su- perficie, restituiti allo stato di fluido elastico si sol- levano e cedono il loro posto a nuovo vapore, il qua- le ripete lo stesso processo. Questo processo si ria- / 6a Scienze nova ad ogni istante: e per tale rinnovazione l'uo- mo si trova spogliato di quella copia di calorico che è necessaria allo stato di salute, giacche la secrezio- ne del calorico animale non è si copiosa da poter compensare tante successive sottrazioni. 18. Parlando io dello stato presente delle cam- pagne romane, non lasciava d'incolpare per la som- ministrazione dell'umidità gli straripamenti de'fiumi, ed i negati scoli alle acque piovane, attesa la negligente coltura delle terre ai nostri giorni. La conformazio- ne geografica però di sopra accennata e la costituzio- ne atmosferica sono bastevoli a produrre la malattia di cui ci occupiamo, e le ultime cagioni non hanno fatto altro che aggiungere nuova forza alle preesisten- ti. Laonde, che un forte calore nelle ore meridiane; che un freddo intenso nelle ore successive ; che il passaggio rapido del primo al secondo ; che queste condizioni atmosferiche effettuantesi nell'autunno ren- dano questa stagione ferace di malattie e mortali, sem- bra non potersi revocare in dubbio. Una tal verità era conosciuta, e Celso ce 1' ha descritta nel modo seguente: « Corpus ergo et aestate, et subinde me- » ridianis caloribus relaxatum subito frigore excipi- » tur. Quo fit ut autumnus plurimos opprimat : » ed un tal passo fu da me riferito nelle mie ricerche pag. 63. Che cosa dunque io ho fatto di più ? ho ricercate le leggi che reggono queste condizioni. Queste leggi ri- conosciute hanno fugato le ipotesi adottate in conse- guenza di poche ed incerte osservazioni. Se il calore da alcuni era stato accusato per le sue variazioni oc- casione di malattia, non si era però accordato all'u- midiva nell'offendere l'umana salute quella parte che ha col succedere al calore atmosferico; e l'altra più Intermittenti perniciose 63 importante che esercita direttamente sopra le super- ficie de'corpi. Questa umidità è grande nelle campa- gne romane, e non limita la sua azione alla stagio- ne autunnale. Nel corso dei dodici mesi dell' anno spiega più o meno efficacemente sugli abitanti di quel- le contrade il suo potere. Dal che ne nasce, che in dette regioni l'aria è pestilente, per usare il linguag- gio dei latini, o per meglio dire che è generante la febbre, CAPITOLO V. Testimonianza degli antichi sulla insalubrità delle campagne romane. Ed in verità, indietreggiando, la storia ci. fa sa- pere che in tutti i tempi cotesto paese fu soggetto a febbri, onde fu detto esser la febbre la dea di Roma. Allorché Romolo gettò le fondamenta di questa citta, la collocò, dice Cicerone, in paese pestilente. : « Lo- « cumque delegit et fontibus abundantem, et in re- te gione pestilenti salubrem » ( De rep. lib. II, cap. VI ). Io riportai un brano di Celso nelle mie ricer- che (pag. i55 ), e feci conoscere che nel discorrere egli della peste descrive la febbre periodica, l'emitri- tea e la perniciosa ( lib. III, cap. VII ). 11 professor De Matthaeis molti anni appresso si occupò dello stes- so argomento, e dimostrò che il vocabolo peste pres- so i romani significava febbre deleteria. Spesso noi rin- veniamo in Tito Livio afflitta Roma da peste; il che deve intendersi quasi sempre da febbre; e questa non di rado originata da straordinari intensi calori estivi susseguiti nelle ore notturne da venti umidi e freddi. 64 Scienze 19. I primi romani, addottrinati dall'esperienza, avevano portate a grande altezza le loro case e rese anguste le vie (1), a fine di reprimere parte del ca- lore delle ore meridiane: e questa costruzione procac- ciava salubrità alla loro città. Si ebbe conferma di questo vantaggio, allorché il sesto de' cesari Nerone abbassò gli edifizi e dilatò le vie (a). 20. Ora in periodo sì lungo di tempo le cam- pagne romane sostenevano comuni opulenti, ed i cir- condari di Roma divisi in minime parti (3) erano coltivati dalla possente tribù rustica, che da essi ri- traeva ricche messi ed ogni altro frutto terreno. Tan- to era lo studio e la gelosia de' coloni romani, che il danneggiar le loro biade od altro cereale ec. por- tava seco pena capitale (4). In tal epoca cade la dub- biosa ammirazione di Plinio, se sì ubertosi prodotti fossero espressi da coltura maggiormente industre e curiosa, o dal godere la terra di essere esercitata da vomere laureato diretto da mano trionfale. (1) Romani in montibus positam, et convallibus cenaculis su- blatam, atque suspensam, non optimis vii», angustissimis semitis, prò sua Capua pianissimo in loco explicata ac prae illis semitis irridebunt atque contemnent. (Cic, De lege agraria in Rullum.) (1) Erant tarnen qui crederent veterem illam formam sai u bri- tati magis conduxisse, quoniam angustiae itinerum , et altitudo tectorum non perìnde solis vapore perumperentur; at nunc pa- tulam solitudinem, et nulla umbra defensam graviore aestu arde- scere (Tacit. lib. XV, cap. 43). (3j " Bina tunc iugera populo romano satis erant: nulli quem ,,maiorem modum attribuit ( Plin. lib. XVIII, cap II). „ Ed in alcuni secoli appresso: *« Quippe est lege Stolonis Licinii incluso ,, modo quiuque iugerum: ,, (loc. cit.) e più tardi ancora : "Per- ,, niciosum intelligi civem cui seplem iugera non esscnt satis; ?J (idem- loc. cit. ) (4) Vedi Plinio lib. XVIII, cnp. III. Intermittenti perniciose 65 ai. Ora questa tribù abitava tutta, o quasi tut- ta, entro le mura della vostra città, ove si recava a sua sicurezza e delle proprie derrate. Ne è esempio e prova ciò che Cicerone afferma di Capua, non es- sere stata abbattuta da'romani a simiglianza di Car- tagine e Corinto, affinchè i coltivatori vi avessero do- micilio , e magazzini i loro frutti (i). Pratica allo- ra comune, oggi non interamente abbandonata, per- chè necessaria. Fu questa necessità fisica, e la custo- dia delle proprie persone e de' raccolti, le quali rite- nendo entro le mura di Roma la tribù rustica, la po- se a parte delle pubbliche deliberazioni, delle mag- giori magistrature e della più sicura difesa della cit* tà. Per le quali cose risulta, nei felici tempi di quel* la repubblica la febbre e la natura pestilente di quel suolo essere stata prodotta dalla geografica conforma- zione, e dalla condizione atmosferica. Non eravi al- lora da accusare abbandono di terre, né sterpi ed in- setti commessi alla putrefazione. CAPITOLO VI. Corrispondenza della gravitò della febbre colla condizione geografica del terreno , e collo sta- to atmosferico. Paragone delle campagne ro- mane colle picene. 22. E poi al giorno d'oggi osservazione costan- te, che il numero e la gravezza delle febbri periodi- (i) Ut esset locus comparandis, contentisque fructibus; ut aratores cultu agrorurn defessi, urbis domiciliis uterentur ( Cic. in Rullum oratio li, cap. 8" ). G.A.T.LXXXVI1I. 5 6(> Scienze che va descrescendo , allorché ci allontaniamo dalle spiagge del mediterraneo, e che pervenuti alle cime della catena degli apennini la febbre periodica quasi mai si riscontra abbenchè semplice. Discendendo poi dalle vette dei detti monti verso l'oriente perfino al- l' adriatico, se ne va scorgendo da quando a quando qualcuna , e sempre più facilmente fra gli abitatori delle sponde de'fiumi o delle spiagge marittime. Es- se sogliono essere rade anche nell'autunno. Ma ove in questa stagione dell'anno le giornate fossero calde ed umide le notti , si ravvisano epidemiche e non mortali. Nel corrente anno 1840 essendo stato estre- mamente caldo il settembre e la prima metà di otto- bre in tutto il corso del dì, e sopravvenendo ogni se- ra nell'annottare freddo umido, vento sciroccale, che soffiava fin dopo il levar del sole, le febbri periodiche sono state per questa insolita cagione nella Marca co- sì copiose , che niuno de' medicanti avea altrettanto giammai osservato nel lungo corso del suo pratico esercizio. 11 clott. Nisi, condotto in Urbisaglia, affer- ma aver il novero de'suoi malati superata la somma di quelli di molti e molti anni. Né fra queste perio- diche benigne mancò ancora qualcuna maligna o per- niciosa, ogni qualvolta l'infermo imprudentemente e troppo a lungo, e non difeso da atte vestimenta, si fosse esposto al freddo notturno ed all'umido vento di scirocco. Domenico Marconi villico di professione partiva da Loreto, e nelle ore meridiane cammin fa- cendo giungeva sull'imbrunir del giorno a Monte Cas- siano, e leggermente vestito passava la notte in agre- sti faccende: fu collo da periodica, alla quale nel ter- zo accesso si associò profondo sopore. Il dott. l'io- retti, filosofo e medico peritissimo, lo assisteva. Il doli. Intermittenti perniciose 67 Belloli, medico comprimario in Macerala, fra le molte l'ebbri di accesso di benigna natura, una ne ebbe a combaltere letargica in Agostino Simoncini. Similmen- te altri, altre. Ne'menzionati casi non fu mestieri sa- lassare gì' infermi , e la febbre dall' antiperiodico fu vinta. a3. Collazionando ora i luoghi , le cause e le malattie de' due opposti paesi , cioè delle marche e dell'agro romano, posti allo stesso grado di latitudine boreale, noi veniamo a convincerci che la salubrità delle prime dipende da un più mite calore de'giorni estivi , e dalla siccità della sua atmosfera. Vediamo ancora, che nelle campagne romane la gravezza e la frequenza delle febbri siegue il rapporto delle due menzionate condizioni atmosferiche. In oltre che ogni qual volta nelle marche queste stesse due condizioni si avvicinino alquanto a quelle che abbiamo rinve- nute nell' agro romano , anche quivi qualche febbre con sintomi di pernicie non lascia di farsi vedere, In regioni poi così lontane il maggior numero e gravez- za delle periodiche segue il rapporto delle località a seconda che queste possono contribuire all' aumento delle cagioni da noi incolpate. Per tal modo in Ter- racina posseggono un domicilio più esteso. Molto for- te lo hanno in Terni, attesa l'umidità della caterat- ta del Velino, che si aggiunge a quella sovramenzio- nata, abbenchè coli ivate ne siano le terre. E per la stessa ragione nella Fara , nel cui sottoposto pia- no verdeggiano fino al principio di dicembre spon- tanee felci , qualora s'introducano nella sua vallata all'agosto venti umidi, le stragi sono frequentissime. La stessa legge con più miti effetti si eseguisce nelle marche. Scevro o poco meno dalle febbri periodiche 68 Scienze e il dorso dell' apennino. Qualcuna se ne riscontra dopo la metà dell'inclinato piano, che forma questa provincia. E qualcuna anche di più nel littorale ma- rittimo. Che se in alcuna parte di questo littorale marittimo si aprono le bocche di qualche fiume, rice- vendo l'umidità atmosferica nuova addizione , anche qualche perniciosa vi si riscontra , come nelle fauci delPEsino, del Tronto ec. 24. Le quali cose ben considerate si rileva, che la perniciosa endemica regna sempre nella stessa sta- gione; che essa vi regna allorché evvi calore sommo diurno , ed umidità nelle notti ; che ove o questo caldo o questa umidità non coesistano, ahbenchè nella stessa stagione e nello stesso paese, la febbre non si rinviene neppur essa: che la copia e l'energia della medesima siegue strettamente l'intensità delle due ca- gioni assegnate , con queste cresce , con queste de- cresce: che se in mezzo al corso dell'epidemica co- stituzione sopravvenga forte meteora, che disturbi l'ac- cennato connubio, come piogge dirotte e continuate, ed impetuosi venti, eziandio nelle campagne romane la malattia cessa anch'essa di maniera che la nascita, l'infierire e lo spegnersi di questa è congiunto colla presenza di quelle. Ogni altra cagione può esistere senza che appariscano febbri perniciose ; quella sola è necessaria ; qualunque altra può inframmischiarvisi senza poterne usurpare il diritto della genesi. 25. Per lo che se in un luogo rinverrai melma, belletta, o altro deposito, in altrettanti e più luoghi queste mancheranno: ed esisterà la febbre, purché si riuniscano calore ed umidità. Se in altro luogo ti in- contrerai con vegetabili di fetido odore, com^ con la cava putefina ec., in cento altri vi cercherai inulil- Intermittenti perniciose 69 mente tali vegetabili, ma pure la perniciosa vi avrà stanza. Se in tal luogo rinverrai minerali vapori, sol- ferei, ammoniacali, gassosi fluidi; in duecento essi mancheranno, ma non mancherà la febbre. Se in qual- che regione, sia ampia, sia angusta, ti verrà fatto d'im- batterti in sostanze organiche consegnate alla corru- zione, e non vi esisterà calore ed umidità, la perni- ciosa non si svilupperà giammai. Finalmente senza la presenza di alcuna delle menzionate cagioni, siano so- litarie, siano composte, tu troverai sempre la perni- ciosa ogni qual volta a giorni sereni prolungati e ealdi subentrano fredde ed umide notti. CAPITOLO VII. I fenomeni morbosi confermano V eguale natura delie due febbri negli opposti paesi. 26. Pei rapporti poi da noi investigati, che in- tercedono fra le marche e le campagne romane, ci tro- viamo costretti a concludere, che da cause della me- desima natura, anzi dalla stessa sola causa elevata a maggiore o minor potenza, se ne deve ripetere la pro- duzione. I fenomeni morbosi vengono a cospirare nel confermarci in questa conseguenza. Cosi le une co- me le altre osservano la periodicità, così le une co- me le altre dan principio ai loro accessi col freddo, e le une e le altre danno fine ad essi col sudore ; queste e quelle son fugate colla chin«, abbenchè le prime necessariamente e le ultime possono molte vol- te dispensarsene. 70 Scienze CAPITOLO Vili. Esempi che confermano la nostra eziologia. 27. Io mi sono limitato a porre a confronto que- ste due porzioni dello stato romano per chiarire la mia dottrina : e questo paragone sarà bastevole per comprovare l'eziologia da me sostenuta. Ma non man- cano esempi lontani di febbri periodiche gravissime senza la presenza né di paludi, ne di soslauze in pu- trefazione , per il solo soffiare di venti umidi. Così per le rapide variazioni nella temperatura, e per la umidità nella Carolina del sud, dice Gioja (1), do- minano le febbri intermittenti, le terzane, le quarta- ne; e seguendo lo stesso autore vediamo, che a Ve- racruz per 1' umidità prodotta dalle continue piogge l'aria è molto insalubre, e quest'insalubrità vien tolla «la venti, o diminuita almeno, rendendo più asciutta 1' atmosfera. Ma di esempi tali, o di altri più uni- formi alla nostra questione , io non fo cenno se non perchè si vegga il gran potere dell'umidità an- che sola a produrre disordini gravissimi nella nostra macchina. CAPITOLO IX. Autorità e testimonianza dei medici romani. 28. Tali cose io scrivea, ed il mio scritto ve- (1) Filosofia della statistica pag. 176, 177. Intermittenti perniciose 7 1 niva nello mani del conte Giovanni Fiorenza uno dei letterati italiani, ed ora vice delegato dell'anconitana provincia. Lo consegnava egli nel cominciar del 1808 al tipografo Quercetti in Osimo , e a proprie spese lo imprimeva. Si divulgò il mio lavoro per l' Italia, ed io ebbi a consenzienti non pochi medici romani. Due ne nominerò, i quali non nei loro discorsi sol- tanto , ma nelle opere rese poi di pubblica ragione, mostrarono di avere adottato la mia dottrina. Il pri- mo di questi è il dottore Monchini medico e chi- mico insigne : il secondo il dottor Folcili fisico e cli- nico primario nell'arciospedale di s. Spirito. Ambi me- dici, ambi professori nell'università romana, ambi nati nel suolo, ove la perniciosa si produce, ambi scru- tatori della sua genesi nella città e ne1 luoghi vi- cini, ambi vittoriosi nel combatterla. Il terzo è il dot- tor de Crollis, medico e letterato di alta fama, che im- piegò molti dialoghi nell'illustrare questa malattia dall' aria romanesca prodotta. Or mentre io mi riposava all'ombra di tali maestri, al pari de'quali niun me- dico straniero può venire al confronto nel conoscerla e nel trattarla , mi sono state recentemente opposte alcune difficoltà ed argomentazioni, le quali se po- sassero su salde fondamenta dirtruggerebbero la mia sentenza. All'esame di queste obbiezioni e di queste difficoltà dall'importanza dell'argomento io son chia- mato. CAPITOLO X. Opposizioni proposte dal sig. dottor Puccinotti. 29. Il sig. Puccinotti, nella seconda parte della 72 Scienze sua opera intitolata storia delle febbri intermittenti ec. pubblicata in Macerata nell'anno i836 pei tipi di Giuseppe Mancini Cortesi, propose una sua ipotesi, colla quale attribuisce la produzione della perniciosa a specifico miasma generato nelle contrade romane. Prima però di provare l' esistenza di questo miasma si fa ad esaminare la mia dottrina, che egli cerca di rovesciare per sostituire la propria. Mi trovo quindi nella necessità di qui riferire paratamente tutti gli argomenti da esso impiegati in questo suo tentativo. Voglio rappresentarli colle sue stesse parole. « Àve- » vano già e Celso, e il Doni, e Lucantonio Por- » zio, e Zimmermanno notato per una delle princi- » pali cagioni di codeste febbri il passaggio dai fer- » vidi calori diurni ai freddi notturni. Non essendo » riuscito a' chimici di render coercibile verun ele- » mento dell'aria palustre, era facile negare il mias- >» ma come cagione, e sostituire a questo l'altra delle » alternative di temperatura. Così adoperò il Santa- » relli, che però ha il merito d'essere stato il primo » a sottoporre a osservazioni termometriche le sud- » dette temperature, e fissarne i gradi di differenza. « Egli ottenne da' suoi esperimenti fatti tra il finire » d'agosto ed il cominciare di settembre nell'aria di » Terni, mentre dominava la perniciosa, che il ter- » mometro segnava gradi 26 R. a mezzodì, a mez- » za notte gr. 20, all'accostarsi dell'aurora gr. 9. Il » perchè la differenza fra il calore diurno e quello » della notte sarebbe stato di gr. 17: differenza im- » ponente che farebbe passare il corpo umano in po- » che ore dal calore della state al freddo del verno. » Saviamente, quindi egli domanda a se stesso ; se » nel corso dell'altre diverse stagioni dell'anno possa Intermittenti perniciose y3 » l'uomo mai trovarsi circondato da un raffreddamen- » to così forte, come quello che produce la perni- » ciosa; e se pure ci si trovasse qualche volta, come » accade che la perniciosa non si vegga comparire , » fuori che ne1 mesi ultimi della state , e ne' primi » dell' autunno. Conclude poi francamente, che in » nessun tempo e in nessuna circostanza si può pre- » cipitare da un forte calore secco e veemente, co- » me quello di gr. 24 per lo meno, ad una atmo- » sfera umida e raffreddata a gradi 8. Ora se si di- » mostrasse ai sig. Santarelli che codesta imponente » differenza termometrica non esiste negli anni e nel- » le stagioni e ne'luoghi, dove domina la perniciosa, » e che al contrario dove si osserva anche più mar- » cata, la perniciosa non domina, saremmo all'argo- » mento logico adoperato di sopra pei calori e 1' u- » nudità , che distruggerebbe completamente la base » sperimentale della sua teorica. « ( Cap. XXI pag. 75 e 76 op. cit. ). Per dare effetto a questa promessa il sig. Puc- cinotti espone alcune osservazioni termometriche isti- tuite a Roma, altre in Narni, ed altre sue proprie. Per lo che si scorge che egli sarà per porre le mie colle altrui osservazioni in confronto. Noi le riferi- remo come egli stesso le descrive. E poiché trattasi di comparazione tra fatti e fatti , veggo indispensa- bile premettere l'esposizione delle cautele necessarie ad osservarsi nell' uso del termometro, e nell' espri- mere le temperature medie dei mesi , degli anni , e dei luoghi : cautele che dovranno esser sempre pre- senti allo spirito di colui che vorrà costituirsi giudi- ce nell' attuale controversia. y4 Scienze CAPITOLO XI. DelV apprezzamento del calore medio d'un luogo. 3o. Primieramente colui, che vuol conoscere il grado della temperatura attuale dell' atmosfera, deve isolare il termometro ; imperciocché ogni qual volta venga sostenuto, ed appoggiato ad un corpo qualun- que, non può non comunicare col calore che da det- to corpo o gli yien tolto, o gli vien somministrato. In appresso il termometro collocato o nel pri- mo piano, o nel secondo del fabbricato, segna un ca- lore più elevato di quel termometro che è situalo ad un piede sopra il suolo ; nelle giornate umide o pio- vose io ho riscontrato questa differenza di uno o an- che due gradi. Terzo, il termometro fissato nella parte orienta- le del fabbricato sarà più elevato nella stessa ora del mattino dell' altro posto all' occidente dello stesso lo- cale. Viceversa nelle ore pomeridiane contemporanea- mente questo segna qualche grado di più del pri - mo. E ciò si avverte parlando del calore ombratile; vale a dire allorché il termometro da alti edifizi sia difeso dall' azione diretta della luce. In quarto luogo questa differenza è anche mag- giore ove nella stessa ora si esplorino due termome- tri, l'uno al mezzodì, l'altro a tramontana, posti all' ombra. Quinto , se il termometro sarà in prossimità a qualche muro o fabbricato parteciperà del grado di temperatura di questo, e differirà da altro che ne fos- se lontano. Intermittenti perniciose 75 Sesto, in ogni caso è mestieri che il termome- tro non possa ricevere sopra di se i raggi della luce riflessa, i quali innalzerebbero la sua graduazione. In settimo luogo, il termometro posto nella vetta di un colle colla fedele osservanza delle suddette con- dizioni, segna la temperatura più bassa nelle ore del giorno confrontato ad altro stabilito ai piedi del col- le, il quale riceve, oltre i raggi diretti, anche i ri- flessi. Ma nelle ore mattutine il termometro, colloca- to ai piedi di detto colle, si rinviene più basso del primo, attesa l'umidità che in quell'ora vi si trova. Questo abbassamento è anche maggiore, se l'osserva- zione sia istituita in una valle. Ottavo, volendo determinare la temperatura at- mosferica di una provincia per collazionarla colla tem- peratm-a di altra provincia, oltre le suddette cautele altra se ne richiede, in ispecialità nella questione che si agita presentemente. Nelle marche le terre, che sono bagnate dall'a- driatico per ampia zona, sono più calde delle terre che seguono più in là nella metà di detta provincia : e queste godono di una temperatura più riscaldata della fascia successiva, che si prolunga sui colli che appog- giano agli apennini. Di fatto nella piuma maturano in antecedenza e meglio i cercali, prima si raccoglie la messe, e molti alberi che in essa prosperano, ma- le nella seconda, nulla affatto nell'ultima fruttificano. Non pertanto evvi a presentare la seguente eccezio- ne. Nelle giornate calde serene ed estive due ore prU ma del mezzodì sorge un vento di mare regolarmen- te dall'adriatico, che tempra la prima zona, e tiene per due ore la di lei temperatura più bassa che nel- le zone successive, precipuamente nella seconda. Que- 76 Scienze sto si verifica in Fermo dalla parte di s. Caterina , in Montusano, in Montegranaro, in Montesanto, id, Recanati, ove il sig. Puccinotti fu medico condotto; e così di seguito. Dal che ognun vede quanto riesca difficile presentare una cifra approssimativa della me- dia temperatura di detta provincia, e specialmente nel- le ore antimeridiane. Nelle campagne romane ne'giorni summentovati si osserva la stessa legge: più intenso è il calore lun. go il mediterraneo per tutto il corso del giorno. Ma in certe ore, cioè nelle vespertine, si solleva un ven- to di ovest dal mare che abbassa la temperatura dei luoghi situati a molta distanza dal lido, la quale rie- sce intollerabile agli abitanti, e che supera l'abbassa- mento del termometro osservato nell' istessa ora in Roma. Finalmente la difficoltà d'espi'imere con nume- ro quotuplo i gradi di calore medio delle diverse sta- gioni e dei divei'si anni incontra nuove difficoltà a seconda che l'osservatore si colloca in città più ele- vata o più bassa. Colui che avesse posto stanza in Iesi non rinverrebbe in accordo le proprie osservazio- ni con quelle di fisico che avesse sede in Macerata. Altrettanto avverrebbe a due osservatori, il primo re- sidente in Terni, l'altro in Santogemine. E mestieri allora d'esprimere i risultati con numero di approssi- mazione; ed eseguir ciò esattamente, trattandosi di va- sta provìncia, non solo è difficile, ma direi impossi- bile specialmente ad uomo solo privo di associazione. Tutte queste considerazioni debbono esser ben fitte nella mente di colui che pretende censurare le mie ricerche, e che il sig. Puccinotti non poteva negli- gentare. Intermittenti perniciose 77 3i. Venendo ora al primo dubbio obiettatomi dal sig. Puccinotti, se il termometro possa nel corso d' un giorno discendere da gradi 26 a gradi 9 del termometro reaumuriano, come io ho asserito d'avere riscontrato: imperciocché per tal discesa sarebbe pas- sare , sono sue parole , il corpo umano in poche ore dal calore della state al freddo del verno. Lo pregherò a ricordarsi che ciò non solo è possibi- le, ma quotidianamente avviene ogni qualvolta si os- servi il termometro nelle ore prime del giorno ali* ombra , e si continui a tenergli dietro nel mezzodì all'ombra, e quindi contemporaneamente al sole. Di fatto mentre nella primavera l'istromento all' ombra nella mattina segna gradi i3, sul mezzo giorno all' ombra si troverà a gradi 20, e contemporaneamente al sole salirà a gradi 35 e 36. Veggasi la parte IV, pag. 100 e seguenti delle mie ricerche, ove parlo del- le differenze del calore ombratile e del solare nelle di- verse stagioni e giorni dell'anno, a cui l'uomo si tro- va esposto. E ciò sia detto per rispetto ad una tale possibilità assoluta, e fatta astrazione a tutte le al- tre circostanze del calore diurno alla durata del me- desimo, ed alla mancanza dell' umidità. Non dovea adunque il mio avversario allarmarsi , e non si sa- rebbe allarmato, se si fosse esercitato in questo gene- re di esperimenti. Ma veniamo al caso concreto con- tro cui egli ha mosso le sue obiezioni. « Nel gior- « no 21 agosto 1798 sul mezzodì il termometro era « asceso sopra i gradi 26 di Reaumur; si tenne fer- « mo a quest'elevazione fino all'approssimarsi del tra- « montar del sole. Quindi cominciò dolcemente a « discendere, ed era a gradi 20 dopo la mezzanotte. « Riosseryato non mollo dopo, si ritrovò di aver fat- 78 Scienze » lo maggior cammino ancora, ed all'accostarsi del » nuovo giorno pervenne frettolosamente fino a gra- » di 9. In seguito sull'apparire del sole nell'orizzon- » te ritornò a salire: ed a seconda che quest' astro » sferzava più direttamente co1 suoi raggi la super- » ficie della terra, rapidamente ascendea; di modo » che all'ore 12 d'Italia già segnava gradi 18; e 26 » poco dopo il mezzodì » ( Parte II delle mie ricer- che pag. 41 e 42 )• Questo taano indicava un fatto singolare. Esa- miniamo con ispirito di verità e sinceramente tutto questo passo. Dopo d'aver narrato ciò che io riscon- trai ai 21 agosto del detto anno, così proseguo. « Io » non starò qui a narrare la mia sorpresa. Il letto- » re può immaginarsela al considerare che non già » a gradi 7 fra il calore notturno e diurno di dif- » ferenza, come presso a poco in altri luoghi io avea » riscontrato; ma bensì gradi 17 passavano fra il » calore del giorno e quello della notte nel tempo n che la perniciosa dominava ( idem loco cit. ) » Io adunque fui sorpreso dalla novità dell' osservazione. Ma fin dall'anno 1792 osservava in Orvieto la per- niciosa, e la ripetea dal raffreddamento notturno, come asserisco nelle pag. 35 e 36 parte seconda , di cui mi giova riportare l'intero frammento. « Nel 1792 » io mi ritrovava in Orvieto per osservare la febbre » perniciosa dal principio della state fino alla fine » dell'autunno. Tutti gli infermi dell'ospedale rima- » nevano sotto la mia direzione, e quasi tutti quelli » della città: onde io poteva contare sulla totalità del » numero. Fu secchissimo il luglio di quell' anno, » ed affatto priva di pioggia la prima metà del mese » di agosto: e per tutto questo tempo non si vide com Intermittenti perniciose 79 » padre veruna perniciosa. Nel giorno i5 di que- » st'ultimo mese cadde una pioggia abbondante, che » dalle ore 21 durò fino all'imbrunire della sera. Di- » sparvero in seguito prontamente le nubi, e si ras- » serenò il cielo: onde calde divennero le ore me- » ridiane, e quelle che il sole impiega per declina- » re, ma fresche le notturne, e le mattutine dei dì » che seguirono. Dopo alcuni giorni si videro appari- » re nell'ospedale infermi di febbre perniciosa, i qua- » li di mano in mano aumentandosi in numero, tal- » niente si moltiplicarono in appresso nella città e » nell'ospedale, che io ed altri due medici eravamo » incapaci d'assisterli interamente. Ecco pertanto in » una regione, ed in una stagione in cui la perni- » ciosa suole essere epidemica, mentre esistono tutte « le altre cagioni, cui è stata da tanti autori attri- » buita, non riscontrarsene però veruna se non do- » pò il cadere delle piogge, ed a tal epoca germoglia- » re frequentissima, e produrre mali infiniti. In ap- » presso io rinnovai e confermai le stesse osserva- » zioni in altre città dello stato romano feraci an- » ch'esse di tali malattie. La febbre perniciosa com- » pariva tanto più prestamente, o tanto più tarda , » quanto prima o dopo cadevano le piogge. » Dunque a mio avviso, e di chiunque ha letto la mia opera, in quell'epoca io non attribuiva al gra- do nove sopra lo zero del termometro la condizione necessaria per dare occasione alla febbre perniciosa: giacche se così avessi pensato non avrei esternate le maraviglie sopra un fenomeno che non sarebbe stato per me nuovo, allorché la perniciosa dominava ne- gli anni antecedenti. Seguitiamo il resto del paragra- fo a pag. 43, il quale è stato così da me espresso. 8o Scienze » Se la differenza del calore diurno e notturno era » grandissima, allora numerosissime e gravissime si 0 presentavano tali malattie: ma se questa differen- » za era minore , allora anche la perniciosa si ri- » scontrava più rara e meno feroce*, e finalmente quan- » to prima cessava una tal differenza, tanto più pre- » sto dispariva la perniciosa ». Dunque per le mie parole la perniciosa era stata da me rinvenuta a di- versi gradi di differenza del calore notturno col diur- no. Ma qual era, giusta il mio avviso, e quanta quel- la differenza dei suddetti gradi di calore in cui in- cominciasi a vedere la perniciosa? Io Tavea afferma- to poco prima, e l'ho quindi ripetuto allorché ho pre- sentalo i prospetti delle differenze di detti due calo- ri nel mese d'agosto e nei laterali nell'arie saluhri. Questa differenza, uso le stesse parole, era di gra- dì 7 circa (pag. 4* linea 1 1). Dunque la pernicio- sa era stata da me rinvenuta ogni qualvolta fra il ca- lore notturno ed il diurno vi fosse una differenza maggiore dei n od 8 gradi. Il numero 17 di diffe- renza indicava il maximum da me segnato in tutto il lungo corso delle mie ricerche. Per lo che a gradi 11, 12, i3 ec. del termometro si dovea rinvenire, e s'era da me rinvenuta, la perniciosa ogni qual volta lo stes- so grado di raffreddamento notturno si fosse congiun- to all'umidità atmosferica sine qua ?io?i, condizione affatto indispensabile. Con qual ragione adunque, an- zi con qual lealtà il sig. Puccinotti vuole attribuir- mi il grado 9 di abbassamento nella scala di Reaumur qual unico e necessario termine di raffreddamento per- chè possa sorgere la perniciosa? In seguito di que- sta falsa supposizione egli si fa poi strada a parago- nare le mie osservazioni con quelle di altri osserva- Intermittenti perniciose 8i tori. Questi soli rilievi sono sufficienti a capovolta- re tutto il suo ragionamento. Io però non isfuggo questa comparazione, quantunque non necessaria al nostro caso. CAPITOLO XIL Osservazioni del naturalista Brocchi, e prima obiezione del sig. Puccinotti 32. La prima di queste è la relazione di quat- tro osservazioni istituite dal chiarissimo natui'alista Brocchi. Voglio qui trascrivere il passo del Puccinotti. « Nell'anno 1818, nel quale il chiarissimo Brocchi » istituì le sue esperienze sull'aria palustre di s. Lo- » renzo fuori delle mura di Roma, la febbre ende- » mica malmenò così fattamente la campagna roma- » na^ che tra luglio agosto, e settembre furono ac- » colti nell'ospedale di sj Spirito intorno a 6000 feb- » bncitanti. Le notti destinate alle sperienze furo- » no nel 2, 4> 7> 25 settembre. Il chiarissimo pro- » fessore Barlocci, compagno del Brocchi, segnava la » temperatura. Nella prima notte presa la media del » maggior caldo diurno a gradi 25 Reaumur, e aven- » do avuto a mezza notte gradi 19, la differenza sa- » rebbe stata di 6. Nella seconda notte avendo avu- » to alla stessa ora gradi i3, la differenza sarebbe sta- » ta di 12. Nella terza avendo avuto gradi 16, la dif- » ferenza sarebbe stata di g. Nella quarta avendo » avuto gradi 17, la differenza sarebbe stata di 8. 9 In codest' anno adunque non a Terni, ma ne' sob- » borghi di Roma stessa, non si è mai notata la dif- » ferenza stabilita dal Santarelli di gradi 16 o 17 G.A.T.LXXXVIII. 6 82 Scienze » tra i calori diurni e i freddi notturni : e ciò non » ostante la febbre romanesca infieriva massimamen- » te » ( Opera cit. cap. XXI pag. 17 ). E neces- sario premettere che lo scopo del naturalista Brocchi era quello di riconoscere, se nell' atmosfera romana, mentre regna la perniciosa, esista alcun miasma , a cui tal malattia possa attribuirsi. In tal ricerca era stato preceduto dal fisico Carradori , il quale non avea potuto scoprire alcun principio settico nelle arie mal sane : del che avea dato contezza nel giornale del Brugnatelli. Erasi il Brocchi provveduto di alcuni vasi contenenti il ghiaccio, per mezzo de' quali rac- coglieva 1' umidità dell' atmosfera ridotta a fluido acquoso , e quindi sottoponendola a diversi cimenti ne rintracciava i principii. A s. Lorenzo fuori delle mura, lungi da Roma poco più di mezzo miglio, si eseguirono questi tentativi. Fia or bene trascrivere originalmente le parole di lui. » Preparati e riempiuti con questa cautela i re- » cipienti, gli esposi all' aria libera nel campo delle » sepolture contiguo al portico della basilica. Ma » tuttoché questo luogo sia così chiamato, non sono » stati mai ivi sepolti i cadaveri : poiché altrimenti » non avrei scelto un sito, da cui potevano sorgere » particolari e meramente locali esalazioni. » Gli esperimenti furono falli nelle giornate 2, ! » 4» 7 e 25 di settembre, essendo colà rimasto nelle » tre prime dall' imbrunir della sera fino a due ore » dopo la mezza notte, e nell' ultima passai la not- » te intera fino allo spuntar del sole. Ecco le os- » sensazioni meteorologiche istituite dal sig. Barlocci. a Nella notte del giorno due il termometro di » Reaumur segnò alle ore dodici gradi 19 sopra lo Intermittènti perniciose 83 t> zero, e l'igrometro di Sausure gradi gì, 7^: cal- » ma, e cielo sereno. In quella del giorno 4 il ter- » mometro fu a gradi i3 , l'igrometro agli 86, 18, » e 1' elettrometro di Sausure indicò elettricità po- » sitiva dalla divergenza di un mezzo grado , senza » il soccorso dell' addensatore : cielo sereno e ven- n ticello di ponente. IN eli' altra del giorno 7 il ter- » mometro passò ai gradi i5, l'igrometro ai gì, 74, » 1' elettrometro die lievi indizi di elettricità nega- » tiva : nubi interrotte e lampi in distanza. Nella » notte del giorno 25 il termometro segnò gradi 17, » e l'igrometro 86: calma, e cielo sereno fino all' al- » ba, indi pioggia » ( BibL Ital. num. XXXV, no- vembre 1818 pag. 221 ). 33. Facciamo alcuni rilievi su questo passo del Brocchi , perchè esso costituisce il principale e più valido argomento, con cui il Puccinotti volle rove- sciare la mia opinione. Le prove negative nulla va- gliono contro le positive, giusta i precetti della buo- na logica. Con osservazioni di 4 notti si pretende di- struggere le osservazioni di tanti anni ? Ma vediamo il valore di ciascuna di queste osservazioni. Nella not- te del giorno 2 il termometro discese a gradi ig: nel- la notte del giorno i5 agosto i7g8 anche il mio ter- mometro s'abbassò fino ai gradi ig, o 20. Dai pro- spetti da me presentati nelle mie ricerche parte IV risulta, che nella mezzanotte anche dei dì sereni cal- dissimi della state, il termometro rimane frequente- mente fra il 180 e 20" grado fino alla mezza notte, e che 1' abbassamento successivo non si avvera che sull'aggiornare: e la ragione si è, perchè suU'albeggiare del giorno il raffreddamento della terra si è fatto mag- giore per la protrazione della notte, e per la soprav- 34 Scienze venienza dell' umidità. Se si fosse accompagnato il termometro fino al mattino, si sarebbe certamente ri- trovato più vicino allo zero. Nella seconda notte, malgrado dell'agitazione del- l'atmosfera, il sig. Broccbi alle due ore dopo la mez- zanotte rinviene il termometro a gradi i3. Ognun vede, che se l'osservazione fosse stata prolungata fino al mattino si sarebbe riscontrato molto più al basso. Non pertanto in questa notte alla stessa ora si rinvie- ne di sei gradi più vicino allo zero il termometro pa- ragonato all' abbassamento della prima notte. Qual fu la cagione di questa differenza ? Il venticello di po- nente, che conduceva sopra la stazione del naturalista il freddo della parte marittima della campagna romana. Nella terza, nubi interrotte e lampi in distan- za. Vale a dire era quel turbamento nell' atmosfe- ra , che o distrugge, o menoma infinitamente le forze dei due coefficienti ; il freddo da me rinvenuto , e l'umidità. Ma anche in questo terzo caso non si per- venne ad osservare il termometro nell' ora del suo maggiore abbassamento, cioè nella mattutina. Nella quarta il sig. Brocchi dopo la serenità della notte se- gna nellr alba pioggia. In questa notte adunque non poteva conservare l'atmosfera quella placidità che io ho sempre richie- sta, e sempre osservata. Queste osservazioni adunque erano insufficienti a stabilire veruna massima tanto af- fermativa quanto negativa. E di fatto non se ne preval- se il Brocchi contro la mia opinione. E neppure il Monchini ed il Folcili, il primo de'quali somministrò al Brocchi tutti i reattivi nel laboratorio chimico ro- mano per esplorare le acque raccolte dall' umidità, ed assistè alle operazioni chimiche. Ed il secondo , che Intermittenti perniciose 85 contemporaneamente teneva dietro al termometro nel collegio romano, non ne fu scosso, e non disertò dalla mia sentenza. 34. Mentre il Brocchi faceva le sue osservazioni altrettante ne istituiva il prof. Folchi, il quale così ne scrisse nei giornale arcadico tom. XXXIX pag. i5 : « Io ho consultato le tavole metereologiche della spe- » cola gregoriana del mese di settembre 1818, e pre- » osamente di que' giorni ne' quali il Brocchi esegui- » va 1 suoi sperimenti sulla mal' aria: ho fatto il con- » fronto della temperatura del mezzo giorno , con » quella della mezzanotte notata da questo fisico, ed » ho rilevato una differenza di i3 verso lo zero del » termometro di Reaumur ; e son ben persuaso che » la differenza sarà stata maggiore nel mese prece- » dente di agosto. » Di questo maggiore abbassamen- to dobbiamo esser certi pel detto mese. Ma dobbia- mo essere ancora più certi di ulteriore abbassamen- to, se l'osservatore avesse esplorato il termometro al- lo spuntar del giorno. Inoltre le suddette osservazioni sono state isti- tuite nel mese di settembre ; cioè le prime tre nei primi gmrni 2, 4, ?j e la quarta nel giorno 25 del- lo stesso mese. Ma egli è certo per le mie tavole metereologiche, che in detto mese la differenza del calore diurno relativamente al notturno è molto mi- noie di quella che si riscontra costantemente ne' mesi di luglio ed agosto, mesi pericolosi ed infami, giusta il consentimento di tutti gli scrittori, e di tutte le po- polazioni delle campagne romane. Ancora un' altra considerazione. Le osservazioni dal sig. Brocchi isti- tuite si eseguirono nel campo delle sepolture con- tiguo al portico della basilica di s. Lorenzo. Ora pò- 86 Scienze teva il termometro non risentirsi della temperatura di quel fabbricato ? Volendo rilevare il grado del ca- lore dell' atmosfera era mestieri allontanarsene. Non lo fece il Brocchi perchè le sue ricerche a rinvenirlo non erano dirette. Non negligentiamo un importantissimo riflesso. I malati ricevuti nelP ospedale di s. Spirito provenir vano tutti dal luogo ove il Brocchi si era colloca- to ? Essi derivavano da tutta la campagna romana, Si sa che il maggior numero ed i più gravemente infermi sono somministrati da quella parte ch'è più vicina al mediterraneo , dove l'umidità è maggiore , ed il freddo matti.) lino insoffribile. Se in questa par- te, nei giorni del maggior affollamento degli infermi, nelle ore mattutine fosse stato consultato il termo- metro , non possiamo dubitare che quest'istrumento avrebbe presentato le differenze da me notate ; im- perciocché le condizioni atmosferiche di quei luoghi s'avvicinano moltissimo a quelle di Terni, in cui io istituii le mie ricerche. 35, Concludiamo colla maggior buona fede, ed appoggiati a logica severa , che le osservazioni del Brocchi non si oppongono alle mie: anziché esse, per quanto lo permettono il mese, il giorno, le ore, nel- le quali furono eseguite, in qualche modo assodano quanto da me è stato stabilito. Volere con esse op- pugnare la mia sentenza, è un mancare d'analisi ri- gorosa, e prevalersi d'erronea induzione. Il Puccinotti avrebbe potuto recarsi nei mesi di luglio ed agosto nei luoghi, ne'quali gli uomini venivano colpiti dalla perniciosa , e ripetere le mie osservazioni nelle ore da me accusate, per poter trarne legittima conseguen- za, o a conferma, o ad esclusione di quanto io ho Intermittenti perniciose 87 scrìtto. Allora sì il suo argomento non sarebbe sta- to antilogico. CAPITOLO XIII. Osservazioni di Folchi e di De Crollis che sussidiano la mia teorica. 36. Abbenchè le considerazioni esposte fin qui sieno bastanti a respingere l'obiezione del sig. Puc- cinotti , e che quindi io potrei passare innanzi ad esaminare le successive : non pertanto esse mi chia- mano ad aggiungere qualche nuovo fatto confermati- vo della mia dottrina. Il primo di questi fatti mi viene somministrato dal dottissimo Folchi. Riferisco le di lui parole : « Una state uniformemente calda » e secca è la più scarsa di febbri; e la più ferace » è quella in cui vanno cadendo le piogge, e suc- » cedono vicende di temperatura nell' atmosfera. Que- » sto fatto non avea bisogno di ulteriore conferma, » perchè osservato più volte, e generalmente ricono- » sciuto dai pratici romani ; pur tuttavia è bene sa- » pere, che dal 1826 in qua abbiamo avuto maggior » numero di febbricitanti , e si sono dovute aprire » nuove sale in s. Spirito, essendo cessata nei mesi » estivi quella siccità, che dominato avea nei cinque » anni precedenti » ( Giornale Arcadico To. XXXIV pag. 14). Io raccomando a lettori imparziali di leggere tutt' intera la memoria del prof. Folchi ; impercioc- ché troveranno in essa nuovi fatti , ed ulteriori os- servazioni confermative della mia sentenza. 37. L'elegante e giudizioso dottor De Crollis ne' 88 Scienze suoi ragionamenti, alla parte 2.a del 3.° pag. io, di- ceva: « L'improvviso freddo, aiutalo forse dalla cra- » pula e dal disordinato vivere, è la vera cagione , » onde così spesso qui ( in Roma ) nell'autunno si » cade infermi. » E volendo egli suggerire il riparo a queste malattie, scriveva nella pag. 9 della stessa opera (toc. cit.): « Se in ciascuno di questi (luoghi) » formeranno un rustico albergo , dove nel piovoso » tempo e nel freddo della notte i loro lavoratori » possano ripararsi; se li provvederanno di grossi pan- » ni che dall'improvviso freddo li difendano, più non » vedranno a molti di quei meschini nel vigor della » febbre cader di mano la falce; più non vedranno » sparirne molti, condotti negli spedali con grave dan- »> no delle loro incolte. » Ma è indispensabile a co- lui che ama istruirsi del nostro argomento leggere tutt' intera la suddetta opera pubblicata nel i834 e 1 836 per i tipi del Boulzaler. Il diligente autore va ricer- cando tutte le contrade di Roma ed i luoghi vicini; e le rinviene tanto più pestilenti , quanto maggior- mente umidi e freddi nelle ore notturne, e caldi nel- le diurne. 38. Alle suddette testimonianze non posso a me- no di non aggiungerne altra di non minor peso. Men- tre il maggior numero degli infermi ricevuti in s. Spi- rito sono somministrati dalle vicinanze dei fiumi, dei laghi e del mare; quest'infelici mettono querele con- tro il freddo notturno, e più fortemente contro il fred^ do delle ore mattutine. I men disagiati dormono entro baracche, le cui pareti sono di lenzuola; altri si ag- grottano al ridosso degli acervi formati dalle mietu- te biade. Alcuni di essi , volendo esprimere il raf- freddamento dell'atmosfera, mi dicevano che gli steli Intermittenti perniciose 89 del frumento, allorché all'incominciar dell' opera da essi si abbrancavano, eccitavano nelle loro mani la sen- sazione della brina. Uso le loro parole. Ed intanto seminudo nel giorno aveano esposto il loro corpo ai raggi solari. E qual'è f gli il grado di calore in cui si trovavano immersi per tante ore ? 36 e 4° della scala di Reaumur. 3 9. Nelle mie ricerche sulla causa della febbre perniciosa io avea affermato, che il calore ombratile de'giorni estivi era di gr. 25 circa sulle ore del mez- zodì ne'luoghi feraci di tal malattia. Ma in altra par- te della mia detta opera io aveva fatto parola del ca- lore solare corrispondente all'ombratile nelle varie sta- gioni dell'anno, come di sopra ho riferito. Parlando poi della state io avea affermato, che essendo il ca- lore ombratile a gr. 21 nelle ore meridiane e ne' luoghi salubri , nelle stesse ore esso saliva a gr. 36 del termometro di Reaumur. Questo rapporto non poteva venire dimenticato da qualsivoglia scrittore che di tali cose discorrere volesse. Dopo ciò potrà do- mandarsi, qual sia la maggior differenza de' calori not- turni e diurni nelle nostre regioni : se questa possa giungere a gradi 17; e se questa differenza, dall'umi- dità dell'atmosfera resa più intensa, e più sottraente il calore animale J possa recar nocumento a quegli in- felici che ne debbono risentire l'azione ? Allorché 10 mi occupai della mia questione, non mi rinserrai già in un gabinetto; ma percorsi le contrade ed i luo- ghi pestilenti, perchè mio scopo era rinvenire il vero. 90 Scienze CAPITOLO XIV. Seconda obiezione del Puccinotti. 4o. Il secondo argomento logico del sig. Puc- cinotti è stato da esso così esposto: « Finalmente tra » vari medici delle città della provincia di Roma af- » fetti dalla stessa febbre , che per alcuni anni mi » sono stati cortesi di loro notizie su coteste diffe- » renze di temperatura, nessuno è giunto mai a ve- » rificare i gradi santarelliani » ( idem loc. cit. ). 4i. Qui il sig. Puccinotti produce la testimo- nianza di medici ignoti, e, quel che è peggio, affetti dalla perniciosa, cioè incapaci in tale stato di osserva- re. In questione così grave non si potevano omettere i nomi degli osservatori, e tanto più perchè si trattava di distruggere le osservazioni dei più dotti medici ro- mani, Monchini, Folcili, De Crollis, tutti seguaci del- la mia opinione. E dove si ritrovavano que' medici fisici indagatori della natura ? Mi permetta il sig. Puc- cinotti di rispondergli, che io soia persuaso non ave- re eglino mai esistito. Qui non posso accordare ad esso quella cortesia, che egli vanta aver ritrovata da quei sognati medici. Molti pratici , a vero dire, so- no già 33 anni allorché la mia opera si pubblicava, mi dichiaravano uniformarsi al mio sentimento. Non disprezzai il loro assenso, ma non mi parve di tale autorità da produrlo al pubblico. Diano alla luce i corrispondenti del Puccinotti le tavole delle loro os- servazioni, nelle quali siano controsegnati gli anni, 1 mesi, i giorni, le ore, le temperature. L'esamine- remo allora scrupolosamente; la verità sarà il guider- done delle nostre indagini. Intermittenti perniciose gì Pone poi il Puccinotti termine a questa sua ma- niera di ragionare col seguente racconto: a Uno de' » più distinti tra questi, il dottor Sorgoni medico a » Narni, luogo prossimo ali1 osservatorio del Santa- » relli, scrivevami (4 luglio i833 ), che un illustre » fisico della sua città avea tenuto conto per i5 an- » ni delle variazioni termometriche de'mesi d'agosto » e settembre, durante il corso delle febbri. In tutto » questo periodo di tempo, la differenza della tem- » peratura atmosferica tra le ore diurne e le not- » turne è slata per ordinario di gr. 7 di Reaumur, » ed in qualche raro caso di gr. io ; imperciocché » ordinariamente ne'mesi di agosto e settembre, os- » servato il termometro nella mezza notte, si notò se» » gnare gr. i5, nel mezzo giorno gr. 22; ed in al- » cuni dì anche il grado 25, ne mai si è osservato » attingere grado alcuno sotto il i5 nelle notti de' » suddetti mesi » (Idem loc. cit. pag. 77). 42. Prima di esaminare 1' autenticità di queste osservazioni facciamoci a riconoscere le circostanze delle medesime. Narni , picciola città fabbricata sul fianco di un monte, che va a congiungersi con una branca dell' apennino, è a io miglia di distanza all' ovest di Terni. La Nera, fiume proveniente dal som- mo giogo dei detti monti , dopo di aver lambite le mura di questa ultima città placidamente fluisce ri- stretta in angusto alveo nel piano sottoposto a Nar- ni. Per lo che, mentre questo piano risente gli effetti dell' umidità del fiume, la città in eminentissimo luo- go collocata gode di puro aere ed asciutto. Nella mia lunga dimora in Terni io non di rado era chiamato in Narni a visitare infermi; ma non ricordo di essere mai stato consultato per febbri perniciose dagli abitanti 92 Scienze dell' interno circondario. Per lo contrario la città di Temi è edificata nel piano, che si presenta al viag- giatore dopo che discendendo da Somma ebbe attra- versata la catena degli apennini, ed i gioghi de' suc- cedenti colli. Questi colli, rialzandosi verso il nord, diventano monti, e sono chiamati piedi monti. Dalla parte del sud si sollevano anche gli opposti, e co- stituiscono la montagna delle Marmore. Questa geo- grafica conformazione ritiene la città come entro cul- la. Intanto la Nera, dopo aver ricevuto il Velino a tre miglia di distanza verso 1' est fra monti e sco- gli, viene a bagnare le mura di Terni per tutta la di lei lunghezza dall' est all' ovest. Qui il fiume vien diviso in più canali, che servono ad esercitare tren- tasei pistrini d'olio, ed ad inaffiare le terre. Umido quindi è il suolo di Terni per queste condizioni ; e maggiormente umido ancora, perchè la gran cataratta del Velino, la più alta del globo terrestre, cadendo a piombo sulla Nera in forma di gigantesca e biana co- lonna, umida rende la vallata, in cui succede la lo- ro congiunzione ; ed iride perpetua, allorché il sole non si elevò tanto alto, ne'giorni sereni corona il capo di essa. Umido è l'aere circostante. Spalleggia- to da due opposti monti e colli, e ricevuto dalla Nera nella sua precipitosa discesa fino a Terni, conduce in questa città nuovi acquosi vapori. Colui che stra- niero si avvicina alla città di Terni, anche nel caldo estate e ne' dì sereni, non riesce a discoprirla col- l'occhio, perchè coperta da intenso vapore. Penetrato in essa nelle ore notturne, sperimenta molesta sensa- zione alla cute di umidità, che lo invita a difendersi con maggiori vestimenta. Niun vento può agevolmente penetrare nella città a nettarla dalla sua umidità, in Intermittenti perniciose g3 fuori del vento d'ovest ; ma i soffi di questo vento incontrandosi coll'opposta Nera ne rispingono indie- tro i vapori, e li versano nella città e valle terna- na. Ora doveasi ragionevolmente di buona fede porsi a confronto l'atmosfera narnese con la ternana ? Que~ sto è quello che ha preteso suggerire il sig. Pucci- notti con le parole, parlando di Narni, luogo pros- simo aW osservatorio del Santarelli; cioè, io sog- giungo, distante miglia io mediante larga pianura. Non solo Narni, ma Strongone, Cesi, Santogemine, Collescipoli ec, posti in colli eminenti, godono aria salubre, mentre ne' loro piani sottoposti bagnati dalla Nera germoglia non rara la perniciosa. Si conduca il sig. Puccinotti in Terni, ponga ivi stanza per più anni , ripeta le mie osservazioni , e successivamente le collazioni colle sue. Sappia intanto che il mio do- micilio era a i5o passi dall' alveo del fiume, e nel- la casa dei sigg. Censi. Ritorniamo al fisico narnese. Egli, per quanto scrive il sig. Puccinotti, istituì le osservazioni nella mezza notte, nel mezzo giorno, e ne segnò le differenze, le quali furono ordinaria- mente di sette gradi, ed in qualche raro caso di gra- di io ; né mai osservò attingere grado alcuno sotto il i5 nelle notti dei suddetti mesi. I miei pro- spetti presentano eguali risultati ne' luoghi asciutti per la provincia del Piceno nella mezzanotte ; di modo che non sarebbe sospetto ardito l'opinare, che da' miei risultati sia stata espilata una tale relazione. Ma qui trattasi non già della mezzanotte , ma dell' albeggiar del giorno. Può essere anche minore la dif- ferenza del calore meridiano posto a confronto con quello della mezzanotte. E che? per questo sarà for- se legittima conseguenza affermare altrettanto dell' ore g4 Scienze mattutine? Dal che risulta che il mentito illustre fi- sico narnese volendo infrapporsi nella soluzione del problema, di cui io mi era occupato, ha errato per quindici anni nella scelta del luogo e del tempo. Ma è poi vera l'esistenza di questo fisico in Narni ? Perchè non farne conoscere il nome ? In contesta- zione di fatto, a testimonio che si presenta allo sco- perto come son io, può contrapporsi testimonio occul- to e velato ? Ho cercato io di supplire a questa de- ficienza. Ho scritto e fatto scrivere in Narni per ria-- tracciare codesto illustre fisico, che riposa sulla fede di Puccinotti e di Sorgoni ; e non mi è riuscito di rinvenirlo. Finalmente mi son diretto all' autorità lo- cale: ed ecco ciò che il sig. Francesco marchese E- roli gonfaloniere attuale, personaggio di altissima sti- ma, mi scrive con sua lettera dei 22 ottobre 184.0: « E vero che il sig. dottor Sorgoni ha esercitato in » questa città la medicina in qualità di medico com- » primario condotto, e riscosse un qualche credito. » Mi è ignoto però che esso con altro dotto fisico » si esercitasse in termometriche osservazioni diur- » ne e notturne , giacché su ciò non ne ho sentito » fare parola da alcuno. » In quanto alla qualifica di medico distinto, pro- fusa generosamente dal sig. Puccinotti al suo corri- spondente, io mi conterrò per ora nel più profondo silenzio. Ma se codesto leale corrispondente venisse provocato a dichiarare il nome del sapiente fisico, che per i5 anni tenne dietro alle variazioni termome- triche in Narni ; si può scommettere cento contro uno, che egli si troverebbe nella necessità di nomi- nare o testimone morto, o anche peggiore. Né que- sta mia affermazione è vana, ma sorge da conoscen- Intermittenti perniciose g5 za Je'personaggi venuti in iscena a figurare in argo- mento che eglino non conoscono. CAPITOLO XV. Osservazioni del sìg. Puccinotti. 44- Malgrado della voglia del sig. Puccinotti di offendermi, giusta la sua consuetudine che non rispar- miò evocare dal regno de' morti l1 ombra di ftasori , egli si avvide che l'osservazione del Brocchi, non de- stinata a rintracciare i calori notturni, è soltanto ac- cessoria in tempi non opportuni ; e che le testimo- nianze d'ignoti medici e d'un fisico anonimo non basta- vano a cancellare i risultati d'osservazioni che pre- sentavansi in accordo colla teoria del moto della ter- ra e colle leggi meteorologiche , e che erano state confermate da medici dottissimi e di fede degni. Si decise di comparire egli stesso, e così rinvenire luo- go e tempo aventi forme atte alla questione che agi- tava. Avrebbe potuto, dopo sì numerosi anni trascorsi dalla pubblicazione delle mie ricerche a quella della sua opera, ripetere egli stesso le mie indagini, o in- vitare dotti medici ad eseguire altrettanto. Le ope- re però di Monchini, di Folcili, di De Crollis, che successivamente si venivano pubblicando tutte con- fermative della mia sentenza, lo ammaestravano bastan- temente di non potersi attendere da ulteriori nuovi cimenti i risultamenti da esso desiderati. Avrebbe po- tuto dopo il Brocchi, cioè negli anni 1B19, 20,21, nei quali dimorò in Roma, e ne' quali infierì la per- niciosa, tener dietro al termometro reaurnuriano: ma in quegli stessi anni il prof. Folchi si occupava e 96 S d I E N { C scriveva di questo argomento , e forse contempora- neamente altri fisici e medici ripetevano le mie os- servazioni. Nella tema di ritrovarsi in contraddizione con questi, respinse un'occasione tanto opportuna per lo scioglimento della questione. Non gli era permes- so rintracciare tertimonianze nel 1817 , perchè in quell'anno e negli anni antecedenti la perniciosa non si fece vedere. Si trovò dunque nella necessità di ri- correre all'anno 18 18, anticipando le sue osservazio- ni di un mese a quello in cui il Brocchi ed il Fol- cili tenevano dietro al mercurio. Il Folcili avea per tutto quel settembre ritrovato il mercurio a i3 gra- di verso lo zero, quand'anche non avesse prolungato le sue osservazioni che alla mezzanotte; ed avea di- chiarato persuadersi che pel mese antecedente , cioè per l'agosto, sarebbe stato rinvenuto più vicino allo zero. Da Roma adunque era mestieri sottrarsi e con- dursi ad altro luogo scevro da contestazioni. Se ne venne egli in Ferentino di Campagna, e così ci de- scrive i suoi ritrovati : « Tra il finir dell'agosto ed » il principio di settembre la massima differenza che » io notassi tra il calore de'giorni, ed i freddi della » mezzanotte ed i mattutini, non giunse mai al di » sopra di gradi dieci di Reaumur » ( Storia delle febbri intermittenti §. 32, cap. XXI, pag. 76 ). 45. Qui mi conceda il mio avversario , che io alle sue preferisca le osservazioni del dotto ed inge- nuo prof. Folcili. Ma il luogo prescelto dal sig. Puc- cinotti era egli atto a sciogliere il problema? Feren- tino è edificato sopra ameno ed elevato colle; e noi abbiamo suggerito, che le città in tal modo collocate sono esenti dalla perniciosa, abbenchè il piano ne sia ingombro; come in Strongone, in Collescipoli, in San- Intermittenti perniciose 97 togemlne ec. Splendidissimo esempio mi suggerisce il suolo di Farfa, fertilissimo più che altro mai di per- niciose. Gli abitanti dimorano nel corso dell'anno nel- le sottoposte campagne: ma appena si avvicina il tem- po delle perniciose, tutti salgono nella città ; ed in essa si riparano dalla febbre. Nei piani sottoposti a Ferentino dovea condursi il nostro avversario, ed al- lora avrebbe per lo meno ritrovato la possibilità di raccogliere osservazioni comparabili colle mie e con quelle degli scrittori sopraccennati ; imperciocché da quei piani dovevano provenire gì' individui infermi. Questi leggeri cenni fan diffidare assai sull'esattezza e corrispondenza dell'asserto del Puccinotti colla natura delle cose. In quanto a me, tengo per nullo quanto egli ha scritto. La testimonianza d' uomo prevenuto non può contrabilanciare quella di tanti professori dotti e veritieri e spogli di basse passioni. Una osser- vazione passeggiera non può contrastare fatti nume- rosi e per più anni ripetuti. Intanto mi giova chia- mare 1' attenzione del lettore su di una espressione del Puccinotti. Scrive egli che il Folchi rinvenne il termometro abbassato verso lo zero, partendo dal ca- lore meridiano per gradi 12, ed anche i3. Perchè questa infedele inesattezza ? Folchi lo ha rinvenuto al grado i3 assolutamente: ed ha reputato esser di- sceso nel mese anteriore più bassamente, come costa dal suo passaggio da noi di sopra riferito. Allorché parleremo degli esperimenti istituiti dal Brocchi per rinvenire il miasma pernicioso, e riferiti dal Puccinot- ti, ci si presenterà una prova ineluttabile della sua meschina lealtà. Ciò basta per chi sinceramente ricer- ca il vero. 46. Si era obbligato il sig. Puccinotti di mo- G.A.T.LXXXVIII. 7 9B Scienze strare: primo, che può esistere epidemica la pernicio- sa senza abbassamento del termometro ai gradi da lui richiesti : in secondo luogo di mostrare, che può esi- stere 1' abbassamento di termometro ai gradi da me rinvenuti senza comparsa di perniciosa. In quanto al- la prima parte, mi persuado di aver fatto conoscere, ehe le prove di lui , o non sono sufficienti al pro- posto suo scopo, o sono false, e mancanti d'autori- tà. Ci rimane dunque ad esaminare la seconda par- te del logico di lui argomento. CAPITOLO XVI. Continuazione dello stesso esame. 47- Due sono le osservazioni dal Puccinotti prodotte. La prima fu da esso eseguita nella vetta del monte di Trisulli , ove si trattenne tre giorni. « In uno di questi tra il calore meridiano, e quello » dell' alba notai una differenza di gr. i3. » (Cap. XXI pag. 78 op. cit. ). Sono sue parole. La secon- da ebbe luogo in Urbino. Riportiamo il passo inte- ro: « Pesaro e Urbino mi hanno offerto la medesima » osservazione. Pesaro, situato in bassa pianura sul » littorale adriatico, già una volta molestato da feb- » brili endemie perchè palustre, oggi risanato in gran » parte , non lo è tanto che ogni anno d1 estate e i> d'autunno non presenti parecchi esempi di fèbbri » miasmatiche : ora in Pesaro tra l'agosto ed il set- » tembre del 182/j. io non notai una differenza ter- » mometrica tra il giorno e le notti maggiore dei » 9 gradi. In Urbino, dove l'aere purissimo rende af- » fatto sconosciute le febbri di mefitismo, nello stes- Intermittenti perniciose gg » so anno nel dì 12, 16, e 24 «1' agosto tra i ca- » lori asciutti ed eccessivi del mezzo giorno , ed i » freddi dell' alba susseguente, il termometro mi at- » tinse i gradi 12, ed anche i3 di differenza. » (Id. loc. cit. ) E veramente cosa maravigliosa che il fisico di Narni, non avendo in i5 anni osservato mai il ter- mometro disceso nella notte più in là di gradi sette, ed alcune rare volte di gradi dieci, il sig. Puccinot- ti in una rapida escursione eseguita a Trisulti ed Ur- bino lo abbia ritrovato a gradi tredici. Non è que- sto un fatto escogitato? Pure liberamente voglio am- metterlo, 48. Qui debbo ricordargli, che a tre condizio- ni fisiche io ascrivea la genesi della febbre pernicio- sa a calori lunghi e prolungali di molti giorni , ed elevati a certo grado di altezza, come 25, 26 ed an- che più, seguiti da freddi mattutini indicati dalla di- scesa del termometro a gradi 12 e i3, ed anche più, in alcuni casi accompagnati poi da umidità formata- si nelle ore notturne, e pervenuta alla maggiore in- tensità nelle ore mattutine. Ne' due così sopraccen- nati per di lui confessione mancava quest'ultimo ele- mento, il quale è di tanta forza, che non esistendo, la febbre perniciosa non può generarsi. Io mostrai quanto sia grande e rapida la sottrazione del calo- re animale nella superficie del corpo operata dall'u- midità, 49. Che un freddo asciutto delle ore notturne, suc- cedaneo al calore del mezzo giorno, con forte abbas- samento del calorico potesse incontrarsi in diverse stagioni ed in vari giorni, io non solo lo avevo ri- conosciuto, ma ne avevo presentato il prospetto gè- 100 S C I E IT Z K aerale per le mie osservazioni. Nella parte quarta* pag. ioo e seguenti, avevo anche fatto riflettere che il calore solare si rinviene a gradi 3 7; mentre l'om- bratile è a gradi 21 sulle ore del mezzo dì, ed a i3 su quel torno nelle ore notturne, senza che per questo ne sorga la perniciosa nelle regioni prive d'u- midità. E qual è quell'uomo, che a tali passaggi non- si trevi esposto frequentissime volte? Allorché si vuo- le sciogliere un problema, non si deve trascurare al- cuno dei dati coi quali esso è presentato. Nella nostra questione, calore sommo in istagione caldissi- ma e prolungato ; freddo mattutino per 1' allunga- mento delle notti ; maggior freddo operante, come di sopra abbiamo dichiarato, per la presenza dell' umi- dità , mancanza di riparo per difìcienza di conve- nienti vestimenta. Una sola di queste condizioni ora- messa , la perniciosa o non si genera, o non ci of- fende. Con questo ultimo sussidio poi io ho potu- to difendermi dalla perniciosa nelle moltiplici occa- sioni, nelle quali ho percorso le regioni che ne era- no feraci. Rifletta bene il sig. Puccinotti a quest'ul- timo riparo rinvenuto utile dagli abitanti di Terni nelle campagne rom ane , e testificato da De Crollis e dal Folcili. 5o. Nella Barberia, sulla testimonianza di Gioia, rinviene il sig. Puccinotti una differenza ancor mag- giore di quella da me rinvenuta nelle campagne ro- mane. E supponendo che colà non esistano febbri perniciose, ne trae subito la conseguenza: Dunque la differenza de' calori non è la cagione della genera- zione della medesima. Esaminando però con maggio- re diligenza, e senza prevenzione, la condizione geo- logica e meteorologica di quelle regioni rinverremo che Intermittenti perniciose io* ove esista umidità per acque stagnanti, anche colà re- gnano tali febbri. Legga egli il rapporto inviato al- l'accademia reale di Parigi dalla commissione scien- tifica di Algieri presieduta dal sig. Bory-de S. Vin- cent, e vedrà che anche in quel paese esercita la sua azione deleteria, mi prevalgo delle parole della rela- zione, copiose febbri periodiche ( Vedi atti dell'accad. di Parigi i83g ). 5i. È per non lasciare alcuna difficoltà propo- stami dal Puccinotti risponderò a quanto egli affer- ma intorno a Pesaro, ove egli , mentre o si recava o ritornava fugacemente da Urbino, cioè tra l'agosto ed il settembre dello stesso anno 1824, non rinve- niva la differenza termometrica tra il giorno e le notti maggiore di 9 gradi ( pag. 78 loc. cit. ). 52. Osservazioni così frettolose , e senza il confronto delle febbri nella stessa epoca dominanti , non danno dritto ad alcuna logica conclusione. Co- me mai in uno spazio di pochi dì, venendo da Re- canati, pò tea in Urbino ed in Pesaro istituire osser- vazioni esatte e numerose di meteorologia , porle in relazione colle malattie dominanti , e con sicurezza trarne rigorose conclusioni? Pesaro era una volta seg- gio di gravissime malattie; e lo dovea tanto alla con- formazione geografica del suo suolo, quanto all'impa- ludamento delle sue campagne. Queste sono state asciugate; ma pur qualche volta la febbre vi si fa ve- dere , cioè allorché dominano i venti sciroccali. Ri- mane la città di Pesaro fabbricata fra due monti l'uno al nord, 1' altro al mezzodì. Un anfiteatro di colli- ne che parte dal primo, e circolarmente perviene al secondo monte, racchiude un piano del diametro, mi- surandolo daW adriatico, di poco più di due miglia. 102 S G I E N Z K L'Isauro lo scinde pel mezzo. Ed il mare forma una sottesa dall'uno all'altro monte. Se spirino venti sci- roccali, l'umidità da questi recata, e quella del ma- re con essa congiunta, rendono umidissima quella città. Il territorio di Pesaro rappresenta in miniatura la campagna romana. Simili dunque ne sono le condi- zioni ; simili gli effetti. E fino a tanto che la con- formazione di quel paese sarà la medesima, le perni- ciose non potranno giammai essere pienamente fugate. Il volgo ignaro, a vero dire, ripete dalle immondez- ze di un canale che attraversa la città, e da cui esa- la ribultevole odore, la nascita delle suddette febbri: non riflettendo che benché il canale vi esista colle menzionate qualità costantemente in ogni mese ed in ogni anno, pur non ostante non in ogni mese nò in ogni anno comparisce ivi la febbre : e non facendo conto che gli abitanti delle campagne , quand'anche da esso lontani, ne sono più facilmente aggrediti de' con ladini. Ma l'esempio di Pesaro non era opportu- no in questo luogo: perchè il mio avversario s'era pro- posto di provare, che può darsi forte discesa da ca- lore di 22 o 23 gradi , a quello di 12 o i3 sen- za generazione d'intermittente perniciosa. Pesaro, la sua aria, le sue febbri potevano ricordarsi , allorché presentava la prima obiezione ; cioè allorché voleva dimostrare coll'autorità di Brocchi, del fisico narnese e degli ignoti medici distinti, che può esistere la per- niciosa senza abbassamento di calore. Presentemen- te questo esempio era straniero al suo raziocinio ; e forse si è compiaciuto di aggiungerlo per porlo a paralello colle contemporanee osservazioni d'Urbino. Io penso che egli abbia sentita l'inefficacia di questa sua narrazione al controbilanciare i fatti da me e- Intermittenti perniciose io3 sposti ; giacche poco appresso così prosiegue: « Ma » quand'anche si verificasse questa causa nel modo » sostenuto dal Santarelli, e messa a contatto coll'ef- » fetto, questo si notasse comparire e scomparire , ac- » crescere e sminuire in ragione di essa, senza l'e- » sistenza de' rapporti fra la natura dell'effetto e la » causa stessa, non sarebbe ancor dimostrato clinica- » mente che essa ne fosse l'esclusiva produttrice. Im- » perocché molti vari effetti possono seguire le ra- » gioni di tempo e di grado d'una medesima causa, » senza che tutti stieno a pari grado di relazione in- » trinseca, quanto alla loro natura colla causa asse- )> gnata. Cosa faceva il gran freddo notturno sugli » abitatori dell'agro romano, secondo il Santarelli? » Sottraea uno de'principali stimoli vitali, il calore » animale. Quindi ne dovea seguire una gravissima » ipostenia', ed in questa condizione patologica ri- » poneva l'autore, probabilmente allora browniano, la » natura della perniciosa. La china come agiva? Sti- » molando l'eccitamento illanguidito e restituendolo » ad una energia sufficiente per elaborare di nuovo » il calorico perduto e rimettere la sanità » ( op. cit. PagS- 79 e 8o )• 53. Qui il Puccinotti esce dall' argomento che io mi era proposto. Mio assunto fu di ritrovare qual sia la causa occasionale della febbre perniciosa ro- mana. Egli mi vuol trasportare a discutere sulla cau- sa prossima. I pratici, i veri pratici , fuggono da tali trascendenti questioni. Così Ippocrate , allorché nel primo libro de' morbi popolari alla sezione 2.a pag. 126 narra , che regnarono febbri continue diurne e notturne , semiterzane , terzane, quartane , erronee: allorché dice , che fu da esso riscontrate nell'autun- 104 Scienze no ec, allorché descrive la condizione della stagione acquosa, umida e la pertinacia de'venti etesii, e que- sti ne incolpa; si dovea ad esso domandare in qual modo tali cagioni hanno operato ? Ed il suo silen- zio a questa domanda ci avrebbe dato il diritto di negare il potere de'menzionati agenti ? Similmente , allorché Lieutaud nella sua Sjnopsis ( parte prima pag. 36 ) afferma che le febbri intermittenti regnano quando soffiano venti umidi, si dovea rigettare que- sta eziologia perchè non si è impegnato a dimostra- re in qual modo opera la suddetta meteora ? Noi ab- bandoniamo alle scuole questo genere di ricerche spes- so trascendenti. 54- Io ammisi alcune verità proclamate da'Brown, ed ebbi per soci in tale ammissione i più grandi pra- tici dell'Europa, fra i quali 1' immortale Giampietro Frank. Ma non adottai il sistema dello scozzese. Mi prevalsi della parola eccitamento, nel modo stesso con cui il legislatore della medicina disse : Rara vcnus corpus excitat: colla protesta d'ignorare in che esso consista. Nell'usare questo vocabolo non bastava che io dichiarassi, nelle mie ricerche pag. 187 lin. 24, non appiccarglisi da me alcuna idea sistematica, ed im- piegarlo perchè da molti pratici usato. Sydhenam chia- mò anch'esso la febbre una fermentazione, una de- spumazione : avvertendo però il lettore, adoprare tal vocabolo per accomodarsi al comun linguaggio, e non già perchè egli la reputasse un movimento fermen- tativo o di despumazione. Il sig. Puccinotti non igno- rava, allorché quella taccia calunniosa mi rimprove- rava, non ignorava, dissi, la mia memoria (sull'inse- gnamento medico) pubblicata in Macerata nel i3o5 pe'tipi del Capitani, e nella quale provai la do Uri- Intermittenti perniciose io5 Ma browniana essere una vera ipolesi. Se dissi la sottrazione del calorico trarsi dietro concidenza, di- minuzione di forze vitali, ripetei un fatto espresso da tutti i pratici. Di fatto Mercato riconosce nella perni- ciosa una mancanza di calore. Morton vi rinviene spe- gnimento della fiamma vitale; Torti chiama principio congelatilo la causa di queste febbri. Mi si dovea quindi rimproverare l'impiego della parola eccitamen- to diminuito, cui io facea seguire dietro il seguente brano: « Ma io non propongo questa spiegazione , » perchè venga da me indubitatamente adottata; giac- » che mi sono prefissa la legge di non appoggiare ve- » run ragionamento sopra qualsivoglia ipotesi, ma sol- » tanto per soddisfare gli animi di coloro , che ad » essa aderissero » ( Pag. i56, i5j, i53 delle mie ricerche , loc. cit.). 55. Ogni qualvolta poi avessi sostenuto codesta patologia, sarei stato meritevole di censura: costando per l'esperienza dell'illustre Franck e di pratici eser- citatissimi, che il vino e l'oppio accordano alla china maggior forza e sicurezza di vittoria nel trattamento delle perniciose ? In quanto poi al passaggio di varia temperatura, ed a quello dell'umidità, queste meteore operano diversamente giusta la maniera con cui tale assodamento si effettua. Si legga la filosofia statistica di Gioia al lib. 3.°, e si vedrà a quante diverse ma- lattie sono sorgente (i). Ma il mio avversario tiene ben diversa sentenza ; cioè le alternative di caldo (l) Vedi infra gli altri Brtinner , Osservazioni medico-fisi' che »ul clima ili Seucgarnbia. io6 Scienze e freddo portano da per tutto malattie di comu- ne diatesi reumatica o infiammatoria ( pag. 80 loc. cit. ). 56. Lascio a' periti nell' arte il portar giudizio su questa restrizione. In quanto a me, non volendo escire dal perimetro della mia questione, affermo, non esservi condizione esterna che più frequentemente oc- casioni la febbre, quanto tali vicissitudini. L' effime- ra più o meno prolungata dal transito del caldo ai freddo il più delle volte è prodotta. 11 popolo ne è persuaso, e perciò suole chiamarla febbre di raffred- damento. L'intensità, la durata, la rapidità, con cui vicendevolmente si succedono questi due stati , im- partiscono alla febbre forme diverse e diverso anda- mento. 57. Prosegue poi egli il suo discorso col doman- darmi: « Quale è la causa che toglie all'organismo la ca- » pacità di mantenere la propria temperatura? l'uo- » mo regge non solo a 1 7 gradi di differenza di que- » sta che seguano in poche ore; ma passa impune- » mente da un bagno a vapore in pochi minuti ad » un bagno freddo, e da un caldissimo teatro ad una » strada coperta di neve, da un desco di calde vivan- » de e vini più eccitanti agli agghiacciati sorbetti, e » quindi ad un bollente caffè. Sappiamo che la spe- » eie umana vive anche tra il trenta ed i trentu- » no gradi di calore del termometro di Reaumur , » come al Senegal, e dai 35 sotto lo zero come più » volte in Siberia: il che forma una scala di 66 gr. » ( pag. 54 loc. cit. ) 58. Se queste posizioni, in cui l'uomo può ri- trovarsi, sieno equiparabili anzi identiche con quella che è stata il soggetto della nostra discussione, aspet- Intermittenti perniciose 107 to che lo decidano i dotti nell'arte. Darò termine a questo paragrafo col trascrivere lo scioglimento pro- gettato dal Puccinotti. Sentiamolo: « Quale è code- » sta causa? Il Santarelli non vi ha pensato; e per » le cose avvertite il suo libro diventa una prova » indiretta delle più luminose dell'esistenza di quel » principio etiologico medesimo ( il miasma palustre ) )> che egli si è adoprato a combattere » (p. 81 loc. cit. ). 5q. Non mi tratterrò su questa metafisica pato- logia: ma farò avvertire a chi legge la contraddizio*- ne che racchiude un sì breve paragrafo. Io non avea pensato a questa causa. E poco dopo afferma, che io mi era adoprato a combatterla. Questa contrad- dizione è una evidentissima prova del livore del suo animo. Non solo io l'aveva conosciuta, perchè spet- tava a Morton ed a Cullen, ma l'aveva anche com- battuta e con qualche estensione nella prima parte delle mie ricerche. Il sig. Puccinotti ce la presenta come sua, e come cosa di gran valore. Lo abbando- nerei in tal felice discoperta, giacche mi astenni sem- pre dal sindacare il machinismo de' cervelli che vo- gliono figurare nel mondo come inventori. Egli però nel discuoprirla e nel dimostrarla si prevale di que- gli elementi che fin qui ha contro di me oppugnati, cioè calore, freddo ed umidità. Se ne prevale con ra- gionamenti artificiosi, con fatti non provati. CAPITOLO XVII. Generazione del miasma, secondo il Puccinotti. 60. Guglielmo Cullen avea attribuita la genesi I08 S C t E R Z E della febbre intermittente ai miasmi. Questa esala- zione^ dice egli, si solleva mediante il calore del- le terre umide , o luoghi paludosi ( Elementi e e. tomo I, 55, 84 ). Il sig. Puccinotti però riguarda incompleta l'e- ziologia di coloro, i quali non s'appigliano che all' influenza delle paludi. Egli richiede maggiore esten- sione di cause , vale a dire , l'ammarcimento di so- stanze organiche esistenti in terreni umidi o palu- dosi. Chi somministra queste sostanze ? Sentiamo co- me egli si esprime : « L'alternativa di caldo ed umi- » do eccita il processo putrefattivo delle sostanze » vegeto-animali, di che è impregnata la belletta de' » margini suddetti ( delle paludi ) e si produce il mi- » asma. Cosa si effettua nelle incolte pianure , ed » erbose, o coperte eli avanzi di steli , o radici ce- » reali recisi ? Non esiste anche su queste superficie » una materia organica, che passa all' ammarcimen- » to, se le condizioni fisiche del calore e dell' umi- » dita la favoriscono ? » ( cap. XXIV pag. 99, op. cit.) Egli dunque aggiunge alla prima cagione , cioè alle paludi, questa seconda, perchè è di fatto che nei vasti campi dell' agro romano non esistono paludi sì numerose da somministrare elementi putrefattivi, co- me io avea dimostrato nelle mie ricerche : ed egli era convenuto nelle campagne romane generarsi la febbre perniciosa , abbenchè nella maggior parte di esse non siano paludi , venendo somministrate le sostanze acquose, o dall' umidità delle terre, o dalle piogge per mancanza di coltura. 61. Ma esiste poi questa putrefazione delle ra- dici e degli steli delle recise biade, e dell'erbose pia- nure ? Egli non si è data pena di dimostrarlo. E pu- Intermittenti perniciose 109 re avrebbe dovuto farlo ; imperciocché questa era la prima , e la più indispensabile ricerca che doveasi istituire. Io potrei rispondere, che gratuita essendo la sua osservazione , la mia negativa abbenchè gratui- ta basterebbe a minare il suo edilìzio. Quello però che egli non ha fatto in senso affermativo, io voglio eseguirlo in senso negativo. i. Nel tempo della messe molti coloni, come di sopra abbiamo dimostrato, sono aggrediti dalla febbre perniciosa, abbenchè gli steli delle recise biade non abbiano ancora avuto tempo di putrefarsi. 2. In molti campi estesissimi, dopo recise le bia- de, gli steli, o siano stoppie, sono consegnate al foco, e non ponno perciò cadere in marcimento; pur non ostante la perniciosa vi si genera senza alcuna eccezione. 3. Nelle terre poi, ove alle stoppie si permette di sussistere , si riscontra in esse veramente alcun segno di putrefazione ? Io non ho potuto riconoscer- Velo; abbenchè addetto all' agricoltura , e possessore per quasi quarant' anni di vasto predio in detti luo- ghi, mi sia adoperato per rinvenirlo. Verdeggianti si rimangono i residui vegetabili, e gli armenti vi rin- vengono gradito pascolo. 4- I prati erbosi poi non si disseccano, e molto meno s'infradiciano ne' mesi, ne' quali regna la per- niciosa , ma molto più tardi ed al sopravvenire dei freddi dell' autunno. Si squarci col ferro il suolo di detti prati, allorché la perniciosa è più che mai fre- quente, e non si ritroverà in essi alcun processo pu- trefattivo, per quanta diligenza s'impieghi in tale ri- cerca. 5. La valle di Farfa è coperta di felci, che ver- deggiano per tutta la state, e per tutto l'autunno: ma ^i'io Scienze la perniciosa vi è gravissima , ed allora gli abitanti di quella valle si riparano nella vetta del colle, ove esistono le loro abitazioni. 62. In appresso il sig. Puccinotti riferisce l'o- pinione di William Addisson e di Daniel sulla ra- diazione terrestre. Nulla ho io da opporre alla tem- peratura discordante delle terre nude, paragonate a quelle che sono coperte d'alberi da essi voluta. Ma il sollevamento di molecole organiche in islato di putrefazione non è però dall'autorità di delti scrittori dimostrato. E questa una ipotesi ingegnosa, che abbi- sognava di fatti chiari ed autentici per potersi sol- levare al rango delle verità. Il nostro autore la ven- de per sicura: e nel capitolo susseguente con piena fiducia ci descrive il processo fisico, mediante il quale la perniciosa si genera. « Piiunite, dice egli, sopra un » tratto esteso di terreno in pianura una quantità » di grandi e piccoli ristagni d'acqua, dove materie » vegetabili ed animali si trovino immerse , o fate » che molti residui di vegetabili restino sparsi sulla » superficie di uno slesso suolo non paluslre , ma » incolto, e senza alte piantagioni, o edifìzj: sotto- » ponete cotesto terreno per un' intera stagione ad j> una temperatura diurna di 24 e 26 gradi di Pi., » attendete che dirotte, ma brevi, e fra loro inter- » vallate lo inaffino le piogge ; questo suolo vi di- » venterà sotto l'azione evaporante del sole un cen- » tro di esalazioni, che si mescoleranno accessoria- » mente colla sua atmosfera, le quali saranno tenute » combinate, sospese, ed innocue finché durerà un' » alta temperatura. Ma colla notte incominciando la » terrestre radiazione, il vapore disciolto , e combi- » nato coli' atmosfera se ne disgrega, si condensa, e Intermittenti perniciose ih » si precipita. Ne questo vapore, che si precipita, è » solamente un vapore umido, ma esso deve conte- » nere con se combinata una parte di queste sottili » sostanze che esalarono dalla tetra per l'azione del » sole diurno. V è dunque indubitatamente nell' at- » mosfera di tali luoghi disciolta una materia, qua- » lunque ella sia, che dal suolo elevata, dal calori- » co si combina con questo, e rimane innocua fin- » che la radiazione tellurica della notte non la con- » densa e precipita » ( Cap. 25 pagg. 102 e io3 , op. cit. ). Esaminiamo partitamente questo brano , che in un sol gruppo riunisce l'intero sistema puc- cinottiano. « Riunite sopra un tratto esteso di ter- » reno in pianura una quantità di grandi e pic- )> coli ristagni d' acqua , dove materie vegetabili ed » animali si trovino immerse. » Se questi piccoli ri- stagni sono di origine recente , i vegetabili manca- rono di tempo per venire a morte, e per imputridi- re: mentre intanto già la febbre periodica si mostra ed abbatte i men cauti. Vidi, dopo alcuni giorni che le piogge erano cadute , e qualche volta anche due giorni appresso, entrare negli spedali infermi di per- niciosa: e questa osservazione consuona con quanto di sopra abbiamo avvertito e comprovato colla te- stimonianza di scrittori gravissimi. E questo rilievo comprende i residui de' vege- tabili, i quali dovrebbero appartenere alle stoppie del frumento, secondo l'autore: giacche in essi non rin- verrete putrefazione alcuna o incominciata , o con- dotta a fine, mentre la perniciosa già domina. 63. Tn quanto alle matei'ie animali, esse apparter- ranno o alle numerose specie delle falene o degli sca- rabei; giacche alcune di queste vivono , e si molti- uà Scienze plicano nei campi ove furono seminali il frumento, o qualche allro cereale. Ma gli individui di queste specie si sottraggono dall' acque stagnanti o col vo- lo o fuggendo co' loro piedi. Il sig. Puccinotti avreb- be dovuto tener loro dietro , sorprenderle nella loro decomposizione, e presentarle al pubblico o moribon- de o disfatte. In quanto a me, non sono stato così fortunato di rinvenirveli; e se alcuni individui talo- ra in qualche avvallamento si trovano , così scarso ne è il numero da non potersi loro attribuire il gi- gantesco fenomeno richiesto dal nostro avversario. 64. Proseguiamo, u O fate che molti residui di 11 vegetabili restino sparsi sulla superficie di uno stes- » so suolo non palustre , ma incolto , e senza alte » piantagioni o edilìzi : sottoponete cotesto terreno » per una intera stagione ad una temperatura diur- w na di 24 e 26 gr. di R. , attendete che dirotte , » ma brevi, e tra loro intervallate lo inaffino le piog- » gè; questo suolo vi diventerà sotto l'azione evapo- » rante del sole un centro di esalazioni, che si me- » scoleranno necessariamente colla sua atmosfera, le » quali saranno tenute combinate ec. » Qui mi sia per- messo avvertire il nostro avversario , che nelle cam- pagne romane, prive di alte piantagioni e di edifìci, nelle ore meridiane il calore non ascende a gr. 24 o 26, ma a 36 ed a 4° del termometro di lleaumur. Quest'errore sarebbe stato suggerito o da inesperien- za nelle meteorologiche osservazioni, o dalla tema di mettere allo scoperto 1' ingiustizia del suo rimpro- vero antecedentemente obiettato contro di me , che l'uomo cioè non possa nel giro di poche ore discen- dere a differenza di gradi 17 del calore atmosferi- co ? Giacche potendo essere, come egli conviene, il Intermittenti perniciose ii3 calore notturno a gradi i3, per giungere a gradi 40 evvi la differenza di gradi 27. La qual differenza se è vera, come è verissima, noi intendiamo la ragione per cui mentre fra centomila uomini racchiusi entro le mura di una città duecentocinquanta soltanto ca- dono infermi per perniciosa; di diecimila abitanti all' opposto, sparsi nelle esteriori campagne, cinquecento contemporaneamente ne sono almeno colpiti. 65. Continua: ci Ma colla notte incominciando » la terrestre radiazione, il vapore disciolto e com- » binato coll'atmosfera se ne disgrega, si condensa e » si precipita. Ne questo vapore che si precipita è » solamente un vapore umido, ma esso deve conte- » nere con se combinata una parte di quelle sottili » sostanze che esalarono dalla terra per l'azione del » sole diurno. » Due schiarimenti io bramerei otte- nere dall' autore di questa dottrina. Primieramente perchè le sottili sostanze, ossia il miasma, nel solle- varsi dalla terra e ealire.in alto non offende gli uo- mini che ivi si ritrovano ? Mentre nel discendere li rende infermi ed anche uccide ? Questi vapori sono più condensati nel tempo della loro ascensione, più radi e meno intensi, dopo che dal calore del sole fu- rono sollevali e rarefatti. Nella discesa debbono con- servare la diradazione a cui dal calore furono condot- ti. In secondo luogo queste sottili sostanze, associate ed avvolte dall'umidità, non dovrebbero perdere gran parte della loro virulenza per tale inviluppamento ? Non è egli una legge fisica che i miasmi dalle acquo- se particelle contornati diventano men deleteri? 66. Qui domando a'miei lettori attenzione su di un esperimento atto a confermare il presente mio di- scorso, ed il quale in oltre potrebbe; essere all'urna- G.A.T.LXXXV1II. 8 ii ^ Scienze jiità utile in qualche circostanza: mi lusingo che mi perdoneranno la breve digressione a cui mi abban-* dono. Sul finir del passato secolo venne recato l'a- rabo vaiolo nella città di Terni: grave e spesso mor- tale era la malattia. Io avea suggerita l'inoculazione, perchè la discoperta di Ienner , atteso lo stato bel- licoso dell'Italia, non era ancora a me nota. A fine di acquistare a quest'operazione maggior accoglienza ideai il seguente temperamento. In un cucchiaio di limpidissima acqua io scioglieva due o tre gocce di pus vaioloso. Immergevo l'ago in questa mescolanza, e superficialmente lo introducevo sotto l'epidermide. Non di rado l'operazione andava a vuoto, ed era me- stieri rinnovarla. Ma ove essa prosperamente proce^ deva , il fanciullo soggiaceva a vainolo benignissimo risultante da poche e ben formate pustule ; mitissi- ma n'era la febbre e l'esito felicissimo. Posso ricor- dare fra i molti due ancor viventi individui a testi- monio del vero. Il primo il sig. Nicoletti patrizio ter^ nano. Il secondo il marchese Luigi Sciamanna uffU ciale oggi nelle truppe pontificie. Posto ciò, per ra- gionamento di somiglianza non ne dovrebbe fluire la seguente conseguenza ? Cioè, che il miasma pernicio- so, nel discendere dagli alti strati atmosferici nella superficie della terra associato ed avvolto dall'umidi- tà, deve essere men feroce da quando ascendeva, od almeno di egual virulenza ? Più mite, perchè dirada- to; di minor forza deleteria, perchè avvolto da par*- ticelle acquose. Ma io non voglio lasciare passar franca l'accusa data alla belletta delle paludi e de' pantani. Accor- diamo per un momento che questa belletta strascini seco avvolte molte sostanze organiche animali. Ma Intermittenti perniciose it5 poiché collo straripare delle paludi le acque inonda- rono alcuna parte del lembo delle terre che le rac- chiudono ; due dubbi ne sorgono. Furono le sostan- ze animali imputridite che diedero nascita alla feb- bre, o piuttosto la maggiore evaporazione delle acque atteso il loro debordamento dalla circonferenza delle paludi ? Lo scioglimento non è difficile, se si consi- deri che nelle campagne romane si vede sorgere la perniciosa, abbenchè non vi esistano materie organi- che in disfacimento. E stato chiamato a testimone il lago Trasimeno, ma infedelmente. Quaranta sono le miglia che circondano quel lago. In parecchi luoghi si disse , il suo fondo sottrarsi allo scandaglio ; ed alcuni rimasero dubbiosi d'onde provenga tanta copia di acque. Comunque ciò sia, essa è limpida, e non abitata da insetti. Allorché placide sono le acque e tranquilla 1' atmosfera , cioè allorquando nella calda stagione l'evaporazione è grande, e l'umidità non è discacciata da venti , allora la perniciosa è più co- mune e più grave. 67. Mi sembra non inopportuno in questo ca- pitolo ricordare i due seguenti esempi. Francesco A- mici patrizio maceratese, attesi i grandi calori della state, discese nel Musone torrente di limpidissime ac- que, non interlineato da vegetabili in putrefazione ; ed ivi si trattenne per lungo tempo. Fu preso da per- niciosa. Il sig. Giuseppe Rinaldini, ispettore presen- temente del censo delle due provincie di Macerata ed Ancona, per la stessa ragione de'forti calori estivi ce- lebrò un prolungato bagno nel torrente Chiento, a- vente le condizioni del Musone, e non molto lungi da Montolmo; soggiacque alla stessa febbre. Il dott. Boccanera restituì entrambi in salute colla corteccia ii6 Scienze peruviana. In ambidue questi casi la putrefazione di sostanze organiche siano animali, siano vegetabili, non poteva accusarsi, perchè non esistevano né animali, ne vegetabili nelle sponde de'suddetti torrenti; per- chè in quei luoghi niun individuo era stato aggredi- to da perniciosa. La sottrazione del calore dalla su- perficie del corpo dei due menzionati individui, ope- rata dalle fresche acque , che ad ogni istante e col rinnovarsi, maggior quantità ne rapivano, si presenta sola e potente all'occhio dell'osservatore. Fu uno de* principii del gran Newton, di non ammettere nella ricerca delle verità più cause di quelle che bastano alla produzione de'fenomeni ( Reg. Ili ). CAPITOLO XVIII. Continuazione dello stesso argomento. 68. Ci rimane finalmente di esaminare l'ultimo argomento proposto dal sig. Puccinotli. Facciamo che parli egli stesso: « I vapori infetti che esalano dalle » risaie della Lombardia, condensati in tubi di vetro, » dettero al Moscati sulla loro superficie una mate- » ria organica fioccosa e fetida. Il Brocchi, avendo ri- » petuta la stessa esperienza sull'aria di Roma, otten- » ne in fondo alla storta di vetro un liquore torbi- » diccio, con abbondanti fiocchi biancastri di sostan- » za apparentemente gelatinosa, la più parte de'qua- » li erano sotto sembianza di tenuissime e traspa- ia retiti pellicole. Che sebbene per un istante egli re- » putasse colesta materia non essere altro che la fel- )> ce istessa del vetro, dichiara però in fine della sua ì> memoria: I. Che molti sono i fatti che provano Intermittenti perniciose i i n » l'esistenza del miasma e inducono nella opinione » che esso si svolga da sostanze organiche putrefatte. » II. Che di grande peso debba reputarsi l'esperimen- » to del prof. Moscati. III. Che infondendo nel va- li pore atmosferico da lui cimentato dell'acido muria- » tico ossigenato, trovò in capo ad alcuni giorni nel » fondo delia caraffa un piccolo sedimento di polve- » re biancastra , o piuttosto di leggeri fiocchetti, di » cui non avendo potuto eseminare la natura, racco- » manda che a preferenza di qualunque altro fosse » ripetuto da' fisici questo esperimento. Invitato da » tale consiglio il eh. prof. De Renzi, replicò l'espe- » rienza in Napoli co'vapori atmosferici dell' infetto » lago d'Agnano. Ottenne anch'egli de'iiocchetti lat- ti tiginosi, che dopo decantato il liquore in che nuo- ti tavano, eseminati sopra una carta, presentarono leg- » giere pellicole, e un intreccio di delicatissime fila, ti Raccolti sopra una lamina di platino, e fatta ar- » roventare, emanarono un tanfo empireumatico, co- ti me allorché si bruciano peli , unghie o altre so- li stanze animali; quindi si carbonizzarono ed ince- » nerirono, e dopo le sue diligenti esperienze potè » asserire : Di essere intimamente persuaso dell'esi- ti stenza dell'amoniaca e della sostanza estrattiva ve- li getale ed animale nell'acqua evaporata dagli stagni ( Cap. XXV, pag. io3, 104 op. cit. ). Gq. Analizziamo scrupolosamente questo passag- gio. I vapori rinvenuti dal Moscati esalavano dalle risaie della Lombardia. Ma nelle campagne romane non vi sono risaie. Dunque il paragone non è esal- to. Di fatto il naturalista Brocchi si esprime nel mo- do seguente, parlando degli esperimenti tanto del Mo- scati, quanto dell'Ozanam; e ponendoli in confron- n8 Scienze to con quelli diligentemente eseguiti da esso sull'a- ria delle campagne romane , coi quali non vanno d' accordo : « Forse la condizione dell'aria dell' a- » grò romano è diversa da quella che fu cimenta- » ta nelle risaie di Lombardia : e la cosa è anzi » molto probabile, poiché questa doveva esser pre- » gna d'effluvi esalati da un terreno inondato, ove » infradiciano vermi , insetti, rettili ed altri siffatti » animali; laonde le locali circostanze son ben dif- » ferenti. » ( Brev. saggio d'esperienze sull'aria cat- tiva de'contorni di Roma pag. 229, 23o della Bib, ital. tom. XXXV, novembre 18 18. ) 70. Io poi escludo assolutamente il vocabolo forse impiegato dal Brocchi, attesi i riguardi che vol- le praticare verso il suo amico Moscati. Ad eguali eccezioni soggiacciono gli esperimenti istituiti dal De- Renzi sull'aria del lago d'Agnano. Come paragonare l'atmosfera sovrastante ad un lago ove esistono ani- mali, ed altre sostanze putrefattibili , coll'aria roma- na in quelle regioni ove tu non puoi rinvenire nò alcun lago avente materiali da corrompersi, e neppu- re steli di piante al marcimento assoggettate? In al- cune stagioni la perniciosa previene il taglio della mes- se, e mentre ancora biondeggiano le spighe del fru- mento. Di questo ultimo fatto ce ne dà testimonian- za lo stesso Brocchi, di cui trascrivo il passo: « Gli » operai della campagna, correndo la stagione della » mietitura del grano, non potevansi procciare a ca- li ro prezzo , sì per essere tanto scemato il numero » di quegli atti al travaglio, si perchè quelli che rima- » nevano sani non volevano senza un buon compen- » so risicare la propria salute ( pag. 209 op. cit. ). 71. Ci riinane ora di consultare l'istesso Broc- < Intermittenti perniciose ng felli originalmente. E mestieri leggere la sua memo- ria interamente per ravvisare con quali e quante cautele egli siasi adoperato per evitare l'ingresso ne'suoi esperimenti di materie straniere. La traspirazione del- le mani dell'operatore compartiva all'acqua risultan- te dai Vapori umidi condensati odore fetido * che con facilità sarebbe stato attribuito da men cauto fi- sico all' aria stessa. Anche i pannolini, siano di li- no , siano di cottone* furono da esso ritrovati pro- ducenti lo stesso effetto, e quindi tenuti lontani. Co- sì ogni altra sostanza esterna che potesse nuotare nel- l'atmosfera; e tutte queste diligenze non solo acqui- stano piena fede allo sperimentatore, ma costituisco- no un rimprovero a quelli che non le avvertirono e non le praticarono. Ora quali sono i risultamenti del Brocchi? 72. Primieramente che i vapori provenienti dal- le acque, nelle quali furono infuse o sostanze organi- co-animali, o vegetabili, mostrarono aver con essi av- volta una sostanza organica fetida, e nel primo caso congiunta ad ammoniaca. Le acque per lo contrario ri- sultanti dal condensamento de'vapori dell'aria roma- na non solo si trovarono scevre dall'associazione di simili fenomeni, ma presentarono quegli stessi che si ottengono sottoponendo al medesimo cimento l'acqua purissima e distillata. Riferiamo le stesse di lui pa- role. « Una porzione di acqua , ma diligentemente » raccolta, dalla sera fino alla mezza notte fu posta » in due separati bicchieri. Versai in uno con certo » intervallo di tempo alcune gocciole di soluzione » di ossi-muriato di mercurio, che per le infusioni » putride animali è un delicato reattivo: ne adocchiai »> verun cambiamento. Nell'altro bicchiere ne lasciai 120 Scienze » cadere due o tre di nitrato di argento, affine di » scoprire se esistevano almeno insensibili quantità » di materia estrattiva vegetabile: e non conseguii ve- » run risultato. E superfluo di notare die se l'acqua » non è affatto scevra da muriato di soda , si avrà » in tale circostanza un precipitato di muriato d'ar- » gente Pesai inoltre cinque once di acqua atmosfe- » rica: e siccome sperata alla luce e spiata con len- » te manifestava alcuni peluzzi ed altre molecole stra- » niere, giudicai opportuno, per averla purissima, di » passarla per un filtro di fina carta, in cui feci per » più fiate trapelare dell'acqua stillata comune. L'in- » tradussi poscia in una fiala pulitissima , e vi ag- ii giunsi buona copia di acido muriatico ossigenato, » con l'avvertenza di agitar ben bene la miscela, af- » fincbè esso si unisse all'acqua. Dopo quattro gior- » ni vidi nel fondo una polvere biancastra , ma in » così tenue quantità che sarebbe stato impossibile » d'istituire su di essa alcun' esperimento. Altre otto » once furono abbandonate all'aria libera in una sco- » della di vetro guernita di un velo. Poiché il flui- » do fu ridotto alla quantità di alcuni grani, fiuta- » to non palesò odore di sorta: e per intero svapo- » rato, non lasciò che poche molecole che sembraro- » no straniere e fortuite. » Poco lume seppi finora ritrarre relativamente » al principale mio scopo. Mi rimaneva ancora una » buona quantità di acqua , equivalente al peso di j) una libbra. Ne presi otto once, e pensai di sot- » tometterle a una lentissima distillazione a bagno » di sabbia per avere il residuo , se pur rimaneva, » e in pari tempo raccogliere il liquore distillato. » L'acqua fu prima filtrata, indi messa in una stor- Intermittenti perniciose 121 » ta nuova di vetro esattamente lavata, a cui si adat- » tò un recipiente lutato intorno al collo. Poiché fu » ridotta a pochi grani, rimossi l'apparato dal fuoco, » e la porzione stillala fu trasfusa in una caraffa a » turacciolo smerigliato. Contro la mia aspettativa, » e non senza compiacenza, trovai che il poco li- n quore rimasto nella storta era torhidiccio, e mo- » strava abbondanti fiocchi biancastri di sostanza ap- » parentemente gelatinosa, la più parte de1 quali era- » no sotto sembianza di tenuissime e trasparenti pel- » licole. » Prima di istituire alcun saggio su quella ma- » teria volli chiarirmi se per avventura derivasse dal » vetro della storta: essendo già noto, che usando la » distillazione in simili arnesi si ha un pò di selce. » Mi accinsi ad eseguire per mero scrupolo l'espe- » rimento, essendo già persuaso che questa selce do- » vesse provenire in dose assai piccola da una stor- » ta di così poca capacità, quale fu quella messa in ope- » ra. Vi distillai adunque una quantità eguale di pu- » rissima acqua già distillata in altra simile storta , » e con mia sorpresa ottenni la stessa materia fioc- » cosa, ed in egual dose all'incirca, come era pari- » mente torbido il liquore residuo. Volli distillare » di bel nuovo l'acqua già stillata, e ciò fino alla ter- » za volta, e sempre col medesimo esito. » Non mi rimane alcun dubbio che la sostan- » za avuta dall'acqua atmosferica non fosse la selce » del vetro. Avendola separata colla decantazione, » lavata e seccata , ne gettai una porzione su una » lamina rovente di platino: e non presentò veruna » mutazione , se non, che acquistò una tinta più gri- » già. Lasciai la lamina sui carboni ardenti per un trat- 122 Scienze » to di tempo, e accanto ad essa riposi altra lamina" » con una presa di vetro finamente polverizzato: que- » sto si fuse, configurandosi in globetti , l'altra die » un lieve indizio di essersi agglutinata, e si mostrò » rafrattaria. Né la cosa deve recar maraviglia: im- » perocché la sostanza del vetro sciolta nell' acqua » calda dovea aver perduto la maggior parte di quel- n la porzione di soda, che la rende fusibile, la qua- » le rimane nell'acqua. L'altra quantità, che mi avan- » zò della stessa polvere, fu trattata al cannello con » un pò di soda, e si ridusse in un vetro limpido » e permanente. La sostanza estrattiva all' opposto » così dello zafferano, come dell'acqua putrida, pre- » cipitata coll'acido muriatico ossigenato, ed ottenu- » ta con altri espedienti , e che ha essa pure un » aspetto fioccoso, incarbonisce al fuoco, indi si ri- » solve in cenere. Deggio aggiungere che se in cam- » bio di adoperare recipienti di velro vogliasi evapo- , » rare l'acqua pura in quelli di porcellana, non va » esente questa medesima dall'essere intaccata con la » lunga digestione a caldo, segnatamente se è inver- » niciata. Di fatto se si vorrà esplorare con la len- » te, e fatto con favorevole riflesso di luce la su- » perficie dell' acqua ridotta con la svaporazione a » piccola quantità, si scorgerà galleggiarvi delle sot- » tili pellicole: e versando quel pò di fluido, ed asciu- » gando all'aria il recipiente, se ne adocchierà con » la lente in maggior copia aderente al fondo, ma. » nifestamente apparendo che provengono dalla so- » stanza del vaso. » (Bibl. italiana, fascicolo XXXV novembre i8i3, pagg. 227, 228, 229. Memoria del Brocchi, Saggio d'esperienze sull'aria cattiva de' con- torni di Roma. ) Intermittenti perniciose 120 73. Ponga ora a paralello il lettore questa se- rie di sperimenti col ragguaglio che ne ha dato il Puccinotti, e vedrà che questi ha omesso di riferire gli ultimi risultati della distillazione dell'acqua distil- lata purissima , i quali per tre volte presentarono i medesimi prodotti; cioè una sostanza fioccosa in forma di pellicole, e nella slessa quantità che si era otte- nuta con l'acqua proveniente dai vapori raccolti dal- l'atmosfera. Questa omissione importava nella men- te di chi legge che dette pellicole provenissero dalle sostanze organiche in putrefazione natanti nell'atmo- sfera; se lo lasciava nella persuasione che ad esse so- le appartenessero ; mentre all'opposto pe' susseguen- ti cimenti era dimostrato derivare esse dalla sostan- za del vaso. Egli è vero che il sig. Brocchi, per quel- la sua connaturale modestia notissima, dichiara di non sapere se ha rettamente sperimentato, e che protesta la più alta stima al professore Moscati. Ma mentre egli parla così di Moscati, ricorda la differenza che ha dovuto intercedere fra l'aria romana e quella delle risaie di Lombardia pregne di vermi, insetti , rettili ed altri sì fatti animali. Questa protesta non basta- va per discoprire l'animo del naturalista ? Egli dà fi- ne alla sua memoria col proporre il modesto dubbio, se gli sperimenti da esso istituiti fossero stati capaci di appalesare la materia fugace del miasma. Ma se gli esperimenti del Brocchi, i più esatti fino ad ora praticati , non l'arrestarono e non la discoprirono , quali prove sono state prodotte per farla conoscere ? 11 chiarissimo Barlocci, che indefessamente assistè a tutte le operazioni del Brocchi, volle che io fossi cer- to aver quel naturalista portata sentenza del tutto uniforme ai risultali de' suoi esperimenti : e tutto 124 Scienze ciò mi partecipava per mezzo del professor Fol- cili suo e mio amico, il quale me ne rendeva inte- ro con sua lettera dei 7 aprile 1841. Ora parlano altamente i fatti : con qual convincimento possiamo appellare a frasi e maniere di dire, che i primi non annullano, e che soltanto mostrano la modestia del- lo scrivente ? 7 4* Ma ciò che toglierà ogni dubhio dalla men- te di qualsivoglia medico si è il considerare, che noi siamo tutto giorno esposti agli effluvi delle sostanze organiche in putrefazione, siano vegetabili, siano ani- mali, siano miste : senza che per questo da alcuno ne sia stata mai contratta la perniciosa. Sostanze or- ganiche in putrefazione s'innalzano tutto giorno da'le- tamai, dalle latrine, dai chiassetti, dai ghetti , dalle stalle, dai sepolcri; e niuno fu mai preso da perni- ciosa. I bifolchi in quegli stabulari non solo dimo- rano , ma dormono illesi dalla febbre. E come mai mentre tutte queste esalazioni disgustose all'odorato, e ributtevoli, e di tanta densità e di tanta forza rie- scono innocue tutto giorno ; allorché sono diradate, fuggitive, incoercibili, potranno godere un potere tan- to delle prime maggiore ? Il prof. Monchini, gran chi- mico e medico sperimentatissimo, che agli esperimen- ti del sig. Brocchi fu presente, riconobbe immediata- mente l'inesistenza di quel sognato miasma: e pochi anni appresso, venuto per ordine della s. consulta ad esaminare l'insalubrità dell'aria di Campofilone pro- vincia di Fermo, basò il suo giudizio nella dottrina da me sostenuta. 7.5. Dopo le quali cose io invito il lettore a con- siderare in breve prospetto l'orditura dell'opera puc- cinottiana. Le osservazioni del Moscati e dell' Oza- Intermittenti perniciose 12S tiara istitute nelle risaie della Lombardia, abbencbè non esatte, somministrano i materiali fondamentali al suo sistema. Ma in Roma non vi sono risaie. Era mestieri dunque rinvenire altri elementi di putrefa- zione ; e questi furono gì' insetti ed i residui delle mietute biade. L'autore però si dispensò dal provare 1' esistenza di queste sostanze in istato di disorga- nizzazione. Lo suppose gratuitamente. Nelle campa- gne romane molti infermavano contemporaneamente alla messe. Questo fatto non fu ricordato. Le osser- vazioni del Broccbi, lette da capo ad imo, non pro- vano l'esistenza di un miasma. Se ne riferirono tan- te , quante bastavano a farlo dubitare. Era mestieri annullare le numerose mie osservazioni. Si oppose- ro ad esse quelle di quattro giorni istituite nel me- se, di settembre, come se la temperatura di quei so- li quattro giorni fosse stata limite a quella di tutto il resto della stagione. Le mie osservazioni sono d'ac- cordo con quelle di Folcivi e di De-Crollis, e si vo- gliono distruggere con quelle di un fisico anonimo e di medici innominati. Si confina il potere del cal- do e del freddo umido a generare infiammazioni e reuma, senza por mente agli effetti vari , a seconda della loro intensità e diverso modo di succedere. Si sostituisce ad esso una sostanza del tutto immagi- naria; perebè si volle supporre ebe la corteccia pe- ruviana possegga contro di essa una specifica azione. E non si riflette, ebe non solo detta corteccia gio- va nella stagione, ebe si crede generante il miasma, ma in tutte le stagioni, in tutti i luogbi, ove esista periodicità semplice, e non complicala con altra affe- zione morbosa. Sarebbe ora stravagante problema do- mandare se il sig. Puccinolti abbia combattuto la mia 126 Scienze opinione per sostituirle la sua, ovvero se abbia richia- mata l'ipotesi de' miasmi per aprirsi la via ad oppu- gnarmi? Ma ritorniamo a contemplar la natura. CAPITOLO XIX. Degli effetti àelVaria romana sugli abitanti delle campagne. 76. Al forastiere, che viene nell'ampio spazio delle campagne romane, si presentano uomini di a- spetto ben diverso dagli abitatori delle regioni circon- vicine. Non rinviene quivi né la civiltà, né la gen- tilezza toscana; non la franchezza de'piceni; qui non ode il clamoroso lagno del napolitano. Uomini silen- ziosi e seri si fanno ad esso innanzi. Pallido e tenden- te al giallo è il colorito della loro pelle ; tardo e grave é il loro passo; poco curiosi, non pongon men- te al passeggiero: interrogati, gli danno breve, o niu- na risposta. Non ti fissano gli occhi nel volto ; ma fugacemente ti riguardano piegando il collo nell'op- posto lato, e quindi ti squadrano tutto il corpo. Sem- brano orgogliosi di se stessi, disprezzare ogni altra cosa : cantilene sono da essi intonate con noia e stucchevolezza. Cupi sentimenti nascondono nel lo- ro animo. Se hanno torti a vendicare, ciò fanno pro- ditoriamente e col ferro. La gelosia è la passione lo- ro dominante. Le donne posseggono un miglior co- lorito ed animo mite. Gli abitanti nelle terre e ca- stella murate, edificate nella cima di alti colli, si al- lontanano molto da'loro modi, ed hanno maniere somi- glianti a quelle de' popoli circostanti. Viaggiando in quei piani s'incontrano qua e là Intermittenti perniciose 127 individui panciuti; ed esplorando il loro addome, in alcuni si rinviene ostrutto il fegato, in altri la mil- za. Ma nel maggior numero di essi la gonfiezza è primaria; cioè non prodotta dalle menzionate ostru- zioni: sono i primi, ma più i secondi, sottoposti spes- so a parecchi accessi febbrili. La febbre , che come dicemmo , fu sempre indigena in tutto il paese ro- mano , anche in quelli che dalle suddette affezioni morbose non sono afflitti, si fa frequentemente vede- re. Gli stranieri, che quivi vengono a prendere domici- lio, dopo pochi anni cambiano colorito, costituzione e carattere morale, e risentono più fortemente de'na- tivi l'azione morbosa di quell'atmosfera. Generalmen- te parlando quegli che sono affetti dagli accennati di- sordini vanno spesso tottoposti a profluvio di ventre, che cessa e facilmente si rinnova. Lambendo colla lingua alcuna parte della superficie del loro corpo , essi la rinvengono qualche fiata di salso sapore. Il medico, che assiste agli infermi di qualsivoglia malattia, si avvede ben presto che la traspirazione , le orine, le fecce de'suoi malati emettono un odore più molesto di quello, che incontrava negl' infermi abitanti in altra lontana regione. Anche ne'cadaveri de'defonti per qualunque morbo scorge qualche cosa di vario nelle tinte, nell'odore, nel tessuto de'visceri, paragonalo a quello da esso osservato nelle adiacenti Provincie. Ma noi dobbiamo presentare con compen- diosa descrizione ciò che la natura ci ha mostralo nella lunga nostra pratica. L'ordine, che mi condurrà, sarà quello stesso, col quale le malattie mi si offrirono, a fine di escludere qualsivoglia pensiero dalla natu- ra non suggerito. 1 cache liei, quegli che avevano edematose l'estre- 123 Scienze mità inferiori, e tumido il ventre, sono stati da me trattati utilmente co'purgativi. Le pillole del signor Fordice furono da me prima usate preferentemente. Ma la tintura acquosa di rabarbaro congiunta col sa- le mirabile di Glaubero, e ripetuta quotidianamente, ha più spesso soddisfatto i miei desiderii. Proibisco in- tanto all'infermo di esporsi all'aria mattutina e ves- pertina, e suggerisco una dieta temperante, escluden- do rigorosamente la cena. Esigo che indossi vesti- menta piuttosto grevi. Le camicie di lana sottilissi- ma, ove indigenza noi vieti, somministrano efficacis- simo sussidio ad un tale trattamento. Se, tali cose praticate, nulla in sanità si lucri, consiglio l'infermo di fuggire quel cielo, e di ripararsi o in altri colli,' o- in lontana provincia. Impedisco così che si formi l'idrope tanto ascitica, quanto anasarcatica. Ogni qual volta l'infermo a quest' ultimo malore fosse giunto , gli prescrivo da quando a quando un forte drastico, e contemporaneamente istituisco frizioni nel basso ventre con mano spalmata di olio. Il resto della cu- ra non differisce dall' antecedentemente esposta. In tutti i suddetti casi è ben cosa rara che io possa di- spensarmi dal prescrivere l'emetico. Se questi infermi, prima di divenire cachetiei o ascitici, soggiacquero a febbre periodica, e come suo- le essere erratica o poco avvertita (sulla quale pree- sistenza io istituisco diligenti e ripetute ricerche), ese- guile le summenzionate prescrizioni, passo finalmente all'uso della corteccia peruviana. In quanto agli infermi affetti da fisconia, ne par- lerò in appresso. Veniamo alla perniciosa semplice. Non ritorne- rò a descriverla. Fu dipinta da Mercato e da altri Intermittenti perniciose i2() osservatori, e da me delineata su di un numero as- sai esteso d'infermi (i), e prego il lettore di consul- tare le mie ricerche. La perniciosa semplice aggredi- sce a preferenza i deboli, i vecchi: ma non risparmia alcuno, se la causa occasionale fu assai poderosa. Pal- lido è il loro volto, fredde le membra degli aggredi- ti, piccolo il polso prima anche dell' ingresso della febbre. Brividi di freddo gli assalgono sempre crescen- ti. Diventano stupidi, non odono, non rispondono , ed un sudore freddo bagna la superficie della pelle. Dopo alcune ore di un tale slato i polsi incomin- ciano a rialzarsi, leggermente si riscalda la pelle, ri- tornano a poco a poco i sensi, ed il parosismo cessa. Alcune volte questi infelici mancanti di sussidio muo- iono nel terzo giorno, molti nel quinto, il minor nu- mero nel settimo. So che qualcuno non potè sfuggi- re la morte anche al primo accesso ; di modo che senza la cognizione della causa e dell'ordine succes- sivamente tenuto dai sintomi, si cadrebbe nell'errore di reputarlo morto per appoplesia. La sezione de'cadaveri di quest'infelici non pa- lesa alcuna infiammazione in verun viscere. Echima- toso è il dorso dei loro cadaveri; oscura è la parte posteriore del polmone , ed alcune echimosi si rin- vengono ora in questa, ed ora in quella parte di qual- sivoglia viscere, non escluso il cervello; ma cedevoli si presentano tali parti. L'addome alcune volte infos- sato e le intestina come vuote , altre volte elevato il primo, e gonfie di aria le seconde. In generale tutte le carni dei defonti sono pallide, lasse e come sfibrate. (i) Parte V. G.A.T.LXXXVIII. i3o Scienze A quest'infermi la corteccia peruviana, ammini- strata senza mora, indubitatamente giova. In alcuni di essi mi sono trovato nella necessità di associarle o il vino o il laudano. E mestieri ritrovarsi nella faccia del luogo per convincersi di quanto ho esposto. Ma molti individui, specialmente agricoltori, al- lorché la febbre gli aggredisce covano già interna- mente altre indisposizioni , o morbose affezioni che gioverà esporre, incominciando dalle più semplici, e come io le ho rinvenute. Alcune fiate, allorché io ho visitato l'infermo, ho ritrovato molti segni che accusavano zavorra delle pri- me vie. Se gli accessi antecedenti, per le indagini da me istituite, non mi si presentavano tanto forti da te- mere il di lui spegnimento al nuovo accesso; io ap- pena trascorso il parosismo prescrivevo l'emetico: e, dopo terminata l'azione di questo, un clistere purga- tivo. Ed intanto prima dell' aggressione della nuova febbre cercavo di rendere meno dubbiosa la sorte del- l'infermo, facendogli prendere qualche porzione del febbrifugo. Più e più volte sono stato chiamato mentre l'an- tecedente accesso era stato gravissimo, e mentre mol- ta colluvie biliosa e gastrica infarciva le prime vie. Era mestieri opporsi contemporaneamente a due di- sordini, ed il trascurare alcuno di essi importava gra- vissimo pericolo. Io prescrivevo allora la corteccia pe- ruviana unila al diagridio, e non risparmiavo qualche clistere purgativo; per tal modo evacuavo le materie impure, e vietavo alla febbre divenir mortale. È stata discritta da altri la perniciosa emetica. Non recherò noia al lettore se brevemente narrerò il Intermittenti perniciose i3i risultato delle mie osservazioni. La perniciosa emeti- ca può essere indotta da due condizioni: o da impu- rità delle prime vie, o da flogosi dello stomaco. Prima indagine del medico deve esser quella di rinvenire, da quali dei due summentovati disordini sia generato il vomito : questa ricerca diverrebbe infruttuosa ogni guai volta non si riuscisse a discoprire quale ne fu, la causa e la successione de'sintomi. Se l'infermo pri- ma di essere aggredito dalla febbre si sarà satollato con cibi soverchi, di difficile digestione, o abbia in-? gurgitato bevande acquose impure; se il vomito, pre- ceduto da leggiere nausee coli' espellere parti delle za- vorre, sarà divenuto men frequente ; se questo vomir to si sarà rinnovato nel tempo della piressia, senza aumento di frequenza e d'intensità; finalmente se fra un parosismo e l'altro i polsi siansi mostrati non feb- brili, ma normali : verificandosi tutte le testé men- zionate circostanze, si potrà conchiudere essere il vo- mito prodotto da colluvie gastriche. Allora l'emetico o l'emetico-catartico dovrà dar cominciamento alla cura. Noi siamo confermati in questa diagnosi dai buoni effetti che sieguono P espulsione delle nocive materie. Per l'opposto se 1' infermo prima di essere colpito dalla febbre, o nel tempo della di lei aggres- sione, bevve vino o liquori alcoolici (il che tra i vil- lici non è infrequente): se il vomito e le nausee con- tinuarono senza tregua anche nell'intervallo de'diver- si parosismi; se le bevande specialmente calde accre- scono il vomito ed il dolore dello stomaco ; se nel tempo infrapposto ai parosismi, aqche nel principio della malattia, si rinvenga il polso febbrile e concen- trato, il che non avviene nell'antecedente caso : al- lora siamo bastantemente cèrti coesistere unitamente i32 Scienze alla febbre la fiogosi dello stomaco. Lo ripeto: senza la storia esatta degli errori che hanno preceduto, e dei sintomi che hanno accompagnato la malattia , è impossibile raggiungere la soluzione del problema. Ove esiste infiammazione, è necessario combatter questa pri- ma col salasso generale, quindi col locale. Non dob- biamo farei imporre allora dal timore, che la febbre spenga l'infermò. H maggior pericolo nasce dall'infiam- mazione. Ho visti alcuni villici all'ingresso del pri- mo parosismo, e nel tempo del freddo, ingollare re- plicatamene l'acquavite o vini gagliardi. E in tal ca- so che lo stomaco facilmente s' infiamma. Ciò ben s'intende, se si convenga meco, le varie parti del si- stema umano poter soggiacere contemporaneamente a diverse e contrarie azioni, e quindi cadere in oppo- sti stati. La perniciosa alcune volte è accompagnata da diarrea. Ma la cagione della diarrea non è sempre la stessa. Può esser prodotta da innormali digestioni rese note dalla, storia della malattia. In tal caso de- ve precedere qualche purgativo e qualche clistere alla china. Altre volte la diarrea è l'effetto del fred- do, o perchè l'infermo bevve acqua gelata, o perchè non difese l'addome con bastevoli vestimenta. Le cal- de pozioni , e fra queste l'infuso di tè, le calde fo- menta al basso ventre, i tiepidi lavativi, recano pronto sollievo. Ma la diarrea può essere anche generata da fiogosi di qualche parte del canale alimentare. In ta- li ipolesi ha dovuto precedere alla febbre l'azione di qualche agente stimolante: il bassoventre non può sof- frire o in questa o in quella parte la più leggiera pigiatura. Esaminandolo colla maggior circospezio- ne e delicatezza, sperimentasi pure in qualche pun- Intermittenti pekmctose i 33 to maggior resistenza che altrove : finalmente anclie nell'intervallo che intercede fra i parosismi febbrili, il polso non è interamente apiretico, e l'arteria con- serva o durezza o ristringimento del suo diametro. Ciò che ho dello della diarrea si osserva anche nella dissenteria. Stoll ha descritto la dissenteria reu- matica, cioè quella prodotta da perfrigerazione. Il più spesso però è l'effetto dell'infiammazione del retto. Il trattamento deve soggiacere alle regole di sopra espo- ste. Allorché 1' infiammazione di qualsivoglia par- te delle intestina si unisce alla febbre periodica; do- po spenta la prima, io somministro la corteccia pe- ruviana unita allo sciroppo semplice, a quello di al- tea o di viole. Il sintoma più grave e più frequente, perchè ac- compagna sempre, o quasi sempre la perniciosa, è il sopore: ragion per cui dal più antico de'nosologi fu la perniciosa appellata soporosa. Il sopore mostrasi nel tempo degli accessi, e diviene più prolungato, e più grave ne' successivi. La sua maggior intensità diede allora il sinonimo di comatosa, e finalmente di letargica alla febbre. Si avvidero ben presto i medi- ci che questo sopore era l'effetto di condizione adina- mica, perchè dal salasso ricevea accrescimento, perchè veniva fugato dalla china, e dalla medesima marita- ta al vino o al laudano. Si credettero eglino auto- rizzati chiamare periodiche, nervose, maligne tali feb- bri: colla quale parafrasi comprendevano anche quel- le associate da altri sintomi , ma provenienti dalla stessa diatesi. Questo sopore è sempre ed invariabilmente l'ef- fetto della medesima condizione morbosa? Appellasi ella o adinamica, o di anestesia, o di collapso, o ner- i34 S e t te n z te vosa, o con qnal si voglia altro nome venga dalle op- poste scole indicata ? Esigerà in ogni caso lo stesso trattamento? Indubitatamente la febbre soporosa pe- riodica alcune volte viene peggiorata dal metodo ec- citante. Ed in molti luttuosi casi la notomia ha rinve- nuta flogosi .o in questa o in quella parte del Cervello, mentre in altri niuna ve ne potei discoprire. Non si deve già confondere la raccolta di sangue venoso oscuro o nei seni, o nella parte posteriore del cervello t o nei plessi de' ventricoli, coll'infiammazione. Le men- zionate raccolte di sangue possono essere il risulta-* to dell'illanguidita, e successivamente spenta vitalità* e quindi dell'obbedienza di detto fluido alle leggi del peso. Possono dunque rinvenirsi dei casi* nei quali si trovino combinate fra loro l' infiammazione di qualche parte del cervello e la diatesi febbrosa. Ora allorquan- do coesiste la febbre periodica e l'infiammazione, è mestieri combattere quest'ultima col salasso generale, in appresso col locale ; qualche volta ripetere l'ante- cedente* Se il medico si fa imporre dal timore della periodicità, può esser sicuro della perdita dell'infer- mo. Debbo però confessare che ho sempre rinvenuto queste flogosi più docili al salasso, poste al paragone colle infiammazioni solitarie e non congiunte alla pe- riodica. E questo un fatto che non può essere igno- rato da medico di prolungata ed estesa pratica , e tale da non doversi dimenticare da quegli scrittori, che di patologiche affezioni sogliono discorrere. Io adun- que, fino a tanto che non sono persuaso di avere spen- ta l'associata infiammazione, non discendo al febbri- fugo. Ma con quali indizi ed argomenti siamo noi resi Intermittenti perniciose i35 certi della coesistenza dell'infiammazione colla febbre periodica ? Qui più che mai è necessaria la storia delle cagioni molteplici che hanno preceduto la ma- lattia: e senza una storia circostanziata ed esatta, io ignoro, come un abile esercente possa fare acquisto dell'indicazione prima, a cui deve soddisfare. Le cagioni morbose che hanno preceduto, o si sono associate alla febbre, pongono il medico nella via a bene sciogliere il problema seguente : « Se il malato era pletorico, se prima d'infer- mare, o nel primo corso della malattia usò liquori, bevve il vino ; se dopo alcuni accessi febbrili, atte- sa la loro tenuità, li trascurò, e si espose al sole nel- le ore meridiane, e curvo persistè nel travaglio ru- stico ». Siamo avvertiti che un qualche viscere ha potuto esser disposto alla flogosi. Ho assistiti alcuni infermi in questo spedale maceratese , che venivano dalle campagne romane, dopo aver sostenuti parecchi parosismi febbrili non molto gravi , e che seguendo un sì lungo viaggio a piedi tanto nelle ore nottur- ne, quanto sul mezzo giorno, erano rimasti esposti agli infocati raggi del sole per lunga pezza. Appena ri- patriati, il nuovo accesso si svilluppò con grave so- pore. In tutte queste ipotesi i seguenti sintomi met- tono allo scoperto la questione. Il dolore e la gra- vezza del capo non cessa dopo i parosismi , ma si mantiene abbenchè men grave. L'albuginea degli occhi è alquanto rossiccia, ma più spesso gli angoli de'me- desimi. La faccia dell'infermo non è coperta intera- mente di quel pallore che si riscontra nella perni- ciosa semplice; le carni, spento il parosismo, non di- scendono pienamente a quella freschezza che io ho rinvenuta e descritta, allorché non vi è complicalo- i36 Scienze ne di socia affezione. I polsi esaminali con troppa fretta, abbenchè sembrino apiretici , pure paragonati a quelli degli accessi febbrili non lo sono interamen- te: e se lo sembrano essere, non pertanto bene esplo- rati, l'arteria si rinviene ristretta, e non adagiantesi sulle dita esploratrici. Allora io non dubito punto che all'intermittente sia congiunta l'infiammazione del cervello. Istituisco quindi un salasso generale, e dopo di esso applico le sanguisughe all'occipite. Ge- neralmente parlando queste due flebotomie sono suf- ficienti a spegnere l' infiammazione. Ma se ciò non avvenisse , ed interamente o in molta parte i sinto- mi teste descritti esistessero, io non mi ricuso di ce- lebrar nuovo salasso. Mentre ciò faccio, ordino che sia iniettalo lavativo emoliente e purgativo: e se do- po tutto ciò o contemporaneamente sintomi gastrici si facessero vedere, vado somministrando qualche so- luzione ecoprottica. Le quali cose eseguite, do subi- to di mano al febbrifugo. La verità fu sempre il mio scopo : per lo che non rifuggo confessare, che due infermi ricevuti mol- ti anni in dietro in questo ospedale maceratese ri- masero spenti per avere io trascurato queste ultime diligenze. E qual è quel pratico che possa gloriarsi di non essersi mai ingannato ? Quante sono le circo- stanze della vita che turbano l'attenzione dell'uomo il più avveduto, e che gli fanno dimenticare quelle stesse massime che furono il frutto di lunga prnl:- ca e di profonde meditazioni ? Potrei nelle opere che tutto giorno si vanno pubblicando sul nostro argo- mento discoprire non uno o due casi somiglianti ai miei, ma molti e molti; ne'quali si trascurarono od ignorarono tutte quelle precauzioni, di cui io ho da- to 05 ora un breve quadro. Intermittenti perniciose 187 Abbenchè non di raro , dopo che fu pe1 salas- si risoluta l'infiammazione, si appalesi l'intermitten- te gravissima ; ciò però non è sempre. Il più delle volte la periodica non è sì grave da non potersi dif- ferire la prescrizione del febbrifugo per qualche gior- no. Circostanza non rara nel caso di associazione del- le due malattie. Temo che molti medicanti in tale apprezzamento non siano stati circospetti, quanto era mestieri esserlo. Ma dobbiamo ricordarci, che la slessa appoplesia pletorica nell'inverno, cioè allorquando non può temersi riunione con essa di febbre periodica , non pertanto più spesso che non si crede suole do- po le venti quattro ore, o anche dopo tempo dop- pio, rinnovare suoi colpi. Questa specie di periodi- cità non ha potuto sottrarsi agli occhi de' dotti os- servatori , e non deve restare inavvertita nel tempo che domina 1' intermittente. Mentre tali cose narro, non voglio dar credito alla pratica, oggi anche trop- po comune presso alcuni medici, di prescrivere pre- cipitosamente il salasso al primo accesso febbrile, ed anche di ripeterlo perchè accompagnato da alcuni sin- tomi fallaci di orgasmo, e, come essi dicono, di rea- zione. Deplorai molti infermi da questa falsa dottri- na perduti; ed è per l'opposto sentenza comunemen- te ricevuta da coloro che a tali malattie spesso furon presenti, che un'intempestiva flebotomia uccide irre- parabilmente l'infermo, in ispecialità se sia pervenu- to alla vecchiezza. Un emiplegia, che col cessare del parosismo com- pletamente con essa cessi, a me non fu dato mai di riscontrare. Altri la descrissero, ne io voglio ad es- si negar fede. Ma se l'emiplegia è costante, se essa persiste anche nel tempo dell'apiressia; non vi è ogni i38 Scienze ragione per credere che l'infiammazione del cervello e della midolla oblongata ec. sia la primaria affezio- ne ? L'esacerbazione febbrile può in molti casi esser l'effetto di connubio dell' intermittente colla flogosi delle menzionate viscere; e può ancora in altri casi spettare al gastricismo, da cui è influenzato il siste- ma circolatorio. Se si esaminassero con rigore chi- mico molte storie rese di pubblico diritto intorno a questa malattia, sarebbe facile dagli stessi sintomi, che in esse si trovano ricordate, rinvenire conferma a questo mio dubbio; abbenchè gli scrittori delle me- desime siano stati molto generosi nel dipingere a for- ti caratteri qu e' propri della sola periodicità. Fra gli effetti più frequenti dell'aria romana so- pra gli abitanti delle sue campagne evvi l'ostruzione della milza. Quelli che soggiacquero alla perniciosa, ove furono ben trattati nel corso della malattia , e che in appresso si allontanarono da quella pestilente regione, non si videro mai affetti da vizio del sud- detto viscere. Ma se precipuamente nel decorso del- la febbre non furono purgati, mentre esistevano za- vorre addominali, non è cosa rara che si vadano ri- petendo con inegual periodo accessi febbrili benché miti, e che dopo un qualche tempo la milza appa- risca tumida all'ipocondrio sinistro. Ma anche la pe- riodica non perniciosa, ove siasi prolungata per molti mesi in quel paese, è seguita da sì fatta tumescen- za. I cadaveri di coloro, che per essa periscono, mo- strano il liene aumentato quasi sempre di volume. In alcuni una teca, dura più della sostanza del vi- scere, ne circonda l'esterna superficie, mentre il re- sto del parenchima si mostra molle e di colore più oscuro del naturale. In altri, invece della teca sud- Intermittenti perniciose i3g detta, ho ritrovata qualche porzione centrale della mil- za indurita, e molle il rimanente. Aprimmo in que- sto teatro anatomico il cadavere di un villico , la cui milza elevata a grande volume era però molle più del consueto, e come vicina a spappolare. Qual'è la natura di questo disordine ? E inutile che io lo di- chiari. Ma se una tal lesione è una vera flogosi colle sue varie terminazioni , questa flogosi è essa prima- ria, e cagione della febbre? 0 piuttosto un prodotto della preceduta piresia ? Ecco come io m' industrio per risolvere un tal problema. La corteccia peruvia- na, che in sull'incominciamento della febbre è effica- cissima nel distruggerla , riesce inutile a debellarla ogni qual volta siasi stabilita la lesione di cui tenia- mo discorso. Questa stessa lesione per lo contrario, dopo che esistette per lungo tempo , si rende sotto l'uso della medesima più caparbia, e più difficile quin- di ad esser fugata. L' induramento della milza non apparisce ordinariamente nei primi giorni della feb- bre, anche allorché questa è gravissima ed uccide i* infermo. La sezione de'cadaveri di quegl'individui, che furono spenti ne'primi accessi, non mostra l'indura- mento di detto organo. Sono noti i sintomi della sple- nite: ma tanto nel primo corso della perniciosa, quan- to di altra semplice intermittente, niuno di essi fu riscontrato e commemorato come essenziale dai no- sologi. Non è quindi ragionevole concludere, che la cronica infiammazione della milza sia una termina- zione delle febbri periodiche generate in arie umide, nel modo stesso come nelle febbri continue, dopo la prima o seconda settimana , alcune volte o le fauci s'infiammano o le parotidi o qualsivoglia altra parte. Mi rimane ora esporre succintamente con qua- li mezzi pel corso di molti anni abbia io combat- i4o Scienze tuto con felice successo un tal disordine. Sono ri- cevuti in quest'ospizio clinico agricoltori prevenien- ti dalle campagne romane, ed alcune volle qualche militare che ebbe stazione nelle contrade pivi basse delle Romagne: i quali dopo aver soggiaciuto per mol-> to tempo a febbri intermittenti , sparuti e cachetici qui se ne vengono. Alcuni di essi portano seco il solfato di chinina, altri pillole di estratti amarican- ti. Tutte queste cose sospese, io istituisco subito un salasso dal piede sinistro ; il giorno appresso faccio applicare le irudini al podice. In seguito io purgo l'in- fermo. Ma se febbrile fosse il polso, o dura l'arteria, rinnovo il secondo salasso dal piede. Tali cose ese- guite, prescrivo ogni mattina all'ammalato un' oncia e mezza ed anche più di tintura forte acquosa di ra- barbaro, nella quale ho sciolto un'ottava , od anche due di sale mirabile di glaubero (solfato di soda). Non abbandono questa tintura, la ripeto quotidianamen- te, e la sospendo qualche volta per un giorno se le evacuazioni alvine fossero soverchie. Applico poi so- pra l'ipocondrio sinistro il ceroto di cicuta. Se il bi- sogno lo richieda, dopo la seconda e terza settima- na discendo al terzo salasso. La dieta è sempre se- vera , ed è negata la refezione della sarà. Spenta la febbre, ed abbisognando l'infermo di maggior nu- trimento , alla zuppa della mattina aggiungo in sul principio un qualche frutto, ed in appresso qualche vegetabile cotto od ovo sorbile con frustolo di pa- ne. Ho ricondotto a sanità molti e molti infermi, do- po aver fatto inutilmente uso di altri metodi. Tali cose io dirigeva a voi, rispettabilissimo sig. conte, a voi che ben conoscete unico mio studio es- sere stato mai sempre quello di : « Kitam impen- dere vero. » i4i niwvMmanrai Praelectiones theologicae quas in collegio ro- mano S. I. habebat Ioannes Perrone e soc. lesiti in eoclem collegio theol. professor. Ro- vine i83g. Ex collegio urbano de propagan- da fide. Voi, VI et VII. &L compiere l'analisi del VI volume (*), altro non ci resta che il parlare del trattato della penitenza. Definita questa dal eh. autore come virtù , e come sagramento, riparte egli tutta la materia in cinque ca- pitoli suddivisi in varie proposizioni. Il primo capo, in cui trattasi della verità di que- sto sagramento, lo divide in due proposizioni. Dimo- stra nella prima esser la penitenza un vero e pro- prio sagramento della nuova legge istituito da Mostro Signore, per cancellare i peccati commes- si dopo il battesimo. Siccome però i protestanti, pel falso principio da loro adottato della giustificazione e delle manifestazioni del peccato originale, attribui- scono al battesimo tutti gli effetti della penitenza; così i cattolici, i quali professano la genuina dottri- na del tutto contraria ai principii di essi, ne traggo- no una conseguenza del tutto opposta. La differenza si è questa: che i protestanti, per così dire a priori, si fingono i dogmi, li adattano alle loro teorie, o al- meno da esse li deducono: i cattolici all'incontro sta,n- (") Vedi il tomo LXXX1V a «art. ùg e segg. i4^ Scienze no immobilmente fermi alla costante e perpetua dot- trina e prassi della chiesa. Pertanto avendo la chiesa riconosciuto sempre in essa un distinto ministro, un distinto soggetto, una distinta materia, una distinta for- ma, distinti effetti, distinta istituzione , distinte pro- prietà, il p. Perrone nell'altra proposizione sostiene essere la penitenza un sagramento dal battesimo distinto. Il secondo capo è della contrizione. Dopo aver- ne data col concilio di Trento la definizione, a mag-, gior chiarezza stabilisce: I. Esser di fede che la con- trizione imperfetta, chiamata attrizione, è un dono di Dio, e che quantunque per se non giustifichi il pec-» catore, tuttavolta lo dispone ad impetrare la grazia di Dio nel sagramento. II. Esser prossimo alla fede, che questa contrizione, la quale può talvolta essere per-, fetta per la carità, riconcili 1' uomo a Dio prima an- cora di ricevere il sagramento; non doversi però aU tribuir questa riconciliazione alla sola contrizione sen- za il voto in essa incluso di ricevere il sagramento. Dal che giustamente deducesi, esser dottrina ricevuta, specialmente dopo il concilio di Trento, che non sia necessaria per ricevere questo sagramento la contri-a- zione perfetta, siccome insegnano taluni, ed in par- ticolar modo i giansenisti. Passando poi alle questio- ni scolastiche, brevemente esamina: i. Se nell'attri- zione ricerchisi un gualche amore iniziale, ovvero basti il solo timor delle pene: a. Se questo amor ini- ziale consista nel solo amor di speranza, o come di- cesi di concupiscenza, ovvero in amore di amicizia e benevolenza: 3. Che secondo altri quella carità teo- logica presa nel proprio senso , la quale ricercasi per la giustificazione, non consiste nell'amore di he- Teologia del Perrone i43 nevolenza e di amicizia, ma nel solo amor di con- cupiscenza. Premesse queste brevi osservazioni, ed ac- cennata la controversia circa il timore con cui si con- cepisce l'attrizione, ossia se per la giustificazione nel sagramento della penitenza basti quel timore, che na- sce da una soprannaturale minaccia delle pene tempo- rali , ovvero vi si debba includere anche quello delle pene eterne , nella I.a proposizione sostiene il cano- ne V del concilio di Trento ; e nella II.a contro i giansenisti, che la contrizione perfetta riconcilia V uomo a Dio prima che riceva II sagramento della penitenza, purché però slavi Incluso II voto di riceverlo. Nella III.a proposizione finalmente dimo- stra non essere necessaria la contrizione perfet- ta a ben riceverlo. Il capo III riguarda l'auricolar confessione ne- cessaria a rimetter i peccati dopo il battesimo. Il eh. autore prova questa verità con tre distinte proposizioni: ricavandola, I. Dalla sacra scrittura, in cui Cristo a forma di giudizio istituì il sagramento : II. Dall'an- tica e costante tradizione de'padri : HI. Dalla eresia de'montanisti e de'novaziani, i quali ammettendo la di- vina istituzione della confessione, restringevano solo ad alcuni peccati la facoltà generale concessa di as- solvere: e però dal sostenere in questa III proposi- zione, non esservi alcun peccato che non possa ri- mettersi a coloro, i quali sono disposti , viensi sem- pre più a confermare il salutevole dogma della ne- cessità dell'auricolar confessione. Se la contrizione e la confessione costituiscono l'essenza del sagramento della penitenza , e giovano a rimettere la pena eterna ; la soddisfazione ne co- stituisce la integrità e vale a rimettere quella parte i/i4 Scienze di pena tempoi'ale, che ordinariamente dopo ricevuto il sacramento resta a scontarsi o in questa o nell'al- tra vita. Siccome peraltro i protestanti rigettano ogni necessità di soddisfazione, come ingiuriosa alla croce di Cristo: imperocché nei loro sistema Dio c'imputa i meriti di Gesù Cristo in modo, che più egli da noi non ricerchi alcuna espiazione de'falli; così il p. Perrone nel cap. IV discorrendo della soddisfazione, nella pri- ma proposizione addimostra, che insieme colla col- pa non si rimette sempre tutta la pena, ma che ordinariamente, tolta per la potestà delle chiavi la pena eterna, resta la tempora! pena a pagar- si : e nella seconda, la quale è un corollario della prima, che i ministri della penitenza possono e de- vono ingiungere delle soddisfazioni salutari e con- venevoli ai penitenti. A questa proposizione aggiunge egli alcuni bre- vi ed utilissimi scolii sulla penitenza pubblica, i quali assai bene valgono a far conoscere la consuetudine della chiesa in infliggere le pene, a ribattere le pazze opinioni de'giansenisli, ed a mettere in guardia gl'in- cauti, ai quali così belle e così utili si dipingono le antiche pene canoniche. Lasciati a parte i gradi dei penitenti, cioè de* piangenti, degli udienti, de 'prò strati e de7 consi- stenti, le loro stazioni e le loro opere, osserva: I. Che non devono confondersi insieme, siccome ordì nana- mente far sogliono i giansenisti , la penitenza sa- gramentale ordinata da Gesù Cristo e necessaria a tutti, colla penitenza canonica, che per l'ordinario e più rettamente i teologi chiamano ceremoniale, e che appunto, perchè tale, non fu ne costante nò uguale, ma varia secondo i luoghi, i tempi e le circostanze, finché a poco a poco andò interamente in disuso. Teologia del Pekrone i45 TI. Che neppur si debbono tra loro confonde- re , siccome fanno i novatori e i seguaci del sino- do pistoiese , la penitenza canonica colla penitenza pubblica, la quale sotto qualche aspetto fu in vigo- re fin dal tempo degli apostoli: quantunque, siccome osserva il Petavio, per deficienza de'monumenti siamo in grande oscurità sul metodo tenuto dai sacerdoti ne'primi due secoli. In fatti non senza frode e ma- lizia il sinodo di Pistoia confondendo queste due pe- nitenze ne dedusse, che l'ordine della penitenza ca- nonica era stato dalla chiesa stabilito sull'esempio de- gli apostoli, né arrossì di attribuire a delitto alla chie- sa di averla cambiata: dicendo di riconoscere in quel mirabile ordine ed augusto tutta la dignità di un sagramento così necessario, sceverata da quelle sot- tigliezze che nel processo di tempo vi si aggiun- sero. Questa sentenza però fu, come ognun sa, con- dannata da Pio VI ( Prop. XXXIV della notissima costituzione Auctorem fidei) come temeraria, scan- dalosa, conducente al disprezzo della dignità del sagramento, come in tutta la chiesa usò di am- ministrarsi, ingiuriosa alla chiesa medesima. III. Che la penitenza canonica non fu istituita, se non nel finire del secolo III , in occasione della eresia de'novaziani, e ch'essa restringevasi solo alla pu- nizione di tre delitti, l'idolatria cioè, l'adulterio e l'o- micidio. Inoltre che queste pene non imponevansi in- differentemente a tutti i fedeli, ma ad alcuni sola- mente, anzi ad una determinata classe d'individui. Ed invero n'erano eccettuati i cherici maggiori, ordina- riamente le donne, e i figli di famiglia. Dovevano es- sere colpevoli di pubblici delitti: e perciò non astrin- gevansi ad essa penitenza , se non coloro eh' erano G.A.T.LXXXVIII. ,o ,i46 Scienze siali chiamati in giudizio , e convinti innanzi alla legge, siccome attesta più volte sant'Agostino. Impo- nevasi poi questa penitenza una sola volta: e quei die fossero tornati novellamente a cadere erano per sem- pre allontanali dalla eucaristica mensa, alla quale solo nel punto della morte venivano riammessi, IV. Osserva coll'illustre arcivescovo Marchetti di eh. mem., doversi distinguere la prassi e la discipli- na della chiesa universale circa la penitenza canoni- ca, da quella delle chiese particolari : ed in conse- guenza i canoni e i decreti della chiesa universale dai canoni e decreti di qualche vescovo , o concilio , o chiesa particolare, avendosi eziandio riguardo alla va- rietà de' tempi : nò doversi queste cose tra loro scambiare, siccome molti fanno per dedurne poi la così detta disciplina dell' antica chiesa. Imperocché eccettuato il concilio I niceno , che fece tre canoni penitenziali pe'soli apostati e pe'caduli nell'idolatria, niun altro concilio ecumenico stabilì canoni peniten- ziali, ed in conseguenza praticossi nella chiesa quella varietà di punizioni, che più si credeva opportuna. V. Finalmente fa rimarcare col più volte nomi- nato Petavio, esser la penitenza; che oggidì si costu- ma, più analoga e conveniente ai tempi degli aposto- li e della primitiva chiesa, di quello che sia l'altra in- trodotta poi da'santi vescovi e da'eanoni più o meno severi, a seconda che richiedevano i tempi ed i luoghi. Le quali cose ( giustamente conclude il p. Per- rone ) se si abbiano ognora presenti, facilmente si ripa- rerà alle declamazioni de' giansenisti , che sospirano quell'aurea ed intemerata disciplina dell'antica chiesa in modo da dispregiare quella che di presente è in vigore. Imperocché operando così più agevolmente si Teologia del Perrone 147 dispensano dall'una e dall'altra penitenza: dall'antica, perchè più non costumasi: e dalla moderna, perchè ad essi non talenta. Esaurita così la dottrina della soddisfazione, nel quinto , ossia ultimo capo del trattato , parla della materia.) della forma e del ministro di questo sa- gramento. Fatte le solite osservazioni sulla materia prossima e remota, necessaria 0 libera ec, viene alla forma, che i protestanti, per essere ragionevoli ai loro principi!, sostengono esser dichiarativa e non già ef- fettiva. Ribatte egli nella prima proposizione così em- pia sentenza; nella seconda confuta 1' altro loro er- rore, cioè che qualsiasi fedele abbia da Cristo ri- cevuta la potestà delle chiavi: nella terza che, per validamente assolvere nel sacramento della peni- tenza, oltre la potestà di ordine ricercasi ezian- dio quella di giurisdizione: e però V approvazione del vescovo non esser una mera testimonianza d'i- doneità, come pretenderebbero i giansenisti , ma una vera collazione di potestà e di giurisdizione: il perchè senza tale approvazione i sacerdoti in- validamente ed illecitamente amministrare cotesto sagramento; finalmente nella quarta ed ultima pro- posizione dimostra, che i vescovi hanno il diritto di riservarsi i casi, non solo quanto alV esterna po- lizia, ma anche innanzi a Dio : e però i sacer- doti, eccetto V articolo di morte, invalidamente as- solvere i penitenti dai casi riservati. Per corona di questo trattato tanto breve, quan- to succoso , in cui 1' autore seguendo il suo solito metodo nel confutare i novatori, ed in ispecie i gian- senisti ed il sinodo di Pistoia, ha sempre sostenuto la dottrina del concilio di Trento, aggiunge due bel- 148 Scienze lissimi tratti, il primo di s. Gregorio magno, con cui insegnasi ai ministri il modo di usare co' penitenti : l'altro di san Paciano, col quale vengono i penitenti ammaestrati a ben ricevere questo sagramento. Appo- sitamente poi e con molt'avvedutezza nell'ultima no- ta si fa a discorrere della morale teologia di sant'Al- fonso de'Liguori, e della sana dottrina in essa con- tenuta. In latti non manca di riportare gli autentici decreti del sacro tribunale della penitenzieria, i qua- li ancor noi riferiremo a parola : se mai taluni , il che sarà ben difficile, non ne avessero la giusta con- tezza. Dubitando alcuni confessori, anche dopo i de- creti della santa sede, ne'quali si dichiarava che nulla degno di censura era nelle opere di questo santo , se nell'amministrazione del sagramento della peniten- za si potesse tenere sicuramente il metodo usato da quell'espertissimo e savissimo vescovo, il zelante cardi- nale De 'Rohan-Chabot, arcivescovo di Besanzone di eh. meni., nel 1 83 1 propose questi dubbi alla sacra penitenzieria: « I. Utrum sacrae theologiae professor » opiniones, quas in sua theologia morali profitetur » B. Alphonsus Maria De-Ligorio, tuto sequi ac pro- » fiteri possit ? II. An sit inquietandus confessa- » rius , qui ornnes B. Alphonsi Mariae De-Ligorio » sequitur opiniones in praxi sacrae poenitentiae tri- » bunalis, hac sola ratione, quod a sancta sede apo- » stolica nihil in eius operibus censura dignum re- » pertum fuerit ? » Ai quali la stessa sacra peniten- zieria il 5 luglio i83i cosi rispose : « Ad l affir- » matwe : quin tamen inde reprehendi censeantur, » qui opiniones ab aliis probatis auctoribus traditas » sequuntur. Ad II negative : habita ratione mentis Teologia del Perronk i^g a san-etae sedis circa approbationem scriptorum ger- ii voruiri Dei ad effectum canonizaliunis. » Dalle qua- li risposte conclude il Perrone, non doversi commen- dare la disobbedieuza di coloro, che ancora incolpa- no, come meno sicura, la dottrina di un santissimo e dotlissimo prelato, di cui Pio VII nel decreto Art tuta ec. in data de*2i dicembre iHi^- disse: « Apo- » stolo dignas virtutes quasi iubar emisit, cura voce » et scripto in media saeculi nocte errantibus viam » ostendit, tjua eruti de potestate tenebrarum tran- » sire possent in Dei lumen et gloriam. » I trattati delle indulgenze, dell'estrema unzione, dell'ordine e del matrimonio conlengonsi nel settimo volume. Seguiremo ad analizzare solo i due primi. Tutta la materia delle indulgenze è divisa, o per dir meglio ristretta, in cinque proposizioni precedute da un compendioso proemio. Fatto il novero de'suoi avversari , e definita l' indulgenza « la remissione » della pena temporale che dopo la sagramentale as- » soluzione è dovuta al peccato, valida nel foro in- » terno innanzi a Dio, fatta per mezzo dell'applica- » zione del tesoro della chiesa da legittimo superio- » re: » si fa egli ad esaminare le parole tutte di ta- le definizione, dicendo che da essa ben si rileva: 1. Qua- le sia la vera e principale natura e nozione della in- dulgenza, che soltanto si aggira circa la pena tem- porale dovuta ai nostri peccati: la qual pena deve ri- mettersi extra forum con'scientiae, supposte però le necessarie disposizioni nel soggetto, e la necessaria au- torità in chi le dispensa. 11. Che tale remissione di pena non esclude le nostre soddisfazioni, ma le sup- pone : e però le indulgenze doversi considerare co- me un supplemenìo alle nostre soddisfazioni, alme- i5o Scienze no sagramentali, e a quelle che in noi eccita l'inter- na nostra disposizione di animo inclinata ad una sin- cera conversione. Che poi tale sia la mente della chie- sa, ben lo chiarisce in una nota riportando l'autorità del santo pontefice Gregorio VII, e de'cardinali Ba- ronio, Gaetano , Bellarmino e Pallavicino. III. Che l'indulgenza non è un semplice rilasciamento della pena canonica valida solamente nel foro esterno, ma anche nel foro interno ed innanzi a Dio, ossia ch'è una remissione parziale o totale di quella soddisfa- zione, che per le commesse colpe o in questa o nel- l'altra vita debhonsi pagare alla giustizia divina. IV. Che non solo errarono turpemente i valdesi, i wiclef- fif.i, i luterani, i calvinisti e i loro seguaci, i quali negarono questa facoltà alla chiesa : ma cogli stessi eretici essere gravemente caduti in errore i giansenisti, i pistoiesi ed altri scrittori neoterici, tanto circa la no- zione delle indulgenze, restringendole al solo rilascia- mento della pena canonica , quanto circa il tesoro della chiesa , che vorrebbero essere una invenzione degli scolastici, e circa il valore delle indulgenze, che credono esser nulle per le anime de'trapassati. V. Fi- nalmente l'autore, chiosando sempre la sua definizione, dimostra a che cosa riducansi tutte quelle calunnie e voci, con cui anche oggi giorno dagli eretici e dagl' increduli si maltrattano le indulgenze, e si censura la dispensazione di esse, come eversive di ogni mo- ralità , quasi che dieno licenza al peccare : ed in ultimo a che cosa riducansi quelle indulgenze per anticipazione, che continuamente i protestanti han- no in bocca. La prova di queste verità, che naturalmente discen- dono dalla data definizione, costituiscono tutto il trat- Teologia del Perrone i5r tato. In fatti nella prima proposizione , secondo la dottrina del concilio di Trento , sostiene che nella chiesa è la potestà di conferir V indulgenza data da Gesù Cristo , e che fuso di esse fu sempre salu- tevolissimo ai cristiani. E qui nel ribattere le obbie- zioni de'protestanti e degl'increduli, che le chiamano abusive, perchè ingiunte al bacio di una croce, e per- chè con tanta facilità rilasciate, sottilmente osserva: I. Che gli avversari in questo caso, chiamando l'ec- cesso delle indulgenze contrario ai principii di mo- ralità, ci danno non volendo essi stessi una bellissi- ma testimonianza della dottrina della chiesa circa la necessità della soddisfazione, di cui l'indulgenza al- tro non è se non una diminuzione. II. Che non ci si può opporre questo medesimo abuso senza gitta- re a terra tutto il principio del protestantismo, ossia della riforma della sola fede giustificante, senza la ne- cessità delle buone opere. III. Che anche un'amplis- sima indulgenza concessa per una piccolissima opera di pietà ingiunta può egregiamente conciliarsi co' principii di moralità, imperocché la giustizia di Dio si concilia colla remissione delle pene, ottenuta se- condo le condizioni richieste. IV. Che l'eccesso delle indulgenze, se alcuno mai ve ne fosse, non attacca la cosa stessa, ma la facilità o il modo di concederle. In fatti , lasciate le testimonianze degli antichi pa- dri, e specialmente di s. Cipriano, i quali si scagliava- no contro la troppa facilità delle indulgenze, omesse le sanzioni de'concili e de'romani pontefici, che cer- carono di riparare all'abuso , è chiarissimo il decre- to del concilio di Trento nella sessione XXV , in cui dicesi che si desidera la moderazione nel con- cederle, secondo Vantica ed approvata consuetu- l52 S C I E N Z Z dine della chiesa, affinchè per la troppa facilità V ecclesiastica disciplina non si snervi. Sostenuta la cattolica dottrina con validissimi argomenti, e ribattute le opposizioni degli avversari , passa il N. A. a quella che non è di fede, ma pros- sima alla fede, dimostrando nella II proposizione, che le indulgenze liberano l'uomo dalla pena del rea- to non solo innanzi alla chiesa , ma ancora m- nanzi a Dio; e nella III, che nella chiesa si dà il tesoro delle indulgenze composto dei meriti di Cristo e dei santi. Siccome però non solo hanno negato questa proposizione Lutero, Calvino ed i lo- ro seguaci, ma eziandio taluni neoterici, che tuttavia si professano per cattolici, affinchè costoro non ol'i'en- dansi del vocabolo tesoro, a maggior chiarezza della cattolica dottrina fa egli le seguenti premesse; I. Che questo tesoro, fonte delle indulgenze, in tanto è com- posto de'meriti di Cristo e de' santi, in quanto che sono soddisfattorii: sapendosi da tutti i teologi es- sere le opere buone meritorie, impetratole e sod- disfattorie, cioè meritorie per se, impetratone per se e per gli altri, e soddisfattone, se si parli de' santi, pe'debiti loro e degli altri: pe'debiti loro, cioè per quello che attese le proprie colpe devono a Dio: pe' debiti degli altri, atteso il soprabbondante prezzo da loro sborsato in compenso de' loro falli. Il perchè quando dicesi essere il tesoro composto di meriti, il nome di merito prendesi in senso più lato, cioè per soddisfazioni, o come ad altri piace per impetrazioni. II. Che all'essenza della indulgenza, e però al- l' applicazione del tesoro, non si ricercano i meriti dei santi : i quali meriti non si aggiungono se non a modo di un tal quale amminicolo o cumulo, co- Teologia del Perrone i53 me parla Clemente VI, afiìnchè venga onore e glo- ria ai meriti di Cristo, e non si rimangono oziose le soprabbondevoli soddisfazioni de'santi. III. Che questo tesoro non solo è composto de' meriti de'santi che dimorano in cielo, ma anche di quelli che tuttora vivono in terra: i quali certamen- te, come insegna il catechismo romano, possono sod- disfare alla divina giustizia tanto pe'loro quanto per gli altrui debiti. IV. Finalmente che dalla chiesa mediante la con- cessione delle indulgenze ci si applicano i meriti di Cristo in quella stessa guisa, in cui fuori del sagra- mento ci si applicano i meriti dello stesso Cristo, il quale comunica la dignità ai meriti de' santi colla grazia santificante, per cui a Dio sono uniti. Dal che avviene che Iddio a riguardo dei meriti di Cristo e dei santi, col ministero della chiesa e colle condizio- ni da essa volute, rimetta le pene temporali , ossia le soddisfazioni che richiederebbero i nostri peccati. Dalle quali cose si conclude, che il tesoro delle in- dulgenze sono gli stessi meriti di Cristo e de' santi, in quanto che sono o soddisfattorii, o impetratorii, o soprabbondanti, e che l'applicazione di essi dipende interamente dalla chiesa. Finalmente nella IV proposizione, la quale è cer- ta, ne può senza nota di temerità mettersi in dubbio, sostiene il N. A. che possono le indulgenze , a mo- do però di suffragio i applicarsi alle anime del purgatorio. Le quali indulgenze a modo di suffragio assai differiscono dalla semplice orazione e preghiera: imperocché, oltre la ragione della impetrazione, quel- la largizione ha in se l'oblazione del prezzo, ossia là soddisfazione, la quale dassi a Dio col tesoro della i54 Scienze chiesa. Altrimenti dovrebbe dirsi che ugualmente pre- sterebbe il suo officio presso il giudice quegli che lo pregasse a dimettere un carcerato per debiti, e co- lui che gli offerisse quanto è d'uopo a pagarli, spe- cialmente se chi offre fosse costituito in dignità, e a tale officio eletto dal principe, siccome nel caso no- stro è la chiesa. Restandogli poi a parlare del ministro e del sog- getto succintamente, il p. Perrone se ne spedisce per mezzo di alcuni scolii. L Ricerca se l'indulgenza sia assoluzione o soluzione, e risponde esser assoluzio- ne e soluzione rispetto ai viventi, soluzione rispetto ai defunti. Assoluzione per chi dà, soluzione per chi riceve. In appresso definisce e distingue l'indulgenza plenaria dalla parziale e da quelle altre dette qua- rantene. IL Quanto al ministro, dice che il solo ponte- fice, perchè capo di tutta la chiesa, e primate in es- sa di vera giurisdizione, può concederle a suo bene- placito, e che i vescovi solo le possono dare secon- do la limitazione fatta dal concilio lateranense quarto sotto Innocenzo III, cioè non più di un anno nella consecrazione della chiesa, e non più di ^o giorni negli altri casi. Col qual decreto, come dichiarò già Pio VI nel suo breve Super soliditate, vengono con- futati Eybel e Palmieri , i quali avevano insegnato poter i vescovi almeno ai proprii sudditi compartir la plenaria indulgenza, deducendolo da tre falsi prin- cipii da loro adottati: 1 cioè, che l'indulgenza altro non sia che la remissione della pena canonica nel foro esterno; 2, che il romano pontefice come par- ticolare vescovo della chiesa di Roma possa conceder- la ai suoi sudditi immediati, come tutti gli altri ve- Teologia del Perrone i55 scovi nelle loro diocesi; 3, che non possa esso coar- tare la facoltà de'vescovi, senza invadere i loro di- ritti. III. Quanto al soggetto, sostiene che ai defunti non valgono se non a modo di suffragio, di preghiera, di oblazione ec, o, come dice s. Tommaso, seconda- riamente ed indirettamente:, imperocché non posso- no essi far quell'opera ingiunta per cui si concede l'in- dulgenza, siccome possono farlo i viventi, che però possono primariamente e direttamente lucrarle; ne manca di fare osservare, che pe' defunti non avendo un infallibile effetto, ma dipendendo dal beneplacito di Dio V accettazione di esse, svanisce quel preteso calcolo matematico degl'increduli, con cui millanta- no, che atteso il gran numero delle indulgenze con- cesse ai defunti, più non dovrebbe rimanere alcun' a- nima nel purgatorio. Finalmente chiude il trattato colle condizioni che si richiedono per parte del re- cipiente. Assai più breve è il trattato che segue della estrema unzione. Lo divide l'autore in due soli ca- pi. Nel I parla della verità del sagramento della estre- ma unzione: e con una sola proposizione dimostra, che la estrema unzione è un vero e proprio sa- gramento istituito da Gesù Cristo , e promulgato dall'apostolo san Giacomo, ricavandolo dalle paro- le di quell'apostolo, dal senso con cui perpetuamen- te e costantemente fu tal passo interpretato, dalla con- tinuata consuetudine dell'una e dell'altra chiesa, cioè orientale ed occidentale nell'amministrazione di que- sto sagramento, e dalla confutazione di tutte le ob- biezioni che dagli avversari si fanno. Il II capo contiene importantissimi scolii sa tut. l56 S C I R N Z K te le parti del sagramento della estrema unzione. Di- mostra, I sulla istituzione di questo sagramento non esservi alcuna quistione presso gli antichi , e so- lo in appresso gli scolastici aver incominciato a ri- cercare, se fosse istituito da Gesù Cristo, ovvero dal- l'apostolo ricevutone particolare autorità da Cristo o dallo Spirito Santo, che internamente glielo insegna- va : il che riducesi a ricercare, se Gesù Cristo sia sta- to il mediato o immediato autore del sagramento : della quale ultima cosa, dopo il concilio di Trento, può appena più dubitarsi. II. Che la materia detta remota secondo san Giacomo è 1' olio di olivo. Quanto alla benedizione del vescovo, se sia di necessità di precetto divino o di sagramento, o solo di precetto ecclesiastico, sicco- me vorrebbero alcuni teologi, insegna doversi tenere nell'amministrazione di questo sagramento la parte tuziare. Certo è però, come osserva Benedetto XIV, che l'oiio degl' infermi può anche dai semplici preti benedirsi con tacita o espi'essa licenza del sommo pontefice, e che i preti orientali 1' hanno spesso fin dai più rimoti tempi benedetto , senza essere stati per ciò rimproverati giammai. Nel III e nel IV parla della varietà delle parti del corpo da ungersi, e delle formole praticate, aven- do per lungo tempo la chiesa latina adoperata la in- dicativa; dal che si deduce non esser di essenza la forma deprecativa, come opinarono alcuni scolastici. Nel V tratta del ministro, il quale deve essere il solo sacerdote, ne già gli anziani del popolo, come pretendevano gli antichi protestanti: o gli uomini pii, probi, prudenti, come voleva Carpzovio: e che giam- mai in caso di necessità fu amministrato dai laici o Teologia del Perronk 157 dai diaconi, come dicono Basnagio e Launoio : ben rilevandosi il contrario da tutto il contesto, dall'ar- gomentazione del pontefice Innocenzo I, e dall'assur- do die ne seguirebbe, se in altro modo si potessero prendere le parole del suddetto santo pontefice. Ne manca in appresso il N. A. di spiegare il senso in cui si debbono interpretare le parole di Beda al cap. V dell'epistola di san Giacomo , ne di far rilevare che gli ecclesiastici monumenti raccolti dai suddetti Basnagio e Launoio riguardano l'unzione cerimoniale, e che l'autorità di Tommaso Waldese non è sì gran- de da doversi anteporre a quella del tridentino. Quan- to all'essenza di questo sagramento, se debbasi con- ferire da uno o da più sacerdoti, dichiara non man- car antichi esempi dell'estrema unzione amministrata da un sol sacerdote. INel VI mostra, che i soli adulti battezzati e gra- vemente infermi debbonsi ungere, e non già i fanciulli, i sani, come voleva Dalleo ; che se presso i greci ed altri orientali venivano unti i vecchi, non si propo- nevano essi al certo un'unzione sagramentale,ma bensì una meramente cerimoniale, e che questo sagramento soleva amministrarsi or prima, or dopo il viatico, co- me anche in oggi per varie cause si costuma. Finalmente nel VII parla degli effetti, tra' qua- li è la remissione de' peccati veniali per se, come dicono i teologi, e mortali secondariamente, ossia per accidente contro la opinione di Sambovio, che attribuiva a questo sagramento il potere di rimette- re anche i peccati mortali. Che se ciò si volesse con- cedere, dovrebbe dirsi essere ordinato direttamente a rimettere i peccati mortali in questo senso, cioè che i58 Scienze rimette quelli, di cui non ha il penitente coscienza, da qualunque cagione sia ciò per provenire. Gli altri due trattati, dell'ordine cioè e del ma- trimonio, li riserbiamo ad altri articoli, ne'quali ezian- dio parleremo del trattato de' luoghi teologici , di cui ha già il p. Perrone pubblicata la prima parte; il qual trattato è preso in un punto di vista veramente nuovo, e scritto con quella profondità di dottrina e vastità di erudizione, che tutti giustamente ammira- no nel eh. autore superiore ad ogui elogio. F. Fabi Montani. Statistica medica di Milano dal secolo XV fi- no ai giorni nostri , escluso il militare , del dottore Giuseppe Ferrarlo. Milano , presso Giuseppe Bernardoni 1 838-1 840. Volume It in 8, di fac. 658. & 'e degno di lode è colui che rende la vita di un solo individuo più lunga e florida, quanto maggior- mente lo sarà chi dà norme ai governi , affinchè la esistenza di popoli sia più lunga e meno disagiata ! Fra costoro debbono collocarsi quei grandi che di statistica si occuparono , ed in ispecial modo della parte medica. Quindi è che l'utilità e dignità stes- sa dell' impresa forma elogio bellissimo , ed intesse corona di non caduchi allori a Giuseppe Ferrano , il quale in Italia ed in Europa siede fra i più illu- Statistica medica di Milano i5g stri ed indefessi coltivatori e propagatori di sì utile scienza. Già die opere di statistica medica accuratis- sime : continua ora la compilazione di quella di Milano, intorno alla quale terrò ragionamento. Nella prima parate si espongono dall'A. i con- cetti filosofici sull'ordinamento della statistica. Al principio del secolo XIX surse la scienza statistica, ed il più grande filosofo statista fu Melchiorre Gioia. Si die vanto agli stranieri, cioè ad Achenwal profes- sore a Gottinga ( 17^ ), di avere inventato la pa- rola statistica. Questo vocabolo derivando forse dalle voci latine status o statutus, o dalle italiane stato, stabile, statuito, fu per la prima volta adoperato da Girolamo Ghilini nella sua opera intitolata Teatro degli uomini letterati alla pag. 235 e 362 del pri- mo volume. Il Segneri usò statisti in senso di per- sonaggio di governo, consigliere o ministro che re- gola affari di stato. Achenwal definisce la statistica: « Profonda co- » gnizione di cose rimarchevoli e veramente esisten- » ti in uno stato ». Gioia nella sua logica statisti- ca: « Arte di descrivere, calcolare, classificare tutti gli » oggetti in ragione delle loro qualità costanti e va- » riabili: » ed altrove: « La scienza che descrive un » paese in modo da presentarne i vantaggi e i dan- » ni di ciascun'oggetto per norma di tutti i cittadi- » ni, di ciascuna professione, del governo, degli e- » sieri » ( Indole, estenzione e vantaggi della sta- tistica. Milano i83o ). Secondo Gian Domenico Ro- magnosi significa: « Esposizione dei modi di essere e » delle produzioni interessanti delle cose e degli uo- » mini presso di un dato popolo ». In un articolo segnato P. M. inserito nella biblioteca italiana ( gen- l6f> ScTtWZE naio 1838) si definiva la statistica., indicandone l'u- tile scopo, ce'seguenti termini: « Riteniamo che la » statistica di un paese non debba esser altro, che la » fedele ed ordinata esposizione di tutto ciò che es- » so contiene di notabile e giovevole a sapersi , e » che può esprimersi in quantità determinate. Egua- » le incarico, per vero dire, ha pure il geografo : ma » fra esso e lo statista v'è questa differenza, che al » primo incumbe di somministrare le nozioni gene- » rali degli oggetti che il paese presenta , e che il » secondo deve decomporre tali nozioni, f porgerle ì) suddivise in quegli elementi, che imporla di cono- » scere e di apprezzare. Così, per esempio, il geo- » grafo indica la popolazione di un regno, d'una cit- » tà, d'un luogo qualunque : lo statista non si ac- » contenta di ciò, ma distingue i maschi dalle femmi- » ne, i fanciulli dagli adulti, i nubili dagli ammo- » gliati ec. Queste nozioni cosi decomposte, dovendo » esprimersi in quantità numeriche, vengono ordina- » riamente presentate in forma di tabelle o prospetti, » non solo per abbreviare la descrizione di tanta co- » pia e minutezza di oggetti, ma per facilitare ezian- » dio i confronti, che occorre spesse volte d'istituire » fra le condizioni di un paese e quelle di un al- » tro. Taluni poi credono le statistiche soltanto fat- » te per appagare la dotta curiosità dei coltivatori » delle scienze politiche ed economiche: altri prelen- » dono invece che non debban servire che ai biso- » gni dell'amministrazione pubblica e dei governi. » Noi crediamo che esse giovar possano a questo du- » plice fine, semprechè le notizie che porgono siano » sicure, ed in qualche modo autentiche ed officiali ». Il eh. dott. Ferrano passa ad esporre i princi- Statistica medica di Milano ,6i pn statistici di Gioia, Romagnosi e di Tommasini, i qual, sebbene di grandissima utilità , per esser bre- ve, tralascio. In questi capitoli si presentano con mol- ta chiarezza e giudizio le sentenze principali riguar- dane la scienza statistica (dalla pag. ? alla p. 58 ) Propone quindi un registro degli ammalati, ed una tavola statistica ad uso degli spedali ed anche delle case private. È un vero bisogno che gli stabilimenti sanitari abbiano un registro in forma di tavola con apposite divisioni contenenti gli elementi statistici nece sari per potere dalle loro somme e medii settimanali, mensi- li ed annuali, dedurre corollari per comune norma di- rettrice Lna tavola si redigerà per le infermerie me- diche, altra per le chirurgiche, l'una pe'maschi, l'al- tra per le femmine, Queste notizie in compendio sa- ranno possdnlmente, secondo 1' A., le seguenti così ordinate ( pag. 5o, ). I. Relative alla località dell'infermeria N. N ordinaria o straordinaria. Situata a piano terreno, o al primo piano, se- condo ec, esposta a settentrione, levante, mezzodì ponente e e. ' Altezza, lunghezza, larghezza del locale: a voi ta di muro, o a soffitta di legno, con pareti imbian- cate dalla calce, o no. Avente N. porte, N. finestre, N. ven- tilatori ec, le cui aperture, tutte comprese, som- mano N. braccia in quadro. Ambiente suo molto o poco ventilato; vicino o no ad acque stagnanti. Elevazione barometrica, temperatura ed umidità interna dell'infermeria. G.A.T.LXXXVIII. i6a Scienze Confronto col massimo e minimo del barome- tro, termometro ed igrometro esterno ; osservazioni aggiunte sul vento dominante, ago magnetico, stato del cielo, ec. II. Relative alla persona ammalata. Sesso, età, quale temperamento ed abito di cor- po, slato, se celibe, coniugato o vedovo, professione, abitudini buone o cattive: per esempio, si ubriaca ? fuma molto tabacco? è dedito ad eccessiva venere? ec. Soggetto o no a malattie o vizi organici eredi- tari, congeniti od acquisiti: per esempio, è affetto da rachitide, scrofola, scorbuto, sifilide ? ec; con quan- ti salassi o sanguisughe, e con quali rimedi, per es. la digitale, ec, furono curati i precedenti suoi in- comodi o malattie, e se v'ha palpitazione di cuore od altri fenomeni morbosi , in chi soggiacque lungo il corso della vita all'abuso del salasso o d'altre gene- rali sottrazioni sanguigne ec ; proveniente da qual paese, secco od umido; notizie straordinarie spettanti al caso, ec Causa della malattia presente, se è nota, dub- bia od ignota; giorno in cui cominciò il male; se sia stato curato subito o no, e con quali rimedi. III. Relative alla durata ed all' 'esito della cu- ra medica nelV infermeria. Giorno d'ingresso del malato nell' infermeria e nome della sua malattia. Se è morto nelle prime ventiquattr'ore del suo ingresso. Giorno in cui è guarito o morto dopo normale trattamento curativo , ovvero passato in qualche al- tra infermeria, o dimesso cronico od insanabile. Statistica medica di Milano i63 Numero dei giorni che rimase in cura nell'in- fermeria. Totale numero dei giorni che durò dal princi- pio al fine la malattia. Se dimesso guarito è ricaduto, o fu colpito da altra, e quale malattia, nel corso del primo mese dal- la partenza dell'infermeria. IV. Relative ai rimedi usati pel malato. Numero dei salassi e quantità del sangue cava- to, delle sanguisughe, delle ventose, dei vescicanti , dei clisteri ec. od altre operazioni chirurgiche. Quali e quanti i rimedi interni ed esterni far- maceutici e loro costo. V. Relative al vitto prestato al malato. Quale e quanto; suo costo. VI. Relative al servizio particolare e gene- rale. Numero dei medici e dei chirurgi, compresi il direttore, l'ispettore e gli aggiunti medici o chirurghi, e loro costo. Numero dei sacerdoti e loro costo, comprese le spese per l'esercizio del culto. Costo dei portantini, infermieri, portinai, lavan- dai, cuochi, facchini ec. ec. Costo per acquisto e consumo di attrezzi e stru- menti medico -chirurgici; cinti, ventriere, sospensori, calze espulsive ec. Idem pel dissettore e pel gabinetto anatomico. Idem per biancheria , materassi e cuscini , co- perte di lana, vesti, fasce, pezze, filacce ec. Idem pel mobigliare necessario all'infermeria ed alle persone addette al servizio. Idem pei combustibili, legna, carbone, cera, can- dele, olio ec. i64 Scienze Idem per uso dei locali, riparazioni, imbianca- ture annuali, espurghi anticontagiosi ec. Idem per la cancelleria, ragionateria ed ammi- nistrazione interna ec. L'A.. fa quindi rilevare l'utilità di questo spec- chio. Il confronto delle osservazioni meteorologiche dell'interno dell'infermeria coll'esterno servirà al me- dico per conoscere quali variazioni sono più a meno fauste, sotto quali di queste si svolgono le malattie asteniche o steniche, leggiere o gravi , e somiglianti cose. La somma di tutte le età dei malati di un mese, divisa pel numero dei malati, farà conoscere l'età me- dia che a preferenza infermò in quel mese. Egual- mente dalla somma mensile si avrà il sesso, il tem- peramento, stato, professione e tutt'altro nella tavo- la indicato. Discorse tali cose, che formano un dot- tissimo proemio, incomincia la storia della statistica. Epoca I. Nozioni statistiche presso gli ari" fichi popoli fino alV E. V. Non esiste alcun' opera antica che tratti della scienza statistica, seppure non vogliasi riguardare come tale l'opera di Senofonte de redditibus (*). Le antichissime nazioni col dividere la popolazione in caste e tribù, mostrano aver ado- perato una maniera di statistica partizione. Non si applicò alla medicina, che altro non era che un'arte empirica esercitata per lo più dai sacerdoti. Fiorirono due grandi personaggi, Mosè grande statista-politico, ed Ippocrate primiero statista-medico. Servio Tullio 534 anni avanti l'È. V. istituì il censo non ancora noto al mondo. (*) In questo giornale al ionio 12, pag. 112 si legge un fa- vorevolissimo giudizio dato intorno 1' opera di Senofonte delle finanze di Atene , tradotta ed illustrata da Antonio Padovani prof, ordinario di statistica in Pavia, ove fu stampata nel i8at col testo a fronte. Statistica medica di Milano iC5 Epoca IL Dal princìpio delVE. V. sino al- l''anno iooo. Decadenza in Italia della statistica, e d'ogni scienza per la successa invasione delle orde barbare del nord di Europa. Augusto fu il primo che estese il censo a tutte le provincie 28 an- ni avanti l'È. V. Visse in quest' epoca Claudio Ga- leno di Pergamo, genio sublime e brillante, al dire di Sprengel, il quale comentò ed illustrò Ippocrate. Tra i lavori statistici sulla popolazione deesi ricordare la tavola della vita futura di Ulpiano, che è la più antica tavola della mortalità che si conosca. Eccola. 00 — ■ 1 v3- Jj ^r IO ^r | ^3- m ~J «0 to "a - V e T3 « e > O W e e Oh W r' 2,- «O ■ -a - 'S •» 'SS to -t- a i66 Scienze Nell'opera Corpus iuris civilis romani : dige- storum lib. XXXV, tit. II ad le geni falcidiami evvi un regolamento che dimostra, come avessero gli an- tichi romani già fatto studi statistici, affine di calco- lare la durata probabile della vita. Alla filantropia di alcuni personaggi devesi la erezione de'lazzaretti, de- gli ospedali e delle case di ricovero pe' trovatelli. Epoca III. DalVanno iooo delV E. V. fino al 1 7 5 o. Elementi della moderna scienza di sta- to denominata anche col suo vocabolo tecnico di statistica, dapprima in Italia, poscia in altre na- zioni europee, e principio del reale di lei risor- gimento contemporaneo a quello delle altre scien- ze ed arti belle. In Milano fu proposto un censo generale che compievasi nel 1248. Il risorgimento della notomia nel XIV secolo operò assaissimo pei futuri progressi della medicina. La repubblica veneta fino dal XII secolo die ordine per la prima a tutti i suoi registri con tanta diligenza e con forma sì ac- curata e magnifica, che quelle pergamene vergate in tempo, in cui le altre nazioni d'Europa non sapeva- no quasi scrivere, costituiscono anche al dì d'oggi un venerabile monumento. Oltre a ciò colle leggi 9 di- cembre 1268, e 24 luglio 1296 prescrivonsi regole e forinole, secondo le quali dovevano i suoi diplo- matici 0 governatori raccogliere, ordinare e presen- tare al senato la descrizione di quegli stati e paesi, in cui venivano destinati a risiedere. Saggio ben lu- minoso di studi statistici fatti a Venezia è quello che diede nel i3o6 Marino Sanudo il vecchio, sopran- nominato Torsello, nell'opera da lui composta col ti- tolo : Liber secretorum fidelium crucis , la quale nella raccolta Gesta Dei per francos è uscita dai Statistica medica di Milano 167 tipi vecheliani in Annover nel 161 1 , tratta da un codice di Paolo Petavio. Questo grand1 uomo, delinea- ta la topografia dell'Europa, dell'Asia e dell'Affrica, la scena cioè, come dice Gioia, ove devono compa- rire gli attori , nella quale egli fece agire flotte ed eserciti, passa ad enumerare i diversi rami di com- mercio elle uniscono l'occidente all'oriente, e con- cepisce l'alto disegno di proclamare quel sistema con- tinentale, che abbiamo veduto praticarsi da Napoleo- ne, al grande oggetto di troncare ogni relazione fra l'Europa e le altre parti del mondo dagl'infedeli oc- cupate. Così altre importantissime materie statistiche va ordinando e discutendo, per riunirle nel fine in ta- vola sinottica che diresti tracciata dalla mano mae- stra di un Gioia. Forse nel 1171 fu compilato nella medesima re- pubblica il Catasto delle case, che venne rinnovel- lato nel i425. Migliore erane l'ordinamento di quel- lo, che il duca Carlo di Calabria nel 1 32 7 fece com- porre da un giudice, e di quelli che ai tempi di Car- lo V erano in vigore nella Lombardia. » Altro lumi- noso monumento delle statistiche cognizioni fu pre- sentato al senato veneto nel 1421 dal suo doge Tom- maso Mocenigo, il quale espose con somma precisio- ne la bilancia del commercio marittimo e terre- stre attivo e passivo fra i veneti stati e le straniere regioni. Quel doge descrisse minutamente la qualità e quantità delle droghe, medicine, lane, sete, coto- ni, metalli, colori ec, che dall'Asia e dall'Affrica ve- nivano trasportate in Venezia; ed anche ciò che ave* rapporto col debito pubblico e modo di ammortizzar- lo, col commercio, colla navigazione, colle forze dello stato ec. era da lui investigato, fino la potenza na- i68 Scienze vale della stessa repubblica ». Gli altri stati d'Italia giaceano in molta oscurità rapporto alla statistica. Il Lastri nelle sue Ricerche sull'antica e mo- derna popolazione della città di Firenze per mez- zo dei registri del battistero di s. Giovanni ne fa conoscere le nascite di detta città dall'anno 1^-5 1 al 177/1-5 e ricorda un antico libro di battesimi dell'an- no 1370 esistente in Siena. I registri di tal sorta nel nord di Europa toccano appena il i5° e 160 se- colo. Prima del concilio di Trento ( i545 ) i parro- chi non erano obbligati a formare i registri di bat- tesimo. Ciovanni Graunt pubblicò nel 1661 le sue Osser- vazioni sopra le tavole della mortalità. Nel 1666 Galeazzo Gualdo Priorato compilò la Relatione del- la città e stato di Milano , e quindi molte altre relazioni riguardanti diversi stati d'Italia e d'Europa. I. Isaac Quatroux o Quintroux nel 1671 pubblicò a Parigi lo stato generale dei battesimi , matrimoni e morti di Parigi degli anni 1670 e 167 1. Dopo que- sti l'inglese W. Petty stampò nel i683 le Osserva- zioni sulle tavole di Dublino , e nel 1691 die a luce in Londra l' Aritmetica polìtica, in cui istitui- sce confronti tra l'Inghilterra e la Francia. Edmon- do Halley esaminò le tavole mortuarie di Breslavia nelle transazioni filosofiche dell'anno i6g3. Lo studio dell'anatomia umana ampliatosi e dif- fuso arrecò grandi vantaggi alla medicina, come in- signi furono quei ritratti dalle osservazioni intorno all'epidemie fatte da Baillou detto Ballonio, da Syd- henam, da Baglivi, da Lancisi, da Torti e da Val- carenghi. La polizia medica e la istituzione dei lazzaret- Statistica medica ni Milano 1O9 ti resero meno feroci e meno frequenti le posti. Ve- nezia nel i4o3 e i/^BS avea dato primiera l'esempio Pisolare i malati di peste e di sottoporre le merci alla depurazione. Ferrara nel 141 o, come asserisce il dott. Luigi Buzoni nel suo opuscolo Di alcune di quelle più giravi pestilenze che in diverse epocìie afflissero V umanità ( Ferrara pel Bresciani 1829 in 4* )•> avea anch'essa un ben'ordinato lazzaretto. In Francia ed in Germania sul declinare del XVII secolo fu creduta la statistica studio nuovo. Achenwal, che dopo qualche tempo ne ordinò le va- rie nozioni, fu proclamato fondatore. Niemann co- mincia l'era statistica da Francesco Sansovino vene- to, il quale coi materiali che per le citate leggi del 12Gb e 120,6 gli ambasciatori ed i consoli raccoglie- vano nelle varie parti del mondo, pubblicò nel 1 567 in Venezia Del governo dei diversi regni e re- pubbliche così antiche come moderne. Butte inco- mincia lo studio statistico da Vito Luigi di Seken- dorf, che ne tracciò l'idea nel i656, e da Ermanno Konring che ne diede lezioni accademiche in Helm- stadt verso il 1660. Il nostro Gioia nomina esso pu- re tra primi il Sansovino, e dopo lui Giovanni Bo- terò piemontese , che stampò in Venezia nel i6o5 sotto gli auspici del doge e del senato la sua Rela- zione della repubblica. In essa espone la topogra- fia, la popolazione, le ricchezze , le rendite pubbli- che, le forze navali e terrestri, l'amministrazione ci- vile, il clero ed altre cose che porgono 1' idea pre- cisa del veneto dominio in quell'età : al quale pro- spetto ne aggiunse un altro consimile intorno allo sta- to della chiesa; e fino dal i5g2 avea dato a luce in Roma le sue Relazioni universali, in cui descrive- va le tre parti dell'antico mondo da accurato statista. 170 Scienze Al sorgere del XVII secolo lo studio della sta- tistica cominciò a svolgersi sul Reno ed in Francia, e se ne han prove nei saggi dì Gaspare Ens a Co- lonia nel 1609 e 1611, di Pietro d'Avitry a Parigi nel 1622, di Sully sotto il titolo di Economie reali, e nelle Repubbliche degli Elzeviri in Olanda intor- no al i63o , nelle quali furono inserite alcune di quelle de'veneti e di altri italiani. Questo studio si dilatò moltissimo in Germania: così in Francia nella prima metà del secolo XVIII si fecero noti parecchi saggi sul calcolo di ogni specie, e si distinsero De Parcieux, De Massence, Moheau, Saint-Cyr , Pom- meles, Cordorcet, Buffon, Neker con altri. Epoca IV. Dall'anno 1750 al 1800 delFE. V. Lezioni ed opere pubbliche intorno alla moder- na scienza statistica presso le varie nazioni di Europa. Il nuovo ed ultimo censimento di Milano fu ordinato nel 17 18 e compito nel 1757: può pro- porsi a modello per tutti i governi dell'universo. Le statistiche e le scienze economiche primeggiavano in Italia : venerandi sono i nomi di Pietro Verri , di Pompeo Neri, di Rinaldo Carli e di Cesare Becca- ria ; le loro opere classiche ed immortali. Nel regno di Napoli il Galanti compilò nel 1789 la Descri- zione del regno delle due Sicilie , opera che ot- tenne plausi in Italia ed altrove. La parola statistica nel 1789 fu usata in In- ghilterra, ed in quel torno anche in Francia. Schlò- tzer e Busching raccolsero in copia nelle loro opere geografiche preziosi materiali statistici , sehhene mal digeriti. Il senato di Venezia nel 1764 ordinò che allo spirare di ogni lustro si rifacesse la statistica ; i magistrati lo eseguirono da inesperti , celando i Statistica medica di Milano 171 rlsultamenti di quei lavori, e col loro inopportuno silenzio trassero forse in rovina la patria. Questa fa- mosa repubblica fino dai suoi primordi fu guidata nelle sue colossali imprese dalle cognizioni statisti- che : e quando le coprirono di tenebre , apparvero i primi segnali della sua caduta, la quale dopo non molto si verificò. Eulero nel 1760, Lambert nel iy65 e Bernoul- li nel 1771 diedero nelle memorie dell'accademia di Berlino alcune belle dissertazioni sui vari rami del calcolo di probabilità. Il barone Bienfeld nelle sue Istituzioni politiche al capo 14 presenta con bre- vità la Storia dell1 aritmetica politica dal secolo XVI fino al 1760, anno in cui stampava. Secondo lui , P aritmetica politica era stata ridotta a scien- za particolare appena da 70 anni in poi. Hensler e Tetens nel 1767, Chassetdi Florimont nel T781, ed in seguito Mohsen, Crome, Schrader, Budde, Mul- ler ed altri si applicarono al calcolo delle rendite ed ai quadri statistici. W. H. Mùller pubblicò nel 1799 vari prospetti sul Brandeburgo. Le scienze di stati- stica fecero grandi progressi in Alemagna e soprat- tutto in Prussia dopo Federigo il grande. La Danimarca, avida di tutto ciò che ha rappor- to colla polizia medica, offre pei tempi moderni in- numerevoli materiali. La Russia, che cominciò ad oc- cuparsene nel 1764» ci fornì le sue osservazioni nel- le memorie dell'accademia di Pietroburgo , e sono ben ricordevoli quelle di Kraft raccolte nel volume dell'anno 1782. Franklin negli Stati-uniti avea pubblicato nel 1785 un articolo sull'aumento della specie umana. Malthus ed altri scrissero sopra i vantaggi ed i dan- 172 Scienze ni delP accrescimento della popolazione. Gli ameri- cani per il loro stesso regime si trovarono obbli- gati di tenere i registri della popolazione e rinnovar- ne la numerazione ogni dieci anni. Nei loro medi- ci Mitchel a New- York, Rush a Filadelfia ed altri, ebbero uomini atti a secondare le proprie utilissime vedute. Fiorirono in quest'epoca grandi medici, tali so- no Borsieri, G. Pietro Frank, Stoll, Zimmermann , Brown ed altri. Molte e grandi furono le scoperte : e si pose la base di alcune scienze. Epoca V. Dall'anno 1800 al 1840 delVE. V. Pubblico insegnamento teorico e pratico della statistica presso tutte le nazioni, anche applicata alV arte medica. L'imperatore Leopoldo, che nel 1795 avea prescritto l'insegnamento della statistica in tut- te le università, fece coprire la nuova cattedra di sta- tistica in Vienna da Ignazio De Lucca. I suoi succes- sori favoreggiarono sì bella intrapresa, e al giorno d' oggi s'insegna la statistica generale delle nazioni nel- le università di Pavia, Padova, Vienna, Praga ec. Nel regno lombardo-veneto da parecchi anni si pubblica- no annualmente colle stampe i prospetti statistici del- la popolazione, dei nati, dei morti e dei matrimoni delle singole provincie. Nel regno sardo v'ha un il- lustre società di dotti intenta a favorire la statistica in ogni suo territorio, non meno che in altri prin- cipati d'Italia. In Francia il ministro Neker istituì un dicaste- ro statistico , che fu conservato in mezzo alle più strane vicissitudini di quella nazione : fu poi aggiun- to al ministero dell'interno. Si formò altresì in Pa- rigi una società, che die a luce nel 1804 un'opera Statistica medica di Milano 178 sullo stato della Francia : e negli anni prossimi fu- rono pubblicati molti prospetti statistici degli ospe- dali e luoghi pii. Arago a Parigi, Quetelet a Brussel- les coi loro annuari presentano già da parecchi an- ni estesi elementi di statistica. A Ginevra si ha da molto tempo una particolare predilezione pei lavori di statistica, come ci dimostra la sua Bibliotéque uni- verselle. Nell'Inghilterra la pubblicità del suo sistema go- vernativo ne facilitò la coltivazione. Fra le più re- centi opere statistico-civili devesi ricordare il qua- dro della gran Brettagna di Beart. In Russia si adottarono nel 1802 efficaci misu- re per la raccolta e l'ordinamento dei materiali ne- cessari alla compilazione di un prospetto generale sta- tistico, di cui comparirono alcuni saggi nel 1804. La Prussia eresse nel i8o5 un apposito officio pei lavori statistici, che nel 1809 fu aggregato al mi- nistero dell'interno. Nel 1802, scrive Balbi, e prima che a Parigi, a Londra ed a Berlino si dessero alle stampe quei scientifici giornali, che trattano esclusivamente della geografia e della statistica, Genova ebbe i suoi An- nali di geografia e di statistica compilati dal ce- lebre Gràberg di Hemso, che sebbene per nascita ap- partenga alla Svezia, pure vuol essere annoverato fra i dotti italiani, avendo nella nostra favella pubblica- to la maggior parte delle sue opere, ed essendo egli collaboratore di più riputati scritti periodici d'Italia. In Lombardia primeggiò Gioia, quindi Romagno- si qual principale scrittore degli Annali di statìstica pubblicati in Milano dal 1824 in poi: e per la sta- tistica applicata alle venete provincie ( 1824 ) ricor- iy4 Scienze derassi ognora il eh. Antonio Quadri. Adriano Balbi da più di 3o anni si occupa delle scienze geografia che e statistiche. Il dott. Giorgio Norb. Schnabel professore di sta- tistica a Praga pubblicò, non ha guari, la statistica generale di Europa. L'ultima edizione è del i833 ; e fu tradotta a Pavia nel 1 835. « La prima compilazione delle effemeridi, secon- do l'illustre astronomo di Milano cav. Carlini, fu di pochi anni posteriore all'invenzione della stampa, e devesi a Giovanni Mùller di Conisberga, conosciuto comunemente sotto il nome di Regiomontano deri- vatogli da quello della sua patria , il quale le pub- blicò per tutta la serie degli anni compresi fra il i^jS ed il i53i. Le riprese Stoffler di Tubinga nel 1482, conducendole fino al i55o. Questo lavoro fu conti- nuato per opera principalmente degli astronomi ita- liani Cavalli, Magini, Argoli, Mezzavacca, Manfredi, Capelli e Zanotti, ne fu più interrotto fino a'giorni nostri, vedendo noi pubblicarsi regolarmente il Nati- tical almanac a Londra, la Connaissance des tetris a Parigi, V^stronomisches iahrbuc a Berlino, e le Effemeridi astronomiche a Milano ed a Bologna ». Gl'italiani furono i primi a dare ragionate e pub- bliche norme di statistica medica con pratica appli- cazione: e l'antesignano fu Giovanni Rasori, dando il prospetto di un semestre, cioè dal dicembre 1807 al maggio 1808, della sua clinica regia militare , che era posta nell' ospedale militare di s. Ambrogio : il quale prospetto rimase adora poco attendibile, perchè scoprironsi in esso sbagliate o trascurate delle im- portanti cifre , come mostrarono Cerri e Giannini. Rasori applicò pure il metodo numerico per conosce. Statistica medica di Milano 175 re qual fosse l'esito delle peripneumonie dietro l'uso del tartaro stibiato, e la quantità dei salassi stati fat- ti nelle singole infiammazioni del polmone, e ne ab- biamo convincente prova nella sua memoria Delle peripneumonie infiammatorie e del curarle prin- cipalmente col tartaro stibiato, da esso pubblicata fin dall'anno 181 1. Così nel 1819 die un nudo e preciso ragionamento sulla Mortalità comparativa delle sale mediche e della clinica medica dello spedale civico di Milano negli anni 1811, 1813 e 1814. Dal prof. Valeriano Luigi Brera nell'anno i8ia fu stampato in Padova il Prospetto dei risultati ot- tenuti nella clinica medica regia di Padova, e si continuò fino al 1826. Il metodo statistico del prof. Brera fu migliorato negli anni 18 12 e seguenti. Il dott. Tiene dava alle stampe nel 181 1 in Pa- dova un Saggio nosograjico, ossia le risultanze ot- tenute sopra 556 infermi curati nell'ospedale grande di Vicenza nell' anno 18 io. Corredò questo saggio di una tavola meteorologica, in cui egli pose i medii mensili del barometro, termometro, igrometro ed ane- moscopio. Così nel 18 18 die il Bilancio medico del tifo contagioso che regnò epidemico sulla provin- cia vicentina nel 181 7I, nel quale presentò savissi- me riflessioni medico-praticbe riguardanti l'abuso che solea farsi dei salassi e dei controstimolanti. Pubblicò il dott. Enrico Acerbi nel 18 19 le An- notazioni di medicina pratica fatta nelf ospedale maggiore di Milano nel 18 16. Si proponeva con- tinuarle, ma la morte immaturamente lo colse. Pregevoli tavole statistico-cliniche veggonsi nel- l'opera del dott. Annibale Omodei Del governo pò- 176 Scienze litico -me dico del morbo petecchiale con un pro- spetto nosografico-statistico-comparativo della feb- bre petecchiale che ha regnato epidemicamente nella Lombardia negli anni 18 17 e. 181 8 per uso dei medici e dei magistrati ( Milano 1822-24, voi. 2 ). In questo trattato inserì moltissime tavole stati- stiche spettanti alle varie provincie e comunità lom- barde. Il dott. G. M. Zecchinelli die a luce una Nar- razione dell'origine, propagazione, andamento, cu- ra ed esito del tifo contagioso , che ha regnato epidemico nella R. città di Padova nei primi ot- to mesi del 18 17. E un rapporto all'ufficio della con- gregazione municipale della detta città, nel quale tro- vasi il prospetto de'petecchiosi, distinti secondo l'età e la professione. 11 prof. Mantovani, destinato a dirigere la cli- nica medica pe'chirurgi in Pavia, pubblicò nel 1820 le Lezioni di terapia speciale sulle infiammazioni e rendiconto clinico dalVanno scolastico 1818 al 1819. Il cav. Carlo Speranza, prof, di clinica medi- ca nella ducale università di Parma, oltre uNAnno clinico-medico degli anni 1822 e 1823 fatto di pub- blica ragione nel 1825 in Parma, die 1' altro anno clinico-medico pel 1823 e 1824: eruditissimo lavoro, al quale unì un comentario sul tetano. Francesco d'Hildebrand, prof, di clinica medica a Pavia, pubblicò gli Annales scholae clinicae me- diacae ticinensis pars prima. Papiae iftib^pars al- tera, Papiae i83o : opera in cui dispiega un vastis- simo sapere, e che correda di eccellenti quadri sta- tistici degli infermi in essa clinica da lui curati dal 18 17 al 1821. Pubblicava in Milano il prof. Giaco- Statistica medica di Milano 177 mo Tommasini nel i83o il Prospetto dei risulta - menti ottenuti nella clinica medica di Bologna dalVanno 1823 a tutto il 1828. Il numero degl'in- fermi è diviso secondo la varia gravezza e qualità di malattia colla rispettiva mortalità per 100. Il eh. G. B. Fantonetti dava alle stampe a Milano nel i832 i suoi risultamenti statistici nella memoria Ratio me- dendi in clinico instituto medico ticinensi anno i83o-3i. Il quadro statistico per gli anni i83i-32 fu dal prof, medesimo gentilmente donato all' A. col permesso di pubblicarlo: e ciò egli ha fatto a pag. 3x2. Anche 1' illustre Gaspare Federigo compilò il Rendiconto generale degli ammalati ricevuti nella clinica medica delV I. R. università di Padova ( ivi i837 ). Dal i83o in poi, dacché il cholera morbus asia- tico s'introdusse nell'impero russo, da cui si diffu- se per l'Europa, l'Affrica e l'America, i quadri sta- tistici e topografici si aumentarono oltremodo: e vano sarebbe il volere enumerare tutti quelli che riguar- dano tal contagio. Il eh. dott. Giuseppe Ferrario nel i834 die la Statistica delle morti improvvise di Milano, opera che fu premiata e pubblicata dall'I. R. governo au- striaco. Questa produzione abbraccia il considerevole periodo di 84 anni, cioè dal 1780 al 1 834 » e^ G corredata di io3 tavole statistiche. Si continuò es- sa nei due annuari di Milano per gli anni 1 834» i835 e i836. Proponendosi nella suddetta opera l'applicazione in grande della statìstica alla pratica dei vari sistemi dominanti di medicina, per avvantag- giare, o almeno dimostrare quale fosse di essi il mi- gliore, torna ad insistere sul bisogno di un sì utile G.A.T.LXXXVIII. 12 1^8 Scienze sperimento nella Statistica giornaliera, ed in quella del cholera avutosi in Milano e nel regno lombar- do-veneto nel i836, lavoro inserito nelle Effemeri- di mediche di Fantonetti. Giacomo Locatelli, al quale i riconoscenti cit- tadini milanesi stanno ora erigendo un monumento nel civico spedale, compilò il Prospetto della cli- nica medica dello spedale maggiore in Milano per Vanno 1816. - I Riassunti numerici annuali delVi- stituto clinico di medicina pei chirurgi presso V I. R. università di Pavia dall'anno 1820 al i834, furono scritti dal prof. G. Del Chiappa. Gli annuali ragguagli si pubblicarono negli annali universali di medicina di Omodei. La clinica medica pei chirurgi nelVI. R. u- niversità di Padova, alla quale supplisce dalVan- no scolastico i83o-3i al 1 833-34 il doti. Giaco- moandrea Giacomini : esposizione compendiata per opera di Gio. Battista Muglia. Padova i836. In tale scritto è aggiunto altresì , sotto forma di qua- dro sinottico, un saggio di ordinamento e denomina- zione delle malattie, secondo la loro indole e sede, giusta le vedute dello stesso Giacomini. Il prof. Carlo Giacinto Sachero al Rendiconto clinico per gli anni accademici 1 835-3 7 (Torino i838 ) unì un quadro nosologico, secondo 1' ordine anatomico-fisiologico da lui adottato nell' insegna- mento. Nella medesima Torino il dott. Bernardino Bertini pubblicava nel i835 la statistica nosologica dal 1821-34 dello spedale de'ss. Maurizio e Lazzaro, distinguendone i malati secondo i mesi dell'anno, la loro età, professione ec. Il Saggio di statistica del regio manico/nio di Torino dal 1 gennaio i83i Statistica medica di Milano 179 al 3i dicembre i836 del dott. Giovanni Stefano Bonacossa ( Torino 1837 ) raer^a di essere propo- sto a modello in opere di simil genere, avendo egli adoperato una minutezza ed una precisione mirabile. Anche il Longaretti stampò nel i833 un Quadro statistico dei mentecatti incorrati negli asili di Bergamo dall'anno 1823 al i833. Il dott. A. Bosi, medico provvisorio dello spedai le di Faenza, compilava nel 1 887 la statistica medica di quello spedale dal luglio i836 al fine di giugno i837. Passando alle statistiche chirurgiche, incomincia FA. da quella del prof. Bartolomeo Signoroni come la migliore. Pubblicò questi nel 1825 i Risultameli- ti avuti nella clinica chirurgica dell' 1. R. univer- sità di Pavia in quell'anno , esponendoli con can- dore e verità. Passato il Signoroni nel i83o alla cat- tedra chirurgica di Padova, die molti articoli di chi- rurgia teorico-pratica, epilogati in un libro, affinchè servir potesse di testo per le sue lezioni di chirur- gia pratica. Vi unì le risultanze ottenute nel trien- nio scolastico i83o-33 della medesima clinica chi- rurgica di Padova. // prospetto delle malattie ed operazioni avute nell'istituto chirurgico di perfe- zionamento in Vienna durante l'anno 1821-22, sot- to la direzione del prof. Kern, fu riportato dall' A. per confrontare questi risultamenti con quelli del prof. Signoroni: e da ambedue le opere ha formato i ri- spettivi quadri statistici, la materia dei quali era fusa in quegli scritti. Il prof. Frank a Lipsia nel 1808 dava i risul- tamenti della sua clinica di Wilna capitale della Li- tuania: Acta instituti clinici caesareae università- ilio Scienze tis vilnensis annus primus et secundus 1805-1807: nel 18 12 Annus tertius, quartus, quintus et sextus, cioè lo stato della sua clinica dall'anno 1808 al 181 1. Dei ridicoli omiopatici mi taccio : mentre, più tosto che meritare l'occuparsi di loro, son degni di esser fischiati dalla più vile plebaglia. L'A. parla quindi dei computi fatti dagli arit- metici politici sul numero degli abitanti, matrimoni, nati e morti, sulle loro proporzioni, sulla vita media e probabile in generale , e sopra la mortalità degli spedali. F, tutti questi gravissimi argomenti di sto- ria statistica svolge egli con grande erudizione e mae- stria , appoggiando le sue idee a quelle dei sommi maestri, a tavole statistiche di ogni maniera , tratte dalle varie nazioni del globo. Presenta quindi le pro- poste, le discussioni e le determinazioni di alcuni prin- cipali corpi scientifici di Europa sulla statistica medi- ca, i giudizi intorno alle sue opere statistiche, ed in fine riporta per intero la memoria che lesse a Pisa nel giorno 7 ottobre i83q intitolata: « Ragionamenti n sull'utilità e necessità della statistica patologica , » terapeutica e clinica ; pensamenti sull' istituzione » pubblica di una statistica medica nazionale e ma- il gistrale, consentanea alla filosofia del secolo XIX.» Fu inserita nel volume 92 pag. 249 degli annali universali di medicina di A. Omodei, qui riprodotta con l'aggiunta di alcune note, e di un modello di tavola nosografica. Le opere di statistica pubblicate dal eh. dottor Ferrano sono di tale importanza, che meritano es- sere profondamente studiate dai governi e dai dotti. La diligenza e l'esattezza, pregi necessari nella stati- stica, spiccano soprattutto nei suoi scritti. Cento ot- Statistica medica di Milano i8r tantasei tavole impaginate economicamente dispose nel primo tomo dell'opera in discorso, la quale con- tiene la storia della statistica fino a'nostri giorni. Si sobbarcò egli all' enorme fatica di porre a disamina tutti i calcoli presentati dagli statistici, intorno ai qua- li ragiona: e molti di questi che trovò errati , pre- senta correttissimi : altri ne creò egli stesso col mi- nutissimo studio di opere che ne mancavano. Oltre a ciò arricchì quest'opera delle vedute teorico-prati- che dei diversi autori medici , le quali servono per mostrare i rapporti tra le seguite norme e le risul- tanze statistiche che si ebbero : il che è metodo uti- lissimo e sommamente commendevole, perchè mostra, e meglio lo mostrerà coll'aumento dei fatti, quali so- no i sistemi medici preferibili. L'angustia di un giornale mi ha limitato in tanta ricchezza di dottrine, di erudizione e di fatti, a spor- re soltanto le più importanti cose trattate dall' A., ed a presentare una maniera di bibliografia statistica, dalla quale chiaro apparisce ciò che gì' italiani han- no operato tanto nei tempi antichi quanto nei mo- derni, prima per fondare, e quindi per rendere grande e filosofica la scienza statistica. ( sarà continuato. ) Enrico Castrecà Brunetti. Ili2 LETTERATURA L'illustre Italia. Dialoghi di Salvatore Betti. DIALOGO PRIMO. i.N« on sono molti mesi passati che stando io, co- inè soglio, atteso di buon mattino a'miei studi, venne a me un pittore non solo degli amicissimi , ma de'pri- mi che a questo tempo fioriscano le nostre arti: impe- rocché tutto dato nobilmente a seguire le divine scuole di Leonardo e di Raffaello, gloriasi di non avere in- chinato giammai l'altezza dell'ingegno italiano ad al- cuna viltà forestiera. Di che non può credersi quan- to mi sia caro anche per questo : considerando esse- re così tepido a* nostri giorni , per non dir mezzo spento, l'amor della patria : e chi gittarsi qua e chi là scapestratamente non meno nelle arti, che nelle lettere : quasi tutto sia eccellente , che non porti l'illustre ITALIA i83 seco alcuna sembianza di cosa nataci di qua dall'al- pe. Grand'esempio della sazietà, che anche l'abbon- danza del gentile e del bello suol generare in anime non bene educate a niuna vera beltà e gentilezza ! Anzi esempio dello stretto vincolo che fra loro han- no i disordini degli stati e quelli dell'intelletto. Oh, diss'io appena vidilo entrare, sii tu il ben venuto, o Guglielmo ! Qual mia fortuna, o carissimo , ti con- duce sì di buon'ora a consolar di una visita l'amico tuo ? M'è bisogno, egli rispose, il tuo consiglio in cosa che da molti giorni ha voluto, non che ogni mia opera , ma dirò quasi tutti i pensieri miei. Affé , o Guglielmo, io soggiunsi, che a ben povero senno tu ti rivolgi se t'è bisogno di aver consiglio ! Ma se a questo difetto può sovvenire la lealtà e 1' amicizia , parla pure : che io sarò in ascoltarti tutt'anima, non che tutt'orecchi. Egli allora prese a narrare così : Io non ti dirò di un signore cortese, di cui non so se il più magnifico si sappia in Italia e fuori: di un signore, che per amor vero alle belle arti sembra quasi voler rifiorire l'età glo- riosa de'Medici e degli Estensi. Noi ne abbiamo spesse volte parlato : ne qui vale ridire le lodi sue. Or questo signore, fattomi a se un giorno richiedere siccome suo- le, desiderò ch'io vedessi una sua gran sala, a cui non saprei dirti qual'altra in Roma sia da ugualiarsi, così per la luce che d'ogni parte v'entra bellissima e per la va- stità, come per la forma che ha di un perfetto quadrato. Puoi tu immaginarti se colle parole più belle che io avessi gli lodai quella nuova sontuosità principesca: tanto più che in Italia ( e, ciò ch'è più indegno, in Roma stessa ) colle altre corruzioni straniere si è pu- re introdotto da alquanti anni un certo far sì tacca- 184 Letteratura gno eziandio nelle fabbriche, che giureresti i presen- ti signori non vagheggiare più altro che la meschini- tà e la grettezza così nelle vesti, come nelle aule di loro gentile ricreazione. Quanto diversi, o Betti, dal- la grandezza de'nostri avi e dall'antica dignità delle arti ! Ma vuoisi essere in tutto o francesi o britan- ni : con cento varietà di sete e di nastri e di veli, e talor anche di carte, scusare la più eccellente pom- pa della pittura : colla gala degli arredi, cosa che sì presto passa, supplir la mancanza della decorosa am- piezza del luogo : sicché ci è venuta quasi a dispetto quella romana magnificenza del secolo XVI emula della maestà de' cesari ! Con viso assai lieto accol- se il nobilissimo quelle mie congratulazioni : il per- chè con maggiore benignità ristrettosi meco , dopo avermi un poco guardato, con un tal sorriso mi dis- se, ch'essendomi la bella sala così piaciuta, a lui pu- re piaceva che io dovessi trovare il modo di ornar- la. Ma di ornarla, soggiunsemi, all'italiana : percioc- ché nato e cresciuto, per divino favore, in questo giardino dell'universo , non ho maggior pensiero in ogni mia opera che di mostrarmene buon cittadino. Sia dunque cura del vostro valore nell'arte il dipin- gervi quante più glorie potete de' nostri avi : sicché andandovi poi a diporto, io possa almeno tra le pa- reti domestiche sollevai*e lo spirito; e coli' alterezza, che dà una illustre patria, additarle non che agli stranie- ri , ma sì agl'italiani perchè meglio si conoscano e si rispettino. E di quali glorie intende vostra eccel- lenza, io risposi ? Perchè molte ne abbiamo, e fiori- teci in tutti i secoli , così religiose e civili , come guerriere, letterarie ed artiste. In voi rimetto lo sce- gliere, egli riprese : né altro per ora vi chieggo, che L'ILLUSTRE ITALIA l85 di porgervi degno, non pur di questa fiducia, ma del- l'italiana grandezza. Chinai a tali parole il capo, non saprei affermarti se più per modestia , o per timore che avessi : considerando , come Dante direbbe, II ponderoso tema - E V omero mortai che se ne car- ca. E poco stante presi ed ottenni licenza da quel gentile, promettendogli di tornar quanto prima co'miei disegni. Ora non sai tu, Salvatore, che cosa mi sia pro- posto ? Egli vuol solo rappresentate alquante glorie italiane : ed io intendo invece di ritrargliele presso- ché tutte. E come, io soggiunsi ? In una vasta cam- pagna, diss'egli, rallegrata qua e là da be'poggi e bo- schetti e ruscelli, ove credasi che fra l'erbe ed i fio- ri, o presso il zampillar d'una fonte, o sotto l'om- bra di un albero, vivano i piaceri dell'antica vita gli spiriti più famosi di quante sono mai state le gene- razioni dell'italica civiltà. Credi tu che troppo senta di mitologico questo concetto ? A cui io : Noi cre- do ; perchè consolazione non più moderna che anti- ca dell'umana miseria, in questo sogno di una notte eh' è il nostro vivere, non è forse l'immortalità delle anime ? Ed oh benedetta anche per questo la religio- ne del vangelo, che predicando la certezza di un'al- tra vita, ci dà tanta speranza di dover essere nuo- vamente co'nostri più cari là dove tutto è sempiter- no e beato ! Ti so dir anzi, che non saprei pensar cosa che meglio di questa tua finzione confacciasi al- la ragione di tutti i tempi, dovendo tu rappresenta- re un consorzio di celebri estinti. Qual poema in- fatti meno mitologico della divina commedia ? E pu- re l'eccellenza di quell'unica mente ci porse a vede- re, sopra quel suo prato di fresca verdura, tanti spi- i86 Letteratura riti magni e donne e cavalieri d'ogni credenza reli- giosa e nazione. E tenne forse altro modo il divino urbinate, quando nelle stesse camere de'pontefici di- pinse il Parnaso e la scuola d'Atene ? Ma dimmi in- tanto alcun che delle precise ragioni dell'opera tua ; perciocché appena so immaginare come tu ci abbia potuto convenientemente ritrarre, non dirò tutti, ma sì almeno la maggior parte de'sommi ingegni che ono- rarono l'Italia. E Guglielmo : Ho io ritratti qui tutti coloro co- si dell'antica come della novella Italia, i quali, per quanto la mia poca dottrina ha saputo trovare, fiori- rono massimamente per fama di scienze, di lettere e di arti: non attendendo in ciò ad alcune loro opi- nioni, le quali non perchè furono meno rette ebbe- ro perciò meno rinomanza e seguito fra le genti, e meno mostrarono l'inventiva e l'altezza dell'ingegno italiano: se non vogliasi dir piuttosto la libertà che richiedesi così a creare come a combattere un gran pensiero. Oltreché in certi alti spiriti non tutto può essere sì riprovevole, che anche vaneggiando essi in gravissimi errori non ti rivelino sovente, come lampi di una mente creatrice , verità non pur grandi ma spesso feconde di utilissimi insegnamenti. Aggiungi la varietà de'giudizi : e le sentenze quanto discordi in- torno alla virtù ed al vizio (cose talor mutabili secon- do il mutarsi de'governi e de' tempi ), altrettanto con- cordi inforno alla celebrità. Qual uomo di stato nel- 1' istoria francese salì in maggior grido di quell'Ar- mando di Richelieu, che per tanto tempo ebbe in mano la volontà del re e la fortuna della nazione? E pure quanta diversità di sentenze sulla sua vita ! Intantochè chi l'alza fino alle stelle, chi lo deprime L ILLUSTRE ITALIA IO 7 fino agli abissi : ed il Montesquieu non lia dubitato chiamarlo il pessimo de' francesi. Ora chiunque egli si fosse , certo è che tutti in Francia il porranno sempre fra i famosissimi per fatti e di guerra e di pa- ce : sicché se anche l'autore dello spirito delle leggi avesse dovuto fare pe'suoi questo lavoro che ho fatto io per gl'italiani, non sarebbesi già passato del Ri- chelieu, anche disapprovando, o per dir meglio ma- ledicendo, cotanta parte delle sue imprese : oltre al non perdonargli ( superbia francese ! ) d'essersi alzato a si gran potestà pel favore di due de'nostri, cioè del maresciallo Concini e della regina Maria de'Medici. Due sole condizioni d'illustri ho io tralasciato : quella cioè de'fortunati ch'eroicamente essendo vissuti in ogni perfezione di virtù, non consente il culto ve- nerabile de'nostri padri che senza profanazione possa- no mai esser posti in altro luogo che in cielo. Perchè tu non vedrai qui niun dottore o padre della chiesa, e niuno pure di que' patriarchi che furono tanta luce di carità e d'amor santo in mezzo gli orrori de'secoli del ferro e dell'odio. L'altra condizione , che altresì ho tralascialo, è di coloro che un' augustissima dignità fa soprattutto degni di gran riverenza alle genti cri- stiane. Ciò sono i romani pontefici. Ed oh , Betti , quali nomi famosi mi è stato mestieri di omettere ! Certo, rispos'io, famosissimi e d'alto ossequio così nel magistero delle cose divine, come nella civile sa- pienza ; e nell'aver poi sotto il gran manto accolte a patrocinio e lettere e arti, voluto a tutta Europa farsi autori di pubblica beneficenza, e preso cotanta cura della grandezza e dignità italiana. Imperocché lascia- mo parlare gli stolti : ed a noi sia certissimo, che sca- duta Italia da ogni antica maestà d'impero : fatta vi- 188 Letteratura le di opere, feroce di leggi, superstiziosissima di co- stumi : ridotta infine a non aver altra forza, che la barbarica della vendetta : guai se al grand'uopo non fosse occorsa la santità della mente e del petto de' romani pontefici, i soli che onorande e maestose fi- gure ( se talor ne togli quel consesso di savi che gui- dò la repubblica veneta ) si sollevassero in mezzo al- l'universale abbiezione colle virtù dell'animo, quan- do più non potevasi colle armi : tenesser fede al no- me romano : ed a'piè si vedessero e cesari e re, non so se con gloria maggiore della religione o dell' al- tezza italiana. Così è , riprese Guglielmo : sì eh' io spesso rido la presunzione di chi le cose leggermen- te considerando , non avverte la maraviglia di una gran successione di principi, la quale, benché com- battuta da odii fierissimi, ha nondimeno veduto tanti strani rivolgimenti d'imperi, e lo spegnersi di tanti re- gni che per fortuna e per armi parevano d'ogni parte sì fiorenti di vita e quasi sfidare i secoli ! Una succes- sione di principi che, con tutta l'antichità sua, osserva, o Betti, come non pur si mostra piena di nervi e vigore, ma sì parla ancora intrepida ed autorevole, circondata da quasi ducento milioni de'suoi fedeli, il sacro linguag- gio che già tuonò sulle labbra de'Gregori, degli Ales- sandri, degl' Innocenzi ! Oh ben puoi credere quante volte in quest' opera abbia io dovuto far forza alla mente, e quasi alla mano ! Ma la riverenza delle som- me chiavi mi ha trattenuto. II. Eccoti pertanto il disegno che sembrami do- ver proporre per la prima delle quattro pareti. Ho in- teso di "voler qui ciò ch'ebbero di più illustre le scien- ze : incominciando da quelle che le altre più avan- zano di nobiltà e sublimità, dico le morali e le me- l'illustre ITALIA jgq tafisiche. Sicché signore della grande schiera ho po- sto Pittagora, il grandissimo, a chi fra'gentili dobbiamo primieramente il gran dettato: Che gli dei ci hanno conceduto due cose bellissime fra tante altre, la be- neficenza e la verità. Perciocché ricordami che da te mi fu detto ( anzi non so in quale tua opera scri- vesti ), essere stato quel savio assolutamente italiano. Non sono stato io, risposi , o Guglielmo , il primo ad attribuire alla nostra gente questa gloria dell'an- tica filosofia, anzi fonte principale del sapere italico e greco : ma sì furono Aristosseno, Teopompo ed Ari- starco, il cui testimonio ci rapportano Clemente ales- sandrino ed Eusebio : seguiti poi fra' moderni dal Da- ti, dal Maffei e dal Macri. Anzi quest' ultimo con assai dottrina difese teste 1' opinione , che già pu- re ne aveva uno de'più sublimi nostri intelletti, san Tommaso d' Aquino : che foss' egli cioè della Samo italica, confusa poi dalla greca boria coli' isola dell' Egeo. E chi sa che quel Neante, il quale in Clemen- te alessandrino si dà per sirio, non fosse anzi di Siri città celebratissima ed antichissima della magna Gre- cia ? D'onde probabilmente venne pur quel Ferecide, figliuolo di Badi, da cui ebbe Pittagora i primi in- segnamenti della sapienza. Certo è che della patria di questo famoso non ebbero i greci una cognizione, che potessero dir sicura : e che 1' isola di Samo si trasse innanzi ad appropriarsela più per caso di no- me, che per altra fondata ragione. Perciocché quel- l'isola non può di Pittagora vantar altro precisamen- te , che l'autorità di chi lo disse di origine samia : là dove l'Italia ti mostra il luogo della sua stanza , della sua grandezza, della sua morte : ti mostra la sua filosofia, cui diede il nome d'italica: infine ti mo- 190 Letteratura stra ciò che imprese a fare con tanto amore di cit- tadino ne'governi della nazione. E chi vorrà inoltre, soprattutto nell'istoria italiana, giurar più sulla fede di que'greci di là dal mare, i quali con vanità incredi- bile e con propria sentenza attribuendosi il princi- pio ed il fiore di tutte le civiltà della terra, mentre oltraggiavano col nome di barbare le altre genti, era- no poi essi stessi chiamati fanciulli dagli egiziani ? E veramente gran senno dobbiamo ravvisare ogni gior- no in quella loro licenza di antichità ! Gran sen- no veramente ci mostrano in questa nuova luce di studi, in questo percorrere che si è fatto e si fa dal- l'un canto all'altro la terra con tanti aiuti di lingue, e più di filosofia , e con tanti nuovi confronti delle opere d'ogni popolo e generazione ! Hai ben ragione, disse Guglielmo : e mi sovvie- ne del nostro Girolamo Amati, quando pur difende- va che Zeusi, fiorito sempre in Italia, e discepolo di Demofilo d'Imera, era dell'italiana Eraclea. Al che io: Né l'Amati errava : e prima di lui avevano tenuta quella sentenza, non solo gli altri italiani Giambati- sta Bianconi e Vincenzo Cuoco, ma sì pure i fran- cesi Hardouin e Brizard. Laonde spero che avrai po- sto con gran sicurtà fra' nostri artefici anche quell' immortale maestro. E puoi tu dubitarne, rispose Gu- glielmo ? Attendi, e il vedrai fra quegli altri che più onorarono le antiche arti di questa madre comune , cioè fra i due scultori celehratissimi di Reggio e di Leontini. Or eccoti Pittagora: ed è colui che sedendo su bianca pietra e all'ombra di un faggio, vedi in aspet- to pieno di certa dignità misteriosa, che ben si affa, se non erro, alla ragione della sua filosofia : essen- doché egli stimasse, come testimonia Giamblico, i se- L'ILLUSTRE ITALIA IQI greti della sapienza non doversi aprire che ai degni: cosa che forse apprese da quelle arcanissime dottri- ne de'caldei e degli egiziani. Ed io : Bene hai detto, forse: perchè ad alcuni dottissimi , e soprattutto al Vico , non sembrano possibili ad una età sì remota i viaggi di Pittagora né in Egitto, ne in Tracia, né in Asia : e quanto a quelli nelle Indie, l'acuto giu- dizio del Romagnosi già pose in gran dubbio la sa- pienza antichissima de' brahmani : benché Plutar- co, Origene, Clemente alessandrino ed altri di quel- l'età, in cui sì facilmente giuravasi sulle vecchie fa- vole, non pur gli abbiamo per veri , ma ci narrino perfino, avere il filosofo voluto in se sostenere il ri- to della circoncisione, perchè non gli fossero vietati in Egitto gli arcani del suo maestro Sonchide arci- profeta. E Guglielmo : Tempi veramente sciaguratis- simi, quando è bisogno che la verità sia un arcano ! Ma pur troppo, diss'io, è talor necessario, se non ce- larla del tutto al volgo, almeno temperarne a quella infermità d'occhi la luce sfolgorantissima ! E ciò fe- cero pure i romani : ed è sentenza di Varrone , in un passo conservatoci da sant'Agostino nella città di Dio, doversi molte cose anche importantissime igno- rare dal popolo, che sono vere, e molte altre lascian- gli credere che sono false : in ciò stare dicendo egli il segreto della sapienza, con cui si reggono le città e gli stati. Sentenza ch'egli prese forse da Parmeni- de, il quale oltre a tutti i pitagorici parve convinto di quel gran vero, che pur troppo ciò che ai saggi sem- bra ridicolo, è necessario agli stolti ! Imperocché, se non erro, Simplicio racconta aver egli composto due opere di filosofia : l'una pe'dotti, nella quale con su- blimità di pensieri esponeva le sue dottrine : l'altra iqa Letteratura pel volgo, ove degli dei parlava secondo le comunali opinioni. E che altro intendeva Socrate quando a tutti gli uomini faceva colpa della menzogna^ salvo a quelli che seggono al timone della repubblica ? Co- munque ciò sia, riprese Guglielmo ( giacche io non mi pregio molto d'iniziato ne' misteri del governare gli stati ) , a me bello è il pensare che i tempi di Pittagora, la Dio mercè, non torneranno mai più: né avremo quindi mestieri di ritagliarci col ferro niuna parte del corpo per apprendere la perfezione della virtù. Perciocché l'immensa luce, che al mondo è ve- nuta dall'essersi trovata la stampa, ha trionfato di tut- ti gli arcani e tolto per sempre l'ombra che offuscava il vero. Ed alla stampa è poi seguitato 1' altro non meno utile provvedimento, introdotto forse prima d' ogni altro fra noi (benché in mezzo le ire di chi gridava alla profanazione della sapienza) da Alessandro Pic- colomini arcivescovo dottissimo di Patrasso : di di- scorrere cioè nella lingua viva le cose della ragione, perchè sia così reso universale, come Dante direbbe, il lume ch'è fra la verità e l'intelletto , senza biso- gno alcuno di saper greco o latino. Ma di ciò se ti piace, disputeremo altra volta. Prosiegui intanto a dir- mi ciò che con franchezza ti pare di quella imma- gine di Pittagora. Egregiamente, io dissi, hai tu fatto ponendolo a sedere, siccome principe ch'egli fu vera- mente dell'antico sapere : essendoché la filosofia non abbia preso precisamente condizione di scienza, che per opera di Talete e di Pittagora : con questo pe- rò che la setta italica ebbe alcun che di maggior fon- damento, che non ebbe l'ionica. Imperocché, o Gu- glielmo, debbesi ad essa principalmente non pur tut- to ciò che di più spirituale ed alto filosofarono So- L'ILLUSTRE ITALIA Iq3 crate e Platone, ma quanto di più ragionevole dispu- tarono poscia e greci e romani intorno la scienza ci- vile, di cui a Pittagora dà Giamblico la gran lode non solo di primo maestro, ma di ritrovatore. Che veramente, o mio caro, ebbe ragione quel nostro Vi- co allorché disse, la Grecia non avere avuto altro a' tempi del savio di Samo, che la sapienza poetica, la quale non è che la filosofia de'popoli ancora barba- ri. E chi non sa infatti che fosse fino all'età del fi- gliuolo di Sofronisco la greca filosofia, che ne pure aveva per farsi intendere un filosofico linguaggio ? E Guglielmo : Piacemi, o Betti, questo giudizio tuo: e desidero che cosi mi approvi anche il modo, onde ho voluto che si conosca il filosofo al solo primo guar- darlo. Vedi infatti che ho scelto fra le tre immagi- ni, che di Pittagora ci dà Ennio Quirino Visconti, quella più grave e dirò pur pittoresca del rarissimo conformato del reale museo di Parigi : perciocché al romano archeologo quel volto dignitosamente barbato sembrò più confarsi all'opinione che gli antichi ave- vano delle sembianze del sapientissimo. Oltreché quella foggia di vestire, senza mostrare ignuda tanta parte della persona, è a me sembrata non solo più decorosa a chi primo fra'gentili usò la morale a di- mostrare la religione, ma sì più istorica : e tale che bene convengasi col candore della veste di lino, che secondo Giamblico e Filostrato indossavasi così da Pittagora, come da'suoi discepoli: per adoperar cosa, dicevamo, data loro dalla terra, anziché tolta alle spo- glie di alcun vivente. Avrei anche, sulla fede di Elia- no, potuto cingergli il capo d'una corona d'oro. Ma io non credo in Pittagora quella superbia : e certo male si affa, se non erro, ad un savio non pure di G.A.T.LXXXVIII. i3 ic)4 Letteratura sì gran sentimento, ma modestissima: per non di- re che invano se ne cercherebbe esempio in veru- na delle immagini sue. Gli ho posto in mano le se- ste : essendoché, filosofo delle proporzioni e dell'ar- monìa, ordine principalissimo del suo insegnare fosse la geometria, che sì acutamente chiamava istoria del- le cose sensibili e materiali. Quanto in ciò diverso, o Beili, dagli epicurei e dagli stoici ? E vedigli a' pie la lira ed un abaco, come a colui che le verità intellettuali soleva far comprendere e co' numeri e colla musica , eh' egli diceva purgatrice efficacissima delle passioni dell'animo. Credi tu che subito si co- nosca esser egli Pittagora ? Chi non è al tutto ignaro, io risposi, delle cose filosofiche, penso che veramente non possa in questa effigie non ravvisare incontanen- te il fondatore della scuola italica. A lui presso, seguitò Guglielmo, è Parmenide, quasi di alcuna cosa interrogandolo : al quale vedi in mano un Amorino, siccome a chi diceva, non al- tro che amore avere insieme composti tutti i prin- cipii degli esseri, e così formato a quest'armonia gli elementi e le sfere. Perciocché di Parmenide non ho potuto trovare immagine, non che genuina , ma né pur di dubbia opinione. Ed io : A me, s'ho a dirti il candido vero, non sa in tutto piacere questo modo tuo di ritrarlo : pensando che il filosofo, in ciò che nomi- nò Amore, ebbe in mente più alta idea ed intellet- tuale che la greca divinità di Cupido. Or non po- trebbe, o Guglielmo, abbandonarsi questa, dirò così, troppo volgare rappresentanza di una mitologia , a cui non pare che l'alto senno del sapiente di Elea pre- stasse veruna fede , e porre invece eh' egli col dito indicasse quel suo famoso uno> ai quale, sceverando L'ILLUSTRE ITALIA Iq5 ciò che è da ciò che appare, intendeva ridurre tutte le cose dell'intelletto ? Fa inoltre che assai venerabile sia di aspetto, e con bianche la chioma e la barba, come ce lo descrive Platone nel dialogo che intitolò da lui, Nò saresti forse ripreso se anche lo incoronassi dell' alloro poetico : essendo stato anch' ei di que' vecchi, che al modo di Senofane e di Empedocle scris- sero in versi le filosofiche loro dottrine, e perciò po- sero con Esiodo i principii della poesia didascalica. Certo è migliore, disse Guglielmo, l'avviso tuo: ed io lo seguirò volentieri. Vicino a Parmenide sono Ippaso, Alcmeone, e quel Filolao, di cui (oltre ad es- sere stato il primo a rivelare agi' italici ed a1 greci il segreto pittagorico del muoversi della terra) niuno con maggior fondamento aveva mai disputato la na- tura dell'anima, e mostratane l'immortalità : sicché il suo libro, come sai, giunse a Socrate così caro, che fino ricordavalo in queli' istante , che vittima , non so se più della malvagità o dell'ignoranza, dovette ber la cicuta. E lui e quegli altri intentissimamente ri- guardano Marsilio Ficino e Pico dalla Mirandola, lie- tissimi in vista di trovarsi innanzi a'famosi, che già invaghirono Platone di venir fra noi, e il fecero quin- di tornare in Atene sì ricco de'tesori della nostra sa- pienza. L'uomo che dietro a Parmenide osservi in quel- l'atto d'inspirarsi quasi ne'sublimi ragionamenti del fi- losofo samio e de'suoi seguaci, è Vincenzo Cuoco: di cui l'antica dottrina italica, e soprattutto le scuole di Crotone e di Elea, non ebbero né più eloquente né più dotto investigatore : benché, lasciatosi anch' egli trarre alle sottilità metafisiche di quel sublime so- gnatore che talvolta fu il Vico, movesse alcun dub- bio suir esser vissuto mai questo grande, ch'ora egli 196 Letteratura contempla con tanto amore : quasi che Pittagora, se- condo quel suo parere, non fosse stato veramente che un'idea trovata dagli antichi ad indicare un famoso collegio italico di sapienti. Opinione ben diversa dal- l' altra che avuto ne aveva il Dodwello , che anzi volle supporne due : l'uno greco , e l'altro tirreno. Ma tuttavia , diss' io , eccellente è il suo libro de* viaggi di Platone in Italia : nel quale se non è la purità della lingua , è certo la purità del pensiero : e soprattutto 1' amore della patria e della sapienza. Sicché con giudizio italiano seguite vi sono le dot- trine più ragionevoli sulle nostre antichità; alle quali diede anch'egli più alta origine che non le favole ome-. riche e i sogni de' greci: erudizione ornai da collegio. Zenone di Elea, proseguì a dire l'artista, secon- do l'immagine che ci è difesa del grande Visconti y è quell'altro che là ti si porge in atto di chi disputa: sendo stato egli il primo, come sai, a trovare, o se vo- gliasi perfezionare, quella deduzione naturale di prin- cipii e di conseguenze, onde formò l'arte della dialet- tica : arte che con esso Zenone, il quale insegnò a Pe- ricle filosofia in Atene, essendo passata d'Italia in Gre- cia, fece poi le supreme delizie di Socrate. Ed ag- giungi, diss'io, la gloria di Platone : il quale da al- tri non apprese, che da questo nostro, l'arte del dia- logo, che niuno scrivendo usò innanzi a Zenone. E sia con lui ( prosegui Guglielmo ) e con Dicearco eh' è ivi, sia fra loro stessi, mostrano, siccome vedi, piut- tosto con certa licenza che con libertà quistionare, quinci il Pomponazzi, il Telesio, il Cardano, il Bru- no; quindi il Patrizi , il Porzio ed il Campanella : ascoltanti Iacopo Sleilini, Francesco Maria Zanotti e il Soave ed il Costa, sul volto de'quali bene scorgi L ILLUSTRE ITALIA I97 la maraviglia di quelle audacie di una filosofia, che uscendo allora di sotto il giogo di Aristotele, troppo parea tripudiare di sfrenatezza, com'è l'uso talora di chi lungamente è vissuto schiavo. E nondimeno, di- ce lo Stellini al Costa, non fu quella vulcanica men- te del Bruno che insegnò al Cartesio non solo il prin- cipio dell'universale dubitazione, ma sì il sistema de' vortici, eh' indi il francese fdosofo si fece suoi con quella medesima sicurtà, con che a sant'Anselmo ar- civescovo di Cantorbery, ma italiano, tolse in tulto la famosa dimostrazione dell'esistenza di Dio ? E da chi il Gassendi, risponde il Costa, trasse 1' opinione degli atomi, da chi trasse il Leibnizio quella sua fan- tasia dell'ottimismo ? Oh, io esclamai, il mio Paolo Costa ! Egli è ve- ramente desso quel caro spirito , eh' io tanto amai ! Egli è desso quello stupendo intelletto, che invaghi- to supremamente del sommo bello, eli' è la sapienza, non ebbe forse chi più all' età nostra meritasse se- dersi allato al Galluppi , al Mamiani , al Rosmini. E l'altro è dunque Francesco Maria Zanotti ! Il gran- de, a chi l'autore della Zaira scriveva, desiderare che fosse inciso sul suo sepolcro : Qui giace un uomo che veder voleva V Italia e il Zanotti ? Al che Gu- glielmo con un certo maligno sorriso : Veramente , disse, doveva il Voltaire assai desiderare di veder l'I- talia. E forse per altro che per curiosità di fdosofo e di poeta. Oh! per quale dunque, risposi ? Ed egli: Pel sangue. Come, replicai, pel sangue ? Sì certo , riprese, pel sangue : e se vuoi più saperne, leggi il secondo tomo delle memorie di Luigi XVIII ( vedi che ti do testimonio un re di Erancia ) , e trove- rai che alla corte di Versaglies era certo a tutti, ed 198 Letteratura il Voltaire stesso affermavalo, essere stato lui il frut« lo degli amori l'urtivi dell'autrice de'suoi giorni con un principe Canalunga napolitano. Laonde chiamava poi suo fratello Caino il duca di Richelieu, la cui na- scita volevasi macchiata d'una eguale bruttura. Oh dav- vero, diss'io, che m'era ignota questa novella ! Ed ho piacere di averla appresa per dare, come fo, qualche volta la berta a'miei amici di Francia. Ma tu avevi certo disegnato, o io m'inganno, un' altra figura fra il Cardano ed il Bruno , e 1' hai poi cancellata! E Guglielmo : Sì, tei confesso : aveva io posto fra que' due disputando Lucilio Vanini. Ma quando sovven- nemi dell'accusa che gli fu data di ateo , sentii per 1' ossa corrermi un brivido, sì che la mano non po- tè seguitare, e quasi mi si agghiacciò. Perchè, preso da ira per tanta perversità d'intelletto, cancellai in- contanente quell'effigie di un empio. Ed io : Siali lo- de, o Guglielmo : essendoché l'ateo in quella mali- zia di voler distruggere l'idea consolatrice d'una bon- tà sapientissima , che governa 1' ordine dell' univer- so, distrugge ad un tempo fino dalle fondamenta l'u- mano consorzio ! Colpa che niuna legge civile ha mai lasciata impunita, e su cui tutte le religioni hanno con orrore invocato il folgore del cielo. Senonchè io non credo la natura umana così perversa , anzi piuttosto sì cieca , che con retta considerazione , o per meglio dire coscienza, possa negare Iddio. Impe- rocché se l'uomo ha mente, come tutto non gli par- la intorno d'una onnipossente cagione di ciò che è ? Ma forse ne pure il Vanini, benché di pensieri au- dacissimi, fu tinto egli stesso di tanta macchia: nar- randoci gli scrittori delle sue memorie, come tratto innanzi al parlamento di Tolosa, ed ivi appostogli di L ILLUSTRE ITALIA igg negar fede alla divinità, tolse subito di terra un fu- scello di paglia e gridò a' giudici, che anche quella cosa sì piccola e vile bastava a persuader 1' uomo della esistenza di un Dio. Vero è che i giudici noi credettero, e secondo la severità del secolo il con- dannarono ad esser arso : ma è vero altresì che non tutti tennero giustissima quella sentenza: di che, non volendoti parlare dell' Arpe e del Bayle , ti addurrò l'autorità del Brouckero. Anche però sul dubbio (così modestamente il dirò ) che potesse il Vanini essere colpevole di sì orribil peccato , egregiamente hai fat- to a non lasciarti sedurre da quella troppa sua fa- ma, e a toglier costui d' un luogo, dove certo nes- suno se l'avrebbe volentieri sofferto compagno. Deh cuopra sempre l'oblìo, che un uomo italiano abbia po- tuto solo cadere in sospetto di esser ateo ! III. Guardando però più oltre : Hai voluto là , diss' io , ritrai-ci , se non erro, l'imperatore filosofo M. Aurelio, ed al suo fianco quelle felicità de' loro tempi Tito , Nerva ed Antonino. Sono essi , rispose Guglielmo : e m' è piaciuto die presso loro si stes- sero i due Bruti , Servilio Ala, M. Gatone , Trasea ed Elvidio, non solo pacificati col nome di re , ma sì maravigliati che sul trono de'cesari abbia indi se- duto tanta mansuetudine e tanta giustizia. Oh questi ( dice ivi Elvidio al suocero suo ) questi non credet- tero di regnare il dì che fatto non avessero alcun be- neficio ! Ne seppero gli eccelsi spiriti, che niun be- neficio a'mortali fecero più magnifico del pronuncia- to appunto quella sì virtuosa sentenza ! Qual varietà da questi pastori de'popoli a' tiranni che imperaro- no all'età nostra ! Qual varietà pure da questi a que' tempi , in cui pur troppo a niuno più consenlivasi 200 Letteratura d'essere innocente, se il principe noi voleva ! In cui le atrocità del regnante , come ho qui spesso inteso narrare da Tacito, erano per paura seguitate anche da'buoni ' Essendoché opera regia e grandezza impe- riale si reputasse l'ucciderli. Vedi anzi, o Betti, stender loro Marco Bruto la mano in atto di amistà cittadina, magnificandoli che in tanta altezza di potestà fossero stimati degni di udir la voce del vero, e grandissima maestà di prin- cipe credessero quella benignità eh' è la consolazio- ne degl'infelici. E Trasea, l'anima generosa che osò vagheggiar la virtù ( sì bella gli parve ) in tempo che solo dal vizio traevasi ed oro e possanza ed onori , recare innanzi ai venerandi augusti, che sono per sor- gere da pietà e da ossequio commossi , quell' Arria che donna fortissima ha tuttavia in mano il pugnale, come se pur dicesse il sublime : Peto , non duole. Poco lungi è il tarentino Lisia , vecchio severo eh' educò alla Grecia la virtù di Epaminonda: e così egli, come Burro, Boezio e Simmaco appena diresti che ab- biamo altro pensiero, dall'altezza in fuori di quella femminile magnanimità. Alla quale altresì sono inten- te, con non so che d'orgoglio del sesso, qua Porzia, e Cornelia di Pompeo, e Agrippina di Germanico, e Pompea Paolina, e Gisilla di Berengario : e più oltre sotto quel salice Isabella Sforza, che ancor piacesi del libro ch'ella compose sulla tranquillità dell' animo , come Battista di Montefeltro piacesi pur del suo in- torno alla umana fragilità ; e quella Vittoria Colon- na, che altri ammiri per l'ingegno gentile, nel quale però non fiorì sola fra le italiane : io ammirerò per l'animo invitto conlra l'insaziabile e crudelissima del- le cupidità, l'ambizione : sicché rifiutando un trono, L ILLUSTRE ITALIA 201 die solo colla colpa potea guadagnarsi , disse altera- mente allo sposo: « Esaltarlo la sua virtù sopra ogni fortuna e gloria delle più famose corone : una roma- na bramare, non esser regina, ma sì chiamarsi sposa di tal capitano, che per coraggio e grandezza d'ani- mo seppe vincere i re più possenti. » Né te ho qui dimenticata, virtuosa e bella Maria Teresa di Savoia Carignano, principessa di Lamballe, la quale allo stra- zio disonesto che vollero della tua vita le belve del- la francese libertà , solo conforto avesti il pensie- ro di serbar fede alla sventura della tua Maria An- tonietta ! IV. A' più insigni, che fra noi o filosofarono di cose intellettuali, o coll'esempio e colle opere furo- no specchio delle morali , ho voluto far seguitare co- loro, che con maggior fama di prudenza governarono gli stati , e delle leggi e della ragione economica dis- sero le più alte sentenze così nell' antica come nel- la rinnovata civiltà di Europa. Per la qual cosa ec- coti qua tre famosissimi legislatori, che l'Italia diede a quella prisca umanità e giustizia : Zaleuco , Ca- ronda e Numa. Favellano essi , come tu vedi , con gravità di modi, indizio dell' altezza delle cose , in- torno la sapienza con cui si porsero così concordi al bisogno de'popoli, ch'è quello principalmente d'esser felici. E veramente, diss'io, tutti e tre difesero, quan- to è cosa umana, la pubblica felicità : tutti e tre fe- cero sacro ne'cittadini il beneficio dell'innocenza cen- tra il mal talento o la temerità del più forte : tutti e tre infine resero utile agli uomini il maggior favore del cielo, l'esser disposti a virtù. Imperocché niente v'ha nell'umana sapienza che sia forse più savio e su- blime di que'brani delle leggi di Zaleuco e di Caronda, 202 Letteratura che ci ha conservati Diodoro : lasciando star Noma, che primo ai nostri mostrò, uomo di prestantissima sag- gezza , il gran fondamento di una civiltà vera : cioè colla sola guerra non viversi. Oh quegli è dunque, o Guglielmo, il legislator de'locresi ! 0 Zaleuco, io non so se veramente tu precedesti ogni altro a dar leggi : certo è però che fosti gran tempo innanzi a Licurgo e a Solone. Io non so se prima di te, come afferma Giu- seppe Flavio, avessero ancora i greci nella loro favella il vocabolo Icsrsre : certo è però che tu le scrivesti as- DO h sai prima di loro. Né mai senza diletto ne leggo in Diodoro il proemio : là dove anzi tratto volesti che fosse certa al popolo la verità che v'ha un Dio: ed ogni condizione di cittadini consigliasti a innalzare spes- so lo sguardo e il pensiero al cielo per maravigliare e benedire il miracolo di un ordine così stupendo. Né Caronda tenne meno alla prudenza italiana. Imperoc- ché, per non entrarti a dire di altre sue cose , non fu egli il primo fra tutti i legislatori a volere che i figliuoli dovessero a spese pubbliche essere ammae- strati delle lettere ? Giudicando che dalla natura si ha il vivere, dice Diodoro, ma non da altro si ha , che da una mente bene disciplinata , il vivere felicemen- te. E che poi non ordinò sull' onore dovuto agli dei ed ai magistrati ? Che sugli ospiti e su'poveri ? Che infine sulla patria ? Morir per la patria ( si ha in una sua legge ) si reputi più onesto, che abbandonare onestà e patria per desiderio di vita. Meglio è da for- te morire, che vivere con vergogna ed obbrobrio. Senni sublimi, qui m'interruppe l'amico mio! Ed oh di questi si fosse sempre piaciuta Italia, anziché andare con viltà sì studiosa in traccia di tante ciance straniere ! E che ci mancava in questo giardino dell' l' ILLUSTRE ITALIA 203 Universo ? Forse la virtù militare ? Forse le arti ? La libertà forse, la fortezza dell'animo e la sapienza? Noi ne avemmo anzi da insegnarne le altre genti, fino a ri- scattare per ben due volte l'Europa dalla vergogna della barbarie. Ma noi volemmo troppo spesso dimenticare la dignità nostra : e reputare gran dono quello che ci si faceva d'alcun ignoto piacere ! Ed ecco da prima la Grecia far molli con ogni maniera di voluttà questi petti virili, e spegnere a poco a poco, non ch'altro, la gravità romana : ecco molti secoli appresso operare il medesimo (che è maggior onta) l'Inghilterra e la Fran- cia ! Sicché sempre, o Betti, noi rovinammo, quando appunto cessammo d'essere noi medesimi : né solo ne' costumi, ma sì nelle lettere e nelle arti. Oh noi schiavi, e degni quasi di esserlo ! Deh, Guglielmo, diss'io, non accrescere colla tua generosa bile la mìa ! Che ben sai il mio animo in tutto ciò che nelle cose nostre sa di straniero. Così non avessimo mai reso vano il beneficio fattoci dalla provvidenza d'essere circondati dall'alpe e dal mare ! Ma perchè segregarci non è possibile dagli altri popoli, procaccisi almeno di là da'monti alcuna cosa di meglio, se v'ha , di quelle baie o scioperag- gini di una civiltà chimerica : di quelle ridicole sman- cerie, di che si fa gala : di quell'aver tutto a passeg- giera usanza, incominciando dalle ragioni del decen- te e del bello : e cerchisi soprattutto di non dimen- ticare giammai l' utile e virtuoso rispetto che a se debbono le nazioni. Oh lascia intanto, carissimo, che io t'abbracci e ti baci pel tuo nobile sdegno, e ti ri- peta quel dantesco: Benedetta colei che in te s'in- cinse ! E tu segui avanti a parlarmi di questi grandi. E Guglielmo : Quanto all'effigie di Numa, io mi son. giovato di quella che il Visconti approvò nelle monete ào4 Letteratura romane, soprattutto delle genti Marcia e Calpumia» Di Caronda credevasi aver l'immagine in una meda- glia di Catania, dov'è un uomo colle corna in fronte e coronato d'alloro. Ma reputo anch'io collo Spane- mio essere ciò un errore, e quel capo doversi anzi at- tribuire a Bacco o a Sileno : nò infatti il Visconti ne tenne conto nell'iconografia. Perchè dunque conoscasi senza più questo nostro famoso» ho stimato porgli in mano la spada, siccome a chi vendicò sopra di se, per quanto recaci un'antica opinione, la negligenza di una stessa sua legge, la quale condannava che niuno do- vesse ne'pubblici parlamenti presentarsi coll'arme. Ed avviso pressoché uguale ho avuto quanto a Zaleuco : avviso che lunga pezza ho però dovuto considerare , prima di risolvermi a posporre la bellezza dell'arte al- la ragione del vero. Imperocché mi è sembrato, che co- lui il quale dipinse vVntigono di profilo, per celare il difetto dell'occhio che gli mancava, aveva sopra di me il vantaggio ( oltre al voler adulare un potente ) di ritrarre una fisonomia che da tutti già conoscevasi, qual di principe vivente e chiarissimo. Ma io come fare a mostrar Zaleuco con alcun segno particolare che age- volmente faccialo riconoscere in si grande antichità di tempo, che fuvvi infino Timeo da Tauromenio ( repu- gnanti però tutti gli altri antichi e principalmente Pla- tone, Aristotele e Cicerone ) che negò essere mai vis- suto ? L'ho dunque effigiato cieco d'un occhio ; se- guendo Eraclide Pontico, Ebano e Valerio Massimo, i quali a questo severo dator di leggi assegnarono tal riverenza agli ordini della giustizia, che dissero aver sentenziato se medesimo ad esser privato d'un occhio per salvare dall'estrema infelicità umana il figliuolo, cui una colpa dannava a perderli ambidue. L* ILLUSTRE ITALIA 3o5 Ed io: Ne in un rilratto oserò condannarti: non dovendo ivi la bellezza soprastare come tiranna, ma sì farsi unicamente compagna alla verità. Intanto io considero, o Guglielmo, per l'esempio di questo Ca- ronda e di questo Zaleuco , essere stato frutto del grand'albero italiano quella inflessibile severità delle leggi, che fece si rigidi e Bruto e Manlio nel punire i figliuoli, benché si abbia da molti per una special durezza del popol romano. E quanti altri fatti da questi non diversi noi non sapremmo , se rimase ci fossero le memorie di que'secoli antichissimi dell'ita- liana fortezza ! Così credo io pure, soggiunse il pit- tore. Que'due che attenti sembrano ad ascoltarli so- no Sulpizio e Scevola ; dopo i quali vedi Atteio Ca- pitone ed Antistio Labeone, fondatori all'età di Augu- sto delle due grandi sette de'nostri giureconsulti. Qua- si m'incresce, diss'io , di veder qui Capitone ! Che niuno più di costui bruttò e tradì la dignità delle leggi : intantocbè, vilissimo d'animo com'egli fu, ap- pena mi si fa credere che avesse quella tanta scien- za di diritto che gli si attribuisce. Uomo veramente rotto ad ogni vergogna di adulazione , che per gra- dire a Tiberio dichiarò in pien senato doversi co- me fior di latino ricevere le parole ch'uscissero a ca- priccio di bocca al regnante ! Quanto da lui diverso fu Labeone ! Il quale, per non parere che la virtù sua do- vesse nulla al favore di Cesare, volle, personaggio di libertà incorrotta come chiamalo Tacito, rimanersi nella pretura, anziché per grazia dell'imperadore se- der console come ambì Capitone. Vuoi dunque, sog- giunse Guglielmo, ch'io tolga costui ? No, lascialo, io risposi : che già m'hai detto avere in quest'opera vo- luto spesso considerare la fama dell'ingegno, piuttosto che la virtù dell'animo. 206 Letteratura Quell'altro è Salvio Giuliano autore dell'editto perpetuo: e presso ha Giulio Paolo : e vedi come lie- tamente accolgono que'due, che dopo le tenebre di tanti secoli rifiorirono d'una prima luce la scienza, e ne furono sì benemeriti, Irnerio e Bartolo ! Uomini , diss'io, veramente preclari e da nominarsi in esem- pio : che 1' antica eredità degli avi non soffersero di veder più oltre vilipesa e giacente. Sì, amico, ere- dità degli avi : perciocché la giurisprudenza è tutta senno italiano , senza concederne parte alcuna né agli egizi, ne a'greci. Sicché oramai da tutti i più savi è stimata solenne favola, che noi un tempo cercammo di là dal mare la prudenza delle dodici tavole; noi concittadini di Zaleuco, di Caronda e di Numa non pure, ma di cjuell'Onomacrito da Locri che ordinò alle leggi i cretesi, e di quell'Àndromada da Reggio che fe- ce il medesimo coi calcidesi. Così, riprese Guglielmo, ho pure inteso ragionar altri pratichissimi delle isto- rie e delle cose politiche: i quali inoltre considerava- no, che alquante di quelle leggi né mai ebbero i greci di là dal mare, né potevano averle. Ora ti volgi a quel gruppo. Quello che vedi in mezzo è Cesare Beccaria, che per mano tenendo il Filangieri è sul rispondere ad una quistione mossagli da Giandomenico Bomagnosi, presenti l'Alciati , il Gentili, l'Averani, il Martini, il Lampredi, i quali pongono sì gran mente a udir quella voce che alta suonò in tutta Europa. E quell'antico chi è, diss'io, che sì animoso favella al Gravina con tanta maravi- glia dello Spedalieri e del Pagano ? E l'amico mio : Egli è il virtuoso Guido da Suzzara legista chiarissimo del secolo XIII, il quale di minacce non pauroso, né da lusinghe corrotto, osò in mezzo all'universale viltà Li' ILLUSTRE ITALIA 207 innalzare una voce generosa per Corradino di Svevia e Federico d'Austria : dicendo a quell'atrocità di Car- lo, che del suo voto il chiedeva: Non dovere un prin- cipe maguanimo levarsi sopra gli atterrati e gementi : la morte di quegli sventurati giovani essere un abu- sare scelleratamente della vittoria. Le quali cose così pur movono ad ammirazione quelle due venerande presenze, che più oltre scorgete, cioè il Renazzi ed il Nani, che sonosi per un istante cessati dal leggere, come attentamente facevano, l'istoria della legislazio- ne dataci a questi giorni da Federico Sclopis. E que' cinque, che osservi quasi provocarsi a parlare 1' un l'altro, sai tu che dicono ? Dicono non doversi, secon- do una gravissima sentenza di Tullio, risguardar gli uomini come si risguardan gli armenti : per quanto è 1' utile cioè che unicamente può ricavarsene, E l'uno è il Genovesi, l'allro il Verri , indi il Galia- ni, il Carli ed il Gioia , principi degli economisti italiani : l'ultimo de'quali è in quell'atto, che vedi, di disputare sulle statistiche con Marino Sanuto il vecchio, maravigliando la veneziana sapienza, che la prima fu ad indicare all'Europa uno studio, ch'è oggi così gran parte della scienza politica ed economica del- le nazioni. Or questi sembrali solleciti solo degli sta- ti e delle città : là dove Angelo Pandolfini in dispar- te non pare che d'altro curi che del governo della fa- miglia. Ed io : Ben dici che questi furono i principi de'nostri economisti : ma presso a tanto senno posso- no collocarsi anche altri di bella fama, i quali pari- mente si mostrarono degni di una nazione, che creò la scienza e così 1' avanzò : dico il Bandini , il Mengotti, lo Scrofani, il Palmieri, il Delfico, il Va- leriani. E perchè poi tralascerai il genovese Corvet- 208 Letteratura to, che in mezzo alle maggiori calamità che mai ag- gravassero la monarchia francese, eletto da Luigi XVIII ad amministrare le rendite dello stato, non solo re- staurò per quanto gli fu possibile la cosa pubblica , ma con tanta virtù antica potè indi tornarsene alle sue case poverissimo d'ogni altra dovizia, fuorché dell'ono- re ? Ben volentieri, disse Guglielmo , farò di trovar modo che qui non manchino né pure le loro imma- gini. V. Guarda poi là in quella valle, quasi da tutti divisi, ragionar fra loro i più grandi uomini di stato, che l'Italia abbia dati al governo così della patria , come d'alquanti regni d'Europa. Que' primi che av- volti maestosamente nella loro toga applaudono all' antica severità ed integrità di Brancaleone d'Andalò, l'uno è Valerio Poplicola, l'altro è Catone censore: nomo così principale nel reggimento della repubbli- ca , che i suoi concittadini gli alzarono in città li- bera una statua , non perchè invitto capitano aves- se trionfato , ma perchè le cose dello stato, che già pendevano al peggio, egli austero magistrato raddriz- zasse con ottimi ordini , e più colla gravità dell' e- sempio. JNoi non conosciamo veramente la sua effi- gie, se non per le parole di Plutarco, che cel ritrae rubicondo del volto, d'occhi azzurri, e robusto della persona. E tale farò che sia nel dipinto. Gli altri so- no i due Cassiodori , che in tempi all' Italia infeli- cissimi provvidero che al tutto non si spegnesse la civiltà romana, ne passassero affatto nel ferro i re- gni di Odoacre, di Teodorico e di Amalasunta. E con essi è Pier delle Vigne, gran cancelliere dell'impera- dor Federico II : e narra al minor Cassiodoro le pro- prie sciagure, non per sua colpa , ma per malvagità della meretrice L' ILLUSTRE ITALIA 209 a Che mai dall'ospizio » Di Cesare non torse gli occhi putti, i> Morie comune e delle corti vizio : dolendosi ahi troppo tardi di non averlo pure imita- to nel dar le spalle alla reggia, come imitollo nella sì breve fortuna e nell'amor delle lettere ! Seguono i dogi di Venezia Andrea Dandolo, Pietro Gradenigo ed Andrea Gritti: i quali vedi quasi attoniti nell'aspetto di Paolo Paruta, gran lume della repubbli- ca e grand'onore dell'italiana prudenza. Cosi è vera- mente, diss' io : ne credo che più forte intelletto e più grave giudizio, e, ciò eh' è maggior cosa, animo più incorrotto, abbia avuto mai in Italia, e forse in Europa, quella scienza che dicesi della ragion di sta- to : la quale è bene indegno che si spesso cercasse gli esempi in Lodovico Sforza ed in Cesare Borgia. Ma non conosco, o Guglielmo , quegli altri due che non men venerabili in vista gli sono quasi alle spal- le, Il crederesti, rispose egli ? E a me sembralo che uno de'senni più saggi della repubblica veneta ( che tanti pur n' ebbe ) sia quel Pantaleone Barbo , il quale a Costantinopoli, quando fu presa dalle armi latine, anteponendo l'utile della patria all'invidia di una gran pompa, dissuase i crociati di porre la co- rona dell'impero greco sull'onorando capo del Dan- dolo, anzi della regina dell'Adriatico : la quale ma- gnanimamente mostrò di non averne bisogno. L' al- tro è il prudentissimo Giorgio Cornaro. Prudentissi- mo il dissi f e doveva anzi dirlo maestro solenne a' popoli, che seguono la religion del vangelo , di ciò che le leggi di una civiltà vera debbono aver santo G.A.T.LXXXVIII. 14 210 Letteratura eziandio fra le ferocità della guerra. Imperocché i di- ritti del guerreggiare non vogliono più oltre allargar- si che richiegga l'opprimere il nemico armato, e l'as- saltarlo o nel campo aperto o nelle sue rocche. Laon- de il vituperare che spesso i vincitori fanno le spo- se e le figlie de'vinti, e il non arrestare i lor furo- ri ne pure appiè degli altari, è cosa non dirò inde- gna di una gentil milizia, ma iniqua, sozza, selvag- gia. Per la qual cosa il Cornaro, desideroso che la sua Venezia desse all' Europa anche questo esempio di cristiana virtù, essendo in ufficio di provveditore nella guerra che la repubblica nel millecinquecento otto ebbe con Massimiliano imperadore, ordinò che pre- sa la terra di Cremons tutte le donne si riducessero in una chiesa, guardate severamente da ogni milita- re licenza; e volle inoltre che restituite fossero a'sa- cerdoti l'ecclesiastiche suppellettili, da alcuni scorret- ti soldati tolte ne'templi di Dio: non cessando l'uomo venerabile di gridare, che la guerra de'veneziani era conira l'esercito di cesare, non contra la pudicizia e la religione. Ed io : Egregio cittadino, e degno della Roma de'Fabrizi e de' Curi ! E bene sta che ce ne ab- bi qui fatto ammirare 1' immagine. Ma parmi là il re Roberto quegli che, posato familiarmente il destro braccio sulla spalla di un suo confidente, tanto pia- cesi ne'discorsi di que'due che gli sono dintorno. E Guglielmo : Gli è desso : e il canuto, a cui il re mo- stra quel grande atto di dimestico affetto, è il gran siniscalco Nicolò Acciaiuoli. Negli altri due ravvisa Domenico Caracciolo e Rernardo Tanucci. E sì che vorrai sgridarmi, continuò egli, di aver qui posto anche due donne ? T' inganni , io risposi : per- ciocché non ho mai stimato, avere la bontà celeste di- L ILLUSTRE ITALIA 211 schiuso a noi soli tutto il tesoro della saggezza : ben- ché creda che meglio si addicano al bel sesso le cure che recano a prosperità e santità le famiglie: e più gli si convenga di usare con gentilezza e modestia il dono di quelle grazie, delle quali certo la provviden- za gli è stato largo per consolare l'umana vita e ren- derla più leggiadra. Ma nondimeno io non sq chi de- gli uomini più famosi non sarebbesi tenuto grande ( la- sciamo stare le antichissime ) della prudenza di stato che apparve in Elisabetta d'Inghilterra, in Maria Te- resa d'Austria ed in Caterina di Russia. F< poco mino- ri, ripigliò Guglielmo, furono a quelle valorosissime, non pure Adelaide marchesana di Susa e la contessa Matilde, che là sono con Ermengarda marchesana d' Ivrea, ma le due che vedi più presso, cioè Caterina de' Medici ed Elisabetta Farnese ; l'una delle quali essendo regina di Francia, e l'altra di Spagna, sostennero vi- rilmente lo scettro di quelle nazioni venuto a mani 0 giovanili o inesperte. Or guarda Caterina, veneranda matrona, che sembra in quella vecchiezza ravvivar tut~ ti gli spiriti per ributtare da se 1' accusa d' aver meditata la strage del giorno di san Bartolomeo. E la vedova di Filippo V già mostra di persuadersene: tanta è efficacia d'ogni atto e la possanza d'ogni parola della figliuola di Lorenzo de' Medici. E cosi fu ve- ramente la cosa , com' ella dice : e così la stimerà chiunque vorrà senza studio di parte considerare ornai le memorie più certe di quell'età : ne più oltre por- gersi schiavo d' ingiustissime prevenzioni , alle qua-? li sì l'ira delle fazioni e sì 1' odio d'una principes- sa italiana hanno troppo leggermente dato credito nel- l'istoria francese. Ed io: Se la riputazione di una gran donna deesi giustamente difendere e purgar d'ogni mac- 2i2 Letteratura chia, ella è certamente quella di Caterina de'Medici : e godemi il cuore che già non manchino generosi che si sieno accinti a farlo. Non ho poi duopo, continuò l'amico mio, di dir- ti chi sieno quegli altri due, che poco lungi , assisi sotto quel platano, osservi ornati il petto delle inse- gne dell' Annunziata : perchè le note sembianze , e l'abito men di principi che di soldati, abbastanza t'in- dicano Vittorio Arnadeo II e Carlo Emmanuele III. Oh quali re di Sardegna ! Perciocché usarono così la saggezza della mente in dar leggi a'ioro popoli, co- me il potere della spada in difenderli: grandi politici che furono e capitani e fondatori d'ogni bene e pos- sanza della monai-chia. Non è egli così , mio Betti ? Egli è così, diss'io : e piacemi che Carlo Emmanue- le sia in quell'atto modesto di scusarsi al padre : il quale generoso e benevolo gli stende la mano , più non dubitando che ad usar que'rigori contro di lui non fosse indotto un tal figlio, anzi da ragion severa, che da animo irriverente. E bene gli hai posto allato il maggior uomo, e certo il più saggio ed accorto, che mai amministrasse le cose del regno, Giambatista Bo- gino. E così fosse stato in lui nel millesettecento qua- rantacinque di tener fermo il suo signore nel trattato colla corona di Francia ! Che gloria di Carlo Emma- nuele sarebbe stato di aver dato finalmente effetto ad un pensiero magnanimo del gran Giulio II. Senonchè in altri ragionamenti si è messo Mer- curino Arborio di Gattinara, che resse gran cancel- liere i consigli di Carlo V , ed a cui più quistioni indirizzano intorno ad alquanti fatti di quel poten- tissimo, così Carlo del Carretto ed Ippolito d'Este, co- me Renato Birago e Giovanni Morone : intanto che L'ILLUSTRE ITALIA 2l3 dall'altra parte il Consalvi, tratto al dir suo l'attenzio- ne di Ottaviano Ubaldini, di Oliviero Carafa, di Gian- francesco Commendone e di Marino Caracciolo, nar- ra con vivacità al Mazzarino ed all'Alberoni i terri- bili rivolgimenti che a'suoi anni arrivarono non me- no in Italia, che in Francia e in Ispagna : e come fu presso a spegnersi e poi risorse la casa d'Ugo Ca- poto : e come tentossi invano di abbattere la sede del vaticano, e di sbigottire il santo petto di Pio: e co- me infine a nuovi patti si strinsero in Vienna , lui presente, i potentati di Europa. Discorsi gravissimi di gravissimi avvenimenti : di falli or mirabili di valo- re, or santi di virtù, or infami di colpe. De'quali so- no pure per entrare autorevoli testimoni Francesco Melzi duca di Lodi e Girolamo Lucchini, l'amico del gran Federigo di Prussia, il ministro de' re che seguirono, l'autore dell'opera sulla confederazione del Reno : comechè egli guardi intorno se ancor vegga giungere Orazio Sebastiani e Carlo Andrea Pozzodi- borgo. E vorrei esser da tanto, che l'arte mi bastas- se ad esprimere lo stupore, onde pendono dalle lab- bra del cardinale e quell'animo liberissimo di Dona- to Giannotti, ed Ottavio Sammarco, e Scipione Am- mirato : mentre Giovanni Boterò e Lodovico Settala con certa curiosità osservano il Boccalini, ingegno vi- vissimo, che con satirico ghigno è intento a scrivere non so quali cose in un libro. Compiesi questa parte del quadro con Luiduar- do vescovo di Vercelli ed arcicancelliere e primo con- siglio di Carlo il grosso : il quale a Ferrico Cassi- nelli , arcivescovo di Reims e segretario del re Car- lo V di Francia , narra con quella franchezza tut- te le vicende della sua vita , e le ragioni del ri- 2i/h Letteratura pudio che della regina Riccarda fece l'inetto suo prin- cipe, quando imbecille affrettava la mina de'carolin- si colle opere stesse $ onde innanzi a lui altri re af- frettarono quella de'merovingi. Qui io dissi : Or deh, Guglielmo, aprimi deh la ragione perchè io qui non veggo i tre solennissimi, anzi forse i maggiori che mai per giudizio di espe- rienza avesse l'Italia, Cesare Augusto e Cosimo e Lo- renzo il magnifico ! Ed egli : Egregiamente, rispose, li chiami tu solennissimi : né v'ha dubbio che non potessero con dignità qui sedersi fra'primi e per gra- vità di consiglio e per magnanimità. Senonchò mi è sembrato che a molti sarebbe meglio piaciuto veder- li fra quegli altri preclari spiriti, che con rara libe- ralità e cortesìa non pur favorirono, ma nobilitarono fra noi quanto ha di bene l'umano ingegno. Perciocché, o Betti, passato è l'impero de'cesari, passata è la repub- blica fiorentina : ne più sente l'Italia o il beneficio o il peso di quella superiorità maggiore che di cit- tadini, e di que'famosi governi. Ma duraci ancora, e ci vive e fiorisce bellissimo, ciò eh' essi operarono a ringentilirci l' ingegno, e per grazia d'arti e di lette- re farci principi di tutte le fantasie : e lasciamo a lor senno cianciarne l'ignoranza o il bestiale animo degli ammiratori degli Ugo e dei Lamartine. Tantoché non saprebbe pensar l'Europa un'altezza di secoli maggio- re di quella che prima onorossi di Augusto , poscia de'Medici : altezza che più non teme o l'ira di Cin- na, o l'emulazione di Rinaldo degli Albizi, o il pu- gnale di Francesco de' Pazzi : altezza infine che le menti degli uomini venereranno, o a libertà inchi- nino o a signoria, finché rimanga pur loro un con- cetto di nobiltà e di leggiadria. Ed io : T'approvo in L'ILLUSTRE ITALIA 2l5 tutto, o Guglielmo , cotesto avviso : e tanto più di buon grado , quanto che mostra chiarissimo il mag- gior potere che a fare immortali le umane cose, secon- do eh' è dato quaggiù, ha la sapienza, che il principa- to: e come dalle opere degli eletti ingegni, meglio che dalle spade de'soldati, possono a se promettere i gran- di re una più durabile vita e una gloria più sincera ne'posteri. E certo ove sono gl'imperi famosi di Ciro, di Alessandro, di Cesare? Ove sono, o Guglielmo , se non solo nella memoria che agli avvenire degna- rono tramandarne i nobili scrittori antichi ? Più de- gno adunque, perchè richiamaci a più gentil merito e saldo, è il luogo che nel tuo dipinto intendi dare a quell'imperadore del mondo ed a qu e' principi della loro patria : e ben sarà che non potendo allogarvi la maestà pontificia di Leone X, non vi manchino al- meno il padre ed il bisavolo incomparabili. Ti lode- rò tuttavia se in ultimo, benché non ultimi d'animo, tu qui ponga Cerchio de'Cerchi , Giano della Bella e Michele di Landò , che in quella loro saviezza provvidero di leggi eccellentissime la repubblica di Firenze : benché poi Giano e Michele n'avessero per degno merito il bando, secondo la natura ingratissi- ma de'governi che si reggono a popolo. VI. Il qual desiderio consentitomi da Guglielmo, riprese egli : Chi non sa quale stretto vincolo con- giunga fra loro le leggi, la ragione di stato, e l'isto- ria ? Chi non sa che il più degli errori, ne'quali of- fendono gli scrittori che partitamente trattano dell'una o dell'altra di queste scienze, provengono appunto dal non volerle sufficientemente conoscere tutte e tre ? Perciocché qual più intima e ragionevole corrispon- denza fra gli statuti e i governi di un paese, ed i co- 216 Letteratura stumi del popolo che gli ha ricevuti ? Tanl' è, diss'io, o Guglielmo: e quindi si pare la temerità ch'è in molti di voler giudicare le varie leggi delle nazioni, e ripu- tarle sovente o crudeli o frivole, senza avvertire a cui servir debbano, o quali avvenimenti politici le consi- gliarono : tacciando così di stolte le menti meglio sa- gaci, che preso ad educare o a mantenere un popo- lo alla religione, alla quiete, alla temperanza, ad al- tro non attesero più sottilmente che all'esperienza: la quale per la voce appunto dell' istoria ti dice quali ne sieno sempre stati i più forti affetti , e quali le più ostinate abitudini. Se tale temerità non fosse in loro, oltraggerebbero così come fanno ( e duolmi di porre in questo numero il Delfico , non saprei dire se perchè veramente così pensasse, o perchè non fu uomo più grande di lui ne'paradossi ), non oltragge- rebbero, ripeto, tante leggi perfino del popol romano, il più savio in ragion pubblica che mai fiorisse al mondo. Or dunque tu agli uomini di stato e di legge hai fatto seguire in questi tuoi disegni gl'istorici : ed hai fatto savissimamente : ed io non so dirti con qual diletto contemplerò tante immagini di famosissimi , che nell'antica Italia emularono i primi ingegni della Grecia, e nella moderna furono padri e maestri agli altri lutti che indi vollero, con gravità giudicando, tramandare a'posteri eloquentemente i fatti di un gran popolo. Primi, allor prese a dire l'artista, ho posto fra gl'istorici Fi listo da Siracusa e Timeo da Taurome- nio, delle cui opere, sì spesso dagli antichi e rammen- tate e lodate, non può la perdita deplorarsi abbastan- za. Conciossiachè Cicerone, come sai, chiamasse Fili- sto per virtù di sentenze e per nervo di stile il picco- L'ILLUSTRE ITALIA 217 lo Tucidide : e Plutarco tenesse in sì gran conto Ti- meo, che nella vita di Nicia sembra quasi anteporlo al magno istorico della guerra del Peloponneso. So- no essi que'due, che hanno là messo a dotto ragiona- mento , e certo delle cose della bella loro Sicilia , Diodoro di Agirio detto comunemente il siculo, istori- co ad essi minore, ma pieno d'industrie, ed a noi per sorte rimaso qual tesoro fortuito di notizie, se ben con- fuse, spesse volte però sceverate dalle tante follie de' greci intorno al favoleggiare 6ulle antichità e stille ori- gini delle nazioni. A Filisto, come a prode che fu e capitano degli eserciti del suo amico Dionigi, ho dato un vestir militare : Timeo, che fu sì rotto alla maldi- cenza e alla satira, ha i segni di quest'acerbità di na- tura anche sul volto : a Diodoro mi è sembrato con- venir meglio la tranquillità dell'animo in una vene- randa vecchiezza. Ma i tre massimi storici de'latini ho posti insieme a sedere su quell'erboso rialto : ed ec- co là Sallustio, in cui con ossequio si affisano Dino Compagni e Camillo Porzio, che tanto ritrassero a quella sua brevità e forza : ecco Livio , ecco Ta- cito , a chi presso inchinasi il Davanzali , come ad ascoltare le sue parole , mentre i due primi sono in atto di sorgere incontro al Machiavelli, al Guic- ciardini ed al Botta, tratti loro dinanzi dal Murato- ri. Stupiscono di tant'arte di scrivere, di tanta facon- dia, di tanta eleganza Paolo Diacono e Liutprando, i quali ben fanno comparazione fra questa gran ve- na d'oro ed il fango ed il ferro che menava il loro secolo di vituperata memoria. Ne vi mancano , ben- ché più addietro, Velleio Patercolo e Quinto Curzio: e in quel caldo quistionare che fanno ho inteso che Curzio riprenda l1 altro non pure della gonfiezza sì 218 Letteratura spesso eccedente de'suoi concetti, ma dell'odiosa adu- lazione al tiranno : e adducagli se stesso in esempio di dignità : il quale più non potendo esaltare le virtù nostre, ne avendo baldanza di maledire apertamente il vizio che regnava, prese anzi a narrare le geste di un grandissimo della Grecia. A cui voglio che ri- sponda Velieio : a Male io feci pur troppo, lascia- tomi abbagliare all'ornamento della pretura, ch'am- bii ed ottenni da Tiberio, intercedente Seiano ! Ma non avevi tu, volendo pure con quella pompa e con que'fiori di retore descrivere alcuna segnalata impresa degli antichi, non avevi tu niun fatto glorioso de'no- stri, senza procacciartelo dalla Grecia ? Spento adun- que in Italia era il nome di chi vinse Annibale, ne- mico ben più tremendo che non fossero Dario e Poro? Spento il nome di chi tutta rovesciò la possanza di Antioco e di Mitridate ? Di chi o trasse Perseo in ca- tene, o sconfisse i cimbri, o conquistò la Gallia ? E dimmi, trattarono forse di altre cose che di patrie i più solenni italiani che ti precedettero, e che là vedi oggetti immortali della riverenza de'posteri ? » Alle quali parole rivolti, come a lode anche propria delle opere loro, si mostrano in vista si paghi que'due, che hanno pur or lasciato di riandare insieme le malvage parti che ruinarono la repubblica fiorentina, Bernardo Segni e Benedetto Valichi. Quegli altri, che indi osservi, e che in alquan- ti fatti e nelle loro cagioni non sembran concordi , sono il Denina e il Giannone, che ha per mano il Colletta. Seguono il Davila ed il Bentivoglio. E ben J)armi, io lo interruppi, a quell'atto del lor favellare, che inorridiscano ambedue al tanto sangue sparso e alle tante colpe, di cui si fecero narratori, ringrazian- L'ILLUSTRE ITALIA 219 <ìo il cielo che almeno ne fosse esente l'Italia» E Gu- glielmo : Bene hai detto : e tale appunto è stato in ciò il mio pensiero. Ma il Giambullari elegantissimo, in mezzo qui al Giovio, al Sigonio, al Foglietta, al Bonfandio, allo Strada ed al Bonamici, è tutto, come vorrei che si conoscesse, in non volere ammetter per buone le ragioni che essi recano d'avere scritte in latino le loro istorie : benché in que'padri del nuovo nostro volgare, ne'quali studiarono il Machiavelli ed il Guic- ciardini, aver potessero, com' ebbero appunto coloro, uno specchio magnifico dell'eccellenza della lingua del sì anche a trattar cose dell'altissima gravità di Livio e di Tacito. » Oltreché, aggiunge Giambatista Adria- ni, era mai possibile che valeste ad emulare per in- genua purità ed eleganza nessuno di que'sommi del Lazio, che i loro scritti dettarono in una lingua non già, come avete fatto voi, del tutto morta nell' uso del popolo, ma sì fiorente di vita, di ricchezza, di no- biltà ? E che n'è avvenuto ? Questo, o concittadini, n'è avvenuto : che siete stati imitatori, comechè va- lenti, e non altro : là dove se, piuttosto che scrivere con parole e frasi cercate a studio nell' altrui favel- la, aveste scelto di esprimervi liberamente nella vostra, vi sarebbe ora onorevole d'esser detti signori delle vo- stre cose, e non servì. E credevate che i posteri do- vessero egualmente o meglio studiare nelle opere vo- stre latine , che in quelle che avevano di Cesare , di Cicerone e di Livio ? Quale stoltezza a non vo- ler essere , direi quasi , scrittore di niuna età ! Di che più d'ogni altro m'hai tu fatto maraviglia, o Bon- fadio : il quale fosti di tanta grazia nel parlare mo- derno, che non è chi non voglia leggere le tue let- tere leggiadrissime ed il tuo volgarizzamento della mi- 220 Letteratura loniana. » Nella quale sentenza volentieri consento- no que'tre, che già non accade doverti dire essere il Costanzo, il Capecelatro e il Mascardi. Anzi Giam- pietro Maffei, ch'è pur con loro, rivoltosi al Serdo- nati gli protesta grand'obbligo dell'avere con favella sì candida volgarizzato i sedici libri della sua storia delle indie orientali : e pentesi quasi di non averlo fatto egli medesimo con quella semplicità gentilissima con cui dettò le vite. Un luogo ho pur dato fra essi al maggior de' Villani, benemerito sopra tutti dell'età sua d'averci serbato tante preziose memorie in quell* aurea cronaca, che sì spesso t' ho inteso lodare non so se più per rettitudine di giudizio (tranne un poco di credulità) o per soavità e leggiadria di lingua. Ma doveva io poi lasciare l'istorico della nostra letteratura? Doveva lasciare chi l'uguagliò nell'amor patrio, e sì dottamente scrisse gli elogi de'nostri primi letterati e filosofi ? Ecco dunque là il Tiraboschi, che seduto a quel ceppo fronzuto di faggio ha sulle ginocchia un libro, in cui sta scrivendo : ed ecco là pure Angelo Fabbroni, tutto inteso al Vico, che dell'antica ragio- ne dell' istoria disputa vivacemente con Francesco Bianchini e con Iacopo Martorelli : i quali non tut- te però gli consentono quelle sue tante sottilità me- tafisiche, benché maraviglino l'altezza di sì gran men- te, ed il nuovo cammino per essa dischiuso a chi me- glio che colla vista di una spanna intenda giudicare delle origini e della primitiva sapienza delle nazioni. Segregati da tutti gli altri, e cose più alte con- siderando, come sono le vicende ora prospere ed ora fiere della religione, ho posto finalmente in quell'a- mena valletta il padre dell'istoria ecclesiastica Cesare Baronio, e con esso il Pallavicino e l'Orsi: sì umili L'ILLUSTRE ITALIA 321 lutti e tre in tanto splendore di dignità e di dottri- na, che hannosi tolto in mezzo quel Daniello Bar- tolo rnaraviglioso in ogni maniera di scrivere; nelle istorie però della sua compagnia, inarrivabile. VII. L'anello, dirò così, che insieme congiunge l'istoria civile e religiosa colle scienze della natura, io stii.io escere le onere de'viaggiatori. Perciocché se questi ardili non sieno nell'una e nelle altre versati più che mezzanamente, percorreranno il mondo per sola curiosità , o per farsi prendere alle favole del volg'^ : noi* mai ner accrescere il tesoro delle verità umane. Laonde in quello spazio , che sì opportuno mi si porge- nella sala fra l'una e l'altra finestra del- la parete, ho appunto allogati i più solenni de' nostri viaggiatori, de'quali uVè sovvenuto. E vedili tutti in- torno a Cristoforo Colombo, che seduto in mezzo ad Antonio Zeno e ad Americo Vespucci ha spiegato so- pra quella gran pietra una carta geografica, e mostra i vasii imperi di là dall'Atlantico da lui primiera- mente restituiti alla notizia ed al consorzio delle al- tre parti della terra. Uomo grandissimo così per vir- tù, come per infelicità : alle cui ceneri non sembra né pur oggi volersi conceder pace ed onore, sollevata- si contra lui l'invidia scandinava con tutte le iattan- ze e le stoltizie di un Rafn ! Quelli che al genove- se più vicini , con atti chi di stupore e chi di giu- bilo , pendono da' suoi discorsi sono Marco Polo , Nicolò Zeno , il Gabato , i Cadamosto , 1' Usodima- re e il Di Negro : ai quale ultimo però Giovanni Cobotto dice modestamente all'orecchio, come tu ve- di , eh' egli col figliuol suo Sebastiano , navigando per ordine di Enrico VII re d'Inghilterra, già visita- to aveva un anno e più innanzi al viaggio del Co- 222 LBTf BR ATDIIA lombo le coste che sono dallo stretto di Baffin fino alla Florida. Vedi quindi il Della Valle e il Pisani: e più oltre il Belzoni, che tratto in disparte da Pie- tro di Covigliano, ascolta le ragioni che questo viag- giatore illustre del secolo decimoquinto adduce con- tra l'inglese Bruce , perchè siagli reso il merito di aver primo fra gli europei, non pur viaggiato nell'A- bissinia, ma veduto le fonti del Nilo. Alle quali cose se non pare ivi aver mente fra Mauro camaldolese, egli è perchè non può rimanersi di congratulare al por- porato suo confratello Placido Zurla, che con belle sposizioni illustrò non solo quel famoso suo plani- sferi©, ma sì dottissimo tutti i viaggi de'veneziani : e che dopo avergli parlato del sommo geografo amico suo Adriano Balbi, presente onore d'Italia, addila al buon religioso il Sanuto, il Ramusio, il Coronelli , il Canovai, il Napione, il Baldelli , e quel Lazzaro Papi , a chi pochi altri de' moderni sono da ugua- gliarsi per la sagacità e la saviezza delle sue lettere sulle indie orientali. E que'due, diss'io, che là posa- no all'ombra, erro forse o sono Simone Stratico e Do- menico Alberto Azuni ? E Guglielmo ; Son dessi : e credo che ognuno vedrà qui volentieri gl'insigni au- tori del dizionario nautico e del sistema universale del diritto marittimo in Europa. Osservi anzi come lo Stratico è caldamente sul quistionare ? Egli confu- ta all? Azuni quell'opinione, che ritrovatori della busso- la sieno stati i francesi: e mostragli un libro di Fla- minio Venanson, ove questo errore, dopo il Napoli Si- gnorelli, vittoriosamente riprovasi come contrario a tut- te le certe notizie e ragioni de' tempi. Ne tace del milanese Hager, che tutte le cose volendo esserci ve- nute dalla Cina, pretese anche difendere che l'inven- L' ILLUSTRE ITALIA 223 zion della bussola tragga origine dall'impero celeste. Infine , o Betti , non doveva desiderarsi qui la pre- senza di chi alla gloria delle leggi marittime , eh' è sì antica in Italia per l'opera delle tavole amalfitane ( lasciamo a' barcellonesi l'onore di quelle sul con- solato di mare ), aggiunse l'altra forse maggiore del perfezionamento della nautica , Flavio Gioia, 1' in- ventore certissimo di essa bussola. Ed eccolo là , che guarda quell'uomo tirreno, il quale su quel pog- gio è per dar fiato alla tromba marina , pur nostro trovato. Vili. Senonchè mi par tempo infine di venire alle scienze sì fisiche e sì matematiche : nelle quali senza niun dubbio gl'italiani furono maestri a quan- ti altri da poi levarono grido nell' Europa moderna. Egli è il vero, diss'io : né pare che fra tante cose , che dall'orgoglio e dall'ingratitudine degli stranieri ci si contrastano, abbiaci mai alcuno voluto togliere que- sta lode. Anzi leggo nel discorso, che il d'Alembert ha fatto precedere all'enciclopedia, queste precise pa- role, delle quali ho ben tenuto memoria : Noi sa- remmo ingiusti a non conoscere tutto ciò che dob- biamo alfltalia : perciocché di là ci son venute le scienze , le quali poi hanno portato sì ricco frutto in ogni altra parte di Europa. Né diversa- mente aveva detto il Voltaire nella ventesimaseconda delle lettere filosofiche : Noi francesi ed inglesi non siamo venuti nelle scienze che dopo gl'italiani. Or bene, seguitò Guglielmo : ecco qua dunque coloro che fra noi le trattarono con maggior fama : impe- rocché ben vedi che porli qui stutti, in tanta ricchez- za ed antichità di sapere, sarebbe cosa a cui non ba- sterebbero tutte e quattro le pareti, non che questa sola parte di una di esse, benché sì ampia. 224 Letteratura Ed incominciando da' fisici, quegli è Alessandro Volta, che mostra sperimentando le maraviglie del più portentoso strumento, dice l'Arago, che Fumana in- telligenza abbia giammai creato , la pila: d' onde si derivarono , dopo il Galileo ed il Torricelli, le più stupende rivelazioni che strappammo, per così espri- mermi, al segreto della natura, e che fecero salir sì alto la scienza. Ed a lui presso appunto è il Torri- celli, non cosi sollecito del suo baromelro, che più noi sia di que'nuovi trovati dei gran, comasco , de' quali ragiona ad Ocello e ad Empedocle. Quasi a se stessi non credono ciò che pur veggono i due filo- sofi di Lucania e di Siracusa : e gli ho in tale atto rappresentali, che dicano con altissimo stupore: « Noi solo congetturando immaginavamo i misteri della na- tura : e questi sperimentando ne hanno arditamente afferrato il vero ! Qual mai piccola idea con tante nostre teoriche avevamo noi dall' universo ! Quanti erano i sogni che noi chiamavamo scienza dell'esse- re ! » Sì, Guglielmo, io risposi: molti furono i sogni di que' nostri vecchi : ma non vorremo per questo considerarli con minor gratitudine che riverenza. Es- si spesso sognarono, guidali com'esser poterono uni- camente dal lume dell'induzione. Ma senza que'so- gni di menti sagacissime ( parlo soprattutto de'pitta- gorici ) credi tu che ora non sogneremmo anche noi ? Essi dissero molte cose di là dal vero : benché sia fuor di dubbio che grandissime verità fisiche ( lasciamo stare le astronomiche , nelle quali è mirabile come tanto e sì profondamente sapessero, che ben poco i posteri ebbero ad aggiungere a ciò che que'maggiori conobbero ) che grandissime verità fisiche, dissi, non pur travedessero, ma sì anche trovassero, come fece- L' ILLUSTRE ITALIA 225 ro principalmente questo Empedocle nostro e Demo- crito ed Anassagora. Ma que' loro sì scusabili erro- ri quanti altri non ne risparmiarono a noi ! Furon essi, o Guglielmo, che ci resero più cauti al filoso- fare : furono quelle audacie di pensieri, che sovente innalzarono il nostro intelletto ad altrettante audacie: alle quali poi seguitò, prima con un certo barlume , indi felicissimamente con sì piena luce la verità ! Oh sì veramente ( ed in ciò mi rallegro colla novella età ) la scienza delle cose naturali ha maggiormente avan- zato in due secoli dal Galilei al Volta, che non a- vanzasse in ventidue da Talete e da Pittagora al Ga- lilei : ed a tale noi siamo giunti, dirò così, col pas- so dell'omerico Nettuno, che se l'essenza delle cose toccar potesse i nostri sensi, d'onde tutte ci proven- gono le cognizioni, a noi già quest'arcano sarebbesi rivelato. Ma rimaso esso nascosto a tutte le specula- zioni degli antichi, che pur n'ebbero sì gran presunzio- ne (principalmente nelle scuole di Mileto e di Elea), rimarrà del pari nascosto alle dimostrazioni delle no- stre sperienze. E sempre sarà un mistero, che a se stesso riserbò Iddio, forse per farcene gioire là dove tutta ci verrà svelata questa oscurità sublime della sua sa- pienza ! E Guglielmo : Ocello non ho saputo far cono- scere in altro modo , che ritraendolo vestito di lino, come conveuivasi a pitagorico: e barbato e scalzo , secondo eh' era pur uso di quella scuola : e sotto il braccio gli ho posto la famosa sua opera della na- tura dell'universo. Quanto ad Empedocle, la dignità dell'aspetto, la porpora ond'egli è adorno, i calzaretti color di rame, e la corona dell'alloro poetico, di cui ha cinto le chiome, abbastanza indicano, secondo le G.A.T.LXXXVIU. i5 226 Letteratura notizie che ce ne porge Eliano, questo sommo filo- sofo e poeta e cittadino , non so se più benemerito dell'antica sapienza, o della civiltà italica, della qua- le umanissimo e benignissimo diede esempio con in- cliti fatti anziché con ippocrite parole. Ed io, con- templando quelle venerande sembianze: Oh salve, dis- si, Agrigento, che andar puoi fra le altre città glo- riosissima non pure della sublimità della mente, ma della rettitudine del consiglio di un generoso, che sì nobile noncuranza mostrò dell'uni suo nello spe- gnere le ree fazioni fra' tuoi cittadini , come palesa chi rifiutò il premio spontaneo del principiato che glie ne venne profferto ! Questo gran precursore, ri- pigliò Guglielmo, della moderna fisica, il quale pri- ma di ogni altro greco ed italico pose la dottrina; de'quattro elementi onde si compongono i corpi , e coll'esposizione della clessidra antivenne in qualche modo il ritrovato mirabile del Torricelli, ha dietro a se, che gli si affissa cogli occhi e più coli' intendi- mento, quel Domenico Scinà , che tutta la filosofia del magno agrigentino, non che la vita e le opere, illustrò con dottrina degna della sua fama : e vedi uno stuolo d'altri rinomatissimi che a quella tanta sa- pienza fanno corona. Non ravvisi il Lana , il Frisi, il Beccaria ? Non il Galvani, che accennando al suo nipote Aldini ed al Vassalli-Eandi: « Pur troppo, di- ce, senza il senno del gran comasco e senza la pila non avrebbe la mia si celebrata scoperta avuto quel- l'immensa importanza ch'ebbe poi nella fisica, nella chimica, nella fisiologia ! » E quell'altro è Tiberio Ca- vallo, che al Cigna e all' inventore del termomolti- plicatore, della metallocromia, della pila termoelettri- ca, Leopoldo JNobili, mostra il suo micrometro; né L ILLUSTRE ITALIA 22 7 tace i vantaggi recati alla scienza per le altre sue in- venzioni dell'elettrometro e del direttore : e vuol sa- pere se l'alta successione del Volta mantengasi tut- tavia con onore fra gl'italiani. Sì certo , rispondegli il Nobili : ne sa finir di lodargli i lavori insigni del Confiliachi, del Melloni, del Marianini, delPÀntinori, del Zamboni e di tanti altri che dal Lilibeo alla Dora fanno cotanto illustre il nome d'Italia. Né addietro si ri- mangono il Beccari , il Gardini, il Delia-Torre: se- nonchè li vedi più attesi a Salvatore dal Negro, che loro narra come Gian-Domenico Romagnosi, non così grande filosofo e giureconsulto che non fosse anche gran fisico , avvisò il primo l'azione che la corrente elettrica della pila esercita sull'ago calamitato : e non- dimeno dopo venti anni l'Oersted divulgò come suo quel ritrovato fra '1 plauso dell' Europa , e 1' eroica nostra pazienza. Quegli ch'è poi là fra il Galvani e 1' Aldini non è mestieri eh' io ti dica chi sia : che ben riconosci 1' amico tuo Domenico Monchini , il quale cortesissimo, come fu sempre , vedi trarsi al- quanto da parte perchè non rimangasi indietro quel lume del sesso gentile, Laura Bassi. Degna compagnia, diss'io, d'italiani : a'quali quante mai cose non invo- larono gli stranieri ! Ma grave omissione ( scusami deh ! ) parmi avere tu fatto di un sapiente, che man- cato a'vivi ne'trentacinque anni, fu degno di succe- dere al Castelli nella cattedra di Pisa , e di esser proposto a quella di Padova dall' immortai Galileo. Intendo dire di Nicolò Aggiunti dal borgo a s. Se- polcro: il quale in queste cose della fisica fu sì acuto sperimentatore, che a lui debbesi di avere innanzi a tutti osservato il salir dell'acqua ne'tubi capillari, e attribuito ad una egual cagione 1' ascendere che fa 228 Letteratura il chilo negli angusti meati degl'intestini. Ne ciò ba- sta: ma il primo pure immaginò colla velocità de'pen- doli il modo di trovare la proporzione delle resisten- ze de'mezzi dell'aria e dell'acqua. So che la Francia, si arroga di aver preceduto ogni altra nazione nelle sperienze de'tuhi capillari, attribuendola al Rho : ma so pure che il Rho visse dopo l'Aggiunti, e che niun dubbio v'ha più sul primato dell'illustre toscano, appres- so ciò che ne ha trattato il Nelli nel saggio sull'istoria fiorentina del secolo decimosettimo. E perchè non po- trebbe star qui anche quell'altro eccellente giovane, accademico del cimento, a cui il Viviani dà il merito d'avere inventato la preziosa macchina per conoscere se l'acqua possa comprimersi, cioè Paolo del Buono ? Anzi perchè a decoro chiarissimo di questi studi non vi starà pure , in un luogo degno di tanta altezza , il granduca Ferdinando II , che fondata avendo in Firenze una particolare accademia di naturali sperien- ze, inventò, secondo le testimonianze di esso Viviani, alquanti utilissimi strumenti di fisica ? Sono sì rari i grandi principi, che amano farsi cittadini della re- pubblica delle lettere e delle scienze, che non parmi certo doversi obliar coloro che in ciò si partono dal costume degli altri. E Guglielmo: Oh certo, disse, questi valenti non voglion essere dimenticati ! E puoi tu credere con qual'arte mi adoprerò a riparar l'omis- sione, soprattutto di quel principe sì benemerito che fu Ferdinando de'Medici. IX. Attendi intanto a quell'altro bel numero : e già subito conoscerai esser de'nostri che con mag- gior grido si diedero alle scienze chimiche. Oh guar- da il Segato, che al Dandolo, al Brugnatelli, al Gio- bert rivela il segreto di quello stupendo pelrificare L ILLUSTRE ITALIA 32Q che fece tante parti animali ! Perchè si a lungo tar- dò, che poi glie lo impedisse la morte, a dichiarar- celo ne'suoi scritti ! E guarda pure come ad Angelo Sala, cui l'Haller dà lode d' avere il primo lasciato in Europa le inezie e i deliri , e trattato la chimica qual vera dottrina, fanno grazie 1' Andria, il Saluz- zo, il Covelli, il Fabhroni, il Morozzo, il Sementi- ni, e quel napolitano Carlo Giovanni Laubert, che l'emula Francia reputò degno di succedere al suo Par- mentìer ! Or se non era che il Guglielmini fu uno de'più grandi legislatori delle acque, qui avresti ve- duto lui pure : essendo egli stato di tal sapere e pra- tica anche in queste cose, che il Fontenelle con un colai motto sì spiritoso, che se fosse stato negli scritti di un italiano sarebbesi senza più gridato al secento, disse che a purgare la chimica dalle sue fecce l'illu- stre bolognese fece scorrervi sopra la geometria. DIALOGO SECONDO. I. Mentre queste cose Guglielmo diceva , ecco dal servo annunciarsi il venir di Fernando, giovane di molte lettere e d'ingegno vivace, ed a me dilettis- simo anche quando non sappiamo concordarci insie- me in alcuna quistione. Perchè chiesto a Guglielmo se gli fosse grave di averlo terzo nei nostri ragiona- menti : Anzi no, rispose : che io pure l'ho caro as- sai, e spesso viene a visitarmi là dove io dipingo. E che calde dispute abbiamo talor fra noi ! Inclinato com'è, giovane ancora di non matura esperienza ben- ché di bontà egregia, a certe novelle idee, o meglio dirò forestiere, intorno alle cose dell'arte. E così pur delie lettere, io soggiunsi, non eccettuate le istorie. 23o Letteratura Sicché fatto cenno al servo che facesse entrare Fernan- do : Oh, quando il vidi, tu vieni certo, dissi, in huon punto ! Perciocché vogliamo dircene delle fierissime; anzi arrovellarci peggio di Filippo Argenti e di quegli altri del quinto cerchio : essendo gran tempo, panni, che tacciono fra noi le risse e non ci diamo hen hene a capelli. Rise Fernando alla celia : e stesa cosi a me affettuosissimamente, come a Guglielmo, la mano: Sa- mtà, disse, ed allegrezza, o amici. Il parlar faceto del nostro Betti mi dà ch'egli è al solito di buona vena, e eh' io senza recarvi molto fastidio posso un poco trattenermi con voi. Fastidio ! rispose Guglielmo. Tu ci dai anzi piacere , e sempre se' il ben venuto. Or pregoti di sedere, e d'essermi tu pure consiglio e giu- dice in quest'ampio disegno che ti vedi innanzi. E così dettogli in brevi parole ciò ch'egli inten- deva rappresentare: Noi eravamo , continuò, in sul parlare degli scienziati , che ho qui posti : ed ap- punto avevamo già toccato de'chimici. Sicché, se tu il credi, proseguirò. E Fernando : Anzi l'avrò in grazia, soggiunse : solo che qua il nostro Betti non voglia anche in queste cose delle scienze giudicare per mo- do, che mostri sempre la sua grande avversione a ciò die sa di straniero. T'inganni, diss'io, o Fernando, se cosi stimi : perciocché non v'ha dubbio ( e teco vorrò pregiarmene) ch'io non sia molto più tenero della mia patria, che dell'altrui : ma sono altresì amico del ve- ro : nò v'ha chi più di me s'inchini sincero anche a quegli stranieri , che hanno veramente lode di ec- cellenza. Ed oh se vedessi come sempre ch'io penso a quel Bacone, a quel Cartesio, a quel Keplero , a quel Newton e a tali altri sommi, il mio cuore lie- tamente salutali ! Oh se dirli potessi l'ammirazione e * L ILLUSTRE ITALIA 23 1 il piacere , onde si spesso leggo ora questa ed ora quell' opera insigne di scrittori eziandio più moder- ni di tante dotte e gentili nazioni ! E chi è poi che mi vinca nell' essere, non dirò affettuoso , ma quasi devoto alla cortesia di que'valentissimi che di là da' monti mi son graziosi della loro benevolenza ? Se- nonchè l'ossequio e l'amore che ho per essi non sa- rà mai tale, che io vegga tutto risplendentissimo ne' forestieri, e sia poi cieco alle virtù de'miei concittadini per questo solo che nacquero di qua dal mare e dall' alpe. Sì, caro amico, il dico e il ripeto: sono grandi quegli stranieri : ma noi lo siamo al pari di loro : e certo il fummo da prima. Ed è per noi massimamen- te se oggi veggasi la maraviglia , che certo né que' greci nò que' romani avrebbero né pur potuto imma- ginare giammai : cioè il nobil contendere di sapienza e di gentilezza che fa con noi, non solo quell'antica barbarie de'britanni e de'galli , ma quella dirò quasi bestialità de'eimbri e de'sarmati, e fin l'ultima gente del settentrione, già irta e selvaggia, ed ora si pulita e civile. Ed ecco, gridò Fernando, le usate iattanze ! Ecco le solite vanità patrie! Ma dimmi tu, di grazia, fummo noi, o piuttosto non fu Carlo magno co'suoi francesi, che le arti e le scienze quasi morte richia- mò a vita novella, non che in Italia, ma in tutta Eu- ropa ? Oh! anche tu, giovinetto, diss'io, anche tu se" di coloro che qua ci recano Carlo come luce a dira- dare le nostre tenebre ! Deh eh' io non rida di te , come ho riso pur d'altri, che anche questa millanteria vollero gridarci sul viso, non so se per dileggiarci, o provar meglio la loro ignoranza ! E Fernando : A me però non par cosa molto da ridere. E come no, io ri- 23a Letteratura presi, se quel Carlo visse in Francia a'tempi per le let- tere così felici, che non potè avere nel regno ne pure chi fosse mezzanamente atto a dirozzarlo in grammati- co, e dovette reputar gran dono del cielo, venuto già ne'trent'anni ed ignorantissimo, d'esserglisi presentato a Pavia quel buon vecchio di Pietro da Pisa ? Come no, se fra'suoi più cari ebbe due altri dotti italiani, che certo non avevano mai studiato in Francia, Pao- lo diacono e Paolino poi patriarca di Aquileia ? E Alcuino, m'interruppe l'amico, dove tu lasci Alcuino, che fu il vero maestro di quel grandissimo ! Ed io : Già non voleva tacere di Alcuino. Ma non so di qual gloria sia alle lettere francesi questo famoso monaco, il quale non pur ebbe origine inglese, ma da giova- ne viaggiò in Italia , e venne a Roma dove la reli- gione non soffrì mai che le dottrine al tutto giaces- sero; e di qua si condusse a Pavia, che già incominciava ad essere città di scienze ; e ciò prima che aprisse la sua scuola a Yorck , e levasse di se quel grido che mosse Carlo a chiamarlo in Francia , ed a vo- lerlo, sebbene per quattro soli anni , al suo fianco. Deh lascia queste beffe, o Fernando, a'perpetui ne- mici del nostro nome : i quali, senza ossequio veruno alla vecchiezza negli uomini venerabile, e sacra nelle nazioni , ardiscono morder le poppe che dieder loro il nutrire per sì lunghi anni di fanciullezza ! Que' francesi di Carlo non avevano ne arti proprie, ne let- tere : altro non sapendo che al modo de'barbari usar le armi. Qui Fernando chinati gli occhi stette alquanto sopra di se : poi ripreso quasi baldanza : Checché sia di questo, continuò ( che io non voglio tanto osti- narmi nel contraddirti ), non potrai almeno contende- l' ILLUSTRE ITALIA 233 re , ch'essendo finalmente divenuto languido il nostro braccio, come direbbe Vincenzo Cuoco, per l'abuso dell'energia, noi stemmo allora sotto il giogo di que' francesi, presso i quali fu l'impero, non meno dell'Ita- lia, che di quasi tutta l'Europa. E da chi ebbe Car- lo, diss'io, questo impero se non da noi stessi ? Com' egli calò in Italia, se non chiamato da'nostri ponte- fici, i quali stanchi di sopportar più oltre le per- fidie dei re longobardi, e soprattutto di Desiderio in- gratissimo, si mossero a chiedergli il merito dell'ave- re legittimata del regno la famiglia di Carlo Martel- lo ? Perciocché que'tempi così correvano : che senza la saggezza e 1' autorità di papa Zaccaria ( checche oggi ne cicalino alcuni scrittori di là da' monti ) , certo è che i francesi, in quell'antichissima loro ri- verenza alle ragioni dei re, non si sarebbero mai pie- gati a veder Pepino sul trono di Childerico. Fu gra- to Carlo a' pontefici del beneficio del regno pater- no e suo : e ciò vuoisi riputar lode di un animo , a cui non mancarono veramente molte virtù precla- re. E dico anche del regno suo : perchè chi non sa, che per la sola ragion del più forte aveva egli cac- ciati i legittimi eredi della corona d'Austrasia ( i due figli cioè del re Carlomanno suo fratello ) e riunito quello stato alla Neustria ed alla Borgogna, che so- le gli erano toccate in parte alla morte del padre ? Or che sarebbe avvenuto di Carlo , se Adriano I ivesse unti del regno di Carlomanno que'due pupil- i, come venivane stimolato dal re Desiderio loro avo ricovero nella sventura, e dal vecchio Unoldo du- a di Aquitania ? Ricusò Adriano di porgersi a quel- ntto ; e salvò per tal prudenza la Francia da una gerra civile : la quale infine terminata sarebbesi per 234 Letteratura l'autorità della chiesa, in un regno ove potentissimo era il sacerdozio, ed i vescovi, come dice il Gibbon, creato avevano il polere dei re. Senzadio Carlo, aven- do inimico Adriano principe di sì grandi spiriti, ed in armi i due innocenti nipoti dal pontefice coronati, era egli sicuro di escir trionfante da una usurpazio- ne sì manifesta ? Cessi dunque chi tanto innalza i meriti di quel fortunato verso la sede romana e l'I- talia : e creda ch'egli volle in alcun modo rimeritare colla sua spada i favori eh' ebbe segnalatissimi dalla tiara. Ne quella sua guerra longobarda, o Fernando, fu poi cosa da onorarsene molto un re grande e guer- riero. Perciocché giunto Carlo alle alpi, e veduto il longobardo contrastargliene animoso il passo, fu su- bito pien di spavento; memore, ancora delle terribili stragi che già de'suoi franchi commisero in aperta cam- pagna i re Autari e Grimoaldo, senz'averne cancel- lato la fama le brevi scorrerie che, favorito sempre dall' autorità de' papi , esercitò il re Pepino in Ita- lia contra il malvagio Astolfo. Sicché, dicono il Da- niel e il Deuina, era egli in punto di fuggirsene ver- gognosamente co'suoi , se nell' estremo pericolo non gli avessero sgombrato dinanzi ogni ostacolo la reli- gione ed il senno, così di esso Adriano, come di An- selmo abate di Nonantola. Quindi l'esercito francese non trovò poi a combattere che a Pavia un nemico, ch'estenuato dalla pestilenza e dalla fame, poco stan te se gli die prigioniero. Dunque, m'interruppe allora Fernando, seconD l'opinion tua Carlo non ebbe il regno di Desidero che dalla munificenza de' papi. Tant'è, io risposi i_ ni- na cagione avendo egli avuta di calare in Italiane non quella di rendersi alla chiamata di Adriano: il l' ILLUSTRE ITALIA 235 quale risoluto di abbattere al tutto la possanza de'lon- gobardi, stimò saviezza di gratificare del loro regno un fortissimo, la cui famiglia, da esso e da1 suoi antecessori raffermata sul trono, avrebbe sempre dovuto di buona ragion di stato, non solo rimanersi nell'ossequio della sede apostolica, ma sì procacciarne l'esaltazione e di- fenderla. Certo è poi che il re Carlo ebbe animo così alieno dal volerci umiliare e far servi alla Francia, che non pure fondò fra noi un regno d'Italia senz'alcuna superiorità forestiera, ma costantemente mostrò qui d' onorare la maestà dell'impero e del sacerdozio. Perchè preso modestamente il solo titolo di patrizio, appena osava levare un pensiero a quello di augusto , con che di proprio moto ed affetto salutollo Leone III. E potresti tu dirmi s'egli altrove che in Roma si con- dusse a prendere la corona de'cesari ? Potresti dirmi se indi con altro titolo si chiamasse che con quello glorioso d'imperador de'romani ? Per la qual cosa non so d'onde alcuni traggano il nome d' un impero de' franchi fondato da Carlo magno : essendoché niuno degli antichi nominasse mai altrimenti quella vastis- sima sua monarchia, che impero romano o d'occiden- te. Ben fuvvi un impero francese : e il vedemmo na- scere e perire a'dì nostri per la spada e per la men- te di un italiano : impero che non durò (per così di- re) che pochi romorosissiini giorni, seguendo la neces- sità d'una nazione che di tutto si stanca presto, anche della maestà e della gloria. Che più ? V'ha chi sa- rebbe indotto quasi a pensare , che Carlo ( per ciò ch'indi mostrò ) non tenesse in quell'onor grande, che dicesi, l'esser nato francese: avendo tolto perfino alla sua patria, non ch'altro, la sede del regno, e recatala in Alemagna: là dove pur volle vecchissimo che in 236 Letteratura Aquisgrana giacessero le sue ossa: dopo avere però som- messo ( fatto gravissimo ) alla potestà di papa Leone III il suo testamento, perchè, come dicono gli annali de'franchi , approvandolo il soscrivesse. Qui Guglielmo, che più volte era stato quasi sul- l'interromperci le parole, presomi finalmente con amo- re per mano : Deh, disse, non sembrati ch'ornai que- sta quistione sia trapassata ogni termine ! Se vi pia- cesse, amici, finirla, o rimetterla a miglior tempo (che non voglio già interdire al nostro Fernando di far le risposte ), io seguiterei volentieri a parlarvi de' miei disegni. Ed io : Hai ragione , o Guglielmo : e di grazia scusaci di questo svagarci che abbiamo fatto, se non per amore di Carlo magno, per quello alme- no d'Italia. Sì sì , soggiunse pure Fernando : e me scusa principalmente, cosi per giovinezza inesperto : e prosegui intanto a farci conoscere i personaggi del tuo gran dramma pittorico. II. E Guglielmo: Noi eravamo a'chimici : or ecco qua i botanici, la cui scienza in Europa dee pur tan- to all' Italia , che diedele perfino l'instituzione degli orti, mostrando ad esempio quelli di Padova e di Pisa. E primo fra essi è Sestio Nigro, nominato da Gale- no subito dopo Dioscoride, ed anche notoci per l'ef- figie che ne ha pubblicato il Visconti. Ed io : Se il primo non fu Sestio , certo fu il principale , o io m'inganno, che meritasse fra gl'italiani d'esser chia- mato botanico : benché innanzi a lui ponesse uno stu- dio grandissimo in questa scienza il portentoso inge- gno di Empedocle, il quale può dirsi d'averne quasi poste le fondamenta col trovare che fece il sesso del- le piante. Oh, soggiunse allora Fernando, quelli che con Sestio favellano sono certo l'Alpino ed il Cesai- i/ ILLUSTRE ITALIA 287 pino ! Ma non era forse quell'aretino allogato meglio fra'medici o fra gli anatomici ? E Guglielmo : Un uo- mo così solenne nelle scienze, come fu il Cesalpino, allogavasi bene non pur fra gli anotomici e i medi- ci, ma fra'primi sapienti che scossero il giogo della servitù scolastica , e vollero filosofando esser liberi. lo l'ho però voluto qui porre, perchè credo che aves- se altri anatomici e medici e filosofi che l'uguagliasse- ro : ma che niun botanico gli fosse pari al suo tem- po. Sicché veramente il reputeremo del numero de' fondatori chiarissimi della scienza pe'sedici suoi libri intorno alle piante : ne'quali questo è J soprattutto a considerarsi, eh' egli primo indicò il metodo di par- tizione per le fruite e pel luogo del ricettacolo, a- vanzando così di un secolo e mezzo il Iussieu. Lo- de assai più certa, che non sia 1' altra così contra- stagli dell'assoluta scoperta della circolazione del san- gue : la quale nondimeno avvisò per modo , che il Freind dissela conseguire con facile e necessaria de- duzione dalle dottrine di questo nostro italiano. E veramente poco ebbe a fare l'Arveio dopo di lui, do- po il suo maestro Acquapendente famoso ritrovato- re delle valvole delle vene , e dopo il bellunese Eu- stachio Rudio, da chi precisamente imparò a Padova, come ha ben provato a'dì nostri Giammaria Zecchi- nelli, le cose più essenziali sulla struttura e sull'uf- ficio del cuore. Anzi, diss'io, il Senac ( vedi, o Fer- nando, non ti adduco uno de' nostri) dichiarò alta- mente ehe appresso il Cesalpino niuno può veramen- te pretendere il titolo di scopritore della circolazio- ne del sangue, non essendo andato l'inglese che pro- priamente sulle orme dell'italiano, come un viaggia- tore che visiti una regione già indicatagli da un al- 238 Letteratura tro. Comunque sia, potendo stare questo nostro gran- de in più luoghi del tuo dipinto, come bene avver- ti, o Guglielmo, stia pur qui fra'botanici. Allora Guglielmo: Piacemi questa tua approvazione. Ed il Cesalpino parla appunto con Sestio dell'avanza- mento ch'egli procacciò il primo alla botanica de'moder- ni: e tiene intanto per mano il Mattioli, gran tradutto- re e fomentatore di Dioscoride. E perchè non ho po- tuto qui darvi anche il Malpighi, l'autore immortale dell'anatomia delle piante ! Ma ho stimato quel lu- me chiarissimo delle scienze, comechè fosse pur som- mo nella botanica, non dover mancare alla compagnia degli altri principi degli anatomici , i quali certo si sarebbero mal contentati di non averlo vicino. I due che dopo il Mattioli si mostrano in quel- la gran fede di amicizia, sono i lincei Federico Cesi e Fabio Colonna, ingegni acutissimi : imperocché dal- le tavole filosofiche di Federico, uice Giovanni Bri- gnoli, trassero e il Iunius e il Linneo e il Iussieu e l'Adanson, ciò che con maggiore filosofia disputarono sulla botanica. E senza Fabio, che avrebbe mai fatto il Tournefort ? E bene il confessò l'illustre francese,, riprese Fernando. SI confessollo, io risposi: e confes- sollo con candida lealtà : ed è veramente da recar ma- raviglia che sì rado ne seguisser l'esempio i dotti della sua nazione. E quell'altro, o Guglielmo, parmi essere il Tozzi. Egli è desso, rispose l'artista: ed in tanta mo- nastica semplicità ho voluto che pur mostrasse il buon vecchio alcuna onesta alterezza dvaver datò alla bo- tanica uno de'più splendidi lumi in quel suo discepolo Pietro Antonio Micheli. Qui surto in pie , per un subito moto, esclamò sdegnoso Fernando : E dopo que- sta sì grande sagacità e potenza d'ingegni ebbe pur L'ILLUSTRE ITALIA 23() coraggio il Decandolle di parlare sì Lassamente de- gl'italiani quanto alla filosofia della scienza ! Ed io : Sì, amico : ebbe questo coraggio ! E l'ebbe all'età dei Viviani, dei Nocca, dei Bertoloni, dei Gussone , dei Savi , dei Brignoli , dei Tenore, dei Moris ! E vol- le perfino far sembiante di non conoscere il più bel- lo e eompiuto lavoro, che sia escito giammai intor- no all'anatomia e fisiologia de' vegetabili, l'opera cioè di esso Viviani Sulla struttura degli organi ele- mentari delle piante e sulle loro funzioni della vita vegetale ! Gran che , o Fernando , che voglia- ai perpetuamente di là da'monti tener cattedra d'er- rore sulle cose de' nostri , ed imputarci a colpa se in Francia o in Inghilterra o in Germania ignorisi ciò che fassi in Italia ! Ma quella non so s'io dica simu- lazione o scortesia del professor ginevrino ( che igno- ranza non oso chiamarla ) non si volle senza nota la- sciar passare dal Brignoli. Ed oh pur benedetta quel- la sua opera veramente di carità patria ! Non V hai tu veduta ? Bispose egli : Sappi anzi che mi è stata di gran consiglio ed utile in questa parte del mio lavoro. Vedete qui intanto al Micheli congratulare il Trionfetti , il Tillio, il Zannoni : mentre a Vitalia- no Donati sono più particolarmente attesi il Monti, lo Scopoli, Giovanni ed Ottaviano Torgioni e il Pe- tagna, ammirando la narrazione di que'suoi viaggi in Asia e in Egitto, e commiserando la morte che l'uo- mo egregio trovò sulle coste del Malabar. Seguono 1' Allioni e Pietro Arduino , a' quali il Pontadera presenta 1' opera sua sulla natura del fiore. « E tu, dice là il Comparetli al Corti , tu il primo trova- sti, che il succo de'vegetabili ascende e discende pe'me- desiini vasi. « Gli è vero, a lui risponde il botanico 240 Letteratura di Viano : ma non considerasti tu innanzi a tutti la particolare struttura del collaretto della radice, o sia il nodo vitale ? » Quindi una gara gentile di testimo- niarsi l'un l'altro la propria ammirazione è fra il Gan- dhi! e il Pollini, autori d'importantissimi sperimenti, quegli sull'azione dell' elettrico nelle piante , questi sulla vegetazione degli alberi : a ciò partecipando al- tresì il Cavolini, che avvisò il primo la maniera on- de fioriscono le fucagrostidi di Teofrasto e la zoste- ra : ed il Vandelli, l'illustratore principalissimo della dracena, la quale il Linneo non volle in Europa con altro titolo onorare che di vandellia. Allora Fernando, non senza gran commozione di animo : 0, disse, Gu- glielmo, non è mestieri che tu ci dica chi è l' altro che viene appresso : che io ben riconosco l'immagine di tale , che al Betti fu amico , ed io sommamente amai come maestro che mi fu carissimo nella romana università ! Certo egli è desso, riprese Guglielmo, egli è desso quell' Ernesto Mauri , che sì giovane e non men famoso mancò in questi anni all'onore italiano. Perdita gravissima, e di qua e di là dall'alpe meri- tamente compianta ! Ed egli, come vedete, è col Bai- bis, col Bivona e col Sebastiani, a chi mostra le ope- re di quella Elisabetta Fiorini Mazzanti, ch'è tanto decoro non pur della scienza , ma della mente del gentil sesso, il quale in Italia più che in altra regio- ne, la Dio mercè, sembra inteso a più nobili studi che a follie di romanzi. III. In questi altri poi non dovrebbe esser dif- ficile il ravvisare coloro che principalissimi scrissero di quell'arte, che gl'italiani non profanarono mai, co- me i greci, abbandonandola a mani servili : dico l'a- gricoltura a'nostri avi sì veneranda, che ancor si ri- L' ILLUSTRE ITALIA 24» cordano quelle mani trionfali che fra noi guidavano il vomere laureato. E sono essi ( lasciando stare Var- rone, che come dottissimo de' romani porrò fra' som- mi eruditi ) Pier Crescenzi, Francesco Ginanni, Giam- batista da s. Martino, il Gagliardo ed il Re. E cui cerca, disse Fernando, cui cerca egli il reggiano geor- gico, che il veggo con tanta sollecitudine volgersi in- dietro ? E Guglielmo : Cerca il bolognese Giovanni Cavallina: e intende restituirgli l' invenzione del se- minatore , con incredibile impudenza involatagli dal Duhamel. Come pure vuol rendere a quel buon mi- nore conventuale, che fu Agostino dalla Mirandola, il merito della prima sperienza fatta di moltiplicare gli agrumi per sola opera delle foglie : sperienza che parimente si attribuirono poi a vicenda ( usata inso- lenza ! ) il Beclcero e 1' Hobbergio. Gli altri sono piuttosto intesi a bearsi ne'versi che loro canta Luigi Alamanni. Gentile immaginazione, disse Fernando ! E cosi qui panni veder l'autore elegantissimo della col- tivazione, coma immagino che fosse alla corte di Fran- cesco e di Enrico di Francia , quando colla dolcez- za del patrio verso consolava gli ozi di Caterina de' Medici. E bene hai posto con essolui il Rucellai : che veramente non so qual più grazioso libro e soa- ve di quelle sue Api abbia il nostro Parnaso : e la- scisi cianciare uno stolto di questi giorni, che colle zampe « Sciupa il fien di Parnaso e lo scompiglia: » non vergognatosi di stamparci sul viso , che quella semplicità carissima di poesia, tutta fior virgiliano, è dagl'italiani sopportata ornai nimium patienter ! Ma G.A.T.LXXXVIII. 16 242 Letteratura vorrà menartìsi buono di aver poi trascurato il Tan- sillo, autore anch'esso de'più leggiadri di un poemet- to intitolato il Podere: e trascurato insieme tanti altri, che pure con bella lode fra' moderni cantarono co- se georgiche, come per esempio lo Spolverini, il Ba- ruffaci, Zaccaria Betti, il Lorenzi, l'Arici? Ma se io doveva, soggiunse Guglielmo, effigiar qui tutti quan- ti, o Fernando, e non i soli maggiori, penso che a tanto numero appena sarebbero bastate, non dico le pareti di quella gran sala, ma sì le muraglie dell' intero palazzo. Ho posto adunque i due più famosi, che dopo Virgilio poetarono di cose campestri: i due che sono non pur delizia di quanti hanno cara la scienza, ma si studio e diletto di chi sa intendere quella sin- golare eleganza e purità di favella, onde vengono me- ritamente allegati in esempio sì autorevole. Se così è, diss'io, poni anche senza alcun dubbio il Tansillo: per- ciocché affermerei quasi per certo, che il fiorentino con- sesso non ha onorato ancora fra' testi del parlar gen- tile il Podere del poeta napolitano, se non solo perla ragione che quella sì graziosa operetta, trovata a caso, non ci si è fatta conoscere che a questi ultimi anni. E Guglielmo : Sarà dunque terzo il Tansillo nel mio disegno fra quel senno elegantissimo dell' Alamanni e del Rucellai. IV. Ma intanto, amici, quali avete voi che fra gl'italiani siano principi della scienza che più propria- mente ha nome di naturale ? Ho sentito dir sempre, rispose Fernando, che siane padre in onore il vecchio Plinio, e che veri principi se ne vogliano salutare Er- molao Barbaro, a chi Ermenegildo Pini dà veramente lode di primissimo ristoratore, poi l'Aldrovandi fon- datore della zoologia, indi il Redi, il Vallisnieri, lo l' ILLUSTRE ITALIA 243 Spallanzani e Felice Fontana. E cosi, rispose Gugliel- mo, ho sempre creduto anch'io. E perciò vedeteli par- titi in vari gruppi, e chi in pie e chi seduto, là pres- so quell'erboso antro, su cui una gran rovere span- de ombra così gradevole. Ed io : Cosa veramente cu- riosa quell'uomo sì grave d'anni, che curvo sul suo bastone rimira Plinio sì arditamente! E sì ch'egli è il medico Leoniceno, che piùmo ne'libri del veronese av- visò molti errori Dall'animo libero di un sapiente, che jion offuscato da cieca riverenza per niuna vecchia opinione, non contempla che il vero, ne altro cerca, ne altro vuole, e ride sul volto a' pedanti ogni lor servile arroganza ? E Guglielmo : Appunto egli è des- so : ne ho stimato dover passare uno de'più forti in- telletti del secolo decimoquinto, il quale se non recò a niun'altezza la scienza, vide però in quel primissimo albore, che la natura poteva e doveva in altro modo, che non si era fatto, studiarsi ed interpretarsi. Ora osservate il Vallisnieri, ch'è surto incontro a quell'in- gegno stupendo di Giacinto Cestoni, che tanto egli eb- be in onore fino a chiamar la sua morte una sciagura pubblica del suo tempo. Ma il Redi, che sarebbe for- se venuto anch'egli a far festa a quel suo amicissimo, n'è ritenuto dal narrare che gli fa Ferdinando Lui- gi Marsili non pur quanto opeiò ad avanzar l'uma- no sapere, soprattutto nelle sue opere sul Danubio e sulla storia fisica dei mare , ma e le sue imprese di guerra, e i suoi viaggi, e i casi della sua schiavitù, e i morsi infine con che l'invidia prese invano a brut-* targli l'onore, Qui Fernando, facendo un cenno cortese colla mano destra a Guglielmo perchè dovesse alquanto re- starsi, a me rivoltosi disse : Ecco, o Betti, un nostro 244 Letteratura infelice, a chi un re grandissimo riparò i danni che fecegli un grandissimo imperadore. E chi fu egli quel re ? Fu Luigi XIV, io risposi, che con nuovi onori compensò in Francia al Marsili gli onori perduti in Germania : lode veramente egregia di un principe , eh' emulando ciò che Francesco primo operò per le arti, andava del pari invitando dall'Italia a Parigi i più ciotti ed illustri che ammaestrar potessero alle scien- ze la sua nazione: tantoché dopo averci tolto e il Cas- sini e il Maraldi e il Poli, volle avere altresì quel no- bilissimo bolognese-, E quando ho io negata mai la ge- nerosità dell'animo di Luigi, che certo in ogni cosa fu somma ? Ma vorrei che tu pure considerasti, se nell'a- ver tratto in Francia così il Marsili, come quegli altri italiani, abbia egli avuto mente soltanto alla propria benignità, o non seguito piuttosto un senso di quel- l'ambizione che fu in lui sì possente , e provveduto a'bisogni della crescente civiltà del regno. Vero è che presto a Ferdinando Luigi fu a noia quello star sì lontano dalla ddetta patria : ne la corte ebbe nel gra- ve suo animo bastanti lusinghe a fargli dimenticare d'essere italiano : ne sopra il dovere di cittadino po- se l'ammirazione e la gratitudine verso quel princi- pe, che anche dopo la vergogna de'patti in suo no- me proposti a Gertrudemberga (certo era morto il Maz- zarino ) dal maresciallo d'Uxelles e dall'abate di Po- lignac i poeti ed i pratici del mestier delle corti chia- mavano il gran re. Gran re ( oh mi sia lecito , co- munque sia, pensar col mio capo ! ) gran re chi dopo quel suo tanto delirio di signoreggiar 1' Europa , se non al tutto cadde, anzi non precipitò, dovette solo reputarlo all'essersi da'suoi doni lasciata sedurre, di- ce Orazio Walpole, l'amica e dama d'abbigliamento l' ILLUSTRE ITALIA 2/^5 della regina Anna cT Inghilterra , ed al mutarsi del ministero britannico eh' indi ne avvenne ! Deh se il Marsili non avesse avuto, o Fernando, quella carità di patria, guarda il gran lustro che coll'instituto di Bologna sarebbe mancato all'Italia ! Chinò il capo Fernando a queste parole : sicché proseguì Guglielmo : Ecco il Breislack che ancor qui- stiona con Ermenegildo Pini tutto caldo in voler di- fendere, presente il Fortis, esser acquea la fluidità pri- mitiva della terra, anziché ignea. Ecco il Vianelli, che col Bonanni e coll'Olivi richiamasi del Nollet , che osò involargli il trovato di que'piccoli insetti di ma- re, ch'egli denominò lucciolette notturne : trovato pe- rò che all'italiano rivendicò il grande Linneo. Chi poi non conosce le immagini del Gis mondi, del Marza- ri , del Tondi , di Giovanni Arduino ? Quello che vedete più oltre è il Mangili, che seduto sur un tron- co d'acero ha dinanzi aperte le opere di Carlo Bo- naparte principe di Canino: ma rivolto ha gli occhi al Gioeni, tutto inteso a lodargli i lavori degl'illustri suoi siciliani Gemellaro e Maraviglia, ed a parlargli delle scoperte ittiologiche di Anastasio Cocco, a cui ultimamente il fiammingo Contraine ( ed osservate sdegnarsene il Ranzani j osò contrastargli quella del rovetto prezioso. Tu poi, Betti, devi senza dubbio rav- visare il filosofo che ho là ritratto con alcune con- chiglie in mano, in atto di farne disputa con quegli altri che sì attentamente gli sono intorno. Il ravviso certo, io risposi : egli è desso appunto Giovanni Broc- chi. Ma vorrei che tu, nel parlare che fa , gli dessi qualche maggiore vivacità: essendoché fosse tale, che le eloquenti parole escivangli del petto più come fiam- ma di un vulcano, che come onda di un gran fìu- 246 Letteratura. me. Uomo veramente d'ingegno preclaro, e di cildì1 pari all'ingegno ! Io l'ho sempre presente all'anima ì e tu, amico, mei fai oggi presente anche àgli occhi. Quelli, che ha seco a ragionare, sono, se non erro, il Gualtieri, il Poli e il Renier : perciocché altri non potrebbero stare più opportunamente con Ambrogio Soldani, ch'io pur conobbi 4 essendo tuttavia giovinet- to. E Guglielmo : Veramente sono essi. E Con sì bel numero ha fine nel mio disegno la parte che dar do- vevasi all'istoria naturale : scienza in cui gl'italiani * come vedete, possono star bene a fronte di qualsiasi più dotto popolo dell' Europa. Ma credo poi che i grandissimi delle altre tre classi scientifiche , che or succedono, tali debbano stimarsi, che non sia chi più di essi meriti lode di avere insegnato a tutte le mo- derne nazioni : essendoché originalmente sia nostra la medicina, nostra l'anatomia, nostra gran parte del- la matematica : quantunque gli stranieri , fattisi pef tempo alla nostra scuola, salissero poi anch'essi a tan- ta e sì giusta altezza di fama. Senonchè i maestri do- vranno sempre dirsi maestri : discepoli i discepoli. Sa- rebbe vano, soggiunse Fernando, l'entrar teco a con- trasto per questa verissima nostra gloria: anzi ho udi- to spesso io medesimo molti gentili stranieri, non so- lo non disputarcela, ma sì rendercene onore e merito. Donde vedi, o Betti, che non è in me alcun animo d'offendere la comun patria. E t'amerei io , risposi , se tu l'avessi ? Primo dovere a chi vuol essermi ami- co ( se nulla vale la mia amicizia ) e l'essere italia- no : italiano anzi tutto ! Perciocché chi è tale, egli è anche pio, egli è generoso, egli è fedele, egli è cor- tese: egli sente inoltre la dignità di quest'umiliarsi , che fa il savio fra noi, ad un solo tremendo destino l' ILLUSTRE ITALIA 247 c maggior delle cose , il quale vietagli anche ne'fatti civili ti' innalzare autorevole quella voce, che già fu riverenza e legge dell'universo. Levossi a quesli detti Fernando, e non senza al- cuna lagrima mi si lasciò cadere colle braccia sul col- lo : sì ch'io, con pari tenerezza di amore accoltolo fra le mie, il baciai sulla fronte. Poi rivolto a Gugliel- mo , che affettuosamente guardavaci : Tu dei certo , gli dissi, esserti trovato in assai strette avendo qui a collocare tante persone. Imperocché quale artificio non dev' esserti stato bisogno a dare un fior di possibile varietà agli atti ed alle positure, non che ai gruppi de" personaggi che compongono si vasto dramma ? Tu sai, egli rispose, che qui trattasi di scienze e lettere, non di battaglie o palestre : qui è società di sapienti, per lo più vecchi e gravi, non di persone che fanno mo- stra di lor bellezza ed agilità. Poco diversa general- mente è la maniera di vivere, per lo più a caso, in tutti gli uomini dati agli sludi : contemplare, cioè, osservare, scrivere, e non so che altro : se pur non fosse alcun che di disputa, spesso veramente un pò acre e superba, infermità della nostra natura. Ne Raffaello stesso, non ch'altri , mi è sembrato aver potuto supe- rare questa necessità : che nella sua scuola di Atene, la quale ha molto della ragione del mio disegno, tutte le persone, salvo due o tre gruppi, sono a un dipresso in uno stato di ragionare tranquillo con pochissima diversità di azione. E certo non ho io voluto, come ne pur volle nel suo dipinto quel grande, rappresen- tare alcun fatto o mirabile o strepitoso : ma si dare unicamente, con qualche connession ragionevole, una continuazione d'immagini d'uomini celebra rissimi in ogni maniera di dottrina: ove credo che altro dilet- 248 Letteratura to non sì desideri , che veder tanta potenza d' in* 'jegni riunita insieme, e poter quasi conversare con que'famosissimi , come se ancor ci vivessero : ingan* nando così il tristo pensier del sepolcro. Tal è sta- to il mio verissimo intendimento: e tale forse fu quel* lo del signore cortese, il quale nell'allogarmi l'opera non d' altro parlommi che del diletto di potere spa- ziarsi in mezzo a queste glorie d' Italia, e mostrar- le a'foreslieri ed a'nostri. Sicché, amici, non v'aspet- tate ne pur qui un gran movimento di affetti, o una straordinaria varietà di azioni, ne'pacifici sapienti che sarò ancora per dimostrarvi : riserbando qualche mag- gior ardore di spiriti ad un' altra parte del mio la- voro, ove porrò tali uomini , che non già fra le pa- reti d'una segreta stanza o di un liceo si procaccia- rono l'ammirazione de'posteri. V. Or mirate i più illustri medici che onora- rono l'antica nostra dottrina : Eraclide da Taranto , Acrone da Agrigento, Democede da Crotone, Celso e Scribonio Largo : co'quali vanno quasi del pari que* due buoni vecchi della rinnovata Italia, Antonio Be- nivieni e Benedetto da Legnano, uomini assai bene- meriti e all'età loro chiarissimi : essendo stato il pri- mo, come ben avvisa 1' esimio De-fìenzi, il fondatore dell'anatomica patologia, di cui fu poscia immortale perfezionatore il Morgagni : e potendo il secondo chia- marsi il Sydenham del secolo XV. Vaga e nuova » disse Fernando, quella figura del crotoniate così ve- stita mezzo fra il persiano ed il greco ! E bene sta: che tutti così riconoscono a quella tiara, ch'egli si è già tolta di capo, ed a quella catena d'oro che ador- nagli il collo e il petto , il medico famosissimo chà guarì Dario dTstaspe ed Atossa. E sì che a quei tar- L* ILLUSTRE ITALIA 2^ dì e sfavi egli narra le sue avventure in Atene e alle reggie di Samo e di Susa , la sua schiavitù , le sue fortune, e la carità della patria ond'elesse di rifiuta- re tutte le sontuosità che gli offriva il gran re. Tu hai indovinato il concetto mio, rispose Guglielmo: ben- ché Celso, cui vedi in mano le lettere dottissime del Bianconi , attenda piuttosto a Leonardo Targa , che ricercalo di alquanti dubbi sulla sua opera della me- dicina, della quale quel veronese ci porse la più cri- tica insieme e compiuta e bella ristampa. Edio: Non fa poi che tu mi dica chi è quell' altro , che primo è là della schiera di coloro che fiorirono al tempo del rinnovarsi delle scienze, e più possentemente giova- rono a mondarle dalla brutta scoria della barbarie. Egli è Girolamo Eracastoro, l'onor di Verona : la cui anima del pari informarono i geni di Timeo, d'Ippo- crate e di Virgilio : non sapendo dire fra matemati- co medico e poeta qual fosse più : certo però in tut- to fu grande. Ed al fianco ha il Manardo , il Mer- curiale, l'Argenterò, il Brasavola, il Botallo , il Be- nedetti : e quell'uomo di massimo e quasi divino in- gegno, come chiamollo il Vesalio , cioè Giambatista da Monte : il quale più risolutamente sequestratosi da coloro, che quasi in altro non facevano consiste- re la medicina, salvo in interpretare e chiosare gli an- tichi testi (senza volere aprir gli occhi a niuna luce d'osservazione o sperienza), pose il primo in Europa le fondamenta della clinica, e fece cotanto avanzare dopo il Benivieni ed in compagnia del sommo Ingras- sia ( l'Ippocrate siculo ) l'anatomia patologica. E pure, m interruppe Fernando, questa lode concedesi comu- nemente a Silvio de la Boe olandese ! Da chi, rispo- si io, poco sa dell'istoria medica, e niente delle cose a5o Letteratura nostre, ne mai ha letto i consulti medici del Da Mon- te. Anzi da chi non considera , che 1' università di Padova era nel secolo XVI la celebre scuola, ove tutti i settentrionali convenivano a studiar medicina: e che le opere del Da Monte, morto forse nel millecinque- cento cinquantuno, precedettero d'oltre a cent'anni quelle di Silvio : le quali non escirono precisamen- te se non dopo ch'ebbe l'Heurnio (che fu scolare in Padova) recata seco in Olanda questa parte della no- stra sapienza medica. Or se a Silvio darai il titolo di sommo restauratore della clinica, gli darai ciò che veramente gli si conviene : ma quanto al senno di averne poste il primo le fondamenta, sarebbe inde- gnità e sconoscenza chi ne volesse involar la gloria all'italiano filosofo. Oh quanti poi Veggo, o Guglielmo, seguire il glorioso numero! E che eccellenza d'ingegni, e che celebrità di fama di qua e di là da'monti e da' mari ! Ben fra essi riconosco alla nota effigie e il Zac- chia fondatore della medicina legale, e il Bellini crea- tore della medicina meccanica, e il Cocchi e il Tor- ti e il Lancisi. Indi il Ramazzini , il Macoppe , il Dei-Papa, il Lanzoni, il Borsieri, il Pasta, il Brera, l'Acerbi. E quell'altro chi è, che con siffatto ardore sembra difendere la sua ragione in mezzo a que'due, i quali per tal modo lo ascoltano, che ben mostrano dargli vinta la causa ? E come in altra maniera rap- presentare, soggiunse Guglielmo, il cosentino Tom- maso Cornelio , il quale fin dal secolo XVII aveva chiaramente osservata quella che la ingrata posterità ha poi chiamata irritabilità halleriana ? 0 Haller, tu facesti pure un gran furto ! Ne tu ne facesti, Hun- ter, uno minore appropriandoti le sperienze di que- sto nostro sul succo latteo, di che i colombi nutriscono L'ILLUSTRE ITALIA 2^1 1 propri figli ! I quali farli stranieri ( tal1 è la tra- scutaggine che abbiamo delle cose nostre ! ) sarebbe- ro più oltre rimasi nascosti, se due generosi italiani, il Signorclli ed il Macri, non gli avessero innanzi a tutta l'Europa gridando manifestati. Quelli ch'indi os- servi assentire al Cornelio sono il Sarcone, il Serao, il Cirillo, gran decoro tutti e tre del regno di Napoli. Sventurato Cirillo, esclamò Fernando; non pos- so che versar lagrime tenerissime, sempre ch'io ricor- do la trista istoria della tua fine ! E ben pare che con pietà ti riguardino il Rubini, il Iacopi, lo Scu- deri, il Carminati , il Giannini , e quel Rasori che tranquillo in tanta animosità di contese, onde fu accol- ta la Sua dottrina, attende forse per rinnovarle che col Tommasini qua vengano (ed oh sia ben tardi !) quegli altri tre sommi che oggi si onorano la medicina italiana, il Bufalini, il Puccinotti ed il Medici. La fine, diss'io, del Cirillo ha fatto spesso a me pure battere il cuore di compassione» Tal uomo egli fu, e tal fiore di mente italica, e soprattutto benevolo alla cara memoria del padre mio, quando giovinetto e Vago d'ammaestrarsi volle per alquanti anni dimorare in Napoli. Ma ella pur troppo, o Fernando, fu pari alla maravigliosa stol- tizia di chi potè credere, che una libertà saggia dovesse mai venirci di là, dove come tiranno essendo stato trat- to al supplizio un re benignissimo, e condannali nel Capo i Maleshcrbes, i Lavoisier, i Bailly ed i mag- giori per virtù, per dignità , per sapienza , sostenne poi tutt'un popolo per tanto tempo d'esser posto al taglio della mannaia, come vii torma, da tali svergo- gnatissimi in ogni licenza e scelleratezza ! Ho ribrez- zo a solo pronunciare que' nomi ! E quasi ciò non bastasse , eccolo tollerare d' essere taglieggiato d.dla a5a Letteratura dappocaggine insolente di un Barras : ed infine, già reso oggetto universale di orrore, eccolo messo al gio- go da un soldato fortunatissimo, di cui fu tanto l'os- sequio verso quella nuova maestà di repubblica, fino a farne un giorno sbalzare i legislatori dalle finestre della loro grand' aula. Deh Dio , che più non torni un' età, di cui certo niun altro secolo e niun altro popolo saprebbero mostrarci ne la più crudele, ne la più ignominiosa ! Deh che nessuno di là da'inonti c'in- viti più ad oltraggiare sì turpemente l'umanità, ed a prender norma da' fatti abbominevoli di settembre ! Deh che più non dobbiamo veder fra noi, imitatori di que-' ribaldi, gli Speziale ed i Vanni ! Ma lasciamo un discorso che già mi fa rizzar d'or- rore i capelli: e dimmi piuttosto, o Guglielmo, non è quegli Stefano Gallino ? E sì che anch'egli ha qual- che cosa che lo contrista nel mostrare che fa con quell'atto all'Araldi, al Zeviani ed al Rosa la sua ce- lebre opera delle osservazioni su'nuovi progressi della fisica del corpo umano ! E come no, rispose Gugliel- mo, se questo principe degl'italiani fisiologi lu il pri- mo a fare in Europa la gran divisione dell'uomo sen- ziente e dell'uomo vegetante, e dieci anni e più do- po se la usurpò il francese Bichat ? Ed il Bosa così paziente l'ascolta, io soggiunsi ? Il Rosa a cui tanti bellissimi esperimenti involò pure , coli' usata impu- denza, il Bichat medesimo a provar propria del san- gue la virtù- pulsifica delle arterie? Ma ben surse a strappar di viso la maschera al ladro il sommo suo discepolo Bufalini : ed è ciò forse che rende ivi l'o- norando vecchio sì tranquillo di sua ragione. Più oltre, seguitò Guglielmo, è Giovanni de Garro, che con Lui- gi Sacco non così gloriasi di aver propagato, soprat- L'ILLUSTRE ITALIA 253 tutto nelle parti settentrionali di Europa e nella Tur- chia e nelle Indie, il beneficio della vaccinazione, che più non rallegrisi alla novella d'essere state per sen- no di due italiani (prima di Agostino Cappello e poi di Luigi Toffoli) conosciute alfine con sagaci sperien- ze le cagioni della rabbia canina, indicando i certis- simi provvedimenti, perchè il mondo preservisi anche da quest'altro sì terribil flagello. E così l'Italia, sem- bra dire Angelo Gatti , non sia tarda ad accogliere quel vero dono di umanità! ]Nè in questo pure imiti la Francia dell'età mia; là dove io, benché medico del re, tante ebbi a comportare e persecuzioni ed in- giurie perchè, o Carro, dovesse farsi buon viso al tro- vato maraviglioso di lenner. Quegli, ch'è là ristrettosi col Moscati, è il Zu- liani : e l'altro che vedi sì famigliami ente mosso in- contro al Fanzago , il quale con tanta benevolenza l'accoglie, è Antonio Testa. Oh certo è desso, io dis- si subito, il grande autore dell' opera sulle malattie del cuore ! Io giovinetto il conobbi a Pesaro, quand' egli andava pel regno italico visitando le università ed i licei : e ben ricordami di quella sua patriarca- le benignità, e di quelle parole che standomi a'fianchi del mio Giulio Perticari n'ebbi di conforto agli studi. Io ho sempre presente quella sua persona: e tu me l'hai egregiamente rappresentata, o Guglielmo, in tutta la mansuetudine e semplicità di filosofo. Ed egregiamen- te altresì, riprese Fernando, m'hai rappresentato l'au- tor classico dell'opera sulla struttura, sulle funzioni e sulle malattie della midolla spinale, Vincenzo Ra- chetti : che scarno del corpo, rubicondo del viso, e sommamente piegando al serio, è in alta meditazio- ne: e pare ancor qui fuggire la compagnia degli ami- ^54 Letteratura ci, che fu sì tristo presagio della fine che attendeva nel fior degli anni un ingegno così fervido e cosi acuto. Qual danno alle scienze e all' Italia ! Ma oh il venerando vecchio che là scerno assiso a pie di quel verde poggio, ed atteso per modo alle cose che con viso lietissimo va leggendo in un picciol libro , sì che non par sollecito d' altro ! Lascia eh' io veg- ga che libro è desso ; giacché v' hai scritto il tito- lo , quantunque in carattere così minuto. Oh ve' ! Egli è Luigi Cornaro, l'autore dell' eccellente opera della vita sobria ! E veramente hai ragione, o Gugliel- mo : che sebbene egli non professasse arte medica , anzi sentisse sì avanti nella matematica e nell'idrau- lica, nondimeno si ha per tanto benemerito della sanità umana, che chi segue i suoi insegnamenti, non pure ha speranza di protrarre felicemente il vivere per lun- ghi anni , come lo protrasse egli fin quasi ai cento, ma poco o niente ha bisogno di aver ricorso a far- machi ed a medici. VI. Sicché m'approvate, o carissimi, ciò che fin qui ho rappresentato ? E chi non l'approverebbe, ri- spose Fernando ? E Guglielmo : Deh così pure mi approvaste quello che segue ! Perciocché siamo a mas- sime nostre glorie : e tali che per giubilo e maravi- glia , italiano eh' io sono , spesso nel disegnare tre- mavano non pur la mano, ma quasi l'anima. Or ve- dete gli anatomici : schiera famosissima e numerosa : per la quale noi fummo i primi a scuotere il giogo della presunzione araba, ed a distruggere al tutta l'er- ror galenico. E che notabile avanzamento ha fatto dopo noi la scienza nelle altre parti di Europa ? Im- perocché quegli è il vecchio Mondino che incominciò a restaurarla nella prim'alba, per così dire, che bian- L' ILLUSTRE ITALIA 2 55 cheggiò all'umano intelletto nel secolo XIV: ed intor- no ha l'Achillini, il Colombo, il Massa e l'Asellio. Indi è quel senno di Gabriele Fallopio, che data lo- de a Berengario da Carpi di tanti suoi trovamenti e soprattutto dei due piccioli ossi dell' udito , afferma che del terzo osso fu assolutamente ritrovatore l'In- grassia ; il quale più là scorgete col Carcano , col Casserio, col Canani, col Iasolino e coll'Aranzi, attesi a Costanzo Varali che loro narra com'egli scoperse l'ori- gine de'nervi ottici dalla midolla allungata, e come il Dodard si appropriò ( col solito vezzo di ne pur nomi- narlo ) le osservazioni sue intorno alla voce. Oh, scla- mò allora Fernando, ecco ecco qua due grandissimi ! Io li riconosco ! Sono essi l'Eustachio e Fabrizio d'A- cquapendente ! Ed io ; Basterebbe un solo di questi all'eternità della fama di qualunque più altera nazione. All'Italia però, disse Guglielmo, non bastano : e la ma- dre delle scienze vuol dare alla riverenza di Europa anche quel sublime gruppo che più oltre osservate , del Malpighi cioè, del Morgagni, dello Scarpa, del Cotugno e del Mascagni. E come se fosse ancor po- co, aggiungete il Bianchi, che ravveduto di alcuni suoi abbagli stende volentieri la destra ad esso Morgagni per testimonianza di non amar le contese più oltre che richiegga 1' amore del vero : ed indi il Santori- ni , il Valsalva , il Molinetti , il Fattori, il Rolan- do , e quel Malacarne che sì confidentemente parla al Brugnone già caldo emulo suo. E perchè fra tanti nomi prestantissimi non abbia a desiderarsene uno anche del gentil sesso , eccovi pure fra il Pacchioni e il Girardi il portento forse unico di una donna, Anna Morandi, che a grande onore chiamata a se- dere nell'instituto delie scienze di Bologna , fu indi 256 Letteratura eletta ad insegnare anatomia dalla cattedra in quella illustre università. Altissimo senno ( così Fernando ) ! Ma credo nondimeno che anche altri di bella fama avrebbeci qui potuto il nostro Guglielmo rappresentare. Certo, rispose egli, l'avrei potuto : ma, a dir vero, non l'ho voluto : che, come ho detto altra volta, a me basta ( salvo il poco che può saperne un artista ) a me basta solo di mostrare le più celebri rinomanze della na- zione. Così fra'chirurgi, che succedono agli anatomi- ci, non vedrete pure che i più nominati : ancorché per tutti potesse bastare il solo immortale Scarpa. E chi hai tu posto della eccellente schiera, diss'io ? Per- ciocché non riconosco fra essi che il Vacca Berlin- ghieri , il Palletta , il Monteggia e il Flaiani : e se pure non erro, il Forlenzi che forse delle mirabili sue operazioni degli occhi parmi che ragionar vorrebbe coli' assalirli, se noi vedesse più attento alle dotte au- dacie dell'Atti, che anche gli parla dell'operarsi che fece di recare a maggior perfezione la sua celebre for- bice. Or bene, riprese Guglielmo : attendete più oltre, e sì vedrete Cesare Magati, a cui ne pure il Portai ha potuto toglier l'onore d' essere stato il restaurato- re della vera chirurgia in Europa : benché prima di lui abbia avuto l'Italia ( e mirateli al fianco suo ) que* padri antichissimi e benemeriti che furono Guglielmo da Saliceto e Lanfranco da Milano ; ed indi Giovan- ni de Romani e Mariano Santo, de' quali è disputa ancora a chi debba assegnarsi il merito di aver in- ventato il grande apparecchio : quantunque al De Ro- mani tutti concedano 1' invenzione dello sciringone scanellato e della tanaglia : ed indi il Ferro, che ci diede poi l'alto apparecchio; ed il Tagliacozzi il qua- L* ILLUSTRE ITALIA. 2,^7 le perfezionò quell' italiano trovato del secolo XV ( non so se del Vioneo o del Branca ) di rifare perfet- tamente qualunque parte del volto a chi per male l'avesse perduta. E doveva io poi tralasciare il Polo- ni inventore dell'apparecchio laterale, insegnato da lui medesimo a frate Giacomo, che ne portò la notizia in Francia ? Doveva tralasciare il Ciucci, a cui il fran- cese Civiale involò al tutto l'invenzione della tenacula, o sia pinzetta a tre hranche , per l'operazione della litotrizia ? Oh oh, diss'io, ancor questo furto ! E l'ar- tista : Si, ancor questo furto : e hasla a chiarirsene il veder l'opera dei Ciucci stampata nel milleseicento settantanove. Donde non pur evidente, ma irrepugna- bile si fa la prova, che l'estrazione della pietra senza usare il taglio deesi all'Italia, anziché alla Baviera o alla Francia: come ultimamente ha preso a mostrare un tenerissimo della patria, il professor Cittadini di Arezzo. Doveva tralasciare il Severino , il Da Vigo, il Guattani, il Molinelli, il Brambilla, il Bertrandi, il Nannoni, il Sisco e quel principe de'litotomi di Eu- ropa Francesco Paiola ? Tralasciare infine i valentis- simi ostetrici Reyneri ed Asdruhali ? Intanto che ciò ragionava, volgevasi a noi l'arte- fice p.er intendere il parere di ambedue. Perchè il gio- vane amico nostro : Caro Guglielmo, disse, mi darai licenza che io ti parli colla franchezza di chi t'ama ed onora ? Anzi le ne prego, rispose Guglielmo : e tanto più di cuore, quanto che vorrei che mi facessi accorto di alcun errore. E Fernando : Tu m'hai mostrato fin qui tanti sommi : e di due soli non ho ancora né udito il nome, ne veduto i sembianti : cioè di San- torio Santorio e di Gianalfonso Borelli. Io non te li ho mostrati finora, riprese Guglielmo, perchè ho stimato G.A.T.LXXXVIII. 17 258 Letteratura la statica animale, di cui que'due furono fondatori, po- ter essere quasi nodo che stringa nel mio disegno le scienze mediche alle matematiche. Ma vedili 1' uno e l'altro star come nel mezzo appunto fra i medici e i matematici. Allora io : Quanta diversità di fortuna fra que- sti due italiani ! Ecco là il Sanlorio , che ricevuto in grazia da una possente repubblica, ebbe agi d'ogni maniera, e stipendi larghissimi e protezioni per illu- strare tranquillamente se stesso e la scienza ! Ed ec- co il Borelli, mente forse più acuta, andar per Ita- lia quasi sempre ramingo, e pasciuto di sole sterili onorificenze : poi esule da Messina, sua seconda pa- tria, finire i suoi giorni in Roma raccolto dalla mi- sericordia de'padri delle scuole pie, che oggi tanto si onorano delle sue ceneri ! E d' onde provenne mai , disse Fernando, quell'esilio suo da Messina ? Proven- ne, io risposi, dalla maledetta fidanza che gl'italiani hanno sempre avuto nelle armi forestiere per mutar signore sotto nome di libertà. Insorsero i messinesi nel milleseicento settantaquattro contro agli spagnuoli, i quali dominando l'isola di Sicilia avevano con gio- go di ferro abusata la pazienza pubblica , e violala superbamente ogni franchigia. Fomentava quella com- mozione Luigi XIV: e tale sicurtà, secondo il solito, aveva egli dato della sua fede in proteggerla , che i messinesi in quella gran fiamma d'ira contra l'autori- tà di Carlo II, e in quelle tribolazioni in cui si tro- vavano di estrema carestia, lo elessero re di Sicilia. Ed infatti parve in sui primi che all' ambizione ed avidità di Luigi piacesse assai di assicurarsi la bel- la preda : sicché avendo presa la guerra con qual- che ardire, le sue squadre tennero per alcun tempo l' ILLC3TRE ITALIA 2 59 il mare in favore de' siciliani contra tutte le forze della Spagna e dell'Olanda confederate. Ma non tar- dò molto il francese a dimenticar tutto , e prima la regia fede, a Nimega : là dove più sollecito di se stes- so , che dell' umanità ( non dico della sua fama ) , per primo patto di pace stipulò il libero abbandono di Messina alle armi spagnuole. E sì che Luigi potè forse a Nimega dirsi l'unica volta veramente grande ne'consigli di Europa ! Ed ecco adunque in un bel mattino il maresciallo Lafeuillade, governator di Mes- sina , improvvisamente annunziare ai magistrati del- la città , com' egli con tutte le soldatesche francesi era comandato dal suo re di escire della Sicilia nel termine di quattr' ore : quindi provvedesse ognuno alla propria sicurezza. Vedi , o Fernando , come al solo ricordare tanta scelleratezza , mi tremano e voce e polsi , e mi si rizzano i capelli per racca- priccio ! Sette mila sciagurati corsero subito precipi- tosamente a gittarsi sulle navi del maresciallo, fra le lagrime, fra i singulti, fra le grida, fra gli ultimi sa- luti che allri davano alle mogli ed ai figli, altri al- le madri, allri infine alla patria : intantochè due al- tri mila, a' quali fu anche negata quella pietà, inva- no stendevano dalla riva le braccia per esser raccol- ti, Entrato poco dopo il pretore di Spagna, alzò in- contanente il suo tribunale: e tale strage commise di chiunque avesse congiurato per 1' infedeltà francese contra la potestà spagnuola , che tra per gli uccisi e per coloro ch'ebbero scampo al fuggire , l' infelice Messina, ch'era in fiore di ben sessantamila e più abi- tanti, fu ridotta ad averne appena undici mila. Tra i fuggiti trovossi il Borelli, che dalla cattedra aveva in quel tumultuare osato dire agli alunni qualche pa- 260 Letteratura fola d'odio conlia il principato di Carlo. Impuden- tissimo, gridò Guglielmo! Ma intanto, ripigliò Fer- nando, Luigi XIV il magnifico dovette almeno ai mi- seri, che aveva il maresciallo condotti seco, mostra- re in Francia gli effetti della sua liberalità. Il ma- gnifico, soggiunsi io, fece ai miseri la grandissima li- beralità di gittar loro un tozzo e pochi soldi per un anno e mezzo : avendoli prima dispersi per tutte le terre del regno. Credette poi che ciò fosse troppo : e tolto loro ogni soccorso, gli obbligò infine, per gra- dire alla corona di Spagna, a partirsi tutti dagli sla- ti francesi. Veduto avreste allora tanti uomini per gentilezza di sangue , per antiche dovizie e per di- gnità illustri mendicare sulle pubbliche vie un pane e un asilo : altri stimare più ospitale la terra decur- tili, e colà condursi in numero di forse duemila: ai- tri da ultimo (e furono cinquecento), presi all' esca delle parole ch'ebbero in apparenza benigne dall' o- ralore spaglinolo a Parigi, ardire di far ritorno alla patria. Ma giunti appena, il viceré non intese far gra- zia che a soli quattro fra essi, e gli altri tutti con- dannò al capestro od al remo. Tal fine ebbe quella fallace intenzione de'messinesi di rivoltare lo stato ! Ma il riandare le nostre sciagure non faccia traviarmi più oltre : e piuttosto , o Fernando , giacche tu se' ancor giovanetto , prendine esempio, e registralo fra i cento altri, onci' è piena l'istoria patria. E qui tacqui. VII. Oh si ! tolse a dire Guglielmo : cessiamo questo discorso, e la tristezza che n'abbiamo presa si muti in letizia all' osservar che faremo tante altre sfolgorantissime nostre glorie , le quali non soggette a legge di niuna volontà forestiera, sono e saranno l' ILLUSTRE ITALIA 2G1 sempre patrimonio eccelso di questa comune patria. Vo- lete gloria infatti maggiore della geometria, dell'idrauli- ca, della meccanica, dell'astronomia italiana ? Ma pri- ma levatevi su ed inchinate questo gran vecchio, di cui non so se mai altro sorgesse a veder tanto nell'universo: intelletto potentissimo, che siede in cima qual re non pure della novella fisica, ma d'ogni parte della matema- tica. Egli è Galileo Galilei ! Egli è il padre veneran- do della rinnovata filosofia ! E guardate come : Tutti Vammlran, tutti onor gli fanno : e non solo i mo- derni, ma gli antichissimi , pregiandosi di tanto po- stero. Imperocché quelli che ivi seduti, con sì rive- rente affetto se l'hanno recato in mezzo, l'uno è Ti- meo da Locri , massimo astronomo , come il chia- ma Platone : anzi principe degli astronomi antichi, secondo che Porfirio salutalo : e miratelo all'aspetto e alle vesti palesare la nobiltà della sua stirpe e la sua ricchezza. Gli altri due sono Archita da Taranto ed Archimede da Siracusa, che tennero un egual seg- gio nel regno della meccanica : e il quinto è Iceta, di cui afferma il Bailly, niuna cosa più diligente aver saputo dire il Copernico sul moversi della terra. Ha in mano Archita quella tal lettera che gli scrisse Pla- tone e che ci ha conservata Laerzio : ed Archimede posa l'un de'piè sopra una bianca pietra, ov'è dise- gnata la celebre figura della proporzione del cilindro colla sfera : cosa di che pare il sommo siracusano essersi compiaciuto più d'ogni altro suo ritrovato, se ordinò che fino fosse scolpita sul suo sepolcro , con quella stessa amorosa sollecitudine onde scolpita fu Antigone sul sepolcro di Sofocle. Egli è quasi, come vedete, sull'inchinarsi per delineare col dito sopra la 362 Letteratura polvere alcuna figura geometrica, secondo die usava fare sovente, se Plutarco ci narra il vero : non po- tendo qui delinearla sulle sue carni medesime, umi- de di unguenti, com'era pur solito nell'uscir del ba- gno. Ma, disse Fernando, è propriamente sua quell' effigie ? E l'artista : Io mi son valuto di una meda- glia che così il Gronovio come l'Avercampio suppo- nevano aver l'immagine di Archimede, e che dal mu- seo del principe di Butera pubblicò il Partita. Ma non se ne persuase il giudizio del gran Visconti nell'ico- nografia greca : al quale non parve meno da dubita- re del bassorilievo del museo capitolino. Intanto chi poteva io porre vicini al Galilei se non il Sarpi suo famoso amico, ed il caro e fedel discepolo Vincenzo Viviani? Ed ho fatto appunto che dal Viviani al suo maestro presentisi Giuseppe Luigi Lagrange, il maggior matematico de'nostri tempi: il quale con amore stendendo al Galilei la mano, protestasi d'aver gra- zie al suo gran principio delle velocità virtuali, s'egli ebbe aperto sì largo campo a dedurne, siccome fece, tutta la meccanica de'corpi solidi e de'fluidi. Da lato al torinese abbia poi i vostri sguardi Bonaventura Ca- valieri, l'autore del metodo degl'indivisibili: che lieto di quell'atto di gratitudine affettuosa verso il sapiente, accennalo al Comandino : a cui sembra però esser più caro il contemplare Archimede. Ma di niente altro di- reste vaghi, che solo di conversare fra loro, quei tre che indi vi si mostrano alquanto più indietro. Rara e fortunata famiglia ! E già credo che conosciate chi sono. Sono, diss' io , i Riccati : e quegli è Iacopo , che co'due figli Vincenzo e Giordano va certo ricor- dando ciò che di più acuto e sublime trovarono in *.' ILLUSTRE ITALIA 2G3 ogni qualità di analisi. E il Grandi e il Fagnani e il Paoli , posata la lettura di un' opera del sommo Giovanni Plana, la quale quest'ultimo recasi in ma- no, ve', o Fernando, che in disparte gli osservano : e comechè desiderosi di trarsi più innanzi, pare che tuttavia non ardiscano, quasi temano di turbare quel- la contentezza domestica. Tal è stato appunto, continuò Guglielmo, l'avviso mio : e piacemi d' averlo esposto con quella facili là, che vi ha reso agevole, come veggo, d'intenderlo sì chiaramente. Non so però se per quest'altro gruppo m arriderà la fortuna medesima. Imperocché ho immagi- nato qui un'adunanza de'primi fra'nostri algebristi, do- po l'immenso Lagrange: ho figurato cioè il conventuale Paccioli che primo fu in Europa a risolvere le equa- zioni del secondo grado, il Tartaglia che pure il pri- mo ci porse la soluzione di quelle del terzo, e Lodo- vico Ferrari che in fine antivenne tutti nello sciogliere le altre del quarto. Ed essi sono intorno al Rufini, d'au- torità famosa, a lui chiedendo se alcuno in queste su- blimità sia passato più oltre. « No, Paolo risponde loi'o : la scienza sta tuttavia in Europa dove gl'italiani l'hanno lasciata : ne io ho potuto lodar la prova, che a sciogliere le equazioni del quinto grado fecero pur due valenti, il Casella e il Malfatti. E che non male io mi apponessi, ne sia qua il giudizio al Fergola ed al Frullani. » E Fernando : Chiaro qui pure è il tuo concetto: e forse il sarà maggiormente, se allato al Rufini porrai anche il Cossali e il Franchini, altri in- signi maestri, oltreché istorici dell'algebra : e se un luogo altresì concederai a Leonardo da Pisa, sì bene- merito della scienza pe'numeri volgarmente chiamati arabici, che nel secolo decimoterzo recò in Italia dall' 264 Letteratura Affrica. Oli sì, rispose Guglielmo : e veramente fallo che non sieno qui lutti e tre! E ti ringrazio, carissimo, di avermene avvisato. Ma tri non mi dicesti una volta, o Betti, di aver conosciuto il Brunacci ? Si certo, io risposi, il conobbi quand'egli, come avvertii d'Antonio Testa, percorreva con ufficio pubblico le provinole del regno italico : e mi ricordo ancora di quella sua bella persona e di quella gentile favella. Or eccolo là : e par mi, se non m'appongo, di non so che querelarsi. E Guglielmo: Querelasi del matematico Diot, che noi milleseltecento novantotto si appropriò come sua la soluzione delle equazioni a differenze finite a coeffi- cienti variabili del second'ordine, benché l'avesse già egli non pur trovata, ma pubblicata fin dal milleselte- cento novantuno. E quelli, ond' è attorniato , sono Gregorio Fontana, il Canterzani, il Pessuti , il Sa- ladini, il Venturi e l'amico suo Mascheroni ; che di ben altro furto straniero, rispondegli, mi dolgo io, cioè delle note al calcolo differenziale di Eulero ! Se non che con quella soavità d'animo, che tanto illustroila in vita, vedete metter parole di conforto fra loro l'esimia autrice delle instituzioni analitiche Maria Gaetana Agnesi: la quale di tutti lodandosi, parimente lodasi della Francia, che per l'accademia delle scienze fece della sua opera un sì splendido elogio, e pel Bossut la tradusse: né manca di ricordar l'onore, con che sul- le rive della Senna ultimamente fu accolto Gugliel- mo Libri, geometra eccellentissimo, e dato per suc- cessore nell'università di Parigi al Legendre : intan- to che Pellegrino Rossi, gran maestro di ragion pub- blica, veniva eletto a sedere co'pari del regno. Don- na rara , sclamò Fernando, ed intelletto a chi non so quale altro per altezza eli meditazione possa nel l' ILLUSTRE ITALIA 265 suo sesso uguagliarsi! E tu attendi, o Guglielmo, a ritirarla per modo che dimostri in tutto la singolare sua religione e modestia. Così farò, soggiunse l'arte- fice : e porrò in questa figura uno studio particolare: sicché ne tu né il bel sesso troviate poi di che la- mentarvi. Ma seguitiamo di grazia : e chieggasi all'Europa intera s' ella ha uomini maggiori di questi da porre allato al Keplero ed al Newton. Dico di Giandome- nico Cassini e di Giuseppe Piazzi, i nomi de' quali congiunti con quello del Galilei dureranno immor- tali fra i grandissimi conquistatori del cielo. Accan- to al Cassini è il suo scolare e nipote Maraldi : ne vi avreste desiderato l'amico Francesco Bianchini, se una svia maggior gloria non mi avesse consigliato a porlo fra gl'istorici: siccome quegli che da'simholi de- gli antichi osò dedurre una istoria universale, di cui 1' Italia ( il vero dice Ugo Foscolo ! ) non seppe in cent' anni ne profittare ne gloriarsi, ma che fu seme in terra straniera ad una troppo famosa opera. Dal Piazzi è poco lungi 1' Oriani , che in quel conver- sare tiene per mano il suo caro De-Cesaris, il qua- le vedete volto amorevolmente al Gagnoli ed al Reg- gio. E tu pur grande , diss' io , o virtuoso Oriani ! Sì che già ringraziai di cuore Vincenzo Monti di quello che nella sua celebre orazione, umiliando l'arroganza di un Lalande, disse di te e del Piazzi: che avrebbe cioè mandato all'insolente francese le pia- nelle di ambidue, perchè ben dovesse considerarle pri- ma di parlare o scrivere de'matematici dell'Italia. Pia- cquemi anche in te quell'altezza d'animo e gratitudine così degna di un sapiente : che richiesto da coloro , che in que'tempi reggevano a repubblica la Lombardia, a66 Letteratura di dover dare come professore di Brera il giuramento di odiare i re, ti levasti con indignazione e rispondesti: « Una regia benignità averti sollevato dal volgo de- gli uomini: non saper comprendere come ad osser- vare le stelle fosse bisogno di giurar odio ai re. » Ne giurasti. Or lascia, m'interruppe Fernando, lascia ch'io meglio contempli il volto di questo savio, che in mezzo alla comune viltà ebbe animo cosi franco, in mezzo all'ingratitudine fu si grato , e veramente fu libero in mezzo a quel nuovo servaggio. Deh per- chè sì rari ci dà il mondo gli esempi di tali uomi- ni che all'utile antepongano volentieri l'onore, lave- rà vita de'grandi popoli ! Così Fernando diceva con bellissimo sentimento di carità patria. Ond'io ripresi: Ma il Reggio, o Guglielmo, ha tal vicino ch'io ben conobbi non solo , ma tanto ammirai ed amai per quella sua bontà piuttosto maravigliosa che grande , e per la eccellente dottrina che ornavalo in ogni ma- niera di scienze e di lettere. No, eh' io non m' in- ganno : egli è Domenico Testa : e dal suo libro che ha in mano intorno a'zodiaci, già immagino eh' egli narri all'amico gli strani vaneggiamenti di alcuni fi- losofi di là da'monti sull'antichità de'zodiaei di En- ne e di Dendera. Non doveva, rispose Guglielmo, non doveva io dunque qui ritrarre un dottissimo, a cui an- zi la modestia, che l'ufficio che tenne alla corte di quattro papi, vietò di prender seggio fra'primi ? Un dottissimo, che com'ebbe la dignità, così pur ebbe la mente di Francesco Bianchini ? Volgetevi ora a quegli altri che seguono : e so- no il Riccioli, il Magini, il Montanari, il Marinoni: ne vi manca il Toaldo , il padre della meteorologia moderna, non altrimenti che il fosse Empedocle del- l' ILLUSTRE ITALIA 267 l'antica. Se pure , diss' io , potrà mai la meteorolo- gia innalzarsi ad altezza alcuna di scienza : quistio- ne che appunto crederei aver risoluta in contra- rio questo benemerito nostro. Nondimeno, continuò Guglielmo, sarà sempre lode al Toaldo di aver fatto nella meteorologia tutto ciò ch'era mai a farsi da un fisico e da un astronomo : sicché se alcuno vorrà quind'innanzi provarsi a render possibile quello che tu ora slimi impossibile, dovrà di là incominciare ove arrestossi il Toaldo. Gli tien presso Luigi Lili : e miratelo colà se- duto , e tutto inteso a far calcoli matematici , ed a scriverli in un suo libro. Ed allato ha Ignazio Danti, che qui pure salutalo novello Sosigene, avendo il Ca- labrese proposto a Gregorio XIII ciò che 1' egiziano propose a Cesare: quella riforma del calendario, cnd'og- gi governansi l'Europa civile e l'America, anzi tutta cristianità. Eccetto però la Russia, ripigliò Fernando: la quale di una disputa religiosa intende ancor fare una contesa di fisica e di astronomia : e con qual grido, se non d'idiotaggine, certo di ostinazione, noi voglio dire ! Quasi il vero de'movimenti celesti e de' fenomeni della natura non possa pe'seguaci di Fozio esser più vero ( miseria umana ! ) quando sia trovato da tale , che da loro discordi in alcuna cosa di fe- de ! Così per sola caparbietà di setta l'impero dei czar rimansi tuttavia separalo dalla gran famiglia della no- bile Europa : e ciò contra 1' esempio che glie ne ha dato, tardi sì, ma pur glie ne ha dato la Gran Bre- tagna. E perchè dunque i russi , soggiunse Gugliel- mo, non recansi del pari ad onta di usare gli occhia- li, e non hanno ribrezzo d'inforcarseli al naso, essen- doché questo Salvino degli Armati, che qui vedete e 268 Letteratura che fu buon cattolico, gli abbia inventali senza volerne prima chieder licenza al patriarca di Mosca ? Guai se in Isacco Newton fossero stali sì fatti scrupoli ! Che non avrebbe egli così studiato negl'italiani, come stu- diò: e soprattutto nel Galilei, nel Cavalieri e nel Tor- ricelli : anzi in questi due gesuiti, che qui parimen- te scorgete, il Zucchi e il Grimaldi. Perciocché non v'ha dubbio, che dal Grimaldi non togliesse il som- mo britanno ( ne già egli il nega ) quanto scrisse non pure sulla diffrazione della luce, ma sulla dilatazio- ne de' raggi solari nel prisma : e che il Zucchi non gli porgesse il primo vero concetto del suo telescopio di riflessione. Ed io : Saviamente hai tu chiamato, Fernando, quella protervia de'russi una miseria umana : di che pur troppo non sanno abbastanza guardarsi ne pure le più possenti e gloriose nazioni, com'è certo quel- la che può alla terra mostrare il gran Pietro e Ca- terina seconda ! Giovami intanto , o Guglielmo , fra questi rinomati ottici vedere anche il Maurolico ( e potevasi tralasciare ? ) che fisico, geometra e mecca- nico de' primi dell' età sua , non così scoprì 1' uso dell'umor cristallino nell'occhio, che tutto non avvi- sasse magistralmente 1' artifìcio della visione : e con esso il De-Dominis, sì benemerito della teorica geo- metria dell'iride, di cui scrisse prima assai del Car- tesio: il quale, non volendo certo far contra ciò che hanno fatto sì spesso gli altri filosofi di sua nazio- ne, credette meglio di neppur nominarlo. Ma gran curiosità moverà in tutti, che qui guarderanno, l' im- magine di Giambatista Porta inventore della camera oscura, senza cui non avrebbe certo il Daguerre pen- sato mai all'ingegno mirabilissimo di quella sua mac- L'ILLUSTRE ITALIA 269 dimetta. Or non avrai tu, disse allora Fernando, non avrai di grazia, o Guglielmo, uno spazio qui intorno, che possa empirsi delle persone di quattro artefici principalissimi di canocchiali : artefici onde tanto si onora non pur l'Italia, ma l'istoria delle scienze, emu- li come furono di questa presente gloria di Giamba- tisla Amici ? Intendo dire del Divini , che verso la metà del seicento ne fabbricò uno diottrico di settan- tadue palmi: del Campani, da cui se n'ebbe un al- tro di duecento e dieci, il quale fu portento a quel tempo, e comperato dal re di Francia valse poi al Cassini le sue maggiori scoperte : come pur dèi Gual- tieri, che uno ce ne diede catadiottrico nel milleot- tocento undici, e più grande di quello dell'Herschel : ed infine d'Alberto Gatti, teste morto fra noi pove- rissimo, benché aprisse nuove vie alla perfezione dell' ottica , per ispingere ( come diceva lo Scarpelhni ) con pia potenza lo sguardo nelV immensità dello spazio, inventando e costruendo per uso de'telescopi que'suoi mirabili riflettori di levigatissimo marmo ne- ro, o tenario, da gareggiare non solo co'metallici del medesimo liei schei , ma da superarli. E Guglielmo : Povero Gatti, no io non dimenticherò ne il tuo va- lore, ne la disagiata vita a cui la sorte ti condannò fino all'estrema vecchiezza, ne la tua modestia ! E tu pure starai fra questi famosi, ed onorerai tal luogo, ove certo e italiani e stranieri trarranno spesso alla splendidezza ed al nome del gentile signore. E così mi concedesse fortuna ( pur mi giova ripeterlo ) di non mostrarmi al tutto minore dell'alta impresa ! Ne lascerò indietro, se io lo possa ( e farò di poterlo per quante industrie avrà l'arte), il Divini, il Campani e il Gualtieri. 0 Letteratura Ma non è ella, o Fernando, la prospettiva una parte così principale dell'ottica, che non dubitò un nostro grande di chiamarla geometria di questa scien- za ? E Fernando : Tal è veramente. Or credo, con- tinuò Guglielmo , di aver dunque ben fatto a porre qui gl'italiani che con maggior fama la recarono ad ammaestramento di Europa. Senonchè darò solo fra essi i tre padri verissimi della scienza, che non dubito es- sere stati Pietro della Francesca , il quale se trattò innanzi a tutti : e poi Daniello Barbaro , che d' un passo da gigante fece avanzarla, sottoponendola alle regole della geometria : indi l'onor di Pesaro, l'amia co" di Galileo, quel Guidubaldo del Monte, a chi fra le altre lodi di meccanico sommo e d'inventore degli orologi solari a raggi rifratti, deesi pur quella ( colla stessa autorità del Montucla ) d'essere stato il più so- lenne de' veri prospettici onde si pregi la matema- tica : a lui attribuendosi l'aver trovato per primo il modo di prospettare una linea, da cui poi trasse cosi agevolmente le maniere diverse di mettere in prospet- tiva qualsiasi punto. Se poi avrò luogo che basti, vi porrò anche altri. Che invero questa parete ( e ne glorierò l'Italia ) mi pare ben carica : e si che anco- ra mi resta un'abbondanza tale di cose, che non solo non vuoisi lasciare indietro , ma diremo anzi essere di non men grande che principalissima importanza. Vili. Certo un assai decoroso spazio m'è forza lasciare all'idraulica, ch'è tutta pianta del terren no- stro scientifico, da niuno. grazie a Dio, contrastata- ci : qui avendo avuta le prime sue leggi , qui i più celebrati maestri. Veramente avrei potuto spedirmene co'soli due padri grandissimi della scienza, il Castel- li ed il Guglielmini. Ma essi ebbero cotal seguito di L ILLUSTRE ITALIA 2J l rinomatissimi, che qui ognuno ne cercherà le immi- gini, ognuno con desiderio vorrà vederle. E però se chiederassi dei due Manfredi (Eustachio e Gabriello), io qua mostrerolli a fianco del Guglielmiui loro con- cittadino, maestro ed amico. Se del Michetini, del Po- leni, del Zendrini, del Michelotti : eccoli là , dirò , che attendono ciò che ragiona loro quel Bartolomeo Ferracino, il quale a nessuno sì degli antichi e sì de' moderni fu secondo nell'architettura idraulica. Oh certo stupendo ingegno e mente creatrice ! Alla descrizio- ne delle cui macchine, di sì maravigliosa invenzione, hanno pur mente il Bonati e il Ximenes : mentre al Lorgna fanno il Regi, l'Avanzini, il Bidone le più ca- re congratulazioni per la palestra che aprì sì nobile alle nostre scienze fondando la società de'quaranta ita- liani. Ravvisate indi da presso il Lecchi, che il suo libro dell'idrostatica mostra al Perelli e al Fantoni: i quali stupiscono d'ammirazione al magistero, onde il sagacissimo gesuita arginò il Po e fece entrarlo nel Reno, Quanto in fine a' meccanici , il mancar qui il Galilei, il Torricelli, il Lagrange, che ne furono prin- cipi, e che altrove ho dovuto porre, farà parer forse agl'indotti, che l'Italia non abbia saputo serbare l'ere- dità di Archita e di Archimede. Ma i pratici della scienza ne rideranno. Intanto ne avete qui alquanti, e di rara eccellenza : Muzio Oddi, Angelo Marchet- ti, Gianantonio Stancari, Eustachio Zanotti , Maria- no Fontana : a'quali i posteri ( e sia ben tardi ) por- ranno allato questo nostro venerando Giuseppe Ven- turoli. Né vi desiderate Giuseppe Torelli : a cui dee l'Europa la diligcntissima delle traduzioni latine non che delle sposizioni di Archimede , insieme coi co- 272 Letteratura menti di Eutocio ascalonita , la quale dopo la sua morte fu pubblicala in Oxford. E volete sapere, se mai di sembianze non li conosceste , chi son questi altri ? Sono essi Gaspare Nardi ed Aristotele Fiora- vanti, che nel millequaltrocento cinquantacinque tra- sportarono co'loro ingegni dall'uà luogo all'altro in Bologna la così detta torre della magione, alta ottanta piedi: e quegli che segue è il Zabaglia, l'allievo porten- toso della natura, che de' suoi ritrovati, così rozzo ed a caso come fu sempre, è in ragionamento con Picco- la Fortis e con Giuseppe Morosi : indi è Giovanni Dondi, l'autore dello stupendo orologio, che poi die il nome alla sua famiglia. E sì che non meno d'ogni altra piaceravvi di contemplare l'immagine di Giovan- ni Branca da Santangelo nel pesarese ! Imperocché fu egli che primo lento la grand'esperienza di applicare, siccome forza motrice, la potenza del vapore dell'acqua all' uso della meccanica. Tìtolo immenso alla bene- merenza di un secolo, che per tale sperienza ha ve- duto sì grande e subila trasformazione in ogni parte della meccanica, della navigazione, della statica, del commercio, anzi dirò meglio di tutte le arti : titolo che a questo poderoso ingegno italiano già concedo- no i posteri anche oltremonte, più non potendo ne- garsi fede al testimonio della sua opera sulle macchi- ne stampata in Boma, se la memoria non fallami , nel milleseicento ventinove. Qui Guglielmo tacevasi : ed io sorto in piedi , pregai l'artista ed il giovine amico a ricrearsi alquan- to e darsi sollievo, prima di ripigliare il discorso sul- l'altra parte dell' opera : avendo intanto ordinato al servo che ci confortasse un poco di qualche con- fetto o bevanda. L'ILLUSTRE ITALIA 273 DIALOGO TERZO. I. Quando appresso quel riposarci tornammo di nuovo ad osservar l'opera del nostro artista : Che è questo, gridò ammirato Fernando ! Tu da tanta pace scientifica, o se vogliamo dire, da un nobil dramma, fai repentinamente passarci ad una tragedia : tante armi io veggo e tanta faccia di guerra ! Ne trage- dia ne guerra avremo, rispose Guglielmo: perchè san- gue non si verserà : molto meno si porrà nessuno, lo- dato Dio, al fil della spada ed al disonore : e salvo un poco di sdegno (effetto di questi animi pieni di patria e di ardire ) tu, Betti, potrai lieto e tranquil- lo rimanertene in casa, e noi alle nostre tornarcene non pur senza orrore, ma parimente tranquilli e lie- ti. Ho qui posto, come già v' è chiaro, i più eccel- lenti e famosi capitani d' Italia : stimando essere an- ch'essa la milizia una grande scienza, ed avere nelle matematiche il suo principalissimo fondamento. Anzi pur nella fisica , diss'io : e soprattutto poi nell' isto- ria. E Platone, che tanto le concedette ne'libri del- la repubblica, l'annoverò fra le filosofiche. E certo beatissimi dirò gli stati , ove a chi ha in mano la spada è pur sempre in mente di non avere perciò spogliata la qualità d' uomo e di cittadino ! Fortu- nati i popoli, che strascinati a guerre disastrosissime, delle cui cagioni sono spesso innocenti, e più spesso ignari, trovano ne'vincitori la mansuetudine e l'uma- nità ! Il che daremo a Platone, che sia effetto pre- clarissimo della filosofia ; s'egli però non ci neghi che anche v'abbia gran parte la religione. Ma tu, ripigliò Fernando , ci mostri qui vera- G.A.TXXXXVI1I. 18 2 74 L E Y T S R A T U R A mente tulli i sommi grandi guerrieri? Tutti que'gi- ganti, non già della favola greca, ma dell' istoria di una eia immortale ? Tu qui troverai, rispose Gugliel- mo, i soli uomini più famosi che fecero esperimento del valore italiano, non già distruggendosi fra loro , ina sì combattendo contra 1' armi straniere. Donde comprendete, amici, ch'io mi son passato di tutti que* capitani di ventura, che nell'età di mezzo, senza niun ordine di vera milizia, furono vergogna e flagello del- le città italiane. Sciagurati ! Che altro non fecero , che sventuratamente mostrare il vigore del petto e del braccio ( e spesso con quella maschia gagliardia degli antichi ) in mezzo le furie di una continua e gran sedizione ! Egregiamente, diss'io. Lasciamo pure ad una selvaggia letteratura il narrare, non che quel- le civili abbominazioni, ma quel ludibrio di pensieri e di cose ( che dico narrare, quando dovrei dir ce- lebrare ? ) si lasciamo narrarle e celebrarle a coloro, cui tanto gode 1' animo di rimestare le patrie brut- ture: aitando gl'italiani, dimentichi affatto del mag- gior grido che vada per l'universo, a tal si ridussero che la servitù sdegnando, né sapendo tollerare la li- bertà (la libertà cioè delle leggi e della ragione che a nessun consente d'essere impunemente vizioso), si ge- larono con vili armi a dilaniarsi a vicenda, quasi non fossero più nati d'un sangue. E pure il nome della re- gina delle nazioni viveva allora, siccome vive oggidì ! E pure avevamo fuggita quell'ultima umiliazione, che già ebbero a sostenere da'f ranchi la Gallia, dagli an- gli la Britannia, la Pannonia dagli unni : quando su- perbissimi vincitori , perduta in tutto la ricordanza della romana benignità, rapirono per fino a quelle in- felici rejrioui l'antico nome degli avi ! Sì, o Gugliel- L'ILLUSTRE ITALIA 87$ mo : siano come morii alla memoria nostra coloro , ch'ebbero per morta l'Italia ! SI la vergogna de' po- steri e la maledizione dell'Alighieri ricoprano, non so- lo quelle sempre cadenti e risorgenti tirannidi , ma e l'insolenza e la beffa di quelle repubbliche, che in tante atrocità d'odi precipitarono la patria : e che in tutto orgogliose , salvo nel parlar dell' Italia ( alte- rezza di que' famosi antichi ), non pare che avessero altro fine , se non ardendo e guastando rompere af- fatto il gran vincolo , che tien salda ogni nazione perchè non precipiti e non si dissolva ! Oh per quan- ti e quanti secoli aiTestaron coloro il risorgere di questa novella luce di civiltà ! Ma furono pure, disse Fernando , furono pure que'tempi in Italia. Sì certo furono , continuai : ed è ciò grande onta per uomini, che fra quanti fiori- rono sulla terra erano saliti ad altezza sì memorabi- le. Ma perchè cancellarsi non possono, vorremo noi compiacercene, ed antipodi ad un'età imperatrice, in cui fummo i primi e potentissimi di tutte le genti ? Né mai contra la riverenza degli avi finiremo di ri- cantarci , che indi per molti secoli , sfolgorati dalla fortuna ad esser preda d'ogni generazione di barbari, cademmo così d'animo e di virtù, che il nostro va- lore non fu quasi più altro che una rabbia di met- terci l'un l'altro il coltello al petto gridando : « Di chi vuoi tu essere schiavo ! » Oh, dunque, ripigliò Fernando, stimi tu dunque essere stata una gran di- versità fra quelle nostre guerre de'tempi di mezzo, e le altre che in questo suolo medesimo combatterono gli antichi romani ! Non erano del pari italiani e gli ernici, e i latini, e i volsci, e i sanniti, e gli etru- sci ? Non erano italiani que'di Taranto e di Siracu- 2-jG Letteratura sa ? Erano, io risposi, italiani : ma tanta diversità cor- se ira le une e le altre guerre, o Fernando, quanto dalla parte de'romani fu grande il pensiero di voler que'piccoli stati , quasi membra sparse di un corpo medesimo , ricoti giungere insieme a formarne un po- polo che slesse invittissimo con tra ogni barbaro : e quanto, dalla parie delle signorie e delle repubbliche del medio evo, fu malvagio il consiglio di voler anzi rompere violentemente sì magnanima unione, per ces- sare, se fosse stato possibile, ogni nome ed autorità di nazione. Ed a che altro infatti mirarono costan- temente, se non al nobilissimo fine di un impero ila- lieo, tutti i gloriosi sforzi di Roma, dopo ch'ebbe ve- duto lo strazio che di se slesse facevano quelle om- bre di libertà plebee, quinci tiranneggiate dai Fala- ridi, dai Dionigi, dai Geronimi, quindi oppresse dai Calippi, dagli Agatocli, dagli Aristodemi : e, quel eh' è più, messe al giogo or dai fenici e dai greci , or dai cartaginesi e dai galli ? Sicché può tenersi per cosa certa, che ove quell'alto pensiero fosse manca- to, sarebbe stata al tutto perduta l'Italia. E puoi di grazia tu dirmi a qual segno precisamente tirassero gli uomini di stato e di guerra de'secoli di mezzo , là dove niuno di que' governi vedemmo fermi giam- mai in un medesimo politico proponimento ? Là dove capitani e soldati non d'altro più si mostraron solleciti, che di vendere le loro spade ed i loro sde- gni a chi meglio offerisse , oggi per danaro combat- tendo colui, che altresì per danaro avevano difeso ieri ? Imperocché chiederei se questo appunto non fecero i Malatesti, i Bracci, i Piccinini, gli Sforza, i Gatta- melata, i Baglioni, i Vitelli, per tacere di quanti al- tri furono veri obbrobrii di una onorata milizia, eia l'iU.USTRE ITALIA 277 sì turpemente vituperarono l'arte teste restaurata (e non senza alcuna virtù) per Alberico Balbiano. E cbe si ciancia di servii condizione ? Perchè anzi non lodasi quella romana o generosità o sapienza, che a tutti la- sciò libere le proprie leggi, e primo ai municipii d'I- talia, da'quali altro non volle che le spade per tute- lare la patria ? Mi chiedi qual'eravi diversità? La diversità e' è abbastanza mostrata da ciò cbe poi n'è seguito : im- perocché le guerre romane partorirono la libertà in casa e la nostra grandezza per 1' universo : mentre quelle de'secoli barbali altro effetto non ebbero che la necessità del servaggio e l'umiliazione. Oh siati in mente, o Fernando , che le brutture de' popoli non traggono diversa cagione da quelle degli uomini : cioè dall'abbandono che si è fatto della virtù ! E virtù ab- bandonarono i nostri italiani del medio evo : i qua- li inetti a levarsi a niun grande concetto antico, non solo in quel perpetuo contrastarsi non ebbero alcun pensiero di patria e di onore, ma sì non cercarono altro che di sfogare nel sangue l'insolente loro am- bizione : d'ogni affetto umano, dirò così, non conser- vando quasi più che lo sdegno. E che ? Oserei trop- po affermando , che mai fra que' feroci non alzossi squillo di tomba, che non fosse per provocarsi l'un l'altro cittadino alla sconfìtta e alla morte ? Indi gior- ni d'iniquità seguiti da giorni d'iniquità : indi dispe- razioni codarde di vinti, tripudi lagrimevoli di vin- citori. E sì che forse cessarono , o non piuttosto si accrebbero sciaguratamente le nostre ire dopo la pa- ce che s'ebbe a Costanza, quando pareva appunto che Italia, ornai libera da Federico, dovesse tutta in una gran volontà riunirsi e rifiorire di concordia e di for- 278 Letteratura za ? Bene, o Guglielmo , bai chiamato quell'eia una continua e gran sedizione ! Una sedizione, fra le cui fiamme tutto in Italia fu rissa ed insidia ed arme di provincie contro provincie, di città contro città, an- zi di padri contro figli, di fratelli contro fratelli ! Una sedizione, che senza niun prò ( e poteva averne la bassezza od atrocità di quel vivere ? ) scelleratamen- te ci bruttò il ferro così a Montaperti come a Cam- paldino, così alla Meloria come a Chioggia , così a Maclò come a Caravaggio, ed a quante altre batta- glie da mani italiane fa sparso il sangue italiano ! E v'ha pur peggio : che di quelle esequie tristissime del- la patria, uomini di corrottissimo animo si facevano pompa ed onore, anzi non arrossivano di ricever pre- mi da chi anche non arrossiva di darli ! Veramente, disse Guglielmo , spaventosa imma- gine, ma pur troppo vera, delle nostre sciagure ! E durò tanti secoli ! Là dove quella delle discordie de' tempi romani ( che destino dell'umana natura non è l'esser perfetto ) appena bastò il corso della vita di un uomo. Ed aggiungi, io ripigliai, che se per quelle terribili gare di Siila e di Mario, di Cesare e di Pom- peo, d'Augusto e d'Antonio , e s'altre mai ve ne fu- rono , dovemmo sovente raccapricciarci, mai non do- vemmo arrossir di vergogna. Dividevansi, è vero, con avversa volontà i cittadini, mai però non si spegneva la patria : solo ella pendeva incerta a qual de' suoi figli dovesse commettere l'autorità di guidare le sue aquile alla vittoria e di reggere cotanto impero. Deh, amici , deh onorevole e grato vi sia di richiamare spesso alla memoria de'posteri la dignità di que' tem- pi ( ne per questo siate sì cattivi filosofi, che ravvi- sar non vogliate la necessità delle seguenti fortune, ~— ~"l fc> ILLUSTRE ITALIA 279 alla cui potenza non fu mai ch'uomo savio ricusasse di sottomettersi ) : la dignità, dissi, di que' tempi in cui il nome di romano s'ebbe al mondo piuttosto per quello di una specie umana , che di un gran popolo ! In cui quegli uomini sommamente uomini posero il fondamento a tutte le civiltà de'secoli colle lor leggi ! In cui sul campidoglio stava la potestà della terra , che imponeva il nostro volere , e dava e toglieva i re alle nazioni ! In cui la patria due suoi cittadini chiamava col titolo d'affricani, uno con quello d' asiatico : e chi di ci'etico , di acaico , di macedonico : e citi d'isaurico, di dalmatico , di nu- midico ! In cui non pur la Spagna, la Britannia, la Germania, la Gallia, ma sì gl'imperi di Sesostri , di Ciro e di Alessandro non furon più che nostre Pro- vincie ! In cui infine levato in ammirazione potè Ovi- dio cantare , che allorché Giove dall' alto inchinava lo sguardo alla terra, altro non trovava a dover tu- telare che non fosse romano ! Tacevami ciò detto : timoroso di abusare più ol- tre la bontà dell' uno e dell' altro amico. Ma sor- to ad abbracciarmi Fernando : Sì , sì , gridò , io ti do fede non solo di riandar sovente quel tempo, ma sì di non voler d'altro parlare a'miei figli, se mai io n'abbia , ed ai figli de'miei figli , s'io pur li vegga ! Tolga Dio che perciò intenda sediziosamente incita- re que'teneri animi contra i legittimi principati , ai quali è poi piaciuto alla provvidenza di affidarci in governo ! Ma certo è che dovendo loro porgere uno specchio di nazional dignità e grandezza, li trarrò ad am- mirare il bellissimo dell'età romana, anziché l'altro sì rugginoso che ci vien proposto da questi gretti magni- ficatori del medio evo, i quali non rifinano di dirci: 280 Letteratura « Studiate in que'feudi, in quelle repubbliche, d'onde ci derivò quest'orditi civile. » Stoltissimi ! Da que'feudi e da quelle repubbliche ( meglio chiamarle tirannie e licenze ) non altro ci derivò che il rossore : il quale come infine ci potemmo torre dal volto, se non ap- punto dimenticando ciò che per otto e più secoli si era fatto e pensato da un'ignoranza che fino andò umi- liandosi alle balordaggini boriose degli arabi ? Certo, o Betti, se io a'miei figli e nipoti potrò mai narra- re i falli di quell' età , il farò solo per ammaestrarli come niun' altezza è così sublime , che le fazioni e V ignavia non facciano precipitarla : e per indurli a benedire il cielo, che ci dà vivere finalmente in un secolo, in cui niun male può esser mai tanto gran- de , che incomparabilmente noi passi quella vecchia fierezza di non avere avuto più sacro, in questo suolo medesimo, niun vincolo di sangue e di cittadino. Allora Guglielmo : Or pensi tu dunque, o Betti, che di nessuno spirito di gloria possiamo noi conso- larci fra quelle viltà ? Ed io : Consoliamoci ( perchè non credasi la virtù italiana potersi mai al tutto spe- gnere ) consoliamoci pure, che ben si conviene, nelle imprese magnanime di Gregorio VII e d'Innocenzo III, gl'italici massimi di quell'età : andiamo a venerare le ossa di Giovanni Vili, che a Carlo il calvo impera- dore, il quale chiedeva sfatichi della fedeltà nostra, alteramente rispose: « Non esser mai nato sotto il cie- lo romano chi desse in ostaggio i suoi figli: » non che di Alessandro III (del gran Bandinelli) per la cui sacra mente fu abolita la schiavitù. Parla loro di Farinata degli Uberti, che alla sua patria, a Firenze bellissi- ma, riparò il danno di dover essere diroccata e abbat- tuta : ma non dire chi erano i malvagi che sofferse- L'ILLUSTRE ITALIA 28l to di congiurarsi a tanta scelleratezza. Parla loro de' prodigi di fortezza e di amor patrio, onde Ancona si rese mirabile all'assedio, di cui la cinse il gran can- celliere dell'imperador Federico Barbarossa, ministro così empio come il suo principe : ma non dire che il senato veneto non vergognossi di aggiungere le sue nobili armi alle barbare per oppugnare e distruggere ( se stato fosse possibile ) una sì fiorente città d'Ita- lia. Parla loro del popolo di Siena, quando condotto da Matteino Menzano levossi fieramente a difendere la sua libertà contra l'imperador Carlo IV, il quale, con estrema onta violando la santità dell'ospizio, fu audace d'escire in piazza co' Suoi baroni ed armati a combattere i cittadini : senonchè preso, rinchiuso, tre- mante, non dovette ad altro la vita che alla grandez- za d'animo de'vincitori. Parla loro di Costanza figliuo- la del re Manfredi, e spdsa di Pietro d'Aragona, la quale avendo avuto in mano Carlo II d'Angiò, e po- tendo pubblicamente spegnerlo per vendetta di Corra- dino ( com'era la sentenza de" giudici), virtuosissima lo salvò , mostrando quanto un cuore italiano vincesse in generosità un malvagio Angioino. E se ciò non ba- sta, recali a baciar le zolle de'campi di Legnano, ad onorar le mura dell'abadia di Pontidio, ad ammirare a Venezia, a Genova, a Pisa i trofei, non de'propri fratelli, ma de'barbari così dell'oriente come dell'oc- cidente. Fine però al ragionare più oltre di un tema, in- torno a cui ogni più tardo ingegno, se lo scaldi una sola favilla di virtù e di patria, diverrebbe faeondo: e piuttosto, o Guglielmo, giacche questo bel sole di aprile invitaci ornai ad andare per qualche villa a di- porto, entraci a dichiarare il disegno di questa, che 282 Letteratura non tragedia chiamerò eoll'amico nostro, ma forse non male una specie di epopea. Son pronto, rispose Gu- glielmo: ed oli s'io desidero che qui più che altrove il mio lavoro ritragga degli affetti arditi e gagliardi e della maestà del subietto! Perchè quanto so caramente vi prego di non essermi scarsi della vostra attenzione, e soprattutto di franche correzioni e di avvisi. IL Ponete mente per prima cosa a quel grup- po, intorno a cui confesserò d'essermi adoperato con più particolare studio ed amore. Quegli ( e chi noi conosce ?) è Napoleone, che in piedi, e l'una mano avendo posata sul destro braccio di Andrea Massena ( che appunto suo destro braccio soleva egli chiama- re questo immortai guerriero, quando non chiamava- lo figlio della vittoria ) narra come ancor giovanetto e di piccola condizione, dataglisi grande ogni cosa , si cinse la corona dell'impero francese e del regno italico : e come fattosi capitano non pur degli eserci- ti di Francia e d'Italia, ma e di quelli di Polonia , d'Olanda, e di gran parte della Germania, tutto fio- re sceltissimo di combattenti, recò per Europa sì fat- tamente il terrore della sua possanza , che potè dir- si niun altro, dopo que' gloriosi greci e romani, aver combattuto battaglie più sanguinose : niuno dopo Au- gusto avere avuto in mano con maggiore arbitrio le sorti delle nazioni e dei re. Vantinsi pure Alessan- dro di Arbella, Scipione di Zama, Cesare di Farsa- glia : ed egli si vanterà di Marengo e di Austerliz- za. Il riguardano quasi immoti , tutto ponendogli mente, e il vincitore de'cartaginesi ad Imera, e Dio- ne, e Coriolano, e Sertorio , pieni l'animo di tante stupende imprese. Mentre allato al Massena, in vari atti di maraviglia , ma lieti principalmente che ita- l' ILLUSTRE ITALIA 283 liano, per svia virtù, sia il ricordo de' più splendidi fatti delle armi francesi , vedete qua Luigi Gonzaga duca di ISevers, e Tommaso di Savoia che succedette al Condè nella dignità di gran maestro di Francia : là i due Trivulzi, il Caraccioli, lo Strozzi, l'Ornano ed il Concini, che nostri concittadini come fu il sommo nizzardo , tennero parimente sugli eserciti di quel re- gno nome e potere di marescialli : e più addietro , ma per valore principalissimi, Lorenzo Orsini signor di Ceri e Giovanni de' Medici capitano delle hande nere. Ne ho voluto passarmi di Sforza Sforza conte di Santafiora, che condottiero delle milizie ecclesia- stiche, e animosissimo, fu autor principale della vit- toria che Carlo IX ebbe sull'ammiraglio di Colignì a JVIontcontour. Ma Cesare dittatore, che gravemente innanzi a Napoleone è seduto con M. Antonio accanto , ap- piè della statua di Quirino, osservate come ha volto il guardo a Camillo che gli sta presso: presi ambi- due da sdegno che un uomo italiano, spogliata tutta Italia de'suoi più belli e ricchi ornamenti, osasse far serva la loro Roma, comechè per brevissimi anni, ai discendenti di Brenno e di Vercingentorige. Del quale sdegno entra altresì partecipe Vespasiano , che poco lungi, seduto anch'esso a'fianchi di Galha, di Pertinace, di Gordiano terzo e di Tacito augusti, ben è memo- re di quel vilissimo Giulio Sabino, che sì orgoglioso andava per tutta Gallia colla porpora de' cesari in- dosso, vantandosi dell'esser giaciuta col dittatore l'a- vola sua, e di quella sozzura nato suo padre. Né fre- mono d'ira minore , quinci Cincinnato e Curio e i Deci, quindi Papirio Cursore e il distruttor di Car- tagine e il vincitore di Perseo : e soprattutto quella 284 Lbtteratura grande spada della repubblica Claudio Marcello, che ancor gloriasi a Fabio Massimo ed a Flaminino di re- care appese ad un' asta le spoglie di Viridomaro : e Manlio Torquato che , avendone in vista cotal di- letto Valerio Corvino, con gioia così feroce guardasi al petto la collana da lui tolta all' abbattuto gallo. Deh pur così, come sembra che queste cose mi ap- proviate, avess'io bene espresso colà l'incorrotto ani- mo di Fabrizio, e seco insieme e Lutazio, e Levino, e gli eroi del Metauro, e Mummio, ed Appio Clau- dio Caudiee , che ha presso a se Calatino in quel!' atto che vedete di rendere ancor mercè alla sublime fortezza del suo tribuno Calpurnio ! A'quali intendo che Regolo, con un gesto d'orrore, compiangasi de' tempi così mutati: che là dove egli con tanta magna- nimità sostenne anzi morire, che vedere sciolte sen- za prò di Roma le sue catene, oggi anche ne' gran- dissimi (come fu certo quest' uomo di Corsica) non viva più, salvo in cose inette, una scintilla non dico di carità, ma d'onore di patria ! Sicché il maggiore Af- fricano, già raccoltasi sulle spalle la toga, è per al- zarsi a dimandargli ragione, come con opera sì perver- sa abbia potuto macchiare cotanta sua gloria. Ma trat- tenuto è da Mario, così rabbuffato ed irsuto com'è, secondo il ritratto che ce ne fa Velleio; e quasi al- legro in cuore che sole non si narrino ornai le sven- ture sue sulle ruine di Cartagine, essendo venute a pareggiarle quelle di Napoleone sugli scogli di Sant' Elena. «Ed ob ben gli sta, esclama d'altra parte Lucullo ai due grandi Metelli, ben gli sta se dato essendosi agli stranieri, dagli stranieri n'abbia avuto quella meri- to ! Sebbene poi con tardo ravvedimento, dopo essersi tutto perduto il prezzo delle sue vittorie, se ne sie- L.* ILLUSTRE ITALIA fl85 no dall'inimico implorate le ceneri. » Che pensi Cor- nelio Siila, lascio che meglio s'immagini : il quale del sinistro braccio fattosi al mento colonna, è anzi immerso in profonde considerazioni : benché Pompeo non so qual parola gli sussurri all'orecchio. Atto cui bene considera Alessandro Verri, che in disparte ritrat- tosi, è qui pure osservatore attentissimo di ciò che valga a rammentargli alcun fatto famoso di que'romani. Oh Germanico, disse allora Fernando ! Come hai perduta, o Germanico, quella dolcezza e serenità di viso , che coli' odio di Tiberio ti valse l'amore degli uomini ! E tu, Agrippa, e tu, Corbulone, come com- mossi avete que'vostri aspetti severi anche a maggio- re severità ! E dico di te il medesimo, o Petilio Ce- nale : e di te, fortissimo Dillio Vocula , che volesti anzi cadere sotto il ferro di un traditore, che inchi- nare la romana tua fronte dinanzi a barbara potestà: e gridasti alle legioni quelle sì generose parole : « Non fate dire ( uso un passo di Tacito volgarizzato dal Davanzati ) non fate dire per tutto il mondo sì mo- struosa cosa , che voi siate cagnotti di Civile e di Classico ad assalire Italia ! E se germani e galli vi condurranno alle mura di Roma, vostra patria, com- battere tele voi ? Mi raccapriccio a pensarvi ! Farete per Tutore treviro le sentinelle ? Daravvi un batavo il segno della battaglia ? Rifornirete le schiere de'ger- mani ? » Ed io : Nobile , grave , e vivace del pari sembrami, o Guglielmo, fin qui, non che degnissima d italiano, tutta questa immaginazione. Imperocché a Napoleone non togli ( siccom'è il vezzo di alcuni pic- coli spiriti ) ciò che nella memoria de'posteri il farà sempre di fama chiarissima : lasciando anche stare l'aver in Francia con senno veramente italico cessa- 2BG Letteratura ta quella furia d'atrocità, che per tanto tempo segre- gò una sì nobi! nazione dall'umanità piuttosto che dal- la civiltà di Europa: ma solo con austera giustizia non vuoi reputargli in lode ( e chi l'ardirà in Italia? ) ciò che quell' alto vedere di capitano e quegli animi e concetti regi vituperò, così dinanzi a questi suoi con- cittadini, come nella coscienza d'ogn" uomo religioso e gentile. III. Né qui ha fine, seguitò l'artefice, il richia- marsi de'nostri : ma perciocché Napoleone anche in altre cose non meno gravi fece fallo alla rettitudine e grandezza sua, sebbene poi tardi se ne pentisse » mirate qua nuova scena. Ecco Emmanuel Filiberto , il vincitore di s. Quintino, che ristrettosi col suo Eu- genio, appena sa porger fede al l'acconto che un ita- liano così abusasse il favore della fortuna , che in- sieme colla patria volesse abbassare le loro stirpi rea- li fino a' piò di coloro , che ancor tremano il no- me della casa di Savoia, posti in rotta, siccome fu- rono , in tante battaglie e dispersi. « Torino dive- nuta città di Francia ! E per cui opera, dice Euge- nio ? Non già di Filippo d'Orleans o de' marescialli Marsin e Lafeuillade, de'quali sotto quelle mura io vi- di il dorso alia memorabil giornata degli otto di set- tembre. Non già dei Calinat, dei Villeroi, dei Vii— lars, dei Vendome, ch'io pur disfeci. Ed oh fossi giun- to per tempo a Denain ! » E venuta pure città di Francia la mia nobile Parma, grida Alessandro Far- nese, colle mani coprendosi il viso per la vergogna ! E non già per le armi di quell' Enrico IV, che mi chiamò il maggior capitano del secolo, e che io scac- ciai dall'assedio di Parigi e di Rouen. « Anzi la stes- sa tua casa d'Este , o mio prode e magnifico Fraa- L" ILLUSTRE ITALIA 387 cesco primo, la stessa gloriosa tua casa andò esule da una terra, che d'ogni bellezza d'arti adornò e d'ogni gravità di sapere ! esclama Raimondo Montecuccoli. E non già pel Turrena, a cui dopo l'immortal con- flitto di san Gottardo io tenni fronte per modo, che ancor fra'posteri pende incerto il giudizio a qual si debba di noi un più bello alloro. » Ma più d'ogni altro non che turbato, ma preso da un religioso rac- capriccio vi si presenta Marc' Antonio Colonna, il guer- rier delle Echinadi, che piissimo innalza gli occhi e le mani a pregare il cielo, che ad uomo di sì pre- stante valore perdoni clemente l'ingratitudine e i tan- ti oltraggi , onde ahi troppo macchiossi verso 1' uf- ficio santo e la veneranda canizie di Pio VII ! Se- nonchè con diverso animo, e quasi ardendo negli sguar- di ferocemente, il rimirano e Bartolomeo Colleoni e Prospero Colonna e Ferdinando Davalos, gli eroi del Bosco, di Milano e di Pavia. Ne serbano altro con- tegno Gian Iacopo Medici marchese di Marignano, e più Francesco Gonzaga : il quale al venturier te- merario che mosse a volerci opprimere , confidando nelle discordie nostre e nella perfidia di un Lodovico Sforza, anziché nelle proprie armi, fece parer fortu- na l'essersi potuto aprire a Fornovo un varco dispe- rato al ritorno ed alle sue antiche libidini : dopo a- vere però cosi al Taro come a Rapallo dovuto ren- derci a forza tutte le sue rapine, non pur d'oro e di bronzo, ma, come dice il Bembo , d' innocenti fan- ciulle e fin di vergini a Dio consacrate. Tornarono però quelle armi, soggiunse Fernando, e conquista- rono nuovamente il regno di Napoli. Tornarono, ri- spose Guglielmo, ma non per proprio valore : sì be- ne per tradimento di quel doppissimo animo di Jfer- 2fift Letteratura limando di Spagna, il quale inviò il Consalvo ad aia tare L'impresa, con accordo però che dovesse fra i due re partirsi il dominio dell' infelice paese. Or poco durò quel patto : né mollo si stette dalla contesa a venire al sangue : ed essendo quindi mestieri che ad uno de' contendenti fosse pur forza di soggiacere, que- sto, siccome sempre è stato in Italia, toccò a'francesi. Vero è che se insoffribile fu chi n'andò, chi rimase non fu migliore di lui : salvo l'essere men rotto alle ingiurie ed all'arroganza. IV. Qui diss'io : E quegli chi è che sì venera- bile in vista, bianco delle chiome, e pressoché cieco, è in quell'atto generosissimo di mutare giovanilmente i passi col vessillo di san Marco in mano ? Noi co- nosci, rispose Guglielmo ? E pur famosissima è la sua immagine. Enrico Dandolo egli è, che ancor si ricor- da di aver vecchio di ben novanlaquattr'anni, ma tut- to caldo di spirili di fede^ e di patria, piantato il pri- mo quella gloriosa insegna sulle mura di Costanti- nopoli. E negli altri, che intorno gli fanno corona, riconoscete Francesco Morosini peloponnensiaco ed Angelo Emo, stupefatti ( come con ogni industria farò che palesino ai lor sembianti ) stupefatti, dico, che il veneto leone abbia così cessato dopo tredici secoli di ruggire. E sì che a crederlo ha duopo di quasi tut- ta l'autorità dell'istoria Sebastiano Ziani, che tratti a se Pietro Orseolo ed il vincitore di Tiro Domenico Michiel , mostra loro con onesta alterezza l' anello dell' oro , onde Alessandro III pontefice privi legiol- lo di sposar l' Adriatico , allorché fu alfine costretta l'imperiale superbia di Eederico Barbarossa d' adora- re per capo della chiesa chi aveva avuto per se la fede della repubblica. Anzi vorrei che tanto potesse L'ILLUSTRE ITALIA 20*9 l'arte , die mi fosse agevole rappresentare come qua a questi altri invitti capi di guerra sembra fin dub- bia la testimonianza stessa de' fatti : cotanto supera ogni lor credere, cbe alla regina de'mari, là dove nes- suno mai nacque e morì se non libero, possa un gior- no essere stato fatale di venire in altrui signoria ! E sono essi Ordelaffo Faliero che all'impero veneto ag- giunse la Dalmazia, Lazzaro e Pietro Mocenigo, Ber- nardo Con tari ni e Benedetto Pesaro: il quale ultimo voltosi inoltre pietosamente a mirare Marc' Antonio Bragadiao:« 0 veneziano Regolo, dice, a die giovò coa- tra l'ardir di colui l'aver tu mostrato fin dove mai possa giungere la maggior virtù di un grand'animo : sicché, commessa avendo la strage di ottantamila ottomani al- l' assedio di Cipro , preso poi con perfida fede dai barbari, lasciasti farti ( e né pur si mosse quella tua imperterrita fronte ) uno scempio sì orribile della tua vita ! « A che giovò, rispondegli il Bragadino ? A far vera prova d'esser sangue italiano, a mostrare ancor possibili i grandi esempi anticbi, ad accendere di ver- gogna i posteri ? Il che pur ebbe a cuore, soggiun- ge, questo Lodovico Flangini che mi vedi al fianco: il quale per non esser minore di virtù a niun gre- co o romano, volle, benché mortalmente passatogli d' una lancia il petto, farsi vestir l'arme e condurre sul cassero della nave, in mezzo all'armata ch'egli contro a'turchi capitanava, dicendo agli amici che d'altro lo consigliavano : « Così ad un patrizio veneto si con- viene morire ! » E Fernando : Tu m'hai sì fattamen- te esaltato l'animo, ch'io ti prego, o Guglielmo, d'ar- restarti alquanto , finché meglio consideri o piutto- sto veneri queste eccelse presenze. Guardate aspetti d'impero ! Guardate intrepidezza e tranquillità d'eroi ! G.A.T.LXXXVIII. 19 2f o Letteratura Cerio appena per fortezza valgono a pareggiarli quei tre, che d'altra parte sono in sì grandi ragionamenti , Carlo Zeno , Vettor Pisani ed Andrea Contarmi , i quali veramente col caldo affetto di Temistocle e di Camillo amarono la patria loro. Felicissimi, se non avessero mai dovuto bruttarsi di sangue italiano ! Con questi invitti dovea la repubblica alzarsi in Europa a sì gran nome ed autorità ! Con questi sfidare ani- mosa l'odio e l'invidia delle rivali ! Con questi trion- far di Cambrai, non altrimenti che i romani trionfa- rono della guerra sociale e di Annibale ! Con questi infine rendersi degna d'aver propizia la provvidenza, quando contra la santità dell'ospizio e la ragion delle genti uno scelleratissimo marchese di Bedmar con- giurò di mandarla tutta a fiamme ed a sacco ! Né mancavi Nicolò Orsini, conte di Pitiglhmo, che ca- pi iau generale delle genti di terra ancor sembra co- gli occhi e col braccio minacciare Massimiliano ce- sare, e con formidabile atto di valor romano difen- dere dalle artiglierie tedesche il rotto muro di Pado- va; e non pur contrastare all'inimico l'entrata della città, ma costringerlo disperato a lasciar l'impresa. V. Ed or dove , diss'io, dove mai sono que'pos- senti di Genova , che pur fecero sì gran testimonio d'essere anch'essi del nostro sangue ? E che dunque, rispose Guglielmo, non t'è dinanzi Andrea Doria in quell'atteggiamento che ancor mostra pentirsi d'esse- re stato in armi tanti anni a prò di Francesco I, per averne poi premio di sì odiosa dislealtà ? Vendicossi però : e nobilissima, e quale da quell'alto spirito po- teva attendersi, fu la vendetta : che per sempre aven- do abbattuta in patria l'insegna de'gigli, volle infine ( e ben poteva far legge d'ogni sua volontà ) essere L'ILLUSTRE ITALIA 2QI anzi uguale che principe a'suoi concittadini. Nobile e bravo Andrea, esclamò Fernando, e gran ricordo del valore e del senno de'nostri avi, tranquille riposino le onorate tue ossa ! No, non siati d'affanno che la geno- vese libertà cadesse sotto i colpi di un corso. Percioc- ché se calamità d'ogni popolo fu quell'audacia di un italiano fattosi forestiero, godi invece ch'ella men che ad ogni altro nocque al popolo genovese : fiorendo oggi la patria tua, posata ogni setta, fra quante sono più doviziose e forti ed ornate d'Italia : e sicura in- viando al traffico le sue navi per tutti i mari, fatta una delle regine del mediterraneo sotto lo scettro di tale casa , cui aggiunge benevolenza e maestà così l'essere come il voler comparire di stirpe italica ! E Guglielmo : Bene , o Fernando , ti sei apposto. Tu senti in tutto, intorno alla presente condizione della donna della Liguria, ciò che ne sento io. E questa è stata appunto cagione perchè nel mio lavoro abbia volu- to in que'valorosi mostrare minor apparenza d'ira verso Napoleone. Ond'è, come vedi, che appena a tanti sdegni qui pongono attenzione e Prospero Adorno e Paolo Eregoso, nel riandare che fanno la sanguinosa battaglia, in cui sconfissero l'armata francese condotta da Re- nato d'Angiò : e Filippo e Giannettino Doria : que- gli capitano illustre della vittoria di Capo d'Orco, là dove videsi morto a' piedi il viceré Ugo Moncada : questi in sembiante di accennare allo zio il feroce Dragutte stretto in catene e prostrato vilmente in ter- ra, così com'egli giovinetto fortissimo il prese con tut- te le sue navi e dannollo al remo. Ed oh questo fos- se stato il fine di quel terribil corsale, ne Andrea gli avesse poi conceduto il riscatto con tanto guasto del- la cristianità ! ac)2 L B T T E H A T U R A Ma che guardi, o Fernando, che guardi colà si fisso l'occhio e la mente ? Guardo, diss'egli, quel guer- riero, che dopo il supremo aspetto d'Andrea sembra- mi quasi il più nutrito nell'arme ed il maggiore fra tanti grandi. Quegli, rispose l'artista, è Biagio Asse- reto, che alla giornata di Ponza disfece gli aragonesi ed ebbe prigioni i re Alfonso V di Aragona e Gio- vanni di Navarra. E cosi due famose azioni compi ad un tempo : l'una di mostrare agli stranieri la geno- vese potenza : l'altra di far palese anche in quel fie- ro ed orrido secolo l' ilaliana generosità» Perciocché dati i due sommi principi in potestà di Filippo Ma- ria, Visconti , il quale allora signoreggiava Genova , furono dal duca di Milano accolti coll'ossequio degli animi nobili verso una grandezza infelice, e riman- dati liberi senz'altra richiesta del vincitore, che di vo- ler soprattutto l'amistà di Alfonso il magnanimo. Nò tacerò di quest'altro che gli è vicino, cioè Damiano Caiani : del quale è noto come non volle che nella fama delle il aliane virtù andasse sola la continenza di Scipione in Ispagna. Essendoché inviato della re- pubblica a trar vendetta del grave oltraggio, che ri- cevuto aveva dal re di Cipro ( il quale fu poi de- bellalo da quel Pietro da Campofregoso, ch'è più là con Paganino Doria ) , ebbe per forza d'armi prima Nicosìa e poi Palo : dove essendogli un giorno con- dotte innanzi settanta vaghissime giovinette, cadute in mano de'suoi soldati , non soffri , uomo gravissimo , che lor si recasse veruna vergogna : anzi a' rapitori se- veramente gi'idando , che già non aveali spediti la patria con. tante navi in que'mari perchè facessero di tali prede, e se stessi e il nome ligure colle lascivie disonorassero, ordinò che intatte si restituissero alle braccia de'loro padri o mariti. L* IT.UJSTRE ItALTA - 893 Se però non vi pare che questi genovesi diano vista d'aver gran mente alle cose che quivi narra l'im- perador de'francesi : salvo il rammentarsi le calamità dell'assedio, onde furono stretti ; all'incontro v'ho nn' altra gente più oltre che ben dimostra avervi inlen- tissimo, non che il guardo e l'orecchio, ma tutto l'a- nimo. Perciocché vedete il valoroso Ermocrate , che rese a Nicia così funesta l'impresa contro le mura e la libertà di Siracusa : e gli è accanto quella virtù di Nicolao, che benché vecchio ed orbato di due cari figli caduti in battaglia sotto il ferro ateniese, gridò magnanimamente a'suoi concittadini : « Avessero per iniqua la sentenza di Dioele ! Dovessero nel capita- no di Atene, misero e prigioniero, rispettare la mae- stà sempre venerabile della sciagura ! » E la fronte imperterrita, che indi vi scerno, è Giovanni da Pro- eida, che levali gli occhi per un istante dal libro che ha in mano ( ed è la nobilissima tragedia, o Betti , del tuo Niccolini ) direste, voltosi com'è a Palmieri dell'Abate, già già consolare di un sorriso quel volto austero all'intendere , esser 1' isola di Sicilia andata immune dall' umiliazione novella : sicché al concul- cato popolo non fosse più necessaria l'estrema ragione di un altro vespro. Terzo fra essi è Ruggeri di Lo- ria, quell'emulo di quanti maggiori capitani di mare, dice il Giannone, vantar possano le istorie greche e romane : e qui cerca ad ambidue gl'inesorabili spiriti far sue scuse dell'essersi ( dopo avere in tante batta- glie umiliata la casa d'Angiò ) piegato infine a ren- dere infruttuosa colla giornata di Capo-Orlando la vendetta della siciliana oppressione. IV. Che se piacciavi saper degli altri ( e vedete numeroso stuolo ! ) cha indistintamente poi seguono 2q4 Letteratura e sono insieme in quel caldissimo ragionare, dicóvi che in essi avete le immagini di coloro che, ne'secolì. che corser da poi* ressero con sommo impero esèrciti pò* tentissimi, soprattutto d'Austria e di Spagna : e spes- so li guidarono alla vittoria, e sempre all' onore. E come potrebbero con animo indifferente udir non solo di tanti casi italiani, ma sì della sorte di principi che in così ostinate e sanguinose guerre si travagliarono contro la Francia ed il suo imperatore ? Certo noi possono Ferdinando Gonzaga, Alfonso DaValos, Giam- batista Castaldo, Ottavio Piccolomini, Enea Caprara, Ernesto Monteenccoli : noi possono Ambrogio Spino- la, Federico "Veterani, Antonio Carafa, e i due Ser- belloni : noi possono infine Fabrizio Colonna, Matteo Galasso , Gian-Carlo Caracciolo , Antoniotto Botta Adorno, Gian-Luca Pallavicino. E che dirò di Scipio- ne Brancacci, che a Filippo V difese Cadice contra l'armata inglese guidata dal duca d'Ormortd ? E d'An- tonio Galeani iSapione, che rarissimo ingegno, gover- nando con potestà suprema gli eserciti portoghesi di mare e di terra, riformò secondo i novelli ordini alla casa di Braganza le sue soldatesche, quante ne avea di qua e di là dall'Atlantico ? E quali altri bellicosissimi avrei anche potuto rap- presentarvi , che tanto alla nostra età gareggiarono coll'antico ardire, quanto era degno ad un nome co- sì principale ne'fasti della bravura e dell'intrepidez- za ? E molti ne vivono tuttavia, egregi vecchi, cam- pati a sì grandi eccidi e disagi, e mostrati a dito quasi esempio e maestri di mirabil fortezza ai nipoti. Ma intanto onorate qua il Fontanelli, il Pino, il Serras, il Fiorella, il Fresia : colà il Teuliè , il Severoli , il Ferino , il Lecchi , le cui ceneri sono ancor calde. l' illustre italu 29S Onorate questo mantovano De-Pegri , che sdegnoso d'essere minor di cuore ad alcuno, anche al suo Mas- sena in Wagram, fece infermo com'era di corpo, ma vigorosissimo d'animo, condursi in seggiola tra le pri- me fde della sua divisione ne'cornbattimenti della guer- ra sassone del milleottocento tredici. Valorosissimi, che ridursi non potendo all? abbietta virtù del non fare , e da lina prepotente neccssilà sospinti a dover pure pugnar per altri che per la patria, vollero almeno di gloria contendere con una nazione, che poi in ogni incontro doveva esserne loro sì poco grata ! Ma quan- do un uomo d'Italia ha comunque le armi in mano, niente più al mondo considera che l'onore. E sì che nel solo anno milleottocento tredici, mentre lui t'ardeva di guerra l'Europa, ben ducentoquindici mila de'nostri erano in campo a combattere per l'impero napoleonico! Eccoli là quegli alunni e concittadini del gran capita- no, eccoli là rammentando le giornate più memorabili d'Italia, di Spagna, di Germania, di Russia. Ne pen- sate che lor cada dell'animo alcuna di quelle sfortu- nate prodezze. Non pensate che il Pino non ricordi il conflitto di Maloiaroslewitz, là dove sedici mila ita- liani, usciti contro a novanta mila russi, parte ne uc- cisero, parte ne sbaragliarono : e la fazione di Ples- zcenice, quando dieci de'nostri tennero fronte ad una numerosa schiera, parimente di russi, guidata dal ge- nerale Lanskoi, e salvarono alla Erancia il suo ma- resciallo Oudinot, che ferito avea chiesto difesa alle nostre spade. Non pensale che il Fontanelli taccia del Zucchi ( il gigante di Lahn ), del Villata, del Nar- toni, del Palombini, del Mazzucchelli : ne il Seve- roli delle stupende prove del Bertoletti all'assedio di Tarragona, e di que'leoni di Napoli che con Flore- 20,6 L B T T É E A t II U stano Pepe una fama immortale si acquistarono Sul* le mura di Danzica. Sì tutti , o generosi , tutti qui siete presenti così alla memoria de'vostri estinti com- pagni d'arme , come alla lode ! E voi pure il siete con essi, Sebastiani, Arrighi ed Ornano, cui il pre* sente dominio , cosa spessissimo passeggiera , non potrebbe mai togliere al grembo della grande fami- glia italica, della quale i vostri corsi perennemente saranno parte, sotto qualsiasi scettro d'Europa voglia ancor porli la provvidenza. Sì, dico, perennemente il saranno, finche quella ferma ed invariabil ragione non mutisi, che la che Algeri sia sempre Affrica, Macao sempre Asia, e Quebec sempre America : la ragione cioè della geografia naturale. Ottimamente, diss'io, o Guglielmo. Sicché il pre- tendere ( come per l'orgoglio della nascita di Napo- leone osano alcuni di là dall'alpe ) che i popoli della Corsica non sieno più italiani, percliè nati in paese da non molti anni soggiogato alla Francia, sarebbe il medesimo che dir francesi que' fiorentini, torinesi e ro- mani, i quali ci nacquero nella breve insolenza che cambiò Firenze, Torino e Roma in città dell'impero francese. Oh ardì forse niuno di noi chiamare italia- ni quelli di Avignone e di Carpentrasso, quando la patria loro , né già per pochi anni , fu provincia del governo civile di Roma ! Ma di tutti, continuò Gu- glielmo, di tutti i bravi di quella famosa isola ( do- po la suprema altezza di Napoleone) nessuno uguagliò costui che qui vedete. Lo conoscete voi ? Egli è il guerriero, a chi Vittorio Alfieri die il titolo del suo Timoleone, dicendolo più degno di nascere ed ope- rare in secolo meno molle : egli è il capitano che il gran Federico salutò per la prima spada di Europa. .L'ILLUSTRE ITALIA 297 Oli, gridò Fernando, egli è dunque Pasquale de'Pao- lì ? Sì, riprese l'artista : e posato l'uà braccio sulla sinistra spalla del suo Mario Peraldi, e l'altro alte- ramente tenendosi al fianco, riguarda quell'alto con- quistatore, cui mostragli a dito il Cervoni, cli'è ivi fra il Casabianca, i due Abatucci, il Gentili e il Ca- salta. Né solo il riguarda : ma non saprei dirvi se più lo esalti il pensiero che un suo concittadino sotto- ponesse al giogo la Francia, o più il crucci l'ira che una nazione, da lui sopra tutte abborrita, facesse fi- nalmente suo prò del tanto sangue versato per la li- bertà dell'isola contra la superiorità genovese. Onde- che al fiero spirito rivoltosi non senz'acerbità Fran- cesco Caracciolo : « Ma tu, gli dice , provvedesti tu poi alla gloria tua ( vano è parlare di libertà ) con quel sì disperato operarti perchè dalle forze galliche cadesse la Corsica nelle britanniche ? Oh il ben tri- sto cambio ( se ciò fosse avvenuto ) sarebbe toccato a'tuoi concittadini ! Imperocché ninno al pari di me conobbe pur troppo la generosità de'figli di Albione ! Ma questo Carlo duca di Gravina, che è qui meco* terribilmente vendicò a Trafalgar col suo il mio sangue con sì enorme perfidia sparso da chi in campo aperto essendomi stato sempre inferior di prodezza, amò poi essermi superiore , ne glie lo invidio , in quante mai arti sa usare il livore e la fraude. Certo nessuna glo- ria guerriera potrà mai lavare all'ammiraglio Nelson 1' onta della mia morte. Ed oh quasi duolmi che in troppo onorato arringo egli spirasse , ferito come fu di un gran colpo in tal famosa battaglia, ove un eroe sì nobile napolitano guidava l'armata di Spagna ! » E quel fiorentino ( tal mi par^ alla foggia ) chi è, diss'io, che pieno d'animo, ma contristato di cuore, 298 Letteratura levasi con sì mala sofferenza in sui pie, e sembra co- gli occhi cercare alcuno ? Tu vedi in esso, soggiun- se Guglielmo , il Ferruccio : il quale udendo come anche la sua Firenze ( e per un uomo d'aulico san- gue toscano ! ) fosse aggiunta al dominio di Francia, guarda se inai ritrovi Lorenzino de'Medici o Filippo Strozzi. E l'intrepido finalmente che capo di dodici bravi osservate fra essi interporsi perchè non facciano impeto contra l'imperatore, già non dirovvi che sia Et- tore Fieramosca : e vorrei che bene avvisaste la for- za ch'adopra a frenare quella impetuosità di ferocia : pieni come sono di mal talento i compagni suoi, e soprattutto i romani Ettore Giovenale e Giovanni Brancaleoni, che siavi stato chi un giorno assogget- tasse la patria ar posteri di coloro, ch'essi con ardire sì memorando prostrarono nella disfida di Barletta. E qui compiesi, amici, la parte del mio disegno , ove principal personaggio è Napoleone , e sono maggiori affetti la maraviglia o l'ira di ciò ch'egli fece in quel funesto sogno d'impero francese: essendoché troppo di là discosti sieno questi altri che seguono, perchè pos- sano ben raccogliere le parole del massimo capitano. VII. Il seniore de'Berengari ed Arduino sono in- di que' primi che a se chiamano i vostri sguardi : e vedeteli al viso ed agli atti lamentar la tristizia e ma- ledizione de'loro tempi italiani e l'ingratitudine di chi ci viveva. Seguono altri due coronati : l'un de'quali è Manfredi : e certo il ravvisate alle note sembianze de- scritteci dall'Alighieri : perciocché « Biondo era, e bello, e di gentile aspetto, » Ma l'un de'cigli un colpo avea diviso : L* ILLUSTRE ITALIA 299 V altro è Bonifacio marchese di Monferrato , che fa principe delle armi cristiane alla seconda crociata, e poi ehbe il regno di Macedonia. Capitani secondo quelle loro età gloriosissimi, che qui ora si narran le imprese che in tanta fierezza di guerre ebbero a so- stenere, e le proprie sventure. Se sventura dee dirsi di Un re il morire in campo della morte de'valorosi. Oh quanto invidiato avrebbeti, o Bonifacio, quell'ul- tima fine il fratel tuo Corrado e l'amico Balduino ! Ma niun generoso, disse Fernando , invidierà molto la fine del re Manfredi : perchè se costui morì combat- tendo da forte, morì però tinto di una gran colpa : di quella cioè d'avere, per insaziabile cupidigia di re- gno, rotto fede al proprio nipote ( infelicissimo gio- vinetto ! ) ed usurpatogli lo stato. Senzachè qual' altra difesa , sospettosissimo come fu de'suoi popoli, aveva egli voluto sempre dintorno a se, che non fosse d'ale- manni e di saracini ! Egli regnante in Italia , e itt Italia nato, e di madre italiana ! Anzi pur di padre, io risposi : essendoché Federico II nascesse a Iesi città della Marca. Certo io non so, Fernando, come scu- sare a Manfredi tanta perfidia : e sì che il vorrei per gli alti beneficii che in quel restaurarsi ed escire dal- l'orridezza della barbarie del mio evo ebbero da lui le nostre lettere : le quali pur coltivò colla gentilez-* za che meglio potevasi all'età sua. Ma egli, mal co-* noscendo la condizione de'tempi, parve seguir da cie- co i destini che ornai incalzavano alla ruina la casa di Svevia : ostinossi, picciol principe d'una parte d'Ita- lia, a levar capo con tra chi allora faceva tremar sul trono le più possenti e gloriose corone : né volle cre- dere che in Italia la più formidal fazione fosse la guel- fa , quella cioè de' popoli mal sofferenti di più per- 3oo Letteratura mettere all'Imperiale arroganza d'oltraggiare la religio- ne e il venerando suo capo, e di correre e calpestare qual proprio campo queste provincie, senz'altro titolo che di un nome, né altro credito che l'ignoranza o piuttosto il vendersi di alcune genti di curia. Se ciò stato non fosse : se le armi guelfe non si congiuravano contra la schiatta degli Enrici, de' Corradi e de' Federici: e più, se l'autorità de'pontefici non tonava e folgorava dal valicano: avrebbe mai quella crudele anima di Car- lo d'Angiò passato le alpi al conquisto del regno di Pu- glia ? Certo no, soggiunse Guglielmo : ed oso affer- marlo, benché dovessi avere avverso il giudizio di un italiano dottissimo, di Giuseppe de Cesare. Ed a ra- gione hai chiamala crudele anima quella di Carlo : e potevi anche dirla scelleratissima : contro la quale non giovò ch'indi levassero una voce di pietà e reli- gione, non solo Gregorio X, ma lo stesso Clemente IV 6uo benefattore : anzi san Tommaso d'Aquino, di cui forse ( se narra la fama il vero ) ahi qual vendetta prese l'atroce tiranno ! Che dite poi di quel terzo, che l'uno e l'altro re mira ascoltando, nò vuol quasi reputarsi minore ? Ho inteso ritrarre in esso Ranieri Acciaiuoli, che per virtù d'armi fece suo il principato di Atene, di Co- rinto e di una parte della Beozia con Tebe. In niun luogo ho però messo cotanto amore, quanto in questa valletta ch'indi vedete : nel dipinger la quale farò che non siavi parte che non rida d'erbe e di fiori : e gli arboscelli ad un zefiretto agiteranno le molli frondi : e quella fonte scaturirà con acqua sì limpida e viva, che parrà quasi 9 La georgica e Veneide di Virgilio volgarizzate in ottava rima da Lorenzo Mancini, accade- mico residente della crusca. Firenze per Lo- renzo Ciardetti 1837 ec. (Articolo II ed ultimo). M.\ più compiuto de'poemi di Virgilio, quello che eb- besi e le seconde e le terze cure del poeta, si è la georgica : vero gioiello della lingua latina, della poe- sia e dell' agricoltura , che è madre e nutrice delle arti. Peccato, che noi tardi nipoti non possiamo pie- gare la fronte ne l'animo a quelle innumerevoli di- vinità, che ad ogni pie sospinto ti facevano come fun- ghi sorgere i gentili; i quali ad ogni zolla di culto terreno davano quasi il suo dio custode o proteggi- tore ! Cicerone istesso, benché ministro di falsa reli- gione, ne poneva in deriso quella immensa copia di divinità, tra le quali ne lo sterco , né la cloaca ne mancavano. Noi scorti da lume veramente celeste dan- niamo non pure il dio Stercuzio e la dea Cloacina; ma e la Venere impudica, e il Giove adultero, e la vendicativa Giunone, e quanta è mai quella turba di bugiardi dei , che eccitano oggimai compassione , e meriterebbero in realtà le onde di Lete; se già a mo- do di simboli non servissero ancora in parte a'pittori e agli scultori, per verità non assennati abbastanza per rinunciare al culto della mitologia nelle opere di pen- nello e di scarpello. Quanto a'poeti, il nostro secolo può essere contento, che ha veduto a terra gl'idoli, e trionfare ne' versi la religione vera, e gli enti so- 3io Letteratura prannaturali di lei, dannati avendo all'oblio que'fal- si e stolti del gentilesimo. Questa condizione della italiana poesia fa che stucchevole si renda quella fi- latessa di nomi, divini agli antichi, ridicoli a noi, di Bacco e di Cerere, di Pane e di Silvano , e quegli altri mille che ti vengono innanzi nella georgica di Virgilio : la quale non può essere spogliata di essi senza perdere il suggello, per cosi dire, della origi- nalità; e per altra parte a noi riescono insopportabili. Non intendiamo con ciò sminuire il pregio all'opera veramente perfetta del mantovano poeta ; chi vuole giudicarla, dee portarsi al tempo dell'autore : solo in- tendiamo dire, che le versioni della georgica non pon- no essere accolte oggidì con quella benevolenza, che l'autore istesso ed i volgarizzatori meritano senza dub- bio, quale per fedeltà, quale per eleganza, quale per altra prerogativa ! Più fortunata l'eneide, che per la qualità di e- popeia meglio ammette ciò che dicesi macchina, o sia intervento di esseri soprannaturali, che tali siano ve- ramente, o finti almeno dalla fantasia del poeta ! Dal eh. Bartolomeo Gamba avemmo la bibliogra- fia de' traduttori di Virgilio nel Poligrafo di Verona sino dal r 83 r . Egli notò anche ne'primi tempi della gentilissima lingua nostra quattro versioni in prosa, ed una in terza rima per lo meno dell' eneide. Una nel secolo XV. Nel susseguente poi, che fu il sor- riso delle lettere, notò la versione dei 12 perle stam- pe di Giunta ( 1 556 ) colla sentenza dell' Algarotti giudiziosissimo, che in tutti questi volgarizzamenti V eneide i>'è di tanto inferiore a quella del Caro, quanto questi è a Virgilio. E per tacere di altri, noteremo con lui que'che in ottava rima trasportare*- Opere di Virgilio 3if rio il divino poema del Lazio, come il Cerretani sa- nese ( i56o ), il Dolce veneto , il cui lavoro senza nervi e senza sangue postumo apparve ( i5G^ ), e 1' Udine concittadino a Virgilio ( i5o,7 ). Più altri fe- cero italiana l'eneide, come accennammo nell'artico- lo I parlando di queste versioni del eh. Mancini. Ma non si creda che alla georgica mancassero traduttori. Tra'primi merita encomio di fedeltà il fer- rarese Antonio Maria Nigrisoli, che diede in versi la sua versione stampata la prima volta in Vinegia (i543). Poi è a ricordare il più fortunato Bernardino Daniel- lo ( i545 ) : e meschini prosatori il Venuti e il Fa- brini ( i58i,88). Venuto al secolo XVIII passar vuoisi il Cantati modenese per la sua traduzione in versi sdruccioli en- decasillabi ( 1757 ), e l'Àmbrogì minore di se nella versione ( iy58 ) : ancora vuoisi passare il Soave, co- munque nella sua soprabbondanza non affatto infe- lice ( iy65 ). Ma non può passarsi il conte Alessan- dro Biancoli, del quale il Gamba accennando il la- voro poco noto ( e che meritava di esserlo ) e la edi- zione di Pesaro 1 768 in fol. dedicata a S. A. il du- ca di Toscana, dice il verseggiare ben sostenuto. Di questo illustre spirito di Romagna , che fu il Bian- coli, scrivemmo nel tomo XXX, voi. go, giugno 1826 a pag. 36 1 e segg. di questo giornale, annunziando la ristampa della georgica tradotta in versi italiani dal medesimo : ristampa dovuta alle cure del concittadi- no prof. G. Ignazio Montanari di Bagnacavallo. Ag- giungemmo, che lo statuto agrario di s. Mai'ino ( Pii- mino 18 13 ) volendo dare il vero succo de' precetti virgiliani per la coltura de'campi, scelse appunto e ri- portò in parte la versione del Biancoli; tanto fedele, 3i2 Letteratura che niente più. Si usa ancora nelle souole di Roma- gna con molto onore, comechè qualche incenso all' idolo frugoniano ( che ora è caduto ) recar dovesse il Biancoli : e fu peccato del secolo e della fortuna, meglio che suo ! Rileggasi di grazia quel nostro ar- ticolo, che risparmia a noi ora di molte parole in lo- de di tale, il cui poemetto delle Maioliche , rinvenu- tosi ultimamente, risusciterà la sua fama nella edizio- ne, che ne sta preparando in Bologna il nipote con- te Oreste Biancoli bagnacavallese ( Vedasi V Impar- ziale di Faenza, num. 16 e 24 del 1840). Seguitando, non passeremo il Tornieri, che sa- crificò alla rima di troppo, avendo dato in ottave la georgica ( 1780 ) : né il Bondi, che in versi sciolti non senza qualche riuscita diede la sua ( 1800 ): ne il Vincenzi lodato per lo stile e fidatezza (1800, 1816): né ( per tacere di altri già troppi ) un Benedetto dei Bene ( 1809 ), ed un Arici ( 1822 ) uomini lodatis- simi. Le prime palme daremo al nostro marchese Bion- di ( sempre pulito scrittore in terza rima ), ed al ca- valiere Strocchi ( sempre trionfante in versi sciolti ). 11 poligrafo di Verona pose a fronte nel i838 I toni. /X, pcig. 233 e segg. ) le versioni del Biondi e del Mancini sul principio col testo : noi porremo a fron- te la versione dello Strocchi con quella del Man- cini. Qualche osservazioncella al bisogno soggiunge- remo, secondo l'istituto nostro, che è di aprire schiet- tamente i nostri dubbi, al giudizio de'savi sottomet- tendoli per amore del vero e per la gloria delle let- tere ; rimosso mai sempre ogni spirito di parte o di presunzione, da cui siamo alieni. E potremo ingan- narci ; ma volontariamente non vorremo altri ingan- Opere di Virgilio 3i3 Tiare ! Il che vogliamo sia detto e ridetto una volta per sempre. Ogni savia e gentile persona pongasi innanzi il testo del libro I della georgica virgiliana sino al ver- so 42 inclusivamente , i quali contengono non più che la proposizione e l'invocazione. E legga i seguen- ti versi dello Strocchi, secondo la splendida edizione 'di Prato in 8, i83i, con rami. I « Che cosa giovi a fecondar le biade, » A quel segno di stelle aprir la terra, » Viti ed olmi accoppiar, reggere armenti, D Lanuti custodire, e con qual arte » Le frugali educar pecchie convegna, » Mecena, a dir comincerò. Voi chiari » Occhi del mondo, che il volubil anno » Governate dal ciel, Cerere e Bacco, » Se la vostra mercede in miglior esca » Si trasmutò di Caone la ghianda, » E la nuova vendemmia i schietti rivi » Colorò di Acheloo, driadi e fauni, » Divinità di pio cultore amiche » A me venite, i vostri doni io canto. » Tu che nel sen della percossa terra » Col poter del tridente apristi al primo » Animoso corsier, Nettuno, il varco; » Tu nume di Tegèa selvosa, a cui » Innumerevol numero di armenti » Pasce l'erba di Cea, se non assonna » Del tuo Menalo in te l'affetto antico, » Pane maestro di lanuta greggia, » Del materno Liceo lascia le selve, » E qua vieni da me. Tu degli olivi 3i4 Letteratura » Prima inventrice dea, tu giovinetto » Trovator dell'aratro, e tu, Silvano, » Che a man ti rechi un tenero cipresso » Da radice divelto, o tutti o tutte » Divi e dive, che i campi in guardia avete, » E la poca semenza in pingue messe » Accrescendo nudrite, e voi che ai solchi » Giù mandate dal ciel gran copia umori. » Cesare, te massimamente invoco, » Te, Cesare, per cui s'inforsa il mondo » Qual collegio de'numi a se ti scriva » Quando che sia ; se a cittadine mura » Appressando vorrai regger la terra, » La terra a te dator- delle ricolte » A te signor delle stagioni adori » Velata il crin del tuo materno mirto ; » O ti piaccia esser dio dell'ampio mare, » Te sol ne'voti il navigante invochi, » Inchini a te l'ultima Tuie, e Teti » Con quanto ha d'acque a genero ti compri; » O ti piaccia salir novello agli astri » Astro de'giorni estivi, e tu nel mezzo » Fra la vergine vieni e le seguaci » Braccia dello scorpion, che le ritira » E più spazio di cielo a te rassegna. » In qual che nume convertir ti deggia, » ( Ne già te rege tuo l'inferno aspetti ; » Lungi da te di tal regno la sete, )) E lascia dir che del giardini di Eliso » Grecia si ammira, e la chiamata indietro » Fanciulla nega di seguir la madre ) » Aspira al corso di animosa prora , » E passion comportando all'ignoranza, Opere di Virgilio 3 i5 » • Che offende il pio cultor, vien meco in via, » E a lasciarti chiamar ne' voti impara. » La versione dello Stronchi; maestro di ogni ele- ganza, fu giudicata da'savi come l'altra sua degl'inni di Callimaco : e noi non aggiungeremo parola, rive- renti a tale, che Italia saluta come il Nestore de'let- terati, che vantansi e sono amici della gloria di Dan- te; tanto più che professando eloquenza in Ravenna egli sparge di fiori perpetuamente la tomba di quel divino. Bensì loderemo lo Strocchi, il quale se su- però ogni altro recando in terza rima gl'inni di Cal- limaco ed alcuni di Omero: prescelse di dare in versi sciolti la georgica. Noi lo ripetiamo , non ha metro più degno agli esametri latini la lingua nostra : ogni altro, massime col vincolo della rima, sarà con dan- no della fedeltà o con pericolo certamente, fosse pu- re opera del tersissimo marchese Biondi ( la cui pen- na dava oro continuamente ). Ne toccammo altra vol- ta le ragioni, che sono singolarmente della maggiore libertà che lasciano gli sciolti al traduttore, e della facilità pur maggiore a conformarsi al testo in ogni minima cosa : il che è essenziale rendendo Virgilio, perfetto scrittore che vuoisi rispettare in tutto, come colui che fino a un capello foggiò a maraviglia il suo poema; non altrimenti che Raffaello un suo quadro , Canova un suo gruppo, Bassi un suo paese, togliere o mutare un apice al quadro, al gruppo, al paese di que'maeslri sarebbe peccato ! Ora chi potrebbe patir- lo riguardo alla pupilla di Augusto, Virgilio ? Ma con ciò non s'intenda spregiarsi da noi questa o quella versione rimata, e meno quella del eh. Mancini: del- la quale anzi riporteremo il tratto, che risponde al tratto recato dello Strocchi. 3i6 Letteratura i. « Quel che fecondi l'alma terra e pieno » Faccia il ricolto; qual de' segni additi » L'ora d'aprirle coll'aratro il seno, » E agli olmi adulti maritar le viti ; » Come da mandrian provido sieno )> Moltiplicati i greggi e custoditi; » E intorno all'api quali cure e quanto » Studio convenga, o Mecenate, io canto. Una certa larghezza si permette all'ottava, e a buona ragione la si consente il eh. Mancini : al qua- le potrebbe chiedersi però come non abbia reso di- stintamente Quae cura boum, qui cultus habendo sit pecorì, come nel testo ; ma in quella vece abbia confuse per così dire le gregge e date in cura al man- driano ; quando altra è la cura che vuoisi alle Dian- dre, altra quella che vuoisi ai buoi, che arano la ter- ra. Al mandriano basta custodire, moltiplicare le raz- ze in branco; al contadino bisogna tenere grassi e for- ti i bestiami in ben guardate stalle, affinchè servano alla coltura de'campi. Ma seguitiamo col eh. Manci- ni, il quale vince se stesso vincendo le difficoltà del metro per rendere francamente Virgilio. 2. « Voi, Bacco ed alma Cerere, del mondo » Lumi, che l'anno per lo ciel guidate, » Se l'uom, vostra mercè, volse nel biondo » Frutto le ghiande della prima etate, Opere di Virgilio 3 17 » E mescolò dell'uve il rubicondo » Succo all'onde acheloe, me vostro vate » Udite : e driadi e fauni odano ancora, » Che dei presenti la campagna adora. Ferie simul faunique pedem dryadesque puellae, munera vestra cano. Invita il poeta e Bac- co e Cerere e fauni e driadi : Venite insieme , dice loro (ad ascoltare s'intende ) : il traduttore audite , dice, ed odano; manca dunque il venire in compa- gnia, segno di concorde animo, ad ascoltare. Quan- to all'ordine, non è al tutto conforme al latino, ed è peccato : di che le ragioni mostra il Costa nella elocuzione; tanto che non è uopo ripeterle. E un cen- no basta a'savi nostri leggitori ! 3. « E tu, gran nume, la cui destra afferra » 11 tridente del mondo scotitore, » Dal qual percossa la novella terra » Partoriva un fremente corridore ; » Tu pur, cui mandra innumerabil erra » Per le balze di Cea, divo pastore, » Cultor de'boschi di Saturno antico, » A me venite, i vostri doni io dico. Ecco finalmente, benché tardi, reso il ferie pe- dem; se non che manca il simul espresso, E tardi diciamo , perciocché dopo aver detto prima udite o odano, l'invito a venire per ascoltare diventa fuori di luogo, contro la virtù dell'ordine lucido, del qua- le parla a maraviglia Orazio nel codice del buon gu- 3i8 Letteratura sto. Anche il viunera vestra cario è posto tardi, e il dico non rende abbastanza il canto , come qui vuole propriamente il poeta. Ma continuiamo. « Il paterno Liceo lassa e la cima » Del tuo Menalo, o Pane, e vieni o dotto* » D?agne custode : né il fanciul che prima » Co'curvi aratri il suol vergine ha rotto, » Ne l'inventrice dell'oliva opima » Pallade manchi, ne Silvan che sotto » Umane forme fra gli agresti è spesso, » Svelto portando un tenero cipresso. Bella dottrina saper custodire le agnelle ! Ma Pane era un dio e sapeva Varie per eccellenza. Del resto Virgilio si contenta dire Pan ovium custos , ne aggiunge idea di dottrina qui non bene a propo- sito. Ruppe dovea dirsi qui, e non ha rotto, aven- do riguardo al tempo. Svelto capiamo dovere stare per divelto', ma così alla prima chi legge è tentato a ri- tenere svelto per agile', e sì che Silvano ( prima idea che subito presenta il traduttore ) dovea essere agilis- simo. 5. « Accorrete benigni, o numi tutti, » Quanti questo educate o quello stolo » Con propria cura, e sovra i semi o i frutti w Diffondete opportune acque dal cielo. » E tu che non vedrai d'Erebo i flutti, Opere di Virgilio 319 » Ma pur nasconde del futuro il velo » In qual coro entrerai degl'immortali, » M'arridi, Augusto, ed al mio voi dà l'ali. Al mio voi dà Vali, e ni arridi vengono dop- piamente a dire ciò che nel testo detto è verso la fi- ne dell'invocazione : Da facilem cursum, atque audacibus adnue caeptis. Questa anticipazione interrompe le idee, che si legano ad Augusto, e che è forza al traduttore con» tinuare nella ottava seguente. 6. « 0 Roma anco vegliar dalle stellanti » Sedi tu voglia; e far l'orbe felice, » Che te dalle stagioni arbitro canti » E d'ampie messi deità datrice ; » O dio del mar divenga, e i naviganti » Te invochin solo, e in te la genitrice » Delle cerulee vergini profonde » Compri il genero suo con tutte l'onde. Il cingens materna tempora myrto del vers. 28 di Virgilio manca al volgare. Tethys all'incontro è reso con una circonlocuzione delle cerulee vergini profonde ne bella, nò opportuna. 32G Letteratura. » Od astro novo nella calda zona a Armi dell'anno fra gli alterni eredi « Brillar dov'ampio sito infra Erigona » E lo scorpion ti s'apre : il mostro* oh vedi ! » Già le branche ritira, e t'abbandona » Dell'infiammato ciel più che non chiedi. » Che né l'ombre da te sperin la legge, » Né tu il fren desiar che Pluto regge. Tardis mensibus dice il testo al vers. 3a: ora i tar- di mesi sono essi adunque alterni eredi delVanno 2' o lo sono essi soli ? 8. » Sebben d'Eliso maraviglie attesti » Il tebano cantor, né Prose rpina » Alla madre tornar curi. Tu questi » Principii audaci al termine incammina,. » E per pietade degl'ignari agresti » Avvalora colui che gli addottrina; » Terrestre ancora, i bei sudor ne apprezza,. » E i voti umani ad ascoltar ti avvezza. E superbo il dire colui che gli addottrina: più mo- desto è Virgilio dicendo ad Augusto: Mecum mise- ratus agreste^ ignares'y come meglio al vers* 4 J del testo. Conchiuderemo, che ogni cielo ha le sue nubi, ed ogni versione i suoi nei. Del resto a volere esse- Opere di Virgilio 3ai re imparziali, come sempre, diamo il giudizio del Po- ligrafo ( nel luogo citato ) sulla traduzione della geor- gica del eh. Mancini : egli è di questo tenore : « Il » verseggiare è per dir vero felice, commendevole ci » sembra il linguaggio poetico : e risguardando alla » difficoltà delle rime obbligate, noi possiamo affer- » mare essere questo uno tra i più felici volgarizza- » menti della georgica. » Al che aggiungiamo , che se il eh. volgarizzatore con quell'animo suo sempre inteso agli studi porrassi a limare la versione, quan- to fece Virgilio stesso il bellissimo originale, acqui- sterà sempre più lode di pulito scrittore, come è de- gno a chi siede maestro di gentilezza nella beata Fi- renze ! prof. D. Vaccolini. Saggio di epigrammi dell'antologia tradotti dalVab. Domenico Santucci. I. VACCHERELLA DI MJRONE. M iron dall'opra sua fuor di se tratto, Sì cara vaccherella è viva, disse : E l'altra ov'è, che a lei simile ho fatto ? G.A.T.LXXXVIII. ai 323 Letteratura IL PIE VELOCE. Aria, vaghissimo figliuol di Meneclo, Certo, tarsensi, vien con laude a Perseo Autor di vostre mura: Tanto in vista e in valor lo raffigura. Tutto avvampante con pie alato correre Il vedi sì, che non poriagli l'omero Perseo mostrar per quante Forze accogliesse ad affrettar le piante. Mirar ben puossi al primo uscir del carcere, O quando già a toccar la meta è prossimo: Ma l'occhio il cerca invano In tutto quanto l'interposto piano. III. LADRO FAMOSO. Trasse dal tempio dell'alme esperidi Menisco ladro tre pomi d'auro, A quanti die di piglio Furtivo già d'Anfitrione il figlio. Come poi diede vivo spettacolo D'esser combusto dinanzi al popolo, In questo pur si vide Non dissimile punto al grande Alcide. Epigrammi tradotti 3a3 IV. 1SOLETTA FERACE. Isoletta mi son di piccol giro : Ma lio viti e terebinti e pingue terra E belle lande ovunque mi raggiro. D'altre più vaste un circolo mi serra : E qualunque lodar voglia l'ampiezza, E dir ch'io perdo al paragon, non erra. Ma prive di vigor, senza adornezza, Da tutte parti il nudo aspro terreno Per se fa Lestimon di lor magrezza. Prove di ricco suolo i frutti sieno : Non vale il dir : A stadi i'son più grande. Un solchetto del Nil può l'arso seno Invidiar dell'affricane lande ? V. MENSA DELL 'AVARO. Una cena a chi non basta ? Ma chi accetta il dolce invito Del convito Che prepara Salammo, Vede a prova Che conviene Far due cene. 3a4 LfiTTXRATCKA VI. iMMERltEfOLE TRIONFANTr. Ier la Vittoria Da un tal fu vista Per le vie muovere Pensosa e trista. Di che ammiratosi, Quegli a lei vólto : O dea, perdonami, Che mal t'ha colto ? Che mal ? Sei l'unico, La dea riprese, Che di me misera Non sai le offese ? Aristo è origine Delle mie pene, Che immeritevole Per sua mi tiene. Poria non piangere Or la Vittoria, Che ad uom la cessero Privo di gloria ! Aristo presemi Non altrimenti Che i nocchier sogliono Prendere i venti. Epigrammi tradotti 3aS VII. SEPOLCRO D'UN CONTADINO. Benignamente accogli, o madre antica, Entro al tuo seno Eucralida il colono, L'util memorando della sua fatica; Che di sua mano induslre il frutto sono Queste piante d'olivi e queste viti, Onde ne viene umor più assai che huono. Ben ei le folte messi, e gl'infiniti Arbor di frutti ch'ombrano il terreno, E gli erbaggi piantò sì saporiti. E, solchi aprendo, facea poi che pieno Scorresse un rivo a nutricar le piante, Che messi i germi nel tuo grembo avieno. Fa' dunque d'esser lieve e verdeggiante Per largo tratto dove il veglio posa : Ivi di sua beltà tutta s'animante La famiglia de'fior vaga e odorosa. Vili. 1NFIDIOSO. Era Acete d'invìdia sì riarso, Che, visto il sozio in maggior croce appeso, Tutto comparve di livore sparso. 326 Letteratura IX. IL MEDICO E IL POETA. Cotante morti al mondo non addussero L'acque tutte che giù si riversarono A'dì deucalionei, o quando il misero Fetonte mal guidò le rote fervide, Quante reconne verseggiando Potamo Ed il medicator ben noto Ermogene. Sicché quattro saran le stragi orribili Da trapassar famose in ogni secolo : Fetonte, Deucalion, Potamo, Ermogene. X. CONTRO UN PVGILATORE. Un chiaro pugile Del ludo olimpico , Di nome Stratofonte, Ebbe mento ed orecchie e naso e fronte. Contuso il misero Da colpi orribili Fece cotal visaggio, Che nulla potè aver del suo retaggio. In fatti a' giudici La pinta immagine Recata dal fratello, Fé di presente dir: No , non è quello. Epigrammi tradotti 3a; XI. TUMULO DI MIBA. Vestita in bronzo vergine Qui resto, o viator, Di Micia sovra il tumulo Immersa nel dolor ; Finché l'onde discorrano, Finche germogli il suol, Finché viaggi candida La luna e splenda il sol. Sopra quest'urna in lagrime Io sempre mi starò, E qui Mida rinchiudersi, Tacente accennerò. XII. TUMULO D'UN FANCIULLO. Niente ancor non mi sapea d'affanni, Quando mi dipartii da questa vita Callimaco fanciul sol di cinque anni. Non lamentar, se sai, la mia partita : Cui poco tempo a viver fu concesso, Ben dei saper siccom'egli in sua vita Videsi ancor da pochi mali oppresso. 3a8 LETTERATURA XIII. QUERELA DEL NOCE. Povero noce ! lungo il sentier nato, Ahi ! quanti sassi a me per giuoco vibrano I protervi ragazzi d'ogni lato. Tutte quasi rendendo al suol le foglie, E i tanti germi che si rinnovellano, In fine io lascerò le intere spoglie. Io fruttifero : e in ciò mio sommo danno : Val meglio isterilir, che in gran dovizia Patir d'oltraggi sì gran copia ogn'anno. XIV. CUPIDO IN GEMMA. i Io vidi in una gemma Amor che il dorso Preme d'afro lion; vidi l'impero, Onde a sua voglia ne governa il morso ; E domo ir vidi sotto lui quel fiero, E come col flagello anche il molesta: A tal veduta mi tremò il pensiero. Ahi ! di me debil che faria cotesta Possanza di sì barbaro fanciullo, Che sgagliarda il signor della foresta E di lui prende così vii trastullo ? Epigrammi tradotti 3 29 XV. RVINE DI MICENE, Degli eroi le patrie antiche Non son più per alcun loco, O se sono, un cotal poco Di rottami solo appar. Ne fai tu fede, o Micene : Nel passarti or ora innante Mi ti offristi oh ! in qual sembiante Miserabile a mirar. Non che ad altro, solamente A una rupe che nell'aria S'erga alpestre e solitaria Ti vedea fatta simil. Anzi tal mi venne al guardo Piaggia inospite e diserta, Che sembianza offriami l'erta Di spregevole capril. In quel mezzo, per ventura Mentre guardo il tetro ostello, Sentii dir da un vecchierello Che passava per colà : Una volta per le mani De' ciclopi qui sublime Erse al ciel le altere cime Tutta d'oro una città ! 33ò Letteratura XVI. CATTIVO CANTORE. Canta e ricanta il gufo Canzon di trista sorte, Ma il canto di Dcmofilo Anche al gufo dà morte. XVII. PIGRO. Vide Marco nel sogno, ahi ! trista idea» Marco vide se stesso che correa. A non rinnovellar più tal cimento Prese pel sonno eterno ahorrimento. XVIII. SÀTIRO DI MUSAICO. Viatore e Satiro» Vìat. Ben mi so io - siccome facili I satirelli - sono a deridere ; Ed or qual è il tuo avviso Mettendo, come fai, cotanto riso ? Sat. Rido mirando - io me medesimo Come di varie - giunte petruzzole Fatto fui di presente Nume, e per tale m'adorò la gente. Epigrammi tradotti 33 i XIX. TUMULO DI VECCIUERELLA BEVITRICE. Nell'arca sepolcral, ov'è sepulta La vecchietta Maronide, da un lato Larga tazza da ber l'autore ha scalta ; Però ch'ella non pur di tutto fiato I calici votava, ma e garriva Sì che noiava tutto il vicinato. Un nonnulla cinguetta ancor non viva Là di sotto al coperchio; e non lamenta Già la sua prole di soccorso priva, Che vive in un col padre macilenta; Ma il calicion, che sopra le sta asciutto, Dica che più d'ogn'altro la tormenta: Che di buon vino il vorria colmo tutto. XX. trist'uomo al magistrato. Non la virtù, ma la fortuna, o Cadmo, Te in alto a levar prese, Vaga di far palese, Che dessa veramente E diva onnipossente. 33a Letteratura XXI. PERNICE MORTA DAL GATTO. O delle rupi aeree Antica abitatrice , Or non hai più di vimini Né un tetto, o mia pernice Ne, quando al roseo margine Appar la nuova aurora, Potrai le alette scuotere Al sol che te l'indora. Ahi ! che il gatto venefico Ti smozzò il capo; e tutto Il resto, oh ! scelleragine, Co'denti ebbe distrutto. Se parte di te misera Alcuna ancor ne avanza, Di sotto a questo cespite Abbia secreta stanza. Non io farò mai suppliche Che siati il terren lieve, Anzi un terreno pregoti Qual è più duro e greve; Non foi-se l'avversario Un dì qua pur s'avventi, E sperda crudelissimo Fin anco i tuoi frammenti. Epigrammi tradotti 333 XXII. MERCURIO DI SE E DI ERCOLE. Io mi sono, o pastori, il vostro Ermete : Per poco mei di quercia e poco latte, Meschini doni, facile m'avete. Alcide non si placa per sì fatte Tenui offerte : di sangue una fiumana Chiede di capri e di agnelline intatte. Si dice poi com'egli ne allontana Dal gregge i lupi. In fin però che importa O sia il lupo che il gregge vi dishrana, O sia il custode che a morir lo porta ? XXIII, A CERBERO DELLA TENUTA D*ARCHILOCO. 0 tu, che i regni di Cocito immane Assordi con altissimo latrar, Più ch'altra volta mai, trifauce cane, Or veglia ben sull'atro limitar. Se al suon de'giamhi di veneno aspersi Licambe colle figlie il sol fuggì, Poria l'accento di que'crudi versi Dar volta all'ombre e ricondurle al di. 334 LiTtÈ rat d n XXIV. LA NIOBE DI PRASSITELE. Son Niobe : fui da'superi In sasso convertita : Poi per man di Prassitele Tornai dal sasso in vita : XXV. MERCURIO DI SE E DI ERCOLE. Qual sii die t'incammini Alla città più prossima, O a'floridi giardini Che son d'intorno, sostati, E ascolta quanto Ermete or ti dirà. Duo siam gì' iddii presenti, Ambo custodi a'termini, Me che parlar tu senti Benigno ed amorevole, Ed Ercol che accigliato ivi si sta. Venne, pocli'è, di pere Dovizia ;«!» offerirnesi : Egli le più sincere A se trasse di subito, E l'altre amare e guaste a me serbò. Epigrammi tradotti 335 Così dell'uve avvenne : Le più gustose e tenere Tutte per sé ritenne: E i duri e acerbi grappoli, Che non potean piacergli, a me lasciò. Tal sozio non mi piace : E dura cosa vivere Con chi non vuol la pace : Però le offese cessino, E quando a noi farassi il pio cultor Onusto del suo dono, Non metta tutto in cumulo, Ma dica : Queste sono Le offerte sacre ad Ercole : Con quest'altre ad Ermete io rendo onor. Compendio della storia romana di monsignore Pellegrino Farini. Lugo , per Vincenzo Me- landri in 8. Voi. /, i838; voi. II e III, 1839; voi. IV, 1840. ^o veduto quasi nascere, crescere, prosperare que- st'opera data a vantaggio della gioventù studiosa : ne ho scritto qua e cobi alcuna parola di lode all'usci- re de'primi volumi. Ora che il quarto irò apparso , dopo averne veduto, per singolare bontà del chiaris- simo autore, il manoscritto : panni non debba esser- mi disdetto, che di tutta l'opera io parli più a lun- go ; dico più a lungo; non degnamente quanto me- 336 LiTTiUTon rita un lavoro condotto con molta cura delle cose e della lingua, ed accolta con plauso di tutta Italia. Finisce alla caduta della repubblica, e lascia in de- siderio di vederne la continuazione sotto l' impero. Di che, se agio non manchi al dotto autore, merite- vole di ogni favore, credo poter promettere alle let- tere, che vogliono intera la storia romana in un or- dinato compendio da porre nelle mani de'principian- ti, e tale che risponda al bisogno ed alla convenien- za altresì, giusta la mente di Tacito, che si propose narrare: « Qualis status urbis, quae mens exercituum, » quis habitus provinciarum, quid in toto terrarum » orbe validum, quid agrum fuerit; ut non modo ca- » sus eventusque rerum, aed ratio edam causaeque » noscantur. » Egli è ben vero, che prima vuoisi la nuda narrazione dei fatti, poi quella de'costumi e del- le leggi, e allora spaziando per la regione delle co- se apprestare il lume della filosofia, che è come il so- le al creato. Tuttavia qualche lampo di quella, che dicono metafisica della storia, si può far tralucere a quando a quando; in modo però che non abbagli i giovinetti, pei quali è fatto 1' andare non al fulgore di pieno giorno ; ma alla luce riposata del mattino : farebbe altrimenti mancare al lucido ordine, e dimen- ticare che la virtù visiva sì degli occhi, si della men- te vuole essere non isforzata, ma esercitata con mo- derazione : il continuo esempio la fa più forte a pro- ve sempre maggiori : anche la natura va per gradi , e non per salti, nel 6U0 corso ordinario : quella è la maestra che non inganna , se bene si seconda, e si ascolta con amore. Intanto quei due occhi della storia , che sono geografia e cronologia, non deono mancare chi vuole Storia romana 337 dal compendio di monsignor Farmi trarre tutto l'u- tile, che egli si propone ed a ragione può aspettarsi nelle nostre scuole di umanità e di rettorica. Non dee mancare il buon senso, ossia la logica pratica, negli apprendisti : non la buona filosofia a'precettori; senza ciò l'opera aver non potrebbe pieno successo a bene de'nostri studi. Tutto l'agir cleono lasciare i parenti ai loro figliuoli di attendere alla istruzione dello spi- rito, invigilando sopra loro continuamente : cleono i maestri essere provveduti di tali emolumenti da po- tere donare se stessi senza stento e senza vergogna al loro ufficio , che è nobilissimo ; comunque non manchino gl'insipienti di avvilirlo, non per altro che per matta superbia e per ispiri to di egoismo da do- versi sbandire oggimai sotto il paterno regime di prin- cipe santissimo e sapientissimo. Al quale il nostro se- colo è debitore per la protezione concessa alle let- tere ed alle arti, e molto più per avere agli autori garantiti i frutti dell' ingegno e della mano in cose letterarie ed artistiche per l'appunto, con un consen- so tra i potentati fra l'alpi e il mare, che move da concordia conservatrice dell'ordine e della gloria; on- de la felicità de'popoli, che il cielo privilegia ponen- doli in mano di tali governanti ! Questo cenno mi si permetta a cagione di onore e di grato animo pel novo segnalato beneficio. Proprie erano cla'secoli a cia- scuno la casa, il campo, le suppellettili; non proprie le opere dell'ingegno e della mano. Questo è trionfo dell'ordine: tardo, ma degno ! Ed infinita conviene che sia negli autori la gratitudine a tanta sapienza e pre- videnza, che i secoli di Pericle, di Augusto e di Leo- ne cotanto in grido giammai non videro ! Ecco un vero progresso ! Al quale seguiranno altri beni, per- G.A.T.LXXXY1II. 22 338 Letteratura clic da cosa nasce cosa : ed, a cagione di esempio, più giusti onorari saranno assegnati ne' comuni ai mae- stri : i quali se costretti a lottare col bisogno , che opprime , non ponno venire con alacrità alla prova dello insegnare, dura e difficile quant'altra mai. Dis- sodare un terreno è grave cosa, più grave dirozzare le menti, e spargervi semi, che fruttino a bene delle famiglie, delle città e dello stato : chi presiede alle cose degli studi non è possibile che consenta difetto di emolumenti dove è larghezza di fatiche : e quali fatiche ! Il sudore del corpo è il meno, se si valuti l'opera della mente, che per umana debolezza sente stanchezza e tutti gì' incomodi delle vita. Ora come può prestarsi all'esempio dell'istruire una mente do- ma dalla necessità e da quell'avvilimento, che gl'igna- ri doviziosi spargano sulla turba de'maestri, cui man- ca non pure un tozzo di pane, ma quell'onore che sarebbe almeno un conforto nell'indigenza? Qui la pa- rola farebbesi acerba; ma buono è mitigarla nella spe- ranza di un dolce avvenire, che non mancherà dopo l'aurora annunciatrice di chiaro giorno, e di certa e lunga serenità. Onore a chi ha, più onore a chi sa: ed è in tale ufficio singolarmente sa insegnare ai no- velli il sapere, onde l'avere e il potere : che sono i primi elementi della privata e pubblica felicità ! Buo- no è che a mani degne venga dato di spargere i se- mi della dottrina ; ma queste mani siano mosse da forza animatrice di ogni pubblica cosa, e sicure da- gli assalti dell'invidia e della fortuna, nemiche eter- ne dell'ordine e della comune prosperità ! Tornando a noi, lieti di care speranze, applau- diamo: che un buon compendio come di storia sacra, così di storia romana ci abbiamo, e tutto italiano, da Storia romana 33g quel fiore di sapiente, che è monsignor Farini, lume (Mia Romagna e delle lettere : a cui auguriamo non lodi ( che abhondano meritamente ) , ma premi a tan- ta virtù convenienti. D. Vaccolini. Serie cronologica storico-critica de\>escovi faen- tini compilata dal canonico Andrea Strocchi faentino. Faenza tipografia Montanari e Ma- rabini iB/j-O^ in 4» di fac. XII e 3o8. É innanzi il ritratto di quel chiarissimo D. Placi- do Zurla cardinale, che fu finche visse, ed è tutta- via ornamento dell'ordine camaldolese, delle scienze e della religione universale. E vi ha la dedica al medesimo : vi ha la prelazione, dove l'autore ricorda la sua promessa latta tre anni fa al pubblicarsi delle sue memorie istoriehc del duomo di Faenza ( Giorn. are. toni. 70, pag. 98 ) di dare la serie cronologica de'vcscovi, per supplire alPUghelli, il quale, a senti- mento dello stesso padre di ogni erudizione Lodovi- co Muratori, avendo bisogno di gran riforma, que- sta non se gli può dare, se non da chi del pae- se si mette con tutte le braccia a coltivare quella parte di terreno che a lui tocca. Nella storia de' vescovi d'Italia l'Ughelli omette, a parere dell'auto- re della sili chiesa e della patria zelantissimo, 8 ve- scovi faentini, e \ che non lo sono aggiunge ad essi. 340 Letteratura Da croniche manoscritte, e da altre memorie di Faen- za e di città vicine, congetturando talvolta, ha tratto l'autore istesso di che comporre la cronologia de've- scovi della chiesa faentina dai secolo III, sino all'an- no di Cristo i832: cominciando da s. Savino vesco- vo e martire del 780 sino al presente monsignor Gio- vanni Benedetto de'conti Folicaldi bagnacavallese, che fu promosso appunto alla sede episcopale il 2 luglio i83fl. Avendo io stesso avuto occasione di sommini- strare notizie di chiese e luoghi pii della città di Ba- gnacavallo dal 1270 in poi, oltre quelle che ha po- tuto accogliere dagli storici hagnacavallesi, miei con- cittadini, l'autore ha inserito in quest' opera alcuna di tali notizie , essendo la città di Bagnacavallo ora soggetta al vescovo di Faenza, della cui diocesi è par- te nobilissima. In prima col favore del celebre Muratori non dubita porre in serie un DeoJato all'anno di Cristo 783, deducendolo da una iscrizione in marmo, esisten- te ancora ne II' antica Pieve di s. Pietro in Sjlois presso Bagnacavallo, che dee leggersi, secondo lui, co- me appresso ; « De donis Dei et sancti Petri apostoli temporibus » Domini Deus Dedit Vb episcopi Iohannes hu- » milis presbyter fecit per indictionem quintam. » E nel documento I presenta incisa tale iscrizione nel- la forma che vedesi in quel marino : iscrizione, che esercitò lungamente l'ingegno degli eruditi ; tra'quali l'abate Pinzi, nelle Addende alla pregiata sua disser- tazione De nummis ravennatibus , appropriolta al pontefice s. Deodalo I , che fu al principio del VII Vescovi di Faenza 341 secolo ; fondandosi sulle sigle VB . EPC . che spie- ga urbis episcopus: e non sarebbe fuori di luogo la osservazione dell' indizione 5 , se nelle discordanze cronologiche volle starsi alle Tabi e s chronologicqu.es de John Blair, tr adulte $ de Vanglois par Chan- Ireau ( Paris 1795 ), che quel Deodato pone dall' anno di C. 61/j. al 617 inclusive: al qual anno 617 corrisponde appunto l'indizione V, portata dalla iscri- zione bagnacavallese ( di cui altra simile, se non è la medesima, sull'autorità di anonimo ne cita il Friz- zi nelle memorie di Ferrara, toni. I a pag. &44i co~ me esistente in marmo bianco al muro della casa del rettore di s. Vito, villa del ferrarese territorio }. Al- tra opinione sul nostro Deodato si è quella del Ros- si, che lo fa arcivescovo di Ravenna dall' anno 847 al 85o, a cui consente l'Amadesi. Ed un'altra soste- nuta dal canonico Scalabrini , che fosse vescovo di Yaghenza per la sigla suddetta, che spiega vico ha- bentini. Ed altra di chi lo pose tra' vescovi d'Imola: altra finalmente di chi lo vuole vescovo di Faenza. Diversità di pareri fra tali e tanti eruditi fa dubitare chi ama la chiara luce del vero ; ma come sperarla in quella lontananza di tempi , che non lasciarono .memoria di un vescovo sia di Ravenna, sia d'Imola, sia di Faenza ( come piace all' autore ) fuorché una lapide bagnacavallese : della quale sono a vedere le opinioni discusse nelle Notizie istoricìie della chie- sa arcipretale di s. Pietro in Sjlvis dì Bagnaca- v allo pubblicate sui manoscritti del canonico Igna- zio Guglielmo Graziarti dal p. Coleti ( Venezia 1772 al cap. V, VI, VIIs FUI). Ma e che, si dirà ? Bagnaca vallo a qual diocesi apparteneva ne'pri- mi secoli, a quale ne'susseguenli ? Io non saprei ac- 342 Letteratura certarlo con giuramento, stante le opinioni ventilate nelle istorie patrie: dovendosi fare alcun caso altresì di quanto scriveva l'emidi tissimo Passeri del 1770 da Pesaro al p. Coleti sul dubbio se quel Deodato do- vesse darsi alla chiesa faentina od alla ravennatense: ( rW, cap. V , a pag. 3o in nota. ) « Ma chi sa » quali erano allora i confini delle due diocesi ? » Sia che mutassero il corso i Burnì Senio e Lamone, tra'quali è Bagnacavallo , e più o meno variassero ì confini delle diocesi: sia più veramente, che il do- minio temporale d'allora variando così spesso, secon- do che le città vicine sempre in guerra tra loro e con la stessa Bagnacavallo la soverchiavano, lo spirituale altresì più o meno si allargasse : sia per altra ignota cagione, certo pare potersi dai documenti arguire, che que'confini delle diocesi di Ravenna e di Faenza, e d'Imola altresì, andassero variando sensibilmente. Ma non vorrei oppormi all'autore, che viene sostenendo con buone ragioni il suo asserto, e dona il vescovo Deodato a Faenza, se già il Muratori sentenziò: Fa- ventinìs liccat cimi sibi tribucre. Che se amore di verità togliesse ad alcuno di sottomettersi all'autorità di taì nomi, si consigli colla ragione : e dove ella manca, o la sua luce è annebbiata od oscura, chiegga lume dagli eruditi, che sono da tanto di trarre dal fumo splendore, come ha tentalo di fare il sig. ca- nonico Strocchi, benemerito della sua chiesa e della diocesi, che egli onora colle sue illustrazioni. E ono- ra anche Bagnacavallo, quando dice le lodi del ve- scovo nostro monsignor Folicaldi, che regge presen- temente la diocesi faentina : tra le quali poteva, an- zi doveva aggiungere, che sotto gli auspici di lui fu aperto in Bagnacavallo a' 26 settembre 1840 il nuo- Vescovi di Faenza 343 vo ospitale degl'infermi nel locale già de' pp. girola- mini , che fu acquistato reggendo la chiesa faentina il chiaro monsig. iNicolò de1 marchesi Tanari a'20 no- vembre 1820: e nella fabbrica cominciata del i83o, poi ritardata per le vicende de'tempi, finalmente com- piuta dal 1840, furono posti gì' infermi , siccome è noto per averne parlato sì la gazzetta di Bologna , e sì quella di Lugano : la quale nomina eziandio l'ar- chitetto, di origine da quel cantone, cav. Magistretti in- gegnere di bella fama. Delle lodi giustamente iribui- te all' odierno vescovo Folicaldi ben può allegrarsi Bagnaeavallo: non così del regalo fattone dall'autore della serie cronologica, il quale a pag. 41 v^Q esegg. attribuisce un prete di nome Costantino alla pieve di s. Pietro in Sylvis, ne'rcmoti tempi matrice di Ba- gnaeavallo. Egli si fonda sopra una lettera ( che ri- porta fra' documenti ) del pontefice Giovanni Vili , dell'anno 881, indiritta al così detto Constanti no sa- cerdoti ecclesiae faventinae de plebe sancti Pe- tri tran silvani. Di che io dubiterei; poiché leggendo nelle istorie patrie e ne'momimenti, trovar parmi, che in Sylvis od intra Sylvas fosse denominata preci- samente la chiesa della pieve di Bagnaeavallo : non già senza equivoco trans sylvas\ poiché se era den- tro, m, intra , certamente rispetto al papa Giovanni Vili, che scomunica il prete Costantino per essere sta- to promosso dall'arcivescovo di Ravenna senza licen- za apostolica alla chiesa vescovile di Faenza, la no- stra pieve non poteva essere al di là, trans sylvas. Ma qui verrebbe una indagine a fare sulla selva o selve , di cui si tratta : e sulle pievi di s. Pietro ; imperocché egli è ben vero, che gli storici eruditi ne parlano ; ma o che io non l'intendo o che essi con- 344 Letteratura fondono troppo agevolmente luoglii con luoghi ; in- tanto die non distinguono abbastanza almeno il den- tro dal fuori dall'ocre. E paravi pure dovesse la cri- tica camminare eziandio fra le tenebre col lume del- la ragione, anzi della lingua, che ad indicare la po- sizione rispettiva dc'luoghi ha preposizioni non sog- gette a tali e tanti equivoci, quali fanno nascere so- vente gli eruditi per tirare alla loro opinione qual- che cifra od iscrizione , che donano ad un luogo e forse spetta ad un altro. Del resto io non porrò la voce in cielo: troppo contento a radere la terra se- minata dei fiori delle lettere e dei frutti delle scien- ze esatte. Lascerò ad altri di volare come conviensi chi vuol trovare il sole oltre le nubi, che ascondono ai bassi mortali il vivo splendore. Ma non lascerò di ammirare il degno autore, che pieno di zelo dissipò molte ombre dalla notte , che copre le antiche me- morie della chiesa faentina. Ed incuorandolo a non cessare, lo ringrazierò senza fine di avermi nominato con tanto onore alla pag. s63 per quella iscrizione bagnacavallese, che accenna il vescovo Iacopo, al tem- po del quale furono poste del 1278 le prime pietre della chiesa de'pp. minori conventuali in Bagnacaval-» lo , della quale io gli diedi copia con altre notizie patrie che conservo manoscritte. E trovandomi avere una cronica faentina, traduzione manoscritta da quel- le di Gregorio Zuccoli, non lascerò qui di notare ciò che io vi leggo del vescovo di Eaenza, che fu Gio. Francesco di s. Giorgio de'conti di Blandrata l'anno i6o3, regnante Clemente| Vili. Nella cronica è chia- mato cardinale di s. Clemente: ed ebbe si questo ti- tolo, come è a vedere di seguito alle vite del Plati- na, in quella di Clemente Vili, scritta da Giovanni Vescovi di Faenza 345 Stringa (pdg- 856 edizione di Venezia i643 ) : e nota essere stato proposto papa all' ultimo conclave esso cardinale; ma non essendo riuscito, pare si ac- corasse; onde poi potrebbe arguirsi una causa motri- ce o concomitante della di lai malattia e morte. Ma ecco le parole del cronista, clie accenna altresì qual- che beneficenza del cardinale vescovo, non riferita dal- lo Strocclii d'altronde diligentissimo. Il cronista con- chiude adunque cosi : « Compita 1' operazione del » conclave, il cardinal s. Clemente determinò, per con- » siglio de'medici e per indisposizione che si senti- » va, di andare ai bagni di Lucca, ove s'aggravò il » male, e finalmente li tolse la vita. Fece testamen- » to, e lasciò molte cose alla sua chiesa, et una gran » quantità di denari alla compagnia della morte per » maritar donzelle. » Ma basti oggimai, ed abbia di nuovo l'autore soprallodato commendazione. D. Vaccouni. -=a-Sgg&©g§§S-=— 346 L'arte di scriver lettere, dedotta dalV analisi de1 classici scrittori latini ed italiani per opera di Giuseppe Ignazio Montanari. Firenze dalla tipografia calasanziana 1840 , in 12, di pag. 120. Intitolato ai giovanetti studiosi dal p. Sta- nislao Gatteschi delle scuole pie, editore. esideroso di giovare alla tenera età io diedi fuori nel i83i: Dello scriver lettere, prima istruzione pe ''fanciulli in cinque lezioni. Lugo per Melandri in 8, di pag. 36; che uscì di nuovo in Firenze del i834 nel Giornale defanciulli, tipografia Ciardet- ti in 8 gr. dalla pag. 355 alla 365 inclusive, con allre cose mie adatte all' intelligenza delle piccole menti. Parve al mio onorevole amico e concittadino prof. Montanari di scrivermi sul proposito di quelle mie Lezioni alcune osservazioni, che sono a vedersi in questo giornale {marzo i83i, a pag. 222 e segg.): e vi aggiunse colle lodi, che io non credevo di me- ritare, la promessa di dar fuori appo le ferie autun- nali un suo trattatello per bene scrivere lettere la- tine e italiane. Intanto il professor G. F. Rambelli dava fuori 1' Istruzione epistolare pe1 giovanetti ( Imola i83i ) confessando di avere tolto e dal Vi- centini , e dal Giardini , e dalle mie prime lezioni stesse. Ne parlò il prof. Montanari in questo gior- nale [luglio i83i a pag. 80). Una seconda edizione diede il Rambelli [Pesa- ro i833 per Nobili, in 16, di fac. 64 ); ed io ne Arte di scriver lettere 347 toccai in questo stesso giornale [luglio i832, usci- to soltanto del i833 , a pag- 238 e segg. ) Altre edizioni si successero a confermare il pregio e l'uti- lità della Istruzione epistolare del Rambelli (*). Ma come ai giovanetti di poca età o ignari di latino giova il bel trattatello del prof. Gianfrancesco Rambelli , così confido ( dice il prof. Montanari ) che non torni inutile questo ai pia provetti , e specialmente a coloro che allo studio della lin- gua toscana accoppiali quello della latina ; seb- bene anche chi nulla sa di latino (aggiunge egli) può apprender benissimo dal trattatello mio, aven- do io recato gli esempi tolti dai latini nei volga- rizzamenti pia pregiati. » Sono a lodare le nuove cure del prof. Montanari ; perchè egli è verissimo ciò che il Gozzi ( Gaspare ) saviamente notava : Nessu- na parte ha V eloquenza pia necessaria da esser saputa convenientemente, quanto quella che allo scriver lettere s'appartiene. E pare che quanto egli è condiscendente a'mo- derni, altrettanto voglia un freno dall' ossequio agi' antichi, con una certa temperanza e moderazione; che è sempre prudente e ragionevole : e scrivendo latino vuole si abbia riguardo a costumi liberi, franchi, schiet- ti; scrivendo italiano, vuole più larghezza come è del- l'uso. Gicerone solo fra' latini vuole si sludi dai gio- (") Io conosco le edizioni seguenti per dono del prof. Ram- belli. Quarta edizione: Pesaro i853, in 16, di fac. 78, approvata da'censori il i5 gennaio iS54- Quinta edizione: Bologna i855, in 16, di fac. 70. Settima edizione: Perugia 1887, in 12, di fac. 100, ampliata di una breve raccolta di lettere moderne del Monti, del Perticare del Costa, del Giordani ec 348 Letteratura. vani, cui permette di leggere anche Plinio : del qua- le forse più esempi che non bisogna qui diede, se so- lo Cicerone vuole si studi. Caro, Bonfadio, Tasso (Tor- quato ) ed il Redi propone loro de'nostri; ma e dei Bembo dà esempi : dal Monti e dal Perticar! e con- sorti vuole appararsi la parte de'convenevoli di più con- facenti ai nostro tempo : poco accenna di pregio in questi nostri maestri ; ma egli sa bene potersi da lo- ro apprendere più che i convenevoli. Del resto egli secondo i diversi generi delle lettere ne prende una da Cicerone o da Plinio, ed una da un classico ita- liano , facendovi sopra quello studio di analisi , che tanto giova a conoscere ed apprendere lo stile epi- stolare. Anche da Seneca prende qualche cosa: e quan- to a Cicerone si vale della traduzione del Cesari, che è uno stento comparato singolarmente a quella spon- taneità dell'originale.*; quanto a Plinio si vale della traduzione del Paravia, e mollo bene; quanto a Se- neca si vale di quella del Gozzi, tanto degno scrit- tore, che il solo suo nome vale un elogio. Da ulti- mo ha un appendice sulle qualità esterne di una let- tera. Potrà parere a taluno che troppo severo io por- ti eiudizio sulla versione delle epistole di Cicerone di quel toscanissimo p. Cesari , in cui se fu molto lo studio fu poca la favilla che dà vita alle carte. E perchè io non voglio essere creduto sulla parola, da- rò qui la traduzione di una lettera di raccomanda- zione offèrta dal prof. Montanari subito alla pag. 7, rimettendo i leggitori a ciò che notai sino dal 1827 nel voi. di aprile a pag. i35 di questo giornale, sulla ver- sione delle epistole appunto di Cicerone fatta dal Ce- sari. Ivi si vedranno pure le lodi che io dava al Goz- Arte di scriver lettere 349 zi per la sua Scelta di lettere , dalla quale panni togliesse alcun che lo stesso prof. Montanari. Cicero S. D. Memmio ( lib. i3, ep. 3 ). Au- lum Fusium unum ex meis intimis, observantis- simum studiosissimumque nostri, eruditimi homi- nem, et summa humanitate , tuaque amicitia di- gnissimum, velini ita tractes, ut mihi corani re- cepisti. Tarn mihi grattini id erit, quam quod gra- ti ssimum. Jpsum praelerea summo officio et sum- ma observantia Ubi in perpetuimi devinxeris. Vale. « M. T. C. a C. Memmio salute. Io ho que- » sto Aulo Fusio, che è de'miei intimi, uno che più » mi onora, e di me tenerissimo ; persona di tutta » umanità e degnissimo della tua amicizia. Vorrei » che tu mei trattassi secondo che di presenza mi li » sei obhligato. Questo mi sarà la più cara cosa che )> tu possa farmi: ed oltre a ciò, lui medesimo ti sa- » rai obhligato di somma cortesia e riverenza per tut- » ta la vita. Addio. » Il traduttore parla di Aulo Fusio, come si par- lerebbe di una masserizia, o come dicono mobile di casa : Io ho questo Aulo Fusio. Certo ognuno a- vrebbe detto: Aulo Fusio è dermici intimi : quel te- nerissimo sa di lezioso , e basterebbe tenero : non so poi perchè, dove il padre della romana eloquenza ha ob servanti ssimum studiosissimumque, il tradut- tore dalla polvere, in cui si avvolge , ci regali uno che più mi onora e di me tenerissimo, potendosi ri- tenere meglio due addietlivi propriamente superlativi: eruditimi hominem dice il lesto, e La traduzione uni- camente persona. Povero Fusio, la tua erudizione e 35o Letteratura sfumata sotto la penna del Cesari toscanissimo ! Ve- lini ita traete s: Vorrei che tu mei trattassi: ecco di nuovo il povero Fusio messo a paro di un mo- bile di casa, mei trattassi, e dovea dire lo trattassi, o se è persona dovea dire la trattassi. Ma basti a non parere che io voglia farla da Aristarco; lascio il giudicare a'più savi; non senza manifestare un desi- derio, che il prof. Montanari in una nuova edizione ci traduca egli stesso ( e potrà farlo da suo pari ) le epistole, che qui ci regala di M. Tullio. Meglio mi sembra valersi del Paravia per la tra- duzione di Plinio: il quale scrittore, che troppo tiene del secolo d'argento e di una cotale cortigianeria, vor- rei però offerto men di frequente all'esempio de' gio- vani in un trattato magistrale, siccome è questo del- l' Arte di scriver lettere. Qualora non credesse il prof. Montanari di tradurre egli stesso anche le epi- stole di Plinio, riducendole qui a minor numero (e sarebbe miglior consiglio per una certa uniformità e per la sua molta perizia di queste cose ) : potrà a mio giudizio valersi della versione del Paravia ; po- nendo il testo pei'ò in relazione colla versione. Di- co questo , perchè dove a pag. g , C. Plinio scri- ve a Traiano raccomandandogli Rosiano Gemino, il testo dice: Mei summe obscrvantissimum expertus^ la versione che è appiedi del Paravia dice: Lo tro- vai pieno di rispetto per te : e ciò può derivare da diversità di lezione ; ma bisogna sia consono il testo alla versione in ogni anche menoma cosa. Quanto alle traduzioni del Gozzi, ripeto che non si potrebbe desiderare di meglio: ma se, non si vuole un'opera di musaico, starebbe forse bene in una nuo- va edizione, che il prof. Monlauari ci (lasse egli tut- Arte di scriver lettere 35 i te le traduzioni : cosi il suo libro sarà tutto di que- sto secolo e degno del cedro. Del resto io lascio ai savi e discreti di senten- ziare, contento a palesare alcun dubbio, clic risoluto sarà occasione a migliorare, come è possibile, questo trattatello dell'esimio prof. Montanari : cui si dee lo- de altresì per le continue sue cure a profitto della studiosa gioventù : di che gli rende merito lo stesso p. Gatteschi delle scuole pie , editore diligentissimo di questo trattatello àcWArte di scriver lettere, di cui il fin qui detto è abbastanza, se non anzi sover- chio a'giudiziosi nostri leggitori : nella cui cortesìa io confido, siccome soglio. D. Yaccolini. 35a VARIETÀ* Lettere di Carlo Botta, colVaggiunta del ragionamento sulle me- morie risguardanti la vita e il secolo di Salvator Rosa. To- rino 1841 presso P. Magagni. lion si leggeranno senza curiosità le lettere familiari d'un uo- mo di tanto nome nella nostra letteratura. Attendendo che alcu- no prenda fra noi a ragionarne da senno, ci piace perora di re- car qui una di esse, perchè sappiasi quale opinione quel famo- so scrittore avesse di chi con tanto piacer d'odorato va oggi fru- gando per le cloache del medio evo a trarne fuori un diluvio di stO''iacce} di romanzacci, di tragediacce, e di poemacci. Eccola. Al sig. conte Nomis di Cossilla. ,, Parigi 3o dicembre i833. ,, La mia opiuionc concorda con la sua circa gli sforzi che ,, si fanno per illustrare la storia patria, non solo in Piemonte , ,, ma ancora in altri luoghi. la questo tempo si può piuttosto ,, rispigolare che mietere : né quanto vi si potrà scoprire sarà ,, mai tauto, che cambiar possa i caratteri già conoscimi de' se- ,, coli. Forse iti qualche Ieggeudaccia , od in qualche lalinaccio ,, di notaio ignorante, si potrà rinvenire quanti soldi di pedag- j> g'O s* pagavano nel passate un fiume, o di dazio per transita- Varietà' 353 j, re una merce, o quante genuine una comunità era obbligata ,, di pagare al signor feudatario prò alendo cane mastino sub ,, turri : o che UH de scindo Georgia tagliaverunt vineas et bla- ,, das, sul territorio di Caluso, cuoi centum barbutis: o che pure ,, UH de Scindo Georgia pissare non poterant, quin a Castro „ Montalenghae viderentur; alcune, dico, di questo o simili cose „ si potranno forse rinvenire; ma ciò che importa, o che momen- „ to reca nel carattere già conosciuto di certi secoli , no. Qual- ,, che insulsaggine di più , qualche goffaggine di più si potrà ,, raggranellare , e nulla più. Gran cosa è nei nostri tempi lo ,, spirito servilmente pedissequo ! Siamo veramente le pecore ,, cantate dall'Alighieri. Nacque in Edimburgo un uomo di raro ,, ingegno, the scrisse con bella ipotiposi dei castelli, delle stal- ,, le, e dei conventi del medio evo. Subito alzossi un grido dal- ,, l'isola del Ferro sino a Reggio in Calabria, medio evo, medio „ evo, medio evo- A sentir gli eutelechisti, quella età fu la più „ fiorita ed eroica del genere umano : e dàlia , dàlia, dàlia, me- ,, dio eco, medio evo, medio evo: ed ecco uscir fuori un diluvio „ di storiacce, di romanzacci, di tragediacce , di poemacci sul ,, medio evo. lo conosco un dottore che, tutta volta che sente „ nominare medio evo, si leva il cappello per riverenza. In som- ,, ma io non so che diamine d'alchimia ci abbiano trovalo: e ve- ,, dono tutte le perfezioni iu un mare d'ignoranza, di goffaggi- ,, ne, di barbarie. Odo che un certo Albertazzo,o Albertone che ,, sia, di Bologna, cui nessuno conosce, sia uomo più grande di „ Temistocle e di Giunio Bruto. Dicono che il medio evo ci ha ,, fatti e covati. Certo sì che sono gli uomini e le donne di quel- ,, l'età che ci hanno generati : ma 1' educazione dell' intelletto „ non l'abbiamo ricevuta da quelle bestie, bensì da coloro che, ,, dando loro sulle corna , rimisero in luce la civiltà greca e la ,, civiltà romana. Veramente i lambicchi e gli stillicidi dei si- „ gnori Thierry, Cousin, Barante e Lerminier sulla storia dei ,, bassi tempi, sono cose stupende e da far voltare il cervello a ,, chi ne ha. Fatto sta poi, che nemmeno in ciò evvi nei lodato- ,, ri e distillatori di quei tempi infelicissimi una opinione ferma, ,, frutto di attenta considerazione o ragione ; anzi non è altro ,, che un metodo pecorino suscitato da un vento venuto da E- G.A.T.LXXXVII1. a3 354 Varietà' ditnlmrgo, e per parer nuovi diventano assurdi. Staremo a ve- ,, fiere che nascerà. Sinora non si vede altro, che - Ulrum chi— maera bombicans in vacuo boileano possit coinedere secwulas ,, intenliones. Ciò poi, di che io non posso restar capace, è che ,, nulla patria di Machiavelli, dico nell' Italia , si corra dietro a „ sì ridicole chimere. Certo l'era è molto eunuca e pecorina! ,, B. Orazione pé1 defonti associati alfa propagazione della fede, letta da monsignore Stefano Rossi ligure addì i">. gennaio i84' in s- Maria della pace, ne funerali celebrali dalle romane chi- lìarchie. Roma presso Giuseppe Gismondi tipografo della propagazione della fede, in 8, di fac. 20. vJuando l'eloquenza del pergamo avea perduto in Italia della sua dignità, quella mente di Prospero Lambertini arcivescovo di Bologna, che fu poi papa gloriosissimo, ammirato alle doti degli oratori francesi l'accomandò fossero tradotti de'brani di que'sacri dicitori per esempio «'giovani religiosi; ma aggiunse cosa neces- sarissima : che non fosse alterato il carattere dell'eloquenza ita- liana. Intanto che ne seguì ? Quello che sempre avviene a chi troppo conversa cogli stranieri: che i modi nativi si alterano, si perdono in fine per vestire gli strani. Perchè fu giuoco forza a' prudenti richiamare gli studiosi d'Italia a'principii : allo studio de'padri greci e latini, del Schieri unico ancora, e di Dante che tolse a'iibri santi ed alla misteriosa apocalisse singolarmente ciò che Io fa singolare da tutti poeti antichi e nuovi. In lui forza , evidenza ed affetto, in lui que'pregi che s, Basilio notava ne'poe- ti dell'antichità. A questi fonti diremmo avere attinto monsig. Stefano Rossi, che nuova lode si è acquistalo con questa orazione di requie ai defunti della propagazione della fede: orazione, in cui non sap- piamo che sia da ammirar più o il giudizio o l'affetto o Telo- Varietà' 355 quio. I suffragi resi da'legiouari di Roma ai defonti associati al- la santa opera della propagazione della fede : sono I, il miglior compimento di siffatta propagazione : 2, e saranno nel dì del fi- nale giudizio una delle glorie più belle a'romani legionari mede- simi. Ecco i punti dell'orazione, la quale andrà per le bocche di quanti sono pel mondo cattolico soci della propagazione della fede. Continui monsignore come Io studio, così l'uso della sacra eloquenza, e cessi all'Italia il bisogno di farsi bella allo specchio dello straniero ■ dessa che ha in se pur tanto da ornare tutto il mondo , se vuole e sa conoscere le proprie dovizie ne'tesori de' classici, e nella mente e nel cuore di quanti zelano con amore le cose dell'evangelico ministero. D.V. Osservazioni dell'abate Giuseppe Manuzzì sulle voci e locuzioni italiane derivate dalla lingua provenzale, opera del profes- sore Vincenzo Nan'nudci- Firenze, pvesso David Passigli e soci, i84ij in 8 [fase, lei sino alla pag. 8o. ) U na bella lode si è acquistata il sig. abate Giuseppe Manuzzi da Forlì, pubblicando in Firenze il Vocabolario della lingua ita- liana, già compilato dagli accademici della crusca, e da esso lui nuovamente corretto ed accresciuto. Egli è già alla lettera S, ed ha iu pronto la lettera T : sua mercè, le giunte alla quarta im- pressione oltrepassano a quest'ora le 100 mila. Al che se aggiun- gasi le correzioni fatte da lui con quel giudizio ereditato in par- te dal p. Cesari, del quale fu amicissimo ; in parte acquistatosi da lui medesimo nel sacrario della vera filosofia: potrà aversi buono argomento da estimare per quello che vale la sua fatica, che da più omeri sarebbe ; ed egli , emulando il Mombelli suo concittadino, l'ha sostenuta da sé pazientemente e degnamente. E così pare in Italia e fuori ai savi e discreti uomini, i quali (sé 356 V A R I E T A' mai nulla fosse slato da apporre al M'anuzzi ) detto avrebbero lui avere dato assai più del bisognevole al comune delle perso- ne. Il contrario si studia mostrare questo sig. Nannuccì, che spo- gliando senza dirlo le osservazioni del eh. Giovanni Galvani, ed" il dizionario del Raynouard, si è fatto bello delle penne altrui, e si> mostra pavoneggiandosi di qualche voce pescata qui o qua tra gli scrittorelli della lingua provenzale, anzi in qualche dizio- nario di essa, e la ti regala in onta al Manuzzi, il quale osserva a ragione ni un utile alla lingua nobile potersi per avventura sperare da quelle spazzature da mondezzaio , che quasi gemme ci- tragge in mezzo il Nannucci. Mostra ben egli il Manuzzi, che con quelle sole opere del Galvani e del Raynouard alla mano avrebbe potuto di quel fango trarre in poco d'ora di molte pre- ziosità : delle quali parole per saggio nota le seguenti : Angeli- cale; Baratta per inganno, fraude; Bello leziosaggine ad accat- tare benivoglieiiza ; Breve per corto, relativamente a cose mate- riali; Cominciaglia, cominciamento, voce che manca alla crusca; Consiroso per mesto e pensoso (od angoscioso, travagliato, giusta il vocabolario) ; Cristianare per farsi cristiano; FalUgione pei" fallo; Folleare per folleggiare; guerrera e guerriera per nemica; penalo per compassione, pietà : e qualche altra che non merita la pena .- né questa pena sarebbesi data il Manuzzi, se non per iscoprire il segreto della scienza del suo avversario , che a talu- no pute di plagio Non già che non si confessi egli stesso, quel bennato spirito di Romagna, di avere in opera erculea e quasi infinita dato qualche rara volta piede in fallo : non già che si creda, od abbia promesso mai di nettare quasi le stalle di Augia. Egli per bene della lingua ( bisognosa tuttavia di più compiuto vocabolario ) ha tolto sopra di sé una fatica degna a chi del Ce- sari tiene poco meno che l'anima con più finezza d'intendimen- to. Di che vogliamo abbiasi da noi pure commendazione: e se consentendo alle dottrine del Monti e del Perticali dove la luco del vero sfavilla, e non ormeggiando sempre quella beata memo- ria del Cesari, tiene la via di mezzo, che è quella della ragione.- chi bene osservandolo noi pregierà e loderà quanto è degno ? Ma all'incontro buttando gli occhi sulle Osservazioni uannuccia- net chi non compiangerà alle lettere di usare ancora talvolta il Varietà' 35; ■modo delle trecche e deJ bettolieri e peggio, lanciando peggio che sassi a clu meriterebbe poco meno ebe l'ovazione colà dove della Ungila 'il più bel fior si coglie? Sarebbe inai invidia numi cipale, die fa scordare la gentilezza natia del bel paese tosco al sig. Nannucci e consorti? Ai quali chiederebbesi, se non altro, più buona fede nel riportare o chiosare ciò che appuntano del Vocabolario del Manuzzi. Il quale vocabolario ( chi sa?) avreb- bero forse voluto intitolarsi della Lingua toscana anzi che dell' italiana, come ha fatto il degno forlivese ! Come clic sia non do- vrebbe la fatica del bravo Manuzzi essere disconosciuta dove la lingua d'Italia ha suo trono: uè per una parola si dovrebbe scomunicare tutto un vocabolario cosi grande e grosso; se già non vogliasi per una spica di loglio maledire tu Ita la messe, co- piosa e bella a maraviglia. Ci guarderemo di risuscitare quistio- »i sui diritti e sulle origini della lingua, per non ritoccare le slesse corde, che a tutti non garbano: e solo verremo gridando »1 Nannucci, ed al Manuzzi altresì, pace, pace, pace. Che fanno le misere guerre de'letterati ? Da concordia nasce il bene, dal suo contrario nasce ogni male : chi vuole adunque il bene, ricordisi che siamo tutti uomini e possiamo errare , siamo tutti fratelli e dobbiamo perdonarci a vicenda ; dobbiamo amarci scambievol- mente ! D. V. Regolamenti ed alti preliminari per la cassa di risparmio in Ra- gnacavallo- Bagnacavallo dalla tipografia Bellucci 184 1, in 8, di pag. 24- vJome prima la S. di Nostro Signore accolse nella capitale l'i- stituzione della cassa di risparmio, fu del r85tì, alla sovrana sa- pienza facemmo plauso in queste carte; sì per rendere all'ottimo principe e più che padre tributo di riconoscenza; come per age- volare ad ogni intelletto la cognizione, ad ogni cuore l'amore di cosiffatta istituzione, diretta a prevenire le miserie del povero; 358 Varietà' contribuendo altresì a farlo industrioso, previdente ed economo, e quindi ancora costumato. E lo nostre parole furono seme, che fruttò forse ancora la pronta e felice propagazione di tale stabi- limento nelle provincie. Bologna e Spoleto, Ferrara e Forlì, Ra- venna e Faenza vollero averne subito, né tardi almanco, nel loro seno. E non era a maravigliare di Bologna, la quale da'secoli vantare ben può il Monte matrimonio, vera cassa di risparmio , che riceve dai cinque sino ai trecento e più scudi, pagando il frutto e frutto de'frutti, oltre gli utili, che cedouo a favore del- lo stabilimento quando non si verifichino le condizioni o di ma- trimonio, o di laurea, o di altro fine onorevole propostosi depo- sitando, o quando la morte intervenga, come meglio appare dai regolamenti, de'quali un estratto uscì in Bologna per le stampe Gamberini e Parnieggiani nel 1822; i quali utili si ripartono a! depositanti in proporzione. Ecco il vero raocMIo delle casse di risparmio, delle quali alcune troviamo da gran Ic'tnpo in Isviz— zera singolarmente : come troviamo tracciato il progetto di uno Stabilimento di una cassa generale dei risparmi del popolo, ese~ guibili presso i principali governi di Europa, del signor della. Rocca in S, pag. 1 ic) (Brusselles, in luglio i-jSGJ {*) nelle ope- re del Vasco torinese, che ne chiarì l'idea, e l'applicò al fine di opporsi alle usure e concorrere alla prosperità del popolo. Più lungi cercando , troviamo nelle consorterie di arti e mestieri ed in pie congregazioni qualche cosa di simile, quanto al porre in comune colla mira di previdenza di bisogni ed apprestamento di soccorsi. Ma che alligni nelle grandi città una così benefica istituzio- ne, che abbisogna di molti generosi spiriti associati e della faci- lità di fare investimenti, non è da farne le maraviglie: i contrari ad ogni opera buona opponevano non potere dessa aver luogo in piccole città, in ristretti comuni. A cotestoro abbiamo qua e (") INe parla Giambattista Vasco torinese, economista del se- colo passato, com'è a vedere nella raccolta di Scrittori italiani di economia politica, lom, 35, a p. 190 e segg. Milano, 1804, stamperia Destefanis. Varietà' 359 colà da contropporre la risposta de'falti : un fatto singolare ab- biamo a segnalare in Bagnacavallo, città della Romagnuola fer- rarese, che conta nell'interno anime 4 mila, e ti 8 in g mila nel- l'esterno: 4o generosi e cospicui soci hanno posto 9.0 scudi per ogni azione, e formata la dote di se ottocento hanno aperta il 27 giugno 1841 la cassa di risparmio, dopo averne riportata be- nignissima approvazione sovrana sino dal 23 dicembre passato. La prima domenica indicata fu l'incasso in 60 nuovi libretti di credito di se. 122.01; la seconda, cioè il 4 luglio, fu di se. 245.- concorso avendo artieri, domestici, fanciulli , e parecchi ti ì con- tado, i quali alla stagione de'ricolti profittano dello stabilimen- to, che si regge assai bene, e va prosperando contro i presagi sinistri de'bassi spiriti. Ad inanimare e confortare valsero mol- tissimo le savie e calde parole del presidente sig. conte commen- datine Filippo Foli caldi, che in veste di gonfaloniere installò la società il 20 aprile passalo, per incarico avutone dalle Eni. TjIj. reverendissime il sig. cardinale Malici segretario di stato, ed il sig- cardinale Ugolini legato della provincia. L'allocuzione è qui stampata col regolamento , col tenore delle approvazioni, e colla nota dc'soci Dei premi sono propo- sti annualmente ai più operosi ed assidui depositanti, da dispen- sarsi nelle feste ed allegrezze pubbliche: e yli utili tutti essendo per la cassa, erogar devesi il netto in opere di beneficenza, pre- standosi gratuitamente i soci a reggere e sostenere la cura e l'e- sempio dell'amministrazione. E contemporaneo uscì un avviso con istruzioni diramate alle parrocchie ed ai notabili della città. Buono che il popolo ha compreso facilmente le parole, onde si chiude l'avviso dei 7 giugno, che sono le appresso: " Ma una gara onorala uopo è che sorga tra beneficati e benefattori , a volere da questa istituzione i più bei fruiti : concordia nel be- ne, agiatezza comune, felicita ! ,, Io mi applaudo di potere al meno con alacrità rendere alla cassa di risparmio la qualun- que opera mia in veste di segretario, dopo avere di simili isti- tuzioni dichiaralo ili istampa la utilità sino dal suo nascere nella capitale e in Bologna singolarmente. Così le mie parole bene accolte acquistarono per l'argomento alcun valore! D. V- 36o Varietà' L'invito di Da/ni Orobiano a Lesbia. Cidonia, con note del cav. Antonio Bertoloni. Bologna 1840. il chi non vengono conosciuti ed ammirati cosiffatti versi? Chi non sa che l'arcadico nome di Dafni Orobiano nasconde quello del gran concittadino di Torquato , Lorenzo Mascheroni ? Ma- tematico e poeta: vero miracolo d'ingegno, che seppe maritare due opposti , e tanto felicemente , da sembrare due parti con- giunti di amicizia da una natura medesima. Il suo poemetto co- me prima si mostrò, riscosse i plausi dei letterati contemporanei, e, quello ch'è meglio, maggiori ne riscuote da quelli che vennero dopo. Parlò la voce dei giornali più riputali, e fra'primi l'effeme- ridi letterarie di Roraa,tom. 22,num. 47; ed in tutte le raccolte poetiche v'inserirono come gemma quei versi. Così il sommo Vin- cenzo Monti consacrò un suo riputatissimo poemetto in cinque canti ed in terza rima alla memoria dell'illustre bergamasco. E a questo proposito non saprei trapassarmi senza riferire le parole stesse, che il fu Defendente Sacchi poneva a ciò in un suo bell'articolo biografico, al quarto volume della biografia de- gl'italiani illustri del secolo 18 e de'contcmporanei, pubblicata per cura di Emilio Tipaldo (Venezia 1837). ,, Il suono più gentile che mandasse la cetra del Mascheroni fu senza dubbio 1' Invito a Lesbia Cidonia. Non accade parla- re a lungo de'suoi pregi; solo varrà il dire che quegli cui pun- ge amore per la patria letteratura, scorgendo in questo poemet- to un verso elegante e grave, tanta diligenza oraziana nella scel- ta degli epiteti, tanta bellezza e novità d'idee, tanto nitore e soavità nelle immagini e venustà nello stile , sente una segreta dispiacenza che l'autore non siasi tutto consacrato alla poesia : che certo avrebbe colti i più belli allori sull'italiano parnaso. Eppure questo si squisito poemetto non è che la descrizione de'musei di Pavia; ma l'aridezza dell'argomento era nulla, ove, come disse il Monti, le grazie parlano profonda filosofia. „ Il Mascheroni diresse il suo invito poetico alla gentile ed elegantissima poetessa Grismondi : donna che fra le rare si me- Varietà.' 36 i vitò il tributo di un grande, e le lodi infinite che i letterati più insigni dell'età sua diedero spontanei al suo sapere. Chi poi avesse desiderio d'intendere i particolari della vita di lei, se ne faccia a leggere l'elogio pronunciato nella inaugurazione del suo busto nell'ateneo di Bergamo, il giorno Si gennaio i83g, dal conte Pietro Moroni, e pubblicato in quella città nello stes- so anno. Ai ebe si aggiunga la biografia dettata dalla elegan- tissima rimatrice vivente, Elena Monleccbia; inserita nell'album di Roma. Vorremo che il poemetto di Lorenzo Mascheroni, matema- tico insigne, fosse esempio di saviezza agli scienziati, special- mente di cose naturali: quando essi tengono in conto di nulla la divina arte della poesia: non ripensando il profitto che le scienze tutte possono derivarsene per manifestarsi agli occhi non acuti del popolo. NOTE. Crediamo opportuno di aggiungere alcun che alle annota- zioni dell' illustre botanico , a maggiore schiarimento del poe- metto. Vers. 2. Inclito ciglio. D. Baldassare Odescalchi duca di Ceri, mecenate de'poeti, e poeta egli stesso; del quale scrisse un elogio il cognato suo Giacomo de'principi Giustiniani, eminen- tissimo cardinale, stampato nel giornale arcadico tom. 12, giugno 183^; ed un articolo il cav. Francesco Fabi Montani, inserito fra quelli della ricordata Biografia del Tipaldo. L'Odescalchi invi- tava la Grismondi a recarsi in Roma con una sua canzone che comincia: — Lesbo fu lieto un giorno — D'una gentil donzella ec. — Alla quale essa rispondeva con le ben note terzine: — D' alto incendio di guerra arde gran parte — D'Europa ce Poe- sie, delle quali fu parlato con molta lode nell'Antologia rom. t. ir). Vers. 67 e 68. — Che si ami più dell'eritrea marina: — Le torniate conchiglie ec — Intorno questo argomento il chiaro poeta vivente A. M. Ricci pubblicò nel i83o in Roma un poe- ma in versi sciolti in 8, intitolato : Le conchiglie. Vers. 117. -Manda dal Bolca. - Intorno a questo monte scrisse 362 Varietà' alcune lettere eruditissime monsignor Domenico Testa, inserite nel giornale della letteratura italiana die si pubblicava in Man- tova sul fine dello scorso secolo. Vers. i34- - Stromboli. -Intorno al vulcano di quest'isola abbiamo un'assai erudita lettera del celeb. Ippolito Pindemon te, inserita nell'Antologia toni. 6. Vers. 146. - Ricco di corona. - Merita di andar ricordato e letto il bellissimo inno agli uccelli del eh. P. Antonio Buonli- glio, inserito fra quelli da lui pubblicati in Roma. Vers. i55. -Le occhiute leggerissime farfalle- - Il poeta fer- rarese Lorenzo Rondinetli pubblicò un suo poema, dedicato al- la celebre Bandettini, che ha per titolo i Bruchi ( Modena 1829, in 8). Vers. 427 e 428. - Riconosci il gentil candido baco. - Cura de' ricchi sericani. -Alessandro Tesauro pubblicò un suo poema die ha per titolo la Sereide. Torino 1 585. Vercelli 1777, in 8. Vers. 478- - Il legume d'Aleppo. - Il caffè, sul quale argo- mento abbiamo un elegante poemetto in ottava rima del gesuita Lorenzo Baratti, ed un bel sonetto di Clemente Bondi , inserito fra le «uè rime. Vers. 4^9- " Clizia amorosa. - Il cav. Ricci diede al parnaso un suo poema in terza rima intitolato, Le georgiche de fiori. Vers. 5o4- - Che nozze han pur le piante.- Il celebre medico e poeta Erasmo Darwin pubblicò un poema che ha per titolo gli Amori delle piante ,\\ quale è stato maestrevolmente tradotto da quel Gio. Gberardini, di cui sarebbe assai a dolersi , se non dovesse proseguire la sua bell'opera intorno i futuri vocabolaristi. Vers. 4q^- - Q11' pure il sonno. - Il cav. Ricci ha reso di pubblica ragione il suo orologio di Flora, nel quale sono anche comprese le piante, che col loro chiudersi, diconsi dormire. S. C. Varietà' 363 Carlo Botta, che nìuno oserà tacciar di pedante, diceva nel 1802 questo sdegnoso sonetto (se non bello in tutto) nell' accade- mia subalpina contro alcune barbare parole , che leggevansi nel messaggio di Francesco Melzì al corpo legislativo in. Milano. Atalia mia, chi t'ha il parlar tuo guasto, SI chiaro un dì, che andar per lui men letti D'Atene e Roma i nobili dialetti, Onde muove Arno ancor sì altero fasto? Vili istrioni con servile impasto Hau di Certaldo i puri fonti infetti, E con massacri, mozion, regretti Storpi danno al cantor del fiero pasto. Ah vegg'io ben, che la straniera verga, Che ti percuote, fa che stranio accento De'servi figli sulle labbra alberga ! Né spero io già, che il mio lungo lamento Dirizzar possa le curvate terga, Né ch'altri faccia al parlar dolce intento.' Questo sonetto fu pubblicato nella gazzetta privilegiata di Ve- nezia degli 8 di aprile 184»- Di un nuovo testo del Giorno di Giuseppe Parini, lettera al sig. Salvatore Betti di Cesare Canta 8. Milano 1841, tipografia Bemardoni. ( Sono carte 23). J.1 Parini, che curava molto la proprietà della lingua, e mollo altresì l'eleganza dello stile e l'armonia de'versi,non credeva che l'immortale poema del Giorno , nelle edizioni che andavano in- 364 Varietà' torno, fosse ancor giunto a tal perfezione, che se ne potesse con- tentare la gran madre della vera poesia, l'Italia. Perciò non re* stando mai d'usare la lima, alquante cose aggiunse, altre variò, altre infine riprovò del tutto. Trovato fra le sue carte questo te- soro di seconde cure, fu pubblicato dal Reina, ma solo a pie delle opere del Parini: essendosi voluto egli tenere nel testo del Giorno , senza molta ragione , all'autorità delle stampe che ne correvano. Ma diversamente ha pensalo il sig. ab. Mauro Colo- netti : il quale ha preso finalmente a darcene un'edizione, dove tutte sono poste per entro il testo medesimo e le varianti e le aggiunte fattevi dal grand'uomo con giudizio così eccellente. E- dizione quindi da preferirsi ad ogni altra, che finor si conosca. Della ragione de'più notabili cambiamenti operati dal Pari- ni nel suo poema parla qui da suo pari, ad un caro amico di Roma, il sig. Cesare Cantù, letterato, come ognun sa, di si bella fama in Italia e fuori. Memoria di archeologia cristiana per la invenzione del corpo e pel culto di s. Sabiniano martire, che si veliera nella con- gregazione delire scuole minori in collegio romano , scritta dal P. Giampietro Secchi della compagnia di Gesù, e pub- blicata nella solenne accademia di poesia tenuta in onore del santo giovanetto nel giorno 28 di maggio dell'anno 1 8 4 1 • 8. Roma 184*, presso Alessandro Monaldi. ( Sono carte 4^. ) v^hi dirà questo libretto un tesoro di antichità cristiane, dirà ciò di' è vero: e niuno certo Vorrà dubitarne, quando pensi ch'è opera d'uu letterato, qual è il padre Secchi, così principale per celebrità di dottrina in Italia e fuori. Quante nuove cose vi si ragionan su' nomi, quante sulle acclamazioni, e soprattutto di quella in pace, quante sulla paleografia delle lapidi cristiane, quante sui segni del martirio, che sono indicati nelle catacom- Varietà1 365 be ! Ma nluno assolutamente con maggior magistero ha trattato de'vasetti del sangue, che sogliono trovarsi ne'sepolcri degli anti- chi fedeli, e confutato ciò che n'hanno fin qui vaneggiato gli ete rodossi. Di una strana opinione del signor Sismondo Sismondi nella sua storia delle repubbliche italiane intorno al popolo di Roma- gna. Apologia composta da Antonio Vesi cesenate. 8. Faen- za presso Montanari e Marabini i84i. (Sono carte 83.) jj{ on v'ha quasi ingiuria che qua e là nella sua opera non si permetta il Sismondi contro a'popoli della Romagna : e soprat- tutto non cessa di ricantarci che sono essi e crudeli e perfidi. Tanti oltraggi d'uno straniero hanno giustamente commosso lo sdegno del signor Vesi: il quale pieno il petto d'una lodevolis- sima carità patria (così tutti in simili casi lo imitassero!) mostra in questa erudita e calda operetta quanto lo scrittor ginevrino, con siffatte calunnie, abusato abbia il dovere d'istorico. Versi di Giuseppe Corsi. 8. Pisa presso Ranieri Prosperi i84i- ( Un voi. di carte 23. ) JLj autore di questi versi è un giovanetto toscano di diciolto anni d'età, e tutto caldo delle italiane glorie. Egli studia di forza la bella lingua del sì ed i suoi classici: e quindi ognun può cre- dere di quali speranze consoli la presente misera condizione del- la poesia de'nipoti di Virgilio e dell'Alighieri. Segua il sig. Corsi a percorrere la nobilissima via, guardandosi sempre da questa 366 Varietà1 contaminazione straniera, cbe tanto brutta ed avvilisce a' nostri giorni l'Italia .• e faccia soprattutto d'avere spesso il consiglio e l'approvazione dell'uomo illustre, a cui ha intitolato queste pri- mizie : intendiamo dire del cavaliere Giovanni Rosini. Elogio storico di Luigi Camoens, scritto da Filippo Mordani ravennate. 8. Bologna co? tipi delle muse i84i- (Sonocar. iS.) .Cicco l'elogio che ci dà di un grande il signor Mordani, da cui ne abbiamo avuti tanti altri bellissimi. Ed esso è degno del pa- ri di quel suo grave giudizio e di quella sua eleganza. Istruzione epistolare pe' giovanetti compilata da Gianfrancesco Rambelli lughese. Edizione ottava ricorretta dall' autore ec. 8. Bologna 1841 dalla tipografia di Giuseppe Tiocchi e comp. ( Un voi. di carte i47-) VJonoscevasi già in Italia questo bel trattato dell'egregio signor Rambelli : e da lutti sommamente e meritamente lodavasi. Que- sta ottava edizione, che noi soprattutto raccomandiamo a mae- stri ed alunni, è stata dall'autore non pur ricorretta, ma si ar- ricchita di un appendice di lettere di alquanti de' moderni più illustri in quest'arte di scrivere con eleganza : come a dire di Gasparo Gozzi, dementino Vanuetti, Vincenzo Monti, Giulio Perticari, Paolo Costa, Pietro Giordani, Antonio Cesari , Luigi Biondi, Salvatore Betti, Pellegrino Farini, Michele Colombo, Fortunato Cavazzoui Paderzini e Francesco Federighi. Varietà' 367 Congetture sopra un'iscrizione sannitica, lette all' accademia er- colanese dal cav. F. M. Avellino segretario perpetuo. 4- Na- poli dalla stamperia reale 1841. (Sono carte 26. ) ^Annunziare un'opera del cav- Avellino è annunziare un vero dono agli eruditi di Europa. Qui l'autore dottissimo mostra so- prattutto il gran magistero che La delle antichissime lingue che parlarono i nostri avi, e delle loro paleografie: sicché bene in- terpretata l'iscrizione sannitica, procede con egual perizia a da- re una sua divinazione sul senso della celebre iscrizione osca pompeiana di Adirano. Discorso intorno ai mezzi più probabilmente valevoli a preser- vare i prodotti agricoli dai danni recali dalle locuste , che nel 1839-40 hanno infestato diversi territori della delega- zione maceratese , e sul modo di diminuire d'assai i perni'- dosi effetti che i succiameli ( orobanche bot. ) producono alle piante leguminose, recitalo nell' accademia de' e alenati di Macerata dal dol.t, Filippo Narducci prof, di botanica nella pubblica università di Macerata, socio ec- Loreto tipo- grafia dei fratelli Rossi, 1841, in 8, difac. 27. LI uè interessanti cose intorno all'agricoltura tratta il sig. doli. Narducci. Spone nel primo il metodo di estirpare le locuste , come già stabilirono Doria e Metaxà , sterminandole col fuoco allorché sono in istato di larva: poiché accaduta la metamorfosi, riesce impossibile distruggerle, il loro numero essendo prodigioso. Propone quindi snidare da'eampi, in cui si seminano pian- te leguminose ed in ispecie le fave, l' orobanche (succiamele fiamma, fiammina, fiorone, fuoco sabatico, malocchio, angine dei francesi ), per non veder più rinnovellato nei nostri campi, dice 368 Varietà' FA., il favicidlo. Vuole che si sbarbichi questo parassito prima della fioritura, per impedir che si svolgano e maturino novelle" semenze. Micheli, Lapi con altri ( che opinarono come il Nar- tlucci ) proposero, per adescare i contadini , mangiarli allessi o fritti: hanno essi un sapore amarognolo per alcuni non ingrato. „ Tutto ciò, egli dice, non è novità, ma applicazione in piccolo di metodo conosciutissimo. „ Sembra di fatti dover ciò riuscire molto utile e proficuo, se con diligenza ed instancabilità venga applicato alle campagne della delegazione maceratese, che nel i83c;-4o ebbero a soffrire moltissimo dalle locuste (acridium ita- licuni ), e che in quasi tutte le annate isteriliscono per l'oroban- che. — Reca piacere che si occupino i dotti di materie cotanto utili all'agricoltura, ed è a lodarsi il signor prof. JNarducci che nella maceratese accademia dei catenati ricorda istruzioni agri- cole di grave interesse. E. C. B. Della origine, progresso e stato del museo di anatomia fisiologi- ca e patologica umano-comparata delVI. e R. università di Pisa nell'anno i83c;. Storia del dott. Filippo Civinini pisto- iese, pubblico prof, d'anatomia umana, direttore degli sta- bilimenti anatomici di detta università ce- Pisa presso Ra- nieri Prosperi 1841, in 8, di facce 5a. X. ino dal declinare del secolo passato, e più manifestamente nell'anno accademico 1818-19, il governo toscano potiea niente, affinchè si erigesse un musco anatomico in Pisa, il quale non fu posto in essere che undici anni dopo. Tommaso Biancini di Ca- stel Bolognese con diligentissime ed efficaci cure dava incomin- ciamento al medesimo, allorché còlto da un grave morbo , che lo trasse al sepolcro, abbandonar dovette la onoranda impresa. Varietà' 369 Succeduto l'A. allo infelice Biancini nell'anno 1 834-35, tro- vò molte preparazioni rese affatto inservibili. Sole 60 se ne po- terono ricuperare: più di altrettante graziosamente egli donò. Con poco più di 120 pezzi cominciava ad avere esistenza reale questo museo. La moltiplicità dei presenti ed i lavori riguardanti pezzi organici sani e morbosi, e prodotti dalle malattie sì dell' uomo e sì degli animali, in parte eseguiti dal eh. prof Civinini, arricchirono questo gabinetto di i3oo oggetti: numero rilevan- tissimo, per la infanzia del medesimo. A lode ed onore de'generosi, che furono coitesi di donativi al museo pisano, noteremo che il prof. Regnoli dava numerosa serie di calcoli orinari ed alcuni pregevoli pezzi, ottenuti da fa- mose operazioni del suo particolare esercizio. I professori padre e figlio cavalieri Gaetano e Paolo Savi disponevano , che dal museo di storia naturale passassero nel fisio-patologico alcuni calcoli, stupendi anche per la nobilissima derivazione loro dal museo mediceo, con alcune mostruosità animali egregiamente pre- parate. 11 prof. Giambatista Mazzoni di Firenze facea presente di pezzi bellissimi e rarissimi ereditati dal grande Lorenzo Nan- noni, e ne aggiungeva dei propri. Importantissimi doni fece il prof. Pietro Vannoni: altri, riguardanti in ispecie calcoli orina- ri, il prof. Menici : così i dottori Simone Notari e Leopoldo Fe- di, il prof. Barzellotti, il prof. Carlo Biagini di Pistoia, l'archia- tro Del Punta, il dott. Cartoni ed altri molti (*). Insigniva il prof. Panizza il gabinetto di Pisa di alcuni eccellenti preparati che servirono di tipo alle tavole di quel lavoro sui vasi linfatici, che è quanto in proposito vanta di meglio l'odierna anatomia. „ Il prof. Alessandrini, preclaro non meno per gl'interessanti suoi lavori, che per il nobilissimo museo d'anatomia comparata, di che per lui va superba la sempre dotta Bologna, consentì vo- lentieri arricchirlo, oltre di eletti articoli di elmintologia e litiasi, anche di pezzi di sue superbe iniezioni del sistema branchiale f*J Nel fine dell'opuscolo, del quale ragionasi, evvi l'elenco di tutti quei gentili che fecero presenti al gabinetto anatomico G.A.TXXXXV1II. 24 370 Varietà' dei pesci ultimamente da esso illustrato, e di belle ed utilissime scoperte arricchito. ,, Il venerando prof. Catullo di Padova si fece un pregio donare i verni! più rari da esso posseduti, i qua- li se non compiono la collezione elmintologica, la estendono e rendono ragguardevolissima, sia per la rarità degli oggetti, sia perchè della viennese raccolta di Bremser facessero parte, sia perchè posti insieme da Malacarne, da Renier e da Brera. Né solamente i privati mostrarono generosità, ma i pubbli- ci stabilim nti eziandio : tali furono il museo di s. Maria Nuova di Firenze, quello di Pavia, quello di storia naturale di Pisa, l'altro di Padova, non che quello di anatomia comparata di Bo- logna per cooperazione dei loro direttori- ,, Al gran duca Leo- poldo II piacque disporre, che tutti gli articoli di mostruosità sì umane che di animali cessassero di appartenere al suo I. e R. museo, e che da questo passassero al nuovo gabinetto pisano, il quale così coll'acquisto di circa 80 bellissimi ed utilissimi pezzi venne arricchito considerabilmente ed ottenne splendidissimo ti- tolo d'onore e di gloria. ,, Il museo è diviso in tre classi, cioè I fisiologica ; II terato- logica ; III patologica.- ed in sei generi : 1 osteologia, 1 neolo- gia, 3 splancnologia. 4 angeologia , 5 nevrologia, 6 embriologia. Ogni classe ha cartelli di diverso colore; in ogni oggetto evvi la sua denominazione in cartelli di colore eguale alle classi, cui appartengono, ed il numero d'ordine che richiama il catalogo , il quale è un indice sommario degli articoli esisteuti nel museo. Ivi, additata la classe ed il genere, si dà qualche notizia scientifi- ca e brevissima osservazione intorno a ciascun pezzo, e si citano articoli stampati o manoscritti, i quali contengono le descrizioni ed illustrazioni di alcuni pezzi fatte dal direttore o da qualche collaboratore. A tal'uopo il museo è fornito di apposita libreria, per la quale vi è un'indice separato, in cui, oltre il titolo del libro, è posto il numero corrispondente a quello del cartello e del catalogo. La qual cosa ci sembra di tanta utilità e con tanta sapienza disposta, che iion possiamo che ammirare il eh. prof. Civiuini. Questo valente italiano colTopera e cogli scritti ha sommamente giovato alla notomia, ed a buon dritto merita di esserne proclamato benemerito. E. C. B. Varietà' 37 r Malattie predominanti in Civita Castellana, e razionali mezzi onde possibilmente guarentirsene, opuscolo del dott. Mauro Leonardi medico primario di detta città- Fuligno, tipogra- fia Tomassini 184 1 > in 8, difac. 48. vJuest'operetta, dedicata alla magistratura ed ai primati di Ci- vita Castellana, viene divisa dall'autore in due capitoli. Nel pri- mo trattasi delle malattie d'inverno e di primavera, stagioni nel- le quali a preferenza dominano le infiammazioni acutissime e ge- nuine , che prediligono il capo, le fauci , gli apparali pneu- monico e gastro-enterico ed il sistema fibroso delle articolazio- ni. Nel secondo si ragiona delle malattie estive ed autunnali, che sono: 1 le esantematiche, come i morbilli, il zoster, la scarlatti- na, la miliare, il vaiolo ec. 2. Le gastriche, che di leggieri ve- stono caratteri nervosi. 3. Le periodiche di ogni tipo, non rara- mente al grado di perniciose. Il eh. dott. Leonardi, allievo del celebre Tommasini, dispie- ga con tutta forza le dottrine di quel valente italiano , senza però invilirle, contraffacendole, come molti proseliti usarono a discapito della medica rinomanza del Nestore dei clinici italiani. Nello insinuare agli abitanti di Civita Castellana le più adatte misure igieniche per evadere possibilmente dall'azione delle cau- le morbose (ragionando in fine anche sui funghi), si fa a com- battere virilmente i pregiudizi ivi regnanti intorno ad alcune ma- niere di medicare, i quali per lo più riconoscono la loro origine dalla ignoranza e caparbia di coloro, che acquistaronsi , Dio sa come, qualche riputazione tra quei popoli che ebbero a curare. Qui parmi non fuor di luogo il raccomandare a' medici somma prudenza per non porre eglino stessi altre basi a novelli pregiu- dizi, e per non far parere all'occhio del volgo inutili e dannosi gli stessi farmachi più preziosi, solo perchè se ne fece insolente abuso. Di altro pregevolissimo scritto del dott. Leonardi ne die conto il prof. Ceccarini al toni. 66, p. 20"" di questo girnalc, facendo- ne ben meritati elogi, e noi pure nel presentare questa eenuo 372 Varietà' intorno alle Malattie predominanti iti Ch'ita Castellana, altamen- te lodiamo l'A. che si è dedicato a studi di pratica medica i piò utili, mostrandosi avverso a quelle sottigliezze metafisiche, che invece di arrecar luce, spandono densissimo fumo innanzi al pie- no meriggio dei veri fatti, dei quali dee essere contesto l'edificio della medicina (*). E. C. B. Rapporto del consiglio d'amministrazione della cassa di rispar- mio sulla gestione dell'anno 1840 col reso-conto ec. Bologna dai tipi governativi della Volpe 1841 '" 4> & PaS- 24- G; iova tener dietro a queste benefiche istituzioni, come facem- mo sino dal loro nascere. Quella di Bologna, di cui ora annun- ziamo gli atti posti innanzi alla seduta degli azionisti del 1 feb- braio 184 1, procede prosperamente. La serie di questi atti è la seguente: i- Rapporto del consiglio di amministrazione. 1. Di- spacci del i4 luglio 1840 dell'eminentissimo segretario di stato per gli affari interni e del ì giugno 1840 dell'eminentissimo sig. car- dinale Lambruschini, da cui si rileva la superiore sodisfazione al- la cassa di risparmio di Bologna. 3. Rendiconto e bilancio in modo riassunto per tutto l'anno 1840. 4- Rapporto de' sindaci revisori. La morte avvenuta del benemerito presidente del consiglio di amministrazione sig. conte commendatore Vincenzo Brunetti (*) Compilato il presente articolo, abbiamo con molto pia- cere letto gli elogi di questa operetta nel bullettaio delle scien- ze mediche di Bologna volume XII, serie II, p. 72; e nel racco- glitore medico di Fano num. 809 del 23 e 5o agosto 1841, pag. 144. Varietà' 373 non ha portato alcun danno allo stabilimento, essendo succedu- to il degnissimo sig. conte Lodovico Isolani nella carica. Si nota- no anzi felici risultamene, e come gli assegnati premi hanno sempre più incoraggiato le classi minori a prevalersi del benefi- cio della cassa. Notasi ancora l'aggiunta dell'atto e regolamento speciale pei depositi vincolati , ed il vantaggio apprezzato di succursali ricevitorie. Del resto furono 6/f68 i depositanti, che nel 1840 portarono i loro risparmi, 532 in più degli anni 'pre- cedenti. E nell'esercizio del 1840 entrarono in cassa se 124,677: 80 provenienti da 26, 821 deposili, e più che se 27o,736:56 ; 8 da estinzione di somme sovvenute: onde insieme se. 3g5, 4 14 .- 36.- 8. I ritiri furono 4o48 per se 6g, 992.54 compresivi i frutti. S'impiegarono se. 323,2i3:62 in crediti sulla provincia, chiro- grafari verso stabilimenti, comuni e consorzi: in sovvenzioni con ipoteche e crediti ben garantiti contro privati E si è fatto fronte alle spese d'amministrazione e d'impiegati, ottenendo tut- tavia una rimanenza in cassa di se. i,566: 27.4. La rendita net- ta a tutto il 1840 risulta di se 2,991 : ^.-5; la quale, cumulata agli avanzi degli anni precedenti, costituisce a prò dell'azienda un attività di se. 6, 5 1 6 .- 46 : 8. La parte più difficile degl'investimenti è stata agevole ed immune da ogni sinistro nelle sue conseguenze.- ed ogni ramo dell'amministrazione, tanto ardua quanto beneficala prosperato per le vigili cure del consiglio, e per la esattezza e diligenza de- gl'impiegati operatori. Ai quali tutti vuoisi commendazione, tanto a quelli che sono come anima e mente; quanto a quelli che sono braccia per mantenere e promovere uno stabilimento di tanta utilità materiale e morale per le classi minori, il cui buon costume e l'amore al lavoro onesto ed utile vengono ecci- tati dalla cassa di risparmio : ciò che influisce cotanto sulla pri- vala e pubblica felicità! D. V. —> =»-^9©<^^-<=»— ■ NIHILJOBSTAT Fr. Ioannes B. Marrocu M- C. Censor Theologui. IMPRIMATUR Fr. Dom. Buttaoni O. P. S. P. A. Mag. IMPRIMATUR J. M. Vespignani Archiep. Tyaneus Vicesg. 375 BSllMtW ©SIILI smtus® CONTENUTE NEL TOMO LXXXVIII, VOLUMI 262 , 263 , 2G4 DEL GIORNALE ARCADICO. SCIENZE. Morichini, Discorso alla società pel soc- corso de'poveri orfani ec. . . pag. 3 Tortelli, Continuazione de'lavori di medico argomento » 18 Bucci e Speroni, Risultamenti delle grandi operazioni di chirurgia in s. Spirito in Sassia » 3o Filopanti, Nuovo istromento idrometrico, e Fuochi fatui » 4^ Santarelli, Eziologia del V intermittente per- niciosa delle campagne romane » 5i Terrone, Praelectiones theologicae . . » 141 Ferrarlo, Statistica medica di Milano. » i58 LETTERATURA. Betti, V illustre Italia [paiate prima) . » 182 Mancini , Georgica ed Eneide di Virgilio volgarizzate » 3og 3y6 Santucci , Saggio di epigrammi tradotti dal- l'antologia )) 321 Farini, Compendio della storia romana. » 335 Strocchi, Serie storico-critica de* ve scovi dì faenza » 33g Montanari^ L'arte di scriver lettere. . » 346 Varietà. Tavole meteorologiche. 377 Alcuni errori occorsi nell'articolo del sig. prof. Santarelli. PAG. 1IN. ERRORI CORREZIONI 55 I distinti distanti 65 2 vostra vasta 76 2 Montasano Monturono 77 5 sarebbe farebbe 102 *9 contadini cittadini III i tetra terre 1^4 3 Ora Ove i3o 3o divenire di diventare i38 7 chimico clinico 378 Variaxioni od Errori principali occorsi nei Dialoghi del prof. Betti. VkO. LIN. ERRORI CORREZIONI 186 x7 l'inventiva la novità 188 12 altezza italiana altezza italiana! J9' 24 lasciangli lasciargli 196 16 del grande dal grande 199 29 del pronunciato dell'aver pronunciato 200 21 abbiamo abbiano 211 6 stato largo stala larga 2l3 16 Federigo Federico 216 IO ti dice ci dice 221 3o Cobotto Cabotto 224 5 il Galileo il Galilei ivi 18 dall'universo dell'universo 226 12 principiato principato 232 3 grammatico grammatica 234 6 da una di una 235 24 nascere e perire a' di nostri nascere a'dì nostri 237 16 contrastagli contrastatagli 24o 26 più meglio 244 3i non al tutto cadde al lutto non cadde 255 9 scoperse scoprì 269 IO duecento ducento 270 9 se trattò ne trattò 274 1 i sommi grandi i nostri grandi 277 i5 de'popoli delle nazioni 280 28 non che e così 284 3i quella merito quel merito 294 26 ad un nome d'un nome 299 8 avrebbeti ti avi ebbero ivi 23 dalla orridezza della barbarie dell' orridezza barbarica ivi 32 formidal formidabil 3o4 26 Guardateli Guardatela 3o6 21 de'suoi combattenti Osservazioni Meteorologiche )( Collegio Romano )( aprile ìB^ì. Vento -P'Ogg'3 I Evapor- ! Stato del Cielo la mat. |ier. j mal. ser. Baromet. „po8 U e „ 7 6 » 7 9 tS '9 mat. gì- ser. mat. gì- ser. mat. ser. mat. »3iS«- ser. 24 2 fi ;27 | mal- mat. gì- ser. mal £*• ser. 28 29 1 mai £'• ser. mat. gì- mat. gì- >7 8 5 „ 9 1 Termometro max. min. I i5 7 9 9 9 ° 27 11 4 „ o „ 5 26 «6 i3 „ JJ 0 5» 1 2 » » 8 23 2 0 « 1 8 ]> 3 0 » 2 0 „ 1 $ » n 6 16 6 i5 o 16 5 Igrom. 172 i5 3 i5 4 7 9 -7 8 '9 7 20 3 22 9 20 6 18 6 7 5 9 21 4 4 8 0 ! 4 fi 0 l7 5 P"~ fi 5 11 5 4 4 5 '9 b 7 8 0 22 7 6 5 8 24 4 7 5 5 37 10 6 5 0 3! — 12 » 7 u 33 9 25 S 9 54 22 18 9 2 45 23 14 9 8 45 i3 18 8 0 27 8 7 7 ° 28 6 Vento N a SO m ENE J NNE J SSE a s aa ne a so a N in iene "a" Calma ne a O m Calma Calma O m Calma sso a ese aa Calma SSO f n a ~N "di sso a n a ~n ~aT no a Calma ~N~a~ NNE m nno a n a NNE a NNE a n a" nno a e aa "n a ono a o a n a NO m Calma Pioggia 1 08 6 53 o 22 1 35 E vapor. 1 5 2 5 2 7 5 0 4 0 2 0 4 5 ì 5 4 5 o 4 o 4 0 Stato del Cielo' sereno nuv. sp. coperto coperto nuvoloso sereno nuvoloso sereno chiarissimo nuvoloso sereno nebbioso ser. chiarissimo sereno nuvoloso chiarissime sereno chiarissimo nuv. sp. sereno chiarissimo nuv . sp. sereno chiarissimo nuv. sp. chiarissimo sereno nuv. sp. \xai,jLimMMuumK&n WW»-1 ixaTirr— i Osservazioni Meteorologiche )( Collegio Romano )( Maggio i84>- Ore mat. gì- ser. mat. gì- ser. mat. gì- ser. mat. gì- Baroni et. «4 mat. & ser. mat. fi»'- ser. mal. gì- ser. mat. gì- ser. mat. gì- ser. mai. gì- ser. mat. gì- ser. mat. gì- ser. >; 2 2 li " 5 » 9 „ 8 3 ì i5 gi. Terni, esterno „ " 5 i3 1 1 7 9 » 3 0 ri '9 i4 12 9 y 5" 2 1 0 1 9 8 2 1 i5 3 2 28 i3 2 „ „ 7 !9 9 » 1 4 7 •4 2 „ „ »4 0 " » 3 3 5 *7 i3 7 7 „ 12 8 „ „ 2 i5 3 » » 6 11 4 » 1 1 12 fi 11 0 1 b 0 l8 i3 4 9 " 0 3 12 18 4 3 « 1 0 i3 9 28 1 0 0 „ 0 8 18 1 _»_ 1 0 i5 3 ., 1 2 5 1, 0 8 16 8 " » 2 12 2 '7 Termometro ;S°8 19 2 18 7 19 3 Igrom. Vento 7 ° 6 5 6 5 7 ° 21 3 22 9 ìi 8 '9 9 19 S io 5 20 3 3 5 9 ° 9 ° 8 5 8 o Calma OSO m s d N .1 0 f s ci N d 0N0 d 0 dd N d OSO ra Calma N d S m Calma SSO d OSO d Calma SSO f. E d ino a SO f S d "Ed OSO f S d N d ENE f N d N ra NNO m Calma N d OSO m SSOd Calma sso a N dd NNE d SSO m ONO d 1 58 N m 0 m E d 0 45 E vapor. Stato del Cielo ; chiarissimo 4 o " 3 6 4 5 5 o 6 9 7 ° 7 3 vaporoso sereno ser. nuv. spar. 3 5 5 7 nuvoloso sereno ser. vap nuvoloso nuvoloso chiarissimo nuv. sp. rhia rissimo nuv. sp. vaporoso nuv. sp. oriz. nuvoloso nuvoloso sereno chiarissimo nuv. sp. oeKjsitSLfc^i^is e r L iS '9 20 21 22 23 24 25 26 ) 1 Ore ! Baromet. Terni. 7rV '9 4 '4 4 1 2 0 18 8 15 9 11 8 iS 4 '4 1 12 8 20 0 1 5 0 i'5~T 20 2 14 8 14 0 21 6 16 6 iTT 20 7 i5 4 la 8 24 7 18 S tè s 22 7 iS 8 17 0 23 2 19 0 " 22 9 18 9 18 0 21 0 18 1 17 2 22 8 lfi 9 16 2 22 4 17 3 l6 2 !21 4 16 9 i5 0 16 8 ì'4 1 Term max. Druelro min. Igrom. Vento Pioggia Eva por. Stato del Cielo1 chiarissimo vaporoso sereno mal. gì- ser. mài. gì- ser. mal. §l- ser. mal. g'- ser. mal. gi> ser. . pò " » 28 2 » l U 2 «6 3 7 5 9 0 20 4 8 3 7 5 8 5 8 5 i5 5o 28 N m NNO d NNO d ~~N^d~ 0 f S il ~N~d~ 0 f S d ~N~ d~~ SO f S d 3 5 20 1 20 1 21 6 22 38 23 7 37 9 10 4i 18 10 '9 ! 7 6" 32 20 il 33 14 9 5o 18 4 5 chiarissimo »» „ O 0 0 4 5 vaporoso nuv.sp. „ 0 27 11 >> )> 5 8 9 5 3 " n coperto 28 O 7 2 8 220 SO d SSO d SE dd Calma S i S d 4 0 nuvoloso n sereno mal. gì- ser. ■ >, » 1 3 23 6 10 5 i3 6 io 0 14 3 i3 5 5 0 nuv. sp. | nuvoloso 3 coperto 5 mal. g'- ser. li l » 2 II )> l> 1 >J 1 1) 1 1» 1 J» >> 9 9 1 4 5 8 4 2! 5 S d SO d 0 d 7 0 nuv. sp. chiarissimo chiarissimo < gì- ser. mal' gi- ser. mal- li, ser. m at. g*> ser. 25 O N d OSO d Calma 4 2 sereno 24 3 25 7 25 7 17 4i 24 N d SO d SE dd Calma SSO d Calma 5 6 nuvoloso » »» 1» 1 5 6 9 12 35 20 6 3 0 5 nuv. sp. sereno Il * ,, 1 0 7 8 i3 8 14 0 1 1 3o 17 12 27 18 10 29 18 12 34 17 10 23 i4 N d 0 f Calma OSO m ONO d NET- ONO i N d N d~~ NO d NNE d NNE a " OSO dd Calma NNEm IENE ff 1 NE d ser. mal' a7 \gi. \ser. » ' 28 1 !> 0 „ I 8 4 5 5 7 0 24 6 5 4 5 0 nuvoloso 28' 39 5o 5i mai . gl- ser. mal. gì- ser. mal. gi- ser. mal' gì- ser. 25 0 14 5 8 9 nuv. sp. nuvoloso sereno ; » 1 » 1 0 7 2 25 3 5 0 vaporoso nuvoloso sereno Il 1 » » „ 0 » 0 a 9 3 9 4 _7__ 22 9 12 5 4 0 sereno nuvoloso vaporoso ? sereno nuvoloso .coperto 23 0 12 5 12 26 6 6 75 3 5 17 ■9 23 29 Ore in ut. gi- ser. mal. Si- ter. mat. S'- ser. mal. Si- ser. mat. Si- ser. mat. SL Baromet. 4po li 22 ser. mal. SL ser. 2.1 mat. Si- ser. mat. =4 gl- ser. mat. 35 Si- ser. mat. 26 g'- ser. mat . 27 gl- ser. mat. gi- ser. mat. gi- ser. 38 28 3 7 3 1 a 9 18 o 7 Termo max. metro min. !9 7 9 9 5a 2 9 ° 17 5 io 0 21 1 11 5 20 7 n 5 23 3 10 2 23 1 23 0 11 6 12 9 i5 2 12 0 24 8 u 8 12 4 i3 0 26 4 27 4 27 7 i5 0 23 3 23 3 i5 0 12 0 Igrom. Vento Pioggia 9'-" SSO d 55 n a SO m Cairn a OSO m OSO ci Evapor. 4 4 4 5 3 0 a 0 4 3 3 5 5 5 5 0 I 6 5 l I 8 5 7 3 6 3 Calma SSO m SO d isso a sso 1 I „ a 6 4 Stato iel Cie! chiarissimo sereno chiarissimo sereno sereno elato coperto piove nuvoloso vaporoso nuv. sp. vaporoso chiarissimo chiarissimo chiarissimo sereno vaporoso chiarissimo chiarissimo nuv . sp. vaporoso sereno 4 5 chiarissimo vaporoso chiarissimo Mi *2k Sfe# W^5P^ •♦+<§> 4Mfil fta^fl1